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Full text of "MIscellanea di storia italiana. 3a serie"

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V- 


MISCELLANEA 


STORIA    ITALIANA 


TERZA.    SERIE 


TOMO  XIII 

(XLIV  DELLA  RACCOLTA) 


R.  DEPUTAZIONE  SOVRA  GLI  STUDI  DI  STORIA  PATRIA 

PER    LE    ANTICHE    PROVINCIE    E    LA    LOMBARDIA 


MISCELLANEA 


DI 


STORIA   ITALIANA 


TERZA   SERIE 


TOMO  Xlll 

(XLIV    DELLA    RACCOLTA) 


TORINO 

FRATELLI   BOCCA   LIBRAI   DI   S.   M. 

MCMIX. 


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PROPRIETÀ  LETTERARIA 


STAMPERIA   REALE   G.    B.    PARAVIA    K   C. 
1389-1908  (50C4)  909. 


ELENCO 


MEMBRI   DELLA  REGIA  DEPUTAZIONE 

SOVRA 

GLI    STUDI   DI   STORIA   PATRIA 

per  le  Antiche  Provincie  e  la  Lombardia 


Presidoiic. 

Carutti  di  Cantogno  Barone  Domenico,  Senatore  del  Regno,  Socio  della  Reale  Accademia 
delie  Scienze  di  Torino,  Socio  della  Classe  di  Scienze  morali,  storiche  e  filologiche  della 
R.  Accad.  dei  Lincei  e  dell'Istituto  storico  italiano,  Accademico  corrispondente  della 
Crusca,  Membro  onorario  del  Consiglio  degli  Archivi,  Presidente  onorario  di  Sezione  del 
Consiglio  di  Stato  ;  Gr.  Uff.  *  ;  Gr.  Cord.  ©,  Cav.  e  Cons.  o,  Gr.  Cordone  Leone  neerl. 
Is.  Catt.  di  Sp.  e  S.  Marino  ecc.,  Torino,  via  della  Zecca,  7  (15  aprile  1884Ì. 


Vice-Presidenti. 

BosELLi  S.  E.  Paolo,  Primo  Segretario  di  S.  M.  per  l'Ordine  Mauriziano  e  Cancelliere  del- 
l'Ordine della  Corona  d'Italia,  Presidente  della  Giunta  Direttiva  del  R.  Politecnico  italiano, 
Dottore  aggregato  alla  Facoltà  di  Giurisprudenza  della  R.  Università  di  Genova,  già 
Prof,  nella  R.  Università  di  Roma,  Prof,  onorario  della  R.  Università  di  Bologna,  Vice 
Presidente  della  R.  Accad.  delle  Scienze  di  Torino,  Socio  Corrispondente  dell'Accademia 
dei  Georgofili,  Presidente  della  Società  di  Storia  patria  di  Savona,  Socio  onorario  della 
Società  ligure  di  Storia  patria,  Socio  onorario  dell'Accademia  di  Massa,  Socio  della 
R.  Accademia  di  Agricoltura,  Corrispondente  dell'Accademia  Dafnica  di  Acireale,  Pre- 
sidente onorario  della  Società  di  Storia  patria  degli  Abruzzi  in  Aquila,  Corrispondente 
della  classe  di  Scienze  morali  del  R.  Istituto  di  Bologna,  Membro  del  Consiglio  e  della 
Giunta  degli  Archivi,  Deputato  al  Parlamento  Nazionale,  Presidente  del  Consiglio  pro- 
vinciale di  Torino,  Presidente  del  Consiglio  Superiore  della  Marina  mercantile.  Membro 
del  Consiglio  del  Contenzioso  diplomatico,  Gran  Cord.  *,  e  ©,  Gran  Cord.  dell'Aquila 
Rossa  di  Prussia,  dell'Ordine  di  Alberto  di  Sassonia,  dell'Ordine  di  Bertoldo  I  di  Ziih- 
ringen  (Baden)  e  del  Sole  levante  del  Giappone,  Gr.  Uff.  Ordine  di  Leopoldo  del  Belgio, 
Ufifìz.  della  Corona  di  Prussia,  della  L.  d'O.  di  Francia  e  C.  O.  della  Concez.  di  Porto- 
gallo,  Torino,  piazza  Maria   Teresa,  3  (19  maggio  1892). 

Staglieno  Marchese  Marcello,  Socio  della  Società  ligure  di  Storia  patria,  dell'Accademia 
ligustica  di  Belle  Arti ,  della  R.  Accademia  Albertina  di  Torino ,  Segretario  della 
Comm.  Araldica  ligure,  ecc.,  *,  Uff.  ©,  Genova,  via  Caffaro,  29  ini.  6  (3  maggio  1900). 


Vi  r.  deputazione  sovra  gli  studi  di  storia  patria 


Nov'ATi  Francesco ,  Dottore  in  Lettere ,  Professore  ordinario  di  Storia  comparata  delle 
letterature  neolatine  nella  R.  Accademia  scientifico-letteraria  di  Milano  e  Preside-Rettore 
della  stessa  Accademia,  Presidente  della  Società  storica  lombarda,  Membro  della 
Commissione  reale  per  l'edizione  delle  opere  del  Petrarca,  Socio  corrispondente  della 
R.  Accademia  delle  Scienze  di  Torino,  Socio  corrispondente  dell'Ateneo  di  Bergamo, 
della  R,  Accademia  di  Scienze  e  Lettere  di  Padova,  Membro  della  R.  Commissione  Aral- 
dica per  la  Lombardia,  Corrispondente  del  R,  Istituto  lombardo  di  Scienze  e  Lettere, 
della  R.  Deputazione  di  Storia  patria  per  l'Umbria,  della  Società  storica  pistoiese,  della 
Società  storica  della  Valdelsa ,  Socio  onorario  della  R.  Accademia  di  Belle  Arti  in 
Milano,  Comm.  &,  Mi/ano,  z'ia  Borgonuovo,  i8  (26  giugno  1902). 


Segretaj^io. 

Manno  Barone  D.  Antonio,  Socio  della  R.  Accademia  delle  Scienze  di  Torino  e  dell'Isti- 
tuto storico  italiano.  Commissario  del  Re  presso  la  Consulta  Araldica,  Membro  del  Con- 
siglio degli  Archivi,  Dottore  hoìioris  caussa  della  R.  Università  di  Tiìbingen,  Gr.  Uff.  %, 
e  Gr.  Cord.  ©,  Bali  Cav.  Gr.  Cr.  di  onore  e  devozione  del  S.  M.  O.  di  Malta,  fregiato  di 
Ordini  stranieri,  Torino,  via  Ospedale,   19  (2  giugno  1875). 


Membri  residenti  ifi    Torino. 

Carutti  di  Cantogno  Barone  Domenico,  predetto  (8  maggio  1S51). 

Manno  Barone  D.  Antonio,  predetto  (21  aprile  1874). 

BosELLr  Paolo,  predetto  (7  aprile  J890). 

Baudi  di  Vksme  (dei  Conti)  Nobile  Alessandro,  Direttore  della  Regia  Pinacoteca  di  Torino, 
Torino,  via  dei  Mille,  54  (4  giugno  1895). 

MoROZzo  della  Rocca  Cav.  Emmanuele,  Dottore  di  Leggi,  Maggior  Generale  nella  Riserva, 
Aiutante  di  campo  onorario  della  fu  S.  M.  il  Re  Umberto  I,  Corrispondente  dell'Acca- 
demia di  Scienze,  Agricoltura  e  Belle  Lettere  di  Aix,  Uff.  ^j^,  Comm.  ©,  e  O.  Concezione 
di  Portogallo,  Victring,  presso  Klagenfurt  (Austria)  e  Torino,  via  della  Rocca,  29 
(4  giugno  1895). 

UssEGLio  Avv.  Leopoldo,  Primo  Ufficiale  del  Gran  Magistero  Mauriziano,  Comm.  %,  ^, 
Torino,  via  Genova,  3  (27  aprile  1897). 

Roberti  Giuseppe,  Dottore  in  Lettere,  Professore  nell'Accademia  militare  e  nel  R.  Liceo  Gio. 
berti  di  Torino,  membro  della  Commissione  Araldica  piemontese  ;  Corrispondente  del- 
l'Accademia di  Scienze,  Lettere  ed  Arti  di  Besan<;on,  ©,  Torino,  via  Bonafous,  7 
(23  giugno  1898). 

RoNDOLiNO  Ferdinando,  Dottore  di  Leggi,  Torino,  via  Porta  Palatina,  2,  e  Cavaglih 
(3  maggio  1900). 

Rinaudo  Costanzo,  Dottore  in  Lettere,  Filosofia,  Teologia  e  Giurisprudenza,  Aggregato  alla 
Facoltà  di  Lettere  e  Filosofia  dell'Univ.  di  Torino,  Prof,  di  Storia  nel  R.  Liceo  Gioberti 
e  di  Scienze  sociali  alla  Scuola  dì  guerra,  Comm.  #  e  ©,  Torino,  via  Brofferio,  3 
(26  giugno  1902). 

.Sforza  nob.  Giovanni,  Socio  nazionale  residente  della  R.  Accademia  delle  Scienze  di  To- 
rino, Vice-Presid.  della  R.  D.  di  Storia  patria  di  Modena  per  la  Sotto-sezione  di  Massa 
e  Carrara,  Socio  effettivo  di  quelle  di  Toscana  e  di  Parma,  Corrispondente  della  R.  Ac- 
cademia di  Scienze,  Lettere  ed  Arti  in  Modena  e  della  Società  ligure  di  Storia  patria. 
Socio  ordinario  non  residente  della  R.  Accademia  lucchese  di  Scienze,  Lettere  ed  Arti, 
Socio  onorario  della  R.  Accademia  di  Belle  Arti  di  Carrara,  ÌMembro  d'onore  à.^W Aca- 
dcmie  Chablaisienue  di  Thonon-les-Bains,  Membro  aggregato  à^W Acadcmic  dcs  Sciences, 
Belles-I.cttres  et  Aris  de  Savoie,  Socio  della  R.  Commissione  per  i  testi  di  lingua,  Membro 


R.   DEPUTAZIONE   SOVRA   GLI   STUDI   DI   STORIA    PATRIA  VII 


della  Commissione  Araldica  piemontese,  della  Società  di  Storia  patria  di  Vignola,  della 
Commissione  municipale  di  Storia  patria  e  belle  arti  della  Mirandola,  della  Commissione 
senese  di  Storia  patria,  e  della  Società  storica  di  Carpi,  Corrispondente  della  Commis- 
sione Araldica  toscana,  della  Società  Georgica  di  Treja  e  della  Colombaria  di  Firenze, 
Presidente  onorario  della  R.  Accademia  dei  Rinnovati  di  Massa,  ecc.,  Direttore  del 
R.  Archivio  di  Stato  di  Torino,  Uff.  ©  e  ^,    Torino,  via  Giusti^  4  (15  maggio  1904). 

Lattes  Alessandro,  Dottore  in  Leggi,  Socio  corrispondente  del  R.  Istituto  lombardo  di 
Scienze  e  Lettere,  Libero  docente  di  Storia  del  diritto  italiano  presso  la  R.  Università 
di  Torino,   Torino,  via    Vittorio  Amedeo  //,  16  (7  giugno  1906). 

Segre  Dott.  Arturo,  Professore  di  Storia  e  Geografia  del  R.  Liceo  Vittorio  Alfieri  di  Torino, 
Libero  docente  di  Storia  moderna  nella  R.  Università  di  Torino,  Corrispondente  esterno 
della  R.  Deputazione  veneta  di  Storia  patria,  Membro  della  Soc.  stor.  lombarda,  Torino, 
via  Assieita,  65  (16  maggio  1907). 


Membri  non  residenti  in    Torino, 

Rossi  prof.  Girolamo,  Ispettore  degli  Scavi  e  Monumenti  nella  provincia  di  Porto  Maurizio, 
Corrispondente  della  R.  Deputazione  di  Storia  patria  delle  Romagna,  di  quella  della 
Toscana,  Umbria  "e  Marche,  della  Società  ligure  di  Storia  patria,  dell'Imperiale  Istituto 
archeologico  della  Germania,  della  Società  di  Storia  della  Svizzera  Romanza,  della  So- 
cietà Georgica  di  Treja,  dell'Economica  di  Chiavari,  della  Società  delle  Scienze  naturali 
e  storiche  di  Nizza,  della  Società  degli  Architetti  delle  Alpi  marittime,  dell'Istituto  di 
Numismatica  e  di  Antichità  di  Buenos  Aires,  dell'Istituto  delle  Provincie  di  Francia, 
della  R.  Consulta  Araldica,  dell'Accademia  di  S.  Tommaso  di  Ventimiglia,  •5^  e  Comm.  @ 
e  di  S.  Carlo  di  Monaco,    Ventimiglia  (i"  luglio  1860). 

Ceruti  Sac.  Antonio,  Dottore  Vice  Prefetto  della  Biblioteca  Ambrosiana,  Membro  effet- 
tivo del  Regio  Istituto  lombardo  di  Scienze  e  Lettere  e  della  R.  Commissione  per  i  testi 
di  lingua,  Corrispondente  della  Società  ligure  e  della  R.  Deputazione  di  Storia  patria 
di  Venezia,  Onorario  della  R.  Accademia  di  Belle  Arti  di  Milano,  delle  Società  archeolo- 
giche di  Novara  e  Udine,  delle  .Società  Colombaria  di  Firenze  e  Raffaello  di  Urbino,  ecc. 
%,  Cernobbio  (io  marzo  1868). 

Dell'Acqua  Carlo,  Dottore  di  Leggi,  Bibliotecario  emerito  della  Regia  Università  di  Pavia, 
Presidente  emerito  del  Consiglio  d'Amministrazione  civile  della  R.  Basilica  di  S.  Michele 
in  Pavia,  Presidente  della  Società  per  la  conservazione  dei  Monumenti  pavesi  dell'Arte 
cristiana,  Membro  della  Commissione  provinciale  d'antichità  e  BB.  AA.,  Corrispondente 
Acc.  fisio-medica  di  Milano,  della  R.  Accademia  di  Lucca,  Membro  della  Commissione 
di  vigilanza  sugli  Istituti  di  Belle  Arti  di  Pavia  e  del  Museo  civico  dì  Storia  patria,  %, 
Comm.  ©,  Pavia  (io  maggio  1880). 

Due  Monsignor  Augusto,  Arcivescovo  titolare  di  Traiano|)oli,  Comm.  *,  Aosta  (15  aprile  1884). 

Staglieno  Marchese  Marcello,  predetto  (15  aprile  1884). 

Neri  Prof.  Achille,  Socio  della  Commissione  per  i  testi  di  lingua  e  della  R.  D.  di  Storia 
patria  di  Modena,  Corrispondente  della  Società  ligure  di  Storia  patria,  della  Reale  Acca- 
demia di  Se,  LL.  ed  AA.  di  Lucca,  della  R.  Deputazione  di  Storia  patria  per  le  Pro- 
vincie parmensi  e  della  R.  Accad.  dei  Rinnovati  di  Massa,  ^-  e  ©,  Genova,  via  Lomellini, 
Scuola  «  Agostino  Lomellini  »  (15  aprile  1884). 

Cipolla  Conte  Carlo,  Professore  di  Storia  moderna  nel  R.  Istituto  di  studi  superiori  di 
Firenze,  Socio  della  R.  Accad.  delle  Scienze  di  Torino  e  della  Regia  Deputazione  di 
Storia  patria  di  Venezia,  Socio  nazionale  della  R.  Accad.  dei  Lincei,  Comm.  ©,  I^irenze, 
via  Lorenzo  il  magnifico,  8  (14  aprile  1885). 

Seletti  Avvocato  Emilio,  Consigliere  nella  Presidenza  della  Società  storica  lombarda.  Cor- 
rispondente R.  Deputazione  di  Storia  patria  per  le  Provincie  di  Parma  e  Piacenza,  ^, 
Milano,  via  Santa  Marta,  19  (15  aprile  1886). 


vili  R.   DEPUTAZIONE  SOVRA   GLI   STUDI   DI   STORIA   PATRIA 


Beltrami  Arch.  Luca,  Senatore  del  regno,  Membro  effettivo  del  R.  Istituto  lombardo  di 
Scienze  e  Lettere,  Membro  onorario  del  /?.  InstUnt  of  Briiish  Architects,  Membro 
corrispondente  dell' Lstituto  di  Francia,  Milano,  via  Cernaia,  i  (14  maggio  1889). 

Motta  Ingegnere  Emilio,  Segretario  della  Società  storica  lombarda.  Bibliotecario  della  Tri- 
vulziana,  Consigliere  di  Presidenza  della  Società  numismatica  italiana,  Socio  d'onore 
della  R.  Accademia  di  Beile  Arti,  Milano,  via    Vittoria,  53  (19  maggio  1892). 

Poggi  Vittorio,  Dottore  in  Leggi,  Ten.  Colonn.  nella  Riserva,  Prefetto  della  Biblioteca  e  del- 
l'Archivio civico  di  Savona,  già  R.  Commissario  per  le  Antichità  e  Belle  Arti  della  Liguria, 
Dottore  aggregato  alla  Facoltà  di  F'ilosofia  e  Lettere  della  R.  Univ,  di  Genova,  Corri- 
spondente della  R.  Accad.  delle  Scienze  di  Torino,  Socio  emerito  della  R.  Deputazione  di 
Storia  patria  di  Parma  e  Corrispondente  di  quella  di  Romagna,  Socio  della  Società  ligure 
di  Storia  patria.  Vice  presidente  della  Società  storica  savonese.  Membro  della  R.  Commis- 
sione conservatrice  dei  Monumenti  per  la  provincia  di  Genova,  Membro  dell'I.  Istituto 
archeologico  germanico.  Accademico  di  merito  dell'Accad.  ligustica  di  Belle  Arti,  Membro 
della  Comniiss.  Araldica  ligure.  Membro  della  Commissione  direttiva  della  Galleria  Bri- 
gnole  Sale  De-Ferrari  nel  Palazzo  Bianco  di  Genova,  Presidente  della  Commissione  per 
la  Pinacoteca  civica  di  Savona,  R.  Ispettore  pei  Monumenti  e  Scavi  del  circondario  di 
Savona,  ^  e  Comm.  ©,  Savona  (19  maggio  1892), 

NovATi  Francesco,  predetto  (19  maggio  1892). 

Carta  Avv.  Francesco,  Bibliotecario  della  Estense  e  della  Universitaria  di  Modena,  e  e  ^t- 
(4  giugno  1895). 

Imperiale  di  S.  Angelo  Marchese  Cesare,  Dottore  in  Leggi,  Deputato  al  Parlamento,  Pre- 
sidente della  Società  ligure  di  Storia  patria,  Delegato  della  stessa  Società  presso  l'Istituto 
storico;  decorato  della  medaglia  d'argento  dei  benemeriti  della  Salute  pubblica  (1884), 
Comm.  ©,  Genova  (23  giugno  1898  . 

Peragallo  Sac.  Luigi  Prospero,  Socio  fondatore  della  Soc.  geogr.  di  Lisbona,  Corrispon- 
dente della  Soc.  geogr.  italiana.  Membro  della  R.  Accademia  di  Scienze  di  Lisbona, 
della  R.  Accademia  di  buone  lettere  di  Siviglia,  dell'Accademia  etrusca  di  Cortona, 
Vice  Presidente  della  Soc.  ligure  di  Storia  patria,  Corrispondente  della  Società  di  let- 
ture e  conversazioni  scientifiche  di  Genova,  della  Società  scientifica  Cristoforo  Colouibo  di 
Genova,  Membro  onorario  della  Società  letteraria  Luigi  de  Carnòes  di  Oporto,  della 
Società  letteraria  Luip^i  de  Canides  in  Napoli,  e  della  Società  letteraria  Alnieida  Garret 
di  Lisbona,  Abate  mitrato  della  insigne  Basilica  di  Carignano  in  Genova,  Cav.  *,  5>, 
Genova,  piazza  di  Carignano,  14  (23  giugno  1898). 

Manfroni  Camillo,  Dottore  in  Lettere,  Membro  della  R.  Società  romana  di  Storia  patria, 
della  R.  Accad.  di  Scienze  e  Lettere  di  Padova,  della  R.  Acad.  de  la  historia  di  Madrid. 
dell'Ateneo  veneto,  Corrispondente  della  R.  Deputazione  veneta  di  Storia  patria,  Pro- 
fessore ordinario  di  Storia  moderna  nella  R.  L^niversità  di  Padova.  *,  Uff.  e»,  Padova 
(23  giugno  1898). 

Savio  Sac.  Fedele,  Professore  di  Storia  ecclesiastica  nella  Pontificia  Università  Gregoriana, 
Socio  nazionale  non  residente  della  R.  Accad.  delle  Scienze  di  Torino  e  della  Società 
storica  lombarda,  Roma,  via  del  Seminario,  120  (18  maggio  1899). 

Bensa  Enrico,  Dott.  aggregato  alla  Facoltà  di  Giurisprudenza  della  R.  Università  di  Genova, 
Prof,  pareggiato  di  Diritto  marittimo  nella  detta  Università  e  Prof,  ordinario  di  Diritto 
nella  R.  Scuola  Superiore  di  applicazione  per  gli  studi  commerciali.  Socio  della  Società 
di  legislazione  comparata,  dell'Associazione  italiana  di  Diritto  marittimo  e  dell'Associa- 
zione internazionale  per  la  protezione  della  proprietà  industriale,  Presidente  della  Sezione 
di  legislazione  nella  Società  ligure  di  Storia  patria,  Consigliere  dell'AssociazioiM  per  la 
riforma  e  la  codificazione  del  diritto  internazionale.  Membro  della  Commissione  per  la 
conservazione  dei  Monumenti  della  provincia  di  Genova,  ©.  Genova,  via  S.  Bernardo,  19 
18  maggio  1899. 

Da  Ponte  Nobile  Pietro.  Dottor  di  Leggi,  R.  Ispettore  degli  Scavi  e  Monumenti  e  Socio 
dell'Ateneo  di  Brescia,  Corr.  della  Consulta  Araldica,  ecc.,  ik>,  Brescia  (3  maggio  1900). 


R.    DEPUTAZIONE   SOVRA   GLI    STUDI   DI   STORIA   PATRIA  IX 


Gasparolo  Sac.  Francesco,  Dott.  in  Teol.,  Filosof. ,  Paleografia  e  Leggi,  Canonico,  Alessandria 
(3  maggio  1900). 

AsSERETO  Ugo,  Dott.  in  Leggi,  T.  Gen.  nella  Riserva,  Comm.  ©  e  *,  Genova,  via  Galeazzo 
Alessi,  7-7  (19  maggio  1901). 

Calligaris  Dott.  Giuseppe,  Prof,  nel  R.  Liceo  Parini,  Milano,  via  Moscova,  51  (26  giugno  1902). 

Frutaz  Sac.  Francesco  Gabriele,  Professore,  Canonico  della  cattedrale  d'Aosta,  Corrispon- 
dente della  Commissione  Araldica  piemontese.  Membro  dell'Accademia  di  Savoia,  %, 
Aosta  (26  giugno  1902). 

Maiocchi  Sac.  Rodolfo,  Dott.  in  S.  T.,  Cameriere  d'onore  di  S.  S.  Pio  X,  Membro  della 
Commiss.  prov.  di  Pavia  di  Antichità  e  Belle  Arti,  della  Soc.  storica  lombarda,  dell'Ateneo 
di  Bergamo,  del  R.  Ateneo  di  Brescia,  dell'Accad.  di  Scienze,  Lettere  ed  Arti  degli  Agiati 
di  Rovereto,  Rettore  dell'Almo  Collegio  Borromeo  di  Pavia,  Pavia  (26  giugno  1902). 

Accame  avv.  Paolo  Antioco,  Comm.  @,  Pietra  Lis^ure  (io  maggio  1903). 

LiPPi  Dott.  Silvio,  Direttore  del  R.  Archivio  di  Stato  di  Cagliari,  Membro  e  segretario  della 
Commissione  Araldica  sarda.  Corrispondente  della  R.  Accademia  di  Belle  Lettere  di 
Barcellona,  ©  e  ^,  Cagliari  (16  maggio  1907). 

Contessa  Dott.  Carlo,  Prof,  nel  R.  Liceo  à' Ivrea  (16  maggio  1907). 

Ratti  Mgr.  Achille,  Prefetto  dell'Ambrosiana,  Prelato  domestico  di  S.  S.,  %,  Milano 
(4  giugno  1908). 

Ruggero  Giuseppe,  M.  Generale  nella  Riserva;  Roìua,  via   Torino,  138  (4  giugno  190S). 

GoRRiNi  Dottor  Giacomo,  Capo-divisione,  Direttore  degli  Archivi  del  Ministero  degli  Esteri, 
Membro  del  Consiglio  per  gli  Archivi  del  Regno  e  del  Consiglio  direttivo  della  Società 
geografica  italiana.  Corrispondente  della  R.  Deputazione  di  Storia  patria  per  la  Romagna 
e  di  quella  per  la  Toscana,  Comm.  ©  e  •^,  Grand'Uff.  dell'Ordine  Medjidiè  di  Turchia> 
Comm.  della  Legione  d'Onore,  Comm.  dell'Ordine  di  Francesco  Giuseppe  d'Austria 
con  placca,  Comm.  dell'Ordine  della  Concezione  di  Portogallo.  Comm.  dell'Ordine  di 
Danilo  I  del  Montenegro,  Comm.  della  Corona  di  Prussia,  Cav.  di  3^^  classe  dell'Aquila 
Rossa  di  Prussia,  Roma  (4  giugno  1908). 

Corrispondenti 

(Italiani) . 

Greppi  S.  E.  Conte  Giuseppe,  Ambasciatore  di  S.  M.  in  ritiro.  Senatore  del  Regno,  Acca- 
demico onorario  della  R.  Accademia  di  Storia  di  Spagna,  ecc.,  Gr.  Cr.  ^  e  ©,  Bali  Gran 
Croce  di  devozione  del  S.  M.  O.  di  Malta,  Gr.  Croce  di  Carlo  III  di  Spagna,  di  S.  Michele 
di  Baviera,  di  Fed.  del  Wurtemberg,  di  S.  Alessandro  Newsky  di  Russia,  ecc.,  Milano 
(11  aprile  1858). 

Cavagna  Sangiuliani  di  Gualdana  Conte  Comm.  Antonio,  Membro  della  Società  ligure 
di  Storia  patria,  dell'Accad.  del  ducato  d'Aosta,  dell'Accademia  Cingolana  degli  Incolti, 
dell'Ateneo  di  Bergamo,  Presidente  della  Commissione  conservatrice  del  Museo  civico 
di  Storia  patria  di  Pavia,  Vice-Presid.  della  Soc.  per  la  conservazione  dei  Monumenti 
dell'Arte  cristiana  in  Pavia,  Vice-Presid.  della  Società  pavese  di  Storia  patria.  Membro 
della  Commiss,  provinciale  di  Pavia  conservatrice  dei  Monumenti  di  Belle  Arti,  Cav 
d'on.  e  di  dev.  del  S.  M.  O.  di  Malta,  Zelada  di  Bereguardo  (Pavia)  (21  aprile  1874). 

Visconti  March.  Carlo  Ermes,  Milano,  via  Borgonuovo,  5  (18  aprile  1877). 

MiNOGLio  Giovanni,  Dottore  in  Leggi,  ©,    Torino,  corso    Re    Umberto,  25  (18   aprile   1877). 

Sommi  PiCENARor  (Marchese  Bali  fr.  Guido',  Socio  onorario  dell'Ateneo  di  Bergamo,  Corri- 
spondente della  R.  Acc.  dei  Fisiocritici  di  Siena,  dell'Ateneo  di  Treviso,  della  R.  Acc. 
RafiTaelIo  d'Urbino,  della  R.  Deput.  di  Storia  patria  di  Venezia,  dell'Accademia  fisio- 
medico-statistica  di  Milano,  Membro  della  Società  storica  lombarda  e  della  Commis- 
sione araldica  veneta;  Gran  Priore  del  S.  M.  O.  di  Malta  per  il  Lombardo- Veneto, 
Gr.  Uff.  *,  Gr.  C.  O.  di  Francesco  Giuseppe  d'A.  e  di  S.  Sepolcro,  Comm.  dell'O. 
pont.  Piano  con  stella,   Venezia,  Priorato  di  Malta  (io  maggio  1880). 


X  R.   DEPUTAZIONE  SOVRA   GLI   STUDI   DI   STORIA   PATRIA 


Greppi  (dei  Conti)  Nobile  Emanuele,  Dottore  in  Leggi,  Lff.  ©,  31ilaìw,  via  S.  Antonio,  12 
(9  maggio  1882). 

CoRio  Dott.  Ludovico,  Prof.,  Milano,  R.  Liceo  Manzoni  (15  aprile  1884). 

Gerbaix  (De)  di  Sonnaz  di  St-Romain,  Barone  di  Arenthon,  Conte  Carlo  Alberto,  Dottore 
in  Legge,  Senatore  del  Regno,  Inviato  straord,  e  Ministro  di  i''  classe,  Membro  aggregato 
dell'Accad.  di  Savoia,  Membro  A^V Acadhnie  Chablaisiemie ,  Gran  Cord.  ©  e  *,  Ufficiale 
dell'Istruzione  pubblica  di  Francia,  Gran  Cordone  di  Leopoldo  del  Belgio,  id.  con  spade 
deirO.  di  Alessandro  di  Bulgaria,  id.  del  Medgiché  di  Turchia,  id.  dell'Ordine  neerlan- 
dese  deirOrange  Nassau,  id.  della  Quercia  del  Granducato  di  Lussemburgo,  Gran  Croce 
del  Cristo  e  della  Concezione  di  N.  D.  di  Villavi^iosa  (Portogallo),  decorato  della 
medaglia  commemorativa  della  campagna  Bulgaro-Serba  1885,  ecc.,  Torino,  via  S.  Fran- 
cesco da  Paola,  4  e  Roma  (Senato),  (15  aprile  1884). 

Pais  Nobile  Dottore  Ettore,  Professore  ordinario  di  Storia  antica  nella  R.  Università  di  Napoli 
in  missione  a  Roma,  Dottore  onorario  della  Università  di  Chicago,  Corrispondente  della 
R.  Accademia  dei  Lincei  in  Roma,  Socio  straniero  della  R.  Accademia  di  Scienze  di 
Monaco  di  Baviera,  Socio  ordinario  della  R.  Accademia  di  Archeologia,  Lettere  e  Belle 
Arti  di  Napoli,  Corrispond.  dell'Accad.  Pontaniana,  Membro  ordinario  dell'I.  R.  Insti- 
tuto  germanico  di  corrispondenza  archeologica  in  Berlino,  Corrispondente  della  R.  De- 
putazione veneta  di  Storia  patria;  Membro  onorario  della  Società  storica  pugliese,  Socio 
onorario  dell'Accademia  Properziana  del  Subasio,  Corrispondente  della  R.  Accademia 
Peloritana  di  Messina  e  della  R.  Accad.  di  Acireale,  Socio  onorario  della  R.  Deputaz.  di 
Storia  patria  delle  Marche,  Corrispondente  della  R.  Deputazione  di  Storia  patria  delle 
Provincie  della  Romagna,  Membro  della  .Società  di  Storia  diplomatica  di  Parigi,  Roma, 
via  dei  Sediari,  76  (15  aprile  1884). 

Provana  di  Collegno  Conte  Luigi,  Gentiluomo  di  Corte  di  S.  M.  la  Regina  Madre,  Presi- 
dente della  Commissione  Araldica  piemontese,  Corrispondente  della  Consulta  Araldica, 
Uff.  ^  e  ©,  Comm.  Corona  di  Prussia  e  di  Danilo  I  del  Montenegro.  Uff.  S.  Carlo  di 
Monaco,   Torino,  via  S.  Dalmazzo,  15  (15  aprile  1886). 

Sangiorgu)  Dott.  Gaetano,  Professore  di  .Storia  civile  e  commerciale  nel  R.  Istituto  tecnico 
Carlo  Cattaneo  di  Milano,  Socio  degli  Atenei  di  Brescia  e  di  Bergamo,  ©,  Milano^  via 
Aurelio  Saffi,  12  (15  aprile  1886). 

Podestà  Francesco,  Accademico  di  merito  dell'Accademia  ligustica  di  Belle  Arti  (Classe 
scrittori  d'arte).  Socio  effettivo  della  Società  ligure  di  Storia  patria,  pittore  dilettante; 
Genova,  corso  Principe  Amedeo,  9  (15  aprile  1886). 

Rotta  .Sac.  Paolo,  Canonico  di  .S.  Ambrogio,  in  Milano,©,  Milano,  piazza  S.  Ambrogio,  12 
(14  maggio  1889). 

Peretta  Sac.  Luigi,  Professore  a  riposo,  Segretario  della  Società  ligure  di  Storia  patria, 
Direttore  delle  scuole  civiche,  ©,  Genova,  via  Caffaro,  19-5  (17  aprile  1890). 

MoRoz/.o  della  Rocca  S.  E.  Contessa  Irene,  nata  Vesaris-Asinari  di  Castiglione,  dama  di  pa- 
lazzo della  fu  S.  M.  la  regina  M.  Adelaide,  Roma,  via  Pasqualina,  3  (17  aprile  1890). 

Carotti  Giulio,  Dottore  in  Leggi,  Socio  della  Società  storica  lombarda,  Professore  di  Storia 
dell'arte  nella  R.  Accademia  di  BB.  AA.  e  di  Storia  dell'architettura  nel  R.  Politecnico 
di  Milano,  .Socio  aggregato  dell'ins.  R.  Accad,  di  S.  Luca  in  Roma  e  dell'Ateneo  di 
Brescia,  Membro  della  Commissione  conservatrice  dei  Monumenti,  ©,  Milano,  via  Sol- 
feriìio,  22  (28  aprile  1892). 

Bruno  Agostino,  Segretario  onorario,  .Sovraintendente  agli  Archivi  amministrativi  di  Savona, 
R.  Ispettore  degli  Scavi  e  Monumenti  d'antichità,  Segretario  generale  della  Società  storica 
.savonese.  Presidente  della  .Società  letteraria  Gabriello  Chiabrera,  Ufficiale  d'Accademia 
di  Francia,  ecc.,  *,   Uff.  ©,  Savona  (28  aprile  1892). 

Assandria  Giuseppe,  Dottore  in  Chimica,  Socio  effettivo  della  Società  di  Archeologia  e 
Belle  Arti  per  la  provincia  di  Torino,  decorato  della  medaglia  d'argento  per  i  bene- 
meriti della  Salute  pubblica,  UH".  ©,  Torino,  piazza  Emanuele  Filiberlo,  18  e  Beneva- 
gienna  (4  giugno  1895). 


R.   DEPUTAZIONE   SOVRA    GLI    STUDI   DI    STORIA   PATRIA  XI 


Ceretti  Can.  Felice,  R.  Ispettore  onorario  dei  Monumenti,  Vice  Presidente  della  Commis- 
sione di  Storia  patria  e  di  Arti  belle  della  Mirandola,  Membro  attivo  della  R.  Deputa- 
zione di  Storia  patria  per  le  Provincie  modenesi.  Corrispondente  della  Deputazione 
storica  ferrarese,  e  di  quella  di  Carpi,  della  R.  Commiss.  Araldica  modenese,  ecc.,  ©, 
Mirandola,  contrada  Fulvia,  360  (4  giugno  1S95). 

ToNETTi  Federico,  R.  Ispettore  dei  Monumenti  e  degli  Scavi  pel  circondario  di  Valsesia,  Corri- 
spondente della  Soc.  di  Archeologia  e  Belle  Arti  per  la  provincia  di  Torino,  e  dell'Atene 
di  Scienze,  Lettere  ed  Arti  di  Bergamo,    l'arallo  (4  giugno  1895). 

AsTEGiANO  Lorenzo,  Dottore  in  Lettere ,  Professore  nel  R.  Liceo  d' Azeglio ,  Torino,  via 
Giusti,  2  (2  giugno  1896). 

Mazzi  Angelo,  Bibliotecario  civico,  Bergamo  {l'j  aprile  1897). 

Faccio  Cesare,  Colonnello  in  ritiro.  Bibliotecario  civico,  Uff.  ©,  Vercelli,  via  Pietro  Micca,  4 
(27  aprile  1897). 

S.\nt' Ambrogio  Dott.  Diego,  Membro  della  Commissione  provinciale  per  la  conservazione 
dei  Monumenti,  ©,  Milano,  corso  Magenta,  45  (14  giugno  1898). 


GiORCELLi  Dott.  Giuseppe,   Casale  Monferrato ,  via  Rivetta,  9  (14  giugno  lì 

Davari  Sefano,  Sotto  Archivista  di  Stato  di  i*  classe,  Mantova  (8  maggio  1899). 

Ferrari  Dott.  Sante,  Professore  nella  R.  L'niversità  di  Genova,  Genova  (8  maggio  1899)* 

AssERETO  Xob.  Dott.  Giovanni,  Savona  (26  aprile  1900). 

Baudi  di  Vesme  Nobile  Benedetto,  Ingegnere,  Torino,  via  Maria  Vittoria,  50  (26  aprile  1900). 

BiAGiNi  P.  Enrico  M**  Barnabita,  Professore,  Moncalieri,  R.  Collegio  Carlo  Alberto  {263.'pY.igQo). 

RiGONi  Dott.  Guido,  Professore  nel  R.  Liceo  Colombo,  Laureato  in  Legge  e  in  Lettere, 
Socio  corrispondente  della  R.  Deputaz.  veneta  di  Storia  patria.  Vice-presidente  della 
Sezione  di  Storia  nella  Società  ligure  di  Storia  patria,  Genova  (26  aprile  1900). 

BoFFiTo  P.  Giuseppe  Barnabita,  Professore,  Firenze,  Collegio  Della  Querce  (26  aprile  1900). 

Frati  Dott.  Carlo,  Bibliotecario  capo  della  R.  Biblioteca  Marciana  di  Venezia,  Corrispondente 
della  R.  Deputazione  di  Storia  patria,  per  le  Provincie  modenesi,  della  Commissione  muni- 
cipale di  Storia  patria  della  Mirandola,  della  R.  Commissione  pei  testi  di  lingua ,  della 
Società  bibliografica  italiana,  dell'Ateneo  veneto,  Uff.  ©,  Venezia,  Calle  dei  Fabri,  930 
(26  aprile  1900). 

Gabotto  Dott.  Ferdinandiì,  Professore  nella  R.  Università  di  Genova,  Presidente  della 
Società  storica  subalpina,  Socio  della  R.  Accademia  Peloritana  di  Messina,  Corrispon- 
dente della  Società  storica  savonese  e  di  quella  di  Valdelsa ,  @ ,  Genova  e  Torino, 
via  Ponza,  4  (26  aprile  1900). 

Gaggia  Giacinto,  Professore,  Brescia  (26  aprile  1900). 

Garassint  Dott.  Giambattista,  Prof,  nella  R.  Scuola  normale  superiore  di  Milano,  Vice-Segre- 
tario generale  della  Società  storica  savonese,  Membro  dell'Accademia  di  Udine,  Membro 
onorario  dell'Istituto  udinese  Teobaldo  Cicconi ,  iMilano ,  Scuola  normale  Carlo  Tenca 
(26  aprile  1900). 

Luzio  Dott.  Aless.,  Dirett,  del  R.  Arch.  di  Stato  di  Mantova,  ©,  Mantova  (26  aprile  1900), 

Wenzel  Mons.  Pietro,  Archivista  del  Vaticano,  Roma  (26  aprile  1900). 

Casati  Conte  Gabrio,  Milano  (2  maggio  1901). 

Magistretti  Mgr.  Marco,  Dottore  in  Teologia,  Canonico  del  Duomo,  Prelato  domestico 
di  S.  S.,  Milano  (2  maggio  1901). 


XII  R.   DEPUTAZIONE   SOVRA  GLI   STUDI  DI   STORIA  PATRIA 


Verga  Dott.  Ettore,  Direttore  dell'Archivio  storico  civico,  Socio  collaboratore  della  R.  Depu- 
tazione di  Storia  patria  per  l'Umbria,  ^,  Milatw  (i6  giugno  1902), 

Jachino  Dott.  Giovanni,  Prof,  di  Storia  nel  R.  Istit.  tecnico  nautico  di  Savona  (16  giugno  1902). 

ScHiAPPARKLLi  Dott.  Luigi,  Prof,  di  Paleografia  e  Diplomatica  nel  R.  Istituto  superiore  di 
Firenze,  Firenze,  via  G.  Benivieni,  4  {16  giugno  1902). 

GuERRiNi  Domenico,  Colonnello  nel  67"  fanteria  già  Professore  di  Storia  militare  nella  Scuola 
di  Guerra,  ©,   Covio  (27  aprile  1903). 

Valente  Dottor  Pompeo,  Professore  nel  Liceo  d'Asti,  Asti  (27  aprile  1903). 

Renier  Rodolfo,  Dott.  in  Lettere  ed  in  Filosofia,  Professore  di  Storia  comparata  delle  Let- 
terature neo-latine  nella  R.  Università  di  Torino,  Socio  della  R.  Accademia  delle  Scienze 
di  Torino,  Socio  attivo  della  R.  Commissione  dei  testi  di  lingua.  Socio  non  residente 
dell' L  R.  Accademia  degli  Agiati  di  Rovereto,  Socio  corrispondente  della  R.  Deputa- 
zione veneta  di  Storia  patria,  di  quella  per  le  Marche,  di  quella  per  l'Umbria,  di  quella 
per  le  Provincie  modenesi,  della  Società  storica  abruzzese  e  della  Commissione  di  Storia 
patria  e  di  Arti  belle  della  Mirandola,  del  R.  Istituto  veneto,  della  R.  Accademia  Virgi- 
liana di  Mantova,  della  R.  Accademia  di  scienze  e  lettere  di  Padova,  di  quella  di  Verona, 
dell'Ateneo  veneto  e  di  quello  di  Brescia,  Membro  della  Società  storica  lombarda  e  della 
Società  Dantesca  italiana,  Socio  onorario  dell'Accademia  etrusca  di  Cortona,  dell'Acca- 
demia Cosentina,  dell'Accademia  Dafnica  di  Acireale  e  della  R.  Accademia  di  scienze  e 
lettere  di  Palermo,  Uff.  *,  Comm.  ©,  Torino,  Corso  Vittorio  Eman.  II,  90(27  aprile  1903). 

Monti  Sac.  Dottor  Santo,  Presidente  della  Società  storica  comense.  Conservatore  del  Museo 
civico  di  Como,  Regio  Commissario  per  la  conservazione  dei  Monumenti,  Belle  Arti  e 
Antichità  nella  provincia  di  Como,  %,   Conio  (27  aprile  1903). 

Marengo  Avv.  Emilio,  Genova,  R.  Archivio  di  Stato  (2  maggio  1905). 

Ferretto  Arturo,  Membro  del  Consiglio  di  Presidenza  della  Società  ligure  di  .Storia  patria. 
Genova  (2  maggio  1905). 

OxiLiA  Dott.  (Giuseppe  Ugo,  Chiavari,  Liceo  civico  (2  maggio  1905). 

Armando  Vincenzo,  ©,   Torino,  via  Maria   Vittoria,  3  (23  aprile  1907). 

BiscARO  Dott.  Gerolamo,  Consigliere  d'Appello,  Membro  della  Società  storica  e  della  Com- 
missione Araldica  lombarda,  @,  Milano,  Corso  Garibaldi,  125  (23  aprile  1907). 

Casanova  Dott.  Prof.  Eugenio,  Direttore  del  R.  Arch.  di  Stato,  ©,  Napoli  (23  aprile  1907), 

De  Magistris  Dott.  Carlo,    Torino  (23  aprile  1907).  via  Giovanni  Prati,  3. 

Einaudi  Prof.  Dott.  Luigi,   Torino,  via  Giusti,  4  (23  aprile  1907). 

Gai-LAvresi  Dott,  Giuseppe,  &,  Milano,  via  Monte  Napoleone,  28  (23  aprile  1907). 

Mazzini  Dott.  Ubaldo,  Bibliotecario,  Conservatore  dell'Archivio  storico  e  Direttore  del  Museo 
della  città  di  Spezia,  Spezia  (23  aprile  1907). 

Milano  Prof.  Dott.  Euclide,  Alba  (23  aprile  1907). 

Ognibene  Dott.  Giovanni,  Direttore  del  R.  Archivio  di  Stato,  ©,  Modena  (23  aprile  1907). 

Pia  Avv.  Secondo ,  ©  e  del  Cristo  di  Portogallo ,  Torino,  via  Principe  Amedeo,  25 
(23  aprile  1907). 

Prato  Dott.  Giuseppe,    Torino,  piazza  Savoia,  6  (23  aprile  1907). 

Sai.sotto  Prof.  Carlo,  Novara,  A\  Gifinasio  (23  aprile  1907). 

ZucCHi  Dott.  Mario,   Torino,  via  della  Rocca,  34  (23  aprile  1907). 


R.   DEPUTAZIONE   SOVRA  GLI   STUDI  DI   STORIA  PATRIA  XIII 


Fea  Pietro,  Bibliotecario  della  Camera  dei  Deputati,  Comm    &,  Roma  (28  aprile  1908). 

RuFFiNi  Prof.  Dott.  Francesco,  Membro  della  R.  Accad.  delle  Scienze  di  Torino,  Comm.  ©, 
Torhw,  via  Principe  Amedeo,  22  (28  aprile  1908), 

Z.ANELLi  Dott.  Prof.  Agostino,  Brescia  (28  aprile  190S). 

Bruno  Federico,  (?=,  Savona  (28  aprile  1908). 


Co  rrispon  denti 

(Stranieri). 

De  Montet  Alberto,  Segretario  della  Società  storica  della  Svizzera  Romanza,  Membro  della 
Società  storica  svizzera  e  della  Commiss,  dei  Monumenti  storici  per  il  cantone  di  Vaud, 
Corrisp.  della  R.  Deputazione  di  Storia  patria  delle  Romagne  e  delle  Accademie  di  .Sa- 
voia, di  Besanpon,  di  Macon,  ecc.,  ©,  Chardomie  sur  Vevey,  Cantone  di  Fawrf  (Svizzera) 
(io  maggio  1880). 

Delisle  Leopoldo,  Membro  dell'Istituto  di  Francia,  Amministratore  generale  onorario  della 
Biblioteca  nazionale  di  Parigi,  ecc.,  Parigi,  rtie  de  Lille,  21  (23  maggio  i88r). 

VoN  Pflugk-Harttung  Mobile  Giulio,  Dottore,  Professore,  Consigliere  degli  Archivi,  Corri- 
spondente della  R.  Acc.  delle  Scienze  di  Lucca,  della  Società  ligure  di  Storia  patria,  della 
Società  storica  siciliana,  della  R.  Società  romana  dell'Ateneo  di  Brescia,  della  Soc.  Reale 
stor.  di  Londra  e  di  quella  degli  Antiquari  di  Francia,  di  Losanna,  ecc.,  Comm.  ©,  Uff. 
di  Alberto  il  valoroso  di  Sass.,  S.  Mich.  di  Bav.,  Corona  e  Fed.  di  Wiirtemberg,  Lione 
di  Zahringen  di  Baden,  Corona  di  Romania,  Corona  di  3-'  ci.  di  Prussia,  dee.  della  grande 
medaglia  di  Meklenburg,  Cav.  d'onore  dell'O.  dei  Giovanniti  di  Prussia,  Berlino,  N.  IV. 
Spenerstrasse,  23  (16  maggio  1883). 

Chevalier  Sac.  Ulisse,  Canonico  onorario  di  Lione,  di  Grenoble,  di  Marsiglia  e  di  Valenza, 
Professore  di  Storia  ecclesiastica  nell'Università  Cattolica  di  Lione,  Dottore  in  Filosofia 
e  Teologia,  Corrispondente  dell'Istituto  di  Francia,  Socio  corrispondente  dell'Accademia 
di  Storia  di  Madrid,  della  R.  Accademia  delle  Scienze  di  Torino  e  della  R.  Società 
romana  di  Storia  patria,  Membro  n.  r.  del  Comitato  dei  lavori  storici  e  scientifici  di 
Parigi,  Cav,  Leg.  d'On.  di  Francia,  Uff.  della  Pubblica  Istruzione,*,  Romans  {Dròme) 
Francia  (16  maggio  1883). 

Demole  Eugenio,  Dott.  di  Filosofia,  Direttore  del  Gabinetto  numismatico  di  Ginevra,  Ginevra, 
rue  des  Granges,  16  (15  aprile  1884). 

RoTT  Edoardo,  Dottore  in  Leggi,  Correspondant  de  l'Institut  de  France  (Académie  des 
Sciences  morales  et  politiques),  .Segretario  della  .Società  storica  di  Storia  diplomatica  di 
Parigi,  Uff.  ^^  e  Legion  d'Onore,  Officier  de  l'Instruction  publique,  Comm.  e»,  Parigi, 
avenue  Trocadero,  50  (17  aprile  1890). 

CouRTOis  d'ArcoujÈres  Nobile  Eugenio,  Segretario  perpetuo  e  già  Presidente  dell'Acca- 
demia di  Savoia,  Membro  effettivo  dell'  Accademia  Chablaisieime  di  Thonon,  Membro 
onorario  della  Società  di  Storia  della  Moriana,  della  Società  Florimontana  e  dell'Acca- 
demia Salésienne  d'Annecy  e  Corrispondente  della  Società  di  storia  e  di  archeologia  di 
Ginevra,  %,  Chambcry,  Croix  d'Or,  i  (4  giugno  1895). 

Fazy  Enrico,  Consigliere  di  .Stato,  Direttore  dell'Archivio  di  Stato  di  Ginevra,  Presidente 
deiri-stituto  nazionale  di  Ginevra,  Corrispondente  della  Società  degli  Antiquari  di  Francia, 
di  quella  di  .Storia  di  Berna,  ecc.,  Ginevra  (4  giugno  1895). 

RiTTER  Eugenio,  Professore  nella  Facoltà  di  Lettere  dell'  Università  di  Ginevra,  Membro 
aggregato  dell'Accad.  di  Savoia,  Corrispondente  della  Società  Florimontana  d' Annecy, 
della  Società  storica  della  Moriana,  Membro  onorario  della  Società  savoiarda  di  Storia 
e  dell'Accad.   Chablaisienne ,  Ginevra,  chemin  des  Collages,  3  (4  giugno  1895). 


XIV  R.  DEPUTAZIONE  SOVRA    GLI   STUDI   DI   STORIA   PATRIA 


PÉlissikk  Leone  G.,  Professore  di  Storia  nell'Università  di  Montpellier,  Membro  non  resi- 
dente del  Comitato  dei  lavori  storici,  Membro  dell'Accad.  e  della  Società  archeologica 
di  Montpellier,  dell'Accad.  d'Aix,  Corrispondente  della  Società  degli  Antiquari  di  Francia, 
della  R.  Deputazione  veneta  di  Storia  patria,  di  quella  per  la  Toscana,  delle  Società  lom- 
barda e  romana  di  Storia  patria,  già  Presidente  della  Società  per  lo  studio  delle  lingue 
romanze,   *,  <5i,  Uff.  dell'Istruzione  pubblica,  MoiitpeIlie)\  villa  Leyris  (14  giugno  189S). 

Costa  de  Beauregakd  Marchese  Carlo  Alberto,  Membro  dell'Accademia  di  Francia.  Comm.  •*, 
Pari(ri,  piazza  S.  Francesco  Zaverio,  6  (26  aprile   1900). 

Ehrlk  P.  Francesco,   Prefetto  della   P>iblioteca  Vaticana,   l\:oma  (26  aprile  1900). 

KosER  Oott.  Rinaldo,   Direttore  generale  degli  Archivi  di  Stato,  Berlino  (26  aprile  1900). 

Prudhomme  Augusto,  Direttore  dell'Archivio  dipartim.  di  Grenoble,  Presidente  dell'Asso- 
ciazione degli  Archivisti  francesi ,  Membro  del  Comitato  dei  lavori  storici ,  segretario 
perpetuo  dell'Accad.  delfinale,  Cav.  Leg.  d'Onore,  Uff.  dell'Istruzione  pubblica,  Grenoble 
(26  aprile  1900). 

W'iNTEK  Dott.  Gustavo,  Direttore  degli  Archivi  di  Corte  e  di  .Stato  di  Vienna,  Vienna 
(26  aprile  1900). 

Da  Cunha  Dott.  Saverio,  Direttore  della  Biblioteca  nazionale  di  Li-sbona,  Corrispondente 
della  R.  Accad.  di  scienze  di  Lisbona  e  della  Società  ligure  di  Storia  patria.  Arcade 
Romano,  Lisbona,  via  S.  Bartolomeo,   12,  2"  (16  giugno  1902). 

Camus  Giulio,  Professore  di  lettere  francesi  nella  Scuola  di  Guerra  e  nella  R.  Università  di 
Torino,  *,  e^,   Torino,  via  della  Zecca,  35  (27  aprile  1903). 

Weii,  Maurizio,  Comandante,  *  e  Uff.,  ©,  Cav.  della  Legion  d'Onore  e  degli  Ordini:  della 
Corona  di  Ferro,  di  Francesco  Giuseppe  d'Austria,  di  S.  Vladimiro,  di  S.  Anna,  del 
Merito  militare  di  Spagna  (2'>'  cla.sse),  di  Carlo  III  di  Spagna.  Comm.  dell.O.  di  N.  S. 
della  Concezione  di  Villavigiosa  e  dell'O.  Imperiale  del  Medgichè  di  Turchia,  l'iTiciale 
di  Accademia,  Parigi,  via  Rabelais,  3  (27  aprile  1903). 

Peyre  Ruggero,  Professore  nel  Liceo  Carlo  Magno,  Parigi,  Rite  Jacob,   13  (27  aprile  1903). 

Kehr  Paolo,  Professore  nell'Università  di  Gottinga,  Direttore  del  R.  Istituto  storico  prus- 
siano, Roma,  via  Dogana    Vecchia,  29  (27  aprile  1903). 

BouviER  Felice,  Laureato  dell'Accademia  francese,  Socio  dell'Accademia  di  Stanislas  di 
Nancy,  Membro  della  Società  di  Emulazione  delle  Dogese,  della  Società  di  Storia  della 
Rivoluzione  francese,  della  Società  storica  di  Storia  diplomatica  di  Parigi,  Cav.  della 
Legione  d'Onore,  Uffiziale  dell'Istruzione  pubblica,  Comm.  del  Nicham-Iftillar,  Uff.  ©. 
Parigi,  Rue  Mozart,  123  (27  aprile  1903). 

Liebenau  (Dr.  Teodoro  di),  Direttore  del  R.  Archivio  di  Stato,  Lucerna,  Franciscancrplat-,  14 
(28  aprile  1904). 

Di'  Teil  Barone  Pietro  Maria  Ciiuseppe,  e»,  Uff.  d' Accad.,  Comm.  O.  Piano,  ecc.,  Laureato 
dall'Istituto  di  Francia  {Accademia  delle  Scienze  morali  e  politiche).  Segretario  generale 
della  Società  antischiavista  di  Parigi,  Socio  della  Società  degli  Antiquari  di  Francia,  ecc., 
Paris,  XVI,  2,  quai  Debilly  e  Castello  di  Saint- Monelin  per  ìValten  {Nord- Francia). 
(2  maggio  1905). 

Deioh  Dott.  Carlo.  Prof,  alla  Sorbona,  ©,   Parigi,  Rite  Ménilmontant,  So  (23  aprile  1907). 


XV 


MUTAZIONI 


ACCADUTE 

NEL  CORPO   13ELLA   R.   OEPUTAZIONK 

DOPO    L'ULTIMO    ELENCO 


NOMINE 


Xella  toni  a  la  del  28  aprile  1908    la    R.   Dcpnlazione  elesse  e  S.  M.  sanziono 
con  R.  Decreto  4  giugno  : 

A  Soci  effettivi: 

jMonsignor  Achille  RATTI. 
Generale  Giuseppe  Ruggero. 
Prof.  Giacomo  GORRixi. 

Nella  stessa  tornata  furono  eletti  : 
A  corrispondenti  nazionali  : 

Coinin,   Pietro  Fea. 
Prof.  Dott.  Francesco  RuFFlNi. 
Prof.  Dott.  Agostino  Zanellt. 
Cav.  Federico  Bruno. 


MORTI 


Socio    effettivo 
ig  gennaio   1908  —  Felice  ChiapuSSO. 

Corrispondente  : 
31   agosto      1907  —  Pietro  PAVESI, 


XVI 

XCIV. 

REGIA  DEPUTAZIONE 

SOVRA 

GLI    STUDI    DI    STORIA    PATRIA 

per  le  Antiche  Provincie  e  la  Lombardia 


Processo  verbale  dell'adunanza  generale  tenuta  dalla  Regia  Deputazione 
il  23  aprile  1907,  alle  ore  9,  nelle  proprie  sale. 


Presidenza  del  Presidente  : 
Senatore  Barone  Domenico  Carutti  di  Cantogno. 

Intervenuti:  Presidente:  Carutti  ;  V.  Presidejiti:  Boselli,  Staglieno;  Deputati:  Accame, 
Baudi  di  Vesme,  Bensa,  Cipolla,  Frutaz,  Lattes,  Motta,  Neri,  Peragallo,  Poggi, 
Rinaudo,  Roherti,  Seletti,  Sforza,  Usseglio  ;  Segretario:  Manno.  Scusano  l'assenza  il 
V.  P.  Novati  ed  i  OD.:  Assereto,  Manfroni,  Rossi.  Savio  e  Maiocchi. 

Il  Presidente  commemora  brevemente  i  Soci  defunti  dopo  l'ultima  adunanza,  cioè  i  de- 
putati Ferrerò,  FÈ  d'Ostiani  e  Intra,  i  corrispondenti  nazionali  Calderini,  Barozzi, 
Papa  ed  Ambrosoli,  ed  il  corrispondente  straniero  Perrin. 

Il  Seg-retario  riferisce  sulle  pubblicazioni  e  comincia  indicando  come  negli  //.  P.  Monumenta 
sta  lavorando  il  e.  Lippi  sopra  gli  Stamenti  de If  Isola  di  Sardeg?ia  ;  ed  il  d.  Cipolla  sopra 
V Atlaìite  Bobbiese  ;  il  d.  Frutaz  ed  il  e.  Schiaparelli  sopra  le  Carte  Augustane.  Vi  sono 
di  più  in  preparazione  il  Codice  diplom.  delle  relazioni  fra  la  Casa  di  Savoia  e  la  S.  Sede 
ed  il  Cartulario  della  Berardenga.  Accenna  alle  pubblicazioni  in  corso  di  stampa  per  la  Mi- 
scellanea, presenta  i  primi  32  fogli  stampati  del  voi  Vili  della  sua  Bibliografia,  ed  il  primo 
volume  compiuto  della  Biblioteca  storica  recente.  Riferendo  sulle  pubblicazioni  del  1706  pre- 
senta finiti  i  volumi  i"  e  7"  e  dà  minute  spiegazioni  sui  particolari  dei  volumi  da  pubblicarsi, 
esprimendo  il  convincimento  che  l'opera  possa  essere  ultimata  nel  1909. 

Procedutosi  allo  spoglio  delle  schede  pervenute  per  la  elezione  dei  DD.  risultano  eletti 
i  dottori:  Carlo  Contessa,  Silvio  Lippi  ed  Arturo  Segre  che  verranno  proposti  alla  So- 
vrana approvazione. 

Si  procede  in  seguito  alla  nomina  di  corrispondenti  e  riescono  eletti  :  Italiani:  cav.  Vin- 
cenzo Armando,  dr.  Girolamo  Biscaro,  pr.  Eugenio  Casanova,  dr.  Carlo  De  Magistris, 
pr.  Luigi  Einaudi,  dr.  Giuseppe  Gallavresi,  dr.  Ubaldo  Mazzini,  pr.  Euclide  Milano, 
dr.  Giovanni  Ognibene,  avv.  Secondo  Pia,  dr.  Giuseppe  Prato,  pr,  Carlo  Salsotto. 
dr.  Mario  Zucchi  ;  Stranieri:  pr.  Carlo  Dejob. 

A  far  parte  del  Consiglio  di  presidenza  sono  eletti  per  acclamazicjne  i  dd.  Sforza  e 
Rinaudo. 

//  Segretario  />.  //  Presidente 

Antonio  Manno.  Paolo    Boselli. 


VERBALE  XVII 


Processo  verbale  dell'adunanza  generale  tenuta  dalla   Regia   Deputazione 
il  giorno  28   aprile   del   1908,   alle   ore   9,    nelle  proprie  sale. 

Presidenza  del   V^ice- Presidente:  Onorevole  Paolo  Boselli. 

Intervenuti:  V.  Presidenti:  Boselli,  Stagliexo;  Deputati:  Accame,  Baldi  di  Vesme, 
Bensa,  Cipolla,  Contessa.  Frutaz,  Lattes,  Lippi,  Manfroni,  Neri,  Poggi,  Rinaldo, 
Roberti,  Rondolino,  Segre,  Sforza,  Usseglio  ;  Segretario:  Manno.  Scusano  l'assenza 
il  Presid.  Carutti,  il  V.  P.  Novati  ed  i  DD.  :  Assereto,  Da  Ponte,  Imperiale,  Morozzo, 
Motta,  Peragallo,  Rossi  e  Seletti. 

Il  Vice-Presidente  Boselli  assume  la  presidenza  e  commemora  con  queste  parole  i 
soci  defunti  : 

Morì  in  Roma  il  19  gennaio  di  quest'anno  Felice  Chiapisso,  membro  della  nostra  De- 
putazione dal  1897.  In  altre  Assemblee  ebbero  solenni  e  meritate  lodi  le  qualità  esimie  ed 
operose  che  Egli  mostrò  assiduamente  nella  Camera  dei  Deputati  e  nell'esercizio  di  funzioni 
governative.  La  sua  rettitudine  fu  esemplare,  la  sua  dipartita  fu  pubblico  lutto,  segnatamente 
nella  \'alle  di  Susa  che  lo  conobbe  promotore  efficace  di  avanzamenti  civili  e  di  quanto 
meglio  giova  alla  generale  prosperità. 

Coll'istessa  diligenza  perseverante,  sincera,  precisa,  onde  emerse  nell'arringo  politico  e 
amministrativo,  Felice  Chiapusso  perscrutò  le  memorie  storiche,  interrogò  monumenti,  pre- 
scegliendo argomenti  relativi  al  Piemonte  e  in  modo  precipuo  a  Susa  e  a  quei  dintorni  ricchi 
di  alti  ed  eloquenti  ricordi.  Dall'. -//re»  antico  ai  Castelli,  àd\V Ospizio  del  Moiicenisio  alla 
Ctiiesa  della  Madonna  del  Ponte,  dallo  Statuto  di  Lodovico  di  Savoia  allo  Stemma  della  citta 
di  Susa,  le  monografie  del  Chiapusso  percorrono  varie  età,  toccano  le  vicende  politiche  e  la 
storia  artistica,  e  mettono  in  luce  parti  inesplorate,  chiariscono,  certificano,  descrivono  fatti 
dapprima  incerti  e  confusi,  usando  un  acume  critico  appropriatamente  erudito. 

In  tre  volumi  intitolati  alle  famiglie  Segusine,  Egli  adunò  non  solo  una  singolare  ric- 
chezza di  accurate  ricostruzioni  genealogiche  ma  una  copia  preziosa  di  notizie  che  s'atten- 
gono a  tutta  la  vita  storica  di  quella  città  e  agli  istituti  che  in  essa  beneficano  ed  insegnano. 

Preparava  il  Chiapusso  una  compiuta  storia  di  Susa  ed  aveva  pronti  all'uopo  documenti 
e  studii,  e  intorno  ad  essa  intensamente  lavorava. 

È  voto  nostro  che  la  colta  Signora  Irene  Chiapusso- Voli,  la  cpiale  con  ingegno  squi.sito, 
descrisse  la  flora  delle  regioni  Susine,  provveda  a  che  sia  ordinata  e  pubblicata  la  parte  di 
quella  opera  già  recata  a  buon  termine.  E  con  questo  voto  il  compianto  della  Deputazione 
di  Storia  patria  si  unisce  a  quello  della  famiglia  Chiapusso  e  della  nobile  città  di  Susa  cui 
l'onorato  Collega  rivolse  segnatamente  gli  studii  per  i  quali  fu  tra  noi  pregiato  e  caro. 

Il  Prof.  Pietro  Pavesi,  no.stro  Socio  corrispondente,  mori  il  .^i  agosto  1907.  Chiarissimo 
nelle  scienze  naturali  per  le  ricerche  nuove  e  sagacie  perle  pubblicazioni,  che  sono  in  gran 
numero  ed  assai  pregiate,  coltivò  eziandio  con  nobile  amore  le  discipline  storiche.  In  esse 
provò  il  suo  ingegno  pronto,  fervido,  penetrativo,  direi  quasi  nervoso,  unito  all'uso  preciso 
dell'indagare  e  ad  una  lucida  abilità  di  esposizione,  spesso  anche  colorita.  Ed  ancora  nel 
trattare  argomenti  scientifici  Egli  aveva  come  a  diletto  l'accoppiare  ad  essi  le  investigazioni 
storiche. 

Presiedendo  una  Commissione  intorno  al  dazio  sui  tonni,  lo  conobbi  relatore  di  ferma 
coscienza  e  di  vivissima  attività,  e  quella  relazione  sua  è  lavoro  notabile  ad  un  tempo  per 
le  ragioni  delle  scienze  naturali  e  per  quelle  dell'economia  pubblica  e  della  storia. 

Aveva  il  Pavesi  lampi  di  felice  e  gagliarda  eloquenza.  Sindaco  di  Pavia,  allorquando 
s'inaugurò  il  monumento  a  Benedetto   Cairoli,  Egli,  uomo  di  parte,    pronunziò   al    cospetto 


XVIII  R.   DEPUTAZIONE   SOVRA.   GLI   STUDI   DI   STORIA    PATRIA 


del  Duca  di  Aosta  tale  discorso  al  disopra  delle  tendenze  partigiane,  che  merita  di  essere 
ricordato.  Per  verità  era  acceso  nei  convincimenti  politici  suoi  che  propendevano  alle  novità 
più  avanzate;  ma,  indipendente  ed  anche  focoso  nelle  idee  proprie,  non  era  intollerante  delle 
idee  altrui;  lo  conobbi  uomo  leale  e  fu  uomo  di  schietta  onestà. 

Noi  sentiamo  di  aver  perduto  uno  di  noi,  perchè  nella  varia  e  larga  manifestazione  del 
suo  ingegno  e  della  sua  operosità  intellettuale  ebbero  parte  chiara  e  prediletta  gli  studi  che 
la  nostra  Deputazione  promuove. 

Il  segretario  barone  Manno  espose  la  gestione  finanziaria  dello  scaduto  esercizio  1907-0S 
e,  dopo  approvati  il  Resoconto  ed  il  Bilancio,  il  medesimo  .Segretario  riferì  sulle  pubblica- 
zioni in  conso. 

Per  i  Monuinenta  presentò  il  Codice  dip/omatico  bobbiesc  radunato  ed  illustrato  dal  socio 
Cipolla.  Disse  avanzata  la  stampa  del  voi.  IX  della  sua  Bibliografia  storica  degli  Stati 
della  Monarchia  di  Savoia,  nella  raccolta  sulle  Caiiipagne  in  Piemonte  per  la  guerra  della 
successione  spagnuola  in  preparazione  il  volume  2"  della  parte  militare  affidata  al  prof.  Carlo 
De  Magistris;  prossimi  ad  uscire  i  volumi  i"  e  3'»  della  parte  diplomatica  a  cura  dei  pro- 
fessori Carlo  Contessa,  Giuseppe  Rohkrti  e  Arturo  Segre,  ed  i  volumi  2»,  3°  e  40  della 
parte  miscellanea.  Così  per  i  volumi  XIII  e  XIV  della  terza  serie  della  Miscellanea  di  storia 
italiana  e  del  volume  2"  della  Biblioteca  di  storia  italiana  recente  (1800-1S70). 

È  approvata  la  proposta  della  Presidenza  che  il  limite  inferiore  degli  argomenti  da  trat- 
tarsi nella  Biblioteca  di  storia  italiana  recente  scambio  che  arrestarsi  al  1850  sia  protratto 
all'anno  1870. 

Deliberò  in  via  eccezionale  di  farsi  rappresentare  al  Congresso  storico  internazionale  che 
si  terrà  a  Berlino  nel  prossimo  mese  di  agosto. 

Procedutosi  ad  elezioni,  riescirono  candidati  a  membri  effettivi  :  Monsignor  Achille  Ratti, 
generale  Giuseppe  Ruggero  e  professore  Giacomo  Gorrini,  le  cui  nomine  si  proporranno 
all'approvazione  Sovrana. 

Infine  furono  eletti  :  soci  corrispondenti  italiani  Pietro  I'ea,  Francesco  Rufkini,  Ago- 
stino Zanelli  e  Federico  Bruno,  e  nominati  Delegati  presso  l'ufficio  di  presidenza  i  soci 
Carlo  Cipolla  e  Leopoldo  Usseglio. 

//  Segretario  p.  il  Presidente 

Antonio  Manno.  Paolo  Boselli. 


XIX 


DONI  OFFERTI 


ALLA 


R.  DEPUTAZIONE  SOVRA  GLI  STUDI  DI  STORIA  PATRIA 

dal  26  aprile  1904  al  16  dicembre  1908 


Accademia  (La  R.)  Petrarca    di    Arezzo    a    Francesco    Petrarca    nel  VI  centenario 
della  sua  nascita, 
zz:  Arezzo,  tipografia  Giuseppe  Cristelli,   1904,  S"  (xiv-104  pp.,  2  tav. 

Ambrosoli  (Solone).  Di  alcune  nuove  zecclie  italiane. 

=  Roma,  tipogr.  della  R.  Accademia  dei  Lincei,  1904,  8°  (6  pp. 

ArcolliÈres  (d').  A  propos  de  trois  lettres  des  conventionnels  Hérault  de  Séchelies 
et  Philibert  Simond.  —  La  fète  civique  de  Chambéry  du  3  mars  1793. 
zz:  Chambéry,  imprimerle  generale  Savoisienne,  1907,  8"  (50  pp.  i  e. 

Arno  (prof.  Carlo).  Sebastiano  Sineo  e  i  tre  anni  di  guerra  del  Piemonte  (1703-1706). 
(Documenti  inediti). 

ZZI  Coi  tipi  della  Casa  editrice  Renzo  Streglio.  Venaria  Reale  [1906],  8"  (8  pp. 

Arno  (Carlo).  L'eroe  Sebastiano  Sineo  e  i  Sineo  di  Roddi.  Solenne  commemora- 
zione pronunciata  scoprendosi  la  lapide  che  Roddi  decretò  in  onore  di  Sebastiano 
Sineo  (14  ottobre  1906). 

zz:  Alba,  tip.  Sineo,   1906,  8'  (30  pp. 

Arno  (Carlo).  La  prima  parola   di    resistenza    all'Austria    pronunziata    in  Piemonte 
nel  1846  con  la  Società  per  l'esportazione  dei  vini  indigeni, 
=:  Roma,  tip.  dell'Unione  cooperativa  editrice,   1907,  8°  (6  ce. 

Arno  (Carlo).  Riccardo  Sineo  e  la  proclamazione  di  Roma   capitale  d'Italia, 
zz:  Tortona,  tip.  Adriano  Rossi,   1907,  8"  (60  pp.   i  ritr. 

Beck  (Friedrich).  Ueber  die  Vervvertung  der  Doubletten  unserer  Bibliotheken.  Fin 
Aufruf  zur  Grlindung  eines  internationalen    Instituts    fùr    Doublettenaustausch. 
=:  Basel,  Verlag  von  Cari  Beck,   1904,  8°  (14  pp. 

BÉdier  (Joseph).  Le  lai  de  l'ombre  publié. 

zn  Fribourg,  imprimerie  et  librairie  de  l'Gi^uvre  de  .Saint  Paul,  1890,  4''  (58  pp. 
2  csn. 

Bergadani  (Roberto).  Alba  nelle  guerre    per  la  successione    del    Monferrato  (161 3- 
1631). 
ZZI  Torino,  tip.-lit.  Carlo  Giorgis,   1905,  8»  (100  pp. 

Bergadani  (Roberto).  Il  manifesto  di  Alessandro  Tassoni    intorno    le  cose  passate 
tra  esso  ed  i  Principi  di  Savoia.  Commento  storico, 
zz:  Torino,  tip.  E.  Marietti,   1906,  8"  (92  pp,  i  e. 

Biblioteca  (la)  Marciana  nella  sua  nuova  sede, 

zzz  27  aprile  1906.  Biblioteca  Nazionale  Marciana.  Venezia,  4"  (118  pp.  4  tav. 


L'A, 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'Univ. 
(li    Friburo-o 


L'A. 


L'A. 


La 
Biblioteca 


XX  DONI   OFFERTI 


L'Acc.         BiiJi.ioTKCA  della  R.   Accademia  dei    Lincei,  l'elenco    bibliografico    delle  Accademie, 
Società,  Istituti  scientifici,  direzioni  di  periodici  ecc.  corrispondenti  con  la  R.  Ac- 
cademia dei  Lincei,  e  Indici  delle  loro    pubblicazioni    pervenute    all'Accademia 
sino  a  dicembre  1907. 
=  Roma,  tipogr.  della  R.  Accademia  dei  Lincei.  190S,  8»  (vni-422  pp. 


L'A. 


Biconi  (Guido).  Augusto  Franchetti. 

=:  Genova,  tipogr.  della  Gioventù,   1905,  8"  (8  pp. 


i-'A-  Biconi  (Guido).  Note  ligustiche.  IL  Su  d'un  contributo  di  E.  Simonsfeld  alla  storia 

genove.se  del  dodicesimo  secolo. 

=:  Genova,  tip.  della  (iioventù,   1906,  8"  (8  pp. 

L'A-  Biconi  (Guido).  Dopo  Lissa  (1811). 

=r  Milano,  tipogr.  editr.  L.   F.  Cogliati,  1906,  8"  (8  pp. 

Il  Miiiisieio     BoET  (G.).  Le  Segnalazioni  marittime. 

delKi  Manna  ^  Genova,  tipogr.  del   R.  Istituto  idrografico,   1905,  40  (56  pp.  3  tav. 

Boi.i.ETTiNO  ufficiale  del  primo  Congresso  storico  del  Risorgimento  italiano  e  Saggio 
di  mostra  sistematica  (Milano,  novembre  1906),    n.   1-2,  4-9. 
=  Milano.  1906,  S'\ 

L'A.  BoNTEMPi  (Francesco).  Storia  delle  scienze  e  delle  arti    italiane    dall'era  romana  al 

.secolo  ventesimo  al  regno  di  Umberto  I  re  d'Italia. 

=z  Torino,  tip.  editrice  Giov.  Vaccarino,  1905,  8"  (124  pp. 

L'A.  BoscAssi  (Angelo).  Illustrazione  .storica  dello  stemma  di  Genova    premiata  al  con- 

corso del  »  Giornale  Araldico  »  del  1895,  2''  edizione. 

=:  Genova,  stabilimento  fratelli  Pagano,  1903,  8°  (36  pp.  9  tav. 

L'isiit.         BoTET  V  Sisù  (Joaquim).  Les  monedes  catalanes,  estudi  y  descripció  de  les  monedes 
Stor.   italiano  carolingies,  comtals,  senyorials,  reyals  y  locals  propries  de  Catalunya.  \'ol.  I. 

r=  Barcelona,  Institut  d'e.studis  Catalans,  1908,    1'. 

L'A.  BoucHET  (Ch.  A.).  Les  archives  de  la  ville  d'Evian  en  Chablais.  Inventaire  des  ar- 

chives  antérieures  à  l'année  1790, 

=r  Evian-les-Bains,  imi)r.  Munier  |  1908I  8"  (44  pp.  2  tav. 
L'A.  BouviER  (Felix).  La  révolle  de  Casalmaggiore..  aoiìt  1796. 

=z  Macon,   Protat  frères  imi)r.,   1906,  8"  (28  pp. 

L'istit.  Buccio  DI  Ranai.lo  di   Popplito  di  Aquila.  Cronaca  aquilana  rimata,  a  cura  di  \'in- 

stor.  italiano  cenzo  De  Bartholomaeis. 

:=:  Roma,  f-'orzani    e  C,  tipografi  del  Senato,   1907,  S"  (i.x.\ii-344  pp.  2  csn. 
IO  tav. 

L'A.  BuRACGi  (Gian  Carlo).   Uno  Statuto  ignoto  di  Amedeo  IX,  duca  di  Savoia, 

zz  Torino,  Vincenzo  Bona,  tipografo  della  Real  Casa,  1909,  8°  (32  pp, 

L'A.  BuKAGGi  (Gian  Carlo).  Gli  Statuti  di  Amedeo  Vili,  duca  di  Savoia,  del  26  luglio  1423, 

—  Torino,  Carlo  Clausen.  1907,  4»  (2  csn.  34  pp. 

11  canonico     Caffaro  (dr.  Albino).  Pineroliensia  (contributo  agli  .studi  .storici  su  Pinerolo),  ossia 
CaiTaro  ^.j^^,^  pinerolese  specialmente  negli  ultimi  due  secoli    del  medio  evo.  Opera  po- 

stuma dedicata  agli  ili'"'  signori  Sindaco  e  Consiglieri  della  città  di  Pinerolo. 
=:  Pinerolo,  tip.  Chiantore-Mascarelli,  1906,  S«  (i  e.  362-x.xii  pp.  i  ritr. 

i-'A.  Calvi  (Emilio).  Tavole  storiche  dei  Comuni  italiani.  Parte  I.  Liguria  e  Piemonte. 

=  Roma,  Ermanno  Loescher  e  C,   1903,  4». 
L'A.  Camerano  (Lorenzo).  Pietro  Pavesi.  Cenni  biografici. 

=  Torino,  tip.  P.  Gerbone,   1907,  S°  (i6  pii. 

LA.  C.\RNKVAi.i  (avv.  or.  Luigi).  Giambatli.sta  Intra. 

=z  Mantova,   1908,  tip.  G.   Mondovi,  8»  (16  pp. 


DAL   26   APRILE    1904  AL    16   DICEMBRE    1908  XXI 


Carucci  (Paolo).  Vincenzo  Lupo  e  Giuseppe  Abamonte  martiri  del  1799,  con  cenni  l'A. 

oleografici- storici  su  Caggiano. 
:=  Napoli,  prem.  stab.  tipogr.  cav.  Gennaro  M»  Priore,  1904,  S"  (64  pp.  i  tav. 

Casagrandi  (Salvatore).  De    claris  sodalibus  provinciae    taurinensis    Societatis  Jesu  L'A. 

Commentarii. 

=z  Excudebat  Augustae  Taurinorum  lacobus  Arneodus  eques,  1906,  8°  (xii- 
336  pp.  31  tav. 
Casanova  (Eugenio).  Lettere  di  Vittorio  Amedeo  II,  duca  di  Savoia,  e  Anna  d'Or-  l'a. 

léans  sposi,  per  la  prima  volta  pubblicate  sugli  autografi, 
zr  Siena,  tip.  e  lit.  Sordomuti  di  E.  Lazzeri,  1906,  8»  (12  pp. 

C\ucHiE  (Alfred)  et  Maeke  (René).  Recueil    des  instructions  générales  aux  nonces       L'Accad. 

"-  '  del  BelgK) 

de  Fiandre  (1596-1635). 
=  Bruxelles,  librairie  Kiessling  et  C,  1904,  8'^  (xliv-284  pp. 

Cavagna  Sangiultani  (Antonio).  Regesti  di  carte  storiche  lombarde.  I.  Carte   pa-  L'A. 

vesi;  P.  I. 
=z  Pavia,  prem.  tipogr.  successori  frat.  Fusi,  1906,  4". 

Cavagna  Sangiuliani  (Antonio).  Cecima.  La  storia  —   Gli  statuti  —  Le  leggende.  L'A. 

=:  Pavia,  tipogr.  Caio  Rossetti,   1906,  8°  (42  pp.   i  tav. 

Cavagna  Sangiulani  (Antonio).  .Statuti  italiani  riuniti  ed  indicati.  Voi.  I  IL  L'A. 

^  Pavia,  prem.  tipogr.  successori  fratelli  Fusi,  1907,  8°,  2  voi. 

Cavagna  Sangiuliani  (Antonio).  L'afire-sco    nella  chiesa    di    .S.  Agata    in  Monte  a  '^  '^• 

Pavia  e  le  pratiche  per  non  lasciarlo  esportare.  Nota  documentata. 
^  Pavia,  premiata  tipogr.  successori  fratelli  Fusi,  1907,  4"  '16  pag.  3  tav. 

Cavagna  Sangiuliani  (Antonio).  Manoscritti  riguardanti  la  storia  nobiliare  italiana.  L'A. 

Biblioteca  Cavagna  Sangiuliani  in  Zelada.  Catalogo  sommario, 
m  Roma,  Collegio  Araldico,  1907,  4»  (30  pp.   i  e. 

Cavagna  Sangiuliani  (Antonio).  L'Agro  vogherese.  Memorie  sparse  di  storia  patria  LA. 

raccolte.  Voi.  IV. 
zz:  Casorate  Primo,  tipogr.  e  cartol.  fratelli  Rossi,  1908.  8"  (i  e.  336  pp. 

Cavagna  Sangiuliani  (A.).  L'oratorio  del  lago  de'  Porzii  e  il  priorato  cluniacense  LA. 

di  S.  Maiolo  di  Pavia. 

=  Pavia,  premiata  tip.  successori  fratelli  Fusi,   1907,  8'^'  (20  pp. 

Centenario  (nel)  della  nascita  del    generale    Giovanni    Cavalli  1808-1908.  Fa.scicolo      La  Rivista 
ricordo  della  Rivisia  d'artiglieria  e  genio. 
=:  Roma,  tip.  Enrico  Voghera,  1908,  4"  (74  pp.  2  tav. 

Centenario  (nel  secondo)  della  liberazione  di  Torino.  Pietro  Micca  e  Maria  Bricca.       OH  editori 
Opu.scolo    commemorativo  pubblicato  a  cura    del  Comitato   per    le    onoranze  a 
Maria  Bricca. 
=  Torino,  1906,  tip.  Conte  Pietro,  8''  (36  pp. 

Cereti  (P.  e.).  Passaggio  di  Pio  VII  a  Tortona  l'ii  novembre  1804.  L'A. 

r:=  Tortona,  tipogr.  Adriano  Ro.s.si,  1907,  8"  (22  pp. 

Cervrtto  (L.  A).  Catalogo  delle  opere  componenti  la  raccolta  Colombiana  esistente      La  Bilìlioi. 
nella  Civica  Biblioteca  Berlo  di  Genova. 
z=.  Genova,  stabilimento  frat.  Pagano,  1906,  8°  (126  pp. 

Chiappelli  (Luigi).  Le  Dicerie  volgari  di  Ser  Matteo  de'  Libri  da  Bologna  secondo  La  Soo.  stor. 

una  redazione  pistoiese,  pubblicate.  pistoiese 
=:  Pistoia,  lito-tipogr.  G,  Fiori,  1900,  8"  (xxxii-52  pp. 

Chiaramonte  (Socrate).  Società  siciliana  per  la  storia  patria.  Commemorazione  del  La  Soc.  stor. 

vice-presidente  B"e  Raffaele  Starrabba  letta  nella  tornata  del  12  maggio  1907.  siciliana 
zz.  Palermo,  Scuola  tip.  «  Boccone  del  Povero  »,   1907,  8"  (32  pp.   i  rilr. 


XXII 


DONI   OFFERTI 


La  Biblioi. 
di  Rovereto 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


La 

Riblioteca 


L'Univ. 
di  Louvain 


L'A. 


L'A. 


Chiesa  (Gustavo).  Regesto  dell'Archivio  comunale  della  città  di  Rovereto.  Fase.  i». 
rz  Rovereto,  tip.  Roveretana,  1904,  8°. 

Cii'Oij.A  (Carlo).  Commemorazione  di  Ferdinando  Gregorovius. 
=1  Torino,  Carlo  Clausen,  1891,  8"  (12  pp. 

Cipolla  (Carlo).  Asti  sotto  la  dominazione  francese  dal  novembre  1745  al  marzo  1746. 
=  Alessandria,  tip.  G.  Jacquemod,  1893,  8»  (70  pp. 

Cipolla  (Carlo).  Una  iscrizione  medioevale  a  Cisano  sul  Lago  di  Garda, 
zn  Torino,  Carlo  Clausen,  1894,  8°  (12  pp.  i  tav. 

Cipolla  (Carlo).  Ricerche  sull'antica  biblioteca  della  Novalesa. 
z=i  Torino,  Carlo  Clausen,  1894,  4"  (190  pp.  5  tav. 

Cipolla  (Carlo).  Cesare  Cantù  ed  Enrico  von  Sybel.  Cenni  commemorativi, 
zr  Torino,  Carlo  Clausen,  1895,  8"  (18  pp. 

Cipolla  (Carlo).  Per  la  storia  del  processo  di  Boezio, 

zz  Roma,  tipogr.  poliglotta  della  S.  C,  de  Propaganda  Fide,  1900,  4°  (14  pp. 

Cipolla  (Carlo).   Nuove  notizie  intorno  ai  diplomi  inii)eriali  conservati  nell'Archivio 
comunale  di  Savona, 

zz  Rovereto,  tip,   Roveretana  ditta  V'.  Sottochiesa,  1900,  8"  (i  e.  20  pp. 

Cipolla  (Carlo).  Nuove  notizie  sulle  relazioni  del  P.   Luigi  Tosti  col  Piemonte. 
^  Torino,  Carlo  Clausen,  1901,  8"  (8  pp. 

Cipolla  (Carlo).  Toponomastica    dell'ultimo    residuo   della   colonia   Altotedesca  nel 
Veronese, 
zz  Torino,  Carlo  Clausen,  1902,  4"  (i  e.  20  pp.  i  tav. 

Cipolla  (Carlo).  Lettere  inedite  di  Raterio,  vescovo  di  Verona. 

zz  Roma,  tipogr.  poliglotta  della  S.  C.  de  Propaganda  Fide,  1903,  4"  (24  pp. 
I  tav. 

Cipolla  (Carlo).  Spigolature  Corsiniane.  Scipione  MalTei  e  Vincenzo  Patuzzi  e  alcune 
questioni  teologico-morali. 
:z:  Roma,  tip,  poliglotta  della  S.  C.  de  Propaganda  Fide,  1903,  4"^  (12  pp. 

Cipolla  (Carlo).  (Rivista  delle  pubblicazioni  di  storia  medievale  italiana  fatte  negli 
anni   1888-1904]. 
—  Berlin,  8^, 

Cipolla  (Carlo).  Per  un  diploma  di  Berengario  L 
=z  Verona,  1904,  stab,  I-^ranchini,  80  (12  pp. 

Cipolla  (Carlo).  Emanuele  Bollati  barone  di  Saint-Pierre.  Commemorazione. 
=z  Torino,  Carlo  Clausen,  1904,  8»  1,8  pp. 

Cipolla  (Carlo).  Sui  motivi  del  ritorno  di  Francesco  Petrarca  in  Italia  nel  1347. 
zz  Torino,  tip.  Bona,  1906,  8°  {14  pp. 

Cipolla  (Carlo),  G.  Dksanctis,  C.  Frati.  Inventario  dei  codici  suj^erstiti  greci  e  la- 
tini antichi  della  Biblioteca  Nazionale  di  Torino. 
^  Torino,  Casa  editrice  Ermanno  Loescher,  1904,  8^'. 

Claevs  Bouuaert  (Ferdinandus).  De  canonica  cleri  saecularis  obedientia.  Tomus  I. 
zz  Lovanii.  P^xcud.  Josephus  van  Linthout,  1904,  S". 

Coda  (dr.  Costantino),  Ragguaglio  giornale    dell'assedio  di  Torino  cominciato  li  13 
maggio  1706  e  liberazione    del   medesimo  seguita  li  7  settembre    del  medesimo 
anno.  Manoscritto  finora  inedito,  pubblicato  e  commentato, 
zz  Torino,  tip.  degli  Artigianelli,  1906,  i6o(xvi-i8o  pp. 

Coda  (Costantino).  Pensieri  e  riflessioni.  Edizione  III  aumentata. 

zz  Torino,  tip.  degli  Artigianelli,  1907,  16"  (6  csn.  286  pp.  2  ce. 


DAL    20   APRILE    1904    AL    16    DICEMBRE    1908 


XXIII 


Coppola  (Angelo).  Della  vita  e  delle  opere  del  prof.  arch.  Giuseppe   Patricolo.  Com- 
memorazione letta  addì  7  giugno  1908  nella  grande  aula  P.  Luigi  Di  Maggio. 
—  Palermo,  stabil.  tipogr.  Virzi,  1908,  8«  (38  pp.  ritr. 

Costa  (Enrico).  Gli  statuti  del  comune  di  Sassari   nei  secoli  .xiii  e  xiv  e  un  errore 
ottantenne  denunziato  alla  storia  sarda. 
=  Sassari,  tipogr.  e  libreria  G.  Gallizzi  e  C,   1904,  8'^  (32  pp, 

[CouRTOis  d'ArcolliÈresJ    Le  comte  Octave  de  Boigne. 
=  Chambéry,  impr.  Savoisienne  [1904],  ló»  (8  pp. 

Cko.vaca  del  parroco  di  Chianale  sugli  avvenimenti   che  si  succedettero  in  Chianale 
dal  1744  al  1747  (in  francese,  inedita], 
ziz  Ms.  autogr.,  4°  (44  csn. 

CuRLO  (avv.  Faustino).  Storia  della  famiglia  Cavassa  di  Carmagnola  e  di  Saluzzo. 
=  Saluzzo,  Ditta  editrice  Bovo  e  Baccolo,  1904,  8'  88  pp.  8  tav.  3  tab. 

Clvelikr  (J.\  Cartulaire  de  l'abbaye  du  Val-Benoit. 

rz:  Bruxelles,  libr.  Kiessling  et  C'è,  P.  Imbreghts  successeur.  1906,  4'^  (3  csn. 
L-934  PP- 
Daugno.n  (F.  F.  de).  Gli  Italiani  in  Polonia  dal  ix  secolo  al  xvin.  Note  storiche  con 
brevi  cenni  genealogici,  araldici  e  biografici. 
=:  Crema,  tip.  editrice  Plausi  e  Cattaneo   1905-1907,  2  voi.  8». 

Dejob  (Charles).   La  foi  religieuse  en  Italie  au  quatorzième  siècle. 

rz  Paris,  Albert  Fontemoing  éditeur.  1906,  18"  (2  csn.  440  pp. 

Dell'Acqua  (dott.  Carlo).    L'imperatore    de'   francesi    Napoleone  I  e  l'augusta  sua 
consorte  Giuseppina  nel  maggio  1805  in  Pavia.  Narrazione  storica  documentata 
nella  ricorrenza  del  primo  suo  centenario  con  appendice  sulla  morte  e  sepoltura 
di  Napoleone  I. 
=:  Milano,  tip.  editrice  L.  F.  Cogliati,  1906,  S"  (76  pp. 

Delle  Pere  (Luigi).  Società  sarzanese  di  letture  scientifiche  e  letterarie  «  Pro  cul- 
tura ».  Discorso  pronunciato  all'adunanza  dell "8  gennaio  1905  a  sostegno  della 
proposta  di  commemorare  e  festeggiare  nell'ottobre  del  1906  il  sesto  centenario 
della  dimora  di  Dante  in  Lunigiana. 
zzz  Sarzana,  premiata  tip.  Enrico  Costa  e  C,  1905,  8"  (28  pp. 

Demole  'Eugène).  Numismatique  de  l'évéché  de  Genève  au  xime  et  xiime  siècles. 
=:  Genève,  A.  JuUien,  Georg  et  C.  libr.  ed.,  1908,  8"    144  pp. 

Descostes  (Francois).  André  Perrin,  1836-1906.  Éloge  funebre. 
^  Chambérj',  1907,  8° 

DouTREPONT  (Georges).  —  Inventaire  de  la  librairie  de  Philippe  le  Bon  (1420). 

=  Bruxelles,   librairie   Kiessling   et   C'è,    P.    Imbreghts    successeur,    1906,   8" 
(xLviii-192  pp. 

DuBOis  (Fred.  Th.).  Les  armes  du  bailliage  de  Vaud. 
=  S.  i.  [1906],  80  (4  pp, 

Du  Teil  (Joseph).  Le  village  de  Saint-Momelin  'Artois  et  Fiandre)  640-1789.  Nolice 
historique. 

r=  Paris,  Alphonse  Picard  éditeur,  1891,  8'^  (2  ce.  134  pp. 

Du  Teil  (J.).  Napoléon  I  et  le  general  Gassendi  (1788-1800). 

=:  Digne,  imprimerle  Chaspoul,  Constans  et  \'e  Barbaroux,  1892,  S"  (8  pp. 

Du  Teil  (Joseph).  Le  livre  de  raison    de    noble   Honoré  Du  Teil  (1571  1586)  publié 
avec  des  documents  inédits  sur  la  Provence  et  précède  d'une  notice  biographique. 
■=.  Digne,  imprimerie  Chaspoul,  Constans   et  Vve   Barbaroux,   1894.   8"  (xvi- 
36  pp. 


La  Soc.   sicil. 

di 
Storia  Patria 


L'A. 


L'A. 


Uoiio  di  S.  E. 

il  Presid. 
del    Consiglio 


L'Accad. 
ili  Bruxelles 


L'A. 


L'A. 


L'A, 


L'A. 


LA. 


L'Accad. 
di  Bruxelles 


L'A. 


L'A. 


XXIV 


DONI   OFFERTI 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


LA. 


L'Arcaci, 
di  Bru.xelles 


L'istit. 
Stor.  italiano 


L'Accad. 
di  Bruxelles 


L'A. 


Gli  eredi 
dell'A. 


L'A. 


L'I'iilversità 


L'A. 


Dv  Teil  (Joseph  .  Une  famille  militaire    au  xvinf  siècle,  documents    inédits  sur  le 
régiment    Royal-artillerie,  la  bataille    d'Hastenbeck,  les    campagnes    des  Indes, 
l'école  d'artillerie  d'Auxonne  et  le  siège  de  Toulon. 
=z  Paris,  Alphonse  Picard  et  fils,  éditeurs,   1896,  8"  iViii-572  pp.  7  tav.  i  lab. 

Du  Teil  (Joseph).  Rome,  Xaples  et    le    Directoire.  Armi.stices  et    traités,  1796-1797. 
=  Paris,  librairie  Plon.  Plon,  Nourrit  et  C'è  iniprimeurs-éditeurs,  1902,  8"  (4csn., 
VI11-56S  pp.  4  tav. 

Du  Te:l  (Joseph).  Autour  du  Saint-Suaire  de  Lirey.  Documents  inédits,  remarcjues 
juridiques  et  esquisse  généalogique. 

=z  Paris,  1902,  80  (2  csn,  28  pp. 
—  Seconde  édition  avec  pièces  jiistificatives. 

=:  Paris,  Alphonse  Picard  et  fils,  libraires,  1902,  8"  (4  csn.  46  pp.  i  tav. 

Du  Tkil  (Joseph).  L'antiesclavagisme  en  Africpie.   A  propos  du  récent  Congrès  de 
Rome  (22-24  avril  1903). 
=  Paris,  De  Soye  et  fils  imprimeurs,  1903,  8"(i6pp. 

Di;  Tkil  (Joseph).  .Sa  Sainteté  Leon  XIII  et  l'antiesclavagisme. 

=  Paris,  imprimerie  cl'ouvriers  .Sourds-Muets,   1903,  S"  (io  pp. 

Du  Teil  (Joseph).   Les  villages  de  liberté  en  Afrique  à  propos  du  concours  ouvert 
par  la  Société  antie.sclavagiste  de  France. 

=r  Paris,  au  secrétariat  de  la  .Société  d'éct)nomie  sociale,  1904,  8"  (12  pp. 

Du  Teil  (Joseph).   La  ColJection  Chaix  d'Est-Ange, 
=  Paris,  1907,  4-'  (34  pp. 

i3uviviEK  (Charles).  Actes  et  documents    anciens  intéressant    la  Helgicjue.   Nouvelle 
sèrie. 

:=  Bruxelles,  P.  W'ei.s.senbruch  imprimeur  du  roi,  éditeur.  1903,  8"  (vni-464  pp. 

Iù;ii)i  (Pietro),   Necrologi  e  libri  affini  della  provincia  romana.  Voi.   I. 
=  Roma,  nella  sede  dell'Istituto,  1908,  8°. 

KiNAuni  (Luigi).   La  finanza  sabauda  all'aprirsi  del  secolo  xviii  e  durante  la  guerra 
di  successione  spaglinola. 

zz  Torino,  oftìcine  grafiche  della  .Società  tipogr. -editrice  (già  Roux  e  Viarengo). 
1908,  4"  (xxxii-456  pp. 

EspiNAS  (Georges)  et  Pirenne  (Henri).  Recueil  de  documents  relatifs  à  l'histoire  de 
l'industrie  drapière  en  Fiandre.  Tome  1. 
==  Bruxelles,  librairie  Kiessling  et  C,  P.  Imbreghts  succ,  1906,  40. 

Faccio  (Cesare).  Dalle  barricate  di   Porta  Tosa  alla  breccia  di  Porta  Pia  (1S48-1S70). 
Commemorazione. 

=:  Vercelli,   1906,  tip.  (iallardi  e  Ugo,  8^  (18  pp. 

F.M.i.KTTi  (P.  C).  In  commemorazione  di  Giosuè  Carducci.  11  giugno  mc.mvii.  Ciiosuè 
Carducci  minore. 

=:  Bologna,  Nicola  Zanichelli,  1907,  8"  (32  pp. 

Fk  d'Ostiani  (Luigi  F.).   Brescia  nel   1796,  ultimo  della  veneta  signoria. 
HI  Brescia,  premiata  stamperia  frat.  (ieroldi,  1908,  8"  (3  csn.  322  pp. 

Fea  (Pietro).  Una  storia  veramente  moderna. 

^  Firenze,  Ufficio  della  «  Rassegna  Nazionale  »,  1908,80(24  pp. 

Feriis  saecularibus  R.  Athenaei  taurinensis  a.  D.  vi  kal.  nov.  an.  mdccccvi. 

=z  Augustae  Taurinorum,  Fratr.  Vigliardi  Paravia,  1906,  4"  (36  pp.  7  tav. 
Fkrrero  (Ermanno).  L'Are  d'Auguste  à  Suse  publié  sous  les  auspices  de  la  Société 
d'archeologie  et  des  Beaux-Arts  pour  la  province  de  Turin.  19  planches  d'après 
les  photographies  de  Secondo  Pia  et   17  figures  dans  le  texte. 
=:  Turin,   Bocca  frères  éditeurs,  1901.  f"  (4  csn.  .\o  pp.  19  tav. 


DAL    20    APRILE   iq04   AL    l6   DICEMBRE    IQOB 


XXV 


Ferreti  (F'erreto  de'),  vicentino.  Le  opere  a  cura  di  Carlo  Cipolla.  Voi.  I. 
:=  Roma,  Forzani  e  C,  tipografi  del  Senato,  1908,  8". 

Fontana  (Leone).  Bibliografia  degli  Statuti  dei  Comuni  dell'Italia  superiore, 
^z  Torino,  fratelli  Bocca,  1907,  3  voi.  8". 

Franzoni  (Andrea).  Francesco  De  Lemene. 

r=  Lodi,  tipo-litogr.  C.  Dell'Avo,   1904,  8"  (102  pp. 

Fregni  (Giuseppe).  In  numismatica  Sulla  parola  FERT  che  da  più  secoli  si  legge 
nelle  monete  e  negli  stemmi  gentilizi  dei  conti  e  duchi  di  Casa  Savoia  e  dei 
Re  d'Italia  :  come  la  interpretarono  fin  qui  gli  storici  e  gli  antiquari  nostri 
d'Italia  e  fuori,  e  come  viene  da  noi  letta  ed  intesa.  Studi  critici,  storici  e 
filologici, 
izz  Modena,  G.  Ferraguti  e  C'  tipografi,  1908,  8"  (24  pp. 

Frutaz    (F.    G.).    Le    chàteau    de    Chàtillon    et    l' inventaire     de    son    mobilier    au 
xvie  siècle. 

=:  Aoste,  imprimerle  Catholique,  1899,  8»  (168  pp.  2  ce.   i  tav. 

Frutaz  (F.  G.).  Le  chàteau  de  Verres  et  l'inventaire  de  son  mobilier  en  1565. 
-z.  Torino,  stamperia  Reale  della  Ditta  G.  B.  Paravia  e  C,  1900,  8"  (40  pp. 

Fkutaz  (F.  G.).   Notes  sur  René    de'Challant  et  sur  le  passage    de   Calvin   dans  la 
Vallèe  d'Aoste. 
=z  Neuchàtel,  imprimerle  Wolfrath  et  Sperlé,  1904,  8'^  (28  pp,  1  tav. 

Frutaz  (F.  G.).  L'art  chrétien  dans  la  Vallèe  d'Aoste.  Conférence  prononcée  à  Turin 
à  l'Exposition  à'arfe  sacra  le  4  octobre  1898. 
r=:  Aoste,  impr.  Catholique,  8°  (32  pp. 

Galateri  di  Genola  (Giuseppe).  Mezzo  secolo  di  vita   della  Unione  tiijogr. -editrice 
torinese  (già  Ditta  Pomba  e  C),  1855-1904. 

=:  [Torino,  Unione  tipogr. -editrice,  1905],  8  '  (2  ce.  LXXiv-394  pp.  r  ritr.  i  tab. 
I  tav. 

Galilei  iGalileo).   Le  opere.   Edizione    nazionale  sotto    gli   auspici  di  Sua  Maestà  il 
Re  d'Italia.  Voi.  Ili,  parte  2'\  XIV,  XV,  XVI,  XVII,  XVIII,  XIX. 
z:^  Firenze,  tipogr.   Barbèra,  1904-1904,  4**. 

Gallavresi  (Giuseppe).  Il  diritto  elettorale    politico  secondo    la    costituzione    della 
Repubblica  Cisalpina. 
♦  =r  Milano,  tip.  editrice  L.   F.  Cogliati,   1905,  160(248  pp. 

Gar;<erj  fGio.  Antonio).  Memorie  concernenti  la  Reale  Casa  di  Savoia  1  diritti,  ijre- 
tensioni,  acquisti]. 
=  Ms.  sec.  xviii,  f"  (i  e.  112-86  pp. 

Garofalo  ibarone  R.),  La  giustizia  nel  Veneto;   discorso  del  Procuratore  generale 
nell'Assemblea  della  Corte  d'Appello  di  Venezia  il  dì  5  gennaio  1907. 
=1  Venezia,  stab.  tipo-litogr.  F.  Garzia  e  C,  1907,  8°  (46  pp. 

Geigv  (Alfred)  u.  Liebenau  (Th.)  Aus  den  Papieren  des  franz5sischen  Jiotschafters 
Franz  Karl  du  Lue. 
=:  [Bern,  1891],  8«  (76  pp. 

Gkni.v  (Federico).  Casa  Savoia  (.Sunti  di  storiaj. 

^  Torino,  Vincenzo  Bona  tipografo,  1904,  8"    88  pp, 

Gerbaix-Sonnaz  (Carlo  Alberto  di).  Studi  storici  sul  contado  di  Savoia  e  marchesato 
in  Italia.  Voi.  III. 
z:^  Torino,  Roux  e  Viarengo  editori,  1900- 1902,  8°. 

GiAMBRUNO  (dott.  Salvatore].  Il  tabularlo  del  Monastero  di  S.  Margherita  di  Polizzi. 
zr  Palermo,  Alberto  Reber,  1906,  8"  (LXXvi-128  pp. 


L'Istit. 
Stor.    italiano 


Gli  eredi 
dell'A, 


Il  Municipio 
di  Lodi 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'Unione 
tipografica 


11   Minislfio 

della 

Piibhl.   Istruz. 


L'A. 


11  prof. 
Canierano 


Il  df.tt. 
Liebenau 


L'A, 


LA. 


XXVI  DONI  OFFERTI 


L'A-  GiANoi.i  (Carlo  Alberto.  Il  vino  di  Gheniine  e  le  sue  qualità  ii^ieuiche. 

=  Varallo,  tip.  Camascliella  e  Zanfa,  1904,  16"  (44  pp. 

L'A.  GiGiJO-Tos  (Elìsio).  Maria    Bricco  e    la    fazione    di   Pianezza,    5-6    settembre    1706. 

Monografia  illustrata. 
=z  Torino.  Casa  editrice   Renzo  .Streglio,  1905,  S"  178  pp. 

L'A.  GiGLio-Tos  (Efisio).  Di  tre  lettere  inedite  sulla  battaglia  di  Torino  7  7iiie  1706. 

=1  Torino,  tipogr.  Subalpina.  1905,  8"  (28  pp. 

L'A.  GiGMO-Tos  (Efisio).   Liberatione  de  l'assedio  di  Torino  segnilo  li  7  settembre   1706 

sotto  il  comando  del  serenine  Princii^e  Eugenio  di  .Savoja,  et  di  .S.  A.  R.  con  la 
sconfitta  dell'esercito  gallispa?io  diretto  dal  duca  d'Orléans,  nipote  del  re  XIV""o 
et  dal  duca  della  Eogliada,  genero  del  .Signor  di  Ciamillard  fChamillard).  segret''" 
di  guerra. 
3z:  Torino,  tip.  Subalpina,  1905,  H"  (72  pp.  2  ce. 

L'A.  GiGi.K)-Tos  (Efisio).    Il  maresciallo  P'erdinando  de  Marcin. 

ih:  Torino,  tip.  .Subalpina,   T905,  8»  (16  pp.  i  e. 

L'A.  Gkìmckli  I  (Giuseppe).   Documenti  storici  del  Monferrato.  X\'-X\'l  II. 

zz:  Alessandria,  stab.  tip.  ditta  G.  M.  Picc<me,  1904-1906,  8". 

GiOKCELi.i  (Giuseppe).   Medaglia  conuuemorativa  della  conquista  di  Trino  e  di  Pon- 
testura  Monferrato  fatta  dai  francesi  nell'anno  1643. 

rr  Milano,  cart.  e  lito-tipogr.  C.  Crespi,   1906,  8'^  (4  pp. 

GioKCELi.i  (dr.  Criuseppe).  Medaglia  francese  commemorativa  della  presa  di  Verrua 
nel  1705. 
Z3  Milano,  cart.   e  liti) -tipogr.  C.  Crespi,  1906,  8"  (12  pp. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


GioKCKi.i.i  (Giuseppe).   Il   Pater  di  Alessandria  (Lamento  contro  gli  .Spagnuoli). 
33  Alessandria,  .Società  poligrafica,   1907,  8"  (8  pp. 


^'^'  (iioKCKLLi  (Giu.seppe).   Zecca    di    Casale    Monferrato.  Scudo    d'oro    di    Federico  II 

Gonzaga  e  Margherita  Paleoioga,  Duchi  di  Mantova  e  Marchesi  di  Monferrato, 
coniato  in  Casale,  creduto  inedito.  —  Mocenigo  d'argento  dei  mede.simi.  —  In 
(piale  anno  fu  aperta  la  zecca  di  Casale  ed  in  quale  venne  chiusa. 
zz  Milano,  tipogr.  editr.  L.  V.  Cogliati,  1908,  8**  (18  pp. 


Gi()RU.\NiNO  (Giuseppe).  Marene  antica  profana  e  sacra. Memorie, 
rr  Bra,  tipogr.   Racca,  1895,  8"  (124  pp.  2  ce. 


L'Accad.       GisLKisEKT.  La  chroniciue  de  G.  de  Mons.  Nouelle  édition  publiée  par  Leon  Van- 
derkindere,  professeur  à  l'Université  de  Bru.xelles. 

m  Bruxelles,  librairie  Kiessling  et  C,    1904,  8"  (1.11-432  i)|).  25  tab.  i  tav. 

L'A.  Giui.iNi  (Alessandro).  Di  (iiuseppe  Giannini,  medico  Parabiaghese  (1774-181S).  Notizie 

biografiche. 

=:  Milano,  tip.  P.  Confalonieri,  1904,  8*^  (8  pp. 

L'A.  Giui.iNi  (Alessandro).  11  colle.gio  Cavalieri  in   Parabiago. 

zz  Milano,  tip.  Oliva  e  .Somaschi  |  1907  |  8»  (  16  pp. 

^'^-  CiiULiNi  (Alessandro).  Una  grazia  ottenuta  nel   1620  per  intercessione  di  .San   Carlo 

Borromeo. 
r=  Milano,  stab.  A.  Berlarelli  e  C,  1908,  12"  (12  pp. 

^  ^'  GiussANi  (Antonio).   Il  forte  di   l-'uenles.   Ejiisodi  e  documenti  di  una  lotta  secolare 

per  il  dominio  della  X'altellina. 

1=  Como.  tip.  editr.  Ostinelli  di  Bertolini  Nani  e  C,  1905,  8"  (xii-448  pp.  4  lav. 

LA.  GovoNE  (Ube'ho).   Il  generale  Giuseppe  Govone.   Frammenti  di  memorie, 

rz  Torino,   Francesco  Casanova  editore,  1902,  8"  (xii-524  pp.   i  ritr. 


DAL   26    APRILE    1 904    AL    16   DICEMBRE    1908  XX VII 


(ìkasselli  (Vincenzo).  Nella  Divina  Commedia  un  passo  dai  commentatori  dichia-  l'A  . 

rato  incomprensibile,  dallo  stesso  Dante  chiaramente  illustrato. 
=  Padova,  K.  stabilimento  Prosperini,  1905,  S"  (16  pp.  t  c.  i  tav. 

CiRKfpi  (comte  G.).  Une  coulisse  du  théàtre  de  la  guerre  (1S70).  L'A. 

—  Rome,  imprimerie  editrice  Romana,  1906,  8"  (3S  pp. 

Guerre  (La)    de    la    succession    d'Autriche    (1740-1748).    Campagne    de    1741-T743.  i.-a. 

Opérations  militaires  dans  la  Haute-Autriche  et  en  Bavière.  Par  le  Major  Z***. 
=  Paris,  librairie  militaire  R.  Chapelot  et  C,  1904,  8'^'  (244  pp.  4  f^s"- 

Hanol-et  (Karl).   La  chronique  de  Saint  Hubert  dite  Cantatorium,  nouvelle  édition.        L  Accad. 
„,,,.,,..,.  ,^  ^     o,  ,  ..  'li  Bruxelles 

=z  Bruxelles,  libr.   Kiessling  et  C,  1906,  8»  (uv-290  pp.  2  csn.  i  tav. 

Hknrv  (Victor).  Lexique  étymologique  des  termes  les  plus  usuels  du  breton  moderne.        L'Univ. 
=  Rennes,  J.  Plihon  et  L.   Hervé,  1900,  8«  (xxx-350  pp.  '''  "^^""^^ 

Homerus    Homeri  Iliadis  pictae  fragmenta  Ambrosiana  phototypice  edita  cura  do-        La  Bibl. 
ctorum  Ant.  M.  Ceriani  et  Ach.  Ratti.  Praefatus  est  Ant.  M.  Ceriani.  Ambrosian.i 

=  Mediolani,  apud  Ulricum   Hoepli,   1905,  4"  (4  csn.  44  pp.  2  csn.  104  tav, 

Imhkrt  (Carlo).  Le  valli  valdesi  durante  la  prima  dominazione  francese.  L'A, 

=:  Milano,  pr-emiata  tipogr.  «  Agraria  »,  190S,  8«  (16  pp. 

Institut  d'estudis  catalans  (Reglament).  L'isiit. 

T-,  1  n^  I    1^  Stor.  italiano 

=:  Barcelona,  1907,  8»  (16  pp. 

Isaia  (C).  Torino,  dintorni  e  provincia.  Pubblicazione  illustrata  della  Pro   Torìjio.    ,         11 

r:r  Coi  tipi  di  R.  Streglio  e  C.  Torino,  1905,  16'^  1 160  pp.  2  tav.  Municipio 

Isola  (I.  G.).  Le  storie  nerbonesi  ;  romanzo  cavalleresco  del  secolo  xiv.  L'A 

r^  Bologna,  ])resso  Gaetano  Romagnoli,  1877-1905.  4  voi.  8". 

Labruzzi  (Francesco).  Se  il    conte  Umberto  Biancamano    {w  contestabile  del  regno  I-'A. 

di  Borgogna. 

=  Firenze,  tipogr.  Galileiana,  1905,  8"  (16  pp. 

La  Mantia  (Francesco).  Relazione    delle  feste    fatte    in    Sciacca    dal  19    al   26    no-  la. 

vembre  1713  per  la  solenne    acclamazione  di  Vittorio  Amedeo  di    .Savoia  re  di 
Sicilia,  pubblicata. 
1=  Sciacca,  tip.  editr.   Bartolomeo  Guadagna,  1908,  S"  (12  pp. 

La  Mantia  (Giuseppe).    1  capitoli  delle    colonie    greco-albanesi  di  Sicilia   dei  secoli  I-'A- 

XV  e  XVI  raccolti  e  pubblicati. 
=1  Palermo,  stab.  tip,  A.  Giannitrapani.  1904,  4°  xuv-88  pp. 

Lannoy(F1.  de).   Les  origines    diplomatiques  de  Tlndépendance    belge.   La  Confé-         L'Univ. 
1       r         j  /    r.  o       ,  <li  l.ouvain 

rence  de  Londres  (1830-18311. 

z=  Louvain,  Charles  Peeters  éditeur,  1903,  8"  (xvni-3To  pp. 

Lattes  (Alessandro).   L'interinazione    degli  editti.  Studio  di  storia    del  diritto  pub-  i,'a. 

blico  piemontese. 

z=i  Torino,  Carlo  Clausen,   1908,  8"  (48  pp. 

LegÉ  (can.  Vincenzo).    Il  culto  della  .S.  Croce  in  Tortona,  l'assedio    della    citt.à  nel  \:.\. 

1642  e  il  sacco  di  Viguzzolo. 
:=:  Tortona,  tip.  Vescovile  Ditta  S.   Rossi,  1904,  8"  (14  pp. 

LegÉ  (can.  Vincenzo).  II  Seminario  di  Tortona.  Cenni  storici.  L'A. 

=:  Tortona,  tip.  Ditta  S.  Rossi,  1904,  8°  (16  pp. 

Lec;k  (Vincenzo).  La  derivazione  delle  acque  dal  Curone  e  convenzioni  tra  \'olpedo,  l'a. 

Casalnoceto,  Castellaro,  Volpeglino  e  Viguzzolo.  Notizie  storiche  medioevali, 
zz  Tortona,  tip.  libr.   Rossi  Adriano,  1904,  8^*  (16  pp. 


XXVIII  DONI   OFFERTI 


L'A.  Legk  (can.  Vincenzo).  Scoperta  di  antichi    sepolcri  presso  Tortona    e    presso  Mon- 

talto  Pavese. 
:=  Tortona,  tip.  Vescovile  Ditta  S.  Rossi,  1906,  8"  (12  pp. 

L'A.  Legé  (can.  Vincenzo).  La  pieve  di  S.  Ponzo  .Semola,  il  suo  titolare  e  il  suo  Patrono 

celeste. 

=  Tortona,  tip.  Ditta  .Salvatore  Rossi,   1906,   16»  (iS  pp. 

L'edit.         Lettiere  di  piemontesi  illustri.  V'ittorio  Emanuele  II  —  Balbo  —  Botta  —  Cavour  — 
Cibrario  —  Collegno  —  D'Azeglio  —  Gioberti       Grassi  —  La  Marmora  —  Lanza 
—  Manno  —  Pellico  —  Peyron  —  Regaldi.  [Pubbl.  da  A,  D'Ancona]. 
=:  Pisa,  tip.  editrice  del  cav.  F.   Mariotti,  1905,  8°  (24  pp. 

L'A.  LiEKENAU  (T.  V.).  Anton  von  Turn,   Herr  zu   lllens,  als   Bùrge  far  den   Crafen  von 

Savoyen,  in  Basel  und  Freiburg. 
=  S.  1.,  1904,  8"  (2  ce. 

L'A.  LiEBENAU  (Theodor  von).  Aus  dem  Diarium    des   Johannes  Riitiner  von  S'  Gallen 

aus  den  Jahren  1529-1539. 
=  Basel,  8"  (6  ce. 

L'A.  LiKBKNAU  (T.  V.).  Aus  der  Chronik  des  Minoriten  Heinrich. 

=  S.  1.,  18S9,  8"  (4  pp. 

]/A.  Lthuenau  (T.  v.).  Aus  Werner  Steiner's  Leben  und  Schriften. 

=  S.  i.,  8»  (io  pp. 

L'A.  LiEHENAr  (T.  V.).  Berlingers  Bericht  ùber  das  Treffen  auf  dem  Cubel. 

=:  S.  i.,  8»  (i   e. 

L'A.  Liebknau  (T.  V.).  Beschreibung  des  IL  Cappelerkrieges  von  Werner  Steiner  von  Zug. 

=:  S.  i.,  8°  (8  pp. 

L'A.  Liebknau  (T.  v.).  Bundnerische  Kirchengesetze. 

iz:  S.  i.,  8«  (2  ce. 

LA.  LiEBENAU  (T.  V.).  Courad's  von  Mure  Clipearius  Teutonicorum. 

=  S.  i.,  8"  (16  pp. 

'-'^'  LiEBENAU  (T.  V.).  Dalla  Storia  di  Castel  S.  Pietro, 

zz  Bellinzona,  tip.  Colombi,  1883,  8°  (12  pp. 

L'.\.  LiEBENAU  (Th.  V.).  Das  alteste  Wappengedicht  Deutschlands. 

=  .S.  1.,  1880,  80  (16  pp. 

L'A.  LiEBENAU  (T.  V.).  Das  Geleit  am  Gotthard.  Ein  Beitrag  zur  Erklarung  der  Tellsage. 

=  S.  i.,  8''(iopp. 

L'A.  LiEBENAU  (T.  V.).  Das  Schvveizerkreuz. 

=1  S.  1.,  1900,  8"  (io  pp.  I  tav. 

LA.  LiEBENAU  (T.  v.).  Das  Treffen  zu  Carate, 

:=  Bellinzona,  stab.  tip.  E.  Colombi  e  C,  1904,  8''  (8  pp. 

L'A.  LiEBENAU  (Th.  V.),   Dcr  hi.  Cari   Borromeo  und  die  Schweizer. 

rz  Luzern,  Buchdr.  v.  J.  Sellili,  1884,  8"  (52  pp. 

L'A.  LiEBENAU  (T,  V.).  Der  Humanist  LHrich    Zasius  als    Stadtschreiber    von    Baden    im 

Aargau. 
■  ==  Luzern,  Buchdr.  Rader  &  C,  1898,  8»  (12  pp. 

L'A.  LiEBENAU  (T.  V.).  Die  Abtrelung  des  Eschenthals  an  Frankreich  im  jahre  1515. 

=:  S.  ],,   1894,  8»  (io  pp. 

L'A.  LiEBENAU  (T,  V.).  Die  Anfange  der  Golthardbefestigung. 

=z  Bellinzona,   1900,  8"  (4  pp. 


DAL    26    APRILE    1 904   AL    16    DICEMBRE    1908 


XXIX 


LiEBENAU  (T.  V,).  Die  Chroniken  des  Franz  Katzeno;eau  von  Freiburs;    und  Anton 
Paillard. 

zz  S,  i.,  80  (io  pp. 

LiEBENAU  (Th.  V.).  Die  Chronisten  des  Stiftes  Xeuchàtel. 
=  S.  i.,  8»  (24  pp. 

LiEBENAU  (T.  V.).  Die  Conferenzen  von  Glurns  und  Mais  1496. 
=  S.  i.,  8»  (2  pp. 

LiEBENAU  (T.  V.).  Die  Gruber'sche  Fehde. 
=:  S.  i.,  S''^  (14  pp. 

LiEBEN.vu  (T.  V.).  Die  Herren  von  Sax  zu  Misox. 

zz  Chur,  Druck  v.  Sprecher,  X'ieli  &  Hornauer,  1890,  8"  (48  pp.  i  tab. 

LiEBENAU  (Th,  v.).  Die  Schlacht  bei  Sempach. 
=  Basai,  1897,  S«  (12  pp. 

LiEBENAU  (T.  V.).  Die  Stellung  des  Aiislandes  im  i.  Villmerg-erkrieg. 
zz  S.  1.,  1892,  8»  (4  pp. 

LiEBENAU  (Th.  V.),  Die  Stellung  Luzerns  zu  den  westphalischen  Fehmtjerichten. 
=  Stans,  1878,  Buchdr.  v.  Caspar  von  Matt.,  8"  (16  pp. 

LiEBENAU  (T.  v.).  Die  Zimmermann  von  Hilferdingen. 
zz  Luzern,   1887,  8°  (20  pp. 

LiEBENAU  (T.  V.).  Ein  Ehrentag  der  papstlichen  Garde. 
=:  S.  i.,   8"  (3  ce. 

LiEBENAU  (T.  V.).  Ein  Luzerner  Pathenpfennig. 
zz  Genève,  impr.  Jarr^-s,  1895,  8"  (4  pp. 

LiEBENAU  (T.  v.).  Ein  Memoria!  von  Peter  Valkenaer. 
=  S.  i.,  8"  (6  pp. 

LiEBENAU  (T.  V.).  Ein  Schweizerischer  Condottiere  aus  Wallensteins  Tagen.  Oberst 
Franz  Peter  Kònig  von  Mohr,  Schultheiss  von  Freiburg. 
=:  S.  i.,  80  (72   pp. 

LiEBENAU  (T.  v.).  Ein  Zùrcher-Schlachtbericht  iiber  Nancy, 
zz  S.  1.,  1898,  8°  (4  pp. 

LiEBENAU  (T.  V.).  Fra  Gabriele  De  Benedictis. 

=  S.  i.,  8"  (4  pp. 
LiEBENAU  (T.  V.).  Franz  von  Sickingen  und  die  Eidgenossen. 

=:  S.  1,,  1891,  8"  (4  pp. 

LiEBENAU  (T.  V.).  Hans  Bircher,  Schultheiss  von  Luzern. 
zu  S.  1.,   1902,  S°  (12  pp. 

LiEBENAU  (T.  v.).  Hans  Junker  von  Rappers\v>'l. 
—  S.  1.,  1890,  8°  (4  pp. 

LiEBENAU  (T.  v.l.  Juliana  von  Krudener  im  Kanton  Luzern. 
:zz  Luzern,  1901,  8°  (16  ce. 

LiEBENAU  (T.  V.).  Kleine  Neuenburger  Chronik. 
z=  S.  i.,   1892,  8°  (4  pp. 

LiEBENAU  (T.  V.).  La  famiglia  Beroldingen.  Versione  italiana  del  dr.  A.  Pioda.     . 

zz  Bellinzona,  tip.  e  lit.  eredi  Carlo  Colombi,  1890,  8*^  (28  pp.  3  tab. 
LiEBENAU  (T.  V.).  Luzernerische  Berichte  ùber  die  Bartholomausnacht. 

zz  S.  i.,  8°  (12  pp. 
LiEBENAU  (T.  V.).  Marnol  als  kaiserlieher  Gesandter  in  der  Schweiz. 

=  [Innsbruck),  8°  (16  pp. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


LA. 


L'A. 


LA. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


XXX  DONI   OFFERTI 


L'A.  LiEBENAU  (T.  V.).  .Meister  Anton  Isenmaim,  der  Baumeister  des  Rathauses  in  Luzern. 

rr  S.  1.,  T900,  8"  (4  pp. 

L'A.  T.iKiìENAL'  (T.  V.).  Mumpelt;art  und  tlie  Schweiz.  1474-1476. 

=  S.  i..  8"  (S  pp. 

L'A.  LiKHKNAU  (Th.  V.).  Murhaclier-Annalen. 

r=  S.  i.,  8"  (  IO  pp. 

L'A.  LiEHKNAU  (T.  V.).   Niimismati.sche  Analeclen. 

=  S,  i.,  8»  (io  pp. 

'-'A.  LiEHENAi"  (']'.   V.).  Oberst  Joseph  Anirhyn  nntl  der  Fall  von  Turin. 

=  S.  i.,  H"  (30  pp. 

l-'A'  LiKHKNAU  (T.  V.).  Oslschvveizerische  Chronik   \-on   1442-1448. 

iz:  S.  i  ,  8'^  (8  PI). 

l-'A.  LiKiJENAL'    (T.   V.).    l'apsl    Sixtus    1\'.  ais    X'ermittler     Zwischen     Mailand    und    der 

Schweiz  1483. 

=z  S.  1.,   1891.  8"  (4  p)). 

l-'A.  LiEHENAi;  [[\  V.).  Projekte  zur  Aiinexion  des  Aostathales. 

=  S.  i..  8"  (12  pp. 

l-'A.  I.iKHENAU  (T.  V.).   KechtS!L;iitachten  iìber  den    Krieo;    zwischen    W'allis    und    Mailand 

von  i486. 
:=  S.  1.,  1895,  8"  (  12  p)). 

'-'A.  LiEBENAU  (T.  y.\  Regesten  zur  (ieschichte  des  Eschenthaler  Krietjes  von   1425. 

—  S.   i.,  80(8  pp. 

l.'A.  LiEiìENAC  (T.  V.).  Rennward  Cysat  i'iber  die  Beziehuno^en  der  .Schweiz  zu  Frankreich 

in  der  Zeit  Heinrich  III. 
=z  S.  1.,   T901.  80  (4  pp. 

L'A.  LiEHENAU  (Th.  V.).  Thomas  Murner  in  l)asel. 

^  Basel,   T879,   16"  (32  pp. 

L'A.  LiEBENAU  (T.  V.).  Ueber  das  .Schweizer-Panner. 

nz  S.   I.,   1902,  40  (i  e.  4  pp. 

I,'A,  LiKiìENAU  (T.  V.).  Ueber  die  Crafen  von   Lenzbura;. 

=  S.  i.,  80  (8  pp. 

L'A.  LiHiiKNAU  (T.  V.).  Feber  eine  geheinie   Mission  des  (ial)riel   Morosini. 

zrz  Bellinzona,    1901,  8"  (8  pp. 

L'A.  LiEBENAU  (T.  V.  ).  Ueber  Iustin.a;ers    Relation    betrefiend    den    prqiektirten    Feldzug 

KOnij;  Sigismunds  gegen  Mailand  v.   L  HLv 

—  S.  i.,  80  (4  pp. 

L'A.  LiEBENAU  (T.  v.).  Ueber  Kriegssitten.  » 

ziz  S.  1.,    1901,  8"  (4  pp. 

L'A,  LiKUENAU  (T.  v.).  Vier  Briefe  Herzog  Heinrichs  von   Rohan. 

rz  .S.  1.,    1890,  8"  (4  pp. 

I/A.  LiEBENAU  iT.  V.).   Werner  .Schodelers    Besclireibung    der    Schlacht    von    Marignano 

von  15 15. 
=z  S.  i.,  8"  (6  p)). 

L'A.  LiEBENAU  (T.  V.).  Wolfgang  Erler  von  Schwyz. 

zzz  S.  1.,   1902,  8"  (4  pp. 

L'A,  LiKBKNAU  (T.  V.).  Zur  Basler  Chronik  iles  Nikolaus  Cerung  genannt   Blauenstein. 

