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y
i'ECCERINISiel
( Stadio storico ed estetico)
Frof. PIETKO FEDELB di Aohilld
AVELUNO
TIP. SANDDLLI E OIMELLI
DOTT. PIETRO PEBELE
i'ECCERINISiel
(Stndio storico ed astetico)
Prof. PIETRO FEDELE
■«6®9»-
AVELLINO
TIP. SAHDDLU E QIHELLI
A^'4^4^€€^ Jic>
B. ZUMBINI - E. COCCHIA
MIEI GP4NDI E YBNERATI MAESTRI
CON DEVOTO E RICONOSCENTE
AFFETTO
LIB. COM,
CJBERMA
JULY 1928
17636
^ ^Miai^iM ^ > ^4 i|t..^Mt ■ ■j'^*!! ^
CAPITOLO I.
Se il Mussato attinse ad una laggenda d* EsieUno
SOMMARIO
Ezselino ed Albertino Mussato — inoerosimiglian-
za dell* ipotesi che at tempi dello scrittore csi-
stesse gia la leggenda — II Graf e le leggende
Ualiane del sec. XIV — nianca il tempo neces-
sario alia formazione d' una leggenda — e man-
ca anche il tempo opportuno — I* Umanesimo o
il 8U0 lyalore crctico — La leggenda b la storia
dei popoli giooani — il popolo italiano d oecchio
anche nel Medio-Eoo, ma accetta tuttaoia le
leggende ascetiche — perchd — differenza sostan-
siale fra leggende ascetiche e leggende profa-
ne — La letteratura leggendaria italiana b stata
sempre pooera, e tanto piu alia oigilia dell' U-
manesimo — Si esamina particolarmente il ca-
so di Ezzelino — a che si riduca la pretesa
leggenda di lui -* essa non esce dai litfiiti del
— 6 —
' taeoHo fantastioo ordihario che si fa su di ogni
persona — degli elementi di leggenda non costi-
tuiscono la leggenda — Ostacoli etnicogeografici
che in Italia tmpediscoiio la formasione . delle
leggende — Le apparisloni dell' ombra di Ezse-
lino — gli amort — la statura — la crwieltd, —
Le dicerie sulla nasclta — sulla morto — La
paternitd diabolica — Se fu attribuita solo ad
Ezselino — come V odio partigiano la mise in
giro per tutti i ghibellini — Se V odio partigia'
no sarebbe bastato a creare una leggenda di
Ezzelino — - Conclusions
Nel 1260, a Sonciao, prigioniero deir eser-
cito Grociato messogli su dall'odio del papi e
delle Q\i\k soggotte, moriva Ezzolino III, Vim-
manissimo tiranno^ accompagoato dalle male-
dizioni e dallo schorno di mille, che dianzi tre-
roavano al solo udirno il nome. Moriva, e in-
toroo al suo nome e alia sua figura preti, ac-
cattODi, cronisti e poeti diffondevano, miste aile
storicbe, ogoi sorta di favolose notizie e di di-
cerie, dalle qua!i, se non la materia, forse la
spiota ebbe il Mussato a scrivere una tragedia
di argomento nazionale, benche redatta in La-
tino. Strana fatality che fin dagli iniziipar pe-
^are si^l Teatro Italiano: che , togliendo , come
questa volta, ad argomento an soggetto nasio-
Dale, sia scritto in Latino; e cho iavece, una
YoUa assunta la lingua italiana, o negli intrecci
o nella condotta o negli argomenti non si allon-
tani dai modelli classici, da Plauto o da Teren-
zio, da Seneca o da Euriplde.
Quando nacque il Mussato nel 1262 in ua
sobborgo di Padova (come i recenti stuJIi del
Novati (1) hanno assodato), V immanissimo tU
ranno che, come caiil6 poi r Ariosto, /la ere-
duto figlio del demonio, era morto da due anni
appena. Se, dunque, il grande umanista pado-
▼ano visse in un' epoca cosl vicina, a cosl bre-
ve distanza di tempo da Ezzelino, che» non che
il formarsi di una loggenda, non parrebbe possi-
bile nemmeno il piu lieye alterarsi dei contorni
della Storia, eBisteva dunque una vera e pro-
pria leggenda di Ezzelino, a coi, come vorreb-
bero alcuni, (2) il Mussato avrebbe attinto ? E'
(1) Gior. St. lett. It. — V. 6 - Novati.
(2) II Minoja (« Vita e Opere di A. Mussato »
pag. 4, nota) scrive: Nel breve spazio di settanta-
sett' anni fu elaborata dal popolo la leggenda del
sue tiranno» e sparsa in altre parti d' Italia. — Lo
Zardo (Riv. st. it. V. 6 p. 497) in un articolo di-
retto a dimostrare il carattere essenzialmente sto*
-8 -
esatta, ciod, rispelto ad EzzelinO da una partd
ed al Mussato dalfaltra, quell* affermaziooe; e
se DO, come va es&a intesa e corretta, volendo
riteoere la parola leggenda ? Gercheremo pri-
ma di tutto di rispondere a queste domande.
m
Arturo Oraf nella sua conferenza < II tra«
mooto delle leggende » dope aver rilevato la poca
parte presa dair Italia neU* elaborazioue deU
V immense materiale leggendario medievole, do-
pe aver dimostrato come nel sec. XIV perQoo
le leggende accolte di fuori non attraevano pid
r attenzione degl' Italiani, si occopa a spiare
rico deli* Eccerlnis, pur si lascia sfuggire frasi co-
me queste: (p. 498) « il poeta nella sua trage-
dia pur seguendo in molti luoghi la leggenda ecc »
e a p. 500: il Mussato raccolse tutta questa ma-
teria dalla leggenda popolare; e, senza perdere a/-
fatto di vista la storia, ide6 la famosa t raged ia. —
II Buonfadini finalmente (Vita Ital ner*dOO. I prim,
delle Signorie p. 108 e 109) dice di Albertino: Autore
tra le altre opere di una tragedia latina dove col titolo
di Eccerinis mette in iscena il tiranno, gik diven-
tato leggendariot della Marca Trlvigiana ecc.f*
tutte le leggendo o vestigia di leggende, che
potrobbero dar ragione ad una test contraria a
quoUa da lui sostenuta — K ne cila in verity
parocchiOy senza p6r6 far menomamente alia-
sione ad una leggenda di Ezzelino. Che r acuto
critico e il diligente esaminatore si sia lasciato
sfuggire propiio questa, la quale pure, ove
fosse esistita, sarobbe stata per la qualiiilt del
personaggio di una grande imporlanza e avrebbe
tagliato corto ad ogni discussiono, in quanto cho
una leggenda formatasi in non piu di una met&
di secolo intorno ad un uomo morto il 1260, sa-
robbe stata la prova piu docisiva doll' attitudine
del popolo italiano per simile iavorio funtaslico?
Dope tanti studii o tante ricorcho sullo leggende,
dope che i magistrali lavori del Rajna ban mos-
so in luce come e per quale lento o multifor-
me Iavorio esse si vadano svolgendo, quanto
debba passare flnche sulla roccia nudsr di un
tempo si vada formando I' humus su cui poi
s' alzer^ rigogliosa la pianta, dope tutto questo,
dice, noi non possiamo nemmeno a priori ras-
segnarci a credere che il Mussato si facesse eco
di nna leggenda su Ezzelino a cosi breve di-
stanza di tempo. La leggenda potr& magari es-
sersi sviluppata dope, se pure si 6 sviluppata,
ma, vivente Albertino, 6 certo che i germi di
essa^ anche ad esistere^ non ancora avean po-
le
-16-
toto germogliare, il che 6 tutt* ono col ooo es-
serci affatto.
Sd, iofatti, 6 veroche nel lavorio faotastico
avviene il fenomeno contrario a quello dell'ir-
radiaziono, se, cio6, le proporzioDi dello cose
8' ingrandiscono a misura chepiiicisi allontana
da esso, non si pud negare che ai giorni del
Mussato si era troppo vicioi ad Ezzelioo perch6
le proporzioni e lo fattezzo di questo poiossoro
menomamonto alterarsi.
Col Mussato, pel, noi.siamo gi& al tramou-
to dol soc. XIII e air aurora del XIV , in un
tempo ciod in cul gi& anche alt re nazioni^ piii
giovani o pid caldo di fantasia deir Italiana^en-
trano in un periodo di maturity critica che le
fa dosistero dal lavorio di loggende, in cui pur
dianzi orano state cosi feconde. In Italia al con-
trario, jdove sempre, anche nolle piu fltte to-
nebro del Medio Evo, si era mantenuta accesa
la naccola della civilti e delta sapienza latina,
in Italia, per cui da secoli era passato il pe-
riodo giovanile, gi& si sontivano gli splendidi
proludii deirUroanosimo.
Or si badi che glh, Rn dagP inizii V Umane-
siroo porta con s6 una corta attitudino al libe-
ro osame, una tendenza critica che 6 la peg-
gior noinica del lavorio fontastico, si tenga pre-
sonto che il focolare pid attivo in quel tempo
— 11 -
della rioascente cultura classica e Padova, e
uno dei cuUori maggiori delle lettere classiche
6 proprio il Mussato, e poi si dica so e ammis*
sibile una Idggenda in simill condizioni — Ma vi
ha di piu — Le leggeodo ascot iche stosso (dico
il Graf)> cho in Italia si eraDO, so non prodotto,
coDsumato io gran numoro^fra brovo diloguo-
ranoo intoramento dalla vita intoUottualo ita-
liana.
L' ultima oco no sar^ raccolta da Danto, il
qualo puro, accanto a un profoodo misticisrao,
rivola sposso dollo tondonzo non dico al liboro
osamo, ma almono alia discussiono, poicho non
accotta nossun dogma sonza sforzarsi di giusti-
ficarlo alia Ragiono o di fronte alio loggondo
storicho, so non di fronto alio ascoticho, assu-
me chiaramonte un'attitudino scottica^specio Ik
dove dice cbe a Fironze si favologgiava
Let TiViani di Fiesole e di Roma.
Dinanzi alio spiritopraticodogritaliani,scal-
triti nei commerci e nello navigazioni , adusati
ai viaggi di scoporto nello piu lontano regiooi,
in lotta 0 a contatto continue con le realty dolla
Tita, le ieggendo, eroditato dagli avi, o ascoti-
che, 0 profane incontravano troppo scetticismo ,
— 12 —
perchS fosse possibile che no creassoro altre
intorno ad uomini como Ezzolioo, vissuti quasi
in mezzo a loro o fra i lore padri; uomini, lo
cui minime azioni erano conosciute da tutti e
consegnate in cronache o in istorio. Ne d* altra
parte 1* odio occitato da Ezzolino contro 8d e i
8Uoi, odio cho trov6 una cosl barbara estrinse-
cazione nella strage di S. Zenone, pub bastare
a spiogare la formazione di una leggenda.
Ma qui, prima di procedore, 6 nocossaria,
una dicbiarazione intorno a talo parola.
A parte quella ascetica, che cosa si vuole
intendere per leggenda ?
E* certo che nessuoo, seotendo pronunziare
tale voce, intende con essa dosignata qualunque
cosa si racconti da una o piu porsono intorno
a chi 0 a checchessia ; giacch6 , a voler dare
un yalore cosl ampio alia parola, si corre il ri-
schio di comprendore fra le leggende ancho le
narrazioni piu esatte e fedeli alia verity storica.
Se» dunque, la leggenda e in certo mode I* anti-
tesi della storia, essa sar& qual cosa che per un
certo numero di porsone o per tutti per un
certo tempo o per sempre tenga luogo della
verity storica. La leggenda in nient* altro diffe-
risce dalla storia so non in quanto V una rap-
presenta fedelmonio la realty, T altra Taltora;
sicche^ servendoci di yn veccbio paragone, se la
— 18 —
mente umana pn& dirsi uno speccbio , qaella i
rimmagine riprodoiia in uno specchio carvo,
questa in uno piano o perfetto. — La leggenda,
perche sia voramonto tale, dove avero per chi
la ripete lo stesso valore delia sioria; ovo qual-
cbe sospetto intervenga sulla veridicit^ di essa,
eve ci si accorga che lo specchio 6 cur to o o
si rinunzi ad esso o si tenti di corregerlo, ovo,
insomma, cominci Tesame critico, non si ha piu
la leggenda. Quando 6 dunque che nasce e si
sviluppa la leggenda, quando 6 possibile cho si
abbia questa immagino prodotta dallo specchio
curve ? —
Benche si sia troppo abusato del paragone
tra i popoli e Tindiyiduo umano, benche so ne
sia dimostrata tutta V inesattozza, pure in fondo
quel paragone, per quanto grossolano, pub an-
dare ; e alio stesso mode che 1* uomo 6 piu di-
sposto a credere alle apparenze o a quel che
gli vien detto, a rimettersi al sense, a non pen-
sare a differenza che possa esistere tra iinma-
ginazione e realty piu nell'infanzia e nellagio-
vinezza che neli*et& virile, cosl i popoli sono
piu inchini alia leggenda nella loro infanzia che
neireti matura. Vi e un' infanzia degll uomiui
come delle nazioni, e in tal periodo le facolt&
predominant i, quelle quasi sole in esercizio sono
il sense e la fantasia , le quality piu esterne,
— 14 —
cjoi, e le piu impalsire. Ma. come siano Teoati
gli anoi e con gli anoi resperieoza di molte
cose o il contalto coo molU aomioi e con roolie
nazioni, gli oni e le altro piii ci?ili, come tante
disillosioni siano sopraTTonute nella lotia per
r esisienza, e si sia imparato a conoscoro qaanto
diyersa 6 la realti dairimmagioe, ^aXVidea^ al-
lora sopraTTiene la diffidenza, il dabbio che le
impression! forniteci dai sensi e dalla fantasia,
dalle facolUt, cioe, che si limitano alTosame e-
sterno delle cose e che prima ci aveyano escla-
sivamenie gnidati, non siano io vere, ed innanzi
ad esse si rist& esitanti : sopravtieno allora la
riflessioce, la critica, la ragiono o, nel case no-
stro, la Storia.
Ma prima di quosto poriodo che cosa ha te-
nnto il inogo della Storia ? La leggenda, certa-
mente, come, prima deireti mainra, nel fan-
ciullo la fiaba e il maraviglioso racconto delle
fate han tenuto laogo degli studi sever! che
r occuperanno fra pochi anni. So 6 vero tutto
questo, 6 chiaro che il popolo italiano, al tempo
in cui siamo , non solo non dovov^ piu crearo
leggende, ma doveva ancho sorridere di quelle
degli altri popoli, cho i saoi padri avovano ac-
colto , non roai per6 con la cieca flducia degli
altri.
It popolo italiaoo Qra veccbio alia qiviltj^,
I
-i5~
perchd Don era che il popolo latino ; in Italia
noD ci erano stati rinnovamenti di sangue, per-
ch6 le invasion!, ancho quelle dimostratesi pin
durevoli e stabili, non avevan portato tal con-
tiogente di barbario da sopraffare ii carattere
etoico della popolaziono indigena. So mistione
vi fa di sanguo birbaro col latino, questo si
assimil6 quelle, appunto come in Spagna, Fran-
cia 0 Inghilterra avvenne tutlo il contrario:si
ebbe qui un innosto benefice e salutare, \k una
completa trasfusiono di sangue, che per altri ri-
spetti non torn6 meno benefica e salutare. Prosso
i popoli, dunquo, che assorgevano a nueva vita,
indizio doila quale fu anche Tas^umoredi nuovi
nomi , roentre da do! re3t6 il vecchio nemo di
Italia , fu posiibile la formaziono rigogliosa di
leggende intorno ai lore eroi, ai loroguerrieri,
mentre da noi tale formaziooe o mancb aflatto
0 fu misera assai.
S' iotende che fin qui abbiam parlato e in-
tcndiamo parlare in seguito dollo sole leggende
storiche o profane che dirsi voglia , non gi&
dollo asceticho, nella formaziono delle quali 1*1-
talia prende parte anch* essa. E la ragione di
quosta esciusiono, fatta da noi, e in cib, che la
natura delle leggende ascotiche ci par tanto di-
vorsa da quolla dollo altro da non poterne faro
no niodosimo discorso. Le leggende misticbe si
- 16-
possono formaro o accoglioro ancho da popoli
maturi o civlli, porchd qui la lore causa non 6
la ingenuity o la giovinezza dot popoli , ma il
forvoro mistico. In quosto caso la fedo nou e
naturalo, ma imposta, e air assurdo, alio straDO
Tanimo del credonlo non si ribella come si ri-
bollorebbo in aitri casi, giacchd a tutti 6 nolo
U paradosso di Pietro Bayl , filosofo francoso,
cho dicova: «Quanto pit! 6 assurdo il contonuto
dolla fcdo , taato piti 6 moritorio ; in fatto di
religiono ii voro non 6 tanto il razionale, o il
soprarazionalo, quanto rantirazionalo»;o sonza
andare al filosofo francese 6 ncto Taforisma teo-
logico: Credo quia absurduro. Quando interviene,
dunque, Tolomento mistico, 1' intorosse religio-
so, inlerviene un coefflciente porturbatore nella
formazione spontanea delle leggende, un coeffl-
ciente di cui non dobbiamo tener conto noi e
chi voglia studiare la formazione delle leggende
profane. Certo questa esclusione non vuole es-
sero assoluta, perch6 si potrebbo facilmente di-
moslrare come nelle loggendo profane di Fran-
cia, di Spagna e di altrove abbia parte non ul-
tima Telemento religioso; ma io volevo parlare
di quelle in cui esse sia o esclusivo o prepon-
derante , non di quelle in cui esse cooperi in
roaniera sccondaria o non prevalente insieme
con altri elomenti.
- i7~
Ritoraando indiotro , dunqoe , diciamo: Se
nei sec. IX, X, XI e ancho XII il popolo ita-
llano non era nol periodo di giovinozza io cui
erano i popoli suoi vicioi, creator! di leggende;
se mentre per I'Europa passava unsofflocaldo
d*ontusiastno o di fervoro mistico e si parliva
por lo Crociato, 11 popolo iialiano non si mosse,
o si mosse per iscopi commercially che doveva
essore nol sec. XIII e XIV quando ancho gii
altri popoli avovano in gran parte acquistato il
sontimento dolla realty? I Comuni italiani al-
tera usciii dalle lotto por la liberty municipale
si amministravano da se stossi e davano esempi
di uomini di s^tato, quali sorviron di raodello poi
a tutti gli altri popoli dolla modernity, e di
quelle virtu pratiche dei popoli civili e rafS-
nati, tanto vicine ai vizii o che conducono, co-
me condussero Io nostre gloriose repubbliche,
a cosi rapida docadenza. Appunto quosto fatto
dulla docadenza cosl vicina al colmo della po-
tenza e uno dogl' indizii piu sicuri della vecchiez-
za del popolo italiano , che tali fonomeni non
sono posslbili nogli organismi veramente gio-
vani e sani, bonsi in quelli malalio vecchi. Chi
coDsideri tutto questo non pu6 nomroeno la-
sciarsi sfuggiro che lo stosso poriodo giovanile
dol popolo italiano fu scarso di leggende. Quel
periodo cade nei primi secoli di Romai giacchd
3
— 18 —
gV Italian! non sono cho gli eredi diretti del La-
tin!, 0 la mitologia e la storia di Roma e dei po-
poli italic! mostrano tale incapacity o svoglia-
tozza, cho dir si voglia, a croaro loggende, tale
tondcnza invece al sonso pralico, cho tutti gli
sforzi del Niebhur e dei sue! seguaci non sono
riuscili in ultima analisi se non a diroostrare
una volta di piii V influonza esorcitata dal mondo
e dalle idee greche su quelle Romano.
Se non ostante tutto quosto, glltaliani molto
loggende accolsero tra il X e il XI sec. dagli
stranieri e le fecoro proprie ; se, promosse dal-
rorgoglio cittadinesco , alcune no crearono in-
torno alTorigino doMo proprie citti, o altre ne
rannodarono agli avanzi , oramai divenuti ine-
splicabili , degli antichi monumenti romani; se»
accettandole dai Frances!, accolsero le loggende
epiche del ciclo caloringio, rimaneggiandole, e
magari alcune foggiandone a simiglianza di quel-
le e legandole a memorie local!, a citt&, a di-
nastie, ad avveniment! delio storie nostro , ma
pur trasfondendole di uno spirito nuovo di scet-
ticismo e d' ironia particolare al popolo nostro;
se anche di loggende epiche nazionali ogni ve-
stigio non manca , eve si pens! alio tradizioni
suscitato dalle guerre franco- longobarde, o rian-
Dodantisi al nome esecrato di Attila , benche
nemmen quoste ebbero vita rigogliosa o vivace;
— lo-
se iDfloe anche il diavolo, che pure agritaliani
Don sembrava ianto brutto quanto agli altri po-
poli, tliode in certo raodo anche a loro briga, senza
empirli perb di tanto immaginazioni o di tanti
terror!; se, insomma, una lettaratura leggen-
daria per quanto scarsa e rachittca ebbe anche
r Italia, non & men vero per questo che essa,
per molta parte costituita di olementi stranieri,
dilegua dalla coscienza o dalla lettoratura ila-
liana un bel pezzo prima che non da quella degli
altri popoli d*Europa. Lo leggende (dice ii Graf)
impallidiscono sul cielo d' Italia e tramontano
quando in altri cieli sono aocora assai alte e
brillano di prestigioso splendore. < Nol socolo
« XIY. (continua il medosimo scritlore) so mol-
€ te leggende sono ancor vive in Italia sono pur
€ molti i segni dot loro afflevolirsi o del!a loro
€ prossima spariziono ; 6 nata oramai la
» Storia vera, e sebbene il Machiavelli o il
€ Guicciardini sieno lontani ancora, pure si scor-
« gone i segni di quelle spirito pratico e imla-
« gatore che sar^ il loro spirito. A poco a poco
< la Storia distoglie rocchio dal mondo di 1^ e
< lo fissa sul mondo di qua e comincia a pene-
« trare il sogreto dello umane vicondo o a di-
€ scernore le forzo che le promuovono o a In-
< tendere le leggi che le governano ». Si vode,
dun<|ue, a priori quanto ci sia d' assurdo nel
— 20 —
dire che si fosse potuta formare sugli oltimi del
sec. XIII 0 primi del XIV una leggenda o sa di
Ezzelioo, morto il 1260, e che di essa se ne sia
fatto eco AlbertlDO MussatO , lo storico pado-
vaoo. Ma noi non vogliamo trattar la questiooe
solo cosl in generate e semplicemente da un
punto di vista logico : si sa che chi s' abbandona
troppo salla china della dialettica, vamoUofa*
cilmente a floire nolle astrattezze della piu
bella metaflsica e per guardar troppo alio stelle
scivola poi nei fossati. Noi vogliamo aucho ve-
dere un po' sporimentalmente, per dir cosi , a
che si riduca questa benedetta leggenda.
Tuito quelle che si 6 narrate interne alio
immanissimo liranno riguarda o le sue cru-
delt& inaudite, i supplizi escogitati, i tormenti
perfezionati; o le voci che corrovano interne
alia nascita, alia madre, al padre a volta a vol-
ta demonio o cane; o la gigantesca sua statura,
la forza, 1' invulnerability; o le donne per cul
ebbe un capriccio; o le sue rolazioni con S. An-
tonio da Padova. Un* ultima categoria di dicerie
riguarda i presagi della morto di lui, o la tri-
ste sorte deir anima sua, dannata a vagolar ,
orobra irrequieta, pei luogbi cho furon teatro
delle sue barbarie, a custodia di favolosi tesori,
nascosti gelosamente in tortuosi e intricati sot-
terranei ed a sommo spavento di qjuanti o ab-
— 21 —
bian la cattiva abitudine di rincasar troppo tardi
la sera e d* avventurarsi per luoghi sospetli, o
di chi, spioto da cupidigia, vogiia mettersi alia
ricerca delle maledette ricchezze. E' cosi che
i contadini dol Padovano , del Bassanese o di
quel dintorni 1' han voduto spesso aggirarsi in
bianco leozuolo, o anche senza ieozuolo, ma coq
la barba rossa e il muso di cane; o cosl che*
spesso nel cuor della uoite 1* ban sontito dare in
grida umane o inlatraticanioieagitar lecatene
di cai 6 carico; e insieme con lui spesso si vi-
dero gli spettri lugubri delle sue railievittima,
uscenti talvolta anche sotto forma di fuochi dai
seno della terra nolla valle che ep rosso Ro-
mano. Obi fosse vago di queste e di mille altre
flabe che fan capo al nome doll* odiato tiraano
non avrebbo che da sfogliare i cronisti italiaiii
di qael tempo o giu di li, raccolti dal Muratori
nel Rerum llalicarum Scriptores, quali Oalva-
neo delta Flamma, il Villani, Francesco PipU
no, i Coriusi, Rolandino, il Cronichon Estense,
I' Anonimi IlcUi Historiay Ouglielmo Ventura,
Ricobatdo Ferrarese, il Monaco Patavino e
tanti e tanti altri. Non manchi poi di faro un
giro per i paesi che un tempo costituirono la
Marca Trevigiana, dove avr& occasione di co-
gliere sulla bocca del popolo le flabe che cor-
l*ono intorno alle apparizioni di Ezzelino. E a
— 22 —
vOlersi anche risparmiar V una e Paltra fatica
legga il libriccino di Ottono Brentari « E/.zeliQO
nella moDte del popolo o Dolla poesia » e tro*
vQvk il fatlo suo; che se poi ripugnasse , noD
dico da questa spesicciola, ma da questa piccola
e piacevolo fatica, si faccia ripelore o ricordi
(di qualttoque citti d' Italia egli sia) qaollo che
vi si dice iotorno ad ao personaggio qualanqae
morto 0 scompars) improvvisamente o tragica-
mente, io nomea di ricco o di birbonc; vi ag-
gianga quel po' che da se stesso pud irnraagi-
nare essersi fantasticato su Ezzolino, guerriero
e principe amJbizioso e crudele, e in poco o-
dore di santildy e cosi , sonza essersi mosso da
casa 0 esposto a raflfreddori, seoza av^er speso
un soldo 0 aSaticata la vista, sapri tutto quanto
la fantasia delle plebi del la Marca Trevigiana
ha ioventato intorno all* im/na^i^^^mo ^/ranno.
Ma torniamo all' argomeoto nostro o diciamo :
Se davvero il iavorio fantastico intorno al ti-
ranno si 6 limitato a quelle che rapidameute
si 6 esposto, si pud dire in coscienza che tutto
ci& costituisca una leggenda di Ezzelino ? A
parte il fatto che molte di quelle Rabe sono
creazioni posteriori o di molto al Mussato, con
tutto quosto nemineno a<les3o. crodo, si potrob-
be dire che esisla o e esistiia tale loggenli. Se
la leggenda non ha origino dal capriccio e da
QQ proposito falto, ma da quello stesso bisogoo
da cui in tempi piu progrediti ha origioe U sto-
ria, so ossa & la storia dei tompi men civili
quando la scrittura o non 6 ancora cominciala
o 6 monopolio di no numero ristretto di per-
sono, so, in una parola, in un corto periodo di
tompo 0 per un certo numero di persone ossa
dove adempiere alio fanzioni della sloi U , 6
cbiaro che, come questa non esisterobbo \k ove
non ci fossero che notizie staccato o monche
intorno ad un medesimo personaggio, cosl non
direroo che esista leggenda, ovo si sia ridotti
a quosti soli elemonti. Chi vorrebbo dire sto-
ria di Garibaldi, metliamo, il saporo che fu fl-
glio di un tal Domenico, cho combatto a Gala-
taOmi 0 a Milazzo, cho ebba due mogli, che non
era molto alto doUa porsona e che 6 seppellilo
a Gaprera ? Qaesli (tutti no convorranno), sono
bonsi elomenti storici, fattori sonza dei quali
una storia di Garibaldi non si potrebbo couoe-
piro; si potr& porflno assicuraro che quesli ed
altri ancora son como i punii di articolaziono
d* una storia similo, ma nossuno dir«\ cho essi ,
cosi, da soli, costituiscano una Storia di Gari-
baldi. E non 6 lo stosso por Ezzelino ? Possono
quolle notizio, non iroporta s3 storicho o no ,
costituire una storia di Ezzelino o qualcosa che
arieggi a nna storiai una leggonda ? E si badi
— 24 —
che il paragODO scelto non 6 nemmeDO adeguato;
che, so tutto quollo notizie su Garibaldi rimon-
tano su per giu a un* unica epoca, le dicerio
inveco su Ezzolino (sebbeno difflcilrnonto potrob-
besi por ciascuna Gssare i* epoca delta sna ori-
gino) cortaroonto si sdd vonuto formando la tuiti
quosti uliimi sotte secoli, di mode che si pu5
osscro sicuri che non iutte esistevano cento ,
dneconio, trecento anni fa e pochisslme, se non
nossuna, ne esistevano un mezzo socolo dope ia
sua inorte, al tempo, cioe, di Albertino Mus-
sale. So, dunque, si volesse anche amraeltere
che notizie cosi staccato e scarse possano per
Garibaldi coslituiro una spocie di storia per
quanto rudiraentalo o informe , si potri al piu
dire, analogamente^ che tutte le favole sparse
e diffuse flno ad oggi intorno ad Ezzolino costi-
tuiscono una leggenda oggi^ ma non ai giomi
di Albertino. Vorri forse qualcuno obbiettaro
che noi facciarao quistione di grandezza, di mag-
giore 0 minoro sviluppo ? E sia pure ; ma, di
grazia, che cosa si ha in natura tanto differente
da un* altra, che non si possa ridurre a uniti
e identiii con questa ? E in cho cos' altro con-
siste la differenza tra gli esseri, le specie , le
cose, se non nella diversity di sviluppo, di gran-
dezza, di combinazione ? Non 6 in fondo acqua
quelia che costituisco i mari, i laghi, i fiumi
-26-
piii mae&tosi come i piti umili ruscolli o i piu
miseri pantani ? E chi nega che i rusoelii pos-
sano diTentare fiumi, che i pantani possano ve-
nire a trovarsi sul letto di uq fiuma e confon-
dersi con esse ? Tatto ci& sari bene; ma fino a
quando millo ruscelli, ingrossaii da piogge o da
ne?i, confondcn !osi insieme, mescolando il yo-
lome delie loro aequo, nonformino il corpo mae-
stoso del flame, non 6 false o inesatto dire che
il flume noQ esiste. Lo leggendo son veramente
del flami, e il paragone d tanto felice che non
so non ricordarne V autore, Pie Rajria. A leg-
gere il libro classico deirillustre Professore , si
comprende coropletamente qual cumulo di coef-
flcienti occorra a doterminar la formazione di
ana leggenda, degna del nome, e si vede a quale
strano e mirabile sovrapporsi, penetrarsi, con-
fondersi di strati storici, di idee disparate, di
vero e di false esse dobbano la nascita e lo svi-
lappo.
In Italia son seropre mancati versanti ampi
e volti in un' unica direzione, ampi bacini in cut
potesse syolgersi maestoso 11 corse delle aequo
da quel piovonti: in Italia mancarono sempre
tradizioni nazionali,che interessassero tuttala pe-
nisola, come mancaron popoli, che Toccupassero
tatta. II terrene con la sua conformazione e le
sue accideatalitjty determinando nette zooo geo*
4
— 26 —
grafiche, indipcodenii tra di loro, fece si che
Ti prendessero stanza indiyidui etnici diversi,
indipendeDti, roa ristretti. In confini cosl angusti
forse in tempi antichissimi potetiero anche na-
scere e germogliare leggonde, ma presto peri-
rono come per soffocazione. Quaudo Roma compl
r unit& italiana, queir unitjt rassomigli6 all' e-
quilibrio di mille forze tenute a freno e teo-
denti tutte al centre di gravity, Roma^ perchd
potesse chiamarsi vera unil&. Anche sotto il
dominie romano lo spirito municipale, lo spirito,
ciody d* indipendenza reciproca, benchd frenato,
rest6 vivo; risorse gigante appena Tonuto mo-
no quelle. Le leggende, che come quelle di At-
tila, di Adelchi, di Desiderio accennarono a for-
marsi, ben presto, in ambienti cosl ristretti, (1)
(1) Ho detto in ambienti cosi ristretti; in fatti
per noQ pariar di altri, i fatti di Attila e di Desi-
derio, che pur sono di capitale importanza per la
Storia degl' Italiani, interessarono forse diretta-
mente altri che i popoli della valle padovana, e del-
r Italia centrale tutt*al piii? Quando mai nella Sto-
ria Italiana si trova un avvenimento che riguardi
da vicino e direttameute ^perch^ indirettamente
un* influenza sempre si trova: questione di sottiliz-
zare!) tan to il Napoletano quanto la Lombardia,
tanto Roma quanto Venezia ecc? — La mancanza
— 27 —
isterilirono e soccombettero, come rivo non ali-
mentato da scoli di altre aequo, come pianta
alle cui radici manchi il terrene: ne restano al
soprayvenir d' Agosto poche tracce umide, qual-
che soico, 0 secchi sterpi. .
Negli altri paesi, in Ispagna, inFrancia, in
Germania, grand!, larghe estensioni di terre e
aperto quasi da ogni lato; grand! o general!
conqaiste, grandi invasioni, grand! tradiz!«>ni na-
zionali, grandi ieggende. Si aggiunga a tutto
questo (ripetiamo) che in Italia non mai manc6
del tutto la luce della cultura e della civiltk ;
impailidi qualche volta e piu, proprio ai tempi
che corrispondono o al nascere di meschine Ieg-
gende italiane, come quelle nominate, o al tra-
piantarsi di Ieggende straniere^ ma non mai si
spense del tutto. Quando poi tal luce era presso
a brillare in tutto il suo splendore, alia yigilia
del sec. XIV, in un territorio cosi ristretto co-
di tradizioni nazionali general! spiega, se non giu-
stifica, anche Tassenza o il debole affermarsi del
sentimento unitario , il quale , bencb6 oggi abbia
avuto completa esplicazione, serba pur sempre un
non so che di artificioso , di fattizio e di super-
ficiale , perch6 fondato quasi solo su ricordi di
graudezza roo^ana.
— 28 —
mo quollo della Marca Trivigiana otutVal piu
di quel tratto di paese comprendeote la Loin-
bardia, il Veneto, il Tirolo, 1* Emilia superioro
(chS oltre si larghi confini importanza effettiva,
diretta, immediata, quella che del resto a noi
importa considerare, Ezzelino non ebbe); quando
d* altra parte si viveva in un tempo abitaato
alle crudelt& piu atroci, si che quelle di Ezze-
lino dovettero perouotere di stupore e di or-
rore pid le menti dei posteri abbastanza lonta-
ni che quelle dei cootemporanei o degli epigoni^
quale meraviglia se anche quegli scarsissimi
principii d* una leggenda non potettero intrec-
ciarsi, combinarsi, allargarsi fine a formarne
una vera e propria leggenda, non che a tempo
del Mussato, nemmeno dipoi nei secoli piu pro-
grediti ?
Mancauo, dunque, nel case nostro tutte le
condizioni perch6 una leggenda nasca, viva, si
sviluppi; e, se pur ve no sono degli elementi
primordial!, essi son cosa cosf meschina e ordi-
dinaria, che non so perchd si debba dire che
quelli si riconnettono magari a una virtuale
leggenda Ezzeliniana e non piuttosto ad una
virtuale leggenda, a cui ogni mortale d& engi-
ne, salve alcune lievi modificazioni varianti da
paese a paese, da tempo a tempo. Chi non ri-
conosoe, infatti,* i luoghi piu comqni della piu
— 2d —
iavecchiata fantasia popolare in qaella eoame-
razione che abbiamo fatto (Todi p. 20) delle fa-
vole difiase iotomo. ad fizzelioo I — Gome gik
allora abbiamo notato, doTuoqae ci sia state no
oomo aeomparao in modo siraoo o tremendo dalla
scena della vita, o qaalcooo che abbia recato
gran bene o gran male alia gente » il p<^li-
no rlpeteri anche oggi che 6 possibilo incon-
trarlo di notte alia tale era, in zspeiio triste o
lieto, genio benefice o malefico, secondo la Tita
ch'egli condnsae e i sentimenti che sascit6 nei
conteicporanoi. Non cie laogod' Italia dore noa
ci si fienta, come dicono i Tojcani, o dove iion si
veda; e, sol perche nei paesi, che an tempo eo-
stitnirono la Marca TriTigiana, si ?aol vedere
e seniire lo spirito di Bsselino , come in altri
Inoghi del mondo si vedri e si sestiri il Diavo-
lo, lo spirito di Tisio o quelle di Sempronio ,
Torremo noi Todere in ci6 an late, o ana prova
della leggenda speciale di Ezzelino? Avremmo,
eoA^ diritto di yedore leggende ad ogni canto-
nata e in ogni laogo oscnro« e personaggio leg-
gendario direrrebbe anche il poyer* aomo , che
r altrieri si batt6 a mare, o magari il cane ca-
date da sd neir acqua, o buttatoTi da qaalche
monellaccio
Si potr4 dire per& che nei case nostro vi i
bea altro che questi pregiadiziidi 9iriti ; die
— 30 —
vi 8000 lo voci mtorno ai tesori , intoroo alia
statu ra, agli atti di valore, alle doone. So doq
che queste dicerie, qaalora. provassero qualche
cosa, noD dovrebbero farci dimenticare i^primo
laogo che noo ^potevano esistere al tempo del
Mussato, che alcune (specie qaellerispetto alia
moglie) si dovettero alle invenzioni dei letterati
in derca di begli effetti e di forti argomenti per
le loro opere, in secondo che esse , finchd re-
stano cosi in nno state frammentarlo e indipen-
dente, non costituiscooo leggenda. Cosl i primi
cronisti, quel I i contemporanei o di poco poste-
riori al tiranno, son concordi nel dire che Ez-
zelino era di statura mediocre e senza difetto
corporate, che egli odiava le donne o almeno
rlfuggiva dal loro amore. Nel la tradizione o-
rale, in voce, egli diviene un mezzo gigante ,
iNTutto e deforme in vise, invulnerabile perflno
alle palle di fucile (sic) e gli si afflbbiano delle
avTentnre, non veramente galanti, non nltima
quella con Caterina Cornaro , regina di Cipro »
la bella prigioniera di Asolo (sic) , e nella tra*
dizione prettamente letteraria lo si fa protago-
nista di un* avventura abbastanza drammatica
con tal Bianca De Rossi , di cui non si trova
ceono nei primi cronisti. Questi due particolari
della impenetrability alio palle di fucile e delle
relazioni amoroso di Bzzelino coBGaterinaGoft->
-Si -
naro, ove non risultasse abbastaoza chiaro da
se, basterebbero a dimostrare luminosamente
quello che ho asserito, che cioS buona parted!
quelle fiabe sono di formazione artlQciale e di
molto posteriori. Si narrano aocora di Ezzelino
le piu spavontevoli crudelt^. Qui, por&, il pro-
cesso d cosi na'urale e comune, che non v'6
bisogno affatto di ricordare come il popolo tra-
Tisi anche i fatti di cut sia state spettatore, li
confonda, 1* ingrandisca o diroinuisca secondo i
casj, ma sempre li esageri, tanto piu quando ab-
bia un interesse particolare a farii apparire di-
vers! da quel che sono in realty. Vorremo ve-
dere proprio in questo ci& che costituisce una
parte delta Icggend.i di Ezzelino? Quelle osa-
gerazioni sono restate nella condizione di esa-
gerazioni e nulla piu , senza dar motivi ad
ulterior! sviluppi, ad altre fantasticherie, sen-
za entrare a far parte di un corpo organico
di dicerie , di favole Ezzeliniane. Vi i ma-
gari il punto di partenza della leggenda , che
anch' essa si forma dall* alterarsi delle dimen-
sion!, ma la leggenda dov* if NS d' altra parte
le esagerazioni sono ancora storicamente pro-
late tali , e tuito induce a credere , almeno
stando alle testiraonianze dei cronisticontempo-
ranei (fatta anche la debita parte alio spirlto
guelfo, da cui sono quasi tutti animati) che Delia
— a* —
fantasia del popolo grandi esagerazioni per que-
sto lato Don ci furono. II Ferreto, Dsuite, Boc-
caccio, Petrarca, tutti descriTono Azzolino come
tiranno degno di stare alia pari con i piu effe-
rati dell* antichit^, e qneste sono testimonianze
in yeritjt aatorevoli e non sospette.
Comanque, grandi esagerazioni al tempo
del Mussato non polevano esser nate , nOn solo
perchd per la grande vicinanza delle epoche
esse sarebbero state facilraente smentite, lanto
piu facilmente in qusuito Ezzelino, piu che una
persona, rappresentava tntto nn partite, ma an-
che perchd 1* esagerazione da una parte richie-
de pel fatto da amplificare un certo margine
che, purtroppo, Ezzelino non si prese cura di
lasciar molto largo , e dall' altra essa suppone
un certo stupore in chi se ne serve , stupore
che , purtroppo, i tempi feroci, in cui Ezzelino
visse, non giustificano affatto. (1)
(1) Da Ottone Brentari (« Ezzelino nellamente
del popolo e nella poesia p. 17 ») credo utile ripor-
tare questa pagina intera per dare un' idea della fe-
roce barbarie dei tempi. « Credo che non errerebbe
chi affermasse che Ezzelino fu Tuomo il piu cru-
dele d* un secolo crudelissirao : e per rammentare
che secolo fosse quelle, basterli ricordare, per non
pariare che di Guelfi, che combattevano colla croce
Ghe altro resta di tante flabe che rigatr-
dano Ezzelino? Le voci prodigiose iotoroo alia
nascita, alia vita, alia morte di lui. Qaeate si
che in gran parte, se non tutte, presero origlne
nei tempi immediatamente posteriori ad Ezze-
lino, sebbeno nemmeno esse ci par che trascor-
rano 1 conflni cloll*ordinario lavorio fantastico,
di cul sono oggetto tutti gli uomini notevoli. Si
pensi, infatti, alia diffusionedellecredenze astro-
logiche in quel tempi, in cui anche gli aomini
piti illustri per saporo e ingegno vicrodevano;
si ricordi che la madre di Ezzelino aveva col-
sul petto, ed air ombra del vessillo del vicario dl
Cristo , che era quello il secolo in cui Azzo VII
d* Este, capo dei Guelfi, cavava gli occhi e tagliava
il naso a quel Gerardo che gli aveva consegnato
Monselice , e cosl conciato lo mandava al suo ne-
mico Ezzelino : in cui lo stesso Azzo, preso il ca-
stello della Fratta, corametteva le piu orrende cru-
deltk sine sulle donne e sui fanciulli ; in cui fra
Giovanni da Schio , nel 1233 , in ire giorni abbru-
ciava vive a Verona sessanta persone, cheavevano
h torto ed il coraggio di non pensarla come lui : il
secolo iiel quale, in nome del Dio di pace e di per-
dono, veniva benedetta la Crociata contro gli Albi-
gesi, guidata da Simone di Monforte, quando si ara-
mazzavano quanti si incontraTano , dicendo cinicii-
-34-
ti?a(o tale scieoza e cho ancho il figliuolo non
oe areva sdegnato gli stndii e i consigli, e s' in-
tonderi qaale potente e vigoroso impnlso do-
veva da queste circostaoze venire al rormarsi
di tali voci. Esse del restoporquel tempo eran
delle piit comuni per chiuoque ; con la diffe-
renza che, meotre dogli altri (noo di tutti perd)
non se ne serl>& ricordo , trattaodosi di nomini
oscuri, d'Ezzelino si raccolsero e si tramanda-
rono roligiosamoDte noa foss' altro cha per dare
il gusto ai solili propheti ex eventu, che aocbe
a quel tempo noo avevao ad essore rari.
mente che Iddio avrebbe poi saputo Cicegliere ibuoni
dai cattivi; il secolo in cui i Crociati, che si avaa
zavaDo canlando il VexilLa regis prodeunt , libe-
rata Padova , la sacclieggiavano per otto gioroi
strani liberatori, comraettendovi ogni genere dine-
fanditft : era il secolo che vedeva la inrame came-
ficina di S. Zenone, che abbiamo gik descritta.
N6 raigliori dei Guelfi erano di certo i Ghibel-
lini ! e basti dire che 1' Imperatore Federico II, per
non parlare di allre sue imtnani crudeltJt, net 12^,
quando Innocenzo IV predict con tro lui la Crociata,
lelle mani, fa-
oncroci sulla
no al capo, e
- 35 -
Resta, se non ci lusinghiamo, uo puoto ancora
da coDquistare, quello forso che costitaisce, come
direbbesi io Francia il clou della leggeoda, quel-
lo, a cQi forse di solito piu si mira , qaando si
paria d' una leggenda Ezzeliniana, vogliam dire:
/' origine diabolica di EzzeUno con le sue na-
turali conseguenze. Qui mi pare che lacagio-
ne principale delta favola sia lo spirito parti-
giano gaelfo e roligioso, che anche per altri
personaggi id queir epoca promosse favole si-
mili, ad esempio intorno a Federico II pel quale
r abate Qioacchino aveva predetto ad Enrico
VI che la vecchia moglio Cosianza avrebbe
partorito d' ud demonic un demooio. (1) Se 6
cosl, se noQ abbiamo cioS nella favola una for-
mazione spootaoea, ma imposta, invece , dalio
spirito di parte, mi par che nemmeno qui si
abbia il principle di una vera e propria leg-
genda di Ezzelino.
Alia generazione cui apparteneva il Mus-
sato, venuta su nelT ultima met& del sec XIII,
dope grandi lotte e grandi pericoli, fresca an-
cora la memoria di questi, i vecchi racconta-
yano le orrende stragi, che avevano visto , le
Tittorie e le sconfitte, a cui preso parte , le
(1) Otione Brentari (Op. Cit. p. 28-29)
i
^ 86 —
congjuro vane contro il tiranoo, lo ribollioni
teotaio e finite nelle torture e nel saogue cit-
tadino. E a menli, cui cosi fanigliare era la
rappresontazione deir oltre tomba, fatta sotto
tutti gli aspetti, sotto tulte le forme che tatte
le arti offriTano; fatta in tutti i momenti del la
vita e nei luoghi piii diversi della citt&, sul sa-
grato, Delia Ghiesa, nella piazza, sul ponte ; a
iinmaginazioni popolate di visioni infernali , a
uomini cosi abituati a sentir parlare di rapimenti
estatici, di apparizioni terrificanti , di grazia
divina e di tentazione diabolica, a quegli uomini
insomma cui 1' idea di Dio e quella del Diavolo
orano cosi comuni, da associarlo ad ogni atto ,
ad ogni avvenimenlo della vita, per quegli uo-*
mini i grandi vizii e le grandi colpe non pote-
yano essere se non frutto del maligno volere
di Satana, alio stesso modo cbe le grandi virtti
non si sapevano spiegar senza il manifesto in-
torTonto della grazia di Dio. Chi pensi come
questo concetto sia diffuso ancor oggi pelle no-
stre plebi, e consider! d* altra parte il fervore
mistico e la fedo tanto piii grande di quei tempi;
chi consider i le tracce che di esse concetto re-
stano nelle nostre maggiori opere letterarie ,
capir& quanto dovesse essere comune a quei
tempi il credere un uomo virtuoso posseduto
dallo spirito di Dio, come il corpo del pecca*
— 37 —
tore aibitato dallo spirito d' Inferno, dal Diavoio
in persona. Tatti hanno ammirato 1* imniagina-
zione di Dante che mette 1' anima di Bocca de«
gli Abati neir Inferno, nientre il suo corpo in
terra vive ancora guidato da un diavoio, e si
sa adesso che quella stessa immaginazione e in
un libro di leggende sacre d* uno scrlttore te-
desco, da cui probabilmente Dante la prese. Se
sfa 0 no vero ci&, il certo S che r immagina-
zione era abbastanza comune e che Dante ebbe
il merito di saperne trar partite. Ora dal cre-^
dere un corpo umano abitato dal diavoio at
crederlo concepito dal diavoio il passo, come si
vede, d breve e per quel tempi cosl naturale,
che il non trovarlo fatto, piuttosto che il tro-
varlo, sarebbe strano e difficile a immaginare.
Gontro Ezzelino fu fatta predicare dal papa la
crociata, perchd i preti odiavano a morte il ti-
ranno che li aveva spogliati del lore beni e fie-
ramente perseguitati — Ora , si ammetta cha
un predicatore, applicando al tiranno di Padova
quelle che era gi^ state fatto per altri, avesse
messo avanti r idea che egli fosse posseduto
dal diavoio, fosse figlio del diavoio , anzi il
diavoio in persona, ed ecco che le sue parole,
prese alia lettera« rimaneggiate , trasformate,
arricchite di particolari, diffuse largamente dat
n^mici di £;zzelino, creano quella favola , che
— 38 -
sarebbe inesplicabile davvoro, ove non si te-
nosse conto doll* olomento misiico e di tanti al-
tri elementi della vita di quei tempi.
Data quiodi la popolariti eladiffusione del-
V idea di figliazioni o invasion! diabolicbo, dato
il Goro odio guelfo cattolico, che in simil guisa
si esercitava contro Ezzolino o contro ogni im-
portante Gbib6l]ino,si vedo quanto porda aoche
qal la pretesa leggenda di Ezzelino della sua
importanza e delle sue individual! caratteristi-
che. Si potr& dire che noi non dobbiaino andare
a spiegare la genesi dogli elementi leggendari,
che non deve interessarci il sapere so fu lo
spirito partigiano o no che diede origine adal-
cune favole, ma che son piuttosto le favole stos-
se che importano a noi, in quanto concorrano
a formar la loggenda. E sta bene; ma noi ri-
spondiamo che & appunto questa o i principii di
questa che non troviamo ; e che quanto alio
spirito partigiano, come elemento generatore
di leggende, noi no teniamo tanto conto, da af-
ferroare che se, pur m ancando ogni altra condi
zione favorevole alio sviluppo leggendario , il
partite guelfo avesse trionfato definitivamente
in Italia, forse anche da quegli inisii si sarebbe
sviluppata una loggenda di Ezzelino. Imperoc-
ch6 & vero che quel po* di essa, fomentato dal
guelflsmOy non era osclusiyo del solo immanis*
stmo tiranno, nia comuno a pareccbi ailri ghi-
bellini e forse a tutti, grand! e piccini ; ma A
pur Toro che come la neve, la qaale cadeodo
dai cielo egualmente su tutli i punti di ana
certa regione si ferma stabilmente o si eleva
sugli alii cojuzzoli; cosl probabilmente la leg-
genda diabolica si sarebbe formata sul nome di
Ezzelino, di Federico e di qualche aliro gran-
de del partite imperiale. Fine a quando per6
le cose staranno cosl come sono, nessuno Yorvk
negaro che una leggenda Ezzel'miana non d mai
esistita, e tanto meno ai tempi di Albertioo
Mussato; e cbe il layorio fantastico, fatto inter-
ne ad Ezzeline, non eccede dai limiti proper -
zionatamonte modesli di quollo cbe si suel fare
intorno a qualunque personaggie. Cbe se alcu-
no, voglioso piu di far questione di parole che
di fatti, volesse ostinarsi a roantenere anche in
questo case ii nome di leggenda, dovrjt ben ras-
segnarsi a dare a questa paroia uu significato
cosl aropio e generale da comprendervi qualun-
que favola, fiaba o dicefia, per quanto mescbi*
oa si possa immaginare, e non si dispiacerjt in
tal case di esser chiamato anch' egli un perse-
naggio loggendario.
CAPITOL* II
L* KseerlMl* a la storia di Padova
SOMMARIO
Coadiitoni di Padoea nel 1262 ( nascita di
Alberlino ) — Rapida carriera c fortana del
Mustato — suo amor dt patria — Perchi scris-
ae I' Eceerintfl — Ideatitd delle conditioni di
Padoea cot 1237 e nel 1314 — parlar di quei
tempi pel Massato era parlar dei suoi tempi —
Lo SQQpo politico delta tragedia pud solo rea-
dare ragione di easa — Claesicismo del teatro
tragico ilaliatio sino all' Alfieri — L Ecceri-
■lls b m,onumento i&olato alle aoglie del Rina-
Acimento — NeceaaitA del auo carattere atorico
— storia rappreaentata ? — A che si ridaca lo
elemanto teqgendario » T origine diabolica di
Eiweltno o perchh fu accolta nella tragedia ~
allri elementi Icggendari — Eaame storico della
tragedia riepetto ai tempi di Extelino — riapetto
ai tempi del Massato.
i passala pol
ibile soguo, al
la vita reals'
-A-
pih se ne apprezza jl beneflcio, ove sia di versa
dai logubri fantasmi veduti nella febbro o oel
deiirio. Morto il iiranno not 1250 (l)e riacqui-
stata « a prezzo di sforzi ioauditi , di lotto , di
sangae , la liberty cosl miseramente perduta
ventidue anni prima » non si torni certamonte
alia vita spensierata o allegra del tempo in cai
la Marca ayea avuto il nome di giatosa e di
amorosa^ (2) non si videro bensi piii le splendide
cavalcate e gli aristocratici convogni di ana
volta, ma si cerc6 per compenso di provvedere
con leggi e savie riforme al mantenimento di
qaella liberUt, di cui oramai si sentiva tutto il
(1) Padova si era sottratta al domlDio di Bzze-
lino nel 1259, sebbene il tiranno continuasse a vi-
vere e a guerreggiare finch^ trov6 la morte a Son-
cino il 1260.
(2) Giovanni di Nono o di Naone (Liber de ge-
neratione aliquorum civium urbis Paduae tam nobi-
Hum quam ignobilium) < I Padovani tenevano con-
tinuatamente bella famiglia, buoni cavalll ed armi.
In certi giorni soleoni, compagnie di nobili giovani
padovani richiedevano talora ai nobili di raccogliersi
a convegno colle loro donne ; n^ alcun valente cit-
tadino negava loro tal cosa. E nel giorno di quest!
conviti cosl ordinati, questi nobili giovani erano at-
torno alle loro donne per servirle. E» dopo averU
f
J
t>regio e I' importanza. (1) Ammaestrati dalla do-
lorosa esperienza, si ricercarono le cause, che
avevan sottomesso la libera repubblica pado-
vana ai dure giogo Ezzeliniano , e si escogita-
rono i prowedimenti pid atti a infrenareil pre-
potere dei raagislrati, le ambizioni dei nobili, la
corruttela ecclesiastica, oppure si cerc& di di-
struggere i fanesti effetii coll* allargare la par-
tecipazione dei cittadini colli e capaci al governo
dolla co^a pubblica. Era un fervore ardente di
liberty, tenuto desto dal ricordo pur troppo re-
cente dei mali passati ; una gara fra i cittadini
per riparare alle antiche coipe, e un desiderio
di non piii ricadervi cosl sincere che Padova fa
servite o al pranzo o alia cena, andavano alia casa
di una di loro a pranzare o a cenare» come gia prima
si erano accordati. Finite di mangiare andavano a
danzare con esse o ad esercitarsi nell* armi. Anche
i nobili padovani tenevano bellissime corti nolle loro
ville, nolle quali avevano giurisdizione. Avresti, nei
dl di festa, trovato pei campi vicini a Padova due*
cento o trecento giovani intenti ad esercizii caval-
lereschi. E per l* amenitk dei luoghi che essi posse-
devano e possiedono, si chiam6 Marca « gioiosa ed
amorosa. »
(1) V. Minoja (Delia vita e deile opere di A. Mus-
sato, cap. Ill p. 12-13 ss.
'ii.
— 43 —
la prima dopo le citt& doll* Umbria , ad acco<
giiere fra le sue mura quelle turbe fanatiche
di fiaggellanti o disciplinatit che, mezzo nudi,
di Dotte e di giorno, di veroo e di state, misti
uomini e donoe, fanciulli e vecchi, andavan per
lo vie tra i pianti , le preghiere e le vio-
iente, sanguioose batliture, coDfessando i propril
peccati, riconoscendo la giustezza delle pene e
dei flagelli che Dio mandava, o invocando per-
done ad alte grida. 0 cho, dunque, si rivelasse
lol campo pratico , con le savie disposizioni le-
gislative, o che, facendo risonar per lo vie della
citt& la cantio paenitentium lugubris, si espli-
casse negli ardori di un misticismo intenso ma
effimeroi profondo era r abborrimento nei Pa-
doTani pel passato e per le cause che 1* avevau
prodotto, sincere il pontimento delle colpe, vi-
yamente sentito il bisogno e affermato il pro-
posito di evitare i funesti errori, di cui si era
Fatto scala Ezzelino per giungero alia siguoria.
Fra propositi e pentimonti cosl fatti vedeva
la luce in Padova due (1) anni dopo la strage di
S. Zenone (spaventoso epilogo di lunga trage-
dia) Albertino Mussato^ il quale Un da bambino,
(1) Novati (Glorna)e storico della Lett. Ital. Vo«
lume 60).
- 44 -
flgliuolo d* un umile impiegato del cornuDe, (1)
sacchiava col laile quel sontimenti che proprio
allora erano piu fervid! che mat , e cho dove-
TaDo poi iDforroare tuita 1* opera sua di citta-
dioo e di letterato. Orfano, In eik ancor lonora,
gettato Delia lotto dolla vita con Tobbligo di
affrontarle per sd o per i saoi, ne prov& tutte
le amarezze e i dolori, ne esperimenti tutte le
difflcoIt&, che si fanno incontro nel moodo a chi,
nascendo, non trovi le vie spianato e aperte
dalla poteoza di un avlto patrimonio o almeno
dal prestigio di un nome illustre. Ma, come a
prezzo di studio , di fatiche , di sforzi di ognt
maniera , un giusto promio venne a coronar
I'opera sua iaboriosa; come ebbe tra i concitta*
dini fama ed onori, dove sentirsi dal buon suc-
cesso ringagliardito Tamore alle libere istitu-
zioniy tra cui era cresciuto, e insieme 1* aborai-
nio della servitu di cui i racconti dei suoi vecchi
6 lo letture degli antichi scrittori gli avevano
insegnato gli orrori. Ho detto dal buon successo,
giacchd niente d plu caro delPagiatezza conqui-
stata col proprio lavoroedel luogo dove la con*
seguimmo, e tanto piu quando esse d la propria
{%) NoTati -^ L ot
— 45 —
patria, la quale (a patio di non ossere vuota pa-
rola, straziata e profanata da ambiziosi poUtlcaD-
ti) non pu6 amarsi veramente e fortemente se non
da chi non r abbia matrigna. QaandoiiIuogo,ove
nostra madre ci diede alia vita , gi& caro per
questo solo fatto alTanimo nostro, non soffocht
0 distrugga i desiderii piu giusti, gli affetti piu
cari di un uomo buono, ma anzi, nei limiti del-
rinteresse comune, cerca di soddisfarli, di quan*
to non si fortifica in noi Taniore naturale e in-
nato alia terra natia , si che poi esso resista
saldo agii assalti dello scetticismo, e anche uui
momenti di sconforto e d* amarezza contro i no-
stri concittadioi ci ricordi con voce sommessa i
beneficii^di cui andiamo debitori alle istituzioni
nazionali, ci fughi dall'animo rindifferenza iu
sal nascere e ci faccia capaci doi piu grandi
sacriflci ? Percb6, 6 tanto vero che il cittadino,
il quale ha trovato nel proprio paese, quasi
come suo fatale patrimonio Tignoranza e 1* ab-
brutimento, il contrasto di ogni suo piu innocuo
0 giusto desiderio , e (Dio non voglia !) la mi-
seria, la fame, lo scherno dope una vita di su-
dori, e tanto naturale, dice, che questo citta-
dino abbandoni disgustato la sua terra per cer*
carne altre mono avare, quanto 6 naturale che
chi ha yeduto seguire alia fatica il premio, ne
— 46 —
attribuisca quasi iutto il merito alia patria (1)
e alio istitazioDi in cui essa si regge, e teaace-
mcuite si affezioni air una e alio altro.
E* questo appunto cho avvenno al Mussato,
Delia cui vita ed opera leiteraria l' amore delia
patria e della liberty si rivela cosi forte , che
ail*uoa 6 airaltra sacrifica spesso lo simpatie
e i risentimenti di uomo di partito. A questo si
deve se egli or 6 guelfo , or (2) e ghibellioo ,
percbe d soprattutto padovauo e repubblicano;
iaonde si accosta aU'imperatore o combatte cod-
tro Can Orande, secoodo che gli sembra essere
la salute della patria, o secoudo che la patria
abbia deliberate oeile sue assemblee ; e grau
magoaDimit^ fu certo la sua, allorchS , propu-
gnaodo egli il partito della pace , ma prevalso
quelle della guerra, si diede a prepararia e vi
partecip6 cod zelo di uomo, cui Dulla & piii caro
del proprio paese. Fu quest' iudomito amore
che lo iodusse a scrivere V Eccerinis e a pub-
blicarla, Del 1314, meDtre Can Grande e la sua
(1) Mussato (Epistola I, versi 1, 4, 15, 18, 23, 24
e passim).
(2) Mussato (Epistola JI v§rso 34) |f ni|DC Qelfus,
wmo Giboleugus ero),
-It-
^'
signoria sovrastavano ai padovani. (1) Dal 1250
(morte di Ezzelino), anzi dal 1257 (liberazione di
Padova) eraDO passati molti anoi ; 1* uliima ge-
nerazione di quelli^che avevano assistitoal me-
morabile aTvenimento^ era in gran parte spa-
rita ; le ferite avoTano avato tempo di rlmar-
ginarsi, il granie assalto fatto cUla regione ri-
maneva memoria consegnata nelle croonche , o
iosieme coi ricordi deli'esecrato tiranno impal-
lidivano i ricordi dei propositi fatti, delle virtd
necessarie a impedire una naova rovina. La
Concordia e la pace sparite , risorte le fazioni,
ringagliardite le passioni e 1* incostanza delta
folia precipitosa alle deliberazioni, inchine a se-
gaire il prime impulse e ripugnante dalle di-
scassioni con gli uomiui pid saggi, (2) rideste le
gare ambiziose doi nobili o lo lore male arti, fo-
roentalrici di tamuiti e di liti, rinnovato il guer-
reggiare delle fazioni dei guelfi e ghibellini gi&
fin da prima che morisse Enrico VII ^ venuto
col programma di mottervi termine una buona
volta. Tutto questo, poi, mentre interne interne
alia citti i comuni yiciui erano gi& caduti aotto
(1) Zardo (Rivista St. it. — Vol. VI) — Minoja
(op. cit. « passim »)
(2) Minoja (op. cit. a p. 112, 114, 121, 122).
-48-
il giogo di signorotti ambiziosi e guardanti con
occhio cupido a Padova, o mentre Vicenza, id-
tollerante della signoria padovana, aveva aperto
le porta a Can Grande^ offrendo cosi buon pre-
testo alio Scaligero di piombare un giorno o
Taltro sa Padova.che non sapeva rassegoarsi
alia perdita di quella citt&.
Ud simile stato di cose non doveva tardare
a riprodurre quelle conseguenze, che quasi un
secolo prima avevan date il domiaio di Padova
a Ezzelino. Padova, infatti, n quel giorni, mes-
sa al bando dall' impero, mentre il sue nemico
naturale veniva create vicario imperiale, ripru*
duceva con meravigliosa esattezza la situazione
della citti ottant* anni prima, allorchd Federico
II le faceva guerra, ed Ezzelino III. era sotto
le mura. I tumulti suscitati dall' ambizione delle
famiglie Agolanii e Alticlini e Carrara riu-
scirono a dar la supremazia della citt& a que-
st* ultima, che fini poi col divenirne signora e ce-
derla alio Scaligero, come gi^ ottant' anni pri-
ma i Padovani, affidatisi alia famiglia d* Esle^
n'erano stati traditi e consegnati ad Ezzelino.
II terrore e le sgoroento, da cui furon presi i
Padovani, dope la sconfitta di Vicenza, richia-
mavano insistentemente alia memoria e all' im-
maginazione momenti simili a quelli passati,
quando Ezzelino era por impadronirsi della citt&,
grazie ai segreti manegggi con Azzo d' Bste e
i sedici anziani di Padova. U pauroso fantasma
delta servitii, dimenticato un poco nel benessere,
causato dalle provvide leggi, si ripresentava ora
alio moQti di tutti piii mioaccioso o terribile che
mai; in tutti ora Tincabo che la taato temata
servitu si cambiasso ben presto in dura realt&,
tanto piu che il sospetto del tradimeato era ia
tutti, dacchd nel Luglio del 1315 si era sco-
porta una congiura di pochi cittadini, intesa a
dar Padova in maoo alto SccUigevo. Q\i animi
anche men viti erano in preda alio scoraggia-
mento dinanzi a quetta che sembrava una ine-
sorabite fatality, quand* ecco si leva uoa voce
virile, e, adombrando sotto i tetri cotori delta
figura di Ezzeliao V immioente nuovo tiranno,
facendo rivivero col magistero deli' arte quei
giorni di lutto e di dolore, mostra in tutta la
sua bruttozza gli orrori di una vita da schlavi,
mentre indica i rimediiper scongiurare il peri-
coto gi& tanto vicino. Perch6 io credo la trage*
dia del Mussato piuttosto opera del cittadino che
del lotterato; credo che sia un altro dei servigi
rest dal poeta alia patria, per la cui liberty e
grandezza si e adoperato neirassemblee delco-
mune, nolle ambascerie, sui campidi battaglia.
E* percid il tentative di chi ha tuttora fidacia
nei destini del proprio paese, e non sa ancora
7
rassognarsi a crederlo taoto caduto in basso, e
vaole allontaDarne 1' dstremo poricolo, quello
pib tomnto da uo sincoro repubblicano d' allora ,
la perdita della libert& municipalo. La tragedia
cootieae implicfta la speraoza che lo virtd cit-
tadiae, dimenticate o speoto, baa presto risor-
gaoo; tihe la concordia di lutte lo class! faccia
argino al poricolo cho la loro discordia aveva
luscitato; che almeno alia sua voce gli aDimi,
iddormentati, si riscaotaoo e toraino momori
lei dovere, come al suodo dolla tromba guor-
■eaca 11 sold&to, stacco, sente gli spirit! rioga-
[liardirsi. La tragedia fu, duoque, frntto d' ud
ilto disegoo politico, che Don solo attesta in Al-
lertino 1* ardente amor patrio, ma ADcbo il
:oDcetto elevato, ch'egli si era fatto della let-
eratura e dell' ufficio di questa, come educa-
Tice dogli animi ed elemento di ciTilt&, meatre
iDCora, iiidirettamente, i docameato delta pro-
[redita coltara e dei gastilettorarii di Padova,
n quanto che le lettere non hanno nessuna ef-
icacia civile ae dod dove siano diffuse ed amate.
luesta alta stima dalla letteratura darebbe gi&
la sola diritto al Muasato di aver posto nol Ri-
lascimento, tanto piu cha ai suoi giorni ancora
ion era dileguato dalle coscienze il disprezzo
>er ogni altra scienza diveraa dalla dirina; ed
AlbertiDO appunto ebbe a difenderd (1) i dirilti
6 la digoiti della Poesia diDanzi alle invadeoti
pretension! della Teologia, sontenute da frate
Oiovannino chepredicava allora inPadova. Chi
badi, dunqne, alio scope politico, propostosi evi-
dentemente da Albertino nollo scriver la trage-
dia, poivk anche intendere, per dircosi, la ra-
gione storica della medesima. (2) Dal Mussato
stesso sappiamo che egli aveva, fanciuUo, slu-
diato le tragedie di Seneca, il poota caro a tutto
il Medio-Evo o anche ai tragici italiani anterior!
air Alfleri. Ora, se si pensa che quest!, in gene-
rale, trattarono gli stessi argomenti del poeta
latino oppure altri tolti dalla Storia e dalla Mi-
tologia antica; o se anche ricorsero alia storia
post-romana, scolsero fatti che ai prim! si ras-
somigliassero nella loro terribilit& e li modella-
rono su di essi, avremo ragione di ntupire del
Massato. Da lui, infatti, legato alia tradizione
classica, assai piu strettamente che non fossero,
di necessity, i letterati del XTI, ci sarebbe, in-
vero, da aspettarsi an Edipo, uo Tieste o ma-
ll) Vedi Epistola XVIII di AI. Mussato nel libro
intitolato < Historia Augusta Ilonrici VII Caesaris
et alia, quae extant opera. »
(2) Sipistoja. I-da v. 77 » v. 86|
gari uD Nerone, (1) ma non mai una tragedia
di argomento storico coDtemporaneo. Chi pel
primo attribul al Mussato 1' Achilleis doo disse,
da UQ punto di vista logico e critico» cosa af-
fatto assarda, considorato r indiriszo e le ten-
denze, che addimostr6 poi la tragedia italiana.
Vorrei anzi dire che, se deila vita e dell' ope-
resits lettoraria di Albertino non sapessimo altro
se non che avrebbe scriito una delle due tra-
gedie, Ecccrinis ed Achilleis, e mancassimo an-
che del sussidio di confrontare ciascuna di esse
con le altro sue opero latine per decidere la
quistione, se, insomroa, fossimo ridotti a fare un
puro calcolo di probability sugli argomenti delle
due opere, certo ci parrebbe piii probabtle che
1' Achilleis fosse stata scritta dal Mussato e
V Eccerinis rimontasse a tempi a lui posteriori.
Soltanto tenendo present! le condizioni politic'
che dolla repubblica padovana a qaei giorni e i
sentiment! di Albertino, si pu& iotendere quella
tragedia, che sorgo monuraento isdlato alio so-
glie del Rinasciraento, tanto si scosta dagli ideal!
letterarii, cheallora e di poi prevalsero. Men-
tre le sacre rappresentazioni attiravano Y at-
(1) Ai tempi del Mussato si credeva ancora che
r Ottavia fosse aHeh*«ssa di Seoeoa^
— 88 —
tenzione dei volghi, egli toglie a soggetto uq
argomento profano e lo veste di forma latioa;
stadioso poi e ammiratore di Seneca, svolge un
fatto della vita con tempo ranea, mentro an se-
coio piu tardi nelle splendide corti dei principi
italiani si riprodorranno icapolavori delTeatro
Latino, oppure opere su quelli condotte dai no-
stri letterati. Una tragedia, composta o scritta
con criterii simili a quelli del Mussato, non po-
te?a non assumere caratteri o flsonomia pro-
pria, e, prevalente, quello della storicit^; giac-
che ben iscarso ammaeslramento a?rebbe egli
date alia folia, ove avesse inventati, ingranditi,
esagerati fatti cosl vicini e noti a tutti.
La tragedia riusci, quindi, una breve storia
pootica e dialogata, in modo da essere atta aiUa
rappresentazione ; nd alcuno si meravigli di
questa confusione o invasione di conQni tra ge-
Dore e genere letterario. II Mussato stesso, pre-
gato dal Collegio dei Notai , aveva scritto in
un poema di tre libri la storia deirassedio di
Padova; e nd lui , ne altri^che nel Medio-Evo
ci lasciarono storie verseggiate, pensarono me-
nomamente che i necessari infingimenti poetici
e la maggior cura della forma in un lavoro poe-
tico potessero in qualche modo essere a scapito
della verity e della fedelt&, a cui T opera delio
^^rico vttol essere informata. Questa oonfusioqe
-S4~
di g«neri letlerar! fa comunJsaima nel Medto-
Eto ; e baslerebbo, per coDTincerseDe uoa volta
per sempro, ricordare il signiBcalo chohan p6r
Danta la parola Tragedia o Commedia, e in oor-
I'ispondoDza sUle Iragico o stile comico.
Del raslo rinvasiono reciproca dei vari do>
mini letlerai'i aveva radici ben profonde, in
quanto rimonlaTa ai tempi di Saaeca stesso. (1)
Come poi (ale confusione non doveva croscere
m nn' e(&, come il Medio-Evo, di )etargo per
la letteratora latioa o classica in geoerale, le-
targo, da cui le opere del MusecUo, dol Ferre-
to, del Lovalo e degli altri che illustraTaa la
bcuola padovaoa, erano appena i primi sogol di
riseuotlDieDto ?
Bane accolsa ooUa sua opera Albartino la fa-
rola roolto difTusa deH'origioe diabolJcadjEzEe-
liao, sulla quale srolg) quasi tutto iiprimoatto.
Ma quella favola, oltro a trorarsi d' accordo
cot seotimento popolara e con la coDviDzieoe ,
spoDtaaeamente o artificialmeota radicatasi Del
|1) Plinio il Giovane. in una lettera. ineorsg-
giavs un siio ainico a scrivere un poema epico sul
goiiere dell'Odissea e deU'lliadc, in cui si narras-
sero i casi dslla guerra DacJca, cbe proprio in <\nei
^iorni Ti^iaDO copbattsv^.
-« W -»^
popolo» oltre ad esse re feconda per il letterato
di forti immagiaazioni, delle migliori, forse, della
sua opei*a, perchd gli diede gi& quasi bella e
formata la colossale flgura di Ezzelioo, aveva
anche non poco valore rispetto alio scope civile
e morale eh' egli si proponeva. Che se le male
arti di Ezzelino, nooostante gli aiati pateroi e
infernali, dope aver trionfato per alcan tempo,
furono yinte dalle virtd rianite delle cittjt, da
lai oppresse ed offese, e dalla concordia doi cit-
tadini, quale effetto benefice non si aveva il di-
ritto di aspettare da quelle medesime virtii, da
quella medesima concordia con un nemico , se
tanto simile ad Ezzelino nolle condizioni stori-
choy pur tanto minore di lui e nell' animo e
noi mezzi e nella estimazione generate; centre
UQ Can Grande, uomo e figlio di uomo come
tutti gli altri ? Ohe egli facesse posto nella tra-
gedia alia credenza popolare solo per intendi-
menti artistic! e morali» pu6 ossere anche atte-
stato da un fatto. Nell* epistola a Oiambono(l)
b svolta esplicitamente una giustificazione del-
r opera di Ezzelino, la quale fa capoiino anche
nella Tragedia (att. Ill see. 1) e che forse a
quel tempo era gi& nell' animo di molti. II fe-
(1) Mussato — Epistola V.
rocissimo tiranno, considerate come vtndew non
piu come auclor scelerum^ dice nell* Eccerinis
€ Delicta poscunt gentium uUrices manM > ;
e cosi il poeta, per bocca di Ezzelioo, d& una
nuova sferzata ai suoi contemporanei , ammo-
noDdoli che la causa di tutte lo svoDture o an-
che doll* incrudelire di Ezzolino dovesse ricer-
cars! nolle colpe dei cittadini discordi e turbo-
leoti, i quail, dope a?er prodotto la perdita
della liberty, con la lore condotta iaconstante,
coi lore tradimenti, con le mire ambiziose, aiz-
zarono Ezzelino alio crudeltjt e alio stragi. E
potrebbe anche essere che 1' elemento leggen*
dario della nascita di Ezzelino stia nella trage-
dia per effetio di ricordi e di lavori giovanili
del Mussato. Sicco PolentonCy infatti, tessendo
una breve biografia del Mussato, ricorda (1) co-
me dalle Yoci accreditate fra i popoli della Mar-
ca Ezzelino ed Alberico fossero deiti figli di Plu-
tone; onde, soggiunge, pcelce materia tUriusque
Qperis scribendi orta est. L' una di quest e due
opere 6 la tragedia tanto nota, r altra sarebbe
un libro anche in poesia, a quanto paro, in cui
Eccerino sarebbe immaginato flglio di Plutone
(1) Sicco Polentone (De scriptoribus illustribus)
nella vita del Mussato.
-87-
e di Proserpina. Or se, data Tesattezza abituale
del Polentone, dobbiamo ammettere come vera
qaosta notizia, il secoodo lavoro sa Ezzelino
Don si pu6 credere posteriore al prime, perchi
il sovrabbondare deirelemento favoloso e mito-
iogico (tesiiinoniato dal solo accenno a Plalono
e Proserpina) mal si spiegherebbe da una parte
con lo svilnpparsi dell' attitudine storicocritica
del Mas^ato, che era giunto a vedere in Ezzelino
nn vendicatore di delitti, coll* accentaarsi delle
sue simpatie verso l* impero, e con qael ride-
starsi dei saoi sentimenti mistici, di cut furon
frutto le meditazioni e i soliloqui degli uUimi
suoi anni.
Nalla di pin conveniento, al contrario, che
d' immaginare il poema scritto negli anni gio-
vanili, fresca ancora la memoria e la fantasia
e^ lo studio dei libri classic!; schiottamente guel-
fo ancora di parte, e percid piu disposto a cre-
dere vere quante dicerie Todio dei preti e de-
gli oppressi aveva^ sparse sn Ezzelino, piii fa-
cile anche ad accoglierle perchd esse nella lore
caratteristica terribilit& gli offrivano buon par-
tite a invenzioni e a tirate sul genere d! quelle
che son cosi frequent! in Seneca. Gon tali ri-
cordi letterarii qual meraviglia se il demonic
delta pubblica opinione divenisse sotto la penna
$
— 88 —
del trascrittore di classic! Plulone 6 Cerbero(l)
6 la femmina, che giacque coo lai, assamesse i
linoamenti e il nome dl Proserpina ? Or chi sa
quanto sian forti le impressioni giovanili» qaanto
torn! caro il ricordarle e il risascitarle, potr&
agovolmente immaginaro cho il poeta, maturo
di anoiy volendo richiamare i cittadini aireser-
cizio di qaelle virtu, che sole assicurano la li-
bertjt, abbia ripreso il lavoro giovaaile, e, da-
togli maggior contenato e atteggiamento storico
(come per accrescergli efflcacia) r abbia rifoso
nella tragedia a noi pervenata; la qaale percid
destinata ad un alto scope civile, e non a yaoto
sfogodi vanity letteraria, avrebbe perdato quasi
totalmente il carattere mitologico origioario.
Cos! Albertino di suUe labbra del popolo colse
e tolse a prestito quella tetraggine di colori ,
quella esageraziooe di tiate, che era natarale
aspettarsi a proposito di un flglio del demonio
e che si accordava tan to bene con 1' indole e
gli scopi del sue lavoro. I proponimenti, mani-
festati a sangue freddo, di crudelt& lungainente
premeditate, e come suggerite dal genio male-
flco, di cui Ezzelino si voleva flglio; il ricordo
(1) Sicco Polentone Op. cit. « libro altero Ec-
cerinum natum Proserpina et Plutone finxit ».
che il tiranno, sol punto d* esser preso a Cas-
^ano, ayrebbo fatto delta predizione maternafl),
la gravidanza (2) di dieci mesi, Paccordo fatto tra
i fratelli di flogersi nemici (3), e, con questi, qual-
chealtro particolare son tutti toiti dalle dicerie
del volgo; ma^ benchd per alcuni di essi si e
ancor luogi dal dimostrare il lore carattere
fantastico (4), nondlmeno, anche accettati tutti
per ioventati, son cosi pochi da non cambiare
la Osonomia gonerale delta tragedia, quella ciod
di lavoro storico. Oiacchd, all* infuori di qoesti
casi, il Mussato si ditnostra storico tanto esatto
o verace nell' Eccerinis qaanto quasi nella Sto-
ria Augusta, nd rivela talvotta in quella minor
miouzia di pariico!ari che in questa (5).
Nel I.^ atto, quasi a rispondere, alia ter*
(1) At. Ill — Sc. I
(2) At. I — Sc. I e 11
(3) At. Ill — Sc. I
(4) Per esempio 1* inimicizia dei due fratetti, e
il caso non rare delta gravidanza di 10 mesi.
(5) Si guardl per esempio nel libro VI, 13 delta
Storia Augusta con quanta esattezza e precisione
calcola le forze militari dei padovani, secondo te
diverse armi, come si direbbe oggi ; Caoalleria ,
guasiatori a cacallo, scudieri, pedonif m^rGenari
eco.
nbile invocazione, da EzzeHno rivolta al padro,
il Coro gi& avvorte an tumulto, an ribollir di
passioni, un ridestarsi e un improvviso divam-
par dt odii, di ambizioni, d* invidia. Non si pud
davvoro immaginare una descrizione piu ?eri-
dica di quelia che fa il Coro iatorno alio con-
diziooi della Marca TrMgiana, e di Pado?a
specialmonte, (1) quaodo Ezzelino ordiva sempre
naovi complotti per piombaro salla fiorente re-
pubblica, fomentando abilmente ie dissenzioni
fra i nobili, giovaodosi delle lore gelosio e salle
rovine altrui ionalzando TediOcio della suapo*
tenza. Ma quolla descrizione, nella sua anoniiDa
generality, e anche un ritratto fedele deile con*
dizioni dei tempi del poeta, qaando nel palazzo
del comune veniva acciso nn cittadino, tenato
per capo della parte ghibellina, (2) e ripiglia-
van vigore Ie maledette fazioni » mentre i da
Carrara facevan uccidere i lore rival! e sac-
cheggiarne Ie case dalla plebe, che in frequent!
(1) Per Ie condizioni di Padova e della Marca,
prima della dominaziono d* Ezzelioo, leggasi il libro
del Cantu « Ezzelino da Roroano, Storia di uii ghi-
bellino ».
(%\ Gugli^lmo Novello dei Pultonieri (v. Minoi%
p. 113, 114).
%.
- M -
sollevazioni trascOrreva irragionevolmente dai-
r apoteosi, per dir cosi, al vituperio dei mode-
simi uomini, con quella incostanza di cui spessD
obbe a lameDtarsi ancho il Nostra (1). Se oel
Coj^o del I atto, per6, abbiamo uoa descrizione
generate e anonima delle condizioni della Mat*-
oa, ecco nel 11.^ comparire dei nomi ed un' e-
sposizione cosi precisa delle cause, che deter-
minaronoglt avvenimenti, qaalo sipotrebbe pre-
tendere da ano storico.
II Sunzio\ che vien trafelato da Verona,
non si contenta di narrare gli av venimeDti pre-
sent!, che tanto lo commuovono, ma si rif& in-
die tro per dire < aliquid ex gestis prius » ed
esporre i fatti che < causas dedere praesenli-
(1) Albertino, fischiato dal popolo di ritorno
dalla sua seconda ambasceria ad Enrico, poco dope
levato al cielo e pregato come un santo perch6 vo-
lesse far parte d' una 3.^ ambasceria, applaudito di
poi per i nuovi patti da lui ottenuti, sebbene peg«
giori dei primi, vilipeso ancora una volta e minac-
ciato nella vita; colmato di onori dopo la pubblica-
zione della tragedia, fini col dover fuggire dalla
cittk dinanzi all' ira popolare quando, per sostenere
le spese della guerra, voleva imporre la tassa della
Qarp«Ua.(v. Minoja 92, 94, 112, 141, 884)..
bus malis », rivelando come gli odii iotestiui di
Vorona condussero alia cacciata di Azzo, mar-
cbese d* Esle, funesto princtpio di grandi sven-
turo. E si badi cho qucsto avveniva (1207) quan-
do Ezzelino, giovaootto anoora , non ora codo-
sciutoy 00 aitira?a rattenzione di nessuno. Si
leva a vendetta Azzo, il capo della parte guelfa,
aiutato dai cooti di San Bonifanio^ onde la
Braida di Verona vido la strage e la foga dei
Monticuli, dei Ohtbellini, cioe, e la rocca sal
lago di Oarda porse rifugio ai supersiiti.
Ne le guerro si chetano; dope varii casi
Ezzolino scoado in campo , sogutto dal Saline
guerra, a rilevar la fortuna dei ghibellini, t^a;^
volgendo seco nolle sanguinose liti il popolo
cile a prestaro ascolto. Yisto allora il memento
opportune , Eccerino fomenta odii e liti ; una
Tolta suscitate, le compone sedendo arbitrofra
i contendenti , e per questa via , crescendo in
istato 0 in ricchezzo sulle rovine delle piu po-
tent! famiglie , a poco a poco aggioga al suo
carro vittorioso Tambita Verona; sicch6 drizza
le avide voglie a nuova preda, alia fiorente Pa-
dova, e, ottenutala con la corruzione e il tra-
dimento , vi domina col titolo di VIcario Impe-
riale — « Oh! quanlt esiffU, roght, croci, tor-
menii, carceri, minacce ai soUomessi popoli ! %
I4^> (giustisiadl Dio» puoitrice dei malofici) i
w
nobili soBo i primi a pagar il fio del loro tradi-
mento , ossi che veodettero Tilmente la ciUJi»
nolle loro man! affldatasi. Al Nunzto, che chtade
cosl la saa parlata, fa eco il Choro, dipiogendo
al viro, dopo una naova invocaziooe a Dio, che
par sordo a tanti mali, un quadro terribile dello
ferocie che si videro sotto il regno dell' /mma*
nissimo tiranno, quando il terrore fece dimen*
ticare i diritti pi& santi di natura, e si vide il
fratello, per far piacere a quella belva umaoa,
premer la strozza al fratello, il figlio chiedere
d* appiccar prime il faoco al rogo del padre ;
mentro, fra le stragi, il sangae » i gemiti , Ez«
zelino , supersiite a tanti delitti » spirando dal
vise ira feroco, escogita i nuovi supplizi, afSn-
che perisca il seme della futura prole e ai bam-
bini € censit genital recidi > mentre le fancialle
son costrette < sectis uitdare mammis »•
Non so se quadro di storico possa essere
nella sua efflcace brevity piii minuto ed esatto
di questo. Le arti con coi Ezzelino ingross6 di
tanto i paterni dominii, e gli avvenimenti , che
ne favorirono il buon successors! trovano esposti
neir opera del Verci < Degli Ezzelini » , se coo
maggior ricchezza di particolari e con la Inco
di document! , non certo con maggiore fedelt&
storica. Contro questa il poeta non si lascid tra*
scinure dalla fantasia descrivendoi per esempio,
-64-
le orribili crudeU& » esercitate sopra innocenti
fanciulii e fanciullo , che sono attestate dalla
scoroaoica contro Eccelloo laDciata da Inno-
cenzo 2V{1), ricordaodo il raccapricciante opi-
sodto di un flglio che appicca le fiarome al rogo
del padre, delitto che 6 attribuito a un tale
della famiglia di Bricafolle da Mastro Quiz-
zardo da Bologna, contemporaneo del poeta, col
cui permesso fece un minato e pregevole com-
mento alia tragedia (2). Nd si creda che soltanto
negli atti e nolle scene, in cui il carattere nar-
rative predomina, sia rispettata la fodelU sto-
rica, la quale, al contrario, non vlen mono nop-
pure dove il carattere rappresentativo della
tragedia 6 ben pi& spiccato.
L' atto III si apre con un dialogo fra i due
fratelli in cui Eccelino, fatto 1' elenco tlei trionfl
riportati, discopre ad Alberico quelli a cui a*
spira; e Tentusiasmo dei primi 6 tale che non
gli fa dubitare un momento di peter con eguale
agevolezza conseguire gli altri, fine a volgere
neir animo la conquista di quell* oriente ove cad-
de, vinlo daWangelo di JDio, Satana, suo pa-
dre, del quale eglt medita la vendetta su Dio.
(1) Verci— Codice Ecceliniano— Doc. CLXXXIII.
(8) Zardo — Riv. St. it. — Vol. VI.
Per quanto la risposta di Alberico, che i rical-
caia quasi sul discorso del fratello, ci fa dubi-
tare Terameote della reale esisteoza di simili
disegnl neiranimo di Ezzelino, pure noo bisogaa
dimenticare che ua uomo dairambiztone e del-
r iogegoo di Ezzelioo poteva ben nutrire, se uon
Taspirazione c!i portar le sue armi io Oriente
(esagerazione che si lascia sfuggire il poeta, a-
bituato alle ampliflcaziooi di Seneca), almeno
In tutta Italia o su buona parte di es3a.(l)Dol
resto i Cortusi e Rolandino ci conservan me-
moria del proposito roanifestato da Ezzelino di
compiere in Lombardia impresa quale non era
stata tentata da Oarlonoagno in poi, e altri prin-
cipi italiani prima e dope di lui avevan piu o
men'lungamente carezzato tale disegno. Basti
ricordaro i tontativi e i sogni di Federico U? ,
di cui Ezzelino era genero e coal valido aiuta<
tore ; di Maniredi, suo flgliuolo, o poi le velleiti
d! Carlo d* Angid ; le speranze che i Qhibellini
di tutta Italia riposero in Can Grande, onde al-
cuni vollero poi vedere in lui il VeUro dante-
sco, e inflne la fortuna di Qian Galeazzo Yi-
sconti (2) appena a un secolo di distanza da Ez*
(1) Historia Augusta 1-6.
(2) Gian Galeazzo Visconti, contedi VtrtiH, nel
1375 ebbe dal padre a governare una parte del do*
9
-65-
ZcUno, cbe per un momento face temeree spe-
raro, secondo rnmore diverso dei cootempora-
nei, il compimeolo di qael sogno. Potrantutl' al
ptii i propositi esprossl da Alberico, che oella
storia di quei tempi appare uaa flgara secoo-
(laria, ossore inventati dal poota o messi II per
una certa concinnitas con quelli di Bzzelino;
ma quanto a costui o lo tastimoniaBze dei cro<
nisti e le notizio che si hanno del sao iogagnu,
doDa sua ambiziono, della sua fortuna, mostrano
che era uomo da nutrire disegni cosi ampii co-
mo qaello dell' uniBcazione e dell'asserviiueDto
a s6 solo di tntta Italia o di buona parte di essa.
A metlore in atlo i loro biechi disegui, Gzzeljoo
coDsiglia al Tratollo di simulare inimicizia roci-
proca ; cost (egli dice) quolti che sfuggirauDO
alio mie, cadraono nelle tue maui o avremo
buoD giogo dei nostri nemici. Questa iDitnicizia
il Verci (1) ha ditnostrato che fu roalo e non si-
mnlata, benchS il popoto e la inaggior parte
degli storici la vollero credore falsa, Comuo-
que, quelle che iateressa qui a noi , facendo
minii Viscontini e nel 1378 g^li. success^.. per dare
opera a quegli ingrandimenti che poco mancd non
gU ponessero sul capo la corona d'ltalia-
(I) Verci -Op. cit. XIX — cap. 13 ss.
— 67 —
r esame storico della tragedia , d 1' osservare
che anche qui rinveDiamo un elemonto storico,
perchd il fatto deU'odio tra i dae fratelli & cer-
tissimo ; e qaanto alia maggiore o miDore sin-
cerity di esso, rimportaote e che allora il po-
polo 6 la gran parte degli storici (1) di poi non
Ti credettero affatto.
La scena segaenie si svolge fra Ziramonie
e il tiranno intorno all' uccisiono di Monaldo
dei Capodivacca (2) (o Linguadivacca), capo di
una congiura ordita dai nobili contro di Ezze-
lino, il quale poi, come ad una voce ripetono gli
storici ed Albertino , ne prese coraggio a infe-
rocire in ogni maniera contro gli ottimati. Per-
sOnaggio storico egualmente e state dimostrato
il Fra Ltu)a della scena III* , e storico il col-
lo^uio col tiranno, nel quale Albertino spinse la
sna scrupolosit& di veridico narratore fine a
mettere in bocca al frate argomenti e parole,
che sembran l*eco di altrettali espressioni nolle
epistole (3) dei papi ad Eccelino , mentre forse
airaccusa vaga di eresia rivolta dai ponteflci ad
(1) Zardo — Riv. st. it. — Vol. VI p. 504.
» oii§d^ttaF!> iiiTatto
(2) Verci — Op. cit. — lib. XIX. Rolandino ,
IV— che non lo nomina.
(8) Veroi — Doc. la**, 307.
fizzelioo egli voile dare an certo conteniito con-
creto, facendogli manifestare una teoria sul li-
bero arbilrio, (1) che davvero puzzava un miglio
di eresia. E anche questa polrebbe essere una
prova Don lieve dolle teodenze al sodo, al reale,
alia verity storica del nostro poota. Ma il cor-
se degli avvenlmeoti , flno allora insolitamente
prospero o favorovole ad E2zelino , ecco che
cambia all* impro wise. I fuorusciti padovani ,
(1) Dair Acqua Giusii {alcuni scriiti letterarii
e storici — Venezia, 1878, puntata //*) nella nota
P. a p. 141 dice « La vera colpa di Eccelino in fatto
di credenze religiose, fu di coDcedere rifugioaco-
loro ch* erano dichiarati eretici, cio6 di non volere
che i partigiani delTImpero e suoi fossero abbru-
ciati vivi. Ma consideraodo quella specie di profes-
sione di fede che Tautore mette in bocca di Ecce-
lino, che cosa possiaroo raccapezzarne ? — Dio non
si prende cura di proibire il corso dei Fati , ma
anzi volontariamente lo concede; perch6 ognuno ha
il iibero arbitro delle proprie azioni. — Questo non
debb* essere il Libera arbitrio dei Pelagiani , il
quale, per contrario, si contrapponeva alia doUrina
della Grajsia, ciie stimavasi fatalismo. Quest* 6 in-
vece un Iibero arbitrio die secondo quelle che chie-
dono i Fati, i quali, nel casu nostro, vogliono che
Ic colp3 delle Genii sieno punite da mani vendica-
trici. Nella scena che poi segue tra Eccelino e
aoitisi presso Venezia ai Crociati sotto la con-
dotta dol legato pontiflcio, tentano un colpo di
maiio sa Padova» la quale, abbandooata » quasi
senza resisteoza, da Ansedisio, cade nelle mani
degli assalitori. Tutto ci& risulta dalla Storia
DOn meuo che dalla tragedia del nostro autore.
Ezzelioo sul colmo deiia sua insolente fortuoa
riceve ranounzio della perdiia di Padova edel
mode in cut avvenne ; e mentre ordina, secondo
il suo solito, che al disgraziato messaggero sia
iDOzzo un piede(l), si sente da Ansedisio ricon*
fermare la brutta notizla, e io svillaneggia e lo
Frate Luca , questo priQcipio trionfa. Fraio Luca
parla ad Eccelino di Dio, non gi&, a dir vero, come
eretlco , ma come ad uno che ne fosso ignaro , o
tale quest! si finge per un poco , ma solo per de*
durne Tinazione di questo Dio, e affermare in fine
ch* egli, per punire le colpe, permette e vuole che
VI sieno i tiranni ».
(1) II commentatore, fatto conoscere per primo
dal Nooati, non dice se la pena minacciata al po-
vero messo nella tragedia , lo fu veramente ; ma
quando piu sotto, parlando della morte di Ezzelino,
ricorda che il tiranno anche prigioniero e ferito
ordinava si mozzasse il piede a quanti venivano a
vederlo, ci fa dubitare che nemmeno questo parti-
colare Albertino trasse dalla sua fiantasia*
-70 -
minaccia, cocde tradiiore, di non piu aditi tor-
monti.
II Verci, dopo fatto annuoziare al tiranoo
da Ansedisio la perdita di Padova non paria piu
di lui ; il commeotatoro, poi, dice espressamente
che non si seppe piii nulla di lui , ne" da quel
giorno fu piu veduto: e, in veriti, date il tem-
peramouto ed i gusti di Ezzelino, non ci i da
aflaticarsi troppo in ipotesi e congetture per
indovinare quale dove esser la sorta del poco
valoroso difonsore di Padova.
Eccerino, fatto oraroai certo della sventu-
ra, non sa a qual partite appigliarsi, onde i suoi
coromilitoni (oella storia ilsuo partigiano Ouido
di Lozzo) gli consigliano di far prigionieri quanti
Padovani souo in Verona e tenerli in ostaggio
della resa, ch6, se non fosse avvenuta, avrebbe
almeno sfogato su di lore le vendette deirin-
tora citt&. II Coro^ che chiude quest* atto cosi
comprensivo e (tropio perchS ci mostra Ezzelino
nol colino della sua for tuna e al principio di
quelld serie d* insuccessi che lo condussero a
rovina, narra quanto in roaltjt avvenne. Vi e
doscritto il rapido correre di Ezzelino sulla citt&
ribolle, la inusitatae forma resistenza dei Pado-
vani, la rabbiosa delusione di Ezzelino, il ritor-
no a Verona o lastrage degli undicimilaostaggi,
la quale segul^ nou giit precedelle il tentativo
di riprendere Padova; il che, oltre ad essei^e
d'accordo con la versione delio storico Rolan^
dinOf pare anche piu logico o naturale.
Nel IV atto , dopo un breve monologo di
EzzetiDO, rassegoato ad abbandonaro I' impresa
di Padova por volger le sue forze aitrove, il
Nunzio narrn al Coro come la giastizia divina
abbia alia fine appagato i voti di tutti, Tacondo
che Eccelino cadesso vlttiroa del suoi stessi am-
biziosi maneggi. L'occnpaSione di Brescia con-
segaita cod 1' aiuto di Buoso da Dovara e del
Pallavicino ; la condotta doppia tenuta cod que-
ati doe; TesclasioDe di Buoso da Brescia; Tal-
leaDza di tutti i oemici , vecchi e Duovi , del
iiraoDO ; la sorpresa a Cassano ef Adda , ove
EzzeliDO fu col to fra due fuochi, i collegati da
UDa parte e il Delia Torre dairaltra; I'audacia
e r imperturbability di EzzeliDO, laferita arre-
catagli da igooto soldato; rosiiuata voglia di
morire, la tomba a Sonctno, sod tutti partico-
tare, la cui esattezza 6 dimostrata dai crooisti
e che rivelaDo cod quaDta arte Albertioo de-
scrivesse quelle oose, che guardava con occhfo
di storico accurate. II Coro infioe, come a met*
tore lo sfoDdo a questo quadro della pi& scru-
polosa verity, esorta i cittadioi a roostrarsi grati
verso il Signore giusto e misericordioso » col
tlaggellar suppUehetoli con dure sferze le reni,
— 72-
alludendo evidontomonto alle compagnie cUMla-
gellanti , che subito dopo la morte del tiraono
comparvero in Padova.
Sparito dal mondo e dalla scena Ezzolioo ,
anche quel po' di movimonto scenico e di rap-
presontazione, che lo scrittore aveva introdotto
nella tragedia, vien mono completamente. Nel
IV alto S comparso almooo uno dei personaggi
del dramraa, anzi il protagonista stesso , Ezze-
liDO, ma nel V non si assiste che alia descri-
zione deli* eccidio consumato sulla famiglia di
Alberico,onde manca interamente la forma dram-
matica; sebbeoe il drammatico per aitro verao
vi sia, grazie alia vivacity, all* efflcacia , alia
forza del raccooto del Nunzio. Quanto al lato
storico alcani particolari , come 1* orribile flae
di Eccelino novello, che scambiaper lozioano
dei massacratori ; il timore che il prigioniero
Alberico (1), parlando al popolo, potesse muo-
yerlo a pietjt, code gli si caccid uo bavaglio in
bocca; il contegno indifferente o sprezzante di
Alberico stesso, e altri difQcilmente saranno a-
sciti daiia fantasia del poeta , il quale anche
quaudo si abbandona, more Senecae ^ alle am-
(1) Rolandino, Cbronicorum — Rer, It. Scrip.
VIII, 358.
-ts-
piifioazlOQi (I), ne fa delle innocaOy vorrei dird,
6 a chiacchere » sulle cose che si disegnano e
Don su qaelld che si fanoo o si son fatte. Tranne
qaesta amplifioaziooe di propositi, (vedi, atto III
scena I, qael che voglioa fare Ezzelino e Albe-
rtco), Atberiiao si mostra nel resto , come ab-
biamo vedatOy scrupoloso osservatore dolla ve-
rli& storica, cui chi sa per quale inesatta in-
formazione yien meao a proposito dei flgliuoli
di Alberico, che farono sei maschi invece di tre,
6 dae femmine iovece di cioqae (2). Dei resto,
(1) Cos! per esempio netl' invocazione di Bzze-
lino (Atto I®) quando prolissameDte e dottamente il
Mussato gli fa dire:
< AdsiDt ministrae facinorum comites mihi.
Suadeat Alecto scelera, Tlsiphone explicet,
Megera actus saeva prorumpat truces.
Faveatque caeptis Diva Persephone meis,
Ingenia praedae quisque sollicitus paret.
Nee Inferorum spiritus quisquam vacet
Animos ad iras, ad odia, et invidias citent.
Busis cruenti detur officium mihi.
Ipse executor finiam lites merus,
NuUis tremiscet sceleribus fidens manus »
(2) I figli di Albericoerano:Eccelino, Giovanni,
Alberico, Romano, Ugolino , Tornalasce , Griseida
ed Amabilia.
10
— 74 —
qaanto a yaesto parlicolare, bisogna dire chd il
poeta aveva delle inroriDazioni sbagliate , sab-
beae egli le dovssso riteaere per sicure stori'
cameate; giacchd aon ai pu6 ammettere abbia
TOlato di proposito cambiar la proporzioao dei
sessi nella prole di Alberico, so e vero, come ci
paro, che, dal conservaria quale fu realmeate,
0 Hal cambfaria, nionto venivaagaadagnaro o a
perdere il lavoro dal punlo di vista estelico. —
Come si redo dall' esame falto , la tragedia e
UQ'opera essaDzialraente storica e non priva
d'importaaza, como fonte, rispettoallastoria di
EzzeliDO e de) suo domiato au Vorooa o Pado-
va. Sicchd a quoUa guisa che il Machiavelli ,
come iatroduziODo alio storie fiorentioefa quel
largo riassunto dellastom d'Kuropa o d'ltalia,
prima d'eatrare la argomeoto, potrebbe in certa
maniera dirsi che laEccerinisfacorpocoQ V SI-
slorta Augusta q \\ De Qeslts ilaltcorum , e
oe coslituisce como r antefafto. Taato pid che
al mode stesso che della Slorta Augtata o del
) si rirerisco
I si rroqueati
si riattacchi
storica del-
per rispetlo
— 75 —
al passato (1), ma anche e forse piu per rispetto
al presente, e ad ogni modo questo piu di quollo
il poeta avea di mira. So non c' iogannaromo
pi& avanii, dicendo che con la sua tragedia Ai«
bortino voile gettare il grido di all* armi, con
r adombrare, sotto il nomo di Ezzelino, il tiran-
no della Scala , 6 chiara V importanza storica
della tragedia anche di fronte alio Scaligero.
Ardente patriotta e uomo di azione , Albortino
subordina tutto all* interesso della patria , la
quale non e per iul vuota parola, ma cosacon-
creta e bisognosa, perci6, di opero e di servigi
Del memento presente; laondo, quando non si a-
gita a pr& di essa nei consigli , nolle ambasce-
rie, sui campi di battaglia, no scrive la storia,
ma quella del presonto, cho urge, cbe preme,
non del passato , che 6 sempre passato e , al
pi&, pu& porgere materia a recriminazioni , o
a rimpianti, a considerazioni astratte, uiili an-
che, ma spessoprive di efflcacia vera sovra una
corta catogoria di uomini. So il carattere del-
r operositi letteraria e civile del Mussato d ap-
punto questa tendonza air azione , alia realty ,
al presente, la tragedia Eccerinis, considerata
(1) S* intends che ci riferiamo al tempo in cu|
(u soritta,
^76 —
soltanto da quel che il titolo dice , segoarebbe
come uDa deviazione nell* iadiriszo generate,
come an* eccezione alia regola ordinaria di essa.
Qaando si pensa inyece alia gran parte di vita
contemporanea al Mussato, che palpita sotto i
ricordi e le apparenze del passato, scomparisce
la pretesa deviazione, e una volta di piu spicca
la rigida dirittnra di carattere di quelle forii
tompre di uomini, di cni fu cosi ricca la storia
italiana nel sec. XIII , e di cai nel XIV s* era
quasi perduta la memoria, come nota, fremen-
do, ad ogni passo delta DivinaOommedia Dante,
il quale, forse, ed il Mussato erano ancor gli
unici notevoli rappresentaiiti ed eredi di qaella
robusta generazione. A quale dei Pado^ani nel
sentir leggere la tragedia, dope la gnerra con
can Grande, in cui Albortino era rimasto pri-
gioniero, non doveva passare per la mente, che
11 poeta rimproverava non tanto il mortoepu-
nito Eccelino, quanto Can Oranie, viyo e mi-
naccioso e insolente per la rocente yittoria, al-
lorchS il Coro amrooniva: (1)
€ Qais vos exagitat furor
0 mortalo hominum genus?
Quonam scandere pergitis?
Quo vos ambitio vehit? ».
(1) Core — Atto I.
^n —
AmmoDiTa e mioacoia^a insiemo dicendo :(1)
« Daros ezpetitis metus.
Mortis continuas minas.
Mors est mixta Tyranoidi,
Nod est morte minor metas »
I nobili, che I'ardeote inyidia trascinaalle
liti e alia rovlna, poteyaoo essere beoe tanto i
Sanbonifacio^ i Salinguerra, i Camposampie"
rOt i d* Este del tempo di Ezzelino, qaanto i
Carrara del giorni del Mossato. E quaodo la
plebe Tien rimproverata del la sua incostaoza ,
del Stto fare e disfare, dei soot eotasiasmi e del
SQOi abbandoni, chi non vorr& scorgere nel rim-
provero oo po' dell'amarezza personalo del poe-
ta, come qoegli che deila incostaaza del favor
popolare era gi& state e forse seativa di dover
essere ancora la vittima ? Ob ! qaal fremito di
terrore e qaali comment! doveva destare nell'u-
ditorio la descrizione della Marca , straziata
dalle gaerre e inondata di saogae ! II Nunzio
che arriva da Verona» e pieno di spavento e
di sdegno, gettato in faccia ai nobili i lore odii,
al popolo il sue insano farore» grida: (2)
€ Finis petitus litibus vestris adest;
Adest Tyrannus, vestra qnem rabies dedit ».
(1) Coro atto I.
(2) Atto U — ^ena unioa^
— 78 —
Adesl Tyranntis, dod nomina oessuno. La
fantasia dell' uditore poteva mettervi un nome
qualunquo, Eccerino o Can grande, faceva lo
stesso; ma certo e che i Padovani, airiodomani
della terrlbile rotta dl Vicenza, dovevan met-
torvi Can Grande^ divenuto oramai la preoc-
cupaziooe dogli animi di tutti i patriotti , e i
visi degli ascoltatori certamente impallidivano
a quello parole. Ma Alberiino non 6 contento
di quosta allusione; teme forse che i suol con-
citiadioi la dimentichino presto per seguire lo
svolgimeoto dolla storia Eccelioiana, o magari
non la intendano; ed ecco cho cerca 11 pretesto
per insistervi, ecco che il Nunzio in voce di
raccontar le novelle che arreca, si rif^ indie-
tro a parlar di avvenimenti piu lontani, tanto
per aver agio di dire che il nombo, che minac-
cia Padova, 6 sorto da Verona, da Verona sede
di Cane come fu di Eccellno, da Verona € sem-
per huius Marchce cladesvelus, limen hostium^
ot heliis iter; scdes Tyranni », Era impossibile
non capire adessa ! 11 po3ta lo sa ed ora che
prevode cho lo sae parole dobban avero mag-
gioro cfBcacia, oh labans hominum genus (i\Q^
al popolo, ripetendo il suo delenda Carthago} ^
vulgus el ad omne facinus in clades ruens ;
mentre ai nobili, al Carrara, a quolli che nel
^315 (Luglio) furono sooporli di congiurare per
coD3egnar la cHik a CanCy dice (ammonimento
sempre e minaccia) :
< Supplicia meriti nobiles primi luant.
Qui vendideroy scelera jam expendant sua^,
a tatti ioflne si motion sotto gli occhi i roali
grandissimi della tiranaide nella langa enume*
razione, cho no fa il Nunzio prima e il Coro
poi. Qui, corto, il poota descrive la tiraonido
di Ezzelino, porchd quella di Cane Padova non
r avova ancora provata; ma cho por quosto ?
4b una disce omnes; lo arti di goyorno di £z-
zolino orano quello cho ogni signore ai suoi
tempi usava, avova usato, avrobbe usato, o Ai<
bertino voUo rinfroscar, diroi, la momoria do!
capiscarichi , annunziar la sorte cho li aspet*
tava, ove Padova fosso caduta in mano doUo
SccUigero. Non mancano qua e \k altro doppio
allusioni, assai chiare nolia lore indorminatozza»
le qualiy avondo V aria di parlar d' Ezzolino e
doi suoi contemporanoi, voglion dire di Can
Orande e doi contomporanoi dollo Scaligoro.
So la tragodia incontr& tanto favore, fu ap-
punto perchd intorprot& i sontimonti cho ave-
vano tutti i Padovani, ma cho nossuno pord a-
vova autorit^ di manifostare : non il popolano,
il quale, avendo la sua parte di coIpOi non po«
teva rimproverar quelle del nobilei che trova-
vasi, a una Yolta, in una simile condizione; non
il guelfo, non il ghibellino. Solo ruomo di let*
tere, 1' uoroo che in nessan momento della soa
vita e della sua carriera aveva dimenticato Ta-
mor della patria per 1* intertsse del partite o
per r amor proprio dell* individuo, il patriotta
rimasto tale, ancho ingiustamente insultato dai
cittadini, Tuomo coraggioso neiraffrontar Tim*-
popolarit&, quegli infine che tutti rispettavano
per il sapere e 1* integrity, che nessuno poteva
accniare nd di complicity yoiontaria o inyolon-
taria alle colpe degli altri e delle fieusioni, nd
di error! nelia politica; solo quest' nomo aiveva
autorit& di dire a tutti il fatto lore e d' asse-
gnare lodi e biasimi, minacce dicastighi e pro-
messe di compensi. II Mussato fece questo nello
tragedia, come Dante contemporaneamente lo
faceva nella sua Divina Commedia; I'unoper
i cittadini di Padova e delle terre yicine e del
suo tempo, 1* altro per gli uomini di tutta la
terra e di tutti i tempi; 1* uno con maggiore
seronit&, 1* altro con maggior passiono, tutte e
due con eguale nobilt&, sincerity, intensity di
sentimento. Albertino Mussato nella sua trage*
dia d I'espressione della coscienza coUettiva im-
personale dei Padovani; e appunto per questo,
siocome forse alia mente presaga dello scrittore
- 81 -
era balenata la fine sconfortevole di tanti sforzi,
r esito fatale di tanto illasioni, il temalo trionfo
di Cane, egli non vuol dargli vittoria allegra e
scaglia coptro tutti come il mane take fares io
qoelte ultimo parole del Coro che cominciano
con un' ari 4 cosi malinconica i ^ e se talvolia
per avventuru in for tuna elevi alcun iniqvu)^
la regola di giustizia nan fallisce : ciascuno
ha compenso adegtiato alle sue aziont, Vi ha
tin giudice placido : compensa i giusli , con-
danna gV ingiusli / »
u
CAPITOLO III.
Esamo estetico dell' Beeerlnia
SOMMARIO
Come dato il concetto, che Albertino aocea delta
Tragedia, la Jtgura diaboUca di Egseiino el
prestaBse bene per \soggetto — Dioersa impreS'
stone che una tale Jigura fa stii contemporanei
del MuBsato e su noi — Esselino e il Farinata
dantesco — Mancama di drammatismo nella
Tragedia — i due attori oeri, Exselino ed Al-
bertino (il Coro) — Analisi esietica — Il I atto
e a carattere di Erselino — II Coro del I atto
e il VI canto del Purgatorlo danlesco — I qua-
Uintesi del poe-
Extelino cd it
del tiranno —
— Morale delta
I Tislo, gli elo-
prevalenza, o
ta doloroso , o
neao doloroso
— 83 —
air aoimo di un cittadiDO per ta sua incertezza.
So dei particolari vi sono, di cui doq possiamo
affermare I'esattezza, perchd gli storici Don no
parlano, non possiamo d* altra parte affermaro
solo per questo siionzio che non sian veri, taoto
son verisimili e consentanoi alio diverse sitiia*
zioni. Resta cosl nella tragedia di non storico
la parte che si riferisce all'origine diabolica di
Ezzelino, nella quale si aggira un atto intero e
qoalche punto di altri atti; ma ognun vede che
la diceria era troppo feconda di efTotti estetici,
ed il Mussato troppo provetto artista, perche non
no traesse tutto il parlito possibite. Lafavoiadel
concepimento di Ezzelino si prestava, infatti^ di
per se stessa aquella occessiva terribiliia, che
da an lato a! Mussato sembrava indisponsabilein
una tragedia degna del nome, e che dall* altro
Seneca e i suoi imitatori cercarono di raggiun-
gere con la scelta di truci argomenti, col riu-
carare, a furia di orribili espedienti, quanto di
gik troppo spaventoso e crudole vi era in cssi,
coir introdurre nel dramma, coll* intento di av-
vivarlo, lo spettacolo di colpe e di amori mo-
struosi, o inQno con lo strano e laborioso intrec-
cio di casi (1). « Sono argomenli del Tragedo
(1) Epistola I — V. 117.
— 84 —
(dice il Mussato) le lotle e i contrasti di una
Vila fortunosa, e i fatli che mostrano ogni spe-
cie dl cmdeltd ; non si potevan in metro di-
verse dal tragico ricordar i deliiti di Medea,
ni le membra del figliuolo dilaniato sollo gli
occ/U del padre, ne le cene di Alro, nS la ven-
detta Che fece Progne delta sorella: cosl io non
seppi in altro metro, o casa da Romano, nor-
rare i luoi funesti natali >. Quella terribilitji
piii o tneno flttizia, che altri procuravano coa
mezzi tanto diversi, ad Albertioo si porgeva gik
belia e pronta ad essere travasata , per dir
cosi, Del metro archiiocho nella storia di Ezzo*
lino, e piii io quel che vi si diceva deila sua
nascita. Non vi era, iosorama, da aggiunger nul-
la, non da fare aicuno sforzo di fnntas'a per ren-
dere Iragediabile quell' argoraonto dal punto di
vista del Mussato. Sonza dire che nella vita vi
soDo momenti tragici di per so stessi, nei quali
qualunque fatto assume un'aria corrispondente
alle incertezze e alle angosce deir aoimo no-
stro; 0 Padova, col pericolo imminente di veder
r esercito di Cane sotto le sue mura, attravor-
sava appunlo udo di quosti momonli. Dice, in-
fatti, Albertino cho egli scrivova con 1' aoima
tragico succensa culore , e che , senza saper
eomfi t^ Husa lo chlamava, a<f un tragico o*
— «5 —
pus (1) deilandogli fervidi, rabbiosi, giambi ,
onde quello chc gli somminislrava Vestro era
11 columo; porcbo la Tragedia adirala (sog-
giooge, alludeodo forso ai luituosi giorni cbe
passavaDO per Padova) o piona di sdegni non a-
ma il riso osceno, no raai ride nei suoi vorsi a-
iDona favQletta (2). In tali condUioni psicologiche
per i Padovani si pu6 immaginare quale impres*
siooe esercit& la narrazione vivace e quasi la
rapprosentazione di avvenimenti terribili, rag-
gruppati intorno al nome e alia figura tUaba-
Ifca di chi ne era state gran parte.
Benofad si fosse usciti dai tempi del misti-
cismo, pure non so n' era ancor moito lontani,
anzi se o'era visto un efflmero rifiorire con le
compagnie dei ftageUanti, epper& il rapprosen-
tare il figlio del diavolo (a prescindere da tutte
le altre quality che lo raccomandavano airodio
dei Padovani) destava un fremito d' orrore negli
(1) Epistola I.
(2) « Non amat obscacnus Tragoedia risus —
Versibus alludit fabula nulla suis^, IIMinojache
traduce questo 2^ verso « Non aggiungo ai suoi
versi nessuna faoola (racconto favoloso) :i^ mi par
che s* inganni, percli6 qui fabula, e lo dimostra il
contesto, 6 nel senso di storialla^ storiada nulla f
da ridere, argomento leggero,
i
J
-86 -
astanti. Noi stessi, a taota distanza di tompo e
d* idee, leg^endo la tragodia, doq ne riceviamo
meno forti impressioni, beDche rioteresse este-
tico sia qaello cbe resta piu vivameute colpito
in noi. La parte piu propriamente storica della
tragedia quasi non ci tocca piu, com* 6 natura-
le; le impressioDi che ne proviamo sono di so-
conda mano e come per riflesso di quelle , che
pensiarao dovettero risentire i contemporanei ;
ma ben son vive e dirette o forti quelle che ct
vengono dalla lettura del P atto, beQch6 diver-
se di qualitji e d* intensity dalle altre, che ne
riportarono i conciitadini del Mussato! A questi
Torrore era ispirato dal sentir descrilta in tutti
i 8001 particolari 1' unione d* una donna col dia-
volo e neir udire I'ompio vanto del lore flglio;
su noi invece esercfta maggior fascinoil concet-
to di forza indomita, di ribeliione invincibile che
annettiamo (dopo si ricca floritura di poeticho
figuro sataniche) al nomo ed air idea del dia vo-
lo: forza e ribeliione che vediamo cosi bene ri-
flesso nella flgora di Ezzeiino. Pel solo fatto di
essero ona creatura satanica Ezzelino s'impone
a noi, come giji ai Padovani, col sue carattere
di sublime grandiosili: grandiosity orribile, spa-
ventevole per gli oomini del sec. XIV , simpa-
tica quasi per quell i del XIX; titolo di abomi-
QiOy di disprezzo per gl| uni, di raccomanda^io-
ne per gli altri. Proprio per qaesto ammiriamo
piu il V atto, 0, nel resto della tragedia, qaei
panti in cui Ezzelino compare a agisce da par
sao; laddo?e i contemporanei di Albertiao si ap-
passionavaoo per le scene, nelle qaali Ezzelino
6 OD persoaajgio storico, grande e orribile (per
qaegli uomini) q-ianto si voglia, nelle sue era-
delti, nei suoi disegoi, nella sua mqrte, ma sto-
rico sempre. Gomanque, una cosa 6 ceria, cbe
il Mussato, per lo piu sorvendosi djila storia ,
talvolta dolle dicerie popolari, soppe cogliero e
riirarro la figara di Ezzelino in aiteggiaraenti,
che sempre faran loggore la iragedia , e rim-
piangere che un capolavoro cosl.fatto di forza
0 d* intonsit& oon sia state scritto in Italiano.
Buona parte del merito (a dire il vero) 6 del
soggetto stesso, di Ezzelino, che da solo 6 come
una statua colossalo, gigantosca, uno di quel
tipi abbastanza froqueoti nella vita italiana del
200, di cui i anche un esompio illustre Fari-
nala degll Vberli. Ma sol porchS Farinaia 6
per se stesso tin uomo, la piu alta personiQca-
zione del virile dantesco (1) , non avr& merito
Dante neir averlo ritratto cosl come noi lo con-
cepiamo? Qnanto anzi non hacontribuito larap-
fl) Da Sanctis ^ Nuovi saggi critioi.
n
— 88 —
jiresentazione dantosca a rendere universale il
concetto solito che ci facciamo di Farinata? Pad
uo* aQima piccioa, o un artista mediocre, risen-
tire e ritrarre il grande e il forte ? Pu& ogoi
scultore scolpire il Mosdf Per questo ammiria-
mo Alberiino, por questo che liasaputo seotire
e ritrarre Ezzelino nella sua forza epica, so non
drammatica; giacchd, come vedremo in seguito,
il nome e la quality di tragodia sono estrioseci
neir opera del Mussato, ove maoca il contrasto
d' un dramroa vero. Anche neir Eccerinis , co-
me nel Farinata dantesco (1) (dove, tuttavia, in
limiti tanto piii ristretti vi 6 un movimento dram«
iT^atico piu intense che non meW Eccerinis tutta
quanta) maoca la viia interna dell* anima ; di
questa il poeta ci mostra degli scatti che pro-
diicono maravigliosi effetti drammatici; ctd che
oggi si direbbe colpi di scena^ ma delle lotto
interne, da cui scaturiscono quegli scatti, nes-
sun cenno, nessuna analisi. Hai dinanzi 1* uomo
forte, il carattere ritratto artisticamente, plas-
mate come in una statua, ma i Tuomo che Vive
tutto di fuori e non si raccoglie e non si esa-
mina. Cosl a tante altre ragioni per cui Alber-
tino si avvicina a Dante, si aggiungono anche
(1) De Sanctis ^ Nuovi 3aggi critici^
-89-
•
le tendenze artistfche, sobbene net Fiorentino
sia per 1' iogegoo piii grande, sia por ii preva*
lore, al contrario che in Albortioo , dell' Qomo
di lottere sail* uomo di azione, si abbiauoasQ-
p6riorit& artistica cosi acceotuata. TatiaTia i
meriti di A bortiDO, como letterato, son tali da
ottenergli an luogo eminente nella storia delta
leiieratara naziooale, iotesa io largo seudo, bea-
cho ogli sia vissuto nel secolo di Danlo, siella
quasi che la iuce del sole reli alio sguardo ; e
i pregi, di cui i ricca, non foss' altro » la saa
tragedia, basterebbero da soli a farnelo degoo.
Mancando io essa il dramma, come si h detto ,
manca V inireccio , 1* aoalisi e Io sviluppo dei
caraliori; la divisione stessa io atti non h giu*
stiflcata da nossuna di quelle ragioni che la
ren<lono nocessaria nei lavori drammatici ; gli
atti poi constano di una scena, o, so di piii scene,
queste si seguono sonza nessun legame intimo
di intradipendenza; e perflno il legame cronolo-
gico del prima o del poi non 6 dichiarato, laon-
de , per intenderlo, si postula nel lettore la co-
noscenza della storia e dei fatti che si svolgono,
mentre nemmeno il nesso recondite^ ideale, in-
tenzionale deirautore,si scorge a prima vista. Si
ha dinanzi nell' Eccerints come uno o piu qua*
dri vivonti con le medesime figure » perchd gli
atti son colti nel lore essere istantaneo » noo
It
— 90 —
•
rappresentati nel lore divenire. Ma , che per
questo? Se manca il dramma collo sac caratte-
ristiche piu proprio, ve n' 6 per6 1* olemento ,
la sua proiezione, vorrei diro, e, a qaella guisa
che fl pittore, ritraendo un cavallo alia corsa,
noil rappresenta quella in tutti i suoi istanti ,
successive ma ne ik Boltanto uq momento, Al-
berlinOy pur senza mosirara lo svolgimento, ha
date situaziooi, atteggiamenti, figure drammati-
che. Le quail uUime» a parer mio, son due, ii
protagonista, cio6 Ezzelioo, e 1* autore stesso ,
il nostro Albertino; I* udo, attore visibile e mo-
ventesi sulle scene, 1* altro (espressione , come
dissi, della coscienza coliettiva impersonale del
Padovanl) nascosto e quasi come assorbito dal
Coro e dal Nunzio ; Y uno , grande nella sua
ambizione, nei suoi disegni, TaltVo, grande nel
suo amor di patria; quegii tocca il sublime del-
r audacia, dell* orgoglio , della forza cosciente
di s6, questi il sublime nolle voci di dolore, di
sdegno, nolle imprecazioni, che gli strappano lo
spettacolo miserevole della patria posta suirorlo
delTabisso e T angoscia crudele, la certezza
quasi disperata di vedervela precipitare. £ alle
parole dell' uno e a quelle dolTaltro passanoper
la mente al lettore vision! di figure giganiesche,
ed una sopratiutte si afi*accia insistente e pre-
dominante suUo altre, quella che sintetizza o
- w -
racchiade in sd tutto il Medio-Evo, Dante , or
SQperbo e audace nell* atto che concepisce il
Capaneo o il Farinata, or teaero, appassiona*
to, sdegooso neir atto che concopisco Sordello.
Ma accostiamoci a qiieste due figure e guardia*
mole un po* da vicino.
Quando Adeleila, madre di Ezzelino, vede
giunto il momento di rivelare ai due flgliuoli
gl* ingaoDi « patris falsi », imprec.i contro Tastro
inaligno, iofausto a loi, cagione di una colpadi
cui ella sente o non cela tutto I'orrore: ne-
fando fu il letlo su cui olla li concepi, nefas
fu la generazione del la devota proles. Pure ,
raccogliendo tutto lo sue forze, comincia, come
per ritardare la orribile confessione, a descri-
vere il castollo natale , Ik dove una notte le
parve di dormire al sinistro fianco del Monaco;
ma ecco che il coraggio adunato le vien mono
sul piu forte, e a lei, la naga, la donna avvozza
agli scoDgiuri, alio incantagioni, ripugnadi con-
tinaare, Tanimo inorridisce e un gelido tremore
le occupa le membra. Quale magnifico rilievo
alia flgura di Ezzelino , il cui carattore spicca
gi& fin dalla prima interlocuzione, questa ripu-
goanza di Adeleila^ la donna (nel concetto mo-
dievale) domestica degli spiriti e dei demouii!
€ Parla , o madre , ogni grande e feroce
cosa m' aggrada udire > : nient* altro che questo
-.08 —
dice Bsselino , nient' altro che il desiderio dt
vdire una oosa grande e feroce seoza avero nes-
anoa paro^a di benevolo e pietoso incoraggia-
roento per la madre : prima di saporsi figlio del
demonio, agitfce da demonio. Si direbbe che la
Toce del saogua paria in lot e lo gnida gi& nelle
ajsioni.
Adeleita ritenta allora la prova di narrare
il nefando delitto; ma e troppo orribile, si sente
venir mono, svieoe. Ed Eccelino? Non corre a
sostener la madre cadente, ma comaoda ad Al-
b^rico di farlo; e, senza alcana preoccupazione,
impasaibile chirnrgo, sicuro del fatio sao, sng-
gerisce al frateilo di sprnzzarle deli'acqaa in
viso e la sincopo cesser^ certamente. Non una
parola> non un atto di premura affettaosa e
nemmeno di compassione: son queste debolezze
da Qomo, da femroinetta anzi, e il flglio del de-
monio non pu& averlo, sicch6» quandu la madre
rinviene, la sua prima domanda 6 : Sei pronto?
0 madre, bando agli indugi, Adeleita descrive,
inor^idita al solo ricordo, con i colori piu vivi
come tra il muggito della terra e il rombo del
cielo una nube quasi dt zolfb si diffuse pel
talamo, spargendo e fumo e mefUico fetor e
mentre le sale addosso ignoto adultero < Qtui*
lefi^, interrompe impaziente Ezzelino. Gome poi
4^V r^^<*^^^^> <^i)^ giiene fc^ (a mad|po, Tl^aTioo^
- 68-
Dosciato , come dai porteoli , cho accoropagDa-
rono la sua nascita , se no sente coofermare
4 digna veraque propago » al fratoilo esitante
e confuso « Quid poseis ultra frater? » (grida)
« an tanti pudet, Vesane^ Patris? — SUrpe di
Dei not siamo, esclama coo Tacconto di trionfo
e di esuUaoza di chi sente tuito Torgoglio delta
sua discendenza, di chi ha visto non mentirgii
la voce, deir anima ; slirpe di Dei e superiori
anche a quanti vantano discendenza divina^
noi^ il cui padre assegna pene a principi e a
re , noi cui egli riserba un poslo di gii^lci
nel suo supremo Mbunale, sol che qui oon le
guerre, le morti, gli esilii, le frodi, gVinganni
e la rovina del genere umano ci mostreremo
degni di lui. K il gonio del male e dell' ambi-
zione che parla nella gioia di sontirsi supejriora
a re, a principi, a imperaiori, a quanti han po-
tore suUa. terra, per che s* intendono ora i sutn
vast! disegni, quelii cho manifester&neirattoIII,
quando la Marca, la Lombardia , TOrionte gli
parranno angu^ti confini alia sua cupidigia. Ma,
II, in presonza d*una donna, che trema al ricgr^p
deir orribilo congiungimento, e di un giovane
che ha udito con torroro la rivelazione della
sua origine, egli si sente a disagio. Egli invece,
il primogenilo del demonic , egli che sente
tulta la gioia e Vorgoglio dei suoi natali^ egli
— 04-
vud essere solo col padre, seniirsegli vicinOj
atoerne r approvazione at suoi disegni, e seen-
de giin giu nelV ima parte della casa, ove nan
e raggio di luce, petens lalebras el luce exclUy
sa. Oo\k
€ Caput tellore prooam sternit in facie cadens
Tundilqae solidam deotibus freodons hamam,
Patrnmqae saeva voce Luciferum ciet. >
La staponda invocazione a Satana, chiamato
dal flglio coo totti gli attributi della sai poten-
za, capolavoro di forza, in cni la forma stessa
latina , incerla alirove e iropacciata , acqoista
sicorezza e vigore gagliardo , appena appena
guastato dai froquonti ricordi mitologici, & stata
taoto lodaia e resa popolare da qaanti haono
scritto sail* Eccerinis, che io non so davvero se
altro si possa aggiangore ad oocomio. Uuo sqoi*
sito artificio del poeta, per&, mi pare che non
sia state ben rilovato. Eccorino (inisco : Amne
Satan , et filtum talem proba ; o (in risposta
data da Satana coi fatii alio scongiuro del ti-
raono) sabito il Coro entra a domandare quale
mai avida brama iuvada e agiii gli uomini , e
sqoal mai incendio divampi nella nobile Nfarca
roettendola tutta a socquadro. Struroontiy mini-
tr| ^i ^atana, sielo voi dunqi^o, par ct^e vo^lia-
dire il poeta, voi avidi [Ne sitis cupidinimis)
6 invidiosi (Atrox invidiae scelusj nobili, otu,
plebs vilissimay cha innaizi oggi quolli che do-
maoi dcprimi, cho abolisci oggi le loggi votato
iori, sicche sempre rola volvUtir , durat per-
petuum nihil.
A chi nou s* nfTacciaQ cosl subito alia me-
raoria le tre flere dantesche, e specie ia male-
delta lupa, cagione di lulli i mail, dipviitasi
dair iDferno, sua sede primitiva; chi non ripete
col divioo poeta :
« Legge, mooetai officio e costume
Hai tu mutate e riunovato morabrel >
£ Dante coi suoi santi impeti di sdegno per
ftrdiscordie cittadioe lo sentiremo, lo ritrove-
remo spesso oramai,che e eotrato in iscena I'au-
tore. Nd v* d da maravigliarsi di questa iden-
tity di concetti, di atteggiamenti, di parole tal-
volta, bench6 in lingua diversa, eve si tenga
presente che cosl Dante come Albertino sono
due forti coscieuze, la cui caratteristica origi-
nality e queila di essere troppo grandi, percbd
possauo riflettere il pensiero di un individuo, e
non piuttosto quelle impersonate di tutta una
comananza di individui del lore tempo. Gosi al
11^ atto il Nunzio dapprima^ che si ri?olge al
— 06 -
bettor del Cielo , domandandogli se abbia ab-
baodonato le core del mondo, e il Coro di poi,
cbo a Crista In persona domanda se si diletti
soltanto dei gaudii celesti sonza pensare ad al-
tro, ricbiamano subito al pensioro il dantesco :
< E se licito m* 6» o Sommo Oiove,
Che fosti in terra por not crociSsso,
Son li giosli occhi tuoi rivoiti altrore?
SI potr& notar qui che v' d maggiore irri-
verenza nella invocazione del Mussato che Don
in qaella dell* Alighieri , perchd Dante chlede
perdono della sua domanda iinportuna ($e licito
m* ^/, subito dopo esprime egli stesso il dubbio
che possa trattarsi di profondit^ di consiglio^ in
cui non sia date alia mento umanadiponetrare,
e ino!(ro quelle stesso Sommo Oiove dantesco
6 un pio ripiego del Poeta per mitlgare la em-
piet^ della sua curiosa domanda. In Albertino,
invece, nessun ritegno: i nomi, lo immagini, le
concezioni pagine appaiono por quel che sono,
non gi& como ripiego, adatlo a non profanare
sacri nomi. Albertino , assai piii di Dante nu-
trite di studii classici , assai piu innanzi di lui
salla via del Rinascimento (11 quale nei suoi pri-
mi tentativl fllosofici esordirji appunto col con-
ciliare pagaoesimo e cristianesimo e col dime*
— 8^ —
strarne inesistente ropposizione reciprooa), Al*
bertino non sospetta nemmeno la scoDveDienza
di riavvicinare Teccelso * mundi rector omni-
poiens Dens > con Marte, a coi qaegli avrebbe
lasciaia la cura di reggere il moodo, od 1* altra
anche maggioro di raffigararsi Oristo, che slede
aila destra dt Dio padre ^ tutto assorto, come
un Giove qualunque oelle < summi iUecebris
CHympi > y sol contento di godorsela allogra-
meote fra i < gaudis supemis >. Dinte, appooa
accennato il sao dabbio, ardito, pur circoadao-
dolo di pie precauzioni (Sommo Oiove; che
tosU in terra croceftsso ; li giusti tuoi occhij,
pauroso d' osser trascorso in an blasfema » si
corregge dicendo :
« O d preparazion, che nell* abisso
Del tuo consiglio fai, per alcan bene
In tutto dair accorger nostro scisso ? >
In AlbertinOy al contrario, niente paure,
niente peritanze, niente dabbii; egli rincara la
dose, anzi con unricordo biblicofarisaltar Tin-
giusta condotta di Oristo, che adopera, come a
dire, dae pesi e due misure — Come! (prose-
gue ii Coro con mossa malanconicamente ener-
gica) il sangue eT Abele fece giungere al Si-
gnore i lamenti contro it flratrtcida; i delitti
13
-98-
dt Sodoma e di Oamorra provocaran la gtu^
sta vendetta divtna, e solo gli errori, le colpe
dei giomi nostrt reslano a te celate^ a Dio dl
Oiuslizia?...
Ed ecco, subito dopo, un quadro moravi-
glioso di coloro, di forza, di ovidenza, che do-
vd strappare lagrimo ogli uditori e far correre
loro an brivido d* orroro e di torrore: corto, a
udirlo, tra i Padovani gli animi risolali a rosi-
store a Can Orande so ne sontirono ringa-
giiardire il proposito, gli esitanti o i fiacchi pro-
se ro la loro brava risoluziooe, i vili e i tradi-
tori dovettero capiro che quelle non era il mo-
moDto di ritentare un colpo di mano suUa citt&
per coDsegoarla al nemico; ed AlbertinOi poeta,
istoriografo, soldato della repubblica e come
sue nume protettore, obbe per decreto di po-
polo, fra r esultanza e 1* entusiasmo della citta*
dinanza> la corona di poeta.
€ Una iirannide prepotenle, feroce,, qiuil
mai non han visio le generazioni umane^ in-
crudeUsce fra di noi, impallidisce innanzi a
quella V antico ricordo della slalia Bislonia e
la larva rahbia del famoso Procusle, e la fe-
rocia del malvaglo Nerone. Escon gemili dalle
nere tenebre de lie carceri, gemili di sepolti
in vivace morle; miscrevole morle di fame e
sele alroce^ sorda spesso alle preghiere degli
k
infelid prigionieri, tardi arreca la desiderata
fine. II popolo e la plebe, tuUi insieme, vannOy
sotioposlo il collo al giogo, come giovenghi,
devoii a morte, ai sacri allari . Cerca lo seel-
leraio signore pretesto a perpetrar stragi con-
tro iutti i citladini; ansioso, in veglia conii-
nua, teme, come d femuto; i deliiii non rispel-
tan piu diritto dt nalura, ogni pieloso affetlo
i bandilo dalle nostre terre , sol v\ regna il
furore. Pien di sangue, il fratello, per pia-
cere al tiranno, preme il ginocchio sul collo
del fraiello; il figlio, aht doloref, chiede a gara
di bruciare il padre^ e sotloporre le ardenti
fiamme »
In UD cosl orribile, lugubre sfondo come cam-
poggia orrida la figura di Ezzelino , tantorum
scelerum superstes! — Alia fantasia comtoossa
leggendo quei vorsi, mi si presentd V immagine
di una squallida pianura, sparsadicadaverisan-
guinosi, 6 ritto, fra tanti caduti, sol uno, Taa-
tore di tante morti, di tanti eccidii, mirare diu-
torno con sguardo sinistro, cupido, quasi tigro,
Che asptri V odor dol sangue , ne sia paga an-
cora della strage. E di vero, non fa pensare a
questo, nella sua scorrottezza medievalo, il mi-
rabile aspirans saevas iras , V aspirans spo-
ciaimente, che ci circonda sabito il sao signifi-
cato etimolo^^co, fondamentale, classico, quelle
\
— 100 —
che non ha pordoto Qommono in Italiano , di
assorbir, ciod, avidamenie con le narici dUa-
fate I' odorel Si dir& che appuoto perchd Tau-
tore 1' ha adoperato nel sigoificato sao seconda*
rio, non materiale e non classico , questa bel-
lezza» se 6 tale come a me pare realmente, non
6 da mettere in conto al poeta. Ma anche am-
mosso (e nessuno lo prova , anzi il contrario 6
probabile) che 1* aspirare ai tempi del Massato
avesse perduto il signiflcato prime e reale per
conservaro solo il metaforico, mentre neir Ita-
liano di oggi li ha totti e due , che perci6 ?
II poeta non conosceva i'effetto che avreb-
be prodotto nei suoi tardi lettori , se pnr non
lo produce va ai suoi giorni, con qaella parola»
ecco tutto; ma, di grazia, quanti sono nolle o-
pore lettorario i pregi, le bellezze da tutti e
seropre riconosciote tali, di cai i loro autori a-
vessero consapevolezza? O, mogllo, quante non
sono le bellozzo cho i loro autori non credevan
tali aflatto^ echo addirittura dispregiavano? Nes-
suno oggi cambierebbo ii Paradise di Dante per
r Inferno^ nS certamonte 1' Africa del Petrarca
ha i lettori del Canzoniere. E , so non temdssi
da una parte di dilungarmi troppo dall* argo-
mento mio principale, dall* altra di arrischiar-
mi molto senza averne le forze, vorrei dire che
mia delle earatteristiche del genio o deU'uotqp
superioro d qu^Ila di creare, senza accorgerso-
ne prima che 1* ammirazione altroi non lo ar-
verta, e aocho allora egli non sa darsi ragiono
di essa. Alio stesso modo chi ha 1' istinto o Ta-
bitadine dot ben faro non sa di ben fare , per-
chd yi 6 una specie di atmosfera estetico , di
atmosfera morale, come vi e Tatmosfera flsico:
chi vi sta dentro non sa di starvi, se non quan-
do 0 da sd 0 per opera altrui ne esca. —
Gontinua la descrizione degli orrori perpe-
trati da Ezzelino con parole in cui si sente fre-
mero e riboUire il dolore, lo sdegno, la piet&
del cittadino ofTeso in quanto ha di piu caro e
teme d' esser di nuovo similmente offeso: i fan-
citUli eviratiy le donne muiilale del seno, i lat-
tanti piangenti nelle culle per pli strazi loro
in flit U^ gli accecati cercanti la luce nelle te-
nebre delle prigioni
< Non MipiU rulmini, o Dio, che sopporll
tanit orrori ? Non mandi piu ierremoti alia
terra perchd s* aprano le tenebre d' inferno
sotto i piedi di guesto distruggitore del gene-
re umanof »
E dopo una cosl viotenta esplosione di do-
lore, quanto commuove il Coro col rapido e
inaspettato passaggio alia somplice invocazione
a Dio, cosl plena di fldacia e di speranza! « Te
padre del CielOj il Popolo, da le redento, sup-
— 102 —
pUce invoca, or di nuovo cadulo in basso> —
< Iterum relapsas!>, cadato in noova schia*
Tilii: evideotemoDte laschiavitu d' Ezzelino, del
naoYO demonio, del flglio dol domooio, mentre
la prima era stata la schiavita del domoDio ia
persona, quelta da cui Oristo aveva rodento le
nazfoni. Chi, per6, sentendo quelle parole a-
Tesso astratto per poco dal protagonista e dai
tempi passati, in quella vaga indeterminazione
delle parole, intondeva, 6 voro, la redenziono,
operata dal sacrifizlo di Gristo, ma non poteva
anche pensare alia redenzione, dovuta al valore
cittadino, qaando Ezzelino fu respinto col sao
esercito dalle mora di Padova? — Jterum re-
lapsus t cosl semplicemente ; nel memento sto-
rice, cbe il d^amma riprodaceva , voleva dir
senza dabbio al tempo d' Ezzelino ; ma per chi
ascoltava il dramma col caore in sossalto e ia
Ezzelino vedeva adombrato il nuovo imminenta
tiranno , doveva sign iflcar anche ricadtUo di
nuovo, adesso, nel momento attuale, dairaltez*
za, cui il popolo padovano s* era levato col suq
Talore dope la cacciata d' Ezzelino. Questo dop-
pio sense qal e altrove cercd ad arte Alberti-
ooy perchd la sua tragedia, mentre lo armi po-
savano, fosse battaglia flora centre la tirannide;
0 i Padovani, che ci6 intesero, furono grati al
— 108 —
cittadi DO che sofflava doI faoco del loro amor
patrio.
Se nel II atto 6 il carattere , la figura
deir autore (rappresentata, ripetiamo, dal Coro
e dal Nnozio) che caropeggia sola, il III h talto
occapato, come il I, dall* altra di Ezzelioo, la
quale , nel malo , per6 , fa degno riscootro a
qaella del poeta. Qui Ezzelioo 6 rapp/osontato
nei piii diversi momenti, lo vedlamo svelare i
suoi disegni ambiziosi, esercitare le sue artidi
governo e dare in iropoti di gioia feroce e in
propositi di nuove crudelt&; garreggiar beffar-
damente in dialettica con il frate che gli fa la
predica, ricevero, da par suo, gli annunzii della
contraria fortuna, prepararsi a tenerle testa.
E' una serie di quadri scnz* altra dipendenza e
legame tra loro che quelle della identity di per-
sona, una serie di quadri per6 senza nessuna
incoerenza, senza nessuoa incertezza che possa
iradire la mano malsicura delPartista e un con-
cetto poco organico nella $ua immaginazione.
Ezzelino nella tragedia delMussato nonsismen-
tisce mai, e 11 sempre con la sua carat terlstica
di forza sicura di sd, di orgoglio , di crudolt&
rilovata nci propositi, nolle parole, negli atti :
d (per non uscir dalla pittura) sempre la mo-
des! roa flgura, ma vista sotto diversi effetti di
-^ 104 —
luce. II III atto d percid il pifi complesso , e
Del meschino sviluppo del dramma il piii im-
portaDte e notevole anche per il sao yalore
drammatico, benchd non messo abbastanza ia
rilievo dair autore. In qaesto atto Ezzelino ,
mentre apparo trionfante di tulti gli ostacolio
dei congiurati, al colmo della fortuna, e, sicaro
del favore di quosta, bofTdrsi allogramente di
Dio, ha improvvisamonte la notizia della per-
ditu di Padova, che fu il principio di quella ri-
pida e sdrucciolevole china, in fondo a cai tro-
v6 la pordizione. V 6 danqae, come si vede, in
qaesto atto contrasto vivissimodi fatti^ contra-
sto per6 puramento ideale, perchd Pautore non
lo fa spiccare d6 lo mette in lace nolle scene
e nei dialoghi dei personaggi, ma lo lascia sea-
tarire semplicemente dal riaccostamento di due
momenti cosi divers! della storia di Ezzelino: vi
e il dramma in potenza, se non in azione. Dope
la prima scona, in cui i dao fratelli si manife-
stano a vicenda lo lore ambizioni, e la soconda
bollissima per rapidity e vivacity drammatica ,
cho dh occasione a uno scoppio di gioia feroce
dd parte di Ezzelino (Horn vicious! Jamqae omne
fas licet et nefas, — forro tuonda Givitas nostro
vacat), vien la scona fra il tiranno e il frate
Antoaiano, Luca Belludt, che, come ricorda la
-166-
I
sloria (1), os6 presentarsi ad Bzzolino e rim-
proverargli le colpeei dolitti. E' statadeUami-
rabHe questa MCODa, ma non so davvero con quan-
ta ragione, od io anzi credo cho costitaisca ano
doi puQti piu scadoDti del lavoro. Tatto il dia-
logo, infatti, in cui non mi pare di trovardi bollo
altro che ia biricchina insolenza e la boffarda
mansaetodine di E/./.ulino, con quel catmi.dotti
e gravi ragionamenii del Crate^ che mi ha I'aria
di un quarosimalista annoiato a pagamento, mi
richiama insistentemoute alia memoria le insulse
scene (2) di Seneca , in cui air oroe che fa 11
programma minute del delitto , che vuol com-
mettere, il servo d& dei bei consigli , pieni di
senno, conditi di bei paragoni e di argomenti
piu 0 mono Oloso&ci, ma poi, dope lungo girare
o rigirare senza mai prendorsela calda, finisce
o col tacere beliamente o col dar ragione e per-
fino coir offriro il suo aiuto, ma sempre senza
scomporsi affatto (3). E per antitesi mi viene
ia mente un altro dialogo in cui la condizione
(1) Zardo — R. st. it. V. 6.
(2) Bench^ in cosi grande differenza di argo-
menti, di situazione, di sentimento e di tutto.
(3) Leggasi il dialogo tra Fedra e la nutrice
neir Ippolito, fra il servo e Atreo ecc. nel Tieste*
14
— K» —
del porsonaggi d daTvero stranamente somi-
gliante a qaella del Nostra in qaesto panto ,
ma, oh! quantodiversamentecondotta. Si tratta
ancho 11 di an frate che va a difendere la caa-
sa doll* oppresso dinanzi all' opprossore, a pro-
garlo di desistoro, di volgorsi alia riparazione
deir ingiustizia; ma qaanfo fervore di entasia-
^rao or contenato, or liboro 11 nel parlare del
frate; che effl'*.acia nella semplicit& delle paro-
le e nolla umilt^ quasi degli argomonti ; che
dialogo vivo, caldo, appassionato fra il prepo-
tenlo ostinato nella ingiustizia e I'aomodiDio,
forte dclla sua coscienza! Ho volato parlar del
dialogo fra padre Cristoforo e Don Rodrigo dei
Promessi Sposi. E|)pure padre Cristoforo si era
recato 11 a impedire un* ingiustizia non ancora
tutta consumata; una ingiustizia , che sarobbe
appena un peccatuccio veniale a fronte dello
malvagit^ di Ezzelino; montre frate Luca aveva
in mano tanta roba da gettare in vise al tiran-
no, da giustificare lo sdegno di dieci padri Cri-
stofori presi insieme. Nionte invece; il monaco
di Albertino non si scomoda per cosi poco; par
che sappia gii umori delta bestia e non voglia
arrischiarsi troppo; percid parla come se discu-
tesse di teologia con un confratello , al quale
fosse venuto io sghiribizzo di far, come dicono
in Vaticano, Y a%vvcQto del diavolc, o di E2?c-
^107 —
Udo, cho qai e tull* una. Entra, fa la sua brava
riveroDza, chiede licenza e sopraltullo sicurli
di parlare; I' ottiooo, o intona il sermona per
fare una luoga e arapollosa parafrasi del me-
mento homo, per dire cho non si pad vivere
sempre, giacchS ogoi cosa, come il mare , la
terra ecc, ha la saa vicenda immatabile, eter-
namente fissata.
« Chi V ha fiisata f chi la fissa ? domanda
Ezzelioo. »
E il frate : < Dlo, che con eqaa bilancia di-
spensa i suoi doni, e vuoi r oqail& e per& mise
agli uomiDi insite Doi cuori e anche nel tuo» o
Ezzelino, le ire virttl teuiogali, la Carit& per-
ch6 sii benevolo ai tuoi simili, la Speranza per-
ch6 creda alia misericordia di Dio, la Fede che
ti faccia conseguire il Paradise.
Per molto piu poco Don Rodrigo perdelto
la pazienza o protestd di non voler prediche in
casa ; ma evidentemente i fumi del vino dove-
vano renderlo eccitabile eccossivamente , men-
tre Ezzelino doveva e&sore al digiuno e in vena
di baon umore, perch6 voile dimostrare at frate
di non essor la gran bratta bestia^ che dicevano,
tanto da sentirsela di sostener perflno una di-
scussione teologica. Questa s* intavola animata,
ma senza iroppa fortuna da parte del frate, il
quale fa davvero una figura assai barbogia^ in-
— 108 —
calzato dalla striogeote dialettica di Eszelino.
Quesli invoGO si mostra flglio noa iodegno del
padre, (cha era loir.o la sua parte) o net buOD
uinore della sua Tacile vittoris, spitige la com-
piaceoza Bno a dimostrare al frate che, anche
dal panto di vista di ud ministro di Dio , dod ti
era poi ragiono di accasarlo, dal momenlo cho
in fuiido in foodo poi buono o caltivo che egll
fusse, Dio Tareva mandato suila terra e per-
luottova lutto lo sue azioni. Poco inancava, ed
EzzelJDo divoniva frate , e il frale Ezzelino ; e
allora forse al buou fra Luca Belludi s&ra'bbQ
toccato di senlirsi accufaro di eresia e di aver
la predica dal flglio del diavolo ; sicchd io penso
bono cho il Trato con I' aria ditnessa so la sar&
Bvignata sonza nommono un bricciolo di < verrd
giorno ». Non 6 vero cho questo diatogo , al-
moDo duo a quando Ezzelino non prenda ogll
stesso la offonsiva , h qualcosa di abbastanza
guffo e non corrispondonto all'altezza delle altre
parti della tragedia? Eppure si trattava di e-
Bprimore ua gi udizio, di omottere aoa condanaa,
.-_-i- - ;„;_..- J-., "~=-ino, dalla V0C6
faceva corag-
ila aantit& di
gno di S. An-
I'a avaati por
orsi, la voaitii
— 109 —
delie cose umane, la giustizia di Dio e lo virtu
teologali ; e , se dice qaalcosa di concreto , 6
quando lo incalza Ezzelino con la sua logica ta-
gliente.Ma incorreggibile, com* e, anche allora,
quando si vede neU*imbarazzo, o il tiranno gli
domaoda beffardamento chi sia qy^sto Dio di
git^tizia.^GMX S piu cara la salvezza di lui solo,
Ezzelino, che non la vita di inigliaia, e migliaia,
fra Luca riprende la sua tranquilla onfasi pre*
dicatoria, con un tono anzi piu umile o dimesso
di prioia.
< Eccorine, crede, carior Saulas fuit,
Peccare postquam desiit. Mitis Deus
Redenaptor animas ipse venatur suas
Erroro false dovias, Pastor bonus.
Erroro lapses adjuvans vitam suis
Ad abiuenda crioaina elongat pius. »
O magnanima ira del padre Gristoforo !....
Gli 6 che Albortino , uomo pieno di religione,
pure 6 gi& tanto impaganito, che noo sente piu
la fede sincera, ardente, la quale avrebbe po-
tuto suggerirgli, per mettere in bocca al frate,
parole adeguate alia situazione, alia condizione
e ai sentimonti reciproci doi personaggi ; gli 6
che egli, cittadino anzitutto, sontendosi fremero
in petto ranima di patriotta^ quando vuol destar
J
-no -
r orroro delia tirannide e boliaria con parole
roTonti , non ha bisogoo d* inOogersi e di assa-
mere le spoglie del frate, ma solo di lasciar li-
boro sfogo al suo sJogoo e al suo dolore nelle
parole dei cori o anche «lol Nuozio : ogni altra
figara di giudico e di accusatore impallidisce
dinaosi a quella gigantosca o luminosa del no*
stro poeta.
