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Full text of "L' Eccerinis del Mussato : (studio storico ed estetico)"

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y 


i'ECCERINISiel 


( Stadio  storico  ed  estetico) 


Frof.  PIETKO  FEDELB  di  Aohilld 


AVELUNO 
TIP.   SANDDLLI  E  OIMELLI 


DOTT.  PIETRO  PEBELE 


i'ECCERINISiel 


(Stndio  storico  ed  astetico) 


Prof.  PIETRO  FEDELE 


■«6®9»- 


AVELLINO 
TIP.  SAHDDLU  E  QIHELLI 


A^'4^4^€€^     Jic> 


B.  ZUMBINI  -  E.  COCCHIA 

MIEI  GP4NDI  E  YBNERATI   MAESTRI 

CON  DEVOTO  E  RICONOSCENTE 

AFFETTO 


LIB.  COM, 

CJBERMA 

JULY  1928 

17636 


^      ^Miai^iM  ^      >    ^4  i|t..^Mt       ■    ■j'^*!!  ^ 


CAPITOLO  I. 

Se  il  Mussato  attinse  ad  una  laggenda  d*  EsieUno 


SOMMARIO 

Ezselino  ed  Albertino  Mussato  —  inoerosimiglian- 
za  dell*  ipotesi  che  at  tempi  dello  scrittore  csi- 
stesse  gia  la  leggenda  —  II  Graf  e  le  leggende 
Ualiane  del  sec.  XIV  —  nianca  il  tempo  neces- 
sario  alia  formazione  d'  una  leggenda  —  e  man- 
ca  anche  il  tempo  opportuno  —  I*  Umanesimo  o 
il  8U0  lyalore  crctico  —  La  leggenda  b  la  storia 
dei  popoli  giooani  —  il  popolo  italiano  d  oecchio 
anche  nel  Medio-Eoo,  ma  accetta  tuttaoia  le 
leggende  ascetiche  —  perchd  —  differenza  sostan- 
siale  fra  leggende  ascetiche  e  leggende  profa- 
ne —  La  letteratura  leggendaria  italiana  b  stata 
sempre  pooera,  e  tanto  piu  alia  oigilia  dell'  U- 
manesimo  —  Si  esamina  particolarmente  il  ca- 
so  di  Ezzelino  —  a  che  si  riduca  la  pretesa 
leggenda  di  lui  -*  essa  non  esce  dai   litfiiti  del 


—  6  — 

'  taeoHo  fantastioo  ordihario  che  si  fa  su  di  ogni 
persona  —  degli  elementi  di  leggenda  non  costi- 
tuiscono  la  leggenda  —  Ostacoli  etnicogeografici 
che  in  Italia  tmpediscoiio  la  formasione  .  delle 
leggende  —  Le  apparisloni  dell'  ombra  di  Ezse- 
lino  —  gli  amort  —  la  statura  —  la  crwieltd,  — 
Le  dicerie  sulla  nasclta  —  sulla  morto  —  La 
paternitd  diabolica  —  Se  fu  attribuita  solo  ad 
Ezselino  —  come  V  odio  partigiano  la  mise  in 
giro  per  tutti  i  ghibellini  —  Se  V  odio  partigia' 
no  sarebbe  bastato  a  creare  una  leggenda  di 
Ezzelino  — -  Conclusions 


Nel  1260,  a  Sonciao,  prigioniero  deir  eser- 
cito  Grociato  messogli  su  dall'odio  del  papi  e 
delle  Q\i\k  soggotte,  moriva  Ezzolino  III,  Vim- 
manissimo  tiranno^  accompagoato  dalle  male- 
dizioni  e  dallo  schorno  di  mille,  che  dianzi  tre- 
roavano  al  solo  udirno  il  nome.  Moriva,  e  in- 
toroo  al  suo  nome  e  alia  sua  figura  preti,  ac- 
cattODi,  cronisti  e  poeti  diffondevano,  miste  aile 
storicbe,  ogoi  sorta  di  favolose  notizie  e  di  di- 
cerie, dalle  qua!i,  se  non  la  materia,  forse  la 
spiota  ebbe  il  Mussato  a  scrivere  una  tragedia 
di  argomento  nazionale,  benche  redatta  in  La- 
tino. Strana  fatality  che  fin  dagli  iniziipar  pe- 
^are  si^l  Teatro  Italiano:  che ,  togliendo  ,  come 


questa  volta,  ad  argomento  an  soggetto  nasio- 
Dale,  sia  scritto  in  Latino;  e  cho  iavece,  una 
YoUa  assunta  la  lingua  italiana,  o  negli  intrecci 
o  nella  condotta  o  negli  argomenti  non  si  allon- 
tani  dai  modelli  classici,  da  Plauto  o  da  Teren- 
zio,  da  Seneca  o  da  Euriplde. 

Quando  nacque  il  Mussato  nel  1262  in  ua 
sobborgo  di  Padova  (come  i  recenti  stuJIi  del 
Novati  (1)  hanno  assodato),  V  immanissimo  tU 
ranno  che,  come  caiil6  poi  r  Ariosto,  /la  ere- 
duto  figlio  del  demonio,  era  morto  da  due  anni 
appena.  Se,  dunque,  il  grande  umanista  pado- 
▼ano  visse  in  un'  epoca  cosl  vicina,  a  cosl  bre- 
ve distanza  di  tempo  da  Ezzelino,  che»  non  che 
il  formarsi  di  una  loggenda,  non  parrebbe  possi- 
bile  nemmeno  il  piu  lieye  alterarsi  dei  contorni 
della  Storia,  eBisteva  dunque  una  vera  e  pro- 
pria leggenda  di  Ezzelino,  a  coi,  come  vorreb- 
bero  alcuni,  (2)  il  Mussato  avrebbe  attinto  ?  E' 


(1)  Gior.  St.  lett.  It.  —  V.  6  -  Novati. 

(2)  II  Minoja  («  Vita  e  Opere  di  A.  Mussato  » 
pag.  4,  nota)  scrive:  Nel  breve  spazio  di  settanta- 
sett'  anni  fu  elaborata  dal  popolo  la  leggenda  del 
sue  tiranno»  e  sparsa  in  altre  parti  d'  Italia.  —  Lo 
Zardo  (Riv.  st.  it.  V.  6  p.  497)  in  un  articolo  di- 
retto  a  dimostrare  il  carattere  essenzialmente  sto* 


-8  - 

esatta,  ciod,  rispelto  ad  EzzelinO  da  una  partd 
ed  al  Mussato  dalfaltra,  quell* affermaziooe;  e 
se  DO,  come  va  es&a  intesa  e  corretta,  volendo 
riteoere  la  parola  leggenda  ?  Gercheremo  pri- 
ma di  tutto  di  rispondere  a  queste  domande. 


m 


Arturo  Oraf  nella  sua  conferenza  <  II  tra« 
mooto  delle  leggende  »  dope  aver  rilevato  la  poca 
parte  presa  dair  Italia  neU*  elaborazioue  deU 
V  immense  materiale  leggendario  medievole,  do- 
pe aver  dimostrato  come  nel  sec.  XIV  perQoo 
le  leggende  accolte  di  fuori  non  attraevano  pid 
r  attenzione  degl'  Italiani,   si  occopa  a  spiare 


rico  deli*  Eccerlnis,  pur  si  lascia  sfuggire  frasi  co- 
me queste:  (p.  498)  « il  poeta  nella  sua  trage- 

dia  pur  seguendo  in  molti  luoghi  la  leggenda  ecc » 

e  a  p.  500: il  Mussato  raccolse  tutta  questa  ma- 
teria dalla  leggenda  popolare;  e,  senza  perdere  a/- 
fatto  di  vista  la  storia,  ide6  la  famosa  t raged  ia.  — 
II  Buonfadini  finalmente  (Vita  Ital  ner*dOO.  I  prim, 
delle  Signorie  p.  108  e  109)  dice  di  Albertino:  Autore 
tra  le  altre  opere  di  una  tragedia  latina  dove  col  titolo 
di  Eccerinis  mette  in  iscena  il  tiranno,  gik  diven- 
tato  leggendariot  della  Marca  Trlvigiana  ecc.f* 


tutte  le  leggendo    o  vestigia   di    leggende,  che 
potrobbero  dar  ragione  ad  una  test  contraria  a 
quoUa  da  lui  sostenuta  —  K    ne   cila  in  verity 
parocchiOy  senza  p6r6  far   menomamente  alia- 
sione  ad  una  leggenda  di  Ezzelino.  Che  r  acuto 
critico  e  il  diligente  esaminatore  si  sia  lasciato 
sfuggire   propiio   questa,  la  quale  pure,  ove 
fosse  esistita,  sarobbe  stata  per  la  qualiiilt  del 
personaggio  di  una  grande  imporlanza  e  avrebbe 
tagliato  corto  ad  ogni  discussiono,  in  quanto  cho 
una  leggenda  formatasi  in  non  piu  di  una  met& 
di  secolo  intorno  ad  un  uomo  morto  il  1260,  sa- 
robbe stata  la  prova  piu  docisiva  doll' attitudine 
del  popolo  italiano  per  simile  iavorio  funtaslico? 
Dope  tanti  studii  o  tante  ricorcho  sullo  leggende, 
dope  che  i  magistrali  lavori  del  Rajna  ban  mos- 
so  in  luce  come  e  per  quale  lento  o  multifor- 
me Iavorio  esse  si    vadano    svolgendo,   quanto 
debba  passare  flnche  sulla  roccia  nudsr  di  un 
tempo  si  vada  formando  I'  humus  su   cui   poi 
s'  alzer^  rigogliosa  la  pianta,  dope  tutto  questo, 
dice,  noi  non  possiamo  nemmeno  a  priori  ras- 
segnarci  a  credere  che  il  Mussato  si  facesse  eco 
di  nna  leggenda  su  Ezzelino   a   cosi  breve  di- 
stanza  di  tempo.  La  leggenda  potr&  magari  es- 
sersi  sviluppata  dope,  se  pure  si  6  sviluppata, 
ma,  vivente  Albertino,  6  certo   che  i  germi  di 
essa^  anche  ad  esistere^  non  ancora  avean  po- 
le 


-16- 

toto  germogliare,  il  che  6  tutt*  ono  col  ooo  es- 
serci  affatto. 

Sd,  iofatti,  6  veroche  nel  lavorio  faotastico 
avviene  il  fenomeno  contrario  a  quello  dell'ir- 
radiaziono,  se,  cio6,  le  proporzioDi  dello  cose 
8' ingrandiscono  a  misura  chepiiicisi  allontana 
da  esso,  non  si  pud  negare  che  ai  giorni  del 
Mussato  si  era  troppo  vicioi  ad  Ezzelioo  perch6 
le  proporzioni  e  lo  fattezzo  di  questo  poiossoro 
menomamonto  alterarsi. 

Col  Mussato,  pel,  noi.siamo  gi&  al  tramou- 
to  dol  soc.  XIII  e  air  aurora  del  XIV ,  in  un 
tempo  ciod  in  cul  gi&  anche  alt  re  nazioni^  piii 
giovani  o  pid  caldo  di  fantasia  deir  Italiana^en- 
trano  in  un  periodo  di  maturity  critica  che  le 
fa  dosistero  dal  lavorio  di  loggende,  in  cui  pur 
dianzi  orano  state  cosi  feconde.  In  Italia  al  con- 
trario, jdove  sempre,  anche  nolle  piu  fltte  to- 
nebro  del  Medio  Evo,  si  era  mantenuta  accesa 
la  naccola  della  civilti  e  delta  sapienza  latina, 
in  Italia,  per  cui  da  secoli  era  passato  il  pe- 
riodo giovanile,  gi&  si  sontivano  gli  splendidi 
proludii  deirUroanosimo. 

Or  si  badi  che  glh,  Rn  dagP  inizii  V  Umane- 
siroo  porta  con  s6  una  corta  attitudino  al  libe- 
ro  osame,  una  tendenza  critica  che  6  la  peg- 
gior  noinica  del  lavorio  fontastico,  si  tenga  pre- 
sonto  che  il  focolare  pid  attivo  in  quel  tempo 


—  11  - 

della  rioascente  cultura  classica  e  Padova,  e 
uno  dei  cuUori  maggiori  delle  lettere  classiche 
6  proprio  il  Mussato,  e  poi  si  dica  so  e  ammis* 
sibile  una  Idggenda  in  simill  condizioni  —  Ma  vi 
ha  di  piu  —  Le  leggeodo  ascot iche  stosso  (dico 
il  Graf)>  cho  in  Italia  si  eraDO,  so  non  prodotto, 
coDsumato  io  gran  numoro^fra  brovo  diloguo- 
ranoo  intoramento  dalla  vita  intoUottualo  ita- 
liana. 

L'  ultima  oco  no  sar^  raccolta  da  Danto,  il 
qualo  puro,  accanto  a  un  profoodo  misticisrao, 
rivola  sposso  dollo  tondonzo  non  dico  al  liboro 
osamo,  ma  almono  alia  discussiono,  poicho  non 
accotta  nossun  dogma  sonza  sforzarsi  di  giusti- 
ficarlo  alia  Ragiono  o  di  fronte  alio  loggondo 
storicho,  so  non  di  fronto  alio  ascoticho,  assu- 
me chiaramonte  un'attitudino  scottica^specio  Ik 
dove  dice  cbe  a  Fironze  si  favologgiava 


Let  TiViani  di  Fiesole  e  di  Roma. 

Dinanzi  alio  spiritopraticodogritaliani,scal- 
triti  nei  commerci  e  nello  navigazioni ,  adusati 
ai  viaggi  di  scoporto  nello  piu  lontano  regiooi, 
in  lotta  0  a  contatto  continue  con  le  realty  dolla 
Tita,  le  ieggendo,  eroditato  dagli  avi,  o  ascoti- 
che,  0  profane  incontravano  troppo  scetticismo , 


—  12  — 

perchS  fosse  possibile  che  no  creassoro  altre 
intorno  ad  uomini  como  Ezzolioo,  vissuti  quasi 
in  mezzo  a  loro  o  fra  i  lore  padri;  uomini,  lo 
cui  minime  azioni  erano  conosciute  da  tutti  e 
consegnate  in  cronache  o  in  istorio.  Ne  d*  altra 
parte  1*  odio  occitato  da  Ezzolino  contro  8d  e  i 
8Uoi,  odio  cho  trov6  una  cosl  barbara  estrinse- 
cazione  nella  strage  di  S.  Zenone,  pub  bastare 
a  spiogare  la  formazione  di  una  leggenda. 

Ma  qui,  prima  di  procedore,  6  nocossaria, 
una  dicbiarazione  intorno  a  talo  parola. 

A  parte  quella  ascetica,  che  cosa  si  vuole 
intendere  per  leggenda  ? 

E*  certo  che  nessuoo,  seotendo  pronunziare 
tale  voce,  intende  con  essa  dosignata  qualunque 
cosa  si  racconti  da  una  o  piu  porsono  intorno 
a  chi  0  a  checchessia ;  giacch6 ,  a  voler  dare 
un  yalore  cosl  ampio  alia  parola,  si  corre  il  ri- 
schio  di  comprendore  fra  le  leggende  ancho  le 
narrazioni  piu  esatte  e  fedeli  alia  verity  storica. 
Se»  dunque,  la  leggenda  e  in  certo  mode  I*  anti- 
tesi  della  storia,  essa  sar&  qual  cosa  che  per  un 
certo  numero  di  porsone  o  per  tutti  per  un 
certo  tempo  o  per  sempre  tenga  luogo  della 
verity  storica.  La  leggenda  in  nient*  altro  diffe- 
risce  dalla  storia  so  non  in  quanto  V  una  rap- 
presenta  fedelmonio  la  realty,  T  altra  Taltora; 
sicche^  servendoci  di  yn  veccbio  paragone,  se  la 


—  18  — 

mente  umana  pn&  dirsi  uno  speccbio ,  qaella  i 
rimmagine  riprodoiia  in  uno  specchio  carvo, 
questa  in  uno  piano  o  perfetto.  —  La  leggenda, 
perche  sia  voramonto  tale,  dove  avero  per  chi 
la  ripete  lo  stesso  valore  delia  sioria;  ovo  qual- 
cbe  sospetto  intervenga  sulla  veridicit^  di  essa, 
eve  ci  si  accorga  che  lo  specchio  6  cur  to  o  o 
si  rinunzi  ad  esso  o  si  tenti  di  corregerlo,  ovo, 
insomma,  cominci  Tesame  critico,  non  si  ha  piu 
la  leggenda.  Quando  6  dunque  che  nasce  e  si 
sviluppa  la  leggenda,  quando  6  possibile  cho  si 
abbia  questa  immagino  prodotta  dallo  specchio 
curve  ?  — 

Benche  si  sia  troppo  abusato  del  paragone 
tra  i  popoli  e  Tindiyiduo  umano,  benche  so  ne 
sia  dimostrata  tutta  V  inesattozza,  pure  in  fondo 
quel  paragone,  per  quanto  grossolano,  pub  an- 
dare ;  e  alio  stesso  mode  che  1*  uomo  6  piu  di- 
sposto  a  credere  alle  apparenze  o  a  quel  che 
gli  vien  detto,  a  rimettersi  al  sense,  a  non  pen- 
sare  a  differenza  che  possa  esistere  tra  iinma- 
ginazione  e  realty  piu  nell'infanzia  e  nellagio- 
vinezza  che  neli*et&  virile,  cosl  i  popoli  sono 
piu  inchini  alia  leggenda  nella  loro  infanzia  che 
neireti  matura.  Vi  e  un' infanzia  degll  uomiui 
come  delle  nazioni,  e  in  tal  periodo  le  facolt& 
predominant i,  quelle  quasi  sole  in  esercizio  sono 
il  sense  e  la  fantasia ,  le  quality  piu   esterne, 


—  14  — 

cjoi,  e  le  piu  impalsire.  Ma.  come  siano  Teoati 
gli  anoi  e  con  gli  anoi  resperieoza  di  molte 
cose  o  il  contalto  coo  molU  aomioi  e  con  roolie 
nazioni,  gli  oni  e  le  altro  piii  ci?ili,  come  tante 
disillosioni  siano  sopraTTonute  nella  lotia  per 
r  esisienza,  e  si  sia  imparato  a  conoscoro  qaanto 
diyersa  6  la  realti  dairimmagioe,  ^aXVidea^  al- 
lora  sopraTTiene  la  diffidenza,  il  dabbio  che  le 
impression!  forniteci  dai  sensi  e  dalla  fantasia, 
dalle  facolUt,  cioe,  che  si  limitano  alTosame  e- 
sterno  delle  cose  e  che  prima  ci  aveyano  escla- 
sivamenie  gnidati,  non  siano  io  vere,  ed  innanzi 
ad  esse  si  rist&  esitanti :  sopravtieno  allora  la 
riflessioce,  la  critica,  la  ragiono  o,  nel  case  no- 
stro,  la  Storia. 

Ma  prima  di  quosto  poriodo  che  cosa  ha  te- 
nnto  il  inogo  della  Storia  ?  La  leggenda,  certa- 
mente,  come,  prima  deireti  mainra,  nel  fan- 
ciullo  la  fiaba  e  il  maraviglioso  racconto  delle 
fate  han  tenuto  laogo  degli  studi  sever!  che 
r  occuperanno  fra  pochi  anni.  So  6  vero  tutto 
questo,  6  chiaro  che  il  popolo  italiano,  al  tempo 
in  cui  siamo ,  non  solo  non  dovov^  piu  crearo 
leggende,  ma  doveva  ancho  sorridere  di  quelle 
degli  altri  popoli,  cho  i  saoi  padri  avovano  ac- 
colto ,  non  roai  per6  con  la  cieca  flducia  degli 
altri. 

It  popolo  italiaoo  Qra  veccbio  alia   qiviltj^, 


I 


-i5~ 

perchd  Don  era  che  il  popolo  latino ;  in  Italia 
noD  ci  erano  stati  rinnovamenti  di  sangue,  per- 
ch6  le  invasion!,  ancho  quelle  dimostratesi  pin 
durevoli  e  stabili,  non  avevan  portato  tal  con- 
tiogente  di  barbario  da  sopraffare  ii  carattere 
etoico  della  popolaziono  indigena.  So  mistione 
vi  fa  di  sanguo  birbaro  col  latino,  questo  si 
assimil6  quelle,  appunto  come  in  Spagna,  Fran- 
cia  0  Inghilterra  avvenne  tutlo  il  contrario:si 
ebbe  qui  un  innosto  benefice  e  salutare,  \k  una 
completa  trasfusiono  di  sangue,  che  per  altri  ri- 
spetti  non  torn6  meno  benefica  e  salutare.  Prosso 
i  popoli,  dunquo,  che  assorgevano  a  nueva  vita, 
indizio  doila  quale  fu  anche  Tas^umoredi  nuovi 
nomi ,  roentre  da  do!  re3t6  il  vecchio  nemo  di 
Italia  ,  fu  posiibile  la  formaziono  rigogliosa  di 
leggende  intorno  ai  lore  eroi,  ai  loroguerrieri, 
mentre  da  noi  tale  formaziooe  o  mancb  aflatto 
0  fu  misera  assai. 

S'  iotende  che  fin  qui  abbiam  parlato  e  in- 
tcndiamo  parlare  in  seguito  dollo  sole  leggende 
storiche  o  profane  che  dirsi  voglia ,  non  gi& 
dollo  asceticho,  nella  formaziono  delle  quali  1*1- 
talia  prende  parte  anch*  essa.  E  la  ragione  di 
quosta  esciusiono,  fatta  da  noi,  e  in  cib,  che  la 
natura  delle  leggende  ascotiche  ci  par  tanto  di- 
vorsa  da  quolla  dollo  altro  da  non  poterne  faro 
no  niodosimo  discorso.  Le  leggende  misticbe  si 


-  16- 

possono  formaro  o  accoglioro  ancho  da  popoli 
maturi  o  civlli,  porchd  qui  la  lore  causa  non  6 
la  ingenuity  o  la  giovinezza  dot  popoli ,  ma  il 
forvoro  mistico.  In  quosto  caso  la  fedo  nou  e 
naturalo,  ma  imposta,  e  air  assurdo,  alio  straDO 
Tanimo  del  credonlo  non  si  ribella  come  si  ri- 
bollorebbo  in  aitri  casi,  giacchd  a  tutti  6  nolo 
U  paradosso  di  Pietro  Bayl ,  filosofo  francoso, 
cho  dicova:  «Quanto  pit!  6  assurdo  il  contonuto 
dolla  fcdo ,  taato  piti  6  moritorio  ;  in  fatto  di 
religiono  ii  voro  non  6  tanto  il  razionale,  o  il 
soprarazionalo,  quanto  rantirazionalo»;o  sonza 
andare  al  filosofo  francese  6  ncto  Taforisma  teo- 
logico:  Credo  quia  absurduro.  Quando  interviene, 
dunque,  Tolomento  mistico,  1'  intorosse  religio- 
so,  inlerviene  un  coefflciente  porturbatore  nella 
formazione  spontanea  delle  leggende,  un  coeffl- 
ciente di  cui  non  dobbiamo  tener  conto  noi  e 
chi  voglia  studiare  la  formazione  delle  leggende 
profane.  Certo  questa  esclusione  non  vuole  es- 
sero  assoluta,  perch6  si  potrebbo  facilmente  di- 
moslrare  come  nelle  loggendo  profane  di  Fran- 
cia,  di  Spagna  e  di  altrove  abbia  parte  non  ul- 
tima Telemento  religioso;  ma  io  volevo parlare 
di  quelle  in  cui  esse  sia  o  esclusivo  o  prepon- 
derante ,  non  di  quelle  in  cui  esse  cooperi  in 
roaniera  sccondaria  o  non  prevalente  insieme 
con  altri  elomenti. 


-  i7~ 

Ritoraando  indiotro ,  dunqoe ,  diciamo:  Se 
nei  sec.  IX,  X,  XI  e  ancho  XII  il  popolo  ita- 
llano  non  era  nol  periodo  di  giovinozza  io  cui 
erano  i  popoli  suoi  vicioi,  creator!  di  leggende; 
se  mentre  per  I'Europa  passava  unsofflocaldo 
d*ontusiastno  o  di  fervoro  mistico  e  si  parliva 
por  lo  Crociato,  11  popolo  iialiano  non  si  mosse, 
o  si  mosse  per  iscopi  commercially  che  doveva 
essore  nol  sec.  XIII  e  XIV  quando  ancho  gii 
altri  popoli  avovano  in  gran  parte  acquistato  il 
sontimento  dolla  realty?  I  Comuni  italiani  al- 
tera usciii  dalle  lotto  por  la  liberty  municipale 
si  amministravano  da  se  stossi  e  davano  esempi 
di  uomini  di  s^tato,  quali  sorviron  di  raodello  poi 
a  tutti  gli  altri  popoli  dolla  modernity,  e  di 
quelle  virtu  pratiche  dei  popoli  civili  e  rafS- 
nati,  tanto  vicine  ai  vizii  o  che  conducono,  co- 
me condussero  Io  nostre  gloriose  repubbliche, 
a  cosi  rapida  docadenza.  Appunto  quosto  fatto 
dulla  docadenza  cosl  vicina  al  colmo  della  po- 
tenza  e  uno  dogl'  indizii  piu  sicuri  della  vecchiez- 
za  del  popolo  italiano ,  che  tali  fonomeni  non 
sono  posslbili  nogli  organismi  veramente  gio- 
vani  e  sani,  bonsi  in  quelli  malalio  vecchi.  Chi 
coDsideri  tutto  questo  non  pu6  nomroeno  la- 
sciarsi  sfuggiro  che  lo  stosso  poriodo  giovanile 
dol  popolo  italiano  fu  scarso  di  leggende.  Quel 
periodo  cade  nei  primi  secoli  di  Romai  giacchd 

3 


—  18  — 

gV  Italian!  non  sono  cho  gli  eredi  diretti  del  La- 
tin!, 0  la  mitologia  e  la  storia  di  Roma  e  dei  po- 
poli  italic!  mostrano  tale  incapacity  o  svoglia- 
tozza,  cho  dir  si  voglia,  a  croaro  loggende,  tale 
tondcnza  invece  al  sonso  pralico,  cho  tutti  gli 
sforzi  del  Niebhur  e  dei  sue!  seguaci  non  sono 
riuscili  in  ultima  analisi  se  non  a  diroostrare 
una  volta  di  piii  V  influonza  esorcitata  dal  mondo 
e  dalle  idee  greche  su  quelle  Romano. 

Se  non  ostante  tutto  quosto,  glltaliani  molto 
loggende  accolsero  tra  il  X  e  il  XI  sec.  dagli 
stranieri  e  le  fecoro  proprie ;  se,  promosse  dal- 
rorgoglio  cittadinesco ,  alcune  no  crearono  in- 
torno  alTorigino  doMo  proprie  citti,  o  altre  ne 
rannodarono  agli  avanzi ,  oramai  divenuti  ine- 
splicabili ,  degli  antichi  monumenti  romani;  se» 
accettandole  dai  Frances!,  accolsero  le  loggende 
epiche  del  ciclo  caloringio,  rimaneggiandole,  e 
magari  alcune  foggiandone  a  simiglianza  di  quel- 
le e  legandole  a  memorie  local!,  a  citt&,  a  di- 
nastie,  ad  avveniment!  delio  storie  nostro ,  ma 
pur  trasfondendole  di  uno  spirito  nuovo  di  scet- 
ticismo  e  d'  ironia  particolare  al  popolo  nostro; 
se  anche  di  loggende  epiche  nazionali  ogni  ve- 
stigio  non  manca ,  eve  si  pens!  alio  tradizioni 
suscitato  dalle  guerre  franco- longobarde,  o  rian- 
Dodantisi  al  nome  esecrato  di  Attila ,  benche 
nemmen  quoste  ebbero  vita  rigogliosa  o  vivace; 


—  lo- 
se iDfloe  anche  il  diavolo,  che  pure  agritaliani 
Don  sembrava  ianto  brutto  quanto  agli  altri  po- 
poli,  tliode  in  certo  raodo  anche  a  loro  briga,  senza 
empirli  perb  di  tanto  immaginazioni  o  di  tanti 
terror!;  se,  insomma,  una  lettaratura  leggen- 
daria  per  quanto  scarsa  e  rachittca  ebbe  anche 
r Italia,  non  &  men  vero  per  questo  che  essa, 
per  molta  parte  costituita  di  olementi  stranieri, 
dilegua  dalla  coscienza  o  dalla  lettoratura  ila- 
liana  un  bel  pezzo  prima  che  non  da  quella  degli 
altri  popoli  d*Europa.  Lo  leggende  (dice  ii  Graf) 
impallidiscono  sul  cielo  d'  Italia  e  tramontano 
quando  in  altri  cieli  sono  aocora  assai  alte  e 
brillano  di  prestigioso  splendore.  <  Nol  socolo 
«  XIY.  (continua  il  medosimo  scritlore)  so  mol- 
€  te  leggende  sono  ancor  vive  in  Italia  sono  pur 
€  molti  i  segni  dot  loro  afflevolirsi  o  del!a  loro 

€  prossima  spariziono ;  6  nata   oramai    la 

»  Storia  vera,  e  sebbene  il  Machiavelli  o  il 
€  Guicciardini  sieno  lontani  ancora,  pure  si  scor- 
«  gone  i  segni  di  quelle  spirito  pratico  e  imla- 
«  gatore  che  sar^  il  loro  spirito.  A  poco  a  poco 

<  la  Storia  distoglie  rocchio  dal  mondo  di  1^  e 

<  lo  fissa  sul  mondo  di  qua  e  comincia  a  pene- 
«  trare  il  sogreto  dello  umane  vicondo  o  a  di- 
€  scernore  le  forzo  che  le  promuovono  o  a  In- 

<  tendere  le  leggi  che  le  governano  ».  Si  vode, 
dun<|ue,  a  priori  quanto  ci  sia   d'  assurdo    nel 


—  20  — 

dire  che  si  fosse  potuta  formare  sugli  oltimi  del 
sec.  XIII  0  primi  del  XIV  una  leggenda  o  sa  di 
Ezzelioo,  morto  il  1260,  e  che  di  essa  se  ne  sia 
fatto  eco  AlbertlDO  MussatO ,  lo  storico  pado- 
vaoo.  Ma  noi  non  vogliamo  trattar  la  questiooe 
solo  cosl  in  generate  e  semplicemente  da  un 
punto  di  vista  logico :  si  sa  che  chi  s'  abbandona 
troppo  salla  china  della  dialettica,  vamoUofa* 
cilmente  a  floire  nolle  astrattezze  della  piu 
bella  metaflsica  e  per  guardar  troppo  alio  stelle 
scivola  poi  nei  fossati.  Noi  vogliamo  aucho  ve- 
dere  un  po'  sporimentalmente,  per  dir  cosi ,  a 
che  si  riduca  questa  benedetta  leggenda. 

Tuito  quelle  che  si  6  narrate  interne  alio 
immanissimo  liranno  riguarda  o  le  sue  cru- 
delt&  inaudite,  i  supplizi  escogitati,  i  tormenti 
perfezionati;  o  le  voci  che  corrovano  interne 
alia  nascita,  alia  madre,  al  padre  a  volta  a  vol- 
ta  demonio  o  cane;  o  la  gigantesca  sua  statura, 
la  forza,  1'  invulnerability;  o  le  donne  per  cul 
ebbe  un  capriccio;  o  le  sue  rolazioni  con  S.  An- 
tonio da  Padova.  Un*  ultima  categoria  di  dicerie 
riguarda  i  presagi  della  morto  di  lui,  o  la  tri- 
ste  sorte  deir  anima  sua,  dannata  a  vagolar  , 
orobra  irrequieta,  pei  luogbi  cho  furon  teatro 
delle  sue  barbarie,  a  custodia  di  favolosi  tesori, 
nascosti  gelosamente  in  tortuosi  e  intricati  sot- 
terranei  ed  a  sommo  spavento  di  qjuanti  o    ab- 


—  21  — 

bian  la  cattiva  abitudine  di  rincasar  troppo  tardi 
la  sera  e  d*  avventurarsi  per  luoghi  sospetli,  o 
di  chi,  spioto  da  cupidigia,  vogiia  mettersi  alia 
ricerca  delle  maledette  ricchezze.  E'  cosi  che 
i  contadini  dol  Padovano  ,  del  Bassanese  o  di 
quel  dintorni  1'  han  voduto  spesso  aggirarsi  in 
bianco  leozuolo,  o  anche  senza  ieozuolo,  ma  coq 
la  barba  rossa  e  il  muso  di  cane;  o  cosl  che* 
spesso  nel  cuor  della  uoite  1*  ban  sontito  dare  in 
grida  umane  o  inlatraticanioieagitar  lecatene 
di  cai  6  carico;  e  insieme  con  lui  spesso  si  vi- 
dero  gli  spettri  lugubri  delle  sue  railievittima, 
uscenti  talvolta  anche  sotto  forma  di  fuochi  dai 
seno  della  terra  nolla  valle  che  ep rosso  Ro- 
mano. Obi  fosse  vago  di  queste  e  di  mille  altre 
flabe  che  fan  capo  al  nome  doll*  odiato  tiraano 
non  avrebbo  che  da  sfogliare  i  cronisti  italiaiii 
di  qael  tempo  o  giu  di  li,  raccolti  dal  Muratori 
nel  Rerum  llalicarum  Scriptores,  quali  Oalva- 
neo  delta  Flamma,  il  Villani,  Francesco  PipU 
no,  i  Coriusi,  Rolandino,  il  Cronichon  Estense, 
I'  Anonimi  IlcUi  Historiay  Ouglielmo  Ventura, 
Ricobatdo  Ferrarese,  il  Monaco  Patavino  e 
tanti  e  tanti  altri.  Non  manchi  poi  di  faro  un 
giro  per  i  paesi  che  un  tempo  costituirono  la 
Marca  Trevigiana,  dove  avr&  occasione  di  co- 
gliere  sulla  bocca  del  popolo  le  flabe  che  cor- 
l*ono  intorno  alle  apparizioni   di  Ezzelino.  E  a 


—  22  — 

vOlersi  anche  risparmiar  V  una  e  Paltra  fatica 
legga  il  libriccino  di  Ottono  Brentari  «  E/.zeliQO 
nella  moDte  del  popolo  o  Dolla  poesia  »  e  tro* 
vQvk  il  fatlo  suo;  che  se  poi  ripugnasse ,  noD 
dico  da  questa  spesicciola,  ma  da  questa  piccola 
e  piacevolo  fatica,  si  faccia  ripelore  o  ricordi 
(di  qualttoque  citti  d' Italia  egli  sia)  qaollo  che 
vi  si  dice  iotorno  ad  ao  personaggio  qualanqae 
morto  0  scompars)  improvvisamente  o  tragica- 
mente,  io  nomea  di  ricco  o  di  birbonc;  vi  ag- 
gianga  quel  po'  che  da  se  stesso  pud  irnraagi- 
nare  essersi  fantasticato  su  Ezzolino,  guerriero 
e  principe  amJbizioso  e  crudele,  e  in  poco  o- 
dore  di  santildy  e  cosi ,  sonza  essersi  mosso  da 
casa  0  esposto  a  raflfreddori,  seoza  av^er  speso 
un  soldo  0  aSaticata  la  vista,  sapri  tutto  quanto 
la  fantasia  delle  plebi  del  la  Marca  Trevigiana 
ha  ioventato  intorno  all*  im/na^i^^^mo  ^/ranno. 
Ma  torniamo  all'  argomeoto  nostro  o  diciamo  : 
Se  davvero  il  iavorio  fantastico  intorno  al  ti- 
ranno  si  6  limitato  a  quelle  che  rapidameute 
si  6  esposto,  si  pud  dire  in  coscienza  che  tutto 
ci&  costituisca  una  leggenda  di  Ezzelino  ?  A 
parte  il  fatto  che  molte  di  quelle  Rabe  sono 
creazioni  posteriori  o  di  molto  al  Mussato,  con 
tutto  quosto  nemineno  a<les3o.  crodo,  si  potrob- 
be  dire  che  esisla  o  e  esistiia  tale  loggenli.  Se 
la  leggenda  non  ha  origino  dal  capriccio   e  da 


QQ  proposito  falto,  ma  da  quello  stesso  bisogoo 
da  cui  in  tempi  piu  progrediti  ha  origioe  U  sto- 
ria,  so  ossa  &  la  storia  dei  tompi  men  civili 
quando  la  scrittura  o  non  6  ancora  cominciala 
o  6  monopolio  di  no  numero  ristretto  di  per- 
sono,  so,  in  una  parola,  in  un  corto  periodo  di 
tompo  0  per  un  certo  numero  di  persone  ossa 
dove  adempiere  alio  fanzioni  della  sloi  U  ,  6 
cbiaro  che,  come  questa  non  esisterobbo  \k  ove 
non  ci  fossero  che  notizie  staccato  o  monche 
intorno  ad  un  medesimo  personaggio,  cosl  non 
direroo  che  esista  leggenda,  ovo  si  sia  ridotti 
a  quosti  soli  elemonti.  Chi  vorrebbo  dire  sto- 
ria di  Garibaldi,  metliamo,  il  saporo  che  fu  fl- 
glio  di  un  tal  Domenico,  cho  combatto  a  Gala- 
taOmi  0  a  Milazzo,  cho  ebba  due  mogli,  che  non 
era  molto  alto  doUa  porsona  e  che  6  seppellilo 
a  Gaprera  ?  Qaesli  (tutti  no  convorranno),  sono 
bonsi  elomenti  storici,  fattori  sonza  dei  quali 
una  storia  di  Garibaldi  non  si  potrebbo  couoe- 
piro;  si  potr&  porflno  assicuraro  che  quesli  ed 
altri  ancora  son  como  i  punii  di  articolaziono 
d*  una  storia  similo,  ma  nossuno  dir«\  cho  essi  , 
cosi,  da  soli,  costituiscano  una  Storia  di  Gari- 
baldi. E  non  6  lo  stosso  por  Ezzelino  ?  Possono 
quolle  notizio,  non  iroporta  s3  storicho  o  no  , 
costituire  una  storia  di  Ezzelino  o  qualcosa  che 
arieggi  a  nna  storiai  una  leggonda  ?  E  si   badi 


—  24  — 

che  il  paragODO  scelto  non  6  nemmeDO  adeguato; 
che,  so  tutto  quollo  notizie  su  Garibaldi  rimon- 
tano  su  per  giu  a  un*  unica  epoca,  le  dicerio 
inveco  su  Ezzolino  (sebbeno  difflcilrnonto  potrob- 
besi  por  ciascuna  Gssare  i*  epoca  delta  sna  ori- 
gino)  cortaroonto  si  sdd  vonuto  formando  la  tuiti 
quosti  uliimi  sotte  secoli,  di  mode  che  si  pu5 
osscro  sicuri  che  non  iutte  esistevano  cento  , 
dneconio,  trecento  anni  fa  e  pochisslme,  se  non 
nossuna,  ne  esistevano  un  mezzo  socolo  dope  ia 
sua  inorte,  al  tempo,  cioe,  di  Albertino  Mus- 
sale.  So,  dunque,  si  volesse  anche  amraeltere 
che  notizie  cosi  staccato  e  scarse  possano  per 
Garibaldi  coslituiro  una  spocie  di  storia  per 
quanto  rudiraentalo  o  informe  ,  si  potri  al  piu 
dire,  analogamente^  che  tutte  le  favole  sparse 
e  diffuse  flno  ad  oggi  intorno  ad  Ezzolino  costi- 
tuiscono  una  leggenda  oggi^  ma  non  ai  giomi 
di  Albertino.  Vorri  forse  qualcuno  obbiettaro 
che  noi  facciarao  quistione  di  grandezza,  di  mag- 
giore  0  minoro  sviluppo  ?  E  sia  pure  ;  ma,  di 
grazia,  che  cosa  si  ha  in  natura  tanto  differente 
da  un*  altra,  che  non  si  possa  ridurre  a  uniti 
e  identiii  con  questa  ?  E  in  cho  cos'  altro  con- 
siste  la  differenza  tra  gli  esseri,  le  specie  ,  le 
cose,  se  non  nella  diversity  di  sviluppo,  di  gran- 
dezza, di  combinazione  ?  Non  6  in  fondo  acqua 
quelia  che  costituisco  i  mari,  i  laghi,   i   fiumi 


-26- 

piii  mae&tosi  come  i  piti  umili  ruscolli  o  i  piu 
miseri  pantani  ?  E  chi  nega  che  i  rusoelii  pos- 
sano  diTentare  fiumi,  che  i  pantani  possano  ve- 
nire a  trovarsi  sul  letto  di  uq  fiuma  e  confon- 
dersi  con  esse  ?  Tatto  ci&  sari  bene;  ma  fino  a 
quando  millo  ruscelli,  ingrossaii  da  piogge  o  da 
ne?i,  confondcn  !osi  insieme,  mescolando  il  yo- 
lome  delie  loro  aequo,  nonformino  il  corpo  mae- 
stoso del  flame,  non  6  false  o  inesatto  dire  che 
il  flume  noQ  esiste.  Lo  leggendo  son  veramente 
del  flami,  e  il  paragone  d  tanto  felice  che  non 
so  non  ricordarne  V  autore,  Pie  Rajria.  A  leg- 
gere  il  libro  classico  deirillustre  Professore ,  si 
comprende  coropletamente  qual  cumulo  di  coef- 
flcienti  occorra  a  doterminar  la  formazione  di 
ana  leggenda,  degna  del  nome,  e  si  vede  a  quale 
strano  e  mirabile  sovrapporsi,  penetrarsi,  con- 
fondersi  di  strati  storici,  di  idee  disparate,  di 
vero  e  di  false  esse  dobbano  la  nascita  e  lo  svi- 
lappo. 

In  Italia  son  seropre  mancati  versanti  ampi 
e  volti  in  un'  unica  direzione,  ampi  bacini  in  cut 
potesse  syolgersi  maestoso  11  corse  delle  aequo 
da  quel  piovonti:  in  Italia  mancarono  sempre 
tradizioni  nazionali,che  interessassero  tuttala  pe- 
nisola,  come  mancaron  popoli,  che  Toccupassero 
tatta.  II  terrene  con  la  sua  conformazione  e  le 
sue  accideatalitjty  determinando  nette  zooo  geo* 

4 


—  26  — 

grafiche,  indipcodenii  tra  di  loro,  fece  si  che 
Ti  prendessero  stanza  indiyidui  etnici  diversi, 
indipendeDti,  roa  ristretti.  In  confini  cosl  angusti 
forse  in  tempi  antichissimi  potetiero  anche  na- 
scere  e  germogliare  leggonde,  ma  presto  peri- 
rono  come  per  soffocazione.  Quaudo  Roma  compl 
r  unit&  italiana,  queir  unitjt  rassomigli6  all'  e- 
quilibrio  di  mille  forze  tenute  a  freno  e  teo- 
denti  tutte  al  centre  di  gravity,  Roma^  perchd 
potesse  chiamarsi  vera  unil&.  Anche  sotto  il 
dominie  romano  lo  spirito  municipale,  lo  spirito, 
ciody  d*  indipendenza  reciproca,  benchd  frenato, 
rest6  vivo;  risorse  gigante  appena  Tonuto  mo- 
no quelle.  Le  leggende,  che  come  quelle  di  At- 
tila,  di  Adelchi,  di  Desiderio  accennarono  a  for- 
marsi,  ben  presto,  in  ambienti  cosl  ristretti,  (1) 


(1)  Ho  detto  in  ambienti  cosi  ristretti;  in  fatti 
per  noQ  pariar  di  altri,  i  fatti  di  Attila  e  di  Desi- 
derio, che  pur  sono  di  capitale  importanza  per  la 
Storia  degl' Italiani,  interessarono  forse  diretta- 
mente  altri  che  i  popoli  della  valle  padovana,  e  del- 
r  Italia  centrale  tutt*al  piii?  Quando  mai  nella  Sto- 
ria Italiana  si  trova  un  avvenimento  che  riguardi 
da  vicino  e  direttameute  ^perch^  indirettamente 
un*  influenza  sempre  si  trova:  questione  di  sottiliz- 
zare!)  tan  to  il  Napoletano  quanto  la  Lombardia, 
tanto  Roma  quanto  Venezia  ecc?  —  La  mancanza 


—  27  — 

isterilirono  e  soccombettero,  come  rivo  non  ali- 
mentato  da  scoli  di  altre  aequo,  come  pianta 
alle  cui  radici  manchi  il  terrene:  ne  restano  al 
soprayvenir  d' Agosto  poche  tracce  umide,  qual- 
che  soico,  0  secchi  sterpi. . 

Negli  altri  paesi,  in  Ispagna,  inFrancia,  in 
Germania,  grand!,  larghe  estensioni  di  terre  e 
aperto  quasi  da  ogni  lato;  grand!  o  general! 
conqaiste,  grandi  invasioni,  grand!  tradiz!«>ni  na- 
zionali,  grandi  ieggende.  Si  aggiunga  a  tutto 
questo  (ripetiamo)  che  in  Italia  non  mai  manc6 
del  tutto  la  luce  della  cultura  e  della  civiltk  ; 
impailidi  qualche  volta  e  piu,  proprio  ai  tempi 
che  corrispondono  o  al  nascere  di  meschine  Ieg- 
gende italiane,  come  quelle  nominate,  o  al  tra- 
piantarsi  di  Ieggende  straniere^  ma  non  mai  si 
spense  del  tutto.  Quando  poi  tal  luce  era  presso 
a  brillare  in  tutto  il  suo  splendore,  alia  yigilia 
del  sec.  XIV,  in  un  territorio  cosi  ristretto  co- 


di  tradizioni  nazionali  general!  spiega,  se  non  giu- 
stifica,  anche  Tassenza  o  il  debole  affermarsi  del 
sentimento  unitario  ,  il  quale ,  bencb6  oggi  abbia 
avuto  completa  esplicazione,  serba  pur  sempre  un 
non  so  che  di  artificioso  ,  di  fattizio  e  di  super- 
ficiale  ,  perch6  fondato  quasi  solo  su  ricordi  di 
graudezza  roo^ana. 


—  28  — 

mo  quollo  della  Marca  Trivigiana  otutVal  piu 
di  quel  tratto  di  paese  comprendeote  la  Loin- 
bardia,  il  Veneto,  il  Tirolo,  1*  Emilia  superioro 
(chS  oltre  si  larghi  confini  importanza  effettiva, 
diretta,  immediata,  quella  che  del  resto  a  noi 
importa  considerare,  Ezzelino  non  ebbe);  quando 
d*  altra  parte  si  viveva  in  un  tempo  abitaato 
alle  crudelt&  piu  atroci,  si  che  quelle  di  Ezze- 
lino dovettero  perouotere  di  stupore  e  di  or- 
rore  pid  le  menti  dei  posteri  abbastanza  lonta- 
ni  che  quelle  dei  cootemporanei  o  degli  epigoni^ 
quale  meraviglia  se  anche  quegli  scarsissimi 
principii  d*  una  leggenda  non  potettero  intrec- 
ciarsi,  combinarsi,  allargarsi  fine  a  formarne 
una  vera  e  propria  leggenda,  non  che  a  tempo 
del  Mussato,  nemmeno  dipoi  nei  secoli  piu  pro- 
grediti  ? 

Mancauo,  dunque,  nel  case  nostro  tutte  le 
condizioni  perch6  una  leggenda  nasca,  viva,  si 
sviluppi;  e,  se  pur  ve  no  sono  degli  elementi 
primordial!,  essi  son  cosa  cosf  meschina  e  ordi- 
dinaria,  che  non  so  perchd  si  debba  dire  che 
quelli  si  riconnettono  magari  a  una  virtuale 
leggenda  Ezzeliniana  e  non  piuttosto  ad  una 
virtuale  leggenda,  a  cui  ogni  mortale  d&  engi- 
ne, salve  alcune  lievi  modificazioni  varianti  da 
paese  a  paese,  da  tempo  a  tempo.  Chi  non  ri- 
conosoe,  infatti,*  i  luoghi  piu  comqni  della  piu 


—  2d  — 

iavecchiata  fantasia  popolare  in  qaella  eoame- 
razione  che  abbiamo  fatto  (Todi  p.  20)  delle  fa- 
vole  difiase  iotomo.  ad  fizzelioo  I  —  Gome  gik 
allora  abbiamo  notato,  doTuoqae  ci  sia  state  no 
oomo  aeomparao  in  modo  siraoo  o  tremendo  dalla 
scena  della  vita,  o  qaalcooo  che  abbia  recato 
gran  bene  o  gran  male  alia  gente  »  il  p<^li- 
no  rlpeteri  anche  oggi  che  6  possibilo  incon- 
trarlo  di  notte  alia  tale  era,  in  zspeiio  triste  o 
lieto,  genio  benefice  o  malefico,  secondo  la  Tita 
ch'egli  condnsae  e  i  sentimenti  che  sascit6  nei 
conteicporanoi.  Non  cie  laogod' Italia  dore  noa 
ci  si  fienta,  come  dicono  i  Tojcani,  o  dove  iion  si 
veda;  e,  sol  perche  nei  paesi,  che  an  tempo  eo- 
stitnirono  la  Marca  TriTigiana,  si  ?aol  vedere 
e  seniire  lo  spirito  di  Bsselino  ,  come  in  altri 
Inoghi  del  mondo  si  vedri  e  si  sestiri  il  Diavo- 
lo,  lo  spirito  di  Tisio  o  quelle  di  Sempronio , 
Torremo  noi  Todere  in  ci6  an  late,  o  ana  prova 
della  leggenda  speciale  di  Ezzelino?  Avremmo, 
eoA^  diritto  di  yedore  leggende  ad  ogni  canto- 
nata  e  in  ogni  laogo  oscnro«  e  personaggio  leg- 
gendario  direrrebbe  anche  il  poyer*  aomo ,  che 
r  altrieri  si  batt6  a  mare,  o  magari  il  cane  ca- 
date  da  sd  neir  acqua,  o  buttatoTi  da  qaalche 

monellaccio 

Si  potr4  dire  per&  che  nei  case  nostro  vi  i 
bea  altro  che  questi  pregiadiziidi  9iriti ;   die 


—  30  — 

vi  8000  lo  voci  mtorno  ai  tesori  ,  intoroo  alia 
statu ra,  agli  atti  di  valore,  alle  doone.  So  doq 
che  queste  dicerie,  qaalora.  provassero  qualche 
cosa,  noD  dovrebbero  farci  dimenticare  i^primo 
laogo  che  noo  ^potevano  esistere  al  tempo  del 
Mussato,  che  alcune  (specie  qaellerispetto  alia 
moglie)  si  dovettero  alle  invenzioni  dei  letterati 
in  derca  di  begli  effetti  e  di  forti  argomenti  per 
le  loro  opere,  in  secondo  che  esse ,  finchd  re- 
stano  cosi  in  nno  state  frammentarlo  e  indipen- 
dente,  non  costituiscooo  leggenda.  Cosl  i  primi 
cronisti,  quel  I  i  contemporanei  o  di  poco  poste- 
riori al  tiranno,  son  concordi  nel  dire  che  Ez- 
zelino  era  di  statura  mediocre  e  senza  difetto 
corporate,  che  egli  odiava  le  donne  o  almeno 
rlfuggiva  dal  loro  amore.  Nel  la  tradizione  o- 
rale,  in  voce,  egli  diviene  un  mezzo  gigante  , 
iNTutto  e  deforme  in  vise,  invulnerabile  perflno 
alle  palle  di  fucile  (sic)  e  gli  si  afflbbiano  delle 
avTentnre,  non  veramente  galanti,  non  nltima 
quella  con  Caterina  Cornaro ,  regina  di  Cipro  » 
la  bella  prigioniera  di  Asolo  (sic) ,  e  nella  tra* 
dizione  prettamente  letteraria  lo  si  fa  protago- 
nista  di  un*  avventura  abbastanza  drammatica 
con  tal  Bianca  De  Rossi  ,  di  cui  non  si  trova 
ceono  nei  primi  cronisti.  Questi  due  particolari 
della  impenetrability  alio  palle  di  fucile  e  delle 
relazioni  amoroso  di  Bzzelino  coBGaterinaGoft-> 


-Si  - 

naro,  ove  non  risultasse  abbastaoza  chiaro  da 
se,  basterebbero  a  dimostrare  luminosamente 
quello  che  ho  asserito,  che  cioS  buona  parted! 
quelle  fiabe  sono  di  formazione  artlQciale  e  di 
molto  posteriori.  Si  narrano  aocora  di  Ezzelino 
le  piu  spavontevoli  crudelt^.  Qui,  por&,  il  pro- 
cesso  d  cosi  na'urale  e  comune,  che  non  v'6 
bisogno  affatto  di  ricordare  come  il  popolo  tra- 
Tisi  anche  i  fatti  di  cut  sia  state  spettatore,  li 
confonda,  1*  ingrandisca  o  diroinuisca  secondo  i 
casj,  ma  sempre  li  esageri,  tanto  piu  quando  ab- 
bia  un  interesse  particolare  a  farii  apparire  di- 
vers! da  quel  che  sono  in  realty.  Vorremo  ve- 
dere  proprio  in  questo  ci&  che  costituisce  una 
parte  delta  Icggend.i  di  Ezzelino?  Quelle  osa- 
gerazioni  sono  restate  nella  condizione  di  esa- 
gerazioni  e  nulla  piu  ,  senza  dar  motivi  ad 
ulterior!  sviluppi,  ad  altre  fantasticherie,  sen- 
za entrare  a  far  parte  di  un  corpo  organico 
di  dicerie ,  di  favole  Ezzeliniane.  Vi  i  ma- 
gari  il  punto  di  partenza  della  leggenda  ,  che 
anch'  essa  si  forma  dall*  alterarsi  delle  dimen- 
sion!, ma  la  leggenda  dov* if  NS  d' altra  parte 
le  esagerazioni  sono  ancora  storicamente  pro- 
late tali  ,  e  tuito  induce  a  credere  ,  almeno 
stando  alle  testiraonianze  dei  cronisticontempo- 
ranei  (fatta  anche  la  debita  parte  alio  spirlto 
guelfo,  da  cui  sono  quasi  tutti  animati)  che  Delia 


—  a*  — 

fantasia  del  popolo  grandi  esagerazioni  per  que- 
sto  lato  Don  ci  furono.  II  Ferreto,  Dsuite,  Boc- 
caccio, Petrarca,  tutti  descriTono  Azzolino  come 
tiranno  degno  di  stare  alia  pari  con  i  piu  effe- 
rati  dell*  antichit^,  e  qneste  sono  testimonianze 
in  yeritjt  aatorevoli  e  non  sospette. 

Comanque,  grandi  esagerazioni  al  tempo 
del  Mussato  non  polevano  esser  nate ,  nOn  solo 
perchd  per  la  grande  vicinanza  delle  epoche 
esse  sarebbero  state  facilraente  smentite,  lanto 
piu  facilmente  in  qusuito  Ezzelino,  piu  che  una 
persona,  rappresentava  tntto  nn  partite,  ma  an- 
che  perchd  1*  esagerazione  da  una  parte  richie- 
de  pel  fatto  da  amplificare  un  certo  margine 
che,  purtroppo,  Ezzelino  non  si  prese  cura  di 
lasciar  molto  largo ,  e  dall'  altra  essa  suppone 
un  certo  stupore  in  chi  se  ne  serve ,  stupore 
che ,  purtroppo,  i  tempi  feroci,  in  cui  Ezzelino 
visse,  non  giustificano  affatto.  (1) 


(1)  Da  Ottone  Brentari  («  Ezzelino  nellamente 
del  popolo  e  nella  poesia  p.  17  »)  credo  utile  ripor- 
tare  questa  pagina  intera  per  dare  un'  idea  della  fe- 
roce  barbarie  dei  tempi.  «  Credo  che  non  errerebbe 
chi  affermasse  che  Ezzelino  fu  Tuomo  il  piu  cru- 
dele  d*  un  secolo  crudelissirao :  e  per  rammentare 
che  secolo  fosse  quelle,  basterli  ricordare,  per  non 
pariare  che  di  Guelfi,  che  combattevano  colla  croce 


Ghe  altro  resta  di  tante  flabe  che  rigatr- 
dano  Ezzelino?  Le  voci  prodigiose  iotoroo  alia 
nascita,  alia  vita,  alia  morte  di  lui.  Qaeate  si 
che  in  gran  parte,  se  non  tutte,  presero  origlne 
nei  tempi  immediatamente  posteriori  ad  Ezze- 
lino, sebbeno  nemmeno  esse  ci  par  che  trascor- 
rano  1  conflni  cloll*ordinario  lavorio  fantastico, 
di  cul  sono  oggetto  tutti  gli  uomini  notevoli.  Si 
pensi,  infatti,  alia  diffusionedellecredenze  astro- 
logiche  in  quel  tempi,  in  cui  anche  gli  aomini 
piti  illustri  per  saporo  e  ingegno  vicrodevano; 
si  ricordi  che  la  madre  di  Ezzelino  aveva   col- 


sul  petto,  ed  air  ombra  del  vessillo  del  vicario  dl 
Cristo  ,  che  era  quello  il  secolo  in  cui  Azzo  VII 
d*  Este,  capo  dei  Guelfi,  cavava  gli  occhi  e  tagliava 
il  naso  a  quel  Gerardo  che  gli  aveva  consegnato 
Monselice ,  e  cosl  conciato  lo  mandava  al  suo  ne- 
mico  Ezzelino :  in  cui  lo  stesso  Azzo,  preso  il  ca- 
stello  della  Fratta,  corametteva  le  piu  orrende  cru- 
deltk  sine  sulle  donne  e  sui  fanciulli ;  in  cui  fra 
Giovanni  da  Schio ,  nel  1233 ,  in  ire  giorni  abbru- 
ciava  vive  a  Verona  sessanta  persone,  cheavevano 
h  torto  ed  il  coraggio  di  non  pensarla  come  lui :  il 
secolo  iiel  quale,  in  nome  del  Dio  di  pace  e  di  per- 
dono,  veniva  benedetta  la  Crociata  contro  gli  Albi- 
gesi,  guidata  da  Simone  di  Monforte,  quando  si  ara- 
mazzavano  quanti  si  incontraTano ,  dicendo  cinicii- 


-34- 

ti?a(o  tale  scieoza  e  cho  ancho  il  figliuolo  non 
oe  areva  sdegnato  gli  stndii  e  i  consigli,  e  s'  in- 
tonderi  qaale  potente  e  vigoroso  impnlso  do- 
veva  da  queste  circostaoze  venire  al  rormarsi 
di  tali  voci.  Esse  del  restoporquel  tempo  eran 
delle  piit  comuni  per  chiuoque ;  con  la  diffe- 
renza  che,  meotre  dogli  altri  (noo  di  tutti  perd) 
non  se  ne  serl>&  ricordo ,  trattaodosi  di  nomini 
oscuri,  d'Ezzelino  si  raccolsero  e  si  tramanda- 
rono  roligiosamoDte  noa  foss'  altro  cha  per  dare 
il  gusto  ai  solili  propheti  ex  eventu,  che  aocbe 
a  quel  tempo  noo  avevao  ad  essore   rari. 


mente  che  Iddio  avrebbe  poi  saputo  Cicegliere  ibuoni 
dai  cattivi;  il  secolo  in  cui  i  Crociati,  che  si  avaa 
zavaDo  canlando  il  VexilLa  regis  prodeunt ,  libe- 
rata  Padova ,  la  sacclieggiavano  per  otto  gioroi 
strani  liberatori,  comraettendovi  ogni  genere  dine- 
fanditft :  era  il  secolo  che  vedeva  la  inrame  came- 
ficina  di  S.  Zenone,  che  abbiamo  gik  descritta. 

N6  raigliori  dei  Guelfi  erano  di  certo  i  Ghibel- 

lini !  e  basti  dire  che  1'  Imperatore  Federico  II,  per 

non  parlare  di  allre  sue  imtnani  crudeltJt,  net  12^, 

quando  Innocenzo  IV  predict  con tro  lui  la  Crociata, 

lelle  mani,  fa- 

oncroci  sulla 

no  al  capo,  e 


-  35  - 

Resta,  se  non  ci  lusinghiamo,  uo  puoto  ancora 
da  coDquistare,  quello  forso  che  costitaisce,  come 
direbbesi  io  Francia  il  clou  della  leggeoda,  quel- 
lo, a  cQi  forse  di  solito  piu  si  mira ,  qaando  si 
paria  d'  una  leggenda  Ezzeliniana,  vogliam  dire: 
/'  origine  diabolica  di  EzzeUno  con  le  sue  na- 
turali  conseguenze.  Qui  mi  pare  che  lacagio- 
ne  principale  delta  favola  sia  lo  spirito  parti- 
giano  gaelfo  e  roligioso,  che  anche  per  altri 
personaggi  id  queir  epoca  promosse  favole  si- 
mili,  ad  esempio  intorno  a  Federico  II  pel  quale 
r  abate  Qioacchino  aveva  predetto  ad  Enrico 
VI  che  la  vecchia  moglio  Cosianza  avrebbe 
partorito  d'  ud  demonic  un  demooio.  (1)  Se  6 
cosl,  se  noQ  abbiamo  cioS  nella  favola  una  for- 
mazione  spootaoea,  ma  imposta,  invece  ,  dalio 
spirito  di  parte,  mi  par  che  nemmeno  qui  si 
abbia  il  principle  di  una  vera  e  propria  leg- 
genda di  Ezzelino. 

Alia  generazione  cui  apparteneva  il  Mus- 
sato,  venuta  su  nelT  ultima  met&  del  sec  XIII, 
dope  grandi  lotte  e  grandi  pericoli,  fresca  an- 
cora la  memoria  di  questi,  i  vecchi  racconta- 
yano  le  orrende  stragi,  che  avevano  visto  ,  le 
Tittorie  e  le  sconfitte,  a  cui   preso   parte  ,    le 


(1)  Otione  Brentari  (Op.  Cit.  p.  28-29) 


i 


^  86  — 

congjuro  vane  contro  il  tiranoo,  lo  ribollioni 
teotaio  e  finite  nelle  torture  e  nel  saogue  cit- 
tadino.  E  a  menli,  cui  cosi  fanigliare  era  la 
rappresontazione  deir  oltre  tomba,  fatta  sotto 
tutti  gli  aspetti,  sotto  tulte  le  forme  che  tatte 
le  arti  offriTano;  fatta  in  tutti  i  momenti  del  la 
vita  e  nei  luoghi  piii  diversi  della  citt&,  sul  sa- 
grato,  Delia  Ghiesa,  nella  piazza,  sul  ponte ;  a 
iinmaginazioni  popolate  di  visioni  infernali ,  a 
uomini  cosi  abituati  a  sentir  parlare  di  rapimenti 
estatici,  di  apparizioni  terrificanti ,  di  grazia 
divina  e  di  tentazione  diabolica,  a  quegli  uomini 
insomma  cui  1'  idea  di  Dio  e  quella  del  Diavolo 
orano  cosi  comuni,  da  associarlo  ad  ogni  atto  , 
ad  ogni  avvenimenlo  della  vita,  per  quegli  uo-* 
mini  i  grandi  vizii  e  le  grandi  colpe  non  pote- 
yano  essere  se  non  frutto  del  maligno  volere 
di  Satana,  alio  stesso  modo  cbe  le  grandi  virtti 
non  si  sapevano  spiegar  senza  il  manifesto  in- 
torTonto  della  grazia  di  Dio.  Chi  pensi  come 
questo  concetto  sia  diffuso  ancor  oggi  pelle  no- 
stre  plebi,  e  consider!  d*  altra  parte  il  fervore 
mistico  e  la  fedo  tanto  piii  grande  di  quei  tempi; 
chi  consider i  le  tracce  che  di  esse  concetto  re- 
stano  nelle  nostre  maggiori  opere  letterarie  , 
capir&  quanto  dovesse  essere  comune  a  quei 
tempi  il  credere  un  uomo  virtuoso  posseduto 
dallo  spirito  di  Dio,  come  il  corpo   del  pecca* 


—  37  — 

tore  aibitato  dallo  spirito  d'  Inferno,  dal  Diavoio 
in  persona.  Tatti  hanno  ammirato  1*  imniagina- 
zione  di  Dante  che  mette  1'  anima  di  Bocca  de« 
gli  Abati  neir  Inferno,  nientre  il  suo  corpo  in 
terra  vive  ancora  guidato  da  un  diavoio,  e  si 
sa  adesso  che  quella  stessa  immaginazione  e  in 
un  libro  di  leggende  sacre  d*  uno  scrlttore  te- 
desco,  da  cui  probabilmente  Dante  la  prese.  Se 
sfa  0  no  vero  ci&,  il  certo  S  che  r  immagina- 
zione era  abbastanza  comune  e  che  Dante  ebbe 
il  merito  di  saperne  trar  partite.  Ora  dal  cre-^ 
dere  un  corpo  umano  abitato  dal  diavoio  at 
crederlo  concepito  dal  diavoio  il  passo,  come  si 
vede,  d  breve  e  per  quel  tempi  cosl  naturale, 
che  il  non  trovarlo  fatto,  piuttosto  che  il  tro- 
varlo,  sarebbe  strano  e  difficile  a  immaginare. 
Gontro  Ezzelino  fu  fatta  predicare  dal  papa  la 
crociata,  perchd  i  preti  odiavano  a  morte  il  ti- 
ranno  che  li  aveva  spogliati  del  lore  beni  e  fie- 
ramente  perseguitati  —  Ora  ,  si  ammetta  cha 
un  predicatore,  applicando  al  tiranno  di  Padova 
quelle  che  era  gi^  state  fatto  per  altri,  avesse 
messo  avanti  r  idea  che  egli  fosse  posseduto 
dal  diavoio,  fosse  figlio  del  diavoio  ,  anzi  il 
diavoio  in  persona,  ed  ecco  che  le  sue  parole, 
prese  alia  lettera«  rimaneggiate  ,  trasformate, 
arricchite  di  particolari,  diffuse  largamente  dat 
n^mici  di  £;zzelino,  creano  quella  favola ,   che 


—  38  - 

sarebbe  inesplicabile  davvoro,  ove  non  si  te- 
nosse  conto  doll*  olomento  misiico  e  di  tanti  al- 
tri  elementi  della  vita  di  quei  tempi. 

Data  quiodi  la  popolariti  eladiffusione  del- 
V  idea  di  figliazioni  o  invasion!  diabolicbo,  dato 
il  Goro  odio  guelfo  cattolico,  che  in  simil  guisa 
si  esercitava  contro  Ezzolino  o  contro  ogni  im- 
portante  Gbib6l]ino,si  vedo  quanto  porda  aoche 
qal  la  pretesa  leggenda  di  Ezzelino  della  sua 
importanza  e  delle  sue  individual!  caratteristi- 
che.  Si  potr&  dire  che  noi  non  dobbiaino  andare 
a  spiegare  la  genesi  dogli  elementi  leggendari, 
che  non  deve  interessarci  il  sapere  so  fu  lo 
spirito  partigiano  o  no  che  diede  origine  adal- 
cune  favole,  ma  che  son  piuttosto  le  favole  stos- 
se  che  importano  a  noi,  in  quanto  concorrano 
a  formar  la  loggenda.  E  sta  bene;  ma  noi  ri- 
spondiamo  che  &  appunto  questa  o  i  principii  di 
questa  che  non  troviamo  ;  e  che  quanto  alio 
spirito  partigiano,  come  elemento  generatore 
di  leggende,  noi  no  teniamo  tanto  conto,  da  af- 
ferroare  che  se,  pur  m  ancando  ogni  altra  condi 
zione  favorevole  alio  sviluppo  leggendario  ,  il 
partite  guelfo  avesse  trionfato  definitivamente 
in  Italia,  forse  anche  da  quegli  inisii  si  sarebbe 
sviluppata  una  loggenda  di  Ezzelino.  Imperoc- 
ch6  &  vero  che  quel  po*  di  essa,  fomentato  dal 
guelflsmOy  non  era  osclusiyo  del  solo  immanis* 


stmo  tiranno,  nia  comuno  a  pareccbi  ailri  ghi- 
bellini  e  forse  a  tutti, grand!  e  piccini ;  ma  A 
pur  Toro  che  come  la  neve,  la  qaale  cadeodo 
dai  cielo  egualmente  su  tutli  i  punti  di  ana 
certa  regione  si  ferma  stabilmente  o  si  eleva 
sugli  alii  cojuzzoli;  cosl  probabilmente  la  leg- 
genda  diabolica  si  sarebbe  formata  sul  nome  di 
Ezzelino,  di  Federico  e  di  qualche  aliro  gran- 
de  del  partite  imperiale.  Fine  a  quando  per6 
le  cose  staranno  cosl  come  sono,  nessuno  Yorvk 
negaro  che  una  leggenda  Ezzel'miana  non  d  mai 
esistita,  e  tanto  meno  ai  tempi  di  Albertioo 
Mussato;  e  cbe  il  layorio  fantastico,  fatto  inter- 
ne ad  Ezzeline,  non  eccede  dai  limiti  proper - 
zionatamonte  modesli  di  quollo  cbe  si  suel  fare 
intorno  a  qualunque  personaggie.  Cbe  se  alcu- 
no,  voglioso  piu  di  far  questione  di  parole  che 
di  fatti,  volesse  ostinarsi  a  roantenere  anche  in 
questo  case  ii  nome  di  leggenda,  dovrjt  ben  ras- 
segnarsi  a  dare  a  questa  paroia  uu  significato 
cosl  aropio  e  generale  da  comprendervi  qualun- 
que favola,  fiaba  o  dicefia,  per  quanto  mescbi* 
oa  si  possa  immaginare,  e  non  si  dispiacerjt  in 
tal  case  di  esser  chiamato  anch' egli  un  perse- 
naggio  loggendario. 


CAPITOL*  II 

L*  KseerlMl*  a  la  storia  di  Padova 


SOMMARIO 

Coadiitoni  di  Padoea  nel  1262  (  nascita  di 
Alberlino  )  —  Rapida  carriera  c  fortana  del 
Mustato  —  suo  amor  dt  patria  —  Perchi  scris- 
ae  I'  Eceerintfl  —  Ideatitd  delle  conditioni  di 
Padoea  cot  1237  e  nel  1314  —  parlar  di  quei 
tempi  pel  Massato  era  parlar  dei  suoi  tempi  — 
Lo  SQQpo  politico  delta  tragedia  pud  solo  rea- 
dare  ragione  di  easa  —  Claesicismo  del  teatro 
tragico  ilaliatio  sino  all'  Alfieri  —  L  Ecceri- 
■lls  b  m,onumento  i&olato  alle  aoglie  del  Rina- 
Acimento  —  NeceaaitA  del  auo  carattere  atorico 
—  storia  rappreaentata  ?  —  A  che  si  ridaca  lo 
elemanto  teqgendario  »  T  origine  diabolica  di 
Eiweltno  o  perchh  fu  accolta  nella  tragedia  ~ 
allri  elementi  Icggendari  —  Eaame  storico  della 
tragedia  riepetto  ai  tempi  di  Extelino  —  riapetto 
ai  tempi  del  Massato. 


i  passala  pol 
ibile  soguo,  al 
la  vita  reals' 


-A- 

pih  se  ne  apprezza  jl  beneflcio,  ove  sia  di versa 
dai  logubri  fantasmi  veduti  nella  febbro  o  oel 
deiirio.  Morto  il  iiranno  not  1250  (l)e  riacqui- 
stata  «  a  prezzo  di  sforzi  ioauditi ,  di  lotto  ,  di 
sangae ,  la  liberty  cosl  miseramente  perduta 
ventidue  anni  prima »  non  si  torni  certamonte 
alia  vita  spensierata  o  allegra  del  tempo  in  cai 
la  Marca  ayea  avuto  il  nome  di  giatosa  e  di 
amorosa^  (2)  non  si  videro  bensi  piii  le  splendide 
cavalcate  e  gli  aristocratici  convogni  di  ana 
volta,  ma  si  cerc6  per  compenso  di  provvedere 
con  leggi  e  savie  riforme  al  mantenimento  di 
qaella  liberUt,  di  cui  oramai  si  sentiva  tutto  il 


(1)  Padova  si  era  sottratta  al  domlDio  di  Bzze- 
lino  nel  1259,  sebbene  il  tiranno  continuasse  a  vi- 
vere  e  a  guerreggiare  finch^  trov6  la  morte  a  Son- 
cino  il  1260. 

(2)  Giovanni  di  Nono  o  di  Naone  (Liber  de  ge- 
neratione  aliquorum  civium  urbis  Paduae  tam  nobi- 
Hum  quam  ignobilium)  <  I  Padovani  tenevano  con- 
tinuatamente  bella  famiglia,  buoni  cavalll  ed  armi. 
In  certi  giorni  soleoni,  compagnie  di  nobili  giovani 
padovani  richiedevano  talora  ai  nobili  di  raccogliersi 
a  convegno  colle  loro  donne ;  n^  alcun  valente  cit- 
tadino  negava  loro  tal  cosa.  E  nel  giorno  di  quest! 
conviti  cosl  ordinati,  questi  nobili  giovani  erano  at- 
torno  alle  loro  donne  per  servirle.  E»  dopo  averU 

f 


J 


t>regio  e  I'  importanza.  (1)  Ammaestrati  dalla  do- 
lorosa esperienza,  si  ricercarono  le  cause,  che 
avevan  sottomesso  la  libera  repubblica  pado- 
vana  ai  dure  giogo  Ezzeliniano ,  e  si  escogita- 
rono  i  prowedimenti  pid  atti  a  infrenareil  pre- 
potere  dei  raagislrati,  le  ambizioni  dei  nobili,  la 
corruttela  ecclesiastica,  oppure  si  cerc&  di  di- 
struggere  i  fanesti  effetii  coll*  allargare  la  par- 
tecipazione  dei  cittadini  colli  e  capaci  al  governo 
dolla  co^a  pubblica.  Era  un  fervore  ardente  di 
liberty,  tenuto  desto  dal  ricordo  pur  troppo  re- 
cente  dei  mali  passati ;  una  gara  fra  i  cittadini 
per  riparare  alle  antiche  coipe,  e  un  desiderio 
di  non  piii  ricadervi  cosl  sincere  che  Padova  fa 


servite  o  al  pranzo  o  alia  cena,  andavano  alia  casa 
di  una  di  loro  a  pranzare  o  a  cenare»  come  gia  prima 
si  erano  accordati.  Finite  di  mangiare  andavano  a 
danzare  con  esse  o  ad  esercitarsi  nell*  armi.  Anche 
i  nobili  padovani  tenevano  bellissime  corti  nolle  loro 
ville,  nolle  quali  avevano  giurisdizione.  Avresti,  nei 
dl  di  festa,  trovato  pei  campi  vicini  a  Padova  due* 
cento  o  trecento  giovani  intenti  ad  esercizii  caval- 
lereschi.  E  per  l*  amenitk  dei  luoghi  che  essi  posse- 
devano  e  possiedono,  si  chiam6  Marca  «  gioiosa  ed 
amorosa. » 

(1)  V.  Minoja  (Delia  vita  e  deile  opere  di  A.  Mus- 
sato,  cap.  Ill  p.  12-13  ss. 


'ii. 


—  43  — 

la  prima  dopo  le  citt&  doll*  Umbria ,  ad  acco< 
giiere  fra  le  sue  mura  quelle  turbe  fanatiche 
di  fiaggellanti  o  disciplinatit  che,  mezzo  nudi, 
di  Dotte  e  di  giorno,  di  veroo  e  di  state,  misti 
uomini  e  donoe,  fanciulli  e  vecchi,  andavan  per 

lo  vie  tra  i  pianti ,  le  preghiere  e le   vio- 

iente,  sanguioose  batliture,  coDfessando  i  propril 
peccati,  riconoscendo  la  giustezza  delle  pene  e 
dei  flagelli  che  Dio  mandava,  o  invocando  per- 
done  ad  alte  grida.  0  cho,  dunque,  si  rivelasse 
lol  campo  pratico ,  con  le  savie  disposizioni  le- 
gislative,  o  che,  facendo  risonar  per  lo  vie  della 
citt&  la  cantio  paenitentium  lugubris,  si  espli- 
casse  negli  ardori  di  un  misticismo  intenso  ma 
effimeroi  profondo  era  r  abborrimento  nei  Pa- 
doTani  pel  passato  e  per  le  cause  che  1*  avevau 
prodotto,  sincere  il  pontimento  delle  colpe,  vi- 
yamente  sentito  il  bisogno  e  affermato  il  pro- 
posito  di  evitare  i  funesti  errori,  di  cui  si  era 
Fatto  scala  Ezzelino  per  giungero  alia  siguoria. 
Fra  propositi  e  pentimonti  cosl  fatti  vedeva 
la  luce  in  Padova  due  (1)  anni  dopo  la  strage  di 
S.  Zenone  (spaventoso  epilogo  di  lunga  trage- 
dia)  Albertino  Mussato^  il  quale  Un  da  bambino, 


(1)  Novati  (Glorna)e  storico  della  Lett.  Ital.  Vo« 
lume  60). 


-  44  - 

flgliuolo  d*  un  umile  impiegato  del  cornuDe,  (1) 
sacchiava  col  laile  quel  sontimenti  che  proprio 
allora  erano  piu  fervid!  che  mat ,  e  cho  dove- 
TaDo  poi  iDforroare  tuita  1*  opera  sua  di  citta- 
dioo  e  di  letterato.  Orfano,  In  eik  ancor  lonora, 
gettato  Delia  lotto  dolla  vita  con  Tobbligo  di 
affrontarle  per  sd  o  per  i  saoi,  ne  prov&  tutte 
le  amarezze  e  i  dolori,  ne  esperimenti  tutte  le 
difflcoIt&,  che  si  fanno  incontro  nel  moodo  a  chi, 
nascendo,  non  trovi  le  vie  spianato  e  aperte 
dalla  poteoza  di  un  avlto  patrimonio  o  almeno 
dal  prestigio  di  un  nome  illustre.  Ma,  come  a 
prezzo  di  studio ,  di  fatiche ,  di  sforzi  di  ognt 
maniera  ,  un  giusto  promio  venne  a  coronar 
I'opera  sua  iaboriosa;  come  ebbe  tra  i  concitta* 
dini  fama  ed  onori,  dove  sentirsi  dal  buon  suc- 
cesso  ringagliardito  Tamore  alle  libere  istitu- 
zioniy  tra  cui  era  cresciuto,  e  insieme  1*  aborai- 
nio  della  servitu  di  cui  i  racconti  dei  suoi  vecchi 
6  lo  letture  degli  antichi  scrittori  gli  avevano 
insegnato  gli  orrori.  Ho  detto  dal  buon  successo, 
giacchd  niente  d  plu  caro  delPagiatezza  conqui- 
stata  col  proprio  lavoroedel  luogo  dove  la  con* 
seguimmo,  e  tanto  piu  quando  esse  d  la  propria 


{%)  NoTati  -^  L  ot 


—  45  — 

patria,  la  quale  (a  patio  di  non  ossere  vuota  pa- 
rola,  straziata  e  profanata  da  ambiziosi  poUtlcaD- 
ti)  non  pu6  amarsi  veramente  e  fortemente  se  non 
da chi  non r abbia  matrigna.  QaandoiiIuogo,ove 
nostra  madre  ci  diede  alia  vita ,  gi&  caro  per 
questo  solo  fatto  alTanimo  nostro,  non  soffocht 
0  distrugga  i  desiderii  piu  giusti,  gli  affetti  piu 
cari  di  un  uomo  buono,  ma  anzi,  nei  limiti  del- 
rinteresse  comune,  cerca  di  soddisfarli,  di  quan* 
to  non  si  fortifica  in  noi  Taniore  naturale  e  in- 
nato  alia  terra  natia ,  si  che  poi  esso  resista 
saldo  agii  assalti  dello  scetticismo,  e  anche  uui 
momenti  di  sconforto  e  d*  amarezza  contro  i  no- 
stri  concittadioi  ci  ricordi  con  voce  sommessa  i 
beneficii^di  cui  andiamo  debitori  alle  istituzioni 
nazionali,  ci  fughi  dall'animo  rindifferenza  iu 
sal  nascere  e  ci  faccia  capaci  doi  piu  grandi 
sacriflci  ?  Percb6,  6  tanto  vero  che  il  cittadino, 
il  quale  ha  trovato  nel  proprio  paese,  quasi 
come  suo  fatale  patrimonio  Tignoranza  e  1*  ab- 
brutimento,  il  contrasto  di  ogni  suo  piu  innocuo 
0  giusto  desiderio ,  e  (Dio  non  voglia !)  la  mi- 
seria,  la  fame,  lo  scherno  dope  una  vita  di  su- 
dori,  e  tanto  naturale,  dice,  che  questo  citta- 
dino  abbandoni  disgustato  la  sua  terra  per  cer* 
carne  altre  mono  avare,  quanto  6  naturale  che 
chi  ha  yeduto  seguire  alia  fatica  il  premio,  ne 


—  46  — 

attribuisca  quasi  iutto  il  merito  alia  patria  (1) 
e  alio  istitazioDi  in  cui  essa  si  regge,  e  teaace- 
mcuite  si  affezioni  air  una  e  alio  altro. 

E*  questo  appunto  cho  avvenno  al  Mussato, 
Delia  cui  vita  ed  opera  leiteraria  l'  amore  delia 
patria  e  della  liberty  si  rivela  cosi  forte ,  che 
ail*uoa  6  airaltra  sacrifica  spesso  lo  simpatie 
e  i  risentimenti  di  uomo  di  partito.  A  questo  si 
deve  se  egli  or  6  guelfo ,  or  (2)  e  ghibellioo , 
percbe  d  soprattutto  padovauo  e  repubblicano; 
iaonde  si  accosta  aU'imperatore  o  combatte  cod- 
tro  Can  Orande,  secoodo  che  gli  sembra  essere 
la  salute  della  patria,  o  secoudo  che  la  patria 
abbia  deliberate  oeile  sue  assemblee ;  e  grau 
magoaDimit^  fu  certo  la  sua,  allorchS ,  propu- 
gnaodo  egli  il  partito  della  pace ,  ma  prevalso 
quelle  della  guerra,  si  diede  a  prepararia  e  vi 
partecip6  cod  zelo  di  uomo,  cui  Dulla  &  piii  caro 
del  proprio  paese.  Fu  quest' iudomito  amore 
che  lo  iodusse  a  scrivere  V  Eccerinis  e  a  pub- 
blicarla,  Del  1314,  meDtre  Can  Grande  e  la  sua 


(1)  Mussato  (Epistola  I,  versi  1,  4, 15,  18,  23,  24 
e  passim). 

(2)  Mussato  (Epistola  JI  v§rso  34)  |f  ni|DC  Qelfus, 

wmo  Giboleugus  ero), 


-It- 


^' 


signoria  sovrastavano  ai  padovani.  (1)  Dal  1250 
(morte  di  Ezzelino),  anzi  dal  1257  (liberazione  di 
Padova)  eraDO  passati  molti  anoi ;  1*  uliima  ge- 
nerazione  di  quelli^che  avevano  assistitoal  me- 
morabile  aTvenimento^  era  in  gran  parte  spa- 
rita ;  le  ferite  avoTano  avato  tempo  di  rlmar- 
ginarsi,  il  granie  assalto  fatto  cUla  regione  ri- 
maneva  memoria  consegnata  nelle  croonche ,  o 
iosieme  coi  ricordi  deli'esecrato  tiranno  impal- 
lidivano  i  ricordi  dei  propositi  fatti,  delle  virtd 
necessarie  a  impedire  una  naova  rovina.  La 
Concordia  e  la  pace  sparite ,  risorte  le  fazioni, 
ringagliardite  le  passioni  e  1*  incostanza  delta 
folia  precipitosa  alle  deliberazioni,  inchine  a  se- 
gaire  il  prime  impulse  e  ripugnante  dalle  di- 
scassioni  con  gli  uomiui  pid  saggi,  (2)  rideste  le 
gare  ambiziose  doi  nobili  o  lo  lore  male  arti,  fo- 
roentalrici  di  tamuiti  e  di  liti,  rinnovato  il  guer- 
reggiare  delle  fazioni  dei  guelfi  e  ghibellini  gi& 
fin  da  prima  che  morisse  Enrico  VII  ^  venuto 
col  programma  di  mottervi  termine  una  buona 
volta.  Tutto  questo,  poi,  mentre  interne  interne 
alia  citti  i  comuni  yiciui  erano  gi&  caduti  aotto 


(1)  Zardo  (Rivista  St.  it.  —  Vol.  VI)  —  Minoja 
(op.  cit.  «  passim  ») 

(2)  Minoja  (op.  cit.  a  p.  112,  114,  121,  122). 


-48- 

il  giogo  di  signorotti  ambiziosi  e  guardanti  con 
occhio  cupido  a  Padova,  o  mentre  Vicenza,  id- 
tollerante  della  signoria  padovana,  aveva  aperto 
le  porta  a  Can  Grande^  offrendo  cosi  buon  pre- 
testo  alio  Scaligero  di  piombare  un  giorno  o 
Taltro  sa  Padova.che  non  sapeva  rassegoarsi 
alia  perdita  di  quella  citt&. 

Ud  simile  stato  di  cose  non  doveva  tardare 
a  riprodurre  quelle  conseguenze,  che  quasi  un 
secolo  prima  avevan  date  il  domiaio  di  Padova 
a  Ezzelino.  Padova,  infatti,  n  quel  giorni,  mes- 
sa  al  bando  dall'  impero,  mentre  il  sue  nemico 
naturale  veniva  create  vicario  imperiale,  ripru* 
duceva  con  meravigliosa  esattezza  la  situazione 
della  citti  ottant*  anni  prima,  allorchd  Federico 
II  le  faceva  guerra,  ed  Ezzelino  III.  era  sotto 
le  mura.  I  tumulti  suscitati  dall' ambizione  delle 
famiglie  Agolanii  e  Alticlini  e  Carrara  riu- 
scirono  a  dar  la  supremazia  della  citt&  a  que- 
st* ultima, che  fini  poi  col  divenirne  signora  e  ce- 
derla  alio  Scaligero,  come  gi^  ottant'  anni  pri- 
ma i  Padovani,  affidatisi  alia  famiglia  d*  Esle^ 
n'erano  stati  traditi  e  consegnati  ad  Ezzelino. 
II  terrore  e  le  sgoroento,  da  cui  furon  presi  i 
Padovani,  dope  la  sconfitta  di  Vicenza,  richia- 
mavano  insistentemente  alia  memoria  e  all'  im- 
maginazione  momenti  simili  a  quelli  passati, 
quando  Ezzelino  era  por  impadronirsi  della  citt&, 


grazie  ai  segreti  manegggi  con  Azzo  d'  Bste  e 
i  sedici  anziani  di  Padova.  U  pauroso  fantasma 
delta  servitii,  dimenticato  un  poco  nel  benessere, 
causato  dalle  provvide  leggi,  si  ripresentava  ora 
alio  moQti  di  tutti  piii  mioaccioso  o  terribile  che 
mai;  in  tutti  ora  Tincabo  che  la  taato  temata 
servitu  si  cambiasso  ben  presto  in  dura  realt&, 
tanto  piu  che  il  sospetto  del  tradimeato  era  ia 
tutti,  dacchd  nel  Luglio  del  1315  si  era  sco- 
porta  una  congiura  di  pochi  cittadini,  intesa  a 
dar  Padova  in  maoo  alto  SccUigevo.  Q\i  animi 
anche  men  viti  erano  in  preda  alio  scoraggia- 
mento  dinanzi  a  quetta  che  sembrava  una  ine- 
sorabite  fatality,  quand*  ecco  si  leva  uoa  voce 
virile,  e,  adombrando  sotto  i  tetri  cotori  delta 
figura  di  Ezzeliao  V  immioente  nuovo  tiranno, 
facendo  rivivero  col  magistero  deli' arte  quei 
giorni  di  lutto  e  di  dolore,  mostra  in  tutta  la 
sua  bruttozza  gli  orrori  di  una  vita  da  schlavi, 
mentre  indica  i  rimediiper  scongiurare  il  peri- 
coto  gi&  tanto  vicino.  Perch6  io  credo  la  trage* 
dia  del  Mussato  piuttosto  opera  del  cittadino  che 
del  lotterato;  credo  che  sia  un  altro  dei  servigi 
rest  dal  poeta  alia  patria,  per  la  cui  liberty  e 
grandezza  si  e  adoperato  neirassemblee  delco- 
mune,  nolle  ambascerie,  sui  campidi  battaglia. 
E*  percid  il  tentative  di  chi  ha  tuttora  fidacia 
nei  destini  del  proprio  paese,  e  non  sa  ancora 

7 


rassognarsi  a  crederlo  taoto  caduto  in  basso,  e 
vaole  allontaDarne  1'  dstremo  poricolo,  quello 
pib  tomnto  da  uo  sincoro  repubblicano  d'  allora , 
la  perdita  della  libert&  municipalo.  La  tragedia 
cootieae  implicfta  la  speraoza  che  lo  virtd  cit- 
tadiae,  dimenticate  o  speoto,  baa  presto  risor- 
gaoo;  tihe  la  concordia  di  lutte  lo  class!  faccia 
argino  al  poricolo  cho  la  loro  discordia  aveva 
luscitato;  che  almeno  alia  sua  voce  gli  aDimi, 
iddormentati,  si  riscaotaoo  e  toraino  momori 
lei  dovere,  come  al  suodo  dolla  tromba  guor- 
■eaca  11  sold&to,  stacco,  sente  gli  spirit!  rioga- 
[liardirsi.  La  tragedia  fu,  duoque,  frntto  d'  ud 
ilto  disegoo  politico,  che  Don  solo  attesta  in  Al- 
lertino  1*  ardente  amor  patrio,  ma  ADcbo  il 
:oDcetto  elevato,  ch'egli  si  era  fatto  della  let- 
eratura  e  dell'  ufficio  di  questa,  come  educa- 
Tice  dogli  animi  ed  elemento  di  ciTilt&,  meatre 
iDCora,  iiidirettamente,  i  docameato  delta  pro- 
[redita  coltara  e  dei  gastilettorarii  di  Padova, 
n  quanto  che  le  lettere  non  hanno  nessuna  ef- 
icacia  civile  ae  dod  dove  siano  diffuse  ed  amate. 
luesta  alta  stima  dalla  letteratura  darebbe  gi& 
la  sola  diritto  al  Muasato  di  aver  posto  nol  Ri- 
lascimento,  tanto  piu  cha  ai  suoi  giorni  ancora 
ion  era  dileguato  dalle  coscienze  il  disprezzo 
>er  ogni  altra  scienza  diveraa  dalla  dirina;   ed 


AlbertiDO  appunto  ebbe  a  difenderd  (1)  i  dirilti 
6  la  digoiti  della  Poesia  diDanzi  alle  invadeoti 
pretension!  della  Teologia,  sontenute  da  frate 
Oiovannino  chepredicava  allora  inPadova.  Chi 
badi,  dunqne,  alio  scope  politico, propostosi  evi- 
dentemente  da  Albertino  nollo  scriver  la  trage- 
dia,  poivk  anche  intendere,  per  dircosi,  la  ra- 
gione  storica  della  medesima.  (2)  Dal  Mussato 
stesso  sappiamo  che  egli  aveva,  fanciuUo,  slu- 
diato  le  tragedie  di  Seneca,  il  poota  caro  a  tutto 
il  Medio-Evo  o  anche  ai  tragici  italiani  anterior! 
air  Alfleri.  Ora,  se  si  pensa  che  quest!,  in  gene- 
rale,  trattarono  gli  stessi  argomenti  del  poeta 
latino  oppure  altri  tolti  dalla  Storia  e  dalla  Mi- 
tologia  antica;  o  se  anche  ricorsero  alia  storia 
post-romana,  scolsero  fatti  che  ai  prim!  si  ras- 
somigliassero  nella  loro  terribilit&  e  li  modella- 
rono  su  di  essi,  avremo  ragione  di  ntupire  del 
Massato.  Da  lui,  infatti,  legato  alia  tradizione 
classica,  assai  piu  strettamente  che  non  fossero, 
di  necessity,  i  letterati  del  XTI,  ci  sarebbe,  in- 
vero,  da  aspettarsi  an  Edipo,  uo  Tieste  o  ma- 


ll) Vedi  Epistola  XVIII  di  AI.  Mussato  nel  libro 
intitolato  <  Historia  Augusta  Ilonrici  VII  Caesaris 
et  alia,  quae  extant  opera.  » 

(2)  Sipistoja.  I-da  v.  77  »  v.  86| 


gari  uD  Nerone,  (1)  ma  non  mai  una  tragedia 
di  argomento  storico  coDtemporaneo.  Chi  pel 
primo  attribul  al  Mussato  1'  Achilleis  doo  disse, 
da  UQ  punto  di  vista  logico  e  critico»  cosa  af- 
fatto  assarda,  considorato  r  indiriszo  e  le  ten- 
denze,  che  addimostr6  poi  la  tragedia  italiana. 
Vorrei  anzi  dire  che,  se  deila  vita  e  dell'  ope- 
resits  lettoraria  di  Albertino  non  sapessimo  altro 
se  non  che  avrebbe  scriito  una  delle  due  tra- 
gedie,  Ecccrinis  ed  Achilleis,  e  mancassimo  an- 
che  del  sussidio  di  confrontare  ciascuna  di  esse 
con  le  altro  sue  opero  latine  per  decidere  la 
quistione,  se,  insomroa,  fossimo  ridotti  a  fare  un 
puro  calcolo  di  probability  sugli  argomenti  delle 
due  opere,  certo  ci  parrebbe  piii  probabtle  che 
1'  Achilleis  fosse  stata  scritta  dal  Mussato  e 
V  Eccerinis  rimontasse  a  tempi  a  lui  posteriori. 
Soltanto  tenendo  present!  le  condizioni  politic' 
che  dolla  repubblica  padovana  a  qaei  giorni  e  i 
sentiment!  di  Albertino,  si  pu&  iotendere  quella 
tragedia,  che  sorgo  monuraento  isdlato  alio  so- 
glie  del  Rinasciraento,  tanto  si  scosta  dagli  ideal! 
letterarii,  cheallora  e  di  poi  prevalsero.  Men- 
tre  le  sacre  rappresentazioni  attiravano   Y  at- 


(1)  Ai  tempi  del  Mussato  si  credeva  ancora  che 
r  Ottavia  fosse  aHeh*«ssa  di  Seoeoa^ 


—  88  — 

tenzione  dei  volghi,  egli  toglie  a  soggetto  uq 
argomento  profano  e  lo  veste  di  forma  latioa; 
stadioso  poi  e  ammiratore  di  Seneca,  svolge  un 
fatto  della  vita  con  tempo  ranea,  mentro  an  se- 
coio  piu  tardi  nelle  splendide  corti  dei  principi 
italiani  si  riprodorranno  icapolavori  delTeatro 
Latino,  oppure  opere  su  quelli  condotte  dai  no- 
stri  letterati.  Una  tragedia,  composta  o  scritta 
con  criterii  simili  a  quelli  del  Mussato,  non  po- 
te?a  non  assumere  caratteri  o  flsonomia  pro- 
pria, e,  prevalente,  quello  della  storicit^;  giac- 
che  ben  iscarso  ammaeslramento  a?rebbe  egli 
date  alia  folia,  ove  avesse  inventati,  ingranditi, 
esagerati  fatti  cosl  vicini  e  noti  a  tutti. 

La  tragedia  riusci,  quindi,  una  breve  storia 
pootica  e  dialogata,  in  modo  da  essere  atta  aiUa 
rappresentazione ;  nd  alcuno  si  meravigli  di 
questa  confusione  o  invasione  di  conQni  tra  ge- 
Dore  e  genere  letterario.  II  Mussato  stesso,  pre- 
gato  dal  Collegio  dei  Notai ,  aveva  scritto  in 
un  poema  di  tre  libri  la  storia  deirassedio  di 
Padova;  e  nd  lui ,  ne  altri^che  nel  Medio-Evo 
ci  lasciarono  storie  verseggiate,  pensarono  me- 
nomamente  che  i  necessari  infingimenti  poetici 
e  la  maggior  cura  della  forma  in  un  lavoro  poe- 
tico  potessero  in  qualche  modo  essere  a  scapito 
della  verity  e  della  fedelt&,  a  cui  T  opera  delio 
^^rico  vttol  essere  informata.  Questa  oonfusioqe 


-S4~ 

di  g«neri  letlerar!  fa  comunJsaima  nel  Medto- 
Eto  ;  e  baslerebbo,  per  coDTincerseDe  uoa  volta 
per  sempro,  ricordare  il  signiBcalo  chohan  p6r 
Danta  la  parola  Tragedia  o  Commedia,  e  in  oor- 
I'ispondoDza  sUle  Iragico  o  stile  comico. 

Del  raslo  rinvasiono  reciproca  dei  vari  do> 
mini  letlerai'i  aveva  radici  ben  profonde,  in 
quanto  rimonlaTa  ai  tempi  di  Saaeca  stesso.  (1) 
Come  poi  (ale  confusione  non  doveva  croscere 
m  nn' e(&,  come  il  Medio-Evo,  di  )etargo  per 
la  letteratora  latioa  o  classica  in  geoerale,  le- 
targo,  da  cui  le  opere  del  MusecUo,  dol  Ferre- 
to,  del  Lovalo  e  degli  altri  che  illustraTaa  la 
bcuola  padovaoa,  erano  appena  i  primi  sogol  di 
riseuotlDieDto  ? 

Bane  accolsa  ooUa  sua  opera  Albartino  la  fa- 
rola  roolto  difTusa  deH'origioe  diabolJcadjEzEe- 
liao,  sulla  quale  srolg)  quasi  tutto  iiprimoatto. 
Ma  quella  favola,  oltro  a  trorarsi  d'  accordo 
cot  seotimento  popolara  e  con  la  coDviDzieoe  , 
spoDtaaeamente  o  artificialmeota  radicatasi  Del 


|1)  Plinio  il  Giovane.  in  una  lettera.  ineorsg- 
giavs  un  siio  ainico  a  scrivere  un  poema  epico  sul 
goiiere  dell'Odissea  e  deU'lliadc,  in  cui  si  narras- 
sero  i  casi  dslla  guerra  DacJca,  cbe  proprio  in  <\nei 
^iorni  Ti^iaDO  copbattsv^. 


-«  W  -»^ 

popolo»  oltre  ad  esse  re  feconda  per  il  letterato 
di  forti  immagiaazioni,  delle  migliori,  forse,  della 
sua  opei*a,  perchd  gli  diede  gi&  quasi  bella  e 
formata  la  colossale  flgura  di  Ezzelioo,  aveva 
anche  non  poco  valore  rispetto  alio  scope  civile 
e  morale  eh'  egli  si  proponeva.  Che  se  le  male 
arti  di  Ezzelino,  nooostante  gli  aiati  pateroi  e 
infernali,  dope  aver  trionfato  per  alcan  tempo, 
furono  yinte  dalle  virtd  rianite  delle  cittjt,  da 
lai  oppresse  ed  offese,  e  dalla  concordia  doi  cit- 
tadini,  quale  effetto  benefice  non  si  aveva  il  di- 
ritto  di  aspettare  da  quelle  medesime  virtii,  da 
quella  medesima  concordia  con  un  nemico ,  se 
tanto  simile  ad  Ezzelino  nolle  condizioni  stori- 
choy  pur  tanto  minore  di  lui  e  nell'  animo  e 
noi  mezzi  e  nella  estimazione  generate;  centre 
UQ  Can  Grande,  uomo  e  figlio  di  uomo  come 
tutti  gli  altri  ?  Ohe  egli  facesse  posto  nella  tra- 
gedia  alia  credenza  popolare  solo  per  intendi- 
menti  artistic!  e  morali»  pu6  ossere  anche  atte- 
stato  da  un  fatto.  Nell*  epistola  a  Oiambono(l) 
b  svolta  esplicitamente  una  giustificazione  del- 
r  opera  di  Ezzelino,  la  quale  fa  capoiino  anche 
nella  Tragedia  (att.  Ill  see.  1)  e  che  forse  a 
quel  tempo  era  gi&  nell'  animo  di  molti.  II  fe- 


(1)  Mussato  —  Epistola  V. 


rocissimo  tiranno,  considerate  come  vtndew  non 
piu  come  auclor  scelerum^  dice  nell*  Eccerinis 
€  Delicta  poscunt  gentium  uUrices  manM  > ; 
e  cosi  il  poeta,  per  bocca  di  Ezzelioo,  d&  una 
nuova  sferzata  ai  suoi  contemporanei ,  ammo- 
noDdoli  che  la  causa  di  tutte  lo  svoDture  o  an- 
che  doll*  incrudelire  di  Ezzolino  dovesse  ricer- 
cars!  nolle  colpe  dei  cittadini  discordi  e  turbo- 
leoti,  i  quail,  dope  a?er  prodotto  la  perdita 
della  liberty,  con  la  lore  condotta  iaconstante, 
coi  lore  tradimenti,  con  le  mire  ambiziose,  aiz- 
zarono  Ezzelino  alio  crudeltjt  e  alio  stragi.  E 
potrebbe  anche  essere  che  1'  elemento  leggen* 
dario  della  nascita  di  Ezzelino  stia  nella  trage- 
dia  per  effetio  di  ricordi  e  di  lavori  giovanili 
del  Mussato.  Sicco  PolentonCy  infatti,  tessendo 
una  breve  biografia  del  Mussato,  ricorda  (1)  co- 
me dalle  Yoci  accreditate  fra  i  popoli  della  Mar- 
ca  Ezzelino  ed  Alberico  fossero  deiti  figli  di  Plu- 
tone;  onde,  soggiunge,  pcelce  materia  tUriusque 
Qperis  scribendi  orta  est.  L'  una  di  quest e  due 
opere  6  la  tragedia  tanto  nota,  r  altra  sarebbe 
un  libro  anche  in  poesia,  a  quanto  paro,  in  cui 
Eccerino  sarebbe  immaginato  flglio  di  Plutone 


(1)  Sicco  Polentone  (De  scriptoribus  illustribus) 
nella  vita  del  Mussato. 


-87- 

e  di  Proserpina.  Or  se,  data  Tesattezza  abituale 
del  Polentone,  dobbiamo  ammettere  come  vera 
qaosta  notizia,  il  secoodo  lavoro  sa  Ezzelino 
Don  si  pu6  credere  posteriore  al  prime,  perchi 
il  sovrabbondare  deirelemento  favoloso  e  mito- 
iogico  (tesiiinoniato  dal  solo  accenno  a  Plalono 
e  Proserpina)  mal  si  spiegherebbe  da  una  parte 
con  lo  svilnpparsi  dell'  attitudine  storicocritica 
del  Mas^ato,  che  era  giunto  a  vedere  in  Ezzelino 
nn  vendicatore  di  delitti,  coll*  accentaarsi  delle 
sue  simpatie  verso  l*  impero,  e  con  qael  ride- 
starsi  dei  saoi  sentimenti  mistici,  di  cut  furon 
frutto  le  meditazioni  e  i  soliloqui  degli  uUimi 
suoi  anni. 

Nalla  di  pin  conveniento,  al  contrario,  che 
d'  immaginare  il  poema  scritto  negli  anni  gio- 
vanili,  fresca  ancora  la  memoria  e  la  fantasia 
e^  lo  studio  dei  libri  classic!;  schiottamente  guel- 
fo  ancora  di  parte,  e  percid  piu  disposto  a  cre- 
dere vere  quante  dicerie  Todio  dei  preti  e  de- 
gli oppressi  aveva^  sparse  sn  Ezzelino,  piii  fa- 
cile anche  ad  accoglierle  perchd  esse  nella  lore 
caratteristica  terribilit&  gli  offrivano  buon  par- 
tite a  invenzioni  e  a  tirate  sul  genere  d!  quelle 
che  son  cosi  frequent!  in  Seneca.  Gon  tali  ri- 
cordi  letterarii  qual  meraviglia  se  il  demonic 
delta  pubblica  opinione  divenisse  sotto  la  penna 


$ 


—  88  — 

del  trascrittore  di  classic!  Plulone  6  Cerbero(l) 
6  la  femmina,  che  giacque  coo  lai,  assamesse  i 
linoamenti  e  il  nome  dl  Proserpina  ?  Or  chi  sa 
quanto  sian  forti  le  impressioni  giovanili»  qaanto 
torn!  caro  il  ricordarle  e  il  risascitarle,  potr& 
agovolmente  immaginaro  cho  il  poeta,  maturo 
di  anoiy  volendo  richiamare  i  cittadini  aireser- 
cizio  di  qaelle  virtu,  che  sole  assicurano  la  li- 
bertjt,  abbia  ripreso  il  lavoro  giovaaile,  e,  da- 
togli  maggior  contenato  e  atteggiamento  storico 
(come  per  accrescergli  efflcacia)  r  abbia  rifoso 
nella  tragedia  a  noi  pervenata;  la  qaale  percid 
destinata  ad  un  alto  scope  civile,  e  non  a  yaoto 
sfogodi  vanity  letteraria,  avrebbe  perdato  quasi 
totalmente  il  carattere  mitologico  origioario. 
Cos!  Albertino  di  suUe  labbra  del  popolo  colse 
e  tolse  a  prestito  quella  tetraggine  di  colori , 
quella  esageraziooe  di  tiate,  che  era  natarale 
aspettarsi  a  proposito  di  un  flglio  del  demonio 
e  che  si  accordava  tan  to  bene  con  1'  indole  e 
gli  scopi  del  sue  lavoro.  I  proponimenti,  mani- 
festati  a  sangue  freddo,  di  crudelt&  lungainente 
premeditate,  e  come  suggerite  dal  genio  male- 
flco,  di  cui  Ezzelino  si  voleva  flglio;  il  ricordo 


(1)  Sicco  Polentone  Op.  cit.  «  libro  altero  Ec- 
cerinum  natum  Proserpina  et  Plutone  finxit  ». 


che  il  tiranno,  sol  punto  d*  esser  preso  a  Cas- 
^ano,  ayrebbo  fatto  delta  predizione  maternafl), 
la  gravidanza  (2)  di  dieci  mesi,  Paccordo  fatto  tra 
i  fratelli  di  flogersi  nemici  (3),  e,  con  questi,  qual- 
chealtro  particolare  son  tutti  toiti  dalle  dicerie 
del  volgo;  ma^  benchd  per  alcuni  di  essi  si  e 
ancor  luogi  dal  dimostrare  il  lore  carattere 
fantastico  (4),  nondlmeno,  anche  accettati  tutti 
per  ioventati,  son  cosi  pochi  da  non  cambiare 
la  Osonomia  gonerale  delta  tragedia,  quella  ciod 
di  lavoro  storico.  Oiacchd,  all*  infuori  di  qoesti 
casi,  il  Mussato  si  ditnostra  storico  tanto  esatto 
o  verace  nell'  Eccerinis  qaanto  quasi  nella  Sto- 
ria  Augusta,  nd  rivela  talvotta  in  quella  minor 
miouzia  di  pariico!ari  che  in  questa  (5). 

Nel  I.^  atto,  quasi  a  rispondere,  alia  ter* 


(1)  At.  Ill  —  Sc.  I 

(2)  At.  I  —  Sc.  I  e  11 

(3)  At.  Ill  —  Sc.  I 

(4)  Per  esempio  1*  inimicizia  dei  due  fratetti,  e 
il  caso  non  rare  delta  gravidanza  di  10  mesi. 

(5)  Si  guardl  per  esempio  nel  libro  VI,  13  delta 
Storia  Augusta  con  quanta  esattezza  e  precisione 
calcola  le  forze  militari  dei  padovani,  secondo  te 
diverse  armi,  come  si  direbbe  oggi ;  Caoalleria  , 
guasiatori  a  cacallo,  scudieri,  pedonif  m^rGenari 
eco. 


nbile  invocazione,  da  EzzeHno  rivolta  al  padro, 
il  Coro  gi&  avvorte  an  tumulto,  an  ribollir  di 
passioni,  un  ridestarsi  e  un  improvviso  divam- 
par  dt  odii,  di  ambizioni,  d*  invidia.  Non  si  pud 
davvoro  immaginare  una  descrizione  piu  ?eri- 
dica  di  quelia  che  fa  il  Coro  iatorno  alio  con- 
diziooi  della  Marca  TrMgiana,  e  di  Pado?a 
specialmonte,  (1)  quaodo  Ezzelino  ordiva  sempre 
naovi  complotti  per  piombaro  salla  fiorente  re- 
pubblica,  fomentando  abilmente  ie  dissenzioni 
fra  i  nobili,  giovaodosi  delle  lore  gelosio  e  salle 
rovine  altrui  ionalzando  TediOcio  della  suapo* 
tenza.  Ma  quolla  descrizione,  nella  sua  anoniiDa 
generality,  e  anche  un  ritratto fedele  deile  con* 
dizioni  dei  tempi  del  poeta,  qaando  nel  palazzo 
del  comune  veniva  acciso  nn  cittadino,  tenato 
per  capo  della  parte  ghibellina,  (2)  e  ripiglia- 
van  vigore  Ie  maledette  fazioni »  mentre  i  da 
Carrara  facevan  uccidere  i  lore  rival!  e  sac- 
cheggiarne  Ie  case  dalla  plebe,  che  in  frequent! 


(1)  Per  Ie  condizioni  di  Padova  e  della  Marca, 
prima  della  dominaziono  d*  Ezzelioo,  leggasi  il  libro 
del  Cantu  «  Ezzelino  da  Roroano,  Storia  di  uii  ghi- 
bellino  ». 

(%\  Gugli^lmo  Novello  dei  Pultonieri  (v.  Minoi% 
p.  113,  114). 


%. 


-  M  - 

sollevazioni  trascOrreva  irragionevolmente  dai- 
r  apoteosi,  per  dir  cosi,  al  vituperio  dei  mode- 
simi  uomini,  con  quella  incostanza  di  cui  spessD 
obbe  a  lameDtarsi  ancho  il  Nostra  (1).  Se  oel 
Coj^o  del  I  atto,  per6,  abbiamo  uoa  descrizione 
generate  e  anonima  delle  condizioni  della  Mat*- 
oa,  ecco  nel  11.^  comparire  dei  nomi  ed  un'  e- 
sposizione  cosi  precisa  delle  cause,  che  deter- 
minaronoglt  avvenimenti,  qaalo  sipotrebbe  pre- 
tendere  da  ano  storico. 

II  Sunzio\  che  vien  trafelato  da  Verona, 
non  si  contenta  di  narrare  gli  av venimeDti  pre- 
sent!, che  tanto  lo  commuovono,  ma  si  rif&  in- 
die tro  per  dire  <  aliquid  ex  gestis  prius  »  ed 
esporre  i  fatti  che  <  causas  dedere  praesenli- 


(1)  Albertino,  fischiato  dal  popolo  di  ritorno 
dalla  sua  seconda  ambasceria  ad  Enrico,  poco  dope 
levato  al  cielo  e  pregato  come  un  santo  perch6  vo- 
lesse  far  parte  d'  una  3.^  ambasceria,  applaudito  di 
poi  per  i  nuovi  patti  da  lui  ottenuti,  sebbene  peg« 
giori  dei  primi,  vilipeso  ancora  una  volta  e  minac- 
ciato  nella  vita;  colmato  di  onori  dopo  la  pubblica- 
zione  della  tragedia,  fini  col  dover  fuggire  dalla 
cittk  dinanzi  all'  ira  popolare  quando,  per  sostenere 
le  spese  della  guerra,  voleva  imporre  la  tassa  della 
Qarp«Ua.(v.  Minoja  92,  94,  112,  141,  884).. 


bus  malis  »,  rivelando  come  gli  odii  iotestiui  di 
Vorona  condussero  alia  cacciata  di  Azzo,  mar- 
cbese  d*  Esle,  funesto  princtpio  di  grandi  sven- 
turo.  E  si  badi  cho  qucsto  avveniva  (1207)  quan- 
do  Ezzelino,  giovaootto  anoora ,  non  ora  codo- 
sciutoy  00  aitira?a  rattenzione  di  nessuno.  Si 
leva  a  vendetta  Azzo,  il  capo  della  parte  guelfa, 
aiutato  dai  cooti  di  San  Bonifanio^  onde  la 
Braida  di  Verona  vido  la  strage  e  la  foga  dei 
Monticuli,  dei  Ohtbellini,  cioe,  e  la  rocca  sal 
lago  di  Oarda  porse  rifugio  ai  supersiiti. 

Ne  le  guerro  si  chetano;  dope  varii  casi 
Ezzolino  scoado  in  campo ,  sogutto  dal  Saline 
guerra,  a  rilevar  la  fortuna  dei  ghibellini,  t^a;^ 
volgendo  seco  nolle  sanguinose  liti  il  popolo 
cile  a  prestaro  ascolto.  Yisto  allora  il  memento 
opportune ,  Eccerino  fomenta  odii  e  liti ;  una 
Tolta  suscitate,  le  compone  sedendo  arbitrofra 
i  contendenti ,  e  per  questa  via ,  crescendo  in 
istato  0  in  ricchezzo  sulle  rovine  delle  piu  po- 
tent! famiglie ,  a  poco  a  poco  aggioga  al  suo 
carro  vittorioso  Tambita  Verona;  sicch6  drizza 
le  avide  voglie  a  nuova  preda,  alia  fiorente  Pa- 
dova,  e,  ottenutala  con  la  corruzione  e  il  tra- 
dimento ,  vi  domina  col  titolo  di  VIcario  Impe- 
riale  —  «  Oh!  quanlt  esiffU,  roght,  croci,  tor- 
menii,  carceri,  minacce  ai  soUomessi  popoli !  % 
I4^>  (giustisiadl  Dio»  puoitrice  dei  malofici)  i 


w 


nobili  soBo  i  primi  a  pagar  il  fio  del  loro  tradi- 
mento ,  ossi  che  veodettero  Tilmente  la  ciUJi» 
nolle  loro  man!  affldatasi.  Al  Nunzto,  che  chtade 
cosl  la  saa  parlata,  fa  eco  il  Choro,  dipiogendo 
al  viro,  dopo  una  naova  invocaziooe  a  Dio,  che 
par  sordo  a  tanti  mali,  un  quadro  terribile  dello 
ferocie  che  si  videro  sotto  il  regno  dell' /mma* 
nissimo  tiranno,  quando  il  terrore  fece  dimen* 
ticare  i  diritti  pi&  santi  di  natura,  e  si  vide  il 
fratello,  per  far  piacere  a  quella  belva  umaoa, 
premer  la  strozza  al  fratello,  il  figlio  chiedere 
d*  appiccar  prime  il  faoco  al  rogo  del  padre ; 
mentro,  fra  le  stragi,  il  sangae »  i  gemiti ,  Ez« 
zelino ,  supersiite  a  tanti  delitti »  spirando  dal 
vise  ira  feroco,  escogita  i  nuovi  supplizi,  afSn- 
che  perisca  il  seme  della  futura  prole  e  ai  bam- 
bini €  censit  genital  recidi  >  mentre  le  fancialle 
son  costrette  <  sectis  uitdare  mammis  »• 

Non  so  se  quadro  di  storico  possa  essere 
nella  sua  efflcace  brevity  piii  minuto  ed  esatto 
di  questo.  Le  arti  con  coi  Ezzelino  ingross6  di 
tanto  i  paterni  dominii,  e  gli  avvenimenti ,  che 
ne  favorirono  il  buon  successors!  trovano  esposti 
neir  opera  del  Verci  <  Degli  Ezzelini  » ,  se  coo 
maggior  ricchezza  di  particolari  e  con  la  Inco 
di  document! ,  non  certo  con  maggiore  fedelt& 
storica.  Contro  questa  il  poeta  non  si  lascid  tra* 
scinure  dalla  fantasia  descrivendoi  per  esempio, 


-64- 

le  orribili  crudeU& »  esercitate  sopra  innocenti 
fanciulii  e  fanciullo ,  che  sono  attestate  dalla 
scoroaoica  contro  Eccelloo  laDciata  da  Inno- 
cenzo  2V{1),  ricordaodo  il  raccapricciante  opi- 
sodto  di  un  flglio  che  appicca  le  fiarome  al  rogo 
del  padre,  delitto  che  6  attribuito  a  un  tale 
della  famiglia  di  Bricafolle  da  Mastro  Quiz- 
zardo  da  Bologna,  contemporaneo  del  poeta,  col 
cui  permesso  fece  un  minato  e  pregevole  com- 
mento  alia  tragedia  (2).  Nd  si  creda  che  soltanto 
negli  atti  e  nolle  scene,  in  cui  il  carattere  nar- 
rative predomina,  sia  rispettata  la  fodelU  sto- 
rica,  la  quale,  al  contrario,  non  vlen  mono  nop- 
pure  dove  il  carattere  rappresentativo  della 
tragedia  6  ben  pi&  spiccato. 

L'  atto  III  si  apre  con  un  dialogo  fra  i  due 
fratelli  in  cui  Eccelino,  fatto  1' elenco  tlei  trionfl 
riportati,  discopre  ad  Alberico  quelli  a  cui  a* 
spira;  e  Tentusiasmo  dei  primi  6  tale  che  non 
gli  fa  dubitare  un  momento  di  peter  con  eguale 
agevolezza  conseguire  gli  altri,  fine  a  volgere 
neir  animo  la  conquista  di  quell*  oriente  ove  cad- 
de,  vinlo  daWangelo  di  JDio,  Satana,  suo  pa- 
dre,  del  quale  eglt  medita  la  vendetta  su  Dio. 


(1)  Verci— Codice  Ecceliniano— Doc.  CLXXXIII. 
(8)  Zardo  —  Riv.  St.  it.  —  Vol.  VI. 


Per  quanto  la  risposta  di  Alberico,  che  i  rical- 
caia  quasi  sul  discorso  del  fratello,  ci  fa  dubi- 
tare  Terameote  della  reale  esisteoza  di  simili 
disegnl  neiranimo  di  Ezzelino,  pure  noo  bisogaa 
dimenticare  che  ua  uomo  dairambiztone  e  del- 
r  iogegoo  di  Ezzelioo  poteva  ben  nutrire,  se  uon 
Taspirazione  c!i  portar  le  sue  armi  io  Oriente 
(esagerazione  che  si  lascia  sfuggire  il  poeta,  a- 
bituato  alle  ampliflcaziooi  di  Seneca),  almeno 
In  tutta  Italia  o  su  buona  parte  di  es3a.(l)Dol 
resto  i  Cortusi  e  Rolandino  ci  conservan  me- 
moria  del  proposito  roanifestato  da  Ezzelino  di 
compiere  in  Lombardia  impresa  quale  non  era 
stata  tentata  da  Oarlonoagno  in  poi,  e  altri  prin- 
cipi  italiani  prima  e  dope  di  lui  avevan  piu  o 
men'lungamente  carezzato  tale  disegno.  Basti 
ricordaro  i  tontativi  e  i  sogni  di  Federico  U? , 
di  cui  Ezzelino  era  genero  e  coal  valido  aiuta< 
tore ;  di  Maniredi,  suo  flgliuolo,  o  poi  le  velleiti 
d!  Carlo  d*  Angid ;  le  speranze  che  i  Qhibellini 
di  tutta  Italia  riposero  in  Can  Grande,  onde  al- 
cuni  vollero  poi  vedere  in  lui  il  VeUro  dante- 
sco,  e  inflne  la  fortuna  di  Qian  Galeazzo  Yi- 
sconti  (2)  appena  a  un  secolo  di  distanza  da  Ez* 


(1)  Historia  Augusta  1-6. 

(2)  Gian  Galeazzo  Visconti,  contedi  VtrtiH,   nel 
1375  ebbe  dal  padre  a  governare  una  parte  del  do* 

9 


-65- 

ZcUno,  cbe  per  un  momento  face  temeree  spe- 
raro,  secondo  rnmore  diverso  dei  cootempora- 
nei,  il  compimeolo  di  qael  sogno.  Potrantutl'  al 
ptii  i  propositi  esprossl  da  Alberico,  che  oella 
storia  di  quei  tempi  appare  uaa  flgara  secoo- 
(laria,  ossore  inventati  dal  poota  o  messi  II  per 
una  certa  concinnitas  con  quelli  di  Bzzelino; 
ma  quanto  a  costui  o  lo  tastimoniaBze  dei  cro< 
nisti  e  le  notizio  che  si  hanno  del  sao  iogagnu, 
doDa  sua  ambiziono,  della  sua  fortuna,  mostrano 
che  era  uomo  da  nutrire  disegni  cosi  ampii  co- 
mo  qaello  dell' uniBcazione  e  dell'asserviiueDto 
a  s6  solo  di  tntta  Italia  o  di  buona  parte  di  essa. 
A  metlore  in  atlo  i  loro  biechi  disegui,  Gzzeljoo 
coDsiglia  al  Tratollo  di  simulare  inimicizia  roci- 
proca ;  cost  (egli  dice)  quolti  che  sfuggirauDO 
alio  mie,  cadraono  nelle  tue  maui  o  avremo 
buoD  giogo  dei  nostri  nemici.  Questa  iDitnicizia 
il  Verci  (1)  ha  ditnostrato  che  fu  roalo  e  non  si- 
mnlata,  benchS  il  popoto  e  la  inaggior  parte 
degli  storici  la  vollero  credore  falsa,  Comuo- 
que,  quelle  che  iateressa  qui   a  noi ,    facendo 


minii  Viscontini  e  nel  1378  g^li.  success^.. per   dare 
opera  a  quegli  ingrandimenti  che  poco  mancd   non 
gU  ponessero  sul  capo  la  corona  d'ltalia- 
(I)  Verci -Op.  cit.  XIX  — cap.  13  ss. 


—  67  — 

r  esame  storico  della  tragedia ,  d  1'  osservare 
che  anche  qui  rinveDiamo  un  elemonto  storico, 
perchd  il  fatto  deU'odio  tra  i  dae  fratelli  &  cer- 
tissimo ;  e  qaanto  alia  maggiore  o  miDore  sin- 
cerity di  esso,  rimportaote  e  che  allora  il  po- 
polo  6  la  gran  parte  degli  storici  (1)  di  poi  non 
Ti  credettero  affatto. 

La  scena  segaenie  si  svolge  fra  Ziramonie 
e  il  tiranno  intorno  all'  uccisiono  di  Monaldo 
dei  Capodivacca  (2)  (o  Linguadivacca),  capo  di 
una  congiura  ordita  dai  nobili  contro  di  Ezze- 
lino,  il  quale  poi,  come  ad  una  voce  ripetono  gli 
storici  ed  Albertino ,  ne  prese  coraggio  a  infe- 
rocire  in  ogni  maniera  contro  gli  ottimati.  Per- 
sOnaggio  storico  egualmente  e  state  dimostrato 
il  Fra  Ltu)a  della  scena  III* ,  e  storico  il  col- 
lo^uio  col  tiranno,  nel  quale  Albertino  spinse  la 
sna  scrupolosit&  di  veridico  narratore  fine  a 
mettere  in  bocca  al  frate  argomenti  e  parole, 
che  sembran  l*eco  di  altrettali  espressioni  nolle 
epistole  (3)  dei  papi  ad  Eccelino ,  mentre  forse 
airaccusa  vaga  di  eresia  rivolta  dai  ponteflci  ad 


(1)  Zardo  —  Riv.  st.  it.  —  Vol.  VI  p.  504. 

»  oii§d^ttaF!>  iiiTatto 

(2)  Verci  —  Op.  cit.  —    lib.  XIX.  Rolandino , 
IV— che  non  lo  nomina. 

(8)  Veroi  —  Doc.  la**,  307. 


fizzelioo  egli  voile  dare  an  certo  conteniito  con- 
creto,  facendogli  manifestare  una  teoria  sul  li- 
bero  arbilrio,  (1)  che  davvero  puzzava  un  miglio 
di  eresia.  E  anche  questa  polrebbe  essere  una 
prova  Don  lieve  dolle  teodenze  al  sodo,  al  reale, 
alia  verity  storica  del  nostro  poota.  Ma  il  cor- 
se degli  avvenlmeoti ,  flno  allora  insolitamente 
prospero  o  favorovole  ad  E2zelino ,  ecco  che 
cambia  all*  impro  wise.   I  fuorusciti   padovani , 


(1)  Dair  Acqua  Giusii  {alcuni  scriiti  letterarii 
e  storici  —  Venezia,  1878,  puntata  //*)  nella  nota 
P.  a  p.  141  dice  «  La  vera  colpa  di  Eccelino  in  fatto 
di  credenze  religiose,  fu  di  coDcedere  rifugioaco- 
loro  ch*  erano  dichiarati  eretici,  cio6  di  non  volere 
che  i  partigiani  delTImpero  e  suoi  fossero  abbru- 
ciati  vivi.  Ma  consideraodo  quella  specie  di  profes- 
sione  di  fede  che  Tautore  mette  in  bocca  di  Ecce- 
lino, che  cosa  possiaroo  raccapezzarne  ?  —  Dio  non 
si  prende  cura  di  proibire  il  corso  dei  Fati ,  ma 
anzi  volontariamente  lo  concede;  perch6 ognuno  ha 
il  iibero  arbitro  delle  proprie  azioni.  —  Questo  non 
debb*  essere  il  Libera  arbitrio  dei  Pelagiani ,  il 
quale,  per  contrario,  si  contrapponeva  alia  doUrina 
della  Grajsia,  ciie  stimavasi  fatalismo.  Quest*  6  in- 
vece  un  Iibero  arbitrio  die  secondo  quelle  che  chie- 
dono  i  Fati,  i  quali,  nel  casu  nostro,  vogliono  che 
Ic  colp3  delle  Genii  sieno  punite  da  mani  vendica- 
trici.  Nella  scena  che  poi   segue  tra  Eccelino   e 


aoitisi  presso  Venezia  ai  Crociati  sotto  la  con- 
dotta  dol  legato  pontiflcio,  tentano  un  colpo  di 
maiio  sa  Padova»  la  quale,  abbandooata »  quasi 
senza  resisteoza,  da  Ansedisio,  cade  nelle  mani 
degli  assalitori.  Tutto  ci&  risulta  dalla  Storia 
DOn  meuo  che  dalla  tragedia  del  nostro  autore. 
Ezzelioo  sul  colmo  deiia  sua  insolente  fortuoa 
riceve  ranounzio  della  perdiia  di  Padova  edel 
mode  in  cut  avvenne ;  e  mentre  ordina,  secondo 
il  suo  solito,  che  al  disgraziato  messaggero  sia 
iDOzzo  un  piede(l),  si  sente  da  Ansedisio  ricon* 
fermare  la  brutta  notizla,  e  io  svillaneggia  e  lo 


Frate  Luca ,  questo  priQcipio  trionfa.  Fraio  Luca 
parla  ad  Eccelino  di  Dio,  non  gi&,  a  dir  vero,  come 
eretlco ,  ma  come  ad  uno  che  ne  fosso  ignaro ,  o 
tale  quest!  si  finge  per  un  poco ,  ma  solo  per  de* 
durne  Tinazione  di  questo  Dio,  e  affermare  in  fine 
ch*  egli,  per  punire  le  colpe,  permette  e  vuole  che 
VI  sieno  i  tiranni ». 

(1)  II  commentatore,  fatto  conoscere  per  primo 
dal  Nooati,  non  dice  se  la  pena  minacciata  al  po- 
vero  messo  nella  tragedia  ,  lo  fu  veramente ;  ma 
quando  piu  sotto,  parlando  della  morte  di  Ezzelino, 
ricorda  che  il  tiranno  anche  prigioniero  e  ferito 
ordinava  si  mozzasse  il  piede  a  quanti  venivano  a 
vederlo,  ci  fa  dubitare  che  nemmeno  questo  parti- 
colare  Albertino  trasse  dalla  sua  fiantasia* 


-70  - 

minaccia,  cocde  tradiiore,  di  non  piu  aditi  tor- 
monti. 

II  Verci,  dopo  fatto  annuoziare  al  tiranoo 
da  Ansedisio  la  perdita  di  Padova  non  paria  piu 
di  lui ;  il  commeotatoro,  poi,  dice  espressamente 
che  non  si  seppe  piii  nulla  di  lui ,  ne"  da  quel 
giorno  fu  piu  veduto:  e,  in  veriti,  date  il  tem- 
peramouto  ed  i  gusti  di  Ezzelino,  non  ci  i  da 
aflaticarsi  troppo  in  ipotesi  e  congetture  per 
indovinare  quale  dove  esser  la  sorta  del  poco 
valoroso  difonsore  di  Padova. 

Eccerino,  fatto  oraroai  certo  della  sventu- 
ra,  non  sa  a  qual  partite  appigliarsi,  onde  i  suoi 
coromilitoni  (oella  storia  ilsuo  partigiano  Ouido 
di  Lozzo)  gli  consigliano  di  far  prigionieri  quanti 
Padovani  souo  in  Verona  e  tenerli  in  ostaggio 
della  resa,  ch6,  se  non  fosse  avvenuta,  avrebbe 
almeno  sfogato  su  di  lore  le  vendette  deirin- 
tora  citt&.  II  Coro^  che  chiude  quest*  atto  cosi 
comprensivo  e  (tropio  perchS  ci  mostra  Ezzelino 
nol  colino  della  sua  for  tuna  e  al  principio  di 
quelld  serie  d*  insuccessi  che  lo  condussero  a 
rovina,  narra  quanto  in  roaltjt  avvenne.  Vi  e 
doscritto  il  rapido  correre  di  Ezzelino  sulla  citt& 
ribolle,  la  inusitatae  forma  resistenza  dei  Pado- 
vani, la  rabbiosa  delusione  di  Ezzelino,  il  ritor- 
no  a  Verona  o  lastrage  degli  undicimilaostaggi, 
la  quale  segul^  nou  giit  precedelle  il  tentativo 


di  riprendere  Padova;  il  che,  oltre  ad  essei^e 
d'accordo  con  la  versione  delio  storico  Rolan^ 
dinOf  pare  anche  piu  logico  o  naturale. 

Nel  IV  atto ,  dopo  un  breve  monologo  di 
EzzetiDO,  rassegoato  ad  abbandonaro  I'  impresa 
di  Padova  por  volger  le  sue  forze  aitrove,  il 
Nunzio  narrn  al  Coro  come  la  giastizia  divina 
abbia  alia  fine  appagato  i  voti  di  tutti,  Tacondo 
che  Eccelino  cadesso  vlttiroa  del  suoi  stessi  am- 
biziosi  maneggi.  L'occnpaSione  di  Brescia  con- 
segaita  cod  1'  aiuto  di  Buoso  da  Dovara  e  del 
Pallavicino ;  la  condotta  doppia  tenuta  cod  que- 
ati  doe;  TesclasioDe  di  Buoso  da  Brescia;  Tal- 
leaDza  di  tutti  i  oemici ,  vecchi  e  Duovi ,  del 
iiraoDO ;  la  sorpresa  a  Cassano  ef  Adda ,  ove 
EzzeliDO  fu  col  to  fra  due  fuochi,  i  collegati  da 
UDa  parte  e  il  Delia  Torre  dairaltra;  I'audacia 
e  r  imperturbability  di  EzzeliDO,  laferita  arre- 
catagli  da  igooto  soldato;  rosiiuata  voglia  di 
morire,  la  tomba  a  Sonctno,  sod  tutti  partico- 
tare,  la  cui  esattezza  6  dimostrata  dai  crooisti 
e  che  rivelaDo  cod  quaDta  arte  Albertioo  de- 
scrivesse  quelle  oose,  che  guardava  con  occhfo 
di  storico  accurate.  II  Coro  infioe,  come  a  met* 
tore  lo  sfoDdo  a  questo  quadro  della  pi&  scru- 
polosa  verity,  esorta  i  cittadioi  a  roostrarsi  grati 
verso  il  Signore  giusto  e  misericordioso »  col 
tlaggellar  suppUehetoli  con  dure  sferze  le  reni, 


—  72- 

alludendo  evidontomonto  alle  compagnie  cUMla- 
gellanti ,  che  subito  dopo  la  morte  del  tiraono 
comparvero  in  Padova. 

Sparito  dal  mondo  e  dalla  scena  Ezzolioo  , 
anche  quel  po'  di  movimonto  scenico  e  di  rap- 
presontazione,  che  lo  scrittore  aveva  introdotto 
nella  tragedia,  vien  mono  completamente.  Nel 
IV  alto  S  comparso  almooo  uno  dei  personaggi 
del  dramraa,  anzi  il  protagonista  stesso ,  Ezze- 
liDO,  ma  nel  V  non  si  assiste  che  alia  descri- 
zione  deli*  eccidio  consumato  sulla  famiglia  di 
Alberico,onde  manca  interamente  la  forma  dram- 
matica;  sebbeoe  il  drammatico  per  aitro  verao 
vi  sia,  grazie  alia  vivacity,  all*  efflcacia  ,  alia 
forza  del  raccooto  del  Nunzio.  Quanto  al  lato 
storico  alcani  particolari ,  come  1*  orribile  flae 
di  Eccelino  novello,  che  scambiaper  lozioano 
dei  massacratori ;  il  timore  che  il  prigioniero 
Alberico  (1),  parlando  al  popolo,  potesse  muo- 
yerlo  a  pietjt,  code  gli  si  caccid  uo  bavaglio  in 
bocca;  il  contegno  indifferente  o  sprezzante  di 
Alberico  stesso,  e  altri  difQcilmente  saranno  a- 
sciti  daiia  fantasia  del  poeta  ,  il  quale  anche 
quaudo  si  abbandona,  more  Senecae  ^  alle  am- 


(1)  Rolandino,  Cbronicorum  —   Rer,  It.  Scrip. 
VIII,  358. 


-ts- 

piifioazlOQi  (I),  ne  fa  delle  innocaOy  vorrei  dird, 
6  a  chiacchere  »  sulle  cose  che  si  disegnano  e 
Don  su  qaelld  che  si  fanoo  o  si  son  fatte.  Tranne 
qaesta  amplifioaziooe  di  propositi,  (vedi,  atto  III 
scena  I,  qael  che  voglioa  fare  Ezzelino  e  Albe- 
rtco),  Atberiiao  si  mostra  nel  resto  ,  come  ab- 
biamo  vedatOy  scrupoloso  osservatore  dolla  ve- 
rli&  storica,  cui  chi  sa  per  quale  inesatta  in- 
formazione  yien  meao  a  proposito  dei  flgliuoli 
di  Alberico,  che  farono  sei  maschi  invece  di  tre, 
6  dae  femmine  iovece  di  cioqae  (2).  Dei  resto, 


(1)  Cos!  per  esempio  netl'  invocazione  di  Bzze- 
lino  (Atto  I®)  quando  prolissameDte  e  dottamente  il 
Mussato  gli  fa  dire: 

<  AdsiDt  ministrae  facinorum  comites  mihi. 
Suadeat  Alecto  scelera,  Tlsiphone  explicet, 
Megera  actus  saeva  prorumpat  truces. 
Faveatque  caeptis  Diva  Persephone  meis, 
Ingenia  praedae  quisque  sollicitus  paret. 
Nee  Inferorum  spiritus  quisquam  vacet 
Animos  ad  iras,  ad  odia,  et  invidias  citent. 
Busis  cruenti  detur  officium  mihi. 
Ipse  executor  finiam  lites  merus, 
NuUis  tremiscet  sceleribus  fidens  manus  » 

(2)  I  figli  di  Albericoerano:Eccelino,  Giovanni, 
Alberico,  Romano,  Ugolino  ,  Tornalasce  ,  Griseida 
ed  Amabilia. 

10 


—  74  — 

qaanto  a  yaesto  parlicolare,  bisogna  dire  chd  il 
poeta  aveva  delle  inroriDazioni  sbagliate  ,  sab- 
beae  egli  le  dovssso  riteaere  per  sicure  stori' 
cameate;  giacchd  aon  ai  pu6  ammettere  abbia 
TOlato  di  proposito  cambiar  la  proporzioao  dei 
sessi  nella  prole  di  Alberico,  so  e  vero,  come  ci 
paro,  che,  dal  conservaria  quale  fu  realmeate, 
0  Hal  cambfaria,  nionto  venivaagaadagnaro  o  a 
perdere  il  lavoro  dal  punlo  di  vista  estelico. — 
Come  si  redo  dall'  esame  falto  ,  la  tragedia  e 
UQ'opera  essaDzialraente  storica  e  non  priva 
d'importaaza,  como  fonte,  rispettoallastoria  di 
EzzeliDO  e  de)  suo  domiato  au  Vorooa  o  Pado- 
va.  Sicchd  a  quoUa  guisa  che  il  Machiavelli , 
come  iatroduziODo  alio  storie  fiorentioefa  quel 
largo  riassunto  dellastom  d'Kuropa  o  d'ltalia, 
prima  d'eatrare  la  argomeoto,  potrebbe  in  certa 
maniera  dirsi  che  laEccerinisfacorpocoQ  V  SI- 
slorta  Augusta  q  \\  De  Qeslts  ilaltcorum ,  e 
oe  coslituisce  como  r  antefafto.  Taato  pid  che 
al  mode  stesso  che  della  Slorta  Augtata  o  del 
)  si  rirerisco 
I  si  rroqueati 
si  riattacchi 
storica  del- 
per  rispetlo 


—  75  — 

al  passato  (1),  ma  anche  e  forse  piu  per  rispetto 
al  presente,  e  ad  ogni  modo  questo  piu  di  quollo 
il  poeta  avea  di  mira.  So  non  c'  iogannaromo 
pi&  avanii,  dicendo  che  con  la  sua  tragedia  Ai« 
bortino  voile  gettare  il  grido  di  all*  armi,  con 
r  adombrare,  sotto  il  nomo  di  Ezzelino,  il  tiran- 
no  della  Scala  ,  6  chiara  V  importanza  storica 
della  tragedia  anche  di  fronte  alio  Scaligero. 
Ardente  patriotta  e  uomo  di  azione  ,  Albortino 
subordina  tutto  all*  interesso  della  patria  ,  la 
quale  non  e  per  iul  vuota  parola,  ma  cosacon- 
creta  e  bisognosa,  perci6,  di  opero  e  di  servigi 
Del  memento  presente;  laondo,  quando  non  si  a- 
gita  a  pr&  di  essa  nei  consigli ,  nolle  ambasce- 
rie,  sui  campi  di  battaglia,  no  scrive  la  storia, 
ma  quella  del  presonto,  cho  urge,  cbe  preme, 
non  del  passato  ,  che  6  sempre  passato  e  ,  al 
pi&,  pu&  porgere  materia  a  recriminazioni ,  o 
a  rimpianti,  a  considerazioni  astratte,  uiili  an- 
che, ma  spessoprive  di  efflcacia  vera  sovra  una 
corta  catogoria  di  uomini.  So  il  carattere  del- 
r  operositi  letteraria  e  civile  del  Mussato  d  ap- 
punto  questa  tendonza  air  azione  ,  alia  realty  , 
al  presente,  la  tragedia  Eccerinis,  considerata 


(1)  S*  intends  che  ci  riferiamo   al  tempo  in  cu| 
(u  soritta, 


^76  — 

soltanto  da  quel  che  il  titolo  dice  ,  segoarebbe 
come  uDa  deviazione  nell* iadiriszo  generate, 
come  an*  eccezione  alia  regola  ordinaria  di  essa. 
Qaando  si  pensa  inyece  alia  gran  parte  di  vita 
contemporanea  al  Mussato,  che  palpita  sotto  i 
ricordi  e  le  apparenze  del  passato,  scomparisce 
la  pretesa  deviazione,  e  una  volta  di  piu  spicca 
la  rigida  dirittnra  di  carattere  di  quelle  forii 
tompre  di  uomini,  di  cni  fu  cosi  ricca  la  storia 
italiana  nel  sec.  XIII ,  e  di  cai  nel  XIV  s*  era 
quasi  perduta  la  memoria,  come  nota,  fremen- 
do,  ad  ogni  passo  delta  DivinaOommedia  Dante, 
il  quale,  forse,  ed  il  Mussato  erano  ancor  gli 
unici  notevoli  rappresentaiiti  ed  eredi  di  qaella 
robusta  generazione.  A  quale  dei  Pado^ani  nel 
sentir  leggere  la  tragedia,  dope  la  gnerra  con 
can  Grande,  in  cui  Albortino  era  rimasto  pri- 
gioniero,  non  doveva  passare  per  la  mente,  che 
11  poeta  rimproverava  non  tanto  il  mortoepu- 
nito  Eccelino,  quanto  Can  Oranie,  viyo  e  mi- 
naccioso  e  insolente  per  la  rocente  yittoria,  al- 
lorchS  il  Coro  amrooniva:  (1) 

€  Qais  vos  exagitat  furor 
0  mortalo  hominum  genus? 

Quonam  scandere  pergitis? 
Quo  vos  ambitio  vehit?  ». 


(1)  Core  —  Atto  I. 


^n  — 

AmmoDiTa  e  mioacoia^a  insiemo  dicendo  :(1) 

«  Daros  ezpetitis  metus. 

Mortis  continuas  minas. 

Mors  est  mixta  Tyranoidi, 

Nod  est  morte  minor  metas  » 
I  nobili,  che  I'ardeote  inyidia  trascinaalle 
liti  e  alia  rovlna,  poteyaoo  essere  beoe  tanto  i 
Sanbonifacio^  i  Salinguerra,  i  Camposampie" 
rOt  i  d*  Este  del  tempo  di  Ezzelino,  qaanto  i 
Carrara  del  giorni  del  Mossato.  E  quaodo  la 
plebe  Tien  rimproverata  del  la  sua  incostaoza , 
del  Stto  fare  e  disfare,  dei  soot  eotasiasmi  e  del 
SQOi  abbandoni,  chi  non  vorr&  scorgere  nel  rim- 
provero  oo  po'  dell'amarezza  personalo  del  poe- 
ta,  come  qoegli  che  deila  incostaaza  del  favor 
popolare  era  gi&  state  e  forse  seativa  di  dover 
essere  ancora  la  vittima  ?  Ob  !  qaal  fremito  di 
terrore  e  qaali  comment!  doveva  destare  nell'u- 
ditorio  la  descrizione  della  Marca  ,  straziata 
dalle  gaerre  e  inondata  di  saogae !  II  Nunzio 
che  arriva  da  Verona»  e  pieno  di  spavento  e 
di  sdegno,  gettato  in  faccia  ai  nobili  i  lore  odii, 
al  popolo  il  sue  insano  farore»  grida:  (2) 
€  Finis  petitus  litibus  vestris  adest; 
Adest  Tyrannus,  vestra  qnem  rabies  dedit ». 


(1)  Coro  atto  I. 

(2)  Atto  U  —  ^ena  unioa^ 


—  78  — 

Adesl  Tyranntis,  dod  nomina  oessuno.  La 
fantasia  dell'  uditore  poteva  mettervi  un  nome 
qualunquo,  Eccerino  o  Can  grande,  faceva  lo 
stesso;  ma  certo  e  che  i  Padovani,  airiodomani 
della  terrlbile  rotta  dl  Vicenza,  dovevan  met- 
torvi  Can  Grande^  divenuto  oramai  la  preoc- 
cupaziooe  dogli  animi  di  tutti  i  patriotti ,  e  i 
visi  degli  ascoltatori  certamente  impallidivano 
a  quello  parole.  Ma  Alberiino  non  6  contento 
di  quosta  allusione;  teme  forse  che  i  suol  con- 
citiadioi  la  dimentichino  presto  per  seguire  lo 
svolgimeoto  dolla  storia  Eccelioiana,  o  magari 
non  la  intendano;  ed  ecco  cho  cerca  11  pretesto 
per  insistervi,  ecco  che  il  Nunzio  in  voce  di 
raccontar  le  novelle  che  arreca,  si  rif^  indie- 
tro  a  parlar  di  avvenimenti  piu  lontani,  tanto 
per  aver  agio  di  dire  che  il  nombo,  che  minac- 
cia  Padova,  6  sorto  da  Verona,  da  Verona  sede 
di  Cane  come  fu  di  Eccellno,  da  Verona  €  sem- 
per huius  Marchce  cladesvelus,  limen  hostium^ 
ot  heliis  iter;  scdes  Tyranni  »,  Era  impossibile 
non  capire  adessa  !  11  po3ta  lo  sa  ed  ora  che 
prevode  cho  lo  sae  parole  dobban  avero  mag- 
gioro  cfBcacia,  oh  labans  hominum  genus  (i\Q^ 
al  popolo,  ripetendo  il  suo  delenda  Carthago}  ^ 
vulgus  el  ad  omne  facinus  in  clades  ruens ; 
mentre  ai  nobili,  al  Carrara,  a  quolli  che  nel 
^315  (Luglio)  furono  sooporli  di  congiurare  per 


coD3egnar  la  cHik  a  CanCy  dice  (ammonimento 
sempre  e  minaccia) : 

<  Supplicia  meriti  nobiles  primi  luant. 
Qui  vendideroy  scelera  jam  expendant  sua^, 

a  tatti  ioflne  si  motion  sotto  gli  occhi  i  roali 
grandissimi  della  tiranaide  nella  langa  enume* 
razione,  cho  no  fa  il  Nunzio  prima  e  il  Coro 
poi.  Qui,  corto,  il  poota  descrive  la  tiraonido 
di  Ezzelino,  porchd  quella  di  Cane  Padova  non 
r  avova  ancora  provata;  ma  cho  por  quosto  ? 
4b  una  disce  omnes;  lo  arti  di  goyorno  di  £z- 
zolino  orano  quello  cho  ogni  signore  ai  suoi 
tempi  usava,  avova  usato,  avrobbe  usato,  o  Ai< 
bertino  voUo  rinfroscar,  diroi,  la  momoria  do! 
capiscarichi  ,  annunziar  la  sorte  cho  li  aspet* 
tava,  ove  Padova  fosso  caduta  in  mano  doUo 
SccUigero.  Non  mancano  qua  e  \k  altro  doppio 
allusioni,  assai  chiare  nolia  lore  indorminatozza» 
le  qualiy  avondo  V  aria  di  parlar  d'  Ezzolino  e 
doi  suoi  contemporanoi,  voglion  dire  di  Can 
Orande  e  doi  contomporanoi  dollo  Scaligoro. 

So  la  tragodia  incontr&  tanto  favore,  fu  ap- 
punto  perchd  intorprot&  i  sontimonti  cho  ave- 
vano  tutti  i  Padovani,  ma  cho  nossuno  pord  a- 
vova  autorit^  di  manifostare :  non  il  popolano, 
il  quale,  avendo  la  sua  parte  di  coIpOi  non  po« 


teva  rimproverar  quelle  del  nobilei  che  trova- 
vasi,  a  una  Yolta,  in  una  simile  condizione;  non 
il  guelfo,  non  il  ghibellino.  Solo  ruomo  di  let* 
tere,  1'  uoroo  che  in  nessan  momento  della  soa 
vita  e  della  sua  carriera  aveva  dimenticato  Ta- 
mor  della  patria  per  1*  intertsse  del  partite  o 
per  r  amor  proprio  dell*  individuo,  il  patriotta 
rimasto  tale,  ancho  ingiustamente  insultato  dai 
cittadini,  Tuomo  coraggioso  neiraffrontar  Tim*- 
popolarit&,  quegli  infine  che  tutti  rispettavano 
per  il  sapere  e  1*  integrity,  che  nessuno  poteva 
accniare  nd  di  complicity  yoiontaria  o  inyolon- 
taria  alle  colpe  degli  altri  e  delle  fieusioni,  nd 
di  error!  nelia  politica;  solo  quest'  nomo  aiveva 
autorit&  di  dire  a  tutti  il  fatto  lore  e  d'  asse- 
gnare  lodi  e  biasimi,  minacce  dicastighi  e  pro- 
messe  di  compensi.  II  Mussato  fece  questo  nello 
tragedia,  come  Dante  contemporaneamente  lo 
faceva  nella  sua  Divina  Commedia;  I'unoper 
i  cittadini  di  Padova  e  delle  terre  yicine  e  del 
suo  tempo,  1*  altro  per  gli  uomini  di  tutta  la 
terra  e  di  tutti  i  tempi;  1*  uno  con  maggiore 
seronit&,  1*  altro  con  maggior  passiono,  tutte  e 
due  con  eguale  nobilt&,  sincerity,  intensity  di 
sentimento.  Albertino  Mussato  nella  sua  trage* 
dia  d  I'espressione  della  coscienza  coUettiva  im- 
personale  dei  Padovani;  e  appunto  per  questo, 
siocome  forse  alia  mente  presaga  dello  scrittore 


-  81  - 

era  balenata  la  fine  sconfortevole  di  tanti  sforzi, 
r  esito  fatale  di  tanto  illasioni,  il  temalo  trionfo 
di  Cane,  egli  non  vuol  dargli  vittoria  allegra  e 
scaglia  coptro  tutti  come  il  mane  take  fares  io 
qoelte  ultimo  parole  del  Coro  che  cominciano 
con  un'  ari  4  cosi  malinconica  i  ^  e  se  talvolia 
per  avventuru  in  for  tuna  elevi  alcun  iniqvu)^ 
la  regola  di  giustizia  nan  fallisce  :  ciascuno 
ha  compenso  adegtiato  alle  sue  aziont,  Vi  ha 
tin  giudice  placido  :  compensa  i  giusli ,  con- 
danna  gV  ingiusli  /  » 


u 


CAPITOLO  III. 

Esamo  estetico  dell'  Beeerlnia 

SOMMARIO 

Come  dato  il  concetto,  che  Albertino  aocea  delta 
Tragedia,  la  Jtgura  diaboUca  di  Egseiino  el 
prestaBse  bene  per  \soggetto  —  Dioersa    impreS' 
stone  che  una  tale  Jigura  fa  stii  contemporanei 
del  MuBsato  e  su  noi  —  Esselino  e  il  Farinata 
dantesco  —  Mancama  di    drammatismo    nella 
Tragedia  —  i  due  attori  oeri,  Exselino  ed  Al- 
bertino (il  Coro)  —  Analisi  esietica  —  Il  I  atto 
e  a  carattere  di  Erselino  —  II  Coro  del  I  atto 
e  il   VI  canto  del  Purgatorlo  danlesco  —  I  qua- 
Uintesi  del  poe- 
Extelino  cd   it 
del    tiranno  — 
—  Morale  delta 


I  Tislo,  gli  elo- 
prevalenza,  o 
ta  doloroso ,  o 
neao  doloroso 


—  83  — 

air  aoimo  di  un  cittadiDO  per  ta  sua  incertezza. 
So  dei  particolari  vi  sono,  di  cui  doq  possiamo 
affermare  I'esattezza,  perchd  gli  storici  Don  no 
parlano,  non  possiamo  d*  altra  parte  affermaro 
solo  per  questo  siionzio  che  non  sian  veri,  taoto 
son  verisimili  e  consentanoi  alio  diverse  sitiia* 
zioni.  Resta  cosl  nella  tragedia  di  non  storico 
la  parte  che  si  riferisce  all'origine  diabolica  di 
Ezzelino,  nella  quale  si  aggira  un  atto  intero  e 
qoalche  punto  di  altri  atti;  ma  ognun  vede  che 
la  diceria  era  troppo  feconda  di  efTotti  estetici, 
ed  il  Mussato  troppo  provetto  artista,  perche  non 
no  traesse  tutto  il  parlito  possibite.  Lafavoiadel 
concepimento  di  Ezzelino  si  prestava,  infatti^  di 
per  se  stessa  aquella  occessiva  terribiliia,  che 
da  an  lato  a!  Mussato  sembrava  indisponsabilein 
una  tragedia  degna  del  nome,  e  che  dall*  altro 
Seneca  e  i  suoi  imitatori  cercarono  di  raggiun- 
gere  con  la  scelta  di  truci  argomenti,  col  riu- 
carare,  a  furia  di  orribili  espedienti,  quanto  di 
gik  troppo  spaventoso  e  crudole  vi  era  in  cssi, 
coir  introdurre  nel  dramma,  coll*  intento  di  av- 
vivarlo,  lo  spettacolo  di  colpe  e  di  amori  mo- 
struosi,  o  inQno  con  lo  strano  e  laborioso  intrec- 
cio  di  casi  (1).  «  Sono  argomenli  del  Tragedo 


(1)  Epistola  I  —  V.  117. 


—  84  — 

(dice  il  Mussato)  le  lotle  e  i  contrasti  di  una 
Vila  fortunosa,  e  i  fatli  che  mostrano  ogni  spe- 
cie dl  cmdeltd  ;  non  si  potevan  in  metro  di- 
verse dal  tragico  ricordar  i  deliiti  di  Medea, 
ni  le  membra  del  figliuolo  dilaniato  sollo  gli 
occ/U  del  padre,  ne  le  cene  di  Alro,  nS  la  ven- 
detta Che  fece  Progne  delta  sorella:  cosl  io  non 
seppi  in  altro  metro,  o  casa  da  Romano,  nor- 
rare  i  luoi  funesti  natali  >.  Quella  terribilitji 
piii  o  tneno  flttizia,  che  altri  procuravano  coa 
mezzi  tanto  diversi,  ad  Albertioo  si  porgeva  gik 
belia  e  pronta  ad  essere  travasata ,  per  dir 
cosi,  Del  metro  archiiocho  nella  storia  di  Ezzo* 
lino,  e  piii  io  quel  che  vi  si  diceva  deila  sua 
nascita.  Non  vi  era,  iosorama,  da  aggiunger  nul- 
la,  non  da  fare  aicuno  sforzo  di  fnntas'a  per  ren- 
dere  Iragediabile  quell' argoraonto  dal  punto  di 
vista  del  Mussato.  Sonza  dire  che  nella  vita  vi 
soDo  momenti  tragici  di  per  so  stessi,  nei  quali 
qualunque  fatto  assume  un'aria  corrispondente 
alle  incertezze  e  alle  angosce  deir  aoimo  no- 
stro;  0  Padova,  col  pericolo  imminente  di  veder 
r  esercito  di  Cane  sotto  le  sue  mura,  attravor- 
sava  appunlo  udo  di  quosti  momonli.  Dice,  in- 
fatti,  Albertino  cho  egli  scrivova  con  1'  aoima 
tragico  succensa  culore  ,  e  che ,  senza  saper 
eomfi  t^  Husa  lo  chlamava,  a<f  un  tragico  o* 


—  «5  — 

pus  (1)  deilandogli  fervidi,  rabbiosi,  giambi , 
onde  quello  chc  gli  somminislrava  Vestro  era 
11  columo;  porcbo  la  Tragedia  adirala  (sog- 
giooge,  alludeodo  forso  ai  luituosi  giorni  cbe 
passavaDO  per  Padova)  o  piona  di  sdegni  non  a- 
ma  il  riso  osceno,  no  raai  ride  nei  suoi  vorsi  a- 
iDona  favQletta  (2).  In  tali  condUioni  psicologiche 
per  i  Padovani  si  pu6  immaginare  quale  impres* 
siooe  esercit&  la  narrazione  vivace  e  quasi  la 
rapprosentazione  di  avvenimenti  terribili,  rag- 
gruppati  intorno  al  nome  e  alia  figura  tUaba- 
Ifca  di  chi  ne  era  state  gran  parte. 

Benofad  si  fosse  usciti  dai  tempi  del  misti- 
cismo,  pure  non  so  n'  era  ancor  moito  lontani, 
anzi  se  o'era  visto  un  efflmero  rifiorire  con  le 
compagnie  dei  ftageUanti,  epper&  il  rapprosen- 
tare  il  figlio  del  diavolo  (a  prescindere  da  tutte 
le  altre  quality  che  lo  raccomandavano  airodio 
dei  Padovani)  destava  un  fremito  d'  orrore  negli 


(1)  Epistola  I. 

(2)  «  Non  amat  obscacnus  Tragoedia  risus  — 
Versibus  alludit  fabula  nulla  suis^,  IIMinojache 
traduce  questo  2^  verso  «  Non  aggiungo  ai  suoi 
versi  nessuna  faoola  (racconto  favoloso)  :i^  mi  par 
che  s*  inganni,  percli6  qui  fabula,  e  lo  dimostra  il 
contesto,  6  nel  senso  di  storialla^  storiada  nulla f 
da  ridere,  argomento  leggero, 


i 

J 


-86  - 

astanti.  Noi  stessi,  a  taota  distanza  di  tompo  e 
d*  idee,  leg^endo  la  tragodia,  doq  ne  riceviamo 
meno  forti  impressioni,  beDche  rioteresse  este- 
tico  sia  qaello  cbe  resta  piu  vivameute  colpito 
in  noi.  La  parte  piu  propriamente  storica  della 
tragedia  quasi  non  ci  tocca  piu,  com*  6  natura- 
le;  le  impressioDi  che  ne  proviamo  sono  di  so- 
conda  mano  e  come  per  riflesso  di  quelle  ,  che 
pensiarao  dovettero  risentire  i  contemporanei ; 
ma  ben  son  vive  e  dirette  o  forti  quelle  che  ct 
vengono  dalla  lettura  del  P  atto,  beQch6  diver- 
se di  qualitji  e  d*  intensity  dalle  altre,  che  ne 
riportarono  i  conciitadini  del  Mussato!  A  questi 
Torrore  era  ispirato  dal  sentir  descrilta  in  tutti 
i  8001  particolari  1'  unione  d*  una  donna  col  dia- 
volo  e  neir  udire  I'ompio  vanto  del  lore  flglio; 
su  noi  invece  esercfta  maggior  fascinoil  concet- 
to di  forza  indomita,  di  ribeliione  invincibile  che 
annettiamo  (dopo  si  ricca  floritura  di  poeticho 
figuro  sataniche)  al  nomo  ed  air  idea  del  dia vo- 
lo: forza  e  ribeliione  che  vediamo  cosi  bene  ri- 
flesso nella  flgora  di  Ezzeiino.  Pel  solo  fatto  di 
essero  ona  creatura  satanica  Ezzelino  s'impone 
a  noi,  come  giji  ai  Padovani,  col  sue  carattere 
di  sublime  grandiosili:  grandiosity  orribile,  spa- 
ventevole  per  gli  oomini  del  sec.  XIV ,  simpa- 
tica  quasi  per  quell  i  del  XIX;  titolo  di  abomi- 
QiOy  di  disprezzo  per  gl|  uni,  di  raccomanda^io- 


ne  per  gli  altri.  Proprio  per  qaesto  ammiriamo 
piu  il  V  atto,  0,  nel  resto  della  tragedia,  qaei 
panti  in  cui  Ezzelino  compare  a  agisce  da  par 
sao;  laddo?e  i  contemporanei  di  Albertiao  si  ap- 
passionavaoo  per  le  scene,  nelle  qaali  Ezzelino 
6  OD  persoaajgio  storico,  grande  e  orribile  (per 
qaegli  uomini)  q-ianto  si  voglia,  nelle  sue  era- 
delti,  nei  suoi  disegoi,  nella  sua  mqrte,  ma  sto- 
rico sempre.  Gomanque,  una  cosa  6  ceria,  cbe 
il  Mussato,  per  lo  piu  sorvendosi  djila  storia  , 
talvolta  dolle  dicerie  popolari,  soppe  cogliero  e 
riirarro  la  figara  di  Ezzelino  in  aiteggiaraenti, 
che  sempre  faran  loggore  la  iragedia  ,  e  rim- 
piangere  che  un  capolavoro  cosl.fatto  di  forza 
0  d*  intonsit&  oon  sia  state  scritto  in  Italiano. 
Buona  parte  del  merito  (a  dire  il  vero)  6  del 
soggetto  stesso,  di  Ezzelino,  che  da  solo  6  come 
una  statua  colossalo,  gigantosca,  uno  di  quel 
tipi  abbastanza  froqueoti  nella  vita  italiana  del 
200,  di  cui  i  anche  un  esompio  illustre  Fari- 
nala  degll  Vberli.  Ma  sol  porchS  Farinaia  6 
per  se  stesso  tin  uomo,  la  piu  alta  personiQca- 
zione  del  virile  dantesco  (1) ,  non  avr&  merito 
Dante  neir  averlo  ritratto  cosl  come  noi  lo  con- 
cepiamo?  Qnanto  anzi  non  hacontribuito  larap- 


fl)  Da  Sanctis  ^  Nuovi  saggi  critioi. 


n 


—  88  — 

jiresentazione  dantosca  a  rendere  universale  il 
concetto  solito  che  ci  facciamo  di  Farinata?  Pad 
uo*  aQima  piccioa,  o  un  artista  mediocre,  risen- 
tire  e  ritrarre  il  grande  e  il  forte  ?  Pu&  ogoi 
scultore  scolpire  il  Mosdf  Per  questo  ammiria- 
mo  Alberiino,  por  questo  che  liasaputo  seotire 
e  ritrarre  Ezzelino  nella  sua  forza  epica,  so  non 
drammatica;  giacchd,  come  vedremo  in  seguito, 
il  nome  e  la  quality  di  tragodia  sono  estrioseci 
neir  opera  del  Mussato,  ove  maoca  il  contrasto 
d'  un  dramroa  vero.  Anche  neir  Eccerinis ,  co- 
me nel  Farinata  dantesco  (1)  (dove,  tuttavia,  in 
limiti  tanto  piii  ristretti  vi  6  un  movimento  dram« 
iT^atico  piu  intense  che  non  meW  Eccerinis  tutta 
quanta)  maoca  la  viia  interna  dell*  anima ;  di 
questa  il  poeta  ci  mostra  degli  scatti  che  pro- 
diicono  maravigliosi  effetti  drammatici;  ctd  che 
oggi  si  direbbe  colpi  di  scena^  ma  delle  lotto 
interne,  da  cui  scaturiscono  quegli  scatti,  nes- 
sun  cenno,  nessuna  analisi.  Hai  dinanzi  1*  uomo 
forte,  il  carattere  ritratto  artisticamente,  plas- 
mate  come  in  una  statua,  ma  i  Tuomo  che  Vive 
tutto  di  fuori  e  non  si  raccoglie  e  non  si  esa- 
mina.  Cosl  a  tante  altre  ragioni  per  cui  Alber- 
tino  si  avvicina  a  Dante,  si    aggiungono   anche 


(1)  De  Sanctis  ^  Nuovi  3aggi  critici^ 


-89- 

• 

le  tendenze  artistfche,  sobbene   net  Fiorentino 
sia  per  1'  iogegoo  piii  grande,  sia  por  ii  preva* 
lore,  al  contrario  che  in  Albortioo  ,  dell'  Qomo 
di  lottere  sail*  uomo  di  azione,  si  abbiauoasQ- 
p6riorit&  artistica  cosi  acceotuata.   TatiaTia   i 
meriti  di  A  bortiDO,  como  letterato,  son  tali  da 
ottenergli  an  luogo  eminente  nella  storia  delta 
leiieratara  naziooale,  iotesa  io  largo  seudo,  bea- 
cho  ogli  sia  vissuto  nel  secolo  di  Danlo,  siella 
quasi  che  la  iuce  del  sole  reli  alio  sguardo ;  e 
i  pregi,  di  cui  i  ricca,  non  foss'  altro  »   la  saa 
tragedia,  basterebbero  da  soli  a  farnelo  degoo. 
Mancando  io  essa  il  dramma,  come  si  h  detto  , 
manca  V  inireccio  ,    1*  aoalisi   e  Io  sviluppo  dei 
caraliori;  la  divisione  stessa  io  atti  non  h  giu* 
stiflcata  da  nossuna   di   quelle   ragioni  che   la 
ren<lono  nocessaria  nei  lavori  drammatici ;   gli 
atti  poi  constano  di  una  scena,  o,  so  di  piii  scene, 
queste  si  seguono  sonza  nessun  legame  intimo 
di  intradipendenza;  e  perflno  il  legame  cronolo- 
gico  del  prima  o  del  poi  non  6  dichiarato,  laon- 
de  ,  per  intenderlo,  si  postula  nel  lettore  la  co- 
noscenza  della  storia  e  dei  fatti  che  si  svolgono, 
mentre  nemmeno  il  nesso  recondite^  ideale,  in- 
tenzionale  deirautore,si  scorge  a  prima  vista.  Si 
ha  dinanzi  nell'  Eccerints  come  uno  o  piu  qua* 
dri  vivonti  con  le  medesime  figure  »  perchd  gli 
atti  son  colti  nel  lore  essere  istantaneo »  noo 

It 


—  90  — 

• 

rappresentati  nel  lore  divenire.  Ma  ,  che  per 
questo?  Se  manca  il  dramma  collo  sac  caratte- 
ristiche  piu  proprio,  ve  n'  6  per6  1*  olemento  , 
la  sua  proiezione,  vorrei  diro,  e,  a  qaella  guisa 
che  fl  pittore,  ritraendo  un  cavallo  alia  corsa, 
noil  rappresenta  quella  in  tutti  i  suoi  istanti  , 
successive  ma  ne  ik  Boltanto  uq  momento,  Al- 
berlinOy  pur  senza  mosirara  lo  svolgimento,  ha 
date  situaziooi,  atteggiamenti,  figure  drammati- 
che.  Le  quail  uUime»  a  parer  mio,  son  due,  ii 
protagonista,  cio6  Ezzelioo,  e  1*  autore  stesso , 
il  nostro  Albertino;  I*  udo,  attore  visibile  e  mo- 
ventesi  sulle  scene,  1*  altro  (espressione  ,  come 
dissi,  della  coscienza  coliettiva  impersonale  del 
Padovanl)  nascosto  e  quasi  come  assorbito  dal 
Coro  e  dal  Nunzio  ;  Y  uno  ,  grande  nella  sua 
ambizione,  nei  suoi  disegni,  TaltVo,  grande  nel 
suo  amor  di  patria;  quegii  tocca  il  sublime  del- 
r  audacia,  dell*  orgoglio  ,  della  forza  cosciente 
di  s6,  questi  il  sublime  nolle  voci  di  dolore,  di 
sdegno,  nolle  imprecazioni,  che  gli  strappano  lo 
spettacolo  miserevole  della  patria  posta  suirorlo 
delTabisso  e  T  angoscia  crudele,  la  certezza 
quasi  disperata  di  vedervela  precipitare.  £  alle 
parole  dell'  uno  e  a  quelle  dolTaltro  passanoper 
la  mente  al  lettore  vision!  di  figure  giganiesche, 
ed  una  sopratiutte  si  afi*accia  insistente  e  pre- 
dominante  suUo  altre,  quella  che   sintetizza  o 


-  w  - 

racchiade  in  sd  tutto  il  Medio-Evo,  Dante  ,  or 
SQperbo  e  audace  nell*  atto  che  concepisce  il 
Capaneo  o  il  Farinata,  or  teaero,  appassiona* 
to,  sdegooso  neir  atto  che  concopisco  Sordello. 
Ma  accostiamoci  a  qiieste  due  figure  e  guardia* 
mole  un  po*  da  vicino. 

Quando  Adeleila,  madre  di  Ezzelino,  vede 
giunto  il  momento  di  rivelare  ai  due  flgliuoli 
gl*  ingaoDi «  patris  falsi  »,  imprec.i  contro  Tastro 
inaligno,  iofausto  a  loi,  cagione  di  una  colpadi 
cui  ella  sente  o  non  cela  tutto  I'orrore:  ne- 
fando  fu  il  letlo  su  cui  olla  li  concepi,  nefas 
fu  la  generazione  del  la  devota  proles.  Pure , 
raccogliendo  tutto  lo  sue  forze,  comincia,  come 
per  ritardare  la  orribile  confessione,  a  descri- 
vere  il  castollo  natale ,  Ik  dove  una  notte  le 
parve  di  dormire  al  sinistro  fianco  del  Monaco; 
ma  ecco  che  il  coraggio  adunato  le  vien  mono 
sul  piu  forte,  e  a  lei,  la  naga,  la  donna  avvozza 
agli  scoDgiuri,  alio  incantagioni,  ripugnadi  con- 
tinaare,  Tanimo  inorridisce  e  un  gelido  tremore 
le  occupa  le  membra.  Quale  magnifico  rilievo 
alia  flgura  di  Ezzelino  ,  il  cui  carattore  spicca 
gi&  fin  dalla  prima  interlocuzione,  questa  ripu- 
goanza  di  Adeleila^  la  donna  (nel  concetto  mo- 
dievale)  domestica  degli  spiriti  e  dei  demouii! 

€  Parla ,  o  madre ,  ogni  grande  e  feroce 
cosa  m'  aggrada  udire  > :  nient*  altro  che  questo 


-.08  — 

dice  Bsselino ,  nient'  altro  che  il  desiderio  dt 
vdire  una  oosa  grande  e  feroce  seoza  avero  nes- 
anoa  paro^a  di  benevolo  e  pietoso  incoraggia- 
roento  per  la  madre :  prima  di  saporsi  figlio  del 
demonio,  agitfce  da  demonio.  Si  direbbe  che  la 
Toce  del  saogua  paria  in  lot  e  lo  gnida  gi&  nelle 
ajsioni. 

Adeleita  ritenta  allora  la  prova  di  narrare 
il  nefando  delitto;  ma  e  troppo  orribile,  si  sente 
venir  mono,  svieoe.  Ed  Eccelino?  Non  corre  a 
sostener  la  madre  cadente,  ma  comaoda  ad  Al- 
b^rico  di  farlo;  e,  senza  alcana  preoccupazione, 
impasaibile  chirnrgo,  sicuro  del  fatio  sao,  sng- 
gerisce  al  frateilo  di  sprnzzarle  deli'acqaa  in 
viso  e  la  sincopo  cesser^  certamente.  Non  una 
parola>  non  un  atto  di  premura  affettaosa  e 
nemmeno  di  compassione:  son  queste  debolezze 
da  Qomo,  da  femroinetta  anzi,  e  il  flglio  del  de- 
monio non  pu&  averlo,  sicch6»  quandu  la  madre 
rinviene,  la  sua  prima  domanda  6 :  Sei pronto? 
0  madre,  bando  agli  indugi,  Adeleita  descrive, 
inor^idita  al  solo  ricordo,  con  i  colori  piu  vivi 
come  tra  il  muggito  della  terra  e  il  rombo  del 
cielo  una  nube  quasi  dt  zolfb  si  diffuse  pel 
talamo,  spargendo  e  fumo  e  mefUico  fetor e 
mentre  le  sale  addosso  ignoto  adultero  <  Qtui* 
lefi^,  interrompe  impaziente  Ezzelino.  Gome  poi 
4^V  r^^<*^^^^>  <^i)^  giiene  fc^  (a  mad|po,  Tl^aTioo^ 


-  68- 

Dosciato ,  come  dai  porteoli ,  cho  accoropagDa- 
rono  la  sua  nascita ,  se  no  sente  coofermare 
4  digna  veraque  propago  »  al  fratoilo  esitante 
e  confuso  «  Quid  poseis  ultra  frater?  »  (grida) 
«  an  tanti  pudet,  Vesane^  Patris?  —  SUrpe  di 
Dei  not  siamo,  esclama  coo  Tacconto  di  trionfo 
e  di  esuUaoza  di  chi  sente  tuito  Torgoglio  delta 
sua  discendenza,  di  chi  ha  visto  non  mentirgii 
la  voce,  deir  anima ;  slirpe  di  Dei  e  superiori 
anche  a  quanti  vantano  discendenza  divina^ 
noi^  il  cui  padre  assegna  pene  a  principi  e  a 
re ,  noi  cui  egli  riserba  un  poslo  di  gii^lci 
nel  suo  supremo  Mbunale,  sol  che  qui  oon  le 
guerre,  le  morti,  gli  esilii,  le  frodi,  gVinganni 
e  la  rovina  del  genere  umano  ci  mostreremo 
degni  di  lui.  K  il  gonio  del  male  e  dell'  ambi- 
zione  che  parla  nella  gioia  di  sontirsi  supejriora 
a  re,  a  principi,  a  imperaiori,  a  quanti  han  po- 
tore  suUa. terra,  per  che  s*  intendono  ora  i  sutn 
vast!  disegni,  quelii  cho  manifester&neirattoIII, 
quando  la  Marca,  la  Lombardia ,  TOrionte  gli 
parranno  angu^ti  confini  alia  sua  cupidigia.  Ma, 
II,  in  presonza  d*una  donna,  che  trema  al  ricgr^p 
deir  orribilo  congiungimento,  e  di  un  giovane 
che  ha  udito  con  torroro  la  rivelazione  della 
sua  origine,  egli  si  sente  a  disagio.  Egli  invece, 
il  primogenilo  del  demonic ,  egli  che  sente 
tulta  la  gioia  e  Vorgoglio  dei  suoi  natali^  egli 


—  04- 

vud  essere  solo  col  padre,  seniirsegli  vicinOj 
atoerne  r  approvazione  at  suoi  disegni,  e  seen- 
de  giin  giu  nelV  ima  parte  della  casa,  ove  nan 
e  raggio  di  luce,  petens  lalebras  el  luce  exclUy 
sa.  Oo\k 

€  Caput  tellore  prooam  sternit  in  facie  cadens 
Tundilqae  solidam  deotibus  freodons  hamam, 
Patrnmqae  saeva  voce  Luciferum  ciet.  > 

La  staponda  invocazione  a  Satana,  chiamato 
dal  flglio  coo  totti  gli  attributi  della  sai  poten- 
za,  capolavoro  di  forza,  in  cni  la  forma  stessa 
latina ,  incerla  alirove  e  iropacciata  ,  acqoista 
sicorezza  e  vigore  gagliardo ,  appena  appena 
guastato  dai  froquonti  ricordi  mitologici,  &  stata 
taoto  lodaia  e  resa  popolare  da  qaanti  haono 
scritto  sail*  Eccerinis,  che  io  non  so  davvero  se 
altro  si  possa  aggiangore  ad  oocomio.  Uuo  sqoi* 
sito  artificio  del  poeta,  per&,  mi  pare  che  non 
sia  state  ben  rilovato.  Eccorino  (inisco :  Amne 
Satan ,  et  filtum  talem  proba ;  o  (in  risposta 
data  da  Satana  coi  fatii  alio  scongiuro  del  ti- 
raono)  sabito  il  Coro  entra  a  domandare  quale 
mai  avida  brama  iuvada  e  agiii  gli  uomini ,  e 
sqoal  mai  incendio  divampi  nella  nobile  Nfarca 
roettendola  tutta  a  socquadro.  Struroontiy  mini- 
tr|  ^i  ^atana,  sielo  voi  dunqi^o,  par  ct^e  vo^lia- 


dire  il  poeta,  voi  avidi  [Ne  sitis  cupidinimis) 
6  invidiosi  (Atrox  invidiae  scelusj  nobili,  otu, 
plebs  vilissimay  cha  innaizi  oggi  quolli  che  do- 
maoi  dcprimi,  cho  abolisci  oggi  le  loggi  votato 
iori,  sicche  sempre  rola  volvUtir ,  durat  per- 
petuum  nihil. 

A  chi  nou  s*  nfTacciaQ  cosl  subito  alia  me- 
raoria  le  tre  flere  dantesche,  e  specie  ia  male- 
delta  lupa,  cagione  di  lulli  i  mail,  dipviitasi 
dair  iDferno,  sua  sede  primitiva;  chi  non  ripete 
col  divioo  poeta : 

«  Legge,  mooetai  officio  e  costume 
Hai  tu  mutate  e  riunovato  morabrel  > 

£  Dante  coi  suoi  santi  impeti  di  sdegno  per 
ftrdiscordie  cittadioe  lo  sentiremo,  lo  ritrove- 
remo  spesso  oramai,che  e  eotrato  in  iscena  I'au- 
tore.  Nd  v*  d  da  maravigliarsi  di  questa  iden- 
tity di  concetti,  di  atteggiamenti,  di  parole  tal- 
volta,  bench6  in  lingua  diversa,  eve  si  tenga 
presente  che  cosl  Dante  come  Albertino  sono 
due  forti  coscieuze,  la  cui  caratteristica  origi- 
nality e  queila  di  essere  troppo  grandi,  percbd 
possauo  riflettere  il  pensiero  di  un  individuo,  e 
non  piuttosto  quelle  impersonate  di  tutta  una 
comananza  di  individui  del  lore  tempo.  Gosi  al 
11^  atto  il  Nunzio  dapprima^  che  si  ri?olge  al 


—  06  - 

bettor  del  Cielo ,  domandandogli  se  abbia  ab- 
baodonato  le  core  del  mondo,  e  il  Coro  di  poi, 
cbo  a  Crista  In  persona  domanda  se  si  diletti 
soltanto  dei  gaudii  celesti  sonza  pensare  ad  al- 
tro,  ricbiamano  subito  al  pensioro  il  dantesco : 

<  E  se  licito  m*  6»  o  Sommo  Oiove, 
Che  fosti  in  terra  por  not  crociSsso, 
Son  li  giosli  occhi  tuoi  rivoiti  altrore? 

SI  potr&  notar  qui  che  v'  d  maggiore  irri- 
verenza  nella  invocazione  del  Mussato  che  Don 
in  qaella  dell*  Alighieri ,  perchd  Dante  chlede 
perdono  della  sua  domanda  iinportuna  ($e  licito 
m*  ^/,  subito  dopo  esprime  egli  stesso  il  dubbio 
che  possa  trattarsi  di  profondit^  di  consiglio^  in 
cui  non  sia  date  alia  mento  umanadiponetrare, 
e  ino!(ro  quelle  stesso  Sommo  Oiove  dantesco 
6  un  pio  ripiego  del  Poeta  per  mitlgare  la  em- 
piet^  della  sua  curiosa  domanda.  In  Albertino, 
invece,  nessun  ritegno:  i  nomi,  lo  immagini,  le 
concezioni  pagine  appaiono  por  quel  che  sono, 
non  gi&  como  ripiego,  adatlo  a  non  profanare 
sacri  nomi.  Albertino ,  assai  piii  di  Dante  nu- 
trite  di  studii  classici ,  assai  piu  innanzi  di  lui 
salla  via  del  Rinascimento  (11  quale  nei  suoi  pri- 
mi  tentativl  fllosofici  esordirji  appunto  col  con- 
ciliare  pagaoesimo  e  cristianesimo  e  col  dime* 


—  8^  — 

strarne  inesistente  ropposizione  reciprooa),  Al* 
bertino  non  sospetta  nemmeno  la  scoDveDienza 
di  riavvicinare  Teccelso  *  mundi  rector  omni- 
poiens  Dens  >  con  Marte,  a  coi  qaegli  avrebbe 
lasciaia  la  cura  di  reggere  il  moodo,  od  1*  altra 
anche  maggioro  di  raffigararsi  Oristo,  che  slede 
aila  destra  dt  Dio  padre  ^  tutto  assorto,  come 
un  Giove  qualunque  oelle  <  summi  iUecebris 
CHympi  >  y  sol  contento  di  godorsela  allogra- 
meote  fra  i  <  gaudis  supemis  >.  Dinte,  appooa 
accennato  il  sao  dabbio,  ardito,  pur  circoadao- 
dolo  di  pie  precauzioni  (Sommo  Oiove;  che 
tosU  in  terra  croceftsso ;  li  giusti  tuoi  occhij, 
pauroso  d'  osser  trascorso  in  an  blasfema  »  si 
corregge  dicendo : 

«  O  d  preparazion,  che  nell*  abisso 
Del  tuo  consiglio  fai,  per  alcan  bene 
In  tutto  dair  accorger  nostro  scisso  ?  > 

In  AlbertinOy  al  contrario,  niente  paure, 
niente  peritanze,  niente  dabbii;  egli  rincara  la 
dose,  anzi  con  unricordo  biblicofarisaltar  Tin- 
giusta  condotta  di  Oristo,  che  adopera,  come  a 
dire,  dae  pesi  e  due  misure  —  Come!  (prose- 
gue  ii  Coro  con  mossa  malanconicamente  ener- 
gica)  il  sangue  eT  Abele  fece  giungere  al  Si- 
gnore  i  lamenti  contro  it  flratrtcida;  i  delitti 

13 


-98- 

dt  Sodoma  e  di  Oamorra  provocaran  la  gtu^ 
sta  vendetta  divtna,  e  solo  gli  errori,  le  colpe 
dei  giomi  nostrt  reslano  a  te  celate^  a  Dio  dl 
Oiuslizia?... 

Ed  ecco,  subito  dopo,  un  quadro  moravi- 
glioso  di  coloro,  di  forza,  di  ovidenza,  che  do- 
vd  strappare  lagrimo  ogli  uditori  e  far  correre 
loro  an  brivido  d*  orroro  e  di  torrore:  corto,  a 
udirlo,  tra  i  Padovani  gli  animi  risolali  a  rosi- 
store  a  Can  Orande  so  ne  sontirono  ringa- 
giiardire  il  proposito,  gli  esitanti  o  i  fiacchi  pro- 
se ro  la  loro  brava  risoluziooe,  i  vili  e  i  tradi- 
tori  dovettero  capiro  che  quelle  non  era  il  mo- 
moDto  di  ritentare  un  colpo  di  mano  suUa  citt& 
per  coDsegoarla  al  nemico;  ed  AlbertinOi  poeta, 
istoriografo,  soldato  della  repubblica  e  come 
sue  nume  protettore,  obbe  per  decreto  di  po- 
polo,  fra  r  esultanza  e  1*  entusiasmo  della  citta* 
dinanza>  la  corona  di  poeta. 

€  Una  iirannide  prepotenle,  feroce,,  qiuil 
mai  non  han  visio  le  generazioni  umane^  in- 
crudeUsce  fra  di  noi,  impallidisce  innanzi  a 
quella  V  antico  ricordo  della  slalia  Bislonia  e 
la  larva  rahbia  del  famoso  Procusle,  e  la  fe- 
rocia  del  malvaglo  Nerone.  Escon  gemili  dalle 
nere  tenebre  de  lie  carceri,  gemili  di  sepolti 
in  vivace  morle;  miscrevole  morle  di  fame  e 
sele  alroce^  sorda  spesso  alle  preghiere  degli 


k 


infelid  prigionieri,  tardi  arreca  la  desiderata 
fine.  II  popolo  e  la  plebe,  tuUi  insieme,  vannOy 
sotioposlo  il  collo  al  giogo,  come  giovenghi, 
devoii  a  morte,  ai  sacri  allari .  Cerca  lo  seel- 
leraio  signore  pretesto  a  perpetrar  stragi  con- 
tro  iutti  i  citladini;  ansioso,  in  veglia  conii- 
nua,  teme,  come  d  femuto;  i  deliiii  non  rispel- 
tan  piu  diritto  dt  nalura,  ogni  pieloso  affetlo 
i  bandilo  dalle  nostre  terre ,  sol  v\  regna  il 
furore.  Pien  di  sangue,  il  fratello,  per  pia- 
cere  al  tiranno,  preme  il  ginocchio  sul  collo 
del  fraiello;  il  figlio,  aht  doloref,  chiede  a  gara 
di  bruciare  il  padre^  e  sotloporre  le  ardenti 

fiamme » 

In  UD  cosl  orribile,  lugubre  sfondo  come  cam- 
poggia  orrida  la  figura  di  Ezzelino  ,  tantorum 
scelerum  superstes!  —  Alia  fantasia  comtoossa 
leggendo  quei  vorsi,  mi  si  presentd  V  immagine 
di  una  squallida  pianura,  sparsadicadaverisan- 
guinosi,  6  ritto,  fra  tanti  caduti,  sol  uno,  Taa- 
tore  di  tante  morti,  di  tanti  eccidii,  mirare  diu- 
torno  con  sguardo  sinistro,  cupido,  quasi  tigro, 
Che  asptri  V  odor  dol  sangue  ,  ne  sia  paga  an- 
cora  della  strage.  E  di  vero,  non  fa  pensare  a 
questo,  nella  sua  scorrottezza  medievalo,  il  mi- 
rabile  aspirans  saevas  iras  ,  V  aspirans  spo- 
ciaimente,  che  ci  circonda  sabito  il  sao  signifi- 
cato  etimolo^^co,  fondamentale,  classico,  quelle 


\ 


—  100  — 

che  non  ha  pordoto  Qommono  in  Italiano  ,  di 
assorbir,  ciod,  avidamenie  con  le  narici  dUa- 
fate  I'  odorel  Si  dir&  che  appuoto  perchd  Tau- 
tore  1'  ha  adoperato  nel  sigoificato  sao  seconda* 
rio,  non  materiale  e  non  classico  ,  questa  bel- 
lezza»  se  6  tale  come  a  me  pare  realmente,  non 
6  da  mettere  in  conto  al  poeta.  Ma  anche  am- 
mosso  (e  nessuno  lo  prova ,  anzi  il  contrario  6 
probabile)  che  1*  aspirare  ai  tempi  del  Massato 
avesse  perduto  il  signiflcato  prime  e  reale  per 
conservaro  solo  il  metaforico,  mentre  neir  Ita- 
liano di  oggi  li  ha  totti  e  due  ,  che  perci6  ? 
II  poeta  non  conosceva  i'effetto  che  avreb- 
be  prodotto  nei  suoi  tardi  lettori  ,  se  pnr  non 
lo  produce va  ai  suoi  giorni,  con  qaella  parola» 
ecco  tutto;  ma,  di  grazia,  quanti  sono  nolle  o- 
pore  lettorario  i  pregi,  le  bellezze  da  tutti  e 
seropre  riconosciote  tali,  di  cai  i  loro  autori  a- 
vessero  consapevolezza?  O,  mogllo,  quante  non 
sono  le  bellozzo  cho  i  loro  autori  non  credevan 
tali  aflatto^  echo  addirittura  dispregiavano?  Nes- 
suno oggi  cambierebbo  ii  Paradise  di  Dante  per 
r  Inferno^  nS  certamonte  1'  Africa  del  Petrarca 
ha  i  lettori  del  Canzoniere.  E ,  so  non  temdssi 
da  una  parte  di  dilungarmi  troppo  dall*  argo- 
mento  mio  principale,  dall*  altra  di  arrischiar- 
mi  molto  senza  averne  le  forze,  vorrei  dire  che 
mia  delle  earatteristiche  del  genio  o  deU'uotqp 


superioro  d  qu^Ila  di  creare,  senza  accorgerso- 
ne  prima  che  1*  ammirazione  altroi  non  lo  ar- 
verta,  e  aocho  allora  egli  non  sa  darsi  ragiono 
di  essa.  Alio  stesso  modo  chi  ha  1'  istinto  o  Ta- 
bitadine  dot  ben  faro  non  sa  di  ben  fare  ,  per- 
chd  yi  6  una  specie  di  atmosfera  estetico  ,  di 
atmosfera  morale,  come  vi  e  Tatmosfera  flsico: 
chi  vi  sta  dentro  non  sa  di  starvi,  se  non  quan- 
do  0  da  sd  0  per  opera  altrui  ne  esca.  — 

Gontinua  la  descrizione  degli  orrori  perpe- 
trati  da  Ezzelino  con  parole  in  cui  si  sente  fre- 
mero  e  riboUire  il  dolore,  lo  sdegno,  la  piet& 
del  cittadino  ofTeso  in  quanto  ha  di  piu  caro  e 
teme  d'  esser  di  nuovo  similmente  offeso:  i  fan- 
citUli  eviratiy  le  donne  muiilale  del  seno,  i  lat- 
tanti  piangenti  nelle  culle  per  pli  strazi  loro 
in  flit  U^  gli  accecati  cercanti  la  luce  nelle  te- 
nebre  delle  prigioni 

<  Non  MipiU  rulmini,  o  Dio,  che  sopporll 
tanit  orrori  ?  Non  mandi  piu  ierremoti  alia 
terra  perchd  s*  aprano  le  tenebre  d'  inferno 
sotto  i  piedi  di  guesto  distruggitore  del  gene- 
re  umanof  » 

E  dopo  una  cosl  viotenta  esplosione  di  do- 
lore,  quanto  commuove  il  Coro  col  rapido  e 
inaspettato  passaggio  alia  somplice  invocazione 
a  Dio,  cosl  plena  di  fldacia  e  di  speranza!  «  Te 
padre  del  CielOj  il  Popolo,  da  le  redento,  sup- 


— 102  — 

pUce  invoca,  or  di  nuovo  cadulo  in  basso>  — 
<  Iterum  relapsas!>,  cadato  in  noova  schia* 
Tilii:  evideotemoDte  laschiavitu  d' Ezzelino,  del 
naoYO  demonio,  del  flglio  dol  domooio,  mentre 
la  prima  era  stata  la  schiavita  del  domoDio  ia 
persona,  quelta  da  cui  Oristo  aveva  rodento  le 
nazfoni.  Chi,  per6,  sentendo  quelle  parole  a- 
Tesso  astratto  per  poco  dal  protagonista  e  dai 
tempi  passati,  in  quella  vaga  indeterminazione 
delle  parole,  intondeva,  6  voro,  la  redenziono, 
operata  dal  sacrifizlo  di  Gristo,  ma  non  poteva 
anche  pensare  alia  redenzione,  dovuta  al  valore 
cittadino,  qaando  Ezzelino  fu  respinto  col  sao 
esercito  dalle  mora  di  Padova?  —  Jterum  re- 
lapsus t  cosl  semplicemente  ;  nel  memento  sto- 
rice,  cbe  il  d^amma  riprodaceva  ,  voleva  dir 
senza  dabbio  al  tempo  d'  Ezzelino ;  ma  per  chi 
ascoltava  il  dramma  col  caore  in  sossalto  e  ia 
Ezzelino  vedeva  adombrato  il  nuovo  imminenta 
tiranno  ,  doveva  sign  iflcar  anche  ricadtUo  di 
nuovo,  adesso,  nel  momento  attuale,  dairaltez* 
za,  cui  il  popolo  padovano  s*  era  levato  col  suq 
Talore  dope  la  cacciata  d'  Ezzelino.  Questo  dop- 
pio  sense  qal  e  altrove  cercd  ad  arte  Alberti- 
ooy  perchd  la  sua  tragedia,  mentre  lo  armi  po- 
savano,  fosse  battaglia  flora  centre  la  tirannide; 
0  i  Padovani,  che  ci6  intesero,  furono  grati  al 


—  108  — 

cittadi  DO  che  sofflava  doI  faoco  del  loro  amor 
patrio. 

Se  nel  II  atto   6  il   carattere  ,   la  figura 
deir  autore  (rappresentata,  ripetiamo,  dal  Coro 
e  dal  Nnozio)  che  caropeggia  sola,  il  III  h  talto 
occapato,  come  il  I,  dall*  altra  di  Ezzelioo,  la 
quale ,  nel  malo  ,  per6  ,  fa  degno  riscootro  a 
qaella  del  poeta.  Qui  Ezzelioo  6  rapp/osontato 
nei  piii  diversi  momenti,   lo  vedlamo  svelare  i 
suoi  disegni  ambiziosi,  esercitare  le  sue  artidi 
governo  e  dare  in  iropoti  di  gioia  feroce   e   in 
propositi  di  nuove  crudelt&;  garreggiar  beffar- 
damente  in  dialettica  con  il  frate  che  gli  fa  la 
predica,  ricevero,  da  par  suo,  gli  annunzii  della 
contraria  fortuna,  prepararsi    a  tenerle  testa. 
E'  una  serie  di  quadri  scnz*  altra  dipendenza  e 
legame  tra  loro  che  quelle  della  identity  di  per- 
sona, una  serie  di  quadri  per6  senza   nessuna 
incoerenza,  senza  nessuoa  incertezza  che  possa 
iradire  la  mano  malsicura  delPartista  e  un  con- 
cetto poco  organico   nella   $ua   immaginazione. 
Ezzelino  nella  tragedia  delMussato  nonsismen- 
tisce  mai,  e  11    sempre  con  la  sua  carat terlstica 
di  forza  sicura  di  sd,  di  orgoglio  ,   di  crudolt& 
rilovata  nci  propositi,  nolle  parole,  negli  atti : 
d  (per  non  uscir  dalla  pittura)    sempre  la  mo- 
des! roa  flgura,  ma  vista  sotto   diversi  effetti  di 


-^  104  — 

luce.  II  III  atto  d  percid  il  pifi  complesso ,  e 
Del  meschino  sviluppo  del  dramma   il  piii  im- 
portaDte  e  notevole  anche  per  il  sao  yalore 
drammatico,  benchd  non   messo   abbastanza   ia 
rilievo  dair  autore.    In  qaesto  atto    Ezzelino  , 
mentre  apparo  trionfante  di  tulti  gli  ostacolio 
dei  congiurati,  al  colmo  della  fortuna,  e,  sicaro 
del  favore  di  quosta,  bofTdrsi    allogramente   di 
Dio,  ha  improvvisamonte  la  notizia   della   per- 
ditu  di  Padova,  che  fu  il  principio  di  quella  ri- 
pida  e  sdrucciolevole  china,  in  fondo  a  cai  tro- 
v6  la  pordizione.  V  6  danqae,  come  si  vede,  in 
qaesto  atto  contrasto  vivissimodi  fatti^  contra- 
sto  per6  puramento  ideale,  perchd  Pautore  non 
lo  fa  spiccare  d6  lo  mette  in  lace  nolle  scene 
e  nei  dialoghi  dei  personaggi,  ma  lo  lascia  sea- 
tarire  semplicemente  dal  riaccostamento  di  due 
momenti  cosi  divers!  della  storia  di  Ezzelino:  vi 
e  il  dramma  in  potenza,  se  non  in  azione.  Dope 
la  prima  scona,  in  cui  i  dao  fratelli  si  manife- 
stano  a  vicenda  lo  lore  ambizioni,  e  la  soconda 
bollissima  per  rapidity  e  vivacity  drammatica , 
cho  dh  occasione  a  uno  scoppio  di  gioia  feroce 
dd  parte  di  Ezzelino  (Horn  vicious!  Jamqae  omne 
fas  licet  et  nefas,  —  forro  tuonda  Givitas  nostro 
vacat),  vien  la  scona  fra  il  tiranno   e  il   frate 
Antoaiano,  Luca  Belludt,  che,  come  ricorda  la 


-166- 

I 

sloria  (1),  os6  presentarsi    ad  Bzzolino  e  rim- 
proverargli  le  colpeei  dolitti.  E' statadeUami- 
rabHe  questa  MCODa,  ma  non  so  davvero  con  quan- 
ta ragione,  od  io  anzi  credo  cho  costitaisca  ano 
doi  puQti  piu  scadoDti  del  lavoro.  Tatto  il  dia- 
logo,  infatti,  in  cui  non  mi  pare  di  trovardi  bollo 
altro  che  ia  biricchina  insolenza  e    la  boffarda 
mansaetodine  di  E/./.ulino,  con  quel  catmi.dotti 
e  gravi  ragionamenii  del  Crate^  che  mi  ha  I'aria 
di  un  quarosimalista  annoiato  a  pagamento,  mi 
richiama  insistentemoute  alia  memoria  le  insulse 
scene  (2)  di  Seneca ,  in  cui   air  oroe   che  fa  11 
programma  minute  del  delitto  ,  che  vuol  com- 
mettere,  il  servo  d&  dei  bei  consigli ,    pieni  di 
senno,  conditi  di  bei  paragoni   e   di  argomenti 
piu  0  mono  Oloso&ci,  ma  poi,  dope  lungo  girare 
o  rigirare  senza  mai  prendorsela  calda,  finisce 
o  col  tacere  beliamente  o  col  dar  ragione  e  per- 
fino  coir  offriro  il  suo  aiuto,  ma  sempre  senza 
scomporsi  affatto  (3).    E  per   antitesi  mi  viene 
ia  mente  un  altro  dialogo  in  cui  la   condizione 


(1)  Zardo  —  R.  st.  it.  V.  6. 

(2)  Bench^  in  cosi  grande   differenza  di    argo- 
menti, di  situazione,  di  sentimento  e  di  tutto. 

(3)  Leggasi  il  dialogo  tra  Fedra   e    la   nutrice 
neir  Ippolito,  fra  il  servo  e  Atreo  ecc.  nel  Tieste* 

14 


—  K»  — 

del  porsonaggi  d  daTvero  stranamente  somi- 
gliante  a  qaella  del  Nostra  in  qaesto  panto , 
ma,  oh!  quantodiversamentecondotta.  Si  tratta 
ancho  11  di  an  frate  che  va  a  difendere  la  caa- 
sa  doll*  oppresso  dinanzi  all'  opprossore,  a  pro- 
garlo  di  desistoro,  di  volgorsi  alia  riparazione 
deir  ingiustizia;  ma  qaanfo  fervore  di  entasia- 
^rao  or  contenato,  or  liboro  11  nel  parlare  del 
frate;  che  effl'*.acia  nella  semplicit&  delle  paro- 
le e  nolla  umilt^  quasi  degli  argomonti  ;  che 
dialogo  vivo,  caldo,  appassionato  fra  il  prepo- 
tenlo  ostinato  nella  ingiustizia  e  I'aomodiDio, 
forte  dclla  sua  coscienza!  Ho  volato  parlar  del 
dialogo  fra  padre  Cristoforo  e  Don  Rodrigo  dei 
Promessi  Sposi.  E|)pure  padre  Cristoforo  si  era 
recato  11  a  impedire  un*  ingiustizia  non  ancora 
tutta  consumata;  una  ingiustizia  ,  che  sarobbe 
appena  un  peccatuccio  veniale  a  fronte  dello 
malvagit^  di  Ezzelino;  montre  frate  Luca  aveva 
in  mano  tanta  roba  da  gettare  in  vise  al  tiran- 
no,  da  giustificare  lo  sdegno  di  dieci  padri  Cri- 
stofori  presi  insieme.  Nionte  invece;  il  monaco 
di  Albertino  non  si  scomoda  per  cosi  poco;  par 
che  sappia  gii  umori  delta  bestia  e  non  voglia 
arrischiarsi  troppo;  percid  parla  come  se  discu- 
tesse  di  teologia  con  un  confratello  ,  al  quale 
fosse  venuto  io  sghiribizzo  di  far,  come  dicono 
in  Vaticano,  Y  a%vvcQto  del  diavolc,  o  di  E2?c- 


^107  — 

Udo,  cho  qai  e  tull*  una.  Entra,  fa  la  sua  brava 
riveroDza,  chiede  licenza  e  sopraltullo  sicurli 
di  parlare;  I'  ottiooo,  o  intona  il  sermona  per 
fare  una  luoga  e  arapollosa  parafrasi  del  me- 
mento  homo,  per  dire  cho  non  si  pad  vivere 
sempre,  giacchS  ogoi  cosa,  come  il  mare  ,  la 
terra  ecc,  ha  la  saa  vicenda  immatabile,  eter- 
namente  fissata. 

«  Chi  V  ha  fiisata  f  chi  la  fissa  ?  domanda 
Ezzelioo.  » 

E  il  frate :  <  Dlo,  che  con  eqaa  bilancia  di- 
spensa  i  suoi  doni,  e  vuoi  r  oqail&  e  per&  mise 
agli  uomiDi  insite  Doi  cuori  e  anche  nel  tuo»  o 
Ezzelino,  le  ire  virttl  teuiogali,  la  Carit&  per- 
ch6  sii  benevolo  ai  tuoi  simili,  la  Speranza  per- 
ch6  creda  alia  misericordia  di  Dio,  la  Fede  che 
ti  faccia  conseguire  il  Paradise. 

Per  molto  piu  poco  Don  Rodrigo  perdelto 
la  pazienza  o  protestd  di  non  voler  prediche  in 
casa ;  ma  evidentemente  i  fumi  del  vino  dove- 
vano  renderlo  eccitabile  eccossivamente ,  men- 
tre  Ezzelino  doveva  e&sore  al  digiuno  e  in  vena 
di  baon  umore,  perch6  voile  dimostrare  at  frate 
di  non  essor  la  gran  bratta  bestia^  che  dicevano, 
tanto  da  sentirsela  di  sostener  perflno  una  di- 
scussione  teologica.  Questa  s*  intavola  animata, 
ma  senza  iroppa  fortuna  da  parte  del  frate,  il 
quale  fa  davvero  una  figura  assai  barbogia^  in- 


—  108  — 

calzato  dalla  striogeote  dialettica  di  Eszelino. 
Quesli  invoGO  si  mostra  flglio  noa  iodegno  del 
padre,  (cha  era  loir.o  la  sua  parte)  o  net  buOD 
uinore  della  sua  Tacile  vittoris,  spitige  la  com- 
piaceoza  Bno  a  dimostrare  al  frate  che,  anche 
dal  panto  di  vista  di  ud  ministro  di  Dio ,  dod  ti 
era  poi  ragiono  di  accasarlo,  dal  momenlo  cho 
in  fuiido  in  foodo  poi  buono  o  caltivo  che  egll 
fusse,  Dio  Tareva  mandato  suila  terra  e  per- 
luottova  lutto  lo  sue  azioni.  Poco  inancava,  ed 
EzzelJDo  divoniva  frate ,  e  il  frale  Ezzelino ;  e 
allora  forse  al  buou  fra  Luca  Belludi  s&ra'bbQ 
toccato  di  senlirsi  accufaro  di  eresia  e  di  aver 
la  predica  dal  flglio  del  diavolo  ;  sicchd  io  penso 
bono  cho  il  Trato  con  I' aria  ditnessa  so  la  sar& 
Bvignata  sonza  nommono  un  bricciolo  di  <  verrd 
giorno  ».  Non  6  vero  cho  questo  diatogo ,  al- 
moDo  duo  a  quando  Ezzelino  non  prenda  ogll 
stesso  la  offonsiva ,  h  qualcosa  di  abbastanza 
guffo  e  non  corrispondonto  all'altezza  delle  altre 
parti  della  tragedia?  Eppure  si  trattava  di  e- 
Bprimore  ua  gi  udizio,  di  omottere  aoa  condanaa, 

.-_-i-  -  ;„;_..-  J-., "~=-ino,  dalla  V0C6 

faceva  corag- 
ila  aantit&  di 
gno  di  S.  An- 
I'a  avaati  por 
orsi,  la  voaitii 


—  109  — 

delie  cose  umane,  la  giustizia  di  Dio  e  lo  virtu 
teologali ;  e ,  se  dice  qaalcosa  di  concreto  ,  6 
quando  lo  incalza  Ezzelino  con  la  sua  logica  ta- 
gliente.Ma  incorreggibile,  com*  e,  anche  allora, 
quando  si  vede  neU*imbarazzo,  o  il  tiranno  gli 
domaoda  beffardamento  chi  sia  qy^sto  Dio  di 
git^tizia.^GMX  S  piu  cara  la  salvezza  di  lui  solo, 
Ezzelino,  che  non  la  vita  di  inigliaia,  e  migliaia, 
fra  Luca  riprende  la  sua  tranquilla  onfasi  pre* 
dicatoria,  con  un  tono  anzi  piu  umile  o  dimesso 
di  prioia. 