=1  .S.  i.,  8"  (12  pp. 


DAL    2Ò   APRILE    I QO4   AL    16    DLCEMBRE    1908 


XXXI 


Lieuknau  (T.  V.).  Zur  Biographie  Jorg's  uf  der  Fliie.  i-''^- 

rz  S.  1.,   1890.  S"  (4  pp. 

LiKHEXAU  (Tli.  V.).  Zur  Bundesfeier  von   1291  i89r.  L'a. 

=  S.  i.,  8"  (pag.to  283-310). 

LiEHKNAU  (  r.  V.).  Zur  Erhaltung  der  alten   Deiikiualer  Helvetiens.  L'A. 

=  S.  ].,  1900,  S»  (r  e. 

LiEMKNAU  (Th.  V.).  Zur  (ieschichte  der  .Ablassprediger  in  der  Schvvei^.  L'A. 

=1  Basai,  8"  (ro  ])p. 

LiKHENAU  (T.  V.).  Zur  (ieschichte  der  Universitiit  Basel.  I,'A. 

=  [Basel],   r89r,  8"  (4  pp. 

LiEHE.VAU  (T.  V.).  Zur  Ge.schichte  des  Schlosses  Locamo.  l'A- 

=  S.  1.,   1900,  8"  (I  e. 

LiEiiENAU  (Tii.   v.i.  u.  \y.  V.  vi)N  MuLiNEN.  Dieljold  Schilling's  Berner  Chronik  vou  LA. 

1424  bis  1468. 
=:  Beni,  Buchdr.   Karl  Stanii)Hi  &  C,  1S92,  ^"  {170  pp. 

LoEViNsoN  (Ermaiuio).  .Sulle   condizioni    religiose  della  diocesi    di  Alacelo   al  prin-  L'A. 

cipio  del  secolo  xviii. 
=  Rome,  imprimerle  de  la   Pai^;  de  Philippe  Cuggiani,   1904.  8"  {16  pp. 

Lo.Mi'.AKDO  (Giacomo  Maria).   Memorie    canavesane  (Un   teatro  ducale  —   Una  con-  LA. 

grega  di  Beoni). 

zn  Torino,  tip.  A.  .Spandre  e  C,  1903,  8"  (24  pp. 

LuGA.No  (p.   Placido).   Le  ultime  vicende  dell'abbazia  di   Precipiano.  LA. 

=  Tortona,  tipogr.  editrice  Rossi  Adriano,   1906,  8"  (14  pp. 

Maiocchi  (Rod.)e  Casacca  (Xaz.).  Code.\  diplomaticus  Ord.  E.  S.  Augustini  Papiae.  l'a. 

Voi.  I  II. 
=  Papiae,  ex  olìtìcina  t\pogr.  C.   Rossetti,  1905- 1906,  4". 

Ma  occhi  (Rodolfo).  Codice  diplomatico  dell'Università    di   Pavia  raccolto  ed  ordi-  LA. 

nato.  \'ol.   T-2. 

=  Pavia,  premiata  tipogr.  .Successori  frat.  P\isi,  1905-1906,  4". 

M.M.iiEZ.  Campagne  de  M''  le  Maréchal   de  Xoailles  en   l'année  mdcc.xi. 111.  journal... 
publié  avec    des    notes    et    un    jilan    de    la    bataille    de    Dettingen    jiar-    Joseph 
l)u  Teli, 
rr  Paris,  Alphonse  Picard,  libraire-éditeur,    1892,  16"  (viii-78  pp.    i   tav. 

Manikedi  (Pietro).  Cesare  Cantù.   La  biografia  ed  alcuni  scritti  inediti  o  meno  noti  L'A. 

inibblicata  nel  centenario  della  sua  nascita. 

rz  Torino,  Unione  tip. -editrice,  1905,  8"  (272  pp.  3  csn.  ritr. 

Manno  (Antonio).  Commemorazione  del  Marchese  Vittorio  Scali  di  Casaleggio  letta  L'A. 

all'Unione  Conservatrice  di  Torino  la  sera  del  24  febbraio  1905. 
:=  Torino,  tipogr.  Matteo  Artale,  8"  (16  pp. 

Manno  (Antonio).  11  regolamento  tecnico-araldico  spiegato  ed  illustrato.  L'A. 

=  Roma,  stabil.  tipogr.  Giuseppe  Civelli,  1906,  8"  (76  pp. 

Manno  (Antonio).  Vocabolario  araldico   ufficiale  seguito    dal    Dizionarietto    di  voci  l'a. 

araldiche  francesi  tradotte  in  italiano. 

rz  Roma,  stabilimento  Giuseppe  Civelli,   1907,  8"  (74  pp. 

Mannucci  (Francesco  Luigi).  La  cronaca  di  Jacopo   da  Varagine.  L'Kdit. 

=:  Genova,  a  cura  del  Municipio,  1904,  8'  (vi  11-86  pp. 

Mannucci  (France.sco  Luigi).  L'auon/mo  ,Qr;ioz'est'  e  la  sua  raccolta  di  rime  (sec.  .xiii-        L'Edit. 
XIV).  Con  appendice  di  rime  latine  inedite  e  tre  facsimili. 
zz  Genova,  a  cura  del  Municipio,   1904,  8'-'  (viii-272  pp.   i  tav. 


Il  haiom 
Dii  Teil 


XXXII  DONI   OFFERTI 


L'A.  Massa  (Angelo).  Documenti  e  notizie  pef  la  storia  dell'istruzione  in  Genova, 

=:  Genova,  tipogr.  della  Gioventù,   1906,  8"  (56  pp. 

L'istit.  Massó-Torrents  (J.),  Oliver  (M.  S.).  Dictamen-acord  de  l'institut  d'estudis  ca- 
talans  proposant  a  la  excma.  diputació  provincial  de  Barcelona  l'adquisició 
de  la  biblioteca  Aguiló. 

=r  Barcelona,  Societat  anonima  «  La  Neotipia  »,  1908,  4"  (t6  pp. 

L'A.  Mazzei  (Emanuele)  Guglielmo),  Il  Paraguay  come    mèta    della  nostra    emigrazione 

agricola  e  industriale, 

zn  Pistoia,  tip.  Grotta  Giusti,   1907,  8"  (56  pp. 

L'^\  M01RAGHI  (A).   Un  critico  insigne    in  veste  da  camera.  Osservazioni    a  certe  osser- 

vazioni di  G,  Romano, 

=  Pavia,  .Scuola  tipografica  Artigianelli,  igoS,  16"  (98  pp. 

Il  Ministero     Mo.NOGRAiiA    storica    dei    porti    dell'antichità:    nella    penisola    italiana;    nell'Italia 

.^^"^  insulare. 

Manna 

=z  Roma,  officina  poligrafica  italiana,  1905- 1906,  2  voi,  4". 

L'istit.         MoNTicoi.o  (Giovanni).   I  capitolari  delle   Arti  Veneziane  sottoposte  alla  Giustizia  e 
stor.  italiano  ^^^-  ^^^^  Giustizia  vecchia  dalle  origini  al  Mcccxxx.  Voi.  II. 

:=  Roma,  nella  sede  dell'Istituto,  1905,  8",. 

L'A.  MoRozzo  (Emanuele)  della  Rocca.  Le    storie  dell'antica  città    del    Monteregale  ora 

Mondovì  in   Piemonte.  Voi.  3". 
=:  Mondovi,  tip.  C.  A,   I'>acchia,   1905-7.  8"  (xii-320;  306  pp.  4  csn. 

L'A.  Negri  (Paolo).  Storia  del  46"  reggimento  fanteria  (brigata  Reggio)  dalla  sua  forma- 

zione fino  alla  presa  di  Roma. 
=:  Imola,  Coop.  tip. -editrice  Paolo  Galeati,   1905,  8'  (246  pp. 

La  Biblioteca   Negroni  (Carlo).  Relazioni  e  discorsi  al  Consiglio  comunale  di  Novara,  Parte  seconda. 
'^'^""'^  =  Novara,  tipogr.  commerciale  Parzini  e  Bossetti,  1904,  4"  (viii-232  pp. 

La  Biblioteca    Negroni  (Carlo),   Relazioni  al  Consiglio  provinciale  di  Novara, 

rr  Novara,  tip.  commerciale  Parzini  e  Bossetti,   1904,  4"  (4  csn.  156  pp. 

NicoLLET  (F.  N.).  Affouagement  des  communes  des  Hautes-Alpes  de  1662  à   1666. 
=:  Gap,  Louis  Jean  et  Peyrot  imprimeurs-éditeurs,  1903,  8*^  (86  pp.  i  e. 


nazionale 


Il  Notizie  biografiche  sul  dottor  Francesco  Tadini. 

signor  Tadini  ^.   "  .•       ^.     ^,      ,  ,.       „  ,,, 

=1  Novara,   1904,  tip.  G.  Gaddi,  4"  (8  pp.   i   ntr. 

L'istit.         NovATi  (Francesco).   Epistolario  di  Coluccio  Salutati.  \'i)l.   1\',  parte  1. 
1  a  lano  __  j^q,^-,jj^  nella  .sede  dell'Istituto,  1905,  8". 

L'A.  OxiLiA  (G.  U).  La  vita  e  le  rime  di  Pierozzo  Strozzi, 

rz  Firenze,  tip.  Galileiana,   1904,  8"  (16  pp. 

L'A.  O.xii.iA  (Giuseppe  Ugo).  Una  lettera  inedita  di  Pietro  Giordani. 

:=  Genova,  tip,  succursale  del  «  Secolo  xix  »,  1906,  8"  (12  pp. 

L'A.  OxiLiA  (Gius.  Ugo).  I  figli  di  Carlo  Alberto  allo  .studio. 

=1  Roma,  Nuova  Antologia,   1907,  S*^  (16  pp. 

L'A,  OxiLlA  (Gius.  Ugo).  Nino  Bixio. 

=  Roma,  Nuova  Antologia,  1908,  8"  (44  pp. 

L'A.  Pagliano  (Emilio).  L'assassinio  del  i^rincipe  lìnrico  di  Cornovaglia  (Viterbo,  1271), 

Nota  storica  a  due  versi  della  Divina  Commedia, 
=:  Roma,  tip.  della  Casa  editrice   italiana.   1903,  S^  (28  pp. 

L'A.  Pagliano  (avv.  Emilio  M.).  La  Repubblica  di  S,  Marino.  Ordinamento  e  leggi. 

zi:  Roma,  tip.  .'\rligianelli  .S.  Giuseppe,  1905,  8>'  (66  pp. 


DAL    2Ò    APRILE    1904    AL    16    DICEMBRE    1  go8 


XXXIII 


Pagliano  (dr.  Emilio  M.).  Oscar  II  oratore. 

=:  Roma,  tip.  degli  Artigianelli  di  S.  Giuseppe,   1905,  .S"  (20  }  p. 

Pagliano  (avv.   Emilio  M.).  Pagine  inedite  sull'assedio  di  Torino  del  1706. 
=z  Roma,  1906,  Enrico  Voghera  tipografo,  8"  (38  pp. 

I'enna  (Giuseppe).  Chinino  di  .Stato  ai  tempi  di  Napoleone  I. 
zz:  Alessandria,  .Società  poligrafica,   1907,  8"  (3  ce. 

Pkkagallo  (Prospero).  Due  episodi  del  poema  I  Lusiadi  di  Canujes  ed  altre  poesie 
straniere  colla  traduzione  in  verso  italiano. 

=  Genova,  stab.  tipogr.   vedova  Rapini  e  figli  (igtu),  S"  (64  pp. 

Pkkagaij.o  (Prospero).  Epistola  di  1  ).  Emanuele  Re  di  Portogallo  al  j^apa   Le(jne  X 
annunziandogli  l'entrata  solenne  dell'ambasciata  portoghese  in  Abissinia. 
z=L  Genova,  stab.  tipogr.   vedova  Papini  e  figli.  1906,  8°  (30  pp.    i   e. 

Pergola  (D.).  Confuta/ione  di  alcuni  responsi    rabbinici  e  breve    riassunto  di  pub- 
blicazioni sul  giudaismo. 

1=  Torino,  tip.  Origlia,   Pesta  e  C.,   1904,  12"  (24  pp. 

Pesce  (Ambrogio).  Alcune    notizie  intorn<j    a    Giovanni    Antonio  Del    P'iesco    ed  a 
Nicolò  da  Campofregoso  (1443-1452). 
zr  Genova,  tip.  della  Gioventù,  1905,  8*^  (50  pp. 

Pesce  (Ambrogio).   Un  restauro  alla  porta  delle  P"ontane  marose  (1436). 
=z  Genova,  tip.  della  Gioventù,  1906,  8"  (4  pp. 

Pesce  (Ambrogio).  Un  episodio    del   costume  in    Genova  (il   ratto    d'ima  fanciulla) 

(i45i)- 

=z  Genova,  tip.  fratelli  Carlini  fu  Gio.   Batta,   1906,  8"  (20  pp. 

Pesce  (Ambrogio).  Alcuni  documenti  intorno  a  la  ricostruzione  del  Castelletto  e  ad 
un  intrigo  di  Alfonso  d'Aragona  (1448-1455). 
=:  Genova,  tip.  della  Gioventù,   1907,  8"^  (26  pp. 

Pesce  (dott.  Angelo)    Notizie  sugli  archivi  di    .Stato    comunicate    alla  VII    riunione 
bibliografica  italiana  tenuta  in  Milano  dal  31  maggio  al  3  giugno  1906. 
=:=  Roma,  tip.  delle  Mantellate,   1906,  8'^  (160  pp. 

Pettorelli  (Arturo).   Un'arca  del  secolo  xv  nella  cattedrale  di  Borgo  .San  Donnino 
(note  e  rilievi). 

Z3  1905,   Borgo  .San  Donnino-.Salsomaggiore,  tip.   Mattioli,  4"  (26  pp. 

Peyre  (Roger).   Histoire  generale  des  beaux-arts  contenant  plus  de  300  illuslrations 
d'après  les  ceuvres  les  plus  célèbres.  6e  édition. 

=:  Paris,  librairie  Ch.   Delagrave  [1904]  180  (xv[-8o6  pp. 

Pevre  (Roger).  Le  Rhòne  de  sa  .source  à  la  mer. 

=r  Paris,  impr.  Courmont  frères  I1905I  8°  (80  pp.  4  tav, 

Pevre  (Roger).   Les  majoliques  d'Urbino.  Epoque  de  la  renai.ssance  italienne. 
=  Paris,  PZ.   Rouveyre.  |  19071,4"  (16  pp. 

Peyre  (Roger).  Padoue  et  Verone. 

=11  Paris,  libr.  Renouard,  H.  Laurens  éditeur,   1907,  8"  (188  pp. 

Pevre  (Roger).   Histoire  generale  des  beaux-arts  contenant  plus  de  300  illuslrations 
d'après  les  ceuvres  les  plus  célèbres.  .Septième  édition. 
z=  Paris,  librairie  Ch.  Delagrave,  1907,  18"  (XVI-S84  pp. 

Pilucìk-Hakttung  (J.  von).  .Splitter  und  .Spane  aus  Geschichte  und  Gegenwart. 

:=:  Berlin,    Allgemeiner     Verein    fiìr     Deutsche     Literatur,    1908,    8°    (4    csn. 
328  pp.  7  tav.  ritr. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


LA. 


LA. 


LA. 


L'A. 


LA. 


L'istil. 
stor.  italiano 


XXXIV 


DONI   OFFERTI 


L'istit. 
stor.  italiano 


L'Istit. 
stor.  catalano 


L'A. 


L'Istit. 
catalano 


L'A. 


L'A. 


LAccad. 
di  Bruxelles 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


Il  pr.  Cipolla 


L'I'niv. 
di  Friburgo 


L'Accad, 
del  Belgio 

L'Accad. 
del  Belgio 


Lliiiv. 
di  Louvain 


Pietro  d.\  Eboli.  Liber  ad  honorem  Augusti  secondo  il  codice  120  della  Biblioteca 
civica  di  Berna  a  cura  di  G.  B.  Siragusa. 

z^  Roma,  F"orzani  e  C.  tipografi  del  .Senato,   1905-1906,  8'^  2  voi. 

PijoAN  (  Josep).    Memoria    ])resentada    per    1' Institut   d'estudis    Catalans    al    excm. 
sr,  alcalde  de  Barcelona  y  llegida  en  consistori  del  dia  13  de  novembre  de  1907. 
=  Barcelona,  Societat  anonima  «  La  Neotipia  »,  4°  (12  pp. 

Pinna  (Michele).  L'Ordine  Mauriziano  in  Sardegna. 

=  Cagliari,  tijio-lit.  commerciale,  1907,  8"  (72  pp. 

PiNTUKKS  (Les)  murals  Catalanes.  Fa.sc.   I  (In.stitut  d'estudis  Catalans). 
rr  Barcelona,  establ.  grafich  [1908]  4». 

PiNTUs  (Sebastiano).  Sardinia  sacra,  con  appendice.  Voi  i". 
z=  Iglesias,  tipogr.  Canelles,  1904,  8"  (x-142  pp. 

PiNTL's  (.Sebastiano).  Ve.scovi  e  arcivescovi  di  Torres  oggi  di  Sassari. 
^  [Cagliari,  tip.  (i.  Dessi,  1905],  8<*  (2i  pp. 

PoDKSTÀ  (Francesco).  Cristoforo  Colombo  nacque  in  Genova.  Monogratìa. 
=z  Genova,  tip.  della  Gioventù,  1905,  8"  (14  |>p. 

PoNCKLKT  (Édouard).  Invenlaire  analytique  des  chartes  de  la  collegiale  de  Saint-Pierre 
à  Liège. 

^  Bruxelles,  librairie  Kiessling  et  Cie  ,  1906,  8"  (xcvi-540  pp. 

PoRKo  (Evasio).   Brevi  note  intorno  all'Abbadia  di  Casalborgone. 
^  Torino,   1908,  ti]!.  A.  Vinciguerra  e  figli,  8"  (54  pp. 

Pkato  (Giuseppe).  La  vita  economica  in  Piemonte  a  mezzo  il  secolo  xviii. 

=  Torino,  Officine  grafiche  della  S.  T.  E.  N.  (già  Roux  e  Viarengo),  1908,  8° 
(xxviii-470  pp.  T  e. 

Prkmoi.i  (Orazio).  Domenico  Sauli. 

r=  Pavia,  tip.  Caio  Rossetti,   1905,  8"  (24  pp. 

Raccolta  di  scritti  storici  in  onore  del  prof.  (Giacinto  Romano  nel  suo  XXV'^'  anno 
d'insegnamento. 

:3  Pavia,  successori   l'usi  tipografi.   1907,  4°  (xx-728  pp.,  ritr. 

Rk.maux  (Camille).  Humbert  1,  dil  aiix  Blanches  mains,  fondateur  de  l'état  de  Savoie 
et  le  royaume  de  Bourgogne  à  son  epoque,  1 000-1048. 

zz  Carcassonne,  impr.  Victor  Bonnafous-Thomas,   1906,  80  (86  pp. 

Rknier  (Rodolfo).   11  primo  tii>ografo  mantovano,  documenti  illustrati. 
=  Torino,  Vincenzo  Bona,  1890,  S''  (i6  pp. 

Rknsing  (Franz).  Die  VViderrechtlichkeit  als  Schadensersatz-Grund  nach  schweize- 
rischem  Obligationenrechte  und  dem  Entwurfe  eines  biirgerlichen  Gesetzbuches 
fiìr  das  deutsche  Reich  unter  Beriicksichtigung  des  roemischen  Rechts. 

=  Freiburg  (Schvveiz),   Buchdr.   u.   lUulili.  des  Werkes    vom    heiligen    Paulus 
1892,  4"  (70  |)p, 

Reuskns  e.   Malricule  de  n'iiiversité  de   Louvain.   I. 

r=  Bruxelles,  Librairie  Kiessling  et  C'è  .  P.   Imbreghts  successeur,  1903,  4" 

Reusens  E.  Actes  ou  procès-verbaux  des  séances  tenues  par  le  Conseil  de  l'LTni- 
versité  de  Louvain.  Tome  1, 

=z  Bruxelles,  librairie  Kiessling  et  C'f  .   P.   Imbreghts  successeur,  1903,  4". 

Rt:)EY  (lirnestus  van).  De  Justo  auctario  ex  contractu  crediti,  Dissertatio  historico- 
moralis. 

z^  Lovanii,  excudebat  |.  \'an   Lintliout,   1903,  8"  (xxiv-300  p. 


DAL    2Ò   APRILE    1 904   AL    16   DICEMBRE    1908  XXXV 


RoMissi   (Carlo).    Cinque   anni    di  lax'oro  nel    Duomo   di   Milano,  dal  febbraio  1902  L'A. 

al  31  dicembre  1906. 

=:  Milano,  coi  tipi  della  Società  editrice  Sonzogno,   1907,  4"  (20  pp. 

Rossi  (Girolamo).  I  Liguri  Intemeli.  L'A. 

=1  Genova,  tip.   R.   Istituto  Sordo  Muti,   1907,  8°  (170  pp.  4  tav. 

Rotta  (Paolo).  La  .Sacra  Famiglia,  bassorilievo  del  iv  secolo  attribuito  a  S.  Ambrogio.  l'a. 

=:  Milano,   1904,  tip.  dell'Istituto  Marcliiondi,  S"  (22  pp.   i   e. 

Rumo  Y  Lluch  (Antoni).   Documents  per  l'historia  de  la  cultura  catalana  mig  eval.         L'istit. 

-,  r    ,  T  stor.  catalano 

Volum    I. 

zn  Barcelona,   190.S,   Institut  d'estudis  catalans,  4^. 

Ruggero  (Giuseppe).  Annotazioni  numismatiche  genovesi,  1-7,  9  31.  L'A. 

zz:  Palermo,  Genova,  Como,   Milano,   1S79-1S98,  8". 

Ruggero  (Giuseppe). f Annotazioni  numismatiche  italiane.  1-X\'I1.  L'A. 

^  Milano,  tip.  ed.  L.   F.  Cogliati,  1894-1908,  8°. 

Ruggero  (Giuseppe).  Medaglia  pel  50"  anniversario  della  istituzione  dei  bersaglieri.  la. 

rz  Como,  coi  tipi  di  Carlo  Franchi,  1S86,  8'^  (8  pp.   i  tav. 

Ruggero  (Giuseppe).  Necrologia.  Cornelio  Desimoni.  L'A. 

=  S.  i.,  1899,  8°  (4  pp. 

Ruggero  (Giuseppe).  Un  tallero  di  .Sabbioneta.  L'A. 

^z  Milano,  tip.   editr.  L.  F.  Cogliati,   189^,  8"  (6  pp. 

P,>''{'i  1    ''    irr.V  1;  1     Russia  e  Italia.    Raccolta  di  materiali    e  documenti   storici        L'Accad. 
concernenti  i  rapporti  della  Russia  coll'Italia.  Pubblicazione  dell'Acc.  Imp.  delle     Pietroburgo 
scienze.  T.  I,  fase,  i  ;  II,  f.   i. 
=z  Pietroburgo,  1907-1908,  S°. 

S.ALOMONE  Marino  (Salvatore).  Società  siciliana  per  la  storia  patria  in  Palermo.  Coni-      La  Società 
memorazione  solenne  del  vice-presidente  M''  Vincenzo  Di  Giovanni  letta   nella 
tornata  del  23  agosto  1903. 

zz.  Palermo,  scuola  tip.  «  Boccone  del  povero  »,  1904,  8"  (44  pp.,  i  ritr. 

.Salvioni  (Carlo),  Notizie  intorno  ad  un  codice  X'isconteo-.Sforzesco  della  Biblioteca     II  pr.  Cipolla 
di  S.  M.  il  Re. 
^  Bellinzona,  tip.  C.   Salvioni,   1890,  8"  (30  pp.   i   e. 

Sangiorgio  (Gaetano)  Italiani"  e  Asiatici.  la. 

zz.  Firenze,  1904,  8°  (io  pp. 

Sangiorgio  (Gaetano).  P.  Amat  di  .S.  I<"ilippo,    lìidagiìd  e  S/iidi  siil/a  Sloria  dio-  l'A. 

derna    della    Sardegna;    M.    Zucchi,   Loiiicl/o ;  H.   Fulcheri,   l  moìi/i  fniìne/ìfari 
della  Sardeg7ia. 

=z  (In  La  favilla;  Perugia,  1906. 

Savio  (Fedele).  La  Cronaca  di    Filippo    da    Castel    Seprio.    Ancora    la    Cronaca   di  i.'A. 

Filippo  da  Castel  Seprio. 
rz  Torino,  Carlo  Clausen,   1906,  8"  (16-22  pp. 

.Savio  (Fedele).  Costantina,  figlia  dell'imperatore  Costantino,  Magno  e  la  basilica  di  la. 

S.  Agnese  a  Roma. 

rz  Torino,  Carlo  Clausen,  1907,  8"  (24  pp.  2  tav. 

Savio  (Fedele).    I    monasteri    antichi    del    Piemonte.   Il   monastero    di    .San    Giusto  L'.\. 

di  Susa. 

zm  Roma,  Santa  Maria  Nuova,   1907,  8"  (16  pp. 

ScANO  (Dionigi).   L'antico  pul|)ito  del   Duomo  di  Pisa  scolpito  da  Guglielmo  d'Inn-  L'A. 

spruck. 
zz  Cagliari,  tip.  ditta  Giuseppe  Dessi,   1905,  S"  (24  pp. 


XXXVI 


DONI   OFFERTI 


L'Istit. 
stor.  italiani 


LA. 


LA. 


L'A. 


ScHiAPAREi.i.i  (Luisji).  I  diplomi  di  Guido  e  di  Lamberto. 

=r  Roma,   Forzani  e  C.  tipog^rafi  del  Senato,  1906,  8»  (xx-144  pp,  4  csn. 

.ScHiAPAKKi.i.i  (Luigi).  Charta  Augustana.  Note  diplomatiche. 
ziz  Firenze,  tip.  Galileiana,   1907,  S"  (104  pp. 

Solavo  (PVance.sco).  .Sulla  medaglietta  che    vuoisi    fatta    coniare    da    Carlo   Alberto 
nel  182T  come  segno  di  riconoscimento  ai  suoi  compagni  di  cosi:)irazione. 
=  Torino,  stab.  fratelli  Pozzo  (1906)  4»  (8  pp. 

ScLOi'is  (\'ittorio).   Della  vita  e  delle  opere  del  conte  Federigo  Sclopis  di  .Salerano, 
con  cenni  .storici  sulla  sua  famiglia. 

rz  Torino,    stamperia    reale    di  G.   B.   Paravia  e  Comp.,     1905,  8"  (vin-84  pp, 
2  ce.    I  tal).  3  tav. 


L'A. 


L'A. 


LA. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'fiiiv. 

(li    l'"riliiir,uo 


L'Uiiiv. 
<li   Li>ii\'ain 


L'A. 


L'A. 


L'Univ. 
ili  Louvain 


.Seli,a  (Pietro).   Piano  di  pul)!)licazione  di  un   Corpus  Sfatiitovìim  ilalicoruni. 
■=z  Roma,  l'"orzani  e  C  tip.,  1906,  8»  (6  pp. 

Sfokza  (Ciiovanni).  Lf)  storico  Raffaello  Roncioni  e  Alberico  Cibo  Malaspina   principe 
di  Massa. 

iz:  La  .Spezia,  tiji.  di   Francesco  Zappa,   1904.  8"  (8  pp. 

Sforza  (Giovanni).   Il  «  Cartularium  lohannis  Ione  »  di  Portovenere. 
=z  La  .Spezia,  ti]),  di   Francesco  Zappa,   1904,  8"  (18  pp. 

Sforza  (Giovanni).   11  re  Carlo  Alberto  e  gli  scavi  di  Luni. 
zz  La  .Spezia,  tij).  di   Francesco  Zappa   1904  8'  (34  pp. 

.Sforza  (Giovanni).  La  caccia  all'orso  in  Garfagnana  nel  secolo  xvl 
zz  Genova,  tip.  della  Gioventù,   1905,  8"  (io  pp. 

.Sforza  (Giovanni).   1  cavalieri  aurati  di   Massa  di  Lunigiana. 
=:  Genova,  ti]),  della  Gioventii,    [005,  ?fi  (6  jin. 

Sforza  (Giovanni).  Alessandro  Magni  Griffi.    Necrologia. 
=z  Genova,  tip.  della  Gioventù,    1906,  8"  (6  pp. 

.Stagi, IKNO  (Marcello).   Dell'abu.so  dei  titoli   nobiliari  in  (ienova  e  fra  i  Genovesi. 
=  Torino,  casa  editrice  Renzo  .Streglio,    1907,  8"  (32  pp. 
Id.         id.  Aggiunte  e  correzioni, 

zz  Genova,   1908  (tip.  Almasioì,  8°  (12  pp. 

Strkitbkrg  (Wilhelm).  Die    germanischen  Comparative   auf — OZ — .   Fine  sprach- 
vvissenschaftliche  Untersuchung. 
zr  I-'ribourg  (Suisse),  imprimerie    et    libr.   de  l'Oùivre  de  .Saint-Paul,  1.S90,  4' 
(i  e.  44  pp. 

Terlindf:n  (Ch.).  (iuillauiue  b' ,  roi  des  Pays-Has  et  l'Église  catholique  en  Belgique 
(1814-1830).    Ftude    d'histoire   politique  et  diploniatique  d'après  les  archives  de 
la  secrétairerie  d'état  du  Saint-Siège  et  d'autres  documents  inédits. 
zz  Bru.xelles,  libr.  Albert  Dewit,   1906  8",  2  voi. 

Toi'i'iNo  ((jiuseppe).  Le  cause  dell'abdicazione  di  Vittorio  Amedeo  II. 
^  Torino,  tip.  Origlia,   Presta  e  Ponzone.   1S90,  8**  tio8  pp.   i   e. 

Trani  (Bianca).  11  manifesto  di  Pasquale  Paoli  (De)  ai  Corsi  contro  (ienova  (io  maggio 

z=  Salerno,  premiato    stabil.    lipogr.    del    Commercio,    Antonio    \'olpe    e    C, 
1905,  8»  (16  pp. 

Trannov  (l'aron  de).   lules  Malou,   1810  à   1870. 

zz   Bruxelles,  librairie  Albert  Dewit,   1905,  S"  ^lV-592  pp.   ritr. 


DAL    20   APRILE    1 904    AL    16    DICEMBRE    1908 


XXXVII 


Travali  (Giuseppe).  Sequestro  di  posta  francese  in  Messina  nel  179S. 
3z  Palermo,  scuola  tip.  «  Boccone  del  povero  »,  1905,  8°  (20  pp. 

Travali  (dr.  Giuseppe).  Lina  lettera  di  Gioacchino  Murat  al  comandante  Miclieroux. 
=:  Palermo,  Scuola  tip.  «  Boccone  del  povero  »,   1906.  8"  (12  pp. 

UniveksitÉ  catholique  de  Louvain.  Bibliographie.  Troisième  supplément  1903-1905. 
rr  Louvain,  Charles  Peeters  imprimeur-éditeur,   1906,  8°  (viii-88  pp. 

Valmaggi  (Luigi).  Ermanno  Ferrerò. 

zr  Torino,  stamperia  reale  G.   B.  Paravia  e  Comp.,   1908,  8"  (14  pp.  n'ir. 

Velthem's  (Lodewijk  van)  voortzetting  van  den  Spiegel  historiael  (i248-i3i6)opnieu\v 
uitgegeuen  door  Herman  Vander  Linden  en  Willem  de  Vreese.  Deel  L 
=:  Brussel,  Hayez  drukker  der  k.  Academie  van  Belgie,   1906,  4'^. 

Vattasso  (Marcus).  Initia  patrum  aliorumque  scriptorum  ecclesiasticorum  latinorum 
ex  Mignei  patrologia  et  ex  compluribus  aliis  libris  conlegit  ac  litterarum  ordine 
disposuit  M.  V.  Voi.  i». 

=:  Romae,  typis  Vaticanis,   1906,  S'^. 

Verga  (Ettore).  La  deputazione  dei  collegi  elettorali  del  Regno  d'Italia  a  Parigi  nel  1S14. 
zzz  Milano,  tip.  editrice  L.  F.  Cogliati,  1904,  8°  (34  pp. 

V^erga  (dr.   Ettore).   L'archivio  della  Camera  di  Commercio  e  dell'antica  Università 
dei  mercanti  di  Milano, 
rz  Rocca  S.  Casciano,  stabilimento   tipografico  Cappelli,   1906,  8"  (98  pp. 

Verg.\  (Ettore),   l'n  piano  regolatore  della  città  di  Milano  nel   1S07. 
=:  Milano,  tip.   Umberto  .'\llegretti,  1907,  8"  (20  pp.   2  tav. 

Verga  (Ettore).  L'archivio  della  Fabbrica  del  Duomo  di  Milano  riordinato  e  descritto. 
A  cura  dell'amministrazione  della  fabbrica. 

=:  Tip.   Umberto  Allegretti,   Milano,  190S,  4"  (vin-102  pp.   i  e. 

Wauters  (Alphonse).  Table   chronologique  des  chartes  et  diplòmes  imprimés  con- 
cernant  l'histoire  de  la  Belgique.  Tom.  X. 
=  Bruxelles,  librairie  Kiessling  et  C'è,   P.   Imbreghts   successeur,   1904,  4". 

Weil  (M.  H.).  Ferdinand  I\'  et    le    due    d'Orléans;  —  Palerme  9-17  mars  1S13  — 
d'après  des  documents  inédits  du  Record  office. 
^  Paris,  imprimerle  Chaix,   1898,  8°  (44  pp. 

Weil  (Commandant).  Encore    quelques    mots  sur  Murat  et  Bentinck.    Trois    docu- 
ments inédits  de  février  et  mars  1S14. 
Z3  .Saint-Denis,  impr.   H.   Bouillant,   1904,  16"  (r6  pp. 

Weil.  Les  négociations  secrètes  entre  Joachim  Murat  et  le  prince  Eugène  (février- 
mars  1814)  d'après  des  documents  inédits. 

=3  Macon,   Protat  frères  imprimeurs  [1906],  8"  (18  pp. 

Weil  (Cflam  AL  H.).  Joachim  Murat,  Roi  de  Naples.  La  dernière  année  de  règne, 
(mai   1814  mai  1815),   T.   I. 

z=  Paris,  Albert  Fontemoing  éditeur,   1909,  8". 

Wevman  (Cari).  Apuleius  ,linor  iiud  Psyche.  Mit  krilischen  .Anmcrkungen. 

r3  Fribourg  (.Suisse),  imprimerle  et  librairie  de  l'(euvre  de  .Saint-Paul.  1891,  4" 
(vi-52  pp. 

[Zuccotti  PioJ.  Pietro  .Micca,   sonetti    16.    Nel    bicentenario   dell'assedio    e    libera- 
zione di  Torino. 
=:  Alessandria,  stab.  tip.  ditta  G.   M.   Piccone,   1906,  8"  (18  pp. 


L'a. 


L'A. 


LA. 


L'Accad. 
del  Belgio 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'A. 


L'Accad, 
del  Belgio 


LA. 


LA. 


LA. 


L'Univ. 
di  Friburgo 


L'A. 


XXXVIII  DONI  OFFERTI 


Dall'Università  di  Giessen  : 

Art  (Adam).   Die  Apologie  des  Apiileius  von  Madaura    vind  die   antike  Zauberei.    Eiiileitiing 
und  erster  Abschnitt. 
:=  Naumburg  a.  S.,   Druck  von    Lippert  et  C,   1907,  S°  (32  pp. 

Ai.i.KS  (Konrad).  Beitrage  zur  Substantiflexion  der  Oberhessischen  Mundarten. 
rr  Halle  a.  S.,  Buchdr.  des  Waisenhauses,   1907,  8°  (54  pp. 

Beck  (Adolf).  Die  Kirchenpolitik  des  Erzbischofs  von  KOln,  Johannes   Cardinal  von  Geissel. 
nz  Mainz,   1905.   Driickerei   Lehrlingshaus,  8"  (84  pp.  3  ce. 

Behaghel  (Otto).  Bewusstes  und  Unbevvustes  im  dichterischen  .Schaffen. 
:=  Giessen,  1906,  von  Munchovv,  4"  (64  pp. 

Bii;kmann  (Johannes).   Die  òffentlichen  Sachen. 
zz:  Giessen,   1905,  v.   Miinchow,  4"  (58  pp. 

Blkchek  (Georgius).  De  extispicio  capita  tria.  Gap.  II,  III. 

m  Numburgi  ad  Salam.  tyi^is  Lipperti  et  sociorum,   1905,  S"  (22  ce. 

BoDENSTEDT  (Friedrich).  Die  volkswirtschaftliche  liedeiitung  der  Ùberland-  und  Stadten- 
bahnen  unter  besonderer  Beriìcksichtigung  der  Entwicklung  und  Betriebsergebnisse  der 
deutschen  Kleinbahnen. 

n:  Giessen,   1906,  v.   Mùnchow,  8»    76  pp. 

BoETTiNGER  (Justus  Cari).    Das   vertragliche  V'erausserungsverbot  im  frùheren    und   jetzigen 
Recht. 
:zz  Giessen,   1908,  von   Miinchow,  8"  (3csn   no  pp. 

BòRscHiNGER  (Karl).  Vorgeschichte  und  Bedeutung  des  Bundes  zwischen  den  .Sohnen  Ludvvigs 
des  Bayern,  dem  Bischof    von   Augsburg    und    22    schwabischen   Reichsstftdten   vom   20. 
November  1331. 
Z3  Stuttgart,   Druck  v.   M.   Kohlhammer,   1905,  8"  (52  pp. 

Br.aumuller  (Werner  von).   Die  Auslobung  nach  dem  Biirgerlichen  Gesetzbuch  fiir  das  Deut- 
sche Reich. 
^  Gies.sen,   1905,  V.   Mùnchow,  8»  (x-72  pp.   i  e. 

I'urmester    (Hermann).    Vergleichende    Untersuchungen    iìber    den    Einfluss   der  ver.schie- 
denen  Samenbeizmethoden  auf  die  Keimfàhigkeit   des   gebeizten  Saatgutes  und  ijber  ihre 
pilztotende  Wirkung. 
=  Ludwigsburg,  K.   Hofdruck.  Ungeheuer   et    Ulmer.  1908,  S»  (2  ce.  52  pp. 

CAr.LMANN  (Cari  Peter).  Zu    den  Vorschriften    des    Biirgerlichen    Ge.setzbuchs    iìber  gutgliiu- 
bigen  Eigentums  und     Pfanderwerb  an  beweglichen  Sachen. 
=z  Giessen,   1904,  von   Miinchow,  8'^  (2  ce.   124  pp. 

CoHN  (Hermann).  Antipater  von  Tarsos,  ein  Beitrag  zur  Geschichte  der  Stoa. 
=:  Berlin,  Cari  Fromholz  Buchd.,   1905,  8"  (90  pp.  3  ce. 

Deggau  (Gustav). Ueber  (iebraucli  und  Bedeutuugs-Entwicklung  der  Hilfsverben   «  konnen  » 
und  «  mògen  ». 
n:  Wiesbaden,  Buchdr.  Albert  Kenipf,   1907,  8"  (vm-90  pp. 

DiEin.  (l'^riedrich).   Beitrilge  zur  Lehre  von  der  .Schriftform    im    biirgerlichen   Recht. 
zz  Giessen,  1906,  von  Miinchow,  8°  (78  pp. 

DiEHL    (Ludwig).    Englische    Schreibung    und    Aussprache    im   Zeitalter    Shakespeares    nach 
Briefen  und  Tagebiichern. 
r=  Halle  a.  d.  S.,   Drurk  von   l'~lirliardl   K.irras,    1906,  8"  (72  pp.   2  ce. 


DAL    2Ò   APRILE    1 904    AL    j6    DICEMBRE    1908  XXXIX 


DOll  (Heinrich). Goethe  und  Schopenliauer,  Ein  Beitraj^  zur  Entwickkinsj,.sgeschichte  der  Scho- 
penhauerschen  Philosophie. 

^  Reriin,   P2rnst  Hofmann  et  C,   1903,  8"  (74  pp. 

Ehrhard  (Peter).  Die  padagogischen  Grundanschauungen  bei  Fichte  und  Pestaloz/.i. 
rz  Darmstadt,   1908,   Druck  v.   K.   F.   Render,  8"  (92  pp.,   i  e. 

Ehkmann  (Phihppus).   De  iuris  sacri  interpretibus   atticis,  pars  prior. 

z=  Numburgi  ad  Salam,  tvpis  Lipperti  et  sociorum,   1908,  8"  (2  ce.  46  pp. 

Ellenbekger  (Otto),  yuaestiones    Hermesianacteae. 

zr  Gissae,   1907,  typis  officinae  auHcae  et  academicae  de  Muenchow,  8"  (74  pp. 

Ekdmann    (jakob).     Beitrage    zur    Kenntnis    der    Mundart    von    Bingen-Stadt    und     Bingen- 
Land. 
=  Halle  a.  S.,   Buchdr.  des  Waisenhauses,   1906,  8"  (40  pp. 

Zur  Erinnerung    an     die    dritte  Jahrhundertfeier  der  Grossherzoglich  Hessischen  Ludwigs- 
universitàt  in  den  Tagen  vom  31.  Juli  bis  zum  3.  August  1907. 
zn  Giessen,   1907,  Hof-u.   Univefsitats-Druckerei  O.  Kindt,  4°  (80  pp.  i  e. 

Fabricius   (Wilhelm).     Sind   Verkehrshypothek     und    .Siciierungshypotiiek    des    Blirgerlichen 
Gesetzbuchs  «  akzessorische   Rechte?  ». 

^  Darmstadt,  G.  Otto's  Hof-Buchdr.,   1908,  8"  (4  csn.  So  pp. 
Fahz  (Ludovicus).  De  poetarum  romanorum  doctrina  magica,  quaestiones  selectae.  Cap.l,  H. 
=  Numburgi  ad  Salam,  typis    Lipperti  et  sociorum,   1904,   8"  (2  ce.  40  pp. 

Falk  (Johann).   Die  Analogie  im  Recht.   Éine  Studie  zur  neueren   Rechtsgeschichte. 
nz  Mainz,   Druck  von  Joh.  Falk  III  .S'óhne,   1906,  8"  (4  csn.  56  pp. 

Foerster  (August).  Avoir  und  étre  als  Hilfsverba  beim  intransitiven  Zeitwort  in  ihrer  Ent- 
vvickelung  vom  Alt-  zum  Neufranzosischen. 

=z  Darmstadt,  G.  Otto's  Hof-Buchdr.,  1908,  8"  (2  ce,   112  pp. 

Frank  (Rudolf).  Die    Rechts-  und  Geschàftsfàhigkeit  in    der  Geschichte  des  internationalen 
Privatrechts. 
=  Giessen,   1908,  von    Mùnchow,  8"  (72  pp. 

Freiman  (Alexander).     Pand-nàmak  i  Zaratust.  Der  Pahlavi  Text  mit   (Jebersetzung,  und  kri- 
tischen   Erlauterungsnoten. 
:=  Wien,  1906,  Alfred  Hòlder,  8''  (36  pp. 

1''riedrich  (Theodorus).   In  Jylii   ]*"irmici  Materni  de  errore   profanarum    religionum  libellum 
(}uaestiones. 
=:  Bonnae,  typis  Caroli  Georgi   Univ.  typ.,   1905,  8"  (56  pp.   1  e. 

FucHS  (Ludwig).  Die  rechtliche  Stellung  des  Gegenvormundes  nach  dem  blirgerlichen  Gesetz- 
buch  fijr  das  deutsche  Reich  unter  gleichzeitiger  Beriicksichtigung  landesgesetzlicher 
Vorschriften. 

1=  Auerbach,   1906,   Buchdr.  Jean  Schnellbàcher,  S"  (3  csn.    138  i)p. 

(ìlaser  (Kurt).  Die  Mass-  und  Gewiciitsbezeichnungen  des  Franzòsischen.  Ein  Beitrag 
zur  Lexicographie  und  Bedeutungsgeschichte. 

=:  Berlin,  Verlag  von  Wilhelm  Gronau,   1903,  8"  (58  pp.    i  e. 

Grae  (Heinrich).   Die  Entvvicklung  des  deutschen  Artikels    vom  Altiiochdeutschen  zum  Mil- 
telhochdeutschen. 
=r  Giessen,   1905,   Ikiclidr.   Hepi)eler  et  Meyer,  >S"  (4  csn.  86  pp. 

Gundel  (Guilelmus).   De  stellarum  appellatione  et  religione  romana. 

ziz  Numburgi  ad  Salam,    1906.    typis    Lipperti   et   sociorum,  8'  (34  pp.  3  csn. 

HEiN(Carl).  Das  elterliche  Nutzniessungsrecht  am  Kindesvermogen  nach  dem  B.  Ci.  15. 
1=  Worms,  Buchdr.  Gebr,  Hoffmann,  1908,  8    (iv-124  pp.   i  e. 


XL  noNI    OFFERTI 


Heinrichs  (Cari).  Die  Entstehunji^  der   Uoppelvornamcii. 
ZZI  Strassburg^,  1908.  8"  (64  pp.  4  csn. 

Hkpding  (Hu^o).   Der  Attiskult. 

zzi  Giessen,  J.  Ricker,   1903,  8". 

Hevmann  (VV.).  Franzósische    Dialektvvorler  l)ei   l.exiko.^raphen  des  16.   bis  jS.  Jaliriuiuderts. 
=  Giessen,  1903,  v.  Miinchow,  8»  (io;)  |)p,  3  csn. 

Katz  (Leopold).  Die  rechtliche  .Stellimi;-  der  Israeliten  nach  deni  .Staatskirchenreclit  des  Gros.s- 
herzogtums  Hessen. 
3=:  Giessen,   1906,  Alfred    Topelnianii,  8"  (5  ce.  64  pp. 

Kehm  (Otto).   Die  Entstehunj^^  inid   Knlvvicklunj^j  der  Giessener  Tabakindustrie. 
=  Ulm,  1903,  Druck  der  Ulmer  Zeitung,  80  (viii-112  pp. 

Keli.kk  (Otto).  Die  Nasalpnisentia  der  arischen  Sprachen.  Erster  Teil. 
=:  Giìtersloh,  1904,  Gedruckt  bei  C.  Bertelsmann,  8"  (52  pp. 

Ki.EiN  (Albert).   Die   /.entrale    Einan/verualtuni;    ini    Deulschordensstaate    Preus.sen    ani  An- 
fang  des  XV.  Jahrhunderts. 

zz  Leipzig,   1904,   8",  74  pp.  3  csn. 

Kluge  (Theodor).   Die  Darstellungen  der  Lówenjagd  ini  .Aiterluin. 
:rr  Berlin,  Verlag  v.   R.  Trechsel,   1906,  8"  (84  pp. 

Kn.m'ss  (Otto).  Vergleichung  des  vokalisclien   Lautstandes  in  den  Mundarten  von  Atzenhain 
und  Griinberg. 
zz  Darmstadt,  1906,  C.  F.  Wintersche  Huciidr. .  8'^  (90  pp. 

Knokllingek  (Herniannus).   De  Ciceronis  de  virtiitibus  libro. 

=  Lipsiae,  typis  B.  (i.  Teubneri,  1908,  16"  (vin-56  pp.   i  e. 

Kocn  (Erwin).  Die  Haftung  des  Dienstherrn  fiìr  das  Gesinde. 
=  Giessen,   1905,  v.  Mùnchow,  8"  (58  pp. 

Koeser  (Eugenius).  De  captivis  Romanorum. 

=:  Gissae,   190^,  typis  Officinae  aulicae  et  acadeniicie  de  iMuenchovv.  8"  (136  pp. 

1\.KAFT(  Friedrich).  Heinrich  Steinliowels  Verdeutschung  der  Historia   Hierosolymitana  des  Ro- 
bertus  Monachus.  Eine  literar,-historische  Untersuchung. 
nz  Strassburg,  Verlag  von  Karl  J.  Triibner.   1905,  8". 

Kke.mgki.  (Paul).   Der  Vorstand  der  reclitsfahigen  Vereine  des    biirgerlichen    Rechts  nnd  der 
rechtsfahigen  Handelsgesellschaften. 

zz  Borna-Leipzig,   Buchdr.  Robert   Noske,   J907,  8"  (vi-50  pp..  1  e. 

Kkug  (Fritz).    Die    Geltung    des    Willensdogmas    l)ei     einseitigen    letzwilligen  Verfiìgungen 
ini  Biirgerlichen  Gesetzbuch. 

zz  Mainz,   1908,   Druck  von  Oskar  Sclmeider,  8"  (2  ce.   126  pp. 

KiicHLER  (Walther).   Die  Cent    Nouvelles    nouvelles,  ein   Beitrag  /.ur  Geschichte  der  franzò- 
sischen  Novelle. 

zz.  Chemnitz  u.   Leipzig,  Verlag  von  VV.  Gronau,   1906,  8"  (  i  e.  68  pp. 

Labion  (Georg).   Darstellung   der  wirtschafllichen  Verhiiltnisse   eines  Eifeldorfes  unler  be.son- 
derer  Beriicksichtigung  .seiner  landwirtschaltlichen  Zustiinde. 
=1  Giessen,  1904,  von  Miinchow,  8"  (6-122  pp.  2  tav. 

Lange  (Albrecht).   Lyndesay's    Monarciie    und    die    chronica    Carionis.  Eine     Quellenstudie. 
=  Halle  a.  d.  S..  Druck  von  Ehrhardt  Karras,  1904,  8"  (46  pp.  3  ce. 

Langenbach  (Paul).  Die  Vorl)creitung  und  Ausiil)ung  der  Xotwehr  durdi  Schutzmassregeln. 

r=  Giessen,  1907,  von  Miinchow,  8»  (2  ce.  80  pp. 
LiNTKi.    (Ludger).    Untersuchungen     iiber    den    inneren    Werdegang    ziichterischeii  W'issens 
an    der    Hand    dor    geschichtiichen    Entvvickelung    der    westfalischen  Pferdezucht. 

=  Mijnster  i.  Westf.,  Druck  der  Westfalischen  Vereinsdruck.  1908,  8»  (86  pp. 


DAL    26    APRILE    1904    AL    16    DICEMBRE    1 908  XLI 


Maì.zan  (Guilelmus).  De  schoHis    Euripideis   quae  ad  res  scaenicas  et  ad  histriones  spectant. 
=  Darmstadtiae,  1908,  typis  E.  Roether,  H"  (36  pp. 

LoKSCH  (Julius).  Die  Lehre  vom  Gefuhl  bei  Johann  Nicolas  Tetens. 
=z  Giessen,   1906,   von  Mùnchow,  8"  (60  pp. 

LoTZ  (Hermann).  Der  Versbau   Antoine  de  Montchrestiens. 

:=:  Darmstadt,  G.  Otto's  Hof-Druckerei,   1905,  8"  (viii-62   pp. 

LoTZ  (Valentin).  Der  Unterhaltsanspruch  der  Ehegatten. 

=  Rostock,  Cari  Hinstorffs  Buchdr.,  1905,  8°  (102  pp.  i  e. 

Lìitke-Wentrui»  (Adolph).  Die  s^eschichtliche  Entvvicklun.y;  <1er  ITertle/cuciil  in  der  Proxinz 
Westfalen,  ihre  F"òrderuntj  durch  Staats-  und  Vereinshilfe  und  ilir  sjejjenwartiger  Stand- 
punkt. 

:=  Mùnster  i.  W.,  Druck  der  Westfalischen  Vereinsdruckerei,   1904,  8"  (72  pp. 

Maas  (Sully).  Der  Grundsatz  der  Unmittelbarkeit  in  der  Reichsstrafprozessordnun,^. 
=1  Breslau,  1907,  Schlelter'sche  Buchh.,  8''  (vin-85  pp. 

May  (Henry).  Die  Landwirtschaft  der  Wetterau  unter  Berùcksichtijiung  der  natùrlichen, 
wirtschaftlichen  und  sozialen  Verhaltnisse. 

=:  Giessen.  1903,  Buchdr.  Heppeler  &  Meyer,  8"  (156  pp.   i  e. 

Mehlek  (Otto).   Die    Entwickelung    der   Bevolkerung    in    den    einzelnen    Teilen    des  Regie- 
rungsbezirks  Wiesbaden  in  der  Zeit  von  1855-1900. 
:=  Frankfurt  a.  M.,  Druck  v.  Gebrùder  Knauer,  1905,  8°  (no  p)x  i  tav. 

Mellek  (Otto).   L^ntersuchung   der     Bevolkerung   des    Landkreises    Frankfurt    a.  M.  und  des 
Kreises  Usingen  nach  ihrer  Gebiirtigkeit  auf  Grund  der  Volkszahlung  1900. 
=  Darmstadt,  1907,  Druck  v.  Eduard  Roether,  S^  (76  pp..   i  e. 

Meyer  (Joh.  Aug.).  Die    wirtschaftlichen  Verhaltnisse     des    Grund    und    Hodens   der    .Stadi 
Giessen  in  den  letzten  25  Jahren. 
:=  Paderborn,  Druck  der  Bonifacius-Druckerei,  1903,  8"  (viu-84  pp.   i  tav. 

Meyer-Edward  (Manfred).  Systematische  Danstellung  des  Fruchterwerbs  nach  den  Para- 
graphen  953-957  B.   G.  B. 

=z  Darmstadt,  G.  Otto's  Hof-Buchdr. ,    1908,  8"  (60  pp.  5  csn. 

Okenloch  (Ernestus).  Caecilii  Calactini  fragmentorum  editionis  prooemium. 

n:  Lipsiae,  typis  B.  G.  Teubneri,   1906,    16"  (XL  pp.   i   e.  " 

Oppenheimer  (Ludwig).  Ist  "die  Richtigkeit  der  Datierung  beini  eigenhandigen  Testament 
erforderlich  ? 

m  Darmstadt,  G.  Otto's  Hof-Buchdr,   1908,  8"    62  pp.  4  csn  ■     • 

Poi.i.igkeit  (Wilhelm).  Das  Recht  des  Kindes  auf  Erziehung. 

3z  Dresden,  1908,  Druck  von  Johannes  Passler.  8  '  (4  csn.  88  pp. 

Pradzynski.   Das  Verhàltnis  der  Sachbeschadigung  zur  Aneiginnig. 
=:  Breslau,   1908,  .Schletter'sche  Buchdr,  8"  (4  csn.  54  pp. 

Preetorius  (Emil).  Die  eheherliche  Vormundschaft  und  das  blìrgerliche  Gesetzbuch. 
=z   Giessen,  1906,  von  Miinchow,  8"  (2  ce.  80  pp. 

Ranft  (Theodor).  Der  Einflu.ss  der  franzòsischen  Revolution  auf  den  Wortschatz  der  fran- 
zòsischen  Sprache. 

=  Darmstadt.   1908,  C.   F.   Wintersche   Buchdr.,  8"  (2  ce.   168  pp. 

Rauch  (Christian).  Wolf  Traut  in  der  .Schule  Diìrers. 

=:  Strassburg,  Druck  v.  H.   l*]d.  Heitz,   1906,  8"  (2  ce,  38  pp. 

Rentrop  (Emil).  .Setzung  des  Personalpronomens  als  Subiekt  im  'ilteren    Neufranzosisch. 
=:  Giessen,   1903,  v.  Miinchow,  8*^  (62  pp.  2  ce. 


XLII  DONI   OFFERTI 


RiETZ    (Alfred).    Die    RuckfurderimK    von    Depots  zur    Sicheruns,"    unverbindlicher  \'ertrage, 
nr  Berlin,   1903,  8"  (38  pp. 

RosENTHAL  (Willy).   Fiirst  Tallevrand   uiid  die  auswartij^e  Politik  Xaixjleon   1.   nacli  den  Me- 
moiren  des  Fùrsten   Talleyrand. 
■=.  Leipzig,  Wilhelm  Kngelmann,    1905,  8"  (xii-116  pp. 

RuHL  (Ludovicus).   De  mortuoruni  iudicio,  pars  prior. 

=  Numburgi  ad  Salam,  lypis  Lipperti  et  sociorum,  1903,  8*'. 

Sauek  (Bruno).  Der  Weber- Laborde'sche  Kopf  und  die  Giebelgrup]ien  des  Parthenon, 
zz  Giessen,  1903,  v.  Miinchovv,  4"  (ri8  pp.  3  tav. 

.ScHACHNEK  (Theodor).  Das  Zeitwort  seÌ7i  in  den  hochdeutschen  Mundarten. 
zz  Darmstadt,  Buchdr.   v.   II.   Ulide,   1908,  8"  (viii-52  pp.   2  ce. 

ScHAFER  (Christian).  Zur  Synta.\  Claude  Gauchets. 

zz  Frankfurt  a.   M.,   Druck  von  Gebruder  Knauer,   1908,   8"  (68  pp.  4  ce. 

.ScHii-LiNC.  (Karl  (i.).  A  grammar  of  ihe  Dialect  of  Oldham  (Lancashire). 
=z  Darmstadt,  G.  Otto's  Hofbucluir.,   1906,  8"^  (150  pp.  3  ce. 

.ScHMiDT  (Guiielmus).   De  die  natali  apud  veteres  celebrato  quaéstiones  selectae. 
zz  Hannoverae,  in  aedibus  Herenbergi,   1905,  8"  (2  ce.  36  pp. 

SCHNEIDER  (Hans).   Die  rechtliche  Natur  des  Offiziersdienstes  in   Deutsciiland. 
r=  Giessen,  1906,  v.   IMùnchovv,  8"  (64  pp. 

.ScuKOD  (Friedrich).    Die    (iriindung    der    Deutschordenskomturei    Sachsenhausen.  Kin    Bei- 
trag  zur  Geschichte  der  Herren  von   Miinzenberg. 
zz  Giessen,   1904,  v.   Miinchow,  8"  (40  pp. 

.Skhnkkt  (Friedrich).   Die  laiulwirlsciiaftliche   Betriebsvveise  ini   Kreise  Erbach. 
zz  Giessen,    1904,  v.   Miinchovv,  8"  (2  ce.   100  pp. 

SiEGEKT  (Rudolf),  Die  Wolinungsfiirsorge  im  Grossherzogtum   Hessen. 

zz  Giessen,   1907,  Verlag    von    Alfred  Tòpelmann,  8"  (4  csn.   152  pp.  i   tab. 

Simon  (Paul).  Die  Einigung  des  Sachenrechts  als  Verfiigungsbeschrankung. 
zz  Breslau,  Verlag  v.  M.  &.  H.  Marcus,    1906,  8<*  (iv-84  pp. 

Stokfel  (Heinrich).   Untersuchungen   ùber    die    Organisation  und  die  Rentabilitiit  der  land- 
wirtschaftlichen  Betriebe  ini  Grossherzogtum  Luxemburg. 
r=i  Luxemburg,   Druck  von   M.   Huss,   1908,  8"  (136  pp. 

Siiss  (Guiielmus).   De  perst)narum  antiipiae  comoediae  .Atticae  usu  atque  origine, 
zz  Bonnae,   jgos,  8"  (136  pp. 

Tepinc;  (Heinrich).    Die  Entwickelung  der   Landwirtschaft    im   oldenburgischen   Miiiisterland 
wahrend  der  letzten  vier  Jahrzehnte. 

^  Vechta,   1903,  Vechtaer  Druckerei,  8"  (3  ce,  48  pp. 

Teknek  (Emilì,  Die  Wortbildung  im  deutschen  Sprichvvort. 

zz  Gelsenkirchen,   1908,  Druck  von  Stiick  et  Lohde,  8"  (viii-48  pp. 

ThelRn  (Karl).  Die  Rindvielizuchl    im    Grossherzogtum     Hessen    wahrend    des  neunzehnten 
Jahrhunderts. 

=z  Oldenkirchen,  W.   Breitenbach,    1903,  8"  (112  jjp. 

Uetzmann  (Richard).  Die  geographisclie  Lage  Hamburgs. 

^  Hamburg.  Ackermann  &  Wultf  Naclif.,  1906,  8"  (2  csn.  56  pp.  2  tav. 

Vetter  (August).  Die    Ergebnisse   der     neueren    Untersuchungen    iiber  die  Geographie    von 
Ruanda. 
zz  Darmstadt,  (i.  Otto's   Hofhut  lidi.,    1906.  8"  (viii-102  pp.    i    tav. 

Vo(.Ki.  (  Karl  ).   Die  Be^Ueuerung    des  Grossbetriebs    im    Kleinhandel    im   Konigreich  .Sachsen 
zz  .^nnaberg,   Druck  v.   C.  O.  Schreiber,   1903,  8"^  (3  ce.    112  pp. 


DAL    2Ò   APRILE    1 904   AL    16    DICEMBRE    IQoS  XLIII 


VoGT  (Ernst).  Erzbischof  Mathias  von  Mainz  (1321-1328). 

Z3  Berlin,  Weidmannsche  Ruchdr..  1905,  <S"  (3  ce,  68  pp. 

Wagner  (Heinrich  i.   Das  Finanzwesen    Giessens   unter    besonderer    Beriicksichtiguno;  des  19. 
Jahrhunderts. 

=  Leipzig,   Biich.  Ciustav  Fock,   1904,  S*>  (102  pp.  3  csn. 

Wall  (Adolf).    Die    Anspriiche     der     Versicherten    auf  die  Pramienreserve  in  der  Lebens- 
versicherung. 

zr  Rostock,  Cari   Hinstorffs  Buchdr.,    1906,  S"  (62  pp.   i  e. 

Weber  (Heinrich).  Der  Yokalismiis  der  Mundarten  des  Oberen  Weschnitztales,  1  Teil. 
zi:  Halle  a.  S.,  Buchdr.  des  Waisenhauses,    1908,  8"  (62  pp. 

Wen'el  (Robert).  Das  vertragsmassige  Pfandrecht  an  Wertpapieren. 
=z  Berlin,   1906,  Druck  von  Wilhelm  Pilz,  8»  (56  pp.  i  e. 

WiEGAND  (Max).  Das  Hes.sische  Staatsbeamtenrecht. 

^  Mainz,  Verlag  von  J.  Diemer,  1907,  8"  (viii-136  pp. 

WiNTEK  (Heinrich).   Der  Betrieb  des  Erwerbsgeschaftes  der  Ehefrau. 
=  Mainz,   1905,  Druck  v.   Philipp  von  Zabern,  8"  (58  pp.,  5  ce. 

WoLFF  (L.  C).  General-Bericht  ùber  dieTorfversuche  zu  Oldenburg  im  Grossherzogtum  (Monat 
Xovember  1901)  im  Auftrage  der  Kgl.  Preussischen  Ministerien  fùr  Handel  und  Gewerbe. 
=z  Berlin,  Druck  v.  Leonhard  Simion  Nf.,  1904,  4»  (56  pp.  4  csn.  4  tav. 

ZóCKLER  (Rudolf).  Die  Beteuerungsformeln  im  Franzòsischen. 

zz:  Berlin.  Chemnitz,  Leipzig.  Verlag  v.  Wilhelm  Gronau,  1905,  8»  (50  pp.,  i  e. 

ZòRB  (Karl).  Die  Volksdichte  der  Grossherzoglich  Hessischen  Provinz  Rheinhessen. 
^  Giessen,  1903,  v.  Munchow,  8"  (56  pp. 


Dall'Università  di  Strasburgo: 

Abele  (Theodor  Anton).  Der  Senat  unter  Augustus. 

zz  Paderborn,   Druck  von  Ferdinand  .SchOning,    1907,  8'^  178  pp.  2csn. 

Auerbach  (Mosesj.  Wòrterbuch  zur  Mechilta  des  R.  Ismael  iBuchstabe  J<)  nebst    Einleitung. 
z=  Berlin,  Druck  von  H.  Itzkowski,   1905,  8"  (ii6  pp. 

Ausfeld  (Friedrich).  Die  deutsche  anakreontische  Dichtung  des  iS.  Jahrhunderts. 
=z  Strassburg,  Verlag  v.  Karl  J.  Trijbner,   1907,  8°  (iv-72  pp. 

Beecke    (Eugen).    Die    historischen    Angaben    in    Aelius    .Aristides    Panathenaikos    auf   ihre 
Quellen  untersucht. 

^  Strassburg,  Verlag  von  Karl  J.  Triibner,  1905,  8°  (2csn.  74  pp. 

Best  (Karl).    Die    persònlichen    Konkreta    des    Altenglischen    nach  ihren  Suffixen  geordnet. 
=  Strassburg,   Druck  von  M.   Du  Mont  Schauberg,   1905,  8"  (x-48  pp. 

Beszard    (Lucien).    Les    larmes    dans  l'epopèe,    particulièrement    dans    l'epopèe     francaise 
jusqu'à  la  fin  du  xii»-  siècle.  Étude  de  littérature  comparèe.  , 

=:  Halle-sur-Saale.   Imprimerle  PZhrhardt  Karras,   1903,  8"  (100  pp. 

Bever  (Valentin).  Die  Begrundung  der  Ernsten  Ballade  durch  G.  A.  Burger. 
=  Strassburg,  Verlag  von  Karl  J.  Triibner,   1905,  8°  (4  csn.  40  pp. 

Bloch  (Robertus).  De  pseudo-Luciani  amoribus. 

Z3  Argentorati,  apud  Carolum  J.  Truebner.   1907,  S'^  (80  pp. 

BoEHM  (Paul).  Die  vorkritischen  Schriften  Kants 

z=  Strassburg  i.  E.,  Verlag  von  Karl  J.  Trubner,  1906,  8"  (vi-126  pp. 


XLIV  DONI   OFFERTI 


BoHLEK  (Augustus).  Sopliistae  anonymi  Protreptici  fra.2:menta  instaurata  illustrata. 
z=  Lipsiae,  Buchh..  Gustav  F'ock,   1903,  S"  (76  pp. 

Bretschneidkr  (Carolus).  Quo  ordine  ediderit  Tacitus  singulas  Annalium  partes. 
z=  Argentorati,  typis  expresserunt  C.  et  J.  Ooeller,   1905,  8"  (78  i)p. 

Brkuer  (Joseph).   Die  politische  CJesiniiung  und   Wirksamkeit   des   Kriniinaiisten  .Anselm  von 
Feuerbach. 
:=  Halle  a.  S,,  Druck  von   I^aalzou  et  C,   1905,  8»  (7  csn.,   150  pp. 

RiiHi.KR  (Karl).  Studien  iìber  Henry  Home. 

=  Bonn,  Buchdr.  Jos.  Bach  W^c,  1905,  8«  (88  pp. 

Campiìell  (Charles  D.).  The  names  of  Relationship  in  English. 

z=  Strassburg,   l'niv.   I^ucdr.  J.   H.   Hd.   Heitz,   1905,  8''  (x-142  pp. 

Chkist  (Karl).  Quellenstudien  zu  den  Dramen  Thomas  Middletons. 

=:  Borna- Leipzig,  Buchdr.   Robert  Noske,   1905,  8»  (viii-134  pp. 

Cii,mÉ  (Gabriel  Gedeon).  De  Julii  \'alerii  epitoma  Oxoniensi. 

^z:  Argentorati,  typis  expres.sit  M.   Dumont  Schauberg,  1905,  8»  (xxxiv-56  pp. 

Cr.AUsi MG  (Joseph).  Der  Streit  um  die  Kartause  vor  StrassburgsToren,  1587-1602.  I.  Teil. 
rz  Strassburg  i.  E.,  Buchdr.  des  «  Klsasser  »,   1905,  8"  (36  pp. 

Cohen  (Walter).  Studien  zu  Ouinten  IMetsys. 

=z  Mùnchen,  1904,   Druck  Alfons  Brnckmann,  8"  (76  pp.  4  csn. 

DiECKow  (Fritz).    John    Florio's    englische    Ubersetzung    des    Essais  Montaigne's   und  Lord 
Bacon's,  Ben  Jonson's  und  Robert  Burton's  Verhàltnis  zu  Montaigne. 

—  Strassburg  i.  E.,  Buchdr.  Hertzer,  Hubert  et  Fritsch,  1903,  8'  (4  csn.  120  pp. 

DiJRNER  (Heinrich).    Robert    Biquet's  «  Lai    du    Cor  »  mit    einer    pjnleitung    iiber   .Sprache 
und  Abfassungszeit. 
zn  Strassburg  i.   E.,   Druck  von   W.   Du   Mont  Schauberg,  1907,  8"  (64  pp.  2  ce. 

DoRRiNCK  (.\lfred)  Die  lateinischen  Zitate  in  den  Dramen  der  wichtigsten  VorgAnger  Shake- 
peares. 
zu  Strassburg  i.   E.,   Druck  von   ^L   Du  Mont  Schauberg,    1907.  8    (viii-62  pp. 

Driesch  (Johannes  von  den).   Die  .Stellung  des    attributiven  Adjektivs   im    Altfranzosischen. 
zz:  Erlangen,   K.  b.   Buchdr.  v.  Junge  &  Sohn,  1905,  8"  (2  ce.   125  pp. 

Dkiesen  (.Otto),   Der  Ursprung  des  Harlekin. 

zzz  Chemnitz,   Druck  von   Hugo  Wilisch. ,   1903,  8»  (2  ce,  32  pp. 

Eberharut  (Wilhelm).    Die    philosophische    Begriìndung  der  Padagogik  Schleiermachers. 
=r  .Strassburg,  Druck  v.  Ì\L  Du  Mont  Schauberg,   1904,  8°  (vi-78  pp. 

l'^AitER  (Karl),   joiin  Wilsons  Dramen.  Eine  Quellenstudie. 

=:  Wiesbaden,  Buchdr.  v.  Cari    Ritter,    1904,  8*^  (3  ce.  86  pp. 

Faerber  (R.).  Kònig   Salomon  in  der  Tradition.    Ein    historisch-kritisclier    Beitrag  zur   Ge- 
schichte  der  Haggada,  der  Tannaiten  und  Amoràer.  Teil   1. 
:zz  Wien,   1902,  Verlag  von  Jos.  Schlesinger,  8"  (xii-72  p(). 

Fasbenijer  (Joseph).   Die  Schlettstadter  Vergilglossen  und  ihre  V'erwandten. 
z=:  Strassburg  i.   E.,  Buchdr.  C.  et  J.  Goeller,  1907,  8"  (120  pp. 

Foi.z  (August).  Untersuchungen  zur  Geschichte  des  ersten   Konzils  von  Lyon. 
=  Strassburg  i.   E..  Buchdr.  C.   Miìh  et  C,   1905,  80  (68  pp. 

Franz.mever  (Fritz).  Studien  ùber  den  Konsonantisnius    und  Vokalismus  der  neuenglischen 
Dialekte  auf  Grund-tier  Ellis'schen  Listen  und  des  Wright'schen  Dialect  Dictionary. 

—  Strassburg.   Druck  von   M.   Dn   >ront  Schauberg,  1906,  8"  (v  it-88  pp. 


DAL    2Ò   APRILE    1904   AL    16    DICEMBRE    1908  XLV 


'Fkanzmeyer    (Wilhelm).  Kallixenos'   Bericht   iiber  das    Prachtzelt    und    den  Festzug    Ptole- 
maeus  II. 
zr  Strassburg,  i.  E.,  Druck  v.   M.   Du  Mont  Schauberg,   1904,  8°  (72  pp. 

Fredenhagen  (Hermann).  Ueber  den  Gebrauch  des  Artikels  in  dar  franzósischen  Prosa  des 
XIII  Jahrhunderts,  mit  Berucksichtigung  des  neufranzOsischen  Sprachgebrauchs. 
=:  Halle  a.  S.,  Druck   von  Ehrhardt  Karros,  1905,  8''  (viii-114  pp. 

Friedlaender  (Ernst).  Das  Verzeichnis  der  Ritter  der  Artustafelrunde  im  Erec  des  Hartmann 
von  Aue  verglichen  mit  dem  bei  Crestien  de  Troyes  und  bei  Heinrich  v.  d.  Tiirlin. 
=1:  Strassburg.  Druck  v.  M.  Dumont-Schauberg,  1902,  S"  (4  csn.  48  pp.  i  tab, 

Gfrórer  (Eduard).  .Strassburger  Kapitelstreit  und  Bischoflicher  Krieg  im  .Spiegel  der  elsassischen 
Flugschriften-Literatur  (  1569-1618). 
=:  Strassburg,  Buchdr.  des  «  Elsasser  »,  1905,  S"  (60  pp. 

Ghazarian  (Mkrtitsch).  Armenien  unter  der  arabischen   Herrschaft   bis  zur   Entstehung  des 
Bagratidenreiches.  Nach  arabischen  und  armenischen  Quellen. 
zz:  Marburg,   X.  G.  Elwert'sche  Verlagsb.,   1903,  8"  (88  pp. 

GiTELSOHX  (Saul).  Die  Civil-Gesetze  der  Karaer  von  Samuel  al-Magrebi,  nach  einer  Berliner 
Handschrift  herausgegeben. 
z=  Berlin.  Druck  v.  H.  Itzkowski,   1904,  8"  (28-44  PP- 

GòCKiNG  (Wilhelm).  Das  Partizipium  bei  Notker. 

3z  Strassburg,  Druck  von  M.   Du  Mont  Schauberg,  1905,  8°  (80  pp.  4  csn. 

GoLDMANN  (Karl).  Die  ravennati.schen  Sarkophage. 

1=  Strassburg,  Univ.  Buchdr.  von  J.  H.  Ed.  Heitz,  1906,  8°  (4  csn.  60  pp. 

Gross  (Max).  Geffrei  Gaimar.   Die  Komposition   seiner  Reimchronik   und  sein  Verhàltnis  zu 
den  Quellen  (v.  819-3974). 

z=:  Erlangen,  Junge  et  Sohn,   1902,  (vi-136  pp. 

Grììnjng  (Bernhard).  Schvvund  und  Zusatz  von  Konsonanten  in  den  neuenglischen  Dialekten. 
Dargestellt  auf  Grund  der  Ellis'schen  Listen. 
^  Strassburg,  Druck  von  M.  Du  Mont  Schauberg,  1904,  8"  (vi-78  pp. 

Gkunwald   (Georg).    Geschichte    der    Gottesbeweise    im  Mittelalter    biz    zum    Ausgang   der 
Hochscholastik.   I,  Teil. 
=:  Mùnster  i.  W.,  Druck  der  Aschendorffschen  Buchdr.,  1907,  8"  (3  csn.   T02  pp. 

GiÌTSCHOW  (Else).   Innocenz  III.  und  England. 

zz  Mùnchen,   1904,  Druck  v.  R.  Oldenbourg,  8"  (vii(-2oo  pp. 

Haas  (Philipp  de).  Ungedruckte  Stùcke  ans  den  Breslauer  deutschen  Mahzor-Handschriften 
mit  (Jeber.setzung  und  Erklarung. 
=1  Breslau,  Buchdr.  H.  Fleischmann,  1906,  8"  (108  pp. 

Hamburger  (Bernhard).  Maimonides'   Einleitung  in  die  Misna.  Arabischer  Text  mit  umgear- 
beiteter  hebràischer  Uebersetzung  des  Charizi  und  Anmerkungen. 
=:  Berlin,  Druck  v.   H.  Itzkowski,   1902,  8»  (17-73  PP- 

Hasse  (Alfred),  .Studien  tìber  Englische  Volksetymologie. 

=:  Strassburg,  i.  E.,  Druck  von  M.  Du  Mont  e  .Scliauberg,   190J,  8"  (xii-64  pp. 

Hauck  (Polykarp).   Urteile  und  Kategorien.  Eine  kritische  Studio  zu   Kants  transszendentaler 
Logik. 
=:  Strassburg,  i.  E.,  Druck  v.  M.  Du   Mont-Schanberg,  1903,  8«  (106  pp.  3  csn.    - 

Hedicke  (Robert).  Jacques  Dubroeucq.  Der  Meister  des  Lettners  von  Ste  Waudru  in  Mons. 
=  Strassburg,  Buchdr.  J.   H.  Ed.  Heitz,   1904.  8»  (2  ce.   100  pp. 

Heiland  (Paul).  Dirk  Bouts  und  die  Hauptwerke  seiner  Scinde.  f:in  stilkritischer  Versuch. 
=  Potsdam,  Dr.  v.  Edmund  Stein  [1903!  8"  (168  pp. 


XLVI  DONI   OFFERTI 


Heinicke  (Baldiiinus).  De  Oiiiiitiliani  Sexti  Asclepiadis  arte  grammatica. 

Z3  Argento  rati,  typis  expressit  M.   Du   Mont  Sriiauberg,    1904,  8»  (80  pp.  3  csn. 

Heinzelmann  (Karl.   Die  Farfenser  Streitscliriften.   l'.in   Ik-itrag  ziir  Gesciiichte   des   Investi- 
turstreites. 

=  Strassburg,  i.  E.,   Buchdr.  C.  Muli  et  C,   1904,  8"  (126  pp. 

HoEBKR  (Fritz).   Orientierende   Vorstudieii    zur   .Systematik   der    Architektiirproportionen    auf 
historischer  Grundlage. 
^=L  Frankfurt  a.  M.,  Druck  von    Kunz  et  (jabel,   1906,  8*^  (x-176  pp. 

HoEPKFNER  (Ernst).  Eustache  Deschamps.  Biographischc  .Studie. 
=:  Strassburg,  Verlag  v.  K.  J.  Triibner,  1903,  S"  (120  pp. 

HoEPFivGER  (Fritz).  Der  geistliche  Streit,  ein  mittelhochdeutsches  Gedicht,   hergestellt   und 
erlftutert. 

■=.  Strassburg,   Druck  von  iM.   Du-Mont  Schauberg,  1907,  ?fi  (84  pp.  2  ce. 

HorrMANN  (Alfred).  Edmc  Boursault  nach  seinem  Leben  und  seinen  Werken. 
^  Metz,  Lothringer  Druckanstalt,   1902,  8°  (2  ce.  148  pp. 

HooGENHOUT(Nic()laas  Marais).  Untersuciiungen  zu  Lodevvijk  von  \\'\X\\em' fi Spiegei Hisforiae/ . 
z=  Leiden,   Buch.  E.  J.   Brill,   1902,  8"  (4  csn.    76  pp. 

HuCKO   (Matthias).    15ildung    der    Sub.stantiva    durch    Ableitung    und    Zusammensetzung    im 
Altsachsischen. 

^  Strassburg  i.  E  ,  Druck  v.  Du  Mont  Schauberg,  1904,  8"  (viii-146  pp. 

Hu.MUERT  (Hugo).  Delisle  de  la  Brévetière,   sein    Leben   und   seine  Werke.    Ein  Beitrag  zur 
Geschichte  des  Nouveau  théàtre  italien  in  Paris. 
:zz  Berlin,  Verlag  von  Wilhelm  Gronau,  1904,  8°  (4  ce,  68  pp. 

HiiKTH  (Xaverius).  De  Gregorii  Nazianzeni  orationibus  funebribus. 

—   Argentorati,  apud  Carolum  J.  Truebner,   1906,  8"  (2  ce.  72  pp. 

HiìTTEMANN  (Wilhelm).  Die  Jnàta-Erzahlungen  im  sechsten  An.qa  des  Kanons  der  Jinisten. 
^  Strassburg,  Verlag  von  Karl  J.  Triibner,   1907,  8"  (4csn.  50  pp. 

Jacohsthal  (Hans). Der  Gebrauch  der  Tempora  und  Modi  in  den  keretischen  DialektinschriÙen 
(Teildruck). 
=  Strassburg,  Verlag  von   Karl  J.  Tiiibner.   1907,  8"  (2  ce,  48  pp. 

Jeuckens  (Robert).   Plutarch  von  Chaeronea  und  die  Rlietorik. 

^  Strassburg,  Verlag  von  Karl  J.  Triibner,  1907,  8"  (100  pp. 

JUNOWiTSCH  (Juda).  Die  karaeischen  Fest  und  Fasttage  von  .Samuel  ben  Moses  ha-Ma'arabi. 
Herausgegeben  nach  einer  Berliner  Handschrift. 
=:  Berlin,  Druck  v.  H.   Itzkowski,   1904,  8"  (21-35  pp. 

Kaesbach  W.,  Das  Werk  der  Maler  Victor  und  Heinrich    Duenuege  und  des  Meisters  von 
Kappenberg, 
:=^  Miinster,  1907,  Regensbergsche  Buchh.,  8"  (44  pp.  4  csn. 

K Al  11, E  (^Richard).  Der  Klerus  im  mittelenglischen  Versroman. 

=:  Strassburg  i.  Iv,  Buchdr.  L.  Zorn,  1906,  8"  (xii-22o  pp. 

Kahi.enberg  (Guilelmus).  De  paraphrasis  homericae  apud  tragicos  poetas  graecos  vestigiis, 
(juaestiones  selectae. 
=:  Strassburg  i.  F^.,  Buchdr.  Hertzer,  Hubert  et  Fritsch.,   1903,  8"  (66  pp.   i  e. 

KiKHR  (Fredericus).   Lesbonactis  Sophistae  quae  supersunt  ad  fidem  librorum  manuscriptorum 
edita  et  commentariis  instructa. 

=:  Argentorati,  typis  expressit  M.   Du-Mont  Schauberg,  1906,  8»  (2  csn.  52  pp. 

KiKCHBEKG  (Karl).   Laut-  und  Flexionslehre  der    Mundart    von    Kirn    a.    d.    Nahe,    mit  lie- 
riicksichtigung  der.iiiiheren  Umgebung. 

z=.  Strassburg  i.   E.,   Druck  v.  M.   Du   Mont  Schauiierg,   1906,  8"  (viii-62  pp. 


DAL    26   APRILE    1 904   AL    16   DICEMBRE    1908  XLVIl 


KiEUKER  (Robert).  Dr.  Samuel  Johiisons  Verhaltnis  zur  franzosischen  Literatur. 
^  Strassburg  i.  E.,  Druck  v.  Du  Mont  Schauberg,   1907,  S°  (xii-168  pp. 

Klumel  (Meier).  Mischpàtim.  Eiii   samaritanisch-arabischer  Commentar  zu  Ex.  21-22,  15  von 
Ibràhìm  Ibn  Jakùb. 
=1  Berlin,   Druck  v.   H.   Itzkuwski,   1902,  8"  (14-xxxiv  pp. 

Kniep  (Arthur).   Der  YangTzi-Kiang  als  Weg  zvvischen  dem  vvestliclien  und  ostlichen  Cliina. 
Eine  liydrographisch-verkehrgeographische  Studie. 
rr  Leipzig,  Wilhelm  Engelmann,   1904,  cS'  (2  ce.  34  pp.  5  tav. 

Knothe  ((Gerhard).   L'ntersuchuiigen  iiber  den  Wortschatz  von   Reinaert  I  u.   II. 
=  Strassburg  i.  E.,  Druck  v.   M.  Du-Mont  Schauberg,  1907,  8°  (xii-92  pp. 

Kòstek  (August).  Die  Aegyptische    Pflanzensaule    der    Spatzeit    (Vom  Ausgange    tles  neuen 
Reiches  bis  zur  rOmischen  Kaiserzeit). 
=:  Paris,  librairie  Émile  Bouillon.  éditeur,   1903,  4"  (36  pp. 

Kkamek  (Jacob).  Das  Problem  des  Wunders  im  Zusammenhang  mit  dem  der  Pnnidenz  bei 
den  judisclien  Religionsphilosophen  des  Mittelalters  von  Saadia  bis  Maimiìni. 
=  Strassburg  i.  E.,  Josef  Singer  Buch.,  1903,  8«  (108  pp.   i  e. 

Kkeviek  (Emil).  Ueber  das  rhetorische  System  des  Dionys  von   Halikarnass. 

=.  Strassburg,  Druck  von  M.   Du-Mont  Schauberg,  1907,  8°  (56  pp.  3  csn. 

Kkessi.ek  (Oskar).  Stimmen  indisclier  Lebensklugheit.  Die  unter  Canakya's  Namen  gehende 
.Spruchsammlung  in  mehreren  Recensionen  untersucht  und  nach  einer  Recension 
ubersetzt. 

=  Frankfurt  a.   M  ,   Druckerei  August  Osterrieth,  1904,  8"  (196  pp. 

Kron  (Joseph).  P"rauenlobs  (jelehrsamkeit.   Beitràge  zu  seinem  Verstàndnis. 

=:  Strassburg  i.  E.,  Druck  von   M.  Du  Mont  Schauberg,   [906,  8"  (68  pp. 

Kltter  (Paul).  Joachim  von  Sandrart.  Eine  kunsthistorische  Studie. 
==  Strassburg,  J.  H.  Ed.   Heitz,   1907,  8'^  (3  csn.  74  pp. 

Lange  (Heinrich).  Das  Zeitwort  in  den  beiden    Handschriften  von  Lazamon's  Brut. 
=:  Strassburg  i.  E.,  Elsass-Lothringische  Druckerei,  1906,  S"  (5  csn.   130  pp. 

Laqukur  (Ricardus).  (Juaestiones  epigraphicae  et  papyrologicae  selectae. 

=  Argentorati,  typis  expr.   M.  Du  Mont  Schauberg,   1904,  8°  (viii-iio  pp. 

Le  Compte  (Irville  Charles).  The  sources  of  the  Anglofrench  Commentary  on   the  Proverbs 
of  Solomon  contained  in  manuscript  24862  (fonds  frangais)  of  the  Bibliothèque  nationale 
of  Paris. 
n:  Collegeville,   Pa.,  1906,  Thompson   brothers,  8'^  (4  csn.  xx-66  pp.   t   tab. 

LiEBE  (Reinhard).  Fechners  Metaphysik. 

:=  (jreifswald,  Druck  v.  Julius  Abel,   1903,  8"  (3  ce.   90  pp. 

LiNCKENHELD  (Emil).  Der  Hexameter  bei  Klopstoek  und  Voss. 

=  Strassburg,  i.  E.,  Buehdr.  C.  et.  J.  Goeller,  1906,  8"  (i  e.   116  pp. 

Long  (Irwin  Hoeh  de).  Die  hebraische  Proposition  *]y3. 
=:  Leipzig,  Druck  von  W.  Drugulin,  1905,  80  (36  pp. 

LuTZ  (Paulus).  Quaestiones  criticae  in  Cieeronis  orationes  Philippicas. 
=:  Schlettstadt,  typis  expressit  Paulus  Rugraff,   1905,  8»  (84  pp. 

Marti.n  (Friedrich).  Die  produktiven  Abstraktsuftixe  des  Mittelenglischen. 

ZZI  Strassburg  i.  E.,    Druck  v.  M.   Du  Mont  Schauberg,  1906,  8"  (viii-80  pp. 

Mau  (Georg).  Die  Religionsphilosophie  Kaiser  Julians  in  seinen  Reden  auf  den  Konig  Helios 
und  die  CiOttermutter.  I.  Kapitel  :  Konig  Helios. 
z=  Leipzig,  Druck  won  B.  G.  Teubner,    1906,  8°  (2  csn.,  90  pp. 


XLVIII  DONI   OFFERTI 


Maurer  (Alfred).  Rùhl  ein  Elsasser  aus  der  Revolutionszeit, 

=r  Strassburg,  Univ.  Buchdr.  J.  H.  Ed.  Heitz,   1905,  8"  {iv-144  pp. 

Meyer  (Hermann).  Die  Begriffe  Form  und  Zahlh€\  Pestalozzi  im  Zusamnienhange  mit  seinen 
pàdagogischen  Ideen  und  in  ihrer  Beziehung  zu  Kant. 
=  Strassburg  i.  E.,  Buchdr.  C.  Miih  e  C,  1904,  8"  (64  pp. 

Meyer    (Rudolf  Adelbert).    Franzòsische    Lieder    aus    der   florentiner    Handschrit't    .Strozzi- 
Magliabecchiana  CI.  vn,  1040.  Teil  I. 
=:  Halle  a  S.,  Dfuck  v.  Ehrhardt  Karras,  1906,  8»  (viii-42  pp, 

MiRONOw  (Nicolaus).  Die  Dharmapariksa  des  Aniitagati.  Ein  Beitrag  zur  Literatur- und  Reli- 
gionsgeschichte  des  indischen  Mittelalters. 
=  Leipzig,  Drude  v.  G.  Kreysing,  1903,  8"  (2  ce.  58  pp. 

MiJM.ER  (Friedrich    Wilhelm).    Organisation    und   Geschaftsordnung  der  elsassischen    Land- 
standeversammlungen  und  ihr  Verhiiltniss  zu  Frankreich  nach  dem  westfalischen  Frieden, 
nebst  einem  Verzeichnis  der  Standetage, 
^  I  Strassburg,  1906],  8'  (viii-74  pp. 

Natiian  (Nathan   Max).  Ein  anonymes  Worterbuch  zur  Misna  nnd  Jad   Hahazaka. 
:^  Berlin,  Druck  v.  H.  Itzkovvski,   1905,  8"  (48  pp. 

NiESE  (Hans).  Prokurationen  und   Laiidvogteien.  Ein    Beitrag  zur   Gesciiichte  der  Reichsgli- 
terverwaltung  im  13.  Jahrhundert. 

=:  Innsbruck,  Verlag  der  Wagner'schen   Univ.   Buchdr..    1904,  8"  (70  pp. 

BopEscu  (Johann).   Die  l<2rzalilung  oder  das  Martyrium  des  Barl)aren  Christophorus  und  seiner 
Cienossen. 

zr  Leipzig,   Druck  v.  W.   Drugulin,   1903,  8"  (viii-58  pp. 

Radtke  (Robert).  Der  Artikel  bei  Wolfram  von  Eschenbach. 

=:  Strassburg  i.  E.,  Druck  der  «  Strassburger  Neuesten  Nachrichten  »,  1906,  80  (viii-84  pp. 

Raich  (Maria).  Fichte,  scine  Ethik  und  seine  Stellung  zum   Problem  des  Individualismus. 
=:  Tiìbingen,  1905,  Buchdr.  v.  H.  Laupp  jr.,  8"  (2  ce,  viii-196  pp. 

Reil  (Johannes).  Die  friihchristlichen  Darstellungen  der  Krenzigung  Christi. 
=  Leipzig,  Druck  v.  G.  Kreysing,   1904,  8"  (58  pp. 

Reis  (Petrus).  Studia  Tulliana  ad  oratoreni  ptrtinentia. 

r=  Argentorati,  apud  Carolum  L  Truebner,   1906,  8°  (62  pp. 

Reis  (Richard).  Die  Sprache  im  «  Libvre  du  bon  Jehan,  Due  de  Bretagne  »  des  Guillaume 
de  Saint-André. 
:=  Erlangen,  Buchdr.  v.  F.  Junge  &  Sohn,  1903,  8"  (56  pp. 

RiMSivV-KoRSAKOW  (Andreas).  Herbarts  Ontologie.  Eine  kritische  Darstellung. 
=  St-Petersburg,  Gedruckt  bei  C.   Birkenfeld.  1093,  8°  (76  pp.  3  csn. 

Sander  (Cari).  Die  Franzosen    und    ihre  Literatur  ini    Urteil    der    moralischen    Zeitschriften 
Steeles  und  Addisons. 

zz  .Strassburg  i.  E.,   Druck  v.   .^L   Du  Mont  .Schauberg,   1903,  8"  (3  csn.   160  pp. 

Schapiro  (Israel).  Die  haggadi.schen  Elemente  im  erzahlenden  Teil  des  Korans.  Teil  L 
=:  Berlin,  Drucke  von  H.  Itzkowski,   1907,  8"  (56  pp.  i  e. 

ScHii-LiNir  (Ludovicus).  Quacstiones  rhetoricae  selectae. 
^  Lipsia,  typis  B.  G.  Teubneri,   1903,  8". 

ScHiNDLiNG  (Bernhard).  Die  Murbacher  Glossen.  Ein  Beitrag  zur  altesten  Sprachgeschichte 
des  Oberrheins. 

■=.  Strassburg  i.   E.,   Buchdr.  C.   et  J.  Goeller,   1906,  8"'  (88  pp. 

SCHIRER  (G.   Ludwig).  Oton  de  Grausoii  und  seinc   Dichtungen. 

z=  Strassburg  i.  'E.,  Druck  von  M.   Du  Mont  Schauberg,  1904,  8"  (.\x1v-120  pp. 


DAL    26    APRILE    1904    AL    16    DfCEMBRE    I  go8  XÌAX 


ScHNEiDER  (Xicolaus).  Quaestioiies  Sophocleae. 

=  Argentorati,  typis  expressit  M.  Du  Mont  Schauberg,  1904,  8»  (46  pp. 

ScHòNEWOLF  (Otto).   Die  synibolische  Darstellung  der  Auferstehung    in    der  friihcliristliihen 
Kunst. 
=:  Leipzig.   Druck  v.  ().   Kreysing,   1907,  8"  (2  ex.  44  pp. 

ScHRADER  (F.  Ottu).   Leber  deii  .Slami  der   indischen   Philosophie    ziir    Zeit  Maliaviras    und 
Buddhas. 
zuz  Leipzig.   Druck  v.  G.   Kreysing.   1902,  8"  (x-70  pp. 

.SCHUKKI.VG  (Walther).   Das  Kalpa  Siìtra,  die  alte,.Sammliing  Jinistischer  .Monciisvorschriften. 
Tz:  Leipzig,   Druck  v.  G.   Kreysing,   1905,  8"  (72  pp. 

Scn\v.\KZ  (  Wilhelm  ).  .Studien  ùber  die  aus  dem   Lateinischen  entlehnten   Zeit\vi>rter  der  eiigli- 
schen  Sprache. 

=  Strassbnrg  i.   E.,   Huchdr    Hertzer,   Hubert  et  Fritsch.   1903,  4"  (viii-64  pp. 

Sii.BERMAN.N  (Samuel).   Das  Targuni  zu  Ezechiel  nach  einer  sudarabischen  Handschrift  heraus- 
gegeben,  mit  einer  Einleitung  und  Varianten  versehen. 

=z  Strassbnrg  i.   E.,   Drnck  v.   Dnigulin  in  Leipzig..  1902,  8"  (2  ce.  40  pp. 

Sr.vDLER  (Ernst).   Ueber  das  \'erh;iltnis  der  Handschrilten  D  und  G  von  Wolfranis  l'arzival. 
—  Strassbnrg  i.   E..   Buchdr    C.   Muh  et  Cie  ,   1906,  8"  (176  pp. 

Tarrai.  (Nikolausl.  Laut  und  Formenlehre  der  .Mundart  des  Kantons  Falkenberg  in  L(Jthr. 
=:  Strassbnrg,   Buchdr.   v.  J.  H.  Ed.   Heitz,   1903,  8"  (2  ce,  120  pp. 

Tkichmaxn  (Wilhelm).  Johannes  Zschorn  von  Westhofen.  Fin  Beitrag  zur  elsassischen  Lite- 
raturgeschichte  des  sechzehnten  Jahrhunderts. 

=  Strassbnrg,  Univ.   Buchdr.  v.  J.   H.   Ed.   Heitz,   1905,   8"  (114   PP-    i   tav.  4  csn. 

Walter  (Otto).  Uebereinstimmungen  in   Gedanken,    Vergleichen  und  Wt-ndungen  bei    den 
indischen  Kunstdichtern  von  \';dmTki  bis  auf  Màgha. 
zn  Leipzig,   Druck  v.  fi.    Kreysing,   1904,  8"  (44  pp. 

Wehring  (Georg).  Der  geschichtsphilosophische  Standpunkt  Schleiermachers,  zur  Zeit  seiner 
Freundschaft  mit  den  Romantikern. 
=  Strassbnrg  i.  E.,  Buchdr.  C.  Miih  et  Cie,  1907.  8°  (142  pp. 

Wkntzcke  (PauL.  Johann  Frischmann,  ein  Publizist  des   17.  Jahrhunderts. 

=  Strassburg,  Druck  von  M.  Du  Mont  Schauberg,  1904,  8»  (viii-162  pp.  3  csn. 

Wessung  (Aloysì.   Die  konfessionellen   Unruhen  in  der   Reichsstadt    .Aachen  zu  Beginn   des 
17.  Jahrhunderts  und  ihre  UnterdriJckung  durch  den  Kaiser  und  die  Spanier  im  Jahre  i6r_i. 
=  Strassburg,  M.  Du  Mont  .Schauberg,  1905,  8'^  fxii-ii6  pp. 

Westendorp  (Karl).   Die  Anfànge  der  franzòsisch-niederlandischen   Portraittafel. 

=  Kòln,   1906,  Druck  der  Kolner  Verlags-Anstalt  und   Druckerei  A.-G.,  8»  (80  pp. 

Wiii.iAMs  (John    David    Ellis),    Sir    William    Davenant's    relation    to    Shakespeare.  With   an 
.\nalysis  of  the  Chief  Characters  of  Davenant's  Plays. 
=  S.  f.,  [1908],  8"*  (4  csn.  120  pp. 

Yahuda  (A.  .S.).  Prolegomena  zu  einer  erstmaligen  Herausgabe  des  Kitiìb  al-hidàja  'ila  farà' 
id  al-qualùb  von  Bachja  ibn  Josef  ibn  Paqiìda  aus  dem'  Andalus  neb.st  einer  grosseren 
Textbeilage, 

=  Darmstadt.    1904,  C.   F.   Winter'sche   Buchdr.,  8"  (2  ce.  44-49  pp. 

Zei,le*r  (Georg).   KOnig  Konrad   1\'  in   Italien   1252-1254. 

z=  Bremen,    Druck  v.   H.  Seemann,   1907,   8°  (2  ce.   no  pp. 

Ziegler  (Oskar).   Die  Politik  .Strassburgs  wàhrend  des  bischotiichen  Krieges  (  1592-93^- 
:=  Leipzig-Reudnitz,  Druck  von  August  Hoffmann,   1906,  8°  (116  pp. 


DONI   OFFERTI 


Pubblicazioni  periodiche: 

La  Società    Alua  Fomi'kia.   Rivista  bimestrale  della  Società  di  studi  storici  ed  artistici  per  Alba 
e  territori  connessi  A.  I.,  n.  1-2. 
=:  Alba,   1908,  8». 

La  Direz.     Analkcta  Bollandiana,  XXIII-XXVII. 

=  Bruxelles,   1904-1908,  8".  ,1     ,, 

L'Univ.      Annales  de  Bretagne.  Revue    trimestrielle    publiée   par   la    faculté    des   lettres  de 
Renues,  T.  XVIII-XXIII. 
r=  Rennes,   1902- 1908,  8". 
La  Società     Annales  de  la  Société  d'études  provenc^ales,  A.  I.  n.  ,^-6;  II-I\',  \',  11.    1-3. 
:=  Aix-en-Provence,  1904-1908,  8". 

La  Società    Annales  de  la  Société  d'étnulation  et  d'agric.  (U    i'Ain. 

rz  Bourg,   1904-1907,  S°. 
L'Univ.       Annales  de  l'Université  de  Grenoble,  T.  XV,  n.  3;  XVI-XX,  n.   r-2. 
z=  Paris-Grenoble,   1903- 1908,  8". 

La  Società     Annales  des  Basses  Alpes.  Bulletin  de  la  Société  scientitique  et  littéraire  des  Basses 
Alpes,  n,  88107. 
=:  Digne,  impr.  Barbaroux,  Chapsol,  1903-1907,  8". 

L'Univ.      Annuaike  de  l'Université  calholique  de  Louvain,  1904-1906,  1908. 

m  Louvain,  1904-1908,  8". 
L'Univ.      Annuario  della  R.  Università  degli  studi,  1904  1905-1907-08. 

^=.  Torino,  1905-1908,  S°. 

11  Ministero    ANNUARIO  militare  del  Regno  d'Italia,  1905- 1907. 
:=  Roma,  tip.  Voghera,  1905-1907,  8". 

La  Dire/,.     Anzeiger  und  Mitteilungen  des  germanischen  Nationalmuseums. 
^  Niirnberg,  1904-1907,  8". 

La  Società    Archives  de  la  Société  d'histoire  dii  canton  de    Fribourg,  \'1II,  n.  2-3;  LX,  n.  i. 
=:  Fribourg,   1905-1908,  8". 

La  Società    ARCHIVIO  delia  R.  Società  romana  di  Storia  patria.  XX\'II  XXXI,  n.   1-2. 
:=  Roma,  nella  sede  della  Società,   1904- 1908,  8». 

La  Dcput.     Archivio  storico  italiano,  Ser.  V,  voi.  33-42. 
toscana  .  i  00  -f 

di  St.  Patria  =:  Firenze,   1904-1908,  8". 

La  Soc.st.     Archivio  storico  lombardo. 

=:  Milano,  1904  1908,   8'. 

Il  Uirettorc    ARCHIVIO  Storico  pei   la  città  e  coniimi  del  circtmdario  di   Lodi  diretto  da  Giovanni 
Agnelli,  XXin-XXVIL 
=  Lodi,   1904-190S,  8°. 

La  Società    ARCHIVIO  Storico  per  la  Sicilia  orientale.   l-\'. 
=:  Catania,   1904-1908,   8". 

La  Società     .\kchivio  storìco  per  le  Provincie   naiioletane,    pul)blicato  a   cura  della   Società  di 

di  St.  p.  e»     •         .  • 

Stona  patria. 

UT  Napoli,  1905- 1908,  8". 

La  Depili.     ARCHIVIO  Storico  per  le  provincie  parmensi.   \(.l.  S;   N.  S.,  voi.    1-8. 
m  Parma,   1904-1908,  8". 

La  Società    ARCHIVIO .fitorico  sardo  edito  dalla  Società  storica  sarda.  1-1 V  1-2. 
=:  Cagliari,   1905- 1908,  8». 


DAL    26    APRILE    1904  AL    16    DICEMBRE    1 908  LI 


Archivio  storico  siciliano,    pubblicazione    periodica    della    Società   siciliana   perla    LaSocietìi 

»  edilnce 

Storia  patria. 

n:  Palermo,  1904-1907,  S».  . 

Archivio  (Nuovo)   veneto,    pubblicazione    periodica    delia    R.  Deputazione   veneta    La  Oeput. 
sopra  gli  studi  di  Storia  patria. 
:=  \'enezia,  1904-1908,  S". 

Arte  e  Storia,  periodico  settimanale.  La  Direz. 

:=  Firenze,  1904-1908,  4". 

Ateneo  (L')  veneto,  rivista  bimestrale  di  scienze,  lettere  ed  arti.  La  Direz. 

=:  Venezia,   1904-1908,  S". 

Atti  del  Consiglio  provinciale  di  Torino,  1903-1907.  •     .        •  il  Consiglio 

=  Torino,  1904-1908,  8°.  ,  , 

Atti  del  Consorzio  di  bonificazione  dell'Agro   mantovano-reggiano  e  del  comitato    11  Consorzio 
esecutivo,  A.  1903. 
=r  Mantova,  1904,  8». 

Atti  dell'i,  r.  Accademia  degli  Agiati  di  Rovereto.  Serie  III,  voi.  10-141-2.  L'Accad. 

r=  Rovereto,  1904-1908,  S". 

Atti  della  R.  Accademia  dei  Lincei.    Rendiconto  dell'adunanza  solenne  1904-1908.      L'Accad. 
Memorie  d.  ci.  di  scienze  morali,  serie  V,  voi.  8-11.  Notizie  d.  .Scavi,   I-V. 
:=  Roma,   1904- 1908,  4". 

Aiti  della  R.  Accademia  delle  Scienze  di  Torino.  Voi.  40-43.  L'Accad. 

=:  Torino,   1905-1908,  8'^. 

Atti  della  R.  Accademia  Lucchese  di  Scienze,  lettere  ed  arti.  \'ol.  XXXI. 
=1  Lucca,  1902,  8». 

Atti  della  R.  Università  di  Genova.  Voi.  XVIII.  ,        ,  L'Unìv. 

zr  Genova,  1894,  8*^. 

Atti  della  Società  di  Archeologia  e  belle  arti  perla  prov.  di  Torino.  \'ol.7",fasc.  5°-6°.     La  Società 
=z  Torino,  1905-1908,  8". 

Atti  della  Società  economica  di  Chiavari.  '  La  Società 

:=  Chiavari,   1904-190S,  8". 

Atti  della  Società  ligure  di  Storia  patria,  XXXIV-XXXVII.       '  •  :  La  Società 

=1  Genova,   1904-1907,' 8».  ■ 

Atti  e  memorie  della  Deputazione  ferrare.se  di  .Storia  patria.  Voi.  14-19'.  La  Depui. 

ZZI  Ferrara,   1903-1908,  8». 

Atti  e  Memorie  della  R.  Deputazione  di  ."~-toria  patria  per  le  province  delle  .Marche,     '-a  Deput . 
N.  S.,  I-IV. 
=:  Ancona,   1904-1907,  8". 

Atti  e  Memorie  della  R.  Deputazione  di  .Storia  patria  per  le   provincie  modenesi.     La  Deput. 
Serie  V,  voi.  3-5  ;  VI,  v.  i. 
zz  Modena,  1904-1908,  8".    ^  v  /  / 

Atti  e  Memorie  della  R.  Deputazione  di  .Storia  patria  per  le  provincie  di  Romagna.     La  Deput. 
Serie  III,  22-26  1-3. 

z^  Bologna,  1904-  1908,  8". 

Atti  parlamentari  della  Camera  dei  Senatori.  Discu.ssioni.  i'  Senato 

=:  Roma,  Forzani  e  C,  1904-1908,  8". 

Beitrage    zur    Erforschun^    steirischer    Geschichtc     Herausg.     vom    historischen     La  Società 
V^ereine  fiir  .Steiermark,  34-35  Jahrg. 
=:  Graz,  1905-1906,  8". 


LII  DONI   OFFERTI 


La  Società     [BIBLIOTECA  della  Società  storica  subalpina.  Voi.  13-18,  19',  20.  21,  24,  25.  27-29. 
rr:  Pinerolo,    1902-1905,  8". 

i.a  p,ii.]iot.     HiBiJOTECA  nazionale  centrale    di    Firenze.    Bollettino    delle    pubblicazioni    italiane 
ricevute  per  diritto  di  stampa, 
rr  Firenze.   1904-190S,  S". 

La  Società     BoLETiN  de  la  R.  .Sociedad  geografica  de  Madrid. 
.     ',  =z  Madrid,   1904-190S,  8". 

La  Bibliot.    Bollettino  della  civica  Biblioteca  di  Bergamo.  A.  I-II   1-3. 
=r  Bergamo,  1907- 1908,   8". 

La  Società     Rf)LLETTrNo  della  Società  africana  d'Italia. 
^  Napoli,  1904- 1908,  8". 

La  Società    BOLLETTINO  della  .Società  geografica  italiana. 
=:  Roma,   1904   1908,  8". 

La  Depiit.      iioij.KTTiNo  della  R.   Deputazione  di  .Storia  patria  per  l'Umbria,  X-XIV  i. 
=  Perugia,  1904-1908,  8°. 

La  Società    BoLLpniTNO  della    .Società  storica  tortonese. 
=  Tortona,  1904-1908,  8". 

Ministero     BOLLETTINO  del  .Ministero  degli  affari  esteri,  1904-1908. 
:zz  Roma,   1904-1908,  8». 

La  Società     Bollettino  men.suale  pubbl.  per  cura  del  Comitato  direttivo  della  Società  meteoro- 
logica italiana. 

:=.  Torino,   1 904-1 908. 

La  uiiez.      BOLLETTINO  storico  della  Svizzera  italiana. 
=  Bellinzona,  1 904-1908,  8". 

La  Direz.     BOLLETTINO  .Storico  per  la  provincia  di  Novara, 
m  Novara,  1907- 1908. 

L'Accad.     BuLLETiN  de  l'Académie  delphinale,  XX'II-XX. 
=  Grenoble,  1904-1907,  8". 

LaComniis.    Bui.LHTiN  de  la  Commission  royale  d'iiistoire,  T.   I.XXIII-LXXVI. 
:=  Brn.xelles.   1904-1907,  8". 

La  Società    Bl'lletin  de  la  Société  des  sciences,  lettres  et  arts  de  Pan.   11  serie,  t.  ,^2-34. 
:zi  Pau,   1904- 1906,  8». 

LaSocieht     BiM.LKTiN  de  la  Société  d'études  des  Hautes  Alpes. 

::::  (iap,  an  secrétariat  de  la  Société,   1904-1908,  8". 

La  Società    BuLLETiN  de  la  .Société  d'histoire  et  d'archeologie  de  Genève,  11  9;   HI  1-3. 
=:  Genève,  1904-1908.  8". 

La  Società    Blllktin  de  la  Société  d'histoire  Vaudoise,  n.  20-22,  25. 
rr  Torre  Pellice,  1 903-1908,  8". 

L  isiitiito      Bii.i.HTiN  de  rinstitut  national  genevois.  XX.\Vl-XXX\'ll. 
:::::  Genève,   1905-1907,  8">. 

L'Ai. ad.     Bui.letin  intemational  de  l'Académie  des  sciences  de  Cracovie. 
=r  Cracovie,   1904- 1908,  8". 

L'istiiuKi      Hi  I. lettino  dell'Istituto  storico  italiano,  25-29. 
:ir   Roma,   1904-1908,  8". 

la  i):i.-7      lUi.LETTiNo,  storico  pistoiese.  \I-X. 
:=z  Pistoia,   1904-1908,  8*'. 


DAL    2Ò   APRILE    1904   AL    16    DICEMBRE    1908  LITI 


Calendario  del  Santuario  pontificio  di  Pompei  pel  1905-1908.  L'editore 

=z  Valle  di  Pompei.   1905-1908,  32». 
Carin'thia  I.  Mittheilungen  des  Geschichtsvereines  fin  Karnten,  Jahrg.  94-97-  La  Società 

=  Klagenfurt,  1904- 1907,  8". 
Cassa  di  risparmio  di  Torino.  Resoconto  dell'a.  i904[-i907l.  .  La  Direz. 

zr  Torino,   1905-1908,  4". 

Civiltà  (La)  cattolica.  La  Direz. 

=1  Roma,  1904-190S.  8". 
Collectanea  Friburgensia  commentationes  Academicae   Universitatis  Friburgensis       L'Univ. 
Helvetiorum.  Fase.  2-9,  12-16. 

=  Friburgi  Helv.,   1893-1905. 

Commentari  dell'Ateneo  di  Brescia  per  l'anno  i904('-i907l.  L'Ateneo 

zr  Brescia,  1904-1907,  8". 
Corriere  (II)  israelitico,   periodico   mensile  per   la  storia,  lo  spirito  e  il   progresso     La  Direz. 
del  giudaismo. 
z=.  Trieste,  1904- 1906,  8". 
Documenti  per  servire  alla  storia  di  Sicilia,  pubblicati  a  cura  della  Società  siciliana     La  Società 
per  la  Storia  patria. 
:=  Palermo,  1904-1907,  8". 

Giornale  araldico-genealogico-diplomatico,  XXIX,  1-5.  La  Direz. 

=:  Bari,   1905.  8». 

HisTORisCHE  Monatsblàtter  tur  die  Provinz  Posen.  .  ^^  ^'^*^-  ^^ 

zz:  Posen,   1904-1907,  8'^. 

Jahrbuch  fiir  Schweizerische  Geschichte  .Herausgegeben  auf  Veranstaltung  der  allge-     La  Società 
meinen  geschichtforschenden  Gesellschaft  der  Schvveiz,  29-33. 

^  Zurich,  1904-1908,  8".  ^ 

Jahresbericht  der  histor.-antiquar.  Gesellschaft  von  Graubiìnden.  XXXI1-XXX\"II.     La  Società 

=:  Chur,   1904-1908,  8». 

Jahresbericht  des  Karntnerischen  Geschichtsvereines  in  Klagenfurt.   1903-1906.         La  Società 
^  Klagenfurt,  1904-1907,  8''. 

Index  lectionum  quae  in  Uniyersitate  Friburgensi  habenlur.  L'L'niv. 

:zi  Friburgi  Helvetiorum,  1890-92.  4". 

Madonna  Verona.  A.  I-II,  1-3.  La  Direz. 

z=  Verona,  1907-1908,  8°. 

MÉmoires  de  l'Académie  des  sciences,  belles  lettres  et  arts  de  Savoie,  X.  L'Accad. 

z=  Chambéry,  1903,  8». 

.MÉmoires  de  la  Société  d'émulation  du  Doubs.  Serie  VII,  voi.  7-10;  VIII,  voi.  t.     La  Società 
Table  génér.  1841-1905. 

^  Besan^on,   1903- 1907,  8". 

MÉmoires  et    documents    publiés    par    l'Académie    Chablaisieiine    foiidée  lo    7   de      L'Accad. 
cambre  1886.  Voi.  16-21. 

=:  Thonon,  impr.   .\.   Dubouloz,   1902-1907,  8". 

Mkmoirhs  et  docimients  publiés  par  l'Arad.  Salésieinie,  27-31,  L'Accad. 

zz  Annecy,   1904-1907,  8". 

MÉmoires  et  documents  publiés  par    la    .Société    d'histoire    de  la  Sui.sse   romaiule.     La  Società 
2  «le  serie,  t.  VI-VIl. 

zz:  Lausanne,   1906- 1907,  S". 


LIV  DONI  OFFERTI 


La  Società     Mkmoires  et  dooLiineiits  publiés  par  la  Société  d'histoire   et   d'archeologie  de  Ge- 
nève. Nouv.  serie:   Vili  2-3,    IX-XI  i;  111-4":   111. 
rr  Genève,  1904-190S,  S". 

La  Società     Mkmoires  et  documents  piil)liés  par  la  Société  savoisienne  d'histoire  et  d'arciièologie. 
Voi,  42-45. 

=r  Chambéry,   1903-1907,  8". 

L'Accad.      Memorie  della  R.  Accademia  delle  Scienze  di  Torino.  Serie  li,  54  5'S. 
zn  Torino,  1904-1908,  4». 

LaComniis.    MEMORIE  Storiche  della  città  e  dell'antico  ducato  della  Mirandola.  i)ul)l)].  per  cura 
della  Coinniissione  municipale  di  Storia  patria,   16-17. 
:=  Mirandola,   1905-1907,  8". 

La  Diiez.     MISCELLANEA  di  Storia  e  cultura  ecclesiastica,  3-5. 
33  Roma,   1904-1906,  8". 

La  Società     MONUMENTA  historica  Societatis  Jesu  a  patribus  ejusdem  Societatis  edita.  Fase.  1-179. 
=:  Madrid,  1S94-1908,  8». 

La  Uepiit.     MoNU.MENTi  istorici  pertinenti    alle    provincie   di  Romagna,  pubblicati  a  cura   della 
„,R.  Deputazione  storica  romagnola.  Serie  1,  t.  IH,  fase,  s"- 
=  Bologna,  1877,  4", 

La  nepiii.     Monumenti  storici  pubbl.  dalla    R.    Deputazione    veneta  di  Storia  patria.  .Serie  1, 
voi.  12-13  '<  II>  10-12  '. 
^  Venezia,  1905-1907,  8°. 

La  Dire/..      ^-  MusEO  industriale  italiano.  Annuario  1904-1905. 
=  Torino,  1905,  8°. 

La  Società     PERIODICO  della  Società  storica  per  la  provincia  cantica  diocesi  di  Como.  N.  60-70. 
:=  Como,   1904-190S,  8". 

La  nirez.      PoLVBiBLiON  Revue  bibliographitpic  universelle. 
n:  Paris,   1904-1908,  8'  . 

La  Società     P"^"  ToRiNO.   Pubblicazione  mensile  illustrala,   i-l\'. 
nz  Torino,  1905-1908,  4". 

La  Direz.      RASSEGNA  (La)  Nazionale. 

=:  Firenze,   1904-1908,  8». 

L'Ciiiv.       Recueil  ile  travaiix  i)iibliés  par  les  membres  (.\e^  conférences  d'iiistoire  et  de  phi- 
lologie.  Fase.   11-14,  17,18. 
=1  Louvain,   1903-1907,  4". 

L'AccacL      Recueil  des  Mémoires  et  documents  de  l'.^cadémie  de  la  Val  d'isère.  Meni.  NTII.; 
Doc.  Ili,  2-3. 

z:z  Moutiers,   1905 -1907,  8". 

L'Anad.      Rendiconti  e  memorie  della  R.Accad.  di  scienze,  lettere  ed  arti  dei  Zelanti  di  Acireale. 
=z  Acireale,  1905-1907,  8". 

L  ArcaiL      RENDICONTI  della  R.  Accademia    dei    Lincei.    Classe  di  scienze   morali,    storiche  e 
filologiche.  Serie  V,  voi.   13-17. 
=:  Roma,   1904-1908. 

La  nircz.     Revue  bénédictine. 

:zz  Abbaye  de  Maredsous,  1904-190S,  8". 

Ln  Direz.      Revue  des  questions  historiques. 
zn  Paris,   1904-1908,  8". 

La  Direz.      Rkvue  historique. 

=r  Paris,   1904-190S,  8^'. 


DOX[   OFFERTI    DAL    20    APRILE    1 904    AL    16    DICEMBRE    1 908  LV 


Revue  savoisienne,  publication  mensuelle  de  la  Société  florimontane.  La  Società 

=  Annecy,  1904- 1908,  S". 

Rivista  di  artiglieria  e  genio.  La  Direz. 

z=  Roma,  1904- 1908,  8". 

Rivista  Ligure  di  scienze,  lettere  ed  arti.  Organo  della  Società  di  letture  e  conver-     La  Società 
sazioni  scientifiche. 

zn  Genova,  1904-1908,  8'^. 

Rivista  marittima.  La  Direz. 

^=  Roma,  1904- 1907,  8". 

Rivista  storica  benedettina.  La  Direz. 

==  Roma,   1906 -1908,  8". 

Rivista  storica  italiana.  La  Direz. 

=r  Torino,   1904-1908,  8". 

Rosario  (Ilj  e  la  nuova  Pompei,    periodico  mensuale  benedetto  tre  volte  dal   papa     La  Direz. 
Leone  XIIL 

^  Valle  di  Pompei,   1904- 1908,  8". 
Senato  del  Regno.  Atti  interni.  Leg.  XXL  Sess.  II,  voi.  1-5.  Il  Senato 

=  Roma,  1904,  4". 

Skrifter  utgifna  af  umanistiska  X'etenskapssamfundet  i   L'psala.  \'I1I-1X.  La  Società 

rz  Upsala,  1902-1906,  8'. 

Società  storica  per  la  provincia  e  antica  diocesi  di  Como.  Raccolta  storica.  \'ol.  5".     La  Società 
=  Como,  1905,  8°. 

SociÉté  académique,  religieuse  et  scientifique  du  Duché  d'Aoste.  Bulletin.  n.  18-19.        La  Società 
:=  Aoste,   1901-1905,  8^. 

Studi  e  documenti  di  storia  e  diritto.    Pubblicazione    periodica    dell'Accademia  di      LAccad. 
conferenze  storico-giuridiche, 
zrr  Roma,  tipogr.  Vaticana,    1904,  8". 

Studi  e  testi.  N.  13-15,  17,  19.  La  Direz. 

z=  Roma,  tip.  Vaticana,  1904- 1908,  8". 

-Studi  sassaresi  pubblicati  per  cura  di  alcuni  professori  della  Università  di  Sas.sari.     La  Direz. 
::i3  Sassari,   1904-1905,  8^. 

Ville  de  Genève.  Bibliothèque  publique.  Compie  rendu,  1903-1904.  La 

r^       •  o,  "  Biblioteca 

zz  Genève,  1904-1905,  S'\ 

Wirtembergisches  Urkundenbuch.    Herausgegeben    von    dem   k.    .Staatsarchiv    in     L'Archivio 
Stuttgart.  IX. 

=:  Stuttgart,   1907,  4». 

Zkitschrift  des  historischen  Gesellschaft  tur  die  Provinz  Posen.    XIX-XXII.  La  Società 

:=  Posen,  1904-1907,  8". 

Zeitschrift  der  historischen  Vereines  fiìr  Steiermark.  IV-V.  La  Società 

;i=  Graz,   1906- 1907,  8". 


LUIGI  DALMASSO 


I    PIEMONTESI 


ALLA 


GUERRA  DI  CANDIA 

(1644- 1669) 


1   —  Mise,  S.  IH,    I.  XIII. 


T'  V    V    V   V    /  V  V  V  V  \'  •/     .'    .'  V  V  V  V  \-    /   V 


PREFAZIONE 


Gli  eroi  delle  Crociate  trovavano  nel  cinquecento  un  valente 
araldo,  e  le  lor  gesta  gloriose,  rievocate  con  tanto  sentimento  dal- 
l'infelice amante  di  Eleonora  Farnese,  ridestavano  nei  guerrieri  cri- 
stiani un  nuovo  e  grande  desiderio  di  opporsi  alla  forza  turca.  Ma  i 
tempi  erano  cambiati  :  le  orribili  profezie,  sorte  sulla  fine  del  primo 
millennio  dell'era  volgare,  avevano  potuto  affratellare  i  popoli  del- 
l'Europa occidentale  in  un  misticismo  intenso,  che  per  due  secoli 
consecutivi  li  traeva  in  numero  immenso  sull'arido  suolo  della  Pale- 
stina coll'unico  proposito  di  liberare  dal  dominio  turco  il  sepolcro  di 
Cristo  ;  nel  cinquecento  invece,  e  peggio  ancora  nel  seicento,  le  pas- 
sioni umane,  fatte  più  ardenti  dopo  le  vane  apprensioni  del  mille, 
avevano  resi  tali  popoli  più  che  mai  ostili  gli  uni  agli  altri,  di  modo 
che  solo  un  grave  e  generale  pericolo  poteva  spingerli  ad  una  co- 
mune azione  contro  i  Turchi,  come  avvenne  a  Lepanto  e  sul  Raab. 
Invano  la  Repubblica  Veneta  cercava  di  unirli  a  sé,  allorquando  i 
Turchi  piombavano  sul  suo  bel  regno  di  Candia,  invano  chiamava 
quest'  isola  l'antemurale  della  cristianità,  invano  proclamava  che  i 
Turchi,  fatti  padroni  di  essa,  avrebbero  avuto  un  buon  punto  d'ap- 
poggio per  depredare  più  comodamente  le  coste  Europee  e  per  fare 
nuovi  acquisti:  essi  non  si  mossero,  giacché  troppo  vivo  era  l'astio 
che  portavano  all'  antica  Republica  e  per  il  suo  splendore  e  per  la 
sua  politica  astuta  ed  egoistica;  si  limitarono  a  mandare  in  Oriente 
qualche  migliaio  di  mercenari  ed  alcune  galere,  a  cui  pare  quasi  che 
fosse  stato  impartito  l'ordine  di  restare  inoperose.  Solo  poche  volte 
la  ragione  di  Stato  permise  a  guerrieri  arditi  di  volare  in  soccorso 
di  Candia,  e  non  è  a  dire  che  costoro,  spinti  dall'entusiasmo  che 
aveva  suscitato  l'autore  della  Gerusalejìime  liberata,  compissero  atti 
degni  di  encomio;  ma  il  loro  eccessivo  ardore,  la  loro  impazienza  e 
l'inconsideratezza,    con    cui    affrontarono   i  più    gravi   cimenti,    fece  sì 


LUIGI    DALMASSO 


che  la  lor  opera  riuscisse  il  più  delle  volte  infruttuosa.  Resero  ser- 
vigi di  vera  e  grande  importanza  i  soldati  piemontesi  ;  ed  il  trat- 
tare di  questi  servigi,  oltre  esser  utile  per  se  stesso,  riesce  utilissimo 
per  la  spiegazione  che  si  potrà  dare  dei  fatti  che  ad  essi  si  connet- 
tono, di  quelli  specialmente  che  riguardano  le  relazioni  diplomatiche 
tra  la  Republica  Veneta  e  Carlo  Emanuele  II.  Quindi  io  sono  gra- 
tissimo  all'illustre  ed  amato  mio  professore  Cav.  Uff.  Camillo  Man- 
froni,  d'avermi  consigliato  simile  lavoro  col  nobile  e  generoso  intento 
di  vedere  i  suoi  allievi,  che  con  solerzia  e  sapienza  istruisce,  avviarsi 
alla  ricerca  del  vero.  Rendo  eziandio  i  debiti  e  sentiti  ringraziamenti 
agli  egregi  Impiegati  agli  Archivi  di  Torino,  che  hanno  agevolato  il 
mio  compito  sottoponendo  con  affabilità  e  premura  alla  mia  visione 
tutti  i  documenti,  di  cui  ho  fatto  ricerca  e  su  cui  quasi  esclusiva- 
mente si  basa  la  mia  narrazione,  eccezione  fatta  per  i  due  primi  ca- 
pitoli, desunti  in  gran  parte  il  primo  dalla  Storia  della  Monarchia 
piemontese  di  Ercole  Ricotti,  ed  il  secondo  dalla  Storia  della  guerra 
di  Candia  di  Andrea  Valiero,  il  che  ho  voluto  senz'altro  dichiarare 
per  evitare  in  seguito  citazioni  troppo  frequenti. 


V  V  V  Vw  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  VN'  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  v'V'v  v'v^v'v^v^/^/v 


Capitolo   L 


Relazioni  politiche  tra  Venezia  ed  il  Piemonte  prima  della  guerra  di  Candia.  —  Aspirazione 
dei  Duchi  di  Savoia.  —  Vicende  e  condizioni  dell'uno  e  dell'altro  Stato. 

Antiche  e  cordiali  sono  le  prime  relazioni  politiche,  che  ci  è  dato  di 
trovare  nella  storia,  tra  Venezia  ed  il  Piemonte.  Nel  1381  Amedeo  VI  in- 
terviene nella  lotta  secolare  tra  Venezia  e  Genova,  propone  la  sua  media- 
zione, ed  ha  il  piacere  di  accordare  in  Torino  gli  ambasciatori  di  entrambe 
le  Republiche.  Nel  1426  poi  Amedeo  Vili  si  collega  coi  Veneziani  e  coi 
Fiorentini  per  porre  un  argine  alle  mire  ambiziose  di  Filippo  INIaria  Visconti, 
a  cui  strappa  Vercelli  col  suo  territorio. 

Più  tardi  scorgiamo  tra  i  due  Stati  qualche  malumore:  i  legati  veneziani 
Giustiniani  e  Foscarini  al  congresso  di  Mantova,  indetto  dal  papa  Pio  II  nel 
1464  per  esortare  i  principi  cristiani  alla  pace  ed  alla  concordia  nella  santa 
impresa  d'una  crociata  contro  i  Turchi,  trattano  male  i  legati  piemontesi, 
forse  per  l'intromissione  del  Piemonte  nelle  relazioni  diplomatiche  tra  Ve- 
nezia e  Borgogna,  e  così  il  Piemonte  non  vuol  saperne  della  crociata.  Nel 
1467  però  troviamo  ancora  i  due  Stati  uniti  in  alleanza,  e  l'anno  seguente 
vediamo  il  Senato  Veneto  dichiarare  formalmente  al  duca  Galeazzo  Maria 
Sforza,  pieno  di  mal  talento  contro  Savoia,  che  non  avrebbe  mai  sofferto 
che  il  suo  alleato  Amedeo  IX  patisse  ingiuria  da  potenza  italiana. 