Alia curiosa scena col frate fanno bal con^
trasto le dae cho seguono, belle per serrata
breTil& e per movonza drammatica, conve-
nientissiroa al momento critico cho si svolge.
Al Nuozio che teota di proparar i'animo dol
tiranao alia notizia iocredibile, ma vera, di cui
d portaiore, Ezzelioo, impazicnte. « Ecelle nu-
gas (grida) vane iacialor, ttuis>; o come qae*
gli, mosso da baoda ogni ritegao, racconta bre-
vemeote di Padova porduta, il tiranno, credulo
e sdegnato : < Abscede, mendax serve, e abbiti
il premio dei la tua notizia net taglio del pie-
de >. Noo doveva essoro, in verit&, afilcio molto
locrativo quelle di procaccia alia corte di Messer
Ezzetino ; e lo ponsd cortamonte anche ii Nun-
zio, il quale, vodendo veoir AnsedistOy quegli
che a?rebbe dovuto difeodor Padova, s* appiglia
a loi come ad uo* ultinfia ancora di salvezza o
lo addita al tiranoo, perchd testimoDijdolla sua
8iDceri(&. Ezzelioo ha cbiamato metukw il ser*
vo ; ma tuttavia qaolla notisia gli ha messo U
febbre addosso, non vi erode, ma vaol che altri
gli affermi che ha ragione di non credere, e ad
ADSodisio pieno di aosietft corre incontro doroao*
dandogli : « Hem ? quid est f
AnsedUius : < Amissa Paduae civitas. Ho-
stes habenl.... >
Eccerinus : t Amissa vi?>
Ansedisius : < Vi amissa »
Eccerinus : * Qua vi? >
Ansedisius : « ferro , fuga — Ei ignibus ,
rind quilms et urbes solent »
In cho urlo di rabbia dove dare ii tiranno
al sentirsi conferraare dal nipote la bratta no-
tizia, 0 come di quell' urlo si sonte I'eco nelle
parole della tragedia!
« At to suporstlte, sola quern facies ootat
Illaesa noxium sceleris index tui ?
Secede cui uon poena sufiBciat nee Is ».
Pur la sventura non i'accascia, « antmos
viriles casus infeslus probat > ; e, come ci fa
sapero il Coro , vola su Padova , la trova ben
guernita di risoluti difensori,
« Convitiatur, arguit, vituperat.
Infandas rabies ausibus exprobat > ;
Ina poichd nessuna speranza gli resta di ricoo-
qaistar la citti, torna a Yerona ad esercitar ia
vendette sui padovani prigionieri. Ud dieci mila
no muoion cosl, e ii poota, fremoDte di dotore,
prosegue in una dipintura straziante.
« / carri ne trasportano gV irriconoscibili
^formaii cadaveri : la povera madre non rico-
nosce il flgliuolo^ t^d la donna il maritOy ognu'
no piangeper i non certi luUi. Mancanocampi
a seppellire lanti morlt, il lezzo dei cadaveri
corrompe I' aria. 11 iiranno speliatore, impas-
sibile a tutlo, si lamenta the resU ancora cM
possa rifar la popolazione di Padova ».
E' soropre Ezzelioo, riodomito geoio del
malo, che gode Delia strage e nel sangue e che
non piega nella sventora e nel pericolo , Jub si
smontisce moreDdo. La fortana avversaaggiange
forza ai forii ; pur Padova perduta, ci son tatto
le citt& di Lombardia da guadagoare, e corro
8u Broscia e la conquista. Ma oramai la sua
carriera i al tormine; i suoi nemici si coUe-
gano, lo atteodooo a Cassano dCAdda^ \o preo-
dooo tra due fuochi, chiudendogU ogni via alio
scampo.
€ Quid ille tantis viribus septus facit f >,
domanda ausioso il Coro al NunziOy il quale
allora descrive la dolorosa fine di Eszelino con
colori, che, mettendo il tiraono in una luce sim-
patica so non ai Padovani di quel glorni, carto
at leltori non appassionati, tradiscono l' ammi-
raziono che il poeta dov6 seotire por quolla
tempra d'acciaio cosi comuno nei XIII, quanto
rara nol XIV secolo. E, di voro, i'ammirazioQO
por r eroica fiae di Ezzolino ora tali' alt ro cha
ingiusiificata, S3 ai ponsi che icronisti del tem-
po 0 perfioo il sue inimicissimo Rolandino (1)
Dolla Cronaca non la nasconde afTatlo. N6 si
creda che, circondandolo di questa luce simpa-
tica, Albertino vonisse a ruettersi in cootrad-
dizione con se stesso e con la rappresentazione
orribile, che prima ne aveva fatto; no, ch6 anzi,
roostrando di qual torribile e forte nomico a-
vovan avuto ragiono il ralore e la concordia
dei cittadini Padovani, incoraggiava i suoi con-
tomporanoi a tener testa a Can Grande, tanto
meoo temibile di Ezzolino e di per se stesso e
por quel concetto esagerato di grandezza, incui
vengono i grandi uomini dello passate genera-
zioni.
Ezzolino, circondato dai nemici, i torribile a
vedero come lupo, che dope il paste venga in-
seguito
(1) Rolandmo "- L. XII ^ 7, 8.
-114-
' € . • ut alYO lupus
Pleno repulsus, deotibns frendoos, canes
Qui cum latraotos conspicit, multam ferox
Ex ore spumam miilit, et orbes rotat ».
E quando « Mnc^ inde seclust^ furens » ,
perde ogni sperauza di scampo,
« CoDcitatum calcaribus urgens equum
Viam per uodas aperit, et ripam occupat »;
ma h feritOy preso e
« Abduclus inde spernit oblatas dapes
Curas saiutis, atque vitales cibos
Acerque moritur fronte crudeli minax
Et patris umbras sponte tartareas subit ».
Quanta forza e rapidit&inquesti versi, ben
degni veramente del forte, lacui fioe sidescri-
veva I
Qui la tragedia sarebbe fioita, se I* autore
1* avesse intUolata Eccerinus, del quale infatti
non si parla piu, e non g\k Eccerinis^ cioS Eo-
celinide o Eccelineide come I' ban tradotta, os-
sia la tragedia che narra la catastrofe non della
sola persona di Ezzelino, ma della casa intera
di cui egli fu il piu famoso rappresentante.
A tale titolo, trova posto nella tragedia an-
che la nefanda fine di Alberico e della sua fa-
migUa; e forse qaeslo fa artiSzio voluto a bella
posta dal poeta, essendo la tragedia indirizzata^
come spesso abbiamo ricordato, ai Padovaui da
una parte per incoraggiarii alia resistenza, e a
Can Grande dair altra per atterrirlo con 1' e-
seropio della disastrosa fine di un sue predecos-
sore nelle arti della tirannide. Or, soito questo
aspetto Diente, dal punto di vista d* AlbertioOi
di piu edificante per Cane della fine di Alberico.
Ezzeliao, iafatti, era flnito in battaglia ed
era morto con V onor delle arm! : quando fu
proso, i vincitori, tra i qaali contava gli amici
del giorno innanzi (Buoso e PallaviciDO)glipro-
digaron cure affettuose, lo fecero visitare dai
medici piu abili, lo traltarono con ogni rispot-
to, (1) tanto quell* uomo di ferro pur nell' odio
che aveva suscitato intorno a se, s*ora imposto
airammirazione universale— Se egli mori fu,
secondo ogni verosomiglianza, per la sua altera
e intollerante fierezza ( iodizio di anima noa
piccina), che gli fece preferir la morte ad una
vita divenuta oramai per lui vuota d' ogni sco-
po» una YOlta privata del potere e forse anche
(l)aolai|dino^X4I,8.
dent Nbert&. Sa di Alberico iovece scese tre-
meikhi la rendetta dei popoli oppress! 8i da lai
che dal fratello; con ooa di quelle vigliacche-
ri« e atrocity, di cui co^ freqaentemente mac-
chiaoo le plebi abbrutite» ma la coi colpa tut-
iavia risale a chi le mantiene neli'abbrulimenio
deir igDoranza e della senritu, i sudditi della
Tigilia afogarono con inutile sfoggio di ferocia
la IttDga sete di veodetta sopra Alborico, uomo
di tatt*aUra levatura del grande fratello, e so-
pra r innocente famiglia di lai. E chi sa che
proprio il poeta non abbia volute adeguare pros
prio ad Alberico Can Grande, che gli pareva
uomo troppo ordinario, perchd potesse parage-
narsi ad Ezzelino. In tal case egli all* uno a*
vrcbbe detto : « Bada a to, considera la sorte
del grande Ezzelino, ma piu ancora la fine mi-
seranda di Alberico, che trascin& nella sua ro-
yiua tttUa la famiglia » ; e agli altri : « Voi
che era temete di cadere nolle unghe di Cane,
di on uomo come iutti gli altri, voi siote quelli
ebe caceiaste dalla citt& Ezzelino, il flglio del
defflo«io, cosa tanlo piu difncilo quanto pid po-
tente ora il nomico e quanto piu disngovole d
il sotlrarsi da una servitu esistonte che non il
respingerne una irominente > E per6, il V atto
va considerate come salutare esempio voluto
preaoutar^ al tiri^nnepiuUwtedi^^n^^irtofltm;
- IW -
giacchi altrimenti si dovrebbe ammettere in
Albertioo per lo meoo una certa inteozione di
lodaro quolla strage, cbe nessana attenuante
potrii roai scusaro o giustiflcare : cosa cho ri-
pagna a credere, tanto pid che l* uomo vera-
meote forte (e la vita di Albertino ditnostra lu-
minosamonte che egli era tale) rifugge dalla
esagerazione e dalla ostentazione delta forza,
che spesso si traduce in nofanda prepotenza.
II V atto e tutto una fodole descrizione stu*
rica deir eccidio di S. Zenone, roa fatta con tale
vivezza e crudozza di colori , c!ie a leggerla
DOD si pu& trattenore un brivido d* orrore, co-
me se proprio si assistesse a nefando spettacolo,
a forse Albertino ne era inorridito egli stesso,
se, dipingendo a qaella maniora la selvaggia
scena, voile elevare un monumento perenne
d' infamia agli autori di essa. N6 vi era per lui
altro mezzo di conopier questo, senza smentire
il proposito fatto nello scrivere la tragedia, al-
r infuori di quelle di domandar le tinte piu fo*
sche e sanguigne alia sua tavolozza. In questa
descrizione non vi 6 « T A/ii Pisa vUuperio delle
genii », n6 vi poteva essere, senza che lo scope
della tragedia venisse mono ; ma si sente ben
freisere I' ira e I* invettiva del poeta sotto lo
strazio di certi orrendi particolari. L*osercito
degll assedianti entra impetuosamente nella coz^-
qoistata rocca ; ed ecco un soldato . strappato
dal sono della madro ua bambino, e tenendolo
pel piedi, ne sfracolla il tenero capo contro duro
legno, se no spargono ie cervollae:... sparsus
imcribit nruor genetricis ora.,.>. Ma non 6
cho i] principio deila crodolt^piu feroce. II fan-
ciullo, Eccelino novella^ di tre anni (nota sera-
polosamente il poeta, perche di nulla si scemi
rorrorc dol nuovo misfatto) a un soldato che
ha imbrandito la fpada, si fa incontro o lo chia-
ma zio. « Tuo zio insegnava a 4ar tal dono
ci nipoti suol » , rispondo il roalvaggio od al
fanciullo tronca netta la protesa goldiy patentes
guUuris renas. Patentes ! , quante cose dice
quella parola! — Par di vedero il bambino strin-
gersi alia ginocchia dol creduto zio, e, lovando
gli occbi in viso a lui, riversare 11 piccolo capo
e porgero ignaro la gola al ferro dell' ignobile
assassino. II particolare era, come il prime, sto-
rico ; Albertino a udirlo dove sentirsene pro-
fondamente scosso e sdegnato, al punto da non
peritarsi nel verso scguente di chiamar quel-
1* atto « immane scelus » ; e da mettero in ri-
lievo (come a terribilo condanna deirinfanticida)
lo contrazioni del viso di quell* innocente , dal
cui mozzo capo , infisso su di un' asta » goccio-
lava il sangue :
- lie-
4 Gormgat ora resaens rigor et orbea rotaf ,
Manam ferontis sangainis replet lues. »
Non poteodo condaoDaro aportamente gli
uccisori , par cho in compeoso il poeta abbia
posto ogni studio nel presentarci ia atteggia*
monti pietosi lo infolici Tittime. La rooglie di
Alberico, che gli storici non doscrivono 2>oiio it
piu boir anpetto , ecco come d idealizzata d8i
poeta:
4 Et ecce thalamo rapto de summOy feris
Abstracta turbis uxor Albrici yenit
Caelo refusis lamina intendens comis.
StrictQs revioctas funis arcebat manus. >
Cos! al rogo e alle belve dovevan esaer con-
dotte le sante vergini , martiri delta fede cri-
stiana, gli occhi Qssi al cielo, asaorte nolla con-
tomplazione della nuova patria che stavano per
raggiungere.
Stupenda la doscrizione del rogo acceso, da
cui si difTondo Todor della pece e delTolio, sparse
ad alimonlar il fuoco, mentre una nera nube di
fame si alza e la flamma romba come tuono !
La schiera delle set fanclulle viene avvictnata
alia pira, ma come la fiamma tocca i vergtnaU
seni e Ic blonde chiome^ baizano indietro^ chte-
dendo iimano V aiuto dei parenit. Fcwsemutte,
e y come sperando di sfuggire alia fiamma^
quinci e qutndt si aggirano, finchi le vtolente
mani dei soldati le afferrzno insieme con la
madre e le scagliano sul rogo- Ne meno viva-
inento 6 doscritto lo scempio fatto dol povero
Alberico. II Coro , da ultimo, ricordando 1* im-
mutabil ordine di natura, cho dk premio alia
virtu » castigo a1 vizio^ pone flno alia tragedia,
lavoro, como abbiam corcato di dimostraro coo
quosto osamo estetico, importaote non meno per
il sue significato storico che per i pregi e il
valore letterario, tanto piii se si pensi che dope
un secolare silenzio era quosta la prima volta
cho la Musa tragica n facova udire per rica-
dere ancora per qualche altro secolo uel suo
mutismo. Quest* opera, la quale attesta, pvu che
la cultura del Mnssato, la vivacit& della tradi-
zione classica presso di noi roolto prima del-
rUmanesimo, propriamonte detto, yenivascritta
quaodo presso tutti i popoli d'Eurppa si era
ancora agl* inizii di quelle ingenue , barbaro,
informi rapj^resontazioni sacre , piene di incoe-
renze e di ingenuity, da cui pur si doveasvoN
gere 1* originale teatro inglese e spagnuolo.
-m -
CAPITOLO IV.
L* imitazione da Seneca
SoMMARIO
QuesHone dei modelli — Cultura clasaica a tempo
del Mussato, specie in Pado^a -^ Societd lette'
rarta padoeana e i suoi uomini principaU —
Coniinua ineasione di sacro e di profano, di
antico e di moderno — Vantaggi ohe ebbe Alber*
Una di fronte ai contemporanei suoi neW assi^
milarsi la cultara latina — Caratteri della poe^
sia del Mussato e inspiratori di essa : Ooidio e
Seneca — impossibility, di astrarre dall'esempio
di Seneca — Caratteri delle tragedie di Seneca
— Imitasione fattane dal Mussato — Necessaria
dioersitd imposta dalla dioersitd sostanHale
degli argomenti — A che si riduce I' imitasione
— somiglianza di parole e di locusioni — somi*
glianza di mosse , di incidenti e di episodi —
Maggiore influenza del Tieste e dell' Ercole
Eteo — Superiority del Mussato ^ul poeta lati'
no — La lingua del Mussato — Conclusions
•*>^^ft^^f*rt0t^ft^
Una tragedia, come quella di AlbertinOi scrit-
ta Del tempo in cui egli la scrisse e dotata dei
pregi che mi sono sforzato di mettere in Iace»
16
— 122 —
6 tal lavoro che suppono necessariamente dei
modelli , a cui il poeta si sia ispirato » perchd
noQ pu& spiegarsi esclusivamento como il pro-
dotto deir iogegno dei poeta o, al piu» delia col-
tura popolare. Mi spiego : se Daote non avesse
studiato la parte sua i pooti classic! deU'anti-
cbit& latioa, non 6 assurdo immaginare che egli»
magari faceodo a mono di molti pregi che ora
piu ammiriamo, avrebbe potuto scrivere lo stes-
so il suo poema , perchS il genore a la forma
di esse Don rieotrano per dossuq mode fra quelli
che le letter at are classiche trattarono e stoI-
seroy ma se ne devono ricercare gli antecedenti
noUa letteratura leggendaria e popolare del
Medio-Evo. In questo case, dunqae» 1' ingegno
del poeta e 1' influenza della letteratura popo-
lare sarebbero stati basteyoli» anche senza il
concorso di altri fattori ; ma nel case del Mas-
sato, di un poeta, ciod, che risuscitava on go-
nere letter ario, di cui il valore (1) era cadato
(1) II concetto che i contemporanei del Mussa-
to, anche se uomini colti, si facevan della Tragedia
^ le milie miglia lontano dal vero. Basil ricordare
come per Dante Tragedia non voleva tantb indi-
c are una speciale forma di arte drammatica quanto
ogui componimento letterario in cui si trattasse di
-128-
tanto in oblio nel sao tempo , contrapponendo-
segli ben altra forma di arte rappresentativa,
bisognerit confessare che non sodo affatto suffl-
cienti a spiegarne 1' opera letteraria quel soli
due elemeoti, che sarebbero bastati per la Di-
vina Gommedla. Per il Mussato bisognerii ag-
ginngerne un altro, I' influeoza, cio6, della let-
teratnra antica, essendo allora essa (anzi solo
la latioa) 1* unica depositaria della cu Itura; dal
che scaturisce la necessity di far precedere alia
questione dci modelli, a cui il poeta si sarebbe
ispirato , 1' altra dell' estenzione della cultora
classica al tempo in cui il Mussato visse.
E' roerito principale di questo secolo Taver
fatto preyalere netrapprezzamento dei fatti sto-
rici 11 concetto della lenta progressivit& , del
lento diyenire, per cui, abbandonata la curiosa
pretensione d' assegnare nello svolgimento della
storia dei confini netti e recisi , si vanno a ri-
cercare le origini del fenomeno storico spesso
cose alte e nobili, onde V Eneide era una tragedia,
e al genere tragico appartenova, nel campo delle
letterature volgari, la canzone (Dante-De vulg. E-
loq. IV 62). Cos! la Commedia era il racoon to di
cose esclusivamente basse e vili , o miste ad altre
pii!i nobiliy onde 1} poema dantesco prese quel titolo^
-124 ~
molto al di 1& dei Iimiti» che d' ordioario gli si
erano assegoati. Se questo spostamento 6 awe-
Duto in genoralo per tutti i fatti storici, e spe-
cialmento per quelli coDtraddistin^i da uoo spe-
ciale indirizzo del pensiero e rimutarsi deile
coscienze, forse per nessan altro si 6 Terificato
in maniera cosl notevole come per I* Umanesi-
mo. Gli 6 cosl che queil' importantissimo movi-
mento di studii e d' idee , che oggi ancora in
qnalche antiqoata storia letteraria , sempre in
uso nolle scaole, vieoo rinchiuso nei llmiti ri-
gorosi del secolo XV, si yenne ricondacendo dap-
prima a una gonerazione di dotti epigoni y per
dir cosl. dei nostri grand! trecentistt » poi al
Boccaccio e al Petrarca, e, piu tardi , sempre
facendosi indietro, a Dante, finchd si venne alia
conclusiono che suUa fine del XHI e il princi-
pio del XlV il movimento umanistico era in corta
gnisa rigoglioso. Questa nnoya concezione, poi,
and6 tan to in \h che non mancaron di quelli ,
i quati dimostrarono come non mai , nemroeno
durante le cosl dette fitte tenebro delta barba-
ric modieyale, si spense del tutto la tradizione
classica, almeno in Italia, e come perci& trala
latiniti classica e Y uroanosimo , non ci sia, at-
traverso la latinit^ argontea e la latinitlt me-
diovale« nessuna soluzione di continuity. Ma, a
parte q|ueste e^a^erazioni che potrebl^ro avere
— 125 —
al piii il valore di dimostrare ana volta ancora
come Don vi sia fatto storico, cbe noa si ricol-
leghi per una catena pii^ o men lunga ad altri
fatti qaanto si voglia remoti, rimane oramai as-
sodato che il Rinascimento classico ha radici e
origini moito piu profonde di quelle,che ordina-
riamente gli si attribaivano » e che, ad essero
giasti e ragionevoli, bisogna riportare il riQo-
rir dQgli studii antichi non meno di un secolo
piil indietro di qaello che ordinariameote non
si facesse. Chi non tenga presente questo e si
abitui a veder solo nel sec. XV il risorgimento
deir aatichitit, non potr& comprendere moiti al-
tri fatti: non intender&,«per esempio, il gran la-
YoriOy che fin dal secolo XII si andava facendo
nei monaster! specie dei BenedetUni per rico-
piare i classici e difionderli , code ai frati an-
diam debitori della conser^azione di gran parte
delle opere letterarie latino ; non potr& spie-
garsi la fondazione di fiorenti Stvdii nell' Italia
moridionale, nella centrale, nolla settentrionale,
6 r accorrere ad essi di una studontesca numo-
rosa da ogni parte d* Italia; non intenderii il
tentative di Cola da Rienzo (e figuriamoci poi
qaello di Arnaldo da Brescia); non si spiegher^
il namero rile van te di tradazioni e di volgariz*
zamento dei piu famosi scrittori latini nel secolo
j^III e XIY. Diventa allora del pari inesplicabiie
-128-
II concetto politico dell* impero non tanto parti-
colare a Dante, che non so ne trovino tracce
in altri eminenti porsonaggi del XIV secolo ;
sembra strano il rimprovero mosso a Dante dal
sue amico Oiovanni del Vlrgilio; strana tatta
la molteplice opera lettoria del Mussato; o so-
prattutto dovr^ sembrare qualcosa dl simile a
un vero miracolo il risorgere della lettoratura
classica nel XV dope un cosl rigoglioso e ma-
gnifico sviluppo dolla lettoratura volgare, quale
si ebbe nel 300. II ver& 6 che in Italia son per
lungo tempo coosistite due letterature , prima
che la giovane prendesse poi decisamente il so-
pravvento sulTantica. Questa, dapprima, nel sue
e col sue languiro, favor! il nascere e 1* ingran-
dirsi di quella, dal contatto della quale , piu
tardi, come riogiovanita, riprese vigore e quasi
la pareggi5 so non in intensity di vita, certo in
estensione; o, cosl risuscitata , per virtu delle
forze, in so stossa latent! , potd per un certo
tempo anche superar la giovane e minacciar di
sofTocaria, finche , trovata nel I* altra una rest-
stenza proporzionnta al vigor giovanile di essa,
flni col cedere il luogo e col contribuire , me-
diante il sue ricco pairimonio di coltura e di
civilt^, aH'ingrandimonto di quella, che prima
era stata sua flglia e poi sua rivale.
Queste mi paion, tradot^e in linguaggio piu
o meno metaforico, le viceade reciproche delle
lettoraturo italiana o latiaa, o il momonto ia
cui esse appaiono pari di forza mi sembra pro-
prio ii tempo di Albertino e di Dante. Se da
una parte con 1* Alighieri la lingaa italiaDa esce
dalle incertezze e dalle lodeterminaziooi difjr-
me» proprie dello stadio lingaistico, che si chia-
ma il flfojsionamenlo dialettale, e la letleratu-
ra» oUrepassato il poriodo dei canti d' amore e
degli scherzi poetic^ si afferma potentemente
net grande poema, a comporre il quale concor-
reranoo tutti gli elementi della storia umana
e della vita contemporanea, dall' altra coll'ope*
ra lettoraria del Mussato si rivela nel secolo
XIY la vitalitit e la forza della letteratura an-
tica, patrimonio oramai noo piu esclusivo di
cMericif ma di giaristi, di poeii e di aomini
piu propriameote di lettere. Di questa cultara
letteraria classica due furono in quel secolo i
centri attivi, la Toscana con la scuola che fa-
ceva capo a Oeri dC Arezzo^ e la Marca Tri-
vigiana e specialmente Padova» la quale, dopo
la cacciata del Tiranno^ col rifiorire della li-
bertlt, Tide risorgere anche il suo Studio e ac-
colse tra le sue mura una eletta e folta schiera
di dotti, a cui per6 la spada e il giure non e-
rano men familiari dei raggiri diplomatici e
deir arte di governare, o dei poeti latini e della
— 128 —
metrica elassica. Vi era allora sparsa in Pado-
va e nolle citt& vicine una society colta, ele*
gante, la quale, dope avere studlato gli scrit-
tori latini allora conoiciuti, ed essersene assi-
milate le bellezze alia maniera che aqnei tempi
si poteva e s' intendeva, (1) cercava di ripro-
dnrl^in nnovi poemi o in nuovi componimenti,
oppare in lavori storici. I poemi in esametri
eran per lo piii intitolati a principi» doi quail
si cercava guadagnar la proteziono e il favore
come a Can Orandey che fu cantato da Ben-
venuto dei Campesant e dal suo discepolo ed
ammiratore Ferreto dei Ferreti. Gli altri com-
ponimenti poetici erano a preforenza egloghe,
elegie, epistole ad imitazione di quel poeti la-
tini, che furono fra i piu cari e piti diffusi del
Medio-evo, voglio dire, Ovidio, Orazio, Virgilio.
E qui d bene ricordare che la letteratura clas-
sica per gli umanisti. di quel tempo non com-
prendeva che una parte, (la piti recente e la
(1) Diciamo cosl perch6 allora da una parte il
gusto letterario non aveva potato ralHnarsi, daU'al-
tra la raritk dei libri e lo smarrimento dei codici,
piu tardi ritrovati, face van spesso rivolgere Tatten-
zione sul mediocri, che formavan V oggetto d' una
ammiraziono un po' feticista.
— 12S —
mono importante osteticamente) di quello, che
not siam soliti d* intendere comp lossivamente
sotto tal titolo, cio6 solo la lotteratara latioa,
e di qaesta stessa una porzione ben angusta*
AU'infaori degli scrittori, infatti, (e nemmeoo
di tatti) deU'eti aurea (Oicerone, Sallastio, Li-
vio, Virgilio, Ovidio, Orazio) , di alcuni altri del
periodo post-auguUeo (Seneca, Lucano, Stazio,
PJinio 11 Giovioe ecc.) e di pocbi ancora della
bassa latiniti, quasi di nessun altro mostraQ
cogDizione diretta ni gli scritti del Mussato, del-
I'Alighieri, del Petrarca e di altri cootempo-
ranei» nd le traduzioni, che, come abbiamo ri-
cordato, in quel tempo erano assai frequenti.
Degli altri scrittori latini si sapevano i nomi e
air iogrosso anche le opere principal!, e se qe
avevano quelle notizie confuse, yaghe, contrad*
dittorie, che le citazioni trovate negli scrittori
cososciuti potevano suggerire, o che era in
grade di fornire la tradizione scritta ed orale,
I>erFenuta fine a quel tempi. Degli scrittori
greci si sapeva tanto mono : il Greco allora in
Italia non si conosceva quasi da nossuno , seb -
bene pochi anni dope la nozione approfondita
del mondo letterario latino facesse sentire piil
vIfo il bisogno di studiar la letteratura greca,
e il Petrarca vecchio (nuovo Gatone), si met-
tesse a studiare quella lingua, segulto neU'e-
17
fleiiipio dal Boccaccio, che voile anche prooa*
rarsi la gloria di istituire la prima cattedra di
Oreco In Italia» chiamando a Firenze il calabre-
se Leonzio Pilato. E' notevole, perd, che poco
men di an secolo prima del Boccaccio e del
Petrarca un dotto padovano, Pietro d' Abano ,
fliosofo, medico, studioso di lettere classiche, sentl
it bisogno d* imparare il Greco ; e » mostrando
la via al Ouarino e al Filelfo^ corse a Costan-
tinopoli ad capessendas grcecas tliteras) quum
Uteris latinis esset non mediocriler imbutus.(l)
Chi vogli a farsi un concetto della society lette-
raria padovana e delle persone cbe la compo-
nevano, in cosi grande scarsezza di documenti
e di opere pervenuteci, legga le elegie e Tepi-
stole del Mussato, il quale non solo era stimato
centre di quell a scuola di umanisti per il sno
ingegno e la sua dottrina, ma anche per le sue
doti, e pel tempo in cui visse appare posto in
mezzo ai due, che potrebbero tonersicome gli
estremi di quella scuola, il poeta Lovato^ mae-
stro e forso incoraggiatore e benefattore del
Mussato, e il poeta vicentino Ferreto, cbe pro-
metteva al yeccbio Albertino, di cui era am-
miratore ed amico, degne lodi e onore, quando
(1) Murat. XXIV p. 1154 Rer. It. scrip.
— 131 —
sarebbe morto : V ono, il poeU ddi toapl libe-
rie che scrisse un poema iotorno alle maledeite
fazioni di gaelG e ghibellini, 1' altro* il poeta
del priDcipato, che adolft apertamente il iiraa-
no delta sua patria. Can Orande delta Scala.
Letteratl non di professiooe, ma come per di«
letto, fra an contratto notarile o on disoorso
neir assemblea« non avevano tempo ni mode di
attendere, se non raramente, a laTori di raglia
e di Tolame, e percid si dedicarano a compo-
nimenti brevi, come epistole, eglogbe, elegie,
ed argomenti di lioTO importanza. Erano qae-
sti o confidenze fra amici, o manifestaxioni di
dabbi e di timori, cho la vita tempestosa di qaei
giomi, purtroppOy giasiiflcaTay o proposizioni di
problemi, di qaesUoni, dlndoTinelli, a risolTore
i quali s' inTitavano a provarsi, come in place*
▼ole arringo, gl' ingegni degli altri poeti ; tal-
▼olta anche scambi di frizzi e di argazie pia o
mono forti fra amici, raramente polemiche Ti-
yaci e ardenti.
Usanze qaeste predominant! allora in tatto
il mondo letterario italiano, come si pa6 vedere
anche dalla Vita nuova di Dante ; e che» men-
ire dimostrano an certo spirito di baona amici-
zia e di fratellanza fra i letterati del temper,
sono an lontano preladio di qael vi?o bisogno
di scambiarsi idee, discatere , o meglio di coq-
— 188 —
rersare, che 6 stato sempre cod spiccato e te-
nace nei letterati italiaoi e che dal sec. XV in
poi si 6 tradotto in pratica oetla fondazione, non
sappiam dire sa piu benefica che altro, dellein-
namerevoli Accademie. — Un posto a parte ,
emioente ed isolato dov6 , in queiraccolta di va^
leoti aomini, avore i\ phisicus MarsHio daPa-
doTaf a cui Albertino dirige le epistole XII e
XVI; r autore di an famoso libro iatorno ai rap-
porti fra Stato e Ghiesa, in cai si sente alitare
gi2t lo spirito ribelle della Filosofia del Rinasci-
mento. Le altre epistole di Albertiao sono di*
rette» a quel che pare, anche a latinisti; tra i
qnali troviamo tre professori di grammatica ,
V uno a Venezia (Giovanni — Epist. IV e XV),
r altro a Mantova ( Bonincootro Epist. Xin ),
e il terzo forse a Padova stessa ed6 quel Quiz-
zardo (Epist. XIV), ii quale, venia precata ab
illustri auclore, scrisse un commento air^cce-
rinis, in cui dimostra tanta conoscenza delle
cose dei Padovani, da far sembrare ben fondata
V ipotesi che egli insegnasse a Padova. Ma la
cuttura classica non era rappresentata soltanto
da chi, come i maestri di grammatica e il col-
legio dei professori d'arli libercUi nello Studio
Padovano, doveva farlo come per necessity e
dovere del proprio uf9cio. — II poemetto in tre
libri^ in cui Albertino tratta de obsidione Pa-
— 133 —
dikxe civilalis , per opera di Can Grande
della Scalay ci fa sapere cbe esso fa scritto ad
esortazione del Collegio dei Notai » i quali a-
vevan pt*egato li poeta di trasferir 1* argomeo*
to ID quempiam metricum concentum > tale
per5 che fosse: « moUe, et vulgi inielleclioni
propinquum » , molto piu che oon lo stile e*
minentior della sua Storia in prosa.
Ora, an poema scritto con lo scopo, che si
propose il poeta, e poi sparse di tante remioi-
scenze ed imitazioni di classic!, di taote digres-
sioni mitologiche, e la prova piu sicura cbe in
quel tempo accaoto e Intorno ai dotti e ai poeti,
di cui la memoria 6 gianta flno a noi , viveva
e si aggirava una folia anonima di gente colta
o di buon gustai, non tan to approfonditi nello
studio deir anticbiti da scriver libri e opere
atte a tramandarne ii nome ai poster!, ma ab-
bastanza innanzi per potere, al solo ascoltarlo,
intendere un poema scritto in Latino od anche
ammirare 1' artiflzio del poeta, cbe, come ape,
andava cogliendo di fiore in flore dai piu famosi
maestri del dire nelT anticbit^. — Ma vi era la
Society dei letterati, piu propriamenti detti, in
mezzo a questa piu larga, che potremmo dire
dei dilettanti, la society di cui 11 nostro Alber-
tiDO era il capo autorevole e riconosciuto. Vi
apparteneya il JfOvato, maestro, a quel che pa-
-134-
re, di Albertino, che ne paria con A affettaosa
rivereoza nelt* epistola diretta al nipote di loi ,
Sdando da Piazzola. Le relaziooi del Lovato
cen Albertioo , a giudicaroe da qaello che il
Mussato stesso ne dice oel De Oestis Ilaticorum
Lib. II e da quel che oe scrive Oiovanni del
VirgiUo in una sua egloga, paion molte simiglianti
a quelle che dovettero intercedere fra Dante e
il Latin! ; quando Brunette » quasi padre buono
e affettuoso, insegnava a Dante la via delta glo-
ria, detla virtti e del sapere. Ancbe il Lovato
fu per Albertino come un padre (1), da cut egli
ripeteva 1' indomito amor di patria, e col quale
nolle frequenti conversazioni doveva intratte-
nersi sulle condizioni della travagliata Padova,
e certamente anche su argomenti di Lettera-
tura e di Poesia, se com' 6 probabile, Giovanni
del Virgilio nei suoi versi, riportati dallo Zar-
do (2), voile alludere a qualcosa di realeepro*
priamente alia parentela, o meglio alia filia-
zione letteraria del Mussato dal Lovato. Seb-
bene a noi sconosciuto per la mancanza delle
(1) Mussato — Ep. Ill -- Hie mihijlende pater
vitae — pars maxima nostrae,
(2) Zardo — Studio storico iatoroo ad Ab. Mus-
sato — p. 275,
-135-
dae opere, fa ogli certamoote poeta di grido «
a giadicare dalla riverenza con cui ne paria il
Massato e i\ De Virgilio^ dall' ammiraziooe cho
noQ gti risparmiano nd il Polentone (1) » ni il
P6trarca» il qaale, chiamandolo priocipe di tutti
i poeti della saa e della precedente gonerazio-
oe, dice che piu ancora il suo nome sarebbe
famoso di quel che non fosse allora in Padova
e in tutta Italia, se alle nove Mase non avesse
mescolato le 12 Tavole (2).
Erede del valore poetico e anche dell' am-
miraziono tribatata al Lovato fa il nostro Al-
bertino, al quale percid facevano» in certa ma-
niera, capo gli altri cuUori delle Muse di quel
tempo, che a lui scrivevan domandandogU con*
sigli, esortandolo a nuovi scritti, proponendogli
question!, o indirizzandogli lodi e componimenti.
II poeta, vicentino, Ferreto era in corrispon-
denza col Nostro, dal quale ricav6 molte imita-
zioni nel suo poema a Can Orande; e non mono
del Ferreto gli scrivevan altri illustri ingegni
contemporanei; quali Benvenuto dCCampesanif
vicentino anch'eglie anch'eglidispregiatoredei
Padovani o partigiano di Cane; V amico di Dan-
(1) Polentone — De scrip, illust.
(2) Petrarca i— De rebus memorandis •* IL
— 136 —
to, Oiovanni del Virgilio (1), che cercava d* in-
▼ogliare il grau fiorontino a recarsi a Bologna
con la promessa di fargli leggere le poesie del
Mussato; Oiambono (V Andrea, notaio e poeta,
dei cni consigli 11 Mussato faceva grande stima.
So qaesti e sogli altri piu oscuri prlmeggiava,
senza dubbio, per doti di roento e di cuore^ per
i pregi del diplomatico, del soldato^ del gorer-
natore, non mono che pel valore dello storico
6 del poeta, Albertino Mussato ; ed egll aveva
certamente coscionza della sua superiority e
quasi del sue mandate di rappresentare ed im-
personare tutta quella fiorita e illustre scuola
di dotti, di letterati e di poeti, se con tanto ca-
lore credette di dover rispondere a quel frate
Oiovannino dell* Ordine dei Predicatori , che
Yoleva sostener essere superiore la Teologia a
tutte le scienze e a tutte le arti. I professor!
dello Studio Paiovano in quell' occasione si
sdegnarono assai, ma chi assunse la difesa , di-
romo cosi, ufflciale della Poesia e della Lette-
ratura, e indirettamente di tutto il sapere u-
mano, che allora si sintetizzava nolle Lettere ,
fu Albertino Mussato per esortazione anche di
Paolo, giudice del Tiiolo. A darci un* idea del
(1) Mussato — Egl. II «Phpigio Musone levabo^
coDoeUo che delle lettere 6 della poesia si bh
cesse queila prima geDoraziooe di umanisti, tan-
to vieini al Medio-ovo, nionte di piu istruttiTO
e di piti esatto di questa polemica fra ii frate
e il poeta, in cui, accanto alio spirito d'esctu-
sivismo e d' intoUeranza religiosa dei teologi, ap-
parisee lo spirito di ribellione al giogo dei
dogmi, di ana riboliiono, per6, timida o inodo*
rata, in qaanto non si disconosce la importanza
doUa Teologia, ma le si mette a paro la Lette-
ratura.
Da ambedue le parti, poi, si rivela lo stra<
no miscuglio di pagano e di cristiano, di mito*
logia e di bibbia, che si faceva in quegli albori
del Rinascimento con una iDcoscienza, che ha
solamente riscontro noil* iogenuit& con cui da-
van importanza e valore di argomento storico
(qaando Tinteresse polemico il ricbiedesse) alia
fiavola piu semplicetta, e insieme nell* abituale
franchezza a passare sopra i punti controversi
e fare, invece, vano sfogglo di dimostrazione, Ik
ove non si richiedeva affatto, nella disinvoltura
di appoggiarsi agli argomenti piti futili^ dandosi
r aria di crederli concludentissimj, e di scam-
biare contiuuamente r estrinseco, il convenzio-
nale o 1' accidentale con Tintrinseco, il naturale,
il sostanziale.
Ecco qua, per esempio, un argomento per
IS
1
— 13g —
dimostrare la divinitd della poesia. 11 po6ta»
dice il Mossato, vien detto vates; vales i vas
Dei; non 6 evidente cho la poesia i cosadivina
dal momento che i suoi cultori sono dei vasa
Leit — Fra Oiovanntno nella sua categorica
risposta polemica non la perdona a1 Massato
nemmeno su questo punto ; ma credete che si
melta a contestare, come sarebbe ragionevole
aspettarsi, la validity dell' argomento etimolo-
gico in questo case? Niente afTatto; per Oiovan-
ninOf come per AWertino, Tetimologia 6 qui an
mezzo capitale per tagliar la testa al tore e
risol?ere la questione; tan to vero che it frate,
TOlendo tirar 1* acqua al sue malino, va a sea-
vare un* etimologia del nome vates non meno
peregrina di quella proposta dal Mussato. Vates
d da <vico>, legare, quod poeta habet pedes et
membra ligare ; altro che vasidi divinitdf
Un altro argomento: cid che i divino i
elemo^ ma eterno k il lustro della poesia (come
lo prova il fatto che i poeti venivan coronati
daU'alloro perennemonte verde), dunque la Poe-
sia k divina. Una ragione cosi fatta, fondata sul-
Tqso d'incoronar d*alloro i poeti, oggifarebbe
sganasciar dalle risa il piil debolo ayversario»
ma Oiovanntno la prende in voce sul serio e la
confuta yittoriosamente, ricordando chelabei*
lezza di quel verde perenne inganna, in quanto
— 139 —
che cela r amarezza delle foglio stesse e del la
bacche , e che la corona circolare dei poeti h
simbolo del lore allontanarsi dalla verity e quindi
anche dalla divinity.
E Qon vogllo astenermi dal riportarne un
terzo. < Non e divina laPoesia? (chiede il Mus-
sato) ; ma se essa ha perfioo predetto la Fede
Gristiana, come provano i centoni di Omero, di
Yirgilio, che darebbero dei punti alle piti lam-
panti profezie biblicho ! > — Manco male che
questa volta» almeno, Oiovannino rispose un p6
da senno, dicendo che i Centoni non voglion dir
nulla, appunto perchd i poeti^ da cui son rica-
vail, non intendevano di dire quelle che ai Oen-
toni, compilazioni dei posteri » si fa dire. Basti
ci6 che si S detto a dimostrare la continuain-
vasione e continuazione , che avveniva in quel
primi umanisti , di cose sac re e di profane , di
antico e di moderno, ed a rivelar gli strani ri-
pieghi a cui si ricorreva per raggiungere quello
scope che» nascendo, si propose 1' Umanesimo^
per effetto , senza dubbio , della sua filiazione
medievale : lo scope, dice, di conciiiare ii mondo
0 la cultura pagana col mondo, la culturae la
civilt& cristiana, il quale tentative durer^ an-
che nei primi decenni del XV e riuscir& proprio
alia meta opposta a quella cercata. Perd men-
tre i numerosi prosecutori di questo teqtati-
— 14»-
TO (1) lo compiron piii tardi con piona coscienza
6 con maggior corredo di argomenti, noi primi
Umantsti, como il Mussato e i suoi contempo-
ranei, esso era affatto iocosciente e qaasi istin-
tivo ; seoza dire, poi, che con una conoscenza
limitata deli* antichit& e fra le distrazioDi con-
tinue e ie preoccupazioni delia vita pubblica,
le quail non dovevan certo permettere al gusto
artistico di rafflDarsi e completarsi, si riusciva
a qualche cosa di grossolano, di disarmonico,
d* infantile, di goffo. E questa goffaggine si ri-
Tela anche nell* apprezzamento che allora si
facoTa degli scrittori antichi, dei lore pregi par-
ticolari, della loro siogola importanza. I fanciulli
e i contadini di fronte alle persone, che sono a-
bituati a sentir citare come grand! e dotti, se
no stanno senza attentarsi di alzar lore gli occhi
in vise per esaminarli, TOder come son fatti e
paragonarli tra di loro , li confondono tutti in
un medesimo ed unico concetto di grandezza.
Gosl gl* Italian!, ora che per forza di cose ve-
nivan a contatto cui velt^tl divtni , non ardi-
vano di avventar dei giudizi, che alia loro co-
scienza stessa potevan apparire irriverenti; e
(1) Cos! il Poraponazzi e il Valla, per non ci«
t^r^ altrif nel campo della filosofia*
— 141 —
non si arrischiavano a fame come una classifi-
cazione e una gradaatoria , d6 doile quality di
uo medesimo scrittore osavan fare uoa cernita,
abituati, come eraDO, a crederli perfetti in tut-
to, e per ci& stesso inconsapevolmente tratti ad
inoamorarsi piu delle quality meglio appari-
scenti, che di raro poi sono le migliori. Gosl
Omero, Virgilio^ Orazio, Liccano, Ovidio van
messi per Dante tutti insieme ; e una volta che
si vede costretto a dissent! r dalla opinione di
Qiovenale, lo fa, circondando la sua irriverenza
di mille scuse , tal quale come si trattasse di
Omero , di Aristotile , di Pitagora e di altri
genii. Gosl scrittori d' importanza non primaria
come Seneca , Ovidio , Slazio , Lucano potet-
tero godero il favore e 1* ammirazione del Me-
dio-E?o e delle prime geuerazioni di Umanisti,
i quali s' innamorarono degli ornamenti mitolo-
gici , di cui son pieni gli autori classici , e si
diedero a caricarne i loro scritti con una pas-
sione tale da tradir quasi la convinzione che
non vi sia miglior poeta di chi piu di tutti fa
sfoggio di erudizione mitologica. II Mussato pare
la pensasse proprio a questo modo : basta dare
una rapida scorsa al poemetto de obsidione e
air epistola X e XVII per vedere che affastellio
▼*d fatto di reminiscenze classiche e mitologi*
<^, 0 cooyincersi ohe egli, per eccedere taato^
— 142 —
dorera tenor per pregio, davvero siogolare,
quello sfoggio , beoch6 d' altra parte la saa
forma sia etogaoto ed efflcaco appunto nei lao-
ghi » in cat , dando liboro sfogo ai suoi seoti-
menti » dimentica di essore nnostudioso doiran-
tichit& laUoa» e motte da baoda il ciarparao
retorico e classico. II cho gli avviooe rara*
mento nolle poesie mioori, dove la parvit& dogli
argomooti gli dava agio di sbizzarrirsi con la
fantasia o con le reminiscenze scolastiche, ma
molto spesso invece nella Tragedia, dove il te-
ma, profondamente sentito, non dava tempo al
poeta di frngar troppo nei suoi ricordi da sta-
dioso e di abbandonarsi all' imitazione di un mo-
dello vagheggiato.
Ed eccoci ritornati 1^ donde parti mmo, alia
questione dell' imitazioae da qualche modello
classico» questione che piti agevolmente possia-^
mo trattare era che abbiamo gettato an rapido
sgnardo sulla cultara classica dei Padovani ai
tempi di Albertino. Pel quale riassumendo, pri-
ma di procedere oltre, i risultati della nostra
Inoga digressione diciamo : l^ che egli era il
capo au tore vole e riconosciuto di una fiorente
scuola umanistica padovana, (1) la quale, antici-
(1) Come si vede, noi abbiamo qui trattato esclu-
tsivamcntc della cultura q letteratu|*a latina, sebbene
-143 —
pando r indirizzo,cho nella seconda met& del 400
doTOva prendero la risorta cuUura classica, pi&
cbe del lavorio critico intorno agli scrittori, si
occupava di imitarne i capolavori ; 2^ che gli
scrittori , conosciutl , eraoo pochissimi , a quel
pochi tutti latini (Oicerone^ Livio, Sallustio,
Orazio, Ovidio. Persio, Seneca, Lucaoo, Stazio,
Boezio e i padri delta Chiesa), messi tutu a uu
dipresso alia medeaima stregua , apprezzati e
gastati in una maniera un po' grossolaoa; 3^ che
r imitazipne, che se ne voleva ricavare, a parte
qaella che veniva ispirata dal genere letterario
stessoy era una imitazione estrinseca e formale
piu che intima , tanto piii facile perci6 a mat-
in quel secolo nella cavalleresca Marca si scrives-
sero poemi roroanzeschi franco-italiani e non man-*
casse una certa corrente d' italianiti letteraria che
si esplicava da una parte nella poesia mitico-reli'
giosa di BuonDesin da Rioa e di Giooannino da
Verona, dairaltra nei tentativi di poesia volgare,
ma ascetica , nei quali quasi tutti gli uomini colti
d* allora (e il Nostra fra questi) si andavan pro-
vando : si vegga un saggio delle corispondenze poe-
ticbe , niantenute per mezzo di sonetti, fra Alber-
tino Mussato, Buonatino, Antonio da Tempo ecc. —
Gior. si. di lett. it. Vol. XI — Novati — Recensio-
ne ai Padryn.
-144.-
ferd In opera qaaoto pib iosipido, informe, In-
colore fossa il pensiero , e per codtofso tanto
pill difficile ad apparire, quanto piii grave e
pieno A\ vita e indiTidualilit propria esso fosse.
Tali essendo le condiziooi e gli elemeoti
delta cultura di quei tempi, Albertino fu dalla
fortnoa meseo io grade dr abbracciarti lutti e
di baon'ora; che mentre negli altri suoi cod-
tomporanei lo studio della letteratura classlca,
oltre ad easer fatto in e<& abbastanza adnlta,
era una specie di divertimeDto, pel Noslro fu,
anzi , necessity di tnestiero. Perci6 tra la codo-
seenza della letteratura classica, posseduta dal
Mussato , e quelta degU altri si pud a priori
peDsare che dovesse correre la medesima diffe-
reoza che fra chi , daodosi a un'occnpazioce
tanto per far qaalcosa, la faccia con tutto il
comedo e aenza disturbi, e cbi la fa, costretto
dai bisogni della vita, ogni memento. Albertino,
IhfattiiiD quella elegia (1|, in cui la tnstezza delle
sue condizioni^rapidamonto cambiate, gli dotta
un linguaggio cosl commovente nella sua ma-
linconica e sconsolata semplicitfi, ricorda come,
nato in <paupertore statu >, mortogli il padre,
o destinato perci6 « auleguam fierem pittier »
(1] Elegia I.
- i4g —
a sostituirlo verso due fratellini ed una sorelta,
81 senti, certo per aiato divine, nel dure e poco
rimunerativo lavoro di dar lezioni e copiare
codici, crescer le forze.
« parva mihi victus praebebant iucra scholares
▼enalisqne mea littera facta mana. »
II che, notiamo in parentesi, 6 una prova
decisiva per io sviluppo della cultura classica
e deiramore, che in Padova ad essa si portava,
Non essendoci libri da trascrivere all'infuori
dei classici e mancando ogni insegnamento, che
non fosse quelle della Grammatica, cio6 lo studio
della Latinit& , porchd un giovane , oscuro an-
cora, potesse trovar degli scolari a pagamento
in una citik in cui, certo, non facean difetto ni
i professori dello Studio Padovano, n6 altri let-
terati di grldo, e perchd con quella occupazio-
ne e con Taltra di trascrivere codici egli rica-
vasse tanto da tirare innanzi una famigliuola,
bisogneri bene ammettere che il numero degli
scolari, ossia degli studiosi di lettere classiche,
era abbastanza rilevante e la ricerca di libri e
codici frequentissima e alia. Un esercizio simile
da una parte doveva mettero fra le mani di Al*
bertino molti piu scriitori antichi e dall* altra
fargliene approfondire la conoscenza in assai piu
19
— 146 -
breve tempo che doq accadesse ad altri. Basta
leggere la I^ sua epistola per accorgorsi dalla
maniera, come parla degli scrittori, che a lui
doveva esser nolo quasi tutto il materiale let-
terario classico del Medio-Evo, e basta leggere
alcone pagine della sua istoria per vedere co-
me egli mal cell la non ospressa ambiziooe di
emulare il suo grande concittadino, LiviOy nello
stile, nogli atteggiamenti, nolle concioni. Men-
tre, poi, le sue poesie presentano tracce evi-
denti di remioiscenze classlcho in immagini, in
frasi , in versi inter! robati a Giovenale o a
Persio, a Ovidio o ad Orazio, tutte le sae opere
dimostrano in lui una cosl ?asta erudiziQpe das-
sica , una conoscenza deir antichit^ , quale si
lascier& (a parte il Petrarca) desiderare per un
pezzo dope di lui, specie sola si paragon! all'e-
radizione disordinata e plena di error! del Boc-
caccio. Tuttavia , non ostante il grande amoro
con cui studid tutti i classic!, duo dov6, e non
i migliorl, apprezzarne di preferenza, Ovidio o
Seneca : e benchS nell* epistola a mastro Ouiz^
zardo dice che spesso si sia coricato con il Yir-
gilio sotto il capezzale (1) e il Virgilio sia desti-
(1) Epistola XIV « Virgilius thalamo mecum ver-
satus in uno tempore, quo....
— 147 —
nato a rendergli mono amaro Tosilio, puro, evi-
dontomonto, lo suo prodiloziODi furono por il
< toDororum lusor amorum ». Si ora ancora ab-
bastanza lontani da quol talo rafflnamooto dot
gusto cho potesso far preferiro la castigata so-
briot& di poeti come Catullo e Orazio alia facile
abbondanza di Ovidio ; la cui ricchezza e variei&
nelle immagioi, la felicity nolle uscite» lo sfog-
gio di erudizione eran fatto per piacere ad Al-
bert ino , non mono della dotta prolissit^ , delta
pompa di ornaroenti e dello splendore di imma-
gini, che Seneca rivela. In tutte le sue poesie
si mostran di continue lo studio e Timitazione
da Ovidio, che fanno la maggior prova in quol
vero sforzo di memoria e di pazienza che 6 il
Centone Ovidiano, costituente la III* elegia;
alio stesso mode che lo studio e 1' ammirazione
di Seneca si manifestano ingenuamente nella I^
epistola. Qui con grande coropiacenza Albertino
insiste sulle tragedie del poeta latino, che egli
conosce a fondo e di cui , non contento di enu-
merare.ad uno ad uno i titoli, spiega (1) il con*
(1) Epist.I« Facta Ducum memorat, generosaque;
nomina Regura,
Quum terit eversas alta ruina domes.
Fulminasupremas feriuntingentia turres
I<^ec capiunt planas impetuosa casi^. »
— 148 —
cetto unico fondameDtala per toraar poi verao
la fine ad accennarne singolarmento gli argo-
meoti, (l)i quali d' altra parte ia ua codice di
Seoeca si trovano trascritti di mano del Mas-
sato. (2) Data, dacque, naa cosl profooda ammi-
razione del Mussalo per il tragico di Cordova
niente v' h di piii probabils che egli , cultore
appassionato delt' aotichit^, una voltapropostosi
di scrirere una tragedia , i'abbia preso a mo-
dello, in laaocaDza di altri, a cai iBpirarsi. II
teatro tragico latino, cho fa pure cosl fecondo,
Don era di certo pib ricco ai tempi del Mussato
di quel cho sia oggi : altera come ora , Seneca
n' era I'uqIco rappresentaate e d' altra parte i
tragici greci erano sconosciuti Don solo neH'o-
riginale liagua, ma anche nolle tradizioni. Al-
bertino stesso ce lo ricorda dove dice :
« MetraS«phoclaeiSDODSUQt suffultacothurois
Haec tua, quidquid habos, lingua latina dedit,
Sola rudis, tantum studlis inniza latinis
In latiis oris nunc nova miles eris >
Come si vede , Albortino stesso riconosce i' e»-
sersi appoggiato solo sugli stuait talint ; a poi-
(1| Epist. I — Da verso 110 a verso 136.
[2] lennari-NotiziesforichediPadova- Tomo 1.
— 149 —
che si tratta di teatro tragico , ovidentoraeoto
qai stiidii latini vuol dire studio di Seneca ^
modollo da cui gli era impossibilo prescindero,
date da una parte le vedute, le condiziooi e i
limiti della cultura classica contemporanea , o
dair altra il proposito deir autore di scrivere
una tragedia, un componimento ciod di natura
schiettaroente classica, ne ancora passato nel
dominio delle nasceoti lotterature volgari.
Come va intesa, por&, qui rimitazieoe di
Seneca, fatta dal Mussato?
Le Iragedie di Seneca, come si sa, non fa-
rono scritte per la scena e (non gi& come 6 il
case del nostro aatore) perche non fossero abba-
stanza tragediabili o rappreseutabili i soggetti
sceiti, i qaali erano quelli divenuti oramai tra-
dizionali e quasi di rito fra gli antichi scrittori
di tragedie, ma perchd gli entusiasmi del pub-
blico romano dei tempi di Seneca et^no esclu-
sivamente riserbati alio piccanti e oscene rap-
presentazioni dei mimi e dei pantomimi. Par-
rebbe, per6, che le tragedie di Seneca , sorte
centre il gusto predominante della folia, dovos-
sero anche mantenersi lontane dai vlzii di quel-
ret& decadente; ma oramai la corruzione di ogni
sentimento di belle e di buono era cosi dilaga-
ta, il false nella vita, nei costumi, nolle lettere
taAto invalso^ che anche cl^i avesse avuto la
- 150 —
migliore intenzione di far argine alia corrento,
non ne sarebbe io tutto potuto andarne esente.
Le tragedie di Seneca seno esercizii oratori ,
anzi declamatorii e scolastici » stesi ia forma
drammatica , privi di regolarit& e di natara-
lezza neH'orditura, di verity di caratteri (che
del resto noa si mostrano), privi di azione vera
e di sentimento sentito, benchS le inflorino spesso
grand! pensieri, gravi sontenze morali , imma<
gin! ardite, pittare piene di particolari espesso
anche di verity. Un ica arabizione dell' autore ,
anzi del retore , 6 quella di muovere 1* atten-
zione unicamen te con la forma, suscitar la ma-
raviglia nell' uditore con ringegnoomegliorin-
gegnositft, senza badare a destare vera e pro-
fonda commozione. Come in tutti i componimeati
di scrittori, dotati piiidi fantasia che di ragione,
nolle tragedie di Seneca in luogo del bello e del
sublime non si trova che ampollosit& opposta
alia naturalezza, sfoggio vano di orna menti ora-
torii e lunga serie di freddi concettini. Dal prin-
cipio alia fine e da per tutto uno stadio conti-
nuo, uno sforzo di cervello; e per fare impres-
sione due soli colori, od ombra oscura o luce
abbarbagliante, e non mai, o a tratti disgiunti
e rari, sentimento vero e profondo. Date il fine
di suscitar Io stupore, ne segue una ricerca in-
stancabile del singolare, del nuovp, onde da per
— 151 —
tatto esagerazioni nel descrivere le virtii o net
descrivere i vizii. La passione^ ritratta di pre-
ferenza, 6 il furore e sempre coi colori piu ca-
richi. Nelle doscriziooi si spiega in tutto lo
splendore il talento proprio degli autori , ma
ancbe 11 I* cfl'etto vero 6 perduto dalla smania
di far pQmpa di ricchezza nei particolari in
luogo di serbarla per 1* insieme. SplenJide lo
sentenze morali, ma spesse dedotte non dalla
condizione momentanea deir autoro , ma enun-
ciate come massime generali regolatrici delle
azioni di lui, fredde nella lore studiata bre? it&,
non riescQno che a stancare il lettore. E come
nella sostanza, nella lingua, naturalmente, sono
riflesse la gonflezza, r esagerazione , la prolis-
sit&y la mancanza di naturalezza.
Son questi i difetti delle tragedie di Seneca,
che di pregi no ban pocbini day vero e non molto
rilevanti: sono difetti del secentesimo cbe, come
dimostr& il professor d'Ovidio, 6 un po' la ma-
lattia del sangue degli Spagnuoli, in Seneca poi
aggravate dair etk di decadenza letteraria , in
cui gli toccd di vivere. Ogni volta cbe mancbi
serieti di contenuto, appaion nella letteratura
quelle quality, tanto vero cbe ad un secentista
magari nel piu forte della corruzione , date il
pensiero e verri fuori il Galileo o per lo mono
il Sarpi. Cosl 6 del nostro AlbertinOi studioso
- 162 -
ed dntuaiasta ammiratore, qaanlo si voglia, di
quei saceotisti della latiDitii che furoDO Ovidio
e Seneca (quest! iDfiaitamonie pi& di quello) ,
portato, quaDto si voglia, e portato qaJDdi ad
imitarli, pel fatto solo che egU aveva della ma-
teria scottanto, viva, tra mani, correva nata-
ralmento, magari a sua iasaputa o a sue di-
spetto, ad allODtaaarsene.Haegli unargomento
futile, 0 inisero da trattare? ed eccolo nello e-
pistole e nolle elegie serbar maggiori epidnn-
meross remi oiscenze ovidlaDO fiao a comporre
QD Ceotone ovidiaoo; occolo ovidiano nello stile,
nello immagini , nell' abbandooo prolisso della
forma, nello sfarzo deH'apparato mitologico. Solo
per6 che abbia cose e fatli da dire, cho destioo
un' eco profoQdo di dolore o di tristezsa DeU'a-
nimo suo, la frase e 11 verso gli scorre spoota-
neo per procedere naluraleespeditosoDza I'im-
barazzante bagaglio della erudizione (Ep. Ill ,
per esemp., ed Elegia 11), Timpaccioso vincolo
deir imitazione.
Non altrimonti accade per latragedia. Ispi-
rata a lui dal suo inquieto o tropidante amore
verso la citt& nativa, riscaldata dal vivo sentt-
monto patriottico, con pericoli veri da additare
ai cittadini e da scongiurarli, che poteva avor
essa di comuoe con le tragedie di Seneca, svi-
lappate inlomo a favole mitologiche, le qaali,
— 153 —
spogliate oramai della loro antica , alta signifl-
cazione, che non yeniva piu intesa dal pubblico,
per gli uomini dotti stossi non ne conservavano
se non una estrinseca, superOciale, di conven-
zione e di tradizione? Che vita palpitava in quel
soggetti di Seneca, tanto pid poi se li confron-
tiamo con quello del Mussato, preso a nocciolo
di an dramma, in un memento di cosl torribile
angoscia, cagionata da fatti eguali a queiii che
avevano dato r impulse al Noslroi Che imita-
zione, dunque, poteva far questi, airinfuori di
una formale, estrinseca, consistente nell' impre-
stito (che pure da qualcuno bisognava togliere,
non scrivendo il Poeta nella lingua materna) nel-
r imprestito , dicevo , di frasi , di locuzioni, di
versi, di qualche sentenza,di qualche atteggia-
mento, o nei dialoghi, o nei personaggi?
Avendo fatto un esame comparative delle
Tragedie di Seneca e quella del Nostra, con la
maggior diligenza. che mi 6 state possibile, vo-
glio riportarne qui i risultati principali sia per
non sembrar di ragionare sempre neir astratto,
sia perche si possa giungere a piu determinate
conclusioni, fondando le osservazioni sui fatti.
Non sono rare nella Tragedia del Mussato
le rominiscenze del poeta latino e certo molto
piu numerose di quello che il breve commento
di Nicola VtUani da Pistoia non metta in mostra;
20
— 154 —
ma 6 Dotovole cho nel priroo atto se ne mani-
fostino in numero superiore a quello di tutti i
rimanenti presi insieme, come vedremofrapoco.
La qual cosa potrebbe non solo spiegarsi col ca-
rattere mono spiccatamento storico dell' atto I
in paragone degli altri , ma anche con la con-
gettura, che innanzi mettomroo a proposito della
testimonianza di Sicco Polenione^ che Albertino
avesse scritto, airinfuori della tragedia, nnal-
tro poema in cui Eccerinum Plutone ac Pro-
serpina naCum ftnooit (vedasi pag. 56 ). Se que-
sto lavoro, a noi non pervenuto, deve credersi,
infatti , an abbozzo giovanile , ma con intendi-
menti e criterii estetici afTatto diversi da quelli
che pib tardi il poeta segul nella tragedia, ogli
ravrebbe scritto sotto Timpressione ancora
fresca delle letture scolastiche e degli studii
suoi ; e niente di piii facile che 11 , trattandosi
d'ana esercitazione retorica sul genere di quelle
di Seneca, il poeta avesse fatto addirittara un
personaggio mitologico di Ezzelino, e vi avesse
accolto quante piu reminiscenze classiche gli
venivan in mente. Divenuto, poi, il soggotto di
Ezzelino non piu un argomento di storia morta,
ma di vita attuale e reale, e cambiato in coo-
seguenza il disegno primitive del dramma , Al-
bertino avrebbe compreso quell* an tico tentative
nei sue nuovo lavoro, modificando i particolari
— 155 —
d^Ua oascita di Ezzelino, rivondicato oramai alia
materoit& di Adeleita, so non alia pateroiUt del
poToro Monaco. Ma anche diminuito di n^es-
sit& I'apparato mitologico, no restan per& tut-
tavia magglori tracce che non negli altri atti,
scritti sotto la dettatura dell' angoscia presoote.
E, certamente , a cbi confronti lo Tragedie di
Seneca con quella del Mussato vien sabito fatto
di notar soprattutto la identity di certi ripiegbi
nel provocaro il racconto da parte del Nunzio
o di altro personaggio^ o neir interrompere la
narrazioDO di quollo, cbe altriroenti riuscirebbo
troppo lunga. Si potrebbe dire che in cid non
una derivazione del Mussato da Soneca si deve
vedere, ma un semplice incontro, unaseroplice
identity di effetti voluta necossariamente dalla
identity di situazione , essondo nell* uno o nei-
r altro scrittore frequente 1' intervento della
forma narrativa nel bel mezzo della forma dram-
roatica, e si direbbe giusto. Non essendoci perd
nell' Eccerinis le lungagnate delle tragedie di
Seneca e scomparendo, quindi^ la necessity di
ioterromperlo frequentemente, il trovar, nono«
stante tutto questo, lo interruzioni, fatte con le
stesse parole quasi di Seneca, ci autorizza a
vedere in esse una certa imitazione dal poeta
latino. Si guardi, a mo* d' esempio, la I.* scena
deir at to I.^ dove Adeleleita si arresta^ inorri-
- 150 —
dita, nel suo racconto ed Ezzeliao la incorag-
gia diceodo : « Effare, genetrix »; perchd a me
« OMdire iuvat grande quodcwnque et ferum
est ecc. >» onde la donna riprende il discorso ,
ma sempre piena di spavento perchS quasi ad
vultum redit imago facii. E poi si dica se Al-
bertino non dovd ricordarsi qui della scena tra
il Coro e il Nunzio nel I.^ atto del Tiesle ,
quando il Coro dice : « Effare, et (033) istud
grande quodcunque est malum »; ed il Nunzio
€ Haerit In vultu trucis (635-36) imago facti >.
Adeleita sente un freddo brivido correrle pel
corpo e perde le forze : < Frigore solutum
cadit exsangue corpus > il Nunzio (ibid.) pro-
mette di parlaro « si metu eorpns rigens re-
wMkUiet mrium » e « $f sleterit animo >, delle
qaali ultimo parole si pu6 sentire 1* eco nel-
r atto IL** deir Eccerinis dove il Coro, pur di
sentire le spaventose novelle, che porta il Nun-
ziOy V esorta a riposarsi, « fldtu remisso dum
cesset frequens anhelitus >.
Yi sono in coteste esortazioni gli slessi e-
lementi : per dire parla non si trova mai nd
nell'uno n6 neiraltro dio, narra, ma sempro
pande, effixre, parole piu rlcercate ; nell* uno
e neir altro il fatio in tutti i suoi particolari
6 la series; nell* uno e neir altro gli inviti a
— 157 —
parlare hanno un non so che di ingenuo, d* ia-
faotilo in quanto cho non addimostrano se non
quella curiosity impaziente e petulanto doi bam-
bini, senza aggiunger nulla nd alia narrazione
no tanto mono air aziono drammatica. Ecco :
nel IV.^ atto del Tieste il baon Nunzio sa di
di essere Nunzio^ conosce il mestiere e non
domanda di meglio che di cbiaccherare, chiac-
cherare, chiaccberare sonza tacor nulla, nem-
meno il minimo dei particolari dell' eccidio or-
ribile compiuto da Atreo; eppure quel bono-
detto Coro, tanto per far atto di presenza ogni
tanto a rompergli il fllo sul piti bello , e ora
« quis manum ( 690 ) fey^ro admovei ? > ora
« quo iuvenis (719) animo, quo tulit viUtu ne-
cem? >
Neir Eccerinis il Coro, atto IV
< Quid ille tantis viribus septus facit ?
Quis vultus, aut actus ? »
Altre oziose interruzioni si notano nel IV
atto del Tieste ai versi 730, 744, 746, 747, per
poi lasciar parlare il uarratore di fllato fino
al V. 788.
Cosi il Coro nel V ielVEccerinis, dope aver
iina volta interrotto il Nunzio, continua :
« Quo flliarum et coniagis tuUu nocom (1)
Albricus, et si oon loqui poterat, tulit t »
e pib gid
c Quis Qdjs eiuB fare, supremas fait ? »
Son queate, come si vede, domaade, cosl per
dire, interrogazioDi di na dubbio valore oarra-
tivo 0 drammatico, cbe nulla tolgono o aggian-
gono e quanto al conferire an po' di varieti
alia scena, pub darsi che raggiungoao in certo
modo qaesto effetto in Albertino, ove per prime
iQ narrazioni del Nanzio non occupano ( come
avvieno in Seneca) pagins intere, ma non lo
raj^iungODo certamente in Seneca. Ed 6 note-
vole come si senta meglio la deQcienza e la me-
schina vacait& di quelle domande nell' Eccert-
nts cbe non aelle Tragedie di Seneca, giacchd,
moatre in queste mancano delle scene poteoti
di Tivacit& draminatica, \k ve d' 6 una aH'atto
III.* veramente mirabile, nella quale le inter-
locazioni si succedono con tanta rapidiU o ne-
cessitfi, da fare col contrasts meglio spiccare
la Tanit& delle altre. E'la acena in cal Eise-
(1) V. il oit. V. del Tieste.
— i5» —
lino, incredulo alia notizia portatagli della per-
dita di Padova, corre iocontro ad Ansedisio e :
« Hem ? gaid est f » dice.
Ansedisius : « Amissa Padnae civUas. Ho-
stes habent »
Ecceriniis : Amissa ri ? »
AnsedtiiS : < Vi amissa »
Eccerinus : < (hM vi t ecc »
Oi 6f dunqae, imitazione in questo primo
panto delle ioterruzioni , ma non soltanto in
qaesto; altri luoghi vi sono in cai par di sen-
tire Teco di frasi, espres3ioni di Seneca.
Adeleita non pu& (Att. I.^ sc. I.*) per la
vergogna e 1' orrore < eloqui factum » , non
mono di Deianira nell* Ercole JSteo la quale,
inorridita per la funerea efflcacia del sangue
di Nesso ( Att. Ill, sc. I.* 728 ), a stento pu6
< monstrum eloqui », giacchd solo al ricor-
darlo
« Vagns per artus errat excussos tremor,
Erectus horret crinis, impulsis adhuc
Stat torror animis, et cor attonitum salit,
Payidumqae trepidis palpitat venis iecar »
( 706-10 )
Terrord, cbe ha riscootro cod quallo che
ossato ci doscrivd in Adeleita :
Pavet animus, adveoit horror, et monbra
oocnpat >
rieste, dopo aver bevuto alia coppa por-
dair atroce fratello, e assaggiate le viran-
1 lui imbanditogU, eentendoai ribolUr dea*
0 V iacere, atterrito si chiode :
3ui8 hie tamultus viscera exagitat mea
id tremuil intnst (Alto V, 9&-100);
ad Adeleita dopo il mostruoso adultdrio:
... recepta pertinax nimium veans
aluit intus viscera exagitaus statim ».
ircote prima di saliro il rogo e di morire,
a il padre Oiove, ed approba , osclama ,
im, prora cho io sia tua vera prole, pro-
some Ezzelino conchiudor^ la sua tronienda
aziope a Satana : flltum talem proba.
1 Coro del I," atto comincia, como not6 il
nt, COD 11D ver30 tolto di peso al Coro del
el Tieste « Quit vos eccagilai furor »; e
sir iDtouazioae generale, sia nei peosiori
— 161 —
particolari, sia nolle parole, contiene numerosd
reminiscenze Seneciane : il regni culmina lu-
brici ricorda, infatti, I' atUae culmine Ivbrtco
del medesimo laogo di Seneca; W € sic semper
rota volvitur^ durat perpetuum nihil » fa ri-
pensare al « properat cursu vita citato Iticii-
que die rota praecipitis volvitur annl ( Her.
P. I 180).
II Core tutt' intero del I atto pel contena-
tOy poi, par ricalcato su tre cori di Seneca, cio6
il I deU'ErcoIeFurente, <che magnatum curas
studiague damnat; il U? del Tieste che < a dis-
sidiis palrum sumpta occasione , regum am-
bttione tawat^y e finalmonte il IV^ dQlV Hip-
politus che € sublimis fortunae instabilitatem
et pericula canit ». — Ma quanta diversity nei
dae poeti, fra la verbosa prolissiti deir uno e
la saccosa concisione deir altro, fra il girar e
rigirar di Seneca sempre o quasi sul medesimo
pensiero e il vario quadropresentatoda Aiber-
tino; fra il tone freddo e declamatorio di chi sa
di fare e non vuol fare che la predica , piti o
meno infiorata di sagge sentenze , e lo spirito
appassionato, caldo di vero e santo sdegno pa-
trio, che anima il Core del Mussato. SI compren-
^^9 leggendo qaei cori, come Soneca lavorasse
su argomenti vieti , conosciuti a memoria da
tutti fln dalle colonne di Frontone (dicevaOio-
venale), ma cho ogni poota aquei tempi, grande
e piccino, si facoya un dovero di trattare, non
riserbandosi cosi nessun altro campo per mo-
strare la sua valentia, oltre quelle della forma,
la quale si sa poi quanto valore possa avore ,
coltivata indipendentemente dal contenute (1) ;
laddove il Mussate trattava di un argomento
che, toccando da vicino lui ai suoi concittadiQi,
le faceva pensare a ben altro che composte e
ornate declamazioni. Guardate con quanta im-
petuosa rapidity cominciano nel Coro dell* Ec-
cerinis i rimproveri rivoiti ai Nobili < Quisv08
lubricit » , come subito tenga diotro la mi-
naccia del cittadino addolorato:
< Duros expetitis metus,
Mortus continuas minas
Mors est mixta Tyrannidi
Non est morte minor metus »
Ma poichd V animo presage del poeta gli dice
che purtroppo inascoltate resterannole sue pa-
role (kst haec dicere quid valet?) occo, abban-
donata la forma interrogativa e la esortativa ,
11 poeta adottare Taffermaziono quasi per con-
(1) Giovenale — Sat. I — da v. P a v, 21.
i
— 163 —
sogoar i colpovoli alia Storia, che no faccia giu-
stizia, alia Storia, cui li addita con quol torrid
bile vos con cui comincia il breve, ma fiero atto
di accttsa.
« Vos in jurgia Nobiles
Atrox invidiae scelus
Ardens elicit, inficit.
Numquam qais patitur parem »
E basta; detto ai Nobili il fatto lore, passa alia
plebs vilissima, la quale, gottando olio nel fuoco
delle discord! e dei grand! , finisce col tendere
insidie a so stessa, cho in fondo paga la pena
di tutto 11 lungo accapigliars! do! Nobili. —
Dov'd esempio nei cori di Seneca di tanta for-
za» d! tanta efflcacia^ di tanto cumulo di pen-
sieri in cosi stringata brevity , o in una cosl
nuda semplicit^ di mozzi? Dei tre cori di Sene-
ca, ricordati, basta a dar esempio della vacuitlt
di pensiero, neir ampoUosa e ornata sonoril&
della forma, il 11 del Tieste, che pure d il mono
preienzioso dei tre.
< Quis vos exagitat furor (ai due fratelli)
Alternis dare sanguioem
pt sceptrum scelere ag^redi? ^^
— 164 —
Voi non sapeie, cootinua i) Goro, o cupiat
cium (ricorda il cupidi ntmis d'Albertino) ,
pium quo Jaceat loco. — Ah! no? Ebbene
to atco to, grida il poeta tutto coatonto cho
risposta DOgativa, fatlasi dare, gli porga oc-
iiooe di fare an bello e magnifico sermone :
< Regem ooti faciaot opes,
Non TQstis Tyrae color.
Nod frontis Dota regiae
NoQ aaro nftidae fores.
Rex est, qui posuit metus,
Et dtrl mala pectoris:
Quern
NoQ qaidquid
Siil di qaesto passo per altri trenta versi coa-
ti per poi conchiudere
< Rex est, qui metuit uibil.
Rox est, qui cupiet nihil* (Tieste atto
II da verso 344 a t. 389)
> contiauiamo nell'osama dei laoghi deir^b.
''fnfx.che ricordano, nello locuzioni, laoghi si>
11 dolle Tragedio di Seneca. 11 Coro del II
;o, per sollecltareilNaDEloa parlare.gUdfce:
-. 165 —
< Sermono cur nos anxios dudam tones? »
a 10 Seaocaio ana sitaazione quasi identica il
Croro:
< Animos gravius incertos t6D6s» (T.IV, 658).
Iddio 6 chiamato da Albertino
€ Excolse mundi rector » ,
e da Seneca
€ Summe caeli rector » (T, V, 1077);
a lui si rivolge il Goro ieWEccerinis , inorri-
dito per le ferocie dlEzzelino, come Tieste dopo
r orribile rivelazione fattagli dal fratello. Iq
AlbertiQo:
< Quid deus tantos pateris furores,
Quos soles et non jacuiaris igoes? »
e in Seneca:
<Ii;ne0qae iorqae: vlodlca amissum diem.
laeolare flammas; lumon crept urn polo
VolmlnllNM exple (T.a.y.Y.1085-d-7)
J
- 166 -
4el HI atto sc. I dell'Eccerinisil TeUurerupla
lar preso dal (T. att. I - 88) Tellure rupta Hi
Seneca, o i[ sospetto d tanto pid fondato in quaoto
:be, come 1' Eccorino invoca il sotterraneo spi-
[■ito del padre, cosi Tantalo parla di divus oa-
jor che, rompeodo dagli abissi delta terra, dif-
'onda la peste pel mondo.
Uo verso di quellu medesima scena delTieate,
4 fratris, et fas, et fides
lusque omce pereat > (T. I — 47-48)
ispfrb probabiimeate Yabsil fides pielasgue no-
stris aciibus semper posto in bocca ad Ezzelino.
A qneste rassomiglianze di linguaggio certo
:oa un esame piil paziODte e minuto aitre ae
le potrebboro aggiungere ; ma, baoehS per la
SBssima parte in esse consistano lo imitazioni
a AlbertiDo da Seneca, altre DOn ne mancano
]' una importanza maggioro. e riflettoDti tutta
ana mossa, tutta una (tescriziooe, tutto an pic-
zolo ^pisodio 0 iDcidente.Oi^, parlandodelCoro
lei I atto, abbiamo vistoqualcherassomiglianza
'ra 1 due poeti noil' iatooazione e nei peosieri;
ora Dotiamo dell' altro.
Uno degli sbiti piii ordinari di Seneca, e in
jeoerale d'ogni scriltorodel 3uo gusto, S quelle
11 abbondonare in descrizioaii^da&rleeatrArQ
— ict -
anche Ih dove men ci possono stare. Nell' attd
V della Troade^ per esempio , il Nunzio , cho
viene a narrare ad Andromaca e ad Ecuba la
misera fine di Astiarotte, credendosi in dovere
di descriyer la torre, da cui il fanciullo fa pre-
cipitate, alio due denne, come se partroppo non
fosse a lore bon nota, dice
« Est una magna turris e Troja super
Assueta Priamo; ecc (Tr.at. Y v.1068...)
E come in questo, in parecchi altri luoghi, cod
nel IV del Tieste , ove il Nuozio , senza scom-
porsi affatto pel Core, che i sulle spine, volendo
udire il misfatto di Atreo, non si lascia scappar
Toccasione di regalar lore una bella descrizione
del luogo, ove il delitto fu consumato. Questa
descrizione 6 importante per noi in quanto Al-
bertino dovd aver la presente , facendo descri-
vere da Adeleita la rocca di Romano, ove av-
venne il monstruoso adulterio, quasi che ai due
flgli, che vi erano nati e stati cresciuti , il ca«
stello da Romano fosse una specie di sconosciuta
Atlantide. (1) Nel Tieste stesso Albertino troy6
(1) Seneca: « In area summa Pelopeae pars est domus
Conversa ad Austros, cuius extremum
latus
Aeciuale monti crescit • atque urbem
por I'appariEiODe di Satanacolori, cai seppe op-
portunamenta caricare 6 mettere in rilievo,
usando parole die cod la Joro risooanza e latoro
disposmone rcndooo assai beoe il rumors cnpo
e spaveotoso, che dovd accompagDarla.
Seoeca: « imo miigit o Tundo solum
ToDat dies aeronus; ac totis domus
Ut fracta tectis crepuit... (T. at. II 262-64).
Albertiao; « Et ecce ab imo terra magitnm dedtt,
Crepuisset ut centrum , et foret a-
pertum Chaos;
Altnmque versa resonnit coelam -vice
(At(o I).
Nd basta : cosa curiosa, Albertino trasso daSo-
noca aoche la doscrizione del dtavolo. Ecco, io-
fatli, Id quali tormioi at IV Atto delta Fedra, il
premit » (Ties a. IV 641-43)
c arz ID excelso sedet
Antiqua colle, longa RomaDum vocat
Aelas ; in altum porrigunt tectum trabes,
Pfemitque turrim conligua ad Austrum
domus
Ventorum, et omniscladisaeriaeoapax
(at. I scena 1)
danzio paria del mostro che, sorgendo dalle
onde, fece spaventare i cavalli d*Ippolito :
€ Caemlea taurus colla sublimis gerens,
Erexit altam fronte viridanti jubam.
Stant ispidae aares^ comibus varius color:
Et quern feri dominator habuisset gregis,
Et quern sub undis natus, hinc flammam vomit;
OctUi Mno relucent^ caerula insignis nota
Opima cervix arduos tollit tores :
Naresque hiiUcis haustibus patulae fremunt »
(Fedra At. IV da v. 1036 a v. 1043).
E neir EccerinU ecco il diavolo :
« Haud Tauro minor
ffirsuta adtmcis corntbus cervix riget,
Setis coronant hispidis ilium jubae,
Sanguinea biois orbitus manat lues ;
Ignemque nares flatiims crehrts vomunt.
Favilla patulis auribus surgens salit
Ab ore spirans. Os quoque eructat levem
Flammam, perennis lambit et barbam focus »
(At. I).
Descrizione, questa , mirabile e immaginazione
cod finita e completa nei minimi particolari, che
io n on so acconciarmi a non credere che Alber*
22
tiDo , Del (iarla , insieme cod Seoeca, dod dovd
avere dioaDzi qaalche bella pittura dei saoi
tempi.
Delia Btapeada Eavocazione di Ecceriao al
demonio-padre si possoDO troraro qua e 1& i pre-
cedODtt ID Seneca nolle freqneuti e scipite Idto-
cazioQi a uelle gonfle imprccazioni, cho gli eroi
rivolgODO ai namt (Tieste At. V verso 1070 —
Ero. Et. II. 256 - Ipp. III. 945 e altrove) ; ma
ia nesanDa di quelle di Soneca si trova la forza,
la rapidity, la beltezza delta iavocazione di Ez-
zelJDO. (I) Nell' Atto IV deir Eccerinis il Nanzio.
(1) Tieste— I.e. ^audite Inferi, audite Ter-
rae Tu suinnie coeli rector violentum into-
iia>; Atreo nell* Atto II cdiraFuriarumcohors —
Discorsque ErinDis veniat et quatiens*; all'Atto I-2S
« Uegaera: Certetur ommi scelero et alterna vice —
striDgantur eosea, ne sit irarum modus, pudorve —
mentes coecus instriget furor ecc. » — Si confroa-
tino questi luoghi con tutta la invocazione di Bcce-
lino e specie cod i versi :
« Adsint mioistrae facinorum comiles mihi
Suadeat Alecto scelera, Tisiphone esplicet,
Megera in actus saeva prorumpat truces,
Faveatque caeptis Diva Persepliooe meis,
logenia praedae quisque sollicitus paret
Neo laferorum spirttus quisquam vacQt
— 171 -
cho paragona Ezzelino al lupo sazio, cadato noi
lacci, ricorda tanti altri paragon! simili di^e«>
neca, sebbene ancho per quosto lato rimitazione
di Albertino, mantonendosi lontana dalla prolitf-
sit4, in cui Seneca stempera il piil piccolo pen-
siero, riesca per ci6 solo piu efflcace (vedi Ties.
At. IV- 707, 711, 733,736— Edipo At. V-919ecc.).
Seneca preferisce di solito i paragon! con il
libico leone, ma Albertino, con maggior conve-
nionza, sceglie il lupo, di cui fa quella bellissi-
ma descriziono.
< Facit, ut alvo lupus
Pleno repulsus, dentibus frendens» canes
Qui cum latrantes conspicit, multam ferox
Exorespumammittit,etorbes rotat > (At. IV)
L'atto ultimo, per le atrocity ivi ritratte, doveva
naturalmente togliere parecchio a prestito dalle
tragedie spettacolose di Seneca , il quale par
Animos ad iras, ad odia, at invidia citent.
Ensis cruenti detur officium mlhi.
Ipse executor finiam lites merus,
NuUis tremiscet sceleribus fidens manus »,
e si avrk un* altra ragione per ammirare il Mus-
sato che anchc nell* imitazione si sappia mantenerQ
ianto originale.
I
)ra qaal-
rticolare
'aDciallo,
sbattuto
ro, 6 ri-
]uasi con
10 dei fi-
farore.
illo pre-
ena duo
il poeta
la aaima
iDciallo d
)BCU«D1
IS pes ion e
la descrl-
— 173 —
capiU si sfracassa contro la parete , il sangae,
che ne sgorga, schizza in viso alia porera ma-
dre. Ne mono straziante e il contrasto fra 1* in-
Doceote ingenuo bambino che corre ad un sol-
dato, chiamandolo zio , e la crudelt& di oostai
che lo uccide e ne inflgge il capo su di un' asta.
Anche per quosto piccolo episodic Tidea doyette
essergli suggerita dall* Ercole Furens (at. IV -
1002), dove il figliaoletto di Ercole « blandas
mantes ad genua tendens, voce miseranda ro-
gat:^ il padre maniaco.
Niccold Villani da Pistoia, nel suo breve
commento air EcceriniSy nota come qaesta ,
contro Tuso ordinario della Tragedia greca, e
ad imitazione del solo Ercole Eteo, tormina con
il Goro, il quale si neiruno che neU'altro poeta
d scritto con lo stesso metro. A tale proposito
d da osservare che anche VOtiavia (1) tormina
col Core, sebbene esse vi faccia da personaggio
che opera, non da spettatoro che giudica; quan-
to poi air Eccerinis diciamo cho, se neir Er-
cole Eteo il Goro finale era piu o mono una
superfluity, qui invece era imposto necessaria-
mente dair indole del componimento, scritto dal
(1) Dal Mussato e forse anche dal Villani VOt-
tavia era tenuta per opera di Seneca.
-174 -
Massato. L' ultimo atto, iofatti, ood d costftaito
chQ da) la narraziooe, dialogata id apparenta.dal-
1' eocidio di S. Zewme, ma non vi d ombra di
azions Bceoica, nd di catastrofe, essendo i fatti
osposti in modo che il lettore o lo epettatore
non DO ha impreasioDd talo da poter andar via
dal teatro senza roler sapere altro e riserban-
dosi di trar da sd lo considoraziooi su quel che
ha voduto. Ognuno intende come sarobbe paraa
monca e fredda percib la chlusa detla tragedia,
sODza queir iatervento in corto modo dramma-
tico del Coro, cha riflatte su quanto si d detto
e visto e fa la morale; morale del resto oecos-
saria ad esser posta in evidenza, perchd il la-
Toro del Massato a' iDdirizzava a ua fine prati-
co, 8 Toleva essere ammonimento a an tempo
ai sQoi coQcittadjni e a Can Oratute.
Chi abbia avuto la pazieoza di seguirci per
tutto questo coDfrooto si d accorto che la tra-
gedia di Senoca, che piil spesso occorro citare
in questi raffronti, 6 it Tteste, e, dope di quo-
Bta, VErcote Furente. La ragioue di questa imi<
taztoae prevalente 6 in certo modo ovvia; eran
quelle le duo tragedie (la prima pitl special-
roonte), che per la truco ferocia degli argo-
mentj potevan porgere piii nuinerosi colori al
Mussato nalla dipintura dolle rerocie, commesse
da Ezzelino e poi dai nemlci di lui contro A,l-
b erico e la sua famiglia. II Mussato, pur aveii-
do fatto oggetto di lungo studio tutte le tr age-
die di Seneca, prima di mettersi a scriyere il
suo layoro, doyette leggere con maggiore atten*
zione quelle due, con il conyincimento e il de-
siderio di trovaryimotiyida^imitare. Data I'am-
mirazione^ che ai tempi del Mussato si pro-
fessaya per le ragioni dette senza disUoziono
agli scrittori latini e specie a quelli della pri-
ma decadenza, come Seneca, Oyidio , Lucano ,
Stazio ecc, Albertino doyeya per necessity a-
yer r ambizione d* imitare il tragico latino. La
epistola I.* yerso 130 6 troppo chiara a questo
riguardo, perchd si possa affermare il contra-
rio : dope ayer enumerate di nuoyo le tragedie
di Seneca, con rimpianto non simulate, dice che
la sua non ha nessun titolo per ossere annoye-
rata insieme con quelle, musula non tantis
aequiparanda vents.
n proposito del Mussato 6, dunque , assai
manifesto; e se la sua imitazione, come abbiam
yeduto, 6 limitata soltanto al linguaggio, a qual-
che descrizione, a qualche immagine, a qual-
che particolare, anche in qnesti limiti eglisce-
glie per lo piii ci& che yi 6 di meglio in Se-
neca e il peggio corregge e modiflca. Non tro-
yiamo in lui tutto r affastellio di erudizione mi-
tologica, tutto lo strascichio di metafore, tutta
[)ilnnnAn«A nninsa, chfl S in SaDSCa, od 1
protagoDlsta o del Deus
.aao, como a dire, il pro-
istaDziato di quello che si
L' ampoUositii predicato-
\ compilator di sermoni e
ire rianca qoasi iatera*
e aQ quQsto come altri
lOD accado gi& probabil-
ao li OTitasse di proposito,
ti, che anzi Diente forse
tcinto cbe garre^iare an-
1 poeta latino, ma perchd
<rz6 in certo modo la mano
tro TOglia , lontaao datle
accherecci di Seneca.
HOD air iotenzione del poe-
fatto riuscl la saa trage-
quanto abbiam gift avver-
cfod, riu3cl tutta estrin-
ro che ensa era una ne-
poeta, il quale, siocome
igaa della vita pratica, a-
irsi ii linguaggio sa qual-
per la Tragedia neiraoi-
in Seneca. AH' iofuori di
estrinseca, r Bccerinis 6
iragedie di Seneca , a ca-
-ITT
gione della natara deir argomentOy ohe per la
sua realtjt storica non si pa& afbtto paragonare
ai soggetti mitici, racchiadenti on alto concetto
fliosoflco, delle tragedie latine. E* state inoltre
osservato bene che 1* Eccertnis si scosta total -
mente nella condotta dalla tragedia di tipo das-
sico, in qnanto ia ossa non si yede nd anit& di
tempo, nd di luogo, n6 di azione. Non abbiamo ,
infatti/in essa an fatto anico» ma tutti i fatti>
e non del solo Ezzeliw , ma anche della fami-
glia di Ezzeliuo; dal memento della rivelazione
di Adeleita, che sogna I'entrata dei due fratelli
nel mondo politico, fine alia morte lore son se-
guite dal poeta le vicende di Eccerino ed Al-
berico, i due figli del demonic. L'unit& biogra-
flea che il D* Ancanaha, saputo vedereneltea-
tro sacro medievale in luogo deli*anit& d'azione
d qui allargata ancora di pid, nell' anit& /bmi-
gUare, vorrei dire , e cicUca. Data una cosl
grande molteplicit& di cose e di fatti, che si vo-
lean mettere insieme, era impossibile il rappre*
sentartt tutti, ma si rendeva necessario il nor-'
rarli; e di questa confusione dei limit! della
narrazione e della rappresentazione , penso
che nessun grave appunto si debba fare al Mas-
sato, se egli ne trovava cod larghi esempigi&
in Seneca, che pure, per la natara delle sae
favolO; non ne ayrebbe avuto gran bisogno. Oo-
i
— 118 —
manque, a scegliero dalla vita di EcceriDD un
fatto, UQ momeDto, tntoroo a cui come a noc-
ciolo intessere la tratna di una tragedia 3ul tipo
classico, AlbertiDO correra oecessariamento pe-
ricolo di alloDtanarai dalla storia, dal che non
solo per iDclole ripugaava, ma ancho dOTeva es-
ser diasuaso pel fatto cho, ossendo la storia della
vigilia qaella da lui scelta ad argomento , era
pi{) 0 mono a conoscenza di tutti. Gosi facdudo
del resto, sarebbo voriuto a mancare lo acopo
prdstabilitosi oello ecriTore la tragodia , giac-
chd uo serio ammonimento ai Padovani noa po-
tevasi dare se non niettendo loro sott' occhi
tntta la storia e la mala signoria di Ezzelino
oelle cause che la produssero e nello conso-
gueazo, di cui fu gravida. Ud incoraggiamooto
a porlare una coal ardita inno'vazione in ana
forma istteraria classica , di cui si ToniTano a
rinoegare tatte lo tradiziom, dovette ricevere
AlbertiDO dalle sacre rapprcseotazioDi, che per
opera ddlle compagnie di Fiaggellanti , sorte
precocemente in Padova, vi avevan luogoeat-
tiravaoo il popolo in folia; eforse fu questo un
altro sacriflcio del patriotta, fatto ai saoi gusti
di lettfirato, pur di rondere accetto al popolo
il suo laroro e ottenere cosl il suo iotento.
Perci6 fu bon dotto che il Mussato, con le
soe inooTtizioni, preannaozia il teatro moderoo,
— 17» —
libero quasi affatio da! vincoli , che tengono
stretto il teatro classico, mentre per la cara
della forma , per la bellezza artistica mostr6
con resempio che bisognava studiare quell* an-
tichitjt, per lo innanzi tanto disprezzata. Se il
rioascimento delle lettere classiche ebbe in fondo
r effetto di ingrossare il seoco 70lume delle ae-
quo della civilt& medievale con quelle piu pure
e pxix fresche della civilt& classica, ben pu6 met-
tersi Albertino tra i maggiori precursori del-
r Umanesimo.
A non considerare se non la sua opera di
drammaturgo, egli ben ottenne questo con la
tragodia; piu felice in ci6, almeno neirinten-
zione del Poliziano, che un secolo e mezzo dope
di lui air argomento antico intrecci6 la forma
nuova, mentre egli ad un argomento della vita
contemporanea diede porfezione di forma antica.
E questo era ancho in fondo il concetto di Dante,
che la materia della Divina Commedia vestiva
del beUo stiles tratto da Virgilio.
La conciliaziono del moderno con 1* antico,
tentata da Albertino, si rivela, poi, anche nolle
quality della lingua da lui usata. Non d la lin*
gua ciceroniana, aurea, perchd essa V avrebbo
fatto intondere difficilmonte al sue tempo, e ob-
bligato a circolocuzioni ed a sotterfugi, per e-
sprimere idee e bisogni, che la lingua di Oice-
— lffl> —
rone noo poteva esprimere; ma tattavia , cor-
retta grammatical men te e siotatticamente, corre
spedita e franca dal punto di vista lessicale, in
qnanto con parsimonia si, ma anche con disin-
voltara, usa parole, cho invano si cerchereb-
bero nel vocabolario latino deir alta e della
bassa latinit& (1). — Ma inquella sua liere im-
purita, come la lingua si piega bene ad espri-
mere qualanque cosa voglia il poeta, la feroce
superbia di Ezzelino, non meno della piet& per
le sue vittime, o dello sdegno del cittadinoper
lo scempio della patria; sicchd disadorna e nuda
per lo piuy oscura talvolta nella studiata, ner-
vosa concisione (2), non d mai inefflcace o priva
di forza.
Per tutti questi pregi la tragedia di Alber-
tino Mussato vuol tenersi fra le Opere piu im-
portant!, venate fuori in quel secolo meravi-
glioso per la storia artistica del nostro paese »
qual* i il trecento, per tutti questi pregi e per-
chd meglio di tutte le altre opere del Mussato
rispecchia 1* anima grande deir autore. Alberti-
no, infatti, chiaro precursore del Rinascimento,
(1) Le parole: Sonus per sonitum, [bullire per
/ervere, e cosl effulminare, spatulae, tumba ecc.
(2) Speciatur queritur judicii parum.
— 181 -
mentre S una di quelle figure geoialmente mnl«
tiformi, di cui fu cosl ricco il nostro Rinasci-
mento, come letterato e contemporaneo dei no-
stri grandi trecentist! 6 degnissimo distar loro
accanto. Imperocchd a Dante lo ravvicinano »
seoza dubbio, la tempra di acciaio , i principii
politici, I'amor di patria, e coi poeta di Laura
ha comune V amore intense per la letteratura
classica, la conoscenza di essa e la molteplice
variety della produzione letteraria, oosi che, se
del Petrarca si pole dire che scrisse una euci-
clopedia in latino, non mono si pu& aSermare
del Mussato, ove si tenga conto non solo delle
numerose opere di lui, a noi pervenute » ma
anche di quelle che andarono disperse.
'% >v ■ v»^EZ7'^"
r
^
INDICE
Capitolo I. « Se il Mussato attinse ad una
leggenda d* Bzzolino » pag. 5
Capitolo n. « L'Eccerinis e la storia di Pa-
dova » pag. 40
Capitolo III. « Esame estetico dell' Ecce-
rinis » pag. 82
Capitolo IV. « L' i mitazione da Seneca » pag. 121
«v-
MAHIO MANDALAEI
SAG6I CRITICI
CITTJ
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Si ftfraano per coutn&ttl
il gU ssemplari >eai& !■ mla fl]
fbofbistA lettebabia.
AV cos\aTv\e \Ta\eTi\a ai:u\c'\2.Va con at^lmo
^Ta\o 'in -^ma xve\ mejc i\ a^n\c l^OS.
MATELDA
Di Matelda finora i Commentatori lianno pre-
sentato ben sette figure storiohe:
1* La Contessa Matelda di Canoasa, figliuola
d'una figliaola dell' imperatore di Costantinopoli,
che ebbe in Italia molto paeee, che arricchi la ohie-
sa romaua gaanto piii pot^, e che fu, secondo 11
Landino " proba, savia a yirtuosa „ donna ;
2' Matilde, madre di Ottone il Grande, moglie
di Arrigo I I'lJocellatore, morta nell'anno 968;
3* Santa Matilde di Haekenhom, monaca bene-
deUina del convento di Helpede, presso Eisleben,
morta vereo il 1310;
4* Smora Matelda di Magdeburg, in nno ecritto
della quale, del 1360, al Preger parve di vedere al-
cani curiosi ed importanti riscontri co' versi di
Dante;
5* La Donna gentile della " Vita naova „ e del
" Oonvivio „ ;
6' QnellMmtca di Beatrice, intorno alia quale il
diviuo Foeta sorlsse : " Fiaugete amanti, poicbS
piange Amore „ , e " Morte villana di piet& no-
mica „ ; finalmente :
7* Madonna Oiovanna di Qaido Cavalcanti, arni-
ca e oompagua di Beatrice.
Di totte queste Matelde si -puit (e coea non sauao
e noil posGono dimostrare i CriticiP) si pn6 provare
nou solo la esistenza storica, o, come ora si direbbe,
la verity estetica ; ma, guello che h piu, si pn6 an-
ohe prorare, o eosteuere, I'aatenticitA della inspira-
zione e del ricordo.
Si poBBono, seoonilo noi pensiamo, tutte le Ma-
telde storiohe escludere dalla Commedia, e tatte pos-
eono essere ugualmente aooettate e soetenate. Que-
eto 6 del resto di tntte le graadi oreazioni ed inspi-
razioni d'arte, le quali, appunto perohe grand! crea-
zioni ed inspirazioni d'arte, non hanno limiti, nh
confini, ma empiono di loro tutta la scena e d&nno
gran parte di lore a tntto I'orizzonte, veduto e mo-
stato dallo sorittore.
Si parla di Matelda, grida forte uu Critico, nou
si fa altra indicazione, ed h lectio poi pensare ad
un personaggio, che non eia I'intima e grande
arnica di G-regorio YII? E il dotto Scartazzini ri-
sponde che la Gran Gontessa di Toscana moii vec-
chia, di 68 anni ; e che, inveoe la Matelda e rap-
presentata " giovane gracile, moUe, tenera, il citi
sembiante mostra ch'EUa si scalda a' raggi d'amo-
re„.
Grede coai lo Scartazzinl di aver chiuBo la boo-
ca agli avversari con queato argomento e non ri-
corda panto qoanto al proposito scrisse san Tom-
maso ohe " omnes resurgent in aetate juvenilis ; ' e cht
Lia, apparsa in sogQO, sebbene sia morta gU veo
chia, si mostra al Poeta " giovane e bella „, olie co
gilie fiori come una donna delle nostre campagno
inQamorata cotta, come ora si direbbe. '
S oosi, ciasouno per il sao personaggio, ogni com-
mentatore dice, pid o meno, la stessa cosa, fino al
Borgognoni, che in aria di grande contentezza ee
gne il penstero dsl GSachel ed addita in un snt
scritto BQ queato argomento la Donna g&iUle, pni
ammettendo che costei potesse non chiamarsi oomc
Dante la ohiatu6, Matelda ; auzi pure offermaDdc
che le Matelde fiorentine, a' tempi di Dante fosserc
poche, ben poche (le note furono solamente due} ; uu
ch© tatto cotesto pu6 essere awenoto: 1° o perch^
il uome, po&sibilmente traditore, non potesBe essere
messo in verai ; 2° owero, perche il vero name «>■
nando metier potesae produrre un effetto sgradevole i
quasi ridieolo,
Ed ecoo, per sentenza di nn oritico italiano, i
pifi grande dei Poeti e degli artisti, oolai che noi
ha avuto ritegno di fare dei versi come quelli ohe in'
dioano il suono del ghiaccio e del vetro guando si
spezza (criceh; Inf.^ 32, 33) j oolni che non ebbe sog-
gezione alcuna di gridare forte contro alonni suoi
> Sam. Ih., p. m, ^n. XLVI, art 9 ; «&*d., SuppL qn. T.YTtTr
«rt. 1.
■ Lo SokrtaBzini, devo pure qui agginogere, dopo aver letto
<|neato mio lavoro, ha diobiarftto nelld Enndopedia danKtea,
sab MaUlda, pog. 1217, di rinuHMr femto nalla *va opintene. Nt
■one proprio doleate; ma onohe io, dopo aver letto qnanto egl:
soriBBS in propoaito nella Enciehpedia iuddetta, aono rinuMtc
fermo nella mia opinions.
— 6 —
illastri contemporanei, morti e viventi al tempo suo,
oostui, proprio oostui, esser divenuto iino scolaret-
to, uno scrittore nuovo, che ha paura di dire quello
che sente e d'indicare una donna di gloriosa me-
moria (gloriosa per un modo di dire) col suo vero
nome !
Ben altro ci pare debba essere il metodo, che bi-
sogna seguire nella ricerca del significato di questa
splendida figora simbolica, una delle pifi belle e ca-
ratteristiche figure femminili della Divina Com-
media.
E, dioiamo subito, pare a noi, anzitutto, che
in questa grande creazione non abbia alcuna parte
(n6 grande n6 piccola) la storia; ne la storia ci-
vile di Firenze e d' Italia, nk la storia intima e do-
mestica del divino Poeta. Non sono sempre ne-
cessari i fonti stofici nelle creazioni grandi dell'arte*
Diciamo, anzi, di piu, che certe volte a' poeti il
ricordo storico, il desiderio di non guastare od al-
terare la storia tolse pregio al verso e merito alia
inspirazione. E che sia cosi, basta guardare tutti
i poemi epici in generale, e quelli di Torquato
Tasso e del Trissino in particolare ! Crediamo, in
conseguenza, che siffatta grande creazione dantesca
possa avere, abbia anzi, le sue origini e la sua
spiegazione nel nome, nel solo nome, Matelda^ di
indole e di carattere teutonico, il qual nome a Dante
parve {ae gli etimologi dicon vero^ come pure afierma
il Borgognoni) %ignificare ^ figlia animosa „ , la quale
spiegazione in ogni parte risponde al vero carat-
tere della Donna che precede I'apparizione di Bea-
trice nel Paradiso terrestre.
k
E forse questo metodo, retimologico, potrebbe
servire anche per inteudere la figara di Beatrice.
Ma noQ andiamo oltre ; fermiamoci alia spiegaziond
di Matelda, rifaceudo da oapo la presentazione che
Dd fa Dante negli nltimi canti del Purgatorto.
Prima ancora che la notte avesae in ogni loco
dispiegato il Dero eno velo, i tre viaggiatori (Vit-
gilio, Stazio e Dante), stanohi dell'erto oammino,
fecero letto d'un gradino dell'tiltima scala, donde
piccola plaga di oielo potea vedersi; ma in qaella
plaga di cielo Dante vide lo splendor delle stelle,
ancora piii ohiaro e maggiore del loro solito. Rumi'
nando come ana oapra, cio6, pensando meglio alle coee
vednte, Dante fu sorpreso dal sonno; uno di qnei
Bonni d'animo irrequieto, d'an nomo di spirito su-
periore, che crede sinceramente d'essere gib, desti-
nato ad intendere ed a spiegare tntte le verity d'or-
dine civile e religioso, aache per aiato sopranna-
tnrale. Fu Borpreso adunque da qnel sonno ohe
" sovente. Ami che H fatto sia, sa le noeelle^.
Sono note a questo proposito, le opinioni degli
antichi Scrittori intorno ai sogni fatti presso I'aaro-
ra. " . , . . glib Auroram iam dormitante Lucina, Tem-
pera quo cemi aomnia vera golent „.' Anche il Boc-
caccio ha oreduto che delle oose vednte nel sonno
' molte esseme awenute si trtiOva„.* E lo stesso
divino Poeta altrove dice ohe " presto al matUn del
' 0»m., Saroid, Ep. XIX, 196.
• D«., rv, 6.
4 i't
I!!
ii
il
— 8 —
ver si sogna ^ ' e spiega cosi questo fenomeno della
Psiohe ; ^ La mente nostra pellegrina PiU della came
e men da' pensier presa^ aUe sue vision quasi i di-
tnna ^^ ^ II sogno afferma il Passavanti^ che si so^
gna daUa nona ora delta notte infino al prindpio
deW aurora, dicono che si dee compiere infra una an^
no, 0 sei mesi o tre, o infra il termine di died di.
E questi sogni, che si fanno intomo alValba del cH,
secondo ch'e* dicono sono i piu veri sogni che si fac-
ciano, e che meglio si possano interpretare le loro si-
gnifieazioni ^ . ^
E notevole assai an altro sogno che il Poeta eb-
be nel Purgatorio nell'ultim'ora della notte : " Net-
Vora che non Pud calor diumo Iniepidar piu il fredr
do deUa luna ^ ; nel qual sogno egli vide la ^ Femr
mina haJba^ Con gli occhi guerci e sovra i pih distort
ta, Con le man monche e di colore scicUba „ ; imma-
gine vera e compiata de' peccati di avarizia, gola
e lussuria, che si espiano ne' tre ultimi cerchi del
Pargatorio. E vide poi nello stesso sogno '^ la
donna santa e presta „ , che frndendo i drappi a qnel-
la bruttissima femmina, le apre il ventre e desta
il Poeta ool puzzo che nsciva da esso : * descrizio-
ne anohe vera, viva e compiata dell'affermazione
della coscienza e del carattere di colai, che 6 stato
lasingato ed ingannato dal vizio.
Non bisogna danqae dimenticare, per intendere
bene il signifioato della Matelda, il significato che
« Inf., XXVI, 7.
* Purg., IX, 16.
* SpecMo di v, p., pag. 407, Firenze, 1843.
* Pvsrg,, XIX, 1.
hauno i aogni uon eolo nelle opioioni degli anttoh
Sorittori ; ma anche in tatta la Commedia, che 6 il pii
importonte sogno, immagiDato da mente di poeta
descritto in tutti i suoi particolari appanto pe
dare alia narrazione colore vivo ed alto dL santit
e di paradiBO. In essa le passioni, gU odi, le paure
i rispetti amani, le afTermazioui del mondo non dc
vevano avere alcuna importanza. Doveva quell
narrazione parere voce veuata dal Cielo per sal
yezza di tutti ; ed il Poeta, spoglio de' suoi vizi, i
mondo di tutte le 9ae passioni, doveva eforzarsi d
parere a tutti un Apoatolo, simile a quel Vas d'ele
zione, rapito al Bebtimo Cielo per 1' inoremento de!
Cristianesimo !
Kon i la Divina Commedia poesia sociale, o na
zionale, o, come a molti parve, poesia individnal«
voce d'aomo gridante nel deserto ; ma h la pift alti
e 3oave poesia, destinata dallo stesso suo Autore, i
&re an qnesta terra felici tutti gli uomini, di tutte I
oondizioni sooiali, dal piu dotto al pii!i ignorante ; da
pifi nobile al pifi plebeo; dal piii forte al pifi de
bole. La Divina Commedia 6 la piu nobile ed alt
poesia, che abbia finora inapirata il Cristianesimc
che ebbe sempre caratteri e forme geuerali ed uni
versali in ogni sua manifestazione e rivelazione!
In qnesto sogno Dante vide nna Donna gio
vane e bella ooglier fiori. II luogo era una landa
cio6 un prato ; e I'ora era presso al mattino, quandi
Venere vibra i primi auoi raggi sulla grande mon
tagna: ciroostanza che non laacia dubbio alcnm
Bulla veritji del aoguo ; perch^, giusto in quell' ora
i aogni dicon vero, e fanno vedere ci6 che po
— 10 —
veramente acoade, ginsta ropinione prevalente nel
seoolo XIV.
La donna, cosl andando, oantava, e si riyelaTa
per Lia, figUaola di Labauo, prima mogUe cli Qia*
cobbe, la qnate, pe' Padri della Chiesa, e Btmbolo
della vita attiva, cioe militante, operosa; a di£Fe-
renza di qaella contemplativa, ohe 6 rappresenta-
ta nelle Baore Carte da Bachele. ' Inutile aocen-
nare alle parole di s&n Gregoho: " Quid per Liam
niti activa vita signatur „.' Ed iniitile anohe di-
mostrare con le parole stesse del Poeta il signifi-
cato di qnesta Lia, veduta in segno. " lo mi ador>
no, ella dice, con le mani, oio6 uon le opere, per
piacere a me steBsa, qnando sar6 innanzi a Dio.
Mia sorella Bachele ha sempre dinanzi a se Iddio ;
Itachele non ha biBoguo di far tutto questo: mai
non si amaga Dal auo miragUo. E la presenza di
Dio la consola tanto, che non ha bisogno delle bno-
ne opere, delle quali lo ho biBOgno, per intendere
le eterne bellezze, Sono gli occhi (il pensiero fisso
in Dio) i eolt organi dei suoi godimenti, mentre io
devo afiaticarmi, con le opere {con le manx) per awi-
cinarmi a lui „. fc I'antioo teorema criBtiano :" Memo-
rare noBtssima tua et in aetemum non peccabis „ .
Ma gli splendori antelueani, che sempre prece-
dono I'Aurora, maudano via quella dolce viEione,
quel dolce canto, qaella dolce e semplice rivelazio-
ne simbolica ; fuggono le tenebre da tatti i lati ed
* In tal raodd le int«M Miohelangslo, ohe le scolpl eon eo-
oellenti pauneggi, sal iepaloia di Oiolia II, preuo aX UoBfr,
in San Pietro in Vinoali, oain'6 Btato dimoBtnto da recenti do-
* aoT., lib. Till, (»p. 2
il poeta si desta e si leva. Yede i due gran mae
etri (Stazio e Virgilio) gii levati. Virgilio Bubit
gli snsnrra quel versi immortali :
Qael dotee pome, ohe per tanti rami
Cercando ta la cnra dd mortal!,
Oggi porr& in pace le tne fami,
Questo & dauque il gran giorno; oggi stess
Snalmente ta earai pago, interamente pago.
II dolce porno desiderate, in tanti modi, da tuf
ti gli aomiui; quel dolce porno, cui tutti tendoac
che tutti Boddiefa, che a tatti da pace, oggi stess
tu vedrai ed avrai. Finalmente, n'era tempo. S«
passato in mezzo a tanti dolori ed hai avnto tant
affanni. Finalmente. La oontrizione (I'Xnferno^
la pnrificazione (il Purgatorio), ti d&nno orama
diritto alia consolazione, cio^ a Beatrice, al Para
diso terrestre; alia pnra e vera conoscenza del Ben
Bupremo, al soggiomo beato e tranqnillo del prim'
Parente.
£ qai mi pare opportune aggiungere che i
" dolce porno „ non ha, secondo io penso, n& pa<
avere altro signifioato: il dolce porno, ohe il Poeb
vedr& ndllo atesso gtomo, nel quale ebhe il sognc
non pa6 indioare che Beatrice ; cioh la pura e ver
conoscenza del Bene supremo. Non b Dio ; ma <
la conoscenza di Dio, che Virgilio promette a Dant
all'ingresso del Parsdiso terrestre. L'entusiaBmo d
Dante 6 grande ; mai dono fu accolto con tanta gioia
Ebbe allora tale desiderio d'esser su, alia montagns
che ad ogni passo egli seutia creacer le penne a
volo. Sono essi dunque all'ingresso del terrestn
— 12 —
Paradiso. E Virgilio (simbolo dell'autoritA imperia-
le) gU dice le nltime parole con grande solennitA
e con vera mae&t& tunana.
" II mio uiizio, la indicazione della felicitk tem-
porale degli aomini, 6 qaesto, di oondnrvi qui, al
Paradiso terrestre. Ora io non ho piu aLcnna aato-
ntk : io piU non discemo. Le coBe, ohe tu ora ve*
drai, BOno BQperiori alia ragione e k' intendouo, in
conseguecza, solo con la rivelazione. II sole, cbe
prima ti rilaceva di lato, or ti brilla sulla fronte;
ti riempie tatto di sua luce e ti da I'aureola delie
anirae pure e santificate. Se' in luogo bello; la ter-
ra, non vedi, produce da sA quell'erbetta, que' fiori,
quegli arboscelH. Ora dnnqne che so' purificato,
puoi fare secondo i dettami del tno piacere : Io tuo
piacere omai prendiper duee. Ora paoi eedere (at-
tendere -alia mta contemplaUva) \ andar tra' fiori,
gli arboBcelli, e le erbette per fare con le tae maul
una ghirlanda (attendere alia vita cUtiva) finch^
non verranno gli occhi belli, cio^ il dolce poToo, la
conoGcenza di Bio, Beatrice „.
II sogno oosl cotntncia ad avrerarsi con la sem-
plice descrlzione del Inogo "landa, e oon la indi-
cazione degli occhi belli: mancano solo i protago-
uisti : Lia, veduta in sogno tra' fiori {Malelda) ; e
Eachele, indicata con gli occhi fissi nel Bene sa-
premo (Beatrice).
Ma i protagoniBti non si fanno molto aspetta*
re. Con mirabile succeseione essi vengono dinansi
al Poeta, in tntta la magnifica figura della loro
realty, appena egli 6 dentro la selva antica, presso
le aoque di Letd, le quali devouo in Ini cancel-
— 13 —
lare la memoria del peccati. Le acqae limpide
correnti verso sinistra, sono interamente coperte
dagli alberi, tra le cui fitte foglie non entrano nem-
meno i raggi del sole. Desideroso di prooedere ol-
tre e non potendo per il fiume Lete, che bisogna-
va vinoere, il Foeta si ferma sulla riva sinistra,
goardando ansiosamente verso I'altra parte del
fiume. E sull'altra riva di Lete vede Matelda. Co*
me la Lia del sogno, Ella canta e coglie fieri. E
r ideality tra le due figure 6 cosi evidente e cosi
naturale, che il Foeta non crede subito necessaria
la rivelazione del nome.
L'una vale I'altra. La rivelazione di Lia spiega
quest'altra figura: il sogno si compie e d& a obi
bene intende tutte le spiegazioni. Lia move ^le
belle mani a farsi una glurlanda„, e Matelda so-
letta ^ gia. . . . sciegliendo fior da fiore ,, , de' quali
era pieno e dipinto tutto quel gran letto di fiume.
Sono dunque la stessa persona queste due don-
ne? Evidentemente no, perche i nomi sono difie-
renti. Ma banno entrambe lo stesso significato ed
hanno, quello cbe 6 piu notevole, la stessa impor-
tanza nella grande allegoria di tutta la Commedia^
Ed, 6 strano, per non dire altro, il ragionamento
cbe fanno in proposito alcuni Commentatori, i quali,
appunto percb^ Lia, veduta nel sognOj ba un signi-
ficato proprio, la vita attiva, vogliono che Matelda,
veduta realmente nella selva, ne abbia un altro.
" Se in Lia 6 gii raflGlgurata la vita attiva (dice
il P<yrUrelli) sarebbe difettoso il raffigurarla di nuo-
vo in Matelda „ . E cosi tutto il profondo significato
del sogno, per opera istessa della maggior parte dei
I
aa
mtatori e distratto. Se Dante uou avease in
) iPurg., XXSni, H7) domandato a Beatrice
e istmifco iutomo all'acqna " che si spiega
principio„ e genera di Ik dalla aelva doe
noi foree non aTremmo mai eapnto il nome
Bella donna, e I'ayremmo fienza dubbio cbia-
Lia, che da ah si k> rivelata al Poeta.
Beatrice che da il battesimo ed il nome a
la,
Prega.
Matelda che il ti dica.
a bella donna, che i> presente a qnella ingiun-
risponde subito " ch'ella ha ben fatto quello
!ei s'apparteneva „ (Bnti); e che in conBe-
t, il Buo silenzio, su qaeH'argoinento non le
sere imputato a oolpa.
ill apiegazioni aVsva dato Matelda a Dante
.radiso terrestre?
a pare che queste spiogazioni sieno pid di
li aveva parlato del vento e delle condi-
Ul Paradiso terrestre e dato poi, senza es-
richiesta, per grazia, la pivi sablime spegazio-
imo alle funzioni de' poeti, ohe si sono epesso
kti Bulle tradizioni, alterate, ma non cancel-
1 tempo : spiegazioni bene importanti, ohe ri-
I'ufizio di lei, la ena indole, la saa natura,
;ano in gran parte anche molte allegorie di
Jggiorno beato;
— 15 —
Ed ecco le buone opere nn'altra volta dinanzi
al Foeta, ohe nelle acqne dt EunoS, per opera di
Matelda, deve ricordatBi del bene e di ogni buona
opera.
Inutile dnnqae andar ceroando an Benso stori-
co, od esumare donne storiche nella figura di Ma-
telda. So anohe oi fosse nella etoria ana donna,
identica in tutto e per tutto a qtiesta belliBsima
creazione artistica ; Ba anche si potesse provare, con
docnmenti storici irrefragabili, cbe la Bella donna del
terreatre Faradiso fosse stata davvero un personaggio
di camd e d'ossa, amato od anche conosoiato fugge-
volmeate dal divino Poeta -, se anche tutto questo
si potesse provare e dimostrare ; noi diremmo sem-
pre che questa creazione artistica & indipendente ;
© che il divino Foeta, dando quel nome, non ha
Toluto fare altro che rivelare col suono istesso della
parola, 1' indole, la natura ed il signifioato del per-
sonaggio da lui presentato.
E questo personaggio, non vissuto mai altro
che nella mente del Foeta, ebbe appunto quel no-
me, perch^ il Foeta cosi voile; e cosi voile il
Poeta, appunto peroh6 colei, che doveva nella real-
ta rappresentare Lia, doveva chiamarsi Matelda,
che vale " flglia animosa „ , operante la virtu, aman-
te delle bnone opere, vigile, attiva, soUeoita del
bene altroi, soccorrente in ogni cosa, in ogni oc-
casione, e piena di quella carita cristiana, che e
tra' doni piii singolari delle anime gentili e degne.
Non e del resto questo metodo etimologico delle
parole sconoscinto, o disprezzato dal Poeta. Basti
citare Lucia, ohe h simbolo, senza dubbio, come in-
— 16 —
dioa lo stesBO Qome, della Grazia iUuminante (Inf.,
II, 97) ; baeti ancora ricordare quell'Uomo veramente
felice, che fu padre di Ban Domeuioo, e Gioeanna
madre dello BteBso Santo, che in lingua ebraica
Taol dire donna grata a Dio,
Se interpretata val come ei dice.
LB SATIRE DI QUINTO SETTANO
OSESEBVIZIONI CRITICBE
Bi Lodovico Sergardi, patrizio eenese,
sono ben note Is satire oontro il Qravina,
in nu recente studio molte notizie e si fl
ligenzs I'esame di non poohe lettere e ;
parte inedite. Nato nel 1660, scrive la j
tera da Boma nel 1685. La prima satira
Gravina pare dimoetrato sia stata scri
I'anno 1691, Eebbene, aggiunge il Battigi
saggio dalla naturale tendenza alia poesi
abbia dato il Sergardi sin dal 1685, o 16S
Epiiftola indirizzata al Frosperi. Bisogna i
tiauto ohe il Gravina giunse in Boma, com
il Passeri, nel 1688, e che h molto probi
tra il Sergardi e il Q-ravina sia corsa in
grande amicizia e familiarita. In qnesto si
> Dott, BiiKOHiH) BA.TTiaHi.Hi, Stodto ta (iuinlo 3
Oirgentf, MontsB, 1894, pag. 188. {Stai^alo net mti
1894).
21 —
tano dice chiarameiite : ^ . . . . hodie religio pene
aliud non sit quam ars secure regnandi populosque
ivMginaria farmidine coercendij^, E vi sono passi
di alfere lettere, e certi versi di poesie inpdite, da*
quali Settano apparisce senza nessuna ideality reli*
giosa e civile. II recente biografo, mettendo sotto
gli occhi de' suoi lettori buon numero di cotesti
dooumenti psicologioi, vinto appunto dalla diligen-
za grande, che egli usa nella disamina di essi, e
dimenticaudo la viva simpatia, che egli sente verso
il patrizio senese, non credo dia buoni argomenti
in favore dell^apologia che egli s'e proposto di fare.
II Battignani arriva sino ad affermare che il Sergardi
tra tutte le filosofie preferisce qnella degli epieurei,
came piu umana^ e se ne fa strenuo difensore anche
in pubblico. ^ Ma io credo umilmente che appunto
cotesta filosofia non possa fare spiccare il volo a'
versi d'un poeta Batirico. Manca ad essi la base,
che & la fede, la quale ^ sempre necessaria a co-
loro che intendono, con la poesia, cooperare alia
redenzione degli uomini e del mondo !
Perche la poesia- satirica possa dirsi noteVole
lavoro d'arte occorre, anzitutto, che lo scrittore sia
giusto e sincere riprensore del vizio; Qhe creda,
* In nna ** Dissertazione in difesa della dottrina di Epi-
ouro n senza data, pnbblioata a pag. 109, vol. IV, della edizione
di Lucoa. H Sergardi crede ribellione alle leggi natorali la
setta superba degli stoici, che ha oercata di aretdicare dalPuo-
vio ogni sorta di pM»%one,.,. Alio ineontro la ietta epieurea, ehe
naeque fra la omene ver(2ttre dtgli orti atenieaif eht Uim6 per
sommo bene U piacere, cortese nil tratto, affabile nelle aduncmMft
nella opinione del yolgo e nelle penne dei eacri Sorittori ft
atata a torto oondannata !
r
'■i
i il vero, si trova spesso il fondamento oooaeionale
della materia poetica, rivelatrioe di uq fatto, ohe
Teramente eBiste, e ohe h nella oosctenza di tutti.
Quando tatti sentoQO indistintamente ohe un nuo-
Yo ordine di coee 6 chiamato fatalmente a mo-
etrarei al sole, ed a venir bu rigoglioso e forte, U
Poeta satirioo non pu6 tardare a venire. Si pad
dire che eBso gi& eia nato. La satira, in .qnesto
oaso, & una necsssib^ storioa e forma oome on do-
cumento storioo. Petronio Arbitro h presso a dar
termine al buo capolavoro. Disontete qnanto to>
lete Bulla persona di costui, sn' suoi gnsti e solle
sae passioni. Ma Trimaloione, e gli altri personag-
gi, Bono una verity storica e oostitnisoono appnnto
il fondamento pii!i sicnro della critica. Fa6 auche
eBsere, oome credo sia stato affermato e provato, ohe,
in quel BUO personaggio, Petronio non abbia 7oluto,
o potuto, rappresentar Nerone. Ma tutto qneBto ha
poca, 0 nesBuna importanza. Certo que' fatti, qnella
oena, qne' gaeti, que' desid^ri erano della deoa-
dente society romana, che aspettava iBtintivamente
il nnovo ordine di cose, giii oantato e vatioinato
anohe da Yergilio.
Kon credo ohe da queste oonsiderazioni d' in-
dole generale sia stato mosso, od inspirato, il dott.
Battignaoi nel raccogliere e pnbblioare le notizie
— in grandiasima parte pregiate e preziose — in<
tomo alle satire di Quinto Settano, ed all'apo*
logia, ohe egli intendeva fare di lui. Ho oredato
in oonseguenza di Bottoporre le mie 08serva2doni
snllo stesBo argomento, lasciando al lettore di gin-
dicame serenamente.
G va anche pifi oltre, nel ragionamento suo, t
Monsignore epioureo e Benese, per giunta. La o
yilt& nostra, stupida e moderna, ha contraEsegiia^
le dame, e notato ,1a difTerenza tra eeee e quel
donne, che hanno abitudiui, guBti, desideri, sodd
sfazioni, moraU e materiali, ben diversi. Bisogi
sapere ohe uel secolo d'oro, o delle ghiande, tat
qaeste inoomode distinziont non v'erano:
Ma poi che ritrovA I'oro e I'argento
La ciecft ingorda ambizione nmana,
Che di famo ui nutre e pasce il rente,
Venue il Signore o I'Ecoallenza vana,
S'iaTeDt6 la canozza ed il cuscino
II titolo di Dama e di....
G le coQsegaenze che tira, sono degae di 1^
e della eaa uefanda satira: le leggi dell'onore pe
sonale e della integrity morale e materiale del
persona sodo uu' inveuzione ; Baggia I'antica gent
oh© non si cnrava de' tradimenti e delle colpe C'
niugali. L'amore libsro 6 naturale e uecessario ;
Oggi tatto si fft per qQell'impoi'a
Bmtta sentina e dell'ODOr cuatodi
Ifetton eino il lacclietto alia
Claudio Aagusto non perde alcuna parte del at
impero,
Se in mezzo alia Soborra Mesaallna
L'appetito Bfog6 delle sae voglie.
Moltissimi poi sono nell'anticihita i Be ed i Pri
oipi,
Che so' moTbidi lor ricchi origlieri
Non gP imports ohe le consorti loro
— 27 -
DalU mente e dal ouore di siJ
cnreo venne dunque fuori la sati
vina.
Del resto in an momento di
dello spirito, lo 9tesso Settauo co
dissima disinvoltnra 1' altissimo o
ha di 8^ stesso, e la stima che
opera poetiche ; chfe le sue satire
flno all' inferno, e dell' anima di
place lo stesBo demonio Caronte :
.... Dovenmt tartara et ipsae
ElTsiae valles reeontuit tan caxn
TraQBTexi maioram ammam, pin
Infenias post qnam vanit Luoilii
E della sua vita scorretta, nc
retta, mancante di decoroaa gravit
non dubbie uelle stesse satire, sc
vendicare 1' oltraggiata morality :
At mihi si Saperi vellent mdalgen
Non h&ec obveniat aeptem. signal
Doctrina, at tot idem sacceneis <
Cor docile imprimiB, et corporis
Hens bona coutingat, nulliqae o
Dent qnoqne ab invidia tntum, et
Fortnna r
' qfr. Sat. XV, 36. Qaeato atto di sn
piinto dalla eaigenza eitetica del lavoro,
alio ateuo Oiannelli, che annota : ' Ergi
PtTiiat Seetcmo minorttt Penat litUraloi i
dam etto. MM qaidept videlur, minime i-
tadem vixitiet aeiatt qua lalina lingua fio
erat scribendi liberta*, (unt maiora in max
moiwtra debtKcKobatur «.
— 31 —
..< •
nelle poesie italiane, solo perche queste poesie sono
state scritte per poohi ed intimi amici ! ^
Accenno fuggevolmente al oarme diretto a ce-
lebrare le glorie di san Filippo Neri, patrono di
Boma. Questo Santo 6 un eroe, giacch^ seppe re-
sistere alle blandizie d'una meretrice. Amore ne
e indignato. Tutti gli uomini obbediscono ad Amo-
re ; solo Filippo gli si ribella. Ecco la femmina,
che assume tutte le parti a lei proprie ; sfacciata,
simnlatrice, lasciva, istrumento docile dell'ira del
figlio di Venere, Ma io domando, nmilmente:
Non siete voi, Sergardi, il cantore osceno dell'amor
libero e naturale? I'autore de' versi a quella Oo-
stanza, alia quale avete fatto Tapologia della yita,
propria del secolo d' oro ? Anzi che biasimarla, non
dovreste voi lodar la brutta femmina e le sue arti,
.e i piaceri che lei dk e che voi tanto avete altrove
lodato e magnificato?
Questo poeta satirico mi pare in verita faccia
le parti dell' Eremita di Lampedusa, che, come
vuole la fama, ai cristiani domandava relemosina,
mostrando 1' immagine del Cristo, ed ai Saraceni,
mostrando il Corano. Ben presto, per6, venne
scoperto 1' inganno, e il furbo romito non ebbe
pill limosina da alcuno, e cadde, tra il riso delle
> Lo stesso Sergardi afferma nelle satire qnanto al dott. Bat-
tignani pare effetto d'indnzione. {Cfr. Sat. XVII, 7'2i). DeUe
sue cose latine il Sergardi aveva grande cnra, poneva in esse
tntto il lavoro della mente e si dilettava di portarle alia pos-
sibile perfesione:
Hano ego BoUioittu, qtiin et seorettis, alebam
Ut oonfixmato tandem per oompita gressu
Iret, et ianuxneros ynltu torqueret amantei.
■■.".'
\
t^i
h'
m
m
Ma, era poi il 0raviua tale quale apparisoe FUo
demo da' vers! di Settaao ? Sa questo punto occorr
fermar I'attenzioiie de' lettori, facendo talvolt
uso degli argomenti addotti dallo steaso reoenti
biografo ed apologista di mons, Sergardi.
Devo dire anzttatto, che il dott. Battigaani, pu
facendo I'analisi minuta e diligente de' fatti occors
tanto al Gravina quanto al Sergardi (ma piu a qae
sti che a quelle), uon ha panto esaminato Tarn
biente Bociale, nel quale I'uno e I'aUro fnronp i]
grado di svolgere le loro faooltfi critiche e poeti
che. L'analisi della Buperflcie lo distolse e non gl
fe' esaminare il fondo.
Ora a me pare che in cotesto esame sia tutti
la satira del Sergardi. L' ipocrisia, allora prevaleu
te, avrebbe dovuto coijtitaire le basi di tutto queati
studio, che non manca, come ho detto, di pregif spe
cialmeute uella esposizione minuta de' particolari
Xi 'Arcadia indica un movimento letterario ar
tificiale e coaveuzioDale, prodotto da an sentiment)
atesBo Settano, al qnale non ai pu6 in alcsn moda precU
fade. Ohi cbe nacessiUt c'6 diaffermore solennemante ohe egl
non iicTiase le satire per detiderio di onort, ni aUellato da al
cunn vi«rctde f In piopoaito non mi pare esatto quanto sorivi
il dott. Battignani; che, eio^, il Sergardi non "diet nttnltdell
eauMt chs lo decitera a preftrire una lingua morta alia sua na
tia, (pag. 142], percli6 lo stesso Settano oonfesea nella satin
dianEi citata di aval preforito 1' idioma latino per ooopeian
alia maggioie e pi^ dnrevole immortality di Filodemo. In ogn
modo mi par ohiaro che, avendo preferito il latino alia lingui
soa natnrale, gi& dimostra il Sergardi ahe solo eon la lingai
di Luoilio egli poteva agevolmente eaprimeie quelle ohe noi
sentivB e qaello a cui non oredeva Binoeramente. Le spiega
■ioni date in proposito dal dott. Battignani, sono acute; mi
non Bono fondate sul tbto, eeoondo io penso.
- 35 -
fondando con altri TArcadia, nel 1690, e dandole
leggi sane. Voleva ritirar Varte alia greca semplu
citctj scrisse in proposito il De Sanctis, purgandola
della corruzzone scientifica. Ma non bisogna dimen-
ticare che TArcadia nasceva appunto in Roma, dove
la Curia era forte; dove le cerimonie religiose ave-
vano la piu solenne espressione; dove si poteva es-
sere ateo e miscredente, a condizione di salvar le
^pparenze, mostrandosi sempre devoto e fedele alia
Chiesa. 11 Prelate poteva benissimo, allora, fare il
cicisbeo senza vergogna, mostrandosi oppresso dal
sentimento amoroso, a patto che fosse quieto, e
sfogasse 11 suo sentimento solo col sue bel sonetto,
col suo bel madrigale : componimenti, che non gua-
stavano punto la dignita del carattere sacerdotale
e Tapparente correttezza del costume.
Grande studio sulFabbigliatura, sulFetichetta,
suUa galanteria, suUa migliore maniera di mostrar-
si alle dame ed al pubblico. Non piu, come verso
i primi anni del rinascimento, studio amoroso e
profondo sulle ragioni delle lettere, suUa missione
che queste dovevano assumere e compiere nella
olvilti umana. Ideale prevalente, lo scriver versi,
in qualurique modo, comunque inspirati. " Cosa ci
era nella coscienza ? Nulla. Non DiOj non patria^
non famiglia, non umanitaj non dvilth „. (De San-
ctis). La lirica non aveva scope civile.
In questo jnovimento di reazione ebbe grandis-
sima parte il Gravina, che vide il male, e che in
ogni suo sciitto, in ogni sua azione pubblica ha mo-
strato ingegno veramente sovrano. Fondatore, ac-
clamato dai posteri, della scuola storica del diritto^
.T| •■• :
t
1
verso sciolto, ool verso dai
a del Foscolo, che la liricf
civile e trae sua forza I
riaiiovamento morale deg
avere origine poi il risorgi
A misura ohe I'Arcai
contro 11 Gtravina si fa pii
chi i ginreconsulti, ma m
punti, gli scrittori eeri e i
contro i rimatori, i pe'
Eostachio Maa6:edi ecrivi
ci son piit poeti eke mo»
eran dappertatto, a Napo
ma, Milano, Yenezia. Iq
arcade, ma nella opposizl
melie contro chi piii tar
Atrarsi ribelle, si fanno
Non si poteva diventar p
d'Arcadia, senza dimostn
solino contro il Calabrea
belle. Intomo alia perso
tore creano gl' interesuati
Di bocoa in bocca passai
loro ; vanno in giro rivedi
ingiandite. '^ il pantano,
guerra. E come prendor
i pedanti, i poeti, gl' impr(
altreel con le art! loro, ooi
baibiiitti, i oasisti, i leg
soiti ; onde le satire in li
esprimono aolamente sen
rirelano il gasto del tea
di, il ntiniero di esse da 16 e portata a 16. Aun
il numero delle eatlre a tuisura che aumenta
edizioni. E cosi succede nell'edizioQe di Co
(Lucca) 1698. Se Paolo Mafiei uon foEse stat
terrotto nelsuo lavoro, probabilissimBmente avi
uel 1700 dato I'edizioQe in grandissiiua parte
pleta, presso a poco come quella, oke di6 [
Giannelli, Tanno 1783. Ttitte quests edizioni
vengon fuori incomplete, © che mostrauo si
princtpio la manoanza che esse hanuo, o con
tre satire vi sieno contro Tilodemo, le qaaii
un' infinite, di ragioni, allora non potevano '
pubblicate, gi& dimostrauo, Beuz'altro, lo sj
calannioBO, ond'esse erano improntate, e guaul
pngnaBse sino alio stesso autore, sino agli I
malvagi inspiratori, luostrarsi cosi aperti viol
della legge morale e della pubbtica coscienza.
tendo acoennare a quella coscienza, ch'era
della maggioranza di Arcadia, fuori di quell'
resse pettegolo e meechino, inspiratore di Settj
' Osservazioni pTazioBB posBouo farai in propoiito
B di Palermo, ohe viene attribnita a Qemiaro A
Cappeltaro, 1655-1702 (non MieheU, come eoriva il B.) ni
taao, tra gli areadi, Tirrtno Leehtalieo " poeta toicrmo 1 1
aeoondo il CreaoimbBni, eha vive in Corte di Roma «. ^
bel tipo morl in Palermo per mano del camefioe, a' 26
1702 (cfr. Cabuii, op. cit., toI. I, pag. 891).
n Mong^tore, uiTeoe, afFenna che ne sia stato aatore
Urbano Simonelia, morto improTvisamante in Palermo
fabbraio 1720 (ofr. Scrtttori onaninti e pttudomini, raci
aeoperti; opera mn. eitttenle tiella Btblioleea comunaU a
l^rmo, e citata dal Mblzi).
Tatto fa oredere ohe il Mongitote, sorittoTe oonten
□eo, 166S-1743, abbia fondate ragioni per attribuire qneat
eioue al Simonetta. E il Battignani mi para ohe Toglia i
— 40 —
DasG09to ed anoato di fulmiiii, seuza nes-
poosabilita, q4 morale ne materiale, sal-
0 giaoulatorie in chissa, ed accreEcsndo,
, tempio, tl numero de' piccoli ricoverati
Spirito, eorive bestemmie eretioali in ita,-
1 in latino, poi, si mostra severo ripreusor
>, protetto sempre dalla stessa tnrbs ano-
ipooriti e di sfaocendati. Poteva pure scri-
illo ohe voleva costui, qoando mancava
tto oalanaioso uu autore qualunque, pur-
>be anche adesBO assai fecondo di ntili
azioni lo studio esatto delle varianti © delle
li, fatte dal nasoosto e malvagio aabore,
ionda e terza edizione delle sue satire,
n .giova dire, oome fa il dott Babtignani,
ste satire furon pabblioate, le prime volte,
ssentimeuto del Sergardi ; giacche le stesse
e le atesse correzioni, fatte saccessivaTnente
ire, provano il contrario. E poteva bene
gift aperta, oooingendoBi a dimoBtrare oke dellft vei-
Ulermo Don paaaa es^ere nvtore lo atsBBo Sergardi'
>ia, □assiiDO ha mai attribnito la vsTBione di Falei-
ieaso aatore delle satire di Settano. In ogui modo,
9 di Palermo, pabblicata, si Doti, DellTOT, ha an'Im-
itorioa grandiBeima e notBToliasima. Prima del detto
e probabilmente prima della morta del Cappellaro,
le aatire filodemiche di Sattauo erano note e gir*-
e manoBOriCte tra gli amici ed anuniratoii di Setta-
!te satire, note all'aniveraale, erano tuti, giaoobi
ione di Palermo ei d& la versione di oiciotro di bb-
^n fine (pag. 866) qaesta noterella; " MxHCi. qui la
S lOFSA LA DECIX'OITAVI, COMB TBDUTI „. NeW Indi-
si salta dalla satira XVIt, II lauo, alia satira XIX,
il Sergardi afifenoare cotesto, che, doh, faron pu
blicate senza il sao asseuBO, giacche lo atesso Se
gardi, ed e 016 rloordato anche dal dott. Battignai
aveva giurato solennemente al Papa di non avei
soritte mal. Fossiamo dungne a cotesto aomo pr
star fsde e fondare argomenti di prova sulla si
sfcessa testimonianza? II Battignsni a qaesto el
meuto di giusta critica non mi pare che abb
panto badato.
II Battignani infatti eaolade dalle cagioni e d
motivi della satira 1' iuvidia del Sergardi contro
Gravina; e I'esolude boIo perch6 lo Bteaso Sergar
" se ne scagionb con ragioni piU 0 meno convinceni
ma sempre con sdegno per un'accuaa che I'ojfende
asaai vivamente „ (pag- 1 13)- Pone come moti'
delle dette satire una " certa caasa personate c
determind il princtpio della discordia „ . A ques
saasa aocenna lo stesso Sergardi nella eatira YII ;
" questa, dice il dott. Battignani, mi sembra la p
probabiU di tatte „. Prima per6 aveva scritt
" — la caa8a delle satire seitaniche Hsogna ricerco
la nell' indole e nel genio deU'autore stesao: chiunq
si sia il personaggio che egli prende a co/pire, qae
non gli fornisce che una occasione accidentale a so
disfare alia sua inclinazione „ (pag. 70). Ma di qu
sto giusto criterio fondamentale non mi pare che
dott. Battignani usi serenamente e in tatte le c
samine diligenti, che egli Fa. Se le satire non soi
state inspirate da un sentimento di vendetta pe
sonale, da sdegno nel vedere la morale oonooloa
da coini, ohe se ne bandiva maestro; fu 1' invid
Bolamente 1' inspiratrtce, ovvero fu il sentimen
dell'onest& e della rettitndine ? II Battignani hod
crede di dovere rispoadere compiatameute. '
Noto in proposito cha in qaesto studio fatto
dal Battignani, tutti i dati di cotesto problema bi-
' E aon risponde, del leito, nemmeno il aianneUi, clia b
ij piu aalorevole apologista di Settaao, e obe coal apiega FU
lodemo: "Sectani satyrnrum quasi henis, cuius sub noutins
potius quam sub persona, vitiaao ioBlerasibi SeotaauB axagi-
tauda ptopoaait «. Ma le indioozioni erano troppo obiare, onda
alia vooe Calabrum pone qaest'altra uota: " Indicat in qua ro-
gione nabns faerit Fbllodemus. Vidatur hie Sectanue ei valgi
pottos fama, qnandoque iniqaa, quam ex veiitate calabros pnn-
gera. Quando ex bominibtis coaleaouut nationee, oum Boae
CDiqae laudea, turn sua vitia. Eb qaidem ad Calabros quod
pertinet, ut male apud imperitoe aadiant, tamen olaTiBsimorom
TiroruCD gloiia, ao peracutis Hummisque ingeniis per omnes
aatates fiamere„ (cfr. vol. 1, pag. bi e 61). Grazie baate, eig.
Oiannelli; la pabria di Cateiodoro, di BaTlaamo, di Teleeio, del
Parrasio, di Campanella, di Antonio Serra, foudatore degli studi
di eoonomia politiea, cito que' nomi, cbe ora mi vengono in
monte, ride delle stupide invebbive, soagliabe sn eesa, dal Pre-
lato-epioureo Lodovico Sergardi, e le attribuisce airinvidia
forte, che a cosbui iapirava un buo grando figlio, Gian Vincenio
Oravina, fondabore in Italia della scnola storica del diiitto. Ma,
giacchd il Sergardi nella parola ealabrt4», crede di avere ritro-
vato il pi^ forte argomenbo contro Filodemo, # anoora a ri-
oeroarsi il motive, per il quale graudi Calabresi ebbero in Ita-
lia ingiuste calunnie ed infinite persecuEioni. Kettendo da parte
il GrBTiua, non mi par giuato di dover dimentioare le perse-
enzioni, che ebbero Francesoo Simoneba, Fomponio Leto, 4°l^o
Qiano Parrasio, Tommaso Campanella, Anbonio Serra, ed altri
miaori, anticbi e modarnt, illustri e modesti, lavoraboii e pen-
satori, oolpevoli soltanto di eaaere parvenati, con perBeverania
di lavoro, 1& dove altri voleva ancora arrivare!
Poteva eesera in baona fede, aontro i Calabrasi, monBignore
Sergardi quando li aoonaa, bra le altre cose, di avere a con-
oittadino :
.... oivamque ■nam, qui perlita felte
OsDuU dlTiuo potalt libara Ui>t[litro.
ISat. X, it).
soguava dare al lettore, giaccHe dalla risoluzione d
qneBto problema pu6 oertameute venir nuova laci
solla Eatira e Eiilla persona, contro la quale essi
era diretta.
Altrove sorive il Battignani: "^ Troppo lutigo sa
re&6c il voter raccagliere tutte le tngiurie tnviaU, ch
scaglia il Sergardi sul guo avversario, cfie mostran
tutta la forza del sao odio contro Fitodemo „ (pag- 76)
II Sergardi, se FUodemo h ateo, non aceva molto di
scandaliszarsi (pag. 78); ed ha quasi tutte le colp
che egli stesso attribuisce a Filodemo; ma addita i
Grsvina all'Iuquisizione perohe miscredente. I
questa una oaluDnia? II Battignani, dopo aver dimo
atrato che il G-ravina non e ateo, sorive : " . . , . quin
di, non resta altro modo per spiegarci quest'accusi
che sapporre, o che il Sergardi calunnO), o che i
Gravina nella vita privata dette almeno qaalche pre
testo a dabitare della saa fede „. E a lui qaest'ul
Hma sapposizione pare piU probahile (pag. 82), per
ohi: "dafo pure che il Sergardi nel bollor dell' in
giangesBe a tale bassezza da lanciare un'accusa i
3«e' tempi cosi terribile, sema ombra di verith, m
pare che non I'avrebbe sostenuta, quando la lotta en
da molto tempo cessata ed il Gravina sceso nellt
tomba„,
II Sergardi adanque continua ad affenuare I'a
teismo del ■ Oravina anche dopo la morte di oo
stiii, cioS, anche in una lettera de' 10 febbruio 182C
G qui col dott. Battignani h lecito domandare
Perch6 Sergardi ha contiaiiato a mentire anchi
dopo tanto tempo? Ma io credo che il motive c'era
caro dott. Battignani, e questo h riposto nel mott<
— 45
scuole italiane all'estero, e il cui ingegno assai colto
ed equilibrato m'6 noto da un pezzo, dispiaccia oh' io
esponga le altre osservazioni intorno al suo recente
lavoro. L'argoraento mi pare assai degno, e il
soggetto m'6 sempre parso assai notevole. Se queste
mie osservazioni qualcuno troverk giuste, il merito
6 tutto del dott. Battignani, che me le ha ispirate,
A me pare che in questo studio vi sia tutta la
materia per un buon lavoro critico; ma non mi
pare che cotesta materia sia tutta entrata nella
mente dello scrittore e con quella ordinata dipen-
denza delle parti, ch'era richiesta dall'argomento.
A qnesta versione aooenaa oertamente il Decreto della Sacra
Congregasione delV Indice (22 die. 1700), che proibisce le Sati-
re di Settano ** idiomaU vulgari et latino editae „. La prima e
piu antioa yersione non 6 dnnque quella di Palermo, del 1707^
4* Colonia (Lucca) 1698, satire XVI ;
5* Amsterdam (Napoli, ovvero Eoma) apud Elzeviriosy
1700, satire YIII, in 2 volumi;
6* Palermo, presso Domenico Cortese, con lieenza de* su'
periori, 1707, satire XVIII;
7* Zurigo (Firenze) 1760, satire X; vi 6 aggiunta la Con-
versazione deUe Dame^ dialogo tra Paaquino e Marforio ;
8^ Zurigo (Firenze) 1767. — Gitata dal Graesse, come una
riproduzione della precedente;
9^ Lucca, Bonsignori, 1788;
10^ Satire eon aggiunte e annotazioni^ Amsterdam (Firen-
ze) 1783:
11* Come la precedente e col ritratto di Lodovico Ser-
gardi, Londra (Livomo), Masi, 1786;
12* Veraione di Melchiorrt Misairiniy Pisa, 1820;
IS* La stessa, 2* ediz.,, Firenze, Ciardetti, 1885;
14* RaceoUa de* poeti satirici italiani ecc. di Giulio Gar-
cano, Torino, Ferrero e Franco, 1858, vol. II, pag. 491.
Questa edizione 6 la esatta riproduzione di quella di Zurigo,
e le satire sono X, con numero progressive.
Le versioni anonime di oo teste satire non sono dunque diUy
J
;^i
N
— 47 —
logia, che ha in mente di fere; enon tien
conto, con animo alto e sereno, delle varie
e delle varie epiegazioni, ohe presentano e
lettore gli stessi dooumenti, da lui stesso
tati e iliustrati. E spesso awiene, per I'a
che Bi e ine930 in testA di &re, awiene chi
ed argomenti e ragioni sieno attiate dalh
parole, dalle stesse afiermazioni del Sergard
ho dianzi affermato ; la qnal cosa e assai ter
e da conseguenze assai dubbie contro la ste
lonta ed intenzione dello scrittore !
Lo studio su Quinto Settano non dovev)
anicamente inteso alia evooazione pnra e si
di Lodovico Sergardi ; ma di cestui e del Q
che di Settano sono opera illustre solo le
e coteste satire sono tntte, o quasi tutte,
per ferire il Gravina nella sua grande ripu
di cittadino, d' insegnante, di scrittore e di
tore, Evidente in ogni dardo avvelenato
del poeta; ©d evidenti le calunnie e le insi
ni, che vengon fuori da que' versi. . Del 8
dio il Battignani fa un solo protagonista.
sto apparisce isolato dal mondo, che lo ci
spinto sempre da naturale tendenza alia se
ohe ei afferra al Gravina solo per dare sfogo
timenti suoi naturali. II Gravina danque i
per il Sergardi un rimedio, od un espedient
in questo case, bisognava esporre le oondizi
nerali di que' tempi, le qnali sono assai c
e dimenticate. Quinto Settano in mezzo e
quadro ed a tutte le figure del secolo X"
rebbe apparso figura assai piccola e meschi
merazione di esse, Onde e perche coteBti salti, c
indicauo un l&voro eatirioo ooinpiuto sin da pri
oipio, e DOto soltanto agU editor! e iiia,uipolat(
delle varie edizioni di Napoli, o Boma, e di Coloni
E perchfe non ha oredcto, sin da prinoipio, mi
ter fiiori tutta I'opera sua nefanda Qutnto Settam
L' impeto poetico, 1' ira, prodotta dall' invidia
dalla gelosia personale, 6 stuta forse vinta da)
paura e dal desiderio vivo di salvare almeno
pelle, se non la riptttazione e restimazione del pu
blico?
Ed h corioao ohe di coteBti salt* uella unii;
razione delle satire, •evideoti in tutte le edizioi
i qaali Bono pare ammeasi da tutti i bibliogrs
nesBtmo, ch'io mi sappia, s'^ attentate einora
dare una spiegazione, non dico soddisfaoente, i
anohe degua di studio e di considerazione. ]
COB& e passata inosservata, come nn fatto naturt
e spontaneo. Ma io credo che in cotesta disan
na stia in gran parte la spiegazione di quel n
stero, onde in principio, dicendo e sorivendo tan
bugie, lo BtesBO Sergardi ha voluto ciroondare
proprio nome e gli soopi che si proponeva di re
giuugere con que' fogli gittafci al veuto senza ]
BponBabilit^, e destinati a ferire in ci6 che {
era di eaoro nella vita di un grandisBimo ed al
iutelletto, Cotesta disamina lavoro ingrato e lun
earebbe stato, e senza risnltato apparente. Ma
critioa soggettiva ed estetica avrebbe potuto ora
questa sola dbamina ricevere molti element! per i
cane important! sue conolusioni.