<  Eccorine,  crede,  carior  Saulas  fuit, 
Peccare  postquam  desiit.  Mitis  Deus 
Redenaptor  animas  ipse  venatur  suas 
Erroro  false  dovias,  Pastor  bonus. 
Erroro  lapses  adjuvans  vitam  suis 
Ad  abiuenda  crioaina  elongat  pius.  » 

O  magnanima  ira  del  padre  Gristoforo  !.... 
Gli  6  che  Albortino ,  uomo  pieno  di  religione, 
pure  6  gi&  tanto  impaganito,  che  noo  sente  piu 
la  fede  sincera,  ardente,  la  quale  avrebbe  po- 
tuto  suggerirgli,  per  mettere  in  bocca  al  frate, 
parole  adeguate  alia  situazione,  alia  condizione 
e  ai  sentimonti  reciproci  doi  personaggi ;  gli  6 
che  egli,  cittadino  anzitutto,  sontendosi  fremero 
in  petto  ranima  di  patriotta^  quando  vuol  destar 


J 


-no  - 

r  orroro  delia  tirannide  e  boliaria  con  parole 
roTonti ,  non  ha  bisogoo  d*  inOogersi  e  di  assa- 
mere  le  spoglie  del  frate,  ma  solo  di  lasciar  li- 
boro  sfogo  al  suo  sJogoo  e  al  suo  dolore  nelle 
parole  dei  cori  o  anche  «lol  Nuozio :  ogni  altra 
figara  di  giudico  e  di  accusatore  impallidisce 
dinaosi  a  quella  gigantosca  o  luminosa  del  no* 
stro  poeta. 

Alia  curiosa  scena  col  frate  fanno  bal  con^ 
trasto  le  dae  cho  seguono,  belle  per  serrata 
breTil&  e  per  movonza  drammatica,  conve- 
nientissiroa  al  momento  critico  cho  si  svolge. 
Al  Nuozio  che  teota  di  proparar  i'animo  dol 
tiranao  alia  notizia  iocredibile,  ma  vera,  di  cui 
d  portaiore,  Ezzelioo,  impazicnte.  «  Ecelle  nu- 
gas  (grida)  vane  iacialor,  ttuis>;  o  come  qae* 
gli,  mosso  da  baoda  ogni  ritegao,  racconta  bre- 
vemeote  di  Padova  porduta,  il  tiranno,  credulo 
e  sdegnato :  <  Abscede,  mendax  serve,  e  abbiti 
il  premio  dei  la  tua  notizia  net  taglio  del  pie- 
de  >.  Noo  doveva  essoro,  in  verit&,  afilcio  molto 
locrativo  quelle  di  procaccia  alia  corte  di  Messer 
Ezzetino ;  e  lo  ponsd  cortamonte  anche  ii  Nun- 
zio,  il  quale,  vodendo  veoir  AnsedistOy  quegli 
che  a?rebbe  dovuto  difeodor  Padova,  s*  appiglia 
a  loi  come  ad  uo*  ultinfia  ancora  di  salvezza  o 
lo  addita  al  tiranoo,  perchd  testimoDijdolla  sua 
8iDceri(&.  Ezzelioo  ha  cbiamato  metukw  il  ser* 


vo ;  ma  tuttavia  qaolla  notisia  gli  ha  messo  U 
febbre  addosso,  non  vi  erode,  ma  vaol  che  altri 
gli  affermi  che  ha  ragione  di  non  credere,  e  ad 
ADSodisio  pieno  di  aosietft  corre  incontro  doroao* 
dandogli :  «  Hem  ?  quid  est  f 

AnsedUius :  <  Amissa  Paduae  civitas.  Ho- 
stes  habenl....  > 

Eccerinus :  t  Amissa  vi?> 

Ansedisius :  <  Vi  amissa  » 

Eccerinus :  *  Qua  vi? > 

Ansedisius :  «  ferro ,  fuga  —  Ei  ignibus , 
rind  quilms  et  urbes  solent » 

In  cho  urlo  di  rabbia  dove  dare  ii  tiranno 
al  sentirsi  conferraare  dal  nipote  la  bratta  no- 
tizia,  0  come  di  quell' urlo  si  sonte  I'eco  nelle 
parole  della  tragedia! 

«  At  to  suporstlte,  sola  quern  facies  ootat 
Illaesa  noxium  sceleris  index  tui  ? 
Secede  cui  uon  poena  sufiBciat  nee  Is  ». 

Pur  la  sventura  non  i'accascia,  «  antmos 
viriles  casus  infeslus  probat  >  ;  e,  come  ci  fa 
sapero  il  Coro ,  vola  su  Padova ,  la  trova  ben 
guernita  di  risoluti  difensori, 

«  Convitiatur,  arguit,  vituperat. 
Infandas  rabies  ausibus  exprobat  > ; 


Ina  poichd  nessuna  speranza  gli  resta  di  ricoo- 
qaistar  la  citti,  torna  a  Yerona  ad  esercitar  ia 
vendette  sui  padovani  prigionieri.  Ud  dieci  mila 
no  muoion  cosl,  e  ii  poota,  fremoDte  di  dotore, 
prosegue  in  una  dipintura  straziante. 

«  /  carri  ne  trasportano  gV  irriconoscibili 
^formaii  cadaveri :  la  povera  madre  non  rico- 
nosce  il  flgliuolo^  t^d  la  donna  il  maritOy  ognu' 
no  piangeper  i  non  certi  luUi.  Mancanocampi 
a  seppellire  lanti  morlt,  il  lezzo  dei  cadaveri 
corrompe  I'  aria.  11  iiranno  speliatore,  impas- 
sibile  a  tutlo,  si  lamenta  the  resU  ancora  cM 
possa  rifar  la  popolazione  di  Padova  ». 

E'  soropre  Ezzelioo,  riodomito  geoio  del 
malo,  che  gode  Delia  strage  e  nel  sangue  e  che 
non  piega  nella  sventora  e  nel  pericolo ,  Jub  si 
smontisce  moreDdo.  La  fortana  avversaaggiange 
forza  ai  forii  ;  pur  Padova  perduta,  ci  son  tatto 
le  citt&  di  Lombardia  da  guadagoare,  e  corro 
8u  Broscia  e  la  conquista.  Ma  oramai  la  sua 
carriera  i  al  tormine;  i  suoi  nemici  si  coUe- 
gano,  lo  atteodooo  a  Cassano  dCAdda^  \o  preo- 
dooo  tra  due  fuochi,  chiudendogU  ogni  via  alio 
scampo. 

€  Quid  ille  tantis  viribus  septus  facit  f  >, 
domanda  ausioso  il  Coro  al  NunziOy  il  quale 
allora  descrive  la  dolorosa  fine  di  Eszelino  con 
colori,  che,  mettendo  il  tiraono  in  una  luce  sim- 


patica  so  non  ai  Padovani  di  quel  glorni,  carto 
at  leltori  non  appassionati,  tradiscono    l'  ammi- 
raziono  che  il  poeta  dov6  seotire  por  quolla 
tempra  d'acciaio  cosi  comuno  nei  XIII,  quanto 
rara  nol  XIV  secolo.  E,  di  voro,  i'ammirazioQO 
por  r  eroica  fiae  di  Ezzolino  ora  tali' alt ro  cha 
ingiusiificata,  S3  ai  ponsi  che  icronisti  del  tem- 
po 0  perfioo  il  sue  inimicissimo  Rolandino  (1) 
Dolla  Cronaca  non  la   nasconde   afTatlo.  N6  si 
creda  che,  circondandolo  di  questa  luce  simpa- 
tica,  Albertino  vonisse  a  ruettersi    in   cootrad- 
dizione  con  se  stesso  e  con  la  rappresentazione 
orribile,  che  prima  ne  aveva  fatto;  no,  ch6  anzi, 
roostrando  di  qual  torribile  e  forte   nomico   a- 
vovan  avuto  ragiono  il  ralore  e  la   concordia 
dei  cittadini  Padovani,  incoraggiava  i  suoi  con- 
tomporanoi  a  tener  testa  a  Can  Grande,  tanto 
meoo  temibile  di  Ezzolino  e  di  per  se  stesso  e 
por  quel  concetto  esagerato  di  grandezza,  incui 
vengono  i  grandi  uomini  dello  passate  genera- 
zioni. 

Ezzolino,  circondato  dai  nemici,  i  torribile  a 
vedero  come  lupo,  che  dope  il  paste  venga  in- 
seguito 


(1)  Rolandmo "-  L.  XII  ^  7,  8. 


-114- 

'  €    .    • ut  alYO  lupus 

Pleno  repulsus,  deotibns  frendoos,  canes 
Qui  cum  latraotos  conspicit,  multam  ferox 
Ex  ore  spumam  miilit,  et  orbes  rotat  ». 

E  quando  «  Mnc^  inde  seclust^  furens  »  , 
perde  ogni  sperauza  di  scampo, 

«  CoDcitatum  calcaribus  urgens  equum 
Viam  per  uodas  aperit,  et  ripam  occupat »; 

ma  h  feritOy  preso  e 

«  Abduclus  inde  spernit  oblatas  dapes 
Curas  saiutis,  atque  vitales  cibos 
Acerque  moritur  fronte  crudeli  minax 
Et  patris  umbras  sponte  tartareas  subit  ». 

Quanta  forza  e  rapidit&inquesti  versi,  ben 
degni  veramente  del  forte,  lacui  fioe  sidescri- 
veva  I 

Qui  la  tragedia  sarebbe  fioita,  se  I*  autore 
1*  avesse  intUolata  Eccerinus,  del  quale  infatti 
non  si  parla  piu,  e  non  g\k  Eccerinis^  cioS  Eo- 
celinide  o  Eccelineide  come  I'  ban  tradotta,  os- 
sia  la  tragedia  che  narra  la  catastrofe  non  della 
sola  persona  di  Ezzelino,  ma  della  casa  intera 
di  cui  egli  fu  il  piu  famoso  rappresentante. 


A  tale  titolo,  trova  posto  nella  tragedia  an- 
che  la  nefanda  fine  di  Alberico  e  della  sua  fa- 
migUa;  e  forse  qaeslo  fa  artiSzio  voluto  a  bella 
posta  dal  poeta,  essendo  la  tragedia  indirizzata^ 
come  spesso  abbiamo  ricordato,  ai  Padovaui  da 
una  parte  per  incoraggiarii  alia  resistenza,  e  a 
Can  Grande  dair  altra  per  atterrirlo  con  1'  e- 
seropio  della  disastrosa  fine  di  un  sue  predecos- 
sore  nelle  arti  della  tirannide.  Or,  soito  questo 
aspetto  Diente,  dal  punto  di  vista  d*  AlbertioOi 
di  piu  edificante  per  Cane  della  fine  di  Alberico. 

Ezzeliao,  iafatti,  era  flnito  in  battaglia  ed 
era  morto  con  V  onor  delle  arm! :  quando  fu 
proso,  i  vincitori,  tra  i  qaali  contava  gli  amici 
del  giorno  innanzi  (Buoso  e  PallaviciDO)glipro- 
digaron  cure  affettuose,  lo  fecero  visitare  dai 
medici  piu  abili,  lo  traltarono  con  ogni  rispot- 
to,  (1)  tanto  quell*  uomo  di  ferro  pur  nell'  odio 
che  aveva  suscitato  intorno  a  se,  s*ora  imposto 
airammirazione  universale—  Se  egli  mori  fu, 
secondo  ogni  verosomiglianza,  per  la  sua  altera 
e  intollerante  fierezza  ( iodizio  di  anima  noa 
piccina),  che  gli  fece  preferir  la  morte  ad  una 
vita  divenuta  oramai  per  lui  vuota  d'  ogni  sco- 
po»  una  YOlta  privata  del  potere  e  forse  anche 


(l)aolai|dino^X4I,8. 


dent  Nbert&.  Sa  di  Alberico  iovece  scese  tre- 
meikhi  la  rendetta  dei  popoli  oppress!  8i  da  lai 
che  dal  fratello;  con  ooa  di  quelle  vigliacche- 
ri«  e  atrocity,  di  cui  co^  freqaentemente  mac- 
chiaoo  le  plebi  abbrutite»  ma  la  coi  colpa  tut- 
iavia  risale  a  chi  le  mantiene  neli'abbrulimenio 
deir  igDoranza  e  della  senritu,  i  sudditi  della 
Tigilia  afogarono  con  inutile  sfoggio  di  ferocia 
la  IttDga  sete  di  veodetta  sopra  Alborico,  uomo 
di  tatt*aUra  levatura  del  grande  fratello,  e  so- 
pra r  innocente  famiglia  di  lai.  E  chi  sa  che 
proprio  il  poeta  non  abbia  volute  adeguare  pros 
prio  ad  Alberico  Can  Grande,  che  gli  pareva 
uomo  troppo  ordinario,  perchd  potesse  parage- 
narsi  ad  Ezzelino.  In  tal  case  egli  all*  uno  a* 
vrcbbe  detto  :  «  Bada  a  to,  considera  la  sorte 
del  grande  Ezzelino,  ma  piu  ancora  la  fine  mi- 
seranda  di  Alberico,  che  trascin&  nella  sua  ro- 
yiua  tttUa  la  famiglia  »  ;  e  agli  altri :  «  Voi 
che  era  temete  di  cadere  nolle  unghe  di  Cane, 
di  on  uomo  come  iutti  gli  altri,  voi  siote  quelli 
ebe  caceiaste  dalla  citt&  Ezzelino,  il  flglio  del 
defflo«io,  cosa  tanlo  piu  difncilo  quanto  pid  po- 
tente  ora  il  nomico  e  quanto  piu  disngovole  d 
il  sotlrarsi  da  una  servitu  esistonte  che  non  il 
respingerne  una  irominente  >  E  per6,  il  V  atto 
va  considerate  come  salutare  esempio  voluto 
preaoutar^  al  tiri^nnepiuUwtedi^^n^^irtofltm; 


-  IW  - 

giacchi  altrimenti  si  dovrebbe  ammettere  in 
Albertioo  per  lo  meoo  una  certa  inteozione  di 
lodaro  quolla  strage,  cbe  nessana  attenuante 
potrii  roai  scusaro  o  giustiflcare  :  cosa  cho  ri- 
pagna  a  credere,  tanto  pid  che  l*  uomo  vera- 
meote  forte  (e  la  vita  di  Albertino  ditnostra  lu- 
minosamonte  che  egli  era  tale)  rifugge  dalla 
esagerazione  e  dalla  ostentazione  delta  forza, 
che  spesso  si  traduce  in  nofanda  prepotenza. 

II  V  atto  e  tutto  una  fodole  descrizione  stu* 
rica  deir  eccidio  di  S.  Zenone,  roa  fatta  con  tale 
vivezza  e  crudozza  di  colori ,  c!ie  a  leggerla 
DOD  si  pu&  trattenore  un  brivido  d*  orrore,  co- 
me se  proprio  si  assistesse  a  nefando  spettacolo, 
a  forse  Albertino  ne  era  inorridito  egli  stesso, 
se,  dipingendo  a  qaella  maniora  la  selvaggia 
scena,  voile  elevare  un  monumento  perenne 
d'  infamia  agli  autori  di  essa.  N6  vi  era  per  lui 
altro  mezzo  di  conopier  questo,  senza  smentire 
il  proposito  fatto  nello  scrivere  la  tragedia,  al- 
r  infuori  di  quelle  di  domandar  le  tinte  piu  fo* 
sche  e  sanguigne  alia  sua  tavolozza.  In  questa 
descrizione  non  vi  6  «  T  A/ii  Pisa  vUuperio  delle 
genii »,  n6  vi  poteva  essere,  senza  che  lo  scope 
della  tragedia  venisse  mono ;  ma  si  sente  ben 
freisere  I'  ira  e  I*  invettiva  del  poeta  sotto  lo 
strazio  di  certi  orrendi  particolari.  L*osercito 
degll  assedianti  entra  impetuosamente  nella  coz^- 


qoistata  rocca ;  ed  ecco  un  soldato .  strappato 
dal  sono  della  madro  ua  bambino,  e  tenendolo 
pel  piedi,  ne  sfracolla  il  tenero  capo  contro  duro 
legno,  se  no  spargono  ie  cervollae:...  sparsus 
imcribit  nruor  genetricis  ora.,.>.  Ma  non  6 
cho  i]  principio  deila  crodolt^piu  feroce.  II  fan- 
ciullo,  Eccelino  novella^  di  tre  anni  (nota  sera- 
polosamente  il  poeta,  perche  di  nulla  si  scemi 
rorrorc  dol  nuovo  misfatto)  a  un  soldato  che 
ha  imbrandito  la  fpada,  si  fa  incontro  o  lo  chia- 
ma  zio.  «  Tuo  zio  insegnava  a  4ar  tal  dono 
ci  nipoti  suol  »  ,  rispondo  il  roalvaggio  od  al 
fanciullo  tronca  netta  la  protesa  goldiy patentes 
guUuris  renas.  Patentes ! ,  quante  cose  dice 
quella  parola!  —  Par  di  vedero  il  bambino  strin- 
gersi  alia  ginocchia  dol  creduto  zio,  e,  lovando 
gli  occbi  in  viso  a  lui,  riversare  11  piccolo  capo 
e  porgero  ignaro  la  gola  al  ferro  dell'  ignobile 
assassino.  II  particolare  era,  come  il  prime,  sto- 
rico ;  Albertino  a  udirlo  dove  sentirsene  pro- 
fondamente  scosso  e  sdegnato,  al  punto  da  non 
peritarsi  nel  verso  scguente  di  chiamar  quel- 
1*  atto  « immane  scelus  »  ;  e  da  mettero  in  ri- 
lievo  (come  a  terribilo  condanna  deirinfanticida) 
lo  contrazioni  del  viso  di  quell*  innocente ,  dal 
cui  mozzo  capo ,  infisso  su  di  un'  asta »  goccio- 
lava  il  sangue : 


-  lie- 

4  Gormgat  ora  resaens  rigor  et  orbea  rotaf , 
Manam  ferontis  sangainis  replet  lues.  » 

Non  poteodo  condaoDaro  aportamente  gli 
uccisori ,  par  cho  in  compeoso  il  poeta  abbia 
posto  ogni  studio  nel  presentarci  ia  atteggia* 
monti  pietosi  lo  infolici  Tittime.  La  rooglie  di 
Alberico,  che  gli  storici  non  doscrivono  2>oiio  it 
piu  boir  anpetto ,  ecco  come  d  idealizzata  d8i 
poeta: 

4  Et  ecce  thalamo  rapto  de  summOy  feris 
Abstracta  turbis  uxor  Albrici  yenit 
Caelo  refusis  lamina  intendens  comis. 
StrictQs  revioctas  funis  arcebat  manus.  > 

Cos!  al  rogo  e  alle  belve  dovevan  esaer  con- 
dotte  le  sante  vergini ,  martiri  delta  fede  cri- 
stiana,  gli  occhi  Qssi  al  cielo,  asaorte  nolla  con- 
tomplazione  della  nuova  patria  che  stavano  per 
raggiungere. 

Stupenda  la  doscrizione  del  rogo  acceso,  da 
cui  si  difTondo  Todor  della  pece  e  delTolio,  sparse 
ad  alimonlar  il  fuoco,  mentre  una  nera  nube  di 
fame  si  alza  e  la  flamma  romba  come  tuono ! 
La  schiera  delle  set  fanclulle  viene  avvictnata 
alia  pira,  ma  come  la  fiamma  tocca  i  vergtnaU 
seni  e  Ic  blonde  chiome^  baizano  indietro^  chte- 


dendo  iimano  V  aiuto  dei  parenit.  Fcwsemutte, 
e  y  come  sperando  di  sfuggire  alia  fiamma^ 
quinci  e  qutndt  si  aggirano,  finchi  le  vtolente 
mani  dei  soldati  le  afferrzno  insieme  con  la 
madre  e  le  scagliano  sul  rogo-  Ne  meno  viva- 
inento  6  doscritto  lo  scempio  fatto  dol  povero 
Alberico.  II  Coro ,  da  ultimo,  ricordando  1*  im- 
mutabil  ordine  di  natura,  cho  dk  premio  alia 
virtu »  castigo  a1  vizio^  pone  flno  alia  tragedia, 
lavoro,  como  abbiam  corcato  di  dimostraro  coo 
quosto  osamo  estetico,  importaote  non  meno  per 
il  sue  significato  storico  che  per  i  pregi  e  il 
valore  letterario,  tanto  piii  se  si  pensi  che  dope 
un  secolare  silenzio  era  quosta  la  prima  volta 
cho  la  Musa  tragica  n  facova  udire  per  rica- 
dere  ancora  per  qualche  altro  secolo  uel  suo 
mutismo.  Quest*  opera,  la  quale  attesta,  pvu  che 
la  cultura  del  Mnssato,  la  vivacit&  della  tradi- 
zione  classica  presso  di  noi  roolto  prima  del- 
rUmanesimo,  propriamonte  detto,  yenivascritta 
quaodo  presso  tutti  i  popoli  d'Eurppa  si  era 
ancora  agl*  inizii  di  quelle  ingenue  ,  barbaro, 
informi  rapj^resontazioni  sacre ,  piene  di  incoe- 
renze  e  di  ingenuity,  da  cui  pur  si  doveasvoN 
gere  1*  originale  teatro  inglese  e  spagnuolo. 


-m  - 


CAPITOLO  IV. 

L*  imitazione  da  Seneca 

SoMMARIO 

QuesHone  dei  modelli  —  Cultura  clasaica  a  tempo 
del  Mussato,  specie  in  Pado^a  -^  Societd  lette' 
rarta  padoeana  e  i  suoi  uomini  principaU  — 
Coniinua  ineasione  di  sacro  e  di  profano,  di 
antico  e  di  moderno  —  Vantaggi  ohe  ebbe  Alber* 
Una  di  fronte  ai  contemporanei  suoi  neW  assi^ 
milarsi  la  cultara  latina  —  Caratteri  della  poe^ 
sia  del  Mussato  e  inspiratori  di  essa :  Ooidio  e 
Seneca  — impossibility,  di  astrarre  dall'esempio 
di  Seneca  —  Caratteri  delle  tragedie  di  Seneca 

—  Imitasione  fattane  dal  Mussato  —  Necessaria 
dioersitd  imposta  dalla  dioersitd  sostanHale 
degli  argomenti  —  A  che  si  riduce  I'  imitasione 

—  somiglianza  di  parole  e  di  locusioni  —  somi* 
glianza  di  mosse ,  di  incidenti  e  di  episodi  — 
Maggiore  influenza  del  Tieste  e  dell'  Ercole 
Eteo  —  Superiority  del  Mussato  ^ul  poeta  lati' 
no  —  La  lingua  del  Mussato  —  Conclusions 


•*>^^ft^^f*rt0t^ft^ 


Una  tragedia,  come  quella  di  AlbertinOi  scrit- 
ta  Del  tempo  in  cui  egli  la  scrisse  e  dotata  dei 
pregi  che  mi  sono  sforzato  di  mettere  in  Iace» 

16 


—  122  — 

6  tal  lavoro  che  suppono  necessariamente  dei 
modelli ,  a  cui  il  poeta  si  sia  ispirato »  perchd 
noQ  pu&  spiegarsi  esclusivamento  como  il  pro- 
dotto  deir  iogegno  dei  poeta  o,  al  piu»  delia  col- 
tura  popolare.  Mi  spiego :  se  Daote  non  avesse 
studiato  la  parte  sua  i  pooti  classic!  deU'anti- 
cbit&  latioa,  non  6  assurdo  immaginare  che  egli» 
magari  faceodo  a  mono  di  molti  pregi  che  ora 
piu  ammiriamo,  avrebbe  potuto  scrivere  lo  stes- 
so  il  suo  poema ,  perchS  il  genore  a  la  forma 
di  esse  Don  rieotrano  per  dossuq  mode  fra  quelli 
che  le  letter  at  are  classiche  trattarono  e  stoI- 
seroy  ma  se  ne  devono  ricercare  gli  antecedenti 
noUa  letteratura  leggendaria  e  popolare  del 
Medio-Evo.  In  questo  case,  dunqae»  1'  ingegno 
del  poeta  e  1'  influenza  della  letteratura  popo- 
lare sarebbero  stati  basteyoli»  anche  senza  il 
concorso  di  altri  fattori ;  ma  nel  case  del  Mas- 
sato,  di  un  poeta,  ciod,  che  risuscitava  on  go- 
nere  letter ario,  di  cui  il  valore  (1)  era  cadato 


(1)  II  concetto  che  i  contemporanei  del  Mussa- 
to,  anche  se  uomini  colti,  si  facevan  della  Tragedia 
^  le  milie  miglia  lontano  dal  vero.  Basil  ricordare 
come  per  Dante  Tragedia  non  voleva  tantb  indi- 
c  are  una  speciale  forma  di  arte  drammatica  quanto 
ogui  componimento  letterario  in  cui  si  trattasse  di 


-128- 

tanto  in  oblio  nel  sao  tempo ,  contrapponendo- 
segli  ben  altra  forma  di  arte  rappresentativa, 
bisognerit  confessare  che  non  sodo  affatto  suffl- 
cienti  a  spiegarne  1' opera  letteraria  quel  soli 
due  elemeoti,  che  sarebbero  bastati  per  la  Di- 
vina  Gommedla.  Per  il  Mussato  bisognerii  ag- 
ginngerne  un  altro,  I'  influeoza,  cio6,  della  let- 
teratnra  antica,  essendo  allora  essa  (anzi  solo 
la  latioa)  1*  unica  depositaria  della  cu  Itura;  dal 
che  scaturisce  la  necessity  di  far  precedere  alia 
questione  dci  modelli,  a  cui  il  poeta  si  sarebbe 
ispirato ,  1'  altra  dell'  estenzione  della  cultora 
classica  al  tempo  in  cui  il  Mussato  visse. 

E'  roerito  principale  di  questo  secolo  Taver 
fatto  preyalere  netrapprezzamento  dei  fatti  sto- 
rici  11  concetto  della  lenta  progressivit&  ,  del 
lento  diyenire,  per  cui,  abbandonata  la  curiosa 
pretensione  d'  assegnare  nello  svolgimento  della 
storia  dei  confini  netti  e  recisi ,  si  vanno  a  ri- 
cercare  le  origini  del  fenomeno   storico  spesso 


cose  alte  e  nobili,  onde  V  Eneide  era  una  tragedia, 
e  al  genere  tragico  appartenova,  nel  campo  delle 
letterature  volgari,  la  canzone  (Dante-De  vulg.  E- 
loq.  IV  62).  Cos!  la  Commedia  era  il  racoon  to  di 
cose  esclusivamente  basse  e  vili ,  o  miste  ad  altre 
pii!i  nobiliy  onde  1}  poema  dantesco  prese  quel  titolo^ 


-124  ~ 

molto  al  di  1&  dei  Iimiti»  che  d'  ordioario  gli  si 
erano  assegoati.  Se  questo  spostamento  6  awe- 
Duto  in  genoralo  per  tutti  i  fatti  storici,  e  spe- 
cialmento  per  quelli  coDtraddistin^i  da  uoo  spe- 
ciale  indirizzo  del  pensiero  e  rimutarsi  deile 
coscienze,  forse  per  nessan  altro  si  6  Terificato 
in  maniera  cosl  notevole  come  per  I*  Umanesi- 
mo.  Gli  6  cosl  che  queil'  importantissimo  movi- 
mento  di  studii  e  d'  idee  ,  che  oggi  ancora  in 
qnalche  antiqoata  storia  letteraria  ,  sempre  in 
uso  nolle  scaole,  vieoo  rinchiuso  nei  llmiti  ri- 
gorosi  del  secolo  XV,  si  yenne  ricondacendo  dap- 
prima  a  una  gonerazione  di  dotti  epigoni  y  per 
dir  cosl.  dei  nostri  grand!  trecentistt »  poi  al 
Boccaccio  e  al  Petrarca,  e,  piu  tardi ,  sempre 
facendosi  indietro,  a  Dante,  finchd  si  venne  alia 
conclusiono  che  suUa  fine  del  XHI  e  il  princi- 
pio  del  XlV  il  movimento  umanistico  era  in  corta 
gnisa  rigoglioso.  Questa  nnoya  concezione,  poi, 
and6  tan  to  in  \h  che  non  mancaron  di  quelli  , 
i  quati  dimostrarono  come  non  mai ,  nemroeno 
durante  le  cosl  dette  fitte  tenebro  delta  barba- 
ric modieyale,  si  spense  del  tutto  la  tradizione 
classica,  almeno  in  Italia,  e  come  perci&  trala 
latiniti  classica  e  Y  uroanosimo ,  non  ci  sia,  at- 
traverso  la  latinit^  argontea  e  la  latinitlt  me- 
diovale«  nessuna  soluzione  di  continuity.  Ma,  a 
parte  q|ueste  e^a^erazioni  che  potrebl^ro  avere 


—  125  — 

al  piii  il  valore  di  dimostrare  ana  volta  ancora 
come  Don  vi  sia  fatto  storico,  cbe  noa  si  ricol- 
leghi  per  una  catena  pii^  o  men  lunga  ad  altri 
fatti  qaanto  si  voglia  remoti,  rimane  oramai  as- 
sodato  che  il  Rinascimento  classico  ha  radici  e 
origini  moito  piu  profonde  di  quelle,che  ordina- 
riamente  gli  si  attribaivano  »  e  che,  ad  essero 
giasti  e  ragionevoli,  bisogna  riportare  il  riQo- 
rir  dQgli  studii  antichi  non  meno  di  un  secolo 
piil  indietro  di  qaello  che  ordinariameote  non 
si  facesse.  Chi  non  tenga  presente  questo  e  si 
abitui  a  veder  solo  nel  sec.  XV  il  risorgimento 
deir  aatichitit,  non  potr&  comprendere  moiti  al- 
tri fatti:  non  intender&,«per  esempio,  il  gran  la- 
YoriOy  che  fin  dal  secolo  XII  si  andava  facendo 
nei  monaster!  specie  dei  BenedetUni  per  rico- 
piare  i  classici  e  difionderli  ,  code  ai  frati  an- 
diam  debitori  della  conser^azione  di  gran  parte 
delle  opere  letterarie  latino  ;  non  potr&  spie- 
garsi  la  fondazione  di  fiorenti  Stvdii  nell'  Italia 
moridionale,  nella  centrale,  nolla  settentrionale, 
6  r  accorrere  ad  essi  di  una  studontesca  numo- 
rosa  da  ogni  parte  d*  Italia;  non  intenderii  il 
tentative  di  Cola  da  Rienzo  (e  figuriamoci  poi 
qaello  di  Arnaldo  da  Brescia);  non  si  spiegher^ 
il  namero  rile  van  te  di  tradazioni  e  di  volgariz* 
zamento  dei  piu  famosi  scrittori  latini  nel  secolo 
j^III  e  XIY.  Diventa  allora  del  pari  inesplicabiie 


-128- 

II  concetto  politico  dell*  impero  non  tanto  parti- 
colare  a  Dante,  che  non  so  ne  trovino  tracce 
in  altri  eminenti  porsonaggi  del  XIV  secolo  ; 
sembra  strano  il  rimprovero  mosso  a  Dante  dal 

sue  amico  Oiovanni  del  Vlrgilio;  strana  tatta 
la  molteplice  opera  lettoria  del  Mussato;  o  so- 
prattutto  dovr^  sembrare  qualcosa  dl  simile  a 
un  vero  miracolo  il  risorgere  della  lettoratura 
classica  nel  XV  dope  un  cosl  rigoglioso  e  ma- 
gnifico  sviluppo  dolla  lettoratura  volgare,  quale 
si  ebbe  nel  300.  II  ver&  6  che  in  Italia  son  per 
lungo  tempo  coosistite  due  letterature  ,  prima 
che  la  giovane  prendesse  poi  decisamente  il  so- 
pravvento  sulTantica.  Questa,  dapprima,  nel  sue 
e  col  sue  languiro,  favor!  il  nascere  e  1*  ingran- 
dirsi  di  quella,  dal  contatto  della  quale  ,  piu 
tardi,  come  riogiovanita,  riprese  vigore  e  quasi 
la  pareggi5  so  non  in  intensity  di  vita,  certo  in 
estensione;  o,  cosl  risuscitata ,  per  virtu  delle 
forze,  in  so  stossa  latent!  ,  potd  per  un  certo 
tempo  anche  superar  la  giovane  e  minacciar  di 
sofTocaria,  finche  ,  trovata  nel  I*  altra  una  rest- 
stenza  proporzionnta  al  vigor  giovanile  di  essa, 
flni  col  cedere  il  luogo  e  col  contribuire  ,  me- 
diante  il  sue  ricco  pairimonio  di  coltura  e  di 
civilt^,  aH'ingrandimonto  di  quella,  che  prima 
era  stata  sua  flglia  e  poi  sua  rivale. 

Queste  mi  paion,  tradot^e  in  linguaggio  piu 


o  meno  metaforico,  le  viceade  reciproche  delle 
lettoraturo  italiana  o  latiaa,  o  il  momonto  ia 
cui  esse  appaiono  pari  di  forza  mi  sembra  pro- 
prio  ii  tempo  di  Albertino  e  di  Dante.  Se  da 
una  parte  con  1*  Alighieri  la  lingaa  italiaDa  esce 
dalle  incertezze  e  dalle  lodeterminaziooi  difjr- 
me»  proprie  dello  stadio  lingaistico,  che  si  chia- 
ma  il  flfojsionamenlo  dialettale,  e  la  letleratu- 
ra»  oUrepassato  il  poriodo  dei  canti  d'  amore  e 
degli  scherzi  poetic^  si  afferma  potentemente 
net  grande  poema,  a  comporre  il  quale  concor- 
reranoo  tutti  gli  elementi  della  storia  umana 
e  della  vita  contemporanea,  dall'  altra  coll'ope* 
ra  lettoraria  del  Mussato  si  rivela  nel  secolo 
XIY  la  vitalitit  e  la  forza  della  letteratura  an- 
tica,  patrimonio  oramai  noo  piu  esclusivo  di 
cMericif  ma  di  giaristi,  di  poeii  e  di  aomini 
piu  propriameote  di  lettere.  Di  questa  cultara 
letteraria  classica  due  furono  in  quel  secolo  i 
centri  attivi,  la  Toscana  con  la  scuola  che  fa- 
ceva  capo  a  Oeri  dC  Arezzo^  e  la  Marca  Tri- 
vigiana  e  specialmente  Padova»  la  quale,  dopo 
la  cacciata  del  Tiranno^  col  rifiorire  della  li- 
bertlt,  Tide  risorgere  anche  il  suo  Studio  e  ac- 
colse  tra  le  sue  mura  una  eletta  e  folta  schiera 
di  dotti,  a  cui  per6  la  spada  e  il  giure  non  e- 
rano  men  familiari  dei  raggiri  diplomatici  e 
deir  arte  di  governare,  o  dei  poeti  latini  e  della 


—  128  — 

metrica  elassica.  Vi  era  allora  sparsa  in  Pado- 
va  e  nolle  citt&  vicine  una  society  colta,  ele* 
gante,  la  quale,  dope  avere  studlato  gli  scrit- 
tori  latini  allora  conoiciuti,  ed  essersene  assi- 
milate le  bellezze  alia  maniera  che  aqnei  tempi 
si  poteva  e  s'  intendeva,  (1)  cercava  di  ripro- 
dnrl^in  nnovi  poemi  o  in  nuovi  componimenti, 
oppare  in  lavori  storici.  I  poemi  in  esametri 
eran  per  lo  piii  intitolati  a  principi»  doi  quail 
si  cercava  guadagnar  la  proteziono  e  il  favore 
come  a  Can  Orandey  che  fu  cantato  da  Ben- 
venuto  dei  Campesant  e  dal  suo  discepolo  ed 
ammiratore  Ferreto  dei  Ferreti.  Gli  altri  com- 
ponimenti  poetici  erano  a  preforenza  egloghe, 
elegie,  epistole  ad  imitazione  di  quel  poeti  la- 
tini, che  furono  fra  i  piu  cari  e  piti  diffusi  del 
Medio-evo,  voglio  dire,  Ovidio,  Orazio,  Virgilio. 
E  qui  d  bene  ricordare  che  la  letteratura  clas- 
sica  per  gli  umanisti.  di  quel  tempo  non  com- 
prendeva  che  una  parte,  (la  piti  recente  e   la 


(1)  Diciamo  cosl  perch6  allora  da  una  parte  il 
gusto  letterario  non  aveva  potato  ralHnarsi,  daU'al- 
tra  la  raritk  dei  libri  e  lo  smarrimento  dei  codici, 
piu  tardi  ritrovati,  face  van  spesso  rivolgere  Tatten- 
zione  sul  mediocri,  che  formavan  V  oggetto  d'  una 
ammiraziono  un  po'  feticista. 


—  12S  — 

mono  importante  osteticamente)  di  quello,  che 
not  siam  soliti  d*  intendere  comp  lossivamente 
sotto  tal  titolo,  cio6  solo  la  lotteratara  latioa, 
e  di  qaesta  stessa  una  porzione  ben  angusta* 
AU'infaori  degli  scrittori,  infatti,  (e  nemmeoo 
di  tatti)  deU'eti  aurea  (Oicerone,  Sallastio,  Li- 
vio,  Virgilio,  Ovidio,  Orazio) ,  di  alcuni  altri  del 
periodo  post-auguUeo  (Seneca,  Lucano,  Stazio, 
PJinio  11  Giovioe  ecc.)  e  di  pocbi  ancora  della 
bassa  latiniti,  quasi  di  nessun  altro  mostraQ 
cogDizione  diretta  ni  gli  scritti  del  Mussato,  del- 
I'Alighieri,  del  Petrarca  e  di  altri  cootempo- 
ranei»  nd  le  traduzioni,  che,  come  abbiamo  ri- 
cordato,  in  quel  tempo  erano  assai  frequenti. 
Degli  altri  scrittori  latini  si  sapevano  i  nomi  e 
air  iogrosso  anche  le  opere  principal!,  e  se  qe 
avevano  quelle  notizie  confuse,  yaghe,  contrad* 
dittorie,  che  le  citazioni  trovate  negli  scrittori 
cososciuti  potevano  suggerire,  o  che  era  in 
grade  di  fornire  la  tradizione  scritta  ed  orale, 
I>erFenuta  fine  a  quel  tempi.  Degli  scrittori 
greci  si  sapeva  tanto  mono :  il  Greco  allora  in 
Italia  non  si  conosceva  quasi  da  nossuno ,  seb  - 
bene  pochi  anni  dope  la  nozione  approfondita 
del  mondo  letterario  latino  facesse  sentire  piil 
vIfo  il  bisogno  di  studiar  la  letteratura  greca, 
e  il  Petrarca  vecchio  (nuovo  Gatone),  si  met- 
tesse  a  studiare  quella  lingua,  segulto  neU'e- 

17 


fleiiipio  dal  Boccaccio,  che  voile  anche  prooa* 
rarsi  la  gloria  di  istituire  la  prima  cattedra  di 
Oreco  In  Italia»  chiamando  a  Firenze  il  calabre- 
se  Leonzio  Pilato.  E'  notevole,  perd,  che  poco 
men  di  an  secolo  prima  del  Boccaccio  e  del 
Petrarca  un  dotto  padovano,  Pietro  d'  Abano , 
fliosofo,  medico,  studioso  di  lettere  classiche,  sentl 
it  bisogno  d*  imparare  il  Greco ;  e  »  mostrando 
la  via  al  Ouarino  e  al  Filelfo^  corse  a  Costan- 
tinopoli  ad  capessendas  grcecas  tliteras)  quum 
Uteris  latinis  esset  non  mediocriler  imbutus.(l) 
Chi  vogli  a  farsi  un  concetto  della  society  lette- 
raria  padovana  e  delle  persone  cbe  la  compo- 
nevano,  in  cosi  grande  scarsezza  di  documenti 
e  di  opere  pervenuteci,  legga  le  elegie  e  Tepi- 
stole  del  Mussato,  il  quale  non  solo  era  stimato 
centre  di  quell  a  scuola  di  umanisti  per  il  sno 
ingegno  e  la  sua  dottrina,  ma  anche  per  le  sue 
doti,  e  pel  tempo  in  cui  visse  appare  posto  in 
mezzo  ai  due,  che  potrebbero  tonersicome  gli 
estremi  di  quella  scuola,  il  poeta  Lovato^  mae- 
stro e  forso  incoraggiatore  e  benefattore  del 
Mussato,  e  il  poeta  vicentino  Ferreto,  cbe  pro- 
metteva  al  yeccbio  Albertino,  di  cui  era  am- 
miratore  ed  amico,  degne  lodi  e  onore,  quando 


(1)  Murat.  XXIV  p.  1154  Rer.  It.  scrip. 


—  131  — 

sarebbe  morto :  V  ono,  il  poeU  ddi  toapl  libe- 
rie che  scrisse  un  poema  iotorno  alle  maledeite 
fazioni  di  gaelG  e  ghibellini,  1'  altro*  il  poeta 
del  priDcipato,  che  adolft  apertamente  il  iiraa- 
no  delta  sua  patria.  Can  Orande  delta  Scala. 
Letteratl  non  di  professiooe,  ma  come  per  di« 
letto,  fra  an  contratto  notarile  o  on  disoorso 
neir  assemblea«  non  avevano  tempo  ni  mode  di 
attendere,  se  non  raramente,  a  laTori  di  raglia 
e  di  Tolame,  e  percid  si  dedicarano  a  compo- 
nimenti  brevi,  come  epistole,  eglogbe,  elegie, 
ed  argomenti  di  lioTO  importanza.  Erano  qae- 
sti  o  confidenze  fra  amici,  o  manifestaxioni  di 
dabbi  e  di  timori,  cho  la  vita  tempestosa  di  qaei 
giomi,  purtroppOy  giasiiflcaTay  o  proposizioni  di 
problemi,  di  qaesUoni,  dlndoTinelli,  a  risolTore 
i  quali  s'  inTitavano  a  provarsi,  come  in  place* 
▼ole  arringo,  gl'  ingegni  degli  altri  poeti ;  tal- 
▼olta  anche  scambi  di  frizzi  e  di  argazie  pia  o 
mono  forti  fra  amici,  raramente  polemiche  Ti- 
yaci  e  ardenti. 

Usanze  qaeste  predominant!  allora  in  tatto 
il  mondo  letterario  italiano,  come  si  pa6  vedere 
anche  dalla  Vita  nuova  di  Dante  ;  e  che»  men- 
ire  dimostrano  an  certo  spirito  di  baona  amici- 
zia  e  di  fratellanza  fra  i  letterati  del  temper, 
sono  an  lontano  preladio  di  qael  vi?o  bisogno 
di  scambiarsi  idee,  discatere ,  o  meglio  di  coq- 


—  188  — 

rersare,  che  6  stato  sempre  cod  spiccato  e  te- 
nace  nei  letterati  italiaoi  e  che  dal  sec.  XV  in 
poi  si  6  tradotto  in  pratica  oetla  fondazione,  non 
sappiam  dire  sa  piu  benefica  che  altro,  dellein- 
namerevoli  Accademie.  —  Un  posto  a  parte  , 
emioente  ed  isolato  dov6 ,  in  queiraccolta  di  va^ 
leoti  aomini,  avore  i\  phisicus  MarsHio  daPa- 
doTaf  a  cui  Albertino  dirige  le  epistole  XII  e 
XVI;  r  autore  di  an  famoso  libro  iatorno  ai  rap- 
porti  fra  Stato  e  Ghiesa,  in  cai  si  sente  alitare 
gi2t  lo  spirito  ribelle  della  Filosofia  del  Rinasci- 
mento.  Le  altre  epistole  di  Albertiao  sono  di* 
rette»  a  quel  che  pare,  anche  a  latinisti;  tra  i 
qnali  troviamo  tre  professori    di   grammatica , 

V  uno  a  Venezia  (Giovanni  —  Epist.  IV  e  XV), 
r  altro  a  Mantova  ( Bonincootro  Epist.  Xin ), 
e  il  terzo  forse  a  Padova  stessa  ed6  quel  Quiz- 
zardo  (Epist.  XIV),  ii  quale,  venia  precata  ab 
illustri  auclore,  scrisse  un  commento  air^cce- 
rinis,  in  cui  dimostra  tanta  conoscenza  delle 
cose  dei  Padovani,  da  far  sembrare  ben  fondata 

V  ipotesi  che  egli  insegnasse  a  Padova.  Ma  la 
cuttura  classica  non  era  rappresentata  soltanto 
da  chi,  come  i  maestri  di  grammatica  e  il  col- 
legio  dei  professori  d'arli  libercUi  nello  Studio 
Padovano,  doveva  farlo  come  per  necessity  e 
dovere  del  proprio  uf9cio.  —  II  poemetto  in  tre 
libri^  in  cui  Albertino  tratta  de  obsidione  Pa- 


—  133  — 

dikxe  civilalis ,  per  opera  di  Can  Grande 
della  Scalay  ci  fa  sapere  cbe  esso  fa  scritto  ad 
esortazione  del  Collegio  dei  Notai »  i  quali  a- 
vevan  pt*egato  li  poeta  di  trasferir  1*  argomeo* 
to  ID  quempiam  metricum  concentum  >  tale 
per5  che  fosse:  «  moUe,  et  vulgi  inielleclioni 
propinquum  » ,  molto  piu  che  oon  lo  stile  e* 
minentior  della  sua  Storia  in  prosa. 

Ora,  an  poema  scritto  con  lo  scopo,  che  si 

propose  il  poeta,  e  poi  sparse  di  tante  remioi- 

scenze  ed  imitazioni  di  classic!,  di  taote  digres- 

sioni  mitologiche,  e  la  prova  piu  sicura  cbe  in 

quel  tempo  accaoto  e  Intorno  ai  dotti  e  ai  poeti, 

di  cui  la  memoria  6  gianta  flno  a  noi ,  viveva 

e  si  aggirava  una  folia  anonima  di  gente  colta 

o  di  buon  gustai,  non  tan  to    approfonditi  nello 

studio  deir  anticbiti  da  scriver    libri   e   opere 

atte  a  tramandarne  ii  nome  ai  poster!,  ma  ab- 

bastanza  innanzi  per  potere,  al  solo  ascoltarlo, 

intendere  un  poema  scritto  in  Latino  od  anche 

ammirare  1' artiflzio  del  poeta,  cbe,  come  ape, 

andava  cogliendo  di  fiore  in  flore  dai  piu  famosi 

maestri  del  dire  nelT  anticbit^.  —  Ma  vi  era  la 

Society  dei  letterati,  piu  propriamenti  detti,  in 

mezzo  a  questa  piu  larga,  che  potremmo  dire 

dei  dilettanti,  la  society  di  cui  11  nostro  Alber- 

tiDO  era  il  capo  autorevole  e  riconosciuto.   Vi 

apparteneya  il  JfOvato,  maestro,  a  quel  che  pa- 


-134- 

re,  di  Albertino,  che  ne  paria  con  A  affettaosa 
rivereoza  nelt*  epistola  diretta  al  nipote  di  loi , 
Sdando  da  Piazzola.  Le  relaziooi  del  Lovato 
cen  Albertioo ,  a  giudicaroe  da  qaello  che  il 
Mussato  stesso  ne  dice  oel  De  Oestis  Ilaticorum 
Lib.  II  e  da  quel  che  oe  scrive  Oiovanni  del 
VirgiUo  in  una  sua  egloga,  paion  molte  simiglianti 
a  quelle  che  dovettero  intercedere  fra  Dante  e 
il  Latin! ;  quando  Brunette  »  quasi  padre  buono 
e  affettuoso,  insegnava  a  Dante  la  via  delta  glo- 
ria, detla  virtti  e  del  sapere.  Ancbe  il  Lovato 
fu  per  Albertino  come  un  padre  (1),  da  cut  egli 
ripeteva  1'  indomito  amor  di  patria,  e  col  quale 
nolle  frequenti  conversazioni  doveva  intratte- 
nersi  sulle  condizioni  della  travagliata  Padova, 
e  certamente  anche  su  argomenti  di  Lettera- 
tura  e  di  Poesia,  se  com' 6  probabile,  Giovanni 
del  Virgilio  nei  suoi  versi,  riportati  dallo  Zar- 
do  (2),  voile  alludere  a  qualcosa  di  realeepro* 
priamente  alia  parentela,  o  meglio  alia  filia- 
zione  letteraria  del  Mussato  dal  Lovato.  Seb- 
bene  a  noi  sconosciuto  per   la  mancanza  delle 


(1)  Mussato  —  Ep.  Ill  --  Hie  mihijlende  pater 
vitae  —  pars  maxima  nostrae, 

(2)  Zardo  —  Studio  storico  iatoroo  ad  Ab.  Mus- 
sato —  p.  275, 


-135- 

dae  opere,  fa  ogli  certamoote  poeta  di  grido  « 
a  giadicare  dalla  riverenza  con  cui  ne  paria  il 
Massato  e  i\  De  Virgilio^  dall' ammiraziooe cho 
noQ  gti  risparmiano  nd  il  Polentone  (1) »  ni  il 
P6trarca»  il  qaale,  chiamandolo  priocipe  di  tutti 
i  poeti  della  saa  e  della  precedente  gonerazio- 
oe,  dice  che  piu  ancora  il  suo  nome  sarebbe 
famoso  di  quel  che  non  fosse  allora  in  Padova 
e  in  tutta  Italia,  se  alle  nove  Mase  non  avesse 
mescolato  le  12  Tavole  (2). 

Erede  del  valore  poetico  e  anche  dell'  am- 
miraziono  tribatata  al  Lovato  fa  il  nostro  Al- 
bertino,  al  quale  percid  facevano»  in  certa  ma- 
niera,  capo  gli  altri  cuUori  delle  Muse  di  quel 
tempo,  che  a  lui  scrivevan  domandandogU  con* 
sigli,  esortandolo  a  nuovi  scritti,  proponendogli 
question!,  o  indirizzandogli  lodi  e  componimenti. 
II  poeta,  vicentino,  Ferreto  era  in  corrispon- 
denza  col  Nostro,  dal  quale  ricav6  molte  imita- 
zioni  nel  suo  poema  a  Can  Orande;  e  non  mono 
del  Ferreto  gli  scrivevan  altri  illustri  ingegni 
contemporanei;  quali  Benvenuto  dCCampesanif 
vicentino  anch'eglie  anch'eglidispregiatoredei 
Padovani  o  partigiano  di  Cane;  V  amico  di  Dan- 


(1)  Polentone  —  De  scrip,  illust. 

(2)  Petrarca  i—  De  rebus  memorandis  •*  IL 


—  136  — 

to,  Oiovanni  del  Virgilio  (1),  che  cercava  d*  in- 
▼ogliare  il  grau  fiorontino  a  recarsi  a  Bologna 
con  la  promessa  di  fargli  leggere  le  poesie  del 
Mussato;  Oiambono  (V  Andrea,  notaio  e  poeta, 
dei  cni  consigli  11  Mussato  faceva  grande  stima. 
So  qaesti  e  sogli  altri  piu  oscuri  prlmeggiava, 
senza  dubbio,  per  doti  di  roento  e  di  cuore^  per 
i  pregi  del  diplomatico,  del  soldato^  del  gorer- 
natore,  non  mono  che  pel  valore  dello  storico 
6  del  poeta,  Albertino  Mussato  ;  ed  egll  aveva 
certamente  coscionza  della  sua  superiority  e 
quasi  del  sue  mandate  di  rappresentare  ed  im- 
personare  tutta  quella  fiorita  e  illustre  scuola 
di  dotti,  di  letterati  e  di  poeti,  se  con  tanto  ca- 
lore  credette  di  dover  rispondere  a  quel  frate 
Oiovannino  dell*  Ordine  dei  Predicatori  ,  che 
Yoleva  sostener  essere  superiore  la  Teologia  a 
tutte  le  scienze  e  a  tutte  le  arti.  I  professor! 
dello  Studio  Paiovano  in  quell'  occasione  si 
sdegnarono  assai,  ma  chi  assunse  la  difesa ,  di- 
romo  cosi,  ufflciale  della  Poesia  e  della  Lette- 
ratura,  e  indirettamente  di  tutto  il  sapere  u- 
mano,  che  allora  si  sintetizzava  nolle  Lettere , 
fu  Albertino  Mussato  per  esortazione  anche  di 
Paolo,  giudice  del  Tiiolo.  A  darci  un*  idea  del 


(1)  Mussato  — Egl.  II  «Phpigio  Musone  levabo^ 


coDoeUo  che  delle  lettere  6  della  poesia  si  bh 
cesse  queila  prima  geDoraziooe  di  umanisti,  tan- 
to  vieini  al  Medio-ovo,  nionte  di  piu  istruttiTO 
e  di  piti  esatto  di  questa  polemica  fra  ii  frate 
e  il  poeta,  in  cui,  accanto  alio  spirito  d'esctu- 
sivismo  e  d'  intoUeranza  religiosa  dei  teologi,  ap- 
parisee  lo  spirito  di  ribellione  al  giogo  dei 
dogmi,  di  ana  riboliiono,  per6,  timida  o  inodo* 
rata,  in  qaanto  non  si  disconosce  la  importanza 
doUa  Teologia,  ma  le  si  mette  a  paro  la  Lette- 
ratura. 

Da  ambedue  le  parti,  poi,  si  rivela  lo  stra< 
no  miscuglio  di  pagano  e  di  cristiano,  di  mito* 
logia  e  di  bibbia,  che  si  faceva  in  quegli  albori 
del  Rinascimento  con  una  iDcoscienza,  che  ha 
solamente  riscontro  noil*  iogenuit&  con  cui  da- 
van  importanza  e  valore  di  argomento  storico 
(qaando  Tinteresse  polemico  il  ricbiedesse)  alia 
fiavola  piu  semplicetta,  e  insieme  nell*  abituale 
franchezza  a  passare  sopra  i  punti  controversi 
e  fare,  invece,  vano  sfogglo  di  dimostrazione,  Ik 
ove  non  si  richiedeva  affatto,  nella  disinvoltura 
di  appoggiarsi  agli  argomenti  piti  futili^  dandosi 
r  aria  di  crederli  concludentissimj,  e  di  scam- 
biare  contiuuamente  r  estrinseco,  il  convenzio- 
nale  o  1'  accidentale  con  Tintrinseco,  il  naturale, 
il  sostanziale. 

Ecco  qua,  per  esempio,  un  argomento  per 

IS 


1 


—  13g  — 

dimostrare  la  divinitd  della  poesia.  11  po6ta» 
dice  il  Mossato,  vien  detto  vates;  vales  i  vas 
Dei;  non  6  evidente  cho  la  poesia  i  cosadivina 
dal  momento  che  i  suoi  cultori  sono  dei  vasa 
Leit  —  Fra  Oiovanntno  nella  sua  categorica 
risposta  polemica  non  la  perdona  a1  Massato 
nemmeno  su  questo  punto  ;  ma  credete  che  si 
melta  a  contestare,  come  sarebbe  ragionevole 
aspettarsi,  la  validity  dell' argomento  etimolo- 
gico  in  questo  case?  Niente  afTatto;  per  Oiovan- 
ninOf  come  per  AWertino,  Tetimologia  6  qui  an 
mezzo  capitale  per  tagliar  la  testa  al  tore  e 
risol?ere  la  questione;  tan  to  vero  che  it  frate, 
TOlendo  tirar  1*  acqua  al  sue  malino,  va  a  sea- 
vare  un*  etimologia  del  nome  vates  non  meno 
peregrina  di  quella  proposta  dal  Mussato.  Vates 
d  da  <vico>,  legare,  quod  poeta  habet  pedes  et 

membra  ligare ;  altro  che  vasidi  divinitdf 

Un  altro  argomento:  cid  che  i  divino  i 
elemo^  ma  eterno  k  il  lustro  della  poesia  (come 
lo  prova  il  fatto  che  i  poeti  venivan  coronati 
daU'alloro  perennemonte  verde),  dunque  la  Poe- 
sia k  divina.  Una  ragione  cosi  fatta,  fondata  sul- 
Tqso  d'incoronar  d*alloro  i  poeti,  oggifarebbe 
sganasciar  dalle  risa  il  piil  debolo  ayversario» 
ma  Oiovanntno  la  prende  in  voce  sul  serio  e  la 
confuta  yittoriosamente,  ricordando  chelabei* 
lezza  di  quel  verde  perenne  inganna,  in  quanto 


— 139  — 

che  cela  r  amarezza  delle  foglio  stesse  e  del  la 
bacche ,  e  che  la  corona  circolare  dei  poeti  h 
simbolo  del  lore  allontanarsi  dalla  verity  e  quindi 
anche  dalla  divinity. 

E  Qon  vogllo  astenermi  dal  riportarne  un 
terzo.  <  Non  e  divina  laPoesia?  (chiede  il  Mus- 
sato) ;  ma  se  essa  ha  perfioo  predetto  la  Fede 
Gristiana,  come  provano  i  centoni  di  Omero,  di 
Yirgilio,  che  darebbero  dei  punti  alle  piti  lam- 
panti  profezie  biblicho !  >  —  Manco  male  che 
questa  volta»  almeno,  Oiovannino  rispose  un  p6 
da  senno,  dicendo  che  i  Centoni  non  voglion  dir 
nulla,  appunto  perchd  i  poeti^  da  cui  son  rica- 
vail,  non  intendevano  di  dire  quelle  che  ai  Oen- 
toni,  compilazioni  dei  posteri »  si  fa  dire.  Basti 
ci6  che  si  S  detto  a  dimostrare  la  continuain- 
vasione  e  continuazione ,  che  avveniva  in  quel 
primi  umanisti ,  di  cose  sac  re  e  di  profane ,  di 
antico  e  di  moderno,  ed  a  rivelar  gli  strani  ri- 
pieghi  a  cui  si  ricorreva  per  raggiungere  quello 
scope  che»  nascendo,  si  propose  1'  Umanesimo^ 
per  effetto ,  senza  dubbio  ,  della  sua  filiazione 
medievale :  lo  scope,  dice,  di  conciiiare  ii  mondo 
0  la  cultura  pagana  col  mondo,  la  culturae  la 
civilt&  cristiana,  il  quale  tentative  durer^  an- 
che  nei  primi  decenni  del  XV  e  riuscir&  proprio 
alia  meta  opposta  a  quella  cercata.  Perd  men- 
tre  i  numerosi  prosecutori  di  questo   teqtati- 


—  14»- 

TO  (1)  lo  compiron  piii  tardi  con  piona  coscienza 
6  con  maggior  corredo  di  argomenti,  noi  primi 
Umantsti,  como  il  Mussato  e  i  suoi  contempo- 
ranei,  esso  era  affatto  iocosciente  e  qaasi  istin- 
tivo ;  seoza  dire,  poi,  che  con  una  conoscenza 
limitata  deli*  antichit&  e  fra  le  distrazioDi  con- 
tinue e  ie  preoccupazioni  delia  vita  pubblica, 
le  quail  non  dovevan  certo  permettere  al  gusto 
artistico  di  rafflDarsi  e  completarsi,  si  riusciva 
a  qualche  cosa  di  grossolano,  di  disarmonico, 
d*  infantile,  di  goffo.  E  questa  goffaggine  si  ri- 
Tela  anche  nell*  apprezzamento  che  allora  si 
facoTa  degli  scrittori  antichi,  dei  lore  pregi  par- 
ticolari,  della  loro  siogola  importanza.  I  fanciulli 
e  i  contadini  di  fronte  alle  persone,  che  sono  a- 
bituati  a  sentir  citare  come  grand!  e  dotti,  se 
no  stanno  senza  attentarsi  di  alzar  lore  gli  occhi 
in  vise  per  esaminarli,  TOder  come  son  fatti  e 
paragonarli  tra  di  loro ,  li  confondono  tutti  in 
un  medesimo  ed  unico  concetto  di  grandezza. 
Gosl  gl*  Italian!,  ora  che  per  forza  di  cose  ve- 
nivan  a  contatto  cui  velt^tl  divtni ,  non  ardi- 
vano  di  avventar  dei  giudizi,  che  alia  loro  co- 
scienza stessa  potevan  apparire  irriverenti;  e 


(1)  Cos!  il  Poraponazzi  e  il  Valla,  per   non  ci« 
t^r^  altrif  nel  campo  della  filosofia* 


—  141  — 

non  si  arrischiavano  a  fame  come  una  classifi- 
cazione  e  una  gradaatoria ,  d6  doile  quality  di 
uo  medesimo  scrittore  osavan  fare  uoa  cernita, 
abituati,  come  eraDO,  a  crederli  perfetti  in  tut- 
to,  e  per  ci&  stesso  inconsapevolmente  tratti  ad 
inoamorarsi  piu  delle  quality  meglio  appari- 
scenti,  che  di  raro  poi  sono  le  migliori.  Gosl 
Omero,  Virgilio^  Orazio,  Liccano,  Ovidio  van 
messi  per  Dante  tutti  insieme ;  e  una  volta  che 
si  vede  costretto  a  dissent! r  dalla  opinione  di 
Qiovenale,  lo  fa,  circondando  la  sua  irriverenza 
di  mille  scuse ,  tal  quale  come  si  trattasse  di 
Omero ,  di  Aristotile ,  di  Pitagora  e  di  altri 
genii.  Gosl  scrittori  d'  importanza  non  primaria 
come  Seneca ,  Ovidio ,  Slazio ,  Lucano  potet- 
tero  godero  il  favore  e  1*  ammirazione  del  Me- 
dio-E?o  e  delle  prime  geuerazioni  di  Umanisti, 
i  quali  s'  innamorarono  degli  ornamenti  mitolo- 
gici ,  di  cui  son  pieni  gli  autori  classici ,  e  si 
diedero  a  caricarne  i  loro  scritti  con  una  pas- 
sione  tale  da  tradir  quasi  la  convinzione  che 
non  vi  sia  miglior  poeta  di  chi  piu  di  tutti  fa 
sfoggio  di  erudizione  mitologica.  II  Mussato  pare 
la  pensasse  proprio  a  questo  modo :  basta  dare 
una  rapida  scorsa  al  poemetto  de  obsidione  e 
air  epistola  X  e  XVII  per  vedere  che  affastellio 
▼*d  fatto  di  reminiscenze  classiche  e  mitologi* 
<^,  0  cooyincersi  ohe  egli,  per  eccedere  taato^ 


—  142  — 

dorera  tenor  per  pregio,  davvero  siogolare, 
quello  sfoggio ,  beoch6  d'  altra  parte  la  saa 
forma  sia  etogaoto  ed  efflcaco  appunto  nei  lao- 
ghi »  in  cat ,  dando  liboro  sfogo  ai  suoi  seoti- 
menti »  dimentica  di  essore  nnostudioso  doiran- 
tichit&  laUoa»  e  motte  da  baoda  il  ciarparao 
retorico  e  classico.  II  cho  gli  avviooe  rara* 
mento  nolle  poesie  mioori,  dove  la  parvit&  dogli 
argomooti  gli  dava  agio  di  sbizzarrirsi  con  la 
fantasia  o  con  le  reminiscenze  scolastiche,  ma 
molto  spesso  invece  nella  Tragedia,  dove  il  te- 
ma,  profondamente  sentito,  non  dava  tempo  al 
poeta  di  frngar  troppo  nei  suoi  ricordi  da  sta- 
dioso  e  di  abbandonarsi  all' imitazione  di  un  mo- 
dello  vagheggiato. 

Ed  eccoci  ritornati  1^  donde  parti mmo,  alia 
questione  dell'  imitazioae  da  qualche  modello 
classico»  questione  che  piti  agevolmente  possia-^ 
mo  trattare  era  che  abbiamo  gettato  an  rapido 
sgnardo  sulla  cultara  classica  dei  Padovani  ai 
tempi  di  Albertino.  Pel  quale  riassumendo,  pri- 
ma di  procedere  oltre,  i  risultati  della  nostra 
Inoga  digressione  diciamo :  l^  che  egli  era  il 
capo  au  tore  vole  e  riconosciuto  di  una  fiorente 
scuola  umanistica  padovana,  (1)  la  quale,  antici- 


(1)  Come  si  vede,  noi  abbiamo  qui  trattato  esclu- 
tsivamcntc  della  cultura  q  letteratu|*a  latina,  sebbene 


-143  — 

pando  r  indirizzo,cho  nella  seconda  met&  del  400 
doTOva  prendero  la  risorta  cuUura  classica,  pi& 
cbe  del  lavorio  critico  intorno  agli  scrittori,  si 
occupava  di  imitarne  i  capolavori ;  2^  che  gli 
scrittori ,  conosciutl ,  eraoo  pochissimi ,  a  quel 
pochi  tutti  latini  (Oicerone^  Livio,  Sallustio, 
Orazio,  Ovidio.  Persio,  Seneca,  Lucaoo,  Stazio, 
Boezio  e  i  padri  delta  Chiesa),  messi  tutu  a  uu 
dipresso  alia  medeaima  stregua ,  apprezzati  e 
gastati  in  una  maniera  un  po'  grossolaoa;  3^  che 
r  imitazipne,  che  se  ne  voleva  ricavare,  a  parte 
qaella  che  veniva  ispirata  dal  genere  letterario 
stessoy  era  una  imitazione  estrinseca  e  formale 
piu  che  intima ,  tanto  piii  facile  perci6  a  mat- 


in quel  secolo  nella  cavalleresca  Marca  si  scrives- 
sero  poemi  roroanzeschi  franco-italiani  e  non  man-* 
casse  una  certa  corrente  d'  italianiti  letteraria  che 
si  esplicava  da  una  parte  nella  poesia  mitico-reli' 
giosa  di  BuonDesin  da  Rioa  e  di    Giooannino  da 

Verona,  dairaltra  nei  tentativi  di  poesia  volgare, 
ma  ascetica ,  nei  quali  quasi  tutti  gli  uomini  colti 
d*  allora  (e  il  Nostra  fra  questi)  si  andavan  pro- 
vando  :  si  vegga  un  saggio  delle  corispondenze  poe- 
ticbe ,  niantenute  per  mezzo  di  sonetti,  fra  Alber- 
tino  Mussato,  Buonatino,  Antonio  da  Tempo  ecc. — 
Gior.  si.  di  lett.  it.  Vol.  XI  —  Novati  —  Recensio- 
ne  ai  Padryn. 


-144.- 

ferd  In  opera  qaaoto  pib  iosipido,  informe,  In- 
colore  fossa  il  pensiero ,  e  per  codtofso  tanto 
pill  difficile  ad  apparire,  quanto  piii  grave  e 
pieno  A\  vita  e  indiTidualilit  propria  esso  fosse. 
Tali  essendo  le  condiziooi  e  gli  elemeoti 
delta  cultura  di  quei  tempi,  Albertino  fu  dalla 
fortnoa  meseo  io  grade  dr  abbracciarti  lutti  e 
di  baon'ora;  che  mentre  negli  altri  suoi  cod- 
tomporanei  lo  studio  della  letteratura  classlca, 
oltre  ad  easer  fatto  in  e<&  abbastanza  adnlta, 
era  una  specie  di  divertimeDto,  pel  Noslro  fu, 
anzi ,  necessity  di  tnestiero.  Perci6  tra  la  codo- 
seenza  della  letteratura  classica,  posseduta  dal 
Mussato ,  e  quelta  degU  altri  si  pud  a  priori 
peDsare  che  dovesse  correre  la  medesima  diffe- 
reoza  che  fra  chi ,  daodosi  a  un'occnpazioce 
tanto  per  far  qaalcosa,  la  faccia  con  tutto  il 
comedo  e  aenza  disturbi,  e  cbi  la  fa,  costretto 
dai  bisogni  della  vita,  ogni  memento.  Albertino, 
IhfattiiiD  quella  elegia  (1|,  in  cui  la  tnstezza  delle 
sue  condizioni^rapidamonto  cambiate,  gli  dotta 
un  linguaggio  cosl  commovente  nella  sua  ma- 
linconica  e  sconsolata  semplicitfi,  ricorda  come, 
nato  in  <paupertore  statu  >,  mortogli  il  padre, 
o  destinato  perci6  «  auleguam  fierem  pittier  » 


(1]  Elegia  I. 


-  i4g  — 

a  sostituirlo  verso  due  fratellini  ed  una  sorelta, 
81  senti,  certo  per  aiato  divine,  nel  dure  e  poco 
rimunerativo  lavoro  di  dar  lezioni  e  copiare 
codici,  crescer  le  forze. 

«  parva  mihi  victus  praebebant  iucra  scholares 
▼enalisqne  mea  littera  facta  mana.  » 

II  che,  notiamo  in  parentesi,  6  una  prova 
decisiva  per  io  sviluppo  della  cultura  classica 
e  deiramore,  che  in  Padova  ad  essa  si  portava, 
Non  essendoci  libri  da  trascrivere  all'infuori 
dei  classici  e  mancando  ogni  insegnamento,  che 
non  fosse  quelle  della  Grammatica,  cio6  lo  studio 
della  Latinit& ,  porchd  un  giovane ,  oscuro  an- 
cora,  potesse  trovar  degli  scolari  a  pagamento 
in  una  citik  in  cui,  certo,  non  facean  difetto  ni 
i  professori  dello  Studio  Padovano,  n6  altri  let- 
terati  di  grldo,  e  perchd  con  quella  occupazio- 
ne  e  con  Taltra  di  trascrivere  codici  egli  rica- 
vasse  tanto  da  tirare  innanzi  una  famigliuola, 
bisogneri  bene  ammettere  che  il  numero  degli 
scolari,  ossia  degli  studiosi  di  lettere  classiche, 
era  abbastanza  rilevante  e  la  ricerca  di  libri  e 
codici  frequentissima  e  alia.  Un  esercizio  simile 
da  una  parte  doveva  mettero  fra  le  mani  di  Al* 
bertino  molti  piu  scriitori  antichi  e  dall*  altra 
fargliene  approfondire  la  conoscenza  in  assai  piu 

19 


—  146  - 

breve  tempo  che  doq  accadesse  ad  altri.  Basta 
leggere  la  I^  sua  epistola  per  accorgorsi  dalla 
maniera,  come  parla  degli  scrittori,  che  a  lui 
doveva  esser  nolo  quasi  tutto  il  materiale  let- 
terario  classico  del  Medio-Evo,  e  basta  leggere 
alcone  pagine  della  sua  istoria  per  vedere  co- 
me egli  mal  cell  la  non  ospressa  ambiziooe  di 
emulare  il  suo  grande  concittadino,  LiviOy  nello 
stile,  nogli  atteggiamenti,  nolle  concioni.  Men- 
tre,  poi,  le  sue  poesie  presentano  tracce  evi- 
denti  di  remioiscenze  classlcho  in  immagini,  in 
frasi ,  in  versi  inter!  robati  a  Giovenale  o  a 
Persio,  a  Ovidio  o  ad  Orazio,  tutte  le  sae  opere 
dimostrano  in  lui  una  cosl  ?asta  erudiziQpe  das- 
sica ,  una  conoscenza  deir  antichit^ ,  quale  si 
lascier&  (a  parte  il  Petrarca)  desiderare  per  un 
pezzo  dope  di  lui,  specie  sola  si  paragon!  all'e- 
radizione  disordinata  e  plena  di  error!  del  Boc- 
caccio. Tuttavia ,  non  ostante  il  grande  amoro 
con  cui  studid  tutti  i  classic!,  duo  dov6,  e  non 
i  migliorl,  apprezzarne  di  preferenza,  Ovidio  o 
Seneca :  e  benchS  nell*  epistola  a  mastro  Ouiz^ 
zardo  dice  che  spesso  si  sia  coricato  con  il  Yir- 
gilio  sotto  il  capezzale  (1)  e  il  Virgilio  sia  desti- 


(1)  Epistola  XIV  «  Virgilius  thalamo  mecum  ver- 

satus  in  uno  tempore,  quo.... 


—  147  — 

nato  a  rendergli  mono  amaro  Tosilio,  puro,  evi- 
dontomonto,  lo  suo  prodiloziODi  furono  por  il 
<  toDororum  lusor  amorum  ».  Si  ora  ancora  ab- 
bastanza  lontani  da  quol  talo  rafflnamooto  dot 
gusto  cho  potesso  far  preferiro  la  castigata  so- 
briot&  di  poeti  come  Catullo  e  Orazio  alia  facile 
abbondanza  di  Ovidio ;  la  cui  ricchezza  e  variei& 
nelle  immagioi,  la  felicity  nolle  uscite»  lo  sfog- 
gio  di  erudizione  eran  fatto  per  piacere  ad  Al- 
bert ino  ,  non  mono  della  dotta  prolissit^ ,  delta 
pompa  di  ornaroenti  e  dello  splendore  di  imma- 
gini,  che  Seneca  rivela.  In  tutte  le  sue  poesie 
si  mostran  di  continue  lo  studio  e  Timitazione 
da  Ovidio,  che  fanno  la  maggior  prova  in  quol 
vero  sforzo  di  memoria  e  di  pazienza  che  6  il 
Centone  Ovidiano,  costituente  la  III*  elegia; 
alio  stesso  mode  che  lo  studio  e  1'  ammirazione 
di  Seneca  si  manifestano  ingenuamente  nella  I^ 
epistola.  Qui  con  grande  coropiacenza  Albertino 
insiste  sulle  tragedie  del  poeta  latino,  che  egli 
conosce  a  fondo  e  di  cui ,  non  contento  di  enu- 
merare.ad  uno  ad  uno  i  titoli,  spiega  (1)  il  con* 


(1)  Epist.I«  Facta  Ducum  memorat,  generosaque; 

nomina  Regura, 
Quum  terit  eversas  alta  ruina  domes. 
Fulminasupremas  feriuntingentia  turres 
I<^ec  capiunt  planas  impetuosa  casi^.  » 


—   148  — 

cetto  unico  fondameDtala  per  toraar  poi  verao 
la  fine  ad  accennarne  singolarmento  gli  argo- 
meoti,  (l)i  quali  d'  altra  parte  ia  ua  codice  di 
Seoeca  si  trovano  trascritti  di  mano  del  Mas- 
sato.  (2)  Data,  dacque,  naa  cosl  profooda  ammi- 
razione  del  Mussalo  per  il  tragico  di  Cordova 
niente  v'  h  di  piii  probabils  che  egli ,  cultore 
appassionato  delt' aotichit^,  una  voltapropostosi 
di  scrirere  una  tragedia ,  i'abbia  preso  a  mo- 
dello,  in  laaocaDza  di  altri,  a  cai  iBpirarsi.  II 
teatro  tragico  latino,  cho  fa  pure  cosl  fecondo, 
Don  era  di  certo  pib  ricco  ai  tempi  del  Mussato 
di  quel  cho  sia  oggi :  altera  come  ora ,  Seneca 
n'  era  I'uqIco  rappresentaate  e  d' altra  parte  i 
tragici  greci  erano  sconosciuti  Don  solo  neH'o- 
riginale  liagua,  ma  anche  nolle  tradizioni.  Al- 
bertino  stesso  ce  lo  ricorda  dove  dice : 

«  MetraS«phoclaeiSDODSUQt  suffultacothurois 
Haec  tua,  quidquid  habos,  lingua  latina  dedit, 
Sola  rudis,  tantum  studlis  inniza  latinis 
In  latiis  oris  nunc  nova  miles  eris  > 

Come  si  vede  ,  Albortino  stesso  riconosce  i'  e»- 
sersi  appoggiato  solo  sugli  stuait  talint ;  a  poi- 

(1|  Epist.  I  — Da  verso  110  a  verso  136. 

[2]  lennari-NotiziesforichediPadova-  Tomo  1. 


—  149  — 

che  si  tratta  di  teatro  tragico ,  ovidentoraeoto 
qai  stiidii  latini  vuol  dire  studio  di  Seneca ^ 
modollo  da  cui  gli  era  impossibilo  prescindero, 
date  da  una  parte  le  vedute,  le  condiziooi  e  i 
limiti  della  cultura  classica  contemporanea  ,  o 
dair  altra  il  proposito  deir  autore  di  scrivere 
una  tragedia,  un  componimento  ciod  di  natura 
schiettaroente  classica,  ne  ancora  passato  nel 
dominio  delle  nasceoti  lotterature  volgari. 

Come  va  intesa,  por&,   qui  rimitazieoe  di 
Seneca,  fatta  dal  Mussato? 

Le  Iragedie  di  Seneca,  come  si  sa,  non  fa- 
rono  scritte  per  la  scena  e  (non  gi&  come  6  il 
case  del  nostro  aatore)  perche  non  fossero  abba- 
stanza  tragediabili  o  rappreseutabili  i  soggetti 
sceiti,  i  qaali  erano  quelli  divenuti  oramai  tra- 
dizionali  e  quasi  di  rito  fra  gli  antichi  scrittori 
di  tragedie,  ma  perchd  gli  entusiasmi  del  pub- 
blico  romano  dei  tempi  di  Seneca  et^no  esclu- 
sivamente  riserbati  alio  piccanti  e  oscene  rap- 
presentazioni  dei  mimi  e  dei   pantomimi.    Par- 
rebbe,  per6,  che  le  tragedie  di  Seneca ,   sorte 
centre  il  gusto  predominante  della  folia,  dovos- 
sero  anche  mantenersi  lontane  dai  vlzii  di  quel- 
ret&  decadente;  ma  oramai  la  corruzione  di  ogni 
sentimento  di  belle  e  di  buono  era  cosi  dilaga- 
ta,  il  false  nella  vita,  nei  costumi,  nolle  lettere 
taAto  invalso^  che  anche  cl^i   avesse   avuto   la 


-  150  — 

migliore  intenzione  di  far  argine  alia  corrento, 
non  ne  sarebbe  io  tutto  potuto  andarne  esente. 
Le  tragedie  di  Seneca  seno   esercizii  oratori  , 
anzi  declamatorii  e  scolastici »   stesi    ia   forma 
drammatica ,  privi  di  regolarit&  e   di  natara- 
lezza  neH'orditura,  di  verity  di  caratteri  (che 
del  resto  noa  si  mostrano),  privi  di  azione  vera 
e  di  sentimento  sentito,  benchS  le  inflorino  spesso 
grand!  pensieri,  gravi  sontenze  morali ,  imma< 
gin!  ardite,  pittare  piene  di  particolari  espesso 
anche  di  verity.  Un  ica  arabizione  dell'  autore  , 
anzi  del  retore  ,  6  quella  di  muovere  1*  atten- 
zione  unicamen  te  con  la  forma,  suscitar  la  ma- 
raviglia  nell'  uditore  con  ringegnoomegliorin- 
gegnositft,  senza  badare   a  destare  vera  e  pro- 
fonda  commozione.  Come  in  tutti  i  componimeati 
di  scrittori,  dotati  piiidi  fantasia  che  di  ragione, 
nolle  tragedie  di  Seneca  in  luogo  del  bello  e  del 
sublime  non  si  trova  che   ampollosit&  opposta 
alia  naturalezza,  sfoggio  vano  di  orna  menti  ora- 
torii  e  lunga  serie  di  freddi  concettini.  Dal  prin- 
cipio  alia  fine  e  da  per  tutto  uno  stadio  conti- 
nuo,  uno  sforzo  di  cervello;  e  per  fare  impres- 
sione  due  soli  colori,  od  ombra   oscura   o  luce 
abbarbagliante,  e  non  mai,  o  a  tratti   disgiunti 
e  rari,  sentimento  vero  e  profondo.  Date  il  fine 
di  suscitar  Io  stupore,  ne  segue  una  ricerca  in- 
stancabile  del  singolare,  del  nuovp,  onde  da  per 


—  151  — 

tatto  esagerazioni  nel  descrivere  le  virtii  o  net 
descrivere  i  vizii.  La  passione^  ritratta  di  pre- 
ferenza,  6  il  furore  e  sempre  coi  colori  piu  ca- 
richi.  Nelle  doscriziooi  si  spiega  in  tutto  lo 
splendore  il  talento  proprio  degli  autori ,  ma 
ancbe  11  I*  cfl'etto  vero  6  perduto  dalla  smania 
di  far  pQmpa  di  ricchezza  nei  particolari  in 
luogo  di  serbarla  per  1*  insieme.  SplenJide  lo 
sentenze  morali,  ma  spesse  dedotte  non  dalla 
condizione  momentanea  deir  autoro  ,  ma  enun- 
ciate come  massime  generali  regolatrici  delle 
azioni  di  lui,  fredde  nella  lore  studiata  bre?  it&, 
non  riescQno  che  a  stancare  il  lettore.  E  come 
nella  sostanza,  nella  lingua,  naturalmente,  sono 
riflesse  la  gonflezza,  r  esagerazione  ,  la  prolis- 
sit&y  la  mancanza  di  naturalezza. 

Son  questi  i  difetti  delle  tragedie  di  Seneca, 
che  di  pregi  no  ban  pocbini  day  vero  e  non  molto 
rilevanti:  sono  difetti  del  secentesimo  cbe,  come 
dimostr&  il  professor  d'Ovidio,  6  un  po'  la  ma- 
lattia  del  sangue  degli  Spagnuoli,  in  Seneca  poi 
aggravate  dair  etk  di  decadenza  letteraria  ,  in 
cui  gli  toccd  di  vivere.  Ogni  volta  cbe  mancbi 
serieti  di  contenuto,  appaion  nella  letteratura 
quelle  quality,  tanto  vero  cbe  ad  un  secentista 
magari  nel  piu  forte  della  corruzione  ,  date  il 
pensiero  e  verri  fuori  il  Galileo  o  per  lo  mono 
il  Sarpi.  Cosl  6  del  nostro  AlbertinOi   studioso 


-  162  - 

ed  dntuaiasta  ammiratore,  qaanlo  si  voglia,  di 
quei  saceotisti  della  latiDitii  che  furoDO  Ovidio 
e  Seneca  (quest!  iDfiaitamonie  pi&  di  quello)  , 
portato,  quaDto  si  voglia,  e  portato  qaJDdi  ad 
imitarli,  pel  fatto  solo  che  egU  aveva  della  ma- 
teria  scottanto,  viva,  tra  mani,  correva  nata- 
ralmento,  magari  a  sua  iasaputa  o  a  sue  di- 
spetto,  ad  allODtaaarsene.Haegli  unargomento 
futile,  0  inisero  da  trattare?  ed  eccolo  nello  e- 
pistole  e  nolle  elegie  serbar  maggiori  epidnn- 
meross  remi oiscenze  ovidlaDO  fiao  a  comporre 
QD  Ceotone  ovidiaoo;  occolo  ovidiano  nello  stile, 
nello  immagini ,  nell'  abbandooo  prolisso  della 
forma,  nello  sfarzo  deH'apparato  mitologico.  Solo 
per6  che  abbia  cose  e  fatli  da  dire,  cho  destioo 
un'  eco  profoQdo  di  dolore  o  di  tristezsa  DeU'a- 
nimo  suo,  la  frase  e  11  verso  gli  scorre  spoota- 
neo  per  procedere  naluraleespeditosoDza  I'im- 
barazzante  bagaglio  della  erudizione  (Ep.  Ill , 
per  esemp.,  ed  Elegia  11),  Timpaccioso  vincolo 
deir  imitazione. 

Non  altrimonti  accade  per  latragedia.  Ispi- 
rata  a  lui  dal  suo  inquieto  o  tropidante  amore 
verso  la  citt&  nativa,  riscaldata  dal  vivo  sentt- 
monto  patriottico,  con  pericoli  veri  da  additare 
ai  cittadini  e  da  scongiurarli,  che  poteva  avor 
essa  di  comuoe  con  le  tragedie  di  Seneca,  svi- 
lappate  inlomo  a  favole  mitologiche,  le  qaali, 


— 153  — 

spogliate  oramai  della  loro  antica ,  alta  signifl- 
cazione,  che  non  yeniva  piu  intesa  dal  pubblico, 
per  gli  uomini  dotti  stossi  non  ne  conservavano 
se  non  una  estrinseca,  superOciale,  di  conven- 
zione  e  di  tradizione?  Che  vita  palpitava  in  quel 
soggetti  di  Seneca,  tanto  pid  poi  se  li  confron- 
tiamo  con  quello  del  Mussato,  preso  a  nocciolo 
di  an  dramma,  in  un  memento  di  cosl  torribile 
angoscia,  cagionata  da  fatti  eguali  a  queiii  che 
avevano  dato  r  impulse  al  Noslroi  Che  imita- 
zione,  dunque,  poteva  far  questi,  airinfuori  di 
una  formale,  estrinseca,  consistente  nell'  impre- 
stito  (che  pure  da  qualcuno  bisognava  togliere, 
non  scrivendo  il  Poeta  nella  lingua  materna)  nel- 
r  imprestito  ,  dicevo  ,  di  frasi ,  di  locuzioni,  di 
versi,  di  qualche  sentenza,di  qualche  atteggia- 
mento,  o  nei  dialoghi,  o  nei  personaggi? 

Avendo  fatto  un  esame  comparative  delle 
Tragedie  di  Seneca  e  quella  del  Nostra,  con  la 
maggior  diligenza.  che  mi  6  state  possibile,  vo- 
glio  riportarne  qui  i  risultati  principali  sia  per 
non  sembrar  di  ragionare  sempre  neir  astratto, 
sia  perche  si  possa  giungere  a  piu  determinate 
conclusioni,  fondando  le  osservazioni  sui  fatti. 

Non  sono  rare  nella  Tragedia  del  Mussato 

le  rominiscenze  del  poeta  latino  e  certo  molto 

piu  numerose  di  quello  che  il  breve  commento 

di  Nicola  VtUani  da  Pistoia  non  metta  in  mostra; 

20 


—  154  — 

ma  6  Dotovole  cho  nel  priroo  atto  se  ne  mani- 
fostino  in  numero  superiore  a  quello  di  tutti  i 
rimanenti  presi  insieme,  come  vedremofrapoco. 
La  qual  cosa  potrebbe  non  solo  spiegarsi  col  ca- 
rattere  mono  spiccatamento  storico  dell'  atto  I 
in  paragone  degli  altri ,  ma  anche  con  la  con- 
gettura,  che  innanzi  mettomroo  a  proposito  della 
testimonianza  di  Sicco  Polenione^  che  Albertino 
avesse  scritto,  airinfuori  della  tragedia,  nnal- 
tro  poema  in  cui  Eccerinum  Plutone  ac  Pro- 
serpina naCum  ftnooit  (vedasi  pag.  56  ).  Se  que- 
sto  lavoro,  a  noi  non  pervenuto,  deve  credersi, 
infatti ,  an  abbozzo  giovanile ,  ma  con  intendi- 
menti  e  criterii  estetici  afTatto  diversi  da  quelli 
che  pib  tardi  il  poeta  segul  nella  tragedia,  ogli 
ravrebbe  scritto  sotto  Timpressione  ancora 
fresca  delle  letture  scolastiche  e  degli  studii 
suoi ;  e  niente  di  piii  facile  che  11 ,  trattandosi 
d'ana  esercitazione  retorica  sul  genere  di  quelle 
di  Seneca,  il  poeta  avesse  fatto  addirittara  un 
personaggio  mitologico  di  Ezzelino,  e  vi  avesse 
accolto  quante  piu  reminiscenze  classiche  gli 
venivan  in  mente.  Divenuto,  poi,  il  soggotto  di 
Ezzelino  non  piu  un  argomento  di  storia  morta, 
ma  di  vita  attuale  e  reale,  e  cambiato  in  coo- 
seguenza  il  disegno  primitive  del  dramma ,  Al- 
bertino avrebbe  compreso  quell* an tico  tentative 
nei  sue  nuovo  lavoro,  modificando  i  particolari 


—  155  — 

d^Ua  oascita  di  Ezzelino,  rivondicato  oramai  alia 
materoit&  di  Adeleita,  so  non  alia  pateroiUt  del 
poToro  Monaco.  Ma  anche  diminuito  di  n^es- 
sit&  I'apparato  mitologico,  no  restan  per&  tut- 
tavia  magglori  tracce  che  non  negli  altri  atti, 
scritti  sotto  la  dettatura  dell'  angoscia  presoote. 
E,  certamente  ,  a  cbi  confronti  lo  Tragedie  di 
Seneca  con  quella  del  Mussato  vien  sabito  fatto 
di  notar  soprattutto  la  identity  di  certi  ripiegbi 
nel  provocaro  il  racconto  da  parte  del  Nunzio 
o  di  altro  personaggio^  o  neir  interrompere  la 
narrazioDO  di  quollo,  cbe  altriroenti  riuscirebbo 
troppo  lunga.  Si  potrebbe  dire  che  in  cid  non 
una  derivazione  del  Mussato  da  Soneca  si  deve 
vedere,  ma  un  semplice  incontro,  unaseroplice 
identity  di  effetti  voluta  necossariamente  dalla 
identity  di  situazione ,  essondo  nell*  uno  o  nei- 
r  altro  scrittore  frequente  1'  intervento  della 
forma  narrativa  nel  bel  mezzo  della  forma  dram- 
roatica,  e  si  direbbe  giusto.  Non  essendoci  perd 
nell'  Eccerinis  le  lungagnate  delle  tragedie  di 
Seneca  e  scomparendo,  quindi^  la  necessity  di 
ioterromperlo  frequentemente,  il  trovar,  nono« 
stante  tutto  questo,  lo  interruzioni,  fatte  con  le 
stesse  parole  quasi  di  Seneca,  ci  autorizza  a 
vedere  in  esse  una  certa  imitazione  dal  poeta 
latino.  Si  guardi,  a  mo*  d'  esempio,  la  I.*  scena 
deir  at  to  I.^  dove  Adeleleita  si  arresta^  inorri- 


-  150  — 

dita,  nel  suo  racconto  ed  Ezzeliao  la  incorag- 
gia  diceodo :  «  Effare,  genetrix  »;  perchd  a  me 
«  OMdire  iuvat  grande  quodcwnque  et  ferum 
est  ecc.  >»  onde  la  donna  riprende  il  discorso , 
ma  sempre  piena  di  spavento  perchS  quasi  ad 
vultum  redit  imago  facii.  E  poi  si  dica  se  Al- 
bertino  non  dovd  ricordarsi  qui  della  scena  tra 
il  Coro  e  il  Nunzio  nel  I.^  atto  del  Tiesle  , 
quando  il  Coro  dice :  «  Effare,  et  (033)  istud 
grande  quodcunque  est  malum  »;  ed  il  Nunzio 
€  Haerit  In  vultu  trucis  (635-36)  imago  facti  >. 
Adeleita  sente  un  freddo  brivido  correrle  pel 
corpo  e  perde  le  forze :  <  Frigore  solutum 
cadit  exsangue  corpus  >  il  Nunzio  (ibid.)  pro- 
mette  di  parlaro  «  si  metu  eorpns  rigens  re- 
wMkUiet  mrium  »  e  «  $f  sleterit  animo  >,  delle 
qaali  ultimo  parole  si  pu6  sentire  1*  eco  nel- 
r  atto  IL**  deir  Eccerinis  dove  il  Coro,  pur  di 
sentire  le  spaventose  novelle,  che  porta  il  Nun- 
ziOy  V  esorta  a  riposarsi,  «  fldtu  remisso  dum 
cesset  frequens  anhelitus  >. 

Yi  sono  in  coteste  esortazioni  gli  slessi  e- 
lementi :  per  dire  parla  non  si  trova  mai  nd 
nell'uno  n6  neiraltro  dio,  narra,  ma  sempro 
pande,  effixre,  parole  piu  rlcercate  ;  nell*  uno 
e  neir  altro  il  fatio  in  tutti  i  suoi  particolari 
6  la  series;  nell*  uno  e  neir  altro  gli  inviti  a 


—  157  — 

parlare  hanno  un  non  so  che  di  ingenuo,  d*  ia- 
faotilo  in  quanto  cho  non  addimostrano  se  non 
quella  curiosity  impaziente  e  petulanto  doi  bam- 
bini, senza  aggiunger  nulla  nd  alia  narrazione 
no  tanto  mono  air  aziono   drammatica.    Ecco  : 
nel  IV.^  atto  del  Tieste  il  baon  Nunzio  sa  di 
di  essere  Nunzio^  conosce  il   mestiere  e    non 
domanda  di  meglio  che  di  cbiaccherare,  chiac- 
cherare,  chiaccberare  sonza  tacor  nulla,  nem- 
meno  il  minimo  dei  particolari  dell'  eccidio  or- 
ribile  compiuto  da  Atreo;    eppure  quel   bono- 
detto  Coro,  tanto  per  far  atto  di  presenza  ogni 
tanto  a  rompergli  il  fllo  sul  piti  bello ,   e  ora 
«  quis   manum  ( 690  )  fey^ro  admovei  ?  >  ora 
«  quo  iuvenis  (719)  animo,  quo  tulit  viUtu  ne- 
cem?  > 

Neir  Eccerinis  il  Coro,  atto  IV 

<  Quid  ille  tantis  viribus  septus  facit  ? 
Quis  vultus,  aut  actus  ?  » 

Altre  oziose  interruzioni  si  notano  nel  IV 
atto  del  Tieste  ai  versi  730,  744,  746,  747,  per 
poi  lasciar  parlare  il  uarratore  di  fllato  fino 
al  V.  788. 

Cosi  il  Coro  nel  V  ielVEccerinis,  dope  aver 
iina  volta  interrotto  il  Nunzio,  continua : 


«  Quo  flliarum  et  coniagis  tuUu  nocom  (1) 
Albricus,  et  si  oon  loqui  poterat,  tulit  t  » 

e  pib  gid 

c  Quis  Qdjs  eiuB  fare,  supremas  fait  ?  » 

Son  queate,  come  si  vede,  domaade,  cosl  per 
dire,  interrogazioDi  di  na  dubbio  valore  oarra- 
tivo  0  drammatico,  cbe  nulla  tolgono  o  aggian- 
gono  e  quanto  al  conferire  an  po'  di  varieti 
alia  scena,  pub  darsi  che  raggiungoao  in  certo 
modo  qaesto  effetto  in  Albertino,  ove  per  prime 
iQ  narrazioni  del  Nanzio  non  occupano  ( come 
avvieno  in  Seneca)  pagins  intere,  ma  non  lo 
raj^iungODo  certamente  in  Seneca.  Ed  6  note- 
vole  come  si  senta  meglio  la  deQcienza  e  la  me- 
schina  vacait&  di  quelle  domande  nell'  Eccert- 
nts  cbe  non  aelle  Tragedie  di  Seneca,  giacchd, 
moatre  in  queste  mancano  delle  scene  poteoti 
di  Tivacit&  draminatica,  \k  ve  d'  6  una  aH'atto 
III.*  veramente  mirabile,  nella  quale  le  inter- 
locazioni  si  succedono  con  tanta  rapidiU  o  ne- 
cessitfi,  da  fare  col  contrasts  meglio  spiccare 
la  Tanit&  delle  altre.  E'la  acena  in  cal    Eise- 


(1)  V.  il  oit.  V.  del  Tieste. 


—  i5» — 

lino,  incredulo  alia  notizia  portatagli  della  per- 
dita  di  Padova,  corre  iocontro  ad  Ansedisio  e : 
«  Hem  ?  gaid  est  f  »  dice. 

Ansedisius  :  «  Amissa  Padnae  civUas.  Ho- 

stes  habent » 

Ecceriniis  :  Amissa  ri  ?  » 
AnsedtiiS  :  <  Vi  amissa  » 
Eccerinus  :  <  (hM  vi  t  ecc » 

Oi  6f  dunqae,  imitazione  in  questo  primo 
panto  delle  ioterruzioni ,  ma  non  soltanto  in 
qaesto;  altri  luoghi  vi  sono  in  cai  par  di  sen- 
tire  Teco  di  frasi,  espres3ioni  di  Seneca. 

Adeleita  non  pu&  (Att.  I.^  sc.  I.*)  per  la 
vergogna  e  1'  orrore  <  eloqui  factum  »  ,  non 
mono  di  Deianira  nell*  Ercole  JSteo  la  quale, 
inorridita  per  la  funerea  efflcacia  del  sangue 
di  Nesso  ( Att.  Ill,  sc.  I.*  728 ),  a  stento  pu6 
<  monstrum  eloqui  »,  giacchd  solo  al  ricor- 
darlo 

«  Vagns  per  artus  errat  excussos  tremor, 
Erectus  horret  crinis,  impulsis  adhuc 
Stat  torror  animis,  et  cor  attonitum  salit, 
Payidumqae  trepidis  palpitat  venis  iecar  » 

( 706-10 ) 


Terrord,  cbe  ha  riscootro  cod  quallo  che 
ossato  ci  doscrivd  in  Adeleita  : 

Pavet  animus,  adveoit  horror,  et  monbra 
oocnpat  > 

rieste,  dopo  aver  bevuto  alia  coppa  por- 
dair  atroce  fratello,  e  assaggiate  le  viran- 
1  lui  imbanditogU,  eentendoai  ribolUr  dea* 

0  V  iacere,  atterrito  si  chiode  : 

3ui8  hie  tamultus  viscera  exagitat  mea 
id  tremuil  intnst (Alto  V,  9&-100); 

ad  Adeleita  dopo  il  mostruoso  adultdrio: 

...  recepta  pertinax  nimium  veans 
aluit  intus  viscera  exagitaus  statim  ». 

ircote  prima  di  saliro  il  rogo  e  di  morire, 
a  il  padre  Oiove,  ed  approba  ,  osclama , 
im,  prora  cho  io  sia  tua  vera  prole,  pro- 
some  Ezzelino  conchiudor^  la  sua  tronienda 
aziope  a  Satana :  flltum  talem  proba. 

1  Coro  del  I,"  atto  comincia,  como  not6  il 
nt,  COD  11D  ver30  tolto  di  peso  al  Coro  del 
el  Tieste  «  Quit  vos  eccagilai  furor  »;  e 
sir  iDtouazioae  generale,  sia   nei  peosiori 


—  161  — 

particolari,  sia  nolle  parole,  contiene  numerosd 
reminiscenze  Seneciane  :  il  regni  culmina  lu- 
brici  ricorda,  infatti,  I'  atUae  culmine  Ivbrtco 
del  medesimo  laogo  di  Seneca;  W  €  sic  semper 
rota  volvitur^  durat  perpetuum  nihil  »  fa  ri- 
pensare  al  «  properat  cursu  vita  citato  Iticii- 
que  die  rota  praecipitis  volvitur  annl  (  Her. 
P.  I  180). 

II  Core  tutt'  intero  del  I  atto  pel  contena- 
tOy  poi,  par  ricalcato  su  tre  cori  di  Seneca,  cio6 
il  I  deU'ErcoIeFurente,  <che  magnatum  curas 
studiague  damnat;  il  U?  del  Tieste  che  <  a  dis- 
sidiis  palrum  sumpta  occasione  ,  regum  am- 
bttione  tawat^y  e  finalmonte    il  IV^  dQlV  Hip- 
politus  che  €  sublimis  fortunae  instabilitatem 
et  pericula  canit  ».  —  Ma  quanta  diversity  nei 
dae  poeti,  fra  la  verbosa  prolissiti  deir  uno  e 
la  saccosa  concisione  deir  altro,  fra  il  girar  e 
rigirar  di  Seneca  sempre  o  quasi  sul  medesimo 
pensiero  e  il  vario  quadropresentatoda  Aiber- 
tino;  fra  il  tone  freddo  e  declamatorio  di  chi  sa 
di  fare  e  non  vuol  fare  che  la  predica ,  piti  o 
meno  infiorata  di  sagge  sentenze  ,    e  lo  spirito 
appassionato,  caldo  di  vero  e  santo  sdegno  pa- 
trio,  che  anima  il  Core  del  Mussato.  SI  compren- 
^^9  leggendo  qaei  cori,  come  Soneca  lavorasse 
su  argomenti  vieti ,  conosciuti   a   memoria  da 
tutti  fln  dalle  colonne  di  Frontone  (dicevaOio- 


venale),  ma  cho  ogni  poota  aquei  tempi,  grande 
e  piccino,  si  facoya  un  dovero  di  trattare,  non 
riserbandosi  cosi  nessun  altro  campo  per  mo- 
strare  la  sua  valentia,  oltre  quelle  della  forma, 
la  quale  si  sa  poi  quanto  valore  possa  avore , 
coltivata  indipendentemente  dal  contenute  (1)  ; 
laddove  il  Mussate  trattava  di  un  argomento 
che,  toccando  da  vicino  lui  ai  suoi  concittadiQi, 
le  faceva  pensare  a  ben  altro  che  composte  e 
ornate  declamazioni.  Guardate  con  quanta  im- 
petuosa  rapidity  cominciano  nel  Coro  dell*  Ec- 
cerinis  i  rimproveri  rivoiti  ai  Nobili  <  Quisv08 

lubricit »  ,  come  subito  tenga  diotro  la  mi- 

naccia  del  cittadino  addolorato: 

<  Duros  expetitis  metus, 
Mortus  continuas  minas 
Mors  est  mixta  Tyrannidi 
Non  est  morte  minor  metus  » 

Ma  poichd  V  animo  presage  del  poeta  gli  dice 
che  purtroppo  inascoltate  resterannole  sue  pa- 
role (kst  haec  dicere  quid  valet?)  occo,  abban- 
donata  la  forma  interrogativa  e  la  esortativa , 
11  poeta  adottare  Taffermaziono  quasi  per  con- 


(1)  Giovenale  —  Sat.  I  —  da  v.  P  a  v,  21. 


i 


—  163  — 

sogoar  i  colpovoli  alia  Storia,  che  no  faccia  giu- 
stizia,  alia  Storia,  cui  li  addita  con  quol  torrid 
bile  vos  con  cui  comincia  il  breve,  ma  fiero  atto 
di  accttsa. 

«  Vos  in  jurgia  Nobiles 
Atrox  invidiae  scelus 
Ardens  elicit,  inficit. 
Numquam  qais  patitur  parem  » 

E  basta;  detto  ai  Nobili  il  fatto  lore,  passa  alia 
plebs  vilissima,  la  quale,  gottando  olio  nel  fuoco 
delle  discord!  e  dei  grand! ,  finisce  col  tendere 
insidie  a  so  stessa,  cho  in  fondo  paga  la  pena 
di  tutto  11  lungo  accapigliars!  do!  Nobili.  — 
Dov'd  esempio  nei  cori  di  Seneca  di  tanta  for- 
za»  d!  tanta  efflcacia^  di  tanto  cumulo  di  pen- 
sieri  in  cosi  stringata  brevity  ,  o  in  una  cosl 
nuda  semplicit^  di  mozzi?  Dei  tre  cori  di  Sene- 
ca, ricordati,  basta  a  dar  esempio  della  vacuitlt 
di  pensiero,  neir  ampoUosa  e  ornata  sonoril& 
della  forma,  il  11  del  Tieste,  che  pure  d  il  mono 
preienzioso  dei  tre. 

<  Quis  vos  exagitat  furor  (ai  due  fratelli) 

Alternis  dare  sanguioem 

pt  sceptrum  scelere  ag^redi?  ^^ 


—  164  — 

Voi  non  sapeie,  cootinua  i)  Goro,  o  cupiat 
cium  (ricorda  il  cupidi  ntmis  d'Albertino)  , 
pium  quo  Jaceat  loco.  —  Ah!  no?  Ebbene 
to  atco  to,  grida  il  poeta  tutto  coatonto  cho 
risposta  DOgativa,  fatlasi  dare,  gli  porga  oc- 
iiooe  di  fare  an  bello  e  magnifico  sermone : 

<  Regem  ooti  faciaot  opes, 
Non  TQstis  Tyrae  color. 
Nod  frontis  Dota  regiae 
NoQ  aaro  nftidae  fores. 
Rex  est,  qui  posuit  metus, 
Et  dtrl  mala  pectoris: 

Quern 

NoQ  qaidquid 


Siil  di  qaesto  passo  per  altri  trenta  versi  coa- 
ti  per  poi  conchiudere 

<  Rex  est,  qui  metuit  uibil. 
Rox  est,  qui  cupiet  nihil*  (Tieste  atto 
II  da  verso  344  a  t.  389) 

>  contiauiamo  nell'osama  dei  laoghi  deir^b. 
''fnfx.che  ricordano,  nello  locuzioni,  laoghi  si> 
11  dolle  Tragedio  di  Seneca.  11  Coro  del  II 
;o,  per  sollecltareilNaDEloa  parlare.gUdfce: 


-.  165  — 
< Sermono  cur  nos  anxios  dudam  tones? » 

a  10  Seaocaio  ana  sitaazione  quasi  identica  il 
Croro: 

<  Animos  gravius  incertos  t6D6s»  (T.IV,  658). 

Iddio  6  chiamato  da  Albertino 

€  Excolse  mundi  rector  »  , 

e  da  Seneca 

€  Summe  caeli  rector  »  (T,  V,  1077); 

a  lui  si  rivolge  il  Goro  ieWEccerinis  ,  inorri- 
dito  per  le  ferocie  dlEzzelino,  come  Tieste  dopo 
r  orribile  rivelazione  fattagli  dal  fratello.  Iq 
AlbertiQo: 

<  Quid  deus  tantos  pateris  furores, 
Quos  soles  et  non  jacuiaris  igoes?  » 

e  in  Seneca: 

<Ii;ne0qae  iorqae:  vlodlca  amissum  diem. 
laeolare  flammas;  lumon  crept  urn  polo 
VolmlnllNM  exple (T.a.y.Y.1085-d-7) 


J 


-  166  - 

4el  HI  atto  sc.  I  dell'Eccerinisil  TeUurerupla 
lar  preso  dal  (T.  att.  I  -  88)  Tellure  rupta  Hi 
Seneca,  o  i[  sospetto  d  tanto  pid  fondato  in  quaoto 
:be,  come  1'  Eccorino  invoca  il  sotterraneo  spi- 
[■ito  del  padre,  cosi  Tantalo  parla  di  divus  oa- 
jor  che,  rompeodo  dagli  abissi  delta  terra,  dif- 
'onda  la  peste  pel  mondo. 

Uo  verso  di  quellu  medesima  scena  delTieate, 

4 fratris,  et  fas,  et  fides 

lusque  omce  pereat >  (T.  I  —  47-48) 

ispfrb  probabiimeate  Yabsil  fides  pielasgue  no- 
stris  aciibus  semper  posto  in  bocca  ad  Ezzelino. 

A  qneste  rassomiglianze  di  linguaggio  certo 
:oa  un  esame  piil  paziODte  e  minuto  aitre  ae 
le  potrebboro  aggiungere  ;  ma,  baoehS  per  la 
SBssima  parte  in  esse  consistano  lo  imitazioni 
a  AlbertiDo  da  Seneca,  altre  DOn  ne  mancano 
]'  una  importanza  maggioro.  e  riflettoDti  tutta 
ana  mossa,  tutta  una  (tescriziooe,  tutto  an  pic- 
zolo  ^pisodio  0  iDcidente.Oi^,  parlandodelCoro 
lei  I  atto,  abbiamo  vistoqualcherassomiglianza 
'ra  1  due  poeti  noil'  iatooazione  e  nei  peosieri; 
ora  Dotiamo  dell'  altro. 

Uno  degli  sbiti  piii  ordinari  di  Seneca,  e  in 
jeoerale  d'ogni  scriltorodel  3uo  gusto,  S  quelle 
11  abbondonare  in  descrizioaii^da&rleeatrArQ 


—  ict  - 

anche  Ih  dove  men  ci  possono  stare.  Nell'  attd 
V  della  Troade^  per  esempio ,  il  Nunzio ,  cho 
viene  a  narrare  ad  Andromaca  e  ad  Ecuba  la 
misera  fine  di  Astiarotte,  credendosi  in  dovere 
di  descriyer  la  torre,  da  cui  il  fanciullo  fa  pre- 
cipitate, alio  due  denne,  come  se  partroppo  non 
fosse  a  lore  bon  nota,  dice 

«  Est  una  magna  turris  e  Troja  super 
Assueta  Priamo;  ecc (Tr.at.  Y  v.1068...) 

E  come  in  questo,  in  parecchi  altri  luoghi,  cod 
nel  IV  del  Tieste ,  ove  il  Nuozio ,  senza  scom- 
porsi  affatto  pel  Core,  che  i  sulle  spine,  volendo 
udire  il  misfatto  di  Atreo,  non  si  lascia  scappar 
Toccasione  di  regalar  lore  una  bella  descrizione 
del  luogo,  ove  il  delitto  fu  consumato.  Questa 
descrizione  6  importante  per  noi  in  quanto  Al- 
bertino  dovd  aver  la  presente ,  facendo  descri- 
vere  da  Adeleita  la  rocca  di  Romano,  ove  av- 
venne  il  monstruoso  adulterio,  quasi  che  ai  due 
flgli,  che  vi  erano  nati  e  stati  cresciuti ,  il  ca« 
stello  da  Romano  fosse  una  specie  di  sconosciuta 
Atlantide.  (1)  Nel  Tieste  stesso  Albertino  troy6 


(1)  Seneca: « In  area  summa  Pelopeae  pars  est  domus 
Conversa  ad  Austros,  cuius  extremum 

latus 
Aeciuale  monti  crescit  •  atque  urbem 


por  I'appariEiODe  di  Satanacolori,  cai  seppe  op- 
portunamenta  caricare  6  mettere  in  rilievo, 
usando  parole  die  cod  la  Joro  risooanza  e  latoro 
disposmone  rcndooo  assai  beoe  il  rumors  cnpo 
e  spaveotoso,  che  dovd  accompagDarla. 

Seoeca:  « imo  miigit  o  Tundo  solum 

ToDat  dies  aeronus;  ac  totis  domus 
Ut  fracta  tectis  crepuit...  (T.  at.  II 262-64). 
Albertiao;  «  Et  ecce  ab  imo  terra  magitnm  dedtt, 
Crepuisset  ut  centrum ,  et  foret   a- 

pertum  Chaos; 
Altnmque  versa  resonnit  coelam  -vice 
(At(o  I). 

Nd  basta :  cosa  curiosa,  Albertino  trasso  daSo- 
noca  aoche  la  doscrizione  del  dtavolo.  Ecco,  io- 
fatli,  Id  quali  tormioi  at  IV  Atto  delta  Fedra,  il 


premit  »  (Ties  a.  IV  641-43) 

c arz  ID  excelso  sedet 

Antiqua  colle,  longa  RomaDum  vocat 
Aelas ;  in  altum  porrigunt  tectum  trabes, 
Pfemitque  turrim  conligua  ad  Austrum 

domus 
Ventorum,  et  omniscladisaeriaeoapax 

(at.  I  scena  1) 


danzio  paria  del  mostro  che,   sorgendo   dalle 
onde,  fece  spaventare  i  cavalli  d*Ippolito : 

€  Caemlea  taurus  colla  sublimis  gerens, 
Erexit  altam  fronte  viridanti  jubam. 
Stant  ispidae  aares^  comibus  varius  color: 
Et  quern  feri  dominator  habuisset  gregis, 
Et  quern  sub  undis  natus,  hinc  flammam  vomit; 
OctUi  Mno  relucent^  caerula  insignis  nota 
Opima  cervix  arduos  tollit  tores : 
Naresque  hiiUcis  haustibus  patulae  fremunt » 
(Fedra  At.  IV  da  v.  1036  a  v.  1043). 

E  neir  EccerinU  ecco  il  diavolo  : 

«  Haud  Tauro  minor 

ffirsuta  adtmcis  corntbus  cervix  riget, 
Setis  coronant  hispidis  ilium  jubae, 
Sanguinea  biois  orbitus  manat  lues ; 
Ignemque  nares  flatiims  crehrts  vomunt. 
Favilla  patulis  auribus  surgens  salit 
Ab  ore  spirans.  Os  quoque  eructat  levem 
Flammam,  perennis  lambit  et  barbam  focus  » 

(At.  I). 

Descrizione,  questa ,  mirabile  e  immaginazione 
cod  finita  e  completa  nei  minimi  particolari,  che 
io  n  on  so  acconciarmi  a  non  credere  che  Alber* 

22 


tiDo ,  Del  (iarla ,  insieme  cod  Seoeca,  dod  dovd 
avere  dioaDzi  qaalche  bella  pittura  dei  saoi 
tempi. 

Delia  Btapeada  Eavocazione  di  Ecceriao  al 
demonio-padre  si  possoDO  troraro  qua  e  1&  i  pre- 
cedODtt  ID  Seneca  nolle  freqneuti  e  scipite  Idto- 
cazioQi  a  uelle  gonfle  imprccazioni,  cho  gli  eroi 
rivolgODO  ai  namt  (Tieste  At.  V  verso  1070  — 
Ero.  Et.  II.  256  -  Ipp.  III.  945  e  altrove) ;  ma 
ia  nesanDa  di  quelle  di  Soneca  si  trova  la  forza, 
la  rapidity,  la  beltezza  delta  iavocazione  di  Ez- 
zelJDO.  (I)  Nell' Atto  IV  deir  Eccerinis  il  Nanzio. 


(1)  Tieste—  I.e.  ^audite  Inferi,  audite  Ter- 

rae Tu  suinnie  coeli  rector violentum  into- 

iia>;  Atreo  nell*  Atto  II  cdiraFuriarumcohors — 
Discorsque  ErinDis  veniat  et  quatiens*;  all'Atto  I-2S 
«  Uegaera:  Certetur  ommi  scelero  et  alterna  vice  — 
striDgantur  eosea,  ne  sit  irarum  modus,  pudorve  — 
mentes  coecus  instriget  furor  ecc. »  —  Si  confroa- 
tino  questi  luoghi  con  tutta  la  invocazione  di  Bcce- 
lino  e  specie  cod  i  versi : 

«  Adsint  mioistrae  facinorum  comiles  mihi 
Suadeat  Alecto  scelera,  Tisiphone  esplicet, 
Megera  in  actus  saeva  prorumpat  truces, 
Faveatque  caeptis  Diva  Persepliooe  meis, 
logenia  praedae  quisque  sollicitus  paret 
Neo  laferorum  spirttus  quisquam  vacQt 


—  171  - 

cho  paragona  Ezzelino  al  lupo  sazio,  cadato  noi 
lacci,  ricorda  tanti  altri  paragon!  simili  di^e«> 
neca,  sebbene  ancho  per  quosto  lato  rimitazione 
di  Albertino,  mantonendosi  lontana  dalla  prolitf- 
sit4,  in  cui  Seneca  stempera  il  piil  piccolo  pen- 
siero,  riesca  per  ci6  solo  piu  efflcace  (vedi  Ties. 
At.  IV- 707,  711,  733,736— Edipo  At.  V-919ecc.). 
Seneca  preferisce  di  solito  i  paragon!  con  il 
libico  leone,  ma  Albertino,  con  maggior  conve- 
nionza,  sceglie  il  lupo,  di  cui  fa  quella  bellissi- 
ma  descriziono. 

<  Facit,  ut  alvo  lupus 
Pleno  repulsus,  dentibus  frendens»  canes 
Qui  cum  latrantes  conspicit,  multam  ferox 
Exorespumammittit,etorbes  rotat  >  (At.  IV) 

L'atto  ultimo,  per  le  atrocity  ivi  ritratte,  doveva 
naturalmente  togliere  parecchio  a  prestito  dalle 
tragedie  spettacolose  di  Seneca  ,  il   quale  par 


Animos  ad  iras,  ad  odia,  at  invidia  citent. 

Ensis  cruenti  detur  officium  mlhi. 

Ipse  executor  finiam  lites  merus, 

NuUis  tremiscet  sceleribus  fidens  manus  », 
e  si  avrk  un*  altra  ragione  per  ammirare  il   Mus- 
sato  che  anchc  nell*  imitazione  si  sappia  mantenerQ 
ianto  originale. 


I 


)ra  qaal- 
rticolare 
'aDciallo, 
sbattuto 
ro,  6  ri- 
]uasi  con 
10  dei  fi- 
farore. 
illo  pre- 


ena  duo 
il  poeta 
la  aaima 
iDciallo  d 

)BCU«D1 


IS  pes  ion  e 
la  descrl- 


—  173  — 

capiU  si  sfracassa  contro  la  parete ,  il  sangae, 
che  ne  sgorga,  schizza  in  viso  alia  porera  ma- 
dre.  Ne  mono  straziante  e  il  contrasto  fra  1*  in- 
Doceote  ingenuo  bambino  che  corre  ad  un  sol- 
dato,  chiamandolo  zio ,  e  la  crudelt&  di  oostai 
che  lo  uccide  e  ne  inflgge  il  capo  su  di  un'  asta. 
Anche  per  quosto  piccolo  episodic  Tidea  doyette 
essergli  suggerita  dall*  Ercole  Furens  (at.  IV  - 
1002),  dove  il  figliaoletto  di  Ercole  «  blandas 
mantes  ad  genua  tendens,  voce  miseranda  ro- 
gat:^  il  padre  maniaco. 

Niccold  Villani  da  Pistoia,  nel  suo  breve 
commento  air  EcceriniSy  nota  come  qaesta  , 
contro  Tuso  ordinario  della  Tragedia  greca,  e 
ad  imitazione  del  solo  Ercole  Eteo,  tormina  con 
il  Goro,  il  quale  si  neiruno  che  neU'altro  poeta 
d  scritto  con  lo  stesso  metro.  A  tale  proposito 
d  da  osservare  che  anche  VOtiavia  (1)  tormina 
col  Core,  sebbene  esse  vi  faccia  da  personaggio 
che  opera,  non  da  spettatoro  che  giudica;  quan- 
to  poi  air  Eccerinis  diciamo  cho,  se  neir  Er- 
cole  Eteo  il  Goro  finale  era  piu  o  mono  una 
superfluity,  qui  invece  era  imposto  necessaria- 
mente  dair  indole  del  componimento,  scritto  dal 


(1)  Dal  Mussato  e  forse  anche  dal  Villani  VOt- 
tavia  era  tenuta  per  opera  di  Seneca. 


-174  - 

Massato.  L'  ultimo  atto,  iofatti,  ood  d  costftaito 
chQ  da) la  narraziooe,  dialogata  id  apparenta.dal- 
1'  eocidio  di  S.  Zewme,  ma  non  vi  d  ombra  di 
azions  Bceoica,  nd  di  catastrofe,  essendo  i  fatti 
osposti  in  modo  che  il  lettore  o  lo  epettatore 
non  DO  ha  impreasioDd  talo  da  poter  andar  via 
dal  teatro  senza  roler  sapere  altro  e  riserban- 
dosi  di  trar  da  sd  lo  considoraziooi  su  quel  che 
ha  voduto.  Ognuno  intende  come  sarobbe  paraa 
monca  e  fredda  percib  la  chlusa  detla  tragedia, 
sODza  queir  iatervento  in  corto  modo  dramma- 
tico  del  Coro,  cha  riflatte  su  quanto  si  d  detto 
e  visto  e  fa  la  morale;  morale  del  resto  oecos- 
saria  ad  esser  posta  in  evidenza,  perchd  il  la- 
Toro  del  Massato  a'  iDdirizzava  a  ua  fine  prati- 
co,  8  Toleva  essere  ammonimento  a  an  tempo 
ai  sQoi  coQcittadjni  e  a  Can  Oratute. 

Chi  abbia  avuto  la  pazieoza  di  seguirci  per 
tutto  questo  coDfrooto  si  d  accorto  che  la  tra- 
gedia di  Senoca,  che  piil  spesso  occorro  citare 
in  questi  raffronti,  6  it  Tteste,  e,  dope  di  quo- 
Bta,  VErcote  Furente.  La  ragioue  di  questa  imi< 
taztoae  prevalente  6  in  certo  modo  ovvia;  eran 
quelle  le  duo  tragedie  (la  prima  pitl  special- 
roonte),  che  per  la  truco  ferocia  degli  argo- 
mentj  potevan  porgere  piii  nuinerosi  colori  al 
Mussato  nalla  dipintura  dolle  rerocie,  commesse 
da  Ezzelino  e  poi  dai  nemlci  di  lui  contro  A,l- 


b  erico  e  la  sua  famiglia.  II  Mussato,  pur  aveii- 
do  fatto  oggetto  di  lungo  studio  tutte  le  tr  age- 
die  di  Seneca,  prima  di  mettersi  a  scriyere  il 
suo  layoro,  doyette  leggere  con  maggiore  atten* 
zione  quelle  due,  con  il  conyincimento  e  il  de- 
siderio  di  trovaryimotiyida^imitare.  Data  I'am- 
mirazione^  che  ai  tempi  del  Mussato  si  pro- 
fessaya  per  le  ragioni  dette  senza  disUoziono 
agli  scrittori  latini  e  specie  a  quelli  della  pri- 
ma decadenza,  come  Seneca,  Oyidio ,  Lucano  , 
Stazio  ecc,  Albertino  doyeya  per  necessity  a- 
yer  r  ambizione  d*  imitare  il  tragico  latino.  La 
epistola  I.*  yerso  130  6  troppo  chiara  a  questo 
riguardo,  perchd  si  possa  affermare  il  contra- 
rio  :  dope  ayer  enumerate  di  nuoyo  le  tragedie 
di  Seneca,  con  rimpianto  non  simulate,  dice  che 
la  sua  non  ha  nessun  titolo  per  ossere  annoye- 
rata  insieme  con  quelle,  musula  non  tantis 
aequiparanda  vents. 

n  proposito  del  Mussato  6,  dunque  ,  assai 
manifesto;  e  se  la  sua  imitazione,  come  abbiam 
yeduto,  6  limitata  soltanto  al  linguaggio,  a  qual- 
che  descrizione,  a  qualche  immagine,  a  qual- 
che  particolare,  anche  in  qnesti  limiti  eglisce- 
glie  per  lo  piii  ci&  che  yi  6  di  meglio  in  Se- 
neca e  il  peggio  corregge  e  modiflca.  Non  tro- 
yiamo  in  lui  tutto  r  affastellio  di  erudizione  mi- 
tologica,  tutto  lo  strascichio  di  metafore,  tutta 


[)ilnnnAn«A  nninsa,  chfl  S  in  SaDSCa,  od  1 

protagoDlsta  o  del  Deus 
.aao,  como  a  dire,  il  pro- 
istaDziato  di  quello  che  si 

L'  ampoUositii  predicato- 
\  compilator  di  sermoni  e 
ire    rianca   qoasi  iatera* 

e  aQ  quQsto  come  altri 
lOD  accado  gi&  probabil- 
ao  li  OTitasse  di  proposito, 
ti,  che  anzi  Diente  forse 
tcinto  cbe  garre^iare  an- 
1  poeta  latino,  ma  perchd 
<rz6  in  certo  modo  la  mano 
tro  TOglia  ,  lontaao  datle 
accherecci  di  Seneca. 
HOD  air  iotenzione  del  poe- 
fatto  riuscl  la  saa  trage- 

quanto  abbiam  gift  avver- 

cfod,  riu3cl  tutta  estrin- 
ro  che  ensa  era  una  ne- 

poeta,  il  quale,  siocome 
igaa  della  vita  pratica,  a- 
irsi  ii  linguaggio  sa  qual- 

per  la  Tragedia  neiraoi- 
in  Seneca.    AH'  iofuori  di 

estrinseca,  r  Bccerinis  6 
iragedie  di  Seneca ,  a  ca- 


-ITT 

gione  della  natara  deir  argomentOy  ohe  per  la 
sua  realtjt  storica  non  si  pa&  afbtto  paragonare 
ai  soggetti  mitici,  racchiadenti  on  alto  concetto 
fliosoflco,  delle  tragedie  latine.  E*  state  inoltre 
osservato  bene  che  1*  Eccertnis  si  scosta  total - 
mente  nella  condotta  dalla  tragedia  di  tipo  das- 
sico,  in  qnanto  ia  ossa  non  si  yede  nd  anit&  di 
tempo,  nd  di  luogo,  n6  di  azione.  Non  abbiamo , 
infatti/in  essa  an  fatto  anico»  ma  tutti  i  fatti> 
e  non  del  solo  Ezzeliw ,  ma  anche  della  fami- 
glia  di  Ezzeliuo;  dal  memento  della  rivelazione 
di  Adeleita,  che  sogna  I'entrata  dei  due  fratelli 
nel  mondo  politico,  fine  alia  morte  lore  son  se- 
guite  dal  poeta  le  vicende  di  Eccerino  ed  Al- 
berico,  i  due  figli  del  demonic.  L'unit&  biogra- 
flea  che  il  D*  Ancanaha,  saputo  vedereneltea- 
tro  sacro  medievale  in  luogo  deli*anit&  d'azione 
d  qui  allargata  ancora  di  pid,  nell'  anit&  /bmi- 
gUare,  vorrei  dire ,  e  cicUca.  Data  una  cosl 
grande  molteplicit&  di  cose  e  di  fatti,  che  si  vo- 
lean  mettere  insieme,  era  impossibile  il  rappre* 
sentartt  tutti,  ma  si  rendeva  necessario  il  nor-' 
rarli;  e  di  questa  confusione  dei  limit!  della 
narrazione  e  della  rappresentazione ,  penso 
che  nessun  grave  appunto  si  debba  fare  al  Mas- 
sato,  se  egli  ne  trovava  cod  larghi  esempigi& 
in  Seneca,  che  pure,  per  la  natara  delle  sae 
favolO;  non  ne  ayrebbe  avuto  gran  bisogno.  Oo- 


i 


—  118  — 

manque,  a  scegliero  dalla  vita  di  EcceriDD  un 
fatto,  UQ  momeDto,  tntoroo  a  cui  come  a  noc- 
ciolo  intessere  la  tratna  di  una  tragedia  3ul  tipo 
classico,  AlbertiDO  correra  oecessariamento  pe- 
ricolo  di  alloDtanarai  dalla  storia,  dal  che  non 
solo  per  iDclole  ripugaava,  ma  ancho  dOTeva  es- 
ser  diasuaso  pel  fatto  cho,  ossendo  la  storia  della 
vigilia  qaella  da  lui  scelta  ad  argomento ,  era 
pi{)  0  mono  a  conoscenza  di  tutti.  Gosi  facdudo 
del  resto,  sarebbo  voriuto  a  mancare  lo  acopo 
prdstabilitosi  oello  ecriTore  la  tragodia  ,  giac- 
chd  uo  serio  ammonimento  ai  Padovani  noa  po- 
tevasi  dare  se  non  niettendo  loro  sott'  occhi 
tntta  la  storia  e  la  mala  signoria  di  Ezzelino 
oelle  cause  che  la  produssero  e  nello  conso- 
gueazo,  di  cui  fu  gravida.  Ud  incoraggiamooto 
a  porlare  una  coal  ardita  inno'vazione  in  ana 
forma  istteraria  classica ,  di  cui  si  ToniTano  a 
rinoegare  tatte  lo  tradiziom,  dovette  ricevere 
AlbertiDO  dalle  sacre  rapprcseotazioDi,  che  per 
opera  ddlle  compagnie  di  Fiaggellanti ,  sorte 
precocemente  in  Padova,  vi  avevan  luogoeat- 
tiravaoo  il  popolo  in  folia;  eforse  fu  questo  un 
altro  sacriflcio  del  patriotta,  fatto  ai  saoi  gusti 
di  lettfirato,  pur  di  rondere  accetto  al  popolo 
il  suo  laroro  e  ottenere  cosl  il  suo  iotento. 

Perci6  fu  bon  dotto  che  il  Mussato,  con  le 
soe  inooTtizioni,  preannaozia  il  teatro  moderoo, 


—  17»  — 

libero  quasi  affatio  da!  vincoli ,  che  tengono 
stretto  il  teatro  classico,  mentre  per  la  cara 
della  forma  ,  per  la  bellezza  artistica  mostr6 
con  resempio  che  bisognava  studiare  quell*  an- 
tichitjt,  per  lo  innanzi  tanto  disprezzata.  Se  il 
rioascimento  delle  lettere  classiche  ebbe  in  fondo 
r  effetto  di  ingrossare  il  seoco  70lume  delle  ae- 
quo della  civilt&  medievale  con  quelle  piu  pure 
e  pxix  fresche  della  civilt&  classica,  ben  pu6  met- 
tersi  Albertino  tra  i  maggiori  precursori  del- 
r  Umanesimo. 

A  non  considerare  se  non  la  sua  opera  di 
drammaturgo,  egli  ben  ottenne  questo  con  la 
tragodia;  piu  felice  in  ci6,  almeno  neirinten- 
zione  del  Poliziano,  che  un  secolo  e  mezzo  dope 
di  lui  air  argomento  antico  intrecci6  la  forma 
nuova,  mentre  egli  ad  un  argomento  della  vita 
contemporanea  diede  porfezione  di  forma  antica. 
E  questo  era  ancho  in  fondo  il  concetto  di  Dante, 
che  la  materia  della  Divina  Commedia  vestiva 
del  beUo  stiles  tratto  da  Virgilio. 

La  conciliaziono  del  moderno  con  1*  antico, 
tentata  da  Albertino,  si  rivela,  poi,  anche  nolle 
quality  della  lingua  da  lui  usata.  Non  d  la  lin* 
gua  ciceroniana,  aurea,  perchd  essa  V  avrebbo 
fatto  intondere  difficilmonte  al  sue  tempo,  e  ob- 
bligato  a  circolocuzioni  ed  a  sotterfugi,  per  e- 
sprimere  idee  e  bisogni,  che  la  lingua  di  Oice- 


—  lffl>  — 

rone  noo  poteva  esprimere;  ma  tattavia  ,  cor- 
retta  grammatical  men  te  e  siotatticamente,  corre 
spedita  e  franca  dal  punto  di  vista  lessicale,  in 
qnanto  con  parsimonia  si,  ma  anche  con  disin- 
voltara,  usa  parole,  cho  invano  si  cerchereb- 
bero  nel  vocabolario  latino  deir  alta  e  della 
bassa  latinit&  (1).  —  Ma  inquella  sua  liere  im- 
purita,  come  la  lingua  si  piega  bene  ad  espri- 
mere qualanque  cosa  voglia  il  poeta,  la  feroce 
superbia  di  Ezzelino,  non  meno  della  piet&  per 
le  sue  vittime,  o  dello  sdegno  del  cittadinoper 
lo  scempio  della  patria;  sicchd  disadorna  e  nuda 
per  lo  piuy  oscura  talvolta  nella  studiata,  ner- 
vosa concisione  (2),  non  d  mai  inefflcace  o  priva 
di  forza. 

Per  tutti  questi  pregi  la  tragedia  di  Alber- 
tino  Mussato  vuol  tenersi  fra  le  Opere  piu  im- 
portant!, venate  fuori  in  quel  secolo  meravi- 
glioso  per  la  storia  artistica  del  nostro  paese  » 
qual*  i  il  trecento,  per  tutti  questi  pregi  e  per- 
chd  meglio  di  tutte  le  altre  opere  del  Mussato 
rispecchia  1*  anima  grande  deir  autore.  Alberti- 
no,  infatti,  chiaro  precursore  del  Rinascimento, 


(1)  Le  parole:  Sonus  per  sonitum,  [bullire  per 
/ervere,  e  cosl  effulminare,  spatulae,  tumba  ecc. 

(2)  Speciatur  queritur  judicii  parum. 


—  181  - 

mentre  S  una  di  quelle  figure  geoialmente  mnl« 
tiformi,  di  cui  fu  cosl  ricco  il  nostro  Rinasci- 
mento,  come  letterato  e  contemporaneo  dei  no- 
stri  grandi  trecentist!  6  degnissimo  distar  loro 
accanto.  Imperocchd  a  Dante  lo  ravvicinano  » 
seoza  dubbio,  la  tempra  di  acciaio  ,  i  principii 
politici,  I'amor  di  patria,  e  coi  poeta  di  Laura 
ha  comune  V  amore  intense  per  la  letteratura 
classica,  la  conoscenza  di  essa  e  la  molteplice 
variety  della  produzione  letteraria,  oosi  che,  se 
del  Petrarca  si  pole  dire  che  scrisse  una  euci- 
clopedia  in  latino,  non  mono  si  pu&  aSermare 
del  Mussato,  ove  si  tenga  conto  non  solo  delle 
numerose  opere  di  lui,  a  noi  pervenute  »  ma 
anche  di  quelle  che  andarono  disperse. 


'%  >v  ■   v»^EZ7'^" 


r 


^ 


INDICE 


Capitolo  I.  «  Se  il  Mussato  attinse  ad  una 

leggenda  d*  Bzzolino  »  pag.      5 

Capitolo  n.  «  L'Eccerinis  e  la  storia  di  Pa- 

dova  » pag.    40 

Capitolo  III.  «  Esame  estetico  dell'  Ecce- 

rinis  » pag.    82 

Capitolo  IV.  «  L' i  mitazione  da  Seneca  »  pag.  121 


«v- 


MAHIO  MANDALAEI 


SAG6I  CRITICI 


CITTJ 

,    LAPI    t: 


Si  ftfraano  per  coutn&ttl 
il  gU  ssemplari  >eai&  !■  mla  fl] 


fbofbistA  lettebabia. 


AV    cos\aTv\e    \Ta\eTi\a    ai:u\c'\2.Va    con    at^lmo 
^Ta\o  'in   -^ma  xve\  mejc   i\   a^n\c  l^OS. 


MATELDA 


Di  Matelda  finora  i  Commentatori  lianno  pre- 
sentato  ben  sette  figure  storiohe: 

1*  La  Contessa  Matelda  di  Canoasa,  figliuola 
d'una  figliaola  dell' imperatore  di  Costantinopoli, 
che  ebbe  in  Italia  molto  paeee,  che  arricchi  la  ohie- 
sa  romaua  gaanto  piii  pot^,  e  che  fu,  secondo  11 
Landino  "  proba,  savia  a  yirtuosa  „  donna  ; 

2'  Matilde,  madre  di  Ottone  il  Grande,  moglie 
di  Arrigo  I  I'lJocellatore,  morta  nell'anno  968; 

3*  Santa  Matilde  di  Haekenhom,  monaca  bene- 
deUina  del  convento  di  Helpede,  presso  Eisleben, 
morta  vereo  il  1310; 

4*  Smora  Matelda  di  Magdeburg,  in  nno  ecritto 
della  quale,  del  1360,  al  Preger  parve  di  vedere  al- 
cani  curiosi  ed  importanti  riscontri  co'  versi  di 
Dante; 

5*  La  Donna  gentile  della  "  Vita  naova  „  e  del 
"  Oonvivio  „ ; 

6'  QnellMmtca  di  Beatrice,  intorno  alia  quale  il 


diviuo  Foeta  sorlsse :  "  Fiaugete  amanti,  poicbS 
piange  Amore  „ ,  e  "  Morte  villana  di  piet&  no- 
mica  „ ;  finalmente : 

7*  Madonna  Oiovanna  di  Qaido  Cavalcanti,  arni- 
ca e  oompagua  di  Beatrice. 

Di  totte  queste  Matelde  si  -puit  (e  coea  non  sauao 
e  noil  posGono  dimostrare  i  CriticiP)  si  pn6  provare 
nou  solo  la  esistenza  storica,  o,  come  ora  si  direbbe, 
la  verity  estetica ;  ma,  guello  che  h  piu,  si  pn6  an- 
ohe  prorare,  o  eosteuere,  I'aatenticitA  della  inspira- 
zione  e  del  ricordo. 

Si  poBBono,  seoonilo  noi  pensiamo,  tutte  le  Ma- 
telde storiohe  escludere  dalla  Commedia,  e  tatte  pos- 
eono  essere  ugualmente  aooettate  e  soetenate.  Que- 
eto  6  del  resto  di  tntte  le  graadi  oreazioni  ed  inspi- 
razioni  d'arte,  le  quali,  appunto  perohe  grand!  crea- 
zioni  ed  inspirazioni  d'arte,  non  hanno  limiti,  nh 
confini,  ma  empiono  di  loro  tutta  la  scena  e  d&nno 
gran  parte  di  lore  a  tntto  I'orizzonte,  veduto  e  mo- 
stato  dallo  sorittore. 

Si  parla  di  Matelda,  grida  forte  uu  Critico,  nou 
si  fa  altra  indicazione,  ed  h  lectio  poi  pensare  ad 
un  personaggio,  che  non  eia  I'intima  e  grande 
arnica  di  G-regorio  YII?  E  il  dotto  Scartazzini  ri- 
sponde  che  la  Gran  Gontessa  di  Toscana  moii  vec- 
chia,  di  68  anni ;  e  che,  inveoe  la  Matelda  e  rap- 
presentata  "  giovane  gracile,  moUe,  tenera,  il  citi 
sembiante  mostra  ch'EUa  si  scalda  a'  raggi  d'amo- 
re„. 

Grede  coai  lo  Scartazzinl  di  aver  chiuBo  la  boo- 
ca  agli  avversari  con  queato  argomento  e  non  ri- 
corda  panto  qoanto  al  proposito  scrisse  san  Tom- 


maso  ohe  "  omnes  resurgent  in  aetate  juvenilis  ; '  e  cht 
Lia,  apparsa  in  sogQO,  sebbene  sia  morta  gU  veo 
chia,  si  mostra  al  Poeta  "  giovane  e  bella  „,  olie  co 
gilie  fiori  come  una  donna  delle  nostre  campagno 
inQamorata  cotta,  come  ora  si  direbbe. ' 

S  oosi,  ciasouno  per  il  sao  personaggio,  ogni  com- 
mentatore  dice,  pid  o  meno,  la  stessa  cosa,  fino  al 
Borgognoni,  che  in  aria  di  grande  contentezza  ee 
gne  il  penstero  dsl  GSachel  ed  addita  in  un  snt 
scritto  BQ  queato  argomento  la  Donna  g&iUle,  pni 
ammettendo  che  costei  potesse  non  chiamarsi  oomc 
Dante  la  ohiatu6,  Matelda ;  auzi  pure  offermaDdc 
che  le  Matelde  fiorentine,  a'  tempi  di  Dante  fosserc 
poche,  ben  poche  (le  note  furono  solamente  due} ;  uu 
ch©  tatto  cotesto  pu6  essere  awenoto:  1°  o  perch^ 
il  uome,  po&sibilmente  traditore,  non  potesBe  essere 
messo  in  verai ;  2°  owero,  perche  il  vero  name  «>■ 
nando  metier  potesae  produrre  un  effetto  sgradevole  i 
quasi  ridieolo, 

Ed  ecoo,  per  sentenza  di  nn  oritico  italiano,  i 
pifi  grande  dei  Poeti  e  degli  artisti,  oolai  che  noi 
ha  avuto  ritegno  di  fare  dei  versi  come  quelli  ohe  in' 
dioano  il  suono  del  ghiaccio  e  del  vetro  guando  si 
spezza  (criceh;  Inf.^  32,  33)  j  oolni  che  non  ebbe  sog- 
gezione  alcuna  di  gridare  forte  contro  alonni  suoi 


>  Sam.  Ih.,  p.  m,  ^n.  XLVI,  art  9 ;  «&*d.,  SuppL  qn.  T.YTtTr 
«rt.  1. 

■  Lo  SokrtaBzini,  devo  pure  qui  agginogere,  dopo  aver  letto 
<|neato  mio  lavoro,  ha  diobiarftto  nelld  Enndopedia  danKtea, 
sab  MaUlda,  pog.  1217,  di  rinuHMr  femto  nalla  *va  opintene.  Nt 
■one  proprio  doleate;  ma  onohe  io,  dopo  aver  letto  qnanto  egl: 
soriBBS  in  propoaito  nella  Enciehpedia  iuddetta,  aono  rinuMtc 
fermo  nella  mia  opinions. 


—  6  — 

illastri  contemporanei,  morti  e  viventi  al  tempo  suo, 
oostui,  proprio  oostui,  esser  divenuto  iino  scolaret- 
to,  uno  scrittore  nuovo,  che  ha  paura  di  dire  quello 
che  sente  e  d'indicare  una  donna  di  gloriosa  me- 
moria  (gloriosa  per  un  modo  di  dire)  col  suo  vero 
nome ! 

Ben  altro  ci  pare  debba  essere  il  metodo,  che  bi- 
sogna  seguire  nella  ricerca  del  significato  di  questa 
splendida  figora  simbolica,  una  delle  pifi  belle  e  ca- 
ratteristiche  figure  femminili  della  Divina  Com- 
media. 

E,  dioiamo  subito,  pare  a  noi,  anzitutto,  che 
in  questa  grande  creazione  non  abbia  alcuna  parte 
(n6  grande  n6  piccola)  la  storia;  ne  la  storia  ci- 
vile di  Firenze  e  d'  Italia,  nk  la  storia  intima  e  do- 
mestica  del  divino  Poeta.  Non  sono  sempre  ne- 
cessari  i  fonti  stofici  nelle  creazioni  grandi  dell'arte* 
Diciamo,  anzi,  di  piu,  che  certe  volte  a'  poeti  il 
ricordo  storico,  il  desiderio  di  non  guastare  od  al- 
terare  la  storia  tolse  pregio  al  verso  e  merito  alia 
inspirazione.  E  che  sia  cosi,  basta  guardare  tutti 
i  poemi  epici  in  generale,  e  quelli  di  Torquato 
Tasso  e  del  Trissino  in  particolare !  Crediamo,  in 
conseguenza,  che  siffatta  grande  creazione  dantesca 
possa  avere,  abbia  anzi,  le  sue  origini  e  la  sua 
spiegazione  nel  nome,  nel  solo  nome,  Matelda^  di 
indole  e  di  carattere  teutonico,  il  qual  nome  a  Dante 
parve  {ae  gli  etimologi  dicon  vero^  come  pure  afierma 
il  Borgognoni)  %ignificare  ^  figlia  animosa  „ ,  la  quale 
spiegazione  in  ogni  parte  risponde  al  vero  carat- 
tere della  Donna  che  precede  I'apparizione  di  Bea- 
trice nel  Paradiso  terrestre. 


k 


E  forse  questo  metodo,  retimologico,  potrebbe 
servire  anche  per  inteudere  la  figara  di  Beatrice. 
Ma  noQ  andiamo  oltre ;  fermiamoci  alia  spiegaziond 
di  Matelda,  rifaceudo  da  oapo  la  presentazione  che 
Dd  fa  Dante  negli  nltimi  canti  del  Purgatorto. 


Prima  ancora  che  la  notte  avesae  in  ogni  loco 
dispiegato  il  Dero  eno  velo,  i  tre  viaggiatori  (Vit- 
gilio,  Stazio  e  Dante),  stanohi  dell'erto  oammino, 
fecero  letto  d'un  gradino  dell'tiltima  scala,  donde 
piccola  plaga  di  oielo  potea  vedersi;  ma  in  qaella 
plaga  di  cielo  Dante  vide  lo  splendor  delle  stelle, 
ancora  piii  ohiaro  e  maggiore  del  loro  solito.  Rumi' 
nando  come  ana  oapra,  cio6,  pensando  meglio  alle  coee 
vednte,  Dante  fu  sorpreso  dal  sonno;  uno  di  qnei 
Bonni  d'animo  irrequieto,  d'an  nomo  di  spirito  su- 
periore,  che  crede  sinceramente  d'essere  gib,  desti- 
nato  ad  intendere  ed  a  spiegare  tntte  le  verity  d'or- 
dine  civile  e  religioso,  aache  per  aiato  sopranna- 
tnrale.  Fu  Borpreso  adunque  da  qnel  sonno  ohe 
"  sovente.  Ami  che  H  fatto  sia,  sa  le  noeelle^. 

Sono  note  a  questo  proposito,  le  opinioni  degli 
antichi  Scrittori  intorno  ai  sogni  fatti  presso  I'aaro- 
ra.  "  . , . .  glib  Auroram  iam  dormitante  Lucina,  Tem- 
pera quo  cemi  aomnia  vera  golent  „.'  Anche  il  Boc- 
caccio ha  oreduto  che  delle  oose  vednte  nel  sonno 
'  molte  esseme  awenute  si  trtiOva„.*  E  lo  stesso 
divino  Poeta  altrove  dice  ohe  "  presto  al  matUn  del 

'  0»m.,  Saroid,  Ep.  XIX,  196. 

•  D«.,  rv,  6. 


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il 


—  8  — 

ver  si  sogna  ^  '  e  spiega  cosi  questo  fenomeno  della 
Psiohe ;  ^  La  mente  nostra  pellegrina  PiU  della  came 
e  men  da'  pensier  presa^  aUe  sue  vision  quasi  i  di- 
tnna  ^^  ^  II  sogno  afferma  il  Passavanti^  che  si  so^ 
gna  daUa  nona  ora  delta  notte  infino  al  prindpio 
deW aurora,  dicono  che  si  dee  compiere  infra  una  an^ 
no,  0  sei  mesi  o  tre,  o  infra  il  termine  di  died  di. 
E  questi  sogni,  che  si  fanno  intomo  alValba  del  cH, 
secondo  ch'e*  dicono  sono  i  piu  veri  sogni  che  si  fac- 
ciano,  e  che  meglio  si  possano  interpretare  le  loro  si- 
gnifieazioni  ^ .  ^ 

E  notevole  assai  an  altro  sogno  che  il  Poeta  eb- 
be  nel  Purgatorio  nell'ultim'ora  della  notte :  "  Net- 
Vora  che  non  Pud  calor  diumo  Iniepidar  piu  il  fredr 
do  deUa  luna  ^  ;  nel  qual  sogno  egli  vide  la  ^  Femr 
mina  haJba^  Con  gli  occhi  guerci  e  sovra  i  pih  distort 
ta,  Con  le  man  monche  e  di  colore  scicUba  „  ;  imma- 
gine  vera  e  compiata  de'  peccati  di  avarizia,  gola 
e  lussuria,  che  si  espiano  ne'  tre  ultimi  cerchi  del 
Pargatorio.  E  vide  poi  nello  stesso  sogno  '^  la 
donna  santa  e  presta  „ ,  che  frndendo  i  drappi  a  qnel- 
la  bruttissima  femmina,  le  apre  il  ventre  e  desta 
il  Poeta  ool  puzzo  che  nsciva  da  esso :  *  descrizio- 
ne  anohe  vera,  viva  e  compiata  dell'affermazione 
della  coscienza  e  del  carattere  di  colai,  che  6  stato 
lasingato  ed  ingannato  dal  vizio. 

Non  bisogna  danqae  dimenticare,  per  intendere 
bene  il  signifioato  della  Matelda,  il  significato  che 


«  Inf.,  XXVI,  7. 

*  Purg.,  IX,  16. 

*  SpecMo  di  v,  p.,  pag.  407,  Firenze,  1843. 

*  Pvsrg,,  XIX,  1. 


hauno  i  aogni  uon  eolo  nelle  opioioni  degli  anttoh 
Sorittori ;  ma  anche  in  tatta  la  Commedia,  che  6  il  pii 
importonte  sogno,  immagiDato  da  mente  di  poeta 
descritto  in  tutti  i  suoi  particolari  appanto  pe 
dare  alia  narrazione  colore  vivo  ed  alto  dL  santit 
e  di  paradiBO.  In  essa  le  passioni,  gU  odi,  le  paure 
i  rispetti  amani,  le  afTermazioui  del  mondo  non  dc 
vevano  avere  alcuna  importanza.  Doveva  quell 
narrazione  parere  voce  veuata  dal  Cielo  per  sal 
yezza  di  tutti ;  ed  il  Poeta,  spoglio  de'  suoi  vizi,  i 
mondo  di  tutte  le  9ae  passioni,  doveva  eforzarsi  d 
parere  a  tutti  un  Apoatolo,  simile  a  quel  Vas  d'ele 
zione,  rapito  al  Bebtimo  Cielo  per  1'  inoremento  de! 
Cristianesimo ! 

Kon  i  la  Divina  Commedia  poesia  sociale,  o  na 
zionale,  o,  come  a  molti  parve,  poesia  individnal« 
voce  d'aomo  gridante  nel  deserto ;  ma  h  la  pift  alti 
e  3oave  poesia,  destinata  dallo  stesso  suo  Autore,  i 
&re  an  qnesta  terra  felici  tutti  gli  uomini,  di  tutte  I 
oondizioni  sooiali,  dal  piu  dotto  al  pii!i  ignorante  ;  da 
pifi  nobile  al  pifi  plebeo;  dal  piii  forte  al  pifi  de 
bole.  La  Divina  Commedia  6  la  piu  nobile  ed  alt 
poesia,  che  abbia  finora  inapirata  il  Cristianesimc 
che  ebbe  sempre  caratteri  e  forme  geuerali  ed  uni 
versali  in  ogni  sua  manifestazione  e  rivelazione! 

In  qnesto  sogno  Dante  vide  nna  Donna  gio 
vane  e  bella  ooglier  fiori.  II  luogo  era  una  landa 
cio6  un  prato ;  e  I'ora  era  presso  al  mattino,  quandi 
Venere  vibra  i  primi  auoi  raggi  sulla  grande  mon 
tagna:  ciroostanza  che  non  laacia  dubbio  alcnm 
Bulla  veritji  del  aoguo ;  perch^,  giusto  in  quell' ora 
i   aogni   dicon   vero,  e  fanno    vedere    ci6    che  po 


—  10  — 
veramente  acoade,  ginsta  ropinione  prevalente  nel 
seoolo  XIV. 

La  donna,  cosl  andando,  oantava,  e  si  riyelaTa 
per  Lia,  figUaola  di  Labauo,  prima  mogUe  cli  Qia* 
cobbe,  la  qnate,  pe'  Padri  della  Chiesa,  e  Btmbolo 
della  vita  attiva,  cioe  militante,  operosa;  a  di£Fe- 
renza  di  qaella  contemplativa,  ohe  6  rappresenta- 
ta  nelle  Baore  Carte  da  Bachele. '  Inutile  aocen- 
nare  alle  parole  di  s&n  Gregoho:  "  Quid  per  Liam 
niti  activa  vita  signatur  „.'  Ed  iniitile  anohe  di- 
mostrare  con  le  parole  stesse  del  Poeta  il  signifi- 
cato  di  qnesta  Lia,  veduta  in  segno.  "  lo  mi  ador> 
no,  ella  dice,  con  le  mani,  oio6  uon  le  opere,  per 
piacere  a  me  steBsa,  qnando  sar6  innanzi  a  Dio. 
Mia  sorella  Bachele  ha  sempre  dinanzi  a  se  Iddio ; 
Itachele  non  ha  biBoguo  di  far  tutto  questo:  mai 
non  si  amaga  Dal  auo  miragUo.  E  la  presenza  di 
Dio  la  consola  tanto,  che  non  ha  bisogno  delle  bno- 
ne  opere,  delle  quali  lo  ho  biBOgno,  per  intendere 
le  eterne  bellezze,  Sono  gli  occhi  (il  pensiero  fisso 
in  Dio)  i  eolt  organi  dei  suoi  godimenti,  mentre  io 
devo  afiaticarmi,  con  le  opere  {con  le  manx)  per  awi- 
cinarmi  a  lui  „.  fc  I'antioo  teorema  criBtiano :"  Memo- 
rare  noBtssima  tua  et  in  aetemum  non  peccabis  „ . 

Ma  gli  splendori  antelueani,  che  sempre  prece- 
dono  I'Aurora,  maudano  via  quella  dolce  viEione, 
quel  dolce  canto,  qaella  dolce  e  semplice  rivelazio- 
ne  simbolica ;  fuggono  le  tenebre  da  tatti  i  lati  ed 


*  In  tal  raodd  le  int«M  Miohelangslo,  ohe  le  scolpl  eon  eo- 
oellenti  pauneggi,  sal  iepaloia  di  Oiolia  II,  preuo  aX  UoBfr, 
in  San  Pietro  in  Vinoali,  oain'6  Btato  dimoBtnto  da  recenti  do- 


*  aoT.,  lib.  Till,  (»p.  2 


il  poeta  si  desta  e  si  leva.  Yede  i  due  gran  mae 
etri  (Stazio  e  Virgilio)  gii  levati.  Virgilio  Bubit 
gli  snsnrra  quel  versi  immortali : 

Qael  dotee  pome,  ohe  per  tanti  rami 
Cercando  ta  la  cnra  dd  mortal!, 
Oggi  porr&  in  pace  le  tne  fami, 

Questo  &  dauque  il  gran  giorno;  oggi  stess 
Snalmente  ta  earai  pago,  interamente  pago. 

II  dolce  porno  desiderate,  in  tanti  modi,  da  tuf 
ti  gli  aomiui;  quel  dolce  porno,  cui  tutti  tendoac 
che  tutti  Boddiefa,  che  a  tatti  da  pace,  oggi  stess 
tu  vedrai  ed  avrai.  Finalmente,  n'era  tempo.  S« 
passato  in  mezzo  a  tanti  dolori  ed  hai  avnto  tant 
affanni.  Finalmente.  La  oontrizione  (I'Xnferno^ 
la  pnrificazione  (il  Purgatorio),  ti  d&nno  orama 
diritto  alia  consolazione,  cio^  a  Beatrice,  al  Para 
diso  terrestre;  alia  pnra  e  vera  conoscenza  del  Ben 
Bupremo,  al  soggiomo  beato  e  tranqnillo  del  prim' 
Parente. 

£  qai  mi  pare  opportune  aggiungere  che  i 
"  dolce  porno  „  non  ha,  secondo  io  penso,  n&  pa< 
avere  altro  signifioato:  il  dolce  porno,  ohe  il  Poeb 
vedr&  ndllo  atesso  gtomo,  nel  quale  ebhe  il  sognc 
non  pa6  indioare  che  Beatrice ;  cioh  la  pura  e  ver 
conoscenza  del  Bene  supremo.  Non  b  Dio ;  ma  < 
la  conoscenza  di  Dio,  che  Virgilio  promette  a  Dant 
all'ingresso  del  Parsdiso  terrestre.  L'entusiaBmo  d 
Dante  6  grande ;  mai  dono  fu  accolto  con  tanta  gioia 
Ebbe  allora  tale  desiderio  d'esser  su,  alia  montagns 
che  ad  ogni  passo  egli  seutia  creacer  le  penne  a 
volo.    Sono  essi  dunque  all'ingresso  del   terrestn 


—  12  — 
Paradiso.  E  Virgilio  (simbolo  dell'autoritA  imperia- 
le)  gU  dice  le  nltime  parole  con  grande  solennitA 
e  con  vera  mae&t&  tunana. 

"  II  mio  uiizio,  la  indicazione  della  felicitk  tem- 
porale  degli  aomini,  6  qaesto,  di  oondnrvi  qui,  al 
Paradiso  terrestre.  Ora  io  non  ho  piu  aLcnna  aato- 
ntk :  io  piU  non  discemo.  Le  coBe,  ohe  tu  ora  ve* 
drai,  BOno  BQperiori  alia  ragione  e  k'  intendouo,  in 
conseguecza,  solo  con  la  rivelazione.  II  sole,  cbe 
prima  ti  rilaceva  di  lato,  or  ti  brilla  sulla  fronte; 
ti  riempie  tatto  di  sua  luce  e  ti  da  I'aureola  delie 
anirae  pure  e  santificate.  Se'  in  luogo  bello;  la  ter- 
ra, non  vedi,  produce  da  sA  quell'erbetta,  que'  fiori, 
quegli  arboscelH.  Ora  dnnqne  che  so'  purificato, 
puoi  fare  secondo  i  dettami  del  tno  piacere :  Io  tuo 
piacere  omai  prendiper  duee.  Ora  paoi  eedere  (at- 
tendere  -alia  mta  contemplaUva)  \  andar  tra'  fiori, 
gli  arboBcelli,  e  le  erbette  per  fare  con  le  tae  maul 
una  ghirlanda  (attendere  alia  vita  cUtiva)  finch^ 
non  verranno  gli  occhi  belli,  cio^  il  dolce  poToo,  la 
conoGcenza  di  Bio,  Beatrice  „. 

II  sogno  oosl  cotntncia  ad  avrerarsi  con  la  sem- 
plice  descrlzione  del  Inogo  "landa,  e  oon  la  indi- 
cazione degli  occhi  belli:  mancano  solo  i  protago- 
uisti :  Lia,  veduta  in  sogno  tra'  fiori  {Malelda) ;  e 
Eachele,  indicata  con  gli  occhi  fissi  nel  Bene  sa- 
premo  (Beatrice). 

Ma  i  protagoniBti  non  si  fanno  molto  aspetta* 
re.  Con  mirabile  succeseione  essi  vengono  dinansi 
al  Poeta,  in  tntta  la  magnifica  figura  della  loro 
realty,  appena  egli  6  dentro  la  selva  antica,  presso 
le  aoque  di  Letd,  le  quali  devouo  in  Ini  cancel- 


—  13  — 

lare  la  memoria  del  peccati.  Le  acqae  limpide 
correnti  verso  sinistra,  sono  interamente  coperte 
dagli  alberi,  tra  le  cui  fitte  foglie  non  entrano  nem- 
meno  i  raggi  del  sole.  Desideroso  di  prooedere  ol- 
tre  e  non  potendo  per  il  fiume  Lete,  che  bisogna- 
va  vinoere,  il  Foeta  si  ferma  sulla  riva  sinistra, 
goardando  ansiosamente  verso  I'altra  parte  del 
fiume.  E  sull'altra  riva  di  Lete  vede  Matelda.  Co* 
me  la  Lia  del  sogno,  Ella  canta  e  coglie  fieri.  E 
r  ideality  tra  le  due  figure  6  cosi  evidente  e  cosi 
naturale,  che  il  Foeta  non  crede  subito  necessaria 
la  rivelazione  del  nome. 

L'una  vale  I'altra.  La  rivelazione  di  Lia  spiega 
quest'altra  figura:  il  sogno  si  compie  e  d&  a  obi 
bene  intende  tutte  le  spiegazioni.  Lia  move  ^le 
belle  mani  a  farsi  una  glurlanda„,  e  Matelda  so- 
letta  ^  gia. . . .  sciegliendo  fior  da  fiore  ,, ,  de'  quali 
era  pieno  e  dipinto  tutto  quel  gran  letto  di  fiume. 

Sono  dunque  la  stessa  persona  queste  due  don- 
ne?  Evidentemente  no,  perche  i  nomi  sono  difie- 
renti.  Ma  banno  entrambe  lo  stesso  significato  ed 
hanno,  quello  cbe  6  piu  notevole,  la  stessa  impor- 
tanza  nella  grande  allegoria  di  tutta  la  Commedia^ 
Ed, 6  strano,  per  non  dire  altro,  il  ragionamento 
cbe  fanno  in  proposito  alcuni  Commentatori,  i  quali, 
appunto  percb^  Lia,  veduta  nel  sognOj  ba  un  signi- 
ficato proprio,  la  vita  attiva,  vogliono  che  Matelda, 
veduta  realmente  nella  selva,  ne  abbia  un  altro. 

"  Se  in  Lia  6  gii  raflGlgurata  la  vita  attiva  (dice 
il  P<yrUrelli)  sarebbe  difettoso  il  raffigurarla  di  nuo- 
vo  in  Matelda  „ .  E  cosi  tutto  il  profondo  significato 
del  sogno,  per  opera  istessa  della  maggior  parte  dei 


I 


aa 


mtatori  e  distratto.  Se  Dante  uou  avease  in 
)  iPurg.,  XXSni,  H7)  domandato  a  Beatrice 
e  istmifco  iutomo  all'acqna  "  che  si  spiega 
principio„  e  genera  di  Ik  dalla  aelva  doe 
noi  foree  non  aTremmo  mai  eapnto  il  nome 
Bella  donna,  e  I'ayremmo  fienza  dubbio  cbia- 
Lia,  che  da  ah  si  k>  rivelata  al  Poeta. 
Beatrice  che  da  il  battesimo  ed  il  nome  a 
la, 

Prega. 

Matelda  che  il  ti  dica. 


a  bella  donna,  che  i>  presente  a  qnella  ingiun- 
risponde  subito  "  ch'ella  ha  ben  fatto  quello 
!ei  s'apparteneva  „  (Bnti);  e  che  in  conBe- 
t,  il  Buo  silenzio,  su  qaeH'argoinento  non  le 
sere  imputato  a  oolpa. 
ill  apiegazioni  aVsva  dato  Matelda  a  Dante 
.radiso  terrestre? 

a  pare  che  queste  spiogazioni  sieno  pid  di 
li  aveva  parlato  del  vento  e  delle  condi- 
Ul  Paradiso  terrestre  e  dato  poi,  senza  es- 
richiesta,  per  grazia,  la  pivi  sablime  spegazio- 
imo  alle  funzioni  de'  poeti,  ohe  si  sono  epesso 
kti  Bulle  tradizioni,  alterate,  ma  non  cancel- 
1  tempo :  spiegazioni  bene  importanti,  ohe  ri- 
I'ufizio  di  lei,  la  ena  indole,  la  saa  natura, 
;ano  in  gran  parte  anche  molte  allegorie  di 
Jggiorno  beato; 


—  15  — 

Ed  ecco  le  buone  opere  nn'altra  volta  dinanzi 
al  Foeta,  ohe  nelle  acqne  dt  EunoS,  per  opera  di 
Matelda,  deve  ricordatBi  del  bene  e  di  ogni  buona 
opera. 

Inutile  dnnqae  andar  ceroando  an  Benso  stori- 
co,  od  esumare  donne  storiche  nella  figura  di  Ma- 
telda. So  anohe  oi  fosse  nella  etoria  ana  donna, 
identica  in  tutto  e  per  tutto  a  qtiesta  belliBsima 
creazione  artistica ;  Ba  anche  si  potesse  provare,  con 
docnmenti  storici  irrefragabili,  cbe  la  Bella  donna  del 
terreatre  Faradiso  fosse  stata  davvero  un  personaggio 
di  camd  e  d'ossa,  amato  od  anche  conosoiato  fugge- 
volmeate  dal  divino  Poeta  -,  se  anche  tutto  questo 
si  potesse  provare  e  dimostrare ;  noi  diremmo  sem- 
pre  che  questa  creazione  artistica  &  indipendente ; 
©  che  il  divino  Foeta,  dando  quel  nome,  non  ha 
Toluto  fare  altro  che  rivelare  col  suono  istesso  della 
parola,  1' indole,  la  natura  ed  il  signifioato  del  per- 
sonaggio da  lui  presentato. 

E  questo  personaggio,  non  vissuto  mai  altro 
che  nella  mente  del  Foeta,  ebbe  appunto  quel  no- 
me, perch^  il  Foeta  cosi  voile;  e  cosi  voile  il 
Poeta,  appunto  peroh6  colei,  che  doveva  nella  real- 
ta  rappresentare  Lia,  doveva  chiamarsi  Matelda, 
che  vale  "  flglia  animosa  „ ,  operante  la  virtu,  aman- 
te  delle  bnone  opere,  vigile,  attiva,  soUeoita  del 
bene  altroi,  soccorrente  in  ogni  cosa,  in  ogni  oc- 
casione,  e  piena  di  quella  carita  cristiana,  che  e 
tra'  doni  piii  singolari  delle  anime  gentili  e  degne. 

Non  e  del  resto  questo  metodo  etimologico  delle 
parole  sconoscinto,  o  disprezzato  dal  Poeta.  Basti 
citare  Lucia,  ohe  h  simbolo,  senza  dubbio,  come  in- 


—  16  — 
dioa  lo  stesBO  Qome,  della  Grazia  iUuminante  (Inf., 
II,  97) ;  baeti  ancora  ricordare  quell'Uomo  veramente 
felice,  che  fu  padre  di  Ban  Domeuioo,  e  Gioeanna 
madre  dello  BteBso  Santo,  che  in  lingua  ebraica 
Taol  dire  donna  grata  a  Dio, 

Se  interpretata  val  come  ei  dice. 


LB  SATIRE  DI  QUINTO  SETTANO 


OSESEBVIZIONI  CRITICBE 


Bi  Lodovico  Sergardi,  patrizio  eenese, 
sono  ben  note  Is  satire  oontro  il  Qravina, 
in  nu  recente  studio  molte  notizie  e  si  fl 
ligenzs  I'esame  di  non  poohe  lettere  e  ; 
parte  inedite.  Nato  nel  1660,  scrive  la  j 
tera  da  Boma  nel  1685.  La  prima  satira 
Gravina  pare  dimoetrato  sia  stata  scri 
I'anno  1691,  Eebbene,  aggiunge  il  Battigi 
saggio  dalla  naturale  tendenza  alia  poesi 
abbia  dato  il  Sergardi  sin  dal  1685,  o  16S 
Epiiftola  indirizzata  al  Frosperi.  Bisogna  i 
tiauto  ohe  il  Gravina  giunse  in  Boma,  com 
il  Passeri,  nel  1688,  e  che  h  molto  probi 
tra  il  Sergardi  e  il  Q-ravina  sia  corsa  in 
grande  amicizia  e  familiarita.  In  qnesto  si 

>  Dott,  BiiKOHiH)  BA.TTiaHi.Hi,  Stodto  ta  (iuinlo  3 
Oirgentf,  MontsB,  1894,  pag.  188.  {Stai^alo  net  mti 
1894). 


21  — 


tano  dice  chiarameiite :  ^  . . . .  hodie  religio  pene 
aliud  non  sit  quam  ars  secure  regnandi  populosque 
ivMginaria  farmidine  coercendij^,  E  vi  sono  passi 
di  alfere  lettere,  e  certi  versi  di  poesie  inpdite,  da* 
quali  Settano  apparisce  senza  nessuna  ideality  reli* 
giosa  e  civile.  II  recente  biografo,  mettendo  sotto 
gli  occhi  de'  suoi  lettori  buon  numero  di  cotesti 
dooumenti  psicologioi,  vinto  appunto  dalla  diligen- 
za  grande,  che  egli  usa  nella  disamina  di  essi,  e 
dimenticaudo  la  viva  simpatia,  che  egli  sente  verso 
il  patrizio  senese,  non  credo  dia  buoni  argomenti 
in  favore  dell^apologia  che  egli  s'e  proposto  di  fare. 
II  Battignani  arriva  sino  ad  affermare  che  il  Sergardi 
tra  tutte  le  filosofie  preferisce  qnella  degli  epieurei, 
came  piu  umana^  e  se  ne  fa  strenuo  difensore  anche 
in  pubblico.  ^  Ma  io  credo  umilmente  che  appunto 
cotesta  filosofia  non  possa  fare  spiccare  il  volo  a' 
versi  d'un  poeta  Batirico.  Manca  ad  essi  la  base, 
che  &  la  fede,  la  quale  ^  sempre  necessaria  a  co- 
loro  che  intendono,  con  la  poesia,  cooperare  alia 
redenzione  degli  uomini  e  del  mondo ! 

Perche  la  poesia-  satirica  possa  dirsi  noteVole 
lavoro  d'arte  occorre,  anzitutto,  che  lo  scrittore  sia 
giusto  e  sincere  riprensore  del   vizio;  Qhe  creda, 


*  In  nna  **  Dissertazione  in  difesa  della  dottrina  di  Epi- 
ouro  n  senza  data,  pnbblioata  a  pag.  109,  vol.  IV,  della  edizione 
di  Lucoa.  H  Sergardi  crede  ribellione  alle  leggi  natorali  la 
setta  superba  degli  stoici,  che  ha  oercata  di  aretdicare  dalPuo- 
vio  ogni  sorta  di  pM»%one,.,.  Alio  ineontro  la  ietta  epieurea,  ehe 
naeque  fra  la  omene  ver(2ttre  dtgli  orti  atenieaif  eht  Uim6  per 
sommo  bene  U  piacere,  cortese  nil  tratto,  affabile  nelle  aduncmMft 
nella  opinione  del  yolgo  e  nelle  penne  dei  eacri  Sorittori  ft 
atata  a  torto  oondannata ! 


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i  il  vero,  si  trova  spesso  il  fondamento  oooaeionale 
della  materia  poetica,  rivelatrioe  di  uq  fatto,  ohe 
Teramente  eBiste,  e  ohe  h  nella  oosctenza  di  tutti. 
Quando  tatti  sentoQO  indistintamente  ohe  un  nuo- 
Yo  ordine  di  coee  6  chiamato  fatalmente  a  mo- 
etrarei  al  sole,  ed  a  venir  bu  rigoglioso  e  forte,  U 
Poeta  satirioo  non  pu6  tardare  a  venire.  Si  pad 
dire  che  eBso  gi&  eia  nato.  La  satira,  in  .qnesto 
oaso,  &  una  necsssib^  storioa  e  forma  oome  on  do- 
cumento  storioo.  Petronio  Arbitro  h  presso  a  dar 
termine  al  buo  capolavoro.  Disontete  qnanto  to> 
lete  Bulla  persona  di  costui,  sn'  suoi  gnsti  e  solle 
sae  passioni.  Ma  Trimaloione,  e  gli  altri  personag- 
gi,  Bono  una  verity  storica  e  oostitnisoono  appnnto 
il  fondamento  pii!i  sicnro  della  critica.  Fa6  auche 
eBsere,  oome  credo  sia  stato  affermato  e  provato,  ohe, 
in  quel  BUO  personaggio,  Petronio  non  abbia  7oluto, 
o  potuto,  rappresentar  Nerone.  Ma  tutto  qneBto  ha 
poca,  0  nesBuna  importanza.  Certo  que'  fatti,  qnella 
oena,  qne'  gaeti,  que'  desid^ri  erano  della  deoa- 
dente  society  romana,  che  aspettava  iBtintivamente 
il  nnovo  ordine  di  cose,  giii  oantato  e  vatioinato 
anohe  da  Yergilio. 

Kon  credo  ohe  da  queste  oonsiderazioni  d'  in- 
dole generale  sia  stato  mosso,  od  inspirato,  il  dott. 
Battignaoi  nel  raccogliere  e  pnbblioare  le  notizie 
—  in  grandiasima  parte  pregiate  e  preziose  —  in< 
tomo  alle  satire  di  Quinto  Settano,  ed  all'apo* 
logia,  ohe  egli  intendeva  fare  di  lui.  Ho  oredato 
in  oonseguenza  di  Bottoporre  le  mie  08serva2doni 
snllo  stesBo  argomento,  lasciando  al  lettore  di  gin- 
dicame  serenamente. 


G  va  anche  pifi  oltre,  nel  ragionamento  suo,  t 
Monsignore  epioureo  e  Benese,  per  giunta.  La  o 
yilt&  nostra,  stupida  e  moderna,  ha  contraEsegiia^ 
le  dame,  e  notato  ,1a  difTerenza  tra  eeee  e  quel 
donne,  che  hanno  abitudiui,  guBti,  desideri,  sodd 
sfazioni,  moraU  e  materiali,  ben  diversi.  Bisogi 
sapere  ohe  uel  secolo  d'oro,  o  delle  ghiande,  tat 
qaeste  inoomode  distinziont  non  v'erano: 

Ma  poi  che  ritrovA  I'oro  e  I'argento 
La  ciecft  ingorda  ambizione  nmana, 
Che  di  famo  ui  nutre  e  pasce  il  rente, 

Venue  il  Signore  o  I'Ecoallenza  vana, 
S'iaTeDt6  la  canozza  ed  il  cuscino 
II  titolo  di  Dama  e  di.... 

G  le  coQsegaenze  che  tira,  sono  degae  di  1^ 
e  della  eaa  uefanda  satira:  le  leggi  dell'onore  pe 
sonale  e  della  integrity  morale  e  materiale  del 
persona  sodo  uu' inveuzione ;  Baggia  I'antica  gent 
oh©  non  si  cnrava  de'  tradimenti  e  delle  colpe  C' 
niugali.  L'amore  libsro  6  naturale  e  uecessario ; 

Oggi  tatto  si  fft  per  qQell'impoi'a 
Bmtta  sentina  e  dell'ODOr  cuatodi 
Ifetton  eino  il  lacclietto  alia 

Claudio  Aagusto  non  perde  alcuna  parte  del  at 
impero, 

Se  in  mezzo  alia  Soborra  Mesaallna 
L'appetito  Bfog6  delle  sae  voglie. 

Moltissimi  poi  sono  nell'anticihita  i  Be  ed  i  Pri 
oipi, 

Che  so'  moTbidi  lor  ricchi  origlieri 
Non  gP  imports  ohe  le  consorti  loro 


—  27  - 
DalU  mente  e  dal  ouore  di  siJ 
cnreo  venne  dunque  fuori  la  sati 
vina. 

Del  resto  in  an  momento  di 
dello  spirito,  lo  9tesso  Settauo  co 
dissima  disinvoltnra  1' altissimo  o 
ha  di  8^  stesso,  e  la  stima  che 
opera  poetiche ;  chfe  le  sue  satire 
flno  all'  inferno,  e  dell'  anima  di 
place  lo  stesBo  demonio  Caronte  : 

....  Dovenmt  tartara  et  ipsae 
ElTsiae  valles  reeontuit  tan  caxn 
TraQBTexi  maioram  ammam,  pin 
Infenias  post  qnam  vanit  Luoilii 

E  della  sua  vita  scorretta,  nc 
retta,  mancante  di  decoroaa  gravit 
non  dubbie  uelle  stesse  satire,  sc 
vendicare  1' oltraggiata  morality  : 

At  mihi  si  Saperi  vellent  mdalgen 
Non  h&ec  obveniat  aeptem.  signal 
Doctrina,  at  tot  idem  sacceneis  < 
Cor  docile  imprimiB,  et  corporis 
Hens  bona  coutingat,  nulliqae  o 
Dent  qnoqne  ab  invidia  tntum,  et 
Fortnna  r 


'  qfr.  Sat.  XV,  36.  Qaeato  atto  di  sn 
piinto  dalla  eaigenza  eitetica  del  lavoro, 
alio  ateuo  Oiannelli,  che  annota :  '  Ergi 
PtTiiat  Seetcmo  minorttt  Penat  litUraloi  i 
dam  etto.  MM  qaidept  videlur,  minime  i- 
tadem  vixitiet  aeiatt  qua  lalina  lingua  fio 
erat  scribendi  liberta*,  (unt  maiora  in  max 
moiwtra  debtKcKobatur  «. 


—  31  — 


..<  • 


nelle  poesie  italiane,  solo  perche  queste  poesie  sono 
state  scritte  per  poohi  ed  intimi  amici !  ^ 

Accenno  fuggevolmente  al  oarme  diretto  a  ce- 
lebrare  le  glorie  di  san  Filippo  Neri,  patrono  di 
Boma.  Questo  Santo  6  un  eroe,  giacch^  seppe  re- 
sistere  alle  blandizie  d'una  meretrice.  Amore  ne 
e  indignato.  Tutti  gli  uomini  obbediscono  ad  Amo- 
re ;  solo  Filippo  gli  si  ribella.  Ecco  la  femmina, 
che  assume  tutte  le  parti  a  lei  proprie ;  sfacciata, 
simnlatrice,  lasciva,  istrumento  docile  dell'ira  del 
figlio  di  Venere,  Ma  io  domando,  nmilmente: 
Non  siete  voi,  Sergardi,  il  cantore  osceno  dell'amor 
libero  e  naturale?  I'autore  de'  versi  a  quella  Oo- 
stanza,  alia  quale  avete  fatto  Tapologia  della  yita, 
propria  del  secolo  d'  oro  ?  Anzi  che  biasimarla,  non 
dovreste  voi  lodar  la  brutta  femmina  e  le  sue  arti, 
.e  i  piaceri  che  lei  dk  e  che  voi  tanto  avete  altrove 
lodato  e  magnificato? 

Questo  poeta  satirico  mi  pare  in  verita  faccia 
le  parti  dell'  Eremita  di  Lampedusa,  che,  come 
vuole  la  fama,  ai  cristiani  domandava  relemosina, 
mostrando  1'  immagine  del  Cristo,  ed  ai  Saraceni, 
mostrando  il  Corano.  Ben  presto,  per6,  venne 
scoperto  1'  inganno,  e  il  furbo  romito  non  ebbe 
pill   limosina  da  alcuno,  e  cadde,  tra  il  riso  delle 


>  Lo  stesso  Sergardi  afferma  nelle  satire  qnanto  al  dott.  Bat- 
tignani  pare  effetto  d'indnzione.  {Cfr.  Sat.  XVII,  7'2i).  DeUe 
sue  cose  latine  il  Sergardi  aveva  grande  cnra,  poneva  in  esse 
tntto  il  lavoro  della  mente  e  si  dilettava  di  portarle  alia  pos- 
sibile  perfesione: 

Hano  ego  BoUioittu,  qtiin  et  seorettis,  alebam 
Ut  oonfixmato  tandem  per  oompita  gressu 
Iret,  et  ianuxneros  ynltu  torqueret  amantei. 


■■.".' 


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Ma,  era  poi  il  0raviua  tale  quale  apparisoe  FUo 
demo  da'  vers!  di  Settaao  ?  Sa  questo  punto  occorr 
fermar  I'attenzioiie  de'  lettori,  facendo  talvolt 
uso  degli  argomenti  addotti  dallo  steaso  reoenti 
biografo  ed  apologista  di  mons,  Sergardi. 

Devo  dire  anzttatto,  che  il  dott.  Battigaani,  pu 
facendo  I'analisi  minuta  e  diligente  de'  fatti  occors 
tanto  al  Gravina  quanto  al  Sergardi  (ma  piu  a  qae 
sti  che  a  quelle),  uon  ha  panto  esaminato  Tarn 
biente  Bociale,  nel  quale  I'uno  e  I'aUro  fnronp  i] 
grado  di  svolgere  le  loro  faooltfi  critiche  e  poeti 
che.  L'analisi  della  Buperflcie  lo  distolse  e  non  gl 
fe'  esaminare  il  fondo. 

Ora  a  me  pare  che  in  cotesto  esame  sia  tutti 
la  satira  del  Sergardi.  L'  ipocrisia,  allora  prevaleu 
te,  avrebbe  dovuto  coijtitaire  le  basi  di  tutto  queati 
studio,  che  non  manca,  come  ho  detto,  di  pregif  spe 
cialmeute  uella  esposizione  minuta  de'  particolari 

Xi 'Arcadia  indica  un  movimento  letterario  ar 
tificiale  e  coaveuzioDale,  prodotto  da  an  sentiment) 

atesBo  Settano,  al  qnale  non  ai  pu6  in  alcsn  moda  precU 
fade.  Ohi  cbe  nacessiUt  c'6  diaffermore  solennemante  ohe  egl 
non  iicTiase  le  satire  per  detiderio  di  onort,  ni  aUellato  da  al 
cunn  vi«rctde  f  In  piopoaito  non  mi  pare  esatto  quanto  sorivi 
il  dott.  Battignani;  che,  eio^,  il  Sergardi  non  "diet  nttnltdell 
eauMt  chs  lo  decitera  a  preftrire  una  lingua  morta  alia  sua  na 
tia,  (pag.  142],  percli6  lo  stesso  Settano  oonfesea  nella  satin 
dianEi  citata  di  aval  preforito  1'  idioma  latino  per  ooopeian 
alia  maggioie  e  pi^  dnrevole  immortality  di  Filodemo.  In  ogn 
modo  mi  par  ohiaro  che,  avendo  preferito  il  latino  alia  lingui 
soa  natnrale,  gi&  dimostra  il  Sergardi  ahe  solo  eon  la  lingai 
di  Luoilio  egli  poteva  agevolmente  eaprimeie  quelle  ohe  noi 
sentivB  e  qaello  a  cui  non  oredeva  Binoeramente.  Le  spiega 
■ioni  date  in  proposito  dal  dott.  Battignani,  sono  acute;  mi 
non  Bono  fondate  sul  tbto,  eeoondo  io  penso. 


-  35  - 

fondando  con  altri  TArcadia,  nel  1690,  e  dandole 
leggi  sane.  Voleva  ritirar  Varte  alia  greca  semplu 
citctj  scrisse  in  proposito  il  De  Sanctis,  purgandola 
della  corruzzone  scientifica.  Ma  non  bisogna  dimen- 
ticare  che  TArcadia  nasceva  appunto  in  Roma,  dove 
la  Curia  era  forte;  dove  le  cerimonie  religiose  ave- 
vano  la  piu  solenne  espressione;  dove  si  poteva  es- 
sere  ateo  e  miscredente,  a  condizione  di  salvar  le 
^pparenze,  mostrandosi  sempre  devoto  e  fedele  alia 
Chiesa.  11  Prelate  poteva  benissimo,  allora,  fare  il 
cicisbeo  senza  vergogna,  mostrandosi  oppresso  dal 
sentimento  amoroso,  a  patto  che  fosse  quieto,  e 
sfogasse  11  suo  sentimento  solo  col  sue  bel  sonetto, 
col  suo  bel  madrigale :  componimenti,  che  non  gua- 
stavano  punto  la  dignita  del  carattere  sacerdotale 
e  Tapparente  correttezza  del  costume. 

Grande  studio  sulFabbigliatura,  sulFetichetta, 
suUa  galanteria,  suUa  migliore  maniera  di  mostrar- 
si  alle  dame  ed  al  pubblico.  Non  piu,  come  verso 
i  primi  anni  del  rinascimento,  studio  amoroso  e 
profondo  sulle  ragioni  delle  lettere,  suUa  missione 
che  queste  dovevano  assumere  e  compiere  nella 
olvilti  umana.  Ideale  prevalente,  lo  scriver  versi, 
in  qualurique  modo,  comunque  inspirati.  "  Cosa  ci 
era  nella  coscienza  ?  Nulla.  Non  DiOj  non  patria^ 
non  famiglia,  non  umanitaj  non  dvilth  „.  (De  San- 
ctis).    La  lirica  non  aveva  scope  civile. 

In  questo  jnovimento  di  reazione  ebbe  grandis- 
sima  parte  il  Gravina,  che  vide  il  male,  e  che  in 
ogni  suo  sciitto,  in  ogni  sua  azione  pubblica  ha  mo- 
strato  ingegno  veramente  sovrano.  Fondatore,  ac- 
clamato  dai  posteri,  della  scuola  storica  del  diritto^ 


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1 


verso  sciolto,  ool  verso  dai 
a  del  Foscolo,  che  la  liricf 
civile  e  trae  sua  forza  I 
riaiiovamento  morale  deg 
avere  origine  poi  il  risorgi 
A  misura  ohe  I'Arcai 
contro  11  Gtravina  si  fa  pii 
chi  i  ginreconsulti,  ma  m 
punti,  gli  scrittori  eeri  e  i 
contro  i  rimatori,  i  pe' 
Eostachio  Maa6:edi  ecrivi 
ci  son  piit  poeti  eke  mo» 
eran  dappertatto,  a  Napo 
ma,  Milano,  Yenezia.  Iq 
arcade,  ma  nella  opposizl 
melie  contro  chi  piii  tar 
Atrarsi  ribelle,  si  fanno 
Non  si  poteva  diventar  p 
d'Arcadia,  senza  dimostn 
solino  contro  il  Calabrea 
belle.  Intomo  alia  perso 
tore  creano  gl' interesuati 
Di  bocoa  in  bocca  passai 
loro ;  vanno  in  giro  rivedi 
ingiandite.  '^  il  pantano, 
guerra.  E  come  prendor 
i  pedanti,  i  poeti,  gl'  impr( 
altreel  con  le  art!  loro,  ooi 
baibiiitti,  i  oasisti,  i  leg 
soiti ;  onde  le  satire  in  li 
esprimono  aolamente  sen 
rirelano  il  gasto  del  tea 


di,  il  ntiniero  di  esse  da  16  e  portata  a  16.  Aun 
il  numero  delle  eatlre  a  tuisura  che  aumenta 
edizioni.  E  cosi  succede  nell'edizioQe  di  Co 
(Lucca)  1698.  Se  Paolo  Mafiei  uon  foEse  stat 
terrotto  nelsuo  lavoro,  probabilissimBmente  avi 
uel  1700  dato  I'edizioQe  in  grandissiiua  parte 
pleta,  presso  a  poco  come  quella,  oke  di6  [ 
Giannelli,  Tanno  1783.  Ttitte  quests  edizioni 
vengon  fuori  incomplete,  ©  che  mostrauo  si 
princtpio  la  manoanza  che  esse  hanuo,  o  con 
tre  satire  vi  sieno  contro  Tilodemo,  le  qaaii 
un'  infinite,  di  ragioni,  allora  non  potevano  ' 
pubblicate,  gi&  dimostrauo,  Beuz'altro,  lo  sj 
calannioBO,  ond'esse  erano  improntate,  e  guaul 
pngnaBse  sino  alio  stesso  autore,  sino  agli  I 
malvagi  inspiratori,  luostrarsi  cosi  aperti  viol 
della  legge  morale  e  della  pubbtica  coscienza. 
tendo  acoennare  a  quella  coscienza,  ch'era 
della  maggioranza  di  Arcadia,  fuori  di  quell' 
resse  pettegolo  e  meechino,  inspiratore  di  Settj 


'  Osservazioni  pTazioBB  posBouo  farai  in  propoiito 
B  di  Palermo,  ohe  viene  attribnita  a  Qemiaro  A 
Cappeltaro,  1655-1702  (non  MieheU,  come  eoriva  il  B.)  ni 
taao,  tra  gli  areadi,  Tirrtno  Leehtalieo  "  poeta  toicrmo  1 1 
aeoondo  il  CreaoimbBni,  eha  vive  in  Corte  di  Roma «.  ^ 
bel  tipo  morl  in  Palermo  per  mano  del  camefioe,  a'  26 
1702  (cfr.  Cabuii,  op.  cit.,  toI.  I,  pag.  891). 

n  Mong^tore,  uiTeoe,  afFenna  che  ne  sia  stato  aatore 
Urbano  Simonelia,  morto  improTvisamante  in  Palermo 
fabbraio  1720  (ofr.  Scrtttori  onaninti  e  pttudomini,  raci 
aeoperti;  opera  mn.  eitttenle  tiella  Btblioleea  comunaU  a 
l^rmo,  e  citata  dal  Mblzi). 

Tatto  fa  oredere  ohe  il  Mongitote,  sorittoTe  oonten 
□eo,  166S-1743,  abbia  fondate  ragioni  per  attribuire  qneat 
eioue  al  Simonetta.   E  il  Battignani  mi  para  ohe  Toglia  i 


—  40  — 
DasG09to  ed  anoato  di  fulmiiii,  seuza  nes- 
poosabilita,    q4   morale  ne  materiale,  sal- 

0  giaoulatorie  in  chissa,  ed  accreEcsndo, 
,  tempio,  tl  numero    de'  piccoli  ricoverati 

Spirito,  eorive  bestemmie  eretioali  in  ita,- 

1  in  latino,  poi,  si  mostra  severo  ripreusor 
>,  protetto  sempre  dalla  stessa  tnrbs  ano- 
ipooriti  e  di  sfaocendati.  Poteva  pure  scri- 
illo  ohe  voleva  costui,  qoando  mancava 
tto  oalanaioso  uu  autore    qualunque,  pur- 

>be  anche  adesBO  assai  fecondo  di  ntili 
azioni  lo  studio  esatto  delle  varianti  ©  delle 
li,  fatte  dal  nasoosto  e  malvagio  aabore, 
ionda  e  terza  edizione  delle  sue  satire, 
n  .giova  dire,  oome  fa  il  dott  Babtignani, 
ste  satire  furon  pabblioate,  le  prime  volte, 
ssentimeuto  del  Sergardi ;  giacche  le  stesse 
e  le  atesse  correzioni,  fatte  saccessivaTnente 
ire,  provano   il  contrario.     E   poteva  bene 


gift  aperta,  oooingendoBi  a  dimoBtrare  oke  dellft  vei- 
Ulermo  Don  paaaa  es^ere  nvtore  lo  atsBBo  Sergardi' 
>ia,  □assiiDO  ha  mai  attribnito  la  vsTBione  di  Falei- 
ieaso  aatore  delle  satire  di  Settano.  In  ogui  modo, 
9  di  Palermo,  pabblicata,  si  Doti,  DellTOT,  ha  an'Im- 
itorioa  grandiBeima  e  notBToliasima.  Prima  del  detto 
e  probabilmente  prima  della  morta  del  Cappellaro, 
le  aatire  filodemiche  di  Sattauo  erano  note  e  gir*- 
e  manoBOriCte  tra  gli  amici  ed  anuniratoii  di  Setta- 
!te  satire,  note  all'aniveraale,  erano  tuti,  giaoobi 
ione  di  Palermo  ei  d&  la  versione  di  oiciotro  di  bb- 
^n  fine  (pag.  866)   qaesta  noterella;  "  MxHCi.  qui  la 

S  lOFSA   LA  DECIX'OITAVI,  COMB  TBDUTI  „.     NeW  Indi- 

si  salta  dalla  satira  XVIt,  II  lauo,  alia  satira  XIX, 


il  Sergardi  afifenoare  cotesto,  che,  doh,  faron  pu 
blicate  senza  il  sao  asseuBO,  giacche  lo  atesso  Se 
gardi,  ed  e  016  rloordato  anche  dal  dott.  Battignai 
aveva  giurato  solennemente  al  Papa  di  non  avei 
soritte  mal.  Fossiamo  dungne  a  cotesto  aomo  pr 
star  fsde  e  fondare  argomenti  di  prova  sulla  si 
sfcessa  testimonianza?  II  Battignsni  a  qaesto  el 
meuto  di  giusta  critica  non  mi  pare  che  abb 
panto  badato. 

II  Battignani  infatti  eaolade  dalle  cagioni  e  d 
motivi  della  satira  1'  iuvidia  del  Sergardi  contro 
Gravina;  e  I'esolude  boIo  perch6  lo  Bteaso  Sergar 
"  se  ne  scagionb  con  ragioni  piU  0  meno  convinceni 
ma  sempre  con  sdegno  per  un'accuaa  che  I'ojfende 
asaai  vivamente  „  (pag-  1 13)-  Pone  come  moti' 
delle  dette  satire  una  "  certa  caasa  personate  c 
determind  il  princtpio  della  discordia  „ .  A  ques 
saasa  aocenna  lo  stesso  Sergardi  nella  eatira  YII ; 
"  questa,  dice  il  dott.  Battignani,  mi  sembra  la  p 
probabiU  di  tatte  „.  Prima  per6  aveva  scritt 
"  —  la  caa8a  delle  satire  seitaniche  Hsogna  ricerco 
la  nell' indole  e  nel  genio  deU'autore  stesao:  chiunq 
si  sia  il  personaggio  che  egli  prende  a  co/pire,  qae 
non  gli  fornisce  che  una  occasione  accidentale  a  so 
disfare  alia  sua  inclinazione  „  (pag.  70).  Ma  di  qu 
sto  giusto  criterio  fondamentale  non  mi  pare  che 
dott.  Battignani  usi  serenamente  e  in  tatte  le  c 
samine  diligenti,  che  egli  Fa.  Se  le  satire  non  soi 
state  inspirate  da  un  sentimento  di  vendetta  pe 
sonale,  da  sdegno  nel  vedere  la  morale  oonooloa 
da  coini,  ohe  se  ne  bandiva  maestro;  fu  1' invid 
Bolamente   1' inspiratrtce,   ovvero  fu   il   sentimen 


dell'onest&  e  della  rettitndine  ?  II  Battignani  hod 
crede  di  dovere  rispoadere  compiatameute. ' 

Noto    in  proposito    cha  in  qaesto    studio  fatto 
dal  Battignani,  tutti  i  dati  di  cotesto  problema  bi- 


'  E  aon  risponde,  del  leito,  nemmeno  il  aianneUi,  clia  b 
ij  piu  aalorevole  apologista  di  Settaao,  e  obe  coal  apiega  FU 
lodemo:  "Sectani  satyrnrum  quasi  henis,  cuius  sub  noutins 
potius  quam  sub  persona,  vitiaao  ioBlerasibi  SeotaauB  axagi- 
tauda  ptopoaait «.  Ma  le  indioozioni  erano  troppo  obiare,  onda 
alia  vooe  Calabrum  pone  qaest'altra  uota:  "  Indicat  in  qua  ro- 
gione  nabns  faerit  Fbllodemus.  Vidatur  hie  Sectanue  ei  valgi 
pottos  fama,  qnandoque  iniqaa,  quam  ex  veiitate  calabros  pnn- 
gera.  Quando  ex  bominibtis  coaleaouut  nationee,  oum  Boae 
CDiqae  laudea,  turn  sua  vitia.  Eb  qaidem  ad  Calabros  quod 
pertinet,  ut  male  apud  imperitoe  aadiant,  tamen  olaTiBsimorom 
TiroruCD  gloiia,  ao  peracutis  Hummisque  ingeniis  per  omnes 
aatates  fiamere„  (cfr.  vol.  1,  pag.  bi  e  61).  Grazie  baate,  eig. 
Oiannelli;  la  pabria  di  Cateiodoro,  di  BaTlaamo,  di  Teleeio,  del 
Parrasio,  di  Campanella,  di  Antonio  Serra,  foudatore  degli  studi 
di  eoonomia  politiea,  cito  que'  nomi,  cbe  ora  mi  vengono  in 
monte,  ride  delle  stupide  invebbive,  soagliabe  sn  eesa,  dal  Pre- 
lato-epioureo  Lodovico  Sergardi,  e  le  attribuisce  airinvidia 
forte,  che  a  cosbui  iapirava  un  buo  grando  figlio,  Gian  Vincenio 
Oravina,  fondabore  in  Italia  della  scnola  storica  del  diiitto.  Ma, 
giacchd  il  Sergardi  nella  parola  ealabrt4»,  crede  di  avere  ritro- 
vato  il  pi^  forte  argomenbo  contro  Filodemo,  #  anoora  a  ri- 
oeroarsi  il  motive,  per  il  quale  graudi  Calabresi  ebbero  in  Ita- 
lia ingiuste  calunnie  ed  infinite  persecuEioni.  Kettendo  da  parte 
il  GrBTiua,  non  mi  par  giuato  di  dover  dimentioare  le  perse- 
enzioni,  che  ebbero  Francesoo  Simoneba,  Fomponio  Leto,  4°l^o 
Qiano  Parrasio,  Tommaso  Campanella,  Anbonio  Serra,  ed  altri 
miaori,  anticbi  e  modarnt,  illustri  e  modesti,  lavoraboii  e  pen- 
satori,  oolpevoli  soltanto  di  eaaere  parvenati,  con  perBeverania 
di  lavoro,  1&  dove  altri  voleva  ancora  arrivare! 

Poteva  eesera  in  baona  fede,  aontro  i  Calabrasi,  monBignore 
Sergardi  quando  li  aoonaa,  bra  le  altre  cose,  di  avere  a  con- 
oittadino  : 

....  oivamque  ■nam,  qui  perlita  felte 
OsDuU  dlTiuo  potalt  libara  Ui>t[litro. 

ISat.  X,  it). 


soguava  dare  al  lettore,  giaccHe  dalla  risoluzione  d 
qneBto  problema  pu6  oertameute  venir  nuova  laci 
solla  Eatira  e  Eiilla  persona,  contro  la  quale  essi 
era  diretta. 

Altrove  sorive  il  Battignani:  "^  Troppo  lutigo  sa 
re&6c  il  voter  raccagliere  tutte  le  tngiurie  tnviaU,  ch 
scaglia  il  Sergardi  sul  guo  avversario,  cfie  mostran 
tutta  la  forza  del  sao  odio  contro  Fitodemo  „  (pag-  76) 
II  Sergardi,  se  FUodemo  h  ateo,  non  aceva  molto  di 
scandaliszarsi  (pag.  78);  ed  ha  quasi  tutte  le  colp 
che  egli  stesso  attribuisce  a  Filodemo;  ma  addita  i 
Grsvina  all'Iuquisizione  perohe  miscredente.  I 
questa  una  oaluDnia?  II  Battignani,  dopo  aver  dimo 
atrato  che  il  G-ravina  non  e  ateo,  sorive :  " . . , .  quin 
di,  non  resta  altro  modo  per  spiegarci  quest'accusi 
che  sapporre,  o  che  il  Sergardi  calunnO),  o  che  i 
Gravina  nella  vita  privata  dette  almeno  qaalche  pre 
testo  a  dabitare  della  saa  fede  „.  E  a  lui  qaest'ul 
Hma  sapposizione  pare  piU  probahile  (pag.  82),  per 
ohi:  "dafo  pure  che  il  Sergardi  nel  bollor  dell' in 
giangesBe  a  tale  bassezza  da  lanciare  un'accusa  i 
3«e'  tempi  cosi  terribile,  sema  ombra  di  verith,  m 
pare  che  non  I'avrebbe  sostenuta,  quando  la  lotta  en 
da  molto  tempo  cessata  ed  il  Gravina  sceso  nellt 
tomba„, 

II  Sergardi  adanque  continua  ad  affenuare  I'a 
teismo  del  ■  Oravina  anche  dopo  la  morte  di  oo 
stiii,  cioS,  anche  in  una  lettera  de'  10  febbruio  182C 
G  qui  col  dott.  Battignani  h  lecito  domandare 
Perch6  Sergardi  ha  contiaiiato  a  mentire  anchi 
dopo  tanto  tempo?  Ma  io  credo  che  il  motive  c'era 
caro  dott.  Battignani,  e  questo  h  riposto  nel  mott< 


—  45 


scuole  italiane  all'estero,  e  il  cui  ingegno  assai  colto 
ed  equilibrato  m'6  noto  da  un  pezzo,  dispiaccia  oh'  io 
esponga  le  altre  osservazioni  intorno  al  suo  recente 
lavoro.  L'argoraento  mi  pare  assai  degno,  e  il 
soggetto  m'6  sempre  parso  assai  notevole.  Se  queste 
mie  osservazioni  qualcuno  troverk  giuste,  il  merito 
6  tutto  del  dott.  Battignani,  che  me  le  ha  ispirate, 
A  me  pare  che  in  questo  studio  vi  sia  tutta  la 
materia  per  un  buon  lavoro  critico;  ma  non  mi 
pare  che  cotesta  materia  sia  tutta  entrata  nella 
mente  dello  scrittore  e  con  quella  ordinata  dipen- 
denza  delle  parti,  ch'era  richiesta  dall'argomento. 


A  qnesta  versione  aooenaa  oertamente  il  Decreto  della  Sacra 
Congregasione  delV  Indice  (22  die.  1700),  che  proibisce  le  Sati- 
re di  Settano  **  idiomaU  vulgari  et  latino  editae  „.  La  prima  e 
piu  antioa  yersione  non  6  dnnque  quella  di  Palermo,  del  1707^ 
4*  Colonia  (Lucca)  1698,  satire  XVI ; 
5*  Amsterdam  (Napoli,  ovvero  Eoma)  apud  Elzeviriosy 
1700,  satire  YIII,  in  2  volumi; 

6*  Palermo,  presso  Domenico  Cortese,  con  lieenza  de*  su' 
periori,  1707,  satire  XVIII; 

7*  Zurigo  (Firenze)  1760,  satire  X;  vi  6  aggiunta  la  Con- 
versazione deUe  Dame^  dialogo  tra  Paaquino  e  Marforio ; 

8^  Zurigo  (Firenze)  1767.  —  Gitata  dal  Graesse,  come  una 
riproduzione  della  precedente; 

9^  Lucca,  Bonsignori,  1788; 

10^  Satire  eon  aggiunte  e  annotazioni^  Amsterdam  (Firen- 
ze) 1783: 

11*  Come  la  precedente  e  col  ritratto  di   Lodovico  Ser- 
gardi,  Londra  (Livomo),  Masi,  1786; 

12*  Veraione  di  Melchiorrt  Misairiniy  Pisa,  1820; 
IS*  La  stessa,  2*  ediz.,, Firenze,  Ciardetti,  1885; 
14*  RaceoUa  de*  poeti  satirici  italiani  ecc.  di  Giulio  Gar- 
cano,  Torino,  Ferrero  e  Franco,  1858,  vol.  II,  pag.  491. 

Questa  edizione  6  la  esatta  riproduzione  di  quella  di  Zurigo, 
e  le  satire  sono  X,  con  numero  progressive. 