A  guastare  del  tutto  i  buoni  rapporti,  tra  la  casa  di  vSavoia  ed  il  Senato 
Veneto,  stava  da  qualche  tempo  sul  tappeto  la  questione  dell'isola  di  Cipro. 
Quest'isola  era  stata  tolta  agli  Arabi  da  Riccardo  Cuor  di  Peone,  il  quale 
nel  1187  la  cedeva  a  Guido  di  Lusignano  in  cambio  del  titolo  dire  di  Geru- 
salemme, a  cui  Guido  di  Lusignano  aveva  diritto  per  le  sue  nozze  con  vSi- 
billa,  vedova  del  Marchese  di  Monferrato  e  figlia  di  Amaury,  fratello  e 
successore  di  Baldovino  III.  Guido  di  Lusignano  reggeva  l'isola  fino  al  1194, 
ed  i  suoi  discendenti  si  succedevano  senza  interruzione  nel  governo  dell'isola 
fino  a  Carlotta,  la  quale  nel  1459  sposava  Luigi  di  Savoia,  fratello  di 
Amedeo  IX,  chiamandolo  a  cingere  la  corona  di  Cipro.  AÌa,  sfortunato  al 
pari  d'un  altro  principe  di  Savoia,  che  tanto  tempo  dopo  ebbe  a  sentire  le  ama- 
rezze che  apporta  l'impero  di  paesi  stranieri,  Luigi  di  vSavoia  non  riteneva  a 
lungo  tale  corona,  A  contrastargli  il  trono  era  sorto,  sostenuto  dalla  Rcpublica 
Veneta,  il  bastardo  Iacopo  di  Lusignano,  che  l'assediava  per  quattro  anni 
nella  piazza  di  Cerines  e  lo  costringeva  nel  1462  a  ritornarsene  in   Piemonte. 


LUIGI   DALMASS(Ì 


Vane  riuscirono  le  proteste  deg-li  ambasciatori  sabaudi  a  Venezia  per 
l'appoggio  accordato  dalla  Rcpublica  a  Iacopo  di  Lusignano:  morto  costui 
nel  1473,  il  .Senato  Veneto  prendeva  a  proteggerne  la  moglie,  schermendosi 
dal  rispondere  agli  ambasciatori  sabaudi,  che  gli  esponevano  i  diritti  di 
Luigi  di  Savoia.  Frattanto  circondava  la  sua  protetta,  che  al  tempo  delle 
nozze  aveva  adottata  come  figlia  diletta  di  S.  Marco,  di  tali  e  tante  astuzie, 
larvate  dalla  più  fine  ostentazione  di  riverenza,  da  indurla  nel  1489  a  rinun- 
ziare al  trono  in  favore  della  Rcpublica,  accontentandosi  per  ventun  anno 
d'una  corte  ben  più  umile  entro  un  castello  di  Asolo  presso  Treviso.  La 
Rcpublica  di  Venezia,  allora  all'  apogeo  della  sua  potenza,  non  ostante  la 
perdita  di  Negroponte,  Scutari  ed  altri  possessi,  carpiti  dai  Turchi,  non 
frappose  indugio  a  raccogliere  il  frutto  delle  sue  arti  astute,  senza  che  il  duca 
di  Savoia  Carlo  I,  a  cui  pure  era  stato  ceduto  il  Regno  da  Carlotta  nel  1487, 
certamente  con  maggior  competenza,  che  ella  sola  legalmente  ne  poteva 
disporre,  potesse  impedirglielo,  mancando  di  forze  navali  sufficienti. 

Le  relazioni  tra  Venezia  ed  il  Piemonte  divenivano  quindi  molto  aspre, 
e  la  Rcpublica  non  dubitava  di  promuovere  il  saccheggio  di  varie  terre 
piemontesi  all'epoca  della  discesa  di  Carlo  Vili  in  Italia,  respingeva  l'offerta 
di  alleanza  fattale  da  Filippo  II  Senza  Terra,  e,  durante  il  governo  di  Fili- 
berto II,  ritirava  i  suoi  rappresentanti  dalla  Corte  sabauda.  Carlo  III,  che 
nel  1530  all'incoronazione  di  Bologna  aveva  il  vanto  di  primeggiare  tra  i 
servili  cortigiani  dell'Imperatore,  le  faceva  chiedere  dai  suoi  ambasciatori 
la  restituzione  di  Cipro  od  un  compenso,  muovendo  nello  stesso  tempo 
grandi  rimostranze  a  Carlo  V  per  l'illecita  occupazione  della  Rcpublica.  Ma 
(lucsta  si  rideva  della  sua  richiesta  e  delle  sue  rimostranze,  e  Carlo  III,  la  cui 
ambizione  era  tanta  da  far  seguire  il  suo  nome  da  ben  ventun  epiteto,  ultimo  dei 
(juali  era  quello  di  «  Re  di  Cipro  >,  vuoto  di  senso  e  di  sostanza,  finiva  mise- 
ramente i  suoi  giorni  nell'unica  possessione  che  gli  era  rimasta,  quella  di  Ver- 
celli, la  quale  non  doveva  tardare  a  divenire  alla  sua  volta  appena  nominale. 

A  ristorare  le  sorti  della  casa  di  Savoia  sorgeva  Emanuele  Filiberto,  uomo 
assennato  e  valoroso.  A  S.  Quintino  egli  acquistava  il  diritto  alla  restitu- 
zione dei  domin?  aviti,  e,  convinto  che  la  salvezza  di  questi  domini  dipen- 
desse da  una  l)uona  intesa  colla  Republica  Veneta,  offriva  ad  essa  perenne- 
mente i  suoi  servigi,  si  mostrava  in  ogni  occasione  a  lei  ossequente,  e  se  la 
rendeva  veramente  obligata  a  I>epanto,  dove  inviava  le  sue  galere  «  le  mi- 
gliori di  Ponente»  (i).  Frutto  della  sua  condotta  verso  Venezia  erano  i  titoli 
di  ;  Altezza  »  e  di  «Serenissima»,  accordatigli  dalla  Republica,  che  a  tutti 
gli  altri  Principi  italiani  dava  il  titolo  di  «  Eccellenza  »,  non  che  l'iscrizione 
sua  nel  libro  d'oro  della  nobiltà  veneta. 

Ma  tutto  questo,  se  poteva  soddisfare  il  forte  animo  di  Emanuele  Fili- 
berto, intento  a  trar  gloria  non  da  effimere  pompe,  ma  da  opere  virili  e  da 
un  saggio  e  provvido  governo,  non  appagava  punto  i  suoi  successori,  in 
cui  tutta  riviveva  l'ambizione  di  Carlo  III,  acuita  dall'invidia  che  Pio  V 
aveva    acceso    nell'  animo    dei    Principi    italiani,  concedendo    a   Cosimo    dei 


(i)  Skgrk  Artur»,  lììitaviiclc  Filiberto  e  la  Rt'pithlica  di   ì'furzin,  X'isentini,  T901  {Miscel- 
lanea di  Storia   Veneta y  serie  2'',  toni.  \'1I. 


I  PIEMONTESI   ALLA   GUERRA    DI   CANDIA 


Medici  i  titoli  di  «  Granduca,  Altezza  e  Serenissimo  ».  Essi  volevano  ad  ogni 
costo  il  titolo  di  «  Re  >  ed  il  trattamento  regio  per  i  loro  ambasciatori 
presso  tutte  le  Corti,  e  per  ottenerlo  ricorrevano  alle  millantate  pretese  su 
Cipro,  caduta  fin  dal  1572  in  mano  del  Gran  Sultano,  il  quale,  modestis- 
simo riguardo  ai  titoli,  non  era  per  far  gran  caso  se  qualche  Principe  ita- 
liano soddisfaceva  la  sua  vanità  nominandosi  re  dell'una  o  dell'altra  terra, 
che  egli  pacificamente  sfruttava. 

Carlo  Emanuele  I,  duca  battagliero  ed  ardimentoso,  cercava  dapprima 
di  meritarselo  il  titolo  di  «  Re  >.  Per  mezzo  del  rodiano  Francesco  Accida 
e  del  cavaliere  gerosolomitano  Imberto  della  Manta  suscitava  fra  i  35  mila 
Cristiani  di  Cipro  il  desiderio  di  scacciare  i  Turchi  e  di  riconoscere  lui  per 
proprio  re.  E  le  sue  mire  non  si  soffermavano  qui:  Giovanni  Renesis,  capi- 
tano albanese,  promuoveva  a  suo  vantaggio  la  rivoluzione  in  Albania  ed  in 
Macedonia,  e  lo  faceva  acclamare  re  da  molti  abitanti  di  quelle  provincie. 
Tutto  era  pronto  per  una  generale  sommossa;  ma,  perchè  essa  non  finisse 
miseramente  soffocata  nel  sangue,  che  il  Turco  è  solito  versare  a  rivi,  oc- 
correvano forze  potenti,  tanto  più  potenti  in  quanto  che  larghissimo  sarebbe 
stato  il  cerchio  delle  operazioni  militari.  Ed  ecco  il  nostro  Duca  rivol- 
gersi al  Re  di  Spagna  per  averlo  suo  parente  col  matrimonio  tra  ITntante  di 
Spagna  ed  il  principe  Vittorio  Amedeo,  non  che  suo  alleato  coU'offerta  lusin- 
ghiera dell'Egitto,  comoda  strada  per  arrivare  alle  Indie.  E  colla  coopera- 
zione della  vSpagna  egli  sognava  quella  della  Toscana  e  di  Venezia,  a  cui 
il  Papa  prometteva  qualche  compenso  nell'Arcipelago,  e  non  si  curava  di 
accertarsi  se  Venezia  fosse  per  tollerare  che  Cipro  passasse  nelle  sue  mani. 

Il  suo  inviato  particolare  Conte  di  Verrua  non  trovava  troppa  accondi- 
scendenza presso  il  freddo  Ministro  di  Filippo  III,  ed  allora  egli  si  congiun- 
geva con  Enrico  IV  ai  danni  della  Spagna,  ripromettendosi  aiuti  per  con- 
quistare la  Lombardia  ed  il  Genovesato  col  titolo  di  <-,  Re  ».  Chiunque  sof- 
fermi la  mente  sui  vasti  ideali  che  il  Duca  aveva  concepito  a  proposito  delle 
terre  cristiane  intolleranti  del  giogo  turco,  sarà  per  ammettere  che  non  si 
sarebbe  accontentato  dell'acquisto  della  Lombardia  e  del  Genovesato.  Il  padre 
Emanuele  Filiberto  aveva  tenuto  continuamente  gli  occhi  sulla  riviera  ligure, 
ed  aveva  avuto  vari  rapporti  cogli  abitanti  malcontenti  di  Genova  ;  ma, 
principe  calmo  e  positivo,  egli  mirava  unicamente  ad  aprire  la  strada  dal 
cuore  del  Piemonte  al  iVIediterranco  :  il  possesso  di  Savona  o  di  Finale  l'a- 
vrebbe sodisfatto,  e,  quando  il  Doria  gli  vendette  Oneglia,  si  mostrò  pago. 
L'ardente  suo  figlio  aveva  intenti  più  alti:  egli  voleva  Genova  addirittura 
e  non  Genova  per  sé  stessa,  ma  qual  principio  di  nuove  e  più  grandi  con- 
quiste. La  gloria  acquistata  da  questa  antica  Republica,  quale  potenza  na- 
vale, faceva  presumere  che  potesse  tuttodì  apprestare  una  flotta  formidabile, 
ed  il  vasto  agro  lombardo,  congiunto  alle  forti  balze  della  Savoia  e  del 
Piemonte,  non  avrebbe  lasciato  mancare  i  soldati  necessari  per  armare  tale 
flotta.  Con  essa  e  pochi  aiuti,  fornitigli  dal  Papa,  Carlo  Emanuele  I  avrebbe 
potuto  realizzare  il  suo  sogno  di  apparire  il  redentore  delle  terre  soggette 
al  Turco,  o,  per  lo  meno,  strappare  al  Turco  il  reame  di  Cipro,  siccome  s'era 
proposto  di  fare  due  anni  prima  Ferdinando  I,  Granduca  di  Toscana  (i). 


(i)  C.  Mankroni,  La  Marina  iVilit.  del  Gratiducato  Medìceo,  parte  II,  cap.  III.  Roma,  1S96. 


LUIGI   DALMASSO 


Enrico  IV  cadeva  sotto  il  pugnale  assassino,  e  così  svaniva  quest'altro 
sogno  di  Carlo  Emeinuele  I.  Di  esso  però  ebbero  sentore  i  Genovesi,  ai  quali 
poteva  forse  garbare  la  dipendenza  dalla  .Spagna,  non  già  quella  da  un  Prin- 
cipe, che,  per  essere  vicinissimo  a  loro,  avrebbe  esercitato  un'autorità  troppo 
viva.  Essi  quindi  mostrarono  un  vivo  risentimento,  e  coprirono  di  disprezzo 
il  Duca  di  Savoia  trascinandone  l'effigie  per  le  vie  della  città  in  burlesco 
trionfo. 

Carlo  Kmanuele  I  più  non  aveva  una  mota  sicura  a  cui  tendere:  ago- 
gnava di  estendere  i  suoi  domini,  e  due  volte  si  gettava  sulle  terre  dei 
Duchi  di  IMantova;  col  Maresciallo  di  I.esdiguieres  concertava  la  conquista 
del  Genovesato,  che  era  pronto  a  lasciare  in  mano  della  Francia,  se  questa 
in  seguito  l'avesse  aiuttito  ad  occupare  il  Milanese  ;  prendeva  parte  alla  guerra 
della  Valtellina  e,  durante  essa,  assaliva  (ìenova,  che  poscia  tentava  di  avere 
ricorrendo  ad  un'infame  congiura;  ed  in  tutte  queste  contingenze  avanzava 
con  vane  querimonie,  come  quella  del  2  febbraio  1628  rivolta  al  Conte 
d'Aglio  (i),  le  sue  pretese  al  titolo  di  <;  Ke  di  Cipro  >,  titolo  che  era  per 
acquistare  gloriosamente  colle  armi,  e  che  poscia  si  accontentava  di  avere 
solo  nominalmente,  il  cardinale  Richelieu,  volendolo  indurre  a  far  tregua 
coi  (xenovesi  ed  a  nominare  gli  arbitri  (^lie  jionessero  fine  alle  divergenze 
sorte  tra  lui  ed  i  (xenovesi,  per  accattivarsi  l'animo  suo  gli  offriva  nel  1626, 
per  bocca  del  signor  Di  Bullion,  l'esca  lusinghiera  di  questo  titolo;  ma  nel  1628 
lo  stesso  Cardinale  dichiarava  all'ambascnatort;  veneto  Zorzi  che  non  glielo 
avrebbe  mai  concesso. 

Il  pretenderlo  doveva  mettere  il  Duca  in  brutta  vista  presso  Venezia; 
ma  egli  non  si  curava  gran  che  della  sua  amicizia,  giacché,  quantunque  la 
magnificenza  dei  suoi  palazzi  e  lo  splendore  delle  sue  feste  la  ritenessero  in 
alto  nel  concetto  universale,  tuttavia  la  sua  potenza  aveva  incominciato  a 
dissolversi.  Non  l'invidia  degli  altri  Stati  italiani,  non  l'acredine  dei  Monarchi 
stranieri,  che  in  lei  vedevano  il  più  grande  ostacolo  al  loro  desiderio  di  ren- 
dere soggetta  la  penisola  italica,  avevano  originato  la  sua  dissoluzione,  bensì 
le  violenze  dei  Turchi,  coi  quali  essa,  che  doveva  avere  il  vanto  di  avve- 
duta, adottava  dapprima  una  politica  poco  assennata  stringendo  un  trattato 
di  pace  nel  1454  e  partecipando  nel  1459  al  congresso  di  Bologna,  in  modo 
da  giustificare  l'operato  del  'l'ureo,  che  ad  ogni  pie'  sospinto  le  rompe  guerra 
tenendo  in  non  cale  tutti  i  trattati  posteriori,  ed  ora  le  toglie  Negroponte  e 
Scutari,  ora  Lepanto,  Corone  e  Modone,  ora  Malvasia,  Napoli  di  Romania, 
Egina  e  Paro,  ora  Cipro,  senza  che  essa  ritragga  dal  mondo  cristiano  le 
forze  necessarie  per  rintuzzare  la  tracotanza  di  così  nefasto  nemico.  Fiera 
della  sua  ricchezza  e  consapevole  delle  virtù  dei  suoi  cittadini,  sempre  pronti 
a  sacrificare  la  lor  vita  sull'altare  della  patria,  non  mostrava  di  risentire  i 
danni  a  lei  causati  dai  Turchi,  e  trovava  in~  sé  stessa  tanta  forza  da  resistere 
•die  due  terribili  guerre,  di  cui  era  promotore  Giulio  li  (1508  e  15 13),  ai 
fulmini  che  contro  lei  scagliava  Paolo  V  (1606),  ed  alle  ostilità  che  l'Austria 
e  la  Spagna,  unite  assieme,  le  manifestavano  in  difesa  dcgU  Uscocchi  (1614-17). 


(i)  Clarktta,  S/oria  del  Rrgtio  di  Carlo  Emattuclc  li.   Genova,   1877-7S. 


I   PIEMONTESI   ALLA   GUERRA    DI    CANDIA 


]\Ia  un  grav^e  fatto  veniva  a  farne  comprendere  l'infermità  interna  :  un'abbo- 
minevole  congiura,  ordita  da  gente  straniera  ed  odiata,  come  erano  gli  Spa- 
gnuoli  in  Italia,  aveva  luogo  in  Venezia  (1618),  e  se  essa  non  poteva 
provare  la  debolezza  della  sua  organizzazione,  che  invero  il  governo  era 
pronto  a  soffocare  la  congiura,  provava  però  il  malcontento  dei  cittadini, 
chiaro  sintomo  questo  della  piega  cattiva  che  prendevano  i  pubblici  affari. 
Non  dobbiamo  quindi  stupirci  se  Carlo  Emanuele  I,  capo  d'un  forte  vStato, 
che  tale  l'aveva  reso  il  provvido  governo  del  padre,  ardimentoso  per  sé 
stesso  ed  abbastanza  iiccorto  per  essere  penetrato  della  incipiente  debolezza 
della  Republica,  tenesse  in  poco  conto  la  sua  amicizia,  se  nel  1607  la  sola  esi- 
guità del  compenso  lo  trattenesse  dall' unirsi  al  Fuentes  contro  A'enezia,  se 
nel  1613,  saputo  che  il  Senato  Veneto  aveva  sovvenuto  d'armi  e  di  danaro  il 
Duca  di  Mantova,  ne  licenziasse  ipso  facto  l'ambasciatore,  richiamandolo 
l'anno  seguente  a  mezzo  del  Pescina.  Il  Senato  Veneto,  in  grazia  forse  dei 
buoni  rapporti  avuti  col  padre,  gli  perdonava  questo  infido  e  baldanzoso 
procedere,  e  nel  1616  stanziava  una  forte  somma  per  aiutarlo  a  combattere 
la  Spagna;  nel  1624  accettava  il  progetto  da  lui  concertato  col  maresciallo 
Lesdiguieres  a  danno  dei  Genovesi,  sebbene  alieno  dal  veder  mutamenti 
nelle  cose  italiche,  e  lo  sovveniva  di  nuovo  danaro  nel  1629.  Ala  la  sua 
tolleranza  doveva  avere  un  limite:  nel  1630  Carlo  Emanuele  I  licenziava 
un'altra  volta  l'ambasciatore  Veneto,  e  da  questo  momento  i  Veneziani  non 
volevano  più  avere  alcun  rapporto  coi  Duchi  di  Savoia,  e,  costretti  poco 
tempo  dopo  dall'infausta  sorte  a  richiedere  assistenza  ed  aiuti  presso  tutte 
le  Corti,  si  mostravano  altezzosi  verso  i  Duchi  di  Savoia,  non  dando  ascolto 
alle  loro  proteste  di  stima  e  tenendo  in  non  cale  le  loro  offerte. 

Vittorio  Amedeo  I,  al  pari  del  padre,  aspirava  al  possesso  di  Genova, 
ed  al  titolo  di  <.  Re  >  ;  ma  non  aveva  l'ardimento  di  Carlo  Emanuele  I,  e  le 
forze  delle  terre  a  lui  soggette,  dilaniate  da  tante  guerre,  erano  molto  inde- 
bolite: di  conseguenza,  per  venire  a  capo  delle  sue  aspirazioni,  egli  doveva 
ricorrere  all'aiuto  di  qualche  potenza,  non  come  ugaiale  ed  alleato,  ma  quale 
misero  vassidlo  e  tributario.  Xel  1631,  in  un  trattato  segreto  colla  Francia, 
dietro  promessa  di  aiuto,  assicurava  la  cessione  di  Pinerolo  e  della  valle  Pe- 
rosa;  l'anno  seguente  egli  cedeva  queste  terre,  ma  invano  sollecitava  dai 
Francesi  l'adempimento  delle  loro  promesse.  Si  rivolgeva  ad  Urbano  Vili, 
e,  protestando  di  non  voler  rimanere  inferiore  ai  Principi  della  Chiesa,  da 
lui  onorati  col  titolo  superiore  di  «  Eminentissimi  ;>,  domandava  pel  fratello  car- 
dinale Maurizio  il  titolo  di  v-  Altezza  »  e  per  i  suoi  ambasciatori  la  sala  regia 
ed  il  titolo  di  <;:  Eccellenza  ».  E  mentre  infruttuose  riuscivano  le  sue  preghiere, 
le  sue  proteste  e  le  sue  suppliche,  Venezia  chiudeva  la  sua  corona  ducale  a 
mo'  di  corona  regia,  e  con  destrezza  otteneva  a  Roma  ed  a  Parigi  trat- 
tamento corrispondente  per  i  suoi  ambasciatori;  e,  quando,  per  incitamento 
del  Duca,  il  Re  di  Francia  spediva  a  Venezia  il  maresciallo  Di  Toiras  per 
indurla  ad  un  accomodamento  col  Piemonte,  si  chiudeva  in  uno  sdegnoso 
riserbo.  Vittorio  Amedeo  I  trasformava  alla  sua  volta  la  corona,  assumendo 
il  titolo  di  «  Re  di  Cipro  ;>  e  di  «  iVltezza  Reale  »,  ed  essa  gli  susci- 
tava contro  lo  scherno    di    tutta  l'Europa,  non  che  gli   amari  motteggi    del 

2  —  Mise,  s.  ni,  T.  xin. 


IO  LUIGI    DA  LAI  ASSO 


Richelieu,  che  asseriva  esser  giusto  che  il  Duca  ingrandisse  i  suoi  titoli, 
avendo  accresciuto  lo  Stato  di  Pinerolo. 

Nel  1635  pareva  che  si  dovesse  venire  ad  un  accomodamento:  nelle 
convenzioni  segrete  del  trattato  di  Rivoli  si  stabiliva  che,  fatta  la  conquista 
e  la  spartizione  del  Milanese,  il  Re  di  Francia  avrebbe  onorato  il  Duca  del 
titolo  regio  e  si  sarebbe  adoprato  perchè  il  Papa  e  gli  altri  Regnanti  faces- 
sero altrettanto;  mentre  il  Duca  gli  avrebbe  ceduto  il  titolo  e  le  ragioni 
sue  sopra  Cipro,  affinchè  le  rimettesse  alla  Rcpublica  di  Venezia,  e  avrebbe 
tolto  inoltre  dal  proprio  stemma  le  armi  di  Cipro  per  sostituirle  con  quelle 
di  Francia.  vSe  ciò  fosse  avvenuto,  sarebbe  caduta  una  delle  cause  che  fo- 
mentavano il  rancore  di  Venezia  contro  il  Piemonte,  e  forse  si  sarebbe 
eziandio  passato  sopra  édl'affronto  arrecato  da  Carlo  Emanuele  I  a  Venezia 
col  licenziarne  per  due  volte  l'ambasciatore.  Ma  le  armi  francesi  insieme  a 
quelle  del  Duca  di  Savoia  e  del  Duca  di  Parma,  fortemente  osteggiate  dal 
governatore  Peganes,  nulla  conquistavano,  e  Vittorio  Amedeo  perdeva  poco 
dopo  la  vita. 

Maria  Cristina  dei  I)orboni  ereditava  il  governo  e  con  esso  le  ostilità 
della  Spagna,  a  cui  si  univano  quelle  dei  cognati,  irritati  della  pieghevolezza 
di  Vittorio  Amedeo  I  verso  la  Francia  e  sopratutto  della  leggerezza,  con 
cui  egli  rinunziava  alla  città  di  Pinerolo  ed  alla  valle  della  Perosa.  La  fiera 
donna,  resasi  famosa  sotto  il  nome  di  «  Madama  Reale  »  e  per  la  sua  ori- 
gine regale  e  per  il  suo  ardente  desiderio  d'essere  trattata  regalmente,  non 
tardava  a  convincersi  che  nulla  doveva  attendere  dalla  Francia,  o,  per  meglio 
dire,  dal  Richelieu,  che  della  Francia  era  il  vero  padrone  e  che  del  Piemonte 
tentava  di  fare  una  provincia  soggetta,  poco  curandosi  della  parentela  che 
univa  il  suo  Re  ai  Duchi  di  Savoia.  Ella  aveva  dunque  appuntate  sul  petto 
le  armi  della  Spagna,  la  Francia  la  voleva  prostrata  ai  suoi  piedi,  parte  del 
Piemonte  si  disponeva  a  detronizzarla,  e  l'altra  parte,  dissanguata  dalle  guerre 
precedenti,  non  aveva  braccia  per  difenderla.  Si  vedeva  costretta  a  procac- 
ciarsi qualche  appoggio  in  Italia,  e  naturalmente  si  rivolgeva  a  Venezia  che,  non 
ostante  le  disavventure  di  cui  si  fece  menzione  innanzi  ed  i  danni  avuti  dalla 
guerra  della  Valtellina  (1624-26)  e  da  quella  per  la  successione  di  ]\rantova(i62  7), 
era  pur  sempre  lo  Stato  più  considerevole  di  tutta  l'Italia.  Il  18  marzo  1639, 
a  mezzo  dell'ambasciatore  francese  in  Venezia,  presentava  al  Doge  due  let- 
tere, la  prima  per  annunziare  la  morte  del  suo  primogenito  Francesco  Gia- 
cinto, la  seconda  per  esprimere  il  desiderio  suo  di  sovvenire  la  Republica 
colle  galere  piemontesi  in  caso  di  guerra  contro  il  Turco.  Ma  le  sue  lettere 
rimanevano  senza  risposta  forse,  siccome  ella  stessa  opinava,  per  opera  dei 
Francesi  interessati  a  vedere  la  discordia  fra  gli  IStati  italiani  ;  e  subito  dopo 
la  povera  Duchessa  doveva  pensare  a  conservare  lo  Stato  al  figlio  rimastogli, 
e  tutta  la  sua  energia  doveva  applicare  nel  resistere  alle  bramose  voglie 
tanto  dei  cognati,  sorretti  dalla  Spagna,  quanto  del  Richelieu,  suo  terribile 
protettore.  Per  conto  suo  Venezia  s'involgeva  nella  guerra  di  Castro,  che 
contribuiva  ad  indebolire  le  sue  forze. 


I   PIEMONTESI   ALLA    GUERRA    DI   CANDIA 


Capitolo   II, 


La  guerra  di  Candia  in  rapporto  dei  principali  avvenimenti  europei  nei  primi  quindici  anni. 

Maria  Cristina,  allorché  offriva  a  Venezia  le  galere  piemontesi  in  caso 
di  una  guerra  contro  il  Turco,  forse  non  pensava  che  questa  guerra  dovesse 
scoppiare  presto  ;  e,  osservando  la  tranquillità  con  cui  la  Republica  Veneta 
attendeva  ai  suoi  commerci,  senza  provvedere  alle  fortificazioni  delle  piazze 
orientali,  si  è  tratti  a  credere  che  neppur  essa  pensasse  di  essere  attaccata 
nuovamente  dai  Turchi.  La  verità  però  è  questa:  avendo  constatato  da  tempo 
e  con  dolore  che  il  commercio  aveva  preso  altre  vie,  e  più  non  era  per  lei 
quella  fonte  copiosissima  di  guadagno,  che  l'aveva  resa  splendida  fra  le  più 
splendide  città,  non  sapeva  risolversi  a  spendere.  D'altra  parte  essa  aveva 
adottato  col  Gran  Sultano  la  più  rigorosa  neutralità,  fino  ad  impedire  che  i 
legni  da  guerra  delle  potenze  occidentali  si  fermassero  nei  mari  che  bagna- 
vano le  sue  isole,  e  sperava  con  questo  sistema  di  vita  di  tenersi  amico  il 
Sultano.  Per  ultimo  le  continue  e  sanguinose  battaglie,  combattute  contro  i 
Persi,  ed  i  torbidi,  che  da  .Solimano  II  a  Alurad  IV  avevano  sconvolto  Costan- 
tinopoli, facevano  credere  che  i  Turchi  non  avrebbero  più  avuto  la  forza  per 
iniziare  un'altra  guerra  di  conquista  in  Europa.  Gli  eventi  pur  troppo  di- 
mostrarono il  contrario  :  per  molti  anni  ancora  essi  dovevano  riuscire  di  mi- 
naccia al  mondo  cristiano,  fino  a  che  sotto  le  mura  di  Vienna,  nel  17 17,  non 
recideva  loro  i  nervi  E-ugenio  di  Savoia,  prode  capitano,  glorioso  al  pari  di 
Carlo  Martello,  che  a  Poitiers  fermava  la  marcia  trionfale  degli  Arabi,  anzi 
più  glorioso  ancora,  giacché  i  Turchi  dovunque  riuscirono  a  mettere  il  piede 
sparsero  le  barbarie,  mentre  gli  Arabi  amarono  la  civiltà,  e  nella  parte  dell'Eu- 
ropa che  conquistarono,  fecero  fiorire  1'  agricoltura,  le  arti  e  le  scienze,  co- 
sicché doveva  riuscire  impresa  più  santa  e  bella  arrestare  l' invasione  dei 
primi  anziché  quella  degli  altri. 

Per  molti  anni  ancora  i  Turchi  dovevano  riuscire  di  minaccia  al  mondo 
cristiano;  esteso  il  loro  dominio  fino  alla  Georgia  ed  all'altipiano  iranico, 
essi  si  volsero  contro  l'Europa:  nel  1642  occuparono  Azof,  in  seguito  fecero 
segno  dei  loro  fieri  colpi  la  Republica  Veneta,  i  cui  possessi  erano  a  loro 
troppo  vicini  per  non  allettarne  la  cupidigia.  Colla  scusa  di  punire  l'offesa  dei 
Cavalieri  di  Alalta,  che  avevano  depredato  un  loro  vascello  e  si  erano  vantati 
d'aver  nelle  mani  un  figlio  del  sultano  Amurath,  essi  allestivano  una  forte  ar- 
mata, nell'aprile  del  1645  uscivano  dal  porto  di  Stamboul  e  si  avanzavano  verso 
Occidente;  ma,  arrivati  a  Xa varino,  piegavano  a  mezzogiorno  e  si  dirigevano 


12  LUIGI    DALMASSO 


verso  Candia,  facendo  conoscere  alle  nazioni  europee  che  anche  i  Veneti 
avevano  ferito  la  loro  suscettibilità  e  meritato  il  loro  castigo,  violando  le 
capitolazioni  e  precisamente  ospitando  in  Candia  i  Maltesi,  non  che  alcuni 
schiavi  turchi  e  respingendo  invece  una  galera  turchesca. 

La  Republica  Veneta  ne  era  sgomenta:  essa  aveva  finito  per  presen- 
tire il  pericolo  che  le  sovrastava,  però  il  timore  di  disgustare  i  Turchi  con 
qualche  armamento  le  aveva  impedito  di  preparare  una  valida  difesa,  e  le 
altre  nazioni  europee  non  pensavano  punto  a  venirle  in  aiuto.  Oltre  l'invidia, 
che  avevano  sempre  avuto  per  Venezia,  le  distoglieva  dal  preoccuparsi  di 
essa  il  loro  particolare  affanno.  Spagna,  Francia,  Olanda.  Svezia,  Germania 
e  Danimarca  erano  implicate  nella  guerra  dei  trent'anni,  che  già  aveva  in- 
debolite le  lor  forze,  e  faceva  loro  tendere  ansiosamente  gli  sguardi  verso 
Westftdia,  da  cui  tardava  ad  uscire  il  trattato  di  pace.  Vigeva  inoltre  la 
guerra  tra  la  .Spagna  ed  il  Portogallo,  tra  la  Svezia  e  la  Danimarca,  tra  il 
Papa  ed  il  Duca  di  l*arma.  La  guerra  civile  sconvolgeva  l'Inghilterra,  le 
fazioni  ]3olitiche  e  religiose  rendevano  inorme  la  Polonia  :  nella  Russia  an- 
dava prendendo  consi"«;tenza  il  predominio  dei  Romanofif,  ma  molto  tempo 
ancora  doveva  passare  prima  che  essi  potessero  avere  influenza  sugli  eventi 
europei. 

Chiamando  Candia  l'antemurale  della  Cristianità,  Venezia  reclamava 
presso  tutte  le  Corti  cristiane  aiuti  per  difendere  quest'isola,  ed  è  presto 
enumerato  (juello  che  otteneva.  Il  Papa  ed  il  Re  di  Francia  davano  un  po' 
di  danaro  ed,  insieme  alla  Spagna  ed  all'Impero,  permettevano  qualche  le- 
vata nei  loro  Stati;  il  Duca  di  Parma  regalava  due  mila  fanti;  il  Duca  di 
Modena  offriva  i  suoi  servigi;  la  Republica  di  Lucca  concedeva  la  levata 
di  mille  fanti;  Genova  invece  non  esitava  a  far  sentire  all'antica  rivale  il 
suo  rancore  proibendo  ai  suoi  cittadini  di  investire  denari  fuori  della 
città,  nonostante  che  Venezia  aprisse  depositi  assai  vantaggiosi.  11  jirincipe 
Ludovisio  radunava  sotto  lo  stendardo  della  Chiesa  le  navi  maltesi,  fioren- 
tine, napolitano  e  pontificie;  ma  il  suo  compito  si  riduceva  ad  una  passeg- 
giata per  i  mari  orientali  (i).  Ed  il  Piemonte?...  Come  s'è  detto  nel  prece- 
dente capitolo,  Venezia  nulla  ricercava  nella  Corte  di  Torino,  e  ben  poco 
avrebbe  potuto  dare  questa  Corte.  La  guerra  civile  era  finita:  di  fronte  al 
pericolo  che  correva  la  patria  di  esser  preda  dello  straniero,  che  già  s'  era 
impadronito  di  varie  piazze,  i  principi  Maurizio  e  Tommaso  avevano  fatto 
tacere  le  lor  brame,  e  Maria  Cristina  poteva  dar  sfogo  alla  sua  ambizione, 
circondandosi  d'uno  sfarzo  inusitato,  moltiplicando  le  sue  dimore  e  quelle 
dei  suoi  cortigiani  e  rendendole  tutte  meravigliose  per  ampiezza  e  splen- 
dore. Ma  quante  miserie  celava  il  suo  lusso!  I  poveri  contadini,  non  ancora 
rimessi  dai  danni  che  le  continue  guerre  loro  avevano  apportato,  dovevano 
versare  nelle  casse  ducali  ingenti  somme  e,  non  riuscendo  a  farlo,  esulavano 
lasciando  le  aride  terre  in  preda  del   fisco  (2). 


(i)  C.  Manfroni,  Jm  Marina  Militare  del  Craiidiicaio  Mediceo,  parte  II,  cap.  \'l   (tlcili- 
cato  fiiraniniirapflio  Verrazzano). 

(2)  \'iM!asi  in  proposilo  le  (Iure  roiidizioni  della  po|iolazioiie  di  Droiiero  nella  Storia  del 
Claretla  'jià  menzionata. 


I    PIEMONTESI    ALLA   GUERRA   DI   CANDIA 


E  COSÌ  Venezia  rimaneva  quasi  sola  a  far  fronte  alla  terribile  ed  inva- 
dente forza  turca:  aveva  coscienza  della  sua  inferiorità,  siccome  dimostra 
l'insistenza  con  cui  i  suoi  ambasciatori  a  Costantinopoli  intrattenevano  le 
autorità  turche  sui  mezzi  per  venire  ad  un  accordo  ;  ma  comprendeva  che 
la  perdita  di  Candia,  l'unico  grande  possesso  che  le  rimaneva,  avrebbe  se- 
gnato la  fine  della  sua  potenza,  e  non  esitava  ad  ingaggiare  una  fiera  lotta 
per  ritenere  quell'isola.  Non  riusciva  nell'intento,  ma  spiegava  nella  bisogna 
una  vigoria  sorprendente,  e  meravigliava  il  mondo  intiero  che  non  era  certo 
per  crederla  tanto  forte  ed  ardimentosa.  Candia,  perla  preziosa  del  Mediter- 
raneo, insigne  ecatompoli  dell'età  preistorica,  culla  di  (ìiove,  regno  memo- 
rando di  Minosse  e  R adamante,  gloria  di  Teseo,  usciva  dall'oscurità  in  cui 
da  secoli  languiva,  quale  dominio  dei  Latini,  dei  Greci,  degli  Arabi  ed  in- 
fine dei  Veneti,  che  l'avevano  acquistata  per  dieci  mila  marchi  da  Bonifacio  I, 
marchese  di  Monferrato  e  duce  della  quarta  crociata,  e  dall'anno  1204  al- 
l'anno 1266  l'avevano  difesa  validamente  dalla  cupidigia  genovese.  Usciva 
dall'oscurità,  e  riceveva  rinomanza  quale  agone  meraviglioso  tra  gli  ultimi 
eroi  della  Cristianità  ed  i  forti  campioni  dell'Islamismo.  Non  sta  nell'ambito 
della  presente  dissertazione  il  narrare  per  disteso  i  fatti  d'armi  avvenuti  nei 
primi  quindici  anni  della  guerra,  prima  cioè  che  il  Piemonte  partecipasse  ad 
essa,  quindi  si  sorvolerà  su  tali  fatti  o  per  lo  meno  se  ne  darà  appena  il 
cenno  sufficiente  per  chiarire  il  periodo  storico  che  si  deve  trattare. 

Nel  1645  i  Turchi  occupavano  S.  Todero  e  Canea,  nel  1646  prendevano 
Retimo,  e  l'anno  seguente  si  accampavano  presso  la  capitale  dell'isola,  l'an- 
tico forte  arabo  denominato  Kandak.  Inoltre  si  spingevano  nella  Dalmazia 
collo  scopo  palese  di  portare  le  loro  armi  direttamente  su  A^'enczia,  ed  oc- 
cupavano Novegradi,  che,  per  buona  ventura,  Leonardo  Foscolo  riusciva  a 
riprendere  facendo  strage  di  cinquanta  mila  nemici.  Colla  vendita  dei  pub- 
blici pascoli  e  colle  offerte  di  chi  aspirava  alle  pubbliche  cariche,  di  chi  am- 
biva un  titolo  nobiliare  ed  infine  dei  giovanotti  che  desideravano  di  entrare 
anzi  tempo  in  Consiglio,  Venezia  allestiva  una  forte  flotta,  e  per  mezzo  di 
Alvise  Contarini,  ambasciatore  straordinario  a  IMùnster,  arruolava  soldatesche 
in  tutti  gli  Stati.  Nello  stesso  tempo  acquistava  navi  in  Provenza  ed  in 
Olanda,  cercava  di  indurre  Vladislao,  re  dei  Polacchi,  a  muover  guerra  ai 
Turchi,  affrettava  la  conclusione  della  pace  di  Westfalia  e,  fedele  al  suo 
principio  di  «  conservar  l'impero  anzi  con  la  prudenza  civile  che  col  valor 
militare  ^  conforme  l'osservazione  del  patrizio  Antonio  Querini  (i),  spediva 
a  Costantinopoli  per  trattar  della  pace  nel  1647  il  Ballarino  e  nel  1651  il 
Capello.  A  tale  scopo  anche  il  Re  di  Francia  aveva  mandato  colà  il  Varancs, 
ed  è  fama  che  per  mezzo  suo  il  Sultano  invitasse  il  Re  di  Francia  a  collegarsi 
con  lui  contro  Venezia,  né  questa  proposta  deve  apparir  strana  a  chi  pensi 
alla  lega  conclusa  nel  1537  tra  Francesco  I  e  Solimano  il  Alagnifico.  In 
quanto  ai  negozi  intavolati  direttamente  da  Venezia  è  lecito  domandarsi 
perchè  la  Republica  insistesse  su  essi,  avendo  l'animo  deliberato  di  ritener 
l'isola  di  Candia  e  vedendo  il  fermo  proposito  dei  Turchi  di  impadronirsene. 


(r)  i.ERNARDV,    Fene::ia  ed  il  Turco,  cap.  I.   Firenze,   1902. 


14  LUIGI    DALMASSO 


A  tale  molesta  insistenza  si  deve  la  fine  miseranda  del  Ballarino,  del  Giava- 
rino  e  del  Padavino, 

I  capitani  veneti,  ad  eccezione  di  Marin  Capello,  combattevano  col  so- 
lito coraggio  in  Candia,  in  Dalmazia  e  per  tutto  il  bacino  orientale  del  Me- 
diterraneo; ma  la  fortuna  non  era  loro  propizia.  Andrea  Cornaro  cadeva 
difendendo  Retimo  e  lavando  col  sangue  la  macchia  attribuitagli  di  vessa- 
tore dell'isola;  Tommaso  Morosini  perdeva  la  vita  nell'anno  1646  presso  i 
Dardanelli  che  voleva  bloccare;  nel  1647  Giov^anni  Battista  Grimani  teneva 
per  tre  mesi  chiusa  nel  porto  di  Napoli  di  Romania  l'armata  turca,  che  do- 
veva traghettare  le  milizie  in  Candia,  ma  l'anno  seguente  periva  miseramente 
in  una  burrasca. 

In  tal  modo  si  giungeva  alla  pace  di  Westfalia,  da  cui  Venezia  tanto 
si  riprometteva  e  che  invece  le  arrecava  pochissimo  vantaggio,  qualche  le- 
vata appena  nell'Impero  e  le  truppe  dell'elettore  di  Baviera,  e  ciò  in'  causa 
delle  molteplici  guerriglie  che  continuavano  a  lacerare  l'Europa.  Infatti  per- 
duravano le  animosità  tra  la  Francia  e  la  .Spagna,  e  quest'  ultima  doveva 
inoltre  combattere  contro  il  Portogallo.  La  Paranoia  poi  non  tardava  ad  es- 
sere teatro  d'una  nuova  guerra  civile,  detta  delia  Fronda.  B'  Ingiiilterra 
aveva  detronizzato  il  suo  re,  ed  ora  pensava  a  domare  la  ribellione  nell'Ir- 
landa e  nella  Scozia  ed  a  combattere  l'Olanda,  che  aveva  apprestato  aiuti 
ai  ribelli.  La  Danimarca  e  la  Polonia,  oltre  le  lotte  intestine  tra  la  nobiltà  ed 
il  Re,  subivano  continui  attacchi  da  parte  degli  Svedesi,  che  si  spingevano 
eziandio  contro  lo  Czar  intento  a  rendere  soggetti  i  boiardi.  L' Imperatore 
lottava  per  rendere  ereditari  i  poteri  elettivi,  cioè  la  corona  di  Boemia,  la 
corona  d'Ungheria  e  la  dignità  imperiale;  mentre  l'Italia  settentrionale  con- 
tinuava ad  essere  percorsa  e  danneggiata  da  eserciti  francesi  e  spagnuoli, 
quella  meridionale  scontava  i  moti  rivoluzionari  del  1647,  e  tutta  quanta 
sottostava  all'ignavia  dell'Inquisizione. 

Tale  perturbazione  durava  in  quasi  tutti  gli  Stati  europei  fino  al  1659, 
e  di  conseguenza  fino  allora  Venezia  non  riceveva  che  lievi  soccorsi,  una 
levata  di  due  mila  fanti  dalla  regina  di  Francia  nel  1651,  una  piccola  levata 
da  Parma  ed  il  costo  di  otto  vascelli  dalla  Spagna  nel  1652,  mille  fanti  dal 
Duca  di  Modena  nel  1653  6  cento  mila  scudi  dal  Mazzarino  nel  1658.  Con 
questi  lievi  soccorsi  Venezia  compiev^a  prodigi,  e  resteranno  sempre  memo- 
rande, oltre  gli  eroici  sforzi  di  vari  comandanti,  che  immortalarono  il  loro 
nome  tentando  di  fermare  l'armata  turca  ai  Dardanelli  o  almeno  impedirne 
lo  sbarco  a  Candia,  le  gloriose  imprese  di  Iacopo  da  Riva  che  nel  1649 
inseguiva  il  Kapudan-Pascha ,  il  quale  con  ottanta  navi  aveva  sforzato 
il  passaggio  dei  Dardanelli,  lo  raggiungeva  presso  Smirne  e  gii  affon- 
dava quindici  navi;  di  Giorgio  Mocenigo,  che  nel  1651,  presso  Paros,  batteva 
la  flotta  turca,  per  modo  che  non  osava  più  apparire  in  aperto  mare  per 
due  anni  ;  di  Lazzaro  Mocenigo,  che  nel  1655  aifrontava  cento  navi  turche 
e  riportava  una  brillante  vittoria  che  costava  al  nemico  ventitre  navi;  di 
Lorenzo  Marcello  che  il  mattino  del  2Ò  giugno  1656  cadeva  da  prode  presso 
i  Dardanelli  ottenendo,  in  cambio  della  vita  sua,  la  distruzione  dell'armata 
nemica;  e  di  Lazzaro  Mocenigo  ancora,  che  nel  1656  occupava  Tenedo  e 
Lemno.  e  nc^ll'anno  sogu<-n1i'  si  proponeva  di  sforzare  i  Dardanelli,  distruggere 


I   PIEMONTESI    ALLA   GUERRA    DI    CANDIA 


il  naviglio  turco  e  portare  la  guerra  a  Costantinopoli,  nel  cuore  dell'  im- 
pero nemico:  egli  perdeva  la  vita  a  soli  trentatre  anni  senza  conseguire 
l'intento,  ma  le  sue  gesta  meravigliarono  il  mondo,  che  in  eterno  vedrà  gi- 
ganteggiare la  sua  ardita  figura  entro  il  Bosforo,  di  fronte  eilla  terra  delle 
epiche  lotte. 

Tanto  eroismo  non  bastava  per  deprimere  le  forze  turche,  che  non  de- 
primeva né  la  rivoluzione  avvenuta  a  Costantinopoli  nel  1648,  nò  la  ribel- 
lione scoppiata  nell'Asia  Minore  nel  1649,  nò  una  nuova  rivoluzione  successa 
a  Costantinopoli  nel  1651.  Sotto  l'impero  del  nuovo  Gran  Visir,  Alahomed 
Coprili,  albanese  di  nascita  ed  originariamente  cristiano,  uomo  attivo,  ener- 
gico ed  ardimentoso,  salito  al  potere  nel  1656,  essi  riacquistarono  presto  le 
isole  di  Lemno  e  Tenedo,  e  portavano  rinforzi  considerevoli  a  Cussein  che,  ri- 
preso S,  Tederò,  caduto  in  mano  dei  Veneti  nel  1650,  e  difesa  validamente  Canea, 
assalita  dagli  stessi  nel  1658,  se  ne  stava  ora  inerte,  per  mancanza  di  soldati, 
nel  forte  da  lui  costrutto  di  fronte  alla  città  assediata,  ritraendo  il  necessario 
sostenimento  dall'isola  che,  ad  eccezione  della  capitale  e  delle  piccole  città 
di  Suda,  Garabusa  e  Spinalunga,  era  tosto  passata  sotto  il  dominio  turco, 
non  avendo  invero  di  che  lodarsi  del  governo  veneto.  Però  i  Turchi  più 
non  avevano  il  coraggio  di  affrontare  i  Veneti  sul  mare,  e  non  essendo  loro 
riuscito  possibile,  non  ostante  la  vittoria  di  Chnin,  riportata  nel  1654,  schiac- 
ciare le  forze  della  Republica  nella  Dalmazia  e  per  la  struttura  della  re- 
gione, facile  ad  essere  fortificata  e  difesa,  e  per  i  sentimenti  degli  abitanti, 
dei  Alorlacchi  principalmente,  restii  ad  una  egemonia  anticristiana,  si  indu- 
cevano a  trattiire  la  pace,  e  gli  ambasciatori  Ballarino  e  Capello,  già  mal- 
trattati e  successivamente  relegati  ad  Adrianopoli,  erano  fatti  segno  a  qualche 
cortesia  e  nel  1658  venivano  tratti  a  Costantinopoli,  dove  il  Gran  \^isir  of- 
friva loro  la  pace  a  patto  della  cessione  della  città  di  Candia.  Il  patto  non 
era  accettato,  ed  allora  il  Gran  Visir  si  rivolgeva  all'Imperatore  domandan- 
dogli, non  si  saprebbe  se  con  somma  leggerezza  e  sfrontatezza,  ovvero  per 
naturai  conseguenza  dei  blandi  rapporti  intervenuti  tra  i  Turchi  ed  i  popoli 
europei,  il  passaggio  nei  suoi  Stati  per  portar  la  guerra  nel  Friuli.  L'Impe- 
ratore ricusava  questo  favore,  siccome  era  facile  argomentare,  ed  i  Turchi 
impegnavano  una  fiera  lotta  col  Ragotzi,  già  loro  vassallo  in  Transilvania, 
coU'evidente  proposito  di  giungere  colla  forza  ai  confini  dellTmpero,  e  di 
là  addosso  ai  Veneti. 

Ed  eccoci  all'anno  1659:  si  concludeva  alfine  la  pace  tra  la  Spagna  e 
la  Francia,  ed  i  buoni  effetti  di  essa  si  facevano  presto  sentire  alla  Repu- 
blica Veneta,  la  quale  otteneva  cento  mila  scudi  dal  Re  cattolico,  trecento 
fanti  dal  Duca  di  Modena,  quattro  galere  dal  (iranduca  di  Toscana  e  la 
promessa  di  quattro  mila  fanti  e  di  duecento  cavalieri  dal  Re  di  Francia,  a 
cui  forse,  più  che  il  desiderio  di  illustrare  il  suo  nome  di  Re  cristianissimo, 
stava  a  cuore  di  v^endicare  l'offesa  fattagli  dal  Visir  imprigionando  e  mal- 
trattando il  proprio  ambasciatore,  che  s'era  ricusato  di  leggere  e  tradurre 
una  lettera  mandata  da  Candia  al  Ballarino.  Inoltre  Venezia  scriveva  al 
Granduca  di  Moscovia  per  indurlo  a  prendere  le  armi  contro  i  Turchi,  ed 
otteneva  che  i  Moscoviti  ed  i  Tartari  si  collegassero  al  Ragotzi.  Degli  altri 
Stati   europei    l'Inghilterra    e    l'Olanda  pensavano   a  dare   sviluppo   ai    loro 


l6  LUIGI   DALMASSO 


commerci,  e  non  erano  certo  per  rimpiangere  che  la  Republica  Veneta, 
tormentata  dai  Turchi,  fosse  nell'impossibilità  di  ostacolare  i  loro  progressi  ; 
la  Danimarca  e  la  Svezia  erano  tuttora  in  lotta  fra  loro,  né  rappacificate  si 
sarebbero  volte  contro  i  Turchi,  con  cui  non  potevano  avere  contrasti  né 
per  ragioni  di  confini,  né  per  interessi  commerciali,  né  per  opinioni  religiose: 
la  Svezia  anzi  fin  dal  1657,  unitamente  alla  Polonia,  aveva  mandato  a  Co- 
stantinopoli un  suo  ambasciatore;  la  Prussia  s'era  appena  liberata  dalla  di- 
pendenza feudale  verso  la  Polonia,  e  pensava  ad  assodare  la  propria  libertà: 
il  Portogallo  continuava  a  combattere  l'egemonia  spagnuola;  il  Sommo  Pon- 
tefice ed  i  Cavalieri  di  Malta  mandavano  ancora  le  loro  galere  nei  mari  eli 
Candia;  ma  esse,  pronte  sempre  ad  attaccare  lite  colle  galere  venete  in  causa 
di  frivole  pretese  di  precedenza  e  di  speciali  riguardi,  cooperavano  ben 
poco  agli  sforzi  delle  medesime  per  sorprendere  e  distruggere  le  navi  ne- 
miche. Il  Piemonte  prendeva  finalmente  j)arte  alla  guerra  di  Candia  e,  sic- 
come la  presente  dissertazione  volge  appunto  sugli  aiuti  dati  dal  Piemonte 
a  Venezia,  necessita  riferire  specificatamente  come,  quando  ed  in  qual  mi- 
sura essi  furono  dati.   , 


I    PIEMONTESI   ALLA   GUERRA    DI    CANDIA  17 


Capitolo  111, 


Considerevoli   aiuti    dati    dal    Piemonte    a    Venezia    fin    dal    1660.    —    Riconciliazione    fra    i 
due  Stati. 

Si  è  detto  che  Maria  Cristina,  finita  la  ofuerra  civile  nel  Piemonte,  pro- 
fondeva denari  in  vane  spese  gravando  dì  balzelli  i  poveri  sudditi.  Ciò  ella 
faceva  per  uguagliarsi  ai  Re  europei,  ed  i  mezzi  da  lei  adoperati  per  rag- 
giungere questo  ideale,  non  si  limitavano  ad  avere  una  splendida  corte  :  ella 
cercava  eziandio  di  riavere  le  terre  che  le  erano  state  tolte  dallo  straniero 
ed  impetrava  da  tutti  i  regnanti  il  titolo  regio.  Il  marchese  di  .S.  Maurizio, 
diretto  a  Mùnster,  si  fermava  a  Parigi  e,  per  incarico  da  lei  avuto,  pregava 
il  Mazarino  di  accordare  al  Duca  di  Savoia  il  titolo  di  «  Re  di  Cipro  -»  e 
di  restituirgli  le  piazze  occupate  dai  Francesi  durante  la  guerra  civile,  oltre 
la  città  di  Pinerolo  e  la  valle  della  Perosa,  non  essendosi  effettuata  la  presa 
di  Genova.  Nulla  otteneva,  neppure  il  vano  titolo  regio. 

l.'insuccesso  di  questa  missione,  benché  mitigato  dal  trionfo  diplomatico 
del  Bellezia,  il  quale  riusciva  ad  ottenere  al  marchese  di  S.  Maurizio  in 
Mùnster  ingresso  e  trattamento  regio,  e  dalla  restituzione  delle  piazze  di 
Trino,  Avigliana,  Susa,  Chivasso  e  Cavour,  fatta  dal  Mazarino  per  indurre 
il  Duca  di  Savoia  a  ratificare  il  trattato  di  Mùnster,  spingeva  Maria  Cristina 
ad  insistere  nel  suo  antico  intento  di  far  pace  con  Venezia,  sia  per  unire 
le  sorti  del  Piemonte  a  quelle  d'  un  popolo  fratello,  aifinchè  —  siccome 
ella  ebbe  poi  a  dichiarare  al  Sagredo  nella  prima  udienza  accordatagli  — 
non  si  acconsentisse  mai  che  la  bella  provincia  italica  perdesse  la  sua  li- 
bertà *,  sia  per  ottenere  da  Venezia  stessa  il  trattamento  che  le  altre  Potenze 
le  ricusavano  sopratutto  per  istigazione  di  Venezia.  E  per  aver  modo  di 
approfittare  di  qualche  buona  congiuntura  per  conseguire  il  suo  intento, 
teneva  a  Venezia  agenti  segreti  che  la  informassero  delle  vicende  della  Re- 
publica.  Durante  tutto  il  1646,  il  1647  ed  il  1648  l'agente  suo  era  il  Boc- 
calini, che  appare  informatore  anche  del  Re  di  Polonia.  Egli  scriveva  a 
Maria  Cristina  ed  al  primo  Segretario  di  vStato,  inarchese  di  S.  Tommaso  (i), 
che  la  Republica  dava  cento  mila  talleri  al  Re  di  Polonia,  e  glie  ne  pro- 
metteva altri  cento  mila  per  indurlo  ad  attaccare  i  Turchi  obbligandoli  ad 
una  diversione,  ed  aggiungeva  che  Vladislao  assumeva  con  ardore  l'impresa; 
ma  pur  troppo  ci  risulta  che  il  Senato  di  Polonia  gli  impediva  di  compierla. 


(i)  Ardi,  di  Stato  di  Torino,  Lettere  degli  ambasciatori  piemont.  a   Venezia,  mazzo  S". 
3  —  Mise,  s.  HI,  T.  xni. 


LUIGI   DALMASS3 


Annunziava  poi  che  il  Grimani  aveva  fornito  di  armati  la  piazza  di  Candia, 
per  la  qual  cosa  era  stato  possibile  fare  una  sortita  con  grande  strage  dei 
nemici;  enumerava  tutti  gli  armamenti  fatti  dalla  Repubblica,  e  parlava 
eziandio  della  fellonia  dei  Candioti.  Nel  1649  il  Boccalini  andava  a  Roma 
per  ritornarsene  all'altare,  ed  il  suo  ufficio  era  assunto  dal  legato  aposto- 
lico Andrea  Borghi  che  lo  teneva  fino  al  1652.  Dopo  aver  così  mostrato 
l'interesse  che  ella  prendeva  per  la  Republica,  Maria  Cristina  spediva  a 
Venezia  il  padre  domenicano  i\lario  Foresti  coll'incarico  di  trattare  della 
riconciliazione;  ma  neanche  questo  negozio  incontrava  fortuna,  dicono  gli 
storici  veneziani,  per  mal  animo  dell'insospettito  ambasciatore  spagnuolo.  E 
se  gli  storici  veneziani  dicono  il  vero,  e  ISIaria  Cristina  supponeva  il  giusto 
nel  credere  che  i  1^'rancesi  facessero  riuscir  vani  i  tentativi  da  lei  fatti  nel 
1639  per  propiziarsi  il  Senato  Veneto,  noi  non  avremo  certo  a  rallegrarci 
dei  buoni  uffici  dei  l^Yancesi  e  degli  Spagnuoli  i  quali,  non  contenti  di  tor- 
mentarci per  conto  loro  con  ogni  genere  di  vessazioni,  cercavano  ancora  di 
tener  vivi  i  rancori  che  da  tanto  tempo  dividevano  ed  angustiavano  i  Prin- 
cipi italiani.  Ma  altra  causa  ben  più  importante  riteneva  la  Republica  Ve- 
neta dal  ricongiungersi  al  Piemonte.  Leggendo  la  monografia  del  Segre 
sulle  relazioni  diplomatiche  tra  Emanuele  Filiberto  e  Venezia,  noi  vediamo 
a  più  riprese  la  Republica  Veneta  trattare  molto  freddamente  Emanuele 
Filiberto,  e,  dacché  questo  principe,  oltre  essere  insigne  e  per  senno  poli- 
tico e  per  valor  militare,  si  mostrava  oltre  ogni  dire  cortese  e  generoso  verso 
la  Republica,  siccome  appare  da  tutte  le  relazioni  degli  ambasciatori  veneti 
a  Torino,  noi  non  sapremmo  spiegarci  la  condotta  della  Republica,  se  non 
avessimo  davanti  alla  mente  le  persecuzioni  orribili  dei  Valdesi,  perpetrate 
da  Emanuele  Filiberto  a  mezzo  del  conte  della  Trinità.  Tali  persecuzioni 
dovevano  suscitare  anche  allora  un  grande  disgusto,  e  più  che  altri  doveva 
mostrarsi  disgustata  la  Republica  Veneta,  che  sempre  rispettò  i  Protestanti 
e  più  volte  prestò  loro  aiuto.  Ed  il  sentimento  d'  ostilità  ch'essa  ebbe  per 
lo  stesso  Emanuele  Filiberto  tanto  prode  e  stimato,  era  naturale  che  si  fa- 
cesse sentire  vieppiù  contro  la  debole  Maria  Cristina,  che  sopra  tutti  i  Duchi 
di  Savoia  peccò  di  eccesso  religioso  e  si  macchiò  di  sangue  innocente. 

Nello  stesso  anno  1653  il  Mazarino,  persa  Casale,  sentiva  il  bisogno  di 
una  efficace  coopcrazione  da  parte  del  Duca  di  Savoia  nel  combattere  gli 
Spagnuoli,  e  per  ingraziarselo  gli  restituiva  duo  altre  piazze,  quella  di  V^errua 
e  quella  di  Villano  va  d'Asti,  e  gli  accordava  il  trattamento  regio.  Da  questo 
momento  la  fortuna  di  Maria  Cristina  pare  prendere  consistenza.  Nel  1655 
le  sue  soldatesche,  unite  al  Duca  di  Modena,  comandante  le  armi  francesi, 
occupavano  Valenza;  nel  1657  il  presidio  francese  sgombrava  la  cittadella  di 
Torino;  nel  165S  il  general  marchese  Villa  prendeva  possesso  di  Trino;  e 
nel  1659  la  Spagna  le  restituiva  Vercelli,  impegnandosi  di  adoprarsi  perchè 
anche  la  Francia  le  restituisse  Pinerolo.  Già  una  sua  figlia,  l'Adelaide,  sie- 
deva  su  d'un  trono,  quello  di  Baviera,  e  l'altra  figlia.  Margherita,  volgeva 
i  dolci  sguardi  verso  il  Re  di  Francia,  e,  fallito  il  suo  matrimonio  con  questo 
Monarca,  aveva  tuttavia  la  fortuna  di  essere  impalmata  da  Francesco  II 
Farnese.  In  virtù  di  queste  unioni  accordavano  al  Duca  di  Savoia  il  titolo 
di  «  Re  di  Cipro  >  ed  il  corrispondente  trattamento  ai    suoi  ambasciatori  il 


I   PIEMONTESI   ALLA   GUERRA    DI   CAXDTA  ig 

Duca  dì  Parma  e  l'Elettore  di  Baviera,  e  con  essi  gli  Elettori  di  Alagonza 
e  di  Colonia,  non  che  il  Duca  di  Modena,  già  dianzi  imparentato  colla  casa 
di  Savoia  per  il  matrimonio  di  Isabella  con  Alfonso  III  d'Este.  Perchè  non 
dovevano  accordare  gli  stessi  onori  gli  altri  Monarchi,  quello  Cattolico  anzi- 
tutto, in  seguito  alle  feroci  rappresaglie  del  1655  sopra  i  Valdesi  che,  colla 
benemerenza  del  mondo  cattolico,  avevano  attirato  sul  capo  di  Maria  Cri- 
stina le  violenti  invettive  del  Milton,  oltre  quelle  di  tutta  la  gente  umana?... 
Nel  1660  Gian  Girolamo  Doria,  Marchese  del  Maro  e  di  Ciriè,  andava  a 
Madrid  per  sollecitare  a  favore  del  Duca  di  Savoia  tali  onori  ;  ma  la  Spagna 
non  si  induceva  ad  accordarli,  e  la  Francia,  per  non  esser  da  meno,  li 
ritoglieva. 

Era  giocoforza  rivolgersi  un'altra  volta  a  Venezia,  conseguirne  l'amicizia 
e  con  questa  il  ìndia  osta  presso  le  Corti  europee  per  l'identico  trattamento, 
di  cui  la  Republica  godeva.  Già  il  4  novembre  1657  il  conte  Lorenzo  Xemis 
erasi  recato  dal  papa  Alessandro  VII  per  pregarlo,  a  nome  del  Duca  di  Sa- 
voia, di  adoprarsi  per  rappacificare  il  Piemonte  con  Venezia,  ed  il  Pontefice 
gli  aveva  promesso  di  dar  ordini  in  proposito    al    suo    Nunzio   residente  in 
Venezia,  e  di  aver  ragioni  per  credere  che  si  sarebbe  presto  venuto  ad  un 
accomodamento,  avendo  scorto  la  Republica  ben    disposta    ad  esso.  D'altra 
parte  abbiamo  visto  che  nel  1653  i  Veneti  avevano  cercato  di  addossare  al- 
l'ambasciatore spagnuolo  la    causa    dell'  esito    negativo    che    la  missione  di 
Mario  Foresti  aveva  sortito.  Questo  fatto  dimostrava  chiaramente  che  il  loro 
disgusto  contro  i  Duchi  di  Savoia  era  in  parte  scemato,  o,  per  lo  meno,  che 
essi,  costretti  dalla  convenienza,  se  non  dal  sentimento  di  fraternità,  piega- 
vano verso  un  aggiustamento.  Per  meglio  disporli  ad  esso  il  Duca  di  Savoia 
concedeva  il  17  giugno  1660  al  colonnello  Giacomo  Pasquale  di  Marron,  al 
servizio  della  Republica  di  Venezia,    di    fare    nei    suoi    Stati  una    levata  di 
trecento  fanti.  Il   15  gennaio  1661   dava  facoltà  al  signor  Petiti,  luogotenente 
colonnello  di  Pasquale  Alarron,  di  continuare  la    levata    intrapresa    dal  suo 
superiore,  che  aveva  dovuto  partire  per  Venezia.  Ed  il  27  agosto  1661   per- 
metteva al  colonnello  Giovan  Battista  Coscia  di  arruolare,  per  la  Republica 
di  Venezia  e  da  servire  contro  il  Turco,  trecento  fanti,  di  cui  cinquanta  suoi 
sudditi  e  gli  altri  forestieri,  entro  la  durata  di  tre  mesi.  Di  tutte  queste  con- 
cessioni noi  troviamo    contezza    nell'  Archivio  di  Torino  (vSez.  4^^,   Guerra  e 
Marina)  e  precisamente  nella  raccolta  degli  <;  Ordini  Generali  >  del  duca  Carlo 
Emanuele  II  ai    generali  Veadore  e    Contadore.  E    nella    stessa    raccolta  si 
può  avere  visione  del  seguente  importantissimo  documento  : 


Trattato  per  li  due  reggimenti  di  Fanteria  dei  Sig'  Col'  eomni.  Bonifacio 
Chiazza  e  Bartolomeo  Masserac,  quali  vanno  al  servizio  della  S""'  Rcpii- 
hlica  di  Venezia. 

«  Li  1000  fanti  esibiti  da  Savoia  saranno  ricevuti  colle  presenti  con- 
«  dizioni  : 

«  Militeranno  col  nome  di  Regg*'  di  Savoia  e  saranno  obligati  al  ser- 
«  vizio  di  Dalmazia,  saranno  ristretti  sotto  due  Reggti  caduno  di  dieci  com- 
»  pagnie  e  godranno  le  paghe  infrascritte. 


20  LUIGI   DALMASSO 


«  Capitano  ducti  60,  luogotenente  52,  alfiere  24,  due  sergenti  15  caduno, 
«  quattro  caporali  8  caduno,  uno  scrivano  io,  alli  soldati  lire  30,  e  per  capo 
«  soldo  lire  2-10  per  caduno  al  mese  a  proporzione  degli  effettivi. 

«  p]d  al  colonnello  ducati  150  con  obligo  di  comandare  alla  propria  com- 
«  pagnia  senza  alcuna  paga  di  capitano. 

«  Venendo  queste  in  campagna  godranno  delle  paghe  solite  ad  esibirsi 
«  a  simil  milizia  e  sono  le  seguenti  : 

«  Capitano  due''  no,  luogotenente  50,  alfiere  30,  due  sergenti  20  caduno, 
«  quattro  caporali  io  caduno,  uno  scrivano  15,  alli  soldati  lire  36  in  tutto, 
«  a  caduno  per  paga  oltre  il  capo  soldo  sopradetto. 

«  In  campagna  come  sopra  potrà  ognuno  delli  predetti  Reggti  militare 
«  unito  ed  in  tal  caso  saranno  corrisposti  per  il  Stato  colonnello  ducati  200 
«  al  mese  per  tutti  gli  ufficiali  maggiori  del  Reggto  rispettivamente  senza 
«  che  possano  pretendere  altro. 

«  Potranno  li  Regg*'  essere  licenziati  a  publico  bene  placido,  per  il  quale 
«  effetto  li  resta  destinata  la  città  di  Padova,  e  sarà  data  una  paga  in  dono 
«  alli  capitani,  ufficiali  e  soldati  per  far  ritorno  alle  case  loro,  a  quelli  però 
«  della  prima  condotta  solamente. 

«  L'armi  fuori  che  la  spada  saranno  date  dal  publico  per  essere  dai  sol- 
«  dati  scontate  conforme  al  solito,  cioè  a  ragione  di  lire  una  al  mese,  eccetto 
«  per  quelle  che  si  perdessero  in  funzione  contro  il  nemico. 

«  Cadun  capitano  sarà  obligato  di  reclutare  la  propria  compagnia  col 
«  donativo  solito  praticarsi  colli  altri  e  saranno  procurate  le  permissioni  ed 
«  il  passo  conforme  ricercasse  il  bisogno. 

«  Per  la  giustizia  in  campagna  e  essenzioni  a  vivandieri  si  concederà 
«  quello  che  si  stilla  alli  altri  Reggti  oltramontc. 

«  Movendo  ovvero  assentandosi  capitano  ovvero  ufficiali  sarà  in  facoltà 
«  del  colonnello  a  proporre  altri  soggetti  in  luogo  loro  per  essere  da  pu- 
«  blici  rappresentanti  approvati,  e  lo  stesso  per  quelli  che  terminata  la  carn- 
ee pagna  ricercassero  ed  ottenessero  la  licenza. 

«  All'arrivo  di  dette  truppe  nello  Stato  si  darà  una  paga  rispettivamente 
«  a  ragione  di  Presidio  come  sopra  e  per  le  spese  al  lido  glie  ne  sarà  data 
«  una  terza  parte  in  dono,  senza  che  possano  pretendere  altro. 

«  Le  barche  per  il  trasporto  saranno  provvedute  ed  il  nolo  di  esse  sod- 
«  disfatto  al  publico. 

«  Consistendo  le  compagnie  predette  in  numero  di  50  o  40  dovranno 
«  sussistere,  come  pel  contrario  declinando  a  meno  di  30  potranno  essere 
«  conforme  il  publico  ricercasse  riformate. 

«  Per  il  cambio  o  riscatto  dei  prigionieri  sarà  osservato  con  loro  quello 
«  che  hodiernamente  si  stilla  all'altra  milizia  che  si  trova  in  servizio  in  simil 
«  occasione. 

«  Torino,  li  20  maggio  1660  e  in  Milano  li  24  maggio   1660. 

«  Io  Domenico  De  Vico,  Residente  di   Venezia.  y> 

Questo  documento  prova  ad  evidenza  che  fin  dal  1660  il  Duca  di  Savoia 
aveva  esibito  a  Venezia  mille  uomini.  E  che  essi  siano  stati  accettati  risulta 
chiaramente  da  vari  altri  documenti.  Anzitutto  fra  gli  «  Ordini  Generali  », 
di  cui  già  si  è  fatto  menzione,  troviamo  quello,  impartito  il  3  settembre  1660, 
di  ■■::  ritenere  a  tutti  i  bilanciati  nel  fondo  militare  l'ammontare  d'una  mesata, 
«  avendo  le  molte  spese  incontrate  poi  mantcnimontcì  delle  truppe  destinate 
'<  per  Venezia  reso  mancante  il  fondo  militare  di  buona  somma  ».  Poscia, 
sfogliando  il  bilancio  del  1660,  esso  pure  compreso  nella  Sez.  4"  dell'Archivio 


I   PIEMONTESI   ALLA    GUERRA    DI   CANDIA 


di  Torino,  colpirà  il  nostro  sguardo  il  seguente  conto  compilato  il  9  di- 
cembre 1 660  : 

«  La  paga  data  in  contanti  alla  fanteria  dal  i  '  dicembre  1659  ^  tutto 
«  dic^"''^  1660,  che  sono  mesi  13,  se  ben  non  se  ne  sono  passati  che  mesi  12 
«  per  essersi  levata  la  mesata  di  maggio  alla  fanteria  e  dovendosi  levare 
«  quella  di  dicembre  al  Reggto  di  Guardia  sono  L.  6580.30.  Così  divise  : 

«  Alla  fanteria  oggi  in  piedi  compresi  gli  ufficiali  dell'artiglieria  che  si 
'<  pagano  come  quelli  dei  presidii  L.  6035.49.  Alli  reggimenti  e  compagnie 
«  riformate  che  sono  andati  a  Venezia  e  non  servono  più  L.  544.81  y>. 

Inoltre  fra  le  patenti  del  duca  Carlo  Emanuele  II,  comprese  sempre  nella 
Sez.  4"  dell'Archivio  di  Torino,  ci  apparirà  quella  del  i"  luglio  1662,  colla 
quale  Giuseppe  d'Ambron  era  nominato  cornetta  per  aver  servito  otto  anni 
nel  Reggimento  di  S.  Damiano  e  due  nelle  truppe  savoiarde  al  servizio  della 
Republica  di  Venezia.  Finalmente  nella  sede  principale  dell'Archivio  di 
Stato  in  Torino,  fra  le  lettere  degli  ambasciatori  piemontesi  residenti  a  Ve- 
nezia (i),  trovasi  una  lettera  di  Gremonville,  uno  dei  capi  delle  truj^pe  fran- 
cesi andate  a  Candia  nel  1660,  il  quale  il  4  settembre  1661  scriveva  al  Duca 
di  Savoia  rigettando  l'accusa  fattagli  d'aver  trattato  male  i  soldati  del  Duca 
che  si  trovavano  in  Levante,  non  accordando  loro  le  paghe.  Non  è  possibile  ar- 
gomentare da  questa  lettera  se  il  Gremonville  alluda  ai  mille  uomini,  di  cui 
si  occupa  il  trattato  sopra  riportato  e  che,  contrariamente  al  trattato,  sareb- 
bero stati  adibiti  ad  un  servizio  diverso  di  quello  che  dovevano  prestare  in 
Dalmazia,  ovvero  a  truppe  piemontesi  formanti  con  quelle  francesi  il  corpo 
d'armata  andato  a  Candia  nel  1660:  nell'uno  e  nell'altro  caso  però  noi  ci 
convinceremo  sempre  più  che  il  Duca  non  attendeva  che  l'aggiustamento 
avesse  luogo  per  dare  a  Venezia  qualche  aiuto,  siccome  asseriscono  alcuni 
storici,  che  si  menzioneranno  in  seguito;  ma  fin  dal  1660  andava  apprestan- 
dole validi  rinforzi,  spianando  egli  stesso  la    via   all'ambito   aggiustamento. 

Così  avveniva  che  nel  1660,  trovandosi  una  sera  il  marchese  del  Borgo 
in  casa  di  donna  Eleonora  Castellani,  l'ambasciatore  veneto  residente  a 
Roma,  fattosi  vicino,  dicessegli  che  professava  obligazione  all'abate  Costa 
per  avergli  procacciata  la  sua  conoscenza,  la  quale  egli  credeva  molto  pro- 
ficua ai  Principi  che  rappresentavano.  L'anno  seguente  i  due  ambasciatori, 
da  un  discorso  all'altro,  venivano  a  quello  dell'aggiustamento,  e  l'ambascia- 
tore veneto  lasciava  subito  sperare  un  buon  risultato,  assicurato  viemmag- 
giormente  dall'assenza  del  Pesaro,  uno  di  quelli  che  con  più  calore  erasi 
opposto  a  quell'atto  (2). 

Contemporaneamente  Maria  Cristina,  a  mezzo  dell'arcivescovo  di  Zara  e 
del  vescovo  di  Famagosta,  di  passaggio  a  Torino,  faceva  noto  a  Venezia 
«  il  desiderio  che  ella  sempre  aveva  nutrito  di  veder  riconciliata  la  sua  casa 
«  colla  Republica,  non  avendo  mai  tralasciata  congiuntura  per  insinuare 
«  questa  buon'opera  ».  Maria  Cristina  poi  pregava  il  Re  di  Francia,  suo  ni- 
pote, ed  il  Duca  di  Modena  di  predisporre  l'animo  dei  Veneti  alla  pace, 
ed  essi  cortesemente  ne  davano    incarico    ai    loro  ambasciatori   in    A^enezia, 


(i)  Mazzo  9''''. 

(2)  Claretta,  Regno  di  Carlo  Emanuele  II.  Genova,  1S77-7S. 


2  2  LUIGI   D^LMASSO 


l'arcivescovo  d'Embrun  ed  il  marchese  Calcagnini,  Per  ultimo  Maria  Cristina, 
nell'autunno  del  1661,  dava  ordine  al  marchese  Villa,  suo  ambasciatore  a 
Parigi,  d'interessare  sulla  questione  il  Grimani,  ambasciatore  della  Republica, 
ed  il  Grimani  si  affrettava  a  scriverne  al  Senato.  Poco  stante  ]\Iaria  Cristina 
apprendeva  e  dal,  marchese  Villa  e  dal  Cardinal  d'Este  la  buona  disposizione 
della  Republica  per  l'aggiustamento,  e  tosto  spediva  a  Venezia  l'abate  Vin- 
cenzo Dini,  il  quale,  già  dianzi  agente  di  Modena  in  Venezia,  aveva  cercato 
di  raccogliere  in  sé  simile  negozio. 

L'abate  Dini  fu  accolto  molto  cortesemente,  e  fu  invitato  ad  esporre  le 
sue  proposte  a  Marco  Pisani,  savio  di  terraferma.  Le  controversie  si   ridus- 
sero a  cinque  capi,  al  licenziamento  dell'ultimo    ambasciatore    veneto    dalla 
Corte  di  Savoia,  al  titolo  col  quale  la  Republica    doveva    trattare   il  Duca, 
al  trattamento  da  applicarsi  tra  gli    ambasciatori    veneti    e    di  Savoia    nelle 
altre  Corti,  al  libro  di  padre  Monod,  stampato  a  Torino,  e  al  titolo  di  «  Re 
di  Cipro  »  assunto  dal  Duca.  Dopo  molte   conferenze    segrete    si    convenne 
che  i  Veneziani  deputerebbero  un  ambasciatore  a  Torino,  tostochè  ne  fosse 
mandato  uno  a  loro;  che  quest'ultimo  nella  prima  udienza  manifesterebbe  di- 
spiacere delle  interrotte  corrispondenze  ;  che  il  Duca    rivolgerebbe  qualche 
parola  di  scusa  al  primo  ambasciatore  che  gli  sarebbe  spedito  dicendo  che 
era  dispiacente  di  quanto  era  seguito;  che  nello  scrivere  e  nel  trattare  colla 
Republica  o  in  scrittura  che  questa  dovesse  dare  ai  ministri  di    lui,  si  con- 
tenterebbe, quanto  ai  titoli  della  sua  particolare  persona,  dei  termini  prati- 
cati prima  della  recisione  delle  buone  intese,  e  che  le  lettere  della  Republica 
sarebbero  ricevute  con  lo  stile  ed  i  titoli  soliti;  che  egli  inoltre  proibirebbe 
con  espresso  editto  il  libro  di  padre  Monod,  e  gli    ambasciatori    della    Re- 
publica in  Torino  sarebbero  trattati  colle  medesime  formalità  che  si  usavano 
coi  nunzi  del  Papa  e  coll'ambasciatore  di  Francia,  mentre  gli    ambasciatori 
del  Duca  sarebbero  trattati  dalla  Republica  nella  forma  di  prima  (1). 

Nell'aprile  dell'anno  1662  queste  convenzioni  erano  discusse  tra  il  mar- 
chese di  Pianezza  e  l'abate  Dini:  avevano  la  sanzione  del  ministro  piemon- 
tese, e  subito  veniva  nominato  ambasciatore  straordinario  a  Venezia  il  mar- 
chese del  Borgo,  da  tre  anni  residente  a  Roma.  Il  6  luglio  egli  faceva  la 
solenne  sua  entrata  in  Venezia,  e  da  parte  sua  la  Republica  nominava  am- 
basciatore a  Torino  il  senatore  Alvise  Sagredo  che,  dopo  essersi  trattenuto 
incognitamente  per  alcuni  giorni  nel  borgo  del  Po,  finché  fosse  regolato  il 
suo  ricevimento,  il  15  ottobre  veniva  accolto  con  squisita  gentilezza  dal 
Duca  e  dalla  Duchessa  Madre. 

Il  Claretta,  nella  sua  «  Storia  .>  dianzi  menzionata,  asserisce  che  le  ini- 
ziative di  questo  aggiustamento  procedettero  da  Roma,  e  non  da  Parigi,  sic- 
come affermano  altri  storici,  ed  a  prova  del  suo  asserto  riferisce  il  discorso 
tenuto  il  4  novembre  1657  dal  conte  Lorenzo  Neniis  al  pontefice  Ales- 
sandro VII  e  l'abboccamento  dei  due  ambasciatori,  di  Venezia  e  di  Savoia, 
in  casa  della  dama  Eleonora  Castellani  ;  ma,  per  quanto  fino  ad  ora  si  è  ve- 
nuto esponendo,  è  necessario  ammettere  che  né  da  Roma  né  da  Parigi  esse 


(i)  Patrucco,  Relaziojti  tra    Savoia  e   l'emazia  durante  la  A'cQoenza  di  Maria  Cristina 
{Bollett.  storico  subalpino.  Torino,  1S96). 


1    PIEMONTESI   ALLA   GUERRA    DI   CANDIA  2^ 


procedettero,  bensì  dalla  Corte  di  Torino,  e  precisamente  da  Maria  Cristina, 
che  nulla  lasciò  d'intentato  per  indurre  la  Republica  ad  un  accomodamento. 
In  esso  i  poeti  italiani  videro  la  salvezza  e  la  prosperità  della  nostra  peni- 
sola: viceversa  non  fu  che  un  palliativo.  La  Corte  di  Torino  ed  il  Senato 
Veneto  poco  dopo  si  trovavano  più  che  mai  divisi  ed  ostili,  sia  per  colpa 
della  diplomazia  piemontese,  troppo  sollecita  ad  accettare  un  accomodamento 
che  non  era  di  sua  piena  soddisfazione,  ma  che  essa  si  lusingava  di  poter 
a  mano  a  mano  modificare,  sia  per  colpa  del  Senato  Veneto,  rigidissimo  nel 
conservare  le  proprie  prerogative,  ritenendo  il  Piemonte  ad  un  livello  infe- 
riore al  suo  nell'ordine  gerarchico  degli  Stati  europei,  e  poco  propenso,  se 
non  avverso,  ai  Duchi  di  Savoia  per  i  sentimenti  religiosi  sopra  riferiti. 


24  T.rriGl    DALMASSO 


Capitolo   IV. 


Esito  infelice  della  spedizione  francese.  —  Diversioni  austro-turche.  —  Politica  equivoca  della 
Republica  Veneta,  che  è  abbandonata  da  tutti  i^li  altri  Stati  fuorché  dal  Piemonte.  — 
Merito  e  miserabile  sorte  dei  soldati  piemontesi  al  servizio  della  Republica. 

I  soldati  francesi,  venuti  in  aiuto  di  Venezia,  furono  tremila  anziché 
quattro  mila,  conforme  la  promessa  di  Luigi  XIV.  J^ice  A.  Vallerò  (i)  che 
ciò  avvenne  per  la  ripugnanza  che  i  Francesi,  al  par  degli  altri  popoli,  sen- 
tivano nel  recarsi  in  Oriente,  e  noi  vedremo  in  seguito  quanto  sia  erronea 
e  gratuita  questa  asserzione,  che  fa  torto  all'indole  francese  piena  di  slancio 
e  di  abnegazione  per  ogni  causa  generosa.  Comandati  da  Almerigo,  fratello 
del  Duca  di  Modena,  che  fu  assistito  da  Bas  e  (jremon ville,  nipote  dell'am- 
basciatore del  Re  di  Francia  in  Venezia,  essi  sbarcavano  nel  1660  a  Suda, 
s'impadronivano  del  forte  d'Apricorno,  uccidevano  il  bassa  di  Canea  ;  poscia, 
sopraggiunti  rinforzi  ai  Turchi,  si  portavano  in  Candia  ed  assaltavano  il 
campo  nemico.  Ala,  appena  a  loro  cominciava  ad  arridere  la  vittoria,  imme- 
mori della  strage  di  tin  altro  esercito  francese,  ben  più  numeroso  ed  agguer- 
rito che,  per  soverchia  fiducia  sul  proprio  valore,  veniva  sterminato  da 
Hayezid  presso  Nicopcjli,  essi  si  sbandavano  per  darsi  al  saccheggio,  e  così 
al  nemico  riusciva  facile  sorprenderli  ed  opprimerli.  I  superstiti  ritornavano 
in  Francia  l'anno  seguente,  ed  i  Turchi,  che  frattanto  avevano  sgominato 
eziandio  il  Ragotzi,  i  Moscoviti  ed  i  Tartari,  ed  avevano  occupato  la  Tran- 
silvania  insieme  a  due  regioni  ungheresi,  non  temendo  in  Candia  i  soli  Ve- 
neti, si  disponevano,  sotto  la  perspicace  e  gagliarda  direzione  di  Acmed, 
creato  Gran  Visir  alla  morte  del  padre  Mahomed,  avvenuta  nel  1 661,  si  di- 
sponevano, dico,  a  ritener  per  forza  le  terre  occupate,  non  ostante  che  due 
incendi  avessero  afflitto  la  loro  capitale,  ed  una  fiera  burrasca  avesse  di- 
strutto nel  mar  Nero  ventisette  delle  loro  galere.  Davanti  a  tale  proposito 
l'Imperatore  concedeva  di  buon  grado  a  Venezia  di  assoldare  due  reggimenti 
in  Baviera,  e  pregava  il  Pontefice  di  indire  un  congresso  fra  tutti  i  regnanti 
per  combattere  i  Turchi. 

II  congresso  veniva  indetto  a  Roma  nell'anno  1662,  e  l'esito  infelice  di 
esso,  in  causa  dell'ambasciatore  Crichi,  obligava  l'Imperatore  e  Venezia  a 
domandare  pace  al  Turco,  l'uno  offrendo  la  Transilvania,  l'altra  parte  del- 
l'isola. I  Turchi  non  se  ne  davano  per  intesi,  ed  occupavano  Cattaro,  s'im- 
possessavano di  due  vascelli  veneti  che  portavano  a  Candia  trecento  fanti  e 


(i)  Storia  della  guerra  di  Candia.  Venezia,  1679,  cap.  I\'. 


r   PrEMONTKSI    ALLA    GUERRA    I)[    CAXDLV 


cento  cavalli,  ed  acquistavano  forza  in  Un_t»-heria.  L'anno  sei^uente  il  Gran 
Visir  sconfio-gcva  gli  Ung-hercsi,  ed  atterriva  Tlmperatore,  il  quale  cercava 
d'indurre  il  Pontefice  e  la  Rcpublica  Veneta  ad  unirsi  a  lui.  i?arrebbe  che 
la  Kepublica,  ,L;ià  tanto  dolente  per  essere,  a  suo  avviso,  abbandonata  dagli 
altri  Stati,  avrel)be  dovuto  accettare  con  trasjìorto  l'invito:  viceversa  essa  scri- 
veva al  suo  ambasciatore  Sagredo  di  non  impegnarsi  in  nessun  trattato.  Un  au- 
torevole senatore  veneto,  Andrea  Vallerò,  già  menzionato,  dice  che  a  c|uesto 
atto  sorprendente  la  spingeva  anzitutto  il  timore  di  tirarsi  addosso  l'ira  del 
Re  di  i^Vancia,  collegandosi  col  Papa,  tuttora,  a  ciiusa  del  Crichi,  sotto  il 
peso  del  risentimento  francese,  in  secondo  luogo  il  tergiversare  dell'  Impe- 
ratore a  suo  riguardo  nei  tempi  passati.  A  questi  due  motivi  fa  d'uopo  ag- 
giungerne un  terzo,  l'egoismo  della  Republica,  la  quale  credette  di  riuscire 
ad  aver  ragione  dei  Turchi  in  Candia,  allorché  essi  fossero  intenti  a  com- 
battere contro  l'Imperatore,  e  non  giudicò  opportuno  legarsi  le  mani  con  un 
trattato  che,  costringendola  ad  agire  conform.e  l'intento  comune,  l'avrebbe 
forse  distolta  dal  conseguire  il  proprio.  E  evidente  anzi  che  quest'ultimo 
motivo  sia  stato  il  principale,  giacché  il  bollore  francese,  all'epoca  di  cui  si 
parla,  era  già  scemato,  e  l'Imperatore  non  era  stato  verso  la  Republica  più 
avaro  di  aiuti  di  quanto  il  fossero  stati  gli  altri  regnanti,  e  dava  prova  di 
molta  fermezza  negando  recisamente  ai  Turchi  il  passaggio  per  i  suoi  Stati. 
Pertanto,  pur  conservando  un'alta  ammirazione  per  lo  slancio  e  la  tenacia 
con  cui  Venezia  sostenne  contro  il  Turco  la  guerra,  noi  siamo  tratti  a  con- 
dannare il  suo  modo  di  prc:)cedere  verso  le  altre  potenze,  che  essa  diceva 
indifferenti  ai  suoi  guai,  e  che  invece  essa  stessa  allontanava  da  sé  con  una 
politica  di  basse  speculazioni. 

Era  naturale  che  venisse  trattata  alla  stessa  stregua,  e  noi  vediamo  che 
l'Imperatore,  scampato  alle  violenze  turche  per  la  valentia  di  Raimondo 
Montecuccoli  e  per  gli  aiuti  del  Re  di  Erancia,  stipulava  la  pace  col  (ìran 
Sultano  senza  a\-er  riguardi  per  \'enezia.  E  qui  non  é  tutto!  Già  nel  1662 
l'ambasciatore  inglese,  desideroso  di  ingraziarsi  i  Turchi,  da  cui  aspettava 
qualche  agevolezza  commerciale,  aveva  loro  imprestato  il  proprio  vascello 
per  trasportare  aiuti  a  Candia.  1  Cavalieri  di  Malta,  stanchi  d'una  guerra,  a 
cui  avevano  dovuto  partecipare  essendo  stati  incolj)ati  d'averla  causata,  pre- 
tendevano nel  1661  di  conservare  esclusivamente  per  loro  quattro  navi  turche 
tolte  dall'armata  cristiana  a  INIehemet,  che  andava  bassa  a  Candia  in  luogo 
di  Cussein  fatto  uccidere  dal  Gran  Visir,  ed  avanzavano  poscia  per  due  anni 
consecutivi  la  pretesa  di  tenere  le  loro  navi  a  destra  della  generalissima  : 
tutto  ciò  per  aver  modo  di  separarsi  dall'infida  Republica.  Il  Papa  non  con- 
segnava ad  essa  i  duecento  mila  scudi  lasciati  in  eredità  dal  Mazzarino  per 
combattere  i  Turchi,  dicendo  che  le  somme  enormi  inviatele  dal  Re  Catto- 
lico e  dagli  altri  Principi  erano  servite,  non  già  a  far  guerra  contro  i  Turchi, 
bensì  a  riempir  le  casse  dei  nobili  veneti,  i  quali  ora  dovevano  sborsarle. 
L'Olanda,  al  par  dell'Inghilterra,  non  aveva  scrupolo  di  richiedere  il  Sultano 
di  quiilche  favore  commerciale.  Anziché  schierarsi  contro  T  invadente  razza 
mongolica,  mostrandosi  solidali  colla  Republica  Veneta,  colla  quale  avevano 
comunanza  di  origine  e  affinità  di  sentimenti,  queste  ed  altre  nazioni,  di  cui 
si  fece  cenno  nel  precedente  capitolo,  si  professavano  amiche  dei  Turchi,  e 

4  —  Mise.,  s.  ni,  T.  xm. 


20  LUIGI   DALMASSO 


poco  o  niente  si  curavano  della  Repul)lica.  Anche  la  Francia  dimenticava 
l'affronto  ricevuto  dal  Turco  nella  persona  del  proprio  ambasciatore,  dimen- 
ticava le  giovani  vite  dei  suoi  figli  troncate  dalla  scimitarra  turca  e,  per 
mezzo  del  mercante  Ribolli,  domandava  nel  1664  di  mandare  un  altro  am- 
basciatore a  Costantinopoli,  pur  protestando  d'esser  sempre  l'emerita  soste- 
nitrice della  Cristianità  col  portar  guerra  ai  Mussulmani  di  Barberia,  che 
colle  loro  scorrerie  infestavano  il  bacino  mediterraneo.  Forse  per  far  dispetto 
all'eterna  sua  nemica  perfin  Genova  aspirava  al  lusso  di  aver  un  ambascia- 
tore in  Oriente,  e  nel  1664  il  rappresentante  dell'Impero,  ]>efte,  proponeva 
alla  Porta  per  quell'ufiìcio  il  Durazzo.  La  Spagna  era  più  che  mai  impressio- 
nata dalla  fiera  resistenza  dei  Portoghesi,  che  nel  1Ò63  riportavano  a  Villa- 
viciosa  una  grtmde  vittoria:  d'altra  parte  era  morto  fin  dal  1661  il  suo  primo 
•ministro  don  Luigi  d'Hacos,  che  quasi  solo  aveva  avuto  a  cuore  la  causa 
della  Republica  Veneta  e  sempre  l'aveva  sovvenuta  di  danaro,  temendo  a 
ragione  che  le  perdite  di  essa  fossero  preludi  funesti  ai  regni  di  Napoli  e  di 
Sicilia. 

Non  risulta  che  dal  1662  al  1664  qualche  regnante  venisse  in  aiuto  della 
Republica.  Il  Piemonte  solo,  fermo  nel  suo  proposito  di  meritarsi  la  bene- 
merenza di  essa  a  vantaggio  dei  suoi  intenti  diplomatici,  si  mostrava  coi 
fatti  e  colle  parole  propenso  a  sorreggerla.  Appena  seguito  l'aggiustamento, 
spediva  a  Venezia  trecento  fanti  agli  ordini  dei  colonnelli  Monti  ed  Arborio 
in  surrogazione  dei  caduti  negli  anni  antecedenti,  e  così  veniva  di  nuovo 
portato  a  mille  il  numero  dei  soldati  piemontesi  al  servizio  della  Republica. 
Questa  a  mezzo  del  conte  Bigliore  (i)  faceva  sapere  al  Duca  che  non  s'im- 
maginava di  dover  pagare  la  levata  di  detta  truppa;  ma  poscia  sempre  a 
mezzo  del  Ligliore  (2)  lo  ringraziava  di  avergliela  mandata.  11  marchese  del 
Borgo  (3)  consigliava  al  Duca  di  dare  a  Venezia  altri  quattro  mila  fanti  per 
costituire  un  corpo  d'armata  di  cinque  mila  uomini  che  avessero  diritto  a 
libertà  di  azione,  e  tosto  il  Duca  così  scriveva  allo  zio: 

«  Molto  III'""  Signor  Zio, 

«  Accerterà  V.  S.  per  parte  nostra  il  Signor  Ambasciatore   di  Venezia 

V'  che  faremo   levare   e  condurre   a  nostre   spese  sino  al  lido  di   Venezia  tre 

><  mila  fanti  e  trecento  cavalli   coi  suoi  ufficiali  per  servire  in  Levante  nella 

V,  prossima  campagna.  E  di  più  contribuiremo  per  il  mantenimento  di  dette 

«  truppe  duecento  mila  lire  piemontesi  in  contanti  ed  altre  duecento  mila  in 

grano,  purché  si  compiaccia   S.  Serenità  di   dar  ordini   in   valida   forma  ai 

suoi  ambasciatori  residenti  nelle  Corti  straniere  e  particolarmente  a  Roma 

ed  in  Francia  di  trattare  colli  nostri  che  si  trovano  e  si  troveranno  in  esse 

col   reciproco  titolo    di  Riccllciìza  e  pari   cortesia,  salvo  però  la  mano   nei 

«  luoghi  neutri  all'ambasciatore  veneto.  Ouand<,)   seguisse  rottura   di  guerra 


(i)  Ardi,  di  Stato   di    Torino,  Corrispoudcvza   dci^li  ainbasa'atori  pinnonfcsi  a    l'eiiczia. 
mazzo  9",  Lettera  del  20  giu.s:no  1662. 

(2)  Id.,  Id.,  mazzo  9",  Lettera  del  19  agosto  1662. 

(3)  Id.,  /</.,  mazzo-'9'"',  Lettera  del  2  settembre  1662. 


I   PIEMONTESI    ALLA    GUERRA   DI   CANDIA 


27 


«  in  Italia  (che  Dio  non  voglia)  e  non  potessimo  compire  a  quanto  sopra, 
«  ma  scambievolmente  non  ritirassimo  l'ordine  sopra  detto  per  il  trattamento 
«  degli  ambasciatori  sinché  meglio  s' intendi ssero  le  cose  e  per  altra  via  ci 
«  fosse  permisso  di  servire  Sua  Serenità  a  suo  continto. 

«  Il  desiderio  grande  che  abbiamo  di  far  conoscere  le  disposizioni  del- 
«  l'animo  nostro  verso  la  Serenissima  Republica  ci  fa  anche  desiderare  di 
«  lasciarle  personaggio  a  noi  tanto  caro  e  necessario  e  di  cui  facciamo  tanta 
«  stima  quanta  del  signor  marchese  Villa,  generale  della  nostra  cavalleria 
«  per  servire  nella  predetta  campagna  e  con  dette  truppe  e  le  altre  nostre 
«  che  già  militano  a  quel  servizio,  purché  vi  concorrerà  la  sua  volontà  e 
«  soddisfazione,  ed  egli  sia  trattato  nella  forma  conveniente  quanto  al  co- 
«  mando,  onde  se  gli  ne  farà  con  prima  occasione  l' apertura  e  se  ne  avrà 
«  la  risposta  e  nascendovi  difficoltà  nella  di  lui  risoluzione  si  darà  altro  capo 

«  cospicuo  per  il  medesimo  fine »  (i). 

L'offerta  era  generosa  e  mite  era  il  compenso  che  se  ne  voleva  ritrarre, 
e  reca  meraviglia  il  sapere  che  la  Republica  non  1'  accettasse  tosto  con 
slancio,  che  posponesse  il  suo  interesse  materiale  allo  stolido  desiderio  di 
conservare,  rispettivamente  al  Piemonte,  un'effimera  superiorità.  Tanta  pos- 
sanza aveva  in  quell'epoca  la  vanità  nel  cuore  umano  !  Però  essa,  seguendo 
il  suo  sistema  di  diplomazia,  alieno  dalle  franche  dichiarazioni  e  proclive  al 
tergiversare,  nel  dubbio  che  l'offerta  del  Duca  potesse  divenire  col  tempo, 
più  che  necessaria,  indispensabile,  non  dava  alcuna  risposta  diretta,  ed  in- 
direttamente si  esprimeva  tanto  evasivamente  che  il  Dini  era  tratto  in  in- 
ganno, ed  il  20  gennaio  1663  (2)  scriveva  al  marchese  di  .S.  Tommaso  che 
Venezia  avrebbe  concessa  la  parità  di  trattamento  al  Piemonte,  qualora  il 
Duca  avesse  dato  effetto  all'  intento,  manifestato  al  Sagredo,  di  offrire  tre 
mila  fanti  e  trecento  cavalli,  ed  il  31  marzo  (3)  sollecitava  la  spedizione  di 
trecento  galeotti,  smanioso  di  trarre  il  Piemonte  a  far  cosa  grata  alla  Re- 
publica. Quand'anche  il  Governo  piemontese  non  avesse  avuto  sentore  della 
riluttanza  della  Republica  nel  fargli  le  desiderate  concessioni,  e  non  fosse 
punto  restio  dall' aderire  alle  sollecitazioni  del  Dini,  la  rivolta  dei  Valdesi, 
durata  buon  tratto  dell'anno  1663  e  dell'anno  1664,  doveva  costringerlo  a 
ritenere  per  sé  i  soldati  ed  i  denari.  Di  conseguenza  l'offerta  del  Duca,  con- 
sigliata dal  marchese  del  Borgo  e  favorita  da  Maria  Cristina,  pronta  a  sog- 
giacere ai  più  gravi  oneri  per  ottenere  i  suoi  fini  diplomatici,  cadeva  nel- 
l'oblio. 

Nelle  varie  lettere  che  il  Duca  spediva  al  Dini  (4),  più  non  parlava  di 
aiuti,  né  esigui,  né  importanti:  appena  in  quella  del  31  ottobre  1663  annun- 
ziava di  aver  spedito  a  Venezia  trentacinque  galeotti  insieme  a  quattro  pri- 
gioni colpevoli  dell'assassinio  del  capitano  Barbero,  mentre  era  al  ser- 
vizio della  Republica.  Viceversa  non  si   stancava   dal    richiamare  il    Senato 


(i)  Questa  leUera  è  inclusa  nel    mazzo    13"    della  Corrispondenza  citata,  e  porta    la  data 
del  6  ottobre  1662. 

(2)  Archivio  di  Stato  di  'foriiio.   Corrispondenza  ecc.,  mazzo  9". 

(3)  Corrispondenza  ecc.,  mazzo  9". 

(4)  Id.,  mazzo  8". 


28  LUIGI   DALMASSO 


Veneto  all'osservanza  dei  suoi  doveri  verso  gli  ufficiali  ed  i  soldati  piemontesi 
passati  al  suo  soldo.  Il  io  marzo  1663  richiedeva  gli  emolumenti  dovuti  ai 
fratelli  Chiarboio,  entrambi  distinti  e  valorosi  capitani  ;  il  20  ottobre  dello 
stesso  anno  raccomandava  il  tenente  colonello  Profitio  Torre,  che  dairOriente 
veniva  a  Venezia  per  reclamare  le  paghe  per  sé  e  per  tutto  il  reggimento 
a  cui  apparteneva;  il  g  febbraio  1664  rinnovava  la  sua  raccomandazione  a 
favore  di  detto  colonnello,  non  che  dell'intero  reggimento  di  cui  era  colon- 
nello La  Cerv^erie  e  maggiore  Charboneau  ;  ed  il  7  marzo  insisteva  perchè 
fossero  soddisfatti  entrambi  i  reggimenti  ed  in  primo  luogo  il  maggiore  Char- 
boneau, che  doveva  recarsi  a  Torino  per  dar  sesto  ai  suoi  affari.  Reca  me- 
raviglia l'apprendere  che  queste  autorevoli  istanze  rimanessero  senza  frutto. 
Ma  tant'è!  Oltre  Profitio  Torre,  La  Cerverie  e  Charboneau,  capitarono  a  Ve- 
nezia il  colonnello  Arborio,  il  capitano  Leautier  ed  altri  ufficiali  ancora;  ed 
è  facile  immaginare  qual  grama  vita  vi  conducessero  costretti,  com'erano, 
a  mille  privazioni,  mancando  quasi  tutti  di  danaro,  ed  a  mille  umiliazioni, 
dovendo  lesinare,  nel  vero  senso  della  parola,  quanto  loro  era  dovuto. 

Punto  migliore  era  la  sorte  dei  loro  commilitoni  rimasti  in  Oriente.  Ecco 
quanto  di  loro  scrive  il  colonnello  Arborio  al  Duca  il  16  agosto  1664  da 
Venezia  (i):  «  I  due  reggimenti  sono  ormai  ridotti  a  700  uomini,  che  da  tre 
«  mesi  e  mezzo  hanno  ricevuto  appena  un  reale,  subiscono  un'infinità  di  mal- 
«  trattamenti  e  sono  adibiti  a  servizi  gravosi  ed  inusitati,  come  quella  di  rin- 
«  correre  le  saiche  turche,  nella  qual  impresa  perirono  miseramente  il  capi- 
«  tano  Ignazio  Chiarbone  ed  il  luogotenente  d' Arbisson,  figlio  del  maggior 
«  di  Villanova  >.  La  necessità  che  non  vuol  leggi  scusa  la  Republica  d'aver 
adibito  quei  soldati  a  servizi  non  contemplati  nel  trattato  del  20  maggio  1660; 
ma  nessuna  ragione,  neppur  la  grande  strettezza  in  cui  essa  si  trovava  ri- 
guardo a  denari,  può  scusarla  d'aver  tenuto  nell'indigenza  tanti  uomini  e 
d'aver  permesso  che  venissero  maltrattati.  E  tanto  meno  la  Republica  potrà 
essere  scusata  se  si  pensa  che  essa,  rinunziando  ad  un'effimera  superiorità 
e  dividendo  col  Duca  di  .Savoia  un  vano  titolo,  poteva  ottenere  che  questi 
pagasse  i  suoi  soldati  portandoli  ad  un  numero  molto  maggi(ire. 

Nò  si  deve  credere  che  i  due  reggimenti  non  meritassero  un  trattamento 
migliore.  Innumerevoli  sono  gli  elogi  che  loro  furono  tributati  dai  proprii  co- 
mandanti, siccome  avremo  modo  di  rilevare  ad  onore  e  vanto  dei  soldati 
piemontesi,  che  in  ogni  tempo  si  mostrarono  pazienti,  disciplinati  e  valorosi. 
E  se  J.  li,  Scheither  nella  sua  «  Novissima  praxis  militaris  »  cita,  fra  i  mi- 
gliori soldati  combattenti  a  Candia  alla  fine  dell'assedio,  i  Tedeschi,  gli  Schia- 
voni,  i  (Treci  e  non  i  Piemontesi,  ciò  si  deve  all'esiguo  numero  a  cui  essi 
allora  erano  ridotti.  Risulta  bensì  che  si  trovava  a  Candia  un  reggimento 
di  Savoiardi  forte  dapprima  di  seimila  uomini  e  ridotti  nel  1668  a  mille  cin- 
quecento uomini  (2),  ma  esso  non  aveva  alcun  rapporto  coi  due  reggimenti 
del  Duca:  era  stiito  costituito  puramente  da  mercenari,  i  quali  erano  stati  in 


(i)  Corrispondenza  ecc.,  mazzo  66". 

(2)  Cfr.  il  Gap.  II  (Iella  Giicrrii  di  Candia  nco/i  anni  1667-69  di   Biggk.  Torino,   1901. 


I   PIEMONTESI   ALLA   GUERRA    DI   CANDIA  29 


gran  parte  banditi  di  strada  ed  ospiti  delle  prigioni,  ed  alla  dissolutezza  dei 
costumi  univano  l'intolleranza  delle  fatiche  e  l'insipienza  dell'arte  militare. 
I  due  reggimenti  del  Duca  invece  erano  costituiti  da  truppe  regolari  che, 
come  abbiamo  detto,  spesso  furono  encomiate  per  la  loro  bravura,  e  di  con- 
seguenza avevano  diritto  a  qualche  riguardo  da  parte  della  Republica.  In 
tutto  il  tempo  che  esse  rimasero  al  suo  servizio  è  ricordato  a  loro  carico 
un  solo  fatto  deplorevole,  l'ammutinamento  avvenuto  sulla  nave  «-.  S.  Simeone  y^ 
in  cui  trovarono  la  morte  il  capitano  Barbero,  già  ricordato,  e  qualche  altro 
ufficiale  (i).  Tale  fatto  rimase  isolato,  ma  diede  modo  alla  Republica  di  trat- 
tare sempre  peggio  le  misere  truppe. 


(i)  Vedasi  la  lettera  scritta  dal  Bigliore  al  Duca  il   i"  novembre  1664.  Corrispondenza  ecc., 
mazzo  9°. 


30  LUIGI   DALMASSO 


Capitolo  V. 


Opera  dell'ambasciatore   conte    Bigliore   (ìi    Luserna.   —  Assunzione   del    marchese    Villa  al 
comando  delle  armi  venete.  —  Cenni  relativi  alle  truppe  concesse  dal    Duca  a  Venezia. 

Soffocata  un'altra  volta  nel  sangue  la  rivolta  dei  Valdesi,  Carlo  Ema- 
nuele II  aveva  modo  di  rivolgere  la  mente  alla  vecchia  questione  diploma- 
tica, dibattutasi  tra  i  suoi  antenati  e  la  Republic-a  di  Venezia.  Benché  fosse 
dichiarato  mag'giorenne  a  (juattordici  anni,  egli  non  assumeva  la  direzione 
del  governo  che  a  ventotto  anni  compiuti,  giacche  Maria  Cristina,  desiderando 
di  conservare  il  potere,  finché  visse,  lo  tenne  lontano  dagli  affari  procuran- 
dogli i  div^ertimenti  più  snervanti,  che  dovevano  accorciare  la  sua  vita  e  cir- 
condare di  mestizia  i  soli  dieci  mesi  di  matrimonio  della  sua  prima  moglie 
Francesca  d'Orleans,  morta  nel  gennaio  del  1664,  poco  dopo  Maria  Cristina, 
Ciò  non  ostante  egli  non  si  mostrava  punto  inferiore  ai  diplomatici  contem- 
poranei, famosi  per  i  loro  raggiri  e  per  la  loro  perizia.  E  ciò  risulta  sufficien- 
temente dalle  istruzioni  che  diede  al  conte  Bigliore  di  Euserna,  da  lui  eletto 
il  22  marzo  1664  suo  ainbasciatore  presso  la  Kepubblica,  Dette  istruzioni  fu- 
rono di  due  generi,  palesi  le  une  e  segrete  le  altre.  Nelle  prime  il  Duca 
esprimeva  al  {Migliore  il  suo  desiderio  di  mantenere  la  buona  unione  ed  in- 
telligenza rinnovatasi  colla  Republica  ed  iniziata  dal  marchese  del  Borgo, 
e  raccomandava  al  medesimo  di  non  adoperare  concetti  che  potessero  ecci- 
tare gelosia  e  poca  soddisfazione,  e  di  non  conferire  al  Duca  il  titolo  di 
«  Reale  Altezza  >\  bensì  quello  di  <.  Serenissimo  «  che  si  attribuiva  al  Doge, 
e  nelle  repliche  quello  di  «  Mio  Principe  ».  Gli  ingiungeva  però  di  pr(^cu- 
rare,  prima  dell'entrata  pubblica,  che  gli  venissero  dati  tutti  i  trattamenti 
ambiti  dal  governo,  fra  cui  il  titolo  di  :;  Eccellenza  »  per  parte  del  cavaliere 
deputato  a  riceverlo,  dei  savi  grandi  e  dei  procuratori,  (xli  ordinava  inoltre 
di  innalzare  sulla  porta  del  suo  palazzo  l'arma  reale  di  Savoia,  costituita  di 
tutti  i  quarti,  siccome  usavasi  a  Torino  e  nei  paesi  di  dizione  propria,  e  così 
finiva:  «Per  ultimo  sarete  anche  informato  dell'intenzione  che  abbiamo  ri- 
«  portato  dalla  Kepublica  che,  mediante  qualche  soccorso  considerevole  che 
«  le  havessimo  dato  nella  congiuntura  che  ha  sulle  braccia  lo  sforzo  delle 
«  armi  ottomane,  ci  avrebbe  accordata  la  parità  di  trattamento  fra  gli  amba- 
«  sciatori  suoi  e  nostri  per  decreto  del  Senato,  come  anche  il  titolo  di  Se- 
«  renissimo;  ma  la  molteplicità  dei  pesi  che  abbiamo  avuto  sulle  braccia, 
«  le  gelosie  dei  moti  eccitati  in  Italia  e  altri  accidenti  che  sono  dopo  avve- 
«  nuti  havendo  sospesa  in  sin  hora  con  molto  nostro  disgusto  l'esecuzione 
«  dei  suddetti  concerti,  ne  rimane  però  sempre   in  noi  un  vivo  desiderio    e 


I    PIEMONTESI    ALLA   GUERRA   DI    CANDIA 


31 


:  di  veder  migliorarsi  lo  stato  nostro  presente  che  tuttavia  soggiace  in  queste 
v<  congiunture  a  nuove  ed  inevitabili  occasioni  di  spesa  che  fanno  per  ora 
«  insuperabile  contrasto  colla  volontà  nostra,  salvo  che  la  Rcpublica,  mossa 
«  da  qualche  non  preveduta  contingenza,  fosse  per  disporsi  a  qualche  faci- 
«  lità  e  si  aggiustasse  colle  forze  nostre  indebolite  »  (i). 

Nelle  istruzioni  segrete  si  ordinava  al  Bigliore,  nel  caso  che  l'ambascia- 
tore francese  ricusasse  di  dargli  il  trattamento  regio,  che  lasciasse  credere 
di  proseguire  i  preparativi  per  istabilirsi  a  Venezia,  ed  intanto  facesse  giun- 
gere un  corriere  che  gli  recasse  ordini  improvvisi  ed  importanti  di  portarsi 
a  INIagonza  per  trattare  affari  pressanti  coll'Elettore  di  Baviera,  prima  che  si 
chiudesse  la  dieta  di  Ratisbona.  E  non  era  questo  il  solo  mezzo  di  protesta 
che  gli  veniva  consigiiato  :  lo  si  esortav^a  eziandio  a  pretendere  da  tutti  i  fun- 
zionari veneti  i  dovuti  riguardi,  «  quand'anche  si  convenisse  di  fingervi  am- 
«  malato,  perchè  in  questo  modo  li  tirerete  a  farvi  la  prima  visita  >. 

Come  si  può  arguire  da  queste  istruzioni  e  dalla  scelta  dell'ambascialore, 
uomo  insigne  e  per  natali  e  per  studi  legali,  Carlo  Emanuele  lì  desiderava 
di  continuare  le  buone  relazioni  tra  lo  vStato  suo  e  quello  di  Venezia;  ma 
non  era  per  proseguire  la  politica  blanda  e  generosa  della  madre.  Forse 
nella  sua  mente  stava  già  maturando  il  proposito ,  che  aveva  infiammato 
l'animo  dell'avo  Carlo  Emanuele  I,  d'impossessarsi  di  Cipro,  e  questo  pro- 
posito che  ci  vien  confermato  e  dal  risentimento,  col  quale  egli  rigetta 
l'asserzione  dell'ambasciatore  veneto  in  Ispagna  d'aver  rinunziato  ai  suoi  di- 
ritti su  Cipro  (2),  e  dal  carteggio  che  ebbe  col  marchese  \"illa,  siccome  ve- 
dremo in  seguito,  questo  proposito,  dico,  se  da  una  parte  lo  rendeva  restio 
a  concedere  a  Venezia  nuovi  aiuti,  di  cui  egli  stesso  poteva  abbisognare, 
dall'altra  gli  faceva  ricercare  la  sua  amicizia,  non  avendo  egli  l'ardire  del- 
l'avo di  mandare  ad  effetto  i  suoi  propositi  senza  darsi  pensiero  degli  Stati 
che  avessero  avuto  convenienza  ad  impedirglielo,  né  vivendo  in  epoche 
adatte  a  sfoggiare  simile  ardire. 

Il  Conte  di  Luserna  non  doveva  servirsi  del  sistema  di  difesa  consiglia- 
togli dal  suo  Principe,  giacché  aveva  dalla  Republica,  senza  restrizione  e 
renitenza,  l'accoglienza  desiderata,  non  che  l'avviso  che  era  stato  eletto  am- 
basciatore a  Torino  Catterino  Belegno,  di  illustri  natali  e  di  grandi  facoltà. 
11  Senato  Veneto,  aprendo  le  prigioni  e  ricavando  i  denari  necessari  dalla 
vendita  dei  titoli  nobiliari,  aveva  fatto  molti  armamenti  per  cacciare  i  Turchi 
dall'isola  di  Candia  durante  la  lotta  da  loro  impegnata  contro  l'ImjDero;  ma 
dacché  essi,  vinti  sul  Raab,  tendevano  a  far  pace  coU'Imperatore,  era  stato 
costretto  a  mandare  qtiegli  armamenti  in  Dalmazia,  dubitando  fortemente  che 
i  Turchi  dall'Ungheria  si  spingessero  contro  i  suoi  dominii  di  terraferma. 
E,  persuaso  che  i  suoi  armamenti,  non  che  dargli  la  forza  sufficiente  per 
attaccare  il  nemico,  ormai  non  bastassero  neppure  a  salvaguardcirlo  da 
esso,  aveva  interesse  a  trattare  colla  massima  cortesia  tutti   gli  Stati,  da  ciù 


(i)  Anche  queste  istruzioni  si   trovano   nella  Corrispondenza  citata.  Portano  la  data   del 
27  marzo  1662  e  fanno  parte  del  mazzo  13". 

.    (2)  Arch.  di  Stato    di  Torino,   Corrisp.  ecc.,  Lettera  del    Duca  al   Bigliore  in  data  del   io 
giugno  1665,  mazzo  13". 


LUIGI   DA LM ASSO 


poteva  attendere  aiuti,  e  di  conseguenza  anche  il  Piemonte.  D'altra  parte  il 
I^ini,  magnificando  le  buone  intenzioni  del  Duca  di  -Savoia  verso  la  Repu- 
blica,  aveva  indotto  quest'ultima  a  far  buon  viso  al  Piemonte.  Il  Claretta  ha 
per  il  Dini  amare  parole  reputandolo  poco  pii!i  d'un  mestatore;  ma  in  verità, 
se  da  un  lato  egli  ci  appare  eccessivamente  desioso  d'ingerirsi  d'affari  che 
non  erano  di  sua  pertinenza,  dall'altro  si  deve  ammettere  che  fece  il  possi- 
bile per  vedere  uniti  e  concordi  i  duo  Stati  più  importanti  d'Italia.  Cosicché 
ingiustamente  si  rimpiange  la  speciale  distinzione,  con  cui  egli,  partitosi  da 
Venezia  dopo  l' insediamento  del  Bigliore,  fu  ricevuto  a  Torino  da  Carlo 
Emanuele  IL 

L'ottima  accoglienza,  avuta  dalla  Kepublica,  incoraggiava  il  Bigliore 
a  dar  pronta  esecuzione  agli  ordini  impartitigli  riguardo  allo  stemma,  che 
egMi  taceva  innalzare  sulla  porta  del  suo  palazzo  in  tutta  la  sua  integrità. 
Naturalmente  il  .Senato  Veneto  non  lasciava  passare  il  fatto  sotto  silenzio, 
che,  agendo  diversamente,  sarebbe  venuto  implicitamente  ad  ammettere  i  di- 
ritti del  Piemonte  nell'isola  di  Cipro.  Esso  invitava  insistentemente  il  Duca 
a  far  abbattere  tale  stemma,  ed  il  Duca,  contrariamente  al  consiglio  del  suo 
ambasciatore,  che  avrebbe  voluto  obligare  la  Rcpublica  a  tollerarlo  mi- 
nacciandola di  sottrarle  le  trupjie  ]iiemontesi  che  militavano  al  suo  soldo  (i), 
finiva  per  comandare  che  si  ripristinasse  lo  stemma  già  usato  dal  marchese 
del  Borgo. 

Si  A  detto  elle  il  1  Migliore  mostrasse  nella  sua  mansione  di  ambasciatore 
poco  tatto  e  poca  prudenza,  ed  invero  è  evidente  che  nella  faccenda  dello 
stemma  avrebbe  potuto  agire  con  maggior  circonspezione  e  riguardo,  atten- 
dendo ad  innalzarlo  intiero  allorché  avesse  avuto  aflìdamento  che  il  Senato 
Veneto  l'avrebbe  tollerato.  Tanto  meno  ragionevole  appare  la  minaccia  che 
egli  intendeva  fare  alla  Republica  di  ritirare  le  truppe  piemontesi  ormai 
ridotte  ad  un  numero  troppo  esiguo,  perchè  lilla  lor  perdita  la  Serenissima 
potesse  posporre  il  proprio  prestigio,  che  anche  in  tempi  di  minore  vanità 
sarebbe  stato  compromesso,  rinunziandosi  sforzatamente  ad  un  privilegio 
qualsiasi.  Fallito  il  suo  tentativo  di  imporsi  alla  Serenissima,  egli  cercava 
di  rendersela  propizia  ottenendole  dal  Duca  qualche  aiuto,  ed  in  replicate 
lettere  sollecitava  la  spedizione  di  soldati  e  di  galeotti,  non  nascondendo 
che  dovevano  servire  a  conferirgli  decoro  (2).  Viceversa  pare  che  aderisse 
di  mala  voglia  agli  inviti  del  Duca  e  dei  suoi  ufficiali,  che  lo  spingevano  a 
reclamar  le  paghe  dovute  dalla  Republica,  giacché  non  si  peritava  di  os- 
servare che  bastava  ricercar  denaro  per  divenir  odioso  al  Senato  Veneto  (3), 
salvo  a  menar  gran  v^anto  delle  indennità  che  il  Senato  a  mano  a  mano  an- 
dava ballottando  per  i  detti  ufficiali  (4).  Da  (piesto  modo  di  procedere  ri- 
sulta che  egli,  più  che  all'interesse  del  Principe  a  cui  serviva,  pensava  a 
sé  stesso  e,  seguendo  le  sciocche  tendenze  del  tempo  in  cui  viveva,  aspirava 
a  rendersi  persona  autorevole  e   considerata,   l  suoi    famigli,  come  ben    può 

(i)  Ardi,  di  Stato    di    Torino,  Coiris/y.  ecc..   Lettera  si^cdila  dal    lìigliore  al  marchese  di 
S.  Tommaso  il  26  j^iugno  1664,  mazzo   13". 

(2)  Corrisp.  ecc.  Lettera  del  Piigliore  al  Duca  in  data  del   13  settembre  1664,  mazzo  9". 

(3)  /ir/.,  Lettera  deJ^o  stesso  allo  stesso  del  30  agosto  1664,  mazzo  9°. 

{4)  Id.,  Lettere  dello  stesso  allo  stesso  del  6  e  13  settembre  1664,  mazzo  9". 


I   PIEMONTESI    ALLA   GUERRA    DI    CANDIA 


[ìresumersi,  rispecchiavano  i  suoi  sentimenti:  il  9  settembre  i66_i,  assente 
l'ambasciatore,  cacciavano  brutalmente  dalle  vicinanze  del  Palazzo  alcuni 
sbirri  veneti;  e  che  la  lor  tracotanza,  anziché  essere  redarguita,  trovasse  ap- 
provazioni, appare  dal  fatto  che  alcuni  giorni  dopo  essi  erano  sopra  ad  un 
povero  Zaffo,  sedutosi  inavvedutamente  sotto  l'arma  del  IMinistro,  e  lo  ri- 
ducevano in  fin  di  vitcL.  ].a  Serenissima  non  mancava  di  prendere  la  difesa 
dei  suoi  agenti,  ponendo  al  1)ando  i  filmigli  del  Conte,  od  assegnando  grcjsse 
taglie  a  chi  fosse  riuscito  ad  arrestarli  e  consegnarli  alla  giustizia,  e  se  il 
Duca  a  tutta  prima,  basandosi  sugli  scritti  del  Bigliore,  pareva  disposto  a 
sostenere  i  suoi  adepti  approvando  i  loro  atti  (1),  non  tcirdava  a  ravvedersi 
ed  a  far  le  scuse  alla  Republica.  Ne  rimaneva  male  il  conte  di  Luserna, 
che  comprendeva  essersi  resa  inopportuna  la  sua  permcinenza  a  Venezia  e 
ripetutamente  pregava  il  Duca  di  richiamarlo.  Pur  troppo  il  Duca  non  po- 
teva accontentarlo  essendo  immense  le  spese  d'insediamento  degli  ambascia- 
tori e  conservandosi  poco  florido  l'erario  piemontese. 

Fedele  alla  sua  dichiarazione  di  non  venire  in  aiuto  della  Republica, 
insino  a  che  essa  non  gli  avesse  fatto  nel  campo  diplomatico  qualche  con- 
cessione, Carlo  Emanuele  II  lasciava  insoddisfatte  le  istanze,  che  gli  faceva 
il  Conte  di  Luserna,  perchè  inviasse  alla  Serenissima  nuove  truppe.  Ed  a 
ritenerlo  dal  soddisfare  a  queste  istanze,  oltre  le  sue  speciali  aspirazioni  su 
Cipro,  non  v'ha  dubbio  che  contribuissero  le  querimonie  che  a  lui  rivolge- 
vano tuttavia  i  suoi  ufficiali.  11  colonnello  Arborio,  ricevuto  dal  Senato  Ve- 
neto una  piccola  indennità,  due  mila  ducati  appena,  da  bravo  e  buon  co- 
mandante, s'era  affrettato  a  partire  per  l'Oriente  per  impedire  agli  ufficiali 
subalterni  di  licenziarsi  in  causa  dei  mali  trattamenti  (2),  e  giunto  all'isola 
di  Paros,  così  scriveva  al  Principe  suo  il  26  novembre  (3)  :  «  De  truppe  tro- 
«  vansi  in  buono  stato,  essendo  le  migliori,  siccome  viene  universalmente 
«  giudicato;  ma  continuano  ad  essere  mal  trattate:  cinque  compagnie,  divise 
«  dalle  altre,  furono  mandate  in  Candia,  e  fu  imprigionato  il  sergente  mag- 
«  giore  Alessandro  Cominges  per  il  sospetto,  non  confermato  dal  processo, 
«  d'aver  ferito  in  un  incontro  il  tenente  colonnello  IMonti  ».  Da  questo  stralcio 
di  lettera  si  apprende  che  le  truppe  del  Duca,  non  solo  erano  pregevoli  e 
degne  di  qualche  riguardo,  ma  addirittura  eccellevano  su  tutte  le  altre  : 
sarà  quindi  con  maggior  riprovazione  che  si  rileverà  che  i  maltrattamenti 
inflitti  ad  esse  si  sping'essero  al  punto  di  imprigionare  per  un  semplice 
dubbio  uno  dei  capi  più  ragguardevoli,  al  qual  fatto  se  ne  può  aggiungere 
un  altro  non  meno  riprovevole,  quello  di  destinare  al  remo,  col  pretesto 
di  non  poterlo  riconoscere,  un  ufficiale  che  era  scampato  all'ammutinamento 
della  nave  S.  Simeone,  e  con  stenti  immensi  s'era  diretto  a  Venezia  (4).  Tale 
condotta  meritava  serie  rimostranze,  ed  il  Duca  non  tralasciava  di  farle.  Non 
solo  egli  rifiutava  nuove  truppe,  asserendo  di  non  poterle  concedere  a  causa 
delle  ultime  levate  per  la  Germania,  non  solo  rifiutava  le  stesse  levate  che 
la  Germania,  fatta  pace  coi  Turchi,  respingeva;   ma  inoltre  faceva  scrivere 


(i)  Corrisp.  ecc.,  Lettera  del  Duca  al  lìiijliore  in  data  del  27  settembre  1664,  ma/zo  13". 

(2)  Id.  Id.,  Lettera  dell'Arborio  al  Duca  in  data  del  6  settembre   1664,    mazzo  66". 

(3)  /(/.  Id.,  mazzo  660. 

(4)  hi.  Id.,  Lettera  scritta  dal  Migliore  al  Duca  il   1"  novembre  1664,  mazzo  9". 


Mise,  s.  Ili,   T.  xui. 


34  LUIGI    DALMASSO 


dal  Pianezza  al  Bigliorc  (i)  che  era  determinato  a  richiamare  i  suoi  due 
reggimenti,  qualora  essi  non  fossero  mandati  subito  in  Dalmazia  e  conve- 
nientemente trattati.  Doveva  però  recedere  dal  dar  atto  alla  sua  minaccia  e 
mostrarsi  nuovamente    propenso  verso  la  Republica. 