II dott. Battignani, come non ha yeduto la i
— 61 —
trovate di buo capo, e messo tra quelle di Set
per tm motiro suo peraonale qnalanque.
N6 pa6 inferirsi che, attribuite a Settano,
state tra quelle di Settano gittate, dalla mano
tro aatore, in pascolo agli avidi lettori, amai
eoandali e di fatterelli stnzzicauti. Ko. Tatto
sto QOQ pa6 essere.
Nell'ana e nell'altra satira, ma piji nella
ohe nella XI, Filodemo ha una parte seconi
e la satira si aggira su' ooBtnmi gnasti di S
salla incipiente deoadenza, suUa compra mag
tnra, suUa corrotta e coustatata mauiera di v
e govemare; la doppia co3cienza e la dubbia
del Sergardi da queeta satira hanno certa
ferma e dimostrazione :
Yamio iadiviee ogni or Giiistisi& e Fede.
Donqne dall'operar contro GiiutiziB,
Segne a neoeaeiUL ohe non ei erode.
Faor clie di Fe' di tntto abbiam dovizia.
Peoca ohi men dorrebbe, e impoiie pacca,
Non per fragilitji, ma per malizia.
Di Fede il fior s'lnaridisoe e sacca,
Ni 91 distingae pi(( per religione
O per pietada Roma dalla Ifecca.
Qaesti ultimi versi senza dubbio avrebberc
to danuare al rogo 1' iudisoreto Poeta ; e bene
ha fatto a sopprimerli iuteramente in modo
non ne rimanesse traccia nemmeuo tra' manoE
ti, rinvenuti dopo la sua morte. Le vendett
Boma erano ben note aiiohe alio spiritoso s
pndioo Economo della reverenda Fabbrioa di
Pietro.
— B2 —
tanta noteyole racoolta di materiali sto-
rt«rari ; dopo I'esame che di essi han fatto
e oritioi di non dabbia fama, quale pa6
a rnltima parola intomo alia prinoipale
»tica di Lodoyioo Sergardi?
DchS i Baoi steesi apologisti rioonosoouo nei
Settauo, come pure Ha scritto I'editore di
eiranno 1760: " invettive calunniose, amo-
' improprie, con le quali (egli) ai sforzb di
'. la fama deU'iUustre Gian Vincenzio Qra-
oale pa6 essere ora il giudizio oompittto
I ooteste satire contro Filodemo?
3o lo scrittore h mosso dal sentimeiito vol-
.'iuvidia, ed h sorretto ed illamiuato, nei
ri d'arte, dal calore dell' immaginazione,
:ale h talmentpe offusoato da non veder pi6
iii nobile e meno cadoco della vita d'ao-
aortali; quando cotesto scrittore moatra di
■6 oouTincimenti profondi, nb bnoni n6
[i nesBuna specie ; qaando i a lui facile
ire 1' insegnamento di Epicuro e porre,
graudissimo apparente disdegno, tra' por-
ei il 8110 nemico implacabile, Qravina;
igli ride con facile eloquenza della ecceN
iietioa di Lucrezio e sino de' versi di Ome-
,do arriva anche a fare I'apologia del go-
imporale de' Papi e desidera, nei tempo
trionfo in Boma dell'oltraggiata e viola-
ej il vero lavoro d'arte, quello che 6 ef-
' Beutimenti e de' convincimenti profondi
1, h veramente possibile?
osa dunque rimane, che cosa pu6 ancora ri-
mauer come notevole, nelle satire di Quinto Set
Parole belle e fraei ben fatte: sitoazioni vive,
asBai bene : descrizionl assai felici, come que
coloi, che fraxinaeque sonatfiaxupia dextra eot
OYVero di ohi furtivo pollice mordet, tra la oal
oesssnte, una bella donna, intenta a godei
gli occhi la feeta; OTvero la desorizione di
che, noQ aveudo altro a fare, espone com
graode pregio, la perfetta conosoenza che h
I'andare in oarrozza, oziando ; owero la dea<
ne asaai bella e viva di colai, cbe passa il
sao pTdzioso, noyellando ne' aaSk di Roma,
gando aoremente sa argomenti, ne' quali ni
passione; pregi son qttesti di lingua, di &i
descrizionl, ' di situazioni, uon 6 bellezzs ed
lenza di stile: la bellezza, iusomma di Semir
ed anohe di Cleopatra, riposta nella parte e
del viso, nel movimento pi& o meno singolari
braooia, degU ocohi, delle labbra, nelle qnali
nessan artisba, oh' io sappia, ha sinora riposto
presentato I'ideale grande deUa bellezza e
bont& femminile!
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QUBSTIONI DANTESC
i rumm di cdkiui'
(OBSEHVAZIONI OBITIOHS)
* Zakboki Filiffo, 3li Emtlini, Dante « gli tdiii
e Ik sohiavitb personale domestica, oon dooninenti ii
oa bibliografla solla Bohiavitt. e memorie autobiognl
Fireuze, Luidi, 1897, cuxzii-516. !□ qusst'anna 1901
blioato na Potcritto alle meiuorie antobiognfiohe, c
di Ftbbraio 1903, nel quale molte ooee notevoli ei
no di bibliografift a di storia politioa oontemporane'
altre, Si. notizia di nn Bilratto di Dania, eaiatente
blioteoa palatina di Vienna, in on Ood. Eugeniano,
peTob6 apparteneva ad lEaganio di Bavoia. * PatA 0
pcrreniese, o doada, aallaai aa,. Aggianga: "^meu
in foglio miuore. m dat f autoni, n6 dol Witte, n6 d
tossini, nb dol Kasaa£a, ohe ne pabbllo6 le variant
mente piii ohe tanto alia immagine ohe A nelU prii
Sssa Tenne ignorata da Ingo Erana, lecentiaaimo, o
una monografia aai ritxatti di Dante, a da Saverio I
or dafonto, obe li paeaa in liviata qoui tntti, aia i
bnsti, medaglia cec. a dal Basaennatin, * La traooe d
Italia* (Haidalberg, 1687). Di qaaito ritratto ba pu
oato 11 fattimiU oon Hproduat'ima matata.
Ill, pag. 218), 6 Tommaso Casini [Commento, 1889,
»P»g. 686).
Credo vi sieuo anche altri che abbiano porlato
di questo libro, o che, b« non hanno scritto di pro-
posito, abbiano fatto nn piccolo accenuo. Sapper-
gib., I'nDO ripete le stesse parole dell'altro. Ma la
grande e bella qaestione propoeta datlo Zamboni
oon gneeto sno libro, non e stata sinora illustrata,
ii6 ooDfortata da altre ragioDi, oUre di qaelle date
dallo Zamboni steseo snlla scorta de' docomeuti
eBnmati ed illostrati da lai.
La qaestione proposta e risolnta con an oorredo
di notizia illuBtrative e di documenti notovoli, 6
qaeata. Gunizza da Romano, detta da' oontempo-
ranei " magna meretrix „ ; ohe " osd soa vita in
godere„, come pure afferm6 VOttimo; moglie di
moiti mariti e rapita ad nno di e&ei dal Trovatore
Sordello ; ootesta donna Dante pone tra " quegli al-
tri iplendori „ obe sono in Faradiso nel cielo di Ye*
y nere. Dice di eh stesea al Poeta : " . . . . qui refulgo
Perchi mi vinae il lume d'egta steUa „ . In altri ter-
mini, Canizza 6 in Faradiso, e nel cielo di Yenere,
appunto pe' grandi snoi pecoati d'amore.
' \ i Ancor viva nel 1279, ammeeso clie abbia espiato
I ootesti suoi peooati nel Pnrgatorio, solo dopo quasi
*\ venti anni sarebbe andata al Faradiso 6 si sarebbe
I.) moetrata al Foeta in tatto il suo splendore verso I'an-
I M no 1300. ^ qaesta ana contraddizione del poema
' {i|j|r dantesco; owero, 6 I'afifennazione di un principio,
'•m' o la ooneeguenza logica di an disprezzo delle regole
) \4 e delle norme prevalentt sull'etica cristiana e sulla
;it!' morale religiosa del nostro Medio-evo?
Si aggiuQga ohe, finora, per quante ricerch
sieno fatte tra le carte del tempo, non risalta
del sno peocato Cuuizza si sia pentita, &lmenc
fin di vita. Kaia uella Maroa Trivigiana
qtiella parte delta terra prava „ , che ebbe *
grande assalto „ da buo fratello Szzeliuo da '.
mauo, Ouuizza visee sempre lieta del sno pecc:
Di cotefito problema, che involge molti alti
tra qnesti, nno graudisBimo bdI sentimento r
gioBO di Dante, e sul fondameato, che ebbe la gi
de poe&ia di lui ne' dogmi della Chiesa oristia
pareccbi sorittori Iianno cercato di dare spiegazic
Cito, tra' tauti, il FobcoIo e il Troya. Ma Gnni
doveva bene espiare le sue colpe prima di sa
al Faradiso, oh^ al Faradiso non si pa6 andare b
za I'espiazioDe, od il pentimento sincero, del pecci
Una delle Bpiegazioni pii!i ddtte e pt^ origii
h data da Filippo Zamboni nel volume, che am
ora si auntiuzia, e, che arrivato alia qaarta <
zione, ha molti docomenti inediti, una ricca
bliografia suUa BchiavitA, memorie antobiografl
e il ritratto dell'autore esegaito in Catania nel IE
qaando lo Zamboni, ospite di Mario Bapisardi
venuto in Sicilia per dar prova sincera ed afiettu
al Foeta illustre dell'Italla meridionale.
Kiassumo, non parendomi sia queato il caso
iare nna critica nel eenso vero ed ampio della
rola. Lo Zamboni ha spirito cosi sagace ed or
nale, ha studi cosl profondi e oonoecenza cobI f
pia della materia che ha preBO a trattare, che
diritto, senz'altro, a mostrarBi suUa moltitudine
gli sorittori e de' dantisti contemporanei.
II lavoro preparatorio da Ini compioto o, oome
oggi si dioe, la letteratara dell'argomento stndiato
e trattato, b tale ch« impedieoe qaalnnqae giudizio
arriechiato. Le cose che avete dinanzi e ohe reolama-
no la vostra atteuzioue lianno, tatte, la eteesa impor-
tanza, e la mente, che deve attendere ad esse, rima-
ne come confusa e preoccnpata anohe da ana pic-
cola qaeetioue di precedenza. II materlale raccolto
dallo Zamboni 6 veramente grande, tanto che non
eapete come fare per collocarlo.
Nod mi BorpreDde davvero il gindizio dato sa
questo libro da Francesco Domenico Qnerrazzi, che
6 " rimasto ammirato dei nobili concetti, della va-
sta emdtztoQd e della eleganza del dettato,. Fochl
libri, in verity, di argomento dantesoo hauno uu
co3i rioco e pregiato lavoro preparatorio. Anohe alio
Scartazzini, che k tntto dire, I'erudizione dello Zam-
boni parve cosa notevole. B deve notarsi che lo
Scartazzini vide la seconda edizione, qnella di Vien-
na, edita nell'anuo 1870!
Biassumo adunqne per dare agio agli stadiosi,
quando ocoorra, di mebtere a contribato le ragioni
esposte dallo Zamboni. Natnralmente, non potendo
dare ampiezza al preeente scritto, s&rb breve qnanto
pi6 Bar& poBsibile.
« *
II volume ha tre parti : 1*) Preparazione storica
2*) Danteeca; 3*) Note oompimentali.
Nella prima viene esposto e disoasso nelle sae
parti principali il doomnento gib, edito dal Teroi,
Del Cod. eocelliniaDO, e, prima del Terci, * d«~
aamptum ex tckedtM canonici „ Avogarii.
— 61 —
S QB rogito del di 1" aprile 1265, uel quale Cu-
nizzB, Btando a Fireuze in casa i Oavalcanti, af-
fenna di poire in liberti tutti gli uomini di ma-
snada, che farono de' suoi fratelli Ezzeliuo III ed
Alberioo da Barbiano. Notevole obe qaeato doon-
mento, come afferma lo Zamboni, non venue ri-
portato dal Maratori : de' moderui solo ue discorre
il Troya nel Yeltro allegorioo de' G-bibelliui. Lo
Zamboni lo fe' ricercare nell'Archivio delle veochie
carte dell'Ospedale di Treviso, e quivi lo ha poi
stndiato per quasto ei riferisce alle sue forme ori-
giuali.
Alio Z. qneeto dooameuto parve assai &trano
"per le contraddizioui obe fa uascere tra quelle
cbe vi h detto ed i fatti, cbe pure uoi abbiamo
dalla storia„. La disamina di tntte codeste con-
traddizioni oostituiBce la parte fond am en tale di
questo importante studio storico. OH uomini di
masnada erano schiavi e in perpetuo fiasi alia gle-
ba ; cbi possedeva gli uomini di masnada doveva
pure possedere il snolo, su cui quelli sudavano per
coitivarlo. Ora dopo la distruzione della Famigtia
da Komano (siamo nel 1265, cinque anni dopo la
strage), quale giurisdizioue poteva avere Cunizza
BQ que' possedimenti ?
E noto infatti cbe tutti i beni de' Da Bomano
uell'anno 1260 andarouo divisi tra le citta di Pa-
dova, Treviao, Vicenza, Verona, "secondo che te-
nevano sul territorio dell'una o dell'altra di quelle
repubbliche „ . Da cotesta questione altre ne sor-
gouo e tutte spontanee, in modo logico e naturale.
Chi avesse desiderio di saperle, prenda il volu-
~ miboul, ohe in questa parte dk prova
tgacia ed acatesea nel porle e detenui-
asiona, pure ammettendo Bmceram«nte
bi rampoUano i dtibbi; pore dichiarau-
Btadiato i 807 ed anche i 2183 doom*
Tolumt di tasto, lo Zamboni erode,
Lto, che nel onrioBO doonmento eccelli-
sconda " ano de' nostri fatti speziosi di
3acciati o oadenti, ohe nou sauno di-
]fil tempo felice per ostentare magna-
iistizia „. In tale gaisa Cunizza disse
che giih da b6 avevano rotte le catene
itorio, ohe fa gi^ dominio sao e de' saoi
>ne a proposito rioorda le parole del
; " Una repubblica, o un prinoipe deve
fare per liberaUt& qaello a obe la n^
Dstringe „ .
ra conclnsione giova pare esporre, aulla
eleva an edifizio raggaardevole di ob-
lotte ed acute che a Dante ai riferieco-
i oonclnsione h la segaente: Cunizza
aostra di essere molto pietosa verso gli
sse o no valore queiristrumento. E di
avi k auche opportune dare qualche
acoenno agli sohiavi dei tempi di Gu-
tempi posteriori, sine all'anno 1501, nel
il duca Valentino, in Capua, le bellis-
ritenne per bS e delle altre, molte per
zzo furono vendute a Boma, come ap-
e Guicoiardini.
K>ni in proposito Tuole cbe non si con-
— 64 —
i, il Eeguente passo, cbe credo opportuno di tra-
ivere fedelmente: "Il benefioio degli schiaTi
erati da Cuuizza non poteva far sapporre ori-
inamente che con buonB preghiere ooloro le eb-
•0 fatto diventare piu corto il Pnrgatorio e fosse
pifi presto tra' beat! P „
" Xegli stxamenti per la liberazione degli Eckiavi
% formola : pro remedio animae meae. E poi da ve-
"e nelle opere de' teologi se la oarit& issofatta non
rga la iacoutineuza. Canizza non i nella sfera pii!i
da " come Piccarda, ond'd di tanto pii!i gloriosa
etizia pi^ di lei che parve migliore e di vergine
a. Ma CuDizza accenua ne' versi gi& cbiosati
) forse le earebbe toccata una sfera piu alta che
1 6 il Paradiso di Venere. Cunizza parlava pre-
ite Beatrice, oude doveva essere gi& immacolata
le Bue libidiui; cib che esclude che Dante ve la
lesse a caso „ .
Quest'ultimo accenno h diretto al Foscolo, il
irle, non potendo.ammettere ohe Dante igoorasse i
icatidi amore (e ohe peooati!) di Cunizza; nonpo-
ido ammettere ohe Dante ignorasse le norme per
passaggio delle auime dalla terra al Paradiso di-
tamente senza un po' di dimora almeno uel Pur-
torio; e vedeudo Cuuizza nel Paradiso, non tro-
ado una spiegazione Bufficieute, od anohe appa-
ite, Bcrisse in veritS- molto leggermente che Dante
bia introdotto costei nel Paradiso in via di esjte-
lento Boltanto, e fino a che gli sowenisse di al-
ua altra ombra che piii addicesse.
Lo Zamboui da, prova, anche in guesta confa-
done, di dottrina e d' ingegno analitico non co-
i
— 65 —
mune. lo non posso riassumere. Ma sar& bene
cKe lo studioso di Dante se ne invogli e cerchi
il volome per vedere direttamente quanto scrisse
in proposito lo Zamboni.
Da cotesta confutazione appare assai naturale la
conclusione dello Zamboni; che, cioe, Dante si sia
indotto ad elevare Canizza in Paradiso per quella
disposizione, cbe si riferisce agli scbiavi, nel rogito
di Firenze. lo non posso qui fame compiuto esame,
anche perch^ non credo di ayere autorit^ e libertit
di giudizio e di competenza in siffatto argomento.
Occorrerebbe anzitutto e soprattutto vedere se nolle
opere dei Teologi del secolo XIV un pubblico se-
gno di carit^ dia diritto al perdono di tutti i pec-
cati ed all'accoglienza delle anime de^ pubblici pec"
catori nel Paradiso.
Ma devo aggiungere che le parole scritte in
proposito dallo Zamboni (pag. 46) sono molto elo-
quenti. Ed aggiungo altresi che tra le due opi-
nioni, quella del Foscolo e questa dello Zamboni,
non vi pu6 esser dubbio ; questa, di certo, e la piu
logica e naturale. lo stesso non riesco ad inten-
dere come mai Ugo Foscolo " animate da' sublimi
ardimenti danteschi „ , si sia potuto indurre ad ac-
oettarla ed a metterla in quel gioiello di studi
danteschi, che e il Discorso sul teste del poema
di Dante.
*
Nella terza parte; sono, come ho detto, le note
complementari, che io direi fondamentali, perchS
d&nno la genesi di tutte le conclusioni e mostrano
1
t
-- ee —
nei suoi tratti principali tutto lo sviluppo 8torico
de' tempi de' quali si disoorre.
Nella prima si d&nno notiEie sicure e piene sn-
< gli Ezzelini e su' loro beni e su' loro amici e pro-
tettori. Si accenna anche un po' agli Svevi ed a
quel Matteo Spinello di Giovinazzo, ohe ora pare
€icoertato non abbia scritto le Cronaohe, alle quali
mi pare che lo Zamboni attinga con troppa bnona
fede. La questione sullo Spinello h stata fortuna-
tamente e definitivamente chiusa con gli scritti di
} Bartolommeo Capasso.
llV: Nella seconda, si discorre in modo particolareg-
giato di Cecilia da Baone, terza moglie del secon-
do Ezzelino; di Speronella Delesmanini, madre di
quel laoopo da santo Andrea, padovano, impareg-
giabile scialacquatore, posto da Dante nel secondo
girone del settimo cerchio, tra' violenti contro se
stessi. Questa Speronella fu anche dissolutissima
donna che and6 a nozze, credo, sei volte. Lo Zam-
boni discorre anche di Bianca de' B>ossi, maritata a
un della Porta, di Padova. Di costei il nostro Autore
si accese, sino a scrivere una Tragedia ^ per colei
sola che voleva salutarlo autore, per colei che gli
appariva a Venezia come una visione perche egli
iavorasse „ . Di cotesta Bianca, prima dello Za.mbo«
ni, scrissero due soltanto, con fede italiana, il Litta
e il Ferrazzi. Lo Zamboni aveva dato breve no-
tizia di costei nella prima nota complementare (pag.
138) ; ora su' casi e sulle virtu di lei fa alcune
notevoli considerazioni. L'eroismo di questa donna
i veramente grande. Prende di essa occasione lo
Zamboni per accennare ad atti eroici compiuti
a di Oologna, nel territorio veroaese, ai temfs
ante fioriva 1' tudustria del tessati di iana per
I cappe frateaohe „ come nota un recente Com-
ifttore.
eguo, come ho cominoiato, Delia Bommaria
lizione delle note complemeutah, notando guel-
d 81 riferisce o si pa6 anche riferire, agli studi
eschi.
Telia nota 6', la qnale, mi perdoni I'illustre
jssore, uon mi pare eia stata scritta con la
i chiarezza e correntezza, il prof. Z. dopo avere
mato al dlenzio, che si riscoDtra ne' doca*
;i di origiDe guelfa intorno alls donne de' Eo-
), per il rioordo che di OuDizza fa Dante, mette
ti tm'altra sua ipotesi, che mi par bene rife-
per le conclusioni che anche da essa per av-
nra si possono trarre.
orse il Foeta pose Cuaizza nel cielo " preci-
lente anche in odio a' Guelti^ della Marca tri-
,na, che "si argomentavano con qtieeti fatti di
16 Epento anche la memoria^.
Q verity, questa ipotesi non mi pare molto lon-
dal vero. Fotrebbe anche essa dare qnalche
^azione del collocamento di Cunizza ia Para-
epecialmente quando fosse bene accertato la
) vero e precipuo, che Dante ebbe, o voile rag-
gere (che h la stessa cosa) col Poema sacro.
ran parte de' problemi danteschi, che ora a noi
10 insolnbili, o di difficile solazione, hanno fon-
into e spiegazione nel sentimento politico de)
grande Poeta. Senza qaelle grandi lotte, que' grandi
odi, que' grandi amori il Poema sacro non sarebbe
fitato possibile, Piu Bante si etacca dalla tradizio-
ne classica, e pi{i diventa grande ed originale. Ora
che 6 stato dimostrato che la caltura di Dante eb-
bero pareochi de' suot contemporanei, o vissuti
prima di lui (specialmente il Bellovacense), non
rimane a' posteri che una sola ma^aviglia: qnel
sentimento suo politico profondo, per il qnale ebbe
il Poeta tanta inspirazione di poesia e tanti acerbi
dolori nell'anima grande di patriotta nel vero senso
medioevale di guesta parola.
Per intendere poi nn lavoro d'arte, occorre anzi-
tatto, sentire tatta quella vita, dalla quale venne agi-
tato e mosso lo scrittore. Sotto questo rispetto, I'ipo-
teai proposta dallo Z. oltre che e originale, mi pare
abbia baon fondamento storico e meriti speciale con-
siderazione. Non biaogna dimenticare che a' tempi
di Dante i <}uel£ della Marca trivigiana (territoiio
delle otto provincie venete di oggi) erano molto po-
tent!, ed il collooamento di una pereona, da essi tan-
to perseguitata, nel Paradiso, poteva benissimo in-
dicare nu'onta, che il Poeta aveeee voluto fare con-
tro di loro. In altri termini un sentimento di poli-
tica generale prevalse nell'animo del Poeta, sino a
fipegnere od a dileguare il sentimento religiose e
cattolioo.
Notevoli Bono le osservazioni del prof. Z. in-
torao a certe date di nascita e di morte di pocke
ed oscure donne di casa Romano ed anche intorno
agli schiavi degli Ezzelini, liberati in forza di una
Bolia di Aleesandro IV papa. Di queate osserva-
zioni sono argomento 1© note 6*, 7' e 8*.
Ed in proposito e anche utile esporre un'altra
ervazione fatta iu quest' ultima (pag. 197), la
lie 81 riferisce al concetto, cbe Dante ebbe de'
idei del sno tempo. Questa gente ingrata, mo-
! e ritrosa {Par., X2XII, 132), alia quale per
idia piacqne tanto la morte di Cristo {Par., VII,
questa gente poteva talvolta ben ridere della
la cupidigia de' Orietiani :
3e malti capidigia altro vi grids,
Uomini Biate, e non pecore matte,
81 che il Giudeo di voi tra Toi non rida.
(Par., V, Tft.81)-
Guido da Montefeltro ricorda aelVInf. (XXVII,
la guerra fatta co' Colonneei di Eoma dal Prin-
6 de' NuODt Farisei, Bonifacio VIII, e rimpiang»
I essa non fosse etata fatta contro i Saraconi,
oontro i Q-iudei, nel qual caso certamente eo-
ta guerra sarebbe stata gtusta, perche inspirata
londotta da zelo di religione, sentimento, che al
ipo di Bante era ritenuto indispensabile. Ma^
re questi magrl e indeterminati accenni contro
Israeliti, nel poema sacro altro non abbiamo,
I sia piu notevole ed apra I'adito a qualche di-
£Bione. Donne ebree, del veoohio Testamento, go-
ne! Paradiso (XXXII, 17).
Sorisse il prof. Z, " Verso a' Qiudei il Poeta &
lua toUeranza superiore a' enoi tempi. La dove
— 71 —
I i
^ A proposito di oerte BoUe di Glemente Y, ohe ritenne
opportuno di diohiarare sohiayi i Yenenani presi in gasrra,
lo Z.: ''Forse ohe il yexso di Dante (/n/., XXYII, 86) **N« mer-
oatante in terra di SoldanOn uon ya inteso per fiatto d'Aori
nel XXII delV Inferno pone tanti Sovrani barattieri,
6 massime i Lucohesi, non ha impegolato in quella
peoe un solo Ebreo. Altri, avrebbe fatto per essi,
molto usuraj, " Nuovi tormenti e nuovi tormentati^ .
Dante no.
In questa nota 8^ mi pare assai evidente nn
preconcetto, ohe, cio6, la oaduta degli Ezzelini sia
un avvenimento de' piii importanti per la storia
dell' umanit&. Ma devo dichiarare che, per quanto ;
io abbia pensato su cotesta importanza degli Ez-
zelini nella storia dell' umanit^, nessnna ragione j
snfficiente sono state in grade di vedere od indo- ;
yinare. Nella storia dell'umanita sinora due soli
fatti mi pare che abbiano molta importanza, il Cri-
stianesimo e la Bivoluzione francese. .
Pu6 anche darsi che sia un gran fatto della sto-
ria dell'umanita la caduta di E>oma ; ma di questo
fatto doYranno dare ancora ampio giudizio, sull'esa-
me di quanto noi abbiamo fatto e faremo, gli scrit-
tori del secolo XX.
II preconcetto dello Z. credo io 6 nato da quella
spiccata e caratteristica tendenza al generalizzare^
della quale egli tante prove ha date in questo
sno Ubro di studi accurati e severi ; a questa ten-
denza dell'illustre Professore noi dobbiamo attri-
buire tante belle osservazioni, specialmente sulla
schiavitti domestica nel nostro Medio-evo e nel B>i-
nascimento. ^
' I
.i..
E della Bohiavitili infatti ampiamente disoorre
e sflguenti note, dalla 9* alia 14\ Nou espongo
snUato di questi etudi, bastandomi indicare I'ar-
lento : in tal modo ogni bnono studioeo avrii
> ed opportunity di eeatuiuarli direttamente
sa 1' interpoBta opera d'alfcri. Sono dawero im-
»nti le coQcluBioni, ohe se ne posBono trarre;
aggiuugo che soqo asBai utili ed accurate le
>o/e sinotticke Bulla vera Bohiavitfi personale do-
tica, cbe lo Z. pone a pag. 440, le qoali co-
loiano con I'anno 690 e hanno termine con I'au-
18Vi col ricordo di uno Bchiavo moro, venduto
legale contratto da un Capitano siciliano al
aoipe Petriilla di Palermo per il prezzo di 70
e. Faggito, fatto battezzare, arrolato nella
Marina, coteato scbiavo fn nondimeno dol re di
rail Ferdinando rostituito al Petnilla come bqo
iavo.
Lo Z. trae queBta cnriosa notizia di storia si-
Lna da uno soritbo di G. Cosentino, pubblicato nel
lettino del Comitato antischtavista in Palermo nel
le di gennaio 1890.
Aggiungo per conto mio che altre notizie snlla
iavitfi personals domestica il prof. Z. avrebbe
ato trovare nel Codioe aragoneae del Trinchera
MM ; mft in generals dei Crutiftni, ohe proTVadeTAQO ai-
kgli Inftdeli i qoali poi le riTolgsTano oontro >i battel-
.<pag. 396).
9
. I
— 73 — }
e nelle Novelle del Bandello, libri che a torto mi i:
pare sieno stati dimenticati in questa importante
Bibliografia. Prendo questa occasione per dichia- :
rare che le Novelle del Bandello sono una miniera
di notizie importanti per la storia esatta dei nosj^ri . . >'
costumi dopo il rinascimento.
La nota 20* h interamente di argomento dan-
tesco e si riferisce alia questione del Yeltro, alio
spirito antipapale di Dante ed alia Biforma reli-
giosa tentata ah antiqtw in Italia, qui lungamente.
nudrita, maturatasi quasi nel sedicesimo seoolo,
fiaccata a furia di morti e di esilj e-pure durata
fino a noi (pag. 363). Vi ha dato occasione il Com-
mento analitico alia Divina Commedia di Gabriele
Bossetti, edito in Londra dal Murrey negli anni
1826 e 1827.
Come parecchi altri studiosi del divino Poema
il prof. Z. non crede che le parole di Dante pos-
sano mettere ora noi in grado di determinare la
persona del Veltro. II grande prodigio del trionfo
di lui sulla Lupa, cio& sulPAvarizia sacerdotale, si
sarebbe dovuto compiere fatalmente.
H Veltro, chiunque egli si fosse, avrebbe scac-
oiato necessariamente la brutta Bestia da ogni
oitta e liberate finalmente I'ltalia. Can Grande,
che pure ha tante probabilita per contentare i Com-
mentatori unilateralij non pu6 essere cosi acerrimo
nemico dell'avarizia per distruggerla definitiva-
mente ed annientarla, ricacciandola nello Inferno.
II Liberatore, adunque, indicate da Dante con
tanto lusso di particolari, non pu6 essere anoora
bene riconosciuto ed accertato da noi. Da ci6 ne-
■* tf
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I *i J
segae ohe il Foeta BOttoqnella figura voile euscitare
la magnanima ambizione di chi ei fosse, ohe si ia-
oeese Measo di Dio, mettendosi in caccia della fieia^
E di quel gigante cbe con lei delinqae.
Costui doveva oascere tra I'Alpi e rAppennino,
oioS aell'Italia settentrionale, "avendo, scrisse lo
Z., nell'alta Italia soltanto il inaggior nerbo de'
G-hibellini „ .
E chi sa ohe Vumile Italia, aggiimgo io, non in-
diohi una parte della penisola in relazione all'alta
Italia od Italia Bettentrionate ? Caiamilla, Eurialo,
Niso e Turno ricordano 1' Italia merldionale appunto.
E nel Reame appunto era il nerbo de' Guelfi!
Queeta spiegazione, ohe h Boltanto aocennata
dal prof. Z. e che io ho c^rcato d' illustrare nn po'
piu ampiamente, mi pars fondata bu buone rogioni.
Lo Z. per6 non esclude in secondo luogo un'altra;
Otoe, ohe il Poeta abbia potuto intendere moral-
mente anche sh stesso "per gli effetti salutari del
Buo poema,.
Scriase in tal modo ; " II Duce-Veltro, sapiente
nell'armi e nella politica, I'esecutore disinteressatO'
del pensiero di Dante-Veltro, povero, virtuoso, sag-
gio„. II Vatioano e I'altre parti elette di Boma,
che Bono state cimitero de' Martiri e de' Santi che
seguirono I'esempio di Pietro
Tosto libere fien deiradaltero.
{Par.. EX, 142).
E questo stesso concetto, suppergi^, espone il
Poeta in quell'altro buo Bcritto politico, De Monar-
~ 75 —
chia, nel quale ebbe in mente d'iusegii&re "a i
durre il papa ad essere papa, prete non piii
adulterio con I'imperatore „.
In qaesto lib^o, aggiunge lo Z. "sano morsi <
VeUro... noQ eBseodo Boma riconosciatA da tut
il oonsontimento de' mortali, auche percio ohe ai
parte degli uomini non cousente oon essa„.
' M08BO da quesfce ragioni il prof. Z. si attenta
dare delle spiegazioni intorno alia parola nazio
usata da Dante, che pud benisBimo, secondo I1
indioare Firenae, che e posta a piS dell'Appennii
e presso Montefeltro, ohe e ad eesa parallela. N(
trovo per6 molto soddisfacente la spiegazione d
d& lo Z. intomo a Feltro e Feltro, che forse <
arte fu voluta laaciare ambigua; imperocch4 "a' p
de' BUoi coutemporanei, tutti miiiori di lui, sai
sembrata matta superbia, preconizzandosi il Poe
apertamente pel Yeltro,.
No, illustre Professore; qnesta spiegazione q<
pu6 aver base scientifioa e non riealta da ae
exm fatto oonsidereyole e degno. A me pare,
soetaoza, che, ammessa come notevole ta pric
spiegazione, quest'altra debba ritenersi fautasi
ca e forse anche molto strana. Feltro e Felt
non puo indicarQ che il territorio del GhibelHi
qnel luogo dove esei erano forti e temuti, 1' intie
piauura deJ Po, tra la a'lttk di Feltre del Friuli,
Montefeltro di Romagna. Qiunge in proposito po
gradita questa affermazione del prof. Z. "Chi pi
dire se Feltro e Feltro non sieno due nomi co
Tenzionali, allusivi a qnalche fatto della sua vil
o a una sua dimora in luogo, che alia detta d
— 76 —
Luazione alcaa pooo aseomigllasse. Notevole
16 m'6 la variante nel Witte: "tra 'I Feltre
Hro, oade il primo pii!i indicherebbe un no-
li oontrada„.
)r qui pare opporfcnno aggiungere per conto mio
esempi di nomi di citt&, oon Tartioolo, abbiamo
iti, specialmente quando Bono di geipere femmi-
Cito a caso, Aquila, Mlrandola, Badia, FTatta,
A, Pontebba, Porretta, Spezia, HoUnella, Per-
, Lastra, ecc.
Lbbiamo anche nomi di genere ma&chile: Fi-
di Modena, Dolo, Yasto, ecc.
Lbbiamo aucbe oon I'articolo al ploralo, come
[fonsiae di Eomagna.
] il oarioso e che lo stesso Dante foruisse esem-
nto al masohile, che al fomminile.
*er esempio :
Le gamLe tne alia giostra del Toppo
(/ii/t XIII, 120).
E maezerati preaao atta Cattolica.
{Inf., XIII, TD).
Ha s'io fossi fuggito in ver la Mira.
{.Pmg., V, T7).
Ub&ldia deUa Pila e Bonifazio
{Pvm., XXIV, BB).
Quelle genti oh'io dico ed al GtUluzzo
(Par., XVI, 6a).
Ch6 la Barbagia di Sardigna assai
Nelle femmiae sue 6 piJi pudica
Che la Barbagia doy'io la lasciai.
{Purg., XXin, M).
— 77 —
In quest' ultimo esempio 6 evideute I'accei
iFirenze, come 4 noto.
AmmesBa danqne come vera ed originole I
riante del Witte, tl Feltre, otttii del Friuli,
dagnerebbe.
Non Beguo lo Z. uelle altre sue ossarvazioi
tomo alia data della pubblicazione del Foema
Becondo lui, nmase inedito sia pure in qualohe j
-vivente I'atitore; e neppure vogHo metier I
Bulla sperauza che 11 nostro prof. Z. ha espresi
vedere, quando che eia., un gioruo 0 I'altro,
fuori da qualche sepolcro di SaTenna, 0 d
buco, o rtpoBtiglio, murato della detta citta,
tografo di Daute. Coteste dolci sparanze pi
illusion! di amanti e di adoratorl, e non poi
avere fondamento storico.
Oggi in fatto di studi dautesohi non de
eesere ammesse le ipotesi, che hanno reso invi
6 quasi misterioso il divino Poema. Contentia
di quelio, che abbiamo, e giudichiamo secondo i
che abbiamo a nostra disposizione. Al resto p'
ranno i poateri.
Non voglio chiudere questa parte senza a<
nare all'opinione espressa dal prof. Z. intor
Bignificato della parola Malta, detta da Cunizz
citato luogo del Paradiso.
Non crede il prof. Z. che questa parola ]
ricordare quella Torre di Cittadella, castelli
Padovano, edificata da Azzolino fratello dl Cux
Questa torro nell'anno 1266, presa Padova, fu i
&, d " ei videro nscire da trecento deformi spettri
'ivi D'infantiy di femmine e di riri, die snbitar
aente accecati dal nuovo raggio del sole, amuritt
passi, non sapevano pib andare. Foteva il oore
lei poeta lasciar diyentare meno belle qaeste po-
'ere vitttme ecceliniane, facendo che con loro si
aesoesse la memoria di qnel f%ltrino Tescovo tra-
litore?,
liO Scartaezini nel Commento lipeiese ha fatto
esoro di qaeste giaste e sennate osservazioni, con-
biadendo che la Malta di Onnizza non potesse
Bsere la torre di Oittadella. II Caeini non pare
he sia di quesba opinione, e nel sno Commento,
dito nel 1889, inclina piattosto a oredero che ei
lossa riferire questo rioordo alia Torre del Pado-
'ano, perchS questo ricordo e snile labhra di Cn-
lizza. In ogni modo, esolusa la detta Torre, come
wire si debba eseludere, il rioordo evidentemente^
in'alinsione a certe career! ecclesiastiche o di Bol-
ena {Zamboni) o di Viterbo {Scartaszini), nelle quali
1 Papa metteva li cherici dannati aenza remimiotte,
tcrisse in propoeito lo Z. : "La Malta ecolesiastica
ammentava al poeta il basso concetto in che fn
euuto dal volgo il sao uemico Bonifazio, novel-
andosi di un saoerdote, chiusovi da qaesto papa
)er farlo morire„ (pag. 378).
Come il lettore yede anche da questa sommaria
isposizione, Filippo Zambonl e scrittore veramente
lotto e di libero intelletto, cbe non s'6 perdato
>ra' Codici ed i manosoritti, e che non ha posto
— 79 —
I'altimo 8copo dello studio aella esamazione, (
vero nella nude e semplice illastrazione di ei
AUe ricserche fruttaose e fecondo pone Bempre <
me risultato qualoho suo pensiero echiettamente c
ginale, con forma che, airapparenza, pare ingen^
« che, noDdimeno, 6 fnitto di meditazione e di
taocameuto alia tradizione. AUe indagini fatte i
pensiero altrui, oontrappone s6 stesso, coo digs
d'aomo setnplice e laborioso, per il quale la v
h& pure nuo soopo morale e non pu6 esBere o(
fuBa con I'afiare, nh ool pnro e semplice godimei
de' sensl: vita di patriotta, soprattutto, e di bei
merito, goale appare dalle pagine autobiografic
premesse af volume in questa nuova edizioue i
1897.
Qaeste pagine autobiografiche sono importani
«ime e in esse gran parte delta storia preEente
narrata in certi curiosi e notevoli particolari, c
indicazione precisa di uomini, di fatti, di anedd<
di gnerrioinole, di raggiri, di contrattempi e
miserie politico-letterarie ! Quanti Inoghi ed e
tori ha cercato e veduto ne' suoi viaggi, e tra
ansie sue, lo Zamboni ! Qnanti ricordi fa in que
pagine, quanti ricordi, che &uno peusare e me
tare e vergognare Binanche! Quanti aocenni
persone, che noi stessi abbiamo conoeoiuto e g
dicato con la etessa indifferenza e con lo stei
meritato disprezzo! Non e il caso, mi pare, qni
far nomi ora ; ma tempo verra ohe pure oote
nomi oocsorrer& fare una buona volta per it giudi
— 80 —
areuo e spaseionato della storia delte lebtere verso
;li altimi anni del seoolo ehe teste 6 morto ! Non
ntendo aggiangere legue al maoohio, preparato
on qaeste pagine autobiografiohe dal professore
lamboni. Ma i> ourioso, proprio cnriOBO, cbe certi
neddoti si riferlsoano a recenti non dimenticate
olemiche contro il poeta Mario Bapisardi, e che,
a questo libro, delle oennate polemiche ei iaccia
icordo. Tolgo dal § XLI quanto segae: "In una
lolla eegreta in Prandio Domini: Sa V. S. per
ft sua carriera (eIc) didattica vuole tutto il nostro
ppoggio © quello de' nostri giornali, non si occnpi
i quel Signore, ni in bene, nd in mald„ (Puaac.)-
Jsano antonomasia per vero nome: Mario Bapi-
ardi. E qui ripeto in barba a' numini: esso h la
iili vasta fantasia di poeta vivente. N6 per I'eti
afievoli n ■
" lo non mi accordo al oontenuto di tutti i suoi
loemi, per6 mi piego a ohi mai davanti non pieg6 „ .
Altrove (pag. ilvi) narra che il poema Lud-
'ero, edito dal Barbara nel 1876, venne ben presto
aaurito. "Si disse cbe i preti glielo comperassero,
nde allora non fu pnbblicato, percbft risarcitegli
s spese, lo rimando all' inferno figurafcamente, ab-
>ruciando tutta I'edizione ; relata refero. Eeiste una
opia sola completa, il corpus delicti j,.
B udite ora un aneddoto, cbe si riferisce al filo-
ofo Bosmini.
Lo tolgo dal § XXXVI.
" . . . . Moetrera la dispoiiizione degli animi in
loma avanbi la Bivoluzione sotto Pionono. lo ne
di testimonio ; ma non 1' bo trovato in nessun li-
bro. Doyevasi formare on ministero che credo fo
cjuello di Mamioni. Certo fa prima dell'aBsassi
di Pellegrino B(»8i. In piazza della Cancelle
non 60 pifi se da Sterbioi o da Mas! veuiyano h
diti al popolo — popolo? allora yi prendeva pa
solamente I'intelligenza — per ana specie di j
biscito i QOmi de' ministri deBiguati. II bandit
sopraddetto : " Yolebe Bosmini ministro deir ist
zione?„ TJn monnorio ooncorde: "No, no„.
E il banditore: "Peroh6 no?„
Silenzio. Poi : " PerchS fe prete „ . E Eosm
non fa ministro n.
Torno a ripetere quello che ho detto dial
Qaeete pagine autobiografiche sono importantiesi
per la conoscenza della presente storia ed am
per gindicare I'opera di alouni. che ebbero, co
suol dirsi, le mani in pasta nel moyimento polit
e letterario dopo I'anno 1848 in Italia ! *
> Da UI1& letters, ohe mi ha aoritt* I'illtutre Frofera
tolgo qneate p&role cha ml paiono notevoli e degne di rioc
pec la Btoria del nostro risorgimeato : ".... IMUa mia Ei
nel mills non si trovano pib copie, e peroid di mbb non
poiao fare omaggio. E tanto pid vorrei che V. 8. I'aye
peroh^ nella note yi sono rioordi antobiografiai, auzi tatt
note in compleBBo sono scritte sotto Vimpressione de' tei
oho g;i& riveUno che con U breccia di Poitapla poltva fi
il mtdio evo, ma che non finl. Oredo ohe ae fosse poasibil
&Tne nn'altts ediiioue, dob Be si trovosse nn ttbraio ohe
lease diffonderla, potrebba trovare Icttori. Oosl mi stare
a oaOTs di pnbblioare, prima della mia morte, Is mamoria
Battaglione universitario romano, nelle quali sono descrl
fatti d'arme non solo dalle eampagne del '48 e '40, ma oerti ]
ticolari del tatto ignoti. P. I!, de* 800 (?) siciliani ohe si
meoto e I'c
-NeUo
diffiuundzi'
ial dott. C
"Oosl I
in Eniopk
rie. Haric
Eualini. ]
btti d»ine
del '48, en
fonda ...'.I
Firenze bm
mettetli in
Sonii qnei
diaposta be
UN CONTRIBT]
Dl STOEIA MEEIDI
■ A proporito d«Ua pubblicadone di in
Dl LoBBKO, Uh Urxo vtanipoh di Monogrn
* eiUabrMi. Siena, tip. editrice hui Benuud
SUm^alo (ulta BMie^k DasiDii
La storia politica e letteraria delle tre :
labresi, per gnanto specialmente si riferiK
ecimento, s'insinna oramai nella storia ge:
talia, ed acqnista ogni giorno pregio ed in
Sono gi& noti gli stadi buI Telesio e
panella, pe' quali, com' d noto, I'altims
detta dopo le ricerche frattnose, fatte ed
da' oompianti professori Fiorentioo ed
Molto ancora rimane a fare, e non sol(
periodo, ma anohe sal seoolo, che prec
gaello ciie segne al BiBascimento. II Nifc
sao biografo, nn biografo accarato e sioaro
rate da bona o da vanit& locale, che oi >
le virtfi e' vizi di gttel grandissimo ing
tore di un libro sul " Principe „, che 6
scQBso a proposito di an altro libro sal " I
di Nioool6 Machiavelli, venuto alia lace
E 11 loro biografo aspettano ancora :
che hatino avato fama nel loro tempo, e
U risorgimento degli stndi olassici die' lot
meritata considerazione. Biografie e not
,t -
h
1:
■{
f
}
4
A
i
;■'
H.
; i:
•J
— 86 —
abbiamo, speoialmente nella pubblicazioni degli
sorittori looali. Ma occorre, anzitutto, racimolarle
di qua e di 1&, anche forse nelle pubblicazioni de-
^ gli scrittori delle cose di Sicilia : e poi, non biso-
i gna credere ad occhi chiusi a tutte coteste notizie,
r ohe sono state talvolta raccoite e diffuse senza nes*
suna critica, senza nessun criterio di oggettiyit&,
scientifica e letteraria.
Tutti gli scrittori locali, d'ogni regione e di
ogni tempo, salvo pochissime e note eccezioni, hanna
esagerato, narrando. Ma gli scrittori calabro-si-
culi, salvo pocbe eccezioni, hanno esagerato pifi di
tutti, quando hanno scritto de' loro grandi uomini.
Di questo peccato nbn rimane libero nemmeno il
Mongitore. E un altro scrittore accurate, lo Span6-
Bolani, pretende affermare che Giovanni Alfonso
Borelli sia nato in Beggio di Calabria, nel con-
tado di Sant' Agata, mentre Angelo Fabroni aveva
pubblicato I'attestato parrocchiale di nascita del
Borelli sino dall'anno 1773. *
In uno studio suUe cose calabresi ed anche si-
ciliane il lavoro preparatorio dev'essere grande,.
peroh6 uno scrittore trascrive dall'altro. Talvol-
ta occorre notare che uno scrittore aggiunge di
^ In una OomanioaEione pubblioata nel BoUettino del Oir^
eolo ccdahrest di Napoli, anno 1897, il benemerito prof. dott.
Francesco Morano, dotto racooglitore di stampe e libri di
nomini illustri di Calabria, ha pubblicato e illustrato incite
notizie sul Borelli ed espresso Fopinione che questi fosse nato
da una Sorella del Gampanella. Ed ha aggiunto : ** Probabilmente
la madre [del Borelli] per sfaggire alle persecuzioni viceregna-
liy onde erano bersagliati tutti i parenti di Fra Tommaso, da
Stilo si 8ar4 trasferita a Sant'Agata, e quiyi doyeva troyarsi
quando nacque Giov. Alfonso Borelli „. Ma questa ipotesi —
rispondo io — non toglie autenticit4 ed importanza al docu-
mento pubblicato dal Fabroni.
-^ 87 —
testa ana, secondo il buo desiddrio, senza prova i
dooumenti, o oooforto di oonsiderazioni e di ni<
ditazioui. Potrei citare infiniti esempi. Ma sc
Toglio perdermi nelle conaiderazioni prelimiDai
bastandomi I'BTvertenza, ohe lio fatta, per ginstil
care, o epiegare la darezza e cradeltji, ohe talvoH
ha avato la mta critica, ed anche perchd si meti
in goardia il lettore: aggiuugo, per pregare pal
blicamente ed ntilmeute chi acrive di coae calabn
nonle di dar prova di critica serena e Bottile al fit
di sgombrare il terreno, tatto il terreno, alio stadti
so, 11 qnale dev'oBsere aempre meBso in grado d'ii
tenders, nel modo pii!i agevole e migliore la noati
disgraziata storia politica e letteraria meridional
Tra qnesti aorittori sereni, non preoccapati Si
verohiameute dell'argomento, n^ dalla trattazioi
che se ne deve fare, conoacitori perfetti del temp
nel quale la materia storioa ai b mossa, e pn6 i
consegaenza avere acquistato pregio e magni&cen!
di uarrazione, ha ano de' primi post! (ee non
primo poato tra' reoenti i^crittori calabresi), mons
gnore don Antonio Maria De Lorenzo, gi& Vesoo\
di Mileto in Calabria, promoaso a' 28 novembre 18£
ad Arcivescoyo titolare di Seleacia d'laauria.
Gli scritti ainora apparsi del De Lorenzo, i
hanno talvolta argomento piccolo e riatretto (i'Ospi
dale reggino di Santa Margheriba ; I'Ammiraglial
di Napoli ; lo stemma del Comnne e il culto di Sa
Giorgio in Beggio di Calabria; i Calabreai nel
correzione gregoriana del Calendario; Le quatti
Motte estint0*pre8ao Beggio di Calabria ; Sant'Agal
leggio ; Le Calabrie e la gtornata di Lepanto,
' hanno vedate larghe ed originali, compren-
di oonoluBtoae certa. Nati da' documdiiti
iati, od illustr&ti, od dBumafci dallo steBso aa-
, cotesti studi del De Lorenzo sono sempre I'nl-
, parola buI piccolo e ristretto argomenbo, trat-
con ampiezza d matiuit& di giudizio singolari.
Sd e bene aggiungere ohe parecchi di oo-
pioooli argomenti danno coutributo ed au-
alla Btoria civile e letteraria d' Italia. Lo
io salla eorrezione del Calendorio e qnello snlle
tro Motte posBono avere importanza generaie
Le fuori de' confini aesegnati alia storia calar
e. Non Bono in grado di giudicame. Ma bo
io sentito lodare il risaltato degli studi del
Lorenzo su le sooperte arobeologicbe di Beggio
alabria, pubblicate nel 188& e 1886 con tavole
frafiehe pregiate.
Tel fare rannunzio di quest'altro suo libro poche
) cose dovrei aggiungere. In sette capttoli an-
tto, Bi dk sotto forma di Eieordi, la Btoria
Semiuario reggino, dei tempi di monB. Q-aspare
F08S0, 11 quale, " come afferma 11 Pallavicino,
Concilio di Trento godeavi tale opinione di
lenza e dottrina da venire reputata la sua pre-
a nonch& ntile ed ouorevole, necessaria alia
a Assemblea „ ■
Per la coltnra, cbo ben presto ei difFiiBe nella
bbI con 1' opera incessante del Seminario, in
pi ne' qaali I'edacazioue pubblica non era an-
bene regolata, no inteea dal Qovemo napo-
ao, ben presto rArcivescovado di Beggio aoqui-
sonBiderazione ed estimazioue nell' Italia merl-
ale, nella vici&a Sioilia e nelle adiacentl isole.
Trovo in qaesto tompu registrata dal Plrri una
notizia, ohe invano ho cercato nelle sorittare di
storia locale. II Vescovo di Lipari, frata Alberto
C&ccamo, per sottrarsi alia potesta della LegazioDe
apostolica di Sioilia, e forse anohe alia soggezione
dell'Arcivesoovo di Messina, Andrea Mastrillo, oomo
di discnsso oarattere tra' saoi contemporanei, chie-
se, ma Inutilmente, verso il 1621, di appartenere
qnal Sufiraganeo alia chiesa metropolitana di Reg-
gio di Calabria, retta da mons. Annibale D'Afflitto,
palermitauo, che, al pari del Mastrillo, era stato
in Madrid, sotto Filippo II, al ministero dalla Cap-
pella r^ale. '
Con Dal Fosso si pn6 dire che cominoi nella
liMcesi reggina uu 3ra nnova di apostolato. Finita
1' ingerenza mondana, di cut die' brutta prova I'ar-
civesco Orsini (1612-1626) e al quale credo si debba
riferire la Novella del Bandello (parte III, nov.
XYI) nella quale I'avarizia del Prelato ha giusto
e meritato castigo per opera di certo Bigolino ca-
labrese sno familiare: gli arcivescovi di Keggio
ecceliouo per opere di carit^ e di benefioeuza.
II Bal Fosso con pubblico istrnmento die' parte
> D'nn allto veioovo di Lipui, frate Alfonso Vidal (I60t-
IBIS) lo stesso mom. Da Lorenzo he, pobblioato {Beggio di Co-
iabria, 1873) due lettere ttirAroiveBooTo di Beggio mons. D'Af-
flitto, nelle qooli si domandano ainti e oonaigti pei I'eseroiaio
del miniatero episoopala: ■ stando It laioi di qnella oitt4 sotto
la iaTisdiotione del regno di Napoli ,. Pare ahe I'AroiTeaooTo
di Beggio aTesse sin d'allora nna specie di giurisdieione ao-
oleaiastioa loUinlMtt snl territorio delle Eolie agendo trasmosso
a qael YeseoTO ana oommisiione Ticevnta dal NimEio Apo-
•tolioo e dal Oatdinale di Firanse Alassandro Qidltano Be'
-io vescovile a 200 famiglte oon obbligo
vazione del gelsi ueri per l'iiidastri&
II D'Afflitto mostra nella iavaBione de'
. 1594 quanto fosae in lui forte il seuti-
stolioo della carit&. Gaspare Greales et
animo mite. Katteo di Q^nuaro, dopo-
o gli appestati nel nosooomio di eau Gea-
ipoli, ritnasto inoolume sino alia fine
s fiagello, aiid& a Beggio e resse la chiesa
lode.
Aroivescovi sono stati i fondatori del
reggijio, che ebbe giuet^ estimazione in
alabria, specialmente sino al passato se-
tori di fama non dubbia anche in Italia.
[U altri, quel GiuBeppe Morisani, autore
otte e notevoli di aroheologia e di storia
a: le " lusoriptiones Beginae „ (1770)
lompendio tntta la storia antica, politica
li Reggie. Con la fama del Morisani
tutta Italia la fama del Seminario di
) lettere onoriGche venivano al Morisani
3& Luigi Asaemani, da Niccol6 Ignarra,
bio Zannotti, da Pietro Ballerini, dal
e da altri ohiari contemporanei^.
10 disjntere ora, se ci pare opportuno,
LO incompleta, cbe si da ne' Seminari, e
iizione raoimolata di qua e di la, con
0 classico, senza nessuna base di studi
i scienze naturali, che si acquista uei
liocesani della nuova Italia, con mani-
rsione a quanto si fece e si fa nell'in-
la Patria; ma non e bene e non mi paro
— 91 —
opportuno il negare quanto il Seminario fece, spe-
oialmente nelP Italia meridionals, in pro dellav
scienza e della cultura italiana.
L' insegnamento pnbblico ha le sue origini tra la
ansie e gli stimoli di propaganda religiosa e confes-
sionale. Mentre a qualcuno par che la fede sia ne-
mica assoluta delle indagini e delle ricerohe speri-
mentali e si opponga ool preconcetto a una conclu-
sione disinteressata, qualunque essa sia; e la fede^
che pu6 fare il miracolo di propaganda, raccogliendo
gli umili, i poveri, i derelitti, gli sventurati, guidan-
doli, addestrandoli, avviandoli alia diffusione della
ideaj che 6 credata ed acoettata sinoeramente dai
suoi apostoli e confessori. Qaando avremo giudizio
e sapremo giudicar meglio le dottrine, che sono
effetto della Bivoluzione francese, sapremo senza
dabbio dire la verita suU' insegnamento confessio-
nale, dato sino al passato secolo ne' Seminari con
disinteresse e con zelo.
Mons. De Lorenzo fa sapere che il Bettore del
Seminario di Beggio veniva retribuito di mensa,
alloggio e servizio senza altro compenso pecuniario ;
il trattamento di bocca si computava per 36 ducati
all'anno, cio6 un carlino (43 centesimi) al giorno.
Paga effettiva in ducati settantadue toccava alFeco-
nomo o procuratore. ^ Anche il solo stipendio in
danaro al maestro di superiore grammatica in ducati
quaranta. Mantenimento e stipendio di ducati dodici
al maestro di grammatica inferiore, a cui pero toc-
cava I'afiaticarsi con allievi ginnasiali ed elementari
di diverse grado e livello. Ogni professore di scienze
toccava ducati trenta all'anno. S^ntende che tali
spondeBBero allora ad qu valorn
ll'odierno, pur© lasciavano agU
la speranza di qaalche stallo ca-
fazione di ooQCorrere anche oou
all' istituzione del giovane clero „ .
ohe aggiungere ohe mons. Da
iza volerlo, faceudo la storia del
gio, ha iniziato stadi che vorrei
lU'insegnamento pubblico nelle
!onciUo di Trsnto.
bi abbia potato eseere la scnola,
i calabreEi, nell' nltima parte del
)~ il volgare cominoiava ad appa-
) e non ci potr& essare noto, man-
I mostrandoli, soltanto, il greco ad
i notarili: an idioma tra il grace
0, senza aBpresBloni a forme ori-
parare, doveva ascire dalle Ca-
lento prima di parbire, come si
condarsi con molti stanti e molte
V9 poi, quando aveva imparato,
Boola patria a acqaistava sover-
besEo e delia forze uue. Per ao-
ponio Leto, Parrasio, Nifo, Gravi-
a usoire, od almeno domaudara
agli studi iu an convento, coma
Tutti gl'iiigegiii per eduoarsi,
ni, dove prendevano aria pura, in
:ito.
il segno del raccoglimento e face
} edacativa del proprio paese, fa
— 93 —
nelle tre regioni calabresi il Vescovo: onde il Se-
minario in Calabria ha importanza singolare nella
storia, che h anoora a fare, dell' insegnamento pub-
blico italiano, specialmente dell' Italia meridionale.
Oltre lo stadio sul Seminario, in questo terzo Ma-
nipolo abbiamo altre monografie, tratti storici, pagi-^
ne sparse, spighe e granelli, tutte cose pensate, stu-
diate, esaminate con la solita critioa e col solito sensa
di oggettiyit&, senza preconcetto.
E perch^ le lodi non paiano effetto dell'amici-
zia e de' vincoli, che abbiamo comuni, con gli
studi di storia patria, devo qui accennare alia mo-
nografia su mons. Giovanni Andrea Serrao, Vesco-
vo di Pofcenza nel 1699, biografo del Gravina, in-
chinevole alle idee di riforma e di liberty politica,
sospetto alia Curia ed amato, come pare, dal Ta-
nucci.
Questo prelate in una lettera al Morisani, la
quale mons. De Lorenzo pubblica integralmente,
nel 1758 scrisse queste memorande parole: ^ . . . hoc
tempore non temporalibus ac mortalibus rebus pro-
curandis idoneo eget Christiana Besp. Moderatore '^
sed eo potissimum, qui divinae Beligionis causam
constanti et forti animo contra impotentium teme-
ritatem defendendam suscipiat „ . Parole d'oro, che
i ben pensanti dicono sempre, specialmente quando
6 prossima la riunione di un Conclave. E si noti
che mons. Serrao le scriveva da Roma, dopo la mor-
te di Benedetto XIV e prima della elezione del Bez-
zonico, Clemente XIII. A -mons. De Lorenzo paiona
per6 poco opportune e quasi inintelligibili queste
parole, e quando appunto Giov. Andrea Serrao,
t ■
f ■ i*
rteno-
dtIo a
giaoo-
tBtola,
igadie
1 qna-
ti Po-
oue e
giola
indida
na ad
larghe
.6 pre-
lla te-
to
a par-
ncilitb
tatua;
!o, no,
lidata
□te il
tedal-
ronon
ittiifcto
3I eao
aroliia
,deUe
Lt& di
lalnn-
— 9B —
qae oo3to, e oou goalanqne mezzo, con le an
e con 1ft morte spietata e immediata degli a
versari. Per vincere e trioofare, bisognava ai
mazzare, u'ooidere, dar faooo, violare donne, fai
cialle; non preoconparsi mai delle vittime, ii& del
morti violenbi pari a qnella di mons. Serrao. Anol
quaudo gU awersari hanno posizione autoreTO
«d elevata e sono intent! alle eante orazioni, oon
■noDB. Serrao, ocoorre il ferro mioidiale e la mort
Bisogna leggere i dooamenti editi di receute d
barone Serena. Sono oose che dawero fanno pei
sare e rabbrividire 1
Qaalohe altro aoceono iniport«nte abbiamo .
qnesto libro, del qaale bisogna prender nota, I
riferisoe agli Ebrei della Calabria, cbe nel sec
lo XIII aTevano 14 etazioni, o Coinanit& distin
e Beparate dai Comuni degl' indigeni, presso ai que
si ritrovavano: una Bpeoie di Comune doppio, d
quale avevano dato eaempio, specialmente in Sic
lia, gli antiohi Eomaui. II D. L. attinge qaev
curioss 0 notevole notizia da un docnmento, Reg
ato angioino, dell'Arohivio di Stato di Napoli.
da questo docomeato (1278) Borge la prima mem
ria Boritta delle Comunit^ giudaiche in Calabri
delle qnali nessauo Borittore sino ad ora ba pa
lato non dioo ampiamente ; ma nemmeno fuggevo
mente, oome fa mons. De Lorenzo.
Questo documento epiega 1' incremento obe e!
hero in tntto il Beame gli Ebrei, speoialmente soti
gli Angioini.
Ma io qui credo opportuno rioordare in propi
sito il Beaoritto di Carlo Martello de' 6 marzo 129i
ad alcuai nobili oapoletani, ohe avevano
trrore giudaico, veune concesso di poter
re una Sinagogs in Oratorio per udirvi le
albri diviui u£&cii. II 3 marzo 1311 Rober-
aver notato' ohe molti Giudei convertiti
10 relapsi, abitando lo Bteseo laogo de' non
i, vieta espressamente tale anione, impo-
itazione separata. Lo stesao Roberto a' 16
1336 d& potesta all' Inquisitore Fra Paolo
di procedere oontro i Giudei. E la regina
. a' 22 novembre 1343, ricbiamando in vi-
[ispoeizioui date in proposito da Roberto,
. disposizione de' 24 novembre dello stesso
te con premura il divieto, non volendo che
oonvertiti praticassero co' non convertiti
il Beame. Ma prima del 1290 altri do-
Bttgli Ebrei non erano noti. Onde I'im-
del Regesto, indicato, od esumato (la cosa
n nota) da mons. De Lorenzo, obe si ri-
I'anno 1278. Questo 6 dunqae la prima
scritta che abbiamo delle Comunita gtu-
.labreei. Da certe iudicazioni di Giadeoa,
ca, date a luogbi presso Arena, G&latro,
)nde 6 Maropati, il D, L, trae la conclu-
posteriormente queste Comunit4 gindaiche
avute moltiplicare ed aocrescere. Gl'Israe-
3ggio ebbero importanza non trascurabile
tempo aragonese.
BO I d& esecuzione alia boUa di Kiccol6 V
ngno 1447, con la quale fra Giovanni da
QO veniva delegate ad inquirere contro i
)roibeudo a' cristiani ogui commercio con
— 97 -
eEsi, anohe il maDgiare, il bere e
da essi medicine, o cure di feril
sbesso Papa, dopo aver notato
Sicilia erano crescluti i cristian
una Bolla a fra Matteo da Be^
nori, oostitnendolo Inquisitore c
B noto che ne' CapitoU di j
dalla, citt& di Keggio ad AIfons<
samente domandata la reintegrs
Bdizione de' Canonic! del Dno:
reggina.
In atcune Lettore di gover:
Federigo nell'anno 1497 a Polida
Tesoriere in Calabria, abbiamo
de' Qiadei di Calabria e su' ored
Cristiani novelli, a' qaali forse
s'era rivolto, per aver danaro, •
potersi rivolgere, richiedendoto i
avesse di nrgenza per la guerra
Qualche altra notizia d& il Ch
cenno, cbe st riferiBce a' 16 noven
il Oran Capitano richiedeva al (
la deposizione di alcuni Cristiani :
tavano. Ma importanza grandeel
Calabria e epeoialmente in Eeg
la partenza da Napoli di Ferdi:
(1507) Botto il governo del seoonc
don, Giovanni d'Aragona.
Qai giunge proprio opportur
mous. De Lorenzo scrisse in un
(1895) a proposito del colpo, o i
mitico di Beggio de' 26 luglio II
Cbrei della Calabria e di Beggio veunero sfirat-
peroh6 " tiranneggiayauo gU Boarsi elementi
•ommeroio e dell' indastrJA indigesa con un
ma ohe diremmo inaadito „.
0 non so che oosa pensare di ooteBto ntovimento
«iiiitico reggino, le coi consegaenze eoouomiohe
10 dawero disaatrose. Certo & che gli Ebrei
• oomunit& oalabresi, soaooiati repentinamdnte
1 Calabrie, ai ridussero in Sioilia, e pot ebbero
arto ed asilo in Toscana ed anoho in Boma,
della cattolicit&.
Lggtuugo che dope il bando, anzi immediafca-
be dope di esso, venaero i Turclii iu Beggio nel
I di agosto e feoero per la prima voUa quel
Qmauno, che duro qnattro giomi. Natnralmen-
ssottigliata la popolazione, le forze interne del-
itt& dovettero diminuire, e questo notevole Bac*
inno, ricordato anche da mone. De Lorenzd, 6
) possibile. Sino all'anQo uel quale gli Ebrei
no in Beggio, presero sempre parte alle spese
erauo a oarioo della oitba, anche a qualla mtUa
renta uomini e qnattro paia di bnoi al gioruo,
doTfittero servire per le fortifioazioui alia mi-
siata invaeione di Carlo VIII.
n consegueuza eiamo in grado di affarmare ohe
al tempo in cni gli Ebrei fnrono iu Beggio, i
ihi non si atbentarono mai ad entraryi,
Igginngo ohd a coteati Ebrei di Beggio si de-
ittribuire I'introdiusione dell'arte della stampa
alabria, od, atmeuo, I'inoremento di essa, aven-
lOtesti poveri e peraeguitati Gindei, neU'aniLO
i, pubbticato per la prima volta in Italia il
{Jommentario ebraioo del Fenfcateaoo di Babbi Sa-
lomoDe laroo: na fa editore Abramo Garton, 11 oai
mme do a titolo di onore.
Avrei desiderato iubomo a Fra Matteo di Beg-
gio ample e partioolarL nofcizie, non potendo basta-
re quelle date dal Bodot& e dallo Spauo-Bolani
Non si pa6 rioordare gli Ebrei di Oalabria, senza
tare acoenui al nonje di tui. Fa Aroivesoovo di Bos-
sano e iatrodasse il rito latino nella ena diocesi.
Qaesto fira Mafcteo dovette esaere devoto personal-
mente al pontefioe Nioolo Y : egli, in consegaenzB
forse de' nteriti che ebbe, rese poasibile I'incarioo
della luquiaizione a' Francesc&ni, sostitnendo qae-
sto Ordine religioso a qaello de' Domenioani, pei
qnali ravrersioue nel popolo dt tatte le provincie
del Beame era grande, sincera e diffusa. Mons, De
Lorenzo avrebbe iatto assai bene a dar Itune in
propoaito: egli solo, de' Calabresi Bcrittori, avreb-
be potato farlo oou qael corredo di critica e di dot-
trioa che possiede.
Certo h obe dei CriBtiaoi novelli di Sicilia e
Calabria pooho notizie abbiamo e tutte oonfuse
nelle pnbblicazioni sincrone, nelle vite de' Banti,
nelle storie looali, no' lavori particolari, od anobe
nelle biografie di aomini illnetri additati da qaalcbe
scrittore, moaso da boria religiosa o di oampanile.
Nou pare obe de' Cristiani novelli ai abbia
Qotizia prima del 1391, nel qaale 100 mila fami-
glie ebree, dopo I'ecoidio crudele di moltiseimi
di loro, fdrono ' obbligate ad aooettare il oristia-
nesimo ed altre a fuggire, dioendosi eonverttte,
e passate al Cristianesimo. Tenati d'oocbio dal-
la Inquisizione napoletana, si mantennero e conser-
varono segretiBsimameute uell'autica fede gindaica
— 100 —
.0 anohe scuole clandestine di propaganda,
3ulta da moltiBsimi prooesBi oominciati a[K
ell'anno 1569 e continuati per piu annL, in
3 nelle provincie. Bimando il lettore a qnan-
* Or. B. Del Tufo nella Historia della reli-
' Padri Ckerici regolari (Roma, 1609) e ri-
,] compiauto prof. Lnigi Amabile in qael
I libro 'sal Santo Officio della Inqui3i2ione
na (Citta di Castello, 1892). Degli studi del
to Amabile bq questo argomento nou pare
i ohe mons. De Lorenzo abbia notizia.
ca sinora, in ogni modo, Qua monografia su'
[i Calabria ; onde deve giungero aesai gradito
lioeo I'accenno cLe di essi ha fatto il beneme-
llustreprelatoDe Lorenzo. Credo che da qne-
ani quando che sia potr& essere qualcano
,to a dare ample notizie ed a preparare nno
evero sa questo argomento. Per qnanto si
alia Sicilia, devo qui notare, I'argomento 4
upiamente trattato da mons. De Qiovanni
iri accurati a pregiati scrittori.'
krte questi giadizi, che talvolta possono too*
politioa direi un po' contemporauea, questo
mons. De Lorenzo 6 notevole assai e da
inthbnto agli studi di storia meridionale.
r questo che ho creduto di discorreme am-
[jCMIa, cfr. nel 2' vol. de' enoi Sladi di ttoria Sieiliatta,
Loo, 1B70, ed il Codice dtplonmlico dt' Oiudn di Si-
, 6 Q. LAOnmNi, vol. VI de' Docuiatnli ptr la Sloria
lia, Palermo, Amenta, 1885.
— 104 —
alia Ghmnmatica, «ra capace di strozzare
) di saorificare il penslero alia formazione
rase.
non e di coteste picoolezze, che voglio par-
Ei. Intendo, piuttosto, accennare a' gittdizi
(□on li indiaher6 con altro uome), senza base
1, che il dott. Lombroso dk solle Calabrie e
abresi ancke in qnest'articolo, dedicate inte*
s al brigante Husoliuo.
io ho avuto occasioue di scrivere intorno
altro lavoro del Lombroso, dedioato alia
.a, edito nel 1862, e poi pabblicato tale e
K>chi anni or sono, pe' tipi del Gtiannotta di
i: un libro pieno zeppo di errori e di ine-
i, in contraddizione aperta col tempo, nel
I stato poi pubblicato ; libro che andava rifatto
lalla prima all'uUima parola, prima che po-
vedere un'altra votta le stelle della pobbli-
^nesto libro il Lombroso ha tentato, come
t I'aatore, di correggere le lacune degli anni
eaperienza.
uesBuna correziono h stata fatta, tale da
il pensiero dell'autore, o di farlo apparire, al-
prcoccupato, dell'argomento che aveva 1'bq-
)re80 a trattare. La Calabria era descritta
3ra stata veduta uel 1862, qaando, per la de-
a aanessione al Regno d' Italia, tutta la re-
meridionale era ancora diviea in fazioni, e
cora era entrato pienamente in qnel popolo
ienza del dovere pabblico, quello de' citta-
un grande Stato. Kessun aocenno, o notizia
J
Bommaria, de' miglioramQuti che poi bouo stati fatti
od iatrodotti, nella regione calabrese, daH'a&no 1861
Biiio al presente.
Frendo questa ocoasione per affermara anche qu
qaello ohe ho aoritto nella Eassegna nazionale d
Firenze (maggio 1899) a propoaito del volume sail
Calabria del dott. Lombroso ; cbe, cio6, molto pro
grease la Calabria noa mostrl di aver fatto ; ma ni
po' di progresao pare I'abbia fatto di oerto ; e que
ato progresBO e evidente uelle steBse sue istituzion
locali.
Come nella compilazione del libretto suUa Cb
labria tutta la regione calabrese apparve al dot!
LombroBO quale era quando egli la vide, e noi
qnale era poi divennta qnando eglt sorisse, Rio<
dopo tanti auni di govemo nazionale; cosi in que
st'articolo sulVuUimo Brigante la nota k ta stesei
I'oblio del presente, I'idea fiasa nel ricordo delt'an
DO 1862 : potenza e fermezza delle prime impree
Bioni, delle quali nemmeno gli uomini di an oert
ingegno si sanno liberare verso gli ultimi am
della loro carriera scientifioa!
Questo pare a me sia il punto prinoipale dell
osaervazioni critiche fatte BuUa Calabria dal pro:
LombroBO, e delle sue osservaztoni aulVulUmo Br\
gante Musolino.
Ma qui sta debto per I' ultima volta. II brigant
Afasolino, in fondo in fondo, h un malfattore, com
tanti altri, di Calabria, d'ltalia, e specialment
della provtncia di Eoma, e del ciroondario di Yi
terbo. Nato con iatinti feroci, non Iia mai avnt
I'aasilio d'ana correzione e d'usa edacazione qos
bqI suo carattere morale, sempre impetaoso
jUerantd di freuo. Amaute dell« alte soli-
i Aspromonte, appeiia bi vide persegaitato,
inBando alle vere nd ineluttabili cagioni di
persecnzioiie, desiderd di poter correre e do-
I aa' monti e dalle Bolitndini delle foreste, e-
bnde prova di resistenza, di sobrieU, di agi-
iscolare e d'totelligeoza.
levo agginngere che il Musoliuo, fanciullo^
ero qttello che ho sapnto dfi' miei amici di
parti, □on 6 st&to differente da tanti altri
It e gioTinotti della stesua Calabria, delle
zie meridionali e delle altre regioui d' Italia*
le i primi fatti, che bodo poi delittt istintivi
ri delle nature impetuoBe e ribelli ad ogni
iione intellettuale ; il Masolino 6 stato nn
)tto audaoe ne' primi anni Bnoi. Ora se il
no foaae atato educate convenientemente e cor-
icondo la saa stessa natura, sarebbe di certo
ito un grande oondottiero, un uomo straor-
1, forBe anohe un eroe, del quale la Patria
bbe potuta gtovare e vantare-
rimi anni di Tommaso Campanella e di Gio-
tf tcotora hauDO punti ed aneddoti straordinari
i di considerazione per la rivelazione del loro
re aggressiTO ed impetuoso, prodotto dalta
aza di un'educazione morale, bene intesa nel
nodemo.
nmaso Campanella dovette fuggire di cson-
in convento, Eempre in odio alle Autoritji
uche dell'Ordine domenicano. E avendo ve-
I danno delta dominazione spagnnola,' per
— 107 —
liberar la Patria, pensd di farsi aiutare dai Ti
che erano di oerto pijt oristia&i di qnei nostr
minatori ocoidentali.
E it Nicotera, del quale abbiamo tanti bel
scorei parlamentari ; Nicotera, che uon feoe mi
corao regolare di studi di nessun genere, Nio(
sempre audaoe (obe era un Diavolo, secondo il
ghi), gitt6 in faccia a nn Magistrato borbonioo
I'esercizio delle Eue faazioui, I'incbio&tro d'ni
lamaio, in presenza dello stesso Cancelliere e di
sltri giudicabili. Poi qnesto Giovanni Nicotera
ebbe puuto paora di entrare nel carcere dellE
vignana, carcere orrendo, che avrebbe potat<
tare eoIo cbe avesse domandato la grazia al G
no da lui tanto odiato. Questa grazia egli non
domandar mai e credette, con cto, di eseer :
nella steesa galera.
Come naoqne e Bt conservo in Calabria
Bta grande pazzia, cbe 6 I'amore verso la Fa
Sarei curioso di saperlo dal dott. Cesare Lomt
il qnale, son oerto, studiando il fenomeno, e
corgerebbe cbe, senza que' pazzi e Benza q
pazzia di moltisBimi Calabresi, la Nazione ita
uon si earebbe potuta ooBtituire, e il dott. C
XjombroBO non potrebbe ora dettare lezioni df
delle migliori Univereiti di un grande State
babilissimamente, oome dioeva Vittorio Imbria
II dott, Oesare LombroBO vuol trarre oouboj
ze, che ai riferisoono ad una regtone, notai
i'atti psrticolari di un uomo violento e male
cato. Ma avrebbe il dovere, mi pare, di not
iabti particolari di tanti attri, nati nello t
— 108 —
I, ohe haano reso emiiienti servigi alia coltara
la ed al progresso di tatta 1' umanitii.
on dere essers lecito ad aa illaBtre Professore,
[eve essere gLA abituato severamente al me-
Bcienti&co, di tirare oonsegaeuze general! da
alo fatto partioolare ed indiyidaale.
Musolino, a torto od a ragione, non voglio
(a non sarebbe qnesto U Inogo di tale disa-
I, ha creduto di essere stato condannato ingia-
inte. DicoDO obe il sao avrooato abbia rioa-
li difenderlo, all'ultimo momento. Ha pensato
jae cbe neppnre le sue ragioni a acartco fossero
bene espoete e dichiarate al Magistrato, che lo
poi giadicato ; e che, quindi, la saa oondanna
ira stata proaunztata ne' modi volnti dalla
peuale : ondn la sua ira e il sentimento della
sndetta contro tntti colore, che avevano coo-
D a farla pronunziare. Prima di tiitto, vendetta
D i testimoni a contro I'avvocato, verso 11 qoa-
Bono, abbia sempre espresso sentiment! d'odio
ido ed inesatuibile.
esse in prigione, scappa abilmente dalle car-
I domanda di salvare la pelle nei boschi e
I montagne delta sua stessa. regione.
a, carisaimo dott. Lombroso, coudannati ohe
dano perseguitati e che scappino dalle car-
abbiamo dappertatto.
J letto flulla Tribuna (3 febbraio, n. 34) di
■atelli Biddle, condannati a morte per assas-
i quali, alatati dalla moglie del oaroeriere
faggiti dalle prigioni di Pittsparg in Pensil-
— 109 —
Non BO intendere come bu qnesta ouriosa,
sione americana non abbia ancora emesso il v
delle sae pregiate oEservazioni il profeesore I
broso.
I due assasstnif per fuggire, natnralmente hi
doTUto ueeidere. Ed ucoisero, infatti, parec
persone, e, dope, fecero un viaggio lungo, si:
OoopeTstown, dove furouo arrestati. GurioE
fatto obe nella vita di questi dne aBsassini ba a
grande importanza la donna. Continoamente e
viBttati nella prigione da donne giovani e veci
aloune di famiglie rispettabili. St narra cbe,
sino nua signora misteriosa, visitando il Gove
tore, avesse ottenuto una proroga alia eeeoaz
iatale.
Or che cosa direbbe dt tatto codesto il dot
Lombroso !
Con 1' istinto che ba di geueralizzare e di
tetizzare; con 1' istinto cbe ha di traecurare le
elementari analisi de' fatti umani secondo le
gole della dialettica; volendo tirare delta co
gtienze a qualanque oosto, direbbe : ohe uello S
di Pensilvania sono molti assassini; che le prig
degli Stati Uuiti sono poco sicure ; cbe quelle <
ne non amano i galantuomini, ma i delinque
e cbe, flnalmente anche i Oovernatori di qt
Contee si lascino facilmente vincere dalle I
signore !
Tutto questo e ben altro direbbe il dottor L
broso e molti crederebbero di certo alle parole
Sventaratamente in Italia, e forse ora in ti
il mondo, la vita modema e contraria alia med
In coQBsga&uza, uod potendo noi pansare
are agevolmeute solle parol«, ah.9 Bono dette
palpLto, non volendo sottoporoi alia fatioa
>lore di pensare con la testa nostra, crediamo
Qte anche alia prMica, fatta oon poohissmia
na Benet& da an Inogo saoro aUa sciensa.
:ae8ta nn'altra forma di qael curioso e per-
> Medio-evo, al quale in tanti modi tentiamo
'aroi inntilmeDtd.
io sottoscritto diohiaro di easere esperto oo-
"6 degli n&i, de' oostnmi, de' deeideri delle
ioni cslabresi, tra le qnali sono nato ed ho
molti anni. La regions oonosoo disoreta-
anohe nello svolgimento della storia sua'
are, del movimento della sua industria,
la esonomia, della sua agriooltnra. Enonne
JO eoonomioo di q'aelle Bventttrate popola-
na ootesto disagio non le allontana dal de-
vivissimo che hanno, di trarre profitto della
ova e di progredire,
ndo le ecuole erano solamente in Napoli, alia
citt& accorrevano per imparare, e facdvano
simi saorifizi di fatica e di danaro per arrivare
onosoere ed a farsi stimare. In Kapoli, uella
Uuiversiti degli stadi, tutti gli atudenti
letli Calabresi, per la vita di saorifizi e di
ihe i veri Calabresi erano obbligati a fare in
% un popolo di gaudenti e di festaiuoli, No-
loprattutto la sobrieti e la teuaoia dei pro-
^sm^m^i
— Ill —
ponimenti loro. Ma ben presto si apriva una strada
larga e maestosa dinanzi a loro.
U Borbone li temeva e credeva che fossero uii
pericolo permanente. Nella storia delle Lettere,
delle Scienze, delle Arti belle, ma, specialmente in
quella della speoulazione filosofica e nella scienza
del diritto, nella storia particolare degli Stati d'ltalia
e in quella della Ghiesa, la Calabria 6 segnata, al
pari, almeno, delle altre regioni.
E qoiy tanto per dare qualehe esempio, o ricordo,
''di uomini insigni al professore Cesare Lombroso,
che non pare a bastanza edotto della storia parti-
colare di Calabria, che 6 pure storia d' Italia, credo
opportune di aggiungere qualehe nome.
II mio pensiero corre al magno Cassiodorio, a .: :^
papa Zaccaria che dichiaro Torigine di ogni po- ]
tere, anohe di quelle regie, essere nel popolo; al- ; j
Tabbate G-ioacohino, a Barlaamo, a Suggiero di '^
lioria, a Ciooo Simonetta, a Pomponio Leto, ad Ago- |
stino Nifo, detto il Sessano, ad Aulo Giano Parrasio, i
ad Antonio e Bernardino Telesio, a Simone Fur- ^ ,|
nari, a Tbmmaso Campanella, a Tommaso Comelio,
a Giano Pelusio, a Gian Yinoenzo Gravina, ad An-
tonio Serra, al cardinale Sirleto, a Gaetano Ar-
gento, a Giuseppe Morisani, Gabriele Barrio, Tom-
maso Aceti, Sertorio Quattromani, Yito Capialbi, ^
Pasquale Galluppi, Raffaele Piria ed a tanti altrL
Non credo opportune di aggiungere i nomi di
quelli che hanno illustrate la cultura italiana nella
seconda met& del secolo XIX, n& di quelli che il*
lustrano coi lore scritti gli Atenei, ne' quali inse-
gnano adesso. Ho date dei nomi soltanto, obbeden-
do al semplice ricordo, e non ho nemmeno volute
badare all'ordine cronologico.
.,,
^
— 112 —
la da qnesta aemplioe enumerazions vien faori
storia gloriosa di popolo, che non deve essere
mticata da colui, ohe scrive intoriio all' indole
1 carattere di un'intera popolazione.
Se il Lombroso avesse bene studiato la storia
) regioni calabresi ed avesse ora fatto on viag-
aelle tre provincie di Calabria, non avrebb© di
■3 affermato con grande leggerezza ohe il Mn-
10 fu Brigante. ... " per il eonaenao e la simpa-
li un popolo, in cui la permanenza di gentiment^
art e il peso dell'ingiuBtizia eociale educa cri-
8 eentimenti quasi selvaggi „ .
Sorisse il Lombroso queste altre parole :,
' Se MttsoliDO avesse visto iotomo a eh il silen-
la ripugnanza e l'ostilit&, avrebbe delinquito,
non avrebbe mai osato elevare la sua persona
Itezza dell'eroismo 1 „
!n altri termini, ee io ho ben capito : il Bri-
■.e fa indotto alle violenze Bae dal Bilenzio e
3 Eimpatie delle popolazioni calabreei. Egli
qaello che fcutti avrebl«ro fatto, ed avrebbero
ito fare ! Egli fece quello che era nel pensiero
atti: onde la simpatia generate. II Musolino
irasenta I'animo, tl pensiero del suoi conoitta-
. E il tipo della popolazione. In fondo, Bono
ii totti briganti nelle tre Calabrie, quasi tutti
sstni, quasi tutti delinquent! ! £, giacohS non
ilpevole chi rapprosenta il vizio comnne, il de-
rio di tutti, Giuseppe Musolino nou e reo, e
essere assolto dalla Corte d'Assise di Lucca.
Wa qui 6 opportune aggiungere che in cotesto
della popolazione calabrese, rinvenuto ora ed
— 114 —
Innqod 11 Masoli&o ha oaratterl propri cosl
d oosi evldentl; per quale raglone dev'es-
nfaso nella folia de' saoi oonoitbadtni, ohe
indole e oarattere cosl differente da lai?
i, dioo meglio, per qoale misterioso mobi-
1 posso dire altrimenti) uno scrittore di cose
tche ha diritto di gindioare il carattere d'nna
ioue italiaua tm bitse tUle aztoni ed at ten-
di ttfl aasaaaiTtof
> certo ohe ueppare ii dottore Lombroso
e rispondere a qneste domande!
io a lui voglio qui ricordare an altro oa-
apostolo di oaritA e di bont&, che ebbe
B^guito in Calabria e molti anunLratori sin-
ievoti : Francesco di Paola, il quale portava
mlla saa tunica di frate una parola sola : Co-
con qnesta parola, intesa perfettamente daUa
ione calabrese, con qnesta parola auUe labbra
vita, procedeva di paeae in paese, sempra
ito dai selvaggi e harhari abitatori di Ca-
3 Sioilia,
to Cesare Lombroso di leggerc, ge ha tempo,
che Ecrifse di Francesco di Paola Victor
lel Torquemada.
te le rivelazioni della vita oalabrese devono
studiate da colai ohe, dopo avere studiato
ento suo, crede di avere il diritto di sori-
11a Calabria! Trascnrare una sola rivelap
id an solo fatto importante, nn solo gran-
0 di nn popolo, signifioa non volere rioer-
verity : la qoal cosa pare a me non debba
ne' desid^h e ne' gusti di uno scienziato.
— 116 —
Questo Governo adungue cosl loutano, cha ei
tra cosl poco premuroBO, che non bada a cbi
re e non si lamenta, qaale h il contadiuo di
ibria, qaesto Qoverno non si affermi solamente
la riscossione delle ta&ee e oou le ostiliti,; ma
ida da ak con le proprie forze il Mosolino, e
lUQO atteuti alia vita di an diegraziato.
Tatto qttesto non credo sia sentimento di popoli
aggi. Pu6 essere, al piii eeutimento di popolo
ancora bene ednoato ed abbandonato a sb stesso !
kla di qnesta mancanza d'educazione politica
di oerto non dobbiamo dar colpa alia vittima,
professore Lombroso!
Dobbiamo, inveoe, attribuire tuUe te colpe a
sinora si h mostrato cagione, sia pure loutana
nvolontaria, di tino etato di fatto molto deplo*
le e molto grave.
>bi parla e sorive del Musolino non deve di-
ticare te condizioni speciali della Calabria ed
ri motivi delle strettezze de' Calabresi o delle
preseuti amarezze. La Calabria quale e, quale
lostra, non pu6 n^ spiegare, n^ rappresentare
aesinio ed il delitto. liidicare, esporre le con-
)ni speciali della Calabria era sacro doyere. Ed
pure dovere, scrivendo del Musolino, di dare al
3 tutta quella parte personale ed individuale,
all'ultimo Brigante deve essere interamento at-
lita. Delinquenti vi sono e non e posMbile che
ialabria non vi eieno. Ma la delinquenza, il
} sono dappertutto, anche presso i popoli piii
riliti ed educati.
LI prof. Lombroso dev'essere noto che molti
FioriscoBO in C&t&nia gli studi di storia
manioipBle ed ecclesiastica. E non 6 qaesto '.
mo risaltato delle benemerenze di qnellaFaot
Lettere e del Dooente di Btoria modema, le ci
more Bpero di T«der coutinuate dal suo suoc
nella oattedra. Parecclii studenti haniio presi
■dissertBzioni di laarea 8q argomenti notevoli (
ria locale. Sono lieto di poter citare quelle de
Orassi Bertazzi su Lionardo Vigo ; del dott. V:
zo Kigido su Bmiaventura Secasio; del dott.
giero Caldarera sulla BattagUa di Francavtlk
I'anno 1719;del dott. Antonino Leanza Ba La e
Bronte ; del dott. Orazio Nerone sal TabularU
ehieaa di Troina de' tempi tutrmanm; del dot'
'Col6 Stazzone suUa Topografia di Herbita;
dottoreBsa Bianca Q-arofalo bu gli Atti del .
mento di Taortnina del 1411; del dott. A
■GendoBO sol Teatro in Sicilia ne' aecoU XV e
'del dott. Filippo Cost&nzo sa' Qrandi Qitu
e aa' Capitani d'arme di Ca-
rmine Fontana su gli Ebrei di
V; del dott. Ettore Pulejo snl-
iUarto Aretio; del dott. Giaco-
inerario dei Conaoli romani in
Guerra punica; del dott. Al-
Accademia degli Etnei; del dott.
ipi Bu Giuseppe Eegaldi in Si-
tTauni Gianni su le Opere di
I, finalmente, del dott. IJmberto
iini Eimatori siracuaani del ae-
lo di tntti cote&ti lavori daN
JniversitAr per gll anni 1896-97 ;
399-1900; 1900-901. E devo in
rvare che solo dall'anno 1896
zia pabblica delle diesertazioni
ndo, prima di quel tempo, il
ario oredato d'iniziare questa
11a stampa del volume. E noto^
;lie prima del 1896, la storia
3 dato argomento alle disaer-
Bicordo quel bel lavoro del
Eu Noam atceUota, edito nel
dott. G. Keitano su '1 Cardi-
jresa di Sieilia, e la moaografia
dott. G. Leonardi-Merourio su
I I' impreaa di Saluzzo, ohe esoe
ia, pubblicata nel 1892, Faler-
ia, Martinez), dedicata al Prin-
Drio Emauuele di Savoia.
ite monografie e di tutti questi
lavori special! gi& dimostra il rigore del meti
Molti puntt di etoria patria sono Btati dieoiisBi
loBtrati, dimostrati oonnessi con la storia genei
S gli stndioai devono essere grati per tatte qu
rlcerche a' giovani aatori. Sono conyinto che
pra quests baei di fatto potri venir faori, qua
che Bia, una Btoria generale della Sioilia, spe<
mente per qaanto si riferiBce a' fatti del Me
evo. Molti sono in Italia che della Sicilia me
evale credono importante solo qnella parte di
ria, che si rlferiece agli Arabi ed al Yes
giacchi solo di qiiesti dne fatti hanno notizia
tera e compiata per I'opera non mai abbasta
lodata di Michele Amari. Ma quanti altri fi
qaante altre notizie di Storia siciliana sono im
tanti e sarebbero degni dell'attenzione degl'
liani! 11 periodo svevo, qnello aragonese sono
cora involuti ne' piOi intricati problem! di fatto
ogni sforzo, che si facoia per dare una qualche &
zione, doT'essere benedetto e lodato dagli stad:
In qnesto breve Boritto intendo accennare
storia particolare di Troina, snlla quale oon 1(
vole iatento s'^ di reoente rivolta I'attenzione
dae o tre studiosi.
Come b noto, Troina, al pari di Mileto in C
bria, nella Storia de' primi Normanni, ha im:
tanza grande, essendo essa nn punto formida
di difesa, sul quale pensd bene it conte Knggier
coUooare il sac esercito e di \k poi mnovere nell
tacco oontro le forze resistenti di Stcilia. Tro
poi, essendo suUe parti pi{t alte della catena de' mi
24 —
Hi deir Etna e da qaelli di
I ecc, costitaiva ana forza
jd aatorita militare a colai,
».
he noto, ohe 6 posta a 1119
re, nelL'aoDO 1088 si rec^
1 11 conte Boggiero e pren-
QO a un oomiuoialo via^o
Buaso dal Conte, torn6 io-
L tutti gli onori, da' Nor-
Bnggiero, Troiua era nido
ultimi Musnlmani. I Nor-
ktiTi e moUi assalti inntili
Castello. Secoudo la leg-
bia ad essi mostrato I'adito
della citt&, che mostra un
^rco del Castello.
me ? oy vero, che & lo stesso,
iumento di cotesto nome?
) dagli eorittori di storia
cotesti scrittori, scrisse 11
' venDe in meute di vedere
elle forme si siano eucce-
stipite possano essere ri-
ere grati al detto scrittore
ndio in proposito, e delle
sreduto di trarre.
o la prima volta in uno
10, che trasse profitto da
Cnropalates. Qoesta pri-
utini 6 Tragina, e si rife-
fm
riece a una vittoria di Giorgio Maniacs su'
mani, nel piano sotto la cittfi, neD'anno 104
chi anal dopo, \o storiografo del Gran Co
Qu'altra forma, Traina. H Casagrandi affen
da nno spoglio fatto de' diplomi nonnanni,
ed aragonesi, risulta provato ohe preEBO gli
tori latini prevale la forma Traina, © che T
hanuo i coevi diplomi greci. Per6 bisogna
ohe, anohe sotto la dominazione normanna, 1'
forma letberaria Tragina non oadde enbito, at
posto all'altra; giacchS nel diploma di fond
della chiesa di Messina (1096), del quale venm
una oopia due anni dopo (1098), la forma T\
ancora h nsata, e prevale; la quale cosa din
tra tante altre, qaanto e quale profitto a1
avnto nelle loro prime conquiste i Norman
mondo preeBistente greco. .
'^ opportuno anche aggtungere che nella G
fia di Edrisi tanto Troina qaanto il fiume alto
to, che le scorre di sotto, 6 detto Targimn. Co
poraueamente a Traina, abbiamo Trajana e j
nam, forma usata da Gregorio VII (anno
Quest' ultima forma pfevale ne' documenti eoi
stici dati dalla Cancelleria rismana. Ma Tn
la sola forma, che dura ne' documenti medi
dell'estremo periodo ed anche della Storia mo*
Quando poi la oultura classica venne dir
dare vests e forme antiche a tante nostre istitu
oreando monete, leggende, iscrizionie monume
ogsi genere, fu vsduta insinuarsi un'altra 1
Troyna, quasi ooms piocola Troia ; e questa :
forma venue accompagnata dalla voce di antict:
— 126 —
uete, recaoti la scrofa, e dalla distrnzioue di nn'anti-
oa rocca, Imachara, quivi anche collocata.
Inutile aggiungere che tntte qneste monete souo
il risnltato deH'aiuore airantiohit& classics, un van-
to assai coiuune uelle popolazioni siciliane, dal se-
colo XYII in poi, come pure k Btato asBai bene di-
mostrato dallo stesso prof. Casagrandi.
Non credo opportune di seguire il prof. Casa-
grandi nella spiegazlone della voce Trachina. Con
buona pace dell' A. mi pare che egli abbia ten-
tato di aprire una porta, che da moltissimo tempo
^ aperta, come si suoL dire comunemente.
Scrisse in proposito suppergifi che non poche
voci di citti, monti e ftumi non solo rioordano il
desiderio dei coloni di ripetere in Sicilia i nomi
locali patrii; ma anohe 1' impressione che i luoghi
sicuU in essi prodassero, in tutto o in parte simili
ad altri della Greoia. Troina, peroi6, nella sua
prima forma Tragina, significherebbe luogo Tocoioso,
Eispro, ruvido. Nella Grecia centrale, suU'Oeta, di
tal nome fu ana oitta, che si disse fondata da Eracle.
E opportune qui dichiarare che io non vado
appresso a simili disquisizioui ; giacch^ il deside-
rio del patrio ricordo pu6 essere anohe talvolta
Accompagnato dalla impresBione data dalla stessa
oontrada a colui, che vi si rec6 per la prima volta;
anzi, aggiungo, la stessa impressione pu6 anohe
suscitare il ricordo. Ma, in questo case, 1' impres-
Bione h sempre il punto principale nella denomina-
zione della contrada.
Abbiamo in Calabria molti nomi ellenici, dati
per il sempiice ricordo della patria lontana : Mileto
— 127 —
e tra questi. Ma, in Calabria, abbiamo pure nomi
greoi, dati in segnito alia impressiooe, che ebbero i
primi coloni iiell' Italia meridiouale.
Ricordo Pentidattilo, che k uq Castello di origine
bizantina, come ho motivo di credere, poBto su iiDa
mpe diviss in cinque parti con la forma detle cio-
que dita. Questo Castello, ora distrutto, noto per
an tremendo eccidio al tempo del Vicereame spa-
gnaolo, ha non poca importanza a' tempi del Pon-
tano, nelle guerre del duca di Calabria, Alfonso
di Aragona. ' Le prime carte di Pentidattilo sono
del 1372.
Nelle ricerche aui Diplomi normanni della Chie-
sa di Troina molte difScolta ha dovuto trovare e
superare il dott. Orazio Nerone-Longo. Queete dif-
ficolta sono accennate brevemente nella Introdu-
zione 6 B'indovinano dallo scope e dalle conclu-
sion) dello steeso lavoro. Si pu6 affermare che
tutta la letteratura dell'argomento e stata bene
studiata ed esaminata, con esattezza di criteri e
di metodo. Questo lavoro giunge a proposito per
dileguare molti dubbi e mettere nel dovuto posto
aloane precedenti pubblicazioni guIIo stesso argo-
mento, specialmente quelle, che vennero in luce in
suUo scoroio del secolo XVIII e che toccano della
chiesa di Troina e dei suoi diritti al risorgimento
del Vescovato.
' Cfr. il mio vol. Nolt t doeametitt di Storia catabrete, Ca-
flerU, laselli, 1SB8. ~ Vi 6 narrata la oron&oa dslla aCrage fatta
nel oaatello di Psntidattilo Taano 1686 dal Barone di Monte-
bello Bemardico Abenavoli Del Fmnco.
I, infatti, che, in Begoito a ana
'arlamento di Sicilia de' 5 aprile
Messina, perche troppo -rastA,
Ha in tre parti, in modo ohe ima
se venire iostitnita sutle Mon-
liesione di persone chiare e rag*
ir aopo nominata, e qaesta Com-
B che la diocesi delle moutagne
0 e sede, o nella citta di Nico-
lempo opportune per dimostrare
la 8U Kioosia, diritto nasoente
rmaniii, e quello di Nicosia sa
ero fuori con questo intento aU
i, I'una contraria all'altra; una
lere il riconoscimento ; an car-
ida con base di storia e con evo-
oni di carte e di diplomi. Kote-
)tti la pubblicazione di Francesco
morie storiohe di Troina, edita
tipografia degti Etnei nel 1789.
le peneare, 1' intento nobile, che
a scrivere cotesto lavoro apolo-
lon risnltato ne' rapporti della
oggettiva. Lo scope die velo al
n conseguenza rinvenuti (non ubo
nuti alcuni diplomi ohe la mo-
pu6 aecettare. Ad onore del ve-
o studio accurate e pregiato del
inora aveva veduto la inanitk di
e alia Ghiesa di Treina si rif^ri-
3 di vere onere aggiungo che il
— 130 —
llo che ha letto e vedato ; ueasuna osservazione
desse prova d'iugegtLO, di stadio, di penelero
leno 8ui lavorl preesiBtenti. lo non ho mai si*
a vedato ud lavoro pifi deflcieote, pi{i scncito,
anormale.
Obbligato dal suo argomento a sorivere dei
nnatmi, d& uotizia di essi, cominoiaiLdo db ovo,
le origin! soandinave, e Eegaendoli salle oo-
della Franoia a poi in quelle d'ltalia, sbal-
iole grosBe, ignorando tatte le opere classiohe,
ai Normanni si riferiacono e che delle imprese
Normauni dinno oompinte e partioolari noti-
II Foti non ha neppure idea esatta della to-
TaHa della Sicilla, giacohi, per dare un esem-
afferma, a pag. 6, che Giorgio Maniace edifico
castello a Bolo, che dal suo nome venne detto
Maniace, mentre e rieapato che Bolo e una
trada dell' Etna e Maniace nn'altra!
Ma queeta pabblioazione, pare impossibile, ha
jitato un'altra, del dottor Nerone isopraddetto,
an manoscritto inedito di Frate Antonino da
ina, della quale intendo discorrere brevomente,
on tanto perch^ cotesto manoscritto Bia note-
3 od importante per qualche punto di etoria lo-
I, quanto perch^ e stato in gran parte, riaesunto
BBpoeto in altra forma dal Foti, il quale, poi,
dare dimostrazione di animo grato non si e
mtato mai di citarlo nella su mentovata pnb-
azione.
Ootesto manoscritto e dell'anno 1710 ed ha per
lo : Memorie della eetmtisaima e nobiUaaima cittA
Vroina. "Se k autore nn laico cappucoino, Frate
— 181 —
Antonino, il qnaJd, prima di entrare uell'
religioBo, eeeroit6 il mestiere del falegname
mari-fabbro, ed ebbe boIo notizia delle lett<
I'al&beto. impar6 a leggere ed a scrivere
stesso, facendo da Fra G-aldiao sal sno Co
di Troina. Qnindi inoomiiici6 ad iutender
didatticamente un po' di latino. Di 11
"espliod la saa operositb nell'appnrare
di vero, di verosimile, o di addiritttura favol
tesse interessare la storia del sno paese
Fmtto di cotesto desiderio interiBo, nnti
eBpresso nel conveoto, 6 il mauoacritto, di
notizia il Nerone, e che & stato riasEanto d
Eenza I'onore di ana citazione.
Qni vorrei fare dae osservazioni d' iudoh
rale e se queste osBervazioni sono buone, il
i del Nerone, che me le ha inspirate.
Pare a me cbe quando sia atato bene dim
Vittteresse, che qnalcuno ha avnto nel fare,
parare, ana contraSazione ; e quando si aie
venati errori e contraddtzioni inesplicabili
comenti ohe sono stati offerti al pubblico;
tti due east aoltanto, i lavori possano dirs
mente apoorifi e spurii e debbano, senza esi
alouna, essere diohiarati tali , con affem
d' intelletto e di coscienza. Per qaesti m<
aempre ritenoto vera la Cronaoa di Dino (
gni, mancaudo I'interesse alia contraffazi
apoorife e spnrie le Cronache dello Spinelli
ch6 abbia scritto e detto il Uinieri-Biooio, e
ho sempre contraddatto.
.Nel oaso speciale di Troina, il dottor
— 132 —
asorito bene nell' intento buo, dimoBtr&ndo I'in-
iBse ohe c'6 stato, e le contraddtzioni che si
ontrano ue' documenti. Ma, fatte questa lodi
espressa la gratittidme mia e degli studiosi, devo
Qvero qualohe appnuto a qnesto secondo oposcolo,
' mi i parso inspirato non da amore serio e pro-
do Terse la storia Ulnsfcre della citt& di Troiaa;
da nn tal qaale desiderio di parere conosoitore
to della detta etoria. Le qaestioni, che vi si
ttano, sono piccole e davrero iusignificanti ; tra
litre, ee Frate Antoniuo fosse stato faleguamd^
(ua di essere frate, owero mnri^fabbro ; se poteya
on poteva scrivere di storia antica, eco.
Oh! oarissimo Keroue, di cosifTatte cose non
) oconparsi lo studioso! Abbiamo tanti proble-
da risolvere e taute cose a dichiarare ed illn-
tre nell'iDteresse degli studi, che davrero deve
er fatica epreoata qnella che viene diretta alia
izione di siffatte picoolezze!
Lasoiamo che del ms. di Frate Antonino scriva
larli, senza citarlo, il Foti: I'nno vale I'altro,
h bene che di tntti e due, dell'originale e della
lia, non abbiano nessuna notizia partioolareg-
ta gli stndiosi della storia illustre della nostra
ilia. L'atteuzioue, che si da alle cose piccole
enza fmtto, toglie sempre energia alle cose im-
-tanti 6 graodi.
CONPESSIONI PEDA6KXJI0HE'
' Suva OicnBiD*, Naooo eorio di Pidagogia ajnn«n(ara ad
tuo deU» teaoU normali, aee, Storia deUa Pedagogia. Torino,
Onto Soioldo, 1901, pog. SBi. — Fumcbsco Boaqliohb, DeU'tdtt-
eatione morale oob prafuiane di QifjiBtrs Bosbi, dellK B. UiiiT.
di Oatanik, sUmpato & jp«se del Oomane di Oatania. Oatanift,
GaUtola, 19C1, pag. 162.
Delia scQola, come organo di cnltura, e, pi
anoora, dell' iusegnamanto, ed anche pi& dell'lne
gnamento, della educazione, " che e I'arte di rei
dere migUore I'animo deiraomo „ Becondo una n'
tsvole sentenza di Baldesar Castiglione, discon
con larga ed ampia preparazione di stadi e di i
cerche, con evidente e notevole Beriet& di metot
e di desiderio, il prof. Sante G^iuffrida.
Ma bisogna notare che, in qaesto libro, fati
esclnsivamente per le scnole normali, non viei
esposta la parte dottriuale, o metafisica; ma la par
afcorica, quella parte, cio6, che si svolge a traven
le istitozioni ed i tempi, lottando, ineintiando!
mattirando, acquistando pregio ed importanza, e:
trando a poco a poco nel concetto dcgli nomii
de* popoli e delle nazioni; val qnauto dire nel d
minio del pubblioo.
Di gaesta parte evolutiea dell'insegnamento e de
I'educazione poseo discorrere anch'io debolment
Una volta m'ero propoeto di entrare in qnesto agon
Qgliendo uotizie a cominciando dalla etoria
alfabeto nella sua prima forma ed espressione,
6 la figura delta eota, deetiuata a rappresentare
dea od a parlare oou gli aTvenire. Da' Gero-
et alia Commedia di Baute; gnale cammino!
lia in questo oammino 6 evidente lo svolgimento
na dottrina, alia quale gli nomini obbediBcono
bmeute, ed alia quale neasuno si pn6 sottrarre.
)ano, iiifatti, pa6 dire di nou avere talvolta
g:iiato, nessono pu& dire di nou avere talvolta
irato.
i la stessa imitazione, che h la forma pii^ sem-
) e radimentale dell' insegnameuto, h cosl na-
le 6 cofil propria della natara animale, che
ana creatara si pa6 ad essa sottrarre, costi-
ido essa il prima movimento verso la perfe-
e, alia quale tntte le creature aspirano " per lo
> mar deU'eaaere „. Oh! povsri noi, qnando ap-
bo affernuamo I'eocellenza ed importauza delle
re forze, I'altezza del nostro intelletto!
1 Giuffrida ha ben compreBO la materia, della-
e discorre. Freoocapato di qnesto grande e oou-
0 problema, si k gittato su esso con vera pas-
B, dando il coutribato del suo peusiero sol va-
1 vario argomento. Certo in uu libro fatto per
uole, il pensiero, anche gagliardo, di uu autore,
I teuersi alle cose principal! e mettersi in un
EOnte assai limitato. £ forse per questo motivo
io de^esto i libri per le scuole e le cosidette
ilogie, che fanno tanto male aU'ingegno dei
ri skndenti.
— 137 —
Siamo al primo problema: Quando eominc
t'edueazione f
E da qaesto problema nasce un altro ; E che eo.
i veramente edticare f
II Giuffrida (e in qaesto 6 degno dt lode), o
Btretto a dare notizia di dottrioa in modo eotnmari
trova &oili le risponte. La vera edacazione eomi
da con I' incominciare delta eiviltit; editeare i ope,
ordinata e metodica di riflesaione mattira.
Non facoio obiezioni a coteste rtsposte ; ma orec
in propoetto di awertire il lettore cbe sa queste di
brevi risposte 6 fondato tutto lo svolgimento d
libro e niQOTe tntto il pensiero dell'autore inton
alia storia della Pedagogia. Di questa Btoria
d&nno Dotizie, cbe si riferiscono a' popoli piti ani
olii delt'Oriente, o poi di Orecia e di Eoma. Te
gono poi quelle notizie, cbe bI riferiscono al Oi
stianeaimo, al Medio-evo, al Rtnascimento, alia li
Tolazione francese ed alia Storia contemporane
eino al Siciliani, aU'Anginlli, al Gabelli, eoc.
Or io, pur lodando 1' intento dell 'A. e lo sc
po, ohe egli si h proposto di ottenere, credo m
dovere di agginngere qaalche osservazione.
La storia della Pedagogia tooca, com'4 not
in molte parti ancbe I'oggetto particolare de' n
8tri stndi e delle nostre rioerohe letterarie e dc
trinali. Sotto certi rispetti la storia della Pedag
gia h ancbe storia delle noatre lettere. Or io su qu
sto pituto intendo mnoyer qaalcbe dabbio per c
mostrare I'interesse che il libro mi ba inspirat
Anzitutto, in una storia della Pedagogia
avrei cominotato A&W insegnamento pubblico, e n(
— 188 —
arei meBso a discorrere di que' pnntl contro-
, ohe toccftDO grandi problemi di filosofia e di
I, La Pedagogia pii6 essere soienza a ah, indi-
ente dalle altre, con caratteri propri, con desi-
ioni e manifestazioni caratteristiche solo qnando
ato, o le prime forme dello Stato (tribu, co-
), distretto, proyinciaecc.) Bentoco il bisogoodi
on iuseguameDto, soatituendosi alia !FamigIia.
ido lo Stato aocetta I'lnsegDamento come nno
ale e priDcipale dovere, allora eoltanto nasoe
aria della pedagogia. Se cosl non fosse, la Pe-
B^a DOn pofcrebbe avere una storia e ei confon-
>be oon tuttd le altre Bcieuze Bociali. So que-
luoto insisto, perch^ mi pare ancora non sia
bene esaminato e disoaeso, sebbene appaia
ra degno di nota da parte degli stadiosi, e spe-
lente da uno, ohe h assai valente, dal FomeUi.
i' insegnamento pnbblico pu6 e deve avere una
I e pu6 altresi indioare norme, leggi, precetti
ali e caratteristici. L'edacazione, od insegna-
.0 della Famiglia, comiuoia con I'uomo e si oon-
i con la imitazione, oon Tesempio, col rispetto-
I I'auterita paterna e patriarcsle. Leggi e nor^
troprie e caratteristiche, tali -<;he possano dare
nciameu to alia soienza, noi possiamo avere sol-
I quando una pubblica amminietrazione, in name
• conto di tutte le famigUe aggregate assume il
■e d'insegnare. In questo momento I'eduoazione
. da ano stato rudimentale ed istintivo, tintetieOy
) stato coavenzionale e riflesso, analittco-
,iidsto 6 il panto primo della storia della peda-
i, al quale bisogna mirare con altezza d' tnge-
gno. Ne si dica ohe le discussiout d' indole storit
e didattioa, connesse a questo problema, sieoo i
faoile solozione. Ben lo sa il Celesia, ohe ha volul
disoorrere delU edaoazione presEO i vart popoli iti
lioi e specialmente di Pitagora. G-randi probleln
che 6 tutto dire, presenta la storia della pabblic
educazione uella etessa Orecia dopo la oouQaist
fatta da' Torchi, di Costantinopoli nell'anno 145
come par di vedere dalle Tavole statiatiche date i
propoeito dallo Chasaiotis uell'anno 1881. Non par
de' Bistemi edaoativi di Eossia ed in geuerale d
popoli nordioi ; non parlo neppure de' sistemi e m<
todi eduoativi detl' America latin a e siuo deg
Stati Uniti, ohe a torto si dicono modellati sa qa
d' Inghil terra.
Anzitutto, pochi documenti e monumenti &'.
biamo del pabblioo iasegnamento nell'antichiti
oocorre andare da ipotesi e da indagini ad a£fe
mazioni pooo sicnre ed arrischiate. Ocoorre poi r
cimolare da autori sincront, o di poco posterioi
qnanbo si Tiferiece al &tto oostro: un grande 1
Toro origiaale di prima mano, importantiasimo, cl
potrebbe di molto Bervire anche ad altre conoli
doni soientifiohe. Le ainteai £loaofiche, date d
Beoolo XYI in poi, potrebbero ia tal modo riceve
molte oorrezioni.
E perch^ non paia che qnesto mio desider
intomo a un programma di Bt<»'ia pedagogioa i
sia vennto alia lettara di qnesto libro del Qiuffi
da, devo qui diohiarare che ainors, per quante i
oerche bibliografiohe abbia fatto, specialmente t:
le pabblioazioni notate nella Revue interttationa
— 141 —
gno alto e spalle ben forti, deye prima di d
tendere ohe del Casstodorio non ha dato con
uotizie a' saoi giovani lettori.
U Tirabosohi, com'^ noto, fa derivare tu
trietezze della letteratara italiaaa dalla mc
zione di Cassiodorio. "B'allora in poil'Itali
pot6 occuparsi in altro che nel piangere I
sciagure „ . '
II Castiglione b la figara piu emineiite '
pteseutativa del tempo sno e il Cortegiano h
gliore opera pedagogloa, che abbia la lettei
italiana. Ma ha pnre nu eno carattere speciali
h questo ; S il riassQDto od 11 BOmmario di tt
dottrina snll'educazione, che h arrivata sino i
dal moudo claBsico. Tatto questo vemie affe
anche da' suoi coiitemporanei. Ma il mondo cl
ohe s'^ trasformato nel Cortegiano, ha in que:
bro, note speciali, che rivelano ilfine ingegno, 1
rito essenzialmente moderno del Castiglione
meritd d'essere cittadino spagnuolo per ordi
Carlo v. Or di quest'opera, che 8i riferiBce
ramente " di che sorte debba esBere colni, ch
riti chiamarsi perfetto cortegiano, tanto ch<
alouna non gli manchi „ , e dato uu sommarii
pio, ma non connesso coi fatti di quel temj
con le dottrine prelevanti in quel tempo,
' Ctr.: Sloria UU., Ill, IB, a molti altri scrittori
ria medio evale, Baebt Watteibadh, OBEaOBOvicB, etc Qn
timo scrUae: " CaBsiodoro, ultimo de' Bomani, cbe si
la teBta di an oappacoio monacale, per morirvi ofire an '
conmiovsDte e di tragioa tristeiua, perocchd si sveli
il destino steaso della cittA di Boma che omai entra i
vanto „ {Sloria di Roma, lib. Ill, cap. i. vol. ITj.
— 142 —
into glorioso letterariamente per uoi, e ohe pnre ha
uto a noi Italiani i ricordt pii^ dolorosi e pid ne&-
;i dellft noBtra storia, Inoltre, &011 credo ohe il Giaf-
ida abbia segaito I'edizioiie Integra, nS le reoecti
abblicazioni 611I Castigltone fatte dal Gaspary e dal
ian. L'edizione del 1528 reune fatta da Aldo ecc.
Per coQohiudere, qnesto Ubro di Storia della
'edagogia metfce it Gluffrida tra' pubblicisti di Pe-
Agogia piu accurati cbe ora vi sieno in Italia, e
on solo per eerieta di metodo e di desiderio, come
0 detto, ma anohe per qaella deusita e ricchezea
i pensiero, senza la qnale non 4 possibile lo scri-
ere di materia di Storia e di pabblica edncazione.
L'A. di quest'altro libro, dopo molte osserva-
ioni di carattere empirico, b dopo avere dimostrato
be la sola dottrina non baeta a rattenere la de-
adenza morale, preeenta alonne conclasioni, cbe
anno il pregio della novita.
L' umanit^ a poco a poco si i allontanata dal re-
no del faio, e procede sicara vetFio tin punto Ion-
mo, che h il regno della giustizia e dell'amore. Le
Bservazioni piu attente inducono il sociologo piJt re-
ittante ad ammettere che, giorno per giorno, anno
er anno, it numero dei delinquenti nati va soemando
1 virtu d&lV educazione morale; che il criminaloide
L trasforma in galantuomo ; che il galantuonio si tra-
forma in virtuoso ; i rapporti sociali, cioe ragione ed
more, di giorno in giorno, di anno in anno, conqui-
bano le tendenze delle folia e delle masse popolari.
a. conseguenza, verri senza dubbio il giorno, in cni
iascuno eserciterh quell' uf^cio a cut sarii chiamato
a natura. 11 mondo &vvk dae aristoorazie soltanto;
qaella deU'ingegno e del BEipere, e qnella del
virtu. Ma, aggiunge, nou bisogna credere, o sj
rare, che questo novas ordo " divinato da' peusato
oautato da' poeti, sospirato da' martiri „ potrei
vedere attnato in breTissimo tempo.
Ed aggiunge per conto buo che molti sect
dovranuo passare.
E ohi promette in breve tempo il sospirato r
gno 6 an ciormadore ed un armffapopolo; pot
anche essere un illuso in baona fede. La louiana
za p6r6 dsll'avvenimento sperato non deve indur
noi ad indifferenza od inerzia. Bisogna afiTretta
il sospirato giorno con Veducazione jnorale e o(
I'opera civile, specialmente eul fancinllo. Per qu
ste ragioni " I'educazione acquista un valore in
stimabile ed il problema educative ei presenta con
questione sociale capitalissima „ .
II discor^o, come ognun vede, 6 diritto, ed a
qnista pregio anche dalla forma, con. la quale
presentato, con lingua e stile lodevoli, con co
rentezza ammirevole, con esuberanza di affetto
di passione, coh quella calma dignitosa e eeren
che h propria degli educator! forti e resistenti, ol
fanno il dovere, perch6 inspirati da un ideale. Tu
ti costoro hanno grande fiducia Dell'efScaoia pop
lare della scuola e non vogllono badare che il si
pere aoltanto non giova all' educazione popolai
qaando non viene educate ed iudirizzato il sent
mento del popolo.
Ma io, che di siffatte questioni astruse non h
mai voluto fare esame attento ed accurate, credec
domi sempre di poca o nessuna oompetenza; i(
che credo sinoeramente alle leggi storiche ed in
. de' popoli e delle naziom, e metto aoche,
oocorra, de' dabbi miei particolari sul cam-
\endente dell' maanit^, edamo sinoeramente,
Lmente, par certi special! rispetti, qnel gran-
0-6TO, dal quale siamo nsciti per opera
ivolnzione fraucese, ed al quale tanti, ora,
Qaledicono ; io pare credo a tutte coteste oon-
deH'A. ma con qualctie riserva, che non deve
e punto la dottrtna da lui sostenuta e difesa.
e 6 stato sinora I'efietto morale della no-
loazione scolastica? Foasono le plebi mu-
oscienza loro con quel po' di sapere, che
93se diamo? "Lieterno religioso della cosoien-
are in qual modo sinora e stato educate ed
Eito da noi?
0 6 che la storia italiana non ha mai sine-
ntato Qu fatto cosi obbrobrioso e desolante,
ppunto k fitato quelle, al quale bntti noi ab-
ur troppo assistito : un Be buono ed amante
popolo, Benza colpa nemmeno nelle inten-
le soQO state Bempre purissime, ^ state ncci-
remeditazione, mentre tornava dagli applan-
fatti ad una festa popolare ! Dunque speria-
regno dell'amore e della ginstizia-, facciamo
tutto, perch^ esEO avvenga, in Italia e fuori,
presto che sia possibile. Ma 1' nmanitk, ri-
' l^Sgi storiche ed immatabili, che formano
aa corrente, alia quale nessuno si puo sot-
> che sono fuori di esaa. La scuola, per essere
ite efficace, deve badare all'educazione del
nto morale, pifi che ad altra cosa.
ALTRE PDBBLICAZIONI
DI MAEIO MANDALABI
Q8 di pagg. 192 con ritratto. — Napoli, A.
•rano, 1883.
ttere inedite di Bernardo Tanuect, con pre-
ioue e note. Soma, Ermauno IjodBoher, 1884.
omini politiei, stadio, pagg. 84. — Napoli^
menico Morano, 1886.
trie, scritti di letteratara amena, pagg. 372.
Roma, Forzani, 188B {Esaarito).
azioni eproposte intomo all' Insegnamento pub-
30, pagg. 48. — Napoli, prof. Vinoenzo Mo-
10 editore, 1886 {Esaurito).
ito ed t Maestri, Oouferenza fatta in Roma
Asaociazione delta Stampa, pagg. 48. — Ca~
ta, Ooatabile, 1886.
ori napoletani del Quattrocento (dal Cod. 1035
la Bibl. nazionale di Parigi) oon prefazione
lote, pagg. 200. — Caserta, Jaselli editore,.
i&, Edizione di 260 esemplari numsrabi {Esau-
>)■
'. documenti di Storia Calabrese. — Cronaca.
la strage, fatta nel caetello di Pentidattilo nel-
uno 1686, dal Barone di Montebello. — Di-
Lseione fatta dal Consiglio coUaterale di Ka-
i intomo al tomalto di Reggio dell'anno 1722.
izione di 150 esemplari. — Caserta, Jaselli
tore, 1886 {Esaurito).
■80 pronumiato a Trani, 29 gennaio 1883, e
\tere di Francesco de Sanctis, con note, nel III
aDDiTers&rio della morte di F. De Sanctis, pa
28. — Caserta, Jaselli, 1886.
Saggi di Storia e critica. - La vita e gli atudi
Demetrio Salazaro - Montecassiiio oon due do
menti inediti - Una Colonia provenzale nell' ]
lia meridiouale - Ginseppe Begaldi in Reggi(
Oalabria - Letteratura politica - II papato n<
oltimi tre seooli eoo., pagg. 141. — Boma, I
telli Boooa, 1887, edizione di 160 esempjari
merati (Esaurito).
Qaindici lettere di Francesco De Sanctis, con n<
nel IV annivereario della morte di Franc«
De Sanctis, pagg. 28. — Caeerta, Jaselli, 1£
Pietro Vitali ed un documento tnedito riguardc
la Stona di Boma nel aecolo ^F'[Btudio], pa
82. — Boma, Fratelli Bocca, 1887, ediziom
150 esamplari numerati {Eaaarito).
La Eeggia di Caaerta e la sua recente traafon
zione, pagg. IB. — Caserta, Turi, 1888.
Notiae atortche e eritiche di Letteratura italia
(Lavoro fatto per gli alunni del Liceo G-ian
ne di Caserta, fuori oommercio), pagg. 96,
Caserta, Tari, 1888.
La lirica italtana e Oioaue Carducci. Discorso It
per la pramiazione degli alunni del Liceo-j
nasiale Giannone di Caserta nel di 3 giuj
1888, pnbblicato a spese del Municipio di d(
Citti. — Caserta, Turi, 1888.
— 150 —
Despre Malilde Lai Dante, nel vol. II della Divi-
na Gommedia in rameno, TeraLoue della signora
Mabia p. Ohitio. — Craiova, Tipo-Utografia
nationale Samitza, 1888.
Da Tanisi a Tripoli di Barberia, Note di viaggio,
nella Illastrazione italiana, Milaoo, Trevea, 1890.
Istituzioni scolasHche in Turehia, pagg. 236. — Ro-
ma, Stamperia dlplomatica e oonsolare, 1891.
L' Italia e le Scuole armeno-cattoliche d^Oriente, eon
appendice sul Seminario de' Cappuccini di Fi-
lippopoli. — Roma, Tip. della Camera de' De-
putati, 1892.
Saggio di un Canzoniere anortimo della Bibltoleca
Aleasandrina di Eoma (dal Cod. membr. 174).
Edizione di 100 esemplari fuori commercio ; per
le nozze d'argento Mancini-FieraQtoni, pagg.
28. — Roma, Tip. italiana, 1893.
Le Seaole italiane aWestero. Osservazioui e propo-
ate, a propOEito della discuBsione buI Bilancio
degli affari esteri, pagg. 30. — Roma, Tip. della
Camera del Deputati, 1893 (Esaarito).
Memorie e Scritti di Angela SantilU, con ritratto,
prefazione e note, pagg, xzzTt-200. — Roma,
Tip. coop., 1893.
Da' Codid Mazzachelliani della Btblioteca Vaiiea-
na. NeU'Archivio storico Campano, pagg. 32. —
Caserta, 1894.
Aneddoti di Storta, Bibliografia e Critica, pag. viu-
218. — Catania, FranceBoo Q-alati, 1895.
Died note di Storia e BibUografia, pagg. 32. —
tania, Monaco e HoUica, 1896.
Ricordi di Sieilia, I : Caltagtrone, pagg. 60. —
tania, Gtiannotta, 1897 {Eaaarito).
JUcordi di Sieilia, II: Randazzo, pagg. 152. —
tania, Giannotta, 1897 (Esauriio.)
Ricordi di Sieilia, III : Le Popolazioni dell'E
pagg. 80. — Oatania, Qiannotta, 1899.
Note di eritica drammatica, edizione di canto ee
plan fnori commeroio per Nozze Lauricella-.
cd, pagg. 64, — Catania, Galati, 1899.
La Mezzaluna. Conferenza tenata a beneficio c
Society Dante AUighieri nella Sala comu
di Catania, con Appendioe: Stambulo/f-Cr
— Citti di Castello, L^pi, 1899.
Proverbi ealabro reggini, con note, osservazioi
raffronti : 1° nella Seuola italiea, Kapoli, loV
1874 ; 2" nel Oiomale napoletano di Filoso)
Lettere, Napoli, Morano, 1880; 3° nella C
bria, diretta dal prof. Luigi Brazzano, Mo
leone di Calabria, 1897-98.
Prefazioni varie alle pubblicazioni : 1' Bossi Id
ToHU&so, Reggio: Chiesa metropotitana, E<
Fallotta, 1335; 2° BiNDt Vihobszo, Arte e
ria, Lanciano, Carabba, 1886 ; 3* Pallesohi ]
FiLiPPO, Eehi dell'Anima, versi, Lanciano,
rabba, 1891; 4* Sabbadiki prof. Eeuiqio,
ria documentata delV University dt Catania
aecolo XV. — Oatania, (Jalitola, 1898.
— 152 —
otizie storiche e deacrittive dell'Ateneo e del Pa-
lazzo univeraitario di Catania, 1444-1886, con
due inoisioni, Catania, Galati, 1900 (dall'^n-
nuario delta B. Universitb), pagg. 32.
Proverbi del Bandello. — Catania, Giaanotta, 1901,
pagg. 216.
neddolo dantesca con lettere di don Laigi Tosti «
don Oaetano Bemardi (Per nozze Vadala Pa-
pale-Terranova). — Catania, Galatola, 1901.
icordi di Sicilia. Una festa del popolo, Nuova An-
tologia. — Eoma, 1° dioembre 1901.
icordi di Sicilia (Randazzo), 2* edizione, ooq ginn-
te, correzioni, incisioni e note. — Citta di Ca-
Btello, Lapi, 1902, pagg. 244.
itteratura delVAteneo di Catania. Saggio di Bi-
bliografia epeciale. — Catania, Galati, 1902.
{DaXV Annuario delta R, UnicersitA), pagg. 40.
INDICE
Matelda
Le Satire dt Qainto Settano (Ossenrazioiii oriticb
Qnestioni dantoaohe (A propoiito di Cunizza),
TTn oontributo di stoiia meridionale ....
La Calabria in nno scritto del prof. LombruBo
La cittii di Troina nelle recenti pnbblicazioni .
ConfesBioni pedagogiohe
AUt6 pubblicaeioni di Mario Mandalari. . .
periodo medio-evale, debbono esaera grati al Mandalari di
qaeato nuovo contributo di docameati e di atudi diploma-
maMPB«!'«Mi**''>'^i'MM
^PPWf^^-^
Prezzo: Lire 2,50
t
i>7vn PHOvw,v9;-\r,
1)1X0 PROVBNZAL
QUANDO FURONO SGRITTE LE SATIRE
LODOVICO ADIMARI
LICINIO CAPPELLI
I. sub. Tip Cppelli.
Varie monografie (alcuiie delle quali utilissime) app
recentemeute iutorao ad uno o ad un altro satirico del
cento fanno sperare non lontano il tempo ia oai p
scrivorsi quel cotnpjuto lavoro sulla satira del secolo H
ehe e ancora uq desiderio degli studiosi.
Tuttavia, molto rimane da fare e alcuni del satirici
secolo XVII {spesso nou indegni di studii speciali) s
appena nominati di faga uei trattati di storia letteri
Tale 6 il caso, per esempio, di Lodovico Adimari fio
tino, del quale speriamo presto poter parlare a lung(
UQO studio a lui dedicato.
Inoltre, perchfe possa comprerdersi nella sua in
essenza la satira (questo genere cosi caratteriBtioo del
colo XVII) e necessarjo prima sgombrare il campc
mille piccole e fastidiose difUcolta sopra tutto d'indole
nologica. Infatti, come parlare fondatamoiite di dertvaz
d' una satira da un' altra, d' imitazioui dirette ed indii
di efQcacia subita quasi per forza e di plagio sfacciatt
prima non cerchiamo di determinare la data di ciasi
scrittura?
Trattaadosi di coinponimenti satirici, la determinaz
delle date pu6 essere agevolata da criterii interni (da
o personaggi nientovati) ma piij spesso 6 resa dlMoile i
false note tipografiche di tempo e di luogo. D' altra p
il gran numero di copie a penna che delle satire del
si trovano nelle biblioteohe fa credere che esse doves
oorrere lungo tempo manoscritte prima che fosser
alle stampe. Quindi una iiuova diEBcolta: un autore
avere imitate un altro quantunque quest' ultimo stamp
pill tardi 1' opera sua.
logaa percid, fiuche & possibile, dotormiDare, oltre alia
ii stampa la data di composiilone dell' opera. E ap-
questo eerchererao di far noi in questo breve arti-
er le satire di Lodovlco Adimari, s'iutende senz'aver
tesa di dir Tultiina parola sutla questione c chlaman-
brtunati se altri, svolgendo queste note, saprk feli-
te risolvere il piccolo quesito.
ma di tutto osserviamo che le satire dell' Adimari
1 pubblicate dopo la morte dell' autore. Questi, nato
poli nel 1(>44, moii a Firenze nel 1708. Delle satire
no ti'e edizioiii, le prime due stampate con la falsa
i Amsterdam (Roger) negli anni 1716 e 1764 (1), la
jscita a Londra (Livornol nel 1788, coi tipi del Maai.
le, supposto anche che sia vera la data della prima
le, questa sarebbe posteriore di otto anni alia morte
dimari.
bbiamo pcrcii) rinnnziare ad avere un date qualun-
air anno delta pubblicazione. E poich^ nessuno di
hanno parlato dell' Adimari in lavori manoscritti o
itl acocnna alia data di composizonc delle satire, e
ario valerci di criterii interni per sciogUere la que-
prima di esporre gli searsi dati che le satire stessc
liscono, notiamo qualche indizio.
ntre le opere giovanili dell' Adimari aono tutte spa-
;gianti o tradotte dallo spa^uolo, qui abbiamo scritti
tamente originali, 1' uao di un metro classico {la
,) e ima forma cosi prettamente italiana che I'Acca-
della Crusca pose queste satire fra i testi di lingua.
> mutamento di maniera ci farebbe credere che Ic
fossero scritte tiell' eta matura dell' autore. Agli ul-
nni doll' Adimari fanno ponsaro anche altri indizii:
fatto che in nessuna delle lettere e delle opere stam-
manoseritte dcH'Adimari snteriori al 168.") si accenna
CiRiHi (f Arcadia flat 161)0 al iSOO Roma. CuKgiani 1891,
I. 4S2) dice che atiil>eilue quasta scorrettisaime edizioDi furi>u
.ta in Italia.
— 5 -
alle satire: 2.**) il t6no che assume in queste ultime 1' au-
tore (sotto il nome di Menippo^; tono di moralista severis-
simo e di conoscitore d' ogni miseria uraana: 3.°) il carat-
tere misogino delle satire che noi crediamo derivato dalle
sventure coniugali deirAdimari (1).
Tutti semplici indizii e nulla piu: rabbiamo gia detto.
Ed ora veniamo alle pocbe prove che risnlt.iiio dall'esarae
delle satire.
SATIRA I.
Contro r Adulazione.
A pp. 19-20 (2) e scritto:
Sdegno e vergt^a a gran ragion mi prende
Allor che a' pregi di faDgose Rane
Nobil cantor sul Ren la lira apprende (3).
Chi desia d' eternar cose sovrane
E vuol degna materia, eroico verso,
Non favolose, adulatrici e vane,
Offra lo stil piu risonaute e terso
Al forte braccio del Caprara invitto,
Memorando alio Scita, al Trace, al Perso.
Narri ch* ei vinse in marzial conflitto
L' oste che per sua gloria in Austria venae
Dair estremo coufin d* Asia e d* F^gitto.
Ch' egli a vol memorando alzo le penne,
Se in gloria militar solo e primiero
Fra i figlioli del Ren tai gradi ottenne.
(1) Due delle satire sono contro le donne e anche nelle aitre tre le
donne sono flagellate a saugue. Delle sventiire coniugali delT A. parle-
remo a lungo nello studio a lui dedicato, in cui pubblicheremo curiosis-
simi documenti riferentisi ad esse.
(2) Ho dinanzi P edizioue del 1716: cito le pagine e uou i versi, per-
ch6 essi non sono numerati n6 in questa n^ nelle seguenti edizioni.
(3) Chi sono queste Rane ? Si tratta di donne del la nobile famiglia Ra-
nuzzi di Bologna ? 0 piii probabilmente 6 usata la parola Rane per ischer-
no in senso di cantatrici fastidiose f Delia iniziale maiuscola non 6 a te-
ner gran con to, perch^ ^ noto lo spreco di maiuscole che si faceva in
quel tempo.
El se piu doles oggetta o pur men fiero
Cercaste a1 canto e il );eatil cuor t' iDTit
Al TBEtoao neren d" un Tnlto arciero,
FtAe oinai risooar 1' aria tranquilla
Del ciel Dalio co' prejji oDile si' mostra
L' adorn a Eleonora e la Camilla.
Dite cbe I* una o 1' altra al niai^io mostra
Col Yolto i flori, o con loll" opre puol«
Pill
Buperba di le
6.r
Tela nostra.
yu
Ddi.
18 spiace a vo
1 linger le gote
Di r
ossor g:eneros
alia nioilesto
Che
son TJTe. preaenti
e altrui ben aot«.
Cod d^no applauao r
nnuY
ar piitreste
D" antiche Donne
Che
in altre eU c
on,
jmina gloria aveaW
Bologna, a cbe tacer le Calderiae (1),
Oel ciel d' Intutiria e cominendar poi FrineT
.bbiamo qui varii accenni importanti. II Caprara in-
non e gih il generate Alberto Caprara, ma certamente
fratello maggiore Enea Silvio del quale solo pu6
Fra i Agliuoli del Reu tai gra<li ottenne,
erche questl verauiente ebbe il grado tla nessun altro
rnese raggiuiito di comandaiite supremo delle Iruppo
'ee. E poielie ebbe questo grado iiel 1092 (2), possiamo
lire che questa satira fu serltta dopo il 1692, meiitre
'acccniio ad una graude battaglia cl couduceva o dopo
Le due sorelle N'livella e Bettina C^ilderini, doltore^e di leggi uate
agaa e iuaegnautl a Padova, fiorirouo nella priiii^ meU del sec. XIV.
la fu luoglie di Giovanni Sangiorgi e morl a Padova nel 1325. Ac-
ad essa il F*NTfixi fficritl. Holagn. VII, 307) e a Iiltte e due
1 CesaBH ChOCe nel poeuietto La gloria delle Donne. (Bologna, B;-
1590). Cfr. anolie: Carouna Bonafede, Cenni biografici e ritraiti
ligni donne bolognesi. Bologna, tip. Sjssi, 1!^. pp. lGl-66.
MURATDBi. Annali d' Italia ad annum.
— 7 —
il 1685 (Cassovia) o dopo il 1688 (Illock e Peterwara-
dino). (1)
Possiamo poi supporre un limite ad quern, fe proba-
bile che Tautore scrivesse prima del 1697, anno in cui il
Caprara, stanoo ed ammalato, abbandono la vita militare,
oedendo il comando della guerra d* Ungheria al Principe
Eugenio di Savoia i! quale con la sua immensa gloria
oscur5 quella del predecessore. In ogni modo ci pare che
dobbiamo risalire a una data anteriore al 1701, anno in
cui mori il maresciallo Caprara. Infatti, quantunque qui
non sia detto espressamente che il Caprara era vivente,
par d' indovinarlo seguendo il ragionamento dell' Adimari.
Egli si sdegna che i poeti profondano adulazioni intorno
a vili soggetti (le adulazioni si fanno ai viventi, non ai
morti). Poi, volgendosi agli adulatori, vuol mostrar loro
che esistono soggetti degni di vera lode: cita quindi Eleo-
nora e Cammilla {vive e pre^enti) e il Caprara. Poi, con
r accenno a)le Calderine, dice che oltre ai vivi possono lo-
darsi i morti che meritaron 1' aramirazione dei loro con-
temporanei.
Vediamo ora il secondo accenno: Eleonora e Cammilla.
Si tratta di dame altrui hen note^ ci6 che per un moraento
ci face pensare ad Eleonora imperatrice, ma chi sarebbe
aUora la Cammilla messa con tanta disinvoltura accanto
all'augusta donna? E poi qui da queir accenno al ciel na-
tio e da quel subito confronto con le Calderine e evidente
che si tratta di due dame bolognesi.
Pensiarao piuttosto che si tratti delle due Caprara, Eleo-
(1) Per la data della battaglia di Cassovia v, il Nouveau Dictionn, des
sieges et hatailles m^morables par M. M. (Paris, 1809), t. II p. 93. Per la
battaglia di Peter- Waradino v. Muratori op. cit. ad auQum. Questa e la
battaglia di Sintzheim sono le principali delle 44 campa^ne fatte dal Ca-
prara (non sempre con felice risultato) al servizio deirimperatore. E pro-
babile si tratti di una delle due suddette, nel qual caso, con esempio non
nuovo, r Adimari avrebbe chiamata Austria TUngheria: non si tratta
certo di Sintzheim, poich^ questa citta 6 in Isvevia (oggi fa parte del
granducato di Baden). Non abbiamo citato Neuhausel, V altra grande bat-
taglia d*Ungheria, perch6 essa avvenne nello stesso anno di Cassovia 6
quindi non ci fornisce alcun dato nuovo.
nora (figlia del co. flirolamo Caprara e di Caterina Zam~
beccari) la quale 9pos6 il marchese lacopo Filippo Ama-
dore Spada il 30 novembre 1690 (1) e Cammilla (del co.
Francesco Carlo Caprara) moglie del marcheso Filippo
Bentivoglio (1G88) (2) e poi del marchese Oiorjfio Marsigli.
Cammilla era riipote del maresciallo (':iprara del quale Eleo-
nora era lontana parente.
(1) V. UHlHei.1.1. Croiiapa. LXV[I1. UUl. V. anclie I'upuaculo: Lacamna
Celeite in mano d' Imeiira appiaiidilo dalle Mute mi fisiicUtimo Aooop-
piamenfo degi'iU.mi signovi marchese Giacomo Filippo Ama^lore Spitda
e marche»a Eieonix-a Caprara. In BulripQA, per I' eredo 'li Viltorio Be-
0 ii, r„ii
«.).
(2) Adche (juesle mi-ae furoDn (luorate ila una raccolta di versii Gti Stra-
tagemml d'Amorv. Componimenti per te None rlegll Itl.tni fiignor Conte
Filippo lientifoglio e Contesia Camilla Caprara dedirati agti Spoai dal
dotl. Paolo Pari. Iu Bnlugna, per ^W Ereili a'Aati.Dio Pisarri, (s. &.)■
in 4.° pp. 20 o.D. La iaXa ta furuiace 11 Litta (Fam. noh. Hal., Beatiio-
^lio, tav. l\) La Camilla era Iwlliasima e nel cod. 1207 dalla Uoiversita-
ria Ji Bulr^ua ai leppe un [rraaiuso madrigale per lei, IraBcrittomi d.il
i;en till SSI mu d.r Bacchi del1:i Le;;u:
Signora Camilla Renlioogli Caprara.
Tu I' iitimapini Amore
D' esser coi fuichi ardeiiti
Dati> per ^uidator solo alle genti.
T* ia^anui, eccone ud' altra
Di te pill s^)>ia e scaltra
Che con ginoero gielo [sic per ^eld]
Per la via dell' honor ci guida al clelo.
Ma non pare clie Ui gran belld fosHe con pudicisia untta come dlceva
rAdimari, date queste parole del Litta (Op. cit, loc. cit.): .Nel 1700 Camilla
era in Roma alia corte in qualitii di dama presan la llegina vedoca di
P'doaia. 11 maresciallo Caprara suo zio dod voile che coatiuuasse ad oc-
cupar quella carica. rileuendola troppo inferiore alia sua condizione, e
fece partlrc da Roma la oipote. Sotto quell' apparenza era nascosto poi
il vero motivo, ciod che il papa era talmente uauaeato de' bagordi com-
mesai Delia di lei caaa, che ad ogni cjato voleva che fosse sfrattata da
Roma unitamente ad Aoaa Ornsai Albergati compagna di Camilla Dello
sfacciato libertinaggio. • Qitesta 6 1' unica donna-moilello per quel terri-
bile misoginott Forse 6 un' adulazione; e in tal caso, quale adulazione pili
bassa, in una satira scritta appunto contru gli adulatorif
— 9 -
Pur troppo la data di morte delle due dame presenti e
vive quando TAdimari scriveva non ci porge nessun argo-
mento, perch6 quando morisse Eleonora non sappiamo e
Cammilla viveva ancora nel 1752 (1) quindi molti anni dopo
la morte dell' Adimari. Certo per6 V Adimari scriveva pri-
ma del 1706, anno in cui Eleonora, rimasta vedova, si
fece monaca scalza in Bologna. Inoltre crediamo che scri-
vesse dopo il 1690, quando cioe ambedue le dame erano
maritate, perche, conoscendo le usanze del tempo, par-
rebbe strano che V A., volendo onorare le pid fulgide bel-
lezze dclla citta, si rivolgesse a due fanciuUe.
Da tutti questi dati i quali ci fanno pensare al decen-
nio 1690-1700 vediamo ora scaturii'e un nnovo indizio. Qui
r Adimari non cita che adulatori bolognesi, glorie di Bolo-
gna (il Caprara), belle donne di Bologna (le due dame),
antichi personaggi bolognesi (le Calderine).
Tutti questi accenni fan credere che T Adimari scri-
vesse in Bologna (ipotesi confermata da quel presenti rife-
rito alle due dame). Orbene, dopo che il poeta fu esiliato
da Firenze nel 1685, riparo a Lucca donde non fu cacciato
che nel 1687 (2) anno in cui si reco a Geneva: a Bologna
lo troviamo sicuramente nel 1691 (3) e nel '93, ottenuta la
grazia dal Gran Duca, I'Adimari tornava in Firenze d'onde
non si mosse piu fino alia morte.
Quindi questa satira fu scritta certamente negli anni
16901700 e probabilmente nei due primi anni del de-
cennio.
"--'/
'-..•j'-.r
'1 'j
:i-
m
. A •
''^^
(1) In qudsto giorno ella fece testamento: (cfr. Frati. Bibliogr. holo^
gnese. Bologna, Zanichelli, 1889, vol. II, p. 1488).
(2) V. la deliberaz. 9 nov. 1687 nel R. Archivio di Stato di Lucca,
Magistrato dei Segretari, Deliberazioni, n. 33 (15), anni 1683-94, p. 40.
(3) Infetti nel cod. I, 1106 (a G 5, 5) della Bibli-.teca Estense di Mo-
dena si legge una Serenata a Filli scritta da Lodovico Adimari in Bolo-
gna per i conti Calderini: « in occasione » (cos\ v'^ scritto) « della fiera d«l
present* anno 1691.
SATIRA n.
Contro 1 vizll unlversali.
satira non offre alcun dato croQologico sicuro.
ra te graodi vergogue del tempo 6 considerata
I questa,
a Regolo de" Sirti il Popol cbiamo
spettacol pompoao antra il teatro,
soverchio dl lasto oga' altro si brame,
grande sopracciglio auatero ed aCro
irabiante aggiunga, e aspirl al Tosoo d* oro
tii sul ilnrsi) portu rustico aratru.
M riiiscis3,"> a trovare ehi fosse quest' uomo a
forse potremmo aver qui uu dato cronologico.
I poi, con verai non inolto chiari, I'A. sembra
una grave carestia che v' era a Roma men-
veva, ma diffieiie e stabilirne il tempo, perche
in Roma durante i ponti6cati di Innocenzo XI
ndro VIII oc no furon parecohie (1).
SATIRA III.
nntro 11 vizio della bugia e suoi seguacl-
questa e molto utile per la nostra riceroa. Pare
3 il ritorno dall' esilio dell' Adimari, perche la
1 dialogo fra Menippo e la Verita) si avolge a
escritti i mali e lo discordie di Firenze antioa,
da altameute il governo del gran Cosmo. Que-
lostrano soltauto chc la satira fu scritta qualche
il 1670, anno in cui Cosimo III sail al trono:
Ffrono un dato troppo vago e lontano (2).
— 11 —
SATIRA IV.
Contro alcuni vizii delle donne e particolarmente
contro le cantatrici.
Qaesta satira finalmente'ci offre un limite ad quern ab-
bastanza sicuro. A p. 159 V Autore, dopo aver detto che
le stolide cantanti pretendono saper tutto e ciancian anche
di politica, dice;
Ella omai gid prevede in cbi cadranno
D* Iberia i tanti Regui, e quai litigi
L* Istro e la Senna a tal cagione avranno,
Sa quai schiere, quai navi in sul Tamigi
Quel Re disponga, e quai pensier noo meno
Volga nella gran mente il gran Luigi.
Dunqu© siamo ai preparativi della guerra di sacces-
sione di Spagna. Questa satira non pu6 essere stata scritta
dopo il 1701, quando la guerra era gia scoppiata e quindi
non c'era piu nulla da prevedere^ ma o poco dopo la morte
di Carlo 11 (1 nov. 1700) o anche poco ppima, perche la
malferma salute di quel inonarca gia aveva fatto pensare
alia succe«sione, sicche tutti i sovrani che aveano da spe-
rare qualcosa s'erano affrettati ad armare gli eserciti.
688i r A., dopo aver parlato delle vittorie ottenute dalla Bugia con Lu-
tero, Galvino etc. dice:
Ella il novello Impero ha in Tracia eretto
Che al Roman fa grand* onibra e in esso uguaglia
Bisanzio a Roma, a Pier Sergio e Meemetto.
E gia parmi veder ch* aspra battaglia
Muova da presso, e s' altri non s* oppone,
Che da eretici campi Italia assaglia.
Allude forse alia diflfusione in Italia delle dottrine dei Quietisti che
tanto preoccupava la Corte Romana e gli Stati amici? (V. la relaz. di
GmoLAMO Lando cit. pp. 410-11). 0 a quale altro movimento protestantef
0 forsa a qualche p«ricolo mussulmano? Noi non sapremmo rispondere.
SATIRA V.
Contro i vizii delle donne In universale.
Da questa non ricaviamo che un dato quasi inBignifi-
nte. A pug. 19'2, a proposito della letteratura frivola e<i
ipia del secolo e scritto:
II CrisliiDo ditl Segoeri istruito
Piii d(!e piacer del follepgiar b1 lecchio
Sul cnccialor liall" aqiiila rapito.
Questi versi sono stati scritti evidentemonte dopo il
86, anno in cui fu pubblicata la prima edizioiie dell'opera
1 Segued: (1) dato importante solo in qiianto non con-
iddico a quelli supposti parlando dolla satira I e quindi
nferma I'opinione nostra che le satire sieno state coni-
ste net decennio I690-I700 o tutt' al piil nei dodici anni
mpresi fra il 168B (nel iiovembre dell' anno antecedentc,
me abbiam visto, 1' Adimari non era ancora andato a
ilogna) e il 1700.
Himane ancora un f'atto da osservare. II limite ad quern
to dalla satira IV sarebbo, come ogunu capisce, impor-
itissimo se potesse dimostrarsi che la satira FV' fosse
ita composta dopo tntto lo altre. Ebbene, noi crediamo
■mamouto ehe sia cosl. Infatti, i' vero ehe nolle stampe
)rdiiie delie satire e quale noi I'abbiamo dato, ma nei
dici e assai diverso. Eceo in quale ordine sono disposte
satire negli undiei codici da noi esaminati (awertendo che
ritraddistiuguiamo ie satire con le lettore ABCDE corri-
ondenti rispettis^amente alia 1.', 2.", H.', 4". e 5." delle
impe) :
Marucellianu C 240:
MasUalierhinDO II. 1,7^: I > ■ir-nf
Maglialiechiano 11. 1.7H. , '^"^"'^
OuarDaccJano ili Volterra 61!M.
(1) II Crhliano ittniito lulla juu tegge, Ragionamenlo momle di
OLO Skqneri. Fireoze, StaroperUi lii S. A. S., 1686. (Voll. 3. b 4").
— 18 —
PalatiDO (Bibl. Naz. Centr. di Fireuze) 261: .
PalatiDO-CappoDiano (Id.) 34: f Appr»Tx
Laureoziano Ashburnhamiaiio 684: I aii.i>i5u
Laureoziano Mediceo-Palatino 98:
Magliabechiano II, 1,78: i
Riccardiano 2938 ' AECB.
G(xi. della Bibl. Pubblica di Lucca (collez. Moucke 1522) \
Dunque in quattro codici (alcuni dei quali possono esser
derivati dalle edizioni) le satire sono disposte nello stesso
ordine che hanno nelle stampe: ma in altri quattro la sa-
tira O e coUocata nell' ultimo posto : in altri tre codici poi
quella satira manca, il che fa credere che essa sia stata
aggiunta piu tardi e che i tre codici che noi abbiamo
citato per ultimi sieno i piu antichi. E si noti che T ordine
AECBD dovette esser dato alle satire dallo stesso autore,
come appare dal codice Palatino-Capponiano 34 (nel quale
e appunto T ordine AECBD) che porta questa nota di pu-
gno del canonico Vincenzo Capponi: « Queste [satire] fu-
rono rivedute dal medesimo Autore, e donate dal mede-
simo al Marchese Pier Capponi suo grande amico. »
E come la satira contro le cantatrici sembra dunque
essere stata scritta dopo le altre, cosi quella contro 1' adu-
lazione (composta, come vedemmo, dopo il 1692), sembra
essere stata scritta per prima, non solo dal fatto che in
tutti i codici essa occupa invarrabilmente il primo posto,
ma anche perche in essa V Autore dice piu volte che ora
vuol cominciare a rotar la sferza della satira. Nota, oltre
le prime tre terzine, queste che sono a p. 2 e che parlano
abbastanza chiaramente:
Ma se piu volte il dU son io costretto
A seutir gli altrui versi o buoni o rei
Per le pubbliche strade e dentro il tetto
Giusto esser dee» poiche finor tacei
Dtf gli altri ascoltator, che alcun s' appresti
A soffrir la vilta de* carmi miei.