Le  versioni  anonime  di  oo teste  satire  non  sono  dunque  diUy 


J 


;^i 


N 


—  47  — 
logia,  che  ha  in  mente  di  fere;  enon  tien 
conto,  con  animo  alto  e  sereno,  delle  varie 
e  delle  varie  epiegazioni,  ohe  presentano  e 
lettore  gli  stessi  dooumenti,  da  lui  stesso 
tati  e  iliustrati.  E  spesso  awiene,  per  I'a 
che  Bi  e  ine930  in  testA  di  &re,  awiene  chi 
ed  argomenti  e  ragioni  sieno  attiate  dalh 
parole,  dalle  stesse  afiermazioni  del  Sergard 
ho  dianzi  affermato ;  la  qnal  cosa  e  assai  ter 
e  da  conseguenze  assai  dubbie  contro  la  ste 
lonta  ed  intenzione  dello  scrittore ! 

Lo  studio  su  Quinto  Settano  non  dovev) 
anicamente  inteso  alia  evooazione  pnra  e  si 
di  Lodovico  Sergardi ;  ma  di  cestui  e  del  Q 
che  di  Settano  sono  opera  illustre  solo  le 
e  coteste  satire  sono  tntte,  o  quasi  tutte, 
per  ferire  il  Gravina  nella  sua  grande  ripu 
di  cittadino,  d' insegnante,  di  scrittore  e  di 
tore,  Evidente  in  ogni  dardo  avvelenato 
del  poeta;  ©d  evidenti  le  calunnie  e  le  insi 
ni,  che  vengon  fuori  da  que'  versi.  .  Del  8 
dio  il  Battignani  fa  un  solo  protagonista. 
sto  apparisce  isolato  dal  mondo,  che  lo  ci 
spinto  sempre  da  naturale  tendenza  alia  se 
ohe  ei  afferra  al  Gravina  solo  per  dare  sfogo 
timenti  suoi  naturali.  II  Gravina  danque  i 
per  il  Sergardi  un  rimedio,  od  un  espedient 
in  questo  case,  bisognava  esporre  le  oondizi 
nerali  di  que'  tempi,  le  qnali  sono  assai  c 
e  dimenticate.  Quinto  Settano  in  mezzo  e 
quadro  ed  a  tutte  le  figure  del  secolo  X" 
rebbe  apparso  figura  assai  piccola  e  meschi 


merazione  di  esse,  Onde  e  perche  coteBti  salti,  c 
indicauo  un  l&voro  eatirioo  ooinpiuto  sin  da  pri 
oipio,  e  DOto  soltanto  agU  editor!  e  iiia,uipolat( 
delle  varie  edizioni  di  Napoli,  o  Boma,  e  di  Coloni 

E  perchfe  non  ha  oredcto,  sin  da  prinoipio,  mi 
ter  fiiori  tutta  I'opera  sua  nefanda  Qutnto  Settam 

L'  impeto  poetico,  1'  ira,  prodotta  dall'  invidia 
dalla  gelosia  personale,  6  stuta  forse  vinta  da) 
paura  e  dal  desiderio  vivo  di  salvare  almeno 
pelle,  se  non  la  riptttazione  e  restimazione  del  pu 
blico? 

Ed  h  corioao  ohe  di  coteBti  salt*  uella  unii; 
razione  delle  satire,  •evideoti  in  tutte  le  edizioi 
i  qaali  Bono  pare  ammeasi  da  tutti  i  bibliogrs 
nesBtmo,  ch'io  mi  sappia,  s'^  attentate  einora 
dare  una  spiegazione,  non  dico  soddisfaoente,  i 
anohe  degua  di  studio  e  di  considerazione.  ] 
COB&  e  passata  inosservata,  come  nn  fatto  naturt 
e  spontaneo.  Ma  io  credo  che  in  cotesta  disan 
na  stia  in  gran  parte  la  spiegazione  di  quel  n 
stero,  onde  in  principio,  dicendo  e  sorivendo  tan 
bugie,  lo  BtesBO  Sergardi  ha  voluto  ciroondare 
proprio  nome  e  gli  soopi  che  si  proponeva  di  re 
giuugere  con  que'  fogli  gittafci  al  veuto  senza  ] 
BponBabilit^,  e  destinati  a  ferire  in  ci6  che  { 
era  di  eaoro  nella  vita  di  un  grandisBimo  ed  al 
iutelletto,  Cotesta  disamina  lavoro  ingrato  e  lun 
earebbe  stato,  e  senza  risnltato  apparente.  Ma 
critioa  soggettiva  ed  estetica  avrebbe  potuto  ora 
questa  sola  dbamina  ricevere  molti  element!  per  i 
cane  important!  sue  conolusioni. 

II  dott.  Battignani,  come  non  ha  yeduto  la  i 


—  61  — 
trovate  di  buo  capo,  e  messo  tra  quelle  di  Set 
per  tm  motiro  suo  peraonale  qnalanque. 

N6  pa6  inferirsi  che,  attribuite  a  Settano, 
state  tra  quelle  di  Settano  gittate,  dalla  mano 
tro  aatore,  in  pascolo  agli  avidi  lettori,  amai 
eoandali  e  di  fatterelli  stnzzicauti.  Ko.  Tatto 
sto  QOQ  pa6  essere. 

Nell'ana  e  nell'altra  satira,  ma  piji  nella 
ohe  nella  XI,  Filodemo  ha  una  parte  seconi 
e  la  satira  si  aggira  su'  ooBtnmi  gnasti  di  S 
salla  incipiente  deoadenza,  suUa  compra  mag 
tnra,  suUa  corrotta  e  coustatata  mauiera  di  v 
e  govemare;  la  doppia  co3cienza  e  la  dubbia 
del  Sergardi  da  queeta  satira  hanno  certa 
ferma  e  dimostrazione : 

Yamio  iadiviee  ogni  or  Giiistisi&  e  Fede. 
Donqne  dall'operar  contro  GiiutiziB, 
Segne  a  neoeaeiUL  ohe  non  ei  erode. 
Faor  clie  di  Fe'  di  tntto  abbiam  dovizia. 
Peoca  ohi  men  dorrebbe,  e  impoiie  pacca, 
Non  per  fragilitji,  ma  per  malizia. 
Di  Fede  il  fior  s'lnaridisoe  e  sacca, 
Ni  91  distingae  pi((  per  religione 
O  per  pietada  Roma  dalla  Ifecca. 

Qaesti  ultimi  versi  senza  dubbio  avrebberc 
to  danuare  al  rogo  1'  iudisoreto  Poeta ;  e  bene 
ha  fatto  a  sopprimerli  iuteramente  in  modo 
non  ne  rimanesse  traccia  nemmeuo  tra'  manoE 
ti,  rinvenuti  dopo  la  sua  morte.  Le  vendett 
Boma  erano  ben  note  aiiohe  alio  spiritoso  s 
pndioo  Economo  della  reverenda  Fabbrioa  di 
Pietro. 


—    B2  — 

tanta  noteyole  racoolta  di  materiali  sto- 
rt«rari ;  dopo  I'esame  che  di  essi  han  fatto 
e  oritioi  di  non  dabbia  fama,  quale  pa6 
a  rnltima  parola  intomo  alia  prinoipale 
»tica  di  Lodoyioo  Sergardi? 
DchS  i  Baoi  steesi  apologisti  rioonosoouo  nei 
Settauo,  come  pure  Ha  scritto  I'editore  di 
eiranno  1760:  "  invettive  calunniose,  amo- 
'  improprie,  con  le  quali  (egli)  ai  sforzb  di 
'.  la  fama  deU'iUustre  Gian  Vincenzio  Qra- 
oale  pa6  essere  ora  il  giudizio  oompittto 
I  ooteste  satire  contro  Filodemo? 
3o  lo  scrittore  h  mosso  dal  sentimeiito  vol- 
.'iuvidia,  ed  h  sorretto  ed  illamiuato,  nei 
ri  d'arte,  dal  calore  dell'  immaginazione, 
:ale  h  talmentpe  offusoato  da  non  veder  pi6 
iii  nobile  e  meno  cadoco  della  vita  d'ao- 
aortali;  quando  cotesto  scrittore  moatra  di 
■6  oouTincimenti  profondi,  nb  bnoni  n6 
[i  nesBuna  specie ;  qaando  i  a  lui  facile 
ire  1'  insegnamento  di  Epicuro  e  porre, 
graudissimo  apparente  disdegno,  tra'  por- 
ei  il  8110  nemico  implacabile,  Qravina; 
igli  ride  con  facile  eloquenza  della  ecceN 
iietioa  di  Lucrezio  e  sino  de'  versi  di  Ome- 
,do  arriva  anche  a  fare  I'apologia  del  go- 
imporale    de'  Papi  e  desidera,    nei    tempo 

trionfo  in  Boma  dell'oltraggiata  e  viola- 
ej  il  vero  lavoro  d'arte,  quello  che  6  ef- 
'  Beutimenti  e  de'  convincimenti    profondi 
1,  h  veramente  possibile? 
osa  dunque  rimane,  che  cosa  pu6  ancora  ri- 


mauer  come  notevole,  nelle  satire  di  Quinto  Set 
Parole  belle  e  fraei  ben  fatte:  sitoazioni  vive, 
asBai  bene :  descrizionl  assai  felici,  come  que 
coloi,  che  fraxinaeque  sonatfiaxupia  dextra  eot 
OYVero  di  ohi  furtivo  pollice  mordet,  tra  la  oal 
oesssnte,  una  bella  donna,  intenta  a  godei 
gli  occhi  la  feeta;  OTvero  la  desorizione  di 
che,  noQ  aveudo  altro  a  fare,  espone  com 
graode  pregio,  la  perfetta  conosoenza  che  h 
I'andare  in  oarrozza,  oziando ;  owero  la  dea< 
ne  asaai  bella  e  viva  di  colai,  cbe  passa  il 
sao  pTdzioso,  noyellando  ne'  aaSk  di  Roma, 
gando  aoremente  sa  argomenti,  ne'  quali  ni 
passione;  pregi  son  qttesti  di  lingua,  di  &i 
descrizionl, '  di  situazioni,  uon  6  bellezzs  ed 
lenza  di  stile:  la  bellezza,  iusomma  di  Semir 
ed  anohe  di  Cleopatra,  riposta  nella  parte  e 
del  viso,  nel  movimento  pi&  o  meno  singolari 
braooia,  degU  ocohi,  delle  labbra,  nelle  qnali 
nessan  artisba,  oh'  io  sappia,  ha  sinora  riposto 
presentato  I'ideale  grande  deUa  bellezza  e 
bont&  femminile! 


[KOZ 

„BH>se     a      5a5     !itr!,£jirs:t 

J  »  a  J  d  «•          0             i  i  d            ...i~.»"ii 

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„BS^EPsgaHaBasSa    T.it'sirHSi 

d  d  a  d  d  d  d  d  a  a  a  0  <i  d  a  J       iJ'^iT^Sr" 

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liflif!    Ijiii 

-ass'-eggB-agggaggg 


QUBSTIONI  DANTESC 
i  rumm  di  cdkiui' 

(OBSEHVAZIONI    OBITIOHS) 


*  Zakboki  Filiffo,  3li  Emtlini,  Dante  «  gli  tdiii 
e  Ik  sohiavitb  personale  domestica,  oon  dooninenti  ii 
oa  bibliografla  solla  Bohiavitt.  e  memorie  autobiognl 
Fireuze,  Luidi,  1897,  cuxzii-516.  !□  qusst'anna  1901 
blioato  na  Potcritto  alle  meiuorie  antobiognfiohe,  c 
di  Ftbbraio  1903,  nel  quale  molte  ooee  notevoli  ei 
no  di  bibliografift  a  di  storia  politioa  oontemporane' 
altre,  Si.  notizia  di  nn  Bilratto  di  Dania,  eaiatente 
blioteoa  palatina  di  Vienna,  in  on  Ood.  Eugeniano, 
peTob6  apparteneva  ad  lEaganio  di  Bavoia.  *  PatA  0 
pcrreniese,  o  doada,  aallaai  aa,.  Aggianga:  "^meu 
in  foglio  miuore.  m  dat  f  autoni,  n6  dol  Witte,  n6  d 
tossini,  nb  dol  Kasaa£a,  ohe  ne  pabbllo6  le  variant 
mente  piii  ohe  tanto  alia  immagine  ohe  A  nelU  prii 
Sssa  Tenne  ignorata  da  Ingo  Erana,  lecentiaaimo,  o 
una  monografia  aai  ritxatti  di  Dante,  a  da  Saverio  I 
or  dafonto,  obe  li  paeaa  in  liviata  qoui  tntti,  aia  i 
bnsti,  medaglia  cec.  a  dal  Basaennatin,  *  La  traooe  d 
Italia*  (Haidalberg,  1687).  Di  qaaito  ritratto  ba  pu 
oato  11  fattimiU  oon  Hproduat'ima  matata. 


Ill,  pag.  218),  6  Tommaso  Casini  [Commento,  1889, 

»P»g.  686). 
Credo  vi  sieuo  anche  altri  che  abbiano  porlato 
di  questo  libro,  o  che,  b«  non  hanno  scritto  di  pro- 
posito,  abbiano  fatto  nn  piccolo  accenuo.  Sapper- 
gib.,  I'nDO  ripete  le  stesse  parole  dell'altro.  Ma  la 
grande  e  bella  qaestione  propoeta  datlo  Zamboni 
oon  gneeto  sno  libro,  non  e  stata  sinora  illustrata, 
ii6  ooDfortata  da  altre  ragioDi,  oUre  di  qaelle  date 
dallo  Zamboni  steseo  snlla  scorta  de'  docomeuti 
eBnmati  ed  illostrati  da  lai. 

La  qaestione  proposta  e  risolnta  con  an  oorredo 
di  notizia  illuBtrative  e  di  documenti  notovoli,  6 
qaeata.  Gunizza  da  Romano,  detta  da'  oontempo- 
ranei  "  magna  meretrix  „  ;  ohe  "  osd  soa  vita  in 
godere„,  come  pure  afferm6  VOttimo;  moglie  di 
moiti  mariti  e  rapita  ad  nno  di  e&ei  dal  Trovatore 
Sordello ;  ootesta  donna  Dante  pone  tra  "  quegli  al- 
tri iplendori  „  obe  sono  in  Faradiso  nel  cielo  di  Ye* 
y  nere.   Dice  di  eh  stesea  al  Poeta :    "  . . . .  qui  refulgo 

Perchi  mi  vinae  il  lume  d'egta  steUa  „ .  In  altri  ter- 
mini, Canizza  6  in  Faradiso,  e  nel  cielo  di  Yenere, 
appunto  pe'  grandi  snoi  pecoati  d'amore. 
'  \  i  Ancor  viva  nel  1279,  ammeeso  clie  abbia  espiato 

I  ootesti  suoi  peooati  nel  Pnrgatorio,  solo  dopo  quasi 

*\  venti  anni  sarebbe  andata  al  Faradiso  6  si  sarebbe 

I.)  moetrata  al  Foeta  in  tatto  il  suo splendore  verso  I'an- 

I  M  no  1300.     ^  qaesta  ana  contraddizione  del  poema 

'  {i|j|r  dantesco;  owero,  6  I'afifennazione  di  un  principio, 

'•m'  o  la  ooneeguenza  logica  di  an  disprezzo  delle  regole 

)  \4  e  delle  norme  prevalentt  sull'etica  cristiana  e  sulla 

;it!'  morale  religiosa  del  nostro  Medio-evo? 


Si  aggiuQga  ohe,  finora,  per  quante  ricerch 
sieno  fatte  tra  le  carte  del  tempo,  non  risalta 
del  sno  peocato  Cuuizza  si  sia  pentita,  &lmenc 
fin  di  vita.  Kaia  uella  Maroa  Trivigiana 
qtiella  parte  delta  terra  prava  „ ,  che  ebbe  * 
grande  assalto  „  da  buo  fratello  Szzeliuo  da  '. 
mauo,  Ouuizza  visee  sempre  lieta  del  sno  pecc: 

Di  cotefito  problema,  che  involge  molti  alti 
tra  qnesti,  nno  graudisBimo  bdI  sentimento  r 
gioBO  di  Dante,  e  sul  fondameato,  che  ebbe  la  gi 
de  poe&ia  di  lui  ne'  dogmi  della  Chiesa  oristia 
pareccbi  sorittori  Iianno  cercato  di  dare  spiegazic 
Cito,  tra'  tauti,  il  FobcoIo  e  il  Troya.  Ma  Gnni 
doveva  bene  espiare  le  sue  colpe  prima  di  sa 
al  Faradiso,  oh^  al  Faradiso  non  si  pa6  andare  b 
za  I'espiazioDe,  od  il  pentimento  sincero,  del  pecci 

Una  delle  Bpiegazioni  pii!i  ddtte  e  pt^  origii 
h  data  da  Filippo  Zamboni  nel  volume,  che  am 
ora  si  auntiuzia,  e,  che  arrivato  alia  qaarta  < 
zione,  ha  molti  docomenti  inediti,  una  ricca 
bliografia  suUa  BchiavitA,  memorie  antobiografl 
e  il  ritratto  dell'autore  esegaito  in  Catania  nel  IE 
qaando  lo  Zamboni,  ospite  di  Mario  Bapisardi 
venuto  in  Sicilia  per  dar  prova  sincera  ed  afiettu 
al  Foeta  illustre  dell'Italla  meridionale. 

Kiassumo,  non  parendomi  sia  queato  il  caso 
iare  nna  critica  nel  eenso  vero  ed  ampio  della 
rola.  Lo  Zamboni  ha  spirito  cosi  sagace  ed  or 
nale,  ha  studi  cosl  profondi  e  oonoecenza  cobI  f 
pia  della  materia  che  ha  preBO  a  trattare,  che 
diritto,  senz'altro,  a  mostrarBi  suUa  moltitudine 
gli  sorittori  e  de'  dantisti  contemporanei. 


II  lavoro  preparatorio  da  Ini  compioto  o,  oome 
oggi  si  dioe,  la  letteratara  dell'argomento  stndiato 
e  trattato,  b  tale  ch«  impedieoe  qaalnnqae  giudizio 
arriechiato.  Le  cose  che  avete  dinanzi  e  ohe  reolama- 
no  la  vostra  atteuzioue  lianno,  tatte,  la  eteesa  impor- 
tanza,  e  la  mente,  che  deve  attendere  ad  esse,  rima- 
ne  come  confusa  e  preoccnpata  anohe  da  ana  pic- 
cola  qaeetioue  di  precedenza.  II  materlale  raccolto 
dallo  Zamboni  6  veramente  grande,  tanto  che  non 
eapete  come  fare  per  collocarlo. 

Nod  mi  BorpreDde  davvero  il  gindizio  dato  sa 
questo  libro  da  Francesco  Domenico  Qnerrazzi,  che 
6  "  rimasto  ammirato  dei  nobili  concetti,  della  va- 
sta  emdtztoQd  e  della  eleganza  del  dettato,.  Fochl 
libri,  in  verity,  di  argomento  dantesoo  hauno  uu 
co3i  rioco  e  pregiato  lavoro  preparatorio.  Anohe  alio 
Scartazzini,  che  k  tntto  dire,  I'erudizione  dello  Zam- 
boni parve  cosa  notevole.  B  deve  notarsi  che  lo 
Scartazzini  vide  la  seconda  edizione,  qnella  di  Vien- 
na, edita  nell'anuo  1870! 

Biassumo  adunqne  per  dare  agio  agli  stadiosi, 
quando  ocoorra,  di  mebtere  a  contribato  le  ragioni 
esposte  dallo  Zamboni.  Natnralmente,  non  potendo 
dare  ampiezza  al  preeente  scritto,  s&rb  breve  qnanto 
pi6  Bar&  poBsibile. 

«  * 

II  volume  ha  tre  parti :  1*)  Preparazione  storica 
2*)  Danteeca;  3*)  Note  oompimentali. 

Nella  prima  viene  esposto  e  disoasso  nelle  sae 
parti  principali  il  doomnento  gib,  edito  dal  Teroi, 
Del  Cod.  eocelliniaDO,  e,  prima  del  Terci,  *  d«~ 
aamptum  ex  tckedtM  canonici  „  Avogarii. 


—  61  — 

S  QB  rogito  del  di  1"  aprile  1265,  uel  quale  Cu- 
nizzB,  Btando  a  Fireuze  in  casa  i  Oavalcanti,  af- 
fenna  di  poire  in  liberti  tutti  gli  uomini  di  ma- 
snada,  che  farono  de'  suoi  fratelli  Ezzeliuo  III  ed 
Alberioo  da  Barbiano.  Notevole  obe  qaeato  doon- 
mento,  come  afferma  lo  Zamboni,  non  venue  ri- 
portato  dal  Maratori :  de'  moderui  solo  ue  discorre 
il  Troya  nel  Yeltro  allegorioo  de'  G-bibelliui.  Lo 
Zamboni  lo  fe'  ricercare  nell'Archivio  delle  veochie 
carte  dell'Ospedale  di  Treviso,  e  quivi  lo  ha  poi 
stndiato  per  quasto  ei  riferisce  alle  sue  forme  ori- 
giuali. 

Alio  Z.  qneeto  dooameuto  parve  assai  &trano 
"per  le  contraddizioui  obe  fa  uascere  tra  quelle 
cbe  vi  h  detto  ed  i  fatti,  cbe  pure  uoi  abbiamo 
dalla  storia„.  La  disamina  di  tntte  codeste  con- 
traddizioni  oostituiBce  la  parte  fond  am  en  tale  di 
questo  importante  studio  storico.  OH  uomini  di 
masnada  erano  schiavi  e  in  perpetuo  fiasi  alia  gle- 
ba ;  cbi  possedeva  gli  uomini  di  masnada  doveva 
pure  possedere  il  snolo,  su  cui  quelli  sudavano  per 
coitivarlo.  Ora  dopo  la  distruzione  della  Famigtia 
da  Komano  (siamo  nel  1265,  cinque  anni  dopo  la 
strage),  quale  giurisdizioue  poteva  avere  Cunizza 
BQ  que'   possedimenti  ? 

E  noto  infatti  cbe  tutti  i  beni  de'  Da  Bomano 
uell'anno  1260  andarouo  divisi  tra  le  citta  di  Pa- 
dova,  Treviao,  Vicenza,  Verona,  "secondo  che  te- 
nevano  sul  territorio  dell'una  o  dell'altra  di  quelle 
repubbliche  „ .  Da  cotesta  questione  altre  ne  sor- 
gouo  e  tutte  spontanee,  in  modo  logico  e  naturale. 

Chi  avesse  desiderio  di  saperle,  prenda  il  volu- 


~  miboul,   ohe  in  questa  parte  dk  prova 
tgacia  ed  acatesea  nel  porle  e  detenui- 

asiona,  pure  ammettendo  Bmceram«nte 
bi  rampoUano  i  dtibbi;  pore  dichiarau- 

Btadiato  i  807  ed  anche  i  2183  doom* 

Tolumt  di  tasto,  lo  Zamboni  erode, 
Lto,  che  nel  onrioBO  doonmento  eccelli- 
sconda  "  ano  de'  nostri  fatti  speziosi  di 
3acciati  o  oadenti,  ohe  nou  sauno  di- 
]fil  tempo  felice  per  ostentare  magna- 
iistizia  „.    In  tale  gaisa  Cunizza  disse 

che  giih  da  b6  avevano  rotte  le  catene 
itorio,  ohe  fa  gi^  dominio  sao  e  de'  saoi 
>ne  a  proposito  rioorda  le  parole  del 
;  "  Una  repubblica,  o  un  prinoipe  deve 

fare  per  liberaUt&  qaello  a  obe  la  n^ 
Dstringe  „ . 
ra  conclnsione  giova  pare  esporre,  aulla 

eleva  an  edifizio  raggaardevole  di  ob- 
lotte  ed  acute  che  a  Dante  ai  riferieco- 
i  oonclnsione  h  la  segaente:  Cunizza 
aostra  di  essere  molto  pietosa  verso  gli 
sse  o  no  valore  queiristrumento.  E  di 
avi   k   auche    opportune  dare  qualche 

acoenno  agli  sohiavi  dei  tempi  di  Gu- 
tempi  posteriori,  sine  all'anno  1501,  nel 

il  duca  Valentino,  in  Capua,  le  bellis- 

ritenne  per  bS  e  delle  altre,  molte  per 
zzo  furono  vendute  a  Boma,  come  ap- 
e  Guicoiardini. 
K>ni  in  proposito  Tuole  cbe  non  si  con- 


—  64  — 
i,  il  Eeguente  passo,  cbe  credo  opportuno  di  tra- 
ivere  fedelmente:  "Il  benefioio  degli  schiaTi 
erati  da  Cuuizza  non  poteva  far  sapporre  ori- 
inamente  che  con  buonB  preghiere  ooloro  le  eb- 
•0  fatto  diventare  piu  corto  il  Pnrgatorio  e  fosse 

pifi  presto  tra'  beat!  P  „ 

"  Xegli  stxamenti  per  la  liberazione  degli  Eckiavi 
%  formola :  pro  remedio  animae  meae.  E  poi  da  ve- 
"e  nelle  opere  de'  teologi  se  la  oarit&  issofatta  non 
rga  la  iacoutineuza.  Canizza  non  i  nella  sfera  pii!i 
da  "  come  Piccarda,  ond'd  di  tanto  pii!i  gloriosa 
etizia  pi^  di  lei  che  parve  migliore  e  di  vergine 
a.  Ma  CuDizza  accenua  ne'  versi  gi&  cbiosati 
)  forse  le  earebbe  toccata  una  sfera  piu  alta  che 
1  6  il  Paradiso  di  Venere.  Cunizza  parlava  pre- 
ite  Beatrice,  oude  doveva  essere  gi&  immacolata 
le  Bue  libidiui;  cib  che  esclude  che  Dante  ve  la 
lesse  a  caso  „ . 

Quest'ultimo  accenno  h  diretto  al  Foscolo,  il 
irle,  non  potendo.ammettere  ohe  Dante  igoorasse  i 
icatidi  amore  (e  ohe  peooati!)  di  Cunizza;  nonpo- 
ido  ammettere  ohe  Dante  ignorasse  le  norme  per 
passaggio  delle  auime  dalla  terra  al  Paradiso  di- 
tamente  senza  un  po'  di  dimora  almeno  uel  Pur- 
torio;  e  vedeudo  Cuuizza  nel  Paradiso,  non  tro- 
ado  una  spiegazione  Bufficieute,  od  anohe  appa- 
ite,  Bcrisse  in  veritS-  molto  leggermente  che  Dante 
bia  introdotto  costei  nel  Paradiso  in  via  di  esjte- 
lento  Boltanto,  e  fino  a  che  gli  sowenisse  di  al- 
ua  altra  ombra  che  piii  addicesse. 

Lo  Zamboui  da,  prova,  anche  in  guesta  confa- 
done,  di  dottrina  e  d'  ingegno  analitico  non  co- 


i 


—  65  — 

mune.  lo  non  posso  riassumere.  Ma  sar&  bene 
cKe  lo  studioso  di  Dante  se  ne  invogli  e  cerchi 
il  volome  per  vedere  direttamente  quanto  scrisse 
in  proposito  lo  Zamboni. 

Da  cotesta  confutazione  appare  assai  naturale  la 
conclusione  dello  Zamboni;  che,  cioe,  Dante  si  sia 
indotto  ad  elevare  Canizza  in  Paradiso  per  quella 
disposizione,  cbe  si  riferisce  agli  scbiavi,  nel  rogito 
di  Firenze.  lo  non  posso  qui  fame  compiuto  esame, 
anche  perch^  non  credo  di  ayere  autorit^  e  libertit 
di  giudizio  e  di  competenza  in  siffatto  argomento. 
Occorrerebbe  anzitutto  e  soprattutto  vedere  se  nolle 
opere  dei  Teologi  del  secolo  XIV  un  pubblico  se- 
gno di  carit^  dia  diritto  al  perdono  di  tutti  i  pec- 
cati  ed  all'accoglienza  delle  anime  de^  pubblici  pec" 
catori  nel  Paradiso. 

Ma  devo  aggiungere  che  le  parole  scritte  in 
proposito  dallo  Zamboni  (pag.  46)  sono  molto  elo- 
quenti.  Ed  aggiungo  altresi  che  tra  le  due  opi- 
nioni,  quella  del  Foscolo  e  questa  dello  Zamboni, 
non  vi  pu6  esser  dubbio ;  questa,  di  certo,  e  la  piu 
logica  e  naturale.  lo  stesso  non  riesco  ad  inten- 
dere  come  mai  Ugo  Foscolo  "  animate  da'  sublimi 
ardimenti  danteschi  „  ,  si  sia  potuto  indurre  ad  ac- 
oettarla  ed  a  metterla  in  quel  gioiello  di  studi 
danteschi,   che   e  il   Discorso  sul   teste  del  poema 

di  Dante. 

* 

Nella  terza  parte;  sono,  come  ho  detto,  le  note 
complementari,  che  io  direi  fondamentali,  perchS 
d&nno  la  genesi  di  tutte  le  conclusioni  e  mostrano 


1 
t 


--  ee  — 

nei  suoi  tratti  principali  tutto  lo  sviluppo  8torico 
de'  tempi  de'  quali  si  disoorre. 

Nella  prima  si  d&nno  notiEie  sicure  e  piene  sn- 

<  gli  Ezzelini  e  su'  loro  beni  e  su'  loro  amici  e  pro- 

tettori.  Si  accenna  anche  un  po'  agli  Svevi  ed  a 
quel  Matteo  Spinello  di  Giovinazzo,  ohe  ora  pare 
€icoertato  non  abbia  scritto  le  Cronaohe,  alle  quali 
mi  pare  che  lo  Zamboni  attinga  con  troppa  bnona 
fede.  La  questione  sullo  Spinello  h  stata  fortuna- 
tamente  e  definitivamente  chiusa  con  gli  scritti  di 

}  Bartolommeo  Capasso. 

llV:  Nella  seconda,  si  discorre  in  modo  particolareg- 

giato  di  Cecilia  da  Baone,  terza  moglie  del  secon- 
do  Ezzelino;  di  Speronella  Delesmanini,  madre  di 
quel  laoopo  da  santo  Andrea,  padovano,  impareg- 
giabile  scialacquatore,  posto  da  Dante  nel  secondo 
girone  del  settimo  cerchio,  tra'  violenti  contro  se 
stessi.  Questa  Speronella  fu  anche  dissolutissima 
donna  che  and6  a  nozze,  credo,  sei  volte.  Lo  Zam- 
boni discorre  anche  di  Bianca  de'  B>ossi,  maritata  a 
un  della  Porta,  di  Padova.  Di  costei  il  nostro  Autore 
si  accese,  sino  a  scrivere  una  Tragedia  ^  per  colei 
sola  che  voleva  salutarlo  autore,  per  colei  che  gli 
appariva  a  Venezia  come  una  visione  perche  egli 
iavorasse  „ .  Di  cotesta  Bianca,  prima  dello  Za.mbo« 
ni,  scrissero  due  soltanto,  con  fede  italiana,  il  Litta 
e  il  Ferrazzi.  Lo  Zamboni  aveva  dato  breve  no- 
tizia  di  costei  nella  prima  nota  complementare  (pag. 
138) ;  ora  su'  casi  e  sulle  virtu  di  lei  fa  alcune 
notevoli  considerazioni.  L'eroismo  di  questa  donna 
i  veramente  grande.  Prende  di  essa  occasione  lo 
Zamboni  per   accennare   ad   atti   eroici  compiuti 


a  di  Oologna,  nel  territorio  veroaese,  ai  temfs 
ante  fioriva  1'  tudustria  del  tessati  di  iana  per 
I  cappe  frateaohe  „  come  nota  un  recente  Com- 
ifttore. 


eguo,    come    ho    cominoiato,    Delia    Bommaria 

lizione  delle  note  complemeutah,  notando  guel- 

d  81  riferisce  o  si  pa6  anche  riferire,  agli  studi 

eschi. 

Telia    nota  6',  la  qnale,  mi    perdoni    I'illustre 

jssore,  uon    mi   pare  eia  stata   scritta   con  la 

i  chiarezza  e  correntezza,  il  prof.  Z.  dopo  avere 

mato  al   dlenzio,  che  si  riscoDtra  ne'    doca* 

;i  di  origiDe  guelfa  intorno  alls  donne  de'  Eo- 

),  per  il  rioordo  che  di  OuDizza  fa  Dante,  mette 

ti  tm'altra  sua  ipotesi,   che  mi  par  bene  rife- 

per  le  conclusioni  che  anche  da  essa  per  av- 

nra  si  possono   trarre. 

orse  il  Foeta   pose  Cuaizza  nel  cielo  "  preci- 

lente  anche   in  odio  a'  Guelti^  della  Marca  tri- 

,na,  che   "si  argomentavano   con  qtieeti  fatti  di 

16  Epento  anche  la  memoria^. 

Q  verity,  questa  ipotesi  non  mi  pare  molto  lon- 

dal  vero.  Fotrebbe  anche  essa  dare  qnalche 
^azione  del  collocamento  di  Cunizza  ia  Para- 

epecialmente  quando  fosse  bene  accertato  la 
)  vero  e  precipuo,  che  Dante  ebbe,  o  voile  rag- 
gere  (che  h  la  stessa  cosa)  col  Poema  sacro. 
ran  parte  de'  problemi  danteschi,  che  ora  a  noi 
10  insolnbili,  o  di  difficile  solazione,  hanno  fon- 
into  e  spiegazione  nel  sentimento  politico  de) 


grande  Poeta.  Senza  qaelle  grandi  lotte,  que'  grandi 
odi,  que'  grandi  amori  il  Poema  sacro  non  sarebbe 
fitato  possibile,  Piu  Bante  si  etacca  dalla  tradizio- 
ne  classica,  e  pi{i  diventa  grande  ed  originale.  Ora 
che  6  stato  dimostrato  che  la  caltura  di  Dante  eb- 
bero  pareochi  de'  suot  contemporanei,  o  vissuti 
prima  di  lui  (specialmente  il  Bellovacense),  non 
rimane  a'  posteri  che  una  sola  ma^aviglia:  qnel 
sentimento  suo  politico  profondo,  per  il  qnale  ebbe 
il  Poeta  tanta  inspirazione  di  poesia  e  tanti  acerbi 
dolori  nell'anima  grande  di  patriotta  nel  vero  senso 
medioevale  di  guesta  parola. 

Per  intendere  poi  nn  lavoro  d'arte,  occorre  anzi- 
tatto,  sentire  tatta  quella  vita,  dalla  quale  venne  agi- 
tato e  mosso  lo  scrittore.  Sotto  questo  rispetto,  I'ipo- 
teai  proposta  dallo  Z.  oltre  che  e  originale,  mi  pare 
abbia  baon  fondamento  storico  e  meriti  speciale  con- 
siderazione.  Non  biaogna  dimenticare  che  a'  tempi 
di  Dante  i  <}uel£  della  Marca  trivigiana  (territoiio 
delle  otto  provincie  venete  di  oggi)  erano  molto  po- 
tent!, ed  il  collooamento  di  una  pereona,  da  essi  tan- 
to  perseguitata,  nel  Paradiso,  poteva  benissimo  in- 
dicare  nu'onta,  che  il  Poeta  aveeee  voluto  fare  con- 
tro  di  loro.  In  altri  termini  un  sentimento  di  poli- 
tica  generale  prevalse  nell'animo  del  Poeta,  sino  a 
fipegnere  od  a  dileguare  il  sentimento  religiose  e 
cattolioo. 

Notevoli  Bono  le  osservazioni  del  prof.  Z.  in- 
torao  a  certe  date  di  nascita  e  di  morte  di  pocke 
ed  oscure  donne  di  casa  Romano  ed  anche  intorno 
agli  schiavi  degli  Ezzelini,  liberati  in  forza  di  una 
Bolia  di  Aleesandro  IV  papa.  Di  queate  osserva- 
zioni sono  argomento  1©  note  6*,  7'  e  8*. 


Ed  in  proposito  e  anche  utile  esporre  un'altra 
ervazione  fatta  iu  quest' ultima  (pag.  197),  la 
lie  81  riferisce  al  concetto,  cbe  Dante  ebbe  de' 
idei  del  sno  tempo.  Questa  gente  ingrata,  mo- 
!  e  ritrosa  {Par.,  X2XII,  132),  alia  quale  per 
idia  piacqne  tanto  la  morte  di  Cristo  {Par.,  VII, 
questa  gente  poteva  talvolta  ben  ridere  della 
la  cupidigia  de'  Orietiani : 

3e  malti  capidigia  altro  vi  grids, 
Uomini  Biate,  e  non  pecore  matte, 
81  che  il  Giudeo  di  voi  tra  Toi  non  rida. 

(Par.,  V,  Tft.81)- 

Guido  da  Montefeltro  ricorda  aelVInf.  (XXVII, 
la  guerra  fatta  co'  Colonneei  di  Eoma  dal  Prin- 
6  de'  NuODt  Farisei,  Bonifacio  VIII,  e  rimpiang» 
I  essa  non  fosse  etata  fatta  contro  i  Saraconi, 
oontro  i  Q-iudei,  nel  qual  caso  certamente  eo- 
ta  guerra  sarebbe  stata  gtusta,  perche  inspirata 
londotta  da  zelo  di  religione,  sentimento,  che  al 
ipo  di  Bante  era  ritenuto  indispensabile.  Ma^ 
re  questi  magrl  e  indeterminati  accenni  contro 
Israeliti,  nel  poema  sacro  altro  non  abbiamo, 
I  sia  piu  notevole  ed  apra  I'adito  a  qualche  di- 
£Bione.  Donne  ebree,  del  veoohio  Testamento,  go- 
ne! Paradiso  (XXXII,  17). 
Sorisse  il  prof.  Z,  "  Verso  a'  Qiudei  il  Poeta  & 
lua  toUeranza  superiore  a'  enoi  tempi.  La  dove 


—  71  — 


I  i 


^  A  proposito  di  oerte  BoUe  di  Glemente  Y,  ohe  ritenne 
opportuno  di  diohiarare  sohiayi  i  Yenenani  presi  in  gasrra, 
lo  Z.:  ''Forse  ohe  il  yexso  di  Dante  (/n/.,  XXYII,  86)  **N«  mer- 
oatante  in  terra  di  SoldanOn  uon  ya  inteso  per  fiatto  d'Aori 


nel  XXII  delV Inferno  pone  tanti  Sovrani  barattieri, 
6  massime  i  Lucohesi,  non  ha  impegolato  in  quella 
peoe  un  solo  Ebreo.  Altri,  avrebbe  fatto  per  essi, 
molto  usuraj,  "  Nuovi  tormenti  e  nuovi  tormentati^ . 
Dante  no. 

In  questa  nota  8^  mi  pare  assai  evidente  nn 
preconcetto,  ohe,  cio6,  la  oaduta  degli  Ezzelini  sia 
un  avvenimento  de'  piii  importanti  per  la  storia 
dell'  umanit&.    Ma  devo  dichiarare  che,  per  quanto  ; 

io  abbia  pensato  su  cotesta  importanza  degli  Ez- 
zelini nella  storia   dell' umanit^,  nessnna   ragione  j 
snfficiente  sono  state   in  grade  di  vedere  od  indo-  ; 
yinare.     Nella  storia  dell'umanita  sinora  due   soli 
fatti  mi  pare  che  abbiano  molta  importanza,  il  Cri- 
stianesimo  e  la  Bivoluzione  francese.               . 

Pu6  anche  darsi  che  sia  un  gran  fatto  della  sto- 
ria dell'umanita  la  caduta  di  E>oma ;  ma  di  questo 
fatto  doYranno  dare  ancora  ampio  giudizio,  sull'esa- 
me  di  quanto  noi  abbiamo  fatto  e  faremo,  gli  scrit- 
tori  del  secolo  XX. 

II  preconcetto  dello  Z.  credo  io  6  nato  da  quella 
spiccata  e  caratteristica  tendenza  al  generalizzare^ 
della  quale  egli  tante  prove  ha  date  in  questo 
sno  Ubro  di  studi  accurati  e  severi ;  a  questa  ten- 
denza dell'illustre  Professore  noi  dobbiamo  attri- 
buire  tante  belle  osservazioni,  specialmente  sulla 
schiavitti  domestica  nel  nostro  Medio-evo  e  nel  B>i- 
nascimento.  ^ 


'  I 


.i.. 


E  della  Bohiavitili  infatti  ampiamente  disoorre 
e  sflguenti  note,  dalla  9*  alia  14\  Nou  espongo 
snUato  di  questi  etudi,  bastandomi  indicare  I'ar- 
lento :  in  tal  modo  ogni  bnono  studioeo  avrii 
>  ed  opportunity  di  eeatuiuarli  direttamente 
sa  1'  interpoBta  opera  d'alfcri.  Sono  dawero  im- 
»nti  le  coQcluBioni,  ohe  se  ne  posBono  trarre; 
aggiuugo  che  soqo  asBai  utili  ed  accurate  le 
>o/e  sinotticke  Bulla  vera  Bohiavitfi  personale  do- 
tica,  cbe  lo  Z.  pone  a  pag.  440,  le  qoali  co- 
loiano  con  I'anno  690  e  hanno  termine  con  I'au- 
18Vi  col  ricordo  di  uno  Bchiavo  moro,  venduto 
legale  contratto  da  un  Capitano  siciliano  al 
aoipe  Petriilla  di  Palermo  per  il  prezzo  di  70 
e.  Faggito,  fatto  battezzare,  arrolato  nella 
Marina,  coteato  scbiavo  fn  nondimeno  dol  re  di 
rail  Ferdinando  rostituito  al  Petnilla  come  bqo 
iavo. 

Lo  Z.  trae  queBta  cnriosa  notizia  di  storia  si- 
Lna  da  uno  soritbo  di  G.  Cosentino,  pubblicato  nel 
lettino  del  Comitato  antischtavista  in  Palermo  nel 
le  di  gennaio  1890. 

Aggiungo  per  conto  mio  che  altre  notizie  snlla 
iavitfi  personals  domestica  il  prof.  Z.  avrebbe 
ato  trovare  nel  Codioe  aragoneae  del  Trinchera 

MM ;  mft  in  generals  dei  Crutiftni,  ohe  proTVadeTAQO  ai- 
kgli  Inftdeli  i  qoali  poi  le  riTolgsTano  oontro  >i  battel- 
.<pag.  396). 


9 

.    I 

—  73  —  } 

e  nelle  Novelle  del  Bandello,  libri  che  a  torto  mi  i: 

pare  sieno  stati  dimenticati  in  questa  importante 

Bibliografia.    Prendo  questa  occasione  per  dichia-  : 

rare  che  le  Novelle  del  Bandello  sono  una  miniera 

di  notizie  importanti  per  la  storia  esatta  dei  nosj^ri  .    .   >' 

costumi  dopo  il  rinascimento. 

La  nota  20*  h  interamente  di  argomento  dan- 
tesco  e  si  riferisce  alia  questione  del  Yeltro,  alio 
spirito  antipapale  di  Dante  ed  alia  Biforma  reli- 
giosa  tentata  ah  antiqtw  in  Italia,  qui  lungamente. 
nudrita,  maturatasi  quasi  nel  sedicesimo  seoolo, 
fiaccata  a  furia  di  morti  e  di  esilj  e-pure  durata 
fino  a  noi  (pag.  363).  Vi  ha  dato  occasione  il  Com- 
mento  analitico  alia  Divina  Commedia  di  Gabriele 
Bossetti,  edito  in  Londra  dal  Murrey  negli  anni 
1826  e  1827. 

Come  parecchi  altri  studiosi  del  divino  Poema 
il  prof.  Z.  non  crede  che  le  parole  di  Dante  pos- 
sano  mettere  ora  noi  in  grado  di  determinare  la 
persona  del  Veltro.  II  grande  prodigio  del  trionfo 
di  lui  sulla  Lupa,  cio&  sulPAvarizia  sacerdotale,  si 
sarebbe  dovuto  compiere  fatalmente. 

H  Veltro,  chiunque  egli  si  fosse,  avrebbe  scac- 
oiato  necessariamente  la  brutta  Bestia  da  ogni 
oitta  e  liberate  finalmente  I'ltalia.  Can  Grande, 
che  pure  ha  tante  probabilita  per  contentare  i  Com- 
mentatori  unilateralij  non  pu6  essere  cosi  acerrimo 
nemico  dell'avarizia  per  distruggerla  definitiva- 
mente  ed  annientarla,  ricacciandola  nello  Inferno. 

II  Liberatore,  adunque,  indicate  da  Dante  con 
tanto  lusso  di  particolari,  non  pu6  essere  anoora 
bene  riconosciuto  ed  accertato  da  noi.    Da  ci6  ne- 


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segae  ohe  il  Foeta  BOttoqnella  figura  voile  euscitare 
la  magnanima  ambizione  di  chi  ei  fosse,  ohe  si  ia- 
oeese  Measo  di  Dio,  mettendosi  in  caccia  della  fieia^ 

E  di  quel  gigante  cbe  con  lei  delinqae. 

Costui  doveva  oascere  tra  I'Alpi  e  rAppennino, 
oioS  aell'Italia  settentrionale,  "avendo,  scrisse  lo 
Z.,  nell'alta  Italia  soltanto  il  inaggior  nerbo  de' 
G-hibellini  „ . 

E  chi  sa  ohe  Vumile  Italia,  aggiimgo  io,  non  in- 
diohi  una  parte  della  penisola  in  relazione  all'alta 
Italia  od  Italia  Bettentrionate  ?  Caiamilla,  Eurialo, 
Niso  e  Turno  ricordano  1'  Italia  merldionale  appunto. 
E  nel   Reame   appunto  era  il  nerbo  de'  Guelfi! 

Queeta  spiegazione,  ohe  h  Boltanto  aocennata 
dal  prof.  Z.  e  che  io  ho  c^rcato  d'  illustrare  nn  po' 
piu  ampiamente,  mi  pars  fondata  bu  buone  rogioni. 
Lo  Z.  per6  non  esclude  in  secondo  luogo  un'altra; 
Otoe,  ohe  il  Poeta  abbia  potuto  intendere  moral- 
mente  anche  sh  stesso  "per  gli  effetti  salutari  del 
Buo  poema,. 

Scriase  in  tal  modo ;  "  II  Duce-Veltro,  sapiente 
nell'armi  e  nella  politica,  I'esecutore  disinteressatO' 
del  pensiero  di  Dante-Veltro,  povero,  virtuoso,  sag- 
gio„.  II  Vatioano  e  I'altre  parti  elette  di  Boma, 
che  Bono  state  cimitero  de'  Martiri  e  de'  Santi  che 
seguirono  I'esempio  di  Pietro 

Tosto  libere  fien  deiradaltero. 

{Par..  EX,  142). 

E  questo  stesso  concetto,  suppergi^,  espone  il 
Poeta  in  quell'altro  buo  Bcritto  politico,  De  Monar- 


~  75  — 
chia,  nel  quale  ebbe  in  mente   d'iusegii&re   "a  i 
durre  il  papa  ad   essere   papa,  prete    non    piii 
adulterio  con  I'imperatore  „. 

In  qaesto  lib^o,  aggiunge  lo  Z.  "sano  morsi  < 
VeUro...  noQ  eBseodo  Boma  riconosciatA  da  tut 
il  oonsontimento  de'  mortali,  auche  percio  ohe  ai 
parte  degli  uomini  non  cousente  oon  essa„. 

'  M08BO  da  quesfce  ragioni  il  prof.  Z.  si  attenta 
dare  delle  spiegazioni  intorno  alia  parola  nazio 
usata  da  Dante,  che  pud  benisBimo,  secondo  I1 
indioare  Firenae,  che  e  posta  a  piS  dell'Appennii 
e  presso  Montefeltro,  ohe  e  ad  eesa  parallela.  N( 
trovo  per6  molto  soddisfacente  la  spiegazione  d 
d&  lo  Z.  intomo  a  Feltro  e  Feltro,  che  forse  < 
arte  fu  voluta  laaciare  ambigua;  imperocch4  "a'  p 
de'  BUoi  coutemporanei,  tutti  miiiori  di  lui,  sai 
sembrata  matta  superbia,  preconizzandosi  il  Poe 
apertamente   pel  Yeltro,. 

No,  illustre  Professore;  qnesta  spiegazione  q< 
pu6  aver  base  scientifioa  e  non  riealta  da  ae 
exm  fatto  oonsidereyole  e  degno.  A  me  pare, 
soetaoza,  che,  ammessa  come  notevole  ta  pric 
spiegazione,  quest'altra  debba  ritenersi  fautasi 
ca  e  forse  anche  molto  strana.  Feltro  e  Felt 
non  puo  indicarQ  che  il  territorio  del  GhibelHi 
qnel  luogo  dove  esei  erano  forti  e  temuti,  1'  intie 
piauura  deJ  Po,  tra  la  a'lttk  di  Feltre  del  Friuli, 
Montefeltro  di  Romagna.  Qiunge  in  proposito  po 
gradita  questa  affermazione  del  prof.  Z.  "Chi  pi 
dire  se  Feltro  e  Feltro  non  sieno  due  nomi  co 
Tenzionali,  allusivi  a  qnalche  fatto  della  sua  vil 
o  a  una  sua  dimora  in  luogo,  che  alia  detta  d 


—  76  — 
Luazione  alcaa  pooo  aseomigllasse.     Notevole 
16  m'6  la  variante  nel  Witte:  "tra  'I  Feltre 
Hro,  oade  il  primo  pii!i  indicherebbe  un  no- 
li oontrada„. 

)r  qui  pare  opporfcnno  aggiungere  per  conto  mio 
esempi  di  nomi  di  citt&,  oon  Tartioolo,  abbiamo 
iti,  specialmente  quando  Bono  di  geipere  femmi- 

Cito  a  caso,  Aquila,  Mlrandola,  Badia,  FTatta, 
A,  Pontebba,  Porretta,  Spezia,  HoUnella,  Per- 
,  Lastra,  ecc. 
Lbbiamo   anche   nomi  di  genere  ma&chile:  Fi- 

di  Modena,  Dolo,  Yasto,  ecc. 
Lbbiamo  aucbe  oon  I'articolo  al  ploralo,  come 
[fonsiae  di  Eomagna. 

]  il  oarioso  e  che  lo  stesso  Dante  foruisse  esem- 
nto  al  masohile,  che  al  fomminile. 
*er  esempio : 

Le  gamLe  tne  alia  giostra  del  Toppo 

(/ii/t  XIII,  120). 

E  maezerati  preaao  atta  Cattolica. 

{Inf.,  XIII,  TD). 

Ha  s'io  fossi  fuggito  in  ver  la  Mira. 

{.Pmg.,  V,  T7). 

Ub&ldia  deUa  Pila  e  Bonifazio 

{Pvm.,  XXIV,  BB). 

Quelle  genti  oh'io  dico  ed  al  GtUluzzo 
(Par.,  XVI,  6a). 

Ch6  la  Barbagia  di  Sardigna  assai 
Nelle  femmiae  sue  6  piJi  pudica 
Che  la  Barbagia  doy'io  la  lasciai. 

{Purg.,  XXin,  M). 


—  77  — 

In  quest' ultimo  esempio  6  evideute  I'accei 
iFirenze,  come  4  noto. 

AmmesBa  danqne  come  vera  ed  originole  I 
riante  del  Witte,  tl  Feltre,  otttii  del  Friuli, 
dagnerebbe. 


Non  Beguo  lo  Z.  uelle  altre  sue  ossarvazioi 
tomo  alia  data  della  pubblicazione  del  Foema 
Becondo  lui,  nmase  inedito  sia  pure  in  qualohe  j 
-vivente  I'atitore;  e  neppure  vogHo  metier  I 
Bulla  sperauza  che  11  nostro  prof.  Z.  ha  espresi 
vedere,  quando  che  eia.,  un  gioruo  0  I'altro, 
fuori  da  qualche  sepolcro  di  SaTenna,  0  d 
buco,  o  rtpoBtiglio,  murato  della  detta  citta, 
tografo  di  Daute.  Coteste  dolci  sparanze  pi 
illusion!  di  amanti  e  di  adoratorl,  e  non  poi 
avere  fondamento  storico. 

Oggi  in  fatto  di  studi  dautesohi  non  de 
eesere  ammesse  le  ipotesi,  che  hanno  reso  invi 
6  quasi  misterioso  il  divino  Poema.  Contentia 
di  quelio,  che  abbiamo,  e  giudichiamo  secondo  i 
che  abbiamo  a  nostra  disposizione.  Al  resto  p' 
ranno  i  poateri. 

Non  voglio  chiudere  questa  parte  senza  a< 
nare  all'opinione  espressa  dal  prof.  Z.  intor 
Bignificato  della  parola  Malta,  detta  da  Cunizz 
citato  luogo  del  Paradiso. 

Non  crede  il  prof.  Z.  che  questa  parola  ] 
ricordare  quella  Torre  di  Cittadella,  castelli 
Padovano,  edificata  da  Azzolino  fratello  dl  Cux 
Questa  torro  nell'anno  1266,  presa  Padova,  fu  i 


&,  d  "  ei  videro  nscire  da  trecento  deformi  spettri 
'ivi  D'infantiy  di  femmine  e  di  riri,  die  snbitar 
aente  accecati  dal  nuovo  raggio  del  sole,  amuritt 
passi,  non  sapevano  pib  andare.  Foteva  il  oore 
lei  poeta  lasciar  diyentare  meno  belle  qaeste  po- 
'ere  vitttme  ecceliniane,  facendo  che  con  loro  si 
aesoesse  la  memoria  di  qnel  f%ltrino  Tescovo  tra- 
litore?, 

liO  Scartaezini  nel  Commento  lipeiese  ha  fatto 
esoro  di  qaeste  giaste  e  sennate  osservazioni,  con- 
biadendo  che  la  Malta  di  Onnizza  non  potesse 
Bsere  la  torre  di  Oittadella.  II  Caeini  non  pare 
he  sia  di  quesba  opinione,  e  nel  sno  Commento, 
dito  nel  1889,  inclina  piattosto  a  oredero  che  ei 
lossa  riferire  questo  rioordo  alia  Torre  del  Pado- 
'ano,  perchS  questo  ricordo  e  snile  labhra  di  Cn- 
lizza.  In  ogni  modo,  esolusa  la  detta  Torre,  come 
wire  si  debba  eseludere,  il  rioordo  evidentemente^ 
in'alinsione  a  certe  career!  ecclesiastiche  o  di  Bol- 
ena  {Zamboni)  o  di  Viterbo  {Scartaszini),  nelle  quali 
1  Papa  metteva  li  cherici  dannati  aenza  remimiotte, 
tcrisse  in  propoeito  lo  Z. :  "La  Malta  ecolesiastica 
ammentava  al  poeta  il  basso  concetto  in  che  fn 
euuto  dal  volgo  il  sao  uemico  Bonifazio,  novel- 
andosi  di  un  saoerdote,  chiusovi  da  qaesto  papa 
)er  farlo  morire„  (pag.  378). 


Come  il  lettore  yede  anche  da  questa  sommaria 
isposizione,  Filippo  Zambonl  e  scrittore  veramente 
lotto  e  di  libero  intelletto,  cbe  non  s'6  perdato 
>ra'  Codici  ed  i  manosoritti,  e  che   non   ha  posto 


—  79  — 
I'altimo  8copo  dello  studio  aella  esamazione,  ( 
vero  nella  nude  e  semplice  illastrazione  di  ei 
AUe  ricserche  fruttaose  e  fecondo  pone  Bempre  < 
me  risultato  qualoho  suo  pensiero  echiettamente  c 
ginale,  con  forma  che,  airapparenza,  pare  ingen^ 
«  che,  noDdimeno,  6  fnitto  di  meditazione  e  di 
taocameuto  alia  tradizione.  AUe  indagini  fatte  i 
pensiero  altrui,  oontrappone  s6  stesso,  coo  digs 
d'aomo  setnplice  e  laborioso,  per  il  quale  la  v 
h&  pure  nuo  soopo  morale  e  non  pu6  esBere  o( 
fuBa  con  I'afiare,  nh  ool  pnro  e  semplice  godimei 
de'  sensl:  vita  di  patriotta,  soprattutto,  e  di  bei 
merito,  goale  appare  dalle  pagine  autobiografic 
premesse  af  volume  in  questa  nuova  edizioue  i 
1897. 


Qaeste  pagine  autobiografiche  sono  importani 
«ime  e  in  esse  gran  parte  delta  storia  preEente 
narrata  in  certi  curiosi  e  notevoli  particolari,  c 
indicazione  precisa  di  uomini,  di  fatti,  di  anedd< 
di  gnerrioinole,  di  raggiri,  di  contrattempi  e 
miserie  politico-letterarie !  Quanti  Inoghi  ed  e 
tori  ha  cercato  e  veduto  ne'  suoi  viaggi,  e  tra 
ansie  sue,  lo  Zamboni !  Qnanti  ricordi  fa  in  que 
pagine,  quanti  ricordi,  che  &uno  peusare  e  me 
tare  e  vergognare  Binanche!  Quanti  aocenni 
persone,  che  noi  stessi  abbiamo  conoeoiuto  e  g 
dicato  con  la  etessa  indifferenza  e  con  lo  stei 
meritato  disprezzo!  Non  e  il  caso,  mi  pare,  qni 
far  nomi  ora ;  ma  tempo  verra  ohe  pure  oote 
nomi  oocsorrer&  fare  una  buona  volta  per  it  giudi 


—  80  — 
areuo  e  spaseionato  della  storia  delte  lebtere  verso 
;li  altimi  anni  del  seoolo  ehe  teste  6  morto !  Non 
ntendo  aggiangere  legue  al  maoohio,  preparato 
on  qaeste  pagine  autobiografiohe  dal  professore 
lamboni.  Ma  i>  ourioso,  proprio  cnriOBO,  cbe  certi 
neddoti  si  riferlsoano  a  recenti  non  dimenticate 
olemiche  contro  il  poeta  Mario  Bapisardi,  e  che, 
a  questo  libro,  delle  oennate  polemiche  ei  iaccia 
icordo.  Tolgo  dal  §  XLI  quanto  segae:  "In  una 
lolla  eegreta  in  Prandio  Domini:  Sa  V.  S.  per 
ft  sua  carriera  (eIc)  didattica  vuole  tutto  il  nostro 
ppoggio  ©  quello  de'  nostri  giornali,  non  si  occnpi 
i  quel  Signore,  ni  in  bene,  nd  in  mald„  (Puaac.)- 
Jsano  antonomasia  per  vero  nome:  Mario  Bapi- 
ardi.  E  qui  ripeto  in  barba  a'  numini:  esso  h  la 
iili  vasta  fantasia  di  poeta  vivente.  N6  per  I'eti 
afievoli  n  ■ 

"  lo  non  mi  accordo  al  oontenuto  di  tutti  i  suoi 
loemi,  per6  mi  piego  a  ohi  mai  davanti  non  pieg6  „ . 

Altrove  (pag.  ilvi)  narra  che  il  poema  Lud- 
'ero,  edito  dal  Barbara  nel  1876,  venne  ben  presto 
aaurito.  "Si  disse  cbe  i  preti  glielo  comperassero, 
nde  allora  non  fu  pnbblicato,  percbft  risarcitegli 
s  spese,  lo  rimando  all'  inferno  figurafcamente,  ab- 
>ruciando  tutta  I'edizione ;  relata  refero.  Eeiste  una 
opia  sola  completa,  il  corpus  delicti  j,. 

B  udite  ora  un  aneddoto,  cbe  si  riferisce  al  filo- 
ofo  Bosmini. 

Lo  tolgo  dal  §  XXXVI. 

"  . . . .  Moetrera  la  dispoiiizione  degli  animi  in 
loma  avanbi  la  Bivoluzione  sotto  Pionono.  lo  ne 
di  testimonio ;  ma  non  1'  bo  trovato  in  nessun  li- 


bro.  Doyevasi  formare  on  ministero  che  credo  fo 
cjuello  di  Mamioni.  Certo  fa  prima  dell'aBsassi 
di  Pellegrino  B(»8i.  In  piazza  della  Cancelle 
non  60  pifi  se  da  Sterbioi  o  da  Mas!  veuiyano  h 
diti  al  popolo  —  popolo?  allora  yi  prendeva  pa 
solamente  I'intelligenza  —  per  ana  specie  di  j 
biscito  i  QOmi  de'  ministri  deBiguati.  II  bandit 
sopraddetto :  "  Yolebe  Bosmini  ministro  deir  ist 
zione?„    TJn  monnorio  ooncorde:  "No,  no„. 

E  il  banditore:  "Peroh6  no?„ 

Silenzio.  Poi :  "  PerchS  fe  prete  „ .  E  Eosm 
non  fa  ministro  n. 


Torno  a  ripetere  quello  che  ho  detto  dial 
Qaeete  pagine  autobiografiche  sono  importantiesi 
per  la  conoscenza  della  presente  storia  ed  am 
per  gindicare  I'opera  di  alouni.  che  ebbero,  co 
suol  dirsi,  le  mani  in  pasta  nel  moyimento  polit 
e  letterario  dopo  I'anno  1848  in  Italia !  * 


>  Da  UI1&  letters,  ohe  mi  ha  aoritt*  I'illtutre  Frofera 
tolgo  qneate  p&role  cha  ml  paiono  notevoli  e  degne  di  rioc 
pec  la  Btoria  del  nostro  risorgimeato :  "....  IMUa  mia  Ei 
nel  mills  non  si  trovano  pib  copie,  e  peroid  di  mbb  non 
poiao  fare  omaggio.  E  tanto  pid  vorrei  che  V.  8.  I'aye 
peroh^  nella  note  yi  sono  rioordi  antobiografiai,  auzi  tatt 
note  in  compleBBo  sono  scritte  sotto  Vimpressione  de'  tei 
oho  g;i&  riveUno  che  con  U  breccia  di  Poitapla  poltva  fi 
il  mtdio  evo,  ma  che  non  finl.  Oredo  ohe  ae  fosse  poasibil 
&Tne  nn'altts  ediiioue,  dob  Be  si  trovosse  nn  ttbraio  ohe 
lease  diffonderla,  potrebba  trovare  Icttori.  Oosl  mi  stare 
a  oaOTs  di  pnbblioare,  prima  della  mia  morte,  Is  mamoria 
Battaglione  universitario  romano,  nelle  quali  sono  descrl 
fatti  d'arme  non  solo  dalle  eampagne  del  '48  e  '40,  ma  oerti  ] 
ticolari  del  tatto  ignoti.    P.  I!,  de*  800  (?)  siciliani  ohe  si 


meoto  e  I'c 

-NeUo 

diffiuundzi' 

ial  dott.  C 
"Oosl  I 
in  Eniopk 
rie.  Haric 
Eualini.  ] 
btti  d»ine 
del  '48,  en 
fonda  ...'.I 
Firenze  bm 
mettetli  in 
Sonii  qnei 
diaposta  be 


UN  CONTRIBT] 

Dl  STOEIA  MEEIDI 


■  A  proporito  d«Ua  pubblicadone  di  in 
Dl  LoBBKO,  Uh  Urxo  vtanipoh  di  Monogrn 
*  eiUabrMi.    Siena,  tip.  editrice  hui  Benuud 


SUm^alo  (ulta  BMie^k  DasiDii 


La  storia  politica  e  letteraria  delle  tre  : 
labresi,  per  gnanto  specialmente  si  riferiK 
ecimento,  s'insinna  oramai  nella  storia  ge: 
talia,  ed  acqnista  ogni  giorno  pregio  ed  in 

Sono  gi&  noti  gli  stadi  buI  Telesio  e 
panella,  pe'  quali,  com'  d  noto,  I'altims 
detta  dopo  le  ricerche  frattnose,  fatte  ed 
da'  oompianti  professori  Fiorentioo  ed 
Molto  ancora  rimane  a  fare,  e  non  sol( 
periodo,  ma  anohe  sal  seoolo,  che  prec 
gaello  ciie  segne  al  BiBascimento.  II  Nifc 
sao  biografo,  nn  biografo  accarato  e  sioaro 
rate  da  bona  o  da  vanit&  locale,  che  oi  > 
le  virtfi  e'  vizi  di  gttel  grandissimo  ing 
tore  di  un  libro  sul  "  Principe  „,  che  6 
scQBso  a  proposito  di  an  altro  libro  sal  "  I 
di  Nioool6  Machiavelli,  venuto  alia  lace 

E  11  loro  biografo  aspettano  ancora  : 
che  hatino  avato  fama  nel  loro  tempo,  e 
U  risorgimento  degli  stndi  olassici  die'  lot 
meritata  considerazione.    Biografie  e  not 


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—  86  — 


abbiamo,   speoialmente   nella   pubblicazioni  degli 

sorittori  looali.    Ma  occorre,  anzitutto,  racimolarle 

di  qua  e  di  1&,  anche  forse  nelle  pubblicazioni  de- 

^  gli  scrittori  delle  cose  di  Sicilia :  e  poi,  non  biso- 

i  gna  credere  ad  occhi  chiusi  a  tutte  coteste  notizie, 

r  ohe  sono  state  talvolta  raccoite  e  diffuse  senza  nes* 

suna  critica,  senza  nessun  criterio  di  oggettiyit&, 
scientifica  e  letteraria. 

Tutti  gli  scrittori  locali,  d'ogni  regione  e  di 
ogni  tempo,  salvo  pochissime  e  note  eccezioni,  hanna 
esagerato,  narrando.  Ma  gli  scrittori  calabro-si- 
culi,  salvo  pocbe  eccezioni,  hanno  esagerato  pifi  di 
tutti,  quando  hanno  scritto  de'  loro  grandi  uomini. 
Di  questo  peccato  nbn  rimane  libero  nemmeno  il 
Mongitore.  E  un  altro  scrittore  accurate,  lo  Span6- 
Bolani,  pretende  affermare  che  Giovanni  Alfonso 
Borelli  sia  nato  in  Beggio  di  Calabria,  nel  con- 
tado  di  Sant'  Agata,  mentre  Angelo  Fabroni  aveva 
pubblicato  I'attestato  parrocchiale  di  nascita  del 
Borelli  sino   dall'anno  1773.  * 

In  uno  studio  suUe  cose  calabresi  ed  anche  si- 
ciliane  il  lavoro  preparatorio  dev'essere  grande,. 
peroh6  uno  scrittore  trascrive  dall'altro.  Talvol- 
ta occorre   notare   che   uno   scrittore  aggiunge  di 

^  In  una  OomanioaEione  pubblioata  nel  BoUettino  del  Oir^ 
eolo  ccdahrest  di  Napoli,  anno  1897,  il  benemerito  prof.  dott. 
Francesco  Morano,  dotto  racooglitore  di  stampe  e  libri  di 
nomini  illustri  di  Calabria,  ha  pubblicato  e  illustrato  incite 
notizie  sul  Borelli  ed  espresso  Fopinione  che  questi  fosse  nato 
da  una  Sorella  del  Gampanella.  Ed  ha  aggiunto :  **  Probabilmente 
la  madre  [del  Borelli]  per  sfaggire  alle  persecuzioni  viceregna- 
liy  onde  erano  bersagliati  tutti  i  parenti  di  Fra  Tommaso,  da 
Stilo  si  8ar4  trasferita  a  Sant'Agata,  e  quiyi  doyeva  troyarsi 
quando  nacque  Giov.  Alfonso  Borelli  „.  Ma  questa  ipotesi  — 
rispondo  io  —  non  toglie  autenticit4  ed  importanza  al  docu- 
mento  pubblicato  dal  Fabroni. 


-^  87  — 
testa  ana,  secondo  il  buo  desiddrio,  senza  prova  i 
dooumenti,  o  oooforto  di  oonsiderazioni  e  di  ni< 
ditazioui.  Potrei  citare  infiniti  esempi.  Ma  sc 
Toglio  perdermi  nelle  conaiderazioni  prelimiDai 
bastandomi  I'BTvertenza,  ohe  lio  fatta,  per  ginstil 
care,  o  epiegare  la  darezza  e  cradeltji,  ohe  talvoH 
ha  avato  la  mta  critica,  ed  anche  perchd  si  meti 
in  goardia  il  lettore:  aggiuugo,  per  pregare  pal 
blicamente  ed  ntilmeute  chi  acrive  di  coae  calabn 
nonle  di  dar  prova  di  critica  serena  e  Bottile  al  fit 
di  sgombrare  il  terreno,  tatto  il  terreno,  alio  stadti 
so,  11  qnale  dev'oBsere  aempre  meBso  in  grado  d'ii 
tenders,  nel  modo  pii!i  agevole  e  migliore  la  noati 
disgraziata  storia  politica  e  letteraria  meridional 


Tra  qnesti  aorittori  sereni,  non  preoccapati  Si 
verohiameute  dell'argomento,  n^  dalla  trattazioi 
che  se  ne  deve  fare,  conoacitori  perfetti  del  temp 
nel  quale  la  materia  storioa  ai  b  mossa,  e  pn6  i 
consegaenza  avere  acquistato  pregio  e  magni&cen! 
di  uarrazione,  ha  ano  de'  primi  post!  (ee  non 
primo  poato  tra'  reoenti  i^crittori  calabresi),  mons 
gnore  don  Antonio  Maria  De  Lorenzo,  gi&  Vesoo\ 
di  Mileto  in  Calabria,  promoaso  a'  28  novembre  18£ 
ad  Arcivescoyo  titolare  di  Seleacia  d'laauria. 

Gli  scritti  ainora  apparsi  del  De  Lorenzo,  i 
hanno  talvolta  argomento  piccolo  e  riatretto  (i'Ospi 
dale  reggino  di  Santa  Margheriba ;  I'Ammiraglial 
di  Napoli ;  lo  stemma  del  Comnne  e  il  culto  di  Sa 
Giorgio  in  Beggio  di  Calabria;  i  Calabreai  nel 
correzione  gregoriana  del  Calendario;  Le  quatti 
Motte  estint0*pre8ao  Beggio  di  Calabria ;  Sant'Agal 


leggio ;  Le  Calabrie  e  la  gtornata  di  Lepanto, 
'  hanno  vedate  larghe  ed  originali,  compren- 

di  oonoluBtoae  certa.  Nati  da'  documdiiti 
iati,  od  illustr&ti,  od  dBumafci  dallo  steBso  aa- 
,  cotesti  studi  del  De  Lorenzo  sono  sempre  I'nl- 
,  parola  buI  piccolo  e  ristretto  argomenbo,  trat- 
con  ampiezza  d  matiuit&  di  giudizio  singolari. 
Sd  e  bene  aggiungere  ohe  parecchi  di  oo- 
pioooli  argomenti  danno  coutributo  ed  au- 

alla  Btoria  civile  e  letteraria  d'  Italia.  Lo 
io  salla  eorrezione  del  Calendorio  e  qnello  snlle 
tro  Motte  posBono  avere  importanza  generaie 
Le  fuori  de'  confini  aesegnati  alia  storia  calar 
e.  Non  Bono  in  grado  di  giudicame.  Ma  bo 
io  sentito  lodare  il  risaltato  degli  studi  del 
Lorenzo  su  le  sooperte  arobeologicbe  di  Beggio 
alabria,  pubblicate  nel  188&  e  1886  con  tavole 
frafiehe  pregiate. 

Tel  fare  rannunzio  di  quest'altro  suo  libro  poche 
)  cose  dovrei  aggiungere.  In  sette  capttoli  an- 
tto,  Bi  dk  sotto  forma  di  Eieordi,  la  Btoria 
Semiuario  reggino,  dei  tempi  di  monB.  Q-aspare 
F08S0,  11  quale,  "  come  afferma  11  Pallavicino, 
Concilio  di  Trento  godeavi  tale  opinione  di 
lenza  e  dottrina  da  venire  reputata  la  sua  pre- 
a  nonch&  ntile  ed  ouorevole,  necessaria  alia 
a  Assemblea  „  ■ 

Per  la  coltnra,  cbo  ben  presto  ei  difFiiBe  nella 
bbI  con  1' opera  incessante  del  Seminario,  in 
pi  ne'  qaali  I'edacazioue  pubblica  non  era  an- 
bene  regolata,  no  inteea  dal  Qovemo  napo- 
ao,  ben  presto  rArcivescovado  di  Beggio  aoqui- 
sonBiderazione  ed  estimazioue  nell' Italia  merl- 
ale,  nella  vici&a  Sioilia  e  nelle  adiacentl  isole. 


Trovo  in  qaesto  tompu  registrata  dal  Plrri  una 
notizia,  ohe  invano  ho  cercato  nelle  sorittare  di 
storia  locale.  II  Vescovo  di  Lipari,  frata  Alberto 
C&ccamo,  per  sottrarsi  alia  potesta  della  LegazioDe 
apostolica  di  Sioilia,  e  forse  anohe  alia  soggezione 
dell'Arcivesoovo  di  Messina,  Andrea  Mastrillo,  oomo 
di  discnsso  oarattere  tra'  saoi  contemporanei,  chie- 
se,  ma  Inutilmente,  verso  il  1621,  di  appartenere 
qnal  Sufiraganeo  alia  chiesa  metropolitana  di  Reg- 
gio  di  Calabria,  retta  da  mons.  Annibale  D'Afflitto, 
palermitauo,  che,  al  pari  del  Mastrillo,  era  stato 
in  Madrid,  sotto  Filippo  II,  al  ministero  dalla  Cap- 
pella  r^ale.  ' 

Con  Dal  Fosso  si  pn6  dire  che  cominoi  nella 
liMcesi  reggina  uu  3ra  nnova  di  apostolato.  Finita 
1'  ingerenza  mondana,  di  cut  die'  brutta  prova  I'ar- 
civesco  Orsini  (1612-1626)  e  al  quale  credo  si  debba 
riferire  la  Novella  del  Bandello  (parte  III,  nov. 
XYI)  nella  quale  I'avarizia  del  Prelato  ha  giusto 
e  meritato  castigo  per  opera  di  certo  Bigolino  ca- 
labrese  sno  familiare:  gli  arcivescovi  di  Keggio 
ecceliouo  per  opere  di  carit^  e  di  benefioeuza. 

II  Bal  Fosso  con  pubblico  istrnmento  die'  parte 


>  D'nn  allto  veioovo  di  Lipui,  frate  Alfonso  Vidal  (I60t- 
IBIS)  lo  stesso  mom.  Da  Lorenzo  he,  pobblioato  {Beggio  di  Co- 
iabria,  1873)  due  lettere  ttirAroiveBooTo  di  Beggio  mons.  D'Af- 
flitto,  nelle  qooli  si  domandano  ainti  e  oonaigti  pei  I'eseroiaio 
del  miniatero  episoopala:  ■  stando  It  laioi  di  qnella  oitt4  sotto 
la  iaTisdiotione  del  regno  di  Napoli ,.  Pare  ahe  I'AroiTeaooTo 
di  Beggio  aTesse  sin  d'allora  nna  specie  di  giurisdieione  ao- 
oleaiastioa  loUinlMtt  snl  territorio  delle  Eolie  agendo  trasmosso 
a  qael  YeseoTO  ana  oommisiione  Ticevnta  dal  NimEio  Apo- 
•tolioo  e  dal   Oatdinale   di    Firanse   Alassandro  Qidltano  Be' 


-io  vescovile  a  200  famiglte  oon  obbligo 
vazione  del  gelsi  ueri  per  l'iiidastri& 

II  D'Afflitto  mostra  nella  iavaBione  de' 
.  1594  quanto  fosae  in  lui  forte  il  seuti- 
stolioo  della  carit&.     Gaspare  Greales  et 

animo  mite.  Katteo  di  Q^nuaro,  dopo- 
o  gli  appestati  nel  nosooomio  di  eau  Gea- 
ipoli,  ritnasto  inoolume  sino  alia  fine 
s  fiagello,  aiid&  a  Beggio  e  resse  la  chiesa 
lode. 

Aroivescovi   sono    stati  i  fondatori  del 

reggijio,  che  ebbe  giuet^  estimazione  in 
alabria,  specialmente  sino  al  passato  se- 
tori  di  fama  non  dubbia  anche  in  Italia. 
[U  altri,  quel  GiuBeppe  Morisani,  autore 
otte  e  notevoli  di  aroheologia  e  di  storia 
a:  le  "  lusoriptiones  Beginae  „  (1770) 
lompendio  tntta  la  storia  antica,  politica 
li  Reggie.  Con  la  fama  del  Morisani 
tutta  Italia  la  fama  del  Seminario  di 
)  lettere  onoriGche  venivano  al  Morisani 
3&  Luigi  Asaemani,  da  Niccol6  Ignarra, 
bio  Zannotti,  da  Pietro  Ballerini,  dal 
e  da  altri  ohiari  contemporanei^. 
10  disjntere  ora,  se  ci  pare  opportuno, 
LO  incompleta,  cbe  si  da  ne'  Seminari,  e 
iizione  raoimolata  di  qua  e  di  la,  con 
0  classico,  senza  nessuna  base  di  studi 
i  scienze  naturali,  che  si  acquista  uei 
liocesani  della  nuova  Italia,  con  mani- 
rsione  a  quanto  si  fece  e  si  fa  nell'in- 
la  Patria;  ma  non  e  bene  e  non  mi  paro 


—  91  — 


opportuno  il  negare  quanto  il  Seminario  fece,  spe- 
oialmente  nelP  Italia  meridionals,  in  pro  dellav 
scienza  e  della  cultura  italiana. 

L'  insegnamento  pnbblico  ha  le  sue  origini  tra  la 
ansie  e  gli  stimoli  di  propaganda  religiosa  e  confes- 
sionale.  Mentre  a  qualcuno  par  che  la  fede  sia  ne- 
mica  assoluta  delle  indagini  e  delle  ricerohe  speri- 
mentali  e  si  opponga  ool  preconcetto  a  una  conclu- 
sione  disinteressata,  qualunque  essa  sia;  e  la  fede^ 
che  pu6  fare  il  miracolo  di  propaganda,  raccogliendo 
gli  umili,  i  poveri,  i  derelitti,  gli  sventurati,  guidan- 
doli,  addestrandoli,  avviandoli  alia  diffusione  della 
ideaj  che  6  credata  ed  acoettata  sinoeramente  dai 
suoi  apostoli  e  confessori.  Qaando  avremo  giudizio 
e  sapremo  giudicar  meglio  le  dottrine,  che  sono 
effetto  della  Bivoluzione  francese,  sapremo  senza 
dabbio  dire  la  verita  suU' insegnamento  confessio- 
nale,  dato  sino  al  passato  secolo  ne'  Seminari  con 
disinteresse  e  con  zelo. 

Mons.  De  Lorenzo  fa  sapere  che  il  Bettore  del 
Seminario  di  Beggio  veniva  retribuito  di  mensa, 
alloggio  e  servizio  senza  altro  compenso  pecuniario ; 
il  trattamento  di  bocca  si  computava  per  36  ducati 
all'anno,  cio6  un  carlino  (43  centesimi)  al  giorno. 
Paga  effettiva  in  ducati  settantadue  toccava  alFeco- 
nomo  o  procuratore.  ^  Anche  il  solo  stipendio  in 
danaro  al  maestro  di  superiore  grammatica  in  ducati 
quaranta.  Mantenimento  e  stipendio  di  ducati  dodici 
al  maestro  di  grammatica  inferiore,  a  cui  pero  toc- 
cava I'afiaticarsi  con  allievi  ginnasiali  ed  elementari 
di  diverse  grado  e  livello.  Ogni  professore  di  scienze 
toccava  ducati  trenta  all'anno.    S^ntende  che  tali 


spondeBBero  allora  ad  qu  valorn 
ll'odierno,  pur©  lasciavano  agU 
la  speranza  di  qaalche  stallo  ca- 
fazione  di  ooQCorrere  anche  oou 
all'  istituzione  del  giovane  clero  „ . 
ohe  aggiungere  ohe  mons.  Da 
iza  volerlo,  faceudo  la  storia  del 
gio,  ha  iniziato  stadi  che  vorrei 
lU'insegnamento  pubblico  nelle 
!onciUo  di  Trsnto. 
bi  abbia  potato  eseere  la  scnola, 
i  calabreEi,  nell'  nltima  parte  del 
)~  il  volgare  cominoiava  ad  appa- 
)  e  non  ci  potr&  essare  noto,  man- 
I  mostrandoli,  soltanto,  il  greco  ad 
i  notarili:  an  idioma  tra  il  grace 
0,  senza  aBpresBloni  a  forme  ori- 

parare,  doveva  ascire  dalle  Ca- 
lento  prima  di  parbire,  come  si 
condarsi  con  molti  stanti  e  molte 
V9  poi,  quando  aveva  imparato, 
Boola  patria  a  acqaistava  sover- 
besEo  e  delia  forze  uue.  Per  ao- 
ponio  Leto,  Parrasio,  Nifo,  Gravi- 
a  usoire,  od  almeno  domaudara 
agli  studi  iu  an  convento,  coma 
Tutti  gl'iiigegiii  per  eduoarsi, 
ni,  dove  prendevano  aria  pura,  in 
:ito. 

il  segno  del  raccoglimento  e  face 
}  edacativa  del  proprio  paese,  fa 


—  93  — 


nelle  tre  regioni  calabresi  il  Vescovo:  onde  il  Se- 
minario  in  Calabria  ha  importanza  singolare  nella 
storia,  che  h  anoora  a  fare,  dell'  insegnamento  pub- 
blico  italiano,  specialmente  dell' Italia  meridionale. 

Oltre  lo  stadio  sul  Seminario,  in  questo  terzo  Ma- 
nipolo  abbiamo  altre  monografie,  tratti  storici,  pagi-^ 
ne  sparse,  spighe  e  granelli,  tutte  cose  pensate,  stu- 
diate,  esaminate  con  la  solita  critioa  e  col  solito  sensa 
di  oggettiyit&,  senza  preconcetto. 

E  perch^  le  lodi  non  paiano  effetto  dell'amici- 
zia  e  de'  vincoli,  che  abbiamo  comuni,  con  gli 
studi  di  storia  patria,  devo  qui  accennare  alia  mo- 
nografia  su  mons.  Giovanni  Andrea  Serrao,  Vesco- 
vo di  Pofcenza  nel  1699,  biografo  del  Gravina,  in- 
chinevole  alle  idee  di  riforma  e  di  liberty  politica, 
sospetto  alia  Curia  ed  amato,  come  pare,  dal  Ta- 
nucci. 

Questo  prelate  in  una  lettera  al  Morisani,  la 
quale  mons.  De  Lorenzo  pubblica  integralmente, 
nel  1758  scrisse  queste  memorande  parole:  ^  . . .  hoc 
tempore  non  temporalibus  ac  mortalibus  rebus  pro- 
curandis  idoneo  eget  Christiana  Besp.  Moderatore  '^ 
sed  eo  potissimum,  qui  divinae  Beligionis  causam 
constanti  et  forti  animo  contra  impotentium  teme- 
ritatem  defendendam  suscipiat  „ .  Parole  d'oro,  che 
i  ben  pensanti  dicono  sempre,  specialmente  quando 
6  prossima  la  riunione  di  un  Conclave.  E  si  noti 
che  mons.  Serrao  le  scriveva  da  Roma,  dopo  la  mor- 
te  di  Benedetto  XIV  e  prima  della  elezione  del  Bez- 
zonico,  Clemente  XIII.  A  -mons.  De  Lorenzo  paiona 
per6  poco  opportune  e  quasi  inintelligibili  queste 
parole,   e  quando   appunto   Giov.  Andrea   Serrao, 


t  ■ 


f  ■  i* 


rteno- 
dtIo  a 
giaoo- 
tBtola, 

igadie 
1  qna- 
ti  Po- 
oue  e 
giola 
indida 
na  ad 
larghe 
.6  pre- 
lla  te- 
to 

a  par- 
ncilitb 
tatua; 

!o,  no, 
lidata 
□te  il 
tedal- 


ronon 
ittiifcto 
3I  eao 
aroliia 
,deUe 
Lt&  di 
lalnn- 


—  9B  — 
qae  oo3to,  e  oou  goalanqne  mezzo,  con  le  an 
e  con  1ft  morte  spietata  e  immediata  degli  a 
versari.  Per  vincere  e  trioofare,  bisognava  ai 
mazzare,  u'ooidere,  dar  faooo,  violare  donne,  fai 
cialle;  non  preoconparsi  mai  delle  vittime,  ii&  del 
morti  violenbi  pari  a  qnella  di  mons.  Serrao.  Anol 
quaudo  gU  awersari  hanno  posizione  autoreTO 
«d  elevata  e  sono  intent!  alle  eante  orazioni,  oon 
■noDB.  Serrao,  ocoorre  il  ferro  mioidiale  e  la  mort 
Bisogna  leggere  i  dooamenti  editi  di  receute  d 
barone  Serena.  Sono  oose  che  dawero  fanno  pei 
sare  e  rabbrividire  1 

Qaalohe  altro  aoceono  iniport«nte  abbiamo  . 
qnesto  libro,  del  qaale  bisogna  prender  nota,  I 
riferisoe  agli  Ebrei  della  Calabria,  cbe  nel  sec 
lo  XIII  aTevano  14  etazioni,  o  Coinanit&  distin 
e  Beparate  dai  Comuni  degl'  indigeni,  presso  ai  que 
si  ritrovavano:  una  Bpeoie  di  Comune  doppio,  d 
quale  avevano  dato  eaempio,  specialmente  in  Sic 
lia,  gli  antiohi  Eomaui.  II  D.  L.  attinge  qaev 
curioss  0  notevole  notizia  da  un  docnmento,  Reg 
ato  angioino,  dell'Arohivio  di  Stato  di  Napoli. 
da  questo  docomeato  (1278)  Borge  la  prima  mem 
ria  Boritta  delle  Comunit^  giudaiche  in  Calabri 
delle  qnali  nessauo  Borittore  sino  ad  ora  ba  pa 
lato  non  dioo  ampiamente ;  ma  nemmeno  fuggevo 
mente,  oome  fa  mons.  De  Lorenzo. 

Questo  documento  epiega  1'  incremento  obe  e! 
hero  in  tntto  il  Beame  gli  Ebrei,  speoialmente  soti 
gli  Angioini. 

Ma  io  qui  credo  opportuno  rioordare  in  propi 
sito  il  Beaoritto  di  Carlo  Martello  de'  6  marzo  129i 


ad  alcuai  nobili  oapoletani,  ohe  avevano 
trrore  giudaico,  veune  concesso  di  poter 
re  una  Sinagogs  in  Oratorio  per  udirvi  le 
albri  diviui  u£&cii.  II  3  marzo  1311  Rober- 
aver  notato'  ohe  molti  Giudei  convertiti 
10  relapsi,  abitando  lo  Bteseo  laogo  de'  non 
i,  vieta  espressamente  tale  anione,  impo- 
itazione  separata.  Lo  stesao  Roberto  a'  16 
1336  d&  potesta  all'  Inquisitore  Fra  Paolo 
di  procedere  oontro  i  Giudei.  E  la  regina 
.  a'  22  novembre  1343,  ricbiamando  in  vi- 
[ispoeizioui  date  in  proposito  da  Roberto, 
.  disposizione  de'  24  novembre  dello  stesso 
te  con  premura  il  divieto,  non  volendo  che 
oonvertiti  praticassero  co'  non  convertiti 
il  Beame.  Ma  prima  del  1290  altri  do- 
Bttgli  Ebrei  non  erano  noti.  Onde  I'im- 
del  Regesto,  indicato,  od  esumato  (la  cosa 
n  nota)  da  mons.  De  Lorenzo,  obe  si  ri- 
I'anno  1278.  Questo  6  dunqae  la  prima 
scritta  che  abbiamo  delle  Comunita  gtu- 
.labreei.  Da  certe  iudicazioni  di  Giadeoa, 
ca,  date  a  luogbi  presso  Arena,  G&latro, 
)nde  6  Maropati,  il  D,  L,  trae  la  conclu- 
posteriormente  queste  Comunit4  gindaiche 
avute  moltiplicare  ed  aocrescere.  Gl'Israe- 
3ggio  ebbero  importanza  non  trascurabile 
tempo  aragonese. 

BO  I  d&  esecuzione  alia  boUa  di  Kiccol6  V 
ngno  1447,  con  la  quale  fra  Giovanni  da 
QO  veniva  delegate  ad  inquirere  contro  i 
)roibeudo  a'  cristiani  ogui  commercio  con 


—  97  - 
eEsi,  anohe  il  maDgiare,  il  bere  e 
da  essi  medicine,  o  cure  di  feril 
sbesso  Papa,  dopo  aver  notato 
Sicilia  erano  crescluti  i  cristian 
una  Bolla  a  fra  Matteo  da  Be^ 
nori,  oostitnendolo  Inquisitore  c 
B  noto  che  ne'  CapitoU  di  j 
dalla,  citt&  di  Keggio  ad  AIfons< 
samente  domandata  la  reintegrs 
Bdizione  de'  Canonic!  del  Dno: 
reggina. 

In  atcune  Lettore  di  gover: 
Federigo  nell'anno  1497  a  Polida 
Tesoriere  in  Calabria,  abbiamo 
de'  Qiadei  di  Calabria  e  su'  ored 
Cristiani  novelli,  a'  qaali  forse 
s'era  rivolto,  per  aver  danaro,  • 
potersi  rivolgere,  richiedendoto  i 
avesse  di  nrgenza  per  la  guerra 
Qualche  altra  notizia  d&  il  Ch 
cenno,  cbe  st  riferiBce  a'  16  noven 
il  Oran  Capitano  richiedeva  al  ( 
la  deposizione  di  alcuni  Cristiani : 
tavano.  Ma  importanza  grandeel 
Calabria  e  epeoialmente  in  Eeg 
la  partenza  da  Napoli  di  Ferdi: 
(1507)  Botto  il  governo  del  seoonc 
don,  Giovanni  d'Aragona. 

Qai  giunge  proprio  opportur 
mous.  De  Lorenzo  scrisse  in  un 
(1895)  a  proposito  del  colpo,  o  i 
mitico  di  Beggio  de'  26  luglio  II 


Cbrei  della  Calabria  e  di  Beggio  veunero  sfirat- 
peroh6  "  tiranneggiayauo  gU  Boarsi  elementi 
•ommeroio  e  dell' indastrJA  indigesa  con  un 
ma  ohe  diremmo  inaadito  „. 

0  non  so  che  oosa  pensare  di  ooteBto  ntovimento 
«iiiitico  reggino,  le  coi  consegaenze  eoouomiohe 
10  dawero  disaatrose.  Certo  &  che  gli  Ebrei 
•  oomunit&  oalabresi,  soaooiati  repentinamdnte 

1  Calabrie,  ai  ridussero  in  Sioilia,  e  pot  ebbero 
arto  ed  asilo  in  Toscana  ed  anoho  in  Boma, 

della  cattolicit&. 

Lggtuugo  che  dope  il  bando,  anzi  immediafca- 
be  dope  di  esso,  venaero  i  Turclii  iu  Beggio  nel 
I  di  agosto  e  feoero  per  la  prima  voUa  quel 
Qmauno,  che  duro  qnattro  giomi.  Natnralmen- 
ssottigliata  la  popolazione,  le  forze  interne  del- 
itt&  dovettero  diminuire,  e  questo  notevole  Bac* 
inno,  ricordato  anche  da  mone.  De  Lorenzd,  6 
)  possibile.  Sino  all'anQo  uel  quale  gli  Ebrei 
no  in  Beggio,  presero  sempre  parte  alle  spese 
erauo  a  oarioo  della  oitba,  anche  a  qualla  mtUa 
renta  uomini  e  qnattro  paia  di  bnoi  al  gioruo, 
doTfittero  servire  per  le  fortifioazioui  alia  mi- 
siata  invaeione  di  Carlo  VIII. 
n  consegueuza  eiamo  in  grado  di  affarmare  ohe 

al  tempo  in  cni  gli  Ebrei  fnrono  iu  Beggio,  i 
ihi  non  si  atbentarono  mai  ad  entraryi, 
Igginngo  ohd  a  coteati  Ebrei  di  Beggio  si  de- 
ittribuire  I'introdiusione  dell'arte  della  stampa 
alabria,  od,  atmeuo,  I'inoremento  di  essa,  aven- 
lOtesti  poveri  e  peraeguitati  Gindei,  neU'aniLO 
i,    pubbticato   per  la  prima   volta  in  Italia  il 


{Jommentario  ebraioo  del  Fenfcateaoo  di  Babbi  Sa- 
lomoDe  laroo:  na  fa  editore  Abramo  Garton,  11  oai 
mme  do  a  titolo  di  onore. 

Avrei  desiderato  iubomo  a  Fra  Matteo  di  Beg- 
gio  ample  e  partioolarL  nofcizie,  non  potendo  basta- 
re  quelle  date  dal  Bodot&  e  dallo  Spauo-Bolani 
Non  si  pa6  rioordare  gli  Ebrei  di  Oalabria,  senza 
tare  acoenui  al  nonje  di  tui.  Fa  Aroivesoovo  di  Bos- 
sano  e  iatrodasse  il  rito  latino  nella  ena  diocesi. 
Qaesto  fira  Mafcteo  dovette  esaere  devoto  personal- 
mente  al  pontefioe  Nioolo  Y :  egli,  in  consegaenzB 
forse  de'  nteriti  che  ebbe,  rese  poasibile  I'incarioo 
della  luquiaizione  a'  Francesc&ni,  sostitnendo  qae- 
sto Ordine  religioso  a  qaello  de'  Domenioani,  pei 
qnali  ravrersioue  nel  popolo  dt  tatte  le  provincie 
del  Beame  era  grande,  sincera  e  diffusa.  Mons,  De 
Lorenzo  avrebbe  iatto  assai  bene  a  dar  Itune  in 
propoaito:  egli  solo,  de'  Calabresi  Bcrittori,  avreb- 
be  potato  farlo  oou  qael  corredo  di  critica  e  di  dot- 
trioa  che  possiede. 

Certo  h  obe  dei  CriBtiaoi  novelli  di  Sicilia  e 
Calabria  pooho  notizie  abbiamo  e  tutte  oonfuse 
nelle  pnbblicazioni  sincrone,  nelle  vite  de'  Banti, 
nelle  storie  looali,  no'  lavori  particolari,  od  anobe 
nelle  biografie  di  aomini  illnetri  additati  da  qaalcbe 
scrittore,  moaso  da  boria  religiosa  o  di  oampanile. 
Nou  pare  obe  de'  Cristiani  novelli  ai  abbia 
Qotizia  prima  del  1391,  nel  qaale  100  mila  fami- 
glie  ebree,  dopo  I'ecoidio  crudele  di  moltiseimi 
di  loro,  fdrono '  obbligate  ad  aooettare  il  oristia- 
nesimo  ed  altre  a  fuggire,  dioendosi  eonverttte, 
e  passate  al  Cristianesimo.  Tenati  d'oocbio  dal- 
la  Inquisizione  napoletana,  si  mantennero  e  conser- 
varono  segretiBsimameute  uell'autica  fede  gindaica 


—  100  — 
.0  anohe  scuole  clandestine  di  propaganda, 
3ulta  da  moltiBsimi  prooesBi  oominciati  a[K 
ell'anno  1569  e  continuati  per  piu  annL,  in 
3  nelle  provincie.  Bimando  il  lettore  a  qnan- 
*  Or.  B.  Del  Tufo  nella  Historia  della  reli- 
'  Padri  Ckerici  regolari  (Roma,  1609)  e  ri- 
,]  compiauto  prof.  Lnigi  Amabile  in  qael 
I  libro  'sal  Santo  Officio  della  Inqui3i2ione 
na  (Citta  di  Castello,  1892).  Degli  studi  del 
to  Amabile  bq  questo  argomento  nou  pare 
i  ohe  mons.  De  Lorenzo  abbia  notizia. 
ca  sinora,  in  ogni  modo,  Qua  monografia  su' 
[i  Calabria ;  onde  deve  giungero  aesai  gradito 
lioeo  I'accenno  cLe  di  essi  ha  fatto  il  beneme- 
llustreprelatoDe  Lorenzo.  Credo  che  da  qne- 
ani  quando  che  sia  potr&  essere  qualcano 
,to  a  dare  ample  notizie  ed  a  preparare  nno 
evero  sa  questo  argomento.     Per  qnanto  si 

alia  Sicilia,  devo  qui  notare,  I'argomento  4 
upiamente  trattato  da  mons.  De  Qiovanni 
iri  accurati  a  pregiati  scrittori.' 
krte  questi  giadizi,  che  talvolta  possono  too* 
politioa  direi  un  po'  contemporauea,  questo 

mons.  De  Lorenzo  6  notevole  assai  e  da 
inthbnto  agli  studi  di  storia  meridionale. 
r  questo  che  ho  creduto  di  discorreme  am- 


[jCMIa,  cfr.  nel  2'  vol.  de'  enoi  Sladi  di  ttoria  Sieiliatta, 
Loo,  1B70,  ed  il  Codice  dtplonmlico  dt'  Oiudn  di  Si- 
,  6  Q.  LAOnmNi,  vol.  VI  de'  Docuiatnli  ptr  la  Sloria 
lia,  Palermo,   Amenta,  1885. 


—  104  — 
alia  Ghmnmatica,  «ra  capace  di  strozzare 
)  di  saorificare  il  penslero  alia  formazione 
rase. 

non  e  di  coteste  picoolezze,  che  voglio  par- 
Ei.  Intendo,  piuttosto,  accennare  a'  gittdizi 
(□on  li  indiaher6  con  altro  uome),  senza  base 
1,  che  il  dott.  Lombroso  dk  solle  Calabrie  e 
abresi  ancke  in  qnest'articolo,  dedicate  inte* 
s  al  brigante  Husoliuo. 
io  ho  avuto  occasioue  di  scrivere  intorno 
altro  lavoro  del  Lombroso,  dedioato  alia 
.a,  edito  nel  1862,  e  poi  pabblicato  tale  e 
K>chi  anni  or  sono,  pe'  tipi  del  Gtiannotta  di 
i:  un  libro  pieno  zeppo  di  errori  e  di  ine- 
i,  in  contraddizione  aperta  col  tempo,  nel 
I  stato  poi  pubblicato ;  libro  che  andava  rifatto 
lalla  prima  all'uUima  parola,  prima  che  po- 
vedere  un'altra  votta  le  stelle  della  pobbli- 

^nesto  libro  il  Lombroso  ha  tentato,  come 
t  I'aatore,  di  correggere  le  lacune  degli  anni 
eaperienza. 

uesBuna  correziono  h  stata  fatta,  tale  da 
il  pensiero  dell'autore,  o  di  farlo  apparire,  al- 
prcoccupato,  dell'argomento  che  aveva  1'bq- 
)re80  a  trattare.  La  Calabria  era  descritta 
3ra  stata  veduta  uel  1862,  qaando,  per  la  de- 
a  aanessione  al  Regno  d' Italia,  tutta  la  re- 
meridionale  era  ancora  diviea  in  fazioni,  e 
cora  era  entrato  pienamente  in  qnel  popolo 
ienza  del  dovere  pabblico,  quello  de'  citta- 
un  grande  Stato.    Kessun  aocenno,  o  notizia 


J 


Bommaria,  de'  miglioramQuti  che  poi  bouo  stati  fatti 
od  iatrodotti,  nella  regione  calabrese,  daH'a&no  1861 
Biiio  al  presente. 

Frendo  questa  ocoasione  per  affermara  anche  qu 
qaello  ohe  ho  aoritto  nella  Eassegna  nazionale  d 
Firenze  (maggio  1899)  a  propoaito  del  volume  sail 
Calabria  del  dott.  Lombroso ;  cbe,  cio6,  molto  pro 
grease  la  Calabria  noa  mostrl  di  aver  fatto  ;  ma  ni 
po'  di  progresao  pare  I'abbia  fatto  di  oerto ;  e  que 
ato  progresBO  e  evidente  uelle  steBse  sue  istituzion 
locali. 

Come  nella  compilazione  del  libretto  suUa  Cb 
labria  tutta  la  regione  calabrese  apparve  al  dot! 
LombroBO  quale  era  quando  egli  la  vide,  e  noi 
qnale  era  poi  divennta  qnando  eglt  sorisse,  Rio< 
dopo  tanti  auni  di  govemo  nazionale;  cosi  in  que 
st'articolo  sulVuUimo  Brigante  la  nota  k  ta  stesei 
I'oblio  del  presente,  I'idea  fiasa  nel  ricordo  delt'an 
DO  1862 :  potenza  e  fermezza  delle  prime  impree 
Bioni,  delle  quali  nemmeno  gli  uomini  di  an  oert 
ingegno  si  sanno  liberare  verso  gli  ultimi  am 
della  loro  carriera  scientifioa! 

Questo  pare  a  me  sia  il  punto  prinoipale  dell 
osaervazioni  critiche  fatte  BuUa  Calabria  dal  pro: 
LombroBO,  e  delle  sue  osservaztoni  aulVulUmo  Br\ 
gante  Musolino. 

Ma  qui  sta  debto  per  I' ultima  volta.  II  brigant 
Afasolino,  in  fondo  in  fondo,  h  un  malfattore,  com 
tanti  altri,  di  Calabria,  d'ltalia,  e  specialment 
della  provtncia  di  Eoma,  e  del  ciroondario  di  Yi 
terbo.  Nato  con  iatinti  feroci,  non  Iia  mai  avnt 
I'aasilio  d'ana  correzione  e  d'usa  edacazione  qos 


bqI  suo  carattere  morale,  sempre  impetaoso 
jUerantd  di  freuo.  Amaute  dell«  alte  soli- 
i  Aspromonte,  appeiia  bi  vide  persegaitato, 
inBando  alle  vere  nd  ineluttabili  cagioni  di 
persecnzioiie,  desiderd  di  poter  correre  e  do- 
I  aa'  monti  e  dalle  Bolitndini  delle  foreste,  e- 
bnde  prova  di  resistenza,  di  sobrieU,  di  agi- 
iscolare  e  d'totelligeoza. 
levo  agginngere  che  il  Musoliuo,  fanciullo^ 
ero  qttello  che  ho  sapnto  dfi'  miei  amici  di 
parti,  □on  6  st&to  differente  da  tanti  altri 
It  e  gioTinotti  della  stesua  Calabria,  delle 
zie  meridionali  e  delle  altre  regioui  d'  Italia* 
le  i  primi  fatti,  che  bodo  poi  delittt  istintivi 
ri  delle  nature  impetuoBe  e  ribelli  ad  ogni 
iione  intellettuale ;  il  Masolino  6  stato  nn 
)tto  audaoe  ne'  primi  anni  Bnoi.  Ora  se  il 
no  foaae  atato  educate  convenientemente  e  cor- 
icondo  la  saa  stessa  natura,  sarebbe  di  certo 
ito  un  grande  oondottiero,  un  uomo  straor- 
1,  forBe  anohe  un  eroe,  del  quale  la  Patria 
bbe  potuta  gtovare  e  vantare- 
rimi  anni  di  Tommaso  Campanella  e  di  Gio- 
tf  tcotora  hauDO  punti  ed  aneddoti  straordinari 
i  di  considerazione  per  la  rivelazione  del  loro 
re  aggressiTO  ed  impetuoso,  prodotto  dalta 
aza  di  un'educazione  morale,  bene  intesa  nel 
nodemo. 

nmaso  Campanella  dovette  fuggire  di  cson- 
in  convento,  Eempre  in  odio  alle  Autoritji 
uche  dell'Ordine  domenicano.  E  avendo  ve- 
I  danno  delta  dominazione  spagnnola,'  per 


—  107  — 
liberar  la  Patria,  pensd  di  farsi  aiutare  dai  Ti 
che  erano  di  oerto  pijt  oristia&i  di  qnei  nostr 
minatori  ocoidentali. 

E  it  Nicotera,  del  quale  abbiamo  tanti  bel 
scorei  parlamentari ;  Nicotera,  che  uon  feoe  mi 
corao  regolare  di  studi  di  nessun  genere,  Nio( 
sempre  audaoe  (obe  era  un  Diavolo,  secondo  il 
ghi),  gitt6  in  faccia  a  nn  Magistrato  borbonioo 
I'esercizio  delle  Eue  faazioui,  I'incbio&tro  d'ni 
lamaio,  in  presenza  dello  stesso  Cancelliere  e  di 
sltri  giudicabili.  Poi  qnesto  Giovanni  Nicotera 
ebbe  puuto  paora  di  entrare  nel  carcere  dellE 
vignana,  carcere  orrendo,  che  avrebbe  potat< 
tare  eoIo  cbe  avesse  domandato  la  grazia  al  G 
no  da  lui  tanto  odiato.  Questa  grazia  egli  non 
domandar  mai  e  credette,  con  cto,  di  eseer  : 
nella  steesa  galera. 

Come  naoqne  e  Bt  conservo  in  Calabria 
Bta  grande  pazzia,  cbe  6  I'amore  verso  la  Fa 
Sarei  curioso  di  saperlo  dal  dott.  Cesare  Lomt 
il  qnale,  son  oerto,  studiando  il  fenomeno,  e 
corgerebbe  cbe,  senza  que'  pazzi  e  Benza  q 
pazzia  di  moltisBimi  Calabresi,  la  Nazione  ita 
uon  si  earebbe  potuta  ooBtituire,  e  il  dott.  C 
XjombroBO  non  potrebbe  ora  dettare  lezioni  df 
delle  migliori  Univereiti  di  un  grande  State 
babilissimamente,  oome  dioeva  Vittorio  Imbria 

II  dott,  Oesare  LombroBO  vuol  trarre  oouboj 
ze,  che  ai  riferisoono  ad  una  regtone,  notai 
i'atti  psrticolari  di  un  uomo  violento  e  male 
cato.  Ma  avrebbe  il  dovere,  mi  pare,  di  not 
iabti   particolari  di   tanti   attri,    nati    nello  t 


—  108  — 
I,  ohe  haano  reso  emiiienti  servigi  alia  coltara 
la  ed  al  progresso  di  tatta  1'  umanitii. 
on  dere  essers  lecito  ad  aa  illaBtre  Professore, 
[eve  essere  gLA  abituato  severamente  al  me- 
Bcienti&co,  di  tirare  oonsegaeuze  general!  da 
alo  fatto  partioolare  ed  indiyidaale. 

Musolino,  a  torto  od  a  ragione,  non  voglio 
(a  non  sarebbe  qnesto  U  Inogo  di  tale  disa- 
I,  ha  creduto  di  essere  stato  condannato  ingia- 
inte.  DicoDO  obe  il  sao  avrooato  abbia  rioa- 
li  difenderlo,  all'ultimo  momento.  Ha  pensato 
jae  cbe  neppnre  le  sue  ragioni  a  acartco  fossero 
bene  espoete  e  dichiarate  al  Magistrato,  che  lo 

poi  giadicato ;  e  che,  quindi,  la  saa  oondanna 
ira  stata   proaunztata  ne'   modi  volnti   dalla 

peuale :  ondn  la  sua  ira  e  il  sentimento  della 
sndetta  contro  tntti  colore,  che  avevano  coo- 
D  a  farla  pronunziare.  Prima  di  tiitto,  vendetta 
D  i  testimoni  a  contro  I'avvocato,  verso  11  qoa- 
Bono,  abbia  sempre  espresso  sentiment!  d'odio 
ido  ed  inesatuibile. 

esse  in  prigione,  scappa  abilmente  dalle  car- 
I  domanda  di  salvare  la  pelle  nei  boschi  e 
I  montagne  delta  sua  stessa.  regione. 
a,  carisaimo  dott.  Lombroso,  coudannati  ohe 
dano  perseguitati  e  che  scappino  dalle  car- 
abbiamo  dappertatto. 

J  letto  flulla  Tribuna  (3  febbraio,  n.  34)  di 
■atelli  Biddle,  condannati  a  morte  per  assas- 
i  quali,  alatati  dalla  moglie  del  oaroeriere 
faggiti  dalle  prigioni  di  Pittsparg  in  Pensil- 


—  109  — 

Non  BO  intendere  come  bu  qnesta  ouriosa, 
sione  americana  non  abbia  ancora  emesso  il  v 
delle  sae  pregiate  oEservazioni  il  profeesore  I 
broso. 

I  due  assasstnif  per  fuggire,  natnralmente  hi 
doTUto  ueeidere.  Ed  ucoisero,  infatti,  parec 
persone,  e,  dope,  fecero  un  viaggio  lungo,  si: 
OoopeTstown,  dove  furouo  arrestati.  GurioE 
fatto  obe  nella  vita  di  questi  dne  aBsassini  ba  a 
grande  importanza  la  donna.  Continoamente  e 
viBttati  nella  prigione  da  donne  giovani  e  veci 
aloune  di  famiglie  rispettabili.  St  narra  cbe, 
sino  nua  signora  misteriosa,  visitando  il  Gove 
tore,  avesse  ottenuto  una  proroga  alia  eeeoaz 
iatale. 

Or  che  cosa  direbbe  dt  tatto  codesto  il  dot 
Lombroso ! 

Con  1'  istinto  che  ba  di  geueralizzare  e  di 
tetizzare;  con  1' istinto  cbe  ha  di  traecurare  le 
elementari  analisi  de'  fatti  umani  secondo  le 
gole  della  dialettica;  volendo  tirare  delta  co 
gtienze  a  qualanque  oosto,  direbbe :  ohe  uello  S 
di  Pensilvania  sono  molti  assassini;  che  le  prig 
degli  Stati  Uuiti  sono  poco  sicure  ;  cbe  quelle  < 
ne  non  amano  i  galantuomini,  ma  i  delinque 
e  cbe,  flnalmente  anche  i  Oovernatori  di  qt 
Contee  si  lascino  facilmente  vincere  dalle  I 
signore ! 

Tutto  questo  e  ben  altro  direbbe  il  dottor  L 
broso  e  molti  crederebbero  di  certo  alle  parole 

Sventaratamente  in  Italia,  e  forse  ora  in  ti 
il  mondo,  la  vita  modema  e  contraria  alia  med 


In  coQBsga&uza,  uod  potendo  noi  pansare 
are  agevolmeute  solle  parol«,  ah.9  Bono  dette 
palpLto,  non  volendo  sottoporoi  alia  fatioa 
>lore  di  pensare  con  la  testa  nostra,  crediamo 
Qte  anche  alia  prMica,  fatta  oon  poohissmia 
na  Benet&  da  an  Inogo  saoro  aUa  sciensa. 
:ae8ta  nn'altra  forma  di  qael  curioso  e  per- 
>  Medio-evo,  al  quale  in  tanti  modi  tentiamo 
'aroi  inntilmeDtd. 


io  sottoscritto  diohiaro  di  easere  esperto  oo- 
"6  degli  n&i,  de'  oostnmi,  de'  deeideri  delle 
ioni  cslabresi,  tra  le  qnali  sono  nato  ed  ho 

molti  anni.    La  regions  oonosoo  disoreta- 

anohe  nello  svolgimento  della  storia  sua' 
are,  del  movimento  della  sua  industria, 
la  esonomia,  della  sua  agriooltnra.  Enonne 
JO  eoonomioo  di  q'aelle  Bventttrate  popola- 
na  ootesto  disagio  non  le  allontana  dal  de- 
vivissimo  che  hanno,  di  trarre  profitto  della 
ova  e  di  progredire, 
ndo  le  ecuole  erano  solamente  in  Napoli,  alia 

citt&  accorrevano  per  imparare,  e  facdvano 
simi  saorifizi  di  fatica  e  di  danaro  per  arrivare 
onosoere  ed  a  farsi  stimare.  In  Kapoli,  uella 

Uuiversiti  degli  stadi,  tutti  gli  atudenti 
letli  Calabresi,  per  la  vita  di  saorifizi  e  di 
ihe  i  veri  Calabresi  erano  obbligati  a  fare  in 
%  un  popolo  di  gaudenti  e  di  festaiuoli,  No- 
loprattutto  la  sobrieti  e  la  teuaoia  dei  pro- 


^sm^m^i 


—  Ill  — 

ponimenti  loro.  Ma  ben  presto  si  apriva  una  strada 
larga  e  maestosa  dinanzi  a  loro. 

U  Borbone  li  temeva  e  credeva  che  fossero  uii 
pericolo  permanente.  Nella  storia  delle  Lettere, 
delle  Scienze,  delle  Arti  belle,  ma,  specialmente  in 
quella  della  speoulazione  filosofica  e  nella  scienza 
del  diritto,  nella  storia  particolare  degli  Stati  d'ltalia 
e  in  quella  della  Ghiesa,  la  Calabria  6  segnata,  al 
pari,  almeno,  delle  altre  regioni. 

E  qoiy  tanto  per  dare  qualehe  esempio,  o  ricordo, 
''di  uomini  insigni  al   professore  Cesare  Lombroso, 
che  non  pare  a  bastanza  edotto  della  storia  parti- 
colare di  Calabria,  che  6  pure  storia  d'  Italia,  credo 
opportune  di  aggiungere  qualehe  nome. 

II  mio  pensiero  corre  al  magno  Cassiodorio,  a  .:  :^ 

papa  Zaccaria  che  dichiaro  Torigine   di  ogni  po-  ] 

tere,  anohe  di  quelle  regie,  essere  nel  popolo;  al-  ;  j 

Tabbate  G-ioacohino,  a   Barlaamo,   a  Suggiero  di  '^ 

lioria,  a  Ciooo  Simonetta,  a  Pomponio  Leto,  ad  Ago-  | 

stino  Nifo,  detto  il  Sessano,  ad  Aulo  Giano  Parrasio,  i 

ad  Antonio  e  Bernardino  Telesio,  a  Simone  Fur-  ^    ,| 

nari,  a  Tbmmaso  Campanella,  a  Tommaso  Comelio, 
a  Giano  Pelusio,  a  Gian  Yinoenzo  Gravina,  ad  An- 
tonio Serra,  al  cardinale  Sirleto,  a  Gaetano  Ar- 
gento,  a  Giuseppe  Morisani,  Gabriele  Barrio,  Tom- 
maso Aceti,  Sertorio  Quattromani,  Yito  Capialbi,  ^ 
Pasquale  Galluppi,  Raffaele  Piria  ed  a  tanti  altrL 

Non  credo  opportune  di  aggiungere  i  nomi  di 
quelli  che  hanno  illustrate  la  cultura  italiana  nella 
seconda  met&  del  secolo  XIX,  n&  di  quelli  che  il* 
lustrano  coi  lore  scritti  gli  Atenei,  ne'  quali  inse- 
gnano  adesso.  Ho  date  dei  nomi  soltanto,  obbeden- 
do  al  semplice  ricordo,  e  non  ho  nemmeno  volute 
badare  all'ordine  cronologico. 


.,, 


^ 


—  112  — 
la  da  qnesta  aemplioe  enumerazions  vien  faori 

storia  gloriosa  di  popolo,  che  non  deve  essere 

mticata  da  colui,  ohe  scrive  intoriio  all' indole 

1  carattere  di  un'intera  popolazione. 

Se  il  Lombroso  avesse  bene  studiato  la  storia 

)  regioni  calabresi  ed  avesse  ora  fatto  on  viag- 

aelle  tre  provincie  di  Calabria,  non  avrebb©  di 

■3  affermato  con  grande  leggerezza  ohe  il  Mn- 

10  fu  Brigante. ...  "  per  il  eonaenao  e  la  simpa- 

li  un  popolo,  in  cui  la  permanenza  di  gentiment^ 

art  e  il  peso  dell'ingiuBtizia  eociale  educa  cri- 

8  eentimenti  quasi  selvaggi  „ . 

Sorisse  il  Lombroso  queste  altre  parole  :, 

'  Se  MttsoliDO  avesse  visto  iotomo  a  eh  il  silen- 

la  ripugnanza  e  l'ostilit&,  avrebbe  delinquito, 
non  avrebbe  mai  osato  elevare  la  sua  persona 
Itezza  dell'eroismo  1  „ 

!n  altri  termini,  ee  io  ho  ben  capito :  il  Bri- 
■.e  fa  indotto  alle  violenze  Bae  dal  Bilenzio  e 
3  Eimpatie    delle    popolazioni    calabreei.     Egli 

qaello  che  fcutti  avrebl«ro  fatto,  ed  avrebbero 
ito  fare !  Egli  fece  quello  che  era  nel  pensiero 
atti:  onde  la  simpatia  generate.  II  Musolino 
irasenta  I'animo,  tl  pensiero  del  suoi  conoitta- 
.  E  il  tipo  della  popolazione.  In  fondo,  Bono 
ii  totti  briganti  nelle  tre  Calabrie,  quasi  tutti 
sstni,  quasi  tutti  delinquent! !  £,  giacohS  non 
ilpevole  chi  rapprosenta  il  vizio  comnne,  il  de- 
rio  di  tutti,  Giuseppe  Musolino  nou  e  reo,  e 
essere  assolto  dalla  Corte  d'Assise  di  Lucca. 
Wa  qui  6  opportune  aggiungere  che  in  cotesto 

della  popolazione  calabrese,  rinvenuto  ora  ed 


—  114  — 
Innqod  11  Masoli&o  ha  oaratterl  propri  cosl 

d  oosi  evldentl;  per  quale  raglone  dev'es- 
nfaso  nella  folia  de'  saoi  oonoitbadtni,  ohe 
indole  e  oarattere  cosl  differente  da  lai? 
i,  dioo  meglio,  per  qoale  misterioso  mobi- 
1  posso  dire  altrimenti)  uno  scrittore  di  cose 
tche  ha  diritto  di  gindioare  il  carattere  d'nna 
ioue  italiaua  tm  bitse  tUle  aztoni  ed  at  ten- 
di  ttfl  aasaaaiTtof 

>  certo  ohe    ueppare  ii  dottore  Lombroso 
e  rispondere  a  qneste  domande! 
io  a  lui  voglio  qui  ricordare  an   altro  oa- 

apostolo  di  oaritA  e  di  bont&,  che  ebbe 
B^guito  in  Calabria  e  molti  anunLratori  sin- 
ievoti :  Francesco  di  Paola,  il  quale  portava 
mlla  saa  tunica  di  frate  una  parola  sola :  Co- 
con  qnesta  parola,  intesa  perfettamente  daUa 
ione  calabrese,  con  qnesta  parola  auUe  labbra 

vita,  procedeva  di  paeae  in  paese,  sempra 
ito  dai  selvaggi  e  harhari  abitatori  di  Ca- 
3  Sioilia, 

to  Cesare  Lombroso  di  leggerc,  ge  ha  tempo, 
che  Ecrifse  di  Francesco  di  Paola  Victor 
lel  Torquemada. 

te  le  rivelazioni  della  vita  oalabrese  devono 
studiate  da  colai  ohe,  dopo  avere  studiato 
ento  suo,  crede  di  avere  il  diritto  di  sori- 
11a  Calabria!  Trascnrare  una  sola  rivelap 
id  an  solo  fatto  importante,  nn  solo  gran- 
0  di  nn  popolo,  signifioa  non  volere  rioer- 

verity :  la  qoal  cosa  pare  a  me  non  debba 
ne'  desid^h  e  ne'  gusti  di  uno  scienziato. 


—  116  — 
Questo  Governo  adungue  cosl  loutano,  cha  ei 
tra  cosl  poco  premuroBO,    che   non   bada  a  cbi 
re  e  non  si  lamenta,  qaale  h  il  contadiuo  di 
ibria,  qaesto  Qoverno  non  si  affermi  solamente 

la  riscossione  delle  ta&ee  e  oou  le  ostiliti,;  ma 
ida  da  ak  con  le   proprie  forze  il  Mosolino,  e 
lUQO  atteuti  alia  vita  di  an  diegraziato. 
Tatto  qttesto  non  credo  sia  sentimento  di  popoli 
aggi.    Pu6  essere,  al  piii  eeutimento  di  popolo 

ancora  bene  ednoato  ed  abbandonato  a  sb  stesso ! 
kla  di  qnesta  mancanza  d'educazione  politica 
di  oerto  non  dobbiamo  dar  colpa  alia  vittima, 

professore  Lombroso! 
Dobbiamo,  inveoe,  attribuire   tuUe  te  colpe  a 
sinora  si  h  mostrato  cagione,  sia  pure  loutana 
nvolontaria,  di  tino  etato  di  fatto  molto  deplo* 
le  e  molto  grave. 

>bi  parla  e  sorive  del  Musolino  non  deve  di- 
ticare  te  condizioni  speciali  della  Calabria  ed 
ri  motivi  delle  strettezze  de'  Calabresi  o  delle 

preseuti  amarezze.  La  Calabria  quale  e,  quale 
lostra,  non  pu6  n^  spiegare,  n^  rappresentare 
aesinio  ed  il  delitto.  liidicare,  esporre  le  con- 
)ni  speciali  della  Calabria  era  sacro  doyere.  Ed 
pure  dovere,  scrivendo  del  Musolino,  di  dare  al 
3  tutta  quella  parte  personale  ed  individuale, 
all'ultimo  Brigante  deve  essere  interamento  at- 
lita.  Delinquenti  vi  sono  e  non  e  posMbile  che 
ialabria  non  vi  eieno.  Ma  la  delinquenza,  il 
}  sono  dappertutto,  anche  presso  i  popoli  piii 
riliti  ed  educati. 
LI  prof.  Lombroso  dev'essere  noto  che    molti 


FioriscoBO  in  C&t&nia  gli  studi  di  storia 
manioipBle  ed  ecclesiastica.  E  non  6  qaesto  '. 
mo  risaltato  delle  benemerenze  di  qnellaFaot 
Lettere  e  del  Dooente  di  Btoria  modema,  le  ci 
more  Bpero  di  T«der  coutinuate  dal  suo  suoc 
nella  oattedra.  Parecclii  studenti  haniio  presi 
■dissertBzioni  di  laarea  8q  argomenti  notevoli  ( 
ria  locale.  Sono  lieto  di  poter  citare  quelle  de 
Orassi  Bertazzi  su  Lionardo  Vigo  ;  del  dott.  V: 
zo  Kigido  su  Bmiaventura  Secasio;  del  dott. 
giero  Caldarera  sulla  BattagUa  di  Francavtlk 
I'anno  1719;del  dott.  Antonino  Leanza  Ba  La  e 
Bronte ;  del  dott.  Orazio  Nerone  sal  TabularU 
ehieaa  di  Troina  de'  tempi  tutrmanm;  del  dot' 
'Col6  Stazzone  suUa  Topografia  di  Herbita; 
dottoreBsa  Bianca  Q-arofalo  bu  gli  Atti  del  . 
mento  di  Taortnina  del  1411;  del  dott.  A 
■GendoBO  sol  Teatro  in  Sicilia  ne'  aecoU  XV  e 
'del  dott.   Filippo  Cost&nzo  sa'  Qrandi  Qitu 


e  aa'  Capitani  d'arme  di  Ca- 
rmine  Fontana  su  gli  Ebrei  di 
V;  del  dott.  Ettore  Pulejo  snl- 
iUarto  Aretio;  del  dott.  Giaco- 
inerario  dei  Conaoli  romani  in 

Guerra  punica;  del  dott.  Al- 
Accademia  degli  Etnei;  del  dott. 
ipi  Bu  Giuseppe  Eegaldi  in  Si- 
tTauni  Gianni  su  le  Opere  di 
I,  finalmente,  del  dott.  IJmberto 
iini  Eimatori  siracuaani  del  ae- 

lo  di  tntti  cote&ti  lavori  daN 
JniversitAr  per  gll  anni  1896-97 ; 
399-1900;  1900-901.  E  devo  in 
rvare  che  solo  dall'anno  1896 
zia  pabblica  delle  diesertazioni 
ndo,  prima  di  quel  tempo,  il 
ario  oredato  d'iniziare  questa 
11a  stampa  del  volume.  E  noto^ 
;lie  prima  del  1896,  la  storia 
3  dato  argomento  alle  disaer- 
Bicordo  quel  bel  lavoro  del 
Eu  Noam  atceUota,  edito  nel 
dott.  G.  Keitano  su  '1  Cardi- 
jresa  di  Sieilia,  e  la  moaografia 
dott.  G.  Leonardi-Merourio  su 
I  I'  impreaa  di  Saluzzo,  ohe  esoe 
ia,  pubblicata  nel  1892,  Faler- 
ia,  Martinez),  dedicata  al  Prin- 
Drio  Emauuele  di  Savoia. 
ite  monografie  e  di  tutti  questi 


lavori  special!  gi&  dimostra  il  rigore  del  meti 
Molti  puntt  di  etoria  patria  sono  Btati  dieoiisBi 
loBtrati,  dimostrati  oonnessi  con  la  storia  genei 
S  gli  stndioai  devono  essere  grati  per  tatte  qu 
rlcerche  a'  giovani  aatori.  Sono  conyinto  che 
pra  quests  baei  di  fatto  potri  venir  faori,  qua 
che  Bia,  una  Btoria  generale  della  Sioilia,  spe< 
mente  per  qaanto  si  riferiBce  a'  fatti  del  Me 
evo.  Molti  sono  in  Italia  che  della  Sicilia  me 
evale  credono  importante  solo  qnella  parte  di 
ria,  che  si  rlferiece  agli  Arabi  ed  al  Yes 
giacchi  solo  di  qiiesti  dne  fatti  hanno  notizia 
tera  e  compiata  per  I'opera  non  mai  abbasta 
lodata  di  Michele  Amari.  Ma  quanti  altri  fi 
qaante  altre  notizie  di  Storia  siciliana  sono  im 
tanti  e  sarebbero  degni  dell'attenzione  degl' 
liani!  11  periodo  svevo,  qnello  aragonese  sono 
cora  involuti  ne'  piOi  intricati  problem!  di  fatto 
ogni  sforzo,  che  si  facoia  per  dare  una  qualche  & 
zione,  doT'essere  benedetto  e  lodato  dagli  stad: 

In  qnesto  breve  Boritto   intendo   accennare 
storia  particolare  di  Troina,  snlla  quale  oon  1( 
vole  iatento  s'^  di  reoente  rivolta  I'attenzione 
dae  o  tre  studiosi. 

Come  b  noto,  Troina,  al  pari  di  Mileto  in  C 
bria,  nella  Storia  de'  primi  Normanni,  ha  im: 
tanza  grande,  essendo  essa  nn  punto  formida 
di  difesa,  sul  quale  pensd  bene  it  conte  Knggier 
coUooare  il  sac  esercito  e  di  \k  poi  mnovere  nell 
tacco  oontro  le  forze  resistenti  di  Stcilia.  Tro 
poi,  essendo  suUe  parti  pi{t  alte  della  catena  de'  mi 


24  — 

Hi  deir  Etna  e  da  qaelli  di 
I  ecc,  costitaiva  ana  forza 
jd  aatorita  militare  a  colai, 
». 

he  noto,  ohe  6  posta  a  1119 
re,  nelL'aoDO  1088  si  rec^ 
1 11  conte  Boggiero  e  pren- 
QO  a  un  oomiuoialo  via^o 
Buaso  dal  Conte,  torn6  io- 
L  tutti  gli  onori,  da'  Nor- 
Bnggiero,  Troiua  era  nido 
ultimi  Musnlmani.  I  Nor- 
ktiTi  e  moUi  assalti  inntili 
Castello.  Secoudo  la  leg- 
bia  ad  essi  mostrato  I'adito 
della  citt&,  che  mostra  un 
^rco  del  Castello. 
me  ?  oy  vero,  che  &  lo  stesso, 
iumento  di  cotesto  nome? 
)  dagli  eorittori  di  storia 
cotesti  scrittori,  scrisse  11 
'  venDe  in  meute  di  vedere 
elle  forme  si  siano  eucce- 
stipite    possano   essere  ri- 

ere  grati  al  detto  scrittore 
ndio  in  proposito,  e  delle 
sreduto  di  trarre. 
o  la  prima  volta  in  uno 
10,  che  trasse  profitto  da 
Cnropalates.  Qoesta  pri- 
utini  6  Tragina,  e  si  rife- 


fm 


riece  a  una  vittoria  di  Giorgio  Maniacs  su' 
mani,  nel  piano  sotto  la  cittfi,  neD'anno  104 
chi  anal  dopo,  \o  storiografo  del  Gran  Co 
Qu'altra  forma,  Traina.  H  Casagrandi  affen 
da  nno  spoglio  fatto  de'  diplomi  nonnanni, 
ed  aragonesi,  risulta  provato  ohe  preEBO  gli 
tori  latini  prevale  la  forma  Traina,  ©  che  T 
hanuo  i  coevi  diplomi  greci.  Per6  bisogna 
ohe,  anohe  sotto  la  dominazione  normanna,  1' 
forma  letberaria  Tragina  non  oadde  enbito,  at 
posto  all'altra;  giacchS  nel  diploma  di  fond 
della  chiesa  di  Messina  (1096),  del  quale  venm 
una  oopia  due  anni  dopo  (1098),  la  forma  T\ 
ancora  h  nsata,  e  prevale;  la  quale  cosa  din 
tra  tante  altre,  qaanto  e  quale  profitto  a1 
avnto  nelle  loro  prime  conquiste  i  Norman 
mondo  preeBistente  greco.    . 

'^  opportuno  anche  aggtungere  che  nella  G 
fia  di  Edrisi  tanto  Troina  qaanto  il  fiume  alto 
to,  che  le  scorre  di  sotto,  6  detto  Targimn.  Co 
poraueamente  a  Traina,  abbiamo  Trajana  e  j 
nam,  forma  usata  da  Gregorio  VII  (anno 
Quest'  ultima  forma  pfevale  ne'  documenti  eoi 
stici  dati  dalla  Cancelleria  rismana.  Ma  Tn 
la  sola  forma,  che  dura  ne'  documenti  medi 
dell'estremo  periodo  ed  anche  della  Storia  mo* 
Quando  poi  la  oultura  classica  venne  dir 
dare  vests  e  forme  antiche  a  tante  nostre  istitu 
oreando  monete,  leggende,  iscrizionie  monume 
ogsi  genere,  fu  vsduta  insinuarsi  un'altra  1 
Troyna,  quasi  ooms  piocola  Troia ;  e  questa  : 
forma  venue  accompagnata  dalla  voce  di  antict: 


—  126  — 
uete,  recaoti  la  scrofa,  e  dalla  distrnzioue  di  nn'anti- 
oa  rocca,  Imachara,  quivi  anche  collocata. 

Inutile  aggiungere  che  tntte  qneste  monete  souo 
il  risnltato  deH'aiuore  airantiohit&  classics,  un  van- 
to  assai  coiuune  uelle  popolazioni  siciliane,  dal  se- 
colo  XYII  in  poi,  come  pure  k  Btato  asBai  bene  di- 
mostrato  dallo  stesso  prof.  Casagrandi. 

Non  credo  opportune  di  seguire  il  prof.  Casa- 
grandi nella  spiegazlone  della  voce  Trachina.  Con 
buona  pace  dell'  A.  mi  pare  che  egli  abbia  ten- 
tato  di  aprire  una  porta,  che  da  moltissimo  tempo 
^  aperta,  come  si  suoL  dire  comunemente. 

Scrisse  in  proposito  suppergifi  che  non  poche 
voci  di  citti,  monti  e  ftumi  non  solo  rioordano  il 
desiderio  dei  coloni  di  ripetere  in  Sicilia  i  nomi 
locali  patrii;  ma  anohe  1' impressione  che  i  luoghi 
sicuU  in  essi  prodassero,  in  tutto  o  in  parte  simili 
ad  altri  della  Greoia.  Troina,  peroi6,  nella  sua 
prima  forma  Tragina,  significherebbe  luogo  Tocoioso, 
Eispro,  ruvido.  Nella  Grecia  centrale,  suU'Oeta,  di 
tal  nome  fu  ana  oitta,  che  si  disse  fondata  da  Eracle. 

E  opportune  qui  dichiarare  che  io  non  vado 
appresso  a  simili  disquisizioui ;  giacch^  il  deside- 
rio del  patrio  ricordo  pu6  essere  anohe  talvolta 
Accompagnato  dalla  impresBione  data  dalla  stessa 
oontrada  a  colui,  che  vi  si  rec6  per  la  prima  volta; 
anzi,  aggiungo,  la  stessa  impressione  pu6  anohe 
suscitare  il  ricordo.  Ma,  in  questo  case,  1'  impres- 
Bione h  sempre  il  punto  principale  nella  denomina- 
zione  della  contrada. 

Abbiamo  in  Calabria  molti  nomi  ellenici,  dati 
per  il  sempiice  ricordo  della  patria  lontana :  Mileto 


—  127  — 
e  tra  questi.    Ma,  in  Calabria,  abbiamo  pure  nomi 
greoi,  dati  in  segnito  alia  impressiooe,  che  ebbero  i 
primi  coloni  iiell'  Italia  meridiouale. 

Ricordo  Pentidattilo,  che  k  uq  Castello  di  origine 
bizantina,  come  ho  motivo  di  credere,  poBto  su  iiDa 
mpe  diviss  in  cinque  parti  con  la  forma  detle  cio- 
que  dita.  Questo  Castello,  ora  distrutto,  noto  per 
an  tremendo  eccidio  al  tempo  del  Vicereame  spa- 
gnaolo,  ha  non  poca  importanza  a'  tempi  del  Pon- 
tano,  nelle  guerre  del  duca  di  Calabria,  Alfonso 
di  Aragona. '  Le  prime  carte  di  Pentidattilo  sono 
del  1372. 


Nelle  ricerche  aui  Diplomi  normanni  della  Chie- 
sa  di  Troina  molte  difScolta  ha  dovuto  trovare  e 
superare  il  dott.  Orazio  Nerone-Longo.  Queete  dif- 
ficolta  sono  accennate  brevemente  nella  Introdu- 
zione  6  B'indovinano  dallo  scope  e  dalle  conclu- 
sion) dello  steeso  lavoro.  Si  pu6  affermare  che 
tutta  la  letteratura  dell'argomento  e  stata  bene 
studiata  ed  esaminata,  con  esattezza  di  criteri  e 
di  metodo.  Questo  lavoro  giunge  a  proposito  per 
dileguare  molti  dubbi  e  mettere  nel  dovuto  posto 
aloane  precedenti  pubblicazioni  guIIo  stesso  argo- 
mento,  specialmente  quelle,  che  vennero  in  luce  in 
suUo  scoroio  del  secolo  XVIII  e  che  toccano  della 
chiesa  di  Troina  e  dei  suoi  diritti  al  risorgimento 
del  Vescovato. 

'  Cfr.  il  mio  vol.  Nolt  t  doeametitt  di  Storia  catabrete,  Ca- 
flerU,  laselli,  1SB8.  ~  Vi  6  narrata  la  oron&oa  dslla  aCrage  fatta 
nel  oaatello  di  Psntidattilo  Taano  1686  dal  Barone  di  Monte- 
bello  Bemardico  Abenavoli  Del  Fmnco. 


I,  infatti,  che,  in  Begoito  a  ana 
'arlamento  di  Sicilia  de'  5  aprile 
Messina,  perche  troppo  -rastA, 
Ha  in  tre  parti,  in  modo  ohe  ima 
se  venire  iostitnita  sutle  Mon- 
liesione  di  persone  chiare  e  rag* 
ir  aopo  nominata,  e  qaesta  Com- 
B  che  la  diocesi  delle  moutagne 
0  e  sede,  o  nella  citta  di  Nico- 

lempo  opportune  per  dimostrare 
la  8U  Kioosia,  diritto  nasoente 
rmaniii,  e  quello  di  Nicosia  sa 
ero  fuori  con  questo  intento  aU 
i,  I'una  contraria  all'altra;  una 
lere  il  riconoscimento ;  an  car- 
ida  con  base  di  storia  e  con  evo- 
oni  di  carte  e  di  diplomi.  Kote- 
)tti  la  pubblicazione  di  Francesco 
morie  storiohe  di  Troina,  edita 
tipografia  degti  Etnei  nel  1789. 
le  peneare,  1' intento  nobile,  che 
a  scrivere  cotesto  lavoro  apolo- 
lon  risnltato  ne'  rapporti  della 
oggettiva.  Lo  scope  die  velo  al 
n  conseguenza  rinvenuti  (non  ubo 
nuti  alcuni  diplomi  ohe  la  mo- 
pu6  aecettare.  Ad  onore  del  ve- 
o  studio  accurate  e  pregiato  del 
inora  aveva  veduto  la  inanitk  di 
e  alia  Ghiesa  di  Treina  si  rif^ri- 
3  di  vere  onere  aggiungo  che  il 


—  130  — 
llo  che  ha  letto  e  vedato ;  ueasuna  osservazione 

desse  prova  d'iugegtLO,  di  stadio,  di  penelero 
leno  8ui  lavorl  preesiBtenti.  lo  non  ho  mai  si* 
a  vedato  ud  lavoro  pifi  deflcieote,  pi{i  scncito, 

anormale. 

Obbligato  dal  suo  argomento  a  sorivere  dei 
nnatmi,  d&  uotizia  di  essi,  cominoiaiLdo  db  ovo, 
le   origin!   soandinave,  e  Eegaendoli   salle   oo- 

della  Franoia  a  poi  in  quelle  d'ltalia,  sbal- 
iole  grosBe,  ignorando  tatte  le  opere  classiohe, 

ai  Normanni  si  riferiacono  e  che  delle  imprese 

Normauni  dinno  oompinte  e  partioolari  noti- 

II  Foti  non  ha  neppure  idea  esatta  della  to- 

TaHa  della   Sicilla,  giacohi,  per  dare   un  esem- 

afferma,  a  pag.  6,  che  Giorgio  Maniace  edifico 
castello  a  Bolo,  che  dal  suo  nome  venne  detto 

Maniace,  mentre  e  rieapato  che  Bolo  e  una 
trada  dell' Etna  e  Maniace  nn'altra! 
Ma  queeta  pabblioazione,  pare  impossibile,  ha 
jitato  un'altra,  del  dottor  Nerone  isopraddetto, 
an  manoscritto  inedito  di  Frate  Antonino  da 
ina,  della  quale  intendo  discorrere  brevomente, 
on  tanto  perch^  cotesto  manoscritto  Bia  note- 
3  od  importante  per  qualche  punto  di  etoria  lo- 
I,  quanto  perch^  e  stato  in  gran  parte,  riaesunto 
BBpoeto  in  altra  forma  dal  Foti,  il  quale,  poi, 

dare  dimostrazione  di  animo  grato  non  si  e 
mtato  mai  di  citarlo  nella  su  mentovata  pnb- 
azione. 

Ootesto  manoscritto  e  dell'anno  1710  ed  ha  per 
lo :  Memorie  della  eetmtisaima  e  nobiUaaima  cittA 
Vroina.  "Se  k  autore  nn  laico  cappucoino,  Frate 


—  181  — 
Antonino,  il  qnaJd,  prima  di  entrare  uell' 
religioBo,  eeeroit6  il  mestiere  del  falegname 
mari-fabbro,  ed  ebbe  boIo  notizia  delle  lett< 
I'al&beto.  impar6  a  leggere  ed  a  scrivere 
stesso,  facendo  da  Fra  G-aldiao  sal  sno  Co 
di  Troina.  Qnindi  inoomiiici6  ad  iutender 
didatticamente    un    po'  di   latino.     Di    11 

"espliod  la  saa  operositb  nell'appnrare 

di  vero,  di  verosimile,  o  di  addiritttura  favol 
tesse  interessare  la  storia  del  sno  paese 
Fmtto  di  cotesto  desiderio  interiBo,  nnti 
eBpresso  nel  conveoto,  6  il  mauoacritto,  di 
notizia  il  Nerone,  e  che  &  stato  riasEanto  d 
Eenza  I'onore  di  ana  citazione. 

Qni  vorrei  fare  dae  osservazioni  d'  iudoh 
rale  e  se  queste  osBervazioni  sono  buone,  il 
i  del  Nerone,  che  me  le  ha  inspirate. 

Pare  a  me  cbe  quando  sia  atato  bene  dim 
Vittteresse,  che  qnalcuno  ha  avnto  nel  fare, 
parare,  ana  contraSazione ;  e  quando  si  aie 
venati  errori  e  contraddtzioni  inesplicabili 
comenti  ohe  sono  stati  offerti  al  pubblico; 
tti  due  east  aoltanto,  i  lavori  possano  dirs 
mente  apoorifi  e  spurii  e  debbano,  senza  esi 
alouna,  essere  diohiarati  tali ,  con  affem 
d'  intelletto  e  di  coscienza.  Per  qaesti  m< 
aempre  ritenoto  vera  la  Cronaoa  di  Dino  ( 
gni,  mancaudo  I'interesse  alia  contraffazi 
apoorife  e  spnrie  le  Cronache  dello  Spinelli 
ch6  abbia  scritto  e  detto  il  Uinieri-Biooio,  e 
ho  sempre  contraddatto. 

.Nel  oaso  speciale  di  Troina,  il  dottor 


—  132  — 
asorito  bene  nell'  intento  buo,  dimoBtr&ndo  I'in- 
iBse  ohe  c'6  stato,  e  le  contraddtzioni  che  si 
ontrano  ue'  documenti.  Ma,  fatte  questa  lodi 
espressa  la  gratittidme  mia  e  degli  studiosi,  devo 
Qvero  qualohe  appnuto  a  qnesto  secondo  oposcolo, 
'  mi  i  parso  inspirato  non  da  amore  serio  e  pro- 
do  Terse  la  storia  Ulnsfcre  della  citt&  di  Troiaa; 
da  nn  tal  qaale  desiderio  di  parere  conosoitore 
to  della  detta  etoria.  Le  qaestioni,  che  vi  si 
ttano,  sono  piccole  e  davrero  iusignificanti ;  tra 
litre,  ee  Frate  Antoniuo  fosse  stato  faleguamd^ 
(ua  di  essere  frate,  owero  mnri^fabbro ;  se  poteya 
on  poteva  scrivere  di  storia  antica,  eco. 
Oh!  oarissimo  Keroue,  di  cosifTatte  cose  non 
)  oconparsi  lo  studioso!  Abbiamo  tanti  proble- 
da  risolvere  e  taute  cose  a  dichiarare  ed  illn- 
tre  nell'iDteresse  degli  studi,  che  davrero  deve 
er  fatica  epreoata  qnella  che  viene  diretta  alia 
izione  di  siffatte  picoolezze! 
Lasoiamo  che  del  ms.  di  Frate  Antonino  scriva 
larli,  senza  citarlo,  il  Foti:  I'nno  vale  I'altro, 
h  bene  che  di  tntti  e  due,  dell'originale  e  della 
lia,  non  abbiano  nessuna  notizia  partioolareg- 
ta  gli  stndiosi  della  storia  illustre  della  nostra 
ilia.  L'atteuzioue,  che  si  da  alle  cose  piccole 
enza  fmtto,  toglie  sempre  energia  alle  cose  im- 
-tanti  6  graodi. 


CONPESSIONI  PEDA6KXJI0HE' 


'  Suva  OicnBiD*,  Naooo  eorio  di  Pidagogia  ajnn«n(ara  ad 
tuo  deU»  teaoU  normali,  aee,  Storia  deUa  Pedagogia.  Torino, 
Onto  Soioldo,  1901,  pog.  SBi.  —  Fumcbsco  Boaqliohb,  DeU'tdtt- 
eatione  morale  oob  prafuiane  di  QifjiBtrs  Bosbi,  dellK  B.  UiiiT. 
di  Oatanik,  sUmpato  &  jp«se  del  Oomane  di  Oatania.  Oatanift, 
GaUtola,  19C1,  pag.  162. 


Delia  scQola,  come  organo  di  cnltura,  e,  pi 
anoora,  dell' iusegnamanto,  ed  anche  pi&  dell'lne 
gnamento,  della  educazione,  "  che  e  I'arte  di  rei 
dere  migUore  I'animo  deiraomo  „  Becondo  una  n' 
tsvole  sentenza  di  Baldesar  Castiglione,  discon 
con  larga  ed  ampia  preparazione  di  stadi  e  di  i 
cerche,  con  evidente  e  notevole  Beriet&  di  metot 
e  di  desiderio,  il  prof.  Sante  G^iuffrida. 

Ma  bisogna  notare  che,  in  qaesto  libro,  fati 
esclnsivamente  per  le  scnole  normali,  non  viei 
esposta  la  parte  dottriuale,  o  metafisica;  ma  la  par 
afcorica,  quella  parte,  cio6,  che  si  svolge  a  traven 
le  istitozioni  ed  i  tempi,  lottando,  ineintiando! 
mattirando,  acquistando  pregio  ed  importanza,  e: 
trando  a  poco  a  poco  nel  concetto  dcgli  nomii 
de*  popoli  e  delle  nazioni;  val  qnauto  dire  nel  d 
minio  del  pubblioo. 

Di  gaesta  parte  evolutiea  dell'insegnamento  e  de 
I'educazione  poseo  discorrere  anch'io  debolment 
Una  volta  m'ero  propoeto  di  entrare  in  qnesto  agon 


Qgliendo  uotizie  a  cominciando  dalla  etoria 
alfabeto  nella  sua  prima  forma  ed  espressione, 
6  la  figura  delta  eota,  deetiuata  a  rappresentare 
dea  od  a  parlare  oou  gli  aTvenire.  Da'  Gero- 
et  alia  Commedia  di  Baute;  gnale  cammino! 
lia  in  questo  oammino  6  evidente  lo  svolgimento 
na  dottrina,  alia  quale  gli  nomini  obbediBcono 
bmeute,  ed  alia  quale  neasuno  si  pn6  sottrarre. 
)ano,  iiifatti,  pa6  dire  di  nou  avere  talvolta 
g:iiato,  nessono  pu&  dire  di  nou  avere  talvolta 
irato. 

i  la  stessa  imitazione,  che  h  la  forma  pii^  sem- 
)  e  radimentale  dell'  insegnameuto,  h  cosl  na- 
le  6  cofil  propria  della  natara  animale,  che 
ana  creatara  si  pa6  ad  essa  sottrarre,  costi- 
ido  essa  il  prima  movimento  verso  la  perfe- 
e,  alia  quale  tntte  le  creature  aspirano  "  per  lo 
>  mar  deU'eaaere  „.  Oh!  povsri  noi,  qnando  ap- 
bo  affernuamo  I'eocellenza  ed  importauza  delle 
re  forze,  I'altezza  del  nostro  intelletto! 
1  Giuffrida  ha  ben  compreBO  la  materia,  della- 
e  discorre.  Freoocapato  di  qnesto  grande  e  oou- 

0  problema,  si  k  gittato  su  esso  con  vera  pas- 
B,  dando  il  coutribato  del  suo  peusiero  sol  va- 

1  vario  argomento.  Certo  in  uu  libro  fatto  per 
uole,  il  pensiero,  anche  gagliardo,  di  uu  autore, 
I  teuersi  alle  cose  principal!  e  mettersi  in  un 
EOnte  assai  limitato.  £  forse  per  questo  motivo 
io  de^esto  i  libri  per  le  scuole  e  le  cosidette 
ilogie,  che  fanno  tanto  male  aU'ingegno  dei 
ri  skndenti. 


—  137  — 

Siamo  al  primo  problema:  Quando  eominc 
t'edueazione  f 

E  da  qaesto  problema  nasce  un  altro ;  E  che  eo. 
i  veramente  edticare  f 

II  Giuffrida  (e  in  qaesto  6  degno  dt  lode),  o 
Btretto  a  dare  notizia  di  dottrioa  in  modo  eotnmari 
trova  &oili  le  risponte.  La  vera  edacazione  eomi 
da  con  I' incominciare  delta  eiviltit;  editeare  i  ope, 
ordinata  e  metodica  di  riflesaione  mattira. 

Non  facoio  obiezioni  a  coteste  rtsposte ;  ma  orec 
in  propoetto  di  awertire  il  lettore  cbe  sa  queste  di 
brevi  risposte  6  fondato  tutto  lo  svolgimento  d 
libro  e  niQOTe  tntto  il  pensiero  dell'autore  inton 
alia  storia  della  Pedagogia.  Di  questa  Btoria 
d&nno  Dotizie,  cbe  si  riferiscono  a'  popoli  piti  ani 
olii  delt'Oriente,  o  poi  di  Orecia  e  di  Eoma.  Te 
gono  poi  quelle  notizie,  cbe  bI  riferiscono  al  Oi 
stianeaimo,  al  Medio-evo,  al  Rtnascimento,  alia  li 
Tolazione  francese  ed  alia  Storia  contemporane 
eino  al  Siciliani,  aU'Anginlli,  al  Gabelli,  eoc. 

Or  io,  pur  lodando  1'  intento  dell 'A.  e  lo  sc 
po,  ohe  egli  si  h  proposto  di  ottenere,  credo  m 
dovere  di  agginngere  qaalche  osservazione. 

La  storia  della  Pedagogia  tooca,  com'4  not 
in  molte  parti  ancbe  I'oggetto  particolare  de'  n 
8tri  stndi  e  delle  nostre  rioerohe  letterarie  e  dc 
trinali.  Sotto  certi  rispetti  la  storia  della  Pedag 
gia  h  ancbe  storia  delle  noatre  lettere.  Or  io  su  qu 
sto  pituto  intendo  mnoyer  qaalcbe  dabbio  per  c 
mostrare  I'interesse  che  il  libro  mi  ba  inspirat 

Anzitutto,   in   una  storia   della    Pedagogia 
avrei  cominotato  A&W  insegnamento  pubblico,  e  n( 


—  188  — 
arei  meBso  a  discorrere  di  que'  pnntl  contro- 
,  ohe  toccftDO  grandi  problemi  di  filosofia  e  di 
I,  La  Pedagogia  pii6  essere  soienza  a  ah,  indi- 
ente  dalle  altre,  con  caratteri  propri,  con  desi- 
ioni  e  manifestazioni  caratteristiche  solo  qnando 
ato,  o  le  prime  forme  dello  Stato  (tribu,  co- 
),  distretto,  proyinciaecc.)  Bentoco  il  bisogoodi 

on  iuseguameDto,  soatituendosi  alia  !FamigIia. 
ido  lo  Stato  aocetta  I'lnsegDamento  come  nno 
ale  e  priDcipale  dovere,  allora  eoltanto  nasoe 
aria  della  pedagogia.  Se  cosl  non  fosse,  la  Pe- 
B^a  DOn  pofcrebbe  avere  una  storia  e  ei  confon- 
>be  oon  tuttd  le  altre  Bcieuze  Bociali.  So  que- 
luoto  insisto,  perch^  mi   pare  ancora  non  sia 

bene  esaminato  e  disoaeso,  sebbene  appaia 
ra  degno  di  nota  da  parte  degli  stadiosi,  e  spe- 
lente  da  uno,  ohe  h  assai  valente,  dal  FomeUi. 
i' insegnamento  pnbblico  pu6  e  deve  avere  una 
I  e  pu6  altresi  indioare  norme,  leggi,  precetti 
ali  e  caratteristici.  L'edacazione,  od  insegna- 
.0  della  Famiglia,  comiuoia  con  I'uomo  e  si  oon- 
i  con  la  imitazione,  oon  Tesempio,  col  rispetto- 
I  I'auterita  paterna  e  patriarcsle.  Leggi  e  nor^ 
troprie  e  caratteristiche,  tali  -<;he  possano  dare 
nciameu to  alia  soienza,  noi  possiamo  avere  sol- 
I  quando  una  pubblica  amminietrazione,  in  name 
•  conto  di  tutte  le  famigUe  aggregate  assume  il 
■e  d'insegnare.  In  questo momento  I'eduoazione 
.  da  ano  stato  rudimentale  ed  istintivo,  tintetieOy 
)  stato  coavenzionale  e  riflesso,  analittco- 
,iidsto  6  il  panto  primo  della  storia  della  peda- 
i,  al  quale  bisogna  mirare  con  altezza  d'  tnge- 


gno.  Ne  si  dica  ohe  le  discussiout  d'  indole  storit 
e  didattioa,  connesse  a  questo  problema,  sieoo  i 
faoile  solozione.  Ben  lo  sa  il  Celesia,  ohe  ha  volul 
disoorrere  delU  edaoazione  presEO  i  vart  popoli  iti 
lioi  e  specialmente  di  Pitagora.  G-randi  probleln 
che  6  tutto  dire,  presenta  la  storia  della  pabblic 
educazione  uella  etessa  Orecia  dopo  la  oouQaist 
fatta  da'  Torchi,  di  Costantinopoli  nell'anno  145 
come  par  di  vedere  dalle  Tavole  statiatiche  date  i 
propoeito  dallo  Chasaiotis  uell'anno  1881.  Non  par 
de'  Bistemi  edaoativi  di  Eossia  ed  in  geuerale  d 
popoli  nordioi ;  non  parlo  neppure  de'  sistemi  e  m< 
todi  eduoativi  detl' America  latin  a  e  siuo  deg 
Stati  Uniti,  ohe  a  torto  si  dicono  modellati  sa  qa 
d'  Inghil  terra. 

Anzitutto,  pochi  documenti  e  monumenti  &'. 
biamo  del  pabblioo  iasegnamento  nell'antichiti 
oocorre  andare  da  ipotesi  e  da  indagini  ad  a£fe 
mazioni  pooo  sicnre  ed  arrischiate.  Ocoorre  poi  r 
cimolare  da  autori  sincront,  o  di  poco  posterioi 
qnanbo  si  Tiferiece  al  &tto  oostro:  un  grande  1 
Toro  origiaale  di  prima  mano,  importantiasimo,  cl 
potrebbe  di  molto  Bervire  anche  ad  altre  conoli 
doni  soientifiohe.  Le  ainteai  £loaofiche,  date  d 
Beoolo  XYI  in  poi,  potrebbero  ia  tal  modo  riceve 
molte  oorrezioni. 

E  perch^  non  paia  che  qnesto  mio  desider 
intomo  a  un  programma  di  Bt<»'ia  pedagogioa  i 
sia  vennto  alia  lettara  di  qnesto  libro  del  Qiuffi 
da,  devo  qui  diohiarare  che  ainors,  per  quante  i 
oerche  bibliografiohe  abbia  fatto,  specialmente  t: 
le  pabblioazioni  notate  nella  Revue  interttationa 


—  141  — 
gno  alto  e  spalle  ben  forti,  deye  prima  di  d 
tendere  ohe  del  Casstodorio  non  ha  dato  con 
uotizie  a'  saoi  giovani  lettori. 

U  Tirabosohi,  com'^  noto,  fa  derivare  tu 
trietezze  della  letteratara  italiaaa  dalla  mc 
zione  di  Cassiodorio.  "B'allora  in  poil'Itali 
pot6  occuparsi  in  altro  che  nel  piangere  I 
sciagure  „ . ' 

II  Castiglione  b  la  figara  piu  emineiite  ' 
pteseutativa  del  tempo  sno  e  il  Cortegiano  h 
gliore  opera  pedagogloa,  che  abbia  la  lettei 
italiana.  Ma  ha  pnre  nu  eno  carattere  speciali 
h  questo ;  S  il  riassQDto  od  11  BOmmario  di  tt 
dottrina  snll'educazione,  che  h  arrivata  sino  i 
dal  moudo  claBsico.  Tatto  questo  vemie  affe 
anche  da'  suoi  coiitemporanei.  Ma  il  mondo  cl 
ohe  s'^  trasformato  nel  Cortegiano,  ha  in  que: 
bro,  note  speciali,  che  rivelano  ilfine  ingegno,  1 
rito  essenzialmente  moderno  del  Castiglione 
meritd  d'essere  cittadino  spagnuolo  per  ordi 
Carlo  v.  Or  di  quest'opera,  che  8i  riferiBce 
ramente  "  di  che  sorte  debba  esBere  colni,  ch 
riti  chiamarsi  perfetto  cortegiano,  tanto  ch< 
alouna  non  gli  manchi  „ ,  e  dato  uu  sommarii 
pio,  ma  non  connesso  coi  fatti  di  quel  temj 
con  le  dottrine    prelevanti    in  quel   tempo, 


'  Ctr.:  Sloria  UU.,  Ill,  IB,  a  molti  altri  scrittori 
ria  medio evale,  Baebt  Watteibadh,  OBEaOBOvicB,  etc  Qn 
timo  scrUae:  "  CaBsiodoro,  ultimo  de'  Bomani,  cbe  si 
la  teBta  di  an  oappacoio  monacale,  per  morirvi  ofire  an ' 
conmiovsDte  e  di  tragioa  tristeiua,  perocchd  si  sveli 
il  destino  steaso  della  cittA  di  Boma  che  omai  entra  i 
vanto  „  {Sloria  di  Roma,  lib.  Ill,  cap.  i.  vol.  ITj. 


—  142  — 
into  glorioso  letterariamente  per  uoi,  e  ohe  pnre  ha 
uto  a  noi  Italiani  i  ricordt  pii^  dolorosi  e  pid  ne&- 
;i  dellft  noBtra  storia,  Inoltre,  &011  credo  ohe  il  Giaf- 
ida  abbia  segaito  I'edizioiie  Integra,  nS  le  reoecti 
abblicazioni  611I  Castigltone  fatte  dal  Gaspary  e  dal 
ian.  L'edizione  del  1528  reune  fatta  da  Aldo  ecc. 
Per  coQohiudere,  qnesto  Ubro  di  Storia  della 
'edagogia  metfce  it  Gluffrida  tra'  pubblicisti  di  Pe- 
Agogia  piu  accurati  cbe  ora  vi  sieno  in  Italia,  e 
on  solo  per  eerieta  di  metodo  e  di  desiderio,  come 
0  detto,  ma  anohe  per  qaella  deusita  e  ricchezea 
i  pensiero,  senza  la  qnale  non  4  possibile  lo  scri- 
ere  di  materia  di  Storia  e  di  pabblica  edncazione. 


L'A.  di  quest'altro  libro,  dopo  molte  osserva- 
ioni  di  carattere  empirico,  b  dopo  avere  dimostrato 
be  la  sola  dottrina  non  baeta  a  rattenere  la  de- 
adenza  morale,  preeenta  alonne  conclasioni,  cbe 
anno  il  pregio  della  novita. 

L'  umanit^  a  poco  a  poco  si  i  allontanata  dal  re- 
no  del  faio,  e  procede  sicara  vetFio  tin  punto  Ion- 
mo,  che  h  il  regno  della  giustizia  e  dell'amore.  Le 
Bservazioni  piu  attente  inducono  il  sociologo  piJt  re- 
ittante  ad  ammettere  che,  giorno  per  giorno,  anno 
er  anno,  it  numero  dei  delinquenti  nati  va  soemando 
1  virtu  d&lV educazione  morale;  che  il  criminaloide 
L  trasforma  in  galantuomo ;  che  il  galantuonio  si  tra- 
forma  in  virtuoso ;  i  rapporti  sociali,  cioe  ragione  ed 
more,  di  giorno  in  giorno,  di  anno  in  anno,  conqui- 
bano  le  tendenze  delle  folia  e  delle  masse  popolari. 
a.  conseguenza,  verri  senza  dubbio  il  giorno,  in  cni 
iascuno  eserciterh  quell' uf^cio  a  cut  sarii  chiamato 
a  natura.  11  mondo  &vvk  dae  aristoorazie  soltanto; 


qaella  deU'ingegno  e  del  BEipere,  e  qnella  del 
virtu.  Ma,  aggiunge,  nou  bisogna  credere,  o  sj 
rare,  che  questo  novas  ordo  "  divinato  da'  peusato 
oautato  da'  poeti,  sospirato  da'  martiri  „  potrei 
vedere  attnato  in  breTissimo  tempo. 

Ed  aggiunge  per  conto  buo  che  molti  sect 
dovranuo  passare. 

E  ohi  promette  in  breve  tempo  il  sospirato  r 
gno  6  an  ciormadore  ed  un  armffapopolo;  pot 
anche  essere  un  illuso  in  baona  fede.  La  louiana 
za  p6r6  dsll'avvenimento  sperato  non  deve  indur 
noi  ad  indifferenza  od  inerzia.  Bisogna  afiTretta 
il  sospirato  giorno  con  Veducazione  jnorale  e  o( 
I'opera  civile,  specialmente  eul  fancinllo.  Per  qu 
ste  ragioni  "  I'educazione  acquista  un  valore  in 
stimabile  ed  il  problema  educative  ei  presenta  con 
questione  sociale  capitalissima  „ . 

II  discor^o,  come  ognun  vede,  6  diritto,  ed  a 
qnista  pregio  anche  dalla  forma,  con.  la  quale 
presentato,  con  lingua  e  stile  lodevoli,  con  co 
rentezza  ammirevole,  con  esuberanza  di  affetto 
di  passione,  coh  quella  calma  dignitosa  e  eeren 
che  h  propria  degli  educator!  forti  e  resistenti,  ol 
fanno  il  dovere,  perch6  inspirati  da  un  ideale.  Tu 
ti  costoro  hanno  grande  fiducia  Dell'efScaoia  pop 
lare  della  scuola  e  non  vogllono  badare  che  il  si 
pere  aoltanto  non  giova  all' educazione  popolai 
qaando  non  viene  educate  ed  iudirizzato  il  sent 
mento  del  popolo. 

Ma  io,  che  di  siffatte  questioni  astruse  non  h 
mai  voluto  fare  esame  attento  ed  accurate,  credec 
domi  sempre  di  poca  o  nessuna  oompetenza;  i( 
che  credo  sinoeramente  alle  leggi  storiche  ed  in 


.  de'  popoli  e  delle  naziom,  e  metto  aoche, 
oocorra,  de'  dabbi  miei  particolari  sul  cam- 
\endente  dell' maanit^,  edamo  sinoeramente, 
Lmente,  par  certi  special!  rispetti,  qnel  gran- 
0-6TO,  dal  quale  siamo  nsciti  per  opera 
ivolnzione  fraucese,  ed  al  quale  tanti,  ora, 
Qaledicono ;  io  pare  credo  a  tutte  coteste  oon- 
deH'A.  ma  con  qualctie  riserva,  che  non  deve 
e  punto  la  dottrtna  da  lui  sostenuta  e  difesa. 
e  6  stato  sinora  I'efietto  morale  della  no- 
loazione  scolastica?  Foasono  le  plebi  mu- 
oscienza  loro  con  quel  po'  di  sapere,  che 
93se  diamo?  "Lieterno  religioso  della  cosoien- 
are  in  qual  modo  sinora  e  stato  educate  ed 
Eito  da  noi? 

0  6  che  la  storia  italiana  non  ha  mai  sine- 
ntato  Qu  fatto  cosi  obbrobrioso  e  desolante, 
ppunto  k  fitato  quelle,  al  quale  bntti  noi  ab- 
ur  troppo  assistito :  un  Be  buono  ed  amante 
popolo,  Benza  colpa  nemmeno  nelle  inten- 
le  soQO  state  Bempre  purissime,  ^  state  ncci- 
remeditazione,  mentre  tornava  dagli  applan- 
fatti  ad  una  festa  popolare !  Dunque  speria- 
regno  dell'amore  e  della  ginstizia-,  facciamo 
tutto,  perch^  esEO  avvenga,  in  Italia  e  fuori, 
presto  che  sia  possibile.  Ma  1'  nmanitk,  ri- 
'  l^Sgi  storiche  ed  immatabili,  che  formano 
aa  corrente,  alia  quale  nessuno  si  puo  sot- 
>  che  sono  fuori  di  esaa.  La  scuola,  per  essere 
ite  efficace,  deve  badare  all'educazione  del 
nto  morale,  pifi  che  ad  altra  cosa. 


ALTRE  PDBBLICAZIONI 

DI  MAEIO  MANDALABI 


Q8  di  pagg.  192  con  ritratto.  —  Napoli,  A. 
•rano,  1883. 

ttere  inedite  di  Bernardo  Tanuect,  con  pre- 
ioue  e  note.  Soma,  Ermauno  IjodBoher,  1884. 

omini  politiei,  stadio,  pagg.  84.  —  Napoli^ 
menico  Morano,  1886. 

trie,  scritti  di  letteratara  amena,  pagg.  372. 
Roma,  Forzani,  188B  {Esaarito). 

azioni  eproposte  intomo  all'  Insegnamento  pub- 
30,  pagg.  48.  —  Napoli,  prof.  Vinoenzo  Mo- 
10  editore,  1886  {Esaurito). 

ito  ed  t  Maestri,  Oouferenza  fatta  in  Roma 
Asaociazione  delta  Stampa,  pagg.  48.  —  Ca~ 
ta,  Ooatabile,  1886. 

ori  napoletani  del  Quattrocento  (dal  Cod.  1035 
la  Bibl.  nazionale  di  Parigi)  oon  prefazione 
lote,  pagg.  200.  —  Caserta,  Jaselli  editore,. 
i&,  Edizione  di  260  esemplari  numsrabi  {Esau- 

>)■ 

'.  documenti  di  Storia  Calabrese.  —  Cronaca. 
la  strage,  fatta  nel  caetello  di  Pentidattilo  nel- 
uno  1686,  dal  Barone  di  Montebello.  —  Di- 
Lseione  fatta  dal  Consiglio  coUaterale  di  Ka- 
i  intomo  al  tomalto  di  Reggio  dell'anno  1722. 
izione  di  150  esemplari.  —  Caserta,  Jaselli 
tore,  1886  {Esaurito). 

■80  pronumiato  a  Trani,  29  gennaio  1883,  e 
\tere  di  Francesco  de  Sanctis,  con  note,  nel  III 


aDDiTers&rio  della  morte  di  F.  De  Sanctis,  pa 
28.  —  Caserta,  Jaselli,  1886. 

Saggi  di  Storia  e  critica.  -  La  vita  e  gli  atudi 
Demetrio  Salazaro  -  Montecassiiio  oon  due  do 
menti  inediti  -  Una  Colonia  provenzale  nell'  ] 
lia  meridiouale  -  Ginseppe  Begaldi  in  Reggi( 
Oalabria  -  Letteratura  politica  -  II  papato  n< 
oltimi  tre  seooli  eoo.,  pagg.  141.  —  Boma,  I 
telli  Boooa,  1887,  edizione  di  160  esempjari 
merati  (Esaurito). 

Qaindici  lettere  di  Francesco  De  Sanctis,  con  n< 
nel  IV  annivereario  della  morte  di  Franc« 
De  Sanctis,  pagg.  28.  —  Caeerta,  Jaselli,  1£ 

Pietro  Vitali  ed  un  documento  tnedito  riguardc 
la  Stona  di  Boma  nel  aecolo  ^F'[Btudio],  pa 
82.  —  Boma,  Fratelli  Bocca,  1887,  ediziom 
150  esamplari  numerati  {Eaaarito). 

La  Eeggia  di  Caaerta  e  la  sua  recente  traafon 
zione,  pagg.  IB.  —  Caserta,  Turi,  1888. 

Notiae  atortche  e  eritiche  di  Letteratura  italia 
(Lavoro  fatto  per  gli  alunni  del  Liceo  G-ian 
ne  di  Caserta,  fuori  oommercio),  pagg.  96, 
Caserta,  Tari,  1888. 

La  lirica  italtana  e  Oioaue  Carducci.  Discorso  It 
per  la  pramiazione  degli  alunni  del  Liceo-j 
nasiale  Giannone  di  Caserta  nel  di  3  giuj 
1888,  pnbblicato  a  spese  del  Municipio  di  d( 
Citti.  —  Caserta,  Turi,  1888. 


—  150  — 
Despre  Malilde  Lai  Dante,  nel  vol.  II  della  Divi- 
na  Gommedia  in  rameno,  TeraLoue  della  signora 
Mabia  p.  Ohitio.  —  Craiova,   Tipo-Utografia 
nationale  Samitza,  1888. 

Da  Tanisi  a  Tripoli  di  Barberia,  Note  di  viaggio, 
nella  Illastrazione  italiana,  Milaoo,  Trevea,  1890. 

Istituzioni  scolasHche  in  Turehia,  pagg.  236.  —  Ro- 
ma, Stamperia  dlplomatica  e  oonsolare,  1891. 

L' Italia  e  le  Scuole  armeno-cattoliche  d^Oriente,  eon 
appendice  sul  Seminario  de'  Cappuccini  di  Fi- 
lippopoli.  —  Roma,  Tip.  della  Camera  de'  De- 
putati,  1892. 

Saggio  di  un  Canzoniere  anortimo  della  Bibltoleca 
Aleasandrina  di  Eoma  (dal  Cod.  membr.  174). 
Edizione  di  100  esemplari  fuori  commercio ;  per 
le  nozze  d'argento  Mancini-FieraQtoni,  pagg. 
28.  —  Roma,  Tip.  italiana,  1893. 

Le  Seaole  italiane  aWestero.  Osservazioui  e  propo- 
ate,  a  propOEito  della  discuBsione  buI  Bilancio 
degli  affari  esteri,  pagg.  30.  —  Roma,  Tip.  della 
Camera  del  Deputati,  1893  (Esaarito). 

Memorie  e  Scritti  di  Angela  SantilU,  con  ritratto, 
prefazione  e  note,  pagg,  xzzTt-200.  —  Roma, 
Tip.  coop.,  1893. 

Da'  Codid  Mazzachelliani  della  Btblioteca  Vaiiea- 
na.  NeU'Archivio  storico  Campano,  pagg.  32.  — 
Caserta,  1894. 

Aneddoti  di  Storta,  Bibliografia  e  Critica,  pag.  viu- 
218.  —  Catania,  FranceBoo  Q-alati,  1895. 


Died  note  di  Storia  e  BibUografia,  pagg.  32.  — 
tania,  Monaco  e  HoUica,  1896. 

Ricordi  di  Sieilia,  I :  Caltagtrone,  pagg.  60.  — 
tania,  Gtiannotta,  1897  {Eaaarito). 

JUcordi  di  Sieilia,  II:  Randazzo,  pagg.  152.  — 
tania,  Giannotta,  1897  (Esauriio.) 

Ricordi  di  Sieilia,  III :  Le  Popolazioni  dell'E 
pagg.  80.  —  Oatania,  Qiannotta,  1899. 

Note  di  eritica  drammatica,  edizione  di  canto  ee 
plan  fnori  commeroio  per  Nozze  Lauricella-. 
cd,  pagg.  64,  —  Catania,  Galati,  1899. 

La  Mezzaluna.  Conferenza  tenata  a  beneficio  c 
Society  Dante  AUighieri  nella  Sala  comu 
di  Catania,  con  Appendioe:  Stambulo/f-Cr 
—  Citti  di  Castello,  L^pi,  1899. 

Proverbi  ealabro  reggini,  con  note,  osservazioi 
raffronti :  1°  nella  Seuola  italiea,  Kapoli,  loV 
1874 ;  2"  nel  Oiomale  napoletano  di  Filoso) 
Lettere,  Napoli,  Morano,  1880;  3°  nella  C 
bria,  diretta  dal  prof.  Luigi  Brazzano,  Mo 
leone  di  Calabria,  1897-98. 

Prefazioni  varie  alle  pubblicazioni :  1'  Bossi  Id 
ToHU&so,  Reggio:  Chiesa  metropotitana,  E< 
Fallotta,  1335;  2°  BiNDt  Vihobszo,  Arte  e 
ria,  Lanciano,  Carabba,  1886 ;  3*  Pallesohi  ] 
FiLiPPO,  Eehi  dell'Anima,  versi,  Lanciano, 
rabba,  1891;  4*  Sabbadiki  prof.  Eeuiqio, 
ria  documentata  delV  University  dt  Catania 
aecolo  XV.  —  Oatania,  (Jalitola,  1898. 


—  152  — 
otizie  storiche  e  deacrittive   dell'Ateneo  e  del  Pa- 
lazzo   univeraitario  di    Catania,   1444-1886,  con 
due  inoisioni,    Catania,  Galati,  1900  (dall'^n- 
nuario  delta  B.   Universitb),  pagg.  32. 

Proverbi  del  Bandello.  —  Catania,  Giaanotta,  1901, 
pagg.  216. 

neddolo  dantesca  con  lettere  di  don  Laigi  Tosti  « 
don  Oaetano  Bemardi  (Per  nozze  Vadala  Pa- 
pale-Terranova).  —   Catania,  Galatola,    1901. 

icordi  di  Sicilia.  Una  festa  del  popolo,  Nuova  An- 
tologia.  —  Eoma,  1°  dioembre  1901. 

icordi  di  Sicilia  (Randazzo),  2*  edizione,  ooq  ginn- 
te,  correzioni,  incisioni  e  note.  —  Citta  di  Ca- 
Btello,  Lapi,  1902,  pagg.  244. 

itteratura  delVAteneo  di  Catania.  Saggio  di  Bi- 
bliografia  epeciale.  —  Catania,  Galati,  1902. 
{DaXV Annuario  delta  R,  UnicersitA),  pagg.  40. 


INDICE 


Matelda 

Le  Satire  dt  Qainto  Settano  (Ossenrazioiii  oriticb 
Qnestioni  dantoaohe  (A  propoiito  di  Cunizza), 
TTn  oontributo  di  stoiia  meridionale  .... 
La  Calabria  in  nno  scritto  del  prof.  LombruBo 
La  cittii  di  Troina  nelle  recenti  pnbblicazioni . 

ConfesBioni  pedagogiohe 

AUt6  pubblicaeioni  di  Mario  Mandalari.    .    . 


periodo  medio-evale,  debbono  esaera  grati  al  Mandalari  di 
qaeato  nuovo  contributo  di  docameati  e  di  atudi  diploma- 


maMPB«!'«Mi**''>'^i'MM 


^PPWf^^-^ 


Prezzo:  Lire  2,50 


t 


i>7vn  PHOvw,v9;-\r, 


1)1X0  PROVBNZAL 


QUANDO  FURONO  SGRITTE  LE  SATIRE 

LODOVICO  ADIMARI 


LICINIO    CAPPELLI 


I.  sub.  Tip    Cppelli. 


Varie  monografie  (alcuiie  delle  quali  utilissime)  app 
recentemeute  iutorao  ad  uno  o  ad  un  altro  satirico  del 
cento  fanno  sperare  non  lontano  il  tempo  ia  oai  p 
scrivorsi  quel  cotnpjuto  lavoro  sulla  satira  del  secolo  H 
ehe  e  ancora  uq  desiderio  degli  studiosi. 

Tuttavia,  molto  rimane  da  fare  e  alcuni  del  satirici 
secolo  XVII  {spesso  nou  indegni  di  studii  speciali)  s 
appena  nominati  di  faga  uei  trattati  di  storia  letteri 
Tale  6  il  caso,  per  esempio,  di  Lodovico  Adimari  fio 
tino,  del  quale  speriamo  presto  poter  parlare  a  lung( 
UQO  studio  a  lui  dedicato. 

Inoltre,  perchfe  possa  comprerdersi  nella  sua  in 
essenza  la  satira  (questo  genere  cosi  caratteriBtioo  del 
colo  XVII)  e  necessarjo  prima  sgombrare  il  campc 
mille  piccole  e  fastidiose  difUcolta  sopra  tutto  d'indole 
nologica.  Infatti,  come  parlare  fondatamoiite  di  dertvaz 
d'  una  satira  da  un'  altra,  d'  imitazioui  dirette  ed  indii 
di  efQcacia  subita  quasi  per  forza  e  di  plagio  sfacciatt 
prima  non  cerchiamo  di  determinare  la  data  di  ciasi 
scrittura? 

Trattaadosi  di  coinponimenti  satirici,  la  determinaz 
delle  date  pu6  essere  agevolata  da  criterii  interni  (da 
o  personaggi  nientovati)  ma  piij  spesso  6  resa  dlMoile  i 
false  note  tipografiche  di  tempo  e  di  luogo.  D'  altra  p 
il  gran  numero  di  copie  a  penna  che  delle  satire  del 
si  trovano  nelle  biblioteohe  fa  credere  che  esse  doves 
oorrere  lungo  tempo  manoscritte  prima  che  fosser 
alle  stampe.  Quindi  una  iiuova  diEBcolta:  un  autore 
avere  imitate  un  altro  quantunque  quest' ultimo  stamp 
pill  tardi  1' opera  sua. 


logaa  percid,  fiuche  &  possibile,  dotormiDare,  oltre  alia 
ii  stampa  la  data  di  composiilone  dell'  opera.  E  ap- 
questo  eerchererao  di  far  noi  in  questo  breve  arti- 
er le  satire  di  Lodovlco  Adimari,  s'iutende  senz'aver 
tesa  di  dir  Tultiina  parola  sutla  questione  c  chlaman- 
brtunati  se  altri,  svolgendo  queste  note,  saprk  feli- 
te  risolvere  il  piccolo  quesito. 

ma  di  tutto  osserviamo  che  le  satire  dell' Adimari 
1  pubblicate  dopo  la  morte  dell' autore.  Questi,  nato 
poli  nel  1(>44,  moii  a  Firenze  nel  1708.  Delle  satire 
no  ti'e  edizioiii,  le  prime  due  stampate  con  la  falsa 
i  Amsterdam  (Roger)  negli  anni  1716  e  1764  (1),  la 
jscita  a  Londra  (Livornol  nel  1788,  coi  tipi  del  Maai. 
le,  supposto  anche  che  sia  vera  la  data  della  prima 
le,  questa  sarebbe  posteriore  di  otto  anni  alia  morte 
dimari. 

bbiamo  pcrcii)  rinnnziare  ad  avere  un  date  qualun- 
air  anno  delta  pubblicazione.  E  poich^  nessuno  di 
hanno  parlato  dell'  Adimari  in  lavori  manoscritti  o 
itl  acocnna  alia  data  di  composizonc  delle  satire,  e 
ario  valerci  di  criterii  interni  per  sciogUere  la  que- 

prima  di  esporre  gli  searsi  dati  che  le  satire  stessc 
liscono,  notiamo  qualche  indizio. 
ntre  le  opere  giovanili  dell' Adimari  aono  tutte  spa- 
;gianti  o  tradotte  dallo  spa^uolo,  qui  abbiamo  scritti 
tamente  originali,  1'  uao  di  un  metro  classico  {la 
,)  e  ima  forma  cosi  prettamente  italiana  che  I'Acca- 

della  Crusca  pose  queste  satire  fra  i  testi  di  lingua. 
>   mutamento   di   maniera  ci  farebbe   credere   che  Ic 

fossero  scritte  tiell'  eta  matura  dell'  autore.  Agli  ul- 
nni  doll' Adimari  fanno  ponsaro  anche  altri  indizii: 
fatto  che  in  nessuna  delle  lettere  e  delle  opere  stam- 

manoseritte  dcH'Adimari  snteriori  al  168.")  si  accenna 


CiRiHi  (f  Arcadia  flat  161)0  al  iSOO  Roma.  CuKgiani  1891, 
I.  4S2)  dice  che  atiil>eilue  quasta  scorrettisaime  edizioDi  furi>u 
.ta  in  Italia. 


—  5   - 

alle  satire:  2.**)  il  t6no  che  assume  in  queste  ultime  1' au- 
tore  (sotto  il  nome  di  Menippo^;  tono  di  moralista  severis- 
simo  e  di  conoscitore  d'  ogni  miseria  uraana:  3.°)  il  carat- 
tere  misogino  delle  satire  che  noi  crediamo  derivato  dalle 
sventure  coniugali  deirAdimari  (1). 

Tutti  semplici  indizii  e  nulla  piu:  rabbiamo  gia  detto. 
Ed  ora  veniamo  alle  pocbe  prove  che  risnlt.iiio  dall'esarae 
delle  satire. 

SATIRA  I. 
Contro  r  Adulazione. 

A  pp.  19-20  (2)  e  scritto: 

Sdegno  e  vergt^a  a  gran  ragion  mi  prende 

Allor  che  a'  pregi  di  faDgose  Rane 

Nobil  cantor  sul  Ren  la  lira  apprende  (3). 
Chi  desia  d'  eternar  cose  sovrane 

E  vuol  degna  materia,  eroico  verso, 

Non  favolose,  adulatrici  e  vane, 
Offra  lo  stil  piu  risonaute  e  terso 

Al  forte  braccio  del  Caprara  invitto, 

Memorando  alio  Scita,  al  Trace,  al  Perso. 
Narri  ch*  ei  vinse  in  marzial  conflitto 

L'  oste  che  per  sua  gloria  in  Austria  venae 

Dair  estremo  coufin  d*  Asia  e  d*  F^gitto. 
Ch'  egli  a  vol  memorando  alzo  le  penne, 

Se  in  gloria  militar  solo  e  primiero 

Fra  i  figlioli  del  Ren  tai  gradi  ottenne. 


(1)  Due  delle  satire  sono  contro  le  donne  e  anche  nelle  aitre  tre  le 
donne  sono  flagellate  a  saugue.  Delle  sventiire  coniugali  delT  A.  parle- 
remo  a  lungo  nello  studio  a  lui  dedicato,  in  cui  pubblicheremo  curiosis- 
simi  documenti  riferentisi  ad  esse. 

(2)  Ho  dinanzi  P  edizioue  del  1716:  cito  le  pagine  e  uou  i  versi,  per- 
ch6  essi  non  sono  numerati  n6  in  questa  n^  nelle  seguenti  edizioni. 

(3)  Chi  sono  queste  Rane  ?  Si  tratta  di  donne  del  la  nobile  famiglia  Ra- 
nuzzi  di  Bologna  ?  0  piii  probabilmente  6  usata  la  parola  Rane  per  ischer- 
no  in  senso  di  cantatrici  fastidiose  f  Delia  iniziale  maiuscola  non  6  a  te- 
ner  gran  con  to,  perch^  ^  noto  lo  spreco  di  maiuscole  che  si  faceva  in 
quel  tempo. 


El  se  piu  doles  oggetta  o  pur  men  fiero 

Cercaste  a1  canto  e  il  );eatil  cuor  t'  iDTit 
Al  TBEtoao  neren  d"  un  Tnlto  arciero, 

FtAe  oinai  risooar  1'  aria  tranquilla 

Del  ciel  Dalio  co'  prejji  oDile  si'  mostra 
L' adorn  a  Eleonora  e  la  Camilla. 

Dite  cbe  I*  una  o  1'  altra  al  niai^io  mostra 
Col  Yolto  i  flori,  o  con  loll"  opre  puol« 


Pill 

Buperba  di  le 

6.r 

Tela  nostra. 

yu 

Ddi. 

18  spiace  a  vo 

1  linger  le  gote 

Di  r 

ossor  g:eneros 

alia  nioilesto 

Che 

son  TJTe.  preaenti 

e  altrui  ben  aot«. 

Cod  d^no  applauao  r 

nnuY 

ar  piitreste 

D"  antiche  Donne 

Che 

in  altre  eU  c 

on, 

jmina  gloria  aveaW 

Bologna,  a  cbe  tacer  le  Calderiae  (1), 

Oel  ciel  d' Intutiria  e  cominendar  poi  FrineT 

.bbiamo  qui  varii  accenni  importanti.  II  Caprara  in- 
non  e  gih  il  generate  Alberto  Caprara,  ma  certamente 
fratello    maggiore     Enea   Silvio    del    quale   solo   pu6 


Fra  i  Agliuoli  del  Reu  tai  gra<li  ottenne, 

erche  questl  verauiente  ebbe  il  grado  tla  nessun  altro 
rnese  raggiuiito  di  comandaiite  supremo  delle  Iruppo 
'ee.  E  poielie  ebbe  questo  grado  iiel  1092  (2),  possiamo 
lire  che  questa  satira  fu  serltta  dopo  il  1692,  meiitre 
'acccniio  ad  una  graude  battaglia  cl  couduceva  o  dopo 


Le  due  sorelle  N'livella  e  Bettina  C^ilderini,  doltore^e  di  leggi  uate 
agaa  e  iuaegnautl  a  Padova,  fiorirouo  nella  priiii^  meU  del  sec.  XIV. 
la  fu  luoglie  di  Giovanni  Sangiorgi  e  morl  a  Padova  nel  1325.  Ac- 
ad essa  il  F*NTfixi  fficritl.  Holagn.  VII,  307)  e  a  Iiltte  e  due 
1  CesaBH  ChOCe  nel  poeuietto  La  gloria  delle  Donne.  (Bologna,  B;- 
1590).  Cfr.  anolie:  Carouna  Bonafede,  Cenni  biografici  e  ritraiti 
ligni  donne  bolognesi.  Bologna,  tip.  Sjssi,  1!^.  pp.  lGl-66. 
MURATDBi.  Annali  d'  Italia  ad  annum. 


—  7  — 

il  1685  (Cassovia)  o  dopo  il  1688  (Illock  e  Peterwara- 
dino).    (1) 

Possiamo  poi  supporre  un  limite  ad  quern,  fe  proba- 
bile  che  Tautore  scrivesse  prima  del  1697,  anno  in  cui  il 
Caprara,  stanoo  ed  ammalato,  abbandono  la  vita  militare, 
oedendo  il  comando  della  guerra  d*  Ungheria  al  Principe 
Eugenio  di  Savoia  i!  quale  con  la  sua  immensa  gloria 
oscur5  quella  del  predecessore.  In  ogni  modo  ci  pare  che 
dobbiamo  risalire  a  una  data  anteriore  al  1701,  anno  in 
cui  mori  il  maresciallo  Caprara.  Infatti,  quantunque  qui 
non  sia  detto  espressamente  che  il  Caprara  era  vivente, 
par  d'  indovinarlo  seguendo  il  ragionamento  dell'  Adimari. 
Egli  si  sdegna  che  i  poeti  profondano  adulazioni  intorno 
a  vili  soggetti  (le  adulazioni  si  fanno  ai  viventi,  non  ai 
morti).  Poi,  volgendosi  agli  adulatori,  vuol  mostrar  loro 
che  esistono  soggetti  degni  di  vera  lode:  cita  quindi  Eleo- 
nora  e  Cammilla  {vive  e  pre^enti)  e  il  Caprara.  Poi,  con 
r  accenno  a)le  Calderine,  dice  che  oltre  ai  vivi  possono  lo- 
darsi  i  morti  che  meritaron  1'  aramirazione  dei  loro  con- 
temporanei. 

Vediamo  ora  il  secondo  accenno:  Eleonora  e  Cammilla. 
Si  tratta  di  dame  altrui  hen  note^  ci6  che  per  un  moraento 
ci  face  pensare  ad  Eleonora  imperatrice,  ma  chi  sarebbe 
aUora  la  Cammilla  messa  con  tanta  disinvoltura  accanto 
all'augusta  donna?  E  poi  qui  da  queir  accenno  al  ciel  na- 
tio  e  da  quel  subito  confronto  con  le  Calderine  e  evidente 
che  si  tratta  di  due  dame  bolognesi. 

Pensiarao  piuttosto  che  si  tratti  delle  due  Caprara,  Eleo- 

(1)  Per  la  data  della  battaglia  di  Cassovia  v,  il  Nouveau  Dictionn,  des 
sieges  et  hatailles  m^morables  par  M.  M.  (Paris,  1809),  t.  II  p.  93.  Per  la 
battaglia  di  Peter- Waradino  v.  Muratori  op.  cit.  ad  auQum.  Questa  e  la 
battaglia  di  Sintzheim  sono  le  principali  delle  44  campa^ne  fatte  dal  Ca- 
prara (non  sempre  con  felice  risultato)  al  servizio  deirimperatore.  E  pro- 
babile  si  tratti  di  una  delle  due  suddette,  nel  qual  caso,  con  esempio  non 
nuovo,  r  Adimari  avrebbe  chiamata  Austria  TUngheria:  non  si  tratta 
certo  di  Sintzheim,  poich^  questa  citta  6  in  Isvevia  (oggi  fa  parte  del 
granducato  di  Baden).  Non  abbiamo  citato  Neuhausel,  V  altra  grande  bat- 
taglia d*Ungheria,  perch6  essa  avvenne  nello  stesso  anno  di  Cassovia  6 
quindi  non  ci  fornisce   alcun  dato  nuovo. 


nora  (figlia  del  co.  flirolamo  Caprara  e  di  Caterina  Zam~ 
beccari)  la  quale  9pos6  il  marchese  lacopo  Filippo  Ama- 
dore  Spada  il  30  novembre  1690  (1)  e  Cammilla  (del  co. 
Francesco  Carlo  Caprara)  moglie  del  marcheso  Filippo 
Bentivoglio  (1G88)  (2)  e  poi  del  marchese  Oiorjfio  Marsigli. 
Cammilla  era  riipote  del  maresciallo  (':iprara  del  quale  Eleo- 
nora  era  lontana  parente. 


(1)  V.  UHlHei.1.1.  Croiiapa.  LXV[I1.  UUl.  V.  anclie  I'upuaculo:  Lacamna 
Celeite  in  mano  d'  Imeiira  appiaiidilo  dalle  Mute  mi  fisiicUtimo  Aooop- 
piamenfo  degi'iU.mi  signovi  marchese  Giacomo  Filippo  Ama^lore  Spitda 
e  marche»a  Eieonix-a    Caprara.  In  BulripQA,  per  I'  eredo  'li  Viltorio  Be- 


0  ii,  r„ii 


«.). 


(2)  Adche  (juesle  mi-ae  furoDn  (luorate  ila  una  raccolta  di  versii  Gti  Stra- 
tagemml  d'Amorv.  Componimenti  per  te  None  rlegll  Itl.tni  fiignor  Conte 
Filippo  lientifoglio  e  Contesia  Camilla  Caprara  dedirati  agti  Spoai  dal 
dotl.  Paolo  Pari.  Iu  Bnlugna,  per  ^W  Ereili  a'Aati.Dio  Pisarri,  (s.  &.)■ 
in  4.°  pp.  20  o.D.  La  iaXa  ta  furuiace  11  Litta  (Fam.  noh.  Hal.,  Beatiio- 
^lio,  tav.  l\)  La  Camilla  era  Iwlliasima  e  nel  cod.  1207  dalla  Uoiversita- 
ria  Ji  Bulr^ua  ai  leppe  un  [rraaiuso  madrigale  per  lei,  IraBcrittomi  d.il 
i;en  till  SSI  mu  d.r  Bacchi  del1:i  Le;;u: 

Signora  Camilla  Renlioogli   Caprara. 

Tu  I'  iitimapini  Amore 

D'  esser  coi  fuichi  ardeiiti 

Dati>  per  ^uidator  solo  alle  genti. 

T*  ia^anui,  eccone  ud'  altra 

Di  te  pill  s^)>ia  e  scaltra 

Che  con  ginoero  gielo  [sic  per  ^eld] 

Per  la  via  dell'  honor  ci  guida  al  clelo. 

Ma  non  pare  clie  Ui  gran  belld  fosHe  con  pudicisia  untta  come  dlceva 
rAdimari,  date  queste  parole  del  Litta  (Op.  cit,  loc.  cit.):  .Nel  1700  Camilla 
era  in  Roma  alia  corte  in  qualitii  di  dama  presan  la  llegina  vedoca  di 
P'doaia.  11  maresciallo  Caprara  suo  zio  dod  voile  che  coatiuuasse  ad  oc- 
cupar  quella  carica.  rileuendola  troppo  inferiore  alia  sua  condizione,  e 
fece  partlrc  da  Roma  la  oipote.  Sotto  quell' apparenza  era  nascosto  poi 
il  vero  motivo,  ciod  che  il  papa  era  talmente  uauaeato  de'  bagordi  com- 
mesai  Delia  di  lei  caaa,  che  ad  ogni  cjato  voleva  che  fosse  sfrattata  da 
Roma  unitamente  ad  Aoaa  Ornsai  Albergati  compagna  di  Camilla  Dello 
sfacciato  libertinaggio.  •  Qitesta  6  1' unica  donna-moilello  per  quel  terri- 
bile  misoginott  Forse  6  un'  adulazione;  e  in  tal  caso,  quale  adulazione  pili 
bassa,  in  una  satira  scritta  appunto  contru  gli  adulatorif 


—  9  - 

Pur  troppo  la  data  di  morte  delle  due  dame  presenti  e 
vive  quando  TAdimari  scriveva  non  ci  porge  nessun  argo- 
mento,  perch6  quando  morisse  Eleonora  non  sappiamo  e 
Cammilla  viveva  ancora  nel  1752  (1)  quindi  molti  anni  dopo 
la  morte  dell'  Adimari.  Certo  per6  V  Adimari  scriveva  pri- 
ma del  1706,  anno  in  cui  Eleonora,  rimasta  vedova,  si 
fece  monaca  scalza  in  Bologna.  Inoltre  crediamo  che  scri- 
vesse  dopo  il  1690,  quando  cioe  ambedue  le  dame  erano 
maritate,  perche,  conoscendo  le  usanze  del  tempo,  par- 
rebbe  strano  che  V  A.,  volendo  onorare  le  pid  fulgide  bel- 
lezze  dclla  citta,  si  rivolgesse  a  due  fanciuUe. 

Da  tutti  questi  dati  i  quali  ci  fanno  pensare  al  decen- 
nio  1690-1700  vediamo  ora  scaturii'e  un  nnovo  indizio.  Qui 
r Adimari  non  cita  che  adulatori  bolognesi,  glorie  di  Bolo- 
gna (il  Caprara),  belle  donne  di  Bologna  (le  due  dame), 
antichi  personaggi  bolognesi  (le  Calderine). 

Tutti  questi  accenni  fan  credere  che  T  Adimari  scri- 
vesse  in  Bologna  (ipotesi  confermata  da  quel  presenti  rife- 
rito  alle  due  dame).  Orbene,  dopo  che  il  poeta  fu  esiliato 
da  Firenze  nel  1685,  riparo  a  Lucca  donde  non  fu  cacciato 
che  nel  1687  (2)  anno  in  cui  si  reco  a  Geneva:  a  Bologna 
lo  troviamo  sicuramente  nel  1691  (3)  e  nel  '93,  ottenuta  la 
grazia  dal  Gran  Duca,  I'Adimari  tornava  in  Firenze  d'onde 
non  si  mosse  piu  fino  alia  morte. 

Quindi  questa  satira  fu  scritta  certamente  negli  anni 
16901700  e  probabilmente  nei  due  primi  anni  del  de- 
cennio. 


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(1)  In  qudsto  giorno  ella  fece  testamento:  (cfr.  Frati.  Bibliogr.  holo^ 
gnese.  Bologna,  Zanichelli,  1889,  vol.  II,  p.  1488). 

(2)  V.  la  deliberaz.  9  nov.  1687  nel  R.  Archivio  di  Stato  di  Lucca, 
Magistrato  dei  Segretari,  Deliberazioni,  n.  33  (15),  anni  1683-94,  p.  40. 

(3)  Infetti  nel  cod.  I,  1106  (a  G  5,  5)  della  Bibli-.teca  Estense  di  Mo- 
dena  si  legge  una  Serenata  a  Filli  scritta  da  Lodovico  Adimari  in  Bolo- 
gna per  i  conti  Calderini:  «  in  occasione  »  (cos\  v'^  scritto)  «  della  fiera  d«l 
present*  anno  1691. 


SATIRA  n. 

Contro  1  vizll  unlversali. 

satira  non  offre  alcun  dato  croQologico  sicuro. 
ra  te  graodi  vergogue  del  tempo  6  considerata 
I  questa, 

a  Regolo  de"  Sirti  il  Popol  cbiamo 

spettacol  pompoao  antra  il  teatro, 

soverchio  dl  lasto  oga'  altro  si  brame, 

grande  sopracciglio  auatero  ed  aCro 
irabiante  aggiunga,  e  aspirl  al  Tosoo  d*  oro 
tii  sul  ilnrsi)  portu  rustico  aratru. 

M  riiiscis3,">  a  trovare  ehi  fosse  quest' uomo  a 
forse  potremmo  aver  qui  uu  dato  cronologico. 
I  poi,  con  verai  non  inolto  chiari,  I'A.  sembra 
una  grave  carestia  che  v'  era  a  Roma  men- 
veva,  ma  diffieiie  e  stabilirne  il  tempo,  perche 
in  Roma  durante  i  ponti6cati  di  Innocenzo  XI 
ndro  VIII  oc  no  furon  parecohie  (1). 

SATIRA  III. 

nntro  11  vizio  della  bugia  e  suoi  seguacl- 

questa  e  molto  utile  per  la  nostra  riceroa.  Pare 
3  il  ritorno  dall'  esilio  dell'  Adimari,  perche  la 
1  dialogo  fra  Menippo  e  la  Verita)  si  avolge  a 
escritti  i  mali  e  lo  discordie  di  Firenze  antioa, 
da  altameute  il  governo  del  gran  Cosmo.  Que- 
lostrano  soltauto  chc  la  satira  fu  scritta  qualche 
il  1670,  anno  in  cui  Cosimo  III  sail  al  trono: 
Ffrono  un  dato  troppo  vago  e  lontano  (2). 


—  11  — 

SATIRA  IV. 

Contro  alcuni  vizii  delle  donne  e  particolarmente 

contro  le  cantatrici. 

Qaesta  satira  finalmente'ci  offre  un  limite  ad  quern  ab- 
bastanza  sicuro.  A  p.  159  V  Autore,  dopo  aver  detto  che 
le  stolide  cantanti  pretendono  saper  tutto  e  ciancian  anche 
di  politica,  dice; 

Ella  omai  gid  prevede  in  cbi  cadranno 

D*  Iberia  i  tanti  Regui,  e  quai  litigi 

L*  Istro  e  la  Senna  a  tal  cagione  avranno, 
Sa  quai  schiere,  quai  navi  in  sul  Tamigi 

Quel  Re  disponga,  e  quai  pensier  noo  meno 

Volga  nella  gran  mente  il  gran  Luigi. 

Dunqu©  siamo  ai  preparativi  della  guerra  di  sacces- 
sione  di  Spagna.  Questa  satira  non  pu6  essere  stata  scritta 
dopo  il  1701,  quando  la  guerra  era  gia  scoppiata  e  quindi 
non  c'era  piu  nulla  da  prevedere^  ma  o  poco  dopo  la  morte 
di  Carlo  11  (1  nov.  1700)  o  anche  poco  ppima,  perche  la 
malferma  salute  di  quel  inonarca  gia  aveva  fatto  pensare 
alia  succe«sione,  sicche  tutti  i  sovrani  che  aveano  da  spe- 
rare  qualcosa  s'erano  affrettati  ad  armare  gli  eserciti. 


688i  r  A.,  dopo  aver  parlato  delle  vittorie  ottenute  dalla  Bugia  con  Lu- 
tero,  Galvino  etc.  dice: 

Ella  il  novello  Impero  ha  in  Tracia  eretto 

Che  al  Roman  fa  grand*  onibra  e  in  esso  uguaglia 
Bisanzio  a  Roma,  a  Pier  Sergio  e  Meemetto. 

E  gia  parmi  veder  ch*  aspra  battaglia 

Muova  da  presso,  e  s'  altri  non  s*  oppone, 
Che  da  eretici  campi  Italia  assaglia. 

Allude  forse  alia  diflfusione  in  Italia  delle  dottrine  dei  Quietisti  che 
tanto  preoccupava  la  Corte  Romana  e  gli  Stati  amici?  (V.  la  relaz.  di 
GmoLAMO  Lando  cit.  pp.  410-11).  0  a  quale  altro  movimento  protestantef 
0  forsa  a  qualche  p«ricolo  mussulmano?  Noi  non  sapremmo  rispondere. 


SATIRA    V. 

Contro  i  vizii  delle  donne  In  universale. 

Da  questa  non  ricaviamo  che  un  dato  quasi  inBignifi- 
nte.  A  pug.  19'2,  a  proposito   della  letteratura  frivola  e<i 

ipia  del  secolo  e  scritto: 

II  CrisliiDo  ditl  Segoeri  istruito 

Piii  d(!e  piacer  del  follepgiar  b1  lecchio 
Sul  cnccialor  liall"  aqiiila  rapito. 

Questi  versi  sono  stati  scritti  evidentemonte  dopo  il 
86,  anno  in  cui  fu  pubblicata  la  prima  edizioiie  dell'opera 
1  Segued:  (1)  dato  importante  solo  in  qiianto  non  con- 
iddico  a  quelli  supposti  parlando  dolla  satira  I  e  quindi 
nferma  I'opinione  nostra  che  le  satire  sieno  state  coni- 
ste  net  decennio  I690-I700  o  tutt'  al  piil  nei  dodici  anni 
mpresi  fra  il  168B  (nel  iiovembre  dell'  anno  antecedentc, 
me  abbiam  visto,  1'  Adimari  non  era  ancora  andato  a 
ilogna)  e  il  1700. 

Himane  ancora  un  f'atto  da  osservare.  II  limite  ad  quern 
to  dalla  satira  IV  sarebbo,  come  ogunu  capisce,  impor- 
itissimo  se  potesse  dimostrarsi  che  la  satira  FV'  fosse 
ita  composta  dopo  tntto  lo  altre.  Ebbene,  noi  crediamo 
■mamouto  ehe  sia  cosl.  Infatti,  i'  vero  ehe  nolle  stampe 
)rdiiie  delie  satire  e  quale  noi  I'abbiamo  dato,  ma  nei 
dici  e  assai  diverso.  Eceo  in  quale  ordine  sono  disposte 
satire  negli  undiei  codici  da  noi  esaminati  (awertendo  che 
ritraddistiuguiamo  ie  satire  con  le  lettore  ABCDE  corri- 
ondenti  rispettis^amente  alia  1.',  2.",  H.',  4".  e  5."  delle 
impe) : 

Marucellianu  C  240: 

MasUalierhinDO  II.  1,7^:  I     >  ■ir-nf 

Maglialiechiano  11.  1.7H.  ,      '^"^"'^ 

OuarDaccJano  ili  Volterra  61!M. 