Aveva  acquistato  fama  di  valente  generale,  durante  la  lunga  guerra 
combattutasi  tra  la  Spagna  e  la  Francia,  il  marchese  Villa,  generale  della 
cavalleria  del  Duca  di  Savoia  e  luogotenente  generale  dell'armata  di  S.  !M. 
Cristianissima,  e,  finita  quella  guerra,  l' opera  sua  era  stata  ricercata  dal 
Senato  Veneto  colla  missione  di  Ippolito  Marufiì,  che  fiiceva  al  Villa  vive 
istanze,  perchè  cooperasse  coll'Almerico  al  buon  esito  della  spedizione  fran- 
cese in  Candia.  Il  Villa  sollecitava  da  Carlo  Emanuele  II  e  da  Luigi  XIV  il 
permesso  di  aderire  a  tali  istanze,  e  Luigi  XIV  il  22  marzo  1660  gli  scri- 
veva da  'Aix  elogiando  moltissimo  il  «  disegno  generoso  di  impiegare  il  suo 
«  valore  e  la  sua  attività  a  servire  la  Republica,  allora  che  la  pace  tra  la 
«  Francia  e  la  Spagna  gli  levava  il  modo  d' impiegarli  al  servizio  della  co- 
v;  rona  francese  ».  Il  IMazarini  poi  con  lettera  del  io  marzo,  spedita  pure  da 
Aix,  gli  concedeva  a  nome  del  Re  v.  di  condur  seco  il  Reggimento  di 
'<  fanteria  e  quello  di  cavalleria  alloggiati  sotto  il  suo  nome  nel  Delfinato  e 
«  insieme  di  fare  qualche  levata  ;,  e  con  lettera  del  30  marzo,  proveniente 
da  Avignone,  gii  prometteva  <-.  una  gratificazione  per  aiutarlo  a  mettersi  in 
«equipaggio  ».  Per  l'urgenza  di  qualche  affare,  siccome  asserisce  il  suo 
segretario  particolare  (ìiovan  Ikittista  Rostagno  ,  nel  libro  <;  Viaggi  in 
Dalmazia  ed  in  Levante  dell'Ecc'""  .Signor  (ihiron  Francesco  Villa,  marchese 
di  Cigliano  e  Volpiano,  conte  di  Camerano  q  cavaliere  dell'Annunziata  :»  (2) 
ovvero  per  volontà  del  Duca  di  Savoia,  siccome  fa  presumere  la  poca  sod- 
disfazione avuta  da  quest'ultimo  col  trattato  dei  Pirinei,  che  aveva  lasciata 
insoluta  la  questione  del  Monferrato  e  di  conseguenza  lo  obligava  a  pro- 
trarre la  guerra  col  Duca  di  Mantova,  egli  non  poteva  in  seguito  assentarsi 
dal  Piemonte,  e  con  lui  rimanevano  in  Occidente  il  Reggimento  di  fan- 
teria e  quello  di  cavalleria,  che  egli  comandava  in  Francia.  Così  avveniva 
che  il  numero  dei  Francesi  andati  a  Candia  nel  1660  fu  di  tremila  an- 
ziché   di  quattromila. 

Niente  faceva  presumere  che  il  Villa  sarebbe  ancora  interessato  dal 
Senato  Veneto  a  partecipare  alla  guerra  di  Candia,  quantunque  il  Duca  di 
Savoia,  siccome  s'è  vist(j  nel  cap.  IV^,  nel  1662  mostrasse  d'esser  disposto 
ad  accordargli  la  sua  licenza.  j\Ia  nello  scorcio  dell'anno  1664,  recatosi  egli 
a  l^arigi  quale  ambasciatore  straordinario  del  Duca,  era  da  Alvise  Grimani 
invitato  ad  assumere  addirittura  il  comando  delle  armi  venete.  Anche  questa 
volta  egli  avvertiva  il  Re  di  Francia  ed  il  Duca  di  Savoia  dell'invito,  do- 
mandando loro  il  permesso  di  accettarlo;  e  Luigi  XIV,  pur  mostrando  il  suo 
gradimento  per  la  <;  nuova  »  e  la  sua  fiducia  che  :  un'elezione  sì  degna 
^<  producesse  delli  avvantaggi  considerabili    per  la  Cristianità  »  (3),  più  non 

(1)  Corrisfy.  ecc..  Lettera  del  4  ottobre  1664,  mazzo  11". 

(2)  Questo  liliro,  oltre  le  lettere  ora  menzionate,  comprende  tutti  i  servigi  prestati  dal 
Villa  alia  Republica  Veneta,  di  moiio  che  supplisce  a  sulficienza  al  diario  che  il  Claretta 
vorrebbe  ricostituito  coll'epistolario  del  Villa,  conservato  nell'Archivio  di  Stato  di  Torino. 

(3)  Lettera  del  3  aprile  1665  scritta  a  Parigi  e  riportata  dal  Rostagno. 


I   PIEMONTESI   ALLA   GUERRA    DI    CAXDIA  35 


disponeva  perchè  con  lui  partissero  soldati  francesi,  né  altrimenti  lo  favo- 
riva ;  mentre  Carlo  Emanuele  II  accordava  il  suo  consenso  ed  inoltre  faceva 
noto  all'ambasciatore  veneto  Catterino  Belegno  che  avrebbe  mantenuto  a 
sue  spese  i  due  reggimenti  piemontesi  al  loro  arrivo  in  Dalmazia  (i),  e  pro- 
muoveva fra  la  nobiltà  del  suo  regno  un  sacro  ardore  per  la  guerra  contro 
il  Turco,  dimodoché,  al  momento  di  lasciar  Torino,  il  marchese  Villa  aveva 
attorno  a  sé  un'eletta  schiera  di  cavalieri. 

Traevano  Carlo  Emanuele  II  a  questo  nuovo  atto  di  generosità  verso 
la  Republica  vari  motivi  :  anzitutto  la  tranquillità  che  da  qualche  tempo 
allietava  il  suo  stato  e  gli  permetteva  di  privarsi  del  suo  primo  generale, 
in  secondo  luogo  il  suo  spirito  inclinato  ad  imprese  gloriose,  per  ultimo  la 
sua  persuasione  che  il  marchese  Villa  compiesse  qualche  fatto  insigne,  che 
rendesse  g-rande  la  sua  influenza  presso  il  Senato.  Costui  in  certo  qual  modo 
andava  ad  assumere  il  comando  supremo  delle  armi  venete,  giacché  era  sta- 
bilito che  non  avrebbe  avuto  altra  dipendenza  che  quella  del  Capitan  Gene- 
rale, militando  in  armata,  e  del  Provveditore  Generale  in  Dahnazia,  militando 
in  quella  provincia  (2),  dipendenza  che  a  suo  avviso  doveva  essere  più  am- 
ministrativa che  militare,  quindi  tutto  suo  sarebbe  stato  il  merito  delle  vit- 
torie che  si  sarebbero  riportate,  ed  il  Senato,  a  causa  di  esso,  sarebbe  stato 
largo  di  favori  verso  il  Duca,  né  v'era  dubbio  che  il  Villa  si  sarebbe  ado- 
prato  per  procurargli  questi  favori,  poiché,  ferrarese  di  nascita,  egli  teneva 
le  migliori  fortune  e  d'averi  e  d'impieghi  alla  Corte  di  Torino. 

La  generosità  di  Carlo  Emanuele  II  trovò  a  Venezia  molto  favore,  per 
cui  era  possibile  al  conte  Bigliore  concertare  col  Senato  nuova  principii  ri- 
guardo all'amministrazione  della  giustizia  sopra  i  soldati  piemontesi,  ed  un 
lieve  beneficio  ne  riportavano  eziandio  gli  ufficiali  piemontesi  :  il  maggiore 
Cominges  ricuperava  la  libertà,  Profitio  Torre  riceveva  mille  cento  e  quat- 
tordici ducati  e  poteva  raggiungere  il  suo  reggimento;  in  seguito  avevano 
qualche  compenso  anche  gli  altri  ufficiali.  Xon  é  a  dire  però  che  questi 
provvedimenti  non  si  facessero  desiderare  a  lungo  ed  ardentemente  :  molte 
sono  le  lettere  del  Bigliore,  del  Pianezza  e  del  Duca,  che  lamentano  per  lungo 
tempo  ancora  la  lentezza  della  Republica  nel  togliere  dalle  pene  coloro 
che  l'avevano  servita  e  continuavano  a  servirla.  Fra  esse  sono  da  menzio- 
nare quelle  del  Bigliore  colla  data  del  14  marzo  e  del  ro  aprile  1665  (3),  in 
cui  è  ritratta  la  triste  esistenza  del  capitano  Ceola,  fermo,  senza  mezzi  di  sus- 
sistenza, nell'isola  di  Cerigo  con  tutta  la  sua  compagnia  di  corazze.' Intanto 
a  Tripoli  traeva  i  suoi  giorni  nella  schiavitù  il  capitano  La  F.oubera,  e  la 
Republica  non  pensava  punto  a  riscattarlo.  Questo  compito  doveva  assu- 
merselo il  fratello  stesso  di  La  Loubera,  capitano  anch'  egli  nelle  truppe 
piemontesi  (4). 


(i)  Corrisp.  ecc..  Lettera  del  Duca  al  Bigliore  in  data  del  14  febbraio  1665,  mazzo  13». 

(2)  Cfr.  Ducale  veneta  del  15  aprile  r665,  pubblicata  da  G.  R.  Rostagno. 

(3)  Corrisp.  ecc.,  mazzo  9''"*. 

(4)  Cfr.  ordine  dato  da  Carlo  Eman.  Il  il  28  maggio  1665  ai  generali  Veadore  e  Conta- 
dorè  (Sez.  IV  dell'Arch.  di  Torino)  di  lasciar  partire  per  Tripoli  il  capitano  La  Loubera  che 
intendeva  di  provvedere  per  proprio  conto  al  riscatto  del  fratello. 


30  LUIGI   DALMASSO 


Capitolo  VI. 


Il  marcliesc  Villa  in  I^alinazia  ed  in  Levante.  —  Riorilinainento  tlell'armata.  —  Contingente 
delle  forze  apprestate  dal  Piemonte  ed  epoca  in  cui  fur  apprestate.  —  Dissensi  tra  il 
Villa  e  gli  altri  comandanti.  —  Propositi  del  Duca  di  Savoia  riguardo  all'isola  di  Cipro. 

vSotto  gli  auspici  della  Gran  Madre  di  Dio,  il  25  marzo  1665,  il  marchese 
Villa  partiva  da  Torino,  accompagnato  dal  marchese  Francesco  Villa,  suo 
cugino,  dal  capitano  Benedetto  Lagnasco,  suo  nipote,  dal  conte  Luigi  Saluzzo 
di  Monterosso  e  da  Bernardino  Baretta  Monforte,  tutti  e  quattro  suoi  capi- 
tani personali,  da  Francesco  Giovanni  Pusterla  ed  Alessandro  De  Negri, 
aiutanti  generali,  dall'ingegnere  Giovanni  Gerolamo  Quadruplani,  da  venti 
ufficiali  riformati  e  dai  volontari  conte  di  Brusasco,  Amedeo  del  Pozzo, 
capitano  Francesco  Bay  e  capitano  Giovanni  Amedeo  Asinari  :  seguito 
imponente  di  cavalieri  insigni,  che  con  slancio  ammirabile  rinunziavano 
agli  splendori  della  lor  casta,  e  delle  giovani  lor  vite  facevano  olocausto 
per  la  grandezza  della  Ropublica  Veneta  e  per  il  trionfo  della  religione 
cristiana. 

TI  giorno  8  aprile  il  Villa  ora  a  Venezia  e,  ricevuto  solennemente  in 
Senato,  mostrava  il  suo  grato  animo  per  essere  stato  eletto  «  fra  molti  più 
«  cospicui  soggetti  ad  un  imjoiego  tanto  onorato  da  famosissimi  predeces- 
«  sori  e  tanto  onorevole  per  se  stesso  »,  con  un  discorso  che  tralascieremo 
di  riportare  come  quello  che  si  conviene,  più  che  ad  una  dissertazione  sto- 
rica, ad  una  dissertazione  letteraria,  costituendo  un  rimarchevole  saggio  dello 
stile  stranamente  fiorito  e  cervellotico  del  seicento.  Basti  dire  che  in  essi  il 
Villa  «  ardisce  farsi  presago  di  dover  vedere  non  solamente  dal  Corno  Veneto 
<;  rinversate  un'altra  volta  nel  Mare  le  minacciose  Corna  di  quel  volubile 
«  Pianeta  dell'Ottomano,  ma  reintegrati  quei  gloriosi  acquisti  che  resero  il 
«  nome  veneto  assai  più  chiaro  del  Sole  in  Oriente  »,  e  reputa  Provvidenza 
divina  la  sua  elezione,  in  quanto  che  suo  proavo  Alfonso  Villa  s'era  trovato 
alla  battaglia  di  Lepanto,  e  suo  avo  Francesco,  non  che  suo  padre  Guido 
<■;  consacrato  avrebl^ero  le  loro  destre  all'Impero  Veneto,  se  l'incomparabile 
«  equità  della  Serenissima  Republica  non  avesse  approvato  che  l'uno,  rite- 
«  nuto  dal  Pontefice  suo  signore  diretto  col  Generalato  dell'  artiglieria  di 
«  Santa  Chiesa,  preferisse  il  debito  naturale  al  volontario,  e  l'altro,  essendo 
<;  ritenuto  dall'invittissimo  Carlo  Emanuele  suo  signore  per  le  guerre  soprav- 
«  venute  al  Piemonte,  giudicasse  servizio  del  Senato  il  servizio  di   un  Prin- 


I   PIEMONTESI   ALLA   GUERRA   DI   CAXDIA  37 


«  cipe  confederato,  figliuolo  della  Republica...  »  (i).  Giova  però  ricordare 
a  suo  onore  che  fin  d'allora  egli  raccomandava  «  il  numero  e  la  qualità 
«  delle  truppe  e  la  copia  delle  provvigioni  che  sono  i  nervi  dell'esercito,  in 
«  modo  che  i  mezzi  corrispondessero  agli  alti  fini  »,  Per  quanto  grandi  gli 
sforzi  della  Republica  nel  mettere  assieme  molti  soldati  e  provvedere  ai 
loro  bisogni,  essi  non  corrisposero  mai  alle  richieste  dei  Comandanti,  i  quali, 
non  che  essere  in  grado  di  attaccare  il  nemico,  poterono  a  stento  resistere 
ad  esso,  ed  è  merito  insigne  del  Villa  aver  preteso  ed  ottenuto  un  esercito 
rilevante,  il  più  rilevante  che  fino  allora  fosse  stato  inviato  a  Candia. 

Xel  maggio  successivo,  mentre  a  Torino  si  festeggiava  il  nuovo  matri- 
monio di  Carlo  Emanuele  II  con  Giovanna  Battista  di  Savoia-Xemours,  il 
marchese  Villa,  munito  di  patenti  che  lo  creavano  generale  della  fanteria 
con  imperio  sugli  altri  generali  di  cavalleria  e  di  artiglieria,  andava  in 
Dalmazia,  ed  a  Spalato  era  ricevuto  con  gran  pompa  e  deferenza  dal  prov- 
veditore generale  Caterino  Cornaro.  Visitava  quindi  quasi  tutte  le  piazze, 
e  dovunque  dava  gli  ordini  opportuni  per  la  difesa  necessaria  in  ogni 
evento.  Ma  si  veniva  a  sapere  che  il  Gran  Visir  aveva  stimato  pericoloso 
e  poco  proficuo  indugiare  nella  Dalmazia  sterile  e  ben  fortificata,  e  senz'altro 
se  n'era  ritornato  a  Costantinopoli.  Svanito  pertanto  il  timore  d'un  attacco 
in  Dalmazia,  il  Senato  Veneto  ritornava  al  suo  primitivo  proposito  d' intra- 
prendere una  guerra  offensiva  nell'isola  di  Candia,  dove  i  Turchi  per  il  male 
contaggioso  erano  ridotti  a  dieci  mila,  e  g'ii  indigeni  mostravano  gran  de- 
siderio di  espellerli.  Il  27  luglio  esso  richiamava  a  Venezia  il  marchese  Villa, 
e  con  lui  concertava  una  sollecita  spedizione  in  Candia,  essendo  giunto  av- 
viso che  anche  i  Turchi  stavano  facendo  grandi  armamenti  collo  stesso  intento 
di  restare  i  soli  padroni  dell'isola.  Fu  stabilito  di  porre  agli  ordini  del  Villa 
un  forte  esercito  comprendente  mille  cavalieri,  tre  mila  fanti  di  Venezia,  tre 
mila  della  Dalmazia,  tre  mila  dell'armata  e  mille  di  Candia.  Il  Villa  si  por- 
tava a  Treviso,  a  Vicenza  ed  a  Verona  per  la  scelta  delle  truppe,  poscia 
prendeva  coinmiato  dal  Senato  con  un  discorso  non  meno  reboante  di  quello 
sopra  menzionato,  ed  il  3  ottobre,  spedita  una  lettera  piena  di  entusiasmo 
al  Duca,  andava  a  riverire  la  Madonna  di  E.oreto,  accompagnato  da  Monsieu 
ed  Espini,  oltre  tutti  i  cavalieri  componenti  il  suo  seguito,  compreso  il  conte 
di  Monterosso,  che,  pur  chiamato  da  urgenti  interessi  in  patria,  preferiva 
la  via  del  sacrifizio  a  quella  del  dovere.  Deg'li  ufficiali  appartenenti  ai  due 
reggimenti  piemontesi  che  militavano  in  Oriente,  rimanevano  in  Italia  La 
Cerverie,  Charboneau  e  Teautier.  Quest'ultimo  pareva  disposto  a  ritornare 
egli  pure  in  Oriente,  giacché  il  Pianezza  nella  sua  lettera  al  Bigliore  del 
20  dicembre  1665  (2)  scriveva  che  pii^i  non  accennava  a  rinunziare  alla  sua 
compagnia,  anzi  desiderava  un  avanzamento  per  la  morte  del  Monti;  ma  per 
quanto  risulta  dai  documenti,  che  si  possono  consultare,  né  egli,  nò  La  Cer- 
verie, né  Charboneau  raggiunsero  il  loro  reggimento,  ed  il  marchese  Villa, 
il  31  dicembre  scrivendo  al  Duca  (3),  proponeva  la  nomina  del  tenente  Recco 


(i)  Si  può  aver  visione  dell'intiero  discorso  nel  libro  del   Rostagno  più  volte  ricordato. 

(2)  Corrisp.  ecc.,  mazzo   11". 

(3)  Id.,  mazzo  io". 


38  LUIGI   DALMASSO 


in  luogo  di  Leautier,  e  domandava  istruzioni  per  la  sostituzione  di  La  Cerverie 
e  di  Charboneau. 

La  visita  del  marchese  Villa  al  celebre  Santuario  di  Increto  era  appresa 
con  gioia  dal  Sommo  Pontefice,  che  il  17  ottobre  rivolgeva  al  generale  un 
breve  cordialissimo  (i),  lodandolo  di  aver  voluto  «  iter  in  Orientem  adornans 
«  Laurctanam  Domum  inviserc  ac  piorum  conatum  exordia  a  Sanctissimae 
«  Virginis  veneratione  auspicare  ».  Alessandro  VII  prometteva  intanto  alla 
Republica  le  sue  galere,  mentre  il  (xranduca  di  Toscana  le  prometteva 
400  fanti  perchè  servissero  in  Dalmazia,  il  Re  di  Francia  le  mandava  100  mila 
scudi,  l'Elettore  di  Baviera  le  concedeva  1500  fanti,  e  400  glie  ne  concedeva 
l'Imperatore  oltre  la  levata  di  due  reggimenti.  Con  questi  aiuti  esigui,  dei 
quali  i  primi  due  non  le  perveniv'ano  che  molto  tempo  dopo,  la  Serenissima 
si  accingeva  alla  più  ardimentosa  impresa,  qual  era  quella  di  affrontare  il 
Turco  in  unV])oca  in  cui,  libero  da  ogni  cura,  esso  poteva  disporre  di  tutte 
le  sue  forze  immense  e  terribili.  11  Ballarino  l'avverte  che  il  Gran  Visir  si 
dispone  a  passare  in  persona  a  Candia,  ma  essa  non  si  sgomenta,  e  non 
cede  alle  insistenze  che  dal  suo  ambasciatore  le  vengono  fatte,  perchè  ab- 
bandoni il  proposito  di  far  guerra  ed  accetti  la  divisione  del  regno  di  Candia, 
che  il  Turco,  impressionato  dai  suoi  armamenti,  s' induce  finalmente  ad  ac- 
cordarle mediante  la  rinunzia  da  parte  sua  alla  fortezza  di  Suda.  Tanto  coraggio 
commuove  il  mondo  cristiano,  ed  innumerevoli  versi  sono  composti  in  onore 
del  V-^illa,  su  cui  da  questo  momento  si  concentrano  le  speranze  di  coloro 
che  nel  l'ureo  non  vedono  egoisticamente  il  mezzo  di  abbattere  o  menomare 
le  potenze  rivali,  ma  giustamente  riconoscono  in  esso  il  peggiore  nemico 
del  progresso  e  della  libertà,  e  contro  esso  vorrebbero  rivolte  le  ostilità  di 
tutte  le  nazioni  civili.  Ricorderemo  fra  i  versi  dedicati  al  Villa,  l'ode  re- 
citatagli in  casa  dello  zio  marchese  Giovanni,  governatore  d'Ancona,  ed  i 
tre  sonetti  presentatigli  da  I.  De  Band  a  nome  di  Creta,  di  Venezia  e  delle 
milizie  di  Candia  (2).  In  tutti  è  espressa  la  più  alta  ammirazione  per  il  suo 
valore,  la  sua  esperienza  ed  il  suo  tatto,  e  la  convinzione  che  dalla  sua  ele- 
zione al  comando  delle  armi  venete  si  debbano  attendere  copiosi  frutti.  Ma 
pur  troppo  egli  non  poteva  esplicare  le  sue  doti  in  causa  delle  opposizioni 
fattegli  dagli  altri  comandanti,  e  la,  sua  opera,  che  aveva  ottimi  principii, 
lini  va  per  riuscire  stenle. 

Il  marchese  Villa  proseguiva  prontamente  il  suo  viaggio  per  il  Levante 
con  soddisfazione  del  Senato  Veneto  (3),  ed  a  Zante  era  raggiunto  dal  tenente 
colonnello  Torre,  che  gli  dava  ottime  notizie  dei  due  reggimenti  piemontesi, 
forti  ancora  di  700  uomini  circa  (4).  Mentre  stava  colà  attendendo  ordini  dal 
Capitan  Generale,  molti  aiuti  pervenivano  ai  Turchi,  i  quali  cercavano  conr 
temporaneamente  di  accattivarsi  l'animo  dei  Cantlioti  rinunziando  quasi  to- 
talmente alle  imposte,  e  ben  tredici  vascelli  sbarcavano  a  Canea  mille  gian- 


(i)  Anch'esso  fu  pubblicato  dal   Rostaj^no. 

(2)  Pubblicati  tutti  dal   Rosta.2:uo. 

(3)  Ducale  del   16.  ottobre  1665,  pubblicata  dal   Rostasno. 

(4)  Corn'sp.  ecc.,  Lettera  scritta  dal  Villa  al  Duca  il  2t  novembre  1665,  mazzo  io". 


I   PIEMONTESI   ALLA   GUERRA    DI   CANDIA 


39 


nizzeri  e  seicento  misscrlini,  senza  che  il  Capitano  delle  navi  Marco  Loredano 
riuscisse  a  fermarli.  Costui  toglieva  sulle  sue  navi  il  Villa,  e  lo  portava  al- 
l'isola di  Paros,  dove  il  6  dicembre  era  ricevuto  e  complimentato  dal  capitan 
generale,  Andrea  Cornaro,  e  dal  tenente  generale  dell'artiglieria,  signor  L.Vert- 
miller.  Tosto  egli  dava  opera  al  riordinamento  dell'armata,  che  divideva  in 
cinque  brigate  ponendole  rispettivamente  agli  ordini  dei  colonnelli  baron  De 
Freishem,  Sagramosa,  Arborio,  conte  Martimoni,  liuttis  e  Motta.  (ìli  studiosi 
dell'arte  militare  avran  modo  di  osservare  questo  riordinamento  sul  libro 
del  Rostagno  già  citato  :  noi  ricorderemo  solamente  che  ebbe  il  plauso  del 
Senato  Veneto  (i),  e  che  della  brigata  Arborio,  oltre  il  reggimento  Pietro 
Antonio  Furietti,  comandato  dal  tenente  colonnello  Chasteaunef,  ed  un  altro 
reggimento  composto  di  tre  compagnie  franche  sottostanti  ai  capitani  Ven- 
turini, Lignon  e  Umberti,  facevano  parte  i  due  reggimenti  piemontesi,  co- 
mandati dal  tenente  colonnello  Profitio  Torre  e  dal  sergente  maggiore  Di 
Cominges,  così  disposti  : 

I.  —  Reggimento  Ersan  o  La  Cerverie. 

Coiiibatt.  effettivi     Ruolo 

Colonnello  Ersan  o  Pa  Cerverie 36  44 

Tenente  CoP  Profitio  Torre 44  51 

Compagnia  Charboneau 37  41 

»             Bronzo 42  47 

Capitano  Valentino  Torre 40  44 

Compagnie  Baron  Di  Valesa 36  41 

Capitano  Re 38  46 

Totale    ....  17^  '^ 


IL 


Reggimento  Arborio. 


Colonnello  Arborio  . 
Tenente  CoP  Monti  .     . 
Sergte  Magg.  Cominges 
Capitano  Trinques    . 

»         La  Loubera 

»         Patriarca     . 

»         Pasqual .     . 

»         Caccia    . 


Totale 
» 

Totale 


Combatt.  effettivi 

Ruolo 

42 

48 

37 

43 

38 

45 

38 

44 

35 

39 

32 

41 

38 

4Ò 

37 

43 

297 

349 

273 

314 

570 

663 

(i)  Ducale  del  4  febbraio  1666,  pubblicata  dal  Rostagno. 


40  LUIGI    DALMASSO 


Questo  quadro,  confrontato  con  un  altro  spedito  al  Duca  il  io  die.  1667  (i)' 
in  cui  i  soldati  picMuontesi,  tra  j^raduati,  suìjalterni,  foriti  ed  ammalati,  rag-- 
giungono  appena  il  numero  di  500,  ci  dà  modo  di  constatare  quanto  sia 
erronea  l'affermazione  del  Valiero  assegnante  al  Duca  il  merito  d'aver  fatto 
nel  16ÒÒ  una  recluta  di  500  fanti  per  rinforzare  tali  reggimenti,  giacche  per 
tutto  l'anno  i66ó  e  l'anno  1667,00!  libro  del  I^lostagno  e  le  lettere  del  Villa, 
è  possibile  enumerare  quasi  ad  una  ad  una  le  perdite  dei  due  reggimenti, 
e  si  può  assicurare  che  esse  non  eccedettero  la  differenza  che  passa  tra  i 
soldati  che  troviamo  alla  fine  del  1665  e  quelli  che  eranvi  alla  fine  del  1667. 
Lo  stesso  Valiero,  che  fu  provveditore  g-enerale  delle  isole  Ionie,  e  che 
nel  1667  era  stato  scelto  a  sostituire  il  (riavarina  ed  il  Padavino,  uccisi  dal 
(xran  Visir,  afferma  che  c|uesti  diu^  reggimenti  passarono  al  servizio  della 
Republica  una  volta  seguito  l'aggiustamento  tra  Venezia  ed  il  Piemonte  (2), 
mentre  g-ià  si  è  dimostrato  che  essi  stavano  al  servizio  della  Repubblica  fin 
dal  1660.  Il  (^laretta  poi  viene  addirittura  a  dirci  che  essi  furono  spediti  dal 
Duca  a  Candia  insieme  al  marchese  Villa  (3),  mentre  il  Villa  scrive  al  Duca, 
prima  da  Venezia,  il  14  aprile  1665,  poscia  da  Spalato,  il  29  giugno,  che  nulla 
sa  sul  conto  hn-o;  finalmente  da  Zanl(>,  il  21  novembre,  annunzia  d'aver 
ap]ireso  dal  iorre  ottime  notizie  di  essi,  e  solo  a  Paro,  il  31  dicembre,  può 
riferire  d'averli  trovati  (4).  Nò  si  può  credere  che  i  reg-gimenti,  a  cui  ac- 
cenna il  Claretta,  siano  diversi  dai  due  comandati  dall'Arborio  e  dal  Torre, 
in  quanto  che,  scorrendo  tutte  le  lettere  del  Duca,  quelle  del  Bigliore  e 
([nelle  del  Villa,  non  ne  troviamo  menzionati  altri.  E  se  il  Claretta  allude 
sem])licomentc  ai  rinforzi,  gli  si  obbietterà  che  il  (piadro  sopra  riportato  cor- 
risponde perfettamente  alle  lettere  dell'Arborio  e  del  Villa,  che  facevano 
ascendere  a  700  circa  il  numero  dei  soldati  piemontesi  alla  fine  dell'anno  1664 
e  durante  tutto  il  1665,  mentre  con  qualche  altro  rinforzo  tale  numero 
avrebbe  dovuto  visibilmente  aumentare,  cosicché  si  può  concludere  che 
nessun  altro  soldato  partisse  col  Villa  da  Torino  all'infuori  dei  cavalieri  co- 
stituenti il  suo  seguito  e  della  gente  addetta  al  loro  servizio.  Valga  quanto 
s'è  detto  per  confutare  egualmente  l'asserzione  del  Biggc  (5),  che  il  Duca  di 
Savoia  inviasse  a  Candia  nel  1666  un  battaglione  di  500  uomini.  Il  Duca  però, 
se  non  inviava  altri  soldati,  il  12  g-ennaio  i6ó6  dava  ordine  ai  banchieri 
Comesi  e  Ressanio  di  Venezia  di  rimettere  le  669  doppie  (14  mila  lire  circa), 
depositate  dal  marchese  Villa,  al  Savio  della  Scrittura,  signor  Barbarigo 
perchè  le  mandasse  in  Levante  assieme  ad  altro  denaro  da  lui  inviatogli 
per  completare  la  paga  dei  suoi  due  reggimenti  per  la  durata  di  sei  mesi, 
e  questa  paga  egli  era  indotto  a  sborsare,  quantunque  non  fosse  avvenuto 
il  passaggio  dei  suoi  soldati  in  Dalmazia,  avendo  constatato  la  necessità  della 
loro  permanenza  in  Oriente.   Prima    dei  denari  erano    spedite  in  Levante  le 


(i)  Compreso  fra  le  leUere  del  Villa.  Corrisp.  Cci.^  mazzo   io". 

(2)  La  ^i^iicrra  di  Candia,  cap.  VII. 

(3)  //  rci^fio  di  Carlo  Jìmanuclc  II. 

(4)  Corrisp.  ecc.,  LeUere  del  marchese  Villa,  mazzo  io". 

(5)  /(/.   Id.  Lettera  del  Duca  al  Bigliore,  mazzo  ro». 


I   PIEMONTESI    ALLA   GUERRA    DI   CANDIA  41 


bandiere  ducali  colla  croce  bianca,  e  questo  distintivo  adottato  solo  allora 
dai  due  reggimenti  piemontesi  (i),  unito  al  fatto  che  molte  istanze  erano 
state  rivolte  al  Duca  perchè  facesse  nuove  levate  per  rinforzare  i  due  reg- 
gimenti, forse  fu  causa  dell'errore  in  cui  furono  tratti  il  Claretta  ed  il  Rigge. 

Risultò  dal  riordinamento  dell'armata  che  la  fanteria  era  effettivamente 
composta  di  7728  uomini  (in  ruolo  9076;  e  la  cavalieria  di  860  (in  ruolo  956); 
ma  dovevano  giungere  ancora  Lorenzo  Cornerò  dalla  Dalmazia  con  800  fanti 
e  Da  Molin  da  Smirne  con  600  fanti.  Il  6  gennaio,  giunti  costoro,  le  truppe 
furono  imbarcate;  però  a  causa  dell'imperversare  dello  scirocco,  che  impe- 
diva lo  sbarco  a  Candia,  dovettero  fermarsi  prima  in  Antiparo,  poscia  in 
Argentiera,  mentre  i  Turchi  sbarcavano  a  Candia  altri  1500  gianizzeri  e  io 
pezzi  di  artiglieria.  ]1  marchese  Villa  proponeva  «  che  si  godesse  il  favore 
«  del  tempo  anche  contrario,  all'intento  di  lasciarsi  portare  a  seconda  del  vento 
«  in  alcuna  delle  isole  doviziose  del  Turco  per  ristaurare  le  truppe  ed  evi- 
«  tare  li  discapiti  e  patimenti  che  facevano  infermare  molti  capi  e  soldati  e 
«  morire  la  maggior  parte  degli  ammalati,  che  sopra  le  due  navi,  scelte  a  ser- 
«  vire  d'ospedale,  seguivano  l'armata,  parendo  al  marchese  suddetto  che,  ben 
«  lungi  d'impedire  l'impresa  progettata  a  tentarsi  nel  regno  di  Candia,  poteva 
«  questa  scorsa  facilitare,  ingelosendo  il  nemico  in  altre  parti  ;  ma  la  puntua- 
«  lità  del  signor  Capitan  Generale  in  non  contravvenire,  nemmeno  per  ombra, 
«  agli  ordini  che  diceva  tenere  da  Sua  Serenità  di  non  operare  se  non  in 
«  regno  di  Candia,  non  lasciò  al  detto  signor  marchese  Villa  rinnovare  in 
«  questo  fatto  premure  »  (2).  Così  principiava  il  nostro  Generale  il  periodo 
di  azione:  i  suoi  disegni  trovavano  subito  un  ostacolo,  altri  ostacoli  trovavano 
in  seguito  e,  quel  che  è  peggio,  essi  non  partivano  dal  solo  Capitan  Gene- 
rale: i  mali  lamentati  dall'anonimo  scrittore  degli  avvenimenti  di  Candia,  al 
tempo  dello  sbarco  del  principe  Almerico  d'Este  (3),  non  erano  scomparsi; 
anche  allora  ogni  Comandante  voleva  fare  e  faceva  il  Generale.  Non  è  da 
stupirsi  quindi  che  il  Villa  non  riuscisse  a  compiere  imprese  importanti. 

Da  Argentiera  il  marchese  Villa  scrivendo  al  Duca  il  6  febbraio  1666  (4), 
dava  ottime  notizie  dei  due  reggimenti  piemontesi  e,  con  iscritto  cifrato  ac- 
cennava all'opportunità  di  togliere  Cipro  al  Turco  col  consenso  del  .Senato 
Veneto.  Lo  scritto  presuppone  una  segreta  intesa  fra  il  Duca  ed  il  suo  Ge- 
nerale per  concertare  il  modo  d'impossessarsi  dell'isola  così  cara  alla  casa 
Savoia,  e  per  esso  resterà  fuor  di  dubbio  il  proposito  attribuito  al  Duca,  di 
far  valere  le  sue  ragioni  sopra  quell'isola.  11  Claretta,  nella  biografia  che  ci 
dà  del  marchese  Villa,  afferma  che  anche  il  Duca,  in  lettere  cifrate,  intrat- 
teneva il  Villa  sui  disegni  che  aveva  ideato  riguardo  a  Cipro,  e  lo  stupore 
nostro  nel  vedere  che  egli,  quasi  privo  di  navi,  pensasse  a  togliere  ai  Turchi 
un'isola  così  lontana  dai  suoi  Stati,  cadrà  facilmente  quando  si  pensi  che  nel 
1666,  per  una  insignificante  questione  di  territorio,  egli   veniva  a   diverbio 


(r)  Cfr.  la  lettera  scriUa  dalI'Arborio  al   Duca  il  28  aprile  t666  e  riferente  il  gaudio  delle 
truppe  piemontesi  alla  vista  delie  bandiere.  (\>rris/>.  ccc.^  mazzo  66". 

(2)  RosTAGNo,    Viaj^iii  ecc. 

(3)  Bernard V,    Venezia  ed  il  Turco,  cap.  IV. 

(4)  Corrisp.  ecc.,  mazzo  io". 

6  —  Mise,  s.  HI,  1.  xni. 


LUIGI    DA  LM ASSO 


con  Genova  e  non  voleva  saperne  di  accomodamento,  anzi  preparava  nel- 
l'anno seguente  una  forte  armata  per  passare  a  vie  di  fatto.  Indubbiamente 
Carlo  Emanuele  TI  voleva  occupare  Genova  per  servirsene,  secondo  il  con- 
cetto di  Carlo  Emanuele  I,  come  base  di  operazione  militare  per  giungere 
a  Cipro.  Una  volta  salito  sulle  galere  genovesi,  pronto  a  sciogliere  le  vele 
per  portar  guerra  al  Turco,  gli  Stati  cristiani,  non  solo  avrebbero  tollerato 
la  sottomissione  di  Genova,  ma  inoltre  avrebbero  mandato  a  lui  parte  di 
quegli  aiuti  che  da  tanto  tempo  davano  alla  Republica  Veneta;  e  mentre 
questa  si  sarebbe  sforz^ita  per  ritenere  il  possesso  di  Candia,  a  lui  sarebbe 
riuscito  facile  impadronirsi  di  Cipro,  che  i  Turchi  non  avrebbero  potuto  op- 
porgli gravi  ostacoli,  e  per  conto  loro  i  Ciprioti  desideravano  tuttodì  di 
abbattere  l'aborrito  giogo  ottomano. 


I   PIEMONTESI   ALLA   GUERRA   DI   CANDIA  43 


Capitolo   \'II. 


Sbarco  a  Suda.  —  Accampamento  delle  truppe  di  fronte  a  Candia.  —  Loro  peregrinazioni 
per  l'Arcipelago.  —  Disgusto  del  Marchese  Villa  e  del  Duca  di  Savoia.  —  Ostacoli  fatti 
al  rimpatrio  del  Villa. 

Il  14  febbraio  l'armata  veneta  entrava  nel  porto  di  Suda  coll'intenzione 
di  espugnare  Canea,  il  26  procedeva  allo  sbarco  ed  il  28  dello  stesso  mese 
avveniva  uno  scontro  tra  parte  di  essa  e  la  guarnigione  di  Canea.  Il  tenente 
generale  Vertmiller  riceveva  ordine  di  avanzare  con  600  fanti  e  180  cavalieri 
per  assicurare  le  ciurme  che  facevano  legna,  e  S7ia  spoiite  inseguiva  un  ma- 
nipolo di  Turchi  che  lo  traeva  fin  presso  Canea,  dove,  assalito  dal  presidio, 
perdeva  300  uomini,  tra  cui  il  capitano  Patriarca  e  59  soldati  piemontesi  (i). 
Questo  incidente,  unito  a  quello  delle  incessanti  pioggie  che  infastidivano  le 
truppe  ed  impedivano  ai  Cristiani  di  arrestare  i  Turchi,  che  da  Retimo  e  da 
Candia  si  recavano  a  Canea,  faceva  prendere  al  Villa  la  deliberazione  di  partire. 
Però  egli  avrebbe  voluto  condurre  l'armata  a  vSpinalonga  per  accamparsi 
senza  rischio  e  con  comodo  in  qualche  valle  ubertosa,  ed  intanto  accrescere 
l'esercito  di  buon  numero  di  regnicoli  ed  inferire  ai  nemici  qualche  danno, 
quindi  dirigersi  o  per  terra  o  per  mare  verso  Candia  nuova  e  magari  ritor- 
nare a  Canea;  altri  invece  voleva  che  si  cercasse  di  conquistar  Scio  per 
distogliere  il  Gran  Visir,  che  già  si  trovava  in  jMorea,  dal  passare  nell'isola; 
e  prevalse  il  parere  del  Vertmiller  che,  all'espugnazione  di  qualche  isola, 
anteponeva,  per  gli  utili  che  dovevano  derivarne,  la  distruzione  del  campo 
turco. 

Il  3  marzo  le  truppe  erano  di  nuovo  imbarcate,  ed  il  giorno  1 1  erano 
accolte  dal  provveditore  generale  Antonio  Friuli  in  Candia,  dove  poco  dopo 
giungevano  eziandio  il  provveditore  d'armata  Pesaro  ed  il  capitan  generale 
Cornare.  Il  12  aprile,  nei  fossi  della  cittcà,  verso  la  parte  del  Panigrà,  si  pas- 
sava in  rivista  la  cavalleria  la  quale,  assalita  furiosamente  dai  nemici,  era 
costretta  a  ritirarsi  in  disordine.  Il  19  poi  tutto  l'esercito,  composto  di  650 
cavalieri  e  di  6000  fanti,  oltre  1300  uomini  della  Piazza,  prendeva  posto  fra 
la  città  e  la  valle  del  fiume  Gioffiro,  e  si  schierava  parte  di  fronte  a  Candia 
nuova,  parte  verso  la  valle  del  Giofiìro  e  parte  lungo  la  linea  del  mare.  I 
due  reggimenti  piemontesi,  insieme  a  quelli  del  Preter  e  del  Furietti,  stavano 
verso  la  valle  agli  ordini  del  colonnello  Arborio,  e  tosto  il  loro  valore  era 
messo  a  dura  prova. 


(i)  Corrisp.  ecc..  Lettera  scritta  dal  Villa  al  Duca  il  6  marzo  1666,  mazzo  io". 


44 


LUIGI   DALMASSO 


Il  mattino  del  21  aprile  2000  Turchi  facevano  impeto  sopra  50  fanti  cri- 
stiani, che  si  tenevano  fuori  delle  linee  presso  un  mulino  a  vento,  e  li  costrin- 
gevano a  ritirarsi  lungo  la  sponda  della  valle.  Qui  avveniva  una  zuffa  furiosa, 
nella  quale  avevano  il  sopravvento  i  Cristiani  che  riuscivano  a  riprendere  il 
posto  primitivo,  sorretti  dall'artiglieria  del  forte  e  dai  moschetti  del  campo. 
Verso  le  venti  dello  stesso  giorno  i  Turchi  cercavano  un'altra  volta  di  far 
ritirare  i  nostri,  e  con  più  ferocia  era  rinnovata  la  zuffa  del  mattino  con 
grave  danno  stavolta  dei  Turchi,  seicento  dei  quali  perdevano  la  vita.  Nel 
combattimento  del  mattino  prendevano  viva  e  gloriosa  parte  25  moschettieri 
del  reggimento  Arborio  comandati  dal  tenente  Della  Cerusa,  e  nel  combat- 
timento della  sera  i  capitani  Re,  I.a  Toubera  e  Bronzo  colle  loro  compagnie, 
il  conte  Monterosso,  il  conte  Brusasco  e  Del  Tozzo:  trovava  la  morte  il 
tenente  Della  Cerusa  (i). 

La  notizia  dei  due  combattimenti  giungeva  à  Venezia  molto  alterata  :  il 
5  giugno  il  Bigliorc  scriveva  al  Duca,  suo  signore,  che  addirittura  il  mar- 
chese Villa  aveva  conquistato  Candia  nuova,  e  partecipava  al  marchese  di 
S.  Tommaso  il  giubilo  dei  Veneti  per  la  grande  vittoria  e  la  loro  gratitudine 
verso  S.  A.  R.  unica  nell'assisterli  (2).  Ciò  dimostra  che  immensa  davvero 
era  la  stima,  che  si  faceva  del  valore  del  Villa,  e  la  speranza  che  su  esso  si 
fondava.  Disgraziatamente  il  Capitan  Generale  toglieva  al  Villa  1200  fanti 
per  armare  le  navi  che  dovevano  impedire  lo  sbarco  dei  Turchi,  che  da  ogni 
parte  dell'Impero  si  dirigevano  verso  l'isola,  e  così  il  Villa  più  non  poteva 
pensare  ad  assaltare  il  campo  nemico,  tanto  più  che  esso,  forte  dapprima  di 
poco  più  di  dieci  mila  uomini,  s'era  accresciuto  di  vari  rinforzi  sfuggiti  alla 
sorveglianza  delle  navi  venete  divise  in  tre  gruppi,  comandati  rispettivamente 
dal  capitano  delle  navi  Girolamo  Grimani,  dall'almirante  Nicolò  Beon  e  dal 
Capitano  Generale.  Non  avvenivano  quindi  che  poche  scaramuccie  per  il 
taglio  del  fieno  che  l'uno  e  l'altra  parte  si  disputavano,  notevole  quella  del 
16  maggio,  in  cui  cadevano  200  Turchi.  E,  quantunque  l'opera  del  Villa 
riuscisse  sempre  provvida  «  per  le  forme  prudenti  e  caute  colle  quali  dirigeva 
«  le  armi  e  sosteneva  a  fronte  del  nemico  il  decoro  delle  medesime  >:>  (3),  tut- 
tavia egli  era  avvilito,  ed  è  con  rammarico  che  il  30  maggio  scriveva  al 
Duca  che  niente  d'importante  poteva  comunicargli,  non  ostante  che  vivissimo 
fosso  sempre  stato  il  suo  desiderio  di  compiere  qualche  insigne  impresa  per 
non  esser  nel  caso  di  <;  ritornare  con  rossore  in  Piemonte  ;^  (4).  Per  conto 
loro  i  due  reggimenti  piemontesi  desideravano  di  ritornarsene  in  Italia,  po- 
tendo ormai  formare  un  solo  reggimento  (5). 

Il  i"  giugno  con  grande  contentezza  dei  Turchi  e  con  grande  costerna- 
zione degli  abitanti  di  Candia,  per  cui  finiva  il  sollievo  che  dopo  ventidue 
anni  di  assedio  avevano  goduto,  i  Cristiani  toglievano  l'accampamento  con- 
forme gli  ordini  del  Capitan  Generale,  a  cui  stava  a  cuore  farli  partecipare 


(i)  Corrisp.  ecc.,  Lettera  scrina  dal  Villa  al  Duca  il  27  aprile  1666,  mazzo  io". 

(2)  Id.  id.,  mazzo  13". 

(3)  Ducale  veneta  del  23  ffiusiio   1666,  diretta  al   Villa  e  pubblicata  dal   Rostasno. 

(4)  Corrisp.  ecc.,  mhzzo   10". 

(5)  Id.,  Lettera  scritta  il  2.S  aprile   i6fi6  dall'Arborio  al   Duca,   mazzo  66". 


I  PIEMONTESI    ALLA   GUERRA    DI    CAXDIA  45 


all'infruttuosa  caccia  che  egli  dava  alle  navi  nemiche.  Fatta  la  rassegna  si 
trovò  che  la  fanteria,  durante  i  45  giorni  che  durò  l'accampamento,  era  solo 
diminuita  di  166  uomini  e  la  cavalleria  di  83  cavalli,  compresi  i  morti  d'in- 
fermità ed  i  disertori:  viceversa  si  calcolava  che  dei  Turchi  fossero  periti 
più  di  due  mila.  TI  Senato  Veneto  ringraziava  il  Villa  d'aver  <;  preservate 
«  colla  sua  saggia  e  prudente  condotta  le  Milizie  con  aumento  di  coraggio 
«  e  di  disciplina  >>  (i)  e,  constatata  la  necessità  di  nuove  forze  in  causa  del- 
l'accresciuto numero  dei  nemici,  faceva  vive  istanze  presso  tutte  le  Corti  per 
avere  soccorsi,  ma  solo  dopo  dure  concessioni  fatte  al  Cardinal  Nipote,  otte- 
neva dal  Papa  la  levata  di  500  fanti  nelle  Marche,  un  sussidio  straordinario 
sopra  gli  ecclesiastici  dello  Stato  Veneto,  la  promessa  di  200  fanti  per  la 
Dalmazia,  dove  il  bassa  di  Bosnia  aveva  ripreso  le  ostilità,  e  l'elezione  del 
priore  Bichi  a  generale  delle  galere.  Il  generalato  però  non  aveva  effetto  che 
l'anno  seguente,  e  durante  quest'anno  il  grave  compito  delle  galere  di  INIalta 
consisteva  nell'accompagnare  in  Germania,  unitamente  alle  galere  di  Spagna, 
l'Infante  divenuta  imperatrice.  Nessun  aiuto  apprestava  l'Imperatore,  nò  il 
Re  di  Francia,  che  si  disponeva  ad  occupare  il  Brabante  e  la  Franca  Contea, 
provocando  la  guerra  detta  di  devoluzione.  Gli  scarsi  risultati  delle  sue  istanze 
inducevano  il  Senato  A^eneto  a  riprendere  col  Turco  le  trattative  di  pace. 
Scriveva  quindi  al  Ballarino,  il  quale  non  senza  contrasto  otteneva  di  por- 
tarsi per  esse  a  Larissa  presso  il  Sultano,  irritatissimo  del  tentativo  dei  Ve- 
neti di  occupare  Canea  che,  conforme  la  divisione  da  essi  proposta,  doveva 
essere  dei  Turchi.  Moriva  egli  per  viaggio,  ed  il  Senato  nominava  a  suo  suc- 
cessore Girolamo  Giavarino:  venuto  poi  a  conoscenza  della  lodevole  condotta 
del  segretario  del  Ballarino,  signor  Padavino,  senza  distruggere  la  sua  ele- 
zione, stabiliva  che  il  Giavarino  capitando  in  Oriente  si  associasse  al  Pa- 
davino. 

Frattanto  il  marchese  Villa,  insieme  ai  due  reggimenti  piemontesi  ed  al 
rimanente  dell'armata  da  lui  organizzata,  eccetto  mille  uomini  lasciati  al 
Priuli  per  rinforzo  della  guarnigione  che  doveva  difendere  la  Piazza,  pren- 
deva imbarco  sulle  navi  venete  e,  celebrato  a  Milo  la  nascita  del  l*rincipe 
ereditario  del  Piemonte  (2),  vagava  a  lungo  per  l'Arcipelago  cercando  invano 
navi  turche  da  assaltare,  e  lasciando  a  Porto  d'Antro  le  spoglie  del  conte 
Del  Pozzo  e  di  Costantino  Valesa,  morti  miseramente  lontani  dai  patrii  affetti 
e  dal  fragore  guerresco.  Avrebbe  voluto  tentare  la  conquista  di  qualche 
isola;  ma  secondo  il  solito  il  parere  degli  altri  Comandanti  gli  si  mostrava 
contrario  (3).  Quest'opposizione,  avvilente  e  direi  quasi  sistematica,  non  po- 
teva certo  piacere  al  marchese  Villa  che,  come  s'è  visto,  presumeva  d'aver 
militarmente  una  indiscutibile  supremazia.  S'aggiunga  che  correvano  voci 
ingiuriose  sul  conto  suo  :  a  differenza  dei  precedenti  Comandanti  egli  s'era 
astenuto  dal  cacciare  i  soldati  in  una  pazza  mischia,  il  cui  risultato  era  sempre 
stato  un  completo  eccidio,  ed    ecco    che    lo    si    incolpava   d'aver    evitato    i 


(i)  Ducale  del  24  agosto  1666,  pubblicata  dal  Rostagno. 

(2)  Corrisp.  ecc..  Lettera  scritta  dal  Villa  al  Duca  il  21  lu,2:lio  1666,  mazzo  io". 

(3)  Id.,  Lettera  scritta  dal  l'igliore  al  Duca  il  24  luglio,  uiazzo  11". 


4b  LUIGI   DALMASSO 


conflitti  (i).  Disgustato  oltre  ogni  dire  egli  domandava  di  ritornare  in  Italia  (2), 
reputando  finito  il  suo  compito  verso  la  Republica,  che  l' avea  assunto  al 
suo  servizio  per  due  sole  campagne  (3). 

Il  Duca,  finché  sperò  che  il  Senato  Veneto,  stretto  dal  bisogno  del  suo 
aiuto,  fosse  per  concedergli  le  desiderate  prerogative,  si  astenne  dal  far 
pressioni  perchè  il  Villa  fosse  soddisfatto  (4),  anzi  si  mostrò  disposto  a  pa- 
gare ancora  i  due  reggimenti  piemontesi  ormai  privi  di  denaro  (5);  ma 
quando  si  persuase  che  nulla  avrebbe  ottenuto,  non  ostante  che  il  Bigliore 
gli  scrivesse  che  il  Senato  non  aveva  tenuto  conto  delle  accuse  rivolte  al 
Villa  e  gli  aveva  mandato  45  mila  ducati  dando  ordine  al  nuovo  capitan 
generale  Francesco  Morosini  di  trattarlo  con  tutti  i  riguardi,  non  ostante 
tutto  ciò  ordinava  allo  stesso  Bigliore  di  ottenere  il  natila  osta  per  il  ritorno 
del  Villa,  scrivendo  a  quest'ultimo  di  non  differire  la  sua  partenza  (6).  E 
la  determinazione  sua  non  parrà  intempestiva  quando  si  pensi  che,  in  cambio 
di  qualche  favore,  egli  otteneva  dalla  superba  rivale,  verso  cui  era  stato 
cortese  e  generoso,  fieri  affronti.  B' ambasciatore  veneto  non  si  peritava  di 
mostrare  la  sua  superiorità  sulla  Corte  di  Torino,  comparendo  in  mezzo  ad 
essa  con  valletti  che  tenevano  alzata  la  sua  veste  (7);  all'incontro  l'ambascia- 
tore suo  a  Venezia  era  sottoposto  all'avvilimento  che  accompagna  il  truffa- 
tore per  aver  cercato  d'introdurre  di  soppiatto  in  città  due  anfore  di  vino; 
i  soldati  piemontesi  che  militavano  in  Oriente  erano  più  che  mai  persegui- 
tati (8),  e  la  giustizia  sopra  essi  continuava  ad  essere  amministrata  spieta- 
tamente ed  arbitrariamente  da  gente  veneta,  senza  riguardo  ai  loro  capi 
naturali,  di  modo  che  il  Villa  era  obligato  ad  intervenire  in  persona  per 
liberare  un  soldato  piemontese  imprigionato  dai  Veneti  (9).  Prima  però  che 
il  marchese  Villa  fosse  informato  del  desiderio  del  Duca  a  suo  riguardo 
avvenivano  in  Oriente  importanti  avvenimenti. 

Sopraggiunto  il  mese  di  ottobre,  le  navi  venete  si  erano  ritirate  nel  porto 
di  Paro  per  le  opportune  riparazioni,  ed  il  Primo  Visir,  che  da  tempo  si 
trovava  a  Napoli  di  Romania  per  regolare  l'invio  delle  truppe  turche  in 
Candia,  saputo  libero  il  mare,  si  era  affrettato  a  passare  alla  sua  volta  nel- 
l'isola, e  tosto  aveva  chiamato  a  sé  il  Padavino  incaricandolo  di  far  sapere 
alla  Serenissima  che  avrebbe  avuto  la  pace  solo  rinunziando  a  tutta  l'isola, 
e  ritenendo  per  so  la  sola  città  di  Candia  ed  un  piccolo  territorio  circostante, 
il  provveditore  generale  Andrea  l^riuli  faceva  noto  il  fatto  al  Capitan  Ge- 
nerale, e  costui  induceva  il  Villa  a  ritornare  in  Candia  ed  assumere  la  difesa 
della    Piazza.   11    19  novembre    il    marchese   Villa  metteva   piede    in    essa   e, 


(i)  Conisp.  ecc.,  Lettera  del  Villa  al  Duca  in  data  del   io  settembre,  mazzo  io". 

(2)  Id.,  Lettera  del  Bigliore  al  Duca  in  data  del  3  agosto,  mazzo   11". 

(3)  Id.,  Lettera  del  Villa  al  Duca  in  data  del  16  settembre,  mazzo  io". 

(4)  Id.,  Lettera  del  Duca  al  Bigliore  in  data  del  3  settembre,  mazzo  13". 

(5)  Id.,  Lettera  del  Duca  al  Bigliore  in  data  del  29  ottobre,  mazzo  13". 

(6)  Id.,  Lettera  del  Duca  al  Bigliore  il   13  novembre,  mazzo  13". 

(7)  Id ,  Lettera  del  Duca  al  Bigliore  il  14  aprile,  mazzo  13". 

(8)  Id.,  Lettera  del. -Villa  al  Duca  il  6  novembre,  mazzo  10". 

(9)  Id.,  Lettera  del  Villa  al  Duca  il  27  settembre,  mazzo  io". 


I   PIEMONTESI    ALLA   GUERRA    DI    CANDIA  47 

coadiuvato  dal  cav.  Verneda,  sopraintendente  generale  dell'artiglieria  e  delle 
fortificazioni,  dava  opera  a  fortificarla,  compiendo  in  45  giorni  vari  lavori 
fuori  ed  entro  le  mura.  Incjltre  ordinava  varie  sortite  per  rovinare  le  trincee 
degli  avversari:  ad  una  di  queste  sortite  prendeva  parte  l'Arborio  con  due- 
cento savoiardi,  i  quali  mettevano  in  fuga  molti  Turchi  inseguendoli  fin  entro 
i  loro  accampamenti  e,  senza  spaventarsi  del  numero  stragrande  dei  nemici 
precipitatisi  da  ogni  parte  sopra  loro,  operavano  una  bella  ritirata,  lasciando 
sul  terreno  due  soli  soldati,  un  caporale  ed  il  tenente  Liprandi  (1'. 

Il  Senato  Veneto  era  avvertito  e  della  «  prontezza  colla  quale  si  portava 
«  a  riveder  Candia  >  e  della  e  sua  applicata  virtuosa  assistenza  al  mantcni- 
«  mento  della  Piazza  »,  e  dell'una  e  dell'altra  cosa  si  mostrava  soddisfatto 
e  grato  (2),  assicurando  che  avrebbe  dato  «  ordini  molto  assoluti  »,  perchè 
dovesse  «  possedere  tutte  le  prerogative  della  carica  e  veder  ogni  buon  trat- 
«  tamento  verso  ufficiali  e  soldatesche  »,  e  perchè  fossero  «  coi  mezzi  più 
«  validi  provvedute  tutte  le  occorrenze  ».  Ma  pare  che  le  promesse  del  Senato 
poco  corrispondessero  ai  fatti.  TI  19  novembre  il  Villa  annunziava  al  Duca  (3) 
le  angustie  della  Piazza,  che  non  riceveva  dalla  madrepatria  i  mezzi  suffi- 
cienti per  difendersi,  non  che  le  angustie  dei  due  reggimenti  piemontesi 
incaricati  della  difesa  dell'opera  coronata  di  .Santa  ]\Iaria,  posta  a  sud  della 
città,  di  fronte  al  bastione  Martinengo.  L'8  ed  il  19  dicembre  parlava  ancora 
di  quelle  angustie,  e  domandava  ordini  per  sé  e  per  i  due  reggimenti  che, 
da  ben  tre  mesi,  erano  di  nuovo  senza  paga  (4).  In  quanto  ai  rapporti  tra  il 
Villa  ed  i  Comandanti  veneti,  si  facevano  sempre  peggiori.  Il  tenente  gene- 
rale Vertmiller  aspirava  ad  avere  la  carica  del  Villa,  e  non  tralasciava  occa- 
sione per  censurare  il  suo  operato  (5).  L'ii  gennaio  poi  entrava  nella  Piazza 
il  nuovo  provveditore  generale  Antonio  Barbaro,  atteso  dal  Villa  con  piacere, 
sia  per  la  fama  che  aveva  di  valoroso  soldato,  sia  per  l'affidamento  che  dava 
la  sua  energia  per  una  prossima  fine  di  tutti  i  contrasti  avvenuti  fino  allora 
fra  i  vari  capi.  Ma  costui  era  autocratico  quanto  valoroso  ed  energico,  e, 
tenendo  in  non  cale  le  patenti  del  Villa,  che  lo  creavano  capo  delle  milizie 
costituenti  il  corpo  d'armata  sbarcato  a  Suda,  pretendeva  di  sopraintendere 
a  tutti  i  soldati  che  si  trovavano  nell'assediata  città  (6). 

Ciò  non  ostante  tanto  il  Villa  quanto  l'Arborio  avevano  coscienza  del 
proprio  dovere,  ed  entrambi  scriv^evano  al  Duca  che  l'arrivo  del  Visir  li 
obligava  a  restare  sul  luogo  del  combattimento  (7),  Aggiungeva  il  Villa 
che  era  indotto  a  restare,  anche  perdio  il  Bigliore  gli  avea  comunicato  che 
il  Senato  non  considerava  campagna  il  tempo  da  lui  trascorso  in  Dalmazia. 
Annunziava  infine  d'aver  mandato  a  Venezia  suo  cugino  Francesco  Villa  ed 


(i)  Corrisp.  ecc.,  Lettera  del  Villa  al  Duca  in  data  del  22  gennaio  1667,  mazzo  io". 

(2)  Ducali  del  29  dicembre  r666  e  del  29  gennaio  1667,  stampate  dal  Rostagno. 

(3)  Corrisp.  ecc.,  mazzo  io". 

(4)  Cfr.  eziandio  la  lettera    scritta  dall'Arborio  al  Duca  il   19  gennaio  1667,  Corrisp.  ecc.-, 
mazzo  66". 

(5)  Corrisp.  ecc.,  Lettera  scritta  dal  Bigliore  al  Duca  l'ii  settembre  1666,  mazzo  11". 

(6)  Id..  Lettera   scritta    dal   Bigliore    al    Duca  il  18    marzo    1667,  mazzo    12",  non    che   il 
cap.  VII  della  Storia  di  Candia  del  Valiero. 

(7j  Corrisp.  ecc.,  mazzo  io"  e  66". 


48  LUIGI    DALMASSO 


i  capitani  Valenza  e  Bosso  a  reclamare  le  paghe  ed  a  sollecitare  la  spedi- 
zione d'una  grande  quantità  di  munizioni.  Ma  verso  la  fine  di  gennaio  ecco 
giungergli  da  parte  del  Duca  l'ordine  di  partire.  Tosto  egli  domandava 
debita  scorta  per  condursi  a  Zantc,  e,  non  avendola  ottenuta,  si  recava 
ugualmente  in  quell'  isola  non  senza  ripugnanza  del  Capitan  Generale  (i). 
Colà  riceveva  lettera  del  Bigliore,  ed  apprendeva  che  il  Senato  gli  aveva 
rifiutato  recisamente  la  licenza  d'andarsene,  e  che  il  Duca  propendeva  ormai 
a  lasciarlo  in  Levante.  Scriveva  al  Duca  per  avere  nuovi  e  precisi  ordini  sul 
modo  di  regolarsi;  ma  poco  dopo  era  raggiunto  dal  capitan  generale  Fran- 
cesco Morosini,  che,  confermando  quanto  aveva  scritto  il  Bigliore  e  profes- 
sando al  Villa  la  più  alta  stima  ed  il  più  grande  ossequio,  conforme  il  disposto 
del  Senato  Veneto  (2),  lo  induceva  a  ritornarsene  sul  luogo  del  bisogno. 

Il  Morosini  andava  in  Oriente  «  con  tanta  quantità  di  denaro,  di  muni- 
«  zioni  e  di  milizie  da  far  apparire  meravigliose  le  risorse  della  Republica  (3)  » 
e  questa  non  sarà  certo  stata  l'ultima  ragione  per  cui  il  Villa  accettava  di 
riprendere  il  suo  posto,  potendo  da  essa  trarre  speranza  di  migliori  risultati 
per  l'opera  sua  di  provetto  generale.  D'altra  parte,  se  ò  vero  che  gli 
uomini  grandi  esercitano  un  fascino  sulle  persone  che  avvicinano,  e  senza 
sforzo  le  traggono  a  far  ciò  che  essi  desiderano,  non  v'ha  dubbio  che  il 
marchese  Villa  fosse  avvinto  al  Morosini  «  l'ultimo  veiìeziano  »,  siccome  fu 
detto  per  antonomasia,  essendo  stato  l'ultimo  uomo  che  in  se  riunisse  tutte 
le  grandi  qualità  che  avevano  reso  Venezia  florida  e  potente. 


(1)  Corrisp.  ecc..  Lettera  scriUa  dal   X'illa  al   Duca  il    12  febbraio   1667,  mazzo   io". 

(2)  /<:/.,  Lettera  scritta  dal   iìigliore  al   Duca  il  23  ottobre  1666,  mazzo  11". 

(3)  Vamero,  S/oria  della  innerva  di  Caudia.  cap.  VIL 


I    PIEMONTESI    ALLA    GUERRA    DI   CAXDIA  49 


CAPiroLO  Vili. 


Primordi  dell'assedio  di  Candia  sotto   la   direzione  di  Maiiomed  Coprili.  —  Scarso  concorso 
degli  Stati  cristiani  agli  sforzi  della  Kcpuhlica  durante  la  campagna  dell'anno  1667. 

I\rentrc  Francesco  Morosini,  col  capitano  delle  navi  Girolamo  Grimani  e 
co]  capitano  dello  galeazze  Alessandro  Molino,  applicava  tutto  il  suo  ardore 
nell'impedire  che  giungessero  all'isola  i  grandi  armamenti  che  da  tutto  l'im- 
pero ottomano  venivano  spediti,  Francesco  Villa  rientrava  in  ("andia  senza 
onori  e  cerimonie  di  sorta,  e  trovava  molto  fermento  fra  i  soldati  piemontesi, 
volendosi  mandare  a  morte  uno  di  loro  senza  precedente  cognizione  di  causa 
da  parte  dei  propri  comandanti.  Come  si  vede,  non  inaugurava  troppo  bene 
il  suo  ritorno  avvenuto  1*8  aprile;  se  non  che  gli  ordini  che  teneva  il  Ca- 
pitan Generale  di  far  rispettare  il  Villa,  erano  davvero  assoluti,  e  fin  dal 
25  aprile  questi  poteva  scrivere  con  compiacenza  al  Duca  che  viveva  in 
buona  compagnia  col  Barbaro  ed,  insieme  ai  due  reggimenti  piemontesi,  era 
da  tutti  onorato  (i).  E  tale  era  veramente,  in  primo  luogo  dal  Senato  Veneto, 
il  quale  colla  ducale  del  2  marzo  già  gli  aveva  mostrato  «  la  propria  sod- 
«  disfazione  per  gli  impieghi  della  decorsa  campagna  >  oltre  «  la  confidenza 
«  che  le  zelanti  sue  applicazioni  e  gli  stimoli  generosi  avessero  a  rendere 
«  celebre  con  felice  esito  il  suo  valore  :,  ed  ora  si  mostrava  «  oltre  modo 
«  grato  nel  vedere  che  si  conservasse  alla  Piazza  il  suo  valore  ed  espe- 
«  rienza  i>  (2). 

Alla  lor  volta  le  truppe  piemontesi  ricevevano  la  dovuta  giustizia  e 
((ualche  paga:  due  mila  reali  erano  stati  consegnati  per  esse  da  Andrea 
Cornare  al  Villa  (3),  ed  il  Bigliore  mandava  al  Duca  il  9  aprile  (_i)  un  lungo 
elenco  delle  somme  ballottate  dal  Senato  a  fiivore  dei  vari  Comandanti 
piemontesi,  aggiungendo  che  il  tenente  colonnello  Torre  ed  il  capitano  Bosso 
sarebbero  subito  ripartiti  per  l'Oriente.  Il  povero  ambasciatore  si  dava  inoltre 


(i)  Corrisp.  ecc.,  mazzo  io". 

(2)  Ducale  del  29  aprile,  stampata  dal   Rostagno. 

(3)  Corrisp.  ecc.,  Lettera  scritta  dal   Villa  al  Duca  il    14   marzo,  mazzo  io". 

(4)  /rf.,  mazzo  12". 

7  —  Mise,  s.  ni,  T.  XIII, 


50  LUIGI   DALMASSO 


molta  pena  per  dimostrare  al  Duca  che  eg-li  non  era  stato  causa  del  ritorno 
del  Villa  in  Candia  (i);  ma  il  Duca  tagliava  corto  ad  ogni  recriminazione, 
mandando  il  suo  consenso  perchè  il  Villa  ed  i  due  reggimenti  piemontesi 
restassero  al  servizio  della  Kepublica  fino  a  tutto  ottobre,  in  modo  da  com- 
piere le  due  campagne  che  erano  nel  concetto  del  Senato  Veneto,  e  recla- 
mando una  ducale  che  accertasse  il  loro  ritorno  per  quell'epoca  (2).  Se  non 
che  recedeva  dal  protendere  questa  ducale  (3),  ed  il  ritorno  non  si  effettuava 
che  molto  tempo  dopo. 

.Sempre  più  soddisfatto  il  marchese  Villa  assisteva  agli  ultimi  lavori  di 
fortificazioni,  che  furono  certo  meravigliosi,  giacché  resero  la  città  di  Candia 
inespugnabile,  mentre  era  fama  che  le  sue  mura,  costrutte  dall'architetto 
veronese  Sanmicholi  in  principio  del  secolo  XVI,  non  fossero  delle  più  forti, 
ed  il  Vertmiller,  che  insieme  al  Verneda  aveva  diretto  i  lavori,  aveva  di- 
chiarato che  la  città  era  impotente  a  resistere.  Troppo  si  è  scritto  su  tali 
lavori  e  sulla  configurazione  e  struttura  di  tutta  la  fortezza,  perchè  qui  si 
debba  fare  molte  parole  in  proposito.  Si  dirà  solamente  che  le  mura  forma- 
vano un  arco,  di  cui  la  {)arte  convergente  poggiava  sulle  falde  del  monte 
Ida,  ed  i  capi  terminavano  a  mare  coi  due  mezzi  bastioni  di  Sant'Andrea  e 
Sabionera,  questo  costrutto  ad  Oriente,  quello  ad  occidente  della  città.  Cinque 
bastioni,  protetti  al  par  dei  mezzi  bastioni  da  molteplici  opere  avanzate,  sor- 
gevano tutto  intorno  col  seguente  ordine,  a  cominciare  dal  Sabionera:  primo 
il  Vitturi,  secondo  il  (iesù,  terzo  il  Martinengo,  quarto  il  Betlem,  quinto  il 
Panigrà  (4  .  La  difesa  del  Sabionera  era  stata  affidata  al  duca  Battaglia, 
quella  del  X'itturi  a  (iiovanni  iNhjrosini,  quella  del  Gesù  al  Villa,  quella  del 
IMartincngo  al  provveditore  del  regno  Battaglia,  quella  del  Betlem  al  Pisani, 
quella  del  Panigrà  al   liarbaro  e  quella  del  Sant'Andrea  al  Vertmiller. 

11  21  maggio  il  (xran  Visir  compariva  nel  campo  turco.  Già  v'era  stato 
prima,  e  scriveva  il  marchese  Villa  al  Duca  di  Savoia  che  <;  sebbene  di  soli 
«  35  anni  aveva  la  barba  che  gii  scendeva  fino  a  mezzo  petto  >.  Aggiungeva 
il  Villa  che,  riconosciute  le  fortificazioni  fatte  dagli  assediati  ben  più  impor- 
tanti di  quanto  ne  fosse  stato  ragguagliato  dai  suoi  ufficiali,  aveva  preso  a 
slogare  il  suo  sdegno  sul  capo  dei  bombardieri,  facendogli  dare  trecento  basto- 
nate, perchè  nel  saluto  fattogli  non  aveva  caricato  i  cannoni  con  palle;  quindi 
era  ritornato  a  Canea  per  raccogliere  ed  ordinare  il  maggior  numero  possibile 
di  soldati  (5).  Venuto  definitivamente  ad  assumere  la  direzione  dell'assedio, 
faceva  smantellare  Candia  nuova  per  obligare  tutti  i  suoi  soldati  a  starsene 
alle  trincee,  e  si  accampava  di  fronte  al  f^anigrà  con  un  esercito  di  quaranta 
mila  combattenti  e  di  otto  mila  guastatori,  che  dall'opera  coronata  di  Santa 
Maria,  dove  si  trovavano  i  due  reggimenti  piemontesi,  si  estendeva  fino  al  mare. 


(i)  Corrisp.  ecc.  Lotterà  scritta  dal  Uìì^Iìdic  al  Duca  il  14  ma.ni^io,  mazzo  12",  non  die  quella 
scritta  al  Marchese  di  S.  Tommaso  il   19  mag.s;io,  mazzo  io". 

(2)  /rf.,  Lettera  scritta  dal  Bij:vlior<-^  al  Duca  il  2  i;iii,i;no,  mazzo  12". 

(3)  /e/.,  Lettera  scritta  dal  Higiiore  al  I^uca  il  23  luglio,  mazzo  12". 

(4)  Cfr.  la  descrizione   fattaci  dal    Rostagno,  che  sembra   essere  servita   di   esemplare  a] 
Bigge,  sebbene  questi  \\s9n  citi  mai  il  libro  del  Rostagno. 

(5)  Corrisp.  ccc  ,  Lettera  dell'S  gennaio  1667,  mazzo  io". 


I   PIEMONTESI   ALLA   GUERRA   DI   CANDIA  51 


Il  vero  assedio  di  Candia,  o  almeno  il  periodo  saliente  e  memorabile  del- 
l'assedio incomincia  da  questo  momento  e  dura  fino  al  settembre  del  1669: 
è  esaurientemente  descritto  in  tutte  le  sue  parti  dal  Bigiife  (i),  che  parla 
eg-ualmonte  delle  imprese  navali  che  ad  esso  si  connettono,  di  conseguenza 
si  potrà  sorvolare  sui  fatti  estranei  all'  azione  della  gente  piemontese  che 
partecipò  ad  esso,  rischiarando  invece,  col  sussidio  delle  lettere  del  Villa  e 
dell'Arborio,  non  che  col  sussidio  del  racconto  del  Rostagno,  quest'  azione 
che,  pur  essendo  di  poca  importanza,  ò  degna  di  grande  gloria. 

Le  mosse  del  Gran  Visir  davano  occasione  alla  Republica  Veneta  d'in- 
sistere presso  tutte  le  Corti  europee  per  avere  nuovi  e  validi  aiuti,  ed  in 
seguito  alle  sue  istanze  Alessandro  VII  adempiva  la  promessa  di  mandare 
in  Dalmazia  duecento  fanti,  e  scriveva  al  Gran  Mastro  di  Malta  per  l'unione 
delle  galere  maltesi  con  quelle  pontificie  sotto  il  comando  del  priore  liichi, 
a  cui  era  imposto  di  partir  subito  per  l'Oriente,  dove  si  recavano  eziandio 
le  galere  di  Napoli  e  di  Sicilia,  agli  ordini  di  D.  Gianettino  Doria  e  del 
marchese  Di  Villafranca,  piìi  non  essendo  la  regina  di  Spagna  riuscita  a 
fermarle,  allorché  Luigi  XIV  invadeva  la  Fiandra  per  i  millantati  diritti  della 
moglie  Ilaria  Teresa.  E  qui  finisce  l'enumerazione  degli  aiuti  apprestati  a 
Venezia  nella  prima  metà  dell'anno  1667.  Nella  seconda  metà  sorgeva  un 
uomo  che  prendeva  proprio  a  cuore  la  difesa  di  Candia:  il  20  giugno  saliva 
al  trono  pontificio  Clemente  IX,  il  quale  non  aveva  che  un  desiderio,  non 
aveva  che  una  meta,  non  aveva  che  un  ideale,  quello  di  abbattere  la  forza 
turca,  di  far  trionfare  le  armi  cristiane.  Egli  dava  a  Venezia  tutti  gli  aiuti, 
di  cui  personalmente  poteva  disporre,  e  si  adoperava  senza  posa  per  trarre 
gli  altri  principi  ad  imitarlo.  Concedeva  una  lev^ata  di  700  fanti  nei  suoi  Stati, 
donava  50  mila  scudi  e  100  mila  libbre  di  ])olvere,e  dava  ordine  che  si  formasse 
colle  sue  milizie  un  battaglione  di  500  uomini,  che  andasse  prontamente  a 
servire  nella  piazza  di  Candia  sotto  il  comaiido  del  barone  Muzio  Mattei. 
Scriveva  poi  al  Duca  di  Savoia  per  sconsigliarlo  dal  richiamare  il  marchese 
Villa,  chiedeva  alla  Regina  di  Spagna  il  permesso  di  riscuotere  le  decime 
nei  suoi  domini,  cercava  di  indurre  (xenova  e  Toscana  a  mandare  in  Oriente 
anche  le  loro  galere,  domandava  il  concorso  dell'Imperatore,  s'interponeva  tra 
la  Spagna  ed  il  Portogallo,  tra  la  Spagna  e  la  Francia,  tra  Venezia  ed  il  Duca 
di  Modena,  che  si  riteneva  offeso  perchè  alcuni  ladri  veneti  erano  stati  arre- 
stati nella  casa  del  suo  ambasciatore,  e  faceva  tacere  il  risentimento  di  Fer- 
rara in  causa  dell'ordine  dato  dalla  Serenissima  di  otturare  una  diramazione 
del  Po.  Le  sue  preghi(^rc  e  le  sue  esortazioni  sortivano  col  tempo  buoni  ri- 
sultati, ma  pur  troppo  per  tutto  il  1667  e  per  buona  parte  del  166S  Ve- 
nezia ne  ritraeva  pochissimi  vantaggi.  Il  Duca  di  Sax'oia  ])ersisteva  noi 
voler  il  ritorno  del  Villa,  a  cui  intendeva  affidare  il  comando  dell'armata  che 
aveva  preparato  a  danno  di  Genova,  e  che  temporaneamente  era  diretta  dal 
Pianezza;  la  Spagna  ricusava  le  decime  dicendo  che  esse  si  potevano  ri- 
scuotere solo  nel  caso  d'una  guerra  degli  .Spagnuoli  contro  i  Turchi;  Ge- 
nova accampava  le  solite  e  stolte  precedenze    su    Malta  per  esimersi  meno 


(t)  S/oria  della  guerra  di  Candia  negli  anni  1667-69. 


52  LUIGI   DALMASSO 


Sgarbatamente  dal  concedere  le  sue  galere;  le  galere  toscane  erano  adibite 
al  trasporto  della  seta  in  Messina;  e  la  guerra  sconvolgeva  l'estremo  occi- 
dente, che,  oltre  la  Spagna,  il  Portogallo  e  la  Francia,  prendevano  le  armi 
per  porre  argine  all'ambizione  di  Luigi  XIV,  l'Olanda,  la  Svezia  e  l'Inghil- 
terra. L'Imperatore  mandava  a  A^'enczia  500  fanti  agli  ordini  del  colonnello 
barone  Chimansech,  ma  costoro  si  sbandavano  quasi  tutti;  il  battaglione  di 
Muzio  Mattci  non  arrivava  a  Candia  che  nel  g'ennaio  del  1668;  e  tanto  la 
flotta  del  P>ichi  quanto  quella  spagnuola  non  contribuivano  gran  che  alla  difesa 
della  Piazza.  Sbarcati  dodici  cavalieri  di  Malta,  fra  cui  il  valoroso  d'Harcourt, 
esse  si  univano  alle  galere  venete,  comandate  da  Antonio  Pasqualigo,  e 
non  riuscivano  a  fermare  alcuno  dei  grandi  armamenti  che  il  Sultano,  reca- 
tosi appositamente  a  Larissa,  inviava  al  Gran  Visir,  ricusavano  di  sbarcare 
le  ciurme  per  aiutare  gli  assediati  a  riparare  ai  danni  sofferti  dalle  fortifi- 
cazioni, ed  appena  sopraggiungeva  il  mese  di  ottobre,  se  ne  tornavano  in 
Occidente,  lasciando  nella  Piazza  solo  cento  soldati  pontifici. 

Un  dono  ingente,  relativamente  alla  persona  che  lo  faceva,  ma  inane 
riguardo  ai  bisogni  della  Republica,  era  quello  del  cardinale  Barberini,  che 
già  altre  volte  aveva  generosamente  beneficato  la  Republica,  ed  ora  le  in- 
viava dodici  mila  scudi  per  provvedere  i  necessari  materiali  di  guerra.  E 
doveroso  ricordare  che  anche  Carlo  Emanuele  II  le  inviava  una  discreta 
somma,  7495  reali,  per  pagare  le  sue  truppe  (i).  Quest'ultimo  aveva  avuto 
poco  prima  un  abboccamento  coU'Elettore  di  Baviera,  suo  cognato,  a  Cat- 
tajo  presso  Venezia,  dove  s'era  recato  in  incognito  (2);  e  quale  sarà  stato 
lo  scopo  di  quest'abboccamento,  se  non  la  guerra  che  egli  aveva  in  animo  di 
muovere  a  Genova  ?...  Era  ormai  previdibile  che  una  lotta  cruenta  sarebbe 
scoppiata  attorno  a  Luigi  XIV,  ed  avrebbe  distolto  i  principali  Stati  europei, 
che  avevano  rapporti  col  Piemonte  e,  con  Genova,  dall'occuparsi  degli  affari 
di  queste  due  regioni.  Quindi  il  Duca  di  Savoia  avrebbe  potuto,  con  maggior 
facilità  di  quanto  sperava  pel  passato,  realizzare  i  suoi  sogni:  tuttavia  il 
consenso  di  qualche  Stato  non  doveva  riuscirgli  discaro,  ed  eccolo  ricercare 
l'appoggio  del  cognato  e  rendersi  con  un  altro  lieve  soccorso  sempre  più 
obligata  la  Repubblica  Veneta,  la  quale,  se  certo  non  era  per  rimpiangere 
che  egli  assalisse  la  sua  antica  rivale,  avrebbe  però  avuto  interesse  ad  osta- 
colare, se  non  direttamente  colle  sue  forze  stremate,  almeno  indirettamente  per 
mezzo  della  sua  astuta  diplomazia,  ogni  tentativo  su  Cipro,  che  reputava  di 
sua  pertinenza. 

Tutto  sommato  Venezia,  durante  l'anno  1667,  ritraeva  dal  mondo  cristiano 
pochissimi  aiuti  ;  e  dacché  le  sue  risorse,  sebbene  meravigliose,  non  erano 
inesauribili,  oltre  i  rinforzi  addotti  da  Francesco  Morosini,  essa  faceva  per- 
venire a  Candia,  prima  del  21  aprile  i668,  giorno  della  partenza  del  Villa, 
molti  altri  soccorsi,  ma  non  tanti  quanti  ne  occorrevano,  e  ce  ne  potremo 
persuadere  enumerandoli.  Il  27  luglio  Ottavio  Labia  sbarcava  600  fanti  e 
200  mila  ducati,  il    io  setteml)rt'  il  signor  Ricca  consegnava  500  fanti  e  vari 


(i)  Corris/>.  t'cc.  Lettera  «lei   \'illa  al   Huca  in  data  del  j^o  settembre   1667,  mazzo  10°. 
^2)  /(/.,  Lettera  del   Bigliore  al   Duca  del  9  luglio  1667,  mazzo  12" 


I   PIEMONTESI   ALLA   GUERRA    DI   CANDTA  53 

guastatori,  il  20  settembre  Giuseppe  ÌMorosini  deponeva  altri  500  fanti  e  200 
mila  ducati,  il  20  novembre  due  vascelli  sbarcavano  poche  centinaia  di  sol- 
dati e  di  guastatori,  il  2  g'ennaio  arrivava  il  nuovo  provveditore  generale 
Bernardo  Nani  insieme  a  Muzio  Alattei  ed  ai  500  fanti  pontificii,  ed  il  21 
gennaio  il  signor  Gelsi  apportava  qualche  provvigione  di  guerra.  All'incontro 
i  Turchi  andavano  di  giorno  in  giorno  crescendo  di  numero,  essendosi  il 
Sultano  recato  a  Larissa,  come  già  s'è  detto,  appositamente  per  rendere 
più  frequente  e  sollecito  l'invio  di  aiuti;  e  tanto  il  Rostagno,  quanto  il  Villa, 
quegli  nel  suo  libro  più  volte  menzionato,  questi  nella  lettera  scritta  al  Duca 
il  IO  dicembre  (i),  affermano  che  nell'anno  1667  combatterono  attorno  a  Candia 
70  mila  Turchi,  i  quali  ritraevano  largo  sostentamento  dall'isola  e  riceve- 
vano continuamente  da  tutte  le  parti  dell'impero  g'ran  quantità  di  munizioni. 
Un  giorno  solo  i  loro  tiri  si  fecero  scarsi,  1*8  aprile  1668,  e  già  il  giorno 
dopo   16  grossi  vascelli  sbarcavano  a  Canea  enormi  provvigioni. 


(i)  Corrisp.  ecc.,  mazzo  io". 


54  LUIGI   DALMASSO 


CAriTor.o    IX. 


L'assedio  di  Candia  durante  l'anno  1667.  —  Valore  palesalo  da  tutta  la  sente  del  Duca.  — 
Angustie  dc;lla  i)iazza.  -  Istanze  fatte  al  marchese  Villa  perchè  rimanesse  in  Oriente,  ed 
inflessibile  volontà  del  Duca  di  riaverlo  in  Piemonte. 

TI  24  maggio  1667  i  Turchi  davano  inizio  all'attacco  acccstandosi  con 
ardire  alle  mura(i);  ma  vista  la  grande  strage  che  ne  seguiva,  cercavano 
di  avvicinarsi  alla  L^iazza  por  mezzo  di  vie  sotterranee.  Benché  in  numero 
di  gran  lunga  inferiore,  gli  assediati  non  si  sgomentavano:  respingevano  gli 
assalti,  stavano  pazientemente  ascoltando  l'avanzarsi  dei  nemici  sotto  terra, 
e  collo  scoppio  di  frequenti  fornelli  li  facevano  saltare  in  aria  impadronen- 
dosi delle  l(ìro  gallerie.  Inoltre  facevano  molte  sortite  per  abbattere  le  trincee 
più  vicine,  importante  quella  del  20  giugno,  che  dava  occasione  al  Villa  di 
scrivere  al  Duca  che  i  Savoiardi  solennizzavano  i  natali  del  loro  Principe 
togliendo  ai  Turchi  infinite  spoglie  (2). 

r  Savoiardi  partecipavano  pure  alla  sortita  del  4  settembre,  in  cui  tro- 
vava la  morte  Alessandro  De  Negri,  aiutante  generale  del  Villa;  a  quella 
dcil  17  settembre,  in  cui  periva  un  soldato  e  rimaneva  ferito  Alessandro  Co- 
minges  che  funzionava  da  tenente  colonnello;  a  quella  del  3  ottobre,  in  cui 
cadevano  tre  ufficiali  del  seguito  del  M""  Villa  e  cinque  soldati;  a  quella  del 
g  novembre,  in  cui  meritavano  il  plauso  del  Capitano  Generale  per  il  vaU)re 
dimostrato  e  ])er  i  danni  inferti  al  nemico;  a  quella  del  15  febbraio,  in  cui 
restava  ferito  il  capitano  Pasquale;  a  quella  del  22  febbraio,  in  cui  facevano 
strage  di  molti  Turchi  tneritando  una  speciale  ricompensa  dal  Capitano  Ge- 
nerale; ed  a  quella  del  29  febbraio,  in  cui  ora  ferito  il  sergente  maggiore 
Trinques  (3).  Guidati  da  esperti  comandanti,  nello  stesso  tempo  che  mo- 
stravano grati  valore,  evitavano  il  pericohì  di  radere  nelle  imboscate  che  i 
Turchi  volevano  tendere  agli  avversari,  precipitando  poscia  in  gran  numero 


(i)  rorrixp.  ecc..  Lettera  del   Villa  al   Duca  in  dala  del  27  maggio,  mazzo  io". 

(2)  hi.  id.,  mazzo   10". 

(3)  Cfr.  la  narrajrrone  particolareggiata  del   Rostagno. 


I  PIE.MONTESI    ALLA   GUERRA    DI   CANDL\ 


55 


sopra  loro  e  facendone  veri  macelli.  E  cosi  il   19  dicembre   1667    essi  erano 
ancora  in  numero  di  500  divisi  nel  seguente  modo  : 


Reggimento  Arborio. 


ulfic.  e  sergenti  fattion.         feriti  ammalali         in  tutto 


Compagnia  Colonella  6 
»  Ten''- col.°Cominges  5 
»  S.  M.  Trinques  5 
»  Lorenzo  Patriarca  4 
>,  Cap.  Pietro  Pasquale  4 
»  Pietro  F.  Caccia  5 
»  Carlo  Umberto  5 
»  fu  La  Loubera  ora  di- 
retta dal  cap.C.  Bosso  4 

Totale  sS 


23 

4 

33 

24 

3 

32 

28 

4 

37 

16 

7 

27 

23 

IO 

37 

19 

3 

27 

37 

5 

47 

23 

8 

35 

193 

44 

275 

Reggimento  Profitio  Torre. 


uffic 

.  e  sergenti 

fattion. 

feriti  ammalati 

in  tutto 

Colonella 

5 

28 

5 

38 

Charboneau 

2 

14 

7 

23 

S,  j\r.  Am.  Bronz.o 

5 

18 

'3 

36 

Cap.  Valen.  Torre 

5 

19 

IO 

■     34 

»      F.  Caresana 

3 

23 

II 

37 

fu  cap.  (t.  F.  Di  Valesa  3 

18 

7 

28 

fu  cap.  Antonio  Re 

3 

24 

3 

30 

Totale 

26 

144 

5^ 

226 

38 

^93 

44 

275 

.    Totale 

64 

337 

100 

501 

Grande  era  però  la  mortalità  degli  ufficiali  piemontesi,  grande  essendo 
l'ardimento  con  cui  essi  andavano  cercando  il  luogo  ed  il  modo  per  segna- 
larsi :  oltre  i  caduti  nelle  sortite,  oltre  il  capitano  barone  Di  Valesa  ucciso 
il  20  luglio,  oltre  il  capitano  Antonio  Re  ucciso  il  13  settembre,  cadevano 
morti:  il  2  giugno  il  capitano  Galeazzo,  che  faceva  parte  del  corteggio  del 
AL'"  Villa;  il  5  giugno  il  capitano  Mattio  Bottoni,  scudiero  del  Villa;  il  21 
luglio  il  tenente  della  guardia  del  Villa;  il  29  gennaio  Du  Band,  tenente 
capitano  della  colonella  Arborio;  il  27  marzo  il  tenente  Agostino  Rostagno, 
aiutante  generale  del  Villa.  Moriva  anche  il  conte  di  Brusasco,  capitano  della 
guardia  del  Villa.  Dotato  di  coraggio  incomparabile,  egli  partecipava  a 
quasi  tutte  le  sortite,  ed  accorrevi!  con  prontezza  ovunque  il  bisogno  lo  ri- 
chiedesse :  il  23  luglio,  con  30  uomini  della  guardia  a  cui  comandava,  scen- 
deva nel  fosso  prospiciente  al  bonetto  della  mezzaluna  Mocenigo  per  cacciare 
i  Turchi  che  vi  erano  penetrati;  il  27  dello  stesso  mese  saliva  arditamente 
con  15  uomini  sul  ciglio  esterno    del    fosso    per    dar    agio  agli  assediati   di 


5 6  LUIGI   DALMASSO 


asportare  la  terra  gettatavi  dai  nemici,  e  ciò  fjiceva  eziandio  il  27  agosto  ed 
il  23  settembre.  Ala  la  dea  della  guerra,  che  spesso  si  compiace  di  preser- 
vare dalla  morte  i  soldati  più  temerari,  non  doveva  assisterlo  sempre  :  il  15 
gennaio  accorso  con  parte  della  sua  compagnia  sulle  mura  per  bersagliare 
i  nemici  che  si  erano  avvicinati,  era  colpito  da  una  palla  di  moschetto  in 
bocca,  moriva  il  17  febbraio  dopo  lungo  e  doloroso  penare,  ed  il  giorno  se- 
guente aveva  una  onorevole  sepoltura,  degna  del  suo  merito. 

Anche  il    V'illa  non  tralasciava  occasione  alcuna  per  mettere  a  prova  il 
suo  valore,  fedele  a  quanto  scriveva  al  Duca  in  principio    dell'assedio    «  Io 
«  non  ricuserò  di  espormi  ad  ogni  cimento,  rischio    e  fatica    per    cooperare 
«  alla  conservazione  di  questa  famosa  ed  importante  metropoli  e  per  rintuz- 
«  zare  il  ferocissimo  orgoglio  dei  perfidi  nemici  del  nome  cristiano  ».  E  varie 
volte  correva  seri  rischi:  il  28  maggio,  trovandosi  sul  baloardo  Betlem,  era 
colpito  da  una  palla  di  moschetto  che  si  arrestava  sulla  medaglia  dell'Ordine 
dell'Annunziata;  il    io  giugno  e  l'S  agosto  era  colpito    dal  risalto    dei    sassi 
lanciati   dalle  cannonate  nemiche;  il  29  settembre,  sceso  dal  baloardo  Panigrà 
per  fiir  otturare  una  breccia  aperta  dal  nemico,  era  coperto  di  sassi  e  di  terra  sol- 
levati dallo  scoppio  d'un  fornello;  il    i<S  ottobre,  mentre  era  all'ingresso  della 
galleria  posta  a  sinistra  del  Panigrà,  scoppiava  un  fornello  nemico    e  dalla 
violenza  del  fumo  era  sbattuto  a  terra;  infine  il    14  novembre  era  colpito  da 
un   jx'zzo  di  bomba.   La  sua  opera  poi  riusci \'a  vantaggiosissima,  come  quella 
che  nei  momenti  di  grave  pericolo  non  si  faceva  mai  desiderare.  11  5  luglio 
i  Turchi  con  un  grosso  fornello  rompevano  un  pezzo    di    palizzata    del    bo- 
netto sinistro  del  Panigrà,  ed  egli  era  pronto  a  portarsi  sul  luogo  col  Par- 
baro  e  col   Vertmiller  per  far  costrurre  una  palizzata    volante.    11    2^    luglio 
accorreva  anch'egli  alla  mezzaluna  IMocenigo  per  regohire  le  mosse  dei  sol- 
dati. 11  31   luglio  provvedeva  perchè  fossero  riparati  i  nuovi  danni   arrecati 
dai  nemici,  che,  rotta  parte  della   palizzata    del    corno    destro    del    Panigrà, 
erano  entrati  per  essa  a  combattere  ad  armi  bianche  cogli  assediati.  Inoltre 
guidava  le  sortite,  faceva  asportare  la  terra  gettata  dai  Turchi    nelle   fosse, 
faceva  tagliare  altre  contrascarpe  per  rendere  più  difficile  al  nemico    la  di- 
scesa ne'  fossi,  dirigeva  i  tiri  facendo  trasportare  i  cannoni   nei  luoghi  più 
adatti  per  danneggiare  le  batterie  nemiche  ed,  allorché  il  Barbaro,    insoffe- 
rente della  supremazia  di  qualsiasi  persona,  era  richiamato  a    Venezia,  egli 
andava  ad  occupare  il  suo  posto  al  Panigrà  per  essere  più  vicino  alle  ope- 
razioni militari,  che  colà  quasi  tutte  si  svolgevano. 

Se  grande  era  l'ardore  del  Villa,  non  è  a  dire  che  tale  fosse  eziandio 
la  sua  fiducia  in  lieti  ev^enti.  La  piazza  difettava  di  milizie,  né  erano  bastate 
le  ciurme  sbarcate  dal  Capitan  Generale,  dietro  preghiera  del  Villa  stesso  (i), 
per  sopperire  a  tutti  i  bisogni  di  essa,  giacche  occorreva  guernire  le  mura, 
internarsi  con  mine  e  zappe  nelle  viscere  della  terra,  far  frequenti  sortite,  e 
per  tutti  questi  bisogni  si  avevano  appena  sette  od  otto  mila  uomini,  fra  cui 
ogni  giorno  il  cannone  nemico  faceva  orribili  vuoti.  I  soldati  inviati  a  mano 
a  mano  da  Venezia,  non  che  riparare  alle  mancanze  iirccedenti,   non    basta- 


(i)  Corrisp.  ecc.,  Lettera  scritta  da!  Villa  al  Duca  il  22  g;iiig:no  1667,  mazzo  io". 


I    PIEMONTESI    ALEA    (IT'ERRA    DI    CANDIA  57 


vano  neppure  a  riempire  i  vuoti  fatti  in  seg'uito,  ed  il  più  delle  volte  essi 
avevano  pocao  nessuna  istruzione  militare,  come  quelli  che  in  gran  parte  erano 
racimolati  fra  i  vagabondi.  Si  aggiunga  che  i  difensori  della  Piazza,  i  due 
reggimenti  piemontesi  specialmente,  conducevano  una  vita  tristissima  non 
venendo  pagati  con  regolarità  ed  essendo  tutti  i  viveri  saliti  a  ])rezzì  esor- 
bitanti. Ne  seguiva  che  la  loro  salute  era  spesso  danneggiata,  ed  il  28  giugno 
il  Villa  scriveva  al  Duca  che  giacevano  a  letto  l'Arborio,  il  Torre  e  50  sol- 
dati savoiardi  ammalati,  oltre  altri  40  feriti  (i).  Il  Capitan  (ìenerale,  entrato 
a  prendere  parte  alla  difesa  della  Piazza  verso  la  fine  di  giugno,  faceva  del 
suo  meglio  per  rimediare  a  questi  mali,  ed  a  titolo  d'imprestito  dava  ai  due 
reggimenti  piemontesi  qualche  denaro  (2)  ;  alla  fine  di  settembre  arrivavano 
ad  essi  anche  i  7-195  ducati  spediti  dal  Duca;  ma  tanto  il  danaro  del  Capitan 
(xenerale  quanto  quello  del  loro  Principe  era  insufficiente  a  toglierli  dai  tor- 
menti. Il  iS  dicembre  il  AP*"  Villa  scriveva  al  Duca  (3)  che  i  7495  ducati  erano 
bastati  appena  per  tre  mesi,  e  che  Alessandro  Cominges  sarebbe  andato  a 
Venezia  coU'incarico  conferitogli  dai  due  reggimenti  di  reclamare  le  paghe 
dei  nove  mesi  antecedenti.  Contemporaneamente  faceva  noto  che  il  Cominges 
aveva  fin  allora  coperto  con  onore  la  carica  di  tenente  colonnello  e  Profitio 
Torre  quella  di  colonnello,  e  proponeva  la  loro  promozione  effettiva  a  quel 
grado,  la  qual  cosa  il  Duca  accordava  con  patenti  del  2  aprile  dell'anno  suc- 
cessivo (4). 

I  gravi  inconvenienti  ora  lamentati  non  solo  toglievano  al  Villa  la  cara 
speranza  di  compiere  lodevole  impresa,  ma  inoltre  infondevano  nel  suo  animo 
un  po'  di  scoraggiamento,  siccome  appare  dalla  lettera  in  cui  ringraziava  il 
Duca  delle  «  dorate  file  di  chioma  di  quella  bellissima  donna  che  veramente 
«  meritano  assai  più  la  corona  di  stelle  che  quelle  della  famosa  Arianna  .., 
così  proseguendo  :  «  stimo  essermi  state  inviate  dall'immensa  bontà  di  V,  A.  R. 
«  acciò  me  ne  prevagli  di  fili  per  uscire  con  onor  mio  e  gloria  di  V.  A.  R. 
«  con  queste  truppe  dal  labirinto  che  trovo  in  quest'isola,  più  intricato  di 
«  quello  che  già  fabbricò  il  rinomato  Dedalo  »  (5).  Ma  la  fiducia  riposta  in 
lui  da  tutto  il  presidio  e  "dal  Senato  Veneto  in  special  modo,  che  non  ristava 
dal  ringraziarlo  del  suo  zelo  e  dal  manifestare  la  persuasione  che  la  sua 
opera  desse  ottimi  risultati,  non  gli  lasciava  concepire  il  desiderio  di  abban- 
donare la  piazza.  Xon  sarà  vano  riportare  in  proposito  qualche  stralcio  delle 
ducali  che  gli  pervenivano  (6).  In  quella  del  30  giugno  è  detto  che  dalle  let- 
tere sue  era  resa  maggiore  la  consolazione  apportata  dal  Barbaro  «  col  rap- 
«.  presentare  con  qual  fervore  ed  applicazione  egli  fosse  tutto  immerso  nel 
«  servizio  della  Piazza  prevenendo  l'ostilità  con  provvisioni  proprie  del  bi- 
«  sogno  e  della  singolare  sua  virtù  e  vigilanza  ».  In  quella  del  30  luglio  si 
«  dichiara  che   :   la  confidenza  di  tutti  gli  animi  si  stabiliva  sul  fondamento 


(i)  Corrisp.  ecc.,  mazzo  10°. 

(2)  Id..  Lettera  del  Villa  al  Duca  in  data  del  25  as,-osto,  mazzo  io«. 

(3)  Corrisp.  ecc.,  mazzo  loo. 

(4)  Comprese  nella  Sez,  IV  dell'Archivio  di  Torino. 

(5)  Corrisp.  ecc.,  mazzo  10°. 

(6)  Publicate  anch'esse  dal  Rostagno. 

8  —  Mise,  S.  HI,   T.  XUl. 


58  LUIGI   DA LM ASSO 


«  dell'esperienza  e  valore  che  egli  possedeva  ».  Quella  del  io  agosto  cosi 
suona:  «  Si  convalida  dalle  prove  sempre  più  apj)resso  noi  il  concetto  della 
«  sua  estimata  condotta,  e  si  staijilisce  la  confidenza  di  veder  propulsato  ogni 
«  sforzo  dei  Barbari  con  incremento  di  gloria  al  suo  nome  e  merito  distin- 
•<  tissimo  presso  il  Cristianesimo  ».  Ed  ecco  come  incomincici  quella  del 
20  settembre:  «  Soiio  accompagnate  le  generose  azioni  di  V.  S.  111'"='  da  tanti 
<c  applausi  dei  nostri  principali  Rappresentanti,  e  noi  medesimi  li  scorgemo  così 
«  zelanti  e  proficue  al  servizio  nostro  e  della  Cristianità  tutta,  che  non  poterne 
«  non  testimoniargliene,  come  tacemo,  un  pieno  merito  e  uno  sviscerato  aggra- 
«  dimento  ».  In  quella  dcll'iS  ottobre,  dopo  essersi  parlato  della  vigorosa  di- 
fesa del  presidio,  si  aggiunge  :  /.  11  merito  di  essa  ridonda  a  gloria  del  di 
«  lei  nome,  che  non  lascia  bramare  nò  maggior  coraggio  né  maggior  dire- 
«  zione.  Il  Senato  perciò  fa  stima  della  sua  virtù  al  più  sublime  segno,  e 
s<  retribuisce  al  suo  qualificato  impiego  li  maggiori  applausi  >.  Insieme  al 
Senato  V'eneto  cercava  di  trattenere  il  \"illa  a  Candia  Clemente  IX,  il  quale 
gli  rivolgeva  la  seguente  lettera  (1): 


«x  eie  Ili  e  lì  s  P.  P.  IX  Dilecto  /ilio  .Xobili  Viro  M.  G.  F.  Villae, 

«  Dilecte  fili,  Nobilis  vir,  salutem  et  ap(ìstolicam  j^enedictionem.  Neminem 
«  assumptione  ad  summum  Ponti ficatum  nostra  magis  gaudere  ac  pleniori 
«  lactitia  pcrfrui  posse  plano  vellemus,  quam  eum  potissime  virum,  qui  prò 
v'  tuenda  causa Christianitati  universae  maxime  salutari  et  necessaria  propriam 
«  vitam  summis  tot  discriminibus  objicere  non  expavit,  sua  sponte  intra 
«  muros  inclusus,  ab  immanibus  hostis  potentissimi  ac  infestissimi  viribus 
«  acerrime  oppugnatae  atque  divexatae  Civitatis.  Age  dum  intimo  cordi 
^:  nostro  vere  Dilecte  Fili,  tantis  ac  tam  praeclaris  inceptis,  quod  egregie 
«  facis,  omnipotentis  Dei  brachio  unico  fidcns,  animo  isto  generoso  perseve- 
«  ranter  insiste,  nomini  tuo  incomparabilis  gloriae  celebritatem  in  Terris  et 
«  quod  caput  est  donum  in  Caelis  actornac  possessionis  Coronam  immarces- 
«  sibilem  piane  relaturus.  Iluius  interim  ac  victoriae  simbolum,  tum  etiam 
«  amoris  nostri  pignus  accipiet  nobilitas  tua  exiguum  ex  se  quidem,  sed 
«  sacris  Indulgentiarum  Thesauris  ingens  ac  pretiosum  Coronae  donum:  cui 
«  adiecimus,  insuper  argenteas  plurcs  medallias  extraordinariis  Indulgentiis 
«  auctas,  quas  officialibus  tuis,  seu  aliis  nomine  nostro  opportune  distribuere 
«  poteris,  corundom  pietati  ac  fortitudini  in  ista  nedum  Candiac  sed  etiam 
«  totius  Rei  Cristianae  defensione  magis  ac  magis  excitandac,  atque  pro- 
«  vehendae  coetcrum  exercitum  Dee  porrectis  iugiter  precationibus  insistentes 
«  Apostolicam  Benedictionem,  qua  Nobilitati  tuae  qua  Militibus  cunctis  istis 
<  tuis,  Paternae  prorsus  elargimur.  Quibus  insuper  omnibus  et  singulis  In- 
«  dulgcntiam  Plenariam  (cuius  desumendae  rationem  et  modum  Superior  Ec- 
;  clesiasticus  ex  alterius  Diplomatis  nostri  tenore  prescribet)  impertiri  be- 
«  nigne  voluimus,  quo  Misericors  Deus  corimi  quoque  vel  potissimum  qui 
«  prò  Icge  et  populo  cius  possunt  animas  suas,  piis  operibus  et  orationibus 
«  propitiatus,  memor  sit  testamenti  Sancti  sui  et  contorat  hostes  nostros  ut 
«  sciant  omnes  gentcs,  quia  est  etiam  hodie,  qui  redimat  et  liberet  Israel. 
«  Datum  Romae  apud  Sanctam  Mariam  Maiorem  sub  annulo  Piscatoris  die 
<<  vigesima  nona  Septembris   1667.  Pontificatus  nostri  anno  primo  :^->. 


(r)  Piiblicala  dal  Rostayno  ancora. 


I   PIEMONTESI   ALLA   GUERRA    DI   CANDIA  59 


Sensibile  a  cosi  vive  ed  elevate  attestazioni  di  stima,  il  Villa  rimaneva 
impavido  sulla  breccia  di  Candia,  che  s'era  fatta  sempre  più  pericolosa;  in 
quanto  che  per  l'indebolimento  continuo  delle  forze  della  piazza  i  Turchi 
non  tardavano  a  prendere  il  sopravvento.  Il  25  ottobre  essi  acquistavano 
l'opera  esterna  del  Padigrà,  poscia  costruivano  nuovi  forti  davanti  al  Sabio- 
nera  ed  al  Sant'Andrea,  coU'intento  di  dominare  il  porto  e  difficoltare  alla 
piazza  i  soccorsi  e,  resi  sempre  piìi  baldanzosi  e  feroci,  assassinavano  il  2;^ 
novembre  il  povero  Padavino  e  Girolamo  (iiavarina,  passato  anch'etili  nel 
campo  turco  il  22  luglio.  Il  Villa  rimaneva  impavido  sulla  breccia,  ed  al 
Duca  di  Savoia,  che  alhi  fine  di  ottobre  lo  richiamava  in  Piemonte,  rispon- 
deva nobilmente  che  non  richiedeva  l'imbarco,  essendo  Candia  tuttavia  as- 
salita dai  Turchi  (i),  ed  era  felice  di  poter  annunziare  pochi  giorni  dopo  che 
i  Turchi  avevano  ormai  un  altro  nemico,  la  peste,  che  mieteva  a  centinaia 
le  vittime,  e  che  il  loro  chirurgo  maggiore,  di  nazione  provenzale,  rifugia- 
tosi nell'opera  di  Santa  Maria  il  28  novembre,  affermava  che  solo  di  ferite 
erano  morti  circa  trenta  mila  Turchi,  fra  cui  il  bassa  di  Natòlia  ed  il  bey  di 
Rumelia.  Il  Villa  però  esprimeva  il  desiderio  che  si  spedissero  subito  soc- 
corsi rilevanti,  essendo  grandi  anche  le  perdite  dei  Veneziani,  di  cui  mori- 
vano, nel  1667,  3600  militari  e  2184  cittadini  di  Candia,  e  scongiurava  il  Duca 
a  non  permettere  che  egli  fosse  trattenuto  in  Oriente,  se  non  nel  caso  che 
si  fosse  soddisfatto  al  suo  equo  desiderio.  Viceversa  Carlo  Emanuele  II, 
senza  curarsi  dei  bisogni  della  piazza  e  dei  riguardi  che  al  Villa  s'impone- 
vano, ordinava  al  suo  ambasciatore  in  Venezia  d'insistere  presso  il  .Senato, 
perchè  lasciasse  partire  per  l'epoca  concertata  il  marchese  Villa  ed  i  due 
reggimenti  piemontesi. 

Il  Bigliore  prometteva  di  ubbidire  all'  ordine  ricevuto  (2),  e  reca  me- 
raviglia che  il  Senato  Veneto,  in  data  del  16  novembre,  scrivesse  al  Villa  (3)  : 
«  Gran  merito  resta  da  noi  ascritto  al  qualificato  impiego  della  sua  espe- 
«  rienza,  della  quale  riconoscemo  li  prosperi  eventi,  e  ben  se  li  promettono 
<--  continuati  da  quell'affettuosa  assistenza,  che  confidiamo  sia  essa  per  donare 
«  al  servizio  della  Cristianità,  non  meno  in  soddisfazione  del  zelo  del  suo 
«  proprio  animo,  che  a  riscontro  delle  brame  del  Sommo  Pontefice  e  di  quelle 
«  del  Sig.  Duca  di  .Savoia,  delle  quali  Le  perveniranno  li  più  espressi  motivi. 
«  Mentre  a  noi  giunto  il  contento  di  veder  tolto  per  ora  a  Lei  l'impegno 
«  del  ritorno,  ci  consoliamo  d'aver  a  godere  il  Presidio  del  suo  singolare 
«  talento,  a  prò  dei  public!  interessi,  con  aumento  in  noi  sempre  maggiore 
'■-  di  quell'affettuosa  disposizione,  che  nutriamo  verso  il  merito  di  V.  S.  Ili"'-'', 
«  gli  anni  del  quale  siano  felici  e  lunghi  ».  Porse  il  Senato  era  certo  che, 
per  intercessione  del  Papa,  Carlo  Emanuele  U  avrebbe  receduto  dal  suo 
proposito  di  riavere  con  sé  il  Villa  e  le  sue  genti  (4);  ma  la  sua  certezza 
non  tardava  a  divenire  vaga  speranza,  siccome  appare  da  questo  altro  stralcio 


([)  Corrisp.  ecc..  Lettera  ck-l  Villa  al   Duca  in  data  del   19  novembre,  mazzo   io". 

(2)  Id.,  Lettera  del  Bigliore  al   Duca  in  data  del  22  ottol)re  1667,  mazzo  12". 

(3)  Ducale  publicata  dal  Rostagno. 

(4)  Corrisp.  ecc..  Lettera  scritta  dal   Bigliore  al  Duca  il  29  dicembre,  mazzo   io". 


6o  LUIGI   DALJMASSO 


della  ducale  del  2;^  dicembre  (1):  «  Lei  che  ritiene  il  vanto  d'aver  avuto  gTan 
«  parte  nella  difesa,  come  ci  consola  l'intendere  sia  condisceso  a  farci  godere 
«  il  bene  della  sua  matura  condotta,  così  ci  diamo  a  credere  vorrà  stabilire 
«  la  propria  permanenza  sino  alla  partenza  dal  Regno  dello  stesso  Primo 
«  Visir  per  raccogliere  quell'intiero  merito  colla  Cristianità  che  il  mondo  Le 
«  appresta  e  che  confidiamo  non  vorrà  il  vSig.  Duca  di  .Savoia  lasciarle  de- 
«  fraudare  anco  nei  riguardi  della  sua  propria  gloria,  che  si  accrescerà  da 
«  estesa  permissione  a  Lei  di  giovare  alla  pul)l)lica  causa,  e  di  coadiuvare 
«  colle  proprie  truppe  al  sostenimento  dell'  antemurale  del  Cristianesimo. 
<■■  Tanto  ci  promettiamo  dalla  religiosa  pietà  del  Sig.  Duca  stesso,  e  tanto 
«  confidiamo  dalla  disposta  volontà  di  S.  V.  Ili"'-''  », 

Carlo  Emanuele  II  si  mostrava  inflessibile  riguardo  al  Villa,  concedendo 
solo  che  rimanessero  in  Candia  i  due  reggimenti  piemontesi  (2),  ed  il  Senato 
Veneto  finiva  per  affidare  la  carica  del  Villa  al  marchese  S.  Andrea  Mombrum, 
insigne  comandante  francese.  Fu  generale  la  persuasione  presso  i  Veneti 
che  il  Duca  di  .Savoia  insistesse  per  riavere  il  Villa  collo  scopo  di  estorcere 
dalla  Republica  i  trattamenti  uguali  in  tutte  le  Corti;  mentre  a  noi  risulta 
che  egli  aveva  uno  scopo  ben  più  importante,  quello  di  affidare  al  Villa  il 
comando  dell'armata  che  aveva  preparato  ai  danni  di  Genova.  Ad  og'ni  modo 
è  ovvio  che  la  sopradetta  parità  stava  così  a  cuore  del  Duca  da  trarlo  fa- 
cilmente a  posporre  i  suoi  interessi  a  quelH  della  Republica,  se  questa 
gliel'avesse  concessa,  ed  è  da  rim.piangersi  che  la  Republica,  sempre  fiera 
e  sdegnosa  anche  nella  sventura,  preferisse  privarsi  dell'opera  saggia  e  so- 
lerte del  Villa,  anziché  far  pago  il  desiderio  del  Duca,  giacché,  allorquando 
il  marchese  Villa  toccava  il  suolo  piemontese,  l' intervento  di  Luigi  XIV 
aveva  già  fatto  tacere  le  bramose  voglie  del  Duca  riguardo  a  Genova,  ed  il 
Villa  non  poteva  altrimenti  dar  jìrova  del  suo  valore. 


(i)  Piiblicata  pure  dal  Rostasjno. 

(2)  Corrixp.  ecc.^  Lettera  del  Bigliore  al  Duca  in  data  del   14  gennaio   166.S,  mazzo   12". 


I   PIEMONTESI   ALLA   GUERRA   DI   CANDIA  6l 


Cai^tolo  X. 


Ultimi  fasti  del  marchese  Villa  in  Candia.  —  Compito  suo  durante  la  permanenza    a  \'enezia. 
—  Vicende  delle  truppe  piemontesi.  —  Riepilogo. 

Prima  di  lasciar  Candia  il  marchese  Villa  aveva  la  fortuna  di  partecipare 
all'avvenimento  principale  dei  29  mesi,  durante  i  quali  il  Gran  Visir  colla 
sua  presenza  rendeva  più  terribile  la  lotta  dei  Veneziani  contro  i  Turchi.  L'8 
marzo  il  Capitan  Generale,  conosciuto  il  proposito  del  Grati  Visir  d'impadro- 
nirsi dell'isola  di  Stantia  sorprendendo  di  notte  tempo  le  sette  galere  che, 
agli  ordini  del  provveditore  ordinario  d'armata,  Lorenzo  Cornaro,  incrocia- 
vano tra  Stantia,  sede  principale  dell'armata  veneta,  e  vS.  Pelagio,  nuovo  porto 
dei  Turchi,  per  impedire  l'accesso  dei  rifornimenti  turchi,  armava  sollecita- 
mente 13  galere  equipaggiandole  di  Soo  militi  scelti  agli  ordini  del  A'illa  e 
del  nuovo  provveditore  generale  liernardo  Nani,  e  con  esse  si  univa  al  Cor- 
naro, a  cui  ordinava  di  avanzare  verso  S.  Pelagio.  Tosto  il  Cornaro  era  iti- 
vestito  dalle  navi  turche,  ma  sopraggiungeva  il  Morosini  col  grosso  dell'ar- 
mata e,  dopo  un  accanito  combattimento,  che  durò  dalle  io  di  sera  alle  4 
dei  mattino  al  chiaror  delle  torcie  a  vento,  i  Turchi  erano  costretti  a  ritirarsi 
lasciando  in  mano  degli  avversari  5  galere  e  410  uomini  immuni  da  ferite. 
Ricevevano  inoltre  la  libertà  iioo  schiavi  cristiani,  che  servivano  i  Turchi 
in  qualità  di  rematori  e  che  in  seguito  andarono  quasi  tutti  a  colmare  i  vuoti 
della  piazza.  Ma  erano  pure  rilevanti  i  danni  dei  Veneziani  che  perdettero, 
tra  ufficiali,  soldati  e  rematori,  circa  350  uomini  e  ne  ebbero  feriti  833. 

Dopo  questa  splendida  vittoria,  che  affermava  una  volta  ancora  la  pos- 
sanza della  Reptiblica  per  mare,  Francesco  Morosini  s'inoltrava  nell'Arcipe- 
lago per  spiare  il  passaggio  dei  rinforzi  turchi,  e  Francesco  Villa  rientrava 
in  Candia,  dove  poco  dopo  era  raggiunto  dal  nuovo  Duca  della  città,  Zac- 
caria iSIocenigo,  che  gli  portava  il  congedo  del  Senato  Veneto.  Il  2 1  aprile 
il  Villa  con  tutto  il  suo  seguito  prendeva  imbarco  sul  vascello  Grand' Ales- 
sandro, ossequiato  da  tutti  i  comandanti  della  piazza,  riveriva  alla  Stantia 
il  Morosini  il  quale,  fiducioso  nella  stella  che  benigna  gli  sorrideva  dal  lon- 
tano firmamento,  si  preparava  ad  altri  gloriosi  combattimenti;  ed  il  giorno 
13  maggio  sbarcava  nel  Lazzaretto  vecchio  di  Venezia.  Colà  era  trattenuto 
fino  al  22  giugno  con  grande  amarezza  del  Bigliore  e  del  Duca,  che  non  sa- 
pevano persuadersi  che  ad  un  così  cospicuo  personaggio  fosse  imposta  qua- 
rantena tanto  lunga.  Appena  arrivato,  scriveva  al  Duca  che  aveva  lasciato 
i  due  reggimenti  piemontesi,  ridotti  a  400  uomini,  di  cui  solo  300  erano  atti 
a  combattere,  uniti  ai  soldati  pontifici,  il    cui  comandante  Muzio  ^Sfattei  era 


LUIGI   DALMASSO 


morto  fin  dal  26  marzo,  due  mesi  dopo  il  suo  arrivo  in  Candia  (i),  E  così  ap- 
prendiamo che  in  meno  di  quattro  mesi  altri  100  soldati  piemontesi  erano 
periti  !...  Quindi  per  invito  del  Senato  Veneto  compilava  uno  stato  della 
piazza,  dell'armata  veneta  e  del  campo  turchesco  al  momento  della  sua  par- 
tenza da  Candia  (2). 

Risulta  da  esso  che  le  fortificazioni  esteriori  della  piazza  erano  in  buono 
stato  dal  forte  reale  di  S.  Demetrio  fino  all'opera  coronata  di  vS.  Maria,   nes- 
suna di  esse  ancora  essendo  stata  pressata  dai  nemici;  che  il  rivellino  Betlem, 
attaccato  dai  Turchi,   era  stato  ben  risarcito  insieme  alla  sua  ritirata,  e   che 
era  stata  ristabilita  la  persa  comunicazione  fra  esso  e  la  mezzaluna  Mocenigo; 
che  era  stata  ristorata  buona    parte    del    parapetto    di    questa    mezzaluna,  e 
s'ora  riguadai^nata  la  comunicazione  tra  essa  ed  il  rivellino  Panigrà  assicu- 
curandola  con  vari  bonetti;  che  il    rivellino  Panigrà  era  stato  ben   risarcito 
e  molto  ben  provveduto  sotto  terra  di  gallerie  e  fornelli  ;  che   era  stata  di- 
strutta l'opera  Panigrà,  e  che  si  erano    proparate    gallerie,  fornelli    ed   altri 
lavori  sotto  ossa,  di  modo  che  i  Turchi    non  avrebbero  più    potuto    ristabi- 
lire gli  alloggiamenti  loro    sopra    il    bordo    della    sua    contrascarpa   e  tanto 
mono  traversare  la  fossa  senza  gran  fatica  o  spargimento  di  sangue;  che  il 
rivellino  S.  Spirito  era  stato  ben  risarcito  al  pari  della  sua  ritirata  e  si  tro- 
vava ben  preparato  sotto    terra,  contrariamente  all'opinione   dei   nemici  che 
credevano  di  non  trovare   dal    rivellino    S.  Spirito    al  mare    alcuna    opposi- 
zione di  lavori  sotterranei  ;  che  il  piccolo  ridotto  di  vS.  Andrea  era  stato  ri- 
mosso in  buona  difesa;  che  nella  fossa  della  città,  verso  vS.  Andrea,  dal  mare 
fino  alla  cortina  che  unisce  il  baloardo  Panigrà   con  quello  di    Betlem  s'era 
formato  una    fortissima  palizzata,    che    serviva    mirabilmente    per    difendere 
qualche  tempo  detta  fossa;  che  erano  stati  risarciti  eziandio  il  baloardo  della 
Sabionera,  il  cavalior  Zani,  la  debole  muraglia  che  copriva  il  porto  e  sopra- 
tutto il  bersagliato  baloardo  Betlem;  che  si  andava  riducendo  in  buono  stato 
il  baloardo  Panigrà,  e    s'era   principiato    a    formare  una    ritirata    davanti  al 
baloardo  S.  Andrea  torrapionando  la  tenaglia  che  congiungeva  detto  baloardo 
col  mare,  cosicché  potesse  resistere  al  cannone  nemico.  Risulta    inoltre  che 
alla  difesa  della  piazza  si  trovavano  4700  combattenti,  compresi  gli  ufficiali 
ed  esclusi  i  feriti,  i  servi,  due    piccoli  reggimenti    greci    destinati  ai  lavori, 
buon  numero  di   guastatori,  galeotti   o  minatori  ;  che  la  piazza  ora  assai  ben 
guernita  di  artiglierie,  ma  scarseggiava    di    munizioni,  massimo  di  polvere  ; 
che  non  aveva  penuria  consid(>revolo  di  viveri,  eccetto  che  di  carni  che  co- 
stavano assali,  di   modo  che  i  poveri    ufficiali   forili  avoxano    fatica    a  trovar 
modo  di  sussistere,  anche  quando  erano  ben  pagati.  Risulta  che  l'armata  di 
mare  era  divisa  in  tre  squadre,  di  cui  una  composta  di  15  galere  e  4  galeazze, 
sotto  la  dirozicìno  del   C'apitan  (ienerale,  era  partita    por    Suda  alU)  scopo  di 
impedire  lo  sbarco  al  capitano   Bassa;  l'altra  di  4  galere,  una  galeazza  e  sette 
od  otto  vascelli,  sotto  la  direzione  del  provvoditor  d'armata  Cornare,  rima- 
neva a  vStantia  per  difendere  quest'isola  e    por  provvedere  ai    bisogni  della 


(i)  Corris/y.  m.,  I.etteia  del    13   inaL^^io,  mazzo   yo. 
(2)  Detto  stalo  eziandio  fu   imlìblicato  dal    Kosta.L^iio, 


I   PIEMONTESI    ALLA    GUERRA    DI    CANDÌ  A 


piazza,  che  dal  provveditore  generale  Nani  potevano  essergli  segntdati  ;  la 
terza  di  nove  galere  rimaneva  nel  porto  di  Candia  essendo  le  sue  ciurme 
impiegate  nei  lavori  di  fortificazione,  ma  coll'arrivo  di  nuovi  guastatori  si 
sarebbe  messa  anch'essa  in  istato  di  agire.  Risulta  infine  che  le  due  prime 
squadre  erano  guernite  di  circa  2200  combattenti,  compreso  un  migliaio  di 
uomini  liberati  dalla  schiavitù  nel  furioso  combattimento  dell'S  marzo;  e  che 
l'esercito  turco  al  principio  dell'anno  1Ó68  era  ridotto  a  20  mila  persone  ap- 
pena, di  cui  14  mila  sole  erano  atte  a  combattere,  che  di  esse  erano  perite 
altre  3  mila  nelle  due  ultime  sortite  e  nel  combattimento  navale  dell'S  marzo, 
ma  che  pervenivano  da  Costantinopoli  i8oo  giannizzeri,  poscia  1500  fanti  e 
poscia  anc<jra  600  fanti,  non  che  ,300  bombardieri  e  50  guastatori,  mentre 
altri  considerevoli  rinforzi  si  attendevano. 

Si  è  dato  un  ampio  sunto  di  questa  relazione  perchè  da  essa,  meglio 
che  da  qualsiasi  altro  racconto,  appare  l'attiva,  indefessa  ed  efficace  opera 
del  marchese  Villa  nel  rilevare  e  sopperire,  per  quanto  gli  era  possibile  colle 
deboli  forze  di  cui  disponeva,  a  tutti  i  bisogni  della  Piazza,  e  ben  a  ragione 
egli  poteva  vantarsi  davanti  al  Senato,  alla  presenza  del  quale  era  finalmente 
ammesso  il  23  giugno,  di  <  aver  lasciato  Candia  virilmente  difesa  »  e  di 
.<  aver  cooperato  alla  veneta  gloria  non  solamente  nella  fedele  ed  esatta  os- 
..  servanza  degli  ordini  prudentissimi  del  signor  Capitan  Generale  e  nel  sod- 
«  disfare  puntualmente  ai  salutevoli  sensi  dei  signori  Rappresentanti,  ma 
«  ancora  nel  secondare  il  generoso  ardore  degli  Ufficiali  e  dei  valorosi  sol- 
dati »  (i).  Il  vSenato  riconosceva  i  suoi  meriti,  e  con  170  voti  favorevoli  contro 
8  sfavorevoli  decretava  di  regalargli,  in  pegno  della  propria  gratitudine,  un 
bacile  d'oro  del  valore  di  sei  mila  ducati.  Gli  consegnava  inoltre  la  seguente 
ducale  (2)  : 

«  Doni.   Contareno  Dei  Gratin  Ditx  Venetianim  Univcrsis 
«  et  singulis  ad  qiws  Jiae  nostrae  perveiieriìit  sigìii-ftcamus  ctini  Seiiatu. 

«  Nell'esercizio  dell'armi  che  decorò  con  antiche  marche  d'onore  la  Fa- 
«  miglia  Villa,  trasse  dai:  suoi  Maggiori  con  la  nascita  l'eredità  delle  glorie 
«il  'marchese  Ghiron  PVancesco,  il  quale  unita  al  coraggio  dell'animosa 
maturità  e  la  prudenza  del  senno,  seguendo  l'orme  loro  generose  si  vide 
«  ai  gradi  più  distinti  aperta  quella  via,  che  prima  colle  fatiche  e  coi  sudori 
«  s'aveva  gloriosamente  appianata  col  servizio  della  Corona  di  Francia  e  del 
«  signor  Duca  di  Savoia,  ed  ha  sostenuto  cariche  decorose  e  grandi,  nelle 
«  quali  ha  confermato  con  prove  singolari  il  concetto  dell'ottima  virtuosa 
«  condotta.  Tratto  poi  da  spiriti  d'egual  generosità  si  portò  con  grazioso  con- 
«  senso  del  medesimo  signor  Duca,  come  Generale  della  Fanteria,  al  servizio 
«  pure  della  Republica  nostra  per  render  meritorio  appresso  il  signor  Iddio 
«  contro  gli  infedeli  quel  valore  che  tra  i  Principi  Cristiani  lo  aveva  reso 
«  applaudito  ed  illustre.  Passò  destinato  a  frenare  le  aggressioni  dei  Barbari, 
«  che  si  temevano  sopra  alcuna  I^iazza  della  Dalmazia.  Si  condusse  dopo  con 
«  egual  prontezza  e  coraggio  in  Levante,  ove  nella  guerra  offensiva  e  nel 
^<  campeggiamento  a  fronte  dei  nemici  assistè  con  prudenza  e  maturità  alle 
«  operazioni.  Sopr'arrivata  l'innondazione  delle  più  vigorose  forze  dei  Turchi 


(i)  Cfr.  il  discorso  da  lui  pronunziato  e  publicato  dal  Rostagno. 
(2)  Publicata  pure  dal  Rostagno. 