Cosi puo dirsi che le satire deirAdimari, che certa-
mente furono scritte fra il 1690 e il 1700, furono compo-
ste probabilmente nello spazio di otto anni, fra il 1692 e
il 1700.
- 14 —
tore pftzionte che oi ha seguito nella lunga ri-
Temmo dimostrare che la nostra fatica intomo a
ritture di uq autore quasi ignoto non e stata del
tile. Questo speriamo di poter fare quando, par-
Lodovico Adimari, studieremo la sua opera lette-
ureremo le stranissime sue awenture.
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PREFAZIONE
La novita dello studio che ora pubblico consiste
nell'aver ricercato tntte o quasi tutte le forme di
scritti privi di significato, con lo scopo di spiegare
come avviene che gli uomini, volontariamente o
involontariamente, prendano gusto a sragionare.
Facendo uno studio generale, qualche volta ho do-
vuto ripetere cose notissime, altre volte mi son valso
di osservazioni meno conosciute, ma non nuove. In
questo secondo caso ho citato gli autori ; nel primo
non ho voluto imitare quel predicatore che esclamo :
Tutti dobbiamo morire, dice s. Agostino. Dunque,
siamo intesi, accanto alle osservazioni mie, acute od
ottuse, ho posto osservazioni di altri.
Non per superbia, nfe per vana gloria; per mia
scusa, diro che alcuni miei saggi precedenti intomo
a questo argomianto hanno avuto I'approvazione di
persone autorevoli ; e percio sono stato incoi!ltggiato
a ripresentarli piu ordinati e compiuti. Ora verra
fuori qualcuno a dire che il mio studio non ha
) della forma e contiene cose fritte e ri-
e, anzi trite, — e la parola di moda. Da qual-
tempo a questa parte alcuni criticonzoli, che
imiottano mal amenta, i seguaci del metodo sto-
, son proprio buffi. Prima affettavano im gran
rezzo per lo scriver bene, ora si danno I'aria di
;tori eleganti : rubacchiano qua e la alcune mo-
se di periodi, ripetono certe frasi convenzionali
IB il lenocinio della forma, aenza alexin acume
! osservazioni parttcolari ; hitte cose di cut si
m fare a meno; frasi che possono andare iasieme
latino dei giornalisti : el de hoc satis, et nunc
Hmitii, timeo Danaos) e poi si pavoneggiano e,
ina rivista all'altra, si salutano. Uno dice: tn
!\ con molto garbo; i'altro risponde: e tn con
x) raoltiO, Alec samel, salam elec. Quando questi
ci die avrebbero avuto molta digposizione a
;par8i di forme da scarpe, fanno delle oeserva-
i sulla forma letteraria, mi vien rabbia. Inyece
h dolce la parola di quelli che, superior! a me
utto, 88 dissentono, o riprendono, lo fiinno con
tilezza e con bonta. Di questi ne conosco ancora
■i, da compensarmi delle seccature, che mi danno
altri.
Bivedendo, dope molto tempo, queato sfogo piu
prefazione, sento che sono necessarie alcune
iunte. Prima di tutto devo ringraziare viva-
te il mio buon maestro, dott. F, C. Pellegrini,
non Bolo mi ha aiutato a correggere le Btampe,
mi ha indicato alcuni errori, non di stampa,
PREFAZIONB. VII
cbe mi erano sfuggiti; e devo ringraziarlo tanto
piu, in quanto alcune pagine di questo libretto con-
tengono idee assolutamente contrarie alle sue. Egli
riconoscera pero che io non ho scherzato sopra con-
vinzioni che invidio e che rispetto.
Da alcune osservazioni, che mi ha fatto il P.,
ho capito finalmente che era meglio, in tutti i caisi,
apporre le indicazioni delle idee altrui e dei passi
citati. Dove ho potuto, ho rimediato ; in pochi casi,
avendo distrutto gli appunti che mi hanno servito
nella compilazione del mio studio, qui dove sono,
mi e stato impossibile ritrovare le opere consultate.
Diro intanto qui che dei canti fanciulleschi i piu
sono livomesi e presentano qualche varieta dal
modo con cui sono riportati dal mio amico Gino Gal-
letti nella sua Poesia popolare livornese (Livorno,
R. Giusti, editore, 1896) ; VAi, hai e di Pordenone,
Palla uno, palla due e del Sasso di Maremma, e li
credo inediti. Quanto al resto, peccato confessato
dovrebbe essere mezzo perdonato ; e poi a nessuno
verra in mente che io mi sia inventato il francese
del Courteline o qualche altro passo rimasto senza
citazione.
Conegliano, 22 febbraio 1900.
PlETRO MiCHELI.
^•-T»'
Tutti ricordano il discorso, che Renzo ubriaco fa
nell'osteria della Luna plena, Le frasi, ora languide
e cascanti, ora subitamente energiche, sempre in-
garbugliate ed oscure, descrivono col ritmo inge-
gnoso tutte le mosse della persona che le proferisce.
L'ultima parte di quella discorsa, dove il disordine
h maggiore, & di un effetto insuperabile: ^ Rispondi
dunque, oste: e Ferrer, che 6 il meglio di tutti, h mai
venuto qui a fare un brindisi, e a spendere un becco
d'un quattrino? E quel cane assassino di don.... Sto
zitto, perchd sono in cervello anche troppo. Ferrer e
il padre Crrr... so io, sono due galantuomini. I vecchi
peggio dei giovani ; e i giovani... peggio ancora dei
vecchi. Per5 son contento che non si sia fatto sangue:
oib5; barbarie da lasciarle fare al boia. Pane; oh que-
sto si. Ne ho ricevuti degli urtoni; ma... ne ho. anche
dati. Largo! abbondanza! viva!... Eppure, anche Ferrer
qualche parola in latino... sies baraos trappolorum,..,
Maledetto vizio ! Viva! giustizia! pane! Ah, ecco le
parole giuste!... Li ci volevano quei galantuomini...
quando scappb fuori quel maledetto ton ton ton, e
poi ancora ton ton ton. Non si sarebbe fuggiti, ve'
MiOHiLi, LstUratura cA« non ha 8§nso — 1
LKTTBBATITHA OHE HOK BA SBNSO.
illora. Tenerlo 11 quel signor curato.... So io a chi
lenao «. Prima di questo discorso il Manzoni awerte:
N'oi riferiamo Boltanto alcune delle mottissime pa-
ole che (R«Dzo) mand6 foori, in quella sci^urata
«ra, le molte piii che tralasciamo, disdirebbero
roppo; perchfe non solo non hanno Benao, ma non
anno vista di averlo: condizione necessaria in un
ibro stampato ,. Ebbene: questa 6 una delle pochie-
ime votte in cui il Manzoni ha torto.
Questa aaserzione erronea k afuggita al Manzoni,
)erch^ la letteratura senza eenso b una di quelle cose,
ihe si banDO continuamente sott'occhio, e non si cre-
lono degne di osservazione. Ognuoo ha letto qualche
icritto assolutamente privo di senso, e lo avrk giu-
licato un capriccio o una pazzia individuale; ognuno
la sentito fare qualche discorso, in cui le parole erano
iccozzate senza nesso logico, e lo avra creduto una
>izzarns speciale di un burlone. Ma pensando un po'
lopra a questi scberzi, k facile accorgersi che sono
li ogni tempo e di ogni luogo.
Si pu6 dire che a tutti i generi letterari sono
ittaccate, come ombre, corrispondenti forme prive
li significato: puri accozzi di vocaboU o di frasi che
imulano, in prosa o in versi, I'andamento, le pause
I la concitazione di periodi ben torniti, e di rsgio-
lamenti filati.
£ curioso poi, cbe, con queste filaetrocche, si
ittengano effetti, non solo umoristici, ma anche seri
i commoventt.
E piij curioso parra che se ne siano compiaciuti
lomini come Goethe e Rabelais, per citare i due
Anzi il parlare senza senso, oltre essere state
■iprodotto daU'arte, 6 state preso in considerazione
LETTSBATURA OHB NON HA SBNSO. 8
dalla filosofia e dalla fisiologia. Lo hanno notato
Montaigne, Cardano, Leibnitz, Voltaire e in ultimo
lo ha preso come punto di partenza, per studiare il
pensiero simbolico, L. Dugas. O Ma questi scrittori,
e il Dugas specialmente, hanno sfiorato appena il
puro non senso e si sono fermati sul linguaggio che
Simula I'apparenza del pensiero, per arriyare a un
fatto psicologico normale. Ne hanno parlato anche
il Lombroso, il Nordau e Mario Pilo. II Lombroso si
d occupato di certe tiritere, che non hanno assoluta-
mente nessun significato e che provengono da un per-
turbamento mentale, che trova la sua manifestazione
ultima nella delinquenza e nella pazzia. II Nordau ha
considerate certe forme particolari di questa lettera-
tura, per stabilire una critica con fondamento di
fisiologia e di patologia, e per dedume una degene-
razione, non si sa se totale o parziale, della Francia
o di tutta r Europa, delle classi elevate o di tutto il
popolo. Mario Pilo se ne ^ valso per esporre una sua
geniale teoria intomo alia musica delFawenire. (*)
II Dugas, che ha studiato piii a fondo questo
argomento, dice che la cicaleria assoluta ^ rara e
quasi impossibile. (') Invece 6 diflfusissima, e io mi
propongo di vedere, in quanto essa 6 riprodotta dal-
Tarte, quali eflfetti pub produrre e perchd.
(1) L. DvoAS, Irtf PaittacittM et la ptnsd§ ajftnboliqM. Paris, F^lix ▲!•
eaa, 1890.
(*) Muiiea $enza —hbo € ftnto 3«n»a mugica. * Seena illaatr. „ a. XXXHI,
oum. 6.
(8) L. Du&AS, op. oit., pag. 22.
) &asi, che mo-
snto, che banno
on banno signi-
to e confuso. E
che ad una let-
ma lingua dello
ate, che U lin-
itivi, e che poi
care idee nuove,
;ro essere tanto
. Invece, le ono-
8^ un incoQve-
non richiamano
lo che Togliono
rit6. Mentre al-
ati per aasocia-
i indicare cose
• di ripeteme il
origine a molti
variazioni.
esto fatto anche
dei barbari. II
e : " Vi ha nelle
i, che generano
,ggio e la sepa-
idiani, uomini o
I che godano a
elle nuove pro-
^^■^^ i_LLf, J- . ■ J ij 1 1 ij^ I ^ui>-T!Tg-: gigsi^i-isig:— -,^j: \'iiiu^ r
LBTTERATURA CHE KON HA 8BNS0. 5
nunzie. Diverte molto il vedere come tutta la riu-
nione si sganascia dalle risa, quando il buffone della
brigata trova qualche nuovo tennine di gergo: e
queste nuove parole per lo piii restano.
'^ La stessa cosa si osserva identicamente nelle
nostre cittk. Una parola piacevole, un rawicinamento
di suono e di senso h preso a volo, ripetuto, e si
perpetua. II gergo sarebbe utilissimo a studiarsi sotto
questo rapporto „.
Citerb alcuni esempi di ci5 che awiene tra noi.
Per Talterazione volontaria delle parole riferirb
quella che ho sentito di recente nel ritomello di una
canzone popolare. II ritomello dice:
E pare ^ bello il dondolar, dondolar.
e alcuni cantano:
E pure ^ bello il dondoUr, dondolar.
II case di significati diversi dati ad una parola,
per il gusto di ripeterne il suono, 6 cos\ comune, che
c'^ da scegliere, finchd si vuole. lo ho conosciuto un
tale per cui tutte le persone e le cose erano tra-
biccoli e trabiccolai. Un mio compagno di studi gin-
nasiali era state tanto colpito dalla parola Brundu-
sium, che la ripeteva ogni memento, e in qualunque
occasione. E son sicuro che, anche oggi, dope tanti
anni, se cestui m' incontrasse e mi riconoscesse,
condenserebbe tutti i ricordi di quel tempo nella
parola che gli sonava tanto bene aU'orecchio, e mi
saluterebbe dicendomi: — Oh! che fai? Bnindusium! —
Tutti hanno osservato Tuso e Tabuso che si fa dal
popolo della parola tranvai. Una donna grassa d un
tranvai, una poco di buono un tranvai, un abito mal
fatto, un impiccio, un ragazzo noioso e tante e tante
LBTtBBAT0BA OHB HON (
altre cose sono tranvai. Quando il compiacimeuto della
ripetizione Snisce, e il vocabolo non cessa di af-
facciarsi alia mente, si ha Tosaessione deecritta da
Edgardo Poe. AUora la parola, prima ripetuta coo
piacere, ritoma da ab con inaiBtenza increscioaa :
perdd il suo valore, il euono, e rooza sella testa con
un bruslo confuso. Nello steeso modo un oggetto guar-
dato lungamente, all'occhio dell'osservatore ostinato,
perde a poco a poco la forma e diventa un punto
rawolto in una nebbia tremula.
£ noD solo una parola semplice, ma spesso una
frafie intera, cplpisce o per la disposizione annonica
delle parole, o per la intensita del sentimento, e si
ripete, in molte occasion!, senza necessity. Mi spiego
con tin eaempio. Ai bei tempi di Pisa, quando fre-
quentavo il Catf^ deU'Amo, io e un mio compagno,
giocando a domino, si ripeteva spesso questa frase:
■ Si contenta, padron mio, che un povero monat-
tuccio metta il doppio sei (o il doppio due, o quel
cbe era)? , Perchfe le prime parole di questa frase
sono dette da un monatto, nei Promeasi Sposi, con
aignificato di scherno, noi le ripetevamo in un'occa-
sione in cui non avevano piii nulla che fare.
Alle stranezze di chi parla si aggiungono quelle
di chi sta a sentire. Una parola sola, quaiche volta,
pu6 richiamare tutta una serie di idee, come il suono
di una musica, e il profumo di un fiore. Chi conoece
il segreto di quella parola, a& precisamente che effetto
ae ne pub trarre, pronunziandola.
Si racconta che un bell'umore, in certa ricorrenza
patriottica, disse ad alcuni amici : " Volete vedere
che mi fo applaudire senza dif niente? „ Era in un
palco di non so qual teatro ; il teatro pieno, stivato.
Egli, peraona conosciuta, s'atza e fa cenno con la
-,.• " • w
^ T^*i — ^iK^
LETTBRATURA CHB NON HA SBNSO. 7
mano: i rumori diminuiscono e terminano in un silen-
zio commovente. AUora incomincia a dire : ** Gittadini
della forte.... „ (Applausi). Poi muove la bocca senza
parlare; a mille persone batte il cuore, aspettando
a momento di battere le mani. Dopo qualche tempo,
picchiando il pugno sul davanzale del palco, I'oratore
esclama: " i grandi ideali della patria , (Applausi).
Seguita a fare movimenti rapidi e concitati con la
bocca, come se ne uscisse un torrente di parole ap-
passionato poi, stendendo il braccio, grida: " Prin-
cipali fattori deiritalica indipendenza „ e non dice
altro, ma fa molti gesti, finch^ raccogliendo tutte le
sue forze esclama: " Tawenire del progresso e della
civiltk „ (Applausi fragorosi, frenetici).
Nd, in questi casi, h assolutamente necessario
che gli uditori si rendano conto di quelle parole che
arrivano a sentire. Quanti si dicono monarchici, re-
pubblicani, socialisti, anarchici senza sapere che cosa
sia socialismo, monarchia, anarchia, repubblica! E
quanti per questi nomi ammazzano o si fanno am-
mazzare.
AUora si ha il feticismo della parola. Ripetendo
o ascoltando i modi di dire degli altri, si crede di
appropriarsene il pensiero e il sentimento. Questo
feticismo h manifesto negli scongiuri magici e nelle
formule per guarire le malattie.
Sunt verba et voces quibus hunc lenire dolorem
Possis. (*)
II che io credo sia avvenuto in questo mode. In
principio chi curava il malato o medicava il ferito
era qualcuno della famiglia, il padre, la madre, un
(1) Orazio, eitato da L. Duoab, op. cit., pag. 8.
iii
LETTBBATDItA C
congiiinto proBsimo, che, nella sua dieperazioDe, emet'
teva gemiti e gridi, e poi anche innakava pregtuere,
&ceva scoDgiuri e voti. It Bentimento di dolore e il
desiderio deU'animo trovavano uno sfogo Delia pa-
rola. Foi quelle fonnule, che racchiuaero meglioqoeeti
seDtimenti, pasearono di bocca Id bocca e furono
ripetute come i proverbi; infine quando alcuni, per
la loro pratica maggiore o per speciaJi attitudini
presero cura dei malati o dei feriti, ripeterono quelle
formule senza che ormai esprimessero pid il loro do-
lore 0 il loro desiderio, ma come ee esse, per una
loro forza nascosta, contribuisBero a guarire il male.
Cosi anche nella religione, quando sparisce lo
spirito religioso rimane il culto, le pratiche perdono
il toro significato e si materializzano, la preghiera
diveuta una cosa meccanica, il culto una cerimonia,
le formule una specie di cabalismo in cui le parole
operano, non piii, come prima, per il significato, ma
per il suono. (*)
La fiducia nelle parole, non intese, fa si che il
popolo non trova strano I'ascoltare la Messa, di cui
non capisce nulla, e il recitare le preghiere latine,
che egli non ea quello che significhino, e che, pas-
sate per la sua bocca, non significano piii niente. Per
vedere come il popolo intende le parole latine, legga
chi vuole nel Sacchetti la novella in cui si parla di
Bonna Bisodia (venuta fuori dal da nobis h/tdie del
Pater noster) e pensi a queste etimologie popolan.
Da Arfaxad h venuto arfasafto, da lux perpetua, la
uperpetua. E a Livomo ho aentito dire: ' mi pai Te-
nenosse che lo misero in du' casse „, Era la tradu-
zione di et tie nos tnducas.
(1) Partla di E. Benin in L, Ditbib, op. cit., pag. 13.
tutta assorta nel motnento presente; vede il suo
ambino Delia cuUa o sulle braccia e Don pensa al
ituro o al passato; rapita in una dolce eatasi, come
e quelle labbra freeche, quelle gotine di rosa e quegli
cchietti, che 8orridono, confondendo la mamma vera
OD quella dei sogni, siano state e debbano essere
smpre in quel mode, la madre canta la sua nenia,
1 cui una parola segue I'altra, cod la sola cura di
on iuterrompere il ritmo.
La madre crea intonio al bambino uD'atmoefera
i sogni, dove le immagini si succedono per asso-
iazione di suodo piu che d'idea, finchfe il bimbo si
ddormeota e la madre lo guarda teneramente sor-
idendo. Allora cbe cosa ^ il passato? cbe cosa e
awenire? che cosa 6 il mondo? Tutto per la mamma
coDcentrato in quella piccola creaturina dormente,
il suo cuore 6 invaso da una dolcezza che non la-
cia campo al peneiero. Piu tardi, quando, discesa dal
aradiso, ritorna atle sue occupazioni, o quando il
imbo figambetta, ciarla e ride e ha &k sviluppato
genne del piccolo uomo, piii tardi la madre pen-
ary atl'avvenire; era ogni pensiero sarebbe quasi
na profanaziooe.
Per questo te niuDe-nanne popolari sodo coA
erenamente incuranti del concetto. Che importa il
oncetto? II suono della voce materua irradia di una
ice luminosa di affetto ogni parola di quel balbettio
onfuso; il sentimento interno riscalda e awiva ogni
spressione. come il sole al tramonto fa sembrare
gni cosa d'oro.
Chi crede di poter significare I'affetto di una
ladre con le sottigliezze del pensiero, sbagtia, per
OD dire di peggio. I noti versi del B. Giovanni Domi-
LBTTBRATUBA OHB NON HA 8ENS0. 11
nici riproducono tutta Testasi matema con una
frase semplice riboccante di sentimento:
Quando an poco talora il di dormiva
E ta destar volendo il paradiso,
Pian piano andavi, che non ti sentiva,
E la tua bocca ponevi al suo viso;
E poi dicey a con materno riso:
Non dormir piti, che ti sarebbe rio.
Invece Timitazione del Giusti con tutta la sua
scorreria nel futuro 5 fredda ed accademica:
/' Teco vegliar m'ft caro
Gioir, pianger con te: beata e para
Si fa Tanima mia di cura in cara,
In ogni pena un nuovo affetto imparo.
Anche le cantilene, con cui si trastullano i bimbi
per quietarli o per divertirli, non hanno piii senso
delle ninne-nanne:
Staccia, buratta,
Martino della gatta.
La gatta va al mulino
Per fare un covaccino
Coll'olio, col sale,
Col piscio del cane.
Battalo giu che va nel mare.
III.
Ogni impressione di gioia, in quasi tutti gli ani-
mali, h accompagnata da movimento e da emissione
di voce.
I cani, quando si rincorrono festosamente e sal-
tellano fra di loro o quando vanno incontro al pa-
drone e gli balzano addosso, dimenando la coda, e
fuggono, ritomano e si fermano, col dorso arcuato,
Lori Btese a terra e la testa sollevata,
icoDo, abbaiano. II cavallo libero nelle
la criniera, alza la testa e nitrisce ;
iria b' inseguono COB fischi acuti. An-
>nde I'esuberanza della contentezza
e gridi.
ifestazioni di gioia comune ad una
omini, i movimenti di esultanza pre-
dine, per amor di siiumetria, e perch^
in impacciaBse I'altro. Quindi i saltd
na signiScazione di piacere, Eii disci-
illo ; e presero un ritmo determinato
cbe il ballo accompagnarono. Quei
'ottero esBere un accozzo di Billabe,
ion si aveva il senso, ma neppur la
no essere tutti come alcuni ritornelli
teraUera tra la la la, oilA, ecc.) Alle
gridi poi succedettero le parole e si
mi a ballo.
) al bel sole di maggio gli uomini e
i ballavano e cantavano, i bimbi che
fevano sentirsi traacinare da quel-
iena e comunicativa, e anch'essi, per
) alia vivacita addensata nei piccoli
1 prendersi per mano e rotando in-
)cchietti luccicanti, coi riccioli biondi
rono fuggire per la prima volta dalle
10 di questi canti:
iro, giro tonilo,
n pane Botto il foroo;
n mazzo di viole,
a d'& per chi ne ruole,
} vuole la Sandrina.
»3chi in terra la piti piccina.
LBTTSRATUBA CHB HON HA 8SNB0. 13
Insomma, quest! canti, imitazione fanciuUesca
delle canzoni a ballo ci riportano a ci5 che esse
dovettero essere in principio. E, come il ballo, qua-
lunque giuoco di ragazzi & accompagnato da grid! e
da canti, nei quali tra una frase e un'altra che hanno
un po' di sense, c'h un buon numero di parole che sono
un pretesto per gorgheggiare. Co(d nei seguenti versi,
che i ragazzi cantano, mentre nascondono una palla,
che uno di essi deve andare a cercare:
Palla uno,
Palla due, ecc.
Palla nove.
lo me lo cingo il caore
E io me lo ricingo,
lo tocco terra,
10 terra la ritocco.
Qaesta palla deU'occo
Dell'occo e dell'occhino
La voglio andare
A rimpiattare
In on bnchino;
Babbo di stoppa
E mamma di lino.
Sette cervelli
Senza on quattrino.
Uno a me,
Uno a te,
Uno al compare,
Uno alia com are,
Chi vnole qaesta palla
La vada a cercare.
Pecorine, pecorelle:
Cento pecore di Ik alle pianelle.
Pecorina e pecorone
Cento pecore di \k al Pavone.
Polenta dolce,
Polenta gialla,
11 prete ride e la serva balla.
n prete fa le conche
LITTBII1TI7RA ORB NOR HA SBMSO.
E 1» aervft gliele rompe.
II prete le rifa
E U B«rva le loBcia eU.
Uno due e tte:
Una guardare e Dun redi.
el reato, il gusto di accompagnare alcuni pas-
pi con fraai, che non dicono nulla rimaoe aache
omini, come si pu6 vedere nei giuochi di sala,
ii dicono certe parole che poBsono stare benis-
iccanto a Palla vno, paUa due. Per esempio,
<: ' Biribl, chi fu? — Tre gatti! — Biribi ,
Icune di quelle filaBtrocche servono ai ragazzi
re certi loro conti, e le parole, una dietro I'altra,
valors di numeri progressiri. Gli uomini in
^uocbi, dove la Borte deve decidere della scelta
mpagni, fanno il tocco; i ragazzi, per i quali
:o sarebbe una cosa compticata, hanno un suc-
io molto piii semplice. Si mettono in cerchio
di loro, accennando un compagno ad ogni
, dice con molta velocitk :
Ai, bai
Tu mi sUi;
Sie, bi«,
Compagnie ;
Tico, taco,
Eh! buff.
Pero, raelo,
Dimroi il vero:
Qnale 6 atata U bagia?
Sorti fuori,
Ladro, becco, apia.
LBTTKBATUBA OHB NON HA SBNSO. 15
IV.
Una gran parte della letteratura popolare b for-
mata di malintesi, di sottintesi, di doppi sened, di con-
trosensi e di non send. Anche le novelle e le fiabe,
per i fatti e per i personaggi, se non per la dispo-
sizione delle frasi, si possono considerare apparte-
nenti alia categoria delle poesie analizzate finora.
A questo proposito mi pare che venga naturale
la confutazione di un passo conosciutissimo di Orazio.
Dice Orazio, nel latino che tutti conoscono:
Haroano capiti cenricem pictor equinam
Jangere si velit, et varias indacere plumas,
Undiqae collatis membris, at turpiter atrnm
Desinat in piscem mulier formosa sapeme;
Spectatam admissi risum teneatis, amici ? (^)
Chi sa? Se la tradizione e la fantasia di un poeta
avessero attribuito a questo mostro una qualita ma-
lefica 0 una forza sovrumana, se il volto della donna
spirasse terrore, o nella bellezza avesse qualche cosa
di perfido e di fraudolento, forse nessuno riderebbe.
Leonardo da Vinci, una volta, ebbe il capriccio di di-
pingere un animale, che aveva le membra di tanti
rettili accozzate insieme e che sbuflfava fuoco dalle
(M Se ad un pittor ▼enisse mai talenio
D'inneatar, per capricdo, a capo umano
Cavallina cervice, e varie penne
▲dattar procurasse a membra inaieme
Qainei e quindi accozzate. oude una vaga
Donzelletta &1 di aopra, in sozzo peace
Facease terminar; ditemi: ammessi
A apettacolo ta), sapreate, amici,
Le riaa trattener?
(Traduzione di P. Mbtastasio).
«
^♦1
ici. Terminata I'opera e dispostala sotto una luce
iveniente, il pittore fece venire suo padre nello
dio, e il buon uomo, vedendo quel mostro, non rise,
si tirb indietro spaventato. E ai fece avanti sol-
to quando il figliuolo, sorridendo, gli disse: ' Que-
^ quell'efFetto che dall'arte ai aapetta ,. (') Tutti i
atri della mitologia (Encelado, Brioreo, i Ciclopi,
^rpie, I'Idra di Leraa, le Sirese, Proteo, le Sdngi)
1 facevano ridere nfe dipinti, n6 scolpiti, n6 can-
L in versi.
Perch^ poBsa soprawenire il riso, b neceesario
I a queste fantasie deformi non sia congiimta nes-
a idea di dolore, di terrors, oppure bisogna che
10 eseguite goffamente.
La pid bella prova del torto di Orazio b che
J mitologia ha i euoi mostri. I quali, in certo modo,
o simili alle poesie che ho citato sopra. In quelle,
i-asi aono mesae I'una dietro I'altra senza nesso,
juesti, aono appiccicate fautasticamente le mem-
di animali differentissimi.
Volendo ricercare in che modo si aono formati
lati moatri favoloai, si trova che devouo esaere
ti prodotti dalle immagini diverse consociate nei
:ni, da allucinazioni, da errori della vista, da im-
iwiae aomiglianze, balenate all'occhio e al pen-
:o: aomiglianze e allucinazioni della ateaaa natura
quelle che hanno dato origine alle creazioni fan-
tiche pure e aerene.
Leonardo da Vinci, per esempio, trovava, nel
zzo dell'onda, un'affiuit^ col aorriao della donna.
altri questa affinita 6 apparsa nella grazia delle
ie e in quel sussulti trepidi, che paiono palpiti di
LETTBBATURA CHE NON HA 8BNS0. 17
seni femminili. Percib, qualche volta, sulla curva vo-
luttuosa e limpida dell'onda, par di vedere trasparire,
a un tratto, il braccio o il fianco di una Naiade che
si dilegua, e Tacqua ne rimane tutta animata; e,
qualche volta, sul viso della donna passa un raggio
indefinibile, che pare disperda Tinvolucro corporeo
e faccia scorgere Tanima, nel fondo degli occhi, di-
venuti trasparenti come Tacqua chiara. Queste affi-
nita rapide, fulminee, per la insufficienza del lin-
guaggio primitivo a renderne la natura eterea, per
gli errori e i malintesi dell'etk successive, assunsero
forma plastica e divennero esseri mitici. I quali dalla
parola passarono nelle arti figurative. Ma quando
I'artista (pittore o scultore) non 6 puramente sen-
sibile alle forme esteme della linea e del colore, e
con occhio di poeta penetra quelle remote af&nitk,
crea egli stesso il mito.
Cosi, nel quadro Uarcobcdmo e Vonda di un pit-
tore inglese, tra i colori dell'arcobaleno che si ap-
poggia sull'onda mossa, ^ rappresentato un essere i
soprannaturale che bacia una Ninfa. La creatura \
celeste si regge capovolta suUe ali sfumanti nei va- \
pori deiriride, e la Ninfa, di cui la persona si confonde •'
nelle linee dell'acqua, oflfre, con desiderio, la bocca
appena emergente, al bacio di amore. Ma la pittura j^
e la scultura non possono evitare la materiality e \
sono inferiori alia poesia, che, ora, in virtii della
pieghevolezza acquistata dalla parola nelle mani di
artefici sapienti, pu5 rendere la momentanea illusione
ed il successive ritomo alia realtk, con I'animo ancora
vibrante per la gioia del sogno fugace. Ci5 ha fatto
il Pascoli in questo sonetto maraviglioso :
0 vecchio bosco pieno di albatrelli,
che sai di funghi e spiri la malia,
KiOHiLi, LetUratura ehe non ha temo — 2
f
II
I
LXTTIBAtDBA 0
n ta TiTono i Utam ridtrelli
ih'haimo le sussamnti aure in balia;
'ivfl ta Dinfa, e i paaai lenti apia,
lionda tra le interrotto ombre i capelli.
>i ninfe albaggia in mezzo a ia ramaglia
•I e\ or 00, che se i1 desio le vinca,
'occhio alcuna ne attiogo e il aol le bacia.
)ilegaano; e par viva i U boscaglia,
'iva eempre ne' fior de la pervinca
< ne ]e grandi cloccbe de racacia.
uomini primitivi, invece, credettero all© im-
lelle allucinazioni come a cose reali e crea-
Ninfe, i Fauci, i mostri favolosi. Indi i
fantastici delle novelle popolari, che si
nei popoli occidentali daH'Oriente : indi la
di quelle pitture in cui da un fiore sboccia
DO ridente o da un albero si svolge una
donna bellisBima.
lagini insensate, ma non ridicole, finchg I'arte
lurre quegli effetti che ai aspettano da lei.
Bono mai mancati in nessun tempo uomini,
10 avuto il gusto di divertirsi, facendo di-
ivi di senso ai poveri di spirito, che lor ca-
tra i piedi. Cera, a Livorno, un vinaio che,
;e, dopo pranzo, nell'ora che le vie deila
.0 ombrose e dal mare viene una brezza pia-
3 ne stava seduto, davanti alia porta, a go-
itamente il fresco. Quando passava qualche
LBTTBRATURA CHB NOH BA SBHSO. 19
povero di&volo, che gli si awicinava titubante, do-
mandandogU : ' Scusi, mi saprebbe dire dove b la
via taleP „, il vinaio si alzava, si levava la pipa di
bocca e faceva nn diacorsetto di questo genere:
' Guardi, lei va a diritto, poi volta a deetra, poi a
sinistra, dove trova tm venditors di lumi da incenso,
allora va piii in 1^, dove ci sono dei monticelli d'acqua,
passati i monticelli, a sinistra, c'^ una strada; lei
domanda: E questa la via tale? Qli risponderanno
di si a- II piii delle volte il povero diavolo, sbalor-
dito, r^pondeva: " Grazie „.
Quell'oste doveva essere un diecendente di Maso
del Saggio o di frate Cipolla di cui la predica ai
contadini di Certaldo 6 una meraviglia: ' Signori e
donne — diceva il frate — voi dovete sapere che,
essendo io ancora molto giovane, io fui mandate dal
mio superiore in quelle parti dove apparisce il sole,
e fununi commesso, con espresso comandamento, che
io cercassi tanto che io trovassi i privilegi del Por-
cellana, li quali, ancora che a bollar niente costas-
sero, molto piii utili aono ad altrui che a noi. Per la
qual eoaa messomi io per canunino, di Vinegia par-
tendomi, e andandomene per Io borgo de' Oreci, e di
quindi per Io reame del Garbo, cavalcando, e per Bal-
dacca, pervenni in Parione, d'onde, non senza sete,
dopo alquanto pervenni in Sardigna.... (*) E quivi
trovai il venerahile padre measer
C) AgerSBce lapor* * qDMl> ducrlilon
CipolU li piradsTi slaoiio del suol gcaul udit
qui win tatti di itrkdt a luaghi dl Firenie. Cc
LBTTBRATC& k G
voi piace, degnissimo patriarca di Jerusalem. II quale
per reverenzia che porto dello abito che io ho sempre
portato, del baron messer Santo Antonio, voile che
io Tedessi iutte le sante reliquie' le quali egU ap-
presso di s^ aveva; e fiiron tante, che se io ve le
volessi tutte contare, non ne verrei a capo in pa-
recchi miglia.... Sgli primieramente mi mostrd il dito
dello Spirito Santo cosi intero e saldo, come fii mai,
et il ciuffetto del Serafino che apparve a San Fran-
cesco, et una dell'unghie de' cherubini ; et una delle
coste del verbimi caro fatti alle fineatre, e de' vesiti-
menti della Santa Fk cattolica, et alquanti de' raggi
della Stella che apparve a' tre Magi in Oriente; et
una ampolla del sudore di San Michele quando com-
batt^ col diavolo, e la mascella della morte di San
Lazzaro et altre ,,
I contadini, che aentivano questa girandola di
parole, dovevano reetare intontiti e a bocca aperta;
fbrse alcimo dormiva o diceva 11 rosario, e Irate Ci-
polla allegro e imperterrito proseguiva la predica.
Nfe questo k il solo discorso privo di sense che
si trova nel Boccaccio; le parole, con cui Buffalmacco
e Maso del Saggio ingannano e canzonano Calan-
drino, sono come la predica di frate CipoUa. Anohe
in altri novellieri non mancano scherzi di questo
genere. Per Io piii sono burle di frati, come b, nelle
novelle del Sacchetti, Io strano elogio fiinebre reci-
tato da un cercatore davanti al cadavere di un con-
tadino:
* Quae qui. Per quae s'intende loanni, per qui
loanni : dello barbagianni non ci dice covelle, perch^
vola di Dotte. Signori e donne, io sento che questo
loanni k atato buon peccatore : e quando ha possuto
fuggire li disagi, volentiera ce I'ha fatto; ed 6 ben
ji^^.t^JU — AJJ.^IIIWI ■ I ■
LETTBBATUBA OHE NON HA SEN80. 21
vivuto secondo il mondo ; hacci preso gran vantag-
gio nel servire altrui, ed fegli molto spiaciuto Fes-
sere diservito. Largo perdonatore 6 state a ciascuno,
che bene gli abbia fatto, et in odio ha avuto chi
gli abbia fatto male. Con gran diletto ha guardato
li santi di comandati; e secondo ho sentito, gli di
da lavorare s'd molto guardato da' mali, e dalle rie
cose. Quando li suoi vicini hanno avuto bisogno, fug-
gendo le cose disutili, sempre gli ha serviti. E state
digiunatore quando ha avuto mal da mangiare: ^
vissuto caste quando costato non li fosse. Oratore
m'^ detto che d state assai: ha detto molti pater-
nostri andandosi al letto; e Tavemmaria almeno
quando sonava nel popol sue. Q) Spesso nei di fuori
di settimana facea elemosine. Venendo alia conclu-
sione, li costumi e le opere sue sono state tali e si
fatte, che sono pochi mondani, che non le com-
mendassono. E chi mi dicesse: — 0 frate, credi tu
che cestui sia in Paradise? — Non credo. — Credi
tu che sia in Purgatorio? — Die il volesse. — Credi
tu che sia in Inferno? — Die nel guardi. E per5
pigliate conforto e lasciate stare li lamenti, e spe-
rate di lui quel bene che si dee sperare, pregando
Die che ci dia grazia a noi, che rimanghiamo vivi,
stare lunge tempo con li vivi , e li morti co' mali
anni, da' quali ci guardi qui vivit et regnat in saecula
saeculorum „.
Ora immaginiamo che un contadino presente ad
una delle due prediche si fosse volute provare a
ripeterla. Egli, in buona fede, avrebbe fatto un pa-
l
{}) Gio^, quando sonava VAng9luB9Xi% sua parroechia; pia usanza, al-
lora eoi& oniversale, che era impossibile supporre che alcuno non la seguisse;
ond'era corioso fame al morto quasi un merito singolare. ff t i
22 LSTT£BATUBA CHB VON HA 8£KS0.
sticcio piii grosso e piu ridicolo di quelli improwi-
sati dai frati burloni.
II caso, che ho immaginato, si dk tutte le volte
che un ignorante, un fanatico, un pazzo s'impanca
; a parlare o a scrivere di religione, in genere, e
' della religione cristiana in particolare. Ed 6 na-
;i turale. II cristianesimo predica Todio contro tutte
|i le comoditk che gli uomini son portati ad amare:
«i si fonda suUe profezie che riguardano il passato e
Jj rawenire: ha tra i suoi libri principali I'oscura Apo-
r calisse: dichiara Timpossibilita di potere scrutare col
ragionamento i misteri della natura e di Dio: fa
Telogio dei poveri di spirito, e alia sapienza mon-
dana oppone un ordine di idee che i ben pensanti
chiamano pazzia (San Paolo, II, Ep, ai Corinti, XI).
Queste idee, quando si sono incarnate in uomini di
gran cuore e squisito sentimento, come San Fran-
cesco, hannb date i piii bei frutti di caritk. L' infe-
licity degli uomini ha esaltato Tinesauribile compas-
sione per tutte le creature; la coscienza che tutto
il create h opera divina, ha fatto amare il cielo, gli
animali, le piante con affetto fraterno; la fede che
i dolori della vita siano come un'espiazione e una
prova per raggiungere la beatitudine etema, ha reso
care le amarezze e i dolori. Anche la morte, la morte
dolorosa e paurosa, tra lo splendore della fede di-
viene un trapasso desiderate, il compimento di una
speranza.
Tutto quelle che il cristianesimo ha di tetro e
di affliggente, passato attraverso anime inquiete o
sdegnose, in cuori cosi buoni si addolcisce e si in-
gentilisce, e il santo estatico, riboccante di gioia,
con li occhi fissi al cielo, eleva il cantico in lode
di Dio:
\
r,
■'
k\
LBTTBKATCRl. CHB NOH HA SBHSO.
AltiBsimn, onnipotente, btm eignore,
tue ao' le Uade, la gloria a I'onore et onus benedictione.
Ad te solo, sltissimo, so konfaDO
et nullo omo ene digna t« mentovare.
Laudato sie, mi Signore, cnm tucte le tne creature
Spetialmante mesMr lo frate eole
Laudato ai, mi signore, per aora lana e le stelle ;
Laudato si, mi Signore, per sora nostra matre terra,
la qnale ne snstenta et govema
Laadato si, mi Signore, per Bora nostra morte corporate
dalla qnale nollu omo viveute po skappare. (*)
Allorchd le idee cristiaDe penetrano in un a]
intelletto e in una mente lucida, come quella
Biagio Pascal, Bono come la goccia d'olio, che a
bonaccia il mare e ae fa vedere limpidamente
foudo; Bcquietano le passioni, permettono di sec
gere in modo chiaro le contradizioni e le vanitk
ogni ordinamento umano, e, ae tolgono 11 place
della vita attiva, dknno quello, foree maggiore,
conoBcerne il fondo e di sorriderne.
Se invece cadono iu menti deboli o confuse, pc
sono generare qualche lampo di concetto elevate
di opera buona, ma per lo piii finiscono col dare
volta al cervello. E allora il pazzo canta :
8'io son nemo U vdo' mostrare;
Vd' me etesao rinnegare,
E la croca vo' portare.
Per fare uas gran pawia.
(U CO POSE Di Tow).
(>) Par I* diipo«lilon« del venl, Dili* prlmt atrofii, « per l> ortogn
dL qnMto CaHHen, ho sstdlta U leilons data da] Uonaoi (CriKtmaila flalk
iti fHml Mw» (III, Clta dl Oaatello, 1889, pagg. 29-91).
t LETTBBATUBA CHB tloH BA SBNSO.
Poi, mezzo coeciente, mezzo incoBciente, ai rav-
olge nella confuBione e nel buio di parole incom-
rensibili e vaneggia:
Refonnato neU'eBsere
De la virtu creata;
Trasformato ueU'esBere
Enveaibile, encreata,
Visibile enviaibile,
Non nobite avilare,
El 8U0 vilare
Par nobjle avilato.
le azioni, allora, comBpondono al diBordine dei ra-
ionamenti, e tatti conoscoDo le stranezze mistiche
el giuliare di Dio. E pure noto il Bignificato sciocco e
ueril^, cbe prese la semplicitkevangelica nella testa
ebole di Fra Ginepro, il Bertoldino della leggenda
rancescana. Delle pazzie collettive avr6 occasione
1 parlare tra poco. Intanto dird cbe, chi volesse,
ra i mistici, troverebbe molte prediche e discussioni
he banno il coBtnitto dei versi citati.
Le discussioni, Bpecialmente, Bono assai con-
ise, quando mirano a render chiari i mlBteri pei
uali non ^ possibile nessuna spiegazione naturale.
Tno di questi b, per eeempio, la eeiBtenza con-
amporanea del libero arbitno e della prescienza
ivina.
In tutti i Concilii, dove bI trattb di definire
ogmi e di estirpare eresie, sopra alcuni argomenti
1 dovettero fare dei discorsi molto ingarbugliati.
'er il Concilio di Trento se ne ha una testimonianza
el Sarpi, il quale nel Ubro eecondo della sua sto-
ia dice : " II Yega, dopo avere parlato con tanta
mbiguitk cbe esse stesso non si intendeva, concluae
LSTTOKITUBI. OBB HON HI 8BK80, 25
che tra la sentenza dei teologi e protestanti Qon
v'era piti differenza veruna. (')
Come queste poche ed ironiche parole del Sarpi
mettono innanzi agli occhi tutta la scena! Nell'adu-
naoza solenne di tutti i prelati par di vedere il
Vega alzarei e cominciare il sue ragionamento con
sicurezza e con calma, poi, arrivato al punto diffi-
cile, impappinarsi, confondersi, arroBsire, irritarBi,
ma tirare avanti, aceozzando le parole in modo da
formare periodi aonori e sconclusionati, e in ultimo,
trafelato e trionfonte, conebiudere che ormai ogni
difficoltii era appianata, e seders! con la testa vuota,
ma con un sorriso sulle labbra.
Dei presenti alcuni poco dotti in teologia avranno
finto di ascoltarlo e avranno pensato ai caai loro,
con un aenso di noia e di inquietudine, come un po-
vero diavolo cbe non s'intenda di musica e sia ca-
pitato a sentire una sonata astrusa, che egli non
capisce, ma cbe, per non scomparire, deve giudicare
bellissima; altri si saranno impazientiti, altri si sa-
ranno tenute a mente le strampalerie piii grosse e
ne avranno riso tra di loro o magari le avranno
ripetute al Vega per canzonarlo. Ed egli allora pri-
vatamente si saxk ingolfato nella discussione incoc-
ciandosi e facendo ridere.
Rimanendo ancora nel campo religioso, d&nno
un notevole contributo alia letteratura senza sense
le profezie. II desiderio cbe il &turo sia quale noi
26 LXTTIBATUBA CHB BOS BA BOnO.
lo aspettiamo, e I'uso comone degli auguril a chi vo-
gliamo bene e delle imprecazioiu contro coloro cbe
odiamo, in momenti di graiide eccitazione, hanno
fatto vedere compiute le coae sperate. Ci fu un po-
polo in cui i deeideri e le speranze, sorrette dalla
fede, fecero eviluppare gr&ndemente lo epirito pro-
fetico. II popolo ebreo, cobi continuamente pereegoi-
tato e pure cobI profondamente convinto di essere
il popolo eletto da Dio, il depoBitario dei suoi pen-
sieri, quello a cui leova si rivolava, in ogni periodo
doloroeo della sua vita, vedeva i segni di grandi
trafiformazioni aweniro. Dio, che tutto sapeva, po-
teva rivelare il futuro ai suoi eletti; il deaiderio e
le aepiraziout proprie del visionario dlventsvano
questo futuro gik presente per Dio e per coloi che
parlava in suo nome. In tutta la vita del popolo
ebreo aleggia lo spirito profetico. Ezecbiele al con-
tatto del popolo assiro trasformd la semplice forma
profetica in un tesauto di allegorie, Daniele dette la
forma tipica delle Apocalissi. (') Sul CristiaDMimo
appena nato, visione or tetra or luminosa, incombe
I'ApocalisBe di S. Giovanni.
Le allegorie e i simboli, che ora a chi non ri-
pensa coi dotti la vita degli ebrei e quella dei primi
cristiaoi, Bono oscure e indeci&abili, allora erano
chiarissime per gli iniziati, e avevano il vantaggio
di non esBere intese altro che da lore. Ma paBsato il
tempo delle profezie, senza che queste si fosBero awe-
rate, furono loro date interpretazioni bizzarre. Rotta
la unitk primitiva della chicBa, diffuso il cristianeaimo
e adattatoBi nei vari luoghi ai van costumi, perduto
il nesBO col primitivo nucleo giudaico, che gli dette
(<| E. EiDUf, VJiuJchrltl. P»ri>. 1B7B, pag. a57 ■ saitf.
HON BX BBHBO. 27
origine; rimanevano ancora quest! Hbri miBterioai e
paurosi, in cui molti si sforzarono di ritrovare I'awe-
nire, e da cui altri presero I'eeempio delle profezie.
Qualcuno di questi neo-profeti ebbe grande im-
portanza e il suo nome rimase nella storia, i piii a
tirarono dietro una moltitudine di ignoranti e di
sciocchi e presto disparvero dalla meute del popolo,
e 8ono appena ricordati nelle cronache locali. Tutti
ai possono dividers in tre specie. La prima specie
comprende gli ispirati, i credenti, le cui visioni sim-
boHche hanno un significato lucido, veri eredi dell'a-
nima profetica : Dante, il Savonarola, Lutero. Questi
si traacinarono dietro la seconda specie, che ^ com-
posta generalmente di pazzi, e, per capire come sor-
gano i primi e i secondi, bisogna prendere le mosee
on po'daH'alto.
Abbiamo veduto, parlando del feticismo della
parola, come le forme religiose a poco per volta
perdono il loro significato, si esauriscono e non cor-
rispondono piii a un vero sentimento dell'anima. Al-
lora sottentrano il farisaismo da un lato, lo scetti-
cismo dall'altro, e accompagnano la comizione e U
disgregamento di una society cbe non trova piii in
b6 le ragioni di esistere.
Lo scettico non sa donde 6 venuto nfe dove va,
giudica la vita inutile miseria, ^ combattuto da un
eenso di piet& per le sofferenze umane e da un de-
siderio di piaceri irrealizzabili. Irrealizzabili, perch^
anche il piacere deve sorgvre spontaneo, come la
fede, e il ragionamento lo distrugge. Cosl lo scet-
tico, non avendo la forza di opporsi al male, che egli
crede impossibile a sradicare dal mondo, e non po-
tendo conseguire il piacere, che gli pare I'unico scope
della vita, 6 assalito da un tedio irrimediabile che
in invettive sterili contro la oatura e ter-
irinazione.
uiseo compie gli atti esteriori del culto e,
dalla religione e dalla legge, fa tutto quelle
pirito della religione e delta legge proibisce.
lodo i birbanti f^bi e i baoui senza energia
fede mandano in rovina gli ordinamentt, che
K) ebbero forza ed autorit&. AUora, spesso,
lalcuno di quegli uomini che il Carlyle chiama
quelli che dknno il colpo finale a iatituziom
ate, abbattoDO i vecchi edifizi in cui un po-
7a a disagio e ne creano di nuovi. Ma que-
avriene senza un perturbamento delle co-
e uno aconvolgimento delle menti deboli e
tirate in diverso senso dai novatori, che se-
impulso dell'aninto, e dai conaervatori che, o
are guai, o perchfe ai trovano bene, oon vor-
sapere di riforme.
siamo a quello che accadde oella decadenza
ero romano. Le clasei elevate avevano per-
fede nolle antiche divinita e ancora rimaneva
ufficiale. Goloro i quali ormai consideravano
e virtu, pietk, come nomi vani, si davano al-
e alle diaaolutezze preparando generazioni
i infennicce. Intanto le piii strane religioni
itizioni dei popoliconquiBtati convenivano in
) sopra tutte, quella di Cristo, con la pura
attirava le anime asaetate di fede, i disgu-
la corruzionee delle sozzure. Ma questa ra-
ponendo il Sne della vita in un altro mondo,
ado la sofFerenza e il perdono delle ingiurie,
& dei beni terreni, veniva a acalzare la gran-
>mana cosl trista con queUa giustizia fondata
suguaglianza e ludibrio della forza. Quanto
LBTTBItlTCBA OBB KOH HA BSNBO. SI
piii bella si mostrava la nuova aocietk vagheggiatt
ancora in idea: tutti gli uomini uguali di fronte f
Dio, Don pib unitl dai vincoli ferrei di una leggt
inesorabile, ma affratellati daH'amore che conosce i
perdono, dalla caritii che soUeva la miseria!
I conservatori non videro quello che c'era d
geoeroso in queste aapirazioni e tentarono di soffo'
care nel sangue il Cristianesimo e fecero come ch
Boffia in una fiamma, la quale se k piccola si spenge
e se 6 grande divampa con piii forza. Le pereecu-
zioni acuirono il desiderio del martirio, il dolore di
venne mia voluttk, e, in tutto quel diaordine, le test*
deboli deformarono stranamente i precetti del Van^
gelo, come ognuno pub vedere in un libro, che k anch<
una grande opera d'arte, nella Tmtazione di SanfAn
tmtio di 6. Flaubert.
Parimente dope la predicazione di Lutero eegui'
rono le utopie degli Anabattisti, le stranezze d
Giovanni di Leida e tante e tante altre. Sono quell
1 tempi burrascosi: allora nella testa di qualche fa
natico si forma uno di quel cicloni di pazzia chi
investono una cittk, una provincia, una regione e s
manifestano con atti stravaganti, con predicazion
freneticbe, con scritti senza senso comune.
In tempi ordinari la pazzia si conosce pit facil
roente, ma pure ha un fascino che attira come I'abisso
I santoni degli arabi, il delirio delie Sibille, i buf
foni manienuti alle corti dei principi ce lo dimo
Btrano. Sancho Panza, utilitario e pieno di buoi
sense, va dietro al matto Don Chisciotte. Percii
anche nei tempi quieti trovarono seguaci i fanatic
che stamparono discorsi incoerenti, aasurdi, sconclu
Bionati ; I'ultimo profeta italiano di queeto genere ft
David Lazzaretti che scriveva cosi:
LtrrBKlTDRA CUB NON K* SB^TSO.
' Queste saute milizie saranno ordinate dentro
tempo di 7 tempi che ciascun tempo contieae un
npo di 777 e questo tempo principia 77 giomi ter*
Qati i 33 giomi del tuo rapimeato.
Dopo la mia ascesa al cielo corre un tempo di
ore per ciascun tempo ,.(*)
Questa 6 la seconda specie dei profeti e rifor-
tori assolutamente pazzi. La terza % compoata dai
rlatani e dai burloni che presero la parte mate-
le delle allegorie, il gimbolo oscuro e, a freddo,
issero pasticci incomprensibili. Forae ebbero in
ra di iogannare i gonzi, e forse in ultimo, impi-
ati nelle loro reti, credettero anche essi di avere
lono della profezia. Fra queati famosissimo d No-
adamue, il quale ha raccomandato il sao nome
B Centurie.
Le Centurie sono in forma di quartine, ecritte
un francese speciale mieto di ebraico, di latino,
greco, piene di anfibologie, di oscurita, di tra-
isi inaspettati, tali insomma che a chi non abbia
•90 il cervello, si rivelano subito per quello che
10 : parole, parole, parole inconcludenti. Eccone
esempio :
Chef de Fosbsd anro gorge coupp^e
Par le ducteur du liniier et levrier:
Le fait paW par coax du Mont Tarpfie;
Satarna an Leo, 13 de Pebrier.
Pure molti interpreti banno trovato che nelle
iturie di Nostradamus erano stati predetti i prin-
ali awenimenti politic! di Francia: la rivoluzione,
(1) Cmau LoMBmoao. Paul dl anaiHli. Upl, Cittk di CuUDo. I8H,
v^^ip
i^^
r. •;
LBTTERATURA OHE NON HA 8SNB0.
31
il supplizio di Luigi XYI, Y innalzamento e la caduta
di Napoleone e altri fatti di minore importanza.
Ma dove mi ha portato la predica di frate Ci-
poUa? Parliamo d'altro.
VII.
Nei circhi equestri la prima cavallerizza di rango
francese, quando ha corso in giro, ritta sul cavallo,
col gomiellino di velo agitato dal movimento rapido,
si lascia andare seduta sulla sella: gli ammiratori
applaudono, ella saluta inchinando il capo, sorride
e carezza il coUo del cavallo che va lentamente con
movimenti flessuosi. II direttore del circo sta in
mezzo e abbassa la frusta, aspettando le tavole e i
cerchi per un altro esercizio. Intanto irrompono
sulla pista i pagliacci con la faccia bianca, su cui
le labbra tinte di minio paiono una ferita, con le
immense brache unite alia giacchetta, e dietro a loro,
a gambe larghe, a braccia aperte, inguantato, con
Tabito a coda di rondine e il cappello a cilindro,
goflfo, impacciato, viene Tony, lo stupido. Irrompono
con salti e gridi, mandano baci alia cavallerizza e
Tony dice: " Signer direttore, anch'io voglio fare
una sarsiccia „. E tutti riempiono gli intermezzi di
salti mortali, di freddure insipide, di azioni mimiche
e di parole che non hanno sense.
Parimente nel medio evo i giullari, suUe piazze
accalcate di popolo, animavano i giuochi meravi-
gliosi, e riempivano i vuoti tra un esercizio e I'altro
con lunghe tirate in versi, con cicalamenti sconclu-
sionati, da cui a un tratto scintillava un'arguzia vi-
f'
n
'^..
f^
ice 0 ua'allusione che suscitava tra gli spettatori
1 fremito d'ilarit^.
Tali composizioDi ai chiamavano resveries, perchfe
Jtavano di palo in frasca e * ac«ozzavano allusioni,
intenze, apoatrofi econnease ma non difficili a ca-
rsi Be pre86 ad una ad una ,. (') Addirittura privi
senso erano altri componimenti detti fatras, fo'
ams, e fatrasseries cantati dai menestrelli, parenti
'ossimi dei giuIlarL In Ispagna i fatras si chiama-
ino ensaladas o ensaladSlas, in Italia frottole.
Un antico scrittore di arte poetica Antonio da
Jmpo, definisce la frottole, verba maticorum, nuUam
rfectam smtentiam cotitinmtia, e un suo tradu^re
liega: le frottole Bono compillade di parole grosse
non fruttuoae. Le frottole, se rallegravano il po-
>lo nolle piazze, penetravano anche nelle corti e
)i castetli, dove i signori si compiacevano a quelle
randole di parole. E i trovatori le imitavano, come
u tardi Lorenzo il Magnifico e Luigi Pulci imita-
ino per diletto la poesia rusticale. Di Francia, nel
lattrocento, queste forme strane furono introdotte
rettamente nel reame di Napoli, come ne fa fede
Pontano. Egli nel suo latino pieghevole, con cui
produsse tutti i coBtumi e i pensieri della vita mo-
ima, rifece le fatraaies dei cantori di piazza. E
lesto vagare di palo in frasca piacque a France-
0 Galeota e ad Jacopo Sannazzaro che imitarono,
iche essi, le fatrasies cbiamandole gliommeri.
Delle resveries e fatrasies giuUarescbe originali
1 ne conBervaao molte francesi, alcune spagnnole,
(I) Fuiouoa PLUin. Sluil di Si:
'orno, OiiHU. 1S95, pig. 133. Tntta I* i
la Id qoBito rapll«1o, anno tolM dil bal
4 aiUle)i4 fermt petlitlii ilalimu t romai
LETTEBATUKA CHB SON HA SBIiSO. 33
neBsima veramente autentica italiana, e non ^ un
gran male. Ma pub darne un'idea la seguente imi-
tazione letteraria del trecentista Francesco di Van-
nozzo:
Sozza e pftgana
Stava piana
E guata.
La mata
La ciese paasa.
Hoza ata china a baaea
Soto el prnn,
Pim pom pim pim pom pun
El como toca.
Ognun serrii I a boca,
La vacchia acioca
Fa da U roca,
E ie la tella
NeU,
E com pocs candella
Per mar navega
Sotto '1 borgo de Schiavega
Cum mal auguro e avega
De spim.
I migliori diacendenti dei giullari medioevali,
prestigiatori, cavallerizzi, giocolieri, sono paasati dalle
strade ai teatri sontuosi. Ormai lavorano suUe piazze
i poveri saltimbanchi dalle maglie di lana logore e
sudicie. Di aspetto miserabile, di abilitk meschina,
in confronto dei loro fratelli applauditi e festeggiati
da un pubblico scelto, hanno con essi un punto co-
mune, ed S il gergo burlesco infiorato di tirate che
non hanno senso e fanno ridere gli spettatori.
Coal ancbe i grandi ciarlatani hanno abbando-
nato la via, e abbindolano il pubblico, piii dignito-
samente, dalle quarte paginedei giornali; ma i loro
minor! fratelli seguitano a percorrere i mercati e le
HiOBiu, IMUraiura cht van lia uhu — 3
e, e davanti ai coDtadini estatici vantano la virtti
la loro merce:
* E come si adoppera, o Siniori, il aappone di
'ante ?... Si adopera come il sapone comune, ba-
ndone un pezzo neWagua fi-esca, aqua qualunque,
la di fiume, aqua di fonte, aqua piovana, aqua di
ne 0 di rio, aqua di cistema e di pozzo, aqua
Tettuccio ovvero sia di Baden Baden, aquavite...
<tropiccia fortemente Bopra la stoffa macchiata...
ipo e termine di cinque minuti, il pezzo parte e
macchia resta... Cinque centesimi, o siniori, tanto
t poveri che per i miserabili, Benza distinzione,
I tutti abbiamo le nostre macchie, ma I'ltalia b
tra, Dio lo vuole, e, viva la saponata! , (')
Ciarlatani, giocolieri, saltimbanchi e pagUacci
orano per la faMirica dell' appetUo. La loro fe I'arte
la vita; ma ancbe nolle sciocchezze c'h I'arte per
te.
Cosi scherzando, senza volere ingannare nessuno
enza il sospctto di essere ingannati, a molti sara
aduto di fare, o di ascoltare ragionamenti di que-
spccie: ' alloroh^ la suscettivJtk psichica si con-
tra nella vite perpetua, si ha la trascendentalitk
tica che si connette con la manifestazione odon-
?iea del genio ,. Ma per quelli che non 8t fosaero
i trovati a fare o a scntire tali ragionamenti citerb
caso reso pubblico da un articoletto della Tnbuna
23 gennaio 1892:
(tj TotiCE, PHHggiait. FirtOM, F. Vwmi a Comp., ISBO, |M«. 118.
LBTTBSATIIRA OHE HON HI SENSO. 3S
' In provincia di Lecce v'fe un capo ameno, il
aignor Salvatore Affinito il quale ha un'attitudine
Bpeciale a imitare la voce e il gesto della persone
e specialmente degli oratori parlamentari.
" Invitato a parlare suUa coltivazione del ta-
bacco o sulla triplice o sulla quadratura del circolo,
egli pone insieme, cod una rapidity straordinaria,
fraai senza senao che non dicono nulla, ma che hanno
tutta I'apparenza di un discorso pieno d' idee.
* Questo bel tipo h ricercato in tutte le allegre
comitive.
" Tempo fa, in Caballino, piccolo paeae della
provincia, I'Affinito, dopo un pranzo curioao al quale
prendevano parte molte peraone, fu invitato a espri-
mere le sue idee sulla situazione politica.
* AUora egli, levatosi gravemente, cominci5, non
so se imitando la voce e il geato dell'on. Bovio o
dell'on. Imbriani, a dire atramberie di cui do un
saggio. .
' Onorevole conseaso, pubblico immenao, popolo
grande, a cui io rivolgo la mia parola; non & cer-
tamente la metempsicosi dei fatti, I'alienazione della
mente, la progeneai medeaima; ma I'apocalisae di
ci5 che affermaai k dimostrato e patriottico.
" Grandi furono gli uomini, aublinii le idee, pre-
concetti i sentimenti, che dovevano apportare al
vero progreaao della patria e nazione. (Applausi.)
" Non fu certo dimenticata Tevoiuzione dei se-
coli, la miatificaziono della atoria e il brando degli
eroi, per dire maeatoao il guerreggiamento di una
grande riconferma.
*■ Un Moncalieri ne parla, un Cincinnato ne
deacrive, un poeta ne informa; e tutto cif) ci fa co-
noacere come analitica fu I'idea e patriottica piii
IXTTBIurDUl CHI BOH BA SEKSO.
Ugica la preponderanza alia patria ,. (Ap-
> . .
)plausi e risate e scherzi dovevano risonare
«li fa, nella bottega di un barbiere fioren-
i coDtrada di Calimala. Gli aweiitori prima
10 il barbiere di non farli ridere per non
regiati e cinciscbiati, ma dopo che si erano
i a stento sotto il rasoio, e dopo che eraoo
iti ben bene, con un sentimento di soddisfa-
>n un'allegrezza per allora contenuta, dice-
Su, via, Burchiello, di' uno dei tuoi sonetti, —
lico di Giovanni, dai ciii occbi scintillava
non ostante I'apparenza quasi malinconica
cia, serio serio, cominciava a recitare:
Liiign« tedesche e occhi di Giadei,
Ju pentolio di veotidne deoari
i! Oiappiter in su 'n puo di slari
■ridando: or fuasio qni i parenti miei!
Tennon dioaDii ai nottnrni occhi miei
'on on pien sacco di lupin! smari,
^h'erano tutti senza scapolari,
lome vanno la Dotte i gabbadei.
E poi vidi Terenzio in gran fortuna
4eUe retoriche onde giugurtine,
'on la TJala di loica digiaaa.
Allora il eette con sue man porcine
^ccese UD torcfaio al lume della luna
'er rimenar le liicciole a Figline.
<ra di Em. Zol*. qoeati D
P"PP
i^*^^
LETTERATUBA CHE VOV HA SEN80. 37
Egli il fece a buon fine;
£ perchd egli ebbe tanta pazienza,
Bec€6 d*mi peace d'ovo preso a lenza.
Le risate che accompagnavano i sonetti si dif-
fondevano fiiori della bottega, il nome e la persona
del Burchidlo richiamavano subito Tallegria, e molti
lo imitavano; ma forse, quando il barbiere diceva ai
suoi ammiratori quello che al rasoio e alia poesia:
* Chi meglio mi vuol mi paghi il vino , gli amici
mandavano in burletta anche quelle parole e non
pagavano nulla.
Simile ai sonetti del Burchiello fe il PataflSo (fal-
samente attribuito a Brunette Latini) che ragiona
cosl:
SquasiiDodeo, introcqne et a fusone
Ne hai, ne hai, pilorcio e con mattana
Al can la tigna, egli d mazzamarrone.
La diffalta parecchi ad ana ad ana,
A cafisso, a busso e a ramata:
Tatto cotesto ^ della petronciaha.
So che in questo pasticcio alcuni trovano un
significato osceno espresso in un gergo furfantesco ;
una specie di saggio della letteratura dei delinquenti
del secolo XV; ma per me " squasimodeo, introcque
ed a fusone „ cosl uniti, evidentemente non vogliono
dir nulla.
Dovrb nominare tutti grimitatori del Burchiello?
Dovrb empire le pagine di versi che non hanno nh
capo n5 coda? Credo che basti il saggio che ne ho
date. Piuttosto, dandola per quel che vale, accen-
nerb una possibile origine immediata della poesia
burchiellesca.
Molto prima che scrivesse il Burchiello erano
diflfuse in Italia le frottole composte di parole * grosse
38 LKTBRATUBA OBB KOX BA SBTM.
e non fnittuose , ^ vero ; ma non ^ Decesaario Bm-
metterfl che la poeeia del barbiere fiorentino derivi
direttamente da quelle. Per esempio, & molto pro-
babile che il signor Salvatore Affinito (ancbe ee li
conoBce) non penei nemmen per idea ai sonetti del
Burchiello, quando improvriaa le sue chiacchierate.
Invece egli ha presente il periodare di un oratore
Doto 8 lo contraff^, senza nessun' intenzione maligna.
Pud darsi quindi che il Burchiello contrafFacesse
nei Buoi versi qualcbe poeta illustre. — Quale?
Piu di una volta il Petrarca si k valso deU'enn-
merazione di varie qualitk morali, come:
Real natnra, augelico intelletto,
Chiara alnia, pranta vista, occbio ceirero,
ProTvidenzB veloce, alto psnsMro
E Terameoto degno di qaet petto,
0 dell'imione di molti nomi comuni
O poggi, 0 tbIU, o finmi, o aelve, o campi,
e di nomi propri
Nod TeeiD, Po, Varo, Arno, Adige e Tebro
Bufrate, Tigri, Nilo, Enno, Indo e Gmgo
Tana, latro, AUeo, Garonna e i) roar che fnage
Kodano, Ibero, Ren, Seoa, Albia, Ero, Ebro.
L'enumerazione in certi casi k come on frequente
battito d'aK che precede il volo aperto e disteao.
Tale k quella veramente splendida del Garducci che
si chiude col grido affettuoso:
Salute, o genti umane afTaticflte,
Tatto trapasas e nalla pii6 ntorir;
Noi troppo odiammo e soEFerimmo. Amate.
11 mando b bello e santo ^ Tavvenir!
Kon di rado pero Tenumerazione provieneo da
inerzia della mente, che, quando ha preao I'aire, non
LITTBRATUBA OHE NON HA SBNSO.
89
^i
si pub fermare, o dal gusto di produrre coi vocaboli
un'armonia che diletta di per sd sola. Cos! una poesia
di Catulie Mend^s 5 composta tutta di nomi propri
e chiusa da un solo verso che racchiude un concetto.
Rose, Emmeline,
Margueridette,
Odette,
Alix, Aline,
Paule, Ippolyte,
Lucy, Lucile,
C^cile,
Daphne, M^lite,
Art^midore,
Myrrha, Myrrhine,
Ferine
Nals, Eudore.
Inlma, L^lie
R^gina, Reine,
Ir^ne !...
Et j'en oablie.
Questa h un'esagerazione, ma molte enumerazioni
del Petrarca hanno la stessa origine, non senza qua
e \k una punta di arguzia velata. Ogni poeta origi-
nale come ha concetti, cosl ha un'armonia sua pro-
pria e una propria sintassi : e una delle tante forme
delFimitazione consiste nel riprodurre il suono e
I'andamento del periodo empiendolo di parole che
possono avere e non avere sense.
Ma quest' armonia e questa sintassi, sentite e ri-
sentite, eccitano anche un sorriso benevolo, o sarca-
stico: I'imitazione comica, o la caricatura. Lo stesso
avviene nella vita di tutti i giorni. Chi non ha ori-
ginality, imita il frasario e le mosse di quelli che si
distinguono di piu ; altri o ne riproduce per ischerzo
il tipo in mode esatto, o ne mette in ridicolo gros-
j
i'.~ I zr^ -t li t-v-iozsn*- lo ho soitito
<(- !:!> T:<:i usiili c-=ii;7alL pUgnacoIose
:=. i. sl-i,*^ <o:e&u>:fiek!ie. come: ^;,
>!. ■■* ?'■ e<^r. K:iK forte della poesia bnr-
j.jj ■fjiwrrv (i:iS4ffiz:i>De della poesia del
* ir-i f-ririT-Lir-iL ALe k-ro filze di nomi
Ir :JL7 ^^I: iM:-e^^ o^a ptroda poruneDte
i^zi p:: £■:: :-:<ei^nc' U parolia piii fine del
r-::A '« [■•e^Ia b:^<:hie!!esca priTa di si-
•ira iTdta pur>i:a- Preso il gosto a qaesti
I'ir:Ie ;! B'^itiello. per conto sdo, per-
a '.i ^-j-a'.i ihe va dal poro n'>n wn^ alle
vt^jTr d^ tin pr.>fiav!o di parole iocon-
^ai.u 1 BHRr.. Di C*:* 4c j 0:um il BankMla, il B«nl
l--.u'^ *.a. !:»;:t=uinM. Tn I* ria* dal Ban! Mas
-.e o (c - L>.:3T.g d. Jl;^t :>. , il ■ LhmbU di KudiDo, . 11
Il if. Cmrit ni* ftttiBt).
LGTTBBATURA OHB HON HJL SEKSO. 41
gruenti. Allora questi ghiribizzi trovano un riscon-
tro nella pittura ornameatale , dove s' intrecciano
con ampie volute le foglie dell'acanto, e nel mezzo
agli intrecciamenti compare una testa di satiro ghi-
gnante. In certi sonetti alia burchia, dalle parole
unite a caso nel giro regolare del verso, sbucano
qua e \k alcune immagini grottescbe, poi le parole
si divincolano di nuovo con grandi giri, e come i
serpent! di Yirgilio " si fan nebbia e spuma e suono
intomo „.
Ed 6 curioso 11 vedere come dalla cicaleria asso-
luta si ritomi ad una forma bizzarra, ma uon priva
di significato; la quale consiste nell'unire una lunga
serie di parole e di fraei legate insieme da un pen-
siero che si rivala, in fine del componimento, in modo
arguto e inaspettato. Questa 6 Tunica forma bur-
chiellesca che il Bemi scelse e adopero in molti so-
netti, come in quelle famosissimo che comincia:
Cancheri, beeeafichi magri arroato
e termina:
Chi piii n'ba piit ne metta,
E conti tutti i diapetti e le doglie,
Che la maggior di tutte 6 I'aver inogtie.
Gentlla augtlla,
oh*
dal
mondo
PBrtendo
plii
Tenia al
tide
SDi
baa prii
Dil[« nm)
|>r>b(
iat«
■!m
.da,
LiddoT. 1
alma
pile
itta a ai
QuMto ml h ettitn cba *aobs II rtmoao lonetto dsl BarnI Chlumi
ftrgtHto nan lUun* pirodUgenarioa.oufU'titalare dal aonettadal Baoibo,
delle profezio col loi
setiso come parodia e
tante stranezze, cbe i
Ogni grande autore
delle eta che lo precei
cbe nasceranno nell'
siune tutte le bizzarri
e della letteratura m
ora riproducendole co
cia il disegno dell'edi
I'abbazia di Tbel^me,
perfezione umana; ide
siero dominante dei i
U Triitram Shano
nn'opera piii tempera
dal soggetto, enigmi
un capitolo cbe comi
Pt-r-ing-twing-pi
utwaag-twing, diddle
A me sono rimast
ste parole premesse a
I'opera di Sterne: " T>
di tutti. Molti lo legge
che Don coaoscevano B
niera, lo capivano and
cbe Sterne era lo scrii
vole del auo tempo „. {
sima cbe quando s'im
la teata, ride e dice : —
BOn buffd assai! — cb
poi riapre le mani e i
(. Pari*, Onrnltr Frii
a feccia deU'animo umano, Bale a quando a
iin gusto aspro di Tolgarit&. Di tale natura
ria plena e ruinoroBa Buscitata da parole od
ici anche in uomini di grande intelletto.
te, dopo avere descritto plebeamente con
i forza comica la strana fanfara dei demoni,
lungo commento:
r vidi gia cavalier mover campo
cominciare stormo e far lor moatra
talvolta partir per lore acampo:
Corridor vidi per la terra voatra,
AretiDi, e vidi gir gualdane,
rir torneamenti, o correr giostrs,
Quando con trombe, e quando con catnpane,
in tamburi e con cenni di caatella;
con cose noetrali e con iatrane;
N6 gia COD s'l diveraa cennamells
.valier vidi muover, n& pedoni,
) nave a aegno di terra o di Stella.
periodo largo e sonoro si sente la compia-
i chi ai trattiene a spiegare un' immagine
e I'ultimo verso ampio 6 come lo scoppio
, che corona la spiegazione Itinga e minu-
liii luride audacie del naturalismo sono inezie
J al capitolo IX del primo libro del Gar-
re Loti, lo scrittore che naviga sempre nelle
steree del sogno e del mistero, racconta di
Roman d'un enfant, che nonostante i suoi
ntimenti e la sua ottima educazione, una
LtTTEBATUKA CHB KOK HA SEHSO. 45
volta, essendo in villa da certi suoi parenti, ebbe il
capriccio di fare una cosa volgare e schifosa. Preae un
gran numero di moecbe inorte cbe erano in fondo a
un vaao, ne fece fare una frittata, e, al tnomento del
pranzo, entr6 nella sala, coi suoi cugini, cantando
con voce rauca una canzone che voleva essere in-
female, e gridando: — Una frittata di tnoBche.
Talora I'uomo addolorato da un pensiero oppri-
mente si tuffa, per distrarsi, nella yolgarit& e in mezzo
alia nausea trova un piacere strano. Qualcuno si dara
al bere, altri bestemmier^, magari senza credere in
Dio, altri sar& spinto a incanagliarsi.
Coai faceva i! Macbiavelli, quando era in esilio a
S. Casciano, e nel raccontare la cosa all'amico Yettori,
adoperava le parole piii grossolane che gli venivano
in monte: " Mangiato che ho ritorno nell'osteria;
qui ^ I'oste, per I'ordinario, un beccaio, un mugnaio,
due fomaciai; con questi m' ingaglioffo per tutto il
di giocando a cricca e trich-trach, e dove nascono
mitle contese e mille dispetti di parole ingiuriose,
ed il piii delle volte, si combatte per un quattrino
e aiamo sentiti nondimanco gridare da San Casciano.
Coai involto in questi pidoccbi traggo il cervello di
muffa, e sfogo questa malignita di questa mia sorte,
sendo contento mi calpesti per questa via, per ve-
dere se la se ne vergognassi ,.
Finalmente il deaiderio malsano di cose volgari,
aoprawenuto aenza ragione o causato da dolore e
da stizza, pu6 sfogarai dicendo o acrivendo parole
di significato confuso, ingarbugliato o anche di nessun
significato. Ci6 forae accadde al Petrarca. Sdegnato di
sospirare inutilmente, forse anche acontento della sua
opera che in un momento di sconforto gli aara paraa
meno bella, scrisse la famosa canzone proverbioaa o
ttolata, canzone che ora vien giii Baltnariamente
proverbio in proverbio:
Hai DOD vo' piii cantar come aoleva,
Che altri nan m' intend eva, onde ebbi scorno;
E puossi in bel aoggiomo eas«r moleeto;
U aempra aoapirar DoUa rileva;
I sembra una parodia delle rime amorose:
In sileozio parole aecorta e sagge,
£ '1 euon che mi soUragge ogni altra cnra,
E la prigione oscura ove is '1 bel lume ;
Le notturne viole per le piagge,
E le fere selvagge entro le mora,
E la dolce paura e '1 bet costuine,
E di duo fonti an flume in pace volto
Dove io bramo, e Taccolto ove che sia:
Amore e geloaia m'hanno '1 cot tolto; etc.
I volte come diceva il Tassoni: " ^ un lavoro a
)tte8cbi cb' io non so se Merlino o 1' interprets del
rchiello ne traessero e piedi ,.
Sia riposo, sfogo, 0 ribollimento di ci& cbe c'fe
basBO in ogni anima umana, queata momentanea
npiacenza dell'assurdo si trova manifeetata ancfae
arti diverse da qiiella della parola. Una figura senza
egno e come un diacorso privo di senso, II Vasari
!Conta che, neH'allegra riunione di alcuni giovani
iisti fiorentini, fu scommesso a chi avrebbe fatto
a figura piu priva di disegno. E chi vinae? Miche-
igiolo, che si ricordb uno di quegli ecarabocchi
ti sulle mura dai ragazzi e, riproducendolo a mente.
)er6 tutti gli altri nello sproposito, come li supe-
7a nelVeccellenza. Ci6 mostra che aitche Miche-
igiolo era esilarato da certe goffaggini grosBolane,
la che k attestata anche da altri particolari della
i vita. Che se il Machiavelli si ingaglioffava con
\ -1
LBTTBBATUBA CHB NON HA 8BKS0.
47
beci^ e fornaciai, Michelangiolo si compiaceva della
eompagnia di uomini buffi come il Meneghella e To-
polino scalpellino, e per loro lasciava ogni lavoro
serio e si metteva a dipingere Sant' Antonio col manto
scarlatto. (0 L'amante ideale di Vittoria Colonna,
I'artista che espresso nelle sue opere la forza e la
grandezza, Tuomo che nei suoi ritratti ci appare cosi
austero con la sua barbetta rada, il naso schiacciato
e la gran fronte pensosa, si divertiva a queste scioc-
chezze e ci rideva come un ragazzo... come il Ma-
chiavelli, come Dante.
4
\
\
t
1
XL
Senza essere formulati con parole, vengono spesso
in mente i pensieri piii strambi, che corrispondono ad
azioni che non si farebbero senza passare per matti.
Chi non ha avuto Y idea di dare uno scappellotto
sopra unabella testa calva? o di levare la seggiola
di sotto a una persona corpulenta? o altri pensieri
somiglianti? e chi non li ha cacciati come un branco
di moscerini importuni? Or bene, finchd in questo
sdoppiamento prevale il rispetto delle convenienze e
la coscienza del proprio state, tali pensieri non si
mettono in atto nd si manifestano ; ma se il criterio
di scelta viene a mancare, si fanno e si dicono tutte
le idee e le parole che vengono alia mente, e si ha
la man\a. La quale pu5 essere furiosa e atroce, e puo
essere anche innocua, senza soflFerenze e felice.
Ci sono dei maniaci curiosi pei quali le parole
prendono la stessa sembianza, che prendevano le cose
(1) O. Vasabi, Vita di Michelangiolo Buonarroti, passini.
LBTTBftATaflA CHE KOS Hi SKKSO.
GU ascoltatori eravamo io, im fattore di
pagna, un piccolo poBsidente e il padrone del
canda: uomo di poca levatura, tozzo, con la
pigiata nolle Bpalle, la fronte pigiata sugli o
dae baffoni da croato. Nella stanza rischiarat
lamente da un lume a petrolio, alcune tavole s
devano neiroBcnrit^; intorno ad una piii illut:
si stava io, il fattore e il poBeidente: il padron<
locanda stava in piedi in mezzo alia stanza, il
acche. Quando quest'ultimo incominci6 a imp
Bare il fattore sorrideva di un sorriso ambi)
compiacenza o di canzonatura; il padrone dell'al
ogni tanto esclamava : Xeh un mostro / e il poasii
Fiol cCvn can! ma a oessuno veniva il dubbi
quelle parole non volessero dir nulla. Soltanto q
rimprovrisatore aveva terminata la sua discon
commenti si capiva che il possidente ammiri
facondia inesauribile, il padrone dell'albergo I't
e il bell'afipetto di queH'Qomo, il fattore il coi
di andar vestito in quella maniera.
Poi il possidente offri da bere, e I'artista
* grazJe, mi fa male alia gola atmosferica ,. .
il fattore ebbe uo barlume di intelligenza e gli
- Ab ! fiol... coasa xela la gola atmosferica? - J
spose I'artista - I'aria che, passando per le
sintetiche, produce la gola atmosferica. — II f
scosse la testa e sorrise, questa volta proprio di
paasioDe: il padrone dell'albergo era piu attoni
mai, il possidente si sbellicava dal ridere, bat
pugni sulla tavola, gridava: - bravo bravo - se
quello che mi parve, con la convinzione che
sposta fosse di quelle che taglian la testa al
Un tipo meno caratteristico, ma abbastanza
Io trovai in Basilicata. Era un oete che ave
LBTTBRATI7BA OHE NOK HA SENSO.
51
II Fucini, che si ferm5 a sentime uno nella via
della Lanterna, lo descrive argutamente e, per quanto
^ possibile, riporta un'ottava del Tasso trasformata
da questo pubblico recitatore. Lasciamo la parola al
Fucini :
" Chetiamoci e stiamo attenti sul serio, perch&
ora h il vero momento: il nume si ^ impossessato
di lui, lui s'^ impossessato del sense comune e se
le danno a morte.
Ma nol fara: prevenird quest' empi
Disegni loro e sfogherommi appieno;
Gli ucciderd, faronne acerbi scempi:
Syener6 i figli alle lor madri in seno;
Ardero i loro alberghi e insieme i tempi:
Qaesti i debit! roghi ai morti fieno;
E 8U quel lor Sepolcro in mezzo ai voti
Vittime pria far5 dei sacerdoti.
Cos\, per bocca del Tasso, ragiona il rabbioso
Aladino, e, per dire il vero, trovo che le sue idee
(quelle d'Aladino) per gobbe son fatte bene: ma il
mio Rinaldo, lui, quelle che sputa, per non confon-
derlo con Teroe omonimo del poema, lui, non ne
conviene e ha ragione. Quella eccessiva chiarezza e
pill che altro queU'etema monotonia deU'endecasil-
labo d una cosa che ammazza. L'amico se n'^ accorto
e coi suoi commenti, corregge, allunga, scorcia, ta-
glia, sdruce insomma, accomoda e rimedia a tutto
con tanto garbo ch'fe un amore.
— Ma no, non lo fark (se ne vene a di chUlo sfe-
lenze i Saladino) non lo fara: prevenerb me tutti
chisti embi.
E li disegni loro e sfogherommi abbieno, (se vu-
leva sfogct a raggia ilVanima soja, stu cane).
1
»«j
LEmBnitru CBB BOK BA sBireo.
L'uccideH) tutti, faronne acerbi e scembi. (Che
ize mori accise t» 'nfamotte.)
Svenerb i figli colle lor madri in Beno....
Arderb tutti i loro al,bergbi e insieme li iembi
Ed io arderd li diebbiti in coppa alii roghi (per
pag& a ntaciuno, avtte capito) e alii mortt fieno
vuleva da' u fieno! tratta' i morte come a duece^
! in quel loro sondiMimo eepolcro in miezzo alii toU
''ittime prima faro di tatti li B&cerdoti ,.(')
Se questi originali sanno scrivere, scrivono; Be
no la possibilita di stampare queete loro produ-
li, le stampaDO. Chi noti conosce, almeno di fama
'ravaso delle idee di Tito Livio Cianchettini ? e chi
ha letto le prose, i versi di occasione, i maoifesti
Bpositori di fenomeni che formano la delizia e il
;olo dei giomali umoristici ?
Tutto ci6 che si incontra nella vita k riprodotto
0 meoo bene daH'arte; e il buon uomo di Por-
Doe, qaello di S. EHgio e i Rinaldi non si imina-
ino di essere gik tipi convenzionali nelle commedie
elle farse. II Goldont ha scritto II poeta faruUko,
e il protagonista improwisa ottave rimaste ce-
i:
Era di nott« e non ci si vedea,
P«rch6 Marfiea aveva spento il )nni«;
Un roapo colla epada e la livres
Ballava il roiouetto in raeizo a nn flams.
L'ahro giorno o da me venuto Enea
E m'ha porlato un origlier di piunie:
Cleopatra ha Morticato Marcantonio,
Le femmiue sod peggio del deiDonio.
UTTBRATDRA CHH HON HA BEK80. S
La villana di Lamporecdiio, il modello della fars:
italiana, toscana, paesana, che con un po' di buom
volontii si potrebbe riannodare alia commedia del
I'arte, alia poesia ruBticale e fino alle &mose atel
lane, di cui non sappiamo quasi nulla, 6 piena d
scene come questa:
Mebcubio. Eccomi qual MatuUano Pompinio i
ricoBcentrare la mia Ragusea Pollanchina, alia mil
cara Dea Marmetica, e pango ai vostri pediluvi tutt<
le mie scienze: la filosofia, la mattematica, la corno
logia, r^tica e la diarretica, tutte virtii che appren
derete in pochi giornalieri.
DoBOTEA. Avete fatto bene a venire a income
darmi e ee per voi io sono una deva, voi per me sieti
im devo.
Mercurio. Lo so e desidero la manicola salutorii
sulla Tostra amata combianocola. Sapete che la mii
virtii vi ha fatto parere una gran donna agli oceh
di Alessandro il Macellone.
DoBOTEA. E vero, sono ingrandita e spero chi
I'opera vostra mi farfi crescere.
E dalla Villana di Lamporecchio questo linguag
gio d passato nelle farse che tutti conoscono; ne
Casino di campagna, nella Scommessa fatia a Milam
e vinta a Verona e in altre; in tutte per6 con uni
apeciale modificazione. Kelle farse moderne non par
lano piii direttamente i mattoidi vaniloquenti, com<
nel Poeta fanatico, ma qualche personaggio per stao'
care la pazienza di chi attraversa i suoi disegni, s
trasforma in diversi ttpi, fra i quali in quelle di im
provrisatore di ragionamenti privi di eenao.
Una varietk del mattoide e I'ignorante che vuo
parer dotto e non sa quel che si dice, o dice spro'
positi da can barboni. Tali uomini si trovano in grai
LBTTBBATtlR* OBB HON HI fiEtiaO. 55
Nelle commedid e nei romanzi sono numeroBi gli
ignoranti che dicono Btrafalcioni, stupidaggini, equi-
voci, noD di rado gustosissimi. Le maschere del teatro
italiano, epecialmente Arlecchino e Stenterello, che
rappreseotano uotnini goffi non privi di una certa
grossolaca malizia, spesao fanno ridere cod spropo-
aiti e incongruenze madornali. "NeWe aoticfae comme-
die francesi e nei vaudevilles modemi sono diffuBis-
Bimi i coq-a-l'-dne e altre bizzarrie.
II tipo detl' ignorante che vuol parer dotto, in-
gentilito molto e trasportato dal popolo nelle classi
elevate 6 il marchese Golombi, il quale, comico seni-
pre, 6 comicissimo quando, acrivendo sotto detta-
tura, fa di una satira personale un pasticcio incom-
Dammi, o Husa laeonica
D'flllOr frHSCB robnata,
Cingeme il crin non voglio,
Vo' farmene ana frusta
Che allettora I'drecehio
Perfiu h nubi in ciel.
Frnstar to' us certo giovine
Ttdtaca madre e figlia,
Onde I'una di vincerla
Snll'altra ai impuntiglia ;
Gara onde ngaal non videsi
La l\tna in alto mar.
Ha ta, perfida giovine,
Sclmmia al niaggior pianeta,
II quale or fai con Cerere
Or con Diana il pioiaU,
Pensa a Fetonte. Reggflre
Voile i CBvai d'ApoIlioe,
Ma gik il carro precipita,
n eaval di denari
Sbuffa la stizza indocile.
Cade fa un tonfo e maoT.
LBTTBRAirBA CBB KON HA SBKSO.
PiEPPROT, se reprenant. ' Peladan! ^ Pardon:
snis le faraeux Peladan ».
Le souffledr. " Autour de mon nom brili«
l^gende illostre „.
PiEPFROY. ' Autour de Mon Nombril, legend
lostr^ „.
Le souffleub. * Par cent faita „.
PiEFFHOY. " Par Sanfourche ,. Euh.
Lettore, sei tu mai stato a scuola? SI, c
perch^ a nessuno o a pochissimi privilegiati ^
di raggiungere I'ideale, non dico di rimanere i
rante, ma d' istruirsi privatamente. E allora, i
Bei stato a scuola, ti ricorderai che ancbe 1& ci
i suggeritori e che anche U, o per malizia di q
o per la confuaione che diminuisce il Benso dell'i
in chi aspetta il suggerimento, ai sentono degli i
positi che noo stanno nk in cielo ab in terra, c(
guito di risate dei compagni, ire, prediche e ral
del professore : tutte cose che rompono la monoi
dell'insegnamento regolare.
Nella Bcuola, vicino alia Ecienza e alia let
tura fiorisce con gran rigoglio il non senao. P
ci Bi preeentano le eapressioni usate nei com]
menti scolastici, le quali spesso raggiungono la
miUl del grotteaco. Una volta il Chiarini nella
menica del Fracassa, mi pare, miae insieme un race
ecegliendo il fiore delle assurdita da diversi coi
nimenti presentati a un concorso, e ne venne
un capolavoro da figurare con onore accanto ad a
di quei saggi che ho citato sopra. Poi vengor
traduzioni, specialmente dal latino e dal grec
quali hanno dato occasione a tanti scherzi sap
insipidi. Come esempio di tali scherzi cito due
sioni dal latino in italiano, e una dall' Italian
LETTBRATUBA CHE NON HA SEM80.
59
vagante di parole pur che siano pu5 venir fuori un
concetto chiaro e precise. Per mettere in canzona-
tnra Tinsulsaggine di molte romanze, dieci articoli
pieni di arguzie sarebbero meno frizzanti dei versi
di Yorick intitolati: Parole per musica:
Quando talor frattanto
Forse sebben cosl,
Giammai piuttosto alquanto
Gome perch^ bensl;
Ecco repente altronde,
Quasi eziaDdio perci6,
Anzi altresl laonde,
Partroppo invan per6,
Ma, 86 perfin mediante,
Quantunque attesoch^:
Ah! sempre, nonostante,
CoDciosiacosach^ !
Con pill finezza e con intendimento scherzoso e
non satirico, Paul Ar&ne scrisse la seguente parodia
delle antitesi tanto care a Victor Hugo:
PANTH^ISME.
C'est le Milieu, le Fin et le Commencement
Trois et pourtant Z^ro, N^ant et pourtant Nombre,
Obscur puisqu'il est clair et clair puisqu'il est sombre,
C*est lui la Certitude et lui I'Effarement.
II nous dit Qui toujours, puis toujours nous dement.
Oh! qui d^voilera quel fil de Lune et d* Ombre
Unit la fange noire et le bleu firmament
Et tout ce qui va naitre avec tout ce qui sombre?
Neppure questa forma di scherzo 6 nuova, e
forse, come ho accennato, ad essa si ricongiungono
alcuni sonetti burchielleschi.
r
1
n
■ i
4 .
:
mi
^p
im
^iva
v^
LSTTBBATURA CHB KON HA 8SKS0. 61
La generosa prole de' Tebani
Non umqaam fait tanto diligente;
Amor succinctb, animi profani,
In ilium statum qaam benignamente :
Strofiam qaoqoe Caesari cum frangere:
La dolcezza d'amar mi induce a piangere.
Indipendente dalla Rabbia di Macone e forse
puro capriccio, forse benevola parodia della facilita
del Passeroni e di quel suo saltare di palo in frasca,
sono alcune ottave prive di significato inserite dal
Baretti nella Frusta letteraria:
Nel tempo in cui le bestie ragionavano
Senza affettare il faveUar toscano,
£ i franchi paladini guerreggiavano
Sotto il govemo del re Carlo Mano,
Volto a Porsena e a quei che intomo stavano,
Nel fuoco ardendo la robusta mano,
Prornppe Muzio in quella gran sentenza:
Chi ha fatto il mal fark la penitenza.
Armida intanto in alto sonno immerse
Rinaldo mira, e da amor vinta e doma,
Una catena di fieri a traverse
Gli cinge, gliene adorna e seno e chioma:
Bianco d talun, taluno azzurro e perso,
Qual da Narciso e qual da Aden si noma.
Chiacchiere che i poeti soglion dire
Quando hanno qualche ottava da finire.
"NeW Adramiteno dragma anfibio per ragione di
musica, pubblicato suUa fine del secolo scorso, con
questo sistema, son messi in canzonatura i melo-
drammi metastasiani. (^)
(1) Non ho potato vedere questo drammA; ne tolgo il titolo e U no-
iisia da nn'artieolo« LstUratura tetua mnao, di Amorieo SearUtU (Garlo
Maseheretti), pubblieato nella Rattegna tUimanaU univtrtale del 19 geu-
naio 1896. In qaell'artieolo il M. •! vale, citandolo, di nn mio precedento
•aggio {Lett, cA« non ha sento in " Pensiero Italiano ^ dieembre 1895) e ag-
gitmge aleone sae nuove considerazioni.
(
1
I
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4
^T 1
1 L '
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: 1
LETtEBATCBA OBB HOB HA SIMSO. 63
Anche il soverchio spirito critico, che fa considerare
gl'in&niti aepetti delle cose e produce 1' indecisione,
tanto nei giudizi, quanto nei partiti da prendere, k
stato burlato con ragionamenti, in cui la conclusione
b tutto il contrario delle premesse. Una vivace stro-
fetta di Edm. About pub servire di esempio:
Frsncisqae en fMsant u mone
Dit: Est-il eage, est-il sot?
II fftit froid, maU il Tail chand.
Je le blAme et je le loue;
Et radmiuiatratioD
A tort, bien qa'elle ait raison. (')
Oggi usano ed abusano di simili parodie i gior-
nali Batirici e umoristici. Se ne eono valsi e se ne
valgono, spesso con molto spirito, i giornalisti Yas-
sallo, Bertelli, Faelli, Rubichi, Morini, noti a tutti
sotto gli pseudonimi di Qandolin, Vamba, Cimone,
Ricbel, Micco Spadaro. 'Nb manclier& chi si ponga
Bulle orme loro, finchfe, inesauribile soggetto di cieca
ammirazione e di burle gioconde, ci saranno autori
oscuri 0 insuisi che nascondono il proprio pensiero,
0 la mancanza dl pensiero, sotto il velame di frasi
irapenetrabili, finchfe ci saranno pappagalli che ripe-
tono le ultimo parole di moda, finch^ durerk la turba
degli scioccbi, la quale, secondo Messer Francesco
Petrarca, 6 infinita.
Queste parodie e queste fantasie capriccioae vi-
vono il tempo della generazione che le ha viste na-
scere, poi cadono e sono dimeiiticate, per dar luogo
ad altre simili. Ma viene il tempo che sorge I'uomo
di genio il quale, soffiando il suo spirito nella materia
(1) fuAvcitnv* StBciT Sskmh/pj it jiimMH. Ptrit. Paul Ollendorf,
LSTTaR^mitA OBR von ba bbhso.
SO io; che il auo libro suona tutto a quel tenore. V
speso sopra gran tempo, perchfe una pretta conti
dizione rimane un mistero inestricabile non men
savi che ai pazzi. Amico mio, ella h arte antica ed i
nuova. In ogni tempo Bi b costnmato nel mondo Sf
gere Teirore per via di ire e una e di uno e tre
Queato si predica imperturbabilmente, di qn(
ai cicala eenza fine. E cbi vorrebbe attaccarla
matti? L'uomo quando ode parole, si ostina a <
dere cbe coprano qualche intendimento ,. (*)
Anzi ci si oatina tanto che, anche awisato,
an certo risolino goffamente furbo e almanacca,
manacca, finchd trova un significato dove non ce
alcuno. Per queeta specie di furberia i coDunentai
3ono riuBciti a tradurre i) verao di Dante:
Rafel ta&i amec zabi ftlmij
e c'^ voluta tutta I'autorita di un orientalista e(
il ROdiger per persuaderne qualcuno a contentars
ci6 cbe dice Virgilio:
Laaciamlo aUre, e non partiamo a voto;
Che cdb\ b a lui ciascnn linguaggio,
Come il bdo ad altrui che a nuHo nota.
Altri, delirando dietro I'amicizia che ebbe Ds
con Manoello giudeo, eeguitano a volere spiegare
I'ebraico o con altre lingue il parlar di Nemht
Ah ! Manoello pub avere insegnato a Dante la i
nieradi sbizzarrirsi con impasti di sillabe a capric
egli che scriveva in questo modo:
Tatim t«tim
Tatim tatim
Tatim tatim
Senti Btrombettaie.
(1) TndDilone di GiovUn SotlTini.
LKTTUUTCKL CHB ICON BA 8EKS0.
Balanf balanf
Balanf balanf
Balanf balanf,
Cdrai triDgnig liars;
gli avri mai prestato il auo ebraico per com-
e parole che non dovevano dir nulla.
Ma i pedanti si formano un concetto tutto par-
are delta letteratura e dei grand! uomini. Si
ano I'liomo di genio sempre rigido, arcigno,
I, come le inimagini di bronzo o di marmo in-
ite in sue ooore; non intendonocfae egli e grande
into, perche 6 piii uomo degli altri, perch^ ha
passione, piii mobilita, piii attitudine a sentire
riprodurre tutte le forme della vita. Non am-
ono che egli posaa scherzare e voglion trovare
quantita di sottintesi e di sensi profondi dove
ce ne sono, e dove lo scrittore ha dicbiarato
sssamente che non ce ne devono essere.
Nel caso nostro, il miglior commento a quel
0 dantesco non e il ricordarsi di avere incon-
) qualche originale che con I'unione di sillabe
)clite fingeva di parlare una lingua straniera?
e raminento due. II ricordo del primo k coUe-
alla mia giovinezza. Mi pare ancora di vedere
isseggiata lungo mare a LJvomo nei tramonti
ate. 11 Boie dardeggiava gli ultimi raggi d'oro
le tamerici polverose, tra i lecci e gli oleandri,
mmando 1 vetri delle case e dei lampioni. Dalle
ture dei giardini, tratto tratto, appariva I'immen-
azzurra del mare; una folia festosa, nimorosa
eggiava su e giu per il viale, e gli occbi delle gio-
tte facevano balzare improwisamente 11 cuore.
iarrozze correvano come in gara nella strada
la; i raggi delle mote mandavano luccicbii e
LKTIKBATUBA. C
lampi. Poi 11 sole gettava il suo regale manto
pora su tutto; e I'aria cosl mite, il cielo sei
gioventU mettevano addosso un entusiasmo
legria, una contentezza di vivere, indicibili.
allegria un mio amico la manifestava emettt
profluvio di sillabe unite a capriccio : come un
mai amec zabi almi „ continuato per molto
E Bi divertiva immensamente a vedere aim:
ogni persona per tutto il tratto ove si distei
raggio della sua voce, e poi si compiaceva
vinare i conmienti. — E turco? 6 arabo? i> n
Nessuno arrivava a capir niente. Sfido io a
DOD diceva nulla.
L'altro, 0 meglio I'altra originale, 6 uq:
lana: un bel tipo di ragazza alta e Bottile,
faccia colorita incomiciata dai capelli biondi
come uno di quei bocci di rose che paion chiu
borraccina : ua tipo di una mobility straordin
chiesa prega con intenso fervore e i suoi oc<
che guardino di I^ dalle cose umane ; in me
compagne, il suo echerzo favorite k quelle
lare, come dice lei, in tedesco o francese : un
e un francese di sua esclueiva invenzione.
£ noto clie una spiccata propriety di cerl
che si dedica agli studi, ^ quella di non curt
di sdegnare la vita, e di ripetere le parole (
II pedante Wagner distoglieva Faust dal mt
col popolo. E pure, anche dimenticando la vi
commentatori danteschi perch^ non hanno ri
i tre discorsi di Panurgo?
" Albarildim gotfano dechmin brin etc.
' Prust frest frinst sorgdmand strochdi di
(>) FttHiagmtl, Ub. n, np. IX.
LBTTBBITDBA CBB KOtf HA SSHBO. 69
Ne meno grazioso fu lo scherzo del cinquecen-
tista Mariano Buonincontro da Palermo, raccontato
dal Qiraldi nel Diseorso dei Romanzi.
II Buonincontro compose, con le frasi piii usate
dai petrarchisti, alcuni Bonetti privi di senso e li
maodb a cerear foiluna per il mondo. Fra quei so-
netti uno, che pareva Bcritto in morte della illustria-
sima duclieesa di Urbino, diceva:
I pill lievi che tigre penaier miei
Scorgeoda il car cbe tra due petti intero
Tiene un pensier, poi che gti ingombrs il rero
E folle error fuggono i caei rei.
E benchi dagli antichi aemidei
Biumata fosse, ovanque ogai altro S flero,
Uonte d'orgogli, ohi lasso! io gia nan spero
Gioire in quel desir che aver vorrei.
Onde dal crado suon stancata I'alma
Gennoglia ia me I'ardir, poicbd a'aggbiaccia
E scalda or quinci, or quindi il caldo gelo.
Ed ia del verde fior perdo la traccin;
He Tasconde lo adegno in picciol velo
Tolta dai tronchi error la grave satma.
Benche, cbi tieo la palma
Dagli inganni mortal, brami coo forza
Coudnr aU'eiDpio fin Tamara acorza.
Un letterato seneae ci fece sopra un commento
diviso, nientemeno, in quattro libri. Sopra un sonetto
simile si esercitt) un altro letterato di cui il Giraldi
tace il nome e la patria. Questo nuovo commenta-
tore, forse per corapassione, fu avvertito deila burla,
ma egli protest6 che burla non poteva esserci, che
i versi avevano un senso profondo e che egli lo aveva
quasi dichiarato. E facile far paasare un povero
LnTKBATURA OHB aOH HA
todosso e che dod accresce la fiduc
umana:
Noi guar^iftin dairalto il du
Sism gueirieri di ventara,
Ed ognuno i perauaso
Cb» si TJnce 0 perde a caso.
Ma, per tornare un pasBo indi
considerando che cambiano i nomi
e che I'arguzia dipende da tante ct
della voce, I'espressione della face
mento, il luogo, le allusion! colte
quali, quel che faceva ridere diventt
c'^, dico, cbi trova insulse e peggi
e il giuoco del Sibillone.
Distinguo. Pinche tutto si riduc
e a un passatempo e c'era la pers
genere di svago, la cosa non era
biamo anche noi riso a crepapelle
gendo la conferenza di Yorick 9ui bo
c'eran degli Accademici, che tratt:
volezze con plumbea gravita, ci
correttezza e osservanza del cerii
plicavano le regole dell6 cose set
gere; allora si che giuochi, cical
erano cose insulsissime. Ma, se le v
sono distrutte, non ci facciamo ill
di uomini, che trasfomia ogni cosa
gustosa e seccante, c'6 ancora. J
It dll iuge Bridoys, l»qi
Aiutandomi il marchese riuBcii H per h a
darle: ed egli fattosi dare ua lapis, sul me;
glio rimaeto biaoco di una delle lettere che
innanzi a s^, le scrisee di proprio pugno. E
b la carta che, Bingolare autografo, tuttora coi
Le strofe eran queste:
Tu dal talamo Damico
BiscendeTJ ai rii gemmati
Nel fnlgor di FederJco:
Quando i prenci collsgati
Di Boulogae alia vendetta
lepiraroD la BBetta
Che sfmt'Elena fori.
Ta le ecizie ispide grotte
Alia storia hai [ion sacra to,
Ma t'atteudon Montenotte
Dego, Rivoti e Lonato,
Tu pontefice gagliardo
CnopTi I'arpa e accenni il bardo
Spegni gli astri e aonunzi il d\\
Che giuoco del Sibillone? II Goldoni che si
d'esservisi fatto molto onore a Pisa, (') pub
a riposo. Nod mai credo fu adoperato tanto
di ingegno e tanto sfoggio di dottrina per
strare la profonditii del pensiero, dove pensiert
n D'Azeglio dopo un ' zitto lei , (burlesco ar
mento a me ch'egli sapeva non aver nessun de
d'aprir bocca) illustrS ad uno ad uno que' vert
ricordo, e me ne displace, tutti i curioai, argui
menti, 80 che il talamo era nemico, perche vi g
una figlia dell'imperatore d'Austria che i rii g
(1) n Sibillona nnn >l fuiavi ■ FLb*. ma
Apittitl, ni fa il Qoldoni clie el (see onore, (i
LKITEK^TtinA. 0
rano i fiumi della Pnissia, gettatavi da Napoleone
I corona del re; cfae cuoprt I'arpa e accenni il bardo
ra, non so piu il perch^, un'alluaione al Mack e alls
Eittaglia di Ulm, che spegni gli aatri e annunzi U Ji
gnificava che con Napoleone si chiudeva un'^ra e
e cominciava un'altra piii fausta. Tutto ci6, s'in-
tnde, dimostrato, senza ridere, e a furia di ragio-
amenti e di storia. E il dottore interrompeva; ' Ah!
a bene! ah! sicuro! ah! chiaro, chiarissimo ! , —
Ma c% UD commento di un cervello stravagante
)pra i sonetti piii stravaganti che sieno mai stati
;ritti : il commento del Doni ai sonetti del Burchiello.
Doni prende non come testo, ma come pretesto, i
ersi del Burchiello e ci si sfoga con tutte le do-
elle, fantasie e ghiribizzi che gli ronzavano nella
»ta balzana. E spesso gareggia di stranezze col
urchiello, s'l che il commento d proprio quelle che
meritaoo i versi. Nel passo che citerd poeta e
)mmentatore parlano ognuno per conto auo, e si
ovano pienamente d'accordo nel non dir nulla.
' Perchi Febo gjti voile sotteirare ,.
' 0 alto sonetto, gran principio dal sole alia terra,
uesto 6 un Sonetto pieno di Filosofia, e prima vi
lostra I'esscr ideale concatenato con la parte della
ualita, onde lo sprone, atto mat«riale, concede la
lea del potere, in effetto di luce: conciossiach^ la
gperienzia dell'Ente, secondo il Filoaofo, accende nel
uro, la cavillazione del fine, la quale intanto splende
ella prima terminazione, che diventa giuridico. Ecco
punto quelle che da 11 Cordubese fu notato in quan-
itat«m sperarum celestibua argumentis inexpectata
witate negligentia, forma adunque nelle stelle trion-
mti le vanvare: cioe diffinire il dubbio; sine qua
LBTTBBATUKA CHE VOV HA BBKSO.
reor esse nihil officitur inanis effettualitei
do, implicite quiditate sustantiali. Non fi
tal caso perpetuato nella principal novita, i
di effetti concatenatevi in certo caso; ma
insino al paesar del Danubio ; e cosi si vien
rire tutta I'intenzione del Burchiello con que
parole e dicliiarare con I'ignoto il noto, e i
gnoto con il noto, e ignorare, notamente, i
notato, onde giungendo a riva pensiate c
una cosa e B&rk un'altra „.
Pure quest! uomini capricciosi e genia
vogliono, vedono chiaramente le coae e d
disinvoltura e semplicita quello che i gra'
arrivano a dimostrare con molto lussb di
tazioni, di date e di raffronti. II giudizio
ancora oggi sui sonetti del Burchiello ^ qi
dal Doni, cio6 il seguente:
" Prima voi avete a sapere che i Sonel
stro Poeta sono di cinque cotte. I primi soi
mordere apertamente, e quest! s'intendono.
sono scritti a riquisizion di questo e quell'a
che lo richiedeva, e ancora questi sono asi
I terzi, poi per dir male, che non intend
che colore a cui erano scritti, e questi 6 ii
saperne I'intero. La quarta infornata scrit
chiello di quelle faccende che gli accade
giomata e sono mezzi chiari e mezzi tori
tima cotta (accioech^ i pensieri nostri, po<
e sempre curiosi d'intendere avessin che s
furon tanti fantastichi, ch'io credo che lui
non sapesse quel cbe si volesse dire ,.(')
(>| -Blma d>l Dm-cblsllo QoHntinocomoMnUta d*l Doi
qaeE che poteva gJl affsnder* il leUora. In VIeanis. 15»1, pi
LBTTBBATDBA CHE HON HA BBirao.
XIV.
Prima di conchiudere le mie osservazioni con
la veduta generate, bisogna che dica di un fine
a&pettato a cui sono state rivolte le parole.
Alcuni scrittori, specialraente poeti (perche pic-
>^bus atque poetis, con quel che Begue), ei occupano
•We loro opere non tanto di esprimere sentimenti
pensieri, quanto di ottenere con la combinazione
arnica delle sillabe un'armonia prestabilita, che di
r 86 deve riavegliare idee vaghe, sensazioni inde-
rminate.
Caposcuola di questi modernissimi poeti, in Fran-
i, fu dicbiarato Paul Verlaine.(*) Perb il piii remoto
diretto capostipite di tutte queete scuole pub dirai
iofilo Gaiithier. II quale volendo fare, come egli
jse, una traspostzione d'arte, e mirando principal-
?nte con la parola a ottenere efifetti pittorici e pla-
ci, dette origins a tutte le successive trasposizioni.
paniassiani esagerarono 1' importanza del ritmo,
lla forma elegante e della rima ricca, giungendo.
coni.
"
«p,.
\et\a il»l
I'ediloM, «>
noi p.»i
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I'eloqiisii
ti\.
"" i
Jei po6ll
primiliti. qn»l
cbt Tolm
IBTTBRATVRA OHE VON HA eBMaO. 77
come abbiamo visto in Catulle Mend^, a scrivere
poeeie tutte di nomi propri. In queste ancora, un sen-
timento, una deBcrizione per quanto teniii, servivano
a tenere unite le diverse parti, e il suono non sban-
diva ancora interamente. I'idea. Erano splendidi edi-
fici inutili, deatinati eolo ad appagare I'occhio con
la bellezza delle linee, erano musiche non volte a
scuotere come fanfare di guerra o a commuovere
come inni religiosi, destinate boIo a cullare delizio-
Bamente, ma da cui traspariva un concetto infor-
niatore.
Altri poi, come il Gill che dichiara s6 stesso
strumentista, considerarono solo la parte mueicale e
sonora del vocabolo, non curando piii il sense, Nella
poesia indiscutibilmcnte il euono ha una grande im-
portanza, ma come accompagnamento dell'idea. Le
allitterazioni, le armonie imitative, le armonie pit-
trici devono servire a esprimere il concetto in tutta
la sua forza nativa, ma devono contenere un con-
cetto, una sensazione. Quando queste allitterazioni,
ripetizioni di suono, non vanno d'accordo con I'idea,
si ha il bisticcio, quando sopprimono assolutamente
0 In puilii. Aleu
non di rido. (in i
fucaodo sfuggiD <
demi, a inflO'
• ear
la fiintHlB blium
"harii po^oi
, Uo,
niigliiLra «1 mipriecL
dieci loludiiegu
DUioaro d> lin.
iiiu uUigoaoB, .u di 1
ea, eha *' Incroainno, s) c
rtpptssanl*™
aha agnn.
Ca Wat pna P
Hon plilB que Pi
C'aat Pierrot. Pi<
Pierrot i^niln. I
I,a aanoD hen i
Celt Pierrot, Pi
n Vatli
■<i.a a
.queelluprlaeidiv
i^
che lasci un dubbio al pensiero, sia che dopo I'estasi
momentanea venga riconosciuta per un'illusione, (')
d«Te eBsere veramente sentita e il verso deve co-
municare agli altri quel fremito di terrore o di gioia
che d& la rivelazione del mietero. A chi poi vuol
simulare le voci arcane con un affaetellare sconnesso
di suoni, e unmagina simboli di cui egli steeso non sa-
prebbe spiegare il significato, a chi insomma nasconde
la mancanza di sentimento e di senso con la teoria
deU'oscuritJl, bisogna ricordare le parole di Dante:
' grande vergogna sarebbe a colui che rimasse cosa
sotto veste di Sgura e di colore rettorico, e poi do-
mandato non sapesse dinndare le sue parole di tal
veeta, in guiea che recassero intendimento. E questo
mio primo amico ed io ne sapemo bene di quelli che
rimano cob\ stoltamente ,.(*)
La differenza, tra quelli che rimavano sotto veste
di figura e i decadenti, i miBtici, i simbolisti, ^ che
i primi si davano I'aria d'intendere tutto cii) che
9Crivevano, i second! invece amraettono che alcuni
1 n abbianoun significato indecisoe fluttuante,
lono vi sopraffaccia I' idea e credono che la
'. incertezza sia elemento essenziale di poesia.
primo USD si riicontn nslls atl primltiTe in eui I •imboli dl-
dare uempio qiulgha parts oiiglnnliailms dallii poetln leopir-
clilni«it« II grido doloTMD^
Viii, tu TiTl. O lUltl
Natnrm?
83 LITTIBATVBA OBB HON B^ BENSO.
D simbolismo, secoDdo il Doumic, 6 il contrario
dell'allegoria : quello anima 1' iDanimato, scopre il
contenuto ideale sotto I'inTolucro materiale, questa
riveste faticosamente d' immagini concrete un'idea
astratta. II simbolismo k proprio delle etA primitive,
I'allegoria di quelle mancanti di sentimento poetico.
Ci6 non ostaate la Dtvina Cmnmedia 6 opera int«-
ramente allegorica.
E anche neH'allegoria, come nel linguaggio co-
mime c'b il non senso, quando dalle invenzioni com-
poste seoza un piano stabilito, si vuol trarre un
Bignificato recondito.
Di questi nan sensi 6 piena tutta la letteratura
italiana dalla line del cinquecento a tutto il eeicento ;
nel qual tempo quasi in ogni opera d'arte si atam-
pavano da un lato le allegorie, dall'altro le dichia-
razioni che le parole: fato, nume, e le divinitft mi-
tologicbe erano adoperate come finzioni poetiche a
cui I'autore cristiano non credeva. E coei le opere
d'arte avevano due eplendide quality : volevan far
credere di contenere eignificati che non avevano e
non volevan far credere a quello che esprimevano.
Che chiarezza di concetto, che eempticita di mezzi,
che sincerita di sentimento!
Dopo la prima confusione i lettori si accorsero
U'inganno, e 11 padre Daniello Bartoli, che pure
veva grosso, a giudicarlo dalle sue storie, neWHuo-
> di Lettere grida: * Ma oggi non si 6 privo di
nso il mondo, che non sappia, che certe allegorie
e altri (aua mercfe) attacca a queste poesie (alle-
rie che quantunque si stirino non arrivan perb a
prire le vergogne che in esse si leggono) non fti-
no il disegno su cui si lavorft il poema; si trovaron
po, fuor d'ogni pensiero dell'autore, chimere non
LETTERATURA OHB NON HA. SENSO. 83
allegorie, e sforzi inutili di chi vuol mutare le libi-
dini in misteri „, O
Sbaglierb, ma mi pare che del simbolismo pre-
sente possa dirsi lo stesso. Certo alcuni simbolisti
hanno maggior raffinatezza dei grossolani seicentisti,
ma li somigliano in moltissime cose, fino nel mutare
le libidini in misteri.
Eppure airartifizio puerile deirallegoria sovrap-
posta a un'opera d'arte siamo debitori dell* integrita
della Gerusalemme Liberata; come la salvazione di
Firenze si deve a questo bel discorso di Farinata
degli Uberti:
Com'asino sape
Si ya capra zoppa;
Cosi minazza rape,
Se '1 lupo non la 'ntoppa. (*)
E indiscutibile: I'uomo b un animale ragione-
vole!
XV.
Gi siamo allontanati un po' dai decadenti e dai
simbolisti. Bisogna tornarci, non per dire cose nuove,
ma per conchiudere questa lunga scorreria attraverso
i capricci della parola.
Un'opera che fece molto chiasso anni addietro :
Degenerazione (') di Max Nordau, si aggira principal-
(1) D. Babtolt, L'uomo di letteve. Firenze, 1645, pag. 82.
(2) Vero h cbe a quest! due grosni proverbi co8\ stranamente ritMttiti
in uno, aggionse egli poi eavie parole, e soprattutto protestb che, " s'altxi
eh'egli non fosse, mentre ch'egli avesse vita in oorpo, oolla spada in mano
la difenderebbe ,.
(3) Hibx KoBDAU, Degeneraehtte. Torino, Fratelli Bocca, 1896.
J
84 LETTBBATURA CHB NOK HA SBNBO.
mente sopra le esagerazioni e le stranezze delle ul-
time scuole letterarie di Francia. II Nordau, studiando
I'arte moderna, vuol dimostrare che, per la massima
parte, essa ^ un sintomo di degenerazione da aggiun-
gersi ai molti indicanti
che il mondo invecchia ed invecchiando peggiora.
II Nordau combatte come nemico principale il
misticismo. Per lui questo vocabolo indiea * uno
state di mente in cui si crede di awertire e di pre-
sentire relazioni ignote ed inesplicabili tra i feno-
meni, in cui si riconosce nelle cose un accenno a
misteri considerati come simboli, mediante i quali
una forza occulta cerca di scoprire o di accennare
miracoli di ogni specie, ad indovinare i quali ci si
afifatica invano „. (*) Cosicchd vengono compresi tra
i mistici Tolstoi, Nietsche, Maeterlinck, Ruskin, Ver-
laine, in una gran ridda di degenerati e di rimbe-
cilliti che cicalano ubriacandosi di parole senza
nesso. La cosa fa impressione. Ma quando il Nordau
dice del degenerate: * se egli scrive versi, non svol-
gerk mai una serie logica di pensieri, ma cerchera
di descrivere un'emozione, una sensazione servendosi
di parole oscure di una data tinta emozionale „ {*)
e quando afiferma che " il valore del vocabolo b de-
terminate dal sense non dal suono. Questo non h
nh bello nfe brutto „ ; (') mostra con quanto poca co-
gnizione si h messo a parlare di letteratura. Chi non
sa che uno degli elementi principali della poesia,
quelle che ne rende cos\ difficile la traduzione da
(1) Max Noedau, Degeneraeione, pRg. 56-57.
(>) Op. oit., pag. 134.
(>) op. cit, pag. 154.
1
LBTTBBATUBA CHE NON HA 8BNS0. 85
una lingua all'altra, b 11 ritmo? E il ritmo da che
cosa & dato, se non dalla sapiente scelta dei voca-
boli? Inoltre, la poesia si potrk chiamare, se si vuole,
arte primitiva, inferiore alia prosa, ma, finchfe vive,
dovra esprimere e risvegliare sensazioni e conuno-
zioni, non dimostrare teoremi. La confutazione del
libro del Nordau ormai sarebbe inutile, non sarebbe
che una cattiva ripetizione di tutto quelle che ^
state gik detto benissimo da molti. To per5 sono at-
tratto dal vedere come certe idee cambiando aspetto
ritomano periodicamente, e con quanta sicurezza
chi ignora la storia le dk per nuove.
Uno dei sintomi di degenerazione ^, secondo il
Nordau, la stranezza delle mode che si succedono e
s' intrecciano ai giorni nostri. I lamenti e le satire
contro gli inconvenienti, i danni, il ridicolo delle
mode in tutti i tempi, in tutti i luoghi sono uguali,
incessanti, infiniti. Da noi si comincia con TAlighieri,
e poi giu giu, il Sacchetti, il Marini, il Parini, il
Gozzi, il Leopardi se la prendono con le mode usate
al tempo lore. (*) E i lamenti sono uguali cosi quando
(*) In ogni CRSo, non siamo arrivati nlle stranezze e al pervertiniento
del aeeolo paaaato. Chi immaginerebbe ohe uel lindo, profuniato, elegantis-
aimo aettaeento foaae introdotta un'usanza rieordata dal Bondi nella Modaf
D'uflSoio varii e di flgura ban loco
Qui pur gli eburnei peltini; ed a cui
Raro h Tordin dei denti, a cui piii denao.
Quei son d'uso maggior, quest! sol atti,
Ma ben di rado, a ripulir. la cbioma
Dal crasao umor, dalla soyercbia poire,
E dai furtivi abitatori insetii,
Che di teste volgari ospiti an tempo
In pib nobile crin sicuro all>ergo
OUengon oggi per tuo mezzo, o Dea, (La Moda)
Inqoietato inran dall'aurea apada
Gbe per tno dono nolle ehiome immersa
Giaoe a difesa del prurito eterno.
(Potmetti « Bim4 varie di CI. B. Venezia, 1790, p. 92-93).
86 LBTTERATUBA OHB HON HA 8EK80.
un popolo ^ in fiore, come quando h in decadenza.
Si potrk convenire che i cappelloni alia Rubens, i
colletti altissimi, le zazzere spioventi, i baffi tirati
in 6U siano indizio di leggerezza, ma di una leggerezza
▼ecchia quanto il mondo. Non perci5 il mondo ruz-
zolerk verso la fine. Povera umanita! Se veramente
fosse andata decadendo da quando Omero faceva gU
eroi della guerra troiana dieci volte piii forti degli
uomini del suo tempo, o se fosse tanto peggiorata
da che Orazio scriveva:
Aetas parentnm pejor avis talit
nos neqoiores, mox daturos
progeniem vitiosiorem,
o anche da quando il Berni, facendo sua V idea, tra-
duceva:
L'etk dei padri che peggiore ^ stata
Degli avi nostri, ha generato noi
Di lor gente piti trista e scellerata:
Cosl quei che verran dope di noi
Saran turba perversa e snaturata;
a che saremmo ridotti ? II piii delle volte questi la-
menti sono ingiustificati. Ne volete un esempio? II
Giusti scriveva:
Mezzi siam frolli, frollera il future
Quella parte di noi che resta illesa;
e il future dette il '48 e il '49, le cinque giomate di
Milano, Curtatone e Montanara, la battaglia di Goito,
la presa di Peschiera, le difese di Venezia e di Roma.
Per gente frolla non ci fu male.
La bizzarria delle mode 6 assai vecchia, il mi-
sticismo che dovrebbe essere sintomo di degene-
razione b poi, per confessione stessa del Nordau, lo
state naturale dell'umanita. ** II misticismo fe lo stato
• ;
LBTTBRATUBA OHE KON HA 8BN80. 87
ordinario deiruomo e non gia una costituzione straor-
dinaria del suo spirito „.C)
Percib il Nordau, positivista e scienziato, invece
di prendere gli uomini come sono, mette come tipo
deH'umanitk un essere ideale, astratto, che non sia
n5 insensibile, n^ troppo sensibile, n^ egoista, n^
umanitario, un tipo
che par muover le braccia e i piedi a sesta
per forza di ingegnosa architettara.
Fatto questo, in arte, condanna come malsana
ogni opera in cui si trovi qualche cosa che contrasti
a questo suo tipo di uomo normale. Ma d'altro lato
riconoscendo (bontk sua) un talento letterario a
Tolstoi e a Zola, riconoscendo che alcune poesie di
Verlaine, il pib chiaramente matto di tutti gli autori
citati, hanno un fascino delizioso, (") il Nordau viene
involontariamente a riconoscere che anche con uno
squilibrio mentale si possono fare opere d'arte insi-
gni ; e cosl mentre parrebbe allontanarsene, ritorna
alle idee del Lombroso. II quale, ormai tutti lo sanno,
trova un'affinitk tra il genio e la pazzia, ponendo
come base comune Tepilessia. Egli ha portato il me-
todo e I'osservazione scientifica sopra un'idea che
vagamente e confusamente si agitava nella coscienza
popolare, espressa nei proverbi, e da alcuni scrittori.
Anche le teorie del Lombroso hanno avuto ed hanno
oppositori, ai quali Tillustre psichiatra ha oflferto
spesso il fianco. Invasato della sua idea, per la fretta,
non ha sempre esaminato Tattendibilitk delle fonti
(») Op. cit., psg. 79.
(S) " Fra le perle della poesia francese si possono eonsiderare altresl
le poeaie Avant qu4 tu t'en aille e II pleure dnta mon eo«ur „. Op. cit.,
pag. 142.
88 LETTBBATUBA CHE NON HA 8RN80.
•
da cui attingeva le notizie, ed h incorso in molti er-
rori particolari. Ma i letterati hanno corso troppo,
quando per gli errori particolari, sian pur numerosi,
hanno conchiuso che ^ errata la teoria generale.
Finchfe gli spiritualisti contrastavano questo genere
di studi, si capiva, ma il fatto che persone spregiu-
dicate, a priori, O si oppongono a queste indagini
riuscirebbe incomprensibile, se il misoneismo non
fosse ben radicato nella natura umana e se ruomo
non fosse un complesso di contradizioni.
Conchiudo. Non b il case di far profezie circa
il crepuscolo dei popoli o di un popolo, per alcune
bizzarrie, che, sotto aspetti diflferenti, ci sono sempre
state, e, altre volte, piii di ora:0 non credo si debba
dire assurdo un indirizzo di studi per alcuni errori
particolari.
Piuttosto diciamo assurdi e inutili tutti gli studi.
Perchfe no? San Basilio dice inutili gli studi scien-
tifici: " Che mi importa sapere se la terra sia una
sfera o una superficie concava? Questo mi importa
sapere, come io debba condurmi meco stesso, con gli
uomini e con Dio „. Galileo, quelli che si riferiscono
ad azioni umane : * Se questo di che si disputa fosse
0) Per esempio. il Valbert e il Doumio in Francia. Fra i critic! ita-
liani ce ne sono molti e lllustd cbe sono conU-ari al Lombroso; fra i piii
giovani Tavv. V. Morello e Ugo Ojetti hanno espresso, sulIa teoria del Lom-
broso, le opinioni cbe mi paiono piii ragionevoli e cbe, pereib, bo riportato
in questo scritto. Le Nott autohiografieh^ del Guerrazai, pubblieate da poeo.
dovrebbero aver fatto momentaneamente perdere ie staffs a que! botoletti
che ringhiano qnando sentono parlare di pazzia, di epilessia, di anormalitk
del genlo. Come se essi. — dice argutamente il Lombroso — aveesero che
fare col genio. No; essi sono savi; piccoli disoendenti deiruomo tavio del
Guicciardini.
{}) L*idea che TumaniU debba estinguersi presto, o per cause flsi cbe
(incontri di ooniete, diluvii, terremoti), o per i vitii che la rovinino. o per
rira di Dio provocata dai peccati, h vecchissima. Gerto vi nono tempi felici
e infelici. Nel Cinquecento, cbe fu oosi agitato e riceo di aTvenimenti, Luigi
^^
LBTTEBATURA C
qualcbe punto di legge, o di altri studi -umani nei
quali noD 4 n^ veritk n^ falsity, si potrebbe confi-
dare assai nella sottigliezza dell'ingegno o nella
prontezza del dire e nella maggior pratica degli
scrittori e sperare che quello, che eccedesse in queste
cose, fosse per far apparire e giudicare la ragion sua
superiore; ma nelle scienze naturali, le coDcIuaioni
delle quali son vere e necessarie, n6 vi ha che far
nulla I'arbitrio umano, bisogna guardarsi di non si
porre alia difesa del falso, perch^ mille Demosteni
e mille Aristoteli resterebbero a piede contro ad ogni
mediocre che abbia avuto ventura di apprendersi al
vero ,.
Ma San Basilio era uomo del medio evo, ma
Galileo non aveva preveduto che il metodo da lui
instaurato nello studio delle scienze fisiche passasse
a quelle morali. Ah ! si ! E cbe cosa significano que-
ste accuse di fallimento che ei lanciano ancora po-
sitivisti e apiritualisti ? Bancarotta della religione,
gridano gli uni; bancarotta della scienza, rispondono
gli altri. E iramezzo agli urli degli uni e degti altri,
si sente ancora la voce di Messer Antonio da Ve-
it Pnrtv tplvgiivik 1* Tkandi dall* umans a-
Miilprs <a ho ndilo dlra. eta* In pioe fn r<
::',;:r"'^«:
aiu ra auparbla.
U gaperbit f> i»; U in f> guarra; U guar
Ditl: lanmiinilli a p>i:«; e U p>e«, earns
I« cow d>l moiido .. lUirtrm ilficli: Fin
r. fa p^arll., 1,
diaii, fa riufaei:
pDverti (. uma
■. 18^7, p. 28). I
11 MMtil>T«lli MHigTm: * E panluido io <
i»m. quaate eoa.
> prooedino, glu
di(o il mondo Huprs ■■»» atato »d vn
urs unto di buono qniiito di trisla, ma ra
nitdasimo modo
riiira qiioalD tint
ad in qutato aa
di proTlncIa in proilDciii conie al Teda j
par quallo ai lia
n"u.ll dl ,B.1I
regni intielil eho vai lanano dall'uno ill'aU
ro per la •ariazi
iona dai CDatumi
uia il monds raaUvi quel Disdaaimo ,.
re ebe il Nordai
ldo«,fr-'-'--
1 ibbii 1
90 LETTEBATUBA CHB NON HA SfilfSO.
nafro: ** Metti sei o otto savi insieme, e diventano
tanti pazzi „, Bastano anche meno di sei. E se si
pensa che gli argomenti delle discussioni orali pas-
sano nolle opere scritte, si vedrJt che proporzioni
prende la letteratura che non ha senso.
Lasciamo questi ragionamenti che posson parere
paradossali, e non sono, e riepiloghiamo brevemente
quanto abbiamo esposto. Abbiamo veduto che la com-
piacenza di ripetere certi suoni e il credere che la
cognizione delle parole porti con sfe quella delle cose,
formano il prime strato della letteratura senza senso;
ora possiamo aggiungere che la pazzia, un improv-
viso desiderio di volgaritk, la ciarlataneria di chi
vuol ingannare il prossimo, Tignoranza e la confu-
sione delle idee formano gli strati successivi. Su
questo terrene poi cresce vigorosa ogni varieta di
parodia.
Altre pabblicazioni dello stesso Editore
FLAMINI F. — Studl di storia letterarla ita-
liana e straniera ...... L. 5 —
Gl* imitatorl delia liriea dl Dante e del Doles atil novo. — II luogo dt
naaeila di M. Laura e la topografia del canzopiere petrarcbeseo. —
Per la storia d'aleune anticbe forme poetiebe ita]iane e ronianze. —
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storia de Lsandro y Hero e VOelava Rimn di Giovanni Boscan. — AP-
PENDICI.
FOFFANO F. — Ricerche letterarie . 3 50
La cronaoa fiorentina di Ifarcbionne di Coppo Stefani. — Lettere ed
ariiil nel seeolo XVI. — Pro e eontro il * Furioso .. -r- Erasmo da Val-
vasone. — Saggio su la critrica lettemria nel seeolo decimosesto. —
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GALLETTI Gt. — Poesia popolare livornese.
1 50
GIURIATI D. — Come si fa ravvocato. 4 50
La pr<tfes8ione ideale. — Ijl professione reale. — I eollegbi. — I clienti.
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vita. — La libreria. — II vestito. — Le liti. — Pareri, arbiiramenti, tran-
sazioni. — I proeessi penali. — Le arringhe.
GOETHE W. — Elegle romane tradotte da
Luigi Pirandello, illustr. da Ugo Fleres. 3 —
MENASCI S. — CantI dl Enrico Heine. (Ger-
mania - Intei'mezzo lirico - Poesie varie).
2» edizione 3 —
PAIS E. — Delia storiografia e deiia fiio-
sofia delia storia presso i Greci . 1 20
PASCOLl G. — Myricae. 5« edizione illustrata
dai pittori A. Antony, A. Pratella, A. Tom-
masi. 4 —
Minerva oscura. Prolegomeni: La costru-
zione morale del Poema di Dante. . 3 —
litre pubblicazioni dello stesso Editore
PAPA P. — Ada Negri e la sua poesia. L. 1 —
PERA F. - Curiosity livornesi inedite o
rare 7 —
Nuove biografie livornesi. ... 3 50
PICCIONI L. — Studi e ricerche intorno a
Giuseppe Baretti. Con lettere e documenti
inediti 5 —
II Baretti iiella sciiola. — Gli antenati e la famiglia. — Intorno alia data
deila iiascita. — II Baretti traduttore. — Per gli antecedent! della
* Frusta Ictteraria ,. — 6. Baretti e 6. B. Cbiaramonti. — II Baretti
educatore. — A Loiidra, Giuseppe Baretti e Lord Gharlemont. — Let-
tere e frammenti inediti. — Appendice. — Indiee cronologico delle let-
tere baruttiaue edito o note. — Indiee bibliografieo e analitico.
PUNTONI V. — L' inno Omerico a Demetra
con apparato critico ed un' introdnz. 5 —
Raccolta di rarity storiche e letterarie di-
retta da 6. L. Passerini.
Vol. I. Istoria di Fhileto Veronese a cura di
G. BlADEGO 3 50
„ II. Lihro di cucina del secolo XIV a
cura di Ludovico Prati . 2 5Q
„ III. Le Fiorette, le Morosette e alcuni epi-
taffi di Niccol5 degli Albizzi a
cura di Pasquale Papa . 3 50
ROMIZI A. — Paralleli letterari tra poeti greci,
latini e italiani. 2« edizione .... 3 —
TIRING G. — Ualtruismo e la questione so-
cials 5 —
TOCI E. — Lusitania. Canti popolari porto-
hesi 2 50
g
TORRACA F. — Nuove rassegne . . 5 —
■ - ^
PI
GUIDO SARTORIO
LUIGI CARRER
ROMA
SocitTA EoiTRict Dante Alighiebi
)KHo»GK30c*o* :*:>: >toto*GC-«-C'C*»-'>H :40<eH>>Gt-:>3»C'CC<-iji!
La seconda parte di questa monografia,
studio intorno alle opere di Luigi Catrer, pe
indipendenti dalla mia volontii'noD pu6 es
blicata insieme con la pricna. Ancb'essa pe
alia luce quanto piA presto.
Colgo I'occasiooe per ringraztare vivamen
che ia qualche modo mi glovarono net c
mio lavoro; prima di tutti U Maestro, F
Flamiai, e il Nob. Dott. Cav. Pier Luigi
U quale cod la signorile cortesia tradlzional
famiglia mi fii largo di tutte le carte della i
collezione,
Mario '99.
Dolt. GuiDO Sar'
I Luigi Carrtr com'tnciava la sua cart
poetica combattevasi fiera la gran baltaglia fra rotr<
tici t claisici; da un lata i soiUnilori di un irn
destinato inevitabilminte a croihre si difendevano
I'accanimtnto di chi non pub ritiutidare a pensam
divetiuti parte inte^rante di se stesso; da I'altro
diversi intenti religiosi politici e sociali, con reslaui
coscimj^a artislica i bandilori delie miove idee as:
vano gagliardamtnle con I'entusiamo e la tenacia l
inscritti ad una fcde novella. E battevano in bre
tuUo do che v'cra di /also di vuoto d' arHJi:^ioso n
vecchia arte, che del glorioso classicismo non con.
vava se non povere e fitti:(ic apparen^e esleriori;
loro giovine arte melttvano a servi^io di un ideah
liberth t digiusti^ia, preparando ed affrettando Vaw.
di tempi migliori. Non badiamo se la reaj^ione roii
tica, come iuUe k rea^ioni, abbia ecceduto ; se
un'arte conventionale sia succeduta un'altra non n
conventionale; se moiti dei romantid abbiano finito
dimenticare nel loro esaurimento senile a punto >
canoni che erano slali il caposaldo, la ragion d'es
delta promossa rifcrmj, e pensiamo soltanio che essa
portii un ienso acuto di rea'ta ntll'arte e nella vita.
Liiigi Carrer da prima non stppe risolversi : troppo
iu Itii pesavano gli instgnamenti delta scuola t Vam-
bienU chiuso a quahtasi audacia rivoluiionarta, percbi
potesse subitamente libellarvisi; ma, maturato il pen-
siero ntllo stud o, nan tardb ad accogiiere i prindpit
romantici e a farsene in versi t in prosa efficace pro-
pugnatore. Appartenenie alia scuola che metteva capo
ad Aiessandro Man^oni, sitptriore al Tortieal Grossi
per ingegno t ricche^ia di vena poeiica, suptriore per
profondita di studi per elegance di forma per abbon-
dan^a di produ^ione al Berchet — del quale non ebbe
perallro la serena fiere^^a della vita e il magnanimo sen-
timenlo civile — egli piu di ogni altro de' minori ro-
mantici si accoslo al maestro per quel senso armonico
di misura, cbe i la gran dote man:^oniana, e che ad
allri smarritisi in nebu'ositd ed astratte:^ie talvolta ridi-
colt ed assurde, venne a mancare. E a cib gli giova-
rono i litnghi e paT^ienti studt, eforse anche I'esser nalo
t cresciuto in una cittd meravigliosamente adatta a edu-
care il pii. raffinato gusto estetico.
'Peccalo che non ci sia data rttrovare nel Carrer il
proposito civile e patriottico che animo la poesia del "Ber-
chet del 'Pellico del "R ossettt : non eliene faremo eia noi
ma pur sorriderebbe alia mmte che il maggior poeta di
Venecia poiesse unirsi con quelli, che, ranimo rivolto
i^t^^uici Carrer (i) nacque, &
\%!^^h-atelli, a Venezia il i2feb
Antonio e di Margherita Dabal^. I
un bene avviato negozio di salum
ponte di Riaho; la madre, donna d
attendeva alle cure della famiglia e
dei figliuoH. Luigi passb a Venezi
ddia sua infanzia debole e malaticcii
manifestavano i germi di un tempei
sivamente delicato e nervoso, che d
piii tardi cagione di gravi soffere
colto da paure irragionevoli; era
nulla pestava i piedi, singhiozzava, i
a un pazzo entusiasmo, per cader<
in una gran malinconia ; dorniiva
agitati da sogni e da strane vision
(r) Carrer, « Don CARRfR, come si ode
del Veneto.
frammento inedito di autobiografia(i), ci
alcuni eplsodi canttenstici dei suoi primi
a Due coseintanto voglio narrare di quest'
imi anni, picctole, picciolissime perse me-
I, ma impresse nel mio cen^ello con tanta
la fanni maravigliare che esse sole vi siano
: di quelle altre molto piii rilevanti, che
lo senz'altro essermi accadute nello spazio
i sei o setie primi anni. Mi ricordo che es-
un dopo pranzo di giorno di festa andnto
ere non so che processione, che facevasi
jarrocchia di S. Matteo, ora quelta chiesa
ita, e se ne fece magazzino di legna, in con-
d'una fantesca, mi smarrii tra la folia, di
mio sbigottimento fti tale, da non aver sa-
in qui vincere certa ripugnanza ogni volta
p3sso per le callaie circostanti alia detta
che sono molte e strettissime. N6 ho mai
3 negli anni appresso al giudizio universale,
nilo, alio sbalordimento da cui sari presa
I aU'uscire dal corpo, che non mi venisse
te quella giornata : con quanta convenienza
pensieri e quell' avvenimento, mel sappia
li avrJi maggior acume del mio, che quanto
dopo avervi non poche volte pensato
eggasi neU'Afipindiec, pag. 1, 1' iiitroJuiione a quests
;raGa, incerrotta poco dopo ilprincipio.
sopra, non altro ne ritrassi che idee
non fame caso. II secondo avvenii
voglio far ricordo k del primo ac
quello a cui negli anni posteriori ho
di entusiasmo, inspirazione o altrott:
sera nella quale veonero in casa t
perchfe, mohi soldaii, credo chiamali
ficiale che avevamo ad alloggio, e al
le genti della casa affaccendarsi coi li
all'udire il rimbombo che facevano
scale tutti quei piedi e il lintinnio c
degli schioppi, mi prese un tal impe
che mi posi ad urlare e a battere
terra, a tal che lo stesso ufficiale ne
raviglie, e da indi in poi mi voleva
regalava di non so che dolci, forse au
io dovessi diventare uno Scanderberg
a Mi vedesse egli adesso malato di
sanabile ipocondrta, scarabocchiando
dermi 1' unghie quando la frase o i
veogono conformi al concetto. Ni
una terza, che domanderebbe pii lun
per salvartni dalle beffe; ma i come
fare agli altri, e chi vorri riderne 1
faccia. Io era, a quanto parmi, nei <
ed usava di dormire la none In una i
sima a quella della mamma, in corn}
mi dormiva allato in un letto, al-
grande del mio. Non passava notte
mi destassi parecchie volte per un
lamento negli orecchi o per un suono
>ani, che mi dilenava insleme ed at-
avvenne una notte che destatomi, e
Sanco sinistra, come per rappiccare il
}ercosso da un bagliore vivissimo, che
;Ii occhi quasi involontariamente. Mi
Juta una piacevole lisonomia di vec-
aggiante, nella perfetta oscurili della
fisonomia che assai teneva a quella
iteroo dipinto dal Canova in Possagno.
>o descrivere la trasparenza di quella
vivezza di quella luce. I lineamend
lili e la bocca mezzo aperta. Pareva
lasse amorosamente e stesse a guardia
QSt Me ne stetti li non so che tempo
spalancati ed immoti, guardando, ma
Ua faccia mi parve inchinarsi e mo-
di volersi posare sul mio cap^zzale,
i forte mi prese, che mi detti a gri-
n'avea in gola, si che svegliata la
prese e cerc^ d'acchetarmi, il che fu
tutta quella notte » (i)
■mi autobiogr. inediti (Cute Zannlni, Ve-
In principio fu m
stre, che gli insegn
nello stesso tempo
orazioni, eccUando
misticismo, che not
Giuseppe Insom, gli
grammatica; ma pr
abbandoii6 Veoezia,
Narvesa nel Trevis
un piccolo podere.
Q.ui dove il pice
Delia foresu che :
PcQsoso erro mem
Lungo Anas so che
Qlii vissi inEinte
Per cammino di p
E lieto amoreggiai
E I'tei quanto il i
II Carrer am6
tranquilli soggiorni
negli aont maturi i
con segreto rimpla
solitaria e faatastics
retorica con Giamt
{!) Cfr. Pmsu di I
pag. 7} (Open sceUe di
10, cbe professava in quel ginnasio. Le vi-
non liete della famiglia lo condussero nel
uovameoie a Venezia, e quivi compi gli
reiorici sotto un altro prete, Giovanni Piva.
i, parroco in Santo Ste&no, era innamorato
gioventfi e degli studi, autore egli stesso di
ni e di omelie; e, avendo nolato come molti
li, forse anche per mancata opportunity, non
0 del loro ingegno tutti i fmni die pare-
promettere, institul un' Accademia, ch'egli
1) degli hvulntTabili o a significare che i
li dei quali si componeva, doveano bene
Tirsi non pure contro alle insidle del cat-
usto, ma contro a quelle eztandio della em-
della irreligione » (i). Tale Accademia era
sotto gli auspict di S. Agostino, e avcva
ipresa un giovinetto che scherza con un
te, col motto del profeta Isaia: 'Delectabitur
super foramine aspidis. II 2 maggio i8ii
:va la prima seduta, il 19 febbraio 1819
a ; nella quale il socio Francesco Beltrame
pava ai coUeghi accademici la mone, po-
innanzi avvenuta, del benemerito fondatore.
Accademia dal j6 maggio del 'i€ apparte
01 Qome di Irischiopato (cioh: afFezionato
fr. P. A. Paravia, Ehgio di Giovanni 'Piva, tea.,
, Pkotti, 183}, pag. 16.
alk religione), anche U Carrer e in essa a quiii'
dici anni dava il suo primo saggio po'
minci6 allora a scriver versi, cogliend'
tutte le occasion! : nascite e morti, mi
e Dozze, casi lieti e sventure. Eran cc
e volganiccie, e I'autore stesso, ci6 comp
provvide a distruggerle o ad escluderle d
riori raccolte de'suoi versi. Lasciata la
Piva, frequent6 il liceo di Santa Caterina
maestri lo Zendrini nelle matematiche,
nella filosofia, il Bordoni, traduttore de
nelle lettere.
Nel '17, quando il Carrer contava si
venne a Venezia, preceduto dalla fam
clamorosi trionfi, il cclebre Tommaso S
dare anche in quella citti un saggio d
visazione. Emanuele Cicogna cosi ne pai
Diarii: a leri sera il poeta estemporam
diede la prima accademia al teatro '
Veniva con gran tama recata dalle ;
d' Italia, ma non corrispose molto t
franchi si pagavano alia porta. Impro
tragedia intera in tre atti, che duro
secc6 tutti gli astanti. Le tragedie imj
cosa difficilissimaj sono il suo forte » (i).
(i) Diariinediti di Eu. Cicogna, xxi dicembi
vico Museo Correr di Veneila, ms. 2847, hmm
mtranamente a quanto scrissero i suoi pre-
identi biograG, non udl mai io Sgricci ; ni si
dsarb cod lui ia casa della contessa Isabella
Ibrtzzi, per la semplice ragione che 1' aretiao
3n iKprowiso mai in codesta casa (i). Pure.
;osso dal rumore che levavasi intorno alio Sgricci,
rse iovidiandoDe in cuor suo gli allori, voile ten-
re I'ardua prova per suo conto. La prima tragedia
1 lui improvvisata fu la Morte di Agrippina; alia
jale ben presto successero V Alalia, Polissena,
rancesca da Rimini, Saul, la Morte di Cucullino,
Congiura de' Fieschi, la Ifigenia in Aulide, la
'\gtnia in Tauride, la Morte d" Agag, tragedie
le procacciarono al giovane poeu rinomanza
)n comune. Emanuele Cicc^na, che assisteva al-
improvvisazione dtiV A talia, ne fa parola nei
iarii: « Ora abbiamo a Veaezia un nostro giovane
17 anni circa, allievo del pocofa defiinto abate
iva di cogQome Carer (non so il nome), il quale
;ssa lo stesso Sgricci nell' improvvisar tragedie,
ier I'altro sera con grandissima sorptesa di tutti,
:e Alalia, tragedia, alia presenza di vari predi-
tori (e ne abbiamo di bravi quest'anno), del
ice-Presidente di Govemo, ecc, in una casa
(i) Lett. ined. di BenoassJi Montantri a Adriam S. Ztn-
li, )t genaato tSji (Carte Zannini, Venezia).
privata dell'abate Pellegrini, Par
da Apollo, eneigumeno; <^uesti
di una memoria sorprendente, di
far^ un' ottima e chiarissima ri
«gli sorprese I'altra sera, perchfe
cine, che scrisse lo stesso argoi
alcuna idea di quella tragedia i
bioUa afiatto e la fece tutta sui
espressioni degne di uq pifi col
farsi prcte epredicare » (i),
Inebbriato dai lieti successi, i
a girare pel Veneto, dando qu;
a somiglianza dello Sgricci, se
tamente e seoza verun guadagc
in casa del conti Porcia, imp
4ei Cherusci; e git amici enti
Luigi aggiunsero quetlo di Arm
lunghi anni, e di cui egli moltc
tragedie si succedevano I'uoa al
gli amici lo accarezzavano, il pi
diva fragorosameme, i poeti ne
Quando improvvis6 Alalia, Luig
un'ode :
(i) Cfr. Diari ined, di E. Cicogna d
....Mancava questo vaoto
Agli altri onde va Italia
Su le donne d' Europa altera tanto....
Caner, se alcun daU'Anio
Venne su queste spiagge
A mieter i tuoi lauri, e' veaae indarno.
Tu per c6r nuove palme Id stranio lido
BasCi che maudi il grido(i).
I Tito Sestio Cannio, friulano, gli scrisse che
i a Talma tragica De I'AsiigiaD rivive n (2).
i dell'orgoglio, la musica dolce degli applausi
Inno al capo; s'atteggia a grande tragico, e
di se stesso:
"fr. lA Luigi Carrtr quando improvvisd. Alalia, In
! poiiU tdite t intditt di Luigi Pezzoli, vrntxiauo,
a, Plet, i8]{, vol. I, pag. [z6. -Questo Peuoli fii
amico del Carter, e spesso lo giovd de' suoi con-
'u autoie di sermoni elegie canzoni epistole ; tra-
. salmi ; va noverato tra i buoni satiric) vcneziani, Di
iSe il Carrer nella raccolta di Vite di uomini Uluslri ecc.
iia dal TiFALDo; ne tess^ la commemoraiione al-
K> Veneio di scienze kttere cd arti il 23 giugno 1S34,
e 6 molto probabilmenie il medesimo discorso che
I la citaca ediiione delle Prose e Poesie fatte dal Plet
,j. - Visse dal 1771 al 1834.
;ir. Ricrtaiioni poelicht di Tito Sesto Cannio, friu-
copiate in Venezia neU'aDno 1826 (Civka raccolta
di Venezia, ms.Cicogiw 33a - hdcccxxii).
Ho I'occhio torvo, il crin scorapo
Arcigna fronte, annugoUta ficda,
Id cui del fero trtgico mio spirto
Non dobbtosa scorgesi la traccia.
Ho il braccio avvei zo a quel pugnal
Medea nel petto al palpitante Absirl
N^ queste chionie insanguinate alia
Sana al Tejo cantor fronda di mirt
E rivolgeodosi a Vittorio Alfieri, in
gloria, esclama:
Me garzon vedi per grand'alma al
Cui Don vil speme e udir sublime
AU'arduo colle, dove al crin i' speri
D'almo Tosco cantor cinger corona.
Me vedi al sonno fare oltrag^io, <
Brevi inaestar nel faticoso die,
Onde doca ho la voce e sraunto il vi
Ma, se il poetare all'improvviso
sua gloria, non giovava punto alia sua
tr^edia gli cosMva uno sforzo grand
fine dallo stato di esaltamento e di fi
(i) Cfr. <A Luigi Plet. Sonetto. Gennaio iS
Poetie di Armihio Luigi Carrer, italiano dt
hlieatc Tanno dieiotUsimo dell'eli sua, Venez
e C, 1819, vol. I, pag. 191.
(l) Cfr. ^ Vittorio Alfieri. Sonttto. G
Saggio di Potiie cVl, pag. 196.
cadeva in un incredibile laaguore; alia tcosione
nfirrnf^ Kottentrava un creneralf rilasRamentn. nn—
di S. Luca (oggi teatro Goldoni) la Sposa di
Messina. I tre primi atti non dispiacquero, il
quarto e il quioto furono accoki da risate e da
fischi, e la tragedia cadde senza remissione. I di
seguenti sui giomali comparrero contro I'autore
articoli a dirittura feroci; in risposta at quali e
in difesa del Carrer, si levava nell'Ateneo la \
autorevole di Luigi Pezzoli(l).
L' insuccesso della Sposa, altrettaaio dai
roso quanto cran stati clamorosi i precedi
trionfi, determin6 nel Carrer un improvviso trn
mento: abbandonata interamente rimprow
ziooe, ^li si volse a studi moho pifi seri e p
ficui.