(1)  II  Crhliano  ittniito  lulla  juu  tegge,  Ragionamenlo  momle  di 
OLO  Skqneri.  Fireoze,  StaroperUi  lii  S.  A.  S.,  1686.  (Voll.  3.  b  4"). 


—  18  — 

PalatiDO  (Bibl.  Naz.  Centr.  di  Fireuze)  261:  . 

PalatiDO-CappoDiano  (Id.)  34:  f     Appr»Tx 

Laureoziano  Ashburnhamiaiio  684:  I    aii.i>i5u 
Laureoziano  Mediceo-Palatino  98: 

Magliabechiano  II,  1,78:  i 

Riccardiano  2938  '     AECB. 

G(xi.  della  Bibl.  Pubblica  di  Lucca  (collez.  Moucke  1522)  \ 

Dunque  in  quattro  codici  (alcuni  dei  quali  possono  esser 
derivati  dalle  edizioni)  le  satire  sono  disposte  nello  stesso 
ordine  che  hanno  nelle  stampe:  ma  in  altri  quattro  la  sa- 
tira  O  e  coUocata  nell'  ultimo  posto :  in  altri  tre  codici  poi 
quella  satira  manca,  il  che  fa  credere  che  essa  sia  stata 
aggiunta  piu  tardi  e  che  i  tre  codici  che  noi  abbiamo 
citato  per  ultimi  sieno  i  piu  antichi.  E  si  noti  che  T  ordine 
AECBD  dovette  esser  dato  alle  satire  dallo  stesso  autore, 
come  appare  dal  codice  Palatino-Capponiano  34  (nel  quale 
e  appunto  T  ordine  AECBD)  che  porta  questa  nota  di  pu- 
gno  del  canonico  Vincenzo  Capponi:  «  Queste  [satire]  fu- 
rono  rivedute  dal  medesimo  Autore,  e  donate  dal  mede- 
simo  al  Marchese  Pier  Capponi  suo  grande  amico.  » 

E  come  la  satira  contro  le  cantatrici  sembra  dunque 
essere  stata  scritta  dopo  le  altre,  cosi  quella  contro  1'  adu- 
lazione  (composta,  come  vedemmo,  dopo  il  1692),  sembra 
essere  stata  scritta  per  prima,  non  solo  dal  fatto  che  in 
tutti  i  codici  essa  occupa  invarrabilmente  il  primo  posto, 
ma  anche  perche  in  essa  V  Autore  dice  piu  volte  che  ora 
vuol  cominciare  a  rotar  la  sferza  della  satira.  Nota,  oltre 
le  prime  tre  terzine,  queste  che  sono  a  p.  2  e  che  parlano 
abbastanza  chiaramente: 

Ma  se  piu  volte  il  dU  son  io  costretto 

A  seutir  gli  altrui  versi  o  buoni  o  rei 

Per  le  pubbliche  strade  e  dentro  il  tetto 
Giusto  esser  dee»  poiche  finor  tacei 

Dtf  gli  altri  ascoltator,  che  alcun  s'  appresti 

A  soffrir  la  vilta  de*  carmi  miei. 

Cosi  puo  dirsi  che  le  satire  deirAdimari,  che  certa- 
mente  furono  scritte  fra  il  1690  e  il  1700,  furono  compo- 
ste  probabilmente  nello  spazio  di  otto  anni,  fra  il  1692  e 
il  1700. 


-  14  — 
tore  pftzionte  che  oi  ha  seguito  nella  lunga  ri- 
Temmo  dimostrare  che  la  nostra  fatica  intomo  a 
ritture  di  uq  autore  quasi  ignoto  non  e  stata  del 
tile.  Questo  speriamo  di  poter  fare  quando,  par- 
Lodovico  Adimari,  studieremo  la  sua  opera  lette- 
ureremo  le  stranissime  sue  awenture. 


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PIETRO  MICHELI 


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LIVORNO 

RAFFAELLO  GIUSTI,  EDITORE 


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1900 


PREFAZIONE 


La  novita  dello  studio  che  ora  pubblico  consiste 
nell'aver  ricercato  tntte  o  quasi  tutte  le  forme  di 
scritti  privi  di  significato,  con  lo  scopo  di  spiegare 
come  avviene  che  gli  uomini,  volontariamente  o 
involontariamente,  prendano  gusto  a  sragionare. 
Facendo  uno  studio  generale,  qualche  volta  ho  do- 
vuto  ripetere  cose  notissime,  altre  volte  mi  son  valso 
di  osservazioni  meno  conosciute,  ma  non  nuove.  In 
questo  secondo  caso  ho  citato  gli  autori ;  nel  primo 
non  ho  voluto  imitare  quel  predicatore  che  esclamo : 
Tutti  dobbiamo  morire,  dice  s.  Agostino.  Dunque, 
siamo  intesi,  accanto  alle  osservazioni  mie,  acute  od 
ottuse,  ho  posto  osservazioni  di  altri. 

Non  per  superbia,  nfe  per  vana  gloria;  per  mia 
scusa,  diro  che  alcuni  miei  saggi  precedenti  intomo 
a  questo  argomianto  hanno  avuto  I'approvazione  di 
persone  autorevoli ;  e  percio  sono  stato  incoi!ltggiato 
a  ripresentarli  piu  ordinati  e  compiuti.  Ora  verra 
fuori  qualcuno  a  dire  che   il   mio  studio  non  ha 


)  della  forma  e  contiene  cose  fritte  e  ri- 
e,  anzi  trite,  —  e  la  parola  di  moda.  Da  qual- 
tempo  a  questa  parte  alcuni  criticonzoli,  che 
imiottano  mal amenta,  i  seguaci  del  metodo  sto- 
,  son  proprio  buffi.  Prima  affettavano  im  gran 
rezzo  per  lo  scriver  bene,  ora  si  danno  I'aria  di 
;tori  eleganti :  rubacchiano  qua  e  la  alcune  mo- 
se  di  periodi,  ripetono  certe  frasi  convenzionali 
IB  il  lenocinio  della  forma,  aenza  alexin  acume 
!  osservazioni  parttcolari ;  hitte  cose  di  cut  si 
m  fare  a  meno;  frasi  che  possono  andare  iasieme 
latino  dei  giornalisti :  el  de  hoc  satis,  et  nunc 
Hmitii,  timeo  Danaos)  e  poi  si  pavoneggiano  e, 
ina  rivista  all'altra,  si  salutano.  Uno  dice:  tn 
!\  con  molto  garbo;  i'altro  risponde:  e  tn  con 
x)  raoltiO,  Alec  samel,  salam  elec.  Quando  questi 
ci  die  avrebbero  avuto  molta  digposizione  a 
;par8i  di  forme  da  scarpe,  fanno  delle  oeserva- 
i  sulla  forma  letteraria,  mi  vien  rabbia.  Inyece 
h  dolce  la  parola  di  quelli  che,  superior!  a  me 
utto,  88  dissentono,  o  riprendono,  lo  fiinno  con 
tilezza  e  con  bonta.  Di  questi  ne  conosco  ancora 
■i,  da  compensarmi  delle  seccature,  che  mi  danno 
altri. 

Bivedendo,  dope  molto  tempo,  queato  sfogo  piu 
prefazione,  sento  che  sono  necessarie  alcune 
iunte.  Prima  di  tutto  devo  ringraziare  viva- 
te  il  mio  buon  maestro,  dott.  F,  C.  Pellegrini, 
non  Bolo  mi  ha  aiutato  a  correggere  le  Btampe, 
mi  ha  indicato  alcuni  errori,  non  di  stampa, 


PREFAZIONB.  VII 

cbe  mi  erano  sfuggiti;  e  devo  ringraziarlo  tanto 
piu,  in  quanto  alcune  pagine  di  questo  libretto  con- 
tengono  idee  assolutamente  contrarie  alle  sue.  Egli 
riconoscera  pero  che  io  non  ho  scherzato  sopra  con- 
vinzioni  che  invidio  e  che  rispetto. 

Da  alcune  osservazioni,  che  mi  ha  fatto  il  P., 
ho  capito  finalmente  che  era  meglio,  in  tutti  i  caisi, 
apporre  le  indicazioni  delle  idee  altrui  e  dei  passi 
citati.  Dove  ho  potuto,  ho  rimediato ;  in  pochi  casi, 
avendo  distrutto  gli  appunti  che  mi  hanno  servito 
nella  compilazione  del  mio  studio,  qui  dove  sono, 
mi  e  stato  impossibile  ritrovare  le  opere  consultate. 
Diro  intanto  qui  che  dei  canti  fanciulleschi  i  piu 
sono  livomesi  e  presentano  qualche  varieta  dal 
modo  con  cui  sono  riportati  dal  mio  amico  Gino  Gal- 
letti  nella  sua  Poesia  popolare  livornese  (Livorno, 
R.  Giusti,  editore,  1896) ;  VAi,  hai  e  di  Pordenone, 
Palla  uno,  palla  due  e  del  Sasso  di  Maremma,  e  li 
credo  inediti.  Quanto  al  resto,  peccato  confessato 
dovrebbe  essere  mezzo  perdonato ;  e  poi  a  nessuno 
verra  in  mente  che  io  mi  sia  inventato  il  francese 
del  Courteline  o  qualche  altro  passo  rimasto  senza 
citazione. 

Conegliano,  22  febbraio  1900. 

PlETRO   MiCHELI. 


^•-T»' 


Tutti  ricordano  il  discorso,  che  Renzo  ubriaco  fa 
nell'osteria  della  Luna  plena,  Le  frasi,  ora  languide 
e  cascanti,  ora  subitamente  energiche,  sempre  in- 
garbugliate  ed  oscure,  descrivono  col  ritmo  inge- 
gnoso  tutte  le  mosse  della  persona  che  le  proferisce. 
L'ultima  parte  di  quella  discorsa,  dove  il  disordine 
h  maggiore,  &  di  un  effetto  insuperabile:  ^  Rispondi 
dunque,  oste:  e  Ferrer,  che  6  il  meglio  di  tutti,  h  mai 
venuto  qui  a  fare  un  brindisi,  e  a  spendere  un  becco 
d'un  quattrino?  E  quel  cane  assassino  di  don....  Sto 
zitto,  perchd  sono  in  cervello  anche  troppo.  Ferrer  e 
il  padre  Crrr...  so  io,  sono  due  galantuomini.  I  vecchi 
peggio  dei  giovani ;  e  i  giovani...  peggio  ancora  dei 
vecchi.  Per5  son  contento  che  non  si  sia  fatto  sangue: 
oib5;  barbarie  da  lasciarle  fare  al  boia.  Pane;  oh  que- 
sto  si.  Ne  ho  ricevuti  degli  urtoni;  ma...  ne  ho.  anche 
dati.  Largo!  abbondanza!  viva!...  Eppure,  anche  Ferrer 
qualche  parola  in  latino...  sies  baraos  trappolorum,.., 
Maledetto  vizio !  Viva!  giustizia!  pane!  Ah,  ecco  le 
parole  giuste!...  Li  ci  volevano  quei  galantuomini... 
quando  scappb  fuori  quel  maledetto  ton  ton  ton,  e 
poi  ancora  ton  ton  ton.  Non  si  sarebbe  fuggiti,  ve' 

MiOHiLi,  LstUratura  cA«  non  ha  8§nso  —  1 


LKTTBBATITHA    OHE   HOK   BA   SBNSO. 

illora.  Tenerlo  11  quel  signor  curato....  So  io  a  chi 
lenao  «.  Prima  di  questo  discorso  il  Manzoni  awerte: 
N'oi  riferiamo  Boltanto  alcune  delle  mottissime  pa- 
ole  che  (R«Dzo)  mand6  foori,  in  quella  sci^urata 
«ra,  le  molte  piii  che  tralasciamo,  disdirebbero 
roppo;  perchfe  non  solo  non  hanno  Benao,  ma  non 
anno  vista  di  averlo:  condizione  necessaria  in  un 
ibro  stampato  ,.  Ebbene:  questa  6  una  delle  pochie- 
ime  votte  in  cui  il  Manzoni  ha  torto. 

Questa  aaserzione  erronea  k  afuggita  al  Manzoni, 
)erch^  la  letteratura  senza  eenso  b  una  di  quelle  cose, 
ihe  si  banDO  continuamente  sott'occhio,  e  non  si  cre- 
lono  degne  di  osservazione.  Ognuoo  ha  letto  qualche 
icritto  assolutamente  privo  di  senso,  e  lo  avrk  giu- 
licato  un  capriccio  o  una  pazzia  individuale;  ognuno 
la  sentito  fare  qualche  discorso,  in  cui  le  parole  erano 
iccozzate  senza  nesso  logico,  e  lo  avra  creduto  una 
>izzarns  speciale  di  un  burlone.  Ma  pensando  un  po' 
lopra  a  questi  scberzi,  k  facile  accorgersi  che  sono 
li  ogni  tempo  e  di  ogni  luogo. 

Si  pu6  dire  che  a  tutti  i  generi  letterari  sono 
ittaccate,  come  ombre,  corrispondenti  forme  prive 
li  significato:  puri  accozzi  di  vocaboU  o  di  frasi  che 
imulano,  in  prosa  o  in  versi,  I'andamento,  le  pause 
I  la  concitazione  di  periodi  ben  torniti,  e  di  rsgio- 
lamenti  filati. 

£  curioso  poi,  cbe,  con  queste  filaetrocche,  si 
ittengano  effetti,  non  solo  umoristici,  ma  anche  seri 
i  commoventt. 

E  piij  curioso  parra  che  se  ne  siano  compiaciuti 
lomini  come  Goethe  e  Rabelais,  per  citare  i  due 


Anzi  il  parlare  senza  senso,  oltre  essere  state 
■iprodotto  daU'arte,  6  state  preso  in  considerazione 


LETTSBATURA  OHB  NON  HA  SBNSO.  8 

dalla  filosofia  e  dalla  fisiologia.  Lo  hanno  notato 
Montaigne,  Cardano,  Leibnitz,  Voltaire  e  in  ultimo 
lo  ha  preso  come  punto  di  partenza,  per  studiare  il 
pensiero  simbolico,  L.  Dugas.  O  Ma  questi  scrittori, 
e  il  Dugas  specialmente,  hanno  sfiorato  appena  il 
puro  non  senso  e  si  sono  fermati  sul  linguaggio  che 
Simula  I'apparenza  del  pensiero,  per  arriyare  a  un 
fatto  psicologico  normale.  Ne  hanno  parlato  anche 
il  Lombroso,  il  Nordau  e  Mario  Pilo.  II  Lombroso  si 
d  occupato  di  certe  tiritere,  che  non  hanno  assoluta- 
mente  nessun  significato  e  che  provengono  da  un  per- 
turbamento  mentale,  che  trova  la  sua  manifestazione 
ultima  nella  delinquenza  e  nella  pazzia.  II  Nordau  ha 
considerate  certe  forme  particolari  di  questa  lettera- 
tura,  per  stabilire  una  critica  con  fondamento  di 
fisiologia  e  di  patologia,  e  per  dedume  una  degene- 
razione,  non  si  sa  se  totale  o  parziale,  della  Francia 
o  di  tutta  r  Europa,  delle  classi  elevate  o  di  tutto  il 
popolo.  Mario  Pilo  se  ne  ^  valso  per  esporre  una  sua 
geniale  teoria  intomo  alia  musica  delFawenire.  (*) 
II  Dugas,  che  ha  studiato  piii  a  fondo  questo 
argomento,  dice  che  la  cicaleria  assoluta  ^  rara  e 
quasi  impossibile.  (')  Invece  6  diflfusissima,  e  io  mi 
propongo  di  vedere,  in  quanto  essa  6  riprodotta  dal- 
Tarte,  quali  eflfetti  pub  produrre  e  perchd. 


(1)  L.  DvoAS,  Irtf  PaittacittM  et  la  ptnsd§  ajftnboliqM.  Paris,  F^lix  ▲!• 
eaa,  1890. 

(*)  Muiiea  $enza  —hbo  €  ftnto  3«n»a  mugica.  *  Seena  illaatr.  „  a.  XXXHI, 
oum.  6. 

(8)  L.  Du&AS,  op.  oit.,  pag.  22. 


)  &asi,  che  mo- 
snto,  che  banno 
on  banno  signi- 
to  e  confuso.  E 
che  ad  una  let- 
ma  lingua  dello 

ate,  che  U  lin- 
itivi,  e  che  poi 
care  idee  nuove, 

;ro  essere  tanto 
.  Invece,  le  ono- 

8^  un  incoQve- 
non  richiamano 
lo  che  Togliono 
rit6.  Mentre  al- 
ati  per  aasocia- 
i  indicare  cose 
•  di  ripeteme  il 

origine  a  molti 
variazioni. 
esto  fatto  anche 

dei  barbari.  II 
e :  "  Vi  ha  nelle 
i,  che  generano 
,ggio  e  la  sepa- 
idiani,  uomini  o 
I  che  godano  a 
elle  nuove  pro- 


^^■^^  i_LLf, J-   .  ■  J  ij  1 1  ij^  I ^ui>-T!Tg-: gigsi^i-isig:— -,^j:    \'iiiu^ r 


LBTTERATURA  CHE  KON  HA  8BNS0.  5 

nunzie.  Diverte  molto  il  vedere  come  tutta  la  riu- 
nione  si  sganascia  dalle  risa,  quando  il  buffone  della 
brigata  trova  qualche  nuovo  tennine  di  gergo:  e 
queste  nuove  parole  per  lo  piii  restano. 

'^  La  stessa  cosa  si  osserva  identicamente  nelle 
nostre  cittk.  Una  parola  piacevole,  un  rawicinamento 
di  suono  e  di  senso  h  preso  a  volo,  ripetuto,  e  si 
perpetua.  II  gergo  sarebbe  utilissimo  a  studiarsi  sotto 
questo  rapporto  „. 

Citerb  alcuni  esempi  di  ci5  che  awiene  tra  noi. 
Per  Talterazione  volontaria  delle  parole  riferirb 
quella  che  ho  sentito  di  recente  nel  ritomello  di  una 
canzone  popolare.  II  ritomello  dice: 

E  pare  ^  bello  il  dondolar,  dondolar. 

e  alcuni  cantano: 

E  pure  ^  bello  il  dondoUr,  dondolar. 

II  case  di  significati  diversi  dati  ad  una  parola, 
per  il  gusto  di  ripeterne  il  suono,  6  cos\  comune,  che 
c'^  da  scegliere,  finchd  si  vuole.  lo  ho  conosciuto  un 
tale  per  cui  tutte  le  persone  e  le  cose  erano  tra- 
biccoli  e  trabiccolai.  Un  mio  compagno  di  studi  gin- 
nasiali  era  state  tanto  colpito  dalla  parola  Brundu- 
sium,  che  la  ripeteva  ogni  memento,  e  in  qualunque 
occasione.  E  son  sicuro  che,  anche  oggi,  dope  tanti 
anni,  se  cestui  m' incontrasse  e  mi  riconoscesse, 
condenserebbe  tutti  i  ricordi  di  quel  tempo  nella 
parola  che  gli  sonava  tanto  bene  aU'orecchio,  e  mi 
saluterebbe  dicendomi:  — Oh!  che  fai?  Bnindusium! — 
Tutti  hanno  osservato  Tuso  e  Tabuso  che  si  fa  dal 
popolo  della  parola  tranvai.  Una  donna  grassa  d  un 
tranvai,  una  poco  di  buono  un  tranvai,  un  abito  mal 
fatto,  un  impiccio,  un  ragazzo  noioso  e  tante  e  tante 


LBTtBBAT0BA   OHB   HON    ( 


altre  cose  sono  tranvai.  Quando  il  compiacimeuto  della 
ripetizione  Snisce,  e  il  vocabolo  non  cessa  di  af- 
facciarsi  alia  mente,  si  ha  Tosaessione  deecritta  da 
Edgardo  Poe.  AUora  la  parola,  prima  ripetuta  coo 
piacere,  ritoma  da  ab  con  inaiBtenza  increscioaa : 
perdd  il  suo  valore,  il  euono,  e  rooza  sella  testa  con 
un  bruslo  confuso.  Nello  steeso  modo  un  oggetto  guar- 
dato  lungamente,  all'occhio  dell'osservatore  ostinato, 
perde  a  poco  a  poco  la  forma  e  diventa  un  punto 
rawolto  in  una  nebbia  tremula. 

£  noD  solo  una  parola  semplice,  ma  spesso  una 
frafie  intera,  cplpisce  o  per  la  disposizione  annonica 
delle  parole,  o  per  la  intensita  del  sentimento,  e  si 
ripete,  in  molte  occasion!,  senza  necessity.  Mi  spiego 
con  tin  eaempio.  Ai  bei  tempi  di  Pisa,  quando  fre- 
quentavo  il  Catf^  deU'Amo,  io  e  un  mio  compagno, 
giocando  a  domino,  si  ripeteva  spesso  questa  frase: 
■  Si  contenta,  padron  mio,  che  un  povero  monat- 
tuccio  metta  il  doppio  sei  (o  il  doppio  due,  o  quel 
cbe  era)?  ,  Perchfe  le  prime  parole  di  questa  frase 
sono  dette  da  un  monatto,  nei  Promeasi  Sposi,  con 
aignificato  di  scherno,  noi  le  ripetevamo  in  un'occa- 
sione  in  cui  non  avevano  piii  nulla  che  fare. 

Alle  stranezze  di  chi  parla  si  aggiungono  quelle 
di  chi  sta  a  sentire.  Una  parola  sola,  quaiche  volta, 
pu6  richiamare  tutta  una  serie  di  idee,  come  il  suono 
di  una  musica,  e  il  profumo  di  un  fiore.  Chi  conoece 
il  segreto  di  quella  parola,  a&  precisamente  che  effetto 
ae  ne  pub  trarre,  pronunziandola. 

Si  racconta  che  un  bell'umore,  in  certa  ricorrenza 
patriottica,  disse  ad  alcuni  amici :  "  Volete  vedere 
che  mi  fo  applaudire  senza  dif  niente?  „  Era  in  un 
palco  di  non  so  qual  teatro ;  il  teatro  pieno,  stivato. 
Egli,  peraona  conosciuta,  s'atza  e  fa  cenno  con  la 


-,.• "      •  w 


^     T^*i     — ^iK^ 


LETTBRATURA   CHB  NON   HA   SBNSO.  7 

mano:  i  rumori  diminuiscono  e  terminano  in  un  silen- 
zio  commovente.  AUora  incomincia  a  dire :  **  Gittadini 
della  forte....  „  (Applausi).  Poi  muove  la  bocca  senza 
parlare;  a  mille  persone  batte  il  cuore,  aspettando 
a  momento  di  battere  le  mani.  Dopo  qualche  tempo, 
picchiando  il  pugno  sul  davanzale  del  palco,  I'oratore 
esclama:  "  i  grandi  ideali  della  patria  ,  (Applausi). 
Seguita  a  fare  movimenti  rapidi  e  concitati  con  la 
bocca,  come  se  ne  uscisse  un  torrente  di  parole  ap- 
passionato poi,  stendendo  il  braccio,  grida:  "  Prin- 
cipali  fattori  deiritalica  indipendenza  „  e  non  dice 
altro,  ma  fa  molti  gesti,  finch^  raccogliendo  tutte  le 
sue  forze  esclama:  "  Tawenire  del  progresso  e  della 
civiltk  „  (Applausi  fragorosi,  frenetici). 

Nd,  in  questi  casi,  h  assolutamente  necessario 
che  gli  uditori  si  rendano  conto  di  quelle  parole  che 
arrivano  a  sentire.  Quanti  si  dicono  monarchici,  re- 
pubblicani,  socialisti,  anarchici  senza  sapere  che  cosa 
sia  socialismo,  monarchia,  anarchia,  repubblica!  E 
quanti  per  questi  nomi  ammazzano  o  si  fanno  am- 
mazzare. 

AUora  si  ha  il  feticismo  della  parola.  Ripetendo 
o  ascoltando  i  modi  di  dire  degli  altri,  si  crede  di 
appropriarsene  il  pensiero  e  il  sentimento.  Questo 
feticismo  h  manifesto  negli  scongiuri  magici  e  nelle 
formule  per  guarire  le  malattie. 

Sunt  verba  et  voces  quibus  hunc  lenire  dolorem 
Possis.  (*) 

II  che  io  credo  sia  avvenuto  in  questo  mode.  In 
principio  chi  curava  il  malato  o  medicava  il  ferito 
era  qualcuno  della  famiglia,  il  padre,  la  madre,  un 


(1)  Orazio,  eitato  da  L.  Duoab,  op.  cit.,  pag.  8. 


iii 


LETTBBATDItA    C 


congiiinto  proBsimo,  che,  nella  sua  dieperazioDe,  emet' 
teva  gemiti  e  gridi,  e  poi  anche  innakava  pregtuere, 
&ceva  scoDgiuri  e  voti.  It  Bentimento  di  dolore  e  il 
desiderio  deU'animo  trovavano  uno  sfogo  Delia  pa- 
rola.  Foi  quelle  fonnule,  che  racchiuaero  meglioqoeeti 
seDtimenti,  pasearono  di  bocca  Id  bocca  e  furono 
ripetute  come  i  proverbi;  infine  quando  alcuni,  per 
la  loro  pratica  maggiore  o  per  speciaJi  attitudini 
presero  cura  dei  malati  o  dei  feriti,  ripeterono  quelle 
formule  senza  che  ormai  esprimessero  pid  il  loro  do- 
lore 0  il  loro  desiderio,  ma  come  ee  esse,  per  una 
loro  forza  nascosta,  contribuisBero  a  guarire  il  male. 

Cosi  anche  nella  religione,  quando  sparisce  lo 
spirito  religioso  rimane  il  culto,  le  pratiche  perdono 
il  toro  significato  e  si  materializzano,  la  preghiera 
diveuta  una  cosa  meccanica,  il  culto  una  cerimonia, 
le  formule  una  specie  di  cabalismo  in  cui  le  parole 
operano,  non  piii,  come  prima,  per  il  significato,  ma 
per  il  suono.  (*) 

La  fiducia  nelle  parole,  non  intese,  fa  si  che  il 
popolo  non  trova  strano  I'ascoltare  la  Messa,  di  cui 
non  capisce  nulla,  e  il  recitare  le  preghiere  latine, 
che  egli  non  ea  quello  che  significhino,  e  che,  pas- 
sate  per  la  sua  bocca,  non  significano  piii  niente.  Per 
vedere  come  il  popolo  intende  le  parole  latine,  legga 
chi  vuole  nel  Sacchetti  la  novella  in  cui  si  parla  di 
Bonna  Bisodia  (venuta  fuori  dal  da  nobis  h/tdie  del 
Pater  noster)  e  pensi  a  queste  etimologie  popolan. 
Da  Arfaxad  h  venuto  arfasafto,  da  lux  perpetua,  la 
uperpetua.  E  a  Livomo  ho  aentito  dire:  '  mi  pai  Te- 
nenosse  che  lo  misero  in  du'  casse  „,  Era  la  tradu- 
zione  di  et  tie  nos  tnducas. 

(1)  Partla  di  E.  Benin  in  L,  Ditbib,  op.  cit.,  pag.  13. 


tutta  assorta  nel  motnento  presente;  vede  il  suo 
ambino  Delia  cuUa  o  sulle  braccia  e  Don  pensa  al 
ituro  o  al  passato;  rapita  in  una  dolce  eatasi,  come 
e  quelle  labbra  freeche,  quelle  gotine  di  rosa  e  quegli 
cchietti,  che  8orridono,  confondendo  la  mamma  vera 
OD  quella  dei  sogni,  siano  state  e  debbano  essere 
smpre  in  quel  mode,  la  madre  canta  la  sua  nenia, 
1  cui  una  parola  segue  I'altra,  cod  la  sola  cura  di 
on  iuterrompere  il  ritmo. 

La  madre  crea  intonio  al  bambino  uD'atmoefera 
i  sogni,  dove  le  immagini  si  succedono  per  asso- 
iazione  di  suodo  piu  che  d'idea,  finchfe  il  bimbo  si 
ddormeota  e  la  madre  lo  guarda  teneramente  sor- 
idendo.  Allora  cbe  cosa  ^  il  passato?  cbe  cosa  e 
awenire?  che  cosa  6  il  mondo?  Tutto  per  la  mamma 

coDcentrato  in  quella  piccola  creaturina  dormente, 

il  suo  cuore  6  invaso  da  una  dolcezza  che  non  la- 
cia  campo  al  peneiero.  Piu  tardi,  quando,  discesa  dal 
aradiso,  ritorna  atle  sue  occupazioni,  o  quando  il 
imbo  figambetta,  ciarla  e  ride  e  ha  &k  sviluppato 

genne  del  piccolo  uomo,  piii  tardi  la  madre  pen- 
ary atl'avvenire;  era  ogni  pensiero  sarebbe  quasi 
na  profanaziooe. 

Per  questo  te  niuDe-nanne  popolari  sodo  coA 
erenamente  incuranti  del  concetto.  Che  importa  il 
oncetto?  II  suono  della  voce  materua  irradia  di  una 
ice  luminosa  di  affetto  ogni  parola  di  quel  balbettio 
onfuso;  il  sentimento  interno  riscalda  e  awiva  ogni 
spressione.  come  il  sole  al  tramonto  fa  sembrare 
gni  cosa  d'oro. 

Chi  crede  di  poter  significare  I'affetto  di  una 
ladre  con  le  sottigliezze  del  pensiero,  sbagtia,  per 
OD  dire  di  peggio.  I  noti  versi  del  B.  Giovanni  Domi- 


LBTTBRATUBA  OHB  NON  HA  8ENS0.  11 

nici    riproducono  tutta  Testasi  matema  con  una 
frase  semplice  riboccante  di  sentimento: 

Quando  an  poco  talora  il  di  dormiva 
E  ta  destar  volendo  il  paradiso, 
Pian  piano  andavi,  che  non  ti  sentiva, 
E  la  tua  bocca  ponevi  al  suo  viso; 
E  poi  dicey  a  con  materno  riso: 
Non  dormir  piti,  che  ti  sarebbe  rio. 

Invece  Timitazione  del  Giusti  con  tutta  la  sua 
scorreria  nel  futuro  5  fredda  ed  accademica: 

/'     Teco  vegliar  m'ft  caro 

Gioir,  pianger  con  te:  beata  e  para 
Si  fa  Tanima  mia  di  cura  in  cara, 
In  ogni  pena  un  nuovo  affetto  imparo. 

Anche  le  cantilene,  con  cui  si  trastullano  i  bimbi 
per  quietarli  o  per  divertirli,  non  hanno  piii  senso 
delle  ninne-nanne: 

Staccia,  buratta, 

Martino  della  gatta. 

La  gatta  va  al  mulino 

Per  fare  un  covaccino 

Coll'olio,  col  sale, 

Col  piscio  del  cane. 

Battalo  giu  che  va  nel  mare. 


III. 


Ogni  impressione  di  gioia,  in  quasi  tutti  gli  ani- 
mali,  h  accompagnata  da  movimento  e  da  emissione 
di  voce. 

I  cani,  quando  si  rincorrono  festosamente  e  sal- 
tellano  fra  di  loro  o  quando  vanno  incontro  al  pa- 
drone e  gli  balzano  addosso,  dimenando  la  coda,  e 
fuggono,  ritomano  e  si  fermano,  col  dorso  arcuato, 


Lori  Btese  a  terra  e  la  testa  sollevata, 
icoDo,  abbaiano.  II  cavallo  libero  nelle 
la  criniera,  alza  la  testa  e  nitrisce ; 
iria  b' inseguono  COB  fischi  acuti.  An- 
>nde  I'esuberanza  della  contentezza 
e  gridi. 

ifestazioni  di  gioia  comune  ad  una 
omini,  i  movimenti  di  esultanza  pre- 
dine,  per  amor  di  siiumetria,  e  perch^ 
in  impacciaBse  I'altro.  Quindi  i  saltd 
na  signiScazione  di  piacere,  Eii  disci- 
illo ;  e  presero  un  ritmo  determinato 
cbe  il  ballo  accompagnarono.  Quei 
'ottero  esBere  un  accozzo  di  Billabe, 
ion  si  aveva  il  senso,  ma  neppur  la 
no  essere  tutti  come  alcuni  ritornelli 
teraUera  tra  la  la  la,  oilA,  ecc.)  Alle 
gridi  poi  succedettero  le  parole  e  si 
mi  a  ballo. 

)  al  bel  sole  di  maggio  gli  uomini  e 
i  ballavano  e  cantavano,  i  bimbi  che 
fevano  sentirsi  traacinare  da  quel- 
iena  e  comunicativa,  e  anch'essi,  per 
)  alia  vivacita  addensata  nei  piccoli 
1  prendersi  per  mano  e  rotando  in- 
)cchietti  luccicanti,  coi  riccioli  biondi 
rono  fuggire  per  la  prima  volta  dalle 
10  di  questi  canti: 

iro,  giro  tonilo, 

n  pane  Botto  il  foroo; 

n  mazzo  di  viole, 

a  d'&  per  chi  ne  ruole, 

}  vuole  la  Sandrina. 

»3chi  in  terra  la  piti  piccina. 


LBTTSRATUBA  CHB  HON  HA  8SNB0.  13 

Insomma,  quest!  canti,  imitazione  fanciuUesca 
delle  canzoni  a  ballo  ci  riportano  a  ci5  che  esse 
dovettero  essere  in  principio.  E,  come  il  ballo,  qua- 
lunque  giuoco  di  ragazzi  &  accompagnato  da  grid!  e 
da  canti,  nei  quali  tra  una  frase  e  un'altra  che  hanno 
un  po'  di  sense,  c'h  un  buon  numero  di  parole  che  sono 
un  pretesto  per  gorgheggiare.  Co(d  nei  seguenti  versi, 
che  i  ragazzi  cantano,  mentre  nascondono  una  palla, 
che  uno  di  essi  deve  andare  a  cercare: 

Palla  uno, 

Palla  due,  ecc. 

Palla  nove. 

lo  me  lo  cingo  il  caore 

E  io  me  lo  ricingo, 

lo  tocco  terra, 

10  terra  la  ritocco. 
Qaesta  palla  deU'occo 
Dell'occo  e  dell'occhino 
La  voglio  andare 

A  rimpiattare 

In  on  bnchino; 

Babbo  di  stoppa 

E  mamma  di  lino. 

Sette  cervelli 

Senza  on  quattrino. 

Uno  a  me, 

Uno  a  te, 

Uno  al  compare, 

Uno  alia  com  are, 

Chi  vnole  qaesta  palla 

La  vada  a  cercare. 

Pecorine,  pecorelle: 

Cento  pecore  di  Ik  alle  pianelle. 

Pecorina  e  pecorone 

Cento  pecore  di  \k  al  Pavone. 

Polenta  dolce, 

Polenta  gialla, 

11  prete  ride  e  la  serva  balla. 
n  prete  fa  le  conche 


LITTBII1TI7RA    ORB    NOR    HA    SBMSO. 

E  1»  aervft  gliele  rompe. 

II  prete  le  rifa 

E  U  B«rva  le  loBcia  eU. 

Uno  due  e  tte: 

Una  guardare  e  Dun  redi. 

el  reato,  il  gusto  di  accompagnare  alcuni  pas- 
pi  con  fraai,  che  non  dicono  nulla  rimaoe  aache 
omini,  come  si  pu6  vedere  nei  giuochi  di  sala, 
ii  dicono  certe  parole  che  poBsono  stare  benis- 
iccanto  a  Palla  vno,  paUa  due.  Per  esempio, 
<:  '  Biribl,  chi  fu?  —  Tre  gatti!  —  Biribi  , 

Icune  di  quelle  filaBtrocche  servono  ai  ragazzi 
re  certi  loro  conti,  e  le  parole,  una  dietro  I'altra, 

valors  di  numeri  progressiri.  Gli  uomini  in 
^uocbi,  dove  la  Borte  deve  decidere  della  scelta 
mpagni,  fanno  il  tocco;  i  ragazzi,  per  i  quali 
:o  sarebbe  una  cosa  compticata,  hanno  un  suc- 
io  molto  piii  semplice.  Si  mettono  in  cerchio 

di  loro,  accennando  un  compagno  ad  ogni 
,  dice  con  molta  velocitk : 

Ai,  bai 
Tu  mi  sUi; 
Sie,  bi«, 
Compagnie ; 

Tico,  taco, 
Eh!  buff. 


Pero,  raelo, 

Dimroi  il  vero: 

Qnale  6  atata  U  bagia? 

Sorti  fuori, 

Ladro,  becco,  apia. 


LBTTKBATUBA  OHB  NON  HA  SBNSO.  15 


IV. 


Una  gran  parte  della  letteratura  popolare  b  for- 
mata  di  malintesi,  di  sottintesi,  di  doppi  sened,  di  con- 
trosensi  e  di  non  send.  Anche  le  novelle  e  le  fiabe, 
per  i  fatti  e  per  i  personaggi,  se  non  per  la  dispo- 
sizione  delle  frasi,  si  possono  considerare  apparte- 
nenti  alia  categoria  delle  poesie  analizzate  finora. 

A  questo  proposito  mi  pare  che  venga  naturale 
la  confutazione  di  un  passo  conosciutissimo  di  Orazio. 

Dice  Orazio,  nel  latino  che  tutti  conoscono: 

Haroano  capiti  cenricem  pictor  equinam 
Jangere  si  velit,  et  varias  indacere  plumas, 
Undiqae  collatis  membris,  at  turpiter  atrnm 
Desinat  in  piscem  mulier  formosa  sapeme; 
Spectatam  admissi  risum  teneatis,  amici  ?  (^) 

Chi  sa?  Se  la  tradizione  e  la  fantasia  di  un  poeta 
avessero  attribuito  a  questo  mostro  una  qualita  ma- 
lefica  0  una  forza  sovrumana,  se  il  volto  della  donna 
spirasse  terrore,  o  nella  bellezza  avesse  qualche  cosa 
di  perfido  e  di  fraudolento,  forse  nessuno  riderebbe. 
Leonardo  da  Vinci,  una  volta,  ebbe  il  capriccio  di  di- 
pingere  un  animale,  che  aveva  le  membra  di  tanti 
rettili  accozzate  insieme  e  che  sbuflfava  fuoco  dalle 


(M  Se  ad  un  pittor  ▼enisse  mai  talenio 

D'inneatar,  per  capricdo,  a  capo  umano 
Cavallina  cervice,  e  varie  penne 
▲dattar  procurasse  a  membra  inaieme 
Qainei  e  quindi  accozzate.  oude  una  vaga 
Donzelletta  &1  di  aopra,  in  sozzo  peace 
Facease  terminar;  ditemi:  ammessi 
A  apettacolo  ta),  sapreate,  amici, 
Le  riaa  trattener? 

(Traduzione  di  P.  Mbtastasio). 


« 


^♦1 


ici.  Terminata  I'opera  e  dispostala  sotto  una  luce 
iveniente,  il  pittore  fece  venire  suo  padre  nello 
dio,  e  il  buon  uomo,  vedendo  quel  mostro,  non  rise, 

si  tirb  indietro  spaventato.  E  ai  fece  avanti  sol- 
to  quando  il  figliuolo,  sorridendo,  gli  disse:  '  Que- 
^  quell'efFetto  che  dall'arte  ai  aapetta  ,.  (')  Tutti  i 
atri  della  mitologia  (Encelado,  Brioreo,  i  Ciclopi, 
^rpie,  I'Idra  di  Leraa,  le  Sirese,  Proteo,  le  Sdngi) 
1  facevano  ridere  nfe  dipinti,  n6  scolpiti,  n6  can- 
L  in  versi. 

Perch^  poBsa  soprawenire  il  riso,  b  neceesario 
I  a  queste  fantasie  deformi  non  sia  congiimta  nes- 
a  idea  di  dolore,  di  terrors,  oppure  bisogna  che 
10  eseguite  goffamente. 

La  pid  bella  prova  del  torto  di  Orazio  b  che 
J  mitologia  ha  i  euoi  mostri.  I  quali,  in  certo  modo, 
o  simili  alle  poesie  che  ho  citato  sopra.  In  quelle, 
i-asi  aono  mesae  I'una  dietro  I'altra  senza  nesso, 
juesti,  aono  appiccicate  fautasticamente  le  mem- 

di  animali  differentissimi. 

Volendo  ricercare  in  che  modo  si  aono  formati 
lati  moatri  favoloai,  si  trova  che  devouo  esaere 
ti  prodotti  dalle  immagini  diverse  consociate  nei 
:ni,  da  allucinazioni,  da  errori  della  vista,  da  im- 
iwiae  aomiglianze,  balenate  all'occhio  e  al  pen- 
:o:  aomiglianze  e  allucinazioni  della  ateaaa  natura 
quelle  che  hanno  dato  origine  alle  creazioni  fan- 
tiche  pure  e  aerene. 

Leonardo  da  Vinci,  per  esempio,  trovava,  nel 
zzo  dell'onda,  un'affiuit^  col  aorriao  della  donna. 

altri  questa  affinita  6  apparsa  nella  grazia  delle 
ie  e  in  quel  sussulti  trepidi,  che  paiono  palpiti  di 


LETTBBATURA  CHE  NON  HA  8BNS0.  17 

seni  femminili.  Percib,  qualche  volta,  sulla  curva  vo- 
luttuosa  e  limpida  dell'onda,  par  di  vedere  trasparire, 
a  un  tratto,  il  braccio  o  il  fianco  di  una  Naiade  che 
si  dilegua,  e  Tacqua  ne  rimane  tutta  animata;  e, 
qualche  volta,  sul  viso  della  donna  passa  un  raggio 
indefinibile,  che  pare  disperda  Tinvolucro  corporeo 
e  faccia  scorgere  Tanima,  nel  fondo  degli  occhi,  di- 
venuti  trasparenti  come  Tacqua  chiara.  Queste  affi- 
nita  rapide,  fulminee,  per  la  insufficienza  del  lin- 
guaggio  primitivo  a  renderne  la  natura  eterea,  per 
gli  errori  e  i  malintesi  dell'etk  successive,  assunsero 
forma  plastica  e  divennero  esseri  mitici.  I  quali  dalla 
parola  passarono  nelle  arti  figurative.  Ma  quando 
I'artista  (pittore  o  scultore)  non  6  puramente  sen- 
sibile  alle  forme  esteme  della  linea  e  del  colore,  e 
con  occhio  di  poeta  penetra  quelle  remote  af&nitk, 
crea  egli  stesso  il  mito. 

Cosi,  nel  quadro  Uarcobcdmo  e  Vonda  di  un  pit- 
tore  inglese,  tra  i  colori  dell'arcobaleno  che  si  ap- 
poggia  sull'onda  mossa,  ^  rappresentato  un  essere  i 

soprannaturale  che  bacia  una  Ninfa.  La  creatura  \ 

celeste  si  regge  capovolta  suUe  ali  sfumanti  nei  va-  \ 

pori  deiriride,  e  la  Ninfa,  di  cui  la  persona  si  confonde  •' 

nelle  linee  dell'acqua,  oflfre,  con  desiderio,  la  bocca 
appena  emergente,  al  bacio  di  amore.  Ma  la  pittura  j^ 

e  la  scultura  non  possono  evitare  la  materiality  e  \ 

sono  inferiori  alia  poesia,  che,  ora,  in  virtii  della 
pieghevolezza  acquistata  dalla  parola  nelle  mani  di 
artefici  sapienti,  pu5  rendere  la  momentanea  illusione 
ed  il  successive  ritomo  alia  realtk,  con  I'animo  ancora 
vibrante  per  la  gioia  del  sogno  fugace.  Ci5  ha  fatto 
il  Pascoli  in  questo  sonetto  maraviglioso : 

0  vecchio  bosco  pieno  di  albatrelli, 
che  sai  di  funghi  e  spiri  la  malia, 

KiOHiLi,  LetUratura  ehe  non  ha  temo  —  2 


f 


II 

I 


LXTTIBAtDBA    0 


n  ta  TiTono  i  Utam  ridtrelli 
ih'haimo  le  sussamnti  aure  in  balia; 
'ivfl  ta  Dinfa,  e  i  paaai  lenti  apia, 
lionda  tra  le  interrotto  ombre  i  capelli. 
>i  ninfe  albaggia  in  mezzo  a  ia  ramaglia 
•I  e\  or  00,  che  se  i1  desio  le  vinca, 
'occhio  alcuna  ne  attiogo  e  il  aol  le  bacia. 

)ilegaano;  e  par  viva  i  U  boscaglia, 
'iva  eempre  ne'  fior  de  la  pervinca 
<  ne  ]e  grandi  cloccbe  de  racacia. 

uomini  primitivi,  invece,  credettero  all©  im- 
lelle  allucinazioni  come  a  cose  reali  e  crea- 
Ninfe,  i  Fauci,  i  mostri  favolosi.  Indi  i 
fantastici  delle  novelle  popolari,  che  si 
nei  popoli  occidentali  daH'Oriente :  indi  la 
di  quelle  pitture  in  cui  da  un  fiore  sboccia 
DO  ridente  o  da  un  albero  si  svolge  una 

donna  bellisBima. 
lagini  insensate,  ma  non  ridicole,  finchg  I'arte 
lurre  quegli  effetti  che  ai  aspettano  da  lei. 


Bono  mai  mancati  in  nessun  tempo  uomini, 
10  avuto  il  gusto  di  divertirsi,  facendo  di- 
ivi  di  senso  ai  poveri  di  spirito,  che  lor  ca- 
tra  i  piedi.  Cera,  a  Livorno,  un  vinaio  che, 
;e,  dopo  pranzo,  nell'ora  che  le  vie  deila 
.0  ombrose  e  dal  mare  viene  una  brezza  pia- 
3  ne  stava  seduto,  davanti  alia  porta,  a  go- 
itamente  il  fresco.  Quando  passava  qualche 


LBTTBRATURA  CHB  NOH  BA  SBHSO.  19 

povero  di&volo,  che  gli  si  awicinava  titubante,  do- 
mandandogU :  '  Scusi,  mi  saprebbe  dire  dove  b  la 
via  taleP  „,  il  vinaio  si  alzava,  si  levava  la  pipa  di 
bocca  e  faceva  nn  diacorsetto  di  questo  genere: 
'  Guardi,  lei  va  a  diritto,  poi  volta  a  deetra,  poi  a 
sinistra,  dove  trova  tm  venditors  di  lumi  da  incenso, 
allora  va  piii  in  1^,  dove  ci  sono  dei  monticelli  d'acqua, 
passati  i  monticelli,  a  sinistra,  c'^  una  strada;  lei 
domanda:  E  questa  la  via  tale?  Qli  risponderanno 
di  si  a-  II  piii  delle  volte  il  povero  diavolo,  sbalor- 
dito,  r^pondeva:  "  Grazie  „. 

Quell'oste  doveva  essere  un  diecendente  di  Maso 
del  Saggio  o  di  frate  Cipolla  di  cui  la  predica  ai 
contadini  di  Certaldo  6  una  meraviglia:  '  Signori  e 
donne  —  diceva  il  frate  —  voi  dovete  sapere  che, 
essendo  io  ancora  molto  giovane,  io  fui  mandate  dal 
mio  superiore  in  quelle  parti  dove  apparisce  il  sole, 
e  fununi  commesso,  con  espresso  comandamento,  che 
io  cercassi  tanto  che  io  trovassi  i  privilegi  del  Por- 
cellana,  li  quali,  ancora  che  a  bollar  niente  costas- 
sero,  molto  piii  utili  aono  ad  altrui  che  a  noi.  Per  la 
qual  eoaa  messomi  io  per  canunino,  di  Vinegia  par- 
tendomi,  e  andandomene  per  Io  borgo  de'  Oreci,  e  di 
quindi  per  Io  reame  del  Garbo,  cavalcando,  e  per  Bal- 
dacca,  pervenni  in  Parione,  d'onde,  non  senza  sete, 
dopo  alquanto  pervenni  in  Sardigna....  (*)  E  quivi 
trovai  il  venerahile  padre  measer 


C)  AgerSBce  lapor*  *  qDMl>  ducrlilon 
CipolU  li  piradsTi  slaoiio  del  suol  gcaul  udit 
qui  win  tatti  di  itrkdt  a  luaghi  dl  Firenie.  Cc 


LBTTBRATC&  k    G 


voi  piace,  degnissimo  patriarca  di  Jerusalem.  II  quale 
per  reverenzia  che  porto  dello  abito  che  io  ho  sempre 
portato,  del  baron  messer  Santo  Antonio,  voile  che 
io  Tedessi  iutte  le  sante  reliquie'  le  quali  egU  ap- 
presso  di  s^  aveva;  e  fiiron  tante,  che  se  io  ve  le 
volessi  tutte  contare,  non  ne  verrei  a  capo  in  pa- 
recchi  miglia....  Sgli  primieramente  mi  mostrd  il  dito 
dello  Spirito  Santo  cosi  intero  e  saldo,  come  fii  mai, 
et  il  ciuffetto  del  Serafino  che  apparve  a  San  Fran- 
cesco, et  una  dell'unghie  de'  cherubini ;  et  una  delle 
coste  del  verbimi  caro  fatti  alle  fineatre,  e  de'  vesiti- 
menti  della  Santa  Fk  cattolica,  et  alquanti  de'  raggi 
della  Stella  che  apparve  a'  tre  Magi  in  Oriente;  et 
una  ampolla  del  sudore  di  San  Michele  quando  com- 
batt^  col  diavolo,  e  la  mascella  della  morte  di  San 
Lazzaro  et  altre  ,, 

I  contadini,  che  aentivano  questa  girandola  di 
parole,  dovevano  reetare  intontiti  e  a  bocca  aperta; 
fbrse  alcimo  dormiva  o  diceva  11  rosario,  e  Irate  Ci- 
polla  allegro  e  imperterrito  proseguiva  la  predica. 

Nfe  questo  k  il  solo  discorso  privo  di  sense  che 
si  trova  nel  Boccaccio;  le  parole,  con  cui  Buffalmacco 
e  Maso  del  Saggio  ingannano  e  canzonano  Calan- 
drino,  sono  come  la  predica  di  frate  CipoUa.  Anohe 
in  altri  novellieri  non  mancano  scherzi  di  questo 
genere.  Per  Io  piii  sono  burle  di  frati,  come  b,  nelle 
novelle  del  Sacchetti,  Io  strano  elogio  fiinebre  reci- 
tato  da  un  cercatore  davanti  al  cadavere  di  un  con- 
tadino: 

*  Quae  qui.  Per  quae  s'intende  loanni,  per  qui 
loanni :  dello  barbagianni  non  ci  dice  covelle,  perch^ 
vola  di  Dotte.  Signori  e  donne,  io  sento  che  questo 
loanni  k  atato  buon  peccatore :  e  quando  ha  possuto 
fuggire  li  disagi,  volentiera  ce  I'ha  fatto;  ed  6  ben 


ji^^.t^JU — AJJ.^IIIWI   ■  I        ■ 


LETTBBATUBA  OHE  NON  HA  SEN80.  21 

vivuto  secondo  il  mondo ;  hacci  preso  gran  vantag- 
gio  nel  servire  altrui,  ed  fegli  molto  spiaciuto  Fes- 
sere  diservito.  Largo  perdonatore  6  state  a  ciascuno, 
che  bene  gli  abbia  fatto,  et  in  odio  ha  avuto  chi 
gli  abbia  fatto  male.  Con  gran  diletto  ha  guardato 
li  santi  di  comandati;  e  secondo  ho  sentito,  gli  di 
da  lavorare  s'd  molto  guardato  da'  mali,  e  dalle  rie 
cose.  Quando  li  suoi  vicini  hanno  avuto  bisogno,  fug- 
gendo  le  cose  disutili,  sempre  gli  ha  serviti.  E  state 
digiunatore  quando  ha  avuto  mal  da  mangiare:  ^ 
vissuto  caste  quando  costato  non  li  fosse.  Oratore 
m'^  detto  che  d  state  assai:  ha  detto  molti  pater- 
nostri  andandosi  al  letto;  e  Tavemmaria  almeno 
quando  sonava  nel  popol  sue.  Q)  Spesso  nei  di  fuori 
di  settimana  facea  elemosine.  Venendo  alia  conclu- 
sione,  li  costumi  e  le  opere  sue  sono  state  tali  e  si 
fatte,  che  sono  pochi  mondani,  che  non  le  com- 
mendassono.  E  chi  mi  dicesse:  —  0  frate,  credi  tu 
che  cestui  sia  in  Paradise?  —  Non  credo.  —  Credi 
tu  che  sia  in  Purgatorio?  —  Die  il  volesse.  —  Credi 
tu  che  sia  in  Inferno?  —  Die  nel  guardi.  E  per5 
pigliate  conforto  e  lasciate  stare  li  lamenti,  e  spe- 
rate  di  lui  quel  bene  che  si  dee  sperare,  pregando 
Die  che  ci  dia  grazia  a  noi,  che  rimanghiamo  vivi, 
stare  lunge  tempo  con  li  vivi ,  e  li  morti  co'  mali 
anni,  da'  quali  ci  guardi  qui  vivit  et  regnat  in  saecula 
saeculorum  „. 

Ora  immaginiamo  che  un  contadino  presente  ad 
una  delle  due  prediche  si  fosse  volute  provare  a 
ripeterla.  Egli,  in  buona  fede,  avrebbe  fatto  un  pa- 


l 


{})  Gio^,  quando  sonava  VAng9luB9Xi%  sua  parroechia;  pia  usanza,  al- 
lora  eoi&  oniversale,  che  era  impossibile  supporre  che  alcuno  non  la  seguisse; 
ond'era  corioso  fame  al  morto  quasi  un  merito  singolare.  ff  t  i 


22  LSTT£BATUBA  CHB  VON  HA  8£KS0. 

sticcio  piii  grosso  e  piu  ridicolo  di  quelli  improwi- 
sati  dai  frati  burloni. 

II  caso,  che  ho  immaginato,  si  dk  tutte  le  volte 
che  un  ignorante,  un  fanatico,  un  pazzo  s'impanca 
;  a  parlare  o  a  scrivere  di  religione,  in  genere,  e 

'  della  religione  cristiana  in  particolare.   Ed  6  na- 

;i  turale.  II  cristianesimo  predica  Todio  contro  tutte 

|i  le  comoditk  che  gli  uomini  son  portati  ad  amare: 

«i  si  fonda  suUe  profezie  che  riguardano  il  passato  e 

Jj  rawenire:  ha  tra  i  suoi  libri  principali  I'oscura  Apo- 

r  calisse:  dichiara  Timpossibilita  di  potere  scrutare  col 

ragionamento  i  misteri  della  natura  e  di  Dio:  fa 
Telogio  dei  poveri  di  spirito,  e  alia  sapienza  mon- 
dana  oppone  un  ordine  di  idee  che  i  ben  pensanti 
chiamano  pazzia  (San  Paolo,  II,  Ep,  ai  Corinti,  XI). 
Queste  idee,  quando  si  sono  incarnate  in  uomini  di 
gran  cuore  e  squisito  sentimento,  come  San  Fran- 
cesco, hannb  date  i  piii  bei  frutti  di  caritk.  L' infe- 
licity degli  uomini  ha  esaltato  Tinesauribile  compas- 
sione  per  tutte  le  creature;  la  coscienza  che  tutto 
il  create  h  opera  divina,  ha  fatto  amare  il  cielo,  gli 
animali,  le  piante  con  affetto  fraterno;  la  fede  che 
i  dolori  della  vita  siano  come  un'espiazione  e  una 
prova  per  raggiungere  la  beatitudine  etema,  ha  reso 
care  le  amarezze  e  i  dolori.  Anche  la  morte,  la  morte 
dolorosa  e  paurosa,  tra  lo  splendore  della  fede  di- 
viene  un  trapasso  desiderate,  il  compimento  di  una 
speranza. 

Tutto  quelle  che  il  cristianesimo  ha  di  tetro  e 
di  affliggente,  passato  attraverso  anime  inquiete  o 
sdegnose,  in  cuori  cosi  buoni  si  addolcisce  e  si  in- 
gentilisce,  e  il  santo  estatico,  riboccante  di  gioia, 
con  li  occhi  fissi  al  cielo,  eleva  il  cantico  in  lode 
di  Dio: 

\ 

r, 


■' 


k\ 


LBTTBKATCRl.  CHB  NOH  HA  SBHSO. 

AltiBsimn,  onnipotente,  btm  eignore, 

tue  ao'  le  Uade,  la  gloria  a  I'onore  et  onus  benedictione. 

Ad  te  solo,  sltissimo,  so  konfaDO 

et  nullo  omo  ene  digna  t«  mentovare. 

Laudato  sie,  mi  Signore,  cnm  tucte  le  tne  creature 

Spetialmante  mesMr  lo  frate  eole 

Laudato  ai,  mi  signore,  per  aora  lana  e  le  stelle ; 

Laudato  si,  mi  Signore,  per  sora  nostra  matre  terra, 
la  qnale  ne  snstenta  et  govema 

Laadato  si,  mi  Signore,  per  Bora  nostra  morte  corporate 
dalla  qnale  nollu  omo  viveute  po  skappare.  (*) 

Allorchd  le  idee  cristiaDe  penetrano  in  un  a] 
intelletto  e  in  una  mente  lucida,  come  quella 
Biagio  Pascal,  Bono  come  la  goccia  d'olio,  che  a 
bonaccia  il  mare  e  ae  fa  vedere  limpidamente 
foudo;  Bcquietano  le  passioni,  permettono  di  sec 
gere  in  modo  chiaro  le  contradizioni  e  le  vanitk 
ogni  ordinamento  umano,  e,  ae  tolgono  11  place 
della  vita  attiva,  dknno  quello,  foree  maggiore, 
conoBcerne  il  fondo  e  di  sorriderne. 

Se  invece  cadono  iu  menti  deboli  o  confuse,  pc 
sono  generare  qualche  lampo  di  concetto  elevate 
di  opera  buona,  ma  per  lo  piii  finiscono  col  dare 
volta  al  cervello.  E  allora  il  pazzo  canta : 

8'io  son  nemo  U  vdo'  mostrare; 

Vd'  me  etesao  rinnegare, 
E  la  croca  vo'  portare. 
Per  fare  uas  gran  pawia. 

(U  CO  POSE  Di  Tow). 


(>)  Par  I*  diipo«lilon«  del  venl,  Dili*  prlmt  atrofii,  «  per  l>  ortogn 
dL  qnMto  CaHHen,  ho  sstdlta  U  leilons  data  da]  Uonaoi  (CriKtmaila  flalk 
iti  fHml  Mw»  (III,  Clta  dl  Oaatello,  1889,  pagg.  29-91). 


t  LETTBBATUBA  CHB  tloH  BA  SBNSO. 

Poi,  mezzo  coeciente,  mezzo  incoBciente,  ai  rav- 
olge  nella  confuBione  e  nel  buio  di  parole  incom- 
rensibili  e  vaneggia: 

Refonnato  neU'eBsere 
De  la  virtu  creata; 
Trasformato  ueU'esBere 
Enveaibile,  encreata, 
Visibile  enviaibile, 
Non  nobite  avilare, 
El  8U0  vilare 
Par  nobjle  avilato. 

le  azioni,  allora,  comBpondono  al  diBordine  dei  ra- 
ionamenti,  e  tatti  conoscoDo  le  stranezze  mistiche 
el  giuliare  di  Dio.  E  pure  noto  il  Bignificato  sciocco  e 
ueril^,  cbe  prese  la  semplicitkevangelica  nella  testa 
ebole  di  Fra  Ginepro,  il  Bertoldino  della  leggenda 
rancescana.  Delle  pazzie  collettive  avr6  occasione 
1  parlare  tra  poco.  Intanto  dird  cbe,  chi  volesse, 
ra  i  mistici,  troverebbe  molte  prediche  e  discussioni 
he  banno  il  coBtnitto  dei  versi  citati. 

Le  discussioni,  Bpecialmente,  Bono  assai  con- 
ise,  quando  mirano  a  render  chiari  i  mlBteri  pei 
uali  non  ^  possibile  nessuna  spiegazione  naturale. 
Tno  di  questi  b,  per  eeempio,  la  eeiBtenza  con- 
amporanea  del  libero  arbitno  e  della  prescienza 
ivina. 

In  tutti  i  Concilii,  dove  bI  trattb  di  definire 
ogmi  e  di  estirpare  eresie,  sopra  alcuni  argomenti 
1  dovettero  fare  dei  discorsi  molto  ingarbugliati. 
'er  il  Concilio  di  Trento  se  ne  ha  una  testimonianza 
el  Sarpi,  il  quale  nel  Ubro  eecondo  della  sua  sto- 
ia  dice :  "  II  Yega,  dopo  avere  parlato  con  tanta 
mbiguitk  cbe  esse  stesso  non  si  intendeva,  concluae 


LSTTOKITUBI.   OBB   HON   HI   8BK80,  25 

che  tra  la  sentenza  dei  teologi  e  protestanti  Qon 
v'era  piti  differenza  veruna.  (') 

Come  queste  poche  ed  ironiche  parole  del  Sarpi 
mettono  innanzi  agli  occhi  tutta  la  scena!  Nell'adu- 
naoza  solenne  di  tutti  i  prelati  par  di  vedere  il 
Vega  alzarei  e  cominciare  il  sue  ragionamento  con 
sicurezza  e  con  calma,  poi,  arrivato  al  punto  diffi- 
cile, impappinarsi,  confondersi,  arroBsire,  irritarBi, 
ma  tirare  avanti,  aceozzando  le  parole  in  modo  da 
formare  periodi  aonori  e  sconclusionati,  e  in  ultimo, 
trafelato  e  trionfonte,  conebiudere  che  ormai  ogni 
difficoltii  era  appianata,  e  seders!  con  la  testa  vuota, 
ma  con  un  sorriso  sulle  labbra. 

Dei  presenti  alcuni  poco  dotti  in  teologia  avranno 
finto  di  ascoltarlo  e  avranno  pensato  ai  caai  loro, 
con  un  aenso  di  noia  e  di  inquietudine,  come  un  po- 
vero  diavolo  cbe  non  s'intenda  di  musica  e  sia  ca- 
pitato  a  sentire  una  sonata  astrusa,  che  egli  non 
capisce,  ma  cbe,  per  non  scomparire,  deve  giudicare 
bellissima;  altri  si  saranno  impazientiti,  altri  si  sa- 
ranno  tenute  a  mente  le  strampalerie  piii  grosse  e 
ne  avranno  riso  tra  di  loro  o  magari  le  avranno 
ripetute  al  Vega  per  canzonarlo.  Ed  egli  allora  pri- 
vatamente  si  saxk  ingolfato  nella  discussione  incoc- 
ciandosi  e  facendo  ridere. 


Rimanendo  ancora  nel  campo  religioso,  d&nno 
un  notevole  contributo  alia  letteratura  senza  sense 
le  profezie.  II  desiderio  cbe  il  &turo  sia  quale  noi 


26  LXTTIBATUBA    CHB   BOS   BA    BOnO. 

lo  aspettiamo,  e  I'uso  comone  degli  auguril  a  chi  vo- 
gliamo  bene  e  delle  imprecazioiu  contro  coloro  cbe 
odiamo,  in  momenti  di  graiide  eccitazione,  hanno 
fatto  vedere  compiute  le  coae  sperate.  Ci  fu  un  po- 
polo  in  cui  i  deeideri  e  le  speranze,  sorrette  dalla 
fede,  fecero  eviluppare  gr&ndemente  lo  epirito  pro- 
fetico.  II  popolo  ebreo,  cobi  continuamente  pereegoi- 
tato  e  pure  cobI  profondamente  convinto  di  essere 
il  popolo  eletto  da  Dio,  il  depoBitario  dei  suoi  pen- 
sieri,  quello  a  cui  leova  si  rivolava,  in  ogni  periodo 
doloroeo  della  sua  vita,  vedeva  i  segni  di  grandi 
trafiformazioni  aweniro.  Dio,  che  tutto  sapeva,  po- 
teva  rivelare  il  futuro  ai  suoi  eletti;  il  deaiderio  e 
le  aepiraziout  proprie  del  visionario  dlventsvano 
questo  futuro  gik  presente  per  Dio  e  per  coloi  che 
parlava  in  suo  nome.  In  tutta  la  vita  del  popolo 
ebreo  aleggia  lo  spirito  profetico.  Ezecbiele  al  con- 
tatto  del  popolo  assiro  trasformd  la  semplice  forma 
profetica  in  un  tesauto  di  allegorie,  Daniele  dette  la 
forma  tipica  delle  Apocalissi.  (')  Sul  CristiaDMimo 
appena  nato,  visione  or  tetra  or  luminosa,  incombe 
I'ApocalisBe  di  S.  Giovanni. 

Le  allegorie  e  i  simboli,  che  ora  a  chi  non  ri- 
pensa  coi  dotti  la  vita  degli  ebrei  e  quella  dei  primi 
cristiaoi,  Bono  oscure  e  indeci&abili,  allora  erano 
chiarissime  per  gli  iniziati,  e  avevano  il  vantaggio 
di  non  esBere  intese  altro  che  da  lore.  Ma  paBsato  il 
tempo  delle  profezie,  senza  che  queste  si  fosBero  awe- 
rate,  furono  loro  date  interpretazioni  bizzarre.  Rotta 
la  unitk  primitiva  della  chicBa,  diffuso  il  cristianeaimo 
e  adattatoBi  nei  vari  luoghi  ai  van  costumi,  perduto 
il  nesBO  col  primitivo  nucleo  giudaico,  che  gli  dette 

(<|  E.  EiDUf,  VJiuJchrltl.  P»ri>.  1B7B,  pag.  a57  ■  saitf. 


HON  BX  BBHBO.  27 

origine;  rimanevano  ancora  quest!  Hbri  miBterioai  e 
paurosi,  in  cui  molti  si  sforzarono  di  ritrovare  I'awe- 
nire,  e  da  cui  altri  presero  I'eeempio  delle  profezie. 

Qualcuno  di  questi  neo-profeti  ebbe  grande  im- 
portanza  e  il  suo  nome  rimase  nella  storia,  i  piii  a 
tirarono  dietro  una  moltitudine  di  ignoranti  e  di 
sciocchi  e  presto  disparvero  dalla  meute  del  popolo, 
e  8ono  appena  ricordati  nelle  cronache  locali.  Tutti 
ai  possono  dividers  in  tre  specie.  La  prima  specie 
comprende  gli  ispirati,  i  credenti,  le  cui  visioni  sim- 
boHche  hanno  un  significato  lucido,  veri  eredi  dell'a- 
nima  profetica :  Dante,  il  Savonarola,  Lutero.  Questi 
si  traacinarono  dietro  la  seconda  specie,  che  ^  com- 
posta  generalmente  di  pazzi,  e,  per  capire  come  sor- 
gano  i  primi  e  i  secondi,  bisogna  prendere  le  mosee 
on  po'daH'alto. 

Abbiamo  veduto,  parlando  del  feticismo  della 
parola,  come  le  forme  religiose  a  poco  per  volta 
perdono  il  loro  significato,  si  esauriscono  e  non  cor- 
rispondono  piii  a  un  vero  sentimento  dell'anima.  Al- 
lora  sottentrano  il  farisaismo  da  un  lato,  lo  scetti- 
cismo  dall'altro,  e  accompagnano  la  comizione  e  U 
disgregamento  di  una  society  cbe  non  trova  piii  in 
b6  le  ragioni  di  esistere. 

Lo  scettico  non  sa  donde  6  venuto  nfe  dove  va, 
giudica  la  vita  inutile  miseria,  ^  combattuto  da  un 
eenso  di  piet&  per  le  sofferenze  umane  e  da  un  de- 
siderio  di  piaceri  irrealizzabili.  Irrealizzabili,  perch^ 
anche  il  piacere  deve  sorgvre  spontaneo,  come  la 
fede,  e  il  ragionamento  lo  distrugge.  Cosl  lo  scet- 
tico, non  avendo  la  forza  di  opporsi  al  male,  che  egli 
crede  impossibile  a  sradicare  dal  mondo,  e  non  po- 
tendo  conseguire  il  piacere,  che  gli  pare  I'unico  scope 
della  vita,  6  assalito  da  un  tedio  irrimediabile  che 


in  invettive  sterili  contro  la  oatura  e  ter- 
irinazione. 

uiseo  compie  gli  atti  esteriori  del  culto  e, 
dalla  religione  e  dalla  legge,  fa  tutto  quelle 
pirito  della  religione  e  delta  legge  proibisce. 
lodo  i  birbanti  f^bi  e  i  baoui  senza  energia 
fede  mandano  in  rovina  gli  ordinamentt,  che 
K)  ebbero  forza  ed  autorit&.  AUora,  spesso, 
lalcuno  di  quegli  uomini  che  il  Carlyle  chiama 
quelli  che  dknno  il  colpo  finale  a  iatituziom 
ate,  abbattoDO  i  vecchi  edifizi  in  cui  un  po- 
7a  a  disagio  e  ne  creano  di  nuovi.  Ma  que- 
avriene  senza  un  perturbamento  delle  co- 
e  uno  aconvolgimento  delle  menti  deboli  e 
tirate  in  diverso  senso  dai  novatori,  che  se- 
impulso  dell'aninto,  e  dai  conaervatori  che,  o 
are  guai,  o  perchfe  ai  trovano  bene,  oon  vor- 
sapere  di  riforme. 

siamo  a  quello  che  accadde  oella  decadenza 
ero  romano.  Le  clasei  elevate  avevano  per- 
fede  nolle  antiche  divinita  e  ancora  rimaneva 
ufficiale.  Goloro  i  quali  ormai  consideravano 
e  virtu,  pietk,  come  nomi  vani,  si  davano  al- 
e  alle  diaaolutezze  preparando  generazioni 
i  infennicce.  Intanto  le  piii  strane  religioni 
itizioni  dei  popoliconquiBtati  convenivano  in 
)  sopra  tutte,  quella  di  Cristo,  con  la  pura 
attirava  le  anime  asaetate  di  fede,  i  disgu- 
la  corruzionee  delle  sozzure.  Ma  questa  ra- 
ponendo  il  Sne  della  vita  in  un  altro  mondo, 
ado  la  sofFerenza  e  il  perdono  delle  ingiurie, 
&  dei  beni  terreni,  veniva  a  acalzare  la  gran- 
>mana  cosl  trista  con  queUa  giustizia  fondata 
suguaglianza  e  ludibrio  della  forza.  Quanto 


LBTTBItlTCBA    OBB   KOH    HA    BSNBO.  SI 

piii  bella  si  mostrava  la  nuova  aocietk  vagheggiatt 
ancora  in  idea:  tutti  gli  uomini  uguali  di  fronte  f 
Dio,  Don  pib  unitl  dai  vincoli  ferrei  di  una  leggt 
inesorabile,  ma  affratellati  daH'amore  che  conosce  i 
perdono,  dalla  caritii  che  soUeva  la  miseria! 

I  conservatori  non  videro  quello  che  c'era  d 
geoeroso  in  queste  aapirazioni  e  tentarono  di  soffo' 
care  nel  sangue  il  Cristianesimo  e  fecero  come  ch 
Boffia  in  una  fiamma,  la  quale  se  k  piccola  si  spenge 
e  se  6  grande  divampa  con  piii  forza.  Le  pereecu- 
zioni  acuirono  il  desiderio  del  martirio,  il  dolore  di 
venne  mia  voluttk,  e,  in  tutto  quel  diaordine,  le  test* 
deboli  deformarono  stranamente  i  precetti  del  Van^ 
gelo,  come  ognuno  pub  vedere  in  un  libro,  che  k  anch< 
una  grande  opera  d'arte,  nella  Tmtazione  di  SanfAn 
tmtio  di  6.  Flaubert. 

Parimente  dope  la  predicazione  di  Lutero  eegui' 
rono  le  utopie  degli  Anabattisti,  le  stranezze  d 
Giovanni  di  Leida  e  tante  e  tante  altre.  Sono  quell 
1  tempi  burrascosi:  allora  nella  testa  di  qualche  fa 
natico  si  forma  uno  di  quel  cicloni  di  pazzia  chi 
investono  una  cittk,  una  provincia,  una  regione  e  s 
manifestano  con  atti  stravaganti,  con  predicazion 
freneticbe,  con  scritti  senza  senso  comune. 

In  tempi  ordinari  la  pazzia  si  conosce  pit  facil 
roente,  ma  pure  ha  un  fascino  che  attira  come  I'abisso 
I  santoni  degli  arabi,  il  delirio  delie  Sibille,  i  buf 
foni  manienuti  alle  corti  dei  principi  ce  lo  dimo 
Btrano.  Sancho  Panza,  utilitario  e  pieno  di  buoi 
sense,  va  dietro  al  matto  Don  Chisciotte.  Percii 
anche  nei  tempi  quieti  trovarono  seguaci  i  fanatic 
che  stamparono  discorsi  incoerenti,  aasurdi,  sconclu 
Bionati ;  I'ultimo  profeta  italiano  di  queeto  genere  ft 
David  Lazzaretti  che  scriveva  cosi: 


LtrrBKlTDRA    CUB    NON    K*   SB^TSO. 

'  Queste  saute  milizie  saranno  ordinate  dentro 
tempo  di  7  tempi  che  ciascun  tempo  contieae  un 
npo  di  777  e  questo  tempo  principia  77  giomi  ter* 
Qati  i  33  giomi  del  tuo  rapimeato. 

Dopo  la  mia  ascesa  al  cielo  corre  un  tempo  di 
ore  per  ciascun  tempo  ,.(*) 

Questa  6  la  seconda  specie  dei  profeti  e  rifor- 
tori  assolutamente  pazzi.  La  terza  %  compoata  dai 
rlatani  e  dai  burloni  che  presero  la  parte  mate- 
le  delle  allegorie,  il  gimbolo  oscuro  e,  a  freddo, 
issero  pasticci  incomprensibili.  Forae  ebbero  in 
ra  di  iogannare  i  gonzi,  e  forse  in  ultimo,  impi- 
ati  nelle  loro  reti,  credettero  anche  essi  di  avere 
lono  della  profezia.  Fra  queati  famosissimo  d  No- 
adamue,  il  quale  ha  raccomandato  il  sao  nome 
B  Centurie. 

Le  Centurie  sono  in  forma  di  quartine,  ecritte 
un  francese  speciale  mieto  di  ebraico,  di  latino, 
greco,  piene  di  anfibologie,  di  oscurita,  di  tra- 
isi  inaspettati,  tali  insomma  che  a  chi  non  abbia 
•90  il  cervello,  si  rivelano  subito  per  quello  che 
10 :  parole,  parole,  parole  inconcludenti.  Eccone 
esempio : 

Chef  de  Fosbsd  anro  gorge  coupp^e 
Par  le  ducteur  du  liniier  et  levrier: 
Le  fait  paW  par  coax  du  Mont  Tarpfie; 
Satarna  an  Leo,  13  de  Pebrier. 

Pure  molti  interpreti  banno  trovato  che  nelle 
iturie  di  Nostradamus  erano  stati  predetti  i  prin- 
ali  awenimenti  politic!  di  Francia:  la  rivoluzione, 

(1)  Cmau  LoMBmoao.  Paul  dl  anaiHli.  Upl,  Cittk  di  CuUDo.  I8H, 


v^^ip 


i^^ 


r.  •; 


LBTTERATURA  OHE  NON  HA  8SNB0. 


31 


il  supplizio  di  Luigi  XYI,  Y  innalzamento  e  la  caduta 
di  Napoleone  e  altri  fatti  di  minore  importanza. 

Ma  dove  mi  ha  portato  la  predica  di  frate  Ci- 
poUa?  Parliamo  d'altro. 


VII. 


Nei  circhi  equestri  la  prima  cavallerizza  di  rango 
francese,  quando  ha  corso  in  giro,  ritta  sul  cavallo, 
col  gomiellino  di  velo  agitato  dal  movimento  rapido, 
si  lascia  andare  seduta  sulla  sella:  gli  ammiratori 
applaudono,  ella  saluta  inchinando  il  capo,  sorride 
e  carezza  il  coUo  del  cavallo  che  va  lentamente  con 
movimenti  flessuosi.  II  direttore  del  circo  sta  in 
mezzo  e  abbassa  la  frusta,  aspettando  le  tavole  e  i 
cerchi  per  un  altro  esercizio.  Intanto  irrompono 
sulla  pista  i  pagliacci  con  la  faccia  bianca,  su  cui 
le  labbra  tinte  di  minio  paiono  una  ferita,  con  le 
immense  brache  unite  alia  giacchetta,  e  dietro  a  loro, 
a  gambe  larghe,  a  braccia  aperte,  inguantato,  con 
Tabito  a  coda  di  rondine  e  il  cappello  a  cilindro, 
goflfo,  impacciato,  viene  Tony,  lo  stupido.  Irrompono 
con  salti  e  gridi,  mandano  baci  alia  cavallerizza  e 
Tony  dice:  "  Signer  direttore,  anch'io  voglio  fare 
una  sarsiccia  „.  E  tutti  riempiono  gli  intermezzi  di 
salti  mortali,  di  freddure  insipide,  di  azioni  mimiche 
e  di  parole  che  non  hanno  sense. 

Parimente  nel  medio  evo  i  giullari,  suUe  piazze 
accalcate  di  popolo,  animavano  i  giuochi  meravi- 
gliosi,  e  riempivano  i  vuoti  tra  un  esercizio  e  I'altro 
con  lunghe  tirate  in  versi,  con  cicalamenti  sconclu- 
sionati,  da  cui  a  un  tratto  scintillava  un'arguzia  vi- 


f' 


n 

'^.. 


f^ 


ice  0  ua'allusione  che  suscitava  tra  gli  spettatori 
1  fremito  d'ilarit^. 

Tali  composizioDi  ai  chiamavano  resveries,  perchfe 
Jtavano  di  palo  in  frasca  e  *  ac«ozzavano  allusioni, 
intenze,  apoatrofi  econnease  ma  non  difficili  a  ca- 
rsi  Be  pre86  ad  una  ad  una ,.  (')  Addirittura  privi 
senso  erano  altri  componimenti  detti  fatras,  fo' 
ams,  e  fatrasseries  cantati  dai  menestrelli,  parenti 
'ossimi  dei  giuIlarL  In  Ispagna  i  fatras  si  chiama- 
ino  ensaladas  o  ensaladSlas,  in  Italia  frottole. 

Un  antico  scrittore  di  arte  poetica  Antonio  da 
Jmpo,  definisce  la  frottole,  verba  maticorum,  nuUam 
rfectam  smtentiam  cotitinmtia,  e  un  suo  tradu^re 
liega:  le  frottole  Bono  compillade  di  parole  grosse 
non  fruttuoae.  Le  frottole,  se  rallegravano  il  po- 
>lo  nolle  piazze,  penetravano  anche  nelle  corti  e 
)i  castetli,  dove  i  signori  si  compiacevano  a  quelle 
randole  di  parole.  E  i  trovatori  le  imitavano,  come 
u  tardi  Lorenzo  il  Magnifico  e  Luigi  Pulci  imita- 
ino  per  diletto  la  poesia  rusticale.  Di  Francia,  nel 
lattrocento,  queste  forme  strane  furono  introdotte 
rettamente  nel  reame  di  Napoli,  come  ne  fa  fede 
Pontano.  Egli  nel  suo  latino  pieghevole,  con  cui 
produsse  tutti  i  coBtumi  e  i  pensieri  della  vita  mo- 
ima,  rifece  le  fatraaies  dei  cantori  di  piazza.  E 
lesto  vagare  di  palo  in  frasca  piacque  a  France- 

0  Galeota  e  ad  Jacopo  Sannazzaro  che  imitarono, 
iche  essi,  le  fatrasies  cbiamandole  gliommeri. 

Delle  resveries  e  fatrasies  giuUarescbe  originali 

1  ne  conBervaao  molte  francesi,  alcune  spagnnole, 

(I)  Fuiouoa  PLUin.  Sluil  di  Si: 
'orno,  OiiHU.  1S95,  pig.  133.  Tntta  I*  i 
la  Id  qoBito  rapll«1o,  anno  tolM  dil  bal 
4  aiUle)i4  fermt  petlitlii  ilalimu  t  romai 


LETTEBATUKA   CHB   SON   HA    SBIiSO.  33 

neBsima  veramente  autentica  italiana,  e  non  ^  un 
gran  male.  Ma  pub  darne  un'idea  la  seguente  imi- 
tazione  letteraria  del  trecentista  Francesco  di  Van- 
nozzo: 

Sozza  e  pftgana 

Stava  piana 

E  guata. 

La  mata 

La  ciese  paasa. 

Hoza  ata  china  a  baaea 

Soto  el  prnn, 

Pim  pom  pim  pim  pom  pun 

El  como  toca. 

Ognun  serrii  I  a  boca, 

La  vacchia  acioca 

Fa  da  U  roca, 

E  ie  la  tella 

NeU, 

E  com  pocs  candella 

Per  mar  navega 

Sotto  '1  borgo  de  Schiavega 

Cum  mal  auguro  e  avega 

De  spim. 

I  migliori  diacendenti  dei  giullari  medioevali, 
prestigiatori,  cavallerizzi,  giocolieri,  sono  paasati  dalle 
strade  ai  teatri  sontuosi.  Ormai  lavorano  suUe  piazze 
i  poveri  saltimbanchi  dalle  maglie  di  lana  logore  e 
sudicie.  Di  aspetto  miserabile,  di  abilitk  meschina, 
in  confronto  dei  loro  fratelli  applauditi  e  festeggiati 
da  un  pubblico  scelto,  hanno  con  essi  un  punto  co- 
mune,  ed  S  il  gergo  burlesco  infiorato  di  tirate  che 
non  hanno  senso  e  fanno  ridere  gli  spettatori. 

Coal  ancbe  i  grandi  ciarlatani  hanno  abbando- 
nato  la  via,  e  abbindolano  il  pubblico,  piii  dignito- 
samente,  dalle  quarte  paginedei  giornali;  ma  i  loro 
minor!  fratelli  seguitano  a  percorrere  i  mercati  e  le 

HiOBiu,  IMUraiura  cht  van  lia  uhu  —  3 


e,  e  davanti  ai  coDtadini  estatici  vantano  la  virtti 
la  loro  merce: 

*  E  come  si  adoppera,  o  Siniori,  il  aappone  di 
'ante  ?...  Si  adopera  come  il  sapone  comune,  ba- 
ndone  un  pezzo  neWagua  fi-esca,  aqua  qualunque, 
la  di  fiume,  aqua  di  fonte,  aqua  piovana,  aqua  di 
ne  0  di  rio,  aqua  di  cistema  e  di  pozzo,  aqua 

Tettuccio  ovvero  sia  di  Baden  Baden,  aquavite... 
<tropiccia  fortemente  Bopra  la  stoffa  macchiata... 
ipo  e  termine  di  cinque  minuti,  il  pezzo  parte  e 
macchia  resta...  Cinque  centesimi,  o  siniori,  tanto 

t  poveri  che  per  i  miserabili,  Benza  distinzione, 
I  tutti  abbiamo  le  nostre  macchie,  ma  I'ltalia  b 
tra,  Dio  lo  vuole,  e,  viva  la  saponata!  ,  (') 


Ciarlatani,  giocolieri,  saltimbanchi  e  pagUacci 
orano  per  la  faMirica  dell' appetUo.  La  loro  fe  I'arte 

la  vita;  ma  ancbe  nolle  sciocchezze  c'h  I'arte  per 
te. 

Cosi  scherzando,  senza  volere  ingannare  nessuno 
enza  il  sospctto  di  essere  ingannati,  a  molti  sara 
aduto  di  fare,  o  di  ascoltare  ragionamenti  di  que- 

spccie:  '  alloroh^  la  suscettivJtk  psichica  si  con- 
tra nella  vite  perpetua,  si  ha  la  trascendentalitk 
tica  che  si  connette  con  la  manifestazione  odon- 
?iea  del  genio  ,.  Ma  per  quelli  che  non  8t  fosaero 
i  trovati  a  fare  o  a  scntire  tali  ragionamenti  citerb 
caso  reso  pubblico  da  un  articoletto  della  Tnbuna 

23  gennaio  1892: 


(tj  TotiCE,  PHHggiait.  FirtOM,  F.  Vwmi  a  Comp.,  ISBO,  |M«.  118. 


LBTTBSATIIRA    OHE    HON    HI    SENSO.  3S 

'  In  provincia  di  Lecce  v'fe  un  capo  ameno,  il 
aignor  Salvatore  Affinito  il  quale  ha  un'attitudine 
Bpeciale  a  imitare  la  voce  e  il  gesto  della  persone 
e  specialmente  degli  oratori  parlamentari. 

"  Invitato  a  parlare  suUa  coltivazione  del  ta- 
bacco  o  sulla  triplice  o  sulla  quadratura  del  circolo, 
egli  pone  insieme,  cod  una  rapidity  straordinaria, 
fraai  senza  senao  che  non  dicono  nulla,  ma  che  hanno 
tutta  I'apparenza  di  un  discorso  pieno  d'  idee. 

*  Questo  bel  tipo  h  ricercato  in  tutte  le  allegre 
comitive. 

"  Tempo  fa,  in  Caballino,  piccolo  paeae  della 
provincia,  I'Affinito,  dopo  un  pranzo  curioao  al  quale 
prendevano  parte  molte  peraone,  fu  invitato  a  espri- 
mere  le  sue  idee  sulla  situazione  politica. 

*  AUora  egli,  levatosi  gravemente,  cominci5,  non 
so  se  imitando  la  voce  e  il  geato  dell'on.  Bovio  o 
dell'on.  Imbriani,  a  dire  atramberie  di  cui  do  un 
saggio.     . 

'  Onorevole  conseaso,  pubblico  immenao,  popolo 
grande,  a  cui  io  rivolgo  la  mia  parola;  non  &  cer- 
tamente  la  metempsicosi  dei  fatti,  I'alienazione  della 
mente,  la  progeneai  medeaima;  ma  I'apocalisae  di 
ci5  che  affermaai  k  dimostrato  e  patriottico. 

"  Grandi  furono  gli  uomini,  aublinii  le  idee,  pre- 
concetti  i  sentimenti,  che  dovevano  apportare  al 
vero  progreaao  della  patria  e  nazione.  (Applausi.) 

"  Non  fu  certo  dimenticata  Tevoiuzione  dei  se- 
coli,  la  miatificaziono  della  atoria  e  il  brando  degli 
eroi,  per  dire  maeatoao  il  guerreggiamento  di  una 
grande  riconferma. 

*■  Un  Moncalieri  ne  parla,  un  Cincinnato  ne 
deacrive,  un  poeta  ne  informa;  e  tutto  cif)  ci  fa  co- 
noacere  come  analitica  fu  I'idea  e  patriottica  piii 


IXTTBIurDUl  CHI  BOH  BA  SEKSO. 

Ugica  la  preponderanza  alia  patria  ,.  (Ap- 

>         .        . 

)plausi  e  risate  e  scherzi  dovevano  risonare 

«li  fa,  nella  bottega  di  un  barbiere  fioren- 

i  coDtrada  di  Calimala.  Gli  aweiitori  prima 

10  il  barbiere  di  non  farli  ridere  per  non 

regiati  e  cinciscbiati,  ma  dopo  che  si  erano 

i  a  stento  sotto  il  rasoio,  e  dopo  che  eraoo 

iti  ben  bene,  con  un  sentimento  di  soddisfa- 

>n  un'allegrezza  per  allora  contenuta,  dice- 

Su,  via,  Burchiello,  di'  uno  dei  tuoi  sonetti,  — 

lico  di  Giovanni,  dai  ciii  occbi  scintillava 

non  ostante  I'apparenza  quasi  malinconica 

cia,  serio  serio,  cominciava  a  recitare: 

Liiign«  tedesche  e  occhi  di  Giadei, 
Ju  pentolio  di  veotidne  deoari 
i!  Oiappiter  in  su  'n  puo  di  slari 
■ridando:  or  fuasio  qni  i  parenti  miei! 

Tennon  dioaDii  ai  nottnrni  occhi  miei 
'on  on  pien  sacco  di  lupin!  smari, 
^h'erano  tutti  senza  scapolari, 
lome  vanno  la  Dotte  i  gabbadei. 

E  poi  vidi  Terenzio  in  gran  fortuna 
4eUe  retoriche  onde  giugurtine, 
'on  la  TJala  di  loica  digiaaa. 

Allora  il  eette  con  sue  man  porcine 
^ccese  UD  torcfaio  al  lume  della  luna 
'er  rimenar  le  liicciole  a  Figline. 


<ra  di  Em.  Zol*.  qoeati  D 


P"PP 


i^*^^ 


LETTERATUBA  CHE  VOV   HA  SEN80.  37 

Egli  il  fece  a  buon  fine; 
£  perchd  egli  ebbe  tanta  pazienza, 
Bec€6  d*mi  peace  d'ovo  preso  a  lenza. 

Le  risate  che  accompagnavano  i  sonetti  si  dif- 
fondevano  fiiori  della  bottega,  il  nome  e  la  persona 
del  Burchidlo  richiamavano  subito  Tallegria,  e  molti 
lo  imitavano;  ma  forse,  quando  il  barbiere  diceva  ai 
suoi  ammiratori  quello  che  al  rasoio  e  alia  poesia: 
*  Chi  meglio  mi  vuol  mi  paghi  il  vino  ,  gli  amici 
mandavano  in  burletta  anche  quelle  parole  e  non 
pagavano  nulla. 

Simile  ai  sonetti  del  Burchiello  fe  il  PataflSo  (fal- 
samente  attribuito  a  Brunette  Latini)  che  ragiona 
cosl: 

SquasiiDodeo,  introcqne  et  a  fusone 
Ne  hai,  ne  hai,  pilorcio  e  con  mattana 
Al  can  la  tigna,  egli  d  mazzamarrone. 

La  diffalta  parecchi  ad  ana  ad  ana, 
A  cafisso,  a  busso  e  a  ramata: 
Tatto  cotesto  ^  della  petronciaha. 

So  che  in  questo  pasticcio  alcuni  trovano  un 
significato  osceno  espresso  in  un  gergo  furfantesco ; 
una  specie  di  saggio  della  letteratura  dei  delinquenti 
del  secolo  XV;  ma  per  me  "  squasimodeo,  introcque 
ed  a  fusone  „  cosl  uniti,  evidentemente  non  vogliono 
dir  nulla. 

Dovrb  nominare  tutti  grimitatori  del  Burchiello? 
Dovrb  empire  le  pagine  di  versi  che  non  hanno  nh 
capo  n5  coda?  Credo  che  basti  il  saggio  che  ne  ho 
date.  Piuttosto,  dandola  per  quel  che  vale,  accen- 
nerb  una  possibile  origine  immediata  della  poesia 
burchiellesca. 

Molto  prima  che  scrivesse  il  Burchiello  erano 
diflfuse  in  Italia  le  frottole  composte  di  parole  *  grosse 


38  LKTBRATUBA  OBB  KOX  BA  SBTM. 

e  non  fnittuose  ,  ^  vero ;  ma  non  ^  Decesaario  Bm- 
metterfl  che  la  poeeia  del  barbiere  fiorentino  derivi 
direttamente  da  quelle.  Per  esempio,  &  molto  pro- 
babile  che  il  signor  Salvatore  Affinito  (ancbe  ee  li 
conoBce)  non  penei  nemmen  per  idea  ai  sonetti  del 
Burchiello,  quando  improvriaa  le  sue  chiacchierate. 
Invece  egli  ha  presente  il  periodare  di  un  oratore 
Doto  8  lo  contraff^,  senza  nessun'  intenzione  maligna. 
Pud  darsi  quindi  che  il  Burchiello  contrafFacesse 
nei  Buoi  versi  qualcbe  poeta  illustre.  —  Quale? 

Piu  di  una  volta  il  Petrarca  si  k  valso  deU'enn- 
merazione  di  varie  qualitk  morali,  come: 

Real  natnra,  augelico  intelletto, 

Chiara  alnia,  pranta  vista,  occbio  ceirero, 

ProTvidenzB  veloce,  alto  psnsMro 

E  Terameoto  degno  di  qaet  petto, 

0  dell'imione  di  molti  nomi  comuni 

O  poggi,  0  tbIU,  o  finmi,  o  aelve,  o  campi, 

e  di  nomi  propri 

Nod  TeeiD,  Po,  Varo,  Arno,  Adige  e  Tebro 
Bufrate,  Tigri,  Nilo,  Enno,  Indo  e  Gmgo 
Tana,  latro,  AUeo,  Garonna  e  i)  roar  che  fnage 
Kodano,  Ibero,  Ren,  Seoa,  Albia,  Ero,  Ebro. 

L'enumerazione  in  certi  casi  k  come  on  frequente 
battito  d'aK  che  precede  il  volo  aperto  e  disteao. 
Tale  k  quella  veramente  splendida  del  Garducci  che 
si  chiude  col  grido  affettuoso: 

Salute,  o  genti  umane  afTaticflte, 
Tatto  trapasas  e  nalla  pii6  ntorir; 
Noi  troppo  odiammo  e  soEFerimmo.  Amate. 
11  mando  b  bello  e  santo  ^  Tavvenir! 

Kon  di  rado  pero  Tenumerazione  provieneo  da 
inerzia  della  mente,  che,  quando  ha  preao  I'aire,  non 


LITTBRATUBA    OHE  NON   HA   SBNSO. 


89 


^i 


si  pub  fermare,  o  dal  gusto  di  produrre  coi  vocaboli 
un'armonia  che  diletta  di  per  sd  sola.  Cos!  una  poesia 
di  Catulie  Mend^s  5  composta  tutta  di  nomi  propri 
e  chiusa  da  un  solo  verso  che  racchiude  un  concetto. 

Rose,  Emmeline, 
Margueridette, 

Odette, 
Alix,  Aline, 
Paule,  Ippolyte, 
Lucy,  Lucile, 

C^cile, 
Daphne,  M^lite, 
Art^midore, 
Myrrha,  Myrrhine, 

Ferine 
Nals,  Eudore. 


Inlma,  L^lie 
R^gina,  Reine, 

Ir^ne !... 
Et  j'en  oablie. 


Questa  h  un'esagerazione,  ma  molte  enumerazioni 
del  Petrarca  hanno  la  stessa  origine,  non  senza  qua 
e  \k  una  punta  di  arguzia  velata.  Ogni  poeta  origi- 
nale  come  ha  concetti,  cosl  ha  un'armonia  sua  pro- 
pria e  una  propria  sintassi :  e  una  delle  tante  forme 
delFimitazione  consiste  nel  riprodurre  il  suono  e 
I'andamento  del  periodo  empiendolo  di  parole  che 
possono  avere  e  non  avere  sense. 

Ma  quest' armonia  e  questa  sintassi,  sentite  e  ri- 
sentite,  eccitano  anche  un  sorriso  benevolo,  o  sarca- 
stico:  I'imitazione  comica,  o  la  caricatura.  Lo  stesso 
avviene  nella  vita  di  tutti  i  giorni.  Chi  non  ha  ori- 
ginality, imita  il  frasario  e  le  mosse  di  quelli  che  si 
distinguono  di  piu ;  altri  o  ne  riproduce  per  ischerzo 
il  tipo  in  mode  esatto,  o  ne  mette  in  ridicolo  gros- 


j 


i'.~  I  zr^  -t  li  t-v-iozsn*-  lo  ho  soitito 
<(-  !:!>  T:<:i  usiili  c-=ii;7alL  pUgnacoIose 
:=.  i.  sl-i,*^  <o:e&u>:fiek!ie.  come:  ^;, 
>!.  ■■*  ?'■  e<^r.  K:iK  forte  della  poesia  bnr- 

j.jj  ■fjiwrrv  (i:iS4ffiz:i>De  della  poesia  del 
*  ir-i  f-ririT-Lir-iL  ALe  k-ro  filze  di  nomi 


Ir  :JL7  ^^I:  iM:-e^^  o^a  ptroda  poruneDte 
i^zi  p::  £■:: :-:<ei^nc'  U  parolia  piii  fine  del 

r-::A  '«  [■•e^Ia  b:^<:hie!!esca  priTa  di  si- 
•ira  iTdta  pur>i:a-  Preso  il  gosto  a  qaesti 
I'ir:Ie  ;!  B'^itiello.  per  conto  sdo,  per- 
a  '.i  ^-j-a'.i  ihe  va  dal  poro  n'>n  wn^  alle 
vt^jTr  d^   tin  pr.>fiav!o   di   parole  iocon- 


^ai.u  1  BHRr..  Di  C*:*  4c  j  0:um  il  BankMla,  il  B«nl 
l--.u'^  *.a.  !:»;:t=uinM.  Tn  I*  ria*  dal  Ban!  Mas 
-.e  o  (c  -  L>.:3T.g  d.  Jl;^t  :>.  ,  il  ■  LhmbU  di  KudiDo,  .  11 


Il  if.  Cmrit  ni*  ftttiBt). 


LGTTBBATURA    OHB   HON   HJL   SEKSO.  41 

gruenti.  Allora  questi  ghiribizzi  trovano  un  riscon- 
tro  nella  pittura  ornameatale ,  dove  s'  intrecciano 
con  ampie  volute  le  foglie  dell'acanto,  e  nel  mezzo 
agli  intrecciamenti  compare  una  testa  di  satiro  ghi- 
gnante.  In  certi  sonetti  alia  burchia,  dalle  parole 
unite  a  caso  nel  giro  regolare  del  verso,  sbucano 
qua  e  \k  alcune  immagini  grottescbe,  poi  le  parole 
si  divincolano  di  nuovo  con  grandi  giri,  e  come  i 
serpent!  di  Yirgilio  "  si  fan  nebbia  e  spuma  e  suono 
intomo  „. 

Ed  6  curioso  11  vedere  come  dalla  cicaleria  asso- 
luta  si  ritomi  ad  una  forma  bizzarra,  ma  uon  priva 
di  significato;  la  quale  consiste  nell'unire  una  lunga 
serie  di  parole  e  di  fraei  legate  insieme  da  un  pen- 
siero  che  si  rivala,  in  fine  del  componimento,  in  modo 
arguto  e  inaspettato.  Questa  6  Tunica  forma  bur- 
chiellesca  che  il  Bemi  scelse  e  adopero  in  molti  so- 
netti, come  in  quelle  famosissimo  che  comincia: 
Cancheri,  beeeafichi  magri  arroato 

e  termina: 

Chi  piii  n'ba  piit  ne  metta, 
E  conti  tutti  i  diapetti  e  le  doglie, 
Che  la  maggior  di  tutte  6  I'aver  inogtie. 


Gentlla  augtlla, 

oh* 

dal 

mondo 

PBrtendo 

plii 

Tenia  al 

tide 

SDi 

baa  prii 

Dil[«  nm) 

|>r>b( 

iat« 

■!m 

.da, 

LiddoT.  1 

alma 

pile 

itta  a  ai 

QuMto  ml  h  ettitn  cba  *aobs  II  rtmoao  lonetto  dsl  BarnI  Chlumi 
ftrgtHto  nan  lUun*  pirodUgenarioa.oufU'titalare  dal  aonettadal  Baoibo, 


delle  profezio  col  loi 
setiso  come  parodia  e 
tante  stranezze,  cbe  i 
Ogni  grande  autore 
delle  eta  che  lo  precei 
cbe  nasceranno  nell' 
siune  tutte  le  bizzarri 
e  della  letteratura  m 
ora  riproducendole  co 
cia  il  disegno  dell'edi 
I'abbazia  di  Tbel^me, 
perfezione  umana;  ide 
siero  dominante  dei  i 

U  Triitram  Shano 
nn'opera  piii  tempera 
dal  soggetto,  enigmi 
un  capitolo  cbe  comi 

Pt-r-ing-twing-pi 
utwaag-twing,  diddle 

A  me  sono  rimast 
ste  parole  premesse  a 
I'opera  di  Sterne: "  T> 
di  tutti.  Molti  lo  legge 
che  Don  coaoscevano  B 
niera,  lo  capivano  and 
cbe  Sterne  era  lo  scrii 
vole  del  auo  tempo  „.  { 
sima  cbe  quando  s'im 
la  teata,  ride  e  dice :  — 
BOn  buffd  assai! —  cb 
poi  riapre  le  mani  e  i 


(.  Pari*,  Onrnltr  Frii 


a  feccia  deU'animo  umano,  Bale  a  quando  a 
iin  gusto  aspro  di  Tolgarit&.  Di  tale  natura 
ria  plena  e  ruinoroBa  Buscitata  da  parole  od 
ici  anche  in  uomini  di  grande  intelletto. 
te,  dopo  avere  descritto  plebeamente  con 
i  forza  comica  la  strana  fanfara  dei  demoni, 
lungo  commento: 

r  vidi  gia  cavalier  mover  campo 

cominciare  stormo  e  far  lor  moatra 

talvolta  partir  per  lore  acampo: 

Corridor  vidi  per  la  terra  voatra, 

AretiDi,  e  vidi  gir  gualdane, 

rir  torneamenti,  o  correr  giostrs, 

Quando  con  trombe,  e  quando  con  catnpane, 

in  tamburi  e  con  cenni  di  caatella; 

con  cose  noetrali  e  con  iatrane; 

N6  gia  COD  s'l  diveraa  cennamells 

.valier  vidi  muover,  n&  pedoni, 

)  nave  a  aegno  di  terra  o  di  Stella. 

periodo  largo  e  sonoro  si  sente  la  compia- 
i  chi  ai  trattiene  a  spiegare  un' immagine 

e  I'ultimo  verso  ampio  6  come  lo  scoppio 
,  che  corona  la  spiegazione  Itinga  e  minu- 

liii  luride  audacie  del  naturalismo  sono  inezie 
J  al  capitolo  IX  del  primo  libro  del  Gar- 
re  Loti,  lo  scrittore  che  naviga  sempre  nelle 
steree  del  sogno  e  del  mistero,  racconta  di 
Roman  d'un  enfant,  che  nonostante  i  suoi 
ntimenti  e  la  sua  ottima  educazione,  una 


LtTTEBATUKA  CHB  KOK  HA  SEHSO.  45 

volta,  essendo  in  villa  da  certi  suoi  parenti,  ebbe  il 
capriccio  di  fare  una  cosa  volgare  e  schifosa.  Preae  un 
gran  numero  di  moecbe  inorte  cbe  erano  in  fondo  a 
un  vaao,  ne  fece  fare  una  frittata,  e,  al  tnomento  del 
pranzo,  entr6  nella  sala,  coi  suoi  cugini,  cantando 
con  voce  rauca  una  canzone  che  voleva  essere  in- 
female,  e  gridando:  —  Una  frittata  di  tnoBche. 

Talora  I'uomo  addolorato  da  un  pensiero  oppri- 
mente  si  tuffa,  per  distrarsi,  nella  yolgarit&  e  in  mezzo 
alia  nausea  trova  un  piacere  strano.  Qualcuno  si  dara 
al  bere,  altri  bestemmier^,  magari  senza  credere  in 
Dio,  altri  sar&  spinto  a  incanagliarsi. 

Coai  faceva  i!  Macbiavelli,  quando  era  in  esilio  a 
S.  Casciano,  e  nel  raccontare  la  cosa  all'amico  Yettori, 
adoperava  le  parole  piii  grossolane  che  gli  venivano 
in  monte:  "  Mangiato  che  ho  ritorno  nell'osteria; 
qui  ^  I'oste,  per  I'ordinario,  un  beccaio,  un  mugnaio, 
due  fomaciai;  con  questi  m' ingaglioffo  per  tutto  il 
di  giocando  a  cricca  e  trich-trach,  e  dove  nascono 
mitle  contese  e  mille  dispetti  di  parole  ingiuriose, 
ed  il  piii  delle  volte,  si  combatte  per  un  quattrino 
e  aiamo  sentiti  nondimanco  gridare  da  San  Casciano. 
Coai  involto  in  questi  pidoccbi  traggo  il  cervello  di 
muffa,  e  sfogo  questa  malignita  di  questa  mia  sorte, 
sendo  contento  mi  calpesti  per  questa  via,  per  ve- 
dere  se  la  se  ne  vergognassi ,. 

Finalmente  il  deaiderio  malsano  di  cose  volgari, 
aoprawenuto  aenza  ragione  o  causato  da  dolore  e 
da  stizza,  pu6  sfogarai  dicendo  o  acrivendo  parole 
di  significato  confuso,  ingarbugliato  o  anche  di  nessun 
significato.  Ci6  forae  accadde  al  Petrarca.  Sdegnato  di 
sospirare  inutilmente,  forse  anche  acontento  della  sua 
opera  che  in  un  momento  di  sconforto  gli  aara  paraa 
meno  bella,  scrisse  la  famosa  canzone  proverbioaa  o 


ttolata,  canzone  che  ora  vien  giii  Baltnariamente 
proverbio  in  proverbio: 

Hai  DOD  vo'  piii  cantar  come  aoleva, 
Che  altri  nan  m' intend eva,  onde  ebbi  scorno; 
E  puossi  in  bel  aoggiomo  eas«r  moleeto; 
U  aempra  aoapirar  DoUa  rileva; 

I  sembra  una  parodia  delle  rime  amorose: 

In  sileozio  parole  aecorta  e  sagge, 

£  '1  euon  che  mi  soUragge  ogni  altra  cnra, 

E  la  prigione  oscura  ove  is  '1  bel  lume ; 

Le  notturne  viole  per  le  piagge, 

E  le  fere  selvagge  entro  le  mora, 

E  la  dolce  paura  e  '1  bet  costuine, 

E  di  duo  fonti  an  flume  in  pace  volto 

Dove  io  bramo,  e  Taccolto  ove  che  sia: 

Amore  e  geloaia  m'hanno  '1  cot  tolto;  etc. 

I  volte  come  diceva  il  Tassoni:  "  ^  un  lavoro  a 
)tte8cbi  cb'  io  non  so  se  Merlino  o  1'  interprets  del 
rchiello  ne  traessero  e  piedi  ,. 

Sia  riposo,  sfogo,  0  ribollimento  di  ci&  cbe  c'fe 
basBO  in  ogni  anima  umana,  queata  momentanea 
npiacenza  dell'assurdo  si  trova  manifeetata  ancfae 
arti  diverse  da  qiiella  della  parola.  Una  figura  senza 
egno  e  come  un  diacorso  privo  di  senso,  II  Vasari 
!Conta  che,  neH'allegra  riunione  di  alcuni  giovani 
iisti  fiorentini,  fu  scommesso  a  chi  avrebbe  fatto 
a  figura  piu  priva  di  disegno.  E  chi  vinae?  Miche- 
igiolo,  che  si  ricordb  uno  di  quegli  ecarabocchi 
ti  sulle  mura  dai  ragazzi  e,  riproducendolo  a  mente. 
)er6  tutti  gli  altri  nello  sproposito,  come  li  supe- 
7a  nelVeccellenza.  Ci6  mostra  che  aitche  Miche- 
igiolo  era  esilarato  da  certe  goffaggini  grosBolane, 
la  che  k  attestata  anche  da  altri  particolari  della 
i  vita.  Che  se  il  Machiavelli  si  ingaglioffava  con 


\    -1 


LBTTBBATUBA  CHB  NON  HA  8BKS0. 


47 


beci^  e  fornaciai,  Michelangiolo  si  compiaceva  della 
eompagnia  di  uomini  buffi  come  il  Meneghella  e  To- 
polino  scalpellino,  e  per  loro  lasciava  ogni  lavoro 
serio  e  si  metteva  a  dipingere  Sant' Antonio  col  manto 
scarlatto.  (0  L'amante  ideale  di  Vittoria  Colonna, 
I'artista  che  espresso  nelle  sue  opere  la  forza  e  la 
grandezza,  Tuomo  che  nei  suoi  ritratti  ci  appare  cosi 
austero  con  la  sua  barbetta  rada,  il  naso  schiacciato 
e  la  gran  fronte  pensosa,  si  divertiva  a  queste  scioc- 
chezze  e  ci  rideva  come  un  ragazzo...  come  il  Ma- 
chiavelli,  come  Dante. 


4 


\ 


\ 

t 

1 


XL 


Senza  essere  formulati  con  parole,  vengono  spesso 
in  mente  i  pensieri  piii  strambi,  che  corrispondono  ad 
azioni  che  non  si  farebbero  senza  passare  per  matti. 

Chi  non  ha  avuto  Y  idea  di  dare  uno  scappellotto 
sopra  unabella  testa  calva?  o  di  levare  la  seggiola 
di  sotto  a  una  persona  corpulenta?  o  altri  pensieri 
somiglianti?  e  chi  non  li  ha  cacciati  come  un  branco 
di  moscerini  importuni?  Or  bene,  finchd  in  questo 
sdoppiamento  prevale  il  rispetto  delle  convenienze  e 
la  coscienza  del  proprio  state,  tali  pensieri  non  si 
mettono  in  atto  nd  si  manifestano ;  ma  se  il  criterio 
di  scelta  viene  a  mancare,  si  fanno  e  si  dicono  tutte 
le  idee  e  le  parole  che  vengono  alia  mente,  e  si  ha 
la  man\a.  La  quale  pu5  essere  furiosa  e  atroce,  e  puo 
essere  anche  innocua,  senza  soflFerenze  e  felice. 

Ci  sono  dei  maniaci  curiosi  pei  quali  le  parole 
prendono  la  stessa  sembianza,  che  prendevano  le  cose 


(1)  O.  Vasabi,  Vita  di  Michelangiolo  Buonarroti,  passini. 


LBTTBftATaflA  CHE  KOS  Hi  SKKSO. 

GU  ascoltatori  eravamo  io,  im  fattore  di 
pagna,  un  piccolo  poBsidente  e  il  padrone  del 
canda:  uomo  di  poca  levatura,  tozzo,  con  la 
pigiata  nolle  Bpalle,  la  fronte  pigiata  sugli  o 
dae  baffoni  da  croato.  Nella  stanza  rischiarat 
lamente  da  un  lume  a  petrolio,  alcune  tavole  s 
devano  neiroBcnrit^;  intorno  ad  una  piii  illut: 
si  stava  io,  il  fattore  e  il  poBeidente:  il  padron< 
locanda  stava  in  piedi  in  mezzo  alia  stanza,  il 
acche.  Quando  quest'ultimo  incominci6  a  imp 
Bare  il  fattore  sorrideva  di  un  sorriso  ambi) 
compiacenza  o  di  canzonatura;  il  padrone  dell'al 
ogni  tanto  esclamava :  Xeh  un  mostro  /  e  il  poasii 
Fiol  cCvn  can!  ma  a  oessuno  veniva  il  dubbi 
quelle  parole  non  volessero  dir  nulla.  Soltanto  q 
rimprovrisatore  aveva  terminata  la  sua  discon 
commenti  si  capiva  che  il  possidente  ammiri 
facondia  inesauribile,  il  padrone  dell'albergo  I't 
e  il  bell'afipetto  di  queH'Qomo,  il  fattore  il  coi 
di  andar  vestito  in  quella  maniera. 

Poi  il  possidente  offri  da  bere,  e  I'artista 
*  grazJe,  mi  fa  male  alia  gola  atmosferica  ,.  . 
il  fattore  ebbe  uo  barlume  di  intelligenza  e  gli 
-  Ab !  fiol...  coasa  xela  la  gola  atmosferica?  -  J 
spose  I'artista  -  I'aria  che,  passando  per  le 
sintetiche,  produce  la  gola  atmosferica.  —  II  f 
scosse  la  testa  e  sorrise,  questa  volta  proprio  di 
paasioDe:  il  padrone  dell'albergo  era  piu  attoni 
mai,  il  possidente  si  sbellicava  dal  ridere,  bat 
pugni  sulla  tavola,  gridava:  -  bravo  bravo  -  se 
quello  che  mi  parve,  con  la  convinzione  che 
sposta  fosse  di  quelle  che  taglian  la  testa  al 

Un  tipo  meno  caratteristico,  ma  abbastanza 
Io  trovai  in  Basilicata.  Era  un  oete  che  ave 


LBTTBRATI7BA  OHE  NOK  HA  SENSO. 


51 


II  Fucini,  che  si  ferm5  a  sentime  uno  nella  via 
della  Lanterna,  lo  descrive  argutamente  e,  per  quanto 
^  possibile,  riporta  un'ottava  del  Tasso  trasformata 
da  questo  pubblico  recitatore.  Lasciamo  la  parola  al 
Fucini : 

"  Chetiamoci  e  stiamo  attenti  sul  serio,  perch& 
ora  h  il  vero  momento:  il  nume  si  ^  impossessato 
di  lui,  lui  s'^  impossessato  del  sense  comune  e  se 
le  danno  a  morte. 

Ma  nol  fara:  prevenird  quest' empi 
Disegni  loro  e  sfogherommi  appieno; 
Gli  ucciderd,  faronne  acerbi  scempi: 
Syener6  i  figli  alle  lor  madri  in  seno; 
Ardero  i  loro  alberghi  e  insieme  i  tempi: 
Qaesti  i  debit!  roghi  ai  morti  fieno; 
E  8U  quel  lor  Sepolcro  in  mezzo  ai  voti 
Vittime  pria  far5  dei  sacerdoti. 

Cos\,  per  bocca  del  Tasso,  ragiona  il  rabbioso 
Aladino,  e,  per  dire  il  vero,  trovo  che  le  sue  idee 
(quelle  d'Aladino)  per  gobbe  son  fatte  bene:  ma  il 
mio  Rinaldo,  lui,  quelle  che  sputa,  per  non  confon- 
derlo  con  Teroe  omonimo  del  poema,  lui,  non  ne 
conviene  e  ha  ragione.  Quella  eccessiva  chiarezza  e 
pill  che  altro  queU'etema  monotonia  deU'endecasil- 
labo  d  una  cosa  che  ammazza.  L'amico  se  n'^  accorto 
e  coi  suoi  commenti,  corregge,  allunga,  scorcia,  ta- 
glia,  sdruce  insomma,  accomoda  e  rimedia  a  tutto 
con  tanto  garbo  ch'fe  un  amore. 

—  Ma  no,  non  lo  fark  (se  ne  vene  a  di  chUlo  sfe- 
lenze  i  Saladino)  non  lo  fara:  prevenerb  me  tutti 
chisti  embi. 

E  li  disegni  loro  e  sfogherommi  abbieno,  (se  vu- 
leva  sfogct  a  raggia  ilVanima  soja,  stu  cane). 


1 


»«j 


LEmBnitru  CBB  BOK  BA  sBireo. 
L'uccideH)  tutti,  faronne  acerbi  e  scembi.  (Che 

ize  mori  accise  t»  'nfamotte.) 
Svenerb  i  figli  colle  lor  madri  in  Beno.... 

Arderb  tutti  i  loro  al,bergbi  e  insieme  li  iembi 

Ed  io  arderd  li  diebbiti  in  coppa  alii  roghi  (per 
pag&  a  ntaciuno,  avtte  capito)  e  alii  mortt  fieno 

vuleva  da'  u  fieno!  tratta'  i  morte  come  a  duece^ 

!  in  quel  loro  sondiMimo  eepolcro  in  miezzo  alii  toU 
''ittime  prima  faro  di  tatti  li  B&cerdoti  ,.(') 

Se  questi  originali  sanno  scrivere,  scrivono;  Be 
no  la  possibilita  di  stampare  queete  loro  produ- 
li,  le  stampaDO.  Chi  noti  conosce,  almeno  di  fama 
'ravaso  delle  idee  di  Tito  Livio  Cianchettini  ?  e  chi 
ha  letto  le  prose,  i  versi  di  occasione,  i  maoifesti 
Bpositori  di  fenomeni  che  formano  la  delizia  e  il 
;olo  dei  giomali  umoristici  ? 
Tutto  ci6  che  si  incontra  nella  vita  k  riprodotto 
0  meoo  bene  daH'arte;  e  il  buon  uomo  di  Por- 
Doe,  qaello  di  S.  EHgio  e  i  Rinaldi  non  si  imina- 
ino  di  essere  gik  tipi  convenzionali  nelle  commedie 
elle  farse.  II  Goldont  ha  scritto  II  poeta  faruUko, 
e  il  protagonista  improwisa  ottave  rimaste  ce- 
i: 

Era  di  nott«  e  non  ci  si  vedea, 

P«rch6  Marfiea  aveva  spento  il  )nni«; 

Un  roapo  colla  epada  e  la  livres 

Ballava  il  roiouetto  in  raeizo  a  nn  flams. 

L'ahro  giorno  o  da  me  venuto  Enea 

E  m'ha  porlato  un  origlier  di  piunie: 

Cleopatra  ha  Morticato  Marcantonio, 

Le  femmiue  sod  peggio  del  deiDonio. 


UTTBRATDRA    CHH   HON    HA   BEK80.  S 

La  villana  di  Lamporecdiio,  il  modello  della  fars: 
italiana,  toscana,  paesana,  che  con  un  po'  di  buom 
volontii  si  potrebbe  riannodare  alia  commedia  del 
I'arte,  alia  poesia  ruBticale  e  fino  alle  &mose  atel 
lane,  di  cui  non  sappiamo  quasi  nulla,  6  piena  d 
scene  come  questa: 

Mebcubio.  Eccomi  qual  MatuUano  Pompinio  i 
ricoBcentrare  la  mia  Ragusea  Pollanchina,  alia  mil 
cara  Dea  Marmetica,  e  pango  ai  vostri  pediluvi  tutt< 
le  mie  scienze:  la  filosofia,  la  mattematica,  la  corno 
logia,  r^tica  e  la  diarretica,  tutte  virtii  che  appren 
derete  in  pochi  giornalieri. 

DoBOTEA.  Avete  fatto  bene  a  venire  a  income 
darmi  e  ee  per  voi  io  sono  una  deva,  voi  per  me  sieti 
im  devo. 

Mercurio.  Lo  so  e  desidero  la  manicola  salutorii 
sulla  Tostra  amata  combianocola.  Sapete  che  la  mii 
virtii  vi  ha  fatto  parere  una  gran  donna  agli  oceh 
di  Alessandro  il  Macellone. 

DoBOTEA.  E  vero,  sono  ingrandita  e  spero  chi 
I'opera  vostra  mi  farfi  crescere. 

E  dalla  Villana  di  Lamporecchio  questo  linguag 
gio  d  passato  nelle  farse  che  tutti  conoscono;  ne 
Casino  di  campagna,  nella  Scommessa  fatia  a  Milam 
e  vinta  a  Verona  e  in  altre;  in  tutte  per6  con  uni 
apeciale  modificazione.  Kelle  farse  moderne  non  par 
lano  piii  direttamente  i  mattoidi  vaniloquenti,  com< 
nel  Poeta  fanatico,  ma  qualche  personaggio  per  stao' 
care  la  pazienza  di  chi  attraversa  i  suoi  disegni,  s 
trasforma  in  diversi  ttpi,  fra  i  quali  in  quelle  di  im 
provrisatore  di  ragionamenti  privi  di  eenao. 

Una  varietk  del  mattoide  e  I'ignorante  che  vuo 
parer  dotto  e  non  sa  quel  che  si  dice,  o  dice  spro' 
positi  da  can  barboni.  Tali  uomini  si  trovano  in  grai 


LBTTBBATtlR*    OBB   HON   HI   fiEtiaO.  55 

Nelle  commedid  e  nei  romanzi  sono  numeroBi  gli 
ignoranti  che  dicono  Btrafalcioni,  stupidaggini,  equi- 
voci,  noD  di  rado  gustosissimi.  Le  maschere  del  teatro 
italiano,  epecialmente  Arlecchino  e  Stenterello,  che 
rappreseotano  uotnini  goffi  non  privi  di  una  certa 
grossolaca  malizia,  spesao  fanno  ridere  cod  spropo- 
aiti  e  incongruenze  madornali.  "NeWe  aoticfae  comme- 
die  francesi  e  nei  vaudevilles  modemi  sono  diffuBis- 
Bimi  i  coq-a-l'-dne  e  altre  bizzarrie. 

II  tipo  detl' ignorante  che  vuol  parer  dotto,  in- 
gentilito  molto  e  trasportato  dal  popolo  nelle  classi 
elevate  6  il  marchese  Golombi,  il  quale,  comico  seni- 
pre,  6  comicissimo  quando,  acrivendo  sotto  detta- 
tura,  fa  di  una  satira  personale  un  pasticcio  incom- 


Dammi,  o  Husa  laeonica 
D'flllOr  frHSCB  robnata, 
Cingeme  il  crin  non  voglio, 
Vo'  farmene  ana  frusta 
Che  allettora  I'drecehio 
Perfiu  h  nubi  in  ciel. 
Frnstar  to'  us  certo  giovine 
Ttdtaca  madre  e  figlia, 
Onde  I'una  di  vincerla 
Snll'altra  ai  impuntiglia ; 
Gara  onde  ngaal  non  videsi 
La  l\tna  in  alto  mar. 
Ha  ta,  perfida  giovine, 
Sclmmia  al  niaggior  pianeta, 
II  quale  or  fai  con  Cerere 
Or  con  Diana  il  pioiaU, 
Pensa  a  Fetonte.  Reggflre 
Voile  i  CBvai  d'ApoIlioe, 
Ma  gik  il  carro  precipita, 
n  eaval  di  denari 
Sbuffa  la  stizza  indocile. 
Cade  fa  un  tonfo  e  maoT. 


LBTTBRAirBA   CBB   KON   HA   SBKSO. 

PiEPPROT,  se  reprenant.  '  Peladan!  ^  Pardon: 
snis  le  faraeux  Peladan  ». 

Le  souffledr.  "  Autour  de  mon  nom  brili« 
l^gende  illostre  „. 

PiEPFROY.  '  Autour  de  Mon  Nombril,  legend 
lostr^  „. 

Le  souffleub.  *  Par  cent  faita  „. 

PiEFFHOY.  "  Par  Sanfourche  ,.  Euh. 

Lettore,  sei  tu  mai  stato  a  scuola?  SI,  c 
perch^  a  nessuno  o  a  pochissimi  privilegiati  ^ 
di  raggiungere  I'ideale,  non  dico  di  rimanere  i 
rante,  ma  d'  istruirsi  privatamente.  E  allora,  i 
Bei  stato  a  scuola,  ti  ricorderai  che  ancbe  1&  ci 
i  suggeritori  e  che  anche  U,  o  per  malizia  di  q 
o  per  la  confuaione  che  diminuisce  il  Benso  dell'i 
in  chi  aspetta  il  suggerimento,  ai  sentono  degli  i 
positi  che  noo  stanno  nk  in  cielo  ab  in  terra,  c( 
guito  di  risate  dei  compagni,  ire,  prediche  e  ral 
del  professore :  tutte  cose  che  rompono  la  monoi 
dell'insegnamento  regolare. 

Nella  Bcuola,  vicino  alia  Ecienza  e  alia  let 
tura  fiorisce  con  gran  rigoglio  il  non  senao.  P 
ci  Bi  preeentano  le  eapressioni  usate  nei  com] 
menti  scolastici,  le  quali  spesso  raggiungono  la 
miUl  del  grotteaco.  Una  volta  il  Chiarini  nella 
menica  del  Fracassa,  mi  pare,  miae  insieme  un  race 
ecegliendo  il  fiore  delle  assurdita  da  diversi  coi 
nimenti  presentati  a  un  concorso,  e  ne  venne 
un  capolavoro  da  figurare  con  onore  accanto  ad  a 
di  quei  saggi  che  ho  citato  sopra.  Poi  vengor 
traduzioni,  specialmente  dal  latino  e  dal  grec 
quali  hanno  dato  occasione  a  tanti  scherzi  sap 
insipidi.  Come  esempio  di  tali  scherzi  cito  due 
sioni  dal  latino  in  italiano,  e  una  dall' Italian 


LETTBRATUBA  CHE   NON    HA   SEM80. 


59 


vagante  di  parole  pur  che  siano  pu5  venir  fuori  un 
concetto  chiaro  e  precise.  Per  mettere  in  canzona- 
tnra  Tinsulsaggine  di  molte  romanze,  dieci  articoli 
pieni  di  arguzie  sarebbero  meno  frizzanti  dei  versi 
di  Yorick  intitolati:  Parole  per  musica: 

Quando  talor  frattanto 
Forse  sebben  cosl, 
Giammai  piuttosto  alquanto 
Gome  perch^  bensl; 

Ecco  repente  altronde, 
Quasi  eziaDdio  perci6, 
Anzi  altresl  laonde, 
Partroppo  invan  per6, 

Ma,  86  perfin  mediante, 
Quantunque  attesoch^: 
Ah!  sempre,  nonostante, 
CoDciosiacosach^ ! 

Con  pill  finezza  e  con  intendimento  scherzoso  e 
non  satirico,  Paul  Ar&ne  scrisse  la  seguente  parodia 
delle  antitesi  tanto  care  a  Victor  Hugo: 

PANTH^ISME. 

C'est  le  Milieu,  le  Fin  et  le  Commencement 

Trois  et  pourtant  Z^ro,  N^ant  et  pourtant  Nombre, 

Obscur  puisqu'il  est  clair  et  clair  puisqu'il  est  sombre, 

C*est  lui  la  Certitude  et  lui  I'Effarement. 

II  nous  dit  Qui  toujours,  puis  toujours  nous  dement. 

Oh!  qui  d^voilera  quel  fil  de  Lune  et  d* Ombre 

Unit  la  fange  noire  et  le  bleu  firmament 

Et  tout  ce  qui  va  naitre  avec  tout  ce  qui  sombre? 

Neppure  questa  forma  di  scherzo  6  nuova,  e 
forse,  come  ho  accennato,  ad  essa  si  ricongiungono 
alcuni  sonetti  burchielleschi. 


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LSTTBBATURA  CHB  KON  HA  8SKS0.  61 

La  generosa  prole  de'  Tebani 

Non  umqaam  fait  tanto  diligente; 

Amor  succinctb,  animi  profani, 

In  ilium  statum  qaam  benignamente : 

Strofiam  qaoqoe  Caesari  cum  frangere: 

La  dolcezza  d'amar  mi  induce  a  piangere. 

Indipendente  dalla  Rabbia  di  Macone  e  forse 
puro  capriccio,  forse  benevola  parodia  della  facilita 
del  Passeroni  e  di  quel  suo  saltare  di  palo  in  frasca, 
sono  alcune  ottave  prive  di  significato  inserite  dal 
Baretti  nella  Frusta  letteraria: 

Nel  tempo  in  cui  le  bestie  ragionavano 
Senza  affettare  il  faveUar  toscano, 
£  i  franchi  paladini  guerreggiavano 
Sotto  il  govemo  del  re  Carlo  Mano, 
Volto  a  Porsena  e  a  quei  che  intomo  stavano, 
Nel  fuoco  ardendo  la  robusta  mano, 

Prornppe  Muzio  in  quella  gran  sentenza: 
Chi  ha  fatto  il  mal  fark  la  penitenza. 
Armida  intanto  in  alto  sonno  immerse 
Rinaldo  mira,  e  da  amor  vinta  e  doma, 
Una  catena  di  fieri  a  traverse 
Gli  cinge,  gliene  adorna  e  seno  e  chioma: 
Bianco  d  talun,  taluno  azzurro  e  perso, 
Qual  da  Narciso  e  qual  da  Aden  si  noma. 
Chiacchiere  che  i  poeti  soglion  dire 
Quando  hanno  qualche  ottava  da  finire. 

"NeW  Adramiteno  dragma  anfibio  per  ragione  di 
musica,  pubblicato  suUa  fine  del  secolo  scorso,  con 
questo  sistema,  son  messi  in  canzonatura  i  melo- 
drammi  metastasiani.  (^) 


(1)  Non  ho  potato  vedere  questo  drammA;  ne  tolgo  il  titolo  e  U  no- 
iisia  da  nn'artieolo«  LstUratura  tetua  mnao,  di  Amorieo  SearUtU  (Garlo 
Maseheretti),  pubblieato  nella  Rattegna  tUimanaU  univtrtale  del  19  geu- 
naio  1896.  In  qaell'artieolo  il  M.  •!  vale,  citandolo,  di  nn  mio  precedento 
•aggio  {Lett,  cA«  non  ha  sento  in  "  Pensiero  Italiano  ^  dieembre  1895)  e  ag- 
gitmge  aleone  sae  nuove  considerazioni. 


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LETtEBATCBA    OBB   HOB   HA   SIMSO.  63 

Anche  il  soverchio  spirito  critico,  che  fa  considerare 
gl'in&niti  aepetti  delle  cose  e  produce  1' indecisione, 
tanto  nei  giudizi,  quanto  nei  partiti  da  prendere,  k 
stato  burlato  con  ragionamenti,  in  cui  la  conclusione 
b  tutto  il  contrario  delle  premesse.  Una  vivace  stro- 
fetta  di  Edm.  About  pub  servire  di  esempio: 

Frsncisqae  en  fMsant  u  mone 

Dit:  Est-il  eage,  est-il  sot? 

II  fftit  froid,  maU  il  Tail  chand. 

Je  le  blAme  et  je  le  loue; 

Et  radmiuiatratioD 

A  tort,  bien  qa'elle  ait  raison.  (') 

Oggi  usano  ed  abusano  di  simili  parodie  i  gior- 
nali  Batirici  e  umoristici.  Se  ne  eono  valsi  e  se  ne 
valgono,  spesso  con  molto  spirito,  i  giornalisti  Yas- 
sallo,  Bertelli,  Faelli,  Rubichi,  Morini,  noti  a  tutti 
sotto  gli  pseudonimi  di  Qandolin,  Vamba,  Cimone, 
Ricbel,  Micco  Spadaro.  'Nb  manclier&  chi  si  ponga 
Bulle  orme  loro,  finchfe,  inesauribile  soggetto  di  cieca 
ammirazione  e  di  burle  gioconde,  ci  saranno  autori 
oscuri  0  insuisi  che  nascondono  il  proprio  pensiero, 
0  la  mancanza  dl  pensiero,  sotto  il  velame  di  frasi 
irapenetrabili,  finchfe  ci  saranno  pappagalli  che  ripe- 
tono  le  ultimo  parole  di  moda,  finch^  durerk  la  turba 
degli  scioccbi,  la  quale,  secondo  Messer  Francesco 
Petrarca,  6  infinita. 

Queste  parodie  e  queste  fantasie  capriccioae  vi- 
vono  il  tempo  della  generazione  che  le  ha  viste  na- 
scere,  poi  cadono  e  sono  dimeiiticate,  per  dar  luogo 
ad  altre  simili.  Ma  viene  il  tempo  che  sorge  I'uomo 
di  genio  il  quale,  soffiando  il  suo  spirito  nella  materia 

(1)  fuAvcitnv*  StBciT  Sskmh/pj  it  jiimMH.  Ptrit.  Paul  Ollendorf, 


LSTTaR^mitA  OBR  von  ba  bbhso. 
SO  io;  che  il  auo  libro  suona  tutto  a  quel  tenore.  V 
speso  sopra  gran  tempo,  perchfe  una  pretta  conti 
dizione  rimane  un  mistero  inestricabile  non  men 
savi  che  ai  pazzi.  Amico  mio,  ella  h  arte  antica  ed  i 
nuova.  In  ogni  tempo  Bi  b  costnmato  nel  mondo  Sf 
gere  Teirore  per  via  di  ire  e  una  e  di  uno  e  tre 

Queato  si  predica  imperturbabilmente,  di  qn( 
ai  cicala  eenza  fine.  E  cbi  vorrebbe  attaccarla 
matti?  L'uomo  quando  ode  parole,  si  ostina  a  < 
dere  cbe  coprano  qualche  intendimento  ,.  (*) 

Anzi  ci  si  oatina  tanto  che,  anche  awisato, 
an  certo  risolino  goffamente  furbo  e  almanacca, 
manacca,  finchd  trova  un  significato  dove  non  ce 
alcuno.  Per  queeta  specie  di  furberia  i  coDunentai 
3ono  riuBciti  a  tradurre  i)  verao  di  Dante: 

Rafel  ta&i  amec  zabi  ftlmij 
e  c'^  voluta  tutta  I'autorita  di  un  orientalista  e( 
il  ROdiger  per  persuaderne  qualcuno  a  contentars 
ci6  cbe  dice  Virgilio: 

Laaciamlo  aUre,  e  non  partiamo  a  voto; 
Che  cdb\  b  a  lui  ciascnn  linguaggio, 
Come  il  bdo  ad  altrui  che  a  nuHo  nota. 

Altri,  delirando  dietro  I'amicizia  che  ebbe  Ds 
con  Manoello  giudeo,  eeguitano  a  volere  spiegare 
I'ebraico  o  con  altre  lingue  il  parlar  di  Nemht 
Ah !  Manoello  pub  avere  insegnato  a  Dante  la  i 
nieradi  sbizzarrirsi  con  impasti  di  sillabe  a  capric 
egli  che  scriveva  in  questo  modo: 

Tatim  t«tim 
Tatim  tatim 
Tatim  tatim 
Senti  Btrombettaie. 

(1)  TndDilone  di  GiovUn  SotlTini. 


LKTTUUTCKL   CHB   ICON   BA   8EKS0. 

Balanf  balanf 
Balanf  balanf 
Balanf  balanf, 
Cdrai  triDgnig liars; 

gli  avri  mai  prestato  il  auo  ebraico  per  com- 
e  parole  che  non  dovevano  dir  nulla. 
Ma  i  pedanti  si  formano  un  concetto  tutto  par- 
are  delta  letteratura  e  dei  grand!  uomini.  Si 
ano  I'liomo  di  genio  sempre  rigido,  arcigno, 
I,  come  le  inimagini  di  bronzo  o  di  marmo  in- 
ite  in  sue  ooore;  non  intendonocfae  egli  e  grande 
into,  perche  6  piii  uomo  degli  altri,  perch^  ha 
passione,  piii  mobilita,  piii  attitudine  a  sentire 
riprodurre  tutte  le  forme  della  vita.  Non  am- 
ono  che  egli  posaa  scherzare  e  voglion  trovare 
quantita  di  sottintesi  e  di  sensi  profondi  dove 
ce  ne  sono,  e  dove  lo  scrittore  ha  dicbiarato 
sssamente  che  non  ce  ne  devono  essere. 
Nel  caso  nostro,  il  miglior  commento  a  quel 
0  dantesco  non  e  il  ricordarsi  di  avere  incon- 
)  qualche  originale  che  con  I'unione  di  sillabe 
)clite  fingeva  di  parlare  una  lingua  straniera? 
e  raminento  due.  II  ricordo  del  primo  k  coUe- 
alla  mia  giovinezza.  Mi  pare  ancora  di  vedere 
isseggiata  lungo  mare  a  LJvomo  nei  tramonti 
ate.  11  Boie  dardeggiava  gli  ultimi  raggi  d'oro 
le  tamerici  polverose,  tra  i  lecci  e  gli  oleandri, 
mmando  1  vetri  delle  case  e  dei  lampioni.  Dalle 
ture  dei  giardini,  tratto  tratto,  appariva  I'immen- 
azzurra  del  mare;  una  folia  festosa,  nimorosa 
eggiava  su  e  giu  per  il  viale,  e  gli  occbi  delle  gio- 
tte  facevano  balzare  improwisamente  11  cuore. 
iarrozze  correvano  come  in  gara  nella  strada 
la;  i  raggi  delle  mote  mandavano  luccicbii  e 


LKTIKBATUBA.   C 


lampi.  Poi  11  sole  gettava  il  suo  regale  manto 
pora  su  tutto;  e  I'aria  cosl  mite,  il  cielo  sei 
gioventU  mettevano  addosso  un  entusiasmo 
legria,  una  contentezza  di  vivere,  indicibili. 
allegria  un  mio  amico  la  manifestava  emettt 
profluvio  di  sillabe  unite  a  capriccio :  come  un 
mai  amec  zabi  almi  „  continuato  per  molto 
E  Bi  divertiva  immensamente  a  vedere  aim: 
ogni  persona  per  tutto  il  tratto  ove  si  distei 
raggio  della  sua  voce,  e  poi  si  compiaceva 
vinare  i  conmienti. —  E  turco?  6  arabo?  i>  n 
Nessuno  arrivava  a  capir  niente.  Sfido  io  a 
DOD  diceva  nulla. 

L'altro,  0  meglio  I'altra  originale,  6  uq: 
lana:  un  bel  tipo  di  ragazza  alta  e  Bottile, 
faccia  colorita  incomiciata  dai  capelli  biondi 
come  uno  di  quei  bocci  di  rose  che  paion  chiu 
borraccina :  ua  tipo  di  una  mobility  straordin 
chiesa  prega  con  intenso  fervore  e  i  suoi  oc< 
che  guardino  di  I^  dalle  cose  umane ;  in  me 
compagne,  il  suo  echerzo  favorite  k  quelle 
lare,  come  dice  lei,  in  tedesco  o  francese :  un 
e  un  francese  di  sua  esclueiva  invenzione. 

£  noto  clie  una  spiccata  propriety  di  cerl 
che  si  dedica  agli  studi,  ^  quella  di  non  curt 
di  sdegnare  la  vita,  e  di  ripetere  le  parole  ( 
II  pedante  Wagner  distoglieva  Faust  dal  mt 
col  popolo.  E  pure,  anche  dimenticando  la  vi 
commentatori  danteschi  perch^  non  hanno  ri 
i  tre  discorsi  di  Panurgo? 

"  Albarildim  gotfano  dechmin  brin  etc. 

'  Prust  frest  frinst  sorgdmand  strochdi  di 

(>)  FttHiagmtl,  Ub.  n,  np.  IX. 


LBTTBBITDBA   CBB   KOtf    HA   SSHBO.  69 

Ne  meno  grazioso  fu  lo  scherzo  del  cinquecen- 
tista  Mariano  Buonincontro  da  Palermo,  raccontato 
dal  Qiraldi  nel  Diseorso  dei  Romanzi. 

II  Buonincontro  compose,  con  le  frasi  piii  usate 
dai  petrarchisti,  alcuni  Bonetti  privi  di  senso  e  li 
maodb  a  cerear  foiluna  per  il  mondo.  Fra  quei  so- 
netti  uno,  che  pareva  Bcritto  in  morte  della  illustria- 
sima  duclieesa  di  Urbino,  diceva: 

I  pill  lievi  che  tigre  penaier  miei 
Scorgeoda  il  car  cbe  tra  due  petti  intero 
Tiene  un  pensier,  poi  che  gti  ingombrs  il  rero 
E  folle  error  fuggono  i  caei  rei. 

E  benchi  dagli  antichi  aemidei 
Biumata  fosse,  ovanque  ogai  altro  S  flero, 
Uonte  d'orgogli,  ohi  lasso!  io  gia  nan  spero 
Gioire  in  quel  desir  che  aver  vorrei. 

Onde  dal  crado  suon  stancata  I'alma 
Gennoglia  ia  me  I'ardir,  poicbd  a'aggbiaccia 
E  scalda  or  quinci,  or  quindi  il  caldo  gelo. 

Ed  ia  del  verde  fior  perdo  la  traccin; 
He  Tasconde  lo  adegno  in  picciol  velo 
Tolta  dai  tronchi  error  la  grave  satma. 

Benche,  cbi  tieo  la  palma 
Dagli  inganni  mortal,  brami  coo  forza 
Coudnr  aU'eiDpio  fin  Tamara  acorza. 

Un  letterato  seneae  ci  fece  sopra  un  commento 
diviso,  nientemeno,  in  quattro  libri.  Sopra  un  sonetto 
simile  si  esercitt)  un  altro  letterato  di  cui  il  Giraldi 
tace  il  nome  e  la  patria.  Questo  nuovo  commenta- 
tore,  forse  per  corapassione,  fu  avvertito  deila  burla, 
ma  egli  protest6  che  burla  non  poteva  esserci,  che 
i  versi  avevano  un  senso  profondo  e  che  egli  lo  aveva 
quasi   dichiarato.  E  facile  far  paasare    un   povero 


LnTKBATURA   OHB   aOH   HA 

todosso  e  che  dod  accresce  la  fiduc 
umana: 

Noi  guar^iftin  dairalto  il  du 
Sism  gueirieri  di  ventara, 
Ed  ognuno  i  perauaso 
Cb»  si  TJnce  0  perde  a  caso. 

Ma,  per  tornare  un  pasBo  indi 
considerando  che  cambiano  i  nomi 
e  che  I'arguzia  dipende  da  tante  ct 
della  voce,  I'espressione  della  face 
mento,  il  luogo,  le  allusion!  colte 
quali,  quel  che  faceva  ridere  diventt 
c'^,  dico,  cbi  trova  insulse  e  peggi 
e  il  giuoco  del  Sibillone. 

Distinguo.  Pinche  tutto  si  riduc 
e  a  un  passatempo  e  c'era  la  pers 
genere  di  svago,  la  cosa  non  era 
biamo  anche  noi  riso  a  crepapelle 
gendo  la  conferenza  di  Yorick  9ui  bo 
c'eran  degli  Accademici,  che  tratt: 
volezze  con  plumbea  gravita,  ci 
correttezza  e  osservanza  del  cerii 
plicavano  le  regole  dell6  cose  set 
gere;  allora  si  che  giuochi,  cical 
erano  cose  insulsissime.  Ma,  se  le  v 
sono  distrutte,  non  ci  facciamo  ill 
di  uomini,  che  trasfomia  ogni  cosa 
gustosa  e  seccante,   c'6  ancora.    J 


It  dll  iuge  Bridoys,  l»qi 


Aiutandomi  il  marchese  riuBcii  H  per  h  a 
darle:  ed  egli  fattosi  dare  ua  lapis,  sul  me; 
glio  rimaeto  biaoco  di  una  delle  lettere  che 
innanzi  a  s^,  le  scrisee  di  proprio  pugno.  E 
b  la  carta  che,  Bingolare  autografo,  tuttora  coi 

Le  strofe  eran  queste: 

Tu  dal  talamo  Damico 
BiscendeTJ  ai  rii  gemmati 
Nel  fnlgor  di  FederJco: 
Quando  i  prenci  collsgati 
Di  Boulogae  alia  vendetta 
lepiraroD  la  BBetta 
Che  sfmt'Elena  fori. 

Ta  le  ecizie  ispide  grotte 
Alia  storia  hai  [ion  sacra  to, 
Ma  t'atteudon  Montenotte 
Dego,  Rivoti  e  Lonato, 
Tu  pontefice  gagliardo 
CnopTi  I'arpa  e  accenni  il  bardo 
Spegni  gli  astri  e  aonunzi  il  d\\ 

Che  giuoco  del  Sibillone?  II  Goldoni  che  si 
d'esservisi  fatto  molto  onore  a  Pisa,  (')  pub 
a  riposo.  Nod  mai  credo  fu  adoperato  tanto 
di  ingegno  e  tanto  sfoggio  di  dottrina  per 
strare  la  profonditii  del  pensiero,  dove  pensiert 
n  D'Azeglio  dopo  un  '  zitto  lei ,  (burlesco  ar 
mento  a  me  ch'egli  sapeva  non  aver  nessun  de 
d'aprir  bocca)  illustrS  ad  uno  ad  uno  que'  vert 
ricordo,  e  me  ne  displace,  tutti  i  curioai,  argui 
menti,  80  che  il  talamo  era  nemico,  perche  vi  g 
una  figlia  dell'imperatore  d'Austria  che  i  rii  g 


(1)  n  Sibillona  nnn  >l  fuiavi  ■  FLb*.  ma 
Apittitl,  ni  fa  il  Qoldoni  clie  el  (see  onore,  (i 


LKITEK^TtinA.   0 


rano  i  fiumi  della  Pnissia,  gettatavi  da  Napoleone 
I  corona  del  re;  cfae  cuoprt  I'arpa  e  accenni  il  bardo 
ra,  non  so  piu  il  perch^,  un'alluaione  al  Mack  e  alls 
Eittaglia  di  Ulm,  che  spegni  gli  aatri  e  annunzi  U  Ji 
gnificava  che  con  Napoleone  si  chiudeva  un'^ra  e 
e  cominciava  un'altra  piii  fausta.  Tutto  ci6,  s'in- 
tnde,  dimostrato,  senza  ridere,  e  a  furia  di  ragio- 
amenti  e  di  storia.  E  il  dottore  interrompeva;  '  Ah! 
a  bene!  ah!  sicuro!  ah!  chiaro,  chiarissimo !  , — 

Ma  c%  UD  commento  di  un  cervello  stravagante 
)pra  i  sonetti  piii  stravaganti  che  sieno  mai  stati 
;ritti :  il  commento  del  Doni  ai  sonetti  del  Burchiello. 

Doni  prende  non  come  testo,  ma  come  pretesto,  i 
ersi  del  Burchiello  e  ci  si  sfoga  con  tutte  le  do- 
elle,  fantasie  e  ghiribizzi  che  gli  ronzavano  nella 
»ta  balzana.  E  spesso  gareggia  di  stranezze  col 
urchiello,  s'l  che  il  commento  d  proprio  quelle  che 

meritaoo  i  versi.  Nel  passo  che  citerd  poeta  e 
)mmentatore  parlano  ognuno  per  conto  auo,  e  si 
ovano  pienamente  d'accordo  nel  non  dir  nulla. 

'  Perchi  Febo  gjti  voile  sotteirare  ,. 

'  0  alto  sonetto,  gran  principio  dal  sole  alia  terra, 
uesto  6  un  Sonetto  pieno  di  Filosofia,  e  prima  vi 
lostra  I'esscr  ideale  concatenato  con  la  parte  della 
ualita,  onde  lo  sprone,  atto  mat«riale,  concede  la 
lea  del  potere,  in  effetto  di  luce:  conciossiach^  la 
gperienzia  dell'Ente,  secondo  il  Filoaofo,  accende  nel 
uro,  la  cavillazione  del  fine,  la  quale  intanto  splende 
ella  prima  terminazione,  che  diventa  giuridico.  Ecco 
punto  quelle  che  da  11  Cordubese  fu  notato  in  quan- 
itat«m  sperarum  celestibua  argumentis  inexpectata 
witate  negligentia,  forma  adunque  nelle  stelle  trion- 
mti  le  vanvare:  cioe  diffinire  il  dubbio;  sine  qua 


LBTTBBATUKA    CHE    VOV    HA   BBKSO. 

reor  esse  nihil  officitur  inanis  effettualitei 
do,  implicite  quiditate  sustantiali.  Non  fi 
tal  caso  perpetuato  nella  principal  novita,  i 
di  effetti  concatenatevi  in  certo  caso;  ma 
insino  al  paesar  del  Danubio ;  e  cosi  si  vien 
rire  tutta  I'intenzione  del  Burchiello  con  que 
parole  e  dicliiarare  con  I'ignoto  il  noto,  e  i 
gnoto  con  il  noto,  e  ignorare,  notamente,  i 
notato,  onde  giungendo  a  riva  pensiate  c 
una  cosa  e  B&rk  un'altra  „. 

Pure  quest!  uomini  capricciosi  e  genia 
vogliono,  vedono  chiaramente  le  coae  e  d 
disinvoltura  e  semplicita  quello  che  i  gra' 
arrivano  a  dimostrare  con  molto  lussb  di 
tazioni,  di  date  e  di  raffronti.  II  giudizio 
ancora  oggi  sui  sonetti  del  Burchiello  ^  qi 
dal  Doni,  cio6  il  seguente: 

"  Prima  voi  avete  a  sapere  che  i  Sonel 
stro  Poeta  sono  di  cinque  cotte.  I  primi  soi 
mordere  apertamente,  e  quest!  s'intendono. 
sono  scritti  a  riquisizion  di  questo  e  quell'a 
che  lo  richiedeva,  e  ancora  questi  sono  asi 
I  terzi,  poi  per  dir  male,  che  non  intend 
che  colore  a  cui  erano  scritti,  e  questi  6  ii 
saperne  I'intero.  La  quarta  infornata  scrit 
chiello  di  quelle  faccende  che  gli  accade 
giomata  e  sono  mezzi  chiari  e  mezzi  tori 
tima  cotta  (accioech^  i  pensieri  nostri,  po< 
e  sempre  curiosi  d'intendere  avessin  che  s 
furon  tanti  fantastichi,  ch'io  credo  che  lui 
non  sapesse  quel  cbe  si  volesse  dire  ,.(') 

(>|  -Blma  d>l  Dm-cblsllo  QoHntinocomoMnUta  d*l  Doi 
qaeE  che  poteva  gJl  affsnder*  il  leUora.  In  VIeanis.  15»1,  pi 


LBTTBBATDBA  CHE  HON  HA  BBirao. 


XIV. 

Prima  di  conchiudere  le  mie  osservazioni  con 
la  veduta  generate,  bisogna  che  dica  di  un  fine 
a&pettato  a  cui  sono  state  rivolte  le  parole. 

Alcuni  scrittori,  specialraente  poeti  (perche  pic- 
>^bus  atque  poetis,  con  quel  che  Begue),  ei  occupano 
•We  loro  opere  non  tanto  di  esprimere  sentimenti 
pensieri,  quanto  di  ottenere  con  la  combinazione 
arnica  delle  sillabe  un'armonia  prestabilita,  che  di 
r  86  deve  riavegliare  idee  vaghe,  sensazioni  inde- 
rminate. 

Caposcuola  di  questi  modernissimi  poeti,  in  Fran- 
i,  fu  dicbiarato  Paul  Verlaine.(*)  Perb  il  piii  remoto 
diretto  capostipite  di  tutte  queete  scuole  pub  dirai 
iofilo  Gaiithier.  II  quale  volendo  fare,  come  egli 
jse,  una  traspostzione  d'arte,  e  mirando  principal- 
?nte  con  la  parola  a  ottenere  efifetti  pittorici  e  pla- 
ci,  dette  origins  a  tutte  le  successive  trasposizioni. 
paniassiani  esagerarono  1' importanza  del  ritmo, 
lla  forma  elegante  e  della  rima  ricca,  giungendo. 


coni. 

" 

«p,. 

\et\a  il»l 

I'ediloM,  «> 

noi  p.»i 

)VpB 

veM 

,""1 

|>*i'  di  ontiKl  U  ttile 

d.l  Doal 

d.gU 
Fr».ic 

lit: 

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Ho    piUD,  II    « 

L.  .pi<«. 
ba  grmdl 

0  il  migli 

or  P 

o*U  t«ll 

icen  d«1  ooaU 

roUopo; 

.UOl  Tf« 

>U(  op*™ 

1.   Clii 

po> 

legg.  le  poi 

»<.  dl  qoMto 

■uatto  di 

flSDl 

]i>tlM  tutM  proprli,  Don 

I'eloqiisii 

ti\. 

""  i 

Jei  po6ll 

primiliti.  qn»l 

cbt  Tolm 

IBTTBRATVRA   OHE   VON   HA    eBMaO.  77 

come  abbiamo  visto  in  Catulle  Mend^,  a  scrivere 
poeeie  tutte  di  nomi  propri.  In  queste  ancora,  un  sen- 
timento,  una  deBcrizione  per  quanto  teniii,  servivano 
a  tenere  unite  le  diverse  parti,  e  il  suono  non  sban- 
diva  ancora  interamente.  I'idea.  Erano  splendidi  edi- 
fici  inutili,  deatinati  eolo  ad  appagare  I'occhio  con 
la  bellezza  delle  linee,  erano  musiche  non  volte  a 
scuotere  come  fanfare  di  guerra  o  a  commuovere 
come  inni  religiosi,  destinate  boIo  a  cullare  delizio- 
Bamente,  ma  da  cui  traspariva  un  concetto  infor- 
niatore. 

Altri  poi,  come  il  Gill  che  dichiara  s6  stesso 
strumentista,  considerarono  solo  la  parte  mueicale  e 
sonora  del  vocabolo,  non  curando  piii  il  sense,  Nella 
poesia  indiscutibilmcnte  il  euono  ha  una  grande  im- 
portanza,  ma  come  accompagnamento  dell'idea.  Le 
allitterazioni,  le  armonie  imitative,  le  armonie  pit- 
trici  devono  servire  a  esprimere  il  concetto  in  tutta 
la  sua  forza  nativa,  ma  devono  contenere  un  con- 
cetto, una  sensazione.  Quando  queste  allitterazioni, 
ripetizioni  di  suono,  non  vanno  d'accordo  con  I'idea, 
si  ha  il  bisticcio,  quando  sopprimono  assolutamente 


0  In  puilii.  Aleu 
non  di  rido.  (in  i 
fucaodo  sfuggiD  < 


demi,  a  inflO' 

•  ear 

la  fiintHlB  blium 

"harii  po^oi 

,  Uo, 

niigliiLra  «1  mipriecL 
dieci  loludiiegu 

DUioaro  d>  lin. 

iiiu  uUigoaoB,  .u  di  1 

ea,  eha  *' Incroainno,  s)  c 

rtpptssanl*™ 

aha  agnn. 

Ca  Wat  pna  P 
Hon  plilB  que  Pi 
C'aat  Pierrot.  Pi< 
Pierrot  i^niln.  I 
I,a  aanoD  hen  i 
Celt  Pierrot,  Pi 

n  Vatli 

■<i.a  a 

.queelluprlaeidiv 

i^ 


che  lasci  un  dubbio  al  pensiero,  sia  che  dopo  I'estasi 
momentanea  venga  riconosciuta  per  un'illusione,  (') 
d«Te  eBsere  veramente  sentita  e  il  verso  deve  co- 
municare  agli  altri  quel  fremito  di  terrore  o  di  gioia 
che  d&  la  rivelazione  del  mietero.  A  chi  poi  vuol 
simulare  le  voci  arcane  con  un  affaetellare  sconnesso 
di  suoni,  e  unmagina  simboli  di  cui  egli  steeso  non  sa- 
prebbe  spiegare  il  significato,  a  chi  insomma  nasconde 
la  mancanza  di  sentimento  e  di  senso  con  la  teoria 
deU'oscuritJl,  bisogna  ricordare  le  parole  di  Dante: 
'  grande  vergogna  sarebbe  a  colui  che  rimasse  cosa 
sotto  veste  di  Sgura  e  di  colore  rettorico,  e  poi  do- 
mandato  non  sapesse  dinndare  le  sue  parole  di  tal 
veeta,  in  guiea  che  recassero  intendimento.  E  questo 
mio  primo  amico  ed  io  ne  sapemo  bene  di  quelli  che 
rimano  cob\  stoltamente  ,.(*) 

La  differenza,  tra  quelli  che  rimavano  sotto  veste 
di  figura  e  i  decadenti,  i  miBtici,  i  simbolisti,  ^  che 
i  primi  si  davano  I'aria  d'intendere  tutto  cii)  che 
9Crivevano,  i  second!  invece  amraettono  che  alcuni 
1  n  abbianoun  significato  indecisoe  fluttuante, 

lono  vi  sopraffaccia  I'  idea  e  credono  che  la 
'.  incertezza  sia  elemento  essenziale  di  poesia. 

primo  USD  si  riicontn  nslls  atl  primltiTe  in  eui  I  •imboli  dl- 

dare  uempio  qiulgha  parts  oiiglnnliailms  dallii  poetln  leopir- 
clilni«it«  II  grido  doloTMD^ 

Viii,  tu  TiTl.  O  lUltl 
Natnrm? 


83  LITTIBATVBA  OBB   HON    B^   BENSO. 

D  simbolismo,  secoDdo  il  Doumic,  6  il  contrario 
dell'allegoria :  quello  anima  1' iDanimato,  scopre  il 
contenuto  ideale  sotto  I'inTolucro  materiale,  questa 
riveste  faticosamente  d' immagini  concrete  un'idea 
astratta.  II  simbolismo  k  proprio  delle  etA  primitive, 
I'allegoria  di  quelle  mancanti  di  sentimento  poetico. 
Ci6  non  ostaate  la  Dtvina  Cmnmedia  6  opera  int«- 
ramente  allegorica. 

E  anche  neH'allegoria,  come  nel  linguaggio  co- 
mime  c'b  il  non  senso,  quando  dalle  invenzioni  com- 
poste  seoza  un  piano  stabilito,  si  vuol  trarre  un 
Bignificato  recondito. 

Di  questi  nan  sensi  6  piena  tutta  la  letteratura 
italiana  dalla  line  del  cinquecento  a  tutto  il  eeicento ; 
nel  qual  tempo  quasi  in  ogni  opera  d'arte  si  atam- 
pavano  da  un  lato  le  allegorie,  dall'altro  le  dichia- 
razioni  che  le  parole:  fato,  nume,  e  le  divinitft  mi- 
tologicbe  erano  adoperate  come  finzioni  poetiche  a 
cui  I'autore  cristiano  non  credeva.  E  coei  le  opere 
d'arte  avevano  due  eplendide  quality :  volevan  far 
credere  di  contenere  eignificati  che  non  avevano  e 
non  volevan  far  credere  a  quello  che  esprimevano. 
Che  chiarezza  di  concetto,  che  eempticita  di  mezzi, 
che  sincerita  di  sentimento! 

Dopo  la  prima  confusione  i  lettori  si  accorsero 
U'inganno,  e  11  padre  Daniello  Bartoli,  che  pure 
veva  grosso,  a  giudicarlo  dalle  sue  storie,  neWHuo- 
>  di  Lettere  grida:  *  Ma  oggi  non  si  6  privo  di 
nso  il  mondo,  che  non  sappia,  che  certe  allegorie 
e  altri  (aua  mercfe)  attacca  a  queste  poesie  (alle- 
rie  che  quantunque  si  stirino  non  arrivan  perb  a 
prire  le  vergogne  che  in  esse  si  leggono)  non  fti- 
no  il  disegno  su  cui  si  lavorft  il  poema;  si  trovaron 
po,  fuor  d'ogni  pensiero  dell'autore,  chimere  non 


LETTERATURA  OHB  NON  HA.  SENSO.  83 

allegorie,  e  sforzi  inutili  di  chi  vuol  mutare  le  libi- 
dini  in  misteri  „,  O 

Sbaglierb,  ma  mi  pare  che  del  simbolismo  pre- 
sente  possa  dirsi  lo  stesso.  Certo  alcuni  simbolisti 
hanno  maggior  raffinatezza  dei  grossolani  seicentisti, 
ma  li  somigliano  in  moltissime  cose,  fino  nel  mutare 
le  libidini  in  misteri. 

Eppure  airartifizio  puerile  deirallegoria  sovrap- 
posta  a  un'opera  d'arte  siamo  debitori  dell*  integrita 
della  Gerusalemme  Liberata;  come  la  salvazione  di 
Firenze  si  deve  a  questo  bel  discorso  di  Farinata 
degli  Uberti: 

Com'asino  sape 

Si  ya  capra  zoppa; 

Cosi  minazza  rape, 

Se  '1  lupo  non  la  'ntoppa.  (*) 

E  indiscutibile:  I'uomo  b  un  animale  ragione- 
vole! 


XV. 


Gi  siamo  allontanati  un  po'  dai  decadenti  e  dai 
simbolisti.  Bisogna  tornarci,  non  per  dire  cose  nuove, 
ma  per  conchiudere  questa  lunga  scorreria  attraverso 
i  capricci  della  parola. 

Un'opera  che  fece  molto  chiasso  anni  addietro : 
Degenerazione  (')  di  Max  Nordau,  si  aggira  principal- 


(1)  D.  Babtolt,  L'uomo  di  letteve.  Firenze,  1645,  pag.  82. 

(2)  Vero  h  cbe  a  quest!  due  grosni  proverbi  co8\  stranamente  ritMttiti 
in  uno,  aggionse  egli  poi  eavie  parole,  e  soprattutto  protestb  che,  "  s'altxi 
eh'egli  non  fosse,  mentre  ch'egli  avesse  vita  in  oorpo,  oolla  spada  in  mano 
la  difenderebbe  ,. 

(3)  Hibx  KoBDAU,  Degeneraehtte.  Torino,  Fratelli  Bocca,  1896. 


J 


84  LETTBBATURA  CHB  NOK  HA  SBNBO. 

mente  sopra  le  esagerazioni  e  le  stranezze  delle  ul- 
time  scuole  letterarie  di  Francia.  II  Nordau,  studiando 
I'arte  moderna,  vuol  dimostrare  che,  per  la  massima 
parte,  essa  ^  un  sintomo  di  degenerazione  da  aggiun- 
gersi  ai  molti  indicanti 

che  il  mondo  invecchia  ed  invecchiando  peggiora. 

II  Nordau  combatte  come  nemico  principale  il 
misticismo.  Per  lui  questo  vocabolo  indiea  *  uno 
state  di  mente  in  cui  si  crede  di  awertire  e  di  pre- 
sentire  relazioni  ignote  ed  inesplicabili  tra  i  feno- 
meni,  in  cui  si  riconosce  nelle  cose  un  accenno  a 
misteri  considerati  come  simboli,  mediante  i  quali 
una  forza  occulta  cerca  di  scoprire  o  di  accennare 
miracoli  di  ogni  specie,  ad  indovinare  i  quali  ci  si 
afifatica  invano  „.  (*)  Cosicchd  vengono  compresi  tra 
i  mistici  Tolstoi,  Nietsche,  Maeterlinck,  Ruskin,  Ver- 
laine,  in  una  gran  ridda  di  degenerati  e  di  rimbe- 
cilliti  che  cicalano  ubriacandosi  di  parole  senza 
nesso.  La  cosa  fa  impressione.  Ma  quando  il  Nordau 
dice  del  degenerate:  *  se  egli  scrive  versi,  non  svol- 
gerk  mai  una  serie  logica  di  pensieri,  ma  cerchera 
di  descrivere  un'emozione,  una  sensazione  servendosi 
di  parole  oscure  di  una  data  tinta  emozionale  „  {*) 
e  quando  afiferma  che  "  il  valore  del  vocabolo  b  de- 
terminate dal  sense  non  dal  suono.  Questo  non  h 
nh  bello  nfe  brutto  „ ;  (')  mostra  con  quanto  poca  co- 
gnizione  si  h  messo  a  parlare  di  letteratura.  Chi  non 
sa  che  uno  degli  elementi  principali  della  poesia, 
quelle  che  ne  rende  cos\  difficile  la  traduzione  da 


(1)  Max  Noedau,  Degeneraeione,  pRg.  56-57. 
(>)  Op.  oit.,  pag.  134. 
(>)  op.  cit,  pag.  154. 


1 


LBTTBBATUBA   CHE   NON   HA   8BNS0.  85 

una  lingua  all'altra,  b  11  ritmo?  E  il  ritmo  da  che 
cosa  &  dato,  se  non  dalla  sapiente  scelta  dei  voca- 
boli?  Inoltre,  la  poesia  si  potrk  chiamare,  se  si  vuole, 
arte  primitiva,  inferiore  alia  prosa,  ma,  finchfe  vive, 
dovra  esprimere  e  risvegliare  sensazioni  e  conuno- 
zioni,  non  dimostrare  teoremi.  La  confutazione  del 
libro  del  Nordau  ormai  sarebbe  inutile,  non  sarebbe 
che  una  cattiva  ripetizione  di  tutto  quelle  che  ^ 
state  gik  detto  benissimo  da  molti.  To  per5  sono  at- 
tratto  dal  vedere  come  certe  idee  cambiando  aspetto 
ritomano  periodicamente,  e  con  quanta  sicurezza 
chi  ignora  la  storia  le  dk  per  nuove. 

Uno  dei  sintomi  di  degenerazione  ^,  secondo  il 
Nordau,  la  stranezza  delle  mode  che  si  succedono  e 
s' intrecciano  ai  giorni  nostri.  I  lamenti  e  le  satire 
contro  gli  inconvenienti,  i  danni,  il  ridicolo  delle 
mode  in  tutti  i  tempi,  in  tutti  i  luoghi  sono  uguali, 
incessanti,  infiniti.  Da  noi  si  comincia  con  TAlighieri, 
e  poi  giu  giu,  il  Sacchetti,  il  Marini,  il  Parini,  il 
Gozzi,  il  Leopardi  se  la  prendono  con  le  mode  usate 
al  tempo  lore.  (*)  E  i  lamenti  sono  uguali  cosi  quando 


(*)  In  ogni  CRSo,  non  siamo  arrivati  nlle  stranezze  e  al  pervertiniento 
del  aeeolo  paaaato.  Chi  immaginerebbe  ohe  uel  lindo,  profuniato,  elegantis- 
aimo  aettaeento  foaae  introdotta  un'usanza  rieordata  dal  Bondi  nella  Modaf 

D'uflSoio  varii  e  di  flgura  ban  loco 
Qui  pur  gli  eburnei  peltini;  ed  a  cui 
Raro  h  Tordin  dei  denti,  a  cui  piii  denao. 
Quei  son  d'uso  maggior,  quest!  sol  atti, 
Ma  ben  di  rado,  a  ripulir.  la  cbioma 
Dal  crasao  umor,  dalla  soyercbia  poire, 
E  dai  furtivi  abitatori  insetii, 
Che  di  teste  volgari  ospiti  an  tempo 
In  pib  nobile  crin  sicuro  all>ergo 
OUengon  oggi  per  tuo  mezzo,  o  Dea,  (La  Moda) 
Inqoietato  inran  dall'aurea  apada 
Gbe  per  tno  dono  nolle  ehiome  immersa 
Giaoe  a  difesa  del  prurito  eterno. 

(Potmetti  «  Bim4  varie  di  CI.  B.  Venezia,  1790,  p.  92-93). 


86  LBTTERATUBA  OHB  HON  HA  8EK80. 

un  popolo  ^  in  fiore,  come  quando  h  in  decadenza. 
Si  potrk  convenire  che  i  cappelloni  alia  Rubens,  i 
colletti  altissimi,  le  zazzere  spioventi,  i  baffi  tirati 
in  6U  siano  indizio  di  leggerezza,  ma  di  una  leggerezza 
▼ecchia  quanto  il  mondo.  Non  perci5  il  mondo  ruz- 
zolerk  verso  la  fine.  Povera  umanita!  Se  veramente 
fosse  andata  decadendo  da  quando  Omero  faceva  gU 
eroi  della  guerra  troiana  dieci  volte  piii  forti  degli 
uomini  del  suo  tempo,  o  se  fosse  tanto  peggiorata 
da  che  Orazio  scriveva: 

Aetas  parentnm  pejor  avis  talit 
nos  neqoiores,  mox  daturos 
progeniem  vitiosiorem, 

o  anche  da  quando  il  Berni,  facendo  sua  V  idea,  tra- 
duceva: 

L'etk  dei  padri  che  peggiore  ^  stata 
Degli  avi  nostri,  ha  generato  noi 
Di  lor  gente  piti  trista  e  scellerata: 
Cosl  quei  che  verran  dope  di  noi 
Saran  turba  perversa  e  snaturata; 

a  che  saremmo  ridotti  ?  II  piii  delle  volte  questi  la- 
menti  sono  ingiustificati.  Ne  volete  un  esempio?  II 
Giusti  scriveva: 

Mezzi  siam  frolli,  frollera  il  future 
Quella  parte  di  noi  che  resta  illesa; 

e  il  future  dette  il  '48  e  il  '49,  le  cinque  giomate  di 
Milano,  Curtatone  e  Montanara,  la  battaglia  di  Goito, 
la  presa  di  Peschiera,  le  difese  di  Venezia  e  di  Roma. 
Per  gente  frolla  non  ci  fu  male. 

La  bizzarria  delle  mode  6  assai  vecchia,  il  mi- 
sticismo  che  dovrebbe  essere  sintomo  di  degene- 
razione  b  poi,  per  confessione  stessa  del  Nordau,  lo 
state  naturale  dell'umanita.  **  II  misticismo  fe  lo  stato 


•  ; 


LBTTBRATUBA  OHE  KON  HA  8BN80.  87 

ordinario  deiruomo  e  non  gia  una  costituzione  straor- 
dinaria  del  suo  spirito  „.C) 

Percib  il  Nordau,  positivista  e  scienziato,  invece 
di  prendere  gli  uomini  come  sono,  mette  come  tipo 
deH'umanitk  un  essere  ideale,  astratto,  che  non  sia 
n5  insensibile,  n^  troppo  sensibile,  n^  egoista,  n^ 
umanitario,  un  tipo 

che  par  muover  le  braccia  e  i  piedi  a  sesta 
per  forza  di  ingegnosa  architettara. 

Fatto  questo,  in  arte,  condanna  come  malsana 
ogni  opera  in  cui  si  trovi  qualche  cosa  che  contrasti 
a  questo  suo  tipo  di  uomo  normale.  Ma  d'altro  lato 
riconoscendo  (bontk  sua)  un  talento  letterario  a 
Tolstoi  e  a  Zola,  riconoscendo  che  alcune  poesie  di 
Verlaine,  il  pib  chiaramente  matto  di  tutti  gli  autori 
citati,  hanno  un  fascino  delizioso,  (")  il  Nordau  viene 
involontariamente  a  riconoscere  che  anche  con  uno 
squilibrio  mentale  si  possono  fare  opere  d'arte  insi- 
gni ;  e  cosl  mentre  parrebbe  allontanarsene,  ritorna 
alle  idee  del  Lombroso.  II  quale,  ormai  tutti  lo  sanno, 
trova  un'affinitk  tra  il  genio  e  la  pazzia,  ponendo 
come  base  comune  Tepilessia.  Egli  ha  portato  il  me- 
todo  e  I'osservazione  scientifica  sopra  un'idea  che 
vagamente  e  confusamente  si  agitava  nella  coscienza 
popolare,  espressa  nei  proverbi,  e  da  alcuni  scrittori. 
Anche  le  teorie  del  Lombroso  hanno  avuto  ed  hanno 
oppositori,  ai  quali  Tillustre  psichiatra  ha  oflferto 
spesso  il  fianco.  Invasato  della  sua  idea,  per  la  fretta, 
non  ha  sempre  esaminato  Tattendibilitk  delle  fonti 


(»)  Op.  cit.,  psg.  79. 

(S)  "  Fra  le  perle  della  poesia  francese  si  possono  eonsiderare  altresl 
le  poeaie  Avant  qu4  tu  t'en  aille  e  II  pleure  dnta  mon  eo«ur  „.  Op.  cit., 
pag.  142. 


88  LETTBBATUBA  CHE  NON  HA  8RN80. 

• 

da  cui  attingeva  le  notizie,  ed  h  incorso  in  molti  er- 
rori  particolari.  Ma  i  letterati  hanno  corso  troppo, 
quando  per  gli  errori  particolari,  sian  pur  numerosi, 
hanno  conchiuso  che  ^  errata  la  teoria  generale. 
Finchfe  gli  spiritualisti  contrastavano  questo  genere 
di  studi,  si  capiva,  ma  il  fatto  che  persone  spregiu- 
dicate,  a  priori,  O  si  oppongono  a  queste  indagini 
riuscirebbe  incomprensibile,  se  il  misoneismo  non 
fosse  ben  radicato  nella  natura  umana  e  se  ruomo 
non  fosse  un  complesso  di  contradizioni. 

Conchiudo.  Non  b  il  case  di  far  profezie  circa 
il  crepuscolo  dei  popoli  o  di  un  popolo,  per  alcune 
bizzarrie,  che,  sotto  aspetti  diflferenti,  ci  sono  sempre 
state,  e,  altre  volte,  piii  di  ora:0  non  credo  si  debba 
dire  assurdo  un  indirizzo  di  studi  per  alcuni  errori 
particolari. 

Piuttosto  diciamo  assurdi  e  inutili  tutti  gli  studi. 
Perchfe  no?  San  Basilio  dice  inutili  gli  studi  scien- 
tifici:  "  Che  mi  importa  sapere  se  la  terra  sia  una 
sfera  o  una  superficie  concava?  Questo  mi  importa 
sapere,  come  io  debba  condurmi  meco  stesso,  con  gli 
uomini  e  con  Dio  „.  Galileo,  quelli  che  si  riferiscono 
ad  azioni  umane :  *  Se  questo  di  che  si  disputa  fosse 


0)  Per  esempio.  il  Valbert  e  il  Doumio  in  Francia.  Fra  i  critic!  ita- 
liani  ce  ne  sono  molti  e  lllustd  cbe  sono  conU-ari  al  Lombroso;  fra  i  piii 
giovani  Tavv.  V.  Morello  e  Ugo  Ojetti  hanno  espresso,  sulIa  teoria  del  Lom- 
broso, le  opinioni  cbe  mi  paiono  piii  ragionevoli  e  cbe,  pereib,  bo  riportato 
in  questo  scritto.  Le  Nott  autohiografieh^  del  Guerrazai,  pubblieate  da  poeo. 
dovrebbero  aver  fatto  momentaneamente  perdere  ie  staffs  a  que!  botoletti 
che  ringhiano  qnando  sentono  parlare  di  pazzia,  di  epilessia,  di  anormalitk 
del  genlo.  Come  se  essi.  —  dice  argutamente  il  Lombroso  —  aveesero  che 
fare  col  genio.  No;  essi  sono  savi;  piccoli  disoendenti  deiruomo  tavio  del 
Guicciardini. 

{})  L*idea  che  TumaniU  debba  estinguersi  presto,  o  per  cause  flsi cbe 
(incontri  di  ooniete,  diluvii,  terremoti),  o  per  i  vitii  che  la  rovinino.  o  per 
rira  di  Dio  provocata  dai  peccati,  h  vecchissima.  Gerto  vi  nono  tempi  felici 
e  infelici.  Nel  Cinquecento,  cbe  fu  oosi  agitato  e  riceo  di  aTvenimenti,  Luigi 


^^ 


LBTTEBATURA   C 


qualcbe  punto  di  legge,  o  di  altri  studi  -umani  nei 
quali  noD  4  n^  veritk  n^  falsity,  si  potrebbe  confi- 
dare  assai  nella  sottigliezza  dell'ingegno  o  nella 
prontezza  del  dire  e  nella  maggior  pratica  degli 
scrittori  e  sperare  che  quello,  che  eccedesse  in  queste 
cose,  fosse  per  far  apparire  e  giudicare  la  ragion  sua 
superiore;  ma  nelle  scienze  naturali,  le  coDcIuaioni 
delle  quali  son  vere  e  necessarie,  n6  vi  ha  che  far 
nulla  I'arbitrio  umano,  bisogna  guardarsi  di  non  si 
porre  alia  difesa  del  falso,  perch^  mille  Demosteni 
e  mille  Aristoteli  resterebbero  a  piede  contro  ad  ogni 
mediocre  che  abbia  avuto  ventura  di  apprendersi  al 
vero  ,. 

Ma  San  Basilio  era  uomo  del  medio  evo,  ma 
Galileo  non  aveva  preveduto  che  il  metodo  da  lui 
instaurato  nello  studio  delle  scienze  fisiche  passasse 
a  quelle  morali.  Ah !  si !  E  cbe  cosa  significano  que- 
ste accuse  di  fallimento  che  ei  lanciano  ancora  po- 
sitivisti  e  apiritualisti  ?  Bancarotta  della  religione, 
gridano  gli  uni;  bancarotta  della  scienza,  rispondono 
gli  altri.  E  iramezzo  agli  urli  degli  uni  e  degti  altri, 
si  sente  ancora  la  voce  di  Messer  Antonio  da  Ve- 


it  Pnrtv  tplvgiivik  1*  Tkandi  dall*  umans  a- 
Miilprs  <a  ho  ndilo  dlra.  eta*  In  pioe  fn  r< 

::',;:r"'^«: 

aiu  ra  auparbla. 

U  gaperbit  f>  i»;  U  in  f>  guarra;  U  guar 
Ditl:  lanmiinilli  a  p>i:«;  e  U  p>e«,  earns 
I«  cow  d>l  moiido  ..  lUirtrm  ilficli:  Fin 

r.  fa  p^arll.,  1, 
diaii,  fa  riufaei: 

pDverti  (.  uma 
■.  18^7,  p.  28).  I 

11  MMtil>T«lli  MHigTm:  *  E  panluido  io  < 

i»m.  quaate  eoa. 

>  prooedino,  glu 

di(o  il  mondo  Huprs  ■■»»  atato  »d  vn 
urs  unto  di  buono  qniiito  di  trisla,  ma  ra 

nitdasimo  modo 
riiira  qiioalD  tint 

ad  in  qutato  aa 

di  proTlncIa  in  proilDciii  conie  al  Teda  j 

par  quallo  ai  lia 

n"u.ll  dl  ,B.1I 

regni  intielil  eho  vai  lanano  dall'uno  ill'aU 

ro  per  la  •ariazi 

iona  dai  CDatumi 

uia  il  monds  raaUvi  quel  Disdaaimo  ,. 

re  ebe  il  Nordai 

ldo«,fr-'-'-- 
1  ibbii  1 

90  LETTEBATUBA   CHB  NON   HA   SfilfSO. 

nafro:  **  Metti  sei  o  otto  savi  insieme,  e  diventano 
tanti  pazzi  „,  Bastano  anche  meno  di  sei.  E  se  si 
pensa  che  gli  argomenti  delle  discussioni  orali  pas- 
sano  nolle  opere  scritte,  si  vedrJt  che  proporzioni 
prende  la  letteratura  che  non  ha  senso. 

Lasciamo  questi  ragionamenti  che  posson  parere 
paradossali,  e  non  sono,  e  riepiloghiamo  brevemente 
quanto  abbiamo  esposto.  Abbiamo  veduto  che  la  com- 
piacenza  di  ripetere  certi  suoni  e  il  credere  che  la 
cognizione  delle  parole  porti  con  sfe  quella  delle  cose, 
formano  il  prime  strato  della  letteratura  senza  senso; 
ora  possiamo  aggiungere  che  la  pazzia,  un  improv- 
viso  desiderio  di  volgaritk,  la  ciarlataneria  di  chi 
vuol  ingannare  il  prossimo,  Tignoranza  e  la  confu- 
sione  delle  idee  formano  gli  strati  successivi.  Su 
questo  terrene  poi  cresce  vigorosa  ogni  varieta  di 
parodia. 


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g 


TORRACA  F.  —  Nuove  rassegne  .    .    5  — 


■  -  ^ 

PI 


GUIDO  SARTORIO 


LUIGI  CARRER 


ROMA 

SocitTA  EoiTRict  Dante  Alighiebi 


)KHo»GK30c*o*  :*:>:  >toto*GC-«-C'C*»-'>H  :40<eH>>Gt-:>3»C'CC<-iji! 


La  seconda  parte  di  questa  monografia, 
studio  intorno  alle  opere  di  Luigi  Catrer,  pe 
indipendenti  dalla  mia  volontii'noD  pu6  es 
blicata  insieme  con  la  pricna.  Ancb'essa  pe 
alia  luce  quanto  piA  presto. 

Colgo  I'occasiooe  per  ringraztare  vivamen 
che  ia  qualche  modo  mi  glovarono  net  c 
mio  lavoro;  prima  di  tutti  U  Maestro,  F 
Flamiai,  e  il  Nob.  Dott.  Cav.  Pier  Luigi 
U  quale  cod  la  signorile  cortesia  tradlzional 
famiglia  mi  fii  largo  di  tutte  le  carte  della  i 
collezione, 
Mario  '99. 

Dolt.  GuiDO  Sar' 


I  Luigi  Carrtr  com'tnciava  la  sua  cart 
poetica  combattevasi  fiera  la  gran  baltaglia  fra  rotr< 
tici  t  claisici;  da  un  lata  i  soiUnilori  di  un  irn 
destinato  inevitabilminte  a  croihre  si  difendevano 
I'accanimtnto  di  chi  non  pub  ritiutidare  a  pensam 
divetiuti  parte  inte^rante  di  se  stesso;  da  I'altro 
diversi  intenti  religiosi  politici  e  sociali,  con  reslaui 
coscimj^a  artislica  i  bandilori  delie  miove  idee  as: 
vano  gagliardamtnle  con  I'entusiamo  e  la  tenacia  l 
inscritti  ad  una  fcde  novella.  E  battevano  in  bre 
tuUo  do  che  v'cra  di  /also  di  vuoto  d' arHJi:^ioso  n 
vecchia  arte,  che  del  glorioso  classicismo  non  con. 
vava  se  non  povere  e  fitti:(ic  apparen^e  esleriori; 
loro  giovine  arte  melttvano  a  servi^io  di  un  ideah 
liberth  t  digiusti^ia,  preparando  ed  affrettando  Vaw. 
di  tempi  migliori.  Non  badiamo  se  la  reaj^ione  roii 
tica,  come  iuUe  k  rea^ioni,  abbia  ecceduto ;  se 
un'arte  conventionale  sia  succeduta  un'altra  non  n 
conventionale;  se  moiti  dei  romantid  abbiano finito 
dimenticare  nel  loro  esaurimento  senile  a  punto  > 
canoni  che  erano  slali  il  caposaldo,  la  ragion  d'es 


delta  promossa  rifcrmj,  e  pensiamo  soltanio  che  essa 
portii  un  ienso  acuto  di  rea'ta  ntll'arte  e  nella  vita. 

Liiigi  Carrer  da  prima  non  stppe  risolversi :  troppo 
iu  Itii  pesavano  gli  instgnamenti  delta  scuola  t  Vam- 
bienU  chiuso  a  quahtasi  audacia  rivoluiionarta,  percbi 
potesse  subitamente  libellarvisi;  ma,  maturato  il  pen- 
siero  ntllo  stud  o,  nan  tardb  ad  accogiiere  i  prindpit 
romantici  e  a  farsene  in  versi  t  in  prosa  efficace  pro- 
pugnatore.  Appartenenie  alia  scuola  che  metteva  capo 
ad  Aiessandro  Man^oni,  sitptriore  al  Tortieal  Grossi 
per  ingegno  t  ricche^ia  di  vena  poeiica,  suptriore  per 
profondita  di  studi  per  elegance  di  forma  per  abbon- 
dan^a  di  produ^ione  al  Berchet  —  del  quale  non  ebbe 
perallro  la  serena  fiere^^a  della  vita  e  il  magnanimo  sen- 
timenlo  civile  —  egli  piu  di  ogni  altro  de'  minori  ro- 
mantici si  accoslo  al  maestro  per  quel  senso  armonico 
di  misura,  cbe  i  la  gran  dote  man:^oniana,  e  che  ad 
allri  smarritisi  in  nebu'ositd  ed  astratte:^ie  talvolta  ridi- 
colt  ed  assurde,  venne  a  mancare.  E  a  cib  gli  giova- 
rono  i  litnghi  e  paT^ienti  studt,  eforse  anche  I'esser  nalo 
t  cresciuto  in  una  cittd  meravigliosamente  adatta  a  edu- 
care  il  pii.  raffinato  gusto  estetico. 

'Peccalo  che  non  ci  sia  data  rttrovare  nel  Carrer  il 
proposito  civile  e  patriottico  che  animo  la  poesia  del  "Ber- 
chet del  'Pellico  del  "R  ossettt :  non  eliene  faremo  eia  noi 


ma  pur  sorriderebbe  alia  mmte  che  il  maggior  poeta  di 
Venecia  poiesse  unirsi  con  quelli,  che,  ranimo  rivolto 


i^t^^uici  Carrer  (i)  nacque,  & 
\%!^^h-atelli,  a  Venezia  il  i2feb 
Antonio  e  di  Margherita  Dabal^.  I 
un  bene  avviato  negozio  di  salum 
ponte  di  Riaho;  la  madre,  donna  d 
attendeva  alle  cure  della  famiglia  e 
dei  figliuoH.  Luigi  passb  a  Venezi 
ddia  sua  infanzia  debole  e  malaticcii 
manifestavano  i  germi  di  un  tempei 
sivamente  delicato  e  nervoso,  che  d 
piii  tardi  cagione  di  gravi  soffere 
colto  da  paure  irragionevoli;  era 
nulla  pestava  i  piedi,  singhiozzava,  i 
a  un  pazzo  entusiasmo,  per  cader< 
in  una  gran  malinconia ;  dorniiva 
agitati  da  sogni  e  da  strane  vision 

(r)  Carrer,  «  Don  CARRfR,  come  si  ode 

del  Veneto. 


frammento  inedito  di  autobiografia(i),  ci 
alcuni  eplsodi  canttenstici  dei  suoi  primi 
a  Due  coseintanto  voglio  narrare  di  quest' 
imi  anni,  picctole,  picciolissime  perse  me- 
I,  ma  impresse  nel  mio  cen^ello  con  tanta 
la  fanni  maravigliare  che  esse  sole  vi  siano 
:  di  quelle  altre  molto  piii  rilevanti,  che 
lo  senz'altro  essermi  accadute  nello  spazio 
i  sei  o  setie  primi  anni.  Mi  ricordo  che  es- 
un  dopo  pranzo  di  giorno  di  festa  andnto 
ere  non  so  che  processione,  che  facevasi 
jarrocchia  di  S.  Matteo,  ora  quelta  chiesa 
ita,  e  se  ne  fece  magazzino  di  legna, in  con- 

d'una  fantesca,  mi  smarrii  tra  la  folia,  di 
mio  sbigottimento  fti  tale,  da  non  aver  sa- 
in qui  vincere  certa  ripugnanza  ogni  volta 
p3sso  per  le  callaie   circostanti  alia  detta 

che  sono  molte  e  strettissime.  N6  ho  mai 
3  negli  anni  appresso  al  giudizio  universale, 
nilo,  alio  sbalordimento  da  cui  sari  presa 
I  aU'uscire  dal  corpo,  che  non  mi  venisse 
te  quella  giornata :  con  quanta  convenienza 

pensieri  e  quell' avvenimento,  mel  sappia 
li  avrJi  maggior  acume  del  mio,  che  quanto 

dopo    avervi    non  poche    volte    pensato 

eggasi  neU'Afipindiec,  pag.  1, 1'  iiitroJuiione  a  quests 
;raGa,  incerrotta  poco  dopo  ilprincipio. 


sopra,  non  altro  ne  ritrassi  che  idee 
non  fame  caso.  II  secondo  avvenii 
voglio  far  ricordo  k  del  primo  ac 
quello  a  cui  negli  anni  posteriori  ho 
di  entusiasmo,  inspirazione  o  altrott: 
sera  nella  quale  veonero  in  casa  t 
perchfe,  mohi  soldaii,  credo  chiamali 
ficiale  che  avevamo  ad  alloggio,  e  al 
le  genti  della  casa  affaccendarsi  coi  li 
all'udire  il  rimbombo  che  facevano 
scale  tutti  quei  piedi  e  il  lintinnio  c 
degli  schioppi,  mi  prese  un  tal  impe 
che  mi  posi  ad  urlare  e  a  battere 
terra,  a  tal  che  lo  stesso  ufficiale  ne 
raviglie,  e  da  indi  in  poi  mi  voleva 
regalava  di  non  so  che  dolci,  forse  au 
io  dovessi  diventare  uno  Scanderberg 
a  Mi  vedesse  egli  adesso  malato  di 
sanabile  ipocondrta,  scarabocchiando 
dermi  1'  unghie  quando  la  frase  o  i 
veogono  conformi  al  concetto.  Ni 
una  terza,  che  domanderebbe  pii  lun 
per  salvartni  dalle  beffe;  ma  i  come 
fare  agli  altri,  e  chi  vorri  riderne  1 
faccia.  Io  era,  a  quanto  parmi,  nei  < 
ed  usava  di  dormire  la  none  In  una  i 
sima  a  quella  della  mamma,  in  corn} 


mi  dormiva  allato  in  un  letto,  al- 
grande  del  mio.  Non  passava  notte 

mi  destassi  parecchie  volte  per  un 
lamento  negli  orecchi  o  per  un  suono 
>ani,  che  mi  dilenava  insleme  ed  at- 
avvenne  una  notte  che  destatomi,  e 
Sanco  sinistra,  come  per  rappiccare  il 
}ercosso  da  un  bagliore  vivissimo,  che 
;Ii  occhi  quasi  involontariamente.  Mi 
Juta  una  piacevole  lisonomia  di  vec- 
aggiante,  nella  perfetta  oscurili  della 

fisonomia  che  assai  teneva  a  quella 
iteroo  dipinto  dal  Canova  in  Possagno. 
>o  descrivere  la  trasparenza  di  quella 

vivezza  di  quella  luce.  I  lineamend 
lili  e  la  bocca  mezzo  aperta.  Pareva 
lasse  amorosamente  e  stesse  a  guardia 
QSt  Me  ne  stetti  li  non  so  che  tempo 
spalancati  ed  immoti,  guardando,  ma 
Ua  faccia  mi  parve  inchinarsi  e  mo- 
di  volersi  posare  sul  mio  cap^zzale, 
i  forte  mi  prese,  che  mi  detti  a  gri- 
n'avea  in  gola,  si  che    svegliata  la 

prese  e  cerc^  d'acchetarmi,  il  che  fu 

tutta  quella  notte  »  (i) 

■mi  autobiogr.    inediti  (Cute  Zannlni,   Ve- 


In  principio  fu  m 
stre,  che  gli  insegn 
nello  stesso  tempo 
orazioni,  eccUando 
misticismo,  che  not 
Giuseppe  Insom,  gli 
grammatica;  ma  pr 
abbandoii6  Veoezia, 
Narvesa  nel  Trevis 
un  piccolo  podere. 

Q.ui  dove  il  pice 
Delia  foresu  che  : 
PcQsoso  erro  mem 
Lungo  Anas  so  che 

Qlii  vissi  inEinte 
Per  cammino  di  p 
E  lieto  amoreggiai 
E  I'tei  quanto  il  i 

II  Carrer  am6 
tranquilli  soggiorni 
negli  aont  maturi  i 
con  segreto  rimpla 
solitaria  e  faatastics 
retorica  con  Giamt 


{!)  Cfr.  Pmsu  di  I 
pag.  7}  (Open  sceUe  di 


10,  cbe  professava  in  quel  ginnasio.  Le  vi- 
non  liete  della  famiglia  lo  condussero  nel 
uovameoie  a  Venezia,  e  quivi  compi  gli 
reiorici  sotto  un  altro  prete,  Giovanni  Piva. 
i,  parroco  in  Santo  Ste&no,  era  innamorato 
gioventfi  e  degli  studi,  autore  egli  stesso  di 
ni  e  di  omelie;  e,  avendo  nolato  come  molti 
li,  forse  anche  per  mancata  opportunity,  non 

0  del  loro  ingegno  tutti  i  fmni  die  pare- 
promettere,  institul  un'  Accademia,  ch'egli 
1)  degli  hvulntTabili  o  a  significare  che  i 
li  dei  quali  si  componeva,  doveano  bene 
Tirsi  non  pure  contro  alle  insidle  del  cat- 
usto,  ma  contro  a  quelle  eztandio  della  em- 

della  irreligione  »  (i).  Tale  Accademia  era 
sotto  gli  auspict  di  S.  Agostino,  e  avcva 
ipresa  un  giovinetto  che  scherza  con  un 
te,  col  motto  del  profeta  Isaia:  'Delectabitur 

super  foramine  aspidis.  II  2  maggio  i8ii 
:va  la  prima  seduta,  il  19  febbraio  1819 
a ;  nella  quale  il  socio  Francesco  Beltrame 
pava  ai  coUeghi  accademici  la  mone,  po- 
innanzi  avvenuta,  del  benemerito  fondatore. 
Accademia  dal  j6   maggio  del 'i€  apparte 

01  Qome  di  Irischiopato  (cioh:  afFezionato 

fr.  P.  A.  Paravia,  Ehgio  di  Giovanni  'Piva,  tea., 
,  Pkotti,  183},  pag.  16. 


alk  religione),  anche  U  Carrer  e  in  essa  a  quiii' 
dici  anni  dava  il  suo  primo  saggio  po' 
minci6  allora  a  scriver  versi,  cogliend' 
tutte  le  occasion! :  nascite  e  morti,  mi 
e  Dozze,  casi  lieti  e  sventure.  Eran  cc 
e  volganiccie,  e  I'autore  stesso,  ci6  comp 
provvide  a  distruggerle  o  ad  escluderle  d 
riori  raccolte  de'suoi  versi.  Lasciata  la 
Piva,  frequent6  il  liceo  di  Santa  Caterina 
maestri  lo  Zendrini  nelle  matematiche, 
nella  filosofia,  il  Bordoni,  traduttore  de 
nelle  lettere. 

Nel  '17,  quando  il  Carrer  contava  si 
venne  a  Venezia,  preceduto  dalla  fam 
clamorosi  trionfi,  il  cclebre  Tommaso  S 
dare  anche  in  quella  citti  un  saggio  d 
visazione.  Emanuele  Cicogna  cosi  ne  pai 
Diarii:  a  leri  sera  il  poeta  estemporam 
diede  la  prima  accademia  al  teatro  ' 
Veniva  con  gran  tama  recata  dalle  ; 
d'  Italia,  ma  non  corrispose  molto  t 
franchi  si  pagavano  alia  porta.  Impro 
tragedia  intera  in  tre  atti,  che  duro 
secc6  tutti  gli  astanti.  Le  tragedie  imj 
cosa  difficilissimaj  sono  il  suo  forte  »  (i). 

(i)  Diariinediti  di  Eu.  Cicogna,  xxi  dicembi 
vico  Museo  Correr  di  Veneila,  ms.  2847,  hmm 


mtranamente  a  quanto  scrissero  i  suoi  pre- 
identi  biograG,  non  udl  mai  io  Sgricci ;  ni  si 
dsarb  cod  lui  ia  casa  della  contessa  Isabella 
Ibrtzzi,  per  la  semplice  ragione  che  1'  aretiao 
3n  iKprowiso  mai  in  codesta  casa  (i).  Pure. 
;osso  dal  rumore  che  levavasi  intorno  alio  Sgricci, 
rse  iovidiandoDe  in  cuor  suo  gli  allori,  voile  ten- 
re  I'ardua  prova  per  suo  conto.  La  prima  tragedia 
1  lui  improvvisata  fu  la  Morte  di  Agrippina;  alia 
jale  ben  presto  successero  V  Alalia,  Polissena, 
rancesca  da  Rimini,  Saul,  la  Morte  di  Cucullino, 

Congiura  de'  Fieschi,  la  Ifigenia  in  Aulide,  la 
'\gtnia  in  Tauride,  la  Morte  d"  Agag,  tragedie 
le  procacciarono  al  giovane  poeu  rinomanza 
)n  comune.  Emanuele  Cicc^na,  che  assisteva  al- 
improvvisazione  dtiV  A talia,  ne  fa  parola  nei 
iarii:  «  Ora  abbiamo  a  Veaezia  un  nostro  giovane 

17  anni  circa,  allievo  del  pocofa  defiinto  abate 
iva  di  cogQome  Carer  (non  so  il  nome),  il  quale 
;ssa  lo  stesso  Sgricci  nell'  improvvisar  tragedie, 
ier  I'altro  sera  con  grandissima  sorptesa  di  tutti, 
:e  Alalia,  tragedia,  alia  presenza  di  vari  predi- 
tori  (e  ne  abbiamo  di  bravi  quest'anno),  del 
ice-Presidente   di  Govemo,  ecc,   in  una   casa 


(i)  Lett.  ined.  di  BenoassJi  Montantri  a  Adriam  S.  Ztn- 
li,  )t  genaato  tSji  (Carte  Zannini,  Venezia). 


privata  dell'abate  Pellegrini,  Par 
da  Apollo,  eneigumeno;  <^uesti 
di  una  memoria  sorprendente,  di 
far^  un'  ottima  e  chiarissima  ri 
«gli  sorprese  I'altra  sera,  perchfe 
cine,  che  scrisse  lo  stesso  argoi 
alcuna  idea  di  quella  tragedia  i 
bioUa  afiatto  e  la  fece  tutta  sui 
espressioni  degne  di  uq  pifi  col 
farsi  prcte  epredicare  »  (i), 

Inebbriato  dai  lieti  successi,  i 
a  girare  pel  Veneto,  dando  qu; 
a  somiglianza  dello  Sgricci,  se 
tamente  e  seoza  verun  guadagc 
in  casa  del  conti  Porcia,  imp 
4ei  Cherusci;  e  git  amici  enti 
Luigi  aggiunsero  quetlo  di  Arm 
lunghi  anni,  e  di  cui  egli  moltc 
tragedie  si  succedevano  I'uoa  al 
gli  amici  lo  accarezzavano,  il  pi 
diva  fragorosameme,  i  poeti  ne 
Quando  improvvis6  Alalia,  Luig 
un'ode : 


(i)  Cfr.  Diari  ined,  di  E.  Cicogna  d 


....Mancava  questo  vaoto 

Agli  altri  onde  va  Italia 

Su  le  donne  d'  Europa  altera  tanto.... 

Caner,  se  alcun  daU'Anio 

Venne  su  queste  spiagge 

A  mieter  i  tuoi  lauri,  e'  veaae  indarno. 

Tu  per  c6r  nuove  palme  Id  stranio  lido 

BasCi  che  maudi  il  grido(i). 

I  Tito  Sestio  Cannio,  friulano,  gli  scrisse  che 
i  a  Talma  tragica  De  I'AsiigiaD  rivive  n  (2). 
i  dell'orgoglio,  la  musica  dolce  degli  applausi 
Inno  al  capo;  s'atteggia  a  grande  tragico,  e 
di  se  stesso: 


"fr.  lA  Luigi  Carrtr  quando  improvvisd.  Alalia,  In 
!  poiiU  tdite  t  intditt  di  Luigi  Pezzoli,  vrntxiauo, 
a,  Plet,  i8]{,  vol.  I,  pag.  [z6. -Questo  Peuoli  fii 
amico  del  Carter,  e  spesso  lo  giovd  de'  suoi  con- 
'u  autoie  di  sermoni  elegie  canzoni  epistole ;  tra- 
.  salmi  ;  va  noverato  tra  i  buoni  satiric)  vcneziani,  Di 
iSe  il  Carrer  nella  raccolta  di  Vite  di  uomini  Uluslri  ecc. 
iia  dal  TiFALDo;  ne  tess^  la  commemoraiione  al- 
K>  Veneio  di  scienze  kttere  cd  arti  il  23  giugno  1S34, 
e  6  molto  probabilmenie  il  medesimo  discorso  che 
I  la  citaca  ediiione  delle  Prose  e  Poesie  fatte  dal  Plet 
,j.  -  Visse  dal  1771  al  1834. 

;ir.  Ricrtaiioni  poelicht  di  Tito  Sesto  Cannio,  friu- 
copiate  in  Venezia  neU'aDno  1826  (Civka  raccolta 
di  Venezia,  ms.Cicogiw  33a  -  hdcccxxii). 


Ho  I'occhio  torvo,  il  crin  scorapo 
Arcigna  fronte,  annugoUta  ficda, 
Id  cui  del  fero  trtgico  mio  spirto 
Non  dobbtosa  scorgesi  la  traccia. 

Ho  il  braccio  avvei zo  a  quel  pugnal 
Medea  nel  petto  al  palpitante  Absirl 
N^  queste  chionie  insanguinate  alia 
Sana  al  Tejo  cantor  fronda  di  mirt 

E  rivolgeodosi  a  Vittorio  Alfieri,  in 
gloria,  esclama: 

Me  garzon  vedi  per  grand'alma  al 
Cui  Don  vil  speme  e  udir  sublime 
AU'arduo  colle,  dove  al  crin  i'  speri 
D'almo  Tosco  cantor  cinger  corona. 

Me  vedi  al  sonno  fare  oltrag^io,  < 
Brevi  inaestar  nel  faticoso  die, 
Onde  doca  ho  la  voce  e  sraunto  il  vi 

Ma,  se  il  poetare  all'improvviso 
sua  gloria,  non  giovava  punto  alia  sua 
tr^edia  gli  cosMva  uno  sforzo  grand 
fine  dallo  stato  di  esaltamento  e  di  fi 

(i)  Cfr.  <A  Luigi  Plet.  Sonetto.  Gennaio  iS 
Poetie  di  Armihio  Luigi  Carrer,  italiano  dt 
hlieatc  Tanno  dieiotUsimo  dell'eli  sua,  Venez 
e  C,  1819,  vol.  I,  pag.  191. 

(l)  Cfr.  ^  Vittorio  Alfieri.  Sonttto.  G 
Saggio  di  Potiie  cVl,  pag.  196. 


cadeva  in   un  incredibile  laaguore;  alia  tcosione 
nfirrnf^  Kottentrava  un  creneralf  rilasRamentn.  nn— 


di  S.  Luca  (oggi  teatro  Goldoni)  la  Sposa  di 
Messina.  I  tre  primi  atti  non  dispiacquero,  il 
quarto  e  il  quioto  furono  accoki  da  risate  e  da 
fischi,  e  la  tragedia  cadde  senza  remissione.  I  di 
seguenti  sui  giomali  comparrero  contro  I'autore 
articoli  a  dirittura  feroci;  in  risposta  at  quali  e 
in  difesa  del  Carrer,  si  levava  nell'Ateneo  la  \ 
autorevole  di  Luigi  Pezzoli(l). 

L'  insuccesso  della  Sposa,  altrettaaio  dai 
roso  quanto  cran  stati  clamorosi  i  precedi 
trionfi,  determin6  nel  Carrer  un  improvviso  trn 
mento:  abbandonata  interamente  rimprow 
ziooe,  ^li  si  volse  a  studi  moho  pifi  seri  e  p 
ficui. 