64  LUIGI    DALAI  ASSO 


«  con  la  persona  dello  stesso  Primo  Visir  e  dei  principali  IVIinistri  e  Capi 
«  dell'armi  ottomane  per  tentare  l'impresa  di  Candia,  sostenne  eoii  i  più  fieri 
«  e  validi  sforzi  della  ferocità  dei  medesimi,  che  con  potentissimo  esercito 
«  per  il  corso  d'un  anno  intiero  in  un  continuo  travaglio  del  ferro  e  del  fuoco 
«  lian  combattuto  la  Pia/za.  Sono  evidenti  le  prove  con  quanto  valore  abbia 
v;  egli  animata  con  l'esempio  tra  il  cimento  delle  morti  e  dei  pericoli  la  co- 
«  stanza  delle  milizie  e  sost(Mìute  con  intrepidezza  e  coraggio  singolari  l'im- 
«  portanti  incombenze  della  carica,  Il  merito  i)er  così  religiosa  difesa  è  vegì- 
<.<  strato  nel  cielo,  mentre  le  glorie  della  virtù  sua  sono  universalmente 
«  decantate  nel  mondo.  Ora  però  che,  ritornato  di  Candia,  chiamatovi  per  i 
e  premurosi  riguardi  del  signor  Duca,  suo  signore,  conviene  restituirsi  alla 
«  Patria,  la  Reijublica  nostra  clie  riconosce  dalla  valorosa  assistenza  del 
«.  sudetto  (Generale  M"''  Villa  tanti  illustri  ])rolìtti  all'armi  pubbliche,  vuole 
«  con  la  presente  ampia  attestazione  pubblicare  maggiormente  le  condizioni 
«  delle  di  lui  benemerenze  insigni,  le  sue  glorie  distinte  e  le  osservanze  della 
«  propria  generosa  gratitudine.  Così  che  raffermate  con  queste  affettuose 
«  rimostranze  le  di  lui  egregie  oj)erazioni,  passino  ad  eternare  nei  posteri  le 
V  memorie  del  suo  valore  e  del  gradimento  singolare,  che  ])orta  il  Senato 
«  sempre  nella  generosità  del  publico  animo  vive  e  [)erpetue  le  raccordanze. 
'<  Dat.  in  n,  D.  P,  die  quarta  Julii   1608. 

«  Signata  Agostino  Biancht,  Srgniario  ». 

;Vnche  il  Papa  gii  rivolgeva  un  breve  cordialissimo,  in  data  del  26  maggio 
166S,  in  cui  è  detto:  Spectata  virtus  atque  constantia  Nobilitatis  tuae  in 
«  defensionem  tandiu  contra.  tantas  hostis  infestissimi  vires  at<|uc  pertinaciam 
«  (^ivitatis  Candiae,  uti  gloriam  immortalem  inclito  nomini  tuo  compara vit, 
«  ita  non  minoris  penes  nos  existimationis  atque  charitatis  cumulum  sibi 
(]uaesivit.  Ouem  etiam  insupcr  auxerunt  ])rovvida  sane  Consilia,  quibus 
«  inde  proficiscens  (uim  illius  Civitatis  futurao  (juoque  tutelae,  tum  etiam 
«  co[Marum  nostrarum  in  ea  proj)ugnatione  prò  viribus  peragenda  fructui  ac 
«  laudii)us  per  op[)ortune  consuluisti     . 

Molti  poeti,  fra.  cui  il  b'rugoni,  raffigurarono  il  dolore  di  Candia  in  seg'uito 
alla  partenza  del  \'illa  o  del  suo  Marte,  come  ormai  tutti  lo  chiamavano.  Ed 
un  certo  l^ascelli,  fitti  gii  elogi  d(d  (xenerale,  così  concludeva: 

1*^  (lUfsto  sia  c-lie  (iiu-ll 'l'eroe  i;uerriero. 
Che  (il  Creta  sostenne  il  nohil  regno, 
Di  Cipro  vada  a  conquistar  linii>ero  (1) 

Questi  versi  provano  ad  evidenza  clic  il  desiderio  di  impadronirsi  dell'isola 
di  Cipro,  non  che  formare  il  lontano  miraggio  dti  Duca,  era  portino  noto 
e  condiviso  dagli  Italiani. 

Sarebbe  ora  il  caso  di  accennare  alle  dixergenze  sorte  tra  il  \'illa  ed  il 
Higliore  per  futili  questioni  di  etichetta,  che  attestano  la  xanità  dei  sentimenti 
dell'ambasciatore  piemontese  a  Venezia;  ma  sorvoleremo  sopra  esse  per  rife- 
rire fatti  più  importanti.  Era  venuto  il  momento  in  cui  il  marchese  Villa 
doveva  approfittare  del  favore,  a  cui  i  servizi  resi  alla  Republica  gli  davano 
diritto,  ]icr  ottenere  al  J^uca  le  note  prerogative,  ed  il  Duca  non  tralasciava 
di  dargliene  ufficiale  incarico  dopo  che  l'intervento  del  Re  di  Erancia  nelle 


(i)  Tutti  i  carmi  tlcclicati  ai  \'illa  furono  puhlicati  dal   Rostagno. 


I    PIEMONTESI    ALLA   GUERRA   DI    CANDÌ  A  65 


sue  controversie  con  (jenova  l'avca  obligato  a  recedere,  almeno  per  il  mo- 
mento, dall'intento  di  conseguire  colle  armi  gli  ambiti  onori  regi.  Anzi  per 
facilitare  al  Villa  il  suo  compito,  permetteva  al  Duca  di  Modena  di  fare  nei 
suoi  Stati  un'altra  levata  di  200  uomini  da  mandarsi  a  Candia,  e  scriveva  al 
Papa  ed  a  vari  Nunzi  pregandoli  di  congiungersi  a  lui  per  trarre  la  Repu- 
blica  ad  ammettere  la  parità  degli  ambasciatori  veneziani  e  piemontesi  (i). 
Il  marchese  Villa  faceva  del  suo  meglio  per  accontentare  il  Principe  suo, 
ma  non  otteneva  altro  che  complimenti  (2).  Né  mig^lior  risultato  ottenevano 
le  chiare  ed  esplicite  dichiarazioni,  con  cui  il  Duca  accompagnava  le  sue 
ripulse  alle  domande  di  soccorsi  che,  a  nome  della  Republica,  gli  rivolgeva 
il  Bigliore.  —  «  Vedendoci  poco  corrisposti  non  siamo  punto  inclinati  a  far 
spese  per  mandare  galeotti  »  —  scriveva  egli  il  27  ottobre  i668  (3),  ed  il 
15  marzo  1669  (4)  aggiungeva:  «  Non  possiamo  dare  soccorsi  alla  Serenissima, 
«  la  quale  per  obligarci  sa  benissimo  che  cosa  fare  con  giustizia  e  conve- 
«  nienza  ».  Il  Duca  lasciava  presto  questo  linguaggio  altezzoso  ed  incaricava 
il  Nunzio  che  era  a  Venezia  di  «  sentire  le  istruzioni  del  Senato  riguardo  al 
«  trattamento  dei  suoi  ambasciatori  presso  le  Corti,  dicendosi  pronto  per 
«  ottenere  la  parità  ad  assoldare  nuove  reclute  per  i  due  reggimenti  che 
«  aveva  a  Candia  portandoli  a  due  mila  uomini  ed  a  pagarli  per  tutto 
«  il  i66g  »  (5).  Ma  anche  quest'ultimo  tentativo  di  obligarsi  la  Republica 
restava  senza  frutto,  come  restavano  senza  frutto  tutte  le  altre  generosità 
del  Duca,  e  quella  di  permettere  che  ritornasse  in  Candia  il  cugino  del  mar- 
chese Villa,  chiamato  da  Clemente  IX  a  comandare  le  truppe  pontificie  col 
grado  di  Sergente  Generale  di  Battaglia,  e  quella  di  inviare  alla  Serenissima 
l'ingegnere  Lesping  (6). 

Frattanto  i  poveri  soldati  piemontesi  che  si  trovavano  a  Candia,  conti- 
nuavano a  combattere  ed  a  cadere  da  prodi.  Cadeva  Profitio  Torre,  ed  il 
12  dicembre  1668  il  conte  Bigliore  scriveva  al  Duca  che  il  Coming^cs  ed  il 
Bozzo,  arrivati  al  Lazzaretto  feriti,  gli  avevano  accertato  che  i  savoiardi, 
passati  ultimamente  in  rivista,  erano  250  tra  sani,  storpi  e  feriti,  che  100 
erano  i  sani,  e  tutti  si  portavano  coraggiosamente  (7).  Il  23  febbraio  i66g 
lo  stesso  Bigliore  comunicava  al  Duca  una  lettera  del  Senato  Veneto,  in  cui 
si  lodava  il  loro  valore,  e  si  annunziava  che  il  cugino  del  marchese  Villa  era 
già  perito  (8).  Sebbene  le  loro  paghe  importassero  ormai  un  lieve  aggravio, 
data  l'esiguità  del  numero  a  cui  ascendevano,  essi  restavano  tuttavia  insod- 
disfatti: l'Arborio  pure  era  obbligato  ad  andare  a  Venezia  per  reclamare  i 
propri  emolumenti  (9).  In  causa  dei  suoi  meriti  insigni  costui  era  stato  eletto 


(i)  Memoriale    del    Duca   del    mese    di    febbraio,   marzo    ed    aprile    166S,    piil)licato    dal 
Claretta. 

(2)  Corrisfy.  ecc.,  Lettera  del   Villa  al   Duca  in  data  del  23  giugno  e  seguenti,  mazzo  lo^' 

(3)  /(/.,  Lettera  del  Duca  al   lìigliore,  mazzo  13". 

(4)  M.,  id. 

(5)  Memoriale  del  Duca  pul)licalo  dal  Claretta,  mese  di  aprile. 

(6)  Corrisp.  ecc.  Lettera  scritta  dal  Bigliore  al  Duca  il  16  febbraio  1669,  mazzo  12". 

(7)  Id.,  mazzo   12". 

(8)  Id.,  id. 

(9)  Corrisp.  ecc.,  Lettera  scritta    dal    Bigliore  al  Marchese  di  S,  Tommaso    il  25  maggio 
1669,  mazzo  IO". 

9  —  Mise,  S.  Ili,  T.  XUI. 


66  LUIGI    DALMASSO 


Serg'cnte  MajJ'giore  di  Battaglia  (i),  e  sul  punto  di  salpare  dal  lido  veneto 
insieme  alle  truppe  bavaresi,  per  ritornare  a  Candia,  il  Duca  gli  faceva  con- 
segnare colla  relativa  croce  di  diamanti  la  patente  di  Cavaliere  Gran  Croce 
dell'Ordine  dell'Annunziata  (2).  Il  6  settembre  avveniva  la  resa  della  Piazza, 
ed  il  y  egli  scriveva  al  Duca  che  i  soldati  piemontesi,  ridotti  a  120  uomini, 
fra  cui  molti  inabili,  sarebbero  arrivati  in  Italia  verso  Natale  (3).  Povere 
truppe!  Erano  decimate,  e  la  falce  della  morte  stava  ancora  sospesa  sul  loro 

capo 11  conte  Solaro  scriveva  da   V^enczia  il  25  gennaio   1670  al  Duca  di 

Savoia  (4)  che  parte  di  esse  era  perita  in  un  naufragio,  che  affondiiva  due 
vascelli,  e  da  cui  riusciva  a  trarsi  in  salvo  solo  il  capitano  Carlo  Umberto. 
K  così  un  ordine  generale  di  Carlo  Emanuele  II,  in  data  del  3  maggio  1670(5), 
stabiliva  di  formare  dei  ritornati  da  Candia  una  compagnia  di  appena 
40  uomini  da  incorporarsi  al  reggimento  Savoia.  Sorte  più  misera  non  poteva 
avverarsi!  Né  a  lungo  godeva  degli  allori  acquistati  il  marchese  Villa,  morto 
nel   1670, 

Riepilogando:  il  desiderio  che  sempre  ebbero  i  Duchi  di  Savoia  di  ac- 
crescere il  loro  prestigio,  si  acuiva  sotto  il  governo  di  Maria  Cristina,  la 
quale,  debole  e  naturalmente  restia  al  fragor  delle  armi,  cercava  colla  gene- 
rosità di  trarre  la  Republica  Venata  a  dividere  col  Piemonte  gli  onori  regi, 
a  cui  l'uno  e  l'altro  Stato  pretendeva  d'aver  diritto.  E,  per  volontà  di  Maria 
Cristina,  Carlo  Emanuele  II  oltre  varie  levate  accordava  alla  Republica 
Veneta  nel  1660  due  reggimenti  di  truppe  regolari,  rinforzandoli  nel  1662 
di  300  uomini.  Ma  la  Republica  non  v^oleva  saperne  di  far  paghe  le  aspi- 
razioni di  Maria  Cristina,  non  ostante  il  sicuro  iiffidamento  di  ricevere  dal 
Piemonte  nuovi  e  di  gran  lunga  maggiori  aiuti;  ed  allora  Carlo  Emanuele  II 
pensava,  al  par  dei  suoi  antenati,  di  guadagnare  colle  armi  il  merito  di  por- 
tare il  titolo  di  «  Re  »  e  di  avere  il  trattamento  corrispondente  presso  le  Corti 
europee.  Egli  rivolgeva  i  cupidi  sguardi  sopra  Genova,  che  doveva  servigli 
a  conquistar  Cipro,  e  faceva  conoscere  alla  Republica  Veneta  che  non 
avrebbe  ricevuto  da  lui  altri  aiuti  senza  una  reciproca  cortesia  nel  campo 
diplomatico,  minacciava  an/À  di  ritoglierle  i  due  reggimenti  piemontesi,  in 
seguito  alle  lagnanze  che  il  cattivo  trattamento  aveva  loro  strappato.  Solo 
allorché  la  Republica  chiamava  a  capo  delle  sue  truppe  il  marchese  Villa, 
sulla  cui  influenza  futura  egli  faceva  assegnamento  per  conseguire  i  suoi 
intenti  politici,  permetteva  che  una  schiera  di  eletti  Cavalieri  piemontesi  si 
portasse  a  Candia  insieme  al  Villa,  ed  a  proprie  spese  pagava  i  suoi  reggi- 
menti per  sei  mesi  nell'anno  1666  e  per  tre  mesi  nel  1667.  11  Villa,  non  che 
potergli  giovare,  non  era  neppur  lasciato  libero  di  agire  conforme  il  proprio 
criterio,  di  conseguenza  domandava  di  essere  richiamato  in  patria.  Da  parte 


(1)  Patente  del   Duca  Carlo  iMnan.   Il,  in    liata  del    24    ottobre   166S,  compresa  nell'Arch. 
Milit.  di  Torino. 

(2)  Corrisp.  ecc.,  Lettera  scritta  dal  Duca  al  Bigliorc  l'S  giugno  1669,  mazzo  12". 

(3)  Id.,  mazzo  66». 

(4)  Ili.,  mazzo   13". 

(5)  Compreso  nell'Arch.  Milit.  di  Torino  (Corso  Palcstro). 


I   PIEMONTESI   ALLA   GUERRA   DI    CANDIA  Ò7 


sua  il  Duca  si  persuadeva  che  non  avrebbe  mai  ottenuto  nulla  dalla  Repu- 
blica,  ed  insistentemente  richiedeva  che  gli  fossero  restituiti  i  suoi  soldati 
tutti.  Il  marchese  Villa,  cedendo  alle  istanze  del  Senato  Veneto,  tramandava 
alcun  tempo  la  sua  partenza,  e  finalmente  nella  primavera  del  1668  ritornava 
in  Italia,  dove  Carlo  Emanuele  II,  costretto  a  desistere  dal  combattere  aper- 
tamente contro  Genov^a,  preparava  contro  questa  città  un'infame  congiura, 
ed  intanto  riprendeva  le  trattative  colla  Republica,  facendole  nuove  lusin- 
ghiere offerte  e  permettendole  di  ritenere  ancora  le  sue  soldatesche,  che  pe- 
rirono quasi  tutte.  Non  v'ha  dubbio  che  le  forze,  apprestate  da  Carlo  Ema- 
nuele II  a  Venezia,  contribuirono  a  ritardare  la  resa  di  Candia;  ma  beneficio 
ben  più  grande  ne  avrebbe  ricavato  la  Republica,  se  un  vano  desiderio  di 
preminenza  non  le  avesse  impedito  di  dar  ascolto  alle  proposte  del  Duca, 
accettando  tutte  le  sue  offerte. 


LUIGI   DALMASSO 


BIBLIOGRAFIA 


LIBRI   CHE  HANNO   ATTINIÌNZA  COLL'AKGOMENTO  TRATTATO 


Ademoli.o  Alessandro,  La  p:nerra   d' Oriente   alla   vieia    del  seeolo   xvii  {Rivinta  europea^ 

fase.  2").  Firenze,  1878. 
Anon,  Lcs  avioiirs  de  Madame  Royate.  Paris,  1667. 
Arrighi,  De  vita  et  retnis  gestis  Fr.  Maur areni.  Wiiezia,  1749. 
AssARiNi,  Le  lagrime  (Orazione    funebre   in    onore  di    Maria   Cristina,  I^iichessa  di    Savoia). 

Torino,  1664. 
AuGusTiNi,  Litterae  ojfteiosae.  Venezia,  1668. 
Barbaro,  Relazione  di  Candia.  V^enezia,   1668. 

Barici, i.A,    Venetus  de  classe  Othomana  ad  Alyydenas  faitccs  Iriiimphiis.  Milano,   1657. 
15ATTISTELLA,  La  RepuhUca  di  Venezia.  BoloL;na,  1897. 
Baudier,  Inventaire  de  V histoire  generale  des  Tiircs.  Rouen,  1641. 
Berchet,  Cromwell  e  La  Republica  di   Venezia.  Venezia,   1864. 
Berciiet-Barozzi,  Relazioni  degli  Stati  europei  lette  al  Senato.  Venezia,  1856. 
lÌERNARDY,    Venezia  ed  il  Turco  nella  seconda  ineta  del  sec.  xvii.  F"irenze,  1902. 
Bernino,  Hfemorie  istoriche  di  ciò  che  hanno  operato  i  Sommi  Pontefici.  Roma,  16S5. 
l^iGGE,  Im  guerra    di   Candia    negli   anni    1667-69    (tradotta  dallo    Stato    maggiore  italiano). 

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BisACCioNi,   Vite  degli  ultimi  cinque  imperatori  turchi.  Genova,  1654. 
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CiBRARio,  Origine  e  progressi  della  Monarchia  di  Savoia.  Firenze,  1864. 
C1BRAR10,  L^escfizione  istorica  degli  ordini  cavallereschi.  Torino,   1846. 
Cigola,  /  successi  della  Canea  dedicati  all'IlP'"  L.uigi  Contarini.  Roma,  1646. 
Claretta,  Storia  del  regno  di  Carlo  Fman.  II.  Genova,   1877-78. 
Compendio    dei   notabili  vaticinii  che  famosi  autori  fecero   contro  il  Superbo   Inipero  e  Casa 

Ottomana.  Venezia,  1687. 
Copia    della    lettera   scritta    da    anonimo  sulla  nave  veneziana   comandata   dall'Ili"'"  ed  Fcc''"^ 

Sig.   Giuseppe  Delfino.  Venezia,  1654. 
Dal  Pozzo,  Storia  dei  Cavalieri  di  Alalia.  Venezia,  1715. 
Deping,  Histoire  du  c-ùmmerce  cntre  le  Levante  et  l'Furope.  Paris,   1888. 
DiEDO,  .Storia  di  Venezia.  Venezia,  1751. 
Dottori,  Crctae  oppugnatio.  Padova,  1669. 


I   PIEMONTESI    ALLA   GUERRA    DI    CANDIA  69 


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DuvERDiER,  Ahrep^è  de  l'hisloire  des  Turcs.  Lyon,  1665. 

P^R>^ANTE,  storia  dell'impero  ottomano  da  Osmano  JI  alla  pace  di  Carlowitz.   Roma,   1882. 

Ferraris,  Declamazione  funebre  hi  onore  di  C.  Ein.  II.  Asti,  1675. 

FoscARiNi,  Historia  della  Repubblica   Veneta.  \'^enezia,  1699. 

Foucher,  Les  sieges  héroiqnes.  Paris,   1873. 

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Garzoni,  Storia  di   Venezia.  Venezia,   1705. 

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Glorie  dell'armi  venete  celebrate  nelP Accademia  dei  Signori  Imperfetti.  \'enezia,  1651. 

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Historia  degli  avvenimenti  delParmi  imperiali  contro  ribelli  ed  Ottomani.  Venezia,  168S. 

Historia  della  veneta  guerra  in  Levante  Jino  alla  pace  di  CarlOiuitz.  \'enezia,  1705. 

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Marchesi,  Andrea   Valier  e  la  sua  Storia  della  'guerra  di  Candia.  Udine,  1889. 

Meursii,  Creta,  Rfiodus,  Cyprius  sive  de  harum  insularuìn  rebus  et  antiqiiitatibus.  Am- 
sterdam, 1675. 

MoLMENTi,  La  vita  privata  dei  Vetieziatii.  Torino,  1880. 

Nani,  Storia  di  Venezia.  Venezia,    1662. 

Ormea,  I  gigli  sfioriti  {Orazione  panegirica).  Torino,  1664. 

Patrucco,  Relazioni  tra  Savoia  e  Venezia  dio-aule  la  reggenza  di  ISTaria  Cristina  {Bollett. 
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Podestà,  Annali  ottomani  tradotti  dall'originale  turchesco.  Vienna,  1672. 

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Porta,  Racconto  delle  imprese,  vittorie  ed  acquisti  di  F.  Morosini.  Venezia,  1693. 

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Rampoldi,  Annali  mussubnani.  Milano,  1822. 

Raulin,  L'ile  de  Créte.  Paris,  1869. 

Relazione  dell'acquisto  di  Tenedo  fatto  dal  generale  Dal  Bozzo.  Firenze,   1683. 

Richiede!,    Venezia  trionfante  hi  mare..  Brescia,  165 1. 

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RoMANiN,  Storia  documentata  di  Venezia.  Venezia,   1S53. 

RosTAGNO,  Viaggi  in  Dalmazia  e  in  Levante  dell' Ecc^""  sig.  Ghiron  Francesco  Villa.  To- 
rino, 1668. 

RvCAUT,  Hisloire  de  trois  dernicrs  empereurs  des   Turcs  de  1623  à  1677.  Paris,  t68i. 


70  LUIGI   DALMASSO 


Sagredo,  MetHorie  isforiche  dei  Monatrlii  Oltamavi.  Venezia,   1673. 

Salabekrv,  Sloria  delV Impero  Ottomano.  Milano,   1821. 

Segre,  Eniamiele  Filiberto  e  la  Republica  di  Venezia.  Venezia,  1901. 

Sertonaco,  Franmienti  istorici  della  guerra  di  Candia.  Milano,  1698. 

Sforza  Pallavicino,    Vita  di  Alessaìidro   III.  Prato,  1839. 

SiMONELLi,  Candia.  Parma,   1898. 

Valiero,  Istoria  della  guerra  di  Candia.  Venezia,   1679. 

Verdizzotti,  Fatti  veneti.  Venezia,  1684. 

V1G0UAKZKRE,    Vita  di  Cristina  di  .Sai'oia.  Torino,   1895. 


DOCUMENTI   PUBBLICATI. 

I.  Francesciiini,   Docuììicnti  inediti  sulla  Storia  della  reggenza  di  Maria  Cristina,  duchessa 

di  Savoia.  Roma,  1895. 
II.  ScLopis,  DocHìiienti autentici  che  servono  alla  Storia  della  reggenza  di  Cristina  di  Francia. 
Torino,   1S37. 

III.  Memoriale    del    duca  Carlo   l^mamiele    II,  pul)lirato    dal    Claretta   nella   sua    storia  del 

«  Regno  di  Carlo  Kman.  Il  ».  (ienova,  1877-78. 

IV.  Ducali  venete,  brevi  pontifici,  lettere  di  Luigi  XIV,  del  cardinal  Mazarino  e  del    duca 

di  Lionne,  dirette    al    marchese  Villa  e  publicate  dal    Rostagno  nel   suo    libro  sui 
«  Viaggi  in  Dalmazia  e  Levante  dell'Ecc"'"  sig.  Ghiron  Francese  Villa  ».  Torino,  1668. 
V.  Di.scorsi  pronunziati  dal   marchese  Villa  davanti  al  Senato  veneto  nell'aprile  1665,  nel- 
l'ottobre 1665  e  nel  giugno  1668,    publicati  pur  essi  dal  Rostagno. 
VI.  .Stato  nel  quale  si  trovavano  la  piazza  di   Candia,  l'armata  di    mare  della  Ser'"''  Repu- 
blica ed  il  campo   turchesco  la  notte  del   sabato,  21  aprile  1668,  in   cui  parti    dalla 
suddetta  città  il  sig.  marchese  general  Villa  (incluso  sempre  nel  libro  del  Rostagno). 
VII.  Carmi  di  I.  Du   P>and,  Frugoni,  Pastorel,  D.  G.  Diamante,  Bartolomeo  Sinibaldo,  Cavalier 
Ametheo,   P>ascelli  ed  altri  autori  anonimi,  rijìortati  dal  Rostagno  ancora. 


DOCUMENTI   INEDITI. 

I.  —  Quelli  compre.si  nell'archivio  di  Stato  di  Torino  (Piazza  Castello) 
sotto  il  titolo  di  :  Corrispondenza  degli  ambasciatori  piemontesi  residenti  a  Ve- 
nezia »,  e  così  divisi: 

Mazzo  8". 
Lettere  di  S.  A.  R.  Carlo  Emanuele  II  all'abate  Vincenzo  Dini  dell'anno  1663  e  1664. 

Mazzo  9". 
Fascicolo  I".  —  Lettere  dell'abate  Vincenzo  Dini  al  marchese  di  .S.  Tommaso  dell'anno  1662, 

1663  e  1664. 
Fascicolo  2'».  —  Lettere  dell'abate  Vincenzo   Dini  a  S.  A.  R.  Carlo   Eman.  II   ed  alla  Ser"'" 

Maria  Cristina  dell'anno  1662,  1663  e  1664. 
Fascicolo  3".  —  Lettere  di  .S.  A.  R.  Carlo    I^man.  II   e  di    Maria  Cristina  all'abate  Vincenzo 

Dini  dall'anno  1662  al   1666. 
Fascicolo  4".  —  Lettere  del  conte  Pigliore  di  Luserna  dall'amio  1661  al  1664. 
Fascicolo  5".  —  Lettere  dello  stesso  dell'anno  1665. 

Mazzo  9'"--'. 
Fascicolo  I".  —  Lettera  del  chevalier  de  Gremoville  a  Maria  Cristina,  spedita  da  Venezia  il 

4  settembre  1661. 
Fascicolo  2".  —  Lettere  di  Solaro  di   Miìretta.  marchese  del   Borgo,  dell'anno   1^162. 


I   PIEMONTESI   ALLA   GUERRA    DI    CANDIA  71 

Mazzo  io». 

Fascicolo  I"  e  2".  —  Lettere  del  conte  Bigliore  di  Luserna  al  marchese  di  S.  Tommaso  dal- 
l'anno 1664  all'anno  1669. 

Fascicolo  3"  e  4".  —  Lettere  del  marchese  Francesco  \'illa  a  S.  A.  R.  Carlo  P^manuele  II 
dall'anno  1665  all'anno  1668. 

Mazzo  ii". 

I-Fascicolo  1°.  —    Lettere    del    conte    Biijliore    di    Luserna    a    S.  A.    R.  Carlo    Eman.  II    del- 
l'anno 1666. 
Fascicolo  2".  —  Lettere  del  marchese  di  Pianezza  al  conte  Bigliore  dall'anno  1664  al  1667. 

Mazzo  12". 
Lettere  del  conte  Bigliore  di  Luserna  a  S.  A.  R.  Carlo  Eman.  II  dell'anno  1667,  166S  e  1669. 

Mazzo  13". 
Fascicolo  1°,  2"  e  3".  —    Lettera   del   duca   Carlo   Emanuele  II    all'abate  V'incenzo   Din!,  al 

conte  Bigliore  ed  allo  Zio,  dall'anno  1662  all'anno  1669. 
Fascicolo  4<*.  —  Lettere  del  marchese  del    Bor^o  Solaro  di    Moretta  a   S.  A.  R.  Carlo  Ema- 
nuele Il  dell'anno  1670. 

Mazzo  66". 

Lettere  del  colonnello  vercellese  Alessandro  Arborio  a  S.  A.  R.  Carlo  Eman.   IL 

IL    —   Quelli    compresi    nell'  Archivio    militare    di    Torino    (Corso    Pa- 
lestro),  cioè  : 

i"  Bilancio  militare  del  1660. 

2"  Ordini  del  duca  Carlo  Eman.  II  ai  generali  Veadore  e  Contadore. 

3"  Trattato    per  i  due    reggimenti   piemontesi  passati  al  servizio  della  Republica,  incluso  fra 

gli  ordini  ora  citati. 
40  Patenti  ducali  di  Carlo  Emanuele  II. 


y 


ALESSANDRO  LATTES 


FRANCESCO  DE  AGUIRRE 


SCIPIONE  MAFFEI 


10     Mise.  S.   Ili,  T.  XIll. 


Nel  secondo  decennio  del  sec.  XVili  Vittorio  Amedeo  li,  cessate  le  cure 
guerresche,  soddisfatta  la  sua  aspirazione  a  liberare  lo  Stato  dagli  stranieri  e 
l'antica  ambizione  de'  suoi  maggiori  pel  titolo  regio,  potè  volgere  il  pensiero 
al  riordinamento  interno  de'  suoi  dominii  e  dedicarsi  con  ogni  sollecitudine 
all'istruzione  dei  sudditi  ed  all'Università  torinese,  coli' intento  di  migliorar 
quella  e  rialzare  questa,  sottraendole  alla  padronanza  assoluta  degli  ordini 
religiosi.  Per  prepararsi  con  larghezza  conveniente  di  idee  a  tali  riforme,  di 
cui  aveva  già  compresa  la  necessità  fino  dal  1689(1).  egli  fece  raccoglier 
documenti,  notizie,  informazioni  sulle  più  celebri  Università  italiane  e  stra- 
niere, come  quelle  di  Bologna,  Padova,  Pavia,  Parigi,  Oxford  e  (ì-ermania  : 
alcune  delle  relazioni  a  lui  presentate  si  conservano  ancora  negli  archivi 
nazionali  (2).  Richiese  inoltre  pareri  e  proposte  ad  alcune  persone  illustri  del 
tempo,  probabilmente,  come  afferma  il  Fabroni  (3),  a  Vincenzo  (jravina,  che 
aveva  pure  accettato  d'insegnare  nel  nuovo  Ateneo  e  ne  fu  impedito  solo 
da.lla  morte  — certo  a  Francesco  de  Aguirre  ed  a  vScipione  Maffei,  dei  quali 
ci  pervennero  e  sono  ormai  stampate  le  scritture.  Nel  R.  Archivio  di  Stato 
di  Torino  (4)  .si  conservano  due  fascicoli,  nei  quali  in  varie  colonne,  di  fronte 
alla  trascrizione  degli  statuti  stampati  del  1680  (5)  e  delle  riforme  proposte 
dal  de  Aguirre  compendiosamente  riassunte,  sono  annotate  le  osservazioni 
minute  di  parecchie  altre  persone  interrogate  sullo  stesso  argomento  :  vi  si 
nominano  oltre  il  ]\Iaffei,  l'avv.  Grimani,  il  dottor  Dupin.  il  Buglioli,  il 
padre  Brini  toscano,  il  Rondelli,  il  Bencini,  il  padre  del  ]\Iiro,  i  professori 
d'Utrecht  (richiesti  del  loro  parere  nel  17 18)  ed  un'altra  persona  indicata  sempli- 


(i)  R.  Arch.  di  Stato  in  Torino,  Università,  mazzo  I,  n.  25.  Incarico  dato  nel  1689  a  ri- 
formatori e  magistrati  supremi  di  esaminare  e  proporre  ordini  utili  e  necessari  per  l'Università. 

(2)  Ivi,  n.  34.  Documenti  e  notizie  sullo  studio  di  Bologna,  mandate  da  Francesco  Maria 
Monti  Bendini  (1711)-  —  J^-  35-  Relazione  sull'Univ.  di  Parigi.  —  N.  36.  Relazione  di  Francesco 
Filippo  Piccono  sullo  studio  di  Padova  (1712).  —  N.  24.  Inventario  di  statuti,  regolamenti  e 
privilegi  d'università  straniere,  tratti  dagli  Archivi  di  S.  M.  nel  1714,  mandati  per  ordine  del 
Re  al  decano  Machet  ad  Annecy  e  restituiti  nel  1716  :  'vi  si  nominano  f5ologna,  Padova. 
Pavia,  Colonia,  Tubinga,  Leida,  Oxford  e  una  relazione  di  Cristoforo  Pfafl'  sulle  università 
tedesche  più  celebri.  Cfr.  Vallauri,  .S7.  delle  università  degli  studi  del  Piemonte,  ^  319,  e 
Peyron,   Codd.  italici  inanu  exarati,  p.  52,  486. 

{3)  Vallauri,  op.  cit.,  p.  358. 

(4)  R.  Arch.  di  Torino,  Università,  mazzo  II,  n.  2,  3.  Ristretto  di  pareri  diversi  sovra  gli 
statuti  dell' Univ.  di  Torino. 

(5)  Privilegia  almae  Uuiversitatis  Tauriiiensis,  colla  conferma  di  .Afaria  Cìiovanna  Battista. 
Torino,  1679. 


76  ALESSANDRO   LATTES 


cernente  col  nome  //  Nazionale  (cioè  piemontese  o  savoiardo),  il  quale  apparisce 
non  assolutamente  avvèrso  ai  Gesuiti,  conoscitore  delJe  Università  d'Olanda 
e  dei  libri  colà  pubblicati  (i).  Ma,  come  già  dissi,  i  pareri  più  importanti,  che 
ci  siano  compiutamente  noti,  sono  quelli  del  siciliano  Francesco  Aguirre 
o  de  Ag.  e  del  veronese  Scipione  JMaffei. 

Il  primo,  condotto  dal  Re  stesso  a  Torino  nel  17 14,  quando  tornò  di  Sicilia 
colla  sua  corte,  nominato  avvocato  fiscale  e  censore  dell'Università  per  vigi- 
lare sull'osservanza  delle  costituzioni  e  statuti  {2),  presentò  nel  1717(3)  wna 
relazione  compiuta  sul  riordinamento  di  quella.  Il  manoscritto,  col  titolo 
Della  fondazione  e  ristabiliììiento  degli  stadi  generali  in  Torino,  si  conservava 
nella  Biblioteca  nazionale  e  fu  ridotto  in  pessimo  stato  dall'incendio  del  1904,  ma 
era  già  stato  copiato  e  stampato  per  cura  dell'on.  Lampiasi  deputato  di  Salemi 
e  per  incarico  di  quel  comune,  patria  dell'Autore  (4).  Il  de  Aguirre  afferma 
(p.  19)  d'aver  esaminato  anche  le  norme  vigenti  in  altre  Università  ed  Acca- 
demie e  ne  fa  spesso  menzione  :  secondo  il  prof.  Mandalari  egli  avrebbe 
avuto  a  modello  le  riforme  dello  Studio  generale  di  Sicilia,  e  specialmente 
la  più  importante,  compiuta  con  una  prammatica  di  Marcantonio  Colonna 
del  IO  ottobre  1579,  ma  il  de  Aguirre  non  ne  fa  mai  cenno  nell'opera  sua  e 
vi  è  forse  qualche  errore  di  data,  perchè  tale  prammatica  non  è  molto  estesa 
né  di  gran  conto,  come  rilevo  dalle  ricerche  che  ne  fece  per  me  il  cortesis- 
simo  prof.  Enrico  Resta  (5). 

Scipione  Maffei  ebbe  frequenti  relazioni  colla  Corte  piemontese  e  non 
rare  occasioni  di  venire  a  Torino:  suo  padre  Gian  Francesco  aveva  pur  avuto 
in  feudo  la  terra  di  Farigliano  nelle  Langhe  per  eredità  dello  zio,  marchese 
De  Monte,  generale  di  Savoia,  ma  il  feudo  non  passò  a  Scipione,  il  quale 
parla  soltanto  del  padre  suo  come  fenda  fa  rio  fedele  (6).  Nel  17 18,  su  invito 
del  conte  Annibale  Maffei,  suo  remotissimo  congiunto  (7),   viceré  di  Sicilia 


(i)  Il  dottor  Dupin  fu  dottore  della  Sorbona,  morto  nel  1719.  Cfr.  Ardi,  cit.,  mazzo  d'ad- 
dizione n.  5,  che  contiene  un  cartegs^io  fra  il  Re  ed  il  conte  Vernone  intorno  a  certe  per- 
sone della  Sorbona,  che  si  agitavano  per  venir  ad  insegnar  filosofia  a  Torino,  ove  si  no- 
mina ISIr.  Dupin  tra  i  promotori  principali.  11  Bencini  è  Francesco  Domenico  B.,  maltese, 
professore  di  teologia  dogmatica,  l)ibliotecario  nel  1729,  preside  della  facoltà  d'arti  nel  1732, 
al)ate  di  S.  Ponzio,  professore  di  teologia  anche  nel  collegio  urbano  de  Propaganda  Fide  : 
Galli,  Cariche,  II,  57,  84.  Il  padre  del  Miro  è  probabilmente  il  padre  Miro  di  cui  parla  il 
Metastasio  nella  lettera  ricordata  in  fine  di  questo  lavoro  (p.  16).  Nulla  potei  trovare  intorno 
alle  altre  persone  indicate, 

(2)  Manimlari,  Un  Siciliano  in  Piemoiilc  {&A\y Italia  moderna,  anno  llp,  pag.  7.  —  Cfr. 
Galli,  op.  cit.,  II,  41. 

(3)  La  lettera  accompagnatoria  della  relazione  al  Re  ha  la  data  4  aprile  171 7  e  non  v'è 
dubbio  intorno  a  (]uesta  ;  certamente  solo  per  errore  si  legge  l'anno  1715  nella  edizione 
citata  alla  nota  seguente. 

(4)  D'Aguirre,  Delta  fondazione  ecc .  Palermo,  Giannitrapani,  1901.  Di  alcune  delle  pagine 
salvate  dall'incendio  furono  pubblicati  i  facsimili  per  cura  della  R.  Università  in  un  volume 
edito  in  occasione  dello  scoprimento  della  lapide  commemorativa  del  V  centenario  dalla  sua 
fondazione,  coltitelo:  Feriis  saccularihiis  R.  Athenaei  taurincnsis,  p.   17. 

(5)  Manualari,  op.  cit.,  7.  Cfr.  Coco  Vito,  Legcs  onnii  concilio  et  inunificeniia  latae  a 
Ferdinando  ///(Catania,  1780),  p.  xviii. 

(6)  MT  I  ;  Maffei.  Relaz.  della  libreria  di  Torino,  lettera  ad  Apostolo  Zeno  in  Rime  e 
prose  del  Marcii.  Maffei  (V^enezia,  i7?9),  209.  -  Cfr.  Manno,  Dizion.  feudale  degli  anlichi 
Slati  della  Mon.  di  Savoia,  no. 

(7)  Angius,  Famiglie  nobili  della  Moìi.  di  Savoia,  I,  4S1.  La  divisione  dei  due  rami  vero- 
nese e  piemontese  sembra  risalisse  al  sec.  xiv. 


FRANCESCO   DE   ACUIRRE   E   SCIPIONE   MAFFEI  77 


e  più  tardi  ambasciatore  in  P>ancia  pel  re  Vittorio,  compose  una  lunga  rela- 
zione sullo  Studio  torinese,  col  titolo  di  Parere  siil  viigliore  ordiname7ito 
dell'  Ufi iver sita  di  Torino,  come  già  tre  anni  prima,  su  richiesta  di  Francesco 
Grimani  Calergi,  savio  grande  della  Repubblica  veneta,  aveva  scritto  un 
Parere  intorno  al  sistema  dell'  Università  di  Padova  (i).  Questo  fu  stampato 
sino  dal  1808  nel  Gior  ìtale  della  Società  d' incoraggia  mento  di  Milano  (2): 
l'altro  per  Torino  fu  pubblicato  soltanto  nel  1871  dal  canonico  G.  B.  Giullari 
di  Verona  per  nozze  (3),  sul  manoscritto  autografo  che  si  conserva  nella 
Biblioteca  capitolare  di  Verona,  mentre  ve  n'ha  una  copia  all'Archivio  di 
Stato  in  Torino  (4),  Il  ]\laffei  dichiara  in  fine  del  suo  scritto  d'aver  voluto 
formare  un  istituto  nuovo  ben  diverso  dalle  accademie  esistenti,  senz'aver 
né  veduto  né  studiato  quanto  si  fa  in  altre  Università,  cosicché  il  suo  pro- 
getto é  opera  indipendente  del  suo  pensiero  e  della  sua  esperienza.  Giova 
pur  ricordare,  come  egli  abbia  contribuito  più  tardi  (1723)  al  decoro  dell'Uni- 
versità in  altro  modo,  coU'indurre  il  Re  a  far  collocare  nell'atrio  del  nuovo 
palazzo  molte  lapidi  scoperte  in  città  nella  demolizione  d'antichi  baluardi 
presso  la  Consolata,  nel  reale  palazzo  e  nel  castello  della  Venaria  (5),  lapidi 
le  quali  poi  ora  si  trovano  nel  R.  Museo  d'Antichità  di  Torino, 

Grandi  furono  gli  elogi  tributati  più  volte  e  ripetuti  anche  di  recente 
al  de  Aguirre  (6)  per  la  parte  avuta  nel  riordinamento  dell'Università  e 
grandi  furono  certo  i  suoi  meriti,  ma  per  evitare  ogni  esagerato  giudizio 
intorno  all'opera  sua  (7)  giova  non  dimenticare  che  gli  ordini  introdotti  per 
suo  consiglio  ebbero  breve  durata,  cosicché  non  può  dirsi  che  eg'li  abbia 
avuto  veramente  una  grande  influenza  sulle  sorti  dell'Università.  Sono  certa- 
mente dovute  al  de  Aguirre  le  norme  pubblicate  col  R.  editto  25  ottobre  1720 
all'apertura  degli  studi  e  copiate  con  lievi  modificazioni  nelle  RR.  Costituzioni 
generali  del  1723,  di  cui  formano  parte  integrante  (lib.  II,  tit.  22)  (8),  ma 
nel  1729  si  promulgarono  altre  costituzioni,  staccate  dalle  RR.  CC.  rinno- 
vate, che  rimasero  in  vigore  sino  al  177 1,  e  queste  furono  elaborate  dal 
conte  Caissotti,  quando  il  siciliano  avea  già  abbandonato  la  Corte  di  Savoia, 
e  presentano  mutamenti  notevoli  rispetto  alle  prime.  Separata  definitivamente 
la  facoltà  e  il  collegio  di  medicina  da  quelli  di  filosofia  ed  arti,  cui  erano 
prima  riuniti,  e  costituite  per  la  prima  volta  le  quattro  facoltà  distinte  — 
sancita  la  perpetuità  dell'uflìcio  pei  professori,  finché  non  se  ne  rendessero 
indegni  in  alcun  modo  —  ricostituito  il  magistrato  della  riforma  e  soppresso 


(i)  Gli  scritti  surricordati  si  citano  tjui  per  brevità  colle  sigle  seguenti  :  A  per  l'opera 
del  de  Aguirre,  MP,  MT  per  quelle  del  Maffei  su  Padova  e  Torino. 

(2)  Giornale  cit.  nel  testo,  an.  II.  Il  Parere  fu  ristampato  in  Maffei.  Opuscoli  letterari 
(Venezia,  17:^9),  da  cui  viene  qui  citato. 

^3)  Nuova  serie  d'aneddoti,  n.  VII:  perle  nozze  Portalupi-Giustiniani  Barbarigo (Verona, 
1871).  Cfr.  voi.  cit.  Feriis  saecularibiis  ecc.,  p.  21, 

(4)  Università,  mazzo  d'addizione  n.  4. 

(5)  Maffei,  Musaemn  Taurinense,  proemio  e  Istoria  diplomatica,  lettera  dedicatoria  a  Vit- 
torio Amedeo  II. 

(6)  Cfr.  da  ultimo  il  citato  scritto  del  Mandalari  e  Romamo,  Francesco  d'Agiiirre  e  la 
sua  opera  niss.  nell'Arch.  stor.  siciliano,  1902. 

(7)  Cfr.  p.  es.  Romano,  op.  cit.,  356. 

(8)  DuBOiN,  Raccolta  delle  legni  ecc.,  XIV. 


7 8  ALESSANDRO    LATTES 


l'ufficio  di  avvocato  fiscale  dell'Università  ch'era  stato  creato  per  consiglio 
del  d'Aguirre  od  a  lui  assegnato  —  istituito  il  collegio  delle  provinole  pei  gio- 
vani poveri  -  introdotto  quel  complesso  di  ordini  sulle  pubbliche  scuole  e 
sulla  loro  subordinazione  all'Università,  che  fu  uno  dei  mezzi  più  geniali  e 
più  potenti  nella  lotta  contro  l' insegnamento  dato  dagli  ecclesiastici,  spe- 
cialmente dai  (Gesuiti  (i).  Alcune  di  queste  novità  erano  state  proposte 
anche  dal  de  Aguirre,  come  la  distinzione  delle  facoltà  (A,  45),  la  perpetuità 
delle  cattedre  (A,  1 19),  l'istituzione  del  collegio  (A,  169)  (2),  ma  egli  non  aveva 
saputo  farle  accettare,  mentre  vi  riuscì  il  Caissotti,  cosicché  l'opera  del  primo 
fu  dal  secondo  radicalmente  mutata,  e  senza  dubbio  la  prevalenza  di  questo 
nelle  cose  universitarie  non  fu  una  delle  ultime  cagioni  che  spinsero  il  sici- 
liano a  lasciare  più  o  meno  misteriosamente  Torino  per  andare  a  miglior 
fortuna  nella  Corte  imperiale  di  T.ombardia  (3  . 

V'è  un  altro  punto  dell'ordinamento  proposto  dal  de  Aguirre  che  merita 
di  esser  considerato  e  che  forma  il  soggetto  principale  di  queste  pagine,  quan- 
tunque sia  per  lo  più  trascurato  da  chiunque  tratta  di  tale  argomento  e  del 
nuovo  assetto  dato  dal  Re  all'Università,  cioè  la  distribuzione  degli  inse- 
gnamenti in  ciascuna  facoltà;  essa  suole  per  lo  più  lasciarsi  da  parte,  mentre 
si  esaminano  le  minute  norme  date  pei  riformatori,  pel  rettore,  pei  professori 
e  studenti,  per  la  collazione  dei  gradi,  cioè  la  disposizione  esterna  degli  studi 
universitari.  Eppure  quella  fu  materia  non  meno  importante  dell'altra  né 
meno  degna  d'attenzione  per  la  diffusione  della  buona  cultura,  tanto  più  nello 
stato  di  depressione  e  d' iibbietta  decadenza,  in  cui  si  trovavano  gli  studi 
in  Piemonte  sul  principio  del  sec.  XViii  in  mezzo  alla  prevalenza  dello  spirito 
militare  e  dell'opera  gesuitica  (4):  né  alcuno  potrà  negare  che  i  criteri  larghi 
ed  aperti  nella  scelta  delle  discipline  da  insegnare  possano  giovare  almeno 
tanto,  se  non  assai  di  più,  quanto  il  modo  di  elezione  dei  professori,  i  diritti 
ed  obblighi  degli  studenti,  la  stessa  indipendenza  dei  maestri.  In  questa  parte 
appunto  mi  pare  singolarmente  attraente  ed  efficace  il  confronto  fra  le  pro- 
poste del  de  Aguirre  e  quelle  del  Maffei,  tanto  viva  ed  evidentissima  ne  balza 
fuori  agli  occhi  di  tutti  la  diversità  di  mente,  di  coltura,  di  intenti  e  di  libertà 
di  pensiero  fra  i  due  valentuomini.  Era  il  primo  uomo  d'ingegno,  in  corri- 
spondenza coi  migliori  contemporanei,  uno  dei  più  dotti  che  allora  vivesse 
in  Italia  secondo  il  giudizio  del  Botta,  ma  si  dimostra  imbevuto  di  spirito 
avvocatesco  e  burocratico,  cresciuto  sempre  nei  pubblici  uffici,  di  idee  non 
larghe  né  progredite  ;  l'altro,  che  sappiamo    dalle   molte   opere   essere  stato 


(i)  Vallauri,  op.  cit.,  406.   —  Carutti,  Storia  dì   ì'itlorio  Amedeo  II,'  462. 

(2)  Cfr.  pure  intorno  al  collegio  delle  provincie  l'analoga  proposta  del  Maffei  (MT. , 
26).  Non  sembra  invece  esatta  ratFerniazione  del  Romano  (op.  cit.,  p.  350,  351)  che  nell'opera 
del  d'Aguirre  si  trovi  pure  1'  origine  della  grande  innovazione  suaccennata,  la  subordina- 
zione di  tutte  le  scuole  dello  Stalo  all'Università;  egli  ne  adduce,  come  prova,  la  proposta 
di  istituire  in  Torino  alcune  scuole  di  grammatica  minori  dipendenti  dall'  Università,  per 
preparare  i  giovani  allo  studio  dell'eloquenza  latina  (A.,  71),  ma  questo  è  mollo  diverso  e 
molto  minore  dell'istituire  in  tutte  le  città  dello  Stato  scuole  di  grammatica,  rettorica  e 
buone  lettere,  ugualmente  dipendenti  da  (luella. 

(3)  Carutti,  op.  cit.,  472. 

(4)  Tenivklli,  Saprà  il  rislabiliin.  della  R.  Ihiiv.  di  Torino  nei  Sagj^i  de//' Accademia 
d'o/i  Ihiiani,  I.  p.  2,1.  —Botta,  .SV.  d'Ila'ia,  iib.  XKWIII  (Parigi,  i,S3?,Vin,  ir}.  t2^0.  — 
Nai'ionk,  Eloi^i  de'  ironisti  piemoiilesi,  217. 

O 


FRANCPZSCO   DE   AGUIRRE  E  SCIPIONE   MAFFEI  79 

letterato  eruditissimo,  acuto  indagatore  d'archeologia  e  di  cose  naturali,  ver- 
sato in  molte  discipline  e  veramente  enciclopedico  (i),  ci  appare  libero  ed 
indipendente,  come  sempre  visse,  pugnace  avversario  del  cattivo  gusto,  di 
idee  pratiche  e  teoriche  assai  vaste  e  precise,  alcune  delle  quali  solo  ai  di 
nostri  possono  dirsi  accettate  da  tutti.  E  forse  chi  ben  consideri  la  diver- 
sità grande  tra'  due  ingegni,  potrebbe  trarne  qualche  non  inutile  ammaestra- 
mento intorno  alla  qualità  delle  persone  che  giovi  chiamare  a  dar  consigli 
e  preparar  leggi  sull'ordinamento  degli  studi,  massime  universitari. 

Un  primo  indizio  della  differente  tendenza  dei  due  autori  si  dimostra 
nel  posto  che  assegnano  all'esame  delle  materie  da  insegnare  nello  Studio 
rinnovato:  il  de  Aguirre  ne  tratta  nel  secondo  libro,  dopo  aver  ragionato 
nel  primo  delle  autorità  preposte  all'Università  e  di  tutti  gli  ufficiali  minori, 
il  Maffei  destina  a  quell'argomento  la  maggior  parte  del  suo  scritto  ed  entra 
subito  in  lìicdins  res,  trattando  dell'ordinamento  dello  Studio  con  brevità  nelle 
ultime  pagine.  Intorno  ad  esso  basterà  accennare  che  egli  si  trova  d'accordo 
col  de  Aguirre  nei  punti  principali  da  lui  toccati,  quali  sono  i  lamenti  per 
gli  stipendi  troppo  meschini,  il  biasimo  per  le  lauree  concesse  solo  per 
danaro,  la  necessità  di  escludere  i  non  laureati  da  ogni  professione,  ufficio 
e  beneficio,  l'istituzione  d'un  collegio  pei  giovani  meno  agiati  delle  provincie, 
il  bisogno  di  una  ricca  e  grandiosa  biblioteca  aperta  agli  studiosi. 

Il  de  Aguirre  prende  le  mosse  dall'antica  divisione  delle  sette  arti,  il 
trivio  delle  liberali  (grammatica,  rettorica,  dialettica)  e  il  quadrivio  delle 
matematiche  (aritmetica,  geometria,  astronomia  e  musica),  e  passa  poi  alle 
quattro  scienze  (storia,  fisica,  etica  e  teologia).  Esse  devono  tutte  trovar  posto 
nell'Università  e  soltanto  la  grammatica  latina  potrà  insegnarsi  in  qualche 
scuola  minore,  purché  annessa  e  dipendente  da  quella  ;  vi  si  richiedono 
quindi  in  primo  luogo  professori  di  lingua  latina  e  greca  e  dell'ebraica,  indi- 
spensabile agli  studiosi  di  teologia,  di  rettorica  ed  eloquenza,  di  logica  e 
dialettica,  e  delle  quattro  arti  matematiche  suddette,  la  quali  comprende- 
ranno altresì  l'architettura  civile  e  militare,  l'arte  nautica  e  la  geografia,  la 
pittura  e  la  scultura.  Degli  scrittori  italiani  è  permesso  valersi  soltanto  per 
l'eloquenza,  perchè  da  essi  può  apprendersi  non  solo  l'arte  di  ben  parlare, 
ma  anche  la  conoscenza  d'in /in  ite  cose  necessarie  alla  vita  civile  (A,  72):  sif- 
fatto silenzio  intorno  alla  lingua  italiana  può  apparire  anche  strano  in  chi 
cooperò  largamente  a  diffondere  in  Piemonte  la  grammatica  dei  dotti  solitari 
di  Port  Royal,  poiché  essi  appunto  consideravano  la  lingua  nazionale  come 
un  mezzo  efficace  di  resistenza  contro  i  Gesuiti,  tenaci  nell'uso  della  latina  (2). 

Invece  il  ^laffei  mette  a  fondamento  d'ogni  studio  le  lingue  che  tiel  sigjii- 
ficato  delle  parole  chiudono  la  notizia  delle  cose,  e  nel  primo  posto  la  lingua 
toscana,  poiché  gli  uomini  colti  devono  conoscer  la  lingua  propria,  né  solo 
per  il  ben  parlare,  ma  anche  per  le  cose  che  il  ben  parlare  trae  seco  (MP,  179, 
186;  MT,  3).  L'idioma  straniero  è  marchio  di  servitù  ed  il  Maffei  rivolge  pre_ 
ghiera  al  Re  stesso  di  non  usar  più  il  francese  neppur  nei  comandi  mili- 
tari, poiché  egli  é  principe  italiano,  e  per  antico  titolo    viene   detto  marchese 


(r)  Landau,  Gcsch.  der  italienischeit  Lileratur  in  xviii  Jahrh.,  .S4  e  segg. 
(2)  Vallauri,  oj).  cit.,  355,  374.  Cfr.  Cordova,  /  Sici/ia?ii  in  Picìnonte,  27. 

7 


8o  ALESSANDRO   LATTES 


d' Italia  (i),  e  può  assai  più  facilmente  sperare  d'estendere  i  suoi  stati  dalla 
parte  d'Italia  che  da  quella  di  Francia  (MT,  4).  Alle  lingue  latina,  greca 
ed  ebraica,  vorrebbesi  aggiungere  anche  l'arabica,  assai  nota  nel  medio  evo 
e  necessaria  per  comprendere  opere  di  gran  valore:  queste  due  ultime  giove- 
ranno pure  a  combattere  ebrei,  protestanti,  musulmani  colle  loro  stesse  armi, 
poiché  fanno  di  quelle  un  largo  studio  a  sostegno  di  loro  eresie  (MT,  5). 
Contrasta  invece  il  Maffei  all'istituzione  d'una  cattedra  speciale  di  retorica, 
perchè  i  retori  guastano  e  corrompono  le  idee  colla  faragiììc  di  terniini,  di 
speciilazioni  e  di  -precetti,  ed  i  professori  delle  tre  lingue  basteranno  a  formare 
il  gusto  e  far  conoscere  i  più  pregiati  scrittori  (MT,  6).  Così  pure  per  la 
logica  ammette  che  vi  sia  un  lettore  speciale,  sebbene  vcdiaìiio  gli  iioiiiini  di 
senno  ottirnainei/te  discorrere  senza  notizia  di  logica  e  ndiamo  assai  spesso  i 
professori  di  logica  discorrere  pessiiiiaìiiente  (JM'J ,  io),  ed  ci  vorrebbe  che  il 
maestro  di  logica  fosse  istruito  in  tutti  i  sistemi  e  non  avesse  ad  impun- 
tarsi assohifaìiiente  per  riiìio  di  essi. 

Quanto  alle  scienze,  parlano  ontrnnibi  in  ])rim(>  luogo  della  storia.  Al 
d'Aguirre  non  sembra  che  luolto  in  uso  sia  l' institnirne  pnbhlica  cattedra 
(A,  73)  e  basta  che  il  professor  d'eloquenza  ammaestri  gli  studenti  sugli 
avvenimenti  e  sugli  autori  storici  d'ogni  tempo:  migliori  effetti  si  potranno 
ottenere  dalle  Accademie,  nelle  quali,  con  pubbliche  esercitazioni  periodiche 
dei  loro  membri,  di  professori  e  di  giovani  già  graduati  nello  studio,  si  prov- 
vederci all'esposizione  ordinata  de'  periodi  storici,  alla  traduzione  ed  alla  cri- 
tica de'  migliori  storici  antichi,  intendendo  sempre  soltanto  de'  greci  e  latini, 

11  Maffei  parte  invece  da  un  principio  sostanziale  nobilissimo,  che  nes- 
suna parte  dello  scibile  deve  rimaner  fuori  dell'Università:  il  nome  di  Uni- 
versità fa  comprendere  die  /ino  studio  pubblico  e  regio  debb' essere  un  emporio 
di  ogni  sorta  di  buone  lettere,  e  quelle  specie  di  dottrine  che  sono  in  oggi  la 
delizia  e  la  gloria  dei  letterati  vi  devono  esser  tutte  comprese  (MT,  8).  Mu- 
tatis  imt-tandis,  allargata  l'estensione  delle  buone  lettere  fino  ad  abbracciare 
anche  le  scienze,  quanto  siamo  tuttora  lontani  da  un  concetto  così  liberale! 
quanto  è  grande  piuttosto  la  tendenza  ad  allontanarsene  ogni  dì  più  ! 

Massima  è  l'importanza  attribuita  alla  storia,  in  cui  la  maggiore  e  miglior 
parte  del  sapere  umano  è  compresa,  poiché  consiste  finalmente  in  istoria  il  nostro 
sapere  (MP,  179,  185;  MT,  6).  Certamente  a  noi  apparisce  singolare  la  ripar- 
tizione di  tale  insegnamento  in  tre  cattedre,  cronologia,  storia  ecclesiastica  e 
storia  letteraria,  a  cui  si  aggiungono  dal  Maffei,  come  discipline  sussidiarie, 
la  paleografia,  l'archeologia,  la  numismatica,  e  lo  studio  delle  lingue  latino- 
barbare del  medio  evo.  Il  professore  di  cronologia  ha  da  spiegare  la  forma 
e  le  divisioni  dell'anno  e  i  modi  di  computarlo  presso  i  diversi  popoli  :  tale 
materia  è  considerata  tanto  importante  che  appena  potrà  essere  completa- 
mente trattata  in  un  anno.  La  storia  ecclesiastica  è  non  solo  il  cardine  degli 
studi  sacri,  ma  è  pure  strettamente  connessa  a  tutti  i  negozi  politici  e  civili. 


(i)  E  appena  necessario  ricordare  clic  qui  si  alliuif  a  quella  formula  comune  dei  docu- 
menti relativi  ai  conti  di.Savoia,  in  cui  gli  antichi  eruditi  le.a^gevano  le  parole  ci  ytalic  marchio, 
mentre  ora  si  leggono  più  esattamente  le  altre  et  in  ytalia  ìiiarcJiio,  intendendosi  cioè  che 
(luei  signori  avevano  titolo  di  marchesi  al  di  cjua  delle  Ali>i,  come  erano  conti  al  di  Kà  dei 
monti. 


FRANCESCO   DE   AGUIRRE   E    SCIPIONE    MAFFEI 


La  storia  letteraria  ha  il  compito  quasi  infinito  di  far  conoscere  gli  uomini 
illustri  d'ogni  età,  i  buoni  libri  d'og-ni  tempo  e  d'og-ni  argomento,  le  varie 
opinioni  e  le  più  notabili  controversie  in  ogni  materia  (]MP,  185;  ]MT,  7). 
Assai  diverso  e  più  elevato  è  il  modo  in  cui  noi  comprendiamo  gli  studi  e 
il  metodo  storico,  e  forse  anche  allora  la  scienza  storica  si  era  sollevata  in 
Italia,  almeno  nei  libri,  ad  un  punto  più  alto  per  ampiezza  di  contenuto  e 
larghezza  di  ricerche  (i).  ma  è  pur  sempre  notevole  come  il  AJafifei  ne  intenda 
tutta  l'utilità,  le  dia  posto  fra  gli  insegnamenti  generali  2),  affidi  a  quei  pro- 
fessori l'ufficio  di  sparger  nuovi  lumi,  mostrare  come  i  buoni  studi  educhino 
le  menti  e  giovino  a  perfezionare  ciascuno  nella  speciale  professione:  ad  essi 
appartiene  combattere  l'attuale  tendenza  dei  giovani,  per  cui  di  nuli' altro  si 
curano  clic  di  cpielìe  lezioni  alle  quali  dalla  speranza  del  guadagno  condotti 
sono  e  dalla  )ieccssità  della  legale  o  medica  Unirea  costretti  (MT,  q).  Né  gli 
studenti,  né  gli  uomini,  mutano  coi  tempi,  e  l'utilità  degli  ammaestramenti, 
che  dovrebbe  offrire  la  storia,  sembra  svanire,  se  ci  si  ritrova  sempre  allo 
stesso  punto  ! 

Quanto  alle  scienze  fisiche  o  filosofiche,  non  v'é  gran  divario  tra  le  pro- 
poste dei  due  scrittori,  poiché  erano  discipline  estranee  agli  studi  d'entrambi, 
a  cui  però  entrambi  attribuiscono  notevole  importanza,  mentre  i  Gesuiti  pren- 
devano cura  soltanto  della  parte  letteraria  dell'insegnamento.  I.a  fisica,  secondo 
il  de  Aguirre,  comprende  tre  cattedre,  la  metafisica,  la  fisica  speculativa  e 
la  sperimentale:  studia  l'una  le  ragioni  prime  delle  cose  divine  ed  umane, 
l'altra  i  principii,  moti  ed  effetti  delle  cose  naturali  (per  conoscere  i  quali 
si  raccomanda  di  scegliere  col  parere  di  uomini  insigni  un  sistcììia  utile), 
la  terza  provvede  agli  esperimenti  colle  macchine  nuovamente  inventate  e 
può  riunirsi  anche  agli  insegnamenti  già  accennati  di  matematica  pratica 
(geografìa,  nautica,  ecc.).  Per  la  medicina  si  distinguono  cinque  cattedre,  la 
teorica  sugli  aforismi  d'ippocrate,  la  pratica  per  la  cura  delle  malattie,  la 
botanica,  la  chirurgia  e  l'anatomia. 

Anche  qui  si  manifesta  la  mente  più  aperta  e  più  libera  del  ^Nlaffei.  Egli 
combatte  contro  ogni  limitazione  della  scienza  fisica  entro  le  teorie  aristote- 
liche (MP,  118;  j\[T,  II),  tanto  più  che  furono  spesso  fraintese  e  deformate 
dagli  interpreti,  e  vi  contrappone  non  solo  Platone,  ma  i  moderni  ingegni, 
Bruno,  Fracastoro,  Telesio,  Patrizio  e  Galileo  e  gli  oltramontani  Cartesio  e 
Gassendi  :  —  richiede  un  lettore  speciale  di  medicina  7ieoterica  che  insegni  le 
dottrine  di  coloro  che  tentano  rendersi  superiori  ai  pregiudizi  volgari  e  ricu- 
sano abusarsi  della  credulità  coinitne,  purché  non  si  scelga  tra  quelli  che  dopo 
aver  ragionato  modernamente  e  dottamente  applicano  tutti  i  vecchi  espedienti 
nella  cura  dei  malati  (MT,  13  ;  —  propone  che  si  chiami  un  savio  uomo 
per  l'arte  chimica  e  gli  si  fornisca  un  laboratorio  conveniente,  poiché  per 
l'inesperienza  di  tale  arte  errori  sì  nocivi  si  coniìiiettoìio  sovente  nelle  prepara- 
zioni (MP,   181;  MT,   14).  E  sono  pur  notevoli  le  altre  parole,  che  de'  sistemi^ 


(i)  CiPcjLLA,  Per  la  storia  (V Italia  e  de  suoi  conquistatori,  p.   10-13. 

(2)  Sono  pur  propensi    alla  separazione   dell'insegnamento  della    storia   dall'eloquenza  il 
I)ui)in,  il    del   Miro,  e  i  professori  d'Utrecht  fra  le  persone  già  citate  in  principio  p.  4,  notai;. 

9 

11     .Mise.  S.  HI,  T.  .XIII. 


ALESSANDRO    LATTKS 


come  arbitrari,  l'uno  caccia  l' altro,  ma  scoprendo  qualche  plinto  di  fatto  non 
più  osservato  nella  natura,  si  fissa  una  verità  per  sempre  (MT,   14). 

Entriamo  orii  in  un  campo  piìi  famigliare  ad  entrambi,  nella  facoltà  di 
leggi.  Amendue  considerano  necessaria  una  cattedra  di  filosofia  morale  che 
troverà  il  suo  fondamento  nelle  opere  d'Aristotile,  purché  vi  si  aggiunga 
anche  l'esame  degli  altri  sistemi,  e  purché,  secondo  il  d'Aguirre,  il  posto 
principale  sia  dato  alle  massime  della  religione  e  della  filosofia  cristiana. 
Vuole  il  Maffei  che  vi  si  aggiunga  qualche  lettura  di  gius  pubblico,  lo  studio 
del  qnale  tanfo  serve  agli  interessi  dei  principi  {}),  e  qualcuna  di  politica,  per 
additare  veramente  il  modo  con  die  si  puh  render  felice  uno  Stato  (AIP,  180; 
MT,  15,  ló).  Forse  già  comprendeva  che  non  possono  i  sovrani  da  soli 
bastare  a  far  conseguire  tale  felicità  ai  loro  soggetti,  se  tutti  non  vi  coope- 
rano e  non  imparano  a  cooperarvi. 

Naturalmente  per  entrambi  il  nocciolo  dello  studio  delle  leggi  civili  è 
formato  dalle  leggi  romane  e  dal  Corpus  Inris  Civilis.  Secondo  il  de  Aguirre 
c^uesto  si  deve  esporre  secondo  il  solito  in  tre  cattedre  distinte,  per  le  Pan- 
dette, pel  Codice  colle  Autentiche  inserite  in  esso,  per  le  Istituzioni:  ma  se 
ne  aggiungeranno  altre  straordinarie  per  ispiegare  separatamente  l'origine 
delle  leggi  secondo  il  testo  di  i\jmponio,  il  titolo  de  Regiilis  inris,  l'editto 
del  pretore,  i  libri  di  Papiniano,  i  tre  ultimi  libri  del  codice,  le  somme  dei 
titoli  composte  da  (iotofredo  e  Culaccio,  le  più  celebri  repetitiones  di  Bartolo. 
Pare  che  l'avvocato  siciliano  voglia  tornare  ancora  più  indietro  della  scuola 
del  diritto  comune,  voglia  senz'altro  rimettere  in  vigore  la  costituzione  proe- 
miale dei  Digesti  Omnem  reipnhlicac  nostrae  sanctioncm  :  così  per  le  lezioni 
private  che  i  professori  facessero  nelle  case  loro  si  doveva  rinnovare  hi 
costituzione  teodosiana  f)e  studiis  liberalilms  {Cod.  XI,  ig),  e  quasi  risusci- 
tare pei  professori  il  nome  antico  à.'  antecesso res,  per  gli  studenti  quelli  di 
edittali  o  fapinianisti  secondo  l'anno  di  studio  e  di  prolite  dopo  la  licenza 
(A.,  105,  164).  Appena  appena  vuoisi  ammettere  che,  se  vi  sono  due  lettori 
di  Pandette,  l'uno  insegni  secondo  la  pratica  dei  giureconsulti  antichi,  più 
necessaria  alla  pratica  forense,  cy?///^  eccitativa  di  molte  nuove  ed  utili  quistioni 
(che  noi  ora  diciamo  vuota  casistica  scolastica),  l'altro  segua  i  metodi  nuovi 
di  coloro  che  con  tanta  erudizione  seppero  scoprire  il  senso  delle  leggi 
romane  (A,  102).  Le  cattedre  di  diritto  feudale  e  criminale  si  ricordano  a 
mera  pompa  senza  dar  loro  importanza  (A,  109);  appena  si  accetterebbe  una 
cattedra  che  romanamente  si  chiamasse  di  diritto  delle  g'enti  naturale  e  civile. 

Pensa  invece  il  ÌMaifei  che  quattro  debbano  essere  i  lettori  principali  di 
diritto  civile,  ma  senza  ripartire  la  materia  fra  essi  ;  sempre  costante  nei  suoi 
giudizi  intorno  all'importanza  della  storia,  propone  che  alcuno  di  essi  insegni 
tuttei  la  storia  delle  romane  leggi,  dimostrando  le   varie  scuole  di  giuristi  e 


(i)  Quali  fossero  ciiiquant'anni  dopo  i  sentimenti  di  Carlo  Emanuele  III,  apprendiamo 
da  un  documento  inedito,  dove  si  legge  che  a  parer  suo  una  cattedra  di  diritto  pubblico  non 
porterebbe  alcun  vantaggio  pratico  agli  studenti  di  leggi  ;  il  diritto  naturale  e  delle  genti 
s'impara  inii)iicitamente  nello  studio  delle  leggi  romane,  essendo  il  fondamento  della  ragione 
civile;  la  lettura  di  libri  basta  per  conoscere  le  diversità  dei  governi;  i  principii  legali  ordi- 
nari sono  sulTicienti  per  risolvere  le  questioni  sull'esercizio  della  sovranità  e  sulla  successione 
dei  principi.  (,'\rcli.  di  Stato,  (università,  mazzo  d'addiz.  n.  6.  Progetto  di  riforma  delle 
costituz.  universit.  coi  sentimenti  e  risoluzioni  di   Carlo  lùii.  IIIi. 

IO 


FRANCESCO    DE   AGUIRRE   E   SCIPIONE   MAFFEI  83 


l'eccellenza  del  Cuiaccio,  del  Gotofredo,  dell'Alciato  e  dei  compagfni  loro: 
inoltre  raccomanda  lo  studio  degli  usi  dalla  dominazione  Gota  sino  al  sec.  xii 
sulle  leggi  e  sulle  carte  barbariche  e  medievali.  E  assai  notevole  che  egli 
accenna  in  via  d'esempio  ai  molti  equivoci  che  derivano  dal  considerare  la 
teoria  dei  possessi  e  quasi  possessi  soltanto  colle  idee  del  Corpus  luris, 
quando  hanno  radice  nei  secoli  anteriori  al  ristahiliììiento  del  diritto  romano 
(MT,  15):  centocinquant'anni  all'incirca  dovettero  passare  primachè  questa 
idea,  così  importante  nella  storia  del  possesso,  fosse  accolta  da  tutti  gli  sto- 
rici del  diritto!  Sono  pur  necessari  (ed  il  ^Nlaffei  concorda  in  questo  con  altri 
contemporanei  autori  di  proposte  riforraatrici)  (i)  anche  lettori  di  diritto  feu- 
dale, penale  e  municipale,  perchè  sono  materie  d'utilità  pratica,  lo  Stato  del 
Re  è  pieno  di  feudi,  ed  a  torto  si  trascurano  le  leggi  particolari  dei  paesi  che 
vagliono  oggi  per  autorità  (del  principe)  e  non  solamente  per  ragione  (diritto 
romano),  poiché  secondo  quelle  si  giudica  e  si  dispone  delle  facoltà  (AIP,  180; 
MT,  15,  16).  Si  noti  però  che  queste  discipline,  almeno  le  due  prime,  s'inse- 
gnavano veramente  a  Torino  sino  dal  sec.  XVII. 

Ugualmente  pel  diritto  canonico  il  de  Aguirre  propone  un  numero  ecces- 
sivo di  cattedre,  tre  ordinarie  pel  Decreto,  le  Decretali  e  le  Istituzioni,  e 
parecchie  straordinarie  separate,  pel  lib.  VI,  per  le  Clementine,  per  le  Estra- 
vaganti, per  le  costituzioni  e  consuetudini  posteriori,  per  le  materie 'speciali 
(beneficii,  censure,  sacramenti).  Invece  il  ÌMaffei  richiede  due  sole  cattedre, 
del  diritto  antico  e  del  moderno,  poiché  a  ben  conoscerlo  e  porre  in  chiaro 
i  veri  contini  del  sacerdozio  e  del  principato,  tanto  sono  necessarie  le  Decre- 
tali quanto  i  canoni  antichi,  i  quali  ebbero  vigore  per  tre  secoli  nella  Chiesa 
e  devono  esser  liberati  dagli  errori  aggiunti  da  (Traziano  e  dalle  imposture 
di  Isidoro,  senza  trascurare  poi  le  bolle  più  recenti  e  i  canonisti  migliori.  In 
questa  parte  assai  più  si  estende  il  de  Aguirre,  sia  per  l'indirizzo  costante  da 
lui  seguito  nell'opera  sua,  a  cominciare  dalla  strenua  difesa  del  tribunale  siculo 
della  Monarchia  contro  le  pretese  della  Curia,  sia  per  la  molto  maggiore  cono- 
scenza delle  aspre  battaglie  combattute  da  \"ittorio  Amedeo  II:  mentre  il 
Maflfei  si  accontenta  di  quelle  poche  parole  intorno  ai  veri  confini,  l'altro 
vuole  che  i  professori  di  diritto  canonico  insegnino  fino  a  qual  segno  le 
regole  ecclesiastiche  possano  obbligare  i  fedeli,  espongano  le  vere  origini  delle 
leggi  ed  usi  di  cui  si  vale  la  Chiesa  nelle  materie  delle  giurisdizioni  e  bene- 
ficii, giurino  di  non  sostenere  proposizioni  contrarie  all'  innata  potestà  del 
principe  ed  a  quella  spezialmente  die  gli  compete  per  ragione  divina,  per  uso 
e  pratica  dell'antica  Chiesa,  per  ragione  delle  genti,  per  diritto  civile,  per 
dettame  di  retta  ragione,  che  tende  a  conservare  i  diritti  della  sua  corona 
(A,  84,  85)  (2). 


(i)  Cfr.  Ardi.  Torin.  (hiiversita,  mazzo  I,  n.  13.  Progetti  per  lo  stabilimento  d'una 
univers.  a  Chambéry.  —  Ivi  mazzo  d'addizione  n.  12.  Parere  del  Giannone  per  TUnivers.  di 
Napoli,  an.  1733.  —  De  Blasus,  L' Univers.  di  Napoli  nel  1714  in  Arch.  sfar.  napoL,  I,  148. 

(2)  In  un  parere  citato  dal  De  Blasiis,  loc.  cit.,  149,  155,  si  propone  istituire  a  Napoli 
una  lettura  speciale  delle  materie  di  giurisdizione,  senza  il  nome  particolare  per  evitare  le 
proteste  degli  ecclesiastici!  —  Cfr.  Ardi.  Torin.,  (hiivcrsità,  mazzo  V,  Sistema  per  ben  insc- 
enare le  lesasi  ecclcs. 


84  ALESSANDRO    LATTES 


Quanto  alla  facoltà  di  teologia  suddivisa  in  quattro  inseg-namenti,  sacra 
scrittura,  teologia  dogmatica,  scolastica  e  morale),  basterà  notare  che  pel 
de  Aguirre  essa  rappresenta  il  culmine  della  scienza  e  dell'Università:  egli 
raccomanda  ai  lettori  di  seguire  le  dottrine  della  scuola  francese  die  Ita  sempre 
rapportato  il  pruno  onore  fra  tutte  le  Nazioni  d'Europa  (A,  87,  100),  come  l'ita- 
liana nella  giurisprudenza,  e  vorrebbe  un  lettore  speciale  che  spiegasse  le 
sentenze  di  Pietro  Lombardo  ed  un  altro  per  la  Somma  di  S.  Tommaso:  la 
storia  ecclesiastica  sarebbe  la  sola  cattedra  pubblica  di  storia  da  lui  am- 
messa e  dovrebbe  essere  insegnata  dal  professore  di  teologia  dogmatica. 
Il  j\Iaffei  è  molto  più  indifferente,  raccomanda  che  s'introduca  l'insegnamento 
della  teologia  specialmente  per  aumentare  il  concorso  degli  studenti,  accetta 
quello  della  scolastica  in  particolare,  solo  perchè  è  tanto  diffusa  che  non  si 
può  escludere  dall'Università  e  giova  a  conoscere  le  armi  usate  dagli  eretici 
nel  difendere  le  proprie  eresie  —  ma  pensa  che  i  professori  debbano  dar  no- 
tizie di  tutte  le  scuole  e  delle  loro  controversie  senza  arrabbiarsi  per  alcuna 
di  esse,  che  la  scuola  francese  non  sappia  conservare  in  ogni  punto  la  mo- 
derazione conveniente  e  che  in  qualunque  caso  i  lettori  debbano  essere  ita- 
liani. Dovranno  inoltre  gli  insegnanti  usare  direttamente  delle  fonti,  testi 
sacri.  Santi  Padri,  decreti  pontificii,  evitare  la  discussione  di  questioni  im- 
maginarie ed  inutili,  e  tener  conto  sia  dei  meriti  sia  dei  difetti  di  S.  To- 
maso e  dello  studio  che  egli  stesso  faceva  sui  testi  e  sugli  scrittori  più  antichi 
(MT,  18,  29). 

Questo  esame  assai  minuto  delle  proposte  presentate  dai  due  valenti 
ingegni  ad  uno  scopo  comune  vale  a  mettere  in  piena  luce  la  loro  diversità 
ed  a  parer  mio  la  grande  superiorità  del  Afaffei  sul  d'Aguirre.  In  ogni  parte 
dello  scibile,  anche  in  quelle  più  lontane  dalle  sue  meditazioni,  quegli  di- 
mostra una  peculiare  indipendenza  dalle  idee  dominanti,  una  tendenza  a  ri- 
correre sempre  alle  fonti  ed  ai  testi  primitivi,  una  propensione  ad  ampliare 
l'estensione  delTinsegnamento,  ad  elevare  la  coltura,  ad  escludere  le  materie 
che  danno  più  facile  esca  a  chiacchiere  vuote  ed  inutili.  Anche  il  d'Aguirre  con. 
sigila  più  volte  ai  lettori,  specialmente  ai  teologi,  d'astenersi  da  vane  e  ri- 
dicole sottigliezze,  ma  il  Maffei  ribatte  per  tutti  lo  stesso  chiodo  e  più  lunga- 
mente, poiché  insegnamenti  e  dispute  scolastiche  sono  cose  false  ed  inefficaci, 
quando  si  tratta  di  argomenti  veri  ed  importanti  nella  vita,  come  le  cause 
forensi  (jMT,  27,  28).  Quantunque  egli  non  abbia  potuto  sempre  sottrarsi  ad 
errori  per  noi  ridevoli,  da  cui  soltanto  pensatori  e  scienziati  posteriori  po- 
terono sgombrare  il  cammino,  egli  seppe  pur  levarsi  a  volo  più  libero  e  più 
alto  sopra  il  fondo  comune  dello  scibile  contemporaneo,  comprender  la  ne- 
cessità d'una  onesta  e  moderata  libertà,  sia  pur  senza  pregiudizio  nò  della 
pietà  nò  dello  «Stato,  difender  la  concessione  d'un  giusto  arbitrio  a'  profes- 
sori fuori  da  ceppi  precisi  ed  insuperabili  (IVtT,  3,  11).  Il  suo  Parere  si  può 
veramente  considerare  come  un  monumento  assai  notevole  della  coltura  ita- 
liana. Certamente  non  giova  dimenticare  che  il  Alaffei  era  libero  da  tutti  quei 
vincoli  che  legavano  il  d'Aguirre  alla  Corte  di  Savoia,  sicché  potè  francamente 
consigliare  al  Re,  come  dissi,  l'uso  della  lingua  italiana  nei  comandi  mili- 
tari e  raccomandare'V//6'   Prostra  Maestà  si  degni  di  non  usare  la  pienezza  della 


FRANCESCO   DE   AGUIRRE   E   SCIPIONE   MAFFEI 


podestà  con  dispensare  dalle  Leggi  (i)  (MT,  26),  ma  è  pur  vero  che  non  man- 
carono alla  Corte  di  Vittorio  Amedeo  nobili  piemontesi,  legati  da  quegli 
stessi  vincoli,  anzi  da  maggiori  per  antica  origine  e  tradizione  gentilizia,  i 
quali  seppero  pur  parlare  alto  e  forte  in  faccia  allo  stesso  Re,  quando  lo 
credettero  necessario. 

Né  il  d'Aguirre  né  il  Alaffei  riuscirono  a  persuadere  il  Re  della  bontà  delle 
loro  proposte  ed  a  fargliele  accettare  nel  riordinamento  dell'Università. 
Tanto  l'editto  del  1720  quanto  le  RR.  Costituzioni  del  1723  fanno  menzione 
solo  di  alcuni  professori  senza  alcuna  norma  intorno  ad  una  distribuzione 
sistematica  di  materie:  nel  calendario,  detto  volgarmente  Docehir,  formato 
per  lo  stesso  anno  1720,  primo  dell'Università  rinnovata  2),  gli  insegnamenti 
sono  incompleti,  e  si  continuò,  come  nei  secoli  precedenti,  a  chiamare  i  mi- 
gliori ingegni  —  o  quelli  creduti  tali  —  e  lasciarli  alquanto  liberi  nella  scelta 
dell'argomento  delle  loro  letture.  T.a  distinzione  delle  quattro  facoltà  e  la 
ripartizione  delle  materie  tra  esse  apparisce  per  la  prima  volta  nelle  RR. 
ce.  del  1729,  nella  nuova  riforma  eseguita  dopo  la  partenza  del  de  Aguirre: 
quattro  lettori  nella  facoltà  di  leggi  (istituzioni,  diritto  canonico,  due  di  diritto 
civile  che  comprendeva  il  feudale  e  lo  studio  delle  RR.  CC),  quattro  in  teo- 
logia sacra  scrittura,  teologia  morale,  due  di  teologia  dogmatica  e  scolastica  in- 
sieme), sei  in  medicina  (istituzioni,  medicina  teorica  e  pratica,  anatomia,  chirurgia 
e  botanica),  sei  nella  facoltà  d'arti  (filosofìa,  fisica  sperimentale,  geometria,  ma- 
tematica, eloquenza  latina,  lingua  greca).  Nessuna  novità  fu  accolta  in  questo 
programma:  é  chiaramente  prescritto  ai  professori  di  teologia  di  mantenersi 
fedeli  ai  precetti  di  S.  Tomaso;  nessuna  cattedra  particolare  di  diritto  cri- 
minale ;  il  diritto  vigente  vi  fu  compreso  solo  perchè  da  pochi  mesi  si  erano 
promulgate  le  RR.  CC.  ;  non  si  parla  della  lingua  italiana  fino  alle  nuove 
costituzioni  del  1771,  in  cui  fu  affidato  ad  un  professore  unico  l'insegna- 
mento della  eloquenza  italiana  e  della  lingua  greca,  ed  al  solo  professore 
di  chirurgia  fu  concesso  usar  la  lingua  volgare,  dovendo  tutte  le  altre  le- 
zioni dettarsi  e  spiegarsi  in  latino  ;  della  storia  non  si  fa  mai  cenno  e  nel 
1731  fu  esplicitamente  "dichiarato  che  non  si  credeva  conveniente  istituirne 
pubblica  lettura  (3).  Soltanto  dall'  elenco  dei  professori  di  leggi  rileviamo 
che  negli  anni  1736-38  Vassallo  Albertengo  insegnò  storia  della  giurispru- 
denza romana  (4),  e  possiamo  dire  che  lo  studio  torinese  fu  il  primo  ad 
avere  una  cattedra  di  storia  giuridica,  per  quanto  ristretta  e  provvisoria; 
invece  più  tardi,  quando  già  a  Pavia  nel  regolamento  di  ^Nlaria  Teresa  si 
era  istituita  una  cattedra  di  storia  del  giure  civile,  nelle  RR.  CC.  del  1771 
troviamo  soltanto  che  il  professore  d'istituzioni  civili  doveva  esporre  in  prin- 
cipio dell'anno  alcune  nozioni  di  storia  della  giurisprudenza  e  quello  di 
diritto  canonico  accennare  alla  storia  dei  punti  più  importanti  della  disci- 
plina ecclesiastica  (5). 


(i)  Sugli  abusi  a  cui  dava  luogo  specialmente  sotto  Vittorio  Amedeo  II  l'applicazione  della 
così  detta  Equità  Paterna,  v.  Duboin,  op.  cit.,  VII,  51,  153  e  Sclopis,  Storia  detta  legislazioue 
itatiana  (2' ed.),  II,  44^  =  IH.  215,  216. 

(2)  Duboin,  op.  cit,,  615. 

(3)  Ivi,  621.  Cfr.  Arch.  Torin.,  mazzo  n.   4.  Progetto  1731. 

(4)  DuBOTN,   op.  cit.,   1595- 

(5j  Ibid.,  642,  n.  7  ;  643,  n.    13. 


86  ALESSANDRO   LATTES 


* 
*  * 


Intorno  alle  strette  relazioni  che  corsero  fra  i  due  illustri  italiani  più 
volte  ricordati  nelle  pagine  precedenti,  ci  offre  qualche  notizia  un  co- 
dice della  biblioteca  Trivulziana.  Il  cod.  196  del  sec.  xviii  contiene  sessan- 
totto lettere  senza  dubbio  originali,  molte  delle  quali  conservano  tuttora  in 
calce  od  a  tergo  il  nome  del  destinatario,  che  è  appunto  1'  avvocato  conte 
Francesco  d'Aguirre;  anche  quelle  che  ne  mancano,  si  possono  ritenere  indi- 
rizzate al  medesimo,  sia  per  la  riunione  colle  prime  nello  stesso  codice,  sia 
per  molti  indizi  tratti  dal  contenuto,  ad  eccezione  di  tre  sole  dirette  ad  altre 
persone.  Esse  sono  riunite  a  gruppi  secondo  gli  scrittori  senza  ordine  di 
date  e  vanno  dal  17 18  al  1760.  Del  manoscritto  parlarono  il  Porro  nel  Cata- 
logo della  biblioteca,  omettendo  il  nome  del  destinatario  comune  (i),  il  Motta, 
attuale  degnissimo  e  cortesissimo  bibliotecario  di  essa,  in  una  nota  desti- 
nata a  far  rilevare  l'importanza  storica  e  letteraria  del  codice  (2),  il  Manda- 
lari  nello  studio  citato  sul  d'Aguirre,  quantunque  forse  non  abbia  veduto 
il  codice  stesso  e  riproduca  qualche  brano  di  lettere  da  altre  fonti  (3). 

Ben  nove  di  quelle  lettere  sono  appunto  scritte  da  Scipione  Maffei  al 
d'Aguirre  ed  il  Mandalari  ne  diede  soltanto  le  diite  senza  pubblicarne  parte 
alcuna  (4).  Esse  dimostrano  i  vincoli  d'amicizia  che  legavano  fra  loro  i  due 
letterati  ed  accennano  più  volte  agli  interessi  che  il  Mafifei  aveva  a  Torino, 
pei  quali  egli  ebbe  frequente  occasione  di  recarsi  in  questa  città.  Una  sola 
lettera  parla  brevemente  dell'Università  da  poco  instaurata,  un'altra  si  rife- 
risce alle  lapidi  ed  iscrizioni  torinesi,  di  cui  il  Mafifei  prendeva  cura  anche 
lontano,  e  non  sarà  sgradito  il  leggerne  qui  riferiti  i  due  tratti. 

«  Verona,  17  settembre  1723  [Cod.  Triv.,  f.  78)  ». 

.;  Sarà  sempre  riputata  una  delle  più  belle  imprese  di  cotesto  Real 
Sovrano,  quella  dell'aver  fondato  cotesta  nuova  Università,  perchè  veramente 
il  paese,  più  all'armi  dedito  che  alle  lettere,  avea  sommo  bisogno  di  soggetti 
che  mettessero  gli  studij  in  miglior  metodo  e  che  sgombrassero  alquanto  di 
barbarie  che  ancor  ci  regnava.  In  altre  parti  d' Italia  sarebbe  cosa  da  co- 
media  il  proporre  ancora  il  Tesauro  per  modello  di  rettorica  e  il  dar  fuori 
un  trattato  che  avesse  per  titolo  I  di fctti  dell'  Artefice  fatti  maestri  dell'  Arte  ». 

[Queste  ultime  parole  si  riferiscono  alle  opere  rettoriche  del  conte  Ema- 
nuele Tesauro,  che  rappresentava  la  (]uintessenza  del  gusto  depravato  e  do- 
minava sovrano  in  Piemonte,  e  ad  un  opuscolo  manoscritto,  che  era  stato 
diffuso  per  criticare  certe  iscrizioni  funebri  composte  dai  professori  Bernardo 
l.ama  ed  Agostino  Campiani  in  morte  d'una  principessa  (5)]. 

(i)  Porro,    Catal.  dei  mss.  della   Trivnl~iaiia,  210. 

(2)  Arch.  stor.  lomh.,  1904,  I,  181. 

(3)  Mandalari,  op.  cit.  Le  lettere  vi  sono  citate  da  Crevenna,  Calalogue  raisonnc  de  la 
collection  de  livres  de  M>-  Pierre  Antoine  C.  ncc^ociaul  à  Amsterdam  e  da  Campori,  Episto- 
lario di  L.  A.  Muratori,  VI,  VII. 

(4)  Quattro  di  queste- lettere  furono  pubblicate  per  intero  nel  citato  Catalogne  {l\ ,  85-88). 

(5)  Tenivei.li.  op.  cit.,  36.  —  Vai. LAURI.  o\).  cit.,  376,  377.  Cfr.  p.  es.  anche  Epistolario 
cit.,  \'I,  2397. 

'1 


FRANCESCO    DE    AGUIRKE   K    SCJ PIONE    MAEFEI  87 


«  Venezia,  16  giugno  1724  {Cod.  Triv.,  f.  .S6:  la  sola  firma  è  autografa  (i)  ». 

<'.  \\  prego  scrivermi  se  dopo  la  mia  partenza  si  siano  alla  Consolata 
scavate  altre  lapidi,  perchè  due  giorni  avanti  vi  si  trovò  la  più  bella  di  tutte 
e  naturalmente  dovevano  andarsene  trovando  dell'altre,  il  che  mi  sarebbe 
carissimo,  e  quegli  Amici  son  benissimo  capaci  di  farle  nascondere.  Vi  rac- 
comando però,  se  qualch'una  ne  è  data  fuori,  farla  portar  subito  all'Univer- 
sità e  parimente  mandarmene  subito  una  copia  esattissima  e  pittoresca.  Se 
parimente  aveste  notizia  di  qualch'una  altra  scoperta  nelli  Stati  del  Re,  in 
grazia  mandatemene  la  notizia  e  la  copia,  e  non  lasciate  di  far  condurre 
tutte  quelle  che  si  potesse,  essendo  questa  l'intentione  del  Re  e  premen- 
domi sommamente  d'ariccliir  più  che  posso  il  Libro  del  IMuseo  Torinese 
che  vo  preparando.  In  Savoia  so  che  c'è  molto  e  in  Vercelli  non  poco  ». 

E  di  nuovo  in  altra  lettera  del  26  agosto  1724  da  Verona:  «  Se  si  trova 
o  scopre  in  Torino  o  in  Piemonte  qualche  iscrizione,  non  lasciate  di  racco- 
glierla e  farmene  parte  ». 

La  maggior  parte  di  quelle  lettere  si  riferisce  ad  argomenti  scienti- 
fici od  alle  note  beghe  del  MafFei  con  altri  letterati.  Nel  1726  chiede  notizia 
d'un  papiro  che  si  conserva  nella  Biblioteca  di  (rinevra,  vorrebbe  confron- 
tarlo coi  quattro  da  lui  posseduti  e  domanda  se  potrà  averlo  a  Torino  da 
esaminare  per  due  giorni,  o,  se  si  può,  farne  decalcare  una  copia  mediante 
carta  imbevuta  di  petrolio.  Nel  1739  dà  commissione  per  far  fabbricare  (in 
Milano)  un  prisma  di  cristallo  di  monte,  un  triangolo  perfetto  con  due  ma- 
nubrietti  da  farlo  girare  al  sole,  per  sue  esperienze  intorno  ai  colori,  cioè 
allo  spettro  solare.  Più  tardi  vorrebbe  avere  un  libretto  stampato  ma  non 
messo  in  vendita,  contenente  le  iscrizioni  delle  lapidi  conservate  in  casa 
Archinti,  nel  cortile  e  nell'ingresso  del  palazzo. 

Così  da  parecchie  lettere  del  1739  apprendiamo  che  il  Maffei  conside- 
rava l'Argellati  come  suo  nemico  mortale,  per  colpa  del  quale  le  sue  Osser- 
vazioni letterarie  erano  poco  conosciute  a  Milano,  —  accusava  di  grave  in- 
gratitudine il  Muratori  (2)  che  aveva  verso  di  lui  obbligazioni  grandissime  — 
si  lamentava  che  non  avesse  avuto  alcun  effetto  la  benevolenza  con  cui  egli 
lo  aveva  trattato  nella  lettera  a  lui  diretta  nell'opera  Galliae  aìitiq-iiitates,  — 
giudicava  un  complesso  di  menzogne  e  sciocchezze  un  libretto  del  Gori  contro 
di  lui  (Maffei). 

Possiamo  pur  ricordare  la  lettera  13  giugno  1726  in  cui  il  Maffei  do- 
manda quando  avverrà  presso  a  poco  il  parto  della  Principessa  Reale,  desi- 
derando essere  in  quel  tempo  a  Torino. 

Anche  in  altre  lettere  dello  stesso  codice  prov^enienti  da  persone  diverse 
si  leggono  accenni  all'Università  di  Torino,  ma  questi  vennero  quasi  tutti 
pubblicati  dal  Mandalari  nello  scritto  citato:  sono  giudizi  di  professori  e 
letterati  sullo  Studio  e  sui  lettori,  lusinghieri  durante  i  primi  tempi  d'aspet- 


(i)  Catalogne  cit.,  IV,  85. 

(2)  Sui  rapporti  fra  il   Muratori  ed  il  Maffei,    v.  Accademia  delle    Scienze  di   Torino,  Atti, 
XXXV.  369  ed  Arch.  Sfar,  loinb.,  1905,  434,433  d-A\V Epistolario  cit. 

15 


ALESSANDRO    LAI  TKS  -  FRANCESCO    DE   AGUIRRE   E   SCIPIONE   MAFFEI 


tativa  e  finché  il  d'Aguirre  era  a  Torino  ed  aveva  parte  nell'opera  riforma- 
trice, pungenti  e  satirici  più  tardi,  quando  gli  effetti  non  corrisposero  e  il 
de  Aguirre  se  n'andò  a  Milano.  Meritano  di  essere  ricordate  alcune  curiose 
lettere  del  Metastasio,  di  cui  si  nota  in  quell'opuscolo  soltanto  la  data  e  che 
non  furono  comprese  fra  quelle  stampate  nel    Catnlogìie  del  Crevenna. 

Nel  17 19  (Napoli,  23  dicembre)  il  giovane  Trapassi,  che  era  già  in  car- 
teggio col  de  Aguirre  (i),  gli  si  raccomanda  per  ottenere  un  posto  alla  Corte 
di  Torino:  l'anno  successivo  (Napoli,  5  marzo)  gli  scrive  nuovamente,  offren- 
dosi come  lettore  per  l'Università,  e  lo  prega  d'indicare  il  suo  nome  al  Conte 
della  Perosa,  ministro  di  Vittorio  Amedeo  alla  Corte  napoletana,  poiché 
questi  cercava  uoinini  per  l'Università  e  il  padre  Miro,  piemontese  dimo- 
rante in  Napoli,  avrebbe  dato  del  Metastasio  ottime  informazioni,  come  ben 
degno  d'occupare  una*  cattedra  legale,  se  il  conte  gliele  avesse  chieste  (6W. 
Triv.,  f.  66).  Pronta  ed  esplicita  dev'essere  stata  la  risposta  del  de  Aguirre 
che  senza  pietosi  veli  comunicò  al  Metastasio  l'assoluto  rifiuto  del  Magi- 
strato della  Riforma,  se  giudichiamo  dal  ringraziamento  a  denti  stretti  di 
quest'ultimo. 

«  Napoli,  9  aprile  1720  [Cod.  Triv.,  60)  ». 

«  In  somma  \ .  S.  Ili'"'  non  sa  in  qualche  sia  affare  esser  già  mai  da  sé 
stesso  diverso:  mi  à  così  obligato  l'ingenua  risposta  di  cui  ella  à  degnatola 
mia  lettera  sul  progetto  fattomi  dal  Rev'""  Miro  ch'io  molto  più  mi  com- 
piaccio di  quella  amichevole  sincerità  e  candidezza,  di  quello  che  altri  fatto 
avrebbe  di  una  cortegiana  repulsa,  che  a  ])rimo  aspetto  tale  non  fosse  com- 
parsa. Non  mi  à  recato  meraviglia  simile  impedimento  ossia  difficoltà...  Egli 
é  per  vero  che  mi  figurava  che  a  quest'ora  si  fosson  affatto  sgannati  coloro 
che  suppongono  potersi  costì  riempiere  l'Università  così  a  primo  colpo  tutta 
d'uomini  celebri  e  provetti  et  in  sì  fatte  cose  da  lungo  tempo  essercitati, 
essendoché  tali  uomini  sono  tutti  certamente  nelle  loro  dimore  accommo- 
dati...  Uomini  che  anno  fatto  il  loro  credito  non  si  espongono  così  facilmente 
alle  fattighe-e  pericoli  d'una  nascente  Università,  nella  quale,  per  farsi  re- 
putare a  paragone  della  loro  stinui  acquistata,  dovrebbero  rifarsi  da  capo  in 
tutti  que'  studi  da'  quali  ne'  luoghi  ove  dimorano  sono  dispensati  dal  con- 
cetto che  s'è  già  di  loro  formato.  Queste  ed  altre  tali  riflessioni  a  Y.  S.  lll'"^' 
cosi  famihari,  mi  meraviglia  che  non  abbiano  ancora  sgombrato  dalla  mente 
di  codesti  regolatori  ccxsì  volgari  pregiudizi  >. 

Non  fu  grave  tuttavia  la  ])erdita  per  X  Università  torinese,  poiché  il 
Metastasio  cercava  soltanto  un  impiego  proficuo  e  chiede  nella  stes.sa  lettera 
ragguagli  di  che  onore  r  di  clic  lucro  siano  gli  ufficii  di  segreteria  alla  Corte, 
di  cui  lo  stesso  d'i\guirre  gli  aveva  fatto  parola,  rettamente  stimando  la 
sua  capacità  e  la  grande  inferiorità  del  suo  ingegno  a  paragone  della  vasta 
mente  del  suo  defunto  Maestro. 


(i)  Metastasio.  Let/ere  disperse  o  incdilc  a  cura   di  (ìiosul-  Carducci.  1,   L"?   e  segi";..  24 
e  segg. 


16 


FILIPPO  VIVANET 


LA  SARDEGNA 


NEGLI 


ARCHIVI  E  NELLE  BIBLIOTECHE 


DELLA  SPAGNA 


:me.moria  postuma 

pubblicata     con     Prefazione 
DA 

SILVIO  LIPPI 


12     Mise.  S.  Ili,  T.  XIII. 


PREFAZIONE 


Queste  pagine  furono  scritte  dal  comm.  prof.  Filippo  X'ivanet 
pochi  mesi  prima  che  un'immatura  ed  improvvisa  morte  lo  sottraesse 
all'affetto  della  diletta  famiglia,  alla  stima  dei  suoi  concittadini  ed  alla 
ammirazione  dei  suoi  vecchi  e  giovani  amici  (^'.  Egli  tu  preclaro  cit- 
tadino, onesto  ed  imparziale  amministratore  della  cosa  pubblica  —  per 
molti  anni  —  nel  Comune  e  nella  Provincia,  e  dotto  professore  nella 
R.  Università,  di  cui,  con  uno  splendido  discorso,  illustrò  le  gloriose 
vicende  (2), 

La  sua  feconda  opera  di  letterato  e  di  storico  ed  il  prezioso  con- 
tributo di  dottrina,  di  erudizione  e  di  esperienza  recato  agli  insigni 
istituti,  nei  quali  mi  toccò  l'alto  onore  di  averlo  indulgente  collega, 
illustre  e  benamato  maestro,  meritano  di  essere  ricordati. 

Quando  a  ventun'anni,  nel  1857,  dalla  sua  giovane  lira  uscivan  le 
prime  strofe  frementi  d'amor  patrio,  che  egli,  bene  a  proposito,  inti- 
tolava Annonic  '3),  il.  migliore  storico  ed  il  più  benemerito  letterato 
della  Sardegna,  Giuseppe  Manno,  scriveva  a  Pietro  Martini:  «  questo 
giovane  promette  al  Parnaso  Sardo  7nao^mini  incre^nentnm.  Havvi  in 
lui  la  scintilla  sacra  ^  (4).  E,  rivolgendosi  poscia  alla  modesta,  gentile 
e  felice  madre  del  giovane  e  brillante  poeta,  ripeteva  quell'augurio, 
di  cui  non  ve  n'ha  più  lusinghiero,  «  benedetta  colei  che  in  te  s'in- 
cinse! »  E  benedetta  fu  davvero  la  vecchierella,  che,  fino  alla  più 
tarda  età,  ebbe  il  sovrano  conforto  dell'insuperabile  affetto  di  figli,  che 
furono  decoro  della  famiglia  e  della  patria. 


(i)  Nacque  in  Cagliari  dai  coniugi  Antonio  Vivanet  e  Teresa  Sanguinetti  il  23  aprile  1S36 
e  vi  morì  l'ii  giugno  1905. 

(2)  Stato  di  servizio  dell\4teneo  cas^/iaritatio.    In    Annuario   della    K.  Università    di    Ca- 
gliari, anno  1902-1903. 

(3)  Tip.  A.  Timon,  Cagliari,  1857. 

(4)  Silvio  Lippi,  Lettere  iìicdite  del  barone  Giuseppe  Manno  a  Pietro  Martini,  1835-1S65. 
Cagliari,  tip.  dell'Unione  Sarda,   1902.  Edizione  privata  di  C  copie. 


FILIPPO  VIVANE'! 


Quando,  pochi  anni  dopo,  dalla  sua  penna,  cui  non  erano  ignote 
le  più  eccelse  vétte  del  pensiero,  uscivan,  come  scintille  roventi,  fiere 
parole  di  accusa  contro  la  leggerezza  di  Gustavo  jourdan  ed  in  undici 
giorni  scriveva  quel  grosso  volume  ('),  che  contiene  la  nobile,  digni- 
tosa, alta,  serena  e  patriottica  difesa  della  Sardegna,  il  suo  nome  ve- 
niva tosto  e  meritamente  collocato  al  fianco  di  quelli  dei  più  valenti 
letterati  dell'isola  ed  il  suo  vigoroso  intelletto,  d'allora  in  poi,  non 
venne  meno  in  tutte  le  generose  iniziative  cittadine. 

Quando  le  LL.  AA.  RR.  i  Principi  Sabaudi  Umberto,  Amedeo 
ed  Oddone  visitarono  la  città  di  Cagliari,  egli  volle  essere  l'anonimo, 
ma  diligente  cronista  del  lieto  avvenimento  (2)^  seguendo  l'esempio  di 
Pietro  Martini  (3)  e  di  Pasquale  Tola  ^^',  che  avevano  disteso  le  belle 
relazioni  dei  due  fausti  viaggi  del  re  Carlo  Alberto  nell'isola. 

Atto  solenne  di  riverente  stima  e  squisito  modello  letterario  reste- 
ranno a  lungo,  per  la  nobiltà  dello  stile,  non  meno  che  per  la  serena 
obiettività  degli  apprezzamenti  e  l'elevatezza  del  gentile  pensiero,  le 
dotte  biografie  dettate  in  onore  del  generale  Alberto  Ferrerò  della 
Marmora  (s),  di  Pietro  Martini  '^),  del  barone  Giuseppe  Manno  ^7)^  del 
canonico  Giovanni  Spano  (^^  e  di  Giovanni  vSiotto-Pintor  (9).  Era  questo 
uno  dei  rami  della  letteratura,  nel  quale  rimarrà  per  molto  tempo 
degno  di  ammirazione,  perchè  non  so  se  più  debbasi  lodare  la  squi- 
sitezza del  sentimento  inspiratore,  la  venustà  della  forma  o  la  rettitu- 
dine dei  giudizi.  Certo  è  che  da  quelle  splendide  ed  eleganti  pagine, 
finite  con  ogni  cura,  balza  fuori  un  nobilissimo  pensiero,  che  involge 
ed  affascina  l'animo  del  lettore  e  dà  solchi  profondi  e  leggère  sfuma- 
ture alle  bonarie  figure  di  quegli  insigni  benefattori  della  Sardegna, 
di  quei  valorosi  letterati  che  sì  efficacemente  contribuirono  £id  illustrarne 
le  passate  vicende. 


(i)  Gustavo  Jourdan  e  la  Sardegna.  Cagliari,  tip.  A.  Timon,   iS6i. 

(2)  RaoguagHo  del  soggiorno  fallo  dalle  LL.  AA.  RR.  L'inherlo,  Amedeo,  Oddone  di 
Savoia  a  Cagliari  e  delle  feste  celebrate  da  questa  cittadinanza  onde  onorare  il  fausto  avve- 
nimento del  loro  arrivo.  Cagliari,  tip.  A.  Timon,  1862. 

(3)  Relazione  del  viaggio  fatto  in  Sardegna  nel  1841  da  S.  M.  il  Re  Carlo  Alberto  e  dal 
suo  figliuolo  primogenito  S.  A.  R.   Vitto7-io  Emanuele,  duca  di  Savoia.  Cagliari,  tip.  Timon. 

(4)  Relazione  del  viaggio  fatto  in  Sardegna  nel  1843  da  S.  M.  il  Re  Carlo  Alberto  e 
dal  suo  figliuolo  secondogenito  S.  A.  R.  Ferdinando  ^^ farla,  duca  di  Cìenova.  Cagliari,  tip. 
Timon,  1843. 

(5)  Elogio  del  cav.  Alberto  Ferrerò  della  Marmora.  Cagliari,  tip.  A.  Timon,  1863.  — 
Alberto  La  Marmora  (Conferenza).  Cagliari,  tip.  lit.  Commerciale,  1893. 

(6)  Pietro  Martini,  la  sua  vita  e  le  sue  opere.  Cagliari,  tip.  A.  Timon,  1866. 

(7)  //  barone  Giuseppe  Manno.  Cagliari,  tip.  A.  Timon,  1864. 

(8)  Lettera  biografica  {sul  can.  Giov.  Spano)  a  S.  E.  mons.  Eugenio  Cano  vescovo  di 
Bosa  (20  aprile  1878).  In  Spano  :  Bosa  velus,  opera  postuma.  —  Discorso  per  la  inaugura- 
zione del  busto  a  Giovanni  Spano.  Cagliari,  tip.  del  Corriere,  1890. 

(9)  Giovanni  Siotto  Pintor  nella  politica  e  nelle  lettere.  Cagliari,  tip.  dell'Unione 
Sarda,   1895. 


LA  SARDEGNA  NEGLI  ARCHIVI  E  NELLE  BIBLIOTECHE  DELLA  SPAGNA        93 


A  Lui  non  era  possibile  di  rinserrare  fra  anqusti  confini  la  po- 
tenza del  fervido  ed  esuberante  ingegno:  era  stato  poeta  geniale,  let- 
terato insigne,  biografo  accurato  ed  imparziale:  volle  diventare  storico. 
Studiò  la  Sardegna  nella  Divina  Commedia  e  nei  suoi  commenta- 
tori ('),  fece  rapporti,  nella  qualità  di  Regio  Commissario  dei  Musei 
e  Scavi  di  antichità,  illustrativi  dei  trovamenti  archeologici  nell'isola  (2), 
scrisse  sulla  storia  antica  della  Sardegna  (3),  poscia  le  note  per  la  storia 
del  castello  di  Acquafredda  (4)  e  le  relazioni  sull'andamento  dell'Ufficio 
regionale  per  la  conservazione  dei  monumenti  '•'').  E  l'opera  sua  non 
restrinse  a  distendere  le  sapienti  relazioni:  percorse  spesso  l'isola,  ne 
visitò  ed  illustrò  i  più  importanti  edifizi  antichi,  propose  gli  opportuni 
restauri,  incitò  gli  Enti  interessati  ad  elargire  sussidi  pecuniari  e  sot- 
trasse molti  monumenti  a  lenta,  ma  sicura  rovina,  o,  per  lo  meno,  ri- 
tardò l'opera  deleteria  del  tempo. 

Chiamato  a  rappresentare  l'isola  nella  R.  Deputazione  sovra  gli 
studi  di  Storia  Patria  per  le  antiche  Provincie  e  la  Lombardia,  nella 
quale  —  lasciando  di  sé  ottima  fama  —  l'avevano  preceduto  il  barone 
Giuseppe  Manno,  Pasquale  Tola,  Pietro  ^lartini  e  Giovanni  Spano,  si 
mostrò  degno  dell'onore  conferitogli,  prima  di  socio  corrispondente  e 
poi  di  membro  effettivo.  E  quando  la  stessa  benemerita  R.  Deputa- 
zione deliberò  che  il  suo  nome  fosse  legato  ad  una  opera  poderosa, 
voglio  dire,  all'importante  edizione  degli  Atti  dei  Parlamenti  Generali 
di  Sardegna,  che  andranno  a  formare  alcuni  volumi,  in  foglio,  dei  suoi 
classici  Mommienta,  Egli,  conscio  della  sua  operosità  e  confidente  nel 
suo  vigore,  accettò  ben  volentieri  il  gradito  incarico,  nel  quale  l'ave- 
vano preceduto  Carlo  Baudi  di  Yesme  e  Felice  Comino.  Vi  si  applicò 
da  principio  con  calma,  quasi  per  valutarne  esattamente  tutta  l'esten- 
sione e  l'importanza,  poi  con  lena  crescente,  togliendo  ore  al  riposo, 
alle  cure  dei  suoi  molteplici  uffici,  alle  inesauribili  gioie  della  diletta 
famiglia.  Colla  costante  perseveranza  di  chi  vuol  riuscire  ad  ogni  costo 
e  coU'immutabile  fede  dell'apostolo,  davasi  a  tutt'uomo  ad  illustrarne 


(i)  La  Sardegna  7iella  «  Divina  Coììiìiiedia  »  e  nei  suoi  coìnnientatori.  Sassari,  tip. 
Azuni,  1879. 

(2)  Rapporti  del  R.  Cominissario  dei  Musei  e  scavi  di  antichità,  illustrativi  dei  trovamenti 
archeologici  di  Sardegna.  In  Notizie  degli  scavi,  anno  1S79  e  seg. 

(3)  La  storia  antica  della  Sardegna  (discorso  inaugurale).  Cagliari,  tip.  del  Commercio, 
1881.  —  Cagliari  antica,  dalle  origini  alla  fine  dell'era  romana.  Cagliari,  tip.  Valdès,  1902. 
Estratto  dal  volume  pubblicato  in  occasione  del  X  Congresso  degli  Ingegneri  ed  Architetti 
italiani  iti   Cagliari. 

(4)  Note  per  la  storia  del  Castello  di  Acquafredda.  Cagliari,  tip.  Ut.  Commerciale,    1S94. 

(5)  Dodici  relazioni  a  S.  E.  il  Ministro  della  P.  I.  sulV atidaviento  dell'ufficio  regionale 
per  la  conservazione  dei  minuinviti.  Cagliari,  1.S93-1906.  L'ultima  è  stata  pubblicata  a  cura 
dell'ing.  Dionigi  .Scano,  reggente  la  direzione  del  ]iredetto  ufficio. 


94  FILIPPO   VIVANET 


la  prima  parte.  Le  difficoltà  si  sovrapponevano  alle  difficoltà  ed  anda- 
vano aumentando  in  ragione  delle  minuziose  indagini,  che  egli  voleva 
condurre  con  ogni  diligenza.  Sulle  non  molto  chiare  vicende  del  prin- 
cipio della  signoria  aragonese  egli  voleva  gettare  uno  sprazzo  di  nuova 
luce,  opperò  alle  lunghe  meditazioni  susseguivano  alacri  ricerche,  più 
estese  e  più  esaurienti,  ed  il  lavoro  assumeva  più  vaste  proporzioni 
nella  potente  concezione  del  geniale  scrittore. 

Volle  al  suo  fianco  un  giovane  compagno  e  l'ebbe  di  sua  ele- 
zione: l'offiirta  fu  accettata  con  slancio  eguale  al  generoso  pensiero 
che  l'aveva  .suggerita,  c[uello,  cioè,  di  alleggerire  il  faticoso  e  pesante 
lavoro  ad  un  valoroso  veterano,  che,  avendo  robuste  le  forze  del  corpo 
e  della  mente,  non  intendeva  di  rinunziare  alla  nobile  ambizione  di 
dettare  la  migliore  e  più  importante  parte  della  storia  sarda  degli 
ultimi  sei  secoli,  relativa  alla  costituzione  ed  al  funzionamento  dell'as- 
semblea rappresentativa  e  legislativa  della  Sardegna.  Ma  Egli,  pur 
troppo!  non  vedrà  il  bel  volume  che  al  lato  dei  nomi  dei  suoi  com- 
pianti predecessori,  caduti  durante  la  preparazione  dell'immane  lavoro, 
porterà  inciso  il  suo,  a  perenne  ricordo    delle  sue  alte    benemerenze! 

Reduce  da  una  escursione  scientifica  in  Spagna,  dove  aveva  par- 
tecipato attivamente  ai  lavori  del  Congresso  Internazionale  di  architet- 
tura, tenutosi  a  Madrid,  ed  era  intervenuto  —  festevolmente  accolto 
—  ad  una  solenne  riunione  dell'insigne  R.  Accademia  di  belle  lettere 
di  Barcellona,  aveva  compilato  —  a  somiglianza  dell'opera  del  com- 
pianto mons.  Isidoro  Carini  per  la  Sicilia  —  una  interessante  memoria 
sui  documenti  conservati  in  alcuni  archivi  e  biblioteche  della  penisola 
iberica  in  rapporto  alla  Storia  Sarda  e  l'aveva  mandata  alla  accennata 
R.  Deputazione  torinese.  Ora  la  breve  memoria  vede  la  luce  nella 
Miscellanea  dì  storia  italiana  ed  offre  una  utile  e  sicura,  quantunque 
incompleta,  guida  ai  cultori  degli  studi  storici,  i  quali  finora  ad  ecce- 
zione di  quanto  il  Carini  aveva  incidentalmente  pubblicato  nella  sua 
preziosa  Relazione  (^)  ed  io  Xi^VAzwenire  di  Sardegna  l^)  e  nella  Pic- 
cola Rivista  (3),  ben  poco  conoscevano  del  prezioso  materiale  archivistico 
spagnuolo  relativo  a  questa  isola.  Epperò  è  da  augurare  che  al  pre- 
sente lavoro  ne  susseguano  altri,  condotti  con  criteri  archivistici  più 
razionali  ed  estesi  a  tutti  i  depositi  di  carte,  giacche  la  migliore  e 
più  completa  documentazione  della  storia  sarda  dal  principio  del  se 


(i)  IsiooRO  Carini,  Gli  Archivi  e  le  biblioteche  di  Spai^na  in  rapporto  alla  storia  d' Italia 
ili  generale  e  di  Sicilia  in  particolare.  Palermo,  tip.  dello  Statuto,   1884. 

(2)  Cagliari,  11  febbraio  1890,  anno  XX,  n.  36. 

(3)  Cagliari,  31  gennaio  1S99,  anno  I,  n.  4. 

6 


LA  SARDEGNA  NEGLI  ARCHIVI  E  NELLE  BIBLIOTECHE  DELLA  SPAGNA        95 


colo  decimoquarto  alla  line  del  decimosettimo  è  conservata  negli  ar- 
chivi e  nelle  biblioteche  di  Spagna  e  specialmente  in  quelli  esistenti 
a  Barcellona,  Alcalà  de  Henares,   Simancas  e  Madrid. 

Fin  dalla  fondazione  venne  dai  colleghi  elevato  alla  meritata  ca- 
rica di  Presidente  della  Commissione  Araldica  sarda,  ufficio  molto 
delicato  in  una  regione,  dove  difettava  l'esatta  conoscenza  di  notizie 
genealogiche,  dove  —  dopo  la  celebrazione  del  Parlamento  Generale 
dell'anno  1698  —  non  si  era  eseguito  alcun  altro  censimento  nobiliare 
e  non  esisteva  neppure  una  raccolta  degli  stemmi.  Ora  invece  tutti 
questi  lavori  sono  compiuti  e  vi  ha  certamente  contribuito  la  sua  so- 
lerte azione  direttiva.  Agli  elenchi  provvisori  e  detìnitivi,  già  pubbli- 
cati, seguirà  fra  non  molto  la  riproduzione  cromolitografica  delle  armi 
gentilizie  delle  famiglie  nobili  e  titolate  della  Sardegna.  Ma  la  sua 
operosità  scientifica  ben  più  si  estese  ed  è  comprovata  dalle  sue  nu- 
merose e  dotte  pubblicazioni  '^K 

Se  da  molti  sarà  seguito  il  suo  nobile  esempio  di  costanza,  di 
studio  e  di  equanimità,  alla  sua  diletta  città  natale  —  per  la  quale 
dalla  sua  mente  e  dal  suo  cuore  sgorgava  un  perenne  inno  di  bene, 
di  entusiasmo  e  di  ammirazione  —  non  mancherà  certamente  un  degno 
e  lieto  avvenire. 

Cagliari,  25  agosto  1906. 

Silvio  Lippe 


(i)  Arturo  Guzzoni  degli  Anxakani,  Akunc  notizie  suir l'uiversità  di  Cagliari,  in 
Annuario  della  R.  Università,  per  l'anno  scolastico  i.S97-iS9<S.  Cagliari,  tip.  X'aldès,  1S9S, 
p.  305.  —  Archivio  storico  sardo,  edito  dalla  Società  storica  sarda,  voi.  I,  fase.  1-2,  p.  166. 
Cagliari,  tip.  Dessi,  1905. 


~/-/"\^  V  V  V  V  V  V  V  V  V  VVVVYVVVVVVVV 


L'abate  Isidoro  Carini,  ben  noto  e  distinto  cultore  di  studi  storici,  già 
addetto  all'Archivio  di  Stato  di  Palermo,  ora  passato  da  qualche  anno  a 
miglior  vita  (i),  ricorrendo  il  sesto  centenario  del  celebre  Vespro  di  Sicilia, 
ebbe  incarico  dal  R"  Governo  di  recarsi  in  Barcellona  per  trascrivervi  con 
ogni  cura  i  due  preziosi  Registri  intitolati:  ;;  De  rebus  regni  Siciliae  »  colla 
fondata  speranza  che  nel  grande  Archivio  della  «  Corona  de  Aragon  >,  ove  essi 
vengono  conservati,  si  potessero  rintracciare  molte  ed  importanti  notizie, 
sinora  ignote,  intorno  a  quell'avvenimento  storico  per  cui  cessava  il  dominio 
angioino  nell'Isola.  Il  successo  ottenuto  dal  Carini  in  siffatte  ricerche  per- 
suase ad  ampliare  il  suo  incarico  ed  estenderlo  ai  principali  archivi  e  biblio- 
teche di  Spagna,  che  doveano  custodire  necessariamente  documenti  di  sin- 
golare valore  riguardanti  la  storijt  civile,  militare  e  politica  d'Italia. 

Frutto  pregiato  di  questa  visita  fu  la  sua  opera  intitolata  <;  Gli  archivi  e  le 
Biblioteche  di  .Spagna  in  rapporto  alla  storia  d'Italia  in  generale  e  di  Sicilia  in 
particolare  v  (2)  divisa  in  due  parti,  la  prima  delle  quali  contiene  il  testo  della 
relazione  del  suo  viaggio  al  sovrintendente  degli  archivi  siciliani  Commen- 
datore Giuseppe  Silvestri,  e  la  seconda  i  documenti  e  gli  allegati,  di  cui  stimò 
bene  corredare  il  suo  diffuso  ed  elaborato  rapporto.  Dal  rapido  ma  allo  stesso 
tempo  accurato  inventario  compilato  dal  valente  e  benemerito  Archivista  di 
Palermo  risulta  esistere  carte  interessanti  la  storia  della  Sardegna  nell'Ar- 
chivio della  Corona  di  Aragona,  che,  come  fu  detto,  risiede  in  Barcellona, 
in  quello  (jenerale  e  -Centrale  di  Alcalà  de  Henares,  e  nel  Generale  di 
Simancas,  e,  per  quanto  riguarda  le  Biblioteche,  nella  Nazionale  e  dell'Ac- 
cademia della  Storia  di  Madrid  ed  in  quella  detta  di  «  Santa  Cruz  »  in  Valla- 
dolid,  la  capitale  della  vecchia  Castiglia. 

Come  richiedeva  la  natura  del  lavoro,  brev^issime  sono  le  indicazioni 
date  nella  prima  parte,  ma  queste  diventano  più  precise  e  dettagliate  nella 
seconda,  ove  è  fatta  la  descrizione  delle  carte  che  poteano  interessare  gli 
studiosi  di  storia  italiana  e  particolarmente  della  Sicilia,  nei  diversi  istituti 
archivistici  e  librari  della  Penisola.  Per  quanto  si  riferisce  alla  Sardegna 
abbiamo  il  seguente  quadro  : 

Archivio   della   Corona  di  Aragona. 

Si  ricava  l'esistenza  di  Regesti  Sardiniae  (parte  I,  fase.  I,  pag.  20)  ed  in 
particolare  nel  Registro  1,500,  foglio  1,5  verso,  i  seguenti  documenti:  Convo- 
catoria    delle  Cortes  di    Barcellona    riunite    nel     1379-1380    per    trattare    del 


(i)  Moriva  in  Roma  il  25  gennaio  1S95. 

(2)  Palermo,  tipografia  dello  «  Statuto  »  18S4. 

9 

13     Mise,  S.    Ili,  T.  Xm. 


g8  FILIPPO  VIVANET 


viaggio  che  il  Re  Don  Fedro  od  uno  dei  suoi  figli  disegnavano  fare  all'Isola 
di  Sardegna  per  sedarvi  il  fuoco  della  ribellione  ed,  in  fine  di  questo  Registro, 
una  lettera  dello  stesso  Don  Fedro  in  data  20  febbraio  1385  che  proroga  le 
Cortes  di  JMonzon,  in  cui  i  tre  Bracci  aveano  chiesto  calorosamente  al  Re, 
che  fossero  destituiti  e  processati,  come  rei  di  alto  tradimento,  molti  Consi- 
glieri della  Corona  e  del  primogenito,  per  aver  fatto  parte  dei  segreti  di 
Stato  a  Don  Fedro  e  a  Don  Errico  di  Castiglia,  non  che  al  Giudice  di  Ar- 
borea, ai  baroni  siciliani,  all'angioino  ed  al  Comune  di  Genova,  come  pure 
per  aver  favorito  l'Infante  di  Maiorca  ed  affrettato  la  pace  coi  Genovesi, 
con  gran  vantaggio  di  questi  ultimi.  (Carini,  parte  I,  fase.  I,  pag.  26-27). 

Nel  Registro  di  Fietro  \\,  n.  38,  fol.  209,  una  lettera  senza  data  in  cui 
il  Re  conferma  al  Fodestà,  agli  anzicini,  ed  al  Comune  di  Fisa,  che  gli 
aveano  inviato  ambasciatori,  le  immunità  e  grazie  concesse  loro  dai  suoi 
predecessori  e  raccomanda  ad  essi  le  immunità  ed  i  privilegi  che  godono  i 
Catalani  in  Fisa  e  Sardegna  e  specialmente  in  Cagliari.  (Carini,  «  Gli  Ar- 
chivi »  ecc.,  parte  II,  fase.  I,  pag.  :^-3). 

Nel  Registro  n.  46,  fol.   122   verso: 

l.ettera  del  Re  Fietro,  da  Valenza  1"  dicembre  1283,  perchè  a  Lappo 
Guindone  maestro  portolano  del  Regno  di  Sicilia,  con  moglie,  figlio,  famiglia, 
due  cavalcature  e  l'arnesio  (i),  si  dia  passaggio  per  Sicilia,  toccando  la  Sar- 
degna per  potersi  ivi  abboccare  col  (xiudice  di  Arborea.  (Carini,  ivi,  pag.  25). 

Registro  n.  46,  fol.    178  verso: 

«  Valènza,  io  aprile  1284.  —  Al  nobile  Don  Mariano  Giudice  di  Arborea 
«  dilecto  afiìni  suo.  Sapemmo  che  due  nostre  galee,  provenienti  dai  mari  di 
«  Sicilia  furono  prese  e  ritenute  in  Cagliari  da'  Fisani ,  morti  parecchi  ed 
«  altri  presi;  più  clie  l'armata  Fisana,  teste  venuta  nei  mari  di  "Maiorca,  fece  a 
«noi  ed  agli  uomini  nostri  molti  danni,  portando  seco  navi,  merci  ed  altro. 
«  Ce  ne  maravigliammo;  e,  poiché  nostra  intenzione  è  mantener  co'  detti 
«Pisani  quelle  buone  relazioni  ch'ebber  con  essi  i  predecessori  nostri  e 
«quelli  della  consorte  nostra  la  Regina  Costanza,  non  essendovi  causa 
«  di  nimistà  vi  preghiamo  di  farci  avere  la  restituzione  delle  menzionate 
«  galee  ecc.  Che  se  i  medesimi  han  qualche  motivo  di  lagnanza  cel  dicano 
«e  faremo  loro  giustizia».  (Carini,  ibidem,  pag.  31). 

Nell'i^rchivio  (TcneraK;  Centrale  di  Alcalà  de  ilenares,  nella  Sezione 
storica  contenente  ben  15.000  legiijos,  alla  rubrica  «  Xegociacion  de  Italia  >' 
il  Carini  ebbe  a  riscontrar  carte  riguardanti  afiari  di  Sardegna  ed  un  <>  Ne- 
gociado  »  di  Sardegna  senza  però  venire  a  dettagli,  (Carini,  parte  I,  fase.  I, 
pag.   77),    né  in  questa,  né  nella  seconda  parte  del  suo  libro. 