A questa risoliizione non furono certame
estranei i consigli del Pezzoli e di altri am
Donch^ lo scritto del Giordani contro lo Sgric
gli improwisatcri; ma forse piii di tutto ebb
efficacia suU'animo del poeta giovinetto le pai
di Vincenzo Monti. Poichfe il Carrer fu present
dalla contessa Isabella Albrizzi al Mooti, il qu
come racconta il Vollo, lo cons'gli6 a studi i
(i) C&. Discorso sopra la rappTesentaxioat delta Spos
Messina (Iragedia di L. A. Carrtr) htto tulT^.4UntO di
ne^ia il giomo vil febbraio MDCCC:(Xit da Loici Pezz
Padova, Crcscini, 1822.
24
turi, St nutriva il nobile dcsiderio di perpetuare il
suo nome (i).
Gi^ due anni innanzi il Carrer aveva dato alle
stampe il pritno volumetto de' suoi versi (2) :
erano le cose migliori delia sua poesia giovanile
(odi, canzoniy sonetd, idilli e una tragedia: la Morte
di *Agag\ e ricevettero dal pubblico la piii festosa
accoglienza. II Cicogna, fedele e diligente cro-
nista, nota ne' suoi T>iarii la comparsa del libro,
che recava tra i nomi degli associati quello glo-
rioso di lord Byron, conoscente ed estimatore del
poeta : « Oggi sono uscite le poesie di Erminio
Carrer, giovane di vent'anni, {non ne aveva che
diciotto) poeta estemporaneo, giovane che h pii
preceduto dalla fama che dal suo merito intrinseco.
Fanatismo terribile porta al cielo questo primo
volume delle sue poesie, cui precede il ritratto
in rame del poeta. Questi, pieno di se stesso, va
per la strada in estasi; non vede, non saluta, fa
mostra di venir dall'altro mondo, se si park di
cose avvenute anche al giorno stesso, e presu-
mendo di saper troppo pifi di quello che sa, h
contento di ci6 che impar6, circondato da una
(i) Cfr. Vita di Luigi Carrer di Benedetto Vollo, in
Letture di famigUa^ Opera iUusirata. ... che si puhhlica dal
Lloyd, Trieste, 1855, anno I, pag. 34.
(2) Cfr. pag. 17, nota i.
2S
turba di giovani adulatori » (i). Al primo volume,
dovevano far seguito altri due che il poeta aveva
gii preparato; raa, sopravvenuto il mutamento
che gli fece bruscamente troncare la camera di
poeta estemporaneo e rinunciare alia poesia, anche
quei poveri versi subirono gli effetti di tal cam-
biamento di idee, e furon destinati alle fiamme.
«Quel tanto di bene, scrive il Carrer, che ne
dissero i. giornali forse in riguardo dell'eti del-
Tautore non mi fece sordo alle giuste censure che
io sentiva farsi dni dotti al mio libro, il quale se
da un canto dimostrava Tattitudine del giovine
alia poesia, era dalPaltro sparso di troppi difetti,
specialmente di stile, perch^ meritasse le stampe.
Feci profitto delle censure, e il primo volume hi
il solo che pubblicassi, dando alle fiamme due
altri che avevo in pronto » (2). — A questo tempo
risale una sua violenta passione amorosa, forse la
prima : egli si innamor6 perdutamente di una gio-
vinetta, Costanza Manini, a quanto sembra emiliana
di Reggio. Pochissimo ci fe noto di questo amore,
anche perchi il Carrer amava parlarne poco ; solo
si sa che, dopo una breve vicenda di ore liete e
(i) Diarii cit., 31 luglio 18 19.
(2) Bozza di una lettera a Mons. E. Muzzarelli, novem-
bre 1829 (Carte Zannini, Venezia).
itello lo obbligava frattanto a rinunziare alia
Ira e a far riiorno a Padova neU'autunno
•■3-
famiglia era caduta in gravi strettezze, ed
;rporvi rimedio si acconci6 nell'agosto del '24
direttore presso la tipografia della Minerva,
oprietii di NiccoI6 Bettoni e soci, che gli
ano ceniocinquanta lire austriache il mese.
sue attribuzioni erano molte e assai di-
: dettava prefazioni per I nuovi Ubri cbe
logratia pubblicava, e leneva i conti del-
linistrazione ; faceva il correttore di bozze,
luceva da Ungue straniere. Insomma, tutte
re dell' azienda, grandi e piccole, fiiroiio
■ate a lui. Era un lavoro improbo, fatico-
.0 per quahiasi uomo robusto, tanto piCi per
rrer, ch'era di salute cagionevole. Final-
:, a forza d'insistere presso i padroni, gli
ucesso un aiutante, al quale cedette una
del suo lavoro, non cosi per6 ctie anche
non ne rimanesse buona porzione. Furono
gli aoni della sua maggior attivitii ; scrisse
loria della Commedia Italiana (i) in cond-
)ne alia vita del Goldoni; tradusse i Saggi
L C, Fila di Carlo Goldoni, con not«(U dtlla Com-
Ilaliana prima di lui, Venezia, Tasso, t8i$.
sllieri itiliani e dello Shakespeare. Di essa dava
zia aD'amico Foscarini: o La tragedia cam-
a a gran passi, e sarebbe condotta assai oltre,
■.z un cambiamento che io voUi farci. Parvemi
il secondo atto fosse troppo discorsivo. Unto
che tiene dietro ad uo primo atto tutto di-
sivo anch'esso. Eliminai quindi dal mio di-
10 tutto intero il secondo atto, e in luogo di
lie posi le scene riserbate pel terzo, inven-
lo del tutto la materia del terzo. Questo nuovo
0 atto spero che debba riuscire assai ani-
o, ecc. ecc. » (i).
1 molto lavoro non gli &ceva trascurare le
ne relazioni con gli amici che aveva numerosi
dati, e con tutti teneva corrispondenza affet-
>a e continua. Erano fra essi Luigi Pezzoli (del
le fu gii fatto cenno), ottimo uomo e prezioso
sigliere ; il Veronese conte Benassfi Montanari,
ta e prosatore, lodato biografo di Ippolito Pia-
lonte; Jacopo Vincenzo Foscarini, pronipote
Aaxco, curiosa e caratteristica figura di patrizio
eziano, fecondissimo verseggiatore, specie nel
vo dialetto ; Antonio Papadopoli, che le molie
hezze non distt^Hevano dagU studi ; Paolo
) Qjiesta leitera, cod molte aitre del Garret al Fosca-
i inedita al Museo Correr di Venezia, e portM la data
ebbraio 1636.
J'
ZaDQini, medico e letterato di bella fama; la con-
tessa Faustina Priuli-Bon, bella e c61ta, ionamo-
rata di Dante; Maiia Pelrettini, elegante corci-
rese, letterata ella pure (i), ai cui vezzi pare non
sia stato del tutto iaseasibile il Carrer. Mario Pier!
suo compatriotta ed amante, ci fa dt essa, nelle
SKemorie, un'assai lusinghiera pittura : « Ciglia ed
occhi nerissimi e scintillanti ; chiome corvine ;
guancie che ad ora ad ora mostravano due gra-
ziose fossette; sparso in tutta la faccia un pallore
soavissimo... In tutta la sua persona scorgevasi
poi una decente awenenza, una certa volutti rat-
Temperata da una gentile gravtt'i, che incantava...
Si fatte quality fisiche non erano smentite dalle
morali: modi gentili ed accorti; acuto intelletto
e bramosia di pascolo; una viva curiositii che in
vece di limitarsi a cercare i piccoli oggetti del
mondo femminile, se li recava a noia conosciuti
appena, e a pi6 peregrine cose aspirava: una cono-
(i) La Petrettini, arnica dei pill iougai uomini del sue
tempo, nacque a Corcira, visse a Veaezia, e vi morl il
1} marzo iS^i. Tradiuse dal gteco le Imagini di Filo-
strato, e dettA la Vita di Ciusandra Fedtle. Abbiamo pa-
recchie Icttere a lei dirette da Luigi Carrer in un opuscolc
intitolato LelUre inedite di illustri ilaliani a Maria Tttret-
tint, pubblicale da A. Pasq. Petrettini, Padova, Minerva.
■8s2.
che in questo caso mi risponde alti
colata. Non altro d'Archivi, di Consig
corsi » (i).
E qui convien fare acceano alio ;
terario scoppiato a Venezia quando C
tista Niccolini mand6 fuori l'.^nton\
tragedia nella quale, trattando troppo I
un grave soggetto, recava oSesa all;
rica sull'iafelice patrizio e sulla rep
quale attribuiva principii e sistemi
che non esistevano se non nella fer
dei romanzieri, specie stranieri. A
animi si eccitarono : Giustina Rei
scrisse una letiera in Toscana pro
Niccolini rispose per le rime, tacciar
e di ribalderia la protesta della M
gliando sanguinose ingiurie contro Le
gnara che I'aveva trasmessa. Altri {
pii acerbe e spietate censure si fee
gedia; il poeta stesso venne insultato
cenzo Foscarini, discendente di Ant<
egli pure, e sfog6 il suo risentlmen
giustificato, con I'araico Carrer. Que
stesso argomento aveva gi^ cominc
gedia, di cui un frammento diede
molta diiigenza, e tre anni dopo li trc
Intanto i suoi mali, aggravatisi, lo costr
]etto, e per molti mesi ei dette serianiente
delb vita: ristabilitosi un poco, gli fu d.
consigliato il soggiorno di Kecoaro, dov
nella state del '28, e la cura gli fu ass:
vole, perch^ dopo un mese, facendo un lu
per il Trentino ed il Garda, tornii a I
riprendere le usate occupazioni, Dava I'ulti
a un riscontro tra la Gerusalemme libe<
Conquistata (2), e traduceva alcune poes
del Petrarca per preghiera dell'amico su
Domenico Rossetti di Scander, avvocato 1
che curava una edizione delle poesie mi
grande poeta (j). Da Padova raramente
tava, e solo di sfuggita si rec6 qualche
Venezia a salutarvi gli amici : a tnala pena
di recarsi nell'oitobre del '29 a Castelfra
Auademia dii Ftloglotti ; dove lesse alcui
suUa liosa, esseado i fiori quell'anno I'ar
(i) ■ ... daccli^ ho £atto divoriio colU med
DOD meritarmi, non foss'aliro quel tuo severo: .
mtdico ». Lett. ined. di L. C. a B. Montanari, 1 1
(Biblioteca Comuuale di Verooa).
(2) La Gerusaltmme liberala e la Cnnquistata,
comidtra-^ioai di L. C, Padova,. Minerva, iSiS.
(}) PotiU minoritUl P«lrarca, ecc. Milano, Clas
voll. j.fLe epistole tradotte dil C, soqo le xxv
xxviii del libro IIIj.
'accademia (i). Altri versi, cioi poche can-
i, aveva dato fuori qualche tempo prima nel-
:a5ione di un matrimonio (2). Sul principiare
'30 abbandon6, non se ne sa bene il motivo,
pografia della Minerva ; e, indotto anche dal-
lore intollerabile della moglle, donna di sen-
;nti grossolani con la quale gli era impossi-
vivere in buon accordo (3), si ritir6 a Ve-
la, lasciando a Padova i suoi. a II primo febbraio
turo mi porteri a Venezia... Da indi riraarrd
pre a Venezia, tolti tre 0 quattro giomi per
e, nei quati torner6 a Padova a rivedere la
lia famigliuola » (4). Per6 a convivere con
lOglie non torn6 pifi, se non a brevi inter-
, e per le insistenze di qualche amico: si
1 separati, come si suol dire, all'amichevole,
) Lett. ined. di L. C. a B. Mootanari, ij ottobre '29
Comuo. di Verona),
.) Per k fausit no^ie 'Bonmarlini-Fini. Canioni di L. C,
) Lett. ined. di L, C a B. Montaoari, .4 geimaio ']o
. Comun. di Verona).
.) ProbabikmeDte, tutio il toito Don era dalla parte
moglie, alia quale dovevaao spiaceie, e con ragioDc,
mori - sia pur platomd - del poeta. Aglaia Anassilide,
lina Priuli, la Petrettini e forse, altre il cui Dome
re nei versi, stanno, aocorcht poco se ne sappia, ad
are la non eccessiva rigideiza del C ia fatto di (e-
coniugale.
senza ricorrere alia sanzione dei tribunali
si obblig6 di corrisponderle una certa
affinch^ potesse sopperire a'suoi bisogni.
maven fu a visitare la Romagna con
Montanari, e a tin d'anno si ricondusst
mente a Padova, essendo stato nomin
stente aHa cattedra di Blosofia teoretica i
tenuta dal prof. Bertolini in quella Ut
tale ufficio egli conserv6 fino al 1 5 setten
quando, non ostante le premure sue e
amici, non fu riconfermato, e il suo posr
ad altri. I due anni di assistenza fiirono
lavoro fecondo: scioltosi dalle noie che
vano daila tipografia, egli potfi liberamer
gersi alia poesia, alia quale portava era
maturity della sua intelligenza e dei su
I lunghi anni passati alia Minerva, se
quasi compresso il suo slancio poetico, {
erano stad per la sua mente senza un'ut;
scutibtle : i pesanti lavori di erudizione
tinui rafironti, lo spoglio dei vecchi tesi
duzione da lingue forestiere avevano st
allargare la sua cutiura, a rafiirenare le sl
peranze, e I'avevan messo in grado di a
I'avvenire con la sicurezza dell'uomo che
il proprio valore. Prime frutto di questo \a\
i due volumi di versi pubblicati Tudo nell'
aver io composta per semplice esercizio di m-
gegDo, nessuna con animo di adular chiccliessia,
se Don forse le mie passion! ; ed h quel caprific
che voglia o no, rupto iecore, mi scappa fuori p'
ogni pane » (i). Queste poesie furono accol
COD Dioho plauso, e avvantaggiarono assai la fan
del poeta, che ricevette lodi da uomini illustri i
beD Dota autorit^j quali il Manzoni, il Torti e
Grossi. A questo proposito Achille Mauri scrive^
a Francesco Venturi, magistrato intimo amic
del Carrer: a Non vi so ripetere il gran ber
che ne dissero e Manzoni e Torti e Grossi,
quale del Carrer aveva gi^ letto il Clotaldo co
qualche altra cosarella. Tutti e tre rimasero an
miratissimi del grande affetto che investe tuti
quelle poesie, e specialmente i Sonettt e I'Od
sulla poesia dei secoli cristiani. E nell'atto di
leggerle insieme era per me una gioia il vedei
con quanta soddisiazione I'uno fermasse I'altro
notare un^ finezza di sentimento, una espressior
nobilmente signilicativa, un concetto generoso
profondo, un costrutto arditOj una frase nuova e
eminentemente poetica, Le Rimembran:^e e il Tn
sagio ebbero molte lodi specialmente da Grossi
Manzoni e Torti trovarono pure splendide le tei
zine sul Lihano. Dopo questo potete ben credei
(i) Vedi la prefazione alia ediiione di poeue del t8}
tutti e tre applaudissero al peosiero di fame
Milano uo'edizione, e come si mostras-
esiderosi di vedere altre maggiort produ-
i uti cosl Dobile e caro Ingegno a (i). Aticbe
'olte il Manzoni ebbe lodi per il poeta ve-
0, che disse uno dt quegli scritlori che turn
nU si slimano, ma si amano (2), e il Carrer
per lui grande rispetto e ammirazione ; ma,
ppartenendo, come vedremo, alia sua scuola,
manteDere nel giudicarlo un' indipendeoza
Jizio che altri non ebbe. In Walter Scott,
iriveva, n c'k rimmaginaztone dell'Ariosto
:chi profondi dello Shakespeare. Chi gli
ne il Manzoni commette assai grave errore,
che vorrei aver composti gli Inni sacri,
h molti dei poemi del Byron, torrei d'es-
itore di qualsivoglia fra dodici romanzi dello
se, anzich^ de' "Promesst sposi. Oascuno ba
gusti... » (3).
Lettera ioed. dl Achille Miuri a Franc Venturi,
t (Caite ZaoniDi, Veaeiia).
Lett. ined. di B. MonMturi a L C, 31 lugliuiS);
Zannini, Veneiia).
,ett. ioed. di L. C. a Cecilia Zatinini, settembre '40 o
,rte Zannini, Veneda).
Perduta la cattedra, e rimasto senza il pane, il
Carrer abbaDdon6 Padova, e venne a stabilirsi de-
fjnitivamente a Venezia, cercandovi occupazione.
Gli fu ofFerio di collaborare alia compilazione delle
Biografie di Italiani illustrt ecc. a cui attendeva
il prof. Emilio de Tipaldo; e, quantunque aon
I'allettasse molto quel genere di lavori, ah molto
gli piacesse il Tipaldo, stretto dal bisogno egli
dovette adattarsi, in aitesa di sorti migliori: nel
medesimo tempo cur6 qiialche cosa per la tipo-
grafia Tasso, e continu6 un commento alia Tit-
vitta Commedia, che, come tante altre sue fatiche,
rest6 incoropiuto. o Quamo poi alia ediziooe di
cui mi parli, scriveva a Filippo Scolari, e alle
generose profferte che mi fai, ti dir6 che da
ben tre anni io sto compilando un commento
della Divina Commedia, interrottamente per altro
come vogliono le circostanze che mi fanno sempre
vivere inquieto e dubbioso; ma quando questo
commento abbia a stamparsi non saprei ben dire...
Far si che I'edizione riesca pid che st pu6 ut
e di onore all'Italia. Chi dawero, mio caro
lippo, dacch^ posso parlare a chi professa le I
tere pi6 per amore delle lettere stesse che de
45
A Venezia si leg6 d'amicizia con Paolo Lam-
pato, editore, e divis6 con lui la pi
di un giornaletto intitolato la Moda,
sform6 nel Gondoliere (i), uscico alia li
volta il 6 luglio '33. 11 Gondoliere, t
onest^ letteraria e di cortesia giomal
tava d'arte di letteratura di teatro ; c(
ticoli critici e polemici, novelle, vers
versi; fu diretto per dieci anni dal
grande intelligenza e grande amore, t
rarono i migliori ingegni del Veneto,
nale prese poi nome la tipografia, quell
del Gondoliere, con la quale rivissero
(i) 11 primo numera di questo peiiodico
glio i8)j e I'dtimo il 27 dicerobre 1847.
successivamente dalle tipografie Lampato, P
doliere, Ceechini, Naratovich. Ne! 1° anno si it
nale di amena lorwcrsaxione; nel secondo Giori
ItttcTt, arli, mode e teatri, e conservb questo titi
successivi 1831-41. Nel '42 e '43 assumeva
MiscelJanta tslruttwa e dihIUvoU; nel '44 e \
quello degli aoni precedenti; nel '46 amniette>
di OioTtiale di klUre, arii e sdtnje, teatriemi
s'intilolt) il Gondoliere e VAdria; ma sempre
stessa natura, Fu, come s'4 detto, compilaK
dieci anai L. Carrer, dei tre seguenti e dell
vaani Fode^ti, del penultimo Gtuseppi: Volla
Vmt^iana, compilata da Girolamo Soranzo
contitmaxione del Saggio di Ehanuble Anton
Venezia, Naralovlch, 18B}, pag. 250, D. 3041
potevano aodar a sangue i rumori della metro]
lombarda; ripensava, giustificandolo, al ribre
del Parini, quando, per sassomal sorgente fra
altri o per lubrico passo, era in procinto dt s
mazzare, mentre le carrozze intrecciantisi per c
verso minacciavano di travolgerlo. a Quanto
alia bellezza delle fabbriche o alia preziosita
monumenti, bisogaerebbe non aver Venezia
vanti la meme per rimanere allettato. Tolts
vista del Duomo, mi par setnpre di cammir
per borghi fiancheggiati da liete e comodiss
case, ma pur sempre borghi (i)n. Appena
anni dopo aver cominciata la pubbHcazione
Gondoliere, quando poteva sperare che la fort
alfine si fosse rivolta iii suo favore, la tipogc
della quale faceva pane, in seguito ad affari
sgraziati, andft in rovina; le somme che al<
generosi, fra' quali il conte Antonio Papadof
avevaoo versate dileguarono, e gravi accus
acerbi rimproveri furono mossi anche al Car
Per buona sorte questi si sentiva puro da c
colpa, sicchi i suoi nemtci non poterono a
cargli danno.
a La tipograEa del Plet h andau a terra. Bu
che dei capital] in essa versati dal Papadopoli
(i) Lettera inediu di L. C ad Adriana R. Zaonini, :
(Carte Zannini, Vecezia).
le mie man! neppure un quattrino.
istato a chi ha voluto pur nuocerini ;
i awersari che io ho in quella casa.
bile Earmi alcun male ma non mt ri-
le molesiie e le villanie » (i).
)ppo lungo narrare tutte le vicende
imento, che procur6 al Carrer QOie
padopoli, stance, voleva donare a lui
cost liberarst detle sovvenzioni men-
iceva, ma quegli non voile accettare;
lopo lunghe trattative e dispiaceri,
Giovanni Conto, assumendo tutta
> il proprio nome, seppe rimettervi
le. Cos! per I'energia del Conto, per
;1 Carrer e di Giovanni Bernardini,
ti dei conti Spiridione e Antonio
otk sorgere (21 luglio 1837) la ti-
jondoUere, che in breve acquist6 ri-
comune, per le opere pregevoli che
mo, per la eleganza dei caratteri, per
del teste. II Carrer e il Bernardini,
tipografia non come un mestiere,
professione Hberale e un' arte bella :
congratulazione mandava loro da
diL,C. a B, Montinari, 7 dicembre 'jj
VerODa).
Parigi Nicol6 Tommaseo, uomo per natura aon
molto procltve all'elogio.
Nuove sventure intanco eran sopraggiunte al
Carrer: sul cadere del giugno gli moriva a Pa-
dova il padre, senza che egli, avvertito troppo
cardi, potesse correre ad abbracciarlo, e sua figlia,
che non aveva mai goduto Aorida salute, si am-
nial6 di rachitide, si che egli dovette ferla venire
a Venezia con lui per la cura dei bagni di mare.
Lavoratore instancabile, raccoglieva e dava alia
luce un volume di prose e versi (i), scriveva
VAnello di sette gemme (2) — I'opera sua, dopo le
ballate, pi& popolare — , e trovava tempo di atten-
dere a lavori di ogni geuere. Aveva compilato
per la Minerva di Padova un Di^onario di con-
versazione e letlura (3), che poi non termini; aveva
curato una raccolta di lirici italiani del sedicesimo
secolo (4). Questa raccolu b preceduu da un
breve discorso del Carrer ai lettori, nel quale
(1) TrosttpeesiediL.C., Veneiia, pei tipidel GondolUrt,
i8j7-j8, volL 4.
{2) Amllo di stIU gemme o Venexi^ t la sua storia, Ve-
nezii, pei tipi del Gondoliere, 18)8.
(3) Dixionario universale della cowotrsaxione e letlura, Pa-
dova, Minerva, i8}8.
(4) Lirici italiani del secolo deciiooststo, con aunotaiioDi,
Venezia, coi tipi di Luigi Plet, 1636.
svolge i criteri che lo guidarono nel metterla in-
sieme, e a ciascun lirico si accompagoano brevi
Dote biogratiche. II compilatore noa voile fare
opera critka; e perct6 vi si dou una certa spro-
pomone nella distribuzione dei componimeati :
cosl, meatre si ristampano quasi per intero le
rime di Monsignor Delia Casa, di altri pifi &-
mosi, h appena riportato ud sonetto o una canzone.
Dopo ta raccolta dei lirtci, ne curava una di
novelle e una terza di drammi moderni italiani e
scranieri (i). Ma il lavoro ch'egli accarezza7a
da gran tempo, e intorao al quale profondeva le
cure pid amorose, era la liiblioteca classica di
fcreu^e, Uflere ed arti (2), nella quale con nuovi
intendimenti voleva raccoglierc quanto di raeglio
avea prodotto la letteratura italiana. Dovevano usdre
di questa Biblioteca, che il Giordani chiam6 beUa
c utile e onorevok impresa, cento volumi ; ma dopo
il ventisettesimo fu interrotta, per la chiusura delta
stamperia del Gondoliere. II primo volume, uscito
(i) II NoveUUrc contemporanio ilaliano e ilranUro, Ve-
lem, coi tipi di Luigi Plet, i8j6-j8, voU. 12. — Teatro
onlemporanto italiana t siraniero, Veoezia, Plet, i836-]9>
•q\\. II.
(3) "BihlioUca classica di sciatic, lellere td arti, disposta e
tluslrata da LuiGl Carrer, VenezU, coi tijn del Gondoliere,
.8J9.
nell'autunno del '39, fu il TtsoTO di
Latini, a cui seguirono bea presto altr
volumi (la Perfeiione Crisliatta del Palh
Raccolta di consulti medici. - Awerlimertti ,
tura. - Can^oniere del Petrarca), e la nu
blicazione ebbe fortuna pii!i lieta di qua^
dato sperare : fece, come si esprimeva i
furore. In quell'anno I'lstitato Veneto, po
inaanzi fondato dall' itnperatore Ferdinai
sua visita a Venezia, propose Luigi
membro con diritto ad una pensione, n
verao non voile ratiiicare la nomina. II 1
altro non ne fece gran caso: pi^ forti
angustiavano, specialmente per parte de!
lontana. « Cosi potessi, scriveva alludeni
tuto, sentirmi impassibile ad altri doloril.
io vivo misero e sconsolato pifi che mat.
fosse ramicizia di poche anime belle e
davvero che nulla desidererei pi6 vivan
di morire. Ma I'amicizia vera i balsam
dolori e lo studio infonde sempre nuo^
rose speranze n (l). E nelle amicizie e|
ramente fortunato ; poich^ ebbe amici s
gli furoQO larghi di aiuti e di consigli,
(i) Lett. iaed. di L. C. a B. MoDtaniri, 20 i
(Bibliot. Comun. di Verona).
it' ultima
. U Moo-
nini. La
ingrati,
ira, dove
le, e in
sue ama-
in voga
Dvinezza
duto di
ne, alle
te motto
galanti,
nici dei
acume
e studio
tuilsa-
iCorfli,
sopra-
ma, pcd
'iuseppe
1 saggia
iCarrer
era giovinotto, si pud dire abbiano per lunghi
anni sfilato quanti v'erano in Europa ragguarde-
voli per intelligenza per natali e per censo ; emi-
grati francesi e alti fiiazionari austriaci ; vittoriosi
e talora insolemi generali napoleotiici ; scienziati e
letterati, uomini politici e artisti, poeci e gran si-
gnori.
■ Qui ritrovavansi quanti viaggiatori illustri
traevano dall'Europa, anzi dal mondo, a visitare
la maravigliosa e singolare Venezia, quivi ci6 che
di meglio era nelle vicine citt^ e nella stessa po-
polosa metropoli, quivi uomini di lettere, artisti,
magnati, forastieri e nazionali, tut;i piacevolmente
coafiisi, senza distinzioni, senza etichette, tutti a
gara gentili e propensi a divertirsi, ad istruirsi
I'un I'altro, e specialmente soUeciti di gratificarsi
I'amabile diva della Magione... » (i). Assidui del
salotto furono Melchiorre Cesarotti e Ippolito Pin-
demoDte, uniti ad Isabella coi vincoli della pii!i
affettuosa amicizia. Vi convenivano Antonio Ca-
nova ; Ugo Foscolo, che per qualche anno am6
riamato Isabella, che chiamava sua dolce arnica,
suo angelo ; Andrea Mustoxidi, Mario Fieri, biz-
zarra figura di scrittore, una specie di appendice,
di onibra degli uomini illustri, dotato di niolto
(I) M. Fieri, Op. dt, vol. i*, pag. 40.
10, ma eccessivo ed Jntolterante di tutto ci6
apesse di romandco (i); e pot Carlo Botta,
ischeroni, Leopoldo Qcognara, Jacopo Mo-
il sommo bibliografo, Vincenzo Monti, cfae
;ese della bella greca. Degli stranieri vi com*
ino, tra gli altri, I'AckerMad, il Villoison,
ion, I'Hamilton, lo Chateaubriand; la veouu
:d ByroD, preceduto dalla &ina del suo genio
le sue follie, suscit6 un'indicibile curiosidt.
:anto a quest! gii maturi d'et^, e alcutii gi4
Mette conto di l«^ere in proposito del Fieri quesu
di Nicol6 Tommaseo (II secondo esilio, Milano, San-
862, vol. I*, pagg- aoo-i). « 11 poveretto si credeva
no antico ed era una mezza Ugrima di Gian Gla-
Rousseau rappresa entro una presa di tabacco di
lor Cesarotti e sbattuta oiueopaticamente, per set-
tni, in una tinozza d'acqua salmaslra. Ma le sue buone
LOni guadagnarono due perpetue feliciti alia sua vita :
ersi amatore dei dassisi ch'ei noQ capiva, e d'asM-
[utte le mattine la gloria ch'ei si frulkva da si,
i frati la cioccoUtM. 1 classid, adombrati dalla sua
ione ionja, potevano difendersi con un alibi estedco;
ina che dicono intaccata dalla sua gratitudine un
isico, dico la bruttezia dell'uomo, la qual bruttezza
:va, DOn come Calandrino, invisibile, ma impalpa-
tiroile in ci& agU immortali. Buon uomo del resto;
ncori conditi di mele arcadico, con furbacchiuolerie
icetie e circospette, nella pedanteria ingegnosetto e
□ente temperato. E a petto di certi altri ben pi{i
iiiij un eroe. »
55
vecchi e gloriosi, v'erano i giovani : Vittore Ben-
zon (i), Benassi Montanari, Luigi Carter. Ap-
punto nelle sale di Isabella^ quest'ultimo fu pre-
sentato a Giorgio Byron, e compiacevasi sempre
di ricordare di essersi parecchie volte trattenuto a
parlare con colui ch'egli ammirava non solo per
Tingegno potente e per Topera straordinaria, ma
anche, e pii, per avere combattuto, sacrificando
da vero e grande poeta vita e sostanze, per la
liberty di un popolo al quale di tanto son debi-
trici la nostra civilti e la nostra arte. Una sera
era presente il celebre improvvisatore latino Ga-
gliuflS, che davasaggio della sua valentia. II Carrer,
•
invitato, recit6 il seguente sonetto estemporaneo :
(i) Vittore Benzon, nato nel 1779 "lorto nel giugno 1822,
fu autore di un poemetto, 'H^ella, pubblicato nel '20, in cui,
dice un biografo^ « fuse il dolore svegUato in lui dalla
memoria della passata grandezza della patria e dal suo
contrasto con la servitd dei tempi con la dolce narrazione
romantica della pietosa avventura di Nella )>. Fu anche
autore di sonetti epistole e d'una cantata per Taugusto
imeneo di Napoleone Imperatore dei Frances! e Re d*Ita-
lia con Maria Luigia Arciduchessa d*Austria. Questa can-
tata, musicata dal maestro trevisano Gaetano Zaccagna,
fu eseguita il 20 maggio 181 o. Son brutti versi, bassaadu*
lazione all'uomo che gli aveva venduta la patria: di che
egh', patrizio venezlano, che avea veduto Campoformio,
doveva pur ricordarsi. Intomo a questo notevole perso-
naggio V. Nella, h Epistole e varie Toesie di V. B., ecc.,
Ascoli Piceno, per cura di G. B. Crovato, tip. Cesari, 1893,
uelk di nume awerso ira jegreta
vien s^uace a' miei verd'anoi, e io mente
ra mi ru^e e in cor, at niai s'acqueta
lante, perpettla, freiuetite,
1 gii sete di gloria e speme lieta,
vou speme 1 e dileguii repente:
; vergogoa poscia e sdegno e pieta
oU tena natale e di mia gente.
Itimo amor mi vinse lo iatelletto,
xtb cangia I'asuduo tenore
nero lato a cui nacqui so^etto.
I tema quindi, le cure, il furore
'io pur t'ama, in me I'ira e il sospetto
lortati aaran come I'amore.
to sonetto ia immediatamente raccolto dal
& in un distico latino, che diceva :
e SOTS usque premiti spe gloria lusit ioaai,
c magis infausto fomite ludlt amor (i).
celebri salotti, frequentati dal Carrer, fii-
lelli di Giustina Renier Michiel, tradut-
. G-tgliaffi a Venecia, hit. di P. A. Paravia ecc
! marchess "Don Paolo d'Adda, Venezia, Orlandelli
g. 5. II sonetto del C, quasi interamente mutato
ella cit. ediz. L. Monnier. a pag. 64. — II Gagliuffi
Ragusi il 1} febbraio 176;, morl a Novi il I4feb-
|. Insegnb eloquenza a Urbino e a Roma; aodd
I esule a Parigi, dove improvvisava col Giamii.
)ubblic6 a Toriao le sue poesie precedute da una
iooe "De fortuna iatimtalis.
57
trice dello Shakespeare e auirice delle Feste Vent-
liane; del conte Leopoldo Cicognara, ramico o
meglio il fratello di Antonio Canova, che alia
mente acuta del diplomatico e deH'uomo di stato
univa sentimento squisito d*artista (i); e il salotto
della contessa Marina Benzon, madre di Vittore,
colci che vestita airateniese ball6 con Ugo Fo-
scolo intorno all*albero della liberti, piantato in
piazza S. Marco nel 1797 ^^Ua municipaliti de-
mocratica, con isfoggio di grottesche cerimonie.
Un francese, il Val6ry, bibliotecario del Re di
Francia, che frequent6 le sale di lei cosi ne parla:
a Cette ancienne et calibre soci6t6 est toujours
dignement representee par Theroine de la "Bion-
(i) « Condivano lietamente le conversazioni (del Geo-
gnara) la signorile piacevolezza di Giustina Renier Mi-
chiei, la vivaciti di Isabella Albrizzi, la grazia di Marina
Benzon ancorchfe fossero vecchie, e di pid fresca luce bril-
lavano Antonietta Sofia Pola Albrizzi, non volgare poe-
tessa, e le due dame rivali Caterina Quirini Polcastro e
Rachele Londonlo Soranzo, le quail ambedue abitavano in
Procuratia, ambedue ricevevano il venerdi sera, si ruba-
vano gli amici a vicenda, e dope la Michiel e TAlbrizzi
condnuarono le splendide tradizioni della societii vene-
ziana ». (Malamani, d^emorie del conte L. Cicognara^ tratte
da documenti originali, Venezia, Tip. deH'Ancora, 1888,
parte II, pag. 388).
58
dina (i), madame la comtesse Benzoni, dont Tes-
prit est k la fois si gracieux, si naif, si piquant;
c'est elle qui avec la familiarity du dialecte veni-
tien disait ses v6rit6s i Byron, enchant^ de les
entendre et qui peut-^tre ne les a entendues que
dans ce burlesque langage : femme encore si vive
si naturelle et si gaie et qui Ton pourrait sur-
nommer la demiire V6nitienne » (2).
Ma la conversazione che il Carrer prediligeva,
e dove recavasi con tutta la famigliariti derivata
da molti anni di amicizia, era quella di nAdriana
Zannini^ nata conttssa Renter (3). Discendente
da illustre famiglia patrizia, pronipote di Paolo
Renier, penultimo doge di Venezia, e nipote di
Giustina Renier Michiel, fii donna che onor6 la
patria con la nobilt^ dell'ingegno e del senti-
mento, con la innata e semplice bont^ deiranimo.
Sposatasi giovine a Paolo Zannini, notissimo me-
dico che I'aveva salvata da grave malattia, spese
(i) La Biondina in gondoleta, notissima barcarola vene-
ziana df Antonio Lamberti, poeta dialettale, traduttore nel
pttrio dialetto delle poesie siciliane del MelL La Biondina
fu musicata da Simone Mayr, bergamasco^ maestro del
Donizzetti.
(2) Voyages historiques, litUraires et artistiques en lialie,
Parigi, 1838, vol. 1, pag. 342.
(3) Nacque nel 180 1, mori nel febbraio '76. Cfr. A. R. Z.,
'NecroLdi G. Veludo in Archivio Veneto. vol. XI, parte 1/
59
tutta la sua lunga vita nelle cure della famiglia,
dedicando i ritagli di tempo, le horae subsecivae
alle lettere e specialmente alia poesia, di cui fu
cultrice intelligente. Nella sua casa si raccoglie-
vano a geniale convegno Pietro Canal, critico e
filologo insigoe, per trent'anni professore di let-
teratura latina nell'Universiti padovana ; Tabate
Filippi, altro dottissimo latinista, traduttore del
Sepolcri foscoliani e di alcune ballate del Carrer ;
Giuseppe Capparozzo, di Lanzi nel Vicentino,
morto ancor giovine nel 1848, noto per le sue
ballate e pe'suoi apologhi ed epigrammi ; i iratelli
Spiridione e Giovanni Veludo, greci di origine ma
veneziani nell'anima, editore intelligente il primo
e assai studioso della letteratura greca moderna,
scrittore I'altro fecondissimo ed eruditissimo, morto
prefetto della biblioteca Marciana; infine Benass6
Montanari, che lasciava Verona e la pacifica villa
di Illasi per assistere alle care riunioni. E tra mezzo
a questi letterati portava la nota scientifica Pietro
Paleocapa, il sommo idraulico, futuro ministro
della rinnovata repubblica di S. Marco. — Luigi
Carrer non vi mancava mai, e trovava ne* fidi col-
loqui la pace del cuore. Egli nutriva un vero culto
per la Zannini, ch'era la confidente delle sue
gioie e dei suoi dolori : certo anche I'amd, e forse
ne fii ricambiato, senza per6 che il loro amore
/
6o
oltrepassasse i limiti deH'onesd. lo non so, e non
credo, come £u detto, che la ^H^ura deH'ode //
voto (i) sia proprio Adriana, ma certo nessuna
meglio di lei corrispondeva al desiderio del poeta:
Ma ho bisogno d*un core che m*ami,
Che fratello, che amico mi chiami,
Che s*allegri, che pianga con me.
E tu ingenua, tu mite, sei quella,
Sei la cara, la fida sorella
Che tant*anni il mlo cor destb
Colla patria abbiam tutto comune,
Nati in riva alle stesse lagune,
Pari abbiamo costumi, desir.
Come al tuo tutto parlt al cor mio,
Fino al suon delPaccento nat\o
^ Si giocondo, si dolce ad udlr.
Ella gli fu per anni ed anni buona e piecosa
consolatrice, lo cur6 nelle malattie, gli fu larga
d'aiuto nelle ore tristi del bisogno, si trov6 ac-
(i) Cfr. cit ediz. Le Monnier, pag. 122.
canto a lui nelle ore estreme delta morte (i). In
casa di lei prima che in altro luogo, egli leggeva
le sue poesie, e iananzi a quello del gran pubblico
affrontava il giudizio dei buotii amici. Frutto di
tati conversazioni fu un volumetrn di
e di apologhi, pubblicato a Milam
soDO autori il Montanari il Cam
(i) Riporto un soneito tnedito di L.
nell'occasione del Capodanno '48 :
Mealre tanil dal cor vers! derivi
A' pensosi miei d\ studio e cc
E rammirabi! Vergine descriv
E il giovin prence ad inganna
Di te, di te per cui respiro e vi
E canto e trovo ne' travagli u
Solo UQ non suoneri verso fe
Or che dall'ombre il novel an
Tad Ildano e Fidena, e tutto vo
Oggi mio cor a lei che pelleg
Ha il voiro, gli atti, il senna 1
E tra gU incendi a divampar vie
Le frodi e I'ire, la Gentit con
Con augurio di prosperi destiu
(Carte Za
(z) Epigrammi ed apologhi di vari auli
□ezia, pe'tipi di P. Ripamonti-Carpano,
62
il Canal il Veludo e la Renier-Zannini ; Tommaso
Locatelli, direttore della Ga7^:(etta priviUgiata, detti
la prefazione. Essi pensavano di dare ad ogni gen-
naio, quasi a modo di strenna, un nuovo volume
0 di apologhi o di altro genere poetico, e g\k stava
per uscire il secondo quando i moti politici ne
ritardarono la pubblicazione (i); poi la morte del
Carrer ed altre cause lo fecero dimenticare. E di-
meoticato giacque fino a pochi anni or sono,
quando un editore veneziano lo ristampava, unen-
dolo a quello gii uscito, divenuto rarissimo e
quasi introvabile (2). A questi brevi componi-
menti poetici si pu6 press*a poco riferire ci6 che
Marziale diceva de'suoi epigrammi. Ve ne sono
di buoni, ve ne sono di mediocri e anche molti
*
di cattivi. Ni h maraviglia: trattasi di cosuccie im-
provvisate neirintimiti di una vivace conversa-
zione, nelle quali pii che il valore letterario o
artistico si cerca il bon moty il frizzo cortese e
(i) « Quanto al nostro libro che avrebbe dovuto uscire
appunto nel mese corrente, io spero che Carrer sarii arri-
vato in tempo di sospendere la stampa. II tnondo vuol
altro che epigrammi ed apologhi^ e le bestie parlantt e
bastonate sarebbero i poveri autori delle tApi e Vespe ».
(Lett, di Adriana R. Zannini a B. Montanari, inedlta^ del
1 febbr. '48. - Bibliot. Comun. di Verona).
(2) tApi e Vespe. Epigrammi ed apologhi di vari autori,
Venezia, F. Ongania edit., 1882.
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rrr
Jf^
63
pungente. Ma il frizzo, e ci6 sia detto ad onore
degli autori, non scende mai alle persone, e niuno
ebbe mai a rammaricarsi del pungiglione di queste
api e di queste vespe.
G)me gi^ dissi, tali riunioni di buoni amici
erano per il Carrer un gran sollievo ai dispiaceri
ond'era assalito. Poichi, mentre le sue condizioni
pecuQiarie miglioravano col lavoro della tipografia,
si ch'egli avrebbe potuto attendere a qualche opera
geniale « che lo levasse una volta dal numero
innumerabile dei gretti raffazzonatori di libri altrui
col nome proprio » (i); in famiglia le cose ogni
giorno andavano peggiorando. Comuni amici ten-
tarono un ravvicinamento tra lui e la moglie, ma
non riuscirono nel loro intento, e tutto torn6
come per Taddietro ; soltanto, la figlia fu tolta alia
madre e posta in un coUegio. In questo tempo
tom6 da Parigi Nicol6 Tommaseo, che passava
spesso molte ore col Carrer, senza pero che la
loro amicizia, osserva la Zannini, avanzasse gran
tratto, si invece la stima reciproca dell'ingegno.
Da molto tempo fra i due uomini v'erano ottimi
rapporti, che dovevano pii tardi mutarsi ; il Tom-
maseo, ammirando I'opera letteraria del Carrer,
(i) Lett. ined. di A. Zannini a B. Montanari, del 23 feb-
!i'^ braio '40 (Bibliot. comun. di Verona).
64
dichiarava di aver ricavato molto profitto da'suoi
consigli(i); il Carrer professava la pid sincera
stima per I'alto ingegno e per la forza e indipen-
denza di principi del fiero dalmata. a Abbiamo
qui invece il Tommaseo, scriveva al Montanari,
onesto e piccante quale era anni sono, e men
istrice a conversare che non sembri negli scritti,
pur non troppo maneggevole. L' ingegno suo pii
sempre vivido ed elevato, e il discorrere con esso
utilissimo e caro Ode pazientemente le osser-
vazioni che crede leali e le cerca » (2).
II Carrer continuava sempre a lavorare nella
tipografia del Gondoliere, ma pur troppo anche
essa subi nel ^41, dopo un periodo di incertezze
e di traversie, un grave tracoUo. Molti degli
(i) « Dai colloqui del Carrer trassi profitto non poco;
perch^ egli amante giii (sebbene con intendimenti men
larghi e men suoi di quelli che dimostrb poscia) amante
delle nuove idee che col titolo di romantiche giravano
strapazzate da amici e neraici in Italia, mi cominci6 prima
a screditare Tuso della mitologia e le angustie delle uniti
tragiche e Taifettata disconvenienza tra lo stile e il sog-
getto. A codeste idee non venni, confesso, se non alagino
e ripugnante » {Memorie poetiche di N. Tommaseo, Vencaa,
coi tipi del Gondoliere, 1838, pag. loi).
(2) Lett. ined. di L. C. a B. Montanari, 20 dicembre '36
(Bibl. Comun. di Verona).
6s
operai furono licenziati, il lavoro intisichi, le cam-
biali non venivano pagate. I contratti col Carrer
rimanevano lettera morta, e nh pure gli si paga-
vano i compensi dei lavori fatti. Una delle ultime
opere della moribonda stamperia furono le prose
e poesie del Foscolo, curate dal Carrer, che vi
aggiunse un dottissimo studio suUa vita e le opere
del poeta, studio al quale lavorava da tre anni
con grande amore, e che gli aveva procurate molte
brighe per parte della Censura (i).
a Posso prometterle da quest'ora, diceva alia
Zannini mentre attendeva al Foscolo, che la mia
Vita sari la prima che siasi scritta del Foscolo,
e quanto a pertinacia di ricerche e a veraciti, delle
poche che siansi mai scritte. Leggo, rileggo due,
tre, fino a cinque o sei volte le cose stesse, per
imbevermi a cosi dire delle opinioni e dei senti-
menti deU'autor mio e un mio periodo h uno
stillato di venti pagine. La malinconia che spira
da ogni sua cosa armonizza col mio animo ; certi
tocchi affettuosi mi fanno correre colla memoria
a quanto di consimile ho veduto e provato : vivo
(i) Trose e poesie inedite di U. Foscolo, ordinate da L. C,
e corredate della vita delVautorey Venezia, Gondolierey 1842
(il colonnello Foscolo dall' Ungheria scriveva spesso al C,
raccomandandogli la memoria del fratello).
5
6fr
iasomina e mi pasco d' immagioaziotie e di desi-
deri s (i). Per il crollo della tipografia il Carrer
St trovava una volta ancora senza il pane ; doniaodd
invano un posto vacante di soitobibliotecario alia
Marciana; si fece direttore di una Enciclopt4ia (^2)
autoritik. Ad ogoi modo questa volta gU cot
la cattedra (novembre '42) con I'annuo stip
dt settecenlo fiorini ; ma non essendo ie (
dell* insegnameoto adatte al sue fisico, oraii
nato dalla tisi, domand6 da prima un assi:
cbe lo sostituisse nelle ore fredde del mati
nelle gioraate burrascose, poi, un anno do|
nunci6 del tutto alia scuola. Lasciau nel
naio '43 anche la direzione del giornale il
doUere, che cedette a Giovanni Podest^, si (
tutto agli studi, segnatamente poetici. Curf
nuova edizione delle^ue opere(2), e diede
prima volta alle stampe le Satire di Micheli
Buonarroti il giovane (3), tratte da un codic<
Sua Eccelleaia il Si|nor Governatore
E il Mcario cod lui Capitolare
E signori nobilissimi e Signore
Si diedero I'arrivo a celebcare,
E a' regi sposi fare quell'onore
Gie ptCi per loro si poteva fare.
(Carte Zanoini, Veni
Q.uesto sooetto si trava in altre private raccol
qualche variaote di niuaa imporianza.
(2) "Potsic ediU t inedile di L. C, Veneaa, Slat
gralico Eacicl. di G. Tasso, 184$, i vol, — Troii
intdiu di L. C, Id., id., 1846, I voL
(3) y*'' ^ noi\e 'De Pri-Zanmai ; Satire di Mic
GELO Buonarroti il giovane, date ora in luce per I
volta, Veaezia, Tip, Alviaopoli, 1845.
Marucelliana d\ Firenze. Nel dicembre '45 I'lsti-
tuto Veneto, del quale da tre anni era membro,
lo nominava con bella votazione suo vicesegre-
pot^ pill risollevarsi : fu qucllo il piu gra
delta sua vita, pur cost travagliata, e s<
che senza quella prova non avrebbe crt
che potessero esistere soSeretize si acu
netti che scrisse in quella dolorosa occasi
forse i pi6 belli che siano usciti dalla su
arcato, i ve
o, un mar tetro
di pianic
Or neU'eterca pace
Ci riposi.
E i morbi
gUann
■r fretiolc
FaraD che
n breve
lo tisia
serapre a
at tutto t ver, ma dove giro intanto
Qjiest'occhi roiei del tuo volto bramo
Del tuo riso, de* taa'i sguardi amorosi
Dove li giro a confbrtanni alquanto?.
(I) PoetU di L. C, ed. <
H
Siamo ormai ai tempi fortuoosi del 1848-49,
e, iosienie, agli ultimi anni della vita del nostro
poeta.
Luigi Carrer s'era sempre tenuto lontaao da-
gli afiari politic!, che richiedevaoo tempra ben
piCi vigorosa e altro spirito che il suo dod fosse.
Nato durante la prima dominazione austriaca,
aveva trascorso la tanciullexza tra lo sbalordi-
meato che cagioaavano le strepitose vittorie aa'
poleoniche e il terrore delle leve di soldati sem-
pre rinnovantisi. Pifi tardj avea pensato ad ud
poema che cantasse le geste del despota fatale
ma di esso non ci rimane che la protasi:
caduto con
me e noto.
71
sotto 1' Austria, e vi pass6 un trentennio di sonno
profondo, che certo non avrebbe fatto supporre
nh sperare il risveglio del *48. Solo i process! e
le condanne del Carbonari nel '21 ; la diserzione
dei fratelli Bandiera e di Domenico Moro nel '44,
col susseguente sbarco in Calabria e col loro
eroico supplizio, turbarono la lunga quiete, noio-
strando che la calma era solo apparente, e che
nelle viscere della nazione qualche cosa ribolliva
e stava maturando. II Carrer, come la maggior
parte de'suoi concittadini, accett6 senza mormo-
rare la dominazione austriaca, e anche pieg6 la
sua musa a cantare i nuovi signori.
Quando nel '25 il viceri arciduca Raaieri, gua-
rito da grave malattia, si rec6 una sera al teatro
la Fenice, alle diverse voci di gaudio univasi anche
quella del nostro :
Dalla Reggia che in mar siede
Ripercosso echeggia un grido :
Salvo fe il Trence I e I'acqua e '1 lido
Salvo b il Prencel replic6 ecc. (i)
Nondimeno dalla sospettosa polizia non era
tenuto per troppo ortodosso : altrove accennai ai
(i) Componimenti di esultanyi - della Regia Citii di Ve-
neiia - Recandosi Tottimo Principe Arcid. Ranieri al tea-
tro la Fenice - Ristabilito in salute - Venezia - Alviso-
poli - MDCCCXXV - pag. 37.
eco nel suo petisiero, e gU lasciarono inei
musa. Percii gli avvenimenti fulminei del '
trovarono impreparato: egli non seppe orie
nel nuovo mondo che gli si apriva dioanzi; i
le accuse che gli furoo fatte, le quati, se pot
venire attenuate, niuno potr^ mai cancellat
Certo, ancb'^li rimase commossu dal <i
pare dcglj entusiasmi intorno a Pio IX, e
allora, nel rrioniare delle idee neo-guelfe, g
rise al pensiero I'idea di una patria italiana
sotto I'alta supremazia papale. Ad iin sonei
Guerrazzi per la elezione del nuovo papa r
con un altro^er le rime (r); e akua tempo
<i) Ecco il sonetto del Guerrazzi :
Quaado s'aprl del Fato il denso veto
E a supremo pastor fu Pio chianiato
Uaa lagrima saata c fede e zelo
Trasser dal ciglio al duovo coronaio.
E allor che sciolto d'ogni tema il gelo
Diede pace e perdoao al cor traviaio
L'occbio che in benedir volgeva al Cielo
Fu visto d'altra lagrima bagnato,
Stille d'amor prcziose eotrambe sono ; (ui
Ma qual til quella che pib calda uscio
Qjial pit! s'addice al Sacerdozk), al Tiona
Fu d'uom la prima e d'uom sublime e pio
Ma I'altra che movean pieU e perdono
Se Dio piangesse la direi di Dio.
ndo tutto feceva prevedere inevitabile e pros-
a la rivoluzioDe, cantava :
O dolce patria, e qua! ti si prepare
Ordin aovel d' mfausd e lieti giorni ?
Data iperar ai fia che la tiara
^l!a pirdula gloria II rilorni,
E che dalk vetusta ind^na gara
Rimanga ogai tut gente e se ne scorni?
Tanto di vita sol mi si coDceda
Che il bel trionfo c
] eccD anche la risposta del Garret :
Q^'odo a rifletter Cristo ia umao velo
L'Iniolese pastor venje chiamato
Ud saggio vate * pien d'amico zelo ' (il MarcbtUO
Mosse cantando al sommo Coronato.
Ma i tersi carmi suoi parver di gelo
E li rifcce un vate travTato
Che il labbro avvezzo a bestemmiare il Qelo
A pori fonti dod ha mai bagnato.
Or vedi, Italia, in qual discordia sano
Gl'ing^ai tuoi I Che nuova scuola uscio
Dacch^ Ignavia e Follia ponesti in trono I
Vedi come a lodar del Nono Pio
L'elezlon felice e il graa pcrdono
S'oltraggi il giusCo, la ragiooe e Dio.
{Trovansi in letL ined. di L. C a B. Montanatij 14
!0 '47 (BibL Comun. dl Verona).
) La Fata Vergiiu - poema ined. - C. xi. (Carte Zan-
- Veneiia).
II 13 settembre '47 radunavasi
famoso nono Congresso dei dotti
vera e grande manifestazione in sen
e il Municipio con felice peasiero c
frire agli ospiti, quasi tutti lombardi
libro che fosse una storia insieme
che toccasse quanto concemeva la 1
mra nella scienza nella politica m
icttere. Fu nominata una commissi
di cui facevano parte il podesti C
Agostino Sagredo, Nicol6 Priuli, Luc
Luigi Carrer. L'opera s' intitol6 Fen
lagune, e in essa troviamo uno stud
su la lelteratura e sul diaktio vene^ii
Chioggia t U isole (\).
A quel tempo il Carrer era anche 1
deirAteneo Veneto, e non fe a dirsi
carica lo readesse impacciato. Comi
I'Ateneo era divenuto il centro di
liberale, e il Manin il Tommaseo il 1
sani il Paleocapa ed altri coraggiosai
tamente chiedevano riforme. II mc
([} Fene^ia e U sue lagune - VolL a - '
neiia nell'I. R. Stabilimento Antonelli - i
Sulla litttrahtra e sul dialello vtne^iano
parte 11* - pag. 31s e se^.
Isok e Chioggia - Vol. II* - pane U'
itnciato ; nessuDO avrebbe saputo dire quando
jve si sarebbe arrescato. 11 Carrer voleva dimec-
i, ma ne Ai distolto, e in mezzo al cozzo delle
ive idee che venivaao lanciate nella traoquilla
, in mezzo ad uomini professanti le pifi dispa-
; opinion!, si trovava molto a disagio (i).
1 i8 gennaio '48 il Manin e il Tommaseo
livano arresuti : due mesi dopo, il 17 marzo,
lopolo voUe liberi i due carcerati. Scoppiava
rivoluziooe.
^ggiamo la narrazione che il Carrer fa all'amico
ntanari della memoranda giomata : a .... corse
popolo) in iolla alia piazza e domand6 ad alte
k -liberi il Manin e 11 Tommaseo. 11 govema-
i promise ; ma il popolo voile subito e corse
: careen ; furono quindi messi in liberti tut-
due ; e condotto il Tommaseo sulle spalle
b gente, il Manin sopra una non so se pol-
[) « Oh tniseri temp], Bennassli mio I E qual bisogno
iver vicioi a si quelli che possono giovare col consi-
e coH'amicizu sincera. lo pen sono imbarazzato noa
0 a cagione ddla Vicepresidenia dell' Ateaeo e per
□to usi di prudenza e di moderazione mi i impossitnle
. disgustar qualcheduno. Baita db tutto che io fo, t da
fatto secondo coscienza e con intenziooe rctta e leale.
me la maadi buotu I » (Lett. ined. di L. C. a B. Mcui-
iri, 18 geanaio'48 - Bibliot. Com. di Verona).
trona o altro in piazza. Si vollero egu;
berati 11 Menegbini e lo Stefani, e fur
nati a casa i due primi furono visitati d:
lo mi portai dal Tommaseo, che trov;
nissimo e tranquillo. In seguito si :
bandiefe tricolorij dalle finestre si getti
zoloni i tappeti come nei glorni festi
diere tricolori s'inalberarono sugli stem
piazza. Quest'ultimo fatto fu cagione c1
massero in piazza buona parte dei sol
guamtgione e ci sono a quest' ora coi
il popolo che per altro finora non fei
atto ostile, e spero non fari contentand
nare a doppia le campane di S. Mi
quali il popolo mise le mani 6n da qi
tioa. Qualche disordine sento esser ac<
polizia, con abbruciameato di qualche
ferimento d' un solo » (i). E dopo (
descriveva all' aniico la comparsa del
civica, che un decreto imperiale aveva
la sera del i8. « La guardia civtca ass
megtio comparve in giro prima di ser;
meraviglia e la gioia le menti si voltar
tro. Erano quei soldati della guardia
(I) Lett. Ined. di L. C. a1 Montanari, i
(Bibliot. Comun. di Verona).
78
sone aotissime, fra le quali il Tommaseo e il
anin, il figlio del Podesti, U 6gUo dell' avvo-
to Avesani, e via via con una sciarpa o strac-
0 traverso le reni i soldati^ con la stessa sciarpa
1 armacollo i capi, e armati quale di uno schioppo
L caccia, quale di scizbok, quale di pistola, tutti in~
itnma con quella qualsiforoie arma che si trovarono
rere id casa t (i).
Le giornate di febbraio a Parigi, la rivoluzione
le, di 1^ propagatasi, incendtb unta pane d'Eu-
)pa, ritalia in armi contro lo straniero, Venezia
[>era e repubblicana nel nome caro e glorioso
S. Marco scossero la fibra invecchiata del
>eta ; ond'cgli, tasciatosi trascinare da quell'onda
i entusiasmo, si lev6 a cantare U liberty la guerra
, vittoria, infervorando gli animi a insorgere e
combatiere (2). Sodo a punto di quei primi
(1) Lett. ined. di L, C. 1 B. MonUnari,
libL Comun. di Verona).
(2) « Nei gioroi della graa lotta, qoando
iminatore abbandonava al Governo della proclamata re-
ibblica Venetia e le sue provincie agognatiti a libertl,
i cittadino micilenie, pallido e svigorito della salute,
icchiuso come solea nelU sua Ucita e modeiu came-
stta, diceva a un amico suo incimo: !□ nulla posso &re
pro della pairia, cbiedeate in cost supremo roomento il
raccio del ligli; chk le forte omai scadute di quests mio
:bil ccirpo non mi consentono pigliare un fiicile. S'abbia
giomi liberi tre carmi del Carrer, ribocc
sensi patriotiici, pubblicati dalla g'li I. R. C
di Venecia, divemata per I'occasione orga
ciale della nuova repubblica avendo sostiti
leone alato I'aquila biciplte (i).
Nel Canto di guerra, comparso il 3 1
egli indma agli stranieri di uscire dall'Ita
Via da Doi, Tedesco iofido,
Non pili patti, non accordi.
Guerra! Guerra 1 ogni atcro grido
E d'infamia e servitii.
Su que! re! di sangue lordi
11 furor si fa virtix.
Ogni spada divien santa
Cbe nei barbari si piama.
£ d'ltalia indegao figlio
Cbi all'acciar aon dJl di piglio.
E UD nemico non atterra:
Goettal Guerra!
alnieao U patria mia dalle rimaneati foric di
quella testimonianza d'amore, che sola pud dat
povera peuna. Leggi questo scritto e dimmeiu
Erano inni di redendoue, inspirati dairardore di c
zionale, inni che il dl appresso uscirouo a luce
ammirati universalmente n {THscorto di Giovanni i
Inauguraiione del husto di L. C. ; estr. dall'.^r^Mf .
vol. XV, (1878), Parte L
(0 Q.uesti tre canti, oltre che nella Ga^^etta 1
volanti, furono inseritti dal prof. Pietro FerraT'
poUticht e sonetti di L, C, Firenze, Lenionciier,
trovano aacbe ristampati in raccolie di canti
del qouamotto e quarantanove.
Nel secondo canto, stampato il i" aprile, ianeg-
indo alia repubblica proclamata in Francia,
nge gli luliani a seguirne Tesempio :
Sulla Senna il chiaro esempio
Ti dift un popolo d'eroi.
Era schiavo e i ceppi suoi
In brev'ora stritolfi.
;1 terzo, del 3 maggio, intuona VAlkhja del '48 :
Alleluia! & Dio risorto
Coll'iDsegna del riscatio.
Alleluia a\ nuovo patto,
AU'italica unit!.
II giorno dopo la cacciata degll Austriaci U
eta scriveva, neli'ebbrezza della vittoria, un ar-
jlo da inserirsi nella Gaz^etta (l), nel quale,
Litando S. Marco e la Repubblica, sosteneva
a. dover esistere dubbi sulk forma di govemo
scegliere, poich^ e la storia e la tradizione
poaevano la repubblica. Questo scritto, che poi
ignore il perchi - non companre suUa Ga^-
ta, io riporto integralmente come testimone
[1) It Q.uesto roio articolo sia inserito nella Gaz^itUii quaodo
:eri nieglio al compilatore, ncn essendo puDto neccssario
: si legga piuttosto {^gi che domani uo'adesione che ia-
lo &tu per quelli soltanto tra raiei concittadini e con-
ionali, che aacbe sem'essa mi avrebbcro letto nel cuore *
)ra all'articolo).
dei sentimenti che animavano il Carrer in q
primi momenti : a Viva la repubblica ! Viva J
Marco ! Non vorrei ripetere ad ogni ora i
queste care e sacrc parole. Benedetto chi pri:
le ha ieri pronunziate c f\i cagione che si ri
tessero da tutto un popolo chiamato a racquistai
per esse il sentimento di se medesimo e di
sua liberta. Per esse siam toiti aU'amara nee
sixk di chiedere una cosa volendooe un'altra,
scambiare per entusiasmo la rassegnazione e ]
felicitii la minore miseria: cifi che chiediamc
piena ed alta voce fc ci6 che vogliamo; ci6 <
flbbiamo ottenuto. Non seppi, confesso, grii
viva ed applaudire prima d'ora, oemico come
e 5ar6 sempre d'ogni ambiguiti e reticenza,
mandate ulvolta dai tempi e dalla ragione;
non perci6 meno amare e dtssentite dal cue
Cuore e ragione si sono messi d'accordo;
che sembrava non pifi che delirio lo abbiamo
duto ieri avverarsi sulla nostra piazza. La nos
adorata bandiera torn6 a sventolare, I'antica i
stra madre si alz6 dal sepolcro e chiam6 a s
propri figli. Chi potri contenersi dall'accorr'
alia sua voce, dallo stringersi ad essa, dall'
plaudire? Ad altre gcnti si conceda riman
dubbiosi sul reggimento da scegliere, sul no
da cui intitolarsi; noi non possiamo averne i
uno solo, quello che abbiamo di gii scelto e pro-
' mato. Quattordici secoli ce lo mandarono glo-
so: che fe mai a fronte di essi rinterruzione di
uaati anni?
a No, il nostra passato non h, grazie a Dio,
ito da noi remoto che non possiamo stender
esso la mano, e riaonodarci in modo che
imparisca dalla nostra memoria la breve inter-
sizione del dominio straniero, se non in quaoto
'icordarcene ci torai d'utile e tremcnda leztone.
di badare a tutto ci6 che pu6 servirci d'am-
estramento abbiamo d'uopo, da che I'opera del
;tro risorgimento h appena incominciata ; fa>
le lunghe e perseveranza indomabile ci occor-
lo a perfezionarla. E gli ostacoli che rimangono
iuperare son men terribili di quelli che ci Sor-
iano contro poc'anzi, e se quelli rovinarono la
0 mercfe presso che da se stessi, a superare
;st'altri h richiesto un inteadimento concorde,
fermo volere. Un civico drappelletto, nelle cui
ni stavano I'armi p'lii che altro a mostrare che
loro funesta signoria era cessata, bast6 a pro-
onare quella parola che rinfondeva la vita nel
lavere dl un popolo generoso e mal conosciuto;
il consentimento e I'alacritA universale biso-
ino a far si che questa sacra parola sia meglio
: un sempltce suono e tanto operi quanto si-
85
gnifica. Le cupiditi immoderate, le astiose dis-
senzioDi, i vani puntigli e sopratutto Timpazienza
del bene che non pu6 maturarsi salvo che col
benefizio del tempo, possono, non dir6 gik ab-
battere (che a ci6 dobbiam credere non sia per
bastare forza umana nessuna) ma impedire e in-
dugiare Topera a cui si accingono i buoni, e su
cui tutti tengono gli occhi. Non havvi ragione-
vole senso che addur si possa alia dissidia, alia
noncuranza ; tante e tanto svariate sono le parti
di cui deve comporsi il nobile edifizio, che qua!
ad una qual ad altra dobbiamo tutti sentirci atti
a dar mano. Le varie attitudini dell'ingegno, la
varia esperienza, le condizioni molteplici d'eser*
cizi, di vita, possono e devono concorrere d'un
modo a far si che si ottenga il fine da tutti de-
siderato. Chi nulla s'ingegna d'operare, di sug-
gerire, proceda almeno lentissimo nei giuJizi, e
non voglia arrogarsi qual premio della propria
inerzia di censurare senza lunga considerazione
I'altrui attiviti. Uomini tanto operosi quanto ama*
tori di libertit suscitarono dalle paludi questo mi-
racolo dell'ardimento e dell'arte; facciamoci sul
loro esempio, rannodiamoci ad essi non pure nel
nome, ma si ancora ne* fatti ; ogni nostro inten-
dimento, ogni nostra azione altro non sia quindi
innanzi che una continuazione continuata, effettiva
di quel primo grido: Viva la repubblJca! Viv2
S, Marco » (t). 11 giorno 28 marzo il Carrer, nella
sua qualttik di vicepresidente, stendeva I'adesione
dcH'Ateneo Veneto al GoverQO provvisorio: « Ci
rechiamo a vanto - scriveva - di significare la
nostra volotiterosa e piena adesione al Govemo
provvisorio ». — Ma, passati i priini moiuend, il
poeu, ripiegatosi su se stesso, senti svanire gli
entusiasmi ; nei reggitori della cosa pubblica non
vide che imbroglbni intenti solo aU'utile pro-
prio; gli errori inseparabili dalla natura umana,
le incertezze d'una situazione oscura e gravida di
pericoli non trovarono attenuanti presso di lui,
e lo sforzo disperato dt quel popolo, che difen-
deva la liberti e I'onore, non merit6 se non i
suoi sarcasmi. Jacopo Bernardi, testimonio oculare
degli avvenimenti del '48 e storico degnissimo
di fede, scriveva sulla condotta del Carrer : « Anche
il C. si lasci6 andare, come tanti altri, all'impeto
del suo genio e a quello sdegno che, da tanti
anni represso, irruppe dal fervido suo petto in quei
due poetici cotnponimenti che si stamparono nel-
Tappendice della Veneta Gazzetta. Appresso, le
mutate condizioni, la consuetudine di persooe che
8s
<lopo il movimento primo si trassero addietro
assai, k mancanza di taluno tra i suoi aniici piji
<eletti e, tra questi, di quell'ilare e svegliatissimo
ingegno che era Giuseppe Capparozzo, il trasoao-
dare che fecero le opinioni di parecchi dal beae^
4al dignitoso, dal giusto alia esagerazione, al ri-
dicolo, al delitto; forse anche Tabbandono ia che
a torto lo si era posto in quel giorni, e alcuni
altri motivi personal], lo intiepidirono a tale, da
giudicarlo, se non avverso, freddo almeno a fatti
che avevano per iscopo di mostrare ai nemici e
dileggiatori d*Italia, che non era poi degenere il
sangue che scorreva nelle vene degli Italiani e
dei Veneti d'oggidi, ecc, ecc. » (i). E meglio an-
cora delle parole altrui servono a mostrarci le con-
dizioni del suo animo le lettere che scrisse ia
quel tempo. II 7 -giugoo '48, allorquando a Ve-
nezia si discuteva calorosamente pro e contro Tu-
nione con la monarchia sabauda, il Carrer scriveva:
« E avrei bisogno di cacciarmi tutto pi^ che mai
nello studio e non udire gli schiamazzi d'ogai
fatta che assordano anche i piii tranquilli e lon-
cani dal prender parte alle discussion! dei cafi&
e della piazza. La cosa & giunta a tale che, dalla
(i) J. Bernardi, Luigi Carrer, nel Cinunto di Torino,
anno 11^ (1853), serie II, vol. Ill, pag. 67.
straniera in fuori, h destderabile qualsivoglia altn.
dominazione ; tanti sono gli arbitri, gli scandali,
le bestiality solennissime, che st veggono nella
preseDte. Dio soccorra t'ltalia e la povera nostra
Venezia, e le soccoriu non meno che dagli stra-
nieri, da' suoi, sicchh noa ci sia pi6 pericolo ad
essert galantuomo e dissenziente da' pazzt che
coDgiurano a rovioare il paese e insegaano li-
berti col bastone. Creda pure, mia buona signora,
ce n'k da piangere a lagrime amare e invidiare
chi ha perduto il seono od i morto » (i).
Due mest dopo, il 7 agosto, il Colli, il Cibiario
e tl Castelli, commissari di Carlo Alberto, man-
davano fUori ua proclama anautiziante la delibe*
rata fiisione di Venezia col Piemonte, che oon
avveniva senza dolore del Maoin e della immensa
maggioranza dei Veneziani, costtetti a sacrificare
le loro ideality repubbUcane alle supreme neces-
sity delta difesa nazionale. Luigi Carrer accolse
con grandc giubilo I'annuncio, forse pid che per
it fiitto in s^, perch^ il Governo usciva dalle mani
di uomini che riteneva dannosi al pubbtico benes-
sere, e tosto faceva conoscere la notizia ad Adriana
Zannini:
Mmata di leit ined. a Eugenia Pavia Geatilomo.
no '48 (Cane Zannlni, Venezia).
87
« Arnica mia. — Le scrivo al rimbombo delle
campane e der cannoni, che proclamano il nuovo
re, e dinno all' Aha Italia queirindipendenza e quel
carattere di nazione, che fii il desiderio o piut-
tosto il sogno di molti secoli. Giomo piii solenne
non pu6 essere a noi tutti, ni poteva cadere piii
acconciamente che accoppiandosi a quello del ri-
verito suo notne. Oh amica mia rara ! Possano i
destini della nostra patria farsi da questo giorno
piu sempre prosperi ; possano quelli della sua vita
essere conformi a que' della patria! Oggimai in
onta a molte dubbiezze e sciagure infinite pos-
siamo dire di avere una patria, e se i tanti o tri-
sti o codardi ci tolgono di goderne in lor com-
pagnia, ne godremo noi due^ rinfiamniando a quel
nobilissimo foco I'altro non men nobile della no-
stra amicizia. II cuore mi dice che questo bel re-
gno non avri effimera vita e checch^ facciano gli
uomini vi sari una forza pii potente di loro, che
non permetteri scomparisca dagli occhi nostri ap-
pena comparsa un'immagine di tanta bellezza. La
bieca diplomazia e I'ignoranza ciarliera rimarranno
scomate. Di qui a un anno ricorderemo questo
giorno e questi auguri con animo consolato e se-
reno.... » (i).
(i) Da copia di lett. ined. di L. C. alia Zannini (7 ago-
sto '48)/ il cui originale fu ceduto al Montanari (Carte
Zannini, Venezia)
J
I II i Commissari regi, costretti dalla vo-
lare, abbandonavano il governo, che il
nezzo a deliraate eniusiasmo dichiarava
e egii stesso. Vcnezia veoiva bloccata;
ci si triacieravano saldamente ^li sboc-
iguna, e la repubblica pensava a difen-
Tiente. L' 1 1 otiobre I'Assetnblea con
cootro 13 decretava la continuazione
ura, e il Carrer ne dava notizia ad un
una interessantissima lettera, nella quale
:ti i suoi crucci : « Mio carissimo. — La
m'ha fatto un gran bene; quel beoe
lalla conversazioue d'amico lungamente
Indugiai alcun giorno a risponderti per
inia rAssemblea, della quale voleva nar-
Fetti. E TAssemblea si tenne ieri ap-
fu confermato il govemo dittatoriale,
bisogno di un comitato per decidere
zioni politiche stimandosi bastare anche
Governo mcdesimo, solo che prima di
inclusione veruna sarebbesi interrogata
a di bel nuovo. Fin qui ottimamente.
i della legaliti deH'Assemblea stessa, che
compresi de'meglio veggenti fra'depu-
I per iliegale, non fu tocco, e nemmeno
to se anche in seguito si ragunerebbe
ell'Assemblea o si iarebbero ouove ele-
89
ziooi^ bench^ su questo secondo punto non sia
mancato chi dicesse qualche paroia. Ora stiamo
aspettando le sorti ossia la volonta dei potentati
dacui tutto dipende pur troppo, che che ne pensino
i panegiristi del popolo che salvo poche eccezioni
non ha fatto nulla se non pagato. Intanto la li-
bera stampa ci pasce quotidianamente di polemi-
che, o peggio di vergognose calunnie, perch^ di
polemiche non c'6 piii esempio da quando s'^ vi-
sto che manifestare il proprio parere tanto era
quanto trovarsi in capo le scranne dei cafR e an-
dare prigione per giunta, e ai parroco di Santo
Stefano, che disse dall'altare non so che frase, poco
secondo il tempo, fu gridato ogni genere di vil-
lanie sotto le finestre della casa, da una truppa
di gente, lascio a te pensar quale, entrovi per6
de*Segretari di Governo e fin anco de'membri
del Comitato dl vigilanza. Lo stesso a Taddeo
Scarella e al Demzor. Insomma dentro e fiiori ad
un modo e la scelta & confinata tra il blocco e
Tesilio. lo t'invidio Firenze, nelle cui mura e in
Toscana vorrei prima di morire passar io pure
alquanti mesi per apprendere un poco di quella
lingua che non si trova sui libri, quantunque sia
a questa mia eti alquanto tardi. Dillo ad Eugenio
che non si lasci scappare la buona occasione, per-
chfe anche tornando non torneri piii cosi giovane
9'
d'un quaicht imperatore romano e abbrancaUne le
ceneri it le ponga sul petto velloso a scaldarsene il
cuore. E tali uomiai hanno il voto della nazione
e son gridati ministri ? Hai ragione di rallc
che ti abbiano lasciato in riposo, e 11 Ma
di protestarsi ioetto a &rla da deputato. A)
il Tommaseo che chiama gli Slavi alleati m
della Francia, il fa senza tropi. E gli Slavi, ;
che m contano le gazzette, marciaao atla vc
Vieona per ischiacciarvi i rivoluzionari dt
mentre il Cavaignac e la diplomazia francese
disposti senz'altro a sottoscrivere il trattatt
rimette cervello ne' rivoluzionari d' Italia. !
il Tommaseo per questo verso ha ragione
serie misere ! II Gioberti svillaneggiato comt
un facchino e m'aspetto &a giorni cbe lo
si laccia del Mamiani dal caldi avvocati della
causa, dai tniliti della santa guerra. Non dico
pecche il Gioberti, che ne ha; ma da lu
Mamiani, dairAzeglio al Guerrazzi, al De 1
a tutta I'altra canaglia 6no al Mazzini, pusill
fuorch^ in parole, che manda sulla forca gli i
salvo a scriveme a quel suo scempio mo
necrologia, che distanza iafiaita! Dirat che
la prendo con mezzo mondo ; ma Dio sa s
rei vedere chi fosse d^no d'esser adorato
rarlo, e baciargli 11 piede come a pontefice,
92
clamarlo benefattore del genereumano, aoche per
uesto che non lascierebbe morire aSatto tra gli
omini il senttmento della gratitudine c della ra-
ionevole amniirazione. Ma finora, o m'inganco,
leglio voiursi ai defunii e credere veraci le sto-
e e d'alira pasu che aoa i present! gli eroi pas-
iti. Che quasi quasi se durassero a questo inodo
i cose sarei tentato a credere che Socrate, Epanu-
ooda, Bruto, Catone e compagni ci appariscoDO
)li perchfr veduti traverse le leati prestateci dagli
[orici, tutti dal pid al meno poeti. Ma a questa
eplorabile conclusione non sono ancora venuto
non verri, spero; studiandomt a tutto potere
i illudermi almeno sul passato, se non mi fosse
iiipossibile sul presente... »(i).
Ritiratosiin disparte, continue nel suoufficio al
ivico Museo, tutto immerse ne'suoi studi let-
•rari e poettci. « In quanto a salute, me la passo,
:riveva, ma rumor mio i triste e anzi tristissimo,
nima amica, e si che mi sforzo di vincerlo con
3 studio, non dando i tempi distrazione migliore..
.avoro iq,defessamente intorno alia Fata, e se ta-
}ra me ne vergogno, come di cosa fantasdca in
lezzo a tante reali sventure della nazione, dico
(i) Minuta di lett. bed, a Stefano Duprt,
3ane Zanoini, Vennia).
^ W
95
fra me: e che posso altro? E farei forse mcglio a
sospirare oziosamente? E come io abbia ranimo
sempre alle comuni calamiii, e ai comuni desideri,
si vede tratto tratto nei versi stessi » (i). La con-
dotta del Carrer non poteva non suscitare maravi-
glia ed aspri commend, e ci6 che si diceva sul
conto suo dovfe giungergli aU'orecchio, se egli
credette opportune rispondere ai rimproveri con
una che potrebbe chiamarsi professione di fede,
in versi dialettali. Restano inedite due satire, I'una
in lingua italiana^ Taltra in dialetto veneziano, e
alcuni frammenti che sono una continua e san-
guinosa ingiuria contro quanto ha diritto al no-
stro rispetto e alia nostra memore gratitudine (2).
Ministri e rappresentanti del popolo, generali e
(i) Dacopia di lett. ined. di L. C. a Eugenia Pavia Gen*
tilomo, 18 ottobrc '48 (Carle Zannini, Venezia). Ealtrove:
«La mia Fata, da che me ne domandi, ^ innanzi, e sono
sal canto decimoterzo, oltre a parecchi frammenti d'altri
composti secondo mi dava ii capriccio... Io credeva esa-
gerazioni quanto leggeva degli invasamenti der99 ; ora ne
sono persuasissimo. se non gik non parmi che siano andatj
pill avanti. Dio benedica 1* Italia e questa povera umana
ragione (Lett. ined. di L. C. a B. Montanari, 20 lebbraio '49.
- Bibl. Comun. di Verona).
(2) Vedansi Taccennata professione di fedc le due sa-
tire e i frammenti, che trovansi inediti tra le citate carte
Zannlni, nelV KAppendice a questo studio.
9*
soldati, Sirtori e Tommaseo, la guardia civica e
i volontari italiani, i combattenti di Marghera di
Treponti di Brondolo sono oggetto ai dileggi del
poeta.
Contro Daniele Manin, egli che pure, come
vicepresidente deirAteneo, aveva firmato (i* no-
vembre '48) un invito ai soci perchi raandassero
delle inscrizioniy fra le quali sarebbe stata scelta la
migliore^ « da porre nelle sale dell'Ateneo al Ma-
nin e al Tommaseo per memoria di quanto essi
neirAteneo stesso operarono con discussioni e let-
ture in pro della patria », scaglia tutte le sue frec-
cie : insulta alia sua nascita; lo rappresenta come
un faccendiere politico incurante della rovina della
patria pur di salvar se stesso; lo dipinge a volta
a volta subdolo e vile, intollerante e tiranno;
esprlme Taugurio che « el dose magnacarta el torna
al so meT^a » .
n Carrer aveva in animo di tessere la storia
degli avvenimenti, di cui era spettatore, e a tal
fine raccoglieva note ed appunti; quale sarebbe
stato lo spirito che Tavrebbe informata dimostra
chiaramente il seguente periodo del Machiavelli,
che voleva apporvi come epigrafe: « E se nel de-
scrivere le cose seguite in questo mondo non si
narreri 0 fortezza di soldati o virti di capitani
o amore verso la patria di cittadino, si vedra con
quali inganni, con quali astuzie ed arii i principij
i soldati e capi detle Repubbliche, per mantener"
quella riputazione che non avevano meritata si g
vemavano B (i). Fra le poche note raccolte p
questa storla che ora ci rimangono, ve n'ha ui
che narra la famosa seduta dell'Assemblea il
(i] Caduu Veneda, cos) il Carrer scriveva ad ud certo :
gnor Uliva a proposito della stotia, che poi rimase inti
rotu dopo poche parole di introduiione; « lo aveva
animo ed bo, DOn so se glieae dicessi prima della s
partcDza, di scrivere in compendio e con veriU somn
se con scarsa eleganza, le cose noscre del due ultimi an
ma rae ne prende tratto tratto spavento ; tanti ft la rat
e terribjliii dei casi. Oltre che a voter riuscire sirettamei
verad si corre pericolo di non esser creduti neppure
quelU che haano cogaizione di storie, e dovrebbeio pi:
avere iniparato di che sieno capaci Tignoranza, I'ambizio
e la piii matta bestialitl. Cod questo ancora per giui
che buona dose di Tidicoto v'h mescolaia e lo storico
ogni poco dovrebbe caagiar stile e farsi uniile umile e qu.
quasi burliero. In somnia quanto mi sembra che le nos
miseiie siconvenga che siano Darrale a documento de' B
e nipoti nosui, tanto credo volervi non poco ardimento
chi se ne faccia come che sia narraiore. Giovenale si
troverebbe be! campo da menarvi a dritta e a sinistra
sua terribile sferza. O m' inganno o le cante difhcolt^
ogni fatta che c'i tocco vedere (senia disconoscere qt
di biiODO che v'ebbe, benchi aon molto) devono infondi
naovo spiiito in chi si mette a rivaleggiare con esso. O:
ch'egli k pib che mai tempo di riudire italiaoa quella b
Eimosa... » (Minuia diletLined. u setterabie '49. CarieZ^
oini, Veneiia),
aprile '49^ quando Id risposta alle intimazioiu
del generate Hainau fu deltberaia la resistenza ad
<^ni costo. II Catrer accusa il Maoin e alcuni suoi
delta cilli e il desidtrio del sottoseritti ctltadini di sa-
pare quali speran^e si ahbiano per protTarre uno stato
di cose incerlo efatale. A parte i giri di pare'
chiedeva la resa, II Carrer, egU stesso lo afi
fu dei primi ad apporvi la firma, ed eccita
amici a recarsi a firraare (i). £ Doto con
lerminata la disgraziata peiizione. Alia nott
essa una folia di popolo assalt6 il palazzo
abitava il patriarca, gettando nel sottoposi
nale tnobili e oggetti di valore, Accorse il
maseo, e a stento con la sua autorevole \
(■) Lett, ioed, di L. C. a Giov. Veludo, ] agosio '49
gnor Giovanni Preg.mo. £ aperia in CaDonica aelle
ddia pubblica Benelicenza una soscriziooe di citts
capo de* quali S. E. il Patriarca, chiedenti all' Asst
che vengano da essa dichiarate le ragioni e i fond^
per cui li vuole resistere seaza conflni, come veg
farsL £ bene che molte firme diano sempre maggic
alia doraanda e che siano drme d'uomini d'iatelietto
biti conoEciuu. La invito dunque a recarsi, se Le
al luogo suindicato tra le died e le dodici aotimei
d'oggi, e se Lc piacesse meglio parlar prima con nu
di ttovarrai in casa fino appunto alle undid. Mi riv
la sua signora, mi saiuti Spireito che pottebbe anda
pure a soscrivere, e mi creda daH'anima il suo (
P. S. Se credesse condurre attre persone, tamo re
perchi tanti piii sono i Domi e tanco maggior valore
scrittOB (L'origlnaledlquestaletterabed. fuceduto, cr
Giacomo Zanella; la copia trovasi presso gli eredi d]
Jacopo Bernard i in Venezia).
aa ; ma delk petizioae niuno
;iorni di poi Venetia capito-
3i migliori cittadini prende-
' ; gli Austriaci rientravano
ina tomba. Negli ultimi dt
I state stampate alia macchia
:iche del Carrer cbe abbiamo
-urono a appese ai canti della
., e coQ tanto persistente vo-
coperte di altri affissi, come
h numerose ed in luoghi evi-
frpetuare il pii possibile I'o-
xi termini egli scriveva alia
pubblico il 17 agosto, e do-
prese le misure piii oppor-
imi autori del &tto. Rlentrati
aesie riapparvero — ■ e fti atto
attaccate agli angoli delle vie,
6 a subirne le conseguenze.
lilitare intimava al municipio
' dal suo ufHcio al ci\'ico Mu-
ediva, rimovendo i! Carter da
i da vice preposto a perchi pro-
it politic! da non poter essere
iice la oairazione che il dna & di
■■-J
toUerati nella quality di preposti ad un
a cui specialmente intervengoDO forestiei
vani iniziati negli studi e dappoichi prese
coi loro scritti e prestaztoni influenci soti
sato Governo rivoluziooario » (i). II Carn
sbalordito: « In me la meraviglia asso
adesso ogni altro sentimento. Vedermi pu
tanto rigore, quanto noa fu usato di lun
coi rivoluzionari piii estremi, Spogliato d
piego ch' esser doveva 1' uoico rifugio d
inferma vecchiaia, e spogliato da chi noi
conferito e noa ha messo ragione alcun
tuna la parte che io presi alia rivoIuEion
ConviDto della illegality dell'atto del m
tanto pill che il Museo era un' isiitazion<
nella quale I'autoriti non doveva avere i
gerenza, mand6 una suppHca al governat
tendo bene in cbiaro la sua condotta :
pienameme d'alcuni versi da me comi
primo tempo dei politici rivolgimenti,
(i) Decreto delb Coogrcgaiione della R. Citt4
I] ottobre '49 (Carte Zaonini -Venecia). Vegga:
ptndics ati che in proposito detla destitnzione e
dotta del Gtrrer scrive Etnan. Gcogna nei suoi
Veggansi puce due bran! di lettere del Carrer ad
valgona a lum^giare la sua condotta. Pagg. i
(z) Lett. ined. a B. Montanari, 19 ottobre tS
Comun. di Verom).
avrei mai creduto che non si facesse ragione delle
circostanze singolari in cui furoQO pubblicati.
Qualun<]ue per altro sia tl peso che si voglia
dar loro, finisce con essi per parte mia qualanque
atto che possa porger cagione ancor che minima
di rimprovero, non clie di castigo... Quanto poi
a presta^ioni solto il governo rivoluxtonario, aSermo
con tutta franchezza che per qualunque indagine
pii rigorosa nonsene troveri nemmen I'ombra ».
Ricorda in seguito nella supplica la sua vita di
professore, di viceprcsidente dell'Ateneo, di Pre-
posto al Museo, sostenendo di aver professato sem-
pre a principii di civile moderazione e di aver av-
versato qualunque genere di esorbitanze. > « In forza
appuntodi quest! principii — soggiunge — quando
fu promossa una sottoscrizione tendente a richia-
mare I'Assemblea a ragionevoli deliberazioni consi-
gliate dallo stato della cittd, fui de'primi ad ap-
porv-i la mia firma e a far si che ve I'apponessero
altri ancoraa (i).
(i) Minuta di supplica a S. E. il Govematore Civile e
Militare della citta di Venezia (Carte Zaonini, Vesezia). In
un'altra minuta scrive : « Che cosa poi siano le mie pre-
stazioni influenti socto SI goverao rivoluzionario, diib con
la franchezza suggeritami dil sentimento della veriti, nft
io n( persona al mondo potrii mai iatendere, non essen-
domi io in nulla e per nulla prestato solto quel governo,
ma vissuto sempre ritiratissimo alia cura della iievole mia
salute e de' miei amdi ».
Attendendo la risposta del Governatore,
tan6 da Venezia, e fu per qualche tein|
prima di Adriana Zannini, in una sua vil
Abaao, poi del Montanari a Verona. Vers
di gennaio il Governatore militare con:
cbe la direzione del Civtco Museo era di d:
vato e cedendo alle vive iosistenze del |
del patriarca, reintegrava il Carrer nel suo u
Distnitto dal male, riprese la via diVen
al principio della fine. Quando fu a Mest
caiuolo che I'attendeva per condurlo in
pot^ rattenere la sua meraviglia, vedendc
gro e s6nito:
a Mestre giugni
E di speme delusa alio sconforto
Peggior riprova del tuo stato nggiugni.
Chi il biiOQ tuo barcaiuolo e inalaccoi
Esclama in le fiundou: Ahi, padrone.
Come cangiato v'ha tempo $1 cortol
Che tristeireeredir!.,. (i).
(1) Decreto della Congregacioue municipale al :
17 gennaio i8;o (Carte Zannini, Venezia).
(2) Ben. Montanari. Fersi t prose. Verom, Aiv
>'*S4>pag. 99-
A
Tornato a Venezia, U C. riprese la vita solita,
ivisa fra i doveri dell' ufficio gli studii e i fidi
onvegni di casa Zanoini. Continuava la storia
ella letteratura itatiana, intorno alia quale lavo-
ava da parecchi anni (i); scriveva qualche ottava
ella Fata Fergine, correggeva le lettere di Ga-
para Stampa, che, pubblicate nel '38 nclVAnello
'i setle gemme, voleva ristampare, aggiungcndo
ualche Duova letters non permessa per I'addietro
alia troppo rigorosa censura. Attendeva anche
d uno studio sutl'Alfieri, del quale stendeva tratto
ratio qualche periodo; ma questo studio licbie-
leva una fatica mentale ormai per lui iatollera-
>ile (2). La tisi coiuptva 1* opera distruggirrice.
(1) « Da moiti anni vo' raccogUendo una [uccola sup-
lellettile di notizie di libri per tessere sotto breviti U
Eoiia dclle vicendc delk nostra letteratura dsl secolo deci-
loierzo al presenie, e oe ho gik steso parecchi tratli, ma
iggimai la speranza di coodurre I'opera a compimento mi
a abbaodoaato e gran che mi parrcbbe di render leggi-
ili quel brani cosl staccati » (Lettera a Camillo Ugoni,
t giugno ';o. Qjiesta, con altre lettere del nostro, tro.
asi DcUe Opere poslumt di Cahillo Ugoni, Milano, i8;8).
(1) Lett ined. del C. a B, Montuuri, 15 ottobre ';o
Biblioteca Coniun. di Verona).
Nel marzo egli ammali gravemente; »)
tempo dopo pot^ rialzarsi, ma capi che '.
non era lontana. Ravvolto in una Teste i
mera a fiorami, che gU aveva regalato Vii
Bellini, slava seduio lunghe ore presso un
stra, cercando di dimenticare gli spasin
male nel lavoro, che gli costava uno sfors
mane'; e se gli amici cercavano di distorlo,
irritava, ulch^ dovevano lasciarlo fare a si
lento. Verso la fine del marzo cerc6 riston
I'aria di Treviso, ma pochi giorni appresso d
ricondursi a Venezia. Le forze andavano seen
la respiraf ione si taceva af&nnosa, la gola u
rendeva difficile I'inghiottire. Era omai I'oa
se stesso ; solo le condizioni dello spirito s
servavano eccellenti: aspetuva, senza alcun t
la morte.
Rivide parecchie volte la moglie, e dispo
il suo awenire : « Ha pensato a tutto, a ti
diceva Adriana Zannini, che da molti mei
si allontanava dal suo letto, e gli era pi
sima infermiera. Cattolico convinto, voile
piere a tutti i doveri che la religione gli imp
Ricordava spesso gli amici, e quindici
avanti di morire scriveva al suo fedele 1
nari : « Quante mie lettere aver potrai
questa, e se questa possa essere per avventu
la, nou so bene dire ; so bene che questo stesso
bbio mi fa esser soUecito a scriverti la presente,
DtiDuaado poi Dell'avvenire a parlarti in ispirito,
non mi suk possibile di fare altrimeilti. Sto
lie e male assai, Bennassi!! mio.... >> (i).
Conservava ancora tanta lucldezza e sereoitJi da
rlare d^li studi prediletti e prendeva commiato
[I'amico, al quale voile fosse dato come suo ri-
rdo un bronzo rafEgurame I'ApolIo del Belve-
re, che Stefano Dupri gli aveva regalato, bronzo
e il Montanari poi, morendo, leg6 ad Adriana
nnitii. II giorno 23 dicembre '50, poco dope
mezzogioroo, mor) placidamente, recitando i
mi.
La morte del poeta fu appresa con dispiacere
Venezia, e il Municipio gli decret6 solenni ono*
ize funebrj in S. Marco e un posto oootifico
1 camposanto comunale, I gioraali ne scrissero
1 lode, e gli Istituti e le Accademie che lo ave-
10 avuto a loro membro lo commemorarono
ennemente. I verseggiatori ne cantarono a gara
lodi: una lunga ed affettuosa elegia dett6 il
mtanari, un'epistola Eugenia Pavia Gentilomo,
icepola ed arnica del Carrer; sonetti pubblica-
(i) Leu. ioed. diL. C. a B. Montanari, S dicembre 'jo
bl. Comun. di Verona).
rono Benedeno Vollo, Antonio Gastaldis, I. V.
Foscarini, Giovanni Renter ed altri ; anzi fu tale
I'abbondanza di versi pii!i o meno sioceri,
contro di essi credette opponuno protestare
vanni Veludo (i).
Cosl non ancora cinquantenne moriva
Carrer, il piili fetice temperamento poetico <
degli studios! piili eruditi che Veaezia abbia
ia questo secolo. Un sue biografo cosl lo desi
« Delia persona fii regolare, sebbene macL
ma aveva angustia di petto, e sino dalla ]
etik and6 sofferente del fegato e delle inte
Ebbe neri la barba e i capegli; spaziosa la (i
naso aquilino, incavati gli occhi neri, vivis
lungo e pallido il viso, I'aspetto piacevole
Fu sempre di umore tendenie al matincon
al mistico (3), che le sventure da cui fu C(
servirono ad accrescere; del resto, uomo bui
affettuoso, solo mancante • e di ci6 fu cagione ;
la poca salute • di queU'energia e di quella r
(i) Opuscolo Per nc\i* PelUgrini Paganuni, pub
da Carlo Paganuzii il 7 raaggio 1877, Veaezia, ti[
chetti,. Sonetto I, pag. 1 : Contro alcuiupoesu puibli
morU di Luigi Carrer (1851).
(1) Ercoliani, Cemti biegrafici dt., pag. t).
(j) V. nell'ApFENDicE TeaJenia al tnulieitmo, fi
autobiografico Ined., pagg. tn-4-
io6
tezza, che gli avrebbero tante volte giovato. Nel-
VAmor sforiunato di Gaspara Statnpa (lettera VI),
dove egli tratteggia con amarissime parole il ritratto
del pittore Nadalino da Murano, voile certamente
ritrarre se stesso e le sue misere condizioni: «La
poverti lo ha si fortemente avvinghiato ch'ei non
pu6 uscire da quelle maledette strette. Rigattieri
e credo fin anche cenciaioli, a' quali h costretto
vendere Topere sue, si godono il frutto dei suoi
sudori, pagano un nulla ci6 che poi rivendono
dieci tanti. Dirai: pur troppo h questa la condi-
zione di certi ingegni ritrosi e come a dire sel-
vaggi. T'inganni: Nadalino ha maniere accoste-
voli, piacevolissime. Certo che non piaggia, non
lecca, non istriscia davanti a' magnati: commes-
sogli bensi da questi alcuna cosa, adempie gli ob-
blighi presi con scrupolositii religiosa. Ma questo
poco gli vale. Vuol essere bisca o bordello per sa-
lirne in fama d (2). Vedemmo g\k quale condotta
egli abbia serbato negli anni della rivoluzione ; con-
dotta che, pur usando nel giudicarla di ogni in-
dulgenza, non h tale da conciliare simpatie all'uomo.
Gravl fiirono le censure e i riraproveri fattigli,
e il Tommaseo, gi^ suo amico, gli scagli6 contro
ingiurie veramente atroci e per la massima parte
(2) Cfr. ed. Lemonnier cit. vol. IV, pag. 34.
immeritate (i). Com'fe noto, Nicol6 Tommaseo,
intelletto potente e terapra di carattere meravi-
gltosa, si lasciava talvolta tradportare da raocori
(i) Come sappiamo, tra il Tommaseo e il Carrer esu
una amicizia di lunghi annt, che le parole che piCi t
ripottianio ed altre ancora del T. dimostrano speiiata e i
zata viol entem eat e. Certo la prima cagioae delta toI
e del fierissimo giudizio del T. t da cercarsi Delia i
dotta poliiica del C., che dovetie fortemente spiacere a!
temerato e inSessIbile patriolta; ma fotse altri inotivi
a^imsero, piCi streCtamente personal!, intorno a cui
mi vemie facto di trovaie documenti. E cib serva a :
gare la lacuna che puCi notarsi a quests punto. — ]
intanto le parole del documeoto, a CDi si acceana:
• Al signor. ... a Venezia, dicembre i8f 2. . . . C01
non ml t maravlglia, at mi fari togliere dal Dizioi
Estecico le lodi gii di lui deite; e queste e alire sue
cole ribaldetie usatemi, tanto piccole che sfuggono alia
rola e all' indi'gnazlone, gli saranao, cred' io, perdoc
insieme con la traduzione di Lucrezio, la quale egll ten
non per amore delle elegaiue latioe mal note ad esso
per devozione a quella etnpieti rancida; perdonate iosi
coc la Fata Vergine, la quale egli, fome monello coo
sate, perseguitb pei il corso di quasi trent'anni con 1<
ottave, sospingeadola per monti e per valli, sroaoiosa
datno di perdete la vergiaitii (idea non so se pib fri
o ignobile o spielata, che ritrae il cuore e la mente
I'uomo) ; perdonate con quel suo gutrra gutrra I amn
dato da ultimo con un baita basta o dalle suppUcai
reiterate per avere la paga; e con quelle altre sue m
aereue e mezze abiettezze, che non osavano esser in
perch£ egli era squisltaraente vile, e riieneva della na
pieblea, senza i pregi, i difetti rinvolti nei fari de' sig
I
APPENDICE ALLA " VITA ,
Introdaxiont ad un'autobiografta. — Prenderanna es
pertont cbe Uggerantio Vautabtograjia), ne sono sicu
letto a rivivere negli anni delle illiuioni e Jelle spi
a rianiineramio alia loro fantasia quei primi momt
iDquieto desiderio, dj sconsiderata aliegrezia; rinasci
alia loro memoria le rusticbe ccDC, i paurosi cc
I'aiisie secrete, i sogoi tutti piCi dold e pili fiiggitiv
nostra vita. — E cheiquesta vita? Ahimil che s'io
indietro lo sguaido, non giuoto ancora ai trent'aii
crepacuore del pauato, una nausea mi prende dell
nire; mi cade di maao la penna, mi s'infosca la vi
Inlanto non potrei meglio iusiagare la mia inalinc<
apparecchjarmi alia partenza, che scrivendo queste i
lie, le quali vogliono essere come il mio testamento
esse soDo sincere. . . . . u
(Franimento autob. ined. - Carte Zannini, Vene
i pubblHif. auttu (OBiKrainwiiii pOMia, .Morcbt po«ri
■ in piTEB irtidnieiiuH, CDCU docDnKBIi uui notevou, etu
Una professione dl fade.
Sti quaraDtaset'ani che mi go
Me xe tuti passai ae 1' ilusion
De aeittmt el piii gran liberalon
Che u dir al bisogoo el feto so.
Cussl bo pensJi fin Talira dl, ma po
Che xe sta fata la Revoluiton
Me so sentio tratar da todescon
Come e parcossa gnanca mi nol so.
E go sentio chiamar verl italiam
Certuni che per dir la veritji
Li credeva la spiuma del pam)i(i)-
Posto che de sto ii^ano i ra'i cavi
Vorave dai mi boai veneziatti
Vegnir su un alcro ponto ilumini.
Go credeito fin qua
Cesser ud galaotoroo, tal e .qual
Come ctedeva d'ejser liberal,
(Che credeva pur mal I) ;
E quei cerd che ho abuo da nominar
Che i fusse zeute da lassarla star
Chi DO vol mormorar.
Saravela aoca questa mai cusst
Che i fusse lori peile e birbo mi?
Ma plan, se ghe xe chi
Vogia dirme; se onesti tuti do,
tatendcssimo ben, que sto po no.
1 la iarmi per firln •airui ndla tcirpi. Ilctifi <
»Kli.. ri
La Venexia d«l '48
Finimo sti sempiezzi (1)
Sto impianto, sio bacAa ;
Disemo pan al pan,
Sv^emose an tantin.
Qua no ghc xe pifi bezii
Tuio xe andi in malora
Zigar viva Minin ?
Che liga quelle schiape
Che iu ga messo in posto,
E che xe uq vero rosto
Senza n^ ti at mi (2)
Zenaii, conta slape (;)
El facendier Peiaco
Malfaii, Belinato.
Stroiai fia I'altro dl.
Che ziga (4) quele mate
Che fa le cercantine (})
Sporzendo !e musine (6)
Per zelo citadin,
E tuti quel che sbate
Le man e fa schiamazzi
A spese dei gramazzi (7)
E a conto di Manin.
Podt lontarghe a quest!
£ far la iisTa longa,
Chi s'± itnpenio U pODg3(i)
Co apaiti e comission.
E tuti quel foresti
Che qua xe capital
In aria de soldai
Per star de drio el machion.
I stna&ri (i) de gheto,
I ludri dc Florian,
El circolo italian,
Giuriati e Da Cam in,
Serena, Foscoleto,
Zente che lica e scroca:
Xe questi che ghe loca
Zigar viva Man in.
Ma mi ban galantomo
Mi vero patriota
Sti scandali do ingioto,
No incenso un larlatao.
Trateme pur da tomo(])
Da stolido, da maco,
Diserae pur croato.
E come tal domando:
De tanti beiii spesi
In piti de nove meji
Che fnito s' i cavi ?
. J
Nt picolo, ni ]
Nome(i) che tuii
I gik U gran pitoca
Co i due tta citi.
Tedeschi pili nc
E certo uo ben xe
Che tuto quaalo el
Xe gnence al paraf
Ma adasio, perc
Che dopo tanti gu:
No sia che baraiai
1 Domi in conclusii
E che le cosse
Resue quel de ava:
In giingola (}) i bi
La zente onesta z6
Per tuto la so i
Che vien, rechiza (
E grami chi se aza
De dir raDimo sb ;
I lo tol su, i lo
E a] caldo i te lo
E xe uDa baza grar
Se i 1q condnse sat
E dopo che i mi
Se aodando de $ta
La quondam Putlsii
No gera un marzaf
ate
n
No ghe xe pill Ccnsura,
Che tuti stampar pona.
Stampar ? Siorsl, ma cossa ?
Lasagne e gnente piCi.
O qualche avacuaura
Del secolo pass!,
Da andar vestio e calii
A casa de Colti.
Vardemo i giomaleti,
Q^ei che xe fior de roba.
El sior Antonio Rioba
Ritrato de sti dl ;
L'abaCe Capeleti
PaciGco Valussi
[Cagadoaai, (i) che fotsi
Dove che digo mi I]
Vt proprio un b«n che conta
Su libertJi de stampa;
Per mi, meglo la larapa
De Monsigoor Piaatoa.
Meteghe po' per lonu
El gusto che i ve fazza
Soto i balconi o in piazza
Qijalche dimojtraiioa.
De quele Z3 se iateade
Che adesso xe a la moda,
Tute de lente soda
Amici de runion;
De quele che no ofet
Che el povero privato,
B che nel Comiiato
No trova aposldon.
El Comitato ? Ud tre
De birbi e de spuiete (3'
Ga in man la nostra qui
E fonna el tribunal.
Se no la digo, crepo;
Co vedo de sci esempi.
Me augurerave i tempi
De Chibec e de CaL
Fatani che gaveva
Sul cuor tanto de pelo. ,
Ma un Anzolo Comelo
Ma ua Scarpa I Mo Sign<
Almanco se podeva
Tegnerse a un che de m
Senia pensar el peio
In fondo al cagaor.
1 ga, qnalcun m'hi di
Dovesto compensar
Chi ga dk man a far
Id marzo el rebalton.
Mo bravi I Mo pulito I
Cnssl, ve lo prometo,
Se acquista un bel conce
De la rivoIuzioD.
Che quando che i :
Su e u»o in seatiDcU.
Xe grama la pucela
Cbe pasM pet de U ;
Go a chi me li vai
E>ovesto dir in boui (
Sta civica pissota (i)
Xe iin cancaro in vegu
Se prima no i stud:
Cbe i gera in boca al
Co sto sistema novo
Me lo Mvari dir.
Xe vero cbe a far
I i messo dd sogett
Che II &rji star quieti
ScuaDdoghe el morbin;
Col don de la paroh
El Volo, gran poeta,
Bernard! batoleta, (4)
Solilro e Romania,
Ma gli omenoni am
Ho pol fit dei miracol
E gbe xe massa ostaco
Ancuo da superar.
I toii baronzeli (;)
Fiii della scuola ossae
Ghe piase le parae,
B chiauo e el scorabl
f- (») »gg. nwo pn diipn
1x8
In fiiti da una banda
Lassemo sta Speranxa;
Mi za ghe n'6 abastanza,
Se el resto go da dir.
Giv^ chi tien locanda
O a megio dir furatola, (i)
E quel che se iozegnatola. .
Zk me pod^ capir,
Magazenieri, siore,
Boteghe da caf6:
Sul resto vu pod^
Tirarghe un bel croson.
No vedo che malorel
E xe i principi quest! 1
G> i molarii i protest!
Alora vien el bon.
Zir& per Merzeria,
Cossa troveu? Galoni,
Hocchi, spalari (i boni
Za se li pol contar)
Negozi de scarpia (2)
Da fiir pianzer i sassi,
E fora a ogni do passi
Botega d'ajilar;
Paroni arcicontenti
Co i ga tocii do trari, (5)
E dopo a far lunari
Insieme col garzon.
(1) piccok e oacttim bottega di conmetribiU. (a) ragaatcU. (j^ trari o
tragiariy piccola moneta d'argento di bataa lega, del gOTerao Veneto del Talort
di dnooe toldi.
119
Parl6 coi possidenti
I 6 bechi e bastonai:
De fora i ga i soldai
£ le requisizion,
Qua impresd, qua la banca ;
Un fi4 d'arzenteria,
Chi la gavea, sioria, (i)
L'^ andada al so destin;
Batue che mai no manca,
Colete a piii no posso;
E CO i se tasta adosso?
Petarselo (2), un scontrin.
Che i vada \k quel siori
De TAssemblea, che i n*k
Conzai come che va.
Da no poder de piCi.
Col far tre ditatori
Cussl dal dito al fato,
I s*ii scorU (3) el mandato
£ chi ga abuo, ga abii.
Ma cossa se podeva
Spetar da quela zente?
El manco mal xe gnente,
E far come el garbin. (4)
^ernirli, se doveva>
E no^ come martufi, (5)
Tor su de tuti i stufi,
Dal sbiro al capucin.
(1) Mloto confideniiflle. ( 2) non taper cbe fimM. (3) fC0MO| tcrolUt«»
(4) TtBto di Hbecdo. (5) sciocco, Kiuunito.
i
n
120
E^eto una Tentena
(Che saria tuto dir)
El resto pol tegnir
G>nsegio al magazen.
I va dove i li mena;
In quela babilonia
Xe mato chi se insonia
De dir gnente de ben.
Poveri vechil Un zomo
Pensarse in quella sala
El patriziato in gala
In vesta e parucon;
El dose col so corao.
In stola i senator!;
El nunxio, i ambassadori
De tute le nazion
E adesso? oh Dio che salto !
Zaltroni, babuini
Xe i Nani, i Morosini
I Dacdolo, i Comer 1
Cossa lasseu Ik in alto
Quel Dogi! Deghe el bianco,
O la coltrina almanco
Tireghe de Falier.
Sgra(i& (i) quele piture
De tanti rari inzegni;
Sti tempi no xe degni
De meterghe i ochi su.
(t) gr«ffiirt| caacelUre.
Del t
Fercb
St
Por«
Hna
Parlq
No b
Eh
Su q'
Xeqi
La m
St
Com
C05K
Cedol
Ghfei
Vi t
De to
CtusI,
Co in
E chi Qo mecredcMC,
Che a TArscul el vada:
Se pol liru de spida
Per tuio quel local.
Xe bravo chi tavesse
Tiovar alCro cbe vodo ;
No ghft pill guinea un chiodo
De taato material.
Saveu coua x cata (i)
Aocora a 1' Arsenal?
Elsangue de quel tal
Cbe i gi tachfidk.
E qiulcbe tcata maia,
0 a megio dir cuot doro,
Mostra per vanto el muto
Dove che Vt sgiaozi. (i)
E su al Govemo? Tuta
La loba in man de zente,
Cbe no ga abuo mai gnente,
£ adeuo xe altimon.
Co ga piovuo I se buta,
Cussi tuti inCingai,
Sora quei bei sofai,
Cbe le una compassion.
Su quei tapei costosi
1 fa sgiotiar le ombrele;
La carta e le caodele
Che i tru& ao ga fin.
In s
Che qu
Istntui
Per bat
Tfw
Sempt^
RoGani,
E quale
In
I felon
Dal ml
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Zaaeli
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O i rol
Mladei
Co
Tipol,
Rii^rai
Chega
In^
Hi v^
Dir sua
(Chi M
Maria, prima e
In fumo el cota e
Sto povero paluo ■
Se raconunda a i
Qjiela se seiof
Che assister m'i i
Gie sempre ga u
Come tirarne su.
Vardfc Che a &
No Tegna £ato iu
Cbe DO se veda al
Mlnistri col tali.
Che almanca i
La zente per la «
La raba? Che la
Za poca {uti ghe i
Ma, dopo che
Che no ve diga ai
Cbi vive in magni
Che i t lori quei
Che sd frodei :
Ai 10 ftadei U coi
Che i libeTali acoi
Un BJi de Uberti.
Che sia San M
E no una fanUaa,
Che un'aquila nol
In foima de leon;
(i) flail, (i) nugianii, grcppb.
Che el popolaio nuito
Che
Ma qiu
No tuti
Che
Qud c1
Che tut
De gua<
Scg
Far sag
Per MTi
Sto ul,
Sia 1
Castelo
E el do
Che el
<t) Icgnklo Ji itnpMio.
Per I'slesione dalls nno^
No s'i Eaio riocontro
A formal' rAjsemblea, ch<
Su per tali i canlonj dei
Che dise: oe, lecoTdc
Fra quanti ghi a Veoezia
E grami quei che a nissui
Ve so dir che i la tali, p
Ma sentime un pochet
Xe rAssemblea co la sari
Opur vOaltri che ga da d
Se vuattri, perchi I'aii
E a ci6 cbe far la possa
TieoU queU gran sala pa
0 se, com.
Cera inteniion de tuta U
De sur a quel che I'Asse
Coss'6 sta 9
De vignir fora adesso a c
A] deputad quel che i ga
Se credessi
Cuss) i do diUttri, la lali
Perchi piCi tosto li desont
Mostrando
Bisc^o, se se vol che i i
De far che barcarioli e hi
Venne un nono CoDj
O fraglia ch'£ lo stn
Di dotti iuliani
Spendenti a piene mi
GvUti, liberti.
Ma t bea cb'io sosti
— Ni
Se U
U di
N6 n
Cotm
— N
E coi
Nell'anno quaninsetM
Con o senza basette
I garruli dottori
DestaroDO romori
NelU d'ical dttj. . .
Ma £
D'un pazzo Bonapart
O'un Cantb imbratta
Soni) ia bocca Masia
Leopoldo e forti lai
Qrca Nando maestJU
Mai
9- Alfin la polizia
Si mise su U via.
Nico e Daniel fur fosd
Dove albergano gU osti
Gratis rumanit^..
Ma t ben t
10. II giudizio statario
Qfiietava rEstuirio,
Quando cadde Filippo,
11 sua fedel Gonippo,
La carta- veriti...
Ma 6 ben c
11. Lo squittir sulla Senna
Del Gallo udl Vienna,
SI che apene ta bocca
E assest6 it dardo in cocci
A V verso alia realtl...
Ma £ ben e
13. Un venerdl mirzuolo
Ud piroscab, a volo
Da Trieste venuto
Nunnb d'una statuto
La prima velleitft...
Ma i ben <
I}. Pochi, capitanati
Dall'adunco Giuriati,
Chieser a Falli gonzo
Che lasdasse ire a zonzo
I due in eattivitJ...
Ma i ben (
14> Griuia fatu, U ptebe
Quasi pecore lebe,
Corsero alia prigjone,
E quel doe, in processione
Portar di qua, di U...
Ml t ben ecc.
I }, II sabsto sommossa,
La piazza utt poco rossa,
La guardia cittadloa,
La pace ipocritina,
E un moito airarianl...
Ma fc bea (cc
1 6. Palfi, Zichi, Martini
Sognando altii astassini,
Vinti dalla paura
Cessero alia congiura
La picDa autoriil...
Ma i bCD ecc
17. Tratto fuori il cadavero
Del Icon, con ua bavero
Speraitdo screziato
Farlo risusciiaio,
L'aquila mise un eri^.
Ma t ben ecc
18. La flotu pib che mem
Alia polana orezza,
Le due fiche distese
Al veaeto pavese,
Serbando fedetU...
Ma t ben ecc
29. Due frad, un Udro e un
Danna iier scaccomatto
A tascbe ed a borselli,
Montaodo gli sgabelli
Delia pubbliciti...
Ma i ben
]0. lotanto i govemanti
Per boria deliranti,
AU'eoganee cittati
Smeotiano i comitati,
Sfaceano i podesti^.
Ma t ben
}i. II Trivigian Biaochetti
Punse con bruschi detti
L'eroico presidenie,
Che reputava ntente
La provindaUti...
Ma t ben
]3. E i Veneti sd^nati
Dd Veoezian t<^ati,
Si iao dell'Atta Italia,
Bl^endosi a balia
La principal ill -^
Ma t bee
}}. Ma le provinde, ahi tato!
Tutte allaga 11 Cioato,
E ricinge d'ostacolo
L'eqaoreo propugnacolo
Ch'i nostra vanitft...
Ma 6 ben
.)4< Re Carlo, sola spada
D' Italia, tiene a bada
L'oste »no a Verona,
E la gente caozona
II re che vuole e fa.^
Ma t bea ec
}S. A Gocine, a randelli
Dan di pi'glio i monelli,
Strillando in bnitti metri.
Via i noni, via gli scctri
£H tune qualitl^.
Ma i ben ec
}6. Si chiam6 I'Assembtea
A ruminir I' idea
Se fotM la Tusioae
Fta gl'itali occaaione
Di morte o sanitl...
Ma fc ben ec
ij. L'ampleiso dato al Sardo
Fu lafdo, til bugiardo;
Fugge roito a Custosa
Alberto, e inglorloM
Tregua sull'Adda fa...
Ma i ben ec
}8. Canei, abrario e Colli
Dabben, ma flosci e molli,
Patiroa la commedia
Che bnttb gib di sedia
L'estranie potestl...
Ma t ben ei
J 9. Lo Spurio ai suoi segi
Grid6: non pib gl'indu
H^aie al volet mio.
Doe d\ governo to,
Poi TAssemblea diri...
Ma e b
40. Vot6 U compagnia:
Manin dov'i, ci siia.
Graciaiii, Cavedalis,
11 minma de malis
Compian k trioiii...
Ma 6 b
41. Tommaseo, poi Meoga
Cod Iropeto spavaldo
Corrono in Frand> a ]
Che COM? Niun intend
Seppe, nk mai sapri...
Ma £ b
42. Prati, Gamba, Zannini
I Purisid, Bonlioi
Legati, carcerati
Bastonati, sfrattati
Scontar I'albertiti...
Ma fe b
4}, Solo al Gaitiganucti
Nod tocc6 mali tiatti,
Fuoccht U vil parola
D'un cbe suppUsce sco!
E da supplir dod ha...
Ma « b
44- 1-c sarde nivi e trnppe
Fuggon le nostre zuppe,
E spIaDO da Ancona
La srelU trisu o buona
Che le rUcbiareri...
Ma t ben ecc
45. Va it Sahium tramutando
In Danlele Nando.
In Carlo Danlele,
Poscia intuooa Infedele
La ditutorietl...
Ma i ben ecc.
46. I prestiti foriosl
Si finno {nb gravosi,
E i milioni dodid
Stentano a uscir dai po^ci
Delia comimiti...
Ma k ben ecc.
47. La possa dittatoria
Profesu e K DC gloria
La politica gretta;
Aspetta, aspetta, aspena
Qjialcuno vlnceri.^
Ma i ben ecc.
48. La mischii al CavalUao
CI fruttA un cannoocino
E una sottil spingarda;
E il popol: giurda, guarda,
Dicea, che noviti...
Ma t ben ecc
. Kell'asMlco di Mestie
Tutto tulto pedesue,
S'ebber cinque cannoni
E sdcenio prigioni
Merc6 I'oscuriU...
Ma h ben
*^oglietti e foglietucci
mbrogliano co' Ucd
,a bestia millepiedi,
:h'or basis or alu vedi
lome la sfena di...
Ma £ ben
lel circo italiano
let drco popoUno
.azaneo, Da Camin
iacca d' impu^iti...
Ma i ben
Mcun del conuiato,
^IcuD del triumvira:o,
luidan scampaaamenti
>)ntra i savi e i prudent!
^'aman ringenuitil...
Ma i ben
.a nioneta di carta
'a fa maugiar di Sparta
1 nero brodettino,
ik si trova utt quattrino
'iel veneto casnit...
Ma k ben
$4- Q Dall'Oogaro, it Revere
11 Mordiiii pel Tevere
HuDo il passo : gjtttoni I
AmbuDO i tegpolooi
Delia Mvraniti...
Ma t bea ecc
}{ L'Atxmblea di rilate
A quote genti care
1 triumviri voquo,
E ridettar dal sonno
L'elettoralitL^
Ma fe bea ecc
56. Fit i membri convenati
Siitori, BenvcDuti
Tommaieo, al principotto
Fanno it sentier pib rotto
Dell'uriDarieti„.
Ma k bea ecc.
57. Spenta la dittacura,
Mania caogia vestura,
Ma di vttto non cangia,
Ei vorrebbe ta frangia
Dell'ex Sereoiti^
Ma i beo ecc.
jS. Son dittatore, o clie?
Via di mtxzo noD c'i;
59- L^ sinistra in:
Le ciglia urla
II sovrano sia
Ci seccano gli
Delia necessit:
)uei di San
s all'usdo
illano atrot
|uaDta appi
acepe la n^
li compent
Se la sedii
I'abbia e t
niel d'impi
ive 31 pad]
e k tempo
n giA dl bl
gli oh, coi
Ticin: du
□ ctaiede p
nuionalib
69- 11 decreto amgotico
Alia barba del gotico,
Sumpato bello e tondo
Dal fopdo
La gente stupcRi,...
Ma « ben
I un quinto salasso
□on iiK chiasso,
lirt v'impoae
: con le buone
tabiliti...
Ma i ben
quanquattro forti,
1 so quanci porti,
a lo stendardo
il becco gagliardo
riosaviri....
Ma 6 ben
e, il bianco, il ros:
non t s\ g rosso,
dicon, paura,
:rae e cariii.
Ma <: ben
75. Al mire, al mar si cania
I trabacchi quaranta;
Che la neinica flotta
Tal men d'uoa ricotta ;
Fede e si vinceri.. .
Ma i ben ecc
76. I generai tedeschi,
II supremo Radeschi
Intimano la resa ;
MaoEn cita a difesa
La comun volontft....
Ma t ben ecc.
77. Haioau fa la dijdetta
Ai consoli, che in Iretta
Esortano i paesani
A fug^e iontani
Da UDta ceciU....
Ma t ben ecc.
78. Ma a Trepocti, a Brondolo
Col faz\] &tto ciondolo,
I Diilitanti eroi
Debellan vacche e bnoi,
Maiali e asinitl.,..
Ma i ben ecc.
79. Ma Genova, Livomo,
Firenze e il suo contorno,
Palo, Civitavecchia
Ferrara e Chi la secchia
Perse, vinti son gii....
Ma i ben ecc
8o. Ml il popol venczUao
IdToU sovrano,
Fida nell'Uagberia
Nella Francia, in Man.
Ma chi I'aiuteri ?....
Ma k I
8i. A' d) venquattro magg
S'ode di raizi e palle
A Marghera, la vailc
Che i matti ingoierl....
Ma ± b
83. La sera del vemei
Dopo un tiiduo d'omei
Mai^era inespugnabile
Si decrei6 espugnaUle
E che si la^ierA,..,
Ma £ b
83. Per la diti in pib rid
RaccoDtano f fug^d
La saaguinosa istoria,
Rampognando la boria
Del preside pap^....
Ma i b
84. II tedesco qual lampo
Porta piii iananzi il ca]
A Ma^hera, sul ponte
A San Giuliano, ed onl
Piii fiere allesdr^...
Ma k bi
Di qnHU (Mini, cba irarui iKdita fn le ui
dtlla ioei* t^, It URrf* 7i< • 71* loao unohit
PrBflunsatl polUlei.
1.
- Se U sorte hai pur besigna,
Cidon dieci e dieci tanti
NascoD ccme la gramigna ;
Chi di voi gran parlatori
DeH'impno at la potenta
Chi resbtere mai pu6 ?
Sorgeranno in un motnenCO
A spaizar I'oro e I'argento
Mille mani e mille eroi ;
Vengan poi pur i Croati,
Verran essi ed io n'andrb.
G diran vigliacchi ed empi
Ma il denaro Tavrem noi...
— Tu favelli iroppo schietio,
Basta, intima il preudente —
- Ci6 non dico. E conlidente
Al cotlega pailer6.
Percbi t resa ormai perdente
Gil r italica congiura. —
- Sitenzio, in queste mura
Qualcuno udir d pub;
Duopo ( inganoar i compllci,
L'ascuzia e la baldanza
I prowidi dccreti
Di zecca e di finama
PoMon calmare i palpiti
D'un generoso cor.
Poaiamo che d'aogustia
Uscisae il oostro cor.
Ma per salvar Venezia
Ci6 saria poco ancor !
Egll t un bel dir, Veneziat
Ma se resliam pitocdii
Invece che di maniri
Avrem fama d'alocctu.
CapiKO, t questo il canchera
Che mi divora il cor,
Ma di saivat Venezia,
Dobbiam provarci ancor.
Quando pur ci fallisca I'even
Non rimanga digiuna ogni bram
Troppo acarsa mercede k la fain
Per chi lascia il comando c ne
- Che risolvi? A cena vieni
Mella casa del Comello;
Parlerem coll bel bello
Per salvard con onor.
Ma frattaoto che mi dici
Che sperar mi lasci aifin 7
- Nulla e tutto — Ehi, ser Daniel
Jo son un, non sel tammenta,
Uq di queili venti o trenta,
Del comploito redentot.
Quel comp lotto si fedele...
Oh lidaievi in Manin I
- Qualche cosa di far vi prometu
Qpalcbe cosa di grande e di gn
Per or dirvi che cosa non posKi
Dopo cena, pei6 si saprJl.
Sulla vosira paroU ripoao;
E m'aspetto qualcoM di grosso ;
Per qualcOM cod vol mi son mosso
Ed ho fatto ballar la citti. —
II.
— Dal meui, dal goveroo, dal ghetto
Qualche cosa imparato egli avrl ;
La miseria, U natal poco aetto
Fan coDtrasto crudel caU'argogUo.
— Qqd cbe sono esser vogUo e noa vc^lio.
I^b che invidia ben merto pictl.
III.
— Issa, iisa, issa 11
Ed 6 vero ? Bene sta I
Egli 6 ver, Tutti lo narrooo
Per la piaiza, e v'ba chi giura
D'avec letto sulle mura
Uno scritto pien di fiole;
Proprio il none di Daniele
Proprio il aome del la madie.
Qjiello speccbio di virtjt?
Bada, tira, tira \k.
Bene >u]
Ma chi dicoDO che fu ?
1. Hanno detto che un auitriaco—
2. Ui austtiaco owero uo prete...
3- Morte a luiti, e viva n<
Vale a dir Daniele e i
E che [utto sia del pi
4. Ml prndeozi un pocc
,Cantkm I'iimo di Ma,
IV.
Sol quel celTa d'aguxz
CoQ chi cede aoa si 1
Q;ia spunconi, qua tri
Se gli cavin le budelli
Oh pro' i
Egli vien per fare i e
Su conipagni, tuiti pri
D'ar$enal se vivo gli
Pu6 esser nostro il si
Oh pro' \
Sa Manin il sua peri^
Quel dot del coloniM
E dal cor prende con;
Cuor d'uom giusto e
Oh pro' ^
Ei si mostra all'arseni
Ei la dvica conduce;
Se gli schiudon squeri
Giusta il patto clande:
Oh pro' *
Can ceffi. £ dolce il canto
La sednta dell'ABBemblMi d«l a aprila '49.
laaprUe. — Furono alle tre raccolti i Rappresentanti a
porce chEuse, onde che S. Papadopoli disse buonamente-
Siamo prigioni. Aveva il Manin esposto il giorno inQanii
il dispaccio deH'Hainau che diceva; esser ormai tempo che
i Vtneiiani prendessero una saggia deliberadone, e il go-
verno ctssasse dalVopprimirt una popola^ione affascinata. In
quesco dl lesse con fioca voce una iettera di T. Gar iaviato
nostro in Toscana, che conteneva con so quali aperanze.
Foi disse non esser le cose che il Governo sapeva, da dirsi
e che deliberassero. Tutti tacquero, Un tale, ftjrse I'Olper
(da altri ho udlto che fosse il Benvenuti) disse che egli^
il Manin, proponesse il da farsi. Ritornb il Manin alia bi-
goncia, e cangiato il mono fievole m forle, proruppe:
Jfofe disposti a resisUre ad ogai coito ? decidtte. — Si, jJ, gri-
darono da quindici a venii rappresentanti. — Ma allora
cccorrc concentrare la forza del potere, perchi bisc^eri
usare d'una mano dijerro. Occorreranno deliberaiioni subi-
tanee in cui saii da operare per inspira^iottt. — Bene, gridd
il Talamini. — Ebbene, vulete dungue darmi illimitati po-
teri ? — Si, ii, risposero i quiadici o venti. E la deUbe-
ratione si ebbe per unanimemente presa. Fatto questo in
pochi minuti, si spese una grossa mezz'ora a dlscutere
suile frasi, con cui esprimere il decreio; poi u disse di
votare per atzata e seduia esso decreto e senza curarH
della controprova o tiprova voluta dal regolamcnto quanda
trattasi di votazioni per alzata e seduta, si ebbe per defi-
oita la cosa. II decreto fu affisso ai muri della citti, e
due furono 'incarcerati la sera stessa, uno per aver lace-
rate il decreto, I'altro per non so quali ingiurie proferiie
sul coDto del Maoin. Percht in tanta votazione non voter
U solita votazione, o quesia almeno nan votare di non
volcria ? E a Tommaseo sostenitore del voto segreto perchi
tacque? Non li badd che I'unanimili in »1 fatto riosciva
sospetta, e induccva il sospetto che si avesse fonata la
volenti dei rappresencaDti t PiCi d'un deputato la sera
stessa si raosIr6 cnalcoDtento del modo, come di violenza
usata alia liberti delle deliberauooi. Ed io il racconco
suddescritto I'ebbi discesammte da udo di essi superiore
per oaesti e per iagegno ad ogni eccezione. >
(L. Carrer - tijOftrtlU intdiuper una storia del 1848-49
~ Carte Zannini).
II tmnnlto del 3 sgoato '49.
« II giomo ; luglio (il Carrer erra) circa le utia e
nieito eotrarono il Giuriati e il CafB aetie camere della
Pubblica Benelicenza id Canonica a strapparvi la carta del
Dandolo che coralnciava a copiirsi di numerose soscri-
lioni, a capo quella di S. Emioenza. PortironU al cafft
Ploriao, a leggervi le soscnzioni, poi al Maoiti. Si misero
quindi alia testa del charivari, con pid il Foscoletto, altci
aggiunge il Vart, altri dicono soprawenisse pili tardi, e
giunti alia piaziuola Quiriai entraroro per una finestra
terrena del Palazzo pacriarcale a manomcttervi ogni cosa.
ScambiaroQO perb TappartameRto del Qjiirici per quello
di S. Eminenia, e questa v' ebbe il minor danno. 11 Tom-
maseo parla, ma noD gli d bada. Giungono i gendarmi e
quest! caricando la moliitudine colla baionetca la fanno
scappare. Ritnasero feriti due del corpo Baodiera e Moro,
che coQ altri de' Cacciatori del Sile, aveano prew parte
al jaccheggio. Per tutta la citil fii battuta U generate, ina
pocbi v' accorsero, e il piCi chiudevasi nella propria casa. a
(L. C, cit. Noterelk ined., ecc.)
'55
Lm destitasione del Carrer narrata da E. Cicogna.
« Emanuele Qcogna nei suoi Diarii cosl narra la de-
stituzione del Girrer da direttore del Museo. — Si awerta
che il Cicogna, impiegato austriaco, era tutt*altro che
tenero delle idee liberali :
« Fu sospeso dair Impiego di Prevosto al Museo Cor-
rer Luigi Carrer, e cos) il suo assistente Jacopo Vincenzo
Foscarini, ii primo pel Canto di Guerra giii stampato, il
secondo per aver preso le armi contro il Sovrano. Si ri-
marc6 dal Podest4 che il Carrer e il Foscarini coprono
queir impiego come privati non come persone addette al
servizio Regio o Comunale o Municipale, e che sono pa-
gad da una ereditA privata quale i quel la del Museo Cor-
rer, che quindi non si possono n^ destituire n6 sospendere.
Ma ci6 non valse e sono sospesi. Stendono ora (19 otto-
bre 1849) un Ricorso al Montecuccoli. Pare anche a me
che il Carrer potrA bersl esser sospeso dal soldo regio di
Vicesegretario airistituto e da quello di Membro pensio-
nario dell* Istituto, ma non mai dall* Agenzia privata di
Casa Correr, che tale t la prepositura, lo credo anzi che
il Carrer abbia stampato quel Canto di guerra (fino dal-
Taprile 1848), pid per far mostra del suo t^lento che per
vantato spirito italiano, e meno per eccitare ilpopolo al-
Tarmi contro ii legittimo suo sovrano. Tanto ^ vero che
in tutto il corso della rivoluzione non figurb mai nb con
scritti nh con atti incendiari. Anzi era tenuto per austria^
cante, »
(V. Diari cit., vol. 4*, sotto il titolo : Continua:^ione sue-
cinta delle conseguen^e della passata 'Hjvolu:^ione ).
A
Sempre intorao alia desdtadoDc il Carrer scriveva il
MoQtanari e ad Eugenia Pavia Gentilomo:
a Invcro (ui tutt' altro the utopista Gn dal prindpio
della tivoluziODc; ami I'aver preveduto le disgraue cbe
pur troppo cODKguitarono alia mil pensata e peggiocon-
doRa iotrapresa mi fecero guardar di mal occhio dai sedi-
centi liberali e liberatori : sul qual fondamento stesi la mia
(Lettera ined. a B. Montanari, 9 uovembre 1849. '.
btiot. comun., Verona).
cNoD so s'elU uppU che fino dall'ottobre lo liiide-
ttituito dal carico d! CKrettore del Miueo, a cigione delle
po«sie da me stampate act marzo 1846, e quaatoiique
aitro HDD mi potesse essere apposto, e I'impiego sia d'in-
stttuiioae privala. Hon nuDcarono autorevoli amici che
prendesscTO le mie difese, ed io nesso presentai ai Gor
vernatore civile e militare da. cui mosse il decreto una
rimostratua che mj si dice sordrl buon efietto. E pensare
cbe i sedicenti veri italiani mi avevano in uggia, perchi
non sapevB farneticaie con essi, e ho dato sempre alle
cose i loro nomi, nemico implacabile di tutte le esorbi-
tanie. i>
(Da copia di lett. ined. a E. Pavia G., 1 gennaio l8jo.
Carte Zanninl).
je
155
Quando mod per ferite riporute nella sortita di Mar-
ghera Teroico Alessandro Poerio, il Carrer fii pregato da
alcune signore di dettare la epigrafe che fii scolpita sulla
sua tomba:
am • RIPOSA . ACCOLTO . NELL* . AMIGA . TOMBA . DEI .
PARAVIA . ALESSANDRO . BAR. . POERIO . DI . NAPOLI . CHE .
DATI . ALL* . ITALIA . IL . CUORE . GLI . STUDI . LO . ESILIO .
PER . ESSA . MILITE . VOLONTARIO . MORi . DI . FERITE .
TOCCHE . IN . MESTRE . IL . XXVU . OTTOBRE . MDCCCXLVUI .
DI . ANNI . XLVI.
ALCUNE . VENEZIANE . SORBLLE . ALLO . ESTINTO . NELLO
AMORE . DELL A . PATRIA . CON . PIETOSO . DOLORE . COMMISE^
RANDO . LA . MADRE . LONTANA . CHE .PlO . NON . LO . ASPETTA
POSERO . aUESTA . MEMORIA.
Teadensa al misUcismo.
« Fui a principio mandato a passare buona parte della
giomata in casa di certe doonicciuole che non sapendo
compitare, insegnavano a leggere, dichiaravano la dottrina
ed empivano il cervello dd fiinciulli di orazioni, di fiabe
e di canzonette. Ma poco o nulla io badavo a quest' ul-
time, molto alle fiabe e pid che molto alle orazioni. Fino
dai miei primi anni mi sono sentito una fortissima pro-
pensione per le cose di religione. Le chiese furono sempre
il luogo ov'lo me ne andava piu volentieri, TascoUare i
1
»
i
1S6
divini uSci il aao preditetto divertimento, spedalmente
in giorni di fesU, e quando sicanuvanocoll'accompagoa-
niento degli oTgani. Derivasse da db ana tendenza che
ho Minpre avuta p«l mbtico ed invi^bile, cb« meglio con-
tentiva la mia fantasia del palpabile e piano, o fosse
consegneata delle solertl cure della buona mia madre, che
fiuo dalle fasce ro'imbevette di quelle idee reli^ose, eato
t che Del mia cuore bo sempre no potente nemico del
mio iDtelletto, quando questo volesse discredere e rinnegare
la fcde dd iniei maggiori, e sono siciuo che qaand' anche
arrivaiu a cedere ai discorsi dei miscrcdenti circa la divi-
niti di Getb Oisto e i premi della vita flitura, messo alle
stiette di fame solenne professiooc sopporrei piii volen-
tieri la testa alia maimaia e mi fare! maitire tuetuario. I
pit) solidi Brgomeiiti della nua reUgione staimo in una bella
none d'estatc, nel fragore del tuono e della pioggia, nella
tplendideiia de' sacri riti e altrettali ; a cui
negli anoi posteriori il ma^co effetto di alcnoi i
della Sditrara. »
La forma rotwtda. — ■ Le {bnne rotonde ebbero per me
sempre tin noo so che di ^mbolico e di misterioso, anche
in quelli anni in cui non aveva ancora udito parlare di
geroglilici e di filosofi anticlu. Quel continue ritoniare
dell'occhio al medesimo punto dopo aver girato tutto in-
torno atta 6gura, quella onilbrmita di distanze partendo
del centro, quella relazione col sole, colla luna, coH'onz-
zor.te, col volto umaoo, coll' occhio, coll' uovo e smili.
TESTI ROMANZI
PER USO DELLE SOUOLE
ALLEGE
VULffAl
OFII
,Z)anie
AVVERTENZA
Scopo di queste edizioni 6 agevolare neDe
scuole la circolazione di testi altrimenti poco
accessibili per il prezzo o la rarity del volumi
in cui vennero a luce. La lezione di ciascnn
testo 6 data soltanto come prowisoria ; da ba-
stare cio6 alio studente per prendeme cogni-
zione, e per valersene quando dovesse coordi-
narvi Tapparato critico. Si omette ogni spe-
cie di illustrazionl che sieno di competenza de-
gV insegnanti ; ma quando si trovi opportune,
si aggiungeranno brevi prospetti grammatical!
e glossaij.
B. H.
P oes i e
Provenzali
ALI.KOATE Da DANTK
De Vulgari Eloquenda
*i«««'««<M.*i
GIRAUTZ DE BORNEILL.
n correzloni dal
Olm seotis fizels amies
per ver encusera amor,
mas er meu lais per paor
qem (loblea Tania el destrics;
mas aiaso paosc dir sbs dan,
c'aac d'eugan ni de no fe
uom membret, puoia araei be;
anz n' ai sofertz de grans msls,
E si non grana 1' espies
si cum pareis a la flor,
cujaCz qne plass'al seignor?
aoz Ven creis ira e genzics;
e par qne consir de I' an
en avan, oar sap e ve
que Ros afTarH doIII ave;
q'ien vi c' us jams ferials
m'era mieiller c' us nadals.
emps q'era cor,
nia a desonor
itz doji er aui abrics;
itU BOfrire, qui blaa
que pletz Ten ve
18 li desconve,
je I' era egals,
:a ab mi cabals.
OIEAVTZ DE SOSyEILl
Anjatz, joves ni antics,
pnois en bb baillia cor,
tri de doH diaIs Io mnjor,
Don farial reis Lodoycs.
deu bom bea doDcs rire d'amao
qui I'afan d'amor soste
e nol sap loignar de Be,
puois vB que II retz veoals
es doncs dans d'amor altals.
Erans Bemblara presics
mOB chaos; mas si Diea ador,
pe<;' a non vitz amador
cai melns aoca anta ni trice ;
mas per mieills assire mon chaii,
que Boa tuich cargnt e pie
d'us estraJDB sens aatarals;
mas Don snbon taicb de cals.
E Bitot s'enfelQf enics
per eapaveatar loa lor,
Bi plaDB valors noi acor,
pane i val preca ni chaRticB.
deiis om doncs aucire prejan?
dreig n'ai grau, qn'ieu sai e ere,
mas jes non o die per re,
q'alz verais amies corals
DOQ vai enan lor captah.
Pe,
[mitz,
r solatx revelhar, quar es trop endor-
e per pretz qu'es fayditz aculhir e tornar,
mi cuyci trcbalhar; mas er men aui j^iquitz,
4 per so qnar snl falhlts, qaar no es d'acab&r;
aiRAUTZ DH BORNEILL
cnm plus m'ea ven volnntatz e Calans,
plas creys de lai lo dampnatges el dan:
Oreu es a sofertar, a vos o die qu'anz
8 ouna era jois grasitz e tug U benestar,
hiieymais podeCz jurar que ja de fust no v
□ i vllag mJBlH formlU estra grat cavalgar:
lags es I'afars e grens e malestaua
]i don horn pert Dieu e reman malanauB.
tea vi torneis mandar e aegre gens garni
e paeys del miels feritz una sazo parlar;
ar CH pretz de raubar buona, motoH e berbli
16 cavalierB si' aunitz ques met a domnejar,
puH que toca dels mana motoa belans.
Hi que ranba gleizas ui viandaus.
On son ganditjogiar qu'ieu vi gentacolhi
•>» qu'a tal mestier fo gultz que snlia gutdar'
a vey aenea reptar anar tals escarits,
pua fon boa pretz failhitz, que solla menai
de companhos, e no sai dire qaaus,
^1 gent en arneis e bela e benestana.
E vi per eortz anar de joglaretz petite
gen causaatz e vestitz, sol per domnas lanzi
ar noQ auzon parlar, tant es bos pretz deli
t* doDt ea lo tortK iasitz d'eJas mal razonar.
diatz de quals d'elhas o dela amaiis,
ieu die de totz, quel pretz n'a trag enja
Qu'ieu eys qne anel sonar totz proa bom
31 estauc tant eabaitz que nom aai cosaethar:
qu'en luec de solaasar ang en laa cortz loa cri
qu'aitan leu s'es grazltz de lans e de bran
lo comtea entre Inr cum us boa chaos
M dels rica afars e dels tempa e dels ans.
Mas a corafraucar, que s'ea trop endnrzl
non dea hom los oblitz dIIs viela faitz remt
quemalesalaissar afar puses plevltz, [br
40 el mal don sui ^uaritz nom qual ja mezini
mas so qu'om ve, volv' e vir en balau
e prenda c lais o forsso d'anis toa pan
atHA VT7, .
moa mas chan§soB e mos vers
34 cum fola de saber esters.
Adc nnills efTreis non fo valeus ol i
tro qne moc loing de joi sobregabars ;
c pois die e' amors me tricha
■a per UD petit da semblao,
et iea pert per so que Dom blan
liens parlarB, c'us dans men crec
qnem ten pres plus grea q'en fers
35 per ti, bocba, qe 'n mal mers.
Aras nom letz qan mi valgra preja
qerre merce si fai que moB trobars,
pois tan s' es m' amors africba
36 c' antra non qier uin demao,
clamail merce, qni qeil chan
celliei cui deschausir lee;
fouz descuidatz e deapers,
Ki tot trobaras so quo quers.
El bes qet fetz, si n'eras el fnoc ai
poii loill grazir ; fo doncs mas us baisars
folia res e eel que picha
i'l uou vai 1' obra meillnran ;
ben as pane saber d'eufan
e sit fetz mais que non dec;
piejer qne cill de Beders
Ai tu cala merces Ten refers?
Tal qne lai dreltz mos buoills on bat
el cors es fis e dontz e francs e clars
vas celllel on jois s'abricha
hi loing d' avol pretz e d' etigan
e de mi qen vane pensan,
per q'en magrezisc e 'n sec,
volven de tort en travers
36 pins abronqnitz d'un covers.
£ cuidatz setz m'ennol ni dejunars
niin tenga dan non fai c'us doutz peoss
m'aduria ab una uicha
m sau e let al cap d'un an.
fol, c'as dig? pauc t' en creiran
aSRAVTZ DS BORSE I LL
de 80 e'anc vers non parec;
N fara si loil eaqners
roos Li^anre lai part Lers.
JofM qui per bon eders
DO s'alegra, fole es men.
Oi per mon Sobretots no foa,
qnera diu qn'leu chant e sift gays,
jal suaoa temps, qnaa I'erba aays,
nl pratz ui rams ai bosc Di flors,
ni durs senbers ni van' aroors
noD pogram metre en eslays ;
mas d'atsBom tenc ab lai
que, poB joys falh e fill,
merma pretK e barnaCz ;
e pois las poestati
a' estraigneron de jay,
de quan quel plegers by
DO ton per mi lauzaCz ;
qn'aissim sny cosseillats,
qne nnl ric non envey
qne trap mal senhorey.
Seiha vetx cral segles bos
qaan per tot aondava jays,
e selh grazitz on n'eral mays,
e pretz s' aveni' ah ricore ;
ar appeir oin pros los pejors
e Bobeier selh que pieitz s' irais ;
e selh qne mats adui
cam qnes pot de raatral,
sera plus envejatz.
de quern tenh per foreaU,
qn'om d'avol plait savay
GIRAOTZ BE BORJf KILL
caeiha bon pretz veray
doQ degr' eBser blasmalz,
e vos, quar non pessatz
sis tanh'qn' ora preu autrey
a sel qae lag feuney.
Mai foD capdelada razos
des qu' om tenc per pros los savays,
els frsDcs els cortes els verays
razocet hom per sord^ors,
e moc la colpa dels aussors
quanl devers brezillet ni frays,
qa' eras no saj per cut
tol hom I'onor selui
que D'era adreit cazatz ;
e sils encoreillatz
diran que ben estay ;
mas selh qu' iea do dirny,
sera trop miells armatz ;
e pueis sins embarjaU
de pretz ni de domney,
meos avetz el conrey.
leu vi qu'om preaava cbaosoa
e que plasia tresc' e lays,
mas eras vel, pus que hom s'estrays
de solatz ul de fag/ geusors,
ni I'afars dels fls amadors
se viret de dreit eu biays,
que totz devers defui ;
que ja a'om se debtui
las cams nils vis nils blatz,
e se I'acompagnatz,
ui cresatz Don seray;
mas Dom segral peccatz,
que lai val pane rictatz
qui la men' a desrey,
nl drog nOD sec ni ley.
Er aug del rey qu'era plus pros
o plus valeuB en totz assays
qaan sera lai passatz
al port, OD no B'escbay
qu' cm mBTme soa esmay,
per qu'es conaellla senatz
qn'om de aai se castey,
que aos tortz de lai hdI grrey.
ARNAUTZ DANIELS.
n.inte, De v. Eloq. II, i[, S. Lezione ricosU
eal rasB. da U. a. Canello, La vita a le op
dl Araildo Danlollo, Halle, IS8J, p. 105.
1-1 aur' amara fala broaills brancuts
clarzir quel doutz espeiss' ab fuollis,
els letz bees del auzels rameucs
4 ten balps e mutz pars e noo para,
per qn' eu m'eafortz de far e dir plaze
a maina per liei que m'a virat baa d'aa
doQ Mm morir alia afao^ no m' asoma.
8 Taut fo clara ma prima lutz
d' eslir liels, doD crel cors loa huoills,
non pretz necs maus dos aigoaeaca
d'antra; s'esdutz rars moa prejars,
12 pero deporU m'es adanzir volera
bos motz sea grei de lieis dou taol m'az
qa'al sieu servir sai del \ip. tro c'al comi
Amors, gara, aui ben vengatz,
le c'auzir tern lar, slm dezacuoills,
tals deU pecs que t'ea miellls quet tre
qu' ieu soi tia drutz cars e uod vara ;
nial cora ferma fortz mi fni cobrir maiua ^
so qu'ab tot lo Dei m'agr'ops ua bais al chi
cor refrezir, que uoi val autra goma.
ARNAUTZ DANIELS
8 D' aatraa veaer sni sees e d' auKir aorts
qu' en sola liels vei et aug et eagar ;
e jes d'aisso noill sni fals pinzentiers
que rnais In vol non ditz la bocal cors;
13 qa'eu ai> vau taut chams, vauz dI plans ni
qu'eu un sol core trob aisei bos aips totz:
qu'en lieis los vole Dieus triar et assire.
Bea ai estat a inaiotaa booas cortz,
itt mafl sei ab lieia trob pro mais que lauzar
niesara e sen et autres bos meutiers,
beatat, joveo, bos faitz e bels demors.
g'en I'enseignet Cortesia e la duois,
so taut a de si totz faitz deeplazens rotz
de lleia do ere reos de ben si adire.
Nuills janzimeus non fora breua ni cor
de lieis cut prec qo' o vuoilla devinar,
24 que ja per mi non o sabra estiers
sil cors see dira nos presenta de fors;
qne jes Rozera per aiga que 1' eogroia
non a tal briu c' al cor plus larga doti
23 Dom t'assa estaiic d' amor, quand la remiri
Jois e solatz d' autram par fals e bortz
c' una de pretz ab lleia uois pot egar,
quel sieus solatz es dels autres aobriers.
32 ai si no I' ai ! las ! tant mal m' a comors !
pero r afana m'es deportz, ris e jois,
car eii pensan aui de lieis lees e glotz :
30 Ancmai9,souspliu, nomplac tanttrepsni
ni res al cor tant de joi nom poc dar
cum fetz aquel don anc feinz lausengiers
no s'eabrugic, qn'a mi sols ea trcsors.
10 die trop? eu oon, aol lieis dou sia enoia.
bella, per dieu, Id parJar e la votx
vuoill perdre eu^us que diga ren queua tii
Ma cbaiisos prec que nous sia cuois,
14 car si voletz grazir lo son els motz,
pane preza Aruautz cui que plasaa o que
4 ^ • ^
■'./.
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L
14
JiRNAUTZ DANIELS
VII.
Dante, De V. Eloq. II» viii, 2. Lezione rlcosti-
tuita sui mss. dal Canello, op. dt. p. 117.
Si
Mm fos Amors de joi donar tant larga
cum ieu vas lieis d* aver fin cor e franc,
ja per gran ben nom calgra far embarc,
4 qu' er am tant ant quel pes mi poia em tomba ;
mas quaud m'albir cum es de pretz al som
mout m* en am mais car anc 1* ausiei voler,
c'aras sai ieu que mos cors e mos sens
s mi faraut far lor grat rica conquesta.
Pero 8' ieu fatz lone esper no m' embarga,
qu* en tant ric luoc me sui mes e m'estanc
c' ab SOS bels digz mi tengra de joi larc,
U e segrai tant qu' om mi port a la tomba,
qu' ieu non sui ges eel que lais aur per plom ;
e pois en lieis uos taing c' om ren esmer.
tant li serai fis ct obediens
16 tro de s' amor, sll platz, baisan m' envesta.
Us bons respieitz mi reven em descarga
d* un doutz desir don mi dolon li flanc.
car en patz preuc T afan el sofr* el pare
20 pois de beutat son las autras en comba,
que la gensser par c* aia pres un tom
plus bas de liei, qui la ve, et es ver;
que tuig bon aip, pretz e sabers e sens,
24 reingnou ab liei, c' us non es meins ni *n resta.
E pois tant val, nous cujetz que s'esparga
mos terms volers ni qu* eisforc ni qu'eisbranc,
car eu no sui sieus ni miens si m' en pare,
28 per eel seignor queis mostret en colomba :
qu' el mou uou ha home de negun nom
tant desires gran beuanansa aver
cum ieu fatz lieis, e tenc a noncalens
'^ los enoios cui dans d' amor es festa.
■v-^
A RSA VT Z DANIELS
Na Mieit Is- de-ben, ja nam siatz avarga,
qn'ea vosCr' amor me trobaretz tot blauc,
qu' ieu non ai cor ui poder quera descarc
3ti del ferm voler que non hieis du retomba ;
qne quaud m' esveill ui clan los huoills de
a vos m' antrei, quaa leu ni vau jazer ;
e nous cujetz queis merme mos talena,
40 aoa fara jes, qu'aral sent ea la testa.
Fals lanseugier, fuocs las leogae vos ar;
e que pcrdatz urns los huoills de mal urauf
que per vos xou ejstralch cavail e marc,
44 amor toletz c' ab pane del tot non tomba;
coufondans Dieus que ja uou sapchaiii com
queuB fat^ als drniz maldire e vil teuer ;
tnalaatres es queas ten, descoDOissenH,
45 que peior etz qui plus vos amouesta.
Arnautz a faits e fara Iodch atens,
qu' atenden fai pros bom rica conquesta.
VIII.
vesse essere In mfnle a. Imatc iiiinndo, I'o
baglio, clt6 invecc iim /».- (v. numero |
I.FZioiie del Canello, op. cir. p. IIH.