A  questa  risoliizione  non  furono  certame 
estranei  i  consigli  del  Pezzoli  e  di  altri  am 
Donch^  lo  scritto  del  Giordani  contro  lo  Sgric 
gli  improwisatcri;  ma  forse  piii  di  tutto  ebb 
efficacia  suU'animo  del  poeta  giovinetto  le  pai 
di  Vincenzo  Monti.  Poichfe  il  Carrer  fu  present 
dalla  contessa  Isabella  Albrizzi  al  Mooti,  il  qu 
come  racconta  il  Vollo,  lo  cons'gli6  a  studi  i 


(i)  C&.  Discorso  sopra  la  rappTesentaxioat  delta  Spos 
Messina  (Iragedia  di  L.  A.  Carrtr)  htto  tulT^.4UntO  di 
ne^ia  il  giomo  vil  febbraio  MDCCC:(Xit  da  Loici  Pezz 
Padova,  Crcscini,  1822. 


24 

turi,  St  nutriva  il  nobile  dcsiderio  di  perpetuare  il 
suo  nome  (i). 

Gi^  due  anni  innanzi  il  Carrer  aveva  dato  alle 
stampe  il  pritno  volumetto  de'  suoi  versi  (2) : 
erano  le  cose  migliori  delia  sua  poesia  giovanile 
(odi,  canzoniy  sonetd,  idilli  e  una  tragedia:  la  Morte 
di  *Agag\  e  ricevettero  dal  pubblico  la  piii  festosa 
accoglienza.  II  Cicogna,  fedele  e  diligente  cro- 
nista,  nota  ne'  suoi  T>iarii  la  comparsa  del  libro, 
che  recava  tra  i  nomi  degli  associati  quello  glo- 
rioso  di  lord  Byron,  conoscente  ed  estimatore  del 
poeta :  «  Oggi  sono  uscite  le  poesie  di  Erminio 
Carrer,  giovane  di  vent'anni,  {non  ne  aveva  che 
diciotto)  poeta  estemporaneo,  giovane  che  h  pii 
preceduto  dalla  fama  che  dal  suo  merito  intrinseco. 
Fanatismo  terribile  porta  al  cielo  questo  primo 
volume  delle  sue  poesie,  cui  precede  il  ritratto 
in  rame  del  poeta.  Questi,  pieno  di  se  stesso,  va 
per  la  strada  in  estasi;  non  vede,  non  saluta,  fa 
mostra  di  venir  dall'altro  mondo,  se  si  park  di 
cose  avvenute  anche  al  giorno  stesso,  e  presu- 
mendo  di  saper  troppo  pifi  di  quello  che  sa,  h 
contento   di   ci6  che  impar6,  circondato  da  una 

(i)  Cfr.  Vita  di  Luigi  Carrer  di  Benedetto  Vollo,  in 
Letture  di  famigUa^  Opera  iUusirata. ...  che  si  puhhlica  dal 
Lloyd,  Trieste,  1855,  anno  I,  pag.  34. 

(2)  Cfr.  pag.  17,  nota  i. 


2S 

turba  di  giovani  adulatori »  (i).  Al  primo  volume, 
dovevano  far  seguito  altri  due  che  il  poeta  aveva 
gii  preparato;  raa,  sopravvenuto  il  mutamento 
che  gli  fece  bruscamente  troncare  la  camera  di 
poeta  estemporaneo  e  rinunciare  alia  poesia,  anche 
quei  poveri  versi  subirono  gli  effetti  di  tal  cam- 
biamento  di  idee,  e  furon  destinati  alle  fiamme. 
«Quel  tanto  di  bene,  scrive  il  Carrer,  che  ne 
dissero  i.  giornali  forse  in  riguardo  dell'eti  del- 
Tautore  non  mi  fece  sordo  alle  giuste  censure  che 
io  sentiva  farsi  dni  dotti  al  mio  libro,  il  quale  se 
da  un  canto  dimostrava  Tattitudine  del  giovine 
alia  poesia,  era  dalPaltro  sparso  di  troppi  difetti, 
specialmente  di  stile,  perch^  meritasse  le  stampe. 
Feci  profitto  delle  censure,  e  il  primo  volume  hi 
il  solo  che  pubblicassi,  dando  alle  fiamme  due 
altri  che  avevo  in  pronto  »  (2).  —  A  questo  tempo 
risale  una  sua  violenta  passione  amorosa,  forse  la 
prima :  egli  si  innamor6  perdutamente  di  una  gio- 
vinetta,  Costanza  Manini,  a  quanto  sembra  emiliana 
di  Reggio.  Pochissimo  ci  fe  noto  di  questo  amore, 
anche  perchi  il  Carrer  amava  parlarne  poco ;  solo 
si  sa  che,  dopo  una  breve  vicenda  di  ore  liete  e 


(i)  Diarii  cit.,  31  luglio  18 19. 

(2)  Bozza  di  una  lettera  a  Mons.  E.  Muzzarelli,  novem- 
bre  1829  (Carte  Zannini,  Venezia). 


itello  lo  obbligava  frattanto  a  rinunziare  alia 
Ira  e  a  far  riiorno  a  Padova  neU'autunno 
•■3- 

famiglia  era  caduta  in  gravi  strettezze,  ed 
;rporvi  rimedio  si  acconci6  nell'agosto  del  '24 

direttore  presso  la  tipografia  della  Minerva, 
oprietii  di  NiccoI6  Bettoni  e  soci,  che  gli 
ano  ceniocinquanta  lire  austriache  il  mese. 

sue  attribuzioni  erano  molte  e  assai  di- 
:  dettava  prefazioni  per  I  nuovi  Ubri  cbe 
logratia  pubblicava,  e  leneva  i  conti  del- 
linistrazione ;  faceva  il  correttore  di  bozze, 
luceva  da  Ungue  straniere.  Insomma,  tutte 
re  dell'  azienda,  grandi  e  piccole,  fiiroiio 
■ate  a  lui.  Era  un  lavoro  improbo,  fatico- 
.0  per  quahiasi  uomo  robusto,  tanto  piCi  per 
rrer,  ch'era  di  salute  cagionevole.  Final- 
:,  a  forza  d'insistere  presso  i  padroni,  gli 
ucesso  un  aiutante,  al   quale   cedette   una 

del  suo  lavoro,  non  cosi  per6  ctie  anche 
non  ne  rimanesse  buona  porzione.  Furono 

gli  aoni  della  sua  maggior  attivitii ;  scrisse 
loria  della  Commedia  Italiana  (i)  in  cond- 
)ne  alia  vita  del  Goldoni;  tradusse  i  Saggi 


L  C,  Fila  di  Carlo  Goldoni,  con  not«(U  dtlla  Com- 
Ilaliana  prima  di  lui,  Venezia,  Tasso,  t8i$. 


sllieri  itiliani  e  dello  Shakespeare.  Di  essa  dava 
zia  aD'amico  Foscarini:  o  La  tragedia  cam- 
a  a  gran  passi,  e  sarebbe  condotta  assai  oltre, 
■.z  un  cambiamento  che  io  voUi  farci.  Parvemi 
il  secondo  atto  fosse  troppo  discorsivo.  Unto 
che  tiene  dietro  ad  uo  primo  atto  tutto  di- 
sivo  anch'esso.  Eliminai  quindi  dal  mio  di- 
10  tutto  intero  il  secondo  atto,  e  in  luogo  di 
lie  posi  le  scene  riserbate  pel  terzo,  inven- 
lo  del  tutto  la  materia  del  terzo.  Questo  nuovo 

0  atto  spero  che  debba  riuscire  assai  ani- 
o,  ecc.  ecc.  »  (i). 

1  molto  lavoro  non  gli  &ceva  trascurare  le 
ne  relazioni  con  gli  amici  che  aveva  numerosi 
dati,  e  con  tutti  teneva  corrispondenza  affet- 
>a  e  continua.  Erano  fra  essi  Luigi  Pezzoli  (del 
le  fu  gii  fatto  cenno),  ottimo  uomo  e  prezioso 
sigliere ;  il  Veronese  conte  Benassfi  Montanari, 
ta  e  prosatore,  lodato  biografo  di  Ippolito  Pia- 
lonte;  Jacopo  Vincenzo  Foscarini,  pronipote 
Aaxco,  curiosa  e  caratteristica  figura  di  patrizio 
eziano,  fecondissimo  verseggiatore,  specie  nel 
vo  dialetto ;  Antonio  Papadopoli,  che  le  molie 
hezze    non    distt^Hevano  dagU  studi ;    Paolo 

)  Qjiesta  leitera,  cod  molte  aitre  del  Garret  al  Fosca- 
i  inedita  al  Museo  Correr  di  Venezia,  e  portM  la  data 
ebbraio  1636. 


J' 

ZaDQini,  medico  e  letterato  di  bella  fama;  la  con- 
tessa  Faustina  Priuli-Bon,  bella  e  c61ta,  ionamo- 
rata  di  Dante;  Maiia  Pelrettini,  elegante  corci- 
rese,  letterata  ella  pure  (i),  ai  cui  vezzi  pare  non 
sia  stato  del  tutto  iaseasibile  il  Carrer.  Mario  Pier! 
suo  compatriotta  ed  amante,  ci  fa  dt  essa,  nelle 
SKemorie,  un'assai  lusinghiera  pittura :  «  Ciglia  ed 
occhi  nerissimi  e  scintillanti ;  chiome  corvine ; 
guancie  che  ad  ora  ad  ora  mostravano  due  gra- 
ziose  fossette;  sparso  in  tutta  la  faccia  un  pallore 
soavissimo...  In  tutta  la  sua  persona  scorgevasi 
poi  una  decente  awenenza,  una  certa  volutti  rat- 
Temperata  da  una  gentile  gravtt'i,  che  incantava... 
Si  fatte  quality  fisiche  non  erano  smentite  dalle 
morali:  modi  gentili  ed  accorti;  acuto  intelletto 
e  bramosia  di  pascolo;  una  viva  curiositii  che  in 
vece  di  limitarsi  a  cercare  i  piccoli  oggetti  del 
mondo  femminile,  se  li  recava  a  noia  conosciuti 
appena,  e  a  pi6  peregrine  cose  aspirava:  una  cono- 


(i)  La  Petrettini,  arnica  dei  pill  iougai  uomini  del  sue 
tempo,  nacque  a  Corcira,  visse  a  Veaezia,  e  vi  morl  il 
1}  marzo  iS^i.  Tradiuse  dal  gteco  le  Imagini  di  Filo- 
strato,  e  dettA  la  Vita  di  Ciusandra  Fedtle.  Abbiamo  pa- 
recchie  Icttere  a  lei  dirette  da  Luigi  Carrer  in  un  opuscolc 
intitolato  LelUre  inedite  di  illustri  ilaliani  a  Maria  Tttret- 
tint,  pubblicale  da  A.  Pasq.  Petrettini,  Padova,  Minerva. 
■8s2. 


che  in  questo  caso  mi  risponde  alti 
colata.  Non  altro  d'Archivi,  di  Consig 
corsi  »  (i). 

E  qui  convien  fare  acceano  alio  ; 
terario  scoppiato  a  Venezia  quando  C 
tista  Niccolini  mand6  fuori  l'.^nton\ 
tragedia  nella  quale,  trattando  troppo  I 
un  grave  soggetto,  recava  oSesa  all; 
rica  sull'iafelice  patrizio  e  sulla  rep 
quale  attribuiva  principii  e  sistemi 
che  non  esistevano  se  non  nella  fer 
dei  romanzieri,  specie  stranieri.  A 
animi  si  eccitarono :  Giustina  Rei 
scrisse  una  letiera  in  Toscana  pro 
Niccolini  rispose  per  le  rime,  tacciar 
e  di  ribalderia  la  protesta  della  M 
gliando  sanguinose  ingiurie  contro  Le 
gnara  che  I'aveva  trasmessa.  Altri  { 
pii  acerbe  e  spietate  censure  si  fee 
gedia;  il  poeta  stesso  venne  insultato 
cenzo  Foscarini,  discendente  di  Ant< 
egli  pure,  e  sfog6  il  suo  risentlmen 
giustificato,  con  I'araico  Carrer.  Que 
stesso  argomento  aveva  gi^  cominc 
gedia,  di  cui  un    frammento   diede 


molta  diiigenza,  e  tre  anni  dopo  li  trc 
Intanto  i  suoi  mali,  aggravatisi,  lo  costr 
]etto,  e  per  molti  mesi  ei  dette  serianiente 
delb  vita:  ristabilitosi  un  poco,  gli  fu  d. 
consigliato  il  soggiorno  di  Kecoaro,  dov 
nella  state  del  '28,  e  la  cura  gli  fu  ass: 
vole,  perch^  dopo  un  mese,  facendo  un  lu 
per  il  Trentino  ed  il  Garda,  tornii  a  I 
riprendere  le  usate  occupazioni,  Dava  I'ulti 
a  un  riscontro  tra  la  Gerusalemme  libe< 
Conquistata  (2),  e  traduceva  alcune  poes 
del  Petrarca  per  preghiera  dell'amico  su 
Domenico  Rossetti  di  Scander,  avvocato  1 
che  curava  una  edizione  delle  poesie  mi 
grande  poeta  (j).  Da  Padova  raramente 
tava,  e  solo  di  sfuggita  si  rec6  qualche 
Venezia  a  salutarvi  gli  amici :  a  tnala  pena 
di  recarsi  nell'oitobre  del  '29  a  Castelfra 
Auademia  dii  Ftloglotti ;  dove  lesse  alcui 
suUa  liosa,  esseado  i  fiori  quell'anno  I'ar 

(i)  ■ ...  daccli^  ho  £atto  divoriio  colU  med 
DOD  meritarmi,  non  foss'aliro  quel  tuo  severo:  . 
mtdico  ».  Lett.  ined.  di  L.  C.  a  B.  Montanari,  1 1 
(Biblioteca  Comuuale  di  Verooa). 

(2)  La  Gerusaltmme  liberala  e  la  Cnnquistata, 
comidtra-^ioai  di  L.  C,  Padova,.  Minerva,  iSiS. 

(})  PotiU  minoritUl  P«lrarca,  ecc.  Milano,  Clas 
voll.  j.fLe  epistole  tradotte  dil  C,  soqo  le  xxv 
xxviii  del  libro  IIIj. 


'accademia  (i).  Altri  versi,  cioi  poche  can- 
i,  aveva  dato  fuori  qualche  tempo  prima  nel- 
:a5ione  di  un  matrimonio  (2).  Sul  principiare 
'30  abbandon6,  non  se  ne  sa  bene  il  motivo, 
pografia  della  Minerva ;  e,  indotto  anche  dal- 
lore  intollerabile  della  moglle,  donna  di  sen- 
;nti  grossolani  con  la  quale  gli  era  impossi- 
vivere  in  buon  accordo  (3),  si  ritir6  a  Ve- 
la, lasciando  a  Padova  i  suoi.  a  II  primo  febbraio 
turo  mi  porteri  a  Venezia...  Da  indi  riraarrd 
pre  a  Venezia,  tolti  tre  0  quattro  giomi  per 
e,  nei  quati  torner6  a  Padova  a  rivedere  la 
lia  famigliuola »  (4).  Per6  a  convivere  con 
lOglie  non  torn6  pifi,  se  non  a  brevi  inter- 
,  e  per  le  insistenze  di  qualche  amico:  si 
1  separati,  come  si  suol  dire,  all'amichevole, 

)  Lett.  ined.  di  L.  C.  a  B.  Mootanari,  ij  ottobre  '29 
Comuo.  di  Verona), 
.)  Per  k  fausit  no^ie 'Bonmarlini-Fini.  Canioni  di  L.  C, 

)  Lett.  ined.  di  L,  C  a  B.  Montaoari,  .4  geimaio  ']o 

.  Comun.  di  Verona). 

.)  ProbabikmeDte,    tutio  il    toito   Don  era   dalla    parte 

moglie,  alia  quale  dovevaao  spiaceie,  e  con  ragioDc, 
mori  -  sia  pur  platomd  -  del  poeta.  Aglaia  Anassilide, 
lina  Priuli,  la  Petrettini  e  forse,  altre  il  cui  Dome 
re  nei  versi,  stanno,  aocorcht  poco  se  ne  sappia,  ad 
are  la  non  eccessiva  rigideiza    del  C  ia  fatto  di  (e- 

coniugale. 


senza  ricorrere  alia  sanzione  dei  tribunali 
si  obblig6  di  corrisponderle  una  certa 
affinch^  potesse  sopperire  a'suoi  bisogni. 
maven  fu  a  visitare  la  Romagna  con 
Montanari,  e  a  tin  d'anno  si  ricondusst 
mente  a  Padova,  essendo  stato  nomin 
stente  aHa  cattedra  di  Blosofia  teoretica  i 
tenuta  dal  prof.  Bertolini  in  quella  Ut 
tale  ufficio  egli  conserv6  fino  al  1 5  setten 
quando,  non  ostante  le  premure  sue  e 
amici,  non  fu  riconfermato,  e  il  suo  posr 
ad  altri.  I  due  anni  di  assistenza  fiirono 
lavoro  fecondo:  scioltosi  dalle  noie  che 
vano  daila  tipografia,  egli  potfi  liberamer 
gersi  alia  poesia,  alia  quale  portava  era 
maturity  della  sua  intelligenza  e  dei  su 
I  lunghi  anni  passati  alia  Minerva,  se 
quasi  compresso  il  suo  slancio  poetico,  { 
erano  stad  per  la  sua  mente  senza  un'ut; 
scutibtle :  i  pesanti  lavori  di  erudizione 
tinui  rafironti,  lo  spoglio  dei  vecchi  tesi 
duzione  da  lingue  forestiere  avevano  st 
allargare  la  sua  cutiura,  a  rafiirenare  le  sl 
peranze,  e  I'avevan  messo  in  grado  di  a 
I'avvenire  con  la  sicurezza  dell'uomo  che 
il  proprio  valore.  Prime  frutto  di  questo  \a\ 
i  due  volumi  di  versi  pubblicati  Tudo  nell' 


aver  io  composta  per  semplice  esercizio  di  m- 
gegDo,  nessuna  con  animo  di  adular  chiccliessia, 
se  Don  forse  le  mie  passion! ;  ed  h  quel  caprific 
che  voglia  o  no,  rupto  iecore,  mi  scappa  fuori  p' 
ogni  pane  »  (i).  Queste  poesie  furono  accol 
COD  Dioho  plauso,  e  avvantaggiarono  assai  la  fan 
del  poeta,  che  ricevette  lodi  da  uomini  illustri  i 
beD  Dota  autorit^j  quali  il  Manzoni,  il  Torti  e 
Grossi.  A  questo  proposito  Achille  Mauri  scrive^ 
a  Francesco  Venturi,  magistrato  intimo  amic 
del  Carrer:  a  Non  vi  so  ripetere  il  gran  ber 
che  ne  dissero  e  Manzoni  e  Torti  e  Grossi, 
quale  del  Carrer  aveva  gi^  letto  il  Clotaldo  co 
qualche  altra  cosarella.  Tutti  e  tre  rimasero  an 
miratissimi  del  grande  affetto  che  investe  tuti 
quelle  poesie,  e  specialmente  i  Sonettt  e  I'Od 
sulla  poesia  dei  secoli  cristiani.  E  nell'atto  di 
leggerle  insieme  era  per  me  una  gioia  il  vedei 
con  quanta  soddisiazione  I'uno  fermasse  I'altro 
notare  un^  finezza  di  sentimento,  una  espressior 
nobilmente  signilicativa,  un  concetto  generoso 
profondo,  un  costrutto  arditOj  una  frase  nuova  e 
eminentemente  poetica,  Le  Rimembran:^e  e  il  Tn 
sagio  ebbero  molte  lodi  specialmente  da  Grossi 
Manzoni  e  Torti  trovarono  pure  splendide  le  tei 
zine  sul  Lihano.  Dopo  questo  potete  ben  credei 
(i)  Vedi  la  prefazione  alia  ediiione  di  poeue  del  t8} 


tutti  e  tre  applaudissero  al  peosiero  di  fame 
Milano  uo'edizione,  e  come  si  mostras- 
esiderosi  di  vedere  altre  maggiort  produ- 
i  uti  cosl  Dobile  e  caro  Ingegno  a  (i).  Aticbe 
'olte  il  Manzoni  ebbe  lodi  per  il  poeta  ve- 
0,  che  disse  uno  dt  quegli  scritlori  che  turn 
nU  si  slimano,  ma  si  amano  (2),  e  il  Carrer 
per  lui  grande  rispetto  e  ammirazione ;  ma, 
ppartenendo,  come  vedremo,  alia  sua  scuola, 
manteDere  nel  giudicarlo  un' indipendeoza 
Jizio  che  altri  non  ebbe.  In  Walter  Scott, 
iriveva,  n  c'k  rimmaginaztone  dell'Ariosto 
:chi  profondi  dello  Shakespeare.  Chi  gli 
ne  il  Manzoni  commette  assai  grave  errore, 

che  vorrei  aver  composti  gli  Inni  sacri, 
h  molti  dei  poemi  del  Byron,  torrei  d'es- 
itore  di  qualsivoglia  fra  dodici  romanzi  dello 
se,  anzich^  de'  "Promesst  sposi.  Oascuno  ba 

gusti...  »  (3). 


Lettera    ioed.  dl  Achille  Miuri  a    Franc  Venturi, 

t  (Caite  ZaoniDi,  Veaeiia). 

Lett.  ined.  di  B.  MonMturi  a  L  C,  31  lugliuiS); 

Zannini,  Veneiia). 

,ett.  ioed.  di  L.  C.  a  Cecilia  Zatinini,  settembre  '40  o 

,rte  Zannini,  Veneda). 


Perduta  la  cattedra,  e  rimasto  senza  il  pane,  il 
Carrer  abbaDdon6  Padova,  e  venne  a  stabilirsi  de- 
fjnitivamente  a  Venezia,  cercandovi  occupazione. 
Gli  fu  ofFerio  di  collaborare  alia  compilazione  delle 
Biografie  di  Italiani  illustrt  ecc.  a  cui  attendeva 
il  prof.  Emilio  de  Tipaldo;  e,  quantunque  aon 
I'allettasse  molto  quel  genere  di  lavori,  ah  molto 
gli  piacesse  il  Tipaldo,  stretto  dal  bisogno  egli 
dovette  adattarsi,  in  aitesa  di  sorti  migliori:  nel 
medesimo  tempo  cur6  qiialche  cosa  per  la  tipo- 
grafia  Tasso,  e  continu6  un  commento  alia  Tit- 
vitta  Commedia,  che,  come  tante  altre  sue  fatiche, 
rest6  incoropiuto.  o  Quamo  poi  alia  ediziooe  di 
cui  mi  parli,  scriveva  a  Filippo  Scolari,  e  alle 
generose  profferte  che  mi  fai,  ti  dir6  che  da 
ben  tre  anni  io  sto  compilando  un  commento 
della  Divina  Commedia,  interrottamente  per  altro 
come  vogliono  le  circostanze  che  mi  fanno  sempre 
vivere  inquieto  e  dubbioso;  ma  quando  questo 
commento  abbia  a  stamparsi  non  saprei  ben  dire... 
Far  si  che  I'edizione  riesca  pid  che  st  pu6  ut 
e  di  onore  all'Italia.  Chi  dawero,  mio  caro 
lippo,  dacch^  posso  parlare  a  chi  professa  le  I 
tere  pi6  per  amore  delle  lettere  stesse  che  de 


45 
A  Venezia  si  leg6  d'amicizia  con  Paolo  Lam- 
pato,  editore,  e  divis6  con  lui  la  pi 
di  un  giornaletto  intitolato  la  Moda, 
sform6  nel  Gondoliere  (i),  uscico  alia  li 
volta  il  6  luglio  '33.  11  Gondoliere,  t 
onest^  letteraria  e  di  cortesia  giomal 
tava  d'arte  di  letteratura  di  teatro ;  c( 
ticoli  critici  e  polemici,  novelle,  vers 
versi;  fu  diretto  per  dieci  anni  dal 
grande  intelligenza  e  grande  amore,  t 
rarono  i  migliori  ingegni  del  Veneto, 
nale  prese  poi  nome  la  tipografia,  quell 
del  Gondoliere,  con  la  quale  rivissero 

(i)  11  primo  numera  di  questo  peiiodico 
glio  i8)j  e  I'dtimo  il  27  dicerobre  1847. 
successivamente  dalle  tipografie  Lampato,  P 
doliere,  Ceechini,  Naratovich.  Ne!  1°  anno  si  it 
nale  di  amena  lorwcrsaxione;  nel  secondo  Giori 
ItttcTt,  arli,  mode  e  teatri,  e  conservb  questo  titi 
successivi  1831-41.  Nel  '42  e  '43  assumeva 
MiscelJanta  tslruttwa  e  dihIUvoU;  nel  '44  e  \ 
quello  degli  aoni  precedenti;  nel  '46  amniette> 
di  OioTtiale  di  klUre,  arii  e  sdtnje,  teatriemi 
s'intilolt)  il  Gondoliere  e  VAdria;  ma  sempre 
stessa  natura,  Fu,  come  s'4  detto,  compilaK 
dieci  anai  L.  Carrer,  dei  tre  seguenti  e  dell 
vaani  Fode^ti,  del  penultimo  Gtuseppi:  Volla 
Vmt^iana,  compilata  da  Girolamo  Soranzo 
contitmaxione  del  Saggio  di  Ehanuble  Anton 
Venezia,  Naralovlch,  18B},  pag.  250,  D.  3041 


potevano  aodar  a  sangue  i  rumori  della  metro] 
lombarda;  ripensava,  giustificandolo,  al  ribre 
del  Parini,  quando,  per  sassomal  sorgente  fra 
altri  o  per  lubrico  passo,  era  in  procinto  dt  s 
mazzare,  mentre  le  carrozze  intrecciantisi  per  c 
verso  minacciavano  di  travolgerlo.  a  Quanto 
alia  bellezza  delle  fabbriche  o  alia  preziosita 
monumenti,  bisogaerebbe  non  aver  Venezia 
vanti  la  meme  per  rimanere  allettato.  Tolts 
vista  del  Duomo,  mi  par  setnpre  di  cammir 
per  borghi  fiancheggiati  da  liete  e  comodiss 
case,  ma  pur  sempre  borghi  (i)n.  Appena 
anni  dopo  aver  cominciata  la  pubbHcazione 
Gondoliere,  quando  poteva  sperare  che  la  fort 
alfine  si  fosse  rivolta  iii  suo  favore,  la  tipogc 
della  quale  faceva  pane,  in  seguito  ad  affari 
sgraziati,  andft  in  rovina;  le  somme  che  al< 
generosi,  fra'  quali  il  conte  Antonio  Papadof 
avevaoo  versate  dileguarono,  e  gravi  accus 
acerbi  rimproveri  furono  mossi  anche  al  Car 
Per  buona  sorte  questi  si  sentiva  puro  da  c 
colpa,  sicchi  i  suoi  nemtci  non  poterono  a 
cargli  danno. 

a  La  tipograEa  del  Plet  h  andau  a  terra.  Bu 
che  dei  capital]  in  essa  versati  dal  Papadopoli 

(i)  Lettera  inediu  di  L.  C  ad  Adriana  R.  Zaonini,  : 
(Carte  Zannini,  Vecezia). 


le  mie  man!  neppure  un  quattrino. 
istato  a  chi  ha  voluto  pur  nuocerini ; 
i  awersari  che  io  ho  in  quella  casa. 
bile  Earmi  alcun  male  ma  non  mt  ri- 
le molesiie  e  le  villanie  »  (i). 
)ppo  lungo  narrare  tutte  le  vicende 
imento,  che  procur6  al  Carrer  QOie 
padopoli,  stance,  voleva  donare  a  lui 
cost  liberarst  detle  sovvenzioni  men- 
iceva,  ma  quegli  non  voile  accettare; 
lopo   lunghe    trattative  e  dispiaceri, 

Giovanni  Conto,  assumendo  tutta 
>  il  proprio  nome,  seppe  rimettervi 
le.  Cos!  per  I'energia  del  Conto,  per 
;1  Carrer  e  di  Giovanni  Bernardini, 
ti  dei  conti  Spiridione  e  Antonio 
otk  sorgere  (21  luglio  1837)  la  ti- 
jondoUere,  che  in  breve  acquist6  ri- 

comune,  per  le  opere  pregevoli  che 
mo,  per  la  eleganza  dei  caratteri,  per 
del  teste.  II  Carrer  e  il  Bernardini, 
tipografia  non  come  un  mestiere, 
professione  Hberale  e  un'  arte  bella : 

congratulazione  mandava  loro  da 


diL,C.  a  B,  Montinari,  7  dicembre  'jj 
VerODa). 


Parigi  Nicol6  Tommaseo,  uomo  per  natura  aon 
molto  procltve  all'elogio. 

Nuove  sventure  intanco  eran  sopraggiunte  al 
Carrer:  sul  cadere  del  giugno  gli  moriva  a  Pa- 
dova  il  padre,  senza  che  egli,  avvertito  troppo 
cardi,  potesse  correre  ad  abbracciarlo,  e  sua  figlia, 
che  non  aveva  mai  goduto  Aorida  salute,  si  am- 
nial6  di  rachitide,  si  che  egli  dovette  ferla  venire 
a  Venezia  con  lui  per  la  cura  dei  bagni  di  mare. 
Lavoratore  instancabile,  raccoglieva  e  dava  alia 
luce  un  volume  di  prose  e  versi  (i),  scriveva 
VAnello  di  sette  gemme  (2)  —  I'opera  sua,  dopo  le 
ballate,  pi&  popolare  — ,  e  trovava  tempo  di  atten- 
dere  a  lavori  di  ogni  geuere.  Aveva  compilato 
per  la  Minerva  di  Padova  un  Di^onario  di  con- 
versazione e  letlura  (3),  che  poi  non  termini;  aveva 
curato  una  raccolta  di  lirici  italiani  del  sedicesimo 
secolo  (4).  Questa  raccolu  b  preceduu  da  un 
breve  discorso  del  Carrer   ai    lettori,   nel   quale 


(1)  TrosttpeesiediL.C.,  Veneiia,  pei  tipidel  GondolUrt, 
i8j7-j8,  volL  4. 

{2)  Amllo  di  stIU  gemme  o  Venexi^  t  la  sua  storia,  Ve- 
nezii,  pei  tipi  del  Gondoliere,  18)8. 

(3)  Dixionario  universale  della  cowotrsaxione  e  letlura,  Pa- 
dova, Minerva,   i8}8. 

(4)  Lirici  italiani  del  secolo  deciiooststo,  con  aunotaiioDi, 
Venezia,  coi  tipi  di  Luigi  Plet,  1636. 


svolge  i  criteri  che  lo  guidarono  nel  metterla  in- 
sieme,  e  a  ciascun  lirico  si  accompagoano  brevi 
Dote  biogratiche.  II  compilatore  noa  voile  fare 
opera  critka;  e  perct6  vi  si  dou  una  certa  spro- 
pomone  nella  distribuzione  dei  componimeati : 
cosl,  meatre  si  ristampano  quasi  per  intero  le 
rime  di  Monsignor  Delia  Casa,  di  altri  pifi  &- 
mosi,  h  appena  riportato  ud  sonetto  o  una  canzone. 
Dopo  ta  raccolta  dei  lirtci,  ne  curava  una  di 
novelle  e  una  terza  di  drammi  moderni  italiani  e 
scranieri  (i).  Ma  il  lavoro  ch'egli  accarezza7a 
da  gran  tempo,  e  intorao  al  quale  profondeva  le 
cure  pid  amorose,  era  la  liiblioteca  classica  di 
fcreu^e,  Uflere  ed  arti  (2),  nella  quale  con  nuovi 
intendimenti  voleva  raccoglierc  quanto  di  raeglio 
avea  prodotto  la  letteratura  italiana.  Dovevano  usdre 
di  questa  Biblioteca,  che  il  Giordani  chiam6  beUa 
c  utile  e  onorevok  impresa,  cento  volumi ;  ma  dopo 
il  ventisettesimo  fu  interrotta,  per  la  chiusura  delta 
stamperia  del  Gondoliere.  II  primo  volume,  uscito 


(i)  II  NoveUUrc  contemporanio  ilaliano  e  ilranUro,  Ve- 
lem,  coi  tipi  di  Luigi  Plet,  i8j6-j8,  voU.  12.  —  Teatro 
onlemporanto  italiana  t  siraniero,  Veoezia,  Plet,  i836-]9> 
•q\\.  II. 

(3)  "BihlioUca  classica  di  sciatic,  lellere  td  arti,  disposta  e 
tluslrata  da  LuiGl  Carrer,  VenezU,  coi  tijn  del  Gondoliere, 
.8J9. 


nell'autunno  del  '39,  fu  il  TtsoTO  di 
Latini,  a  cui  seguirono  bea  presto  altr 
volumi  (la  Perfeiione  Crisliatta  del  Palh 
Raccolta  di  consulti  medici.  -  Awerlimertti , 
tura.  -  Can^oniere  del  Petrarca),  e  la  nu 
blicazione  ebbe  fortuna  pii!i  lieta  di  qua^ 
dato  sperare :  fece,  come  si  esprimeva  i 
furore.  In  quell'anno  I'lstitato  Veneto,  po 
inaanzi  fondato  dall' itnperatore  Ferdinai 
sua  visita  a  Venezia,  propose  Luigi 
membro  con  diritto  ad  una  pensione,  n 
verao  non  voile  ratiiicare  la  nomina.  II  1 
altro  non  ne  fece  gran  caso:  pi^  forti 
angustiavano,  specialmente  per  parte  de! 
lontana.  «  Cosi  potessi,  scriveva  alludeni 
tuto,  sentirmi  impassibile  ad  altri  doloril. 
io  vivo  misero  e  sconsolato  pifi  che  mat. 
fosse  ramicizia  di  poche  anime  belle  e 
davvero  che  nulla  desidererei  pi6  vivan 
di  morire.  Ma  I'amicizia  vera  i  balsam 
dolori  e  lo  studio  infonde  sempre  nuo^ 
rose  speranze  n  (l).  E  nelle  amicizie  e| 
ramente  fortunato ;  poich^  ebbe  amici  s 
gli  furoQO  larghi  di  aiuti  e  di  consigli, 


(i)  Lett.  iaed.  di  L.  C.  a  B.  MoDtaniri,  20  i 
(Bibliot.  Comun.  di  Verona). 


it'  ultima 
.  U  Moo- 
nini.  La 

ingrati, 
ira,  dove 
le,  e  in 
sue  ama- 
in voga 
Dvinezza 
duto  di 
ne,  alle 
te  motto 
galanti, 
nici  dei 

acume 
e  studio 
tuilsa- 
iCorfli, 

sopra- 
ma,  pcd 
'iuseppe 
1  saggia 
iCarrer 


era  giovinotto,  si  pud  dire  abbiano  per  lunghi 
anni  sfilato  quanti  v'erano  in  Europa  ragguarde- 
voli  per  intelligenza  per  natali  e  per  censo ;  emi- 
grati  francesi  e  alti  fiiazionari  austriaci ;  vittoriosi 
e  talora  insolemi  generali  napoleotiici ;  scienziati  e 
letterati,  uomini  politici  e  artisti,  poeci  e  gran  si- 
gnori. 

■  Qui  ritrovavansi  quanti  viaggiatori  illustri 
traevano  dall'Europa,  anzi  dal  mondo,  a  visitare 
la  maravigliosa  e  singolare  Venezia,  quivi  ci6  che 
di  meglio  era  nelle  vicine  citt^  e  nella  stessa  po- 
polosa  metropoli,  quivi  uomini  di  lettere,  artisti, 
magnati,  forastieri  e  nazionali,  tut;i  piacevolmente 
coafiisi,  senza  distinzioni,  senza  etichette,  tutti  a 
gara  gentili  e  propensi  a  divertirsi,  ad  istruirsi 
I'un  I'altro,  e  specialmente  soUeciti  di  gratificarsi 
I'amabile  diva  della  Magione...  »  (i).  Assidui  del 
salotto  furono  Melchiorre  Cesarotti  e  Ippolito  Pin- 
demoDte,  uniti  ad  Isabella  coi  vincoli  della  pii!i 
affettuosa  amicizia.  Vi  convenivano  Antonio  Ca- 
nova ;  Ugo  Foscolo,  che  per  qualche  anno  am6 
riamato  Isabella,  che  chiamava  sua  dolce  arnica, 
suo  angelo ;  Andrea  Mustoxidi,  Mario  Fieri,  biz- 
zarra  figura  di  scrittore,  una  specie  di  appendice, 
di  onibra  degli  uomini  illustri,    dotato  di  niolto 

(I)  M.  Fieri,  Op.  dt,  vol.  i*,  pag.  40. 


10,  ma  eccessivo  ed  Jntolterante  di  tutto  ci6 
apesse  di  romandco  (i);  e  pot  Carlo  Botta, 
ischeroni,  Leopoldo  Qcognara,  Jacopo  Mo- 
il sommo  bibliografo,  Vincenzo  Monti,  cfae 
;ese  della  bella  greca.  Degli  stranieri  vi  com* 
ino,  tra  gli  altri,  I'AckerMad,  il  Villoison, 
ion,  I'Hamilton,  lo  Chateaubriand;  la  veouu 
:d  ByroD,  preceduto  dalla  &ina  del  suo  genio 
le  sue  follie,  suscit6  un'indicibile  curiosidt. 
:anto  a  quest!  gii  maturi  d'et^,  e  alcutii  gi4 


Mette  conto  di  l«^ere  in  proposito  del  Fieri  quesu 
di  Nicol6  Tommaseo  (II  secondo  esilio,  Milano,  San- 
862,  vol.  I*,  pagg-  aoo-i).  «  11  poveretto  si  credeva 
no  antico  ed  era  una  mezza  Ugrima  di  Gian  Gla- 
Rousseau  rappresa  entro  una  presa  di  tabacco  di 
lor  Cesarotti  e  sbattuta  oiueopaticamente,  per  set- 
tni,  in  una  tinozza  d'acqua  salmaslra.  Ma  le  sue  buone 
LOni  guadagnarono  due  perpetue  feliciti  alia  sua  vita : 
ersi  amatore  dei  dassisi  ch'ei  noQ  capiva,  e  d'asM- 
[utte  le  mattine  la  gloria  ch'ei  si  frulkva  da  si, 
i  frati  la  cioccoUtM.  1  classid,  adombrati  dalla  sua 
ione  ionja,  potevano  difendersi  con  un  alibi  estedco; 
ina  che  dicono  intaccata  dalla  sua  gratitudine  un 
isico,  dico  la  bruttezia  dell'uomo,  la  qual  bruttezza 
:va,  DOn  come  Calandrino,  invisibile,  ma  impalpa- 
tiroile  in  ci&  agU  immortali.  Buon  uomo  del  resto; 
ncori  conditi  di  mele  arcadico,  con  furbacchiuolerie 
icetie  e  circospette,  nella  pedanteria  ingegnosetto  e 
□ente  temperato.  E  a  petto  di  certi  altri  ben  pi{i 
iiiij  un  eroe.  » 


55 

vecchi  e  gloriosi,  v'erano  i  giovani :  Vittore  Ben- 
zon  (i),  Benassi  Montanari,  Luigi  Carter.  Ap- 
punto  nelle  sale  di  Isabella^  quest'ultimo  fu  pre- 
sentato  a  Giorgio  Byron,  e  compiacevasi  sempre 
di  ricordare  di  essersi  parecchie  volte  trattenuto  a 
parlare  con  colui  ch'egli  ammirava  non  solo  per 
Tingegno  potente  e  per  Topera  straordinaria,  ma 
anche,  e  pii,  per  avere  combattuto,  sacrificando 
da  vero  e  grande  poeta  vita  e  sostanze,  per  la 
liberty  di  un  popolo  al  quale  di  tanto  son  debi- 
trici  la  nostra  civilti  e  la  nostra  arte.  Una  sera 
era  presente  il  celebre  improvvisatore  latino  Ga- 
gliuflS,  che  davasaggio  della  sua  valentia.  II  Carrer, 

• 

invitato,  recit6  il  seguente  sonetto  estemporaneo  : 

(i)  Vittore  Benzon,  nato  nel  1779  "lorto  nel  giugno  1822, 
fu  autore  di  un  poemetto,  'H^ella,  pubblicato  nel  '20,  in  cui, 
dice  un  biografo^  «  fuse  il  dolore  svegUato  in  lui  dalla 
memoria  della  passata  grandezza  della  patria  e  dal  suo 
contrasto  con  la  servitd  dei  tempi  con  la  dolce  narrazione 
romantica  della  pietosa  avventura  di  Nella  )>.  Fu  anche 
autore  di  sonetti  epistole  e  d'una  cantata  per  Taugusto 
imeneo  di  Napoleone  Imperatore  dei  Frances!  e  Re  d*Ita- 
lia  con  Maria  Luigia  Arciduchessa  d*Austria.  Questa  can- 
tata, musicata  dal  maestro  trevisano  Gaetano  Zaccagna, 
fu  eseguita  il  20  maggio  181  o.  Son  brutti  versi,  bassaadu* 
lazione  all'uomo  che  gli  aveva  venduta  la  patria:  di  che 
egh',  patrizio  venezlano,  che  avea  veduto  Campoformio, 
doveva  pur  ricordarsi.  Intomo  a  questo  notevole  perso- 
naggio  V.  Nella,  h  Epistole  e  varie  Toesie  di  V.  B.,  ecc., 
Ascoli  Piceno,  per  cura  di  G.  B.  Crovato,  tip.  Cesari,  1893, 


uelk  di  nume  awerso  ira  jegreta 
vien  s^uace  a'  miei  verd'anoi,  e  io  mente 
ra  mi  ru^e  e  in  cor,  at  niai  s'acqueta 
lante,  perpettla,  freiuetite, 
1  gii  sete  di  gloria  e  speme  lieta, 
vou  speme  1  e  dileguii  repente: 
;  vergogoa  poscia  e  sdegno  e  pieta 
oU  tena  natale  e  di  mia  gente. 
Itimo  amor  mi  vinse  lo  iatelletto, 
xtb  cangia  I'asuduo  tenore 
nero  lato  a  cui  nacqui  so^etto. 
I  tema  quindi,  le  cure,  il  furore 
'io  pur  t'ama,  in  me  I'ira  e  il  sospetto 
lortati  aaran  come  I'amore. 

to  sonetto  ia  immediatamente  raccolto  dal 
&  in  un  distico  latino,  che  diceva : 
e  SOTS  usque  premiti  spe  gloria  lusit  ioaai, 
c  magis  infausto  fomite  ludlt  amor  (i). 

celebri  salotti,  frequentati  dal  Carrer,  fii- 
lelli  di  Giustina  Renier  Michiel,   tradut- 

.  G-tgliaffi  a  Venecia,  hit.  di  P.  A.  Paravia  ecc 
!  marchess  "Don  Paolo  d'Adda,  Venezia,  Orlandelli 
g.  5.  II  sonetto  del  C,  quasi  interamente  mutato 
ella  cit.  ediz.  L.  Monnier.  a  pag.  64.  —  II  Gagliuffi 
Ragusi  il  1}  febbraio  176;,  morl  a  Novi  il  I4feb- 
|.  Insegnb  eloquenza  a  Urbino  e  a  Roma;  aodd 
I  esule  a  Parigi,  dove  improvvisava  col  Giamii. 
)ubblic6  a  Toriao  le  sue  poesie  precedute  da  una 
iooe  "De  fortuna  iatimtalis. 


57 


trice  dello  Shakespeare  e  auirice  delle  Feste  Vent- 
liane;  del  conte  Leopoldo  Cicognara,  ramico  o 
meglio  il  fratello  di  Antonio  Canova,  che  alia 
mente  acuta  del  diplomatico  e  deH'uomo  di  stato 
univa  sentimento  squisito  d*artista  (i);  e  il  salotto 
della  contessa  Marina  Benzon,  madre  di  Vittore, 
colci  che  vestita  airateniese  ball6  con  Ugo  Fo- 
scolo  intorno  all*albero  della  liberti,  piantato  in 
piazza  S.  Marco  nel  1797  ^^Ua  municipaliti  de- 
mocratica,  con  isfoggio  di  grottesche  cerimonie. 
Un  francese,  il  Val6ry,  bibliotecario  del  Re  di 
Francia,  che  frequent6  le  sale  di  lei  cosi  ne  parla: 
a  Cette  ancienne  et  calibre  soci6t6  est  toujours 
dignement  representee  par  Theroine  de  la  "Bion- 


(i)  «  Condivano  lietamente  le  conversazioni  (del  Geo- 
gnara)  la  signorile  piacevolezza  di  Giustina  Renier  Mi- 
chiei,  la  vivaciti  di  Isabella  Albrizzi,  la  grazia  di  Marina 
Benzon  ancorchfe  fossero  vecchie,  e  di  pid  fresca  luce  bril- 
lavano  Antonietta  Sofia  Pola  Albrizzi,  non  volgare  poe- 
tessa,  e  le  due  dame  rivali  Caterina  Quirini  Polcastro  e 
Rachele  Londonlo  Soranzo,  le  quail  ambedue  abitavano  in 
Procuratia,  ambedue  ricevevano  il  venerdi  sera,  si  ruba- 
vano  gli  amici  a  vicenda,  e  dope  la  Michiel  e  TAlbrizzi 
condnuarono  le  splendide  tradizioni  della  societii  vene- 
ziana  ».  (Malamani,  d^emorie  del  conte  L.  Cicognara^  tratte 
da  documenti  originali,  Venezia,  Tip.  deH'Ancora,  1888, 
parte  II,  pag.  388). 


58 

dina  (i),  madame  la  comtesse  Benzoni,  dont  Tes- 
prit  est  k  la  fois  si  gracieux,  si  naif,  si  piquant; 
c'est  elle  qui  avec  la  familiarity  du  dialecte  veni- 
tien  disait  ses  v6rit6s  i  Byron,  enchant^  de  les 
entendre  et  qui  peut-^tre  ne  les  a  entendues  que 
dans  ce  burlesque  langage :  femme  encore  si  vive 
si  naturelle  et  si  gaie  et  qui  Ton  pourrait  sur- 
nommer  la  demiire  V6nitienne  »  (2). 

Ma  la  conversazione  che  il  Carrer  prediligeva, 
e  dove  recavasi  con  tutta  la  famigliariti  derivata 
da  molti  anni  di  amicizia,  era  quella  di  nAdriana 
Zannini^  nata  conttssa  Renter  (3).  Discendente 
da  illustre  famiglia  patrizia,  pronipote  di  Paolo 
Renier,  penultimo  doge  di  Venezia,  e  nipote  di 
Giustina  Renier  Michiel,  fii  donna  che  onor6  la 
patria  con  la  nobilt^  dell'ingegno  e  del  senti- 
mento,  con  la  innata  e  semplice  bont^  deiranimo. 
Sposatasi  giovine  a  Paolo  Zannini,  notissimo  me- 
dico che  I'aveva  salvata  da  grave  malattia,  spese 

(i)  La  Biondina  in  gondoleta,  notissima  barcarola  vene- 
ziana  df  Antonio  Lamberti,  poeta  dialettale,  traduttore  nel 
pttrio  dialetto  delle  poesie  siciliane  del  MelL  La  Biondina 
fu  musicata  da  Simone  Mayr,  bergamasco^  maestro  del 
Donizzetti. 

(2)  Voyages  historiques,  litUraires  et  artistiques  en  lialie, 
Parigi,  1838,  vol.  1,  pag.  342. 

(3)  Nacque  nel  180 1,  mori  nel  febbraio  '76.  Cfr.  A.  R.  Z., 
'NecroLdi  G.  Veludo  in  Archivio  Veneto.  vol.  XI,  parte  1/ 


59 

tutta  la  sua  lunga  vita  nelle  cure  della  famiglia, 
dedicando  i  ritagli  di  tempo,  le  horae  subsecivae 
alle  lettere  e  specialmente  alia  poesia,  di  cui  fu 
cultrice  intelligente.  Nella  sua  casa  si  raccoglie- 
vano  a  geniale  convegno  Pietro  Canal,  critico  e 
filologo  insigoe,  per  trent'anni  professore  di  let- 
teratura  latina  nell'Universiti  padovana ;  Tabate 
Filippi,  altro  dottissimo  latinista,  traduttore  del 
Sepolcri  foscoliani  e  di  alcune  ballate  del  Carrer ; 
Giuseppe  Capparozzo,  di  Lanzi  nel  Vicentino, 
morto  ancor  giovine  nel  1848,  noto  per  le  sue 
ballate  e  pe'suoi  apologhi  ed  epigrammi ;  i  iratelli 
Spiridione  e  Giovanni  Veludo,  greci  di  origine  ma 
veneziani  nell'anima,  editore  intelligente  il  primo 
e  assai  studioso  della  letteratura  greca  moderna, 
scrittore  I'altro  fecondissimo  ed  eruditissimo,  morto 
prefetto  della  biblioteca  Marciana;  infine  Benass6 
Montanari,  che  lasciava  Verona  e  la  pacifica  villa 
di  Illasi  per  assistere  alle  care  riunioni.  E  tra  mezzo 
a  questi  letterati  portava  la  nota  scientifica  Pietro 
Paleocapa,  il  sommo  idraulico,  futuro  ministro 
della  rinnovata  repubblica  di  S.  Marco.  —  Luigi 
Carrer  non  vi  mancava  mai,  e  trovava  ne*  fidi  col- 
loqui  la  pace  del  cuore.  Egli  nutriva  un  vero  culto 
per  la  Zannini,  ch'era  la  confidente  delle  sue 
gioie  e  dei  suoi  dolori :  certo  anche  I'amd,  e  forse 
ne  fii  ricambiato,   senza  per6  che  il  loro   amore 


/ 


6o 


oltrepassasse  i  limiti  deH'onesd.  lo  non  so,  e  non 
credo,  come  £u  detto,  che  la  ^H^ura  deH'ode  // 
voto  (i)  sia  proprio  Adriana,  ma  certo  nessuna 
meglio  di  lei  corrispondeva  al  desiderio  del  poeta: 


Ma  ho  bisogno  d*un  core  che  m*ami, 
Che  fratello,  che  amico  mi  chiami, 
Che  s*allegri,  che  pianga  con  me. 

E  tu  ingenua,  tu  mite,  sei  quella, 
Sei  la  cara,  la  fida  sorella 
Che  tant*anni  il  mlo  cor  destb 


Colla  patria  abbiam  tutto  comune, 
Nati  in  riva  alle  stesse  lagune, 
Pari  abbiamo  costumi,  desir. 

Come  al  tuo  tutto  parlt  al  cor  mio, 

Fino  al  suon  delPaccento  nat\o 
^  Si  giocondo,  si  dolce  ad  udlr. 


Ella  gli  fu  per  anni  ed  anni  buona  e  piecosa 
consolatrice,  lo  cur6  nelle  malattie,  gli  fu  larga 
d'aiuto  nelle  ore  tristi  del  bisogno,  si  trov6  ac- 


(i)  Cfr.  cit  ediz.  Le  Monnier,  pag.  122. 


canto  a  lui  nelle  ore  estreme  delta  morte  (i).  In 
casa  di  lei  prima  che  in  altro  luogo,  egli  leggeva 
le  sue  poesie,  e  iananzi  a  quello  del  gran  pubblico 
affrontava  il  giudizio  dei  buotii  amici.  Frutto  di 
tati  conversazioni  fu  un  volumetrn  di 
e  di  apologhi,  pubblicato  a  Milam 
soDO  autori  il  Montanari  il  Cam 


(i)  Riporto  un  soneito  tnedito  di  L. 

nell'occasione  del  Capodanno  '48 : 

Mealre  tanil  dal  cor  vers!  derivi 
A'  pensosi  miei  d\  studio  e  cc 
E  rammirabi!  Vergine  descriv 
E  il  giovin  prence  ad  inganna 

Di  te,  di  te  per  cui  respiro  e  vi 
E  canto  e  trovo  ne'  travagli  u 
Solo  UQ  non  suoneri  verso  fe 
Or  che  dall'ombre  il  novel  an 

Tad  Ildano  e  Fidena,  e  tutto  vo 
Oggi  mio  cor  a  lei  che  pelleg 
Ha  il  voiro,  gli  atti,  il  senna  1 


E  tra  gU  incendi  a  divampar  vie 
Le  frodi  e  I'ire,  la  Gentit  con 
Con  augurio  di  prosperi  destiu 


(Carte  Za 


(z)  Epigrammi  ed  apologhi  di  vari  auli 
□ezia,  pe'tipi  di  P.  Ripamonti-Carpano, 


62 

il  Canal  il  Veludo  e  la  Renier-Zannini ;  Tommaso 
Locatelli,  direttore  della  Ga7^:(etta  priviUgiata,  detti 
la  prefazione.  Essi  pensavano  di  dare  ad  ogni  gen- 
naio,  quasi  a  modo  di  strenna,  un  nuovo  volume 

0  di  apologhi  o  di  altro  genere  poetico,  e  g\k  stava 
per  uscire  il  secondo  quando  i  moti  politici  ne 
ritardarono  la  pubblicazione  (i);  poi  la  morte  del 
Carrer  ed  altre  cause  lo  fecero  dimenticare.  E  di- 
meoticato  giacque  fino  a  pochi  anni  or  sono, 
quando  un  editore  veneziano  lo  ristampava,  unen- 
dolo  a  quello  gii  uscito,  divenuto  rarissimo  e 
quasi  introvabile  (2).  A  questi  brevi  componi- 
menti  poetici  si  pu6  press*a  poco  riferire  ci6  che 
Marziale  diceva  de'suoi  epigrammi.  Ve  ne  sono 
di  buoni,  ve  ne  sono  di  mediocri  e  anche  molti 

* 

di  cattivi.  Ni  h  maraviglia:  trattasi  di  cosuccie  im- 
provvisate  neirintimiti  di  una  vivace  conversa- 
zione, nelle  quali  pii  che  il  valore  letterario  o 
artistico   si  cerca  il  bon  moty  il   frizzo    cortese  e 

(i)  «  Quanto  al  nostro  libro  che  avrebbe  dovuto  uscire 
appunto  nel  mese  corrente,  io  spero  che  Carrer  sarii  arri- 
vato  in  tempo  di  sospendere  la  stampa.  II  tnondo  vuol 
altro  che  epigrammi  ed  apologhi^  e  le  bestie  parlantt  e 
bastonate  sarebbero  i  poveri  autori  delle  tApi  e  Vespe  ». 
(Lett,  di  Adriana  R.  Zannini  a  B.  Montanari,  inedlta^  del 

1  febbr.  '48.  -  Bibliot.  Comun.  di  Verona). 

(2)  tApi  e  Vespe.  Epigrammi  ed  apologhi  di  vari  autori, 
Venezia,  F.  Ongania  edit.,  1882. 


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63 

pungente.  Ma  il  frizzo,  e  ci6  sia  detto  ad  onore 
degli  autori,  non  scende  mai  alle  persone,  e  niuno 
ebbe  mai  a  rammaricarsi  del  pungiglione  di  queste 
api  e  di  queste  vespe. 

G)me  gi^  dissi,  tali  riunioni  di  buoni  amici 
erano  per  il  Carrer  un  gran  sollievo  ai  dispiaceri 
ond'era  assalito.  Poichi,  mentre  le  sue  condizioni 
pecuQiarie  miglioravano  col  lavoro  della  tipografia, 
si  ch'egli  avrebbe  potuto  attendere  a  qualche  opera 
geniale  «  che  lo  levasse  una  volta  dal  numero 
innumerabile  dei  gretti  raffazzonatori  di  libri  altrui 
col  nome  proprio  »  (i);  in  famiglia  le  cose  ogni 
giorno  andavano  peggiorando.  Comuni  amici  ten- 
tarono  un  ravvicinamento  tra  lui  e  la  moglie,  ma 
non  riuscirono  nel  loro  intento,  e  tutto  torn6 
come  per  Taddietro ;  soltanto,  la  figlia  fu  tolta  alia 
madre  e  posta  in  un  coUegio.  In  questo  tempo 
tom6  da  Parigi  Nicol6  Tommaseo,  che  passava 
spesso  molte  ore  col  Carrer,  senza  pero  che  la 
loro  amicizia,  osserva  la  Zannini,  avanzasse  gran 
tratto,  si  invece  la  stima  reciproca  dell'ingegno. 
Da  molto  tempo  fra  i  due  uomini  v'erano  ottimi 
rapporti,  che  dovevano  pii  tardi  mutarsi ;  il  Tom- 
maseo, ammirando  I'opera  letteraria  del    Carrer, 


(i)  Lett.  ined.  di  A.  Zannini  a  B.  Montanari,  del  23  feb- 
!i'^  braio  '40  (Bibliot.  comun.  di  Verona). 


64 

dichiarava  di  aver  ricavato  molto  profitto  da'suoi 
consigli(i);  il  Carrer  professava  la  pid  sincera 
stima  per  I'alto  ingegno  e  per  la  forza  e  indipen- 
denza  di  principi  del  fiero  dalmata.  a  Abbiamo 
qui  invece  il  Tommaseo,  scriveva  al  Montanari, 
onesto  e  piccante  quale  era  anni  sono,  e  men 
istrice  a  conversare  che  non  sembri  negli  scritti, 
pur  non  troppo  maneggevole.  L'  ingegno  suo  pii 
sempre  vivido  ed  elevato,  e  il  discorrere  con  esso 

utilissimo  e  caro Ode  pazientemente  le  osser- 

vazioni  che  crede  leali  e  le  cerca »  (2). 

II  Carrer  continuava  sempre  a  lavorare  nella 
tipografia  del  Gondoliere,  ma  pur  troppo  anche 
essa  subi  nel  ^41,  dopo  un  periodo  di  incertezze 
e  di   traversie,   un   grave   tracoUo.   Molti   degli 


(i)  «  Dai  colloqui  del  Carrer trassi  profitto  non  poco; 

perch^  egli  amante  giii  (sebbene  con  intendimenti  men 
larghi  e  men  suoi  di  quelli  che  dimostrb  poscia)  amante 
delle  nuove  idee  che  col  titolo  di  romantiche  giravano 
strapazzate  da  amici  e  neraici  in  Italia,  mi  cominci6  prima 
a  screditare  Tuso  della  mitologia  e  le  angustie  delle  uniti 
tragiche  e  Taifettata  disconvenienza  tra  lo  stile  e  il  sog- 
getto.  A  codeste  idee  non  venni,  confesso,  se  non  alagino 
e  ripugnante  »  {Memorie  poetiche  di  N.  Tommaseo,  Vencaa, 
coi  tipi  del  Gondoliere,   1838,  pag.  loi). 

(2)  Lett.  ined.  di  L.  C.  a  B.  Montanari,  20  dicembre  '36 
(Bibl.  Comun.  di  Verona). 


6s 

operai  furono  licenziati,  il  lavoro  intisichi,  le  cam- 
biali  non  venivano  pagate.  I  contratti  col  Carrer 
rimanevano  lettera  morta,  e  nh  pure  gli  si  paga- 
vano  i  compensi  dei  lavori  fatti.  Una  delle  ultime 
opere  della  moribonda  stamperia  furono  le  prose 
e  poesie  del  Foscolo,  curate  dal  Carrer,  che  vi 
aggiunse  un  dottissimo  studio  suUa  vita  e  le  opere 
del  poeta,  studio  al  quale  lavorava  da  tre  anni 
con  grande  amore,  e  che  gli  aveva  procurate  molte 
brighe  per  parte  della  Censura  (i). 

a Posso  prometterle  da  quest'ora,  diceva  alia 

Zannini  mentre  attendeva  al  Foscolo,  che  la  mia 
Vita  sari  la  prima  che  siasi  scritta  del  Foscolo, 
e  quanto  a  pertinacia  di  ricerche  e  a  veraciti,  delle 
poche  che  siansi  mai  scritte.  Leggo,  rileggo  due, 
tre,  fino  a  cinque  o  sei  volte  le  cose  stesse,  per 
imbevermi  a  cosi  dire  delle  opinioni  e  dei  senti- 
menti  deU'autor  mio  e  un  mio  periodo  h  uno 
stillato  di  venti  pagine.  La  malinconia  che  spira 
da  ogni  sua  cosa  armonizza  col  mio  animo ;  certi 
tocchi  affettuosi  mi  fanno  correre  colla  memoria 
a  quanto  di  consimile  ho  veduto  e  provato :  vivo 


(i)  Trose  e  poesie  inedite  di  U.  Foscolo,  ordinate  da  L.  C, 
e  corredate  della  vita  delVautorey  Venezia,  Gondolierey  1842 
(il  colonnello  Foscolo  dall'  Ungheria  scriveva  spesso  al  C, 
raccomandandogli  la  memoria  del  fratello). 

5 


6fr 

iasomina  e  mi  pasco  d'  immagioaziotie  e  di  desi- 
deri  s  (i).  Per  il  crollo  della  tipografia  il  Carrer 
St  trovava  una  volta  ancora  senza  il  pane ;  doniaodd 
invano  un  posto  vacante  di  soitobibliotecario  alia 
Marciana;  si  fece  direttore  di  una  Enciclopt4ia  (^2) 


autoritik.  Ad  ogoi  modo  questa  volta  gU  cot 
la  cattedra  (novembre  '42)  con  I'annuo  stip 
dt  settecenlo  fiorini ;  ma  non  essendo  ie  ( 
dell*  insegnameoto  adatte  al  sue  fisico,  oraii 
nato  dalla  tisi,  domand6  da  prima  un  assi: 
cbe  lo  sostituisse  nelle  ore  fredde  del  mati 
nelle  gioraate  burrascose,  poi,  un  anno  do| 
nunci6  del  tutto  alia  scuola.  Lasciau  nel 
naio  '43  anche  la  direzione  del  giornale  il 
doUere,  che  cedette  a  Giovanni  Podest^,  si  ( 
tutto  agli  studi,  segnatamente  poetici.  Curf 
nuova  edizione  delle^ue  opere(2),  e  diede 
prima  volta  alle  stampe  le  Satire  di  Micheli 
Buonarroti  il  giovane  (3),  tratte  da  un  codic< 

Sua  Eccelleaia  il  Si|nor  Governatore 
E  il  Mcario  cod  lui  Capitolare 

E  signori  nobilissimi  e  Signore 

Si  diedero  I'arrivo  a  celebcare, 
E  a'  regi  sposi  fare  quell'onore 
Gie  ptCi  per  loro  si  poteva  fare. 

(Carte  Zanoini,  Veni 
Q.uesto  sooetto  si  trava  in  altre   private   raccol 
qualche  variaote  di  niuaa  imporianza. 

(2)  "Potsic  ediU  t  inedile  di  L.  C,  Veneaa,  Slat 
gralico  Eacicl.  di  G.  Tasso,  184$,  i  vol,  —  Troii 
intdiu  di  L.  C,  Id.,  id.,  1846,  I  voL 

(3)  y*''  ^  noi\e  'De  Pri-Zanmai ;  Satire  di  Mic 
GELO  Buonarroti  il  giovane,  date  ora  in  luce  per  I 
volta,  Veaezia,  Tip,  Alviaopoli,  1845. 


Marucelliana  d\  Firenze.  Nel  dicembre  '45  I'lsti- 
tuto  Veneto,  del  quale  da  tre  anni  era  membro, 
lo  nominava  con  bella  votazione  suo  vicesegre- 


pot^  pill  risollevarsi :  fu  qucllo  il  piu  gra 
delta  sua  vita,  pur  cost  travagliata,  e  s< 
che  senza  quella  prova  non  avrebbe  crt 
che  potessero  esistere  soSeretize  si  acu 
netti  che  scrisse  in  quella  dolorosa  occasi 
forse  i  pi6  belli  che  siano  usciti  dalla  su 


arcato,  i  ve 

o,  un  mar  tetro 

di  pianic 

Or  neU'eterca  pace 

Ci  riposi. 

E  i  morbi 

gUann 

■r  fretiolc 

FaraD  che 

n  breve 

lo  tisia 

serapre  a 

at  tutto  t  ver,  ma  dove  giro  intanto 
Qjiest'occhi  roiei  del  tuo  volto  bramo 
Del  tuo  riso,  de*  taa'i  sguardi  amorosi 
Dove  li  giro  a  confbrtanni  alquanto?. 


(I)  PoetU  di  L.  C,  ed.  < 


H 


Siamo  ormai  ai  tempi  fortuoosi  del  1848-49, 
e,  iosienie,  agli  ultimi  anni  della  vita  del  nostro 
poeta. 

Luigi  Carrer  s'era  sempre  tenuto  lontaao  da- 
gli  afiari  politic!,  che  richiedevaoo  tempra  ben 
piCi  vigorosa  e  altro  spirito  che  il  suo  dod  fosse. 
Nato  durante  la  prima  dominazione  austriaca, 
aveva  trascorso  la  tanciullexza  tra  lo  sbalordi- 
meato  che  cagioaavano  le  strepitose  vittorie  aa' 
poleoniche  e  il  terrore  delle  leve  di  soldati  sem- 
pre rinnovantisi.  Pifi  tardj  avea  pensato  ad  ud 
poema  che  cantasse  le  geste  del  despota  fatale 
ma  di  esso  non  ci  rimane  che  la  protasi: 


caduto  con 
me  e  noto. 


71 

sotto  1' Austria,  e  vi  pass6  un  trentennio  di  sonno 
profondo,  che  certo  non  avrebbe  fatto  supporre 
nh  sperare  il  risveglio  del  *48.  Solo  i  process!  e 
le  condanne  del  Carbonari  nel  '21 ;  la  diserzione 
dei  fratelli  Bandiera  e  di  Domenico  Moro  nel  '44, 
col  susseguente  sbarco  in  Calabria  e  col  loro 
eroico  supplizio,  turbarono  la  lunga  quiete,  noio- 
strando  che  la  calma  era  solo  apparente,  e  che 
nelle  viscere  della  nazione  qualche  cosa  ribolliva 
e  stava  maturando.  II  Carrer,  come  la  maggior 
parte  de'suoi  concittadini,  accett6  senza  mormo- 
rare  la  dominazione  austriaca,  e  anche  pieg6  la 
sua  musa  a  cantare  i  nuovi  signori. 

Quando  nel  '25  il  viceri  arciduca  Raaieri,  gua- 
rito  da  grave  malattia,  si  rec6  una  sera  al  teatro 
la  Fenice,  alle  diverse  voci  di  gaudio  univasi  anche 
quella  del  nostro : 

Dalla  Reggia  che  in  mar  siede 
Ripercosso  echeggia  un  grido : 
Salvo  fe  il  Trence  I  e  I'acqua  e  '1  lido 
Salvo  b  il  Prencel  replic6  ecc.  (i) 

Nondimeno  dalla  sospettosa  polizia  non  era 
tenuto  per  troppo  ortodosso :  altrove  accennai  ai 

(i)  Componimenti  di  esultanyi  -  della  Regia  Citii  di  Ve- 
neiia  -  Recandosi  Tottimo  Principe  Arcid.  Ranieri  al  tea- 
tro la  Fenice  -  Ristabilito  in  salute  -  Venezia  -  Alviso- 
poli  -  MDCCCXXV  -  pag.  37. 


eco  nel  suo  petisiero,  e  gU  lasciarono  inei 
musa.  Percii  gli  avvenimenti  fulminei  del ' 
trovarono  impreparato:  egli  non  seppe  orie 
nel  nuovo  mondo  che  gli  si  apriva  dioanzi;  i 
le  accuse  che  gli  furoo  fatte,  le  quati,  se  pot 
venire  attenuate,  niuno  potr^  mai  cancellat 
Certo,  ancb'^li  rimase  commossu  dal  <i 
pare  dcglj  entusiasmi  intorno  a  Pio  IX,  e 
allora,  nel  rrioniare  delle  idee  neo-guelfe,  g 
rise  al  pensiero  I'idea  di  una  patria  italiana 
sotto  I'alta  supremazia  papale.  Ad  iin  sonei 
Guerrazzi  per  la  elezione  del  nuovo  papa  r 
con  un  altro^er  le  rime  (r);  e  akua  tempo 

<i)  Ecco  il  sonetto  del  Guerrazzi : 

Quaado  s'aprl  del  Fato  il  denso  veto 
E  a  supremo  pastor  fu  Pio  chianiato 
Uaa  lagrima  saata  c  fede  e  zelo 
Trasser  dal  ciglio  al  duovo  coronaio. 

E  allor  che  sciolto  d'ogni  tema  il  gelo 
Diede  pace  e  perdoao  al  cor  traviaio 
L'occbio  che  in  benedir  volgeva  al  Cielo 
Fu  visto  d'altra  lagrima  bagnato, 

Stille  d'amor  prcziose  eotrambe  sono ;       (ui 
Ma  qual  til  quella  che  pib  calda  uscio 
Qjial  pit!  s'addice  al  Sacerdozk),  al  Tiona 

Fu  d'uom  la  prima  e  d'uom  sublime  e  pio 
Ma  I'altra  che  movean  pieU  e  perdono 
Se  Dio  piangesse  la  direi  di  Dio. 


ndo  tutto  feceva  prevedere  inevitabile  e  pros- 
a  la  rivoluzioDe,  cantava : 

O  dolce  patria,  e  qua!  ti  si  prepare 

Ordin  aovel  d'  mfausd  e  lieti  giorni  ? 

Data  iperar  ai  fia  che  la  tiara 

^l!a  pirdula  gloria  II  rilorni, 

E  che  dalk  vetusta  ind^na  gara 

Rimanga  ogai  tut  gente  e  se  ne  scorni? 

Tanto  di  vita  sol  mi  si  coDceda 

Che  il  bel  trionfo  c 


]  eccD  anche  la  risposta  del  Garret : 
Q^'odo  a  rifletter  Cristo  ia  umao    velo 

L'Iniolese  pastor  venje  chiamato 

Ud  saggio  vate  *  pien  d'amico  zelo  '  (il  MarcbtUO 

Mosse  cantando  al  sommo  Coronato. 
Ma  i  tersi  carmi  suoi  parver  di  gelo 

E  li  rifcce  un  vate  travTato 

Che  il  labbro  avvezzo  a  bestemmiare  il  Qelo 

A  pori  fonti  dod  ha  mai  bagnato. 
Or  vedi,  Italia,  in  qual  discordia  sano 

Gl'ing^ai  tuoi  I  Che  nuova  scuola  uscio 

Dacch^  Ignavia  e  Follia  ponesti  in  trono  I 
Vedi  come  a  lodar  del  Nono  Pio 

L'elezlon  felice  e  il  graa  pcrdono 

S'oltraggi  il  giusCo,  la  ragiooe  e  Dio. 
{Trovansi  in  letL  ined.  di  L.  C  a  B.    Montanatij   14 
!0  '47  (BibL  Comun.  dl  Verona). 

)  La  Fata  Vergiiu  -  poema  ined.  -  C.  xi.  (Carte  Zan- 

-  Veneiia). 


II  13  settembre  '47  radunavasi 
famoso  nono  Congresso  dei  dotti 
vera  e  grande  manifestazione  in  sen 
e  il  Municipio  con  felice  peasiero  c 
frire  agli  ospiti,  quasi  tutti  lombardi 
libro  che  fosse  una  storia  insieme 
che  toccasse  quanto  concemeva  la  1 
mra  nella  scienza  nella  politica  m 
icttere.  Fu  nominata  una  commissi 
di  cui  facevano  parte  il  podesti  C 
Agostino  Sagredo,  Nicol6  Priuli,  Luc 
Luigi  Carrer.  L'opera  s'  intitol6  Fen 
lagune,  e  in  essa  troviamo  uno  stud 
su  la  lelteratura  e  sul  diaktio  vene^ii 
Chioggia  t  U  isole  (\). 

A  quel  tempo  il  Carrer  era  anche  1 
deirAteneo  Veneto,  e  non  fe  a  dirsi 
carica  lo  readesse  impacciato.  Comi 
I'Ateneo  era  divenuto  il  centro  di 
liberale,  e  il  Manin  il  Tommaseo  il  1 
sani  il  Paleocapa  ed  altri  coraggiosai 
tamente  chiedevano  riforme.  II  mc 

([}  Fene^ia  e  U  sue  lagune  -  VolL  a  -  ' 
neiia  nell'I.  R.  Stabilimento  Antonelli  -  i 

Sulla  litttrahtra  e  sul  dialello  vtne^iano 
parte  11*  -  pag.  31s  e  se^. 

Isok  e  Chioggia  -  Vol.  II*  -  pane  U' 


itnciato ;  nessuDO  avrebbe  saputo  dire  quando 
jve  si  sarebbe  arrescato.  11  Carrer  voleva  dimec- 
i,  ma  ne  Ai  distolto,  e  in  mezzo  al  cozzo  delle 
ive  idee  che  venivaao  lanciate  nella  traoquilla 
,  in  mezzo  ad  uomini  professanti  le  pifi  dispa- 
;  opinion!,  si  trovava  molto  a  disagio  (i). 
1  i8  gennaio  '48  il  Manin  e  il  Tommaseo 
livano  arresuti :  due  mesi  dopo,  il  17  marzo, 
lopolo  voUe  liberi  i  due  carcerati.  Scoppiava 
rivoluziooe. 

^ggiamo  la  narrazione  che  il  Carrer  fa  all'amico 
ntanari  della  memoranda  giomata :  a  ....  corse 
popolo)  in  iolla  alia  piazza  e  domand6  ad  alte 
k  -liberi  il  Manin  e  11  Tommaseo.  11  govema- 
i  promise ;  ma  il  popolo  voile  subito  e  corse 
:  careen ;  furono  quindi  messi  in  liberti  tut- 
due  ;  e  condotto  il  Tommaseo  sulle  spalle 
b  gente,  il  Manin  sopra  una   non  so  se  pol- 


[)  «  Oh  tniseri  temp],  Bennassli  mio  I  E  qual  bisogno 
iver  vicioi  a  si  quelli  che  possono  giovare  col  consi- 

e  coH'amicizu  sincera.  lo  pen  sono  imbarazzato  noa 
0  a  cagione  ddla  Vicepresidenia  dell'  Ateaeo  e  per 
□to  usi  di  prudenza  e  di  moderazione  mi  i  impossitnle 
.  disgustar  qualcheduno.  Baita  db  tutto  che  io  fo,  t  da 
fatto  secondo  coscienza  e  con  intenziooe  rctta  e  leale. 

me  la  maadi  buotu  I  »  (Lett.  ined.  di  L.  C.  a  B.  Mcui- 
iri,  18  geanaio'48  -  Bibliot.  Com.  di  Verona). 


trona  o  altro  in  piazza.  Si  vollero  egu; 
berati  11  Menegbini  e  lo  Stefani,  e  fur 
nati  a  casa  i  due  primi  furono  visitati  d: 
lo  mi  portai  dal  Tommaseo,  che  trov; 
nissimo  e  tranquillo.  In  seguito  si  : 
bandiefe  tricolorij  dalle  finestre  si  getti 
zoloni  i  tappeti  come  nei  glorni  festi 
diere  tricolori  s'inalberarono  sugli  stem 
piazza.  Quest'ultimo  fatto  fu  cagione  c1 
massero  in  piazza  buona  parte  dei  sol 
guamtgione  e  ci  sono  a  quest'  ora  coi 
il  popolo  che  per  altro  finora  non  fei 
atto  ostile,  e  spero  non  fari  contentand 
nare  a  doppia  le  campane  di  S.  Mi 
quali  il  popolo  mise  le  mani  6n  da  qi 
tioa.  Qualche  disordine  sento  esser  ac< 
polizia,  con  abbruciameato  di  qualche 
ferimento  d' un  solo  »  (i).  E  dopo  ( 
descriveva  all'  aniico  la  comparsa  del 
civica,  che  un  decreto  imperiale  aveva 
la  sera  del  i8.  «  La  guardia  civtca  ass 
megtio  comparve  in  giro  prima  di  ser; 
meraviglia  e  la  gioia  le  menti  si  voltar 
tro.  Erano  quei  soldati   della   guardia 


(I)  Lett.  Ined.    di  L.   C.  a1    Montanari,   i 
(Bibliot.  Comun.  di  Verona). 


78 

sone  aotissime,  fra  le  quali  il  Tommaseo  e  il 
anin,  il  figlio  del  Podesti,  U  6gUo  dell'  avvo- 
to  Avesani,  e  via  via  con  una  sciarpa  o  strac- 

0  traverso  le  reni  i  soldati^  con  la  stessa  sciarpa 

1  armacollo  i  capi,  e  armati  quale  di  uno  schioppo 
L  caccia,  quale  di  scizbok,  quale  di  pistola,  tutti  in~ 
itnma  con  quella  qualsiforoie  arma  che  si  trovarono 
rere  id  casa  t  (i). 

Le  giornate  di  febbraio  a  Parigi,  la  rivoluzione 
le,  di  1^  propagatasi,  incendtb  unta  pane  d'Eu- 
)pa,  ritalia  in  armi  contro  lo  straniero,  Venezia 
[>era  e  repubblicana  nel  nome  caro  e  glorioso 
S.  Marco  scossero  la  fibra  invecchiata  del 
>eta ;  ond'cgli,  tasciatosi  trascinare  da  quell'onda 
i  entusiasmo,  si  lev6  a  cantare  U  liberty  la  guerra 
,  vittoria,   infervorando  gli  animi  a  insorgere  e 

combatiere  (2).  Sodo  a  punto  di  quei  primi 


(1)  Lett.  ined.  di  L,  C.  1  B.  MonUnari, 

libL  Comun.  di  Verona). 

(2)  «  Nei  gioroi  della  graa  lotta,  qoando 
iminatore  abbandonava  al  Governo  della  proclamata  re- 
ibblica  Venetia  e  le  sue  provincie  agognatiti  a  libertl, 
i  cittadino  micilenie,  pallido  e  svigorito  della  salute, 
icchiuso  come  solea  nelU  sua  Ucita  e  modeiu  came- 
stta,  diceva  a  un  amico  suo  incimo:  !□  nulla  posso  &re 

pro  della  pairia,  cbiedeate  in  cost  supremo  roomento  il 
raccio  del  ligli;  chk  le  forte  omai  scadute  di  quests  mio 
:bil  ccirpo  non  mi  consentono  pigliare  un  fiicile.  S'abbia 


giomi  liberi  tre  carmi  del  Carrer,  ribocc 
sensi  patriotiici,  pubblicati  dalla  g'li  I.  R.  C 
di  Venecia,  divemata  per  I'occasione  orga 
ciale  della  nuova  repubblica  avendo  sostiti 
leone  alato  I'aquila  biciplte  (i). 

Nel  Canto  di  guerra,  comparso  il   3 1 
egli  indma  agli  stranieri  di  uscire  dall'Ita 

Via  da  Doi,  Tedesco  iofido, 
Non  pili  patti,  non  accordi. 
Guerra!  Guerra  1  ogni  atcro  grido 
E  d'infamia  e  servitii. 
Su  que!  re!  di  sangue  lordi 
11  furor  si  fa  virtix. 

Ogni  spada  divien  santa 
Cbe  nei  barbari  si  piama. 
£  d'ltalia  indegao  figlio 
Cbi  all'acciar  aon  dJl  di  piglio. 
E  UD  nemico  non  atterra: 
Goettal  Guerra! 


alnieao  U  patria  mia  dalle  rimaneati  foric  di 
quella  testimonianza  d'amore,  che  sola  pud  dat 
povera  peuna.  Leggi  questo  scritto  e  dimmeiu 
Erano  inni  di  redendoue,  inspirati  dairardore  di  c 
zionale,  inni  che  il  dl  appresso  uscirouo  a  luce 
ammirati  universalmente  n  {THscorto  di  Giovanni  i 
Inauguraiione  del  husto  di  L.  C. ;  estr.  dall'.^r^Mf . 
vol.  XV,  (1878),  Parte  L 

(0  Q.uesti  tre  canti,  oltre  che  nella  Ga^^etta  1 
volanti,  furono  inseritti  dal  prof.  Pietro  FerraT' 
poUticht  e  sonetti  di  L,   C,    Firenze,    Lenionciier, 
trovano  aacbe  ristampati  in   raccolie   di   canti 
del  qouamotto  e  quarantanove. 


Nel  secondo  canto,  stampato  il  i"  aprile,  ianeg- 
indo  alia  repubblica  proclamata  in  Francia, 
nge  gli  luliani  a  seguirne  Tesempio : 

Sulla  Senna  il  chiaro  esempio 
Ti  dift  un  popolo  d'eroi. 
Era  schiavo  e  i  ceppi  suoi 
In  brev'ora  stritolfi. 

;1  terzo,  del  3  maggio,  intuona  VAlkhja  del  '48 : 

Alleluia!  &  Dio  risorto 
Coll'iDsegna  del  riscatio. 
Alleluia  a\  nuovo  patto, 
AU'italica  unit!. 

II  giorno  dopo  la  cacciata  degll  Austriaci  U 
eta  scriveva,  neli'ebbrezza  della  vittoria,  un  ar- 
jlo  da  inserirsi  nella  Gaz^etta  (l),  nel  quale, 
Litando  S.  Marco  e  la  Repubblica,  sosteneva 
a.  dover  esistere  dubbi  sulk  forma  di  govemo 

scegliere,  poich^  e  la  storia  e  la  tradizione 
poaevano  la  repubblica.  Questo  scritto,  che  poi 
ignore  il  perchi  -  non  companre  suUa  Ga^- 
ta,  io  riporto  integralmente  come  testimone 

[1)  It  Q.uesto  roio  articolo  sia  inserito  nella  Gaz^itUii  quaodo 
:eri  nieglio  al  compilatore,  ncn  essendo  puDto  neccssario 
:  si  legga  piuttosto  {^gi  che  domani  uo'adesione  che  ia- 
lo  &tu  per  quelli  soltanto  tra  raiei  concittadini  e  con- 
ionali,  che  aacbe  sem'essa  mi  avrebbcro  letto  nel  cuore  * 
)ra  all'articolo). 


dei  sentimenti  che  animavano  il  Carrer  in  q 
primi  momenti :  a  Viva  la  repubblica !  Viva  J 
Marco !  Non  vorrei  ripetere  ad  ogni  ora  i 
queste  care  e  sacrc  parole.  Benedetto  chi  pri: 
le  ha  ieri  pronunziate  c  f\i  cagione  che  si  ri 
tessero  da  tutto  un  popolo  chiamato  a  racquistai 
per  esse  il  sentimento  di  se  medesimo  e  di 
sua  liberta.  Per  esse  siam  toiti  aU'amara  nee 
sixk  di  chiedere  una  cosa  volendooe  un'altra, 
scambiare  per  entusiasmo  la  rassegnazione  e  ] 
felicitii  la  minore  miseria:  cifi  che  chiediamc 
piena  ed  alta  voce  fc  ci6  che  vogliamo;  ci6  < 
flbbiamo  ottenuto.  Non  seppi,  confesso,  grii 
viva  ed  applaudire  prima  d'ora,  oemico  come 
e  5ar6  sempre  d'ogni  ambiguiti  e  reticenza, 
mandate  ulvolta  dai  tempi  e  dalla  ragione; 
non  perci6  meno  amare  e  dtssentite  dal  cue 
Cuore  e  ragione  si  sono  messi  d'accordo; 
che  sembrava  non  pifi  che  delirio  lo  abbiamo 
duto  ieri  avverarsi  sulla  nostra  piazza.  La  nos 
adorata  bandiera  torn6  a  sventolare,  I'antica  i 
stra  madre  si  alz6  dal  sepolcro  e  chiam6  a  s 
propri  figli.  Chi  potri  contenersi  dall'accorr' 
alia  sua  voce,  dallo  stringersi  ad  essa,  dall' 
plaudire?  Ad  altre  gcnti  si  conceda  riman 
dubbiosi  sul  reggimento  da  scegliere,  sul  no 
da  cui  intitolarsi;  noi  non  possiamo  averne  i 


uno  solo,  quello  che  abbiamo  di  gii  scelto  e  pro- 
'  mato.  Quattordici  secoli  ce  lo  mandarono  glo- 
so:  che  fe  mai  a  fronte  di  essi  rinterruzione  di 
uaati  anni? 

a  No,  il  nostra  passato  non  h,  grazie  a  Dio, 
ito  da  noi  remoto  che  non   possiamo  stender 

esso  la  mano,  e  riaonodarci  in  modo  che 
imparisca  dalla  nostra  memoria  la  breve  inter- 
sizione  del  dominio  straniero,  se  non  in  quaoto 
'icordarcene  ci  torai  d'utile  e  tremcnda  leztone. 
di  badare  a  tutto  ci6  che  pu6  servirci  d'am- 
estramento  abbiamo  d'uopo,  da  che  I'opera  del 
;tro  risorgimento  h  appena  incominciata ;  fa> 
le  lunghe  e  perseveranza  indomabile  ci  occor- 
lo  a  perfezionarla.  E  gli  ostacoli  che  rimangono 
iuperare  son  men  terribili  di  quelli  che  ci  Sor- 
iano contro  poc'anzi,  e  se  quelli  rovinarono  la 
0  mercfe  presso  che  da  se  stessi,  a  superare 
;st'altri  h  richiesto  un  inteadimento  concorde, 

fermo  volere.  Un  civico  drappelletto,  nelle  cui 
ni  stavano  I'armi  p'lii  che  altro  a  mostrare  che 
loro  funesta  signoria  era  cessata,  bast6  a  pro- 
onare  quella  parola  che  rinfondeva  la  vita  nel 
lavere  dl  un  popolo  generoso  e  mal  conosciuto; 

il  consentimento  e  I'alacritA  universale  biso- 
ino  a  far  si  che  questa  sacra  parola  sia  meglio 
:  un  sempltce  suono  e  tanto  operi  quanto  si- 


85 

gnifica.  Le  cupiditi   immoderate,   le    astiose  dis- 
senzioDi,  i  vani  puntigli  e  sopratutto  Timpazienza 
del  bene  che  non    pu6  maturarsi   salvo  che  col 
benefizio  del  tempo,  possono,  non    dir6    gik  ab- 
battere  (che  a  ci6  dobbiam  credere  non   sia  per 
bastare  forza  umana  nessuna)  ma  impedire  e  in- 
dugiare  Topera  a  cui  si  accingono  i  buoni,  e   su 
cui  tutti  tengono  gli  occhi.   Non  havvi  ragione- 
vole  senso  che  addur  si  possa  alia   dissidia,  alia 
noncuranza ;  tante  e  tanto  svariate  sono  le  parti 
di  cui  deve  comporsi  il  nobile  edifizio,  che  qua! 
ad  una  qual  ad  altra  dobbiamo  tutti  sentirci  atti 
a  dar  mano.  Le  varie  attitudini    dell'ingegno,  la 
varia  esperienza,  le  condizioni  molteplici  d'eser* 
cizi,  di  vita,  possono  e  devono  concorrere    d'un 
modo  a  far  si  che  si  ottenga  il  fine  da  tutti  de- 
siderato.  Chi  nulla   s'ingegna   d'operare,  di  sug- 
gerire,  proceda  almeno  lentissimo  nei  giuJizi,  e 
non  voglia  arrogarsi   qual   premio   della  propria 
inerzia  di  censurare  senza   lunga   considerazione 
I'altrui  attiviti.  Uomini  tanto  operosi  quanto  ama* 
tori  di  libertit  suscitarono  dalle  paludi  questo  mi- 
racolo  dell'ardimento  e  dell'arte;   facciamoci   sul 
loro  esempio,  rannodiamoci  ad  essi  non  pure  nel 
nome,  ma  si  ancora  ne*  fatti ;  ogni  nostro  inten- 
dimento,  ogni  nostra  azione  altro  non  sia  quindi 
innanzi  che  una  continuazione  continuata,  effettiva 


di  quel  primo  grido:  Viva  la  repubblJca!  Viv2 
S,  Marco  »  (t).  11  giorno  28  marzo  il  Carrer,  nella 
sua  qualttik  di  vicepresidente,  stendeva  I'adesione 
dcH'Ateneo  Veneto  al  GoverQO  provvisorio:  «  Ci 
rechiamo  a  vanto  -  scriveva  -  di  significare  la 
nostra  volotiterosa  e  piena  adesione  al  Govemo 
provvisorio  ».  —  Ma,  passati  i  priini  moiuend,  il 
poeu,  ripiegatosi  su  se  stesso,  senti  svanire  gli 
entusiasmi ;  nei  reggitori  della  cosa  pubblica  non 
vide  che  imbroglbni  intenti  solo  aU'utile  pro- 
prio;  gli  errori  inseparabili  dalla  natura  umana, 
le  incertezze  d'una  situazione  oscura  e  gravida  di 
pericoli  non  trovarono  attenuanti  presso  di  lui, 
e  lo  sforzo  disperato  dt  quel  popolo,  che  difen- 
deva  la  liberti  e  I'onore,  non  merit6  se  non  i 
suoi  sarcasmi.  Jacopo  Bernardi,  testimonio  oculare 
degli  avvenimenti  del  '48  e  storico  degnissimo 
di  fede,  scriveva  sulla  condotta  del  Carrer :  «  Anche 
il  C.  si  lasci6  andare,  come  tanti  altri,  all'impeto 
del  suo  genio  e  a  quello  sdegno  che,  da  tanti 
anni  represso,  irruppe  dal  fervido  suo  petto  in  quei 
due  poetici  cotnponimenti  che  si  stamparono  nel- 
Tappendice  della  Veneta  Gazzetta.  Appresso,  le 
mutate  condizioni,  la  consuetudine  di  persooe  che 


8s 

<lopo  il  movimento  primo  si  trassero  addietro 
assai,  k  mancanza  di  taluno  tra  i  suoi  aniici  piji 
<eletti  e,  tra  questi,  di  quell'ilare  e  svegliatissimo 
ingegno  che  era  Giuseppe  Capparozzo,  il  trasoao- 
dare  che  fecero  le  opinioni  di  parecchi  dal  beae^ 
4al  dignitoso,  dal  giusto  alia  esagerazione,  al  ri- 
dicolo,  al  delitto;  forse  anche  Tabbandono  ia  che 
a  torto  lo  si  era  posto  in  quel  giorni,  e  alcuni 
altri  motivi  personal],  lo  intiepidirono  a  tale,  da 
giudicarlo,  se  non  avverso,  freddo  almeno  a  fatti 
che  avevano  per  iscopo  di  mostrare  ai  nemici  e 
dileggiatori  d*Italia,  che  non  era  poi  degenere  il 
sangue  che  scorreva  nelle  vene  degli  Italiani  e 
dei  Veneti  d'oggidi,  ecc,  ecc.  »  (i).  E  meglio  an- 
cora  delle  parole  altrui  servono  a  mostrarci  le  con- 
dizioni  del  suo  animo  le  lettere  che  scrisse  ia 
quel  tempo.  II  7  -giugoo  '48,  allorquando  a  Ve- 
nezia  si  discuteva  calorosamente  pro  e  contro  Tu- 
nione  con  la  monarchia  sabauda,  il  Carrer  scriveva: 
«  E  avrei  bisogno  di  cacciarmi  tutto  pi^  che  mai 
nello  studio  e  non  udire  gli  schiamazzi  d'ogai 
fatta  che  assordano  anche  i  piii  tranquilli  e  lon- 
cani  dal  prender  parte  alle  discussion!  dei  cafi& 
e  della  piazza.  La  cosa  &  giunta  a  tale  che,  dalla 


(i)  J.  Bernardi,  Luigi  Carrer,  nel  Cinunto  di  Torino, 
anno  11^  (1853),  serie  II,  vol.  Ill,  pag.  67. 


straniera  in  fuori,  h  destderabile  qualsivoglia  altn. 
dominazione ;  tanti  sono  gli  arbitri,  gli  scandali, 
le  bestiality  solennissime,  che  st  veggono  nella 
preseDte.  Dio  soccorra  t'ltalia  e  la  povera  nostra 
Venezia,  e  le  soccoriu  non  meno  che  dagli  stra- 
nieri,  da'  suoi,  sicchh  noa  ci  sia  pi6  pericolo  ad 
essert  galantuomo  e  dissenziente  da'  pazzt  che 
coDgiurano  a  rovioare  il  paese  e  insegaano  li- 
berti  col  bastone.  Creda  pure,  mia  buona  signora, 
ce  n'k  da  piangere  a  lagrime  amare  e  invidiare 
chi  ha  perduto  il  seono  od  i  morto  »  (i). 

Due  mest  dopo,  il  7  agosto,  il  Colli,  il  Cibiario 
e  tl  Castelli,  commissari  di  Carlo  Alberto,  man- 
davano  fUori  ua  proclama  anautiziante  la  delibe* 
rata  fiisione  di  Venezia  col  Piemonte,  che  oon 
avveniva  senza  dolore  del  Maoin  e  della  immensa 
maggioranza  dei  Veneziani,  costtetti  a  sacrificare 
le  loro  ideality  repubbUcane  alle  supreme  neces- 
sity delta  difesa  nazionale.  Luigi  Carrer  accolse 
con  grandc  giubilo  I'annuncio,  forse  pid  che  per 
it  fiitto  in  s^,  perch^  il  Governo  usciva  dalle  mani 
di  uomini  che  riteneva  dannosi  al  pubbtico  benes- 
sere,  e  tosto  faceva  conoscere  la  notizia  ad  Adriana 
Zannini: 


Mmata  di  leit  ined.   a   Eugenia  Pavia  Geatilomo. 
no  '48  (Cane  Zannlni,  Venezia). 


87 

«  Arnica  mia.  —  Le  scrivo  al  rimbombo  delle 
campane  e  der  cannoni,  che  proclamano  il  nuovo 
re,  e  dinno  all' Aha  Italia  queirindipendenza  e  quel 
carattere  di  nazione,  che  fii  il  desiderio  o  piut- 
tosto  il  sogno  di  molti  secoli.  Giomo  piii  solenne 
non  pu6  essere  a  noi  tutti,  ni  poteva  cadere  piii 
acconciamente  che  accoppiandosi  a  quello  del  ri- 
verito  suo  notne.  Oh  amica  mia  rara !  Possano  i 
destini  della  nostra  patria  farsi  da  questo  giorno 
piu  sempre  prosperi ;  possano  quelli  della  sua  vita 
essere  conformi  a  que' della  patria!  Oggimai  in 
onta  a  molte  dubbiezze  e  sciagure  infinite  pos- 
siamo  dire  di  avere  una  patria,  e  se  i  tanti  o  tri- 
sti  o  codardi  ci  tolgono  di  goderne  in  lor  com- 
pagnia,  ne  godremo  noi  due^  rinfiamniando  a  quel 
nobilissimo  foco  I'altro  non  men  nobile  della  no- 
stra amicizia.  II  cuore  mi  dice  che  questo  bel  re- 
gno non  avri  effimera  vita  e  checch^  facciano  gli 
uomini  vi  sari  una  forza  pii  potente  di  loro,  che 
non  permetteri  scomparisca  dagli  occhi  nostri  ap- 
pena  comparsa  un'immagine  di  tanta  bellezza.  La 
bieca  diplomazia  e  I'ignoranza  ciarliera  rimarranno 
scomate.  Di  qui  a  un  anno  ricorderemo  questo 
giorno  e  questi  auguri  con  animo  consolato  e  se- 
reno.... »  (i). 

(i)  Da  copia  di  lett.  ined.  di  L.  C.  alia  Zannini  (7  ago- 
sto  '48)/  il  cui  originale  fu  ceduto  al  Montanari  (Carte 
Zannini,  Venezia) 


J 


I II  i  Commissari  regi,  costretti  dalla  vo- 
lare,  abbandonavano  il  governo,  che  il 
nezzo  a  deliraate  eniusiasmo  dichiarava 
e  egii  stesso.  Vcnezia  veoiva  bloccata; 
ci  si  triacieravano  saldamente  ^li  sboc- 
iguna,  e  la  repubblica  pensava  a  difen- 
Tiente.  L'  1 1  otiobre  I'Assetnblea  con 
cootro  13  decretava  la  continuazione 
ura,  e  il  Carrer  ne  dava  notizia  ad  un 
una  interessantissima  lettera,  nella  quale 
:ti  i  suoi  crucci :  «  Mio  carissimo.  —  La 

m'ha  fatto  un  gran  bene;  quel  beoe 
lalla  conversazioue  d'amico  lungamente 

Indugiai  alcun  giorno  a  risponderti  per 
inia  rAssemblea,  della  quale  voleva  nar- 
Fetti.  E  TAssemblea  si  tenne  ieri  ap- 

fu  confermato  il  govemo  dittatoriale, 
bisogno  di  un  comitato  per  decidere 
zioni  politiche  stimandosi  bastare  anche 

Governo  mcdesimo,  solo  che  prima  di 
inclusione  veruna  sarebbesi  interrogata 
a  di  bel  nuovo.  Fin  qui  ottimamente. 
i  della  legaliti  deH'Assemblea  stessa,  che 

compresi  de'meglio  veggenti  fra'depu- 
I  per  iliegale,  non  fu  tocco,  e  nemmeno 
to  se  anche  in  seguito  si  ragunerebbe 
ell'Assemblea  o  si  iarebbero  ouove  ele- 


89 

ziooi^  bench^  su  questo  secondo  punto  non  sia 
mancato  chi  dicesse  qualche  paroia.  Ora  stiamo 
aspettando  le  sorti  ossia  la  volonta  dei  potentati 
dacui  tutto  dipende  pur  troppo,  che  che  ne  pensino 
i  panegiristi  del  popolo  che  salvo  poche  eccezioni 
non  ha  fatto  nulla  se  non  pagato.  Intanto  la  li- 
bera stampa  ci  pasce  quotidianamente  di  polemi- 
che,  o  peggio  di  vergognose  calunnie,  perch^  di 
polemiche  non  c'6  piii  esempio  da  quando  s'^  vi- 
sto  che  manifestare  il  proprio  parere  tanto  era 
quanto  trovarsi  in  capo  le  scranne  dei  cafR  e  an- 
dare  prigione  per  giunta,  e  ai  parroco  di  Santo 
Stefano,  che  disse  dall'altare  non  so  che  frase,  poco 
secondo  il  tempo,  fu  gridato  ogni  genere  di  vil- 
lanie  sotto  le  finestre  della  casa,  da  una  truppa 
di  gente,  lascio  a  te  pensar  quale,  entrovi  per6 
de*Segretari  di  Governo  e  fin  anco  de'membri 
del  Comitato  dl  vigilanza.  Lo  stesso  a  Taddeo 
Scarella  e  al  Demzor.  Insomma  dentro  e  fiiori  ad 
un  modo  e  la  scelta  &  confinata  tra  il  blocco  e 
Tesilio.  lo  t'invidio  Firenze,  nelle  cui  mura  e  in 
Toscana  vorrei  prima  di  morire  passar  io  pure 
alquanti  mesi  per  apprendere  un  poco  di  quella 
lingua  che  non  si  trova  sui  libri,  quantunque  sia 
a  questa  mia  eti  alquanto  tardi.  Dillo  ad  Eugenio 
che  non  si  lasci  scappare  la  buona  occasione,  per- 
chfe  anche  tornando  non  torneri  piii  cosi  giovane 


9' 
d'un  quaicht  imperatore  romano  e  abbrancaUne  le 
ceneri  it  le  ponga  sul  petto  velloso  a  scaldarsene  il 
cuore.  E  tali  uomiai  hanno  il  voto  della  nazione 
e  son  gridati  ministri  ?  Hai  ragione  di  rallc 
che  ti  abbiano  lasciato  in  riposo,  e  11  Ma 
di  protestarsi  ioetto  a  &rla  da  deputato.  A) 
il  Tommaseo  che  chiama  gli  Slavi  alleati  m 
della  Francia,  il  fa  senza  tropi.  E  gli  Slavi, ; 
che  m  contano  le  gazzette,  marciaao  atla  vc 
Vieona  per  ischiacciarvi  i  rivoluzionari  dt 
mentre  il  Cavaignac  e  la  diplomazia  francese 
disposti  senz'altro  a  sottoscrivere  il  trattatt 
rimette  cervello  ne'  rivoluzionari  d'  Italia.  ! 
il  Tommaseo  per  questo  verso  ha  ragione 
serie  misere !  II  Gioberti  svillaneggiato  comt 
un  facchino  e  m'aspetto  &a  giorni  cbe  lo 
si  laccia  del  Mamiani  dal  caldi  avvocati  della 
causa,  dai  tniliti  della  santa  guerra.  Non  dico 
pecche  il  Gioberti,  che  ne  ha;  ma  da  lu 
Mamiani,  dairAzeglio  al  Guerrazzi,  al  De  1 
a  tutta  I'altra  canaglia  6no  al  Mazzini,  pusill 
fuorch^  in  parole,  che  manda  sulla  forca  gli  i 
salvo  a  scriveme  a  quel  suo  scempio  mo 
necrologia,  che  distanza  iafiaita!  Dirat  che 
la  prendo  con  mezzo  mondo ;  ma  Dio  sa  s 
rei  vedere  chi  fosse  d^no  d'esser  adorato 
rarlo,  e  baciargli  11  piede  come  a  pontefice, 


92 

clamarlo  benefattore  del  genereumano,  aoche  per 
uesto  che  non  lascierebbe  morire  aSatto  tra  gli 
omini  il  senttmento  della  gratitudine  c  della  ra- 
ionevole  amniirazione.  Ma  finora,  o  m'inganco, 
leglio  voiursi  ai  defunii  e  credere  veraci  le  sto- 
e  e  d'alira  pasu  che  aoa  i  present!  gli  eroi  pas- 
iti.  Che  quasi  quasi  se  durassero  a  questo  inodo 
i  cose  sarei  tentato  a  credere  che  Socrate,  Epanu- 
ooda,  Bruto,  Catone  e  compagni  ci  appariscoDO 
)li  perchfr  veduti  traverse  le  leati  prestateci  dagli 
[orici,  tutti  dal  pid  al  meno  poeti.  Ma  a  questa 
eplorabile  conclusione  non  sono  ancora  venuto 
non  verri,  spero;  studiandomt  a  tutto  potere 
i  illudermi  almeno  sul  passato,  se  non  mi  fosse 
iiipossibile  sul  presente...  »(i). 

Ritiratosiin  disparte,  continue  nel  suoufficio  al 
ivico  Museo,  tutto  immerse  ne'suoi  studi  let- 
•rari  e  poettci.  «  In  quanto  a  salute,  me  la  passo, 
:riveva,  ma  rumor  mio  i  triste  e  anzi  tristissimo, 
nima  amica,  e  si  che  mi  sforzo  di  vincerlo  con 
3  studio,  non  dando  i  tempi  distrazione  migliore.. 
.avoro  iq,defessamente  intorno  alia  Fata,  e  se  ta- 
}ra  me  ne  vergogno,  come  di  cosa  fantasdca  in 
lezzo  a  tante  reali  sventure  della  nazione,  dico 


(i)  Minuta  di  lett.  bed,  a  Stefano  Duprt, 
3ane  Zanoini,  Vennia). 


^  W 


95 

fra  me:  e  che  posso  altro?  E  farei  forse  mcglio  a 
sospirare  oziosamente?  E  come  io  abbia  ranimo 
sempre  alle  comuni  calamiii,  e  ai  comuni  desideri, 
si  vede  tratto  tratto  nei  versi  stessi  »  (i).  La  con- 
dotta  del  Carrer  non  poteva  non  suscitare  maravi- 
glia  ed  aspri  commend,  e  ci6  che  si  diceva  sul 
conto  suo  dovfe  giungergli  aU'orecchio,  se  egli 
credette  opportune  rispondere  ai  rimproveri  con 
una  che  potrebbe  chiamarsi  professione  di  fede, 
in  versi  dialettali.  Restano  inedite  due  satire,  I'una 
in  lingua  italiana^  Taltra  in  dialetto  veneziano,  e 
alcuni  frammenti  che  sono  una  continua  e  san- 
guinosa  ingiuria  contro  quanto  ha  diritto  al  no- 
stro  rispetto  e  alia  nostra  memore  gratitudine  (2). 
Ministri  e  rappresentanti  del  popolo,  generali  e 


(i)  Dacopia  di  lett.  ined.  di  L.  C.  a  Eugenia  Pavia  Gen* 
tilomo,  18  ottobrc '48  (Carle  Zannini,  Venezia).  Ealtrove: 
«La  mia  Fata,  da  che  me  ne  domandi,  ^  innanzi,  e  sono 
sal  canto  decimoterzo,  oltre  a  parecchi  frammenti  d'altri 
composti  secondo  mi  dava  ii  capriccio...  Io  credeva  esa- 
gerazioni  quanto  leggeva  degli  invasamenti  der99 ;  ora  ne 
sono  persuasissimo.  se  non  gik  non  parmi  che  siano  andatj 
pill  avanti.  Dio  benedica  1*  Italia  e  questa  povera  umana 
ragione  (Lett.  ined.  di  L.  C.  a  B.  Montanari,  20  lebbraio  '49. 
-  Bibl.  Comun.  di  Verona). 

(2)  Vedansi  Taccennata  professione  di  fedc  le  due  sa- 
tire e  i  frammenti,  che  trovansi  inediti  tra  le  citate  carte 
Zannlni,  nelV KAppendice  a  questo  studio. 


9* 

soldati,  Sirtori  e  Tommaseo,  la  guardia  civica  e 
i  volontari  italiani,  i  combattenti  di  Marghera  di 
Treponti  di  Brondolo  sono  oggetto  ai  dileggi  del 
poeta. 

Contro  Daniele  Manin,  egli  che  pure,  come 
vicepresidente  deirAteneo,  aveva  firmato  (i*  no- 
vembre  '48)  un  invito  ai  soci  perchi  raandassero 
delle  inscrizioniy  fra  le  quali  sarebbe  stata  scelta  la 
migliore^  «  da  porre  nelle  sale  dell'Ateneo  al  Ma- 
nin e  al  Tommaseo  per  memoria  di  quanto  essi 
neirAteneo  stesso  operarono  con  discussioni  e  let- 
ture  in  pro  della  patria  »,  scaglia  tutte  le  sue  frec- 
cie :  insulta  alia  sua  nascita;  lo  rappresenta  come 
un  faccendiere  politico  incurante  della  rovina  della 
patria  pur  di  salvar  se  stesso;  lo  dipinge  a  volta 
a  volta  subdolo  e  vile,  intollerante  e  tiranno; 
esprlme  Taugurio  che  «  el  dose  magnacarta  el  torna 
al  so  meT^a  » . 

n  Carrer  aveva  in  animo  di  tessere  la  storia 
degli  avvenimenti,  di  cui  era  spettatore,  e  a  tal 
fine  raccoglieva  note  ed  appunti;  quale  sarebbe 
stato  lo  spirito  che  Tavrebbe  informata  dimostra 
chiaramente  il  seguente  periodo  del  Machiavelli, 
che  voleva  apporvi  come  epigrafe:  «  E  se  nel  de- 
scrivere  le  cose  seguite  in  questo  mondo  non  si 
narreri  0  fortezza  di  soldati  o  virti  di  capitani 
o  amore  verso  la  patria  di  cittadino,  si  vedra  con 


quali  inganni,  con  quali  astuzie  ed  arii  i  principij 
i  soldati  e  capi  detle  Repubbliche,  per  mantener" 
quella  riputazione  che  non  avevano  meritata  si  g 
vemavano  B  (i).  Fra  le  poche  note  raccolte  p 
questa  storla  che  ora  ci  rimangono,  ve  n'ha  ui 
che  narra  la  famosa  seduta    dell'Assemblea  il 

(i]  Caduu  Veneda,  cos)  il  Carrer  scriveva  ad  ud  certo : 
gnor  Uliva  a  proposito  della  stotia,  che  poi  rimase  inti 
rotu  dopo  poche  parole  di  introduiione;  «  lo  aveva 
animo  ed  bo,  DOn  so  se  glieae  dicessi  prima  della  s 
partcDza,  di  scrivere  in  compendio  e  con  veriU  somn 
se  con  scarsa  eleganza,  le  cose  noscre  del  due  ultimi  an 
ma  rae  ne  prende  tratto  tratto  spavento ;  tanti  ft  la  rat 
e  terribjliii  dei  casi.  Oltre  che  a  voter  riuscire  sirettamei 
verad  si  corre  pericolo  di  non  esser  creduti  neppure 
quelU  che  haano  cogaizione  di  storie,  e  dovrebbeio  pi: 
avere  iniparato  di  che  sieno  capaci  Tignoranza,  I'ambizio 
e  la  piii  matta  bestialitl.  Cod  questo  ancora  per  giui 
che  buona  dose  di  Tidicoto  v'h  mescolaia  e  lo  storico 
ogni  poco  dovrebbe  caagiar  stile  e  farsi  uniile  umile  e  qu. 
quasi  burliero.  In  somnia  quanto  mi  sembra  che  le  nos 
miseiie  siconvenga  che  siano  Darrale  a  documento  de'  B 
e  nipoti  nosui,  tanto  credo  volervi  non  poco  ardimento 
chi  se  ne  faccia  come  che  sia  narraiore.  Giovenale  si 
troverebbe  be!  campo  da  menarvi  a  dritta  e  a  sinistra 
sua  terribile  sferza.  O  m'  inganno  o  le  cante  difhcolt^ 
ogni  fatta  che  c'i  tocco  vedere  (senia  disconoscere  qt 
di  biiODO  che  v'ebbe,  benchi  aon  molto)  devono  infondi 
naovo  spiiito  in  chi  si  mette  a  rivaleggiare  con  esso.  O: 
ch'egli  k  pib  che  mai  tempo  di  riudire  italiaoa  quella  b 
Eimosa...  »  (Minuia  diletLined.  u  setterabie '49.  CarieZ^ 
oini,  Veneiia), 


aprile  '49^  quando  Id  risposta  alle  intimazioiu 
del  generate  Hainau  fu  deltberaia  la  resistenza  ad 
<^ni  costo.  II  Catrer  accusa  il  Maoin  e  alcuni  suoi 


delta  cilli  e  il  desidtrio  del  sottoseritti  ctltadini  di  sa- 
pare  quali  speran^e  si  ahbiano  per  protTarre  uno  stato 
di  cose  incerlo  efatale.  A  parte  i  giri  di  pare' 
chiedeva  la  resa,  II  Carrer,  egU  stesso  lo  afi 
fu  dei  primi  ad  apporvi  la  firma,  ed  eccita 
amici  a  recarsi  a  firraare  (i).  £  Doto    con 
lerminata  la  disgraziata  peiizione.  Alia  nott 
essa  una  folia  di  popolo  assalt6  il  palazzo 
abitava  il  patriarca,  gettando  nel   sottoposi 
nale  tnobili  e  oggetti  di  valore,  Accorse  il 
maseo,  e  a  stento  con  la  sua  autorevole  \ 


(■)  Lett,  ioed,  di  L.  C.  a  Giov.  Veludo,  ]  agosio  '49 
gnor  Giovanni  Preg.mo.  £  aperia  in  CaDonica  aelle 
ddia  pubblica  Benelicenza  una  soscriziooe  di  citts 
capo  de*  quali  S.  E.  il  Patriarca,  chiedenti  all'  Asst 
che  vengano  da  essa  dichiarate  le  ragioni  e  i  fond^ 
per  cui  li  vuole  resistere  seaza  conflni,  come  veg 
farsL  £  bene  che  molte  firme  diano  sempre  maggic 
alia  doraanda  e  che  siano  drme  d'uomini  d'iatelietto 
biti  conoEciuu.  La  invito  dunque  a  recarsi,  se  Le 
al  luogo  suindicato  tra  le  died  e  le  dodici  aotimei 
d'oggi,  e  se  Lc  piacesse  meglio  parlar  prima  con  nu 
di  ttovarrai  in  casa  fino  appunto  alle  undid.  Mi  riv 
la  sua  signora,  mi  saiuti  Spireito  che  pottebbe  anda 
pure   a   soscrivere,  e    mi  creda  daH'anima  il  suo  ( 

P.  S.  Se  credesse  condurre  attre  persone,  tamo  re 
perchi  tanti  piii  sono  i  Domi  e  tanco  maggior  valore 
scrittOB  (L'origlnaledlquestaletterabed.  fuceduto,  cr 
Giacomo  Zanella;  la  copia  trovasi  presso  gli  eredi  d] 
Jacopo  Bernard i  in  Venezia). 


aa  ;  ma  delk  petizioae  niuno 
;iorni  di  poi  Venetia  capito- 
3i  migliori  cittadini  prende- 
' ;  gli  Austriaci  rientravano 
ina  tomba.  Negli  ultimi  dt 
I  state  stampate  alia  macchia 
:iche  del  Carrer  cbe  abbiamo 
-urono  a  appese  ai canti  della 
.,  e  coQ  tanto  persistente  vo- 
coperte  di  altri  affissi,  come 
h  numerose  ed  in  luoghi  evi- 
frpetuare  il  pii  possibile  I'o- 
xi  termini  egli  scriveva  alia 
pubblico  il  17  agosto,  e  do- 
prese  le  misure  piii  oppor- 
imi  autori  del  &tto.  Rlentrati 
aesie  riapparvero  — ■  e  fti  atto 
attaccate  agli  angoli  delle  vie, 
6  a  subirne  le  conseguenze. 
lilitare  intimava  al  municipio 
'  dal  suo  ufHcio  al  ci\'ico  Mu- 
ediva,  rimovendo  i!  Carter  da 
i  da  vice  preposto  a  perchi  pro- 
it  politic!  da  non  poter  essere 

iice  la  oairazione  che  il  dna  &  di 


■■-J 


toUerati  nella  quality  di  preposti  ad  un 
a  cui  specialmente  intervengoDO  forestiei 
vani  iniziati  negli  studi  e  dappoichi  prese 
coi  loro  scritti  e  prestaztoni  influenci  soti 
sato  Governo  rivoluziooario  »  (i).  II  Carn 
sbalordito:  «  In  me  la  meraviglia  asso 
adesso  ogni  altro  sentimento.  Vedermi  pu 
tanto  rigore,  quanto  noa  fu  usato  di  lun 
coi  rivoluzionari  piii  estremi,  Spogliato  d 
piego  ch'  esser  doveva  1'  uoico  rifugio  d 
inferma  vecchiaia,  e  spogliato  da  chi  noi 
conferito  e  noa  ha  messo  ragione  alcun 
tuna  la  parte  che  io  presi  alia  rivoIuEion 
ConviDto  della  illegality  dell'atto  del  m 
tanto  pill  che  il  Museo  era  un'  isiitazion< 
nella  quale  I'autoriti  non  doveva  avere  i 
gerenza,  mand6  una  suppHca  al  governat 
tendo  bene  in  cbiaro  la  sua  condotta : 
pienameme  d'alcuni  versi  da  me  comi 
primo   tempo  dei  politici  rivolgimenti, 

(i)  Decreto  delb  Coogrcgaiione  della  R.  Citt4 
I]  ottobre  '49  (Carte  Zaonini -Venecia).  Vegga: 
ptndics  ati  che  in  proposito  detla  destitnzione  e 
dotta  del  Gtrrer  scrive  Etnan.  Gcogna  nei  suoi 
Veggansi  puce  due  bran!  di  lettere  del  Carrer  ad 
valgona  a  lum^giare  la  sua  condotta.  Pagg.  i 

(z)  Lett.  ined.  a  B.  Montanari,  19  ottobre  tS 
Comun.  di  Verom). 


avrei  mai  creduto  che  non  si  facesse  ragione  delle 
circostanze  singolari  in  cui  furoQO  pubblicati. 
Qualun<]ue  per  altro  sia  tl  peso  che  si  voglia 
dar  loro,  finisce  con  essi  per  parte  mia  qualanque 
atto  che  possa  porger  cagione  ancor  che  minima 
di  rimprovero,  non  clie  di  castigo...  Quanto  poi 
a  presta^ioni  solto  il  governo  rivoluxtonario,  aSermo 
con  tutta  franchezza  che  per  qualunque  indagine 
pii  rigorosa  nonsene  troveri  nemmen  I'ombra  ». 
Ricorda  in  seguito  nella  supplica  la  sua  vita  di 
professore,  di  viceprcsidente  dell'Ateneo,  di  Pre- 
posto  al  Museo,  sostenendo  di  aver  professato  sem- 
pre  a  principii  di  civile  moderazione  e  di  aver  av- 
versato  qualunque  genere  di  esorbitanze.  >  « In  forza 
appuntodi  quest!  principii  —  soggiunge  —  quando 
fu  promossa  una  sottoscrizione  tendente  a  richia- 
mare  I'Assemblea  a  ragionevoli  deliberazioni  consi- 
gliate  dallo  stato  della  cittd,  fui  de'primi  ad  ap- 
porv-i  la  mia  firma  e  a  far  si  che  ve  I'apponessero 
altri  ancoraa  (i). 

(i)  Minuta  di  supplica  a  S.  E.  il  Govematore  Civile  e 
Militare  della  citta  di  Venezia  (Carte  Zaonini,  Vesezia).  In 
un'altra  minuta  scrive :  «  Che  cosa  poi  siano  le  mie  pre- 
stazioni  influenti  socto  SI  goverao  rivoluzionario,  diib  con 
la  franchezza  suggeritami  dil  sentimento  della  veriti,  nft 
io  n(  persona  al  mondo  potrii  mai  iatendere,  non  essen- 
domi  io  in  nulla  e  per  nulla  prestato  solto  quel  governo, 
ma  vissuto  sempre  ritiratissimo  alia  cura  della  iievole  mia 
salute  e  de'  miei  amdi  ». 


Attendendo  la  risposta  del  Governatore, 
tan6  da  Venezia,  e  fu  per  qualche  tein| 
prima  di  Adriana  Zannini,  in  una  sua  vil 
Abaao,  poi  del  Montanari  a  Verona.  Vers 
di  gennaio  il  Governatore  militare  con: 
cbe  la  direzione  del  Civtco  Museo  era  di  d: 
vato  e  cedendo  alle  vive  iosistenze  del  | 
del  patriarca,  reintegrava  il  Carrer  nel  suo  u 
Distnitto  dal  male,  riprese  la  via  diVen 
al  principio  della  fine.  Quando  fu  a  Mest 
caiuolo  che  I'attendeva  per  condurlo  in 
pot^  rattenere  la  sua  meraviglia,  vedendc 
gro  e  s6nito: 

a  Mestre  giugni 

E  di  speme  delusa  alio  sconforto 
Peggior  riprova  del  tuo  stato  nggiugni. 
Chi  il  biiOQ  tuo  barcaiuolo  e  inalaccoi 
Esclama  in  le  fiundou:  Ahi,  padrone. 
Come  cangiato  v'ha  tempo  $1  cortol 
Che  tristeireeredir!.,.  (i). 


(1)  Decreto  della  Congregacioue  municipale  al : 
17  gennaio  i8;o  (Carte  Zannini,  Venezia). 

(2)  Ben.  Montanari.  Fersi  t  prose.  Verom,  Aiv 
>'*S4>pag.  99- 


A 


Tornato  a  Venezia,  U  C.  riprese  la  vita  solita, 
ivisa  fra  i  doveri  dell'  ufficio  gli  studii  e  i  fidi 
onvegni  di  casa  Zanoini.  Continuava  la  storia 
ella  letteratura  itatiana,  intorno  alia  quale  lavo- 
ava  da  parecchi  anni  (i);  scriveva  qualche  ottava 
ella  Fata  Fergine,  correggeva  le  lettere  di  Ga- 
para  Stampa,  che,  pubblicate  nel  '38  nclVAnello 
'i  setle  gemme,  voleva  ristampare,  aggiungcndo 
ualche  Duova  letters  non  permessa  per  I'addietro 
alia  troppo  rigorosa  censura.  Attendeva  anche 
d  uno  studio  sutl'Alfieri,  del  quale  stendeva  tratto 
ratio  qualche  periodo;  ma  questo  studio  licbie- 
leva  una  fatica  mentale  ormai  per  lui  iatollera- 
>ile  (2).  La  tisi  coiuptva  1*  opera  distruggirrice. 

(1)  «  Da  moiti  anni  vo' raccogUendo  una  [uccola  sup- 
lellettile  di  notizie  di  libri  per  tessere  sotto  breviti  U 
Eoiia  dclle  vicendc  delk  nostra  letteratura  dsl  secolo  deci- 
loierzo  al  presenie,  e  oe  ho  gik  steso  parecchi  tratli,  ma 
iggimai  la  speranza  di  coodurre  I'opera  a  compimento  mi 
a  abbaodoaato  e  gran  che  mi  parrcbbe  di  render  leggi- 
ili  quel  brani  cosl  staccati  »  (Lettera  a  Camillo  Ugoni, 
t  giugno  ';o.  Qjiesta,  con  altre  lettere  del  nostro,  tro. 
asi  DcUe  Opere  poslumt  di  Cahillo  Ugoni,  Milano,  i8;8). 

(1)  Lett  ined.  del  C.  a  B,  Montuuri,  15  ottobre  ';o 
Biblioteca  Coniun.  di  Verona). 


Nel  marzo  egli  ammali  gravemente;  ») 
tempo  dopo  pot^  rialzarsi,  ma  capi  che  '. 
non  era  lontana.  Ravvolto  in  una  Teste  i 
mera  a  fiorami,  che  gU  aveva  regalato  Vii 
Bellini,  slava  seduio  lunghe  ore  presso  un 
stra,  cercando  di  dimenticare  gli  spasin 
male  nel  lavoro,  che  gli  costava  uno  sfors 
mane';  e  se  gli  amici  cercavano  di  distorlo, 
irritava,  ulch^  dovevano  lasciarlo  fare  a  si 
lento.  Verso  la  fine  del  marzo  cerc6  riston 
I'aria  di  Treviso,  ma  pochi  giorni  appresso  d 
ricondursi  a  Venezia.  Le  forze  andavano  seen 
la  respiraf ione  si  taceva  af&nnosa,  la  gola  u 
rendeva  difficile  I'inghiottire.  Era  omai  I'oa 
se  stesso ;  solo  le  condizioni  dello  spirito  s 
servavano  eccellenti:  aspetuva,  senza  alcun  t 
la  morte. 

Rivide  parecchie  volte  la  moglie,  e  dispo 
il  suo  awenire :  «  Ha  pensato  a  tutto,  a  ti 
diceva  Adriana  Zannini,  che  da  molti  mei 
si  allontanava  dal  suo  letto,  e  gli  era  pi 
sima  infermiera.  Cattolico  convinto,  voile 
piere  a  tutti  i  doveri  che  la  religione  gli  imp 
Ricordava  spesso  gli  amici,  e  quindici 
avanti  di  morire  scriveva  al  suo  fedele  1 
nari :  «  Quante  mie  lettere  aver  potrai 
questa,  e  se  questa  possa  essere  per  avventu 


la,  nou  so  bene  dire ;  so  bene  che  questo  stesso 
bbio  mi  fa  esser  soUecito  a  scriverti  la  presente, 
DtiDuaado  poi  Dell'avvenire  a  parlarti  in  ispirito, 
non  mi  suk  possibile  di  fare  altrimeilti.  Sto 
lie  e  male  assai,  Bennassi!!  mio....  >>  (i). 
Conservava  ancora  tanta  lucldezza  e  sereoitJi  da 
rlare  d^li  studi  prediletti  e  prendeva  commiato 
[I'amico,  al  quale  voile  fosse  dato  come  suo  ri- 
rdo  un  bronzo  rafEgurame  I'ApolIo  del  Belve- 
re,  che  Stefano  Dupri  gli  aveva  regalato,  bronzo 
e  il  Montanari  poi,  morendo,  leg6  ad  Adriana 
nnitii.  II  giorno  23  dicembre  '50,  poco  dope 
mezzogioroo,  mor)  placidamente,  recitando  i 
mi. 

La  morte  del  poeta  fu  appresa  con  dispiacere 
Venezia,  e  il  Municipio  gli  decret6  solenni  ono* 
ize  funebrj  in  S.  Marco  e  un  posto  oootifico 
1  camposanto  comunale,  I  gioraali  ne  scrissero 
1  lode,  e  gli  Istituti  e  le  Accademie  che  lo  ave- 
10  avuto  a  loro  membro  lo  commemorarono 
ennemente.  I  verseggiatori  ne  cantarono  a  gara 
lodi:  una  lunga  ed  affettuosa  elegia  dett6  il 
mtanari,  un'epistola  Eugenia  Pavia  Gentilomo, 
icepola  ed  arnica  del  Carrer;  sonetti  pubblica- 


(i)  Leu.  ioed.  diL.  C.  a  B.  Montanari,  S  dicembre 'jo 
bl.  Comun.  di  Verona). 


rono  Benedeno  Vollo,  Antonio  Gastaldis,   I.  V. 
Foscarini,  Giovanni  Renter  ed  altri ;  anzi  fu  tale 
I'abbondanza  di  versi  pii!i  o  meno  sioceri, 
contro  di  essi  credette  opponuno  protestare 
vanni  Veludo  (i). 

Cosl  non  ancora  cinquantenne  moriva 
Carrer,  il  piili  fetice  temperamento  poetico  < 
degli  studios!  piili  eruditi  che  Veaezia  abbia 
ia  questo  secolo.  Un  sue  biografo  cosl  lo  desi 
«  Delia  persona  fii  regolare,  sebbene  macL 
ma  aveva  angustia  di  petto,  e  sino  dalla  ] 
etik  and6  sofferente  del  fegato  e  delle  inte 
Ebbe  neri  la  barba  e  i  capegli;  spaziosa  la  (i 
naso  aquilino,  incavati  gli  occhi  neri,  vivis 
lungo  e  pallido  il  viso,  I'aspetto  piacevole 
Fu  sempre  di  umore  tendenie  al  matincon 
al  mistico  (3),  che  le  sventure  da  cui  fu  C( 
servirono  ad  accrescere;  del  resto,  uomo  bui 
affettuoso,  solo  mancante  •  e  di  ci6  fu  cagione  ; 
la  poca  salute  •  di  queU'energia  e  di  quella  r 


(i)  Opuscolo  Per  nc\i*  PelUgrini  Paganuni,  pub 
da  Carlo  Paganuzii  il  7  raaggio  1877,  Veaezia,  ti[ 
chetti,.  Sonetto  I,  pag.  1 :  Contro  alcuiupoesu  puibli 
morU  di  Luigi  Carrer  (1851). 

(1)  Ercoliani,  Cemti  biegrafici  dt.,  pag.  t). 

(j)  V.  nell'ApFENDicE  TeaJenia  al  tnulieitmo,  fi 
autobiografico  Ined.,  pagg.  tn-4- 


io6 

tezza,  che  gli  avrebbero  tante  volte  giovato.  Nel- 
VAmor  sforiunato  di  Gaspara  Statnpa  (lettera  VI), 
dove  egli  tratteggia  con  amarissime  parole  il  ritratto 
del  pittore  Nadalino  da  Murano,  voile  certamente 
ritrarre  se  stesso  e  le  sue  misere  condizioni:  «La 
poverti  lo  ha  si  fortemente  avvinghiato  ch'ei  non 
pu6  uscire  da  quelle  maledette  strette.  Rigattieri 
e  credo  fin  anche  cenciaioli,  a'  quali  h  costretto 
vendere  Topere  sue,  si  godono  il  frutto  dei  suoi 
sudori,  pagano  un  nulla  ci6  che  poi  rivendono 
dieci  tanti.  Dirai:  pur  troppo  h  questa  la  condi- 
zione  di  certi  ingegni  ritrosi  e  come  a  dire  sel- 
vaggi.  T'inganni:  Nadalino  ha  maniere  accoste- 
voli,  piacevolissime.  Certo  che  non  piaggia,  non 
lecca,  non  istriscia  davanti  a'  magnati:  commes- 
sogli  bensi  da  questi  alcuna  cosa,  adempie  gli  ob- 
blighi  presi  con  scrupolositii  religiosa.  Ma  questo 
poco  gli  vale.  Vuol  essere  bisca  o  bordello  per  sa- 
lirne  in  fama  d  (2).  Vedemmo  g\k  quale  condotta 
egli  abbia  serbato  negli  anni  della  rivoluzione ;  con- 
dotta che,  pur  usando  nel  giudicarla  di  ogni  in- 
dulgenza,  non  h  tale  da  conciliare  simpatie  all'uomo. 
Gravl  fiirono  le  censure  e  i  riraproveri  fattigli, 
e  il  Tommaseo,  gi^  suo  amico,  gli  scagli6  contro 
ingiurie  veramente  atroci  e  per  la  massima  parte 

(2)  Cfr.  ed.  Lemonnier  cit.  vol.  IV,  pag.  34. 


immeritate  (i).  Com'fe  noto,  Nicol6  Tommaseo, 
intelletto  potente  e  terapra  di  carattere  meravi- 
gltosa,  si  lasciava  talvolta  tradportare  da  raocori 

(i)  Come  sappiamo,  tra  il  Tommaseo  e  il  Carrer  esu 
una  amicizia  di  lunghi  annt,  che  le  parole  che  piCi  t 
ripottianio  ed  altre  ancora  del  T.  dimostrano  speiiata  e  i 
zata  viol entem eat e.  Certo  la  prima  cagioae  delta  toI 
e  del  fierissimo  giudizio  del  T.  t  da  cercarsi  Delia  i 
dotta  poliiica  del  C.,  che  dovetie  fortemente  spiacere  a! 
temerato  e  inSessIbile  patriolta;  ma  fotse  altri  inotivi 
a^imsero,  piCi  streCtamente  personal!,  intorno  a  cui 
mi  vemie  facto  di  trovaie  documenti.  E  cib  serva  a  : 
gare  la  lacuna  che  puCi  notarsi  a  quests  punto.  —  ] 
intanto  le  parole  del  documeoto,  a  CDi  si  acceana: 

•  Al  signor. ...  a  Venezia,  dicembre  i8f  2.  . . .  C01 
non  ml  t  maravlglia,  at  mi  fari  togliere  dal  Dizioi 
Estecico  le  lodi  gii  di  lui  deite;  e  queste  e  alire  sue 
cole  ribaldetie  usatemi,  tanto  piccole  che  sfuggono  alia 
rola  e  all'  indi'gnazlone,  gli  saranao,  cred'  io,  perdoc 
insieme  con  la  traduzione  di  Lucrezio,  la  quale  egll  ten 
non  per  amore  delle  elegaiue  latioe  mal  note  ad  esso 
per  devozione  a  quella  etnpieti  rancida;  perdonate  iosi 
coc  la  Fata  Vergine,  la  quale  egli,  fome  monello  coo 
sate,  perseguitb  pei  il  corso  di  quasi  trent'anni  con  1< 
ottave,  sospingeadola  per  monti  e  per  valli,  sroaoiosa 
datno  di  perdete  la  vergiaitii  (idea  non  so  se  pib  fri 
o  ignobile  o  spielata,  che  ritrae  il  cuore  e  la  mente 
I'uomo) ;  perdonate  con  quel  suo  gutrra  gutrra  I  amn 
dato  da  ultimo  con  un  baita  basta  o  dalle  suppUcai 
reiterate  per  avere  la  paga;  e  con  quelle  altre  sue  m 
aereue  e  mezze  abiettezze,  che  non  osavano  esser  in 
perch£  egli  era  squisltaraente  vile,  e  riieneva  della  na 
pieblea,  senza  i  pregi,  i  difetti  rinvolti  nei  fari  de'  sig 


I 


APPENDICE  ALLA  "  VITA  , 


Introdaxiont  ad  un'autobiografta.  — Prenderanna  es 
pertont  cbe  Uggerantio  Vautabtograjia),  ne  sono  sicu 
letto  a  rivivere  negli  anni  delle  illiuioni  e  Jelle  spi 
a  rianiineramio  alia  loro  fantasia  quei  primi  momt 
iDquieto  desiderio,  dj  sconsiderata  aliegrezia;  rinasci 
alia  loro  memoria  le  rusticbe  ccDC,  i  paurosi  cc 
I'aiisie  secrete,  i  sogoi  tutti  piCi  dold  e  pili  fiiggitiv 
nostra  vita.  — E  cheiquesta  vita?  Ahimil  che  s'io 
indietro  lo  sguaido,  non  giuoto  ancora  ai  trent'aii 
crepacuore  del  pauato,  una  nausea  mi  prende  dell 
nire;  mi  cade  di  maao  la  penna,  mi  s'infosca  la  vi 
Inlanto  non  potrei  meglio  iusiagare  la  mia  inalinc< 
apparecchjarmi  alia  partenza,  che  scrivendo  queste  i 
lie,  le  quali  vogliono  essere  come  il  mio  testamento 
esse  soDo  sincere. . . . .  u 

(Franimento  autob.  ined.  -  Carte  Zannini,  Vene 


i  pubblHif.  auttu  (OBiKrainwiiii  pOMia,  .Morcbt    po«ri 
■  in  piTEB  irtidnieiiuH,  CDCU  docDnKBIi  uui  notevou,  etu 

Una  professione  dl  fade. 
Sti  quaraDtaset'ani  che  mi  go 
Me  xe  tuti  passai  ae  1'  ilusion 

De  aeittmt  el  piii  gran  liberalon 
Che  u  dir  al  bisogoo  el  feto  so. 

Cussl  bo  pensJi  fin  Talira  dl,  ma  po 
Che  xe  sta  fata  la  Revoluiton 
Me  so  sentio  tratar  da  todescon 
Come  e  parcossa  gnanca  mi  nol  so. 
E  go  sentio  chiamar  verl  italiam 
Certuni  che  per  dir  la  veritji 
Li  credeva  la  spiuma  del  pam)i(i)- 

Posto  che  de  sto  ii^ano  i  ra'i  cavi 
Vorave  dai  mi  boai  veneziatti 
Vegnir  su  un  alcro  ponto  ilumini. 

Go  credeito  fin  qua 
Cesser  ud  galaotoroo,  tal  e  .qual 
Come  ctedeva  d'ejser  liberal, 

(Che  credeva  pur  mal  I) ; 
E  quei  cerd  che  ho  abuo  da  nominar 
Che  i  fusse  zeute  da  lassarla  star 

Chi  DO  vol  mormorar. 
Saravela  aoca  questa  mai  cusst 
Che  i  fusse  lori  peile  e  birbo  mi? 

Ma  plan,  se  ghe  xe  chi 
Vogia  dirme;  se  onesti  tuti  do, 
tatendcssimo  ben,  que  sto  po  no. 


1  la  iarmi  per  firln  •airui  ndla  tcirpi.  Ilctifi  < 


»Kli..  ri 


La  Venexia  d«l  '48 


Finimo  sti  sempiezzi  (1) 
Sto  impianto,  sio  bacAa ; 
Disemo  pan  al  pan, 
Sv^emose  an  tantin. 

Qua  no  ghc  xe  pifi  bezii 
Tuio  xe  andi  in  malora 

Zigar  viva  Minin  ? 

Che  liga  quelle  schiape 
Che  iu  ga  messo  in  posto, 
E  che  xe  uq  vero  rosto 
Senza  n^  ti  at  mi  (2) 

Zenaii,  conta  slape  (;) 
El  facendier  Peiaco 
Malfaii,  Belinato. 
Stroiai  fia  I'altro  dl. 

Che  ziga  (4)  quele  mate 
Che  fa  le  cercantine  (}) 
Sporzendo  !e  musine  (6) 
Per  zelo  citadin, 

E  tuti  quel  che  sbate 
Le  man  e  fa  schiamazzi 
A  spese  dei  gramazzi  (7) 
E  a  conto  di  Manin. 


Podt  lontarghe  a  quest! 
£  far  la  iisTa  longa, 
Chi  s'±  itnpenio  U  pODg3(i) 
Co  apaiti  e  comission. 

E  tuti  quel  foresti 
Che  qua  xe  capital 
In  aria  de  soldai 
Per  star  de  drio  el  machion. 

I  stna&ri  (i)  de  gheto, 
I  ludri  dc  Florian, 
El  circolo  italian, 
Giuriati  e  Da  Cam  in, 

Serena,  Foscoleto, 
Zente  che  lica  e  scroca: 
Xe  questi  che  ghe  loca 
Zigar  viva  Man  in. 

Ma  mi  ban  galantomo 
Mi  vero  patriota 
Sti  scandali  do  ingioto, 
No  incenso  un  larlatao. 

Trateme  pur  da  tomo(]) 
Da  stolido,  da  maco, 
Diserae  pur  croato. 


E  come  tal  domando: 
De  tanti  beiii  spesi 
In  piti  de  nove  meji 
Che  fnito  s'  i  cavi  ? 


.   J 


Nt  picolo,  ni  ] 
Nome(i)  che  tuii 
I  gik  U  gran  pitoca 
Co  i  due  tta  citi. 

Tedeschi  pili  nc 
E  certo  uo  ben  xe 
Che  tuto  quaalo  el 
Xe  gnence  al  paraf 

Ma  adasio,  perc 
Che  dopo  tanti  gu: 
No  sia  che  baraiai 
1  Domi  in  conclusii 

E  che  le  cosse 
Resue  quel  de  ava: 
In  giingola  (})  i  bi 
La  zente  onesta  z6 

Per  tuto  la  so  i 
Che  vien,  rechiza  ( 
E  grami  chi  se  aza 
De  dir  raDimo  sb ; 

I  lo  tol  su,  i  lo 
E  a]  caldo  i  te  lo 
E  xe  uDa  baza  grar 
Se  i  1q  condnse  sat 
E  dopo  che  i  mi 
Se  aodando  de  $ta 
La  quondam  Putlsii 
No  gera  un  marzaf 


ate 


n 


No  ghe  xe  pill  Ccnsura, 
Che  tuti  stampar  pona. 
Stampar  ?  Siorsl,  ma  cossa  ? 
Lasagne  e  gnente  piCi. 

O  qualche  avacuaura 
Del  secolo  pass!, 
Da  andar  vestio  e  calii 
A  casa  de  Colti. 

Vardemo  i  giomaleti, 
Q^ei  che  xe  fior  de  roba. 
El  sior  Antonio  Rioba 
Ritrato  de  sti  dl ; 

L'abaCe  Capeleti 
PaciGco  Valussi 
[Cagadoaai,  (i)  che  fotsi 
Dove  che  digo  mi  I] 

Vt  proprio  un  b«n  che  conta 
Su  libertJi  de  stampa; 
Per  mi,  meglo  la  larapa 
De  Monsigoor  Piaatoa. 

Meteghe  po'  per  lonu 
El  gusto  che  i  ve  fazza 
Soto  i  balconi  o  in  piazza 
Qijalche  dimojtraiioa. 

De  quele  Z3  se  iateade 
Che  adesso  xe  a  la  moda, 
Tute  de  lente  soda 
Amici  de  runion; 


De  quele  che  no  ofet 
Che  el  povero  privato, 
B  che  nel  Comiiato 
No  trova  aposldon. 

El  Comitato  ?  Ud  tre 
De  birbi  e  de  spuiete  (3' 
Ga  in  man  la  nostra  qui 
E  fonna  el  tribunal. 

Se  no  la  digo,  crepo; 
Co  vedo  de  sci  esempi. 
Me  augurerave  i  tempi 
De  Chibec  e  de  CaL 

Fatani  che  gaveva 
Sul  cuor  tanto  de  pelo. , 
Ma  un  Anzolo  Comelo 
Ma  ua  Scarpa  I  Mo  Sign< 

Almanco  se  podeva 
Tegnerse  a  un  che  de  m 
Senia  pensar  el  peio 
In  fondo  al  cagaor. 

1  ga,  qnalcun  m'hi  di 
Dovesto  compensar 
Chi  ga  dk  man  a  far 
Id  marzo  el  rebalton. 

Mo  bravi  I  Mo  pulito  I 
Cnssl,  ve  lo  prometo, 
Se  acquista  un  bel  conce 
De  la  rivoIuzioD. 


Che  quando  che  i  : 
Su  e  u»o  in  seatiDcU. 
Xe  grama  la  pucela 
Cbe  pasM  pet  de  U ; 

Go  a  chi  me  li  vai 
E>ovesto  dir  in  boui  ( 
Sta  civica  pissota  (i) 
Xe  iin  cancaro  in  vegu 

Se  prima  no  i  stud: 
Cbe  i  gera  in  boca  al 
Co  sto  sistema  novo 
Me  lo  Mvari  dir. 

Xe  vero  cbe  a  far 
I  i  messo  dd  sogett 
Che  II  &rji  star  quieti 
ScuaDdoghe  el  morbin; 
Col  don  de  la  paroh 
El  Volo,  gran  poeta, 
Bernard!  batoleta,  (4) 
Solilro  e  Romania, 

Ma  gli  omenoni  am 
Ho  pol  fit  dei  miracol 
E  gbe  xe  massa  ostaco 
Ancuo  da  superar. 

I  toii  baronzeli  (;) 
Fiii  della  scuola  ossae 
Ghe  piase  le  parae, 
B  chiauo  e  el  scorabl 


f-  (»)  »gg.  nwo  pn  diipn 


1x8 


In  fiiti  da  una  banda 
Lassemo  sta  Speranxa; 
Mi  za  ghe  n'6  abastanza, 
Se  el  resto  go  da  dir. 

Giv^  chi  tien  locanda 
O  a  megio  dir  furatola,  (i) 
E  quel  che  se  iozegnatola. . 
Zk  me  pod^  capir, 

Magazenieri,  siore, 
Boteghe  da  caf6: 
Sul  resto  vu  pod^ 
Tirarghe  un  bel  croson. 

No  vedo  che  malorel 
E  xe  i  principi  quest!  1 
G>  i  molarii  i  protest! 
Alora  vien  el  bon. 

Zir&  per  Merzeria, 
Cossa  troveu?  Galoni, 
Hocchi,  spalari  (i  boni 
Za  se  li  pol  contar) 

Negozi  de  scarpia  (2) 
Da  fiir  pianzer  i  sassi, 
E  fora  a  ogni  do  passi 
Botega  d'ajilar; 

Paroni  arcicontenti 
Co  i  ga  tocii  do  trari,  (5) 
E  dopo  a  far  lunari 
Insieme  col  garzon. 


(1)  piccok  e  oacttim  bottega  di  conmetribiU.  (a)  ragaatcU.  (j^  trari  o 
tragiariy  piccola  moneta  d'argento  di  bataa  lega,  del  gOTerao  Veneto  del  Talort 
di  dnooe  toldi. 


119 


Parl6  coi  possidenti 
I  6  bechi  e  bastonai: 
De  fora  i  ga  i  soldai 
£  le  requisizion, 

Qua  impresd,  qua  la  banca ; 
Un  fi4  d'arzenteria, 
Chi  la  gavea,  sioria,  (i) 
L'^  andada  al  so  destin; 

Batue  che  mai  no  manca, 
Colete  a  piii  no  posso; 
E  CO  i  se  tasta  adosso? 
Petarselo  (2),  un  scontrin. 

Che  i  vada  \k  quel  siori 
De  TAssemblea,  che  i  n*k 
Conzai  come  che  va. 
Da  no  poder  de  piCi. 

Col  far  tre  ditatori 
Cussl  dal  dito  al  fato, 
I  s*ii  scorU  (3)  el  mandato 
£  chi  ga  abuo,  ga  abii. 

Ma  cossa  se  podeva 
Spetar  da  quela  zente? 
El  manco  mal  xe  gnente, 
E  far  come  el  garbin.  (4) 

^ernirli,  se  doveva> 
E  no^  come  martufi,  (5) 
Tor  su  de  tuti  i  stufi, 
Dal  sbiro  al  capucin. 


(1)  Mloto  confideniiflle.  ( 2)  non  taper  cbe  fimM.   (3)  fC0MO|   tcrolUt«» 
(4)  TtBto  di  Hbecdo.  (5)  sciocco,  Kiuunito. 


i 


n 


120 


E^eto  una  Tentena 
(Che  saria  tuto  dir) 
El  resto  pol  tegnir 
G>nsegio  al  magazen. 

I  va  dove  i  li  mena; 
In  quela  babilonia 
Xe  mato  chi  se  insonia 
De  dir  gnente  de  ben. 

Poveri  vechil  Un  zomo 
Pensarse  in  quella  sala 
El  patriziato  in  gala 
In  vesta  e  parucon; 

El  dose  col  so  corao. 
In  stola  i  senator!; 
El  nunxio,  i  ambassadori 
De  tute  le  nazion 

E  adesso?  oh  Dio  che  salto ! 
Zaltroni,  babuini 
Xe  i  Nani,  i  Morosini 
I  Dacdolo,  i  Comer  1 

Cossa  lasseu  Ik  in  alto 
Quel  Dogi!  Deghe  el  bianco, 
O  la  coltrina  almanco 
Tireghe  de  Falier. 

Sgra(i&  (i)  quele  piture 
De  tanti  rari  inzegni; 
Sti  tempi  no  xe  degni 
De  meterghe  i  ochi  su. 


(t)  gr«ffiirt|  caacelUre. 


Del  t 
Fercb 

St 
Por« 
Hna 


Parlq 
No  b 

Eh 
Su  q' 
Xeqi 
La  m 

St 
Com 

C05K 

Cedol 

Ghfei 
Vi  t 
De  to 


CtusI, 
Co  in 


E  chi  Qo  mecredcMC, 
Che  a  TArscul  el  vada: 
Se  pol  liru  de  spida 
Per  tuio  quel  local. 

Xe  bravo  chi  tavesse 
Tiovar  alCro  cbe  vodo ; 
No  ghft  pill  guinea  un  chiodo 
De  taato  material. 

Saveu  coua  x  cata  (i) 
Aocora  a  1' Arsenal? 
Elsangue  de  quel  tal 
Cbe  i  gi  tachfidk. 

E  qiulcbe  tcata  maia, 

0  a  megio  dir  cuot  doro, 
Mostra  per  vanto  el  muto 
Dove  che  Vt  sgiaozi.  (i) 

E  su  al  Govemo?  Tuta 
La  loba  in  man  de  zente, 
Cbe  no  ga  abuo  mai  gnente, 
£  adeuo  xe  altimon. 

Co  ga  piovuo  I  se  buta, 
Cussi  tuti  inCingai, 
Sora  quei  bei  sofai, 
Cbe  le  una  compassion. 

Su  quei  tapei  costosi 

1  fa  sgiotiar  le  ombrele; 
La  carta  e  le  caodele 
Che  i  tru&  ao  ga  fin. 


In  s 
Che  qu 
Istntui 
Per  bat 

Tfw 
Sempt^ 
RoGani, 
E  quale 

In 
I  felon 
Dal  ml 
ExUt 

Dei 
Xe  drei 
O  a  de 
Zaaeli 

Bo 
Un  fbn 
O  i  rol 
Mladei 

Co 
Tipol, 
Rii^rai 
Chega 

In^ 
Hi  v^ 
Dir  sua 
(Chi  M 


Maria,  prima  e 
In  fumo  el  cota  e 
Sto  povero  paluo  ■ 
Se  raconunda  a  i 

Qjiela  se  seiof 
Che  assister  m'i  i 
Gie  sempre  ga  u 
Come  tirarne  su. 

Vardfc  Che  a  & 
No  Tegna  £ato  iu 
Cbe  DO  se  veda  al 
Mlnistri  col  tali. 

Che  almanca  i 
La  zente  per  la  « 
La  raba?  Che  la 
Za  poca  {uti  ghe  i 

Ma,  dopo  che 
Che  no  ve  diga  ai 
Cbi  vive  in  magni 
Che  i  t  lori  quei 

Che  sd  frodei  : 
Ai  10  ftadei  U  coi 
Che  i  libeTali  acoi 
Un  BJi  de  Uberti. 

Che  sia  San  M 
E  no  una  fanUaa, 
Che  un'aquila  nol 
In  foima  de  leon; 


(i)  flail,  (i)  nugianii,  grcppb. 


Che  el  popolaio  nuito 


Che 
Ma  qiu 
No  tuti 

Che 
Qud  c1 
Che  tut 
De  gua< 

Scg 
Far  sag 
Per  MTi 
Sto  ul, 

Sia  1 
Castelo 
E  el  do 
Che  el 


<t)  Icgnklo  Ji  itnpMio. 


Per  I'slesione  dalls  nno^ 

No  s'i  Eaio  riocontro 

A  formal'  rAjsemblea,  ch< 
Su  per  tali  i  canlonj  dei 

Che  dise:  oe,  lecoTdc 
Fra  quanti  ghi  a  Veoezia 
E  grami  quei  che  a  nissui 
Ve  so  dir  che  i  la  tali,  p 

Ma  sentime  un  pochet 
Xe  rAssemblea  co  la  sari 
Opur  vOaltri  che  ga  da  d 

Se  vuattri,  perchi  I'aii 

E  a  ci6  cbe  far  la  possa 

TieoU  queU  gran  sala  pa 

0  se,  com. 

Cera  inteniion  de  tuta  U 

De  sur  a  quel  che  I'Asse 

Coss'6  sta  9 

De  vignir  fora  adesso  a  c 

A]  deputad  quel  che  i  ga 

Se  credessi 

Cuss)  i  do  diUttri,  la  lali 

Perchi  piCi  tosto  li  desont 

Mostrando 

Bisc^o,  se  se  vol  che  i  i 

De  far  che  barcarioli  e  hi 


Venne  un  nono  CoDj 
O  fraglia  ch'£  lo  stn 
Di  dotti  iuliani 
Spendenti  a  piene  mi 
GvUti,  liberti. 
Ma  t  bea  cb'io  sosti 
—  Ni 


Se  U 

U  di 

N6  n 

Cotm 

—  N 

E  coi 

Nell'anno  quaninsetM 

Con  o  senza  basette 

I  garruli  dottori 

DestaroDO  romori 

NelU  d'ical  dttj. . . 

Ma  £ 
D'un  pazzo  Bonapart 
O'un  Cantb  imbratta 
Soni)  ia  bocca  Masia 
Leopoldo  e  forti  lai 
Qrca  Nando  maestJU 
Mai 


9-     Alfin  la  polizia 
Si  mise  su  U  via. 
Nico  e  Daniel  fur  fosd 
Dove  albergano  gU  osti 
Gratis  rumanit^.. 

Ma  t  ben  t 

10.  II  giudizio  statario 
Qfiietava  rEstuirio, 
Quando  cadde  Filippo, 
11  sua  fedel  Gonippo, 
La  carta- veriti... 

Ma  6  ben  c 

11.  Lo  squittir  sulla  Senna 
Del  Gallo  udl  Vienna, 
SI  che  apene  ta  bocca 

E  assest6  it  dardo  in  cocci 
A V verso  alia  realtl... 

Ma  £  ben  e 
13.  Un  venerdl  mirzuolo 
Ud  piroscab,  a  volo 
Da  Trieste  venuto 
Nunnb  d'una  statuto 
La  prima  velleitft... 

Ma  i  ben  < 
I}.    Pochi,  capitanati 
Dall'adunco  Giuriati, 
Chieser  a  Falli  gonzo 
Che  lasdasse  ire  a  zonzo 
I  due  in  eattivitJ... 

Ma  i  ben  ( 


14>   Griuia  fatu,  U  ptebe 
Quasi  pecore  lebe, 
Corsero  alia  prigjone, 
E  quel  doe,  in  processione 
Portar  di  qua,  di  U... 

Ml  t  ben  ecc. 

I },    II  sabsto  sommossa, 
La  piazza  utt  poco  rossa, 
La  guardia  cittadloa, 
La  pace  ipocritina, 
E  un  moito  airarianl... 

Ma  fc  bea  (cc 

1 6.  Palfi,  Zichi,  Martini 
Sognando  altii  astassini, 
Vinti  dalla  paura 
Cessero  alia  congiura 
La  picDa  autoriil... 

Ma  i  bCD  ecc 

17.  Tratto  fuori  il  cadavero 
Del  Icon,  con  ua  bavero 
Speraitdo  screziato 
Farlo  risusciiaio, 
L'aquila  mise  un  eri^. 

Ma  t  ben  ecc 

18.  La  flotu  pib  che  mem 
Alia  polana  orezza, 

Le  due  fiche  distese 
Al  veaeto  pavese, 
Serbando  fedetU... 

Ma  t  ben  ecc 


29.   Due  frad,  un  Udro  e  un 
Danna  iier  scaccomatto 
A  tascbe  ed  a  borselli, 
Montaodo  gli  sgabelli 
Delia  pubbliciti... 

Ma  i  ben 

]0.   lotanto  i  govemanti 
Per  boria  deliranti, 
AU'eoganee  cittati 
Smeotiano  i  comitati, 
Sfaceano  i  podesti^. 

Ma  t  ben 
}i.   II  Trivigian  Biaochetti 
Punse  con  bruschi  detti 
L'eroico  presidenie, 
Che  reputava  ntente 
La  provindaUti... 

Ma  t  ben 

]3.   E  i  Veneti  sd^nati 
Dd  Veoezian  t<^ati, 
Si  iao  dell'Atta  Italia, 
Bl^endosi  a  balia 
La  principal  ill -^ 

Ma  t  bee 

}}.   Ma  le  provinde,  ahi  tato! 
Tutte  allaga  11  Cioato, 
E  ricinge  d'ostacolo 
L'eqaoreo  propugnacolo 
Ch'i  nostra  vanitft... 

Ma  6  ben 


.)4<    Re  Carlo,  sola  spada 
D' Italia,  tiene  a  bada 
L'oste  »no  a  Verona, 
E  la  gente  caozona 
II  re  che  vuole  e  fa.^ 

Ma  t  bea  ec 

}S.  A  Gocine,  a  randelli 
Dan  di  pi'glio  i  monelli, 
Strillando  in  bnitti  metri. 
Via  i  noni,  via  gli  scctri 
£H  tune  qualitl^. 

Ma  i  ben  ec 

}6.    Si  chiam6  I'Assembtea 
A  ruminir  I' idea 
Se  fotM  la  Tusioae 
Fta  gl'itali  occaaione 
Di  morte  o  sanitl... 

Ma  fc  ben  ec 

ij.   L'ampleiso  dato  al  Sardo 
Fu  lafdo,  til  bugiardo; 
Fugge  roito  a  Custosa 
Alberto,  e  inglorloM 
Tregua  sull'Adda  fa... 

Ma  i  ben  ec 

}8.   Canei,  abrario  e  Colli 
Dabben,  ma  flosci  e  molli, 
Patiroa  la  commedia 
Che  bnttb  gib  di  sedia 
L'estranie  potestl... 

Ma  t  ben  ei 


J  9.    Lo  Spurio  ai  suoi  segi 
Grid6:  non  pib  gl'indu 
H^aie  al  volet  mio. 
Doe  d\  governo  to, 
Poi  TAssemblea  diri... 
Ma  e  b 

40.  Vot6  U  compagnia: 
Manin  dov'i,  ci  siia. 
Graciaiii,  Cavedalis, 
11  minma  de  malis 
Compian  k  trioiii... 

Ma  6  b 

41.  Tommaseo,  poi  Meoga 
Cod  Iropeto  spavaldo 
Corrono  in  Frand>  a  ] 
Che  COM?  Niun  intend 
Seppe,  nk  mai  sapri... 

Ma  £  b 

42.  Prati,  Gamba,  Zannini 
I  Purisid,  Bonlioi 
Legati,  carcerati 
Bastonati,  sfrattati 
Scontar  I'albertiti... 

Ma  fe  b 

4},   Solo  al  Gaitiganucti 
Nod  tocc6  mali  tiatti, 
Fuoccht  U  vil  parola 
D'un  cbe  suppUsce  sco! 
E  da  supplir  dod  ha... 
Ma  «  b 


44-   1-c  sarde  nivi  e  trnppe 
Fuggon  le  nostre  zuppe, 
E  spIaDO  da  Ancona 
La  srelU  trisu  o  buona 
Che  le  rUcbiareri... 

Ma  t  ben  ecc 

45.  Va  it  Sahium  tramutando 
In  Danlele  Nando. 

In  Carlo  Danlele, 
Poscia  intuooa  Infedele 
La  ditutorietl... 

Ma  i  ben  ecc. 

46.  I  prestiti  foriosl 

Si  finno  {nb  gravosi, 
E  i  milioni  dodid 
Stentano  a  uscir  dai  po^ci 
Delia  comimiti... 

Ma  k  ben  ecc. 

47.  La  possa  dittatoria 
Profesu  e  K  DC  gloria 
La  politica  gretta; 
Aspetta,  aspetta,  aspena 
Qjialcuno  vlnceri.^ 

Ma  i  ben  ecc. 

48.  La  mischii  al  CavalUao 
CI  fruttA  un  cannoocino 
E  una  sottil  spingarda; 

E  il  popol:  giurda,  guarda, 
Dicea,  che  noviti... 

Ma  t  ben  ecc 


.  Kell'asMlco  di  Mestie 
Tutto  tulto  pedesue, 
S'ebber  cinque  cannoni 
E  sdcenio  prigioni 
Merc6  I'oscuriU... 

Ma  h  ben 

*^oglietti  e  foglietucci 
mbrogliano  co'  Ucd 
,a  bestia  millepiedi, 
:h'or  basis  or  alu  vedi 
lome  la  sfena  di... 

Ma  £  ben 

lel  circo  italiano 
let  drco  popoUno 

.azaneo,  Da  Camin 
iacca  d' impu^iti... 
Ma  i  ben 

Mcun  del  conuiato, 
^IcuD  del  triumvira:o, 
luidan  scampaaamenti 
>)ntra  i  savi  e  i  prudent! 
^'aman  ringenuitil... 

Ma  i  ben 

.a  nioneta  di  carta 
'a  fa  maugiar  di  Sparta 
1  nero  brodettino, 
ik  si  trova  utt  quattrino 
'iel  veneto  casnit... 

Ma  k  ben 


$4-   Q  Dall'Oogaro,  it  Revere 
11  Mordiiii  pel  Tevere 
HuDo  il  passo :  gjtttoni  I 
AmbuDO  i  tegpolooi 
Delia  Mvraniti... 

Ma  t  bea  ecc 

}{  L'Atxmblea  di  rilate 
A  quote  genti  care 
1  triumviri  voquo, 
E  ridettar  dal  sonno 
L'elettoralitL^ 

Ma  fe  bea  ecc 

56.  Fit  i  membri  convenati 
Siitori,  BenvcDuti 
Tommaieo,  al  principotto 
Fanno  it  sentier  pib  rotto 
Dell'uriDarieti„. 

Ma  k  bea  ecc. 

57.  Spenta  la  dittacura, 
Mania  caogia  vestura, 
Ma  di  vttto  non  cangia, 
Ei  vorrebbe  ta  frangia 
Dell'ex  Sereoiti^ 

Ma  i  beo  ecc. 
jS.   Son  dittatore,  o  clie? 
Via  di  mtxzo  noD  c'i; 


59-  L^  sinistra  in: 
Le  ciglia  urla 
II  sovrano  sia 
Ci  seccano  gli 
Delia  necessit: 


)uei  di  San 
s  all'usdo 
illano  atrot 

|uaDta  appi 
acepe  la  n^ 
li  compent 
Se  la  sedii 
I'abbia  e  t 

niel  d'impi 
ive  31  pad] 
e  k  tempo 
n  giA  dl  bl 
gli  oh,  coi 


Ticin:  du 
□  ctaiede  p 
nuionalib 


69-    11  decreto  amgotico 
Alia  barba  del  gotico, 
Sumpato  bello  e  tondo 

Dal fopdo 

La  gente  stupcRi,... 

Ma  «  ben 
I  un  quinto  salasso 
□on  iiK  chiasso, 
lirt  v'impoae 
:  con  le  buone 
tabiliti... 

Ma  i  ben 


quanquattro  forti, 
1  so  quanci  porti, 
a  lo  stendardo 

il  becco  gagliardo 

riosaviri.... 

Ma  6  ben 
e,  il  bianco,  il  ros: 
non  t  s\  g  rosso, 
dicon,  paura, 

:rae  e  cariii. 

Ma  <:  ben 


75.  Al  mire,  al  mar  si  cania 

I  trabacchi  quaranta; 
Che  la  neinica  flotta 
Tal  men  d'uoa  ricotta ; 
Fede  e  si  vinceri.. . 

Ma  i  ben  ecc 

76.  I  generai  tedeschi, 

II  supremo  Radeschi 
Intimano  la  resa ; 
MaoEn  cita  a  difesa 
La  comun  volontft.... 

Ma  t  ben  ecc. 

77.  Haioau  fa  la  dijdetta 

Ai  consoli,  che  in  Iretta 
Esortano  i  paesani 
A  fug^e  iontani 
Da  UDta  ceciU.... 

Ma  t  ben  ecc. 

78.  Ma  a  Trepocti,  a  Brondolo 
Col  faz\]  &tto  ciondolo, 

I  Diilitanti  eroi 
Debellan  vacche  e  bnoi, 
Maiali  e  asinitl.,.. 

Ma  i  ben  ecc. 

79.  Ma  Genova,  Livomo, 
Firenze  e  il  suo  contorno, 
Palo,  Civitavecchia 
Ferrara  e  Chi  la  secchia 
Perse,  vinti  son  gii.... 

Ma  i  ben  ecc 


8o.    Ml  il  popol  venczUao 
IdToU  sovrano, 
Fida  nell'Uagberia 
Nella  Francia,  in  Man. 
Ma  chi  I'aiuteri  ?.... 

Ma  k  I 

8i.   A'  d)  venquattro  magg 


S'ode  di  raizi  e  palle 
A  Marghera,  la  vailc 
Che  i  matti  ingoierl.... 

Ma  ±  b 
83.  La  sera  del  vemei 
Dopo  un  tiiduo  d'omei 
Mai^era  inespugnabile 
Si  decrei6  espugnaUle 
E  che  si  la^ierA,.., 

Ma  £  b 

83.  Per  la  diti  in  pib  rid 
RaccoDtano  f  fug^d 
La  saaguinosa  istoria, 
Rampognando  la  boria 
Del  preside  pap^.... 

Ma  i  b 

84.  II  tedesco  qual  lampo 
Porta  piii  iananzi  il  ca] 
A  Ma^hera,  sul  ponte 
A  San  Giuliano,  ed  onl 
Piii  fiere  allesdr^... 

Ma  k  bi 

Di  qnHU  (Mini,  cba  irarui  iKdita  fn  le  ui 
dtlla    ioei*  t^,  It  URrf*  7i<  •  71*  loao  unohit 


PrBflunsatl  polUlei. 

1. 

-  Se  U  sorte  hai  pur  besigna, 
Cidon  dieci  e  dieci  tanti 
NascoD  ccme  la  gramigna ; 
Chi  di  voi  gran  parlatori 
DeH'impno  at  la  potenta 
Chi  resbtere  mai  pu6  ? 

Sorgeranno  in  un  motnenCO 
A  spaizar  I'oro  e  I'argento 
Mille  mani  e  mille  eroi ; 
Vengan  poi  pur  i  Croati, 
Verran  essi  ed  io  n'andrb. 
G  diran  vigliacchi  ed  empi 
Ma  il  denaro  Tavrem  noi... 
—  Tu  favelli  iroppo  schietio, 
Basta,  intima  il  preudente  — 

-  Ci6  non  dico.  E  conlidente 
Al  cotlega  pailer6. 

Percbi  t  resa  ormai  perdente 
Gil  r  italica  congiura.  — 

-  Sitenzio,  in  queste  mura 
Qualcuno  udir  d  pub; 
Duopo  (  inganoar  i  compllci, 
L'ascuzia  e  la  baldanza 

I  prowidi  dccreti 
Di  zecca  e  di  finama 
PoMon  calmare  i  palpiti 
D'un  generoso  cor. 


Poaiamo  che  d'aogustia 
Uscisae  il  oostro  cor. 
Ma  per  salvar  Venezia 
Ci6  saria  poco  ancor  ! 

Egll  t  un  bel  dir,  Veneziat 
Ma  se  resliam  pitocdii 
Invece  che  di  maniri 
Avrem  fama  d'alocctu. 
CapiKO,  t  questo  il  canchera 
Che  mi  divora  il  cor, 
Ma  di  saivat  Venezia, 
Dobbiam  provarci  ancor. 

Quando  pur  ci  fallisca  I'even 
Non  rimanga  digiuna  ogni  bram 
Troppo  acarsa  mercede  k  la  fain 
Per  chi  lascia  il  comando  c  ne 

-  Che  risolvi?  A  cena  vieni 
Mella  casa  del  Comello; 
Parlerem  coll  bel  bello 
Per  salvard  con  onor. 

Ma  frattaoto  che  mi  dici 
Che  sperar  mi  lasci  aifin  7 

-  Nulla  e  tutto  —  Ehi,  ser  Daniel 
Jo  son  un,  non  sel  tammenta, 
Uq  di  queili  venti  o  trenta, 
Del  comploito  redentot. 

Quel  comp  lotto  si  fedele... 
Oh  lidaievi  in  Manin  I 

-  Qualche  cosa  di  far  vi  prometu 
Qpalcbe  cosa  di  grande  e  di  gn 
Per  or  dirvi  che  cosa  non  posKi 
Dopo  cena,  pei6  si  saprJl. 


Sulla  vosira  paroU  ripoao; 
E  m'aspetto  qualcoM  di  grosso ; 
Per  qualcOM  cod  vol  mi  son  mosso 
Ed  ho  fatto  ballar  la  citti.  — 

II. 

—  Dal  meui,  dal  goveroo,  dal  ghetto 
Qualche  cosa  imparato  egli  avrl ; 
La  miseria,  U  natal  poco  aetto 
Fan  coDtrasto  crudel  caU'argogUo. 

—  Qqd  cbe  sono  esser  vogUo  e  noa  vc^lio. 
I^b  che  invidia  ben  merto  pictl. 

III. 

—  Issa,  iisa,   issa  11 

Ed  6  vero  ?  Bene  sta  I 
Egli  6  ver,  Tutti  lo  narrooo 
Per  la  piaiza,  e  v'ba  chi  giura 
D'avec  letto  sulle  mura 
Uno  scritto  pien  di  fiole; 
Proprio  il  none  di  Daniele 
Proprio  il  aome  del  la  madie. 
Qjiello  speccbio  di  virtjt? 
Bada,  tira,  tira  \k. 

Bene  >u] 
Ma  chi  dicoDO  che  fu  ? 

1.  Hanno  detto  che  un  auitriaco— 

2.  Ui  austtiaco  owero  uo  prete... 


3-  Morte  a  luiti,  e  viva  n< 
Vale  a  dir  Daniele  e  i 
E  che  [utto  sia  del  pi 

4.  Ml  prndeozi  un  pocc 
,Cantkm  I'iimo  di  Ma, 


IV. 

Sol  quel  celTa  d'aguxz 

CoQ  chi  cede  aoa  si  1 
Q;ia  spunconi,  qua  tri 
Se  gli  cavin  le  budelli 

Oh  pro'  i 

Egli  vien  per  fare  i  e 
Su  conipagni,  tuiti  pri 
D'ar$enal  se  vivo  gli 
Pu6  esser  nostro  il  si 

Oh  pro'  \ 
Sa  Manin  il  sua  peri^ 
Quel  dot  del  coloniM 
E  dal  cor  prende  con; 
Cuor  d'uom  giusto  e 

Oh  pro'  ^ 
Ei  si  mostra  all'arseni 
Ei  la  dvica  conduce; 
Se  gli  schiudon  squeri 
Giusta  il  patto  clande: 

Oh  pro'  * 


Can  ceffi.  £  dolce  il  canto 


La  sednta  dell'ABBemblMi  d«l  a  aprila  '49. 

laaprUe.  —  Furono  alle  tre  raccolti  i  Rappresentanti  a 
porce  chEuse,  onde  che  S.  Papadopoli  disse  buonamente- 
Siamo  prigioni.  Aveva  il  Manin  esposto  il  giorno  inQanii 
il  dispaccio  deH'Hainau  che  diceva;  esser  ormai  tempo  che 
i  Vtneiiani  prendessero  una  saggia  deliberadone,  e  il  go- 
verno  ctssasse  dalVopprimirt  una  popola^ione  affascinata.  In 
quesco  dl  lesse  con  fioca  voce  una  iettera  di  T.  Gar  iaviato 
nostro  in  Toscana,  che  conteneva  con  so  quali  aperanze. 
Foi  disse  non  esser  le  cose  che  il  Governo  sapeva,  da  dirsi 
e  che  deliberassero.  Tutti  tacquero,  Un  tale,  ftjrse  I'Olper 
(da  altri  ho  udlto  che  fosse  il  Benvenuti)  disse  che  egli^ 
il  Manin,  proponesse  il  da  farsi.  Ritornb  il  Manin  alia  bi- 
goncia,  e  cangiato  il  mono  fievole  m  forle,  proruppe: 
Jfofe  disposti  a  resisUre  ad  ogai  coito  ?  decidtte.  —  Si,  jJ,  gri- 
darono  da  quindici  a  venii  rappresentanti.  —  Ma  allora 
cccorrc  concentrare  la  forza  del  potere,  perchi  bisc^eri 
usare  d'una  mano  dijerro.  Occorreranno  deliberaiioni  subi- 
tanee  in  cui  saii  da  operare  per  inspira^iottt.  —  Bene,  gridd 
il  Talamini.  —  Ebbene,  vulete  dungue  darmi  illimitati  po- 
teri  ?  —  Si,  ii,  risposero  i  quiadici  o  venti.  E  la  deUbe- 
ratione  si  ebbe  per  unanimemente  presa.  Fatto  questo  in 
pochi  minuti,  si  spese  una  grossa  mezz'ora  a  dlscutere 
suile  frasi,  con  cui  esprimere  il  decreio;  poi  u  disse  di 
votare  per  atzata  e  seduia  esso  decreto  e  senza  curarH 
della  controprova  o  tiprova  voluta  dal  regolamcnto  quanda 
trattasi  di  votazioni  per  alzata  e  seduta,  si  ebbe  per  defi- 
oita  la  cosa.  II  decreto  fu  affisso  ai  muri  della  citti,  e 
due  furono 'incarcerati  la  sera  stessa,  uno  per  aver  lace- 
rate il  decreto,  I'altro  per  non  so  quali  ingiurie  proferiie 
sul  coDto  del  Maoin.  Percht  in  tanta  votazione  non  voter 
U  solita  votazione,   o  quesia    almeno  nan  votare  di  non 


volcria  ?  E  a  Tommaseo  sostenitore  del  voto  segreto  perchi 
tacque?  Non  li  badd  che  I'unanimili  in  »1  fatto  riosciva 
sospetta,  e  induccva  il  sospetto  che  si  avesse  fonata  la 
volenti  dei  rappresencaDti  t  PiCi  d'un  deputato  la  sera 
stessa  si  raosIr6  cnalcoDtento  del  modo,  come  di  violenza 
usata  alia  liberti  delle  deliberauooi.  Ed  io  il  racconco 
suddescritto  I'ebbi  discesammte  da  udo  di  essi  superiore 
per  oaesti  e  per  iagegno  ad  ogni  eccezione.  > 

(L.  Carrer  -  tijOftrtlU  intdiuper  una  storia  del  1848-49 
~  Carte  Zannini). 


II  tmnnlto  del  3  sgoato  '49. 

«  II  giomo  ;  luglio  (il  Carrer  erra)  circa  le  utia  e 
nieito  eotrarono  il  Giuriati  e  il  CafB  aetie  camere  della 
Pubblica  Benelicenza  id  Canonica  a  strapparvi  la  carta  del 
Dandolo  che  coralnciava  a  copiirsi  di  numerose  soscri- 
lioni,  a  capo  quella  di  S.  Emioenza.  PortironU  al  cafft 
Ploriao,  a  leggervi  le  soscnzioni,  poi  al  Maoiti.  Si  misero 
quindi  alia  testa  del  charivari,  con  pid  il  Foscoletto,  altci 
aggiunge  il  Vart,  altri  dicono  soprawenisse  pili  tardi,  e 
giunti  alia  piaziuola  Quiriai  entraroro  per  una  finestra 
terrena  del  Palazzo  pacriarcale  a  manomcttervi  ogni  cosa. 
ScambiaroQO  perb  TappartameRto  del  Qjiirici  per  quello 
di  S.  Eminenia,  e  questa  v'  ebbe  il  minor  danno.  11  Tom- 
maseo parla,  ma  noD  gli  d  bada.  Giungono  i  gendarmi  e 
quest!  caricando  la  moliitudine  colla  baionetca  la  fanno 
scappare.  Ritnasero  feriti  due  del  corpo  Baodiera  e  Moro, 
che  coQ  altri  de'  Cacciatori  del  Sile,  aveano  prew  parte 
al  jaccheggio.  Per  tutta  la  citil  fii  battuta  U  generate,  ina 
pocbi  v'  accorsero,  e  il  piCi  chiudevasi  nella  propria  casa.  a 
(L.  C,  cit.  Noterelk  ined.,  ecc.) 


'55 


Lm  destitasione  del  Carrer  narrata  da  E.  Cicogna. 


«  Emanuele  Qcogna  nei  suoi  Diarii  cosl  narra  la  de- 
stituzione  del  Girrer  da  direttore  del  Museo.  —  Si  awerta 
che  il  Cicogna,  impiegato  austriaco,  era  tutt*altro  che 
tenero  delle  idee  liberali : 

«  Fu  sospeso  dair  Impiego  di  Prevosto  al  Museo  Cor- 
rer  Luigi  Carrer,  e  cos)  il  suo  assistente  Jacopo  Vincenzo 
Foscarini,  ii  primo  pel  Canto  di  Guerra  giii  stampato,  il 
secondo  per  aver  preso  le  armi  contro  il  Sovrano.  Si  ri- 
marc6  dal  Podest4  che  il  Carrer  e  il  Foscarini  coprono 
queir  impiego  come  privati  non  come  persone  addette  al 
servizio  Regio  o  Comunale  o  Municipale,  e  che  sono  pa- 
gad  da  una  ereditA  privata  quale  i  quel  la  del  Museo  Cor- 
rer,  che  quindi  non  si  possono  n^  destituire  n6  sospendere. 
Ma  ci6  non  valse  e  sono  sospesi.  Stendono  ora  (19  otto- 
bre  1849)  un  Ricorso  al  Montecuccoli.  Pare  anche  a  me 
che  il  Carrer  potrA  bersl  esser  sospeso  dal  soldo  regio  di 
Vicesegretario  airistituto  e  da  quello  di  Membro  pensio- 
nario  dell*  Istituto,  ma  non  mai  dall*  Agenzia  privata  di 
Casa  Correr,  che  tale  t  la  prepositura,  lo  credo  anzi  che 
il  Carrer  abbia  stampato  quel  Canto  di  guerra  (fino  dal- 
Taprile  1848),  pid  per  far  mostra  del  suo  t^lento  che  per 
vantato  spirito  italiano,  e  meno  per  eccitare  ilpopolo  al- 
Tarmi  contro  ii  legittimo  suo  sovrano.  Tanto  ^  vero  che 
in  tutto  il  corso  della  rivoluzione  non  figurb  mai  nb  con 
scritti  nh  con  atti  incendiari.  Anzi  era  tenuto  per  austria^ 
cante, » 

(V.  Diari  cit.,  vol.  4*,  sotto  il  titolo :  Continua:^ione  sue- 
cinta  delle  conseguen^e  della  passata  'Hjvolu:^ione  ). 


A 


Sempre  intorao  alia  desdtadoDc  il  Carrer  scriveva  il 
MoQtanari  e  ad  Eugenia  Pavia  Gentilomo: 

a  Invcro  (ui  tutt'  altro  the  utopista  Gn  dal  prindpio 
della  tivoluziODc;  ami  I'aver  preveduto  le  disgraue  cbe 
pur  troppo  cODKguitarono  alia  mil  pensata  e  peggiocon- 
doRa  iotrapresa  mi  fecero  guardar  di  mal  occhio  dai  sedi- 
centi  liberali  e  liberatori :  sul  qual  fondamento  stesi  la  mia 


(Lettera  ined.  a  B.  Montanari,  9  uovembre  1849.  '. 
btiot.  comun.,  Verona). 


cNoD  so  s'elU  uppU  che  fino  dall'ottobre  lo  liiide- 
ttituito  dal  carico  d!  CKrettore  del  Miueo,  a  cigione  delle 
po«sie  da  me  stampate  act  marzo  1846,  e  quaatoiique 
aitro  HDD  mi  potesse  essere  apposto,  e  I'impiego  sia  d'in- 
stttuiioae  privala.  Hon  nuDcarono  autorevoli  amici  che 
prendesscTO  le  mie  difese,  ed  io  nesso  presentai  ai  Gor 
vernatore  civile  e  militare  da.  cui  mosse  il  decreto  una 
rimostratua  che  mj  si  dice  sordrl  buon  efietto.  E  pensare 
cbe  i  sedicenti  veri  italiani  mi  avevano  in  uggia,  perchi 
non  sapevB  farneticaie  con  essi,  e  ho  dato  sempre  alle 
cose  i  loro  nomi,  nemico  implacabile  di  tutte  le  esorbi- 
tanie.  i> 

(Da  copia  di  lett.  ined.  a  E.  Pavia  G.,  1  gennaio  l8jo. 
Carte  Zanninl). 


je 


155 


Quando  mod  per  ferite  riporute  nella  sortita  di  Mar- 
ghera  Teroico  Alessandro  Poerio,  il  Carrer  fii  pregato  da 
alcune  signore  di  dettare  la  epigrafe  che  fii  scolpita  sulla 
sua  tomba: 

am  •  RIPOSA  .  ACCOLTO  .  NELL*  .  AMIGA  .  TOMBA  .  DEI  . 
PARAVIA  .  ALESSANDRO  .  BAR.  .  POERIO  .  DI  .  NAPOLI  .  CHE  . 
DATI  .  ALL*  .  ITALIA  .  IL  .  CUORE  .  GLI  .  STUDI  .  LO  .  ESILIO  . 
PER  .  ESSA  .  MILITE  .  VOLONTARIO  .  MORi  .  DI  .  FERITE  . 
TOCCHE  .  IN  .  MESTRE  .  IL  .  XXVU  .  OTTOBRE  .  MDCCCXLVUI  . 
DI .  ANNI  .  XLVI. 


ALCUNE  .  VENEZIANE  .  SORBLLE  .  ALLO  .  ESTINTO  .  NELLO 
AMORE  .  DELL  A .  PATRIA  .  CON  .  PIETOSO  .  DOLORE  .  COMMISE^ 
RANDO  .  LA  .  MADRE  .  LONTANA  .  CHE  .PlO .  NON .  LO  .  ASPETTA 
POSERO  .  aUESTA  .  MEMORIA. 


Teadensa  al  misUcismo. 

«  Fui  a  principio  mandato  a  passare  buona  parte  della 
giomata  in  casa  di  certe  doonicciuole  che  non  sapendo 
compitare,  insegnavano  a  leggere,  dichiaravano  la  dottrina 
ed  empivano  il  cervello  dd  fiinciulli  di  orazioni,  di  fiabe 
e  di  canzonette.  Ma  poco  o  nulla  io  badavo  a  quest' ul- 
time,  molto  alle  fiabe  e  pid  che  molto  alle  orazioni.  Fino 
dai  miei  primi  anni  mi  sono  sentito  una  fortissima  pro- 
pensione  per  le  cose  di  religione.  Le  chiese  furono  sempre 
il  luogo  ov'lo  me  ne  andava  piu  volentieri,   TascoUare  i 


1 


» 


i 


1S6 

divini  uSci  il  aao  preditetto  divertimento,  spedalmente 
in  giorni  di  fesU,  e  quando  sicanuvanocoll'accompagoa- 
niento  degli  oTgani.  Derivasse  da  db  ana  tendenza  che 
ho  Minpre  avuta  p«l  mbtico  ed  invi^bile,  cb«  meglio  con- 
tentiva  la  mia  fantasia  del  palpabile  e  piano,  o  fosse 
consegneata  delle  solertl  cure  della  buona  mia  madre,  che 
fiuo  dalle  fasce  ro'imbevette  di  quelle  idee  reli^ose,  eato 
t  che  Del  mia  cuore  bo  sempre  no  potente  nemico  del 
mio  iDtelletto,  quando  questo  volesse  discredere  e  rinnegare 
la  fcde  dd  iniei  maggiori,  e  sono  siciuo  che  qaand'  anche 
arrivaiu  a  cedere  ai  discorsi  dei  miscrcdenti  circa  la  divi- 
niti  di  Getb  Oisto  e  i  premi  della  vita  flitura,  messo  alle 
stiette  di  fame  solenne  professiooc  sopporrei  piii  volen- 
tieri  la  testa  alia  maimaia  e  mi  fare!  maitire  tuetuario.  I 
pit)  solidi  Brgomeiiti  della  nua  reUgione  staimo  in  una  bella 
none  d'estatc,  nel  fragore  del  tuono  e  della  pioggia,  nella 
tplendideiia  de'  sacri  riti  e  altrettali ;  a  cui 
negli  anoi  posteriori  il  ma^co  effetto  di  alcnoi  i 
della  Sditrara.  » 


La  forma  rotwtda.  —  ■  Le  {bnne  rotonde  ebbero  per  me 
sempre  tin  noo  so  che  di  ^mbolico  e  di  misterioso,  anche 
in  quelli  anni  in  cui  non  aveva  ancora  udito  parlare  di 
geroglilici  e  di  filosofi  anticlu.  Quel  continue  ritoniare 
dell'occhio  al  medesimo  punto  dopo  aver  girato  tutto  in- 
torno  atta  6gura,  quella  onilbrmita  di  distanze  partendo 
del  centro,  quella  relazione  col  sole,  colla  luna,  coH'onz- 
zor.te,  col  volto  umaoo,  coll'  occhio,    coll'  uovo    e  smili. 


TESTI     ROMANZI 

PER    USO    DELLE   SOUOLE 


ALLEGE 
VULffAl 


OFII 


,Z)anie 


AVVERTENZA 


Scopo  di  queste  edizioni  6  agevolare  neDe 
scuole  la  circolazione  di  testi  altrimenti  poco 
accessibili  per  il  prezzo  o  la  rarity  del  volumi 
in  cui  vennero  a  luce.  La  lezione  di  ciascnn 
testo  6  data  soltanto  come  prowisoria ;  da  ba- 
stare  cio6  alio  studente  per  prendeme  cogni- 
zione,  e  per  valersene  quando  dovesse  coordi- 
narvi  Tapparato  critico.  Si  omette  ogni  spe- 
cie di  illustrazionl  che  sieno  di  competenza  de- 
gV  insegnanti ;  ma  quando  si  trovi  opportune, 
si  aggiungeranno  brevi  prospetti  grammatical! 
e  glossaij. 

B.   H. 


P  oes  i  e 

Provenzali 

ALI.KOATE    Da    DANTK 

De   Vulgari  Eloquenda 


*i«««'««<M.*i 


GIRAUTZ  DE  BORNEILL. 


n  correzloni  dal 


Olm  seotis  fizels  amies 
per  ver  encusera  amor, 
mas  er  meu  lais  per  paor 
qem  (loblea  Tania  el  destrics; 
mas  aiaso  paosc  dir      sbs  dan, 
c'aac  d'eugan      ni  de  no  fe 
uom  membret,  puoia  araei  be; 
anz  n'  ai  sofertz  de  grans  msls, 

E  si  non  grana  1'  espies 
si  cum  pareis  a  la  flor, 
cujaCz  qne  plass'al  seignor? 
aoz  Ven  creis  ira  e  genzics; 
e  par  qne  consir      de  I'  an 
en  avan,      oar  sap  e  ve 
que  Ros  afTarH  doIII  ave; 
q'ien  vi  c'  us  jams  ferials 
m'era  mieiller  c'  us  nadals. 

emps  q'era  cor, 
nia  a  desonor 
itz  doji  er  aui  abrics; 
itU  BOfrire,      qui  blaa 

que  pletz  Ten  ve 
18  li  desconve, 
je  I' era  egals, 
:a  ab  mi  cabals. 


OIEAVTZ    DE    SOSyEILl 

Anjatz,  joves  ni  antics, 
pnois  en  bb  baillia  cor, 
tri  de  doH  diaIs  Io  mnjor, 
Don  farial  reis  Lodoycs. 
deu  bom  bea  doDcs  rire      d'amao 
qui  I'afan      d'amor  soste 
e  nol  sap  loignar  de  Be, 
puois  vB  que  II  retz  veoals 
es  doncs  dans  d'amor  altals. 

Erans  Bemblara  presics 
mOB  chaos;  mas  si  Diea  ador, 
pe<;'  a  non  vitz  amador 
cai  melns  aoca  anta  ni  trice ; 
mas  per  mieills  assire      mon  chaii, 

que  Boa  tuich  cargnt  e  pie 
d'us  estraJDB  sens  aatarals; 
mas  Don  snbon  taicb  de  cals. 

E  Bitot  s'enfelQf  enics 
per  eapaveatar  loa  lor, 
Bi  plaDB  valors  noi  acor, 
pane  i  val  preca  ni  chaRticB. 
deiis  om  doncs  aucire      prejan? 
dreig  n'ai  grau,      qn'ieu  sai  e  ere, 
mas  jes  non  o  die  per  re, 
q'alz  verais  amies  corals 
DOQ  vai  enan  lor  captah. 


Pe, 


[mitz, 

r  solatx  revelhar,      quar  es  trop  endor- 

e  per  pretz  qu'es  fayditz      aculhir  e  tornar, 

mi  cuyci  trcbalhar;      mas  er  men  aui  j^iquitz, 

4  per  so  qnar  snl  falhlts,      qaar  no  es  d'acab&r; 


aiRAUTZ    DH    BORNEILL 

cnm  plus  m'ea  ven  volnntatz  e  Calans, 
plas  creys  de  lai  lo  dampnatges  el  dan: 
Oreu  es  a  sofertar,      a  vos  o  die  qu'anz 
8  ouna  era  jois  grasitz      e  tug  U  benestar, 
hiieymais  podeCz  jurar      que  ja  de  fust  no  v 
□  i  vllag  mJBlH  formlU      estra  grat  cavalgar: 
lags  es  I'afars  e  grens  e  malestaua 
]i  don  horn  pert  Dieu  e  reman  malanauB. 

tea  vi  torneis  mandar      e  aegre  gens  garni 
e  paeys  del  miels  feritz      una  sazo  parlar; 
ar  CH  pretz  de  raubar      buona,  motoH  e  berbli 
16  cavalierB  si'  aunitz      ques  met  a  domnejar, 
puH  que  toca  dels  mana  motoa  belans. 
Hi  que  ranba  gleizas  ui  viandaus. 
On  son  ganditjogiar      qu'ieu  vi  gentacolhi 
•>»  qu'a  tal  mestier  fo  gultz      que  snlia  gutdar' 
a  vey  aenea  reptar      anar  tals  escarits, 
pua  fon  boa  pretz  failhitz,      que  solla  menai 
de  companhos,  e  no  sai  dire  qaaus, 
^1  gent  en  arneis  e  bela  e  benestana. 

E  vi  per  eortz  anar      de  joglaretz  petite 

gen  causaatz  e  vestitz,      sol  per  domnas  lanzi 

ar  noQ  auzon  parlar,      tant  es  bos  pretz  deli 

t*  doDt  ea  lo  tortK  iasitz      d'eJas  mal  razonar. 

diatz  de  quals  d'elhas  o  dela  amaiis, 

ieu  die  de  totz,  quel  pretz  n'a  trag  enja 

Qu'ieu  eys  qne  anel  sonar      totz  proa  bom 

31  estauc  tant  eabaitz      que  nom  aai  cosaethar: 

qu'en  luec  de  solaasar      ang  en  laa  cortz  loa  cri 

qu'aitan  leu  s'es  grazltz      de  lans  e  de  bran 

lo  comtea  entre  Inr  cum  us  boa  chaos 

M  dels  rica  afars  e  dels  tempa  e  dels  ans. 

Mas  a  corafraucar,      que  s'ea  trop  endnrzl 

non  dea  hom  los  oblitz      dIIs  viela  faitz  remt 

quemalesalaissar      afar  puses  plevltz,      [br 

40  el  mal  don  sui  ^uaritz      nom  qual  ja  mezini 

mas  so  qu'om  ve,  volv'  e  vir  en  balau 

e  prenda  c  lais  o  forsso  d'anis  toa   pan 


atHA  VT7,    . 

moa  mas  chan§soB  e  mos  vers 

34  cum  fola  de  saber  esters. 

Adc  nnills  efTreis      non  fo  valeus  ol  i 
tro  qne  moc  loing  de  joi  sobregabars ; 
c  pois  die  e'  amors  me  tricha 
■a  per  UD  petit  da  semblao, 

et  iea  pert  per  so  que  Dom  blan 
liens  parlarB,  c'us  dans  men  crec 
qnem  ten  pres  plus  grea  q'en  fers 

35  per  ti,  bocba,  qe  'n  mal  mers. 

Aras  nom  letz     qan  mi  valgra  preja 
qerre  merce  si  fai  que  moB  trobars, 
pois  tan  s' es  m' amors  africba 

36  c' antra  non  qier  uin  demao, 
clamail  merce,  qni  qeil  chan 
celliei  cui  deschausir  lee; 
fouz  descuidatz  e  deapers, 

Ki  tot  trobaras  so  quo  quers. 

El  bes  qet  fetz,      si  n'eras  el  fnoc  ai 
poii  loill  grazir ;  fo  doncs  mas  us  baisars 
folia  res  e  eel  que  picha 
i'l  uou  vai  1'  obra  meillnran ; 
ben  as  pane  saber  d'eufan 
e  sit  fetz  mais  que  non  dec; 
piejer  qne  cill  de  Beders 
Ai  tu  cala  merces  Ten  refers? 

Tal  qne  lai  dreltz      mos  buoills  on  bat 
el  cors  es  fis  e  dontz  e  francs  e  clars 
vas  celllel  on  jois  s'abricha 
hi  loing  d'  avol  pretz  e  d'  etigan 
e  de  mi  qen  vane  pensan, 
per  q'en  magrezisc  e  'n  sec, 
volven  de  tort  en  travers 
36  pins  abronqnitz  d'un  covers. 

£  cuidatz  setz      m'ennol  ni  dejunars 
niin  tenga  dan  non  fai  c'us  doutz  peoss 
m'aduria  ab  una  uicha 
m  sau  e  let  al  cap  d'un  an. 

fol,  c'as  dig?  pauc  t' en  creiran 


aSRAVTZ    DS    BORSE I LL 

de  80  e'anc  vers  non  parec; 

N  fara  si  loil  eaqners 

roos  Li^anre  lai  part  Lers. 

JofM  qui  per  bon  eders 
DO  s'alegra,  fole  es  men. 


Oi  per  mon  Sobretots  no  foa, 
qnera  diu  qn'leu  chant  e  sift  gays, 
jal  suaoa  temps,  qnaa  I'erba  aays, 
nl  pratz  ui  rams  ai  bosc  Di  flors, 
ni  durs  senbers  ni  van'  aroors 
noD  pogram  metre  en  eslays  ; 
mas  d'atsBom  tenc  ab  lai 
que,  poB  joys  falh  e  fill, 
merma  pretK  e  barnaCz ; 
e  pois  las  poestati 
a'  estraigneron  de  jay, 
de  quan  quel  plegers  by 
DO  ton  per  mi  lauzaCz ; 
qn'aissim  sny  cosseillats, 
qne  nnl  ric  non  envey 
qne  trap  mal  senhorey. 
Seiha  vetx  cral  segles  bos 
qaan  per  tot  aondava  jays, 
e  selh  grazitz  on  n'eral  mays, 
e  pretz  s'  aveni'  ah  ricore ; 
ar  appeir  oin  pros  los  pejors 
e  Bobeier  selh  que  pieitz  s'  irais  ; 
e  selh  qne  mats  adui 
cam  qnes  pot  de  raatral, 
sera  plus  envejatz. 
de  quern  tenh  per  foreaU, 
qn'om  d'avol  plait  savay 


GIRAOTZ    BE    BORJf  KILL 

caeiha  bon  pretz  veray 
doQ  degr'  eBser  blasmalz, 
e  vos,  quar  non  pessatz 
sis  tanh'qn'  ora  preu  autrey 
a  sel  qae  lag  feuney. 
Mai  foD  capdelada  razos 
des  qu'  om  tenc  per  pros  los  savays, 
els  frsDcs  els  cortes  els  verays 
razocet  hom  per  sord^ors, 
e  moc  la  colpa  dels  aussors 
quanl  devers  brezillet  ni  frays, 
qa'  eras  no  saj  per  cut 
tol  hom  I'onor  selui 
que  D'era  adreit  cazatz  ; 
e  sils  encoreillatz 
diran  que  ben  estay  ; 
mas  selh  qu'  iea  do  dirny, 
sera  trop  miells  armatz  ; 
e  pueis  sins  embarjaU 
de  pretz  ni  de  domney, 
meos  avetz  el  conrey. 
leu  vi  qu'om  preaava  cbaosoa 
e  que  plasia  tresc'  e  lays, 
mas  eras  vel,  pus  que  hom  s'estrays 
de  solatz  ul  de  fag/  geusors, 
ni  I'afars  dels  fls  amadors 
se  viret  de  dreit  eu  biays, 
que  totz  devers  defui ; 
que  ja  a'om  se  debtui 
las  cams  nils  vis  nils  blatz, 
e  se  I'acompagnatz, 

ui  cresatz  Don  seray; 
mas  Dom  segral  peccatz, 
que  lai  val  pane  rictatz 
qui  la  men'  a  desrey, 
nl  drog  nOD  sec  ni  ley. 
Er  aug  del  rey  qu'era  plus  pros 
o  plus  valeuB  en  totz  assays 


qaan  sera  lai  passatz 
al  port,  OD  no  B'escbay 
qu'  cm  mBTme  soa  esmay, 


per  qu'es  conaellla  senatz 

qn'om  de  aai  se  castey, 

que  aos  tortz  de  lai  hdI  grrey. 


ARNAUTZ  DANIELS. 

n.inte,  De  v.  Eloq.  II,  i[,  S.  Lezione  ricosU 
eal  rasB.  da  U.  a.  Canello,  La  vita  a  le  op 
dl   Araildo    Danlollo,  Halle,  IS8J,  p.  105. 

1-1  aur'  amara      fala  broaills  brancuts 
clarzir      quel  doutz  espeiss'  ab  fuollis, 
els  letz     bees      del  auzels  rameucs 

4  ten  balps  e  mutz      pars      e  noo  para, 
per  qn' eu  m'eafortz      de  far  e  dir      plaze 
a  maina  per  liei      que  m'a  virat  baa  d'aa 
doQ  Mm  morir      alia  afao^  no  m'  asoma. 

8        Taut  fo  clara      ma  prima  lutz 
d'  eslir      liels,  doD  crel  cors  loa  huoills, 
non  pretz      necs      maus  dos  aigoaeaca 
d'antra;  s'esdutz      rars      moa  prejars, 

12  pero  deporU      m'es  adanzir      volera 
bos  motz  sea  grei      de  lieis  dou  taol  m'az 
qa'al  sieu  servir      sai  del  \ip.  tro  c'al  comi 
Amors,  gara,      aui  ben  vengatz, 

le  c'auzir      tern  lar,  slm  dezacuoills, 

tals  deU      pecs     que  t'ea  miellls  quet  tre 
qu'  ieu  soi  tia  drutz      cars      e  uod  vara ; 
nial  cora  ferma  fortz    mi  fni  cobrir    maiua  ^ 

so  qu'ab  tot  lo  Dei      m'agr'ops  ua  bais  al  chi 
cor  refrezir,      que  uoi  val  autra  goma. 


ARNAUTZ    DANIELS 

8        D'  aatraa  veaer  sni  sees  e  d'  auKir  aorts 
qu'  en  sola  liels  vei  et  aug  et  eagar ; 
e  jes  d'aisso  noill  sni  fals  pinzentiers 
que  rnais  In  vol  non  ditz  la  bocal  cors; 

13  qa'eu  ai>  vau  taut  chams,  vauz  dI  plans  ni 
qu'eu  un  sol  core  trob  aisei  bos  aips  totz: 
qu'en  lieis  los  vole  Dieus  triar  et  assire. 

Bea  ai  estat  a  inaiotaa  booas  cortz, 

itt  mafl  sei  ab  lieia  trob  pro  mais  que  lauzar 
niesara  e  sen  et  autres  bos  meutiers, 
beatat,  joveo,  bos  faitz  e  bels  demors. 
g'en  I'enseignet  Cortesia  e  la  duois, 

so  taut  a  de  si  totz  faitz  deeplazens  rotz 
de  lleia  do  ere  reos  de  ben  si  adire. 

Nuills  janzimeus  non  fora  breua  ni  cor 
de  lieis  cut  prec  qo'  o  vuoilla  devinar, 

24  que  ja  per  mi  non  o  sabra  estiers 
sil  cors  see  dira  nos  presenta  de  fors; 
qne  jes  Rozera  per  aiga  que  1'  eogroia 
non  a  tal  briu  c'  al  cor  plus  larga  doti 

23  Dom  t'assa  estaiic  d' amor,  quand  la  remiri 
Jois  e  solatz  d'  autram  par  fals  e  bortz 
c'  una  de  pretz  ab  lleia  uois  pot  egar, 
quel  sieus  solatz  es  dels  autres  aobriers. 

32  ai  si  no  I'  ai !  las  !  tant  mal  m'  a  comors  ! 
pero  r  afana  m'es  deportz,  ris  e  jois, 
car  eii  pensan  aui  de  lieis  lees  e  glotz : 

30        Ancmai9,souspliu,  nomplac  tanttrepsni 
ni  res  al  cor  tant  de  joi  nom  poc  dar 
cum  fetz  aquel  don  anc  feinz  lausengiers 
no  s'eabrugic,  qn'a  mi  sols  ea  trcsors. 

10  die  trop?  eu  oon,  aol  lieis  dou  sia  enoia. 
bella,  per  dieu,  Id  parJar  e  la  votx 
vuoill  perdre  eu^us  que  diga  ren  queua  tii 
Ma  cbaiisos  prec  que  nous  sia  cuois, 

14  car  si  voletz  grazir  lo  son  els  motz, 
pane  preza  Aruautz  cui  que  plasaa  o  que 


4    ^  •    ^ 


■'./. 


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14 


JiRNAUTZ    DANIELS 


VII. 

Dante,   De   V.    Eloq.   II»   viii,  2.        Lezione  rlcosti- 
tuita  sui  mss.  dal  Canello,  op.  dt.  p.  117. 


Si 


Mm  fos  Amors  de  joi  donar  tant  larga 
cum  ieu  vas  lieis  d*  aver  fin  cor  e  franc, 
ja  per  gran  ben  nom  calgra  far  embarc, 
4  qu'  er  am  tant  ant  quel  pes  mi  poia  em  tomba ; 
mas  quaud  m'albir  cum  es  de  pretz  al  som 
mout  m*  en  am  mais  car  anc  1*  ausiei  voler, 
c'aras  sai  ieu  que  mos  cors  e  mos  sens 
s  mi  faraut  far  lor  grat  rica  conquesta. 

Pero  8'  ieu  fatz  lone  esper  no  m'  embarga, 
qu*  en  tant  ric  luoc  me  sui  mes  e  m'estanc 
c'  ab  SOS  bels  digz  mi  tengra  de  joi  larc, 

U  e  segrai  tant  qu'  om  mi  port  a  la  tomba, 
qu'  ieu  non  sui  ges  eel  que  lais  aur  per  plom ; 
e  pois  en  lieis  uos  taing  c'  om  ren  esmer. 
tant  li  serai  fis  ct  obediens 

16  tro  de  s'  amor,  sll  platz,  baisan  m'  envesta. 
Us  bons  respieitz  mi  reven  em  descarga 
d*  un  doutz  desir  don  mi  dolon  li  flanc. 
car  en  patz  preuc  T  afan  el  sofr*  el  pare 

20  pois  de  beutat  son  las  autras  en  comba, 
que  la  gensser  par  c*  aia  pres  un  tom 
plus  bas  de  liei,  qui  la  ve,  et  es  ver; 
que  tuig  bon  aip,  pretz  e  sabers  e  sens, 

24  reingnou  ab  liei,  c'  us  non  es  meins  ni  *n  resta. 
E  pois  tant  val,  nous  cujetz  que  s'esparga 
mos   terms  volers  ni  qu*  eisforc  ni  qu'eisbranc, 
car  eu  no  sui  sieus  ni  miens  si  m'  en  pare, 

28  per  eel  seignor  queis  mostret  en  colomba : 
qu'  el  mou  uou  ha  home  de  negun  nom 
tant  desires  gran  beuanansa  aver 
cum  ieu  fatz  lieis,  e  tenc  a  noncalens 

'^  los  enoios  cui  dans  d'  amor  es  festa. 


■v-^ 


A  RSA  VT  Z    DANIELS 

Na  Mieit Is- de-ben,  ja  nam  siatz  avarga, 
qn'ea  vosCr' amor  me  trobaretz  tot  blauc, 
qu'  ieu  non  ai  cor  ui  poder  quera  descarc 

3ti  del  ferm  voler  que  non  hieis  du  retomba ; 
qne  quaud  m'  esveill  ui  clan  los  huoills  de 
a  vos  m'  antrei,  quaa  leu  ni  vau  jazer ; 
e  nous  cujetz  queis  merme  mos  talena, 

40  aoa  fara  jes,  qu'aral  sent  ea  la  testa. 