Foco  o  nulla  egli  riusci  a  spigolare  negli  Archivi  e  Biblioteche  di  Madrid 
trovandosi  nella  sua  opera  appena  un  accenno  alla  nostra  Isola  in  una  rac- 
colta di  documenti  relativi  all'Italia  in  generale  (parte  I,  fase.  II.  pag.  218), 
posseduta  dalla  Biblioteca  Nazionale  in  un  manoscritto  cartaceo  che  potrebbe 
darci  qualche  notizia  sui  genovesi  che  tennero  l'episcopato  in  Sardegna  (2) 


(i)  Armatura  completa. 

(2)  Archiepiscoporan>  et  Episcoporum  Geiiuensium,  qui  in  Iiisulis  et  Regnis  Siciliae  et 
Sardiniae,  in  Italia  atqu'e  in  coeteris  Europae  Regnis,  nempe  in  Imperio  Austriaco,  Catholica 
et  Christianissima  HisiKiniaiuni  et  (ialliarum  Coronis  meritissime  Infulas  tenuerunt  Pienissima 
descriptio  sequitur. 

IO 


LA  SARDEGNA  NEGLI  ARCHIVI  E  NELLE  BIBLIOTECHE  DELLA  SPa'gNA 


99 


(parte  I,  fase.  I,  pag-.  loS)  ed  in  una  lettera,  datata  da  Cagliari  nel  13  giugno 
1410,  del  luogotenente  di  Governatore  e  probi  uomini  con  la  quale  si  annun- 
ciava la  morte  ivi  avvenuta  del  Re  di  Sicilia  Martino  II  a  P)ernardo  Cabrerà, 
Conte  di  ^Modica  parte  II,  fase.  II,  pag.  2Ò5)  esistente  nell'  «  Academia  de 
Hi  storia  .•. 

A  Valladolid  nella  biblioteca  del  celebrato  Collegio  di  Santa  Cruz  il 
Carini  registrava  un  gran  volume  col  titolo  <.  Atroees  sucesos  de  Cerdeiìa  » 
contenente  documenti  (Carini,  parte  I,  fjisc.  Il,  pag.  272)  relativi  all'uccisione 
del  viceré  marchese  di  Camarassa,  ed  un  registro,  in  eastigliano,  di  corri- 
spondenze di  Sardegna  col  titolo  '<  Registro  de  las  cartas  de  Cerdena  del  ano 
1668».  di  ben  214  fogli,  e  che  hanno  certamente  relazione  con  questo  straor- 
dinario avvenimento  che  in  quell'anno  commosse  l'intera  Isola  (Carinl  parte 
I,  fase.  II,  pag.  275),  la  cui  definitiva  sentenza  rimase  nella  Biblioteca  già 
Arzobispal  ora  Provincial  della  stessa  città. 

Più  larga  messe  raccolse  il  Carini  nell'Archivio  Generale  di  Simancas 
trovando  nel  suo  rapporto  menzionata  la  Sardegna  più  volte.  Alla  rubrica 
«  Negociacion  de  Italia  »  si  notano  ben  94  legajos  relativi  alla  Sardegna  ed 
a  Torino  dal  17 14  al  1788  (Carini,  parte  I,  fase.  II,  pag.  306),  altre  carte 
relative  ai  Parlamenti  (ibidem,  pag.  310);  documenti  riguardanti  le  Corti  ed 
altri  negozi  Sardi  negli  anni  1641  e  42,  1669,  1678,  1697  (Carini,  ibidem, 
fase.  III,  pag.  345)  e  nella  «.  Segreteria  di  Guerra  »  treni  rimessi  in  Sardegna 
Carini),  ibidem,  pag.  371),  e  finalmente  tutte  le  pratiche  relative  all'Inquisi- 
zione del  1541  al  1719    Carini,  ibidem,  pagg-.  374  e  375). 

E  più  specificatamente  come  risultavagli  dall' «  Inventario  razonado  de 
«  los  papeles  de  Estado  de  la  Xegociation  de  Espana  que  hallan  en  el  Real 
Arehivo  de  Simancas,  Ano  1818»,  compilato  a  nuovo  da  Don  Tomaso  Gon- 
zales  Canonico  delia  Santa  Chiesa  di  Piacenza,  Accademico  della  Storia  in- 
caricato da  S.  M.  per  l'assestamento  e  coordinamento  di  esso  Archivio  : 
«  Estado  de  Espaiìa,  —  Legajo  2665.  —  Sobre  las  Cortes  de  Cerdeiìa,  1641. 
Legajo  2666.  —  Estado  de  los  negocios  politicos  y  militares  de  Cer- 
deiìa,  1642. 

Legajo  2688,  —  Estado  politico  y  militar  de  Cerdena,   16Ò9. 
Legajo  2703.   —  Sobre  la  Cortes  de  Cerdena,   1678. 

Legajo  4146.     —    Deplorable    estado    de    Cerdena,    An.    1697    (Carini, 
parte  II,  fase.  Ili,  pag.  429). 

Legajo  3042  an.   1668.  —   Avvisi  dell'assassino  del  Conte    di    Camarasa 
in  Sardegna  (ibid.,  pag,  438), 

Piitronato  delle  chiese  di  Sardegna,  930,  990,  1000,  3019,  (Ibid.,  pag.  445). 
Sardegna.  —  Sussidio,  925,  3044,  3070.  (Ibidem,  pag.  441). 
Legajo  930  an.   1577.  —  Novità  intentate    in  Roma   contro  il  patronato 
reale  di  Sicilia  e  Sardegna  (Ibidem,  pag.  461). 

Legaio  990    an.   1609.    —    Sul    Patronato    delle    chiese    ed    Abbazie   di 
Sicilia    e  Sardegna  (Ibid.,  pag,  461). 

Legajo  1000  an,   1Ò14.  —    Corrispondenza    di    Roma    dell'Ambasciatore 
Conte  di  Castro.  Sul  patronato  di  Sicilia  e  Sardegna  (Carini,  ibidem). 

Legajo  3009.  —  Sulla  perpetuità  del  patronato    ecclesiastico    di   Sicilia  e 
Sardegna  (Carini,  ibidem.  Tutti  questi  mazzi  di  carte  vennero   già  menzio- 
nati dal  Carini  a  pag.  441). 
1 1 


lOO 


FILIPPO  VIVANET 


Sotto  la  rubrica  «  Inquisiciones  de  la  Corona  de  Aragon  »  viene  anche  la 
Inquisicion  de  Cerdefia  che  comprende  i  seguenti  incartamenti: 
Pleitos  civiles.  —  Legajo   i   con   21   processi. 
Legajo  2.  —  Contiene  28  processi. 

Pleitos  criminales.  —   Legajo   i.  —  Contiene  25  processi. 
Legajo  2.  —  Contiene  38  processi. 

Procesos  de  fé'.  ^  Legajo  2.  —  Contiene  22  processi. 
Competencias.  —  Legajo   i   e  2.   —    Varii  processi. 

Expediences  de  visitas  4  Legajos  ciascuno  con  varii  processi  (Carini, 
parte  II,  fase.  Ili,  pag.  498-99). 

E  nell'inventario  de  libros  encuadernados  corrispondientes  al  suprimido 
Consejo  de  Inquisicion  : 

Atado  (fascicolo)  20.  —   Cartas  de  Cerdefia. 

Atado  41.  Cerdefia.  —  Relaciones  de  causas  —  Cartas.  E  finalmente  nell'in- 
ventario, de  los  libros  encuadernados  pertenecientes  al  Supremo  Tribunal 
de   la  Inquisicion. 

Legajo  57.  —  Libro  primero  de  Decretos  Reales  y  Consultas  originales 
sobre  materias  de  la  Inquisicion  de  Cerdefia,   1592- 1653. 

Legajo  58.  —  Libro  2°  tocantes  al  Reino  de  Cerdefia,  1664- 1705. 
Legajo  497.  — -  Libro  de  cartas    de    la  Inquisicion    de    Cerdefia  al  Con- 
sejo de   la  Inquisicion  1541-69. 

1570-1575 
157Ó-1587 
1588-1603 
1604- 1606 
1607-1619 
1620-1622 
1Ò23-1627 
1628-1635 
1636-1644 

»  1645-1651 

»  .....         1652-1661 

»  ,         .         .         .         .         1662-1671 

»  .....         1684- 1697 

de  Registro  de  Cartas  del  Consejo  de  Inquisicion  a 
la  de  Cerdefia  establecida  en  Sacer.  Hay  autos  de  fé'  161 7-1 7 18. 

Legajo  512.  —  Libro  de  Relaciones  de  Causas  Civiles  y  Criminales  y 
autos  de  fé'  1572-92. 

Legajo  513.  —  Libro  de  Relaciones  1595- 1678. 

Legajo  514.  —  Libro  de  Ejemplares  y  Competencias  de  dicha  Inqui- 
sicion de  Sacer,  ó  Cerdefia.  La  i''  fecha  es  de  2  de  mars  1573  adelante, 
(Carini,  ibidem,  pag.  500). 

La  serie  delle  carte  sarde  registrate  dal  Carini  nell'Archivio  di  Simancas 
è  composta  dei  due   seguenti  legajos  : 

N.  4566.  —  Corrispondenza  di  Sardegna   17 18, 

N.  4582.  —  Corrispondenze  sull'evacuazione  di  Sardegna  1720,  che  è 
l'anno  in  cui  essa  passò  per  effetto  del  trattata  di  Londra  alla  dipendenza 
della  Casa  di  Savoja. 

12 


Idem 

498 

Libi 

» 

499 

» 

» 

500 

» 

» 

501 

» 

» 

502 

» 

» 

503 

» 

» 

504 

» 

» 

505 

» 

» 

506 

» 

» 

507 

» 

» 

508 

» 

» 

509 

» 

» 

510 

» 

» 

511 

» 

LA  SARDEGNA  XEGLI  ARCHIVI  E  NELLE  BIBLIOTECHE  DELLA  SPAGNA      lOI 


Il  Dottor  Silvio  Lippi,  ora  Direttore  del  R.  Archi\io  di  Stato,  di  Cag-liari, 
riconoscendo  l'importanza  delle  ricerche  fatte  dall'abate  Carini ,  ne  esponeva 
sommariamente  i  risultati,  per  quanto  riguardava  la  Sardegna,  in  un  suo 
articolo  inserito  nel  numero  36  dell' Avr'rniré'  di  Sardegna  (11  febbraio  1890) 
ed  in  un  altro  articolo,  pubblicato  nel  numero  4  del  giornale  letterario  La 
Piccola  Rivista  del  31  gennaio  1899  ritornava  sull'argomento  impinguandolo 
con  dati  procuratogli  dall'egregio  letterato  Don  Francesco  Carreras  y  Candi 
di  Barcellona. 

Per  quanto  si  riferisce  all'Archivio  della  Corona  di  Aragona,  ove  stanno 
certamente  acctimulate  le  maggiori  ricchezze,  egli  presentava  il  seguente 
quadro  : 


Data 
dei  documenti 


1326 

al 

1303 

al 

I32I 

al 

1329 

al 

1335 

al 

1387 

al 

1397 

al 

I4I2 

al 

T4I6 

al 

1458 

al 

1479 

al 

1516 

al 

1554 

al 

1.559 

al 

1573 

al 

1598 

al 

1330 
1326 

1327 
1335 
1386 

1395 

I4I0 
I4IÒ 

1458 
1478 

I5I6 
1533 
1559 
1599 
1587 

1620 


Numero  d'ordine 
dei  volumi 


Titolatura 


316 


344  al  345 


394 

508 

1006 

1938 
2226 

2398 
2626 

3395 
3586 

3891 
4002 

4324 
4354 
4903 


403 
518 


al 
al 

al  1048 
al  1943 
al  2237 

al  2640 

al  3405 
al-  3604 

al  3895 
al  4004 

al  4345 
al  4355 
al  4922 


Numero 

dei  volumi  di  ogni 

serie 


Sardiniae 
et  Officialium 

Sardiniae 
et    Corsicae 

Sardiniae 


>> 

» 

» 

» 

» 

» 

» 

» 

» 

» 

2 
IO 
II 

43 
6 

12 

I 

15 
II 

19 
5 
3 

22 
2 

20 


Totale  dei  volumi  relativi  alla  Sardegna  .     .     N°   183 

A  queste  sole  indicazioni  si  limitavano  le  nostre  informazioni  sopra  la 
quantità  ed  importanza  delle  carte  conservate  nell'Archivio  della  Corona  di 
Aragona,  sebbene  dalle  celebrato  storie  di  Girolamo  ("urita,  anche  al  giorno 
d'oggi,  il  più  riputato  annalista  della  Casa  di  Aragona,  apparisse  chiara- 
mente quanto  vi  avesse  ampiamente  mietuto  ogni  qualvolta  gli  occorresse 
di  parlare  della  Sardegna.  Xon  è  però  a  meravigliarsi  ch'esse  fossero  cosi 
ristrette,  osservando  che  nessun  sardo  avendo  attinto  a  questa  fonte  diret- 
tamente, mancava  l'interesse  nel  raccoglitore  di  più  diffuse  notizie,  e  quelle 
che  ci  pervennero    dall' archivista  siciliano    non    poteano   essere    notate    che 


13 


I02  FILIPPO  VIVANET 


per  incidenza,  cioè  quando  si  facevano  innanzi  a  Ini  sulla  via  che  egli  dovea 
percorrere  a  prò  della  storia  della  sua  Sicilia. 

Recatomi  in  Spagna  —  massime  collo  scopo  d'integrare  il  materiale,  riguar- 
dante i  nostri  Parlamenti,  della  pubblicazione  dei  cui  Atti  nei  «  Monumenta 
Historiae  patriae  »  venni,  assieme  al  collega  Dott.  Silvio  Lippi  incaricato  dalla 
R''  Deputazione  di  storia  patria  per  le  antiche  Provincie  e  per  la  Lombardia,  di 
cui  mi  onoro  far  parte  —  appena  toccata  una  terra  legata  da  tanti  ricordi  alla  mia 
Isola  nativa,  avendola  essa  governata  per  ben  quattro  secoli  (1323- 1720),  il  mio 
primo  pensiero  fu  quello  di  compulsarne  gli  Archivi  dove  era  certo  di  trovare 
una  ricchissima  suppellettile  di  documenti  preziosi  per  la  nostra  storia.  Appena 
giunto  in  Barcellona,  la  grande  città  commerciale  ed  industriale  della  Spagna, 
l'antica  capitale  della  vasta  contea  ch'ebbe  lingua  e  letteratura  propria,  io  non 
indugiai  a  presentarmi  a  Don  Francesco  de  Bofarull,  illustre  Direttore  del- 
l' «  Archivo  General  de  la  Corona  de  Aragon  »  affinchè  mi  ponesse  in  grado 
di  esaurire  le  mie  ricerche  nel  grande  Istituto  a  lui  affidato.  Disgraziata- 
mente io  era  giunto  in  un  momento  poco  propizio,  giacché  ferveva  in  esso 
il  lavoro  di  aggiustamento  nell'ipotesi  di  una  imminente  visita  del  Sovrano, 
che  a  giorni  dovea  recarsi  in  Catalogna,  e  da  un'  altra  parte  correvano  i 
giorni  dedicati  al  santo  ozio  pasquale,  per  cui  si  rendeva  in  più  modi  dif- 
ficile la  possibilità  di  accordare  il  permesso  di  studio  sopra  non  poche  carte 
che  richiedevano  assistenza,  continuata  remozione  e  riduzione  a  sito  di  nu- 
merosi incartamenti,  attenta  sebbene  riguardosa  vigilanza  qual  è  prescritta 
dai  regolamenti  in  tutti  gli  Archivi  del  mondo.  Fortuna  volle  però  che  io 
avessi  a  fare  con  un  uomo  di  eccezionale  valore  qual  è  Don  Francesco  de 
Bofarull  y  Sans,  sincero  amico  degli  Italiani  e  degli  studiosi,  il  quale,  dopo 
qualche  diniego  in  vista  del  momento  speciale  in  cui  ricorreva  a  lui,  finì 
per  accondiscendere  alle  mie  istanze,  dandomi  colla  maggiore  simpatia  e 
benevolenza  tutte  quelle  facilitazioni  che  non  avrei  potuto  sperare  maggiori 
nella  mia  stessa  patria. 

Ora  per  meglio  apprezzare  la  buona  ventura  di  potersi  dissetare  a  così 
ricca  fonte,  sarà  bene  che  anzitutto  io  delinei  a  grandi  tratti  l'importanza 
dell'Istituto,  la  copia  veramente  ammirevole  e  straordinaria  di  documenti 
ufficiali  che  in  esso  hanno  appropriata  e  decorosa  sede.  Se  oggi  però  si 
trova  a  questa  altezza,  non  sempre  prospera  arrise  ad  esso  la  fortuna,  e  ben 
si  può  dire  ch'essa  incominciò  verso  il  1814  dopo  che  ne  fu  affidata  la  direzione 
a  Don  Prospero  de  Bofarull  che  con  indicibile  amore  ed  impegno  attese  a 
riordinarlo  ed  a  giovarsi  delle  carte  ivi  contenute  per  la  pubblicazione  di 
opere  storiche  di  grandissimo  valore  come  la  versione  castigliana  della 
«  Cronica  Uni  versai  del  Principat  de  Cathalunya  del  Pujades  »,  «  los  Condes 
«  de  Barcelona  vindicados  »  e  la  «  Colecion  de  Documentos  ineditos  ».  Successe 
a  lui  il  figlio  Don  Manuel  ch'ebbe  il  merito  di  collocare  il  prezioso  deposito 
nell'attuale  edificio,  posto  nel  più  nobile  luogo  della  città  ed  a  poca  distanza 
dalla  residenza  degli  antichi  Conti  di  Barcellona  e  dal  grandioso  Duomo. 
Devesi  a  lui  1'  attuale  ordinamento  dell'Archivio,  continuato  e  perfezionato 
dall'attuale  Direttore  Don  F^rancesco,  suo  figliolo,  per  cui  si  può  dire  che 
la  storia  dell'Archivio  (xenerale  di  Aragona  si  confonde  con  quella  della 
illustre  famiglia  dei   Bofarull. 

H 


LA  SARDEGNA  XKt.l.l    ARCJllVl  L  .XLLLK  lUhLlOlECHE  DELLA  SPAGMA      I  03 


In  questo  archivio,  per  quanto  ne  ragguaglia  il  Carini,  si  contengono 
ben  18626  pergamene,  6388  volumi  o  Registri  di  cancelleria,  2158  tra 
«  legajos»  e  libri  riguardanti  il  Consiglio  di  Aragona  nei  secoli  XV,  XVI 
e  xvii. 

E  dagli  appunti  da  me  presi  tanto  dall'inventario  compilato  nel  1823  dal 
primo  suo  direttore  Don  Prospero  de  Bofarull,  come  dalle  note  autentiche  dei 
successivi  versamenti  operati  da  altri  Archivi,  e  dai  chiarimenti  gentilmente 
datimi  sempre  che  ne  sentii  il  bisogno,  dal  suo  personale,  traggo  i  seguenti 
dati  che  mi  permettono  di  costruire  un  prospetto  assai  pii^i  vicino  al  vero  dei 
precedenti  e  che  può  dare  un'imagine  esatta  della  immensa  congerie  di  carte 
che  si  conservano  nell'Archivio  di  Barcellona,  aventi  uno  speciale  interesse 
per  la  storia  Sarda,  accumulate  lungo  il  grande  evo  che  corse  tra  la  fine 
del  xiii°  secolo  ed  il  primo  ventennio  del  xviii". 

Giacomo  II. 

Regnò  dal  13  agosto  1291  al  2  novembre   1327. 
N"  3  registri  riguardanti  la  Sardegna  colle  seguenti   rubriche: 

^^  j  Sardmiae  et  Corsicae  dall  anno   1303  al   1328. 

A"  342   ( 

N°  376      Sardiniae  et  officialium  dall'anno   1326  al   1330. 

Alfonso  il  Buono. 

Regnò  dal  25  dicenibre  1327  al  24  gennaio   1336. 
X"   II   registri  della  Sardegna  coi  N""'  ,508,  509,    510,   511,   512,   513,   514, 
515,  516,  517,  518  e  vanno  dall'anno   1327  al   1335. 

Pietro  il  Ceremonioso. 

Regnò  dal  24  gennaio   133Ó  al  5  gennaio   1387. 

Di  questo  lungo  regno  esistono  nientemeno  che  X°  1164  registri  in  1241 
volumi.  Appartengono  alla  Sardegna  N°  36  registri  in  altrettanti  volumi,  rela" 
tivi  agli  anni  che  corrono  tra  il  1337  ed  il  1386,  ed  individuati  coi  N"'*  281, 
394,  245,  189,  246,  228,  240,  190,  198,  III,  87.  54,  146,  149,  199,  149'"%  i37> 
198,  171,  152,  196,  194,  248,  143,  398,  125,  192,  177,  199,  226,  184,  195,  153, 
188,   196  ^'\  114. 

Appartengono  anche  al  regno  di  Pietro,  altri  3  volumi  di  carte  relative 
agli  Atti  del  R°  (Consiglio  per  pratiche  vertite  negli  anni   1369  e   1370. 

Giovanni  il  Cacciatore. 

Regnò  dal  5  gennaio   1387  al  19  maggio   1396. 

N"  283  registri  in  N"  286  volumi  in  tutto,  dei  quali  si  riferiscono  alla 
Sardegna  N°  6  registri  per  gli  anni  1387-88,   1388-93,   1392-95,   1393-96. 

Nessun  registro  lungo  le  luogotenenze  della  Regina  Donna   Violante    e 
dell'Infante  Don  Martino. 
15 


I04 


FILIPPO  VIVANET 


Martino  1  Umano. 

R('(nio  dal  ig  maggio   1396  al  31    maggio   14 io. 

]3i  questo  regno  esistono  X"  248  registri  in  N"  248  volumi.  Di  .Sardegna 
soli  N°  3  registri  che  si  riferiscono  agli  anni  1397-401,  1402-409  e  1409-410, 
il  primo  dei  quali  con  fogli  utili  (scritti)   195,  il  secondo   196  ed  il  terzo  120. 

Nulla  si  trova  per  il  tempo  in  cui  ebbero  la  luogotenenza  le  Regine 
Dona  Maria  de  Luna  prima  moglie  del  Re  Martino  e  Dona  Margherita  de 
l*rades  sua  seconda  moglie. 

Ferdinando  l'Onesto. 

Regno  dal  25  luglio   141 2  al  2  aprile   1416. 

Di  t[uesto  sovrano  esistono  N"  94  registri  in  X"  96  violami.  X'^on  vi  ha 
che  un  solo  registro  per  la  Sardegna  con  X°  163  fogli  utili  e  che  va  dal  141 2 
al   14 16.  Nulla  durante  la  luogotenenza  del  principe  Don  Alfonso. 


Alfonso  il  Magnanimo. 

Regno  dal  2  aprile   141 6  al  27  giugno   1458. 

Di   questo    lungo   e    memorando    regno    stanno    ben    X°    866    registri    in 
altrettanti  volumi  portanti  per  la  classificazione  degli  atti  le  seguenti  rubriche: 

Comune    —  Comune.  Sigilli  secreti    —  (xratiarum   —   Oficialium    —  Ofi- 
cialium  Cathalunie    —    Diversorum  Sardinie    —   Curie  —  Secretorum  — 

Pecunia  —  Majoricarum  --  Sententiarum  -  Itinerum  —  Itinerum.  Sigilli 
secreti  —  Comune  Sicilie  -  Comune  cancellerie  Sicilie  —  Curia  Sicilie  — 
Pecunia  vSicilie  —  Curie  Cancellerie  Neap(olis)  —  Privilegiorum  Cancellerie 
Neap(olis)  —   Varia. 

Trattano  di  cose  attinenti  alla  Sardegna  N    15  registri  in  pari  numero  di 
volumi  che  portano  le  seguenti  indicazioni  cronologiche  : 
Anni   141 6-1426     Fogli  utili  (scritti)     . 


» 

I4I7-I43I 

» 

» 

I427-I432 

» 

» 

I444-I446 

» 

-■> 

» 

» 

» 

'445-1455 

» 

» 

1447-1449 

••> 

» 

1 448-1 481 

» 

» 

1449- 145 2 

» 

» 

I449-I458 

» 

» 

I45I-I454 

^> 

» 

145-^-1453 

» 

» 

1453- 1455 
1455- 1458 

» 

x° 

201 

■•> 

197 

» 

161 

» 

212 

» 

136 

» 

185 

» 

225 

N> 

182 

■> 

190 

•■> 

79 

195 

189 

151 

149 

X'^ulla  nella  luogotenenza  tenuta  lungamente  dalla  Regina  Donna  Maria 
figlia  primogenita  di  Enrico  III  di  Castiglia  e  moglie  del  Re  Alfonso. 

16 


LA  SARDEGNA  NEGLI  ARCHIVI  E  NELLE  BIBl.K  »l  ECIIE  DELLA  SPA(tNA     105 


Giovanni  il  Grande. 

Regno  dal  27  gingilo   1458  al  19  gennaio   1479. 
In  tutto  registri  X     ig  in  pari  numero  di  volumi.  Appartengono  all'Isola 
di  Sardegna  N°   11   registri  che  si  riferiscono  agli: 

Anni    1 458-1 461      con  fogli  utili X°     183 

''  i45«-i463  »  - '  i«5 

»  1459- 1464  »  .......  »  183 

»  1461 -1469  »  »..,...  ^>  177 

»  14Ò3-1466  />  » »  165 

»  1464- 1470  »  »...,..  »  177 

»  14Ò7-1478  »  »......»  237 

»  1470- 1478  »  »     .     .     ...     .  >>  181 

»  1474-147Ò  »  .......  »  123 

»  1475- 1478  »  » »  183 

i477-'47y  121 

E  notevole  che  il  numero  totale  dei  registri  appartenenti  a  questo  regno 
sia  così  poco  numeroso  e  che  quello  dei  volumi  relativi  alla  Sardegna  sia 
così  grande.  Ciò  si  spiega  cogli  avvenimenti  politici  di  quel  tempo  in  cui  la 
Catalogna  sorse  contro  il  proprio  Sovrano  a  difesa  dei  diritti  dello  sventurato 
Don  Carlos,  mentre  il  reame  Sardo,  pur  parteggiando  per  esso,  e  funestato 
dalla  sedizione  del  marchese  di  Oristano,  mantenne  non  interrotti  rapporti 
col  Re  d'Aragona.  In  tanta  abbondanza  di  carte,  certo  ampia  e  cospicua 
messe  si  potrà  agevolmente  raccogliere  a  vantaggio  della  nostra  storia,  in 
un'epoca  singolare  per  gli  avvenimenti  di  cui  essa  fu  teatro  in  quel  torno. 
Nulla  d'interessante  per  noi  restò  invece  nell'Archivio  di  Aragona,  lungo 
le  luogotenenze  avvenute  in  questo  regno  durato  ventun  anni,  come  in  quella 
dell'infante  primogenito  Don  Carlos,  di  Don  Carlos  e  Donna  Giovanna  seconda 
moglie  di  (xiovanni  II,  della  sola  regina  Giovanna,  dell'infanta  Donna  Gio- 
vanna sua  figlia  e  finalmente  di  Don  Ferdinando  principe  di  Castiglia. 

Ferdinando  il  Cattolico. 

Regno  dal  19  gennaio    1479  al  2^^  gennaio    1516. 
In  tutto  X"  349  registri  in  X"  348  volumi.  Per  la  ^Sardegna  X"  13  registri 
cosi  ripartiti  : 

Anni    1479-1480      Fogli   utili X"      170 

■479-1480  »  277 

»  1 481 -1485  »  »  192 

»  1483-1484  »  »  165 

»  1484- 1488  »  »  251 

»  1 488-1 501  »  y-}  222 

:•>  1492-1499  V  -V  300 

»  1495-1502  »  ^^2)^2 

»  1502-1508  »  »  374 

»  1507- 15  IO  »  />  285 

»  1502- 15 13  »  »  292 

»     15H-I515  »  •     »    278 

»      15 12-15 16  »  »    245 

17 

14    Mise,  S.   Ili,  T.  XIII. 


io6 


1,1  PPO  Vl\'ANl-/r 


Nulla  nelle  luogotenenze. 

Con  Ferdinando  il  cattolico,  prevalsa  la  Castigiia  sulle  altre  autonomie 
della  penisola  iberica,  le  carte  di  Stato,  sotto  i  succeduti  governi  di  Carlo  V 
e  di  Filippo  II,  vennero  avviate  al  grande  Archivio  di  Simancas,  divenuto 
il  deposito  centrale  della  monarchia  spagnuola,  e  quindi  furono  ad  esso 
mandate  anche  quelle  della  vSardegna. 

Senonchè  nel  1852,  con  saggio  accorgimento,  come  appartenenti  alla 
Corona  di  Aragona,  esse  vennero  riunite  e  versate  nell'Archivio  de  la  Corona 
de  Aragon  insediato  a  Barcellona.  Giunto  a  questo  punto  debbo  abbando- 
nare la  guida  sinora  seguita  dell'Inventario  compilato  dal  benemerito  Don 
Prospero  de  Bofarull  ed  affidarmi  all'  ,  Inventario  manual  razonado  de  los 
«  papeles  de  Estado,  Guerra,  Gracia  y  [usticia,  Patronato  y  Hacienda  de  la 
«  Real  Camara  de  la  Corona  de  Aragon  conservati  nel  Real  Archivo  de 
«Simancas  fino  all'anno  1700,  compilato  a  nuovo  nell'anno  1819  da  Don 
«  Tomas  Gonzales  »  del  Consiglio  di  S.  M.,  Canonico  della  Santa  Chiesa  di 
Piacenza,  Accademico  dell'istoria  e  delegato  Regio  per  il  riordinamento  di 
esso  Archivio  Generale.  Questo  documento  servì  di  base  alla  consegna  fatta, 
neir8  agosto  dell'anno  sopraindicato  1852  a  Don  José  Majolas,  di  ben  tren- 
tasei cestoni  di  carte  passate  dall'Archivio  di  Simancas  a  quello  di  Barcellona. 
J.a  ragione  di  questo  trasporto  è  di  per  sé  evidente  informandosi  al  concetto 
logico  di  riunire  in  un  solo  Istituto  tutti  i  documenti  ufficiali  del  cessato  reame 
d'Aragona.  F,  poiché  la  Sardegna  storicamente  era  una  pertinenza  di  esso,  era 
ragionevole  che  le  carte  ad  essa  relative  non  continuassero  a  rimanere  nel- 
l'Archivio di  Castigha,  cioè  a  .Simancas,  ma  prendessero  posto  in  quello  della 
Corona  di  Aragona  a  Barcellona. 

L'inventario  fatto  dal  Gonzales,  forse  per  la  strabocchevole  quantità  di 
carte  ch'egli  dovette  catalogare,  procede  in  modo  assai  sintetico  prima  per 
numero  ordinativo  di  volume  e  per  indicazione  cronologica  degli  anni  a  cui 
esse  si  riferiscono,  indi  per  semplice  numero  progressivo  e  per  sommaria 
indicazione  della  materia. 

A  foglio  6  del  suindicato  iriventario  si  legge  quanto  segue: 

N"  296  —  En  libro  de  Cerdeha    che  contiene    despachos 


de  toc 

as  materias 

dal  1621 

al 

1Ò22 

» 

297  —  Altro  libro 

1621 

■^ 

1622 

» 

298  — 

» 

1622 

^> 

1624 

» 

299'  — 

» 

1622 

;- 

1Ò25 

» 

299'  — 

» 

1622 

^^ 

1625 

>/ 

300  — 

» 

1624 

1627 

» 

301  — 

» 

>->   1624 

» 

1Ò26 

» 

302  - 

»        .    .  ^ 

^>   1625 

^> 

1628 

» 

303  — 

» 

»   1625 

^■> 

1628 

» 

304  — 

» 

-;   1Ò28 

» 

1629 

» 

305  — 

» 

>   1628 

> 

1631 

« 

306  — 

:•   1628 

■>• 

163 1 

» 

307  — 

.   IÒ30 

» 

1632 

» 

308  — 

» 

;   1631 

» 

1633 

18 


LA  SARDEGNA  XEGLr  ARCHIVI  E  NELLE  BIBLIOTECHE  DELLA  SPAGNA      107 


X"  309  — 

Altro  libro     .    .    .   dal  1632  al 

^33 

»  310*  — 

»   1633  » 

1634 

»  310' — 

»   1633  » 

1634 

>^  311  — 

»   1633  » 

1635 

»  312  — 

» 

»   1633  >• 

1635 

»  5^3   — 

« 

»   1635  » 

1636 

>^  314  — 

» 

»   1635  » 

1636 

^>  315  — 

/> 

»   1636  » 

1638 

»  316  - 

» 

»   1637  » 

1638 

>•  317  — 

« 

»   1638  » 

1640 

»  318  - 

» 

• 

»   1638  » 

1640 

»  319  — 

» 

»   1640  » 

1643 

»  320  — 

»   1640  >> 

1643 

»  321  — 

»   1643  -^ 

164,^ 

»  322  — 

/> 

»   1643  » 

1647 

»  323*  — 

7. 

»   I 646  ; 

16,50 

»  32  T,^  — 

■^ 

»   1 646  :^ 

1650 

»   324  — 

■•- 

»   I 646  » 

16,50 

»   32,5  — 

»   1643  » 

1654 

»   326  — 

»   1649  ^■ 

1654 

»   327  — 

» 

»   1651  » 

1655 

»   328  — 

» 

»   1654  » 

[660 

»   329  — 

». 

»   1654  >:■ 

1660 

»   330  — 

» 

»   1660  » 

1665 

»   331  — 

» 

»   1661  » 

1665 

»  332    — 

» 

»   1665  » 

167,5 

»  333  — 

» 

»   1670  yy 

1675 

»  334  — 

» 

»  1669  » 

[676 

»  335  — 

» 

»  1675  » 

1680 

^    33à   - 

» 

1678  •;■ 

681 

»  337  — 

» 

»   I 680  » 

[687 

»  338  - 

» 

»  1 68 1  >^ 

1687 

»  339  — 

» 

».    1686   -V 

1690 

»  340  — 

» 

»  1687  » 

1693 

»  341  — 

» 

»  1689  » 

[691 

»  342  — 

« 

»  1691  » 

694 

»  343  — 

» 

»  1695  » 

1699 

»  344  — 

» 

»  1695  » 

1699 

»    34.5  — 

» 

1699  '  »  ] 

700 

»  34'3  — 

» 

del  1700. 

Sono  dunque  N"  54  volumi  di  miscellanea  (despachos  de  todas  materias) 
che  si  noverano  come  appartenenti  al  governo  della  Sardegna,  ed  abbraccianti 
il  lungo  periodo  che  passa  tra  il  1621  ed  il  1700,  cioè  a  diro  il  regno  intero 
di  Filippo  IV  ed  il  successivo  di  Carlo  II. 

Col  solo  numero  d'ordine  vengono  indi  elencati  ai  fogli  X°  22  verso,  23, 

19 


Io8  FILIPPO  VIVANET 


24,  25,   26  da  ambe  le  parti,  sotto  la  rubrica  g-enerale  di  vSecretaria   de  Cer- 
dena,  i  seguenti  affari  notevoli  (Negocios  notables)  : 

N'  1618.  —  Papeles  tocantes  a  la  plaza  3^  cargo  de  Virey  de  Cerdena. 

N"  1619,   1620,   1621.  —  Idem. 

N"  1622.  —  lurisdicion  del  Virrey  y  General  de  las  Galeras. 

N°   1623.  —  Viceregia  del  Gobernador  Cerbellon. 

N°  1624.  —  Plaza  de  Regente  de  la  Audiencia. 

N"  1625,  1626,   1627,  1628.  —  Plazas  de  la  Audiencia. 

N°   1Ò29.  —  Fiscal  del  crimen  de  la  Audiencia. 

N°  1630.  —  Alguaziles  de  Cerdefia. 

N°  1631.  —  Procuradores  fiscales  de  la  Audiencia  y  Real  Patrimonio 
—  Archiverò  de  Cerdena. 

N"   1632.  —  Fundacion  de  sala  criminal  de  la  Audiencia. 

N"  1633.  —  Entretenidos  y  meritorios  cerca  de  la  persona  del  Virrey. 

N"  1634.  —  Coadjutores  del  Maestre  racional. 

N"   1Ò35.  —  Diversos  oficios  de  Cerdena. 

N"  1636.  —  Secretano,  oficiales  y  escribanos  de  Camara  —  Procurador 
Real. 

N°  1637.  —  lurisdiction  y  preminencias  del  procurador  real  ~  Teniente 
de  procurador  real  —  Asesor  del  procurador  real. 

N"   1638.  —  Coadjutor  del  Maestre  Racional. 

N"  1639.  —  luez  d'apellationes. 

N°  1640.  —  Competencias  entre  l' Audiencia  y  el  Procurador  Real. 

N'  1641.  —  Oficios  annuales,  biennales  y  triennales. 

N"  1642,   1643,   1644,   1645,   1646,   1647.  —  Idem. 

N'  1648.  —  Sobrastante  de  las  obras  Reales  de  Caller  —  Corridor  y 
pregonero  mayor. 

N**  1649.  —  Asesoria  del  Veguer  al  D'  Diaz. 

N"  1650.  —  Alguatzil  de  la  mar  de  Caller  —  vSalincros  de  Caller,  Sacer^ 
Oristan,  Alguer,  Orosey  y  Ollastra. 

N"  1Ò51.  —  Escribanias  de  Quart,  Alontestre,  Bosa,  Iglesias,  Part  Ocier^ 
Guilarza  y  otras. 

N°  1652.  —  Consultor  y  Fiscal  de  las  Incontradas  Reales  —  ]\Iaestre 
Racional  y  de  la  Seca. 

N°  1653.  —  Medidores  de  la  lana  en  Caller,  Oristano  y  Alguer —  Insa- 
culaciones  de  Cerdeiia. 

N»  1654.  —  Consules  de  comercio  en  Cerdena  —  (niardias  de  Campos  y 
ganados  —  Conoscimientos  y  juicios  de  prohomens  en  las  causas  criminales 
de  los  caballeros. 

N"  1655.  —  Secretarios  de  Caller,  Oristano  e  Iglesias  —  Suspencion  de 
la  Fiscalia  de  la  Audiencia  al  Doctor  Bonfant  —  Protomedico  de   Cerdena. 

N"   1656.  —  General  de  las  Galeras,  Gobernador  y  cabo  de  ellas. 

N°  1657.  —  Capitanes  y  otros  oficios  de  galeras.  Item  del  presidio  de 
tierra. 

No  1Ò58.  —  Veedor,  Contador.  pagador  y  tenedor  de  Bastimentos  de 
Galeras  de  Cerdeiia. 

N"  1659,   1660.  —  Idem. 

20 


LA  SARDEGNA  NEGLI  ARCHIVI  E  NELLE  BIBLIOTECHE  DELLA  SPAGNA      109 


N'  1661.  —  Entretenimientos  y  sueldos  de  Gaìeras  —  Credenciales 
para  sacar. 

N°   1662.  —  Idem.     , 

N"  1663.  —  Auditoria  de  las  Galeras  —  General  de  la  caballerìa  de 
Cerdefia  —  Maestre  de  Campo  Racional  de  la  caballeria  de  Cerdena. 

N**   1664.  —  Placa  de  Gobernador  de  Alguer. 

N°  1665.  —  Idem  de  Sacer  y  teniente  del  Castillo  Aragones  —  Capitan 
de  las  torres  de  Cerdena  y  Majordom  de  artilleria. 

N°  1666.  —  Asesores  ci  vii  y  criminal  de  gobierno  de  Sacer. 

N°  1667.  —  Comissario  General  de  la  caballeria  del  Cap  de  Sacer. 

N"  1668.  —  Teniente  de  Comissario  General  y  officiales  de  la  artilleria 
—  Castellano  del  Castillo  aragones. 

N"  1669.  —  Castellano  del  Castillo  de  Caller  y  alcaido  de  la  torre  de 
San  Pancracio. 

N"  1670.  —  Guardias  Reales  de  las  puertas  de  Caller,  Oristano,  Alguer, 
Terranova,  Puerto-Torres  y  Bosa  —  Capitanos  de  las  marinas  de  Gallura  y 
Orosey  —  Capitan  de  las  torres  de  l'Asinara. 

N"  167 1.  —  Sargentias  de  los  apendicios  de  Caller  —  Sargentia  major 
de  las  milicias  del  Cap  de  Sacer  y  de  Caller. 

N"  1672.  —  Sargentias  majores  de  Sacer  y  Bosa,  Alguer,  Iglesias  y 
Sarrabos. 

N"  1673.    —  Alcaydia  de  torres  y  plazas  de  artilleros, 

N°  1674.  —  Fiscal  de  la  Gobernacion  de  Sacer  —  Comissario  de  la  Ca- 
balleria del  Cap  de  Caller. 

N"   1675.  —  Visita  contra  el  Gobernador  de  Caller  y  el  Doctor  Canales. 

N"  1676.  —  Ouejas  contro  Don  Francisco  Bico  (i)  Regente  del  Consejo. 

N°  1677.  —  Escribano,  Contador  y  Pagador  de  la  Amministracion  de 
las  torres  de  Cerdena. 

N°  1678.  —  JNlunicionero  del  Cap  de  Sacer  y  tenidor  de  Bastimentos  de 
Caller. 

N°  1679.  —  Presasj  naufragios  y  corsos  en  Cerdena. 

N"   1680.  —  Fortificacion  y  defensa  de  Cerdena. 

N"   1681.  —  vSacas  y  Extraciones  de  Cerdefia. 

N"   1682,   1683,   1684,  1685.  —  Idem. 

Dopo  questi  vengono  registrati  i  seguenti  numeri  contenenti  «  mazos  de 
consultas  y  decretos  del  negociado  »  di  Sardegna  dall'anno  1505  fino  al  1700, 
cioè  a  dire  i  N""'  1686,  1687,  1688,  1689,  i6go,  1691,  1692,  1693,  1694,  1695, 
1696,  1697.  1698,  1699,  1700,  1701,  1702,  1703,  1704,  1705,  1706,  1707,  1708, 
1709,   1710,   1711,   1712,  1713,   1714,   1715,   171Ò,   1717,   1718,   1719. 

Dopo  i  quali,  sempre  sotto  la  rubrica  «  Secreteria  de  Cerdena  »,  seguono 
i  sottodescritti  volumi  relativi  ad  importanti  affari  dell'Isola. 

N"  1720.  —  Galeras  de  Cerdefia. 

N"   1721,   1722,   1723,   1724,   1725,   1726,   1727,  1728,  —  Idem. 


(i)  V[CO,  l'autore  de  V Hisioria  frenerai  dr   la   isla  y  reyno  de  Sardena  e  del  Libro  pri- 
mero  y  seffundo  de  las  leycs  y  pragniàlicas  reales  del  reyno  de  Sarderux. 


2\ 


I  IO  FILIPPO  VIYANET 


N"  1729.  —  Forzados  y  Esclavos  de  Cerdena.  • 

N"  1730,  1731.  —  Idem. 

N'-i  1732,  1733,  1734,  1735.  -  Idem. 

N"  1736.  —  Almadravas  (i)  3^  pesquerias  de  Cerdena. 

N"  1737.  —  Idem. 

N"   1738.   —  Provisiones  Ecclesiasticas  para  regulares. 

N"  1739.  —  Idem. 

N"  1740.  —  Asasinato  de  lo  iVIarques  Laconi  y  Camarasa. 

N''   1741,   1742,   1743.  —  Idem. 

N"  1744.  —  Muerte  de  Don  Joseph  Ang-ioy.  Idem  del  Doctor  Faragadu 
Asesor  criminal  de  Sacer  —  Frision  del  Marques  de  Laconi  por  haber  pedido 
el  complimiento  de  una  merced  Real  en  tratas  de  Cerdefia. 

N°  1745.  —  Prision  de  Don  Juan  Batista  Masones  lurat  en  cap  de  Caller 
—  Desafio  entre  los  Marqueses  Laconi  y  Cea. 

N"  1746.  —  Suspencion  y  prision  de  D.  Joseph  Olivier  y  D.  Joseph 
Palmas  Fiscal  y  asesor  del  Real  patrimonio. 

N°  1747.  —  Camorras  entre  los  Marqueses  Laconi  y  Villasor  —  Caso 
del  Doctor  Ligia  Prior  de  San  Lazare  de  Oristan. 

N"   1748.  —  Patrimonio  Real. 

N"   1749.  —  Visitas  hechas  al  mismo. 

N"  1750,   1751.  —  Venta  de  algunos  bienes  y  efectos  del  mismo. 

N"  1752.  —  Subsidio,  Decima  y  Escusado  (2)  de  Cerdena. 

N"  1753-  ~  Donativo  para  la  paga  de  un  tercio  de  Infanteria  por 
cince  anos. 

N"  1754.  —  frigo  de  Cerdena  beneficiado  en  Cadiz  para  la  recepta  del 
Consejo. 

N"  1755.  —  Idem. 

N"  1756.  —  Vilanzos  y  cuentas  de  la  tesoreria  de  Cerdena. 

N°  1757.  —  Idem. 

N"  1758.  —  Casas  de  aposento  consignadas  en  sacas  de  Cerdena. 

N''  1759,  1760.  —  Cuentas  del  dinero  que  el  Regente  Azcon  recibió  para 
levas  en  Cerdena. 

N°  1761.  —  Competencias  entre  la  Jurisdicion  Real  ordinaria,  la  del  Go- 
bernador  y  la  Ecclesiastica. 

N''  1762,   1763.  —  Idem. 

N°  1764.  —  Venta  del  Salto  (Bosque,  Posesion)  de  Soleminis  por  el 
Regente  Bico. 

]S[°  1765.  —  Venta  de  Culler  y  Escano  —  Cobranza  de  deudas  atra- 
sadas  —  Vilanzos  y  cuentas  de  tesoreria  —  Salinas  de  Cerdena  y  su  admini- 
stracion  —  Maridatge  y  Coronage  en  Cerdena  —  Deudas  del  Principe  de 
Pomblin  (3)  a  la  recepta  de  Cerdena  —  Continuacion  de  Donati ves  sin  con- 
vocar Cortes. 


(i)  Tonnare. 

(2)  Escusado  significa-  «  monopolio  ». 

(3)  Luogotenente  e  capitano  generale  in  Sardegna  dal  novembre  1662  al  dicembre  1664  in 
:ui  mori,  non  si  può  dire  con  certezza  se  in  Alghero  od  in  .Sassari. 


22 


LA  SARDEGNA  NEGLI  ARCHIVI  E  NELLE  BIBLIOTECHE  DELLA  SPAGNA     l  1  I 

N"  1766.  —  Propines  de  Cortes  en  Cerclena  —  Mercedes  de  Habitos 
Militares  (i). 

X"  1767.  —  Perdones,  indultos  y  composiciones  —  Uso  y  concesion  de 
salvasfuardias  Reales  en  materias  Ecclesiasticas  —  Caso  de  Don  Juan 
Esgrecho. 

N"  1768.    —  Levas  en  Cerdena. 

N"  1769.  —  Sacos  y  asientos  y  Factorias  —  liancos  de  vendre  carne  — 
Caso  de  Don  Francisco  Quesada  y  Don  Antonio  Manca. 

N"  1770.  —  Sacos  de  incierro  y  porcionistas  Reals  que  llevaban  los  Mr- 
reyes  —  Milicias  de  Cerdena  —  Capuchinos  de  vSacer. 

N°  177 1.  —  Visita  y  reglamento  "por  las  torres  de  Cerdena  y  forma  de 
su  administracion  —  Barca  de  Estafeta  para  Cerdena  —  Arcipreite  de 
Iglesias  —  Cuento  y  ensierro  de  trigo  en  Iglesias. 

N"  1772.  —  Puntos  con  la  jurisdiction  Ecclesiastica  sobre  prohibicion 
de  armas  —  Etiquetas,  cortesias  y  tratamiento  —  Concesion  de  puerto 
a  Orosey. 

N°  1773-  — Ceremonias,  etiquetas  y  trataniientos  en  las  Iglesias  y  pro- 
cessiones. 

N'  1774.  —  Pesadores  de  Caller  y  Alguer  —  Causa  a  Don  Jeronimo 
Machin  y  Don  Matheo  Roca  capitanes  de  galeras  de  Cerdena  —  \"enta  de 
la  Encontrada  de  Barbaja  Velvi  y  otros  saltos  del  principe  Doria. 

N"  1775.  —  Capellania  del  tercio  de  las  Galeras  de  Cerdeiìa  —  Pleitos 
en  Cerdeiìa. 

N°   1776.  —  Prov'ision  de  armas  en  Cerdeiìa, 

N"   1777.  —  Alojamentos  y  paso  de  tropas. 

N**  1778.  —  Sobre  caixas  12)  para  Cerdena  —  Tratados  de  pace  — 
Compagnia  de  caballos  feudatarios  —  Fundaciones   monasticas  en   Cerdeiìa. 

N"  1779.  —  Provisiones  ecclesiasticas  por  resulta  —  Pesca  del  coral  en 
Cerdena  —  Pesca  del  coral  en  Tabarca  con  noticias  de  està  Isla  y  conta- 
duria  de  ella  —  Expulsion  del  Doctor  Querqui  Vicario  General  Ecclesia- 
stico en  Sacer. 

N"   1780.   —  Visita  hecha  en  Cerdena  por  el  Doctor  Cors. 

N°  1781.  —  Valimienas  y  reformas  en  Cerdena  —  Ordenes  generales 
para  Cerdeiìa  basta  el  ano  1679  —  Legitimaciones  y  naturalesa  en  Cerdefia. 

Sotto  la  rubrica  generica  di  «  Cartas  »  seguono  dal  X°  1782  al  1841, 
cinquantanove  «  mazos  »  di  carte  del  <  negociado  de  Cerdena  »  che  dal- 
l'anno 1600  vanno  al  1700,  e  dopo  questi  col  titolo  di  Memoriales  col 
numero  progressivo  dal  1842  al  1885  altri  quarantatre  «  mazos  de  memo- 
riales del  negociado  de  Cerdena  »,  relativi  al  tempo  che  corre  dal  1Ò44 
al   1 700. 

In  ultimo  in  un'altra  rubrica  intitolata  «  Varios  papeles  sin  fecha  »  che 
abbraccia  anche  altre  parti  della  monarchia,  si  trova  registrata  col  N°  i886, 
un  altro  «  mazo  de  papeles  »  del  «  negociado  de  Cerdeiìa  ». 


(i)  Ordini  militari. 

(2)  Lagnanze,  in  sardo  «  ciiexias  ». 


FILIPPO    VIVAXKT 


ÌJ'd  questa  succinta  enumerazione  chiaramente  risulta  che  nell'Archivio 
Reale  della  Corona  di  Aragona  esistono  nientemeno  che  N''  363  incartamenti 
relativi  alla  Sardegna  così  distribuiti  : 

i"  Registri  da  Giacomo  II  a  P"erdinando  il  Cattolico      .  N"  102 

2"  Volumi  di  Miscellanea  (Dispachos  de  todas  materias)  »  54 

3"  Idem  di  affari  notevoli  (Negocios  notables)     ....  »  129 

4°   «  Mazos    de    Consulta»  y  Decretos  »   del    «  Negociado  de 

Cerdeiìa  » »  34 

5"   «   iNIazos  de  mcmoriales  »       "43 

6**  «   Papeles  sin  fecha  > »  i 

Totale  X'^  363 

In  questo  cumulo  veramente  ingente  di  carte,  molte  delle  quali  di  gran 
valore  storico,  non  sono  compresi  i  volumi  di  atti  (procesos;  ed  i  Legajos 
(filze)  che  si  riferiscono  ai  parlamenti  sardi,  dei  quali  mi  riservo  dar  notizia 
in  altra  più  opportuna  sede.  Dal  fin  qui  detto  appetre  però  nel  modo  più  lumi- 
noso che  l'azione  giuridica,  politica  ed  amministrativa,  in  una  parola  di  go- 
verno, svoltasi  nei  quattro  secoli  in  cui  la  Sardegna  fu  soggetta  alla  Spagna, 
trova  la  sua  ufficiale  documentazione  oltreché  nell'Archivio  di  Stato  di  Ca- 
gliari, e  in  quelli,  delle  città  più  importanti,  dei  Vescovi  e  delle  Cattedrali 
dell'Isola,  nel  grande  Istituto  di  Barcellona  che  senza  dubbio  è  una  delle 
maggiori  illustrazioni  della  fiorente  metropoli  della  bella  terra  di  Catalogna. 

Un  ricco  deposito  di  non  minore  importanza  per  noi,  stante  il  conside- 
revole periodo  di  tempo  cui  si  riferisce  (1556-1720),  doveva  essere  l'Archivio 
Generale  di  Simancas,  che  dopo  Carlo  V,  ma  specialmente  da  Filippo  II 
in  poi,  fu  considerato  come  l'archivio  della  immensa  monarchia  spagnuola. 
Ma  esso  fu  di  molto  attenuato  dal  versamento  fatto,  come  si  disse,  nel  1852 
e  per  molte  e  lamentate  vicende  a  cui  soggiacque  nel  corso  del  tempo. 
Grande  sperpero  di  carte  dovette  infatti  avvenire  nei  successivi  trasporti 
da  Valladolid  e  da  Madrid  a  Simancas,  ingente  quantità  di  scritture  fu 
inviata  a  Bajona  nel  1810  per  ordine  dell'Imperatore  Napoleone,  altre 
vennero  sciupate  da  soldati  e  da  contadini  nelle  vicende  guerresche  e  nei 
rivolgimenti  politici  di  cui  fu  teatro  la  Spagna  in  quell'epoca,  né  si  può 
dire  in  quale  misura  abbiano  potuto  contribuire  le  carte  della  Sardegna  nelle 
gravi  dispersioni  avvenute  per  tante  e  così  ripetute  cagioni.  Ciononpertanto, 
affine  di  poter  giudicare  rettamente  sull'utilità  di  una  mia  visita  in  quel- 
l'Archivio per  avere  completa  notizia  delle  carte  relative  ai  parlamenti  sardi 
e  nel  dubbio  che  queste  ed  altre  fossero  potute  rimaner  in  quel  grande 
Istituto  anche  dopo  lo  stralcio  fattone  nel  1&52,  mi  posi  in  relazione  col 
chiaro  suo  direttore  Don  Giuliano  Paz,  il  quale  colla  massima  cortesia  si 
compiacque  secondare  il  soddisfacimento  del  manifestatogli  mio  desiderio. 
Da  una  lunga  corrispondenza  con  lui  tenuta  debbo  dedurre  che  le  ricerche 
fatte  sull'oggetto  principale  delle  mie  indagini  furono  quasi  negative  poiché 
i  documenti  relativi  alle  nostre  congreghe,  non  abbracciano  gli  atti  (pro- 
cesos)    delle    Corti,   ma    si    riducono  a  pochi    pareri  del    Consiglio  di    Stato 

24 


LA  SARDEGNA  NEGLI  ARCHIVI  E  NELLE  BIBLIOTECHE  DELLA  SPAGNA        II3 


sopra  quesiti  sollevati  da  alcuni  Viceré  ch'ebbero  a  presiederle.  Giacciono 
invece  ancora  in  questo  archivio  le  pratiche  concernenti  l'Inquisizione  di 
Sardegna  dal  1541  al  1719  e  tra  queste  la  corrispondenza  passata  tra  il  tri- 
bunale inquisitoriale  di  Sassari  ed  il  Consiglio  supremo  dell'Istituto  (i). 

D'interesse  sardo,  per  altri  affari  di  governo  e  di  amministrazione,  ri- 
mane ben  poco  ed  ecco  in  qual  modo  i  documenti  mi  vennero  descritti  dal- 
l'egregio predetto  Direttore  : 

Legajo  2666.  —  Estado  —  Consulta  del  Consejo  d'Estado  de  ig  majo 
de  1642  sobre  las  proposiciones  de  Rafael  Maranjes  paraque  Don  Ramon 
Rubi  pasase  a  Cerdena  y  hiciese  gestiones  para  conservar  aquella  tierra 
en  poder  de  S.  M.  ; 

Consulta  del  Consejo  de  Estado  de  18  de  febrero  de  1642  en  que  se  cita 
otra  del  Consejo  de  Aragon  sobre  la  competencia  del  Obispo  de  Alguer  en 
Cerdefia  en  que  dice  el  Consejo  su  parecer. 

Legajo  2668.  —  Estado  —  Consulta  del  Consejo  de  Estado  de  24  de 
enero  de  1669  sobre  lo  que  escribia  el  Duque  de  Osuna  de  haber  entregado 
a  franceses  los  lugares  de  la  Cerdena  ; 

Consulta  del  Consejo  de  Estado  de  13  abril  de  1669  sobre  lo  que  escribe 
el  Duque  de  San  German  dando  cuenta  del  estado  en  que  estaban  las  cosas 
del  Reino  de  Cerdena  a  su  llegado  ; 

Consulta  del  Consejo  de  Estado  de  2  de  majo  de  1669  sobre  las  cartas 
del  Duque  de  San  German  y  el  ministre  que  vin  de  Napoles  a  Cerdefia. 

Legalo  2703.  —  Estado  —  Consulta  del  Consejo  de  Estado  de  2  octubre 
de  1678  sobre  lo  que  escribia  de  lo  sucedido  en  el  puerto  de  Palamos  con 
la  galeras  de  Cerdena. 

Oltre  a  queste  vi  si  trovano  altri  incartamenti  che  riguardano  la  Sar- 
degna quand'essa  avea  già  cessato  di  appartenere  alla  Spagna;  come: 

Legajo  5366.  —  Estado  —  Papeles  relativos  al  ajuste  de  artilleria  en  el 
Reino  de  Cerdefia.  Anos    1 720-1 725. 

Idem  5367  —  Testamèntos,  feudos  majores  y  fidecomisos  de  vassallos 
espagnolos  en  Cerdeiìa,  ano  1770. 

E  finalmente  sotto  la  rubrica  «  Negociacion  de  Roma  »  carte  relative 
all'assassinio  del  Viceré  Camarassa  (2). 

Mi  proponeva  di  fare  qualche  ricerca  nella  Biblioteca  Nazionale  di 
Madrid,  ma  poiché,  per  diverse  ragioni,  non  mi  fu  possibile  intraprenderla 
di  persona,  ne  feci  parola  al  sig'".  Conte  Caprara,  segretario  addetto  alla 
nostra  ambasciata  che  colla  maggiore  cortesia  accolse  premurosamente  il 
mio  invito.  Il  suo  buon  volere  non  fu  però  allietato  di  messe  copiosa  poiché 
egli,  con  sua  lettera  del  21  maggio  1904,  mi  assicurava  che  tra  le  poche 
carte,  che  si  trovano  in  quell'importante  stabilimento  e  che  interessano  la 
Sardegna,  ebbe  solo  a  notare  un  manoscritto,  datato  da  Cagliari  addi 
13  agosto  1484,  col  titolo:  «  Pragmatica  acerca  de  los  derechos  de  los 
magnates,  senores  y  barones  de  la  Isla  de  Cerdena  ».  Né  di  altro,  che 
meritasse  di  essere  notato,  mi  dava  contezza. 


(i)  Carini,  Gli  archivi  ecc..  Parte  I»,  fase.  Ili,  pag.  374-75. 

(2)  Carini,  Archivi  e  Biblioteche  ecc..  Parte  I»,  fase.  II,  pag.  326. 

25 

15  —  Mise,  S.  Ili,  T.  XIII. 


114 


FILIPPO  VIVANET 


Attinsi  dirette  notizie  air«  Accademia  de  la  Historia  »  parimenti  a  IVIadrid, 
ove  il  Carini  aveva  riscontrato  pochissimo  che  potesse  interessare  la  nostra 
Isola  e  dal  segretario  della  suUodata  Accademia  ebbi  assicurazione  categorica 
che  nulla  si  trova  in  quell'Archivio  che  cibbia  attinenza  colla  Sardegna  pen- 
dente la  dominazione  spagnola.  Il  celebre  processo  di  Sigismondo  Arquer, 
imputato  di  luteranismo  e  bruciato  nella  piazza  di  Toledo  il  4  giugno  1571, 
essendo  stato  tolto  dall'Archivio  centrale  di  Alcalà  di  Henares  ove  prima 
era  depositato,  come  asseriva  il  Lippi  (i),  venne  trasportato  all' «  Archivio 
Historico  Nacional  a  Madrid  »,  nel  quale,  precisamente  nella  Sezione  dei 
«  Papeles  de  estado  »,  di  cui,  per  cortesia  del  suo  chiaro  Direttore  Don  Vin- 
cenzo Vignau,  posso  dare  la  sicura  enumerazione,  trovansi  inoltre  i  seguenti 
documenti  : 

1"  Ano  1625.^ —  Consulta  del  Consejo  de  Estado  y  parecer  del  Conde 
de  Chinchón  sobre  la  conveniencia  de  poner  una  escuadra  de  Galeras  en 
dicho  reino  de  Cerdena,  Libro  737,  foglio  479; 

2°  1625.  —  Consulta  del  Consejo  de  Estado  sobre  la  conveniencia  de 
levantar  gente  naturai  para  la  defensa  de  dicho  reino,  y  de  que  su  Virrey 
tuviese  la  cifra  general  para  comunicarse  con  los  Ministros  fuera  de  Espana, 
libro  737,  foglio  506; 

3"  1625.  —  Consulta  del  Consejo  de  Estado  sobre  las  obras  de  defensa 
que  debian  hacerse  en  Cerdefia,  Mallorca,  jMenorca  e  Ibiza.  —  libro  737, 
foglio  519; 

4"  1640,  1660,  1666,  1680.  —  Titulo  de  Capitan  General  y  otros  papeles 
tocantes  a  este  virreinato  ;  cuentas  ;  relaciones  de  conventos  etc.  ; 

1647,   1708.  —  Consultas  del  Consejo; 

1660,  1661  —  RR.  DD.  dirigidos  al  virrey; 

1673-77.  —  Corrispondencia  del  Marques  de  Villagarcia  encargado  de 
negocios  en  Genova  con  los  Virreyes  de  Cerdena  ; 

1681.  —  Pretensiones  del  principe  di  Chimay  al  virreinato  de  Sicilia  (2). 

1701.  —  Sobre  las  galeras  que  iban  a  ]\Iahon  (3   ; 

lyoi.  —  Consultas  del  Consejo  de  Estado  sobre  los  forzados  Franceses 
en  las  galeras  de  Cerdefia  ; 

iyo4.  —  Sobre  lo  sucedido  con  el  capitan  de  la  Capitana  y  el  General 
de  las  galeras  ; 

1709.  —  Sobre  la  recuperacion  de  dicho  reino. 

Per  nulla  omettere  di  ciò  ch'è  venuto  a  mia  cognizione  devo  ancora 
trascrivere  il  titolo  di  due  documenti  i  soli  ch'esistano  nell'Archivio  Ge- 
neral centrai  di  Alcalà  di  Henares  (4),  uno  dei  quali  in  data  del  13  di- 
cembre 1618  si  riferisce  alla  «  provisione  de  200.000  ducados  (11  reales 
cada  ducado  =  2.200.000  reales)  para  el  Real  o  Nacional  servici©  en  Genova 


(i)  La  piccola  Rivista,  31    gennaio    1899.  —   Più   razionalmente    avrebbe   dovuto  trovarsi 
a  Simancas  ove  sono  le  carte  appartenenti  all'Inquisizione. 

(2)  Riproduco  dall'elenco  comunicatomi  questo  titolo,  ma  non  saprei  dire  quale  relazione 
questa  rubrica  possa  avere  colla  Sardet^na. 

(3)  Idem. 

(4)  «  A  qui  solamente  existen  dos  documentos  ».  Lettera  24  agosto  dell'egregio  suo  Diret- 
tore Don  Julio  Melgares  Marin. 

26 


LA  SARDEGNA  NEGLI  ARCHIVI  E  NELLE  BIBLIOTECHE  DELLA  SPAGNA      1 15 


y  Cerdena  »,  l'altro  in  data  del  29  giugno  1654,  riguardante  la  «  venta  de 
seis  almadrabas  (tonnare)  que  pertenecian  al  Rey  en  los  mares  de  Cerdeiìa 
por  precio  di  376,500  reales  ». 

Solo  a  grandi  linee,  come  poteva  essermi  consentito  dal  tempo  ristretto 
che  potei  fermarmi  in  Ispagna,  distratto  anche  in  gran  parte  dal  principale 
obbiettivo  cui  erano  rivolte  le  mie  ricerche,  cioè  i  Parlamenti  sardi,  ho  po- 
tuto tracciare  i  ricchi  depositi  esistenti  nei  numerosi  archivi  e  nelle  biblio- 
teche di  questo  grande  paese,  col  quale  abbiamo  avuto  tanto  tempo  d'in- 
teressi intrecciati  e  di  vita  comune.  Fui  uno  dei  pochi  sardi  che  entrarono 
nel  celebrato  Istituto  Barcellonese,  vera  e  nobile  illustrazione  della  metro- 
poli commerciale  spagnuola,  dopo  essere  trascorsi  circa  due  secoli  di  riunione, 
a  quella  parte  della  famiglia  latina  colla  quale  abbiamo  maggiori  attinenze 
di  sangue,  di  tradizioni,  di  storia. 

Com'è  dato  ai  pionieri,  a  coloro  che  per  i  primi  esplorano  regioni  sino 
ad  essi  sconosciute,  è  molto  se  possono  compiere  un  lavoro  di  orientamento 
ed  io  ho  dovuto  limitarmi  a  cercar  di  raggiungere  questo  scopo  modesto, 
restringendomi  ad  una  rapida  sintesi.  Xon  sarà  però  inutile  a  chi  viene 
dopo  di  me,  il  sapere  che  il  gran  serbato]  o  a  cui  bisogna  largamente  attin- 
gere a  vantaggio  della  nostra  storia  dai  primi  anni  del  secolo  XIV  al  primo 
ventennio  del  secolo  xviii,  è  l'Archivio  della  Corona  di  Aragona,  in  Bar- 
cellona «  la  fior  de  las  bellas  ciudades  del  mundo  ».  Ho  curato  per  ciò  di 
raccogliere  le  maggiori  indicazioni  sui  vasti  giacimenti  di  carte  che  riguar- 
dano la  nostra  Isola,  che  vi  si  trovano,  ed  è  là  che  dovrebbero  muovere  in 
intellettuale  pellegrinaggio  gli  studiosi  delle  nostre  vicende  svoltesi  tra  i 
due  termini  sopraindicati,  specialmente  se  persone  bene  informate  di  quanto, 
e  non  è  poco,  è  rimasto  in  Sardegna,  come  il  dott.  Silvio  Lippi  (i),  il  cav.  Enrico 
Costa  (2)  ed  il  dott.  Michele  Pinna  (3).  Nei  ponderosi  registri  di  Giacomo  II,  di 
Alfonso  il  Benigno,  di  Pietro  IV  e  dei  suoi  successori  si  troveranno  certamente 
le  ragioni  riposte  ed  ignorate  di  molti  avvenimenti  sia  preliminari  o  concomi- 
tanti della  conquista,  sia  relativi  al  suo  lento  e  faticoso  consolidamento.  Ed  una 
corsa  non  disagiosa  a  Madrid,  a  Simancas  poco  lontana  da  Valladolid,  potrà 
offrire  il  mezzo  di  sciogliere  molti  quesiti  storici  e  somministrare  il  bandolo  di 
molte  e  gravi  questioni  rimaste  sinora  poco  illustrate  od  anche  insolute.  Per 
certa  scienza,  che  mi  viene  dalla  personale  esperienza,  posso  assicurare  i  miei 
conterranei,  che  volessero  tentare  il  cimento,  ch'essi  riceveranno  da  un  uomo 
di  singolare  dottrina  e  di  idee  larghe  come  Don  Francisco  de  Bofarull  e 
dai  suoi  collaboratori,  tra  i  quali  mi  è  caro  ricordare  Don  Andrea  Germenez 
y  Soler,  la  più  festosa  e  benevola  accoglienza,  e  che  essi  si  troveranno  cir- 
condati da  un  ambiente  simpatico,  che  rende  gradito  e  fruttuoso  il  lavoro. 
Posso  dire  lo  stesso  degli    altri    maggiori    centri    archivistici  come  Madrid, 


(i)  S.  Lippi  :  L'Archivio  Comunale  di  Cagliari,  tip.  Valdés,  1897;  Inventario  del  Regio 
Archivio  di  Stato  di  Cagliari  e  notizie  degli  archivi  comunali^  vescovili  e  capitolari  della 
Sardegna,  tip.  Valdès,  1902. 

(2)  E.  Costa  :  Archivio  del  Comune  di  Sassari,  tip.  Dessi,  1902. 
•     (3)  M.  Pinna  :  L' Archivio  Comunale  d'Iglesias,  tip.  Dessi,  1898  ;  V Archivio  del  Duomo 
di  Cagliari,  tip.  Dessi,  1889;  Indice  dei  documenti  cagliaritani  del  R.  Archivio  di  Stato  dal 
1323  al  1720,  tip.  Meloni  e  Àitelli,  1903. 

27 


Il6  FILIPPO   VIVANET   -   LA  SARDEGNA  NEGLI  ARCHIVI,   ECC. 

Simancas,  Alcalà  d'Henares  poiché,  se  la  storia  ci  ha  separato,  resta  sempre 
viva  la  tradizione  del  lungo  contatto  esistito  tra  la  Sardegna  e  la  Penisola 
iberica,  rimane  latente  quello  che  io  chiamerei  il  lievito  della  storia,  la  cui 
forza  non  si  distrugge  col  tempo,  e  le  grandi  analogie  di  affinità  etniche,  di 
costumi,  di  linguaggio,  di  ricordi  locali,  che  ancora  sopravvivono,  generano 
una  corrente  di  naturale  simpatia  che  si  comunica  a  tutti  i  rapporti  sociali 
ed  alle  idealità  create  e  diffuse  dal  culto  delle  lettere  e  degli  studi.  Egli  è 
perciò  che  io  chiudo  questa  breve  monografia  col  manifestare  l'intenso  de- 
siderio che  provo  che  tra  la  Spagna  e  la  Sardegna,  come  membri  della 
stessa  famiglia,  si  possano  stabilire  diretti  e  periodici  rapporti  di  uffici  e 
di  traffici,  i  quali,  non  attossicati  come  una  volta  dal  veleno  delle  premi- 
nenze politiche,  portano  con  se  quella  dolce  effusione  di  affetto  cordiale  e 
sincero  che  è  il  sentimento  più  nobile  ed  elevato  del  cuore  umano.  E  nel 
chiudere  questo  breve  lavoro  prendo  occasione  per  ringraziare  tutti  coloro 
che  mi  resero  più  facile  il  compito  che  mi  era  proposto,  mandando  dal 
cuore  l'augurio  che  questo  nobile  paese,  ora  decaduto  dal  suo  antico  splen- 
dore, possa  riguadagnare  quella  grandezza  a  cui  gli  dà  diritto  il  suo  passato 
e  la  mai  smentita  virtù  dei  suoi  figli  ! 


28 


GIACINTO    GAGGIA 


COMMEMORAZIONE 


Moiis.  LUIGI  FÉ  D'OSTIANI 


'V  Y  V  VV  Vv  w  V  v~w~w~y~W  V~v  vyyvvvvvvvvvyyvvvvvvvyvVyvvvvvv  yvvvvvvv" 


LUIGI    FÉ    DOSTIANI 


Mons.  Luigi  Fé'  d'Ostìani  nacque  in  Brescia  il  20  ottobre  1829  dal  conte 
Giulio  e  contessa  Paolina  Fenaroli. 

Terminati  in  patria  i  corsi  secondari,  passò  a  Padova  allo  studio  delle 
leggi,  dove  nel  1852  consegui  la  laurea  in  diritto  canonico  e  civile.  Lo  stesso 
anno,  vestito  l'abito  ecclesiastico,  incominciò  gli  studi  teologici  nel  Seminario 
di  Brescia,  e,  nel  1855,  venne  ordinato  sacerdote.  Gli  studi  giuridici  e  teo- 
logici non  lo  distolsero  però  mai  dalla  storia,  alla  quale,  in  particolar  modo, 
si  sentiva  portato,  ed  il  primo  suo  scritto  sul  celebre  bravo  Giorgio  Vicario 
uscì  appunto,  a  Trieste,  nel  1855.  Recatosi  indi  a  Roma,  dove  fino  agli  ul- 
timi anni  usò  fermarsi  alcun  mese  d'inverno  e  per  ragion  di  salute  e  per 
attendere  alla  pratica  del  diritto  canonico  nelle  S.  Congregazioni  romane, 
quivi  divideva  il  suo  tempo  fra  queste  e  gli  archivi,  onde  ebbe  conoscenza 
coi  principali  archivisti  romani,  che  poi  l'aiutarono  nelle  sue  ricerche,  sempre 
volte  ad  illustrare  la  storia  bresciana. 

Il  Vescovo  di  allora,  mons.  Verzeri,  che  assai  stimava  la  dottrina  ca- 
nonica di  lui,  lo  chiamò  a  prestare  l'opera  in  curia,  e  ciò  gli  fu  bella  occa- 
sione per  leggere  attentamente  le  pergamene  e  le  carte  antiche,  che  vi  si 
trovano,  pigliando  nota  d'ognuna  che  facesse  al  suo  scopo.  E  con  questi 
documenti  studiò  quant'altri  si  conservano  nella  Biblioteca  comunale  o  giac- 
ciono in  archivi,  principalmente  privati,  come  men  conosciuti,  e  così  seppe 
rischiarare  alcuni  punti  della  storia  bresciana,  con  diligenza  pari  all'amore, 
che  ei  nutriva  per  la  sua  città  e  provincia. 

Xè  i  gravi  offici  di  parroco  dell'insigne  Prepositura  di  S.  Nazaro,  a  cui 
venne  eletto  nel  1873,  lo  distolsero  da  tali  ricerche,  che  rimasero,  fino  all'ul- 
timo, il  suo  sollievo,  e,  forse,  l'unico  spasso,  che  ei  si  concedeva;  onde, 
anche  durante  la  nuova  carica,  non  mancò  di  dare  al  pubblico  vari  opuscoli 
e  memorie,  che  gli  meritarono  bella  fama  di  studioso  e  paziente  indagatore. 
La  stessa  morte,  che  lo  colse  ai  3  febbraio  1907,  lo  trovò,  mentre  stava 
3 


I20  G.   GAGGIA 

stampando  un  suo  scritto,  già  da  tempo  abbozzato,  sulla  storia    dell'  ultimo 
anno  della  dominazione  di  Venezia  in  Brescia  (1796). 

Sarà  cosa  certamente  gradita  ad  ognuno,  che  si  piaccia  della  storia  di 
quell'epoca  torbida  e  famosa,  il  sapere  come  la  munifica  erede  del  com- 
pianto Prevosto,  la  nobile  contessa  Paolina  de  Montholon-Fe'  d'Ostiani  ,  in 
degna  maniera  onorando  sé  e  l'illustre  estinto,  ha  disposto  che  la  stampa 
dell'opera  venga  recata  a  compimento. 

G.  Gaggia. 


BIBLIOGRAFIA   DI   LUIGI   FÉ   D'OSTIANI  121 


BIBLIOGRAFIA 


Mons.   LUIGI    FÉ   D'OSTIANI 


1.  Giorgio    Vicario   -  Frammento   di  racconti  storici.   Trieste,    Lloyd,    1855, 

p.  16  in-8. 

2.  Il  Comune  e  la  Parrocchia  di  Provezze.    Brescia ,    tip.    del    Pio    Istituto, 

1859,  in-8. 

3.  //  P.  Francesco  Sanson  e  la  Chiesa  di  S.  Francesco  in  Brescia.  Ivi,  1867, 

p.  18  in-8  gr. 

4.  Altobello  Aver  oidi  vescovo  di  Pota  e  la  Chiesa  dei  SS.  Nazaro  e  Celso  in 

Brescia.  Ivi,  1868,  p.   16  in-8. 

5.  Bartolomeo  Averoldi  zdtimo  abbate  di  Leno  e  arcivescovo  di  Spoleto.   Ivi, 

1869,  p.  II  in-8. 

6.  Brevi  cenni  della  vita  e   degli  scritti  di  alcuni  sacerdoti  bresciani.    Ivi, 

1869,  p.  18. 

7.  Brevi  notizie  storiche  sui  Canonici  Teologi  di  Brescia.  Ivi,  1870. 

8.  Brevi  cenni   sui   Penitetizieri  inag glori   della    città    e    diocesi  bresciana. 

Ivi,  1871. 

9.  //  vescovo  Domenico  Bollani.  Brescia,  Istituto    Pavoni,    1875,  p.   viii-206 

in-8. 

10.  //  S.  P.  Pio  VII  in  Venezia  ;  Lettere  inedite  del  conte  Ferrante  Avogadro 

illustrate.  Brescia,  tip.  Bersi,  1877,  in-8. 

11.  I  proverbi  0  modi  di  dire  storici  bresciani.  Ivi,  1878,  p.  15  e  13  in-i6. 

12.  Della  supposta  scoperta  di  una  pergaiìiena  intorno  ad  Arnaldo  da  Brescia. 

Ivi,  1882. 

13.  Della  fabbricazione   delle   armi  bianche   in    Brescia;    da  wi  codice  della 

Queriniatia.  Ivi,  1882,  in-8. 

5 

16  —  Mise,  S.  Ili,  T.  XIII. 


122  G.   GAGGIA   -   BIBLIOGRAFIA   DI   LUIGI   FÉ  D'OSTIANI 

14.  Muzio  Calini,  arcivescovo  di  Zara,  ed  i  Bresciani  al  Concilio  di  Tre?ito  ; 

C071  due  appendici  in  Archivio  vctieto,  1882. 

15.  //  Coìuune  e  V Abbazia  di  Rodcngo:  Memoria  storica  ilhistrata  con  disegni 

del  prof .  E.  Madoni.  Brescia,  tip.  Vescovile,  1886,  p.  141  in-8. 

16.  //  Santuario  e  la  Chiesa  delle  Grazie  Ì7t  Brescia,  1886. 

17.  Delle  illustri  famiglie  bresciane  recentemente  estinte.  Brescia,  tip.  Queri- 

niana,  1890,  p.  79  in- 16. 

18.  /  co7iti  rurali  bresciani  nel  medio  evo.  In  Ardi,  storico    lombardo  ,    1890. 

19.  La  Chiesa  e  la  Confraternita  bresciana  in  Roma.  Brescia,  1890. 

20.  Diario    di  Brescia    (io    maggio   1796;  25    marzo    1797)    in    Archivio    ve- 

neto, 1892. 

21.  La  Pieve  di  Bornato  e  i  stioi  Arcipreti.  Brescia,  tip.  Savoldi,  1892,  in-8. 

22.  Descrizione  della  vecchia  Pieve  di  Bedizzole.  Brescia,  in- 12. 

2^.  Indice  cronologico  dei   Vicari  vescovili  e   capitolari  di  Brescia.    Brescia, 
tip.  Qiieriniana,  1900,  p.  72  in-4. 

24.  Elenco  storico  dei  viventi  patrizi  bresciani  e  loro  ascendenze  fino  al  1796. 

Brescia,  tip.  Centrale,  1902,  p.  viii-97  in-8. 

25.  Storia,  tradizione  ed  arte  nelle  vie  di  Brescia.  Tip.  Queriniana,  1895- 1903, 

pp.  70-49-41-70-53-73-63-45-74.  Fascicoli  9  in-i6. 

26.  FÉ  d'Ostiani  e  Bettoni-Cazzago.  Liber  Potheris  civitatis  Brixiae  (Monu- 

menta Historiac  Patriae,  voi.  XIX). 

27.  Commemorazione  del  conte  F.  Bettoni-Cazzago  ;  in  Miscellatica  di  Storia 

italiana,  1901. 

28.  Brescia  nel  1796  (sotto  stampa). 

29.  Sermone  inedito  di  Albertano  giudice  di  Brescia.  Brescia,  Istituto  Pavoni, 

1874,  p.  70  in-8. 

30.  Di  un  codice  Laudario  Bresciano-  Vaticano  trascritto  ed  annotato.  Brescia, 

tip.  Queriniana,   1S93,  p.  viii-64  in-4. 

Oltre  a  questi,  pubblicò  vari  brevi  scritti,  che  non  credo  qui  di  dovere 
enumerare,  perchè  non  sono  di  argomento  storico. 


DIEGO  SANT'AMBROGIO 


ORIGINE  E  NOTIZIE  DIVERSE 


INTORNO   AL 


PRIORATO  CLUNIACENSE 


S.  PIETRO  DI  CASTELLETTO 


IN 


PROVINCIA  DI  VERCELLI 


/ 


V   V  V  VV  V"V"V\'  Y  7  y  V   V   V   V   V~^   V   V  V  W^^^  VVVYVVVVVYVVYYVVVVVVVVYYVVVVYVVV 


Benché  d'una  chiesa  ed  annessovi  monastero  dal  titolo  della  Vergine 
Maria ,  riferisca  il  Casalis  nella  sua  descrizione  di  Castelletto  al  Cervo,  a 
9  miglia  ad  ostro  di  Vercelli,  ove  il  torrente  Avostola  sbocca  nel  fiume 
Cervo,  poche  e  remote  notizie  dei  primordii  di  quella  religiosa  istituzione  si 
possedevano  fin  qui  in  Vercelli  stesso. 

Sapevasi  che  il  borgo  aveva  in  passato  il  nome  celtico  di  Oliate  od 
Oliade,  e  che  veniva  esso  confermato,  in  un  diploma  dell'imperatore  Ottone  HI 
del  999,  fra  i  possessi  di  spettanza  del  Vescovo  di  Vercelli,  colla  frase  te- 
stuale: «  Co7ifirniamus  Sanctam  Mariani  Aloliade,  quae  dicitur  Mo7iasterioluni 
«  cum  suis  pertinentiis  ». 

Più  innanzi,  nel  1014,  convalidandosi  dall'imperatore  Enrico  II  i  diritti 
del  Vescovo  precitato  sulle  terre  deferite  nella  giurisdizione  e  nel  possesso 
suo,  si  citava  di  nuovo  fra  essi  il  Alonasteriuni  de  Coliade  e  in  altro  capo- 
verso «  totani  abbatiam  de  Coliade  cum  castello  Grignasco  ecc.  » 

Nulla  è  detto  in  quei  diplomi  circa  l'ordine  religioso  cui  spettava  quel 
cenobio,  e  il  Casalis  mette  innanzi  che  fosse  dei  Cluniacensi,  ma  sulle  ge- 
nerali affatto  e  senza  citare  al  riguardo  veruna  fonte  storica. 

Per  quel  che  concerne  sì  vetusto  convento,  il  quale  risale  alla  seconda 
metà  del  X  secolo,  è  presumibile  intanto  che  cogli  avvenimenti  politici  e 
religiosi  svoltisi  in  Piemonte  colla  nomina  a  re  d'Italia  di  Arduino  d'Ivrea 
nei  primi  anni  dell'XI  e  colla  istituzione  a  poca  distanza  da  quel  borgo  nel 
1003  della  celebre  Abbazia  di  San  Benigno,  che  assunse  il  nome  di  Frut- 
tuaria,  siasi  quella  monastica  famiglia  aggregata  a  quella  del  chiostro  an- 
zidetto, adottando  le  regole  benedettine  in  esso  introdotte  ma  con  spiccata 
tendenza  alla  riforma  cluniacense ,  e  diretta  dipendenza  anzi  dalla  Casa 
madre  di  Cluny. 

Da  un  documento  infatti  testé  venuto  in  luce  colle  carte  di  Cluny,  pub- 
blicate ultimamente  dal  Governo  francese  (i),  Taffìliazione  sua  a  quell'ordine 
risulta  indubitata  e  parrebbe  anzi  che  il  cenobio  di  Castelletto  al  Cervo,  dal 
titolo  di  Santa  Maria,  già  accennasse  verso  la  fine  dell'  xi  secolo  a  certa 
decadenza  di  regola  e  di  costumi,  inquantochè  da  una  lettera  di  un  Oberto, 
conte  del  Canavese,  e  di  un  Ardizzino,  castellano  di  Castelletto,  risulta  che 

(r)  L'opera,  in  6  volumi,  editi  dal  1888  al  1903,  è  intitolata  :  Recueil  des  chartes  de  V Ab- 
baye  de  Cluny ,  forine  par  Anguste  Bernard,  complete,  revisé  et  publié  par  Alexandre  Bruel. 
Paris,  Imprimerie  Nationale. 


126  DIEGO  SANT'AMBROGIO 


si  rivolgono  i  medesimi  all'Abate  degli  Abati  in  Cluny  perchè  abbia  a  por 
rimedio  alla  discordia  crescente  in  quel  monastero  e  ai  disordini  che  ne 
nascevano  in  luogo. 

In  tale  reclamo  che  i  ricorrenti  indirizzano  all'  Abate  di  Cluny  ,  desi- 
gnandolo non  come  fiaccola  sotto  il  moggio,  ma  quale  faro  lucente  su  elevato 
candelabro,  espongono  essi  che  la  discordia  nel  chiostro  vi  crebbe  al  punto 
da  farvi  nascere  omicidii  e  delitti  efferati,  sì  che  ne  sentì  gravi  cose  al  ri- 
guardo frate  Engezo  allorché  venne  col  pontefice  nel  Vercellese. 

Si  accenna  inoltre  al  terrore  che  si  sparse  d'ogni  intorno,  al  punto  da 
essere  il  monastero  schivato  da  tutti  e  considerato  come  un  mostro  ,  chie- 
dendosi che,  a  por  rimedio  a  tanto  disordine,  venisse  preposto  a  quell'ospizio 
frate  Garnerio  insediato  allora  a  Vertemate  e  cui  erano  noti  i  fedeli  e  gli 
amici  e  i  negozi  tutti  della  casa  monastica  di  Castelletto. 

E,  benché  non  si  conosca  la  risposta  data  al  riguardo  dall'  Abate  di 
Cluny  che  era  a  quella  data  del  1070,  San  Majolo,  venuto  più  volte  perso- 
nalmente in  Italia,  fa  duopo  credere  che  un  fondo  di  vero  vi  fosse  in  quella 
recriminazione  del  conte  Oberto  e  del  castellano  Ardizzino,  di  cui  offriamo 
anzi,  qui  appresso,  la  testuale  trascrizione. 


3430. 

Littcrac  Ohe r ti,   Comitis  Cancvcsani,  et  Ardicionis,   Castellani   de    Castelletto, 

Abbati  de  Clugnedo  {Cluiiiacó)  dircctae,  de   discordia    in    cella    Castelletti 

crescente. 

1070  circa. 

(Bibl.  nat.  cop,  25-86). 

Venerabili  patri  ac  domno  et  in  ecclexia  per  Dei  misericordiam,  non  sub 
modio  lumini,  sed  super  candelabrum  posito  abati  de  Clugnedo  ,  Obertus, 
Comes  Canevesanus,  et  Ardicio,  castellanus  de  Castelletto,  salutem  et  de- 
bitam  per  omnia  reverenciam. 

Quoniam,  sicut  ait  apostolus,  dominis  ac  dominorum  causis  in  omni  ti- 
more subici  et  eas  procurare  debemus,  contrarium  vel  id  non  observare 
facere  non  audemus.  Notum  sit  igitur  vestrae  paternitati;  ob  prioris  sevi- 
ciam  in  cella  Castelleti  tantam  discordiam  crevisse  quod  etiam  omicidia  apud 
eundem  fieri  vilescat,  et  in  ejusdem  manibus  plures  conversos  vulneratos  et 
alia  flagitiosa  facinora  patrari  ab  eo  vilipendatur;  nam  quod  memorem  jusiu- 
randum  quo  omnes  monachos  laicorum  more  sibi  subjectum  est,  quod  Enggezo 
frater  qui,  cum  domnus  papa  esset  in  ndstris  partibus,  illuc  venit  satis 
audivit. 

Quae  res  homines  nostrae  provinciae  ita  terret,  ut  domum  et  fratres 
omnino  vitent,  et  quasi  monstrum  procul  dubio  aborretur,  vestram  itaque 
benignitatem  humiliter  deposcimus,  pater  carissime,  ut  supradictae  domus 
fratrum  misereamini,  qui  suum  conscilium  vobis,  ut  alio  tempore,  in  presenti 
aperire  non  sunt  obliti. 

Aje  nunc,  inutilis  personae  sarcinam  removete  et  eidem  hospicio  Gar- 
nerium  fratrem,  quem  priorem  cellae  quae  dicitur  a  Vertemate  constituistis, 
cui  fideles  et  amici  et  negocia  domus  bene  sunt  nota,  si  placet,  admovere 
deprecamur.  Sin  autem,  hac  et  alia  vestrae  probitati,  inquiunt,  nosque  om- 
nino modo  subjectos  committimus  et  prò  posse  nostro  equidem  equo  animo 
toleramus.  Salvete. 

6 


PRIORATO   CLUNIACENSE  DI   S.   PIETRO  DI  CASTELLETTO  127 


In  ogni  modo,  e  presumibilmente  in  seguito  a  quella  protesta  dimo- 
strante l'impellente  necessità  di  riforma  di  quell'originario  convento  di  Santa 
Maria  de  Moliade  in  Castelletto,  sappiamo  che  provvedimenti  radicali  vi 
devono  essere  stati  adottati,  sì  da  istituirvisi  più  tardi  una  vera  e  normale 
casa  ed  obbedienza  dell'Ordine  col  titolo  di  priorato. 

Che  la  Congregazione  benedettina  di  San  Pietro  di  Cluny  possedesse 
infatti  un  priorato  nel  xiv  secolo  in  Castelletto,  appar  comprovato  dalla 
menzione  che  viene  fatta  di  esso  nel  catalogo  delle  case  dell'Ordine  secondo 
la  definizione  o  il  Concilio  generale  del  1367  nei  termini  seguenti: 

«  Prioratus  Sancti  Petri  de  Castelletto,  Vercellensis  diocesis,  ubi  debent 
esse,  Priore  computato,  secundum  definitionem  anni  1367,  septem  monachi, 
quamvis  reperiatur  quod  antiquitus  numerus  erat  de  octo  monachis  >. 

Resterebbe  ora  a  giudicarsi  se,  stante  la  differenza  di  titolo  fra  il  mo- 
nasteriolo  del  X  secolo,  dedicato  a  Santa  Maria,  e  il  priorato  di  San  Pietro 
in  Castelletto  del  1127,  si  trattasse  di  due  separate  istituzioni,  benché  baste- 
rebbe, a  dir  vero,  a  risolvere  la  questione  nel  senso  di  una  sola,  il  fatto  di 
essere  entrambi  pertinenti  all'  egual  Ordine  di  Cluny  ;  —  ma,  una  maggior 
conferma  al  riguardo  l'offre  l'istrumento  stesso  di  fondazione  di  detto  prio- 
rato, o  meglio  l'originario  atto  di  donazione  in  data  del  21  novembre  1127 
con  cui  un  marchese  Oberto,  avente  lo  stesso  nome  del  conte  Oberto  del  1070 
e  figlio  suo  ma  col  mutato  titolo  di  marchese,  offre  insieme  alla  moglie 
Berta  e  ad  altri  ai  monaci  cluniacensi  ed  a  Stefano  priore  di  Castelletto,  i  beni 
loro  in  fondo  di  Occimiano. 

In  tale  stipulazione  dell'anno  1127,  gli  offerenti  precitati  che  dichiarano 
di  vivere  secondo  la  legge  salica,  le  cui  disposizioni,  per  diploma  dato  a 
Roncaglia  dall'imperatore  Lotario  nel  11 36,  dovevano  poi  venire  a  cessare 
nove  anni  dopo  la  data  suindicata,  premesso  il  movente  della  donazione  che 
è  quello  di  acquistarsi  il  regno  dei  cieli  e  di  giovare  all'anima  loro,  cedono 
gli  appezzamenti  specificatamente  indicati  colle  relative  misure  di  terreno  e 
di  bosco  nel  territorio  di  Occimiano,  ed  in  Pomaro,  San  Salvatore  ,  Lugo, 
Cacciago  ed  altri  luoghi,  nonché  i  rispettivi  loro  diritti  di  decima. 

É  detto  nell'atto  che  Stefano,  priore  di  Castelletto,  fu  il  ricevitore  da 
parte  del  monastero  di  Cluny  in  Francia,  con  che  il  prefato  priore  sia  il 
fautore  ed  operatore  ad  liaedificandum  et  coviponenduvi,  relativamente  alla 
pezza  di  terra  di  compendio  del  monastero  della  Santa  ]\Iadre  di  Dio  e  Ver- 
gine Maria  e  di  San  Pietro  ed  a  santificazione  ed  onore  di  Santa  Croce,  e 
che  ivi  abbia  egli  a  mandarvi  monaci  e  rettori  colla  maggior  possibile  dili- 
genza, ripetendosi  col  formulario  solito  le  maggiori  assicurazioni  per  la  piena 
osservanza  della  pattuita  cessione,  e  ciò  allo  scopo  di  escludere  ogni  e 
qualsiasi  possibilità  di  opposizioni  fino  all'impegno  di  offrire  poi  il  doppio 
dei  beni  offerti,  ove  {qicod  ahsit  !),  come  dice  il  testo,  ciò  si  verificasse,  nò 
fossero  gli  offerenti  in  grado  di  difendere  quanto  fu  da  essi  stabilito. 
7 


128  DIEGO   SANT'AMBROGIO 


L'atto  è  rogato  dal  notaio  e  giudice  Ottone  e  controfirmato,  nel  castello 
stesso  di  Occimiano,  dai  donatori  e  dai  figli  loro,  nonché  da  diversi  militi  e 
vassalli  del  marchese  Oberto. 

Ora,  risultando  da  quest'atto  che  il  priorato,  detto  semplicemente  di 
San  Pietro  di  Castelletto  vercellese,  nel  Catalogo  del  Marrier  del  1367,  aveva 
in  realtà  la  Chiesa  e  annessovi  monastero  dedicati  alla  Vergine  Madre  Maria 
in  prima  linea  e  poscia  a  San  Pietro  ed  anche  alla  Santa  Croce,  fa  d'uopo 
arguire  che  si  trattasse  per  entrambi  di  una  stessa  istituzione,  il  cui  titolo 
si  semplificò  posteriormente  ma  conservò  per  altro  la  primitiva  dedica  a 
Santa  Maria. 

Solo,  l'entità  per  sé  della  donazione  del  marchese  Oberto  e  della  di  lui 
moglie  Berta  con  altri,  e  la  circostanza  che  in  quel  largo  atto  di  cessione 
di  territorio  è  fatto  cenno  che  il  ricevitore  di  essa,  per  conto  del  monastero 
di  Cluny,  Stefano  priore  di  Castelletto,  vien  nominato  quale  adiutor  et  ope- 
rator  ad  haedificandiun  et  compone7idum^  lasciano  con  questa  frase  agio  a 
ritenere  che  un  vero  e  proprio  priorato  dell'Ordine  Cluniacense  in  Castel- 
letto Cervo  non  sia  sorto  che  con  quella  stipulazione  del  21  novembre  1127. 

Una  tal  supposizione  viene  ad  essere  per  sé  convalidata,  in  modo  da 
non  lasciar  dubbi,  col  diploma,  di  una  data  fra  gli  anni  dal  1333  al  1337, 
con  cui  Lotario  II,  che  prendeva  il  titolo  di  Lotario  III,  apparentemente  in 
causa  di  Lotario,  figlio  di  Ugo  di  Provenza  (Art  de  vérifier  les  dates,  tomo  II, 
pag.  20),  conferma  alla  chiesa  di  Castelletto  nell'Episcopato  vercellese  i  beni 
che  possedeva  a  quella  data  e  che  potesse  il  monastero  acquistare  in  av- 
venire. 

Il  diploma  viene  rilasciato  dietro  istanza  del  venerabile  fratello  e  priore 
del  monastero  degli  Apostoli  Pietro  e  Paolo,  di  nome  Pietro  ,  affinché  il 
possente  imperatore  prenda  quel  convento  sotto  la  sua  protezione,  citandosi 
a  tal  riguardo  quanto  aveva  già  fatto  all'uopo  l'antecessore  suo,  di  divina 
memoria,  Enrico  imperatore,  con  manifesta  allusione  alla  precedente  casa 
monastica  di  Santa  Maria  di  Oliade. 

Si  diffida  pertanto  con  quel  diploma  che  non  possa  verun  vescovo, 
duca  ,  marchese,  conte,  visconte,  gastaldo,  sculdassiiis  o  rettore,  e  nessuna 
persona,  importante  o  meno,  del  regno,  molestare  i  possessi  del  cenobio  di 
S.  Pietro  in  modo  qualsiasi,  rilasciandosi  ad  esso,  in  premio  di  futura  rimu- 
nerazione celeste,  fino  i  diritti  fissati  affinché  maggiori  riescano  i  proventi 
per  l'elemosina  ai  poveri  e  l'assistenza  ai  monaci. 

Vien  stabilito,  parimente,  che  in  caso  di  contestazione  abbiano  a  giudi- 
care equamente  non  i  più  umili,  ma  ^li  uomini  più  nobili  e  maggiormente 
degni  di  fede,  pattuendosi  una  multa  di  quaranta  libbre  d'oro  da  pagarsi 
per  metà  alla  Camera  imperiale,  e  per  metà  al  cenobio  di  Castelletto  ,  per 
chiunque  avesse  a  violare  quelle  prescrizioni. 

L'atto  porta  il  sigillo  dell'imperatore  ed  è  convalidato  dal  Sotto  Can- 
celliere Ekkeardo,  in  luogo  di  l>runone. 

A  maggior  schiarimento  e  per  norma  degli  studiosi,  pubblichiamo  anzi 
qui  di  seguito  entrambi  tali  atti,  quali  risultano  inscritti  negli  Annali  precitati 
di  Cluny.  Del  primo  di  essi,  l'apografo,  già  in  possesso  del  Sig.  Augusto 
Bernard  ed  ora  nella  Biblioteca  nazionale  di  Parigi,  ha  l'apparenza  di  una 

8 


PRIORATO   CLUNI ACENSE  DI   S.   PIETRO  DI   CASTELLETTO  129 

copia  in  pergamena  della  fine  del  xii  secolo,  eseguita  assai  probabilmente 
in  Francia,  valendosi  dell'originale  scomparso.  Tale  documento  contiene 
parecchie  correzioni,  ma  sulla  sua  autenticità  non  si  ha  ragione  di  accam- 
pare dubbi. 

Nel  diploma,  premesso  quanto  già  fu  osservato  circa  la  citazione  ri- 
sguardante  l'imperatore  Lotario,  par  superfluo  riferire  che  il  predecessore  di 
quest'ultimo,  menzionato  quale  tutore  del  monastero  di  Castelletto  nel  xii  se- 
colo, è  l'imperatore  Enrico  V  (1106-1125). 


9 

17  —  Mise,  S.  Ili,  T.  XIII. 


130  DIEGO  SANT'AMBROGIO 


DOCUMENTI 


3396. 

CJiarta  qtia  Ohcrfus,  marchio,  et  Berta,  uxor  ejus,  et  alii  dant  monachis  clu- 
niacensibtis  et  Stephano ,  Priori  de  Castelletto,  res  sztas  in  fnndo  Oci- 
miani,  ecc. 

1127,  21   novembre. 

(Bibl.  nat.  fonds  lat.  nouv.  acqu.  1674,  n.  4). 

Anno  ab  incarnatione  Domini  nostri  Jesu  Christi  millesimo  centesimo 
vigesimo  septimo,  undecimo  Kalendas  Decembris,  indici©  sexta.  Monasterio 
Sancti  Petri,  quod  est  situm  et  constructum  in  loco  Cluneti,  nos  ,  Obertus 
marchio,  filius  cuiusdam  item  Oberti,  et  Berta,  quae  et  Adaelasia  jugalis,  filia 
cujusdam  Darnadi,  et  Wilielmus  atque  Aledran  et  Bernardus  ,  Riprandus 
et  Obertus,  pater  et  filii,  qui  et  quae  professi  sumus  ex  natione  nostra  lege 
vivere  salica,  ipso  namque  jugale  et  genitori  nostro  nobis  consentiente  et 
subter  confìrmante,  offertor  et  donatores,  offertrix  et  donatrix  praedicto 
monasterio,  presentes  presentibus  diximus:  quisquis  in  sanctis  ac  venera- 
bilibus  locis  ex  suis  aliquid  contulerit  rebus,  juxta  Auctoris  vocem,  in  hoc 
saeculo  centum  accipiet,  et  insuper,  quod  melius  est,  vitam  possidebit  ae- 
ternam. 

Ideoque  nos  qui  supra  jugales,  simul  cum  filiis  nostris,  donamus  et  ce- 
dimus  atque  offersionem  facimus  a  praescnti  die  in  eodem  monasterio  prò 
animarum  nostrarum  atque  gcnitorum  nostrorum  mercede,  Hii  sunt  de  no- 
stris juris  rebus  et  portioniÌDus  in  loco  et  fundo  Ocimiani ,  pecia  una  de 
sedimine  ,  per  mensuram  juxtam  jugera  tres  et  perticae  iugales  quattuor, 
atque  pecia  una  de  bosco  cum  areis  suarum  juris  nostri  insimul  tenente 
quod  esse  videtur  jugera  dccem  et  octo  et  perticae  jugales  octo,  et  jacet  a 
loco  qui  nominatur  Moneta  usque  in  Tuniscina  et  usque  in  Paludo. 

Item  in  eodem  loco  Ocimiani  similiter  de  nostris  rebus  juris  inter  vites 
et  prata  atque  terra  aratoria ,  per  mensuram  justam  jugera  tredccim  et 
perticae  jugales  quattuor,  quod  est  super  totum  media  centum.  Insuper 
donamus  atque  cedimus  in  praedicto  monasterio  totani  illam  decimam,  sci- 
licet  de  omnibus  fructibus  illis,  quibus  ex  nostris  justis  laboribus  sine  con- 
tradicione  dare  potuerimus  in  Ocimiano  et  in  Pomaro,  atque  in  Sancto  Sal- 
vatore, si  ve  in  Lugo,  vcl  in  Conciago,  et  in  omnibus  aliis  nostris  locis  de 
nonis  partibus,  item  decimam  dare  omnia  in  intcgrum. 

IO 


PRIORATO  CLUNIACENSE  DI   S.   PIETRO  DI  CASTELLETTO  131 


In  hac  donatione  et  offersione  domnus  Stephanus,  prior  de  Castellilo, 
receptor  fuit  a  parte  praedicti  monasterii,  eo  videlicet  ordine  ut  supradicta 
pecia  de  sedimine  monasterium  Sanctae  Dei  genitricis  virginis  Mariae  atque 
Sanati  Petri  seu  et  sanctae  Crucis,  in  sanctifìcatione  et  honore  ipse  prior 
Stephanus  adjutor  et  operator  ad  haedificandum  et  componcndum  fieri  debet; 
et  ibi  monachos  et  rectores  mittere  debet,  ita  ut  diligcnter  ut  quantum  po- 
tuerit  exerceatur.  Quam  autem  super  ista  pecia  de  sedimine  et  de  bosco 
insimul  tenente,  atque  de  vitibus  sive  de  pratis  seu  et  de  terris  arabilibus, 
simul  cum  praedictis  decimis  et  omnibus  rebus  juris  nostri  superius  dictis, 
una  cum  accessionibus  et  ingressibus,  seu  cum  superioribus  et  inferioribus 
earum  rerum,  qualiter  superius  legitur,  in  integrum,  ab  hac  die  in  praedicto 
monasterio  donamus,  cedimus  atque  conferimus,  et  per  praesentem  cartulam 
offersionis  ibi  habendum  confirmamus;  et  faciat  pars  ipsius  monasterii  aut 
cui  pars  monasterii  dederit  jure  proprietario  nomine  quicquid  voluerit,  sine 
nostra  et  haeredum  ac  prohaeredum  nostrorum  contradictione  et  repetitione. 

Si  quis  vero,  quod  futurum  esse  non  credo,  si  nos,  qui  supra,  jugales 
(quod  absit  !)  aut  ullus  de  haeredibus  nostris  ac  prohaeredibus  seu  quislibet 
opposita  persona  contra  hanc  cartulam  offersionis  ire  quandoque  temptave- 
rimus  aut  eas  per  quodvis  ingenium  infrangere  quaesierimus,  tunc  inferamus 
ad  illam  partem  contra  quam  exinde  litem  intulerimus,  multa  quae  est  pena 
auri  optimi  uncias  centum,  argenti  ponderas  ducenti,  et  quod  repetierimus 
et  vindicare  non  valeamus,  sed  praesens  haec  cartula  offersionis  diuturnis 
temporibus  firma  permaneat  atque  persistat  inconvulsa ,  cum  stipulatione 
subnixa,  et  a  nobis  qui  supra  jugalibus  nostrisque  haeredibus  ac  prohaere- 
dibus, qualiter  superius  legitur,  in  integrum,  ab  omni  homine  defensare. 

Quod  si  defendere  non  potuerimus  aut  si  nobis  exinde  aliquid  per 
quodvis  ingenium  subtrahere  quaesierimus,  tunc  in  duplum  suprascriptores 
parti  praedicti  monasterii  restituamus,  sicut  prò  tempore  fuerint  melioratae 
aut  valuerint  per  extimationem  in  consimilibus  locis.  Et  nec  nobis  liceat 
ullo  tempore  nolle  quod  voluimus,  sed  quod  a  nobis  semel  factum  vel  quod 
scriptum  est  inviolabiliter  conservare  promittimus  cum  stipulatione  subnixa. 

Hanc  enim  cartulam  offersionis  paginae  Otonis  notarii  et  judicis  manu 
conscribere  rogavimus,  in  qua  subter  confirmans ,  testibusque  confirmans 
obtulit  roborandum. 

Actum  infra  castrum  praedicti  Ocimiani  feliciter. 

Signa  manuum  suprascriptorum  jugalium  et  filiorum,  qui  hanc  cartam 
offersionis  prò  animarurh  suarum  mercede  fieri  rogaverunt.  Et  ipse  Obertus, 
marchio,  qui  ad  eandem  conjugem  suam  atque  ad  filios  suos  consensit, 
ut  supra. 

Signa  manuum  Otonis  Nanis  de  Trivilla,  et  Beri  de  Paxiliano,  et  Ugonis 
Merenza ,  Rainaldi  et  Oberti  de  Gamundio,  Fulco  de  Forio,  Wilielmnus  de 
Ovilla,  Joannes  Pizo,  milites  et  vassalli  ipsius  marchisi  inde  fuerunt  tcstes. 

Ego,  qui  supra,  Oto,  notarius  et  judex  scriptor  hujus  cartulae  offersionis 
post  traditam  compievi  et  tradidi. 

{A  tergo)  M.C.XXVII  .  xi  .  kal.  decembris,  indicio  vi.  Cartam  donationis 
et  offersionis  fecerunt  Obertus,  marchio,  et  Berta,  que  et  Adelasia  jugalis, 
filia  cujusdam  Darnadi,  AVilielmo  et  Bernardo  et  Riprando  et  Oberto  et 
Aledran  interrogante,  de  pecia  una  de  sedimine  modia  X,  et  de  busco  modia 
quinquaginta  insimul  tenente,  a  loco  Monetae  usque  in  Tuniscina  et  usque 
in  Padulo  et  nominative  de  suis  rebus  in  loco  Ocimiani,  de  terra  eulta  et 
vitibus  atque  de  pratis  modia  quadraginta,  eo  ordine  uti. 

Testes,  Oto  Nano  de  Trivilla,  Ugo  IMerenza,  Fulco  de  Foro  et  Rai- 
naldus  de  Camundi,  Wilielmus  de  Ovilla,  Berus  de  Paxiliano,  Joannes  de 
Sancto  Benedicto. 


132  DIEGO  SANT'AMBROGIO   -  PRIORATO  CLUNI ACENSE  ECC. 


4044. 

Diploma  Lotharii  III,  Romanorum  imperator,  prò  ecclesia  Castclleti 
in  cpiscopatu    Vcrcellensi  sita. 

1133-1137. 
(Ribl,  nat.  n.  1 46-30  ;  cop.  283-91). 

In  nomine  sanctae  et  individuae  Trinitatis  ,  Lotharius,  divina  favente 
clemcntia  tercius  Romanorum  imperator  augustus.  Cum  imperialis  munifi- 
centia  omnino  nulli  deesse  debeat,  maxime  tamen  Dei  cultoribus  et  Christi 
pauperibus  exaudicionis  suae  aures  accomodare  debet,  quorum  orationibus 
adjuti ,  sic  transeamus  per  bona  temporalia ,  ut  non  amittamus  aeterna  ; 
proinde,  omnium  fidclium  nostrorum ,  tam  futurorum  quam  praesentium, 
noverit  industria,  qualiter  nostram  adiit  praesentiam,  venerabilis  frater  et 
prior  monasterii  apostolorum  Petri  et  Pauli ,  nomine  Petrus ,  rogans  ut 
ecclesiam  suam,  quae  dicitur  Castellitus,  sitam  in  episcopatu  Vercellensi,  in 
nostram  susciperemus  tuicionem,  moreque  antecessoris  nostri ,  divae  me- 
moriae ,  Ileinrici  imperatoris,  bona  ipsius,  tam  acquisita  quam  acquirenda, 
imperiali  auctoritate  et  praecepto  confirmaremus, 

Cujus  justis  peticionibus  annuentes,  confirmamus  quicquid  ad  presens 
vel  habet,  vel  habitura  est,  legaliter  tamen  et  juste,  acquisiturum,  omniaque 
in  integrum,  quae  ad  praedictum  locum  pertinere  videntur,  vel  quo  a  fide- 
libus  sibi  oblata  fuerint,  aut  quicquid  ipsius  loci  habitatores  juste  et  lega- 
liter acquirere  potuerint,  per  hoc  nostrum  pracceptum  denominato  loco, 
regali  auctoritate  confirmamus,  comprehcndentes  non  minus  ea  quae  comes 
Wido  ob  remedium  animae  suae  eidem  obtulit  ecclesiae,  tam  in  possessio- 
nibus  quam  in  aliis  mobilibus  et  immobilibus. 

Precipiendo  itaque  jubemus,  ut  nullus  episcopus,  dux,  marchio,  comes, 
vicecomes,  gastaldio,  sculdassius,  nullaque  regni  nostri  magna  parvave  per- 
sona, praefatum  locum  cum  omnibus  pertinentiis  suis,  vel  fratres  ejus  aut 
aliquem  eorum  utriusque  sexus  homines  inquietare,  molestare  vel  per  pla- 
citum  fatigare,  aut  de  his  quae  suprascripta  sunt  vel  demum  aquisiturus  est 
locus  sine  regali  judicio  devastare  audeat,  vel  sine  voluntate  habitantium 
aliquam  consuetudinem  ibidem  mittere  presumat  aut  aliquam  minorationem 
aut  depredationem  de  acquisitis  vel  acquirendis  facere  temptet. 

Et  quicquid  de  praedicti  monasterii  possessionibus  fiscus  noster  sperare 
poterit,  totum  nos  prò  futurae  remunerationis  premio  eidem  loco  concedimus, 
ut  in  alimonia  paupcrum  et  stipendia  monachorum  nostris  futurisque  tem- 
poribus semper  proficiat  in  augmentum,  Insuper  concedimus  ut  nullus  homo 
audeat  respondere  mallaturam  advocato  ejus.  Et  si  aliquo  tempore  aliqua 
contentio  centra  id  ipsum  monasterium  exorta  fuerit,  non  per  viliores  sed 
per  nobiliores  et  veraciores  homines  diffiniatur  ex  utraque  parte.  Si  quis 
igitur  nostrae  confirmationi  praeceptum  violare  praesumpserit,  sciat  se  com- 
positurum  quadringentas  auri  libras,  mcdietatem  camerae  nostrae  et  medie- 
tatcm  praedicto  loco.  Et  ut  haec  nostra  imperialis  auctoritas  firmior  habeatur 
et  diligentius  observetur,  praesentis  decreti  paginam  sigilli  nostri  impressione 
subtus  insigniri  jussimus.  Signum  domni  Lotharii ,  tercii  Romanorum  im- 
peratoris. 

Ego,  Eckardus,  sub  cancellarius,  vice  Brunoni. 


\2 


GIROLAMO    ROSSI 


GLOSSARIO 


MEDIOEVALE  LIGURE 


APPENDICE 


^^^^v^  V  V  V  V  V  V"V  V  V  V  ^^^^'^^^^^^^^^^^^^^V  V  V  V  V  V  V  V  ^^^^^^  V  vv  VV  V  '/^^^^'z  V  V    j*^^^^ 


A  chi  legge. 


La  favorevole  accoglienza  fatta  all'apparire  del  nostro  Glossario 
da  benemeriti  cultori  di  cose  storiche  e  filologiche,  fra  i  quali  ricor- 
deremo, con  sensi  di  grato  animo,  gli  egregi  Camillo  Manfroni,  Giu- 
seppe Flecchia,  Giacomo  Filippi  ed  Arturo  Ferretto,  ci  ha  infuso  co- 
raggio a  compiere  l'opera  con  \\n^ Appendice  di  altre  voci,  che,  per  un 
senso  di  male  intesa  economia,  avevamo  creduto  di  poter  omettere. 
Né  sarà  senza  frutto  aggiungere  qui  il  rapido  cenno  datone  dal  chia- 
rissimo prof.  E.  G.  Parodi,  il  quale,  sebbene  dichiarasse  il  lavoro  nostro 
condotto  troppo  lontano  da  ogni  huoìi  indirizzo  metodico,  tuttavia  lo  ri- 
teneva così  utile  ^^^•,  giudizio  che  superava  ogni  nostra  aspettazione. 

Poiché  avendo  dichiarato  nel  Discorso  preliminare  che  si  sarebbe 
da  noi  fedelmente  esposto  il  materiale,  cioè  a  base  di  fatti,  senza  im- 
barcarci nel  mare  magno  dell'etimologia,  assodato  che  il  nostro  dizio- 
nario avea  recato  pratica  utilità,  ci  passammo  leggermente  di  non 
avere  atteso  a  teorie  e  metodi,  che,  per  essere  soltanto  congetture 
del  vero,  vanno  soggetti,  non  rare  volte,  a  sparire  ;  laddove  i  fatti 
restano. 

Dobbiamo  confessarlo  :  il  sermo  ricstictis  o  plebejus  delle  popola- 
zioni liguri  inquinate  loquentes,  durante  il  lungo  periodo  in  cui  si  andava 
alterando  il  classico  latino,  ci  ha  sempre  fortemente  attirato  senza  idee 
preconcette;  laonde  abbiamo  dato  opera  ad  estrarre  e  riprodurre  con 
tutti  gli  errori  (senza  fastidire  le  idee  grossolane  e  le  frasi  triviali)  le 
locuzioni  dialettali  dai  diversi  Codici,  che  da  lunghi  lustri  e  senza 
posa  andiamo  rimuginando  :  punto  dissimili  dal  botanico  e  dal  zoologo 
che  vanno  con  ordine  annoverando  e  piante  e  animali  ;  senza  che 
mai  ci   pungesse  il  desiderio    d'indagare  i  modi,  onde  si   sono   svolte 


(t)  Giornale  storico  e  letterario  della  Liguria,  anno  1901,  pag.  231. 
3 


136  GIROLAMO  ROSSI 


e  modificate  nel  dialetto,  certi  che  la  nostra  fatica,  dinanzi  alla  cri- 
tica, non  perderebbe  valore  di  sorta,  né  scemerebbe  l'attendibilità  dei 
risultati. 

Nel  fornire  i  vocaboli  delle  opportune  indicazioni  sono  riapparsi  i 
già  lamentati  ostacoli  ;  essendoché  non  pochi  di  essi,  simili  a  nummi 
antichi  obsoleti,  hanno  opposto  ostinata  resistenza  ad  essere  cangiati  in 
buona  moneta  metallica  in  corso.  Non  abbiamo  per  questo  omesso 
dall'inserirli  col  solito  punto  interrogativo,  fiduciosi  che,  analizzati 
nelle  loro  radici  da  qualche  filologo ,  possano  conservare  ancora 
qualche  resto  dell'antico  idioma  ligure,  non  essendo  possibile  che  i 
Romani  sieno  riusciti  a  far  sparire  intieramente  la  lingua  del  popolo 
conquistato. 

Una  singolare  avvertenza  ci  occorse  di  fare  in  ordine  ad  alcuni 
di  essi,  i  quali,  sebbene  per  antichità  deteriorati,  spandono  sempre 
guizzi  di  viva  luce,  che  non  accenna  a  tramontare  ;  quali  sarebbero, 
ad  esempio,  admiratus,  bancherius,  bcrsagiiuUy  carafatus,  condola,  ma- 
gisier  assie,  recamare  e  seapterius,  prova  questa,  che  la  ruggine  non  ha 
presa  sull'acciaio  e  prova  palmare  ancora,  che  non  poche  ragioni  del 
nostro  non  inglorioso  essere  del  momento  presente,  hanno  profonde 
radici  nei  secoli  passati. 

Il  manipolo  di  voci  adunque,  che,  dopo  la  presente  aggiunta,  può 
dirsi  convertito  quasi  in  covone,  se  non  verrà  salutato  dai  pochi  che 
sorseggiano  alle  fonti  del  secolo  d'oro,  tornerà  senza  dubbio  gradito 
ai  non  pochi  studiosi,  che  attendono  a  raccogliere  tutti  gli  anelli  della 
catena  che  lega  l'evo  medio  al  moderno.  E  se  già  un  Valerio  Fiacco, 
nei  primordii  dell'età  cristiana,  ebbe  lode  per  aver  raccolto  voci  latine 
cadute  in  disuso,  non  si  vorrà  negare  una  parola  di  conforto  a  chi 
ne  ha  voluto  imitare  l'esempio,  con  risultato  però  impari  alle  fatiche 
sostenute. 

Ventimiglia,  23  gennaio  1907. 

Girolamo  Rossi. 


GLOSSARIO 


A 


Abandonare  (abbandonare). 

«  Domini  ipsaruni  possessionuin  fraudo- 
lenter  et  callide  asserutil  predictis  debitoribus 
baiitiortDn  ipsoriim,  licenliam  iniraudi  pos- 
sessiones  suas  et  ut  patrio  alludainus  voca- 
bulo,  abandonuni.  »  (Stat.  Xicie). 

Abatere  (abbattere,  buttar  giù). 

«  De  alienis  arhoribtis  abatendis  et  colli- 
gendis  »  (Giuseppe  Barelli,  //  libro  della 
catena  del  comune  di  Garessio,  pag.  52). 

Abevragium  (abbeveratoio). 

Questo  vaso  quadrangolare  di  legno,  in- 
tagliato in  grossi  tronchi  d'alberi,  veniva 
posto  per  dissetare  gli  armenti  ed  i  greggi 
o  presso  i  fonti  o  presso  qualche  corso 
di  acqua  e  in  esso  i  mandriani  solevano 
immettere  il  siero  e  gli  avanzi  della  ricotta, 
di  cui  sono  ghiotti  detti  animali.  Lo  Sta- 
tuto di  Sospello  ha  molte  rubriche  sugli 
abeuragium ,  quali  ad  esempio  :  abeura- 
gium  fontis  de  Fiat,  abeuragium  fontis  de 
Herquieto  :  in  altre  carte  è  usato  anche 
abeveratorium. 

Ablactare  (abbattere). 

«  Qui  hactenus  muros  in  aliquo  loco 
destruxeritseu  ablactaverit  ipsos  illisfaciam 
reactari.  »  (Podestà  Luigi,  Statuti  di  Sar- 
zana  dell'anno  1269,  pag.  51). 

Abolena  (Bolena,  comune  nel  Nizzardo). 

«  Girardus  presbiter  capelanus  episcopi 

de  Abolena.  »  (Cais,  Cartulaire  de  V ancienne 

cathèdrale   de  Nice.  Turin,  Paravia,    1888, 

pag.  126). 

Acaptum  (diritto  d'entrata). 

«  Ad  acaptum  seu  prò  intrata  et  nomine 
iutrate  et  acapte  duorum  pullorum  galline 
seu  quasi.  '{Chartrier  de  Vabbaye  de  Saint- 
Pons,  Monaco,  1903,  pag.  327). 

5 


Acaviglare  (accapigliarsi). 

«  Si  cognati  et  cognate  et  socer  et  nurus 
se  acaviglaverint  vel  tenzonaverint  »  (G.  Ba- 
relli, //  libro  della  catena.,  pag.  16). 

Accomendatio  (compagnia  di  negozio). 
I'  De  pecunia  in  accomendatione  vcl  so- 
cietate  accepta.  »  (Stat.  Albingane). 

Accon  e  Acon  (così  era  chiamata  Acri 
distrutta  dai  Saraceni  nel  1271). 

«  .5"^  movit  cum  loto  exercitu  ad  partes 
Acconis.  » 

Aceptare  (accettare). 

«  Non  debeant  rationerii  acceptare  illas 
parlitas.  »  (Stat.   Triorie,  pag.  8). 

Acerbalis  (falce). 

«  De  furantibus  alicnum  acerbale.  » 
(Stat.  Lavine). 

Aclunus  (gatto). 

«  De  capientibus  gallinas  et  aclunos  ut 
vulgo  gatti  »  (Stat.  Apricaliset  Insule  bone, 
ann.   1430,  rubr.  52). 

Acordio  (accordo,  convenzione;, 

«  L'I  stare  debeat  per  partes  ipsas  que 
convenerunt  de  acordio.  »  (Alizeri,  Notizie 
dei  professori  del  diseguo  in  Liguria,  voi.  2°, 
pag.  131)- 

Acotonare  (una    delle    operazioni    del- 
l'arte della  lana). 

L'anno  1267  si  costituisce  in  Genova  una 
società  de  arte  acimandi  et  acotonandi  (Fer- 
retto, Codici  diplomatici  fra  la  Liguria  e  la 
Toscana,  i»  p.,  pag.  81). 

Admiratus  (ammiraglio). 

«  Philippus  de  Cleves...  regius  admiratus 
et  Januensium  guber?iator.  »  (Stat.  Padri, 
pag.  146). 


18 


Mise,  s.  ni,  T.  xin. 


138 


GIROLAMO  ROSSI 


Adobare  (nello  Statuto  di  Nizza  signi- 
fica venire  a  composizione). 

«  Nisi  prius  adohaverii  se  aun  defmictis.  » 
Era  però  vocabolo  anche  usato  nell'arte 
dei  conciatori ,  trovando  adobare  cofimn 
negli  Statuti  di  Taggia  e  più  chiaramente 
in  un  documento  del  già  citato  Borfiga  : 
«  Reducimus  in  unum  grossum  pelamina 
iam  adobata  quam  pilosa.  » 

Adonegare  ? 

«  SU  in  arbitrio  domini  si  nialuerit  ado- 
negare et  partiri  in  campo  fmctus  cuin 
colono.  »  (Stat.  civit.  Bobii,  pag.  56). 

Adrechium  (tragetto). 

Questo  vocabolo  in  senso  di  viuzza  tra- 
versale è  usitatissimo  nelli  Statuti  di  So- 
spello,  da  cui  caviamo  un  solo  esempio  : 
«  Otiia  dieta  bandita  de  Herco  est  mnltmn 
frigida  tempore  hiemali  addiderunt  cideni 
de  bandita  inacetii,  que  est  i?i  adrechio  de 
Agaize  »  (pag.  162). 

Afaitare  (conciare,  da  dove  afaitaria  per 
concieria  di  pelli). 

«  Si  aliqiia  persona  afaitaverit  in  districhi 
Thabie  aliquos  corios  debeat  etc.  »  (Statuta 
Thabie,  si  ha  pure  nello  Statuto  di  Albenga). 

Afanum  (fatica,  lavoro). 

«  Possit  extrahere  afanum  snum  de 
dieta  terra.  »  (Stat.  Carpasii). 

Afferrare  (tener  stretta  con  forza  una 
persona). 

«  .5"/  aliquis  biitaverit  aliquam  personam 
diete  ville  vel  afferraverit  ad  personam  vel 
dederit  ei  de  pugno  vel  alapham,  vel  tira- 
verit  per  capillos  solvat  etc.  »  (Stat.  Na- 
ticini). 

Afuzelatus  (a  forma  di  fuso). 

«  Convcnerunt  faccre  pilastros  quatuor 
cum  suis  mediis  colonis  in  ipsis  pilasfris  afu- 
zelatis.  »  (Alizeri,  Notizie  dei  prof essori  etc, 
voi.  V,  pag.  76). 

Agazus  (frutice  della  famiglia  delle  co- 
nifere, per  l'esempio  vedi  Chiola 
nella   r'  parte'. 

Agilulphi  Castrum  (così  appellavasi  nel 
medio  evo  la  terra  di  Montignoso 
nella  Riviera  di  Levante).  Vedi 
Giornale  storico  letterario  della  Li- 
guria, anno   1902,  p.  338. 


Agogia  (bussola  per  navigare). 

«    Magister   qui  agogias  prò  navigando 
cotificit.  »  (Giorn.  ligust.,  anno  1875,  pag.  72). 

Agothare  (spingere  l'acqua  in  qualche 
direzione). 

«  Seii  possit  illam   aquam   agothare   vel 
divertere.  »  (Statuta  Centalli). 

Agumena  (gomena). 

«  Agumenas  xxvni  de  cantariis  sex  prò 
q2ialibet.ì>  {Belgruno,  Documenti,  pag.  219). 

Agusius  (Uscio,  comune  nella  provincia 
di  Genova). 

«  Manfredns  archipresbiter  plebis  de 
Agusio.  »  (Giornale  ligustico,  1879,  pag.  14). 

Aigremont  (Agromonte,  nome  che  ri- 
sponde presentemente  al  luogo  di 
San  Lorenzo  sulla  destra  sponda  del 
Varo,  fondato  nel  1468  dal  vescovo 
di  Vence,  il  cui  territorio  divise  a 
trenta  individui  della  valle  d'Oneglia. 
Un  Raimondo  di  Aigremont  è  ri- 
cordato a  carte  104  del  Cartolario 
di  Lerino). 

Albaceum  e  Albasium  (è  il  genovese 
haxin  e  l'italiano  fustano,  tela  di  co- 
tone misto  con  canapa). 

«  Nulla  fiat  presa  deinceps  in  ipsa  (canna) 
nisi  prò  qualibet pecìa  tettar um  vel  albacei.  » 
(Stat.  Albingane,  1519,  fol.  38). 

Albara  e  anche  Arbara  (pioppo). 

«  Arbores  fructum  non  portantes...  seu 
arbare  et  salices  etc.  »  (Stat.  Albingane, 
idem.,  fol.  40). 

Albasania  (luogo  della  diocesi  di  Nizza 
che  risponde  a  Sagnes  o  S.  Mar- 
gherita alla  foce  del  Varo  :  Breve 
de  Sinodo  :  Albasania  xii  donar ios. 
(Cais,  Cartulaire,  pag.  50). 

Albergum  (un  tal  nome  assumevano  le 
f^imiglie  doviziose  che  si  opposero 
all'irrompere  delle  fazioni  popolari 
e  che  risponde  alle  clientele  dei 
Romani  e  alle  fare  dei  Longobardi. 
Ebbero  alberghi  Torino ,  Chieri , 
Sa  vigliano  ed  Asti,  e  la  costituzione 

6 


GLOSSARIO   .MEDIOEVALE   LIGURE 


139 


di  Genova  del  1528  ricorda  ventotto 
alberghi). 

«  Si  essef  de  slirpc,  progenie  ve/  albergo 
ipsiìis  ieslaforis.»  Stat.  dei  Padri,  pag.  103). 