Xjo ferm voler qu'el cor m' intra,
lion pot jes becH escoissendre ni ongla
de lausengier qui pert per mal dir a'arma;
4 e car non I'aus batr' ab ram ni ab verga
sivHls a frau lai ou non aurai oucle
jauzirai jol en vergier o dinz cambra,
Quan mi soveu de la cambra
» on a mou dan sai'que uuills bora nou intri
auz me son Cuich plus quo fraire ni oncle,
uOD ai membre uom I'remlsca ui oug'la,
aissi cum fai I'eufafl dcuaut la verga: , k
i tal paor ai nou sia prop do I'arma.
qae n'ajon ops palsson, cordfts e pom,
e 'n sion trap tendut per fors jazer,
ens encontrem a ml HI ere et a cene,
S si c'apres nos en cbant bom de la j^esta.
Qu'ieu n'agra colpa recaubntz en ma U
e faicb vermetb de moa goa&non blanc,
mas per aieso in'en soffrisc e men pare
le qne a'Oc e Non conosc qu'uD dat mi plon
mas noD ai ges LiziDban ni Rancom,
qu'ieu pnosca louh ostejar ses aver,
mas cyadar pnosc de mee conoissens,
la eacDt a col e capel en ma testa.
Sil reis Felips n' agues ars nna barga
denan Qiortz o crebat au eatanc,
si qa' a Hoam intrea per forssa el pare,
SI) qne I' asetges pel puoig e per la comba,
c'om no 'n pognes traire bren aes colom:
adoncs shI en qn' el volgra far parer
Carle, qne fon dels mielhs de sos parens,
24 per cui fou Polba e SanGOoha conqneata.
Anta I'adutz e de pretz lo descarga
^rra cellai cut bom no 'n troba franc;
per qn'en non cnich, laia Caortz nl Caiarc
ss tnos Oc e Non, poia tant sab de Crastomba ;
sil reis II da lo tbesanr de Cbinom,
de gerra a cor e anra 'n pois poder ;
tant r es trebalhs e raesslos plazena
30 qne loH amies els enemies tempesta.
Ancnaus en mar. quand a perdut sa ba
et a mal temps e vai urtar a! ranc
e cor plos fort qn' una sajeta d'arc
32 e leva en ant e pnois aval jos tomba,
uon trals anc pieitz, e dirai vos ben com;
qu'ien fatz per lleis que nom vol retener,
que nom manten joni, terme, ui covens,
3fl per que mos jols, qu' era florltz, biaesta.
Vai, Faplols, ades tout e correas,
a Trainac sia^ auK de la festa ;
Dim a 'n Hotgier, et a totz sob parens;
40 qu' ien non Crob mais omba ui om ui eeta.
18
AfMERICS I> E BELENOI
X.
AIMERICS DE BELENOI.
Dante, De V. Eloq. II, v, 5; xii, 3. Lezione del can-
zoniere B.
iNuills horn noD pot complir adrechamen
so q*a en cor, si tot quan el eis fai
noil sembla pauc ni ama ab cor verai,
4 puois que cuja amar tant finamen,
c*aitals cujars descreis e I'autre enanssa;
mas eu doq am jes per aital semblanssa,
anz jar per lieis qMeu teing al cor plus car,
8 cum plus Tarn fort la cuig petit amar.
Petit Tarn eu, segon so q'ieu enten,
c*ouor ni be mas tant qant Tam uon ai ;
e s'ieu Tames taut cum a lieis s'eschai,
12 en fora reis d*amor e de joven
e de rics faitz ; mas hom non ha honransa
par al sieu pretz ; pero taut greu pesanssa
n'ai e mon cor, car los faitz non puosc far,
16 qels mals q' ieu trac degra per faitz com tar.
C'aicel que vol e non pot per un cen
trai pejor mal que eel qui pot e fai ;
car lo poders apodera Tesglai,
20 q'el tol als rics Tamoros pessamen.
Mas cill en cui ai tola m'esperanssa,
val tant qu' il sap ab taut fina acordanssa
conquerre pretz e si eissa gardar,
24 q'anc pauc ni trop no fetz de nuill affar.
Quand e mon cor remir son bel cors gen,
lo douz peosars m*abellis tant em plai
c*ab joi languisc, e car eu no I'am mai,
28 muor de desir oo plus Tarn coralmen ;
que tant volgra qem cregues s'amistausa
tro q' ieu moris o qu' il n'agues piataussa.
AIMERICS DF. P E Q V I I. II A N iO
qel jois d'amor, qan doinpnal vol donar,
3j noD pot mals tant qatjt horn I'aaia pnjar.
Nil doQS DOD Tftl a cellui qui lo prea
ren mas aitaa qant a'eu dona de jai ;
doaca sfa pensaa midoDZ lo jii) q'aarai
30 del sieu nc don, si 'n lieis merces dissen,
q'esCiers non ai de ren nnilla fianssa,
ill e merces farant boua acordansaa ;
car raercea fai ric dur cor acordar
40 ab leial cor veucut per sobramar.
Vaa la bella n'Elionor C'enaDaa,
chauaos, q'ea Heia pren boa pretz meilluransa,
qn' ieu la tramet a lieis per meiUarar ;
4-1 e Bicadis, poiraa aeg'ur' auar ;
E sis doaa iiuill regart al passar,
el uom de foill vai e not cal doptar.
XI.
AIMERICS DE PEGUILHAN.
Oicum I'albres que per sobrecarjfar
fraing ai mezeis e pert sou /ruig e se,
ai eu pierdnt ma bella donipoa e me,
4 e moa engeina se fraing per sobramar.
pero ailoC me sui apoderatz,
anc jorD uon <i nion dan ad escien,
aucei^ cuicb far tot so que fatz ab aeu ;
s mas er codosc que trop sobra il foudatz.
E aou es bou c'om sia trop seuatz,
que a sazoa noa aega sod taleu ;
e si noi a de cliascun meiiclanien,
anon ea bona sola I'una meitatz.
ben eadeven hoc per aobreaaber
ueaeis e'n vai maintas veta follejan ;
jier que s'eschai qu'oni au en luoc iD&iclau
G cieu ab foldat, quilN sap geu rutener.
J
■
i
■
I
90
FOLQVETZ DE MARSEILLE
-V
Las, qa*ieii non ai mi mexeis en poder,
aiuE vaa mon dan enqneren e cercao,
e yaoill trop mala perdre e far mon dan
20 ab vos, dompoa, c*ab antra conqnerer,
c'ancse cnig far en aquest dan mon pro
e que savis en aqnesta follor.
pero a lei de fol fin amador
t\ m'avetz ades, on pieitz mi faitz, pins bo.
Non sai Duill hoc, per qn'ien des vostre no ;
pero soven tomon mei ris en plor,
et en cum fols ai joi de ma dolor
£< e de ma mort, qnand vei vostra faisso.
col basaleocs c' ab joi s' auet ancir,
qnaod el miraill se remiret els vi:
tot atressi etz vos mtraills a mi,
32 que m'aucietz, quan vos vei oius remir.
E nous en cal, quan mi vezetz morir,
abauz o faitz de mi tot atressi
cum de i'enfao c'ab un maraboti
36 fai hom del plor sebrar e departir ;
e puois quaud es tomatz en alegrier
et hom l*estrai so quell donet eil tol,
et el adoucs plora e fai major dol
40 dos aitaos plus que uo fetz de primier.
Tiriaca, jes vostre pretz non col
de meillurar, c'uoi valetz mais que hier.
XII.
FOLQUETZ DE MARSEILLA.
Dante, Dc V. Eloq. II, vi, 5. Lezionc del Raynouard,
Cboix, IV, 290.
T.
an m'abellis ramoros pessamens
que s'es vengutz en mon fin cor assire,
per que noi pot nuls autres pens caber,
4 ui mais uegus uo m'es dons ui plazeus;
Itai
^^' ^
FOI.QVETZDEMARSEILLA t\
qa' adODcs saX sas qnaa m' aucizol cossire :
e fin' amors m'alenza mon martire,
qnem promet joy, mae trop lorn dona leu,
s qa'ab bel Bemblao m'a tenguC longameo.
Be BAi qne tot qaaa fas es dreits niens;
e qu'eo puesc mals, s'ainore mi vol anclre!
qn'a oscieu m'a doDat tal voler,
18 qae ja non er veacntz ni el no vens:
vencuCz si suf, qa'aucir m'an li soepire
tot snavet, quar de iiey cui dezire
uon ai secors, ni d'aillors no I'ateu,
16 ui d'autr'amor non puesc aver talen.
Bona domaa, sius platz, siatz snfrens
dels bes qu'ieus vuel, qn'iea ani dela mals snftire;
e pueis li mal nom poiran dau tnaer,
so ans m'er Hemblan quels partam eug'alineDS,
pero sius platz qn'en antra part me vire,
partetz do vos la beutat el dous rire
el gai solas qne m'afolleis mos seu,
34 paeis partir m'ai de vos, mou escien.
A totz joms m'eCz pins bel' e pins plazens,
per qa'ieu vnel mal als buelbs ab qneos remire,
qnar a mon pro nous pogron anc vezer,
i» mas a mon dan vos vezon snbtilmeus.
mas dans non es, so sai, qnar nom n'azire,
aDs me sap bon, pros domna, qnan m'albire,
si m'aucisetz, qne nons estara gen,
35 quar lo miens dans vostres er elssamen.
Per so, domna, nons am saviamenH,
qa'a vos sni fia et a mos ops trayre ;
qn'iens cug preadre e mi no pnesc aver,
<ts lens cng nozer et a ml sni nozeus.
per so nous ans mon cor mostrar ni dire,
mas a I'eagart podetz mon cor devlre:
ar lous cng dir et aras m'eu repreu,
40 e port n'als hueliis vergonha et ardimea.
Donal fin cor qn'iens ai nous puei^c tot dire,
mas per merce so qn'Ien lais per noa son,
restanratz vos ab bou enteodemeu.
^ >
it
P EIRE D'ALVERNHE
■
I
44 Trop vos am mals, dooa, quUea no sai dire,
e s'iea anc jorn aic d'aatr*amor desire,
no m'en penet, ans vos am per nn cen;
quar ai proat autrui captenemen.
45 Vas Nems t'en vai, chansos, qui qnes n*azaire,
qne gang n'auran, segon io mien albire,
las tres domuas a cui ien te prezeu,
car el has tres valon mais d'autras cen.
t
\
i
XIII.
PEIRE D' ALVERNHE.
Dante, D e V. E I o q . I, x, 3. Nemmeno questa poesia
fu osplicitaraente indicata da Dante; ma a rimuovere
ognl duhbio basta confrontare il passo dantesco con
Tantica hiogratia di qnesto trovadore. Lezione
del Rochegude, Parnasse Occitanien, p. 13a,
con qualche correziorie dal canzoniere A; cf. R.
Zenker, nelle Komanische Forschungen del
VoUmoller, XII, 745.
LJe jostals brcus jorns els loncs sers,
quan la blanc' aura brunezis,
volh que branq'e brolh mos sabers
4 d*un nou joi quern frug em floris ;
pos dels verts folhs vel clarzir los guarrics,
per ques retrai entre la neus el freis
lo rossignols el tortz el gais el pics.
8 Contr'aisso m'agradal parers
d*amors loodans e de vezis ;
quar pauc val levars ni jazers
a lieis ses lui que Tes aciis;
12 qu'amor vol gang e guerpis los enics,
e qui s'esjau a Tor a qes dcstrois,
ben par que eel volri' esser amies.
Mas leu no sai quals capteuers
16 me sofri, q'una ra'a conquis
on reviu jois et nais valers
tals que deuan lim trassalis.
^^
qa'ab eaquerer del dig m'en ve destrics,
eo can tern quel miels laia e digal sordeis,
on plus mon cor me ditz : quar no t'en gics ?
Beu vol 6 sai e crei qu'es vers
qn' amors engraiss' e magrezis
24 r nu ab trichar, Tautr'ab dir vers,
e I'un ab plors e I'autre ab Ha,
e eel quea vol ea manens o meadlcs ;
maa ieu Q'am mais so qu'eu ai, qa'easer reia
25 que fos seohor d'Escotz e de Galica.
Qaar ai fos ja dels miena volers
lo Bieus boa coratges devis,
lai on madomnam tol temera
3S de so per que pina m' eabandis,
qu'anc nol sai dir lauzengaa ni prezicH.
mas meilloT cor I'ai trop qne no parela ;
s'ella nol sab morrai m'en totz antiCD.
30 Tan m'ea dos e gena aos vezers
pel joi que m'ea el cor assia,
qn'ades broCa lo bos espers
qn'en al, per que m'en enriquis:
40 qn'anc tan no fui mai Tolpiln ni mendics,
sol que m'anes a lei, qu'ieu aqui eis
nom saubes far de grap paubretat rics,
Ceat es jois e gang e plazers
44 en que manta gen s'abelis ;
e BOS prets roont' a grana poders,
qnar mana jois eobresenhoria :
qa'enaenbameus e beucatz I'es abrics
48 d'un ram d'amor qn'en lei espao e creis
e fara tro qu'ieu sia blanca co nics.
Cest vers sabra, som pea, vlolar AudricR,
quel d'Alvernhe; e dis qu'om ses domneis
52 no pot valer plus que ses gra I'espicg.
Per qu'ieu coaaelh ja no t'eu desrazice ;
qnar mais couquls aqui on ilh m'ateis,
que stm doues Fransal rets Lodoics,
'^ -^
lOFILI
I
K
Dante
TESCO „
ERMANNO LOESCHER & C
IDRETiUCHNEIDER A REGENBERfi;
ROMA
Delia medesima coUezione sono pob-
blicati :
Ih pBOBMio UBL Marchbsb di Santillana,
1902; di pagine 14 ... L. 0.50
LusiADA UE Ll'18 OB CamSbs, EaCratii. .dal
cauH) 111, con uu sunto <ll tucto il poema,
1902; di pagiue 32 . . L. 1 .—
" ■ del preseute fuscicolo . , • 0.60
DANTISTI E DANTOFILI
dei Secoli XVIII e XIX
Contribute alia storia della fortuna di Dante
Fascicolo Primo
///.'' Sign m/^ f- m^i^/
r ■
i^^'.
%
i**hL.
•>
Gennaio 1 90 1
•-i^. , / IN KIRENZE
'^"**^PRESSO LA DIREZIONE DEL ** GIORNALE DANTESCO „
J
D'ANCONA Alessandro.
[s«
E nato a Pisa, di famiglia pesarese
braio del 1835. Studid coi maestri
e Giorgetti, dell'Istituto de' padri (
a Firenze ; e piu studi6 da s6, con
non s' ^ intiepidito ne' suoi anni
quando altri avrebbe solo pensato
il meritato riposo e la fama. Precoce
tentissimo saggio della sua cultura
ingegno, ei dette a 18 anni, pubblia
il Pomba torinese una scelta di scriti
panella con un notevole Discorso i:
vita e alle dottrine politiche di lui.
per6 cosi rinchiuso nei suoi lavori, d
corgersi della nuova vita che gli si
torno. Fin d'allora senti profondament
importanza civile degli studi e degl
collabor6 con Celestino Bianchi prim,
poi alio Spettaiore italiano ; ed era gi
molti insigni toscani, quali il Ricasc
pini, il Peruzzi, il Salvagnoli. Andato a
seguire i corsi di giurisprudenza, vi est
cemente I'ufficio di mediatore tra i
scani e i piemontesi. Fu poi Segr
I'intendenza del 12° Corpo d'Armata
centrale; e il giorno stesso della pa(
franca egli ebbe la direzione della .
1 6 novembre 1 860 fu nominato su
Francesco De Sanctis nella cattedra
tura italiana nell' Universitil di Pisa, e, dopo un
anno, titolare di quella cattedra, che egli ha vo-
lontariamente lasciata pochi mesi fa, compluto il
quarantesimo anno di fecondo e nobile insegna-
mento, fra gli augur! e gli omaggi dei colle-
ghi, degli amici, dei discepoli, degli ammiratori.
Da quando ebbe la cattedra pisana, la sua ^ stata
vita, piii che altro, di studioso e di maestro ; ri-
cercato in commissioni, in accademie, — ^ socio
delle pi6 insigni — in concorsi e congressi ; non
mai diinentico de' suoi primi anni di vita gior-
nalistica e poUtica, sicch6, di quando in quando,
giunge, ancora, ascoltata e invocata, la sua alta
(.• Serena parola nelle colonne di qualche boon
giornale, a rettificare, ad ammonire. Chi ha
avuto, come chi scrive questa pagina biografica,
la fortuna di conoscere a lungo e da vicino
r illustre Maestro, sa, anche, di quanta dottrina,
rettitudine, franchezza e modestia sia ricca la
sua geniale conversazione.
Le benemerenze del D'Ancona sono veramente
grandi verso gli studi di storia letteraria e politica.
1,' opera sulle Origini del Teatro italiano h da re-
putarsi classica ; e quanto egli scrisse sulla poesia
popolare, sulla letteratura dei primi secoli, e poi,
liberamente movendosi in oi;ni campo, su varie
figure e su varT periodi della letteratura nostra,
ha sempre il precipuo pregio della sicura e larga
tTudizione, dell'equanimita dei giudizi, della com-
posta eleganza, e spesso arguzia, della forma.
Agli studi danteschi d^tte opera assidua dalla
cattedra; tanto che nell' University pisana, per il
suo zelo, v' ^ stata sempre 1' illustrazione della
Divina Commedia; e ora della cattedra dantesca
1
ALKSSANDRO D'ANCONA
provvidamente voile a lui affidato 1' ■
Ministro dell' istruzione,
Onde ben possono augurarsi gli sti
altri lavori ancora aggiungeri a quel
dato d'argomento dantesco, ricercati
sempre. Lo studio su Beatrice, a cui 6 d
gere I'opuscoletto nuziale Beatrice, fu un;
vinta in favore della realt^ storica de
amata da Dante; le illustrazioni e il >
alia Vita nuova rimangono vero modeli
nere; il discorso sui Preairsori meglio r
via per la quale si misero poi aitri st
Come si vede pur da' rapid, ceiini
fici che, con infaticata operosit^, va pu
nella sua Rasscgna, il D'Ancona d^guit;
e volere negli studi su Dante 'Javver
sincera tanto contro il dottr. larisnn
contro il dilettantismo ; e come nutrt
ispirare un vivo amore per le ricercl
serene, non scompagnate mai dal buoi
dal buon giudizio.
1. La Beatrice di Dante: studio, Pisa, Nistri, i
iiali delle University ioscane, t, IX, p. I, i8(i;
2. In lode di Dante: capitolo e sonelio di
poeta del sec. XIV, Pisa, Nistri, iti68, "PP- '6- "
Bongi-Ranalli.
3. La « Vita Nova » di Dante Alighieri, riscontr
e stampe, preceduta da uno studio su Beatil
da illustrazioni, per cura di A. D'Ancona, Pisa, .
in-4, pp. LX-128. ;Ediz, di CCXl esemptan coi
tipia iniziale], — Nel T884 venne in luce la :
tevolmente accresciuta (Pisa, Libreria Galileo gih Nistriy
in-8, pp. LXXXVIII-257).
4. I Precursori di Dante per A. D'Ancona, Firen{e^ G.
C. Sansoni^ editore^ 1^74, in- 16, pp. 114.
5. II concetto delP unitk politica nei poeti italiani : di-
scorso pronunziato il di \6 novembre 1875 nella R. Uni-
versita di Pisa in occasione delta solenne riapertura degli
studi, Pisa^ Nistrly iS/6j in-8, pp. 62 [Sulle idee politiche
di Dante],
6. Di alcuni pretesi versi danteschi, in Rassegna settima-
ftale^ I semestre, p. 49, e
7. PostiUa all'articolo precedente. Ibid.j I semestre, p. 1 12
[riprodotti in Varietd sloriche, Milano, Treves, 1 879, 2* serie,
pp. 55 e segg.l.
8. Noterella dantesca [al ParaJiso XI, 71-2), in Napoli-
Ischiay ftumero utiico a heneficio dei danneggiati di Casamic-
ciola^ ecc, 6 aprile i88iy Napoli, Stabilim. tipogr. dell'Unione.
9. Noterelle dantesche, in Giornale storico d, Lett, itaH,
1884^ III, 415 [sulle parole contrappasso^ ar^an^^ cdi\,
10. Il Romanzo della Rosa, in italiano, nelle Variety sio-
riche e leiterarie^ Milano, Treves, 1885, serie 2*, pp. 1-31.
1 1 . 11 < Veltro » di Dante [riprende e sostiene la nota
opinione del Del Lungol, /t'/, pp. 33-53.
12. Di alcuni pretesi versi danteschi, iviy pp. 55-74.
13. Beatrice. Pisa^ T. Nistri e C, i88g^ in- 16, pp. 23.
— Per nozze Amico-Pizzuto Viola [riprodotto in Biblioteca
delle scuole ital,^ a. I, pp. 257-61 ].
14. Dal carteggio dantesco di Alessandro Torri, Pisa^ Ni-
stri^ i8gs, in- 1 6, pp. 16. — Nozze Flamini-Fanelli, X No-
vembre MDCCCXCV.
Nel Manuale dctia htUralura Hal., compilato
D'Ancona e da Orazio Bacci, Firen^e^ Barhera, i" vo
d' edizione), si ha una vita del Poeta, il riassunio del
media, e una scelta copiosa degli altri scritti dt
Recensioni vane e notizie di cose dantesche, ne
iegna bibliograjica della htt. ital. di Pisa (da lui (
da F. Flamini), e altrove.
Orazio B/
BARCELLINI
Barcellini Innoc
esser chiamato, al
monaco Celestino a
pot6 poi dedicarsi ;
IN]
FII
DEL Si
CEL
Elil
F R 1
CARE
Al^
"*Tlf
non si sa bene se
brone {prov. di Pt
imposto da' suoi g
Non ancor sace
gli studi teologici,
see^nare le discipline filosofiche a Lucera ed al-
trove ; fu poi anche lettore di Teologia a Bologna,
a Roma, a Napoli e finalmente abate del mona-
stero, nel quale avea professato ; ma, trovandosi
questo sotto la Maiella, alle falde delPAppennino
abruzzese, con un clima non punto mite, si fece
trasferire, per motivi di salute, alia badia di
S. Niccol6, in Rimini, eppoi aU'altra di S. Pier
Celestino, in Milano, dove ebbe agio di frequen-
tare la casa Borromeo, intorno alle cui celebri
ville ci lasci6 inedite egloghe, idilli e dialoghi
pastoral i.
Partecip6 anche all'accademia milanese degli
Arcadi, cui si ascrisse il 2 maggio 1704 col
pseudonimo di Bati Filomiraccio^ poi accademico
dei Faticosi con quello di Volonieroso; nelle tor-
nate delle due Accademie lesse varie poesie di
circostanza, alcune delle quali videro g\k la luce
in Milano nel 1706 (J. P. Mol., in-8°) ed altre
fan parte de' suoi Ozi accademici, raccolta tuttora
inedita come quella prosastica dei Discorsi acca-
demiciy prediche e pancgirici sacri, Egli fu, dunque,
teologo, poeta e oratore di bella fama nel temp'o
suo, e per queste sue molteplici doti nel 1707
fu eletto Definitor generale di Romagna e di
Lombardia; questo nuovo officio richiedendo che
egli, con grande dispiacere dei buoni ambrosiani,
si fosse stabilito in Faenza, avanti di raggiungere
la sua nuova sede, voile rivedere la patria; ma
c61to quivi da grave malattia si dov6 trasportare
in Sahara, castello tra Fano e Fossombrone, dove
fra le braccia de' suoi religiosi mori il 1 6 de-
cembre 17 10; venne sepolto col^ nella cappella
maggiore, dove lo ricorda tuttora una iscrizione
fattavi apporre da un suo fratello, I
abate del monastero; poich6 costui
cemente che Jl suo congiunto mort
dal diverse modo di computarii pei
' principiati soltanto, deriv6, come sp
il dubbio gik accennato, suila data j
sua nascita.
Cfr. jARCKius, specimen Acadetniarum Italu
P-53' — Crescimbeni, NoHzie istoricke degUAr,
t. II, p. 133. — Crescimbeni, Sioria della volgat
t.V.p. i-i, — QuADRio, Delia sioria e delta ragic
Poesia, 1739-51, t. Ill, p. 338. — VoLPi Gakt. La .
e la siamperia Cominiana, Padova, Comino, 1751
Tafuri, Istoria degli Scriltori nati net regno d%
1744, t. J, p. 466. — G, M. Mazzuchelu, GH S
'7S8, vol. 11, t. I. pp. 326-a7- — VEccHrETTi, £
Osimo, 1791, t. II, pp. 74-77- — Fr. M. Lance
degli Uomini illusfri della cittit di Fossombrone, <
An/ichilh picene, 1796, Fernio, vol. XXVIII, pp.
BibUo^ofia.
Industrie titologiche per dar risalto alia vi
■ Pontefice Celestino V e liberare da alcun
Alighieri, creduto censore della celebre rin
medesimo Santo, ecc. ecc. In Milano, per Git
Malatesia, I'oi, in-8. — Un copioso esti
apologia, colla quale il Barcellini si prova c
al posto di Celestino V, si trova nel Giorm
d' Italia, tomo XIX, p. 246 e segg.; nello st
tome XVI, p. 274 e segg., si legge, appunto, i
di un suo incompiuto e inedito Trattafo sop>
^ere, diviso in 16 capi.
^
DIONISI Giovanni Jacop<
Nel numero di coloro che, ne
contribuirono maggiormente al
progresso dello studio di Dan
posto si conviene al canonico vei
Jacopo de' marchesi Dionisi.
Seguendo la tradizione che la ;
deva in Verona di cultrice di b
pure ad essi consacr6 la vita, li
Nacque il 22 luglio 1734 e ii
primi studi ; recatosi poi a Bi
legio de' Nobili, retto dai Gesi
tra i primi per ingegno e bo
\'erona, prese gli ordini religiosi, e dal ponte-
fice Lambertini fu, non molto dopo, eletto Cano-
nico, e scelto poi, come il piii erudito, a Biblio-
tecario della Capitolare, ricca di preziosissimi
codici e di manoscritti antichi. E molto deve que-
sto istituto al marchese Dionisi, il quale oltre
a conservarlo e ad arricchirlo anche a propria
spese, raccolse e ordin6 le sparse reliquie di
alcuni codici anticamente periti, accomodandone
le parti griaste e aggiungendovi un titolo e
un indice del loro argomento : Vetera parali-
pomena Mss. Codicum Capituli veronensis a y.
Jacopo d^ Dionysis vetonensi Canonico in unum col-
h-cta ijs8.
Nel 1789 egli abbandon6 per due mesi le cure
ecclesiastiche per recarsi a Firenze, alio scopo
di trarre dai manoscritti piii accreditati di quelle
pubbliche e private biblioleche le migliori variant!
utili alia correzione delle opere di Dante, lavoro
da lui lungamente vagheggiato.
Ebbe a compagno attivo, e intelligente colla-
boratore in questo studio, 1' arciprete Bartolomeo
Perazzini di Soave (prov. di Verona), del lavoro
del quale 1' erudito Marchese si servi sempre
senza fame parola.
Fu in corrispondenza con tutti i principali let-
terati del suo tempo, e italiani e stranieri (cfr.
Corrtspond. itiediia, nella Bibl. Capit. Veronese) e
esserne distolto, il Dionisi rifiut6 il seggio vesco-
vile offertogli da Pio VI ; assistette i giovani stu-
diosi nei loro lavori, prestando libri, denaro e
consigli, del quali fu largo principalmente al
Carli, nella sua faticosa compilazione della Storia
di Verona^
Mori in patria il 14 aprile 1808.
Fu grande erudito, e lo attestano le numerose
sue opere ; ma il suo merito principale h dovuto
ai lavori da lui fatti in onore del divino Poeta ;
coi quali — lo si pu6 dire senza esagerazione —
il marchese Dionisi port6 un contribiito affatto
nuovo alia critica dantesca e d^tte maggiore
sviluppo airindagine storica, tracciando a quelli
che lo seguirono la via per giungere ad ottimi
e sicuri risultati.
Cfr. LuiGi Federici, Elogi storici del piu illustri Ecclesiastic i
veronesi. Verona, 1819. — Gamba, Galleria di Uomini illustri,
Venezia, 1824, vol. I. — M. Zamboni, La critica dant. a Verona^
nella Colleziorte Passerini, Citt^ di Castello, 1901, vol. 63.
BibliograficL
1. II Ritmo dell'Anonimo Pipiniano volgarizzato, com-
mentato e difeso. ' Verona^ per Verede di Agostino Carattoni^
i'J']2,i in-4, pp. 216 con tav. inc. — A pp. 197-200, cap. IV,
vuol dimostrare che Dante ha preso da questa opera la
forma delle sue rime e il numero de' canti della Commedia,
2. Serie di Aneddoti. Verona^ per Verede Merlo e per U
credi Carattoni^ ij84-iygg^ otto fasc, in-4. — Segue un
Dialogo apologctico per appendice alia serie degli Aneddoti^
In Verona y per gli eredi di Marco Moroni^ ^79^ y 1*^*4 picc,
pp. XXXIX. — Eccetto il I e il III, questi fascicoli recano
scritti suUa vita e sulla Commidia di Dante; e qui ne diamo
i titoli :
Fasc. II. Censura del < Comepto » credoto di Pietro
Hglio a Dante Alighieri. — Piapo per una noova edizione
di Dante. — Fasc. IV. Johannis Del Virgilio et Dantis Alli-
gerii Carroina. — Saggio di critica sopra Dante. — Fasc. V.
De' Codici fiorentini. — Fasc. VI. De' blandimenti funebri,
o sia delle acclamazioni sepolcrali cristiane. [In questo scritto il
Dionisi fa av\'ertire un gran numero di lezioni scorrette in-
trodotte nel Poema. Cfr. De Batines, 1, 337]. — Fasc. VU.
Nuove indagini intorno al sepolcro di Dante Allighieri in
Ravenna. -- Fasc. VIII. Del Focale di Dante, ed ahre materie
consecutive. — Dialogo apologetico di Clarice Antilastri
gcntildonna Veronese per appendice alia serie degli Aneddoti.
Risponde a una critica deWAncddoto V, comparsa nelle No-
xcUe Idterarie di Firenze].
3. Pistola di Fra Giocondo, dell'Ordine de' Rovescianti,
di latino tradotta in italiano dal sig. Concerto Tromba, Gen-
tiluomo Feltrino. Gardom di Val TrompiajiySjy in-4, pp. 16.
— Risponde alle censure de' suoi lavori danteschi contenute
nel Giorn. EticiclopedtcOy an. 1786, no. 35.
4. La < Divina Com media » di Dante Allighieri, con nuove
lezioni. Parma^ nel regal Pala^^o^ co^ iipi Bodoniani i/PSy
voll. tre, in fol., pp. 134; 116; 126. — Fu ristampata,
per gli stessi tipi, Panno seguente, pure in tre volumi di
pp. LVI-235-IV; 235-XV; 236-XXVII. Cfr. De Batines, I, 121.
5. Preparazione istorica e critica alia nuova edizione di
Dante Allighieri, Verona^ Gatnbaretfty 1806^ due voll. in-4,
pp. VIII-172-232. Cfr. De Batines, I, 519.
6. La « Divina Commedia » e tutte le rime di Dante
Allighieri. Brescia y Niccold Bettoni^ 1810^ due voll. in- 1 6 pice.
- fe ristampa del la Bodoniana del '95.
Maria Zamboni.
ANGELINl Lorenzo.
[Secolo
Nacque a Moresco, circondario di Fermi
da Guglielmo e da Caterina Niccolini,
sacerdote dopo di avere studtato con gre
fitto !e discipline letterarie le insegn6 ]
mente nella Marca e nell' Umbria, all
deir Amandola, di Ripatransone, di N<
Civitanova, di Todi, di Trevi, di Pergc
1776, anche a Pesaro. Fu ascritto a
accademie; a quella degli Erranii ~~ gii
iali — di Fermo, il 20 febbraio 1756, a q
Risorti di Bologna col soprannome di 7
frisio Y Allegro e alia Repubblica letterari
Venne colpito da sincope a Pesan
1778, ed essendo state trasportato a C
vi mori il 15 maggio 1782.
Egli ci lasci6 molte poesie italiane
quasi tutte di circostanza, scritte nei
luoghi dove dimor6 ; nelle prime, se
testimonianze dei suoi contemporanei, s
imitatore felice deirAlighieri. Si dedic5
cialmente alia poesia latina, di cui ci 1
opuscolo di 30 pagine *. a commendazior
Alessandro Borgia, Arcivescovo di Ferm
impresso per Giov. Franc, de' Monti I'an
dedicato all'ab. Stefano Borgia di lui ne
Cardinale di S. Chiesa » . Scrisse anche u
latina di 180 versi, stampata neila stessa
Monti surricordato, per la promozrone alia por-
pora del cardinale Enrico Enriquez, che la disse
virgiliana (fu stampata a Bologna il 21 agosto
^54)- Ne pubblic6 poi altre tre; la prima in
lode del beato Antonio deH'Amandola (Fermo,
Fil. Lazzarini, 1755); ^^ seconda per la visita del
vescovo Borgia (pp. 8, in-4** gr., Fermo, Laz-
zarini, 1756); la terza in commendazione del-
Tab. Gius. Ascenziani dell'Amandola (Macerata,
presso gli eredi del Pannelli, 1757). Compose
anche quattro Carmi \2X\x\\\ uno per nozze Blasi-
Guazzagli fu posto nella raccolta del Qaudi (stamp.
Amatina, Pesaro, 1767); Taltro, di 300 versi, nella
raccolta Angelini, per la contessa Caterina Gian-
nini di Pergola, quando vesti Tabito religioso in
S. Chiara di Cagli (Pesaro, Gavelli, 1 768 ; se
ne parla con Ipde nelle Novelle letterarie di Fi-
renze, 4 nov. 1768, n. 45); un terzo di 447 versi,
con copiose annotazioni, per le nozze di Giu-
seppe Orlandi di Pergola colla marchesa Galeotti
di Gubbio (fa parte della raccolta Angelini); un
(juarto di 149 versi per le nozze del marchese
Pompeo Azzolini di Fermo colla contessa Maria
Virginia Nappi di Ferrara (trov6 posto nella rac-
colta di Niccol6 Prosperi di Ferrara, tip. Gius.
Valenti, Ripatransone, 1770). Stamp6 parimenti
due Inni latini, il primo di 25 strofe in lode di
San Niccol6 arcivescovo di Mira (Pesaro, Gavelli,
1770); il secondo in esametri con parafrasi e
note apologetiche (Pesaro, Amati, i77i);aque-
sto fece seguire un Panegirico di 388 versi (ivi,
Gavelli, 1772) e un Propempticon « nel discesso
del sig. Card. Acquaviva al Conclave >.
In prosa abbiamo di lui soltanto una lettera
latina al dott. G:
Novelle lellerar
25 novembre i y
latina in lode
cera Umbra, re
pata a Foligno
un giudizio fai
velle ktierarie,
Cfr. F. Vecchii
pp. Mi-4-
I. Capitolo (a
del R. P. Ant. Mar,
1. Capilolo {id.
sola Guazzagli-But
nella sua raccolta.
3. Capitolo {.id
Todi ed Orsola F
ANTONELLI Giovanni.
[Secolo XIX}
Nacque a CandegHa (Pistoia) il lo genn
del 1818. Entrato a 16 anni nell' Ordine di
Scuole Pie di Firenze, si applic6 specialme
agli studi matematici fisici ed astronomici,
non trascur6 mai i letterari. Suo maestro, (
resempio e il consiglio pii5 che con 1' in
gnamento, fu V illustre astronomo Giovanni
ghirami, al quale TAntonelli nel 1848 succe
nella direzione dell' Osservatorio Ximeniano, 1
tenne poi sinch6 visse con molto onore t
e degli studi. Insegnft nelle scuole del !
Ordine, ed all' insegnamento specialmente dt
matematiche e della astronomia consacrd la :
glior parte del suo tempo e del suo ingeg
Oltre che co' suoi molti lavori matematici fi;
ed astronomici, acquist6 reputazione grandissi
con gli studi di strade ferrate, ed alcuni de' s
progetti furono poi eseguiti. Sulla Divina Ci
media^ da lui letta e studiata sempre assid
mente, scrisse la prima volta Tanno del Cer
nario dantesco un Discorso intitolato Acce;
alle dottrine astronomiche nella < Divina Ci
media » e poi, per consiglio ed invito di >
C0I6 Tommaseo, molte illustrazioni scienlifichi
singoli luoghi del Poema, che il Tommaseo ste
pubblic6 nel suo Commento (edizioni Pagn
del 1865 e 1869) « generosamente fornitec:
scriveva nella prefEtzione « dal P. Giovanni j
tonelli, onore e delle Scuole Pie e del clero ita-
iiano >. Altre note dantesche, come sotto ^ no-
tato, pubblic6 nel 187 1, poco prima della sua
morte, che fu il 14 gennaio del 1872.
Cfr, Giovanni Antonelti: commemaraztone di Niccol6 Tom-
MASBO. Fireiue, 1871, pp. 64, in-8°. — Intorno alia vita ed ai
lavori del p. Giovanni Anionelli delie Scuole Pie : cenni di An-
drea Stfattbsi, Roma, 1873, pp. 43, in-4'. [Estratto dal Bullet-
lino di bibliogr. e di storia delle scienzc matetnattche e fisicMe.
t. V, luglio 1871].
Accenni alle doltrine astronomiche nella < Divina
; discorso di Giovanni Antonelli d. s. p., nella
raccolU Dante e il sua Secolo, Firett^e tip. Gatileiana, 1865,
pp. 503-5'8
2. Sulle dottrine astronomiche della « Divina Commedia »:
ragionamenti di Giovanni Antonelli d. s. p. in occasione del
seslo centenario di Dante, Firen^e, tip. Calasan^iana^ 1865.
pp. 96 in-8, — Contiene a pp. 9-32 lo stesso lavoro che 6
sopra notato (n. i) ; e a pp. 33-92 un < Ragionamento per
dimostrare che Dante proponendosi con le seguenti terzine
(Purg, IX, I segg.) d' indicar 1'ora, nella quale fu preso
dal sonno al termine della prima giornata del Purgaiorio,
intese descrivere I'alba che precede il sorgere della Luna,
e non I'aurora solare ».
3. lUustrazioni astronomiche o cosmografiche e geografiche
queste ultime vedi I'elenco assai esatto dato dallo StJattesi
nel citato lavoro Sulla vita e gli scrilti del padre Antoy"'
pp. 23 segg., dove sono anche accennate le poche differ
tra I'edizione del '65 e quella del '69.
4. Di alcuni studi special! risguardanti la meteorologi
geometria, la geodesia e la « Divina Conimedia » per 1
vanni Antonelli d. s. p., Firen^e, tip. Calasaniiana, set
bre i8yi, in-8, pp. [36. — Gli studi sulla Divina Comn
sono:
a) Parere sopra due nuove chlose [vedi I'opus
Due leitere al chiarissimo professore D. David Farabu
intortio due versi della « Divina Commedia » da Fortu
Latuij Roma, tip. Tiberina, i866j, pp. Si-gr ;
b) Nuove illustrazioni sopra alcuni luoghi del « Parad
U, 6-9; IX, 37-40, 82-87; XXVII, i27-[38], pp. 108-
cj Nuove illustrazioni sopra alcuni iuoghi del « Pt
torio » [I, 13-15 ; H, 88-105], e Nuova interpretazione
principio del canto IX [La concubina di Titone ant
pp. 108-135- — Queste stesse illustrazioni, col titolo i
particolari sulla « Divina Commedia », furono pubbli
dall'A. anche in opuscolo separato, ma d'altra edizi
per nozze Fossi-Volpini (Firenze, tip. Calasanziana, li
pp. 74, in-8).
Ermenegildo Piste LI
MAURO Domenico.
[Secolo XIX].
Domenico Mauro nacque in San Demetrio (
rone, paese albanese della provincia di Cosen
nel 1812, e mori in Firenze nel 1873.
Fu ardente patriotta ; e pel glorioso ni'
del 1844 fu tenuto due anni in carcere, doi
usci ancor piiS caldo d' amor di patria ; tai
che nel 1848 fu eletto Deputato del Parlame
napoletano, con piii di diecimila voti, dalla p
vincia natale.
Dope il 15 maggio, ei si rec6 a soUevar
Calabria, e si mise alia testa di numerose schi
che combatterono contro le soldatesche borbonii
parecchie volte (in uno di codesti scontri il
stro Mauro perdette il fratello Vincenzo), ma
si sciolsero. And6 quindi in Albania, con la s
ranza di preparare uno sbarco suUe coste di <
labria; ma, fallito il tentative, corse a Rom;
difendervi la morente Repubblica. Si rec6 inl
nel Piemonte, in attesa di tempi migliori, e pr
poi parte alia gloriosa spedizione dei Mille.
costituita V Italia a nazione, il Mauro fu ele
Deputato dal coUegio di Benevento.
Tanta attiviti politica non gl' impedi di cc
vare i suoi diletti studi, e pubblic5 molti ve
fra i quali una novella intitolata Enrico ai
lodata dal De Sanctis {La Letterat. ital.
sec. XfX, ecc. Napoli, Morano, 1897), e m^
scritti in prosa, del quali piti importante h, se:
dubbio, quelle inlomo al concetto e alia forma
della Dfzifia Commetiia.
^^bbene ogjji possa esser giudicata in modo
i.-^sai diverse da quelle onde fu giudicata al sue
apparire, egli ^ certe che, tenute cento delle idee
tlominanti in quel tempo, in cui tutte devea ser-
v.re a un alto intendimente civile e patriottico,
r opera del Mauro e di quelle che possono, anche
< ra, per certi rispetti, essere studiate con uti-
lia, non f'xss'altre per la steria della varia for-
iiina del P*^ta, specialmente in Calabria. Perch6
«;aando, nel 1S40, la prima parte di quel lavoro
\enne in luce, < i sjiovani calabresi — come ci
at testa il Balsane \Im < Divina Commedia >
iliudii'ata da G. J\ Gfavhia^ ragionamtfito pub-
hlicatn nella CcHeziofic diretta dal Passerini,
CittA di Castello, 18Q7) — ne furene scossi
profondamente, e crebbe in essi il culte del
massimo Poeta, unendosi indiNnsibilmente a quel-
le amore di liberty e di gloria, onde furene sem-
pre ardenti i lore generosi cueri >.
Cfr. i nostri Martiri cosentini del 1844^ nella Rivisia storica
d<l Risorg, ital., f. IX e X, vol. III. Torino. 1900.
BibUografia.
1. AUegorie e bellezze della « Divina Comroedia v^
Parte I, Vlfi/erno^ ecc, Xapoiiy dal la fipografia Boe^ianay
1^40, in-8 ; pp. 163.
2. Omero, Dante, Shakespeare, nella Riv. conUmporaneay
Ti^rifiOy I So I.
3. Concetto e forma della « Divina Commedia », Napo/i\
S/jhlintcNto lipografico dtgli scief/iiati] leiterati e afiisfi\ 1862^
in-S; pp. 334.
S. De Cuiara.
ORA
lui:
ma
Met
part
I'ini
« si
man
rece:
Bull
e' fu
cui ijli studi danteschi eran, peggio che negletti,
it^nuti in dispregio — un solenne monumento di 1
voni o t;Tande poesia nella Commedia (cfr. F.
HaKano, Im « D. C. > giudicata da G. V. Gra-
riptii, C'iltc\ di Castello, 1897), 10 credo che un
posto onoralo non si possa a lui negare in
<]uoslo nizionario; tanto piu che la sua maggior
opiM'a Ictloraria Delia Ragion poetica fu pubbli-
(Mla ncl lyOfS.
(lian Vincenzo (iravina studi6 ne' suoi primi
anni, sotto la guida di Gregorio Caroprese, nella
natia provincia ; ma pass5 poi a Napoli, dove,
dopo di essorsi perfezionato nolle lettere latine
r greohe, si diode alio studio della giurispru-
ilrnza.
Nel 1688 and6 a Roma e fu uno dei fonda-
lori AiAX Arcadia^ di cui scrisse le leggi secondo
lo stile delle XII Tavole. Fu nominato quindi
professore di Diritto civile e di Diritto cano-
nico nella Sapienza, e sail a tanta fama, che le
piu celehri l^niversitcl di Germania e di Italia
gareggiarono in offerte per averlo come inse-
gnante. E giA egli aveva accettato quelle di Vit-
torio Amedeo II, e stava per recarsi a Torino
col duplice ufticio di professore di Legge e di di-
rettore generale degli Studi, quando fu sorpreso
dalla morte.
Molte sono le opere giuridiche e letterarie che
gli hanno acquistata una fama imperitura ; ma
quella per la quale egli merita il nome di Dan-
tista, ^, come s' h detto, 1' opera intitolata Della
Ragion poetica : perch6 in essa, definita la poesia
come < la scienza delle umane e divine cose
convertita in immagine fantastica ed armoniosa > ,
ei non esit6 di proclamare che tal immagine
■« sopra ogni altro poema italiano » vivamente
ravvisava nella Commedia di Dante; « il quale
s' innalz6 al sommo nell' esprimere, ed alia mag-
gior vivezza pervenne, perch^ pid largamente e
pW profondamente di ogni altro nella nostra lin-
gua concepiva : essendo la locuzione immagine
della intelligenza, da cui il favellare trae la forza
e il calore >.
Cfr. Teslameiito di G- y. Gravina, in Nuovo giorn. d. Lette-
laii d'llalia, XXXr. 322. — Ant. Sergio. Vita di G. V. Cravina,
nella ediz. delle Open, Napoli 1756 — "^wcAmuo, Saggio suUa
vita e suite ofiere di G- K Gravtna, Cosenza 1S79.
Blbliografia.
Della Ragion poetica, libri due. Roma, per Fr. Goii^aga
1708, in-4. d" ediz.). — Tu piii volte ristampala (Venecia,
1-31, in-4; ^"po/i, i756-Sf^, in Opcre Hal. e lat. di G. V.
Gravina, e Milatio, ifiif), in Opcre scelte di G. V. G.) e
fu trad, in francese dal Requier (Parigi, 17,55, voll. due,
in-i a).
Cfr, p™.. J/
0. V.
G
, raccolte da
V. Exi
LMNI
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con 1.
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ILDI, G. V. C«.
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N.
S.. Til. JO.
S.
De
: Cheara.
BECELLI Giulio Cesare.
[Secolo XVUI]
I \ Nacque di nobile famiglia in \'e-
, rona nel 1686. Giovinetto, studio
alle scuole dei Gesuiti e si ascrisse
a questa Compagnia, ma lasci6 1' a-
bito nel 1 7 1 o e tolse moglie. Nel
1721 lo troviamo a Padova sco-
lare del famoso Domenico Lazza-
rini. Appartenne alle accademie del FUarvwtiici
di Verona (e in quest'accademia, secondo il Maz-
zuchelli, recit6 varie lezioni), del FlnthiavH del
Finale di Modena e de'JRicovrati di Padova. Men6
vita tranquilla e modesta dando lezioni private.
Mori nel 1750, pianto dai letterati piu illustri
del tempo suo, in un volume di versi raccolti da
Ferdinando Franca e pubblicati dal Ranianziiii
(Verona, !75o).
Delia sua vita abbiamo pochissime notizie e
te ventisette opere inedite citate dal Mazzuchelli
(Scritt.d'Il., vol. II, p. 2', 6og) non si sa dove
sieno andate a finire. Sfuggirono esse alia ricerca
de' piti diligenti critici. Del resto, il Mazzuchelli
non le vide mai e ne ebbe solo notizia dal Se-
gnier. In compenso il poema in i 2 canti Psic/ic,
cui il Mazzuchelli diceva perduto, fu trovato nella
Biblioteca Capitolare di Verona (cod. DCLXXIX)
e se n'^ occupato il prof. Giuseppe Gagliardi
in uno studio che vedri presto la luce.
II Becelli pubblic6 moltissime opere di argo-
mento diversissimo (ventotto ne cita il Mazzu-
chelli, Op. cit.y vol. II p. 2*, 606-8). Le tragedie
(^Oreste vendicatorc e Miistafd) hanno scarso va-
lore e altrettanto pu5 dirsi delle commedie (I
falsi letteraii^ PAmmalatOy V Ingiusta donazione^
r Agnesa in Faenza^ i Poeti comiciy la Pazzia delle
Pompe^ r Ariostista e il Tassisfa). In esse per5
h notevole talora la critica letteraria, principal-
mente nella prima e nell' ultima in cui si esa-
minano i vari difetti deU'Ariosto e del Tasso.
E come critico specialmente va considerato il
Becelli. Quindi, tralasciando di parlare dei molti
canti coi quali cerc6 invano di procacciarsi la
jjloria (le stanze : Se possa piu la Pittura o la
Poesia ; i poemetti : La Ninfa di Cuzzano e il
Gonnella^ ecc), le traduzioni di Properzio e di
Erodoto e le operette pedagogiche, h da dir
qualcosa del trattato Delia novellu Poesia (Verona,
Ramanzini, M.DCCXXXII).
In questo lavoro il Becelli si dimostra molto piu
indipendente dei tanti scrittori di Poetiche del
suo tempo. Egli infatti, oltre al mostrare — come
gi^ avevan fatto i letterati italiani che avevan
preso parte alia polemica contro il Bouhours —
la superiority della nostra lingua sopra le ling^e
sorelle francese e spagnuola, combatte la stretta
osservanza delle regole aristoteliche. Della mito-
logia gli piace che si faccia uso solo quanto basta
a far meglio risaltare lo splendore della verita cri-
stiana : condanna poi i petrarchisti non meno
dei ciechi adoratori deirantichiti classica. Egli
mostra in quest' opera di credersi un grande
rivoluzionario, e il titolo stesso del libro n* e
una prova. II Tommaseo not5 in lui < Tamore
lion sempre potente, ma sempre prudente del
nuovo >. II Bertana recentemente in una bella
monografia parl6 di lui come di un precursore
/iel rotnanticismOy ma osservo che « la sua cri-
tica, per quanto ardita, manca di profondita, di
compiutezza, di vigore ; di quel vigore sopratutto
e di quella sicurezza propri del pensiero che si
svolge logico e chiaro per entro un ordine di
concetti connessi ed armonici >.
Nel trattato della novella Poesia il Becelli fa
\ina categoria speciale dei poemi divini intendendo
per essi tutti quelli i quali, cominciando dalla
Commediay si riferiscono a cose sovrumane. Di
Dante egli si mostra ammiratore qaldissimo ed
ha parole severissitne per coloro che gli ante-
pongono il Petrarca. Del Casa arriva fino a
pensare che < il suo Galateo scrivesse non per
indurre creanza di bei costumi in un giovinetto,
ma per macchiare, se mai si potesse, la bella
gioia della Divina Comedia > (p. 60). Al Casa
ed agli altri, i qiiali accusavan Dante di aver
adoprato parole poco gentili, risponde che < dal
Poeta vogliono le cose laide esser laidamente
dette e le gentili gentilmente > (ibid.). E per
dare un esempio della gentilezza di Dante, pone
a confronto Tepisodio di Francesca con quello
petrarchesco di Sofonisba e Massinissa.
Cfr. Mazzuchelli, Scritiori d'Haliay vol. II, p. 2. -- Tomma-
SEO, Vita di G, C, P., in Tipaldo, Biografie degli ItaL illustri,
Venezia, Alvisopoli, 1840, vol. VII, pp. 481-88.— Bartolommeo
Gamba, G. C. B. in Galleria dei Lett ed Artisti illustri dette prov.
veneziane net secoto XV III, Venezia, Alvisopoli, 1824, vol. I. —
Emilio Bertana, Un precursore det romanticismo, (Giutio Cesar e
Becetli) in Giorn, st, d. Letter, ital.^ vol. XXVI, pp. 1 14-140.
BiUiografia.
Delia novella Poesia, cio^ del vera genere e particolari
bellezEC detla poesia italiana. In Verona, per Dionigi Ra-
mani^itii, Libr-ijo a S. Tomfo, MDCCXXXll, in-4, pp. 391.
DiNO Pbovenzal.
.L^^^i
NOZZE
SALZA - ROLANDO
XIX GENNAIO MCMI
•^
\
LETTERE
DI
A. CAMILLO DE MEIS
B. SPAVENTA
PUBBLICATE DA G. GENTILE
^
N APOLl
TIPOGRAFIA MELFl & JOELE
PaloMMO Maddakmi a Tbledo
190X
eanfofio scambiwole at disittgamm e alle iraversie delta
viia. La quale, gid, nan cessa mai di sorridere a ehi^ came
il De MeiSf pone in alto il proprio ideaU; e nan cesserd
di sorridere a te, che non sai rivolgere ad aliro /' amimOt
ehe agli studj disinteressoH e a* piit nodili affetti.
Percid, ora che hat trovato nella tua gentile Pierina la
tua anima gemella, io non H dird: Possa tu esserfelice; —
ma gioisco in me siesso , certo che sarai lale; e solo ti
auguro figli% che ti somiglino,
Tko
Giovanni.
Amgblo Camillo Db Mbis nmcqiie a Bnccliimiiico (^rov. di Chieti)
14 Inglio z8z7, morl a Bologna il 6 mano 1891. n padr* Vincenso fo del
carbonari del z8az e poi degli affiUati alia Giovine Italia; la madre Gin-
stina Cardone era affine degU SpaTenta.
Fatti in patria e nel R. Collegio di Chieti i primi stud), li rec6 a Na-
poli intomo al '40, per attendervi alia medidna. Ma vi prtse anche parte
vivissima al movimento degli studj letteraij e speculatiyl, primeggiando
nella acuola del De Sanctis (vedi La giovvuMMa di Pr, De Sanctis ^ Na-
poll, Morano, 1889, pp. 345-*7i ^S^) e fra i pid valenti giorani hegeliani.
Appena laureato , nel febbn^o 1848 fu nominato Rettore del CoUegio
Medico e professore d* anatomia e medidna teorico-pratica; e ndle d^
sioni a squittinio di lista dd 15 aprile di qnell* anno riuad depntato di
Abnuzo Citra. II sno discorM agli elettori, in data ddl'S maggio 1848,
k nno del pib violent!, che d tcristero • distero in qndl' anno di gio-
▼anili entnsiasmi e di generoei errori (v. TAppendice). Ma topragginnse
rinfansto 15 maggio; e il De M., rimasto anche Ini nella notte dd 14 al
Z5 fra qnd 43 deputati che dai bdconi della sala di Monteoliveto avreb-
bero ecdtato il popolo alle barricate, con decreto dd gingno snccesdvo
era destitnito dalla cattedra e daUa carica di Rettore d^l Collegio Medi-
co. L'anno appresso, sottopotto a processo, sottraevasi aUe ire borboniche,
paitendo segretamente per Genova. Donde paM6 tosto a Torino, e qnindi
a Parigi. Qnivi d trattenne il '51 e il '5a conoaduto e ttimato da uomini
Indgni come il Cousin e il Tronssean , che gli conferl la cattedra di
semeiotica. Nel '53 si rec6 a Nizza, dove rimase solo pochi mesi, ritiran-
s
dod potdft a Tifgla, Mite rhrteni Ufwe, pacae di Glovaaai Rofial,
aaico cd aauBiratore, che Toolsi abbia iatcao di rapprtwnfarlo nel
DoUor AtOomiQ (1855). Ntl '55 tonB6 a Torino, accanto al sao mdm$'mMt
Bcrtraado Spaircnta e gli altri aodd « conpacni di aadgrarioaa, ooi
qaali rimaae net resto dd dccennio, tatto aatorto nefli ttadi e ncO'eaer-
dsio caritatcTole deHa ma proftnionc, in bcnefislo dci poveri, yivcndo
dello acano prorcnto di nn insefnamento die arera nel CoUagto ddle
Province*
Nd '56, inritoto a inngnere letteratora italiana d PoUtecaico di Zorico,
preleri die v'andaMe I'antico macttro ed amico De Sanctis , che pcrci6
lo chiamava tao saivaiart {SeriUi varj, a cvra di B. Croce , Nap. itA
VL, az7-«). Fn conoeduto ad amato dal Mansooi, cni cnr6 la aecoiida aio-
1^ TareM Stanpa e iMe coooocera nd '57 il De Sanctk.
Nd 1859 L. C. Parinl lo numdaTa a iasegnare fidologia a ICodena. ICa,
Uberata Napoli, egU era col4 cogU dtri p\k antoreroli napoletani a pao-
maorere 1' anneedone e U risorgimento morale dd paeae. GarflMldi (H
rettttdra il poato dd CoUegiio Medico con V intecnaaento deUa dil-
nka; gli dettori di ManoppeUo lo tcegUevano a loro rappreaantante al
Parlamento. Nd 1863 paae6 all'ateneo Bologneae, a iniesnarvi storia ddla
BMdidna; e qdvi foml la ma carriera didattica, pit volte rifiotando la
candidatora poUUca oflertacU da* raoi Cbletini. — Pa de' pit ttmnd
propognatori ddl' hegdimM) . e degU tcrittori pit ecliietti torti dictio
r eeenpio dd MansonL Nataralieta di ana sconflnata ervdisioae, rep«l6
Darwin aonK> di corto ingegno, perch^ qaeati non vide nd tnafonaiMW
delle tpade vegetdi e animdi die 11 pnro acddente, una hiUria , cobm
U De M. diceva; e cerc6 in doe opere, sui 71^{ vtgeiaU (1865) e aal
T^ ammaU (t87a-4). di dioioetrare nd raccederd ddle forme nataraB
Tattivitt ddla ragiooe e la finalitt immanente ndla natara.
Scontcoto ddrawiamtnto che vedeva prendere in Italia agli stadj, fan
•odditfatto di t^ e delle coae soe, — chenegliultimiannidima vitabnt-
davaappena tcritte,— di cagionevole aOnte, non traeva conlorto che dalla
ddcessa angdica ddl' animo e dalla freschcisa tempre giovaaHe deglt
entodatmi per tutto ci6 che t beOo e bnono e grande. II libro, dove bm-
gUo rappreaent6 se tteieo con tntte le dati dd rao ingegno e dd sao
CQore, t qod Dopo la kmrta (Bdogna, Monti, 1868-69 2 volL), dl cd d
paila speMo ndle lettere qd apprcaeo pahblicata; tpededi roauuiao tto-
9
sofico, in cal sotto formA di lettere frs due amid, egll ritrae con vivezxa
di colori e calore dl sentimento i bisogni intellettnali dell' eti nostra,
com' egli fortemente li sentira, e qnel senso affiuinoso onde gli scienxiati
empirid sono aflbticati di ricerca in ricerca, di particolare in paiticolare,
e die solo pu6 esser soddls&tto dalla filosofia.
Ricordiamo qui quelle che conosdamo ddle sue rare e disperse scrittnre
(oltre le opere sopra ricordate e gl! articoli citati nelle note di questo opu-
scolo): Saggio smietico sopra fosse cerebro-spmale^ Napoli, Coster, 1848.—
Detto stato e delcarattere attuale delle scienze naiurah', Disc, letto all' Ace.
dei Natnralisti, Nap. tip. dell'Ancora, 1848. — Teorut deifenomeni acusHcx
deUa respiraxione^ Nap. Vitale, 1848. —Dtsc. pronunxiato ildiy maggio 1849
per il nttovo ufficio di Rettore del Colh medico, Ivi, 1848. — Proposta di
um, mtovo sistema di insegnatmento pel Coll, medico, ivi, 1848. — Idea deUa
Jisiologia greca. Nap. tip. dell'Ancora, 1849. — La teoria delfascoUaxume^
Torino, Pomba, 1850. — Idea generale deUo sviluppo delta sciensa medica
OT Italia netta prima metd del secolo. Note. Torino, Pavesio e Soria, 1851. —
IHsiotogia, Torino, Franco, 1859. — 4^^' ^t^ttori di Manoppetto , Napoli,
x86x . — DegU elementi delta medicina, prelezione detta il 10 dicembre 1863,
Bologna, Monti 1864. — Lettera sutta Patologia storica: Sidimostra cJke
ruamo era in ortgine assotutamtente sano, Bologna — Ai suoi etettori^
Bol. Monti, 1865.— Za CMmica fisiologica, Lettere, Fano, 1865.— Z7arB^
e la scienxa modema, Discorso per la solenne inaugurasione degli studj
nella R. Univ. di Bologna, BoL. Monti, 1866. — Delte prime linee detta
patologia storica, Prelezione detta 1*8 gcnnaio x866, Bol. Monti, z866. —
It sovroMo: due art. nella Riv, botogn, del gennaio e marzo 1868. — Deus
creavit , Dialogo I. Bologna 1869 estr. dalla Rivista l>olognese an. Ill,
fasc T e VI. — Testa e Bi^alimi Lett, x.* I controstimolisti, Fano, Lana,
X870. — Smtesi ed episimtesi, prelezione, Bologna, Monti, 1840, — Preno-
Miomi, Bol. Cenerelli, X873. — Alt on, Comm. Gaspare La Vattetta, Let-
tera, Bologna, Monti, X879.— 4^^' eUttori del I Collegia di Okieti, ivi,
x88a. — Cowtmemoraxiome di F, De SamcUs, nel vol. In memoria di F, D,
S, Napoli, Morano, 1884. — Delta medicina retigiosa—Dei wuummtferi (?).
A lui pure appartiene 11 volumetto : Spagnolismi e francesistni, nota dl
Amgbl' Antonio Mbschia, maestro elementare in Zangarone Albaaaee,
Bologna, Monti, 1884 (sol cni valore v. Crocb, La lingua spagn, m ItaHa,
Roma, 1895 p. 60 n. 5); e fors'ancfae due altrl oposcoletti che vanno pure
xo
fl WMC d*n Mfirfcii. ill iiifrhj MiiiMaiiiric d'aitri m rciij di
S<d De MckMMicoMKiHMallri nrtttl bftocimfid che TopMoolo. ricco
di — ■iriiiiiBi <di affetto, ha lono diaoHiicc tahrolta inesatto. <lel
>co«cfttadmo L. Dm I.mmkiwiw, Jlcmon A' A, C.frvf, Dt Mas, Jftcmndt
f.Ckieci, Riod. 1894. e ■■ aitioolo di Oikmiato Fata ael Grrw
diN^mit, u. XX (1891) a. 6S. Parecclii datiabfaiaModesaBtidalla
cxtepoadeaache di hd si coaacnra ad CartccKk> di B. Sparcata,
parte poMedato da B. Crocc e paite cii da lai depositaKo adla Bibl. deOa
Society tlocica per \t pew. aapoletaae; owiispoiidfttia praiioia per obi
oatraire I'lMitwlf e delkata lean ^ qaest*aoaM> cbe aspetta
di cMcr itawieciato e fitto coooaccre. Qaakfae rkocdo del De M.
txovatl aeUe Mamarie t scHUi di L. La Vsta, pabbL dal Vxllaki.
Gli antosrafi deOe lectere eke qni ti ataaqtaao, aoao pce«o B. Ooce.
G. G.
I.
Bologna, 9 febbrajo x868.
Caro Bertrando,
Ti matido qua dentro I'altra mia fotografia in compenso
di quella che hai perduta. Finch^ si perdono i ritratti, h mal
da nulla: Taffare h seriOi quando si perdono e vanno in
malora i cuori d^li uomini. Tu puoi capire che 10 son
sempre dello stesso sentimento; e io capisco perfettamente
che tu pure sei come eri sette anni sono (i), e quattordici*
e ventuno, e piti dietro ancora. E a questi sette anni che
mi sono passati in cosi strana maniera, io non d voglio
piu pensare, perch^ non voglio andare in pazzia, se non d
sono andato gii finora. Ma ho avuto piu d* un aiuto ; prima
i malanni fisici , poi la chimica, poi la storia della medi-
dna, e prima, e poi, e sempre, la collera. Ma non credere
che io ora non capisca che tutto ^ venuto dalla mia fan-
tasia. 11 povero Cousin I'aveva sempre con questa: avec
ceite coquette dHtnagination , e rideva come un pazzo alle
intemerate che io gli faceva. Ma diceva bene. Pensiamo al
presente che rimette tutto il passato, e farebbe Io stesso
anche di peggio; ed h forse tanto grato, perchi quello era
spietato. La vita h insomma un sistema di compensazione:
e certe volte il bene di un momento supera lungamente il
male di anni e anni e anni.
(x) Intend! : airindrcm dm quando si emo diviti, Io Spavcata reiUndo
a Napoli ed il De M. patsando a insegnare a Bologna.
la
Finalmente sono arrivati i tuoi lavori ; non sapevo ^ie-
garmi come tardassero tanto. Devi averli spediti dopo la
lettera. Per dio santo ! Tu hai stampata una biblioteca, e
mi fai veramente arrossire quando mi domandi le cose
mie. Cosa sono queste cose mie? Tre o quattro opuscoli:
due Prolusion!, Tindirizzo ai Chietini , e pochi fogli che
aveva cominciato a stampare dei ptgetabili, Ecco tutto.
Eppure ho lavorato enormemente, e scribacchiato a per-
dita di vista, pi(^ o, se non pi£i, quasi tanto quanto puoi
aver fatto tu , con tutti i malanni di tutte le sorte. Ma
non mi sono avvilito n^ impoltronito mai.
Non h che a Napoli che non ho fatto niente; e forse ^
per questo che mi ricordo con orrore dei due anni che ci
ho passati. L* inferno c* 6 di sicuro : ed ^ T ozio , la vita
inutile; ed io V ho provato.
Ti niando dunque le mie opere; cio^ i tre opuscoli e Vi4
del quarto. Questo preteso romanzo (i), che non so che dia-
volo vorra venire, h gi^ bene avanti. Sono al 19 foglio. Spero
di finirla col nuovo e rientrar felicemente nel vecchio del-
r anno passato; ma non so come si potra fare Tamalgama.
Sono due generi diversi , che stridono di stare insieme.
L*anno p issato ero piu delicato. Quest' anno sono diven-
tato piu grossolano, insjlente, temerario: la parola filoso-
fia, che non ci doveva essere neppure una sola volta. e
che di fatto non sta bene in bocca mia , adesso si cacda
innanzi ad ogni verso con una sfrontatezza di cui io stesso
mi meraviglio. E giu botte da cani, cane io prima. Pare
incredibile ! Ma il peggio h , che avr6 detto un subbisso
di corbellerie , e se dovessi adesso dirti che ho un* idea
netta di quello che fo, non potrei. Tutto va a furia: scri-
vendo, stampando. Non mi h succeduta mai tal diavoleria.
Mi fanno ridere quando mi dicono: fa la lezione. Ma h im-
possibile; un lavoro h un mondo» e le lezioni sono un la-
(z) Dopo Ut Umrta; vita e pensuri di A. E. Db M., Bologua , Monti,
1868-69, 2 volumi.
13
voro : ed 6 del tutto impossibile tenere un piede in un
mondo e uno in un altro. Ma come si pu6 fare ! Finchi
non rientro nel vecchio e lascio questo guazzabuglio che
adesso ho tutto nella testa, sari impossibile che mi ci ri-
trovi pi(^. Le lezionl le comincerd dunque dopo le vacanze
di camevale; e le rimetter6 tutte» calendario in mano.
Non ti mando 1 fogli del preteso romanzo , perch^ fra
poco te lo manderd tutto finito.
Diomede (i) ha fatto un discorso che h una meraviglia
d* eloquenza. Che ingegno ! che pienezza di vita I e che
grande anima! Ha il suo lato pettegolo, lo dice anche lui;
ma tutto sparisce innanzi alle sue grand! quality. Non man-
care di fargli la visita unica di cui gli sei debitore. S*egli
6 in collera, vuol dire che mette prezzo alia visita di un
antico amico. Vacci subito, e non mancare; fammi il pia-
cere, e salutanielo.
Questa sera sono stato da Sicilian! e ho fatto le tue
parti a lui , e sopratutto alia sua eccellente signora. Ora
che quest! due sono qui, sono meno solo; ed 6 un gran
vantaggio per me. Domani vedrd Fiorentino. Manda per
la loro Ri vista (2) qualche lavoro , subito. Sicilian! d fa
assegnamento sopra, e molto.
Salutami Ciccone, il pi^ buono degli uomini e Isabella (3)
la pill buona e brava donna che esiste, e il piu nobile e
piu gran cuore... Addio, addio.
Camillo.
(i) Diomede Marvasi, gii compagno del De Meis alia scuola del De
Sanctis, e poi compagno a lui e alio Spaventa neU'esilio. Un vivo e af-
fettuoso ritratto ne fece il De Sanctis nel *76 in una prefazione negli
Scritti dell'antico e caro discepolo (Napoli, De Angelis), la quale ritro-
vasi nel Nuavi Saggi critici.
(2) Rivisia bologmse, periodica mensuale di scienxe e Utteratura, com-
pilato dai prof. Albidni, Fiorentino, Sicilian! e Panzacchi [direttore: P.
Sicilian!].
(3) La moglie di B. Spaventa. Per questo ed altri particolari, dl cui i'
lettore avesse vaghezza, pu6 riscontrare il Discorso suUa Vita e le operc
deir A. premesso agl! Scritti filosofici di B. Spaventa , Napoli , Mora-
no, X901.
n.
Bologna, 4 giugno x868.
Mio caro Bertrando,
Tu mi fai trasecolare (i). lo non credevo d' aver tutta
quella flnezza e quella astuzia che tu mi hai scoperto ad-
dosso ; io ho saputo sempre d' essere un gran bietolone,
uno tagliato alia grossa , e per tale soiio passato sempre
nel mondo. Adesso tu mi canonizzi furbo e astuto. M^lio;
accetto. A una condizione per6 , cio^ che tu convenga che
sono stato sempre di buona fede, con tutte le infinite cor-
bellerie che avr6 potuto fare e dire, e anche stampare ; e
che questo pasticcio di adesso, con tutti gli spropositi e
le stravaganze di cui potrk riboccare, ^ per6 dal primo al-
1' ultimo verso tutto un pasticcio di buona fede. Credo
d' averti detto che ce ne manca un terzo ; e questo nuoce
air effetto generale. Ma non potevo andare avanti col caldo
e con le lezioni.
Quest* anno faccio le origini : la Medici na d* Ippocrate;
ho fatto la medicina turania e Chinese, e ho terminato la
medicina semitica, egiziana, ebraica e araba. Domani at-
tacco r India. Mi par d* averd visto, in queste origini, non
poche cose nuove e d'importanza: che poi saranno vec-
chie e insulse; ma che importa, se io adesso d trovo tanta
soddisfazione ? Ma sono stanco e tiro innanzi a stento. Spero
(x) Risponde a una lettera scrittagU da B. Spaventa a proposito del
Dope la Uturea,
x6
per6 d* arri\*are a Ippocnte . bendife il amnnifno sia orm
molto lungo.
Ti ho mandato sabito le died copie. Noa mi h paiso
vero. Jm mamms Ami... Ma m* ahra cosa ti raccomando; se
£u dawero quella secooda kttnra (la prima ha dovuto es-
sere un precipizio piattosto che on leggere) Cammi il pia-
cere di farla con la penoa alia mano , e di notanni tntd
gii spropositi che avr6 potato dire (e noo sanmno pociii).
£ sai perch^ ? Perch^ c' k sempre quella hisinga della se-
cooda edizione migliorata e corretta, che 1' amor proprio
ti mette innand , e mx> vi cede fadlmente e vi si lascta
andare volentieri.
Nella Rivista bolognese ci troverai on piccolo articoloc-
cio sul mio romanxo, che me ne £a una sdpitaggine senza
capo nh coda. Ma io mi sooo veodicato, mettendo per
condizione che sotto Tarticolo, invece di iniziali, d dovesse
essere in tutte lettere il nome e il cognome dell* autore (i).
(i) n prof. Cenre Albtcioi » cbe (um6 inifttti Tarticolo bibliogrmfico
9a\ i« ToL dd £>o^ la laureay pubblicato jMtXiM. Rrvisim bolognest. mM^-
fio 186S, pp. 443-3. C. AiBCtNi 41815-1892^ di PorD, s*sddottor6 a Bo-
logna in )e{^ nel '47; Q«l '59 ^ membro delU Ginata pcovviaoria di Go>
vemo» poi delta Depataxiooe che and6 ad ofirire a ViUorio Enaaade
la dittatora delle Romacne; quindi da M. d'Azeglto, commiwirio ndle
Romafnic. sc«Uo ministro della P. I. Eletto depatato, fn nel govemo dit«
tatoriale del Farini ministro sensa portafoglt. Nel '61 nominato proC di
diritto costitnzionale neir Universita bolognese , al laogo dd P<Mina.
Vedi la Ctmnmemtcraxione di C. A.y disc, tenuto alia R. Depataxiooe di
St. Patria dal pres. sen. G. Carducci. Bologna, Fava e Garagnaai, 1892.
Scrisse : Rapporto al govematore generaU \Ciprlxni) deUe Romagnt Bol.
tip. della Volpc 1859 ; DelT ufficio e d^lU attinmxe deUo staio coif rndt-
viduo nrlla civiUd wtod^ma 4 Bologna, 1863 1 ; Del ptngresso deVtammmitd
e meUa scienxa, Bol. 1894 ; L' tndwidtuf e T tncwiHmtmio probaiotu, Bo-
logna x866; Frame. Guicciardmi, discorso, Bol. 1870: Comumamamxiotu
di SaJr. Muxri , Bol. 1SS5 : Ctnno storico sulla ciitd di Bologna , 1886;
Gwvamm Goxxadimi commemtor. 1887 ; Carlo PepoK^ saggio storico , Bo*
logna 1888 ; CowumewwraxioHe di G. Bruno in ForH, Forll 1889; Cctrnme-
wforaxtons dtUa CostUuente dttU Romagne del tSs9, Bol. Z8S9; PoUHcm
e storia^ scriiti, Bol. 1890: e varie Kiittore gioridicfae.
17
Quel che m' incresce b che non ne ho venduto finora che
sette copie... Ci vuol V afMunxio la perfezione sarebbe la
ficlame; ma questa non ^ da noi, non la sappiamo fare.
La fara per me Salvatore (i), ed io ci avr6 un gusto matto.
Mi ha scritto una lettera amabilissima , e mi annunzia la
sua diatriba. "k quello di cui ho bisogno per vender delle
copie. Bravo Salvatore! Gliscrivo per ringraziarlo d'avanzo.
Fiorentino ti saluta. Ti feci mandar subito le bozze. Fu
Fiorentino che si prese Tincarico di rendere la lettera {2) pre-
sentabile al pubblico, e perfettamente conveniente. Io per6
m* era riserbato di vedere le prove di stampa, e puoi star
certo che Tavrei finito di spogliar d* ogni allusione perso-
nale che ci avessi potuto ancora trovare. Siciliani venne la
mattina appunto con le bozze perch^ io le riguardassi ,
e invece te le mandammo subito.
Salutami Isabella, e dammi un bacio a Millo e a Miml.
Addio. Tuo
Camillo
P, S, — Tu hai detto una parola che mi ha fatto gran
piacere. Quello mio 6 un libro profondamente religioso, Io
r ho sentito cosi; e godo infinitamente di sentirtelo dire (3^.
(i) Salvatorr T0MMA8I (1813-1888) di Roccaraso in Abruzzo , il ce-
lebre fisiologo ; v. Tart, di J. Molbschott , S, Tommast e la rif, delta
medicina in Italia nella N, Antologia del 16 ottobre 1890. L'art. del Tom-
mas! lul Dopo [la laurea usd nel giomale H Morge^pti da lui diretto
in forma di lettera al De M.; z868 , an. X, p. 304. Ad alcune oaserva*
zioni di lai, il De M. rispose con una lunga e briosa lettera La natura
medicatrice e la storia delta medicina ; ivl pp. 550--572 e nella Riv, bO'
tognese dell'agosto z868, pp. 662-84.
(a) PaolottismOf raxionalismo, positivispio ecc.; lettera dello Spavcnta al
De M. pnbblicata nella Rivista bolognese del maggio 1868, ora ristam-
pata nel citato vol. di Scritti filosoficit pp. 390.314. Vedi ivi la nota pre-
liminare.
(3) In una breve awertenza al <lettore ingenuo e benevolo > die va
innanzi al a« vol. del libro, I'autore dice : « Sei pregato di non laadarti
pigliare all'apparenza. Questo che ora ti presento fc, come il luo com-
pagno, un libro religioso , e voglimi pur credere ch' io sono sinceramente
cristiano. E ne rispondono la mia vita, e tntti i mid pentieri >.
III.
Bologna, aa gennajo 1869.
Caro Bertrando,
Ti ho da dire che tu set uno scandaloso; e non ti me-
ravigliare del termine da missionario, giacch^ io lo sono,
esempre piCi me ne accorgo, e mi sento divenire sempre
pi^ mistico e religioso: capisci bene, alia mia maniera, e na-
turalmente alia tua. Ripeto dunque, che sei uno scanda-
loso , se ce ne fu mai al mondo , perch^ questo che stai
facendo , h uno scandalo vero e proprio — per lo meno ;
ma la parola, sappilo, non rende tutto il mio pensiero, che
h assai piu forte e risentito. Non mi hai pii^ scritto ad im-
mefnorabili, Che vuol dir questa cosa? Niente di bello,
senza dubbio ; ma a questo non ci voglio pensare io, e
aspetto che tu mi spieghi quale h il brutto che c' h sotto a
questa tua mutria. Io sono stato moltissime volte sul punto
di scriverti; ma aspettava sempre una tua lettera, giacch^
r ultimo a scrivere sono stato io, e questo che ora sto fa-
cendo, di tornare a scrivere, ^ un caso unico, una eccezione
che credo di non aver mai piu commessa in vita mia.
Io sono stato malato , e il 30 d* agosto fui per morire.
Settembre e mezzo ottobre sono stati spesi a rimettermi in
gambe, e non ho fatto che andare attomo pel Veneto. £
t'assicuro che ne ho ben vedute di belle cose, e ne ho
capite anche di piu.
Poi mi sono dato a lavorare a furia, e mi sonotrovato
pii!i giovane di un anno dell* anno passato. Dimmi tu come
possa modare qoeslo caso, che io per me oon arrivo a tro-
vmme la spiegaziooe.
Mi soDo dato daoque a scribacchiare il secondo volame
della Lmmrea't e appunto volevo scriverti di qoesto , per-
chfe svrei desiderato di toccare del boon Tari; il quale bai
da sapere cbe scrisse a Yittorio (i) una lettera longhissiiiia
Delia quale si esprimeva in tennim di molta amiciria a mio
rignardo.
Ma io HOD bo potuto compreiKlere la sua filosofia, che
tgli espooeva in quella lettera - ardcolo (a proposito: d
fossi comicciato per le piccole castratore che fed all* ar-
ticolo tuo ? Ma non lagnarti, percb^ fu meglio cost; altri-
meoti, i paolotti di qui si sarebbero scatenati di piu. — O
fbrse per 1* articolo di Sicilian! ? Ma io cbe c* entro, se non
Io conoscevo e non 1' ho letto nemmeno ora, e ho sapnto
da Fiorentino le imprudenze che d sono ? (2). Vedi danque
che la tua matria — se h per questo ~ h assolutamente senza
ragioue).
Io volevOy stava dicendo, toccare di Tari in quella se-
conda parte della Laurea; e volevo scriverti perche mi fa-
cessi capire in che consistesse la novxti e la spedaliti di
quel suo limitismo (3); ma il tempo h passato, e Tocca-
(i) Vittorio Imbiiftiii (1840-1885) figlio di Psolo Bmilio, nolo scrittore
di cose letterarie e filosoficbe. begeliano , amicissimo alio Spaventa , e
al De Meis, Vedi le Omoranxe a V. /. (Napoli, Morano, 1887); G. Dn.
GiUDiCB, y, I. ed alcune su€ UiUre itudiU, Napoli, 1894; e ana gindi-
ziosa nota di B. Crocb agli Scritti vavj del De Sanctis, II, 357. Vedi
pore la prefazione di F. Tocco al vol. GU scritti damtescki di V. I. PI-
renze, Sansoni, 1891.
(2) Si accenna a un art. di P. Siciliani, GK htgeliam m Italia^ ndla
Riv. bologtuse del 1868, I. 516-49.
(3) Ecco II sunto cbe il Tari stesso inseii nel Rend. tUlfAcc. deUeScien^
nu>r. e polU. di Sapoli^ an. XXI, genn. -apr. 1882 pag. 10, della primm
delle sue qoattro lettere filosoficbe lette in quell' accademia nella torn,
del 20 marzo '82; intitolata appunto Delia dotta ignoranza e del U$miHsmo:
« Uno Scetticismo dottiinale, non esagerato, ma contenuto in ginsti ter-
mini, permette solo da un lato, I'aver fede in un Ideale Pratico, cbe
governi la Vita; e, dall' altro lato, lascia libero il campo alia Sdenza
az
sione ancora. Adesso quel che h fatto e fatto, e il secondo
volume non ^ solo finito, ma mezzo stampa»o. Pure, se tu
me ne volessi dire una parola... ma tu sei uno scandaloso
e percid non ne parliamo.
Non h solamente la Laurea che 6 finita, ma anche un
altro piccolo Hbro intitolato Lo Stato (i). L' ho terminate
precisamente questa mattina , or ora ; ed h per ripigliare
il fiato e ricrearmi un poco che ti scrivo, e non per altro
motivo; non te ne lusingare, perchi sei troppo scandaloso,
come ho avuto il piacere di dirti fin dal principio. Que-
sto Staio mi pare, al giro che ha, che non deva esser ve-
nuto tanto malaccio: vedrai e giudicherai.
Ho anche fatta la Prelezione al corso di questo anno.
£ un opuscolo. Quando Salvatore fu qua mi mostr6 piacere
di metterlo nel Morgagni (2). lo, dopo che 1* ebbi recitata
(non tutta, uno squarcio) all* University , gli scrissi che la
teneva a sua disposizione. Non mi ha risposto. Insomma»
la vuole o non la vuole ? Fammi il piacere di domandar-
glielo, e digli che il soggetto e il titolo h delta tnedicina
sperimeniaU; e che ho cercato la distinzione della buona
Finita, onde s' informa e perfeziona la Vita stessa. Un sapere Totaliiit
e non LcUeralita^ se fosse possibile, nullificherebbe I'lo nella cognizione,
c per6 la cognizione stessa in s^: cosa assurda, poich^ 1' empiria h or-
ganicamente connessa al Reale, che adombra; ed il Fiuito non lo si di-
stmgge comprendendolo, sibbene si awiva riducendolo ad Accenno,
Allusione, Signi6carione deir Infinito. Questo porre semiobbiettivo, per-
cbfc indeclinabilmente umano , h ci6 cbe TA. chiama il Limits transln-
ddo di ogni cosdenza ; e che , dia!ettizzato in Assoluta Negatttntd di
gindizii, dk a risultante, una Immantinente (^) Trascendenza dell' Uno
Sostanziale nella evoluzione di tre diadi logiche, che paiongli: « II Nulla
e 1' Essere » « I'Apparenza e 1' Essenza » « il Reale e la Nozione ». Tra-
lasciamo la discussione di esse. Basti dire che mettono capo al gndthi
utuUdn dell'oracolo, e conseguentemente adunasocratlco-kantianaDoTTA
Ighoranza >. — Si tratta insomnia (salvo errorel) di un soggettivisaM>
o di uno scetticismo temperate per il fondamento che gli si d4 di una
dialettica metafisica.
(i) Fn pubblicato nella RMsta bologneset an. Ill, sez. II, vol. I.
(a) Dove infatti fit pubblicata, dispensa marxo-aprile 1869, an. XI,
pp. 161 >89.
cfae si pad e si deve fare (e perch^ non s'allanni disii
cbe qoesta h qaella che fa lai) dalla cattiva cbe non e per-
inesM> di (are in nesson modo. Glielo dirai ? Da ono scan-
daloso come te non mi posso prometter niente, per coi
fo cooto di non aver domandato questo piacere.
Addio, salutami Isabella e danimi un bado a Camillo e
a Blimi.
Ttto
Camillo
IV.
Bologna, 6aprilc 1869,
Caro Bertrando,
Son proprio contento di sentire cosi bene awiata la tua
llberazione dal Proweditorato, e divenuta a metii fatto com-
piuto : non puoi aver 1' idea del piacere che mi fa questa
cosa. Bene , proprio bene. Da che sei con quell' impi^^o
addosso, ti sei arrenato e non hai fatto piu nulla. Non b
il tempo che ti ^ mancato, certo ; ma la testa, accaparrata
dal miserabili afikri. Al diavolo duuque 1' impiego, e fa di
riguadag^are il tempo perduto.
Quello che mi tomi a dire, di questa seconda parte della
Laurea, d'averla mandata gi£i d*un fiato , h tutto quello
che ci pu6 essere per me di pi£i lusinghiero e trionfale.
Capisco che per questo ci vuole uno come te, e per due
gran ragioni , che tu puoi bene indovinare, senza che io
te le stia a dire. Fo dunque una enorme tara al mio trionfo;
ma il residuo h ancora per me una cosa estremamente pia-
cevole. Questa seconda parte ti avr4 persuaso che il libro
non h scritto a caso, come hanno detto, ma che c* era una
unit^ ed un disegno, comunqQe non potesse apparire dalla
prima parte.
E hai detto bene che non h una veste gittata addosso a
uno scheletro o a un manichino, ma h tutto una cosa, tutto
un'anima ; perchi assicurati, che delle confessioni se ne sa-
ranno fatte, e delle metafisiche perfino (i); ma una piii sin-
(i) Allude alle Confessumi di am metafisico del ^amiani ( Fir. Bar-
bara 1865).
cera e piCi completa h difficile che ce ne sia. E hai veduto
quanta spensieratezza , quanta festa , e quanta felicitik c* ^
dentro — almeno d dovrcbb' essere ? Questo accadeva per-
ch^ in questi due ultimi anni» quando mi fu passato il male
dello stomaco , io sono stato realmente e completamente
felice, al punto da non aver nulla a desiderare. Ma ades9o
tutto questo h finito , ed eccomi caduto in una infelicity
che non pu6 aver l*eguale. II malanno, di cui mi doleva
con te, quando ti scrissi 11 due o tre marzo passato, non era
altrimenti 1* emorroidi : era invece il male delle vie uri-
narie, che dopo tanto tempo s* 6 fieramente risvegliato ad
un trattOt e senza cagione asseg^abile ; con questo di peg-
gio» che mi rende impossibile lo stare a sedere; cosa che
non aveva fatto mai, nemmeno nel piix forte della tempe-
sta dell*altra volta. Ed eccomi da un mese sacrificato a non
far nulla, che per me 6 1* ultimo grado della miseria e del
tormento. Ed ecco il magnifico stato in cui ora mi ri-
trovo; ma non farebbe nulla, se almeno potessi {M'evederne
la fine.
Ma parliamo d'altro. Poich^ hai fatto la risoluzione eroica
di rileggere la Laurea^ fammi il piacere di notarmi tutte
le difficolt^ e gli spropositi d*ogni genere che ti verranno
osservati. Chi sa se un giomo non star6 meglio, e non avr6
Toccasione di far la ristampa. Non dir mai muori {never
say to die), dice un proverbio inglese; e cosi io voglio fare.
Io ho una certa lusinga che quel libro» se sar^ piti difiuso
(350 copie non si chiama una pubblicazione), far4 del bene
nei giovani : ed b per questo solo, che mi piacerebbe che
fosse ristampato. Ci saranno moltissimi ai quali fari cattivo
efifetto : qui ne sono rimasto eccessivamente screditato, — se
pure posso usare questa parola, quando il credito non ce
r ho avuto mai. — Ma non importa : d sari sempre qual-
cheduno che ne piglieri qualchebuona impresstone; e quello
basta : a poco a poco. Nessun giomale, n^ di Bologna n^
d'altrove, ha detto una parola. Solo Bonghi 1' ha secca-
as
mente posto in nota fra le PubbUcazioni nuave, Et voila
tout (i). £ sta bene.
I Sicilian! sono rimasti molto commossi ieri sera a rice-
vere i tuoi saluti, eti sono molto grati. Che buoni cuori,
e che gran giovane k. questa signora Cesira (3).
.... Fa presto a venire, e intanto scrivi : mezza pagina
mi far^ piu che contento. E ama assai il
Tuo
Camillo
(i) ViTTOUO IMBRIANI ne fece una recensione nella Nuova AtUoUtgia^
vol. IX, (iuc. di tettembre 1868) pp. 204-5.
(2) L» signora Cesira Pozzolini, moglie del prof. P. Sicilian!, distinta
scrittrice e coltissima gentildonna. Vive ora a Firenze nel ctUto, pieno di
nobil decoro , del defunto marito , e la saa casa di via dei Pilastri k. il
ritrovo dell' aristocraxia dell' ingegoo fiorentino.
APPENDICE
'
I) Discorso Agli elettori della suapravincia (i), pubblicato
dal De Meis 1*8 maggio 1848, 6 uno de*piii curiosi document!
di quell* anno meniorando. Incomincia: « Cittadini e fra-
telli I Voi mi avete eletto a rappresentarvi nel Parlamento
Nazionale; e il vostro voto 6 venuto a cercarmi in una so-
Htudine dimenticata ed oscura. Rimasto insino ad ora in
una piccola sfera di relazioni private, ho menato una vita
di affetti e di speranze in una inquieta e dolorosa inazione.
lo ho accompagnato col cuore il lento e tacito sviluppo
della nostra nazionaliti^, ho affrettato col desiderio il com-
pimento dei destini d* Italia, ma non ho potuto che fre-
mere e gemere in segreto dei mali che I'hanno oppressa
e degli ostacoli che ne hanno per tanto tempo impedito il
risorgimento e la redenzione dal giogo straniero. £ se
qualche piccolo e lieve sforzo ho tentato per la liberazione
della nostra patria» h stato pure in secreto per la fiera con-
dizione dei tempi, quando la stessa ombra ricopriva i de-
litti pi£i obbrobriosi e le piu generose azioni. lo non ho
nemmeno avuto Tonore e la gioia di patire per 1* Italia ».
Era gi^ un linguaggio abbastanza ardito per un deputato
al parlamento. Ma le idee si vedr4 che non lo erano meno.
// prima e piii essemiale scope che abbiamo a raggiun-
gere d V indipendenza d^ Italia, Per arrivare all* unit4? No;
(i) Di p. p. 14 in 8; s. t. e s. a. Se ne conserva una copia nella Bi-
biioteca Cuomo di Napoli.
30
il De Meis h d'avviso che «!* Italia indipendente dovri
per ora, e forse per lung^o tempo ancora, costituire sei,
owero piik tra monarchie democratiche e repubbliche, tntte
strettamente e potentemente riunite da una grande e glo-
riosa repubblica federate ». ~ Quindi, prima di tutto, guerra
nazionale I II parlamento deve farla da s6 , sottraendola
« ad ogni influenza antinazionale, tanto nella capitale, come
nel teatro della campagna. II Parlamento dovri nominare
nel suo seno un Comitato di guerra , che ne Avrh la su-
prema direzione indipendeiitemente dal potere esecutivo.
Non i quesio al certo il momenio di serbare la streUa U-
galitd; egli h questo un istnnte supremo, in cui si devono
assicurare per sempre, e foidare le sorti della Penisola ».
II De Meis concepisce il Parlamento convocato dal Re come
una assemblea costituente. « II Parlamento Nazionale h la
legg:e vivente^ h la legality person ificata, e la sua missione
ora non k di comentare e di combinare articoli ; ma ella
h prima di liberare la Patria Italiana, e poi di fondare lo
Stato Italiano ».
Vuole che la guerra sia sorvegliata anche al campo, che
vi si mandino quindi i Commissarj di guerra del Parla-
mento «i quali corrispondano direttamente con la Camera,
ed abbiano sovrani poteri sul personale militare ». Queste
proposte e propositi conferiscono qualche elemento, mi
pare, alle spiegazioni dei fatti del 15 maggio.
II De Meis poi sosteneva che si avesse a riconoscere l*in-
dipendenza della Sicilia « non per gli antichi e contrastabili
suoi diritti, ma per quelli che le vengono da un fatto potente
e innegabile, da un sentimento profondo di nazionaliti di-
stinta, che si h cambiato in fermo volere, e manifestatosi
con una grande e gloriosa rivoluzione ». Tanto, Napoli e
Sicilia non avrebbero poi dovuto riunirsi al resto d* Italia
nella confederazione ?
Ma il pill curioso per chi conobbe il De Meis dopo il '60,
conservatore e moderato dei piu intransigenti , h. il se-
guente brano di politica giovanile. Cacciato lo straniero.
costituito lo Stato, « la mente italiana continuer^^ nel seno
della liberty la sua logica evoluzione. Tutte le opinion! de^
vono perci6 essere abbandonate al loro libero sviluppo e
punto non devono essere impedite nella loro manifesta-
zione, comunque contraria esser possa airattuale ordine di
cose. Alia societa umana sono segnati tanti progress! , e
sono prescritte tante forme di necessario svolgimento : la
Monarchia assoluta e TAristocrazia, la Monarchia costitu-
zionale aristocratica e la Monarchia costituzionale deraocra-
tica, la Repubblica politica e la Repubblica sociale, e, chi
sa, forse finalmente il Comunismo puro, tomba di tutti i
pregiudizj umani; ecco le fasi che sono prestabilite alia so-
cieti» e che no! conosciamo o possiam prevedere finora:
le fasi ulteriori son ricoperte di tenebre impenetrabili. La
liberty ha la missione di abbreviare la successione di questi
periodifCdi affrettare ravvenimento e il trionfo dei nuovi
principj ».
£ vero che il faturo moderato soggiunge : « ma perch6
ci6 si concilii coU* ordine e colla stabilita dello stato» egli
h giusto che coloro i quali sentono in se stessi una mis-
sione tanto iniportante e quasi divina, si liniitino all* uso
della parola, ma si astengano da ogni via di fatto ». Tut-
tavia, V* era piu del necessario per fare dello scrittore un
propugnatore della rivoluzione, da essere ben tenuto d*oc-
chio dal Governo. Anche il comunismo ! Altro che le idee
progressist poi tanto rimproverate dal De Meis al suo De
Sanctis ! — "Sh ammetteva un Senato di nomina regia. « O
I'altra Camera punto non dovra esistere, o se vorrA con-
servarsi, dovr^ sempre, come Taltra, uscire dal principio
elettivo: perch^ il Popolo h la sorgente unica da cui ema-
nano tutti i poteri , ogni altro potere h illegittimo » e la
Camera non potrebbe riconoscerlo ».
Queste intemperanze bastano a farci capire perch^ un de-
creto del giugno 1848 destituiva il De Meis dal suo ufficio
di Rettore del Collegio Medico; ma sono le intemperanze
caratteristiche del liberalismo napoletano del quarantotto,
3*
che attendevano gli ammaestramenti delle sventure del-
I'anno seguente.
Del resto, il Nostro si pregiudic6 ben altrimenti che con
questo discorso elettorale. II suo nome trovasi fra i firmatarj
{h il decimo) delta famosa Protesia sottoscritta da! deputati
napoletani in Monteoliveto la sera del 15 maggio. Nella
requisitoria del Procuratore generale Filippo Angelillo,
del 31 maggio 1851, il De Meis ritrovasi fra i 331 citta-
dini imputati « di cospirazione e di attentate contro la
sicurezza pubblica interna dello Stato nel fine di distrug-
gere e cambiare la forma govemativa, ed eccitare i sud-
diti e gli abitanti del Regno ad armarsi contro 1' autoriti
Reale; nonch^ di avere con effetti eccitata la guerra civile
fra gli abitanti della stessa popolazione (sic)i reati consu-
mati nella capitale il giomo 15 maggio 1848 (i) ». Ma
TAngelillo, considerando che gli elementi di pruova pel
sopradetto reato a carico del De Meis e di altri imputati
assenti , potevan essere meglio valulati nella loro indole
ed effeltivo valore alP esito del giudizio a carico di Sa-
verio Barbarisi e degli altri rei presenti, (fra cui Silvio
Spaventa) accusati altresi, di detenziofie di carte criminose
per guisa che nel di loro rapporto si rende utile riservare
le prowidenze dopo il compimento del suddetlo giudizio^
proponeva che si prendesse appunto questo partito di ri-
servare le prowidenze sul conto del De Meise compagni.
Proposta accettata dalla Gran Corte con sentenza del 7
giugno 1851 (2).
(i) RgquisUoria ed attt di accusa del P. MMisttro presso la G, Corte
Criminale e speciaU di NapoK etc. nella causa degH awenimenii poH-
tici del IS maggio 1848, Napoli, Fibreno, 1851, p. 15.
(2) Vedi M pp. 45t 84* 86* ^ cfr. < Quadro degli impuUti dei reati
politid del 15 maggio 1848 in Napoli co' riBultanetiti dei rispettivi giu •
dizj >• n. 190, in Decisione della G, Corte speciale di NafoU nel giudi-
zio ecc.t Napoli, Fibreno, 1852 pp. 82-3.
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CIHO DA PISTOIA"
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DOTT. ALBERTO CORBELLINl
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Tipografla del c Corriere Ticinese »
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^■•)ll!^.^X'^l'i{i!i)T'
Propriety Letteraria
©^ nua moane
Nelle umili pagine die ti presento, o mia diletta, to
parlo di ineffabili dolori che tu, nelVaere sereno del no-
stro affetto, non sospettasti mat; pur tu, che hai inteU
letto d^amore, nelVaccoglierle benifftiamente, dimmi se
una larva angelica, accarezzafa nello spirito esfasiato,
picd ispirare i piii soavi e i piii angosciosi canti d'amore.
n tuo
Alberto.
1
I.
.s'S^ cJon/uv cuta^uccUci/i
Qaesto mio stadio rigaarda un solo periodo della
vita di Cino da Pistoia; gli anni dell'amore, non brevi
b6 determioati, ma perduti in un labirinto di congetture
e di contraddizioni. A c[uesto propoaito, le rime sono
il miglior documento; ma, come fa g\h osservato, Cino
non ci ha lasciato la storia intima della passione sua,
come Dante nella Vita Nuova, o come il Petrarca che
deiramor suo ci ha descritto i pid minuti particolari:
perci6 gli accenni sui quali si possa Air assegnamento
per riconnetterli a fatti storici, sono pochissimi, oscuri
e dagli studiosi del poeta o non avvertiti o male inter-
pretati.
Ma la vita di Cino, che tutte le sue sventure dovette
allecrudeli condizioni della patria, deve esser stud lata
anche in relazione alia storia contemporanea di Pistoia,
dalla quale non 6 possibile far astrazione per intendere
alcuni passi delle rime e per trovare la causa deter-
minante di alcuni atti della sua vita.
Le conclusioni a cui verr6, suppongono la reale esi-
stenza di Selvaggia e la sua identificazione con la figJia
di Filippo Yergiolesi , non importa se propriamente
quella che and6 sposa al Focaccia, o megiio Fup:acia,
come risulta da un documento pubblicato dalio Zdeka-
uerO), della famiglia dei Cancel lieri. La dimostrazione
(1) SttKii pistoiesi. I. Fooacola. dei CanoelUeri*
6
della esistenza di Selvaggia, contro il Bartoli che voile
infirmarla, Ai gi& tentata da altri, 0) d6 io ripeterd
cose g\k dette. Per6 nessuno , ch* io sappia , ha dime-
strato che nulla nel Ganzoniere di Glno autorizza a
pensare a una donna-angiolo^ che nulla ci parla in esse
di questa idealiU o essere astratto, spirito, alito, soffio:
che la donna angelicata, il fantasma d'amore di Gino,
6 esse stesso un fantasma del forte intelletto che Tha
concepito.
Ghi si leva oggi a dimostrarlo, tardi si muove; pure,
poichdancor oggi*moIti accolgonoi risultati di questa
tesi, io dedicher6 poche pagine^ contraddirla, affinch6
non sembrlno campate in aria le conclusion! a cui io
verr6 intorno a Gino da Pistoia.
■
Alia ricostruzione dell' amore di Gino per Selvaggia,
quale appare dalle rime, riconnettendolo ad alcuni fatti
storici, far6 precedere la dimostrazione che quella pre-
tesa fungaia di amori, puUulanti a ogni passo dalle rime,
d frutto in gran parte di errata interpretazione.
Ghi abbia appena lotto le rime dello sventurato
amante ptstoiese non pu6 non osservare che tutto Ta-
mer suo 6 tessuto di ripulse e di infelicity; iidWoscuro
profando delle sue pene (^) non un raggio di speranza
gli.rifulge,dacch^ Selvaggia si 6 accorta delTamor suo.
Or fu ben osservato che Selvaggia appare donna sde-
gaosa, flora del suo orgoglio, che incute timore aira«
mante;e fu egregiamente notato che quella di Gino 6
storia d'amor triste e sventurato nei giorni nefasti
delle stragi di parte. Ma fu pur detto, malamente ar-
chitettando coUa miglior buona fede del mondo, che
Gino dope (a partenza forzata o volootaria da Pistoia
— partenza che si riannoda coUa questione deiresilio —
81 rifugiasse nel castello di Piteocio presso i Yergiolesi
(1) U, Nouola: Selvaggia,, Yergiolesi 'ecc, Bergamo, 1889.
(2) Cino : CAnf . ; ]>•% po* m'hal degnato.
< e per ricovrarst in sicoro, e per la stretta amicizia
con quella famiglia a motive delta amorosa sua passione
per Madonna Selvaggia, figliuola di Filippo » (i). Cosi
la pensano dal p\\k al meno tutti i biograS del poeta;
e oosU essendovi un lasso di tempo nella vita sua, tra
il 1301 e il 1307, in cui non sihapiU notizia di lui (cosa
ched'altronde dimostreremo non precisamente e^atta),
se ne inferisce che egli « si era ritirato in Plstoia
presso la sua Selvaggia del Yergiolesi, cercando dj di-
menticare col sue amore le terribiii lotte municipal!, e
le stragi che turbavano questa fiera citt^ » ^).
Niente di pid inesatto e di piji illogico, percb6 viene
contraddetto a ogni momento dalle rime del poe^a^
Selvaggia non 6 Tamante affettuosa^ non T arnica, non
la donna contegnosa nella sua onest^ verso V innamo- '
rate : queU'anima feroce e disdegnosa (3), lo cui grande
orgoglio ha sempre assalito il poeta con spietanza e
con tetnpesta , non solo non lo ama , non * solo sente
freddezza o repulsione per lui , non 6 solamente un .
duro monte^^)^ madia nemica, la terribjle. partigiana
che odia il cittadino appartenente, almeno p^r aderenze,
alia fazione avversa, 11 Sinibuidi, il nemico sue aborrito.
11 poeta stesso ci dice che 6 il suo nome che gli
porta la maledizione dell* odio di Selvaggia :
Uomo, lo cui nome per eiTetto
, Importa povertii di gioi' d* Amore, (5)
E aItrove> nella canzone < lo non posso celar il mio
dolore > , canzone < assemplata di lagrime » , il poeta
invita i versi suoi a recarsi da quella donna amata:
Tu vedrai, solo al nome, s'a lei piace
Quel che (essa) delFaltra mia persona £a.ce,
^J) Ciampi: Vita e poesie di Messer Cino — Pisa, 1813; pag. SI.
(2) L. Ohiappelli: Vita e op. giur. di GIqo da Pisioia -r Pistoia, 1881 ;
pag. 89.
(3) Cino» Son. : Voi che per nuova vista di feresza.
(4) Cino^ Son. : Carcaado di trovar lui^era in oro.
(5) Cino ! Son. che comincia cosI,
8 ..
^ I ■__ _ - ^ ^ ' .— ^ — ^^^^
o, se meglio preferiscesi la lezione del Chigiano :
Ta yedrai solo al nome cb' allei spiaoe
Quel che dell*altra mia persona face,
do?« U Fanfani interpreta: < Daireffetto che vedrai
far sa lei il ricordarle il mio nome, ti accorgerai che
fltima faccia del rimanente della mia persona ».
- E qai parmi non inopportune riferire i seguenti
yersi della strofa seconda della canzone < Lo gran disio
che mi stringe cotanto »:
. . . io fine ; e vol credete a tal parola
Gh'^ s\ come una sola,
^ Che mbrto ^ quel, cui '1 nome or vi dUdegna (M
II che signiflca, se vedo lume nel periodo sgrammati^
cato: € io mi coosumo nel dolore », e yoi credete a tal
parola, la quale 6 tutt* una cosa col dire : 6 morto colui
.il cui solo nome oggi yi muoye a sdegno, perchd la
morte seguir^ in breye.
Bastino ora questi semplici accenni : io mi propongo
di dimostrare a suo tempo che Gino da Pistoia appar-
tenne, almeno per aderenze, alia parte Nera, cio6 alia
fazione contraria ai Vergiolesi, che erano capi dei Bian^
chiJ
Mi proyer6 da ultimo a sciogliere alcune question!
intorno air esilio di Cino ; e , trattando della morte dl
Selyaggia, ayyenuta alia Sambuca — castello della mon*
tagna pistoiese, doye Tesule Filippo Vergiolesi si era
rifugiato oolla figlia — dope il 1307, come accenna Pan-
dolfo Arfaruoli (^ , prover6 che gli argomenti (3) ad-
tlotti dai biografl, che yorrebbero in&rmare Tattendi-
bilit& di tale notizia, sono iiifondati.
(1) La letione ^resente dl quest* QlUmo verso 6 del Ciampi, e parmi pr«-
feribile, nella soa evideDte tgrammaticatara, airaltra sensa sense :
Che *1 mode d qael ohe gli non vi disdegna. (Fanfani).
(2) Kotliie riguardantl la yita di Cino ecc. y. in ChiappelU op.
,oit. Documento Xy, pag. 99. .
(3) y. il oommiato della Odnt. « Lo gran disio che mi puoge cotanto ».
Bissi che 11 mio lavoro presuppoBo la reale etistenza
di Selvagg'a; e 11 mio modesto edfflsio crollerebbe
qaando si provasse che Selvaggia non b esistita.
E Doto come snblto dopo che il dottor Luigi Chiap-
pellt ebbe pobblicato 11 sao pregevolissimo lavoro
« Vita e opera giaiidioho >, di Cino, Adolfo Bar-
toli , nef quarto yolome della ana Storia deUa lettera-
tut*a itcUiana^ gianse a conclusionit intorno la doona
di Giao, precisamente contrarie a quelle prima accotte
dagli studiosi del poeta. Egli non aoto neg6 che la Sel-
Taggia di Gino potesae essere Selvaggia Yergiolesi ; af-
fenn6 pore che in mezzo a tatte le donne amaie da Gino,
« non 6 lecito nemmeno dire che Selvaggia tenga 11
prime loogo » (i)« Disse di pift : < Ignoriamo se ci sieno
poesie acritie per nna donna sola, o se tntie collettiTa-
mente non abbiano ispirato il poeta^ yagheg^^iatore di
nna bellezza anica , diviaa in tanti esseri amati > ^.
Dal dir questo al sostenere che in Gino , che canta la
paurosa Dea, il reale aembra aflatto dilegnato, che i
yerai d*amore ai dlrebbero allocinazioni asceticbe, che
nella ana poeaia non hayyi nulla di nmano « non pas*
skme che acoota le fibre, ma on longo lamento che
0) Bartofi — 81. l«tt. iuX^ t. VT. ysf . 101.
<Q Bart»& ' St. kU. iul« t. HT. f«g. 91.
10
dairanima del poeta si elera ad iia essere yagheggiato
dalla saa meQte, non c*6 che an passo. Le parole se-
gaeati siotetizzaDO il peosiero di Adolfo Bartoli : c Gli
amori terreoi dod lasciano dubbio iotorao alia lore ua-
iara. Noi dod sappiamo , oggi , chi fosse la merla o la
BologDese o Teccia o la Pisaaa; ma seotiamo sobito
che dietro que* nomi si nasconde una realU «... lavece
che cosa poiisiamo raccogliere della donoa-aDgelo f G*6
Id tutto il caozooiere del gran p stoiese an solo date
di fatto per istabilire che essa fosse persona reale? C*6
almeoo la prova che la dea ispiratrice di cosl alti vers!
corrifpoodedse all* amore del sao poeta? Nemmeno
questo. L*aogelo era aozi una duona senza piet^ . • . .
la donnaoangelo era beatrice, ma doveva essere anche
selvaggla • . » .
Per giaogere a queste conclusioni, il Bartoli aveva
dovuto demolire tutto qaanto da secoli si era venato
diceado intoroo alia donna di Cino , aveva dovnto di-
struggere la tradizione di una reale donna dal c doro
cor d*ogni mercd avaro . . , bella e crudele — d'amor
selvaggia e di piet& nemica > , per sostituirvi un es-
sere mistico, vaporoso, una ideality trascendente, de-
stinata a svanire, come Tedifizio del Bartoli architet-
tato Delia sua splendida ricostruzione critica.
Ma qui mi si permetta di notare che lo stesso suo
giudizio sulla poesia di Cino 6 fondamentalmente er-
rato: « La poesia h alta e soave, 6 quasi una musica
sacra, un gemito d*organo nolle grandi e solenni na-
vato d* una cattedrale del medio evo >. Ma questa 6 la
pace, ma questa 6 la solenne sacra serenity del tem-
pio I No , no ! La poesia di Cino 6 un gemer lungo ,
un canto disperato , non nella severity di una catte-
drale , ma in un regno di demoni , in mezzo ad una ridda
scapigUata e cruenta di forsennati, di gente crudele di
sd stessa e dispietata. II dolore di Cino 6 il dolore n-
mano, e tutta la gamma delle passioni 6 nelle sue rime
n
ritratta: speranza e disperanza, gioia e dolore, <i) ribel-
lione e rimorso; crudelt^ e pieih, amore e odio, ideality
e sensuality, yoIutU della vita e della morte; e la sua
donna 6 essa stessa amore e odio» vita e morte, (^)
luce e tenebre , amata o nemica ; e chi presume di
creare una donna angelicata, raccogliendo pochi vers!
qua e 1^, sapientemente combinandoli e dando una co-
moda interpretazione, fa tutt* al pid quel corpo ammi-
rando cui voile plasmare Pigmalione , ma cui manca la
potenza vivificatrice della Dea.
Chi voglia confutare le opinion! espresso daAdoIfo
Bartoli deve propers! un duplice assunto:
1) dimostrare che le rime di Cino rivelano un
amore reale inspirato da donna vissuta in carne ed
ossa, da un essere, chiunque ella fosse , umano ; fare ,
insomma, la controdimostrazione della donna angelicata.
2) dimostrare che la donna cantata nella mag-
gior parte delle rime 6 Selvaggia Yergiolesi.
Al secondo di quest! quesiti hanno anticipatamente
e implicitamente risposto tutti colore che si sono oc-
cupati di Oino , dall* Arfaruoli in qua, e di proposito,
per confutare il Bartoli, Umberto Nottola ; P) al primo,
ch'io sappia, non ha risposto nessuno.
Quantunque io non consenta sempre nolle argomen-
tazioni bene spesso acute del Nottola — per esempio,
laddove si sforza di provare a ogni costo rattendibilit^
deirArfaruoli che appare oramai scossa in troppi punti,
come per ci6 che riguarda Tamore a una tal donna
Marchesina Malaspina, in cui lavora di fantasia sulle
rime, e per ci6 che riguarda il dottorato, impeditogli
la prima volta che egli lo chiese (cosa affermata bensi
dal Papadopoli centre il Panciroli, sulla fede del Por-
(\) Cino — Son 05 ; ediz. Fanfani .* Onde ne vienL Amor, coal toave.
(t) Cino — Son* 151 : « Non chlamo gik Donna^ ma Morto — qoeUa ch«
altrui per ser^itore accoglie — e poi gabbaodo e sdegaando I'ucoide >•
(3) Selvaggia Vergiolesi, Studio di Ui^berto Nottola^ Bergamo, 1S89L
12
cellioo, dal Pigaorio e del Salomooio, ma Degata da tutti
i critici odierai unanimemeDte), e par rispetto ad
altra aflermazione di cui m*intratterr6 altrove — pure
sembrami dimosiraia la reale esistenza di Selvaggia^
per quanto^ come dlr6 in seguito, anche 11 Nottola
noa sappia dare uua plausibile spiegaziooe del sonetto
su cui si ba«a gran parte deirediQcio sue, < Lasso:
pensando alia distrutta valle » e ia ispecial modo della
aecoDda terzioa, 8u cui furono imbastite pagine molte,
sempre, se vedo lume, contro il senso comuae (^)«
A parte duaque, la reale esisteoza di Selvaggia,
resta a dimostrare che le rime di Gino, le piti belle,
quelle, che lo fanoo degoo di essere coUocato tra
i pid alti poeti deiramore e del dolore, aozi tutte
le rime sue, noa hanno nulla a che vedere co}r essei^
aereo dipinto dal Bartoli.
E aozitutto, impariamo a coaoscerla, questa donna
vagheggiata nella mente, quasi in sogno, in un^eatasi,
in un rapimento; esamioiano qitesto qualche cosa d*i-
dealizzato, questa parveuza, spirito, alito, sofflo: puiE>
essere che nelle nostre mani la parveoza prenda forma
e sostanza, si rivesta di came ed o$sa e si faccia donna
irradiata di sovrana bellezza, dalla luce dei piii begli
occhi che lucesser mai e dairafietto iueffabile del poeta;
pu6 essere che la Santa, la Yergine, essa circonfuaa 41
luce, simbolo di ogni cosa bella e divina, scenda dal-
Taltare su cui il critico del secolo XIX con Tardi-
mento del genio Tha coUocata in una bella creaziooe
artistica, e diventi la donua cui le passioni umane fan
bella 0 brutta, indiata o maledetta.
La donna augelicata 6 una di quelle tanle che il
Bartoli erode di scorgere chiaramente nelle rime del
(1) Nottola — op. cit. pag. 88.
13
Dostro meusimtis amaior f £ queHa cui il Bartoli nega
ri chiamastfe realmente Belvaggia?£ la doijDa beatriee
del i^ao oaore , alia quale allude nel soneito a Daute
< NoyellameDie amor mi giura e dice >, a6 quella per
cui Gfaerarduccio GaFisendi lo chiama «cttoryano, di-
sctolto e lasclvo » <^) 06- la bella Pisana dalla bionda
treccia^» 0 6 la Teceia <3), 0 un'altra donua dalle treccie
bionde, o quella dalle aere (^>^, 0 6 la oscura velata, in
un ammanto negro, 0 '6 la doaoa cantata nei yersi
d*amore corrlsposto, 0 quella dai versi in cui eombat-
tone la speranza e 11 timore, 0 quella da cui, fatta sposa
d'un altro, rinnamorato attende 11 compenso lungamente
aspettato, 0 6 la bella bolognese ^^^ 0 qnelia che pare
sia stata prima buona e pietosa e poi Tabbia ingannato
e deriso ^% 0 j& la fante piacente in cera C') , 0 6 celei
che gli 6 cara < sol di stare alia finestra » (^)? £ chi piti
ae ha, piCi ne meiia, pereh6 il Bartoli, di ogni poesia
£a un amore, quando non ne fa addirittura due, come
del sonetto < A mio parer non 6 chi *n Pisa pprti, »
da cui per una bizzarra interpreta^ione si evocano due
donne. <•>
No: Selyaggia non 6 la donna angelica ta> poich6
Selyaggia, afferma il BartoU> d un nome conyenzionale.
(1) Rtma di Cinq, date, in luo6 da B P. Fauptioo Taiso, yunecia 1S89
pag. 1U«
{%) Cino •* Sonetto: « Al mio parer non h chi *n Pisa porti.
(3) Ivi.
(4) Cino — Sonetto : * Per una meria che d'intorno al ToUa ».
fb) Cipo — Son* « 0 lasso! cbio credea trovar p^etade »•
(Oy Cino — > Son. « Chi a falsi s^mbianti il core arrisca ».
(7) Oino — Son. « Lasso ch*fo feci una vesta diamante »•
(6) C|no <— 8on» « Lo flno amor corteso chiama e^tra >•
(9) II passo h questo: « lo non dir& tjael che veder Vft\ parya — del cava •
lier ardito dalla treccia, — se non ch'io porto nella mente Teccia » dove 11
Bartoli interpreta: « Fortnna che sono innamorato di Teccia, se no m*inva-
ghirei della Pisana ». No, qui il sense 6 chiaro : lo non vl decanter6 altri-
menti le virtd di questa bella dalle treccie blonde, se non col dirvi che porte
nella niente Tecoia.
14
sotto 11 quale possono essersi nascoste anche pii^ donae
successivamente <^). Dunqne chi 6 il fantaslna, Tessere.
Tago, evanesceDte, astratto ? Esso, diciamolo subito, non
6 nessuDa delle donae suaccennate; quelle hanno avuto
Tlta e corpo, furcno desiderate, anelale, amate coIi*ar-
dore dello spirito e del sensi; c dietro a quel nomisi
nasconde una realty : tra Gino e quella donna sentiamo,
dai suoi versi» che ci furono jntimi legami. » (^)
£ dunque un'astrazione para, ua*aliacinazione, una
parvenza, una coucretizzazione di un pensiero sogget-
ti?o, un* idea a cui assorge lo spirito assetato, ma noo
raggiungibile? Non propriamente cos): < Pu6 essere
che una figura di donna reale lampeggiasse negli occbi
del poeta; ma quella forma terrena si assottigliava in
idealitii, vaniva in un essere astratto, a cui restava
quasi nulla di umano. > (3)
Tale TAngelo dinanzi a cui Tasceta deiramore, s*ia-
ginocchia, Tessere impalpabile a cui il poeta indirizza
i versi della sua ideality mistica.
Determinate il pensiero bartoliano, facciamoci una
domanda: Quali sono i versi dalle penombre vagbe,
dalle sfiimature e trasparenze^ dove non appaiono che
i contomi di tin corpo e le ali di un cherubino f Quali
son le rime che cantano la donna angelicata? II Bar-
toll ci ha bensl fatto uno schizzo di essa , ma non ci
ha flssato nettamente i criteri per distinguere le rime
del concepimento mistico da quelle dell* amore reale ,
nobile o basso , ideale o sensuale ; e sarebbe state ne^
cessario, perch^, date anche che quelle esistano, troppo
spesso troToremo che si qonfondono con queste.
(\) Bartoli — Opera citata, pag. 100, nota I.
(V Ivi — pag. IK.
r^ iTi - pag. 19.
15
Pare ci 6 logfcAmente data di fissare i segnenti ca*
pisaldi :
1. Non abbiamo diritto di pensare a ud essere aereo '
o fantastico, tat{e le volte che accanto at concetto di
angeld^ sia pure espresso ia tutte le forme possibili ,
apparisca un nome particolare di doona che rappreseati
iin essere amato ia carne ed ossa.
H. Noa peaseremo a larve e a faatasmi dell' a-
inore tutte le volte che accaato a que* fragraati fieri
del penaiero/ oade tutti gli innamorati amano d* inco-
ronare le lore belle, come angelo, angelo di Dio» an-
gelica SgavB, si. trovi I* espressione delle passion! piii
umane e piji sentite.
3. La donna, angelo, per determinazione del Bar-
ioli (vol. IV, pag. 112) deve essere seo^a piet&r c L' i-
dealit& mistica delTamore cantato dal poetadoveva ri-
manere inaccessibile ad ogni preghiera mortale , non
poteva piegarsi ai voti deir amante senza distruggere
s6 stessa ». Ne consegue che, se ci troviamo di fronte
ad una donila pietosa, essa non 6 pii^ angelo , perch6 ,
per defi.nizione, la donna angelo deve essere spietata.
Gi6 posto, io dichiaro che qualunque pin diligente
studioso trovi , leggendo senza preconcetti le rime di
Gino, una dozzina di passi in cui la donna appaia pa-
ragonata ad angeli o a cose celesti> 6 buon indagatore,
e mi sforzer6 di provare.che e questi e quegli altri
con cui il-Bartoli crea « queiressere che oltrepassa
ogni confine umano e che va a nascondere il capo tra
le nuvole d'oro che circondano il trono di Dio » (Bartoli,
pag. ID), sono element! raccogliticci , posticci , messi
bellamente insieme per mirabile magistero di mosaico.
• «
Certi fenomeni psichici, come T astrazione di tutte
le facott^ in un essere mistico, suppongopo disposizioni
speciali deiranimo: bisognava adiinque cercare di sor-
16
preadere il nestro amoroso messer Otho , IntiaBiorato
delle larve della iiua mente, rapito in sogno, in estasi
coBtemplativa.
A oi6 si presta la cansoiio XI: cL'afta speraasa cbe
mi reca amore > eoi yersi dal BartoU ciiati a pagiaa
104, nota 2.
€ lo mi sto com* oom ch6 pnr de^
D*Qdir le* soapirando soyeste; -
Per6 eh'i' ml risgoardo entro la mente,
E ti*oyo cbe ell' 6 la donna mia . . * .
*
Qaesta canzone si bella e nova (Y. commlato) ha
per il BartoU nna importanza tanto capitate nella dt-
mostrazione della sua fesi che egli ta cita ben tre volte
a pag. 104 e a pag. 107. Nei v6psi wprodotti noi ve-
dtaroo il poeta raccolto in sd stesso, sospirando sovente
desioso di udir la donna sua: egli 6 di.quella
ch*h tntta gentile
E le sue parole son vita e pace,
e gli si para dinauzi, cosa non solita al poeta del
dolore, un miraggio di felicitSi. Egli ^ trasognato, ch6
.... questa donna plena d'umiltate
Giugne cortese e plana U) ,
E posa nelle braccia di pietate.
Non crederebbe a 86 stesso! pur egli ripensa tutto
Tacoaduto e trova che 6 ben la sua adorata the gli ftt
pietosa. — E beandosi de* suoi dolci sospiri.solo^ per-
ch6 altri non li oda , felice una volta., inalzaun inno
di lode a lei che gli sta nella mente, cosl come la vide
Di dolce vista, et umile sembiaoBa
Onde ne tragge Amore una spei^anza, ,
Di cbe '1 cor pasce e vuol cb^ n ci6 si fidL*
Domando alle anime innamorate e felici, ai € Cori
gentili e serventi d' Amore i^) > se c' 6 bisogno di pen-
(!) Variapte, Ciampi : Vnxana.
^) Cftttzdtid ohd comincU cost
17
sare a mistici faatasmi delta mente per intendere que-
sta cadzoDe , se 1* essere qui cantato non 6 essere a-
maoo abbellito dairamore; domando inflne se la de-
scrizione di questa donna risponde al concetto della
donna angelicata inaccessible ad ogni preghiera mor-
tale, negazione di ogni speranza, fonte di sconforto e
di martirio?
L* Angel di Dio della ballata (^) 6 tanto un*astrazione
della mente di Gino , che pu6 esser yednto da tutti :
Questa giovane bella
Che m' ha con gli occhi suoi il cor disfatto ,
. . . di tanta virtude si vede adorna,
Che « qual la vuol mirare »,
Sospirando convielii il cor lasciare.
E yedremo che non era solo a mirarla, ed era ge-
loso ! C*6 di pid : essa parla , e si dolcemente cbe il
poeta anela solo a tornare dove essa 6:
Ogni parola sua si dolce pai*e,
Che \h» 've posa torna
Lo spirito, che meco non soggiorna.
O che bisogno avrebbe lo spirto di affannarsi per
tornare do v* essa 6, se I'amata 6 nn* imagine sua?
II sonetto 139 ^) ci ofTre la donna angiolo net due
ultimi versi della seconda terzina:
Questa non 6 umana creatura:
Dio la mandd dal ciel, tanto h novella.
Ma udite quest' altri versi dello stesso^sonetto :
. . . Volentieri il farei servidore (il cuore)
Di voi, Donna, piacente olti*6 al pensare:
Qii atti e i sembianti, e la vista che appare ,
E ci6, ch'io veggio in voi, parmi bellore.
Come poteo d' umana natura
Nascer nel mondo Hgura si bella ,
Com sete voi!
(1) Cino, edia. Fanfani : Angel di Dio simlgUa In ciascua aito.
(2) CIdo, ediz. Fanfani: Li voatri oochi gentili e pien d*ainore. 3
18
■* ' ~ ~ ■
L*angiolo 6 di came ed ossa, poiclii i nato d^umana
creatura.
I versi del Bartoli citati a pag* 105 a dimostrare che
il poeta, guardando la figura della sua donna, « diventa
beato, come diventano beati gli angell nella contem-
plaziane di Dio » significano soltanto cK egli diverrin
felice guardando lei , come dichiara il y. 4. della bai-
lata steftsa da coi son tolti. £d ecco :
Poichd sasiar noi^ poaso %^ oodii miei 0)
Di guardar di Madonna 11 suo bel \\so
Mirerol tauto ^o
Gh' io diverr 6 felloe lei gi:^*dando.
N6 avvi duopo di essere trasumanato In una vi-
sione angelica per scoprire in Madonna una bellezza
aempre Aoova, tanto pid quaudo rinnamorato si senie
aoceso di forte martirio.«t)/o pel saverehio mirare degii
occhi stwi :
«
.... Ooehiy per vosUfo Bdirape
Mi veggio tormeniare
Tanto^ oh*io sento F aUimo rjespiro. (^>
II Bonetto Vir(')'descrive Tavvenenza, il mover de-
gii occhi, il dolce rise, Tangelico diporto, la nobiltii
degli atti, PumiltJi del sembiante della sua Donna
Tutt* amoi*osa di sollazso e igiooo,
E saggia nel pai*lais vita e conforto,
Gioia e diletto a chi le sta davanti.
Dov* eUa apparisce si vede il sole i^) E qual meravi-
glia se 6 essa stessa il sole agU ocohi del poeta? (^)
(1) Baiiata ohe comincia cost — E il madrigale HI del PaofAni.
(2) Ball. Quanto pi4 fieo ntro.
(3) Son. ^ta nel piaoer della mia donna Amore
(A) Son. Se mt riputo di nionte alquanto.
(5) Cfr. Son. XX: « Lasso 1 ohUo non veggio il cbiaro sole
N^ BO per che ragion ml si d furato.
Ch6 ver di me non luce com* et taole ,
Nd mi risoalda. si h raffireddato. >
'*■
Nelia ^caazone 25^ (i) in cui il poeta ei idferKia ^4^
al veder Madonna ogni pensier vile gii fug^p <U. v^«4
pensiero del resto umanissimo, come qaeUo cW iuu
stra quella ^irtii per cui 6 ammiraodo il f^mmuau
etemo, egli ci apprende pure che essa si sd4gu<> o^h*
tro di lui ii gioroo cha s' accorae , dalla sua niakvriU>
figura, deiramore che gli ardeva il cuope:
. . . prese nimist^te
Allor conti*a pietate, che s' accorse
Cii'era appai*ita (pietate)
Nella smarnta flgura ch' io poi*to.
Gio6, dnoque; per quelli cbe voglion vedere, 6 I'amor*
che a chiare note si leggeva snl mio volto , che V ha
'sdegnata, e non valgono a smoverla le lagrime
yena4e per potenaa
Delia graTOsa
Pena^ che posa nel cuor che & fatica.
E r innamorato Yorrebbe pur ribeliarsi perehd:
. . . non muove i*agione 11 disdegno ,
Ghd io convegno seguire isfbrzato
II desH> oh'io sostegno
Secondo ch* egli 6 nato ,
Ch'a ci6 vegno come quei ch'6 menato.
Qiunto a questo punto, e osaervato che cosa dol-
ciasuaa e terribile & il suo saluto, il Bartoli segue di-
cendo che» davanti alia donna angQlicata, Tamore del
poeta prende qualehe cosa del mistico; egli non la vede
piii come doana, ma come un segno delta poftenza di<«
viaa; le lodi ehe-salgoao a lei » sono lodi al creatore:
essa 6 trasumanata. C^)
Quali versi han dettato al grande critico queste pa-
(1) Non spero obe giammai per mia saltite
(2) Vedi — Bartoli, pag. 107.
1
20
role piJi alte di quelle che le hanno ispirate? Nod vi
sia discaro che io le riferisca:
Donna , per Die , pensate
Ch' e* per6 vi fe' mei*avigliosa
SoYi'a piacente cosa,
Che Tuom laudasse lui nel Tostro avviso
A ci6 vi di6 beltate
Che vol mostimste sua sonuna potenza. i^)
Versi non belli e che non racchiudono nessun con-
cetto originale, come ognuno mi pu6 iosegnare. Pur
avrebbero avuto anche minor valore per la sua tesi ,
se il Bartoli non avesse dimenticato di citare questi
versi della stessa canzone, meravigliosi per Tediflcio
della d(Hina angelicata:
Com* io credo di plana,
V* elesse Dio fl*a gii angioli piu bella »
meravigliosi, si, e degni di angelici amori, ma ai quali
seguoDO immediatamente quest* altri:
B 'n fai* oosa novella
Prender vi fece condizione umancu
0 che ci vuol di pid che 1* attestazione stessa del
poeta a persuadere i sostenitori della donna angelicata
che Madonna era proprio in came ed ossa?
Del resto, basta leggere la canzone per convincersi
che essa 6 un lamento del poeta per non poter veder
lei che arreca vita alia sua ammortita persona: n6 mi
rincalzino gli eredi delle idee di A. Bartoli che gli 6
appunto il lamento di non aver potato vedere quella
desiata imagine, se non nel sogno penoso della sua
imagi nazione, poich6 il sitibondo d*amore 6 li a smen-
tirlo:
. . • io mi pai*to punto
Del loco Ih, u' posso voi vedere,
Ov'6 Io mio piaoere.
(1) Ctjx, !^: Si mi oostriDge amora.
21
Ma il quadro non 6 comp^eto. € Quale sar& in co-
spetto deIl*aQgeIo il sentimento e Tatteggiamento del
poeta amante? L* appressarsi della divinitji induce ter-
rore nello spirlto... » E chi non lo crederebbe quando
ce lo insegna il caldo maglstero della parola di A. Bar-
toli? Pur udite in una prima citazione Tuomo annien^
tato» udite Tamore faito spavento:
Amor ch'6 cosa plena di paura (>).
Che non ci prenda 11 tremito per si poco, perchS 6
tutta qui Tespressione del terrore! Ma si leggano i
versi che seguono subito al citato e si giudichi se non
ne esce mal concia la donna angelicata:
Amor, ch' 6 cosa plena di paura,
mi fa geloso stai*e,
onde madonna sdegna
e sdegnando mi cela saa figura,
e perdo lo'mirai*e
che mia vita sostegna.
E inutile ogni commento dinnanzi a questo sfogo di
un povero geloso^ fatto segno alio sdegno di madonna
per le sue smanie.
Ma siccome 6 troppo naturale che la vittima delle
sventure d*Amore tema il capriccioso Dio, non ci me-
raviglieremo che il povero poeta senta in ogni suo sense
un tremore e sia si smarrito da sembrar fuori di senno.
Dal di che la donna gli diniostrb che le e^^a in dispia-
cenza, morto il di diventa molte fiate ^*).
. . . se continoTa il tormento
Perch* io non mora, prenderk noTella,
Non giii buona n6 bella,
Fatto lo mondo de la vita mia;
Che della mente per malinconia
Uscu'6.
(1) Cino, edis. Fanfani: « Deb ascoltate come il mio sospiro ».
(2) Cino, cansone « Tanta paura mi d giunta eoo. »
2^
DtepejMiAmoei aduikque di esamiaare {;Ii altri versi
cb0 ci' av^iano ranimo tarbato di Oino, dacch^
. . . gli piange dentro al core
La <iq^irtto yezaoso deUa vita,
laiGiaiBO<ehe ogfiuno giudiohi se nel bellissimo aonetio;
Nolle man yostre, dolce donna mia,
Tamore si, confonda con an vago e indistinto desiderio
delle cose cele8ti;iiotiaiso sdta&to ramamopimprovero
che ehiaramente vediamo in qotosti versi :
lo 80 chf^ a vol ogaitorto dispiaoe*
Per6 la.morio ohe non ho servltar
Molto piii m*entra nello core amara,
nei quali il poeta scoosolato e atterrito di attirarsi
nuovi sdegni» le riofaccia che essa 6 cagione a lui di
morte, che non ha servita, cio& maritata> e aggiungiamo
appena di passaggio ohe il ooacetto deiraliUna terzina (^)
6 ehiaramente espresso in m^lUsstmi aliri'Canti d*amor
seotito e vero per donnaiyiveate e non per tenite im-
palpabil aura^ come son* 2Q, son. 120 > canz^ IV, bal-
.lata 3*» son. 64 » canz. 22, canz. 23 ecc. E tra tutte
qneste rime, mi sia concesso di citare ii solo madri-
gals 6«:
Amo< quattto si pud, n^ per conforte
Do Tamoroso affaono, aIti*o desio
€ Ciie veder gli occhi de la donna mia »
Et alia perch^ io sia
Fra gli infelici amanti il pid infelice,
Qnesto ancor mi disdice«
E sol mi mostra* tanio il sao bel'viso,
Gh^io vegga ohe. mio dnol le mnoTa a rise,
dove, si noti di grazia> non 6 certo detto che egli non
ha mai yeduto quelia desiata imagi^ae » p<QiPch4 d inna-
morato d*un fantasma della sua mente^i
(1) Oeniil madonnA , mentre ho della vUtt
Aooi6 chMo mora oonsolato an poco,
Piaocia agU ooohi mlei non etter cara.
m
l^a qu^rultima idea soi'ridestranamenie'al^BslMoli,
ed egli si {iffanna per dimostrarla, srcch6, una VOlta al-
meDO, va smarrito il senst) comune. TJditelo:
< Esrsa anche solo di csser guardata si sdegna:
.... Madonna sdegna
E sdegnando mi cela sua figura.
€ Quest*ultimo verso dice forse qualche cosa di piti
del suo seuso appareute. A me pare che esprima il
lamento di uoq aver mai potuto vedere quella deside-
rata imagine, di non averla potuta vedere altro che nel
sogno penoso dell'imaginazione ». Noi abbiamo gi& visto
piiDi sopra perch6 € madonna sdegna » : gli 6 che Tin-
namorato, sempre piano di dubbi paurosi, la tormenta
colla sua gelosia, epperd altrd non ci appulcro:
G*6 di piii; e qui siamo j^oprio al punto capitaie
8u cui A. -Bartoli par fondare la dimostraziene della
donna angeHcata; ed^eco quanto frali le basi.
II documMto^ la prima terziua del sooiettadd, del-
r^dizioneFanCani, sonetto ohe io riprodueo per in^ttero
dffinohd ogviano da s6 veda quant'esso sia p^o , e
<l«eale sforzo di pensi^ro oi voglta per afiferrare Tin-
ierpretazione architettata dal Bartoli:
Donna, io vi miro, e non 6 cbi vi guidi
Nella mia mente, parlando di vui ;
Tanta paura ha Panima d*altinii,
Che non trova pensier in cui si fidi.
'(^d'eUa pm*. eonvien ebe pianga* e gvidi -
Denti^o a 40 core ne' sospii*i sui,
Per quella Donna, de la quale Io fui
Si tosto. preso, pur oomlo la vidi.
Blla mi tiene gli occlxi su la mente
B la man dentro si cor, com'una fera
ITemica di piet& orudelemente.
Non si pa6 atar in nessana maniei*a,
Ch^, B'es8ei*e*pote9se, solamente
Sareste voi, e non pid quella, aitiera.
24
^■^iJMUJi^— ^al Itl I ■
In questo sonetto, adunqae, a interpretare pingui
Minerva, GiQO che non sa trovar sfogo con sessano
airangosciato pensiero, tanta paura ha tanima d'altrui,
ha costantemente fissi Delia mente gli occhi di quella
donna, (H della quale si innamor6 non appena la vide,
non pu6 dimenticarla un solo istante e gli par che
essa gli stringa il cuore colla mano, com'una fera —
nemica di pieth, crudelemente.
Ma il Bartoli scrive come € si confermerebbe che
GiDO non ha mai visto la desiata immagine se non oel
sogno penoso deirimaginazione » dai versi delta prima
terzina del sonetto da me riprodotto, e interpreta:
€ io non posso che contemplare T imagine sua, essa
tiene gli occhi miei, su, in alto, flssi a4a sua mente, e
da ci6 6 lacerato crudelmente il mio cuore, perchi
appunto non 6 che un*imagine quella che io amo ».
Goncediamo -* che non 6 possibile -* che Cino
abbia adoperato , se ben colgo il pensiero del Bartoli,
la niente deiramata per T imagine astratta che delfa-
mata si sarebbe flnto nella sua imaginazione il mistico
innamorato, quindi V ideality a cui anela il poeta:
mente, quasi idealitd in contri^pposto a realty ; non
arzigogoliamo suirassurdo di questo non piik veduto
tropo ; solo vediamo se con questa interpretazione pos-
sano accordarsi le parole € E la man dentro al cor »
del secondo verso della terzina, almeno sintattica-
mente.
£* un compito ben modesto. Siccome il soggetto 6
Ella^ madouna angelicata, e tiene 6 il verbo che 6 co-
mune agli oggetti : gli occhi (tiene gli occhi miei suUa
sua mente, ciod fissi in alto alia sua mente, o imagine)
(1) Selvaggia era « bellissima di corpo, et in particolare g li 0€ehi • Vedi
« Noiiiie rigaardanti la vita di Cino » deWArfaruoU, in Chiappelli^ op. cit.
pag. 100 — Vedi anche : Cino^ Son. I pft) hfgli occhi che lucesser mai, Madrig^
Onardando per li prati ogni /ior bianco; Rimcmbro de' begli occM il dolee
bianco, — Per cui Io mio dcair mai non fia itanco, ecc.
e la man {mi tiene la man dentro al cor), ne verrebbe
H segueote interpretazione per i vagheggiatori della
donna angdlo; JSssa tiene gli ocdhi miei, su, in atto,
flssi alia sua mentey ed essa tiene ta mia mano dentro
al sua cuore.
Ora ci6 BOn d& alcun senso isolatamente, e ne d4
anche meno quando s* aggiungatio 1e parole del tedto:
sicoome fei*a
Nemica di piet^, crudelemente.
• •
A questo puiiio A. Bartdll si trova dinan^i aiHe
rime nelle qtiaTi il poeta canta la mOrtia dtill^ sua
donna, CD n6 polendo ragionevolmetrte sosrtenerei che
la larva immortale, cui J)io mandb dal Cfel (*), il fan-
tasma che egli dona atrimaginare dolente di Cino, in
cui paion confondersi la creatura e il creatore, Tessere
terrene e Tessere celeste, non potendo sostenere dhe
essa, la trasumanata, possa spe^nersi prima detla mente
creatrice, non pTotendo insomma tentare la dimostra-
zione della morte spirttudle accaduta tutta entro V a-
nima del poeta, come tece per la Beatrice di Dante,^^)
basandcsi sopra il passo della Vita nuovd, <^ap. 29, che
comincia < forse piacerebbe al presente, ecc. » 6 co«
^tretto a far delle «*.oncessioni alia ver!t& e , a pTOpo-
site del sonetto « lo fui sutralto e huI beato ifhonte, »
che ha dei versi tra i piu patetici d^Ila letteratura
italiana , W e in cui sono troppo evidenfi gti accenni
materiali e locali, scrive : € Noi siamo dispostissimi ad
(1) Bartoli: Storia della lett., Vol. IV, pag. 115.
(S) Cino : Son. Li vostri occbi gentili e pien d'amore.
(3) Bartoli: op. cit., pag. SCO.
(4) A D9 dreourt: Cino da Pistoia in BibliolJUque Universelle' Nouv.
Per. 3, 158, pag, ^: « Le dernier vers :
L*alpe passai con voce di dolore
est un des plus tonchants de la langae italienne, V 6cho po^tique en risonne
encore dans lea d6fil6s de TApennin ».
26
ammettere che qui si tratti di una donna veramente a-
mata e perduta ». Non rilever6 come egli, qui, daila di-
mostrazione positiva della donna angelicata, sdruccioli
in obiezioni negative della esistenza di Selvaggia; non
dird neanche del valore di queste, perch6 mi accadr^ di
doTorne parlare altrove, almeno per incidenza, e perchd
a ci6 ha gi^ rispo^to il Nottola ; (0 solo osserver6 che
di simili restrizioni alle Rime dell' amore angeiicato
troppo ha dovuto fame percbd la parvenza angelicata,
soffio evanescente , non scompaia: <^) essa vive la vita
d* un fantasma e com* esso muor coUa luce , come lo
spettro d'Amleto al cantar mattutino del gallo.
Or una domanda: T amore per la donna angelo, le
ebbrezze mistiche, la beatitudine contemplativa, Testasi
celeste > Tannientameuto del terrore, Tinvadere della
morte quando la Donna s*avvicina, la Donna fatta Die
e adorata nolle preghiera, sono finzioni poetiche, leno-
cini delParte o sono terribili realty?
A proposito del terrore airavvicinarsi della Donna,
terrore che egli ha fatto rilevare negli altri poeti della
scuola medesima ^ il Bartoli scrive : € E dunque vero
per tuttl^ llo , non d vero , anzi , per nessuno. O plut-
tosto diciamo che 6 verity, ma solo in quauto ci rap-
presenta il tormento dello spirito che anela a un*idea-
lit^ non possibile a raggiungersi. Prima che la donna
reale produca questi effetti , dovranno passare molte
centinaia d*anni. » i^)
(I) U. Nottola .' Selvaggia Vergiolesi eoc. pag. &8-69.
(S) Abbiano gik visto chtfu^le rime a Selvaggia, ni a queiraltra pleiade
di amanti ohe il Bartoli regala a Cino, banno a cbe vedere oolle rime della
doDoa ideale vagbeggiata in estasi: nh a quetta voglionei riferire le time in
morte delKamata e tanto meno la Poeela del dolore, a cui il Bartoli dedica uno
splendido oapitolo cbe A an flne etudio psicologico deirinfelice poeta a cui
parve nel dolor gioia mntira, Infatti U Bartoli scrive a pag* 1S3 « poche
donne ebbero an tributo di coal grande dolore sal lore sepolcro.. male si con-
oilierebbe qoesto realisnoo poUa pittufa dell* essere aereo cbe abbiamo sia-
diato. Qui tatto 6 vero, tutto Intimo e originale ».
(3; Bartoli : op. oit. pag* 194.
27
NoQ lasciamo inosservata questa coatraddizione bella
e buona, per cui il terrore all' avyicinarsi deir angelo,
della gloriosa donna della mente, per adoperare la e-
spressione dantesca piegata a una significazione spe-
ciale, non 6 vero o pluttosto 6 verity in quanto ci rap-
presenta il tormento dello spirito... ecc. ; questa sotti-
gliezza che vorrebbe parer distinzione, 6 in realty una
toppa per coprlre certi mal dissimulati strappi della
donna angelicata e rivelano il pensiero del Bartoli, qui
vago e indeterminato.
Parmi poi che sarebbe duopo dimostrare che prima
che la donna reale produca questi effetti, come il terrore,
€ dofranno passare molte centinaia d*anni. » E date anche
che quei nostri padri non sapessero amare una donna
reale con raffinatezza di sentimento, quasi con morbosiU
d'alTetti e con squisitezza di torture dello spirito, come
fanno i lore flgli dope molte centinaia d'anni» chi sa-
prebbe dirmi come avrebbero potuto delirare in fatti
e in versi, con tanta profondit^ di sentimento ed evi«
denza di dolore, per un* ombra vana della mente? Ha
pur consentito il Bartoli che la poesia del dolore di
Cino, che 6 la pid alta e pid terribile nella sua verity
psicologica, espressione dei martlri piu orribili cheab-
biano dilaniato Tanimo umano> 6 intima, originale, sen-
tita, ispirata dalla realtJt, ed 6 ben essa, io credo, che
pid ayyicina il Nostro a Byron, Goethe, Leopardi, essa
che fa riflettere al Bartoli che Tanalisi di un tale sen-
timento, « di dolori che si pascono di lore stessi edi-
ventano vita che si rinnovella nella perpetua agonia »,
in un poeta del secolo XIII 6 cosa che fa stupire! Ora
6 appena necessario osservare che anche i terrori dinanzi
airamata da cui si pud aver pace o tormento e 1* inef*
fabile desiderio di vederla, come il tenevsi la man
presso lo core (^) e tagghiadarsi del sangue nelle vene (^
(1) Oino: Son. Signor, io son ooloi, oh^ vidi Amore.
(^ Cino: Boa. Taal** l*aiigotoU oli*aggio d«Blro «l oor«.
28
e il coy^rer iutto in amoroso affanno, <i) e il treinare, im-
pallidire e agghiacciar tutio (^) q gli altri atti come
(V un Che in gravitd si more , sono una forma del da-
lore umano per donna vissuta, sospirata, amata nel de-
lirio dei sens! e dell'anima.
Ma sia che vuoisi di ci6 , preodiamo atto di qiianto
il Bartoli ci dichiara, che Te^pressione di terrore del
poeta 6 verity appunto in quanto € ra{]S)^*^s3^^& ^^ tor-
mento dello spirito nonpossibile a raggiungersi. »Ag-
giangiamo anzi che a ci6 tutto lo studio del Bartoli 6
una risposta: la donna angiolo 6 yeramente sentita —
a giudizio del gcande critico — e le rime che la can-
tano < son quelle do?*egli si ferma con artistica volutt^
dove la sua mano disegna con grazia geniale, dove sale
ad eccelse allezze. > <^
AUora TuQica conclusionepossibile sarebbe cheuno
dei padri deUa lirica d* amore » il celebrate giurecon^
suite dal potente intelletto, er^ un povero allucinato da
unire alia lunga schiera dei mistici fraticelli medievali*
assunti dal pensiero yaciUante , abbagliata nella con-
templazione di Dio, alia beatitudine ceJestA : docuiBento
nuovQ air ardua tesi Oenio o follia^, che tanto impic-
ciolisce Tintelletto umano.
(1 ), Cino : Son, Veduto ban gli oochi miei si bella cosa.
(2) Cino : Cans. L'uom ohe conosce 6 degno oh*aggia ardire.
(3) Bartoli: op. oH. pag. 101;
^^ dm
opcutc.
t^H^^^W^^W^^^^W^^W^^^^^^W^W^
Un pensier sempre mi lega • mMnvoIve
II qoal convien ch*a ftimil di beltate,
In moHe donne sparte si diletti.
Cino da Pintoia.
Ben 6 vero : < il n'est rien si soupple et erratique que
BOtre entendement. C est le Soulier de Th6ram6nes bon
4 tout pied. » (i) Per singolaritSi di sorti umane e per
I'ammirando oracolare dei critici, quello stesso poeta
che altri ci present6 estasiato in celesti amori, assorto
neiradorazione delV idea, bella del sorriso degli angeli
e dei cherubini, delV idea fatta donna della mente, ha
un tristissimo rovescio di medaglia. Un coro di accuse
vien lanciato contro di lui: Cin da Pistoia, Tuomo
del cor vano, lascivo e disciolto (^), il macoimus amator
a detta del legista Giulio Claro, al quale si riferiva il
Farinaccio, quando scrisse: delicta amoris omnes tan-
gunt , et mihi crede etiam iurisperitos ei eos quidem
excellentes^ prout Cinum, <5) quel Cino che lasci6 scritto
che < donum valet magis quam suspirium, imo suspirium
nihil valet sine dono >, come pot6 aver concepito e nu-
drito un amore cosi costante e disperato, come ci vien
dai biografl descritto, per Madonna Selvaggia Vergio-
lesi?
(1) MontaigM, Bssais LIv. III., ch. XI.
(2) O, Garitmdi : Son. in « Le Rime dei Poeti Bolognesi del secolo XIII
raceolte da T Casini. — Modena, 1881, pag. 148.
(S) CMappelli, op. cit< p. 54-51
a2
A questa domanda mi sia concesso di rispondere con
un'altra domanda: Si pu6, coU'esame delle Rime, soste-
nere in Cino queir incostanza d'affetti che, per la per-
petuatasi tradizione, derivata daU'asserzione di qualche
legista o dair accusa di qualche amico rivale e geloso
0, sia pure, dalla buona o cattiva interpretazione di
qualche poeaia del poeta nostro, gli si addebita tuttora?
lo qui non sostengo .ujm tesi, espongo qualche osser-
vazione che mi fu suggerita dalle studio del Poeta; ep-
per6 quando Taitcusa suona che egli fu pi& volte seiro
< di quel gentil che porta Tarco », ('> < in alcun vero
suo arco percuote » , per dirla con Dante. Ma d'altra
parte chi potrebbe sostenere che nolle sue rime spiri quel-
Taura di volubUe levity che non potrebbe scompagofursi
dal canto di uomo che € si lasoia prender a ogni uncino? »
Preddamente giudicando e senza preqoncetti, 6 posslbile
dargli U carico di tutti quegU amori che gli furono at-
tribuiti, per esempio, da A. Bartoli, come abbiamo visto
altrove 7 1a risposta ^ possibile con una lettura delle
poesie, tenendo fermo il ooncetto di sceverm*e le rime
di SeLvaggia dalle rime politiche e morali o che riguar-
dano altri amori. Qik A. De Circourt (^} ha detto che la
classificazione piii naturale per la raccolta assai nume-
rosa di Cino conaiste nel riunire i frammenti estranei
per il lore soggetto agli amori del poeta e che si rife-
riscono o ai grandi awenimenti del suo tempo, o a
soggetti metaBsici, politici o morali, o infine alio scambio
j;u>etico d*idee che Gino ehbe con qjualohe scrittore del
suo tempo. < Le .reste des compositions, conclude il Cir-
court, forme la guirlande j[)o6tique de Salvaggia. >Per
veritj^, non tutto 11 resto 6 ^hirlanda poetica di Sel-
vaggia, come roseamente vede lo scrittore francese,
tant' 6 vero che, a voler sentire V altra campana, awi
il) mndi: SiMi. AOMstD^MI •B&tamiai qtt«I gcntU obe^iparttt l^roo •. T.
Catini: hm rime dei poeti Bok^gmmai «•! aeoolo JDU, pa^ |0U
{i) Oino da Pi$toia in « Biblioth^que Uiivv«r«elk », 1868, psf . dS.