Fals  lanseugier,  fuocs  las  leogae  vos  ar; 
e  que  pcrdatz  urns  los  huoills  de  mal  urauf 
que  per  vos  xou  ejstralch  cavail  e  marc, 

44  amor  toletz  c'  ab  pane  del  tot  non  tomba; 
coufondans  Dieus  que  ja  uou  sapchaiii  com 
queuB  fat^  als  drniz  maldire  e  vil  teuer ; 
tnalaatres  es  queas  ten,  descoDOissenH, 

45  que  peior  etz  qui  plus  vos  amouesta. 

Arnautz  a  faits  e  fara  Iodch  atens, 
qu'  atenden  fai  pros  bom  rica  conquesta. 

VIII. 


vesse  essere  In  mfnle  a.  Imatc  iiiinndo,  I'o 
baglio,  clt6  invecc  iim  /».-  (v.  numero  | 
I.FZioiie  del  Canello,  op.  cir.  p.  IIH. 


Xjo  ferm  voler  qu'el  cor  m'  intra, 
lion  pot  jes  becH  escoissendre  ni  ongla 
de  lausengier  qui  pert  per  mal  dir  a'arma; 

4  e  car  non  I'aus  batr'  ab  ram  ni  ab  verga 
sivHls  a  frau  lai  ou  non  aurai  oucle 
jauzirai  jol  en  vergier  o  dinz  cambra, 
Quan  mi  soveu  de  la  cambra 

»  on  a  mou  dan  sai'que  uuills  bora  nou  intri 
auz  me  son  Cuich  plus  quo  fraire  ni  oncle, 
uOD  ai  membre  uom  I'remlsca  ui  oug'la, 
aissi  cum  fai  I'eufafl  dcuaut  la  verga:     ,  k 

i  tal  paor  ai  nou  sia  prop  do  I'arma. 


qae  n'ajon  ops  palsson,  cordfts  e  pom, 
e  'n  sion  trap  tendut  per  fors  jazer, 
ens  encontrem  a  ml  HI  ere  et  a  cene, 
S  si  c'apres  nos  en  cbant  bom  de  la  j^esta. 
Qu'ieu  n'agra  colpa  recaubntz  en  ma  U 
e  faicb  vermetb  de  moa  goa&non  blanc, 
mas  per  aieso  in'en  soffrisc  e  men  pare 
le  qne  a'Oc  e  Non  conosc  qu'uD  dat  mi   plon 
mas  noD  ai  ges  LiziDban  ni  Rancom, 
qu'ieu  pnosca  louh  ostejar  ses  aver, 
mas  cyadar  pnosc  de  mee  conoissens, 
la  eacDt  a  col  e  capel  en  ma  testa. 

Sil  reis  Felips  n' agues  ars  nna  barga 
denan  Qiortz  o  crebat  au  eatanc, 
si  qa'  a  Hoam  intrea  per  forssa  el  pare, 
SI)  qne  I'  asetges  pel  puoig  e  per  la  comba, 
c'om  no  'n  pognes  traire  bren  aes  colom: 
adoncs  shI  en  qn'  el  volgra  far  parer 
Carle,  qne  fon  dels  mielhs  de  sos  parens, 
24  per  cui  fou  Polba  e  SanGOoha  conqneata. 
Anta  I'adutz  e  de  pretz  lo  descarga 
^rra  cellai  cut  bom  no  'n  troba  franc; 
per  qn'en  non  cnich,  laia  Caortz  nl  Caiarc 
ss  tnos  Oc  e  Non,  poia  tant  sab  de  Crastomba ; 
sil  reis  II  da  lo  tbesanr  de  Cbinom, 
de  gerra  a  cor  e  anra  'n  pois  poder ; 
tant  r  es  trebalhs  e  raesslos  plazena 
30  qne  loH  amies  els  enemies  tempesta. 

Ancnaus  en  mar.  quand  a  perdut  sa  ba 
et  a  mal  temps  e  vai  urtar  a!  ranc 
e  cor  plos  fort  qn' una  sajeta  d'arc 
32  e  leva  en  ant  e  pnois  aval  jos  tomba, 
uon  trals  anc  pieitz,  e  dirai  vos  ben  com; 
qu'ien  fatz  per  lleis  que  nom  vol  retener, 
que  nom  manten  joni,  terme,  ui  covens, 
3fl  per  que  mos  jols,  qu'  era  florltz,  biaesta. 
Vai,  Faplols,  ades  tout  e  correas, 
a  Trainac  sia^  auK  de  la  festa  ; 

Dim  a  'n  Hotgier,  et  a  totz  sob  parens; 
40  qu'  ien  non  Crob  mais  omba  ui  om  ui  eeta. 


18 


AfMERICS    I>  E    BELENOI 


X. 


AIMERICS  DE  BELENOI. 

Dante,  De  V.  Eloq.  II,  v,  5;  xii,  3.       Lezione del  can- 
zoniere  B. 


iNuills  horn  noD  pot  complir  adrechamen 
so  q*a  en  cor,  si  tot  quan  el  eis  fai 
noil  sembla  pauc  ni  ama  ab  cor  verai, 

4  puois  que  cuja  amar  tant  finamen, 
c*aitals  cujars  descreis  e  I'autre  enanssa; 
mas  eu  doq  am  jes  per  aital  semblanssa, 
anz  jar  per  lieis  qMeu  teing  al  cor  plus  car, 

8  cum  plus  Tarn  fort  la  cuig  petit  amar. 
Petit  Tarn  eu,  segon  so  q'ieu  enten, 
c*ouor  ni  be  mas  tant  qant  Tam  uon  ai ; 
e  s'ieu  Tames  taut  cum  a  lieis  s'eschai, 

12  en  fora  reis  d*amor  e  de  joven 

e  de  rics  faitz ;  mas  hom  non  ha  honransa 
par  al  sieu  pretz ;  pero  taut  greu  pesanssa 
n'ai  e  mon  cor,  car  los  faitz  non  puosc  far, 

16  qels  mals  q'  ieu  trac  degra  per  faitz  com  tar. 
C'aicel  que  vol  e  non  pot  per  un  cen 
trai  pejor  mal  que  eel  qui  pot  e  fai ; 
car  lo  poders  apodera  Tesglai, 

20  q'el  tol  als  rics  Tamoros  pessamen. 
Mas  cill  en  cui  ai  tola  m'esperanssa, 
val  tant  qu'  il  sap  ab  taut  fina  acordanssa 
conquerre  pretz  e  si  eissa  gardar, 

24  q'anc  pauc  ni  trop  no  fetz  de  nuill  affar. 

Quand  e  mon  cor  remir  son  bel  cors  gen, 
lo  douz  peosars  m*abellis  tant  em  plai 
c*ab  joi  languisc,  e  car  eu  no  I'am  mai, 

28  muor  de  desir  oo  plus  Tarn  coralmen ; 
que  tant  volgra  qem  cregues  s'amistausa 
tro  q'  ieu  moris  o  qu'  il  n'agues  piataussa. 


AIMERICS    DF.     P  E  Q  V  I  I.  II  A  N  iO 

qel  jois  d'amor,  qan  doinpnal  vol  donar, 

3j  noD  pot  mals  tant  qatjt  horn  I'aaia  pnjar. 

Nil  doQS  DOD  Tftl  a  cellui  qui  lo  prea 

ren  mas  aitaa  qant  a'eu  dona  de  jai ; 

doaca  sfa  pensaa  midoDZ  lo  jii)  q'aarai 
30  del  sieu  nc  don,  si  'n  lieis  merces  dissen, 

q'esCiers  non  ai  de  ren  nnilla  fianssa, 

ill  e  merces  farant  boua  acordansaa  ; 

car  raercea  fai  ric  dur  cor  acordar 
40  ab  leial  cor  veucut  per  sobramar. 
Vaa  la  bella  n'Elionor  C'enaDaa, 

chauaos,  q'ea  Heia  pren  boa  pretz  meilluransa, 

qn'  ieu  la  tramet  a  lieis  per  meiUarar ; 
4-1  e  Bicadis,  poiraa  aeg'ur'  auar ; 

E  sis  doaa  iiuill  regart  al  passar, 

el  uom  de  foill  vai  e  not  cal  doptar. 

XI. 
AIMERICS  DE  PEGUILHAN. 


Oicum  I'albres  que  per  sobrecarjfar 
fraing  ai  mezeis  e  pert  sou  /ruig  e  se, 
ai  eu  pierdnt  ma  bella  donipoa  e  me, 

4  e  moa  engeina  se  fraing  per  sobramar. 
pero  ailoC  me  sui  apoderatz, 
anc  jorD  uon  <i   nion  dan  ad  escien, 
aucei^  cuicb  far  tot  so  que  fatz  ab  aeu ; 

s  mas  er  codosc  que  trop  sobra  il  foudatz. 
E  aou  es  bou  c'om  sia  trop  seuatz, 
que  a  sazoa  noa  aega  sod  taleu  ; 
e  si  noi  a  de  cliascun  meiiclanien, 

anon  ea  bona  sola  I'una  meitatz. 
ben  eadeven  hoc  per  aobreaaber 
ueaeis  e'n  vai  maintas  veta  follejan ; 
jier  que  s'eschai  qu'oni  au  en  luoc  iD&iclau 

G  cieu  ab  foldat,  quilN  sap  geu  rutener. 


J 

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■ 
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90 


FOLQVETZ   DE  MARSEILLE 


-V 


Las,  qa*ieii  non  ai  mi  mexeis  en  poder, 

aiuE  vaa  mon  dan  enqneren  e  cercao, 

e  yaoill  trop  mala  perdre  e  far  mon  dan 
20  ab  vos,  dompoa,  c*ab  antra  conqnerer, 

c'ancse  cnig  far  en  aquest  dan  mon  pro 

e  que  savis  en  aqnesta  follor. 

pero  a  lei  de  fol  fin  amador 
t\  m'avetz  ades,  on  pieitz  mi  faitz,  pins  bo. 

Non  sai  Duill  hoc,  per  qn'ien  des  vostre  no ; 

pero  soven  tomon  mei  ris  en  plor, 

et  en  cum  fols  ai  joi  de  ma  dolor 
£<  e  de  ma  mort,  qnand  vei  vostra  faisso. 

col  basaleocs  c'  ab  joi  s'  auet  ancir, 

qnaod  el  miraill  se  remiret  els  vi: 

tot  atressi  etz  vos  mtraills  a  mi, 
32  que  m'aucietz,  quan  vos  vei  oius  remir. 
E  nous  en  cal,  quan  mi  vezetz  morir, 

abauz  o  faitz  de  mi  tot  atressi 

cum  de  i'enfao  c'ab  un  maraboti 
36  fai  hom  del  plor  sebrar  e  departir ; 

e  puois  quaud  es  tomatz  en  alegrier 

et  hom  l*estrai  so  quell  donet  eil  tol, 

et  el  adoucs  plora  e  fai  major  dol 
40  dos  aitaos  plus  que  uo  fetz  de  primier. 
Tiriaca,  jes  vostre  pretz  non  col 

de  meillurar,  c'uoi  valetz  mais  que  hier. 


XII. 

FOLQUETZ  DE  MARSEILLA. 

Dante,  Dc  V.  Eloq.  II,  vi,  5.       Lezionc  del  Raynouard, 
Cboix,  IV,  290. 


T. 


an  m'abellis  ramoros  pessamens 
que  s'es  vengutz  en  mon  fin  cor  assire, 
per  que  noi  pot  nuls  autres  pens  caber, 
4  ui  mais  uegus  uo  m'es  dons  ui  plazeus; 


Itai 


^^'    ^ 


FOI.QVETZDEMARSEILLA  t\ 

qa'  adODcs  saX  sas  qnaa  m'  aucizol  cossire : 
e  fin'  amors  m'alenza  mon  martire, 
qnem  promet  joy,  mae  trop  lorn  dona  leu, 
s  qa'ab  bel  Bemblao  m'a  tenguC  longameo. 
Be  BAi  qne  tot  qaaa  fas  es  dreits  niens; 
e  qu'eo  puesc  mals,  s'ainore  mi  vol  anclre! 
qn'a  oscieu  m'a  doDat  tal  voler, 

18  qae  ja  non  er  veacntz  ni  el  no  vens: 
vencuCz  si  suf,  qa'aucir  m'an  li  soepire 
tot  snavet,  quar  de  iiey  cui  dezire 
uon  ai  secors,  ni  d'aillors  no  I'ateu, 

16  ui  d'autr'amor  non  puesc  aver  talen. 

Bona  domaa,  sius  platz,  siatz  snfrens 
dels  bes  qu'ieus  vuel,  qn'iea  ani  dela  mals  snftire; 
e  pueis  li  mal  nom  poiran  dau  tnaer, 

so  ans  m'er  Hemblan  quels  partam  eug'alineDS, 
pero  sius  platz  qn'en  antra  part  me  vire, 
partetz  do  vos  la  beutat  el  dous  rire 
el  gai  solas  qne  m'afolleis  mos  seu, 

34  paeis  partir  m'ai  de  vos,  mou  escien. 

A  totz  joms  m'eCz  pins  bel'  e  pins  plazens, 
per  qa'ieu  vnel  mal  als  buelbs  ab  qneos  remire, 
qnar  a  mon  pro  nous  pogron  anc  vezer, 
i»  mas  a  mon  dan  vos  vezon  snbtilmeus. 
mas  dans  non  es,  so  sai,  qnar  nom  n'azire, 
aDs  me  sap  bon,  pros  domna,  qnan  m'albire, 
si  m'aucisetz,  qne  nons  estara  gen, 

35  quar  lo  miens  dans  vostres  er  elssamen. 

Per  so,  domna,  nons  am  saviamenH, 
qa'a  vos  sni  fia  et  a  mos  ops  trayre ; 
qn'iens  cug  preadre  e  mi  no  pnesc  aver, 

<ts  lens  cng  nozer  et  a  ml  sni  nozeus. 

per  so  nous  ans  mon  cor  mostrar  ni  dire, 
mas  a  I'eagart  podetz  mon  cor  devlre: 
ar  lous  cng  dir  et  aras  m'eu  repreu, 

40  e  port  n'als  hueliis  vergonha  et  ardimea. 

Donal  fin  cor  qn'iens  ai  nous  puei^c  tot  dire, 
mas  per  merce  so  qn'Ien  lais  per  noa  son, 
restanratz  vos  ab  bou  enteodemeu. 


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P  EIRE    D'ALVERNHE 


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44  Trop  vos  am  mals,  dooa,  quUea  no  sai  dire, 
e  s'iea  anc  jorn  aic  d'aatr*amor  desire, 

no  m'en  penet,  ans  vos  am  per  nn  cen; 
quar  ai  proat  autrui  captenemen. 

45  Vas  Nems  t'en  vai,  chansos,  qui  qnes  n*azaire, 
qne  gang  n'auran,  segon  io  mien  albire, 

las  tres  domuas  a  cui  ien  te  prezeu, 
car  el  has  tres  valon  mais  d'autras  cen. 


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XIII. 

PEIRE  D'  ALVERNHE. 

Dante,  D  e  V.  E I  o  q  .  I,  x,  3.  Nemmeno  questa  poesia 
fu  osplicitaraente  indicata  da  Dante;  ma  a  rimuovere 
ognl  duhbio  basta  confrontare  il  passo  dantesco  con 
Tantica  hiogratia  di  qnesto  trovadore.  Lezione 
del  Rochegude,  Parnasse  Occitanien,  p.  13a, 
con  qualche  correziorie  dal  canzoniere  A;  cf.  R. 
Zenker,  nelle  Komanische  Forschungen  del 
VoUmoller,  XII,  745. 

LJe  jostals  brcus  jorns  els  loncs  sers, 

quan  la  blanc'  aura  brunezis, 

volh  que  branq'e  brolh  mos  sabers 
4  d*un  nou  joi  quern  frug  em  floris ; 

pos  dels  verts  folhs  vel  clarzir  los  guarrics, 

per  ques  retrai  entre  la  neus  el  freis 

lo  rossignols  el  tortz  el  gais  el  pics. 
8       Contr'aisso  m'agradal  parers 

d*amors  loodans  e  de  vezis ; 

quar  pauc  val  levars  ni  jazers 

a  lieis  ses  lui  que  Tes  aciis; 
12  qu'amor  vol  gang  e  guerpis  los  enics, 

e  qui  s'esjau  a  Tor  a  qes  dcstrois, 

ben  par  que  eel  volri'  esser  amies. 
Mas  leu  no  sai  quals  capteuers 
16  me  sofri,  q'una  ra'a  conquis 

on  reviu  jois  et  nais  valers 

tals  que  deuan  lim  trassalis. 


^^ 


qa'ab  eaquerer  del  dig  m'en  ve  destrics, 
eo  can  tern  quel  miels  laia  e  digal  sordeis, 

on  plus  mon  cor  me  ditz :  quar  no  t'en  gics  ? 

Beu  vol  6  sai  e  crei  qu'es  vers 
qn'  amors  engraiss'  e  magrezis 

24  r  nu  ab  trichar,  Tautr'ab  dir  vers, 
e  I'un  ab  plors  e  I'autre  ab  Ha, 

e  eel  quea  vol  ea  manens  o  meadlcs  ; 

maa  ieu  Q'am  mais  so  qu'eu  ai,  qa'easer  reia 

25  que  fos  seohor  d'Escotz  e  de  Galica. 

Qaar  ai  fos  ja  dels  miena  volers 

lo  Bieus  boa  coratges  devis, 

lai  on  madomnam  tol  temera 
3S  de  so  per  que  pina  m'  eabandis, 

qu'anc  nol  sai  dir  lauzengaa  ni  prezicH. 

mas  meilloT  cor  I'ai  trop  qne  no  parela ; 

s'ella  nol  sab  morrai  m'en  totz  antiCD. 
30         Tan  m'ea  dos  e  gena  aos  vezers 

pel  joi  que  m'ea  el  cor  assia, 

qn'ades  broCa  lo  bos  espers 

qn'en  al,  per  que  m'en  enriquis: 
40  qn'anc  tan  no  fui  mai  Tolpiln  ni  mendics, 

sol  que  m'anes  a  lei,  qu'ieu  aqui  eis 

nom  saubes  far  de  grap  paubretat  rics, 
Ceat  es  jois  e  gang  e  plazers 
44  en  que  manta  gen  s'abelis ; 

e  BOS  prets  roont'  a  grana  poders, 

qnar  mana  jois  eobresenhoria : 

qa'enaenbameus  e  beucatz  I'es  abrics 
48  d'un  ram  d'amor  qn'en  lei  espao  e  creis 

e  fara  tro  qu'ieu  sia  blanca  co  nics. 

Cest  vers  sabra,  som  pea,  vlolar  AudricR, 

quel  d'Alvernhe;  e  dis  qu'om  ses  domneis 
52  no  pot  valer  plus  que  ses  gra  I'espicg. 

Per  qu'ieu  coaaelh  ja  no  t'eu  desrazice ; 

qnar  mais  couquls  aqui  on  ilh  m'ateis, 

que  stm  doues  Fransal  rets  Lodoics, 


'^  -^ 


lOFILI 

I 

K 


Dante 


TESCO  „ 


ERMANNO    LOESCHER    &    C 

IDRETiUCHNEIDER   A    REGENBERfi; 
ROMA 


Delia  medesima  coUezione  sono  pob- 
blicati : 


Ih  pBOBMio  UBL  Marchbsb  di  Santillana, 
1902;  di  pagine  14       ...        L.  0.50 

LusiADA  UE  Ll'18  OB  CamSbs,  EaCratii.  .dal 
cauH)  111,  con  uu  sunto  <ll  tucto  il  poema, 
1902;  di  pagiue  32       .  .        L.  1  .— 

"  ■        del  preseute  fuscicolo    .        ,  •    0.60 


DANTISTI  E  DANTOFILI 

dei  Secoli  XVIII  e  XIX 


Contribute  alia  storia  della  fortuna  di  Dante 


Fascicolo  Primo 


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Gennaio  1 90 1 


•-i^.  ,     /  IN    KIRENZE 

'^"**^PRESSO  LA  DIREZIONE  DEL  **  GIORNALE  DANTESCO  „ 


J 


D'ANCONA  Alessandro. 


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E  nato  a  Pisa,  di  famiglia  pesarese 
braio  del  1835.  Studid  coi  maestri 
e  Giorgetti,  dell'Istituto  de' padri  ( 
a  Firenze ;  e  piu  studi6  da  s6,  con 
non  s'  ^  intiepidito  ne'  suoi  anni 
quando  altri  avrebbe  solo  pensato 
il  meritato  riposo  e  la  fama.  Precoce 
tentissimo  saggio  della  sua  cultura 
ingegno,  ei  dette  a  18  anni,  pubblia 
il  Pomba  torinese  una  scelta  di  scriti 
panella  con  un  notevole  Discorso  i: 
vita  e  alle  dottrine  politiche  di  lui. 
per6  cosi  rinchiuso  nei  suoi  lavori,  d 
corgersi  della  nuova  vita  che  gli  si 
torno.  Fin  d'allora  senti  profondament 
importanza  civile  degli  studi  e  degl 
collabor6  con  Celestino  Bianchi  prim, 
poi  alio  Spettaiore  italiano ;  ed  era  gi 
molti  insigni  toscani,  quali  il  Ricasc 
pini,  il  Peruzzi,  il  Salvagnoli.  Andato  a 
seguire  i  corsi  di  giurisprudenza,  vi  est 
cemente  I'ufficio  di  mediatore  tra  i 
scani  e  i  piemontesi.  Fu  poi  Segr 
I'intendenza  del  12°  Corpo  d'Armata 
centrale;  e  il  giorno  stesso  della  pa( 
franca  egli  ebbe  la  direzione  della  . 
1 6  novembre  1 860  fu  nominato  su 
Francesco  De  Sanctis  nella  cattedra 


tura  italiana  nell'  Universitil  di  Pisa,  e,  dopo  un 
anno,  titolare  di  quella  cattedra,  che  egli  ha  vo- 
lontariamente  lasciata  pochi  mesi  fa,  compluto  il 
quarantesimo  anno  di  fecondo  e  nobile  insegna- 
mento,  fra  gli  augur!  e  gli  omaggi  dei  colle- 
ghi,  degli  amici,  dei  discepoli,  degli  ammiratori. 
Da  quando  ebbe  la  cattedra  pisana,  la  sua  ^  stata 
vita,  piii  che  altro,  di  studioso  e  di  maestro ;  ri- 
cercato  in  commissioni,  in  accademie,  —  ^  socio 
delle  pi6  insigni  —  in  concorsi  e  congressi ;  non 
mai  diinentico  de'  suoi  primi  anni  di  vita  gior- 
nalistica  e  poUtica,  sicch6,  di  quando  in  quando, 
giunge,  ancora,  ascoltata  e  invocata,  la  sua  alta 
(.•  Serena  parola  nelle  colonne  di  qualche  boon 
giornale,  a  rettificare,  ad  ammonire.  Chi  ha 
avuto,  come  chi  scrive  questa  pagina  biografica, 
la  fortuna  di  conoscere  a  lungo  e  da  vicino 
r  illustre  Maestro,  sa,  anche,  di  quanta  dottrina, 
rettitudine,  franchezza  e  modestia  sia  ricca  la 
sua  geniale  conversazione. 

Le  benemerenze  del  D'Ancona  sono  veramente 
grandi  verso  gli  studi  di  storia  letteraria  e  politica. 
1,'  opera  sulle  Origini  del  Teatro  italiano  h  da  re- 
putarsi  classica ;  e  quanto  egli  scrisse  sulla  poesia 
popolare,  sulla  letteratura  dei  primi  secoli,  e  poi, 
liberamente  movendosi  in  oi;ni  campo,  su  varie 
figure  e  su  varT  periodi  della  letteratura  nostra, 
ha  sempre  il  precipuo  pregio  della  sicura  e  larga 
tTudizione,  dell'equanimita  dei  giudizi,  della  com- 
posta  eleganza,  e  spesso  arguzia,  della  forma. 

Agli  studi  danteschi  d^tte  opera  assidua  dalla 
cattedra;  tanto  che  nell' University  pisana,  per  il 
suo  zelo,  v'  ^  stata  sempre  1'  illustrazione  della 
Divina  Commedia;  e  ora  della  cattedra  dantesca 


1 


ALKSSANDRO    D'ANCONA 


provvidamente   voile  a  lui   affidato   1'  ■ 
Ministro  dell'  istruzione, 

Onde  ben  possono  augurarsi  gli  sti 
altri  lavori  ancora  aggiungeri  a  quel 
dato  d'argomento  dantesco,  ricercati 
sempre.  Lo  studio  su  Beatrice,  a  cui  6  d 
gere  I'opuscoletto  nuziale  Beatrice,  fu  un; 
vinta  in  favore  della  realt^  storica  de 
amata  da  Dante;  le  illustrazioni  e  il  > 
alia  Vita  nuova  rimangono  vero  modeli 
nere;  il  discorso  sui  Preairsori  meglio  r 
via  per  la  quale  si  misero  poi  aitri  st 

Come  si  vede  pur  da'  rapid,  ceiini 
fici  che,  con  infaticata  operosit^,  va  pu 
nella  sua  Rasscgna,  il  D'Ancona  d^guit; 
e  volere  negli  studi  su  Dante  'Javver 
sincera  tanto  contro  il  dottr.  larisnn 
contro  il  dilettantismo  ;  e  come  nutrt 
ispirare  un  vivo  amore  per  le  ricercl 
serene,  non  scompagnate  mai  dal  buoi 
dal  buon  giudizio. 


1.  La  Beatrice  di  Dante:  studio,  Pisa,  Nistri,  i 
iiali  delle    University    ioscane,   t,  IX,  p.  I,    i8(i; 

2.  In  lode  di  Dante:  capitolo  e  sonelio  di 
poeta  del  sec.  XIV,  Pisa,  Nistri,  iti68,  "PP-  '6-  " 
Bongi-Ranalli. 

3.  La  «  Vita  Nova  »  di  Dante  Alighieri,  riscontr 
e  stampe,  preceduta  da  uno  studio  su  Beatil 
da  illustrazioni,  per  cura  di  A.  D'Ancona,  Pisa,  . 
in-4,  pp.  LX-128.  ;Ediz,  di  CCXl  esemptan  coi 
tipia  iniziale],  —  Nel   T884  venne  in  luce  la  : 


tevolmente  accresciuta    (Pisa,   Libreria   Galileo  gih    Nistriy 
in-8,  pp.  LXXXVIII-257). 

4.  I  Precursori  di  Dante  per  A.  D'Ancona,  Firen{e^  G. 
C.  Sansoni^  editore^  1^74,  in- 16,  pp.   114. 

5.  II  concetto  delP  unitk  politica  nei  poeti  italiani :  di- 
scorso  pronunziato  il  di  \6  novembre  1875  nella  R.  Uni- 
versita  di  Pisa  in  occasione  delta  solenne  riapertura  degli 
studi,  Pisa^  Nistrly  iS/6j  in-8,  pp.  62  [Sulle  idee  politiche 
di  Dante], 

6.  Di  alcuni  pretesi  versi  danteschi,  in  Rassegna  settima- 
ftale^  I  semestre,  p.  49,    e 

7.  PostiUa  all'articolo  precedente.  Ibid.j  I  semestre,  p.  1 12 
[riprodotti  in  Varietd  sloriche,  Milano,  Treves,  1 879,  2*  serie, 
pp.   55  e  segg.l. 

8.  Noterella  dantesca  [al  ParaJiso  XI,  71-2),  in  Napoli- 
Ischiay  ftumero  utiico  a  heneficio  dei  danneggiati  di  Casamic- 
ciola^  ecc,  6  aprile  i88iy  Napoli,  Stabilim.  tipogr.  dell'Unione. 

9.  Noterelle  dantesche,  in  Giornale  storico  d,  Lett,  itaH, 
1884^  III,  415  [sulle  parole  contrappasso^  ar^an^^  cdi\, 

10.  Il  Romanzo  della  Rosa,  in  italiano,  nelle  Variety  sio- 
riche  e  leiterarie^  Milano,  Treves,   1885,  serie  2*,  pp.  1-31. 

1 1 .  11  <  Veltro  »  di  Dante  [riprende  e  sostiene  la  nota 
opinione  del  Del  Lungol,  /t'/,  pp.  33-53. 

12.  Di  alcuni  pretesi  versi  danteschi,  iviy  pp.  55-74. 

13.  Beatrice.  Pisa^  T.  Nistri  e  C,  i88g^  in- 16,  pp.  23. 
—  Per  nozze  Amico-Pizzuto  Viola  [riprodotto  in  Biblioteca 
delle  scuole  ital,^  a.  I,  pp.  257-61  ]. 

14.  Dal  carteggio  dantesco  di  Alessandro  Torri,  Pisa^  Ni- 
stri^ i8gs,  in- 1 6,  pp.  16.  —  Nozze  Flamini-Fanelli,  X  No- 
vembre MDCCCXCV. 


Nel  Manuale  dctia  htUralura  Hal.,  compilato 
D'Ancona  e  da  Orazio  Bacci,  Firen^e^  Barhera,  i"  vo 
d'  edizione),  si  ha  una  vita  del  Poeta,  il  riassunio  del 
media,  e  una    scelta    copiosa    degli    altri    scritti    dt 

Recensioni  vane  e  notizie  di  cose  dantesche,  ne 
iegna  bibliograjica  della  htt.  ital.  di  Pisa  (da  lui  ( 
da  F.  Flamini),  e  altrove. 

Orazio  B/ 


BARCELLINI 


Barcellini  Innoc 
esser  chiamato,  al 
monaco  Celestino  a 
pot6  poi  dedicarsi  ; 

IN] 

FII 


DEL  Si 

CEL 

Elil 


F  R  1 

CARE 


Al^ 


"*Tlf 


non  si  sa  bene  se 
brone  {prov.  di  Pt 
imposto  da'  suoi  g 
Non  ancor  sace 
gli  studi  teologici, 


see^nare  le  discipline  filosofiche  a  Lucera  ed  al- 
trove ;  fu  poi  anche  lettore  di  Teologia  a  Bologna, 
a  Roma,  a  Napoli  e  finalmente  abate  del  mona- 
stero,  nel  quale  avea  professato ;  ma,  trovandosi 
questo  sotto  la  Maiella,  alle  falde  delPAppennino 
abruzzese,  con  un  clima  non  punto  mite,  si  fece 
trasferire,  per  motivi  di  salute,  alia  badia  di 
S.  Niccol6,  in  Rimini,  eppoi  aU'altra  di  S.  Pier 
Celestino,  in  Milano,  dove  ebbe  agio  di  frequen- 
tare  la  casa  Borromeo,  intorno  alle  cui  celebri 
ville  ci  lasci6  inedite  egloghe,  idilli  e  dialoghi 
pastoral  i. 

Partecip6  anche  all'accademia  milanese  degli 
Arcadi,  cui  si  ascrisse  il  2  maggio  1704  col 
pseudonimo  di  Bati  Filomiraccio^  poi  accademico 
dei  Faticosi  con  quello  di  Volonieroso;  nelle  tor- 
nate  delle  due  Accademie  lesse  varie  poesie  di 
circostanza,  alcune  delle  quali  videro  g\k  la  luce 
in  Milano  nel  1706  (J.  P.  Mol.,  in-8°)  ed  altre 
fan  parte  de'  suoi  Ozi  accademici,  raccolta  tuttora 
inedita  come  quella  prosastica  dei  Discorsi  acca- 
demiciy  prediche  e  pancgirici  sacri,  Egli  fu,  dunque, 
teologo,  poeta  e  oratore  di  bella  fama  nel  temp'o 
suo,  e  per  queste  sue  molteplici  doti  nel  1707 
fu  eletto  Definitor  generale  di  Romagna  e  di 
Lombardia;  questo  nuovo  officio  richiedendo  che 
egli,  con  grande  dispiacere  dei  buoni  ambrosiani, 
si  fosse  stabilito  in  Faenza,  avanti  di  raggiungere 
la  sua  nuova  sede,  voile  rivedere  la  patria;  ma 
c61to  quivi  da  grave  malattia  si  dov6  trasportare 
in  Sahara,  castello  tra  Fano  e  Fossombrone,  dove 
fra  le  braccia  de'  suoi  religiosi  mori  il  1 6  de- 
cembre  17 10;  venne  sepolto  col^  nella  cappella 
maggiore,  dove  lo  ricorda  tuttora  una  iscrizione 


fattavi  apporre  da  un  suo  fratello,  I 
abate  del  monastero;  poich6  costui 
cemente  che  Jl  suo  congiunto  mort 
dal  diverse  modo  di  computarii  pei 
'  principiati  soltanto,  deriv6,  come  sp 
il  dubbio  gik  accennato,  suila  data  j 
sua  nascita. 

Cfr.  jARCKius,  specimen  Acadetniarum  Italu 
P-53' —  Crescimbeni,  NoHzie  istoricke  degUAr, 
t.  II,  p.  133.  —  Crescimbeni,  Sioria  della  volgat 
t.V.p.  i-i,  — QuADRio,  Delia  sioria  e  delta  ragic 
Poesia,  1739-51,  t.  Ill,  p.  338.  —  VoLPi  Gakt.  La  . 
e  la  siamperia  Cominiana,  Padova,  Comino,  1751 
Tafuri,  Istoria  degli  Scriltori  nati  net  regno  d% 
1744,  t.  J,  p.  466.  —  G,  M.  Mazzuchelu,  GH  S 
'7S8,  vol.  11,  t.  I.  pp.  326-a7-  —  VEccHrETTi,  £ 
Osimo,  1791,  t.  II,  pp.  74-77-  —  Fr.  M.  Lance 
degli  Uomini  illusfri  della  cittit  di  Fossombrone,  < 
An/ichilh  picene,  1796,  Fernio,  vol.  XXVIII,  pp. 

BibUo^ofia. 
Industrie  titologiche  per  dar  risalto  alia  vi 
■  Pontefice  Celestino  V  e  liberare  da  alcun 
Alighieri,  creduto  censore  della  celebre  rin 
medesimo  Santo,  ecc.  ecc.  In  Milano,  per  Git 
Malatesia,  I'oi,  in-8.  —  Un  copioso  esti 
apologia,  colla  quale  il  Barcellini  si  prova  c 
al  posto  di  Celestino  V,  si  trova  nel  Giorm 
d' Italia,  tomo  XIX,  p.  246  e  segg.;  nello  st 
tome  XVI,  p.  274  e  segg.,  si  legge,  appunto,  i 
di  un  suo  incompiuto  e  inedito  Trattafo  sop> 
^ere,  diviso  in  16  capi. 


^ 


DIONISI  Giovanni  Jacop< 


Nel  numero  di  coloro  che,  ne 
contribuirono  maggiormente  al 
progresso  dello  studio  di  Dan 
posto  si  conviene  al  canonico  vei 
Jacopo  de'  marchesi  Dionisi. 


Seguendo  la  tradizione  che  la  ; 
deva  in  Verona  di  cultrice  di  b 
pure  ad  essi  consacr6  la  vita,  li 
Nacque  il  22  luglio  1734  e  ii 
primi  studi ;  recatosi  poi  a  Bi 
legio  de'  Nobili,  retto  dai  Gesi 
tra    i    primi    per    ingegno    e  bo 


\'erona,  prese  gli  ordini  religiosi,  e  dal  ponte- 
fice  Lambertini  fu,  non  molto  dopo,  eletto  Cano- 
nico,  e  scelto  poi,  come  il  piii  erudito,  a  Biblio- 
tecario  della  Capitolare,  ricca  di  preziosissimi 
codici  e  di  manoscritti  antichi.  E  molto  deve  que- 
sto  istituto  al  marchese  Dionisi,  il  quale  oltre 
a  conservarlo  e  ad  arricchirlo  anche  a  propria 
spese,  raccolse  e  ordin6  le  sparse  reliquie  di 
alcuni  codici  anticamente  periti,  accomodandone 
le  parti  griaste  e  aggiungendovi  un  titolo  e 
un  indice  del  loro  argomento :  Vetera  parali- 
pomena  Mss.  Codicum  Capituli  veronensis  a  y. 
Jacopo  d^ Dionysis  vetonensi  Canonico  in  unum  col- 
h-cta   ijs8. 

Nel  1789  egli  abbandon6  per  due  mesi  le  cure 
ecclesiastiche  per  recarsi  a  Firenze,  alio  scopo 
di  trarre  dai  manoscritti  piii  accreditati  di  quelle 
pubbliche  e  private  biblioleche  le  migliori  variant! 
utili  alia  correzione  delle  opere  di  Dante,  lavoro 
da  lui  lungamente  vagheggiato. 

Ebbe  a  compagno  attivo,  e  intelligente  colla- 
boratore  in  questo  studio,  1'  arciprete  Bartolomeo 
Perazzini  di  Soave  (prov.  di  Verona),  del  lavoro 
del  quale  1' erudito  Marchese  si  servi  sempre 
senza  fame  parola. 

Fu  in  corrispondenza  con  tutti  i  principali  let- 
terati  del  suo  tempo,  e  italiani  e  stranieri  (cfr. 
Corrtspond.  itiediia,  nella  Bibl.  Capit.  Veronese)  e 


esserne  distolto,  il  Dionisi  rifiut6  il  seggio  vesco- 
vile  offertogli  da  Pio  VI ;  assistette  i  giovani  stu- 
diosi  nei  loro  lavori,  prestando  libri,  denaro  e 
consigli,  del  quali  fu  largo  principalmente  al 
Carli,  nella  sua  faticosa  compilazione  della  Storia 
di   Verona^ 

Mori  in  patria  il   14  aprile   1808. 

Fu  grande  erudito,  e  lo  attestano  le  numerose 
sue  opere ;  ma  il  suo  merito  principale  h  dovuto 
ai  lavori  da  lui  fatti  in  onore  del  divino  Poeta ; 
coi  quali  —  lo  si  pu6  dire  senza  esagerazione  — 
il  marchese  Dionisi  port6  un  contribiito  affatto 
nuovo  alia  critica  dantesca  e  d^tte  maggiore 
sviluppo  airindagine  storica,  tracciando  a  quelli 
che  lo  seguirono  la  via  per  giungere  ad  ottimi 
e  sicuri  risultati. 


Cfr.  LuiGi  Federici,  Elogi  storici  del  piu  illustri  Ecclesiastic i 
veronesi.  Verona,  1819.  —  Gamba,  Galleria  di  Uomini  illustri, 
Venezia,  1824,  vol.  I.  —  M.  Zamboni,  La  critica  dant.  a  Verona^ 
nella  Colleziorte  Passerini,  Citt^  di  Castello,  1901,  vol.  63. 


BibliograficL 

1.  II  Ritmo  dell'Anonimo  Pipiniano  volgarizzato,  com- 
mentato  e  difeso. '  Verona^  per  Verede  di  Agostino  Carattoni^ 
i'J']2,i  in-4,  pp.  216  con  tav.  inc.  —  A  pp.  197-200,  cap.  IV, 
vuol  dimostrare  che  Dante  ha  preso  da  questa  opera  la 
forma  delle  sue  rime  e  il  numero  de'  canti  della  Commedia, 

2.  Serie  di  Aneddoti.  Verona^  per  Verede  Merlo  e  per  U 
credi  Carattoni^  ij84-iygg^  otto  fasc,  in-4.  —  Segue  un 
Dialogo  apologctico  per  appendice  alia  serie  degli  Aneddoti^ 
In  Verona y  per  gli  eredi  di  Marco  Moroni^  ^79^ y  1*^*4  picc, 
pp.  XXXIX.  —  Eccetto  il  I  e  il  III,  questi  fascicoli  recano 


scritti  suUa  vita  e  sulla  Commidia  di  Dante;  e  qui  ne  diamo 
i  titoli : 

Fasc.  II.  Censura  del  <  Comepto  »  credoto  di  Pietro 
Hglio  a  Dante  Alighieri.  —  Piapo  per  una  noova  edizione 
di  Dante.  —  Fasc.  IV.  Johannis  Del  Virgilio  et  Dantis  Alli- 
gerii  Carroina.  —  Saggio  di  critica  sopra  Dante.  —  Fasc.  V. 
De'  Codici  fiorentini.  —  Fasc.  VI.  De'  blandimenti  funebri, 
o  sia  delle  acclamazioni  sepolcrali  cristiane.  [In  questo  scritto  il 
Dionisi  fa  av\'ertire  un  gran  numero  di  lezioni  scorrette  in- 
trodotte  nel  Poema.  Cfr.  De  Batines,  1,  337].  —  Fasc.  VU. 
Nuove  indagini  intorno  al  sepolcro  di  Dante  Allighieri  in 
Ravenna.  --  Fasc.  VIII.  Del  Focale  di  Dante,  ed  ahre  materie 
consecutive.  —  Dialogo  apologetico  di  Clarice  Antilastri 
gcntildonna  Veronese  per  appendice  alia  serie  degli  Aneddoti. 
Risponde  a  una  critica  deWAncddoto  V,  comparsa  nelle  No- 
xcUe  Idterarie  di  Firenze]. 

3.  Pistola  di  Fra  Giocondo,  dell'Ordine  de' Rovescianti, 
di  latino  tradotta  in  italiano  dal  sig.  Concerto  Tromba,  Gen- 
tiluomo  Feltrino.  Gardom  di  Val  TrompiajiySjy  in-4,  pp.  16. 
—  Risponde  alle  censure  de'  suoi  lavori  danteschi  contenute 
nel  Giorn.  EticiclopedtcOy  an.    1786,  no.  35. 

4.  La  <  Divina  Com  media  »  di  Dante  Allighieri,  con  nuove 
lezioni.  Parma^  nel  regal  Pala^^o^  co^  iipi  Bodoniani  i/PSy 
voll.  tre,  in  fol.,  pp.  134;  116;  126.  —  Fu  ristampata, 
per  gli  stessi  tipi,  Panno  seguente,  pure  in  tre  volumi  di 
pp.  LVI-235-IV;  235-XV;  236-XXVII.  Cfr.  De  Batines,  I,  121. 

5.  Preparazione  istorica  e  critica  alia  nuova  edizione  di 
Dante  Allighieri,  Verona^  Gatnbaretfty  1806^  due  voll.  in-4, 
pp.  VIII-172-232.  Cfr.  De  Batines,  I,  519. 

6.  La  «  Divina  Commedia  »  e  tutte  le  rime   di  Dante 

Allighieri.  Brescia y  Niccold  Bettoni^  1810^  due  voll.  in- 1 6  pice. 

-  fe  ristampa  del  la  Bodoniana  del  '95. 

Maria  Zamboni. 


ANGELINl  Lorenzo. 


[Secolo 

Nacque  a  Moresco,  circondario  di  Fermi 
da  Guglielmo  e  da  Caterina  Niccolini, 
sacerdote  dopo  di  avere  studtato  con  gre 
fitto  !e  discipline  letterarie  le  insegn6  ] 
mente  nella  Marca  e  nell'  Umbria,  all 
deir  Amandola,  di  Ripatransone,  di  N< 
Civitanova,  di  Todi,  di  Trevi,  di  Pergc 
1776,  anche  a  Pesaro.  Fu  ascritto  a 
accademie;  a  quella  degli  Erranii  ~~  gii 
iali —  di  Fermo,  il  20  febbraio  1756,  a  q 
Risorti  di  Bologna  col  soprannome  di  7 
frisio  Y Allegro  e  alia  Repubblica  letterari 

Venne  colpito  da  sincope  a  Pesan 
1778,  ed  essendo  state  trasportato  a  C 
vi  mori  il   15  maggio   1782. 

Egli  ci  lasci6  molte  poesie  italiane 
quasi  tutte  di  circostanza,  scritte  nei 
luoghi  dove  dimor6 ;  nelle  prime,  se 
testimonianze  dei  suoi  contemporanei,  s 
imitatore  felice  deirAlighieri.  Si  dedic5 
cialmente  alia  poesia  latina,  di  cui  ci  1 
opuscolo  di  30  pagine  *.  a  commendazior 
Alessandro  Borgia,  Arcivescovo  di  Ferm 
impresso  per  Giov.  Franc,  de'  Monti  I'an 
dedicato  all'ab.  Stefano  Borgia  di  lui  ne 
Cardinale  di  S.  Chiesa  » .  Scrisse  anche  u 
latina  di  180  versi,  stampata  neila  stessa 


Monti  surricordato,  per  la  promozrone  alia  por- 
pora  del  cardinale  Enrico  Enriquez,  che  la  disse 
virgiliana  (fu  stampata  a  Bologna  il  21  agosto 
^54)-  Ne  pubblic6  poi  altre  tre;  la  prima  in 
lode  del  beato  Antonio  deH'Amandola  (Fermo, 
Fil.  Lazzarini,  1755);  ^^  seconda  per  la  visita  del 
vescovo  Borgia  (pp.  8,  in-4**  gr.,  Fermo,  Laz- 
zarini, 1756);  la  terza  in  commendazione  del- 
Tab.  Gius.  Ascenziani  dell'Amandola  (Macerata, 
presso  gli  eredi  del  Pannelli,  1757).  Compose 
anche  quattro  Carmi  \2X\x\\\  uno  per  nozze  Blasi- 
Guazzagli  fu  posto  nella  raccolta  del  Qaudi  (stamp. 
Amatina,  Pesaro,  1767);  Taltro,  di  300  versi,  nella 
raccolta  Angelini,  per  la  contessa  Caterina  Gian- 
nini  di  Pergola,  quando  vesti  Tabito  religioso  in 
S.  Chiara  di  Cagli  (Pesaro,  Gavelli,  1 768  ;  se 
ne  parla  con  Ipde  nelle  Novelle  letterarie  di  Fi- 
renze,  4  nov.  1768,  n.  45);  un  terzo  di  447  versi, 
con  copiose  annotazioni,  per  le  nozze  di  Giu- 
seppe Orlandi  di  Pergola  colla  marchesa  Galeotti 
di  Gubbio  (fa  parte  della  raccolta  Angelini);  un 
(juarto  di  149  versi  per  le  nozze  del  marchese 
Pompeo  Azzolini  di  Fermo  colla  contessa  Maria 
Virginia  Nappi  di  Ferrara  (trov6  posto  nella  rac- 
colta di  Niccol6  Prosperi  di  Ferrara,  tip.  Gius. 
Valenti,  Ripatransone,  1770).  Stamp6  parimenti 
due  Inni  latini,  il  primo  di  25  strofe  in  lode  di 
San  Niccol6  arcivescovo  di  Mira  (Pesaro,  Gavelli, 
1770);  il  secondo  in  esametri  con  parafrasi  e 
note  apologetiche  (Pesaro,  Amati,  i77i);aque- 
sto  fece  seguire  un  Panegirico  di  388  versi  (ivi, 
Gavelli,  1772)  e  un  Propempticon  «  nel  discesso 
del  sig.  Card.  Acquaviva  al  Conclave  >. 

In  prosa    abbiamo  di  lui   soltanto  una  lettera 


latina  al  dott.  G: 
Novelle  lellerar 
25  novembre  i  y 
latina  in  lode 
cera  Umbra,  re 
pata  a  Foligno 
un  giudizio  fai 
velle  ktierarie, 

Cfr.   F.  Vecchii 
pp.  Mi-4- 


I.  Capitolo  (a 
del  R.  P.  Ant.  Mar, 

1.  Capilolo  {id. 
sola  Guazzagli-But 
nella  sua  raccolta. 

3.  Capitolo  {.id 
Todi  ed  Orsola  F 


ANTONELLI   Giovanni. 


[Secolo  XIX} 

Nacque  a  CandegHa  (Pistoia)  il  lo  genn 
del  1818.  Entrato  a  16  anni  nell' Ordine  di 
Scuole  Pie  di  Firenze,  si  applic6  specialme 
agli  studi  matematici  fisici  ed  astronomici, 
non  trascur6  mai  i  letterari.  Suo  maestro,  ( 
resempio  e  il  consiglio  pii5  che  con  1'  in 
gnamento,  fu  V  illustre  astronomo  Giovanni 
ghirami,  al  quale  TAntonelli  nel  1848  succe 
nella  direzione  dell' Osservatorio  Ximeniano,  1 
tenne  poi  sinch6  visse  con  molto  onore  t 
e  degli  studi.  Insegnft  nelle  scuole  del  ! 
Ordine,  ed  all'  insegnamento  specialmente  dt 
matematiche  e  della  astronomia  consacrd  la  : 
glior  parte  del  suo  tempo  e  del  suo  ingeg 
Oltre  che  co'  suoi  molti  lavori  matematici  fi; 
ed  astronomici,  acquist6  reputazione  grandissi 
con  gli  studi  di  strade  ferrate,  ed  alcuni  de'  s 
progetti  furono  poi  eseguiti.  Sulla  Divina  Ci 
media^  da  lui  letta  e  studiata  sempre  assid 
mente,  scrisse  la  prima  volta  Tanno  del  Cer 
nario  dantesco  un  Discorso  intitolato  Acce; 
alle  dottrine  astronomiche  nella  <  Divina  Ci 
media  »  e  poi,  per  consiglio  ed  invito  di  > 
C0I6  Tommaseo,  molte  illustrazioni  scienlifichi 
singoli  luoghi  del  Poema,  che  il  Tommaseo  ste 
pubblic6  nel  suo  Commento  (edizioni  Pagn 
del  1865  e  1869)  «  generosamente  fornitec: 
scriveva  nella  prefEtzione  «  dal  P.  Giovanni  j 


tonelli,  onore  e  delle  Scuole  Pie  e  del  clero  ita- 
iiano  >.  Altre  note  dantesche,  come  sotto  ^  no- 
tato,  pubblic6  nel  187 1,  poco  prima  della  sua 
morte,  che  fu  il    14  gennaio  del    1872. 

Cfr,  Giovanni  Antonelti:  commemaraztone  di  Niccol6  Tom- 
MASBO.  Fireiue,  1871,  pp.  64,  in-8°.  —  Intorno  alia  vita  ed  ai 
lavori  del  p.  Giovanni  Anionelli  delie  Scuole  Pie :  cenni  di  An- 
drea Stfattbsi,  Roma,  1873,  pp.  43,  in-4'.  [Estratto  dal  Bullet- 
lino  di  bibliogr.  e  di  storia  delle  scienzc  matetnattche  e  fisicMe. 
t.  V,  luglio  1871]. 


Accenni   alle    doltrine   astronomiche    nella    <  Divina 
;  discorso  di  Giovanni  Antonelli  d.  s.  p.,  nella 


raccolU  Dante  e  il  sua  Secolo,  Firett^e  tip.  Gatileiana,  1865, 
pp.   503-5'8 

2.  Sulle  dottrine  astronomiche  della  «  Divina  Commedia  »: 
ragionamenti  di  Giovanni  Antonelli  d.  s.  p.  in  occasione  del 
seslo  centenario  di  Dante,  Firen^e,  tip.  Calasan^iana^  1865. 
pp.  96  in-8,  —  Contiene  a  pp.  9-32  lo  stesso  lavoro  che  6 
sopra  notato  (n.  i) ;  e  a  pp.  33-92  un  <  Ragionamento  per 
dimostrare  che  Dante  proponendosi  con  le  seguenti  terzine 
(Purg,  IX,  I  segg.)  d' indicar  1'ora,  nella  quale  fu  preso 
dal  sonno  al  termine  della  prima  giornata  del  Purgaiorio, 
intese  descrivere  I'alba  che  precede  il  sorgere  della  Luna, 
e  non  I'aurora  solare  ». 

3.  lUustrazioni  astronomiche  o  cosmografiche  e  geografiche 


queste  ultime  vedi  I'elenco  assai  esatto  dato  dallo  StJattesi 
nel  citato  lavoro  Sulla  vita  e  gli  scrilti  del  padre  Antoy"' 
pp.  23  segg.,  dove  sono  anche  accennate  le  poche  differ 
tra  I'edizione  del  '65  e  quella  del  '69. 

4.  Di  alcuni  studi  special!  risguardanti  la  meteorologi 
geometria,  la  geodesia  e  la  «  Divina  Conimedia  »  per  1 
vanni  Antonelli  d.  s.  p.,  Firen^e,  tip.  Calasaniiana,  set 
bre  i8yi,  in-8,  pp.  [36.  —  Gli  studi  sulla  Divina  Comn 
sono: 

a)  Parere  sopra  due  nuove  chlose  [vedi  I'opus 
Due  leitere  al  chiarissimo  professore  D.  David  Farabu 
intortio  due  versi  della  «  Divina  Commedia  »  da  Fortu 
Latuij  Roma,  tip.  Tiberina,   i866j,  pp.  Si-gr  ; 

b)  Nuove  illustrazioni  sopra  alcuni  luoghi  del «  Parad 
U,  6-9;  IX,  37-40,  82-87;  XXVII,  i27-[38],  pp.  108- 

cj  Nuove  illustrazioni  sopra  alcuni  iuoghi  del  «  Pt 
torio  »  [I,  13-15  ;  H,  88-105],  e  Nuova  interpretazione 
principio  del  canto  IX  [La  concubina  di  Titone  ant 
pp.  108-135-  —  Queste  stesse  illustrazioni,  col  titolo  i 
particolari  sulla  «  Divina  Commedia  »,  furono  pubbli 
dall'A.  anche  in  opuscolo  separato,  ma  d'altra  edizi 
per  nozze  Fossi-Volpini  (Firenze,  tip.  Calasanziana,  li 
pp.  74,  in-8). 

Ermenegildo  Piste  LI 


MAURO  Domenico. 


[Secolo  XIX]. 

Domenico  Mauro  nacque  in  San  Demetrio  ( 
rone,  paese  albanese  della  provincia  di  Cosen 
nel    1812,  e  mori  in  Firenze  nel    1873. 

Fu  ardente  patriotta ;  e  pel  glorioso  ni' 
del  1844  fu  tenuto  due  anni  in  carcere,  doi 
usci  ancor  piiS  caldo  d'  amor  di  patria ;  tai 
che  nel  1848  fu  eletto  Deputato  del  Parlame 
napoletano,  con  piii  di  diecimila  voti,  dalla  p 
vincia  natale. 

Dope  il  15  maggio,  ei  si  rec6  a  soUevar 
Calabria,  e  si  mise  alia  testa  di  numerose  schi 
che  combatterono  contro  le  soldatesche  borbonii 
parecchie  volte  (in  uno  di  codesti  scontri  il 
stro  Mauro  perdette  il  fratello  Vincenzo),  ma 
si  sciolsero.  And6  quindi  in  Albania,  con  la  s 
ranza  di  preparare  uno  sbarco  suUe  coste  di  < 
labria;  ma,  fallito  il  tentative,  corse  a  Rom; 
difendervi  la  morente  Repubblica.  Si  rec6  inl 
nel  Piemonte,  in  attesa  di  tempi  migliori,  e  pr 
poi  parte  alia  gloriosa  spedizione  dei  Mille. 
costituita  V  Italia  a  nazione,  il  Mauro  fu  ele 
Deputato  dal  coUegio  di  Benevento. 

Tanta  attiviti  politica  non  gl'  impedi  di  cc 
vare  i  suoi  diletti  studi,  e  pubblic5  molti  ve 
fra  i  quali  una  novella  intitolata  Enrico  ai 
lodata  dal  De  Sanctis  {La  Letterat.  ital. 
sec.  XfX,  ecc.  Napoli,  Morano,  1897),  e  m^ 
scritti  in  prosa,  del  quali  piti  importante  h,  se: 


dubbio,  quelle  inlomo  al  concetto  e  alia  forma 
della  Dfzifia   Commetiia. 

^^bbene  ogjji  possa  esser  giudicata  in  modo 
i.-^sai  diverse  da  quelle  onde  fu  giudicata  al  sue 
apparire,  egli  ^  certe  che,  tenute  cento  delle  idee 
tlominanti  in  quel  tempo,  in  cui  tutte  devea  ser- 
v.re  a  un  alto  intendimente  civile  e  patriottico, 
r  opera  del  Mauro  e  di  quelle  che  possono,  anche 
<  ra,  per  certi  rispetti,  essere  studiate  con  uti- 
lia,  non  f'xss'altre  per  la  steria  della  varia  for- 
iiina  del  P*^ta,  specialmente  in  Calabria.  Perch6 
«;aando,  nel  1S40,  la  prima  parte  di  quel  lavoro 
\enne  in  luce,  <  i  sjiovani  calabresi  —  come  ci 
at  testa  il  Balsane  \Im  <  Divina  Commedia  > 
iliudii'ata  da  G.  J\  Gfavhia^  ragionamtfito  pub- 
hlicatn  nella  CcHeziofic  diretta  dal  Passerini, 
CittA  di  Castello,  18Q7)  —  ne  furene  scossi 
profondamente,  e  crebbe  in  essi  il  culte  del 
massimo  Poeta,  unendosi  indiNnsibilmente  a  quel- 
le amore  di  liberty  e  di  gloria,  onde  furene  sem- 
pre  ardenti  i  lore  generosi  cueri  >. 

Cfr.  i  nostri  Martiri  cosentini  del  1844^  nella  Rivisia  storica 
d<l  Risorg,  ital.,  f.  IX  e  X,  vol.  III.  Torino.  1900. 

BibUografia. 

1.  AUegorie  e  bellezze  della  «  Divina  Comroedia  v^ 
Parte  I,  Vlfi/erno^  ecc,  Xapoiiy  dal  la  fipografia  Boe^ianay 
1^40,  in-8  ;  pp.   163. 

2.  Omero,  Dante,  Shakespeare,  nella  Riv.  conUmporaneay 
Ti^rifiOy  I  So  I. 

3.  Concetto  e  forma  della  «  Divina  Commedia  »,  Napo/i\ 
S/jhlintcNto  lipografico  dtgli  scief/iiati]  leiterati  e  afiisfi\  1862^ 
in-S;  pp.   334. 

S.  De  Cuiara. 


ORA 


lui: 
ma 
Met 


part 
I'ini 
«  si 

man 
rece: 
Bull 
e'  fu 


cui  ijli  studi  danteschi  eran,  peggio  che  negletti, 
it^nuti  in  dispregio  —  un  solenne  monumento  di  1 
voni  o  t;Tande  poesia  nella  Commedia  (cfr.  F. 
HaKano,  Im  «  D.  C.  >  giudicata  da  G.  V.  Gra- 
riptii,  C'iltc\  di  Castello,  1897),  10  credo  che  un 
posto  onoralo  non  si  possa  a  lui  negare  in 
<]uoslo  nizionario;  tanto  piu  che  la  sua  maggior 
opiM'a  Ictloraria  Delia  Ragion  poetica  fu  pubbli- 
(Mla  ncl    lyOfS. 

(lian  Vincenzo  (iravina  studi6  ne'  suoi  primi 
anni,  sotto  la  guida  di  Gregorio  Caroprese,  nella 
natia  provincia  ;  ma  pass5  poi  a  Napoli,  dove, 
dopo  di  essorsi  perfezionato  nolle  lettere  latine 
r  greohe,  si  diode  alio  studio  della  giurispru- 
ilrnza. 

Nel  1688  and6  a  Roma  e  fu  uno  dei  fonda- 
lori  AiAX Arcadia^  di  cui  scrisse  le  leggi  secondo 
lo  stile  delle  XII  Tavole.  Fu  nominato  quindi 
professore  di  Diritto  civile  e  di  Diritto  cano- 
nico  nella  Sapienza,  e  sail  a  tanta  fama,  che  le 
piu  celehri  l^niversitcl  di  Germania  e  di  Italia 
gareggiarono  in  offerte  per  averlo  come  inse- 
gnante.  E  giA  egli  aveva  accettato  quelle  di  Vit- 
torio  Amedeo  II,  e  stava  per  recarsi  a  Torino 
col  duplice  ufticio  di  professore  di  Legge  e  di  di- 
rettore  generale  degli  Studi,  quando  fu  sorpreso 
dalla  morte. 

Molte  sono  le  opere  giuridiche  e  letterarie  che 
gli  hanno  acquistata  una  fama  imperitura ;  ma 
quella  per  la  quale  egli  merita  il  nome  di  Dan- 
tista,  ^,  come  s'  h  detto,  1'  opera  intitolata  Della 
Ragion  poetica  :  perch6  in  essa,  definita  la  poesia 
come  <  la  scienza  delle  umane  e  divine  cose 
convertita  in  immagine  fantastica  ed  armoniosa  > , 


ei  non  esit6  di  proclamare  che  tal  immagine 
■«  sopra  ogni  altro  poema  italiano  »  vivamente 
ravvisava  nella  Commedia  di  Dante;  «  il  quale 
s'  innalz6  al  sommo  nell' esprimere,  ed  alia  mag- 
gior  vivezza  pervenne,  perch^  pid  largamente  e 
pW  profondamente  di  ogni  altro  nella  nostra  lin- 
gua concepiva :  essendo  la  locuzione  immagine 
della  intelligenza,  da  cui  il  favellare  trae  la  forza 
e  il  calore  >. 

Cfr.  Teslameiito  di  G-  y.  Gravina,  in  Nuovo  giorn.  d.  Lette- 
laii  d'llalia,  XXXr.  322.  —  Ant.  Sergio.  Vita  di  G.  V.  Cravina, 
nella  ediz.  delle  Open,  Napoli  1756  —  "^wcAmuo,  Saggio  suUa 
vita  e  suite  ofiere  di  G-  K  Gravtna,  Cosenza  1S79. 

Blbliografia. 

Della  Ragion  poetica,  libri  due.  Roma,  per  Fr.  Goii^aga 
1708,  in-4.  d"  ediz.).  —  Tu  piii  volte  ristampala  (Venecia, 
1-31,  in-4;  ^"po/i,  i756-Sf^,  in  Opcre  Hal.  e  lat.  di  G.  V. 
Gravina,  e  Milatio,  ifiif),  in  Opcre  scelte  di  G.  V.  G.)  e 
fu  trad,  in  francese  dal  Requier  (Parigi,  17,55,  voll.  due, 
in-i  a). 


Cfr,  p™..  J/ 

0.  V. 

G 

,  raccolte  da 

V.  Exi 

LMNI 

1   GlUD 

IC[ 

con  1. 

.  biogr.  .  1, 

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Lognfi..  Fi,cnz< 

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V.  Gr 

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ILDI,  G.  V.  C«. 

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N. 

S..  Til.  JO. 

S. 

De 

:  Cheara. 

BECELLI  Giulio  Cesare. 


[Secolo  XVUI] 

I \       Nacque  di  nobile  famiglia  in  \'e- 

,  rona    nel    1686.    Giovinetto,  studio 

alle  scuole  dei  Gesuiti  e  si  ascrisse 

a  questa  Compagnia,  ma  lasci6  1'  a- 

bito  nel   1 7 1  o  e  tolse   moglie.  Nel 

1721    lo   troviamo   a   Padova  sco- 

lare    del   famoso   Domenico    Lazza- 

rini.  Appartenne  alle  accademie  del  FUarvwtiici 

di  Verona  (e  in  quest'accademia,  secondo  il  Maz- 

zuchelli,  recit6  varie  lezioni),  del  FlnthiavH  del 

Finale  di  Modena  e  de'JRicovrati  di  Padova.  Men6 

vita  tranquilla  e  modesta  dando  lezioni  private. 

Mori  nel   1750,  pianto  dai    letterati    piu    illustri 

del  tempo  suo,  in  un  volume  di  versi  raccolti  da 

Ferdinando    Franca  e  pubblicati    dal  Ranianziiii 

(Verona,    !75o). 

Delia  sua  vita  abbiamo  pochissime  notizie  e 
te  ventisette  opere  inedite  citate  dal  Mazzuchelli 
(Scritt.d'Il.,  vol.  II,  p.  2',  6og)  non  si  sa  dove 
sieno  andate  a  finire.  Sfuggirono  esse  alia  ricerca 
de'  piti  diligenti  critici.  Del  resto,  il  Mazzuchelli 
non  le  vide  mai  e  ne  ebbe  solo  notizia  dal  Se- 
gnier.  In  compenso  il  poema  in  i  2  canti  Psic/ic, 
cui  il  Mazzuchelli  diceva  perduto,  fu  trovato  nella 
Biblioteca  Capitolare  di  Verona  (cod.  DCLXXIX) 
e  se  n'^  occupato  il  prof.  Giuseppe  Gagliardi 
in   uno  studio  che  vedri  presto  la  luce. 

II   Becelli  pubblic6  moltissime  opere  di  argo- 


mento  diversissimo  (ventotto  ne  cita  il  Mazzu- 
chelli,  Op.  cit.y  vol.  II  p.  2*,  606-8).  Le  tragedie 
(^Oreste  vendicatorc  e  Miistafd)  hanno  scarso  va- 
lore  e  altrettanto  pu5  dirsi  delle  commedie  (I 
falsi  letteraii^  PAmmalatOy  V Ingiusta  donazione^ 
r Agnesa  in  Faenza^  i  Poeti  comiciy  la  Pazzia  delle 
Pompe^  r Ariostista  e  il  Tassisfa).  In  esse  per5 
h  notevole  talora  la  critica  letteraria,  principal- 
mente  nella  prima  e  nell' ultima  in  cui  si  esa- 
minano  i  vari  difetti  deU'Ariosto  e  del  Tasso. 
E  come  critico  specialmente  va  considerato  il 
Becelli.  Quindi,  tralasciando  di  parlare  dei  molti 
canti  coi  quali  cerc6  invano  di  procacciarsi  la 
jjloria  (le  stanze  :  Se  possa  piu  la  Pittura  o  la 
Poesia ;  i  poemetti  :  La  Ninfa  di  Cuzzano  e  il 
Gonnella^  ecc),  le  traduzioni  di  Properzio  e  di 
Erodoto  e  le  operette  pedagogiche,  h  da  dir 
qualcosa  del  trattato  Delia  novellu  Poesia  (Verona, 
Ramanzini,  M.DCCXXXII). 

In  questo  lavoro  il  Becelli  si  dimostra  molto  piu 
indipendente  dei  tanti  scrittori  di  Poetiche  del 
suo  tempo.  Egli  infatti,  oltre  al  mostrare  —  come 
gi^  avevan  fatto  i  letterati  italiani  che  avevan 
preso  parte  alia  polemica  contro  il  Bouhours  — 
la  superiority  della  nostra  lingua  sopra  le  ling^e 
sorelle  francese  e  spagnuola,  combatte  la  stretta 
osservanza  delle  regole  aristoteliche.  Della  mito- 
logia  gli  piace  che  si  faccia  uso  solo  quanto  basta 
a  far  meglio  risaltare  lo  splendore  della  verita  cri- 
stiana :  condanna  poi  i  petrarchisti  non  meno 
dei  ciechi  adoratori  deirantichiti  classica.  Egli 
mostra  in  quest' opera  di  credersi  un  grande 
rivoluzionario,  e  il  titolo  stesso  del  libro  n*  e 
una  prova.  II  Tommaseo   not5  in  lui   <  Tamore 


lion  sempre  potente,  ma  sempre  prudente  del 
nuovo  >.  II  Bertana  recentemente  in  una  bella 
monografia  parl6  di  lui  come  di  un  precursore 
/iel  rotnanticismOy  ma  osservo  che  «  la  sua  cri- 
tica,  per  quanto  ardita,  manca  di  profondita,  di 
compiutezza,  di  vigore ;  di  quel  vigore  sopratutto 
e  di  quella  sicurezza  propri  del  pensiero  che  si 
svolge  logico  e  chiaro  per  entro  un  ordine  di 
concetti  connessi  ed  armonici  >. 

Nel  trattato  della  novella  Poesia    il  Becelli  fa 

\ina  categoria  speciale  dei  poemi  divini  intendendo 

per  essi  tutti    quelli  i  quali,    cominciando   dalla 

Commediay  si  riferiscono  a  cose    sovrumane.  Di 

Dante  egli  si  mostra  ammiratore   qaldissimo  ed 

ha  parole  severissitne    per   coloro   che  gli  ante- 

pongono    il    Petrarca.    Del    Casa    arriva   fino    a 

pensare  che   <  il  suo  Galateo  scrivesse  non  per 

indurre  creanza  di  bei  costumi  in  un  giovinetto, 

ma  per  macchiare,    se  mai    si   potesse,   la    bella 

gioia  della  Divina   Comedia   >   (p.   60).  Al  Casa 

ed  agli  altri,  i  qiiali    accusavan  Dante    di    aver 

adoprato  parole  poco  gentili,  risponde  che  <  dal 

Poeta  vogliono  le    cose    laide    esser    laidamente 

dette  e  le    gentili    gentilmente  >   (ibid.).   E   per 

dare  un  esempio  della  gentilezza  di  Dante,  pone 

a  confronto  Tepisodio    di   Francesca  con  quello 

petrarchesco  di  Sofonisba  e  Massinissa. 

Cfr.  Mazzuchelli,  Scritiori  d'Haliay  vol.  II,  p.  2.  -- Tomma- 
SEO,  Vita  di  G,  C,  P.,  in  Tipaldo,  Biografie  degli  ItaL  illustri, 
Venezia,  Alvisopoli,  1840,  vol.  VII,  pp.  481-88.—  Bartolommeo 
Gamba,  G.  C.  B.  in  Galleria  dei  Lett  ed  Artisti  illustri  dette  prov. 
veneziane  net  secoto  XV III,  Venezia,  Alvisopoli,  1824,  vol.  I.  — 
Emilio  Bertana,  Un  precursore  det  romanticismo,  (Giutio  Cesar e 
Becetli)  in  Giorn,  st,  d.  Letter,  ital.^  vol.  XXVI,  pp.  1 14-140. 


BiUiografia. 

Delia  novella  Poesia,  cio^  del  vera  genere  e  particolari 
bellezEC  detla  poesia  italiana.  In  Verona,  per  Dionigi  Ra- 
mani^itii,  Libr-ijo  a  S.  Tomfo,  MDCCXXXll,  in-4,  pp.  391. 

DiNO  Pbovenzal. 


.L^^^i 


NOZZE 


SALZA  -  ROLANDO 


XIX    GENNAIO    MCMI 


•^ 


\ 


LETTERE 


DI 


A.  CAMILLO  DE  MEIS 


B.    SPAVENTA 


PUBBLICATE   DA   G.   GENTILE 


^ 


N APOLl 
TIPOGRAFIA   MELFl   &  JOELE 
PaloMMO  Maddakmi  a  Tbledo 
190X 


eanfofio  scambiwole  at  disittgamm  e  alle  iraversie  delta 
viia.  La  quale,  gid,  nan  cessa  mai  di  sorridere  a  ehi^  came 
il  De  MeiSf  pone  in  alto  il  proprio  ideaU;  e  nan  cesserd 
di  sorridere  a  te,  che  non  sai  rivolgere  ad  aliro  /'  amimOt 
ehe  agli  studj  disinteressoH  e  a*  piit  nodili  affetti. 

Percid,  ora  che  hat  trovato  nella  tua  gentile  Pierina  la 
tua  anima  gemella,  io  non  H  dird:  Possa  tu  esserfelice; — 
ma  gioisco  in  me  siesso ,  certo  che  sarai  lale;  e  solo  ti 
auguro  figli%  che  ti  somiglino, 

Tko 

Giovanni. 


Amgblo  Camillo  Db  Mbis  nmcqiie  a  Bnccliimiiico  (^rov.  di  Chieti) 
14  Inglio  z8z7,  morl  a  Bologna  il  6  mano  1891.  n  padr*  Vincenso  fo  del 
carbonari  del  z8az  e  poi  degli  affiUati  alia  Giovine  Italia;  la  madre  Gin- 
stina  Cardone  era  affine  degU  SpaTenta. 

Fatti  in  patria  e  nel  R.  Collegio  di  Chieti  i  primi  stud),  li  rec6  a  Na- 
poli  intomo  al  '40,  per  attendervi  alia  medidna.  Ma  vi  prtse  anche  parte 
vivissima  al  movimento  degli  studj  letteraij  e  speculatiyl,  primeggiando 
nella  acuola  del  De  Sanctis  (vedi  La  giovvuMMa  di  Pr,  De  Sanctis ^  Na- 
poll,  Morano,  1889,  pp.  345-*7i  ^S^)  e  fra  i  pid  valenti  giorani  hegeliani. 
Appena  laureato ,  nel  febbn^o  1848  fu  nominato  Rettore  del  CoUegio 
Medico  e  professore  d*  anatomia  e  medidna  teorico-pratica;  e  ndle  d^ 
sioni  a  squittinio  di  lista  dd  15  aprile  di  qnell*  anno  riuad  depntato  di 
Abnuzo  Citra.  II  sno  discorM  agli  elettori,  in  data  ddl'S  maggio  1848, 
k  nno  del  pib  violent!,  che  d  tcristero  •  distero  in  qndl'  anno  di  gio- 
▼anili  entnsiasmi  e  di  generoei  errori  (v.  TAppendice).  Ma  topragginnse 
rinfansto  15  maggio;  e  il  De  M.,  rimasto  anche  Ini  nella  notte  dd  14  al 
Z5  fra  qnd  43  deputati  che  dai  bdconi  della  sala  di  Monteoliveto  avreb- 
bero  ecdtato  il  popolo  alle  barricate,  con  decreto  dd  gingno  snccesdvo 
era  destitnito  dalla  cattedra  e  daUa  carica  di  Rettore  d^l  Collegio  Medi- 
co. L'anno  appresso,  sottopotto  a  processo,  sottraevasi  aUe  ire  borboniche, 
paitendo  segretamente  per  Genova.  Donde  paM6  tosto  a  Torino,  e  qnindi 
a  Parigi.  Qnivi  d  trattenne  il  '51  e  il  '5a  conoaduto  e  ttimato  da  uomini 
Indgni  come  il  Cousin  e  il  Tronssean ,  che  gli  conferl  la  cattedra  di 
semeiotica.  Nel  '53  si  rec6  a  Nizza,  dove  rimase  solo  pochi  mesi,  ritiran- 


s 

dod  potdft  a  Tifgla,  Mite  rhrteni  Ufwe,  pacae  di  Glovaaai  Rofial, 
aaico  cd  aauBiratore,  che  Toolsi  abbia  iatcao  di  rapprtwnfarlo  nel 
DoUor  AtOomiQ  (1855).  Ntl  '55  tonB6  a  Torino,  accanto  al  sao  mdm$'mMt 
Bcrtraado  Spaircnta  e  gli  altri  aodd  «  conpacni  di  aadgrarioaa,  ooi 
qaali  rimaae  net  resto  dd  dccennio,  tatto  aatorto  nefli  ttadi  e  ncO'eaer- 
dsio  caritatcTole  deHa  ma  proftnionc,  in  bcnefislo  dci  poveri,  yivcndo 
dello  acano  prorcnto  di  nn  insefnamento  die  arera  nel  CoUagto  ddle 
Province* 

Nd  '56,  inritoto  a  inngnere  letteratora  italiana  d  PoUtecaico  di  Zorico, 
preleri  die  v'andaMe  I'antico  macttro  ed  amico  De  Sanctis ,  che  pcrci6 
lo  chiamava  tao  saivaiart  {SeriUi  varj,  a  cvra  di  B.  Croce ,  Nap.  itA 
VL,  az7-«).  Fn  conoeduto  ad  amato  dal  Mansooi,  cni  cnr6  la  aecoiida  aio- 
1^  TareM  Stanpa  e  iMe  coooocera  nd  '57  il  De  Sanctk. 

Nd  1859  L.  C.  Parinl  lo  numdaTa  a  iasegnare  fidologia  a  ICodena.  ICa, 
Uberata  Napoli,  egU  era  col4  cogU  dtri  p\k  antoreroli  napoletani  a  pao- 
maorere  1'  anneedone  e  U  risorgimento  morale  dd  paeae.  GarflMldi  (H 
rettttdra  il  poato  dd  CoUegiio  Medico  con  V  intecnaaento  deUa  dil- 
nka;  gli  dettori  di  ManoppeUo  lo  tcegUevano  a  loro  rappreaantante  al 
Parlamento.  Nd  1863  paae6  all'ateneo  Bologneae,  a  iniesnarvi  storia  ddla 
BMdidna;  e  qdvi  foml  la  ma  carriera  didattica,  pit  volte  rifiotando  la 
candidatora  poUUca  oflertacU  da*  raoi  Cbletini.  —  Pa  de'  pit  ttmnd 
propognatori  ddl'  hegdimM) .  e  degU  tcrittori  pit  ecliietti  torti  dictio 
r  eeenpio  dd  MansonL  Nataralieta  di  ana  sconflnata  ervdisioae,  rep«l6 
Darwin  aonK>  di  corto  ingegno,  perch^  qaeati  non  vide  nd  tnafonaiMW 
delle  tpade  vegetdi  e  animdi  die  11  pnro  acddente,  una  hiUria ,  cobm 
U  De  M.  diceva;  e  cerc6  in  doe  opere,  sui  71^{  vtgeiaU  (1865)  e  aal 
T^  ammaU  (t87a-4).  di  dioioetrare  nd  raccederd  ddle  forme  nataraB 
Tattivitt  ddla  ragiooe  e  la  finalitt  immanente  ndla  natara. 

Scontcoto  ddrawiamtnto  che  vedeva  prendere  in  Italia  agli  stadj,  fan 
•odditfatto  di  t^  e  delle  coae  soe,  — chenegliultimiannidima  vitabnt- 
davaappena  tcritte,— di  cagionevole  aOnte,  non  traeva  conlorto  che  dalla 
ddcessa  angdica  ddl'  animo  e  dalla  freschcisa  tempre  giovaaHe  deglt 
entodatmi  per  tutto  ci6  che  t  beOo  e  bnono  e  grande.  II  libro,  dove  bm- 
gUo  rappreaent6  se  tteieo  con  tntte  le  dati  dd  rao  ingegno  e  dd  sao 
CQore,  t  qod  Dopo  la  kmrta  (Bdogna,  Monti,  1868-69  2  volL),  dl  cd  d 
paila  speMo  ndle  lettere  qd  apprcaeo  pahblicata;  tpededi  roauuiao  tto- 


9 
sofico,  in  cal  sotto  formA  di  lettere  frs  due  amid,  egll  ritrae  con  vivezxa 
di  colori  e  calore  dl  sentimento  i  bisogni  intellettnali  dell'  eti  nostra, 
com'  egli  fortemente  li  sentira,  e  qnel  senso  affiuinoso  onde  gli  scienxiati 
empirid  sono  aflbticati  di  ricerca  in  ricerca,  di  particolare  in  paiticolare, 
e  die  solo  pu6  esser  soddls&tto  dalla  filosofia. 

Ricordiamo  qui  quelle  che  conosdamo  ddle  sue  rare  e  disperse  scrittnre 
(oltre  le  opere  sopra  ricordate  e  gl!  articoli  citati  nelle  note  di  questo  opu- 
scolo):  Saggio  smietico  sopra  fosse  cerebro-spmale^  Napoli,  Coster,  1848.— 
Detto  stato  e  delcarattere  attuale  delle  scienze  naiurah',  Disc,  letto  all' Ace. 
dei  Natnralisti,  Nap.  tip.  dell'Ancora,  1848.  —  Teorut  deifenomeni  acusHcx 
deUa  respiraxione^  Nap.  Vitale,  1848.  —Dtsc.  pronunxiato  ildiy  maggio  1849 
per  il  nttovo  ufficio  di  Rettore  del  Colh  medico,  Ivi,  1848.  —  Proposta  di 
um,  mtovo  sistema  di  insegnatmento  pel  Coll,  medico,  ivi,  1848.  —  Idea  deUa 
Jisiologia  greca.  Nap.  tip.  dell'Ancora,  1849.  —  La  teoria  delfascoUaxume^ 
Torino,  Pomba,  1850.  —  Idea  generale  deUo  sviluppo  delta  sciensa  medica 
OT  Italia  netta  prima  metd  del  secolo.  Note.  Torino,  Pavesio  e  Soria,  1851.  — 
IHsiotogia,  Torino,  Franco,  1859.  —  4^^'  ^t^ttori  di  Manoppetto ,  Napoli, 
x86x .  —  DegU  elementi  delta  medicina,  prelezione  detta  il  10  dicembre  1863, 
Bologna,  Monti  1864.  —  Lettera  sutta  Patologia  storica:  Sidimostra  cJke 
ruamo  era  in  ortgine  assotutamtente  sano,  Bologna  —  Ai  suoi  etettori^ 
Bol.  Monti,  1865.— Za  CMmica  fisiologica,  Lettere,  Fano,  1865.— Z7arB^ 
e  la  scienxa  modema,  Discorso  per  la  solenne  inaugurasione  degli  studj 
nella  R.  Univ.  di  Bologna,  BoL.  Monti,  1866.  —  Delte  prime  linee  detta 
patologia  storica,  Prelezione  detta  1*8  gcnnaio  x866,  Bol.  Monti,  z866.  — 
It  sovroMo:  due  art.  nella  Riv,  botogn,  del  gennaio  e  marzo  1868.  —  Deus 
creavit ,  Dialogo  I.  Bologna  1869  estr.  dalla  Rivista  l>olognese  an.  Ill, 
fasc  T  e  VI.  —  Testa  e  Bi^alimi  Lett,  x.*  I controstimolisti,  Fano,  Lana, 
X870.  —  Smtesi  ed  episimtesi,  prelezione,  Bologna,  Monti,  1840,  —  Preno- 
Miomi,  Bol.  Cenerelli,  X873.  —  Alt  on,  Comm.  Gaspare  La  Vattetta,  Let- 
tera, Bologna,  Monti,  X879.— 4^^'  eUttori  del  I  Collegia  di  Okieti,  ivi, 
x88a.  —  Cowtmemoraxiome  di  F,  De  SamcUs,  nel  vol.  In  memoria  di  F,  D, 
S,  Napoli,  Morano,  1884.  —  Delta  medicina  retigiosa—Dei  wuummtferi  (?). 
A  lui  pure  appartiene  11  volumetto :  Spagnolismi  e  francesistni,  nota  dl 
Amgbl'  Antonio  Mbschia,  maestro  elementare  in  Zangarone  Albaaaee, 
Bologna,  Monti,  1884  (sol  cni  valore  v.  Crocb,  La  lingua  spagn,  m  ItaHa, 
Roma,  1895  p.  60  n.  5);  e  fors'ancfae  due  altrl  oposcoletti  che  vanno  pure 


xo 

fl  WMC  d*n  Mfirfcii.  ill  iiifrhj  MiiiMaiiiric  d'aitri  m rciij  di 

S<d  De  MckMMicoMKiHMallri  nrtttl  bftocimfid  che  TopMoolo.  ricco 
di  — ■iriiiiiBi  <di  affetto,  ha  lono  diaoHiicc  tahrolta  inesatto.  <lel 
>co«cfttadmo  L.  Dm  I.mmkiwiw,  Jlcmon  A' A,  C.frvf,  Dt  Mas,  Jftcmndt 
f.Ckieci,  Riod.  1894.  e  ■■  aitioolo  di  Oikmiato  Fata  ael  Grrw 
diN^mit,  u.  XX  (1891)  a.  6S.  Parecclii  datiabfaiaModesaBtidalla 
cxtepoadeaache  di  hd  si  coaacnra  ad  CartccKk>  di  B.  Sparcata, 
parte  poMedato  da  B.  Crocc  e  paite  cii  da  lai  depositaKo  adla  Bibl.  deOa 
Society  tlocica  per  \t  pew.  aapoletaae;  owiispoiidfttia  praiioia  per  obi 
oatraire  I'lMitwlf  e  delkata  lean  ^  qaest*aoaM>  cbe  aspetta 
di  cMcr  itawieciato  e  fitto  coooaccre.  Qaakfae  rkocdo  del  De  M. 
txovatl  aeUe  Mamarie  t  scHUi  di  L.  La  Vsta,  pabbL  dal  Vxllaki. 
Gli  antosrafi  deOe  lectere  eke  qni  ti  ataaqtaao,  aoao  pce«o  B.  Ooce. 

G.  G. 


I. 

Bologna,  9  febbrajo  x868. 

Caro  Bertrando, 

Ti  matido  qua  dentro  I'altra  mia  fotografia  in  compenso 
di  quella  che  hai  perduta.  Finch^  si  perdono  i  ritratti,  h  mal 
da  nulla:  Taffare  h  seriOi  quando  si  perdono  e  vanno  in 
malora  i  cuori  d^li  uomini.  Tu  puoi  capire  che  10  son 
sempre  dello  stesso  sentimento;  e  io  capisco  perfettamente 
che  tu  pure  sei  come  eri  sette  anni  sono  (i),  e  quattordici* 
e  ventuno,  e  piti  dietro  ancora.  E  a  questi  sette  anni  che 
mi  sono  passati  in  cosi  strana  maniera,  io  non  d  voglio 
piu  pensare,  perch^  non  voglio  andare  in  pazzia,  se  non  d 
sono  andato  gii  finora.  Ma  ho  avuto  piu  d*  un  aiuto ;  prima 
i  malanni  fisici ,  poi  la  chimica,  poi  la  storia  della  medi- 
dna,  e  prima,  e  poi,  e  sempre,  la  collera.  Ma  non  credere 
che  io  ora  non  capisca  che  tutto  ^  venuto  dalla  mia  fan- 
tasia. 11  povero  Cousin  I'aveva  sempre  con  questa:  avec 
ceite  coquette  dHtnagination ,  e  rideva  come  un  pazzo  alle 
intemerate  che  io  gli  faceva.  Ma  diceva  bene.  Pensiamo  al 
presente  che  rimette  tutto  il  passato,  e  farebbe  Io  stesso 
anche  di  peggio;  ed  h  forse  tanto  grato,  perchi  quello  era 
spietato.  La  vita  h  insomma  un  sistema  di  compensazione: 
e  certe  volte  il  bene  di  un  momento  supera  lungamente  il 
male  di  anni  e  anni  e  anni. 


(x)  Intend! :  airindrcm  dm  quando  si  emo  diviti,  Io  Spavcata  reiUndo 
a  Napoli  ed  il  De  M.  patsando  a  insegnare  a  Bologna. 


la 


Finalmente  sono  arrivati  i  tuoi  lavori ;  non  sapevo  ^ie- 
garmi  come  tardassero  tanto.  Devi  averli  spediti  dopo  la 
lettera.  Per  dio  santo !  Tu  hai  stampata  una  biblioteca,  e 
mi  fai  veramente  arrossire  quando  mi  domandi  le  cose 
mie.  Cosa  sono  queste  cose  mie?  Tre  o  quattro  opuscoli: 
due  Prolusion!,  Tindirizzo  ai  Chietini ,  e  pochi  fogli  che 
aveva  cominciato  a  stampare  dei  ptgetabili,  Ecco  tutto. 
Eppure  ho  lavorato  enormemente,  e  scribacchiato  a  per- 
dita  di  vista,  pi(^  o,  se  non  pi£i,  quasi  tanto  quanto  puoi 
aver  fatto  tu ,  con  tutti  i  malanni  di  tutte  le  sorte.  Ma 
non  mi  sono  avvilito  n^  impoltronito  mai. 

Non  h  che  a  Napoli  che  non  ho  fatto  niente;  e  forse  ^ 
per  questo  che  mi  ricordo  con  orrore  dei  due  anni  che  ci 
ho  passati.  L*  inferno  c*  6  di  sicuro  :  ed  ^  T  ozio  ,  la  vita 
inutile;  ed  io  V  ho  provato. 

Ti  niando  dunque  le  mie  opere;  cio^  i  tre  opuscoli  e  Vi4 
del  quarto.  Questo  preteso  romanzo  (i),  che  non  so  che  dia- 
volo  vorra  venire,  h  gi^  bene  avanti.  Sono  al  19  foglio.  Spero 
di  finirla  col  nuovo  e  rientrar  felicemente  nel  vecchio  del- 
r  anno  passato;  ma  non  so  come  si  potra  fare  Tamalgama. 
Sono  due  generi  diversi ,  che  stridono  di  stare  insieme. 
L*anno  p  issato  ero  piu  delicato.  Quest'  anno  sono  diven- 
tato  piu  grossolano,  insjlente,  temerario:  la  parola  filoso- 
fia,  che  non  ci  doveva  essere  neppure  una  sola  volta.  e 
che  di  fatto  non  sta  bene  in  bocca  mia ,  adesso  si  cacda 
innanzi  ad  ogni  verso  con  una  sfrontatezza  di  cui  io  stesso 
mi  meraviglio.  E  giu  botte  da  cani,  cane  io  prima.  Pare 
incredibile !  Ma  il  peggio  h ,  che  avr6  detto  un  subbisso 
di  corbellerie  ,  e  se  dovessi  adesso  dirti  che  ho  un*  idea 
netta  di  quello  che  fo,  non  potrei.  Tutto  va  a  furia:  scri- 
vendo,  stampando.  Non  mi  h  succeduta  mai  tal  diavoleria. 
Mi  fanno  ridere  quando  mi  dicono:  fa  la  lezione.  Ma  h  im- 
possibile;  un  lavoro  h  un  mondo»  e  le  lezioni  sono  un  la- 


(z)  Dopo  Ut  Umrta;  vita  e  pensuri  di  A.  E.  Db  M.,  Bologua ,  Monti, 
1868-69,  2  volumi. 


13 

voro  :  ed  6  del  tutto  impossibile  tenere  un  piede  in  un 
mondo  e  uno  in  un  altro.  Ma  come  si  pu6  fare  !  Finchi 
non  rientro  nel  vecchio  e  lascio  questo  guazzabuglio  che 
adesso  ho  tutto  nella  testa,  sari  impossibile  che  mi  ci  ri- 
trovi  pi(^.  Le  lezionl  le  comincerd  dunque  dopo  le  vacanze 
di  camevale;  e  le  rimetter6  tutte»  calendario  in  mano. 

Non  ti  mando  1  fogli  del  preteso  romanzo ,  perch^  fra 
poco  te  lo  manderd  tutto  finito. 

Diomede  (i)  ha  fatto  un  discorso  che  h  una  meraviglia 
d*  eloquenza.  Che  ingegno  !  che  pienezza  di  vita  I  e  che 
grande  anima!  Ha  il  suo  lato  pettegolo,  lo  dice  anche  lui; 
ma  tutto  sparisce  innanzi  alle  sue  grand!  quality.  Non  man- 
care  di  fargli  la  visita  unica  di  cui  gli  sei  debitore.  S*egli 
6  in  collera,  vuol  dire  che  mette  prezzo  alia  visita  di  un 
antico  amico.  Vacci  subito,  e  non  mancare;  fammi  il  pia- 
cere,  e  salutanielo. 

Questa  sera  sono  stato  da  Sicilian!  e  ho  fatto  le  tue 
parti  a  lui ,  e  sopratutto  alia  sua  eccellente  signora.  Ora 
che  quest!  due  sono  qui,  sono  meno  solo;  ed  6  un  gran 
vantaggio  per  me.  Domani  vedrd  Fiorentino.  Manda  per 
la  loro  Ri vista  (2)  qualche  lavoro ,  subito.  Sicilian!  d  fa 
assegnamento  sopra,  e  molto. 

Salutami  Ciccone,  il  pi^  buono  degli  uomini  e  Isabella  (3) 

la  pill  buona  e  brava  donna  che  esiste,  e  il  piu   nobile  e 

piu  gran  cuore...  Addio,  addio. 

Camillo. 

(i)  Diomede  Marvasi,  gii  compagno  del  De  Meis  alia  scuola  del  De 
Sanctis,  e  poi  compagno  a  lui  e  alio  Spaventa  neU'esilio.  Un  vivo  e  af- 
fettuoso  ritratto  ne  fece  il  De  Sanctis  nel  *76  in  una  prefazione  negli 
Scritti  dell'antico  e  caro  discepolo  (Napoli,  De  Angelis),  la  quale  ritro- 
vasi  nel  Nuavi  Saggi  critici. 

(2)  Rivisia  bologmse,  periodica  mensuale  di  scienxe  e  Utteratura,  com- 
pilato  dai  prof.  Albidni,  Fiorentino,  Sicilian!  e  Panzacchi  [direttore:  P. 
Sicilian!]. 

(3)  La  moglie  di  B.  Spaventa.  Per  questo  ed  altri  particolari,  dl  cui  i' 
lettore  avesse  vaghezza,  pu6  riscontrare  il  Discorso  suUa  Vita  e  le  operc 
deir  A.  premesso  agl!  Scritti  filosofici  di  B.  Spaventa ,  Napoli ,  Mora- 
no,  X901. 


n. 

Bologna,  4  giugno  x868. 


Mio  caro  Bertrando, 


Tu  mi  fai  trasecolare  (i).  lo  non  credevo  d'  aver  tutta 
quella  flnezza  e  quella  astuzia  che  tu  mi  hai  scoperto  ad- 
dosso ;  io  ho  saputo  sempre  d'  essere  un  gran  bietolone, 
uno  tagliato  alia  grossa ,  e  per  tale  soiio  passato  sempre 
nel  mondo.  Adesso  tu  mi  canonizzi  furbo  e  astuto.  M^lio; 
accetto.  A  una  condizione  per6  ,  cio^  che  tu  convenga  che 
sono  stato  sempre  di  buona  fede,  con  tutte  le  infinite  cor- 
bellerie  che  avr6  potuto  fare  e  dire,  e  anche  stampare ;  e 
che  questo  pasticcio  di  adesso,  con  tutti  gli  spropositi  e 
le  stravaganze  di  cui  potrk  riboccare,  ^  per6  dal  primo  al- 
1' ultimo  verso  tutto  un  pasticcio  di  buona  fede.  Credo 
d'  averti  detto  che  ce  ne  manca  un  terzo ;  e  questo  nuoce 
air  effetto  generale.  Ma  non  potevo  andare  avanti  col  caldo 
e  con  le  lezioni. 

Quest*  anno  faccio  le  origini :  la  Medici na  d*  Ippocrate; 
ho  fatto  la  medicina  turania  e  Chinese,  e  ho  terminato  la 
medicina  semitica,  egiziana,  ebraica  e  araba.  Domani  at- 
tacco  r  India.  Mi  par  d*  averd  visto,  in  queste  origini,  non 
poche  cose  nuove  e  d'importanza:  che  poi  saranno  vec- 
chie  e  insulse;  ma  che  importa,  se  io  adesso  d  trovo  tanta 
soddisfazione  ?  Ma  sono  stanco  e  tiro  innanzi  a  stento.  Spero 


(x)  Risponde  a  una  lettera  scrittagU  da  B.  Spaventa  a  proposito  del 
Dope  la  Uturea, 


x6 

per6  d*  arri\*are  a  Ippocnte .   bendife  il  amnnifno  sia  orm 
molto  lungo. 

Ti  ho  mandato  sabito  le  died  copie.  Noa  mi  h  paiso 
vero.  Jm  mamms  Ami...  Ma  m*  ahra  cosa  ti  raccomando;  se 
£u  dawero  quella  secooda  kttnra  (la  prima  ha  dovuto  es- 
sere  un  precipizio  piattosto  che  on  leggere)  Cammi  il  pia- 
cere  di  farla  con  la  penoa  alia  mano ,  e  di  notanni  tntd 
gii  spropositi  che  avr6  potato  dire  (e  noo  sanmno  pociii). 
£  sai  perch^  ?  Perch^  c'  k  sempre  quella  hisinga  della  se- 
cooda edizione  migliorata  e  corretta,  che  1'  amor  proprio 
ti  mette  innand ,  e  mx>  vi  cede  fadlmente  e  vi  si  lascta 
andare  volentieri. 

Nella  Rivista  bolognese  ci  troverai  on  piccolo  articoloc- 
cio  sul  mio  romanxo,  che  me  ne  £a  una  sdpitaggine  senza 
capo  nh  coda.  Ma  io  mi  sooo  veodicato,  mettendo  per 
condizione  che  sotto  Tarticolo,  invece  di  iniziali,  d  dovesse 
essere  in  tutte  lettere  il  nome  e  il  cognome  dell*  autore  (i). 


(i)  n  prof.  Cenre  Albtcioi »  cbe  (um6  inifttti  Tarticolo  bibliogrmfico 
9a\  i«  ToL  dd  £>o^  la  laureay  pubblicato  jMtXiM.  Rrvisim  bolognest.  mM^- 
fio  186S,  pp.  443-3.  C.  AiBCtNi  41815-1892^  di  PorD,  s*sddottor6  a  Bo- 
logna in  )e{^  nel  '47;  Q«l  '59  ^  membro  delU  Ginata  pcovviaoria  di  Go> 
vemo»  poi  delta  Depataxiooe  che  and6  ad  ofirire  a  ViUorio  Enaaade 
la  dittatora  delle  Romacne;  quindi  da  M.  d'Azeglto,  commiwirio  ndle 
Romafnic.  sc«Uo  ministro  della  P.  I.  Eletto  depatato,  fn  nel  govemo  dit« 
tatoriale  del  Farini  ministro  sensa  portafoglt.  Nel  '61  nominato  proC  di 
diritto  costitnzionale  neir  Universita  bolognese  ,  al  laogo  dd  P<Mina. 
Vedi  la  Ctmnmemtcraxione  di  C.  A.y  disc,  tenuto  alia  R.  Depataxiooe  di 
St.  Patria  dal  pres.  sen.  G.  Carducci.  Bologna,  Fava  e  Garagnaai,  1892. 
Scrisse  :  Rapporto  al govematore  generaU  \Ciprlxni)  deUe  Romagnt  Bol. 
tip.  della  Volpc  1859 ;  DelT  ufficio  e  d^lU  attinmxe  deUo  staio  coif  rndt- 
viduo  nrlla  civiUd  wtod^ma  4  Bologna,  1863 1  ;  Del  ptngresso  deVtammmitd 
e  meUa  scienxa,  Bol.  1894  ;  L'  tndwidtuf  e  T  tncwiHmtmio  probaiotu,  Bo- 
logna x866;  Frame.  Guicciardmi,  discorso,  Bol.  1870:  Comumamamxiotu 
di  SaJr.  Muxri ,  Bol.  1SS5  :  Ctnno  storico  sulla  ciitd  di  Bologna  ,  1886; 
Gwvamm  Goxxadimi  commemtor.  1887 ;  Carlo  PepoK^  saggio  storico ,  Bo* 
logna  1888 ;  CowumewwraxioHe  di  G.  Bruno  in  ForH,  Forll  1889;  Cctrnme- 
wforaxtons  dtUa  CostUuente  dttU  Romagne  del  tSs9,  Bol.  Z8S9;  PoUHcm 
e  storia^  scriiti,  Bol.  1890:  e  varie  Kiittore  gioridicfae. 


17 

Quel  che  m'  incresce  b  che  non  ne  ho  venduto  finora  che 
sette  copie...  Ci  vuol  V  afMunxio  la  perfezione  sarebbe  la 
ficlame;  ma  questa  non  ^  da  noi,  non  la  sappiamo  fare. 
La  fara  per  me  Salvatore  (i),  ed  io  ci  avr6  un  gusto  matto. 
Mi  ha  scritto  una  lettera  amabilissima ,  e  mi  annunzia  la 
sua  diatriba.  "k  quello  di  cui  ho  bisogno  per  vender  delle 
copie.  Bravo  Salvatore!  Gliscrivo  per  ringraziarlo  d'avanzo. 

Fiorentino  ti  saluta.  Ti  feci  mandar  subito  le  bozze.  Fu 
Fiorentino  che  si  prese  Tincarico  di  rendere  la  lettera  {2)  pre- 
sentabile  al  pubblico,  e  perfettamente  conveniente.  Io  per6 
m*  era  riserbato  di  vedere  le  prove  di  stampa,  e  puoi  star 
certo  che  Tavrei  finito  di  spogliar  d*  ogni  allusione  perso- 
nale  che  ci  avessi  potuto  ancora  trovare.  Siciliani  venne  la 
mattina  appunto  con  le  bozze  perch^  io  le  riguardassi , 
e  invece  te  le  mandammo  subito. 

Salutami  Isabella,  e  dammi  un  bacio  a  Millo  e  a  Miml. 

Addio.  Tuo 

Camillo 

P,  S,  —  Tu  hai  detto  una  parola  che  mi  ha  fatto  gran 
piacere.  Quello  mio  6  un  libro  profondamente  religioso,  Io 
r  ho  sentito  cosi;  e  godo  infinitamente  di  sentirtelo  dire  (3^. 


(i)  Salvatorr  T0MMA8I  (1813-1888)  di  Roccaraso  in  Abruzzo ,  il  ce- 
lebre  fisiologo ;  v.  Tart,  di  J.  Molbschott  ,  S,  Tommast  e  la  rif,  delta 
medicina  in  Italia  nella  N,  Antologia  del  16  ottobre  1890.  L'art.  del  Tom- 
mas!  lul  Dopo  [la  laurea  usd  nel  giomale  H  Morge^pti  da  lui  diretto 
in  forma  di  lettera  al  De  M.;  z868 ,  an.  X,  p.  304.  Ad  alcune  oaserva* 
zioni  di  lai,  il  De  M.  rispose  con  una  lunga  e  briosa  lettera  La  natura 
medicatrice  e  la  storia  delta  medicina  ;  ivl  pp.  550--572  e  nella  Riv,  bO' 
tognese  dell'agosto  z868,  pp.  662-84. 

(a)  PaolottismOf  raxionalismo,  positivispio  ecc.;  lettera  dello  Spavcnta  al 
De  M.  pnbblicata  nella  Rivista  bolognese  del  maggio  1868,  ora  ristam- 
pata  nel  citato  vol.  di  Scritti  filosoficit  pp.  390.314.  Vedi  ivi  la  nota  pre- 
liminare. 

(3)  In  una  breve  awertenza  al  <lettore  ingenuo  e  benevolo  >  die  va 
innanzi  al  a«  vol.  del  libro,  I'autore  dice :  «  Sei  pregato  di  non  laadarti 
pigliare  all'apparenza.  Questo  che  ora  ti  presento  fc,  come  il  luo  com- 
pagno,  un  libro  religioso ,  e  voglimi  pur  credere  ch'  io  sono  sinceramente 
cristiano.  E  ne  rispondono  la  mia  vita,  e  tntti  i  mid  pentieri  >. 


III. 

Bologna,  aa  gennajo  1869. 


Caro  Bertrando, 


Ti  ho  da  dire  che  tu  set  uno  scandaloso;  e  non  ti  me- 
ravigliare  del  termine  da  missionario,  giacch^  io  lo  sono, 
esempre  piCi  me  ne  accorgo,  e  mi  sento  divenire  sempre 
pi^  mistico  e  religioso:  capisci  bene,  alia  mia  maniera,  e  na- 
turalmente  alia  tua.  Ripeto  dunque,  che  sei  uno  scanda- 
loso ,  se  ce  ne  fu  mai  al  mondo ,  perch^  questo  che  stai 
facendo ,  h  uno  scandalo  vero  e  proprio  —  per  lo  meno  ; 
ma  la  parola,  sappilo,  non  rende  tutto  il  mio  pensiero,  che 
h  assai  piu  forte  e  risentito.  Non  mi  hai  pii^  scritto  ad  im- 
mefnorabili,  Che  vuol  dir  questa  cosa?  Niente  di  bello, 
senza  dubbio  ;  ma  a  questo  non  ci  voglio  pensare  io,  e 
aspetto  che  tu  mi  spieghi  quale  h  il  brutto  che  c'  h  sotto  a 
questa  tua  mutria.  Io  sono  stato  moltissime  volte  sul  punto 
di  scriverti;  ma  aspettava  sempre  una  tua  lettera,  giacch^ 
r  ultimo  a  scrivere  sono  stato  io,  e  questo  che  ora  sto  fa- 
cendo, di  tornare  a  scrivere,  ^  un  caso  unico,  una  eccezione 
che  credo  di  non  aver  mai  piu  commessa  in  vita  mia. 

Io  sono  stato  malato ,  e  il  30  d*  agosto  fui  per  morire. 
Settembre  e  mezzo  ottobre  sono  stati  spesi  a  rimettermi  in 
gambe,  e  non  ho  fatto  che  andare  attomo  pel  Veneto.  £ 
t'assicuro  che  ne  ho  ben  vedute  di  belle  cose,  e  ne  ho 
capite  anche  di  piu. 

Poi  mi  sono  dato  a  lavorare  a  furia,  e  mi  sonotrovato 
pii!i  giovane  di  un  anno  dell*  anno  passato.  Dimmi  tu  come 


possa  modare  qoeslo  caso,  che  io  per  me  oon  arrivo  a  tro- 
vmme  la  spiegaziooe. 

Mi  soDo  dato  daoque  a  scribacchiare  il  secondo  volame 
della  Lmmrea't  e  appunto  volevo  scriverti  di  qoesto ,  per- 
chfe  svrei  desiderato  di  toccare  del  boon  Tari;  il  quale  bai 
da  sapere  cbe  scrisse  a  Yittorio  (i)  una  lettera  longhissiiiia 
Delia  quale  si  esprimeva  in  tennim  di  molta  amiciria  a  mio 
rignardo. 

Ma  io  HOD  bo  potuto  compreiKlere  la  sua  filosofia,  che 
tgli  espooeva  in  quella  lettera  -  ardcolo  (a  proposito:  d 
fossi  comicciato  per  le  piccole  castratore  che  fed  all*  ar- 
ticolo  tuo  ?  Ma  non  lagnarti,  percb^  fu  meglio  cost;  altri- 
meoti,  i  paolotti  di  qui  si  sarebbero  scatenati  di  piu.  —  O 
fbrse  per  1*  articolo  di  Sicilian!  ?  Ma  io  cbe  c*  entro,  se  non 
Io  conoscevo  e  non  1'  ho  letto  nemmeno  ora,  e  ho  sapnto 
da  Fiorentino  le  imprudenze  che  d  sono  ?  (2).  Vedi  danque 
che  la  tua  matria — se  h  per  questo  ~  h  assolutamente  senza 
ragioue). 

Io  volevOy  stava  dicendo,  toccare  di  Tari  in  quella  se- 
conda  parte  della  Laurea;  e  volevo  scriverti  perche  mi  fa- 
cessi  capire  in  che  consistesse  la  novxti  e  la  spedaliti  di 
quel  suo  limitismo  (3);  ma  il  tempo  h  passato,   e  Tocca- 


(i)  Vittorio  Imbiiftiii  (1840-1885)  figlio  di  Psolo  Bmilio,  nolo  scrittore 
di  cose  letterarie  e  filosoficbe.  begeliano ,  amicissimo  alio  Spaventa ,  e 
al  De  Meis,  Vedi  le  Omoranxe  a  V.  /.  (Napoli,  Morano,  1887);  G.  Dn. 
GiUDiCB,  y,  I.  ed  alcune  su€  UiUre  itudiU,  Napoli,  1894;  e  ana  gindi- 
ziosa  nota  di  B.  Crocb  agli  Scritti  vavj  del  De  Sanctis,  II,  357.  Vedi 
pore  la  prefazione  di  F.  Tocco  al  vol.  GU  scritti  damtescki  di  V.  I.  PI- 
renze,  Sansoni,  1891. 

(2)  Si  accenna  a  un  art.  di  P.  Siciliani,  GK  htgeliam  m  Italia^  ndla 
Riv.  bologtuse  del  1868,  I.  516-49. 

(3)  Ecco  II  sunto  cbe  il  Tari  stesso  inseii  nel  Rend.  tUlfAcc.  deUeScien^ 
nu>r.  e  polU.  di  Sapoli^  an.  XXI,  genn.  -apr.  1882  pag.  10,  della  primm 
delle  sue  qoattro  lettere  filosoficbe  lette  in  quell' accademia  nella  torn, 
del  20  marzo  '82;  intitolata  appunto  Delia  dotta  ignoranza  e  del  U$miHsmo: 
«  Uno  Scetticismo  dottiinale,  non  esagerato,  ma  contenuto  in  ginsti  ter- 
mini, permette  solo  da  un  lato,  I'aver  fede  in  un  Ideale  Pratico,  cbe 
governi   la  Vita;  e,  dall'  altro   lato,   lascia  libero  il  campo  alia  Sdenza 


az 


sione  ancora.  Adesso  quel  che  h  fatto  e  fatto,  e  il  secondo 
volume  non  ^  solo  finito,  ma  mezzo  stampa»o.  Pure,  se  tu 
me  ne  volessi  dire  una  parola...  ma  tu  sei  uno  scandaloso 
e  percid  non  ne  parliamo. 

Non  h  solamente  la  Laurea  che  6  finita,  ma  anche  un 
altro  piccolo  Hbro  intitolato  Lo  Stato  (i).  L'  ho  terminate 
precisamente  questa  mattina ,  or  ora ;  ed  h  per  ripigliare 
il  fiato  e  ricrearmi  un  poco  che  ti  scrivo,  e  non  per  altro 
motivo;  non  te  ne  lusingare,  perchi  sei  troppo  scandaloso, 
come  ho  avuto  il  piacere  di  dirti  fin  dal  principio.  Que- 
sto  Staio  mi  pare,  al  giro  che  ha,  che  non  deva  esser  ve- 
nuto  tanto  malaccio:  vedrai  e  giudicherai. 

Ho  anche  fatta  la  Prelezione  al  corso  di  questo  anno. 
£  un  opuscolo.  Quando  Salvatore  fu  qua  mi  mostr6  piacere 
di  metterlo  nel  Morgagni  (2).  lo,  dopo  che  1*  ebbi  recitata 
(non  tutta,  uno  squarcio)  all*  University ,  gli  scrissi  che  la 
teneva  a  sua  disposizione.  Non  mi  ha  risposto.  Insomma» 
la  vuole  o  non  la  vuole  ?  Fammi  il  piacere  di  domandar- 
glielo,  e  digli  che  il  soggetto  e  il  titolo  h  delta  tnedicina 
sperimeniaU;  e  che  ho  cercato  la  distinzione   della  buona 


Finita,  onde  s'  informa  e  perfeziona  la  Vita  stessa.  Un  sapere  Totaliiit 
e  non  LcUeralita^  se  fosse  possibile,  nullificherebbe  I'lo  nella  cognizione, 
c  per6  la  cognizione  stessa  in  s^:  cosa  assurda,  poich^  1'  empiria  h  or- 
ganicamente  connessa  al  Reale,  che  adombra;  ed  il  Fiuito  non  lo  si  di- 
stmgge  comprendendolo,  sibbene  si  awiva  riducendolo  ad  Accenno, 
Allusione,  Signi6carione  deir  Infinito.  Questo  porre  semiobbiettivo,  per- 
cbfc  indeclinabilmente  umano  ,  h  ci6  cbe  TA.  chiama  il  Limits  transln- 
ddo  di  ogni  cosdenza ;  e  che  ,  dia!ettizzato  in  Assoluta  Negatttntd  di 
gindizii,  dk  a  risultante,  una  Immantinente  (^)  Trascendenza  dell' Uno 
Sostanziale  nella  evoluzione  di  tre  diadi  logiche,  che  paiongli:  «  II  Nulla 
e  1'  Essere  »  «  I'Apparenza  e  1'  Essenza  »  «  il  Reale  e  la  Nozione  ».  Tra- 
lasciamo  la  discussione  di  esse.  Basti  dire  che  mettono  capo  al  gndthi 
utuUdn  dell'oracolo,  e  conseguentemente  adunasocratlco-kantianaDoTTA 
Ighoranza  >.  —  Si  tratta  insomnia  (salvo  errorel)  di  un  soggettivisaM> 
o  di  uno  scetticismo  temperate  per  il  fondamento  che  gli  si  d4  di  una 
dialettica  metafisica. 

(i)  Fn  pubblicato  nella  RMsta  bologneset  an.  Ill,  sez.  II,  vol.  I. 

(a)  Dove  infatti  fit  pubblicata,  dispensa  marxo-aprile  1869,  an.  XI, 
pp.  161  >89. 


cfae  si  pad  e  si  deve  fare  (e  perch^  non  s'allanni  disii 
cbe  qoesta  h  qaella  che  fa  lai)  dalla  cattiva  cbe  non  e  per- 
inesM>  di  (are  in  nesson  modo.  Glielo  dirai  ?  Da  ono  scan- 
daloso  come  te  non  mi  posso  prometter  niente,  per  coi 
fo  cooto  di  non  aver  domandato  questo  piacere. 

Addio,  salutami  Isabella  e  danimi  un  bado  a  Camillo  e 
a  Blimi. 

Ttto 
Camillo 


IV. 

Bologna,  6aprilc  1869, 

Caro  Bertrando, 

Son  proprio  contento  di  sentire  cosi  bene  awiata  la  tua 
llberazione  dal  Proweditorato,  e  divenuta  a  metii  fatto  com- 
piuto  :  non  puoi  aver  1'  idea  del  piacere  che  mi  fa  questa 
cosa.  Bene ,  proprio  bene.  Da  che  sei  con  quell'  impi^^o 
addosso,  ti  sei  arrenato  e  non  hai  fatto  piu  nulla.  Non  b 
il  tempo  che  ti  ^  mancato,  certo  ;  ma  la  testa,  accaparrata 
dal  miserabili  afikri.  Al  diavolo  duuque  1'  impiego,  e  fa  di 
riguadag^are  il  tempo  perduto. 

Quello  che  mi  tomi  a  dire,  di  questa  seconda  parte  della 
Laurea,  d'averla  mandata  gi£i  d*un  fiato ,  h  tutto  quello 
che  ci  pu6  essere  per  me  di  pi£i  lusinghiero  e  trionfale. 
Capisco  che  per  questo  ci  vuole  uno  come  te,  e  per  due 
gran  ragioni ,  che  tu  puoi  bene  indovinare,  senza  che  io 
te  le  stia  a  dire.  Fo  dunque  una  enorme  tara  al  mio  trionfo; 
ma  il  residuo  h  ancora  per  me  una  cosa  estremamente  pia- 
cevole.  Questa  seconda  parte  ti  avr4  persuaso  che  il  libro 
non  h  scritto  a  caso,  come  hanno  detto,  ma  che  c*  era  una 
unit^  ed  un  disegno,  comunqQe  non  potesse  apparire  dalla 
prima  parte. 

E  hai  detto  bene  che  non  h  una  veste  gittata  addosso  a 
uno  scheletro  o  a  un  manichino,  ma  h  tutto  una  cosa,  tutto 
un'anima ;  perchi  assicurati,  che  delle  confessioni  se  ne  sa- 
ranno  fatte,  e  delle  metafisiche  perfino  (i);  ma  una  piii  sin- 

(i)  Allude  alle  Confessumi  di  am  metafisico  del  ^amiani  (  Fir.  Bar- 
bara 1865). 


cera  e  piCi  completa  h  difficile  che  ce  ne  sia.  E  hai  veduto 
quanta  spensieratezza ,  quanta  festa ,  e  quanta  felicitik  c*  ^ 
dentro  —  almeno  d  dovrcbb'  essere  ?  Questo  accadeva  per- 
ch^ in  questi  due  ultimi  anni»  quando  mi  fu  passato  il  male 
dello  stomaco ,  io  sono  stato  realmente  e  completamente 
felice,  al  punto  da  non  aver  nulla  a  desiderare.  Ma  ades9o 
tutto  questo  h  finito ,  ed  eccomi  caduto  in  una  infelicity 
che  non  pu6  aver  l*eguale.  II  malanno,  di  cui  mi  doleva 
con  te,  quando  ti  scrissi  11  due  o  tre  marzo  passato,  non  era 
altrimenti  1*  emorroidi :  era  invece  il  male  delle  vie  uri- 
narie,  che  dopo  tanto  tempo  s*  6  fieramente  risvegliato  ad 
un  trattOt  e  senza  cagione  asseg^abile  ;  con  questo  di  peg- 
gio»  che  mi  rende  impossibile  lo  stare  a  sedere;  cosa  che 
non  aveva  fatto  mai,  nemmeno  nel  piix  forte  della  tempe- 
sta  dell*altra  volta.  Ed  eccomi  da  un  mese  sacrificato  a  non 
far  nulla,  che  per  me  6  1*  ultimo  grado  della  miseria  e  del 
tormento.  Ed  ecco  il  magnifico  stato  in  cui  ora  mi  ri- 
trovo;  ma  non  farebbe  nulla,  se  almeno  potessi  {M'evederne 
la  fine. 

Ma  parliamo  d'altro.  Poich^  hai  fatto  la  risoluzione  eroica 
di  rileggere  la  Laurea^  fammi  il  piacere  di  notarmi  tutte 
le  difficolt^  e  gli  spropositi  d*ogni  genere  che  ti  verranno 
osservati.  Chi  sa  se  un  giomo  non  star6  meglio,  e  non  avr6 
Toccasione  di  far  la  ristampa.  Non  dir  mai  muori  {never 
say  to  die),  dice  un  proverbio  inglese;  e  cosi  io  voglio  fare. 
Io  ho  una  certa  lusinga  che  quel  libro»  se  sar^  piti  difiuso 
(350  copie  non  si  chiama  una  pubblicazione),  far4  del  bene 
nei  giovani :  ed  b  per  questo  solo,  che  mi  piacerebbe  che 
fosse  ristampato.  Ci  saranno  moltissimi  ai  quali  fari  cattivo 
efifetto  :  qui  ne  sono  rimasto  eccessivamente  screditato, — se 
pure  posso  usare  questa  parola,  quando  il  credito  non  ce 
r  ho  avuto  mai. —  Ma  non  importa :  d  sari  sempre  qual- 
cheduno  che  ne  piglieri  qualchebuona  impresstone;  e  quello 
basta :  a  poco  a  poco.  Nessun  giomale,  n^  di  Bologna  n^ 
d'altrove,   ha  detto  una  parola.  Solo   Bonghi  1'  ha  secca- 


as 

mente  posto  in  nota  fra  le  PubbUcazioni  nuave,  Et  voila 
tout  (i).  £  sta  bene. 

I  Sicilian!  sono  rimasti  molto  commossi  ieri  sera  a  rice- 
vere  i  tuoi  saluti,  eti  sono  molto  grati.  Che  buoni  cuori, 
e  che  gran  giovane  k.  questa  signora  Cesira  (3). 

....  Fa  presto  a  venire,  e  intanto  scrivi :  mezza  pagina 
mi  far^  piu  che  contento.  E  ama  assai  il 

Tuo 
Camillo 


(i)  ViTTOUO  IMBRIANI  ne  fece  una  recensione  nella  Nuova  AtUoUtgia^ 
vol.  IX,  (iuc.  di  tettembre  1868)  pp.  204-5. 

(2)  L»  signora  Cesira  Pozzolini,  moglie  del  prof.  P.  Sicilian!,  distinta 
scrittrice  e  coltissima  gentildonna.  Vive  ora  a  Firenze  nel  ctUto,  pieno  di 
nobil  decoro  ,  del  defunto  marito ,  e  la  saa  casa  di  via  dei  Pilastri  k.  il 
ritrovo  dell'  aristocraxia  dell'  ingegoo  fiorentino. 


APPENDICE 


' 


I)  Discorso  Agli  elettori  della  suapravincia  (i),  pubblicato 
dal  De  Meis  1*8  maggio  1848, 6  uno  de*piii  curiosi  document! 
di  quell*  anno  meniorando.  Incomincia:  «  Cittadini  e  fra- 
telli  I  Voi  mi  avete  eletto  a  rappresentarvi  nel  Parlamento 
Nazionale;  e  il  vostro  voto  6  venuto  a  cercarmi  in  una  so- 
Htudine  dimenticata  ed  oscura.  Rimasto  insino  ad  ora  in 
una  piccola  sfera  di  relazioni  private,  ho  menato  una  vita 
di  affetti  e  di  speranze  in  una  inquieta  e  dolorosa  inazione. 
lo  ho  accompagnato  col  cuore  il  lento  e  tacito  sviluppo 
della  nostra  nazionaliti^,  ho  affrettato  col  desiderio  il  com- 
pimento  dei  destini  d*  Italia,  ma  non  ho  potuto  che  fre- 
mere  e  gemere  in  segreto  dei  mali  che  I'hanno  oppressa 
e  degli  ostacoli  che  ne  hanno  per  tanto  tempo  impedito  il 
risorgimento  e  la  redenzione  dal  giogo  straniero.  £  se 
qualche  piccolo  e  lieve  sforzo  ho  tentato  per  la  liberazione 
della  nostra  patria»  h  stato  pure  in  secreto  per  la  fiera  con- 
dizione  dei  tempi,  quando  la  stessa  ombra  ricopriva  i  de- 
litti  pi£i  obbrobriosi  e  le  piu  generose  azioni.  lo  non  ho 
nemmeno  avuto  Tonore  e  la  gioia  di  patire  per  1*  Italia  ». 
Era  gi^  un  linguaggio  abbastanza  ardito  per  un  deputato 
al  parlamento.  Ma  le  idee  si  vedr4  che  non  lo  erano  meno. 

//  prima  e  piii  essemiale  scope  che  abbiamo  a  raggiun- 
gere  d  V  indipendenza  d^ Italia,  Per  arrivare  all*  unit4?  No; 


(i)  Di  p.  p.  14  in  8;  s.  t.  e  s.  a.  Se  ne  conserva  una  copia  nella  Bi- 
biioteca  Cuomo  di  Napoli. 


30 

il  De  Meis  h  d'avviso  che  «!*  Italia  indipendente  dovri 
per  ora,  e  forse  per  lung^o  tempo  ancora,  costituire  sei, 
owero  piik  tra  monarchie  democratiche  e  repubbliche,  tntte 
strettamente  e  potentemente  riunite  da  una  grande  e  glo- 
riosa  repubblica  federate  ».  ~  Quindi,  prima  di  tutto,  guerra 
nazionale  I  II  parlamento  deve  farla  da  s6 ,  sottraendola 
«  ad  ogni  influenza  antinazionale,  tanto  nella  capitale,  come 
nel  teatro  della  campagna.  II  Parlamento  dovri  nominare 
nel  suo  seno  un  Comitato  di  guerra ,  che  ne  Avrh  la  su- 
prema  direzione  indipendeiitemente  dal  potere  esecutivo. 
Non  i  quesio  al  certo  il  momenio  di  serbare  la  streUa  U- 
galitd;  egli  h  questo  un  istnnte  supremo,  in  cui  si  devono 
assicurare  per  sempre,  e  foidare  le  sorti  della  Penisola ». 
II  De  Meis  concepisce  il  Parlamento  convocato  dal  Re  come 
una  assemblea  costituente.  «  II  Parlamento  Nazionale  h  la 
legg:e  vivente^  h  la  legality  person  ificata,  e  la  sua  missione 
ora  non  k  di  comentare  e  di  combinare  articoli ;  ma  ella 
h  prima  di  liberare  la  Patria  Italiana,  e  poi  di  fondare  lo 
Stato  Italiano  ». 

Vuole  che  la  guerra  sia  sorvegliata  anche  al  campo,  che 
vi  si  mandino  quindi  i  Commissarj  di  guerra  del  Parla- 
mento «i  quali  corrispondano  direttamente  con  la  Camera, 
ed  abbiano  sovrani  poteri  sul  personale  militare  ».  Queste 
proposte  e  propositi  conferiscono  qualche  elemento,  mi 
pare,  alle  spiegazioni  dei  fatti  del  15  maggio. 

II  De  Meis  poi  sosteneva  che  si  avesse  a  riconoscere  l*in- 
dipendenza  della  Sicilia  «  non  per  gli  antichi  e  contrastabili 
suoi  diritti,  ma  per  quelli  che  le  vengono  da  un  fatto  potente 
e  innegabile,  da  un  sentimento  profondo  di  nazionaliti  di- 
stinta,  che  si  h  cambiato  in  fermo  volere,  e  manifestatosi 
con  una  grande  e  gloriosa  rivoluzione  ».  Tanto,  Napoli  e 
Sicilia  non  avrebbero  poi  dovuto  riunirsi  al  resto  d*  Italia 
nella  confederazione  ? 

Ma  il  pill  curioso  per  chi  conobbe  il  De  Meis  dopo  il  '60, 
conservatore  e  moderato  dei  piu  intransigenti ,  h.  il  se- 
guente  brano  di  politica  giovanile.  Cacciato   lo  straniero. 


costituito  lo  Stato,  «  la  mente  italiana  continuer^^  nel  seno 
della  liberty  la  sua  logica  evoluzione.  Tutte  le  opinion!  de^ 
vono  perci6  essere  abbandonate  al  loro  libero  sviluppo  e 
punto  non  devono  essere  impedite  nella  loro  manifesta- 
zione,  comunque  contraria  esser  possa  airattuale  ordine  di 
cose.  Alia  societa  umana  sono  segnati  tanti  progress! ,  e 
sono  prescritte  tante  forme  di  necessario  svolgimento :  la 
Monarchia  assoluta  e  TAristocrazia,  la  Monarchia  costitu- 
zionale  aristocratica  e  la  Monarchia  costituzionale  deraocra- 
tica,  la  Repubblica  politica  e  la  Repubblica  sociale,  e,  chi 
sa,  forse  finalmente  il  Comunismo  puro,  tomba  di  tutti  i 
pregiudizj  umani;  ecco  le  fasi  che  sono  prestabilite  alia  so- 
cieti»  e  che  no!  conosciamo  o  possiam  prevedere  finora: 
le  fasi  ulteriori  son  ricoperte  di  tenebre  impenetrabili.  La 
liberty  ha  la  missione  di  abbreviare  la  successione  di  questi 
periodifCdi  affrettare  ravvenimento  e  il  trionfo  dei  nuovi 
principj  ». 

£  vero  che  il  faturo  moderato  soggiunge :  «  ma  perch6 
ci6  si  concilii  coU*  ordine  e  colla  stabilita  dello  stato»  egli 
h  giusto  che  coloro  i  quali  sentono  in  se  stessi  una  mis- 
sione tanto  iniportante  e  quasi  divina,  si  liniitino  all*  uso 
della  parola,  ma  si  astengano  da  ogni  via  di  fatto  ».  Tut- 
tavia,  V*  era  piu  del  necessario  per  fare  dello  scrittore  un 
propugnatore  della  rivoluzione,  da  essere  ben  tenuto  d*oc- 
chio  dal  Governo.  Anche  il  comunismo  !  Altro  che  le  idee 
progressist  poi  tanto  rimproverate  dal  De  Meis  al  suo  De 
Sanctis  !  —  "Sh  ammetteva  un  Senato  di  nomina  regia.  «  O 
I'altra  Camera  punto  non  dovra  esistere,  o  se  vorrA  con- 
servarsi,  dovr^  sempre,  come  Taltra,  uscire  dal  principio 
elettivo:  perch^  il  Popolo  h  la  sorgente  unica  da  cui  ema- 
nano  tutti  i  poteri ,  ogni  altro  potere  h  illegittimo »  e  la 
Camera  non  potrebbe  riconoscerlo  ». 

Queste  intemperanze  bastano  a  farci  capire  perch^  un  de- 
creto  del  giugno  1848  destituiva  il  De  Meis  dal  suo  ufficio 
di  Rettore  del  Collegio  Medico;  ma  sono  le  intemperanze 
caratteristiche   del  liberalismo  napoletano  del  quarantotto, 


3* 

che  attendevano  gli  ammaestramenti   delle  sventure  del- 
I'anno  seguente. 

Del  resto,  il  Nostro  si  pregiudic6  ben  altrimenti  che  con 
questo  discorso  elettorale.  II  suo  nome  trovasi  fra  i  firmatarj 
{h  il  decimo)  delta  famosa  Protesia  sottoscritta  da!  deputati 
napoletani  in  Monteoliveto  la  sera  del  15  maggio.  Nella 
requisitoria  del  Procuratore  generale  Filippo  Angelillo, 
del  31  maggio  1851,  il  De  Meis  ritrovasi  fra  i  331  citta- 
dini  imputati  «  di  cospirazione  e  di  attentate  contro  la 
sicurezza  pubblica  interna  dello  Stato  nel  fine  di  distrug- 
gere  e  cambiare  la  forma  govemativa,  ed  eccitare  i  sud- 
diti  e  gli  abitanti  del  Regno  ad  armarsi  contro  1'  autoriti 
Reale;  nonch^  di  avere  con  effetti  eccitata  la  guerra  civile 
fra  gli  abitanti  della  stessa  popolazione  (sic)i  reati  consu- 
mati  nella  capitale  il  giomo  15  maggio  1848  (i)  ».  Ma 
TAngelillo,  considerando  che  gli  elementi  di  pruova  pel 
sopradetto  reato  a  carico  del  De  Meis  e  di  altri  imputati 
assenti ,  potevan  essere  meglio  valulati  nella  loro  indole 
ed  effeltivo  valore  alP  esito  del  giudizio  a  carico  di  Sa- 
verio  Barbarisi  e  degli  altri  rei  presenti,  (fra  cui  Silvio 
Spaventa)  accusati  altresi,  di  detenziofie  di  carte  criminose 
per  guisa  che  nel  di  loro  rapporto  si  rende  utile  riservare 
le  prowidenze  dopo  il  compimento  del  suddetlo  giudizio^ 
proponeva  che  si  prendesse  appunto  questo  partito  di  ri- 
servare le  prowidenze  sul  conto  del  De  Meise  compagni. 
Proposta  accettata  dalla  Gran  Corte  con  sentenza  del  7 
giugno  1851  (2). 


(i)  RgquisUoria  ed  attt  di  accusa  del  P.  MMisttro  presso  la  G,  Corte 
Criminale  e  speciaU  di  NapoK  etc.  nella  causa  degH  awenimenii  poH- 
tici  del  IS  maggio  1848,  Napoli,  Fibreno,  1851,  p.  15. 

(2)  Vedi  M  pp.  45t  84*  86*  ^  cfr.  <  Quadro  degli  impuUti  dei  reati 
politid  del  15  maggio  1848  in  Napoli  co'  riBultanetiti  dei  rispettivi  giu  • 
dizj  >•  n.  190,  in  Decisione  della  G,  Corte  speciale  di  NafoU  nel  giudi- 
zio ecc.t  Napoli,  Fibreno,  1852  pp.  82-3. 


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CIHO  DA  PISTOIA" 


AMORE  ED  ESILIO 


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DOTT.  ALBERTO  CORBELLINl 


^^Sfcjt^^ 


Tipografla  del  c  Corriere  Ticinese  » 


r 


^■•)ll!^.^X'^l'i{i!i)T' 


Propriety  Letteraria 


©^  nua    moane 


Nelle  umili  pagine  die  ti  presento,  o  mia  diletta,  to 
parlo  di  ineffabili  dolori  che  tu,  nelVaere  sereno  del  no- 
stro  affetto,  non  sospettasti  mat;  pur  tu,  che  hai  inteU 
letto  d^amore,  nelVaccoglierle  benifftiamente,  dimmi  se 
una  larva  angelica,  accarezzafa  nello  spirito  esfasiato, 
picd  ispirare  i  piii  soavi  e  i  piii  angosciosi  canti  d'amore. 


n  tuo 
Alberto. 


1 


I. 


.s'S^     cJon/uv    cuta^uccUci/i 


Qaesto  mio  stadio  rigaarda  un  solo  periodo  della 
vita  di  Cino  da  Pistoia;  gli  anni  dell'amore,  non  brevi 
b6  determioati,  ma  perduti  in  un  labirinto  di  congetture 
e  di  contraddizioni.  A  c[uesto  propoaito,  le  rime  sono 
il  miglior  documento;  ma,  come  fa  g\h  osservato,  Cino 
non  ci  ha  lasciato  la  storia  intima  della  passione  sua, 
come  Dante  nella  Vita  Nuova,  o  come  il  Petrarca  che 
deiramor  suo  ci  ha  descritto  i  pid  minuti  particolari: 
perci6  gli  accenni  sui  quali  si  possa  Air  assegnamento 
per  riconnetterli  a  fatti  storici,  sono  pochissimi,  oscuri 
e  dagli  studiosi  del  poeta  o  non  avvertiti  o  male  inter- 
pretati. 

Ma  la  vita  di  Cino,  che  tutte  le  sue  sventure  dovette 
allecrudeli  condizioni  della  patria,  deve  esser  stud  lata 
anche  in  relazione  alia  storia  contemporanea  di  Pistoia, 
dalla  quale  non  6  possibile  far  astrazione  per  intendere 
alcuni  passi  delle  rime  e  per  trovare  la  causa  deter- 
minante  di  alcuni  atti  della  sua  vita. 

Le  conclusioni  a  cui  verr6,  suppongono  la  reale  esi- 
stenza  di  Selvaggia  e  la  sua  identificazione  con  la  figJia 
di  Filippo  Yergiolesi ,  non  importa  se  propriamente 
quella  che  and6  sposa  al  Focaccia,  o  megiio  Fup:acia, 
come  risulta  da  un  documento  pubblicato  dalio  Zdeka- 
uerO),  della  famiglia  dei  Cancel lieri.  La  dimostrazione 


(1)  SttKii  pistoiesi.  I.  Fooacola.  dei  CanoelUeri* 


6 


della  esistenza  di  Selvaggia,  contro  il  Bartoli  che  voile 
infirmarla,  Ai  gi&  tentata  da  altri,  0)  d6  io  ripeterd 
cose  g\k  dette.  Per6  nessuno ,  ch*  io  sappia ,  ha  dime- 
strato  che  nulla  nel  Ganzoniere  di  Glno  autorizza  a 
pensare  a  una  donna-angiolo^  che  nulla  ci  parla  in  esse 
di  questa  idealiU  o  essere  astratto,  spirito,  alito,  soffio: 
che  la  donna  angelicata,  il  fantasma  d'amore  di  Gino, 
6  esse  stesso  un  fantasma  del  forte  intelletto  che  Tha 
concepito. 

Ghi  si  leva  oggi  a  dimostrarlo,  tardi  si  muove;  pure, 
poichdancor  oggi*moIti  accolgonoi  risultati  di  questa 
tesi,  io  dedicher6  poche  pagine^  contraddirla,  affinch6 
non  sembrlno  campate  in  aria  le  conclusion!  a  cui  io 
verr6  intorno  a  Gino  da  Pistoia. 

■ 

Alia  ricostruzione  dell'  amore  di  Gino  per  Selvaggia, 
quale  appare  dalle  rime,  riconnettendolo  ad  alcuni  fatti 
storici,  far6  precedere  la  dimostrazione  che  quella  pre- 
tesa  fungaia  di  amori,  puUulanti  a  ogni  passo  dalle  rime, 
d  frutto  in  gran  parte  di  errata  interpretazione. 

Ghi  abbia  appena  lotto  le  rime  dello  sventurato 
amante  ptstoiese  non  pu6  non  osservare  che  tutto  Ta- 
mer suo  6  tessuto  di  ripulse  e  di  infelicity;  iidWoscuro 
profando  delle  sue  pene  (^)  non  un  raggio  di  speranza 
gli.rifulge,dacch^  Selvaggia  si  6  accorta  delTamor  suo. 
Or  fu  ben  osservato  che  Selvaggia  appare  donna  sde- 
gaosa,  flora  del  suo  orgoglio,  che  incute  timore  aira« 
mante;e  fu  egregiamente  notato  che  quella  di  Gino  6 
storia  d'amor  triste  e  sventurato  nei  giorni  nefasti 
delle  stragi  di  parte.  Ma  fu  pur  detto,  malamente  ar- 
chitettando  coUa  miglior  buona  fede  del  mondo,  che 
Gino  dope  (a  partenza  forzata  o  volootaria  da  Pistoia 
—  partenza  che  si  riannoda  coUa  questione  deiresilio  — 
81  rifugiasse  nel  castello  di  Piteocio  presso  i  Yergiolesi 


(1)  U,  Nouola:  Selvaggia,,  Yergiolesi 'ecc,  Bergamo,  1889. 

(2)  Cino :  CAnf . ;  ]>•%  po*  m'hal  degnato. 


<  e  per  ricovrarst  in  sicoro,  e  per  la  stretta  amicizia 
con  quella  famiglia  a  motive  delta  amorosa  sua  passione 
per  Madonna  Selvaggia,  figliuola  di  Filippo  »  (i).  Cosi 
la  pensano  dal  p\\k  al  meno  tutti  i  biograS  del  poeta; 
e  oosU  essendovi  un  lasso  di  tempo  nella  vita  sua,  tra 
il  1301  e  il  1307,  in  cui  non  sihapiU  notizia  di  lui  (cosa 
ched'altronde  dimostreremo  non  precisamente  e^atta), 
se  ne  inferisce  che  egli  «  si  era  ritirato  in  Plstoia 
presso  la  sua  Selvaggia  del  Yergiolesi,  cercando  dj  di- 
menticare  col  sue  amore  le  terribiii  lotte  municipal!,  e 
le  stragi  che  turbavano  questa  fiera  citt^  »  ^). 

Niente  di  pid  inesatto  e  di  piji  illogico,  percb6  viene 
contraddetto  a  ogni  momento  dalle  rime  del  poe^a^ 
Selvaggia  non  6  Tamante  affettuosa^  non  T  arnica,  non 
la  donna  contegnosa  nella  sua  onest^  verso  V  innamo- ' 
rate :  queU'anima  feroce  e  disdegnosa  (3),  lo  cui  grande 
orgoglio  ha  sempre  assalito  il  poeta  con  spietanza  e 
con  tetnpesta ,  non  solo  non  lo  ama ,  non  *  solo  sente 
freddezza  o  repulsione  per  lui ,  non  6  solamente  un . 
duro  monte^^)^  madia  nemica,  la  terribjle.  partigiana 
che  odia  il  cittadino  appartenente,  almeno  p^r  aderenze, 
alia  fazione  avversa,  11  Sinibuidi,  il  nemico  sue  aborrito. 

11  poeta  stesso  ci  dice  che  6  il  suo  nome  che  gli 
porta  la  maledizione  dell*  odio  di  Selvaggia : 

Uomo,  lo  cui  nome  per  eiTetto 
,    Importa  povertii  di  gioi'  d*  Amore,  (5) 

E  aItrove>  nella  canzone  <  lo  non  posso  celar  il  mio 
dolore  > ,  canzone  <  assemplata  di  lagrime  » ,  il  poeta 
invita  i  versi  suoi  a  recarsi  da  quella  donna  amata: 

Tu  vedrai,  solo  al  nome,  s'a  lei  piace 
Quel  che  (essa)  delFaltra  mia  persona  £a.ce, 


^J)  Ciampi:  Vita  e  poesie  di  Messer  Cino  —  Pisa,  1813;  pag.  SI. 

(2)  L.  Ohiappelli:  Vita  e  op.  giur.  di  GIqo  da  Pisioia    -r   Pistoia,  1881  ; 
pag.  89. 

(3)  Cino»  Son. :  Voi  che  per  nuova  vista  di  feresza. 

(4)  Cino^  Son. :  Carcaado  di  trovar  lui^era  in  oro. 

(5)  Cino !  Son.  che  comincia  cosI, 


8  .. 

^ I ■__  _     -     ^     ^       '         .— ^ — ^^^^ 

o,  se  meglio  preferiscesi  la  lezione  del   Chigiano : 

Ta  yedrai  solo  al  nome  cb'  allei  spiaoe 
Quel  che  dell*altra  mia  persona  face, 

do?«  U  Fanfani  interpreta:  <  Daireffetto  che  vedrai 
far  sa  lei  il  ricordarle  il  mio  nome,  ti  accorgerai  che 
fltima  faccia  del  rimanente  della  mia  persona  ». 

-  E  qai  parmi  non  inopportune  riferire  i  seguenti 
yersi  della  strofa  seconda  della  canzone  <  Lo  gran  disio 
che  mi  stringe  cotanto  »: 

. . .  io  fine ;  e  vol  credete  a  tal  parola 
Gh'^  s\  come  una  sola, 
^  Che  mbrto  ^  quel,  cui  '1  nome  or  vi  dUdegna  (M 

II  che  signiflca,  se  vedo  lume  nel  periodo  sgrammati^ 
cato:  €  io  mi  coosumo  nel  dolore  »,  e  yoi  credete  a  tal 
parola,  la  quale  6  tutt*  una  cosa  col  dire :  6  morto  colui 
.il  cui  solo  nome  oggi  yi  muoye  a  sdegno,  perchd  la 
morte  seguir^  in  breye. 

Bastino  ora  questi  semplici  accenni :  io  mi  propongo 
di  dimostrare  a  suo  tempo  che  Gino  da  Pistoia  appar- 
tenne,  almeno  per  aderenze,  alia  parte  Nera,  cio6  alia 
fazione  contraria  ai  Vergiolesi,  che  erano  capi  dei  Bian^ 
chiJ 

Mi  proyer6  da  ultimo  a  sciogliere  alcune  question! 
intorno  air  esilio  di  Cino ;  e ,  trattando  della  morte  dl 
Selyaggia,  ayyenuta  alia  Sambuca  —  castello  della  mon* 
tagna  pistoiese,  doye  Tesule  Filippo  Vergiolesi  si  era 
rifugiato  oolla  figlia  —  dope  il  1307,  come  accenna  Pan- 
dolfo  Arfaruoli  (^ ,  prover6  che  gli  argomenti  (3)  ad- 
tlotti  dai  biografl,  che  yorrebbero  in&rmare  Tattendi- 
bilit&  di  tale  notizia,  sono  iiifondati. 


(1)  La  letione  ^resente  dl  quest*  QlUmo  verso  6  del  Ciampi,  e  parmi  pr«- 
feribile,  nella  soa  evideDte  tgrammaticatara,  airaltra  sensa  sense : 

Che  *1  mode  d  qael  ohe  gli  non  vi  disdegna.  (Fanfani). 

(2)  Kotliie  riguardantl  la  yita  di  Cino  ecc.  y.  in  ChiappelU  op. 
,oit.  Documento  Xy,  pag.  99.  . 

(3)  y.  il  oommiato  della  Odnt.   «  Lo  gran  disio  che  mi  puoge  cotanto  ». 


Bissi  che  11  mio  lavoro  presuppoBo  la  reale  etistenza 
di  Selvagg'a;  e  11  mio  modesto  edfflsio  crollerebbe 
qaando  si  provasse  che  Selvaggia  non  b  esistita. 

E  Doto  come  snblto  dopo  che  il  dottor  Luigi  Chiap- 
pellt  ebbe  pobblicato  11  sao  pregevolissimo  lavoro 
«  Vita  e  opera  giaiidioho  >,  di  Cino,  Adolfo  Bar- 
toli ,  nef  quarto  yolome  della  ana  Storia  deUa  lettera- 
tut*a  itcUiana^  gianse  a  conclusionit  intorno  la  doona 
di  Giao,  precisamente  contrarie  a  quelle  prima  accotte 
dagli  studiosi  del  poeta.  Egli  non  aoto  neg6  che  la  Sel- 
Taggia  di  Gino  potesae  essere  Selvaggia  Yergiolesi ;  af- 
fenn6  pore  che  in  mezzo  a  tatte  le  donne  amaie  da  Gino, 
«  non  6  lecito  nemmeno  dire  che  Selvaggia  tenga  11 
prime  loogo  »  (i)«  Disse  di  pift :  <  Ignoriamo  se  ci  sieno 
poesie  acritie  per  nna  donna  sola,  o  se  tntie  collettiTa- 
mente  non  abbiano  ispirato  il  poeta^  yagheg^^iatore  di 
nna  bellezza  anica ,  diviaa  in  tanti  esseri  amati  >  ^. 
Dal  dir  questo  al  sostenere  che  in  Gino ,  che  canta  la 
paurosa  Dea,  il  reale  aembra  aflatto  dilegnato,  che  i 
yerai  d*amore  ai  dlrebbero  allocinazioni  asceticbe,  che 
nella  ana  poeaia  non  hayyi  nulla  di  nmano «  non  pas* 
skme  che  acoota  le  fibre,  ma  on  longo  lamento  che 


0)  Bartofi  —  81.  l«tt.  iuX^  t.  VT.  ysf .  101. 
<Q  Bart»&  '  St.  kU.  iul«  t.  HT.  f«g.  91. 


10 


dairanima  del  poeta  si  elera  ad  iia  essere  yagheggiato 
dalla  saa  meQte,  non  c*6  che  an  passo.  Le  parole  se- 
gaeati  siotetizzaDO  il  peosiero  di  Adolfo  Bartoli :  c  Gli 
amori  terreoi  dod  lasciano  dubbio  iotorao  alia  lore  ua- 
iara.  Noi  dod  sappiamo ,  oggi ,  chi  fosse  la  merla  o  la 
BologDese  o  Teccia  o  la  Pisaaa;  ma  seotiamo  sobito 
che  dietro  que*  nomi  si  nasconde  una  realU «...  lavece 
che  cosa  poiisiamo  raccogliere  della  donoa-aDgelo  f  G*6 
Id  tutto  il  caozooiere  del  gran  p  stoiese  an  solo  date 
di  fatto  per  istabilire  che  essa  fosse  persona  reale?  C*6 
almeoo  la  prova  che  la  dea  ispiratrice  di  cosl  alti  vers! 
corrifpoodedse  all*  amore  del  sao  poeta?  Nemmeno 
questo.  L*aogelo  era  aozi  una  duona  senza  piet^ .  •  .  . 
la  donnaoangelo  era  beatrice,  ma  doveva  essere  anche 
selvaggla  •  .  »  . 

Per  giaogere  a  queste  conclusioni,  il  Bartoli  aveva 
dovuto  demolire  tutto  qaanto  da  secoli  si  era  venato 
diceado  intoroo  alia  donna  di  Cino  ,  aveva  dovnto  di- 
struggere  la  tradizione  di  una  reale  donna  dal  c  doro 
cor  d*ogni  mercd  avaro .  .  ,  bella  e  crudele  —  d'amor 
selvaggia  e  di  piet&  nemica  > ,  per  sostituirvi  un  es- 
sere mistico,  vaporoso,  una  ideality  trascendente,  de- 
stinata  a  svanire,  come  Tedifizio  del  Bartoli  architet- 
tato  Delia  sua  splendida  ricostruzione  critica. 

Ma  qui  mi  si  permetta  di  notare  che  lo  stesso  suo 
giudizio  sulla  poesia  di  Cino  6  fondamentalmente  er- 
rato:  «  La  poesia  h  alta  e  soave,  6  quasi  una  musica 
sacra,  un  gemito  d*organo  nolle  grandi  e  solenni  na- 
vato  d*  una  cattedrale  del  medio  evo  >.  Ma  questa  6  la 
pace,  ma  questa  6  la  solenne  sacra  serenity  del  tem- 
pio  I  No ,  no !  La  poesia  di  Cino  6  un  gemer  lungo , 
un  canto  disperato ,  non  nella  severity  di  una  catte- 
drale ,  ma  in  un  regno  di  demoni ,  in  mezzo  ad  una  ridda 
scapigUata  e  cruenta  di  forsennati,  di  gente  crudele  di 
sd  stessa  e  dispietata.  II  dolore  di  Cino  6  il  dolore  n- 
mano,  e  tutta  la  gamma  delle  passioni  6  nelle  sue  rime 


n 


ritratta:  speranza  e  disperanza,  gioia  e  dolore,  <i)  ribel- 
lione  e  rimorso;  crudelt^  e  pieih,  amore  e  odio,  ideality 
e  sensuality,  yoIutU  della  vita  e  della  morte;  e  la  sua 
donna  6  essa  stessa  amore  e  odio»  vita  e  morte,  (^) 
luce  e  tenebre ,  amata  o  nemica ;  e  chi  presume  di 
creare  una  donna  angelicata,  raccogliendo  pochi  vers! 
qua  e  1^,  sapientemente  combinandoli  e  dando  una  co- 
moda  interpretazione,  fa  tutt*  al  pid  quel  corpo  ammi- 
rando  cui  voile  plasmare  Pigmalione ,  ma  cui  manca  la 
potenza  vivificatrice  della  Dea. 

Chi  voglia  confutare  le  opinion!  espresso  daAdoIfo 
Bartoli  deve  propers!  un  duplice  assunto: 

1)  dimostrare  che  le  rime  di  Cino  rivelano  un 
amore  reale  inspirato  da  donna  vissuta  in  carne  ed 
ossa,  da  un  essere,  chiunque  ella  fosse ,  umano ;  fare , 
insomma,  la  controdimostrazione  della  donna  angelicata. 

2)  dimostrare  che  la  donna  cantata  nella  mag- 
gior  parte  delle  rime  6  Selvaggia  Yergiolesi. 

Al  secondo  di  quest!  quesiti  hanno  anticipatamente 
e  implicitamente  risposto  tutti  colore  che  si  sono  oc- 
cupati  di  Oino ,  dall*  Arfaruoli  in  qua,  e  di  proposito, 
per  confutare  il  Bartoli,  Umberto  Nottola ;  P)  al  primo, 
ch'io  sappia,  non  ha  risposto  nessuno. 

Quantunque  io  non  consenta  sempre  nolle  argomen- 
tazioni  bene  spesso  acute  del  Nottola  —  per  esempio, 
laddove  si  sforza  di  provare  a  ogni  costo  rattendibilit^ 
deirArfaruoli  che  appare  oramai  scossa  in  troppi  punti, 
come  per  ci6  che  riguarda  Tamore  a  una  tal  donna 
Marchesina  Malaspina,  in  cui  lavora  di  fantasia  sulle 
rime,  e  per  ci6  che  riguarda  il  dottorato,  impeditogli 
la  prima  volta  che  egli  lo  chiese  (cosa  affermata  bensi 
dal  Papadopoli  centre  il  Panciroli,  sulla  fede  del  Por- 


(\)  Cino  —  Son  05 ;  ediz.  Fanfani  .*  Onde  ne  vienL  Amor,  coal  toave. 
(t)  Cino  —  Son*  151 :    «  Non  chlamo  gik  Donna^  ma  Morto  —  qoeUa  ch« 
altrui  per  ser^itore  accoglie  —  e  poi  gabbaodo  e  sdegaando  I'ucoide  >• 
(3)  Selvaggia  Vergiolesi,  Studio  di  Ui^berto  Nottola^  Bergamo,  1S89L 


12 


cellioo,  dal  Pigaorio  e  del  Salomooio,  ma  Degata  da  tutti 
i  critici  odierai  unanimemeDte),  e  par  rispetto  ad 
altra  aflermazione  di  cui  m*intratterr6  altrove  —  pure 
sembrami  dimosiraia  la  reale  esistenza  di  Selvaggia^ 
per  quanto^  come  dlr6  in  seguito,  anche  11  Nottola 
noa  sappia  dare  uua  plausibile  spiegaziooe  del  sonetto 
su  cui  si  ba«a  gran  parte  deirediQcio  sue,  <  Lasso: 
pensando  alia  distrutta  valle  »  e  ia  ispecial  modo  della 
aecoDda  terzioa,  8u  cui  furono  imbastite  pagine  molte, 
sempre,  se  vedo  lume,  contro  il  senso  comuae  (^)« 

A  parte  duaque,  la  reale  esisteoza  di  Selvaggia, 
resta  a  dimostrare  che  le  rime  di  Gino,  le  piti  belle, 
quelle,  che  lo  fanoo  degoo  di  essere  coUocato  tra 
i  pid  alti  poeti  deiramore  e  del  dolore,  aozi  tutte 
le  rime  sue,  noa  hanno  nulla  a  che  vedere  co}r  essei^ 
aereo  dipinto  dal  Bartoli. 

E  aozitutto,  impariamo  a  coaoscerla,  questa  donna 
vagheggiata  nella  mente,  quasi  in  sogno,  in  un^eatasi, 
in  un  rapimento;  esamioiano  qitesto  qualche  cosa  d*i- 
dealizzato,  questa  parveuza,  spirito,  alito,  sofflo:  puiE> 
essere  che  nelle  nostre  mani  la  parveoza  prenda  forma 
e  sostanza,  si  rivesta  di  came  ed  o$sa  e  si  faccia  donna 
irradiata  di  sovrana  bellezza,  dalla  luce  dei  piii  begli 
occhi  che  lucesser  mai  e  dairafietto  iueffabile  del  poeta; 
pu6  essere  che  la  Santa,  la  Yergine,  essa  circonfuaa  41 
luce,  simbolo  di  ogni  cosa  bella  e  divina,  scenda  dal- 
Taltare  su  cui  il  critico  del  secolo  XIX  con  Tardi- 
mento  del  genio  Tha  coUocata  in  una  bella  creaziooe 
artistica,  e  diventi  la  donua  cui  le  passioni  umane  fan 
bella  0  brutta,  indiata  o  maledetta. 


La  donna  augelicata  6  una  di  quelle  tanle  che  il 
Bartoli  erode  di  scorgere  chiaramente  nelle  rime  del 

(1)  Nottola  —  op.  cit.  pag.  88. 


13 


Dostro  meusimtis  amaior  f  £  queHa  cui  il  Bartoli  nega 
ri  chiamastfe  realmente  Belvaggia?£  la  doijDa  beatriee 
del  i^ao  oaore ,  alia  quale  allude  nel  soneito  a  Daute 
<  NoyellameDie  amor  mi  giura  e  dice  >,  a6  quella  per 
cui  Gfaerarduccio  GaFisendi  lo  chiama  «cttoryano,  di- 
sctolto  e  lasclvo  »  <^)  06- la  bella  Pisana  dalla  bionda 
treccia^»  0  6  la  Teceia  <3),  0  un'altra  donua  dalle  treccie 
bionde,  o  quella  dalle  aere  (^>^,  0  6  la  oscura  velata,  in 
un  ammanto  negro,  0  '6  la  doaoa  cantata  nei  yersi 
d*amore  corrlsposto,  0  quella  dai  versi  in  cui  eombat- 
tone  la  speranza  e  11  timore,  0  quella  da  cui,  fatta  sposa 
d'un  altro,  rinnamorato  attende  11  compenso  lungamente 
aspettato,  0  6  la  bella  bolognese  ^^^  0  qnelia  che  pare 
sia  stata  prima  buona  e  pietosa  e  poi  Tabbia  ingannato 
e  deriso  ^%  0  j&  la  fante  piacente  in  cera  C') ,  0  6  celei 
che  gli  6  cara  <  sol  di  stare  alia  finestra  »  (^)?  £  chi  piti 
ae  ha,  piCi  ne  meiia,  pereh6  il  Bartoli,  di  ogni  poesia 
£a  un  amore,  quando  non  ne  fa  addirittura  due,  come 
del  sonetto  <  A  mio  parer  non  6  chi  *n  Pisa  pprti,  » 
da  cui  per  una  bizzarra  interpreta^ione  si  evocano  due 
donne.  <•> 

No:  Selyaggia  non  6  la  donna  angelica ta>  poich6 
Selyaggia,  afferma  il  BartoU>  d  un  nome  conyenzionale. 


(1)  Rtma  di  Cinq,  date,  in  luo6  da  B    P.  Fauptioo  Taiso,  yunecia  1S89 

pag.  1U« 

{%)  Cino  •*  Sonetto:  «  Al  mio  parer  non  h  chi  *n  Pisa  porti. 

(3)  Ivi. 

(4)  Cino  —  Sonetto :  *  Per  una  meria  che  d'intorno  al  ToUa  ». 
fb)  Cipo  —  Son*  «  0  lasso!  cbio  credea  trovar  p^etade  »• 

(Oy  Cino  — >  Son.  «  Chi  a  falsi  s^mbianti  il  core  arrisca  ». 
(7)  Oino  —  Son.  «  Lasso  ch*fo  feci  una  vesta  diamante  »• 
(6)  C|no  <—  8on»  «  Lo  flno  amor  corteso  chiama e^tra  >• 
(9)  II  passo  h  questo: « lo  non  dir&  tjael  che  veder  Vft\  parya  —  del  cava  • 
lier  ardito  dalla  treccia,  —  se  non  ch'io  porto  nella  mente  Teccia  »  dove  11 
Bartoli  interpreta:  «  Fortnna  che  sono  innamorato  di  Teccia,  se  no  m*inva- 
ghirei  della  Pisana  ».  No,  qui  il  sense  6  chiaro :  lo  non  vl  decanter6  altri- 
menti  le  virtd  di  questa  bella  dalle  treccie  blonde,  se  non  col  dirvi  che  porte 
nella  niente  Tecoia. 


14 


sotto  11  quale  possono  essersi  nascoste  anche  pii^  donae 
successivamente  <^).  Dunqne  chi  6  il  fantaslna,  Tessere. 
Tago,  evanesceDte,  astratto  ?  Esso,  diciamolo  subito,  non 
6  nessuDa  delle  donae  suaccennate;  quelle  hanno  avuto 
Tlta  e  corpo,  furcno  desiderate,  anelale,  amate  coIi*ar- 
dore  dello  spirito  e  del  sensi;  c  dietro  a  quel  nomisi 
nasconde  una  realty :  tra  Gino  e  quella  donna  sentiamo, 
dai  suoi  versi»  che  ci  furono  jntimi  legami.  »  (^) 

£  dunque  un'astrazione  para,  ua*aliacinazione,  una 
parvenza,  una  coucretizzazione  di  un  pensiero  sogget- 
ti?o,  un*  idea  a  cui  assorge  lo  spirito  assetato,  ma  noo 
raggiungibile?  Non  propriamente  cos):  <  Pu6  essere 
che  una  figura  di  donna  reale  lampeggiasse  negli  occbi 
del  poeta;  ma  quella  forma  terrena  si  assottigliava  in 
idealitii,  vaniva  in  un  essere  astratto,  a  cui  restava 
quasi  nulla  di  umano.  >  (3) 

Tale  TAngelo  dinanzi  a  cui  Tasceta  deiramore,  s*ia- 
ginocchia,  Tessere  impalpabile  a  cui  il  poeta  indirizza 
i  versi  della  sua  ideality  mistica. 


Determinate  il  pensiero  bartoliano,  facciamoci  una 
domanda:  Quali  sono  i  versi  dalle  penombre  vagbe, 
dalle  sfiimature  e  trasparenze^  dove  non  appaiono  che 
i  contomi  di  tin  corpo  e  le  ali  di  un  cherubino  f  Quali 
son  le  rime  che  cantano  la  donna  angelicata?  II  Bar- 
toll  ci  ha  bensl  fatto  uno  schizzo  di  essa ,  ma  non  ci 
ha  flssato  nettamente  i  criteri  per  distinguere  le  rime 
del  concepimento  mistico  da  quelle  dell*  amore  reale , 
nobile  o  basso ,  ideale  o  sensuale ;  e  sarebbe  state  ne^ 
cessario,  perch^,  date  anche  che  quelle  esistano,  troppo 
spesso  troToremo  che  si  qonfondono  con  queste. 


(\)  Bartoli  —  Opera  citata,  pag.  100,  nota  I. 
(V  Ivi  —  pag.  IK. 
r^  iTi  -  pag.  19. 


15 


Pare  ci  6  logfcAmente  data  di  fissare  i  segnenti  ca* 
pisaldi : 

1.  Non  abbiamo  diritto  di  pensare  a  ud  essere  aereo  ' 
o  fantastico,  tat{e  le  volte  che  accanto  at  concetto  di 
angeld^  sia  pure  espresso  ia  tutte  le  forme  possibili , 
apparisca  un  nome  particolare  di  doona  che  rappreseati 
iin  essere  amato  ia  carne  ed  ossa. 

H.  Noa  peaseremo  a  larve  e  a  faatasmi  dell'  a- 
inore  tutte  le  volte  che  accaato  a  que*  fragraati  fieri 
del  penaiero/  oade  tutti  gli  innamorati  amano  d*  inco- 
ronare  le  lore  belle,  come  angelo,  angelo  di  Dio»  an- 
gelica SgavB,  si.  trovi  I*  espressione  delle  passion!  piii 
umane  e  piji  sentite. 

3.  La  donna,  angelo,  per  determinazione  del  Bar- 
ioli  (vol.  IV,  pag.  112)  deve  essere  seo^a  piet&r  c  L' i- 
dealit&  mistica  delTamore  cantato  dal  poetadoveva  ri- 
manere  inaccessibile  ad  ogni  preghiera  mortale ,  non 
poteva  piegarsi  ai  voti  deir  amante  senza  distruggere 
s6  stessa  ».  Ne  consegue  che,  se  ci  troviamo  di  fronte 
ad  una  donila  pietosa,  essa  non  6  pii^  angelo ,  perch6 , 
per  defi.nizione,  la  donna  angelo  deve  essere  spietata. 
Gi6  posto,  io  dichiaro  che  qualunque  pin  diligente 
studioso  trovi ,  leggendo  senza  preconcetti  le  rime  di 
Gino,  una  dozzina  di  passi  in  cui  la  donna  appaia  pa- 
ragonata  ad  angeli  o  a  cose  celesti>  6  buon  indagatore, 
e  mi  sforzer6  di  provare.che  e  questi  e  quegli  altri 
con  cui  il-Bartoli  crea  «  queiressere  che  oltrepassa 
ogni  confine  umano  e  che  va  a  nascondere  il  capo  tra 
le  nuvole  d'oro  che  circondano  il  trono  di  Dio  »  (Bartoli, 
pag.  ID),  sono  element!  raccogliticci ,  posticci ,  messi 
bellamente  insieme  per  mirabile  magistero  di  mosaico. 


• « 


Certi  fenomeni  psichici,  come  T  astrazione  di  tutte 
le  facott^  in  un  essere  mistico,  suppongopo  disposizioni 
speciali  deiranimo:  bisognava  adiinque  cercare  di  sor- 


16 


preadere  il  nestro  amoroso  messer  Otho ,  IntiaBiorato 
delle  larve  della  iiua  mente,  rapito  in  sogno,  in  estasi 
coBtemplativa. 

A  oi6  si  presta  la  cansoiio  XI:  cL'afta  speraasa  cbe 
mi  reca  amore  >  eoi  yersi  dal  BartoU  ciiati  a  pagiaa 
104,  nota  2. 

€  lo  mi  sto  com*  oom  ch6  pnr  de^ 
D*Qdir  le*  soapirando  soyeste;    - 
Per6  eh'i'  ml  risgoardo  entro  la  mente, 
E  ti*oyo  cbe  ell'  6  la  donna  mia  .  .  *  . 

* 

Qaesta  canzone  si  bella  e  nova  (Y.  commlato)  ha 
per  il  BartoU  nna  importanza  tanto  capitate  nella  dt- 
mostrazione  della  sua  fesi  che  egli  ta  cita  ben  tre  volte 
a  pag.  104  e  a  pag.  107.  Nei  v6psi  wprodotti  noi  ve- 
dtaroo  il  poeta  raccolto  in  sd  stesso,  sospirando  sovente 
desioso  di  udir  la  donna  sua:  egli  6  di.quella 

ch*h  tntta  gentile 

E  le  sue  parole  son  vita  e  pace, 

e  gli  si  para  dinauzi,  cosa  non  solita  al  poeta  del 
dolore,  un  miraggio  di  felicitSi.  Egli  ^  trasognato,  ch6 

....  questa  donna  plena  d'umiltate 
Giugne  cortese  e  plana  U) , 
E  posa  nelle  braccia  di  pietate. 

Non  crederebbe  a  86  stesso!  pur  egli  ripensa  tutto 
Tacoaduto  e  trova  che  6  ben  la  sua  adorata  the  gli  ftt 
pietosa.  —  E  beandosi  de*  suoi  dolci  sospiri.solo^  per- 
ch6  altri  non  li  oda ,  felice  una  volta.,  inalzaun  inno 
di  lode  a  lei  che  gli  sta  nella  mente,  cosl  come  la  vide 

Di  dolce  vista,  et  umile  sembiaoBa 

Onde  ne  tragge  Amore  una  spei^anza,       , 

Di  cbe  '1  cor  pasce  e  vuol  cb^  n  ci6  si  fidL* 

Domando  alle  anime  innamorate  e  felici,  ai  €  Cori 
gentili  e  serventi  d'  Amore  i^)  >  se  c'  6  bisogno  di  pen- 


(!)  Variapte,  Ciampi :  Vnxana. 
^)  Cftttzdtid  ohd  comincU  cost 


17 

sare  a  mistici  faatasmi  delta  mente  per  intendere  que- 
sta  cadzoDe ,  se  1*  essere  qui  cantato  non  6  essere  a- 
maoo  abbellito  dairamore;  domando  inflne  se  la  de- 
scrizione  di  questa  donna  risponde  al  concetto  della 
donna  angelicata  inaccessible  ad  ogni  preghiera  mor- 
tale,  negazione  di  ogni  speranza,  fonte  di  sconforto  e 
di  martirio? 

L*  Angel  di  Dio  della  ballata  (^)  6  tanto  un*astrazione 
della  mente  di  Gino ,  che  pu6  esser  yednto  da  tutti : 

Questa  giovane  bella 

Che  m'  ha  con  gli  occhi  suoi  il  cor  disfatto , 

.    .    .    di  tanta  virtude  si  vede  adorna, 

Che  «  qual  la  vuol  mirare  », 

Sospirando  convielii  il  cor  lasciare. 

E  yedremo  che  non  era  solo  a  mirarla,  ed  era  ge- 
loso !  C*6  di  pid :  essa  parla ,  e  si  dolcemente  cbe  il 
poeta  anela  solo  a  tornare  dove  essa  6: 

Ogni  parola  sua  si  dolce  pai*e, 

Che  \h»  've  posa  torna 

Lo  spirito,  che  meco  non  soggiorna. 

O  che  bisogno  avrebbe  lo  spirto  di  affannarsi  per 
tornare  do v*  essa  6,  se  I'amata  6  nn*  imagine  sua? 

II  sonetto  139  ^)  ci  ofTre  la  donna  angiolo  net  due 
ultimi  versi  della  seconda  terzina: 

Questa  non  6  umana  creatura: 

Dio  la  mandd  dal  ciel,  tanto  h  novella. 

Ma  udite  quest'  altri  versi  dello  stesso^sonetto : 

.  .  .  Volentieri  il  farei  servidore  (il  cuore) 
Di  voi,  Donna,  piacente  olti*6  al  pensare: 
Qii  atti  e  i  sembianti,  e  la  vista  che  appare , 
E  ci6,  ch'io  veggio  in  voi,  parmi  bellore. 
Come  poteo  d'  umana  natura 
Nascer  nel  mondo  Hgura  si  bella , 
Com  sete  voi! 


(1)  Cino,  edia.  Fanfani :  Angel  di  Dio  simlgUa  In  ciascua  aito. 

(2)  CIdo,  ediz.  Fanfani:  Li  voatri  oochi  gentili  e  pien  d*ainore.  3 


18 


■* '  ~  ~  ■ 


L*angiolo  6  di  came  ed  ossa,  poiclii  i  nato  d^umana 
creatura. 

I  versi  del  Bartoli  citati  a  pag*  105  a  dimostrare  che 
il  poeta,  guardando  la  figura  della  sua  donna,  «  diventa 
beato,  come  diventano  beati  gli  angell  nella  contem- 
plaziane  di  Dio  »  significano  soltanto  cK  egli  diverrin 
felice  guardando  lei ,  come  dichiara  il  y.  4.  della  bai- 
lata  steftsa  da  coi  son  tolti.  £d  ecco : 

Poichd  sasiar  noi^  poaso  %^  oodii  miei  0) 
Di  guardar  di  Madonna  11  suo  bel  \\so 
Mirerol  tauto  ^o 
Gh'  io  diverr 6  felloe  lei  gi:^*dando. 

N6  avvi  duopo  di  essere  trasumanato  In  una  vi- 
sione  angelica  per  scoprire  in  Madonna  una  bellezza 
aempre  Aoova,  tanto  pid  quaudo  rinnamorato  si  senie 
aoceso  di  forte  martirio.«t)/o  pel  saverehio  mirare  degii 
occhi  stwi : 

« 

....  Ooehiy  per  vosUfo  Bdirape 

Mi  veggio  tormeniare 

Tanto^  oh*io  sento  F  aUimo  rjespiro.  (^> 

II  Bonetto  Vir(')'descrive  Tavvenenza,  il  mover  de- 
gii occhi,  il  dolce  rise,  Tangelico  diporto,  la  nobiltii 
degli  atti,  PumiltJi  del  sembiante  della  sua  Donna 

Tutt*  amoi*osa  di  sollazso  e  igiooo, 
E  saggia  nel  pai*lais  vita  e  conforto, 
Gioia  e  diletto  a  chi  le  sta  davanti. 

Dov*  eUa  apparisce  si  vede  il  sole  i^)  E  qual  meravi- 
glia  se  6  essa  stessa  il  sole  agU  ocohi  del  poeta?  (^) 


(1)  Baiiata  ohe  comincia  cost  —  E  il  madrigale  HI  del  PaofAni. 

(2)  Ball.  Quanto  pi4  fieo  ntro. 

(3)  Son.  ^ta  nel  piaoer  della  mia  donna  Amore 
(A)  Son.  Se  mt  riputo  di  nionte  alquanto. 

(5)  Cfr.  Son.  XX:  «  Lasso  1  ohUo  non  veggio  il  cbiaro  sole 

N^  BO  per  che  ragion  ml  si  d  furato. 
Ch6  ver  di  me  non  luce  com*  et  taole , 
Nd  mi  risoalda.  si  h  raffireddato.  > 


'*■ 


Nelia  ^caazone  25^  (i)  in  cui  il  poeta  ei  idferKia  ^4^ 
al  veder  Madonna  ogni  pensier  vile  gii  fug^p  <U.  v^«4 
pensiero  del  resto  umanissimo,  come  qaeUo  cW  iuu 
stra  quella  ^irtii  per  cui  6  ammiraodo  il  f^mmuau 
etemo,  egli  ci  apprende  pure  che  essa  si  sd4gu<>  o^h* 
tro  di  lui  ii  gioroo  cha  s' accorae ,  dalla  sua  niakvriU> 
figura,  deiramore  che  gli  ardeva  il  cuope: 

.    .    .  prese  nimist^te 
Allor  conti*a  pietate,  che  s'  accorse 
Cii'era  appai*ita  (pietate) 
Nella  smarnta  flgura  ch'  io  poi*to. 

Gio6,  dnoque;  per  quelli  cbe  voglion  vedere,  6  I'amor* 
che  a  chiare  note  si  leggeva  snl  mio  volto ,  che  V  ha 
'sdegnata,  e  non  valgono  a  smoverla  le  lagrime 

yena4e  per  potenaa 
Delia  graTOsa 
Pena^  che  posa  nel  cuor  che  &  fatica. 

E  r  innamorato  Yorrebbe  pur  ribeliarsi  perehd: 

.    .    .  non  muove  i*agione  11  disdegno , 
Ghd  io  convegno  seguire  isfbrzato 
II  desH>  oh'io  sostegno 
Secondo  ch*  egli  6  nato , 


Ch'a  ci6  vegno  come  quei  ch'6  menato. 

Qiunto  a  questo  punto,  e  osaervato  che  cosa  dol- 
ciasuaa  e  terribile  &  il  suo  saluto,  il  Bartoli  segue  di- 
cendo  che»  davanti  alia  donna  angQlicata,  Tamore  del 
poeta  prende  qualehe  cosa  del  mistico;  egli  non  la  vede 
piii  come  doana,  ma  come  un  segno  delta  poftenza  di<« 
viaa;  le  lodi  ehe-salgoao  a  lei »  sono  lodi  al  creatore: 
essa  6  trasumanata.  C^) 

Quali  versi  han  dettato  al  grande  critico  queste  pa- 


(1)  Non  spero  obe  giammai  per  mia  saltite 

(2)  Vedi  —  Bartoli,  pag.  107. 


1 


20 


role  piJi  alte  di  quelle  che  le  hanno  ispirate?  Nod  vi 
sia  discaro  che  io  le  riferisca: 

Donna ,  per  Die ,  pensate 

Ch'  e*  per6  vi  fe'  mei*avigliosa 

SoYi'a  piacente  cosa, 

Che  Tuom  laudasse  lui  nel  Tostro  avviso 

A  ci6  vi  di6  beltate 

Che  vol  mostimste  sua  sonuna  potenza.  i^) 

Versi  non  belli  e  che  non  racchiudono  nessun  con- 
cetto originale,  come  ognuno  mi  pu6  iosegnare.  Pur 
avrebbero  avuto  anche  minor  valore  per  la  sua  tesi , 
se  il  Bartoli  non  avesse  dimenticato  di  citare  questi 
versi  della  stessa  canzone,  meravigliosi  per  Tediflcio 
della  d(Hina  angelicata: 

Com*  io  credo  di  plana, 

V*  elesse  Dio  fl*a  gii  angioli  piu  bella » 

meravigliosi,  si,  e  degni  di  angelici  amori,  ma  ai  quali 
seguoDO  immediatamente  quest*  altri: 

B  'n  fai*  oosa  novella 

Prender  vi  fece  condizione  umancu 

0  che  ci  vuol  di  pid  che  1*  attestazione  stessa  del 
poeta  a  persuadere  i  sostenitori  della  donna  angelicata 
che  Madonna  era  proprio  in  came  ed  ossa? 

Del  resto,  basta  leggere  la  canzone  per  convincersi 
che  essa  6  un  lamento  del  poeta  per  non  poter  veder 
lei  che  arreca  vita  alia  sua  ammortita  persona:  n6  mi 
rincalzino  gli  eredi  delle  idee  di  A.  Bartoli  che  gli  6 
appunto  il  lamento  di  non  aver  potato  vedere  quella 
desiata  imagine,  se  non  nel  sogno  penoso  della  sua 
imagi  nazione,  poich6  il  sitibondo  d*amore  6  li  a  smen- 
tirlo: 

.    .    •   io  mi  pai*to  punto 

Del  loco  Ih,  u'  posso  voi  vedere, 

Ov'6  Io  mio  piaoere. 


(1)  Ctjx,  !^:  Si  mi  oostriDge  amora. 


21 


Ma  il  quadro  non  6  comp^eto.  €  Quale  sar&  in  co- 
spetto  deIl*aQgeIo  il  sentimento  e  Tatteggiamento  del 
poeta  amante?  L*  appressarsi  della  divinitji  induce  ter- 
rore  nello  spirlto...  »  E  chi  non  lo  crederebbe  quando 
ce  lo  insegna  il  caldo  maglstero  della  parola  di  A.  Bar- 
toli?  Pur  udite  in  una  prima  citazione  Tuomo  annien^ 
tato»  udite  Tamore  faito  spavento: 

Amor  ch'6  cosa  plena  di  paura  (>). 

Che  non  ci  prenda  11  tremito  per  si  poco,  perchS  6 
tutta  qui  Tespressione  del  terrore!  Ma  si  leggano  i 
versi  che  seguono  subito  al  citato  e  si  giudichi  se  non 
ne  esce  mal  concia  la  donna  angelicata: 

Amor,  ch'  6  cosa  plena  di  paura, 
mi  fa  geloso  stai*e, 
onde  madonna  sdegna 
e  sdegnando  mi  cela  saa  figura, 
e  perdo  lo'mirai*e 
che  mia  vita  sostegna. 

E  inutile  ogni  commento  dinnanzi  a  questo  sfogo  di 
un  povero  geloso^  fatto  segno  alio  sdegno  di  madonna 
per  le  sue  smanie. 

Ma  siccome  6  troppo  naturale  che  la  vittima  delle 
sventure  d*Amore  tema  il  capriccioso  Dio,  non  ci  me- 
raviglieremo  che  il  povero  poeta  senta  in  ogni  suo  sense 
un  tremore  e  sia  si  smarrito  da  sembrar  fuori  di  senno. 
Dal  di  che  la  donna  gli  diniostrb  che  le  e^^a  in  dispia- 
cenza,  morto  il  di  diventa  molte  fiate  ^*). 

. . .  se  continoTa  il  tormento 
Perch*  io  non  mora,  prenderk  noTella, 
Non  giii  buona  n6  bella, 
Fatto  lo  mondo  de  la  vita  mia; 
Che  della  mente  per  malinconia 
Uscu'6. 


(1)  Cino,  edis.  Fanfani:  «  Deb  ascoltate  come  il  mio  sospiro  ». 

(2)  Cino,  cansone  «  Tanta  paura  mi  d  giunta  eoo.  » 


2^ 


DtepejMiAmoei  aduikque  di  esamiaare  {;Ii  altri  versi 
cb0  ci'  av^iano  ranimo  tarbato  di  Oino,  dacch^ 

. . .  gli  piange  dentro  al  core 
La  <iq^irtto  yezaoso  deUa  vita, 

laiGiaiBO<ehe  ogfiuno  giudiohi  se  nel  bellissimo  aonetio; 

Nolle  man  yostre,  dolce  donna  mia, 

Tamore  si,  confonda  con  an  vago  e  indistinto  desiderio 
delle  cose  cele8ti;iiotiaiso  sdta&to  ramamopimprovero 
che  ehiaramente  vediamo  in  qotosti  versi : 

lo  80  chf^  a  vol  ogaitorto  dispiaoe* 
Per6  la.morio  ohe  non  ho  servltar 
Molto  piii  m*entra  nello  core  amara, 

nei  quali  il  poeta  scoosolato  e  atterrito  di  attirarsi 
nuovi  sdegni»  le  riofaccia  che  essa  6  cagione  a  lui  di 
morte,  che  non  ha  servita,  cio&  maritata>  e  aggiungiamo 
appena  di  passaggio  ohe  il  ooacetto  deiraliUna  terzina  (^) 
6  ehiaramente  espresso  in  m^lUsstmi  aliri'Canti  d*amor 
seotito  e  vero  per  donnaiyiveate  e  non  per  tenite  im- 
palpabil  aura^  come  son*  2Q,  son.  120  >  canz^  IV,  bal- 
.lata  3*»  son.  64 »  canz.  22,  canz.  23  ecc.  E  tra  tutte 
qneste  rime,  mi  sia  concesso  di  citare  ii  solo  madri- 
gals 6«: 

Amo<  quattto  si  pud,  n^  per  conforte 

Do  Tamoroso  affaono,  aIti*o  desio 

€  Ciie  veder  gli  occhi  de  la  donna  mia  » 

Et  alia  perch^  io  sia 

Fra  gli  infelici  amanti  il  pid  infelice, 

Qnesto  ancor  mi  disdice« 

E  sol  mi  mostra*  tanio  il  sao  bel'viso, 

Gh^io  vegga  ohe.  mio  dnol  le  mnoTa  a  rise, 

dove,  si  noti  di  grazia>  non  6  certo  detto  che  egli  non 
ha  mai  yeduto  quelia  desiata  imagi^ae »  p<QiPch4  d  inna- 
morato  d*un  fantasma  della  sua  mente^i 


(1)  Oeniil  madonnA ,  mentre  ho  della  vUtt 
Aooi6  chMo  mora  oonsolato  an  poco, 
Piaocia  agU  ooohi  mlei  non  etter  cara. 


m 


l^a  qu^rultima  idea  soi'ridestranamenie'al^BslMoli, 
ed  egli  si  {iffanna  per  dimostrarla,  srcch6,  una  VOlta  al- 
meDO,  va  smarrito  il  senst)  comune.  TJditelo: 

<  Esrsa  anche  solo  di  csser  guardata  si  sdegna: 

....  Madonna  sdegna 

E  sdegnando  mi  cela  sua  figura. 

€  Quest*ultimo  verso  dice  forse  qualche  cosa  di  piti 
del  suo  seuso  appareute.  A  me  pare  che  esprima  il 
lamento  di  uoq  aver  mai  potuto  vedere  quella  deside- 
rata imagine,  di  non  averla  potuta  vedere  altro  che  nel 
sogno  penoso  dell'imaginazione  ».  Noi  abbiamo  gi&  visto 
piiDi  sopra  perch6  €  madonna  sdegna  » :  gli  6  che  Tin- 
namorato,  sempre  piano  di  dubbi  paurosi,  la  tormenta 
colla  sua  gelosia,  epperd  altrd  non  ci  appulcro: 

G*6  di  piii;  e  qui  siamo  j^oprio  al  punto  capitaie 
8u  cui  A.  -Bartoli  par  fondare  la  dimostraziene  della 
donna  angeHcata;  ed^eco  quanto  frali  le  basi. 

II  documMto^  la  prima  terziua  del  sooiettadd,  del- 
r^dizioneFanCani,  sonetto  ohe  io  riprodueo  per  in^ttero 
dffinohd  ogviano  da  s6  veda  quant'esso  sia  p^o ,  e 
<l«eale  sforzo  di  pensi^ro  oi  voglta  per  afiferrare  Tin- 
ierpretazione  architettata  dal  Bartoli: 

Donna,  io  vi  miro,  e  non  6  cbi  vi  guidi 

Nella  mia  mente,  parlando  di  vui ; 

Tanta  paura  ha  Panima  d*altinii, 

Che  non  trova  pensier  in  cui  si  fidi. 
'(^d'eUa  pm*.  eonvien  ebe  pianga*  e  gvidi  - 

Denti^o  a  40  core  ne' sospii*i  sui, 

Per  quella  Donna,  de  la  quale  Io  fui 

Si  tosto.  preso,  pur  oomlo  la  vidi. 
Blla  mi  tiene  gli  occlxi  su  la  mente 

B  la  man  dentro  si  cor,  com'una  fera 

ITemica  di  piet&  orudelemente. 
Non  si  pa6  atar  in  nessana  maniei*a, 

Ch^,  B'es8ei*e*pote9se,  solamente 

Sareste  voi,  e  non  pid  quella,  aitiera. 


24 


^■^iJMUJi^— ^al      Itl    I    ■ 


In  questo  sonetto,  adunqae,  a  interpretare  pingui 
Minerva,  GiQO  che  non  sa  trovar  sfogo  con  sessano 
airangosciato  pensiero,  tanta  paura  ha  tanima  d'altrui, 
ha  costantemente  fissi  Delia  mente  gli  occhi  di  quella 
donna,  (H  della  quale  si  innamor6  non  appena  la  vide, 
non  pu6  dimenticarla  un  solo  istante  e  gli  par  che 
essa  gli  stringa  il  cuore  colla  mano,  com'una  fera  — 
nemica  di  pieth,  crudelemente. 

Ma  il  Bartoli  scrive  come  €  si  confermerebbe  che 
GiDO  non  ha  mai  visto  la  desiata  immagine  se  non  oel 
sogno  penoso  deirimaginazione  »  dai  versi  delta  prima 
terzina  del  sonetto  da  me  riprodotto,  e  interpreta: 
€  io  non  posso  che  contemplare  T imagine  sua,  essa 
tiene  gli  occhi  miei,  su,  in  alto,  flssi  a4a  sua  mente,  e 
da  ci6  6  lacerato  crudelmente  il  mio  cuore,  perchi 
appunto  non  6  che  un*imagine  quella  che  io  amo  ». 

Goncediamo  -*  che  non  6  possibile  -*  che  Cino 
abbia  adoperato ,  se  ben  colgo  il  pensiero  del  Bartoli, 
la  niente  deiramata  per  T  imagine  astratta  che  delfa- 
mata  si  sarebbe  flnto  nella  sua  imaginazione  il  mistico 
innamorato,  quindi  V  ideality  a  cui  anela  il  poeta: 
mente,  quasi  idealitd  in  contri^pposto  a  realty ;  non 
arzigogoliamo  suirassurdo  di  questo  non  piik  veduto 
tropo ;  solo  vediamo  se  con  questa  interpretazione  pos- 
sano  accordarsi  le  parole  €  E  la  man  dentro  al  cor  » 
del  secondo  verso  della  terzina,  almeno  sintattica- 
mente. 

£*  un  compito  ben  modesto.  Siccome  il  soggetto  6 
Ella^  madouna  angelicata,  e  tiene  6  il  verbo  che  6  co- 
mune  agli  oggetti :  gli  occhi  (tiene  gli  occhi  miei  suUa 
sua  mente,  ciod  fissi  in  alto  alia  sua  mente,  o  imagine) 


(1)  Selvaggia  era  «  bellissima  di  corpo,  et  in  particolare  g  li  0€ehi  •  Vedi 
«  Noiiiie  rigaardanti  la  vita  di  Cino  »  deWArfaruoU,  in  Chiappelli^  op.  cit. 
pag.  100  —  Vedi  anche :  Cino^  Son.  I  pft)  hfgli  occhi  che  lucesser  mai,  Madrig^ 
Onardando  per  li  prati  ogni  /ior  bianco;  Rimcmbro  de'  begli  occM  il  dolee 
bianco,  —  Per  cui  Io  mio  dcair  mai  non  fia  itanco,  ecc. 


e  la  man  {mi  tiene  la  man  dentro  al  cor),  ne  verrebbe 
H  segueote  interpretazione  per  i  vagheggiatori  della 
donna  angdlo;  JSssa  tiene  gli  ocdhi  miei,  su,  in  atto, 
flssi  alia  sua  mentey  ed  essa  tiene  ta  mia  mano  dentro 
al  sua  cuore. 

Ora  ci6  BOn  d&  alcun  senso  isolatamente,  e  ne  d4 
anche  meno  quando  s*  aggiungatio  1e  parole  del  tedto: 

sicoome  fei*a 

Nemica  di  piet^,  crudelemente. 


•  • 


A  questo  puiiio  A.  Bartdll  si  trova  dinan^i  aiHe 
rime  nelle  qtiaTi  il  poeta  canta  la  mOrtia  dtill^  sua 
donna,  CD  n6  polendo  ragionevolmetrte  sosrtenerei  che 
la  larva  immortale,  cui  J)io  mandb  dal  Cfel  (*),  il  fan- 
tasma  che  egli  dona  atrimaginare  dolente  di  Cino,  in 
cui  paion  confondersi  la  creatura  e  il  creatore,  Tessere 
terrene  e  Tessere  celeste,  non  potendo  sostenere  dhe 
essa,  la  trasumanata,  possa  spe^nersi  prima  detla  mente 
creatrice,  non  pTotendo  insomma  tentare  la  dimostra- 
zione  della  morte  spirttudle  accaduta  tutta  entro  V  a- 
nima  del  poeta,  come  tece  per  la  Beatrice  di  Dante,^^) 
basandcsi  sopra  il  passo  della  Vita  nuovd,  <^ap.  29,  che 
comincia  <  forse  piacerebbe  al  presente,  ecc.  »  6  co« 
^tretto  a  far  delle  «*.oncessioni  alia  ver!t&  e ,  a  pTOpo- 
site  del  sonetto  «  lo  fui  sutralto  e  huI  beato  ifhonte,  » 
che  ha  dei  versi  tra  i  piu  patetici  d^Ila  letteratura 
italiana ,  W  e  in  cui  sono  troppo  evidenfi  gti  accenni 
materiali  e  locali,  scrive :  €  Noi  siamo  dispostissimi  ad 


(1)  Bartoli:  Storia  della  lett.,  Vol.  IV,  pag.  115. 

(S)  Cino :  Son.  Li  vostri  occbi  gentili  e  pien  d'amore. 

(3)  Bartoli:  op.  cit.,  pag.  SCO. 

(4)  A  D9  dreourt:  Cino  da   Pistoia   in   BibliolJUque    Universelle' Nouv. 
Per.  3,  158,  pag,  ^:  «  Le  dernier  vers : 

L*alpe  passai  con  voce  di  dolore 
est  un  des  plus  tonchants  de  la  langae  italienne,  V  6cho  po^tique  en  risonne 
encore  dans  lea  d6fil6s  de  TApennin  ». 


26 


ammettere  che  qui  si  tratti  di  una  donna  veramente  a- 
mata  e  perduta  ».  Non  rilever6  come  egli,  qui,  daila  di- 
mostrazione  positiva  della  donna  angelicata,  sdruccioli 
in  obiezioni  negative  della  esistenza  di  Selvaggia;  non 
dird  neanche  del  valore  di  queste,  perch6  mi  accadr^  di 
doTorne  parlare  altrove,  almeno  per  incidenza,  e  perchd 
a  ci6  ha  gi^  rispo^to  il  Nottola ;  (0  solo  osserver6  che 
di  simili  restrizioni  alle  Rime  dell'  amore  angeiicato 
troppo  ha  dovuto  fame  percbd  la  parvenza  angelicata, 
soffio  evanescente ,  non  scompaia:  <^)  essa  vive  la  vita 
d*  un  fantasma  e  com*  esso  muor  coUa  luce ,  come  lo 
spettro  d'Amleto  al  cantar  mattutino  del  gallo. 

Or  una  domanda:  T  amore  per  la  donna  angelo,  le 
ebbrezze  mistiche,  la  beatitudine  contemplativa,  Testasi 
celeste  >  Tannientameuto  del  terrore,  Tinvadere  della 
morte  quando  la  Donna  s*avvicina,  la  Donna  fatta  Die 
e  adorata  nolle  preghiera,  sono  finzioni  poetiche,  leno- 
cini  delParte  o  sono  terribili  realty? 

A  proposito  del  terrore  airavvicinarsi  della  Donna, 
terrore  che  egli  ha  fatto  rilevare  negli  altri  poeti  della 
scuola  medesima  ^  il  Bartoli  scrive :  €  E  dunque  vero 
per  tuttl^  llo ,  non  d  vero ,  anzi ,  per  nessuno.  O  plut- 
tosto  diciamo  che  6  verity,  ma  solo  in  quauto  ci  rap- 
presenta  il  tormento  dello  spirito  che  anela  a  un*idea- 
lit^  non  possibile  a  raggiungersi.  Prima  che  la  donna 
reale  produca  questi  effetti ,  dovranno  passare  molte 
centinaia  d*anni.  »  i^) 


(I)  U.  Nottola  .'  Selvaggia  Vergiolesi  eoc.  pag.  &8-69. 

(S)  Abbiano  gik  visto  chtfu^le  rime  a  Selvaggia,  ni  a  queiraltra  pleiade 
di  amanti  ohe  il  Bartoli  regala  a  Cino,  banno  a  cbe  vedere  oolle  rime  della 
doDoa  ideale  vagbeggiata  in  estasi:  nh  a  quetta  voglionei  riferire  le  time  in 
morte  delKamata  e  tanto  meno  la  Poeela  del  dolore,  a  cui  il  Bartoli  dedica  uno 
splendido  oapitolo  cbe  A  an  flne  etudio  psicologico  deirinfelice  poeta  a  cui 
parve  nel  dolor  gioia  mntira,  Infatti  U  Bartoli  scrive  a  pag*  1S3  «  poche 
donne  ebbero  an  tributo  di  coal  grande  dolore  sal  lore  sepolcro..  male  si  con- 
oilierebbe  qoesto  realisnoo  poUa  pittufa  dell*  essere  aereo  cbe  abbiamo  sia- 
diato.  Qui  tatto  6  vero,  tutto  Intimo  e  originale  ». 

(3;  Bartoli :  op.  oit.  pag*  194. 


27 


NoQ  lasciamo  inosservata  questa  coatraddizione  bella 
e  buona,  per  cui  il  terrore  all'  avyicinarsi  deir  angelo, 
della  gloriosa  donna  della  mente,  per  adoperare  la  e- 
spressione  dantesca  piegata  a  una  significazione  spe- 
ciale,  non  6  vero  o  pluttosto  6  verity  in  quanto  ci  rap- 
presenta  il  tormento  dello  spirito...  ecc. ;  questa  sotti- 
gliezza  che  vorrebbe  parer  distinzione,  6  in  realty  una 
toppa  per  coprlre  certi  mal  dissimulati  strappi  della 
donna  angelicata  e  rivelano  il  pensiero  del  Bartoli,  qui 
vago  e  indeterminato. 

Parmi  poi  che  sarebbe  duopo  dimostrare  che  prima 
che  la  donna  reale  produca  questi  effetti,  come  il  terrore, 
€  dofranno  passare  molte  centinaia  d*anni. »  E  date  anche 
che  quei  nostri  padri  non  sapessero  amare  una  donna 
reale  con  raffinatezza  di  sentimento,  quasi  con  morbosiU 
d'alTetti  e  con  squisitezza  di  torture  dello  spirito,  come 
fanno  i  lore  flgli  dope  molte  centinaia  d'anni»  chi  sa- 
prebbe  dirmi  come  avrebbero  potuto  delirare  in  fatti 
e  in  versi,  con  tanta  profondit^  di  sentimento  ed  evi« 
denza  di  dolore,  per  un*  ombra  vana  della  mente?  Ha 
pur  consentito  il  Bartoli  che  la  poesia  del  dolore  di 
Cino,  che  6  la  pid  alta  e  pid  terribile  nella  sua  verity 
psicologica,  espressione  dei  martlri  piu  orribili  cheab- 
biano  dilaniato  Tanimo  umano>  6  intima,  originale,  sen- 
tita,  ispirata  dalla  realtJt,  ed  6  ben  essa,  io  credo,  che 
pid  ayyicina  il  Nostro  a  Byron,  Goethe,  Leopardi,  essa 
che  fa  riflettere  al  Bartoli  che  Tanalisi  di  un  tale  sen- 
timento, «  di  dolori  che  si  pascono  di  lore  stessi  edi- 
ventano  vita  che  si  rinnovella  nella  perpetua  agonia  », 
in  un  poeta  del  secolo  XIII  6  cosa  che  fa  stupire!  Ora 
6  appena  necessario  osservare  che  anche  i  terrori  dinanzi 
airamata  da  cui  si  pud  aver  pace  o  tormento  e  1*  inef* 
fabile  desiderio  di  vederla,  come  il  tenevsi  la  man 
presso  lo  core  (^)  e  tagghiadarsi  del  sangue  nelle  vene  (^ 


(1)  Oino:  Son.  Signor,  io  son  ooloi,  oh^  vidi  Amore. 
(^  Cino:  Boa.  Taal**  l*aiigotoU  oli*aggio  d«Blro  «l  oor«. 


28 


e  il  coy^rer  iutto  in  amoroso  affanno,  <i)  e  il  treinare,  im- 
pallidire  e  agghiacciar  tutio  (^)  q  gli  altri  atti  come 
(V  un  Che  in  gravitd  si  more ,  sono  una  forma  del  da- 
lore  umano  per  donna  vissuta,  sospirata,  amata  nel  de- 
lirio  dei  sens!  e  dell'anima. 

Ma  sia  che  vuoisi  di  ci6 ,  preodiamo  atto  di  qiianto 
il  Bartoli  ci  dichiara,  che  Te^pressione  di  terrore  del 
poeta  6  verity  appunto  in  quanto  €  ra{]S)^*^s3^^&  ^^  tor- 
mento  dello  spirito  nonpossibile  a  raggiungersi.  »Ag- 
giangiamo  anzi  che  a  ci6  tutto  lo  studio  del  Bartoli  6 
una  risposta:  la  donna  angiolo  6  yeramente  sentita  — 
a  giudizio  del  gcande  critico  —  e  le  rime  che  la  can- 
tano  <  son  quelle  do?*egli  si  ferma  con  artistica  volutt^ 
dove  la  sua  mano  disegna  con  grazia  geniale,  dove  sale 
ad  eccelse  allezze.  >  <^ 

AUora  TuQica  conclusionepossibile  sarebbe  cheuno 
dei  padri  deUa  lirica  d*  amore »  il  celebrate  giurecon^ 
suite  dal  potente  intelletto,  er^  un  povero  allucinato  da 
unire  alia  lunga  schiera  dei  mistici  fraticelli  medievali* 
assunti  dal  pensiero  yaciUante ,  abbagliata  nella  con- 
templazione  di  Dio,  alia  beatitudine  ceJestA :  docuiBento 
nuovQ  air  ardua  tesi  Oenio  o  follia^,  che  tanto  impic- 
ciolisce  Tintelletto  umano. 


(1 ),  Cino :  Son,  Veduto  ban  gli  oochi  miei  si  bella  cosa. 

(2)  Cino :  Cans.  L'uom  ohe  conosce  6  degno  oh*aggia  ardire. 

(3)  Bartoli:  op.  oH.  pag.  101; 


^^   dm 


opcutc. 


t^H^^^W^^W^^^^W^^W^^^^^^W^W^ 


Un  pensier  sempre  mi  lega  •  mMnvoIve 
II  qoal  convien  ch*a  ftimil  di  beltate, 
In  moHe  donne  sparte  si  diletti. 
Cino  da  Pintoia. 


Ben  6  vero :  <  il  n'est  rien  si  soupple  et  erratique  que 
BOtre  entendement.  C  est  le  Soulier  de  Th6ram6nes  bon 
4  tout  pied.  »  (i)  Per  singolaritSi  di  sorti  umane  e  per 
I'ammirando  oracolare  dei  critici,  quello  stesso  poeta 
che  altri  ci  present6  estasiato  in  celesti  amori,  assorto 
neiradorazione  delV  idea,  bella  del  sorriso  degli  angeli 
e  dei  cherubini,  delV  idea  fatta  donna  della  mente,  ha 
un  tristissimo  rovescio  di  medaglia.  Un  coro  di  accuse 
vien  lanciato  contro  di  lui:  Cin  da  Pistoia,  Tuomo 
del  cor  vano,  lascivo  e  disciolto  (^),  il  macoimus  amator 
a  detta  del  legista  Giulio  Claro,  al  quale  si  riferiva  il 
Farinaccio,  quando  scrisse:  delicta  amoris  omnes  tan- 
gunt ,  et  mihi  crede  etiam  iurisperitos  ei  eos  quidem 
excellentes^  prout  Cinum,  <5)  quel  Cino  che  lasci6  scritto 
che  <  donum  valet  magis  quam  suspirium,  imo  suspirium 
nihil  valet  sine  dono  >,  come  pot6  aver  concepito  e  nu- 
drito  un  amore  cosi  costante  e  disperato,  come  ci  vien 
dai  biografl  descritto,  per  Madonna  Selvaggia  Vergio- 
lesi? 


(1)  MontaigM,  Bssais  LIv.  III.,  ch.  XI. 

(2)  O,  Garitmdi :  Son.  in  «  Le  Rime  dei  Poeti  Bolognesi  del  secolo  XIII 
raceolte  da  T    Casini.  —  Modena,  1881,  pag.  148. 

(S)  CMappelli,  op.  cit<  p.  54-51 


a2 


A  questa  domanda  mi  sia  concesso  di  rispondere  con 
un'altra  domanda:  Si  pu6,  coU'esame  delle  Rime,  soste- 
nere  in  Cino  queir  incostanza  d'affetti  che,  per  la  per- 
petuatasi  tradizione,  derivata  daU'asserzione  di  qualche 
legista  o  dair  accusa  di  qualche  amico  rivale  e  geloso 
0,  sia  pure,  dalla  buona  o  cattiva  interpretazione  di 
qualche  poeaia  del  poeta  nostro,  gli  si  addebita  tuttora? 
lo  qui  non  sostengo  .ujm  tesi,  espongo  qualche  osser- 
vazione  che  mi  fu  suggerita  dalle  studio  del  Poeta;  ep- 
per6  quando  Taitcusa  suona  che  egli  fu  pi&  volte  seiro 
<  di  quel  gentil  che  porta  Tarco  »,  ('>  <  in  alcun  vero 
suo  arco  percuote  » ,  per  dirla  con  Dante.  Ma  d'altra 
parte  chi  potrebbe  sostenere  che  nolle  sue  rime  spiri  quel- 
Taura  di  volubUe  levity  che  non  potrebbe  scompagofursi 
dal  canto  di  uomo  che  €  si  lasoia  prender  a  ogni  uncino?  » 
Preddamente  giudicando  e  senza  preqoncetti,  6  posslbile 
dargli  U  carico  di  tutti  quegU  amori  che  gli  furono  at- 
tribuiti,  per  esempio,  da  A.  Bartoli,  come  abbiamo  visto 
altrove  7  1a  risposta  ^  possibile  con  una  lettura  delle 
poesie,  tenendo  fermo  il  ooncetto  di  sceverm*e  le  rime 
di  SeLvaggia  dalle  rime  politiche  e  morali  o  che  riguar- 
dano  altri  amori.  Qik  A.  De  Circourt  (^}  ha  detto  che  la 
classificazione  piii  naturale  per  la  raccolta  assai  nume- 
rosa  di  Cino  conaiste  nel  riunire  i  frammenti  estranei 
per  il  lore  soggetto  agli  amori  del  poeta  e  che  si  rife- 
riscono  o  ai  grandi  awenimenti  del  suo  tempo,  o  a 
soggetti  metaBsici,  politici  o  morali,  o  infine  alio  scambio 
j;u>etico  d*idee  che  Gino  ehbe  con  qjualohe  scrittore  del 
suo  tempo.  <  Le  .reste  des  compositions,  conclude  il  Cir- 
court, forme  la  guirlande  j[)o6tique  de  Salvaggia.  >Per 
veritj^,  non  tutto  11  resto  6  ^hirlanda  poetica  di  Sel- 
vaggia,  come  roseamente  vede  lo  scrittore  francese, 
tant'  6  vero  che,  a  voler  sentire  V  altra  campana,  awi 


il)  mndi:  SiMi.  AOMstD^MI  •B&tamiai  qtt«I  gcntU  obe^iparttt  l^roo  •.  T. 
Catini:  hm  rime  dei  poeti  Bok^gmmai  «•!  aeoolo  JDU,  pa^   |0U 

{i)  Oino  da  Pi$toia  in  «  Biblioth^que  Uiivv«r«elk  »,  1868,  psf .  dS. 