Alearare  (rivedere,  approvare). 

«  Quod  rasperii  teneantur  alearare  iiien- 
suras.  »  (Stat.  Sospitelli). 

Alciare  e  Altiare  (alzare). 

«  Maligno  spirita  inolus  alciavit  pugnitm 
et  bis  percussit.  »  (Cais,  Docuin.  sui  Gri- 
maldi, pag.  49).  Da  dove  derivò  VAlciata 
(rialzo)  :  «  possit  habere  alciatam  cujnslibet 
canale  dictoriiin  ìnolendinoriun.  »  (Stat.  Sar- 
zane,  pag.   xiii). 

Alevamen  (vivaio  di  pianticelle). 

«  Si  aliqua  persona  inciderit  aliqiiod  ale- 
vamen sylvaticiim,  vel  similia  alevamina  non 
inserita,  sit  eie.  »  (Stat.  Garbagne). 

Alevare  (far  crescere  pianticelle). 

«  siliqua  persona  non  incida t  fraschas... 
salvo  prò  alevare  boschunt  »  (Barelli,  //  libro 
della  catena  di  Garessio,  pag.  55). 

Alodium  (proprietà  libera  ,. 

«  Iteni pedagiwn  sive alodiunt  de  Pax-ano  », 
(Ferretto,  Cod.  diplotn.,  2°,  p.  317). 

Amarena  (specie  di  ciliegia). 

«  Si  aliqua   persona    inventa  fuerit   co- 
medere    seu   accipere  persica.,  poma,  pira, 
ceresias,    amarenas,    sjisinas    eie.  solvat.  » 
(Stat.  Xaticini,  rubr.  58). 
Amasia  (concubina). 

«  Si  quis  uxorem  suam  expellerit  de 
domo...  non  debeat  tenere,  secum  aliquaui 
amasiaì)i.  >  (Stat.  Uvade,  pag.  218). 

Amassare  (radunare). 

«  Itti  qui  custodiunt  boves  in  bovarili  non 
plures  quinquagiìita  siniul  possint  ani  debeant 
amassare.  »  (Stat.  Diani,  pag.  17). 

Ambaxata  (ufficio  dell'inviato). 

«  Res  perdita  in  exercitu,  vel  cavalcata 
vel  ambaxata  prò  comuni  facta.  »  (Podestà, 
Statuto  di  Sarzajia,  pag.  16). 

Aminiculus  (ajuto). 

«  Christum  in  eoruin  aminiculo  vacando 
enses  junxcrunt.  »  (Caphar.,  pag.  12). 

Amirandus  (ammiraglio). 

«  Obediant  (marinarii)  doìnino  regi  et 
admirando  ipsius.  »  (Belgrano,  Documenti, 
pag.  5)- 

7 


Amola  (misura  pel  vino). 
j  «    Vinum   in  galetis   vel  amolis  »  si    ha 

i  negli  Statuti  di  Oneglia. 

I  Amorbare  (infettare). 

«  De  aquis  non   avarregandis  vel  amor- 
I  bandis.  »  (Stat.  Diani,  pag.  8r). 

Amploa  (acciuga). 

«  Piscatores  teneantur  dare  tempore  qua- 
dragesime sive  cqrttevalis  sardinas  grossas 
sive  ampioas.  »  (Stat.  Albingane). 

»  Possint  einere  de  saldenis  et  anchiois 
quot  voluerint.  »  (Stat.  Portus  Mauricii , 
pag.  XLiii). 

Amuchiare  (ammassare). 

«  Nulla  persona  audeat  tenere  et  avtu- 
chiare  femim  vel  leanien  in  viis  publicis.  » 
(Stat.  Albingane). 

Amurca  e  anche  solo  Murca  (immon- 
dezza, acqua  di  rifiuto). 

«  Aquila  persona  audeat  vel presumat proii- 
cere  amurcam  in  viis  publicis.  »  (Stat.  Yez- 
zani,  pag.  xxxi  e  li). 

«  Aquila  persotia  projiciat  de  domo  sua 
intra  terram  Falcinelli  murcam  vel  aliam 
turpem  rem.  »  (Stat.  Falcinelli). 

Anca  o  Anqua  (osso  che  si  trova  fra 
il  fianco  e  la  coscia). 

«  Omnis  lìiacellarius  teneatur  facere  uni- 
cuique  unam  peciam  carnium...  excepto  de 
tertio  angue  animaliuìn.  »  (Stat.  Nicie). 

Anchina  (fune  posta  fra  le  costiere  che 
servono  a  tener  congiunta  l'antenna 
coll'albero). 

«  Naulizamus  navem  cum  anchinis  et  su- 
peranchinis  et  par  anchinis.  »  (Belgrano,  Do- 
cumenti, pag.  73). 

Anchona  (quadro  dipinto  sul  legno). 

«  Tabula  anchona  seu  majestas  latitudinis 
palmorum  noveni.  «  (Alizeri,  2»,  pag.  63)  ; 
in  altri  documenti  di  questo  autore  si  trova 
anche  cona. 

Anchoragium  (diritto  che  doveva  pa- 
gare una  nave  per  entrare  in  porto  ; 
tale  diritto  variava  secondo  la  di- 
versa capacità  :  se  essa  aveva  il 
balao,  cioè  il  palco  più  alto  della 
coperta  oggi  detto  castello,  pagava 


140 


GIROLAMO   ROSSI 


Vanchoragiuvi  ;  pagavano  invece  il 
ripaticum  quelle  che  ne  andavano 
prive. 

«  Fuìt  observatunt  exigere  a7ichoragium 
ab  omnibus  patronis  vaxorum  que  ut  vulgo 
dicitur  lo  balao  et  ab  illis  qui  non  habent 
dictuin  balao,  exigiiur  sohwt  cabellam  riva- 
guli.  »  (Stat.  dei  Padri,  pag.  251). 

I  patroni  per  evitare  lo  sborso  del  mag- 
giore diritto  d'ancoraggio,  fecero  allora  co- 
strurre  le  grandi  navi  senza  balao,  alla 
quale  astuzia  si  pose  riparo  nel  1548  con  ve- 
nire ordinato,  che  pagassero  l'ancoraggio 
le  navi  capaci  di  1500  cantari  e  il  ripatico 
tutte  le  altre. 

Andanea  (villa  di  Triora). 

«  Quahior  atitiani  scilìcet  trcs  de  Trioria, 
unus  de  villis,  scilicel  unus  de  Molinis  se- 
cundus  de  Atidanea  tertius  de  Curtino.  » 
(vStat.  Triorie,  cap.  4). 

Andarivellum  (chiamavasi  unistrumento 
che  serviva  ad  alzare  o  abbassare 
il  sacchetto  delle  gabbie  sulle  navi  : 
era  una  cosa  istessa  colla  sagora, 
di  cui  si  è  detto  nella  prima  parte. 

Angaria  (obbligo  feudale  di  servire  il 
feudatario  di  persona  e  cogli  ani- 
mali mediante  mercede,  quando  era 
senza  mercede  dicevasi  perangaria. 

Angurialis  (contadino,  villano). 

«  Liber  burgeusis  Sarzane  preter  sci'vos 
etanguriales,  habeat  eie.  »  (Podestà,  pag.  34). 

Anozare  ? 

«  Debeant  revidere  et  anozare  onuies  ar- 
borea castaìiearuni  et  nucuni.  »  (Compro- 
messo fra  Pigna  e  Castelfranco,  1477). 

Antepedes  (uose). 

«  Sartor  habeat  de  caligis  Iwminuiii  cmn 
antepedibus  iv  denarios  et  siiie  aittepedibus 
ITI  denarios.  »  (Stat.  Nicie). 

Anulus  episcopalis  (un  vescovo  appena 
consecrato  riceveva  dal  metropoli- 
tano l'anello,  il  quale  doveva  resti- 
tuire nell'atto  della  sua  rinunzia). 

«  In  refutatìoue  epìscopatus  aiiulum  de 
ipsius  episcopi  vianu  susceperit.  »  (Cais,  Car- 
tulaire  eie,  pag.  90). 


Aparciamentum  (divisione  dei  beni  fra 
i  figli,  così  il  D'Arnis). 

«  Non  possi t  accipere  ab  aliquo  hoinine  qui 
iverit  in  eoruni  hospitio,  de  ledo,  de  tabula, 
de  lignis  sale  et  aparciainento  nisi  soliduni 
unum.  »  (Pandiani ,  Stai.  Porto  Venere, 
pag.  99). 

Aperium  (alveare). 

«  Iteni  in  aperio  empio  in  Venassoìio  cum 
apibus  quos  tenet  ad  ineariam.  »  (Test,  de 
Gubernatis,  1529). 

Apia  (ascia). 

«  Aliquis  bestiarius  caprariim  non  debeat 
fcrre  apiam  nec  securrm  »  (G.  Barelli,  Gli 
statuti  di  Oi'mea,  pag.  175). 

Apicare  (impiccare). 

<(  Vidi  hominem...  queni  dictus  Gulielinus 
(Ventus)fecit apicare  in  ipsis  furcis.  »(Saige, 
Documents  relatifs  aux  seigneuries  de 
Menton  eie,  pag.  52). 

Apodiare  (appoggiare). 

«  Consors  possit  edificare  ctfacere  quid- 
quid  volucrit  super  ipso  muro  vel  paride 
et  se  apodiare  eidem.  »  (Stat.  Civ.  Sarzane, 
lib.  I,  rubr.  38). 

Apodixia  e  anche  Apodissa  (dichiara, 
polizza  ed  anche  quietanza). 

«  De  facientìbus  apodixiam  sive scripluras 
vianu  propria.  »  (Stat.  Untii}. 

«  Tencatur  eis  pignoribus  apodissam  im- 
poìtere  in  hunc  modum.  »  (Podestà,  pag.  28). 

«  Non  possit  rogare  instrumentum  nisi 
prius  habita  apodixia  a  dieta  camera  de  sa- 
tisfadione  die  ti  ducati.  »  (Stat.  dei  Padri, 
pag.  25S). 

Appapirus  (carta). 

u  Juxta  dcsigntun  in  appapiru  factum  per 
dictum  Lucam.  '»  (Alizieri,  Notizie,  VI, 
pag-  49). 

Apraare  (ridurre  a  prato). 

«  Itevi  quod  prata  hominum  castri  Doy, 
que  sunt  et  fiterint  in  I.angauo  sinl  apraala 
et  signata.  »  (Conventio  Triorie  et  Castri 
Doy,  1280). 

Arancare  (svellere,  sradicare). 

«  Si  quis  furtive  aràneaverit  aliquasar- 
bores,  cadat  de.  »  (Stat.  Lavine).  Vocabolo 
che  si  ha  negli  Statuti  di  Diano,  Mentone, 
Cesio,  Pornassio  e  Mioglia. 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE  LIGURE 


Idi 


Arangiatura  (malattia  di  ventre  dei  ca- 
valli . 

Il  Girardenghi  ha  il  capitolo  de  afangia- 
tura  equi,  infirmiias  ventris. 

Arazium  (arazzo,  tappeto), 

«  Quiugentas  alias  paniiorum  de  arazio 
sive  auleorum,  »  (Belgrano,  Vita  privata, 
pag.  6i). 

Arcella  (ornamento  femminile,  si  veda 
Foiogetus  nella  i*  parte). 

Archator  (balestriere). 

«  Eo  dizdius  durante  archatores  ferieriint 
Baldoiniini,  »  fObert.  Cancell). 

Archibuxium  (arma  da  fuoco  antica,  ar- 
chibugio). 

«  Gregorio  Joardo  prò  predo  archibu- 
xioruin  triuni  libras  xix.  »(Alizieri,  voi. VI, 
pag.  408). 

Architravus  (architrave). 

«  Pro  architrave  porte  Bastile  et  sculplure 
lapidis  cuin  figura  sancii Gr e gorii.  »  (Alizeri, 
voi.  IV,  pag.  226). 

Ardenna  (Pietra  Ardenna  è  nelle  vici- 
nanze di  Ceva  e  di  Garessio  lungo 
il  corso  del  fiume  Tanaro  e  si  trova 
nella  secondaria  catena  di  monti  che 
costituiscono  l'apennino  ligure). 

«  Pars  Apetmini  est  que  Petra  Ardenna 
vocatur.  »  (Astesano  Antonio,  poeta  del 
XIV  secolo). 

Arembamentum  (ringhiera  o  parapetto). 
«  Proìnisitfacere sex pedestalos  proarein- 
bamento  scale.  »  (Alizeri,  voi.  V,  pag.  77). 

Arengus  (è  usato  in  senso  di  adunanza 
o  parlamento). 

«  Teneatur  legere  capitula  in  arengo  vel 
parlamento.  »  (Stat.  Cohedani,  pag.  30), 

Arengo  era  anche  il  nome  d'una  cam- 
pana od  ordigno  composto  d'una  lamina 
di  bronzo  incastrata  nel  mezzo  d'una  tavola 
riquadrata  battuta  con  due  martelletti  da 
dove  la  frase  sonare  ad  aringo  e  si  sa  che 
al  suono  dell'arengo  i  Veneziani  accorre- 
vano ad  eleggere  il  doge.  Da  aringo  ha 
origine  il  vocabolo  arengera  nel  senso  di 
tribuna  che  si  incontra  negli  Statuti  di  Al- 
benga  :  «  non  possit  aliquis  consulere  nec 
super  arengera  vel  scalinata  ascendere  nisi 
semel  sine  licentia  consulum.  » 


Arenitum  fcosì  appellavasi  nel  medio 
evo  il  luogo  ora  chiamato  Invrea, 
territorio  comunale  di  Varazze,  che 
ebbe  un  monastero  di  monache  detto 
S.  Maria  di  Latronorio.  (Xuovo  gior- 
nale ligustico,  pag.  593). 

Arganus  (strumento  per  alzare  o  calar 
giù  pesi). 

«  Operafitibus  ibidemsartias,arga)ios,  taleas 
et  alia  ibidem,  necessaria.  »  (Stai.  S.  Romuli). 

«  De  guastis  faclis  in  argafiis  et  canonis  » 
(Barelli,  //  libro  della  catena,  pag.  iS). 

Argomoniaticus  (in  Scio  posseduta  dai 
Genovesi,  era  gravata  di  una  tassa 
la  donna  che,  perduto  il  marito,  vo- 
leva rimaner  vedova  :  questo  è  il 
senso  di  Argovio7iiaticus  come  si 
legge  nel  Giornale  ligustico  del 
1882,  pag.   122). 

Arma  (stemma). 

«  Promisit  facere  portalle  utiuin  cuin  uìia 
arma  Spinula  in  medio /risii.  »(Alizieri,  V, 
pag.  63). 

Arocia  (corso  d'acqua  tributario  della 
Centa). 

Non  passini  nulriri  capras  in  glariis  flu- 
minuni  Arocie.  »  (Stat.  Albingane). 

Arpaxone  (pascolo). 

«  Pastores  pecudtcm  sive  pecudarii  non 
debeant  venire  domuìii  de  loto  arpa.xone, 
sine  licentia  cuslodis  Alpis.  »  (Stat.  Triorie). 

Arra  (arra). 

«  Ad  presens  dal  prò  arra  libras  xxx 
Janue.  »  Alizieri,  V,  pag.  40'. 

Arrestum  (occupazione). 

<  Pro  notificando  arrestum  quod  erat 
factum  de  Castro  Monachi...  et garnisonem 
in  eodem  castro  posuerat.  »  (Cais,  La  ville 
de  Nice,  pag.  155). 

Arrisolari  (lastricare). 

«  Et  faciant  etiam  arrisolari  de  bonis 
lateribus  ad  domum  ubi  quisque  habitat.  » 
(Stat.  dei  Padri,  pag.  8). 


142 


GIROLAMO  ROSSI 


Arrumdare  (conchiudere,  restar  d'ac- 
cordo). 

«  Si  aliquod  merchatum  factum  fuerif. . . 
vel  arrumdatmn  fuerii,  seu  res  fuerit  inon- 
f eruta...  consules  teneantur  etc.  «(Barelli,  // 
libro  della  catena^  pag.  35).  L'arumdare, 
vivo  ancora  nel  dialetto  per  istringere  un 
negozio,  è  associato  con  mouferuta  di  cui 
si  è  dato  spiegazione  nella  parte  prima. 

Arteliaria  (grosse  armi  da  fuoco). 

«  Multe  externoruni  naves  hujusmodi  ar- 
ia liariis  iiavigant.»  (Alizeri,  voi.  VI,p.  407  . 

Arvus  (sito  incolto). 

«  Inferius  via  publica  et  a  lafere  quidam 
arvus  sive  gerbus.  »  (.Saige,  Docniìiciits, 
pag.  238). 

Asarcìata  (dicevasi  di  nave  che  doveva 
essere  fornita  di  gomene,  di  corde, 
di  cavi,  di  vele  e  di  àncore). 

«  Teneatur  habere  in  poriu  naves furuitas, 
asarciatas  compie tas  et  amari ?iatas.  »  (Bei- 
grano,  Docuiìicnti  etc,  pag.  3). 

Asazium  (saggio). 

«  Debeat  fieri  ac  si  de  Oìimibus  factum 
fuisset  asazium  sive  cercha  vel  probatio.  » 
(Giornale  ligustico,   1896,  pag.  306). 

Asazonare  (finire). 

«  Quod  (malones)  sint  bette  codi  et  asa- 
sonati,  bona  fide.  »  (Stat.  Nicie). 

Asnesium  e  Arnisium  (bagaglio  e  anche 
suppellettile). 

«  Totaiti  raubam  cortim,  vexilla  et  teti- 
toria  et  asnesium  tot  atti  cepcrunt.  »  (Oger. 
Panis,  pag.  98). 

«  Concedunt  omtte  arnìsitim  quod  habcbat 
in  civitate  Janue  vasa  argetitea  lectos  et 
pannos.  »  (Saige,  D o eumeni s  etc,  pag.  loi). 

«  Per mittiinus portare  in  dieta  nave  asnesia 
et  ballas  vestras.  »  (Ferretto,  Documenti  su 
Per  civaie  e  Simone  Doria,  pag.  26). 

Asona  poi  Alsano  e  quindi  Arsinale 
(edificio  alla  riva  del  mare  per  con- 
servare e  riparare  le  navi). 

«  Nec  compellantur  merces  de  dugana  nec 
de  due 'iella  nec  de  asona  nec  res  alicujus 
amirati.»{  Atti  della  Società  ligure  di  Storia, 
voi.  }tlX,  pag.  172  . 


Aspa  (Di  questo  vocabolo  si  è  dato 
nella  prima  parte  il  significato  di 
certa  forma  particolare  di  candele, 
qui  si  ripete  perchè  è  nome  che 
faceva  parte  dei  pezzi  costituenti 
l'aratro,  come  ne  evince  la  particella 
della  rubrica  specialia  Prosanegi 
negli  statuti  Unelie,  in  cui  si  legge): 

Si  aliquis  laboraverit  jtixta  dictas  plagias 
et  ibi  fuerit  necesse  aliquod  metubrum  aratri 
vel  scilicet :  cendegula,  trazola,  parutinum, 
cuneum.,  aspam,  caraliam  et  torta gnam , 
prò   lignamine  possit  accipere. 

Virgilio  al  libro  primo  delle  Georgiche 
ricorda  sei  parti  dell'aratro,  cioè  vomis, 
burini,  temo,  bine  aures,  denfalia  et  stive  ; 
ed  altre  sei  ne  conta  il  Robert  {SuWaralro 
degli  antichi^  Memoria  della  R.  Accademia 
delle  Scienze  di  Torino,  i8i6):cioè  vomere, 
bura,  timone,  orecchie,  dentale  e  stiva  ; 
confessiamo  di  non  essere  riusciti  a  sneb- 
biare il  vero  significato  delle  voci  dello  Sta- 
tuto ora  citato. 

Athilhamentum  (pezzi  di  legno  che  si 
attaccavano  al  collo  dei  muli  e  buoi 
da  tiro). 

«  Habere  dcbeant  diias  bestias  prò  tirattdo 
granum  quas  tollere  non  audeant  donec 
traxerint  totum...  nisi  prò  adequando  alias 
areas  mutando  rampavi  seu  athilhamettta.  > 
(Stat.  Sospitelli). 

Atras  (esclamazione  di  minaccia). 

«  Atras,  atras  quare  ducitis  ipsum  homi- 
nem etaliorum.. .  opportet  vos  retrocedere .  » 
{Chartrier  de  S.  Pons.,  pag.  255). 

Atta  (epiteto  di  casa  fortificata). 

«  Qui  habent  domum  attam  in  Sarzana 
teneaìitur  eam  dare  potestati.  »  (Podestà, 
pag.  52). 

Auctorizare  (approvare,  dare  il  con- 
senso). 

«  Si  dicti  agnati  auctorizare  noluerint, 
noti  valeat  disposino.  »  (Stat.  Albingane). 

Auginus  (così  scrive  il  Celesia  a  pag.  14 
della  Valle  del  Varo,  appella  vasi  il 
monte  di  cento  Croci  negli  Apen- 
nini). 

IO 


GLOSSARIO   MEDIOEVALE   LIGURE 


U3 


Avelana  (nocciola).  I 

«  A  vigilia  nalivitatis  Doiniiti  ad  epipha- 
niam,  possint  liniere  ad  avelanas.  »  (Statuta  j 
Apricalis  et  Insule  bone,  1430.  •  | 

Ave  Maria  (così  chiamasi  il  suono  mat- 
tutino, meridiano  e  v^espertino  della 
campana  delle  chiese  cristiane  cat- 
toliche). 

Nel  medio  evo  col  suono  della  campana  | 
si  dava  il  segno  del  coprifoco,  cioè  l'or-  I 
dine  di  spegnere  colla  cenere  i  fuochi  ac- 
cesi, prescrizione  necessaria  di  epoca  in 
cui  le  case  erano  costrutte  in  legno  :'  difatti 
nello  Statuto  di  Sarzana  alla  rubr.  21  del 
secondo  libro  si  legge  a  prhna  campana 
custodie  que  puhatiir  itt  sevo  usque  ad  cain- 
panani  dici.  Però  nello  Statuto  di  Levanto 
del  xui  secolo  si  ha:  non  possit aliqua per- 
sona jactare  in  plateis  usque  ad  sonuin  cam- 
pane Ave  Marie  e  così  in  altra  carta  del 
1296  la  quale  ricorda  campanas  que  pul- 
santur  prò  salutatione  Virginis  Marie.  Dal 
che  siamo  indotti  a  credere  che  questo  pio 
uso  si  generalizzasse  nel  xni  secolo. 

Avere  (questo  vocabolo  comprendeva 
l'armento  e  il  gregge). 

Sulle  malghe  liguri  pascolavano  in  nu- 
mero grande  gli  averi,  i  quali  si  distingue- 
vano in  avere  grossum  (armenti  )  e  in  avere 
miiiulum  (greggi).  Lo  Statuto  di  Nizza  dice 
i  pastori  habebutit  licentiam  pasccndi  corum 
avere  ;  quello  di  Castellaro  :  ntcllum  avere 
e.xtraneum  audeat  Mitrare  territorititn.  Gli 
Statuti  del  contado  di  Ventimiglia  del  xiv 
secolo  hanno  appositi  capitoli  :  de  traclis 
averium  et  victualiuìn  servandis ;  altro  de 
transitu  averium  e  ricordano  i  diritti  di 
passaggio,  di  pulvcraggio  e  di  rainaggio 
che  i  proprietarii  avevano  sui  pastori  che 
conducevano  i  greggi  a  svernare  nelle  re- 
gioni marittime  ;  il  Gioffredo  finalmente 
(pag.  977)  registra  :  Nicienses  habebant  manus 
violentas...  rapientes  averia  quecumque  tam 
grossa,  quam   minuta. 


Aviamentum  (indirizzo,  tirocinio). 

«  Deheant  recurrere  ad  aliquos  pictores 
quibus  est  aviamentum  magnum  in  dieta 
arte.  »  (Capitula  pictorum  Genue). 

Avocator  (dicevasi   l'incaricato    di    di- 
fendere le  ragioni  delle  chiese). 

«  Johannes  cpiscopus  sancte  vadensis  ec- 
clesie una  cum  avocator  e  suo  elegit  etc.  »  San 
Quintino,  Osservazioni,  pag.  9). 

Axia  'accetta,  arma  simile  alla  scure). 

Nel  testamento  di  un  mastro  d'ascia  del 
1277  si  ha  notizia  degli  strumenti  da  lui 
adoperati,  cioè  axiam  unam,  axonum  unum, 
viaìiarias  duas,  serras  tres,  marchas  tres, 
scorpcllos  sex,  verrugios  duos ,  verrinas 
tres,jonas  duaa, limas  duas,  trapanum  uìium, 
molam  unam  prò  amolare  ferramenta.  » 
Ferretto,  Cod.  diplom.,  2»  parte,  pag.  153). 

«  De  juramento  magistrorum  ascie  et 
calafactorum.  »  (Stat.  antiq.  Saone). 

«  Ego  Bonaver  de  Portu  venere  magister 
axie,  proìuitto  et  convenio  facere  quandam 
galeam.  »  (Belgrano,  Documenti,  pag.  68). 

Axiungia  (grasso). 

«  Ouelibet  persona  que  vendiderit  ad  mi- 
nutuni  carnes,  panem  et  axiungia.  »  (Stat. 
Levanti,  pag.  16  . 

Azardum  (azzardo,  sorte,  rischio). 

«  Aliqua  persona  non  audeat  luderc  ad 
tassillos  sive  ad  azardum.  »  ^Statuta  S.  Ro- 
muli,  1435)- 

Azarium  e  anche  Assahum  (acciajo\ 
«  Homines  ementes  seu  empturi  ferrum 

assalium  labot  atum,  nullavigabellaiìi  solvere 

teneanttcr.  »  (Convenzione    tra  Ventimiglia 

e  Dolceacqua). 
Azima  (pezzo    di    carne    colle    costole, 

che  soleva  riempirsi    con    uova  ed 

erbucce;. 

«  Et  par  unum  caponum...  pullos  duos 
et  aximas  duas.  »  (Belgrano,  Registro  ar- 
civescovile, pag.  212). 


B 


Bacile  (bacino  e  bacile). 

«  Barbera  leneantur  habcre  bacile  unum, 
toagiolos  albos  et  rasorium.  »  (Stat.  Unelie, 
pag.  49% 

Bacinetum  (cervelliera). 

«   Quilibet  de   Turia  qui  sii  abilis  ad  por- 
tanduni  arma,    tencatur    habcre    luium   cli- 
1 1 


peum,  unam  cervelcriam  sive  bacinetum  et 
comune  leneatur  habere  unam  banderiam.  » 
(Stat.  Unelie,  specialia  Turrie\ 

Baculus  (bastone,  insegna  di  comando  . 
«  Imago  regis  sedcnfis   in  catrcda  et  te- 
nentis    baculum    cum   flore    in    manu  sini- 
stra. »  (Belgrano,  Documenti,  pag.  34). 


144 


GIROLAMO  ROSSI 


Oberto,  conte  di  Ventimiglia,  nel  1234 
subinfeuda  la  terza  parte  di  Carpasio,  cum 
bacillo  queniin  manu  tertebat.  »{Lìberjiiriia>i, 
I»  colonna,  pag.  945". 

«  Stafucrimt  quod  sìngulis  annis  in  prin- 
cipio assuinpiionis  bacilli  et  rce^iininis...  sfa- 
tuta  prescntari  debcant.  »  (Stat.  Ceriane). 

Badile  (badile). 

«  Aliqua  persona  non  debeai  devastare... 
cum  sapa  ncque  badile.  »  (Stat.  Capriate, 
pag.  193)- 

Balancia  (bilancia). 

«  Becehiarii  teneantiir  ponderare  ad  ba- 
lancias.  »  (Stat.  Sarzane). 

Balconus  e  anche  Barconus  (finestra 
grande). 

«  Pro  balehono  magno  Sancii  Georgii.  » 
(Varni,  Appunti  artistici.^  pag.  92). 

«  Nulla  persona  presuinaf  caria  ad  fe- 
neslras,  ostia  sive  balcones  in  dieta  platea 
appensa  retinere.  »  (Stat.  Sarzane). 

Baldachinus  (baldachino). 

«  (hnbella  qtie  prò  baldachino  inservire 
debet...  sii  ex  corto  rubei  coloris,  intus  vero 
serico  ceruleo  munita.  »  (Spinula,  Consti t. 
Synod.  Lune  et  Sarzane.,  pag.   i35\ 

«  Quoddam  bardachinuni  sive  ut  vulgo  di- 
citur paliu}n  factum  de  borcalo  foderaluin  ca- 
morato.  »  [Atti della  Società  ligure,\o\.  XIII, 
pag.  402 \ 

Balista  (Tra  le  armi  destinate  al  saet- 
tamento  erano  le  balestre  e  gli  archi, 
quelle  da  non  potersi  tirare  senza 
essere  appoggiati,  questi  manege- 
voli,  essendo  di  legno  o  di  corno). 

«  Iteni  veretonorum  capsias  sex,  item  ba- 
liste due.  »  (Rossi,  Storia  del  marchesato 
di  Dolceacqua). 

Balla  (fardello). 

«Emotas  plus  ex  ballis  bonoruui  pannoruìii 
scarlatoruin  et  fustaneoruin  extraxerunt.  » 
(Ogerii  Panis,  1205). 

Balsamus  ? 

«  Ile  no7i  colligendo  balsamos  in  terra  sua 
vel  aliena.  Aliqua  persona  non  possit  facere 
vel  colligere  balsamos  aliquos  de  castaneo  nec 
aliquo  alio  Ugno  in  loto  posse  Quiliani.  » 
(Atti  della  Società  storica  di  Savona  , 
voi,  2»,  pag.  346). 


Balzanus  (epiteto  che  si  dava  a  cavallo 
o  mulo  coi  piedi  bianchi  e  il  manto 
d'altro  colore). 

«  Mulum  balzanmn  de  omnibus  pedibus.  » 
(Ferretto,  Cod.  diplom.,  pag.  426). 

Balzellige  (tassa,  balzello). 

«  Exempti  ab  omnibus  et  singulis  inune- 
ribus  angheriis,  perangheriis,  collectiSy  itn- 
positionibus  balzellige.  »  (Stat.  Sarzane, 
fol.  Lxni). 

Bambinus  (bambino). 

.  «  In  dictis  columnis  ubi  sunt  duo pueri  sive 
bambini.  »  (Alizeri,  Notizie,  voi.  V,  pag.  82). 

Bamnitio  (decreto  pubblicato  a  suon  di 
tromba). 

«  Banmitio  et  disbamnitio  fieri  debeat  in 

dicto  loco   Viozene  per   hoviines  Ulmete.  » 

Durandi,  Delle  antiche  contese  dei  pastori 

di  vai  di  Tanaro  e  vai  di  Arozia,  pag.  218). 

Banasta  (cesta  bislunga  intessuta  di 
verbene,  usata  nella  vendemmia). 

«  Sanaste  in  quibus  portantur  racenii... 
tempore  vindetnmiarum  sint  tales,  quod  te- 
neant  iv  pancrios.  »  ;Stat.  Nicie). 

Banca  e  Bancum  (tavola  dove  i  mer- 
canti contano  il  denaro). 

«  Dieta  banca  teneant  ad  modum  et  for- 
mam  quo  et  qua  solebant  tenere  Astenses  in 
Janna.  »  {Codex  astensis,  V,  pag.  227). 

Bancale  (cassapanca). 

«  Bancale  unum  prò  libris  cum  duobus 
clavaturis.  »  fGiornale  ligustico,  1S90, 
pag.  37)- 

Bancherius  (banchiere). 

«  Gentes  sciant  qui  tenent  banchum  et  qui 
sunt  sodi  cujuslibet  bancherii.  »  (Doneaud, 
//  commercio  e  la  navigazione  dei  Genovesi. 
Oneglia,  tip.  Ghilini,  1882,  pag.  82). 

Bandera  (bandiera,  gonfalone). 

«  De  porfanda  bandera  in  lignis  Alhin- 
gane.  » 

Bannum  (multa). 

«  Captai  gabellottus  condemnationes  et 
oììinia  banna.  »  (Garroni,  Guida  di  Savona, 
pag.  128). 

Baratanus  (chi  traffica  il  danaro  altrui 
depositato). 

«  De  baratanis  punicndis.  »  (Stat,  ge- 
nuens.  \'isdomini,  20,  pag.  14). 

12 


GLOSSARIO   MEDIOEVALE 


145 


Baratare  (far  cangi). 

«  Possit  vendere  et  baratare  libere  etexpe- 
dire.  »  (Atti  della  Società  ligure  di  Storia, 
voi.  XIX,  pag.  173). 

Barataria  (frode). 

«  Si  barataria  commiserit  in  batneando 
farinani.  »  (Stat.  Levanti,  pag.  26). 

Barba  (zio). 

«  Advcrsus  heredes  avi  paterni,  ncque 
barbavi,  ncque  fratris  ncque  avie  paterne.  » 
'Stat.  Nicie). 

Barbalata  (così  chiamavasi  il  territorio 
di  Falicone  colla  chiesa  di  S.  Michele). 
{Chartrìer  de  S.  Pons,  pag.  21). 

Barberius  (in  origine  i  barbieri  oltre  di 
tosare  i  capegli  e  radere  la  barba 
facevano  le  più  semplici  operazioni 
chirurgiche).  < 

«  Quilibet  barberius  habitator  burgi  Sar- 
zane  teneatur  et  debeat  ire  vel  mitterc  disci- 
pulum  cuni  utcnsitibus  suis  ad  radcndum, 
tondciidum  et  salaxanduin  qualibet  die  ». 
(Podestà,  pag.  56). 

Barbina? 

«  Debeant  habere  soinataììi  porci  preter 
barbina m.»  (Giornale  ligustico,  1S82,  p,  264). 

Barbuta  (elmetto). 

Di  una  barbuta  fa  ricordo  il  Ligustico 
del  1890,  pag.  37. 

Barca  (nave  di  non  molta  grandezza 
per  lo  più  da  carico).- 

«  Itetn  quod  habeat  dieta  navis  tmam  bar  cavi 
catiferi.  »  (Relgrano,  Documenti,  pag.  6.  La 
barca  di  cantiere  (scrive  il  Belgrano)  andava 
allora  al  rimorchio  di  ogni  nave). 

Barigildus  (i  Barigildi  erano  in  Corsica 
quello  che  gli  Scahmi  erano  in 
Francia,  e  gli  Judiccs  civitatis  in 
Italia:  così  il  De  Gregori,  n&Vi! Intro- 
duzione agli  Statuti  di  Corsica). 

Barilarius  (barilajo). 

«  De  juramento  barilarioruni.  »  (Stat. 
antiq.  Saone). 

Barilis  (barile). 

«  Si  aliqua  persona  Sarzane  portaverit 
(vinuin)  in  barilibus  non  bulatis,  solvere  cotn- 
pettatur.  »  (Stat.  Sarzane,  rubr.  44). 


Barrius  (muro  di  cinta  di    una    città  o 
terra). 

•«  Nullus  civis  faciat  soillas  nec  extra  nec 
juxta  barrios  »  (Stat.  Nicie). 

Bascacia  (biscazza). 

Guglielmo  Tassarolo  promette  di  non 
giuocare  «  ad  aliquem  luduiii  taxillorum 
neque  ad  aliquam  aliatn  bascaciaìu.  »  (Fer- 
retto, Cod.  diploni.,  2°,  p.  15). 

Basitare? 

«  Qui  basitaverit  scu  scarzaverit  dictuin 
pillotuni  currat  in  penavi.  »  (Stat.  Plebis, 
pag.  155)- 

Bassaca  (pagliericcio). 

«  Primuvi  U71UVI  cubile  cuvi  bassaca  pauci 
valoris  »  (Invent.  castri  Roquete,  1507). 

Bassalum  (bracciale). 

«  Quod  quilibet  homo  possit  portare  causa 
venationis  et  ludendi  ad  bassalum,  bali  stavi 
unam  cum  viatraciis.  »  (Stat.  Nicie). 

Bastardus  (figlio  naturale). 

«  Perinde  ac  si  talis  bastardus  vel  alius 
non  Icgitivie  natus  ex  legitimo  matrimonio 
natifuissent.  »  (Stat.  Sarzane  3°,  rubr.  18). 

Bastonus  (bastone). 

«  De  nofi  percutiendo  aliquevi  forensem 
de  baculo  aut  bastono.  »  (Pandiani,  Stat.  de 
Porto  Veliere,  pag.  78), 

Batenderium  (collo  stesso  significato  di 
batitorium,  cioè  maciulla). 

«  Itevi  batituram  canapi  ad  batendcriuvi.  » 
(Stat.  Calizani,  pag.  57). 

Batifredum  (torre  di  legno  per  gli  as- 
se dii,  V.  Bertesca). 

Batilaurum  (battiloro). 

«Joannes  de  Picardia  de  Tome,  bati- 
laurum. »  (Alizeri,  Notizie,  I,  pag.  410). 

Batitorium  (edificio  ove   si  faceva  ma- 
cerare e  si  batteva  il  canape). 

«  Pono  libi  in  pigno,  partem  violendini 
mei  et  batitorii  quod  habeo  prò  episcopo.  » 
(Cais,  Cartulairc  de  l' ancienne  cathcdrale 
de  Nicé). 

Batutus  (confratello  d'una  confraternita 
di  disciplinanti). 

«  In  laborcrio  ecclesie  consorcie  Beate 
Marie  ordinis  batutorum  de  Clavaro.  » 
(Ferretto,  Le  Rappresentazioni  sacre). 


13 


19  —  Mise,  S.  Ili,  T.  XIII. 


146 


GIROLAMO  ROSSI 


Bauzum  (grosso  pietrone). 

«  Si  quis  haberet  aliquem  boveni  senein... 
qui  cecidisset  de  aliqua  ripa  vel  bauzo.  » 
(Stat.  Garlende,  pag.  49:  si  ha  baucius 
negli  Statuti  di  Tiiora  e  di  Sospello). 

Becaria  (luogo  dove  si  macellano  le 
bestie). 

«  Ordinanius  quod  becaria  fiat  ad  ymo 
burgum  ad  dominn  Mar  lini  becari.  »  (  Podestà , 
pag.  34)- 

Bedale  (canale). 

«  Necessariuni  mihi  fuerit  in  terra  vestra 
bedale  ampliare.  »  (Cais,  Carlul.  eie.,  p.  128). 

Belfredum  (beltresca  o  torretta  di  legno 
che  si  alzava  sulle  mura  per  osser- 
vare i  moti  dei  nemici). 

«  Non  possit  ascendere  super  campanile , 
super  por tas  et  bel/redo.  »  (Assandria,  Stai. 
Baennarum,  pag.  lxix  verso). 

Bellumcadrum  (Beaucaire  sul  Rodano, 
colla  quale  città  Genova  aveva  re- 
lazioni di  commercio). 

«  Nos  faciemus  dominis  navium  solu/ioncs 
apud Bellunicadrnm.  »(Belgi'ano,  Doc. ,  p.42). 

Bembelium  (San  Colombano,  comune 
nel  mandamento  di  Chiavari). 

«  Ecclesia  Sancii  Columbani  de  Bcmbelio.  » 
(Bolla  di  papa  Urbano  VI  del  13S7). 

Bequs  (becco). 

«  Si  quis  macellator  capram  seu  bcqum 
macellaverit.  »  (Stat.  Apricalis). 

Berlina  (castigo  con  cui  si  espongono  i 
malfattori  al  pubblico  scherno). 

«  Si  qua  persona  proditionetn  fecerit  de 
terra  Falcinelli...  trahalur  per  lerram  Fal- 
cinelli ad  caudam  asini  nsque  ad  locìcm 
justitie  et  posfea  furcis  siispendatur.  »  (Stat. 
Falcinelli  '. 

Beroviarius  (ministro  di  giustizia  o 
birre). 

«  Cum  uno  vel  pluribus  bcroviariorum  ca- 
pitanci  vel  rectoris  contingat  ire  ad  capien- 
dam  aliquavi  personam.  »  (Stat.  Sarzane). 

Bertesca  (torricella  di  legno  che  si 
alzava  sulle  mura  per  osservare  i 
movimenti  nemici). 

«  Adjuveìil  fa  cere  et  trahcre  patos,  vi- 
minos,  sepes,  boscos ,  palancam,  scelonos 
et  lignamina  ad  bertescain  et  baiifrcdmn 
tantum.  »  (Giornale  ligustico,  1892,  pag.  365  . 


Berzerium  ? 

«  Non  possit  nec  debeat  deferri  seu  de- 
ferri facere  ferrum  factum  vel  itifectum 
lignamina  facta  vel  infecta ,  berzerimn , 
7icrvuin,  sagitfas.  »  (Sauli,  Imposicio  affidi 
Gazarle,  pag.  376). 

Bestenta  (fermata). 

«  Sii  licitum  ire  et  redire  per  vias  publicas 
sine  faciendo  aliquam  bestenfam  seu  moram 
per  vias  publicas.  »  (Stat.  Quiliani). 

Bifulcus  ? 

«  A  bifulcis  nsque  ad  summitateni  mon- 
tium...  nsque  ad  bifulcos  aque  calcandule.» 
(Stat.  Sarzane). 

Biglietti  (viglietti). 

«  Fiant  Ires  cartule  quas  vulgo  appellamus 
biglietli.  »  (Stat.  Garlende  et  Paravennae, 
pag.  18). 

Binda  (benda). 

'  «  Unum  confalonum  comunis  Saone  cum 

duabus  bindis  vermiliis  et  cum  una  binda 
alba.»  (Garoni,  Guida,  pag.  126). 

Biretus  (berretto). 

«  Colinus  de  Forne  magister  biretorum.  » 
(Alizeri,  Notizie,  I,  pag.  411.  —  Da  dove 
Bcrefarius). 

Biribì  (sorta  di  giuoco  che  arieggiava 
alcun  che  di  simile  alla  bisca  di 
Montecarlo  ;  colla  differenza  che  nel 
birtbì  invece  dello  girella  si  aveva 
un  sacchetto). 

Il  Casanova  lo  descrive  nella  Contessa 
Clementina  e  dice,  che  consisteva  in  un  ta- 
voliere che  aveva  36  caselle  e  sì  pagava 
trentadue  volte  la  posta.  I  banchieri  del 
Biribì  erano  tre  :  uno  teneva  il  sacco  dei 
numeri,  l'altro  il  denaro,  il  terzo  invigilava 
il  tavoliere:  Il  vescovo  Albinganese  Spi- 
nola a  pag.  72  del  suo  Sinodo,  inseriva: 
«  alcarum ,  taxillorum  et  saculi  vulgo  bi- 
ribiribì  ludos prohibcmus.  » 

Bisacia  (tasca  grande  per  riporvi  robe). 
«  De  omnibus   et  singulis  dictis  bisaciis, 
ligaciis   vel  sachis  fieri  debcat  ut  supra.  » 
(Giornal.  ligust.,  1S96,  pag.  306). 

Bisamne  (iìume  Bisagno). 

«  Fuit  sturmus  et  prelium  maximum  in 
Bisamne.»  (Obert.  Scribe,  ann.  1192). 

Bisatium  (pagliericcio). 

«  Itnn  bisatium  unum,  lintcamenium  ufium, 
cussinumuuum.fresatam  unam.  »(Cais,  CoJiit 
di   Ventimiglia,  pag.   133). 

14 


GLOSSARIO   MEDIOEVALE   LIGURE 


147 


Bisatium  (moneta). 

«  Debei  dare  paliuin  unum  valentem  bi- 
satios  X.  »  {Lib.  jurium,  pag.  173). 

Biscona? 

«  Teneatur  coinpellere  molinarius  quod 
nullo  modo  advertant  aquain  biscone  de  loco 
suo ,  causa  ducendi  ad  ipiaiii  clausam.  » 
(Stat.  lanue  Visdomini,  voi.  I.pag.  72). 

Bislachum  ? 

«  Profloreno soldmn  unum  cudi  diniidio... 
et  prò  bislaco  soldmn  unum.  »  (Stat.  Al- 
bingane). 

"Bissana  (Bussana). 

Che  movendo  da  Vipsana  passando  in 
Bissana,  venisse  a  formarsi  l'antico  nome 
di  Bussana  abbiamo  in  altri  scritti  asserito, 
e  questa  Bissana)  troviamo  in  un  documento 
riferito  dal  Desimoni  in  cui  si  leggono: 
«  Ambrosiics  de  Diano  et  Lanrenlius  de 
Bissana.  »  [Acles  de  Famagousle ,  pag.  32). 

Biava  (ogni  sorta  di  frumento). 

«  Non  debent  dicium  quaranlemnìi  de 
omnibus  illis  blavis  que  per  mare  veniunt.  » 
(Cuneo,  Del  debilo  pubblico,  pag.  12  . 

Blavetum   (tessuto    di   colore  azzurro). 

«  Tradidit  ballavi   unam  blavelorum  de 

^a/(9;/(9.  »(Ferretto,  Cod,  diplom.,  2" ^pa^.  2,02). 

Bocia  olivarum  (gruppo  di  migne). 

«  Si  que  persona  inventa  fuerit...  incidere 
olivas...  prò  qualibet  bocia  soldos  viginti,-» 
(Stat.  Albingane'. 

-.Bogia  (arnese  di  ferro  per  accompa- 
gnare il  torchio  nello  stringere). 

«  Cum  uno  tor  colar  io  prò  oleo  coìificieìido 
et  stia  bogia  fe?-ri.  »  (Garoni,  Codice  della 
Liguria,  p.  i36\ 

Bolagus  (gonfiamento  fumo,  e  gorgoglio 
della  terra  vulcanica,  bollentino  prin- 
cipio di  eruzione). 

«  Terra  posila  in  vallone  de  nionlenigro 
ubi  dicitur  Bolagus.  »  Questa  è  la  memoria 
più  antica  che  il  notaio  Giovanni  de  Aman- 
dolesio  registri  all'anno  1264,  sulla  nota 
località,  creduta  un  resto  di  cratere  sul 
Montenegro  presso  Bordighera,  e  che  per 
iscopo  scientifico  veniva  visitata  nel  secolo 
xviii  dall'illustre  Carlo  Amoretti  di  Oneglia 
e  nel  1831  dall'Intendente  di  San  Remo 
Alberto  Nota. 

Boldronus  (pelle  lanosa,  pergamena  non 
rasata). 

15 


«  Pilluin  quod  abradelur   et  percipietur 
sive  pillabitur  de  cartis  seti  de  pellibus  bol- 
dronoruin.  »  (Ferretto,  Cod.  dipi.  ,2'^,  p.  278). 
Bolengheria  (panetteria). 

«  Quelibet  bolengheria  volens  facere  pa7tetn 
noìi  possit   e  te.  »  (Assandria ,    Stai.    Bacn- 
narum,  rubr.  140). 
Bolexinum  ? 

«  Annuatim  extivo  tempore...  e  lavica  de 
cantone  usque  ad  bolexinum  latitudinis  bra- 

chiorum  decem et  fovee  terre  Sarzane 

debcant  ampliari.  »    (Stat.   .Sarzane,  lib.  t, 
rubr.  xxxii). 
Bolum  ì 

«  Quod  patroni  retiarum  non  auferant 
bolum  alteri  patrono...  per  dal  pisces  quos 
ceperit  in  bolo  prediclo.  »  (Tozzetti,  La  pesca 
in  Llalia,  voi.  pag.  379'. 

Bolzonus  (arnese  di  ferro  e  anche  di 
legno  in  forma  di  freccia  richiesto 
per  armare  una  galera). 

«  Bolzonum  unum  de  ferro  longumparniis 
Il  et  asta  prò  dicto  bolzono  que  nianeat 
semper  in  corsia.  »  (Lmposicio  officii  Gazerie, 
pag.  326).  Di  un  istrumento  veementissimo 
detto  Bulzone,  parla  Ottobono  Scriba,  a 
pag.  44  dell'edizione  preparata  dal  marchese 
Cesare  Imperiale. 

Bombace  (bambagia). 

«  De  brazili,  bombace,  incenso,  indico, 
altimiue  »  lib.  eie.  {Liber  jurium,  I,  p.  i76^\ 

Bombarda  (mortaio  o  cannone  grosso 
per  gettar  bombe). 

«  Cum  expositicm  fuùrit  paucos  aut  fere 
nullos  in  hac  urbe  inveniri  qui  conflandis 
conslruendisque  bombardis  apti  sint,  conce- 
dimus  eie.  »  (Alizeri,  Notizie,  VI,  pag.  407). 
Ne  fu  suo  derivato  il  bombarderius :  si  scri- 
veva anche  bumbarderius. 

Bonetus  (sorta  di  berretto). 

Il  Feretto,  nel  Cod.  dipi.,  voi.  2°,  pag.  358, 
ricorda  :  «  bonetos  noveni  et  capellos  odo 
ferri.  » 

Bordatum  (tela  listata  e  variegata). 

«  Pro  aliqua  parte  sive  particnla  de  sirico 
vel  bordato.  »  {Atti  della  Società  storica 
Savonese,  voi.  I,  pag.  543).  Nello  Statuto  di 
Savona  del  1404  s'incontra  il  vocabolo  Bor- 
datura in  senso  di  orlo  di  fregi. 

Borello  (stoffa  mista  di  lana  e  lino). 

«  Cuidam  mercatori  prò  duabus  peciis  de 
borello  prò  familiare.  »  (Desimoni,  Conti 
dell'ambasciata,  pag.  591).  ^(  -^ 


148 


GIROLAIMO   ROSSI 


Boscherius  (guarda  boschi). 

Lo  Statuto  di  Nizza  ha  il  capitolo  de 
boschcriis. 

Boscus  (bosco). 

«  De  igne  non  ponendo  in  boschis.  »  (Stat. 
Vezzani,  pag.  io6  ;  da  dove  originò  il  boscare 
nel  senso  di  far  legna). 

Botarius  (bottaio). 

«  Dejuramento  botariorum.  »  (Stat.  antiq. 
Saone). 

Bothonus  (bottone). 

«  Crucem  unam  argenteain  parvani  cuin 
bothono  de  cristallo.  »  (Giorn.  ligustico,  1890, 
pag.  55). 

Botus  (tocco  di  campana). 

«  Campane  que  pulsaniur  ad  bolos.»  (Stat. 
lanuae,  Visdomini,  2",  p.  28). 

Bracerius  (contadino  che  lavora  col 
badile,  distinto  dal  boaterius  che 
lavora  coi  buoi). 

«  Qnilibet  boaterius  possit  accipere  nsgue 
ad  stayratas  duas  et  bracerius  nsqtie  ad 
stayratam  unam.  »  (Stat.  Apricalis). 

Brachilis  (barchile,  da  dove  l'acqua  si 
versa  in  due  pile). 

«  Laboreriuni  in  quodain  brachile  mar- 
moreo R.  d.  d.  Card.  Roani.  »  (Alizeri, 
Notizie,  V,  pag.  315). 

Bracus  (cane  da  caccia). 

«  Dabit  astorem  unum  et  be7ie  afailatitm 
qui  bene  accipiat  perdices  et  quarias  et  bracos 
bonos  et  stifficientes  ad  cazandum  perdices.  » 
(Ferretto,  Cod.  diplom.,  2",  pag.  295), 

Bradella  (sgabello). 

«  Bradella  seu  scabellum  siibtus  sacerdotum 
pedibus  sit  ligneum.  »  (Landinellus,  Synod. 
Albingati.,  pag.  175). 

Braga  (l'espressione  dello  Statuto  nicese 
a  Capite  aia  (Capo  d'aglio)  ad 
Bragam,  equivale  da  Eza  al  Varo). 

Brage  (calzoni). 

«  Item  vendat  bragas  et  caniisas  etbisacias.  » 
(Desimoni,  Actes  de  Famagouste,  pag.  3). 

Brandonus  (torcia), 

«  Emi  debcani  braudoni  xii  ad  sociandum 
corpora  defutictoru}n.»{Sia.\..  Levanti, p.  125). 


Bravum  (antica  rocca  che  sorgeva  sul 
monte  che  intercede  fra  Sospello  e 
Scarena). 

«  Hec  sunt  res  quas  habemus...  octavam 
partem  de  loto  Bravo.  »  (Cais,  Cart.  de  Nice, 
pag.  115). 

Braxa  (bragia). 

«  For7iarius  non  del  braxas  alieni  nisi 
fuerint  bagnate  et  coperte  »  (Barelli,  Il  libro 
della  catena  di  Garessio,  pag.  43). 

Braxeria  (braciere). 

«  Causa  fabricandi  seu  complendi  braxe- 
riam  inceptam. »  (Alizeri,  Notizie,  XI, p.  279). 

Brazaria  (servizio  feudale  che  consi- 
steva in  lavori  manuali). 

«  De  brazaria  quani  dedit  prò  vestitura 
castri  Mugini...  habuit  filiuni  pauperem.  » 
{Cari.  Lirinense,  pag.  106). 

Brazile  (legno  che  tinge  in  rosso,  per 
l'esempio  vedi  Boiìibacé). 

Brenta  (misura  pel  vino). 

«  Item  brenta  una  vini.  »  (Giornale  li- 
gustico, 1890,  pag.  40'. 

Brenus  (crusca). 

«  Item  prò  qualibet  salniata  furfuris  sive 
breni  patacos  tres.  »  (Saige,  Documcnts.,  2°, 
pag.  162). 

Bricola  (macchina  per  lanciare  pietre). 
«  Solvile  Dominico  de  Ranco  deputato  ad 
fabricationem  unius  bricole  libras  centum.  » 
(Alizeri,  Notizie,  voi.  VI,  pag.  399). 

Bricus  (sasso  sporgente  d'una  vetta  di 
monte). 

«  Confines  a  dictis  bighettis  ad  bricmn 
scogie.  »  (Garoni ,  Codice  della  Liguria, 
pag.  133).  Lo  Statuto  di  Sospello  ha  brecus 
nello  stesso  significato. 

Brila  (specie  di  giuoco). 

«  Si  qua  persona  luxerit  ad  brilani  in 
burgo  GarexiiySolvat  etc.  »  (Barelli,  Il  libro 
della  catena,  pag.  72). 

Brilla  (briglia),  per  l'esempio  vedi  cqui- 
tatura. 

Brocha  (vaso  di  terra  cotta  col  bec- 
cuccio per  l'esito  dell'acqua). 

«  Tencatur  dum  vinuin  vendi t...  situlam 
unam  vcl  brocham  aqiie  mentis  tenere.  » 
(Stat.  Sarzane), 

16 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE  LIGURE 


149 


Brolium  (prato  cinto  dì  alberi). 

«  Aduni  in  Ronianisio  in  brolio  ecclesìe 
S.  Petri.  »  (Ugllengo  e  Vineis,  Storia  di 
Cuneo ^  pag.  234). 

Bronzum  e  Brunzium  (bronzo). 

«  Promitlo  facere  campanam  de  bronzo 
vesfro.»  (Alizeri,  A'otìzie,  IV,  pag.  67, 
«  Debet  habere  pintam  unam  de  bronzio.  » 
(Stat.  Uvade). 

Brugnatum  (Brugnato,  già  sede  di  dio- 
cesi, regione  abitata  dai  liguri 
Briniati). 

Brunetus  (nome  di  una  moneta  formata 
nel  medio  evo  con  maggiore  quan- 
tità di  rame  che  d'argento,  da  dove 
la  denominazione  moneta  bruna.  De- 
nari hruncti  si  coniavano  in  Genova 
coi  tipi  della  moneta  pavese). 

Brustia  (pettine  grosso). 

«  Ligo  silicei,  lebes,  calhena,  jugum  cum 
aratro  f  limito  a  bobus,  brustia  per  pectinim 
a  canapo.  »  (Stat.  Garlende,  pag.  ■^■^. 

Bruxare  (abbruciare). 

«  Si  iverit  ad  estiìnanduin  de  podio  bru- 
xato.»  (Stat.  Diani,  viene  usato  brusare 
negli  Statuti  di  Porto  Venere). 

Bucalis  (boccale,  misura  pel  vino), 

«  Cedo  vineant  tneam  ad  servitiuui  annuum 
unius  bucalis  vini  puri.  »  {Chart.  S.  Pontii, 
pag.  294). 

Buccorale  (vera  di  pozzo), 

«  Cuilibet  persone  que  ascenderit  super 
buccorale  putei  prò  aquam  traheudo  ,aiif crani 
prò  banno  eie,  (Podestà,  pag.  54). 

Bucius  (nome  di  una  nave  a  remi). 

«  Ecce  due  galee  Pisanorum  venientcs 
obviain  illis  cum  tribus  buciis.  »  (Belgrano, 
Documenti^  pag.  315). 

Budellus  (budello). 

«  Vendere  teneatur...  tripas  cum  mendi- 
gono...  cor  alani  cum  corde  et  pinguedine... 
rostetum  cum  budello.  »  (Stat.  Sospitelii). 

Bugata  (bucato,  liscivia). 

«  Cevoliuni  unum  prò  bugata.  »  (Ferretto, 
Cod.  diploni.,  2",  pag.  77  . 

Bugetum  (dardaglione). 

«  Guarnaca  de  /emina  sine  busto  cum 
bugeto.  »  (Stat.  Bobii,  pag.  69). 

17 


Bulco? 

«  Ligneum  instruxcrunt  hulco7icm,  cum 
quo  turrim  novani  Bulbonensi  deatruxc- 
runt.  »  (Otob.  Scribe). 

Bullus  (bollo,  sigillo), 

«  Ponderet  cum  ponderiòus...  bullatis  de 
inarco  vel  bullo  conimunis  Sarzane.  »  (Stat. 
Sarzane). 

Burdum  (tessuti  di  diversi  colori  a  righe, 
da  cui  il  Desimoni  crede  sia  origi- 
nato il  hirdató). 

Burgensis  (borghese,  abitatore  di  borgo). 
Coll'aiuto  degli  Statuti  di  Sarzana  del 
1219,  editi  dal  canonico  Podestà,  aggiun- 
giamo alcuni  cenni  che  serviranno  di  rin- 
calzo al  burgensaticus  della  prima  parte.  In 
una  città  o  terra  feudale,  attorno  al  castello 
abitavano  i  partigiani  del  signorotto,  che 
da  lui  teneano  in  enfiteusi  delle  proprietà 
e  col  nome  di  domini  o  feudales  erano  dì- 
stinti  dai  burgenses,  che  avevano  le  loro 
dimore  fuori  delle  porte.  Furono  i  burgenses 
i  primi  promotori  delle  compagne,  le  quali 
dovettero  poi  giurare  non  solo  i  domini, 
ma  gli  stessi  comites  e  marchiones.  I  bur- 
genses come  più  numerosi  avevano  erette 
le  loro  chiese  fuori  dell'abitato  e  nelle 
piazze  circostanti  rendevano  giustizia  i  con- 
soli. Fra  i  due  ordini  di  cittadini  era  forte 
gelosia  e  se  uno  della  nobiltà  avesse  tenuto 
prigione  uno  del  borgo,  gli  abitanti  di  questa 
erano  obbligati  a  correre  in  aiuto  del  de- 
tenuto ed  era  multato  di  multa  se  noi 
faceva  : 

«  Si  aliquis  burgensis   captus  fuerit  vel 

detenius  in  persona  ab  aliquo  nobililatis 

potestas  et  consules  et  comunis  qnam  omncs 
burgenses  teneantur  speciali  juramento  et 
debeant  ipsiuu  adjuvare.»  ;  Podestà,  pag.  35). 

Busegus  (boldrone). 

«  Buldroni  qui  appellantur  busegi.  »  (Fer- 
retto, Cod.  diplom.,  I",  pag.  164). 

Bussola  o  Buxola  (questa  voce  aveva 
varii  significati  in  Genova:  i**  di  bos- 
solo o  urna;  2"  di  vaso;  3°  di  let- 
tiga). 

«  Ordo  circa  transitum  de  una  bussola  ad 
aliani.  »  (Stat.  di  Savonal 

«  Nemo  audeat  fieri  vel  imprimi  in  vasis 
seu  bossolis  triache  signum  alterius  spe- 
darle. »  (Capitul.  Aromatiorum). 


I50 


GIROLAMO   ROSSI 


Sino  al  1579  in  cui  venne  introdotto  in 
Genova  l'uso  delle  carrozze,  i  signori  so- 
levano recarsi  a  passeggio  e  a  visitarsi  fra 
loro,  sedendo  in  sedie  chiuse  a  braccioli 
riccamente  tapezzate,  portate  da  due  fac- 
chini, appellate  bussole  o  anche  por iaji /ine, 
come  scrive  il  Belgrano  a  pag.  286  delia  Vita 
privata  dei  Genovesi. 

Bustus  (arnese  che  cinge  i  fianchi). 

«  Roba  de  /emina  que  sii  curn  busto  in- 
tegro. »  (Stat.  Rohii,  pag.  69). 


Butare  (gettare). 

«  De  lapidibus  non  butandis  seuproiiciendìs 
per  vias.  »  (Stat.  Pornasii,  pag.  38  . 

Butis  (botte). 

«  Debent  laborare  illas  butes  et  vascula.  » 
(Belgrano,  Registro,  2",  p.  41). 

Buza  (misura). 

«  Concedo  conwnmi  lanuc  libertatein  can- 
ta rii,  buze  et  vwdii  et  omniuni  aliar uin 
niensnrationuìn.  »  {I.ib.  jurium,  i,  pag.  406) 


C 


Caballus  (cavallo). 

«Non  requisivere...  nisi  tantum  nostros 
fideles  et  caballos  nostroruvi  majoruìii.  » 
(S.  Quintino,  Osservazioni,  pag.  34). 

Cabana  (capanna). 

«  Siiniliter  cabanam  salis  Saui-gii.  »  (Cais, 
La  ville  de  Nice,  pag.  123). 

Cabestrum  (capestro). 

«  De  precepto  predicti  locumtenentis...  vi- 
delicet  prò  uno  cabestro  una  corda  »  (Cais, 
La  Ville  de  Nice,  Turin,  Bocca  frèrcs,  1898, 
pag.  77)- 

Cadana  (fossa). 

«  Habeant  curavi  scurandi  vel  scurare 
faciendi  aquas  cadanartim  sive  ipsas  cadanas 
iisque  ad  venas.  »  (Stat.  Albingane). 

Cafalqum  (specie  di  tettoia). 

«  Contra  facientes  ignetn  in  alienis  gran- 
giis  et  cafalquis.  »  (Stat.  Sospitelli). 

Cagazo  (parola  ingiuriosa). 

«  Si  alieni  Iwmini  dixerit  cagazo  scu  alieni 
mulieri  que  non  sitpublica,  mcretrix,  putana, 
solvere   teneatur.  »  (Stat.  Sarzane). 

Cagella  (sorta  di  tributo). 

«  Cageilain  aliquain  super  eoruin  homines 
non  levabimus.  »  (S.  Quintino,  Osservazioni, 
pag.  200). 

Cagnercia  (foja  dei  cani). 

«  De  catulis  tenendo  ligatis  et  clausis  tem- 
pore quo  vadunt  ad  cagncrciam.  »  (Manuel 
di  S.  Giovanni,  /  marchesi  del  Vasto, 
pag.  243). 


Cagnorata  (cova  di  lupi  ed  orsi). 

«  Solventur  Jiorenos  tres  et  grossos  sex 
prò singula  cagnorata  Inporum  etnrsorum.-» 
(Stat.  Sospitellii.  Il  Dizionario  del  Tramater 
registra  che  le  fiere  tutte,  chi  in  siepe  chi 
in  cova,  fanno  il  covacelo  pel  futuro  parto. 

Calafatus  (chi  ristoppa  le  navi). 

«  Ego  JMariinus  calafatus  de  Lambregario 
promitto  eie.  »  (Belgrano,  Documenti,  p.  35). 
Si  ha  Carafatus  nello  Statuto  di  Levanto. 

Calare  (discendere). 

«  Capre  vero  non  stent  nec  vadant  a  tecto 
heriiardi  inferius,  usque  ad  baranchum  ca- 
lando ad  planum  »  (Barelli,  //  libro  della 
catena  di  Garessio,  pag.  51). 
Calasta  (arnese  domestico). 

«  Calaste  quatuor  in  mezano.  »  (Giornale 
ligustico,  1890,  pag.  87). 
Calcia  (pedale  d'albero). 

«  Si  quis  inciderit  alienam  arborem  ad 
calcinm.  »  (Stat.    Lavine). 

«  Arbores  non    incidant  ad  calciam  sive 
ad  citnain.  »  (Stat.  S.  Romuli,  si  trova  anche 
caucia). 
Calciatura  (saldatura). 

«  Ferrarius   teneatur   (liabere)  prò  cal- 
ciatura securis  sofidos  dnos.  »    (Assandria, 
Stai.  Bacnnarum,  pag.  lxxi). 
Calocchia  (palo  cui  si  attacca  l'estremità 
dei  tralci). 

«  Colligendo  vel  paleam,  vel  calochias,  vel 
cervatinas,  vel  cannas.  »  (Stat.  Sarzane). 
Calzolarius  (calzolaio). 

«  Ullus  calzolarius  tingati  vel  tendat  vel 
exbattet  aliquam  pellevi  vel  corios  snbius 
porticum.  »  (Podestà,  pag.  60). 

18 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE  LIGURE 


151 


Cambium  (traffico  di  monete  e  di  titoli). 

«  PfOììiittimus  Uhi  dare  noìiiine  caìubii 
tantum,  argentuìn  de  januinis  veteribus.  » 
(Belgrano,  Documenti,  pag.  154'. 

Camerarius  (custode    del  pubblico   de- 
naro). 

«  Poteslas  teneatur  oinnes  introitiis  et  pro- 
ventus  comunis  facere  pervenire  ad  inanus 
cainerarii.  »  (Podestà,  pag.  28;'. 

Caminus  (via). 

«  Ctii  coheret  superiiis  caininmn  vetus.  » 
(Saige,  Dociiments,  pag.  142'. 

«  Siciit  illeniet  caminus  vadit  versus 
orientem.»  (Desìmoni,  Quatre  titres,  p.  14). 
(Camino  si  appellò  il  luogo  dove  si  accen- 
deva il  fuoco;. 

«  Si  igfiis  ad  calefaciendum  accendatur  in 
aule  cantino,  yy  (Landinellus,  Synod.  al- 
bingan.,  pag.  452  . 

Andrea  Gattaro  nella  Storia  di  Padova, 
pubblicata  dal  Muratori,  racconta  che  nel 
1368  trovandosi  in  Roma  Francesco  Vecchio 
di  Carrara,  non  vedesse  un  solo  camino  in 
quella  città,  perchè  tutti  facevano  fuoco 
nel  mezzo  della  casa  sul  pavimento  od  in 
cassoni  pieni  di  terra.  Pare  che  l'uso  in- 
cominciasse circa  il  1300  incirca  nella  Lom- 
bardia e  la  via  Caniinadella  ne  riterrebbe 
ancora  il  nome.  È  quistione,  se  il  jajn 
smnnia  procul  vìllarum  culmina  fumant  di 
Virgilio  e  il  dissolve  frigus  Ugna  super  foco 
large  repoTiens ,  bastino  a  dirimere  il  dubbio 
e  a  far  chiara  prova,  se  2000  anni  fa  gli 
Italiani  facessero  uso  di  camini  o  d'un 
focolare  sormontato  da  urta  gola,  per  dar 
esito  al  fumo  e  sfuggir  così  la  formazione 
della  caligine,  per  cui,  in  case  fatte  di  legno, 
era  tanto  facile  ad  appiccarsi  il  fuoco. 

Camisia  (camicia). 

«  Posuit  se  in  camisia  et  fugain  rapuit.  » 
i  Chartrier  de  S.  Pons,  pag.  257). 

Camola    (arbusto    proprio    delle    terre 
incolte). 

«  Si  quis  inciderit  vel fregerit...  frase has 
vel  nascas  aut  caino las  det  bannuni  sol.  v.  » 
(Stat.  Unelie). 

Campana  (campana). 

«  Campane  per  se  sonaverunt.->->  ;Caphar, 
Annales,  noi). 

Campana  de  custodia  appellavasi  il  copri- 
foco  :  «  sonufn  tertimn  campane  qtie  pul- 
sattir  prò  custodia  noe  tur  na.  »  (Stat.  Sarzane, 
da  dove  la  voce  campanilis). 

19 


Campio  (difensore). 

«  Du7n  campiones  in  campo  preliarentur, 
talem  transactioneìn  fecerunt.  »  (Rossi,  Do- 
cumenti sopra  il  contado  di  Ventimiglia., 
pag.  5)- 

Campitelliani  locus  (viene  ricordato  a 
pag.  221  del  2°  volume  degli  yl/// 6' 
Memorie  della  Società  storica  savo- 
nese). 

Camucatus  (stoffa  ricca  tessuta  di  seta 
e  di  peli  di  cammello). 

«  Pallium  camucativiridis.  »"(Vigna,/-'a7/- 
tica  collegiata  di  S.  Maria  di  Castello^ 
pag.  265),  forse  era  una  cosa  sola  col  ca- 
mucus  ricordato  dal  Desimoni  :  «  item  spatam 
unam  florcJitinavt  munitam  de  camuco.  » 
{Actes  de  Famagouste ,  pag.  98). 

Canabacium  (pannolino  grosso  e  ruvido). 
«  Pro  tclis  canabaciis  et  fustancis  quos  et 
quas  de  Alemania  lanuam producent.  »  Gior- 
nale ligustico,  18S5,  pag.  84). 

Canabarium  (orto  messo  a  cavoli). 

«  Dedit  Nicholao...  hortum  et  canabarium 
aquisitos  a  Vaqueriis.  y>  {Te slam.  dcGubcr- 
natis,  1529). 

Candella  (oltre  il  significato  nostro  di 
candela,  tal  vocabolo  significava 
pure  la  corda  che  serviva  a  soste- 
nere gli  alberi  dello  navi). 

«  Item  zuìicum  et  candellas  et  sarda  prò 
muniendis  arboribus.  »  (Belgrano ,  Docu- 
menti, pag.  31). 

Candellelia  e  Candelaria  (festa  della 
Purificazione  della  Vergine  Maria). 

«  Usque  ad  festum  Sancte  Marie  cande- 
larie.  »  (S.  Quintino,  Osservazioni,  pag.  186). 

«  Teneatur  solvere  solidos  x  ad  Candel- 
lariam.  »  (Datta,  Stat.  di  Nizza,  pag.  253  . 

Canitium  (chiudenda  di  canne). 

Per  avere  un  saggio  della  povertà  delle 
abitazioni  nel  medio  evo,  riferiamo  un  par- 
ticolare dell'antico  Statuto  di  Sarzana,  in 
cui  si  dice  che  dovendosi  dividere  una  casa 
\)\so%x\.'x\ì7\.  chiuder  e  ipsam  prò  parte  sibi  con- 
tingente, de  tabulis,  vel  canitiis  vel  matonibus 
vel  palis,  concedendo  un  lasso  di  tempo  di 
un  mese,  se  il  muro  divisorio  si  faceva  de 
canitiis;  di  due  se  si  faceva  de  tabulis  vel 
palis,  e  di  due  anni  invece  se  si  faceva  di 
mattoni.  (Podestà,  pag.  62). 


152 


GIROLAMO   ROSSI 


Canna  (misura  di  dieci  palmi). 

«  Centenaria  canabariornm  intellioanliir 
de  centimi  caunis.  »  (Belgrano,  Docuìnenti, 
pag.  io),  da  canna  origina  l'usitatissimo  verbo 
cannare  per  misurare. 

Canonus  (cannone). 

«  Proiiiittit  fabricare  et  construere  pecia 
tria  artegiornm  bronzi  vidclicet  canonuni 
umiin  et  rcliqua  duo  pecia  dieta  forcones.  » 
(Alizeri,  Notizie,  voi.  VI,  pag.  409).  Canonus 
si  trova  anche  in  senso  di  specie  di  fuso. 
Ferretto,  Cod.  diplomat.,  2",  pag.  278. 

Cansare  (astenersi). 

«  Non  dcbeant  intervenire  nec  cansare 
predicti  honiines  de  Cairo,  quod  non  con- 
tradicant.  »  (S.  Quintino,  Osservaziofd,  p.  57). 

Cantarius  (peso  di  libbre  150  di  Genova). 
«  Cantarius   et  rubiis   sit  ecclesie   sancii 
Laurenti.  »  '  Lib.  jurmm,  i",  pag.  68). 

Cantera  (tiratojo). 

«  Itevi  banc/iniii  scanni  cnin  suo  pooioto 
fulcito  et  fasciato  cimi  suis  canteris  prò 
tibris  duabus.  »  (Alizeri,  Notizie,  voi.  VI, 
pag.  33),  e  abbiamo  il  diminutivo  in  catithe- 
ret/ia  in  qua  sunt  plnres  pomelli  argenti.  » 
(Ferretto,  Cod.  diplom.,  2°,  pag.  20S). 

Canterius  (palo  di  legno  pesante  e  so- 
lido, ricercato  per  formarne  le  barche 
Calder  li). 

«  Non  possit  auferre  alienos  trabes  sive 
canterios.-»  (Stat.  Diani,  pag.  53:  tale  vo- 
cabolo sì  ha  negli  statuti  di  Levante,  d'Al- 
benga  e  di  Zuccarello.  Ben  a  ragione  il 
marchese  Imperiale  (  Annales  lannenses, 
P-55)  appone  al  Pertz  d'aver  detta  questa 
voce  d'ignoto  significato. 

Cantum  (àngolo). 

«  A  signo  canti  Garofali,  in  quo  canto 
debet  se  retrahere  pedem  unum.'»  {Lib.  ju- 
riuvi,  I",  pag.  48). 

Caparrus  (caparra), 

<i.  Item  ab  Ugolino  Censario  quos  Imbuita 
me  seu  dare  caparruin  darevios  xv.  »  (De 
Simoni,  e  nello  Statuto  di  Albenga  si  ha  il 
verbo  caparrare). 

Caponus  (cappone). 

«  In  ovuli  anno  debet  curie  caponos  diios 
et  juncataviunavi.y>  (Belgrano,  Registro,  2", 
pag.  90). 


Caporalis  (graduato  di  soldati  e  birri). 
«  Ire  dcbeant  constituto   caporale  et  uno 
alio  bandercrio.  »  Stat.  Vezzani,  pag.  58). 

Capretus  (capretto). 

«  Excepto  tamen  fegatello  capretoruvi.  » 
(Giorn.  ligustico,  1S82,  pag.   163). 

Capriolus  (uno  dei  due  influenti,  onde 
si  forma  il  torrente  Tacua,  ora  Ar- 
gentina). 

«  Via  Dobaire  descendendo  deorsuvi  usque 
adflunicn  Caprioli.  »  (Stat.  Triorie,  pag.  36). 

Capucium  (era  questo  il  copricapo  più 

usuale  in  Liguria,  per   il  che   farlo 

cadere  ad  uno  reputavasi  ad  offesa). 

«  De  non  levando  capucium  velaliudpignus 
alicui  persone.  »  (Stat.  S.  Stephani). 

Car  (il  pezzo  più  grosso  dei  due  com- 
ponenti l'antenna). 

«  Itevi  alias  duas  pecias  antennarum  que 
dicuntur  car.  »  (Belgrano, Z?of//;«d'«//,  pag.  9). 

Caratus  (così  era  chiamata  caduna  delle 
parti  in  cui  veniva  diviso  con  feudo, 
una  nave). 

«  Nulluni  daìunum  causaretur  caratis  nec 
drictibus  dugane ymo  utile.  »  (Stat.  dei  Padri, 
pag.  337). 

Caravana  (carovana,  compagnia  di  mer- 
canti). 

«  Feliciter  caravana  Giostra  de  ultra  mare 
venit in  portum  Janue. »{Oger'n  Panis,  1217). 

Carbonaria  (fossi  fortificati  intorno  alle 
terre). 

«  Carbonariam  seu  tcrraliam  coviunis 
intus  et  extra  foveas...  nulla  persona  fodiat 
vel  cavet.  »  (Stat.  Sarzane). 

Carcheria  (fabbrica  di  panno). 

«  Item  ad  carcheria  follatoris  vel  ad 
colla  Praza.  »  {Lib.  juriuni,  I,  pag.  1315)- 

Carenam  dare  (valeva  mandare  una 
nave  alla  banda  per  rassettarla  \ 

«  Modus  dandi  carenam  navibus.  »  (Stat. 
Padri,  pag.  270.  A  pag.  249  dei  Documenti 
del  Belgrano  si  legge  dare  latus  nello  stesso 
significato). 

20 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE  LIGURE 


153 


Gargare  (caricare). 

«  Non  sii  ausus  cargare  Ugna  ex  quo  ipsa 
cargaverit  in  nemore.  »  (Stat.  Nicie'. 

Carnelevarius  (carnovale;. 

«  /;/  hebdoììiada  carnelevarii  inìlites  scp- 
tiiaginia  perrexerimt.»  '  Caphari,  Annales). 

Carpita  (panno  con  lungo  pelo  per  co- 
prire i  letti). 

«  Oberto  Mangiavaca  da  Varazze  porta 
panni  et  carpitas  in  Sardegna.  »  (Ferretto, 
Cod.  diplom.,  20,  pag.  131). 

Carraca  (grossa  nave  mercantile). 

«  Non  faciani  galeain  nec  sagittam  nec 
carracani.  »  (Giorn.  ligustico,  1896,  pag.72). 

Carratelum  (vaso  vinario). 

«  Teneanlur  solvere  denarios  iv  prò  sin- 
gnlo  carratello.  »  Stat.  Ceriane,  pag.  23). 

Carratia  (palo). 

«  De  accipieniibus  carratias  arundijies  et 
alia  regirnina  vitiunt.  »  (Stat.  Uvade). 

Carreria  (via). 

«  De  facientibus  impedìinentis  in  carreriis 
Apricalis.  »  (Stat.  Apricalis). 

Carrezzare  (tirare  il  carro  coi  buoi). 

«  Si  quis  in  predictis  diebus  laboraverit 
sive  bovcs  iungendo  aut  carrezando  solvat 
etc.  »  (Id.,  pag.  24). 

Carrubeus  e  Cadubrius  da  quadriiviuvi 
(vicolo  o  contrada  stretta). 

«  De  turpitudine  non  facienda  circa  pa- 
raniurum  sive  in  carrubeis  civitatis.  »  (Stat. 
Albingane). 

Carta  (così  e  accompagnate  talora  con 
nicnihrana  erano  chiamate  nel  medio 
evo  le  carte  membranacee  che  s'im- 
biancavano dai  cartarii,  prima  di  es- 
sere poste  in  vendita.  Ve  n'  era 
di  tre  misure:  la  piccola,  la  mezzana 
e  la  grande,  che  si  vendevano  a  di- 
versi prezzi.  Nel  xiv  secolo  prese  a 
conoscersi  la  carta  vegetale  col  nome 
di  papiro. 

«  Stabit  tecuni  causa  adiscendi  artem  scri- 
bendi  libros  et  vendendi  cartas.  »  (Alizeri, 
Notizie,  voi.  Ili,  pag.  1314). 

Cartarius  (chi  preparava  e  vendeva  le 

carte  membranacee  o  pergamene). 
21 

20   —  Mise,  S.  Ili,  T.  XIII. 


«  lohannes  cartarius  promisit  et  convenit 
notnine  suo  quod  toium  pilum  quod  abradetur 
de  carlis  sive  de  pellibus  boldronorum  non 
vendei.  »  (Giorn.  ligustico,  1896,  pag.  549). 

Carzare  (scardassare  la  lana). 

«  De  arte  rctundendi  et  carzandi pannos.  » 
(Ferretto,  Cod.  diplom.,  I,  pag.  78,'. 

Casalis  (villaggio). 

«  Alliciebanf  ontnes  ex  civitatibus,  oppidis 
et  casalibtis,  »  (Otob.  Scribe). 

Casana  (banco  di  sconto). 

«  Concessa  quod  in   dieta   civitate  Nicie 

fiat  et  fieri  possit  una   casana,  prout  fit  et 

consuetum    est  fieri  in  principalibus   locis 

Ytalie.  •»  (Cais,  La  ville  de  Nice,  pag.  467). 

Casanerius  (^banchiere). 

«  Philippus  Busquetti  casanerius.  »  (Idem, 
pag.  266'. 

Caschifellone  (piccolo  borgo  sulla  Pol- 
cevera  secca  or  detto  San  Michele 
di  Castrofino,  oCastrofìno  solamente 
presso  Pedemonte). 

«  Constile s  laudaverunt...  totani  decimam 
hereditafis  filiorum  Rustici  de  Caschifel- 
lo7io.  »  (Olivieri,  Serie  dei  Consoli,  pag.  239). 

Casicavalus   specie  di  formaggio). 

«  Qui  enierint  mesischam.,  casicavalos  vel 
caseiim  grassum  etc.  »  (Pandiani,  Stat.  Por- 
tusveneris,  pag.  82). 

Cassalis  (franto). 

Di  quest'aggettivo  che  accompagna z^/^/«?/.s 
e  che  origina  da  quafio,  dà  la  chiara  spie- 
gazione lo  statuto  di  Sarzana  (Lib.  II,  rubr. 
XIII)  colle  parole:  «  Si  qua  persona  stu- 
diose vulnus  cassale  fecerit  vel  os  capitis 
penetraverit...  debeat  condemnari  etc.  »  Lo 
statuto  più  antico  poi  dello  stesso  comune, 
edito  dal  Podestà,  indica  il  modo,  dicendo  : 
«  quicumque  percusscrit  aliquem  de  ferro 
/adendo  ei  vulnus  cassale,  per  dal  etc.  » 

Castrum  doloris  (catafalco). 

Il  Pacchiero,  curato  di  Monaco,  descri- 
vendo nel  1643  il  gran  funerale  fatto  alla 
morte  del  Re  di  Francia  Luigi  XIII,  ricorda 
il  castrum  doloris  eretto  nel  mezzo  della 
chiesa;  frase  che  si  vede  usata  nel  Diarium 
Burchardi  all'anno  1484. 

Cavagnium  (cavagne). 

«  Portari  faciat  corbina,  cavagnia  seu 
barillos  vel  alia  vasa  causa  vindemmiandi 
(Stat.  Albingane;. 


154 


GIROLAMO  ROSSI 


Cavalcatura  (bestia  che  si  cavalca). 

«  Pro  ipso  roncino  scu  cavalcatura  sol- 
vere non  cogatur.  »  (Stat.  Sarzane). 

«  De  cavalcaturis  prò  morbo  magagna  re- 
futandis.  »  (Stat.  Janue  Visdomini,  lo,  pa- 
gina 65  verso). 

Cavio  (capo  dei  pastori). 

«  Si  quis  berberi  US  discesserit  a  paria,  vel 
vacito  seii  agnelata  sinc  verbo  vel  liccntia 
cavionis,  salvai  eie.  »  (Barelli,  Gli  statuti  di 
Ormea,  pag.  159). 

Gazare  (cacciare). 

Per  l'esempio  si  veda  la  voce  Bracus ; 
come  si  ha  pure  la  rubrica  dello  statuto 
di  Bobbio  «  de  tion  eundo  in  vineis  ad  ca- 
zandurn.  » 

Cazarolius? 

«  Teslis  inler  bancalarios,  cazarolios  et 
capsiarios.  »  (Alizeri,  Notizie,  voi.  II,  pa- 
gina 31). 

Celerius  (dicevasi  il  custode  delle  celle 
dove  sulle  alpi  si  fecevano  il  burro 
ed  i  formaggi). 

«  Celerius  lencatur  hoc  incusare  et  si  non 
incusaverit  debeai  emendare  caseos  vel  ca~ 
seum  captum  »  (Barelli,  Gli  slattili  di  Ormea, 
pag.  161). 

Censarius  (sensale). 

«  Teslis  Wilelìims  de  Sanclo  Georgia  cen- 
sarius. »  (Belgrano,  Documenti.^  pag.  179). 

Centa  (fiume  che  scorre  presso  la  città 
d'iVlbenga). 

«  De  ftan  /adendo  edificium  in  flumine 
Gente.  »  (Stat.  Albingane). 

Cepa  (ceppaja). 

«  De  nojt  arranchando  seu  cepando  cepas 
de  brugo  in  aliena.  »  {Atti  della  Società  Sa- 
vonese, tom.  2",  pag.  344). 

Cepum  (carcere). 

«  Pass  il  rixainfacientcs  panere  in  cepum.  » 
(Stat.  Padri,  pag.  28). 

Cercare  (cercare). 

«  Ilem  qui  voluerint  scrutare  seu  cercare 
res  furatas,  possit.  »  (Compromesso  fra 
Tenda  e  Briga,  1233). 

Gli  statuti  di  Cosio  hanno  anche  il  so- 
stantivo cerca. 

Cerra  (bolletta). 

«  Nullus  de  vendentibus  de  dictis  pannis 
possit  aufcrre  cerras  e  capitibus.  »  (Gior- 
nale ligustico,  1S96,  pag.  310). 


Cervelleria  (cappelletto  di  ferro). 
Per  l'esempio  vedi  Bacinetum. 

Cesa  (siepe). 

«  Et  teneantur  saltarti  scarnare  cesas 
oinnes  que  stcnt  iti  lateribus  viartini  per 
quas  ducitur  et  deferltir  fenum.  »  (Podestà, 
pag.  30). 

Cesarina  (specie   di  coltello),  vedi  Pe- 
natu?n. 

Ceva  (città  capoluogo  del   marchesato 
omonimo). 

Inxta  hanc  Garexii  jacei  hoc  in  tempore  castrum 
Cui  domina  ex  Ceve  nobilis  illa  dotmis. 

Antonii  Astesani.  —  Olivero,  Memorie  sto- 
riche di  Ceva). 

Charte  (giuoco  delle  carte). 

«  Lìidat  ad  aleas  vel  ad  folia  Itisoria  vi- 
delicel  chartas.  »  (Stat.  Triorie). 

«  Quod  ntilltts  ludat  ad  luduni  taxillortim 
vel  chartarum.  »  (Stat.  Levanti ,\ 

«  Quod  nullus  audeat  ludere  ad  luditm  ta- 
xillortim vel  chartarum.  »  (Stat.  Cohedani). 

Chimela  (Cimiez  antico  Cemellu7n). 

«  Jtixta  antiqua  urbe  Chimela  super  flumen 
Pallionis  donamus  ecclesiam  Sancii  Mar- 
tini. »  {Chartrier  de  S.  Patis,  pag.  7). 

Chirotheca  (guanto). 

«  Par  unum  chirolhecartim  de  camuscio 
frodatorum  tnarturis.  »  (Giornale  ligustico, 
1884,  pag.  354). 

Choree  (danze). 

In  qual  conto  fossero  tenute  le  chiese  nel 
medio  evo,  è  fatto  chiaro  dall'abuso  insorto 
di  farle  servire  ad  uso  di  sala  da  ballo  o  da 
conviti,  reliquie  forse  delle  feste  asinorum. 
Si  riferisce  a  quest'  effetto  la  rubrica  dello 
statuto  di  Pornassio  :  De  choreis  in  ecclesia 
Pomata  (era  la  parrochiale)  noti  ducendis 
seu  in  ipsis  chorizando.  Ilem  ordinamiis  et 
affirmainus  quod  aliqtia  persona  de  Pornatio 
non  debeat  choreas  ducere  seu  chorizare  in 
ecclesia  Sancii  Dalmata  dicti  loci  Pornasii, 
nec  ibi  facere  altquam  tabernavi.  » 

Christophorus  sanctus  (S.  Cristoforo). 

Fra  le  superstiziose  credenze  medioevali 
eravi  quella  che  bastava  aver  visto  S.Cristo- 
foro dalle  gigantesche  dimensioni,  dipinto 
sulla  porta  sinistra  della  chiesa,  per  aver 
augurio  di  buon  viaggio,  da  dove  : 

Chriitophori  sancii  speciem  quicumque  tuetur, 
Ilio  namqut  die  nullo  languore  tenetur. 

22 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE   LIGURE 


155 


Dal  suo  nome  s'intitolava  in  Genova  un 
borgo;  in  Ventimiglia  un  monte;  a  Milano 
una  chiesa  ;  di  una  chiesuola  a  lui  dedicata 
in  Lerici  parla  il  Remondini  ;  l'Alizeri  segna 
che  in  Savona  era  rappresentato  fuori  della 
chiesa  di  S.  Martino  ;  a  Pigna  lo  si  vedeva 
sulla  facciata  della  chiesa  di  S.  Tommaso, 
a  Taggia  sopra  un'edicola  del  Colletto,  nella 
valle  Barbaira  presso  Rocchetta  eravi  una 
chiesuola,  ora  distrutta  ;  il  vescovo  Vaccari 
nel  1504  accorda  indulgenza  a  chi  visiterà 
la  chiesa  di  S.  Cristoforo  in  Sospello;  Ver- 
celli, pili  avventurata  di  tutte,  teneva  (come 
scrive  il  Della  Chiesa  nella  sua  Corona 
Reale)  in  venerazione  fra  le  più  insigni  re- 
liquie un  dente  del  Santo  di  smìstirata 
grandezza.  La  sua  festa  si  celebrava  il 
giorno  25  luglio  e  coincideva  perciò  con 
quella  di  S.  Giacomo,  e  fra  i  giorni  feriali 
nella  Curia  di  Genova  si  trova  quello  bea- 
tortim  Jacobi et  Christophori.  Un'avvertenza 
da  notare  si  è  che  svanendo  il  culto,  si  di- 
menticò il  nome  del  Santo  ;  e  tanto  a  Monte 
San  Savino,  quanto  a  Ventimiglia  le  chiese 
già  intitolate  ai  Santi  Jacopo  e  Cristoforo 
non  sono  più  conosciute  che  con  quella  di 
S.  Giacomo. 

Chusitura  (cucitura).  i 

«  Pro  labore  de  duobtts  subtellaribus  de- 
narium  unum  et  diììiidium  ;  prò  chusitura 
denarium  unum.  »  (Stat.  Unelie). 

Cianca  (palancola). 

«  Appellationes  ad  ipsum  devolvantur ,  vi- 
delicet  locorum  intra  ciancham  de  vallibus 
Barcilonie.  »  (Stat.  Niciej. 

Ciatum  (accusa). 

«  De  illis  furtis  de  quibus  non  est  facere 
ciatmn,  ita  constituerunt.  »  (Rossi,  Docu- 
menti sopra  il  co7itado  di  Ventimiglia). 

Cichonia  (noria). 

«  Teneatur  habere  in  quolibet  ipsorum 
puteorum  cichoniavi ,  catenam  et  l'exen- 
tarium.  »(Stat.  Albingane\ 

Cima  (sommità,  cima). 

«  Habet  asiani  unam  cuni  flore  lilii  in 
cima.  »  {Lib.jnrium,  II,  col.  201). 

Cimossa  (viv^agno). 

«  Vendere  pannum  ad  cannam per  schinam. 
et  per  cimossam.  »  (Stat.  Albingane). 

Cinquadra  ? 

«  Nullus  homo  de  predictis  confiniis  possit 
comperare  salein  a  Monacho  usque  Cinqua- 

23 


dram.  —  Non  passini  vendere  salein  et  por- 
tare a  Panobio  usque  Cinquadram.  »  {Lib. 
jurium,  I,  anno  1152). 

Ciprisium  (veste  muliebre). 

In  una  carta  del  1276  certa  Carucosa  lega 
alla  sorella  Debem  ciprisium  virgaturn  e  ad 
altra  sorella  Martina  ciprisium  viridis.  (Fer- 
retto, Cod.  diplomai.,  2",  pag.  52). 

Ciriale  (orto). 

«  Super  quesiionibìts  terminandis  de  07  io 
seu  ciriale  cum  dojno.-»{Be]grano, Registro  2° , 
pag.  312]. 

Cirreus  (cedro). 

«  Si  emerii  vel  acquisiverii  de  illis  cirreisi 
qui  nati  sunt  in  dicio  loco  Saticii  Romul, 
vel  ipsi  ementi  necessarii  fuerint  prò  ejs 
revendendis  ludeis.  »  (Stat.  S.  Romuli). 

Cisigna  (si  crede  risponda  alla  Pieve  di 
Visigna). 

«  Damus  et  concedìmiis  iotum  illud  de 
plebe  Cisigne.  »  (Olivieri,  Serie  dei  Consoli, 
pag.  327). 

Citronus  (arancio). 

«  I?i  eamdem  penam  incnt'rai  qui  panem 
citronos  vel  alia  traxerit  versus  aliquem.  » 
(Stat.  Levanti). 

Civada  ^civaja,  per  l'esempio  riscontra 
Viandd). 

Civitatula  (si  vuole  fosse  questo  il  nome 
primitivo  dell'abbazia  di  Tiglieto). 

«  Monasterium  Sancie  Marie  Virginis  et 
Saiicte  Crucis  quod  constructum  est  in  loco 
Civitatule.  »  :S.  Quintino,  Osservazioni,  pa- 
gina 157). 

Civetie  aqua  (così  denominavasi  il  tor- 
rentello di  S.  Lorenzo,  presso  Porto 
Maurizio,  avendosi  in  una  carta  del 
1469:  usque  ad  aqu,am  Civetie  sive 
sancii  Laurenfii), 

Clamelotum  (stoffa  fatta  di  peli  di  cam- 
mello). 

«  Pianeta  una  clamcloii:  palium  clameloti 
virgati.  »  (Vigna,  L'antica  collegiata  eie, 
pag.  265). 

Clapella  (quadrello  per  pavimenti). 

«  Iniroiius  madonorum,  clapellarum  et 
cuporum.  »  (Cuneo,  Del  debito  pubblico, 
pag.  265). 


i.s6 


GIROLAMO   ROSSI 


Clarea  (gradevole  pozione  che  gli  spe- 
ziali erano  obbligati  a  preparare  nel 
Natale  e  che  non  potevasi  smerciare 
più  di  due  soldi  la  pinta). 

«  Magistri spellar ie... ovini  anno  ad  fesium 
Nativitatis  Domini,  clat'eam  seu  poxionetn 
bonam  et  competenteni  facere  guani  vendere 
teìicantur.  »  (Filippi,  Statuti  dell'arte  degli 
speziali  in  Savona,  pag.  98). 

Clausola  (chiudenda), 

«Ouidiruerit alienaìH  clansulam  velsepem, 
solvat.  »  (Stat.  Lavine). 

E  stata  usata  questa  voce  in  senso  di 
pianeta. 

«  Item  unam  clausolam  veluti  rubri.  y> 
[Charlrier  de  S.  Pons,  pag.  368). 

Clavasonem  (chioderia). 

«  Promisit  ponere  omnia  necessaria  vide- 
licet  clavasonem,  collam  etc.  ».  (Alizeri, 
Notizie,  VI,  pag.  128). 

Clavellum  (ordigno,  specie  di  crocco). 

«  Item  crucem  de  argento  albani  cum  cla- 
ve Ilo,  cum  quo  jungitur  in  bordano  de  ar- 
gento. »  {Charlrier  de  S.  Pons,  pag.  273). 

Clavica  (fogna). 

«  Teneor  etfoveas  et  clavicas  facere  fieri 
apiari  et  desimi  ubicumque  necessarium.  » 
(Podestà,  pag.  29). 

Clericus  (così  chiamavasi  nel  medio  evo 
chi  sapeva  di  lettere,  vestiva  l'abito 
ecclesiastico  per  andare  immune  da 
ogni  gravezza  e  che  poteva  menare 
una  sola  donna  col  consenso  del 
vescovo,  da  dove  resta  spiegato  il 
senso  di  clei'ictis  conjtigatus  e  11071 
conjugatus). 

«  Nullus  clericus  sive  conjugatus  sive  noìi 
conjugatus  debeat  habere  officium  Ì7i  terris 
nostris.  »(Cais,  Statuls  de  Vintimi  Ile,  pag.  50). 

Clocha  (specie  di  veste  da  viaggio  a 
cavallo). 

M,  Portai  tot  clochas  et  corrigios.  »  (Fer- 
retto, Cod.  dìplom.,  20,  pag.  42). 

elusa  (argine,  riparo). 

«  Possit  facere  beudos  vcl  clusas  impune.  » 
(Stat.  Diani,  pag.  98). 

Cobla  (carro  cui  si  legano  buoi  e  cavalli 
per  farli  lavorare). 

«  Ouod  calcatores  habere  debeant  in  qua- 
libet  cobla  duas  besliaspro  trahendo  granimi.  » 


(Stat.  Sospitelli).  Il  D'Arnis ,  al  vocabolo 
cobla  non  dà  che  due  soli  significati,  quello 
di  specie  di  rete  per  pescare  ed  altro  di 
trave. 

Coccum  (ricetto). 

«  Porlabant  eas  (merces)  apud  coccum 
liberuni.  »  (Saige,  Monaco  et  les  Grimaldi, 
pag.  282). 

Cocha  (nave  del  xiv  secolo). 

«  Pro  recuperalione  rerum  coche  Galeacii 
de  Pino.  »  (Giornale  ligustico,  1900,  pag.  100). 

Codolis  anche  Coguli  (nome  di   un  ca- 
stello distrutto  presso  Sospello). 

Coffa  (coffa  a  paniere). 

«  Si  quando  pìsccs  venduntur  ntanus  po- 
suerinl  ad  coffant  vel  cavagnmn.  »  (Stat. 
Diani), 

Cognitor  (giudice  conciliatore). 

«  Iletn  statuerunt  et  ordinaverunt  quod 
cognitores  Cohedani  electi  debeant  determi- 
nare et  definire  questione s  a  soldis  xx  in- 
fcrius.  »  (Stat.  Zuccarelli). 

Collyvista  (cassiere). 

«  Collyvista  seu  ut  ajunt  campsor  aut  ar- 
gentarius  faber.  »  (Stat.  crimin.  Saone,  pa- 
gina 105). 

Colochium  (palo  da  sostenere  le  viti). 

De  cervaschinis  sive  colochis  si  legge  a 
pag.  93  del  Podestà. 

Columba  (sinonimo  di  chiglia). 

«  Navis...  que  longitudo  est  de  pedibus  sep- 
iuaginta  in  tc/«w6rt.  »(Belgrano,  Documenti, 
pag.  37S). 

Comando  (homines  de)  (chiamavansi 
quelli  che  ricevevano  qualche  terra 
a  titolo  feudale  dai  loro  signori). 

«  De  comandis  ita  concordatum  est  —  Hoc 
idem  feccrunl  consules  et  homines  de  Tenda 
de  comandis  suis  versus  dominos  Morocii.  » 
(Rossi,  Documenti  sopra  il  Contado  di  Ven- 
timiglia,  pag.  io). 

Commater  (madrina). 

«  Nulli  puero  in  baptismo,  vel  obstetrici, 
baile  vel  commatri  pecunia  donclur.  »  (Stat. 
Levanti,  pag.  45). 

Commerchium  (comercio). 

«  Quod  aliquis  non  habeat  commerchium.  » 
(Promis,  Stat.  Pere,  pag.  774\ 

24 


GLOSSARIO   MEDIOEVALE  LIGURE 


157 


Compater  (padrino). 

«  Iiir amento  compatroni,  veritas  inqui- 
ratur.  »  (Stat.  Levanti,  pag.  45). 

Comperare  (comprare). 

«  Non  possit  illud  vacuuni  vendere  nec 
comperare.  »  {Lib.  juriion,  pag.  loi). 

Complantacio  (così  appellavasi  la  con- 
cessione di  terra  in  affitto  per  essere 
coltivata). 

«  Duo  pecia  una  de  vinea  qiie  viihi  ad- 
venit  prò  complantacione.  »  (Cais,  Le  Cartu- 
laire  de  A^ice,  pag.  20). 

Comptes  (Contes  nel  contado  di  Nizza). 

«  Recuperava castrtitn  de  Comptes.  »  (Cais, 
Le  fief  de  Chàteauneuf,  pag.  424). 

«  Iteni  Comptes  vìpedites armatos .»{C/iar- 
trier  de  Lerins,  pag.  41). 

Il  Gioffredo  nella  Nicea  civitas  dice  il  vo- 
cabolo sincope  di  Compiies,  e  da  li  muo- 
vevano tre  strade,  una  che  mena  a  Berrà, 
l'altra  a  Coaraza  e  la  terza  a  Scarena  sulla 
riva  del  Paglione.  Erano  qui  un  compito  ed 
un  fano  nell'epoca  romana.  Nei  sinodi  della 
diocesi  di  Nizza  questa  località  è  designata 
col  nome  de  Compitis. 

Concia  (concia). 

«  Non  possit  aliqua  persona  in  dictis  ne- 
tnoribus  mortellos  incidere,  vel  fieri  facere 
prò  tincta  vel  concia  coraminis.  »  (Stat.  Sar- 
zane). 

Confalonus  (confalone,  bandiera). 

«  Quicumque  non  rcccpcrit  confalonem 
vel  banfteriam  perdat  solidos  jamic  x.  »  (Po- 
destà, pag.  37). 

Confrayria  (confraternita). 

Fra  le  tante  confraternite  religiose  sorte 
nel  medio  evo  importa  ricordare  quella 
detta  Saìicti  Spiritus,  che  aveva  per  iscopo 
il  mutuo  soccorso.  Confratelli  d'ambo  i 
sessi  erano  tenuti  a  pagare  ogni  anno  una 
quota  e  un  contributo  di  proventi,  di  cui 
si  servivano  per  soccorrere  le  famiglie  po- 
vere, alle  quali  veniva  dato  ogni  anno  un 
banchetto  di  fraternità  nella  festa  di  Pen- 
tecoste. «  Hugo  de  Pigtia  prò  remedio  anime 
donavit  procuratoribus  confrayrie  sancii 
Spiritus,  grammi  e  te.  »  (Rossi,  Storia  del 
Marchesato  di  Dolceacqua,  i»  edizione).  — 
«  Eligantur priores prò  confratriis  presentis 
loci.  »  (Stat.  Triorie). 

25 


Congia  (specie  di  armatura). 

«  Item  imam  congiam  deauratam  cum 
suo  scuto  vermilio.  »  (Not.  P.  Bottini  di 
Mentone,  1467). 

Conservaticum  (  dicevasi  di  vascelli 
che  navigavano  di  conserva:  chia- 
mandosi conserva  una  convenzione 
stipulata  fra  diversi  capitani  di 
navi,  che  imprendevano  uno  stesso 
viaggio). 

«  De  observando  conservatico  cum  aliis 
ligìiis  et  7iavibus  die  ti  domini  regis.  »  (Bei- 
grano,  Documenti,  pag.  223). 

«  Conserve  majorum  navium  dant  comuni 
solidos  XX.  »  {Lib.  jiirium,  i",  pag.  63). 

Consorcia  (confraternita). 

«  In  laborerio  ecclesie  consortie  Beate 
Marie  ordinis  battutorum  de  Clavaro.  » 
(Ferretto,  Contributo  alla  storia  del  Teatro, 
pag.  18). 

Constamularius  ? 

«  Constamularius  ejus  Vermilio  Leo  pre- 
cepto  principis  ipsius  Anthiochiam  venit.  > 
(Caphar.,  Annal.,  anno  1098). 

Contractula  (grumo). 

«  Omnes  stercus  seu  contractulas  que  in 
dieta  lana  reperientur  abscindi  debeant.  » 
(Giornale  ligustico,  1896,  pag.  306). 

Copa  (misura  di  capacità  che  consisteva 
nel  centesimo  della  mina). 

«  Relinquatur  possessio  et  potestas  colli- 
gendi  et  precipiendi  dictum  introytnm,  vi- 
delicet  unam  copam  de  qualibet  mina  victita- 
lium,  que  lanuam  deferuntur,  que  copa  sii 
centesim,a  mine.  »  (Canale,  Storia  civile  e 
commerciale  dei  Genovesi,  voi.  2",  pag.  397). 

Copeta  (moneta). 

«  Debeat  solvere  copetam  et  obtilum  unum 
prò  bestia  onerata  sale.  »  (Garoni,  Guida, 
pag.  134)- 

Coracia  (corazza,  corsaletto  formato  di 
cuojo,  si  trova  anche  Cuyrasa. 

«  Tecum  stabit  occasione  adiscendi  tuuin 
ministerium  faciendi  coracias  et  artem  co- 
razani.  »  (Alizeri,  Notizie,  I,  pag.  393). 

Corata  (uno  degli  intestini). 

«  Vendere  teneantur  tripas  cum  mendi- 
gono...  coratam  cum  corde,  rostetum  cum 
budello.  »  (Stat.  Sospitelli). 


158 


GIROLAMO   ROSSI 


Corba  (corba). 

«  So/l'ai  prò  qualibet  corba  vel  cesto  vel 
alio  vase  solid.  lx.  »  (Stat.  Vallis  Arotie). 

Cordoanerius  (fabbricante  di  corda). 

«  Testes  Bariholomeus  de  Rapallo  cor- 
doanerius. »  (Alizeri,  Notizie,  I,  pag.  217). 

Coredum  (corredo). 

«  De  coredis  non  accipiendis  in  pignore... 
non  possint  coreda  de  ledo  vel  dorso  in  pi- 
gnora capi.  »  (Stat.  Sarzane). 

Cornix  (cornice). 

«  Lapis  architravis  ex  martnore  cuin  siiis 
cornicibus  ex petra  nigra.  »  (Vanii,  Appuriti 
su  Levanto,  pag.  90). 

Correrium  (corriere,  messo). 

«  Nello  statuto  di  Godano  vi  ha  la  ru- 
brica de  officio  correrli  e  in  quello  di  Vez- 
zano  de  salario  correrli. 

Corrigia  (processione  dei  regolari). 

«  Processiones  menstrue  aut  corrigie  que 
quolibet  mense  fieri  soletti  in  ecclesiis  re- 
gulariuniy  soluin  illoruin  ecclesiam  ambianl.» 
(Spinola,  Constilnt.  Synodales  sarzanenses, 
pag.  166). 

Corrilium  (ruscello). 

«  Eimdo  per  flumen  Nervie  versus  mare 
usque  ad  corrilium  stve  rianam.  »  (Convent. 
fra  Apricale  ed  Isolabona). 

Corroata  (servizio). 

«  Pro  una  descoblada  si  niitries  porcum 
et  prò  una  corroata  expensis  diete  ecclesie.  » 
{Chartrier  de  S.  Pons,  pag.  83). 

Gota  (indumento  da  chiesa). 

«  Cola  quatuor  tele;  toagiolete  duo  brocate 
auro  eie.  »  {Sestri  antico,  pag.  312). 

Cotonium  (cotone). 

«  Pro  singulo  saco  de  cotone.  »  {Lib.  ju- 
rium,  1°). 

Coustuma  (imposizione). 

«  Liceal  naves  extrahere  absque  ulta  cou- 
stuma vel  dacita.  »  (Belgrano,  Documenti, 
pag.  13). 

Cova  (fascio    di    biade    che    si    fa    nel 
mietere). 

«  Si  aliqua  persona  acceperit  covani  unavi 
de  aliquo  borato  sii  in  menda.  »  (Stat.  Apri- 
calis). 


Cozolus  ? 

«  Teneantur  ipsi  conimunerii  revidere 
cozulos  ìnolendinariorum  semel  quolibet 
mense.  »  {Stat.  Vezzani,  pag.  21). 

Credensera  (armadio,  credenza). 

«  Promittit  construere  in  dicto  mediano 
credenseram  unam  bornei  et  in  caniinata 
diete  domus  aliam  credenseram.  »  (Alizeri, 
Notizie,  VI,  pag.  35). 

Cresta  (vetta). 

«  A  dicto  camino  protenditur  per  crestam 
serri  de  bosso.  »  {Chartrier  de  S.  Pons, 
pag.  III). 

Crestonus  (agnello  castrato). 

«  Quelibet  persona  que  vendiderit  carnes, 
debeat  eas  vendere  prò  talibus  qualcs  fucrint, 
scilicet  capram  prò  capra,  ovcm  prò  ove, 
crestonum  prò  crestono.  »  (Stat.  Apricalis). 

Criafora  (allarme). 

«  Quilibet  homo  debeat  pergere  ad  cria- 
foram...  etqtiinon  secutus fuerit solvat eie.-* 
(Assandria,  Stat.  Baennarum,  pag.  11). 

Cropa  (tergo). 

«  Consules  teneantur  in  dicto  festo  dare 
cropam  unam  carnis  ovine.  »  (Rossi,  Storia 
di  Dolceacqua,  pag.  243). 

Crossia  (bastone  pastorale). 

«  Ilem  (prebet)  unam  crossiam  argenti 
deaurati,  ilem  canonos  tres  argenti  deaurati 
prò  dieta  crossia  in  quodaìu  stuchio  corey.  » 
{Chartrier  de  S.  Pons,  pag.  370). 

Croia  (coperta    incurvata    di    materia 
sopra  un  edificio). 

«  Actum  Nicie  in  domo  episcopali  in  ca- 
mera in  qua  jacet  dictus  dominus  episcopus 
testator,  nominata  croia.  »  {Chartrier  de 
S.  Pons,  pag.  66). 

Crozula  (bastone  con   asta  orizzontale 
al  capo  superiore). 

Chi  osserva  la  rozza  figura  dell'annalista 
Cafiaro  dalla  barba  fluente,  disegnata  nel 
primo  foglio  degli  Annales  genuenscs,  con- 
servati nella  Biblioteca  Nazionale  di  Francia, 
e  testé  riprodotti  in  cromolitografia  per  cura 
del  marchese  Imperiale,  vedrà  star  egli  se- 
duto sopra  una  cattedra,  coperto  il  capo 
d'un  berretto  a  cupola,  vestito  d'un  ampio 
paludamento  con  capuccio  e  appoggiata 
la  mano  manca  sopra  di  un  baculo,  termi- 
nante in  tau,  simile  a  quello  che  il  Boldetti 
riscontrava  ai  consoli  romani  dell'anno  370. 

2(3 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE  LIGURE 


159 


Era  questo  il  baculo  del  comando,  così  de- 
scritto in  un  documento  medioevale:  te- 
neantur  dicti  jugales  portare  tres  partes 
crucis  sive  signuni  qui  dicittir  crocia.  (Bei- 
grano,  Documenii,  pag.  41). 

Colla  crocia  impertanto  venivano  date  le 
investiture,  ed  il  Ducange  ricorda  che  l'anno 
1092  Fulcone,  conte  andegavense,  veniva 
riconosciuto  nel  suo  titolo  feudale  ;  per  ba- 
culum  justitie  et  misericordie  que  crocia  di- 
citurin  marne.  L'uso  di  valersi  di  un  coltello, 
di  un  bastone,  d'un  libro  e  della  crocia  ha 
origine  nelle  pratiche  del  diritto  salico,  di 
cui  si  valsero  i  rettori  del  comune  di  Ge- 
nova ;  e  mentre  infatti  l'anno  1177  Ottone, 
conte  di  Ventimiglia,  investe  i  consoli  ge- 
novesi di  alcuni  castelli  per  bacnluin  quem 
in  maiiu  tenebat,  i  consoli  dello  stesso  co- 
mune l'anno  1214  investivano  Ottone  ed 
Ugo  del  Carretto  dei  castelli  di  Cairo  e 
Dego  per  crozulatn  comunis  lanue,  la  qual 
forma  di  crozula  o  crocia  rimandiamo  il 
lettore  a  riscontrare  nel  disegno,  da*  cui 
abbiamo  preso  le  mosse  in  quest'articolo, 
come  rimandiamo  a  riscontrare  i  due  do- 
cumenti nel  primo  volume  àt\  Liber  juriuìn. 

Cruces  civitatis  (così  erano  riconosciute 
le  croci,  erette  nei  bivii  e  nei  trivii 
delle  città  e  terre,  perchè  contami- 
nati dai  ricordi  di  Mercurio,  di 
Diana  e  dei  Lari  compitali,  che  vi 
erano  stati  venerati,  e  tali  croci  ve- 
nivano solennemente  portate  in  pro- 
cessione in  occasione  di  qualche 
pubblica  calamità). 

«  Cruces  civitatis  a  unaquaqtce  portarum 
per  honestas  personas  tenerentur.  »  (Ca- 
phari,   Afmales,  anno  1094^ 

Tali  croci  venivano  in  particolar  modo 
erette  sopra  colonnette  lunghesso  le  pub- 
bliche vie,  da  dove  l'origine  di  Crux  ferrea 
di  Cairo  ora  Cosseria,  e  la  Crux  ferrea  di 
vai  di  Bisagno    per  trarre  a  Torriglia    ora 


Scoffera.  Una  eruditissima  Memoria  sulle 
Croci  ntonumeutali  di  Bologna  rese  di  pub- 
blica ragione  il  conte  Giovanni  Gozzadini 
negli  Atti  e  Metnorie  della  R.  DeptUazione 
della  Romagna  nell'anno  1863). 

Cucularia  (Curenna,  castello  dell'Albin- 
ganese). 

«  De  non  celebraìido  Consilio  super  alte- 
nationem  seu  reinissionem  castri  Ligi  et 
Cucularie  »  (Stat.  Albingane), 

Cufia  (elmo  di  metallo  o  di  cuojo). 

«  Proniittinius  dare  libi  duodenam  de 
cufiis  bonis  de  coretis.  »  (Alizieri,  Notizie, 
1°,  pag.  3S7). 

Cumba  (vallicella). 

«  Una  pecia  de  terra  in  la  cu)nba.y>  {Cliar- 
trier  de  Lerins). 

Cuniare  (coniare). 

«  Aliqua  persona  non  prcsumat  facere 
fabrichare  cutiiare  vel  cudere  monetam  ali- 
qicam.  »  (Stat.  lanue  Visdomini,  2°,  pag.  11), 

Cupa  (misura  pel  vino). 

«Dedit  Iwspitali perpetuo  xxx  cupasvini.» 
{Chartrier  de  S.  Pons,  pag.  86). 

Cupus  (coppo,  tegola). 

«  Quod  edificia  facta  super  comuni  cope- 
riantur  cupis  vel  scandalis.  »  (Assandria, 
Statuì.  Baen7iarum,  rubr.  51  . 

Curiofo  (Corfù). 

«  Et  sic  in  simul  concordando,  usque  ad 
civitatem  Curiofo,  venerunt.  »(Caphari,  An- 
nales,  anno  noi). 

Curtis  (così  si  appellava  nel  medio  evo 
una  frazione  del  dominio  feudale, 
in  cui  si  inviavano  castellani  o  giu- 
dici a  render  giustizia). 


D 


Datium  (dazio,  gabella). 

«  Liceat  unicuique  Sarzanentium...  facere 
panein  prò  vendendo  sine  solutione  alicujus 
data  vel  gabelle.  »  (Stat.  Sarzane). 

27 


Debatus  (contestazione,  lite). 

«  Causa  visitandi  aliquem  locum  debati  vel 
ad  tollendum  aliquam  rixam.  »  (Stat.  Albin- 


gane;. 


i6o 


GIROLAMO  ROSSI 


Decima  (Alle  decime  ecclesiastiche  isti- 
tuite per  mantenere  il  culto,  si  ag- 
giunsero nel  secolo  x  le  così  dette 
decime  domenicali,  le  quali  erano 
state  usurpate  dai  signorotti  e  che 
si  cangiarono  in  proprietà). 

«  Adquìsivit  prelibato  monasterio  niul- 
torunt  locorìim  decimas.  »  {Cai't.  Lirinense, 
docum.  II). 

Decima  de  mari  era  una  decima,  onde 
erano  colpiti  i  traffici  marittimi  a  favore 
degli  arcivescovi  di  Genova: 

«  Tenerentur  speciali  jtiramento  solvere 
facere  deciniam  de  mari,  sicut  est  nsiis  domno 
archiepiscopo.  »  (Belgrano,  Registro  arci- 
vescovile). 

Deganus  (messo  pubblico). 

«  Teneatur  ipse  deganus...  ire  per  curiam 
et  coììiuneni...  et  si  opus  fuerit  extra  terrani 
comtilem.  »  Stat.  Lavine). 

Dehonare  ? 

«  Macellarii  tetteantur  ipsos  banchos  le- 
vigare et  dehonare.  »  (Stat.  Albingane). 

Delemor  (Gavi). 

«  Parrochie  sancii  Rcmigii  et  sancii  Ste- 
phani  et  capella  castri  Palodii  consueverunt 
venire  ad  letanias  ad  infrascriptam  plebem 
Delemor,  qtie  dicitur  mine  plebs  de  Gavi.  » 
(Rossi,  Cairo  e  le  rogazioni  triduatie,  pa- 
gina 3S). 

Demandum  (domanda). 

«  Si  aliquis  cui  factum  crii  demandum 
de  aliquid  parte  villarum  diccret  appellatori 
verbiim  injuriosum,  sii  condemnatus.  »  (Con- 
venzione fra  Tenda  e  Briga,  1233). 

Demanium  (dominio  dello  stato  e  della 
corona). 

«  Civitatem  ipsant  (Saone)  cum  castris  et 
villis  in  demanii  nostri  et  imperii  dominio 
tenere  dignaremur.  »  (Garoni,  Guida,  pa- 
gina 166). 

Denarius  Dei  (moneta  che  si  dava  in 
arra  d'un  contratto,  come  s'incontra 
nello  statuto  d'Albenga). 

Dentexo  (pesce,  dcntcx  vulgaris). 

«  Dente  xi,  par  amie,  et  alii  qui  ferro  scin- 
duntur  vendantur  prò  denariis  odo.  »  (Rossi, 
Storia  di  Ventimiglia,  i"  edizione,  pag.  243). 

Derizela  (girella  necessaria  per  tendere 
la  balestra). 


«  Pro  capsis  quatuor  veretoìwrum...  com- 
putatis  acciarinis  et  derizela.  »  (Rossi,  Storia 
di  Dolceacqua,  pag.  82). 

Deretale  (misura  da  vino). 

«  Teneatur  tenere  contimie  medium  quar- 
tum ,  mitadellam ,  mezetam  et  deretale.  » 
(Stat.  Sarzane). 

Derocare  (distruggere). 

«  Et  si  aliquis  homo  in  dictis  aliquod  ca- 
strum  fecisset,  derocabo  ipsum.  »  (Rossi, 
Statuti  liguri,  pag.  196). 

«  Audeat  ipsain  domuni  destruere  vel  de- 
rocare. »  (Podestà,  pag.  66). 

Desamparare  (abbandonare). 

«  Aliqua  persona  non  audeat  seti  pr esumai 
qicavis  occasione  relinquere  scu  desamparare 
dominum  seu  magistrum  suum  cum  quo 
stare  promiserat.  »  (Stat.  Sospitelli). 

Descoblada    (pezzo    di    carne    porcina 
senza  grasso). 

«  De  juribus  porcorum  de  quibus  habere 
debet  descoblada.  »  {Cari.  Lirinetise,  2°,  pa- 
gina 74). 

Desgrossare  (levar  la   parte   più   gros- 
solana). 

«  Polivit  et  desgrossavit  dieta  ntarmora.  » 
(Alizieri,  Notizie,  voi.  4",  pag.  140). 

Destranare  (dire  ingiuria). 

«  furo  aiiferre  omnibìis  personis  que 
blastcmaverint  seu  destranaverint  sanclam 
Mariani  vel  Deum  sol.  xjanue.  »  (Podestài 
pag.  50- 

Devetum  (proibizione). 

«  Si  pecuniam  sociciatis  detulerit  vel  mi- 
seritin  devetum,  ego  laudabo.  »  (Stat.  Nicie). 

Diamans  (diamante). 

«  Unus  smcragdinus ,  unus  diamans  grossus, 
uniis  diamans  parvus,  unus  rubinetus,  una 
grafiata.  »  (Ferretto,  Cod.  diplom.  2",  pa- 
gina 208). 

Difalcare  (sottrarre). 

«  Drapcrius  a  quo  talis  pannus  emptus 
fuerit  (debeat)  deducere  et  difalcare  de 
predo  venditionis  duos  palmos.  »  (Giornale 
ligustico,  1896,  pag.  309). 

Disbrigare  (rilasciare). 

«  lusticia  teneattir  disbrigari  facere  viro 
incontinenti  ter  ciani  par  lem  dodis  uxoris  » 
(Barelli,  //  libro  della  catena,  pag.  37). 

28 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE  LIGURE 


l6l 


Discargare   e  Discaricare  (scaricare  . 

Si  trova  discargare  nello  statuto  di  Nizza 
e  il  Belgrano  ha  nei  Documenti,  pag.  298  : 
Si  necesse  fuerit  ibidem  similiter  discaricare 
res  et  eqiios. 

Discolari  (sgocciolare). 

«  Qualiter  aqua  grondanctariun  et  sedi- 
minum  debeat  discolari.  »  (Assandria,  Stat. 
Baentiarum,  rubr,  348). 

Disligare  (slegare). 

«  Diete  balle  non  solventur  nec  disliga- 
buntur  nisi  in  presentia  factorum  comer- 
chiorum.  »  (Giorn.  ligustico,  1885,  pag.  iSj. 

Distringitor  (ufficiale  che  si  associava 
al  confaloniere  in  tempo  di  guerra, 
per  tenere  a  posto  i  combattenti). 

«  Jtiro  facere  eligi  distrìngitores  qui 
setnper  sint  cum  confaloneriis...  cuin  iverint 
in  cavalcatam.  »  (Podestà,  pag.  54). 

Doeta  (assicella). 

<,<  Aliqua  persona  non  possit  facere  doetas 
qucrcum  vel  castanearum...  nec  possit  ex- 
trahcre  doetas  de  finibus  Garexii  »  (  Barelli, 
pag.  54)- 

Doio    (nome     del    golfo    in    cui    siede 
Ogliastra  in  Sardegna). 
«  Galeas  niandavere  que  nostras  invenientes 
in  gulfo  Doio  in  fugani  verterunt.  »  Caphar., 
ann.  1266). 

Domignonus  (risponde  al  doìijon  francese 
e  indicava  la  torricella  che  domina 
il  castello). 

«  De  ipsis  castris  turribus  et  domignonibus 
et  curia,  faciam  guerraìu.  »  {Liber  jurium, 
I,  pag.  201). 

Donnicatus  (ager),  campo  che  il  proprie- 
tario si  era  riserv'ato  per  coltivare 
egli  stesso  o  per  mezzo  d'altri  a 
proprio  conto. 

«  Tradiderunt...  castra  et  villas  et  se- 
gnoriam...  cum  mero  et  inixto  imperio  cum 
exercitibus  et  cavalcatis  fidelitatibus  atque 
do7inicatis  »  {Lib.  jurium,  i,  pag.  1298). 

Dorso  {vestitus  de)  dosso. 

«  Reservati  sin^mnes  panni  linei  et  lanci 
de  dorso  et  de  ledo.  »  (Stat.  Pornasii).  «  Quod 
noti  possit  accipere  pannos  de  dorso  credi- 
toris.  »  (Podestà,  pag.  23). 
29 

21  —  Mise,  S.  HI,  T.  Xin. 


Dracetorium  (credenza). 

«  Item  unum  buffetum  seu  dracetorium  » 
(Cais,  La  ville  de  Nice,  pag.  398). 

Draco  (dragone,  rettile  mostruoso). 

Questo  vocabolo  risveglia  il  ricordo  di  un 
punto  di  transazione  fra  il  paganesimo  ed 
il  cristianesimo  in  Liguria,  leggendo  nel- 
l'antico officio  di  S.  Verano  vescovo  di 
Cavaillon  (an.  252),  che  liberò  Albenga  (che 
andava  evangelizzando)  dalla  presenza  d'un 
fiero  dragone,  ivi  adorato. 

«  Iterum  pettini  ut  Draconcm  quem  ado- 
rabant,fugant;  itaque  genuflexus  (  Vcranus) 
divinavi  opem  implora?is,  divus  Draco  per 
jìuminis  alveiim  in  mare,  dilabitur  ac  omnes 
sacri  Baptismatis,  fontis  abiliti,  fidem  ce- 
perunt.  » 

Il  Navone  nella  sua  Ingannia  (tom.  2°, 
pag.  222)  emettendo  varie  ipotesi  per  ispie- 
gare  il  senso  della  parola  dragone,  annegato 
nelle  acque  della  Centa,  ignora  che  pure 
S.  Silvestro  papa  «  ligavit  draconem  in  fine s 
palata»  presso  la  chiesa  di  S.  Maria  de 
inferno.  È  risaputo  da  tutti  gli  agiografi  la 
parte  potissima,  che  San  Silvestro  papa  ebbe 
sulle  vittorie  del  paganesimo;  e  l'illustre 
G.  Battista  De  Rossi  dice,  che  la  vittoria 
di  S.  Silvestro  ha  un  senso  storico  preciso, 
cioè  allude  alla  cessazione  del  culto  di  Vesta 
e  del  dragone  effigiato  con  lei.  Il  Fabretti 
ci  ha  conservato  il  disegno  d'una  statua  di 
Vesta  in  trono,  sotto  il  quale  sta  accovac- 
ciato un  gran  serpente.  Il  santo  vescovo 
Verano  adunque  sarebbe  riuscito  a  far 
sparire  il  Dragone,  le  cui  caverne  erano  le 
cripte  del  delubro  di  Vesta.  Al  culto  di  Vesta 
che  accarezzava  il  serpente,  S.  Silvestro  so- 
stituì il  culto  della  Madre  di  Dio,  che 
schiacciò  il  capo  del  serpente.  (Vedi  Bol- 
lettino Salesiano  del  gennaio  1906,  pag.  12). 

Dramatica  (dalmatica,  veste  sacra). 

«  Preciiim  uniiis  dramatice  auri  bordati 
prò  dieta  sacristia.f>  (Alizeri,  Notizie,  i, 
pag.  221). 

Draperius  (tessitore  di  lana). 

De  juramento  draperiorum  è  il  titolo 
d'una  rubrica  dello  Statuto  di  Savona  ed 
altro  de  draperiis  si  ha  nello  Statuto  di 
Albenga. 

Daga   (lista   di  legno  onde  si  formano 
barili  e  botti). 

«  Nulla  persona  debeat  facere  concas  nec 
aportare  facere  nec  dugas  seu  aliquod  alium 
lignanien.  »  (Stat.  Uvade). 


102 


GIROLAMO   ROSSI 


Dugana  e  Doana  (edificio  ove  si  depo- 
sitano le  merci  giunte  diill'estero  per 
sottoporle  al  pagamento  di  dazi), 

«  Obligaveruiit  dictis  proiectofibus  dic- 
iaruin  coniperaruiìi  porticus  dugane  »  (Stat. 
Padri,    222). 

Dhoanerii  chiamavansi  gli  uffìci^lli  pre- 
posti a  questa  riscossione. 

«  Tetieaniiir  duo  Icgales  et  bone  fame 
dhoanerios  eligere  »  (Stat.  Sarzane  . 


Duulix  o   Dulice    parapetto). 

Così  viene  spiegato  dal  Belgrano  a  pa- 
gina 782  del  suo  Registro. 

EfFaissare  (diffalcare). 

«  7^1?  inihi  effaissante  in  soliicione  predicla 
tres  libras  janiie  quas  a  ine  preterea  ha- 
btiisli.  »  (Saige,  Monaco  et  les  Grimaldi, 
pag.  55)- 

Elmum  (elmo), 

«  Cam  loricis  et  elmis  armati pcrrexerunt 
(Caph.,  Ann.). 


Emphiteta  (livellano). 

«  Noti  teneatuf  empiutela  sive  illa  persona 
qui  illud  ficticm  solvere  debuerit  dare  etc.  » 
(Podestà,  pag.  68), 

Emphiteusis  (contratto"  con  cui  si  cede 
il  dominio  d'uno  stabile  a  tempo 
lungo  mediante  il  pagamento  di  un 
annuo  livello;. 