.S3
Chi si domauda se tra tutte le donne cantate neHe
rime di Cfno c' 6 colei ch' egli qualche volta chiamava
oal nome di Sehraggia. (» Non presteremo troppa fede
al Bartoli, il cui scope era di affogare Selvaggia in quel-
roeeano ondoso di amori attribuiti a Gino, a beneficio
della donna angiolo ; non ci illuderemo d*altra parte col
signor De Girconrt che sia tanto semplice determinare
la corona poetica di Selvaggia — cosa del resto da lui
non fatta in nessun modo, n^ bene n6 male — diremo
solo che queirunica, geniale classificazione delle Rime
di Oino che abfoiamo, non 6 completa, perch6 comprende
solo una scelta che, per quanto sia fatta con queir alta
competenza che h deirautore, non distingue le Rime del-
Tamore p^ Selvaggia da quelle d'altri amori meno no-
bili e meno duratori. (^) Dico subito che questa classi-
ficazione ^ che del resto 6, in mode assoluto, impos-
sibile — non penso gi& di tentarla io. A me basta ora
di distinguere tutte le Rime in cui c* 6 un reale o pre-
teso aocenno ad altri amori e ad infedelt^ del poeta :
qnesto compito mi permetter^ poi, senza tema di andar
troppo lungi dal vero , di ricostruire 1' amore di Sel-
vaggia, sia perchA questo appare pid profondo e piii vero,
se non pid puro, perch6 le Rime che lo riguardano si
rassomigliano neirespressione di un pi& caldo , piii vi-
brato, e specialmente pi& disperato affetto, sia infine
per gli accenni materiali. La prima di queste ragioni
6 affktto soggettiva, e fa di solito sorridere o aggrot-
tar le ciglia ai padri della critica; pure non 6 motive
per cui anche questo criterio debba essere in tutto tra-
scurato, usandolo parcamente. Gi6 posto, gli accenni
alia volubility di Gino ci appaiono, come dalle Rime,
(1) BarioH, ap oii. pag 100
(i) O Oardueei^ Rime di Messer Cino. Pirense, fi&rbera — Anche Luigi M.
Rwist, nflllo ttesso tempo obe il Ciampi pobblicava la Vita e le Rltaie di Cino,
al proponeraui fame uo*edisione doTe le rime fossero distribuite per materie
ma l*topera aoo veane alia laea. * V. Chiappelli che ne d&lanotisla, op. cit.^
p«9* ft, nota 1. •*
34
ooai anche dalle testimonialize degli scrittori, contem-
poranei o di poco posteriori. A proposito di questo,
nessimo vorra certo preoccuparsi che il legi;rta Oiiilio
Claro chiami * maximas amator » il nostro amoroso
messer Cino, dacche un grandissimo, un appassionatis-
simo amante egli sarebbe anche quando avesse sospi-
rato per la sola Selvaggia; e neppure si darii pensiero
dei delicia anw) is attribuitigli dal Farinaccio, pensando
che essi « omnes tangunt - e che in prosa italiana non
sono altro che « scappatelle d'araore », come ce ne of-
friranno esempio le rime giovanili e qualche altra di pid
matura eta, e come ne commisero tutti i piu grandi can-
tori di belle donne : compreso I>ante, che, quando accus6
Gino di lasciarsi prendere a ogni uncino, sembra avesse
dimenticato che, oltre air amor puro e ideale per Bea-
trice Portinari e Taltro della cui realty originjiria non
dubitava per la donna pielosa o tionna genUlCy identifl-
cata poi con Madonna la filo^ofia, egli soRri anche il
mariirio dolce t*' di un amore di ardente sensuality ,
di cui ci sono testimonio le quattro canzonl in cui si
gioca colla parola pietra, e Tamore, sia pure spirituale,
per una donna del Casentino, a cui accenna la lettera
a Moroello Malaspina, e quelle per la lucchese Gentucca,
che non par tar a an cor benda nel 1300, a cui alludono
i versi 43 e segg. del XXIV del Purgatorio. Del Petrarca
taccio, 11 quale, intanto che cerca pur disfogareil do-
lorosa core e i'amor suo per M. Laura, che co' suoi
dolci rai in flam ma taer d'onestate, t*) intanto che alle
donne malediceva nei trattati, ebbe mode di avere dei
bastardi da altre donne. ^^
(l) Dinte: Caot. Cost nel mio parUr voglio esBer aspro.
(8) Petraroa: Sod* Le btoUe e il cielo.
(S) Nel 13 7 ebbe 1 fi^liaolo oaturale 0 ovanni, e gli nacque la figlia il-
legittima Pranoesca qaando oucnpooeva i dialogbi coo S Afrosiino — O Voig^,
bti9aud»si sa ua pisso delle FaWa* 43 (p 1P7 •*d BasilAa) « ti dixero me
plareH habere noibos quam >otUia ftire oapitulum cuius ego piirs sun », ere-
detie di sooprirM cbe, oltre a quest!, etsli abbia avuto uoa quaatit4 di A^H
spurii. Ma deve leggersi probabiiroente notoa (oonoscenti).
*
38
Faremo noi carico ai poetaseegli stessoci diceche
il done vale piii del sospiro? non 6 egli che ci apprende
che dinnanzi alia donna sua fugge ogni pensier vile?
Ben potremo accusare Cino di contraddizionl e di anti-
nomie; potranno i sognatori di mistiche ideality lamen-
tare che egli non sia tutto pupo in ogni momento; ma
chi pretende castigatezza di linguaggio da un trecenti-
sta, mostra di non conoscere quegli uomini e le loro
passioni.
Ma diffonderi forse una luce maggiore sul Nostro,
Tesame delle Rime dei poeti che ebbero scambio di i-
dee con lui, e delle sue poesie stesse: da quelle rileve-
remo alcune accuse fattegli, e diremo del loro valore,
da queste avremo mode di deter minare approssimativa-
mente le belle che ispirarono il dolcissimo canto del
poeta, del quale il Petrarca, nel suo acerbo dolore, potd
dire invitando le donne a piangerne la morte :
• colui che tutto intesa
In farvi, mentre visse al mondo onore. (1)
II campo aperto ai primi amori del poeta, natural-
mente proclive a deli bare il fiore dolce della bellezza,
6 Bologna , dove egli si rec6 per attendere agli studi
universitari. Quivi egli ebbe uno scambio poetico di
idee con alcuni rimatori della scuola bolognese, suoi
amici e alternativamente suoi nemici, perch6 il carat-
tere suo intollerante e altero non gi permise di avere
durevoli amicizie. Per6 egli dovette aver acquistato fama
di valente poeta fin dai piu giovani anni : oltre al sonetto
a Dante e alia canzone in morte di Beatrice, si deve
pure assegnare al prime periodo della vita di Cino, an-
teriore airanno mille trecento, un sonetto diretto a Ser
(1) Pitrarea: Son. Piangete, donne, e con vol planga Amore.
36 .
M«la 4e' Muli di Plstoia. (>> Ser Mula si erariyelto al-
Tamico gi& famoso neir amoroso arringo, afftnchd gli
sciogliesse una questione d* amore :
E' amor diseende per gentil coraggio,
0 di che nasoe, et se yien per piaoere,
0 s'egli ha forsa di gtw, personaggio
E' posaa, quanta pid se ne pa6 avere. i^)
e si rivolge a lui come a uomo saggio, dicliiarandosi
incompetente a risolvere da s6 il suo dubbio. II sondtto
di Ser Mula prova la fama che, almeno in Pistoia, Cino
s*era acquistato come poeta d* amore.
Attribuisco il sonetto di Oino, che risponde all'ac-
cennato di Ser Mula, al primo periodo della vita sua ,
per il pregio del lavoro, che 6 dawero povera cosa e
inde^ia della rigogliosa spontaneitii del cantore di Sel-
vaggia, 6 penso che esso debba assegnarsi a tempo an-
teriore a quello in cui il poeta arieggia alia scuola bo-
lognese, che risponde^ credo io, air ultimo decennio del
trecento. Ksso 6, ch' io sappia, inedito, e io lo riproduco
togliendolo dal codice Bolognese Universiiario 1289, c.
iOO V. coUe variant! del Casanatense 4, F, 5.
(1> 11 guadrio lo dice da Vinegia. MuU sarebbe contratto di Amaleo.
{V Ser Muia: Son. Vedl qtiesta quartiaa neirBdiiion* delle RiOM di Cino
curata da FausUno Tatso, p 112. — V. (Jatanatenu d. F> 5.^ che ha akraaa
Botevoli variant! dall*edisioDe del Tasso. Eceo il sonetto nella lesione della
Casanatense.
^ Mula De Mult a Cino.
Homo saccente et da maestro saggio
De' interrogar per apparar severe,
Ood*i ml moao a voi si com'a maggio
Doctor che sete per ragion cernere.
&*araor diseende per gentil coraggtol
O di die.nascet c se yien per piacere?
O a'egU ha in se forsa o .signoraggio
Et possa, quanta pift se ne pu^ anere I
Et prego yoi» si come *1 plA pregiato
Sigaor, che di eoleBsa mi insegnftte
D'esto dimando sire ch*eo mi chero
Cbed io non son da me tftpto 'nsegnato
Obed il possa sa«er pfr y#rUa«e,
Ood'io mi tornl al dirltto sentero.
37
RiSPOSTA DI M. ClNO AL 8EQUENTE DI M. MULA.
Ser Mala tu te credi senno hanere
Tanto Che porta nirtii d' helitropia
Ciie di cosa comniie^ faUa pixipta
Ma AOQ a ooBti peosi al.mio purere
NoBira ragion pur ci eonnieii oeraere
Et dice faccian prego a donoa iQiipia
che uenga to8to si che n'liaggian cupia
Di poterla toccar non eke uedei'e
Ma ben crebbe rimedio al nosti'o ingaano
ch'ella spoaasse queila polcelletta
celatamente oi cbe tutti il saono.
Ei sappia'i bea ch'ella trouasti stretta
si come queila cb^ era tiel sext* anno
Rilegati ser Mula cottal uetta.
Yarianti del Codioe Casanatens'x d^ VyS .* v. l. ti oredi — s. Tanto,
obe porta vertft •« 3. Commune — . Ma non bai com tl p«^nti —.5. si conven
—.6. Et did facciam — 7 b), che — 9. 'nicanno — 1. celatamente si, che
tatt! *1 — 12. sappiam bene che la — 13 aest* anno ~ 14. cotal netia.
Qui non 6 ftior del easo di notare che, per quanto
questo soneito sia stato diehiarato responsivo airac-
cennato di Ser Mula, esso non 6 per le rime; che il
sense non risponde a quelle se Bon tirandolo coi denti,
che il sonetto di Ser Mula non dj la ohiave deiroscuro
sonetto di' Oino e che, se mai sono in relazione di do
manda e risposta, se ne deduce eheTiroeoGino ricam-
biara dispettosamente a una domaaida che doveva ono-
rarlo e, rispondendo a una questione generale, dava un
aspro rabbutfo accennando ad un case speciale occorso
a Ser Mula« Comunque sia, il somUo 6 autentico perchd
si trova in quatiro manoscritti » € da tre date aperta-
mente al Sinibuldi, nel quarto aiionimo,ma depo rime
di lui > (I)
(i; V, Nottola: Studi sul Canioniere di Cino da Pistoia ^ Milano , 1893.
I manss. sono: Galvani,,poi Mansoni; Bolognose .Universitario 1289; Casana*
tense d, V, 5; Scappncci, poi Bologna, in cui ft anonfmo.
38
Lasciamo il sonetto a Ser Mula, e non caviamone
altra conseguenza che la riconferma delta celebrity che
Gino godeva in materia d*amore, e diciamo qualche cosa
del poeti Bolognesi che ebbero con lui scambio di idee.
E cominciamo da Ser Onesto.
II carteggio tra questo poeta e Mes^^er Cino si riduce
a sette sonetti del Bolognese e a sei di Gino respon-
sivi ai detti <*>.
Non occupiamoci dei sonetti in cui Onesto accosa
Tamico di essere nolle sue rime oscuro, confuse, pieno
di convenzionalismi, di profondere io esse le solite frasi
e parole:
Mente at umile e pid di mille sporte
piene di spirti .,..(*)
a cui Gino risponder& che egli parla < senza esempio di
fera o di nave.... a guisa di dolenti a morir messi » (3);
diciamo invece brevi parole delle rime amoroso.
Onesto Bolognese 6 anch*esso amaute infelicissimo,
e bench6 in lui trovinsi i luoghi comuni. della scuola
bolognese, sicch\ per dirla con Gino, quando accusa di
questi difetti il Pistoiese lo veggiamo goder « come il
monocchio — che gli altri del maggior difetto varga <^) >
(yarca),ci par degno, per alcune rime, di esservl posto
accanto a Gino tra i poeti del dolore. Uditelo sfogarsi
coiramico:
Mira srli ocobi miei morti in la cerTice
et odi rI angosciosi del cor stridi,
at da l*altro meo corpo ogne pendice
che par ciascuna cba la morte gridi, (&)
<1) VadiU in Ckufnt op oit., pag. 93-105,
(f) On^io* San ehn oomlnoia coti
(3) €fina: Son,: Amor, che tIad per !• plft dole! porte.
(I) CinK Son Io ton colol. obe tpasso m* inginoeohto.
(^ Onmfe: Son* Qaella oho in oon V amorosa radico. V. Casia! , op. oil.
89
udite ammoniiio con amorosa premura di guardarsi dal
«ervir Amore.
A questa ammonizione risponde il N. con un sonetto
che ci dimostra come gi^ fin dagli anni giovanili un
forte amore dominava il suo cuore.
E tardi omai il consigliargli ch' amot* non serva e
che 'n lui non si fidi!
lo li son tanto so^getto e fedele
che morte ancor da lui non mi diparte,
ohe sento de la guerra sotto Marie ; (U
doviinque vola e va drizzo le vele
come cotui che non li serve ad arte, (s)
Trattasi dunque, gi& fin d'ora, d'un amore profondo,
costante, che non impallidisce per lontananza; concetto
che noi vedremo ripetuto in altro sonetto di questo
periodo, diretto a Gherarduccio Garisendi <•''♦; che se
Onesto 6 un povero tradito, il quale non spera che la
calcatrice <*' che Tha invaghito possa mai esser presa
nelle sue reti (^>, se Y infelice e maciuUato fra due gra-
mole v0), anche il Pistoiese ha gi^ sentito Tamaro del-
Tamorosa passione:
lo sol conosco lo contrar del mele«
che I'assaporo et honne pien le quarte (^);
e quando il fiolognese, pieni i sensi di un ardente af*
fetto per una donna c disdegnosa e santa p, si volge
a Glno e lo prega che se mai egli ha colto frutto di
tal pianta, glielo mandi a dire,
. • . • cb* eo a' ho tal sede
ch' esta ilesio tutto lo cor me schianta, i^)
(1) Fanf'ini: Ch'io '1 sArvo oella pace, e sotto Marte.
(2) Cino: Son. Anxi ch'ara«'re ae la roente gu di.
;8 Cino: Son Come li taggi di Neroo crudele ...
(4) Cale firfee vale coceodrillo, ^fr Pr. Succh^Uii rim* 13. < 0 oaloatrloe
in Ctti perfida voglia sempre si riooova. »
(5i One*to: Son Assai son certo < he somen n in lidl. Casini pag» 8T, —
(6) Onesto: Son Chi vol vedere mi tie fiprson** grame
(7; Ci»u>: Son, 8e mai leggesti versi dn TOvidi.
(8) Onetto: Son^ Si m* ft fatta nemica la mercede.
40
il oaBtore di Sehragfia, ammaestra'to dal dotoro, lo ccm-
forta dicendogli che quel mal che ne la mente sied^ ^
e pone e tien sopra lo cor la stanza, n(m p»^ dar che
lagrimee che amore a lai non ha dato che unMneffahile
voglia di morte, da^ch'* 6 in sua fede (^l
E ramore grave, infelice, tessuto di lagrikae e di so-
spiri, per cui vedremo il poeta angosciato in tntte le
sue Rime. E chi era la belia onorata di lagrime si co*
centi ' Non ora lo diremo, e il dirlo sarebbe cervellotico ;
el basti di notare che Onesto nel son. sopra »ccennato
< kssai son certo che Ptmenta in ikUy dopo aver affer"^
mato che non spera mai di trovare amatrice lei che
adora, rivolto aU*amico gli dice:
. . . • non coDoscI acqoa di fdle
nel mar dove ha tutte allegrezze sparte,
cbe val ciascutia pid che amor di parte.
Onesto credeva dunque che Tamico nuotasse in un mare
di allegrezze, cOt^cuna delle quali vale piii che amor tit
parte; cio6. e parmi la sola mterpretazione, Gino amava
una donna la quale apparteneva a un partite che non
era il suo, e per essa dimenticava tanior di parte, le
sacriflcava Taifetto cbe lo legava alia sua fazione. Con
qualche rawicinamento potremo forse in seguito dire
chi fosse questa donna che fa il Nostro dimentico della
passione che, piCi d'ogni altca, sMmponeva in quel giomi
di odi e di stragi sanguinose.
La corrispondenza tra i due poeti i finita; ed 6 a
credere che Mnisse presto anche la lore amicizia, dopo
che si scagliarono in faccia vituperi in versi , quando
irato Ser Onesto, in una questione d* amore, cosi a*
postrofo Tamico: c a trarre un baldovin vuol lunga
(1) n Bartbli. per euer oonseguente, avrebbe dovuto coUooare lraio*ii«
tori da. la donna aogelo anohe Onosto Boiogoofe, la cui donna d par Mfita e
dUdegnoM.
41
cordaO) e Cino lo ripag6 a usura:
.... in sembiante
siete deiranimale che si (orda :
ben 6 talvolta fai* Toreccbia sorda (S).
Saiis dirae: lasciamo ser Onesto, che fu pure il mi-
gliore amico di Cino, tanto che questi, pii t'ardi, tiopo
la morte di Dante, accusd il Ghibellin fuggiasco che
ragionando con Sordello non facesse motto ad Onesto di
Boncima; non per6 senza aver notato che 11 commercio
di sonetti tra i due poeti non ci &k diritto a pensare
a una plurality di amori in Oioo , ed esaminiano se
Oherarduccio Garisendi, poeta di nobile famiglia bolo-
gnese, nolle Rime che scambi6, secondo il galateo dei
tempi, col Nostro, meglio ci ilium ini suUa natura degli
affetti deiramoroso piatoiese.
E piu duratura e piu serena Tamicizia di Cino con
Oherarduccio ?
Noi sappiamo gi& che questi 6 quel Garisendi che
accus6 Cino di avere il cor vano, lascivo e disciolto,
e non 6 a dire se queU'iroso lo comportasse in pace,
e qual loquace sdegno ne nascesse.
Rifacciamo, per conoscerlo, sul carteggio dei due
poeti, la storia della lore amicizia. Breve istoria: e i
documenti di essa sono un sonetto di Cino a Oherar-
duccio, giuntoci senza risposta , e tre altri a cui son
responsivi altrettanti del Garisendi. <^)
(1) Oneito bologneae : Soo. Sete vo*, messer Cin, se ben v'adoocbio. — Per
il significato della parola baldovino^ vedi Fanfani: « Le Rime di Messer Cino »,
nel oommento alia satlra « Deh quando rivedr6 U dolce paese », alia parola
Balduino della stanza 1., v. 12. — Vedi altresl Luigi Blondi in Oiomale
Arcadico del 1822> pag. 388 e segg. Egli orede col Salvini che balduino si-
gniflcbi asino, Cfr. bardut ^ goffo, e bardella = guernimento deirasino.
(2) Cino: Son. lo son colui che spesso mMnginocchlo.
(S) Pel Garisendi: V. Rime dei poet! bolognesi del secolo XIIT, ordinate da
T. Casini ; per Cino, ▼. U. Nottola : Studi sal Canzoniere di Cino, pagina 58
e segg. 6
42
I due poeti hanno posato gli sguardi innamorati so-
pra una donna umilmente gentile, la. quale < move gli
occhi si mirabilmente « che si fan dardi le bellezze
sue >. Amor dice di essa € cK angelo fue >. <^) Si que-
rela il poeta coiramico :
. . . umlltii trovi ed 6 M contrario forte
e non 6 molto ancor ch*i' me n'accorsi,
B per quanto non abbia invidia del fatto suo^ ben si
duole del proprio. (^)
Pur non pu6 scordare la donna sua, n6 presente, nd
lontano; e or, lungi da essa, privo della sua vista,
piange doglioso e pensivo ; e morrebbe d' angoscia , se
non fosse che spesso ricorre a un ritratto delTamata^
< a la figura in sua sembianza pinta » :
Cosi, lontan, m* aito e mi soccorro
per ritornare e dar maggiore strinta
quando aver ti parrk la guerra vinta. W
Gio6 , dunque : benohd lontano, si consola beandosi
nella contemplazione del ritratto, per ricadere in pene
pli atroci quando parr& a Gherarduccio di aver vinto
la guerra, la guerra d'amore.
Qui credo — a mono che vogliamo attenerci alia
lezione deirultimo verso, dataci dal Fanfani, < Or cb^
morte ha mia forte guerra vinta > — di pQter stabilirp
che Cino, a Bologaa, sospirasse per una bella lontanai
e che Gherarduccio fosse suo rivale.
QueU'espressione di inenarrabile affetto non induc0
pieti nel Garisendi, ma lo muove^ sdegno. Egli punge
<5on sarcasmo il dolce d' amove amico :
(1) Non vedo ragione per cui questo sonetto non abbia servito al BartoU
per la Donna angelicata,
(f) Cino, Son» Caro raio Oerardaccio, io non bo* *nv6ggia.
(3) Cino» Son. Amato Oherarduccio^ quandM* scrivo.
«
...la cbntesa del lupo e de I'agno
Ch' ayete presa yei' me non la scriyo.
E un impeto di gelosia gli detta T improperio ; U
vostro C07^ vano disciolto e lascivo non pu6 ^tillare la-
grime d*amore: € non yi bagna acqua di quel dolze
stagno, (0 Del resto, a^punge il Garisendi, inyiperito
e iattante nella sua gelosia: € io son certo di essere
'an amante fortunate e corrisposto »
d' amor son certo pena hen diriyo,
^iod, SB male non interpreto, » nd parmi che lo si
possa diyersamente — € io derivo felici pene dairamore,
che mi son arra di felicity ».
£ poichd Cino , dolcemente fidente , gli ayeya detto
che egli si consolaya col ritratto dell' amata , il Gari-
sendi con una frase a doppio sense gli lancia Tespres-
sione del proprio odio :
.... soyente in allegrezza corro
membrandoyi cbe v' ha dato la pinta
quella cbe y'ha d' amor la mente cinta;
peri) cbe conoscete ye Taborro (cbe y'aborro?).
II passo 6 capitale : V uomo che ghigna e gode delle
.i^yenture deiramico, non 6 un moralista censore dei
dijEiatti umani , 6 un riyale ferocemente geloso, perchd
Cino s'erayantato di aver ricevuto il ritratto della
jstessa donna amata dal Garisendi. A questo yanto Ghe-
jrarduccio risponde, dissi, con una frase a doppio senso:
^ei corre in allegrezza ricordando che la donna amata
in comunione d' affetto , ha dato la pinta a Cino. E la
lirase yale: < ti ha dato il ritratto > , — per quanto il
Tocabolario non registri la parola pinta in -questo senso
— interpretando in relazione a ci6 che Cino gli ayeya
scritto ; ma yale , nella mente del Garisendi e in rap-
(1) G. Oarisendi: Son. Dolce d* amore amico, eo vi riserivo.
J4
porto air odio che spira tutto il sonetto : < ti ha ri-
gettato, ti ha respiDto, » conforme al signiflcato che
ha questa frase. f^)
L*abbiamo detto: Oino non comportd in pace i vi-
tuperi del Garisendi: e gli rispose col sonetto « Come
11 saggi di Neron cradele'», etlito da Faustino Tasso,
dei Minori Osservanti (1589), dal Galvani ('Lezioni Ao-
cademiche, 1840), e dal Nottola (1893). E questo sonetto
6 tale che merita qualche considerazione.
Benchft da altri stimato oscurissimo , esso appar
chiaro da ci6 che fu detto; Gino risponde rendendo
pan per focaccia :
Come 11 saggi di Neron omdele
iDgi*avidare il fscer d* una rana,
cos\ ba fatto Amor, per vista yana ,
la mente tua, onde tu ardi e geli.
LMmagine turpe nella sua signiflcazione leggendariar
ma espressiva, dovette piacere a Cino perchfi anche al-
trove Tadoperd (*), rivolgendosi a Onesto bolognese.
Essa ba la sua origine in una leggenda che nel Medio
Evo era notissima e che viene ricordata da A. Graf. (3)
Nerone, mostro di libidine c che era state marito del
giovine Sporo e moglie dei due liberti Pitagora e Do-
riforo >, Nerone che aveva promesso straordinarie
ricompense a chi gli mutasse in femmina il giovane
amato, < non sapendo omai che imaginar di nuovo, da
chetare alquanto la sua stravolta fantasia, vuole im-
pregnare e part' ire; chiama i suoi medici e ingiunge
^l) Cfr. Tac D&v. Stor. 2 287 : II buon uomo , dolce per natura e mu-
labile per paura, per non far sue le brighe d* altri, coir aiutar chi cadeva,
gli did la pinta — Cfr. altrest CirifT. Calr. 4, 127. Con ana certa ana oaresia
flnta , — Sempre sua soorta e leal partigiano — Si dimostrava, per dargli
la pinta.
(3) OinOf Son* lo f on ooloi che spesso m* inginocohio.
(3) Oraf. Roma nelU memorie e nella fantasia del Medio Bvo. Vol. I. pa**
gina 308.
45
loro, sotto pena di morte, di appagare il suo desiderio.
I medici, per torsi d'impaccio, gli fanno trangugiare
in un beveraggio una piccola rana, che gli cresce in
corpo, e ch'egli vomita d(»po un certo tempo. > (V
Ci appar dunque chiara la similitudine con cui il pi-
stoiese ei dipinge il Garisendi: < come i medici di Nerone
fecero ingravidare il mostruoso tiranno di una rana,
cosi Amore ha gonfiato la mente tua, per cui tu ardi e
geli >; ma come non era vera la gravidanza di Nerone,
cosi 6 vano V amore del Garisendi.
Falso, che ne la bocca porti 'i mele
6 dentro tosco , onde *i tuo amor non grana
or, come vuoi; fa V andatura piana, (fait)
per prender la colomba senza fele
quella per cui io spirito d* amore
in me discende da Io suo pianeto
quand'6 con atto di bel guardo lieto.
Pei'6, dovunque io vo, le lasso il core
cui raccomando '1 suo dolce discrete :
non temo d' uom ch' a amai* vada col gi*eto.
Da questi versi apprendiamo che T amore del Gari-
sendi , a detta di Cino , non era profondo e durevole
come egli pretendeva, e che ei s* infingeva per allettare
quella donna, simile a colomba, per cui Io spirito d'a-
more discese anche in Cino. Protesta il Pistoiese ch' egli
pu6 ben esser lontano dall'amata, ma che il suo cuore
6 con lei e con iattanza aflferma « non temo d'uom ch'a
amar vada col greto. » La lezione di quest'ultimo verso
h incerta; ma sia che leggiamo collaCasana tense , or
riprodotta, sia che leggiamo coircdizione del Tasso
< non temo d'uom ch'al mar vada col greto >, il senso
non cangia: Cino non teme d'uomo instabile, che muta
affetti come paese.
(1) Ricordano il fatto la Graphia , Martina Polono , la Kaiserchronik (v.
4132-74;, MattM di Westminster nei Floras hisloriarum Ranulfo Higden nel
PolycbronicoD, Giovanni da Verona nella Historia Imperialism ecc.
7
46
Con un donetto del Garisendi (^) finisee il certame
di vituperi dei due poeti , che sia arriTato fino a noi ,
ed 6 logico credere che in esso affogasse la loro ami-
cizia. Ma il sonetto del Qarisendi contiene un aceeano,
almeno apparente, di speciflcata plurality di amori.
4 Vorrei saper da vo' > , msinua Oherarduccid Hfiatto
calmo e sarcastico:
se y' ha gremito la pola selvana
com' esser po' de la pinta fedele t
pei*6 che amante quando pou due tele
a Tuna pur convien mancai* la lana.
Se v'ha, o Cino, ghermito la comacchia selvana,
come essere poi fedele della pinta f
Cino si assicura di essere costante, Gherarduccio
nega, e vuole, pur sbugiardato dal pistoiese, che fe-
delU in amore sia un proprio attribute. Gi^ abbiam
visto che il Garisendi, a proposito della pinta, fa un
miserevole gluoco di parole. Se Cino aveva adoperato
11 vocabolo pinta come aggettivo, riterendolo a figura
{ftgura in sua sembianza pinta) , Gherarduccio ne fa
un norae che signiflea or sospinta or ritratto. Ma nei
versi or citati che vale? N6 Tuna nATaltrJi delle dette
cose ; perchft V amore per una donna non esclude che
si possa consolarsi col sue ritratto. — Che Cino pos-
sedesse il ritratto d*una sua amata noi lo abbiame
giSi visto. Ma chi era Toriginale? A. de Circourt, nel
sue studio altrove citato, <*) mostra di credere che
esso fosse Selvaggia, laddove si rammarica che sia
perduto il ritratto della Vergiolesi, — seeondo lui pos-
3eduto da Cino, e divenuto la sua piu efficace conso-
lazione — a differenza di quelle di Laura de Sade.
Egli non avrebbe torto quando si potease identifi*
{\} G» Oaritendi : eon. Poi ch' il piaaeto v« dA fe' eertana.
(ij Circourt: op. ©it. pag. 77.
47
care la piata coUa pola selvana, poich6 la pola o cor^
nacchia, nome coa cui il Pistoiese altrove si compiace
di appellare la sua bella (V. Son. « Amico la novella mia
corBacchia >; e Son. « 8e mai leggesti rersi de TOvidi >
son 6 ehe la stessa Selvaggia, come chiaramente de-
nota rappellatlvo selvana (i), e come si render^ chiaro
nel segaito di questo capitolo.
Ma invano argomenteremmo di trovar qui la chiave
deirenimma, giacch^ i versl del Garisendi sono un
cattivo indovinello. Inferiamo dunque dal fin qui detto
Boltanto che^ gi^ a Bologna, Cino, studente, amava Sel*
yaggia e che al Garisendi era note questo amore, pro-
babilmente forse da lui condiviso; inferiamoue anche
che qualche strappo alia fede alia donna fera era
fatto.
Yedremo in altro capitolo se la prima di queste
assersioni, piii attendibile ammettendo che Selvaggia
sia stata a Bologna — e sonvi documenti a crederio *—
podsa essere meglio comprovato. Ora notiamo gli altri
accenfii ad amori passeggieri del poeta, mentre il la
^too ra litsirando Bologna: con ci6 determineremo
anche la natura della infedelt^ alia disdegnosa Sel-
vaggia.
Nel sonetto IX (ed. Fanfani) (2) ii poeta accusa gli
occhi Buoi di essere stati incostanti, di aver voluto
tradire il suo cuore, sicch6 son piu degni di morire
chd di alcun altra cosa. Come oserebbero comparire
dinanzi a quella Donna, per la quale sparsero si dolo-
rosi pianti nell* allontanarsene ?
II Fanfani dice ch^ qui Cino si scusa della sua lon-
iananza che poteva farlo credere incostante. 016 non
6, perchd allora non si capirebbe davvero il gran fallo
(1) Questa gupposizione fu giit fatta da U. NoUola neir opuscolo « Una
•anione inedita di Cino da Pistoia ».
(9) O occhi iniei, fuggite ogai persoua*
48
commesso dagli occhi, e come essi abbiano potato
tradire il cuore del poeta. Si tratta invece di una
bella che, lontano Gino da Selv^aggia, Ilia abbagliato.
La bellezza s* impone : il cuor trae dolorosi goai, la
mente torna al suo dovere, il voley^e con valor possente
la sua voglia assottiglia, (0 ma gli occhi si ricreano e
si beano nella contemplazione dol bello femminile, quan-
d'anche si manifesti in forma differente dair oggetto
amato. ^ una tregua del sospiri, un soUievo del petto,
forse un palpito ribelle alia tiranna amata, un avido
lampeggiar degll occhi senza il cuore come la linffvui
senza la mente, di cui Euripide nell' Ippolito. W
Ma 6 questa rinfedelt^ del poeta, attribuitagli dal
Garisendi f
Avvi UD sonetto, il 101 deU'edlzione Fanfani iV, dato
a Cino da sei codici e da due a Dante, e a questi attri-
buito dalla Giuntina del 1527, dal quale il Bartoli ricavd
una delle figure femminili del corteo erotico di Cino :
la Bolognese. I versi che sembrano giustiflcai'e Tidea
di A. Bartoli, al quale del resto si accosta anche 11 Fan-
fani, credendo che Cino accenni a un suo amorazzo
di Bologna <*>, sono i seguentl :
Onde morir pur mi conviene omai:
E posso dir, che mal veddi Bologna,
E quella bella donna, ch*io guardai (&).
Ma^ a chi ben consideri, il sonetto appare dedicate
a Selvaggia animata € d*ira forte in luogo d'umiltate »
(1) Cino : Canz. Di nuovo gli occhi miei, per accidente.
f2) Verso 61S. < Non fu la mente che pe* sacri altari — voUe giurar, ma
giar6 la lingua — sensa la mente. (citato da Dioniso nelle Rane di Aristofane.
trad. Castellani, pag. 18, ed. Hoepli).
(3) Ahi lasso! ohMo credea trovar pietate.
(4^ L9 rime di Metser Oino^ pag 247* II sonetto t\i dal Fanfani ripubbli-
cato, sensa aooorgersene, una seconda volta, con lievi variant! a pag. 436.
(5) Ciampi : Ma pi& la bella donna ch*io lassai.
49
yerso rinnamorato. Infatti il poeta, dopo aver detto che
sperava di trovar pietate qaando la sua donna si fosse
accorta della gran pena del cuor sue, e che ricambio
d*affetti fosse premio a* suoi sospiri, aggiunge che per&
parla un pensier che lo rampogna com* egli speri dl
troTar pieU presso di essa : egli, in Bologna, ha potuto
guardare, desiosamente fissare un* altra bella donna.
Interpreterei dunque: € A mio inal costo 0) vidi Bologna,
amio mal costo vidi quella bella donna che guardaU
perch6 mi son cosl reso indegno di Selvaggia >•
Qf\k yedemmo che questo penslero 6 espresso anche
nel sonetto succitato: € o occhi miei, fuggite ogni per-
sona >, dove 11 poeta vuole che gli occhi suoi col pianta
facciano ammenda del gran fallire d* essersi posati su
altra persona. Che dirii Selvaggia ? Dir yi potrebbe :
Poi che yoi non mi vedeste,
Occhi yani> yoi foste si costanti,
Che 'i cor ch'io aggio, sottrai' mi yoleste.
Possano gli occhi diyentar ciechi pel pianto, anzichd
tradire il suo cuore !
N6 qui solo : 1* angoscioso pentimento del gran falla
degli occhi suoi echeggia anche in altre rime; quel
grandissimo amante non ayeva animo ed arte a farla
franca^ e con luDghi, dolorosi sospiri, nati di paurosa
rimorso, scontava il peccato d*un ayido sguardo.
Pargli, nel sonetto 18, che ciascuno indoyini come
amore ha troyato gli occhi suoi yergogaosi nel fallo e
nella colpa di ayer mirato altrui, sicchd egli non i pid
ardito di fissar donna e d*apparir tra gente. Ed 6 pur
lieye la colpa e il disonore: colpa e disonore sol degli
occhi, tanto che Amore, con quelle spirto dolce cha
ricordaya Selvaggia air animo del sospiroso poeta , si
(I) Mat vidi Bologna, Cfr. Onnto Bologn.: Son. Qaella obe in cor Tftmo-
foia radice — « Me piantd nel primier ch* eo mal la vidi, »
8
^
port^ seco 11 suo cuore ridonAndolo a Selvaggia, e col
^entlmeato ayyiva la vergogtia e 11 rimorso.
Patetico pensiero e psicologtcameate fine: un non*
tiiilla basta a ravvivare la fiamma sopita, udo dpirto
dolce. un*aura fugace dl caldo affetto, un sussalto delle
fibre come quello che accompagnava la vista della
donna crudele, il guizzo di duef pupille che ricordano
gli occhi della donna amata e ricercano 11 caore, ri-
produconO le iropressioni giii provate, 1* agghiacciarsi,
rimpallidire, il raggricciare delle plii intime fibre, lo
smorire: il doloroso stato che 6 pur la vita del senti-
mento vibrante fioo alio spasimo, ed 6 la vita deira-
more!
Pur 11 pentimento a Oino detta una singolar scusa
a) fallo degii occhi saol e suo :
Ma gli occhi vostri amoroai gli scolpai
Che fanoo con ii bel guai^do suave,
Ogni cosa mii*ando innamorare.
Sembra ed 6» per una donna, un*irrisione insensata
che 11 fulgor delle sue vaghe pupille le alieni, sia
pure per poco, Tamo re del suo poeta« Pur questa ra*
giooe che Talunno d*amore, colto in colpa, adduce come
scusa deirerror suo, 6 spiegata dalla canzone XIII<i)cbe
ripete lo stesso concetto: gli occhi suoi, per caso^mi'^
rarono una donna piaoente, perch6 simigliava alia
Donna sua ; e guardoUa, sentiamo lui :
.... ma pav«ntosamente
Dome colui che sento
Ck'altra vaghezia^ con disio mi pigliat
Amore ne A grandemente meravigliato, si li par eosa
nudva — che per altra beltd cangi la fede, e coselenza
ripiglia lui che ha peccato, ed et eon gran tema ehiede '
grazla.
^^^MA>^rta
(I) « Di nuovo gti occhi Ulidi p«f ei6CMe&t». »
51
Abbiamo visto in rime molteplici ricorrere il tne*
desimo pensiero, e 11 marteilar di esso e rangoscia del
pentito noQ lasciano )1 dubbio che uon si iratti di
un'unica scappatella o delictum dmoris degli occhi suoi.
Or ogQund si aoqueterk meglio a quesVopioione con-
siderando che noa vi sono altri versi che parlino d'in-
fedelU a Selvaggia, fin ch'EUa visse, o almeno fine ai
dolorosi anni deiresilio.
La passione dominante in lul 6 una sola: frutto di
essa 6 la disperanza, e cod essa il piii nero dolore: scon-
forto e martiro. E parmi appunto che in tanta veriti
di doh)re, quald ci apparrti meglio in seguito, una di-
dperata iSssiU sia la notafondamentale della sua lirica;
e questa angosciosa continuiU d^affetti 6 mal rotta da-
gli impdti di ribellione che deve provare ognl uomo
che veramente palpiti di amore , che soffra delle ri-
pulse e del disprezzo, come Oino dinanzi alia forte sua
nemica, impeti che son seguiti dal piii strazlante pen-
timento.
4 egli il solo poeta innamorato che neirimperversare
delle paissIoAi gittrl di voler cogliere e gustare < le
dolcezze d*amOf senza I'amaro? > (^) Egli 6 ben un infe-
lio6 trAbalzato e martoriato di dolore in dolore finchfi,
fatto pell^grino dal suo natal sito per greve esilio (^),
Allontaiiato dalla bellezza piii ideale che mat formasse
U saverd inflntto, reietto da Selvaggia come vil servo,
sospira di bearsi mirando in molte donne sparte quella
bellezza bnde gli era fatale I'altera Vergiolesi, pur non
inosso ddille prime braccia dispietate\ ancorch6 senza
dper^BZa; fihch6 divenuta la donna sua un*ombra gelida
di u4i p^ssata di dolori, sacrificando altri incomposti
(2y Cino : Son* a Dante: < Poi ch*io fui, Dante, dal mio natal sito »
52
desideri a cui ancor aDelava» percosso dal tIto raggio
della scienza, abbandona il cammino della follia e trova
nella serenity degli studi la pace del cuore:
. . per mia sate temperare a sorsi
chiai*a acqua Tisitai di biando rivo :
e tftndio sol nel libro di Gaaltieri (Irnerio)
per trame vero e nuovo Intendimento. (V
Non perdiamo il filo delle idee. Diss! che non sonri
altre rime che depongano della incostanza di Gino, e
iatendo di riferirmi al periodo della gipvinezza sino
agli anni deiresilio e della morte di Selvaggia, anni
che noi cercheremo piii tardi di determlDare. Per6
chiunque, pur digiuno d* altre notizie su Cino , abbia
letto solo le brevi pagine che precedono, pa6 ricor-
darmi che al can lore di Selvaggia furono attriboiti
ben altri amori.
Non tedierd ancora troppo a lungo. La donna hea-
trice del suo cuore, menzionata da Gino nel sonetto a
Dante € Novellamente amor mi giura e dice » e la bella.
pisana, che dicemmo identificarsi con Teccia, si rife-
riscono ad anni in cui le ripulse di Selvaggia e le da*
rezze della vita avevano tolto a Gino le idealitik deira-
more: allora, esule, non serbando in cuore per Selvaggia
che un ricordo di ineffabile dolore, pot^ porre a Dante
la questione se si possa trapassare d*uno in altro af-
fetto, quando il desio d'amore per una donna ha per^
duto la speranza ; o, come il Bindi vuole, (ed. Fanfani e
Bindi) potd affermare a Dante che quando vien mono ua
amore si pu6 passare a un altro, chiedendo, per pid si-
(1) Cino\ Son. « PoichA voi state^ forie, ancor pensiTO » — Irnerio h il fort©
giareconsuUo modievale ohe ci appare tra i primi doUori dello otndio di Ba-
logna.
53
curezza, il parere deiramico sulla difficile qaestione
che gli aveva « rotto ossa e fianco », prima di potersi pro-
Dunciare su di essa. Dante rispose airamico col sonetto
€ lo sono state con amore insieme >, e gli scriveva che
nel cerchto della balestra d' amore , — Hber* arbitrio
giammai non fu franco — si che consiglio invan vi si ba*
lestra^ e concludeva che bisogna secondare la nuova
passione, se 6 stanca la passione per la bellezza di prima.
A Dante, dunque, che ramm<miva che amore ben pub
con ntwvi spron punger lo fianco e che sentenziava fi-
guratamente e secondo i modi poettci, neH'epistola < Exu-
lanti pistorlensi », come ogni potenza la quale appresso
la cessazione di un atto, non si spegne , naturalmente
si riserva in un altro, a lui Cino, non sospettando il
tremeodo rabbuffo, uarra d'una donna che per virtude
del suo nuovo sgttardo, sar& beatrice del suo cuore.
Beatrice I Quest'imagine era per Dante la profana-
zione di una memoria santa, Tevocazione della gloriostt
donna della sua mente, emblema della bellezza eterna
sopramondiale, guida airamore del sommo bene (Purg.
XXXI, 22 segg.,) tra la volubility e la sensuality delle
passioni umane. Dante, Tha detto Adolfo Bartoli, non
seppe perdonarlo al pistoiese; e allora Tesule fiorentino,
theologiis nullius dogmatis expers, dimentico dei re-
sponsi dati nel sonetto e neirEpistola sopraccennati,
dimentico de* gioTanili errori, gli infligge quella lavata
di testa che fu condanna capitale per il povero Cino.
E siccome Dante I'aveva detto, prestando ancor la penna
a lo stancato ditOt tutti ripeterono in core che il pisto*
iese si lasciava prendere a ogni uncino, quantunque
egliy in procinto di abbandonarsi a una nuova passione,
sia preso da tremore che il cor suo perda quel poco di
vita che < gli rimase d* un* altra sua ferita. » E ben-
ch6 protesti che non 6 mosso dalle prime braccia dispie^
tate dalle quali pur lo scioglierebbe il lungo, non inter-
rotto disperare, e che un pensiero — Tamore per Selvag-
54
gia — sempre lo lega e TiDTOlye, pure egli ^ Tuomo
lascivo, QQ capro, e un capro espiatorio dell* immobile
fissiU delle idee umane.
Perche? E' si grave, si peccaminoso quest* amore
confessato a Dante? Oh! do. Noi Tabbiamo gik visto; e
aggiungiamo che il povero poeta, timido amante, mal
si perita di levar gli occhi in faccia alia bella: Che
fard, Dante... s't levo gli occhi t (^)
Pur protesta egli che il pensiero di Selvaggia sempre
gli s*impone e che quando vede belt4 simile alia sua la
vagheggia nel memore afietto? Uh! il Tecchio, il con-
5umato amante: ecco una scusa che sa di ripiego.
Eppure non qui solo egli ha espresso qest'idea; essa
ricorre, noi Tabbiamo gi^ visto, nella canzone:
Di nuovo gli oochi miei per accidente
Una donna piacente
Mu*aron, per che mia Donna somiglia,
a proposito della quale nessuno dir^ che il poeta va
accattando scuse, perchd nessuno Tha accusato.
Ma chi 6 questa donna che pud imporsi un memento
alia passiooe dominante di Cino?
A costo di sembrare cervellotico, piacemi di esporre
alcuni raffronti tra i sonetti (?) in cui Cino, dope aver
sentito Tumore di Dante, gli confida il suo nuovo a-
more, e si difende dalle accuse sue, e i sonetti che
cantano una bella Pisana, che Cino rappresenta sotto
r imagine di un hello, ardito cavaliere dalla ireccia,
ch'in Pisa porta la tagliente spada d' amor cinta.
Questo raffronto permetter^ forse di indurre che la
Teccia (Contessa) o Pisana h la medesima donna di
cui Cino a Dante.
I sonetti dei quali si tratta e che vertono < sulla
(1) Cino: Son. « Novellamdnte Amor. »
{It) Essi foroQO scritti probabilmente nel seguente ordine : I. Qaando per
OMo s*«bbandoDa. — H. NoTeHaroente Amor mi giura e dic«. — HI* Poi ch'i'
tui, Dante, dal mio natal sito.
5i
medesima materia > , come ci apprende, se pup ce n'6
il bisogao, la didascalia dei codd. Casanatense a BoIo-
gnese, sono: Al mio parer non d ch'in Pisa porti(\\Q
deired. Fanfani e Bindi, pag. 259) q A la haitaglia ove
Madonna abbatie (114 ed. cit., pag. 275), e di essi ci fu
data r edizione critica da U. Nottola. 0)
Noto anzitutto che essi esprimono ii medesimo pea-
siero fondamentale nella identica natura deiram^re
estrinsecato. Infatti, se, nei sonetti a Dante, Cino di-
chiara che i suoi amori si riducono a un diletto intel*
lettuale^ nel mirare in molte donne sparie le bellezze
di Selvaggia fmi lega sempre e mi involve un pensiero,
il qual convien che si diletti in molte donne sparse) ,
anche nei sooetti per la bella Pisana, si tratta di un
semplice sguardo: gli occhi di Cino si fermarono in free-
cia su lei gentile tanto, che par fatta per arte; e se
nel sonetto a Dante, Tesule pistoiese, nello sgomento
del nuovo amore, sospira nell' incertezza, (lo, ch'd pro-
vato poi come disdice (Amore) cid clie prometie — ....
a morte mi do tardo — Clie non potrb contraffar la
fenice, (son. 126 v. 4-8), anche nolle Rime a Teccia, al
veder la nuova bella , V anima si dibatte agitata tra
r amore ineluttabile a Selvaggia e Taspirazione all'a-
dorno cavaliere. Ma per la forza di Amore , incarnato
in Selvaggia (*) che combatte e vince tutti i suoi sen*-
timenti, V imagine della bella donna non fa soggiorno
f>eiranimo del poeta, ma se ne va bella tanto che il
pensier di Cino rivola a lei e vorrebbepur in essa bearsi.
Questo dibattersi delV anima tra il fatale amore a
Selvaggia e T aspirazione al bel cavaliere, esprime mi-
rabilmente il pensiero dominante che gravava V ango-
(1) Studi «i*Z Oantoniere di Cino,
(2) Che di Selraggia veramente si tratti ce I'apprende Ouelfo Taviani che
Jkl aonetto di Cidq ha risposto per le rime coU' altro : « Molto li tuoi pensier
■ini paiooi torti » Vedilo ia Chiappelli, op, ciL^ pag. 233.
56
sciata mente di Gino e nello stesso tempo , parmi , il
compiacimento ideale nelle donne sparte, che gli ricor-
dava la bellezza della Vergiolesi , anche neli* ammira-
zioDe del bello in s6, astrazion fatta dalle fattezze in-
dividaali.
Ma qui noa si ferma il raffronto : due versi del so-
netto a Dante sembrano una logica illazione di un con-
cetto di alcuDi versi al TaviaQi. Infatti:
Son. HO, a O. Taviani: * Quei forti che non mo-
rirono sotto i colpi del bel cavaliere, campan perci6
che 1^ dov'A dipinta quella figura, rv non han gli occhi
accorti. »
E son. 126 a Dante: € S' i' levo gli occhi in viso
alia nuova gentile , il mio ctcore riceve tal colpo da
perder quel poco che di vita gli rimase d'un'altra sua
ferita. >
E quesVultima espressione confrontisi con quella del
son. 114 al Taviani: c Non m'6 nel cor rimasa tanta
parte — Che provar vi potesse i colpi sui — II cava-
lier... >
Se questi raffronti bastano, abbiamo due amori del
Pistoiese rldotti a un compiacimento ideale dinanzi alia
bellezza femminile, e cade sotto lo stesso giudizk) V o-
dioso rimbrotto di Guelfo Taviani, contenuto nei due
sonetti responsivi a quelli di Gino sulla bella pisana, del
quali uno fu pubblicato da Faustino Tasso (Venezia
1589), Taltro da L. Chiappelli (op, cit. Appendici, pa-
gina 233) («) •
(1) Quest' espressione che signifioa: < U dore si trova il cavaliere bello
da sembrare dipioto (cfr. le frasi corounisBime: fresca come undipinto, bella
e pura come una Madonna di Raffaello) h spiegata dal versi del son. 114 :
« si diparte (11 cavaliere) — tanlo gentil che par fatto per arte >•
(2) Assai pii^ aspro rabboffo il Taviani infligge a Cino . che non facesse
Dante. Gli ripugna di vedere cl6 che egli chiama nno tcomo pel Pistoieee :
che abbia fermato gli occhi sul cavaliere e in lui li imbratti. Ma Amore che
ben conosce i pensleri degli uomini , non divide le sue giole tra qnelli che
67
^^:^"''~"^w^n'"^"~"~~~^^T"~"~*r"'"»"~^ww"«""^»^»^*»Pi^^pw"
Esaurito Tesame delle aacuse lanoiate a Cino da
oltri, yediaiao se cou miglior CoadamentQ , beuchj^ ixi*
volontariamejite, si accusi da se stesso-
Cino, ba detto (jualcuDO , Don ebbe solo aspirazioni
pljatonicUe, eoh ajii6 solo idealmente, e piii, con desip
carnale, ^^ Selvaggia; gJi piacque anche (jualche aosa
di meno ideale e di piii facile. Lo dimostrejrdbbe la $e-
guente ^uartina del son. che cosl comincia :
M enazQ, i' feci una Testa (^) d* amaut^
ad una iiBinie — eV h piaconte in ^iera
e 'rnHxantiaante lo suo cor cbed era
came di cex*a — si fece diamante^
La disgrazm ohe lo perseguitaya.
NOQ dir6 qui com'egli affermi trattara di una o(»'al
voffHa ; neanche mi afiferrer6 all* opinione del Bartoli
che il sonetto non sia di Cino, perch6 a lui i concoiv
demente attrtbuito da quattro mss. Domauderd piuttosto
p^roh^ si debba credere che la fante piacente in dera
sia una fantesca, o serva. lo so bene che questo 6 il
usano faUe carte: ecoo perobd Cino non potr^ mai raccogliere amorosi frutti,
•ooo percM quel 8lo non gli oonseaie la soe gieU :
.... iMi OQBoaee .amore 1 pensier tnoi
Et in lal guUa« che gUiaai aod puoi
FrutU haver , ch' amor guarda fra cui
DeHo site gioie degoamente part«:
Non ae«to oa^ ch* usmi /titoe <Mrt«.
Forse parve imperdonabile al Taviani che chi aveva tant* anni aoapirAtp
p«r S^lvi^ggia* potess* or nutrire fiamma d* amore p«r an* aUra bella; ma
appar puerile dileggio V ammonimento che riferimmo, rirolto a quel fanclullo
tihe gia wreva pasaalo il meszo del caounin di ana vUa nella diapenata flsaitlt
di AS »iiuif0.
Goelfo Taviani non aveva facility, di verseggiare: e forse le neoes8it& delle
rime, anzi, di risponder per le rime, come gl' impose la oreaztone di parole
•(ntfie, o aK(ifl<UQ8ainente:piagat0 aUa rina, aot) gll 4eU6 eo&oetti vituperaii,
non vqIuU .4al pexuiero.
(1) C^t'no; Son. « Se oonceduto mi fosse da Giove. >
10
58
signiflcato con cui era comunemente adoperata quella
parola ; ma nou i qui fuor del case di considerare che
essa, derivata dal latino fans, o, come altri vuole, da in-
fante, per aferesi, ba la medesima derivazione che fan-
ciuUo: cfr. fancello, contrazione di fanticello. Or 6 noto
che la parola fanciulla , se vale colei che d nella ptte-
rizia, 6 per6 usata anche assai comunemente per ra-
gazza e giovane adulta (Cfr. Dante, Puvg., 17: Surse in
mia visione una fanciulla, piangendo forte e diceya;
Dino Compagni, Cron, DL. i 95 : Maritavansi fanciuUe
a forza ; Boccaccio^ Decam. 5,95 : Voi dovreste pensare
quanto sieno piil calde le fanciuUe che le donne ma-
ritate); e per giovane sposa o fidanzata: {Oderig. Cr.
Ricord. 84: Per cimatura di panno levammo per la
fanciulla di Cenni,. soldi 11). Ma poichd qui non mi vale
11 procedere analogicamente, dird che fante fu ben a-
doperato, nel genere mascolino, per fanciulla : Dante
Purff. a :' Ogni uomo ebbi in dispetto tanto avatUe,
cK io ne morV come i Senesi sanno, E sallo in Cam-
pagnaticQ ogni fante (persino i fanciuUi) ; e in senso
generico, per persona, uomo : Boccaccio Decam 2,83:
E parendogli essere un bet fante delta persona, s'av-
visd questa donna essere di lui innamorata. E pel ge-
nere femminile, che qui importa, non 6 da passar sotto
sllenzio che Dante ha voluto denotare con questa pa*
rola una donna, Taide che si gratia....: Inf. 18^: Fa che
pinglie.. un poco il viso piic avante. Si che la faccia
hen con gli occhi attinghe, Di quella sozza scapigliata
iante.
Concluderei dunque che Cino nelih fante piacente in
ciera voile denotare una giovane e piacente donna; nd
mi si obbietti che Dante voile riferirsi con tal vocabolo
a una donna, ma a una donna abbietta, qual Taide ta,
perchd allora 6 pur duopo osservare che in senso di-
spregiativo fu anche fanciulla usato , a cui per solito
non annettiamo nessun spregevole senso; Serdon. Fatt.
59
Arm. Mom. iS: Questo nome {di Lupa) st solera dagli
antichiOreci e Latini dare a quelle donne che per prezzo
fanno copia del corpo loro, le quali oggi meretricU e
conpiii onesto vocabolo fanoiuile si chiamano. E Firenz.
Pros. 2,168: Egli incomincid a gridare: o fanciulle^
io vt ho menato dal mercato un bellissimo servo. Erano
quelle fanciulle concubine ecc.
Posto in sodo che fante, nel genere femminile, ebbe
come fanciulla il signiflcato di donna giovane, nulla
ripugna a credere il sonetto diretto a Selvaggia, qui
paragonata a una fiera che sopravvanza d'orgoglio ogni
altra, attribute, come vedremo, perfettamente conso-
uante al ritratto di Selvaggia, quale c'6 state date da
altre Rime del Pistoiese.
Parmi dunque logico il congetturare che si tratti
^ui di cosa giovanile — come lo dimostra la forma
stentata, che al Bartoli la fece stimare apocrifa, — e
che testifica di una delle prime delusioni erotiche del
cantore di Selvaggia.
•
• Selvaggia era bionda. L'han detto i biografl di Cino
e del resto, se non 11 stimiamo attendibili, il poeta in-
neggia piu volte ai capelll, come agli occhi della donna
sua.
Basti citare la canzone XIV, diretta certamente a
Selvaggia, per ragioni ch'ip non rilevo per amore di
brevity, e per s6 evidenti, nella quale 11 poeta piange la
morte delfamata: tv
Oi(n6 lasso ! quelle treccie blonde
Da le quai rilucieno
D'aureo color i poggi d'ogni intorno.
Ora un sonetto ci pervenne conservatoci in cinque
manoscritti e concordemente attribuito a Cino, e pub-
blicato per la prima volta da Gaetano Poggiali tra le
ilime d'autori cltati nel vocabolario della Crusca (1812),
nel quale si paragona Madonna a una merla:
(1) Vedasl altresi U lou 79. son. 149, son; 5 (append, pag. 4l8>/, ed. Fanfani.
GO
Per ana mei'ia oba d'inkir&o al Yolto
SoTr&voIaado sicura mi veoB^
Sento ch'Amore h tutto in me raccolto,
Lo qual ascio dalle sue nere penne,
Che sono queste nere penn^? Cbi 6 la m^rla?
Prima di rispoDdere a qu^ste domande* parmi con*
veniente di avvertire che in altri luoghi Cino paragona
Madonna a un uccoUo, e piacexni ricordare la comae*
chia del sonetto « Amioo la novella mia cornacchia >
e la pola seivana del sonetto < Poi ch' il pianeta ve
ik f6 certana » di G« Garisendi e Id^pola della canzone*
€ A forza mi convien ch'alquanto ^iri >« che sono Qvi-
dentemente una sola cosa, poichA pola aisaifica appunto
comix; e a queste piacemi di raccosiare pur /'m^e/to
della canzone XXII. (^^ Ora 11 trovarsi u^Ua citata Bima
< A forza mi conviene ch* alquauto spiri > , designata ,
col nome di pola, (^) Madonna dlnanzi a cui si consuma
la lena del poeta e per cui Morfe lo spolpa, e Tessere
la pola chiamata selcana^ (3) ci6 fa naturalmdnte pen-
sare a Selvaggia, e con tanto mapgior fondamento,
parmi, in quanto che i sentiment! espressi nella can-
zone sono consoni alle altre rime per la YergioIeBi.
Ora in questa camzone 6 notovole il oomiaiato:
Tu aai, caozon, del furto
che face il volio coperto dal vela,
pei*oh'io temo che il viver mi vfia cor to;
digli : « pid non te '1 oeln,
io mi parto dail' animo di quegU
che 8* avviiuppa ne* cre^i caj>egli^
(1) Cosl m'avvien per non veder Vaugella — Di cui non ebhif gran tempo
^, novella,
(2) «.. mi fan nel flanoo ^ buova plftgm )• v«^he pvpiUe — che A ciAscun
guixio ro'han flacoato a atanco; — e ta foaaer tal mille, (piagbe) da ofaMo
risQrgo, punto non mi sperde — st m'allegra la pola fatta yerde > V. Not*
tola. Cans. Ined dl Cino, in oocasione delb NoEze d*argento del SoTraai d*I-
MUia.
(3) Se v' ha gremito la pola tel9ana -^ Com' H»^ po* della pinta ftdeh f
'Oasini, Rime di antichi autori Bol.)*
61
i^^
Pu6 semb^ar jMieri^e il dire cfe^. il vqlto cqperto dal
^^/o, che .fece. ramorosa ferita del cuore di Cino, signi-
fichi volto a l^rwa per lutljo , percb$ 3on troppe altre
le circostftP74^ in cui le douuQ po^ta^no if vie^ld. Pure a
creder c\b mi spioge U94 i^ia o^ervi^zione fatta di
fpQpta 1^ i^n nqcleo di rime le q^ali ^icqenna^o tutte
Si, pQ Hiedeainip^ argomeato^ : s^ l^tto dcjlla donna sua.
A4 ui| ^n^icfo^ il P(]|eta^, lontanp daUa. i^ella, atTettud-'
Rimembrati di me cbe non ti celo . ,
< la qpale parte k Qi*a. il %wqv k^%
B prego, obe mi apfiyl tO£it%u}^^ta
Qtt^ ^e Amcor U dirik. q^J^^do U 4*«*p.
I)^ ^^' Qcofti miff t^4r^i 4;p<to ad, un vdZb (^),
■ n desio degli oochi suoi, la sua amata 6 qui ^jt>i^^«>
mente rappresentata sotto a un yela Pur, 80 noii baj^ta.
a provare il luito, leggansi i versi seguenti, diret^i s^U9>
siesso amfco:
Novelle non di veritat^ ignade
Qi:^ant' esser pu6 lontane sian da gioco
Disio saver, si oh'io non trovo loco
Be la beltd, che per dolor si ohiude. ^)
Pvio^si giA arguire che la belU Qhe per dolor si
chufjl^ 0 Qhe porta il v^lo, dolore e veJo veste per una'
gj?ap.de sventura, forse la morte di una persona cara.
Pur cid. apwre anphe, da altri versr diretti alio
stesso amico/nei quaU I'acerbitji del dolore stilla aU
.rinnamoratp lagrime dal cuore:
Amico, 80 egnoJm^Tif^ mi iT^c^lQjBe, ^)
. Niente g^ di me 8Q^*|ii a,Udgi*q.
Ch' iQ mpra E^r la o^i^a^ c^^ pur pjanq^ »
(i) Vino, Son. • Pa della mente tua speochio sovente ».
(f ) Cino, Son. cbe cominoia cost.
iS) Cino, Son. cbe comincia co^
11
«2
La qwil velata ^ *n un (smmanto negro
, . • S*attriBt& r anima, cbe Vede
La donna sua, obe non par che le cac^ia
Se non di morte^ e in altro non ba fede.
Questi sonetti, indiriziati a una medesima persona^
tin caro amico, esprimono tutti il medesimo pensiero
fondamentale : raogoscia delta lontananza e rinenar-
rabile, lungo, infinito desiderio d*aver notizia di Ma-
donna.
Ha chi era essa, adorata con si stru^ente affeito,
eppur non d* altro desiosa che della mortef
Noi abbiamo veduto che Madonna in parecchie rime
h paragonata a an*aagella e che, sia questa lapola sel^
vana, o la comacchia, essa si identifica con Selyaggia:
ora, il fatto che, in una stessa canzone, Madonna 6 chia-
tahisipola (comacchia) e che di essa si dice che ha UyoUo
coperto dal velo, ci fa concludere che le rime che can-
tano la donna abbrunata e quelle che cantano Taugella
e la Merla hanno un medesimo soggetto in una mede«
sima dolente bella. — Le nere penne della Merla, dalle
quali d uscito amore, non son glk i neri capegli, son
le gramaglie che vestono la bella; e questa supposizione
4 avvalorata dal fatto che il sonetto che ne tratta, < Per
una merla cbe d*intorno al vol to », appartieue a quel
Bucleo di rime che abbiam visto dirette a un caro a-
mico e che sono sospirl d*amore per la bella abbrunata:
Amioo, or metti qui *1 consigUo tuo ;
Ch6 8* egli avyien pur cb* io oosl soggiorni ,
Almen non viva tanto doloroso. (M
La cosa 6 tanto evidente, e piti a chi si dia la pena
di leggere questi sonetti, che lo stesso Bartoli accennd
che la merla potesse essere la donna velata in negro
ammanto. Or come, se quest* ultimo attribute spetta
(D Oino. Son. « Per una merU obe d' intorno al volto. »
63
pure alia pola selvana, alia bionda Selvaggia? Gome
la merla dai capelli ueri potrebbe essere Selvaggia da-
gli aurei capelli? Yero 6 che pel Bartoli Is^Jierla pud si
identificarsi con la donndL velata, ma non cw Selvag-
gia, e chi sostenesse questa identit&, che pare a me par
<limostrata, seguirebbe un'opiuione, secoBdo iti^ affatto
arbitraria» dando prova di una € critica amena e pe-
regrina >.
Nulla di men rare, nulla di pifi semplice. Appunto
l*espres3ione di verace e profondo affetto che spira
nel succitato sonetto, e che il Bartoli gli consente,
depone che si tratti di Selvaggia ; ma poich6 questo 6
un modo di argomentare glabro assai, tanto 6 vero che
A, Bartoli I'adoperd per pronuociare sentonza contraria
che parve ecumenica, desumerd dal fin qui detto alcune
egaaglianze gi& dimostrate.
La pola e la cornacchia son Selvaggia^ in quanto
la pola ^ chiamata selvana , ma poich6 la pola ha il
volto coperto dal velo, 6 pur Selvaggia che porta il lutto
e che yiene variamente paragonata a un uccello di nero
-colore, pola, cornacchia, merla. (^^
L*obbiezione del bel color de' biondi capei crespi (2)
di Selvaggia, cade di nanzi a quest *argomen to : la merla
jpoteva esser bionda. ^^^
(1) Che Selvaggia, tra le gramaglie fosse amata da Cino, ti pa6 conget-
-tarare anohe dal son. « Avvenga ohe orndel lancia intraversi » , \k dove il
poeta, dope aver detto che gU arde duramente neir anima il f\ioco che 1' a-
mata tI versa,^ aggiange :
• • • EUa mi par si bella in gutf* suoi persi,
Ch*ia non chieggio altro che ponerle mente^
Poi di ritrarne rime e dolci versi.
II p0r8O 4 un colore misto di purpnreo e di nero ; ma vince il nero, e da
•loi si dinomina (Dante> Oonv. 95). E il Dolce afferma ohe i il color del ferro
ferruginoto, E insomma an colore che s* adopra per lutto : il nero , come
Dante ci insegna, che ha perduto di luoentesza.
{2) Oino^ Boa, « Desio pur di vederla. »
(8) Qui possono, a giusta ragione, farsi alcune domande: come Selvag-
gi*, Be proprio essa era la pola seivana * era nota al bolognese Garisendi ,
crt
Sfroadat^ il cf^Dau)|iiere di C|Da da qufjraleg^iac dp
£ar(alle, c|a quelle^ yagba e sedqc^ijit^ libellule tra pi^i
si confpi^^vi^, agU ocelli no^^ri^ If^ bella e cru(]^le Selr
^^8^' of^dif^mo* or yiii, al po^ta dol^^te che essa soH
4 la Ponnq i^'wnt virlii donna^ la Jp^ p^ cut d'offnti
Dea — (SI come volse Amore) egli fece rifiutq. CM
1^^ r afierioazioae fatta sul s0p(4Qr() ^tl& <}<¥Af^ ^^'
i^irata taot'aani e or lagrimata \ E p^rchft p^ghac^inp
f^^A ftl pojBta che ci aasicura come, tra gi*aT{ s^ffanqi,
nou ¥ari6 sua Of intone delta fede^ d^apaore, cgm^ i f^^^
sar^no (9) al poeta che , affettuo8a> 9prcina s^Ua pestanza
Daote sOduciato pejn trovar^i m luo^ si rio, 4^ve^
^ Donua Qoa ci ha che Amor le neng^ al yo^^ »• i^
questi versi:
Diletto tthiel mio, di pene inyolto,
Merc6 di quella Donna, che tu mipi;
D*opra noQ gtav, se di i<& non set soioltot
Ma s'io ben comprendo il sonetto di cut ora dlr6,
se, per dlrla col Petrarca, fu mj^i p^r divina beltit vil
voglia spenta W , il pistoiese sacriflcd a Selvaggia 1^
gioie d*amore d*una donna che gli s; offriva.
DOQ solo , ma na era oonosciuta e forse amata t Qaal era il dolore cupo •^
^isperato che ropprimeva t a qutl tempo della sua vita si devQ esse riferlret
e quindi a qu(^e anno si deve ifs^egnare il nuoleo dreoDetti or ora esani-
natot
Alia prima dl qaeste domande risponderd trattando di Selvaggia, no-
atrando — se vedd lume — come Snlraggia forse diroord in Bologna; piik dif*
flcile sarik il rispondere alle altre due, perchd gravi e terribili sventare, come
I'eooidio dello sio Bertino Vergiolesi (Storie pistoiesl, pagg. &4', Pirenst 17S3A
• del nipote di lul Braocioo di Oherardo Fortebracci, (pagg 0-1(9 • ^<^ ^*
raorte ignominiosa del marlto di lei )a oolpirono ; nh riesoe posaikAle U oon^
gettnrare se da esse o da alire prend« occasiooe qael dolore deUa V«cgt«^
lesi, che fU novella fonte di lagrime al povero C^no.
(I) Cino Cans. 14., in morte di Selvaggia.
(t^ Cino^ Cans. « Cor I gentiU e serventi d' amor a. »
- (t/ Pitrarea. Son, Le steHe e 11 oielo.
65
Una doana cortese e pietosa, per confortare il poeta,
forse afflnchft non mora^ o forse perchd cangi stia in-
namora, gli d& gioia
Di quella oosa che nasce e dimoi*a
Dove post'haono le yirtd corona, (0
gioia d^amore, e gli porge anche speranza bona.
Ma Cin^, fedele alia donna sua, a Selvaggia:
.... da parte sol di cortesia
Ricevo old ch'a voi servlr vi (t).ten6,
Non per amor, ch6 ci6 far non porla !
secondo la possanza mia
Vi servird, non che io cangi spene.
Se dunque Tamoroso Pistoiese 6 tale da rifiutare per
Selvaggia Famore di bella donna alia quale piet& ispira
cortesia, cerchiamo di tratteggiare Tamore immense,
fatale per lei dinanzi a cui fugge ogni pensier vile, per
quella eletta da Dio tra gli angeli piti bella, e da cui
pure il poeta non ebbe cbe pena e schianti e angosoia
e torm^nto{^\ cerchiamo di rappresentarci , nella ne-
bulosity de' suoi contorni, questa gentile^ accorta e sag^
gia, adorna di cib che donna on or a i e la bella e rea
figura di lei che pel povero amante non fu che cru-
dele, selvaggia flora (3).
II compito & vago e non facile, perch6 Amore folle
imperversa nella mente del povero Cino. Pur 6 sedu-
cente e, nel tentarlo, ripeteremo con un geniale cri-
tico francese che si occupd di Cino : < le ne connais
pas de t&che plus attrayaote que de rechercher avec
un soin d^licat e presque religieux, le traces qu*a lais-
s^es le passage sur la terre de ces femmes auxquelles
est dchue la gloire la plus tuchante e la plus pure, celle
d* avoir 6veiI14 e soutenu la flamme du g^nie, chez les
hommes inspires .... 0)
(I) Cino, Son* che comincia cost.
(<) Cino* Son, Si doloroso non potrla dir quanto.
(3) Cino* Son. II saflflr, che del vostro viso raggia.
(4) Bibliothdque nniv. )858, 3 pag. 77. \i
m.
<X<«- chfina KTc
. . . . doftiMi g«BtU, che Moipre-mal
Poi ch'io la vidi disdegnd pietaoia.
dno da Piitoia.
E' consiglio d'ogai profeta d'amore che, per ral^e-
grave la pena e il pianto, si dica di lui pel quale
taoto 9i sospira. (^) Pur se Daute ci appreode di aver
provato gli strali d*amore sin dall*et& di nove anni :
lo soao state con amore insieme
Dalla ciroulazion del sol mia nona (<),
se Francesco Petrarca, nel sonetto Voglia mi sprona,
ci narra come egli sia entrato nel labirinto d* Amore*
il 6 aprile 1327, su Vora prima (3); non cosl Oino Si-
nibnldi ha segnato 1* origine deir amor sue.
Anch* egli per6 nella canzone < S* io smagato sono
et infralito >, chiaramente ci dice che egli fu d*Amor
Bin da gioyine etade :
Da pai*t6 di piet& prego ciascuno
Che la mia pena e lo mio torment'aude
Che preghi Dio che mi faccia flnire.
Di me porria dire
ChHo fui d^amor sin da giovane $iade,
E stando sol ne la sua potestade,
Per non veder mia Donna morto fosse.
{IJ Cino, Cans, Cori gentUi e serventi d*Amore.
(2) Dante^ Son. che comincia coti Cod. Magliab. 143, Classe VII.
(3) Vid« Laura nella obiesa dl 8. Cbiara. V. Note attaocate a on oodiee
di VergUio oeU^AmbrosiAAai di cui esiste oopiA AAolie DoiiA TxiTuUiaoa.
70
E fa tale questo immenso e sventuratissimo amore
che il poeta, caotando le yicende sue e a che la sua
Donna lo ridusse, si crederebbe
. • • • solamenie fare
Ogni anima di oi6 meravigliare.
Fa qaest'amore ingenuo dapprima e qaasi inconscio^
nutrito poi di forti palpiti, deUe angosce della speranza
e della disperazione, geloso talora, e da ultimo fatto
tanto nero che Clno fu giustamente collocato tra i
poeti del dolore.
Le Rime sono la nebalosa storia di questo affetto
e sono il nitido specchio di ua*anima martoriata.
Leggiamole.
Qli occhi gentili e pieni d* amore O di una piacevol
giovenella, adorna d* angelica virtti , i^^ leggiadra tanto
che umana creatura non poteva dare al mondo figura
si bella, ferirono col dolce sgtiardare la fantasia e il
cuore del poeta assetato di gentili affetti, pascente Ta-
'nirna sua trista coUa speranza di campare per il Dio
d* Amore.
Essa ne* begli occhi, ch* han d*alto foco la sembianza
vera, apertamente mostra che il poeta ne ayr& gran
gioia. <^) E dolce e umile la sembianza della bella e
pietoso deve essere il sue cuore, poichd dal suo sguardo
spira amore. N6 per ardire il poeta pose cura alia crea-
tura leggiadra; egli la vide e se ne sentl ferlto e non
ayeva ancor veduto Amore, cui il cuore non conosce
se prima non Tha provato.
Ua giorno, andando per la via, la bella gli concede
il saluto che essa sa dare a chi le fa onore: parve al •
lora al poeta che un dardo acuto gli passasse il cuore,
(i; CinOs Son. Li voitri ocohl gentili e pien d*Amore<
(S; Oino, Son. Una gontil piacerol giovene11a«
(3) Ivi.
b
71
•*■
e non fu sua colpa se lo prese la virtd raggiante da
quel begli occhi.
Tutti i suoi pensieri sono allora per la gentile adorna
di angelica virtu; egli Tama sempre coUo stesso mtenso
affetto, ed ha si flssa nella sua mente la rimembranza
di lei, che non si 6 dilettato mai piti d*altra cosa cl^
del ricordo di quella amorosa vista; Tanima sua altro
intelletto non ha che d*amore.
Cosl un*alta speranza rallegra il suo cuore; pargll
che quella donna plena d* umilti debba esser pietosa.
Solo co' suoi sospiri, sta il poeta^ perch6 altri noa li
oda: appena gli angeli possono dire a chi assimiglia la
donna sua: il sole a )ei s*iDchina, Dio (la cosa cono^
scente) Tonora e il cielo le piove dolcezza intorno.
E il poeta? Egli desidera di vedere lei che, se solo
un fochettin sorride^ quale 'I sol neve strugge i suoi
pensieri (i) e di udir le sue parole che son vita e pace
e ne trae una speranza di cui si pasce e che 6 tutto il
suo contento: . • ♦ «• ^
Tutte le pene ch*io sento d*amore
Mi son conforto accid oh'io non ne niuoia,
Pensando che m* ha fatto servidore
Delia mia gentil donna , e non V h noia.
£ chi potrebbe mai sentir doglia d*amore avendo
messo tant* alto il suo cuore ? Gioia maggiore non de-
lizia il ParadisOy poich6 il poeta sa che la bella desi-
dera 11 suo amore. <^^
Pur, a tanta bellezza, alia cui vista il cuore deirin-
namorato sovra 'I del gir osa (s;, che s/w^^^ innanzi
alt intelletto ^ ei cela il suo corale afietto per ver-
gogna (^)
(\) Cmo* Son. Madonne mie, Tedeste voi V altr* ieri.
(2) Cino, Son. Tutte ie pene ch'io sento d' Amore.
(9) Cino* Son* Vedato han gli occhi miei al bella cosa.
(4) Cino^ Canz. Non che *n presenza delta yista lunana :
La mia forte e corale innaraoranza
Vi celo, com'uom tanto vergognoso,
Ch' ansi, che dica suo difetto, maore.
n
Tali i priml palpiti e le prime pagiae d'amore:
speranza, fede, ebbrezza deiranima, tripudio di pensier
leggiadri e gai(>), lo stupore estatico, il sospirar pe-
reQDe, la beatitudine.
Co3] il poeta 6 gi& chiamato a corte d*Amore e To
sveoturato 6 appena nato a queata passione, che gli
appare la spietata sentenza che fa di Ini quel signor
che chi lo sguarda uccide : 6 di si altero luogo la dODna
sua, che dirmerci non potrA pietate; (*) gli occhi folli
piangeranno il giuoco che diede Tebbrezza d'amore al
poeta.
Quando, dove essa nacque ? chi V ispird t fu aHetto
duraturo ?
Nou ora curfamoci di una data, uon curiamoci ne-
aiiche di determinare la donna che ispird tanto amore :
riguardiamo solo alio svolgersi di esse, e come viva
nel cuore del poeta e di esso si nutra.
II Faiifani ha supposto che i primi palpiti rivelas-
8ero*lKhiorS al N. in una giostra. Egli C(£)ngettar6 sul
verso « poi che ella gli occhi tuoi vinse in la gUh
stra » (3). Ma ben la giostra pu6 essere il fulgido lam-
peggiar delle pupille che Thanno ammaliato (4); n&
d*altronde importa: T amore nacque ne* gai assem-
bramenti di una piccola citt&, forse non ancora fUne-
stata da odii di parte; colpi il giovane Cino afflssantesi
desioso » tra i drappelletti di leggiadre donne (in vari
sonetti da lui descritti), ne* piii begli occhi che lucesser
tnai.
V amore 6 insaziabile, e inesauribile & il desiderio
di vedere la bell a. Legato air amoroso node da due
belle trecce bionde,
(1) Cino^ Canz. La doloa vista, e *1 bel gnardo toave.
ffj CinOt Son. In fin che gli ooohi mlei non ohiad« morte.
(3) Cmo^ Son. So 'I vottro oor del forte nome sente.
(4) 11 gioco degii occhi del aonetto « In fln ohe gli ooohi miei non chiude
morte », ten* S., v. I.
E sti'ettamente intennto a tnodo
D' uccel obe & pi'eso al riachio ti'a le ft'onde,
Taffetto suo si fa sempre pid intenao, si come crei
neltaureo colore le belle trecoe che gtl aTvolgOD
ouore. (i)
Ua gionio il bel riso adoruo non 6 tral'altre |
till a una festa. Percti6 noD fu richiesta da esse « c
onorar venisse questo giorao ? >
Gli occhi di tatti guardan 1' iDaamorato « cbe
apirar non stoma > :
Oggi spei'ava veder la mia gioia
Stare tra Toi, e tenei' lo cor mio
Cb'a lei come a sua vita, s' appola.
Pate 8\ ohe staaera la vegg*io. («)
Nod appare alia sera quella in cui s' amisia ti
bellezza da far piaceati I'altre donne :
. . non curaste, (cfontw) nft Dio, ni pregbiera :
Di oi6 mi doglio, e ognun doler si deve,
Cbe ta festa h tui-bata in tal maniei'a. (s)
£i si stempra in dolorose smanie; la vita sua 6 I
nn crescendo di dolori; d perduta per lui quell' ai
lica 0gura, adorna di tanta piet& e di tanto valori
simigliare alia rosa che fa disparere ciascun fiore
gentil doQzella, gi& a lungo disiata con anelante
spiro e con ardeote speranza, d fatta sposa ;
Oenttl doniella, fatta siete sposa,
II temporal T'lnvita oma' d' amove.
La bionda giOTinetta de' ridenti crocchi di
fanciulle 6 divenuta la donna austera, avara di mt
(IJ Citw . wn. Ome' t ch* io Bono all' nnioroso nodo.
(S) Oino, ion. Come non i con vol per qasala feilB.
(Z) Cino, ton. Or doT'^i donne, quella ia cui b'>tvIsIi
74
a tuito it mondo umile e piana e verso il poeta sven-
turato sdegnosa e flera.
II matrimonio di Selvaggia non toglieva alKardente
pistoiese di amare Madonaa e di iodirizzarle i suoi
versi d*amore, poichd la morale del tempo consentiva
alle € persooe oivili , maniere di onestissimi amori ,
amandosi platonicameate anche le persone coniugate,
ma con tal rispetto e riguardo all* onesU che 1 Con-
so iti ancor che consapevoli non se ne sdegnavano ...» (0
concetto anche da Cino affermato € . . . donna puote ben,
COD lo sue onore -* con atti belli ed ooesti sembianti,
— tener in dolce vita un suo servente (^).
Ma amore infonde a Cino le sue p^ure e fa di Ini
un povero geloso: < mi fa geloso ... — onde Madonna
sdegna — e sdegnando ml cela sua figura.
AI poeta stesso balena la ragione per cui egli perde
la vista della bella donna, sostegno della sua vita:^ la
gelosia, della quale gi^ il secondo Guido aveva iase
gnato che reca airuomo < male e dolore, affanno con
martire >. E gli 6 vano il non credersi responsabile
deirimportuQO sentimento, allegando che € Amor per
sua virtute regna » ; e vano 6, a calmargli le smanie,
il soflsma, col quale giustiflca la donna sua, in quanto
come ei vorrebbe, sdegno proviene da ragioni estrin-
seche, che non le si possono addebitare,
. . sdegDo in geptil donna vien di fore
si che d'aver pietate eU'ha valore; (3)
egli omai presente le sue future angosce, e invoca
piet& dal gen til cuore ch* ha la vita sua :
Ch' io mi veggio menar g\k per tal via
ChMo temo di trovar crudelitate. (4)
Ma nessuna virtii 6 possente a conciliargli T amore
^1) If. A. S'llvU Le Slorie di Pittoia, (2) Cino^ Son Donoe mie g«ntili.
(3) Cino, Ballata : Dah asooltate come '1 m'o sospiro. — La leiione ci'
tata h tolta dal Notlola,
(4) Oino^ Son, Poi cbed «* t'd piaciuto, ched io sia.
della sdegDOaa; ei, virecdo sotlo spera dt morce
plica una donna gentile, Is graziosa Qjovsooa,
faocia f>gQi sforxo per ottenergli dall' amata t.
della sua vita che si muore :
Qraitosa Oioranaa, onoi'a e eleggi
Qaal Tuoi di quelle che tu Tedi; Amore
B' solo ; inlanto per lo tuo oncii-e
Lo mio sonetto in aua presenia leggi. (>)
L'iDvocata intercessione paregli otteDga, per n
meoto , il dospirato efletto e il pistoiese pud , co
aecondo Quido, intoaare rinno di gioia. (?)
Una speranza tenace lusinga il cnoro di Oino,
grado le ripuUe; egli s'iliude, sentiamo lui:
Fra me meileamo to' parlando, e dico
Che '1 sue sembiante non mi dice '1 rero
Qaando si mostra dl piet& nemico ;
Cta'a fui'za par ched el' si Taccia flero,
Pel' ch'io pur di speranza mi nodrico.
Ed invero par si placht il cuore della sdag
un' alta speranza dolcemente saluta I'anima dell'
morato * e falla rallegrar dentro lo core > :
Cbe questa donna piena d'umiltate
Giugne cortese e piana,
B posa nelle braccia dl pietate
, . si fhce a quel, cb' ell' era sirana.
Siamo dinanzi alia canzone XI (Fanfani), noi
per impeto lirico, spirante ebbrezza d'amore, entua:
(1) Cino.
>. aha «oinlrida
«IHl.
1*1 Anch.
Caialoaali -
autenlico
grnppo
adaapoto
10, [
mbblicito da 0.
Salvador
prega u
n..g,«lild
cui « eotiQiu
di [rde. chs v
oglia
parUca
a qoall.
ddlB quBia c
igHt
>pac* oh
a il
re lart da
(Bio piCi She
.gll
Doa sappla dir
Non SBO aora
Inarf
1 apartan
laala
quoUa. cui ID
L'ave
dato a >
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qua- eh' i -n
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Nod la o
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la, >na .sli baa
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1 carta ohe la
gaatll.
CDQOBCsis qaal donaa >gll ami. -
- Cii
10 iDT«ce
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la la gl
'aiUaa aio'
76
per Tamata, qui paragonata ad ogni pid nobll cosa,
chiamata per ogDi nome di gentil virtii , di valor tale
che fa meravigliar il sole e che il ciel piove dolcezza
ov'essa dimora. Questi versi tralucono uno del pochi
sprazzi di speranza che abbiano irradiato il caore del
poeta, poich^ la bella donna, fulgente stella posta nel
ciel d'Amore (i) si face a quel ch'elfera strana^ e almeno
una Tolta le sue parole son vita e pace. Pur il misero
d'altra brama non si pasce che di vederla:
In questa speme 6 tut to il mio diletto,
Ch' altro giii non affetto,
Che yeder lei, che di mia vita h posa.
Tenue desiderio, che gli detta una canzone, lo sente
anche il poeta, bella e nova^ si ch*egli non ha ardire
di chiamarla sua : 6 opra d' amove !
Ma i lieti pensieri poco durano : (lopo la speranza,
la disillusione amara :
Ogn*allegi*o pensier, oh' alberga meco
SI come peregrin giunge e va via,
E s*ei ragiona della vita mia,
Intendol si, com' fa 'i Tedesco il Qreco. (2)
Invero noi troviamo tosto il misero che si distrugge
e consuma lauguendo: egli ha udito cose che gli hanno
perrasa la mente di dolore, pensieri crudeli e rei tur-
binano nella sua mente :
Per6 che mi fu detto da oolei,
Per cul speravo viver dolcemente,
Cose, che si m'angosoian duramente,
onorar e a trascegliere quella che yuole delle gentili donne ch* essa vede ;
esse son raoUe> ma Amore d iolo, e rinterceditrioe non pu6 errare.
Vedi G. Salvador i: La Poesia giovanile « la Canzone d' Amore di O,
Oavaloantif col teste del sonetti yaticani. ^ Roma, i8^ ^ Son. 24-^ della
eerie.
(1) Cfr, D. Freseobaldi : Una stella con si nnova bellesia. — « nel ciel
d* Amor di tanta ylrtti Ince ».
(t) CinOj Son, che comincia cost.
Che per men pena la morte Torrel.
Che I& ond'io credevo aver letizia,
M' h soFbondata pena dolorosa
Cbe mi disti-ugge e consuma languendo 0
Allor non gli vale ctae 11 cor si stringa pave
meate, noa cbe, solo al peasiero di mirar gli
della donna sna, ei tremi, impallidisca e agg
tatto, nh che il cuore rimanga pe^io cbe morto
d'essa disdegnosa passa; la spietata, oltre misn
tera, ^) aborre la sua vista :
. . . dovea innanzi . ...
Sofil>ire ogni tormento,
Che Ai-ne moatramento
A Toi, oh'ollFe a oatura seta altera,
L'amor ridente ne' begli occhi di lei, e cb'e
furato, dal cor vita divide:
* Donna mia, unque mai
C03l f^tto giudizio non si Tide.
QuaL'6 la cagione delle ripulse e di tanto sdt
. n poeta Qou ci d& a questo proposito che qi
y^a allusions. Egli 6 angosciato perch6 quell
I'accide, in forte punta s'accorse che amore, che
ne' suoi occhi, I'areva conquiso :
Ahi Dio ! come s' acoorse in forte punto
Per me dolente, qnella che m'anolde
Che '1 dotoe Amor, che ne' suoi occhi ride,
M'avia lo oor di sua biltate punto. >)
Forte punto'. Terribile momento ! non propi2
qualche sciaguratissimo evento al giovane amc
poeta. Oosl par logico che ai debba interpretar
1) (Hno, Son. L& gr&Ta audleniB d
S) Cino, Cam. Dsgna ton [e eh'i' i
3) OIno, Son. cha aDDinola cobI.
78
non 6 altrettaQto facile congettarare qual fosse questa
Qera contingenza. Pur faremo alcun ravviciDameDto
con qualche fatto che forse fu la cagiooe prima delle
sue lagrime. Or notiamo con Oino che ii cuore della
sdegnosa donna gli si fece tanto fiero e crudo, che
essa neppur telle ra che il Sinibuldi le si pari da-
vanti. (')
Oh! alia cruda forse aggrada la fine deU*amante
odiato i?), il quale riman peggio che morto quand*ella
passa disdegnosa. Suppone allora il reietto:
. . • S* io son ben della ragione accorto
E sol per lo desio. ch'en lui tiH)vate. (nel coore) (3)
Altrove, (^) ha un vago accenno alia cagione de' suoi
sospiri :
... la ciera gentil . . .
Che come sx^o nemieo par mi miri.
Ella chiama follia il dolore del Sinibuldi, e le par
ch'ei sogni • *
• • . • e sia com* uomo fuore
Del senno, e che s6 medesmo ammattio (5),
e gli suscita intorno rise e scheme, quando le pasm
davanti :
. • . riso e gioco
Mi fa menar quando davanti passo (6),
e gabba lo colorlrsi deiraspetto sue, quando le d presenter
Se Yoi udiste la voce dolente
De* miei sospir . . .
Non gabbereste la vista '1 colore
Ch* io cangio . . . H
(1) Oifio^ lvl»
(8) Oino, Son, Oli atti yostri, li sguardi, e U bel diporto*
(8) Cino ^ Son* Oil atti vostri, li sguardi, e U bel diporto
(4) Cino 4 Son* Udlte la cagioft de* miei soipiri.
(6) Cino, Son, Ora se n'esce lo sptrite mio.
(6) Cino , Son, Se voi udiste la voce dolente. (7) ivi.
79
£d 6 sempre essa, al grand* assedio della vita del
ramante, che si adira di tan to amore,
Come colei che se *1 pone in dimore 0).
Perch6 a Madonna par tanto disonorevole Taffetto di
Cloo? L'innamorato, giuoto a tale ormai che per lui
6 indifferente la morte e la vita, ci afferma che di cib
causa non d se non ria sorte (2\ Ed era vero , e ve-
dremo ci6 che per lui costituiva la fortuna awersa.
Ahi doloroso ! solo le lagrime per lui I Pur morrebbe
prima di obliare colei che si sforza d'esser sempre al-
tera e disdegnosa (^), ed ogni suo pensiero 6 di pianto
perch6 la mente gli mostra il voler fiero dellamata. (4)
Da questa donna crudele, da questa fiera selvaggia,
priva d* ogDi piet^, dalla quale ei sa di non poter trarre
che guai , (&) meglio sarebbe allontanarsi. Ma il foUe
am ore lo riconduce sempre 1^ dov*6 la sua condanna:
. . . 1& dov' io son morto e son deriso
La grau vaghezza pur mi riconduce.
Hanno un bel tenzonargli nel capo la ragione e la
virtft per rinsavirlo; egli 6 schiavo dMa hella luce,
degli occhi traditor di lei che gabba Taifanno suo:
... da ragione e da virtd diviso
Seguo solo il desio, come mio duce.
Pur egli partiva, astretio forse dagli studi che lo
chiamavano in Bologna. Infatti un dolore lemperato
echeggia in alcune rime, le quali ci dimostrano come
Gino abbandooasse la natale Pisloia e Tamata; e non
son quelle deiresilio, che rivelano una ben piu cupa
e nera disperazione. Esse ci ritraggono il poeta Ion-
(1) CinOj Son, Ahimi ! ch*io veggio, ch*ana doona viene,
(2) Ctno« Sestina : Mille volte riohiaroo il dt mercede*
(3) CinOy Son, : Vol che per naova vista di flerezf a,
(4) Cino, Son. i Lo fin placer di quelle adorno vise.
(5^ Cino, Son, : II zaflRr, che del vostro vise raggia*
80
tano, sotto il potente fascino degli occhi della bella pi-
stoiese, e spirano un cocente rammarico di aver potuto
peosare a lasciar quella gioia die piU lo diletta die
nulla creatura:
Pai*lirdi da cosl bello splendorel
Doy*io taDto fallai,
Che non ^ oolpa da passar per gnai.
Dovea prima uccidere se stesso , come fece Didone
quando Eaea le lascid tanto amove ^). W an dolore
che lo oppprime sol per la cagion della sua dipartita^
e non lo preoccupa iiessun*altra sveDtura: egli langue
per 11 desiderio dl ritornarei e versa in continuo pianto,
sicch6 ognuno che lo mira s'accorge del miserando
stato^ simile a Morte, ch*egli prova, lunge da Madonna
stando *).
Infelice e lontaoo, riceveva la notizia del lutto del-
Tamata e, condivideodo il dolore di lei che non gli
era mai stata pietosa, trasfondeva i saoi sentiment! in
sonetti pietosissimi e pieni di caldo affetto. ^)
Fra quella gente straniera, tutto gli arreca duolo
mortale, onde egli fugge, per non esser udilo da cuor
villanOf e sta celatamentOi assorto in pensieri d'amore :
Ch*allor passo li monti, e ratto volo
Al loco ove ritrova il cor la meiite.
Imaginando intelligibilmente lo conforta un pen-
siero che tesse un volOy il penslero di rivedere la bella
gioia da cui 6 lontano. ^) Giorni di conforto quelli in
cui Madonna recasi a soggiornare 1& dove trovasi il
Pistoiese ; e lo scorameuto si fa maggiore quando essa
riparte per Pistoia,
V Ctno, Ballaia: I pi& begli occhi che lucesser mai.
2) Ctno. Son. II dolor grande che mi corre sovra.
S>/ Ad essi gill ho accennato in questo lavoro, a pag. 01 e tegg«
4) Cino, Son% Cid ch'io veggo di qua m'6 mortal duolo.
Lo dl 'oKe di BologDft si parth)
K gio a &F- si Innga -diiDOF&Dza
Id loco ohe m'ba fatto spesso noia.
. Ma pana^ono i gioroi ileDa lOBtanaDEa hnipoatag
dattii 4tudi, allQviata da paaseggieri amori'(i) e abtw
llta dair amieizia , e II PJstoiese si recava ia patri;
flsso, mente e cuore, nella donna altera.
n pit disperato degli amanti oon avvi che m
geambi , nei momenti di conforto, il proprJo desidet
coUa possibility degli eventi, e die qod imagini
doDQa amata qtnile nella sua mente la vagheggia. A
che DeU'empito del dolore 6 dolce oareggi&re ffentt
accorta e saggta, et adoma di cid che donna onora, c
lei che per rinnamorato 6 sOlo spietata, donna cr
dele, (era selvaggta. (')
II concetto 6 antitetico, e ci ricorda quel di comui
ehed in alcnni poati del dolce stil nuovo, a oui Cii
apparteneva iDdubbiameote per et& e pel caratte
della sua lirica. lovero Lapo, Cino ^ Ouido raffigar
vano la donna cnidele e selrsggia verso il sospiro
poeta. ma pur df>Ice, adoroa di ogoi virtJi, santa. {a)
(y/ Tedi il oKpllola lecondo di qnesle not*. '
(!) Cino. 3»a. 11 i«far, elie del voitro riio t»ggi».
(i) err. Lapo Olaunt, Ballata : Amare, i' prego 1> lui nobilUda — eh''
til Del aor d'ailai donnni apltloia, Ivl: Con ai Ilsri leiDbitnti mi 4iideg
Lapo, Sallala; Angloltlta tn timblama : • Non pa6 »iueer« Amors —
|dog«r Delia menti gsslilla — d'«al> noTella cou — chi alvaBgfa a lutt'
— la trova eon A nors legjiairia — oontio di Ini ideenais «cc. •
P<r6 h qni il eaao di notare ohe il CtTaicaiiit (Caatas*, Donna mi prei
V-iJ oi Inaegoa che • non gii lolngge la bisllk lOo dardo — ch* tal voli
par leraar A aparia >. Dnnque tl dardo d'amort Don pii6 aaaai dato da- b<
•alTagga, psrctit ami I'amors ai manlfaala {» tperlo) ptr tmtr, par I'miril
' per meretdt. Coal c(»utgu» mtrto iplHio Ch'i punlo : B' 11 DantaacS • A'a
Sba k nulla amalo amar pardona >. Vadi a queata propoaito : OIUIIo Stit
<l»rf, 1 La Poaaia aiotanila dl O. CaTaioanti eae. >
U
82
Ma ci6 Tale a negare la yeritit deiramore, affogan-
test nel conTenzionalismo f Parmi che il poeta adoperi,
a esprimere i suol sentimenti, i mezzi poetici che la
moda del tempo suggeriva, e d* altroode 6 pur vero,
ora come nel treceato, che Tamante nulla di piu soa?6
e di piu alto possa concepire che la donna adorata,
per quanto sdegoosa.
Ed appunto in quanto essa6, o 6 fatta, neir ebbrezza
della mente, leggiadra alta e Tozzosa, (^) che V amante
non osa rignardare quegli occhi cbe pur Timparadisano;
6 appunto perch^ essa 6 la Donna eletta, dea d^ogni
gran belt^, ch*egli ne 6 indegno : ecco perch6 < innapti
a lei piet^ non far^ motto >. £ questo un altro con-
cetto che ricorre spesso tra i poeti che rappresentano
il dolce stil nuovo, ed 6 ritratto in questi versi:
Ella h tanto leggiadra, alta e yezzosa
Ch* innanti a lei piet& ron faHi motto. (^
Ora il convenzionalismo starebbe in ci6: la donna
amata, la donna di grazie e di virtu, deve essere ne-
cessariamente sdegnosa, (^)
(1) (7tno, Son. Sap'er vorrei 8*Amor, che venne Acoeso, « ^ii..* Quttsta
doDDfr ohe andar mi fa pensoso*
(2) Cfr O. Cavalcanti : Cans* lo non pensava che lo cor giammai « .. to
non camperai — che troppo d il valor di costei forte » ; e CSunx. Oli occhi di
qaella gentil forosetta^ «... ella si vede •— tanto gentile, che non pad im-
maginare — Ch* uom d' esto mondo V ardisca araroirare*.. — ed i\ e' i' la
gaardassl, nemorria » ; e Son. Li miei foirocchi che prima g^ardaro : « fatto
■e* di tal serTentii — che raai non d^i sperare altro che morte »•
Cfr. Lapo Oiannif Canx. Donna, se *1 piego che la mente mia.*
Donna, qnando earlk per me sereno
ched e' vMncresca delle raie gravesze f
Non credo mai fin che vostre belleiie
Boverchieranno Taltre di beltate.
(3) Bartoli^ St. della Lett. /( ^ IV , pag. 112: « L'idealitik roietica dell' a -
more cantata dal poeta dovwa rimanere inaccesBibile ad ogni preghiera mor-
tale .. V ecc. Beninteso per noi non si tratta di ideality mistica, come ci par
4i dimostrare. *
83
Necessariamenle ! No, io penso, ma sdegnosa in
quanto 11 poeta si crede indegoo, e tale da meritare
sdegno pel suo ardimento i}). E invero, come lo sdegno
necessario potrebbe conciliarsi coUa speranza che A-
more possa fare una selvaggia fiera esser pietosa ? (2)
II poeta va presso alia donoa sua e non osa riguar-
darla, e se gli accade di mirare que' begli occhi, quel
celesti e sauti rai , egli vede in quella parte la salute
a cui il suo Intel letto non pu6 arrivare. (3) Cos'fe questa
salute ove riotelletto non pu6 gire, se non una conce-
zione della mente del poeta che vede in quegli occhi
una grazia di lume divino, per dirla col Foscolo(*), un
miraggio che lo abbaglia, che trascende Tintelletto suo?
se non un prodotto della mente deirinnamorato che
pot6 concepire come non troverebbe piet&, perch6 in-
degno di tanta leggiadria, e che in questo pensiero si
strugge? (5)
II convenzionalismo che si riduce alKempito umile
del prime amore!
La storia dell* amore di Cino 6 ancor la storia di
uno sventuratissimo amante. 11 ritorno non gli allevia
le angosce; egli rivede la donna sua dolente^ sotto un
vel Unto diptanto; e rimembrando il dolore deiramata,
gli si serra il cuore, e non pu6 parlare n6 piangere.
Quanto piu grandi sono i suoi tormenti, e tanto gli son
piii graditi nel presente stato, se essi faranno final-
mente la morte vittoriosa de' suoi spirit! vitali, se
< morte spezzi ci6 che la coverchia > :
e non so come '1 cor tanto ^ durato,
poi si gran pena lo disttinge e cerchia,
che non rispira in yita d'alcun lato.
0) Vedi CinOf Canx. Degno son io chT mora, strofa i.
(t) Vedi Cino^ Son. sopracitato : Saper vorrei s* Amor che venne aoceso.
(3) dno^ Son, Questa donna che andar mi fa pensoso. — In 14 mss. ; in
10 con attriboxione a Cino, in 4 a Dante*
(4) Commento al aonetto del Cavalcanti « Ch'6 questa che vien, che o- '■
gni uom 1» mira » (5) « AUor si strugge si la mia virtute » ecc. ^ ^
'■r-
,_j
84.
Ma essa noa depone lo sdegnto e n<m sofferi^K^di
vederlo* (0 L* impossibiliU di vedere la doana de' suoi
iDartirfy gli acuisce Tintei^so desiderio di mirarla; 6 iw
torments queUMstante in cui noii pu6 affisarsi estatiee
negli « occhi rUacenti e belli > della sdegaosa :
S*un punto sto ch'io non li miri
Lagi*imatt gli occhi, e '1 cor tragge sospiri.
Or se piet^ si serra
Nel Tostro cor, fate ch'ognor ooutefflppe
II bel gaardo che *a ciel mi tei*r& sempre.
Ed eccolo, nella notte angosciosa, indarno soffocare
i palpiti del cuore, e stemprarsi in lungo pianto e in-
vano frenare il duolo fin qui tenuto ascoso. (*) Quando
declinano gli ultimi raggi del sole — e par che il sole
YOli — e la notte stende le sue ombre che gli tolgono
la speranza di veder Tamata,
N6 ricevuto ha Talma, come suole^
Quel raggio che la sgombra
D'ogni martirio, che lontano acquista,
Tanto fortd s*attrista e si travaglia
La mente, ore si chiude il bel desio,
Che '1 dolente cor mio
Piangendo ha di sospiri uua battaglia>
Ch^ comlBcia la sera
E duratinsiiiQ aUa seooada spera.
Mirabiili versii» in cui non si saprebba se maggiore
rimp^to del dolore o la fimzit?^ psicolpgioa. Dove 6q,9iir.
or via, I'arida dottriaa.deUa sede d'Amore;?Ni5)^Hii_m(>-
(\) CinOs S^Ht SmerAto A lo mio>oor di dolor UiUo* ^Qae8to.))eUoe forte
Bonetto di oai il Traofhi (Poetif iQe^ijtO/di^ dug^^ lau^ori^ I, p., 285) aveva
pubblioato solo la prima quartina , fu pubblioato per intero daL~Nottola^ da-
due oodioi: ChigiatkO V VUI» 3Q5; e MgUab. VII, loao.
(?) PJ*^<lt Canzt Quaado Amo^ gli ocohi rilucenti, e belli*
(3) II Guiniz^lli, seguendo la tradizione« rayevaiaUo. |>9|ar0 nel c\)Qro/, il
Cavaloanti lo oollocd nella mente: « in.^uella, parte do ye tti^ . n)9(09rf ^— .
deniopoeta psioolt^o, che-scratl il dolora nmaoo. noa
potrebbo meglio signiQcarei come i la meate, m cui si
clutide il.bel desior cbe si attrista e si travaglia, e couie,
di coaseguenza, il cuore palpita in for^e e dest« :
I'ai^aata.iiQa battaglia di sospiri.
Or, se prendete a noia.
LO' mio Amore, oecbi d' Amor rubegli
FoBte pel' comuD ben stati man begiL
Poi die redei: voi Btess! noa possete ,
Vedeta ia altri almea quel che voi sete. (')
E ancora il mite sdegoo di uq iBnamorato; n<
ribellione sent! raffe.tto e rammirazione per lei cfa
giJL chiamata « la forte sua Demica >. Ua Amore
abbella quegli occhi geotili e quel viso, non tocct
cuoce di Madonoa; d6 flor di pieU la rende mite;
i tprmeati del dolente le sembrano sollazzo e giuoi
. . I» soa^di mortd visibiidguva,
SI di'ad ogni uom paura
DoTrla fai- 1' ombra mia,
Cbd ben farla chi m' uccidesse.
01;! non foss' egli nato maL (!) Rovioa o^ni vii
la,maiito-,arde^ ranima b smarrita, il sao viso s'incb
aUa.tQi-ra [?), qtiella bell& peillegriaa gU dejsta-terrore
E,sj,,pie,toao.6 il suq stato,.che.qualuuque piix ajl&
a(uDO piangerabbeiudeodo i suui- sospiri. i^)'
... si volge dt fltro talenta
Portemente sdegnoaa et adtrata
(I) Cr. Mram
it) (Jino. Cam, Coma'a qucgl' ocolil gealMl s 'd qa<
8s '1 ralo tUo >Ua Km ■'iachin&.
'.i) 0I»0^ Balialai Angel di Jlht siniglte la oluooD
JS) Otw, Son, I/aatiw iai»''riliaeBt«-« iblgpulu.
86
E con quesii sembianti 6 si cambiata
Cb*io me ne parto, di morir contento, 0)
6 fa sollazzo del martirio deir iDnamorato « vedeDdo
usjir le lagrime dal cuore ». (s)
II terrore delT amata s^accresce; ei teme tanto il
disdegno della donoa che, pur struggendosi in mortale
desio, si rassegoa a non piCi vederla (s\ per oon recarle
la noia delta sua vista.
Eppure — e ci6 rioorda il leopardiano Coosalvo —
vorrebbe morire cento volte tanto ^ sfiderebbe le raffi-
natezze del dolore, per libare solo un momeuto la gioia
d* amore :
Uom che non vide mat ben nh sentlo
Crede cbe *1 mal sia cosa naturale ,
Per6 gli k pid leggier . . .
Ma se potesse attiogere solo una stilla di felicity,
ben poi apprezzerebbe quanto il male 6 rio, coudannato
a pianger pene e gioire neir abisso del dolore. (*)
Invano: essa che a tutto il mondo 6 santa e buona (5),
adorata e veoerata da lui, pid che Dio, non degna. (^)
Scoppiare e struggersi in pianto, se alcun lo mira
con piet&, e pel duolo strider Tanima sospirosa, e ad
alta voce chiamar la donna, 8icch6, se non fuggisse,
alti^i direbbe: or sappiam chi I'uccide, (^) son attiche
danno la misura deiramor suo senza speranza: Tuomo
ha perduto tutta la calma dello spirito ; uno sgaardo
pietoso, rappresentandogli colla piet^ i suoi tormenti
che r hanno destata , lo fa stemprare in plan to ; allor
1) OinOf Son. Quetta leggiadra donna ohed io sento*
2) Cino, Son. Senia tormento di sospir non visti*
d) Cino, Ballata. Madonna^ la pietate ~ r« anch9 OinOt Son* lo priego*
Donna mla. M. la ballata VIII dell'ed. Fantani.
ij Cino^ Son. O tu, Amor, che m' bai fatto martire.
b) Cino^ Cans. Si ml distringe Amore.
6) Cino^ Son. Amor, la dolce viBia di pietate.
7) Cino^ Son, Non ▼* acoorgeie voi d* an ctie si maore.
87
fugge gli uomiai, e vorrebbe fuggire il ricordo delta
sTBDtui'a. L'infelice vittima d' Amore cbiede piet
spirito moreBte raccomaoda alia Donna sua. E ud
Qtnile e mesto rimprovero gli eace dal petto, I
sappia cbe atla bella spiace ogoi torto: sarai,
MadoDDa, cagione (N una morte tanto piii amara, ]
DOn meritata :
lo 80 ohe a voi ogni toi'to displace,
Per6 la moi'te che non bo servita
Molto piii m'entra nello core amara (}).
Nessuna piet&: MadODOa I'odia d vuole il suo
Madonna, cbe 'Imio mal deaia,
Veggendomi languire a tutte Tore
Lieta 4 del mate, e del mio ben a'adifa.
Id tant' aogoscia ei si sarebbe gik ucciso, i
I'incatenasge alia vita la volutti amara che pro'
I'afflsarsi negli occhi della crudele {'].
K rimpolpa la piaga del suo cuore ulcorMo da
cor ctofftit merc6 avai-o, da quella crudele d'atn
tyaggla e di pietft aemjca, e pur bella e dai poeta
piu che Qon ami se stesso {^).
II dolore lo cnnsuma :
SI m'hai di forza e di t&Ioi' distrutto,
Che pib non taido. Amor, ecco ch'io mnoio
Pianto eterno : se gli occbi suoi non cadesser s
mat non avrebber di lagrimar riposo ; il suo
dolore r invita alia morte e pargli clie ogn'uoi
giulivo a suo dispetto. Gli mandasse Dio il pi
y CiM. Son. N<ll« mi
in van
re.
doles
Don;
Ok ml*. -
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•BB'o
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flnir pttr ratto (})» potchd egli Bon pbtir& irdi^r 5f06a
ehe Delia morte, <laceh6 l*amata tanVodio c6?a in cMie
perlui. F033*egli morto qoando la mir6 faLprhnayolta,
poicfai^ d*:allora non ebbe ohe doglia e pianto, e attro
oon avrii mai !
E* vano lo star ga^rnito d'umilUt <;eQtro il fpraiDde
oi^oglio che Tassalisce con spietanza e con tempfsta;
^ vano queiravvilimento ooDiro le ofEBse drtla cradele:
per6 la disperazione lo {^PSBde:
Oh t iasio a che timedio pld m*appfgl!o t
Ch*io son oome la nave, oh'^ in periglio
A cui da tutte parti nnoce il yento. Qt)
Esperimenta la gamma di iutti i doleri :
Si doloroso non potria dir quanto,
Ho pena e sohianto, e angoscia e tormento,
ed d si grande il sno martrrio » che ogni gioia gli d
preclusa. (^)
Chi laseiandosi allettare da falsi setnbianti, s^^inna-
mora^ sente in quel memento diletto minore del p^
noso languore che prova pid tardi ;
Onde non chiamo g\k Donna, ma Morte
Quella che altrui per servitore acoogliei
E pol gabbando e sdegnando I'ucoide.
A poco a poco la vita ^U toglie
E quanto pid tormenta, pid ne ride.
Cosi dev^egli pensare della donna sua. (^)
Pargli di diventar folle:
. . • . r intelletto par da me fugglto,
Perch^ V mi veggio a tal mostrare a dito
Che, se sar^sse ben che cosa ^ Amove,
Convertirebbe il suo riso in sospirL
1) CinOf Ballata, Angel d! Dlo slmlglia.
2) Cino^ Canx* Corl gentili.
8) CinOj Son, SI doloroso, nOn potria dir quanto.
4) C(nOj Son. Chi a* falsi sembianti U oofe iitrisoa.
Quando passa vicino a lei, cni teme piii cha qu.
lanque cosa Tiveote, smarrisce e trema: e tnorto tl <
diventa tnoUe ftale.
E lo npreode I'idea della pazzia: se continua co
il mio tormento, e morte non pon fins a' miei mali
.... prsDdeHl. novella
Non gli. buoDa n6 bella
Tiitto lo moado, de la vita mia:
Cbe della meDte per tnaninooma
Uscird ; tanto obe picciolo e grande
Maledii'aano Amore, e sua oatura. (')
La sua ventura Tavesss ucciso, quaudo s'iaoamori
S'elta m'avease, quando dicp, ucciso,
Nou era il mio morire
Grave pib cbe si portl il coi'so umano ;
Ma 01', s'io moro, perderd '1 bel viso. (<)
Queato concetto si ripete piii ctipamente nella ca
zone < PerchA Del tempo rio ». Poss'^li mprtp c
prlmi palpiti; Amore e la Ventura sodo una sola coa
e la oatura 6 da essi aoverchiata. Che vale reais^ere
un affetto cui il caso voile sventurato? II desider
della morte, chtt 6 conlro la vofflia naiurale, e a c
prima non era mai giuato, gli pervade Tanima, e d<
si uccide sol per non dannare agli eterni tormeo
r anima ana :
Questa mia voglia flei'a
£l tante forte, cbe apesse date
D&ria al mio coi* la morte pib Leggiera ;
Ma lasso ! per pietate
Dell'anima mia trista cbe non pera,
E toi-ni a Dio qual era,
Ella non muor, ma viene in gravitate.
(1) Cino, 0am. T*nla psurs m' i giantk d'Amora.
it) CIdOj Ballata: Amor , [a. doglii. mit noa bi cotiTorta. — Quest* 1
l>ta, ollra cbe nai ciDi]Ue msi. cilall dil MalColft, bo troTaio ii*l codica Btlt
W(Vm. B) membrftii&ogo, in fol., dal XV lac, oal dua primiTeri) daH* I
IftU 1 UadoDoi, U plalaU ■. So daps lo Rima dal PatiiiTCa. Vi
00
Che se misericordla nov^a^ per soverchianza di do-
lore, lo spinger^ a uccidersi, avr^ piet^ di lui il Sigoore
che vede il sac state miserando.
II terrore di perder i*anima si ripercuote anche
al trove. (0
Egli iQYOca alcuoe geotili donne, affinchd preghino
Tadorata crudele, per Dio, che sia un>ile verso di lai:
Gentili donne valenti, or m* aitate
Ch* io non perda cosl I' anima mia,
E non guardate qual io mi sia,
Ouardate, Donne, alia vostra pietate.
Pietd e mercd mi raccomandi a voi {?), e vi richianai
alia mente le mie pene
Quand' h con voi quella eh^orgogiio mena,
Ferezza e crudelt& verso colui,
Che ha smarriti gli spirit^ sui
Per la tempesta d'amor che no allena.
Ye ne rimeriti la Madre di Dio, Maria di graz'e e
di virtd piena.
La donna sua offende tutte Taltre donne, ponendo
in disperazione chi Tadora, offende Dio» mostrando an
orgogiio si crudete e smisurato e
• • . stando pur solva^gia conti^ Amore
ed orgogliosa tanto fieramente,
che non sofTrisca di vederio avanti. (3)
E la preghiera, plorante pace, sale a Dio grave, cupa:
Dio, po' m' hai degnato
Di vil terra formare,
(1) CinOt. Son: Oentili donne valenti» or m' aitate.
',2) ^ questo un vocativo noa alia pietd e mercd ^ come vorrebbe errata*
mente il Panfani^ ma alle gentili donne volenti del sonetto eopra citato.
(SJ Cino, Son* Donne mie gentili , al parer mio. — Pu pubblicato dal
Nottola (op. cit. pag 60* togliendolo dal codice Marciano IX, 191. Ancbe a
roe pare autentico : si riannoda evidentemente al gruppo di sonetti diretto alle
donne gentili.
Simil a tua flgura,
Lo mio gravoso stato
Piaccial' ova alleggiare
Ed ammortai* mia ai-sura.
E la prece al Dio ctie vostl came umana e ia mo
degnd per salvar nui, (') sale disperata da chi avi
potuto dimeaticarlo per una crudele , ed ^ I'ulti
appello di lui cbe a^oga netla tempesta dell' odio
□□a donna; ma lo strozza uq grido di maledizJone <
gorgoglia dall'anima straziata:
Dio, aiti: fu uom mai si conquiso
0 sar&, com' io soao t
Fui io nato pei- easer el disti-etto)
Ora sia mated etto
Lo gioi-no, ranno e fl tempo cb'io nascei.
Ahl dUdegnosa morte,
■ Pei'ohfc non me ne poi-te,
Da che portar flaalmeats men del.
Cbe p&ra k ben mio cor fatto si folle.
Maledizione e preghiera!
De roscui-ci pi'orondo
D' este mie pene chiamo
Misei'icordia, Sire.
Maledetto una e due volte il giorno di tristezzj
I'ora Q il punto reo in cui venns al moudo
. sol per dare altrui
D'amoro esempio, di pene e d'dfTanDo.-
Se tutte le pene che la vendetta di Dio croscia
dannati, fossero in uu corpo cha venisse ancor net moo
cotante pene non si vedrebbero in queilo, quanto at
ziano lo sventuratissimo amaote:
©2
^MMBiMB
Se in tie le pene obe V alm^ in inferno hanno
Fusser *n un coi*po, il qnal venisse pid
Nel mondo, gilt non si yedri^no in lui
Cotante p^tte quaote in me si fttanno.
Or s'egll 6 ridotto a tale da esser fatto un f(ynte^i
niartiH e 11 ioco di tristizia , se dlmora in gbiaccio e
in fuoc6 di pianto , e se pasce il cor dolente e dispe-
r^to d*aogoscia e di sospiri^ ci6 si deve alia erndefle b6^
Ctrl occhi siede amore.
£ la maledizione trabocca dal profondo deiraniiai^
orrenda, fatale; il poeta impreca al dl in cui vide i
celesti e santi rai che gli diedero la YOlatUi de(i*amore
e del dolore , impreca al suo canto» strumento e testi-
mone della sua gloria , alia sua dura mente oppressa
da un non crollabile amore a una bella e rea donna,
per cui Amor sovente si spergiura:
lo maledico il dl cb*io Tidi prima
La luce de* Vostri occbi traditori,
E '1 punto cbe veniste *n su la cima
Del core, a trarre Tanima di fbori ;
E maledico Tamorosa lima,
Cb*& pulit3 i miei dettl, e* bel color!
CbT bo per voi trovati e messi in rima
Per far cbe *1 mondo mai sempre T'onori ;
E maledico la mia mente dnra,
Cbe ferma 6 di tenor quel cbe m' uccide,
C]o6 la bella e rea yostra figura.
Per cui Amor sovente si spergiura. (i)
<1) OHb^ Son. lo inal«dioo il di. • Bell^atttetUcitlt di quefcto sotimUo ailcun
dubita* E^88o si trova ia sei codici, in dua cod attribu-'lone a Cino, in quattro
oon attribuzi<ine a Dante. II Fraticelli, con i suol soltti argomenl! pef^gtloi,
diM U BaKoli, lo d^ a Daat^ ; il Witte dublta cbe a Dante al poaaa da^e ; il
Bartoli crede che non ci sla ragione per dubitare ohe appaitenga a Gioo;
il Lamma tentenna; il NoUola sospende ogni giudisio sino alia edisione ori-
tica del Canzoniere Dantesco. I codici che lo attribuiscono a Cino bood il
Rie^nrdiaao 1103 o U Vatioano 4883. II primo, scritio d'nna medeaina naao
dal priaoipio del aeooto XV, riporta il aooeUo di Cino al numero 173, priina
93
In Pistoia, degoa taoa di YaQn) Fuccf^ bestia, ckscim
ride di taota costanza neiramore e deli^iBBamoraio
« che crede tor la ruota alia ventura >.
Col riso e collo sckeraOi coli^odio di Selva;ggia che
€ lieta b del male 6 del suo bea s*adira », lo colpisce
la perOdia dei cdociitadini, forse dei compagni di parte,
fatti ver lui si giudety da non credeire al suo dlr seftza
prova, che lo accusavano di sacrlflcare, sUlTara d'amore,
gfinteressi del suo parti to :
0 voi che siete ver me si giudei
Che non credete il mio dir senza prova
Guardate, se press'a cosiei mi trova
Quelle gentile Aindr, che va cen lei.
Rinuncia a veder Tamata, eppvr sente che si rln-
fresca e si rtnnuova in lui, suo malgrado, quell' amor
possente e pien d'ardore che lo aveva colpito il di
che la vide la prima volta
Ma Tantica fede 6 scossa; coirinno d' am ore sale
alle labbra la bestemmia, e il miraggio di felicity di
chi si bea in un perenDe sospirato spasimo, tra le ri-
pulse e le sventure, ^ squarciato; T aureola di puris-
sima gloria onde il poeta aveva circonfuso la leggiadra
creatura, 6 svanita, e Teleita tra gli angeli 6 fatta
donna^ e sarebbe maledetta per seinpre, se col pugoo
crudele non stringesse il cuore del poeta che si scrolla
nel non sodiisfatto affetto.
di quello del Petrarca « Benedetto sia il giorno e *1 mese e I'anno »; il sd-
cottfio 6 del lecold XVI, e, dice Nicola Ariiode, i uno del raifp^edenttati pMt
aotlolxt di quel raanoscritto o di quel maooscritti di oui «l Bertiroao 1 Oionii
per la stampa del 1527 [Nicola Arnone : Le rime di OuidO Cavalcanti^ pa-
Itiba Ct). lofattl neiredi^ione degli eredl di Fllippo diuata del 1627^ si irOTa
il Bonetto in qaeatloiie.
Oli argomenti con cui il F« assegaa a Dante il sonetto in questione sono
oh*egU h degno del cantore di Be&trice, e il raffrontc con altri passi di Rime
dantescbe. Ma degotlstimo d anche di Oinb e t raffrodtl si possoDO fare in
oopia«
'1
94
Ed €cco il parto dell* odio , delle passion! cozzanti ,
il grido di suprema r.ibellione:
Tutto ch'altrui aggrada a me di3gi*ada,
Et ^mtni a noia e *n dispiacere 11 mondo.
— Or dunque che ti place ? — I* tl rispondo :
Quando Tun Taltro ispessamente agghiada :
E piacemi veder colpo di spada
Altrui nel vho, e tiave andare a fondo ;
E piacerebbemi un Neron secondo,
E eb'ogni bella donna fosse lada.
Molto ml spiace allegrezza e soUazzo,
E sol malinconla m'aggrada forte,
E tutto dl Yorrei seguire un pazio;
E far mi piacerla di pianto oorte,
E tutti quell! ammazzar ch'io ammazzo
Nel fler pensler, 1& dov*io trovo morte.
£ questo il prodoito delle sventure amorose e delle
patrie calamity; il poeta d'amore s! sente un dl uomo
d! parte e poeta delTodio. Ma nella forte malinconiae
nella bestemmia e nel forsennato iiifuriar, per cui tuito
di vorrebbe seguir un pazzo, e nella trace ridda di san-
gue della mente, sent! ancora che forte, disperata^ ana
passlone gli lacera I'anima.
Chiuso nel fierpensier che non d'altro ragionavagli
che di morte, amante vinto e vinto citiadino, esulava.
Poche parole al superstite affetto che ancora ac-
cende il petto deiresule: poich& il dotore umano non
potrebbe trovar note pi{l disperate di quelle descritte.
— Non 81 tosto Tamante sventurato, il ribelle di Plstoia
6 partite, il pensiero dominante lo riafferra piti fisso
e pii straziante; ei porta desit nel cuore — che nati
son di morte — per la partita che gli duol si forte.
Ohim6, deb percb6, Amor, al pritno passo
Non mi feristi si, ch'io fossi morto?
Percb6 non dipartisti da me lasso
Lo spirito angoscioso cbed io porto ?
Si .disvia ogDi sua virtu, quando alza gli occhi ^
bella donna , e noa pu6 trattenare il [ti&ntOi rin
brando lei loDtaoa, perduta.
Morire! sicch6 almeno lo spirito toroi a Pistoi:
per quanto inviaa alia crudele sar& £nche la sua
.moria.
Tu sai (Amore) dove de' give
Lo spirito mio da poi,
B sai quanta pieU sar^ di noi.
iDvano aveva creduto spento I'amore; e 1' esili
cui La fazione a lui avversa lo condani^ava, non segi
il Qoe dell'iiifeljce affetto, cui i giorni tristi della
tacanza ridestavano piu veemeoti). dod rischiarati
raggio di speraoza.
Da bella Doana, piii cV io non divi^o,
Son io parl'to innamoi'ato tanto,
Quaoto Gonviene a lei,
E porto pinto uella mente il viso
Oade precede il doloi'oi^o pianto,
Cb« fanao gli occhi miei,
L'anima deirinnamorato ha pr^so gua//^^ dslla t
persona dell' amata, e gli vieo ua desiderio di ved
che lo sprona ad amarla aocora. (^)
Ogai atto, ogai parola della bella crudele gli t(
alia mente, e il ricordo 6 uq martirio liingo:
B 'I lagHmar che mi distragge
Quando mia vis'a bella donna mii'a
Divienmi assai piii pregno,
E noQ eapi'ei i' dir qual i' divegDo;
Ch'io mi ricordo allor, quand'io redia
Talor la Donna mia;
E la flgut-a sua ch' io porto dentro '
Snrge si forte, cb'io divengo morto.
96 _
Dispera di mat piii veierla prima di morire (i); e a
qaeito peosiero esalerebbe ranima:
Pin meco ranima dimorar non vuole,
Se la aperanza del tornar mi ftiile. (^
E lo spirito ricorre sempre do?*6ssa 6:
E quesio ^ qael ob' accende pid '1 deslo,
Che m* accidr^ tardando ii reddir mio.
Muore colui il cui solo nome movea a sdegno Bfa-
donnai
Saprema gioia per lui s'essa dovesse girar pietosa-
samente gli occbi in cui posa Amore, sopra il sao mar-
tirio; come sempre aveva sospirato, la chiamerebbe
pietosa, invece di Selvag^ia, dacchd alia pfetd piJi che
alVamO'^e egU aspira. E la prega che depODga quelle
sdegQO che nacque il dl che cominci6 ad apparir in lui
come ferisca lo splendor raggiante da' suoi occbi :
E Don vi sia in disgrato,
Se da me parte, chiamando Sel^aggia
L'anima mia, eh' a voi iseryente viene;
Voi slete *i sue desio e lo sao bene (3).
Air amoroso lamento neiresilio va riferita una can-
zone al Signor possente che I'alio del disiringef ad A-
more, affinch6 gli 8*a date di riposare dopo tanto af-
fanno, e liberarsi d* ogni martirio, mirando qnelia cb*d
dea d* ogni gran belt& :
Inci'escati di me, Signor possente
Che I'alto ciel distringl,
Delia battaglia de* sospir chMo porto ,
Inci*escati della gueiTa della mente,
Muoviti, omai, Signor, cui sempre adoro,
Signor oui tanto obiamo,
(1) Cino^ Cans. La bella Stella che *1 tempo miaort.
{t\Ctno^ Son. Lasso, pensando aPa distrutta valid.
{Z) Cino, Cans* Lo gran disio.
9t
SigDor mio solo, a cnl mi raocomando,
Dsh moriti a pietfi, vedl ch'io tnoro:
Vedi per te quanfamo,
Vedi per te qoaiite lagi'ima spando. (i)
A tanta angoscia cbe farebbe tremor il core a cis
acnno, si commove il Dio d'amore t II poeta dispera d
poter mai vincere II cuore della crudele, per una sort
rta che gli 6 invtdiosa e piii crudel che morte. Pu
gli eventi permettevano all'esule, aocor pten iutt
d'amore 0 obbliante offtit allra novttale , di ritor
nara : .
Vola, Canzon mia, non far soggioi'no !
Passa '1 Biseazio, e I'Agna,
Riposandotl appunto ia su la Brana, (^)
Dove Mui'te di sangae il teiTen bagaa,
E cerca di Selvaggia ogai coatoi'ao ;
Pol di': Seaza magagaa
Mio signor far^ presto a vol ritorno.
E ritoroaya a veder la Donna fera, dalla qual
contro il suo volere s'era alLontaaato, e giunto appeal
m&lediceva il ritorno e TAmore; (s)
Peroh6 coatro di me cotanio strana,
Dulenle me iapia! son'io giudio,
Che nulla vat per me mercude amanat
In cbe Tentui'a, e 'n che panto, nacqu' io,
« Cb'a tnlto '1 mondo aete uml'e, e plana,
E aol Tei' me tenete 'I cor si rio t (')
E* Qnito il canto dell' amor puro e ideale ; I'affett
6 soffbcato dalle ripulse e dal crudel djsprezzo cb
Madonna gli lanciava, qual a vil giudeo. Miuna men
(1] Clio, Cain. QatDdo patrA io dir, doles mio Dia.
|S) La Brana i ud aurnlcello chs attraveraKVa Pislola. (Tt'ii dilla Brar
■I obiUD&T* II poalB.
(S| Gail DOD ton' io rltoraMa mal , — Deb 1 maUiiD* Bggia qiull* ten
Sfsr*. {TeQara)
(4) Oitw. Son. Con graTOsi loapir, traando gaal.
96
vigiia che il poeta ci dimostri aspirazioni meoo aeree
verso colei che aveva amato di nobile e intellettaale
amore. Ci pare che an*amara voluttjt spiri nel sonetto
« Se concedato mi fosse da Giove » e (he sia quasi la
Don generosa vendetta con cui il reietto si volge a sfio-
rare col procace desiderio la bella donna fredda e dura,
che gli aveva negate persino il sorriso, che non si era
commossa al pianto, al continuo sospiro e alia rancura,
e alia misera oscura Vita del poeta.
No, neppur an Dio non avrebbe potuto dargli una figora
che bastasse a piegare alle sue voglie la sdegnosa, vo-
glie espresso in un sonetto sensuale e men castigato
che non sembri intendere il Fanfani nelle sue note :
Ma 86 potessi far come quel Dio ,
Sta donna muterei in bella faggia
E mi fki'ei un* ellera d' intorno ;
Et UQ , eh* io taccio , per simil desio ,
Muterei in ucoello, che ogui giorno
Canterebbe su 1' ellera Selvaggla.
Inutile desiderio e inane vendetta!
m
E se fosse autentico il sonetto € Gi& trapassato oggi
d r undecim* anno >, avremmo il trionfo per la osten-
tata fine di un amore del quale s'era tanVanni nutrito.
Certo il sonetto ritrae con evidenza Tafietto ango-
sciato di Cino, che prima visse in speme e poi ne portd
premio d' angoscia e di perpetuo affanno. E la ribel-
lione a tanti dolori non alleviati da fior di piet&f No-
tevole r espressione la mia nemica del la prima terzina,
che anche altrove si trova ; e non mi persuaderebbe, a
credere apocrifo il sonetto, la riflessione del Fanfani,
che quivi Cino < troppo sgarbatamente inveisce contro
la donna sua », se questi versi non spirassero un'aura
di scorrevole facility, aliena dalPaspra forza di Cino, e
se il prime verso non coincidesse neir espressione —
strana coincidenza — con quelli del Petrarca: < Or
volge, Signer mio, V undecim* anno — Ch'i' fui sog-»
99
getto al dispietato giogo » (^) Strana coincidenzay dico,
che tutt*e due, Gino e il Petrarca, vogliano ribellarsi
al feroce campo d'Amore, e al dispietato giogo ^ pro-
prio dopo undici anni di inalterata fede!
Morie gentil doveva render mite V anima esacer-
bata del cantore di Selvaggia: e dinanzi alia tomba del-
Tamata non restd che il mestissima ricordo delle pene
patite e desiderate.
Per mutar di ventura , la donna sua , condotta fra
aspri monti, ivi moriva.
In Pistoia il poeta riceve la notizia che la donna
sua A gita fuor delta terra , e pargli alflne che Morte
debba uccidere la sua grave vita. Unico sollievo agli
occhi di lor luce osciirif-ii mirar spesso gli usci e i
muri della casa ove prima egli s' innamor&? (s)
Attonito alia fatale notizia, il poeta dimentica le
sdegnose smanie che gli eran ribollite in cuore, per
non ricordare che il lungo, beato delirio delPanima sua
innamorata. Ohim6 : le treccie bionde, la bella ciera, il
dolce lampeggiar di quel celesti;occhi, il fresco, adorno
e rilucente viso, il dolce riso, i denti bianchi qual neve,
le guance vermiglie, il bel contegno, il caro diporto, e
Taccorto intelletto e il cor pensato e Tumile, alto di-
sdegno, Morte ha infranto qual vetro assieme alia spe-
«ranza che lo nutriva!
Ed effonde il suo dolore in un canto che sembra lo
scoppio di singulti, dopo la gbiacciata angoscia che a-
veagli resa muta la mente e il cuore: e il cupo rinno-
varsi di quegli ohimd , sembra il lungo gemito , sin-
ghiozzo e preghiera, d* un fantasma umano , impietrito
dal dolore, che offra, sgranando il rosario, la nenia do-
lente airanima cara. (3)
(1) Pftrarca, Son, Padra del oiel, dopo i perduti giornL
(2) CHno, Son* Deh non mi domandar perch' io sospiri*
(3) Cino* Canz, 0him6 lasio quelle tree A blonde.
100
Un pic pellegrinaggio al beato monte dore I'amata
fece il passo troppo acerbo di morte, Ak airin^felioe,
che noQ poteva acquetarai che nel dolore infinito, l^esca
bramata: ivi ador6 baciando il santo sasso, e omdde sa
quella pietra, dove VOnesta pose la sua fronte,
Qaivi cbiamal a qaesta guisa Amore;
Dolce mio Dio , fa che quinci mi tra^^a
La morte a s^. che qui giaoe il mio core :
Ma poi cbe non m' intese 11 mio Signore ,
Mi dipartii pur cbiamando Selvaggia,
L'aipe passai con Toce di dolore.
Ben ha detto Adolfo Bartoli; 6 uq dolore che 3I pa- *
see di s6 stesso e diventa vita che si riDnovella nella
perpetua agooia: il doleote, poi che ha visto tl t^el
Unto e 7 drappo scuro, non trova pii bene :
. y . lo cor m' arde Id desiosa voglia
Di pur doler, mentre che *n vita dure.
Solo il fUggitivo Alighieri poteva intendare teiato
dolore umano : e a lui 6 diretto il Bonetto : « Dante,
io bo preso V abito di doglia >, tracciato, h beo certo.
dairinflnita angoscia che spiravagli un santo sasso. Nel
naufragio di tutte le speranze, unico confopto» Tami^o
errante, infelicissimo :
Dolente vo' pascendomi sosph*!
Quanto pid posso inforzando ii mio lamanto,
Per quella, in cui son morti i miei desiri; »
B pei*6, 8e tu sai nuovo tormento,
Mandalo al desioso di oiartiri
Che fie albergato di coral talento.
Greve di tante pene quante non prov6 mai pelle-
grino suirApennino faticoso, non rimangli alira volatt4
che quella del dolente pensiero : la mente ianamorata
ricorda il bel sembiante, le trecce bionde, il dolee
sguardo, e Tanima si strugge flssandost nel rlcordo di
quella eletta.
Oil d& pace un doke segno che lo culla in soave
101
estasi, mostrandogli la donoa sua, discesa dalla somma
luce , che ba deposto il crudo sdegno : «... la faccia
bagoata — D*acqua cbe *1 coife agli occbi conduce » :
Apparvemi Amor subitamente (i)
Nel sonno cbe nutrica mortal yita ;
Un'animetta di novo partita
Mostrommi dal sno corpo InnocdDte,
Dicendo: Figliuole, ayresi a la mente
Cbi ^ costei cbe yedi segnita
Da li angeli di ciel in requie inflnita,
Ore dimora iddio onmipotente f
Un'animetta test6 partita dair innocente suo corpo,
segulta dagli angeli del cielo in requie inflnita, 1&, nel
sommO core! Ecco la trasumanazione di Selva^ia in
Paradise !
Ma Dante, esse pur esule Infelice, < quando ad A«
braam guardd nel sine — Noo riconobbe I*unica Fenice
— Che con Sion congiunse TApennino ». Perci6 a dritto
si stima cbe I'anima sua a'abbia loco men bello (^
(1) U codice Valicano 3214 Attribuisoe qoesto soDetto Ad Arriguee1o\ ma
lo di a Cino il Chigiano L, Vin, 305, e il mss. Bardera. Parmi sicurameDte
di Cino, del quale il sonetto h degno, anche per Tidea che vi si esprime : iii>
ffUi il oantore di S., oome dimostra anche il sonetto € Infra gli altri dlfetti
dal libello », oaraggi6 nella sua mente che la donna fera fosse assunta in
Paradise.
{2} Cino, Son* Infra gli altri dlfetti. ~ In veriti, il loco men bello 6
tarpissimo* Cino piomba Dante tra gli adlnlatori, nello stereo, sotto 11 cappel
d^Alessio Interminelli. — Vedi a questo proposlto : CinOj Son» : Messer Boston,
il Tostro Ifannello. Deirautenticiti di questo sonetto non si pu6 dubitare^
malgrado quanto ne sorissero 11 Carducci, il Massantini e il Del Balso« V.
le ragioni addotte da U» Nottola in Studi sul Cans, di Cino, pag. 27.
Del resto le parole citate «... a dritto s*estima« — Che n*aggia Talma
sua loco men belio » dl un sonetto certo autentioo, dimostraao i non pietosi
sentimenti di Cino per Tanima di Dante. II Manuello citato da Cino riyol-
gendosi a Bosone, h Emanuele Ebreo. Nel cod. Triv* lO&O trovasi on sonetto
>di M. Bosone a Manuel Oiudeo, in morte di Dante« per Ja qual morte € • . . sotto
'1 sol mai non fu peggior anno » ; e iy) 6 anche la risposta di Manuel giudeo«
il quale pure piange la morte del Ohibellin fiigglasco » « . . . Deo per invidia
del ben fece quel danno ». Cino precipita nello stereo degli adulatorl anche
EUnanuele, forse non d*altro reo che di aver lodato Dante* Che il Pistoiese
abbia avuto relasione eon Bmanuele^ lo dimostrerebbe, se fosse autentioo
anohe il sonetto • Quando bQn penso al picciolino spasio » che a queU'Ebreo
h diretto. E forso d errata la didasoalia del sonetto : < A Emanuele Ebreo,
ooniolandosi dolla morto di Selvaggia »*, e 11 sonetto riguarderebbe inyace la
ta^rft 41 PlMita.
(£)nt le razioni.
IV.
(Dm le- mzlarU,
t
• •••••' divUo
Mi troTO dal bel tiro
E d opni statD allc^TO
Pel gran o3ntrario ch*6 tra U bUnco • *1 Degro. .
Cino da Pisloia. .^
I^a tris'e istoria deiramore di Oino 6 un nuovti qod*
tt'ibuto alia sto la delle fazioni itaJiaae nel Medio Eip:
accaoto a Buoadelmonte BuondelmoutjV fedifragb |t ij^na
Amidei per la flgiia di donna Aldruda Donati e t/tWma
ne'ia pace posirema di Fi'oo'/e. accanto agli laoamo*
rati di Verona immortalati dal genio di Shakespeare,
a, Bonifacio de* Qeremei che sconta colla vita Tambre
di Imeida de* Lambertazzi, a Cecilia Ricco .vittima.di
un Ezzelino e cagione di inauditi furori tra ,i. Roms^no
e ] Gamposampiero, accanto alia lunga elegia di mArtiri
di una passione che
mena gli spirti nella sia rapina,
ecco la atoria di un lagrimevole afTetto, tessuio di so*
spiri 6 di inefTabili angosce, patetica pagioa net troci
odi civiii di Pistoia: Cioo de* Sinibuldi ^ neHasuadi-
sperata passione, una vittima delle fauoni dei Biaaehi
6 dei Neri.
Pju STenturato del cantore di Beatrice che fti pro*
messa^ forse giovanisslma, con Simone de* Bardi, per
uno di quel matrimoni che si combinavaao essMido
tottora fanciulli gli sposi, e a proposito del qnali un
autico c mmentatore di Dante dice delle rag^zze che
le mariiavin nella culia 0), piu sventurato del cantore
(I) J Dtl Lungo : La Vonni F*orenUna ecc. io c La Baitagaa NasiMaU
Aim |Xf Y9U am -^
M
dl Beairicoila quale fu pieto^a all^iDuamorat.i pootai il
povero O'do non donobbe il sorMso di Selvaggia put*
doica coo lUllK ma so'o sdegno, rido d befie.
Nasicevasi Taziosi nol trdcento; Toflesa consacravasi
coll*offes9, U vendetta colla vendetta, e questa attiogeva
certezzadi conseguimento e alimQnto di ferocia neircMlio
di parte. O^nuno coooace gli scejoipi di Pis'oia, e cnme
a questa eitt6 debbisi H sorgere dolle parti dei Bianchi
6 dei Neri, die sacrificarono gringegni piu eletti etra
e^si DiDte e Cino. Le stragi cominciarooo in nome de*
Cancellieri, ed 6 noto lo sipgno e la n^m'std. che € D^cque
tra di loro pe'* li snpercbia gra^sezzn, o per suss dio
del diavolo. » (i) Moiti s'or ci riferi-conO quello cTie
essi credono fatto determinante de le discordie edanno,
sa'vo lievi diflerenze, la medes'ma versione.
Ha qua^e 6 V anno che dobbiamo assegnnre come
principio di esse? Qji 6 ancor poci la luce.
La tradizione ci addita T anno 1300, e<J 6 fondati
sQirasserzione deirAnonimo pistoiese (he tutte le cose
racc6btate da lui nei capiioli 1 - 10 siano avvenu e nel
' Mtlfd trecento, Cosl legge il codiCH Mauliabech ano
XXV. 28, e ton iSOO come si 8lamp6 sempre dbpo la
edizio le dei Oiuntl. Ma 8i pres'e per designazione «ii uq
* Anno specrale ciA che era espre<»ione di an secolo, e
I'errore fU possibile per la distruz one dei do^ame^ti
avvaotita per Tincendio del pubblico Arehivio di Pi toia
wal 1*298. '*» Per6 gik sicuni storlcl avevano ossei^vftto
che i nomi d' Bianchi e Neri dovettero ricorrere prftna
dQl 1300: tra gli altri il Froravanti (Memorie Bt6riche
' delta diik di Pistoia, pa^. 249), il quale scrive : € a tse
■ Mi'ii «■ III
(I) a. VWani Vllt, 3«. ' t
a, M. A. SUvi — Istofie di Piftoia, Parte IL L. i. imp., Ts^i H .Ka
seodo gli Aoziani venuti in riasa tra loro, una parte vedendosi (erdu*a,
fttffgl iialI*ATchivio... ma perch6 V ahta parte non pot6 »prire la porta di
detto Arcbivio, ed enirarvi a fare la brainata vendetta, vl attaccd'lllfhoco
•PA* r«a|»roii arai tmti qutllii ohe Ti aran dtniro ed iialenHi tnttl { HVfi
^UbbUoio mtmorli » Vr U falto MOho negll litrf itoriti plitoltDi --^
nont hipnb torre l^JplnIoDe. che prima del Darra*o Ugllo
della mano (II taglio della maao di Dore, narrato dal
r^non!mo), avessero avuto \lsuo{S€) prioc'pio le fazioni
det'BanchI e dei Neri ».
' £ comprova lasuaopiaioae cdlle parole delle Istorie
pisfblJdsi: «Certi giovaui della delta Casa (CaoceHiorj),
11 'QQali t^nevaao la parte B unca, e altri giovaui detla
delta Ca^^, li qaall tenevano la parte Nera, essendo a
Una Ctjila, ove si v^odeva vino, nacque scaDdolo in tra
lort) giocando »; osservando che se la rissa nacque tra
qirtfi chd tenevano parte Biauca o Nera, 6 forza II dire
che quefste parti aateriormente ci fossero. D'altronde
ri^uttl daro Statuto del Comune di Pistoia pubblicato
dar'L. Zde^atier cbe esso Comuoe gi4 fin dalPanno 1290
• e forse gik prinaa - avova comminato gravi pene sIdo
all'amputaziODe delta liDc^ua, a chi osasse pronunciari
i hdmi di Bianchi o di Neri, < ita quod in perpdlukAm
Aibcs vei Nijrcs nom nare non vaieaL » (^) Anebe gli
Anbdli di *ToIonieo ci danno ia data di alcuni f^lti nar-
rati netle Istor.e pistolesi sotto Tanno milletrecenio. e
a q^uesto proposito dice I. Del Lungo t^) cbe di questi
fatti si deve fissare lo crooologia appuuto sopra i citati
aunali. Or i dall di Tolomeo non sono conti^addet i da
alcubi documenti cbe furono pubblicati d UoZdekauer.
loratti Tolomeo, dopo averseguato I'anno 1286 come prin-
ciple delle discbrdie dei CaQcelIi<dri, ci racconta, aU*anno
ll^d*, come « Dbminus AlberttDus Vergelensis de Tistorio
ucclditur a par;e domiui Simonis de Pantano, quae Ni
gra tocabalur,a[ia vero Alba ..» E poi aj^giua^e cbe, dopo
qitalclie iem[.o, fu ucciso Messer Dello di parte Ne a e
poi' Cesser Bertacca di parte Bianca. Qaeste date»
dice'v5, non conlraddicooo certo a uq docume-to pub*
~i4
^1) L, 2kiehauer: Statatacn Potesintis Comuaia Piatorii aQQil296 : • Quad
Dollus audeat vel preauinat nouiiajiie aliquoa esaa Albos vol Nigros » UU
XXMl 112. .
10»
LX
MaMM*«i
blicato dallo Zdek uer d\ cui appare che Tapis >dl»
naVrato Del capitol) 6.o deile Storie pistol si, Tucci-
sione ^'^ di M. Bertino Vergiolesi si deve assegmre a
data anteriore airuoD > 1293. II documento riguarda la
coodaona di Sc'atta e Meo flgli di M. Rinieri dei G»n«
oeiUeri B anch*, c' me complici di Focaccia, per aver
coDseotiti airassassinio di M. Detto dl Sioibaldo del
CaDcellieri Nnri. La sentenza, giii { receduta dalla coq
dapna di Focnccia n Fugacia, come b detto nel doca*
meoio, 6 in data delPoltobre 1293, Nel documento si
Darra (he € Dominus Dettus domiui Sinibaldi quoodaoi^
mortuus et ioterfectus fuit contra deum et iusVciam
per quosdam malefactores, sc licet Fugaciam et alios
consocios suos, alias (ondemnaios cam coltellis^
spoQtonitus et aliis malvaxiis armis »
Ora Tassassinio di M. Bertino esseado anieriore a
que'Io di M Deito, pu6 benissimo assegnarai airanoo
1289.
All'uccisione di Detto Canceilieri seguirono € aspre e
forti bat'agie, e fue i'una parte e Taltra mandata ai
confioi, salvo che rimase M. Bertacca padre del Fo*^
caccia, perch*e a cavaiieri gaudenti, vestito a mode di
frate. » t*) Fredi bastardo di M. Detto (TuccisD daf
Fut^ac a colla complicity di Sclatta e Meo Rioieri Can-
ceilieri) uccise M Bertacca. 3) Ora lo Zdekaoe»- <*), tro-
vando meuzioDala nei Consiglio XVI di Dino di Mugello
la coDdanna c^pitale di Fredi basiardo di M. Detto,
senza la designaziono del delitto, conclude che essa non
pu6 riferirsi ad altro che airassa«sinio di Bertacca; e
poich6 TAn. pist. subito dopo l*uccisione di Bertacca
registra la storia di uno < i di Santo Barlclomeo in cui
i Bianchi e i Neri « s'avvisarODO iosieme pressoa casa
••■ t.
(I) Studi j>f5/0f>it'. Fasc 1, I. Siena 1889.
(t) AnoQ. pist. Frato IS3^. Cap. 6 pag. 10.
(8) Ivi. pag. l::-ll,
(4) Zi0hauor, JX cantfglio XVI di piM di ifagsllo^ ptg. 40«
•»
•'♦* •»*-♦ -*-
m
dei Gancellieri Bianchi, e feciono gran battagMa »,
g 6rD0 che 6 da assegoarsi con ceriexza alTanno 1295,
come risult\ da un docume to dallo Zdekauer pubbli*
cato in appendice ^^\ cosi q* esti conc'udrt che P assas-
S'nib di Bertacca j^i d^ve a segnare al lasso di tempo
che corre tra T itito' re 1203 e i) giuguo 1296. II do-
cumeuto accennalo riyuarJa la ^ommossn dei Neri nel
1295 ed 6 un'altra p ova che le fazioni esistevano
prima di quesi*anno.
Prendiamo alto che le s'ragi di Pistola narrate nei
primi sei captoli delle Is'orfe ;;/&• o/^5^' si agi^imno tra
gli ainni 1* 80-1293: ci6 pu6 render raglone rtelle sven-
ture di Cino nei primi anni doll* amor suo per Sel •
Vdggia.
Una breve dlgreis'one, e Ci)n essi una con^ottu-a,
la quale per verity noo ha valore che di timidisslma
ipotesi.
Dice TAnonimo pistoie^e che le persecuzioni ca
gionite dai Bianchi e dai Neri durarono € anni 28 ».
Ora a me pare che i ventotto anni stiano a s'gniRcare
la durata comple^siva delle persecuzioni delle di'tte
parli, prima e*dopo Tanno 1300, e che non vi sia al
cuoa ragione, come invece vorrebbe lo Zdekauer, che i
vebtotto anni debbano ontarsi reirospo trvamftute dai
1300. lofatti, ammettendo cho TAnonimo abbia bbrac
ciato ne*ia sua intro lu^Jooe i ventotto anni che pte'
cedono Tanno 1300, avremmo come inizio delle lotto di
parte Bianca e Nera Tanno 1272; data che non dice
nulla, come confessa lo stesso Zdekauer ; e mi pare
affioitto arbitrario il dire, com^ egli vorrebbe, che il
crOQiata contasse dai 1296, cio6 dai la ri forma che cambi6
lo stato dei partiti, collo scopo di arrivare alT anno
1267, in cul la citti si d ode a Carlo d'Ang 6 e gli giu 6
fade per !ne7Z'j del suo podest^.
Quando s' accogliesse f ipotesi da me posta innanzi,
it6
bisogfierebbe cercire la data in cui fu conclasa la pace
tra l6 faxiooi io Pistoia. Or ooi sappiamo che gik fin
dair uQdici di geooaio del 1317 « il re Roberto di Na«
poll, voleodo che si stabilisse pace tra le citt^ di Fi
rente, Siena e Pistoia, che si reggerano a parte gaelfa,
e le cittjt di Lu a e di Pisa che si reggevaoo a parte
ghibellina, ottenne che quelle si mettessero Del soo
arb trato : la pace fu conclusa in Napoti ai 12 di maggio
suUa base, per i Pistoiesi, € che fossero rimessi quel
ribelli e sbandati, che parerA al Camune di Pistoia. »
Lo stesso Cioo Sioibuldi il quale nel 1310, disperato
di trqvar sa*ute altrimenti, aveva collocate le sue spe-
raoze in Arrigo di Lussemburgo e, abbiDdooaod •, come
yedremo, Pistoia che impazzava colle sue fazioui avide
di stragi, era eotiato nel movimeuto del.Qhibellioiamo,
lo stesso Cino in quest* anuo 1317 pot6 ritomare ia
patria. lofatti M. A. Salvi, alT aono 1317, ci appreade
cbe « godendosi i dolcissimi frutti del la pace, alia quale
invigilava con ogni sollecitudioe il famoso Cino dei Si-
giboldi, che era allora giudice delle cause civili a Pi
stoia, i Pistoiesi si rivolsero a procure rsi t:ommodi. »
Dove il Salvi abbia attinto questa notizia non so,
perch6 noa sempre egli si ricorda di citare le fouti; per6
6 degno di fede, esseodo questo particolare della vita
di Cino comprovato, oltrech^ dal documaoto del
Priorista Franchi, il quale ne desume che Cino ritornd
in patria nel 1317, anche da un documento da G. Pa-
paleoDi ripro lotto nella tiivisti storica della Lettera^
iura ilaUona^ anno VI N« 1 pag. 30, contenente un
consulto dato da Cino in Pistoia il 18 m ggio 1318.
A di 2S maggio 1318 si couciuse la pace tra Ouelfi
e Ghibell ni di Pistoia, per unirsi insieme contro Ca«
struccio che danneggava il Pistoiese, e tra i patti fu
che non si facesse ptic guerru in universale tra (e
parti.