.S3 


Chi  si  domauda  se  tra  tutte  le  donne  cantate  neHe 
rime  di  Cfno  c'  6  colei  ch'  egli  qualche  volta  chiamava 
oal  nome  di  Sehraggia.  (»  Non  presteremo  troppa  fede 
al  Bartoli,  il  cui  scope  era  di  affogare  Selvaggia  in  quel- 
roeeano  ondoso  di  amori  attribuiti  a  Gino,  a  beneficio 
della  donna  angiolo ;  non  ci  illuderemo  d*altra  parte  col 
signor  De  Girconrt  che  sia  tanto  semplice  determinare 
la  corona  poetica  di  Selvaggia  —  cosa  del  resto  da  lui 
non  fatta  in  nessun  modo,  n^  bene  n6  male  —  diremo 
solo  che  queirunica,  geniale  classificazione  delle  Rime 
di  Oino  che  abfoiamo,  non  6  completa,  perch6  comprende 
solo  una  scelta  che,  per  quanto  sia  fatta  con  queir  alta 
competenza  che  h  deirautore,  non  distingue  le  Rime  del- 
Tamore  p^  Selvaggia  da  quelle  d'altri  amori  meno  no- 
bili  e  meno  duratori.  (^)  Dico  subito  che  questa  classi- 
ficazione ^  che  del  resto  6,  in  mode  assoluto,  impos- 
sibile  —  non  penso  gi&  di  tentarla  io.  A  me  basta  ora 
di  distinguere  tutte  le  Rime  in  cui  c*  6  un  reale  o  pre- 
teso  aocenno  ad  altri  amori  e  ad  infedelt^  del  poeta  : 
qnesto  compito  mi  permetter^  poi,  senza  tema  di  andar 
troppo  lungi  dal  vero ,  di  ricostruire  1'  amore  di  Sel- 
vaggia, sia  perchA  questo  appare  pid  profondo  e  piii  vero, 
se  non  pid  puro,  perch6  le  Rime  che  lo  riguardano  si 
rassomigliano  neirespressione  di  un  pi&  caldo ,  piii  vi- 
brato, e  specialmente  pi&  disperato  affetto,  sia  infine 
per  gli  accenni  materiali.  La  prima  di  queste  ragioni 
6  affktto  soggettiva,  e  fa  di  solito  sorridere  o  aggrot- 
tar  le  ciglia  ai  padri  della  critica;  pure  non  6  motive 
per  cui  anche  questo  criterio  debba  essere  in  tutto  tra- 
scurato,  usandolo  parcamente.  Gi6  posto,  gli  accenni 
alia  volubility  di  Gino  ci  appaiono,  come  dalle  Rime, 


(1)  BarioH,  ap   oii.  pag    100 

(i)  O  Oardueei^  Rime  di  Messer  Cino.  Pirense,  fi&rbera  —  Anche  Luigi  M. 

Rwist,  nflllo  ttesso  tempo  obe  il  Ciampi  pobblicava  la  Vita  e  le  Rltaie  di  Cino, 

al  proponeraui  fame  uo*edisione  doTe  le  rime  fossero  distribuite  per  materie 

ma  l*topera  aoo  veane  alia  laea.  *  V.  Chiappelli  che  ne  d&lanotisla,  op.  cit.^ 

p«9*  ft,  nota  1.  •* 


34 


ooai  anche  dalle  testimonialize  degli  scrittori,  contem- 
poranei   o  di   poco  posteriori.  A  proposito  di  questo, 
nessimo  vorra  certo  preoccuparsi  che  il  legi;rta  Oiiilio 
Claro  chiami  *  maximas  amator  »  il  nostro  amoroso 
messer  Cino,  dacche  un  grandissimo,  un  appassionatis- 
simo  amante  egli   sarebbe  anche  quando  avesse  sospi- 
rato  per  la  sola  Selvaggia;  e  neppure  si  darii  pensiero 
dei  delicia  anw)  is  attribuitigli  dal  Farinaccio,  pensando 
che  essi  «  omnes  tangunt  -  e  che  in  prosa  italiana  non 
sono  altro  che  «  scappatelle  d'araore  »,  come  ce  ne  of- 
friranno  esempio  le  rime  giovanili  e  qualche  altra  di  pid 
matura  eta,  e  come  ne  commisero  tutti  i  piu  grandi  can- 
tori  di  belle  donne :  compreso  I>ante,  che,  quando  accus6 
Gino  di  lasciarsi  prendere  a  ogni  uncino,  sembra  avesse 
dimenticato  che,  oltre  air  amor  puro  e  ideale  per  Bea- 
trice Portinari  e  Taltro  della  cui  realty  originjiria  non 
dubitava  per  la  donna  pielosa  o  tionna  genUlCy  identifl- 
cata  poi  con  Madonna  la  filo^ofia,  egli  soRri  anche  il 
mariirio  dolce  t*'  di  un  amore  di  ardente  sensuality , 
di  cui  ci  sono  testimonio  le   quattro  canzonl  in  cui  si 
gioca  colla  parola  pietra,  e  Tamore,  sia  pure  spirituale, 
per  una  donna  del  Casentino,  a  cui  accenna  la  lettera 
a  Moroello  Malaspina,  e  quelle  per  la  lucchese  Gentucca, 
che  non  par  tar  a  an  cor  benda  nel  1300,  a  cui  alludono 
i  versi  43  e  segg.  del  XXIV  del  Purgatorio.  Del  Petrarca 
taccio,  11  quale,  intanto  che  cerca  pur  disfogareil  do- 
lorosa core  e  i'amor  suo  per  M.  Laura,  che  co'  suoi 
dolci  rai  in  flam  ma  taer  d'onestate,  t*)  intanto  che  alle 
donne  malediceva  nei  trattati,  ebbe  mode  di  avere  dei 
bastardi  da  altre  donne.  ^^ 


(l)  Dinte:  Caot.  Cost  nel  mio  parUr  voglio  esBer  aspro. 

(8)  Petraroa:  Sod*  Le  btoUe  e  il  cielo. 

(S)  Nel  13  7  ebbe  1  fi^liaolo  oaturale  0  ovanni,  e  gli  nacque  la  figlia  il- 
legittima  Pranoesca  qaando  oucnpooeva  i  dialogbi  coo  S  Afrosiino  —  O  Voig^, 
bti9aud»si  sa  ua  pisso  delle  FaWa*  43  (p  1P7  •*d  BasilAa)  «  ti  dixero  me 
plareH  habere  noibos  quam  >otUia  ftire  oapitulum  cuius  ego  piirs  sun  »,  ere- 
detie  di  sooprirM  cbe,  oltre  a  quest!,  etsli  abbia  avuto  uoa  quaatit4  di  A^H 
spurii.  Ma  deve  leggersi  probabiiroente  notoa  (oonoscenti). 


* 


38 

Faremo  noi  carico  ai  poetaseegli  stessoci  diceche 
il  done  vale  piii  del  sospiro?  non  6  egli  che  ci  apprende 
che  dinnanzi  alia  donna  sua  fugge  ogni  pensier  vile? 
Ben  potremo  accusare  Cino  di  contraddizionl  e  di  anti- 
nomie;  potranno  i  sognatori  di  mistiche  ideality  lamen- 
tare  che  egli  non  sia  tutto  pupo  in  ogni  momento;  ma 
chi  pretende  castigatezza  di  linguaggio  da  un  trecenti- 
sta,  mostra  di  non  conoscere  quegli  uomini  e  le  loro 
passioni. 


Ma  diffonderi  forse  una  luce  maggiore  sul  Nostro, 
Tesame  delle  Rime  dei  poeti  che  ebbero  scambio  di  i- 
dee  con  lui,  e  delle  sue  poesie  stesse:  da  quelle  rileve- 
remo  alcune  accuse  fattegli,  e  diremo  del  loro  valore, 
da  queste  avremo  mode  di  deter minare  approssimativa- 
mente  le  belle  che  ispirarono  il  dolcissimo  canto  del 
poeta,  del  quale  il  Petrarca,  nel  suo  acerbo  dolore,  potd 
dire  invitando  le  donne  a  piangerne  la  morte : 

•  colui  che  tutto  intesa 

In  farvi,  mentre  visse  al  mondo  onore.  (1) 

II  campo  aperto  ai  primi  amori  del  poeta,  natural- 
mente  proclive  a  deli  bare  il  fiore  dolce  della  bellezza, 
6  Bologna ,  dove  egli  si  rec6  per  attendere  agli  studi 
universitari.  Quivi  egli  ebbe  uno  scambio  poetico  di 
idee  con  alcuni  rimatori  della  scuola  bolognese,  suoi 
amici  e  alternativamente  suoi  nemici,  perch6  il  carat- 
tere  suo  intollerante  e  altero  non  gi  permise  di  avere 
durevoli  amicizie.  Per6  egli  dovette  aver  acquistato  fama 
di  valente  poeta  fin  dai  piu  giovani  anni :  oltre  al  sonetto 
a  Dante  e  alia  canzone  in  morte  di  Beatrice,  si  deve 
pure  assegnare  al  prime  periodo  della  vita  di  Cino,  an- 
teriore  airanno  mille  trecento,  un  sonetto  diretto  a  Ser 


(1)  Pitrarea:  Son.  Piangete,  donne,  e  con  vol  planga  Amore. 


36  . 


M«la  4e'  Muli  di  Plstoia.  (>>  Ser  Mula  si  erariyelto  al- 
Tamico  gi&  famoso  neir  amoroso  arringo,  afftnchd  gli 
sciogliesse  una  questione  d*  amore  : 

E'  amor  diseende  per  gentil  coraggio, 
0  di  che  nasoe,  et  se  yien  per  piaoere, 
0  s'egli  ha  forsa  di  gtw,  personaggio 
E'  posaa,  quanta  pid  se  ne  pa6  avere.  i^) 

e  si  rivolge  a  lui  come  a  uomo  saggio,  dicliiarandosi 
incompetente  a  risolvere  da  s6  il  suo  dubbio.  II  sondtto 
di  Ser  Mula  prova  la  fama  che,  almeno  in  Pistoia,  Cino 
s*era  acquistato  come  poeta  d*  amore. 

Attribuisco  il  sonetto  di  Oino,  che  risponde  all'ac- 
cennato  di  Ser  Mula,  al  primo  periodo  della  vita  sua , 
per  il  pregio  del  lavoro,  che  6  dawero  povera  cosa  e 
inde^ia  della  rigogliosa  spontaneitii  del  cantore  di  Sel- 
vaggia,  6  penso  che  esso  debba  assegnarsi  a  tempo  an- 
teriore  a  quello  in  cui  il  poeta  arieggia  alia  scuola  bo- 
lognese,  che  risponde^  credo  io,  air  ultimo  decennio  del 
trecento.  Ksso  6,  ch'  io  sappia,  inedito,  e  io  lo  riproduco 
togliendolo  dal  codice  Bolognese  Universiiario  1289,  c. 
iOO  V.  coUe  variant!  del  Casanatense  4,  F,  5. 

(1>  11  guadrio  lo  dice  da  Vinegia.  MuU  sarebbe  contratto  di  Amaleo. 

{V  Ser  Muia:  Son.  Vedl  qtiesta  quartiaa  neirBdiiion*  delle  RiOM  di  Cino 
curata  da  FausUno  Tatso,  p  112.  —  V.  (Jatanatenu  d.  F>  5.^  che  ha  akraaa 
Botevoli  variant!  dall*edisioDe  del  Tasso.  Eceo  il  sonetto  nella  lesione  della 
Casanatense. 

^  Mula  De  Mult  a  Cino. 

Homo  saccente  et  da  maestro  saggio 

De'  interrogar  per  apparar  severe, 

Ood*i  ml  moao  a  voi  si  com'a  maggio 

Doctor  che  sete  per  ragion  cernere. 
&*araor  diseende  per  gentil  coraggtol 

O  di  die.nascet  c  se  yien  per  piacere? 

O  a'egU  ha  in  se  forsa  o  .signoraggio 

Et  possa,  quanta  pift  se  ne  pu^  anere  I 
Et  prego  yoi»  si  come  *1  plA  pregiato 

Sigaor,  che  di  eoleBsa  mi  insegnftte 

D'esto  dimando  sire  ch*eo  mi  chero 
Cbed  io  non  son  da  me  tftpto  'nsegnato 

Obed  il  possa  sa«er  pfr  y#rUa«e, 

Ood'io  mi  tornl  al  dirltto  sentero. 


37 


RiSPOSTA  DI  M.  ClNO  AL  8EQUENTE  DI  M.  MULA. 

Ser  Mala  tu  te  credi  senno  hanere 
Tanto  Che  porta  nirtii  d'  helitropia 
Ciie  di  cosa  comniie^  faUa  pixipta 
Ma  AOQ  a  ooBti  peosi  al.mio  purere 

NoBira  ragion  pur  ci  eonnieii  oeraere 
Et  dice  faccian  prego  a  donoa  iQiipia 
che  uenga  to8to  si  che  n'liaggian  cupia 
Di  poterla  toccar  non  eke  uedei'e 

Ma  ben  crebbe  rimedio  al  nosti'o  ingaano 
ch'ella  spoaasse  queila  polcelletta 
celatamente  oi  cbe  tutti  il  saono. 

Ei  sappia'i  bea  ch'ella  trouasti  stretta 
si  come  queila  cb^  era  tiel  sext*  anno 
Rilegati  ser  Mula  cottal  uetta. 

Yarianti  del  Codioe  Casanatens'x  d^  VyS  .*  v.  l.  ti  oredi  —  s.  Tanto, 
obe  porta  vertft  •«  3.  Commune  —  .  Ma  non  bai  com  tl  p«^nti  —.5.  si  conven 
—.6.  Et  did  facciam  —  7  b),  che  —  9.  'nicanno  —  1.  celatamente  si,  che 
tatt!  *1  —  12.  sappiam  bene  che  la  —  13   aest*  anno  ~  14.  cotal  netia. 

Qui  non  6  ftior  del  easo  di  notare  che,  per  quanto 
questo  soneito  sia  stato  diehiarato  responsivo  airac- 
cennato  di  Ser  Mula,  esso  non  6  per  le  rime;  che  il 
sense  non  risponde  a  quelle  se  Bon  tirandolo  coi  denti, 
che  il  sonetto  di  Ser  Mula  non  dj  la  ohiave  deiroscuro 
sonetto  di'  Oino  e  che,  se  mai  sono  in  relazione  di  do 
manda  e  risposta,  se  ne  deduce  eheTiroeoGino  ricam- 
biara  dispettosamente  a  una  domaaida  che  doveva  ono- 
rarlo  e,  rispondendo  a  una  questione  generale,  dava  un 
aspro  rabbutfo  accennando  ad  un  case  speciale  occorso 
a  Ser  Mula«  Comunque  sia,  il  somUo  6  autentico  perchd 
si  trova  in  quatiro  manoscritti »  €  da  tre  date  aperta- 
mente  al  Sinibuldi,  nel  quarto  aiionimo,ma  depo  rime 
di  lui  >  (I) 


(i;  V,  Nottola:  Studi  sul  Canioniere  di  Cino  da  Pistoia  ^  Milano  ,  1893. 
I  manss.  sono:  Galvani,,poi  Mansoni;  Bolognose  .Universitario  1289;  Casana* 
tense  d,  V,  5;  Scappncci,  poi  Bologna,  in  cui  ft  anonfmo. 


38 


Lasciamo  il  sonetto  a  Ser  Mula,  e  non  caviamone 
altra  conseguenza  che  la  riconferma  delta  celebrity  che 
Gino  godeva  in  materia  d*amore,  e  diciamo  qualche  cosa 
del  poeti  Bolognesi  che  ebbero  con  lui  scambio  di  idee. 
E  cominciamo  da  Ser  Onesto. 

II  carteggio  tra  questo  poeta  e  Mes^^er  Cino  si  riduce 
a  sette  sonetti  del  Bolognese  e  a  sei  di  Gino  respon- 
sivi  ai  detti  <*>. 

Non  occupiamoci  dei  sonetti  in  cui  Onesto  accosa 
Tamico  di  essere  nolle  sue  rime  oscuro,  confuse,  pieno 
di  convenzionalismi,  di  profondere  io  esse  le  solite  frasi 
e  parole: 

Mente  at  umile  e  pid  di  mille  sporte 
piene  di  spirti    .,..(*) 

a  cui  Gino  risponder&  che  egli  parla  <  senza  esempio  di 
fera  o  di  nave....  a  guisa  di  dolenti  a  morir  messi  » (3); 
diciamo  invece  brevi  parole  delle  rime  amoroso. 

Onesto  Bolognese  6  anch*esso  amaute  infelicissimo, 
e  bench6  in  lui  trovinsi  i  luoghi  comuni.  della  scuola 
bolognese,  sicch\  per  dirla  con  Gino,  quando  accusa  di 
questi  difetti  il  Pistoiese  lo  veggiamo  goder  «  come  il 
monocchio  —  che  gli  altri  del  maggior  difetto  varga  <^)  > 
(yarca),ci  par  degno,  per  alcune  rime,  di  esservl  posto 
accanto  a  Gino  tra  i  poeti  del  dolore.  Uditelo  sfogarsi 
coiramico: 

Mira  srli  ocobi  miei  morti  in  la  cerTice 
et  odi  rI   angosciosi  del  cor  stridi, 
at  da  l*altro  meo  corpo  ogne  pendice 
che  par  ciascuna  cba  la  morte  gridi,  (&) 


<1)  VadiU  in  Ckufnt  op   oit.,  pag.  93-105, 

(f)  On^io*  San  ehn  oomlnoia  coti 

(3)  €fina:  Son,:  Amor,  che  tIad  per  !•  plft  dole!  porte. 

(I)  CinK  Son  Io  ton  colol.  obe  tpasso  m*  inginoeohto. 

(^  Onmfe:  Son*  Qaella  oho  in  oon  V  amorosa  radico.  V.  Casia! ,  op.  oil. 


89 


udite  ammoniiio  con  amorosa  premura  di  guardarsi  dal 
«ervir  Amore. 

A  questa  ammonizione  risponde  il  N.  con  un  sonetto 
che  ci  dimostra  come  gi^  fin  dagli  anni  giovanili  un 
forte  amore  dominava  il  suo  cuore. 

E  tardi  omai  il  consigliargli  ch'  amot*  non  serva  e 
che  'n  lui  non  si  fidi! 

lo  li  son  tanto  so^getto  e  fedele 
che  morte  ancor  da  lui  non  mi  diparte, 
ohe  sento  de  la  guerra  sotto  Marie ;  (U 

doviinque  vola  e  va  drizzo  le  vele 
come  cotui  che  non  li  serve  ad  arte,  (s) 

Trattasi  dunque,  gi&  fin  d'ora,  d'un  amore  profondo, 
costante,  che  non  impallidisce  per  lontananza;  concetto 
che  noi  vedremo  ripetuto  in  altro  sonetto  di  questo 
periodo,  diretto  a  Gherarduccio  Garisendi  <•''♦;  che  se 
Onesto  6  un  povero  tradito,  il  quale  non  spera  che  la 
calcatrice  <*'  che  Tha  invaghito  possa  mai  esser  presa 
nelle  sue  reti  (^>,  se  Y  infelice  e  maciuUato  fra  due  gra- 
mole  v0),  anche  il  Pistoiese  ha  gi^  sentito  Tamaro  del- 
Tamorosa  passione: 

lo  sol  conosco  lo  contrar  del  mele« 
che  I'assaporo  et  honne  pien  le  quarte  (^); 
e  quando  il  fiolognese,  pieni  i  sensi  di  un  ardente  af* 
fetto  per  una  donna  c  disdegnosa  e  santa  p,  si  volge 
a  Glno  e  lo  prega  che  se  mai  egli  ha  colto  frutto  di 
tal  pianta,  glielo  mandi  a  dire, 

.    •    .    •  cb*  eo  a'  ho  tal  sede 

ch' esta  ilesio  tutto  lo  cor  me  schianta,  i^) 


(1)  Fanf'ini:  Ch'io  '1  sArvo  oella  pace,  e  sotto  Marte. 

(2)  Cino:  Son.  Anxi  ch'ara«'re  ae  la  roente  gu  di. 

;8   Cino:  Son   Come  li  taggi  di  Neroo  crudele  ... 

(4)  Cale  firfee  vale  coceodrillo,  ^fr  Pr.  Succh^Uii  rim*  13.  <  0  oaloatrloe 
in  Ctti  perfida  voglia  sempre  si  riooova.  » 

(5i  One*to:  Son    Assai  son  certo  <  he  somen  n  in  lidl.  Casini   pag»  8T,  — 
(6)  Onesto:  Son   Chi  vol  vedere  mi  tie  fiprson**  grame 
(7;  Ci»u>:  Son,  8e  mai  leggesti  versi  dn  TOvidi. 
(8)  Onetto:  Son^  Si  m*  ft  fatta  nemica  la  mercede. 


40 


il  oaBtore  di  Sehragfia,  ammaestra'to  dal  dotoro,  lo  ccm- 
forta  dicendogli  che  quel  mal  che  ne  la  mente  sied^  ^ 
e  pone  e  tien  sopra  lo  cor  la  stanza,  n(m  p»^  dar  che 
lagrimee  che  amore  a  lai  non  ha  dato  che  unMneffahile 
voglia  di  morte,  da^ch'*  6  in  sua  fede  (^l 

E  ramore  grave,  infelice,  tessuto  di  lagrikae  e  di  so- 
spiri,  per  cui  vedremo  il  poeta  angosciato  in  tntte  le 
sue  Rime.  E  chi  era  la  belia  onorata  di  lagrime  si  co* 
centi '  Non  ora  lo  diremo,  e  il  dirlo  sarebbe  cervellotico ; 
el  basti  di  notare  che  Onesto  nel  son.  sopra  »ccennato 
<  kssai  son  certo  che  Ptmenta  in  ikUy  dopo  aver  affer"^ 
mato  che  non  spera  mai  di  trovare  amatrice  lei  che 
adora,  rivolto  aU*amico  gli  dice: 

.    .    .    •    non  coDoscI  acqoa  di  fdle 
nel  mar  dove  ha  tutte  allegrezze  sparte, 
cbe  val  ciascutia  pid  che  amor  di  parte. 

Onesto  credeva  dunque  che  Tamico  nuotasse  in  un  mare 
di  allegrezze,  cOt^cuna  delle  quali  vale  piii  che  amor  tit 
parte;  cio6.  e  parmi  la  sola  mterpretazione,  Gino  amava 
una  donna  la  quale  apparteneva  a  un  partite  che  non 
era  il  suo,  e  per  essa  dimenticava  tanior  di  parte,  le 
sacriflcava  Taifetto  cbe  lo  legava  alia  sua  fazione.  Con 
qualche  rawicinamento  potremo  forse  in  seguito  dire 
chi  fosse  questa  donna  che  fa  il  Nostro  dimentico  della 
passione  che,  piCi  d'ogni  altca,  sMmponeva  in  quel  giomi 
di  odi  e  di  stragi  sanguinose. 

La  corrispondenza  tra  i  due  poeti  i  finita;  ed  6  a 
credere  che  Mnisse  presto  anche  la  lore  amicizia,  dopo 
che  si  scagliarono  in  faccia  vituperi  in  versi ,  quando 
irato  Ser  Onesto,  in  una  questione  d* amore,  cosi  a* 
postrofo  Tamico:  c  a  trarre  un  baldovin  vuol  lunga 


(1)  n  Bartbli.  per  euer  oonseguente,  avrebbe  dovuto  coUooare  lraio*ii« 
tori  da. la  donna  aogelo  anohe  Onosto  Boiogoofe,  la  cui  donna  d  par  Mfita  e 
dUdegnoM. 


41 


cordaO)  e  Cino  lo  ripag6  a  usura: 

....    in  sembiante 

siete  deiranimale  che  si  (orda : 

ben  6  talvolta  fai*  Toreccbia  sorda  (S). 

Saiis  dirae:  lasciamo  ser  Onesto,  che  fu  pure  il  mi- 
gliore  amico  di  Cino,  tanto  che  questi,  pii  t'ardi,  tiopo 
la  morte  di  Dante,  accusd  il  Ghibellin  fuggiasco  che 
ragionando  con  Sordello  non  facesse  motto  ad  Onesto  di 
Boncima;  non  per6  senza  aver  notato  che  11  commercio 
di  sonetti  tra  i  due  poeti  non  ci  &k  diritto  a  pensare 
a  una  plurality  di  amori  in  Oioo ,  ed  esaminiano  se 
Oherarduccio  Garisendi,  poeta  di  nobile  famiglia  bolo- 
gnese,  nolle  Rime  che  scambi6,  secondo  il  galateo  dei 
tempi,  col  Nostro,  meglio  ci  ilium  ini  suUa  natura  degli 
affetti  deiramoroso  piatoiese. 


E  piu  duratura  e  piu  serena  Tamicizia  di  Cino  con 
Oherarduccio  ? 

Noi  sappiamo  gi&  che  questi  6  quel  Garisendi  che 
accus6  Cino  di  avere  il  cor  vano,  lascivo  e  disciolto, 
e  non  6  a  dire  se  queU'iroso  lo  comportasse  in  pace, 
e  qual  loquace  sdegno  ne  nascesse. 

Rifacciamo,  per  conoscerlo,  sul  carteggio  dei  due 
poeti,  la  storia  della  lore  amicizia.  Breve  istoria:  e  i 
documenti  di  essa  sono  un  sonetto  di  Cino  a  Oherar- 
duccio, giuntoci  senza  risposta ,  e  tre  altri  a  cui  son 
responsivi  altrettanti  del  Garisendi.  <^) 


(1)  Oneito  bologneae :  Soo.  Sete  vo*,  messer  Cin,  se  ben  v'adoocbio.  —  Per 
il  significato  della  parola  baldovino^  vedi  Fanfani:  «  Le  Rime  di  Messer  Cino  », 
nel  oommento  alia  satlra  «  Deh  quando  rivedr6  U  dolce  paese  »,  alia  parola 
Balduino  della  stanza  1.,  v.  12.  —  Vedi  altresl  Luigi  Blondi  in  Oiomale 
Arcadico  del  1822>  pag.  388  e  segg.  Egli  orede  col  Salvini  che  balduino  si- 
gniflcbi  asino,  Cfr.  bardut  ^  goffo,  e  bardella  =  guernimento  deirasino. 

(2)  Cino:  Son.  lo  son  colui  che  spesso  mMnginocchlo. 

(S)  Pel  Garisendi:  V.  Rime  dei  poet!  bolognesi  del  secolo  XIIT,  ordinate  da 
T.  Casini ;  per  Cino,  ▼.  U.  Nottola  :  Studi  sal  Canzoniere  di  Cino,  pagina  58 
e  segg.  6 


42 


I  due  poeti  hanno  posato  gli  sguardi  innamorati  so- 
pra  una  donna  umilmente  gentile,  la. quale  <  move  gli 
occhi  si  mirabilmente  «  che  si  fan  dardi  le  bellezze 
sue  >.  Amor  dice  di  essa  €  cK  angelo  fue  >.  <^)  Si  que- 
rela il  poeta  coiramico  : 

.    .    .    umlltii  trovi  ed  6  M  contrario  forte 
e  non  6  molto  ancor  ch*i'  me  n'accorsi, 

B  per  quanto  non  abbia  invidia  del  fatto  suo^   ben  si 
duole  del  proprio.  (^) 

Pur  non  pu6  scordare  la  donna  sua,  n6  presente,  nd 
lontano;  e  or,  lungi  da  essa,  privo  della  sua  vista, 
piange  doglioso  e  pensivo ;  e  morrebbe  d'  angoscia ,  se 
non  fosse  che  spesso  ricorre  a  un  ritratto  delTamata^ 
<  a  la  figura  in  sua  sembianza  pinta  » : 

Cosi,  lontan,  m*  aito  e  mi  soccorro 
per  ritornare  e  dar  maggiore  strinta 
quando  aver  ti  parrk  la  guerra  vinta.  W 

Gio6 ,  dunque :  benohd  lontano,  si  consola  beandosi 
nella  contemplazione  del  ritratto,  per  ricadere  in  pene 
pli  atroci  quando  parr&  a  Gherarduccio  di  aver  vinto 
la  guerra,  la  guerra  d'amore. 

Qui  credo  —  a  mono  che  vogliamo  attenerci  alia 
lezione  deirultimo  verso,  dataci  dal  Fanfani,  <  Or  cb^ 
morte  ha  mia  forte  guerra  vinta  >  —  di  pQter  stabilirp 
che  Cino,  a  Bologaa,  sospirasse  per  una  bella  lontanai 
e  che  Gherarduccio  fosse  suo  rivale. 

QueU'espressione  di  inenarrabile  affetto  non  induc0 
pieti  nel  Garisendi,  ma  lo  muove^  sdegno.  Egli  punge 
<5on  sarcasmo  il  dolce  d'  amove  amico : 


(1)  Non  vedo  ragione  per  cui  questo  sonetto  non  abbia  servito  al  BartoU 
per  la  Donna  angelicata, 

(f)  Cino,  Son»  Caro  raio  Oerardaccio,  io  non  bo*  *nv6ggia. 
(3)  Cino»  Son.  Amato  Oherarduccio^  quandM*  scrivo. 


« 


...la  cbntesa  del  lupo  e  de  I'agno 
Ch'  ayete  presa  yei'  me  non  la  scriyo. 

E  un  impeto  di  gelosia  gli  detta  T  improperio ;  U 
vostro  C07^  vano  disciolto  e  lascivo  non  pu6  ^tillare  la- 
grime  d*amore:  €  non  yi  bagna  acqua  di  quel  dolze 
stagno,  (0  Del  resto,  a^punge  il  Garisendi,  inyiperito 
e  iattante  nella  sua  gelosia:  €  io  son  certo  di  essere 
'an  amante  fortunate  e  corrisposto  » 

d'  amor  son  certo  pena  hen  diriyo, 

^iod,  SB  male  non  interpreto,  »  nd  parmi  che  lo  si 
possa  diyersamente  —  €  io  derivo  felici  pene  dairamore, 
che  mi  son  arra  di  felicity  ». 

£  poichd  Cino ,  dolcemente  fidente ,  gli  ayeya  detto 
che  egli  si  consolaya  col  ritratto  dell'  amata ,  il  Gari- 
sendi con  una  frase  a  doppio  sense  gli  lancia  Tespres- 
sione  del  proprio  odio : 

....  soyente  in  allegrezza  corro 
membrandoyi  cbe  v'  ha  dato  la  pinta 
quella  cbe  y'ha  d'  amor  la  mente  cinta; 
peri)  cbe  conoscete  ye  Taborro  (cbe  y'aborro?). 

II  passo  6  capitale :  V  uomo  che  ghigna  e  gode  delle 
.i^yenture  deiramico,  non  6  un  moralista  censore  dei 
dijEiatti  umani ,  6  un  riyale  ferocemente  geloso,  perchd 
Cino  s'erayantato  di  aver  ricevuto  il  ritratto  della 
jstessa  donna  amata  dal  Garisendi.  A  questo  yanto  Ghe- 
jrarduccio  risponde,  dissi,  con  una  frase  a  doppio  senso: 
^ei  corre  in  allegrezza  ricordando  che  la  donna  amata 
in  comunione  d'  affetto ,  ha  dato  la  pinta  a  Cino.  E  la 
lirase  yale:  <  ti  ha  dato  il  ritratto  > ,  —  per  quanto  il 
Tocabolario  non  registri  la  parola  pinta  in  -questo  senso 
—  interpretando  in  relazione  a  ci6  che  Cino  gli  ayeya 
scritto ;  ma  yale ,  nella  mente  del  Garisendi  e  in  rap- 


(1)  G.  Oarisendi:  Son.  Dolce  d*  amore  amico,  eo  vi  riserivo. 


J4 

porto  air  odio  che  spira  tutto  il  sonetto :  <  ti  ha  ri- 
gettato,  ti  ha  respiDto,  »  conforme  al  signiflcato  che 
ha  questa  frase.  f^) 

L*abbiamo  detto:  Oino  non  comportd  in  pace  i  vi- 
tuperi  del  Garisendi:  e  gli  rispose  col  sonetto  «  Come 
11  saggi  di  Neron  cradele'»,  etlito  da  Faustino  Tasso, 
dei  Minori  Osservanti  (1589),  dal  Galvani  ('Lezioni  Ao- 
cademiche,  1840),  e  dal  Nottola  (1893).  E  questo  sonetto 
6  tale  che  merita  qualche  considerazione. 

Benchft  da  altri  stimato  oscurissimo ,  esso  appar 
chiaro  da  ci6  che  fu  detto;  Gino  risponde  rendendo 
pan  per  focaccia : 

Come  11  saggi  di  Neron  omdele 
iDgi*avidare  il  fscer  d*  una  rana, 
cos\  ba  fatto  Amor,  per  vista  yana , 
la  mente  tua,  onde  tu  ardi  e  geli. 

LMmagine  turpe  nella  sua  signiflcazione  leggendariar 
ma  espressiva,  dovette  piacere  a  Cino  perchfi  anche  al- 
trove  Tadoperd  (*),  rivolgendosi  a  Onesto  bolognese. 
Essa  ba  la  sua  origine  in  una  leggenda  che  nel  Medio 
Evo  era  notissima  e  che  viene  ricordata  da  A.  Graf.  (3) 
Nerone,  mostro  di  libidine  c  che  era  state  marito  del 
giovine  Sporo  e  moglie  dei  due  liberti  Pitagora  e  Do- 
riforo  >,  Nerone  che  aveva  promesso  straordinarie 
ricompense  a  chi  gli  mutasse  in  femmina  il  giovane 
amato,  <  non  sapendo  omai  che  imaginar  di  nuovo,  da 
chetare  alquanto  la  sua  stravolta  fantasia,  vuole  im- 
pregnare  e  part'    ire;  chiama  i  suoi  medici  e  ingiunge 


^l)  Cfr.  Tac  D&v.  Stor.  2  287 :  II  buon  uomo ,  dolce  per  natura  e  mu- 
labile  per  paura,  per  non  far  sue  le  brighe  d* altri,  coir  aiutar  chi  cadeva, 
gli  did  la  pinta  —  Cfr.  altrest  CirifT.  Calr.  4,  127.  Con  ana  certa  ana  oaresia 
flnta ,  —  Sempre  sua  soorta  e  leal  partigiano  —  Si  dimostrava,  per  dargli 
la  pinta. 

(3)  OinOf  Son*  lo  f on  ooloi  che  spesso  m*  inginocohio. 

(3)  Oraf.  Roma  nelU  memorie  e  nella  fantasia  del  Medio  Bvo.  Vol.  I.  pa** 
gina  308. 


45 


loro,  sotto  pena  di  morte,  di  appagare  il  suo  desiderio. 
I  medici,  per  torsi  d'impaccio,  gli  fanno  trangugiare 
in  un  beveraggio  una  piccola  rana,  che  gli  cresce  in 
corpo,  e  ch'egli  vomita  d(»po  un  certo  tempo.  >  (V 

Ci  appar  dunque  chiara  la  similitudine  con  cui  il  pi- 
stoiese  ei  dipinge  il  Garisendi:  <  come  i  medici  di  Nerone 
fecero  ingravidare  il  mostruoso  tiranno  di  una  rana, 
cosi  Amore  ha  gonfiato  la  mente  tua,  per  cui  tu  ardi  e 
geli  >;  ma  come  non  era  vera  la  gravidanza  di  Nerone, 
cosi  6  vano  V  amore  del  Garisendi. 

Falso,  che  ne  la  bocca  porti  'i  mele 

6  dentro  tosco ,  onde  *i  tuo  amor  non  grana 
or,  come  vuoi;  fa  V  andatura  piana,  (fait) 
per  prender  la  colomba  senza  fele 

quella  per  cui  io  spirito  d*  amore 
in  me  discende  da  Io  suo  pianeto 
quand'6  con  atto  di  bel  guardo  lieto. 

Pei'6,  dovunque  io  vo,  le  lasso  il  core 
cui  raccomando  '1  suo  dolce  discrete : 
non  temo  d'  uom  ch'  a  amai*  vada  col  gi*eto. 

Da  questi  versi  apprendiamo  che  T  amore  del  Gari- 
sendi ,  a  detta  di  Cino ,  non  era  profondo  e  durevole 
come  egli  pretendeva,  e  che  ei  s*  infingeva  per  allettare 
quella  donna,  simile  a  colomba,  per  cui  Io  spirito  d'a- 
more  discese  anche  in  Cino.  Protesta  il  Pistoiese  ch'  egli 
pu6  ben  esser  lontano  dall'amata,  ma  che  il  suo  cuore 
6  con  lei  e  con  iattanza  aflferma  «  non  temo  d'uom  ch'a 
amar  vada  col  greto.  »  La  lezione  di  quest'ultimo  verso 
h  incerta;  ma  sia  che  leggiamo  collaCasana tense ,  or 
riprodotta,  sia  che  leggiamo  coircdizione  del  Tasso 
<  non  temo  d'uom  ch'al  mar  vada  col  greto  >,  il  senso 
non  cangia:  Cino  non  teme  d'uomo  instabile,  che  muta 
affetti  come  paese. 

(1)  Ricordano  il  fatto  la  Graphia ,  Martina  Polono ,  la  Kaiserchronik  (v. 
4132-74;,  MattM  di  Westminster  nei  Floras  hisloriarum  Ranulfo  Higden  nel 
PolycbronicoD,  Giovanni  da  Verona  nella  Historia  Imperialism  ecc. 

7 


46 


Con  un  donetto  del  Garisendi  (^)  finisee  il  certame 
di  vituperi  dei  due  poeti ,  che  sia  arriTato  fino  a  noi , 
ed  6  logico  credere  che  in  esso  affogasse  la  loro  ami- 
cizia.  Ma  il  sonetto  del  Qarisendi  contiene  un  aceeano, 
almeno  apparente,  di  speciflcata  plurality  di  amori. 
4  Vorrei  saper  da  vo'  > ,  msinua  Oherarduccid  Hfiatto 
calmo  e  sarcastico: 

se  y'  ha  gremito  la  pola  selvana 
com'  esser  po'  de  la  pinta  fedele  t 
pei*6  che  amante  quando  pou  due  tele 
a  Tuna  pur  convien  mancai*  la  lana. 

Se  v'ha,  o  Cino,  ghermito  la  comacchia  selvana, 
come  essere  poi  fedele  della  pinta  f 

Cino  si  assicura  di  essere  costante,  Gherarduccio 
nega,  e  vuole,  pur  sbugiardato  dal  pistoiese,  che  fe- 
delU  in  amore  sia  un  proprio  attribute.  Gi^  abbiam 
visto  che  il  Garisendi,  a  proposito  della  pinta,  fa  un 
miserevole  gluoco  di  parole.  Se  Cino  aveva  adoperato 
11  vocabolo  pinta  come  aggettivo,  riterendolo  a  figura 
{ftgura  in  sua  sembianza  pinta) ,  Gherarduccio  ne  fa 
un  norae  che  signiflea  or  sospinta  or  ritratto.  Ma  nei 
versi  or  citati  che  vale?  N6  Tuna  nATaltrJi  delle  dette 
cose ;  perchft  V  amore  per  una  donna  non  esclude  che 
si  possa  consolarsi  col  sue  ritratto.  —  Che  Cino  pos- 
sedesse  il  ritratto  d*una  sua  amata  noi  lo  abbiame 
giSi  visto.  Ma  chi  era  Toriginale?  A.  de  Circourt,  nel 
sue  studio  altrove  citato,  <*)  mostra  di  credere  che 
esso  fosse  Selvaggia,  laddove  si  rammarica  che  sia 
perduto  il  ritratto  della  Vergiolesi,  —  seeondo  lui  pos- 
3eduto  da  Cino,  e  divenuto  la  sua  piu  efficace  conso- 
lazione  —  a  differenza  di  quelle  di  Laura  de  Sade. 

Egli  non  avrebbe  torto  quando  si  potease  identifi* 


{\}  G»  Oaritendi  :  eon.  Poi  ch'  il  piaaeto  v«  dA  fe'  eertana. 
(ij  Circourt:  op.  ©it.  pag.  77. 


47 


care  la  piata  coUa  pola  selvana,  poich6  la  pola  o  cor^ 
nacchia,  nome  coa  cui  il  Pistoiese  altrove  si  compiace 
di  appellare  la  sua  bella  (V.  Son.  «  Amico  la  novella  mia 
corBacchia  >;  e  Son.  «  8e  mai  leggesti  rersi  de  TOvidi  > 
son  6  ehe  la  stessa  Selvaggia,  come  chiaramente  de- 
nota  rappellatlvo  selvana  (i),  e  come  si  render^  chiaro 
nel  segaito  di  questo  capitolo. 

Ma  invano  argomenteremmo  di  trovar  qui  la  chiave 
deirenimma,  giacch^  i  versl  del  Garisendi  sono  un 
cattivo  indovinello.  Inferiamo  dunque  dal  fin  qui  detto 
Boltanto  che^  gi^  a  Bologna,  Cino,  studente,  amava  Sel* 
yaggia  e  che  al  Garisendi  era  note  questo  amore,  pro- 
babilmente  forse  da  lui  condiviso;  inferiamoue  anche 
che  qualche  strappo  alia  fede  alia  donna  fera  era 
fatto. 

Yedremo  in  altro  capitolo  se  la  prima  di  queste 
assersioni,  piii  attendibile  ammettendo  che  Selvaggia 
sia  stata  a  Bologna  —  e  sonvi  documenti  a  crederio  *— 
podsa  essere  meglio  comprovato.  Ora  notiamo  gli  altri 
accenfii  ad  amori  passeggieri  del  poeta,  mentre  il  la 
^too  ra  litsirando  Bologna:  con  ci6  determineremo 
anche  la  natura  della  infedelt^  alia  disdegnosa  Sel- 
vaggia. 

Nel  sonetto  IX  (ed.  Fanfani)  (2)  ii  poeta  accusa  gli 
occhi  Buoi  di  essere  stati  incostanti,  di  aver  voluto 
tradire  il  suo  cuore,  sicch6  son  piu  degni  di  morire 
chd  di  alcun  altra  cosa.  Come  oserebbero  comparire 
dinanzi  a  quella  Donna,  per  la  quale  sparsero  si  dolo- 
rosi  pianti  nell*  allontanarsene  ? 

II  Fanfani  dice  ch^  qui  Cino  si  scusa  della  sua  lon- 
iananza  che  poteva  farlo  credere  incostante.  016  non 
6,  perchd  allora  non  si  capirebbe  davvero  il  gran  fallo 


(1)  Questa   gupposizione   fu  giit  fatta  da  U.  NoUola  neir  opuscolo  «  Una 
•anione  inedita  di  Cino  da  Pistoia  ». 

(9)  O  occhi  iniei,  fuggite  ogai  persoua* 


48 


commesso  dagli  occhi,  e  come  essi  abbiano  potato 
tradire  il  cuore  del  poeta.  Si  tratta  invece  di  una 
bella  che,  lontano  Gino  da  Selv^aggia,  Ilia  abbagliato. 

La  bellezza  s*  impone :  il  cuor  trae  dolorosi  goai,  la 
mente  torna  al  suo  dovere,  il  voley^e  con  valor  possente 
la  sua  voglia  assottiglia,  (0  ma  gli  occhi  si  ricreano  e 
si  beano  nella  contemplazione  dol  bello  femminile,  quan- 
d'anche  si  manifesti  in  forma  differente  dair  oggetto 
amato.  ^  una  tregua  del  sospiri,  un  soUievo  del  petto, 
forse  un  palpito  ribelle  alia  tiranna  amata,  un  avido 
lampeggiar  degll  occhi  senza  il  cuore  come  la  linffvui 
senza  la  mente,  di  cui  Euripide  nell'  Ippolito.  W 

Ma  6  questa  rinfedelt^  del  poeta,  attribuitagli  dal 
Garisendi  f 

Avvi  UD  sonetto,  il  101  deU'edlzione  Fanfani  iV,  dato 
a  Cino  da  sei  codici  e  da  due  a  Dante,  e  a  questi  attri- 
buito  dalla  Giuntina  del  1527,  dal  quale  il  Bartoli  ricavd 
una  delle  figure  femminili  del  corteo  erotico  di  Cino : 
la  Bolognese.  I  versi  che  sembrano  giustiflcai'e  Tidea 
di  A.  Bartoli,  al  quale  del  resto  si  accosta  anche  11  Fan- 
fani, credendo  che  Cino  accenni  a  un  suo  amorazzo 
di  Bologna  <*>,  sono  i  seguentl : 

Onde  morir  pur  mi  conviene  omai: 
E  posso  dir,  che  mal  veddi  Bologna, 
E  quella  bella  donna,  ch*io  guardai  (&). 

Ma^  a  chi  ben  consideri,  il  sonetto  appare  dedicate 
a  Selvaggia  animata  €  d*ira  forte  in  luogo  d'umiltate  » 


(1)  Cino :  Canz.  Di  nuovo  gli  occhi  miei,  per  accidente. 

f2)  Verso  61S.  <  Non  fu  la  mente  che  pe*  sacri  altari  —  voUe  giurar,  ma 
giar6  la  lingua  —  sensa  la  mente.  (citato  da  Dioniso  nelle  Rane  di  Aristofane. 
trad.  Castellani,  pag.  18,  ed.  Hoepli). 

(3)  Ahi  lasso!  ohMo  credea  trovar  pietate. 

(4^  L9  rime  di  Metser  Oino^  pag  247*  II  sonetto  t\i  dal  Fanfani  ripubbli- 
cato,  sensa  aooorgersene,  una  seconda  volta,  con  lievi  variant!  a  pag.  436. 

(5)  Ciampi :  Ma  pi&  la  bella  donna  ch*io  lassai. 


49 


yerso  rinnamorato.  Infatti  il  poeta,  dopo  aver  detto  che 
sperava  di  trovar  pietate  qaando  la  sua  donna  si  fosse 
accorta  della  gran  pena  del  cuor  sue,  e  che  ricambio 
d*affetti  fosse  premio  a*  suoi  sospiri,  aggiunge  che  per& 
parla  un  pensier  che  lo  rampogna  com*  egli  speri  dl 
troTar  pieU  presso  di  essa :  egli,  in  Bologna,  ha  potuto 
guardare,  desiosamente  fissare  un*  altra  bella  donna. 
Interpreterei  dunque:  €  A  mio  inal  costo  0)  vidi  Bologna, 
amio  mal  costo  vidi  quella  bella  donna  che  guardaU 
perch6  mi  son  cosl  reso  indegno  di  Selvaggia  >• 

Qf\k  yedemmo  che  questo  penslero  6  espresso  anche 
nel  sonetto  succitato:  €  o  occhi  miei,  fuggite  ogni  per- 
sona >,  dove  11  poeta  vuole  che  gli  occhi  suoi  col  pianta 
facciano  ammenda  del  gran  fallire  d*  essersi  posati  su 
altra  persona.  Che  dirii  Selvaggia  ?  Dir  yi  potrebbe : 

Poi  che  yoi  non  mi  vedeste, 

Occhi  yani>  yoi  foste  si  costanti, 

Che  'i  cor  ch'io  aggio,  sottrai'  mi  yoleste. 

Possano  gli  occhi  diyentar  ciechi  pel  pianto,  anzichd 
tradire  il  suo  cuore ! 

N6  qui  solo :  1*  angoscioso  pentimento  del  gran  falla 
degli  occhi  suoi  echeggia  anche  in  altre  rime;  quel 
grandissimo  amante  non  ayeva  animo  ed  arte  a  farla 
franca^  e  con  luDghi,  dolorosi  sospiri,  nati  di  paurosa 
rimorso,  scontava  il  peccato  d*un  ayido  sguardo. 

Pargli,  nel  sonetto  18,  che  ciascuno  indoyini  come 
amore  ha  troyato  gli  occhi  suoi  yergogaosi  nel  fallo  e 
nella  colpa  di  ayer  mirato  altrui,  sicchd  egli  non  i  pid 
ardito  di  fissar  donna  e  d*apparir  tra  gente.  Ed  6  pur 
lieye  la  colpa  e  il  disonore:  colpa  e  disonore  sol  degli 
occhi,  tanto  che  Amore,  con  quelle  spirto  dolce  cha 
ricordaya  Selvaggia  air  animo  del  sospiroso  poeta ,  si 


(I)  Mat  vidi  Bologna,  Cfr.  Onnto  Bologn.:  Son.  Qaella  obe  in  cor  Tftmo- 
foia  radice  —  «  Me  piantd  nel  primier  ch*  eo  mal  la  vidi,  » 

8 


^ 


port^  seco  11  suo  cuore  ridonAndolo  a  Selvaggia,  e  col 
^entlmeato  ayyiva  la  vergogtia  e  11  rimorso. 

Patetico  pensiero  e  psicologtcameate  fine:  un  non* 
tiiilla  basta  a  ravvivare  la  fiamma  sopita,  udo  dpirto 
dolce.  un*aura  fugace  dl  caldo  affetto,  un  sussalto  delle 
fibre  come  quello  che  accompagnava  la  vista  della 
donna  crudele,  il  guizzo  di  duef  pupille  che  ricordano 
gli  occhi  della  donna  amata  e  ricercano  11  caore,  ri- 
produconO  le  iropressioni  giii  provate,  1*  agghiacciarsi, 
rimpallidire,  il  raggricciare  delle  plii  intime  fibre,  lo 
smorire:  il  doloroso  stato  che  6  pur  la  vita  del  senti- 
mento  vibrante  fioo  alio  spasimo,  ed  6  la  vita  deira- 
more! 

Pur  11  pentimento  a  Oino  detta  una  singolar  scusa 
a)  fallo  degii  occhi  saol  e  suo  : 

Ma  gli  occhi  vostri  amoroai  gli  scolpai 
Che  fanoo  con  ii  bel  guai^do  suave, 
Ogni  cosa  mii*ando  innamorare. 

Sembra  ed  6»  per  una  donna,  un*irrisione  insensata 
che  11  fulgor  delle  sue  vaghe  pupille  le  alieni,  sia 
pure  per  poco,  Tamo  re  del  suo  poeta«  Pur  questa  ra* 
giooe  che  Talunno  d*amore,  colto  in  colpa,  adduce  come 
scusa  deirerror  suo,  6  spiegata  dalla  canzone  XIII<i)cbe 
ripete  lo  stesso  concetto:  gli  occhi  suoi,  per  caso^mi'^ 
rarono  una  donna  piaoente,  perch6  simigliava  alia 
Donna  sua ;  e  guardoUa,  sentiamo  lui  : 

....    ma  pav«ntosamente 

Dome  colui  che  sento 

Ck'altra  vaghezia^  con  disio  mi  pigliat 

Amore  ne  A  grandemente  meravigliato,  si  li  par  eosa 
nudva  —  che  per  altra  beltd  cangi  la  fede,  e  coselenza 
ripiglia  lui  che  ha  peccato,  ed  et  eon  gran  tema  ehiede  ' 
grazla. 


^^^MA>^rta 


(I)  «  Di  nuovo  gti  occhi  Ulidi  p«f  ei6CMe&t».  » 


51 


Abbiamo  visto  in  rime  molteplici  ricorrere  il  tne* 
desimo  pensiero,  e  11  marteilar  di  esso  e  rangoscia  del 
pentito  noQ  lasciano  )1  dubbio  che  uon  si  iratti  di 
un'unica  scappatella  o  delictum  dmoris  degli  occhi  suoi. 
Or  ogQund  si  aoqueterk  meglio  a  quesVopioione  con- 
siderando  che  noa  vi  sono  altri  versi  che  parlino  d'in- 
fedelU  a  Selvaggia,  fin  ch'EUa  visse,  o  almeno  fine  ai 
dolorosi  anni  deiresilio. 

La  passione  dominante  in  lul  6  una  sola:  frutto  di 
essa  6  la  disperanza,  e  cod  essa  il  piii  nero  dolore:  scon- 
forto  e  martiro.  E  parmi  appunto  che  in  tanta  veriti 
di  doh)re,  quald  ci  apparrti  meglio  in  seguito,  una  di- 
dperata  iSssiU  sia  la  notafondamentale  della  sua  lirica; 
e  questa  angosciosa  continuiU  d^affetti  6  mal  rotta  da- 
gli  impdti  di  ribellione  che  deve  provare  ognl  uomo 
che  veramente  palpiti  di  amore ,  che  soffra  delle  ri- 
pulse  e  del  disprezzo,  come  Oino  dinanzi  alia  forte  sua 
nemica,  impeti  che  son  seguiti  dal  piii  strazlante  pen- 
timento. 

4  egli  il  solo  poeta  innamorato  che  neirimperversare 
delle  paissIoAi  gittrl  di  voler  cogliere  e  gustare  <  le 
dolcezze  d*amOf  senza  I'amaro?  >  (^)  Egli  6  ben  un  infe- 
lio6  trAbalzato  e  martoriato  di  dolore  in  dolore  finchfi, 
fatto  pell^grino  dal  suo  natal  sito  per  greve  esilio  (^), 
Allontaiiato  dalla  bellezza  piii  ideale  che  mat  formasse 
U  saverd  inflntto,  reietto  da  Selvaggia  come  vil  servo, 
sospira  di  bearsi  mirando  in  molte  donne  sparte  quella 
bellezza  bnde  gli  era  fatale  I'altera  Vergiolesi,  pur  non 
inosso  ddille  prime  braccia  dispietate\  ancorch6  senza 
dper^BZa;  fihch6  divenuta  la  donna  sua  un*ombra  gelida 
di  u4i  p^ssata  di  dolori,   sacrificando  altri  incomposti 


(2y  Cino :  Son*  a  Dante:  <  Poi  ch*io  fui,  Dante,  dal  mio  natal  sito  » 


52 


desideri  a  cui  ancor  aDelava»  percosso  dal  tIto  raggio 
della  scienza,  abbandona  il  cammino  della  follia  e  trova 
nella  serenity  degli  studi  la  pace  del  cuore: 

. .  per  mia  sate  temperare  a  sorsi 
chiai*a  acqua  Tisitai  di  biando  rivo : 

e  tftndio  sol  nel  libro  di  Gaaltieri  (Irnerio) 
per  trame  vero  e  nuovo  Intendimento.  (V 


Non  perdiamo  il  filo  delle  idee.  Diss!  che  non  sonri 
altre  rime  che  depongano  della  incostanza  di  Gino,  e 
iatendo  di  riferirmi  al  periodo  della  gipvinezza  sino 
agli  anni  deiresilio  e  della  morte  di  Selvaggia,  anni 
che  noi  cercheremo  piii  tardi  di  determlDare.  Per6 
chiunque,  pur  digiuno  d*  altre  notizie  su  Cino ,  abbia 
letto  solo  le  brevi  pagine  che  precedono,  pa6  ricor- 
darmi  che  al  can  lore  di  Selvaggia  furono  attriboiti 
ben  altri  amori. 

Non  tedierd  ancora  troppo  a  lungo.  La  donna  hea- 
trice  del  suo  cuore,  menzionata  da  Gino  nel  sonetto  a 
Dante  €  Novellamente  amor  mi  giura  e  dice  »  e  la  bella. 
pisana,  che  dicemmo  identificarsi  con  Teccia,  si  rife- 
riscono  ad  anni  in  cui  le  ripulse  di  Selvaggia  e  le  da* 
rezze  della  vita  avevano  tolto  a  Gino  le  idealitik  deira- 
more:  allora,  esule,  non  serbando  in  cuore  per  Selvaggia 
che  un  ricordo  di  ineffabile  dolore,  pot^  porre  a  Dante 
la  questione  se  si  possa  trapassare  d*uno  in  altro  af- 
fetto,  quando  il  desio  d'amore  per  una  donna  ha  per^ 
duto  la  speranza ;  o,  come  il  Bindi  vuole,  (ed.  Fanfani  e 
Bindi)  potd  affermare  a  Dante  che  quando  vien  mono  ua 
amore  si  pu6  passare  a  un  altro,  chiedendo,  per  pid  si- 


(1)  Cino\  Son.  «  PoichA  voi  state^  forie,  ancor  pensiTO  »  —  Irnerio  h  il  fort© 
giareconsuUo  modievale  ohe  ci  appare  tra  i  primi  doUori  dello  otndio  di  Ba- 
logna. 


53 


curezza,  il  parere  deiramico  sulla  difficile  qaestione 
che  gli  aveva  «  rotto  ossa  e  fianco  »,  prima  di  potersi  pro- 
Dunciare  su  di  essa.  Dante  rispose  airamico  col  sonetto 
€  lo  sono  state  con  amore  insieme  >,  e  gli  scriveva  che 
nel  cerchto  della  balestra  d'  amore ,  —  Hber*  arbitrio 
giammai  non  fu  franco  —  si  che  consiglio  invan  vi  si  ba* 
lestra^  e  concludeva  che  bisogna  secondare  la  nuova 
passione,  se  6  stanca  la  passione  per  la  bellezza  di  prima. 
A  Dante,  dunque,  che  ramm<miva  che  amore  ben  pub 
con  ntwvi  spron  punger  lo  fianco  e  che  sentenziava  fi- 
guratamente  e  secondo  i  modi  poettci,  neH'epistola  <  Exu- 
lanti  pistorlensi »,  come  ogni  potenza  la  quale  appresso 
la  cessazione  di  un  atto,  non  si  spegne ,  naturalmente 
si  riserva  in  un  altro,  a  lui  Cino,  non  sospettando  il 
tremeodo  rabbuffo,  uarra  d'una  donna  che  per  virtude 
del  suo  nuovo  sgttardo,  sar&  beatrice  del  suo  cuore. 

Beatrice  I  Quest'imagine  era  per  Dante  la  profana- 
zione  di  una  memoria  santa,  Tevocazione  della  gloriostt 
donna  della  sua  mente,  emblema  della  bellezza  eterna 
sopramondiale,  guida  airamore  del  sommo  bene  (Purg. 
XXXI,  22  segg.,)  tra  la  volubility  e  la  sensuality  delle 
passioni  umane.  Dante,  Tha  detto  Adolfo  Bartoli,  non 
seppe  perdonarlo  al  pistoiese;  e  allora  Tesule  fiorentino, 
theologiis  nullius  dogmatis  expers,  dimentico  dei  re- 
sponsi  dati  nel  sonetto  e  neirEpistola  sopraccennati, 
dimentico  de*  gioTanili  errori,  gli  infligge  quella  lavata 
di  testa  che  fu  condanna  capitale  per  il  povero  Cino. 
E  siccome  Dante  I'aveva  detto,  prestando  ancor  la  penna 
a  lo  stancato  ditOt  tutti  ripeterono  in  core  che  il  pisto* 
iese  si  lasciava  prendere  a  ogni  uncino,  quantunque 
egliy  in  procinto  di  abbandonarsi  a  una  nuova  passione, 
sia  preso  da  tremore  che  il  cor  suo  perda  quel  poco  di 
vita  che  <  gli  rimase  d*  un*  altra  sua  ferita.  »  E  ben- 
ch6  protesti  che  non  6  mosso  dalle  prime  braccia  dispie^ 
tate  dalle  quali  pur  lo  scioglierebbe  il  lungo,  non  inter- 
rotto  disperare,  e  che  un  pensiero  —  Tamore  per  Selvag- 


54 


gia  —  sempre  lo  lega  e  TiDTOlye,  pure  egli  ^  Tuomo 
lascivo,  QQ  capro,  e  un  capro  espiatorio  dell*  immobile 
fissiU  delle  idee  umane. 

Perche?  E'  si  grave,  si  peccaminoso  quest* amore 
confessato  a  Dante?  Oh!  do.  Noi  Tabbiamo  gik  visto;  e 
aggiungiamo  che  il  povero  poeta,  timido  amante,  mal 
si  perita  di  levar  gli  occhi  in  faccia  alia  bella:  Che 
fard,  Dante...  s't  levo  gli  occhi  t  (^) 

Pur  protesta  egli  che  il  pensiero  di  Selvaggia  sempre 
gli  s*impone  e  che  quando  vede  belt4  simile  alia  sua  la 
vagheggia  nel  memore  afietto?  Uh!  il  Tecchio,  il  con- 
5umato  amante:  ecco  una  scusa  che  sa  di  ripiego. 

Eppure  non  qui  solo  egli  ha  espresso  qest'idea;  essa 
ricorre,  noi  Tabbiamo  gi^  visto,  nella  canzone: 
Di  nuovo  gli  oochi  miei  per  accidente 
Una  donna  piacente 
Mu*aron,  per  che  mia  Donna  somiglia, 
a  proposito  della  quale  nessuno  dir^  che  il  poeta  va 
accattando  scuse,  perchd  nessuno  Tha  accusato. 

Ma  chi  6  questa  donna  che  pud  imporsi  un  memento 
alia  passiooe  dominante  di  Cino? 

A  costo  di  sembrare  cervellotico,  piacemi  di  esporre 
alcuni  raffronti  tra  i  sonetti  (?)  in  cui  Cino,  dope  aver 
sentito  Tumore  di  Dante,  gli  confida  il  suo  nuovo  a- 
more,  e  si  difende  dalle  accuse  sue,  e  i  sonetti  che 
cantano  una  bella  Pisana,  che  Cino  rappresenta  sotto 
r  imagine  di  un  hello,  ardito  cavaliere  dalla  ireccia, 
ch'in  Pisa  porta  la  tagliente  spada  d' amor  cinta. 
Questo  raffronto  permetter^  forse  di  indurre  che  la 
Teccia  (Contessa)  o  Pisana  h  la  medesima  donna  di 
cui  Cino  a  Dante. 

I  sonetti  dei   quali  si  tratta  e  che  vertono  <  sulla 


(1)  Cino:  Son.  «  Novellamdnte  Amor.  » 

{It)  Essi  foroQO  scritti  probabilmente  nel  seguente  ordine  :  I.  Qaando  per 
OMo  s*«bbandoDa.  —  H.  NoTeHaroente  Amor  mi  giura  e  dic«.  —  HI*  Poi  ch'i' 
tui,  Dante,  dal  mio  natal  sito. 


5i 


medesima  materia  > ,  come  ci  apprende,  se  pup  ce  n'6 
il  bisogao,  la  didascalia  dei  codd.  Casanatense  a  BoIo- 
gnese,  sono:  Al  mio  parer  non  d  ch'in  Pisa  porti(\\Q 
deired.  Fanfani  e  Bindi,  pag.  259)  q  A  la  haitaglia  ove 
Madonna  abbatie  (114  ed.  cit.,  pag.  275),  e  di  essi  ci  fu 
data  r  edizione  critica  da  U.  Nottola.  0) 

Noto  anzitutto  che  essi  esprimono  ii  medesimo  pea- 
siero  fondamentale  nella  identica  natura  deiram^re 
estrinsecato.  Infatti,  se,  nei  sonetti  a  Dante,  Cino  di- 
chiara  che  i  suoi  amori  si  riducono  a  un  diletto  intel* 
lettuale^  nel  mirare  in  molte  donne  sparie  le  bellezze 
di  Selvaggia  fmi  lega  sempre  e  mi  involve  un  pensiero, 
il  qual  convien  che  si  diletti  in  molte  donne  sparse) , 
anche  nei  sooetti  per  la  bella  Pisana,  si  tratta  di  un 
semplice  sguardo:  gli  occhi  di  Cino  si  fermarono  in  free- 
cia  su  lei  gentile  tanto,  che  par  fatta  per  arte;  e  se 
nel  sonetto  a  Dante,  Tesule  pistoiese,  nello  sgomento 
del  nuovo  amore,  sospira  nell' incertezza,  (lo,  ch'd  pro- 
vato  poi  come  disdice  (Amore)  cid  clie  prometie  —  .... 
a  morte  mi  do  tardo  —  Clie  non  potrb  contraffar  la 
fenice,  (son.  126  v.  4-8),  anche  nolle  Rime  a  Teccia,  al 
veder  la  nuova  bella ,  V  anima  si  dibatte  agitata  tra 
r  amore  ineluttabile  a  Selvaggia  e  Taspirazione  all'a- 
dorno  cavaliere.  Ma  per  la  forza  di  Amore ,  incarnato 
in  Selvaggia  (*)  che  combatte  e  vince  tutti  i  suoi  sen*- 
timenti,  V  imagine  della  bella  donna  non  fa  soggiorno 
f>eiranimo  del  poeta,  ma  se  ne  va  bella  tanto  che  il 
pensier  di  Cino  rivola  a  lei  e  vorrebbepur  in  essa  bearsi. 

Questo  dibattersi  delV  anima  tra  il  fatale  amore  a 
Selvaggia  e  T  aspirazione  al  bel  cavaliere,  esprime  mi- 
rabilmente  il  pensiero  dominante  che  gravava  V  ango- 


(1)  Studi  «i*Z  Oantoniere  di  Cino, 

(2)  Che  di  Selraggia  veramente  si  tratti  ce  I'apprende  Ouelfo  Taviani  che 
Jkl  aonetto  di  Cidq  ha  risposto  per  le  rime  coU'  altro  :  «  Molto  li  tuoi  pensier 
■ini  paiooi  torti  »  Vedilo  ia  Chiappelli,  op,  ciL^  pag.  233. 


56 


sciata  mente  di  Gino  e  nello  stesso  tempo ,  parmi ,  il 
compiacimento  ideale  nelle  donne  sparte,  che  gli  ricor- 
dava  la  bellezza  della  Vergiolesi ,  anche  neli*  ammira- 
zioDe  del  bello  in  s6,  astrazion  fatta  dalle  fattezze  in- 
dividaali. 

Ma  qui  noa  si  ferma  il  raffronto :  due  versi  del  so- 
netto  a  Dante  sembrano  una  logica  illazione  di  un  con- 
cetto di  alcuDi  versi  al  TaviaQi.  Infatti: 

Son.  HO,  a  O.  Taviani:  *  Quei  forti  che  non  mo- 
rirono  sotto  i  colpi  del  bel  cavaliere,  campan  perci6 
che  1^  dov'A  dipinta  quella  figura,  rv  non  han  gli  occhi 
accorti.  » 

E  son.  126  a  Dante:  €  S'  i'  levo  gli  occhi  in  viso 
alia  nuova  gentile ,  il  mio  ctcore  riceve  tal  colpo  da 
perder  quel  poco  che  di  vita  gli  rimase  d'un'altra  sua 
ferita.  > 

E  quesVultima  espressione  confrontisi  con  quella  del 
son.  114  al  Taviani:  c  Non  m'6  nel  cor  rimasa  tanta 
parte  —  Che  provar  vi  potesse  i  colpi  sui  —  II  cava- 
lier... > 

Se  questi  raffronti  bastano,  abbiamo  due  amori  del 
Pistoiese  rldotti  a  un  compiacimento  ideale  dinanzi  alia 
bellezza  femminile,  e  cade  sotto  lo  stesso  giudizk)  V  o- 
dioso  rimbrotto  di  Guelfo  Taviani,  contenuto  nei  due 
sonetti  responsivi  a  quelli  di  Gino  sulla  bella  pisana,  del 
quali  uno  fu  pubblicato  da  Faustino  Tasso  (Venezia 
1589),  Taltro  da  L.  Chiappelli  (op,  cit.  Appendici,  pa- 
gina  233)  («)       • 


(1)  Quest' espressione  che  signifioa:  <  U  dore  si  trova  il  cavaliere  bello 
da  sembrare  dipioto  (cfr.  le  frasi  corounisBime:  fresca  come  undipinto,  bella 
e  pura  come  una  Madonna  di  Raffaello)  h  spiegata  dal  versi  del  son.  114 : 
«  si  diparte  (11  cavaliere)  —  tanlo  gentil  che  par  fatto  per  arte  >• 

(2)  Assai  pii^  aspro  rabboffo  il  Taviani  infligge  a  Cino .  che  non  facesse 
Dante.  Gli  ripugna  di  vedere  cl6  che  egli  chiama  nno  tcomo  pel  Pistoieee  : 
che  abbia  fermato  gli  occhi  sul  cavaliere  e  in  lui  li  imbratti.  Ma  Amore  che 
ben  conosce  i  pensleri  degli  uomini ,  non  divide  le  sue  giole  tra  qnelli  che 


67 


^^:^"''~"^w^n'"^"~"~~~^^T"~"~*r"'"»"~^ww"«""^»^»^*»Pi^^pw" 


Esaurito  Tesame  delle  aacuse  lanoiate  a  Cino  da 
oltri,  yediaiao  se  cou  miglior  CoadamentQ ,  beuchj^  ixi* 
volontariamejite,  si  accusi  da  se  stesso- 

Cino,  ba  detto  (jualcuDO ,  Don  ebbe  solo  aspirazioni 
pljatonicUe,  eoh  ajii6  solo  idealmente,  e  piii,  con  desip 
carnale,  ^^  Selvaggia;  gJi  piacque  anche  (jualche  aosa 
di  meno  ideale  e  di  piii  facile.  Lo  dimostrejrdbbe  la  $e- 
guente  ^uartina  del  son.  che  cosl  comincia : 

M enazQ,  i'  feci  una  Testa  (^)  d*  amaut^ 
ad  una  iiBinie  —  eV  h  piaconte  in  ^iera 
e  'rnHxantiaante  lo  suo  cor  cbed  era 
came  di  cex*a  —  si  fece  diamante^ 

La  disgrazm  ohe  lo  perseguitaya. 

NOQ  dir6  qui  com'egli  affermi  trattara  di  una  o(»'al 
voffHa  ;  neanche  mi  afiferrer6  all*  opinione  del  Bartoli 
che  il  sonetto  non  sia  di  Cino,  perch6  a  lui  i  concoiv 
demente  attrtbuito  da  quattro  mss.  Domauderd  piuttosto 
p^roh^  si  debba  credere  che  la  fante  piacente  in  dera 
sia  una  fantesca,  o  serva.  lo  so  bene  che  questo  6  il 


usano  faUe  carte:  ecoo  perobd  Cino  non  potr^  mai  raccogliere  amorosi  frutti, 
•ooo  percM  quel  8lo  non  gli  oonseaie  la  soe  gieU : 

....  iMi  OQBoaee  .amore  1  pensier  tnoi 
Et  in  lal  guUa«  che  gUiaai  aod  puoi 
FrutU  haver  ,  ch'  amor  guarda  fra  cui 
DeHo  site  gioie  degoamente  part«: 
Non  ae«to  oa^  ch*  usmi  /titoe  <Mrt«. 
Forse  parve  imperdonabile  al  Taviani  che  chi  aveva  tant*  anni  aoapirAtp 
p«r  S^lvi^ggia*  potess*  or  nutrire  fiamma  d*  amore   p«r  an*  aUra  bella;  ma 
appar  puerile  dileggio  V  ammonimento  che  riferimmo,  rirolto  a  quel  fanclullo 
tihe  gia  wreva  pasaalo  il  meszo  del  caounin  di  ana  vUa  nella  diapenata  flsaitlt 
di  AS  »iiuif0. 

Goelfo  Taviani  non  aveva  facility,  di  verseggiare:  e  forse  le  neoes8it&  delle 
rime,  anzi,  di  risponder  per  le  rime,  come  gl' impose  la  oreaztone  di  parole 
•(ntfie,  o  aK(ifl<UQ8ainente:piagat0  aUa  rina,  aot)  gll  4eU6  eo&oetti  vituperaii, 
non  vqIuU  .4al  pexuiero. 

(1)  C^t'no;  Son.  «  Se  oonceduto  mi  fosse  da  Giove.  > 

10 


58 


signiflcato  con  cui  era  comunemente  adoperata  quella 
parola ;  ma  nou  i  qui  fuor  del  case  di  considerare  che 
essa,  derivata  dal  latino  fans,  o,  come  altri  vuole,  da  in- 
fante, per  aferesi,  ba  la  medesima  derivazione  che  fan- 
ciuUo:  cfr.  fancello,  contrazione  di  fanticello.  Or  6  noto 
che  la  parola  fanciulla ,  se  vale  colei  che  d  nella  ptte- 
rizia,  6  per6  usata  anche  assai  comunemente  per  ra- 
gazza  e  giovane  adulta  (Cfr.  Dante,  Puvg.,  17:  Surse  in 
mia  visione  una  fanciulla,  piangendo  forte  e  diceya; 
Dino  Compagni,  Cron,  DL.  i  95 :  Maritavansi  fanciuUe 
a  forza ;  Boccaccio^  Decam.  5,95 :  Voi  dovreste  pensare 
quanto  sieno  piil  calde  le  fanciuUe  che  le  donne  ma- 
ritate);  e  per  giovane  sposa  o  fidanzata:  {Oderig.  Cr. 
Ricord.  84:  Per  cimatura  di  panno  levammo  per  la 
fanciulla  di  Cenni,. soldi  11).  Ma  poichd  qui  non  mi  vale 
11  procedere  analogicamente,  dird  che  fante  fu  ben  a- 
doperato,  nel  genere  mascolino,  per  fanciulla :  Dante 
Purff.  a  :'  Ogni  uomo  ebbi  in  dispetto  tanto  avatUe, 
cK  io  ne  morV  come  i  Senesi  sanno,  E  sallo  in  Cam- 
pagnaticQ  ogni  fante  (persino  i  fanciuUi) ;  e  in  senso 
generico,  per  persona,  uomo :  Boccaccio  Decam  2,83: 
E  parendogli  essere  un  bet  fante  delta  persona,  s'av- 
visd  questa  donna  essere  di  lui  innamorata.  E  pel  ge- 
nere femminile,  che  qui  importa,  non  6  da  passar  sotto 
sllenzio  che  Dante  ha  voluto  denotare  con  questa  pa* 
rola  una  donna,  Taide  che  si  gratia....:  Inf.  18^:  Fa  che 
pinglie..  un  poco  il  viso  piic  avante.  Si  che  la  faccia 
hen  con  gli  occhi  attinghe,  Di  quella  sozza  scapigliata 
iante. 

Concluderei  dunque  che  Cino  nelih  fante  piacente  in 
ciera  voile  denotare  una  giovane  e  piacente  donna;  nd 
mi  si  obbietti  che  Dante  voile  riferirsi  con  tal  vocabolo 
a  una  donna,  ma  a  una  donna  abbietta,  qual  Taide  ta, 
perchd  allora  6  pur  duopo  osservare  che  in  senso  di- 
spregiativo  fu  anche  fanciulla  usato ,  a  cui  per  solito 
non  annettiamo  nessun  spregevole  senso;  Serdon.  Fatt. 


59 


Arm.  Mom.  iS:  Questo  nome  {di  Lupa)  st  solera  dagli 
antichiOreci  e  Latini  dare  a  quelle  donne  che  per  prezzo 
fanno  copia  del  corpo  loro,  le  quali  oggi  meretricU  e 
conpiii  onesto  vocabolo  fanoiuile  si  chiamano.  E  Firenz. 
Pros.  2,168:  Egli  incomincid  a  gridare:  o  fanciulle^ 
io  vt  ho  menato  dal  mercato  un  bellissimo  servo.  Erano 
quelle  fanciulle  concubine  ecc. 

Posto  in  sodo  che  fante,  nel  genere  femminile,  ebbe 
come  fanciulla  il  signiflcato  di  donna  giovane,  nulla 
ripugna  a  credere  il  sonetto  diretto  a  Selvaggia,  qui 
paragonata  a  una  fiera  che  sopravvanza  d'orgoglio  ogni 
altra,  attribute,  come  vedremo,  perfettamente  conso- 
uante  al  ritratto  di  Selvaggia,  quale  c'6  state  date  da 
altre  Rime  del  Pistoiese. 

Parmi  dunque  logico  il  congetturare  che  si  tratti 
^ui  di  cosa  giovanile  —  come  lo  dimostra  la  forma 
stentata,  che  al  Bartoli  la  fece  stimare  apocrifa,  —  e 
che  testifica  di  una  delle  prime  delusioni  erotiche  del 
cantore  di  Selvaggia. 


• 


•  Selvaggia  era  bionda.  L'han  detto  i  biografl  di  Cino 
e  del  resto,  se  non  11  stimiamo  attendibili,  il  poeta  in- 
neggia  piu  volte  ai  capelll,  come  agli  occhi  della  donna 
sua. 

Basti  citare  la  canzone  XIV,  diretta  certamente  a 
Selvaggia,  per  ragioni  ch'ip  non  rilevo  per  amore  di 
brevity,  e  per  s6  evidenti,  nella  quale  11  poeta  piange  la 
morte  delfamata:  tv 

Oi(n6  lasso !  quelle  treccie  blonde 

Da  le  quai  rilucieno 

D'aureo  color  i  poggi  d'ogni  intorno. 

Ora  un  sonetto  ci  pervenne  conservatoci  in  cinque 
manoscritti  e  concordemente  attribuito  a  Cino,  e  pub- 
blicato  per  la  prima  volta  da  Gaetano  Poggiali  tra  le 
ilime  d'autori  cltati  nel  vocabolario  della  Crusca  (1812), 
nel  quale  si  paragona  Madonna  a  una  merla: 

(1)  Vedasl  altresi  U  lou  79.  son.  149,  son;  5  (append,  pag.  4l8>/,  ed.  Fanfani. 


GO 


Per  ana  mei'ia  oba  d'inkir&o  al  Yolto 
SoTr&voIaado  sicura  mi  veoB^ 
Sento  ch'Amore  h  tutto  in  me  raccolto, 
Lo  qual  ascio  dalle  sue  nere  penne, 

Che  sono  queste  nere  penn^?  Cbi  6  la  m^rla? 

Prima  di  rispoDdere  a  qu^ste  domande*  parmi  con* 
veniente  di  avvertire  che  in  altri  luoghi  Cino  paragona 
Madonna  a  un  uccoUo,  e  piacexni  ricordare  la  comae* 
chia  del  sonetto  «  Amioo  la  novella  mia  cornacchia  > 
e  la  pola  seivana  del  sonetto  <  Poi  ch'  il  pianeta  ve 
ik  f6  certana  »  di  G«  Garisendi  e  Id^pola  della  canzone* 
€  A  forza  mi  convien  ch'alquanto  ^iri  >«  che  sono  Qvi- 
dentemente  una  sola  cosa,  poichA  pola  aisaifica  appunto 
comix;  e  a  queste  piacemi  di  raccosiare  pur /'m^e/to 
della  canzone  XXII.  (^^  Ora  11  trovarsi  u^Ua  citata  Bima 
<  A  forza  mi  conviene  ch*  alquauto  spiri  > ,  designata , 
col  nome  di  pola,  (^)  Madonna  dlnanzi  a  cui  si  consuma 
la  lena  del  poeta  e  per  cui  Morfe  lo  spolpa,  e  Tessere 
la  pola  chiamata  selcana^  (3)  ci6  fa  naturalmdnte  pen- 
sare  a  Selvaggia,  e  con  tanto  mapgior  fondamento, 
parmi,  in  quanto  che  i  sentiment!  espressi  nella  can- 
zone sono  consoni  alle  altre  rime  per  la  YergioIeBi. 

Ora  in  questa  camzone  6  notovole  il  oomiaiato: 

Tu  aai,  caozon,  del  furto 

che  face  il  volio  coperto  dal  vela, 

pei*oh'io  temo  che  il  viver  mi  vfia  cor  to; 

digli :  «  pid  non  te  '1  oeln, 

io  mi  parto  dail'  animo  di  quegU 

che  8*  avviiuppa  ne*  cre^i  caj>egli^ 


(1)  Cosl  m'avvien  per  non  veder  Vaugella  —  Di  cui  non  ebhif  gran  tempo 
^,  novella, 

(2)  «..  mi  fan  nel  flanoo  ^  buova  plftgm  )•  v«^he  pvpiUe —  che  A  ciAscun 
guixio  ro'han  flacoato  a  atanco;  —  e  ta  foaaer  tal  mille,  (piagbe)  da  ofaMo 
risQrgo,  punto  non  mi  sperde  —  st  m'allegra  la  pola  fatta  yerde  >  V.  Not* 
tola.  Cans.  Ined  dl  Cino,  in  oocasione  delb  NoEze  d*argento  del  SoTraai  d*I- 
MUia. 

(3)  Se  v'  ha  gremito  la  pola  tel9ana  -^  Com'  H»^  po*  della  pinta  ftdeh  f 
'Oasini,    Rime  di  antichi  autori  Bol.)* 


61 


i^^ 


Pu6  semb^ar  jMieri^e  il  dire  cfe^.  il  vqlto  cqperto  dal 
^^/o,  che  .fece.  ramorosa  ferita  del  cuore  di  Cino,  signi- 
fichi  volto  a  l^rwa  per  lutljo ,  percb$  3on  troppe  altre 
le  circostftP74^  in  cui  le  douuQ  po^ta^no  if  vie^ld.  Pure  a 
creder  c\b  mi  spioge  U94  i^ia  o^ervi^zione  fatta  di 
fpQpta  1^  i^n  nqcleo  di  rime  le  q^ali  ^icqenna^o  tutte 
Si,  pQ  Hiedeainip^  argomeato^ :  s^  l^tto  dcjlla  donna  sua. 

A4  ui|  ^n^icfo^  il  P(]|eta^,  lontanp  daUa.  i^ella,  atTettud-' 

Rimembrati  di  me  cbe  non  ti  celo .  , 

<  la  qpale  parte  k  Qi*a.  il  %wqv  k^% 

B  prego,  obe  mi  apfiyl  tO£it%u}^^ta 
Qtt^  ^e  Amcor  U  dirik.  q^J^^do  U  4*«*p. 
I)^  ^^'  Qcofti  miff  t^4r^i  4;p<to  ad,  un  vdZb  (^), 

■  n  desio  degli  oochi  suoi,  la  sua  amata  6  qui  ^jt>i^^«> 
mente  rappresentata  sotto  a  un  yela  Pur,  80  noii  baj^ta. 
a  provare  il  luito,  leggansi  i  versi  seguenti,  diret^i  s^U9> 
siesso  amfco: 

Novelle  non  di  veritat^  ignade 
Qi:^ant'  esser  pu6  lontane  sian  da  gioco 
Disio  saver,  si  oh'io  non  trovo  loco 
Be  la  beltd,  che  per  dolor  si  ohiude.  ^) 

Pvio^si  giA  arguire  che  la  belU  Qhe  per  dolor  si 
chufjl^  0  Qhe  porta  il  v^lo,  dolore  e  veJo  veste  per  una' 
gj?ap.de  sventura,  forse  la  morte  di  una  persona  cara. 

Pur  cid.  apwre  anphe,  da  altri  versr  diretti  alio 
stesso  amico/nei  quaU  I'acerbitji  del  dolore  stilla  aU 
.rinnamoratp  lagrime  dal  cuore: 

Amico,  80  egnoJm^Tif^  mi  iT^c^lQjBe,  ^) 
.    Niente  g^  di  me  8Q^*|ii  a,Udgi*q. 
Ch'  iQ  mpra  E^r  la  o^i^a^  c^^  pur  pjanq^ » 


(i)  Vino,  Son.  •  Pa  della  mente  tua  speochio  sovente  ». 
(f )  Cino,  Son.  cbe  cominoia  cost. 
iS)  Cino,  Son.  cbe  comincia  co^ 


11 


«2 

La  qwil  velata  ^  *n  un  (smmanto  negro 

,    .    •    S*attriBt&  r  anima,  cbe  Vede 

La  donna  sua,  obe  non  par  che  le  cac^ia 

Se  non  di  morte^  e  in  altro  non  ba  fede. 

Questi  sonetti,  indiriziati  a  una  medesima  persona^ 
tin  caro  amico,  esprimono  tutti  il  medesimo  pensiero 
fondamentale :  raogoscia  delta  lontananza  e  rinenar- 
rabile,  lungo,  infinito  desiderio  d*aver  notizia  di  Ma- 
donna. 

Ha  chi  era  essa,  adorata  con  si  stru^ente  affeito, 
eppur  non  d*  altro  desiosa  che  della  mortef 

Noi  abbiamo  veduto  che  Madonna  in  parecchie  rime 
h  paragonata  a  an*aagella  e  che,  sia  questa  lapola  sel^ 
vana,  o  la  comacchia,  essa  si  identifica  con  Selyaggia: 
ora,  il  fatto  che,  in  una  stessa  canzone,  Madonna  6  chia- 
tahisipola  (comacchia)  e  che  di  essa  si  dice  che  ha  UyoUo 
coperto  dal  velo,  ci  fa  concludere  che  le  rime  che  can- 
tano  la  donna  abbrunata  e  quelle  che  cantano  Taugella 
e  la  Merla  hanno  un  medesimo  soggetto  in  una  mede« 
sima  dolente  bella.  —  Le  nere  penne  della  Merla,  dalle 
quali  d  uscito  amore,  non  son  glk  i  neri  capegli,  son 
le  gramaglie  che  vestono  la  bella;  e  questa  supposizione 
4  avvalorata  dal  fatto  che  il  sonetto  che  ne  tratta,  <  Per 
una  merla  cbe  d*intorno  al  vol  to  »,  appartieue  a  quel 
Bucleo  di  rime  che  abbiam  visto  dirette  a  un  caro  a- 
mico  e  che  sono  sospirl  d*amore  per  la  bella  abbrunata: 

Amioo,  or  metti  qui  *1  consigUo  tuo ; 

Ch6  8*  egli  avyien  pur  cb*  io  oosl  soggiorni , 

Almen  non  viva  tanto  doloroso.  (M 

La  cosa  6  tanto  evidente,  e  piti  a  chi  si  dia  la  pena 

di  leggere  questi  sonetti,  che  lo  stesso  Bartoli  accennd 

che  la  merla  potesse  essere  la  donna  velata  in  negro 

ammanto.  Or  come,  se  quest* ultimo  attribute  spetta 


(D  Oino.  Son.  «  Per  una  merU  obe  d'  intorno  al  volto.  » 


63 


pure  alia  pola  selvana,  alia  bionda  Selvaggia?  Gome 
la  merla  dai  capelli  ueri  potrebbe  essere  Selvaggia  da- 
gli  aurei  capelli?  Yero  6  che  pel  Bartoli  Is^Jierla  pud  si 
identificarsi  con  la  donndL  velata,  ma  non  cw  Selvag- 
gia, e  chi  sostenesse  questa  identit&,  che  pare  a  me  par 
<limostrata,  seguirebbe  un'opiuione,  secoBdo  iti^  affatto 
arbitraria»  dando  prova  di  una  €  critica  amena  e  pe- 
regrina  >. 

Nulla  di  men  rare,  nulla  di  pifi  semplice.  Appunto 
l*espres3ione  di  verace  e  profondo  affetto  che  spira 
nel  succitato  sonetto,  e  che  il  Bartoli  gli  consente, 
depone  che  si  tratti  di  Selvaggia ;  ma  poich6  questo  6 
un  modo  di  argomentare  glabro  assai,  tanto  6  vero  che 
A,  Bartoli  I'adoperd  per  pronuociare  sentonza  contraria 
che  parve  ecumenica,  desumerd  dal  fin  qui  detto  alcune 
egaaglianze  gi&  dimostrate. 

La  pola  e  la  cornacchia  son  Selvaggia^  in  quanto 
la  pola  ^  chiamata  selvana ,  ma  poich6  la  pola  ha  il 
volto  coperto  dal  velo,  6  pur  Selvaggia  che  porta  il  lutto 
e  che  yiene  variamente  paragonata  a  un  uccello  di  nero 
-colore,  pola,  cornacchia,  merla.  (^^ 

L*obbiezione  del  bel  color  de'  biondi  capei  crespi  (2) 
di  Selvaggia,  cade  di nanzi  a  quest *argomen to :  la  merla 
jpoteva  esser  bionda.  ^^^ 

(1)  Che  Selvaggia,  tra  le  gramaglie  fosse  amata  da  Cino,  ti  pa6  conget- 
-tarare  anohe  dal  son.  «  Avvenga  ohe  orndel  lancia  intraversi  »  ,  \k  dove  il 
poeta,  dope  aver  detto  che  gU  arde  duramente  neir  anima  il  f\ioco  che  1'  a- 
mata  tI  versa,^  aggiange  : 

•  •  •  EUa  mi  par  si  bella  in  gutf*  suoi  persi, 
Ch*ia  non  chieggio  altro  che  ponerle  mente^ 
Poi  di  ritrarne  rime  e  dolci  versi. 

II  p0r8O  4  un  colore  misto  di  purpnreo  e  di  nero ;  ma  vince  il  nero,  e  da 
•loi  si  dinomina  (Dante>  Oonv.  95).  E  il  Dolce  afferma  ohe  i  il  color  del  ferro 
ferruginoto,  E  insomma  an  colore  che  s*  adopra  per  lutto :  il  nero ,  come 
Dante  ci  insegna,  che  ha  perduto  di  luoentesza. 

{2)  Oino^  Boa,  «  Desio  pur  di  vederla.  » 

(8)  Qui  possono,  a  giusta  ragione,  farsi  alcune  domande:  come  Selvag- 
gi*,  Be  proprio  essa  era  la  pola  seivana  *  era  nota  al  bolognese  Garisendi , 


crt 


Sfroadat^  il  cf^Dau)|iiere  di  C|Da  da  qufjraleg^iac  dp 
£ar(alle,  c|a  quelle^  yagba  e  sedqc^ijit^  libellule  tra  pi^i 
si  confpi^^vi^,  agU  ocelli  no^^ri^  If^  bella  e  cru(]^le  Selr 
^^8^'  of^dif^mo*  or  yiii,  al  po^ta  dol^^te  che  essa  soH 
4  la  Ponnq  i^'wnt  virlii  donna^  la  Jp^  p^  cut  d'offnti 
Dea  —  (SI  come  volse  Amore)  egli  fece  rifiutq.  CM 

1^^  r  afierioazioae  fatta  sul  s0p(4Qr()  ^tl&  <}<¥Af^  ^^' 
i^irata  taot'aani  e  or  lagrimata  \  E  p^rchft  p^ghac^inp 
f^^A  ftl  pojBta  che  ci  aasicura  come,  tra  gi*aT{  s^ffanqi, 
nou  ¥ari6  sua  Of  intone  delta  fede^  d^apaore,  cgm^  i  f^^^ 
sar^no  (9)  al  poeta  che ,  affettuo8a>  9prcina  s^Ua  pestanza 
Daote  sOduciato  pejn  trovar^i  m  luo^  si  rio,  4^ve^ 
^  Donua  Qoa  ci  ha  che  Amor  le  neng^  al  yo^^  »•  i^ 
questi  versi: 

Diletto  tthiel  mio,  di  pene  inyolto, 
Merc6  di  quella  Donna,  che  tu  mipi; 
D*opra  noQ  gtav,  se  di  i<&  non  set  soioltot 

Ma  s'io  ben  comprendo  il  sonetto  di  cut  ora  dlr6, 
se,  per  dlrla  col  Petrarca,  fu  mj^i  p^r  divina  beltit  vil 
voglia  spenta  W ,  il  pistoiese  sacriflcd  a  Selvaggia  1^ 
gioie  d*amore  d*una  donna  che  gli  s;  offriva. 


DOQ  solo  ,  ma  na  era  oonosciuta  e  forse   amata  t  Qaal  era   il  dolore  cupo  •^ 
^isperato  che  ropprimeva  t  a  qutl  tempo  della  sua  vita  si  devQ  esse  riferlret 
e  quindi  a  qu(^e  anno  si  deve  ifs^egnare  il  nuoleo  dreoDetti  or  ora  esani- 
natot 

Alia  prima  dl  qaeste  domande  risponderd  trattando  di  Selvaggia,  no- 
atrando  —  se  vedd  lume  —  come  Snlraggia  forse  diroord  in  Bologna;  piik  dif* 
flcile  sarik  il  rispondere  alle  altre  due,  perchd  gravi  e  terribili  sventare,  come 
I'eooidio  dello  sio  Bertino  Vergiolesi  (Storie  pistoiesl,  pagg.  &4',  Pirenst  17S3A 
•  del  nipote  di  lul  Braocioo  di  Oherardo  Fortebracci,  (pagg  0-1(9  •  ^<^  ^* 
raorte  ignominiosa  del  marlto  di  lei  )a  oolpirono ;  nh  riesoe  posaikAle  U  oon^ 
gettnrare  se  da  esse  o  da  alire  prend«  occasiooe  qael  dolore  deUa  V«cgt«^ 
lesi,  che  fU  novella  fonte  di  lagrime  al  povero  C^no. 

(I)  Cino  Cans.  14.,  in  morte  di  Selvaggia. 

(t^  Cino^  Cans.  «  Cor  I  gentiU  e  serventi  d'  amor  a.  » 
-     (t/  Pitrarea.  Son,  Le  steHe  e  11  oielo. 


65 


Una  doana  cortese  e  pietosa,  per  confortare  il  poeta, 
forse  afflnchft  non  mora^  o  forse  perchd  cangi  stia  in- 
namora,  gli  d&  gioia 

Di  quella  oosa  che  nasce  e  dimoi*a 
Dove  post'haono  le  yirtd  corona,  (0 

gioia  d^amore,  e  gli  porge  anche  speranza  bona. 
Ma  Cin^,  fedele  alia  donna  sua,  a  Selvaggia: 

....    da  parte  sol  di  cortesia 
Ricevo  old  ch'a  voi  servlr  vi  (t).ten6, 
Non  per  amor,  ch6  ci6  far  non  porla ! 

secondo  la  possanza  mia 

Vi  servird,  non  che  io  cangi  spene. 

Se  dunque  Tamoroso  Pistoiese  6  tale  da  rifiutare  per 
Selvaggia  Famore  di  bella  donna  alia  quale  piet&  ispira 
cortesia,  cerchiamo  di  tratteggiare  Tamore  immense, 
fatale  per  lei  dinanzi  a  cui  fugge  ogni  pensier  vile,  per 
quella  eletta  da  Dio  tra  gli  angeli  piti  bella,  e  da  cui 
pure  il  poeta  non  ebbe  cbe  pena  e  schianti  e  angosoia 
e  torm^nto{^\  cerchiamo  di  rappresentarci ,  nella  ne- 
bulosity de'  suoi  contorni,  questa  gentile^  accorta  e  sag^ 
gia,  adorna  di  cib  che  donna  on  or  a  i  e  la  bella  e  rea 
figura  di  lei  che  pel  povero  amante  non  fu  che  cru- 
dele,  selvaggia  flora  (3). 

II  compito  &  vago  e  non  facile,  perch6  Amore  folle 
imperversa  nella  mente  del  povero  Cino.  Pur  6  sedu- 
cente  e,  nel  tentarlo,  ripeteremo  con  un  geniale  cri- 
tico  francese  che  si  occupd  di  Cino  :  <  le  ne  connais 
pas  de  t&che  plus  attrayaote  que  de  rechercher  avec 
un  soin  d^licat  e  presque  religieux,  le  traces  qu*a  lais- 
s^es  le  passage  sur  la  terre  de  ces  femmes  auxquelles 
est  dchue  la  gloire  la  plus  tuchante  e  la  plus  pure,  celle 
d* avoir  6veiI14  e  soutenu  la  flamme  du  g^nie,  chez  les 
hommes  inspires  ....  0) 

(I)  Cino,  Son*  che  comincia  cost. 

(<)  Cino*  Son,  Si  doloroso  non  potrla  dir  quanto. 

(3)  Cino*  Son.  II  saflflr,  che  del  vostro  viso  raggia. 

(4)  Bibliothdque  nniv.  )858,  3  pag.  77.  \i 


m. 


<X<«-     chfina    KTc 


.    .    .    .    doftiMi  g«BtU,  che  Moipre-mal 
Poi  ch'io  la  vidi  disdegnd  pietaoia. 

dno  da  Piitoia. 


E'  consiglio  d'ogai  profeta  d'amore  che,  per  ral^e- 
grave  la  pena  e  il  pianto,  si  dica  di  lui  pel  quale 
taoto  9i  sospira.  (^)  Pur  se  Daute  ci  appreode  di  aver 
provato  gli  strali  d*amore  sin  dall*et&  di  nove  anni : 

lo  soao  state  con  amore  insieme 
Dalla  ciroulazion  del  sol  mia  nona  (<), 

se  Francesco  Petrarca,  nel  sonetto  Voglia  mi  sprona, 
ci  narra  come  egli  sia  entrato  nel  labirinto  d*  Amore* 
il  6  aprile  1327,  su  Vora  prima  (3);  non  cosl  Oino  Si- 
nibnldi  ha  segnato  1*  origine  deir  amor  sue. 

Anch*  egli  per6  nella  canzone  <  S*  io  smagato  sono 
et  infralito  >,  chiaramente  ci  dice  che  egli  fu  d*Amor 
Bin  da  gioyine  etade : 

Da  pai*t6  di  piet&  prego  ciascuno 

Che  la  mia  pena  e  lo  mio  torment'aude 

Che  preghi  Dio  che  mi  faccia  flnire. 


Di  me  porria  dire 

ChHo  fui  d^amor  sin  da  giovane  $iade, 
E  stando  sol  ne  la  sua  potestade, 
Per  non  veder  mia  Donna  morto  fosse. 


{IJ  Cino,  Cans,  Cori  gentUi  e  serventi  d*Amore. 

(2)  Dante^  Son.  che  comincia  coti   Cod.  Magliab.  143,  Classe  VII. 

(3)  Vid«  Laura  nella  obiesa  dl  8.  Cbiara.  V.  Note  attaocate  a  on  oodiee 
di  VergUio  oeU^AmbrosiAAai  di  cui  esiste  oopiA  AAolie  DoiiA  TxiTuUiaoa. 


70 


E  fa  tale  questo  immenso  e  sventuratissimo  amore 
che  il  poeta,  caotando  le  yicende  sue  e  a  che  la  sua 
Donna  lo  ridusse,  si  crederebbe 

.     •     •     •     solamenie  fare 
Ogni  anima  di  oi6  meravigliare. 

Fa  qaest'amore  ingenuo  dapprima  e  qaasi  inconscio^ 
nutrito  poi  di  forti  palpiti,  deUe  angosce  della  speranza 
e  della  disperazione,  geloso  talora,  e  da  ultimo  fatto 
tanto  nero  che  Clno  fu  giustamente  collocato  tra  i 
poeti  del  dolore. 

Le  Rime  sono  la  nebalosa  storia  di  questo  affetto 
e  sono  il  nitido  specchio  di  ua*anima  martoriata. 

Leggiamole. 

Qli  occhi  gentili  e  pieni  d* amore  O  di  una  piacevol 
giovenella,  adorna  d*  angelica  virtti ,  i^^  leggiadra  tanto 
che  umana  creatura  non  poteva  dare  al  mondo  figura 
si  bella,  ferirono  col  dolce  sgtiardare  la  fantasia  e  il 
cuore  del  poeta  assetato  di  gentili  affetti,  pascente  Ta- 
'nirna  sua  trista  coUa  speranza  di  campare  per  il  Dio 
d*  Amore. 

Essa  ne*  begli  occhi,  ch*  han  d*alto  foco  la  sembianza 
vera,  apertamente  mostra  che  il  poeta  ne  ayr&  gran 
gioia.  <^)  E  dolce  e  umile  la  sembianza  della  bella  e 
pietoso  deve  essere  il  sue  cuore,  poichd  dal  suo  sguardo 
spira  amore.  N6  per  ardire  il  poeta  pose  cura  alia  crea- 
tura leggiadra;  egli  la  vide  e  se  ne  sentl  ferlto  e  non 
ayeva  ancor  veduto  Amore,  cui  il  cuore  non  conosce 
se  prima  non  Tha  provato. 

Ua  giorno,  andando  per  la  via,  la  bella  gli  concede 
il  saluto  che  essa  sa  dare  a  chi  le  fa  onore:  parve  al  • 
lora  al  poeta  che  un  dardo  acuto  gli  passasse  il  cuore, 


(i;  CinOs  Son.  Li  voitri  ocohl  gentili  e  pien  d*Amore< 
(S;  Oino,  Son.  Una  gontil  piacerol  giovene11a« 
(3)  Ivi. 


b 


71 


•*■ 


e  non  fu  sua  colpa  se  lo  prese  la  virtd  raggiante  da 
quel  begli  occhi. 

Tutti  i  suoi  pensieri  sono  allora  per  la  gentile  adorna 
di  angelica  virtu;  egli  Tama  sempre  coUo  stesso  mtenso 
affetto,  ed  ha  si  flssa  nella  sua  mente  la  rimembranza 
di  lei,  che  non  si  6  dilettato  mai  piti  d*altra  cosa  cl^ 
del  ricordo  di  quella  amorosa  vista;  Tanima  sua  altro 
intelletto  non  ha  che  d*amore. 

Cosl  un*alta  speranza  rallegra  il  suo  cuore;  pargll 
che  quella  donna  plena  d*  umilti  debba  esser  pietosa. 
Solo  co'  suoi  sospiri,  sta  il  poeta^  perch6  altri  noa  li 
oda:  appena  gli  angeli  possono  dire  a  chi  assimiglia  la 
donna  sua:  il  sole  a  )ei  s*iDchina,  Dio  (la  cosa  cono^ 
scente)  Tonora  e  il  cielo  le  piove  dolcezza  intorno. 

E  il  poeta?  Egli  desidera  di  vedere  lei  che,  se  solo 
un  fochettin  sorride^  quale  'I  sol  neve  strugge  i  suoi 
pensieri  (i)  e  di  udir  le  sue  parole  che  son  vita  e  pace 
e  ne  trae  una  speranza  di  cui  si  pasce  e  che  6  tutto  il 
suo  contento:  .       •  ♦     «•  ^ 

Tutte  le  pene  ch*io  sento  d*amore 
Mi  son  conforto  accid  oh'io  non  ne  niuoia, 
Pensando  che  m*  ha  fatto  servidore 
Delia  mia  gentil  donna ,  e  non  V  h  noia. 

£  chi  potrebbe  mai  sentir  doglia  d*amore  avendo 
messo  tant*  alto  il  suo  cuore  ?  Gioia  maggiore  non  de- 
lizia  il  ParadisOy  poich6  il  poeta  sa  che  la  bella  desi- 
dera 11  suo  amore.  <^^ 

Pur,  a  tanta  bellezza,  alia  cui  vista  il  cuore  deirin- 
namorato  sovra  'I  del  gir  osa  (s;,  che  s/w^^^  innanzi 
alt  intelletto  ^  ei  cela  il  suo  corale  afietto  per  ver- 
gogna  (^) 

(\)  Cmo*  Son.  Madonne  mie,  Tedeste  voi  V  altr*  ieri. 
(2)  Cino,  Son.  Tutte  ie  pene  ch'io  sento  d' Amore. 
(9)  Cino*  Son*  Vedato  han  gli  occhi  miei  al  bella  cosa. 
(4)  Cino^  Canz.  Non  che  *n  presenza  delta  yista  lunana  : 

La  mia  forte  e  corale  innaraoranza 
Vi  celo,  com'uom  tanto  vergognoso, 
Ch'  ansi,  che  dica  suo  difetto,  maore. 


n 


Tali  i  priml  palpiti  e  le  prime  pagiae  d'amore: 
speranza,  fede,  ebbrezza  deiranima,  tripudio  di  pensier 
leggiadri  e  gai(>),  lo  stupore  estatico,  il  sospirar  pe- 
reQDe,  la  beatitudine. 

Co3]  il  poeta  6  gi&  chiamato  a  corte  d*Amore  e  To 
sveoturato  6  appena  nato  a  queata  passione,  che  gli 
appare  la  spietata  sentenza  che  fa  di  Ini  quel  signor 
che  chi  lo  sguarda  uccide :  6  di  si  altero  luogo  la  dODna 
sua,  che dirmerci non  potrA  pietate;  (*)  gli  occhi  folli 
piangeranno  il  giuoco  che  diede  Tebbrezza  d'amore  al 
poeta. 

Quando,  dove  essa  nacque  ?  chi  V  ispird  t  fu  aHetto 
duraturo  ? 

Nou  ora  curfamoci  di  una  data,  uon  curiamoci  ne- 
aiiche  di  determinare  la  donna  che  ispird  tanto  amore : 
riguardiamo  solo  alio  svolgersi  di  esse,  e  come  viva 
nel  cuore  del  poeta  e  di  esso  si  nutra. 

II  Faiifani  ha  supposto  che  i  primi  palpiti  rivelas- 
8ero*lKhiorS  al  N.  in  una  giostra.  Egli  C(£)ngettar6  sul 
verso  «  poi  che  ella  gli  occhi  tuoi  vinse  in  la  gUh 
stra  » (3).  Ma  ben  la  giostra  pu6  essere  il  fulgido  lam- 
peggiar  delle  pupille  che  Thanno  ammaliato  (4);  n& 
d*altronde  importa:  T  amore  nacque  ne*  gai  assem- 
bramenti  di  una  piccola  citt&,  forse  non  ancora  fUne- 
stata  da  odii  di  parte;  colpi  il  giovane  Cino  afflssantesi 
desioso »  tra  i  drappelletti  di  leggiadre  donne  (in  vari 
sonetti  da  lui  descritti),  ne*  piii  begli  occhi  che  lucesser 
tnai. 

V  amore  6  insaziabile,  e  inesauribile  &  il  desiderio 
di  vedere  la  bell  a.  Legato  air  amoroso  node  da  due 
belle  trecce  bionde, 


(1)  Cino^  Canz.  La  doloa  vista,  e  *1  bel  gnardo  toave. 
ffj  CinOt  Son.  In  fin  che  gli  ooohi  mlei  non  ohiad«  morte. 

(3)  Cmo^  Son.  So  'I  vottro  oor  del  forte  nome  sente. 

(4)  11  gioco  degii  occhi  del  aonetto  «  In  fln  ohe  gli  ooohi  miei  non  chiude 
morte  »,  ten*  S.,  v.  I. 


E  sti'ettamente  intennto  a  tnodo 

D'  uccel  obe  &  pi'eso  al  riachio  ti'a  le  ft'onde, 

Taffetto  suo  si  fa  sempre  pid  intenao,  si  come  crei 

neltaureo  colore  le  belle  trecoe  che  gtl  aTvolgOD 

ouore.  (i) 

Ua  gionio  il  bel  riso  adoruo  non  6  tral'altre  | 

till  a  una  festa.  Percti6  noD  fu  richiesta  da  esse  «  c 

onorar  venisse  questo  giorao  ?  > 

Gli  occhi  di  tatti  guardan  1'  iDaamorato  «  cbe 

apirar  non  stoma  >  : 

Oggi  spei'ava  veder  la  mia  gioia 
Stare  tra  Toi,  e  tenei'  lo  cor  mio 
Cb'a  lei  come  a  sua  vita,  s'  appola. 


Pate  8\  ohe  staaera  la  vegg*io.  («) 
Nod  appare  alia  sera  quella  in  cui  s'  amisia  ti 
bellezza  da  far  piaceati  I'altre  donne : 

.    .    non  curaste,  (cfontw)  nft  Dio,  ni  pregbiera : 
Di  oi6  mi  doglio,  e  ognun  doler  si  deve, 
Cbe  ta  festa  h  tui-bata  in  tal  maniei'a.  (s) 

£i  si  stempra  in  dolorose  smanie;  la  vita  sua  6  I 
nn  crescendo  di  dolori;  d  perduta  per  lui  quell' ai 
lica  0gura,  adorna  di  tanta  piet&  e  di  tanto  valori 
simigliare  alia  rosa  che  fa  disparere  ciascun  fiore 
gentil  doQzella,  gi&  a  lungo  disiata  con  anelante 
spiro  e  con  ardeote  speranza,  d  fatta  sposa ; 
Oenttl  doniella,  fatta  siete  sposa, 
II  temporal  T'lnvita  oma'  d'  amove. 

La  bionda  giOTinetta  de'  ridenti  crocchi  di 
fanciulle  6  divenuta  la  donna  austera,  avara  di  mt 


(IJ  Citw .  wn.  Ome'  t  ch*  io  Bono  all'  nnioroso  nodo. 
(S)  Oino,  ion.  Come  non  i  con  vol  per  qasala  feilB. 
(Z)  Cino,  ton.  Or  doT'^i  donne,  quella  ia  cui  b'>tvIsIi 


74 


a  tuito  it  mondo  umile  e  piana  e  verso  il  poeta  sven- 
turato  sdegnosa  e  flera. 

II  matrimonio  di  Selvaggia  non  toglieva  alKardente 
pistoiese  di  amare  Madonaa  e  di  iodirizzarle  i  suoi 
versi  d*amore,  poichd  la  morale  del  tempo  consentiva 
alle  €  persooe  oivili ,  maniere  di  onestissimi  amori , 
amandosi  platonicameate  anche  le  persone  coniugate, 
ma  con  tal  rispetto  e  riguardo  all*  onesU  che  1  Con- 
so  iti  ancor  che  consapevoli  non  se  ne  sdegnavano  ...»  (0 
concetto  anche  da  Cino  affermato  € . . .  donna  puote  ben, 
COD  lo  sue  onore  -*  con  atti  belli  ed  ooesti  sembianti, 
—  tener  in  dolce  vita  un  suo  servente  (^). 

Ma  amore  infonde  a  Cino  le  sue  p^ure  e  fa  di  Ini 
un  povero  geloso:  <  mi  fa  geloso ...  —  onde  Madonna 
sdegna  —  e  sdegnando  ml  cela  sua  figura. 

AI  poeta  stesso  balena  la  ragione  per  cui  egli  perde 
la  vista  della  bella  donna,  sostegno  della  sua  vita:^  la 
gelosia,  della  quale  gi^  il  secondo  Guido  aveva  iase 
gnato  che  reca  airuomo  <  male  e  dolore,  affanno  con 
martire  >.  E  gli  6  vano  il  non  credersi  responsabile 
deirimportuQO  sentimento,  allegando  che  €  Amor  per 
sua  virtute  regna  »  ;  e  vano  6,  a  calmargli  le  smanie, 
il  soflsma,  col  quale  giustiflca  la  donna  sua,  in  quanto 
come  ei  vorrebbe,  sdegno  proviene  da  ragioni  estrin- 
seche,  che  non  le  si  possono  addebitare, 

.    .    sdegDo  in  geptil  donna  vien  di  fore 
si  che  d'aver  pietate  eU'ha  valore;  (3) 

egli  omai  presente  le  sue  future  angosce,  e  invoca 
piet&  dal  gen  til  cuore  ch*  ha  la  vita  sua : 

Ch'  io  mi  veggio  menar  g\k  per  tal  via 
ChMo  temo  di  trovar  crudelitate.  (4) 

Ma  nessuna  virtii  6  possente  a  conciliargli  T  amore 


^1)  If.  A.  S'llvU  Le  Slorie  di  Pittoia,  (2)  Cino^  Son  Donoe  mie  g«ntili. 

(3)  Cino,  Ballata :  Dah  asooltate  come  '1  m'o  sospiro.  —   La  leiione  ci' 
tata  h  tolta  dal  Notlola, 

(4)  Oino^  Son,  Poi  cbed  «*  t'd  piaciuto,  ched  io  sia. 


della  sdegDOaa;  ei,  virecdo  sotlo  spera  dt  morce 
plica  una  donna  gentile,  Is  graziosa  Qjovsooa, 
faocia  f>gQi  sforxo  per  ottenergli  dall'  amata  t. 
della  sua  vita  che  si  muore : 

Qraitosa  Oioranaa,  onoi'a  e  eleggi 
Qaal  Tuoi  di  quelle  che  tu  Tedi;  Amore 
B'  solo ;  inlanto  per  lo  tuo  oncii-e 
Lo  mio  sonetto  in  aua  presenia  leggi.  (>) 
L'iDvocata  intercessione  paregli  otteDga,  per  n 
meoto ,  il  dospirato  efletto  e  il  pistoiese  pud ,  co 
aecondo  Quido,  intoaare  rinno  di  gioia.  (?) 

Una  speranza  tenace  lusinga  il  cnoro  di  Oino, 
grado  le  ripuUe;  egli  s'iliude,  sentiamo  lui: 
Fra  me  meileamo   to'  parlando,  e  dico 
Che  '1  sue  sembiante  non  mi  dice  '1  rero 
Qaando  si  mostra  dl  piet&  nemico ; 
Cta'a  fui'za  par  ched  el'  si  Taccia  flero, 
Pel'  ch'io  pur  di  speranza  mi  nodrico. 
Ed  invero  par  si  placht   il   cuore  della  sdag 
un' alta  speranza  dolcemente  saluta  I'anima  dell' 
morato  *  e  falla  rallegrar  dentro  lo  core  > : 
Cbe  questa  donna  piena  d'umiltate 
Giugne  cortese  e  piana, 
B  posa  nelle  braccia  dl  pietate 
,    .  si  fhce  a  quel,  cb'  ell'  era  sirana. 
Siamo  dinanzi  alia  canzone  XI  (Fanfani),  noi 
per  impeto  lirico,  spirante  ebbrezza  d'amore,  entua: 


(1)  Cino. 

>.  aha  «oinlrida 

«IHl. 

1*1  Anch. 

Caialoaali  - 

autenlico 

grnppo 

adaapoto 

10,  [ 

mbblicito  da  0. 

Salvador 

prega  u 

n..g,«lild 

cui  «  eotiQiu 

di  [rde.    chs    v 

oglia 

parUca 

a   qoall. 

ddlB  quBia  c 

igHt 

>pac*  oh 

a  il 

re  lart  da 

(Bio  piCi  She 

.gll 

Doa  sappla  dir 

Non  SBO  aora 

Inarf 

1  apartan 

laala 

quoUa.  cui  ID 

L'ave 

dato  a  > 

or* 

qua-  eh'  i  -n 

.  podar,  c 

:lo6  , 

Nod  la  o 

omli 

la,  >na  .sli  baa 

■adi 

1  carta  ohe  la 

gaatll. 

CDQOBCsis  qaal  donaa  >gll  ami.  - 

-  Cii 

10  iDT«ce 

iOTi 

la  la  gl 

'aiUaa  aio' 

76 


per  Tamata,  qui  paragonata  ad  ogni  pid  nobll  cosa, 
chiamata  per  ogDi  nome  di  gentil  virtii ,  di  valor  tale 
che  fa  meravigliar  il  sole  e  che  il  ciel  piove  dolcezza 
ov'essa  dimora.  Questi  versi  tralucono  uno  del  pochi 
sprazzi  di  speranza  che  abbiano  irradiato  il  caore  del 
poeta,  poich^  la  bella  donna,  fulgente  stella  posta  nel 
ciel  d'Amore  (i)  si  face  a  quel  ch'elfera  strana^  e  almeno 
una  Tolta  le  sue  parole  son  vita  e  pace.  Pur  il  misero 
d'altra  brama  non  si  pasce  che  di  vederla: 

In  questa  speme  6  tut  to  il  mio  diletto, 

Ch'  altro  giii  non  affetto, 

Che  yeder  lei,  che  di  mia  vita  h  posa. 

Tenue  desiderio,  che  gli  detta  una  canzone,  lo  sente 
anche  il  poeta,  bella  e  nova^  si  ch*egli  non  ha  ardire 
di  chiamarla  sua :  6  opra  d'  amove  ! 

Ma  i  lieti  pensieri  poco  durano :  (lopo  la  speranza, 
la  disillusione  amara : 

Ogn*allegi*o  pensier,  oh'  alberga  meco 

SI  come  peregrin  giunge  e  va  via, 

E  s*ei  ragiona  della  vita  mia, 

Intendol  si,  com'  fa  'i  Tedesco  il  Qreco.  (2) 

Invero  noi  troviamo  tosto  il  misero  che  si  distrugge 
e  consuma  lauguendo:  egli  ha  udito  cose  che  gli  hanno 
perrasa  la  mente  di  dolore,  pensieri  crudeli  e  rei  tur- 
binano  nella  sua  mente  : 

Per6  che  mi  fu  detto  da  oolei, 
Per  cul  speravo  viver  dolcemente, 
Cose,  che  si  m'angosoian  duramente, 


onorar  e  a  trascegliere  quella  che  yuole  delle  gentili  donne  ch*  essa  vede  ; 
esse  son  raoUe>  ma  Amore  d  iolo,  e  rinterceditrioe  non  pu6  errare. 

Vedi  G.  Salvador i:  La   Poesia  giovanile  «  la  Canzone  d' Amore  di  O, 
Oavaloantif  col  teste  del  sonetti  yaticani.  ^  Roma,  i8^  ^  Son.  24-^  della 


eerie. 


(1)  Cfr,  D.  Freseobaldi :  Una  stella  con  si   nnova  bellesia.  —   «  nel  ciel 
d*  Amor  di  tanta  ylrtti  Ince  ». 

(t)  CinOj  Son,  che  comincia  cost. 


Che  per  men  pena  la  morte  Torrel. 

Che  I&  ond'io  credevo  aver  letizia, 

M'  h  soFbondata  pena  dolorosa 

Cbe  mi  disti-ugge  e  consuma  languendo  0 

Allor  non  gli  vale  ctae  11  cor  si  stringa  pave 
meate,  noa  cbe,  solo  al  peasiero  di  mirar  gli 
della  donna  sna,  ei  tremi,  impallidisca  e  agg 
tatto,  nh  che  il  cuore  rimanga  pe^io  cbe  morto 
d'essa  disdegnosa  passa;  la  spietata,  oltre  misn 
tera,  ^)  aborre  la  sua  vista  : 

.    .    .    dovea  innanzi    .   ... 
Sofil>ire  ogni  tormento, 
Che  Ai-ne  moatramento 
A  Toi,  oh'ollFe  a  oatura  seta  altera, 
L'amor  ridente  ne'  begli  occhi  di  lei,  e  cb'e 
furato,  dal  cor  vita  divide: 
*  Donna  mia,  unque  mai 

C03l  f^tto  giudizio  non  si  Tide. 
QuaL'6  la  cagione  delle  ripulse  e  di  tanto  sdt 
.  n  poeta  Qou  ci  d&  a  questo  proposito  che  qi 
y^a  allusions.  Egli  6  angosciato  perch6  quell 
I'accide,  in  forte  punta  s'accorse  che  amore,  che 
ne'  suoi  occhi,  I'areva  conquiso : 

Ahi  Dio !  come  s'  acoorse  in  forte  punto 
Per  me  dolente,  qnella  che  m'anolde 
Che  '1  dotoe  Amor,  che  ne'  suoi  occhi  ride, 
M'avia  lo  oor  di  sua  biltate  punto.  >) 

Forte  punto'.  Terribile  momento  !  non  propi2 
qualche  sciaguratissimo  evento  al  giovane  amc 
poeta.  Oosl  par  logico  che  ai  debba  interpretar 


1)  (Hno,  Son.  L&  gr&Ta  audleniB  d 
S)  Cino,  Cam.  Dsgna  ton  [e  eh'i'  i 
3)  OIno,  Son.  cha  aDDinola  cobI. 


78 


non  6  altrettaQto  facile  congettarare  qual  fosse  questa 
Qera  contingenza.  Pur  faremo  alcun  ravviciDameDto 
con  qualche  fatto  che  forse  fu  la  cagiooe  prima  delle 
sue  lagrime.  Or  notiamo  con  Oino  che  ii  cuore  della 
sdegnosa  donna  gli  si  fece  tanto  fiero  e  crudo,  che 
essa  neppur  telle ra  che  il  Sinibuldi  le  si  pari  da- 
vanti.  (') 

Oh!  alia  cruda  forse  aggrada  la  fine  deU*amante 
odiato  i?),  il  quale  riman  peggio  che  morto  quand*ella 
passa  disdegnosa.  Suppone  allora  il  reietto: 

.  .  •  S*  io  son  ben  della  ragione  accorto 

E  sol  per  lo  desio.  ch'en  lui  tiH)vate.  (nel  coore)  (3) 

Altrove,  (^)  ha  un  vago  accenno  alia  cagione  de'  suoi 
sospiri : 

...  la  ciera  gentil  .  .  . 

Che  come  sx^o  nemieo  par  mi  miri. 

Ella  chiama  follia  il  dolore  del  Sinibuldi,  e  le  par 
ch'ei  sogni  •  * 

•  •  .  •  e  sia  com*  uomo  fuore 

Del  senno,  e  che  s6  medesmo  ammattio  (5), 

e  gli  suscita  intorno  rise  e  scheme,  quando  le  pasm 
davanti : 

.  •  .  riso  e  gioco 
Mi  fa  menar  quando  davanti  passo  (6), 

e  gabba  lo  colorlrsi  deiraspetto  sue,  quando  le  d  presenter 

Se  Yoi  udiste  la  voce  dolente 
De*  miei  sospir  .  .  . 
Non  gabbereste  la  vista  '1  colore 
Ch*  io  cangio  .  .  .  H 


(1)  Oifio^  lvl» 

(8)  Oino,  Son,  Oli  atti  yostri,  li  sguardi,  e  U  bel  diporto* 

(8)  Cino  ^  Son*  Oil  atti  vostri,  li  sguardi,  e  U  bel  diporto 

(4)  Cino  4  Son*  Udlte  la  cagioft  de*  miei  soipiri. 

(6)  Cino,  Son,  Ora  se  n'esce  lo  sptrite  mio. 

(6)  Cino ,  Son,  Se  voi  udiste  la  voce  dolente.  (7)  ivi. 


79 


£d  6  sempre  essa,  al  grand*  assedio  della  vita  del 
ramante,  che  si  adira  di  tan  to  amore, 

Come  colei  che  se  *1  pone  in  dimore  0). 

Perch6  a  Madonna  par  tanto  disonorevole  Taffetto  di 
Cloo?  L'innamorato,  giuoto  a  tale  ormai  che  per  lui 
6  indifferente  la  morte  e  la  vita,  ci  afferma  che  di  cib 
causa  non  d  se  non  ria  sorte  (2\  Ed  era  vero ,  e  ve- 
dremo  ci6  che  per  lui  costituiva  la  fortuna  awersa. 

Ahi  doloroso !  solo  le  lagrime  per  lui  I  Pur  morrebbe 
prima  di  obliare  colei  che  si  sforza  d'esser  sempre  al- 
tera e  disdegnosa  (^),  ed  ogni  suo  pensiero  6  di  pianto 
perch6  la  mente  gli  mostra  il  voler  fiero  dellamata.  (4) 

Da  questa  donna  crudele,  da  questa  fiera  selvaggia, 
priva  d*  ogDi  piet^,  dalla  quale  ei  sa  di  non  poter  trarre 
che  guai ,  (&)  meglio  sarebbe  allontanarsi.  Ma  il  foUe 
am  ore  lo  riconduce  sempre  1^  dov*6  la  sua  condanna: 

.  .  .  1&  dov'  io  son  morto  e  son  deriso 
La  grau  vaghezza  pur  mi  riconduce. 

Hanno  un  bel  tenzonargli  nel  capo  la  ragione  e  la 
virtft  per  rinsavirlo;  egli  6  schiavo  dMa  hella  luce, 
degli  occhi  traditor  di  lei  che  gabba  Taifanno  suo: 

...  da  ragione  e  da  virtd  diviso 
Seguo  solo  il  desio,  come  mio  duce. 


Pur  egli  partiva,  astretio  forse  dagli  studi  che  lo 
chiamavano  in  Bologna.  Infatti  un  dolore  lemperato 
echeggia  in  alcune  rime,  le  quali  ci  dimostrano  come 
Gino  abbandooasse  la  natale  Pisloia  e  Tamata;  e  non 
son  quelle  deiresilio,  che  rivelano  una  ben  piu  cupa 
e  nera  disperazione.  Esse  ci  ritraggono  il  poeta  Ion- 


(1)  CinOj    Son,  Ahimi  !  ch*io  veggio,  ch*ana  doona  viene, 

(2)  Ctno«  Sestina  :  Mille  volte  riohiaroo  il  dt  mercede* 

(3)  CinOy  Son, :  Vol  che  per  naova  vista  di  flerezf  a, 

(4)  Cino,  Son.  i  Lo  fin  placer  di  quelle  adorno  vise. 
(5^  Cino,  Son, :  II  zaflRr,  che  del  vostro  vise  raggia* 


80 


tano,  sotto  il  potente  fascino  degli  occhi  della  bella  pi- 
stoiese,  e  spirano  un  cocente  rammarico  di  aver  potuto 
peosare  a  lasciar  quella  gioia  die  piU  lo  diletta  die 
nulla  creatura: 

Pai*lirdi  da  cosl  bello  splendorel 

Doy*io  taDto  fallai, 

Che  non  ^  oolpa  da  passar  per  gnai. 

Dovea  prima  uccidere  se  stesso ,  come  fece  Didone 
quando  Eaea  le  lascid  tanto  amove  ^).  W  an  dolore 
che  lo  oppprime  sol  per  la  cagion  della  sua  dipartita^ 
e  non  lo  preoccupa  iiessun*altra  sveDtura:  egli  langue 
per  11  desiderio  dl  ritornarei  e  versa  in  continuo  pianto, 
sicch6  ognuno  che  lo  mira  s'accorge  del  miserando 
stato^  simile  a  Morte,  ch*egli  prova,  lunge  da  Madonna 
stando  *). 

Infelice  e  lontaoo,  riceveva  la  notizia  del  lutto  del- 
Tamata  e,  condivideodo  il  dolore  di  lei  che  non  gli 
era  mai  stata  pietosa,  trasfondeva  i  saoi  sentiment!  in 
sonetti  pietosissimi  e  pieni  di  caldo  affetto.  ^) 

Fra  quella  gente  straniera,  tutto  gli  arreca  duolo 
mortale,  onde  egli  fugge,  per  non  esser  udilo  da  cuor 
villanOf  e  sta  celatamentOi  assorto  in  pensieri  d'amore : 

Ch*allor  passo  li  monti,  e  ratto  volo 
Al  loco  ove  ritrova  il  cor  la  meiite. 

Imaginando  intelligibilmente  lo  conforta  un  pen- 
siero  che  tesse  un  volOy  il  penslero  di  rivedere  la  bella 
gioia  da  cui  6  lontano.  ^)  Giorni  di  conforto  quelli  in 
cui  Madonna  recasi  a  soggiornare  1&  dove  trovasi  il 
Pistoiese ;  e  lo  scorameuto  si  fa  maggiore  quando  essa 
riparte  per  Pistoia, 


V  Ctno,  Ballaia:  I  pi&  begli  occhi  che  lucesser  mai. 

2)  Ctno.  Son.  II  dolor  grande  che  mi  corre  sovra. 

S>/  Ad  essi  gill  ho  accennato  in  questo  lavoro,  a  pag.  01  e  tegg« 

4)  Cino,  Son%  Cid  ch'io  veggo  di  qua  m'6  mortal  duolo. 


Lo  dl  'oKe  di  BologDft  si  parth) 
K  gio  a  &F-  si  Innga  -diiDOF&Dza 
Id  loco  ohe  m'ba  fatto  spesso  noia. 
.   Ma  pana^ono  i  gioroi  ileDa  lOBtanaDEa  hnipoatag 
dattii  4tudi,  allQviata  da  paaseggieri  amori'(i)  e  abtw 
llta  dair  amieizia ,  e  II  PJstoiese  si  recava  ia  patri; 
flsso,  mente  e  cuore,  nella  donna  altera. 


n  pit  disperato  degli  amanti  oon  avvi  che  m 
geambi ,  nei  momenti  di  conforto,  il  proprJo  desidet 
coUa  possibility  degli  eventi,  e  die  qod  imagini 
doDQa  amata  qtnile  nella  sua  mente  la  vagheggia.  A 
che  DeU'empito  del  dolore  6  dolce  oareggi&re  ffentt 
accorta  e  saggta,  et  adoma  di  cid  che  donna  onora,  c 
lei  che  per  rinnamorato  6  sOlo  spietata,  donna  cr 
dele,  (era  selvaggta.  (') 

II  concetto  6  antitetico,  e  ci  ricorda  quel  di  comui 
ehed  in  alcnni  poati  del  dolce  stil  nuovo,  a  oui  Cii 
apparteneva  iDdubbiameote  per  et&  e  pel  caratte 
della  sua  lirica.  lovero  Lapo,  Cino  ^  Ouido  raffigar 
vano  la  donna  cnidele  e  selrsggia  verso  il  sospiro 
poeta.  ma  pur  df>Ice,  adoroa  di  ogoi  virtJi,  santa.  {a) 


(y/  Tedi  il  oKpllola  lecondo  di  qnesle  not*.  ' 

(!)  Cino.  3»a.  11  i«far,  elie  del  voitro  riio  t»ggi». 

(i)  err.  Lapo  Olaunt,  Ballata  :  Amare,  i'  prego  1>  lui  nobilUda  —  eh'' 
til  Del  aor  d'ailai  donnni  apltloia,  Ivl:  Con  ai  Ilsri  leiDbitnti  mi  4iideg 
Lapo,  Sallala;  Angloltlta  tn  timblama  :  •  Non  pa6  »iueer«  Amors  — 
|dog«r  Delia  menti  gsslilla  —  d'«al>  noTella  cou  —  chi  alvaBgfa  a  lutt' 
—  la  trova  eon  A  nors  legjiairia  —  oontio  di  Ini  ideenais  «cc.  • 

P<r6  h  qni  il  eaao  di  notare  ohe  il  CtTaicaiiit  (Caatas*,  Donna  mi  prei 
V-iJ  oi  Inaegoa  che  •  non  gii  lolngge  la  bisllk  lOo  dardo  —  ch*  tal  voli 
par  leraar  A  aparia  >.  Dnnque  tl  dardo  d'amort  Don  pii6  aaaai  dato  da- b< 
•alTagga,  psrctit  ami  I'amors  ai  manlfaala  {»  tperlo)  ptr  tmtr,  par  I'miril 
'  per  meretdt.  Coal  c(»utgu»  mtrto  iplHio  Ch'i  punlo :  B'  11  DantaacS  •  A'a 
Sba  k  nulla  amalo  amar  pardona  >.  Vadi  a  queata  propoaito :  OIUIIo  Stit 
<l»rf,  1  La  Poaaia  aiotanila  dl  O.  CaTaioanti  eae.  > 

U 


82 


Ma  ci6  Tale  a  negare  la  yeritit  deiramore,  affogan- 
test  nel  conTenzionalismo  f  Parmi  che  il  poeta  adoperi, 
a  esprimere  i  suol  sentimenti,  i  mezzi  poetici  che  la 
moda  del  tempo  suggeriva,  e  d*  altroode  6  pur  vero, 
ora  come  nel  treceato,  che  Tamante  nulla  di  piu  soa?6 
e  di  piu  alto  possa  concepire  che  la  donna  adorata, 
per  quanto  sdegoosa. 

Ed  appunto  in  quanto  essa6,  o  6  fatta,  neir  ebbrezza 
della  mente,  leggiadra  alta  e  Tozzosa,  (^)  che  V  amante 
non  osa  rignardare  quegli  occhi  cbe  pur  Timparadisano; 
6  appunto  perch^  essa  6  la  Donna  eletta,  dea  d^ogni 
gran  belt^,  ch*egli  ne  6  indegno :  ecco  perch6  <  innapti 
a  lei  piet^  non  far^  motto  >.  £  questo  un  altro  con- 
cetto che  ricorre  spesso  tra  i  poeti  che  rappresentano 
il  dolce  stil  nuovo,  ed  6  ritratto  in  questi  versi: 

Ella  h  tanto  leggiadra,  alta  e  yezzosa 
Ch*  innanti  a  lei  piet&  ron  faHi  motto.  (^ 

Ora  il  convenzionalismo  starebbe  in  ci6:  la  donna 
amata,  la  donna  di  grazie  e  di  virtu,  deve  essere  ne- 
cessariamente  sdegnosa,  (^) 


(1)  (7tno,  Son.  Sap'er  vorrei  8*Amor,  che  venne  Acoeso,  «  ^ii..*  Quttsta 
doDDfr  ohe  andar  mi  fa  pensoso* 

(2)  Cfr  O.  Cavalcanti :  Cans*  lo  non  pensava  che  lo  cor  giammai  «  ..  to 
non  camperai  —  che  troppo  d  il  valor  di  costei  forte  » ;  e  CSunx.  Oli  occhi  di 
qaella  gentil  forosetta^  «...  ella  si  vede  •—  tanto  gentile,  che  non  pad  im- 
maginare  —  Ch*  uom  d'  esto  mondo  V  ardisca  araroirare*..  —  ed  i\  e'  i'  la 
gaardassl,  nemorria  » ;  e  Son.  Li  miei  foirocchi  che  prima  g^ardaro  :  «  fatto 
■e*  di  tal  serTentii  —  che  raai  non  d^i  sperare  altro  che  morte  »• 

Cfr.  Lapo  Oiannif  Canx.  Donna,  se  *1  piego  che  la  mente  mia.* 

Donna,  qnando  earlk  per  me  sereno 
ched  e'  vMncresca  delle  raie  gravesze  f 
Non  credo  mai  fin   che  vostre  belleiie 
Boverchieranno  Taltre  di  beltate. 

(3)  Bartoli^  St.  della  Lett.  /( ^  IV  ,  pag.  112:  «  L'idealitik  roietica  dell' a - 
more  cantata  dal  poeta  dovwa  rimanere  inaccesBibile  ad  ogni  preghiera  mor- 
tale  ..  V  ecc.  Beninteso  per  noi  non  si  tratta  di  ideality  mistica,  come  ci  par 
4i  dimostrare.  * 


83 

Necessariamenle !  No,  io  penso,  ma  sdegnosa  in 
quanto  11  poeta  si  crede  indegoo,  e  tale  da  meritare 
sdegno  pel  suo  ardimento  i}).  E  invero,  come  lo  sdegno 
necessario  potrebbe  conciliarsi  coUa  speranza  che  A- 
more  possa  fare  una  selvaggia  fiera  esser  pietosa  ?  (2) 

II  poeta  va  presso  alia  donoa  sua  e  non  osa  riguar- 
darla,  e  se  gli  accade  di  mirare  que'  begli  occhi,  quel 
celesti  e  sauti  rai ,  egli  vede  in  quella  parte  la  salute 
a  cui  il  suo  Intel  letto  non  pu6  arrivare.  (3)  Cos'fe  questa 
salute  ove  riotelletto  non  pu6  gire,  se  non  una  conce- 
zione  della  mente  del  poeta  che  vede  in  quegli  occhi 
una  grazia  di  lume  divino,  per  dirla  col  Foscolo(*),  un 
miraggio  che  lo  abbaglia,  che  trascende  Tintelletto  suo? 
se  non  un  prodotto  della  mente  deirinnamorato  che 
pot6  concepire  come  non  troverebbe  piet&,  perch6  in- 
degno  di  tanta  leggiadria,  e  che  in  questo  pensiero  si 
strugge?  (5) 

II  convenzionalismo  che  si  riduce  alKempito  umile 
del  prime  amore! 

La  storia  dell*  amore  di  Cino  6  ancor  la  storia  di 
uno  sventuratissimo  amante.  11  ritorno  non  gli  allevia 
le  angosce;  egli  rivede  la  donna  sua  dolente^  sotto  un 
vel  Unto  diptanto;  e  rimembrando  il  dolore  deiramata, 
gli  si  serra  il  cuore,  e  non  pu6  parlare  n6  piangere. 
Quanto  piu  grandi  sono  i  suoi  tormenti,  e  tanto  gli  son 
piii  graditi  nel  presente  stato,  se  essi  faranno  final- 
mente  la  morte  vittoriosa  de'  suoi  spirit!  vitali,  se 
<  morte  spezzi  ci6  che  la  coverchia  > : 

e  non  so  come  '1  cor  tanto  ^  durato, 

poi  si  gran  pena  lo  disttinge  e  cerchia, 
che  non  rispira  in  yita  d'alcun  lato. 

0)  Vedi  CinOf  Canx.  Degno  son  io  chT  mora,  strofa  i. 

(t)  Vedi  Cino^  Son.  sopracitato :  Saper  vorrei  s*  Amor  che  venne  aoceso. 

(3)  dno^  Son,  Questa  donna  che  andar  mi  fa  pensoso.  —  In  14  mss. ;  in 
10  con  attriboxione  a  Cino,  in  4  a  Dante* 

(4)  Commento  al  aonetto  del  Cavalcanti  «  Ch'6   questa  che  vien,  che  o-  '■ 

gni  uom  1»  mira  »  (5)  «  AUor  si  strugge  si  la  mia  virtute  »  ecc.  ^  ^ 


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84. 


Ma  essa  noa  depone  lo  sdegnto  e  n<m  sofferi^K^di 
vederlo*  (0  L*  impossibiliU  di  vedere  la  doana  de'  suoi 
iDartirfy  gli  acuisce  Tintei^so  desiderio  di  mirarla;  6  iw 
torments  queUMstante  in  cui  noii  pu6  affisarsi  estatiee 
negli  «  occhi  rUacenti  e  belli  >  della  sdegaosa : 

S*un  punto  sto  ch'io  non  li  miri 
Lagi*imatt  gli  occhi,  e  '1  cor  tragge  sospiri. 


Or  se  piet^  si  serra 

Nel  Tostro  cor,  fate  ch'ognor  ooutefflppe 

II  bel  gaardo  che  *a  ciel  mi  tei*r&  sempre. 

Ed  eccolo,  nella  notte  angosciosa,  indarno  soffocare 
i  palpiti  del  cuore,  e  stemprarsi  in  lungo  pianto  e  in- 
vano  frenare  il  duolo  fin  qui  tenuto  ascoso.  (*)  Quando 
declinano  gli  ultimi  raggi  del  sole  —  e  par  che  il  sole 
YOli  —  e  la  notte  stende  le  sue  ombre  che  gli  tolgono 
la  speranza  di  veder  Tamata, 

N6  ricevuto  ha  Talma,  come  suole^ 

Quel  raggio  che  la  sgombra 

D'ogni  martirio,  che  lontano  acquista, 

Tanto  fortd  s*attrista  e  si  travaglia 

La  mente,  ore  si  chiude  il  bel  desio, 

Che  '1  dolente  cor  mio 

Piangendo  ha  di  sospiri  uua  battaglia> 

Ch^  comlBcia  la  sera 

E  duratinsiiiQ  aUa  seooada  spera. 
Mirabiili  versii»  in  cui  non  si  saprebba  se  maggiore 
rimp^to  del  dolore  o  la  fimzit?^  psicolpgioa.  Dove  6q,9iir. 
or  via,  I'arida  dottriaa.deUa  sede  d'Amore;?Ni5)^Hii_m(>- 


(\)  CinOs  S^Ht  SmerAto  A  lo  mio>oor  di  dolor  UiUo*  ^Qae8to.))eUoe  forte 
Bonetto  di  oai  il  Traofhi  (Poetif  iQe^ijtO/di^  dug^^  lau^ori^  I,  p.,  285)  aveva 
pubblioato  solo  la  prima  quartina ,  fu  pubblioato  per  intero  daL~Nottola^  da- 
due  oodioi:  ChigiatkO  V   VUI»  3Q5;  e  MgUab.  VII,  loao. 

(?)  PJ*^<lt  Canzt  Quaado  Amo^  gli  ocohi  rilucenti,  e  belli* 
(3)  II  Guiniz^lli,  seguendo  la  tradizione«  rayevaiaUo. |>9|ar0  nel  c\)Qro/,  il 
Cavaloanti  lo  oollocd  nella  mente:  «  in.^uella,  parte  do  ye  tti^ .  n)9(09rf  ^— . 


deniopoeta  psioolt^o,  che-scratl  il  dolora  nmaoo.  noa 
potrebbo  meglio  signiQcarei  come  i  la  meate,  m  cui  si 
clutide  il.bel  desior  cbe  si  attrista  e  si  travaglia,  e  couie, 
di  coaseguenza,  il  cuore  palpita    in  for^e  e  dest«  : 
I'ai^aata.iiQa  battaglia  di  sospiri. 
Or,  se  prendete  a  noia. 
LO'  mio  Amore,  oecbi  d'  Amor  rubegli 
FoBte  pel'  comuD  ben  stati  man  begiL 


Poi  die  redei:  voi  Btess!  noa  possete , 
Vedeta  ia  altri  almea  quel  che  voi  sete.  (') 
E  ancora  il  mite  sdegoo  di  uq  iBnamorato;  n< 
ribellione  sent!  raffe.tto  e  rammirazione  per  lei  cfa 
giJL  chiamata  «  la  forte  sua  Demica  >.  Ua  Amore 
abbella  quegli  occhi  geotili  e  quel  viso,  non  tocct 
cuoce  di  Madonoa;  d6  flor  di  pieU  la  rende  mite; 
i  tprmeati  del  dolente  le  sembrano  sollazzo  e  giuoi 
.    .  I»  soa^di  mortd  visibiidguva, 
SI  di'ad  ogni  uom  paura 
DoTrla  fai-  1'  ombra  mia, 
Cbd  ben  farla  chi  m'  uccidesse. 
01;!  non  foss' egli  nato  maL  (!)  Rovioa  o^ni  vii 
la,maiito-,arde^  ranima  b  smarrita,  il  sao  viso  s'incb 
aUa.tQi-ra  [?),  qtiella  bell&  peillegriaa  gU  dejsta-terrore 
E,sj,,pie,toao.6  il  suq  stato,.che.qualuuque  piix  ajl& 
a(uDO  piangerabbeiudeodo  i  suui- sospiri.  i^)' 

...  si  volge  dt  fltro  talenta 
Portemente  sdegnoaa  et  adtrata 


(I)  Cr.  Mram 

it)  (Jino.  Cam,  Coma'a  qucgl'  ocolil  gealMl  s  'd  qa< 
8s '1  ralo  tUo  >Ua  Km  ■'iachin&. 

'.i)  0I»0^  Balialai  Angel  di  Jlht  siniglte  la  oluooD 
JS)  Otw,  Son,  I/aatiw  iai»''riliaeBt«-«  iblgpulu. 


86 


E  con  quesii  sembianti  6  si  cambiata 
Cb*io  me  ne  parto,  di  morir  contento,  0) 

6  fa  sollazzo  del  martirio  deir  iDnamorato  «  vedeDdo 
usjir  le  lagrime  dal  cuore  ».  (s) 

II  terrore  delT  amata  s^accresce;  ei  teme  tanto  il 
disdegno  della  donoa  che,  pur  struggendosi  in  mortale 
desio,  si  rassegoa  a  non  piCi  vederla  (s\  per  oon  recarle 
la  noia  delta  sua  vista. 

Eppure  —  e  ci6  rioorda  il  leopardiano  Coosalvo  — 
vorrebbe  morire  cento  volte  tanto  ^  sfiderebbe  le  raffi- 
natezze  del  dolore,  per  libare  solo  un  momeuto  la  gioia 
d*  amore : 

Uom  che  non  vide  mat  ben  nh  sentlo 
Crede  cbe  *1  mal  sia  cosa  naturale , 
Per6  gli  k  pid  leggier  .  .  . 

Ma  se  potesse  attiogere  solo  una  stilla  di  felicity, 
ben  poi  apprezzerebbe  quanto  il  male  6  rio,  coudannato 
a  pianger  pene  e  gioire  neir  abisso  del  dolore.  (*) 

Invano:  essa  che  a  tutto  il  mondo  6  santa  e  buona  (5), 
adorata  e  veoerata  da  lui,  pid  che  Dio,  non  degna.  (^) 

Scoppiare  e  struggersi  in  pianto,  se  alcun  lo  mira 
con  piet&,  e  pel  duolo  strider  Tanima  sospirosa,  e  ad 
alta  voce  chiamar  la  donna,  8icch6,  se  non  fuggisse, 
alti^i  direbbe:  or  sappiam  chi  I'uccide,  (^)  son  attiche 
danno  la  misura  deiramor  suo  senza  speranza:  Tuomo 
ha  perduto  tutta  la  calma  dello  spirito ;  uno  sgaardo 
pietoso,  rappresentandogli  colla  piet^  i  suoi  tormenti 
che  r  hanno  destata ,  lo  fa  stemprare  in  plan  to ;  allor 


1)  OinOf  Son.  Quetta  leggiadra  donna  ohed  io  sento* 

2)  Cino,  Son.  Senia  tormento  di  sospir  non  visti* 

d)  Cino,  Ballata.  Madonna^  la  pietate  ~  r«  anch9  OinOt  Son*  lo  priego* 
Donna  mla.  M.  la  ballata  VIII  dell'ed.  Fantani. 

ij  Cino^  Son.  O  tu,  Amor,  che  m'  bai  fatto  martire. 
b)  Cino^  Cans.  Si  ml  distringe  Amore. 

6)  Cino^  Son.  Amor,  la  dolce  viBia  di  pietate. 

7)  Cino^  Son,  Non  ▼*  acoorgeie  voi  d*  an  ctie  si  maore. 


87 


fugge  gli  uomiai,  e  vorrebbe  fuggire  il  ricordo  delta 
sTBDtui'a.  L'infelice  vittima  d' Amore  cbiede  piet 
spirito  moreBte  raccomaoda  alia  Donna  sua.  E  ud 
Qtnile  e  mesto  rimprovero  gli  eace  dal  petto,  I 
sappia  cbe  atla  bella  spiace  ogoi  torto:  sarai, 
MadoDDa,  cagione  (N  una  morte  tanto  piii  amara,  ] 
DOn  meritata  : 

lo  80  ohe  a  voi  ogni  toi'to  displace, 
Per6  la  moi'te  che  non  bo  servita 
Molto  piii  m'entra  nello  core  amara  (}). 
Nessuna  piet&:  MadODOa  I'odia  d  vuole  il  suo 
Madonna,  cbe  'Imio  mal  deaia, 
Veggendomi  languire  a  tutte  Tore 
Lieta  4  del  mate,  e  del  mio  ben  a'adifa. 
Id   tant'  aogoscia  ei    si   sarebbe  gik  ucciso,  i 
I'incatenasge  alia  vita  la  volutti  amara  che  pro' 
I'afflsarsi  negli  occhi  della  crudele  {']. 

K  rimpolpa  la  piaga  del  suo  cuore  ulcorMo  da 
cor  ctofftit  merc6  avai-o,  da  quella  crudele  d'atn 
tyaggla  e  di  pietft  aemjca,  e  pur  bella  e  dai  poeta 
piu  che  Qon  ami  se  stesso  {^). 
II  dolore  lo  cnnsuma  : 

SI  m'hai  di  forza  e  di  t&Ioi'  distrutto, 

Che  pib  non  taido.  Amor,  ecco  ch'io  mnoio 

Pianto  eterno :  se  gli  occbi  suoi  non  cadesser  s 

mat  non  avrebber  di  lagrimar  riposo  ;   il    suo 

dolore  r  invita  alia  morte  e  pargli  clie  ogn'uoi 

giulivo  a  suo  dispetto.    Gli    mandasse    Dio  il  pi 


y  CiM.  Son.  N<ll«  mi 

in  van 

re. 

doles 

Don; 

Ok  ml*.  - 

n  PrMlMlli  lo 

<  atitnpa  tr 

aURI 

me 

•  poo 

rife  d 

li  Danlav 

■era  del  PJMo 

ieaa,  CBami 

naiidai 

>e  1 

liera 

a  lo  stilo. 

■cale  aappurs 

:  lo  pubbli 

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dl  Cloo.  P.r6 

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flnir  pttr  ratto  (})»  potchd  egli  Bon  pbtir&  irdi^r  5f06a 
ehe  Delia  morte,  <laceh6  l*amata  tanVodio  c6?a  in  cMie 
perlui.  F033*egli  morto  qoando  la  mir6  faLprhnayolta, 
poicfai^  d*:allora  non  ebbe  ohe  doglia  e  pianto,  e  attro 
oon  avrii  mai ! 

E*  vano  lo  star  ga^rnito  d'umilUt  <;eQtro  il  fpraiDde 
oi^oglio  che  Tassalisce  con  spietanza  e  con  tempfsta; 
^  vano  queiravvilimento  ooDiro  le  ofEBse  drtla  cradele: 
per6  la  disperazione  lo  {^PSBde: 

Oh  t  iasio  a  che  timedio  pld  m*appfgl!o  t 
Ch*io  son  oome  la  nave,  oh'^  in  periglio 
A  cui  da  tutte  parti  nnoce  il  yento.  Qt) 

Esperimenta  la  gamma  di  iutti  i  doleri : 

Si  doloroso  non  potria  dir  quanto, 

Ho  pena  e  sohianto,  e  angoscia  e  tormento, 

ed  d  si  grande  il  sno  martrrio »  che  ogni  gioia  gli  d 
preclusa.  (^) 

Chi  laseiandosi  allettare  da  falsi  setnbianti,  s^^inna- 
mora^  sente  in  quel  memento  diletto  minore  del  p^ 
noso  languore  che  prova  pid  tardi ; 

Onde  non  chiamo  g\k  Donna,  ma  Morte 
Quella  che  altrui  per  servitore  acoogliei 
E  pol  gabbando  e  sdegnando  I'ucoide. 

A  poco  a  poco  la  vita  ^U  toglie 
E  quanto  pid  tormenta,  pid  ne  ride. 

Cosi  dev^egli  pensare  della  donna  sua.  (^) 
Pargli  di  diventar  folle: 

.    .    •   .  r  intelletto  par  da  me  fugglto, 
Perch^  V  mi  veggio  a  tal  mostrare  a  dito 
Che,  se  sar^sse  ben  che  cosa  ^  Amove, 
Convertirebbe  il  suo  riso  in  sospirL 


1)  CinOf  Ballata,  Angel  d!  Dlo  slmlglia. 

2)  Cino^  Canx*  Corl  gentili. 

8)  CinOj  Son,  SI  doloroso,  nOn  potria  dir  quanto. 

4)  C(nOj  Son.  Chi  a*  falsi  sembianti  U  oofe  iitrisoa. 


Quando  passa  vicino  a  lei,  cni   teme  piii  cha  qu. 

lanque  cosa  Tiveote,  smarrisce  e  trema:  e  tnorto  tl  < 

diventa  tnoUe  ftale. 

E  lo  npreode  I'idea  della  pazzia:  se  continua  co 

il  mio  tormento,  e  morte  non  pon  fins  a'  miei  mali 
....    prsDdeHl.  novella 
Non  gli.  buoDa  n6  bella 
Tiitto  lo  moado,  de  la  vita  mia: 
Cbe  della  meDte  per  tnaninooma 
Uscird ;  tanto  obe  picciolo  e  grande 
Maledii'aano  Amore,  e  sua  oatura.  (') 

La  sua  ventura  Tavesss  ucciso,  quaudo  s'iaoamori 

S'elta  m'avease,  quando  dicp,  ucciso, 

Nou  era  il  mio  morire 

Grave  pib  cbe  si  portl  il  coi'so  umano ; 

Ma  01',  s'io  moro,  perderd  '1  bel  viso.  (<) 
Queato  concetto  si  ripete  piii  ctipamente  nella  ca 
zone  <  PerchA  Del  tempo  rio  ».  Poss'^li  mprtp  c 
prlmi  palpiti;  Amore  e  la  Ventura  sodo  una  sola  coa 
e  la  oatura  6  da  essi  aoverchiata.  Che  vale  reais^ere 
un  affetto  cui  il  caso  voile  sventurato?  II  desider 
della  morte,  chtt  6  conlro  la  vofflia  naiurale,  e  a  c 
prima  non  era  mai  giuato,  gli  pervade  Tanima,  e  d< 
si  uccide  sol  per  non  dannare  agli  eterni  tormeo 
r  anima  ana : 

Questa  mia  voglia  flei'a 

£l  tante  forte,  cbe  apesse  date 

D&ria  al  mio  coi*  la  morte  pib  Leggiera ; 

Ma  lasso !  per  pietate 

Dell'anima  mia  trista  cbe  non  pera, 

E  toi-ni  a  Dio  qual  era, 

Ella  non  muor,  ma  viene  in  gravitate. 

(1)  Cino,  0am.  T*nla  psurs  m'  i  giantk  d'Amora. 

it)  CIdOj  Ballata:  Amor  ,  [a.  doglii.  mit  noa  bi  cotiTorta.  —  Quest*  1 
l>ta,  ollra  cbe  nai  ciDi]Ue  msi.  cilall  dil  MalColft,  bo  troTaio  ii*l  codica  Btlt 
W(Vm.  B)  membrftii&ogo,  in  fol.,  dal  XV  lac,  oal  dua  primiTeri)  daH*  I 
IftU  1  UadoDoi,  U  plalaU  ■.  So  daps  lo  Rima  dal  PatiiiTCa.  Vi 


00 


Che  se  misericordla  nov^a^  per  soverchianza  di  do- 
lore,  lo  spinger^  a  uccidersi,  avr^  piet^  di  lui  il  Sigoore 
che  vede  il  sac  state  miserando. 

II  terrore  di  perder  i*anima  si  ripercuote  anche 
al trove.  (0 

Egli  iQYOca  alcuoe  geotili  donne,  affinchd  preghino 
Tadorata  crudele,  per  Dio,  che  sia  un>ile  verso  di  lai: 

Gentili  donne  valenti,  or  m*  aitate 
Ch*  io  non  perda  cosl  I'  anima  mia, 
E  non  guardate  qual  io  mi  sia, 
Ouardate,  Donne,  alia  vostra  pietate. 

Pietd  e  mercd  mi  raccomandi  a  voi  {?),  e  vi  richianai 
alia  mente  le  mie  pene 

Quand'  h  con  voi  quella  eh^orgogiio  mena, 

Ferezza  e  crudelt&  verso  colui, 

Che  ha  smarriti  gli  spirit^  sui 

Per  la  tempesta  d'amor  che  no  allena. 

Ye  ne  rimeriti  la  Madre  di  Dio,  Maria  di  graz'e  e 
di  virtd  piena. 

La  donna  sua  offende  tutte  Taltre  donne,  ponendo 
in  disperazione  chi  Tadora,  offende  Dio»  mostrando  an 
orgogiio  si  crudete  e  smisurato  e 

•  •  .  stando  pur  solva^gia  conti^  Amore 

ed  orgogliosa  tanto  fieramente, 

che  non  sofTrisca  di  vederio  avanti.  (3) 

E  la  preghiera,  plorante  pace,  sale  a  Dio  grave,  cupa: 

Dio,  po'  m'  hai  degnato 
Di  vil  terra  formare, 


(1)  CinOt.  Son:  Oentili  donne  valenti»  or  m' aitate. 

',2)  ^  questo  un  vocativo  noa  alia  pietd  e  mercd  ^  come  vorrebbe  errata* 
mente  il  Panfani^  ma  alle  gentili  donne  volenti  del  sonetto  eopra  citato. 

(SJ  Cino,  Son*  Donne  mie  gentili ,  al  parer  mio.  —  Pu  pubblicato  dal 
Nottola  (op.  cit.  pag  60*  togliendolo  dal  codice  Marciano  IX,  191.  Ancbe  a 
roe  pare  autentico :  si  riannoda  evidentemente  al  gruppo  di  sonetti  diretto  alle 
donne  gentili. 


Simil  a  tua  flgura, 
Lo  mio  gravoso  stato 
Piaccial'  ova  alleggiare 
Ed  ammortai*  mia  ai-sura. 
E  la  prece  al  Dio  ctie  vostl  came  umana  e  ia  mo 
degnd  per  salvar  nui,  (')  sale  disperata  da  chi  avi 
potuto  dimeaticarlo  per  una  crudele  ,  ed  ^  I'ulti 
appello  di  lui  cbe  a^oga  netla  tempesta  dell'  odio 
□□a  donna;  ma  lo  strozza  uq  grido  di  maledizJone  < 
gorgoglia  dall'anima  straziata: 

Dio,  aiti:  fu  uom  mai  si  conquiso 
0  sar&,  com'  io  soao  t 


Fui  io  nato  pei-  easer  el  disti-etto) 
Ora  sia  mated etto 

Lo  gioi-no,  ranno  e  fl  tempo  cb'io  nascei. 
Ahl  dUdegnosa  morte, 
■  Pei'ohfc  non  me  ne  poi-te, 
Da  che  portar  flaalmeats  men  del. 

Cbe  p&ra  k  ben  mio  cor  fatto  si  folle. 
Maledizione  e  preghiera! 
De  roscui-ci  pi'orondo 
D'  este  mie  pene  chiamo 

Misei'icordia,  Sire. 

Maledetto  una  e  due  volte  il  giorno  di  tristezzj 
I'ora  Q  il  punto  reo  in  cui  venns  al  moudo 

.  sol  per  dare  altrui 
D'amoro  esempio,  di  pene  e  d'dfTanDo.- 

Se  tutte  le  pene  che  la  vendetta  di  Dio  croscia 
dannati,  fossero  in  uu  corpo  cha  venisse  ancor  net  moo 
cotante  pene  non  si  vedrebbero  in  queilo,  quanto  at 
ziano  lo  sventuratissimo  amaote: 


©2 


^MMBiMB 


Se  in  tie  le  pene  obe  V  alm^  in  inferno  hanno 
Fusser  *n  un  coi*po,  il  qnal  venisse  pid 
Nel  mondo,  gilt  non  si  yedri^no  in  lui 
Cotante  p^tte  quaote  in  me  si  fttanno. 

Or  s'egll  6  ridotto  a  tale  da  esser  fatto  un  f(ynte^i 
niartiH  e  11  ioco  di  tristizia ,  se  dlmora  in  gbiaccio  e 
in  fuoc6  di  pianto ,  e  se  pasce  il  cor  dolente  e  dispe- 
r^to  d*aogoscia  e  di  sospiri^  ci6  si  deve  alia  erndefle  b6^ 
Ctrl  occhi  siede  amore. 

£  la  maledizione  trabocca  dal  profondo  deiraniiai^ 
orrenda,  fatale;  il  poeta  impreca  al  dl  in  cui  vide  i 
celesti  e  santi  rai  che  gli  diedero  la  YOlatUi  de(i*amore 
e  del  dolore ,  impreca  al  suo  canto»  strumento  e  testi- 
mone  della  sua  gloria ,  alia  sua  dura  mente  oppressa 
da  un  non  crollabile  amore  a  una  bella  e  rea  donna, 
per  cui  Amor  sovente  si  spergiura: 

lo  maledico  il  dl  cb*io  Tidi  prima 
La  luce  de*  Vostri  occbi  traditori, 
E  '1  punto  cbe  veniste  *n  su  la  cima 
Del  core,  a  trarre  Tanima  di  fbori ; 

E  maledico  Tamorosa  lima, 
Cb*&  pulit3  i  miei  dettl,  e*  bel  color! 
CbT  bo  per  voi  trovati  e  messi  in  rima 
Per  far  cbe  *1  mondo  mai  sempre  T'onori ; 

E  maledico  la  mia  mente  dnra, 
Cbe  ferma  6  di  tenor  quel  cbe  m'  uccide, 
C]o6  la  bella  e  rea  yostra  figura. 
Per  cui  Amor  sovente  si  spergiura.  (i) 


<1)  OHb^  Son.  lo  inal«dioo  il  di.  •  Bell^atttetUcitlt  di  quefcto  sotimUo  ailcun 
dubita*  E^88o  si  trova  ia  sei  codici,  in  dua  cod  attribu-'lone  a  Cino,  in  quattro 
oon  attribuzi<ine  a  Dante.  II  Fraticelli,  con  i  suol  soltti  argomenl!  pef^gtloi, 
diM  U  BaKoli,  lo  d^  a  Daat^  ;  il  Witte  dublta  cbe  a  Dante  al  poaaa  da^e ;  il 
Bartoli  crede  che  non  ci  sla  ragione  per  dubitare  ohe  appaitenga  a  Gioo; 
il  Lamma  tentenna;  il  NoUola  sospende  ogni  giudisio  sino  alia  edisione  ori- 
tica  del  Canzoniere  Dantesco.  I  codici  che  lo  attribuiscono  a  Cino  bood  il 
Rie^nrdiaao  1103  o  U  Vatioano  4883.  II  primo,  scritio  d'nna  medeaina  naao 
dal  priaoipio  del  aeooto  XV,  riporta  il  aooeUo  di  Cino  al  numero  173,  priina 


93 


In  Pistoia,  degoa  taoa  di  YaQn)  Fuccf^  bestia,  ckscim 
ride  di  taota  costanza  neiramore  e  deli^iBBamoraio 
«  che  crede  tor  la  ruota  alia  ventura  >. 

Col  riso  e  collo  sckeraOi  coli^odio  di  Selva;ggia  che 
€  lieta  b  del  male  6  del  suo  bea  s*adira  »,  lo  colpisce 
la  perOdia  dei  cdociitadini,  forse  dei  compagni  di  parte, 
fatti  ver  lui  si  giudety  da  non  credeire  al  suo  dlr  seftza 
prova,  che  lo  accusavano  di  sacrlflcare,  sUlTara  d'amore, 
gfinteressi  del  suo  parti  to  : 

0  voi  che  siete  ver  me  si  giudei 
Che  non  credete  il  mio  dir  senza  prova 
Guardate,  se  press'a  cosiei  mi  trova 
Quelle  gentile  Aindr,  che  va  cen  lei. 

Rinuncia  a  veder  Tamata,  eppvr  sente  che  si  rln- 
fresca  e  si  rtnnuova  in  lui,  suo  malgrado,  quell'  amor 
possente  e  pien  d'ardore  che  lo  aveva  colpito  il  di 
che  la  vide  la  prima  volta 

Ma  Tantica  fede  6  scossa;  coirinno  d' am  ore  sale 
alle  labbra  la  bestemmia,  e  il  miraggio  di  felicity  di 
chi  si  bea  in  un  perenDe  sospirato  spasimo,  tra  le  ri- 
pulse  e  le  sventure,  ^  squarciato;  T  aureola  di  puris- 
sima  gloria  onde  il  poeta  aveva  circonfuso  la  leggiadra 
creatura,  6  svanita,  e  Teleita  tra  gli  angeli  6  fatta 
donna^  e  sarebbe  maledetta  per  seinpre,  se  col  pugoo 
crudele  non  stringesse  il  cuore  del  poeta  che  si  scrolla 
nel  non  sodiisfatto  affetto. 


di  quello  del  Petrarca  «  Benedetto  sia  il  giorno  e  *1  mese  e  I'anno  »;  il  sd- 
cottfio  6  del  lecold  XVI,  e,  dice  Nicola  Ariiode,  i  uno  del  raifp^edenttati  pMt 
aotlolxt  di  quel  raanoscritto  o  di  quel  maooscritti  di  oui  «l  Bertiroao  1  Oionii 
per  la  stampa  del  1527  [Nicola  Arnone :  Le  rime  di  OuidO  Cavalcanti^  pa- 
Itiba  Ct).  lofattl  neiredi^ione  degli  eredl  di  Fllippo  diuata  del  1627^  si  irOTa 
il  Bonetto  in  qaeatloiie. 

Oli  argomenti  con  cui  il  F«  assegaa  a  Dante  il  sonetto  in  questione  sono 
oh*egU  h  degno  del  cantore  di  Be&trice,  e  il  raffrontc  con  altri  passi  di  Rime 
dantescbe.  Ma  degotlstimo  d  anche  di  Oinb  e  t  raffrodtl  si  possoDO  fare  in 
oopia« 


'1 


94 


Ed  €cco  il  parto  dell*  odio ,  delle  passion!  cozzanti , 
il  grido  di  suprema  r.ibellione: 

Tutto  ch'altrui  aggrada  a  me  di3gi*ada, 

Et  ^mtni  a  noia  e  *n  dispiacere  11  mondo. 

—  Or  dunque  che  ti  place  ?  —  I*  tl  rispondo  : 

Quando  Tun  Taltro  ispessamente  agghiada : 
E  piacemi  veder  colpo  di  spada 

Altrui  nel  vho,  e  tiave  andare  a  fondo  ; 

E  piacerebbemi  un  Neron  secondo, 

E  eb'ogni  bella  donna  fosse  lada. 
Molto  ml  spiace  allegrezza  e  soUazzo, 

E  sol  malinconla  m'aggrada  forte, 

E  tutto  dl  Yorrei  seguire  un  pazio; 
E  far  mi  piacerla  di  pianto  oorte, 

E  tutti  quell!  ammazzar  ch'io  ammazzo 

Nel  fler  pensler,  1&  dov*io  trovo  morte. 

£  questo  il  prodoito  delle  sventure  amorose  e  delle 
patrie  calamity;  il  poeta  d'amore  s!  sente  un  dl  uomo 
d!  parte  e  poeta  delTodio.  Ma  nella  forte  malinconiae 
nella  bestemmia  e  nel  forsennato  iiifuriar,  per  cui  tuito 
di  vorrebbe  seguir  un  pazzo,  e  nella  trace  ridda  di  san- 
gue  della  mente,  sent!  ancora  che  forte,  disperata^  ana 
passlone  gli  lacera  I'anima. 

Chiuso  nel  fierpensier  che  non  d'altro  ragionavagli 
che  di  morte,  amante  vinto  e  vinto  citiadino,  esulava. 


Poche  parole  al  superstite  affetto  che  ancora  ac- 
cende  il  petto  deiresule:  poich&  il  dotore  umano  non 
potrebbe  trovar  note  pi{l  disperate  di  quelle  descritte. 
—  Non  81  tosto  Tamante  sventurato,  il  ribelle  di  Plstoia 
6  partite,  il  pensiero  dominante  lo  riafferra  piti  fisso 
e  pii  straziante;  ei  porta  desit  nel  cuore  —  che  nati 
son  di  morte  —  per  la  partita  che  gli  duol  si  forte. 

Ohim6,  deb  percb6,  Amor,  al  pritno  passo 
Non  mi  feristi  si,  ch'io  fossi  morto? 
Percb6  non  dipartisti  da  me  lasso 
Lo  spirito  angoscioso  cbed  io  porto  ? 


Si  .disvia  ogDi  sua  virtu,  quando  alza  gli  occhi  ^ 
bella  donna  ,  e  noa   pu6   trattenare  il  [ti&ntOi  rin 
brando  lei  loDtaoa,  perduta. 

Morire!  sicch6  almeno  lo  spirito  toroi  a  Pistoi: 
per  quanto  inviaa  alia  crudele  sar&  £nche  la  sua 
.moria. 

Tu  sai  (Amore)  dove  de'  give 
Lo  spirito  mio  da  poi, 
B  sai  quanta  pieU  sar^  di  noi. 
iDvano  aveva  creduto  spento  I'amore;  e  1' esili 
cui  La  fazione  a  lui  avversa  lo  condani^ava,  non  segi 
il  Qoe  dell'iiifeljce  affetto,  cui  i  giorni  tristi  della 
tacanza  ridestavano  piu  veemeoti).  dod  rischiarati 
raggio  di  speraoza. 

Da  bella  Doana,  piii  cV  io  non  divi^o, 
Son  io  parl'to  innamoi'ato  tanto, 
Quaoto  Gonviene  a  lei, 
E  porto  pinto  uella  mente  il  viso 
Oade  precede  il  doloi'oi^o  pianto, 
Cb«  fanao  gli  occhi  miei, 

L'anima  deirinnamorato  ha  pr^so  gua//^^  dslla  t 
persona  dell'  amata,  e  gli  vieo  ua  desiderio  di  ved 
che  lo  sprona  ad  amarla  aocora.  (^) 

Ogai  atto,  ogai  parola  della  bella  crudele  gli  t( 
alia  mente,  e  il  ricordo  6  uq  martirio  liingo: 
B  'I  lagHmar  che  mi  distragge 
Quando  mia  vis'a  bella  donna  mii'a 
Divienmi  assai  piii  pregno, 
E  noQ  eapi'ei  i'  dir  qual  i'  divegDo; 
Ch'io  mi  ricordo  allor,  quand'io  redia 
Talor  la  Donna  mia; 
E  la  flgut-a  sua  ch'  io  porto  dentro  ' 
Snrge  si  forte,  cb'io  divengo  morto. 


96 _ 

Dispera  di  mat  piii  veierla  prima  di  morire  (i);  e  a 
qaeito  peosiero  esalerebbe  ranima: 

Pin  meco  ranima  dimorar  non  vuole, 
Se  la  aperanza  del  tornar  mi  ftiile.  (^ 

E  lo  spirito  ricorre  sempre  do?*6ssa  6: 

E  quesio  ^  qael  ob'  accende  pid  '1  deslo, 
Che  m*  accidr^  tardando  ii  reddir  mio. 

Muore  colui  il  cui  solo  nome  movea  a  sdegno  Bfa- 
donnai 

Saprema  gioia  per  lui  s'essa  dovesse  girar  pietosa- 
samente  gli  occbi  in  cui  posa  Amore,  sopra  il  sao  mar- 
tirio;  come  sempre  aveva  sospirato,  la  chiamerebbe 
pietosa,  invece  di  Selvag^ia,  dacchd  alia  pfetd  piJi  che 
alVamO'^e  egU  aspira.  E  la  prega  che  depODga  quelle 
sdegQO  che  nacque  il  dl  che  cominci6  ad  apparir  in  lui 
come  ferisca  lo  splendor  raggiante  da'  suoi  occbi  : 

E  Don  vi  sia  in  disgrato, 
Se  da  me  parte,  chiamando  Sel^aggia 
L'anima  mia,  eh' a  voi  iseryente  viene; 
Voi  slete  *i  sue  desio  e  lo  sao  bene  (3). 

Air  amoroso  lamento  neiresilio  va  riferita  una  can- 
zone al  Signor  possente  che  I'alio  del  disiringef  ad  A- 
more,  affinch6  gli  8*a  date  di  riposare  dopo  tanto  af- 
fanno,  e  liberarsi  d*  ogni  martirio,  mirando  qnelia  cb*d 
dea  d*  ogni  gran  belt& : 

Inci'escati  di  me,  Signor  possente 
Che  I'alto  ciel  distringl, 
Delia  battaglia  de*  sospir  chMo  porto , 
Inci*escati  della  gueiTa  della  mente, 
Muoviti,  omai,  Signor,  cui  sempre  adoro, 
Signor  oui  tanto  obiamo, 


(1)  Cino^  Cans.  La  bella  Stella  che  *1  tempo  miaort. 
{t\Ctno^  Son.  Lasso,  pensando  aPa  distrutta  valid. 
{Z)  Cino,  Cans*  Lo  gran  disio. 


9t 


SigDor  mio  solo,  a  cnl  mi  raocomando, 
Dsh  moriti  a  pietfi,  vedl  ch'io  tnoro: 
Vedi  per  te  quanfamo, 
Vedi  per  te  qoaiite  lagi'ima  spando.  (i) 

A  tanta  angoscia  cbe  farebbe  tremor  il  core  a  cis 
acnno,  si  commove  il  Dio  d'amore  t  II  poeta  dispera  d 
poter  mai  vincere  II  cuore  della  crudele,  per  una  sort 
rta  che  gli  6  invtdiosa  e  piii  crudel  che  morte.  Pu 
gli  eventi  permettevano  all'esule,  aocor  pten  iutt 
d'amore  0  obbliante  offtit  allra  novttale ,  di  ritor 
nara :  . 

Vola,  Canzon  mia,  non  far  soggioi'no ! 
Passa  '1  Biseazio,  e  I'Agna, 
Riposandotl  appunto  ia  su  la  Brana,  (^) 
Dove  Mui'te  di  sangae  il  teiTen  bagaa, 
E  cerca  di  Selvaggia  ogai  coatoi'ao ; 
Pol  di':  Seaza  magagaa 
Mio  signor  far^  presto  a  vol  ritorno. 

E  ritoroaya  a  veder  la  Donna  fera,  dalla  qual 
contro  il  suo  volere  s'era  alLontaaato,  e  giunto  appeal 
m&lediceva  il  ritorno  e  TAmore;  (s) 

Peroh6  coatro  di  me  cotanio  strana, 
Dulenle  me  iapia!  son'io  giudio, 
Che  nulla  vat  per  me  mercude  amanat 
In  cbe  Tentui'a,  e  'n  che  panto,  nacqu'  io, 
«   Cb'a  tnlto  '1  mondo  aete  uml'e,  e  plana, 
E  aol  Tei'  me  tenete  'I  cor  si  rio  t  (') 
E*  Qnito  il  canto  dell' amor  puro  e  ideale ;  I'affett 
6  soffbcato  dalle  ripulse  e  dal  crudel  djsprezzo  cb 
Madonna  gli  lanciava,  qual  a  vil  giudeo.  Miuna  men 


(1]  Clio,  Cain.  QatDdo  patrA  io  dir,  doles  mio  Dia. 

|S)  La  Brana  i  ud  aurnlcello  chs  attraveraKVa  Pislola.  (Tt'ii  dilla  Brar 
■I  obiUD&T*  II  poalB. 

(S|  Gail  DOD  ton'  io  rltoraMa  mal ,  —  Deb  1  maUiiD*  Bggia  qiull*  ten 
Sfsr*.  {TeQara) 

(4)  Oitw.  Son.  Con  graTOsi  loapir,  traando  gaal. 


96 


vigiia  che  il  poeta  ci  dimostri  aspirazioni  meoo  aeree 
verso  colei  che  aveva  amato  di  nobile  e  intellettaale 
amore.  Ci  pare  che  an*amara  voluttjt  spiri  nel  sonetto 
«  Se  concedato  mi  fosse  da  Giove  »  e  (he  sia  quasi  la 
Don  generosa  vendetta  con  cui  il  reietto  si  volge  a  sfio- 
rare  col  procace  desiderio  la  bella  donna  fredda  e  dura, 
che  gli  aveva  negate  persino  il  sorriso,  che  non  si  era 
commossa  al  pianto,  al  continuo  sospiro  e  alia  rancura, 
e  alia  misera  oscura  Vita  del  poeta. 

No,  neppur  an  Dio  non  avrebbe  potuto  dargli  una  figora 
che  bastasse  a  piegare  alle  sue  voglie  la  sdegnosa,  vo- 
glie  espresso  in  un  sonetto  sensuale  e  men  castigato 
che  non  sembri  intendere  il  Fanfani  nelle  sue  note  : 

Ma  86  potessi  far  come  quel  Dio , 
Sta  donna  muterei  in  bella  faggia 
E  mi  fki'ei  un*  ellera  d'  intorno  ; 

Et  UQ ,  eh*  io  taccio ,  per  simil  desio , 
Muterei  in  ucoello,  che  ogui  giorno 
Canterebbe  su  1'  ellera  Selvaggla. 

Inutile  desiderio  e  inane  vendetta! 

m 

E  se  fosse  autentico  il  sonetto  €  Gi&  trapassato  oggi 
d  r  undecim*  anno  >,  avremmo  il  trionfo  per  la  osten- 
tata  fine  di  un  amore  del  quale  s'era  tanVanni  nutrito. 

Certo  il  sonetto  ritrae  con  evidenza  Tafietto  ango- 
sciato  di  Cino,  che  prima  visse  in  speme  e  poi  ne  portd 
premio  d'  angoscia  e  di  perpetuo  affanno.  E  la  ribel- 
lione  a  tanti  dolori  non  alleviati  da  fior  di  piet&f  No- 
tevole  r  espressione  la  mia  nemica  del  la  prima  terzina, 
che  anche  altrove  si  trova ;  e  non  mi  persuaderebbe,  a 
credere  apocrifo  il  sonetto,  la  riflessione  del  Fanfani, 
che  quivi  Cino  <  troppo  sgarbatamente  inveisce  contro 
la  donna  sua  »,  se  questi  versi  non  spirassero  un'aura 
di  scorrevole  facility,  aliena  dalPaspra  forza  di  Cino,  e 
se  il  prime  verso  non  coincidesse  neir  espressione  — 
strana  coincidenza  —  con  quelli  del  Petrarca:  <  Or 
volge,  Signer  mio,  V undecim* anno  —  Ch'i'  fui  sog-» 


99 


getto  al  dispietato  giogo  »  (^)  Strana  coincidenzay  dico, 
che  tutt*e  due,  Gino  e  il  Petrarca,  vogliano  ribellarsi 
al  feroce  campo  d'Amore,  e  al  dispietato  giogo  ^  pro- 
prio  dopo  undici  anni  di  inalterata  fede! 


Morie  gentil  doveva  render  mite  V  anima  esacer- 
bata  del  cantore  di  Selvaggia:  e  dinanzi  alia  tomba  del- 
Tamata  non  restd  che  il  mestissima  ricordo  delle  pene 
patite  e  desiderate. 

Per  mutar  di  ventura ,  la  donna  sua ,  condotta  fra 
aspri  monti,  ivi  moriva. 

In  Pistoia  il  poeta  riceve  la  notizia  che  la  donna 
sua  A  gita  fuor  delta  terra ,  e  pargli  alflne  che  Morte 
debba  uccidere  la  sua  grave  vita.  Unico  sollievo  agli 
occhi  di  lor  luce  osciirif-ii  mirar  spesso  gli  usci  e  i 
muri  della  casa  ove  prima  egli  s'  innamor&?  (s) 

Attonito  alia  fatale  notizia,  il  poeta  dimentica  le 
sdegnose  smanie  che  gli  eran  ribollite  in  cuore,  per 
non  ricordare  che  il  lungo,  beato  delirio  delPanima  sua 
innamorata.  Ohim6 :  le  treccie  bionde,  la  bella  ciera,  il 
dolce  lampeggiar  di  quel  celesti;occhi,  il  fresco,  adorno 
e  rilucente  viso,  il  dolce  riso,  i  denti  bianchi  qual  neve, 
le  guance  vermiglie,  il  bel  contegno,  il  caro  diporto,  e 
Taccorto  intelletto  e  il  cor  pensato  e  Tumile,  alto  di- 
sdegno,  Morte  ha  infranto  qual  vetro  assieme  alia  spe- 
«ranza  che  lo  nutriva! 

Ed  effonde  il  suo  dolore  in  un  canto  che  sembra  lo 
scoppio  di  singulti,  dopo  la  gbiacciata  angoscia  che  a- 
veagli  resa  muta  la  mente  e  il  cuore:  e  il  cupo  rinno- 
varsi  di  quegli  ohimd ,  sembra  il  lungo  gemito ,  sin- 
ghiozzo  e  preghiera,  d*  un  fantasma  umano ,  impietrito 

dal  dolore,  che  offra,  sgranando  il  rosario,  la  nenia  do- 
lente  airanima  cara.  (3) 


(1)  Pftrarca,  Son,  Padra  del  oiel,  dopo  i  perduti  giornL 

(2)  CHno,  Son*  Deh  non  mi  domandar  perch'  io  sospiri* 

(3)  Cino*  Canz,  0him6  lasio  quelle  tree  A  blonde. 


100 


Un  pic  pellegrinaggio  al  beato  monte  dore   I'amata 
fece  il  passo  troppo  acerbo  di  morte,  Ak  airin^felioe, 

che  noQ  poteva  acquetarai  che  nel  dolore  infinito,  l^esca 
bramata:  ivi  ador6  baciando  il  santo  sasso,  e  omdde  sa 
quella  pietra,  dove  VOnesta  pose  la  sua  fronte, 

Qaivi  cbiamal  a  qaesta  guisa  Amore; 

Dolce  mio  Dio ,  fa  che  quinci  mi  tra^^a 

La  morte  a  s^.  che  qui  giaoe  il  mio  core : 
Ma  poi  cbe  non  m'  intese  11  mio  Signore , 

Mi  dipartii  pur  cbiamando  Selvaggia, 

L'aipe  passai  con  Toce  di  dolore. 

Ben  ha  detto  Adolfo  Bartoli;  6  uq  dolore  che  3I  pa-  * 
see  di  s6  stesso  e  diventa  vita  che  si  riDnovella  nella 
perpetua  agooia:  il  doleote,  poi   che  ha  visto   tl   t^el 
Unto  e  7  drappo  scuro,  non  trova  pii  bene : 

.    y    .  lo  cor  m'  arde  Id  desiosa  voglia 
Di  pur  doler,  mentre  che  *n  vita  dure. 

Solo  il  fUggitivo  Alighieri  poteva  intendare  teiato 
dolore  umano :  e  a  lui  6  diretto  il  Bonetto  :  «  Dante, 
io  bo  preso  V  abito  di  doglia  >,  tracciato,  h  beo  certo. 
dairinflnita  angoscia  che  spiravagli  un  santo  sasso.  Nel 
naufragio  di  tutte  le  speranze,  unico  confopto»  Tami^o 
errante,  infelicissimo : 

Dolente  vo'  pascendomi  sosph*! 

Quanto  pid  posso  inforzando  ii  mio  lamanto, 

Per  quella,  in  cui  son  morti  i  miei  desiri;  » 

B  pei*6,  8e  tu  sai  nuovo  tormento, 

Mandalo  al  desioso  di  oiartiri 

Che  fie  albergato  di  coral  talento. 

Greve  di  tante  pene  quante  non  prov6  mai  pelle- 
grino  suirApennino  faticoso,  non  rimangli  alira  volatt4 
che  quella  del  dolente  pensiero :  la  mente  ianamorata 
ricorda  il  bel  sembiante,  le  trecce  bionde,  il  dolee 
sguardo,  e  Tanima  si  strugge  flssandost  nel  rlcordo  di 
quella  eletta. 

Oil  d&  pace  un  doke  segno  che  lo  culla  in  soave 


101 


estasi,  mostrandogli  la  donoa  sua,  discesa  dalla  somma 
luce ,  che  ba  deposto  il  crudo  sdegno :  «...  la  faccia 
bagoata  —  D*acqua  cbe  *1  coife  agli  occbi  conduce  » : 

Apparvemi  Amor  subitamente  (i) 
Nel  sonno  cbe  nutrica  mortal  yita ; 
Un'animetta  di  novo  partita 
Mostrommi  dal  sno  corpo  InnocdDte, 

Dicendo:  Figliuole,  ayresi  a  la  mente 
Cbi  ^  costei  cbe  yedi  segnita 
Da  li  angeli  di  ciel  in  requie  inflnita, 
Ore  dimora  iddio  onmipotente  f 

Un'animetta  test6  partita  dair  innocente  suo  corpo, 
segulta  dagli  angeli  del  cielo  in  requie  inflnita,  1&,  nel 
sommO  core!  Ecco  la  trasumanazione  di  Selva^ia  in 
Paradise ! 

Ma  Dante,  esse  pur  esule  Infelice,  <  quando  ad  A« 
braam  guardd  nel  sine  —  Noo  riconobbe  I*unica  Fenice 
—  Che  con  Sion  congiunse  TApennino  ».  Perci6  a  dritto 
si  stima  cbe  I'anima  sua  a'abbia  loco  men  bello  (^ 

(1)  U  codice  Valicano  3214  Attribuisoe  qoesto  soDetto  Ad  Arriguee1o\  ma 
lo  di  a  Cino  il  Chigiano  L,  Vin,  305,  e  il  mss.  Bardera.  Parmi  sicurameDte 
di  Cino,  del  quale  il  sonetto  h  degno,  anche  per  Tidea  che  vi  si  esprime :  iii> 
ffUi  il  oantore  di  S.,  oome  dimostra  anche  il  sonetto  €  Infra  gli  altri  dlfetti 
dal  libello  »,  oaraggi6  nella  sua  mente  che  la  donna  fera  fosse  assunta  in 
Paradise. 

{2}  Cino,  Son*  Infra  gli  altri  dlfetti.  ~  In  veriti,  il  loco  men  bello  6 
tarpissimo*  Cino  piomba  Dante  tra  gli  adlnlatori,  nello  stereo,  sotto  11  cappel 
d^Alessio  Interminelli.  —  Vedi  a  questo  proposlto :  CinOj  Son» :  Messer  Boston, 
il  Tostro  Ifannello.  Deirautenticiti  di  questo  sonetto  non  si  pu6  dubitare^ 
malgrado  quanto  ne  sorissero  11  Carducci,  il  Massantini  e  il  Del  Balso«  V. 
le  ragioni  addotte  da  U»  Nottola  in  Studi  sul  Cans,  di  Cino,  pag.  27. 

Del  resto  le  parole  citate  «...  a  dritto  s*estima«  —  Che  n*aggia  Talma 
sua  loco  men  belio  »  dl  un  sonetto  certo  autentioo,  dimostraao  i  non  pietosi 
sentimenti  di  Cino  per  Tanima  di  Dante.  II  Manuello  citato  da  Cino  riyol- 
gendosi  a  Bosone,  h  Emanuele  Ebreo.  Nel  cod.  Triv*  lO&O  trovasi  on  sonetto 
>di  M.  Bosone  a  Manuel  Oiudeo,  in  morte  di  Dante«  per  Ja  qual  morte  €  • . .  sotto 
'1  sol  mai  non  fu  peggior  anno  » ;  e  iy)  6  anche  la  risposta  di  Manuel  giudeo« 
il  quale  pure  piange  la  morte  del  Ohibellin  fiigglasco  »  «  .  . .  Deo  per  invidia 
del  ben  fece  quel  danno  ».  Cino  precipita  nello  stereo  degli  adulatorl  anche 
EUnanuele,  forse  non  d*altro  reo  che  di  aver  lodato  Dante*  Che  il  Pistoiese 
abbia  avuto  relasione  eon  Bmanuele^  lo  dimostrerebbe,  se  fosse  autentioo 
anohe  il  sonetto  •  Quando  bQn  penso  al  picciolino  spasio  »  che  a  queU'Ebreo 
h  diretto.  E  forso  d  errata  la  didasoalia  del  sonetto  :  <  A  Emanuele  Ebreo, 
ooniolandosi  dolla  morto  di  Selvaggia  »*,  e  11  sonetto  riguarderebbe  inyace  la 
ta^rft  41  PlMita. 


(£)nt     le    razioni. 


IV. 


(Dm     le-     mzlarU, 


t 
•       •••••'  divUo 

Mi  troTO  dal  bel  tiro 
E  d  opni  statD  allc^TO 

Pel  gran  o3ntrario  ch*6  tra  U  bUnco  •  *1  Degro. . 

Cino  da  Pisloia.  .^ 


I^a  tris'e  istoria  deiramore  di  Oino  6  un  nuovti  qod* 
tt'ibuto  alia  sto  la  delle  fazioni  itaJiaae  nel  Medio  Eip: 
accaoto  a  Buoadelmonte  BuondelmoutjV  fedifragb  |t  ij^na 
Amidei  per  la  flgiia  di  donna  Aldruda  Donati  e  t/tWma 
ne'ia  pace  posirema  di  Fi'oo'/e.  accanto  agli  laoamo* 
rati  di  Verona  immortalati  dal  genio  di  Shakespeare, 
a,  Bonifacio  de*  Qeremei  che  sconta  colla  vita  Tambre 
di  Imeida  de*  Lambertazzi,  a  Cecilia  Ricco  .vittima.di 
un  Ezzelino  e  cagione  di  inauditi  furori  tra  ,i.  Roms^no 
e  ]  Gamposampiero,  accanto  alia  lunga  elegia  di  mArtiri 
di  una  passione  che 

mena  gli  spirti  nella  sia  rapina, 

ecco  la  atoria  di  un  lagrimevole  afTetto,  tessuio  di  so* 
spiri  6  di  inefTabili  angosce,  patetica  pagioa  net  troci 
odi  civiii  di  Pistoia:  Cioo  de*  Sinibuldi  ^  neHasuadi- 
sperata  passione,  una  vittima  delle  fauoni  dei  Biaaehi 
6  dei  Neri. 

Pju  STenturato  del  cantore  di  Beatrice  che  fti  pro* 
messa^  forse  giovanisslma,  con  Simone  de*  Bardi,  per 
uno  di  quel  matrimoni  che  si  combinavaao  essMido 
tottora  fanciulli  gli  sposi,  e  a  proposito  del  qnali  un 
autico  c  mmentatore  di  Dante  dice  delle  rag^zze  che 
le  mariiavin  nella  culia  0),  piu  sventurato  del  cantore 

(I)  J  Dtl  Lungo :  La  Vonni  F*orenUna  ecc.  io  c  La  Baitagaa  NasiMaU 

Aim  |Xf  Y9U  am  -^ 


M 


dl  Beairicoila  quale  fu  pieto^a  all^iDuamorat.i  pootai  il 
povero  O'do  non  donobbe  il  sorMso  di  Selvaggia  put* 
doica  coo  lUllK  ma  so'o  sdegno,  rido  d  befie. 

Nasicevasi  Taziosi  nol  trdcento;  Toflesa  consacravasi 
coll*offes9,  U  vendetta  colla  vendetta,  e  questa  attiogeva 
certezzadi  conseguimento  e  alimQnto  di  ferocia  neircMlio 
di  parte.  O^nuno  coooace  gli  scejoipi  di  Pis'oia,  e  cnme 
a  questa  eitt6  debbisi  H  sorgere  dolle  parti  dei  Bianchi 
6  dei  Neri,  die  sacrificarono  gringegni  piu  eletti  etra 
e^si  DiDte  e  Cino.  Le  stragi  cominciarooo  in  nome  de* 
Cancellieri, ed  6  noto  lo sipgno  e  la  n^m'std. che  €  D^cque 
tra  di  loro  pe'*  li  snpercbia  gra^sezzn,  o  per  suss  dio 
del  diavolo.  »  (i)  Moiti  s'or  ci  riferi-conO  quello  cTie 
essi  credono  fatto  determinante  de  le  discordie  edanno, 
sa'vo  lievi  diflerenze,  la  medes'ma  versione. 

Ha  qua^e  6  V  anno  che  dobbiamo  assegnnre  come 
principio  di  esse?  Qji  6  ancor  poci  la  luce. 

La  tradizione  ci  addita  T  anno  1300,  e<J  6  fondati 
sQirasserzione  deirAnonimo  pistoiese  (he  tutte  le  cose 
racc6btate  da  lui  nei  capiioli  1  - 10  siano  avvenu  e  nel 

'  Mtlfd  trecento,  Cosl  legge  il  codiCH  Mauliabech  ano 
XXV.  28,  e  ton  iSOO  come  si  8lamp6  sempre  dbpo  la 
edizio  le  dei  Oiuntl.  Ma  8i  pres'e  per  designazione  «ii  uq 

*  Anno  specrale  ciA  che  era  espre<»ione  di  an  secolo,  e 
I'errore  fU  possibile  per  la  distruz  one  dei  do^ame^ti 
avvaotita  per  Tincendio  del  pubblico  Arehivio  di  Pi  toia 
wal  1*298.  '*»  Per6  gik  sicuni  storlcl  avevano  ossei^vftto 
che  i  nomi  d'  Bianchi  e  Neri  dovettero  ricorrere  prftna 
dQl  1300:  tra  gli  altri  il  Froravanti  (Memorie  Bt6riche 

'   delta  diik  di  Pistoia,  pa^.  249),  il  quale  scrive :  €  a  tse 

■  Mi'ii  «■       III 

(I)  a.  VWani  Vllt,  3«.  '      t 

a,  M.  A.  SUvi  —  Istofie  di  Piftoia,    Parte  IL  L.  i.  imp.,  Ts^i  H  .Ka 
seodo  gli   Aoziani    venuti  in  riasa   tra  loro,  una  parte    vedendosi    (erdu*a, 
fttffgl  iialI*ATchivio...  ma  perch6  V  ahta  parte  non  pot6    »prire    la  porta  di 
detto  Arcbivio,  ed  enirarvi  a  fare  la  brainata  vendetta,  vl  attaccd'lllfhoco 
•PA*  r«a|»roii  arai  tmti  qutllii  ohe  Ti  aran  dtniro  ed  iialenHi  tnttl   {  HVfi 

^UbbUoio  mtmorli  »  Vr  U  falto  MOho  negll  litrf  itoriti  plitoltDi     --^ 


nont  hipnb  torre  l^JplnIoDe.  che  prima  del  Darra*o  Ugllo 
della  mano  (II  taglio  della  maao  di  Dore,  narrato  dal 
r^non!mo),  avessero  avuto  \lsuo{S€)  prioc'pio  le  fazioni 
det'BanchI  e  dei  Neri  ». 

'  £  comprova  lasuaopiaioae  cdlle  parole  delle  Istorie 
pisfblJdsi:  «Certi  giovaui  della  delta  Casa  (CaoceHiorj), 
11  'QQali  t^nevaao  la  parte  B  unca,  e  altri  giovaui  detla 
delta  Ca^^,  li  qaall  tenevano  la  parte  Nera,  essendo  a 
Una  Ctjila,  ove  si  v^odeva  vino,  nacque  scaDdolo  in  tra 
lort)  giocando  »;  osservando  che  se  la  rissa  nacque  tra 
qirtfi  chd  tenevano  parte  Biauca  o  Nera,  6  forza  II  dire 
che  quefste  parti  aateriormente  ci  fossero.  D'altronde 
ri^uttl  daro  Statuto  del  Comune  di  Pistoia  pubblicato 
dar'L.  Zde^atier  cbe  esso  Comuoe  gi4  fin  dalPanno  1290 
•  e  forse  gik  prinaa  -  avova  comminato  gravi  pene  sIdo 
all'amputaziODe  delta  liDc^ua,  a  chi  osasse  pronunciari 
i  hdmi  di  Bianchi  o  di  Neri,  <  ita  quod  in  perpdlukAm 
Aibcs  vei  Nijrcs  nom  nare  non  vaieaL  »  (^)  Anebe  gli 
Anbdli  di  *ToIonieo  ci  danno  ia  data  di  alcuni  f^lti  nar- 
rati  netle  Istor.e  pistolesi  sotto  Tanno  milletrecenio.  e 
a  q^uesto  proposito  dice  I.  Del  Lungo  t^)  cbe  di  questi 
fatti  si  deve  fissare  lo  crooologia  appuuto  sopra  i  citati 
aunali.  Or  i  dall  di  Tolomeo  non  sono  conti^addet  i  da 
alcubi  documenti  cbe  furono  pubblicati  d  UoZdekauer. 
loratti  Tolomeo,  dopo  averseguato  I'anno  1286  come  prin- 
ciple delle  discbrdie  dei  CaQcelIi<dri,  ci  racconta,  aU*anno 
ll^d*,  come  «  Dbminus  AlberttDus  Vergelensis  de  Tistorio 
ucclditur  a  par;e  domiui  Simonis  de  Pantano,  quae  Ni 
gra  tocabalur,a[ia  vero  Alba ..»  E  poi  aj^giua^e  cbe,  dopo 
qitalclie  iem[.o,  fu  ucciso  Messer  Dello  di  parte  Ne  a  e 
poi' Cesser  Bertacca  di  parte  Bianca.  Qaeste  date» 
dice'v5,  non  conlraddicooo  certo  a  uq  docume-to  pub* 


~i4 


^1)  L,  2kiehauer:  Statatacn  Potesintis  Comuaia  Piatorii  aQQil296  :  •  Quad 
Dollus  audeat  vel  preauinat   nouiiajiie   aliquoa   esaa    Albos  vol  Nigros  »  UU 
XXMl  112.  . 


10» 


LX 


MaMM*«i 


blicato  dallo  Zdek  uer  d\  cui  appare  che  Tapis  >dl» 
naVrato  Del  capitol)  6.o  deile  Storie  pistol  si,  Tucci- 
sione  ^'^  di  M.  Bertino  Vergiolesi  si  deve  assegmre  a 
data  anteriore  airuoD  >  1293.  II  documento  riguarda  la 
coodaona  di  Sc'atta  e  Meo  flgli  di  M.  Rinieri  dei  G»n« 
oeiUeri  B  anch*,  c'  me  complici  di  Focaccia,  per  aver 
coDseotiti  airassassinio  di  M.  Detto  dl  Sioibaldo  del 
CaDcellieri  Nnri.  La  sentenza,  giii  { receduta  dalla  coq 
dapna  di  Focnccia  n  Fugacia,  come  b  detto  nel  doca* 
meoio,  6  in  data  delPoltobre  1293,  Nel  documento  si 
Darra  (he  €  Dominus  Dettus  domiui  Sinibaldi  quoodaoi^ 
mortuus  et  ioterfectus  fuit  contra  deum  et  iusVciam 
per  quosdam  malefactores,  sc  licet  Fugaciam  et  alios 

consocios   suos,   alias  (ondemnaios cam   coltellis^ 

spoQtonitus  et  aliis  malvaxiis  armis   » 

Ora  Tassassinio  di  M.  Bertino  esseado  anieriore  a 
que'Io  di  M  Deito,  pu6  benissimo  assegnarai  airanoo 
1289. 

All'uccisione  di  Detto  Canceilieri  seguirono  €  aspre  e 
forti  bat'agie,  e  fue  i'una  parte  e  Taltra  mandata  ai 
confioi,  salvo  che  rimase  M.  Bertacca  padre  del  Fo*^ 
caccia,  perch*e  a  cavaiieri  gaudenti,  vestito  a  mode  di 
frate.  »  t*)  Fredi  bastardo  di  M.  Detto  (TuccisD  daf 
Fut^ac  a  colla  complicity  di  Sclatta  e  Meo  Rioieri  Can- 
ceilieri) uccise  M  Bertacca.  3)  Ora  lo  Zdekaoe»- <*),  tro- 
vando  meuzioDala  nei  Consiglio  XVI  di  Dino  di  Mugello 
la  coDdanna  c^pitale  di  Fredi  basiardo  di  M.  Detto, 
senza  la  designaziono  del  delitto,  conclude  che  essa  non 
pu6  riferirsi  ad  altro  che  airassa«sinio  di  Bertacca;  e 
poich6  TAn.  pist.  subito  dopo  l*uccisione  di  Bertacca 
registra  la  storia  di  uno  <  i  di  Santo  Barlclomeo  in  cui 
i  Bianchi  e  i  Neri  «  s'avvisarODO  iosieme  pressoa  casa 


••■  t. 


(I)  Studi  j>f5/0f>it'.  Fasc    1,  I.  Siena  1889. 

(t)  AnoQ.  pist.  Frato  IS3^.  Cap.  6  pag.  10. 

(8)  Ivi.  pag.  l::-ll, 

(4)  Zi0hauor,  JX  cantfglio  XVI  di  piM  di  ifagsllo^  ptg.  40« 


•» 


•'♦*  •»*-♦  -*- 


m 

dei  Gancellieri  Bianchi,  e  feciono  gran  battagMa  », 
g  6rD0  che  6  da  assegoarsi  con  ceriexza  alTanno  1295, 
come  risult\  da  un  docume  to  dallo  Zdekauer  pubbli* 
cato  in  appendice  ^^\  cosi  q*  esti  conc'udrt  che  P  assas- 
S'nib  di  Bertacca  j^i  d^ve  a  segnare  al  lasso  di  tempo 
che  corre  tra  T  itito' re  1203  e  i)  giuguo  1296.  II  do- 
cumeuto  accennalo  riyuarJa  la  ^ommossn  dei  Neri  nel 
1295  ed  6  un'altra  p  ova  che  le  fazioni  esistevano 
prima  di  quesi*anno. 

Prendiamo  alto  che  le  s'ragi  di  Pistola  narrate  nei 
primi  sei  captoli  delle  Is'orfe  ;;/&•  o/^5^' si  agi^imno  tra 
gli  ainni  1*  80-1293:  ci6  pu6  render  raglone  rtelle  sven- 
ture  di  Cino  nei  primi  anni  doll*  amor  suo  per  Sel  • 
Vdggia. 

Una  breve  dlgreis'one,  e  Ci)n  essi  una  con^ottu-a, 
la  quale  per  verity  noo  ha  valore  che  di  timidisslma 
ipotesi. 

Dice  TAnonimo  pistoie^e   che  le   persecuzioni  ca 
gionite   dai  Bianchi  e  dai  Neri  durarono  €  anni  28  ». 
Ora  a  me  pare  che  i  ventotto  anni  stiano  a  s'gniRcare 
la  durata  comple^siva   delle   persecuzioni    delle    di'tte 
parli,  prima  e*dopo  Tanno  1300,  e  che   non  vi  sia  al 
cuoa  ragione,  come  invece  vorrebbe  lo  Zdekauer,  che  i 
vebtotto  anni  debbano  ontarsi  reirospo  trvamftute  dai 
1300.  lofatti,  ammettendo  cho  TAnonimo  abbia    bbrac 
ciato   ne*ia  sua  intro  lu^Jooe  i  ventotto  anni    che  pte' 
cedono  Tanno  1300,  avremmo  come  inizio  delle  lotto  di 
parte  Bianca  e  Nera  Tanno  1272;    data    che  non  dice 
nulla,   come    confessa  lo   stesso  Zdekauer ;  e  mi    pare 
affioitto   arbitrario  il  dire,   com^  egli   vorrebbe,  che  il 
crOQiata  contasse  dai  1296,  cio6  dai  la  ri  forma  che  cambi6 
lo  stato  dei  partiti,   collo  scopo  di    arrivare   alT  anno 
1267,  in  cul  la  citti  si  d  ode  a  Carlo  d'Ang  6  e  gli  giu  6 
fade  per  !ne7Z'j  del  suo  podest^. 

Quando  s' accogliesse  f  ipotesi  da  me  posta  innanzi, 


it6 


bisogfierebbe  cercire  la  data  in  cui  fu  conclasa  la  pace 
tra  l6  faxiooi  io  Pistoia.  Or  ooi  sappiamo  che  gik  fin 
dair  uQdici  di  geooaio  del  1317 «  il  re  Roberto  di  Na« 
poll,  voleodo  che  si  stabilisse  pace  tra  le  citt^  di  Fi 
rente,  Siena  e  Pistoia,  che  si  reggerano  a  parte  gaelfa, 
e  le  cittjt  di  Lu  a  e  di  Pisa  che  si  reggevaoo  a  parte 
ghibellina,  ottenne  che  quelle  si  mettessero  Del  soo 
arb  trato  :  la  pace  fu  conclusa  in  Napoti  ai  12  di  maggio 
suUa  base,  per  i  Pistoiesi,  €  che  fossero  rimessi  quel 
ribelli  e  sbandati,  che  parerA  al  Camune  di  Pistoia.  » 

Lo  stesso  Cioo  Sioibuldi  il  quale  nel  1310,  disperato 
di  trqvar  sa*ute  altrimenti,  aveva  collocate  le  sue  spe- 
raoze  in  Arrigo  di  Lussemburgo  e,  abbiDdooaod  •,  come 
yedremo,  Pistoia  che  impazzava  colle  sue  fazioui  avide 
di  stragi,  era  eotiato  nel  movimeuto  del.Qhibellioiamo, 
lo  stesso  Cino  in  quest*  anuo  1317  pot6  ritomare  ia 
patria.  lofatti  M.  A.  Salvi,  alT  aono  1317,  ci  appreade 
cbe  «  godendosi  i  dolcissimi  frutti  del  la  pace,  alia  quale 
invigilava  con  ogni  sollecitudioe  il  famoso  Cino  dei  Si- 
giboldi,  che  era  allora  giudice  delle  cause  civili  a  Pi 
stoia,  i  Pistoiesi  si  rivolsero  a  procure rsi  t:ommodi. » 

Dove  il  Salvi  abbia  attinto  questa  notizia  non  so, 
perch6  noa  sempre  egli  si  ricorda  di  citare  le  fouti;  per6 
6  degno  di  fede,  esseodo  questo  particolare  della  vita 
di  Cino  comprovato,  oltrech^  dal  documaoto  del 
Priorista  Franchi,  il  quale  ne  desume  che  Cino  ritornd 
in  patria  nel  1317,  anche  da  un  documento  da  G.  Pa- 
paleoDi  ripro lotto  nella  tiivisti  storica  della  Lettera^ 
iura  ilaUona^  anno  VI  N«  1  pag.  30,  contenente  un 
consulto  dato  da  Cino  in  Pistoia  il  18  m  ggio  1318. 

A  di  2S  maggio  1318  si  couciuse  la  pace  tra  Ouelfi 
e  Ghibell  ni  di  Pistoia,  per  unirsi  insieme  contro  Ca« 
struccio  che  danneggava  il  Pistoiese,  e  tra  i  patti  fu 
che  non  si  facesse  ptic  guerru  in  universale  tra  (e 
parti. 

Ci  troTlamo  M(A  ii  froftt^  a  due^a^  ehe  si^nitdaBO 


.,^1 


m^^m 


due  paci,  e  sceglleado  di  ^ssd  la  prima  che  g\k  per  se 
significa  cessaz  one  dcVe  «  per^ecuzioni  cdff'onatedai 
B'anc^i  e  dai  Nei.  »  contando  da  essa  re  rospettiva- 
mento  28  anni ,  veniamo  ad  avere  T  anno  1289  come 
principio  delle  stragi  che  s'anda*  ono  comp  endo  in  d  me 
dei  Bianchi  e  dei  Ne  i. 

E*  questo  1'  nno  se:inato  da  Tolomeo  alTuccisione  di 
Bertin  Vergiolesi.  Ma  Tolomeo  negii  annali.  segna  Tanno 
1286  coraM  principio  delle  discordie  d^i  Cancellieri  : 
€  ..anno  domini  1288  exoHa  est  discordia  inter  Can  • 
cellarios  Pistopienses  quia  occisoie  ritm  (ri&ae?) 
Dore...  percus^it  tec.  »  E  qui  narra  il  fatto  nolo  del 
taglio  deila  mano. 

Ora  Tolomeo  6  doprno  di  fede  ?  Basti  ootare  che  con- 
tando 18  anni  a  partire  dal  1286  si  ottiene  Tanno  314, 
in  cui  alcuni  fuorusciti  pstoiesi.  rifug^atisi  a  Serra- 
valle,  tralUno  coi  villani,  che  facevan  la  guardia  a  porta 
RIpalia  di  Pislcia.  di  dar  la  citU  in  mano  di  Ugucclone. 
Or  questa  non  fe  certo  pace,  u6  tregua  di  odi,  n6  i 
tre^ue  parlasi  dall'Anonimo  pistolese  alTanno  13  4. 

C  munque  sa  di  c  6,  noi  non  ce  ne  preoccuperemo 
altrimenti  :  ci  b  ista  dfaver  ricordato  che  gi^  prima 
del  1300  es  stevano  le  fazioui  dei  Biauchi  e  dei  Nerj  e 
che,  in  nome  di  esse  i  cit  adini  imporversavano  in  stragi 
sanguinose. 


•   « 


Cominciando  il  pre?eiite  capltolo.  io  diceva  che  Tamore 
di  Cino  6  nel  suo  tempestoso  svolgersi  un  contr  buto  alia 
storia  delle  fazioni  italiaue  nel  trecento:  o  Tasserzione 
dettatachiaramente  dalle  vicende  psicologiche  della  pas- 
sione  che  ho  tentato  di  tracciare  nel  capiiolo  antece 
dente,  importa  che  il  N»  appartenesse  a  una  fazione, 
Se  vaggia  a  un*  aUra  :  Nero  il  poeta  amantei  Bianga  iV 

lutft  idegauaa. 


I   • 


hi 


A  tentare  qnesta  dimostrazione  ci  saran  di  gnida 
poc*  e'testimonianze  stciche  e  le  Rime. 

Sinora  si  6  detto  press'  a  poco  da  tutti,  anche  di 
colop.»  clie  si  occuparono  di  C  no  in  lavori  speciaYi, 
clie  egli  appirt«nne,  nelle  lotie  partii^iane  di  PIstoia, 
ai  B  anclii :  Bianco  con  Filip[)o  Vepgidesi,  ghibellino 
audace  c  n  A»M'igo,  tutta  l:i  sua  vita  sa»ebbe  stata  uo 
audace  apostolato  ,  er  I'idea  gliibellina, 

Mitemente  Pandolfo  Arfaruoli.il  quale,  dope  P.  Men 
lini,  scrisse  nel  1620  alcune  ROtizie  riguatdanfi  la  vita 
di  Cino,  e  meno  recisamente  di  altri  biografi  posteriori, 
lascio  scutlo;  <  Si  ti  ne  cho  iui  inclinasse  alia  Ohi- 
bl'  na  (|»arte>  sebbene  nel  a  canzone  XV  dimostra  spia 
cer!i  ambe  le  fazioni  in  quel  verso.  €  11  gran  contrasto 
ch'^  tra'  biaochi  e'  neri..  ».  La  canzoae  6  quella  che 
comipc  a  <  La  dolce  vista,  e  '1  be    guarJo  soave  ». 

Fra  gli  Eoijl  degli  Uomini  Ulusfrt  toscin%  nelTE- 
\\^\  di  M.  Cino.  A.  M.  Rosati  scrisse  <  E^li,  che  di 
costutni  fu  oii^sti  e  p  a'^evoli,  inc'inatissimo  a'la  pace, 
nbn  f«i  seltario,  (cosa  in  quoi  tempi  straordinaria),  nd 
prese  mai  ve»un  partite  Ouijfo  n6  Ghibellino...  » 

Vv^.  I'Arftruoii  che  v.igamento  afTerma  cl'e  it  poeta 
fosse  di  parte  bianca  e  il  Rosati  die  ce  io  dipinge,  con 
moito  piobiibile  verity,  inclin  itissimo  alia  pace  e  non 
settario,  a  chi  creleranno  gli  st<»rici  |  osteriori,  o  come 
la  penseranno?  A  nessuno  dei  due;  e  aseriraono  con 
certe/za  ci6  che  il  prim>  di  essi  aveva  espresso  con 
somm     riserxa. 

Sebastiano  C  ampi  lo  dice  di  m  ss'ma  QhiheMfno  e 
p«  r  a'^ercnze  seguace  della  parte  Bianca.  E  altrove: 
«  Che  egli  .^eguitasse  la  [)orte  Bianca  o  Ghibe<lina  6 
cosa  fu-  r  di  dut»bio  (pag   17-18j. 

Dope  di  Iui  la  radizione  6  fatta  ed  6  ben  fissa.  II 
,Car  u  cci,  oella  sua  beila  biografla  del  poeta,  ci  dirii 
che  Cino  era  di  parte  bianca,  come  Danti»,  ii  Cayalcanti. 
jil  oroDiita  Oiaccbettu  Malespini,  il  padre  del  Petral^M 


113 


e  la  maggior  parte  degli  scriUori  e  giuracoosulti  io« 
scaoi  d^allora;  il  Fanfani,  commeniando  il  Madrigale 
«  lo  gaardo  per  H  prati  ogai  fior  bianco  »»  ci  dir^  che 
esso  6  come  una  giacuiaforia  alia  parte  Bianca  a  cui 
il  poeta  sarebbe  appart^nuto. 

II  Chiappelli  che,  priino  dei  biograO,  fece  cod  era* 
disiooe  e  acamo  V  esame  del  pensiero  politico  del  N. 
ritieoe  che  egli  fosse  dei  Bianchi  e  ainico  di  Filippo 
Verglolesi,  capo  dei  Qhibellioi.  lofatti,  dope  aver  doUo 
a  pag.  29  che  dairanoo  ISO)  giungiamo  air  anuo  1307 
senza  avere  piu  Doli/ia  di  Cjdo,  aggiunge  subito  dopo 
che  il  Pjstoiese  <  si  era  ritira*o  io  Pistoia  presso  alia 
sua  Se'vaggia  de*  Vergiolesi,  cercando  di  dimeQticare 
col  suo  ^more  le  terribili  lotle  muoicipali  e  le  stragi 
che  turbavaop  questa  fiera  citt^  ». 

Or  DOQ  occorrd  dire  quanto  Tasserzione  del  Chiap* 
pelli  sia  romantica,  pensando  che  egli  stcsso  aveva  detto 
che  in  quel  tempo  —  1300  —  1307  —  doq  si  hanno  pid 
ooii/ie  del  poeta.  Vero  6  che»  a  pag  33,  quelia  Selvaggiar 
presso  cui  Cino  si  sarebbe  ritirato  e  col  cui  amore  a* 
yrebbe  cercato  dimenlicare  )e  lotte  ^luoicip  Ji ,  d  do- 
scritta  «  ronce  uu*  austera  figura  di  donoa  che  iccute. 
limore  airamante...  sdegnosa,  fiera  del  suo  orgoglio^.  » 
E  ci6  i  esatto ;  ma  come  si  coociiia  coirideale  di  una 
donna  che  gli  sopia  le  tormentose  cure? 

Ancbe  fltrove  (pig,  48;  il  Chiappelli  esprime xhia- 
ramente  il  pensiero  che  Cioo  apparleoesse  ai  BiaDchi. 
In^aUi  egli  cbiama  i  Nen  vittoriosi  nel  130G  isuoi  ne* 
mtcit  e  di^e  che  egli  duveva  ammini^trare  l9  giustrsia 
in  mezKO  al  trionfo  degli  awersari.  Final meote  fanta^ 
st  cando  presume  che  probabi  mente  dopo  la  parteasa 
da  Pistoia  —  1307,  secondo  il  Chiappelli  -*  GiAO  do« 
\etle  rifugiarai   nel   ca^tello  di  Piteccio  presso  i  Ver« 

gioie  1  che  3i  eraa  fatti  capi  del  partite  del  fuoroioiU 
bianehit 


111! 


Dopo  ci6  Ggll  fcrive  a  paj  TO:  <  Non  sapp*atno  e 
ton  c^rstadaalcan  fatto,  che  il  nostro  legista  comerA- 
lighieri  n  lla  prima  giovine^za  appartenesria  al  Ouel- 
fl^roo  >. 

Afpena  sorto  il  dubbio  il  do  to  biografo  \o  sfaia. 
Ma  6  ben  presumibile  che  Gioo  guelfo  fosse  percfad  e* 
ran  gaelfl  ardeatl,  talti  sensa  eccezione.  qaelli  delta  sna 
f^m  glia,  di  cui  la  stora  conferva  memoria,  come  del 
resto  U  maggior  p^rte  del  pistoiesi,  avanti  il  1900:  e 
quindi  6  piii  che  mai  supponibile  che  tra  1e  retie  le 
quali  dai  Quelfl,  per  le  discorJie  del  Cincellieri,  ram  • 
pollarono,  egli,  almeno  per  adereoze,  TosseNero. 

Nfa  anzltutto  ml  si  conceda  dt  chiedere  chi  abbf'a 
mai  detto  ai  biog'*afl  che  Cino  appartenesse,  net  primi 
anoi»al  partite  del  Bianch  e  non  p*utt08to  a  q*  ello  dei 
Neri,  e  da  qual  ieftimonianza  sia  logittimata  ta  lore 
asserzione  ? 

L*ha  detto  rArfaraoll:  posso  rispondermi  anche  da 
mp.  Ma  e  lo  stesso  Paodolfo  Arraruoll^si  mostra  iocerto 
come  Tedemmo  or  ora,  e  r'ella  suaatteidibiiitd  6  lecito 
muover  dubbio  qui,  se  anche  per  a^tre  sue  ass  rzfoni 
gius'amente  si  mosse:  e  deliVttendibili  ^  delPA.  disci* 
ter6  pICiHardf. 

Ma  il  Cbiappelli  e  gli  a  tri  biogr*  ft  hanno  ben  altri 
argomenti  :  le  epere  giuridiche  di  Ciuo  attest- no  troppo 
lumfnWmente  che  il  giurecoosnlto  era  ghibellioo  e 
seguace  di  Arrigo  VII. 

Ma  prima  di  risp  ndere  a  questa  giusta  obbiezons, 
4ichiarer6  perch6  m  me  sorge  il  dubbio,  anzi  la  cer- 
tezza  che  CIno  fosse,  aimeno  per  aderen7e,  dei  Neri,  e 
ehe  egll«  bencb6  non  settario,  come  giastameote  con* 
forma  il  Rosati,  fos^'O  coinvolto  n^liVdio  per  i  neri  Si- 
nkbuldt  Mi  sarit  poi  facile  dimostrare  come  chi  era 
stM^ICeiv)  MlU  sua  gio\joaiza,  divenis^e-  se^uaoo  dt 

Arriifo  ioopei'aore  m  giuriila  gbibellifio. 


J* 
•     « 


Lo  storico  delle  fuzioni  dei  Bianchi  e  dei  oerl  i  TA* 
nooimo  pUtoies^  della  cui  auteiiticiti  *  del  resto  baa 
poco  iafirmata  ^  ba  detto  brevi  e  per»uaieati  parole 
ii  Chiappelli. 

Or  egli\  pur  n  jx  fornenlooi  la  data  precisa  de^li 
avvenlmenti  S8ii^uin>si  cooipiaiisi  negli  ultimi  anai  (^bI 
secolo  XIII,  ci  ritrae  con  tnolta  eCficacia  quegli  sdegni 
6  quelle  veodette  e  acce  m  a  coloro  che  di  quelle  fu  • 
ron)  strumenti  e  vitiime.  Ma  dl  Cino  S  nibuldi,  poeta 
e  giureconsulto»  non  uni  parola:  e  lo  slesso  dotto  ppo- 
feisore  pistoiese  che  di  Cin)  8*6  occupato,  osserva  die 
rAji>niino  lo  mendona  solo  laoidentalmenie:  acceuua 
a  lui  parlanlo  del  tradiroeuo  del  Qgliuol  suo  M  n^, 
che  c  ajiur6  per  coaiegnare  laciiU  aCastruccio  degli 
Interroinelli  da  Lucca,  di  quel  Uino  de*  Siuibuldi  che 
rAnooimo  condannx  alia  esocrasione  dei  posteri. 

Ma  se  Bon  ci  vien  fatto  di  trovar  parola  deiram^nte 
di  Selvaggiu,  iucoatriamo  perd  bene  spesso  persone  di 
sua  famigiia.  Or  io  so  bene  che  dal  fatto  che  i  Sioi- 
buldi  appaiauo  Neri  nm  si  pu6  iDferiiaa  che  UQO  di 
essi,  Cino,  iu  quelle  storie  non  nomioato,  dovesse  es* 
sere  oecessariameate  Nero ;  e  nou  mi  sfugge  che  lo 
8te»80  Aaouimo  raccoota  che  i  disseusi  erano  trji  fa- 
miglia  e  famiglia  e  tra  fratello  e  fratello.  Pur  6  ooie- 
vole  che  uou  uoa  sola  volta  troviimo  nolle  istorie  pi* 
st  le^i  UQ  Sioibuldi  asoritto  a  parte  Bianco,  e  che  1*A  • 
Donimo  parlando  di  essi  e  descrj\endoli  tra  1  piu  fieri 
e  valorosi  Neri ,  non  acceuna  mii  a  discordie  che  li 
dividessero,  ma  ce  li  ritrae  conco.  di  nei  lore  odi,  come 
i  Tebertelli,  i  Rossi ;  lad  love  invece  di  M.  Ziriao_  dei 
Lazzari  dice  che  si  en  schierato  couro  quelli  della 
sua  "Casa  e  della  sua  parte 

L^Anoufmo  pistoiese  racco^lie  sotto  il  milletrecento 
fiitti  che,  noi  lo  abblstmo  vtsto,  devono  essere  dld^i* 

buiti  Qoiraltimo  decQunio  dQl  secolo  XllL  " 


m 

Di  alcQQi  di  essi  A  poisil^ile  flssarelacronologia  per 
ioduziooe,  di  altri  ci  dan  do  la  data  a^iri  storici. 

Noi  DOQ  terremo  conto  che  dei  persODaggi  che  di- 
rettamente  si  riannodano  ai  VergfolesI  e  ai  Sinibaldi. 
€  Id  qnello  tempo  0>  era  nelia  casa  dei  Gaocellieri 
deila  parte  Biaoca  udo  giovaae,  ch*aveva  Dome  Pocaccia, 
figUuola  di  M.  Bertacca  di  M.  Rfnieri,  H  qoale  era  pi  ode 
e  gaglinrdo  molio  di  sua  porsi  na»  del  quale  forte  te- 
mevaoo  qaelli  delta  parte  Nera  per  la  sua  perrersit^ 
perchd  Don  at'endea  ad  altro,  ciru  uceisiool  e  ferite.^ 
e  H  Pocaccia  avera  per  raoglie  a  flgHuola  di  M  Lippo  » 
Di  quesVaomo  feroce,  scaltro  e  prudetite  sioo  alia  Tiiti, 
che  essendo  preso  pib  voUe  da*  sa  )i  partigiaoi  Biaochi 
del  fa^gir  che  facea,  rispondera  che  meglio  era  dire: 
€  quloci  fugglo  it  Pocaccia,  che  quivi  fa  morto  il  Po 
caccia»(t},  diquesto  peceitore  ricordato  da  Daat>)tra  i 
piu  scellerati  tradito**i: 

Noa  Focaccia,  hob  queati  che  m'  ingombrai  fZ) 

ai  6  brevemeole  occupato  cou  m'*lto  acaroe  L.  Chiap« 
pelli.  Egli  dopo  aver  os<ervato  che  Gioo  dice  delta  sua 
doooa  in  un  sonetto  :  <  .  ..fatta  sete  sposa  —  II  tem« 
poral  Vaspetta  omai  d*amore  »,  accostando  que^to  passo 
alia  testimouianza  deirAnooimo  da  do!  succiiata,  <  ...e 
*1  Pocaccia  aveva  per  moglie  la  flglioola  diM.  Lippo  », 
trova  che  abbia  apparenza  di  yeriik  la  congettura  che 
sposa  at  Focccia  fosse  Selvaggia.  B  raflbrza  questa 
congettura  cod  a'lre  citatloni,  tra  le  quali  i  notevoie 
quella  del  Tedici  €  Gt  Pocaccia  ha  per  moglie  la  figliaola 
di  M.  Pilippo  Vergiolesi.  » 

Or,  qui  come  uel  [lasso  dcU*ADOD*mo,  nou  abb'amo 


f\)  Vtfrotimilfneott  intcrno  ai  1996. 

|9)  La  frate  rlmas*  celebre*  L^Aretifto  la  ^tnt  ia  bocem  a  an  perso- 
J|*F9io  dttllA  >«&  T.*Uinta :  €  Diarrola  a  $u»htt  per«^«)i4  6  megUo  die  li 
4.ca;  qui  Aiggi  il  TiQca|  che  ^ui  mori  i|  Ti«9A  »• 


lit 

II  nome  di  Selvaggia,  mi  s^accenna  per6,  coll*  arUcoIo 
de^erniinalo.  alia  flgHa,  parrebbe  unica,  di  F.  Yergio- 
Ipai  :  <  la  flgliuo'a  dl  M.  Lippo  ». 

Ma  la  questione  non  6  grammaticale.  II  Focaccia 
doveva  esser  gi^  morto  Del  1300,  iemfo  del  simbolico 
viaggio  Dantesco  Dei  regni  oltramoQd^ni,perch4  Dante 
lo  menziona  uoUa  Gaiaa;  d6  questa  ta  come  la  Tulo* 
niea»  doq  so  s*  o  dica  il  vantagg  o  <  cbe  apesse  Yolte 
Tanima  ci  cade  *  inaaozi  ch^Atropos  mossaledea*. '') 

Ma  so  Selvaggia  era  sposa  al  Focaccia, le  conseguenze 
ehe  si  possono  irarre  da  questo  fatto  sodo  ud  po*  di- 
verse e  p  u  precise  che  DOn  fuccia  il  Ch'appelli.  L*  A- 
nonimo  dice  che  il  Fugacia  aveva  per  moglie  la  figliupla 
di  M.  Lippo  quaDdo  DattoriDO  de*  R(ssl  e  VaDoi  Fucci 
e  *l  Zazzera  de'  Tebertelli  uccisero  Bertino  Verpio  ess 
zio  di  Selv.iffgia ;  or,  po  ch^  quest'  eccidio  6  aoteriore 
alTafiDO  1293  e  forse  deve  etsere  attribui'lo  al/aauo 
1289,  come  vu  le  Tolomoo,  se  tie  infieriscecheo  prima 
del  1393,  0  gi&  fia  del  12  9.  Selvaggia  doveva  es  Qre 
tsp  sa  al  saDguiDario  Oglio  di  sea^Bertacca. 

Se  Cino  adunque  s  iDnamor6  di  Selvaggia  aucor  go- 
vioetta,  come  ci  risulta  da  alcuDO  rime,  oe  viene  che 
rinnamoramento  devees^ere  aDter.cre  o  dod  posteriore 
al  1290  La  cosa  6  ben  rag'onevo!e  pe^saDdp  cbegi&fia 
dal  1283  egli  aveva  maDdato  a  Daute  un  soDetto  «Na« 
turalmeate  chore  ogoi  amadore  >  in  rispos  a  a  unaltro 
che  rAl'ghieri  gli  aveva  iadirizzato.  Ma  ci6  dod  |u6 
aver  valore  che  di  probability,  perch6  ci  maocailsus* 
sidio  di  documeoti  storici  e  il  poeta  che,  do!  paioss'smo 
dell*amoroso  torroeoto,  fugge  forseonaio  alto  gridaDdo 
il  Dome  deir  amata,  di  rado  afdda  a'  suoi  versi  circo  • 
staoze  di  fatto. 

II  Chiappelii  ritieDO  che   p  co  import!  a  sapersi  se 
Tamoro  si  maiiifestasse  proprio  nel   r?00,  Q  m^    diCQ 


Ill 


rArfdraoH,  o  Id  an  altro  annc. lo  pensoche  ild  termt- 
Dare  t  prim!  anni  deiranooredi  Cino,  significhi  fissare  gli 
BDQi  dela  roaggiore  sua  atti\it&  poetica,  ma  per  quHDto 
importaote,  coi  Tabbiamo  visK  la  cosa  rie^ce  difScile. 

L*>it*estazione  deirApfaruoli  6  esplici'a:  il  N.  pe  la 
morte  d«l  padre  «  topn6  a  Pistoia.  e  si  desvi6  alquanto 
dagli  stud',  essendo  molto  IncliUv^to  airamoredi  M.  Sel- 
vag. ia  di  M.  Filippo  Vergiolesi  beilssima  di  corpo  et 
in  particolare  gli  occbi ...  S'  invaghl  CiDO  di  S.  V  aooo 
1296  » 

Ma  TArfaruoii  6  attendiblU?  Lo  oega  il  Barloli,  af- 
fermaoo  it  Chiappelli  e  il  Notto'a. 

Or  la  discussione  si  pu*^  rilurre  a  brevi  parole.  L\ 
foDte  delle  DOtizie  dell'Arfaruoli  6  un  manoscrit'o  del 
1337,  intilolato  M^mo^'e  c  Cr^dili  di  mcsser  Cino.  II 
Bartoli  afferma:  o  il  M.  S  del  1337  6  uq*  ioveDzione 
delTiirfaruoli  o  oarra  di  Cno  cose  ooo  vere  ». 

Ma  la  prima  di  queste  supposizioni  cade,  perch^  il 
No(t  la  ci  appren  le  la  notizia  dovula  alle  ricerche  del- 
V  aw.  Chiappelli,  che  il  M  S.  fu  trovato  Del  volume 
detto  Album  delTATchivio  com.  di  Pjsioia. 

Per6  il  M  S.,  po  contien^parecchie  ootizie  cbe  ven- 
Dero  riprodotte  dalTArfaruoli  nelle  sue  Manorie^  Don 
pres.  Q(a  invece  oessuo  accenno  a  Selva^gia. 

Quindi  la  questione  diratteadibi'it^  i  per  meU  ri« 
siKa:  TArf.  6  dep^^o  di  feJe  quaudo  riforisce  ootizie 
lolte  dal  M.  S.  del  1337  :  pel  rest)  deve  essere  discus-io. 
Acceoao  appena  a  ci6  cho  fu  detto  da  altri. 

II  Bartoli  sostieae  che  TArfaruoli  trae  erroneameDte 
la  Dotizia  delTamore  di  Ciuopor  la  Yergiolesi  da*  versi 
del  sonelto  <  Lasso  peasatdo  alia  distrutta  valle : 

•  .  •  rimcmbiando  delle  nuove  talle 
Cb'ivi  800  'lelle  piante  di  Vergioh 

'6d  errotieameDte   sostieoe,  perch6  egli  i>eQsa,  a  t;rto 
jioi  \o  T^drooio,  che  <)uel:o  M^  ua  sco^^Uo  ^Uu<^o. 


nth 


Ma  TArfaruoli  si  sorvo  dei  cilati  vers!,  come  f  ate 
d  I  'asserz  O'-f*,  o  come  oonferma  di  quMito  ejli  /isse 
risce?  K*  difQcilo  ris[)Ondere,  e  doq  importa  gran  faito 
^':  Qoto  iotaato  che  egli  eta  male  quell*  uaico  verso 
che  lira  in  balio  <  ch*  io  passai  dalle  p'ante  di  Ver« 
giole  »  che  suona  iavece  «  ch*  ivi  son  delle  pmote  di 
Yergiole  >  coa  varianti  insignificanti  nri  vari  c  dici. 
La  precisione  non  era  la  virtu  es^enz'ale  del  nostro 
storico. 

Ma  TArf.  fa  un*al  ra  asserz'one  c  Cino  am6  un*al(ra 
deoua^   una  taie   donna  Marchesina  Mala^pina  >,  e  la 
comprova  col  sonetto  Ccrcando  di  Irovar   lumetvi  in-. 
iro ;  €  il  che  fa  chiaro,  egli  dice,  il  sue  sODetto 39  che 
cominciOt  «  Cessomio  di  trovar  lumera  in  oro  ». 

11  Bartoli  ha  dimostrafo  che  quel  sonetto  non  prova 
punto  che  Cino  tibia  amato  una  marchesa  Mala^pina, 
percb6  i  eodici  a  sua  couoscenza,  riproiucevano,  tutti, 
)1  noto  verso  non  gi^  come  il  Pilli  e  Fjustino  Tasso 
funno:  W  ha  punto  I  cof*  marchesa  Maas^inaf  ma 
c»lla  variance  marchese  Malcspin't, 

E  lo  stesso  Nottola,  il  quale  aveva  sos'eauto  essere 
[)iu  facile  e  razionale  concetto  se  u  legga  mat  c/iesei«  ot 
che  disse  esser  questa  lezione  r.ferita  cro  dal  cod  ce 
bolognese  e  forse  dal  Chigiaao,  piu  tarJi  corregge  la 
sua  opinione  scriveudu  (^)  che  c  tutti  i  eodici  leggono 
invece  lel  verso  itdicato,  march  se  Mai  spina  ».  I 
eodici  sono  sette. 

Dooque  dove  mai  TArfaruoli  ha  pescato  la  notlzia 
che  Cino  am6  un*  ultra  donna  non  per  offesa,  ma  per 
tener  vivo  e  coprire  il  primo  amore,  essendo  giii  morta 
Selvaggii  ?  K*  pur  duopo  coDcludere  col  Bartoli  che  egli 
ba  erroneaTcnte  des  mto  la  notizii  dal  son  tio  «  cer« 


(1;  Vedi  a  qitetto  proposiio  i*o^ugcoU  di  U.  HotolU :  «  SeWf  ggU  Vf  f « 
|toIeki  ceo  »  . 


ISO .    . ^ 

cando  di  trovar  m'oera  in  oro  >,  dive  egM  con  altra 
inesaitezza  cita:  Ce  sando  d'  frovir^.  Ma  non  bisU: 
rArf.rooIi  coogetturd  male  il  soneit*,  qaando,  iadotto 
forse  da  yisib  le  amore  della  costanza  del  Pistoiese* 
dice  che  Cioo  ain&  uQ*altri  doona..^  essendo  gil  morta 
Madonna  Sekaggia..  Madonna  era  ancor  tiva  quando 
il  poeta  scrisse  qoei  ve'si:  a  convincersene  basta  leg- 
gore  il  distico: 

Cutal  p  aneto,  la^se,  mi  de4ina 
Che  doY*io  perdo  To'entier  dimoro, 

Verai  cle  trovano  il  lore  bea  ohiaro  commento  nei  ae- 
guen'i: 

lo  aon  8\vago  della  bella  lace 
De^li  occbi  taditor  che  m*lianno  aco'so, 
Ghe  \k  doTd  aon  vint^  e  aoo  derlso 
La  gran  vagh^'zza  pur  mi  rioondn.'e.  (^) 

Duoque  il  poeta  piange  perch6  non  pu6  veder  Sel  • 
vaggia,  e  pe'ch^  Un  mallgno  influsso  fa  si  che  eg!i  si 
senta  aempre  attrdtto  verio  chi  lo  deride,  1^  dov*ei 
perJe,  \k  dov'6  vinto. 

E  la  teconda  terzioa  chiaramente  rincalza  che  ra« 
mat^  e  a  viveite,  e  che  si  tratta  specialmente  di  essa: 

Ben  porta  il  mio  Signer,  anzi  ch*lo  mo'a 
Far  converttre  In  oro  dnro  monte, 
Chd  ba  faHo  di  marmo  nascer  fonte. 

tl  duro  monte,  appena  ocrorre  drlo,  6  la  durai  spie* 
taU  S  Ivaggia,  altrove  chiamata  alma  altera,  no^  g  it 
donna  ma  s:  glio^'Kojni  altra  di du?*esza  ovansa  eco. 

DiC3  TA.  che  Cino  s*iQvaghl  di  S.  Tanoo  1296  eche 
essa  €  Tanno  1307  morl,  come  nol  sonetto  73,  «  Qik  pas* 
aato  oggi  6  rundecim  anno  ». 

Sjrvoliam)   al   fatto    che  queslo  sonetto  non   dice 
panto,  quando  pur  fosse  auteoti.o.  che  S.  aia  nortftt 

(I)  Gin9.  Son,  oh«  «o«i&fla  c«il« 


I'^^'^^r -r  rtir^  irnr^"^  T'^"  ^^v-^-^--- 


G  bastiy  per  non  riprodnrref  tatto  il  sonetto,  citare  i 
vertfi:  <  e  qualla  doaoa»  nwi  ia  niia  neroica,  resti  coq 
sua  Qazioiii  frauda  e  manzogna  ».  Chi  |iu6  supporro  clie 
co!ei  di  o li  qii  si  parla  fosse  morta ? 

Notiamo  inveoe  che  TArfaruo!!  cita  a  memori^cita 
male  e  che  ba  uoa  dep'orevole  teodeoza  a  far  confii- 
sioDi,  e  domaadiarooei  sq  egU  ci  appreode  dee  date 
certe,  a  lui  note  per  qualche  foote,  o  se  ha  arzigogo* 
lato  al  SIM)  gtlito.  lo  Qoa  esitoa  dicbiararmi  perqucsia 
secoQda  opiQioae.  Egit  sapeva  dalle  Rime  ehe  S.  mori 
suso  b*a  gfi  aspri  i9u>Mt^  candoitavi  per  mutar  di  veu- 
turai  ^peva  dalla  storja  che  tippo  Ver/ioiesii  padre 
di  Selvaggi^,  si  era  ritirato  colla.  lamigiia  a  Piteooio 
nel  1307,  e  di  U,  uello  ate^^o  aDuo,  allaSatDbacu  dove 
rimase  ^ino  al  1311;  oe  argul  gius^tamente  che  alia 
Sambuca  S.  doveva  esser  murta  e  proprio  nel  1307 ;  ma 
leggpndo^  nop  so  come,  in  ub  sonetto  di  rJbellooe  al* 
raDiJco  afietlo  (Gift  trap^ssaio  oggi  6  ruodecim  aanoS 
mi  amorosQ  lamento  per  ia  morte  deli*  amanie*  coiit6 
Qodci  aaoi  a  riti^ose  di  quelle  ebe  egli  atfmaTa  airno 
delta  morte  di  Selragyia,  e  DO^bbe  il  1206  come 
data  d'  iaaamorami^Bto,  preadesdo  e<*me  ispiratori  del 
calcole  i  versi : 

Q\k  trapassaio  o^gi  &  runlecim  anno 
Gbe  d*amor  ael  teroee  campo  entrap 

Scuhatoji  fondamento  dell'attestaTione  deirAr£artioli» 
pDi)ssi  sOstlluire  UQ*attra  data?  In  modo  certOyOo;  at^i 
lo  abbiafi  o  g'&  Vaduto.  Tuttavia  e  per  rargomeati  sopra 
citato  che  Sj^lvai^tgla  doveva  esser  spoaa  al  f^uC'CCia  sibo 
dal  1200,  e  per  it  fatto  che  le  prime  rime  amorosei 
c»me  risutt6  dalla  d^scrlziooe  delPamore  fatto  Del  ca« 
pitolo  preceleate,  sodo  dirette  nou  a  MadoBoa,  uaa  ma« 
riiata,  ma  a  una  le/giadra  givinett?*,  adornadi  itDge* 
Ilea  Virtiit  che  appare  dulce  e  umile  agli  occbi  desiosi 

del  poetii  riQODfermeremo  il  parer  aostro  cbe  l'imQv% 

4 


^'' 


1 


m 


sia  n^to  prima  det  sorgere  delte  fazioni  in  Phtoia,  iti  * 
topoo  al  1290,  prima  chj  le  ire  dl  parto  tra  i  Ve^i^t- 
lesi  e  i  Stoiboldi  avessero  reso  Oina  (rdi^so  al^n  flera 
ghji-e'lina. 

Qaando  pot  la  Vergiole^i  aad6  sposa  al  ^ocaccia  de' 
Cancallieri^  bea  si  pud  comprenderj  qai*e  efflcacla 
dovMse  eseroUare  su  lei  Taiimo  feroc  i  de*  marito  e 
come  e3sa  dovette  odiare  Giflo  90I0  per  la  ragione  el.o 
i  .^Uotbuldi  eraoo  temicl  dello  «poso  e  delta  fVitniglia 
sua.  Qualca»a  degti  eecidii  computi  da  merabri  della 
fam^iglid  del  poeta  au  qaalehe  adereate  del  Yergtolesi 
e  del  Fooacoia  spiega  lo  sdegao  df  Belvasgta  ed  6 
forse  la  ragione  prima  delle  lagrime  del  poata. 

NoQ  r&Heremo  qui  sotto  silenzio  qtiaato  M.  A.  Salvi 

ci  rirerisce  airannc  1^00,  cfae  ael  mese  di  agosto  €  a- 

Teado  More  di  Tegrino  Sigibotdi  assalito   M.  iiiOraDDl 

di  Ugoccioiie  e  feritolo  coila  spada  aul  volto,  Di  eagione 

chd'  la  citti  si  tev6  a  rumore,  teaendo  allri    la  pane 

dei  fitgibeldi  €  all  i  queila  det  Vergiolesi  »  Quesio 
M^re  Sinibui4i  (noo  curiamoci  c  he  it  Salvi  /criva  S«gi- 

boldi  daoobi.  aoche  Cino  chiama  se  atesfo  postBf*us  forte 
illfus  Si^shuliit  oonsukiHs  viri  era  evgino  del  vostpo 
poeta*  come  fi.;lio  quartogeoito  di  Tegrico,  t)opateni7 
del  N....,  come  risulta  dal4*«lber>  geuealogico  della  fa 
miglia  Sinibuldi»  auteDtic^mente  irasKeaso  al  Prod 
Ciimpi  dal  dott.  G  osu6  Matleioi,  archivista  di  Pistoia* 
Ma  ritornando  a  Sotvaggia,  Qo  quando  rimase  sposa 
al  FocBCcia?  Certo  Fu  breve  la  vita  del  fuggenle  Can* 
cetiieri.  Hd  acceanato  come  fia  dal  1203  e  forse  prima 
al'R  fdsse  stata  inflitta  una  coodaona  per  1*  uccli^iou*) 
di  M.  Detto  di  SiDibjldoCancellierl :  ma  evidentemeota 
noa  fu  sentenzi  cipltale,  pe»*ch6  il  Focaccia  ci  6  mea«. 
Kiddato  ID  impresa  posterioi  e  o  posteriormeote  descritta 
dairAoonfmo:  <  Ld  Focaccia  ordio6  di  uqcidere  DpUo* 
ribo  di  M*  Rd  DeRossMI  quale  era  state. mqrta  d^  liiie 
dad  Zazzera  e  dal  ioro  compagai.  » 

;<*Xi8AssiQio  di  OeUorJQO  poitorlorindKnotffif/Ain 


.:it^ 

BMhlom&0\<  ohe  m  devd  assefUftre  sH  l^r  a^cenite^  a 

Montemttrto  e  Ai Taftittia  vile efferatezza  in  ooi  oi  appbre 

"  oDmeprimo  attore  quo!  Oaooetlieri :  egli  eon  uda  m  is  • 

•  cluda.  BOfpre^e  DeitorlDO  Che  bevera  <  ia  qqo -(Mlliert 

^  60R-oeHi  4>rjgafrik..«    egli   (Dettorinu)  si  drfeadei^  H)a 

loro  e  1)00  lo  poteaao  ouocere  perebd  epabeae^SFroitio, 

e  percoteaasi  insieme  di  graadi  oolpi:  allora  Tenn^ro 

altri  fanti  cbe  *1  Focaco'a  aveva  riKOsti. 

Quaodo  Dettoriuo  vide  cbe  iauti  faati  gM  veoivano 
adJosso.  ccmiAcid  a  fuggii^e.  ..*  pfild*^  io  terra;  allora 
ruccisoQoer  coma  rebboao  morto  si  pariroao  dal  ca* 
stello,  » 

Cosi  campiva  le  sue  prodezxe  il  Focaccia  quabdo  noa 
faggiva.  AUre  uccisioai  anterior!  al  1303  non  registra 
Taaon'mo;  solo  dice  che  <  cosi  stet^e  la  citU  di  Pistoiat 
e  *1  ccjbtado  piii  tempo^cbe  Tuoo  uccidea  l*al(ro. »T^a 
qaeite  vlltime  di  cui  Tauoafmo  ooa  credette  dl  dov^er 
meuyionare  ilDome,  c*d  aoche  il  Focaccia?  0  Rnt  egli 
di  morte  naturale?  Certo  dovette  morire  tra  gli  abni 
1296  300  e  di  questa  morte  forse  resta  traccia  ia  quel 
Ducleo  di  soneiti  ohe  allQdotiO'al  lutto  di  Selvag^ia^ 
scambiati  fra  Ciae  ed  ua  amico  da  Piatoia'  OJ  e  ch'3  do- 
vrebberj  qaindt  assegoarsi  al  per.oio  di  anii  1296-99. 
InfottiS.  ttell39d  fories^guHl  padre  a  Ba*ogn?i«  e^par* 
rebbe  io  cooseguenza  che  doiresse  gi^  esser  vedo^. 
Iq  vere  il  Gbirardacci  P)  ci  informa  per  iocideoza  che 
«  0' :rreod0  gli  aooi  d^la  ooHra  salute  milledueceoto 
o  nao^aooye  »  fa  eletto  pre'ore  di  Bologna  FH.ppo 
Vergiolesi  da  Pistoia.  Questa  nptizia  vieae  coofern^^a, 
beachi  seo'a  data,  dal  Fioravanti  ^V  il  qoalft  stiver 
4,  VeiM^  Pii'toia  illuatrata  dagli  infrascrilU*  soggeiti 
.  eba  Qoo  gloria  slogolare  ae*  ^uoi  (sic)  rispettivi  teoaapi 


(  »  V;  A  p.-  8d  dl  qiMito  8lii(lio. 

(li  HworiA.itfodQl^e  df|lft  oUU  di  J^itteU  C^p.  ZYI|  ^h>  ^^^ 


)M 


•lereltarooo  la  BologM  la  0%t\ti$L  di  podtitt,  olo4.  -  •• 
M.  Lapo  degli  Ugh^  H.  FtUfipo  Vcrjtoleu  ». 

Ora  te  noi  mettUmo  io  retaxioAft  qaeste  tMiimO'* 
Alanxe  oolla  sopposiiiODd  ehe  abbiamq  falto*  chti  8el  • 
raggia  fossa  noU  al  bologoese  OariModi*  sopposisiotta 
datuu  a  Doi,  \t%  TaUrOi  4  i  f«rai<  dj  Qiqo  »  ab«raf- 
do^io; 

M.t  fat  Pandatara  plana 
par  prander  la  aolomba  laiiia  fela 
paella  flNk  aal  Io  apfpito  d^«or« 
In  ma  diaoaade  da^  to  sao  pianola, 

da  oot  apparo  cba  i  dae  p  eti  ebbero  no  oomnna  af« 
fetto ;  potremo  trovare  a«aai  probabile  la  dimora  di 
IfoUaggia  a  Bilogoa.  E  la  oosa  prender^  maggiore  ap« 
parenza  di  veriU,  ae  consideriaoio  il  aooetto  <  Oentili 
donoe  e  doozetle  amoroso  ».  II  poota»yod^ndo  ua  gaio 
raaaembram^bto  di  donna  cbo  fa  gioiro  gli  anlmi  amanti. 
aento  spuntaro  Io  lagrimo  a  un  coconto  doaidorio  di 
vedor  quclla  chi  a  morle  Io  pose 

Lo  i\  aho  di  Bologna  ai  parUo 
B  glo  a  f ar  al  laoga  dimoraaB% 
la  loQO  oba  m*  ba  faito  apoaao  noia. 

Qoal*^,  so  non  la  patria  di  Oiao^  il  loco  oho,  cogli 
odi  partlgiani,  gli  ha  fatio  sposso  noia:  e  qual  mai 
doQoa,  so  noo  Selva^gia,  nella  eui  vista  A  tuUoildes'o 
del  poota,  cho  ptrde  vfia  per^tende  speranza^  poteta 
turb  re  la  pace  di  CIno  studeate  a  Bologna  per  esser^^i 
reeata  a  Pistoia? 

Ma  it  delore  o  il  lutto  di  Setira^'gra  possono  avere 
altre  cause,  qaali  la  oiorte  dl  Bertino  Vergioleai,  sno 
tio  (IS99)»  0  di  Braccino  di  Hesaer  Oherardo  Forte « 
bracci,  suo  congiuoto,  cd  altre  persone  che  la  toccas  • 
aero  da^vicioo  e  di  cui  la  storia  non  serba  traccia. 

Nolle  lotto  dl  parte  fei^venti  e  pngnaoissimi  erano 
{  Yergioloal :  capp  del  9ianchl  il  padre  l^ii^  o  Filip|io, 


mmtmmmmemm 


Iw 


e  uoofio  rw  vendetta  dl  parte  Bertlno.  suo  frateUo*; 
ferooiss  mo  il  Focaccla,  partigiano  ardente  Freduoclo» 
flgliodi  Lfppo  e  assass'no^  oolla  complicity  del  Fooaccia, 
dl  Messer  Detto  de*  Oano^llier]  r  Don  d  dubbio  che  ia 
■600  a  qoesta  famiglja  di  partitanti  sano^uiuariip  SeN 
▼aggfa  fosse  quella  sdegnosa,  flerii  spletata  doona  che 
ei  appare  dal  canzoulere. 

II  Focaccia  e  Freducjlo  scontarono  amaramente 
rassasslnio  di  Ser  Detto,  poichS  Ffedi  flglio  del  Pest  Dto 
nccise  Messer  Bertacca  padre  del  Focaccia  e  cavalier 
Oaafc^Dte,  ves'Uo  a  moio  di  frate.  Gid  avveDoe  tra  rot« 
tobra  1203  e  il  giugno  1395. 

Qui  of  basti  »egair3  il  rapido  svolgersi  degli  avve* 
nimeoti. 

Per  la  morte  di  Bertacca  CaDceIlier7»  il  padre  di  Fa« 
gacia«  ambe  le  parti  toroarono. 

I  fatti  di  saogue  direutano  piu  numerosi  e  iiicalzaDti. 

M.  Gherardo  Fortebracci  per  veodicare  la  morte  deilo 
xio  SQO  Bert  no  V*)rg:o1e9i  — *  tracidato  per  opera  di 
DettoriDO  de*  Rossi,  VaDoi  Fucci,  e  Zazzara  di  Sozzo- 
fante  —  voile  ofiendere  Ser  Fredi  di  M.  Sozzofante,  fra* 
tello  di  Zazzera  e  Bertiuo  Nico!ai  e  altri  che  si  eraoo 
awicioati  alle  case  sue. 

Dalle  paro'e  misero  mano  alle  spade.  Tutla  la  terra 
fn  to  arme.  Ser  Fredi  e  i  compagoi,  combatteii4o  con« 
tro  il  Forte  bracci  qaelli  di  sua  casa,  s*avvicind  alle  case 
del  Sinibuldi  ch*eraiio  essi  pare  del  Neri.  €  I  Sioibuldif 
come  quelli,  ch*erano  gaglardi  e  prodi  delle  loro  per* 
•oie  vennero  alia  battaglia.  M  Loste  Sinibuldi  franca- 
mente  percosse  addosso  a  M.  Oherardo»  e  a*  suoi^  e  eon 
ono  sptedo  molto  grande  percosse  net  fiauco  a  Braccino 
di  M.  Oherardo  si  grande  il  colpo,  che  U  fece  cadere 
in  terra,  e  per  morto  stette  in  terra  grande  pezzo... 

Braccino il  terzo  di  morlo..  .  Allora  si  cominc!6  la 

guerra  roplto  forte,  ed  aspra  tra  i  Sinibuldi  e  queUi  di 
H.  Oherardo  »« 


M  . . 

Qt4  ^  oj^porluno  oatetvar^  cba  (luesto.  Lost^.  o  Oqi- 
dalosta.  SiDjbuldl  era  pnreote  e  probabilmente  zi<»  di 
Cioo;  a  che  da  questo  momeDto  la  lotta  dej  Bianchi  • 
del  Kori  fa  oipo  ai  Fortebracc  coi  Yergiolasi  da  uoa 
parte,  ai  SiQibuldi  d  iraltra.. 

Vedendo  alcuoi  buoai  oittadini  che  K  citUi  tutU.si 
sarebbe  diitrutta  per  queste  gtragi»  si  mduo^rooo  «  6 
ii  fecioDO  chiamire  i  Posatu  ela  miggior  pa  te  di  lore 
peodeaoo  piu  alia  parte  B  anca  cbe  al  a  Nere^e  diedero 
la  siguoria  di  Pistoia  ai  Fioreatioi  »« 

I  Fioreotiai  e  i  Bianchi  s!  acccrdaoo  tra  di  )arq  di 
oacciare  i  Neri  dalla  ctt^:  affocano  le  case  del  &09^6, 
dope  aver  presa  leoa.  €  l*altro  di  andarono  aUe  case  de* 
Siuibuldi,  e  combatteroDO,  e  diedono  p'u  battagUe^  La 
oase  erano  forti»  che  uon  si  potieoo  viocere;  la  geote 
siava  lore  di.  e  ootte  d'intoroo,  pe^^chd  dod  lepotess^ro 
uscire  »  e  mise  fuoco  alle  c^se.  In  qoes'a  lot*a  a  morte 
di  una  fazione  contro  Taltra,  quelia  dei  Sioibuldi»,come 
poteva  CiDo  rimanere  anche  semplice  spettatore,  Icoi^no 
anz'essere  coinvollo  ceirodio  per  la  fiimiglii  sua  ub  r 
rita  dai  Bianchi  ? 

«  Li  S  n  buldi  vede  ido,  che  n  )n  si  potevaoo  difenderei 
tecioDO  traitara  con  M  Schiatti  Cauceireri  di  volersi 
arr/dndera  a  lui»  e  M.  Scbiaita  gli  ricevee^.equ^nto  pi& 
celatameate  pole*,  ^li  mise  fuori  delle  tortez?e  »•  Ma 
8.*  n'  accorsero  Gherardo  Forlebracci  e  gli  tltri  lore 
neinici»  i  quali  trasssro  [>er  fame  maceMo.Furono  difesi 
dal  C^Qcellieri,  ma  non  s  po'6  impedire  che  le  lore 
case  venisiero  rubate  ^d  ar>e. 

I  Sini buldi  ripararOQO  in  Damiata;  ^li  aUri  Neri  ri* 
m^sii  in  Pistoi]^,,furono  i  rocessati,  presi,  impxcati.  Que' 
sti  fatti  avvenoa  o  nel  1301.  Lo  stesso  anno  si  distrus- 
sere  le  case  e  le  forCezze  de*  Tedici,  d^i  Sinibu  di»  dei 
TeberteUi.  Lazzari  eRicciardii  tutii  Neri.  AbchQ.Damiata 
.fu  disrulta.  I  Sinb'ldi  dovettero  duD(j[ue  andar  4'  Ji 
raminghi/ 


4al 


«■ 


Dopo  rimpr03a  dl  Carlo  Senzaterrs,  par:Ucsi  isenza 
liver  mutata  la  coodizione  della  cose,  i  F*iorentini  e  i 
Lucchesi  coUegati  prendoao  Scrravalle  (l:J.2),  Larc  ano  , 
ambo  tenuti  da  Pist.  bianchi,  e  il  casteilo  del  Montale^  ^ 

I  Neri  dal  Montale  facevanb  guerra  a  Pistoia«  dura 
guerra.  I^  Pj^toiesi  rinchiusi  in  citU  €  eran  fatti  si  crii*  ^ 
dell,  che  quaoti  ne  venivao  lore  alle  mani  doi  lojq  u«  ^ 
scitl,  tutti  g(i  faceiDO  morire,  qu^le  impIccDvaop  e  quale  ,. 
facevuno  morire  d*a'ira  mala  morte.  E  staado  i^lcun 
tempo  )i  Pistoiesi  cavalcarono  in  moutagaa  a  uno  ca« 
casteliO».chali  Luccbes*  avevan  >  afTorzalo,  eguardavaojio 
alquabtr  Onetfl  Neri  tisciti  di  Pist 'ia,  e  subito..  taotolo. 
combatteroQO  che  per  f^r^a  l*ebbero,  e  quanti  ve  ne  tro*  * 
yarOno  deotro,  tauti  misono  alia  morte^  tra  i  quaJi   v 
furono  mOrti  Lapo  di  M.  Tegrimo  de*  Sinibulfll  e  Ser  r 
Fredi  di  M  Sozzofante  ». 

L^uccisione  di  Lapo  Sinibuldi  e  di  Ser  Fredi^  fu  .la 
vendetta  di  Gherardo  Fortebracci  per  la  morte  del   (ff 
gliuolo,  uccisogli  da  Loste  Siaibuldi!  Lapo  era  cngin.o  / 
drCioo  iVpoetaf 

Dal  1302  a^  1305  furono  anni  di  esllio  per  fa  faml* , 
glia  d6l  t  ostro  giure  consul  to. 

Finalmente  il  22  di  maggio  1305,  o  come  vuole  6* 
Villani,  il  20  di  maggio,  Roberto,  duca  di  Calabria,  capo 
dell'esercito  allea'o  dei  Fiorentini  edei  Lucche^,  asse« 
dia  Pistoia.  M.  Moroello  Malaspina  fu  fatto  capo  de' 
Lucbhesi.  L*assedia  fu  te  ribiU  :  €  La  vettovaglia  venia 
miltf^andd  detltro   iicchd  la  taioa  del  grano  valea  eetie  ' 
lire,  UQH  cas^agua  valea  ud  deoaio,  e  per  ^  ^rande  famei 
che  Y^0i*ii  dent'd,  diventaroao  si  ^pietati  tra  di  lorO,  che 
lo  pa4fe  cacciava  li  flgl  uli  e  re  flgliuole,  e  lo  Dgi  oi,6 
lo  [^xlj%,  e  It)  mMrito  la  moglie,  e  molti  vt  ebbouo  che 
voiliifd'iftoMnB  prima  di  fame,  che  morire  a  mano  d|. 
qu0*lf^ri>st0;'e  tantj  tenne,  che  ieglovani,  cheerano  J 
cacciate  fuori,  erau  vendute  come  li  schiavi. «.» 

Qli  orrori  deir«Mi5(t.o  sono  dd^grUtl  iD ^modo  *  Uf . 


iu 


ribile  da  Dioo  Comi^agni!  <  la  gran  piaU  era  di  quelU 
cbe  eran  guasH  net  c&mpo,  die  oi  pi6  moziA  li  ponieDO 
a  pi4  delle  mora,  acci^  che  i  1  ro  pidri,  fratelti  e  (!• 
g  iQO  i  li  yedcflsODO.^  Molo  migli  re  eoDdizIone  ebbono 
8  ddoma  •  Qomorra,  e  Taltre  ierre,  die  profondaroao 
ID  QD  puD'o  e  moriroDO  gli  uomini  die  non  ebbono  i 
ristolesi,  iDorendo  id  co^l  aspre  guise  i^>  Ed  M.  A  Salvi 
aodresso  narra  che  i  presi  tutti  si  iropiccavano,  <  per 
naggiore  scherno  si  faceva  tagliare  uo  piede  ed  ona 
maoo  e  cavargli  un  occhlo.  e  are  doone  le  tagltavaoo 
il  naso  » 

Finalmente  la  parte  Bianca  oeo  potendosi  pi&  reg« 
gere  in  Pistoia,  patteggid  di  sgombrare   perdi6  le  ri 
naoesse  il  castello  di  Piteccio  e  quello  delta  Sambuca 
a  di  11  aprile   1300  ovvero  a  di  10   come  TOgllono  il 
Yillani  e  il  Gompagni. 

II  ina'-chese  Moroello  Malaspina  <  vapor  di  val  di 
Magra  »  e  M.  Bino  da  Gubbio  entrati  in  Pis*oia,  rice* 
\ute  io  balia  citU  e  fortezze  €  messoDO  fuori  M.  Lippo 
Ver/io'esi,  e  tatti  li  suoi  consorti  e  piu  altri  popolari 
e  ^r  n4i  Biaachi  e  po<scia  rimisono  dentro  tutti  li  Ouelfi 
Neri  usciti  e  riformarono  la  citladiuaDza  n'i  d'  altri 
ufi]ciali  tutu  Gueifl  e  Neri  »• 


Ora  torniamo  a  Cino  dacchd  ci  appare  cbe  il  (amoso 
giureconsulto  in  quel  momen^o  fos^^e  giudice  delle  cause 
civili  in  Pistoia. 

Luigi  Ghiapp  *lli  a  p.  4S  del  suo  libro  assever» :  <  quasi 
cm  sicurezza  si  pu6  dire  che  Ciuo  era  chiuso  oella 
ciit4  durante  rassetilo.  puichA  trovaudolo  giudice  as- 
sai  ttropo  dopo  la  risa  6  suppooibile  che  la  sua  mag* 
stratura  risalisse  a  un  tempo  anteriore,  uoo  poteodesi 

(I)  P(no  CQmfo^ni  /  to  fL  li.  69rl^  IXt  ^«S|  4i 


>.' 


IM 


Crdddfd  ctid  gU  fosse  conceduta  dai  propri   nemici,  dai 
Neri  vittoriosi  >• 

<  L.  Ghiappelli  ha  ragione  quaudo  dice  che  non  A  a 
credere  che  t  Neri  trioafaati  c<>ncedes3ero  una  magi- 
atratura  aua  1  ro  avversario  politico,  io  un  momento 
dt  acerba  lotta  e  di  terribile  reazioae  com*  era  quelle. 

Gi6  con  trad  lirehbe  aoche  a  quinto  asserisce  1*Aqo* 
nimOy  nel  passo  citato,  che  la  citt^  fa  riformata  d*  uf* 
ficiatt  tut'i  Nert.  Ma  ilChiappelli  ba  torto  quando  crede 
che  GiQO  fossH  chiuso  in  Pistoia  duraute  1*  assedio  e 
prima  di  es«o« 

Pure  il  N.  era  certamente  in  P  stoia  nel  1307:  ap« 
pare  da  uo  passo  det  Com.  in  God.  quotieus.  Cod  1  10 
{^)  ed<  UQ  ricordo  dell*ArfaruoIi  (storia  di  Pistoia  M.  S.), 
H  quale  dice  che  Mes<^er  Gino  fu  presente  come  testi- 
moDio  alia  rogazi  ne  della  nomina  di  M.  Quelfo  Ta* 
Tianii  airufQcio  delle  generali  Oabelle.  (*^ 

Non  penseremo  aduuque  che  Id  magistratura  gli  sia 
stata  coucessa  dai  Neri  sioi  uemici,  ma  dai  Neri  allora 
suoi  com^'agni  di  parte,  almeno  per  adereoze.  Perch6  d 
assurdo  il  credere  che  Gioo  fos^e  chiuso  nella  citt& 
durante  l*assedio;  di  cl6  non  resta  ricO'-do:  ed  6  assat 
OTvio  il  creiere  c^^e  quei  flerssimi  Guelfi  neri  che  ft  • 
fonnarono  la  cittit  di  nnzfani  e  d*altrt  ufftciait  tutti 
Cueifi  e  N  rij  non  avrebbero  tralasciato  di  licenziare 
Messer  Cini>,  il  qual  ^  an^i,  se  Bianco,  avrebbe  dovuto 
esser^  accompaguat »  da  M.  Moroello  e  da  M.  Bino  da 
Oobbio  fluo  a  Piteccio  coi  Vergiolesi  e  con  gli  altri 
consorti   t^> 

La  verity  parmi  questa:  Cino  non  era  chiuso  in  Pi« 
stoia.  durante  Tassedio,  perch6   Ouelfo  e  NerOi  ma  era 

(1)  Vadi  ChUppalli,  p&g    4d  noU  2.  tl  palso  del  oonttd.  la  Cod.   ttoVail 
»  p^f  •  84  e  ieg.  dell'todhiotie  CiBnariaoa  di  Ptanooforte^ 
(S)  Ch  app«Ui«  op  olt.  pag.  00  aota  i 
(8)  M^  Piif.  pag,  60  •«  im. 


m 


forse  nell'esercito  degii  a9sediaDti,o  ftltroveinft  OT%im- 
partiu .  Re9JL9i  la  ciiiK  vi  6atr6,  coi  Ner4  e  4&  ^aesfi  ta 
elelto  giudice. 

Lo  $1^890  giadizf a  cbe  il  giunecoiu^todiede  in  PUtoia 
io  fav.oi^  dej  Adaiusiori  Neci  cooferma  lamia opioiine., 
Egi  pr){>0'tasi  iaquestiooe  <  si  debitor  impetraT  it  exce- 
ptipnam.coui  a  creditoratn,  air  urn.  tails  imr^etralio  seu 
copc(as3io  pr</flciat  f!da  iussoribua /ii^isf  »,  dice  cbe  essa^ . 
gU  accade.  (ii  (xWq,  quando,  es-pndo  stata  pi^s^i  la  cittii . 
io  seguito  al  lungo  assedio  del  QorentiDi  e  dei  laccbesu 
rieutrati  i  Ne^-i  in  Pistoia,  fecero  Uve  vino  statute  del 
CQiBU^e  €  ne  debitore^  de  parte  nigi-a  posseQt  cogi  ad 
soJve'dum*  usque   ad    qtiinquai^nii^m  debita  in  qnibos 
teqabantur  creditoribus.  de.  parte   alborum.  »    Allora 
sor^e  la  questioae  €  utrum    iPud    statutum   pcoflceret 
Rdeiussoribus  uigrorum.  »  Ciuo  tr»tta  laouestione  giii« 
ridic^meDte.  Euumera  alcuoe  maa^ime  pro  e  cootro, 
cita  laseptanza  di  alcuoi   giurecoDSuJti«  come   Jacopo 
d^  Raveno4,  Pietro  d*Accursio,  e  conclude  d«stiDgueD(lo 
i  casi  ia  cul  il  privilegio  sia  conoesso  con  o  seoza  de* 
licto  personam^.  E'  privilegio  sine  deli  to  personorum 
ad  es,  quelle  couces^o  dall'  Iipperatore   o  dal    Papa   a 
tutti  colore  che  p*  rtarono  la  croce  cootro.i  Saracini, 
di  noD,  poter  esser  couveouti  prima  di  cioque  anni.  E- 
sempio  di  priv  legio  cum  iiisU*  cti  ne   per^ont  rum   6 
la.questioDB  cbe,  accadde  Jn,Pistpia»  quia  potest  esse, 
quad ,  fidelus^or  erai  de  p'rte  nigi^n. 

La  coDclu^iooe  aoche  dope  la  distiuzione,  i  questa: 
€  Si  fideiqs3pf  es^t  de  parte.  Digra«  et  oblifl^atio  respi* 
c,t  ad  tempus.  fideiiiSsioDis,.ipe  potest  uti  colem  pri* 
vilegio  ex  sua  perooa  »• 

E  qiaQd*  a  he  il  fldeiussore  non  abbia  il  privilegio 
€00  sua  /CiSonaplo  coosaguirel^be .  deouociaDdo.  '}l  de- 
bitore  (reus  prioc  palis),  o  aaa  p.uUoato.  il.privjag^o 

d|  c^i  <|uaui  if  da  rala  aoobe  ouatro  il  fldaiatiorot 


)91 

Jt^eo  i  puDti  oootroversi,  dloe  Clao,  cbe  wono  dd  apt 
ctbus  iurii. 

N  B  toccheremo  la  vitale  qttestione  91  diritto,  din« 
nanzi  a  cui  pende  11  n  atro  giUrecobsiilto  sub  dubfo 
/brfe:  effettivamente  Oiuo  esto<e  il  privitegio  goduto 
dai  Neri  di  boh  poter  esaer  convenu  i  dai   loro  credi* 

'tori  p'lma  di  cinque  anai/ abche  ai  fldeiussori  neri. 
Qaesio  giiidizio  gU  meritai  dai  Chiappelli»  1^  appellativo 
di  imparziale. 

£cco :  la  quistione  d  trattata  di  fronte  ai  testi 
di  diritto,  e  la  aenteazala  favore  dei  fldeiussori  neri 
ma  6  c&Q  una  consegaenza  inevitabi'e  del  privil^j^io 
legale  in  favore  dei  Neri :  duoque  itoa  v*  ha  iubgo  a 
parzialit^.  Ma  Cino  itesso  era  iDdoclso*  peodt^a,  V  ab  * 
biami  yisto  dinnaazi  a  quegli  dptci  del  diritio,  e  ne(la 
incertezza  ad  un  privi'egio  ne  aggiuose  un  altro  per  i 
sdii  Neri. 

Aocbe  questo  6  dunque  on  argomeoto   per  ^rovare 

.  che  egli  apparteoeva  alia  faziooe  dei  Neri,  coi  quail 
egli  era  ritorDato  in  Pistoia  e  dai  quali  esso  era  9tato 
eletto  alia  carica  di  giudice . 


Ohe  Oino  foa^dei  Neri  ai  fttrji  piji  manifesto  col* 
Tesame  di  alcuae  rime. 

Net  SOD.:  €  Lo  Bdo  Amor  cortex  »  il  i^eta.  dope 
aver  detto  che'la  dontia  'sua  gli  i  avara  di Mstare  alia 
Ilb^tra  ^  'noa  gli  ^^mostra  alia  finestra,  coici« 'fanno 
le  ragazze*  cbe  vaghe^giano  V  aidaDte  ^  affinehi  «Kli 
nntt  si  ralltfgri  nel  ^^ederla,  anzi  pBfcbidglfsfdtsataiori 
pariei,  «'det  tutto  amor  per  let  disdica  »,  ilggiuiige; 

Ma  questa  prova.  Talta  m  ia  nemioa 
Pur  parder^  si  soao  in  essi  intt'gri 
.  r^^^ittM  ^pMMH,  a  nkalcif^ 


m 


Qui  il  Fanfaai  interpreta :  a  malgraio  «  della  pxrte 
Negra  che  la  co^triogeva  a  star  lontano  dtlia  patrla>. 

E  come  duoque  quel  driito  scxo  d*Amore  era  loa- 
tano  dalla  patna  se  i)  poeta  ha  pur  det:o  tello  stesso 
sonetto  che  la  sua  donoa  gli^  ca'a^  avara  iold*  start 
alia  fines'r^tt  Come  il  poeta  loutano   dt   Madoaua  a 
vrebbe  desiderao  di  poterljt  vedere   alia    finestra  e  si 
sarebbe  lameutato  che  Vfiti  sua  nem  caa  bello  studio 
gU  fosse  avara  di  merc6?  Notisi  di  grazia  Pespressioae 
Valia  sua  nemua  che  doq  qui  soltioto   il  poeta  ado 
pera  (V  e  poi  mi  si  risponda  se  noa  6  I'^gica,  e  aozi  la 
sola  possibile  que^ta  interpretazione :  lo   p^r  la  po 
tenza,  per  rintegritit  doq  mai  smeotita  deiramormio, 
C0DtiDuer6  ad  amare  1*  alta  mla  nemica,   SOivaggia*  a 
malgrado  dei  Neri,  alia  cni  fazit  ne  io  appartengo,  che 
mi  trovaoo  viie  diQuaDzi  a  donna  contraria  al  mio  par- 
tite. percb6  Amore  6  piii  forte  in  me   dei   sentimeato 
dl  parte  » 

Ci  resta  un  sonetto  da  cui  appare  che  i  rartigiani 
di  Cino  dubitassero  di  lui»  come  seper  Tamore  facesse 
qualche  strappo  alia  Tede  politica  11  poeta  si  difeude 
deb«ilmente  e  tosto  ric  de  sotto  Timpero  di  quelle  «  spi* 
rito  possente  e  pieu  d*ardtre  »  che  si  mossedagli  ocohi 
di  Selvaggia: 

<  0  Yoi  che  siete  Ter  me  si  giodei 
Che  Don  credete  al  m'o  dir  senza  pruora 
Guardat'i  se  presso  a  costei  mi  truova 
Quello  geutile  Amor  che  va  coa  lei  » 

Ho  lo  bisognd  di  ricordare  il  sonetto  di  Ooeslo  Bo 
lognese  gk  citato  <2>  «  Assai  son  certo  che  somenta  n 
lidi  »  dove  ser  Onesto  dice   di   Cino   che  dod  cooosce 
acqua  di  feie  net  mar  deliesoeallegrezzedamoreyeia- 


(I)  Altrove  :  €  Agti   oochi  deHft  forte  mia  nemica  »  Cans  I  Paafeni  ^ 
t  B  quella  ^oDtta.aBiiOA  m\§k  iiemi6a>  simu  ^{  dL  dabhU  aatonlioiU  ew 

ifj  pag-  40  dl  que«te  note* 


133 


scona  dePe  quali  va!e  <  p^Ji  che  amor  di  parte  »?  B 
gik  giustameu^e  at^biamo  osservato  interpretando  ch3 
Cino  amava  doona  che  dod  appaKeneva  al'a  saa  faziooe 
e  a  questa  donoH  sacv'ificava  I'amore  di  parte,  Vedremo 
anche  come  io  altro  s(m3ito  il  poeta  esclami,  nel 
fiero  dolore  della  lontanauza,  che  si  farebbe  spergiuro 
per  la  Vergiolesi.  ^ 

11  sonetto  di  cui  ci  occupiamo  non  pud  essere  state 
scrittu  che  in  i^istoia  e  pn>va  che  Cino  era  di  parte 
Nera.  Infatti  se  GiDO  e  S.  erano  eotrambi  di  parte  Btancai 
cosa  poteva  imponava  ai  Neri  che  Cino  amasse  con  in* 
tegra  fede  la  sdegnosa  Sebaggia,  e  come  poteva  il  poeta 
caiitare  che  i  suoi  pensierl  sono  de^oti  alia  bella  €  a 
malgrado  dei  Neri?»  Dirassi  che  Cino  era  lontano 
dalla  patria  oostrettovi  dai  Neri,  come  vuoleil  Fanfanif 
ma  allora  S.  pure  ne  era  lontana  e  abitava  con  lui  tra 
UDO  stesso  muro  e  una  stessa  fossa,  come  appare  dal 
verso  €  mi  6  avara  sol  di  stare  alia  fluestra  ».  Macosi 
essenio,  che  c^ntrerebbero  i  Negri?  —  G*entrano  in* 
voce  benissimo,  ammettendo,  come  io  ho  gi^  deltas  che 
Cino  fosse  dl  parte  Nera,  e  che  per  Tamore  di  Selvaggia 
dimenticas^e  la  faziooe  sua. 

E  che  Cino  aves^e  a  lamentarsi  dei  su  i  oompagni, 
che  anch*egii  si  disgustiisse  della  compagoia  malvagia 
e  scempia,  Io  dimosira  il  sonelto  €  Yoi  che  persomi* 
glianza  amate  I  caoi  »« 

Porse  11  poeta  aveva  cbiesto  a*  suoi  compagni  che 
allayeodetta  non  sacnflc^ssero  qua'che  persona  de*  Bian* 
chi  a  lui  cara :  6  noto  qual  legam^^  ai  Biaachi  I'unisse ; 
Tamore  ineffabile  per  Seivag^ia.  Quaut'amarezza  in  quest! 
versi ! 

•Vol  che  per  somiglianza  amate  i  cani, 
Tamo  che  altrui  non  ne  fxreste  an  donO| 
Cari  amiei  miei,  io  yi  perdono, 


.w  <(^Sai^LMM^iiiu4^  ft  ^  UiiVruUi^  Yal|^ ^-^* 


tS4 


mm 


*t0  nri  mm  ▼!  poM  trtr  dallanttLAi, 
•'•      •      •      •      •      •      •      • 

Sempra  m^  potsti  m\%  donna  star  aenra, 
(  he  m^girior  eaocamento  non  no  fkre) 
8e  ootal  fallo  n  n  mi  ya  ad  asura. 

Ma  noQ  bMsta:  altri  argomenti  si  possobo  addurre 
a  comprovare  la  suesposta  tesi.  E  anzi  tutto  un  s^onetto 
cbe  fu  in  vario  rood<»  oommentato  da  k.  Barioli»  daXJ* 
Nottol^,  dal  FdDfani  e  da  nltri. 

E*  ilaooetto:  c  Lasso  pensan^o  a  la  d^strutta  valle>, 
e  dobbiamo  saper  grado  a  U.  NoUoIa  cba  cq  ne  ha  dito 
la  lexiono  critioa. 

Laifto!  pensatido  a  la  distrnt^a  Talle, 

«^i3e  flate,  del  natio  mio  soole 

eotanto  me  'ncendo  e  me  ne  duole 

ohe  r  pianto  del  cor  mIo  agli  ooohi  aalle; 
•  rimembrando  de  le  nuove  talle 

ob*ivi  son  delie  piante  di  Verglole 

pib  meco  Talma  dimorar  non  vndle 

se  la  sparanza  del  tornar  mf  fklla^ 
B  tenza  crecfer  d'ar<^r  frat^o  maL 

Sol  di  y<*der  lo  0or  era  *1  dilei'to, 

cbe,  men^ro  c*altro  vtdi,  noo  pebmL 
0.  credere*  per  Icr  nel  Ntacomettot 
'  Daiique,  parte  crad^l,  pereb^  mi  fki 

pena  sentir  del  mal  ob*io  non  commetiot 

II  codice  Casanateose  e  il  oodice  Bo^ogn.  UoW.  n89 
hattno,  in  frodte  h  questo  sooetio.  la  paro'a:^  ESBeodo 
a  prate  ribe^'e  di  Pisrtja.  >  li  Bartoli  aa  inferiaoa ofce 
:  4  la  parola  dell*  eaule  che  si  vo^ge  alia  cal*a  pntria, 
4  11  desiderio  del  pnyero  a  pereeguitato  ribelle  ohe  a* 
nela  di  tnvarsi  di  nuovo  in  mezzo  ai  suoi  conciUadiui 
f^deli  alia  parte  Bianca  » 

II  Bart«>li  ba  perfottamente  ra^one  qaando  dice  cha 
A  la  parola  deiresule  perseguitaio  cba^neia  il  ritorno 
irio  mi  vai*rd  di  qiento  ^ooetto  per  9osten«»re* P-aaHio 
(orsato;  ma  a  TTiitr(]in^h  fttiir'iryfimtiBtiUNiino  jlh^jrica 


13Sf 


il  dire  che  Qino  des  dera  di  trovarsi  dirOaovalnmawx  ^ 
ai  suoi  coDcittadini  d'  parte  bian^a. 

I  soaetto  noQ  6  politico :  I'amore  d  la  Dota  fonda- 
m  an  tale  che  in  es9(»  r  <«uoDa. 

^Prlmu.di  provarlo,  ossorvo  cocne  su  questo  sonetto  pe- 
sano  Tarje  qaestjoai,  date  da  discrepanza  di  lezione 
spec'almeiite  tra  la  volgata  e  i  van  codicietra  i  codicu 
stessL 

Spryolo  al  na^io  swle,  o  Sole,  o  solle  del  secopdo 
topj^o.  II  Facifani  ha  Sofe,  sJle  ba  il  Trivulzlano,  e  li 
Nqitola  di  sui  il  codice  Ca.  e  Bl  pubblica  suole,  per 
suolo^  e  .qupsta  par  la  le/.ione  buona. 

II  Y.  4,  qu^le  6  Del  Piili  e  nel  Fanfani,  suooa: 

Che  '1  pianto  al  cora  *a  sin  dagli  occhi  YsUe. 

Ma  i  I  Bar  toll  ha  ra^rione  da  vendere  qnando  .dice 
che^qui  a*id  fatto  sparine  il  senso  comuoe^perch^.^I  do-  . 
lore  cenuocii  dal  cuor-*  e  Doa  dagli  occhi  eleiagrime  . 
8oao  VLB,  effejtto  del  dolore. 

Se  il  80030  comuoe   non  bastasse,  diremmo  che  i 
co4ici<han(io  la  lezlooe  che  ooi  stimiamo  buoQa,vecbe. 
il  concetto  del  poeta  si.vede  confroutaAdo  coi  versi  del 
sonetto  €  Apparsemi  Amor  subitamente  >: 

A  la  qual  vidi  la  facc'a  bagnata 
D*Acquft  cbe  *1  core  agli  oochi  conduce. 

e  .ooll*e9prej8ione  del  souetto  <  Seoza  tormen4o  di  setpir 
Don  Yissi  >: 

le  lagrimi  eke  piavon  da  to  oore^ 
e  OjI  idDetto  €  SuYra  ogni  altra  Yaghoz/a  tago  sono,> 

•       •       dr|  piaato  cbe  m*  abbonda 

Tomando.  per  le  fauci,  me  n*  abevero 

Nel  toco  ch*ard0|  come  d*  amar  'onda. 
Hvn  temmdo  cooto  delie  lieYi  variauti  della  secoada 
quartina  e  della  prim^t   terzmai  che    non  cambiano  il 
senso,  noto  cbe  il  prime   ver^o  della   secouda  terziaa 
Ittooa  Delia  volgata  t 

9  M^^rodiC  aea  vegUe.  1ft  J4AMuia(W( 


13d 


mentre  i  codici  hanno 

0,  crederei  per  lor  nel  Macometto! 

lo  per  quaDto  la  volgata  ben  si  accord!  colla  spid- 
gazi<»nd  che  dar6  del  s^netto,  roi  atterrd  ali*aatorit& 
con9eD2ieDte  dei  codici.  L^  difTerenza  stu  in  ci&  chd 
colla  lezione  dei  codici,  il  carattere  di  Cino  ne  esce  nn 
po*  malconcio. 

Ora,  ritornando  al  senso,  appare  dal  sonetto  che : 
1  II  poeU  6  lontano  daila  patria,  da  Pistoia,  il  soo 
nnfio  suole,  e  il  cuore  suo  stilia  lai^rime  di  doiore:  2. 
Selvaggia  Ve  gio*esi  o,  se  cosi  si  vuole,  f  Vergiolesi.  ?e 
tall%  di  Ve  g  ofe  in^«mma,  snno  in  Pis<oia  e  il  poeU 
spirerebbe  I'ao  ma  seg  1  fallisse  lasperaoza  del  ritoroo, 
3-  l*iunamorito  poet»,  o  1  civite  p  eta,  oon  aveva  mai 
sperato,  anche  presente  in  Pistoia,  di  raccoglie'*e  on 
fiUtto  qualsiasi  de*  suoi  sentimen  i,  o  (ivili  o  amorosi, 
solo  aspirava  a  vedere  il  fl  >re  (Selvaj^gia.  o  le  talle  di 
Yerg  ole,  o  la  patria  o  la  parte  bianca);  4.  II  cradet 
partito  dom  naiite  in  Pistoia,  gli  fa  sentire  lena  del 
male  che  egli,  11  poeta^  non  commette,  to  tien  laogi 
dalla  patria,  quani*egli  crederebbe  in  Macometto,  mote- 
rebbe  fede,  si  farebbe  spergiuro  per  le  talle  di  Ver- 
gioSe. 

Ma  il  sonett  \  pur  contenendo  1*  espressione  di  an 
ineRabi  e  desilerio  della  patria  lootaDa,  ^t  come  dissii 
fondamentalmente  amoroso. 

Adolfo  Birtoli  dice  che  le  nuove  talle  delle  piante 
di  Vergiole  sono  i  ouovi  adereati  della  parte  capita- 
nata  dai  Verg*olesi:  dunque  il  poeta  m<)rrebbe  se  non 
avesse  speranza  di  ritrovarsi  in  mez  o  ad  essi  e  ai 
Bianchi. 

U.  Notlola  che  lo  contraddice,  interp  eta  afrermaQ<1o 
che  re<*pressiune  le  lUO'Oe  iailii  (i)  6  una  comunissima 


(V  C/)r.  U  btlU^T*fUA  dflU  b»lUtat  /«  piiarcM  p<r  U  p^4H% 


!S7 


sineddoche  per  €  giovane  rampollo  »  della  famiglia 
Vergiolesi.  Sgdz'  altri  argomenti,  non  si  saprebbe  a  quale 
dei  due  dar  ragione. 

Procediamo  dunque  all'esame  della  prima  terziua  : 

E  senza  creder  d'aver  fri;tto  mai, 
Sol  di  veder  lo  flor  era  '1  diletto  ecc. 

Secoodo  1 1  Bartoli,  il  poeta  non  crede  gi^  di  avere 
il  fratto,  cio6  vedere  la  vittoria  della  parle  Bianca , 
ma  gli  basta  vedere  'I  fiorey  cio6  vedere  le  speranze  di 
questa  vitloria. 

U.  Nottola  pensa  che  quell*  essere  lieto  e  soddi  • 
sfatto  al  vedere  le  speranze  della  vittoria  deiBiancbi, 
SHDza  credere  di  poter  mai  averne  ii  frutto,  senza  cre- 
dere, insomma,  che  i  Bianchi  potessero  mai  trioofare, 
non  debba  proprio  essere  il  pensiero  di  Cino,  e  trova 
invece  fondatissima  la  congettura  del  Ciampi  il  quale 
dice :  €  In  questa  terzina  pare  ci  volesse  il  poeta  assi- 
curare  della  purity  e  della  onest^  delTamor  suo  per 
Tamica  sua  Selvaggia.  »  E  cosi  il  Nottola  fa  punto  in  • 
torno  alia  prima  terzina. 

E  credo  anch*io  che  il  Ciampi  abbia  ragione.  Via» 
quale  stiracchiatura  6  questa  di  starsene  contento  a 
vedere  le  speranz )  della  vittoria,  pur  persuasi  di  non 
vedere  mai  la  vittoria  stessa? 

Beato  sognare  ad  occhi  aperti !  beata  cosciente  il- 
lusione!  E  dove  mai  il  poeta  ha  espresso  questo  con- 
cetto ? 

Se  invece  il  fiore  6  Selvaggia,  che  il  pceta  non  av- 
veva  mai  sperato  di  possedere,  quante  volte  non  ri  • 
corre !  Ci  basti  citare  qualcho  passo : 

Deh  travagliar  mi  potess'io  per  arte, 
E  gir  a  lei  per  contar  ci6  ch'io  sento^ 
0  per  veder  la,  ch'altro  non  vorrei.  n) 


(i)  Cino    canz.  S'io  sinagato  Bono  et  infralito 

21 


188 


E  pit  glix: 

QoAOd'io  pento  a  muk  vita  laggiera 
Cbe  per  veder  Madonna  fi  mantiene. 

E  sempre  nella  stetsa  cansone : 

Voletse  Dio  ob'aTanti  ch*io  morlMi 
La  vedaai'io,  cbe  eoiuolato  gisii. 

Fateticissitno   questn  paosiero   nella  canzooe  «  Si 
mi  dittringe  Amore  >.  II  cuore  non  si  pub  railegrare, 

Se  la  votira  flgnra 

Non  vegffio.  Donna,  'n  eui  i  *l  viver  mio , 

CoM  m'aiuti  Dio 

Che  gid  per  altro  a  vol  non  pongo  curg, 

Sempre  oon  fede  pura 

SoUievo  gli  oocbi  mlei,  eoc 

Se  non  basia^  si  consider!  la  ballata; 

Madonna  la  pietate 

Cbe  v'addimandan  tutti  i  mtei  totpiri 
B*  tol  obe  Ti  degnate  ob*io  yi  miri; 

e  la  canzone  cQuandMo  pur  veggio  che  sen  vola*l  sole  »  . 

Col  giorno  obe  risqaole  lo  mio  core, 
Mi  muoYo  e  ceroo  di  trovai*  pietanza 
Tanto  obed  io  riceva 
Dagli  occbi  il  don,  cbe  fa  contento  Amore. 


Dunqae  chUo  mi  conforti 

Sol  con  la  vieta,  e  prendane  allegrezza 

Sovente  in  questo  siato, 

Non  mi  pai*  esser  con  ragione  biasmato. 

Ancora: 

.    •    .    a  me  saria  si  gran  don  dl  salute 

I'aliegra  oiera  vedermi  a  tuU'ore 

cbe  non  la  mert^rei  ancor  per  morie  i^) 


(1)  CtnOf  Soa.  Pieii  e  raerce  mi  raocomandi  a  vui 


«  . 


189 


E  al trove : 

•    •    .    altro  z\k  lo  mio  core  noa*  d^sia 
86  noa  che  veggia  lei  qualche  fiate.  (i) 

Veder  Tamata!  Era  runico  coaforto  che  Gino  si  ri- 
coQOsceva  possibi'e  e  che  nessuDO  poteva  togliergli.  £* 
per  lui  UQ  dettame,  uaa  massima: 

Ghi  glf  occhi,  quando  amanza  deDtro  e  chiusa, 
Rigaardando  non  usa, 

Fa  eome  quel  che  dentro  arde  e  la  porta 

Cootro  al  soccorso  chiude. 

Deresi  asar  degU  oechi  la  vertude.  (^) 

Le  citazioni  potrebbero  coatinaare  numerose  e  cal- 
zanti,  ma  me  le  serbo  per  amore  di  brevity;  ricorderO 
solo,  e  per  ultimo,  la  bellissima  ballata  «Ioguardoper 
li  prati  ogni  fior  biaoco  »  doveVesule  coq  iutoDSO  scon* 
solato  desiderio  rimembra  la  diietta  Selvaggia.  Aiiche 
qui  il  Bartoli  (pag.  130  op.  clt.)  dir^  che  io  strazio  che 
vi  si  rivela  non  i  solo  deiruomo  innamorato,  ma  del 
cittadino,  aozi  del  cittadino  sopratutto,  e  il  Fanfani 
commenter^  che  la  ballata  (6  11  madrigale  IV  della  sua 
ediziODO)  6  come  una  glacubtoria  alia  parte  Bianca, 
coo  iDoesto  di  parole  di  afTetto  alia  sua  donna^  la  cui 
famiglia  apparleneva  a  quella  parte.  Se  non  mi  fa  velo 
uu  precoDcetto,  noo  giudicano  dirittamente  ud  il  Bar- 
toli, d6  il  Faofani,  e  a  prova  riproduco  la  ballata: 

Io  guardo  per  li  prati  ogni  flor  bianco 
per  rimeinbranza  dl  quel  che  mi  face 
Si  vago  di  sospir  che  io  ne  ohieggo  anco. 
E  mi  rimembra  della  bianca  parte, 
che  fa  col  verde  bruQ  la  bella  taglia, 
la  qual  vestlo  Amore 


(1)  Cino   SOD*  Qentil  donue  valenti  or  m^aitate  •>  Vcdi  altresi  il  tonttto 
«  AweBga  che  orudel  lanoia  iotraversi  »,  e  c  Guardate  axnanti  »,  e    an 
cora  c  GeDtil  Donne  »  eco. 

(2)  Cino»  c%M,  €  Qaand'io  pur  yaggio  »« 


uo 


Del  tempo  che,  guardando  Yener  Marte^ 
con  quella  s:ia  saetta  che  p1i!i  taglia 
mi  di6  per  mezzo  il  core  : 
e  quando  Taora  muove  il  bianco  /lore, 
rimembro  de'  begli  ooohi  il  dolce  bianco 
per  oai  lo  mio  desir  mai  non  fia  stanco. 

Considerando  i  prim!  tre  versf,  nessuno  si  maravi- 
glier&  che  il  poeta  paragoni  la  bella  a  un  bianco  fiore, 
concetto  comunissimo  :  ogoi  bianco  6ore  del  prato  gli 
rammenta  il  bianco  fi*  re  che  lo  fa  vago  di  sospiri.  Ma 
come  potrebbesi  col  Fanfani  convenire  che  il  Aore  sia 
la  parte  dei  bianchi?  BelTamore  di  parte  che  si  bea 
nei  sospiri.  si  che  il  poeta  n^  chiede  anco.  £'  ben  na- 
turale  invece  che  il  poeta  delFamore  e  del  doloreprovi 
la  ineffabile  volutt^  dei  sospiri.  Del  resto  la  ballata  at- 
tioge  la  prima  ispirazione  e  il  primo  motivo  dai  bianchi 
fieri  cho  ricordano  al  poeta  Tamata,  6  bene  notarlo, 
non  la  fazione.  La  fazioQ"",  In,  par 'e  viene  solo  inciden 
talmente,  come  I'  un  pensier  dalV  allro  scoppia,  nel 
quarto  verso:  viene  e  scompare.  II  bianco  fiore  ram- 
menta Selvaggia,  (lor  d*amore;  e  per  c  )ncatenazione 
d'idee  la  bionea  parte  a  cui  Selvaggii  appartiene  ;  ma 
la  leggiadra  amata,  il  biaoco  Acre,  la  bella  taglia,  il 
fragrante*  germoglio,  ^  il  ponsiero  dominante  e  ri 
prende  aucora  11  suo  posto  nel  verso  quinto  e  rapisce 
la  mente  del  ^oeta  estasiato  per  tulto  il  resto  della 
ballata,  compresa  la  dolcissima  chiusa: 

e  quaado  I'aura  muove  ii  bianco  flore, 
rimembro  de'  begli  ocobi  il  dolce  bianco 
per  oui  lo  mio  desir  mai  non  fia  stanco. 

Oon  ci6  parmi  abbastanza  spiegato  cosa  debba  jn« 
tenders!  per  i)  fiore,  per  il  diletto  deiramante  poeta 
(c  sol  di  veder  il  fior  era  il  diletto  »  del  sonetto: 
c  LasHO  pensando  ecc. ).  II  frutto  che  non  aveva 
mai  sperato,  potrebbe  anche  esser  quelle  desiderate 
con  impeto  di  sensu^ie  passiQuei  del  sonetto  <  Secon- 


141 

ceduto  mi  fosse  da  Giove  »,  del  quale  ho  gi^  parlato 
nel  capitolo  antecedente. 

CoQ  alcune  considerazioui  suD'  ultima  terzina  avrd 
floito  ii  lUDgo  esame  del  sonetto  di  cui  ci  occupiamo: 

0,  credere*  per  lor  nel  Macomettol 
Duaque,  parte  crudel,  percb^  mi  fai 
Pena  sentir  del  mal  ch'io  non  commetto? 

•  Interpreto :  €  Crederei  nel  Macometto,  mi  farei  turco, 
si)ergiuro  per  loro,  cio6  per  i  Vergiolesi  o—  se  6  una 
sineddoche  ^  per  Selvaggia  Yergiolesi  >:  in  ci6  non  cape 
dubbio.  €  Duuque,  se  io  li  amo,  o  Tamo  tanto  da  farmi 
spergiuro,  perch6,  o  parie  crudel....^  Qual  parte  ?  Dei 
Biaochi  o  dei  Neri?  Di  chn  si  lamenta  ilpoeta  ?  Di  non 
poter  vedere,  esule  infelice,  la  cara  Pistoia,  le  nuove 
talle  di  Vergiole,  meglio  il  fiore  di  Vergio'e^  Selvaggia 
(e  chi  Don  sa  che  nel  nostra  affetto  per  una  doona 
coraprendiamo  talora  anche  quelli  che  la  circondano?) 
Chi  gli  impediva  di  vederla?  Chi  lo  t^neva  lontauo? 
Ecco:  la  crulel  parte.  Ma  quale,  ripeto?  Queila  dei 
Neri  /  Come  se  essi  era  no  in  bando  da  Pistoia?  perch6 
c'erano  i  Bianchi  e  con  essi  i  Vergiolesi  cbe  dei  Bianchi 
erifio  capi  ?  Nu'la  avrebbe  impedito  al  poeta  di  ricon- 
giungersi  a  Selvaggia. 

Bisogoer^  dunque  necessariamenie  concludere  che 
la  crudel  parte  che  lo  teneva  lontano,  era  queila  dei 
Bianchi,  imperanti  in  Pistoia  e  che  Clno  ne  fosse  esule 
perch6  Nero  o  almeno  appartenente  per  aderenze  al 
partit)  dei  Neri. 

Confesso  di  non  veder  diversa  interpretazione  che 
r  accennata,  ed  essa  continuorebbe  cosi:  €  perch4,  o 
Bianchi,  partigiani  crudeli,  mi  obbligate  alia  vita  ra- 
minga  dell'esule  infetice,  privo  della  vista  dei  pii^  be 
grocchi  cbe  lucesser  mai,  quand*io  rinuegherel  per  Sel- 
vaggia la  mia  fede,  anche  la  mia  fade  (^)  di  parti tante. 


^i)  Richiamo  alia  raemoria   del    lettpre   il    veri 
e  il  bolognese  dic^  delle  gioie  d'Amore  di  Cino 
amor   di  parto  »  e  il  9oae^o   di    Ciuo^   pur 


verso  di  OQesto,  gli  citato, 
dove  il  bolognese  dic^  delle  gioie  d*Am3re  di  Cino  che  ciascuna  val  «  piA 
che  amor  di  parte  »  e  il  9oaet^  di  Ciuo^  pur  oitAto :  «  l^o  ^o  A.iqor 
oortfif  » 


)42 


quaado  io  contro  i  Bianchi  qoq  commetto  nessun 
male?  £*  un  punirmi  del  male  ch*  io  noo  commetto.  > 
Cosi  potrassi  dire  ancora  che  il  sooetto  sia  fondameD* 
tnlmeDte  politico  e  che  Cino  desiderasse  di  duovo  di 
trovarsi  io  me/zo  ai  saoi  concittaditil  di  parte  Biaoca? 
II  8  spiro  uogoscioso  del  poeta  noo  6  che  Selvaggia 
e  la  terra  nHtia  che  la  ospita. 


Nelia  caozoDe  €  La  dolce  vista  e  *1  bel  guardo  soave  » 
il  poeta  dice  che  si  trova  diviso  dal  bel  viso  e  d'  ogni 
state  allegro  €  Pel  gran  contrario  ch'6  tra  *1  bianco 
e  '1  negro  >. 

Se  Hgli  fosse  state  di  parte  bianca  come  mat  sarebbe 
state  diviso  da  Selvaggia  c  pel  gran  contrario  ch'6  tra 
*1  bianco  e  '1  negro  » ?  Dirassi  che  Cino  esul6  volon- 
tariamente!  Qaesta  ipotesi  fu  ben  sosteouta,  ma  io  la 
dimostrer&  erronea;  Tesilio  di  Cino  fu  forza^o,  egli  fu 
bandito  dai  Bianchi. 

Raccogliendo  dauque  gii  ^parsi  a*'gomenti  che  io  son 
veouto  man  mano  esponendo  in  quests  pagine,  parmi 
che  essi  provino  assai  bene  la  tesi  da  me  sostenuta: 
che  Cino  fosse,  ne'  suoi  anni  giovanili,  di  parte  nera. 

Essi  sono  diretti  e  indiretti.  Provano  indireitamente 
che  Cino  fosse  di  parte  nera  le  rime  che  bo  citato  a 
pag.  7  ed  8  di  queste  carte,  a  cui  rimando  il  lettore; 
tutta  Tanalisi  dellaSetto  delirante  per  la  Donna  feta 
che  trovasi  nel  capitolo  3.  delle  note  mie,  e  le  testimo 
nianze  storiche  che  ci  comprovaao  come  tutti  i  Sini- 
buldi  di  cui  ci  fu  laaciata  memoria,  furono  di  parte  Nera 

Piu  direttamente  affermano  Ta^s  rto  mio,  il  fatto  della 
presenza  di  Cino  in  Pistoia  nel  1307,  nella  quality  di 
giudice  d^^l  e  oaase  civtii,  imperanti  i  Nen;  la  aentei'^a 


143 


da  lui  data  in  favore  dei  fldeius^ri  neri,  che  ad  altri 
parve  una  prova  della  sua  imparzialit^ ;  il  sonetto  €  Lo 
fino  Amor  c  >rtese  >  specie  nell*  ultima  terziDa;  il  so 
netto  di  Ooesto  Bologoese:  €  Assai  son  certo  che  so- 
meuta  in  iidi  »  (pag.  16),  il  sonetto  «  Lasso  pensando 
a  la  distrutta  valle  »;  e»  subordioatameute  alia  dimo- 
strazioDB  che  Cine  esulasse  forzatamente,  la  canzone 
€  La  doles  vista  ».  Altri  di  me  piii  diligente  e  piJi  a- 
cuto  potr^  forse  produrre  argomenti  che  a  me  sono 
sfuggiti  0  forse  dimostrare  che  io  ho  veduto  male  ed 
argomentato  a  rovesciol  Certo  d  che,  chiarito  come  era 
il  suo  nome  di  Sinibuldi  che  g  i  portava  la  maiedizione 
e  I'odio  di  Selvaggia,  si  potr&  meglio  rom.  rendere  come 
il  poeta  si  lagni  di  esser  nato 

in  forte  srentura 

E  '/I  un  punto  rio, 

Cosi  si  potranno  meglio  comprendere  eerie  sue  dottrine 
per  cui  egli  asseriva  desolatamente  ebe  una  c^sa  d  A- 
more  e  la  Ven'urj^  che  soverchiano  la  natura  stfsssa  0) 
e  la  persuasione  del  poeta  della  sinistra  influenza  del 
nome  suo  (*>'  rOuittoaeino ,  Guitto  vale  povero  — 
Panfani  —  )  e  T^ngoscios)  dubbio  che,  come  il  suo  nome 
che  le  moveva  sdegno,  a  Selvaggia  spiaeosse  tutta  la 
persona  sua  (3>',  e  che  Selvaggia  faresse  mirarlo  come 
nemico  e  tenesse  in  disnore  Tamore  del  poeta;  cos! 
si  potranno  spiegare  le  parole  del  posia  che  sola  una  ria 
sorie  d  causa  delie  crudeli  ripulse. 

Ma  qui  mi  si  potr^  fare  uu'obbiezione;  Tunica  in 
vero,  ma  grave:  Cino,  d  incontestato,  alm'^no  per  un 
lasso  di  qualche  ani)0,  dal  1310  in  poi,  fu  Qhibeliino  e 
seguace    di  Arrigo  VII  ,   V  infelice    imperatore  truci 

(1>  Cino  :  «  Parchd  nel  tempo  rio. 
(^)  Cino :  c  Uomo  lo  cui  noma. 

(8;  Cino :  Cans.  Io  non  posto  alaro  il  mio  dolore ;   €  ♦  Lo  gran  dUtt  ek# 
mi  ttringe  ootanto. 


144 


dato  Del  1313  a  Bonconvento  e  del  quale  il  poeta  plans* 
in  belle  canzoni  la  singular  morie  doiorosa.  Beu  i 
vero  che  Cioo  Appare  gaelfo  Id  altri  momeoti  deUa  vita; 
per  esempio  quaodo  <  secondo  ogoi  probability,  in  oc« 
casione  del  la  pace  tra  i  Pistoiesi  e  i  Fiorentini  del  1329, 
giur6  obbfdieaza  al  papa  QiovauDi  XXII  e  ribelliooeal 
dnpnatun  Logd'vicum  Bavariie,  >  Infatti  ia  in  do- 
cumento  24  Magg  o  1320,  dal  Ohiappelli  illustrato,  ap- 
pare tra  c(»Ioro  che  KiurarOQO  ribellione  al  Bavaro  uq 
srCtnydt  SinWuldis,  Verc  6  che  il  Fraochi  aveyaso- 
stenuto  trattarsi  di  un  Cioo  di  TegrJDO  d*  m.  (iuittOD- 
cIdo  Sinibuldi;  ma  il  Chiappelli  ha  dichiarato  di  Don 
aver  mai  trova'o  que3to  nome  ia  nessun  documento. 

Ora  11  dotior  Peleo  Bacci,  in  occasioi^e  di  Dozze,  ba 
pubblicato.  con  ud  documento.  alcune  note  intorno  a 
messer  Cino  e,  coatro  I'airermazio  e  'iel  Chiappelli,  as- 
severa  di  aver  <  riuvenuto  moltissiml  documenti  cbe 
attestano,  contemporaneamente  al  Cno  giurista,  essere 
esistito  un  sue  cugino,  Ser  Cioo  di  m.  Tegrimo  ».  II  B. 
crede  rosi  di  «  salvare  in  parte  il  Si'jibuMi  dalla  tac- 
cia  di  antimperialista,  sia  pure  per  un^unica  volta  »• 

Ma  quaDd'anche  sia  provata  TesisletiZa  di  un  altro 
Cino,  come  si  proverb  che  questo  e  non  ii  N.  prestasse 
giuraroento  contro  il  dannato  Bavaro? 

Nod  dimoDtichiamo  d'altroude  che  appunto  intorno 
al  1330  ii  N.  dovette  stringere  reiaz  oue  colla  corte 
Angioina.  Infatti  in  quest*anuo,  Roberto  di  Napoli  rap- 
presentante  dei  diritti  del  papa,  'o  chiam6  a  insegnare 
nello  studio  napoliiano,  c  ad  legendum  Neapolim  in., 
acientia  ieg^lt  >.  A  quento  proposito  il  chiarissimo  Q. 
De  Blasiis  ha  pubblicat »  neli'  Archivio  sti  rico  per  le 
provUicle  nnpoletane  (anno  XI,  n.  1),  una  patente  del 
16  luglio  133 ).  con  la  quale  re  Roburto,  in  nome  dei 
cittadini  napoletani,  invit6  il  Sinibuldi  a  insegnare  nel 
pubblico  studio. 


>■  I       I  ■■  I  I      I  I  1 

E*  be.Io  imagioarci  i  nostri  grand!  nella  puresza  i« 
deale  di  un  carattere  adamantino  ed  6'caro  alio  stu- 
dioso  del  poeta  di  Selvaggia  vagheggiare  ia  lui  la  fibra 
del  forte  a  non  routar  aspetto,  non  mover  collo»  non 
piegar  costa.  Ma  troppi  fatti  a  ci6  contraddicono,  come 
parmi  Qon  sia  luogo  a  dubbio  dopo  quanto  venni  di« 
ceo do. 

Or  quiy  osservato  che  non  6  la  prima  volta  che  si 
disse  del  nostro  che  mutasse  opinione  (gi&  il  Baldo  — 
1.  1.  col.  IC  de  his  qui  ante  aper.  tabu.  —  aveva  detto  che 
Oino  afiquandiu  mutavU  opinione/n  in  deterius)  dir6 
come  Tesame  che  il  Cbiappelli  fa  del  pensiero  politico 
del  N.  i  troppo  unilaterale :  e  al  chiaro  scrittore  non 
viene  il  dubbio  che  quella  incostanza  di  pensiero  gin- 
ridico  che  talora  egli  stesso^  nella  sua  floe  analisi,  trova 
nelleideelegali  del  giurecoDsulto,  non  sia  comune  ancbe 
al  pensiero  politico. 

iQvero  il  Gh.  ci  ha  dimostrato  quali  erano  le  opi- 
nioni  politiche  di  Oino,  desumendole  dalle  opore  giu- 
ridiche,  in  quelle  parti  che  si  riferiscono  alle  leggi 
concernenti  i  diritti  e  i  privilegi  ecclesiastici. 

Ora  io  non  r]peter&  quello  che  il  Oh.  stesso  ci  ap- 
prende,  €  che  nelleopere  di  diritto  fl  pensiero  giuridico 
predomina  sul  pensiero  politico  »  e  che  Oino  non  tratta 
le  queslioni  di  diritto  raziODale,  ma  di  fronte  ai  test! 
di  diritto,  Oino  credette  che  neintalia  divisa,  dove  ogoi 
citt&  6  ana  provincia,  in  cui  tutti  comaDdavano,  in  cui 
un  Marcel  diventa  ogDi  villan  che  partegt^iando  viene, 
fosse  necessario  che  prenedesse  un  dominus  genercUis. 

Sia  pure  rimperaiore  per  Oino  il  rappresentante  di 
Dio  sulla  terra  perchd  da  lui  viene  i)  potere,  sia  il  ge- 
rarca  supremo  del  mondo,  sia  pure  il  €  superillustris 
qui  non  est  in  ordine  graduum,  sed  omtes  gradus  excel- 
lit  >;  ma  bisogner^  sempro  aver  presente  che  la  Lectura 
commentaria  in  codicentf  da,  cui  questi  passi  sontratti, 

^  St 


144 


t\i  scritta,  come  d  nolo,  tra  il  1312  -  1314,  cio6  nel  tempo 
appuDto  in  cui  piu  ardenti  eran  le  speranze  di  veder 
da  Arrigo  restaurata  la  pace  e  piii  forte  il  rimpianto 
di  lai  peritoa  Bonconvento. 

Del  resto,  in  fatto  di  sentenze,  non  b'sogna  dimen- 
ticare  che  i!  giurista  Pistoie?e  nella  Lectura  in  codi- 
cent  (iQ  I.  si  viva  matre  0.  de  bon.  mat.)  fa  la  difesa 
del  legittimo  diritto  di  Roberto  alia  successionedfl  Re- 
gno, contro  i  diritti  pretesi  dai  succesAQri  di  Carlo  Mar- 
tello. 

K  il  Qiannone  fist.  Civ.  L-  XXII  p.  166)  si  meravi 
glia  del  parere  di  Cino  da  Pistoia  €  quel  severissirao 
ceosore  del  Papa  e  della  corte  Romana  ». 

QlidcheCino,  il  qua*e  del  resto  non  fu  per  nulla  nn 
flero  partigiano  come  Dante,  in  questioni  giuridiche  non 
si  ispirava  a  ragioni  di  parte,  e  gli  6  perc]5'  che  lo 
vediamo  indifierentemente  pronunciarsi  cosl  per  il  pa- 
pat(4  come  per  Timpero. 

AcceDner6  pure  al  fatto  citato  anche  dal  Chiappelii 
a  pag.  71.  Dopo  aver  detto  che  Cino,  come  risulta  dai 
document!  pubblicati  dai  Bini  e  dal  Vermiglioli,  doveva 
trovarsi  nel  1320  e  negli  anni  seguenti  a  Perugia,  rac- 
conta  come  i  Peiugioi,  per  so?petto  o  per  uggia  contro 
Giovanni  XXII,  avevaoo  decretato,  sotto  pena  dimafta, 
che  per  due  anni  non  si  inviassero  lottere  al  papa,  nd 
ambascerie.  Ma  aveodo  prima  pregato  il  ponteOce  di  con- 
fer! re  un  vescovado  a  fra  Monaldo  de'  Monaldi,  loro 
concittadinOy  era  state  esaudito  il  loro  desiderio  e  fra 
Monaldo  era  state  destinato,  probabilmente  con  Taspet- 
tativa,  al  vescovado  di  Melfl  (non  di  Amalfl,  come  dice 
il  Chiappelli)  sine  al  1328  e  poi  sine  al  1332  con  la  reg- 
genza  eflfettiva.  (Ughelli  I.  pag.  932  It.  Sacra)  —  Allora 
i  Perugini  si  trovarono  imbrogliati  a  decidere  «utrum 

litere  rengratiatorie  de  promotione  predicta  possint 

aummo  pontiflci  per  Comnne  Perusii  destinari,  libere  et 
impune^  non  obstante  dicto  ordine».  Cino,  Paolo  deA- 


147 

zara  e  Recupero  da  S.  Miniato,  il  29  novembre  1326  con- 
sul tarono,  iDvocata  rautoriU  di  Seneca  e  di  S.  Paolo » 
che  dovessero  scrivere  le  leUera  di  ringraziamento. 

RitorDando  alle  opinioni  giuridiche  di  Gino,  nonsarji 
difficile  trovare  le  ragioni  che  poterono  indurloadab- 
bracciare  ii  partito  di  Arrigo :  basti  a  noi  accennare 
che  la  ferocia  delle  fazioni  era  giunta  a  tale  da  essere 
incomportdbile  uon  pur  a  chi  avesse  mente  eletta,  ma 
viscere  d'uomo;  la  passiooe  di  parte,  se  puro  Cino  — 
mitissimo  e  alieno  da  crudelti  com*^  appare  anche  in 
una  sua  canzone  —  Taveva  mal  nutrita,  doveva  afifogare 
in  qu«l  mare  di  delitti ;  e  dovette  sembrare  provviden- 
ziale  quelTancora  di  salvezza  che  Arrigo  parve  porge re 
alio  vittime  deirodio. 

AUora  la  disperanza  di  poter  altrimenti  trovar  ri- 
medio  alia  travagliata  vita,  I'eotusiasmo  con  cui  Arrigo, 
al  suo  arrivo,  era  state  accolto  dagli  uomini  piu  iliu* 
stri,  la  mitezza  e  la  clemenza  per  cui  parve  non  rap- 
rappresentare  un  partito,  ma  volerli  tutti  conciliare, 
rintonto  suo  di  rispettare  anche  il  partito  guelfo,  furono 
una  potente  attrattiva  per  I'affannato  giureconsulto.  N6 
senza  efficacia  sulle  sue  idee  politiche  fu  forse  Tesem* 
pio  di  Dante,  il  quale,  appunto  intorno  al  tempo  della 
calata  di  Arrigo,  pubblicava  il  suo  De  MonarcJiio^  per 
il  fascino  che  sempre  esercita  il  genio  e  che  certo  do- 
veva esercitare  su  lui  Tamico  carissimo^  il  compagno 
delle  peae  d'amore,  il  confortatore  aalle  avversitSu 

Le  sevizfe  dei  Fioreutini  e  dei  Lucchosi  che  dal  1309 
signoreggiavano  Pistoia,  eiano  divenute  intollerabili ; 
essi,  udiamo  T  Anonimo  pistoiese,  <  imposero  enormi 
tasse,  e  fecero  disfare  le  mura  della  citt^  e  riempire 
li  fossi*.  e  per  piu  strazio  fecero  pagare  al  comune  di 
Pistoia...  Molto  fecero  guasto  di  case  edi  palagi,  e  fue 
maggiore  la  destruzione  che  si  fece  nella  citt^  per  li 
Lucchosi,  che  non  era  fatto  prima  per  li  Bianchi  e  i 
GhibelliDi....  »  (V 


(I)  Ut.  PU$Ol$ti  :  pftg.  60  f  legg. 


tift 


€  Nel  130911  Fioreatini  e  M  Lu«chosi  si^noreggiavano 
Pistoiai  intendeano  piu  a  rubare  e  a  guadagnare  (U,  che 
al  b<3Qe  comuDe  delU  citU;  e  li  Pistoiesi  erano  si  mal 
conteati,  che  dod  era  nessuDO  che  non  si  fosse  gettato 
YOlentieri  in  disperazione  per  essere  uscito  dalla  ioro 
sigaoria,  perocchd  per  lore  si  prendeano  le  femmiDe,e 
faceanue  lore  volonU,  e  cosl  signoreggiavano  piti  anni ». 

Dove  si  trovava  il  bersagliato  poeta  qnando  andavano 
compiendosi  i  suaccenuati  awenimenti?  I  biografl  in 
coro:  egli  era  in  esilio.  Con  debole  logica  ci  assevera 
il  Oiampi:»  non  6  verosimiie  che  si  trattenessea  lungo 
in  patria,  e  molto  meno  nelFimplego  di  giudice,  dopo 
la  conquista  fattane  dalTarmi  dei  Neri  ».  Cosl  il  dotto 
professore  di  Pisa;  piii  studiato  e  piu  cauto  di  lui,  il 
Cbiapp  Hi  scrisse :  €  Dopo  la  resa  della  citUi  per  qualche 
tempo  Cino  continu6  a  tenere  il  suo  ufflcio,  ma  alfine 
in  mezzo  a  tanti  mali  prese  la  via  deiresilio.  > 

Qnando?  II  Chiappelli  osserva  chenonesiste  un  do- 
cumento  che  comprovi  questo  bando,  e  che  6  cerio  che 
il  N.  €  continu6  per  qualche  tempo  anche  dopo  la  ro^^a 
dalla  citt^  a  sedere  come  giudice  delle  cause  civili  » 
Per6  sembra  che  il  Chiappelli  coUochi  la  partenza  nello 
stesso  1307,  perchd  dice  (pag  52.  nota  )  che  €  contempo 
raneamente  alia  partenza  di  Gino,  troviamo  il  suo  zio 
Bartolomeo  Sinibuldi  vescovo  allontanato  da  Pistoia  e 
mandate  alia  sede  di  Foligno  ». 

Ora,  rUghelli  ci  apprende  che  appunto  nel  1307»  d(e 
24  mensis  cUcembris,  avvenne  il  trasferimento  del  ve« 
scoYO  Bartolomeo  gi&  confermato  nelTepiscopato  nel  no- 
vembre  1303.  (^)  Oltre  a  ci6  il  Chiappelli  afTerma  che 
Cino  dovette  rifugiarsi  nel  castello  di  Piteccio  presso  i 
Vergiolesi^  e  noi   sappiamo  dairAnonimo  e  d  gli  altri 


(1)  Cfr  Ciao  Cora,  in  Coel.  si  qui  CooL  2>  0;  citato  anche  dal  Chiap  • 
pelli,  op.  cit.  pag.  49.  «  Ego  vicTi  quondam  Luoanum  oapitaneum  populi  in 
oivitato  PUtorii  qui  iu  medio  pa  latii  communis  Tolat  meretrix  le  vendebat.  » 

(2)  Ughellif  Ilalia  Sacra^   pag.  37< 


- !« 

storici  pistoiesi  che»  ossendo  assediato  Piteccio  da!  Fio« 
roDtini  e  dai  Lucchesi  coll*aiuto  de*  Pistoiesi,  Filippo 
Vergiolesi  e  gii  assediati  g\k  sin  dalla  €  notte  di  S.  An- 
drea A.  D  1307  celatameote  usciroDO  dal  castello  e  ao- 
darono  alia  Sambuca  >.  Ghiaramente  dunque,  secondo  il 
Chiappelliy  Cino  dovetie  esulare  o  partire  da  Pistoia  nel 
1307. 

OoDseoziente  coi  due  citati  biografl  sul  fatto  cheCino 
dovHva  essere  ancora  a  Pistoia  nel  1307,  trovo  aflktto 
arbitrario  ii  dire  che  nello  stesso  anno  ne  partisse. 

Oh,  se  parti,  dove  andd?  A  Piteccio?  Come,  se  i  Ver- 
giolesi gli  erano  avversi,  come  io  ho  dimostrato?  Gerto 
da  Pistoia  parti,  ma  io  argoisco  che  la  partenza,  ^  noD 
Tesiiio  che  deve  assegnarsi  ad  altri  anni  —  sia  awe* 
pata  Del  1309. 

In  quel  tempo,  io  dice?a  poc*aozi,  un  animo  onesto 
nOD  avrebbe  potuto  vivere  nel  la  tana  di  Vanni  Fucci. 
Invero,  le  sevizie  del  Lucchesi  ebbero  presto  colmo  la 
misura:  Pistoia  ritellossi  e  cacci6  ii  capitano  Ser  Fer- 
ruccio  Sandon^  da  quelli  mandate.  Divampa  la  guerra: 
quel  di  Lucca  mandaoo  armati  contro  Pistoia,  a  mezzo 
miglio.  €  Li  Pistoiesi.  sentendoli  quivi,  trassero  colle  loro 
armi  a  porta  Lucchese,  baciando  Cuno  in  bocca  Voltro 
come  quelli,  ch^andavaoo  per  morte  dare,  e  morte  rice- 
vere  >.  Fortunatamente  i  Lucchesi  si  ritrassero,  e  allora 
si  pens6  di  venire  a  un  accordo,  uno  concio.  Ma  qui 
nuove  contese:per  volere  o  non  volere  Io  concfo,  si  di- 
visero  i  Pistoiesi  Guelfi  e  Neri:  la  fazione  in  seno  alia 
fazione.  €  Li  caporali  di  quelli  che  non  volevano  Io  con- 
cio furoDO  Ii  Taviani  e  11  Cancellieri,  Ii  caporali  di 
quel  i,  che  volevano  il  concio,  furono  Ricciardi,  Lazzari, 
Tedici,  Rossi  e  Siniboldi^. 

Sin  qui  TAnonimo;  eci  appaiono  1  Sinibuldi  ispirarsi 
a  miti  propositi.  Ma,  e  Cino?  L*Auonimo  ne  verbum  qui- 
dem.  Ma  qualche  cosa  ce  ne  dice  QB.  Salvi  della  cui  fede 
non  si  pud  dubitnre,  perch^  si  verificurono   document 


160 


talneute  praoisi  altri  partieolari  della  vita  del  poeia, 
gia  iDcideatalmente  4al  Salvi  narrati  nelie  sue  Storie, 
come  per  esempio  ia  preseota  di  Gino  in  Pistuia  nel 
1317,  ora  comprevata^  oUreoh6  dal  docameoio  dal 
Pnorista  Franohid),  aache  dal  docamento  pubblicato 
da  Q.  Papaleoni,  eoateoeate  an  consultodatodalN.per 
iDcarico  di  Simone  Battaglieri,  esattore  dei  dazi  di  Pi- 
stoiu  lu  data  die  XYUI  mensis  Mali  1318  t^). 

II  Salvi  adunque  ci  narra  diBtesamente  la  lotta  tra 
il  pariito  che  v  leva  I'acoordo  con  i  Fioreotini  e  i  Luc« 
chesi  e  quelle oontrario.  Saoo  orribili  battaglie:Taviani 
e  Ugbi  son  cacciali;  uu  tentativodi  ritorno  ha  per  e- 
site  una  strage  dei  ioro  partigiani.  I  Taviani  e  gii  U- 
ghi  poteroco  fu^gire,  ma  raggianti  dai  risioiesi  alia 
Bure  <  furono  rotti,  fatli  prigione  e  parte  di  lore  morij, 
tra  i  quali  di  maggior  con  to  Messer  Oiatdino  <ii  Brae- 
010  degli  Ughi  »  ^K 

Cos)  poterono  quetarsi  alqvanto  le  cose  di  den  tree 
aUora  si  pens6  a  tentare  di  riavere  il  territorio  del  con- 
tado  occupato  dai  Fiorentiui  e  Lucchesi.  E*  qui  appunto 
cbe  il  Salvi  fa  menzioae  di  Oino.  Leggiamo  le  sue  pa- 
role: €  Vegliando  tutta^ia  il  negozio  d^'iia  restitnziooe 
del  con  tado  alia  oitt^  di  Pistoia,  i  Pistaiesi  mandarooo 
ambasciatori  al  Papa«  a  Lucca,  e  a  Fire'iize  m^hdarono 
M.  Cino  Sigibold',  M.  Manaello  Cdnceliieri..  ecu  altri, 
sul  finire  del  £309  k  Appunto  nel  1310  ArrJgo  Vllscen- 
deva  in  Italia,  e  Lodovico  di  Savoia  suo  rappresentante, 
assieme  a  due  vescovi  tedeschi,  and6  a  Fireaze. 

£*  qui  che  Oino  s*  imbatte  in  Led  vice  di  Savoia? 
lo  non  esito  a  dichiararmene  convinto  :  ed  6  anche 
questo,  noD  vi  badubbio  il  momento  ia  cui  n^ia  meute 
di  Cino  stance  di  lotte  partigiane  e  nauseate   di    quel 

(1}  Chiapflli,  op.  oit.  pag-  64, 
(2)  Ri vista  critica  della  Lett,  it   Anno  VI,  pag.  30. 
(3;  Alia /kmiglia  degli  Ughl,  appartetiova  Margheritadi  Lanfranco^  moglie 
di  Oiqo. 


lit 


perpetuo  rinnovellarsi  di  fazioni  e  di  odi  sorge  la  spe- 
ranza  di  trovare  alia  travaglia^a  vita  un'ancora  di  saN 
Te7za  che  fosse  di  fuori  e  di  sopra  dei  due  sanguinosi 
partiti  che  forraavano  Tigaominia  di  Pi^itoia:  aUora,  diro, 
ridea  Ghibeliina  di  Arrigo  affatica  la  mente  delTamba- 
sciatore  di  Pistoia  ai  Fiorentini,  e  Cido  maaifesta  il  suo 
dabbto,  fatto  di  speranzaedi  tiniore  che  lo  travagliava, 
nel  sonetto  a  Cecco  d'Ascols  poeta  e  astrol  go,  e  chiede 
ali'amico  carissimo  qua!  stella  6  per  lui  Wdi  e  qual 
bel  a,  «  perchft  rimeaio  la  sua  vita  grida  », 
Dimmi  tu,  o  noveilo  Tolouieo,  egli  lo  prega: 

se  m'^  buon  di  girea.qualla  pletra 

Dov*6  fondato  il  gran  tempin  di  Giove, 
0  star  lungo  *i  bel  Flore,  o  gire  altrove; 
0  se  cessar  de*  la  fempesta  ielra 
Che  sopra  '1  genital  mio  terren  piove : 
Dimmelo,  o  Tolomeo,  ch'l  vero  trove. 

E'  dunque  la  ietra  tempesta  che  imper  ersa  sulla  sua 
terra  natia,  che  lo  spinge  a  cercire  nuovi  i  »eali.  Del 
sonetto  da  me  in  parte  or  riprodotto^si  ^  occupato  con 
perspicace  diiigenza  il  professore  G.  Castel)*,  uel  suo 
bei  libro  suIPAscolano  (^).  Or  ecco  i  versi  responsivi  di 
Cecco,  che  a  noi  importano.  Dop  >  aver  detto  che  i  corpi 
celesti  di  Giove  e  di  Yenere,  il  spsto  cielo  e  il  terzot, 
il  lume  deUa  giustizia  e  il  fuoco  d'amore  non  gli  dA-< 
ranno  riccheaze,  ma  solo  .sa'ute  e  fama.  aggiunge-: 

Hor  non  lasciate  *1  fior  cho  frutto  muove, 
Pistoia  per  sua  parte  non  si  spetra 
Girando  *1  cielo  per  questi  anni  novo, 
Dico  se  (a  pietk  ci6  non  rim  »ve. 

n  Csstelli  osserva  che  Cino  doveva  essere  in  PiretM?©, 
qando  scri-sse  il  sonetto,  arguendolo  daH'espressione: 
<  se  m*6  buono....   star  lungi  7  be'  Fiore>,  dov«  6   a- 

(1)  Q.  Castelli  <—  La  vita  e  le  opere  di  Cecoo  d'Ascoli, 


tSi 


doperato  ii  verbo  stnre,  ia  contrapposiziono  a  ffire^  «  give 
allrcve  »  ed^altronde  aocbe  Ceceo  consJg!ia  Tamico:  «  non 
lasciate  il  fior  ».  Ma  qual  data  banoo  quei  vorsi?  II  Ca 
stelli  accogliendo,  forse  a  torto,  che  Cino  sia  state  nella 
citt&  del  Fiore  nel  1334  come  lettore  del  codice  in  una 
specie  di  istituto  (ubblico,  cbe  si  avviava  a  dive  ^. tare 
Univertitjt,  esclude  questa  data,  percb6  Oino  era  gik 
mortOy  sallto  sul  rogo  di  fuori  Porta  alia  Groce  di  Fi- 
reAze»  per  avere  <  confermato  la  dottrina  e  la  fede  della 
liberty  edeMa  ragione.  >  Ua'altra  dftaper6  uon  fa  presa 
im  esame  dal  Gaste!l).  In  fatti  con  molto  fondamento 
P.  SantiDi  ha  sostenuto  cbe  Cino  dovette  insegaare  a 
Firenze  sin  dal  1324.  Ma  aoche  questa  data  non  parmi 
accettabile,  pei-ch6  6  certo  che  TAscolano  non  poteva 
piii  dire  di  Cino  gik  vecchio  e  gi&  morto  airamore,  che 
Tamorosa  flamma  fa  di  !ai  un  naovo  Apollo ;  e  neppure 
Oino,  il  celebrate  insegnante,  ricercatodillepiii  famose 
Uni?ersit^,  avrebbe  potato  scrivere  versi  come  qaesti: 

B  dl  chi  m'assecurai  e  chi  mi  «flda« 

B  qual  (^J  per  me  6  laida,  •  quar6  bella; 

Perch6  ri  medio  la  mia  vita  grida, 

Bisogna  cercare  un*altra  data.  II  Ctestelli  esclode  gli 
anni  anteriori  al  1300  perchi  altrimenti  non  s'inten- 
derebbe,  dice  lai,  Id^tempesta  tetra  deiruUimo  terzetto. 
lOt  senza  condividere  il  sue  ragionamento,  perchd  le 
stragi  di  Pist  ia,  la  tempesta  lelrcL^  hanno,  come  ab- 
biam  yisto,  origine  ben  piii  remota  del  1300,  nedivido 
la  cODclus'one,  anche  perchd  finora  oessun  docamento 
dimostra  che  il  N.  fosse  a  Firenze  prima  del  1300.  Per6, 
eonsiderando  il  v^rso  di  Cecco  <  girando  'i  cielo  per 
qiMsti  anni  nove  »  e  computaodo  a  parti  re  dal  1300, 
momento  di  un*atroce  recrudescenza  degli  odi  Pistoiesi. 
•ho  ia  quel  momento  hanno  un'eco  fatale  in   tutta  la 


|i;  Ooal  MUlla. 


i33 


Toscatia,  ci  vien  naturals  di  eollocare  Taodata  di  Oino 
a  I^tdDze  intorno  alia  fine  del  1309,  secondo  testifier, 
il  Salvi  nel  passo  da  me  riprodot^o.  L*a]iDO  dopo,  cos\ 
appar  ben  chiar  *,  Lodovico  di  Savoia  yenato  alia  citU 
dei  flori,  elesse  a  prbprio  assessore  il  pistoieflei  il  quale 
la  86gttl  a  Roma,  trascuraado  )l  ooDsiglio  di  Cecco  che 
rammoniva  c  nou  lasciate  il  fior  che  frutto  muove  »•  Cos), 
al  servizio  di  Lod  vice  e  di  Arrigp,  <'ntr6  r jsolatamente 
Del  moyimento  ghibellino,  partecip6  alle  idee  di  cou" 
ciljazuaoe  del  mite  imperatore,  e  gli  fa  fedele  fiao  alia 
catastrofe  di  Bone  nvento. 

Allora  lagratitudine  dei  beneAci  >  icevuti  degli  anni  di 
pace goduta,  degli  (mori  a  cui  era atato  chiamato,  quaod) 
come  g  udice  accompago6  a  Roma  Lodovico  di  Sayoia» 
se^aatore  Romano,  lesperaaze  noocepite  e  dalla  morte  de- 
lusd,  coiQe  gU  dettarx)Do  le  canzoni  XY  e  XIX  (^  >  ia  morte 
di  co'wi,  in  cui  virtute  —  com'in  suo  propria  loco  dU 
moravn,  cosi  forse  danuo  la  ragjone  delle  dottrine  po. 
liticbe  di  Gino  quali  appaiono  nel  Comm  in  codicem. 
E  a  questa  sentenza  pare  s'accosti  lo  stesso  Chiappelli 
quaodo  scrive  €  che  per  rattualitA  degli  avvenimenti 
Cino  si  estende  a  parlare  con  calore  e  cod  eoergia  del- 
rimpero,  de*  suoi  diritti  suiritalia,  e  delle  sue  relasiODi 
col  Papato ..  >  (pag.  120). 

Morto  rimperatore  11  povero  Cino  6  vedovo  d*ogni 
salute  e  prega  la  somma  maett& giuata  e  benigna,  Iddio: 

Poi  ohe  ti  fu  'n  piaoer  t6rci  costoi, 
Danne  qualohe  oonforto  per  altrui. 

Egli  in  Enrico  riponeva  le  plii  fervide  speranze,  in  quel- 
r  Enrico  senza  pari,  Gesare  dritto,  sol  degao  dicoroua, 

Di  cui  tremaya  ogni  sArenata  cosa, 
Si  che  Tesule  ben  saria  redito, 
Ch*6  da  yirtd  smarrito, 
Se  morte  non  fosse  stata  si  osa. 


{V  Bdls.  Kaa£ftiii. 

ss 


IR4 


i^M 


li  poeia  QOQ  poteva  approvare  la  sfrenatezza  delle  fa* 
z'oni  che  avevano  fatto  rinfeliciU  della  sua  vita,  e  v«* 
deva  in  lai  quel  signore  che  nel  moado  ingrato 

renda  il  timore  alia  legge 

Contro  la  fiamma  de  le  ardeuti  invegge. 

Ma  pot  che  Tastro  fU  tramontato  e  poich6  le  speranze 
dei  Qhtbellini,  dopo  il  lutto  di  BoncoDveuto,  andarooo 
deluse  e  si  sfrondarono  a  una  a  una,  rantico  Nero  di 
Piitoia  dovotte  trovare  altra  via,  altro  rlmedio  ai  mali 
di  sua  vita,  e  attinse  energia  di  conforto  neiramore 
alia  scienza.  Ma  a  uoi  ci6  basti,  paghi  di  aver  dimo- 
strato  come  un  guelfo,  un  Nero,  potesse  raccogliere  i 
suoi  voti  e  le  sue  speranze  in  Arrigo  e  farsi  ghibellino; 
egii  fece  ci6  che  avevan  fatto  prima  Dante  e  tutti  queili 
che,  OuelB^  si  fecer  Bianchi  dopo  la  divisione  della  casa 
Gaucellieri;  ai  quail  allude  il  note  sonetto  diOuido  Or* 
laudi : 

Color  di  cenere  fatti  son  11  Biancbi 
Che  furon  Gueld  ed  or  son  Qhibetlini. 


tJ>,  eMiio 


#!^#t!#####tt^######!j!t#!J!#$ 


Fatto  per  grove  esilio  pellegriuo. 
Cino  da  Pittoia. 


SoQo  quattro  le  questioni  eheci  si  presentauo  iatopDO 
a  questo  punto  dalla  vita  del  doleoto  poeta:  Pu  il  suo 
esilio  forzato  o  toloDtario?  Yenne  bandito  dalla  parte 
nera  o  dalla  parte  biaoca  ?  Iq  quale  anno,  o  almeno  Id 
qual  giro  di  anni  andd  esule  da  Pistoia?  Dove  trasse 
i  dolorosi  passi  dell*  esilio? 

Sall'esilio  di  OinOi  Tha  gia  detto  G.  Carduoci,  la  sio- 
ria  tace;  e  I'illustre  poeta  maremmaDO  ha  detto  anche 
che  Cino  parti  da  Pistoia,  o  il  facesse  di  sua  volenti,  o 
bandito  dalla  fazione  vittoriosa;  oh6  ragiODi  per  Tuna  e 
per  Paltra  sentenza  possono  trarsi  dalle  sue  rime.  Giio 
il  Carducci,  e  potrei  accennare  ad  altri  biografi  ante- 
riorl  a  lui,  com*^  il  Giampi,  il  Savigny,  il  Wiite  e»  tra 
1  biografl  posteriori,  il  Ghiappelli  che  propende  per  Te- 
sillo  volontario  e  il  Nottola  che,  suirautorit&del  Cbiap- 
pelll,  si  accosta  alia  stessa  opinioDe,  e  ii  Bartoli  che 
fldttua  tra  le  due  seutenze:  <  6sale  forzato  o  volonta- 
rio. andd  vagando  qua  e  1^  per  ritalia.  » 

Ma  sin  qui  tutti  asserirono  o  eapre6seroua*opioione; 
nessuno,  ch'io  sappia,  trattd  la  questione  critioamente, 
•come  pu6  esaer  fatto  colla  scorta  delle  Rime  di  Ciuo  e 
deiia  testimoniaaza  degli  scittori.  Pr0Geder6  per.esclu- 
sioue.  L'opinione  che  Gino  abbia  preso  da  Pistoia  vo- 
lontari;  esilio,  aacque  specialmente  dal  sonetto  indiriz* 


168 


tato  ad.  Agatone  Drosi  da  Pisa,  <  Droso,  se  nel  partir 
vostro  in  periglio  »,  in  cui  ii  poeta,  dopo  aver  detto  come 
le  atrociUi  di  parte  sono  inaudite  tanto  che  <  •^  TArne 
al  mar  n*andd  bianco  e  vermiglio  >,  aggionge:  « .^.  to 
in*ho  preso  volqntario  esilio  »,  6  oho  an  vento  lo  spinge 
Torso  il  Po: 

<  Daolmi  ohe  Terse  TPo  spingemi  on  Teuto, 
E  non  Ik  doTo  seto. 

iQvero  Tespressiono  < m*ho  preso  TOlontario  e- 

silio  >  6  cosl  chiara  che  non  pu6  lasciar  laogo  a  discos- 
sione.  E  Tatto  TOlontario  resta  proYato«se  ilsonettoad 
Agaton  Drosi  6  aotontico. 

Ma  aotontico  non  6.  Bdito  per  la  prima  volta  da  Ni« 
col6  Pill!  nel  1559,  fU  ristampato  poi  dal  Giampi  (1813- 
14)  e  dal  Fanfani  a  pag.  197.  Non  lo  pubblic6  il  Gar  - 
docci  che  gik  della  soa  aotenticitk  aTOva  dobitato;  ne 
dobit6  il  Bartoli  (lY  p.  69);  il  Ghiappelli  fece  osservare 
come  qoesto  sonetto  ha  neU'altro:  <  Se  tra  Toi  poote  on 
natoral  consiglio  »»  la  risposta  per  le  rime  e  ne  con- 
close  che  totto  al  pid  ono  del  doe  po6  essere  di  Gino. 
Ma  on  tolo  MSL  contiene  il  sonetto  in  qoestione,  il  Lao- 
renziano  118,  e  qoesto  lo  attriboisce  a  Francesco  Mor 
gnanL 

II  secondo  dei  citati  sonetti  vien  dallo  stesso  codice 
Laorenr.iano,  attrlboito  ad  Agaton  Drosi;  trattasi  don* 
qoe»  come  ben  osserva  il  Nottola,  (op.  cit  pag.  26),  di 
ona  corrispondensa  poetica  fra  altri  rimatori.  Ad  A- 
gaton  Drusi  che  al  Magaani  aveya  annonziato  d'aTsre 
lasciato  la  patria  Pisa  e  gli  onorati  scanni,  ftiggendo 
<  il  sangoe,  11  foco  »»e  che  si  era  mostrato  in  pena  per 
Tamico;  risponde  il  Magnani  dicendo  come,  se  nel  par- 
tir soo  il  Drosi  lasci6  <il  nido  in  preda  dei  tiranni, 
(probabilmeate  i  Fagiolani),  ora  gli  odi  si  fecer  pid  feroci , 

E;  TArop  fil  mar  |i*aadO  blaaop  e  vermigl{9 


n& 


E  anch'egli  va  esule  vdrso  il  Po.  dolente  di  non  poter 
andare  dove  Tamico  trovasi  (sulla  Sdua). 

Perch6  questo  in  tutte  le  rime  di  Cino  o  a  lui 
attribuite»  6  il  solo  esplicito  accenno  ad  un  esilio  vo* 
lontario,  resta  tolta  la  ragione  capitaledi  credere  che 
GiDO  osulasse  volontariamente. 

iDvero  il  sonetto  67  non  sembra  comprovare  Topl- 
nione  del  Chiappelli  che  il  poeta  sia  fuggito  dalla  pa  • 
tria  sdegDato  dai  mail  che  TaffliggevaDo.  Infatti  ledue 
quartiae  che  contengono  i  versi  che  possono  dar  luogo 
ad  una  tale  interpretazione  suonano: 

C«ii  grayosi  sospir  traendo  gnai, 
Donna  gentil,  de  la  vostra  rivera 
Contro  lo  mio  volere  m^allungai 
E  *1  dimorar  peggio  che  morte  m*era. 

Ma  per  la  speme  del  tornar  campai 
B  ritorno  a  veder  voi,  Donna  fera, 
Cosi  non  fos8*io  ritornato  mai; 
Deb,  malann'  aggia  quella  terra  sfera! 

Ora  potrJi  bene  essere  che  respressione  <  m*allun« 
gai  contro  lo  mio  volere  >  possa,  sofisticando^  significare: 
<mi  allontanai  contro  le  mie  intenzioni,  astretto  dalle 
necessity  del  memento.  poich6  il  dimorare  m*era  peg- 
gio della  morte.  >  Ma  come  potrebbe  Gino  dire  <  cam- 
pal  per  la  speme  del  tornare  >,  se  il  ritorno  stava  nel 
placer  sue?  Dlrassi  forse  che  egli  aspettava  per  ritor« 
nare  che  gli  animi  in  Pistoia  si  pacificasserot  Egli  torn6, 
come  lo  dimostra  it  verso: 

E  ritorno  a  veder  vol,  Donna  fera. 

Ma  qnal  fa  questo  memento  di  pacificazione  nella 
storia  delle  fazioni  di  Pistoia?  Esse  non  avvenne  che  nel 
1318,  ma  in  quel  memento  Selvaggia,  la  Donna  fera»  a 
cui  il  sonetto  6  diretto^  era  morla  da  anni. 

Ora  la  verity  6  che  Cino  il  quale  era  state  esiliato  da 
Pistoia,  come  asserisce  ilTedici,probabilmente  nel  1303, 
dai  Biancbi  trionfanti,  quando  la  citt&  fu  presa  dai  Neri 


IM. 


■■M^ 


coalizzati  coi  Lucchesi  e  coi  Fiorentini,  vide  coronarsi 
i  suoi  desiderii  di  sospirato  ritorno.  E  torn6:  ma  la  Donoa 
fera  esulava  col  vinto  padre  a  Piteccio  e  al  dolenfe  fo- 
pino  che  le  richledeva  piet^  e  amore  lanciava  in  faccia 
il  suo  superbo  disprezzo,  guardand  lo  quel  tanto  che  ba- 
stassea  signiflcargli  cbe  il  suo  amore  le  movea  belTe  e 
riso 

II  ChiappelM  a  comprovare  Pesilio  volontario,  cita  i 
vera!  de'la  caQzone  17  (Fanfani): 

«  M.^  Ogni  psrteDza  di  quel  luco  ^  saggia  % 
«  Ch'6  pleno  di  tormento  »• 

Ora,  ammesso  che  queata caDzone  sia  autentica  —  e  mi 
piace  di  crederlo,  bencb6  dob  si  trovi  id  nessun  ma- 
noscritto  —  l*argomeDto,.mi  perdoni  i' chiaroscrittore 
pistoiese  che  oon  iatellettod'amore  ecou  raradiligenza 
illusird  il  poeta  e  giureconsotto  suo  coocittadino,  ^  er- 
r.  neo.  A  chi  voglia  convincersene,  basta  rileggere  la 
canzone  in  discorso  e  piii  la  strofo  a  cui  i  due  versi 
appartengODO.L*infelicissimo  poetasospiva  lamortecome 
termine  de*  suoi  dolori;  e  !a  chiusa,  e  tutia  la  canzone 
6  canto  disperato  per  la  selvaggia  gente^  crudel  di  se 
stessa  e  d  spfetaia,  ed  d  un  inno  di  desiderio  alia  mortei 
poich6  non  erode  che  altro  piili  gli  giovi: 

Questa  geute  selvaggia 
II!  faita  si  per  farmi  penar  forte, 
Che  troppo  affanno  sotterra  (^)  mia  vita, 
Per6  chieggo  la  morie^ 
Gb'io  voglio,  iananzi  che  fkooi  partita 
L*anima  da  lo  cor,  che  tal  peu*aggia,  . 
Ch'ogni  partenxa  da  quel  loco  d  saggia 
CIC^  pien  di  tormento. 

E'  dunque  la  fartenza  dalla  vVa  terrena,  la  morte 
che  il  poeta  d  sidera,  non  la  partenza  da  Pistoia;  nd  d 
nuovo  questo  concetto  iu  Oino;  esse  licorre,  per  esem- 


iV  A.Uri;  iotterrd. 


}«\ 


pio,  nei  versi  del  madrigale  «  Amor  la  lioglia  mia  non 
ha  confurio  »: 


■••• 


s*io  moro  perder6  '1  bel  viso 
Dal  qual  tanto  distrano 
In  verity  mi  sar^  lo  pariire  eoc  (i) 

Qaella  gente  Bianca  e  Negra,  crudele  esanguiAaria, 
che  uon  d'altro  si  cura  cbe  di  <  gravar  sua  vita  come 
disperata  ».  quei  cittadiai  di  un  regno  di  demooi  io  fan 
tanto penare  cheegli  languisce  in  leata  morte  (PaHaDno... 
sotterra  mia  vita);  percid,  stance  di  sofTrire,  desioso  di 
martiri  chiede  la  morte,  e  anatomizzandone  il  pensiero» 
s*abbevera  di  amaro  flele.  (voglio  ch'i' tal  pen*aggia), 
c  ^nsiderandone  coo  atroce  mente  la  nera  imagine,  quasi 
a  rlcercare  una  piaga,  ad  uccidere  un  doiore  con  un 
doloro  maggiore;  perch6  6  saggio  lasciare  quella  vita 
(loco)  che  6  pieaa  di  tormenti.  E*  Tidea  del  suicidio  che 
lo  possiede. 

La  canzone  VIII  pur  citata  dal  Ohiappelli,  non  ac 
cenna  certo  a  un  esilio  volontario.  L'lnnamorato^  Ion- 
tano  daU*amata,  dolente  sbigottito,  invoca  senza  posa  ia 
doQoa  sua;  la  sua  vita  si  consuma  (si  stuta)  semprepiu 
in  pianto  e  in  languore.  Or  se  da  questa  canzone  —  che 
dai  novo  mss.  in  cui  si  trova  6  variamente  attribuita 
a  Cino,  a  Selvaggia,  al  Ouinicelli,  o  anonima,  ma  che 
anche  a  me  pare  autentica  —  si  volesse  crvare  una 
conclusione,  essa  scenderebbe  opposta  alia  tesi  del 
Chiappelli.  Infatti  cosi  suonano  gli  ultimi  vers!  del  com- 

miato: 

Ganzon  mla  nnova. 

..^..  a\  l#  dirai  W 
Ck>m*io  non  speromai 


(!)  n  madrigale  si  tro?«,  oon  qualche  variante  dalla  volgata,  nal  oodic« 
Bttense  VIH,  B  —  427. 

(S)  alia  sua  donna,  ^. 


1^ 


Di  pid  vederla  anzi  la  mia  Onita, 
Poscia  non  creggio  aver  si  luaga  vita. 

SI  lunga  vita!  Qaanto  luogat  Parpeb^e,  finch^,  ma- 
lata  la  fortuna  delle  fazioni,  fosse  rimossa  la  cansa 
deiresilio.  Ma  forse  6  meglio  non  trarre  di  qui  nessuna 
coDclusione,  perchd  ciascun  innamorato  delira  in  an- 
goscie  mortal},  aoche  per  brevi  a^senze  dalTamata,  e 
il  nostro  amoroso  messer  Cloo,  parlando  degli  oechi  ri- 
lucenti  e  belli  di  S.,  cosi  geme: 

S*un  pun'o  sto  che  f^sso  non  11  iniri 
Lagriman  gli  occhi  e  *i  cor  tragge  sospiri. 

Qaanto  aHa  ballata  XII,  essa  non  prova  so  non  cbe 
Cino  ha  Jasciato  i  piu  begli  occbi  che  lucessar  mai  e 
che  avrebbe  dovuto  uecidersi  prima  di  farlo.  Pro 
pendo  a  ogni  modo,  c  me  gi^  dis^si  altrove,  ad  asse- 
goare  questa  baliata  a  un  periodo  delia  vita  di  Cino 
aateriore  airesilio  e  al  1300,  quando  la  prima  voltala- 
sci6  Pistoia  per  gli  studi  universila!*i:  infatti  avvi  il 
dolore  delta  lontananza,  non  la  disperaiione  delle  ri 
puUe  e  il  nero  mortale  sconforto  del)*esilio. 

Sin  qui  a  confutarele  argomenta  ioni  del  Chiapfelli; 
restano  ora  a  vedere  aicuni  altri  accenni  a  lontanan^a 
dalla  patria,  da  alcuoo  dei  quali  appar  chi^ro  11  c  n- 
cetto  delTesilio  imposto.  Le  allusloni  plh  notevoli  si 
tpovano  nolle  canzoni  XII,  XVI.  XVIIT,  XXI,  XXII  e 
Dei  sonetti  XXXIV.  LXV,  LXXXIV,  LXXXV,  LXXXVII 
deiredlzione  Fanfani  e  Bindt. 

La  prima  canzone  che,  a  mio  giudizio,  alluda  aire- 
silio in  ordine  di  tempo  6  La  XII,  «  La  dolce  vista  e  *l 
bel  guardo  soave>,  nella  quale  lo  spirito  deiresule  a* 
mante  appare  angosciato  d^il  piii  nero  dolore,  non  tern* 
perato  da  nessun  conforto,  perch6  la  piaga  6  troppo 
recente.  Raccogliamo  i  pass!  essenziali.  Egli  6  gi^par- 
tito  dalla  citt&  sua,  per  lui  la  citt&  delTodio  e  deli'a 
mope,p^/  gran  conlrario  ch'd  tra  il  banco  e  il  negro. 


163 


LavitagUddiveDuta  un  peso;  nutte  in  cuore  desii  nati 
di  morte.  La  rimembranza  de*  begli  occhi  ia  cui  s*i(D- 
paradisa  Amore,  e  che  egli  ha  perduto,  lo  uccide, 

B  Ik  8i  grande  scbiera  di  dolore 
Dentro  alia  meato,  che  Taniin^  stride, 

e  nall'allro  che  morte,  tregua  al  marlirio  del  caor  suo, 
egli  invoca.  Quaata  amarezza  angosciata  e  quale    tor 
mentoso  desiderlo  in  questi  versi: 

Tti  sal  (Amore)  dove  de'  gire 

Lo  spirto  mio  da  poi, 

K  sai  quanta  pieU  sar^  di  noi. 

Nessuna  pietd;  ma,  anche  ( Itre  la  tomba,   l*odio.  Pure 
SB  Amore  gli  desse  morte,  farebbe  atto  di  misericordia: 

Amor,  ad  esser  micidial  pietosoi 
T'invita  il  mio  tormento, 
Secondo  il  mio  iaiento. 
Dammi  di  morte  giuia, 
Si  che  lo  spirto  almen  torni  a  Pistoia. 

Biograficamente  sono  D0tey<  li  due  pass!  di  questa 
canzone,  certamente  autentica,  perch6  si  trova  in  ben 
d:eci  codici:  il  poeta  6  partite  per  le  lotte  dei  Bianchi 
e  dei  Neri;  chieJe  ad  Amore  la  morte,  afflnchd  almen 
lo  spirlto  torni  a  Pistoia,  dov*e  la  bella  sdegnosa, 

Questi  due  pass!  basterebbero  da  s6  a  provare  che 
il  N.  fu  esiliato  da  una  delie  fazioni,  se  un  uomo  in- 
namorato  ragionasse  come  Tultimo  dei  mortal!  che  ab 
bia  fior  di  senno;  infutti,  se  Gino  non  tornavs'.  a  Pistoia 
malgrado  il  veemente  dolore  che  lo  opprimeva,  gli  i 
che  ne  era  impedito  dtlla  fazione  dominante,  poichd  tra 
due  mali,  morir  di  dolore  o  viver  tra  gente  crijdel  di 
s4  siessa  e  dispiet'-ia,  il  secondo  6miiiore 

Ma  poichi  il  rigore  logico  non  6  la  miglior  virtu 
degli  innamorati,  teoiamo  per  fermo  solo  che  Gino  6 
partite  dalla  sua  cittit  per  le  note  gare  di  parte,  •  che 
i$i  bQlIa  crudele^  non  giii,  donna,  ma  scoglio,  (famor 


164  

selvaggia  6  a  Pisloia.  Queblo  i,  seu^u  piii,  uo  aitro  av 

gomeoto  della  tesi  sostanuta  nel  capitolo  autecedeate* 

cbe  OiDO  era  di  parte  Nera;  poichd  se  egli  and6  ia  e  • 

silio  da  Pistoia  quando  vi  trionfavano   i  Bianchi    coi 

Vergiolesi  e  oon  essi  Selvaggia.  6  uopo  venire  a  quella 

conclusione,  giaochd  i  Bianchi,  se  fossero  stati  suoipar 

iigiani,  non  l*Hyrebbero  esiliato. 

£  qui  6  opportuno  di  insistere  sulla  canzone  <  Lo 

gran  disio  che  mi  puage  cotanto  >,  la  quale,  come  spero 

di  dimostrare,  fu  scritta  nel  1303.  II   cuore   del  poeta 

stilla  Jagrime,  il  suo  pensiero  d  tutto  rivolto  alia  spie- 

lata  lontana: 

Va  d'ogni  tempo  e  riede 

Lo  Bpirito,  mia  donna,  ove  state; 

e  neirardente  imaginare  si  fa  ineifabilo  il  desiderio  di 
vederla  e  la  piaga  piti  tormentosa.  L'anima  sua  anela  a 
Selvaggia: 

. .  •  non  vi  sia  in  disgrato 
Se  da  me  parte,  chiatnando  Selvaggia, 
L'anima  mia,  ch'a  voi  servente  viene, 
Voi  Biete  lo  suo  desio  e  lo  suo  bene. 

li  questo  desio  ardente  mi  ucciderd,  dice  Gino,< tar- 
dando  il  redir  mio  ».  Ora  notiamo  questa  espressione, 
oltre  airempito  del  dolore  che  non  pu6  lasciar  dubbio 
sui  motivi  della  lontananza,  e  ricordiamo  che,  col  com- 
miaio,  il  poeta  dirige  la  canzone  al  signor  di  Pietia 
mala,  in  Pistoia.  Chi  sia  costui,  noi  lo  diremo  :  a  lui, 
alia  sua  giustizia,  al  dritto  sfgnore  Indirizzava  la  sua 
preghiera  il  profligo  ed  amante,  e  non  6  insana  con« 
gettura  che  implorasse  pel  suo  ritorno, 

ADche  la  bellissima  canzone  <  Quando  potr6  io  dir 
dolce  mio  Dio  »,  cui  il  Pilli  chiama  sestina,  e  che  dun 
inno  di  preghiera  al  Dio  d*Amore  che  ralio  del  distrifige, 
ta  scritta  in  lontananza  de)l*amata  e  certamente  daire- 
silio,  da  cui  il  poeta  gtd  mat  ndire  non  spat  a,  se  6 
autentica  la  licenza,  mancante,  dice  il  Fanfani,  nei  cp- 
dici. 


1«5 


Crede  ii  Oiampi  che  li  N.  scriveise  in  Bo'ogoa  la 
canzone  <  Mille  voIie  ne  chiamo  il  di  mercede  >,  che  () 
la  1S^  del  Faufani,  e  basa  Targomeato  suo  salla  licenza: 

Vola,  Canzone  mia,  non  far  soggiorno: 
Passa  '1  BJsenzio«  e  TAgna, 
Riposandoti  appunto  in  su  la  Brana, 
Dove  Marte  di  sangue  il  terren  bagna, 
E  cerca  di  Selyaggia  ogni  contorno; 
Pol  di*:  Senza  magagna 
Mio  signer  far&  presto  a  vol  ritorno. 

Gho  Cino  fosse  a  Bologna  intanto  che  Marte  infU 
riaya  in  su  la  Brana,  fiumicello  che  scorre  pel  lato  set* 
tentrionale  di  Pistoia,  6  ammissibile:  egli  poteva  esserci 
neirultimo  decennio  del  secolo  XIII,  intento  agli  studi 
unirersitari,  poteva  esserci  quando  piii  tardi  sostenne  I'e- 
same  private.  Ma  oltre  che  nti  par  strano  che  il  poeta 
invlti  la  sua  canzone  a  non  indugiare  ad  andare  a  Pistoia, 
mentre  le  addita  una  via  cosl  lunghetta  come  6  quella 
che  da  Bologna  va  a  Prato,  attraversa  il  Bisenzio  e  I'Agna 
e  conduce  a  Pistoia,  6  altrettanto  inverosimile  che»  men- 
tre resale  innamorato  delinea  con  precisione,  con  i  Qumi 
Bisenzio  e  Agna.  )a  via  da  Pistoia  a  Prato,  lasci  invece 
indeterminata  affatto  la  via  da  Bo  ogna  a  Prato  e  solo 
c<4ngetturabile  dalla  fantasia  del  Ciampi.  Cos)  parmi  piu 
logico  ammettere  che  il  verso 

Dove  Mdirte  di  sangue  il  terren  bagna 

non  allada  soltanto  alle  quotidiane  vendette  di  parte 
indegne  di  Marte,  ii  dio  delle  battaglie,  e  degne  piut- 
tosto  della  Discordia,  nel  suo  squarciato  ammanto,  ma 
ai  fatti  d^arme,  alle  lotto  che  Pistoia  ebbe  a  sostenere 
contrcf  ai  fuorusciti  ribelli  e  contro  Lucchesi  eFioren* 
tint  che  Tassediavano;  quando  rubate  ed  arse  le  case 
dei  Siiiibuldi,  essi  furono  costretti  aritirarsiin  Damiata, 
nella  fortezza  di  Simone  Cancellieri,  dove  Cino  forse 
30^1  le  9ort|  delta  famiglia;  e  oaduta  Damiatai  o  con 


etsa  le  case  dei  Tudici,  dei  SiaibtrfHi,  Tebertelli.Lazz&n 
e  Ricciardi,  Piitoia,  dimagrata  di  Negri,  rimase  alia  ^' 
ziooe  nemica;  quiiado  i  Fiorent'Di  si  uuiron  )  ai  Lncchesi 
e  agli  esuli  Neri  ai  danni  della  piccola  e  forte  citti : 
giorni  di  inaudite  crudelU  che  ridussaro  Pistoia  affa* 
m&ia,  pill  sveniwa'a  di  Sodoma  e  G  "f-orra,  e  faltre 
terre  che  in  un  punto  profondarono.  t'l  e  la  diedero 
oelle  mani  dei  coDfederati.  condetti  da  Uoroello  Mala- 
apina,  vapor  Ut  Val  di  Magra.  Or,  Doi  uod  possiamo 
seguire  il  fuggitivo  p  eta  nelle  sue  peregriuaziooi  del- 
I'dsilio;  ma  d  verosimiie  riteoera  che  la  canzone  aia 
stata  scrilta  a  Pi-^ito,  perch6  allor^  appare  ban  pi&  gia- 
stificata  la  delineaHone  delia  via  risultaote  dai  versi 
succitati:  Prat",  Bisenzio,  Agna,  Braoa;  e  percbft  sap 
piamo  che  Cino,  ribt.tlo  di  Pistoia,  scrisse  a  Prao  an- 
clie  il  sonetto: 

Lafio  pensando  alia  distrutta  valle, 
in  tssta  at  quale  trovasi  ael  cod.    Casatatense,    e    nel 
BoJogn.  Uoiv.  1389,  la  scvitta:  Es-endo  a  Prato  ribelo, 
di  Pistoia, 

£  a  proposito  di  questo  sonetto  iosisterd  sul  fatto 
clin  se  il  poela  era  lontano  dalla  patria  qnaodo  lo  scrisse 
e  la  fazione  nel'a  sua  citta  dominaote  gli  facev.i  seatir 
peoa  di  una  colpa  di  cui  era  inuoceote,  obbtigandola 
A  una  dura  lontananza,  ne  appare  necessariamente  IV 
dea  deU'esilia  forzato. 

Ma  Dou  6  tutto.  Cino  indica  chiaramente  come  ^li 
fosse  esiliato  nei  seguenti  versf  diretti  all'esnle  lloren- 
tlDo: 

Poi  oh'  i'  fui,  Dante,  dal  nital  mlo  alto 
Fatto  per  greve  eailio  pellegrino, 
B  Lontanato  ^.al  plao^r  piii  dno 
Gtae  ma'  formasBs  '1  sarere  inflDito; 
r  son  piangsndo  per  lo  mondo  gito, 

(1)  Dins  OomjKvn'.  la  R   It.   Serpi  IX,  BIS,  D. 


1^ 

E  ue  apparo  come  il  pcGta  fosse  condaoDato  a  ^r^6 
esilio,  e  in  queste  parole  si  compendiauo  tutii  i  dolor], 
tutte  ie  angoscie  che  il  ramingo  Infeiice   sofferse   dal 
di  che  fu  strappat )  alia  contempla/.ione  della  plu   su 
blime  bellezza  che  raai  ViKifinUo  mf.ere,  Id^io,  formasse. 

Ud  altro  accenno  alTesilio  Tabbiamo  oella  quarta  delle 
epistole  di  Dante  pubblicate  dal  Fralicelli,  gi^  per  la 
prima  volta  edita  dal  prof.  Carlo  Witte:  <  Exulanti  Pi- 
storiensi  Florentinus  exul  immeritus,  per  temporadiu- 
turnasalutem  et  perpeiuaecari^atis  ardorem  »,  la  quale, 
come  i)  sonetto  <  lo  sono  state  con  amore  insieme  », 
4  responsiva  alTaltro  di  Cino  <  Dante  quando  per  case 
s*abbAndona  ».  In  essa  il  poeta  ghibeilino  conforta 
Tamico  sventara'o:  <  ...  frater  carissiine,  contra  Rham- 
nusiae  spicula  sis  patiens  te  exhortor:  Rii  paziente 
contro  i  dardi  di  Nemesi...  e  dallo  memoria  tua  nou 
cada  quc^lla  sentenza:  Se  vol  foste  cosa  del  mondo,  il 
mondo  ci&  ch'6  sua  cosa  amerebbe  ».  AlTesule,  vittima 
della  Rhamnusia  Yenu',  la  dea  dello  sdegno  e  del'a 
vendetla,  e  della  ferocia  di  parte,  doveva  sonar  dolce 
la  parola  di  Danle  —  florentinus  exul  immeritus  -  ;  en« 
trambi  superior,  ai  lartiti  ed  entrambi  vittime  di  essi. 

E  qui  parmi  opportune  riferire  ua  aneddoto  gi^  ri- 
portato  dal  Carducci  da  un  cod  ice  Vaticano  che  con- 
tiene  rime  di  antichi  poeti  e  fu  del  Bembo:  <  Avvenne 
che  fuggendo,  giunto  al  passo  di  un  fiume  pericoloso, 
Messer  Cioo  fu  conosciuto  da  un  viliano,  il  quale  non 
lo  voile  passiire  alTaltra  riva,  ?e  prima  nonglidavaun 
consiglio  >  Tradizione  postuma,  dice  il  Oarducc',  ma 
che  dimostra  quanta  fosse  ropioione  popolare  della 
sapieuza  di  Cino;  e  da  essa  6  lecito  arguire  che  Gimo 
fuggeate  non  aniava  in  yolontario  esfiio. 


Cino  adunque  fu  bandito  dalla  cittii  natale,  e   fuggi 
da  essa  coi  vinti.  Ma  chi  erano  i  vinti  coi   quali   fug- 


la^ 


giva  e  chi  i  vincitori  ?  quaii    sodo  gli  anni   delPesilio, 
e  dove  Tesule  trasse  i  dolorosi  passi  ? 

La  risposta  alle  prime  due  domande  i  contenata  im- 
pMcitameote  in  ci6  che  fln  qui  ta  detto;  qaaoto  aU*al 
tima  questione  siamo  in  phvieove  ran  dche  luca  o  ben 
poco. 

Poich6  nell'antecedeDte  capitolo  si  d  dimostrato  che 
OiDO  appartenne  ai  Neri,  bisogaer^  concladerne  che  e^li. 
esule  per  le  fazioni,  sia  state  sbandito  dai  Bi*inchi,  ne- 
mici  della  sua  famiglia.  Ma  con  ci6  si  spo«ta  anche  la 
data  deire:iilio,  perch6  egli  dovette essere  evidentemente 
bandito  da  Pistoia  quan«io  vi  imperaynno  i  faziosi  $uoi 
avversari,  per  qtmoto  i  biograS  coUochiuo  resilio  dope 
il  1307,  dominanii  i  Neri.  Cosi  il  Witte  dice  ohe  il  N. 
era  stato,  innanzi  re5^ro,assessore  presso  il  tribunale 
civile  della  sua  citta  natale.  Ora»  poichS  Cino  fu  asses- 
sore  in  Pistoia  Tanno  1307,  6  chiaro  che  il  Witte  as 
segna  I*  esilio  di  Cino  a  questo  e  agli  anni  seguenti. 
Anche  il  Carducci  cos\  la  pensa.  11  Fratice  li  dice  cbe 
<  resilio  di  Cino  fu  dalTanDO  1307  al  1310;  il  Ohiap- 
pelii  lo  coUoca  nel  1307,  dicendo  che  il  poeta  <  dovette 
rifugiarsi  nel  castello  di  Pitaccio  presso  i  Vergiolesi  >. 

Ricercando  Talternato  trionfar  delle  parti,  troviamo 
che  i  Bianchi  dominarono  dal  1301  al  1306.  Or  pu6  es- 
sere che  anche  Tesilio  di  Cino  cominci,  cooae  ho  gi& 
acceunato,  colTanno  13  Jl,  quando  i  suoicousorti  furono 
cacciati  dalla  patria  e  si  ritirarono  a  Damiata/^^  Esap- 
piamo  che  a'cuni  dei  Neri  fuorusciti  andarono  a  Pra^o  ^); 
e  dalla  scritta  che  6  in  testa  al  sonetto  <  Lasso  pen* 
sando....  »  rileviamo  che  a  Prato  fu  anche  Cino;  e  gli 
esuli  furouo  dai  Pratesi  accommiatati  per  paura  de' 
Fiorentini.  I  Neri  rimasti  a  Pistoia  furono  processati, 
costretti  a  confessare  che  volevano  tradire  la  citt^  per 


(])  l8t.  Pist.  Ed.  di  Prato  1)05,  pag^  22- $3, 
(<)  Ivl,  pag.  25« 


160 


darla  ai  Lucchesi,  coadanoati  in  mulU  di  dueceoto,  cin- 
quecento,  mille  florioi,  caociati  ai  conRni,  m  rti,  fedM, 
presi;  le  case  dei  Tedici,  Siniboldi,  Lazzari,  Riociardi 
furoQO  affocate  o  abbattute.  Nel  1302  troviamo  i  Sini- 
buldi  afforzati  e'>j  Neri  n  UD  c^stello  della  mootagDa 
pistoiese,  il  quale  fu  poi  preso  dai  Bianchi,  e  neiras 
salto  peri  Lapo  di  M.  Te^riao  Sinibuldi  cugiao  del   N. 

Ma  per  que^to  sia  ovvio  il  credere  che  Gioo  seguissse 
le  sorti  della  sua  famiglia,  nou  6  da  trascurare  la  te 
stimonianza  gi^  accenaata  del  Tedici,  veridico  storico 
pistoiese,  ii  qual'^^  celle  sue  Storie  (^s  iiiedite  narra  come 
<GiDOde  Sighibuld)  di  Pistoia  essendosi  partite  dicasa 
I'aiiDO  1303  da  nimicizia  e  parzialitii  di  quella  aQd6...  a 
Parigi  iu  Fraocia...  > 

Ecco  aduDque  che  uuo  storico  atteudibile  per  anti- 
chiU  e  per  veridiciU  viene  ad  appoggiare  le  nostre 
congetture  sulla  fuga  di  Cino  e  sugli  anni  del  sue  esi- 
lio.  Ma  dove  si  reed  Pesule?  Che  andasse  a  Parigi  ce 
lo  dice  lo  stesso  Tedici  ed  6  yoluto  aoche  dnlla  tradi  • 
tione,  la  quale  per6,i  noi  Tabbi^mo  visto,  si  fonda  sopra 
tin  argomento  err.>Deo;  che  dimorasse  a  Prato  ribello 
di  Pistoia,  ce  lo  fa  credere  Tiscriziooe  dei  codlci,  gi& 
da  noi  citata,  in  testa  al  sonetto  <  Lasso  peosando.. »; 
forse  altre  rime  ci  permetterebbero  di  seguirlo  a  Pisa, 
a  Bologna.  .. 

L*e8ilio  dur6  probabilmente  sine  aU'anno  1306,  in  cui, 
caduta  Pistoia,  I'undici  d'aprile,  nelle  mani  dei  confe- 
derati,  anche  Cino  potd  entrarvi  c  )n  tutto  11  partite 
de*  Neri,  e,  infelicissimo  amante,  si  augurava  di  non 
essei*  tomato  mai.  (') 


(])  B  OD  mas  cartaoeo  In  fol.  del  Sac  XVT,  esistente  nella  Portegoer* 
rlana  di  Pistoia  II  Dottor  Bernardino  Vitoni,  ch«  gi&  lo  posssdette,  volevft 
pttbMieaflo  per  la  raritd^  per  ii  pregio^  0  per  (uUi  i  caratteri  di  veritd  ehe 
in  U  raechiude, 

(S>  V.  Son,:  Con  gravos'  soapir^  traendo  guai^  ohe  dovatte  essere  aoritto 
in  qiio8t*oooaiion«^  Cfr.  pag.  07  di  queite  note. 


1^ 


Fra  i  patti   della  resa  fa  che  alia  parte  Bianca  do* 
▼fssaro  rimanere  i  castelli  di  Piteccio  e  della  Sam^nca; 
ttscitl  i  Vergioles!  e  gli  altri  Bianchi,  entrarono  in  Pi 
stoia  BIdo  da  Gnbbio  e  Moroello  Malaspina.  E'con  easl 
che  torn6  Cino?  Certo  nel  1307  egli  era  giadice    delta 
cause  civili  nel  la  terra  natal  e.  crsa  cupida  e  stanca;^ 
coprlva  quella  carica  Don  come  cittadino   snperiore  a 
ogni  partito»  o  tollers  to  dai  Neri  per  la  sua  imparzia- 
litii,  ma  perch6  Nero  egli  stesso;  senza  dubbio  cosl  ap 
pare  meoo  disinteressata  la  sua  sentenza  in  favore  det 
Odeiussori  Neri,  di  cui  abbiamo  altrove  parlato:   meoo 
disinteressata,  ma  altrettanto  rigorosa  di  fironte  ai  te- 
st! di  diritto. 

Che  nel  1303  U  poeta  di  Selvaggia  fosse  in  esilio  da 
Pistoia,  lo  si  pud  provare  anche  con  un  argomento  che 
parmi  decisive.  Esse  sta  nel  dimostrare  che  una  can* 
rone  dettata  dai  dolori  delTesilioe  delPamore,  Ai  scritta 
nel  1303,  per  quanto  prima  d*ora  si  sia  assegnata  al« 
l^aono  1313. 

Gid  mi  dar^  occasione  di  rischiarare  anche  un  dub- 
bio iotorno  agli  anni  di  morte  di  Selvaggia,  gik  dal- 
TArfaruoli  determinate,  e  da  posteriori  biografi  ieflr- 
mato 


A  furia  di  scalzare  attendibilit^  alle  notizie  che  ri- 
riguardano  Selvaggia,  qnesta  bionda  ed  ideale  Madonna 
diventa,  storicamente,  un  e^ere  dawero  troppo  sfng 
gente,  impalpabile,  ev  inescente.  fnvero:  cosa  di  lei  sap 
piano  dope  la  notizia  che  fu  amata  da  ^ino,   sdegnosa> 
crudfjle,  avversa  al  p(»eta  per  animo  e  per  partite,  che 
forse  fU  sposa  al  Focaccia,  che  forse  dimor6  a  Bologna 
dove  g)i  occhi  suoi  avrebbero  amm&liato  anche  Gherar 
duccio,  e  che  inflne  and6  esale  da  Pistoia  col  padre  a 
Piteccio?  Sappiamo  che  morl  alia  Sambuca.  Ce  lo  dice 


m 


l*ArfaruoIi;  <  Mori  Mad.  Selvaggia  alia  Sambuca,  castello 
del  Vergiolesi,  d*  ve  M.  Filippo  suo  padre,  per  le  fa* 
zioni  civili  di  Pistoia  si  era  ritirato  colla  sua  famiglia; 
il  qual  luogo  vend^  ai  Pistoiesi  TaaDO  1311  »;  e  pro 
priameote  sarebbe  morta  nel  1307,  cio6  lo  stesso  anno 
ID  cui  Filippo  abbaodoDando  Piteccio  insostenibile^  si  era 
ritirato  alia  Sambaca. 

Ebbene:  perfiao  Luigi  Ohiappelli  il  quale,  in  genere 
mena  biione  le  asserzioni  delTArfaruolielo  ritiene  udo 
storico  atteridibile,  qui  asserisce  essere  ancora  molto 
Incerta  Tepoca  della  morte  di  Selvaggia,  e  come  non 
abbia  molto  foadamen'o  ropinione  comuoe  che  la  Ver- 
giolesi morisse  durante  Tas^edio  della  Sambuca,  soste  • 
Duto  da  Filippo  Vergiolesi  di  lei  padre  contro  i  Neri  di 
Pistoia  £  difatti  da  varie  poesie  di  Ciuo,  egli  dice,  ri- 
sulta  che  visse  aoche  molto  dopo  Tassedio  della  patria, 
ed  anzi  che  viveva  ancora  nel  1313  quaodo  Uguccione 
della  Faggiuola  tentd  di  occupare  Pistuia.  E  per  com* 
provtire  il  suo  d  re,  citala  canzone  <  Lo  gran  disio  che 
mi  stringe  cotanto  ». 

Vargomeato  del  Ohiappelli  4  ancora  quelle  di  3. 
Ciampi,  il  quale  si  riferisce  al  commiato  della  canzone 
succitata : 

Canzonei  vanne  oosi  chiusa  chiusa: 

Eatra  in  Pistoia  a  quel  di  Pietramala, 

E  giugni  da  quelFala, 

Dalla  qual  sal  ohe  '1  nostro  Signor  uaa; 

Poi  si,  16  T*^  '1  dritto  segno 

Quardami,  come  d^i,  da  cuor  malvagio. 

Ora,  dice  il  Ciampi,  quel  di  Pietramala  6  Uguccione 
€  uno  del  Vicari  del  defUnto  Imperatore  Arrigo  VII,  e 
che  prese  a  rimetterein  Pistoia  iGhibellini,  nel  1313  ». 
Ahbi;imo  visto  che  nello  stesso  modo  lapeosa  ilCbiap 
Polli»  e  sggiungo  che  an  che  il  Fanfani  sottoscrive  al- 
ropinione  del  dotto  professore  deirUniversit&  di    Pisa. 

Qr^  da  Q\t>  si   desumorebbe  che  Sel^aggia   dovova 


m 


ancor  esser  viva  nel  1313,  se  lacaozooe  di  cai  trattiamo, 
scritta  Tivente  Selvaggia  —  ogauno  pud  leggerla  ^  fu 
dettata  in  queiranno.  Ed  ecco  dunque  che,  pe/  con 
86090  di  tre  illustri  commentatori  del  Pistoiese.i  quuli 
pure  non  si  sono  mai  sogoati  di  negare  la  lor  fldDcia 
HlTArfaruoli,  81  darebbe  un  ultimo  crollo  aIi*autoritk  di 
quel  primo  biograf). 

Ne  conseguirebbe  adunque  che  la  aotizia  data  dal- 
TArfaruoli  dod  h  esatta.  Oltre  a  ci6,  se  Selvaggia  era 
ancoi*  viva  nel  1313,  come  potrebbe  ci6  accordarsi  con 
la  notizia  che  e<»H,  sarebbe  morta  in  uno  del  castelli 
del  padre,  secondo  ogni  probablliU  la  Sambuca,  come  6 
confermato  anche  dal  soaetto  del  poeta: 

<  lo  fui  suiralto  e  sul  beato  monte  »  e  dairaltro  di 
relto  a  Dante:  €  Signor,  e*  non  passd  mai  peregriao  », 
quando  noi  sappiamo  che  Filippo  Vergiolesi  cedette  ai 
Pistoiesi  per  lire  undicimila  il  castello  della  Sambuca 
non  piti  tardi  del  1311?  (0 

£  80  Selvaggia  era  gi&  morta  nel  1311,  come  il  poeta 
la  erode  ancor  viva  nel   1313? 

Per  ri8olvere  la  questione,  qui  vien  natur  le  un*al- 
tra  domanda:  come  mai  poteva  il  poeta  invitare  la  sua 
canzone:  <  Entra  in  Pistoia,  a  quel  di  PiHtramala  — 
E  giugni  da  quell'ala  —  Dalla  qual  sal  che  '1  nostro 
Signor  usa  >,  riferendosi  al  signer  della  Faggiuola,  "e 
in  realty  Ugucciouv)  Fagiolano  in  Pistoia  non  fu  mai, 
perch6  non  in  nessun  tempo  non  ne  fu  signoref 

Come  questa^considerazione  non  venne  in  mente  al 
dottissimo  Ciampi,  al  Faufani,  al  sottilissimo  Ghiapptfl'ii 
che  pore  con  taota  ditigenza  si  sono  occupati  di  Cinot 

Che  dice  la  storia  a  questo  proposito?  Sembra  op- 
portuno  consultare  le  crouache  Jo:ali.  E   anzitutto    ci 

(1)  V.  Anoniito  pUtoUse.  Sd.  cit.  p  g.  81  82    —  Vodi  altres)  M  A..  SaM 
Itterie  dl  Pistoia,  pane  9.^  1.  V,  pag.  29S-S93.  M.  PUippo  o  L»apo>  dopo  et* 
•erii  ritirato  da  Pi(acoio  allaS-iiubuca,  «  a  Zmm^^o  amtar^  iadeboli to  •  itanco^ 
fece  aocordo  col  comune  di  Pistoia,  e  resell  la  Sambuca  per  undicimila  lire, 
OBsenilogli  gili  inoria  in  detlo  luogo  M,  Selva^uia  sua  figlittu'a> 


173 


apprtode  rAnonimo  pistoiese,  ciii  G.  Carducci    chiamft 

fedel  rJtratto  di  ouella  bella  e  forte  cittadinanza,    che 

Ugiucciune  stando  ad  assedio  ja  Mootecaiioi,  ebbe  trat- 

tative  pep  avere  la  citU  di  Pistoia  con    alcuoi   villani 

di  pkcoLa  coodizjone  <  li  quali  guardavano  fa  ootte  Id 

su  ie  mura  da  porta  di  Ripalta.. ...  A  dl  II  di  Dicembre 

di  noitei  A.  D.  1314  cavalc6  ve'so    Pistoia  >.  La   citt^ 

yien  sorpresa;  ma,  dato  railarme,  «  veggeodo  ^a  gente 

di  UgucciODe  lo  popolo,  e  li  cavalieri,    th'erano   nella 

cittdy  trarre  loro  addo>so   vigorosameDte,   e   fare  lore 

gpande  danno,  e  yedendo  che  lo  di  si  facea,  e  che  U  • 

gucciooe  DOD  li    soccorrea,  si  ridussero  verso  la  porta 

di  Ripalta.  AUora  quetli  deatro  li  percossono,  e  misonli 

fuori  della  citt^  per  forza  con    grande    loro  danno.   E 

uaciti  fuori  li  nemici,  quelli  dentro  montarono    in    su 

la  porta,  ed  in  su  Ie  mura,  ed  in  queito  punto    giunse 

Uguccione  alia  citt^  con  la  sua  geute,  e   vedeudo  che 

11  suoi  erano  cacciati  di  fuori,  si  ritrasse  indietro. ...  e 

toraossi  a  Lucca.  » 
'  • 

In  questa  occasione  fu  ucciso  Lando  di    M.    Filippo 

Yergiolesi.  che  militaya  nelle  file    di   Uguccione.    alle 

quali  erano  accorsi  i  Ghibellini  fuorusciti  di   Pistoia  e 

delia  Sambuca,  quando  Ie  loro  speranze  furono  deluse 

per  la  morte  di  Arrigo,    polch6  il   Fagiolauo,   <  uomo 

alto  di  statura,  horribile  neir  aspetto,  feroc  >  nel   sem 

biante,  si  rappresentava  a  tutti  inyitto,  severo  ed  infa- 

digab.le.  >  Abortito  ii  tentat  vo  dei  Ghibellini,  <  i  Pi- 

atoieai  riconobbero  la  salvezza  e  la  vittoria  da  S.   Eu- 

lalni»  vergine  e  mdrtire  » 

B'  ben  yoio  che  i  Pistoiasi  su)  principio  del  13^16  de* 

libiirarono  dj  eleggere  Uguccione  a  loro  podest^  e  ca 

.p^^no;  ma  oltrech6  Cino  dovette  aver  scritto  la   caa- 
zone  che  contiene  il  passo  di   cui    ci    occupiamo   e    la 

J  quale  i^ira  Tempito  deii  a  piu  yibrata  passione,  nel  pi u 
.f6ryi4i  giorni  d^amore,  quando  i^  delusi  ni,  idqlori  qi- 


174 


Yili  6  politic!  Don  avevano  ancor  stanca  raoima  siia.  e 
DOD  nel  1316  in  cai  il  N.  doveva  essere  aoaomopresso 
ehe  cioquantenDe;  s'agglanga  che  11  Pagiolano.  dopo  di 
aver  acceitato  Tofferta  foltagli  dai  Pistolesi,  maod^  fiiio 
al  SQO  arrivo  Messer  BuongiovaDni  da  Perrara;  ma,  coUa 
potenza  e  co'Ie  vittorie  di  Oastraccio,  doT^tte  emlare 
presso  Can  Qrande  delta  Scala. 

Qui  6  pur  prezzo  deiropera  osservare  come  Selyag- 
gla  DOQ  poteva  trovarsi  io  Pistoia,  ni  Oino  dirigerle  It! 
la  sua  caozone,  non  nel  13 '3  perchi  abbiamo  visto  die 
il  fratel  suo  Lando  Yergioleiil  fu  ucciso  mentre  militSiTa 
coDtro  la  patria  sua,  nou  nel  1310  perchi  solo  net  13>8 
a  di  28  Maggio  si  concluse  la  pace  tra  Quelfi  a  €^i*> 
bcllioi  di  Pistoia,  per  anirsi  iosieme  contro  Oat tmecto, 
se  pure,  contro  ropiuione  del  Salvi  ohe  qui  abbiamo 
seguito,  non  si  deve  prestar  fede  airAnoaimo  pistolese 
il  quale  alTanno  1320  ci  descrire  i  Vergiotesi  come  al - 
leati  col  nobi'e  vomo  Oastruccio  Intermioelli,  ai  daunt 
di  Pistoia,  e  ci  narra  di  piii  che  in  un  cerlo  scontro 
fu  ucciso  P  ero  di  m.  Bertino  Yergiotesi  €  ano  dei  pHi 
pro,  e  Dobili  donzelli  di  casa  sua.  » 

Dimostrato  cosi  che  Oioo  non  poteva  in^ttare  la 
sua  cauzoce  a  andarne  cosi  ehiusa  chhisa  in  Pistoia, 
ad  Uguccione,  nel  1313»  mi  prOYO  a  aostitnire  nn  altro 
personaggio  a  cui  la  canzone  si  raccomandi,  ean*attea 
data. 

Narra  aiunque  Michelangelo  Salvi  che  <  nel  ttieso 
di  Agosto  del  1303  si  scoperse  in  Pistoia  nna  coagkiPa 
contro  la  cittii  e  paciflco  state  della  parte  bianea  p^r 
favorire  i  fuorosciti  Neri.  Capi  della  quale  fi^rooo  Nttlo 
di  Ouardooe  con  Vantino  suo  figlio,  e  Vanni  di  han- 
franco  di  Arrigo,  onde  ftirono  tutti  bauditi  como  ri- 
belli,  e  i  loro  beni  conBscati  da  M.  T\)fnaw  8iff*^^^^^i 
Pietramala  Cap  tan-y.  p 

B*  questo  il  drit^o  signore  a  cui  Oioo  manda  la  sva 
oansone?  Senz*altri  argomenti,  par  aapendo  0lieOmo  in 


m 


qQMt^aniio  1308  era  in   esllio,   non   oserei  affermario. 
Ma  itk  questa  mia  opinione  ml  raflerma  uaa  coaget- 
tura  che  ho  potato  fare  sulfa  licenza  della  canzone  dl 
cat  qui  ho  trattato   e  che  chiedo  di  riprodurre: 

Canzone,  vanne  cofl  cbiusa  cbiusa: 
Entra  in  Pistoia  a  quel  di  Pietra  mala 
E  giugni  da  queirala, 
Dalla  qnal  sai  che  '1  rostro  sfgnor  usa; 
Pol  si,  se  v'6  •!  dritto  segno.... 
Guardami,  oomo  dei,  da  cuor  malvagio. 

Oos'  s'ampa  il  Panfanl.  Ora  il  penultimo  verso  ha  una 
lacuna;  n6  11  codice  Riccardiano  la  riempie  ;  ma  il 
Ohifiano  legge: 

Poi  si,  se  Y*6  il  diritto  segno,  Masso 
Guardami,  come  de',  da  cuor  malvagio. 
n  codice  Trivulsiano  1058  cosi  conQia  il  distico: 

Usa  poi  si  quel  dirito  segnio 

Ma  solo  guardemo,  come  dei,  da  core  malvagio. 

Non  son  versi.  Le  parole  andarono  altera te  e  tra- 
sposte :  ma  i  itornando  VUsa  al  terz*uItimo  rerso  come 
negli  altri  codici,  ab^iamo : 

Poi  si  quel  dirito  segnio 

Ma  solo  guardemo,  come  dei^  da  core  malvaso. 

B*  mancinte  il  primo  verso,  riiondante  il  secondo: 
ripristiniamoli,  come  ce  ne  addita  la  via  il  codice  Chi*> 
giano,  accettando  il  Masi   —   Mn$o[lo)  —    del  Trivnl- 
z  ano,  restituendo  le  due  prime  sillube  deIl*ultimo  verso 
alta  fine  del  penultim  *,  come  di  ragione,  e  sopprimendo 
quel  lo  (M?i  sol >)  Interpolate  dal  non  intelligente  ama- 
iluense  e  che  d*aUronde  non  esiste  nel  codice  Chigiano: 
Poi  si  se  v'6  '1  diritto  signor  Maso 
Guardami,  oome  del,  da  cuor  malvagio. 
Bfa  le  rime  dl  questo  commiato    devono  evidente 
mente  corrispondere  nelTordine  a  quelle  della  sirima: 
dovremmo  quindi  avere  il  seguente  schema  : 

A  B  B  A  C  G 
in  cui  1  due  ultimi  versi  sono  a  rima  baciatot 


174 


Per  otUn^rla,  biso^a  scostarsi  alqaanto   dalla  to 
DOlogia  comune  e  lef^gere: 

Poi  si,  se  v'6  'l  diritto  si^nor  Nfaso 
Ouardami  come  del  da  caoi*  malviu. 

Ora  questa  des^Denza  nso  per  agfo  6  facilmente  ri- 
scontrabile  in  scritiori  posteriori  e  non  toscaoi:  e  ba- 
st! per  noi  citare  tra  essi  il  Boiardo.  Orlando  loDa- 
morato  p.  Ill  c.  VIII,  st  65: 

Par  ch*io  potasai  dar  a  questo  an  baso. 

Ma  Don  ci  staremo  certo  paghi  a  ci6  per  coonestare 
la  nostra  coDgeitura,  tantopiti  trattandosi  di  un  riflesso 
che  i  TOcabolari  non  re^istrano.  mentre  aegn^uo  mal* 
vascio  —  S.  Oerolamo  ha  le  malvasce  Cigiiazioni  del 
secolo  —  e  molvasia  per  malvogilii.  La  proposta  le- 
fione  avr&  piCi  'erio  fondamento,  se  potrd  dinro8trara» 
almeno  per  analogia,  che  il  gruppo  gio  ^malv-^^/oj  i 
talora  mutato  in  -^o(malva^o)  ne!  poeti  con  tempo  ranei 
o  anterior:  al  N. 

I  riflessi  ^gi^,  -so:  derlvano  o  del  gruppo  </ .  o  dal 
gruppo  si  e  sono  identici  per  ambedue  le    derivazioni 

Nella  canzone  «  Contro  a  lo  mio  volere  »  di  Messer 
Paganino  da  Serezano  o  du  Serzana,  nel  codice  Magliab. 
Palatine,  abbiamo  al  v.  4^  il  grufpo  •  ^^o  mutato  in  •$(»: 
Rasona  per  ragiona. 

Oosi:  Ganz.  «  Dolglio^amente  e  con  gran  malenanza» 
di  Predi  da  Lucca,  v,  codice  citito:  rasone  jrer  rag  tone. 

Oanz,  «  Allegramente  canto  »  di  Messer  lacopoMo- 
stacci,  V.  30,  detto  codice:  preso  per  pregio. 

E  ancora:  Ganz.  <  Considerando  I'altera  valenza  »  di 
Meo  Abracciavacca,  strofe  IV,  codice  Mgb  Pal.  rasone 
per  rag  one. 

Ho  detto  che  i  riflessi  so  per  gio  derivati  dal  gruppo  (;, 
ai  possono  osservare  nolle  parole  derivate  dal  gruppo  si. 

Oanz   <  La  buona  venturosa  innamoranza  »  di  Max 
zee  di  Ricco  di  Messina,  t   18,  cod    Mgl  Palat:    Casone 
per  cagione. 


11* 


Oans.  «  Amore  avendo  inieramente  voglia  »  di  Ma- 
zeo  0  Matheo  di  Ricco  di  MessiDa,  o  di  Rainerl  da  Pa- 
lermo, V.  34,  cod.  cit;  Malva^io  per  malvagio. 

Canz  <  Ai  lasso  che  ii  boni  e  11  malvasi  >  di  Guit- 
tone  d'Arezzo,  strofe  1.,  cod.  cit:  Malvosiper  malvagi. 

Canz  <  Se  da  vol  donna  genie  »,  strofe  4.^.  Mason 
per  mngione. 

Gosi  si  potrebbe  riscontrare  un  basare  per  baciare, 
e  ancora  in  Guittone  nella  canzone  <  Gentil  mia  donna 
gioi  sempre  gioiosa  »  strofe  9.*  an  malvasiiA  per  mal« 
Tagii&. 

In  Bonvesino  abbiamo  presone^  casone  per  prigionet 
cagione;  un  malvasu  cita  il  Caix,  allato  a  fnalvasi,  e 
fasano  per  fagiano  (^). 

Oosi  ci  insegna  ancora  N  Caix  che  mentre  nel  flo- 
rentino  e  nel  pisano  lucchese  6  generate  fin  da  prin- 
ciple la  notazione  gi;  nel  pistoiese  e  neiraretino  senese 
gi  h  raro;  e  invece  si  alternano  le  notazioni  si^  seU  sgi; 
e  Taso  di  si  e  non  mai  set  o  sgi  6  proprio  di  Pistoia. 
Bd  6  importante  il  trovare  come  notazione  il  semplice 
s:  rasone,  preso  per  rag/on^,  pregio,  in  cui  il  Oaix  in* 
clina  a  ravvisare  forme  in  origini  nsate  dai  poeti,  di 
cni  la  corrispondenza  coll  a  franco-provenzale  pot&  age  • 
TOlare  la  diffusione. 

La  lezione  da  me  proposta  parr&  anche  meglio  aTva. 
lorata  achi  consider!  che,  in  Oino,  queste  forme,  ie  quail 
si  allontnnano  dalFuso  comune,  sono  assai  frequent!  e 
moitepliciy  adottate  o  per  ragione  del  la  rima,  operchd 
proprie  del  dialetto,  o  perch4  consacrate  nei  poeti  an. 
teriori. 

Per  tutte  basti  citarne  alcune:  saecio^  forma  affatto 
meridionale,  di  cui  non  6  eaempio  nolle  schiette  prose 


(I)  Y*  «  qaetfto  proposito  U  magiitrale  laToro  del  dott  0.  N.  Calx:  €  L« 
origiai  delUi  liagaa  poetioa  italiana  ». 


\ 


\ 


its 


toscabe,"  accreaTTat5*f5rs©  presto  t'poeti  deila scuola  to • 
scana  dalla.  corrispondeaza  del  provenzale  sapcha,  tv. 
sache;  (Oanz*  1  ed.  Fanf.) 

chevdre  per  chiedire,  come  anche  in  Qulttone,  che 
accenQa  &d  UDMofluenza  del  pr(  venzale, guer^r;  (Qanz.  24) 

riluc'ino,  sedfdno,  spostameati  per  uso  del  verso  e 
delle  rime;  (Cans    14) 

maggio  per  maggiore^  frequente  anche  in  Guittone; 
(OanZt  2  ) 

mcve  per  me^  con  vocale  paragogica,  perrim^ire  con 
fieve.  ^  forma  meridionale  cgme  tene^  sene  ecc,  comuni 
in  Oiullo;  mentre  la  fcrma  toscana  sarebbe  mene; 
(Ganz,  14). 

10  scamt>io  della  vocale o  inu:  vui per  yoI;  (Son  18) 
gli  scambi  di  coniugazione:  spegnare  per  spegnere; 
V  assimilazione  dell*  imperfetto  della  2.*^  coniugazione  a 
qaollo  della  terza  vedia  pervedea  (rima:  mia) ;  Canz.  8; 
battia,  C'd'a  (Ballata  6); 

ia.  desinenza  u^o  per  ito,  rara  nelle  scritture  toscane: 
pariuto,  sma^rutOt  fef^^o;  (Son.  83) 

le  voci  for^e  foggiate  ad  arbitrio,  per  ragione  della 
rima, pome  dannaggio,  aUegraggio,  paraggio^  eorciggio 
per  cwore,  Canz,  2  Canz.  H.; 

le  parole  come  beflore,  dolzore  per  analogia  dal  pro 
venzale  {baudor,  douso%  folor  ecc)  Son.  7;  11,  appen- 
dice; 

lo.scambiOf  pure  per  analogia  tol  provenzale  di  ore 
con  urai  ra*^cura;  Son,  144, 

at  mt^  parve!»te,JvKse  secondo  I 'use  fr.  pro  venzale; 
Cfr  Tesor.  A  tuUo  H  tuo  vivenle. 

Dcttare  e  dottanza,  sincopato  per  duhitare,  e  dubi 
fanza  (Son.  59^),  guarti  per gvardati{Sou.W]\  la  forma 
meridioMale  appcia,  usata  anche  da  Oante  fS.  117);  e 
molte  altre  forme  non  regolari  come  penszvo  (eft  pror. 
pensiu),  son.  99;  il  verbo  vargareper  varcare;  (son.  14 
:Barca)  cfi".  L.  85 :  Tomato  da  Paenza ;  ihveffgieti  vtngare 


179 


(prov.  venyar);  robb.i  col  raddoppiamen to  delta  latybiale, 
come  in  Guittone;  il  (iambiameiito  della  vocale'ttin  o: 
glonto,  ponto,  defonto  'son.  20);  fdre,  per  fuorl;  *iar- 
tlro,  (Canz.  7);  ptangeno  per  piangdno  (sc^. '48)>  $ot)* 
vitehbe  per  ^o'overreb*)e\  la  desi-aenza  io  per  la  terza 
persona  deirimperfetto:  infoilio^  \isxi\o,  abbdiiio.^ntiOi 
inorio  (Son.  57,  Canz.  7.);  fedio  (Oanz.  10.)  giudio  per 
ffiuico;  la  rtednenza  i  per  e:  gemmteri' per ^^/fmtfere, 
e,  per  amore  della  rima,  il  raddopplamento  'della  li- 
quida:  ra  le  p6r  sale  verbo  (:  vaKe): 

Che  '1  plan  to  del  cOr  mio  agli  oc6hi  salle; 

la  metatesi  btigzadro  ( :  sguadro);  la  rima  strajiissima 
avidlo:  il  prejin  ehe  n'at^.d'o,  per  rimare  con^o7a(Son. 
125);  aUebbia  per  allegge^  isce  come  vuole  il  Fanfani, 
0  allibisce  come  vuole  laCrusca;  edaltre  infiolte  forme 
pjuomeno  comuai  alia  scuola  toscana.  o  prpprle  delle 
icuole  anterior!  o  faggiate  dal  N«  ad  arbitrio. 

Con  questa  lunga  eoumerazione.  di  cui  chiedo  venia 
ft  credo  io,  abbasUcza  dimes trato  quanto  grande  fosse 
la  liceoza  e  la  osciUazione  delle  forme  iD~Oino,  e  d'al- 
ironde  l*uso  detla  desineaza  aso  in  malw.iso  ft  abbon- 
dantemente  confortato  dagli  esempidi^ltripoeti,  sppra 
citati. 

Or  rUornando  al  commiato  della  canzone  cbestiamo 
esaminando,  noi  abbiamo  un  Maso  cbe,  unito  ai  titolo 
di  PSelramala  de'ia  siessa  licenza.  ci  d^  Tommaso  di 
Pietramala  al  quale  Oino  evidentemente  raccomandasft 
stesso  come  a  capitaoo  del  popolo  in  Pistoia. 

ReSta  pei*tanto  assodato  che  )a  canzone  «  Lo  'gran 
disio  che  mi  strlnge  cotanto  »  fu  scrltta  neiranno  1303, 
pofclrft  in  qire8t*anno  il  signordi  Pietramala  fa  pubblico 
ufflciale  nel  a  patria  del  N. ;  e  qaesto,  io  dieeva,  ft  un 
argomeiito  di  piii  per  aflfermare  che  Ciuo  tra  esule  nel 
1303  e  In  quel  giro  di  anni,  e  per  segutre  la  tradi^ione 
Oho^^lYagghi  sia  perlta  nPa^^Satttbtrca,  su  ;gli  /aftjjri  monti^ 


1» 

come  te9tiQc6  rArfarooll  e  come  pare  accenni  lo  8tes80 
poeta  nelle  citate  rime.  Oino  apprese  la  morte  di  quella 
donna  in  cul  risplendea  deitd  a  arm  re,   probabilmente 
quaod^era  giadice  delle  cause  civili,  negli  anni  1307-9,  e 
rapprese  in  Pistoia,  come  si  pu6   arguire  dal  sonetto 
<  Debt  Doa  mi  domaudar  perch*io  sospiri  »dODde  sap- 
piamo  cbe  il  poeta,  non  appena  udita  ia  Catale  notixia, 
fa  agli  ocohi  suoi  vedere  gli  usci  e  1  mnri  delta  casa  u' 
s'andamo  a  innamorare,  come  lo  sventurato  cbe  tro?a 
yita  neiralimentare  il  suo  dolore.  Fece  quindi  uq  pel- 
legrinaggio  alia  tomba  deU*amata,  alia  Sambuca,   sal- 
Talto  e  sul  beato  moate,  dove  adord  baciando  quel  santo 
aasso,  e  con  voce  di  dolore,  cbiamaado  Selvaggia,  passd 
TAlpe,  sia  che  allora  seguisse  Lodoyico  di    Savoia,  sia 
che»  spoglio  d^ogoi  allegrezza  e  d*ognibeoe,  tenesseal- 
tro  ylaggio  per  sopire  PimmeosoaffanQOdeatatogli  dalla 
comtemplazione  del  vel  Unto  e  del  drappo  scuro  che 
ricopriyan  le  ceneri  delta  doaoa  sua;  se  essa  h,   come 
Don  esito  ad  affermare,  uon  ombra  ma  donoa  certa.  ^' 


(1)  Che  TamaU  4i  Oino  si  chiamatso  SoWaggiarisnltada  moUi  patai  del 
OaBsoniere,  ohe  direttamente  o  indirettamente  tI  alludono.  nh  io  losieterd. 
8ol«i,  a  quaoto  ta  quel  nome  dice  il  ChiappeUi«  aggiaogo  cbe  eiik  del  noine 
h  strana  la  meravigUa  destataoe  «e  si  oonaideri  ehe  v^rano  allora  le  doaae 
ohiamate  Macehi»ttit%at  Leggiera,  Raviaosa«  acoanto  a  RimbelUta,  Vessoea, 
Belcolore  e  gli  aomini  deoominaU  Soisofaate,  Poroo^  Porcooe  eco.  B  il  tro- 
vatore  ^B0  at  San  Cir  ^1200  12  Oi  non  ci  rioorda  forae  Selvaggia  d'  Anra^ 
mala^  flglla  del  raarohese  Corrado  Malasplna  t 

Ma  aoalaato  il  fondameolo  dell'aUeodibilitA  dell*  ArfaruoU^  pu6  aorgere 
il  dubbio  ohe  S«,  la  bionda  partigiana  dagli  oocbl  oelesti  fosse  verameate 
una  yergiolesi*  Ma  oUreohe  esse  ooatrasterebbe  oolla  tradisione  del  seooli 
—  poiche  solo  il  Quadrio  e  il  Orescimbeni  hanno  detto  ohe  la  donna  di 
Oino  Ai  ana  Riociarda  do*  Selvaiigi,  e  banno  detto  sensa  nnlla  provare  in 
nessun  mode  —  resta  sempre  che  le  rime  ^iano  per  se  la  miglior  oonferma 
della  tradisione*  Infatti  noi  abbiamo  trovato  an  ben  chiaro  aocenno  al  oasato 
sao  de*  yerglolesi  nel  sonetio  €  Laaso  pensaado  alia  distrutta  valle  »  : 

•       •    rimembrando  de  le  nuove  talle 

ohlri  son  delle  piante  di  VergioU, 

La  troTmta  non  h  nnova,  nft  io  la  d6  par  tale ;  ma  T  allasione  oontennta 
nolle  parole  €  le  piante  di  Vergiole  J»  potevaai  finora  riferire  ai  Bianohl 
Vergioles* :  e  lo  feo«  il  Bartoli  Or  a  io  ho  dimostrato  che  il  sonetto  h  fon 
damentalmente  amoroso  e  ho  provato  che  Cino  non  potava  evidentemeate 
desiderare  di  ricongiungarsi  at  Verglolesi  per  se  stessi,  peroh6  essl  erano  di 
partite  a  lui  ooatrarta;  ne  discende  dunque  ohe  Tespressione  le  niMHw  ialU 
di  V§rgiol*  ohiaramente  rioorda  Selvaggia  Vergioleti,  come  a  S.  allnde  la 
b€lla  iaglia%  appartenente  alia  bianea  parte*  della  ballata  €  Io  guardo  per  U 
prati  ognl  flor  bianoo  *. 


J 


INDICE 

La  donna  angelicata P*g«      ^ 

Zc  donne  sparte n       29 

La  donna /era         ,-...-  n       67 

Tra  lefaiioni n     103 

L'esilio     •       •       • »     166 


Correzioiii  '" 


iieonnettendolo 

leggi 

rieonnessa 

Ufixio  del  Bartoli 

ed.  da  lui 

'orto 

n 

Morie 

nemiea     :;.,.'!' 

■    [^   i 

e  nemiea 

npeditogli 
'lelle,  ene 

impedito  a  Cino 

n 

quelle  che 

■Ma,  in, 

.      »     ' 

oeiata  in 

ek'io         .    ; 

iU'amore,      ' 

n    ■ 

deU'amare 

jUata 

n 

ballata  2.'  >    .   ,   , 

sduto 

n 

veduta 

t  eontindoa 

'     n 

ae  cost  eoAtinatTa' 

■tto-lo    . 

•    "    • 

tutto  Iq, 

I  poeo 

in  pace 

nnto  mn 

spir.  per  un'idealitd 
dubitiamo 

ibilava 

n 

"  amore 

n 

S'amar 

■aerci  posto 

n 

essere  posto 

ci  aasieura 

3  I'Ooidi  u 

„ 

de  I'Ooidi  «) 

lerihcando 

t) 

egli  sacrijicando 

rruginoao 

i> 

rugginoso     _ 

tanto  atraziano 

qmnte  atraiiano 

tils  mahaxiia 

n 

aliia  mahaxiia 

irte  gaelfa: 

n 

parte  guelfa, 

tdace  apost. 

n 

ardente  apoat. 

fa  prima 

TI 

Prima 

aendo  preso 

U 

esaendo  ripreso 

ne  inflerisee  che 

n 

ae  ne  inferiace  che 
punto  'i  cor 

into  I  cor 

n 

ngettura  il 

n 

eongettura  sit  I 

I  risihile  amore 

n 

da  riaibile  am. 

i  solo  gli  error!  di   stampa  piti  gravi,  non  qnelli  d 
ivati  faoUmeate  dol  lettore. 


.K.120 

pianefo,  lasse. 

leggi 

p.  laisOj 

121 

riprodurre  tutio  it  son. 

riprodurlo  tut  to 

122 

consulariarjiri 

122 

Tegrino 

n 

Tegrirm 

124 

suo  S(0  (1299) 

suo  jio  (1289' 

126 

Jialio  deU'esUnto 
almeno  anx'essere 

n 

Jiglio  dell' eat ir. 

126 

n 

almena  sem'ei 

128 

agombrare  perchi 

n 

agombrare  pui 

128 

la  eittadin.  n'6  d'altri 

n 

la  eittadin.  d'l 

.       128 

dopo  la  risa 

n 

dopo  la  reaa 

,       129 

n  L.  ChiappelU 

» 

L.  Chiapp. 

.       130 

one  imports 

ora  importa 

.      130 
■       131 

codem  priuilegio 
neri  ma  &  che 

" 

eodem  pricileg 
neri  non  &  eh 

>      134, 

clt 

me  'ncende 

n 

me  ne  'neenda 

>      134, 

cit. 

c'altro  nidi 

t> 

eh'altro  oidi 

.      134, 

olt. 

che  V  pianto 

n 

che  'I  pianto 

,      135 

di  sui  il  cadiee 

n 

dai  eodiei 

.      141 

in  bando  da  Ptstoiaf 

„ 

in  bando  da  I 

)>      164,  cit. 

Color  di  cenere 

n 

Color  di  eenet 

.      168 

Duolmi  che  perso  I'Po 

n 

Duolmi  che  m 

■      1B8 

Se  tra  voi  puote 

n 

Se  tra  noi  put 

.     172 

JVon  m  neasun  tempo 

n 

In  neaaun  tem^ 

»     176, 

cit. 

Guardami  come  dei  da 
cuor  maleaa 

„ 

.   malDosi 

J 


M 


n