Ci troTlamo M(A ii froftt^ a due^a^ ehe si^nitdaBO
.,^1
m^^m
due paci, e sceglleado di ^ssd la prima che g\k per se
significa cessaz one dcVe « per^ecuzioni cdff'onatedai
B'anc^i e dai Nei. » contando da essa re rospettiva-
mento 28 anni , veniamo ad avere T anno 1289 come
principio delle stragi che s'anda* ono comp endo in d me
dei Bianchi e dei Ne i.
E* questo 1' nno se:inato da Tolomeo alTuccisione di
Bertin Vergiolesi. Ma Tolomeo negii annali. segna Tanno
1286 coraM principio delle discordie d^i Cancellieri :
€ ..anno domini 1288 exoHa est discordia inter Can •
cellarios Pistopienses quia occisoie ritm (ri&ae?)
Dore... percus^it tec. » E qui narra il fatto nolo del
taglio deila mano.
Ora Tolomeo 6 doprno di fede ? Basti ootare che con-
tando 18 anni a partire dal 1286 si ottiene Tanno 314,
in cui alcuni fuorusciti pstoiesi. rifug^atisi a Serra-
valle, tralUno coi villani, che facevan la guardia a porta
RIpalia di Pislcia. di dar la citU in mano di Ugucclone.
Or questa non fe certo pace, u6 tregua di odi, n6 i
tre^ue parlasi dall'Anonimo pistolese alTanno 13 4.
C munque sa di c 6, noi non ce ne preoccuperemo
altrimenti : ci b ista dfaver ricordato che gi^ prima
del 1300 es stevano le fazioui dei Biauchi e dei Nerj e
che, in nome di esse i cit adini imporversavano in stragi
sanguinose.
• «
Cominciando il pre?eiite capltolo. io diceva che Tamore
di Cino 6 nel suo tempestoso svolgersi un contr buto alia
storia delle fazioni italiaue nel trecento: o Tasserzione
dettatachiaramente dalle vicende psicologiche della pas-
sione che ho tentato di tracciare nel capiiolo antece
dente, importa che il N» appartenesse a una fazione,
Se vaggia a un* aUra : Nero il poeta amantei Bianga iV
lutft idegauaa.
I •
hi
A tentare qnesta dimostrazione ci saran di gnida
poc* e'testimonianze stciche e le Rime.
Sinora si 6 detto press' a poco da tutti, anche di
colop.» clie si occuparono di C no in lavori speciaYi,
clie egli appirt«nne, nelle lotie partii^iane di PIstoia,
ai B anclii : Bianco con Filip[)o Vepgidesi, ghibellino
audace c n A»M'igo, tutta l:i sua vita sa»ebbe stata uo
audace apostolato , er I'idea gliibellina,
Mitemente Pandolfo Arfaruoli.il quale, dope P. Men
lini, scrisse nel 1620 alcune ROtizie riguatdanfi la vita
di Cino, e meno recisamente di altri biografi posteriori,
lascio scutlo; < Si ti ne cho iui inclinasse alia Ohi-
bl' na (|»arte> sebbene nel a canzone XV dimostra spia
cer!i ambe le fazioni in quel verso. € 11 gran contrasto
ch'^ tra' biaochi e' neri.. ». La canzoae 6 quella che
comipc a < La dolce vista, e '1 be guarJo soave ».
Fra gli Eoijl degli Uomini Ulusfrt toscin% nelTE-
\\^\ di M. Cino. A. M. Rosati scrisse < E^li, che di
costutni fu oii^sti e p a'^evoli, inc'inatissimo a'la pace,
nbn f«i seltario, (cosa in quoi tempi straordinaria), nd
prese mai ve»un partite Ouijfo n6 Ghibellino... »
Vv^. I'Arftruoii che v.igamento afTerma cl'e it poeta
fosse di parte bianca e il Rosati die ce io dipinge, con
moito piobiibile verity, inclin itissimo alia pace e non
settario, a chi creleranno gli st<»rici | osteriori, o come
la penseranno? A nessuno dei due; e aseriraono con
certe/za ci6 che il prim> di essi aveva espresso con
somm riserxa.
Sebastiano C ampi lo dice di m ss'ma QhiheMfno e
p« r a'^ercnze seguace della parte Bianca. E altrove:
« Che egli .^eguitasse la [)orte Bianca o Ghibe<lina 6
cosa fu- r di dut»bio (pag 17-18j.
Dope di Iui la radizione 6 fatta ed 6 ben fissa. II
,Car u cci, oella sua beila biografla del poeta, ci dirii
che Cino era di parte bianca, come Danti», ii Cayalcanti.
jil oroDiita Oiaccbettu Malespini, il padre del Petral^M
113
e la maggior parte degli scriUori e giuracoosulti io«
scaoi d^allora; il Fanfani, commeniando il Madrigale
« lo gaardo per H prati ogai fior bianco »» ci dir^ che
esso 6 come una giacuiaforia alia parte Bianca a cui
il poeta sarebbe appart^nuto.
II Chiappelli che, priino dei biograO, fece cod era*
disiooe e acamo V esame del pensiero politico del N.
ritieoe che egli fosse dei Bianchi e ainico di Filippo
Verglolesi, capo dei Qhibellioi. lofatti, dope aver doUo
a pag. 29 che dairanoo ISO) giungiamo air anuo 1307
senza avere piu Doli/ia di Cjdo, aggiunge subito dopo
che il Pjstoiese < si era ritira*o io Pistoia presso alia
sua Se'vaggia de* Vergiolesi, cercando di dimeQticare
col suo ^more le terribili lotle muoicipali e le stragi
che turbavaop questa fiera citt^ ».
Or DOQ occorrd dire quanto Tasserzione del Chiap*
pelli sia romantica, pensando che egli stcsso aveva detto
che in quel tempo — 1300 — 1307 — doq si hanno pid
ooii/ie del poeta. Vero 6 che» a pag 33, quelia Selvaggiar
presso cui Cino si sarebbe ritirato e col cui amore a*
yrebbe cercato dimenlicare )e lotte ^luoicip Ji , d do-
scritta « ronce uu* austera figura di donoa che iccute.
limore airamante... sdegnosa, fiera del suo orgoglio^. »
E ci6 i esatto ; ma come si coociiia coirideale di una
donna che gli sopia le tormentose cure?
Ancbe fltrove (pig, 48; il Chiappelli esprime xhia-
ramente il pensiero che Cioo apparleoesse ai BiaDchi.
In^aUi egli cbiama i Nen vittoriosi nel 130G isuoi ne*
mtcit e di^e che egli duveva ammini^trare l9 giustrsia
in mezKO al trionfo degli awersari. Final meote fanta^
st cando presume che probabi mente dopo la parteasa
da Pistoia — 1307, secondo il Chiappelli -* GiAO do«
\etle rifugiarai nel ca^tello di Piteccio presso i Ver«
gioie 1 che 3i eraa fatti capi del partite del fuoroioiU
bianehit
111!
Dopo ci6 Ggll fcrive a paj TO: < Non sapp*atno e
ton c^rstadaalcan fatto, che il nostro legista comerA-
lighieri n lla prima giovine^za appartenesria al Ouel-
fl^roo >.
Afpena sorto il dubbio il do to biografo \o sfaia.
Ma 6 ben presumibile che Gioo guelfo fosse percfad e*
ran gaelfl ardeatl, talti sensa eccezione. qaelli delta sna
f^m glia, di cui la stora conferva memoria, come del
resto U maggior p^rte del pistoiesi, avanti il 1900: e
quindi 6 piii che mai supponibile che tra 1e retie le
quali dai Quelfl, per le discorJie del Cincellieri, ram •
pollarono, egli, almeno per adereoze, TosseNero.
Nfa anzltutto ml si conceda dt chiedere chi abbf'a
mai detto ai biog'*afl che Cino appartenesse, net primi
anoi»al partite del Bianch e non p*utt08to a q* ello dei
Neri, e da qual ieftimonianza sia logittimata ta lore
asserzione ?
L*ha detto rArfaraoll: posso rispondermi anche da
mp. Ma e lo stesso Paodolfo Arraruoll^si mostra iocerto
come Tedemmo or ora, e r'ella suaatteidibiiitd 6 lecito
muover dubbio qui, se anche per a^tre sue ass rzfoni
gius'amente si mosse: e deliVttendibili ^ delPA. disci*
ter6 pICiHardf.
Ma il Cbiappelli e gli a tri biogr* ft hanno ben altri
argomenti : le epere giuridiche di Ciuo attest- no troppo
lumfnWmente che il giurecoosnlto era ghibellioo e
seguace di Arrigo VII.
Ma prima di risp ndere a questa giusta obbiezons,
4ichiarer6 perch6 m me sorge il dubbio, anzi la cer-
tezza che CIno fosse, aimeno per aderen7e, dei Neri, e
ehe egll« bencb6 non settario, come giastameote con*
forma il Rosati, fos^'O coinvolto n^liVdio per i neri Si-
nkbuldt Mi sarit poi facile dimostrare come chi era
stM^ICeiv) MlU sua gio\joaiza, divenis^e- se^uaoo dt
Arriifo ioopei'aore m giuriila gbibellifio.
J*
• «
Lo storico delle fuzioni dei Bianchi e dei oerl i TA*
nooimo pUtoies^ della cui auteiiticiti * del resto baa
poco iafirmata ^ ba detto brevi e per»uaieati parole
ii Chiappelli.
Or egli\ pur n jx fornenlooi la data precisa de^li
avvenlmenti S8ii^uin>si cooipiaiisi negli ultimi anai (^bI
secolo XIII, ci ritrae con tnolta eCficacia quegli sdegni
6 quelle veodette e acce m a coloro che di quelle fu •
ron) strumenti e vitiime. Ma dl Cino S nibuldi, poeta
e giureconsulto» non uni parola: e lo slesso dotto ppo-
feisore pistoiese che di Cin) 8*6 occupato, osserva die
rAji>niino lo mendona solo laoidentalmenie: acceuua
a lui parlanlo del tradiroeuo del Qgliuol suo M n^,
che c ajiur6 per coaiegnare laciiU aCastruccio degli
Interroinelli da Lucca, di quel Uino de* Siuibuldi che
rAnooimo condannx alia esocrasione dei posteri.
Ma se Bon ci vien fatto di trovar parola deiram^nte
di Selvaggiu, iucoatriamo perd bene spesso persone di
sua famigiia. Or io so bene che dal fatto che i Sioi-
buldi appaiauo Neri nm si pu6 iDferiiaa che UQO di
essi, Cino, iu quelle storie non nomioato, dovesse es*
sere oecessariameate Nero ; e nou mi sfugge che lo
8te»80 Aaouimo raccoota che i disseusi erano trji fa-
miglia e famiglia e tra fratello e fratello. Pur 6 ooie-
vole che uou uoa sola volta troviimo nolle istorie pi*
st le^i UQ Sioibuldi asoritto a parte Bianco, e che 1*A •
Donimo parlando di essi e descrj\endoli tra 1 piu fieri
e valorosi Neri , non acceuna mii a discordie che li
dividessero, ma ce li ritrae conco. di nei lore odi, come
i Tebertelli, i Rossi ; lad love invece di M. Ziriao_ dei
Lazzari dice che si en schierato couro quelli della
sua "Casa e della sua parte
L^Anoufmo pistoiese racco^lie sotto il milletrecento
fiitti che, noi lo abblstmo vtsto, devono essere dld^i*
buiti Qoiraltimo decQunio dQl secolo XllL "
m
Di alcQQi di essi A poisil^ile flssarelacronologia per
ioduziooe, di altri ci dan do la data a^iri storici.
Noi DOQ terremo conto che dei persODaggi che di-
rettamente si riannodano ai VergfolesI e ai Sinibaldi.
€ Id qnello tempo 0> era nelia casa dei Gaocellieri
deila parte Biaoca udo giovaae, ch*aveva Dome Pocaccia,
figUuola di M. Bertacca di M. Rfnieri, H qoale era pi ode
e gaglinrdo molio di sua porsi na» del quale forte te-
mevaoo qaelli delta parte Nera per la sua perrersit^
perchd Don at'endea ad altro, ciru uceisiool e ferite.^
e H Pocaccia avera per raoglie a flgHuola di M Lippo »
Di quesVaomo feroce, scaltro e prudetite sioo alia Tiiti,
che essendo preso pib voUe da* sa )i partigiaoi Biaochi
del fa^gir che facea, rispondera che meglio era dire:
€ quloci fugglo it Pocaccia, che quivi fa morto il Po
caccia»(t}, diquesto peceitore ricordato da Daat>)tra i
piu scellerati tradito**i:
Noa Focaccia, hob queati che m' ingombrai fZ)
ai 6 brevemeole occupato cou m'*lto acaroe L. Chiap«
pelli. Egli dopo aver os<ervato che Gioo dice delta sua
doooa in un sonetto : < . ..fatta sete sposa — II tem«
poral Vaspetta omai d*amore », accostando que^to passo
alia testimouianza deirAnooimo da do! succiiata, < ...e
*1 Pocaccia aveva per moglie la flglioola diM. Lippo »,
trova che abbia apparenza di yeriik la congettura che
sposa at Focccia fosse Selvaggia. B raflbrza questa
congettura cod a'lre citatloni, tra le quali i notevoie
quella del Tedici € Gt Pocaccia ha per moglie la figliaola
di M. Pilippo Vergiolesi. »
Or, qui come uel [lasso dcU*ADOD*mo, nou abb'amo
f\) Vtfrotimilfneott intcrno ai 1996.
|9) La frate rlmas* celebre* L^Aretifto la ^tnt ia bocem a an perso-
J|*F9io dttllA >«& T.*Uinta : € Diarrola a $u»htt per«^«)i4 6 megUo die li
4.ca; qui Aiggi il TiQca| che ^ui mori i| Ti«9A »•
lit
II nome di Selvaggia, mi s^accenna per6, coll* arUcoIo
de^erniinalo. alia flgHa, parrebbe unica, di F. Yergio-
Ipai : < la flgliuo'a dl M. Lippo ».
Ma la questione non 6 grammaticale. II Focaccia
doveva esser gi^ morto Del 1300, iemfo del simbolico
viaggio Dantesco Dei regni oltramoQd^ni,perch4 Dante
lo menziona uoUa Gaiaa; d6 questa ta come la Tulo*
niea» doq so s* o dica il vantagg o < cbe apesse Yolte
Tanima ci cade * inaaozi ch^Atropos mossaledea*. '')
Ma so Selvaggia era sposa al Focaccia, le conseguenze
ehe si possono irarre da questo fatto sodo ud po* di-
verse e p u precise che DOn fuccia il Ch'appelli. L* A-
nonimo dice che il Fugacia aveva per moglie la figliupla
di M. Lippo quaDdo DattoriDO de* R(ssl e VaDoi Fucci
e *l Zazzera de' Tebertelli uccisero Bertino Verpio ess
zio di Selv.iffgia ; or, po ch^ quest' eccidio 6 aoteriore
alTafiDO 1293 e forse deve etsere attribui'lo al/aauo
1289, come vu le Tolomoo, se tie infieriscecheo prima
del 1393, 0 gi& fia del 12 9. Selvaggia doveva es Qre
tsp sa al saDguiDario Oglio di sea^Bertacca.
Se Cino adunque s iDnamor6 di Selvaggia aucor go-
vioetta, come ci risulta da alcuDO rime, oe viene che
rinnamoramento devees^ere aDter.cre o dod posteriore
al 1290 La cosa 6 ben rag'onevo!e pe^saDdp cbegi&fia
dal 1283 egli aveva maDdato a Daute un soDetto «Na«
turalmeate chore ogoi amadore > in rispos a a unaltro
che rAl'ghieri gli aveva iadirizzato. Ma ci6 dod |u6
aver valore che di probability, perch6 ci maocailsus*
sidio di documeoti storici e il poeta che, do! paioss'smo
dell*amoroso torroeoto, fugge forseonaio alto gridaDdo
il Dome deir amata, di rado afdda a' suoi versi circo •
staoze di fatto.
II Chiappelii ritieDO che p co import! a sapersi se
Tamoro si maiiifestasse proprio nel r?00, Q m^ diCQ
Ill
rArfdraoH, o Id an altro annc. lo pensoche ild termt-
Dare t prim! anni deiranooredi Cino, significhi fissare gli
BDQi dela roaggiore sua atti\it& poetica, ma per quHDto
importaote, coi Tabbiamo visK la cosa rie^ce difScile.
L*>it*estazione deirApfaruoli 6 esplici'a: il N. pe la
morte d«l padre « topn6 a Pistoia. e si desvi6 alquanto
dagli stud', essendo molto IncliUv^to airamoredi M. Sel-
vag. ia di M. Filippo Vergiolesi beilssima di corpo et
in particolare gli occbi ... S' invaghl CiDO di S. V aooo
1296 »
Ma TArfaruoii 6 attendiblU? Lo oega il Barloli, af-
fermaoo it Chiappelli e il Notto'a.
Or la discussione si pu*^ rilurre a brevi parole. L\
foDte delle DOtizie dell'Arfaruoli 6 un manoscrit'o del
1337, intilolato M^mo^'e c Cr^dili di mcsser Cino. II
Bartoli afferma: o il M. S del 1337 6 uq* ioveDzione
delTiirfaruoli o oarra di Cno cose ooo vere ».
Ma la prima di queste supposizioni cade, perch^ il
No(t la ci appren le la notizia dovula alle ricerche del-
V aw. Chiappelli, che il M S. fu trovato Del volume
detto Album delTATchivio com. di Pjsioia.
Per6 il M S., po contien^parecchie ootizie cbe ven-
Dero riprodotte dalTArfaruoli nelle sue Manorie^ Don
pres. Q(a invece oessuo accenno a Selva^gia.
Quindi la questione diratteadibi'it^ i per meU ri«
siKa: TArf. 6 dep^^o di feJe quaudo riforisce ootizie
lolte dal M. S. del 1337 : pel rest) deve essere discus-io.
Acceoao appena a ci6 cho fu detto da altri.
II Bartoli sostieae che TArfaruoli trae erroneameDte
la Dotizia delTamore di Ciuopor la Yergiolesi da* versi
del sonelto < Lasso peasatdo alia distrutta valle :
• . • rimcmbiando delle nuove talle
Cb'ivi 800 'lelle piante di Vergioh
'6d errotieameDte sostieoe, perch6 egli i>eQsa, a t;rto
jioi \o T^drooio, che <)uel:o M^ ua sco^^Uo ^Uu<^o.
nth
Ma TArfaruoli si sorvo dei cilati vers!, come f ate
d I 'asserz O'-f*, o come oonferma di quMito ejli /isse
risce? K* difQcilo ris[)Ondere, e doq importa gran faito
^': Qoto iotaato che egli eta male quell* uaico verso
che lira in balio < ch* io passai dalle p'ante di Ver«
giole » che suona iavece « ch* ivi son delle pmote di
Yergiole > coa varianti insignificanti nri vari c dici.
La precisione non era la virtu es^enz'ale del nostro
storico.
Ma TArf. fa un*al ra asserz'one c Cino am6 un*al(ra
deoua^ una taie donna Marchesina Mala^pina >, e la
comprova col sonetto Ccrcando di Irovar lumetvi in-.
iro ; € il che fa chiaro, egli dice, il sue sODetto 39 che
cominciOt « Cessomio di trovar lumera in oro ».
11 Bartoli ha dimostrafo che quel sonetto non prova
punto che Cino tibia amato una marchesa Mala^pina,
percb6 i eodici a sua couoscenza, riproiucevano, tutti,
)1 noto verso non gi^ come il Pilli e Fjustino Tasso
funno: W ha punto I cof* marchesa Maas^inaf ma
c»lla variance marchese Malcspin't,
E lo stesso Nottola, il quale aveva sos'eauto essere
[)iu facile e razionale concetto se u legga mat c/iesei« ot
che disse esser questa lezione r.ferita cro dal cod ce
bolognese e forse dal Chigiaao, piu tarJi corregge la
sua opinione scriveudu (^) che c tutti i eodici leggono
invece lel verso itdicato, march se Mai spina ». I
eodici sono sette.
Dooque dove mai TArfaruoli ha pescato la notlzia
che Cino am6 un* ultra donna non per offesa, ma per
tener vivo e coprire il primo amore, essendo giii morta
Selvaggii ? K* pur duopo coDcludere col Bartoli che egli
ba erroneaTcnte des mto la notizii dal son tio « cer«
(1; Vedi a qitetto proposiio i*o^ugcoU di U. HotolU : « SeWf ggU Vf f «
|toIeki ceo » .
ISO . . ^
cando di trovar m'oera in oro >, dive egM con altra
inesaitezza cita: Ce sando d' frovir^. Ma non bisU:
rArf.rooIi coogetturd male il soneit*, qaando, iadotto
forse da yisib le amore della costanza del Pistoiese*
dice che Cioo ain& uQ*altri doona..^ essendo gil morta
Madonna Sekaggia.. Madonna era ancor tiva quando
il poeta scrisse qoei ve'si: a convincersene basta leg-
gore il distico:
Cutal p aneto, la^se, mi de4ina
Che doY*io perdo To'entier dimoro,
Verai cle trovano il lore bea ohiaro commento nei ae-
guen'i:
lo aon 8\vago della bella lace
De^li occbi taditor che m*lianno aco'so,
Ghe \k doTd aon vint^ e aoo derlso
La gran vagh^'zza pur mi rioondn.'e. (^)
Duoque il poeta piange perch6 non pu6 veder Sel •
vaggia, e pe'ch^ Un mallgno influsso fa si che eg!i si
senta aempre attrdtto verio chi lo deride, 1^ dov*ei
perJe, \k dov'6 vinto.
E la teconda terzioa chiaramente rincalza che ra«
mat^ e a viveite, e che si tratta specialmente di essa:
Ben porta il mio Signer, anzi ch*lo mo'a
Far converttre In oro dnro monte,
Chd ba faHo di marmo nascer fonte.
tl duro monte, appena ocrorre drlo, 6 la durai spie*
taU S Ivaggia, altrove chiamata alma altera, no^ g it
donna ma s: glio^'Kojni altra di du?*esza ovansa eco.
DiC3 TA. che Cino s*iQvaghl di S. Tanoo 1296 eche
essa € Tanno 1307 morl, come nol sonetto 73, « Qik pas*
aato oggi 6 rundecim anno ».
Sjrvoliam) al fatto che queslo sonetto non dice
panto, quando pur fosse auteoti.o. che S. aia nortftt
(I) Gin9. Son, oh« «o«i&fla c«il«
I'^^'^^r -r rtir^ irnr^"^ T'^" ^^v-^-^---
G bastiy per non riprodnrref tatto il sonetto, citare i
vertfi: < e qualla doaoa» nwi ia niia neroica, resti coq
sua Qazioiii frauda e manzogna ». Chi |iu6 supporro clie
co!ei di o li qii si parla fosse morta ?
Notiamo inveoe che TArfaruo!! cita a memori^cita
male e che ba uoa dep'orevole teodeoza a far confii-
sioDi, e domaadiarooei sq egU ci appreode dee date
certe, a lui note per qualche foote, o se ha arzigogo*
lato al SIM) gtlito. lo Qoa esitoa dicbiararmi perqucsia
secoQda opiQioae. Egit sapeva dalle Rime ehe S. mori
suso b*a gfi aspri i9u>Mt^ candoitavi per mutar di veu-
turai ^peva dalla storja che tippo Ver/ioiesii padre
di Selvaggi^, si era ritirato colla. lamigiia a Piteooio
nel 1307, e di U, uello ate^^o aDuo, allaSatDbacu dove
rimase ^ino al 1311; oe argul gius^tamente che alia
Sambuca S. doveva esser murta e proprio nel 1307 ; ma
leggpndo^ nop so come, in ub sonetto di rJbellooe al*
raDiJco afietlo (Gift trap^ssaio oggi 6 ruodecim aanoS
mi amorosQ lamento per ia morte deli* amanie* coiit6
Qodci aaoi a riti^ose di quelle ebe egli atfmaTa airno
delta morte di Selragyia, e DO^bbe il 1206 come
data d' iaaamorami^Bto, preadesdo e<*me ispiratori del
calcole i versi :
Q\k trapassaio o^gi & runlecim anno
Gbe d*amor ael teroee campo entrap
Scuhatoji fondamento dell'attestaTione deirAr£artioli»
pDi)ssi sOstlluire UQ*attra data? In modo certOyOo; at^i
lo abbiafi o g'& Vaduto. Tuttavia e per rargomeati sopra
citato che Sj^lvai^tgla doveva esser spoaa al f^uC'CCia sibo
dal 1200, e per it fatto che le prime rime amorosei
c»me risutt6 dalla d^scrlziooe delPamore fatto Del ca«
pitolo preceleate, sodo dirette nou a MadoBoa, uaa ma«
riiata, ma a una le/giadra givinett?*, adornadi itDge*
Ilea Virtiit che appare dulce e umile agli occbi desiosi
del poetii riQODfermeremo il parer aostro cbe l'imQv%
4
^''
1
m
sia n^to prima det sorgere delte fazioni in Phtoia, iti *
topoo al 1290, prima chj le ire dl parto tra i Ve^i^t-
lesi e i Stoiboldi avessero reso Oina (rdi^so al^n flera
ghji-e'lina.
Qaando pot la Vergiole^i aad6 sposa al ^ocaccia de'
Cancallieri^ bea si pud comprenderj qai*e efflcacla
dovMse eseroUare su lei Taiimo feroc i de* marito e
come e3sa dovette odiare Giflo 90I0 per la ragione el.o
i .^Uotbuldi eraoo temicl dello «poso e delta fVitniglia
sua. Qualca»a degti eecidii computi da merabri della
fam^iglid del poeta au qaalehe adereate del Yergtolesi
e del Fooacoia spiega lo sdegao df Belvasgta ed 6
forse la ragione prima delle lagrime del poata.
NoQ r&Heremo qui sotto silenzio qtiaato M. A. Salvi
ci rirerisce airannc 1^00, cfae ael mese di agosto € a-
Teado More di Tegrino Sigibotdi assalito M. iiiOraDDl
di Ugoccioiie e feritolo coila spada aul volto, Di eagione
chd' la citti si tev6 a rumore, teaendo allri la pane
dei fitgibeldi € all i queila det Vergiolesi » Quesio
M^re Sinibui4i (noo curiamoci c he it Salvi /criva S«gi-
boldi daoobi. aoche Cino chiama se atesfo postBf*us forte
illfus Si^shuliit oonsukiHs viri era evgino del vostpo
poeta* come fi.;lio quartogeoito di Tegrico, t)opateni7
del N...., come risulta dal4*«lber> geuealogico della fa
miglia Sinibuldi» auteDtic^mente irasKeaso al Prod
Ciimpi dal dott. G osu6 Matleioi, archivista di Pistoia*
Ma ritornando a Sotvaggia, Qo quando rimase sposa
al FocBCcia? Certo Fu breve la vita del fuggenle Can*
cetiieri. Hd acceanato come fia dal 1203 e forse prima
al'R fdsse stata inflitta una coodaona per 1* uccli^iou*)
di M. Detto di SiDibjldoCancellierl : ma evidentemeota
noa fu sentenzi cipltale, pe»*ch6 il Focaccia ci 6 mea«.
Kiddato ID impresa posterioi e o posteriormeote descritta
dairAoonfmo: < Ld Focaccia ordio6 di uqcidere DpUo*
ribo di M* Rd DeRossMI quale era state. mqrta d^ liiie
dad Zazzera e dal ioro compagai. »
;<*Xi8AssiQio di OeUorJQO poitorlorindKnotffif/Ain
.:it^
BMhlom&0\< ohe m devd assefUftre sH l^r a^cenite^ a
Montemttrto e Ai Taftittia vile efferatezza in ooi oi appbre
" oDmeprimo attore quo! Oaooetlieri : egli eon uda m is •
• cluda. BOfpre^e DeitorlDO Che bevera < ia qqo -(Mlliert
^ 60R-oeHi 4>rjgafrik..« egli (Dettorinu) si drfeadei^ H)a
loro e 1)00 lo poteaao ouocere perebd epabeae^SFroitio,
e percoteaasi insieme di graadi oolpi: allora Tenn^ro
altri fanti cbe *1 Focaco'a aveva riKOsti.
Quaodo Dettoriuo vide cbe iauti faati gM veoivano
adJosso. ccmiAcid a fuggii^e. ..* pfild*^ io terra; allora
ruccisoQoer coma rebboao morto si pariroao dal ca*
stello, »
Cosi campiva le sue prodezxe il Focaccia quabdo noa
faggiva. AUre uccisioai anterior! al 1303 non registra
Taaon'mo; solo dice che < cosi stet^e la citU di Pistoiat
e *1 ccjbtado piii tempo^cbe Tuoo uccidea l*al(ro. »T^a
qaeite vlltime di cui Tauoafmo ooa credette dl dov^er
meuyionare ilDome, c*d aoche il Focaccia? 0 Rnt egli
di morte naturale? Certo dovette morire tra gli abni
1296 300 e di questa morte forse resta traccia ia quel
Ducleo di soneiti ohe allQdotiO'al lutto di Selvag^ia^
scambiati fra Ciae ed ua amico da Piatoia' OJ e ch'3 do-
vrebberj qaindt assegoarsi al per.oio di anii 1296-99.
InfottiS. ttell39d fories^guHl padre a Ba*ogn?i« e^par*
rebbe io cooseguenza che doiresse gi^ esser vedo^.
Iq vere il Gbirardacci P) ci informa per iocideoza che
« 0' :rreod0 gli aooi d^la ooHra salute milledueceoto
o nao^aooye » fa eletto pre'ore di Bologna FH.ppo
Vergiolesi da Pistoia. Questa nptizia vieae coofern^^a,
beachi seo'a data, dal Fioravanti ^V il qoalft stiver
4, VeiM^ Pii'toia illuatrata dagli infrascrilU* soggeiti
. eba Qoo gloria slogolare ae* ^uoi (sic) rispettivi teoaapi
( » V; A p.- 8d dl qiMito 8lii(lio.
(li HworiA.itfodQl^e df|lft oUU di J^itteU C^p. ZYI| ^h> ^^^
)M
•lereltarooo la BologM la 0%t\ti$L di podtitt, olo4. - ••
M. Lapo degli Ugh^ H. FtUfipo Vcrjtoleu ».
Ora te noi mettUmo io retaxioAft qaeste tMiimO'*
Alanxe oolla sopposiiiODd ehe abbiamq falto* chti 8el •
raggia fossa noU al bologoese OariModi* sopposisiotta
datuu a Doi, \t% TaUrOi 4 i f«rai< dj Qiqo » ab«raf-
do^io;
M.t fat Pandatara plana
par prander la aolomba laiiia fela
paella flNk aal Io apfpito d^«or«
In ma diaoaade da^ to sao pianola,
da oot apparo cba i dae p eti ebbero no oomnna af«
fetto ; potremo trovare a«aai probabile la dimora di
IfoUaggia a Bilogoa. E la oosa prender^ maggiore ap«
parenza di veriU, ae consideriaoio il aooetto < Oentili
donoe e doozetle amoroso ». II poota»yod^ndo ua gaio
raaaembram^bto di donna cbo fa gioiro gli anlmi amanti.
aento spuntaro Io lagrimo a un coconto doaidorio di
vedor quclla chi a morle Io pose
Lo i\ aho di Bologna ai parUo
B glo a f ar al laoga dimoraaB%
la loQO oba m* ba faito apoaao noia.
Qoal*^, so non la patria di Oiao^ il loco oho, cogli
odi partlgiani, gli ha fatio sposso noia: e qual mai
doQoa, so noo Selva^gia, nella eui vista A tuUoildes'o
del poota, cho ptrde vfia per^tende speranza^ poteta
turb re la pace di CIno studeate a Bologna per esser^^i
reeata a Pistoia?
Ma it delore o il lutto di Setira^'gra possono avere
altre cause, qaali la oiorte dl Bertino Vergioleai, sno
tio (IS99)» 0 di Braccino di Hesaer Oherardo Forte «
bracci, suo congiuoto, cd altre persone che la toccas •
aero da^vicioo e di cui la storia non serba traccia.
Nolle lotto dl parte fei^venti e pngnaoissimi erano
{ Yergioloal : capp del 9ianchl il padre l^ii^ o Filip|io,
mmtmmmmemm
Iw
e uoofio rw vendetta dl parte Bertlno. suo frateUo*;
ferooiss mo il Focaccla, partigiano ardente Freduoclo»
flgliodi Lfppo e assass'no^ oolla complicity del Fooaccia,
dl Messer Detto de* Oano^llier] r Don d dubbio che ia
■600 a qoesta famiglja di partitanti sano^uiuariip SeN
▼aggfa fosse quella sdegnosa, flerii spletata doona che
ei appare dal canzoulere.
II Focaccia e Freducjlo scontarono amaramente
rassasslnio di Ser Detto, poichS Ffedi flglio del Pest Dto
nccise Messer Bertacca padre del Focaccia e cavalier
Oaafc^Dte, ves'Uo a moio di frate. Gid avveDoe tra rot«
tobra 1203 e il giugno 1395.
Qui of basti »egair3 il rapido svolgersi degli avve*
nimeoti.
Per la morte di Bertacca CaDceIlier7» il padre di Fa«
gacia« ambe le parti toroarono.
I fatti di saogue direutano piu numerosi e iiicalzaDti.
M. Gherardo Fortebracci per veodicare la morte deilo
xio SQO Bert no V*)rg:o1e9i — * tracidato per opera di
DettoriDO de* Rossi, VaDoi Fucci, e Zazzara di Sozzo-
fante — voile ofiendere Ser Fredi di M. Sozzofante, fra*
tello di Zazzera e Bertiuo Nico!ai e altri che si eraoo
awicioati alle case sue.
Dalle paro'e misero mano alle spade. Tutla la terra
fn to arme. Ser Fredi e i compagoi, combatteii4o con«
tro il Forte bracci qaelli di sua casa, s*avvicind alle case
del Sinibuldi ch*eraiio essi pare del Neri. € I Sioibuldif
come quelli, ch*erano gaglardi e prodi delle loro per*
•oie vennero alia battaglia. M Loste Sinibuldi franca-
mente percosse addosso a M. Oherardo» e a* suoi^ e eon
ono sptedo molto grande percosse net fiauco a Braccino
di M. Oherardo si grande il colpo, che U fece cadere
in terra, e per morto stette in terra grande pezzo...
Braccino il terzo di morlo.. . Allora si cominc!6 la
guerra roplto forte, ed aspra tra i Sinibuldi e queUi di
H. Oherardo »«
M . .
Qt4 ^ oj^porluno oatetvar^ cba (luesto. Lost^. o Oqi-
dalosta. SiDjbuldl era pnreote e probabilmente zi<» di
Cioo; a che da questo momeDto la lotta dej Bianchi •
del Kori fa oipo ai Fortebracc coi Yergiolasi da uoa
parte, ai SiQibuldi d iraltra..
Vedendo alcuoi buoai oittadini che K citUi tutU.si
sarebbe diitrutta per queste gtragi» si mduo^rooo « 6
ii fecioDO chiamire i Posatu ela miggior pa te di lore
peodeaoo piu alia parte B anca cbe al a Nere^e diedero
la siguoria di Pistoia ai Fioreatioi »«
I Fioreotiai e i Bianchi s! acccrdaoo tra di )arq di
oacciare i Neri dalla ctt^: affocano le case del &09^6,
dope aver presa leoa. € l*altro di andarono aUe case de*
Siuibuldi, e combatteroDO, e diedono p'u battagUe^ La
oase erano forti» che uon si potieoo viocere; la geote
siava lore di. e ootte d'intoroo, pe^^chd dod lepotess^ro
uscire » e mise fuoco alle c^se. In qoes'a lot*a a morte
di una fazione contro Taltra, quelia dei Sioibuldi»,come
poteva CiDo rimanere anche semplice spettatore, Icoi^no
anz'essere coinvollo ceirodio per la fiimiglii sua ub r
rita dai Bianchi ?
« Li S n buldi vede ido, che n )n si potevaoo difenderei
tecioDO traitara con M Schiatti Cauceireri di volersi
arr/dndera a lui» e M. Scbiaita gli ricevee^.equ^nto pi&
celatameate pole*, ^li mise fuori delle tortez?e »• Ma
8.* n' accorsero Gherardo Forlebracci e gli tltri lore
neinici» i quali trasssro [>er fame maceMo.Furono difesi
dal C^Qcellieri, ma non s po'6 impedire che le lore
case venisiero rubate ^d ar>e.
I Sini buldi ripararOQO in Damiata; ^li aUri Neri ri*
m^sii in Pistoi]^,,furono i rocessati, presi, impxcati. Que'
sti fatti avvenoa o nel 1301. Lo stesso anno si distrus-
sere le case e le forCezze de* Tedici, d^i Sinibu di» dei
TeberteUi. Lazzari eRicciardii tutii Neri. AbchQ.Damiata
.fu disrulta. I Sinb'ldi dovettero duD(j[ue andar 4' Ji
raminghi/
4al
«■
Dopo rimpr03a dl Carlo Senzaterrs, par:Ucsi isenza
liver mutata la coodizione della cose, i F*iorentini e i
Lucchesi coUegati prendoao Scrravalle (l:J.2), Larc ano ,
ambo tenuti da Pist. bianchi, e il casteilo del Montale^ ^
I Neri dal Montale facevanb guerra a Pistoia« dura
guerra. I^ Pj^toiesi rinchiusi in citU € eran fatti si crii* ^
dell, che quaoti ne venivao lore alle mani doi lojq u« ^
scitl, tutti g(i faceiDO morire, qu^le impIccDvaop e quale ,.
facevuno morire d*a'ira mala morte. E staado i^lcun
tempo )i Pistoiesi cavalcarono in moutagaa a uno ca«
casteliO».chali Luccbes* avevan > afTorzalo, eguardavaojio
alquabtr Onetfl Neri tisciti di Pist 'ia, e subito.. taotolo.
combatteroQO che per f^r^a l*ebbero, e quanti ve ne tro* *
yarOno deotro, tauti misono alia morte^ tra i quaJi v
furono mOrti Lapo di M. Tegrimo de* Sinibulfll e Ser r
Fredi di M Sozzofante ».
L^uccisione di Lapo Sinibuldi e di Ser Fredi^ fu .la
vendetta di Gherardo Fortebracci per la morte del (ff
gliuolo, uccisogli da Loste Siaibuldi! Lapo era cngin.o /
drCioo iVpoetaf
Dal 1302 a^ 1305 furono anni di esllio per fa faml* ,
glia d6l t ostro giure consul to.
Finalmente il 22 di maggio 1305, o come vuole 6*
Villani, il 20 di maggio, Roberto, duca di Calabria, capo
dell'esercito allea'o dei Fiorentini edei Lucche^, asse«
dia Pistoia. M. Moroello Malaspina fu fatto capo de'
Lucbhesi. L*assedia fu te ribiU : € La vettovaglia venia
miltf^andd detltro iicchd la taioa del grano valea eetie '
lire, UQH cas^agua valea ud deoaio, e per ^ ^rande famei
che Y^0i*ii dent'd, diventaroao si ^pietati tra di lorO, che
lo pa4fe cacciava li flgl uli e re flgliuole, e lo Dgi oi,6
lo [^xlj%, e It) mMrito la moglie, e molti vt ebbouo che
voiliifd'iftoMnB prima di fame, che morire a mano d|.
qu0*lf^ri>st0;'e tantj tenne, che ieglovani, cheerano J
cacciate fuori, erau vendute come li schiavi. «.»
Qli orrori deir«Mi5(t.o sono dd^grUtl iD ^modo * Uf .
iu
ribile da Dioo Comi^agni! < la gran piaU era di quelU
cbe eran guasH net c&mpo, die oi pi6 moziA li ponieDO
a pi4 delle mora, acci^ che i 1 ro pidri, fratelti e (!•
g iQO i li yedcflsODO.^ Molo migli re eoDdizIone ebbono
8 ddoma • Qomorra, e Taltre ierre, die profondaroao
ID QD puD'o e moriroDO gli uomini die non ebbono i
ristolesi, iDorendo id co^l aspre guise i^> Ed M. A Salvi
aodresso narra che i presi tutti si iropiccavano, < per
naggiore scherno si faceva tagliare uo piede ed ona
maoo e cavargli un occhlo. e are doone le tagltavaoo
il naso »
Finalmente la parte Bianca oeo potendosi pi& reg«
gere in Pistoia, patteggid di sgombrare perdi6 le ri
naoesse il castello di Piteccio e quello delta Sambuca
a di 11 aprile 1300 ovvero a di 10 come TOgllono il
Yillani e il Gompagni.
II ina'-chese Moroello Malaspina < vapor di val di
Magra » e M. Bino da Gubbio entrati in Pis*oia, rice*
\ute io balia citU e fortezze € messoDO fuori M. Lippo
Ver/io'esi, e tatti li suoi consorti e piu altri popolari
e ^r n4i Biaachi e po<scia rimisono dentro tutti li Ouelfi
Neri usciti e riformarono la citladiuaDza n'i d' altri
ufi]ciali tutu Gueifl e Neri »•
Ora torniamo a Cino dacchd ci appare cbe il (amoso
giureconsulto in quel momen^o fos^^e giudice delle cause
civili in Pistoia.
Luigi Ghiapp *lli a p. 4S del suo libro assever» : < quasi
cm sicurezza si pu6 dire che Ciuo era chiuso oella
ciit4 durante rassetilo. puichA trovaudolo giudice as-
sai ttropo dopo la risa 6 suppooibile che la sua mag*
stratura risalisse a un tempo anteriore, uoo poteodesi
(I) P(no CQmfo^ni / to fL li. 69rl^ IXt ^«S| 4i
>.'
IM
Crdddfd ctid gU fosse conceduta dai propri nemici, dai
Neri vittoriosi >•
< L. Ghiappelli ha ragione quaudo dice che non A a
credere che t Neri trioafaati c<>ncedes3ero una magi-
atratura aua 1 ro avversario politico, io un momento
dt acerba lotta e di terribile reazioae com* era quelle.
Gi6 con trad lirehbe aoche a quinto asserisce 1*Aqo*
nimOy nel passo citato, che la citt^ fa riformata d* uf*
ficiatt tut'i Nert. Ma ilChiappelli ba torto quando crede
che GiQO fossH chiuso in Pistoia duraute 1* assedio e
prima di es«o«
Pure il N. era certamente in P stoia nel 1307: ap«
pare da uo passo det Com. in God. quotieus. Cod 1 10
{^) ed< UQ ricordo dell*ArfaruoIi (storia di Pistoia M. S.),
H quale dice che Mes<^er Gino fu presente come testi-
moDio alia rogazi ne della nomina di M. Quelfo Ta*
Tianii airufQcio delle generali Oabelle. (*^
Non penseremo aduuque che Id magistratura gli sia
stata coucessa dai Neri sioi uemici, ma dai Neri allora
suoi com^'agni di parte, almeno per adereoze. Perch6 d
assurdo il credere che Gioo fos^e chiuso nella citt&
durante l*assedio; di cl6 non resta ricO'-do: ed 6 assat
OTvio il creiere c^^e quei flerssimi Guelfi neri che ft •
fonnarono la cittit di nnzfani e d*altrt ufftciait tutti
Cueifi e N rij non avrebbero tralasciato di licenziare
Messer Cini>, il qual ^ an^i, se Bianco, avrebbe dovuto
esser^ accompaguat » da M. Moroello e da M. Bino da
Oobbio fluo a Piteccio coi Vergiolesi e con gli altri
consorti t^>
La verity parmi questa: Cino non era chiuso in Pi«
stoia. durante Tassedio, perch6 Ouelfo e NerOi ma era
(1) Vadi ChUppalli, p&g 4d noU 2. tl palso del oonttd. la Cod. ttoVail
» p^f • 84 e ieg. dell'todhiotie CiBnariaoa di Ptanooforte^
(S) Ch app«Ui« op olt. pag. 00 aota i
(8) M^ Piif. pag, 60 •« im.
m
forse nell'esercito degii a9sediaDti,o ftltroveinft OT%im-
partiu . Re9JL9i la ciiiK vi 6atr6, coi Ner4 e 4& ^aesfi ta
elelto giudice.
Lo $1^890 giadizf a cbe il giunecoiu^todiede in PUtoia
io fav.oi^ dej Adaiusiori Neci cooferma lamia opioiine.,
Egi pr){>0'tasi iaquestiooe < si debitor impetraT it exce-
ptipnam.coui a creditoratn, air urn. tails imr^etralio seu
copc(as3io pr</flciat f!da iussoribua /ii^isf », dice cbe essa^ .
gU accade. (ii (xWq, quando, es-pndo stata pi^s^i la cittii .
io seguito al lungo assedio del QorentiDi e dei laccbesu
rieutrati i Ne^-i in Pistoia, fecero Uve vino statute del
CQiBU^e € ne debitore^ de parte nigi-a posseQt cogi ad
soJve'dum* usque ad qtiinquai^nii^m debita in qnibos
teqabantur creditoribus. de. parte alborum. » Allora
sor^e la questioae € utrum iPud statutum pcoflceret
Rdeiussoribus uigrorum. » Ciuo tr»tta laouestione giii«
ridic^meDte. Euumera alcuoe maa^ime pro e cootro,
cita laseptanza di alcuoi giurecoDSuJti« come Jacopo
d^ Raveno4, Pietro d*Accursio, e conclude d«stiDgueD(lo
i casi ia cul il privilegio sia conoesso con o seoza de*
licto personam^. E' privilegio sine deli to personorum
ad es, quelle couces^o dall' Iipperatore o dal Papa a
tutti colore che p* rtarono la croce cootro.i Saracini,
di noD, poter esser couveouti prima di cioque anni. E-
sempio di priv legio cum iiisU* cti ne per^ont rum 6
la.questioDB cbe, accadde Jn,Pistpia» quia potest esse,
quad , fidelus^or erai de p'rte nigi^n.
La coDclu^iooe aoche dope la distiuzione, i questa:
€ Si fideiqs3pf es^t de parte. Digra« et oblifl^atio respi*
c,t ad tempus. fideiiiSsioDis,.ipe potest uti colem pri*
vilegio ex sua perooa »•
E qiaQd* a he il fldeiussore non abbia il privilegio
€00 sua /CiSonaplo coosaguirel^be . deouociaDdo. '}l de-
bitore (reus prioc palis), o aaa p.uUoato. il.privjag^o
d| c^i <|uaui if da rala aoobe ouatro il fldaiatiorot
)91
Jt^eo i puDti oootroversi, dloe Clao, cbe wono dd apt
ctbus iurii.
N B toccheremo la vitale qttestione 91 diritto, din«
nanzi a cui pende 11 n atro giUrecobsiilto sub dubfo
/brfe: effettivamente Oiuo esto<e il privitegio goduto
dai Neri di boh poter esaer convenu i dai loro credi*
'tori p'lma di cinque anai/ abche ai fldeiussori neri.
Qaesio giiidizio gU meritai dai Chiappelli» 1^ appellativo
di imparziale.
£cco : la quistione d trattata di fronte ai testi
di diritto, e la aenteazala favore dei fldeiussori neri
ma 6 c&Q una consegaenza inevitabi'e del privil^j^io
legale in favore dei Neri : duoque itoa v* ha iubgo a
parzialit^. Ma Cino itesso era iDdoclso* peodt^a, V ab *
biami yisto dinnaazi a quegli dptci del diritio, e ne(la
incertezza ad un privi'egio ne aggiuose un altro per i
sdii Neri.
Aocbe questo 6 dunque on argomeoto per ^rovare
. che egli apparteoeva alia faziooe dei Neri, coi quail
egli era ritorDato in Pistoia e dai quali esso era 9tato
eletto alia carica di giudice .
Ohe Oino foa^dei Neri ai fttrji piji manifesto col*
Tesame di alcuae rime.
Net SOD.: € Lo Bdo Amor cortex » il i^eta. dope
aver detto che'la dontia 'sua gli i avara di Mstare alia
Ilb^tra ^ 'noa gli ^^mostra alia finestra, coici« 'fanno
le ragazze* cbe vaghe^giano V aidaDte ^ affinehi «Kli
nntt si ralltfgri nel ^^ederla, anzi pBfcbidglfsfdtsataiori
pariei, «'det tutto amor per let disdica », ilggiuiige;
Ma questa prova. Talta m ia nemioa
Pur parder^ si soao in essi intt'gri
. r^^^ittM ^pMMH, a nkalcif^
m
Qui il Fanfaai interpreta : a malgraio « della pxrte
Negra che la co^triogeva a star lontano dtlia patrla>.
E come duoque quel driito scxo d*Amore era loa-
tano dalla patna se i) poeta ha pur det:o tello stesso
sonetto che la sua donoa gli^ ca'a^ avara iold* start
alia fines'r^tt Come il poeta loutano dt Madoaua a
vrebbe desiderao di poterljt vedere alia finestra e si
sarebbe lameutato che Vfiti sua nem caa bello studio
gU fosse avara di merc6? Notisi di grazia Pespressioae
Valia sua nemua che doq qui soltioto il poeta ado
pera (V e poi mi si risponda se noa 6 I'^gica, e aozi la
sola possibile que^ta interpretazione : lo p^r la po
tenza, per rintegritit doq mai smeotita deiramormio,
C0DtiDuer6 ad amare 1* alta mla nemica, SOivaggia* a
malgrado dei Neri, alia cni fazit ne io appartengo, che
mi trovaoo viie diQuaDzi a donna contraria al mio par-
tite. percb6 Amore 6 piii forte in me dei sentimeato
dl parte »
Ci resta un sonetto da cui appare che i rartigiani
di Cino dubitassero di lui» come seper Tamore facesse
qualche strappo alia Tede politica 11 poeta si difeude
deb«ilmente e tosto ric de sotto Timpero di quelle « spi*
rito possente e pieu d*ardtre » che si mossedagli ocohi
di Selvaggia:
< 0 Yoi che siete Ter me si giodei
Che Don credete al m'o dir senza pruora
Guardat'i se presso a costei mi truova
Quello geutile Amor che va coa lei »
Ho lo bisognd di ricordare il sonetto di Ooeslo Bo
lognese gk citato <2> « Assai son certo che somenta n
lidi » dove ser Onesto dice di Cino che dod cooosce
acqua di feie net mar deliesoeallegrezzedamoreyeia-
(I) Altrove : € Agti oochi deHft forte mia nemica » Cans I Paafeni ^
t B quella ^oDtta.aBiiOA m\§k iiemi6a> simu ^{ dL dabhU aatonlioiU ew
ifj pag- 40 dl que«te note*
133
scona dePe quali va!e < p^Ji che amor di parte »? B
gik giustameu^e at^biamo osservato interpretando ch3
Cino amava doona che dod appaKeneva al'a saa faziooe
e a questa donoH sacv'ificava I'amore di parte, Vedremo
anche come io altro s(m3ito il poeta esclami, nel
fiero dolore della lontanauza, che si farebbe spergiuro
per la Vergiolesi. ^
11 sonetto di cui ci occupiamo non pud essere state
scrittu che in i^istoia e pn>va che Cino era di parte
Nera. Infatti se GiDO e S. erano eotrambi di parte Btancai
cosa poteva imponava ai Neri che Cino amasse con in*
tegra fede la sdegnosa Sebaggia, e come poteva il poeta
caiitare che i suoi pensierl sono de^oti alia bella € a
malgrado dei Neri?» Dirassi che Cino era lontano
dalla patria oostrettovi dai Neri, come vuoleil Fanfanif
ma allora S. pure ne era lontana e abitava con lui tra
UDO stesso muro e una stessa fossa, come appare dal
verso € mi 6 avara sol di stare alia fluestra ». Macosi
essenio, che c^ntrerebbero i Negri? — G*entrano in*
voce benissimo, ammettendo, come io ho gi^ deltas che
Cino fosse dl parte Nera, e che per Tamore di Selvaggia
dimenticas^e la faziooe sua.
E che Cino aves^e a lamentarsi dei su i oompagni,
che anch*egii si disgustiisse della compagoia malvagia
e scempia, Io dimosira il sonelto € Yoi che persomi*
glianza amate I caoi »«
Porse 11 poeta aveva cbiesto a* suoi compagni che
allayeodetta non sacnflc^ssero qua'che persona de* Bian*
chi a lui cara : 6 noto qual legam^^ ai Biaachi I'unisse ;
Tamore ineffabile per Seivag^ia. Quaut'amarezza in quest!
versi !
•Vol che per somiglianza amate i cani,
Tamo che altrui non ne fxreste an donO|
Cari amiei miei, io yi perdono,
.w <(^Sai^LMM^iiiu4^ ft ^ UiiVruUi^ Yal|^ ^-^*
tS4
mm
*t0 nri mm ▼! poM trtr dallanttLAi,
•'• • • • • • • •
Sempra m^ potsti m\% donna star aenra,
( he m^girior eaocamento non no fkre)
8e ootal fallo n n mi ya ad asura.
Ma noQ bMsta: altri argomenti si possobo addurre
a comprovare la suesposta tesi. E anzi tutto un s^onetto
cbe fu in vario rood<» oommentato da k. Barioli» daXJ*
Nottol^, dal FdDfani e da nltri.
E* ilaooetto: c Lasso pensan^o a la d^strutta valle>,
e dobbiamo saper grado a U. NoUoIa cba cq ne ha dito
la lexiono critioa.
Laifto! pensatido a la distrnt^a Talle,
«^i3e flate, del natio mio soole
eotanto me 'ncendo e me ne duole
ohe r pianto del cor mIo agli ooohi aalle;
• rimembrando de le nuove talle
ob*ivi son delie piante di Verglole
pib meco Talma dimorar non vndle
se la sparanza del tornar mf fklla^
B tenza crecfer d'ar<^r frat^o maL
Sol di y<*der lo 0or era *1 dilei'to,
cbe, men^ro c*altro vtdi, noo pebmL
0. credere* per Icr nel Ntacomettot
' Daiique, parte crad^l, pereb^ mi fki
pena sentir del mal ob*io non commetiot
II codice Casanateose e il oodice Bo^ogn. UoW. n89
hattno, in frodte h questo sooetio. la paro'a:^ ESBeodo
a prate ribe^'e di Pisrtja. > li Bartoli aa inferiaoa ofce
: 4 la parola dell* eaule che si vo^ge alia cal*a pntria,
4 11 desiderio del pnyero a pereeguitato ribelle ohe a*
nela di tnvarsi di nuovo in mezzo ai suoi conciUadiui
f^deli alia parte Bianca »
II Bart«>li ba perfottamente ra^one qaando dice cha
A la parola deiresule perseguitaio cba^neia il ritorno
irio mi vai*rd di qiento ^ooetto per 9osten«»re* P-aaHio
(orsato; ma a TTiitr(]in^h fttiir'iryfimtiBtiUNiino jlh^jrica
13Sf
il dire che Qino des dera di trovarsi dirOaovalnmawx ^
ai suoi coDcittadini d' parte bian^a.
I soaetto noQ 6 politico : I'amore d la Dota fonda-
m an tale che in es9(» r <«uoDa.
^Prlmu.di provarlo, ossorvo cocne su questo sonetto pe-
sano Tarje qaestjoai, date da discrepanza di lezione
spec'almeiite tra la volgata e i van codicietra i codicu
stessL
Spryolo al na^io swle, o Sole, o solle del secopdo
topj^o. II Facifani ha Sofe, sJle ba il Trivulzlano, e li
Nqitola di sui il codice Ca. e Bl pubblica suole, per
suolo^ e .qupsta par la le/.ione buona.
II Y. 4, qu^le 6 Del Piili e nel Fanfani, suooa:
Che '1 pianto al cora *a sin dagli occhi YsUe.
Ma i I Bar toll ha ra^rione da vendere qnando .dice
che^qui a*id fatto sparine il senso comuoe^perch^.^I do- .
lore cenuocii dal cuor-* e Doa dagli occhi eleiagrime .
8oao VLB, effejtto del dolore.
Se il 80030 comuoe non bastasse, diremmo che i
co4ici<han(io la lezlooe che ooi stimiamo buoQa,vecbe.
il concetto del poeta si.vede confroutaAdo coi versi del
sonetto € Apparsemi Amor subitamente >:
A la qual vidi la facc'a bagnata
D*Acquft cbe *1 core agli oochi conduce.
e .ooll*e9prej8ione del souetto < Seoza tormen4o di setpir
Don Yissi >:
le lagrimi eke piavon da to oore^
e OjI idDetto € SuYra ogni altra Yaghoz/a tago sono,>
• • dr| piaato cbe m* abbonda
Tomando. per le fauci, me n* abevero
Nel toco ch*ard0| come d* amar 'onda.
Hvn temmdo cooto delie lieYi variauti della secoada
quartina e della prim^t terzmai che non cambiano il
senso, noto cbe il prime ver^o della secouda terziaa
Ittooa Delia volgata t
9 M^^rodiC aea vegUe. 1ft J4AMuia(W(
13d
mentre i codici hanno
0, crederei per lor nel Macometto!
lo per quaDto la volgata ben si accord! colla spid-
gazi<»nd che dar6 del s^netto, roi atterrd ali*aatorit&
con9eD2ieDte dei codici. L^ difTerenza stu in ci& chd
colla lezione dei codici, il carattere di Cino ne esce nn
po* malconcio.
Ora, ritornando al senso, appare dal sonetto che :
1 II poeU 6 lontano daila patria, da Pistoia, il soo
nnfio suole, e il cuore suo stilia lai^rime di doiore: 2.
Selvaggia Ve gio*esi o, se cosi si vuole, f Vergiolesi. ?e
tall% di Ve g ofe in^«mma, snno in Pis<oia e il poeU
spirerebbe I'ao ma seg 1 fallisse lasperaoza del ritoroo,
3- l*iunamorito poet», o 1 civite p eta, oon aveva mai
sperato, anche presente in Pistoia, di raccoglie'*e on
fiUtto qualsiasi de* suoi sentimen i, o (ivili o amorosi,
solo aspirava a vedere il fl >re (Selvaj^gia. o le talle di
Yerg ole, o la patria o la parte bianca); 4. II cradet
partito dom naiite in Pistoia, gli fa sentire lena del
male che egli, 11 poeta^ non commette, to tien laogi
dalla patria, quani*egli crederebbe in Macometto, mote-
rebbe fede, si farebbe spergiuro per le talle di Ver-
gioSe.
Ma il sonett \ pur contenendo 1* espressione di an
ineRabi e desilerio della patria lootaDa, ^t come dissii
fondamentalmente amoroso.
Adolfo Birtoli dice che le nuove talle delle piante
di Vergiole sono i ouovi adereati della parte capita-
nata dai Verg*olesi: dunque il poeta m<)rrebbe se non
avesse speranza di ritrovarsi in mez o ad essi e ai
Bianchi.
U. Notlola che lo contraddice, interp eta afrermaQ<1o
che re<*pressiune le lUO'Oe iailii (i) 6 una comunissima
(V C/)r. U btlU^T*fUA dflU b»lUtat /« piiarcM p<r U p^4H%
!S7
sineddoche per € giovane rampollo » della famiglia
Vergiolesi. Sgdz' altri argomenti, non si saprebbe a quale
dei due dar ragione.
Procediamo dunque all'esame della prima terziua :
E senza creder d'aver fri;tto mai,
Sol di veder lo flor era '1 diletto ecc.
Secoodo 1 1 Bartoli, il poeta non crede gi^ di avere
il fratto, cio6 vedere la vittoria della parle Bianca ,
ma gli basta vedere 'I fiorey cio6 vedere le speranze di
questa vitloria.
U. Nottola pensa che quell* essere lieto e soddi •
sfatto al vedere le speranze della vittoria deiBiancbi,
SHDza credere di poter mai averne ii frutto, senza cre-
dere, insomma, che i Bianchi potessero mai trioofare,
non debba proprio essere il pensiero di Cino, e trova
invece fondatissima la congettura del Ciampi il quale
dice : € In questa terzina pare ci volesse il poeta assi-
curare della purity e della onest^ delTamor suo per
Tamica sua Selvaggia. » E cosi il Nottola fa punto in •
torno alia prima terzina.
E credo anch*io che il Ciampi abbia ragione. Via»
quale stiracchiatura 6 questa di starsene contento a
vedere le speranz ) della vittoria, pur persuasi di non
vedere mai la vittoria stessa?
Beato sognare ad occhi aperti ! beata cosciente il-
lusione! E dove mai il poeta ha espresso questo con-
cetto ?
Se invece il fiore 6 Selvaggia, che il pceta non av-
veva mai sperato di possedere, quante volte non ri •
corre ! Ci basti citare qualcho passo :
Deh travagliar mi potess'io per arte,
E gir a lei per contar ci6 ch'io sento^
0 per veder la, ch'altro non vorrei. n)
(i) Cino canz. S'io sinagato Bono et infralito
21
188
E pit glix:
QoAOd'io pento a muk vita laggiera
Cbe per veder Madonna fi mantiene.
E sempre nella stetsa cansone :
Voletse Dio ob'aTanti ch*io morlMi
La vedaai'io, cbe eoiuolato gisii.
Fateticissitno questn paosiero nella canzooe « Si
mi dittringe Amore >. II cuore non si pub railegrare,
Se la votira flgnra
Non vegffio. Donna, 'n eui i *l viver mio ,
CoM m'aiuti Dio
Che gid per altro a vol non pongo curg,
Sempre oon fede pura
SoUievo gli oocbi mlei, eoc
Se non basia^ si consider! la ballata;
Madonna la pietate
Cbe v'addimandan tutti i mtei totpiri
B* tol obe Ti degnate ob*io yi miri;
e la canzone cQuandMo pur veggio che sen vola*l sole » .
Col giorno obe risqaole lo mio core,
Mi muoYo e ceroo di trovai* pietanza
Tanto obed io riceva
Dagli occbi il don, cbe fa contento Amore.
Dunqae chUo mi conforti
Sol con la vieta, e prendane allegrezza
Sovente in questo siato,
Non mi pai* esser con ragione biasmato.
Ancora:
. • . a me saria si gran don dl salute
I'aliegra oiera vedermi a tuU'ore
cbe non la mert^rei ancor per morie i^)
(1) CtnOf Soa. Pieii e raerce mi raocomandi a vui
« .
189
E al trove :
• • . altro z\k lo mio core noa* d^sia
86 noa che veggia lei qualche fiate. (i)
Veder Tamata! Era runico coaforto che Gino si ri-
coQOsceva possibi'e e che nessuDO poteva togliergli. £*
per lui UQ dettame, uaa massima:
Ghi glf occhi, quando amanza deDtro e chiusa,
Rigaardando non usa,
Fa eome quel che dentro arde e la porta
Cootro al soccorso chiude.
Deresi asar degU oechi la vertude. (^)
Le citazioni potrebbero coatinaare numerose e cal-
zanti, ma me le serbo per amore di brevity; ricorderO
solo, e per ultimo, la bellissima ballata «Ioguardoper
li prati ogni fior biaoco » doveVesule coq iutoDSO scon*
solato desiderio rimembra la diietta Selvaggia. Aiiche
qui il Bartoli (pag. 130 op. clt.) dir^ che io strazio che
vi si rivela non i solo deiruomo innamorato, ma del
cittadino, aozi del cittadino sopratutto, e il Fanfani
commenter^ che la ballata (6 11 madrigale IV della sua
ediziODO) 6 come una glacubtoria alia parte Bianca,
coo iDoesto di parole di afTetto alia sua donna^ la cui
famiglia apparleneva a quella parte. Se non mi fa velo
uu precoDcetto, noo giudicano dirittamente ud il Bar-
toli, d6 il Faofani, e a prova riproduco la ballata:
Io guardo per li prati ogni flor bianco
per rimeinbranza dl quel che mi face
Si vago di sospir che io ne ohieggo anco.
E mi rimembra della bianca parte,
che fa col verde bruQ la bella taglia,
la qual vestlo Amore
(1) Cino SOD* Qentil donue valenti or m^aitate •> Vcdi altresi il tonttto
« AweBga che orudel lanoia iotraversi », e c Guardate axnanti », e an
cora c GeDtil Donne » eco.
(2) Cino» c%M, € Qaand'io pur yaggio »«
uo
Del tempo che, guardando Yener Marte^
con quella s:ia saetta che p1i!i taglia
mi di6 per mezzo il core :
e quando Taora muove il bianco /lore,
rimembro de' begli ooohi il dolce bianco
per oai lo mio desir mai non fia stanco.
Considerando i prim! tre versf, nessuno si maravi-
glier& che il poeta paragoni la bella a un bianco fiore,
concetto comunissimo : ogoi bianco 6ore del prato gli
rammenta il bianco fi* re che lo fa vago di sospiri. Ma
come potrebbesi col Fanfani convenire che il Aore sia
la parte dei bianchi? BelTamore di parte che si bea
nei sospiri. si che il poeta n^ chiede anco. £' ben na-
turale invece che il poeta delFamore e del doloreprovi
la ineffabile volutt^ dei sospiri. Del resto la ballata at-
tioge la prima ispirazione e il primo motivo dai bianchi
fieri cho ricordano al poeta Tamata, 6 bene notarlo,
non la fazione. La fazioQ"", In, par 'e viene solo inciden
talmente, come I' un pensier dalV allro scoppia, nel
quarto verso: viene e scompare. II bianco fiore ram-
menta Selvaggia, (lor d*amore; e per c )ncatenazione
d'idee la bionea parte a cui Selvaggii appartiene ; ma
la leggiadra amata, il biaoco Acre, la bella taglia, il
fragrante* germoglio, ^ il ponsiero dominante e ri
prende aucora 11 suo posto nel verso quinto e rapisce
la mente del ^oeta estasiato per tulto il resto della
ballata, compresa la dolcissima chiusa:
e quaado I'aura muove ii bianco flore,
rimembro de' begli ocobi il dolce bianco
per oui lo mio desir mai non fia stanco.
Oon ci6 parmi abbastanza spiegato cosa debba jn«
tenders! per i) fiore, per il diletto deiramante poeta
(c sol di veder il fior era il diletto » del sonetto:
c LasHO pensando ecc. ). II frutto che non aveva
mai sperato, potrebbe anche esser quelle desiderate
con impeto di sensu^ie passiQuei del sonetto < Secon-
141
ceduto mi fosse da Giove », del quale ho gi^ parlato
nel capitolo antecedente.
CoQ alcune considerazioui suD' ultima terzina avrd
floito ii lUDgo esame del sonetto di cui ci occupiamo:
0, credere* per lor nel Macomettol
Duaque, parte crudel, percb^ mi fai
Pena sentir del mal ch'io non commetto?
• Interpreto : € Crederei nel Macometto, mi farei turco,
si)ergiuro per loro, cio6 per i Vergiolesi o— se 6 una
sineddoche ^ per Selvaggia Yergiolesi >: in ci6 non cape
dubbio. € Duuque, se io li amo, o Tamo tanto da farmi
spergiuro, perch6, o parie crudel....^ Qual parte ? Dei
Biaochi o dei Neri? Di chn si lamenta ilpoeta ? Di non
poter vedere, esule infelice, la cara Pistoia, le nuove
talle di Vergiole, meglio il fiore di Vergio'e^ Selvaggia
(e chi Don sa che nel nostra affetto per una doona
coraprendiamo talora anche quelli che la circondano?)
Chi gli impediva di vederla? Chi lo t^neva lontauo?
Ecco: la crulel parte. Ma quale, ripeto? Queila dei
Neri / Come se essi era no in bando da Pistoia? perch6
c'erano i Bianchi e con essi i Vergiolesi cbe dei Bianchi
erifio capi ? Nu'la avrebbe impedito al poeta di ricon-
giungersi a Selvaggia.
Bisogoer^ dunque necessariamenie concludere che
la crudel parte che lo teneva lontano, era queila dei
Bianchi, imperanti in Pistoia e che Clno ne fosse esule
perch6 Nero o almeno appartenente per aderenze al
partit) dei Neri.
Confesso di non veder diversa interpretazione che
r accennata, ed essa continuorebbe cosi: € perch4, o
Bianchi, partigiani crudeli, mi obbligate alia vita ra-
minga dell'esule infetice, privo della vista dei pii^ be
grocchi cbe lucesser mai, quand*io rinuegherel per Sel-
vaggia la mia fede, anche la mia fade (^) di parti tante.
^i) Richiamo alia raemoria del lettpre il veri
e il bolognese dic^ delle gioie d'Amore di Cino
amor di parto » e il 9oae^o di Ciuo^ pur
verso di OQesto, gli citato,
dove il bolognese dic^ delle gioie d*Am3re di Cino che ciascuna val « piA
che amor di parte » e il 9oaet^ di Ciuo^ pur oitAto : « l^o ^o A.iqor
oortfif »
)42
quaado io contro i Bianchi qoq commetto nessun
male? £* un punirmi del male ch* io noo commetto. >
Cosi potrassi dire ancora che il sooetto sia fondameD*
tnlmeDte politico e che Cino desiderasse di duovo di
trovarsi io me/zo ai saoi concittaditil di parte Biaoca?
II 8 spiro uogoscioso del poeta noo 6 che Selvaggia
e la terra nHtia che la ospita.
Nelia caozoDe € La dolce vista e *1 bel guardo soave »
il poeta dice che si trova diviso dal bel viso e d' ogni
state allegro € Pel gran contrario ch'6 tra *1 bianco
e '1 negro >.
Se Hgli fosse state di parte bianca come mat sarebbe
state diviso da Selvaggia c pel gran contrario ch'6 tra
*1 bianco e '1 negro » ? Dirassi che Cino esul6 volon-
tariamente! Qaesta ipotesi fu ben sosteouta, ma io la
dimostrer& erronea; Tesilio di Cino fu forza^o, egli fu
bandito dai Bianchi.
Raccogliendo dauque gii ^parsi a*'gomenti che io son
veouto man mano esponendo in quests pagine, parmi
che essi provino assai bene la tesi da me sostenuta:
che Cino fosse, ne' suoi anni giovanili, di parte nera.
Essi sono diretti e indiretti. Provano indireitamente
che Cino fosse di parte nera le rime che bo citato a
pag. 7 ed 8 di queste carte, a cui rimando il lettore;
tutta Tanalisi dellaSetto delirante per la Donna feta
che trovasi nel capitolo 3. delle note mie, e le testimo
nianze storiche che ci comprovaao come tutti i Sini-
buldi di cui ci fu laaciata memoria, furono di parte Nera
Piu direttamente affermano Ta^s rto mio, il fatto della
presenza di Cino in Pistoia nel 1307, nella quality di
giudice d^^l e oaase civtii, imperanti i Nen; la aentei'^a
143
da lui data in favore dei fldeius^ri neri, che ad altri
parve una prova della sua imparzialit^ ; il sonetto € Lo
fino Amor c >rtese > specie nell* ultima terziDa; il so
netto di Ooesto Bologoese: € Assai son certo che so-
meuta in iidi » (pag. 16), il sonetto « Lasso pensando
a la distrutta valle »; e» subordioatameute alia dimo-
strazioDB che Cine esulasse forzatamente, la canzone
€ La doles vista ». Altri di me piii diligente e piJi a-
cuto potr^ forse produrre argomenti che a me sono
sfuggiti 0 forse dimostrare che io ho veduto male ed
argomentato a rovesciol Certo d che, chiarito come era
il suo nome di Sinibuldi che g i portava la maiedizione
e I'odio di Selvaggia, si potr& meglio rom. rendere come
il poeta si lagni di esser nato
in forte srentura
E '/I un punto rio,
Cosi si potranno meglio comprendere eerie sue dottrine
per cui egli asseriva desolatamente ebe una c^sa d A-
more e la Ven'urj^ che soverchiano la natura stfsssa 0)
e la persuasione del poeta della sinistra influenza del
nome suo (*>' rOuittoaeino , Guitto vale povero —
Panfani — ) e T^ngoscios) dubbio che, come il suo nome
che le moveva sdegno, a Selvaggia spiaeosse tutta la
persona sua (3>', e che Selvaggia faresse mirarlo come
nemico e tenesse in disnore Tamore del poeta; cos!
si potranno spiegare le parole del posia che sola una ria
sorie d causa delie crudeli ripulse.
Ma qui mi si potr^ fare uu'obbiezione; Tunica in
vero, ma grave: Cino, d incontestato, alm'^no per un
lasso di qualche ani)0, dal 1310 in poi, fu Qhibeliino e
seguace di Arrigo VII , V infelice imperatore truci
(1> Cino : « Parchd nel tempo rio.
(^) Cino : c Uomo lo cui noma.
(8; Cino : Cans. Io non posto alaro il mio dolore ; € ♦ Lo gran dUtt ek#
mi ttringe ootanto.
144
dato Del 1313 a Bonconvento e del quale il poeta plans*
in belle canzoni la singular morie doiorosa. Beu i
vero che Cioo Appare gaelfo Id altri momeoti deUa vita;
per esempio quaodo < secondo ogoi probability, in oc«
casione del la pace tra i Pistoiesi e i Fiorentini del 1329,
giur6 obbfdieaza al papa QiovauDi XXII e ribelliooeal
dnpnatun Logd'vicum Bavariie, > Infatti ia in do-
cumento 24 Magg o 1320, dal Ohiappelli illustrato, ap-
pare tra c(»Ioro che KiurarOQO ribellione al Bavaro uq
srCtnydt SinWuldis, Verc 6 che il Fraochi aveyaso-
stenuto trattarsi di un Cioo di TegrJDO d* m. (iuittOD-
cIdo Sinibuldi; ma il Chiappelli ha dichiarato di Don
aver mai trova'o que3to nome ia nessun documento.
Ora 11 dotior Peleo Bacci, in occasioi^e di Dozze, ba
pubblicato. con ud documento. alcune note intorno a
messer Cino e, coatro I'airermazio e 'iel Chiappelli, as-
severa di aver < riuvenuto moltissiml documenti cbe
attestano, contemporaneamente al Cno giurista, essere
esistito un sue cugino, Ser Cioo di m. Tegrimo ». II B.
crede rosi di « salvare in parte il Si'jibuMi dalla tac-
cia di antimperialista, sia pure per un^unica volta »•
Ma quaDd'anche sia provata TesisletiZa di un altro
Cino, come si proverb che questo e non ii N. prestasse
giuraroento contro il dannato Bavaro?
Nod dimoDtichiamo d'altroude che appunto intorno
al 1330 ii N. dovette stringere reiaz oue colla corte
Angioina. Infatti in quest*anuo, Roberto di Napoli rap-
presentante dei diritti del papa, 'o chiam6 a insegnare
nello studio napoliiano, c ad legendum Neapolim in.,
acientia ieg^lt >. A quento proposito il chiarissimo Q.
De Blasiis ha pubblicat » neli' Archivio sti rico per le
provUicle nnpoletane (anno XI, n. 1), una patente del
16 luglio 133 ). con la quale re Roburto, in nome dei
cittadini napoletani, invit6 il Sinibuldi a insegnare nel
pubblico studio.
>■ I I ■■ I I I I 1
E* be.Io imagioarci i nostri grand! nella puresza i«
deale di un carattere adamantino ed 6'caro alio stu-
dioso del poeta di Selvaggia vagheggiare ia lui la fibra
del forte a non routar aspetto, non mover collo» non
piegar costa. Ma troppi fatti a ci6 contraddicono, come
parmi Qon sia luogo a dubbio dopo quanto venni di«
ceo do.
Or quiy osservato che non 6 la prima volta che si
disse del nostro che mutasse opinione (gi& il Baldo —
1. 1. col. IC de his qui ante aper. tabu. — aveva detto che
Oino afiquandiu mutavU opinione/n in deterius) dir6
come Tesame che il Cbiappelli fa del pensiero politico
del N. i troppo unilaterale : e al chiaro scrittore non
viene il dubbio che quella incostanza di pensiero gin-
ridico che talora egli stesso^ nella sua floe analisi, trova
nelleideelegali del giurecoDsulto, non sia comune ancbe
al pensiero politico.
iQvero il Gh. ci ha dimostrato quali erano le opi-
nioni politiche di Oino, desumendole dalle opore giu-
ridiche, in quelle parti che si riferiscono alle leggi
concernenti i diritti e i privilegi ecclesiastici.
Ora io non r]peter& quello che il Oh. stesso ci ap-
prende, € che nelleopere di diritto fl pensiero giuridico
predomina sul pensiero politico » e che Oino non tratta
le queslioni di diritto raziODale, ma di fronte ai test!
di diritto, Oino credette che neintalia divisa, dove ogoi
citt& 6 ana provincia, in cui tutti comaDdavano, in cui
un Marcel diventa ogDi villan che partegt^iando viene,
fosse necessario che prenedesse un dominus genercUis.
Sia pure rimperaiore per Oino il rappresentante di
Dio sulla terra perchd da lui viene i) potere, sia il ge-
rarca supremo del mondo, sia pure il € superillustris
qui non est in ordine graduum, sed omtes gradus excel-
lit >; ma bisogner^ sempro aver presente che la Lectura
commentaria in codicentf da, cui questi passi sontratti,
^ St
144
t\i scritta, come d nolo, tra il 1312 - 1314, cio6 nel tempo
appuDto in cui piu ardenti eran le speranze di veder
da Arrigo restaurata la pace e piii forte il rimpianto
di lai peritoa Bonconvento.
Del resto, in fatto di sentenze, non b'sogna dimen-
ticare che i! giurista Pistoie?e nella Lectura in codi-
cent (iQ I. si viva matre 0. de bon. mat.) fa la difesa
del legittimo diritto di Roberto alia successionedfl Re-
gno, contro i diritti pretesi dai succesAQri di Carlo Mar-
tello.
K il Qiannone fist. Civ. L- XXII p. 166) si meravi
glia del parere di Cino da Pistoia € quel severissirao
ceosore del Papa e della corte Romana ».
QlidcheCino, il qua*e del resto non fu per nulla nn
flero partigiano come Dante, in questioni giuridiche non
si ispirava a ragioni di parte, e gli 6 perc]5' che lo
vediamo indifierentemente pronunciarsi cosl per il pa-
pat(4 come per Timpero.
AcceDner6 pure al fatto citato anche dal Chiappelii
a pag. 71. Dopo aver detto che Cino, come risulta dai
document! pubblicati dai Bini e dal Vermiglioli, doveva
trovarsi nel 1320 e negli anni seguenti a Perugia, rac-
conta come i Peiugioi, per so?petto o per uggia contro
Giovanni XXII, avevaoo decretato, sotto pena dimafta,
che per due anni non si inviassero lottere al papa, nd
ambascerie. Ma aveodo prima pregato il ponteOce di con-
fer! re un vescovado a fra Monaldo de' Monaldi, loro
concittadinOy era state esaudito il loro desiderio e fra
Monaldo era state destinato, probabilmente con Taspet-
tativa, al vescovado di Melfl (non di Amalfl, come dice
il Chiappelli) sine al 1328 e poi sine al 1332 con la reg-
genza eflfettiva. (Ughelli I. pag. 932 It. Sacra) — Allora
i Perugini si trovarono imbrogliati a decidere «utrum
litere rengratiatorie de promotione predicta possint
aummo pontiflci per Comnne Perusii destinari, libere et
impune^ non obstante dicto ordine». Cino, Paolo deA-
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zara e Recupero da S. Miniato, il 29 novembre 1326 con-
sul tarono, iDvocata rautoriU di Seneca e di S. Paolo »
che dovessero scrivere le leUera di ringraziamento.
RitorDando alle opinioni giuridiche di Gino, nonsarji
difficile trovare le ragioni che poterono indurloadab-
bracciare ii partito di Arrigo : basti a noi accennare
che la ferocia delle fazioni era giunta a tale da essere
incomportdbile uon pur a chi avesse mente eletta, ma
viscere d'uomo; la passiooe di parte, se puro Cino —
mitissimo e alieno da crudelti com*^ appare anche in
una sua canzone — Taveva mal nutrita, doveva afifogare
in qu«l mare di delitti ; e dovette sembrare provviden-
ziale quelTancora di salvezza che Arrigo parve porge re
alio vittime deirodio.
AUora la disperanza di poter altrimenti trovar ri-
medio alia travagliata vita, I'eotusiasmo con cui Arrigo,
al suo arrivo, era state accolto dagli uomini piu iliu*
stri, la mitezza e la clemenza per cui parve non rap-
rappresentare un partito, ma volerli tutti conciliare,
rintonto suo di rispettare anche il partito guelfo, furono
una potente attrattiva per I'affannato giureconsulto. N6
senza efficacia sulle sue idee politiche fu forse Tesem*
pio di Dante, il quale, appunto intorno al tempo della
calata di Arrigo, pubblicava il suo De MonarcJiio^ per
il fascino che sempre esercita il genio e che certo do-
veva esercitare su lui Tamico carissimo^ il compagno
delle peae d'amore, il confortatore aalle avversitSu
Le sevizfe dei Fioreutini e dei Lucchosi che dal 1309
signoreggiavano Pistoia, eiano divenute intollerabili ;
essi, udiamo T Anonimo pistoiese, < imposero enormi
tasse, e fecero disfare le mura della citt^ e riempire
li fossi*. e per piu strazio fecero pagare al comune di
Pistoia... Molto fecero guasto di case edi palagi, e fue
maggiore la destruzione che si fece nella citt^ per li
Lucchosi, che non era fatto prima per li Bianchi e i
GhibelliDi.... » (V
(I) Ut. PU$Ol$ti : pftg. 60 f legg.
tift
€ Nel 130911 Fioreatini e M Lu«chosi si^noreggiavano
Pistoiai intendeano piu a rubare e a guadagnare (U, che
al b<3Qe comuDe delU citU; e li Pistoiesi erano si mal
conteati, che dod era nessuDO che non si fosse gettato
YOlentieri in disperazione per essere uscito dalla ioro
sigaoria, perocchd per lore si prendeano le femmiDe,e
faceanue lore volonU, e cosl signoreggiavano piti anni ».
Dove si trovava il bersagliato poeta qnando andavano
compiendosi i suaccenuati awenimenti? I biografl in
coro: egli era in esilio. Con debole logica ci assevera
il Oiampi:» non 6 verosimiie che si trattenessea lungo
in patria, e molto meno nelFimplego di giudice, dopo
la conquista fattane dalTarmi dei Neri ». Cosl il dotto
professore di Pisa; piii studiato e piu cauto di lui, il
Cbiapp Hi scrisse : € Dopo la resa della citUi per qualche
tempo Cino continu6 a tenere il suo ufflcio, ma alfine
in mezzo a tanti mali prese la via deiresilio. >
Qnando? II Chiappelli osserva chenonesiste un do-
cumento che comprovi questo bando, e che 6 cerio che
il N. € continu6 per qualche tempo anche dopo la ro^^a
dalla citt^ a sedere come giudice delle cause civili »
Per6 sembra che il Chiappelli coUochi la partenza nello
stesso 1307, perchd dice (pag 52. nota ) che € contempo
raneamente alia partenza di Gino, troviamo il suo zio
Bartolomeo Sinibuldi vescovo allontanato da Pistoia e
mandate alia sede di Foligno ».
Ora, rUghelli ci apprende che appunto nel 1307» d(e
24 mensis cUcembris, avvenne il trasferimento del ve«
scoYO Bartolomeo gi& confermato nelTepiscopato nel no-
vembre 1303. (^) Oltre a ci6 il Chiappelli afTerma che
Cino dovette rifugiarsi nel castello di Piteccio presso i
Vergiolesi^ e noi sappiamo dairAnonimo e d gli altri
(1) Cfr Ciao Cora, in Coel. si qui CooL 2> 0; citato anche dal Chiap •
pelli, op. cit. pag. 49. « Ego vicTi quondam Luoanum oapitaneum populi in
oivitato PUtorii qui iu medio pa latii communis Tolat meretrix le vendebat. »
(2) Ughellif Ilalia Sacra^ pag. 37<
- !«
storici pistoiesi che» ossendo assediato Piteccio da! Fio«
roDtini e dai Lucchesi coll*aiuto de* Pistoiesi, Filippo
Vergiolesi e gii assediati g\k sin dalla € notte di S. An-
drea A. D 1307 celatameote usciroDO dal castello e ao-
darono alia Sambuca >. Ghiaramente dunque, secondo il
Chiappelliy Cino dovetie esulare o partire da Pistoia nel
1307.
OoDseoziente coi due citati biografl sul fatto cheCino
dovHva essere ancora a Pistoia nel 1307, trovo aflktto
arbitrario ii dire che nello stesso anno ne partisse.
Oh, se parti, dove andd? A Piteccio? Come, se i Ver-
giolesi gli erano avversi, come io ho dimostrato? Gerto
da Pistoia parti, ma io argoisco che la partenza, ^ noD
Tesiiio che deve assegnarsi ad altri anni — sia awe*
pata Del 1309.
In quel tempo, io dice?a poc*aozi, un animo onesto
nOD avrebbe potuto vivere nel la tana di Vanni Fucci.
Invero, le sevizie del Lucchesi ebbero presto colmo la
misura: Pistoia ritellossi e cacci6 ii capitano Ser Fer-
ruccio Sandon^ da quelli mandate. Divampa la guerra:
quel di Lucca mandaoo armati contro Pistoia, a mezzo
miglio. € Li Pistoiesi. sentendoli quivi, trassero colle loro
armi a porta Lucchese, baciando Cuno in bocca Voltro
come quelli, ch^andavaoo per morte dare, e morte rice-
vere >. Fortunatamente i Lucchesi si ritrassero, e allora
si pens6 di venire a un accordo, uno concio. Ma qui
nuove contese:per volere o non volere Io concfo, si di-
visero i Pistoiesi Guelfi e Neri: la fazione in seno alia
fazione. € Li caporali di quelli che non volevano Io con-
cio furoDO Ii Taviani e 11 Cancellieri, Ii caporali di
quel i, che volevano il concio, furono Ricciardi, Lazzari,
Tedici, Rossi e Siniboldi^.
Sin qui TAnonimo; eci appaiono 1 Sinibuldi ispirarsi
a miti propositi. Ma, e Cino? L*Auonimo ne verbum qui-
dem. Ma qualche cosa ce ne dice QB. Salvi della cui fede
non si pud dubitnre, perch^ si verificurono document
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talneute praoisi altri partieolari della vita del poeia,
gia iDcideatalmente 4al Salvi narrati nelie sue Storie,
come per esempio ia preseota di Gino in Pistuia nel
1317, ora comprevata^ oUreoh6 dal docameoio dal
Pnorista Franohid), aache dal docamento pubblicato
da Q. Papaleoni, eoateoeate an consultodatodalN.per
iDcarico di Simone Battaglieri, esattore dei dazi di Pi-
stoiu lu data die XYUI mensis Mali 1318 t^).
II Salvi adunque ci narra diBtesamente la lotta tra
il pariito che v leva I'acoordo con i Fioreotini e i Luc«
chesi e quelle oontrario. Saoo orribili battaglie:Taviani
e Ugbi son cacciali; uu tentativodi ritorno ha per e-
site una strage dei ioro partigiani. I Taviani e gii U-
ghi poteroco fu^gire, ma raggianti dai risioiesi alia
Bure < furono rotti, fatli prigione e parte di lore morij,
tra i quali di maggior con to Messer Oiatdino <ii Brae-
010 degli Ughi » ^K
Cos) poterono quetarsi alqvanto le cose di den tree
aUora si pens6 a tentare di riavere il territorio del con-
tado occupato dai Fiorentiui e Lucchesi. E* qui appunto
cbe il Salvi fa menzioae di Oino. Leggiamo le sue pa-
role: € Vegliando tutta^ia il negozio d^'iia restitnziooe
del con tado alia oitt^ di Pistoia, i Pistaiesi mandarooo
ambasciatori al Papa« a Lucca, e a Fire'iize m^hdarono
M. Cino Sigibold', M. Manaello Cdnceliieri.. ecu altri,
sul finire del £309 k Appunto nel 1310 ArrJgo Vllscen-
deva in Italia, e Lodovico di Savoia suo rappresentante,
assieme a due vescovi tedeschi, and6 a Fireaze.
£* qui che Oino s* imbatte in Led vice di Savoia?
lo non esito a dichiararmene convinto : ed 6 anche
questo, noD vi badubbio il momento ia cui n^ia meute
di Cino stance di lotte partigiane e nauseate di quel
(1} Chiapflli, op. oit. pag- 64,
(2) Ri vista critica della Lett, it Anno VI, pag. 30.
(3; Alia /kmiglia degli Ughl, appartetiova Margheritadi Lanfranco^ moglie
di Oiqo.
lit
perpetuo rinnovellarsi di fazioni e di odi sorge la spe-
ranza di trovare alia travaglia^a vita un'ancora di saN
Te7za che fosse di fuori e di sopra dei due sanguinosi
partiti che forraavano Tigaominia di Pi^itoia: aUora, diro,
ridea Ghibeliina di Arrigo affatica la mente delTamba-
sciatore di Pistoia ai Fiorentini, e Cido maaifesta il suo
dabbto, fatto di speranzaedi tiniore che lo travagliava,
nel sonetto a Cecco d'Ascols poeta e astrol go, e chiede
ali'amico carissimo qua! stella 6 per lui Wdi e qual
bel a, « perchft rimeaio la sua vita grida »,
Dimmi tu, o noveilo Tolouieo, egli lo prega:
se m'^ buon di girea.qualla pletra
Dov*6 fondato il gran tempin di Giove,
0 star lungo *i bel Flore, o gire altrove;
0 se cessar de* la fempesta ielra
Che sopra '1 genital mio terren piove :
Dimmelo, o Tolomeo, ch'l vero trove.
E' dunque la ietra tempesta che imper ersa sulla sua
terra natia, che lo spinge a cercire nuovi i »eali. Del
sonetto da me in parte or riprodotto^si ^ occupato con
perspicace diiigenza il professore G. Castel)*, uel suo
bei libro suIPAscolano (^). Or ecco i versi responsivi di
Cecco, che a noi importano. Dop > aver detto che i corpi
celesti di Giove e di Yenere, il spsto cielo e il terzot,
il lume deUa giustizia e il fuoco d'amore non gli dA-<
ranno riccheaze, ma solo .sa'ute e fama. aggiunge-:
Hor non lasciate *1 fior cho frutto muove,
Pistoia per sua parte non si spetra
Girando *1 cielo per questi anni novo,
Dico se (a pietk ci6 non rim »ve.
n Csstelli osserva che Cino doveva essere in PiretM?©,
qando scri-sse il sonetto, arguendolo daH'espressione:
< se m*6 buono.... star lungi 7 be' Fiore>, dov« 6 a-
(1) Q. Castelli <— La vita e le opere di Cecoo d'Ascoli,
tSi
doperato ii verbo stnre, ia contrapposiziono a ffire^ « give
allrcve » ed^altronde aocbe Ceceo consJg!ia Tamico: « non
lasciate il fior ». Ma qual data banoo quei vorsi? II Ca
stelli accogliendo, forse a torto, che Cino sia state nella
citt& del Fiore nel 1334 come lettore del codice in una
specie di istituto (ubblico, cbe si avviava a dive ^. tare
Univertitjt, esclude questa data, percb6 Oino era gik
mortOy sallto sul rogo di fuori Porta alia Groce di Fi-
reAze» per avere < confermato la dottrina e la fede della
liberty edeMa ragione. > Ua'altra dftaper6 uon fa presa
im esame dal Gaste!l). In fatti con molto fondamento
P. SantiDi ha sostenuto cbe Cino dovette insegaare a
Firenze sin dal 1324. Ma aoche questa data non parmi
accettabile, pei-ch6 6 certo che TAscolano non poteva
piii dire di Cino gik vecchio e gi& morto airamore, che
Tamorosa flamma fa di !ai un naovo Apollo ; e neppure
Oino, il celebrate insegnante, ricercatodillepiii famose
Uni?ersit^, avrebbe potato scrivere versi come qaesti:
B dl chi m'assecurai e chi mi «flda«
B qual (^J per me 6 laida, • quar6 bella;
Perch6 ri medio la mia vita grida,
Bisogna cercare un*altra data. II Ctestelli esclode gli
anni anteriori al 1300 perchi altrimenti non s'inten-
derebbe, dice lai, Id^tempesta tetra deiruUimo terzetto.
lOt senza condividere il sue ragionamento, perchd le
stragi di Pist ia, la tempesta lelrcL^ hanno, come ab-
biam yisto, origine ben piii remota del 1300, nedivido
la cODclus'one, anche perchd finora oessun docamento
dimostra che il N. fosse a Firenze prima del 1300. Per6,
eonsiderando il v^rso di Cecco < girando 'i cielo per
qiMsti anni nove » e computaodo a parti re dal 1300,
momento di un*atroce recrudescenza degli odi Pistoiesi.
•ho ia quel momento hanno un'eco fatale in tutta la
|i; Ooal MUlla.
i33
Toscatia, ci vien naturals di eollocare Taodata di Oino
a I^tdDze intorno alia fine del 1309, secondo testifier,
il Salvi nel passo da me riprodot^o. L*a]iDO dopo, cos\
appar ben chiar *, Lodovico di Savoia yenato alia citU
dei flori, elesse a prbprio assessore il pistoieflei il quale
la 86gttl a Roma, trascuraado )l ooDsiglio di Cecco che
rammoniva c nou lasciate il fior che frutto muove »• Cos),
al servizio di Lod vice e di Arrigp, <'ntr6 r jsolatamente
Del moyimento ghibellino, partecip6 alle idee di cou"
ciljazuaoe del mite imperatore, e gli fa fedele fiao alia
catastrofe di Bone nvento.
Allora lagratitudine dei beneAci > icevuti degli anni di
pace goduta, degli (mori a cui era atato chiamato, quaod)
come g udice accompago6 a Roma Lodovico di Sayoia»
se^aatore Romano, lesperaaze noocepite e dalla morte de-
lusd, coiQe gU dettarx)Do le canzoni XY e XIX (^ > ia morte
di co'wi, in cui virtute — com'in suo propria loco dU
moravn, cosi forse danuo la ragjone delle dottrine po.
liticbe di Gino quali appaiono nel Comm in codicem.
E a questa sentenza pare s'accosti lo stesso Chiappelli
quaodo scrive € che per rattualitA degli avvenimenti
Cino si estende a parlare con calore e cod eoergia del-
rimpero, de* suoi diritti suiritalia, e delle sue relasiODi
col Papato .. > (pag. 120).
Morto rimperatore 11 povero Cino 6 vedovo d*ogni
salute e prega la somma maett& giuata e benigna, Iddio:
Poi ohe ti fu 'n piaoer t6rci costoi,
Danne qualohe oonforto per altrui.
Egli in Enrico riponeva le plii fervide speranze, in quel-
r Enrico senza pari, Gesare dritto, sol degao dicoroua,
Di cui tremaya ogni sArenata cosa,
Si che Tesule ben saria redito,
Ch*6 da yirtd smarrito,
Se morte non fosse stata si osa.
{V Bdls. Kaa£ftiii.
ss
IR4
i^M
li poeia QOQ poteva approvare la sfrenatezza delle fa*
z'oni che avevano fatto rinfeliciU della sua vita, e v«*
deva in lai quel signore che nel moado ingrato
renda il timore alia legge
Contro la fiamma de le ardeuti invegge.
Ma pot che Tastro fU tramontato e poich6 le speranze
dei Qhtbellini, dopo il lutto di BoncoDveuto, andarooo
deluse e si sfrondarono a una a una, rantico Nero di
Piitoia dovotte trovare altra via, altro rlmedio ai mali
di sua vita, e attinse energia di conforto neiramore
alia scienza. Ma a uoi ci6 basti, paghi di aver dimo-
strato come un guelfo, un Nero, potesse raccogliere i
suoi voti e le sue speranze in Arrigo e farsi ghibellino;
egii fece ci6 che avevan fatto prima Dante e tutti queili
che, OuelB^ si fecer Bianchi dopo la divisione della casa
Gaucellieri; ai quail allude il note sonetto diOuido Or*
laudi :
Color di cenere fatti son 11 Biancbi
Che furon Gueld ed or son Qhibetlini.
tJ>, eMiio
#!^#t!#####tt^######!j!t#!J!#$
Fatto per grove esilio pellegriuo.
Cino da Pittoia.
SoQo quattro le questioni eheci si presentauo iatopDO
a questo punto dalla vita del doleoto poeta: Pu il suo
esilio forzato o toloDtario? Yenne bandito dalla parte
nera o dalla parte biaoca ? Iq quale anno, o almeno Id
qual giro di anni andd esule da Pistoia? Dove trasse
i dolorosi passi dell* esilio?
Sall'esilio di OinOi Tha gia detto G. Carduoci, la sio-
ria tace; e I'illustre poeta maremmaDO ha detto anche
che Cino parti da Pistoia, o il facesse di sua volenti, o
bandito dalla fazione vittoriosa; oh6 ragiODi per Tuna e
per Paltra sentenza possono trarsi dalle sue rime. Giio
il Carducci, e potrei accennare ad altri biografi ante-
riorl a lui, com*^ il Giampi, il Savigny, il Wiite e» tra
1 biografl posteriori, il Ghiappelli che propende per Te-
sillo volontario e il Nottola che, suirautorit&del Cbiap-
pelll, si accosta alia stessa opinioDe, e ii Bartoli che
fldttua tra le due seutenze: < 6sale forzato o volonta-
rio. andd vagando qua e 1^ per ritalia. »
Ma sin qui tutti asserirono o eapre6seroua*opioione;
nessuno, ch'io sappia, trattd la questione critioamente,
•come pu6 esaer fatto colla scorta delle Rime di Ciuo e
deiia testimoniaaza degli scittori. Pr0Geder6 per.esclu-
sioue. L'opinione che Gino abbia preso da Pistoia vo-
lontari; esilio, aacque specialmente dal sonetto indiriz*
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tato ad. Agatone Drosi da Pisa, < Droso, se nel partir
vostro in periglio », in cui ii poeta, dopo aver detto come
le atrociUi di parte sono inaudite tanto che < •^ TArne
al mar n*andd bianco e vermiglio >, aggionge: « .^. to
in*ho preso volqntario esilio », 6 oho an vento lo spinge
Torso il Po:
< Daolmi ohe Terse TPo spingemi on Teuto,
E non Ik doTo seto.
iQvero Tespressiono < m*ho preso TOlontario e-
silio > 6 cosl chiara che non pu6 lasciar laogo a discos-
sione. E Tatto TOlontario resta proYato«se ilsonettoad
Agaton Drosi 6 aotontico.
Ma aotontico non 6. Bdito per la prima volta da Ni«
col6 Pill! nel 1559, fU ristampato poi dal Giampi (1813-
14) e dal Fanfani a pag. 197. Non lo pubblic6 il Gar -
docci che gik della soa aotenticitk aTOva dobitato; ne
dobit6 il Bartoli (lY p. 69); il Ghiappelli fece osservare
come qoesto sonetto ha neU'altro: < Se tra Toi poote on
natoral consiglio »» la risposta per le rime e ne con-
close che totto al pid ono del doe po6 essere di Gino.
Ma on tolo MSL contiene il sonetto in qoestione, il Lao-
renziano 118, e qoesto lo attriboisce a Francesco Mor
gnanL
II secondo dei citati sonetti vien dallo stesso codice
Laorenr.iano, attrlboito ad Agaton Drosi; trattasi don*
qoe» come ben osserva il Nottola, (op. cit pag. 26), di
ona corrispondensa poetica fra altri rimatori. Ad A-
gaton Drusi che al Magaani aveya annonziato d'aTsre
lasciato la patria Pisa e gli onorati scanni, ftiggendo
< il sangoe, 11 foco »»e che si era mostrato in pena per
Tamico; risponde il Magnani dicendo come, se nel par-
tir soo il Drosi lasci6 <il nido in preda dei tiranni,
(probabilmeate i Fagiolani), ora gli odi si fecer pid feroci ,
E; TArop fil mar |i*aadO blaaop e vermigl{9
n&
E anch'egli va esule vdrso il Po. dolente di non poter
andare dove Tamico trovasi (sulla Sdua).
Perch6 questo in tutte le rime di Cino o a lui
attribuite» 6 il solo esplicito accenno ad un esilio vo*
lontario, resta tolta la ragione capitaledi credere che
GiDO osulasse volontariamente.
iDvero il sonetto 67 non sembra comprovare Topl-
nione del Chiappelli che il poeta sia fuggito dalla pa •
tria sdegDato dai mail che TaffliggevaDo. Infatti ledue
quartiae che contengono i versi che possono dar luogo
ad una tale interpretazione suonano:
C«ii grayosi sospir traendo gnai,
Donna gentil, de la vostra rivera
Contro lo mio volere m^allungai
E *1 dimorar peggio che morte m*era.
Ma per la speme del tornar campai
B ritorno a veder voi, Donna fera,
Cosi non fos8*io ritornato mai;
Deb, malann' aggia quella terra sfera!
Ora potrJi bene essere che respressione < m*allun«
gai contro lo mio volere > possa, sofisticando^ significare:
<mi allontanai contro le mie intenzioni, astretto dalle
necessity del memento. poich6 il dimorare m*era peg-
gio della morte. > Ma come potrebbe Gino dire < cam-
pal per la speme del tornare >, se il ritorno stava nel
placer sue? Dlrassi forse che egli aspettava per ritor«
nare che gli animi in Pistoia si pacificasserot Egli torn6,
come lo dimostra it verso:
E ritorno a veder vol, Donna fera.
Ma qnal fa questo memento di pacificazione nella
storia delle fazioni di Pistoia? Esse non avvenne che nel
1318, ma in quel memento Selvaggia, la Donna fera» a
cui il sonetto 6 diretto^ era morla da anni.
Ora la verity 6 che Cino il quale era state esiliato da
Pistoia, come asserisce ilTedici,probabilmente nel 1303,
dai Biancbi trionfanti, quando la citt& fu presa dai Neri
IM.
■■M^
coalizzati coi Lucchesi e coi Fiorentini, vide coronarsi
i suoi desiderii di sospirato ritorno. E torn6: ma la Donoa
fera esulava col vinto padre a Piteccio e al dolenfe fo-
pino che le richledeva piet^ e amore lanciava in faccia
il suo superbo disprezzo, guardand lo quel tanto che ba-
stassea signiflcargli cbe il suo amore le movea belTe e
riso
II ChiappelM a comprovare Pesilio volontario, cita i
vera! de'la caQzone 17 (Fanfani):
« M.^ Ogni psrteDza di quel luco ^ saggia %
« Ch'6 pleno di tormento »•
Ora, ammesso che queata caDzone sia autentica — e mi
piace di crederlo, bencb6 dob si trovi id nessun ma-
noscritto — l*argomeDto,.mi perdoni i' chiaroscrittore
pistoiese che oon iatellettod'amore ecou raradiligenza
illusird il poeta e giureconsotto suo coocittadino, ^ er-
r. neo. A chi voglia convincersene, basta rileggere la
canzone in discorso e piii la strofo a cui i due versi
appartengODO.L*infelicissimo poetasospiva lamortecome
termine de* suoi dolori; e !a chiusa, e tutia la canzone
6 canto disperato per la selvaggia gente^ crudel di se
stessa e d spfetaia, ed d un inno di desiderio alia mortei
poich6 non erode che altro piili gli giovi:
Questa geute selvaggia
II! faita si per farmi penar forte,
Che troppo affanno sotterra (^) mia vita,
Per6 chieggo la morie^
Gb'io voglio, iananzi che fkooi partita
L*anima da lo cor, che tal peu*aggia, .
Ch'ogni partenxa da quel loco d saggia
CIC^ pien di tormento.
E' dunque la fartenza dalla vVa terrena, la morte
che il poeta d sidera, non la partenza da Pistoia; nd d
nuovo questo concetto iu Oino; esse licorre, per esem-
iV A.Uri; iotterrd.
}«\
pio, nei versi del madrigale « Amor la lioglia mia non
ha confurio »:
■•••
s*io moro perder6 '1 bel viso
Dal qual tanto distrano
In verity mi sar^ lo pariire eoc (i)
Qaella gente Bianca e Negra, crudele esanguiAaria,
che uon d'altro si cura cbe di < gravar sua vita come
disperata ». quei cittadiai di un regno di demooi io fan
tanto penare cheegli languisce in leata morte (PaHaDno...
sotterra mia vita); percid, stance di sofTrire, desioso di
martiri chiede la morte, e anatomizzandone il pensiero»
s*abbevera di amaro flele. (voglio ch'i' tal pen*aggia),
c ^nsiderandone coo atroce mente la nera imagine, quasi
a rlcercare una piaga, ad uccidere un doiore con un
doloro maggiore; perch6 6 saggio lasciare quella vita
(loco) che 6 pieaa di tormenti. E* Tidea del suicidio che
lo possiede.
La canzone VIII pur citata dal Ohiappelli, non ac
cenna certo a un esilio volontario. L'lnnamorato^ Ion-
tano daU*amata, dolente sbigottito, invoca senza posa ia
doQoa sua; la sua vita si consuma (si stuta) semprepiu
in pianto e in languore. Or se da questa canzone — che
dai novo mss. in cui si trova 6 variamente attribuita
a Cino, a Selvaggia, al Ouinicelli, o anonima, ma che
anche a me pare autentica — si volesse crvare una
conclusione, essa scenderebbe opposta alia tesi del
Chiappelli. Infatti cosi suonano gli ultimi vers! del com-
miato:
Ganzon mla nnova.
..^.. a\ l# dirai W
Ck>m*io non speromai
(!) n madrigale si tro?«, oon qualche variante dalla volgata, nal oodic«
Bttense VIH, B — 427.
(S) alia sua donna, ^.
1^
Di pid vederla anzi la mia Onita,
Poscia non creggio aver si luaga vita.
SI lunga vita! Qaanto luogat Parpeb^e, finch^, ma-
lata la fortuna delle fazioni, fosse rimossa la cansa
deiresilio. Ma forse 6 meglio non trarre di qui nessuna
coDclusione, perchd ciascun innamorato delira in an-
goscie mortal}, aoche per brevi a^senze dalTamata, e
il nostro amoroso messer Cloo, parlando degli oechi ri-
lucenti e belli di S., cosi geme:
S*un pun'o sto che f^sso non 11 iniri
Lagriman gli occhi e *i cor tragge sospiri.
Qaanto aHa ballata XII, essa non prova so non cbe
Cino ha Jasciato i piu begli occbi che lucessar mai e
che avrebbe dovuto uecidersi prima di farlo. Pro
pendo a ogni modo, c me gi^ dis^si altrove, ad asse-
goare questa baliata a un periodo delia vita di Cino
aateriore airesilio e al 1300, quando la prima voltala-
sci6 Pistoia per gli studi universila!*i: infatti avvi il
dolore delta lontananza, non la disperaiione delle ri
puUe e il nero mortale sconforto del)*esilio.
Sin qui a confutarele argomenta ioni del Chiapfelli;
restano ora a vedere aicuni altri accenni a lontanan^a
dalla patria, da alcuoo dei quali appar chi^ro 11 c n-
cetto delTesilio imposto. Le allusloni plh notevoli si
tpovano nolle canzoni XII, XVI. XVIIT, XXI, XXII e
Dei sonetti XXXIV. LXV, LXXXIV, LXXXV, LXXXVII
deiredlzione Fanfani e Bindt.
La prima canzone che, a mio giudizio, alluda aire-
silio in ordine di tempo 6 La XII, « La dolce vista e *l
bel guardo soave>, nella quale lo spirito deiresule a*
mante appare angosciato d^il piii nero dolore, non tern*
perato da nessun conforto, perch6 la piaga 6 troppo
recente. Raccogliamo i pass! essenziali. Egli 6 gi^par-
tito dalla citt& sua, per lui la citt& delTodio e deli'a
mope,p^/ gran conlrario ch'd tra il banco e il negro.
163
LavitagUddiveDuta un peso; nutte in cuore desii nati
di morte. La rimembranza de* begli occhi ia cui s*i(D-
paradisa Amore, e che egli ha perduto, lo uccide,
B Ik 8i grande scbiera di dolore
Dentro alia meato, che Taniin^ stride,
e nall'allro che morte, tregua al marlirio del caor suo,
egli invoca. Quaata amarezza angosciata e quale tor
mentoso desiderlo in questi versi:
Tti sal (Amore) dove de' gire
Lo spirto mio da poi,
K sai quanta pieU sar^ di noi.
Nessuna pietd; ma, anche ( Itre la tomba, l*odio. Pure
SB Amore gli desse morte, farebbe atto di misericordia:
Amor, ad esser micidial pietosoi
T'invita il mio tormento,
Secondo il mio iaiento.
Dammi di morte giuia,
Si che lo spirto almen torni a Pistoia.
Biograficamente sono D0tey< li due pass! di questa
canzone, certamente autentica, perch6 si trova in ben
d:eci codici: il poeta 6 partite per le lotte dei Bianchi
e dei Neri; chieJe ad Amore la morte, afflnchd almen
lo spirlto torni a Pistoia, dov*e la bella sdegnosa,
Questi due pass! basterebbero da s6 a provare che
il N. fu esiliato da una delie fazioni, se un uomo in-
namorato ragionasse come Tultimo dei mortal! che ab
bia fior di senno; infutti, se Gino non tornavs'. a Pistoia
malgrado il veemente dolore che lo opprimeva, gli i
che ne era impedito dtlla fazione dominante, poichd tra
due mali, morir di dolore o viver tra gente crijdel di
s4 siessa e dispiet'-ia, il secondo 6miiiore
Ma poichi il rigore logico non 6 la miglior virtu
degli innamorati, teoiamo per fermo solo che Gino 6
partite dalla sua cittit per le note gare di parte, • che
i$i bQlIa crudele^ non giii, donna, ma scoglio, (famor
164
selvaggia 6 a Pisloia. Queblo i, seu^u piii, uo aitro av
gomeoto della tesi sostanuta nel capitolo autecedeate*
cbe OiDO era di parte Nera; poichd se egli and6 ia e •
silio da Pistoia quando vi trionfavano i Bianchi coi
Vergiolesi e oon essi Selvaggia. 6 uopo venire a quella
conclusione, giaochd i Bianchi, se fossero stati suoipar
iigiani, non l*Hyrebbero esiliato.
£ qui 6 opportuno di insistere sulla canzone < Lo
gran disio che mi puage cotanto >, la quale, come spero
di dimostrare, fu scritta nel 1303. II cuore del poeta
stilla Jagrime, il suo pensiero d tutto rivolto alia spie-
lata lontana:
Va d'ogni tempo e riede
Lo Bpirito, mia donna, ove state;
e neirardente imaginare si fa ineifabilo il desiderio di
vederla e la piaga piti tormentosa. L'anima sua anela a
Selvaggia:
. . • non vi sia in disgrato
Se da me parte, chiatnando Selvaggia,
L'anima mia, ch'a voi servente viene,
Voi Biete lo suo desio e lo suo bene.
li questo desio ardente mi ucciderd, dice Gino,< tar-
dando il redir mio ». Ora notiamo questa espressione,
oltre airempito del dolore che non pu6 lasciar dubbio
sui motivi della lontananza, e ricordiamo che, col com-
miaio, il poeta dirige la canzone al signor di Pietia
mala, in Pistoia. Chi sia costui, noi lo diremo : a lui,
alia sua giustizia, al dritto sfgnore Indirizzava la sua
preghiera il profligo ed amante, e non 6 insana con«
gettura che implorasse pel suo ritorno,
ADche la bellissima canzone < Quando potr6 io dir
dolce mio Dio », cui il Pilli chiama sestina, e che dun
inno di preghiera al Dio d*Amore che ralio del distrifige,
ta scritta in lontananza de)l*amata e certamente daire-
silio, da cui il poeta gtd mat ndire non spat a, se 6
autentica la licenza, mancante, dice il Fanfani, nei cp-
dici.
1«5
Crede ii Oiampi che li N. scriveise in Bo'ogoa la
canzone < Mille voIie ne chiamo il di mercede >, che ()
la 1S^ del Faufani, e basa Targomeato suo salla licenza:
Vola, Canzone mia, non far soggiorno:
Passa '1 BJsenzio« e TAgna,
Riposandoti appunto in su la Brana,
Dove Marte di sangue il terren bagna,
E cerca di Selyaggia ogni contorno;
Pol di*: Senza magagna
Mio signer far& presto a vol ritorno.
Gho Cino fosse a Bologna intanto che Marte infU
riaya in su la Brana, fiumicello che scorre pel lato set*
tentrionale di Pistoia, 6 ammissibile: egli poteva esserci
neirultimo decennio del secolo XIII, intento agli studi
unirersitari, poteva esserci quando piii tardi sostenne I'e-
same private. Ma oltre che nti par strano che il poeta
invlti la sua canzone a non indugiare ad andare a Pistoia,
mentre le addita una via cosl lunghetta come 6 quella
che da Bologna va a Prato, attraversa il Bisenzio e I'Agna
e conduce a Pistoia, 6 altrettanto inverosimile che» men-
tre resale innamorato delinea con precisione, con i Qumi
Bisenzio e Agna. )a via da Pistoia a Prato, lasci invece
indeterminata affatto la via da Bo ogna a Prato e solo
c<4ngetturabile dalla fantasia del Ciampi. Cos) parmi piu
logico ammettere che il verso
Dove Mdirte di sangue il terren bagna
non allada soltanto alle quotidiane vendette di parte
indegne di Marte, ii dio delle battaglie, e degne piut-
tosto della Discordia, nel suo squarciato ammanto, ma
ai fatti d^arme, alle lotto che Pistoia ebbe a sostenere
contrcf ai fuorusciti ribelli e contro Lucchesi eFioren*
tint che Tassediavano; quando rubate ed arse le case
dei Siiiibuldi, essi furono costretti aritirarsiin Damiata,
nella fortezza di Simone Cancellieri, dove Cino forse
30^1 le 9ort| delta famiglia; e oaduta Damiatai o con
etsa le case dei Tudici, dei SiaibtrfHi, Tebertelli.Lazz&n
e Ricciardi, Piitoia, dimagrata di Negri, rimase alia ^'
ziooe nemica; quiiado i Fiorent'Di si uuiron ) ai Lncchesi
e agli esuli Neri ai danni della piccola e forte citti :
giorni di inaudite crudelU che ridussaro Pistoia affa*
m&ia, pill sveniwa'a di Sodoma e G "f-orra, e faltre
terre che in un punto profondarono. t'l e la diedero
oelle mani dei coDfederati. condetti da Uoroello Mala-
apina, vapor Ut Val di Magra. Or, Doi uod possiamo
seguire il fuggitivo p eta nelle sue peregriuaziooi del-
I'dsilio; ma d verosimiie riteoera che la canzone aia
stata scrilta a Pi-^ito, perch6 allor^ appare ban pi& gia-
stificata la delineaHone delia via risultaote dai versi
succitati: Prat", Bisenzio, Agna, Braoa; e percbft sap
piamo che Cino, ribt.tlo di Pistoia, scrisse a Prao an-
clie il sonetto:
Lafio pensando alia distrutta valle,
in tssta at quale trovasi ael cod. Casatatense, e nel
BoJogn. Uoiv. 1389, la scvitta: Es-endo a Prato ribelo,
di Pistoia,
£ a proposito di questo sonetto iosisterd sul fatto
clin se il poela era lontano dalla patria qnaodo lo scrisse
e la fazione nel'a sua citta dominaote gli facev.i seatir
peoa di una colpa di cui era inuoceote, obbtigandola
A una dura lontananza, ne appare necessariamente IV
dea deU'esilia forzato.
Ma Dou 6 tutto. Cino indica chiaramente come ^li
fosse esiliato nei seguenti versf diretti all'esnle lloren-
tlDo:
Poi oh' i' fui, Dante, dal nital mlo alto
Fatto per greve eailio pellegrino,
B Lontanato ^.al plao^r piii dno
Gtae ma' formasBs '1 sarere inflDito;
r son piangsndo per lo mondo gito,
(1) Dins OomjKvn'. la R It. Serpi IX, BIS, D.
1^
E ue apparo come il pcGta fosse condaoDato a ^r^6
esilio, e in queste parole si compendiauo tutii i dolor],
tutte ie angoscie che il ramingo Infeiice sofferse dal
di che fu strappat ) alia contempla/.ione della plu su
blime bellezza che raai ViKifinUo mf.ere, Id^io, formasse.
Ud altro accenno alTesilio Tabbiamo oella quarta delle
epistole di Dante pubblicate dal Fralicelli, gi^ per la
prima volta edita dal prof. Carlo Witte: < Exulanti Pi-
storiensi Florentinus exul immeritus, per temporadiu-
turnasalutem et perpeiuaecari^atis ardorem », la quale,
come i) sonetto < lo sono state con amore insieme »,
4 responsiva alTaltro di Cino < Dante quando per case
s*abbAndona ». In essa il poeta ghibeilino conforta
Tamico sventara'o: < ... frater carissiine, contra Rham-
nusiae spicula sis patiens te exhortor: Rii paziente
contro i dardi di Nemesi... e dallo memoria tua nou
cada quc^lla sentenza: Se vol foste cosa del mondo, il
mondo ci& ch'6 sua cosa amerebbe ». AlTesule, vittima
della Rhamnusia Yenu', la dea dello sdegno e del'a
vendetla, e della ferocia di parte, doveva sonar dolce
la parola di Danle — florentinus exul immeritus - ; en«
trambi superior, ai lartiti ed entrambi vittime di essi.
E qui parmi opportune riferire ua aneddoto gi^ ri-
portato dal Carducci da un cod ice Vaticano che con-
tiene rime di antichi poeti e fu del Bembo: < Avvenne
che fuggendo, giunto al passo di un fiume pericoloso,
Messer Cioo fu conosciuto da un viliano, il quale non
lo voile passiire alTaltra riva, ?e prima nonglidavaun
consiglio > Tradizione postuma, dice il Oarducc', ma
che dimostra quanta fosse ropioione popolare della
sapieuza di Cino; e da essa 6 lecito arguire che Gimo
fuggeate non aniava in yolontario esfiio.
Cino adunque fu bandito dalla cittii natale, e fuggi
da essa coi vinti. Ma chi erano i vinti coi quali fug-
la^
giva e chi i vincitori ? quaii sodo gli anni delPesilio,
e dove Tesule trasse i dolorosi passi ?
La risposta alle prime due domande i contenata im-
pMcitameote in ci6 che fln qui ta detto; qaaoto aU*al
tima questione siamo in phvieove ran dche luca o ben
poco.
Poich6 nell'antecedeDte capitolo si d dimostrato che
OiDO appartenne ai Neri, bisogaer^ concladerne che e^li.
esule per le fazioni, sia state sbandito dai Bi*inchi, ne-
mici della sua famiglia. Ma con ci6 si spo«ta anche la
data deire:iilio, perch6 egli dovette essere evidentemente
bandito da Pistoia quan«io vi imperaynno i faziosi $uoi
avversari, per qtmoto i biograS coUochiuo resilio dope
il 1307, dominanii i Neri. Cosi il Witte dice ohe il N.
era stato, innanzi re5^ro,assessore presso il tribunale
civile della sua citta natale. Ora» poichS Cino fu asses-
sore in Pistoia Tanno 1307, 6 chiaro che il Witte as
segna I* esilio di Cino a questo e agli anni seguenti.
Anche il Carducci cos\ la pensa. 11 Fratice li dice cbe
< resilio di Cino fu dalTanDO 1307 al 1310; il Ohiap-
pelii lo coUoca nel 1307, dicendo che il poeta < dovette
rifugiarsi nel castello di Pitaccio presso i Vergiolesi >.
Ricercando Talternato trionfar delle parti, troviamo
che i Bianchi dominarono dal 1301 al 1306. Or pu6 es-
sere che anche Tesilio di Cino cominci, cooae ho gi&
acceunato, colTanno 13 Jl, quando i suoicousorti furono
cacciati dalla patria e si ritirarono a Damiata/^^ Esap-
piamo che a'cuni dei Neri fuorusciti andarono a Pra^o ^);
e dalla scritta che 6 in testa al sonetto < Lasso pen*
sando.... » rileviamo che a Prato fu anche Cino; e gli
esuli furouo dai Pratesi accommiatati per paura de'
Fiorentini. I Neri rimasti a Pistoia furono processati,
costretti a confessare che volevano tradire la citt^ per
(]) l8t. Pist. Ed. di Prato 1)05, pag^ 22- $3,
(<) Ivl, pag. 25«
160
darla ai Lucchesi, coadanoati in mulU di dueceoto, cin-
quecento, mille florioi, caociati ai conRni, m rti, fedM,
presi; le case dei Tedici, Siniboldi, Lazzari, Riociardi
furoQO affocate o abbattute. Nel 1302 troviamo i Sini-
buldi afforzati e'>j Neri n UD c^stello della mootagDa
pistoiese, il quale fu poi preso dai Bianchi, e neiras
salto peri Lapo di M. Te^riao Sinibuldi cugiao del N.
Ma per que^to sia ovvio il credere che Gioo seguissse
le sorti della sua famiglia, nou 6 da trascurare la te
stimonianza gi^ accenaata del Tedici, veridico storico
pistoiese, ii qual'^^ celle sue Storie (^s iiiedite narra come
<GiDOde Sighibuld) di Pistoia essendosi partite dicasa
I'aiiDO 1303 da nimicizia e parzialitii di quella aQd6... a
Parigi iu Fraocia... >
Ecco aduDque che uuo storico atteudibile per anti-
chiU e per veridiciU viene ad appoggiare le nostre
congetture sulla fuga di Cino e sugli anni del sue esi-
lio. Ma dove si reed Pesule? Che andasse a Parigi ce
lo dice lo stesso Tedici ed 6 yoluto aoche dnlla tradi •
tione, la quale per6,i noi Tabbi^mo visto, si fonda sopra
tin argomento err.>Deo; che dimorasse a Prato ribello
di Pistoia, ce lo fa credere Tiscriziooe dei codlci, gi&
da noi citata, in testa al sonetto < Lasso peosando.. »;
forse altre rime ci permetterebbero di seguirlo a Pisa,
a Bologna. ..
L*e8ilio dur6 probabilmente sine aU'anno 1306, in cui,
caduta Pistoia, I'undici d'aprile, nelle mani dei confe-
derati, anche Cino potd entrarvi c )n tutto 11 partite
de* Neri, e, infelicissimo amante, si augurava di non
essei* tomato mai. (')
(]) B OD mas cartaoeo In fol. del Sac XVT, esistente nella Portegoer*
rlana di Pistoia II Dottor Bernardino Vitoni, ch« gi& lo posssdette, volevft
pttbMieaflo per la raritd^ per ii pregio^ 0 per (uUi i caratteri di veritd ehe
in U raechiude,
(S> V. Son,: Con gravos' soapir^ traendo guai^ ohe dovatte essere aoritto
in qiio8t*oooaiion«^ Cfr. pag. 07 di queite note.
1^
Fra i patti della resa fa che alia parte Bianca do*
▼fssaro rimanere i castelli di Piteccio e della Sam^nca;
ttscitl i Vergioles! e gli altri Bianchi, entrarono in Pi
stoia BIdo da Gnbbio e Moroello Malaspina. E'con easl
che torn6 Cino? Certo nel 1307 egli era giadice delta
cause civili nel la terra natal e. crsa cupida e stanca;^
coprlva quella carica Don come cittadino snperiore a
ogni partito» o tollers to dai Neri per la sua imparzia-
litii, ma perch6 Nero egli stesso; senza dubbio cosl ap
pare meoo disinteressata la sua sentenza in favore det
Odeiussori Neri, di cui abbiamo altrove parlato: meoo
disinteressata, ma altrettanto rigorosa di fironte ai te-
st! di diritto.
Che nel 1303 U poeta di Selvaggia fosse in esilio da
Pistoia, lo si pud provare anche con un argomento che
parmi decisive. Esse sta nel dimostrare che una can*
rone dettata dai dolori delTesilioe delPamore, Ai scritta
nel 1303, per quanto prima d*ora si sia assegnata al«
l^aono 1313.
Gid mi dar^ occasione di rischiarare anche un dub-
bio iotorno agli anni di morte di Selvaggia, gik dal-
TArfaruoli determinate, e da posteriori biografi ieflr-
mato
A furia di scalzare attendibilit^ alle notizie che ri-
riguardano Selvaggia, qnesta bionda ed ideale Madonna
diventa, storicamente, un e^ere dawero troppo sfng
gente, impalpabile, ev inescente. fnvero: cosa di lei sap
piano dope la notizia che fu amata da ^ino, sdegnosa>
crudfjle, avversa al p(»eta per animo e per partite, che
forse fU sposa al Focaccia, che forse dimor6 a Bologna
dove g)i occhi suoi avrebbero amm&liato anche Gherar
duccio, e che inflne and6 esale da Pistoia col padre a
Piteccio? Sappiamo che morl alia Sambuca. Ce lo dice
m
l*ArfaruoIi; < Mori Mad. Selvaggia alia Sambuca, castello
del Vergiolesi, d* ve M. Filippo suo padre, per le fa*
zioni civili di Pistoia si era ritirato colla sua famiglia;
il qual luogo vend^ ai Pistoiesi TaaDO 1311 »; e pro
priameote sarebbe morta nel 1307, cio6 lo stesso anno
ID cui Filippo abbaodoDando Piteccio insostenibile^ si era
ritirato alia Sambaca.
Ebbene: perfiao Luigi Ohiappelli il quale, in genere
mena biione le asserzioni delTArfaruolielo ritiene udo
storico atteridibile, qui asserisce essere ancora molto
Incerta Tepoca della morte di Selvaggia, e come non
abbia molto foadamen'o ropinione comuoe che la Ver-
giolesi morisse durante Tas^edio della Sambuca, soste •
Duto da Filippo Vergiolesi di lei padre contro i Neri di
Pistoia £ difatti da varie poesie di Ciuo, egli dice, ri-
sulta che visse aoche molto dopo Tassedio della patria,
ed anzi che viveva ancora nel 1313 quaodo Uguccione
della Faggiuola tentd di occupare Pistuia. E per com*
provtire il suo d re, citala canzone < Lo gran disio che
mi stringe cotanto ».
Vargomeato del Ohiappelli 4 ancora quelle di 3.
Ciampi, il quale si riferisce al commiato della canzone
succitata :
Canzonei vanne oosi chiusa chiusa:
Eatra in Pistoia a quel di Pietramala,
E giugni da quelFala,
Dalla qual sal ohe '1 nostro Signor uaa;
Poi si, 16 T*^ '1 dritto segno
Quardami, come d^i, da cuor malvagio.
Ora, dice il Ciampi, quel di Pietramala 6 Uguccione
€ uno del Vicari del defUnto Imperatore Arrigo VII, e
che prese a rimetterein Pistoia iGhibellini, nel 1313 ».
Ahbi;imo visto che nello stesso modo lapeosa ilCbiap
Polli» e sggiungo che an che il Fanfani sottoscrive al-
ropinione del dotto professore deirUniversit& di Pisa.
Qr^ da Q\t> si desumorebbe che Sel^aggia dovova
m
ancor esser viva nel 1313, se lacaozooe di cai trattiamo,
scritta Tivente Selvaggia — ogauno pud leggerla ^ fu
dettata in queiranno. Ed ecco dunque che, pe/ con
86090 di tre illustri commentatori del Pistoiese.i quuli
pure non si sono mai sogoati di negare la lor fldDcia
HlTArfaruoli, 81 darebbe un ultimo crollo aIi*autoritk di
quel primo biograf).
Ne conseguirebbe adunque che la aotizia data dal-
TArfaruoli dod h esatta. Oltre a ci6, se Selvaggia era
ancoi* viva nel 1313, come potrebbe ci6 accordarsi con
la notizia che e<»H, sarebbe morta in uno del castelli
del padre, secondo ogni probablliU la Sambuca, come 6
confermato anche dal soaetto del poeta:
< lo fui suiralto e sul beato monte » e dairaltro di
relto a Dante: € Signor, e* non passd mai peregriao »,
quando noi sappiamo che Filippo Vergiolesi cedette ai
Pistoiesi per lire undicimila il castello della Sambuca
non piti tardi del 1311? (0
£ 80 Selvaggia era gi& morta nel 1311, come il poeta
la erode ancor viva nel 1313?
Per ri8olvere la questione, qui vien natur le un*al-
tra domanda: come mai poteva il poeta invitare la sua
canzone: < Entra in Pistoia, a quel di PiHtramala —
E giugni da quell'ala — Dalla qual sal che '1 nostro
Signor usa >, riferendosi al signer della Faggiuola, "e
in realty Ugucciouv) Fagiolano in Pistoia non fu mai,
perch6 non in nessun tempo non ne fu signoref
Come questa^considerazione non venne in mente al
dottissimo Ciampi, al Faufani, al sottilissimo Ghiapptfl'ii
che pore con taota ditigenza si sono occupati di Cinot
Che dice la storia a questo proposito? Sembra op-
portuno consultare le crouache Jo:ali. E anzitutto ci
(1) V. Anoniito pUtoUse. Sd. cit. p g. 81 82 — Vodi altres) M A.. SaM
Itterie dl Pistoia, pane 9.^ 1. V, pag. 29S-S93. M. PUippo o L»apo> dopo et*
•erii ritirato da Pi(acoio allaS-iiubuca, « a Zmm^^o amtar^ iadeboli to • itanco^
fece aocordo col comune di Pistoia, e resell la Sambuca per undicimila lire,
OBsenilogli gili inoria in detlo luogo M, Selva^uia sua figlittu'a>
173
apprtode rAnonimo pistoiese, ciii G. Carducci chiamft
fedel rJtratto di ouella bella e forte cittadinanza, che
Ugiucciune stando ad assedio ja Mootecaiioi, ebbe trat-
tative pep avere la citU di Pistoia con alcuoi villani
di pkcoLa coodizjone < li quali guardavano fa ootte Id
su ie mura da porta di Ripalta.. ... A dl II di Dicembre
di noitei A. D. 1314 cavalc6 ve'so Pistoia >. La citt^
yien sorpresa; ma, dato railarme, « veggeodo ^a gente
di UgucciODe lo popolo, e li cavalieri, th'erano nella
cittdy trarre loro addo>so vigorosameDte, e fare lore
gpande danno, e yedendo che lo di si facea, e che U •
gucciooe DOD li soccorrea, si ridussero verso la porta
di Ripalta. AUora quetli deatro li percossono, e misonli
fuori della citt^ per forza con grande loro danno. E
uaciti fuori li nemici, quelli dentro montarono in su
la porta, ed in su Ie mura, ed in queito punto giunse
Uguccione alia citt^ con la sua geute, e vedeudo che
11 suoi erano cacciati di fuori, si ritrasse indietro. ... e
toraossi a Lucca. »
' •
In questa occasione fu ucciso Lando di M. Filippo
Yergiolesi. che militaya nelle file di Uguccione. alle
quali erano accorsi i Ghibellini fuorusciti di Pistoia e
delia Sambuca, quando Ie loro speranze furono deluse
per la morte di Arrigo, polch6 il Fagiolauo, < uomo
alto di statura, horribile neir aspetto, feroc > nel sem
biante, si rappresentava a tutti inyitto, severo ed infa-
digab.le. > Abortito ii tentat vo dei Ghibellini, < i Pi-
atoieai riconobbero la salvezza e la vittoria da S. Eu-
lalni» vergine e mdrtire »
B' ben yoio che i Pistoiasi su) principio del 13^16 de*
libiirarono dj eleggere Uguccione a loro podest^ e ca
.p^^no; ma oltrech6 Cino dovette aver scritto la caa-
zone che contiene il passo di cui ci occupiamo e la
J quale i^ira Tempito deii a piu yibrata passione, nel pi u
.f6ryi4i giorni d^amore, quando i^ delusi ni, idqlori qi-
174
Yili 6 politic! Don avevano ancor stanca raoima siia. e
DOD nel 1316 in cai il N. doveva essere aoaomopresso
ehe cioquantenDe; s'agglanga che 11 Pagiolano. dopo di
aver acceitato Tofferta foltagli dai Pistolesi, maod^ fiiio
al SQO arrivo Messer BuongiovaDni da Perrara; ma, coUa
potenza e co'Ie vittorie di Oastraccio, doT^tte emlare
presso Can Qrande delta Scala.
Qui 6 pur prezzo deiropera osservare come Selyag-
gla DOQ poteva trovarsi io Pistoia, ni Oino dirigerle It!
la sua caozone, non nel 13 '3 perchi abbiamo visto die
il fratel suo Lando Yergioleiil fu ucciso mentre militSiTa
coDtro la patria sua, nou nel 1310 perchi solo net 13>8
a di 28 Maggio si concluse la pace tra Quelfi a €^i*>
bcllioi di Pistoia, per anirsi iosieme contro Oat tmecto,
se pure, contro ropiuione del Salvi ohe qui abbiamo
seguito, non si deve prestar fede airAnoaimo pistolese
il quale alTanno 1320 ci descrire i Vergiotesi come al -
leati col nobi'e vomo Oastruccio Intermioelli, ai daunt
di Pistoia, e ci narra di piii che in un cerlo scontro
fu ucciso P ero di m. Bertino Yergiotesi € ano dei pHi
pro, e Dobili donzelli di casa sua. »
Dimostrato cosi che Oioo non poteva in^ttare la
sua cauzoce a andarne cosi ehiusa chhisa in Pistoia,
ad Uguccione, nel 1313» mi prOYO a aostitnire nn altro
personaggio a cui la canzone si raccomandi, ean*attea
data.
Narra aiunque Michelangelo Salvi che < nel ttieso
di Agosto del 1303 si scoperse in Pistoia nna coagkiPa
contro la cittii e paciflco state della parte bianea p^r
favorire i fuorosciti Neri. Capi della quale fi^rooo Nttlo
di Ouardooe con Vantino suo figlio, e Vanni di han-
franco di Arrigo, onde ftirono tutti bauditi como ri-
belli, e i loro beni conBscati da M. T\)fnaw 8iff*^^^^^i
Pietramala Cap tan-y. p
B* questo il drit^o signore a cui Oioo manda la sva
oansone? Senz*altri argomenti, par aapendo 0lieOmo in
m
qQMt^aniio 1308 era in esllio, non oserei affermario.
Ma itk questa mia opinione ml raflerma uaa coaget-
tura che ho potato fare sulfa licenza della canzone dl
cat qui ho trattato e che chiedo di riprodurre:
Canzone, vanne cofl cbiusa cbiusa:
Entra in Pistoia a quel di Pietra mala
E giugni da queirala,
Dalla qnal sai che '1 rostro sfgnor usa;
Pol si, se v'6 •! dritto segno....
Guardami, oomo dei, da cuor malvagio.
Oos' s'ampa il Panfanl. Ora il penultimo verso ha una
lacuna; n6 11 codice Riccardiano la riempie ; ma il
Ohifiano legge:
Poi si, se Y*6 il diritto segno, Masso
Guardami, come de', da cuor malvagio.
n codice Trivulsiano 1058 cosi conQia il distico:
Usa poi si quel dirito segnio
Ma solo guardemo, come dei, da core malvagio.
Non son versi. Le parole andarono altera te e tra-
sposte : ma i itornando VUsa al terz*uItimo rerso come
negli altri codici, ab^iamo :
Poi si quel dirito segnio
Ma solo guardemo, come dei^ da core malvaso.
B* mancinte il primo verso, riiondante il secondo:
ripristiniamoli, come ce ne addita la via il codice Chi*>
giano, accettando il Masi — Mn$o[lo) — del Trivnl-
z ano, restituendo le due prime sillube deIl*ultimo verso
alta fine del penultim *, come di ragione, e sopprimendo
quel lo (M?i sol >) Interpolate dal non intelligente ama-
iluense e che d*aUronde non esiste nel codice Chigiano:
Poi si se v'6 '1 diritto signor Maso
Guardami, oome del, da cuor malvagio.
Bfa le rime dl questo commiato devono evidente
mente corrispondere nelTordine a quelle della sirima:
dovremmo quindi avere il seguente schema :
A B B A C G
in cui 1 due ultimi versi sono a rima baciatot
174
Per otUn^rla, biso^a scostarsi alqaanto dalla to
DOlogia comune e lef^gere:
Poi si, se v'6 'l diritto si^nor Nfaso
Ouardami come del da caoi* malviu.
Ora questa des^Denza nso per agfo 6 facilmente ri-
scontrabile in scritiori posteriori e non toscaoi: e ba-
st! per noi citare tra essi il Boiardo. Orlando loDa-
morato p. Ill c. VIII, st 65:
Par ch*io potasai dar a questo an baso.
Ma Don ci staremo certo paghi a ci6 per coonestare
la nostra coDgeitura, tantopiti trattandosi di un riflesso
che i TOcabolari non re^istrano. mentre aegn^uo mal*
vascio — S. Oerolamo ha le malvasce Cigiiazioni del
secolo — e molvasia per malvogilii. La proposta le-
fione avr& piCi 'erio fondamento, se potrd dinro8trara»
almeno per analogia, che il gruppo gio ^malv-^^/oj i
talora mutato in -^o(malva^o) ne! poeti con tempo ranei
o anterior: al N.
I riflessi ^gi^, -so: derlvano o del gruppo </ . o dal
gruppo si e sono identici per ambedue le derivazioni
Nella canzone « Contro a lo mio volere » di Messer
Paganino da Serezano o du Serzana, nel codice Magliab.
Palatine, abbiamo al v. 4^ il grufpo • ^^o mutato in •$(»:
Rasona per ragiona.
Oosi: Ganz. « Dolglio^amente e con gran malenanza»
di Predi da Lucca, v, codice citito: rasone jrer rag tone.
Oanz, « Allegramente canto » di Messer lacopoMo-
stacci, V. 30, detto codice: preso per pregio.
E ancora: Ganz. < Considerando I'altera valenza » di
Meo Abracciavacca, strofe IV, codice Mgb Pal. rasone
per rag one.
Ho detto che i riflessi so per gio derivati dal gruppo (;,
ai possono osservare nolle parole derivate dal gruppo si.
Oanz < La buona venturosa innamoranza » di Max
zee di Ricco di Messina, t 18, cod Mgl Palat: Casone
per cagione.
11*
Oans. « Amore avendo inieramente voglia » di Ma-
zeo 0 Matheo di Ricco di MessiDa, o di Rainerl da Pa-
lermo, V. 34, cod. cit; Malva^io per malvagio.
Canz < Ai lasso che ii boni e 11 malvasi > di Guit-
tone d'Arezzo, strofe 1., cod. cit: Malvosiper malvagi.
Canz < Se da vol donna genie », strofe 4.^. Mason
per mngione.
Gosi si potrebbe riscontrare un basare per baciare,
e ancora in Guittone nella canzone < Gentil mia donna
gioi sempre gioiosa » strofe 9.* an malvasiiA per mal«
Tagii&.
In Bonvesino abbiamo presone^ casone per prigionet
cagione; un malvasu cita il Caix, allato a fnalvasi, e
fasano per fagiano (^).
Oosi ci insegna ancora N Caix che mentre nel flo-
rentino e nel pisano lucchese 6 generate fin da prin-
ciple la notazione gi; nel pistoiese e neiraretino senese
gi h raro; e invece si alternano le notazioni si^ seU sgi;
e Taso di si e non mai set o sgi 6 proprio di Pistoia.
Bd 6 importante il trovare come notazione il semplice
s: rasone, preso per rag/on^, pregio, in cui il Oaix in*
clina a ravvisare forme in origini nsate dai poeti, di
cni la corrispondenza coll a franco-provenzale pot& age •
TOlare la diffusione.
La lezione da me proposta parr& anche meglio aTva.
lorata achi consider! che, in Oino, queste forme, ie quail
si allontnnano dalFuso comune, sono assai frequent! e
moitepliciy adottate o per ragione del la rima, operchd
proprie del dialetto, o perch4 consacrate nei poeti an.
teriori.
Per tutte basti citarne alcune: saecio^ forma affatto
meridionale, di cui non 6 eaempio nolle schiette prose
(I) Y* « qaetfto proposito U magiitrale laToro del dott 0. N. Calx: € L«
origiai delUi liagaa poetioa italiana ».
\
\
its
toscabe," accreaTTat5*f5rs© presto t'poeti deila scuola to •
scana dalla. corrispondeaza del provenzale sapcha, tv.
sache; (Oanz* 1 ed. Fanf.)
chevdre per chiedire, come anche in Qulttone, che
accenQa &d UDMofluenza del pr( venzale, guer^r; (Qanz. 24)
riluc'ino, sedfdno, spostameati per uso del verso e
delle rime; (Cans 14)
maggio per maggiore^ frequente anche in Guittone;
(OanZt 2 )
mcve per me^ con vocale paragogica, perrim^ire con
fieve. ^ forma meridionale cgme tene^ sene ecc, comuni
in Oiullo; mentre la fcrma toscana sarebbe mene;
(Ganz, 14).
10 scamt>io della vocale o inu: vui per yoI; (Son 18)
gli scambi di coniugazione: spegnare per spegnere;
V assimilazione dell* imperfetto della 2.*^ coniugazione a
qaollo della terza vedia pervedea (rima: mia) ; Canz. 8;
battia, C'd'a (Ballata 6);
ia. desinenza u^o per ito, rara nelle scritture toscane:
pariuto, sma^rutOt fef^^o; (Son. 83)
le voci for^e foggiate ad arbitrio, per ragione della
rima, pome dannaggio, aUegraggio, paraggio^ eorciggio
per cwore, Canz, 2 Canz. H.;
le parole come beflore, dolzore per analogia dal pro
venzale {baudor, douso% folor ecc) Son. 7; 11, appen-
dice;
lo.scambiOf pure per analogia tol provenzale di ore
con urai ra*^cura; Son, 144,
at mt^ parve!»te,JvKse secondo I 'use fr. pro venzale;
Cfr Tesor. A tuUo H tuo vivenle.
Dcttare e dottanza, sincopato per duhitare, e dubi
fanza (Son. 59^), guarti per gvardati{Sou.W]\ la forma
meridioMale appcia, usata anche da Oante fS. 117); e
molte altre forme non regolari come penszvo (eft pror.
pensiu), son. 99; il verbo vargareper varcare; (son. 14
:Barca) cfi". L. 85 : Tomato da Paenza ; ihveffgieti vtngare
179
(prov. venyar); robb.i col raddoppiamen to delta latybiale,
come in Guittone; il (iambiameiito della vocale'ttin o:
glonto, ponto, defonto 'son. 20); fdre, per fuorl; *iar-
tlro, (Canz. 7); ptangeno per piangdno (sc^. '48)> $ot)*
vitehbe per ^o'overreb*)e\ la desi-aenza io per la terza
persona deirimperfetto: infoilio^ \isxi\o, abbdiiio.^ntiOi
inorio (Son. 57, Canz. 7.); fedio (Oanz. 10.) giudio per
ffiuico; la rtednenza i per e: gemmteri' per ^^/fmtfere,
e, per amore della rima, il raddopplamento 'della li-
quida: ra le p6r sale verbo (: vaKe):
Che '1 plan to del cOr mio agli oc6hi salle;
la metatesi btigzadro ( : sguadro); la rima strajiissima
avidlo: il prejin ehe n'at^.d'o, per rimare con^o7a(Son.
125); aUebbia per allegge^ isce come vuole il Fanfani,
0 allibisce come vuole laCrusca; edaltre infiolte forme
pjuomeno comuai alia scuola toscana. o prpprle delle
icuole anterior! o faggiate dal N« ad arbitrio.
Con questa lunga eoumerazione. di cui chiedo venia
ft credo io, abbasUcza dimes trato quanto grande fosse
la liceoza e la osciUazione delle forme iD~Oino, e d'al-
ironde l*uso detla desineaza aso in malw.iso ft abbon-
dantemente confortato dagli esempidi^ltripoeti, sppra
citati.
Or rUornando al commiato della canzone cbestiamo
esaminando, noi abbiamo un Maso cbe, unito ai titolo
di PSelramala de'ia siessa licenza. ci d^ Tommaso di
Pietramala al quale Oino evidentemente raccomandasft
stesso come a capitaoo del popolo in Pistoia.
ReSta pei*tanto assodato che )a canzone « Lo 'gran
disio che mi strlnge cotanto » fu scrltta neiranno 1303,
pofclrft in qire8t*anno il signordi Pietramala fa pubblico
ufflciale nel a patria del N. ; e qaesto, io dieeva, ft un
argomeiito di piii per aflfermare che Ciuo tra esule nel
1303 e In quel giro di anni, e per segutre la tradi^ione
Oho^^lYagghi sia perlta nPa^^Satttbtrca, su ;gli /aftjjri monti^
1»
come te9tiQc6 rArfarooll e come pare accenni lo 8tes80
poeta nelle citate rime. Oino apprese la morte di quella
donna in cul risplendea deitd a arm re, probabilmente
quaod^era giadice delle cause civili, negli anni 1307-9, e
rapprese in Pistoia, come si pu6 arguire dal sonetto
< Debt Doa mi domaudar perch*io sospiri »dODde sap-
piamo cbe il poeta, non appena udita ia Catale notixia,
fa agli ocohi suoi vedere gli usci e 1 mnri delta casa u'
s'andamo a innamorare, come lo sventurato cbe tro?a
yita neiralimentare il suo dolore. Fece quindi uq pel-
legrinaggio alia tomba deU*amata, alia Sambuca, sal-
Talto e sul beato moate, dove adord baciando quel santo
aasso, e con voce di dolore, cbiamaado Selvaggia, passd
TAlpe, sia che allora seguisse Lodoyico di Savoia, sia
che» spoglio d^ogoi allegrezza e d*ognibeoe, tenesseal-
tro ylaggio per sopire PimmeosoaffanQOdeatatogli dalla
comtemplazione del vel Unto e del drappo scuro che
ricopriyan le ceneri delta doaoa sua; se essa h, come
Don esito ad affermare, uon ombra ma donoa certa. ^'
(1) Che TamaU 4i Oino si chiamatso SoWaggiarisnltada moUi patai del
OaBsoniere, ohe direttamente o indirettamente tI alludono. nh io losieterd.
8ol«i, a quaoto ta quel nome dice il ChiappeUi« aggiaogo cbe eiik del noine
h strana la meravigUa destataoe «e si oonaideri ehe v^rano allora le doaae
ohiamate Macehi»ttit%at Leggiera, Raviaosa« acoanto a RimbelUta, Vessoea,
Belcolore e gli aomini deoominaU Soisofaate, Poroo^ Porcooe eco. B il tro-
vatore ^B0 at San Cir ^1200 12 Oi non ci rioorda forae Selvaggia d' Anra^
mala^ flglla del raarohese Corrado Malasplna t
Ma aoalaato il fondameolo dell'aUeodibilitA dell* ArfaruoU^ pu6 aorgere
il dubbio ohe S«, la bionda partigiana dagli oocbl oelesti fosse verameate
una yergiolesi* Ma oUreohe esse ooatrasterebbe oolla tradisione del seooli
— poiche solo il Quadrio e il Orescimbeni hanno detto ohe la donna di
Oino Ai ana Riociarda do* Selvaiigi, e banno detto sensa nnlla provare in
nessun mode — resta sempre che le rime ^iano per se la miglior oonferma
della tradisione* Infatti noi abbiamo trovato an ben chiaro aocenno al oasato
sao de* yerglolesi nel sonetio € Laaso pensaado alia distrutta valle » :
• • rimembrando de le nuove talle
ohlri son delle piante di VergioU,
La troTmta non h nnova, nft io la d6 par tale ; ma T allasione oontennta
nolle parole € le piante di Vergiole J» potevaai finora riferire ai Bianohl
Vergioles* : e lo feo« il Bartoli Or a io ho dimostrato che il sonetto h fon
damentalmente amoroso e ho provato che Cino non potava evidentemeate
desiderare di ricongiungarsi at Verglolesi per se stessi, peroh6 essl erano di
partite a lui ooatrarta; ne discende dunque ohe Tespressione le niMHw ialU
di V§rgiol* ohiaramente rioorda Selvaggia Vergioleti, come a S. allnde la
b€lla iaglia% appartenente alia bianea parte* della ballata € Io guardo per U
prati ognl flor bianoo *.
J
INDICE
La donna angelicata P*g« ^
Zc donne sparte n 29
La donna /era ,-...- n 67
Tra lefaiioni n 103
L'esilio • • • » 166
Correzioiii '"
iieonnettendolo
leggi
rieonnessa
Ufixio del Bartoli
ed. da lui
'orto
n
Morie
nemiea :;.,.'!'
■ [^ i
e nemiea
npeditogli
'lelle, ene
impedito a Cino
n
quelle che
■Ma, in,
. » '
oeiata in
ek'io . ;
iU'amore, '
n ■
deU'amare
jUata
n
ballata 2.' > . , ,
sduto
n
veduta
t eontindoa
' n
ae cost eoAtinatTa'
■tto-lo .
• " •
tutto Iq,
I poeo
in pace
nnto mn
spir. per un'idealitd
dubitiamo
ibilava
n
" amore
n
S'amar
■aerci posto
n
essere posto
ci aasieura
3 I'Ooidi u
„
de I'Ooidi «)
lerihcando
t)
egli sacrijicando
rruginoao
i>
rugginoso _
tanto atraziano
qmnte atraiiano
tils mahaxiia
n
aliia mahaxiia
irte gaelfa:
n
parte guelfa,
tdace apost.
n
ardente apoat.
fa prima
TI
Prima
aendo preso
U
esaendo ripreso
ne inflerisee che
n
ae ne inferiace che
punto 'i cor
into I cor
n
ngettura il
n
eongettura sit I
I risihile amore
n
da riaibile am.
i solo gli error! di stampa piti gravi, non qnelli d
ivati faoUmeate dol lettore.
.K.120
pianefo, lasse.
leggi
p. laisOj
121
riprodurre tutio it son.
riprodurlo tut to
122
consulariarjiri
122
Tegrino
n
Tegrirm
124
suo S(0 (1299)
suo jio (1289'
126
Jialio deU'esUnto
almeno anx'essere
n
Jiglio dell' eat ir.
126
n
almena sem'ei
128
agombrare perchi
n
agombrare pui
128
la eittadin. n'6 d'altri
n
la eittadin. d'l
. 128
dopo la risa
n
dopo la reaa
, 129
n L. ChiappelU
»
L. Chiapp.
. 130
one imports
ora importa
. 130
■ 131
codem priuilegio
neri ma & che
"
eodem pricileg
neri non & eh
> 134,
clt
me 'ncende
n
me ne 'neenda
> 134,
cit.
c'altro nidi
t>
eh'altro oidi
. 134,
olt.
che V pianto
n
che 'I pianto
, 135
di sui il cadiee
n
dai eodiei
. 141
in bando da Ptstoiaf
„
in bando da I
)> 164, cit.
Color di cenere
n
Color di eenet
. 168
Duolmi che perso I'Po
n
Duolmi che m
■ 1B8
Se tra voi puote
n
Se tra noi put
. 172
JVon m neasun tempo
n
In neaaun tem^
» 176,
cit.
Guardami come dei da
cuor maleaa
„
. malDosi
J
M
n