«  Confessi  fuerunt  se  tenere  et  possidere 
in  emphiteusim  perpeluam  sub  senhoria  ec- 
clesie Sancii  Nicolai,  donios  casalia  etc.  » 
{Cari.  S.  Pontii^  pag.  277). 

Engannu§  (inganno). 

«  Bertramus  coines  juravit  et  sine  cnganno 
firmavit.^  {Lib.  jurium,   i,  pag.  19). 

Ensenium  (donativo). 

«  Non  possit  accipere  aliqucm  servicium 
vel  ensenium  quod  valeat  ultra  solidos  x,  » 
(Stat.  Albingane). 

Equitatura  (cavalcatura), 

«  Tencantur  lioneste  prolùdere  in  vie  tu... 
ctduabus  equitaluris.  »  {Carf.  Lirinens.  2", 
pag.  27). 

Ora  che  il  delirio  della  velocità  ci  in- 
vade, ne  più  si  pensa  che  a  guadagnar 
tempo  e  a  sopprimere  le  distanze,  gioverà 
risalire  colla  memoria  a  quell'epoca,  in  cui 
le  gite  facevansi  a  passo  d'uomo  o  di  qua- 
drupedi, per  strade  impervie,  per  valichi 
diffìcili,  infestate  non  solo  da  ladroni,  ma 
sì  bene  da  berrovieri,  che  riscuotevano  bal- 
zelli a  nome  e  conto  di  signorotti  di  rocche 
feudali.  Chi  viaggiava  si  valeva  di  cavalli, 
di  muli  e  di  asini  avvezzi  ad  andare  a  passi 
corti  e  veloci,  che  si  diceva  andar  d'ambio 


e  chi  era  di  condizione  signorile  portava  a 
cavallo  un  mantello  stretto  in  alto  e  largo 
a  basso  detto  elodia. 

Tale  e  tanto  era  il  bisogno  di  cavalcature, 
che  fra  gli  obblighi  imposti  nelle  enfiteusi 
e  negli  affitti,  si  trova  ad  ogni  tratto  im- 
posto il  servizio  di  esse;  come  a  cagione 
d'esempio  nella  donazione  fatta  nel  1256  da 
Bonifacio  conte  di  Castellane  al  Priorato  di 
San  (iiuliano,  si  legge  questo  a  pag.  179 
del  Cartario  lerinense  : 

«  Singulis  annis  albergam  unain  cum  odo 
equitaluris  ». 

Abbiamo  detto  che  soprastavan  pericoli, 
anche  quando  le  comitive  erano  numerose 
e  composte  di  gentiluomini,  come  ci  è  oc- 
corso di  nairare  {Storia  della  città  di  Venti- 
iniglia,  pag.  164)  all'anno  1439  in  cui  una 
ventina  di  cavalieri,  nei  pressi  di  Limone, 
venne  assalita  e  maltrattata  da  una  geldra 
di  indragati  montanari.  Ma  il  più  delle 
volte  si  viaggiava  da  soli,  e  allora  con  atto, 
che  si  stipulava  da  un  notajo,  venivano 
segnate  le  condizioni  fra  il  viatore  e  il  mu- 
lattiere ;  come  ci  è  occorso  di  riscontrare 
nei  rogiti  di  Balauco  Giovanni  un  atto 
del  1498,  col  quale  certo  Fasalvi  mette  a 
disposizione  di  Michele  Sansone,  che  da 
Ventimiglia  vuol  recarsi  a  Savona,  equum 
unum  pili  grixii  cum  sella  et  brilla  ad 
ratìoncm  grossorum  duorum  prò  singulo  die. 

:  Non  diremo  qui  come  alle  cavalcature 
succedevano  nel  secolo  xvi  le  vetture,  poi 
le  ferrovie  nel  1829,  poi  gli  automobili  nel 
1894;  ma  crediamo  metta  conto  far  cono- 
scere il  viaggio  da  Cuneo  a  Bruxelles  fatto 
nel  1557  da  Gio  Lovera  inviato  del  Duca 
di  Savoia,  per  far  conoscere  la  lentezza,  i 
fastidi  ed  i  pericoli  inseparabili  di  chi  viag- 

30 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE  LIGURE 


163 


giava  in  quei  tempi.  Partito  questo  gentil- 
uomo il  30  agosto  del  detto  anno,  passando 
per  Tenda,  Briga,  Triora,  Taggia,  Oneglia, 
Alassio,  Leca  di  Albenga,  Savona,  Varazze, 
Genova  e  Pontedecimo,  tocca  Milano  il  20 
settembre  successivo  e  durante  questo  tra- 
gitto, segna  giorno  per  giorno  le  spese  delle 
osterie,  dei  maniscalchi,  dei  cavalli,  delle 
briglie,  degli  arcioni,  dei  borsacchini,  degli 
archibusi  e  delle  fruste;  e  nella  prima  let- 
tera che  scrive  dalla  capitale  lombarda  parla 
delle  inique  pratiche  et  ingiuste  insidie  per- 
le strade,  come  nclfhosterie ;  e  che  non  sia 
esagerazione  nelle  sue  parole,  si  apprenderà 
dal  fatto  che  egli  non  dovea  pur  fare  ri- 
torno, morendo  ucciso  nel  Belgio  il  13  gen- 
naio 1558  (i). 

Torna  di  particolare  interesse  pei  Liguri 
il  veder  tracciato  un  itinerario  fin  qui  igno- 
rato, cioè  come  si  prendessero  le  mosse  da 
Cuneo  per  passare  in  vai  di  Roja,  e  da 
Tenda  e  Briga  si  valicasse  nella  valle  Ar- 
gentarla toccando  Triora  e  Taggia  per 
Oneglia,  tracciato  che  pareva  cosa  nuova 
a  chi,  non  sono  molti  anni,  proponeva  con 
tale  disegno  la  costruzione  d'una  ferrovia. 

Erchole  (Arcola,  comune  ligure). 

«  Deinde  properavit  cuin  suo  cxercitu 
versus  castrimi  Ere /iole.  »  (Ferretto,  Cod. 
diploui.,  2°,  pag.  226), 

Ermus    Sanctus). 

Fra  i  pochi  che  si  attentarono  di  spie- 
gare, come  da  Sanctus  Romu/iis  siasi  potuto 
formare  San  Remo,  vi  è  stato  chi  ha  asse- 
rito, essere  sempre  stato  appellato  dal  po- 
polo sanremese  sanctus  eremus  il  divoto 
romitaggio,  dove  era  stato  sepolto  il  santo 
vescovo  genovese  San  Romolo  e  che  questa 
forma  popolare  abbia  finito  per  trionfare 
della  burocratica,  usata  negli  uffici  e  nelle 
scritture  pubbliche.  Non  ignorando  che  due 
località  omonime  si  hanno  nel  Napoletano, 
ci  restringiamo  a  notare,  che  con  uomini 
di  Quigliano  e  di  Segno,  in  una  carta  di 
Noli  dell'anno  1186,  giurano:  «  hoc  jura- 


(i)  Questo  Giornale  di  viaggio  di  Gio.  Leverà  da  Cuneo 
a  Bruxelles  nel  1557  è  stato  pubblicato  dal  Barone  Manuel 
di  San  Giovanni  nella  monografia  Una  pagina  inedita  della 
Storia  di  Cuneo.  Torino,  tip.  Marino,  1879,  pag.  34  e 
seguenti. 


mentum  fecerunt...  Nicolaus  de  sancio  ermo 
et  Anselmus  de  sancto  ermo.  »  (Atti  e  Me- 
morie della  Società  storica  savonese,  voi.  2", 
pag.  566). 

Esca  (maturazione  delle    ghiande  sulle 
querce). 

«  Quando  esca  fucrit  debemus  vobis  dare 
scaticum.  »  {Lib.  jurium,  i,  pag.  6). 

Da  essa  si  è  formato  Escatico  che  il  Rez- 
zano definisce:  «censo  che  si  pagava  pel 
pascolo  dei  maiali  nelle  selve  pubbliche.  » 

Euzeria  (eleceto). 

h'euzeria  dello  Statuto  di  Sospello,  ripe- 
tuto in  tre  rubriche,  risponde  ?W Ellexctuvi 
dello  Statuto  di  Torria  in  vai  d'Oneglia  e 
trae  la  sua  origine  dal  francese   Yeuse. 

Evacuare  (sbarrazzare). 

«  Obligatus  sit  proiicere  terram, .  quam 
evaciiaverit  et  extraxcrit  de  dìcto  fossato.  » 
(Stat.  Novarum). 

Exaltatio  (assalto). 

«  De  exaltatione  alicujus  in  domo  sua  vct 
in  alio  loco  et  in  strata.  »  (Cais,  Statuts  de 
Vintimille,  pag.  43). 

Excoriare  (scorticare). 

«  Aliqua  persona  non  audeat  aliqvos  ar- 
bores  niicum,  castanearum  excoriare.  »  (Sta- 
tuta  S.   Romuli). 

Excubare  (fare  la  guardia). 

«  Vocatus  sii...  tam prò  custodiendo  castro 
et  defendendo  et  excubando  ipso.  »  (Rossi, 
Storia  del  Marchesato  di  Dolccacqua  , 
i^  ediz.,  pag.  246). 

Exenium  (donativo). 

Non  possit  acciperc  aliquod  exenium  pre- 
terquam  oves,  zuncatas  »  (Belgrano,  Car- 
tario genovese.,  pag.  574). 

Expedimentum  od  Expendea  (tributo  o 
dazio). 

«  Expedimenta  et  alias  dacitas  solvant  ut 
dictuni  etc.  »  {Lib.  jurium,  2",  pag.  4i4)- 

«  Voluerint  Inter  se  imponere  aliquod  co- 
tumum  vel  expendeam  prò  damno  dando.  » 
(Idem,  pag.  569). 


31 


164 


GIROLAMO   ROSSI 


Facharia  e  Facheria  (modo  di  colonia 
che  determina  la  divisione  dei  frutti 
tra  il  coltivatore  ed  il  padrone), 

«  Si  vero  proprias  ierras  dederit  ad  fa- 
chariain  dividat  decimam  cnm  episcopo.  » 
(Cais,  Cartul.de  la  cath.  de  Nice,  pag.  131). 
Facherùis  è  ricordato  nel  cartolario  di  San 
Ponzio. 

Factura  (incantesimo). 

«  De  maliis  et  factiiris  non  faciendis.  » 
(Stat.  Godani,  ptig.  35  ;  si  ha  pure  il  verbo 
facturare). 

Falodium,  comune  con/ arohis  &  far  omini 
avea  il  significato  di  torri  di  guardia 
dove  si  accendevano  fuochi,  segnali 
d'allarme  che  avvertivano  il  navi- 
gante dell'avvicinarsi  di  navi  cor- 
sare. Nelle  c^irte  nostre  sono  ricordtiti 
soventi  il  falodium  capitis  Panagii 
che  sorgeva  sul  capo  vicino  ad  Aren- 
zano;  il  falodhmi  Biir digliele  quello 
in  capite  Fari  ed  altro  in  capile 
inontis.  I  segni  che  si  facevano  da 
queste  torri,  se  di  giorno  pigliavano 
nome  di  fumale,  se  di  notte  quello 
di  balasia. 

Falodium  significava  pure  quel  fuoco 
pubblico  che  si  faceva  nei  paesi,  in  segno 
di  allegria  o  nelle  feste  principali  o  all'ar- 
rivo di  qualche  principe. 

Famulus  (chi  teneva  l'amministrazione 
dei  beni  vescovili,  obbligato  a  giu- 
rare fedeltà  al  prelato,  da  dove  la 
frase  famulalum  exhibcrc. 

«  Famulus  sancti  Syri  si  professus  fuìt.  » 
(Belgrano,  Illustraz.  del  Registro  arcivesco- 
vile, pag.  509). 

Fantinus  (putto). 

«  Proììiittit fabricare portalle  unum...  cum 
arma  Spinula  in  medio  frixii  et  cum  duobus 
fantinis.  »  (Alizeri,  Notizie,  voi.  V,  pag.  63). 

Farconus  (strumento  da  guerra  noto  col 
nome  di  falconetto  o  falcone). 

«  Occasione  triuin  pcciorum  bronzii  vide- 
licet  canoni  et  farconorum.  »  (Alizeri,  No- 
tizie, VI,  pag.  410). 


Fardella  (pezze  di  tessuto). 

«  Obligo  libi  pignori  fardella  xvi  serici 
gialli.  »  (Desimoni,  Actes  de  Famagouste, 
pag.  XXI). 

Fassia  o  Fascia  (Il  ligure  è  riuscito  con 
improbo  lavoro  a  convertire  im- 
mense lande  rocciose  in  terreno  ara- 
bile, disponendolo  in  gradinate,  che 
con  bella  metafora  appella  fascie). 
«  Estimatores  referre  debeant  quanta  erit 
terra  prò  qualibet  fassia.  »  (Stat.  Diani). 

Fassium  e  Fascium  (fascio). 

«  Euntes  per  vias  cum  fassis  vel  sine, 
caregatis  vel  non  caregatis.  »  (Stat.  Naticini). 

Fauda  (falda,  lembo). 

«  Per  costavi  illam  usque  ad  faudas  dicti 
montis  Bugnofti.  »  (Stat.  S.  Romuli). 

Faudatum  (specie  di  grembiale). 

Marcoaldo  Povero  riceve  lire  cento  hnpli- 
catas  in  f andati s  da  portare  in  Siria.  (Fer- 
retto, Cod.  diplom.,  2»,  pag.  115). 

Falcata  (latte  rappreso). 

«  Aliquis  berberius  non  debeat  aportare 
aliquam  felcatam  vel  zoncatam  duni  stcterit 
in  paria  >>  (Barelli,  Gli  statuti  di  Orinea, 
pag.  161). 

Femerium  (immondezzaio). 

«  De  hanno  contra  facientes  femerios  in 
plateis.  »  ,Stat.  Sospitelli). 

Ferriolus  (epitteto  che  si  dà  al  mattone 
ben  cotto). 

«De bonis  matonis scu  lateribus  ferriolis.  » 
(Garroni,  Guida,  pag.  150). 

Festucum  cultellum  (formola  di  diritto 
salico,  corrispondente  a  fianco  del 
romano  e  del  longobardo,  durante  il 
periodo  marchionale). 

«  Per  cultellum  festucum  notatum...  legit- 
tima ni  facimus  tradicionem.y>  (Poggi,  7n3«- 
dazionc  del  monastero  di  S.  Quintino). 

Feudum  (oltre  il  noto  senso  di  signoria, 
si  trova  usato  questo  vocabolo  in 
quello  di  stipendio  e   di    mercede). 


GLOSSARIO   MEDIOEVALE  LIGURE 


16  = 


«  Si  vendiderit  aliali  persone  amittat  w- 
lariiint  sive  feuduni.  »  (Stat.  Cunii). 

«  Si  niercenariiis  doininum  vel  dominam 
diniiserit  amittat  feudum.  »  (Stat.  Diani). 

Fiala  (piccola  bottiglia). 

«  Debeat  aportare  vimini  in  bocellis  parvis 
seu  fialis.  »  (Stat.  Albingane  . 

Fiascus  (fiasco). 

«  Declaranius    res   et  nierces fiascos 

ferri  stagnati.  »  (Stat.  Artium). 

Figulus  e  Figatus  (fégato). 

«  Non  poìiderando  de  capite,  anca,  pede, 
auricola,  gambono,  Jìgulo,  pillinone  vel  inon- 
gutia.  »  (Stat.  Uvade). 

Figonus  (appellazione  di  dispregio,  onde 
venivano  chiamati  nelle  diocesi  di 
Ventimiglia  e  d' Albenga  operai 
randagi,  un  q^dd  simile  dei  Cici  del 
Triestino,  colla  differenza  per  altro 
che  mentre  questi  erano  famigerati 
pei  ladronecci  vedi  Cameroni,  Storia 
etnografica  di  Trieìte,  Trieste,  1886, 
pag.  253),  quelli  erano  rinomati  per 
infingardagine). 

«  Il  Senequier  {L  es  patois  de  Biot,  Val- 
lauris,  Mons  et  Escragnoles,  Nice,  imp. 
Malvano  Mignon,  1880)  ristringe  ad  una  lo- 
calità posta  ad  occidente  del  comune  di 
Ventimiglia  la  stanza  dei  Figofii;  ma  do- 
cumenti comprovano  che  tale  appellativo 
si  estendeva  ed  abbracciava  la  diocesi  di 
Albenga.  Nel  quaderno,  conservato  negli 
Archivi  di  Stato  in  Genova,  dell'anno  1520 
intitolato  Corsicae  Fabr.  Adiacii,  nel  quale 
sono  registrati  i  nomi  degli  individui  che 
in  detto  anno  abbandonarono  la  Liguria 
per  recarsi  a  ripopolare  Ajaccio  in  Corsica, 
col  nome  di  Battista  Lanteri  da  Porto  Mau- 
rizio, utiiis  ex  condtictoriunfaniiliaruni  mis- 
sarmn  a  MS-"  Officio  ad  habitandiiin  in  pre- 
senti loco  Adiacii,  sono  registrati  con  alcuni 
pochi  di  Bajardo,  e  Vallebona  (della  diocesi 
di  Ventimiglia)  uomini  di  Pietra  lata,  di  Bo- 
scomare,  di  Alassio,  di  Andagna  e  di  Cosio 
jurisdictionis  Albinga7ie.  Ebbene  in  detto 
sommario  si  legge  :  Rado  grani  siculi,  cum 
arniis  missis  per  mag^^^'^  Officium  prò  sub- 
venendis  faniiliis  figonorutn  niiper  missis. 
Dal  che  si  evince  che  Figoni  erano  appel- 
lati i  girovaghi  abitanti  di  queste  due  re- 
gioni, che  andavano  in  cerca  di  sorte  mi- 
gliore. 

33 


Filum  (córso). 

«  Nec  ullus  per  stratam  vel  per  filmn 
burgi  projiciat  aquatn  de  dontibus  haben- 
tibus  solarla.  »  ^Podestà,  pag.  50). 

Firtellus  (misura  annonaria). 

«  Pro  qnolibet  centenario  Jìrtellorum  fru- 
menti tres  denarios.  »  {Lib.  jnrium,  2", 
pag.  463). 

Flazata  (coperta  di  letto). 

«  Iteiii  unam  flazatam  listatavi.  »  [Cari. 
S.  Ponili,  pag.  240). 

Fliscia  Crux  (comune  di  Croce  Fieschi). 

Focatia    focaccia). 

«  Placentas  et  focatias  ani pa?ies  vel  vinuin 
distribiiaìit.  »  (Giornale  ligustico,  1898, 
p.  368). 

Fochus  (vedi  fumus). 

Fodrum  (diritto  feudale  che  provvedeva 
al  mantenimento  del  signorotto,  della 
sua  corte  e  a  quello  dei  cavalli). 

«  Fecit  finem...  de  oìiini  fodro,  exactione 
et  loto  quodquam  fodrum  appellari potest.  » 
(Braida,  Cortemilia  e  le  Langhe,  pag.  20). 

Fogagium  (diritto  che  i  conti  di  Venti- 
miglia riscuotevano  sui  forni,  ricor- 
dato in  carte  di  Briga  e  di  Gorbio). 

«  Fuerunt  franqui  et  liberi  a  solutione 
fogagiorum,  cavalcatarum  nec  non  a  solu- 
tione cinate  in  loco  de  Gorbio.  »  (Carte  del- 
l'anno 1406). 

Pare  risponda  al  fornagium  ricordato  dal 
Cais,    Le  fief  de    Cliàteauneiif,  pag.    517). 

«  Teneantur  coquere  panem  suuin  ad  for- 
mam.  » 

Fondicus  (fondaco). 

I  fondachi  medioevali  rispondevano,  se- 
condo il  Cantarelli,  alle  stationes  dei  romani, 
come  il  fondaco  dei  tedeschi  a  Venezia. 
«  Pro  agendis  mercatorum  tcutonicorum 
requirencimn  venire  lanuam  et  habere  fon- 
dicum.  i>  {I  porti  d' Italia,  pag.  319). 

Scrive  il  Botto  nelle  due  pagine  di  Storia 
Spezzina  che  i  fondachi  rispondevano  alle 
nostre  botteghe,  ma  abbiamo  ragione  di 
credere,  che  tra  il  fondicus  e  Vapotlieca  cor- 
resse la  differenza,  che  si  ha  tra  lo  smercio 
all'ingrosso  e  lo  smercio  al  minuto. 


i66 


GIROLAMO  ROSSI 


Forbicis  (forbici). 

«  Abscindi  debeantincdiaìitibiis  forbicis  sive 
tezoriis  aptis.  »  (Giornale  ligustico,  1896, 
pag.  3o6\ 

Forcella  o  Furcella  (quest'arnese  da 
tavola,  che  secondo  il  Merkel  {7>^ 
arredi  milanesi  del  Quattrocento,  nel 
Ballettino  dell'Istituto  storico  italiano 
n.  13,  anno  1893)  compare  in  Francia 
nel  XVI  secolo,  è  ricordato  nel  Gior- 
nale ligustico  del  1884,  pag.  354,  con 
queste  parole: 

«  Cortelleriani  imam...  ami  nianicis  de 
argento  et  cuin  una  forcella  de  argento.  » 
L'uso  per  altro  di  andar  compagna  del 
cucchiaio,  s'introdusse  assai  più  tardi  e  len- 
tamente, come  si  evince  dal  Sinodo  dioce- 
sano albenganese,  tenuto  dal  vescovo  Lan- 
dinello  nel  1620,  pag.  448,  dal  quale  viene 
prescritto,  che  ogni  seminarista  nel  suo 
ingresso  abbia  a  corredo:  «  duos  orbes 
sfaneos  ac  totideni  qnadras,  coclcar  saltein 
icniim,  quod  non  sii  argenteum.  »  Si  richie- 
dono due  scodelle  di  stagno,  due  quadre 
ed  un  cucchiaio,  si  tace  affatto  della  for- 
chetta. 

Forensis  (forestiere). 

«  Persona  forensis  et  extratica  idem  si- 
gnifìcant.  »  (Stat.  antiq.  Saone). 

Foricus? 

«  Nec  adducat  pecuniain  alicujus  Iwiiiinis 
forici.»  [Lib.  juriuin,  i,  pag.  158). 

Forestum  o  Foresta  (selva  destinata  a 
nutrire  le  fiere  per  la  caccia  dei 
signori). 

A  cjuesto  articolo  già  trattato  nella  prima 
parte,  occorre  fare  un'appendice  per  far 
conoscere,  che  (jualunque  selva  potevasi 
mutare  in  foresta,  però  coll'autorità  regia. 
Il  gius  di  afforestazione  ha  preceduto  i  tempi 
dei  Carolingi  :  e  sono  di  quest'epoca  le  frasi 
instituere  e  dimiftere  forestas,  equivalenti 
Visliltiere  ad  afforestare,  e  il  dimittcre  a 
sradicar  le  selve  a  favore  dell'agricoltura. 
Fra  gli  ufficiali  delle  foreste  erano  i  falco- 
nieri e  i  cacciatori,  i  quali  dovevano  impe- 
dire non  solo  la  caccia,  ma  ancora  l'entrata 
nella  foresta  con  cani,  con  falconi  e  coll'arco. 
Era  la  caccia  la  occupazione  prima  dei  feu- 
datari in  tempo  di  pace;  e  di  un  prodi- 
gioso avvenimento,  succeduto  ad  un  Conte 


di  Ventimiglia  mentre  stava  cacciando  fra 
Sospello  e  Mentone  un  furioso  cinghiale, 
parla  il  Gioffredoa  pag.  758  della  sua  Sforia 
delle  Alpi  Marittime. 

Forum  (in  senso  di  merce). 

«  Quicmnque por taverit forum  sive  aliquain 
merccm  in  castetlania  Cuxii,  non  possit  etc.  » 
■    (Stat.  Cuxii). 

Foxina  (fucina). 

«  Caldcrarii  et  ferrarti  non  possint  ma- 
teare,  seit.  picare,  seu  travaglare  nec  foxinas 
facere.  »  (Stat.  Albingane). 

Frascha  (ramo  fronzuto). 

«  Si  inciderit  atiquem  ratnum  vel  ut  di- 
citur  ramam  sive  frascfiam.  »  (Stat.  Por- 
nasii).  Si  ha  il  d'wnmwXìwo  fraschefa  negli 
Statuti  di  Levanto  :  «fraschetas  neniini 
liceat facere  in  ipsis  terris.  » 

Frealia  (maniera  di  pèsca). 

«  Si  quis  piscaverit  in  aqnis  ufniete  ad 
frealia  vel  qui  posuerit  niorbuni  solvat 
eie.  »  (Barelli,  pag.  170). 

Fregazonum    (voc'abolo     dell'arte     ve- 
traria). 

Giovannino  vetraio  riceve  nel  1312  tanto 
vetro  bianco  et  fregazonum  da  Dato  Macia 
da  Firenze.  (Ferretto,  Cod.  diplom. ,  parte  I», 
pag.  xi). 

Frixones  (anitre  faraone). 

Così  spiega  questo  vocabolo  il  signor 
Carlino  a  pag.  9  dei  Cenni  storici  di  Ovada 
rimasti  incompiuti. 

Fronteria  (frontiera). 

«  Caslrum  de  Castilhono situatum  in 

fronteria.  »  (Cais,  Stai,  de  Vintiinitle,  pag.  93). 

Fullum    gualchiera). 

«  Fullarc  et  fullari  facere  lotuin  pannuni 
quod  faciant  in  fililo  predicto.  »  (Rossi,  Stat. 
Liguri,  pag.  205). 

Fumus  (capo  di  casa). 

La  rubrica  24  dello  Statuto  di  Sarzana 
tratta  «  De  his  qui  collectas  tenentur  solvere 
per  fumum  e  in  essa  si  precisa  il  significato 
di  fumus  dicendosi  :  fumus  ijitelligatur  et 
esse  dcbcat  illa  persona  que  per  se  habitat 
vel  habitaverit  in  Sarzava  vel  districtu  suo 
qui  aliquid  habet  vel  habuerit  proprium  vel 
divisum  per  se,  vel  que  dotem  receperit,  seu 
fiierit  confessa  recepisse.  » 

Il  capitolo  precedente  s'intitola:  De  elec- 
tione  fumantinm  e  prescrive  la  elezione  di 

34 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE   LIGURE 


167 


quattro  cittadini  per  quartiere,  incaricati  di 
segnare  collectas  per  fiimuìn. 

Il  fuiniis  dello  Statuto  di  Sarzana  e  di 
altri  comuni  della  Liguria  di  levante  è  pari 
in  significato  al  focus  della  Liguria  di  po- 
nente, fra  cui  ricordiamo  lo  statuto  di 
Diano. 

Furnitus  (provveduto). 

«  Tenebit  diclani  siiaui  tabernam  fiirni- 
tam  pane  el  vino,  »  (Stat.  Garlende  et  Pa- 
ravenne,  pag.  47). 


Fustaneus  (tessuto). 

Lo  statuto  d'Albenga  parla  de  gabella 
fusianeoriiin. 

Fustigare  (battere  con  verghe). 

«  Si  solvere  non  polerini,  fnstigentur  ci 
in  fronte  deconqneantur  ciim  ferro  calido.  » 
Olivero,  Alemorie  storiche  di  Ceva,  pag.  74. 

Fustum   (ricamo). 

«  Pianeta  una  velati  ricbei,  cuin  fusto  uno 
ad  hisloriam  beate  Marie  cuin  liliis  et  galis 
aureis.  »  Giornale  ligustico,  1S86,  pag.  26S. 


G 


Gabella  (gabella). 

«  ////'  qui  non  possunt  incantare  in  ga- 
bellis  coinunis.  »  (Stat.  Apricalis  et  Insule 
bone,  1430  . 

Gachia  (coprifoco) 

«  Ouodatìi  sero  longe post gachiaui.  ->  (Cais, 
La  ì'ille  de  Nice,  pag.  76'. 

Gadates  (meretrice,  per  l'esempio  vedi 
Pìitoiiia). 

Gadiator  (esecutore  testamentario). 

«  Constituo  gadialores  incos  ad  omnia  le- 
gata et  debita  solvenda.»  (Gioffredo,  Storia, 
pag.  579)- 

Gadium  (^legato  . 

«  Pars  illius  relieti  vel  gadii,  detur  in  ad- 
jutorio  ìHoduli.»  (Stat.  Nicie). 

Gaforium  (vocabolo  rinvenuto  in  una 
carta  savonese  del  1 1 28  dal  colto 
studioso  di  cose  ligure  Giovanni 
Filippi ,  significherebbe  forse  se- 
condo lui  la  nostra  àncora;  il  D'Ar- 
nis  per  altro,  che  registra  tale  voce, 
afferma,  valere  certo  tributo  con- 
simile alla  tolta). 

Gagia  (gabbia). 

«  Iteui  gagia  una  de  papagallo.  »  (Giorn. 
ligustico,  1890,  pag.  38). 

Gaibellara  o  Garbellare  (crivellare). 

"  Merces  possint  licenter  gaibellare  ad 
fondicum.  »  {Atti  Soc.  ligure,  voi.  XIX, 
pag.  172). 

Gajum  (selva  folta). 
òb 


Galea  (grandi  navi  da  guerra  che  prima 
andavano  a  remi  e  quindi  a  vela) 
1242:  Varate  fuentrit  galee  X  de  mio 
facte  et  cum  ifisis  taride  xiii.  (I.e 
taride,  lunghe  navi,  servivano  d'or- 
dinario a  trasportar  truppe,  cavalli 
e  viveri). 

Gambonus  (gamba). 

«  Quod  nullus  bccharius  possit  vendere 
ni  si  ad  pensain,  exccptis  capitibus,  intcrio- 
ribus ,  pedibus  et  gambonibus.  »  (Stat.  No- 
var.,  pag.   17). 

Gamerra   (veste    da    donna,    specie    di 
mantiglia). 

«  Ganierravipro  aqua  vetereni.  »  (Ferretto, 
Cod.  diplom.^  2",  pag.  129). 

Ganganella  (piccolo  schiffo). 

«  Eìiiit  barcani  una)n  ganganellam  de 
ronis  odo.  »  (Terre tto,  Cod.  diploni.,  2"", 
pag.  237). 

Garba  (m.isura  di  capacità). 

«  Si  aliquis  fuerit  appellatus  de  garba,  et 
inferius  usque  ad  manafam ,  cadat  eie.  » 
(.Stat.  Apricalis.  Da  questa  voce  si  è  for- 
mata garbeirata  per  raccolta  di  garbe,  che 
si  riscontra  negli  Statuti  di  Nizza). 

Garbora   (forse   nello  stesso  significato 

\        di  garba). 

:  «  Teneantur  inquirere  niultorales  et  gar- 

I  boras.  »  (Stat.  Carpasii). 

Gardia  (guardia). 

«  Galea  non  veniebat  prò  legatione  et  prò 
gardia.  »  (Caphar.,  Annal.\ 


i68 


GIROLAMO   ROSSI 


Garricie  (terre  incolte. 

«  Dono  inedie tatcni  lerrilorii...  cuiìi  oìn- 
nibus  pascuis,  silvis  ei  garriciis  ».  .Cais, 
Carf.  de  Ntce,  pag.  6). 

Garsonus  (servo,  aiutante). 

«  Reliquit  in  apotheca  Francisiun  (irò fini n 
ejns  garsoneni.  »  (Alizeri,  Notizie^  VI,  pa- 
gina 350). 

Gastaldus  (ufficiali  comitali,  preposti 
nelle  ville). 

«  Marchio  Oto  investivìt  noviine  just i  feudi , 
sub  fidelitateiH  quaiu  inihi  f ecisti,  oastatdiaiii 
Vadi.  »  (Garoni,  Guida,  jiag.  9). 

Gatus  (macchina  da  guerra  per  forare 
le  mura). 

((  lanueiises  cuin  sto/o  de  galeis  et  gatis 
super  Pisanos irruerunt.  »  (Caphar.,  ^i««a/.). 
Che  fosse  una  macchina  da  guerra  lo  dice 
il  Cantù  [Storia  di  Codio,  voi.  I,  pag.  182)  e 
fra  Salimbene  che  scr'we  :  fabricarent  talein 
gattum,  per  quern  subito  civitas  capi  posset. 

Gatus  ha  dato  il  nome  ad  una  villa  dei 
pressi  di  Oneglia,  leggendo  in  questi  Sta- 
tuti :  Eligantur  duo  de  villa  Gattoruni  sive 
Gazelii. 

Gatto  o  gatta  è  pure  il  nome  dell'ani- 
male nemico  dei  sorci ,  avendo  a  pag.  87 
degli  Statuti  di  Bobbio  :  Si  quis  fnratus 
fuerit  cancm  vcl  gattani  alicujus  puniatur. 

Gaudo  (erba  che  tritata  si  riduceva  in 
formelle  e  poi  si  adoperava  per  tin- 
gere in  azzurro. 

«  De  gaudis  et  omnibus  tincturis  panno- 
rum.  »  (Cais,  Gli  Statuti  delle  gabelle  di 
Nizza,  pag.  413). 

Gavilia  (contesa). 

«  Aliqua  persona  non  debeat  facere  ali- 
quam  gaviliam  vel  rixam  in  Prosanego  in 
die  Sabati  sancii.  »  (Tale  voce  s*  incontra 
nelle  carte  di  Val  di  Roja  e  nello  statuto 
di  Diano). 

Gaviretus  ? 

«  Ipsum  vulneravìt  de  quodam  gavireto 
suo  usque  ad  morteìu.  »  (Cais,  La  ì'ille  de 
Nice,  pag.  loi). 

Gaytagium    (  imposizione    che    dispen- 
sava dall'obbligo  di  fare  la  guardia 
Guaita). 
(Belgrano,  Cartario  genovese,  pag.  566). 


Gazari  (così  si  chiamavano  alcuni  ere- 
tici che  negavano  la  supremazia 
del  papa,  inveivano  contro  molte 
cerimonie  della  Chiesa,  predicavano 
la  comunanza  dei  beni ,  il  matri- 
monio dei  preti  e  si  dice  ancora  la 
comunanza  delle  mogli,  con  essi  si 
confondevano  i  Paterini,  dai  quali 
era  stata  invasa  nel  XV  secolo  la 
valle  di  Oneglia). 

«  Kxpediri  debeant  de  dieta  valle  (Une Ha) 
omnes  Gazari  et  Paterini  et  alii  heretici 
quocuinque  nomine  censeantur...  et  omnes 
aia  rebclles  fidci  catholice  et  sacrosancte 
romane  Ecclesia:.  » 

Gebius  (giuoco  di  carte). 

«  Ludere  ad  faxillos,  ad  aissuch...  ad  char- 
tas  seu  gebios.  »  (Cais,  La  Ville  de  Nice,  pa- 
gina 26). 

Gelosia  (ingraticolati  di  legno,  soliti  a 
mettersi  alle  finestre  dei  monasteri 
di  donne). 

«  Que  gelosie  et  fores  esse  debeant  ligna- 
minis  predicti.  »  Alizeri ,  Notizie,  VI ,  pa- 
gina 59)- 

Gerba  (epiteto  di  terra  non  dissodata). 
«  Vendidit  quondaiìi  terram  gerba>n  sitam 
in  territorio  de  Turbia.  »  (Saige,  Documents 
relatifs  eie,  pag.  94). 

Gerbodus  (vedi  Zerbolum\ 

Gestare  (fare  le  occorrenze  sue). 

«  Ullus  audeat  gestare  seu  stercora  vel 
alia  tur  pia  facere  in  strata  velviispublicis.  » 
(Podestà,  pag.  78). 

Giellum  (tessuto  serico). 

«  Obligo  libi...  fardella  xvi  serici  gielli.* 
(Desimoni,  Actes  de  Famagouste,  pag.  21). 

Giponus  (giubbone,  veste  stretta  che 
copriva  il  busto). 

Gipum  (gesso). 

X  Quotiescumque  contrafeccril  amittat  cal- 
cem  et  gipum.»  (Stat.  Nicie). 

Giro  (canale,  bucha  de  Giro  era  deno- 
minata nelle  antiche  carte  la  bocca 
del  Alar  Nero,  come  si  riscontra  a 
pag.  507  del  voi.  X  degli  Aiti  della 
Società  Ligtire  di  Storia). 

36 


GLOSSARIO   MEDIOEVALE  LIGURE 


169 


Gobeletum  (calice). 

«  Gobeletum   unum   de   argento  dea/irato 

cum  coperchio.  »  fGiornale  ligustico,   1S84, 

pag.  355)- 
Gonfalonus  (vedi  confalonus). 

Gona  (gonnella). 

«  Q"'i  fecit  veteres  raubas  seu  gonas  se- 
ricas.  »  Stat.  Artium  merciarie.  Le  gone  o 
gonne  erano  portate  nel  Medio  Evo  tanto 
da  donne  quanto  da  uomini,  e  da  questi 
erano  ancora  usate  poco  tempo  fa  in  Sar- 
degna. Lo  statuto  di   Bobbio  ha  gunella). 

Gondola  (legno  minore  che  nel  XIII  se- 
colo era  d'equipaggio  nelle  grandi 
navi).     ■ 

«  Item  quod  habeat  dieta  navis  utuim  bar- 
chani  cantera,  barchas  duas  de  parascalino 
et  gondolatn.  »  (Belgrano,  Documenti .,  pa- 
gina 7). 

Gorgeria  (armatura  che  difende  la  gola). 
«  Liceat  milites  terrigene  itnpune  gorge- 
riam  deportare.  (Stat.  Sarzane). 

Gorus  (specie  di  rete  da  pescare,  vedi 
l'esempio  in  Nasa). 

Goromacha? 

«  Postdiìnidium  meiisejn  debeant  eos  foves) 
ducere  in  goromachaìn  et  ullras  colles.  » 
(Stat.  Ceriane). 

Grafionus  (specie  di  ciliegia  assai  gu- 
stosa). 

«  Tribuat  ininas  sex  nuccjlarum  et  uiiuvi 
gorbinum  grafionorum  ani  ceresaricm  gros- 
saruin»  (Atto  del  1459). 

Gramignosa  (epiteto  che  si  dava  alla 
carne  di  bestie  colpite  da  impeti- 
gine, specie  di  lebbra  onde  erano 
assaliti  i  bovini). 

«  Qui  vendiderit  carncs  grauiigìtosas  prò 
nitidis,  condemnetur  »  (Stat.  Albingane). 

Grangia  (casa  rustica). 

«  Nulla  persona  audeat  edificare  seu  fa- 
cere  aliquam  domum  seu  grangiam,  cellam 
prò  companagiis  in  terris  cominunis.  »  (.Stat. 
Sospitelli).  In  qualciie  carta  del  Nizzardo  si 
trova  a  ne  ile  granoga. 

Grabator  (infermo  d'ospedale). 

«  Hospitalis  exerccatur  proni  institiifum 
requirit ,  parentur  que  necessaria    sunt  ad 

37 

22  —  Mise,  s.  ni,  T.  xni. 


grabatorum  ÌJistructionein.  Mares  et  fe- 
niine  tabulato  telario  intermedio.,  dorniiant.  » 
(.Storia  di  Recco,  pag.  72). 

Grafigatura  (graffiatura). 

«  Noìi  audeat  facere  sanguincm  alieni  de 
pugnis  in  naso ,  grafigaturis  manuuDi.  » 
(Pandiani,  Stat.  Pori.  Vener.,  pag.  79). 

Grasserium  (luogo  dove  si  disseccano 
i  fichi). 

«  Le  onzieme  des  ftgues  qu' on  aportera 
in  grasserio.»  {Chart.  S.  Pontii,  pag.  149). 

Grascia  (nome  che  comprende  tutte  le 
materie  necessarie  al  vitto). 

«  Pro  iììiìnunitate  a  gabella  grascie.  » 
(Stat.  Saone). 

Grattator  (fautore). 

«  Fuerunt  grattatores  et  capita  prodi- 
tionis.  »  (Rossi,  Storia  di  Vcntimiglia,  (va- 
gina 107). 

Grezo  (greggio,  non  pulito). 

«  Promittit  fabricare  niisterios  tres  de 
lignamitie,  ut  dicitur,  grezo.-»  (Alizeri,  No- 
tizie, VI,  pag.  192). 

Grida  (bando). 

«  De  qualibct  grida  (nuncius)  habeat  de- 
narium  unum.  »  (Podestà,  pag.  32). 

Griparia  (grippo,  sorta  di  nave). 

Si  ha  notizia  dell'afiondamento d'un 

grippo  (griparia)  alla  bocca  di  S.  Caterina 
nel  porto  di  Famagosta.  (Giorn.  ligustico, 
1900,  pag,  105). 

Grodare  (pendere). 

«  Fruclus  olivarum,  castanearum  et  quer- 
cum  grodantium  in  terris  alicnis,  invito 
domino  terre,  in  qua  grodaverint,  colligerc 
nemo  audeat.  »  (Stat.  Vezzani,  pag.  60). 

Grondana  e  Grunda    grondaja). 

«  Computatis  cornixionis  et  itnbre  seu 
grondana.  »  (.Stat.  Padri,  pag.  228  . 

«  Qui  domum  seu  casamcntum  edificaveril, 
tali  ter  debeat  edificare,  quod  grunde  ipsius 
casamenti ,  seu  domus,  pluiant  super  suum 
propriuìH.  »  (Stat.  Pornasii;. 

Gropialis  (grippia ,  corda  attacc^lta  al 
ceppo  dell'ancora,  munita  d'un 
legno  che  galleggi  nell'acqua). 

«  Quelibet  dictarum  anchorarum  debeat 
habere  gropialem  unum  novum.  »  (Belgrano, 
Doctcmenti,  pag.  31). 


lyo 


GIROLAMO    ROSSI 


Grossum   in    (all'ingrosso,   opposto   di 
al  minatum). 

«  De  his  que  in  grosso  vendile  fiicrinf 
habeat  pofes fatevi.  »  {Lib.  jiirium),  i",  pa- 
gina 1144). 

«  Pro  pannis  emendis  ab  aliis  int-rcaio- 
ribus  ad  grossum  vel  ad  talium.  »  (Sella, 
Pandette,  pag.   156). 

Grotesca  (pittura  fatta  a  capriccio). 

11  Belgrano  a  pag.  69  della  Vita  privata 
ricorda  grotesca  cuni  figtiris. 

Guadagninum    ''raschiatura    delle    pelli 
per  ridurle  in  cartapecora). 

«  Quod  pilluui  appellatur  guadagninuìu 
et  esse  debet  lavatiun  et  siccum.  »  (Gìorn. 
ligustico,   1896,  pag.  449). 

Guadum? 

«  Conccdit  plciuiììi  licentiain  vendendi , 
a/ienandi,  obligandi,  et  dividendi  ac  perinii- 
tandi  inter  ipsos  hoinines  in  guado  et  super 
guado  et  in  omnibus  neinoribus.  »  (Alto  di 
Cairo  del  1322). 

Guaita  (g'uardia,  sentinella). 

«  Nunci  teneanfur  jur amento  precise  guaì- 
tas  et  taboreria  nunciare.  »  (Podestà,  p.  33). 
Differiva  dalla  scaraguaita  che  significava 
servizio  fuori  della  sentinella. 

Guantus  (guanto). 

«  Itein  paria  duo  guantoruin  de  ferro.  » 
(Giorn.  ligustico,  1890,  pag.  39). 

Guardare  (visitare). 

«  Pro  guarda7idis  inuttis  et  innuinerabi- 
libus  tignis.»  Ogerii  Panis,  ^-ìnn.  1211.  In 
senso  di  osservare:  Jura  servabo ,  quum 
guardabo.  »  (Podestcà,  pag.  13). 

Guardia  (guardia). 

«  Reddam  guardiani  prefati  castri.  »  (Lib. 
jurium,  I",  pag.  117). 


Guarnacia  (zimarra). 

Albert  da  Pavia  prende  a  pegno  trcs 
guarnacias  di  pelli  di  coniglio.  »  fFerretto, 
Cod.  diploiìi.,  2°,  pag.  21). 

Guazatorium  (lavatojo). 

«  Teneatur  refici  facere  fon  te  in  de  bole- 
xino  et  facere  quodam  abeveratorhim  et 
quodaiii  guazatorium.  ^  (Stat.  .Sarzane\ 

Guazo  (suolo  o  prodotto  del  suolo);  in 
qualche  altra  carta  si  legge  Uvaiito. 
«  Volendosi  fare  la  tradizione  .simbolica 
d'un  monastero  o  d'un  fondo,  offrivasi  un 
cultellum  fistucam,  uotatum,  nvantonem  et 
guasonem  terre.  Ancora  oggidì  in  Val  Scrivia 
viene  chiamata  guaza  la  zolla  di  terra.  » 
(G.   Poggi,  J.a   Tigullia,  pag.  •82). 

Guerra  (guerra). 

«  Si  evenerit  quod  comune  lanue  giierram 
halyeat  cum  Alberto  de  Cavi.  »  (Lib.juriian, 
1",  pag.  137). 

«  Rcstauretur  damnum  quod  tempore 
guerre  habuerint  (Idem,  pag.  139).  Si  ha 
pure  il  verbo  guerriare:  quando  cantra 
dicium  Bonifacium  Marchionem  inde  guer- 
riare velici.  »  (Idem,  pag.  528). 

Guerpicium  (abbandono  di  proprietà). 
«  Et   hoc  redilu   et  guerpicio  ciini  bona 
voluntate  et  Dei  timore,  facimus.  »  (Cais, 
Cari,  de  Nice,  pag.  12). 

Guidonagium  ed  anche  Guidagium  (uno 
dei  tre  balzelli  che  si  pagavano  dai 
pastori  nel  condurre  i  greggi  ad 
is vernare    nelle  regioni   marittime). 

«  Strale  libere  concedimus  Alexandrinis 
et  Derthonensibus  sine  omne  pedagio,  gui- 
donagio  vel  dacita  ulto  modo.  »  [IJb.  ju- 
rium, 1°,  pag.  275). 

«  Quando  eorum  animalia  mittunl  in  pio- 
vintiam,  yemandi  causa,  occasione  guidagii, 
sive  ramagii ,  vel  pulveragii.  »  iCais,  Stat. 
de   Vinti  mi  Ile,  pag.  71). 


H 


Habitator  (quando  in  i[ualchc  rogito 
notarile  si  trova  questa  qualifica, 
indica  che  l'individuo  nominato  non 
era  nativo  del  luogo). 


Habitaculum  (dimora). 

«  Heredcs  marchionis  debent  habitaculum 
et  compagnam  januc  jurare.  »  (Lib.  jurium, 
lo,  pag.  136). 

38 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE  LIGURE 


171 


Harena  S.  Petrus  de  (S.  Pier  d'Arena), 
«  Loco  vobis  locum  de  Morella  de  Sancto  Pe- 
tra de  Harena.  »  (Belgrano,  Registro  2",  pa- 
oina  215). 

Heremita  (chi  mena  vita  solitaria  con- 
templativa). 

«  Nere )ìi ite  ibi  dcserviculcs  J)co,  habcant 
et  possideant  felicitcr.  »  (Gioftredo,  Nicea 
Civitas,  pag.  177  . 

Non  si  Ila  più  idea  oggidì  della  quantità 
di  individui,  che  negli  andati  secoli  vive- 
vano in  luoghi  solitari,  coperti  di  una  veste 
semitalare  di  color  bigio,  coi  capegli  incolti 
e  lunga  barba,  appoggiati  ad  un  lungo  ba- 
stone sorretto  da  una  croce,  che  tenevano 
fissa  la  loro  dimora  in  un  povero  tugurio 
presso  qualche  cappella  campestre,  vivendo 
delle  elemosine  dei  fedeli.  Erano  essi  tenuti 
a  recitare  ogni  giorno  l'ufficio  della  Ver- 
gine ,  oppure  sessanta  pater  ed  ave  ed 
avevano  a  protettore  San  Romualdo.  Ogni 
anno  nella  domenica  in  albis  dove\ano 
presentarsi  nella  chiesa  cattedrale,  dove 
fatta  la  comunione,  ascoltavano  una  predica 
sull'ordine  eremitico.  Era  loro  vietato  di 
dar  ricetto  negli  eremitaggi  a  donne,  a 
facinorosi  e  banditi.  Ecco  il  testo  di  una 
nomina  ad  eremita,  rilasciato  nel  xvni  se- 
colo da 

«  Pier  Maria  Giustiniani 

per  grazia  di  Dio 
Vescovo  di  Ventimiglia 

«Al  nostro  diletto  nel  Signore  fra  Pasquale 
della  Seborca  salute  sempiterna.  Poiché 
siamo  informati  delli  vostri  buoni  costumi 
e  del  buono  spirito  che  vi  porta  a  servir 
Dio  nella  solitudine  e  attesa  l'obbligazione 
da  voi  fatta  che  sarete  obbediente  a  noi  e 


nostri  successori,  vi  concediamo  la  licenza 
di  portar  l'abito  eremitico  e  per  vostro 
eremo  vi  assegniamo  la  chiesa  o  sia  cap- 
pella campestre  della  Madonna  della  Mi- 
sericordia, situata  nella  nostra  villa  di 
Latte  e  vi  deputiamo  a  custodia  per  ser- 
vizio della  medesima;  con  che  etc.  dob- 
biate ogni  domenica  e  le  feste  di  precetto 
servire  la  chiesa  di  S.  Bartolomeo. 
Dato  a  Mentone  li  25  luglio  1742. 

X  Pier  Maria  vescovo.  » 

Hemina  (misura). 

«  ihuie  xn  librain  effieitint,  libra  ima 
et  semis  heminain  facit,  due  heniine  se.vta- 
i-iuin  reddnnt.  »  (Rocca,  Pesi  e  misure  an- 
tiche di  Genova,  pag.  79}. 

Herma  (incolta). 

«  Jn.vta  terrain  hermain  seu  incnltam 
Bussolinoruin.  »  Charti-ier  de  S.  Pons,  pa- 
gina 272). 

Homo  (nel  sec.  Xlii  significava  villano). 

«  Obligationes  quos  habere  debeo  in  hoini- 

nibus  sive  rusticis  ipsiiis  ville.  »  '.Lib.jurimii, 

i»,  pag.  944,  quelli  a  loro  preposti  dicevansi 

domini]. 

Honor  (diritto). 

«  Dono  medietatem  honoris  de  Maria 
de  Aurosio.  »  {Chart.  Lirinense,  pagina 
XVI  n). 

Horia  (nome  che  corrisponde  a  Laura, 
località  del  comune  di  Peglia). 
(Vedi  Chaitrier  de  S.  Pons,  pag.  20.) 

Hostelaria  (osteria). 

«  /;/  carreria  publica  jiixia  hostelariain 
de  Angelo.  »  (Cais,  La  ville  de  A'ire ,  pa- 
gina 318). 


I 


Ignis  et  Cathena  (frase  che  nello  statuto 
di  (jaressio  valeva  a  rappresentare 
un  capo  di  famiglia). 

«  Non  habeat  aliquod  officiutn  in  communi 
Garexii,  nisi  steterit  continue  ad  ignem  et 
cathenam  ibi  (pag.  28);  al  fuoco  si  unisce  la 
catena,  come  quella  che  teneva  il  paiuolo 
appeso  sopra  il  fuoco. 

Illicis    mons    (chiamavasi  la  parte    del 
monte  Capriono  o  Carpione  che  da 
39 


Lcrici    si    stende    al    capo    Corvo) 
(Giorn.  ligustico,   1892,  pag.  338). 

Imbarbare  (far  gettare  le  barbatelle  ai 
magliuoli). 

«  Pro  malliolis  radicatidis  seu  iiìibarbandis 
dumtaxat  rigandis.  »  (Chartrier  de  S.  Pons, 
pag-  379)- 
Imbastare  (porre  il  basto). 

«  De  bestiis  asininis  in  diebus  festivis  non 
iinbastandis.  »    (Stat.   Pornasii). 


172 


GIROLAMO   ROSSI 


Imbotare    (mettere  il  vino  nelle  botti). 

«  Niillus  audeaf.  ...  vintim  iìtibotare,  nisi 

priiis  eie.  »  (Saige,  Doeninents,  2",  pag.  161). 

Imbreviare  (fare  il  sunto  d' un  rogito 
notarile). 

«  Notarii  non  faeient  vcl  iinbreviabnnt 
aliquod  instriiinentuni  nisi  ilhid  in  secda  vel 
noia.  »  (Podestà,  pag.  56). 

Da  questa  voce  si  è  formato: 

Imbreviatura  (protocollo  o  ristretto  di 
atti). 

«  NuIIus  audeai  einere  vei  vendere  ivibre- 
viatnras  alienjits  notar ii .  »  (Stat.  Bobii  , 
pagg.  63  a  87). 

Immaltare  (impastare  calce  con  arena). 

«  Aliqua  persoìia  non  teneat  in  bnrgo  Ga- 

rexii  domuni  copcrfain  de  paleis  nisifnerinl 

inimaltate  »  (Barelli,  //  libro  della  catena, 

pag.  30). 

Impastare  (ridurre  in  pasta). 

«  Bancarimn  unum  ad  iiiipastandinu  prò 
mensa.  »  (Rossi,  Cairo,  le  Kogazioni ,  pa- 
gina 87). 

Imperium  merum  et  mixtum  (espres- 
sione che  nelle  carte  medioevali 
sit^nificava  alto  dominio,  cioè  la  giu- 
risdizione civile  e  penale  con  diritto 
di  sangue). 

Implicare  (impiegare). 

«  Confiteor  me  Imbuisse  a  te  in  acomenda 
libras  trecentas  duas  latine,  iviplicatas  in 
nncis  eentmn  auri  tarinoruin.  »  (Belgrano, 
Documenti,  pag.   104). 

Improperare  (rimproverare). 

«  Si  aliquis  improperaverit  alieni  de  Sar- 
zana  aliquod  honiicidium.  »  (Podestà,  p.  64). 

Inasixio  (ammollimento). 

«  Ista  lana  inasixione  facta ,  debeat  per 
ipsos  tarezaiores  scolari.  ■»  (Giornale  ligu- 
stico, 1896,  pag.  306). 

Incantare  (porre  all'incanto). 

«  De  eo  quod  justitia  noìi  possit  incan- 
tare nec  incantari  facere  in  incantis  Avri- 
gali.  ■»  (Stat.  Apricalis). 

Incanevare  (porre  in  cantina). 

«  Si  rendere  voluerit  de  dieta  suo  vino, 
quod  liabuerit  iinbotatum  seu  incanevatum, 
licituvi  sii.  »  (Stat.  Sarzane). 


Incatenatio  navis  (dicevasi  il  sequestro 
d'una  nave). 

«  Postquam  incatenata  fuerit  aliqua  navis 
seu  aliud  navigiorilm  genus  per  cavalerios 
more  solito.  »  (Stat.  Padri,  pag.  319). 

Incongare? 

«  Persona  cum  qua  incongans  causam 
habuit.  »  (Podestà,  pag.  41). 

Incaparare  (acquistare  una  merce  per 
farne  monopolio). 

«  Non  valeai  incaparare  seu  imniagazi- 
nare  aliquani  quantitateni  murte.  »  (Stat. 
Plebis,  pag.  147). 

Indictio  (periodo  di  15  anni  che  ebbe 
principio  nell'anno  313  dell' E.  V. 
L'indizione  genovese  comincia  nel- 
l'anno 314,  cosichè  è  sempre  mi- 
nore di  un  anno  di  quella  dell' E.  V. 
Le  città  convenzionate  contavano 
l'indizione  jtixta  cnrsuni.  L'indi- 
zione ad  esempio  in  Ventimiglia 
contava  un  anno  prima  della  ge- 
novese). 

Infilzare  (mettere  in  filza). 

«  Quod  dictuni  est  de  cartulariis ,  dictum 
esse  inielligatur  in  quibuscumquc  scripturis 
et  actis  publicis  infilzatis  et  non  infilzatis.  » 
iStat.  Albingane). 

Infula  ferrea  (elmetto). 

«  Ouilibct  ipsoruni  liabeat  panceram  et 
infulam  ferream.  »  (Belgrano,  Registro  2", 
pag.  328;. 

Infula  pare  valesse  berretto ,  leggendo 
negli  Statuti  di  Diano,  che  i  nuncii  del 
comune  habeant  infulam  rubeam. 

Inglarare  (coprir  di  ghiaja). 

«  Potcstas  teneatur  mittere  totum  carigium 
possessori  di  carri)  Capriate  ad  ducenduni 
de  glarca...  prò  inglarando  plateain.  »  (Stat. 
Capriate). 

Inlagionare  (coprire  di  lagioni  o  qua- 
drelli un  pavimento). 

«  Promittit  inlagionare  scalavi  undique 
bene  accomodando  lagiona.  »  (Alizerl,  No- 
tizie, II,  pag.  451). 

Inpizare  ? 

«  Teneatur  ligare  vel  inpizare  coruvi 
arma.  »  (Candiani,  Stat.  Porto  Venere,  pa- 
gina 75). 

40 


GLOSSARIO   MEDIOEVALE  LIGURE 


173 


Inscurbiare    (voce    dell'arte    del    calzo- 
lajo). 

«  Docebo  filimn  fuinìi  de  arte  ifiscurbiandi 
subtcllarcs.  »  (Ferretto,  Cod.  dip/om.,  2", 
pag.  409). 

Insellare    (porre    la    sella    sopra     una 
bestia). 

«  A\jn  audcat  asinos  vcl  alia  aninialia 
insellare.  »  (Stat.  Vezzani). 

Inspingere  (urtare). 

«  De  inspi/ìffenlibiis  alienai)!  personam 
irato  animo.  »  (Stat.  Lavine). 

Intortia  o  Intortium  (candelette  ritorte 
disposte  a  mazzi). 


«  Iteni  censemus  de  illis  cereis  et  iniortiis, 
que  circa  feretrum  deferu7itur.  »  (Landi- 
nellus,  Synod.  albinganens.,  pag.  333^ 

Intrata  (provento,  reddito). 

«  Oinnes  intratas  et  res  comunis  jura  sal- 
vabo  et  guardabo.»  (Podestà,  pag.  13). 

Iperperi   (chiamavansi  i  Bizanti  di  Co- 
stantinopoli). 

«  I per  per  OS  cxv  auri  et   Karatos  xv.  » 

(Desinioni,  Actes  de  Famagotiste ,  pag.  94). 

• 

Iskiki. 

«  Sciendum  est  quod  collaria  et  iskiki 
agnornni  et  capretoruni ,  si  assali  fuerint , 
debent  esse  cocornin.  »  (Giornale  ligustico, 
1S82,  pag.   164). 


J 


Jacha  (biacca). 

«  Pro  generibus  speciernni,  coralloruni, 
cardeghiy  lache.  »  (Concess.  Savonens.  pa- 
gina 19). 

Jacta  (barcaccia). 

«  Manuteneattt  unain  iactam  a  se  arando 
dictum  porium.  »  [Atti  Società  storica  sa- 
vonese, 2°,  pag.   151). 

Jaina  (grossa  trave). 

«  Librami  Guglielmo  Ponti  de  Nicla  prò 
una  trabe  appellata  jaina.  »  Cais,  l'ille  de 
Nice,  pag.  199). 

Jardinus  (giardino). 

«  Statini  galeas  in  terra  extraxerunt  et 
jardinos  ovines  usque  ad  inuros  civitatis 
destruxerunt.  »  (Caphar.,  Annal.  ann.  noi). 

Jasprum  (diaspro). 

«  Pecie  duo  (cultelloriiiìi)  cum  inanicis 
de  jaspro.Tf  (P'erretto,  Cod.  diploin.,  2",  pa- 
gina 358). 

Javella  (fascio  minore  del  covone). 

«  Si  covam  furatus  fuerit  sii  in  hanno 
solid.  LX,  si  imam  javellam,  sii  in  banno 
solid.  V.  »  (Stat.  Zuccarelli). 

Jharlatanus  (ciarlatano). 

«  Decretimi  contra  Iharlatanos.  »  (.Stat. 
Padri,  pag.  222). 

Jissartum  (vivajo).  , 

«  De  banno  capientis  in  alienis  Jissartis.  » 
(Stat.  Sospitelli). 

4^ 


Jnditia  (un'  errata  lezione  della  Cliro- 
nica  Badaluci  del  vSac.  Aberrando,  ha 
fatto  credere  che  una  città  appel- 
lata Jnditia  si  trovasse  allo  sbocco 
dell'Argentina,  presso  Riva  Ligure; 
ecco  il  brano  citato:  Qmim  antiquo 
tempore ,  tit  ipsa  mina  docet,  secus 
mare  ad  labentis  Jluminis  Aiixentine 
ripas  civitas  quedavi  Inditia  consi 
stcret  ctc.  Il  Can.  Lotti  che  aveva 
potuto  svelare  altri  non  lievi  errori, 
che  correvano  nelle  copie  mano- 
scritte della  Chronica,  surrogò  civi- 
tatis inditia  consistcrcnt,  la  quale 
città  appunto  sarebbe  la  Costa  Ba- 
lene degli  Itinerari!). 

Joja  (pietra  preziosa). 

Il  Ferretto  a  pag.  166  del  voi.  2"  del 
Codice  diplomatico  parla  di  un  atto  passato 
davanti  Martino  da  Rracelli,  vcnditor  jo- 
jaruni. 

Jona  listrumento  da  carpentiere ,  per 
l'esempio  vedi  Magister  ascie). 

Jornata  (giornata). 

«  Si  jornatam  amiserit.  »  (Si  ha  nello 
Statuto  di  Zuccarello  ed  altri  esempi  in 
quello  di  Triora). 


174 


GIROLAMO   ROSSI 


Jornea  (giornea). 

«  Ahn  possit  perinìltere  alìquas  jorvcas 
nisi  so/iitn  de  fustaneo.-»  {Atfi  de/la  Società 
storica  di  Savona,  1°,  pag.  344). 

Judiciaria  (epiteto  che  si  dava  a  IHIln, 
che  sotto  i  Longobardi  succede  al 
gali  germanico  e  al  pago  latino), 

«  Non  innlium  longe  de  Jliivio  Sturia 
Judiciaria  bredulense.  »  (Baudi  di  Vesme  e 
Fossati ,  Vicende  della  propriela  in  Ilalia  , 
pag.  286), 

«  Villa  qne  dicitur  Judiciaria  vadensis.  » 
(S.  Quintino,  Osservazioni,  pag.  9). 


Juncata  (latte  rappreso). 

«  J  gallinain  in  carnisprivio  et  j  junca- 
lani  in  S.  Maria.  »  (Giorn.  ii.i;ustico,  18S2, 
pag.   160). 

Jusselum  (sorta  di  vivanda). 

«  Postea  risuvi  aut  jusselum,  cmn _q;alii/is 
caponibus  seu  pullis  coctis.  »  (.Stat.  l'adri, 
pag.  139). 

Justare  (racconciare). 

«  N^ec  habere  debeant  ipsi  inittistrales  ali- 
quid  prò  justandis  pensis  atti  mensuris.  » 
.Stat.  Padri,  pag.  139). 


K 


Karatus  (peso  di  4  denari ,  trattan- 
dosi di  oro ,  per  l' esempio  vedi 
I per  peri). 


Kilma  (misura). 

«  Ilabcant  potestatem  capiendi  denarios 
quatuor  de  unaquaque  Kilma  lini  que  lanuc 
intervenerint.  »  (Lib.jurium,  i»,  anno  1)44). 


Lacha  (colore  rosso  scuro  per  dipin- 
gere ad  olio). 

«  Acto  etiam  quod  darei  aurum  crzuliim 
lacha  aut  aliquem  alium  colorem.  »  (Alizeri, 
Notizie,  II,  pag.  370. 

«  Sporte  quinque  de  tacita.  »  Sono  ricor- 
date dal  Ferretto  a  pag.  244  del  2"  voi.  del 
Codice  diplomatico). 

Lanciare  (gettare  con  impeto  ;. 

«  Nemo  lanzet  cum  balista  intra  caslrum 
Thabie.  »  (Stat.  Thabie). 

«  Si  lanzaverit  ictuin  irato  animo,  solvat 
sol.  V.  »  (Stat.  Castellarii). 

Langhe  (terre  comprese  tra  il  Tanaro, 
la  Bermi  da  e  l'Orba). 

«  Amnis  Burmida  potissiniam  Langarum 
partein  alluit.  »  (Braida,  Cortemi^lia  e  le 
Langhe,  pag.  124). 

Laya  (fosso), 

«  Aliquis  noìi  possit  facerc  layas prò  xay- 
vando  canevas  »  (Barelli,  //  libro  della  catena, 
pag.  59)- 

Lanterna  (vestimento  da  donna). 

«  Venerab.  d.  I.  Corrubeus  lifrat  capaiii 
itnaìu,  uuìiìn  berrctuìn ,  par    calii;aruìn   et 


tanto  fustaneo ,  prò  facere  duas  lantcrnas 
prò  dorsu  jìliarum  dicti  Pcrcivalis.  »  (Not. 
Ikilauco,  1492). 

Lardus  (lardo). 

«  Possit  tassare  pretium  carniuni  salita- 
rum,  lardi  et  cujnslibet  alterius  salsuminis .  » 
(Stat.  Sarzane). 

Lata  (palo  per  vite). 

«  Si  reperietur  aliqua  persona  carratias 
portans  et  latas  et  patos  exportare,  condem- 
netur.  »  (Stat.  Ceriane). 

Lavanca  (valanga). 

«  De  lavanca  sire  mina  discurrcnte.  » 
(Stat.  Lavine). 

Laudimium  (tassa  che  si  pagava  dal 
possessore  di  un  fondo,  nell'atto  di 
vendita,  a  chi  aveva  diritto  di  li- 
vello sul  fondo  stesso). 

«  Tencntur  dare  trezenuvi  et  jus  laudimii 
consuetum  in  casu  venditionis.  »  (Chartrier 
de  S.  Pons,  pag.  272). 

Launechildt  (dono  che  sotto  i  Longo- 
linrdi  faceva  il  donatario  al  do- 
nante). 

42 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE   LIGURE 


175 


«  Accepto  Lauiiechìldt,  ìnantello  uno,  do- 
nacio  firma pcnnaneai.  »  (Belgraiio,  Cartario 
j^citovese,  pag".  1S7). 

Lax  e  talvolta  Lac  e  Laceto  (castello 
distrutto  nelle  vicinanze  di  V.  D. 
di  Laghetto). 

«  Oììines  dechiias  quas  in  castro  Esc  et 
in  La.v  retincre  videbamur.  »  (Cais,  Char- 
trier,  pag.  3). 

Leamen  e  Letamen  (concime). 

«  Gabella  fimi  sai  leaminis.  »  (Si  ha  negli 
Statuta  Thabie). 

Lectus  (alveo,  letto  d'un  fiume). 

«  lice  faciaììi  rationciìi  de  alveo  seii  lecto 
alicujus  aqtie  »  (Stat.  Albingane). 

Leoca? 

Qui  acceperit  duxerit  sire  straimitavcrit 
leocain  vel  carrossatri  vel  aliqiwd  ligìiainen 
de  noe  te  etc.  (Barelli,  p.  71). 

Leprosus  (affetto  di  lebbra). 

«  Baldiiinus  qui  postea  rex  effectus  fini, 
leprosus  fiiit.  >•>  (Caphar.,  Auual.  1148J. 

Lesno  (lesina). 

«  Cultelluin  vel  lesnoueiii...  non  est portan- 
duììi  sine  licentia  nostra.  »  (Stat.  Consulat. 
Januensis). 

Letame  (vengono  così  chiamate  nei 
nostri  statuti  le  Rogazioni  tanto 
maggiori,  che  minori). 

Lo  Statuto  di  Carrodano  ha  la  rubrica 
de  cundo  ad  letanias,  che  -erano  le  minori. 
Erano  desse  una  processione  che  si  ripe- 
teva per  tre  giorni  di  seguito  prima  del- 
l'Ascensione, durante  la  quale  si  percorreva 
l'intero  distretto  delle  pievi,  fermandosi  a 
diverse  stazioni  in  una  delle  quali  era  ce- 
lebrata la  messa.  Precedeva  il  ramarro, 
elle  portava  inalberato  sopra  una  pertica 
l'immagine  d'un  dragone,  avente  in  bocca 
una  fiamma  accesa,  seguiva  la  croce,  il  clero 
ed  il  popolo.  Era  uggioso  il  secondo  giorno 
pei  lunghi  schiamazzi  e  per  gli  urli  che 
accompagnavano  la  processione,  coi  ciuali 
credevasi  mettere  in  fuga  gli  spiriti  ma- 
ligni. (V^edi  Rossi,  Cairo  e  le  Rogazioni 
triduane  antiche). 

Leva  (tassa,  imposizione). 

«  Denarius  unus  cujuslibct  mine  salis  ven- 
diti in  districtu  et  Tanna  qui  appellatur 
leva.  »  , Cuneo,  Debito  pubblico,   pag.  267). 

43 


Leucida  (misura). 

«  Concessit  leucidam.  canlariurn,  stateram 
et  rubbuìn.  »  fS.  Quintino,  Osservazioni , 
pag.  200). 

Leza  (dazio). 

Quivendideritviandavi  de  qua  dare  debeat 
lezam,  vendat  in  foro  (Barelli,  pag.  4i\ 

Lia  (feccia  dell'olio). 

«  Nulla  persotia  Unelie  possit  nec  debeat 
proiicere  nec  ponere  sancias  olivarum  ncque 
liain  in  aliquain  viam  publicaiii.  »  (Stat. 
Unelie). 

Libellaria  (unita  a  Villa  accennava  ad 
un  comune  libero,  opposto  al  feu- 
dale). 

«  Confirmamus...  villas  libellarias,  pisca- 
tiones ,  venationes  que  habere  soliti  sunt,  » 
(S.  Quintino,  Osservazioni ,  pag.  29). 

Liga  (lega,  congiura). 

«  Quicumque...  conventiculas ,  vel  conju- 
rationes  aut  federa  (que  vulgariter  lige  di- 
cuntur)  inierit...  solva t  etc.  »  (Stat.  crimi- 
nalia  Saone,  pag.  69). 

Lisagralum  (materia  velenosa  che  era 
vietata  agli  speziali  di  vendere 
senza  ricetta). 

«  Non  vendenf...  lisagralìtni,  arsenicum  ; 
subliinatutn  scu  aliqnid  aliud  venenorum.  » 
(Filippi,  Statuti  de W arte  degli  Speziali  in 
Savona,  pag.  97);  tale  sostanza  a  pag.  95 
viene  detta  risagratum. 

Ligonizare  (scavare  con  badile). 

«  Nemo  audeat  ligonizare  prope  inuros.  » 
(Stat.  Garlende). 

«  Si  aliqua  persona  laboravcrit  scu  li,i^o- 
nizaverit  prope  aliqucm  tcrminum,  cadat. 
(Idem). 

Lìmonus  (limone). 

«  Si  quis  inventus  fuerit. esportando 

ortalia,  frtictus,  persica.,  poma,  ficus ^  da- 
masinas,  citrulos  cedros,  limonos  et  alios 
fructus,  condemnetur.  »  (Stat.  Albingane). 

Linosa  (seme  di  lino). 

«  Debeant  dare  drictum...  de  rosa  et  de 
linosa.  »  (Cuneo,  Debito  publico,   pag.  12  . 

Lisca  (specie  di  fieno). 

«  Liceat  cuilibet,  poleas,  liscas,  fenum  et 
stramen  tenere.  »  (Stat.  Sarzane). 


176 


GIROLAMO   ROSSI 


Litatium 

«  Nec  in  annulis  (aurifaber)  ponal  lita- 
tium sub  lapidibus  annulorinn,  vel  aliud  per 
quod fraus  aliqua  couiììiitatur .ì>  (^\.'A\..  Bobii  . 

Litterile    leggio  di  coro  . 

«  Proniittit  fabricare  scancillos  octuagiuta 
et  litterile  unum  cum  januis  chori.  »  Ali- 
zeri,  Notizie,  III,  pag.  80). 

Loerium   (mercede). 

Nell'antico  Statuto  d' Albenga  alla  rubrica 
de  his  qui  requisiti  sunt  per  potestalem ,  si 
dice,  che  nessuno  può  esimersi  dal  carico 
imposto,  nec  possit  inde  liabere  loerium  a 
coiìimuni. 

Lotonus  (ottone). 

«-  S(  andate ta,  coiitaria,  et  romana  debcant 
esse  de  ferro  aul  capro  vel  lotono.  »  (Stat. 
Albingane  . 


Lovea  ? 

De  agregando  lovcam  castancarum  et 
terratn  comunis  »  (Barelli,  pag.  51). 

Ludus  (rappresentazione  sacra,  nel  qiial 
senso  la  riporta  Emiliano  de  Giudici, 
nella  storia  della  letteratura  italiana, 
tom.  I,  pagg.  364  e  365). 

11  Ludus  de  tribus  Marlis  nel  xi  11  secojo 
si  rappresentava  nelle  chiese,  come  ci  ri- 
corda l'Arturo  Ferretto. 

Lulisana  (così  si  trova  scritta  la  voce 
Lniiigiaiia  nel  xiii  secolo). 

Lotus  (lavatojo). 

«  Xon  possit  vendi  per  commune  lutum 
seu  lavackiiiìii  quod  fuerit  in  si  rata.  »  f  Po- 
destà, pag.  72). 


M 


Macaroni  (vermicelli  di  grossa  forma). 
«  liarixella    una  piena    de   macaronis.  » 
(Ferretto,  Cod.  diplom.,  2",  pag.  2S6). 

Madiastinus  (dispensiere). 

«  Nullam  cuìn  minislris  et  ipso  coquo  vel 
madiasthw  habeat  familiaritatem.  »  (Landi- 
nellus,  Synod.  Abingan.,  pag.  453'. 

Magagna  (difetto). 

Si  dieta  campana  haberet  aliquam  ma- 
gagnam  seu  esset  stronata ,  promitto  eie.  » 
(Alizeri,   Notizie,  VI,  pag.  67). 

Da  tale  voce  originava  il  verbo  maga- 
gnare che  significava  rendere  difettoso, 
come  si  ha  in  Quicumque  magagnavcrit  ma- 
num  vel  pedem  pania  tur.  »  (Podestà,  pa- 
gina 3S}. 

«  Si percusserit  bestiam  tninatain  et  ipsam 
magagnaverit vel parancaverit,  solva t,  eie.  » 
(Stat.  Casenove). 

Pare  che  traesse  origine  da  mangano, 
macchina  da  guerra,  che  scagliava  sassi  e 
feriva  uomini  e  bestie. 

Magazenus  e  Machazenus  (magazzeno). 
Previa  tamen  existhnatione  pannorum  ip- 
sorum  de  dictis  maghazenis.  »  (Sella,  Pan- 
dette, pag.  156), 

Magena  (sorta  di  dazio). 

«  Solverti  aliqaid  ratione  scaliatici  et 
ìnagene.  »  (Lib.  juriam,  2",  pag.  443). 


Magiscola  (magister  scolarum). 

«  Ilonorifice  ivit  cum  d.  Oberto  preposi  lo 
sancii  Laurentii,  Ogerio  Calata  magiscola. -d 
(Ottobon.  Scriba). 

11  magiscola  divenne  poi  in  alcune  cat- 
tedrali una  dignità  dei  Capitolo. 

Magister  Ascie  (carpentiere). 

La  speciale  arte  del  falegname  ad  uso 
di  costruzioni  in  legno,  nota  oggidì  col 
nome  di  carpentiere,  che  serve  all'idraulica, 
alla  guerra  e  alla  marina,  è  stata  preceduta 
per  la  parte  che  riguarda  l'architettura 
navale,  dal  maestro  d'ascia,  artista  predi- 
letto nel  medio  evo  in  tutte  le  città  e  terre 
liguri.  Lo  statuto  di  Levanto  ricorda  unum 
corafatum  et  ununi  magistrum  ascie  ;  l'an- 
tico della  città  di  Savona  ha  il  Capitolo: 
de  juraniento  magistroruìn  ascie  et  cala- 
factorum;  Bonavera  di  Porto  X'enere.  Magi- 
ster axie  promittit  faccre  quandam  galeain; 
si  può  dire  che  non  si  hanno  rogiti  notarili 
di  quell'epoca  che  non  facciano  ricordo  di 
quest'operaio;  accade  talora  di  rintracciare 
in  quelle  carte  il  novero  degli  istrumenti 
che  a  lui  abbisognano,  come  viene  ricor- 
dato nel  testamento  fatto  il  30  ottobre  1277 
dal  maestro  d'ascia  di  Porto  Maurizio,  che 
enumera  axiam  imam,  axonum  unum,  nia- 
narias  duas,  serras  Ires,  marc/ias  trcs,  scor- 
pellos  sex,  vcrrugios  duos,  verrinas  tres,  jo- 

44 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE  LIGURE 


177 


nas  duas,  liinas  duasjrapanum  unum,  niolain 
imam  prò  amolare  ferramenta.  (Ferretto, 
Cod.  diplom.,  2",  pag.  153). 

Magister  cartarum  a  navigando  (carto- 
grafo). 

«  Considerantes  opus  esse  continue  in  hac 
civitate  magistris...  qui  conficiant  cartas  ad 
navigandum.  »  (Giorn.  ligustico,  ann.  1873, 
pag.  79)- 

Majestas  (ancona,  dipinta  sul  legno). 

«  Promisit  construere  ìuajestatem  unam  prò 
altari.  »  (Varni,  Appunti  artistici,  pag.  85). 
«  Promisit  constrtiere  niajestatem  in  capella 
altaris  S.  Jo.  Bapt.  »  (Alizeri,  Notizie,  H, 
pag.  28). 

Malandrinus  (malandrino,  furfante). 

«  Teiicatur  niagistratus  cantra  illuni  taleni 
malatidrinuìn  vel  hoinineìn  male  fame  pro- 
videre.  »  (Stat.  Albingane).  Altro  esempio 
di  malandrino  si  ha  a  pag.  27  dello  Statuto 
di. Genova  del  Visdomini,  voi.  2". 

Maletolta  (gabella  che  secondo  il  Ci- 
brario  s'imponeva  sopra  oggetti  non 
gabellati,  e  secondo  il  Desimoni, 
varrebbe  avaria). 

Nel  1233  Ottone  marchese  del  Carretto, 
«  cognoscens  debilitatem  et paupertatem  totius 
populide  Cario,  absolvit  euni  ab  omnifodro, 
fido  seu  malatolta,  quani  et  que  consuetus 
est  accipere.  »  {Documenti  su  Cairo  3Ton- 
tenotte). 

Malvasia  (vino  prelibato). 

«  Tabernarii  solvere  debeant  prò  gabella 
tertiam  partem  pretii  valoris  vini,  per  eos 
venditi,  coinprehensis  etiaìn  moscatellis,  ver- 
naciis,  nialvasiis  et  roxeziis.  »  {Convent., 
Concess.  et  decr.  Civitatis  Saone,  pag.  21). 

Mancha  (deficiente). 

«  Qui  vendiderit  ad  mensuram  niancham 
postquam  marchata  fnerit,  mensura  com- 
buratur  »  (Barelli,  //  libro  della  catena, 
pag.  39). 

Manata  (vedi  garba). 

Mandilus  (fazzoletto). 

«  Misi  unam  crucem  argenteam  fasiatam 
cum  uno  ex  rnandilis  sepie.  »  [Atti  della 
Società  Ligure  di  Storia,  voi.  XIII,  pag.  996). 

Mandriare    concedere  al  pascolo). 

«  De  non  retinendo  bestiamen  forensium 
iti  domo  seu  capana  et  de  non  mandriando 
terras  ultra  odo  dies.  »  (Stat.  Falcinelli). 

45 

23  —  Mise,  S.  Ili,  T.  XIII. 


Manelha  (maniglia). 

«  Iteni  unum parvutn  cacabum  absque  ina- 
nhela.  »  (Chart.  de  S.  Pons,  pag.  2401. 

Manganus  (macchina  da  guerra  per  trar 
pietre), 

«  Bella  inulta  cuìu  tnanganis  et  gatis  ad 
civitatem  dederunt.  »  (Caphar.,  Ann.,  1148'. 

Mangiatura  (mangiatoia). 

«  In  stala,  mangiatura  una  cuni  raste- 
leria.y>    Giornale  ligustico,    1890,  pag.  38). 

Manicus  (manico). 

«  Coltelleriani  unam...  cum  nianicis  de 
argento.  »  (Giornale  ligustico,  1884,  p.  354). 

Mansus  (dicevansi  la  casa  e  la  terra  del 
coltivatore). 

«  Dono  cartain  de  decimis  rerum  omnium 
de  inanso  boni  avenionensis.  »  {Chartul.  Li- 
rinense). 

Manteleti  (così  chiamavansi  certi  pezzi 
di  canevacci,  che  si  mettono  alle 
vele  dove  si  lega  l'antenna  all'albero 
per  conservarle). 

«  Troca  una  cum  inanteletis  et  bigota.  » 
(Belgrano,  Documenti,  pag.  240  . 

Manticularius  (furfante). 

«  Liceattainen  magistratui  meretriccs ,  ìnan- 
ticularios ,  publicos  latrones  torquere.  >  {Stat. 
crimin.  Saone,  pag.  io). 

Manus  morta  (manomorta). 

«  Ouod  nullus  audeat  vendere  possessiones 
in  manus  niortuas.  »  (Cais ,  Sfai,  de  Vinti- 
mille,  pag.  88). 

Manzus  (vitello). 

«  Item  prò  vacchis  et  manzis  vena  li  bus 
den.  VI.  »  [Pro  franchisiis  Ceve,  pag.  3]. 

Marabetinus  (moneta). 

«  Centuin  tredecim  iniliaria  inarabetino- 
rumvalens promiserat.»  (Caphar.,  Armai.). 

Marcare  (segnare  con  qualche  impronta). 
Lo  Statuto  di  S.  Romolo  per  punire  alcuni 
crimini  usa  marchetur ferro calido ;  in  quello 
di  Taggia  si  dice  marchetur  in  maxilla 
dextra  il  falsificatore  di  pesi  e  misure  ;  ed 
in  quello  di  Bardineto  i  ladri  che  non  pa- 
gano le  multe,  marchentur  in  fronte  cum 
ferro  focato. 

Marcha  (al  cittadino  ingiuriato  o  dan- 
neggiato concedevansi  in  Italia  let- 


178 


GIROLAMO   ROSSI 


tere  di  marcila,  per  indennizzarsi 
nella  persona  e  negli  averi  del  dan- 
neggiante  estero,  ove  gli  fosse  ricu- 
sato giustizia:  era  il  diritto  di  rap- 
presaglia individuale  legittimato). 

«  Tefieatur  concedere  inarchain  et  repre- 
salias.  »  (Stat.  Nicie). 

Marescalcire  (medicare  le  bestie). 

«  Ulla  persona  audeat  marescalcire  vel 
scarcarc  aliquam  hesHani  de  aliqua  infirnii- 
iate  vel  inacagna,  nisi  causa  ferrandi .  »  (Po- 
destà, pag.  60). 

Marinaricia  (salario  dei  marinai). 

«  Affiriìiamiis  qiiod  niarinarius  vel  alius 
qui  marinar iciam  defenderunf...  habere  non 
possitele.  »(Relgiaiio,  Documenti ,  pag.  319) 

Martirus  (màrtore). 

«  Non  possit  portare  ad  manicas  aliquas 
frodaturas  de  pellibus  martirorion.  »  Sta- 
tata Saone). 

Marrelus. 

«  Promisit  fabricare  barconos  omnes  diete 
doinus  ad  marrelos  scantos  fulcitos  omnibus 
necessariis.  »  (Alizeri,  Notizie,  VI,  pag.  43). 

Marsapanetus  (bossolo  o  bossolino). 

«  Marsapanetus  eburneus  rotundus  iìi  quo 
sitili  de  digito  sancii  Nicholai  et  aliereliquie.  » 
(Alizeri,  Notizie,  i",  pag.  72.  Marzapanus  si 
ha  nel  Ligustico  del  1S84,  pag.  353). 

Marza  (corrotta,  fetida). 

«  Baiium  unius  soldi  so  Iva  t  qui  proyecerit 
aqiiain  niarzam  vel  riiinenfain  per  treugos  » 
(Harelli,  pag.  29). 

Mascarati   (denominazione  della    parte 
ghibellina  in  Genova). 

«  Per  hoc  tempus  genus  Mascharati  et 
Rampini  veteribus  nominibus  omissis,  comune 
celere  Italie  nomen  Gibellinorum  et  Guel- 
forum  acceperunt.-»  (Foliete,  Genuenseshi- 
storie,  lib.  IV,  pag.  84). 

Masnada  (compagnia  di  gente  armata). 
«  Faciunt  ad  opus  clcricorum  et  militum 
et  tocius  masnade.  »  (Ciiornale  ligustico,  18S2, 
pag.  162). 

Masnengus  e  anche  Marengus  (lavora- 
tore forestiero). 

«  Si  masnenghi  herìnitorum  bcstias  in 
aliqua  ba unita  custodieriut...  consules possiut 
et  tejieanlur  ipsos  viasnetighos  personaliter 
deiiticre  »  (Barelli,  pag.  44). 


Dei  masnengi,  di  cui  parla  l'Olivero  a  pa- 
gina 76  delle  Memorie  storiche  di  Ceva,  dà 
il  significato  1'  Assandria,  a  pag.  liv  e  60 
nei  Capitula  et  Statuta  Baennaruin,  éo\e  si 
legge  :  «  si  quis  habuerit aliquem  masnengum 
cxtraneum,  teneatur  facere  jurare  eie.  » 

Massacaresio  (ora  La  Calle,  città  dell'Al- 
geria). 

Questo  nome  s'incontra  nelle  carte  liguri 
per  essere  stata  una  fattoria  corallifera,  ac- 
cordata nel  XV  secolo  dal  re  di  Tunisi  al 
negoziante  genovese  Clemente  Cicero. 

Mastia  e  talora  Mastra  (madia). 

«  Si  creditor  solutus  fuerit  in  vegetem 
vel  mastram,  teneatur  reddere.  »  (Stat.  Men- 
toni).  «  Quicumque  molinarius  debeat  habere 
mastram  unam  prò  suo  molendino.  »  (Sta- 
tuta Uvade). 

i» 

Mastice  (mastice). 

«  Palronus  galee,  officiales  ministrarie  et 
scriba  masticis.  »    Giornale  ligustico,  1882, 
pag.  55). 
Massarius  (cassiere). 

«  Unum  massariuni  habere  debent  consules 
qui  custodiat pecunias.y>  (Stat.  S.  Stephani). 

Matharacium  (materasso). 

«  Unum  matharacium,  unum  pulvinar  et 
unum  cohopertorium  modici  valoris.  »  (Cais, 
La  Ville  de  Nice,  pag.  347). 

Matriculare  (iscrivere). 

«  Teneatur  se  matriculare  hoc  modo.  » 
(Stat.  Sarzane).  * 

Maure  (nome  rimasto  in  molte  località 
liguri,  perchè  occupate  dai  Saraceni). 

Mazaria? 

«  iMazarie  in  introilu  dabunt  ad  mare  da- 
renios  decem.-»  {Liber  juriutn,  an.  1156). 

Maxoratoria  (maciulla). 

<,<  Si  qua  persona  f eceri t  ìiMXoratoriam 
nuciuiìi    in  Garexio,  solvati  etc.  »  (Barelli, 
pag.  74)- 
Meanus  (pascolo). 

Nello  Statuto  di  Sospello  si  hanno  i  con- 
fines  meanorum  de  Ameglia,  de  Agaxze,  de 
Ubaco  etc,  come  si  ha  pure  Meania  in  senso 
di  mandria. 

Medagia  (medaglia). 

«  Que  imagines  seu  inedagie  laborari  de- 
beant  per  magistrum  Carolum.  »  (Alizeri, 
Notizie,  II,  pag.  373). 

46 


GLOSSARIO   MEDIOEVALE  LIGURE 


179 


Medianus  (unito  ad  homo,  vale  borghese). 

«  Imo  eligere  hoinines  tres  de  onvii quar- 

lerioy  unum    de  diviiibus,  aliutn   de  paupe- 

ribus  et  reliquunt  de  niediam's.  »  (Podestà, 

pag.  57)- 

Melega  (granoturco,  formentone), 

«In  leguminibiis  et  melega  incurrat  ban- 
num  de  die  solid.  xx  et  de  noe  te  solid.  xxx.  » 
(Stat.  Albingane,  anni  1519'.  Gio.  Ant.  Mo- 
linari  nella  sua  Storia  d'' Incisa  {i^io)  appog- 
giato ad  una  Cronaca  di  Francesco  Turzano, 
vicario  del  vescovo  d'Asti  (1515)  reca  una 
carta  donationis  vere  Crucis  et  primi  seminis 
nielige,  fatta  alla  comunità  d'Incisa  nel  1204 
da  Giacomo  marchese  d'Incisa,  carta  ornai 
ritenuta  apocrifa.  D'altra  parte  il  signor  San 
Donnino  da  Modena  ha  cercato  di  dimo- 
strare nella  Rivista  Europea,  che  la  melega 
non  fu  conosciuta  nel  vecchio  mondo,  che 
sul  finire  del  secolo  xvii.  Se  non  ha  valore 
di  sorta  la  carta  del  Molinari,  viene  posto 
pure  in  contraddizione  dal  surriferito  brano 
dello  Statuto  albinganese,  il  San  Donnino  ; 
né  crediamo  di  male  apporci  assegnando 
l'introduzione  di  questo  cereale  in  Europa 
nel  secolo  xiv,  trovando  ricordata  la  polenta 
in  un  documento  riferito  a  pag.  9S3  della 
Storia  dette  Atpi  marittime  del  Gioffredo  e 
che  è  dell'anno  1400  con  queste  testuali 
parole  :  Saccos  sex pottenta  excambiavit prò 
biscoto. 

Menare  (condurre). 

«  Ipsuni  duxerunt  sive  menaverunt  Sar- 
zanam.  »  (Podestà,  pag.  92). 

Menutus  (minuto). 

«  Pro  eo  inquisiverit  bestia-m  stiam  gros- 
sam  vel  menutam.  »  (Stat.  Apricalis). 

Mercantia  (così  veniva  appellato  in  Ge- 
nova un  ufficio  composto  di  otto 
sapienti,  che  dovevano  soprainten- 
dere  ad  ogni  cosa  riferentesi  al  com- 
mercio, con  giurisdizione  sopra  le 
cause  a  questo  attinenti). 

Merciprecare  (implorare  con  preghiere). 
«  Merciprecando  ut  plebe jo  Plecanie  mise- 
ricordiain   prestaret.  »    iObert,  Cancellar., 
Annales). 

Meseleria  (ospedale  di  lebbrosi). 

«  A  flumine  quod  dicitur  Beura  proten- 
ditur  usque  ad  meseleriam.  »  {Chart.  de 
S.  Pons,  pag.  100). 

47 


Mesischa  (siero  di  latte). 

«  (lui  emerit  mesiscìiam,  casicavalos  vel 
caseuin  grassutn  He.  »  (Pandiani,  Statufa 
Pori.    Veneris). 

Mestralis  e  talora  Mestralium  (ufficiale 
preposto  alle  grasce). 

«  Mestrales  habeant  potestatem  accipiendi 
pignora.  »  {Lib.  jurium,  I,  anno  1149;. 

Meta  (listino  dei  prezzi). 

«  Maestrales  de  mense  in  mensem  debeant 
ponere  metani.  »    Stat.  Uvade  . 

«  Nec  ante  metam  pisces  vcfidi  debeant.  » 
Stat.  Levanti  ,\ 

Meta  è  stato  usato  anche  in  senso  di 
bieca: 

«  Si  aliqua  persona  metam  feni  vel  palee 
acceperit  solvat  etc.  »  (Stat.  Triorie);  in 
questo  senso  è  dato  pure  dallo  Statuto  di 
Zuccarello. 

Metreta  (misura  detta  mezzaruola). 

«  Item  botes  tres  prò  aqua  prò  mille  me- 
tretis.  »  (Belgrano,  Documenti,  pag.  15); 
«  Sub  pena  solid.  xl  prq  qualibet  metreta 
dicti  vini.  »  (Stat.  Levanti). 

Mezarolia  (mezzaraolo,  misura  di  160 
litri). 

«  Habeat  vegetes  prò  aqua  levanda  usque 
ad  mezarolias  centum.  »  (Belgrano,  Docu- 
menti, pag.  II). 

Milum  (governatore  dei  Saraceni). 

«  Sii  quesfio  ad  duganam  ante  milum.  » 
{Atti  Società  ligure,  voi.  XIX,  pag.  168). 

Mina  (misura  pari  a  kilogr.  90,895). 

«  Si  dictuìn  granunt  excesserit  quantitatein 
minar UDi  quinquagifi fa.  »  (Stat.  Padri,  p.  21  . 

Misericordia  (de)  (così  appellavasi  in 
Genova  un  magistrato  che  attendeva 
al  riscatto  degli  schiavi  cristiani, 
alla  collocazione  di  zitelle  povere  e 
a  soccorrere  famiglie  indigenti). 

Miscelare  (mescolare). 

«  Si  inventus  fuerit  farine  aliquid  miscu- 
lasse,  cadat  etc.  »  (Stat.  Albingane). 

Missa  Sancti  Gregorii  (consisteva  nel 
dire  per  trenta  giorni  consecutivi 
al  transito  d'una  persona,  una  messa 
in  di  lei  suffragio  e  nel  salmeggiare 
durante  la  messa  l'ufficio  dei  morti). 


i8o 


GIROLAMO   ROSSI 


«  Teneatur  celebravi  facere  unufn  trente- 
narimn  niissarwn,  que  tnisse  Sancii  Gregorii 
nuncupaniur .  »  (Testamento  di  Lamberto 
Grimaldi  del  1487). 

Mitratus  (dicevasi  del  condannato  ad 
avere  la  mitra  in  testa  per  berlina). 

«  Mitratus  stet pre  foribus  ecclesie  integro 
die  festa.»  (Costa,  Constit.  Synod.  Savo- 
nensis,  pag.  97), 

Lo  Statuto  di  Loano  punisce  lo  spergiuro 
colla  pena  della  mitra,  della  scova  e  della 
corda. 

Mixtura  (mescolanza  di  farina  con  orzo 
e   segala). 

«  Tenetur  prefato  domino  prò  decima  epi- 
scopi in  tninis  xxv,  videlicet  duas  tertias 
partes  mix  tur  e  et  tertiam  frumenti.  »  (Rossi, 
Storia  di  Dolceaqua,  pag.  245). 

Mochia  (sopramanica  larga  cadente). 

«  In  alio  coffano  iiivenerunt...  mochias 
duas  de  roxea,  »  (Giornale  ligustico,  18S4, 
pag.  354). 

Monerius  ? 

«  Constit  Soldaie  noti  possit,  audeat  vel 
presumat  se  impedire  de  boschis  et  moneriis 
que  accedant  Capham.»  {SV^ii.  Caphe,  p.  660), 

Mondificare  (spazzare). 

«  De  viis  et  stratis  mondificandis  »  (Sta- 
tuta  Sarzane). 

Monhopolion   (congrega,   conciliabolo). 
«  Nulla  persona  audeat  facere  monhopo- 
lion seu  accampamentiim   a  tribus  personis 
supra  sine  licentia  curie.  »  (1345,  Atti  della 
comunità  d'Ilonza). 

Mons  Arimannorum  (risponde  al  comune 
di  Serravalle,  come  si  può  riscon- 
trare a  pag.  144  del  1°  volume  degli 
Atti  della  Società  ligure,  pag.  144). 

Montare  (salire). 

«  Montando  per  fossatum...  calando  per 
viam  publicani  versus  villain  »  retornando 
ad  fossatuìu  /*<3^c>r«  (Barelli,  p.  61). 

Morbidare  (avvelenare). 

«  Nulla  persotia  audeat,  calce  seu  aliquo 
alio  vencno  morbo,  vel  re  mala,  fìumina  seu 
aquas  Triorie  ani  aliquam  carum  infcere, 
tossicare,  venenare,  seu  alio  quovis  modo 
morbidare.  »  (Stat.  Triorie). 


Mortalegium  (diritto   di  sepoltura). 

«  Sani  ecclesiastici  fructus  canofiicoruin 
tnortalegium  totum.  »  (Cais,  Cari.  Calli.  Nicie, 
pag.  I'. 

Morticinus  (epiteto  di  bestie  decedute 
di  morte  non  naturale). 

«  Carnes  morticinas  idest  que  non  sunt 
niortuae,  morte  naturali.  »  (Stat.  Zuccarelli). 
«  Exceptis  carnibus  graniignosis^  morbosis 
seu  morticinis.  »  (Stat.  Vezzani). 

Moschettum  (arma  da  fuoco  più  grossa 
dell'archibugio). 

«  Ducala  330  prò  pretio  xv  moschet- 
toruin  artilariarum.»  (Alizeri,  Notizie,  W, 
pag.  411)- 

Mota  (dicevasi  un'associazione  di  cit- 
tadini, avente  per  iscopo  di  difen- 
dersi dalle  soperchierie  dei  feuda- 
tari ;  e  mota  pigliava  nome  il  luogo 
dove  essi  si  ritiravano). 

Di  un'abbazia  della  Mota  fa  parola  il 
San  Quintino  a  pag.  169  delle  sue  Osser- 
vazioni  critiche:  di  altra  mota  del  contado 
di  Nizza,  presso  le  rocche  dei  Richieri, 
abbiamo  queste  parole:  exitusque  ad  mo- 
tam,  remanente  dieta  mota  et  valotmm  de- 
cursus castrum  de  Levens,  [Chartrier  de 
S.  Pofis,  pag,  74).  Ma  dove  chiaro  appare 
quale  fosse  lo  scopo  della  mota  è  in 
Dolceacqua  nel  monte,  detto  ora  di  Nostra 
Donna  della  3Iuta,  che  fronteggia  il  castello 
feudale  e  la  terra,  da  cui  lo  distacca  il 
corso  del  torrente  Nervia.  La  chiesa  ricor- 
data in  una  bolla  di  papa  Calisto  III  del  1151 
è  detta  semplicemente  Ecclesia  S.  Marie, 
ma  in  altre  carte  del  successivo  secolo^^^/t'^m 
S.  Marie  de  la  Mota,  denominazione  venu- 
tale dalla  residenza,  che  quivi  presero  a  far 
gli  uomini  liberi  contro  i  Conti  di  Venti- 
miglia,  costruendo  il  sottoposto  borgo  e  la 
chiesa  pievana  di  S.  Giorgio;  di  guisa  che 
il  feudatario  e  i  suoi  vassalli  stavano  alla 
sinistra  della  Nervia  colla  piccola  chiesa  de- 
dicata a  S.  Antonio  abate;  e  alla  destra  gli 
uomini  liberi  della  viola  con  una  ampia 
chiesa  plebana  ufficiata  da  canonici.  La  voce 
Mota  è  ancora  viva  in  un  documento  del 
1446  ;  ma  la  libertà  che  irradiava  dal  voca- 
bolo tornando  molesta  al  potente  signorotto 
Enrichetto  Doria,  vediamo  presto  conver- 
tirsi in  muta,  la  chiesa,  per  aver  la  Vergine 
ridonata  la  voce  ad  una  povera  pastorella; 
e  il  vecchio  San  Giorgio  convertito  in  ci- 

48 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE  LIGURE 


I8l 


mitero,  cedere  la  dignità  di  pieve  alla  cap- 
pella di  S.  Antonio  che  si  alzava  ai  piedi 
del  castello  ;  il  signorotto  aveva  trionfato  ; 
né  avevano  più  senso  i  versi  che  segnavano 
la  vittoria  degli  uomini  della  compagna: 

Opposuit  medium  flunien  natura  fluentem, 
Qui  burcum  vallo  disterminat  exteriori; 
Hic  obstat  Corniti,  ne  vires  transferal  ultra. 

Mezzetta  (indumento  ecclesiastico). 

Si  vieta  ai  membri  del  clero  di  compa- 
rire in  pubblico  sine  talari  veste  et  siiper- 
humerali  sive  mazzetta  et  in  ecclesia  sine 
linea  veste  quam  rochetum  appellant.  »  (Palla- 
vicini, Decreta  provincialia,  1586,  pag.  16). 

Mugius    mucchio). 

«  Quis  acceperit  fenum  de  cumulo  vel 
mugio.  »  (Stat.  Zuccarelli). 

«  Si  bestie  invente  fuerint  in  alienis  pratis 
non  segatis  aut  supra  niugiis  vel  metis  etc. 
(Stat.  Naticini). 

Multonus  ed  anche  Mooton  (montone). 

Multone    si  ha  nello  Statuto  di  Albenga 

e  Mooton  in  quello  di  Carpasio,  come:  in 

festo  Sancii  Joannis  dejufiio  inootouem  tuiuni 

valentem  sol.  vi  et  zoncatam  imam. 

Mundiburdium  (secondo  lo  Schupfer  era 
il  mundiburdio  la  suprema  idea  po- 
litica del  diritto  germanico,  e  ab- 
bracciava tutti  gli  ordini  cittadi- 
neschi del  regno). 

«  Preceptimt  et  mundiburdium  anteces- 
sorum  nostroruni  nobilissimorum  impera- 
torum  obtulit.»  {San  Quintino,  Osservazioni, 
pag.  25). 


Muquilonus    resto  di  candela). 

«  Expedire  teneatur  omnes  candelas  et 
muquilonos.  »  (Stat.  Sospitelli). 

Murcha  (immondezza). 

«  Nulla  persona  proiicìat  de  domo  sua 
aliquam  tnurcham  vel  aliam  tarpem  rem.  » 
(Stat.  Falcinelli). 

Morta  (mirto). 

De  coriis  tenendis  in  viurtas  si  ha  nello 
Statuto  di  Albenga;  si  aggiunga  ancora  che 
la  coltura  del  mirto  era  molto  estesa  nel 
medio  evo,  perchè  esso  oltre  di  servire 
all'arte  dei  conciatori,  veniva  usato  nelle 
chiese  nelle  principali  solennità  dell'anno. 

Muscatellum  (vino  generoso). 

«  De  tur  iti  prandiis  in  principio  vinti  m 
muscatellum  cum  biscotis.  »  'Stat.  Padri, 
pag.  139). 

Muscheta  (moschea,  tempio  turco). 

«  Saraceni  ad  muschetam  eorum  fugerc 
ceperunt.  »  (Caphar.,  Annales). 

Museracus  (musoliera). 

«  Lanceas  et  museracos  et  sagittas  non 
detraham.  »  (Giorn.  ligustico,  1896,  pag.  67). 

Musihiata  (mostacciata). 

«  Nevio  audeat  ferire  de  pugno  vel  de 
manti  super  faciam  alicujus  persone  vel  de 
musihiatis.  »  (Pandiani,  Statuti  di  Porto  Ve- 
nere, pag.  77^. 

Mystaches  (mostacchio). 

<<  Luxuriatur  barba...  in  labiis  mystaches 
hirsuti.  »  (Landinelli,  Synod.  Albingane, 
pag.  384). 


N 


Nacara  (conchiglia). 

«  Paria  duo  [de  cullelletis)  cum  manicis 
de  jasprio  et  paria  uno  cum  manicis  vir- 
gatis  de  nacara.  »  Ferretto,  Cod.  diplotn.,  2°, 
P-  358). 

Naquus  (gualdrappa). 

Papa  Innocenzo  II  elevando  nel  1133  la 
chiesa  vescovile  di  Genova  a  sede  di  me- 
tropoli, a  Siro  primo  arcivescovo  eletto  con- 
cede honorettir  equo  albo  ciati  naquo  albo 
in  processionibus.  {Lib.  jiirium,  i",  pag.  42). 

Nasa  e  Nausea  per  Nassa  (arnese   pe- 
schereccio di  forma  circolare  che  si 
49 


butta  in  mare  con  determinato  peso, 
perchè  vada  al  fondo  e  contiene  esca 
per  pesci). 

«  Omnes  piscatores  gororuin,  nasarmn, 
tremaj orimi,  bugarum  debeant  vendere  ad 
libravi.  »  (Pandiani,  Stat.  Portus  Veneris). 

Lo  Statuto  di  Sospello  ha  una  rubrica 
intitolata  :  Debanno  contra  stt  acantes,  anior- 
bantes  et  piscantes  cuvi  corbino,  nauzea,  in- 
canata, bertavel,  barrel  et  capairono. 

Nauclerius  (nocchiero  ;  scrive  il  Bei- 
grano,  che  molti  confusero  il  noc- 
cliiero  col  pilota,  malgrado  che  tutti 


I82 


GIROLAMO   ROSSI 


gli  antichi  documenti  ci  avvertano 
della  diversità,  che  esisteva  fra  le 
funzioni  di  questo  e  quelle  di  quel- 
l'altro; perchè  nel  mentre  che  il 
pilota  dirigeva  la  mota,  il  nocchiero 
era  il  pratico  del  mare,  il  niatio- 
vrieré). 

«  Unus  {ex  inarinariis)  debet  esse  no- 
cherius  (altrimenti  naticlerius)  bonus  et  siif- 
ficìCìis.  »  (Bel^rano,  Documenti,  j^ag.  24). 

Naumata  e  Numata  prezzo  d'una  merce 
che  si  dava  corrispondente  al  valore 
di  un  nummo,  come  obolata  di  un 
,  obolo,  deiìariata  di  un  denaro  e  li- 
brata d'una  libbra). 

«  Et  si  emei'il  vimiìu  ad  minutum  solvat 
de  qualibet  niunata  sol.  v.  »  (Stat.  Albin- 
gane). 

«  Taberìiarius  tencatur  dare  de  Jininatis 
quas  vendideril...  pio  denariis  suis.  »  (Stat. 
Lavnne). 

Naveta  (vaso  in  forma  di  navicella,  per 
tenervi  l'incenso). 

«  Item   tinuìn   terribitnin  de  argento 

item  imam  navetam  de  aramo  deauratam.  » 
(Cari.  S.  Pontii^  pag.  370). 

Nerozare  (incrudelire). 

«  Asperrime  erga  civitatcm  lamie  nero- 
zavit.  »  (Ottob.  scriba,  an.   1194). 


Nettum  (completo). 

«  Cum  vero  nettum  non  inveniat  scriptum 
possit  notarins  compiere.  •»  {Podestk,  p.  17). 

Nogaredum  (campo  messo  a  noci). 

«  Actum  in  ecclesia  Sancte  Marie  de  No- 
garedo  ».  Carta  del  1227,  in  questo  senso 
si  ha  nogarium  nel  voi.  II  del  Carini,  li- 
rinense. 

Novale  (campo  incolto). 

«  Sane  novalium  vesfrorum  nullus  in  vobis 
exigere  decimas presumat.  y>{Cart.  S.  Pontii, 
pag.  57)- 

Novena  (diritto  feudale). 

«  Item  novena,  acconciatnenta,  affiliamenta 
et  tertiam  partem  successionmn.  »  (Stat.  di 
Calizzano). 

Nucha  (sorta  di  berretti,  onde  uomini  e 
donne  coprivano  parte  del  capo). 

«  Nucham  imam  a  puella  de  chamocato 
violato.,  nuctiam  imam  de  zetoni  ab  homine.  » 
(Giorn.  ligustico,  1884,  pag.  354). 

Nuriguerius  (pastore  di  greggi). 

«  Dum  nuriguerii  dicti  Castri  novi  velini 
eani  [banditam)  emere  pretio  suprascripfo.  » 
(Cais,  Le  fief  de  Chàteauneuf,  pag.  502). 

Quicumque  nuyrigherius  sive  nutritor  si 
legge  negli  Statuti  di  Sospello. 


O 


Obedientia  (cosi  veniva  chiamata  du- 
rante lo  scisma  d'occidente  il  rico- 
noscimento di  uno  dei  diversi  pon- 
tefici che  sedeva  in  Roma  o  in  Avi- 
gnone). 

«  Urbanus  VI  nomiualus  predecessor  dicti 
Angeli  Coriarii.,  olim  Gregorii  XII,  in  pre-  \ 
fata  obedientia...  eidem  ecclesie  vintimiliensi 
lune  similiter  vacanti  providif.>'>  {Rossi,  Lht 
Vescovo  scismatico.  Archivio  storico  italiano 
del  1893). 

Il  Jarry  nei  Documents  diplomatiqucs, 
Paris,  Picard,  1896,  a  pag.  6  reca  la  impor- 
tantissima data  (22  ottobre  1404)  della  rico- 
gnizione fatta  dall'arcivescovo  di  Genova  e 
dai  vescovi  di  Savona,  di  Albenga  e  di 
Ventimiglia  all'antipapa  Benedetto  XIII: 
Instrumentum    rrdactionis    lanue.    Savane, 


Albingane  et  Vintimilii  ad  obbedientiam  Be- 
nedicti  XIII. 

Oblatio  (con  tal  vocabolo  erano  indicati 
i  doni  offerti  dai  fedeli  nelle  princi- 
pali solennità  dell'anno:  chi  offriva 
un  fascio  di  legna,  chi  cacio,  chi 
agnelli,  chi  vino  e  chi  olio;  né  le 
donne  erano  da  meno  degli  uomini, 
ed  esse  portavano  filo,  lana  e  tela. 
Dopo  le  funzioni  tali  oggetti  veni- 
vano posti  all'incanto  ed  il  prodotto 
era  destinato  alla  chiesa  od  al  pie- 
vano). 

«  Locum  Sancii  Nazarii  de  capile  Albarii 
primitiis  et  oblationibus  concedimus.  »  (Desi- 
moni,  Regesti  delle  lettere  pontificie,  p.  112). 

50 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE  LIGURE 


183 


Oblia  (specie  di  focaccia). 

Il  Gioftredo  a  pag.  313  della  sua  Storia 
ricorda  iiiedictalcìu  decime  et  tascain  et 
quartain  et  deciinaiii  de  vino  et  oblias  et 
ìHu/toneni. 

Obolata  prezzo  d'una  merce  del  valore 
di  un  obolo,  vedi  Naumata). 

Occellare  (uccellare). 

«  Nulla  persona  occellare  audeat  ad  co- 
lutnbos.  »  (Stat.  Sarzane). 

Occulus  (apertura  circolare  praticata 
negli  edifici  per  introdurvi  la  luce). 

«  Se  obli gavertmt  fac ere  occulitin  magnum 
in  ecclesia  Sancii  Laiirentii  vitreuni  de  bono 
et  darò  vitreo,  cuin  figuris...  bene  ligatnm 
et  ordinatuni  cutn  siiis  plombis  et  filis  coin- 
pletis.  »  (Alizeri,  Notizie,  voi.  Ili,  pag,  24  . 

È  chiaro  che  qui  si  parla  di  una  vetriata 
a  figure  colorate  coi  pezzi  riuniti  fra  loro 
per  mezzo  di  piombo  filato,  vetriata  che 
lasciava  penetrare  la  luce  coi  colori  del- 
l'iride nel  vasto  tempio.  Segnava  dessa  un 
progres.so,  fra  le  finestre  a  strombatura  dei 
Longobardi  chiuse  da  pietre  traforate,  come 
se  ne  può  tuttora  avere  un  saggio  nell'an- 
tico Battistero  di  Albenga. 

Oltrare  (approvare). 

«  Eam  venditionem  sibi  coinplacebal  et 
eaui  oltrabat.  »  (Garroni,  (ìuida,  pag.  121). 

Oralia  (Cuscino). 

«  Causa  adiscendi  ministeriuni  tuìcni  te- 
xendi  oralia  lini  et  sete.  »  (Ferretto,  Codice 
dipioin.,  2",  pag.  312). 


Orata  (pesce,    vedi    logelsein    nella    i" 
parte). 

Orba  (unito    a  littcra   significava   ano- 
nima). 

«  Litlcras  fainosas  quas  dicunt  orbas  in 
daumuììi  notabile  ter  Hi,  scribenles  excoinu- 
nicantur.  »  (Landinelli,  Synod.  Albingan .). 

Orlus  (orlo,  estremità). 

«  Non  perinittain  orlimi  de/erre  ultra 
predictaìH  quanlitatcìn.-»  (Giorn.  ligust.,  1S96, 
pag.  72). 

Ortoclea  (torta). 

«  Non  possil  accipere  de  aliqua  torta  vel 
ortoclea  nisi  denarios  iv.  »  (Stat.  Albin- 
gan e). 

Osmadum  ? 

«■  Puviale  unum...  cuin  fusto  trino  aureo 
ci  cuin  duobus  osmadis.  »  (Giorn.  ligu- 
stico, 18S6,  pag.  268). 

Ostueyra  (paravento). 

«  /lem  unaiìi  ostueyrani  circa  lectuni.  » 
{Carf.  S.  Fonia,  pag.  240). 

Ovum  (gioco). 

Fra  i  semplici  giuochi  del  medio  evo 
eravi  quello  delle  uova  e  delle  nocciuole, 
come  è  fatto  chiaro  da  una  rubrica  dello  .Sta- 
tuto di  Apricale  e  Isolabona  dell'anno  1430, 
nella  quale  si  legge:  reservato  guod  in  festo 
Pasce  videlicet  illis  tribus  diebus  passini  lu- 
dere  ad  ova  ;  a  vigilia  nativitatis  Domini  ad 
epiphaniam  possinl  ludere  ad  avelanas. 


Paela  (padella), 

«  Possil  vendere...  calderani,  pairoluin  rei 
pairolam,  paelain  ctc.  »  (Stat.  Aibiiigane). 

Pagare  (saldare  un  conto), 

«  Clautatit  se  quielos  et  pagalos.  »  (Bei- 
grano,  Registro  2^,  pag.  173);  e  da  questo 
verbo  si  è  formato  pagamentuni  di  cui  si 
ha  esempio  negli  Statuti  di  Diano  :  citttricus 
teneatur  portare  literas  sine  aliquo  salario 
vel  pagamento. 

Pagiolum  ? 

«  Duo  sedilia  laborata  de  straforis,  bra- 
seria  vero  et  columne  de  lignaminibus  nucis 
inlaliatis.  ad  que  sedilia  ascendatur  per  duos 
gradus ,  seu  scarinos  supra  dictum  pa- 
giolum. »  (Alizeri,  Notizie,  voi.  VI,  pag.  30). 

51 


Palla  (ancona,  quadro). 

«  Pallam  S.  Pctri  martyris  R.  P.  D.  Em- 
manuel Macharius  de  Pigna  delineavit.  » 
(Calvi,  Chronica  convenlus   Tabie). 

Pallionis     (Paglione,     torrente     presso 

Nizza). 

«  Vinca  que  est  ju.vla  /lumen  Pallionis.  » 
(Cais,  Carf  ut.  de  la  cathed.,  pag.  52). 

Palmata  (così  chiamavasi  una  terra 
nella  pieve  di  Voltri  presso  il  lido 
del  mare,  nome  che  si  vuole  le  de- 
rivasse da  Pahnarùis  o  Palniatus, 
che  così  veniva  chiamato  il  pelle- 
grino che  dopo  aver  fatto  per  voto 
o  per   pietà   il    viaggio    di    Gerusa- 


i84 


GIROLAMO  ROSSI 


lemme,  ritornava  in  patria  recando 
rami  di  palma,  onde  è  sì  feconda  la 
Siria.  Così  la  pieve  di  Veltri  si 
chiamò  nei  primi  tempi  Plchs  de 
Vultiiro,  in  seguito  Pahìiaro  ed 
oggi  Pro). 

{Annali  storici  di  Scslri  di  panai  le,  pag.  89 
e  90). 

Palmola  (specie  d'orzo). 

«  Pensavi faciant graiìuin,  silii^ein^ordeuvi 
ci  palmolam  aijuslihet  persone  (Jvadc.  » 
(Stat.  Uvade). 

Paltronarius  (paltoniere,  vagabondo). 

«  Exceptis  latronibus,  furihus,  liraloribiis, 
paltronariis  et  falsar iis.  »  (Podestà,  pag.  8). 

Panalis  (misura  di  capacità  per  le  ca- 
stagne e  l'avena,  rispondente  a  un 
decimo  di  salmata). 

«  Scrvitiuìn  aìinunm  unins  panalis  casla- 
ncarum  recentarimi  in  festa  onitiimn  San- 
ctoruin.  »  [Chart.  S.  Pontii,  pag.  286). 

Pancia  (ventre). 

«  De  panciis  aniinalinin  non  apcricndis  in 
■macello.  »  (Stat.  Albingane). 

Pancogolus  (Il  marchese  Imperiale  seri  ve 
che  pancogolo  era  chi  vendeva  il 
pane  e  fornajo  chi  lo  cuoceva). 

«  Iniroytns  paiicogoliormn,  caiitari^  casei 
rcdiinernnt.  »  (Ogerii  Panis,  Annales). 

Panphilus  (nave  simile  alla  saetta). 

«  Proniissio  facicndi  corpi panphili  nnius.  » 
(Relgrano,  Documenti,  pag.  27). 

Pantanus  (luogo  dove  c'è  melma  e  acqua 

stagnante). 

«  Acticiit  extra  burgtnn  Thabie  in  can- 
tra ta  pantani.  »  {Atto  del  nat.  Rainera 
Arnaldo). 

Papyrus  (carta  vegetale  rispondente  al 
nostro  pape). 

«  Itcìn  dominus  Dnlcisague  ìiabet  edificium 
papyri  quod  tenet  inagistcr  Jìartholamciis 
Villanus  ad  fictum.  »  (Rossi,  Storia  del 
march,  di  Dolccacqua.,  pag.  24). 

Parabola    ordine,  mandato). 

«  i\'an  teneatur  facere  hoinicidiinn,  in- 
ccudiiiiìi,  tradimentian  nec  gnaslmn  nisi  de 
patcstatis  parabola.  »  (Podestà,  pag.  33). 

«  Non  rccipiat  in  pignare  nisi  de  parabola 
itlius,  cujus  esset  tela.  »  (Stat.  Cuxii). 


Paradisum  (così  chiamavansi  le  grandi 
camere  delle  antiche  galere). 

«  Vendit  navem  pegatam  et  calcatani  totani 
Clini  tribus  cohapertis  et  tribus  paradisiis.  » 
(Fazio,    Varazze  e  il  suo  distretta,  pag.  94). 

Paranchinum  (istrumento   per  innalzar 

pesi). 

«  Brace hii  duo  de  asta,  aste  duo  de  proda, 
paranchinum  unum.  »  (Saige,  Monaco  et  Ics 
Grimaldi,  pag.   160). 

Parapetum  (parapetto  . 

«  Teneatur  fieri  facere  quinquaginta  bra- 
chia  parapeti  de  muro.  »  (Stat.  Falcinelli). 

Paratorium  'edificio  dove  si  stendevano 
i  panni). 

Nei  rogiti  del  notaro  Giovanni  de  Aman- 
dolesio  sono  ricordati  i  malcndina  ed  i  pa- 
ratoria  di  Raimondo  Giudice  nel  1258. 

Paria  (riunione  di  più  tropati  di  bestie 
da  introdurre  al  pascolo  sulle  Alpi). 

«  De  pariis  agnelatorum  vel  vaciarum  ad 
accipiendas  aliquas  bestias.  »  (Stat.  Cuxii). 

«  Ut  pastores  unins  parie  sive  societatis 
non  valeant  facere  nisi  unum  vailem  pra 
paria  sive  socie  tate.  »  (Stat.  Tri  ori  e). 

Paricla  (copia). 

Nel  medio  evo  di  cadun  contratto  face- 
vano i  notari  due  esemplari  perfettamente 
identici  e  scritti  sulla  stessa  pergamena 
divisa  in  due  colonne  e  segnata  in  mezzo 
colla  lettera  dell'alfabeto.  Firmato  e  con- 
chiuso l'atto  scindevasi  la  pergamena  e 
così  potevasi  dell'autenticità  fare  il  con- 
fronto. Desse  appellavansi  charte  paride  e 
di  una  di  quelle  parla  l'Olivieri  a  pag.  334 
della  Serie  dei  consoli  del  comune  di  Ge- 
nova. 

Paries  (misura). 

«  Paries  sii quinque  brachiorum  et  dimidii 
textoris,  de  parietc  tele  stupe  den.  acto.  » 
(Stat.  Bobii,  pag.  68). 

Parlatorium  (luogo  dove  si  parla  nel 
chiostro  delle  monache). 

«  Actum  Genue  in  parlatorio  dicti  mona- 
sterii,  respiciente  versus  pia  team.  »  (Alizeri, 
Notizie,  W.  pag.  60). 

I  Paromaria   (Il    Manfroni    l'ha    tradotto 
'        per  paraonde). 

I  «  Scafas  duarum  galearum  et  paromarias 

1  retinuerunt.  »  (Oger.  Panis,  Annal.  12 io). 

52 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE  LIGURE 


185 


Parrago    pergolato). 

«  Casale  sitmn  juxla  parraghiem  diete 
ecclesie.  »  {Chart.  S.  Fonlii,  pag.  277). 

Partire  (partire). 

«  Postquam  diete  galee  cinn  aliis  galeis  se 
partiverint  de  por  tu  Monachi  prò  eundo  et 
navigando.  »  (Saige,  Documents  antcrieurs 
au  XV  siede,  tomo  I,  pag.  224). 

Pascatum  omnia  festa  (con  questa  frase 
si  comprendeva  il  periodo  di  tempo 
che  corre  da  Pasqua  a  Pentecoste: 
e  ad  addurne  una  prova  basterà  ri- 
ferire un  brano  degli  antichi  Statuti 
di  Sarzana  in  cui  non  si  fa  parola 
della  solennità  di  Pentecoste). 

«  Statuimiis  et  ordiìianiiis  quod  oììinia 
festa  Pascatum,  gloriose  Virginis  Marie, 
S.  Ioaimis  Baptiste,  S.  Luce,  S.  Francisci, 
S.  Laurentii  et  omnium  apostoloruin  devote 
celehrentur.  »  (Podestà,  pag.   66'. 

Pascerium  e  Pascherium  (pascolo  d'in- 
verno nelle  regioni  marittime,  che 
differiva  dalle  alpagium  che  signifi- 
cava il  pascolo  d'estate  entro  monti). 
«  Cedit  oinne  jus  quod  habet  in  alpagiis 
et  pascheriis.  »  (Carta  di  Tenda  del  1233). 

Passagium  ultramaris  (espressione  usi- 
tata  nelle  vecchie  carte  per  indicare 
il  viaggio  in  Terra  Santa). 

«  /;/  subsidium  Terre  Sancie  ultramaris  si 
fuerit passagium.  »  (FerrettOj  Cod.  dipi.,  2", 
pag.  35)- 

Passare  (transitare). 

«   Teneantur  construere  scafamunam 

ad  passandos  omnes  homiues  et  mulieres.  » 
(Podestà,  pag.  67'. 

Pasta  (farina  intrisa  con  acqua). 

«  De  omnibus  cibariis  qtie  fuerint  ciim 
pasta  vel  in  cibo,  pasta  mictatur  quando 
opus  est  ad  coquinam  ;  vel  de  coqucndis 
fructibu  y  in  igne  vel  cinere  caci  non  debent 
se  introtnittere,  nisi  voluerint;  sed  pistores 
debent  servire  de  pasta  et  cortesiani  de 
fructihus.  »  (Giorn.  ligustico,  ann.  1882, 
pag.  262). 

Patena  (piattello  di  metallo  per  coprire 

il  calice). 

«   Tra  do  caliccm  cum  patena,  cayblam  de 

veluto  eie.  »    Chart.  S.  Pontii,  pag.  351). 
53 

P4  —  Mise,  s.  ni,  T.  xni. 


Patrania  (nome  collettivo  d'una  regione 
dell'Apennino  di  levante  in  cui  si 
trovavano,  due  chiese  che  con  titolo 
abbaziale  si  denominavano  da  Pa- 
trania). 

«  Abatiam  de  Patrania  in  honorem  Sancte 
Marie  et  Sancii  Hoìiorati  cum  castro  no- 
mine Turricola.  »  (Vedi  Carraro,  Brevi 
notizie  sopra  l'antica  abazia  di  .S.  Maria 
di  Patrania  e  Crosiglia,  Cenni  storici  di 
Torriglia). 

Patronizare  (avere  il  comando  di  una 
nave). 

«  Persona  que  barcham  suani  patroniza- 
verit  teneatur  etc.  »  (Stat.  Levanti,  p.  30). 

Quando  si  aveva  una  comitiva  di  più 
navi,  il  capo  di  esse  appellavasi  non  più 
patrono  ma  capitano. 

Patronus  (cartone  per  disegno). 

Nel  testamento  del  pittore  Bernardino 
Sismondi  (149S)  viene  disposto  in  favore  di 
alcuni  di  lui  colleghi  supra  patronos  inter- 
stisos,  che  sono  i  cartoni  calcati,  e  poco 
dopo  dei  patroni  ponsi  cioè  foracchiati.  — 
Vedi  Arte  e  storia,  30  aprile  1904. 

Pavesium  (scudo). 

«  lìi  cainiìiata,  primo  pavcsia  qninque.  » 
(Giorn.  ligustico,   1890,  pag.  37). 

Pax  (reliquario  di  metallo  che  si  dava 
a  baciare  ai  maggiorenti  durante  la 
messa  cantata). 

«  Bacile  unum  prò  o/erta,  pacem  unam.  » 
(Vigna,  L'antica  collegiata  di  S.  Maria  di 
Castello .^  pag.  234). 

Payrolus  (pajuolo). 

«  Calderarii  non  presumanf  vendere  vel 
vendi  facere  payroluni  vel  payrolam.  » 
(Stat.  Albingane'. 

Pecia  (pezzo). 

Pecia  panni  si  legge  negli  Statuti  di  Al- 
benga  alla  rubrica  ut  operantes  lanam  non 
perniittant  balere  in  domo  sua  e  nella  Pan- 
detta  pubblicata  dal  Sella  si  ha  :  vendere  ad 
pcciam  et  non  ad  tallum. 

Pecudarius  (pecorajo). 

Pastorcs  pecudum  sive  pecudarii  hanno 
gli  Statuti  di  Triora,  e  in  quelli  di  Cosio 
si  legge  :  Oves  Ì7i  alpe-m  habeat  eas  collo- 
catas  a  pastoribus  sete  pegorariis. 


i8ò 


GIROLAMO   ROSSI 


Pedagium  (tassa  di  transito  che  si  pa- 
gava presso  i  ponti  e  ai  confini  di 
diversi  comuni). 

«  Non  permittain  colligere  aliqiiibtis  pe- 
dagium in  Sarzana  nisi  per  pcdagcrimn 
comunis.  »  In  quest'esempio  cavato  dal 
Podestà,  si  ha  pure  il  pedagerinin,  cioè 
l'incaricato  di  riscuotere  la  tassa. 

Pedestalus  (piedestallo). 

«  I/cin  proìiiisit  facere  quatuor  pedeslalos 
apponendos  suo  dictis  pilastris.  »  [Alizeri, 
Notizie,  V,  pag.  76). 

Pedissequa  (domestica,  serva). 

«  J^e  pena  servitoruni  et  pedissequaruiu.  » 
(Stat.  Genuae  Visdomini,  toni.  II,  pag.  13 
verso). 

Pelanda  (scrive  il  ÌMerkel  nei  Tre  cor- 
redi milanesi  del  (juattrocento,  che  la 
Pellanda  è  una  cosa  sola  con  Pel- 
Iarda,  perchè  significava  veste,  tanto 
da  uomo  quanto  da  donna,  foderata 
di  peli). 

«  Itein  pelanda  ima  domini  fodrata  variis 
peonachi.  »  (Giorn.  ligustico,  1890,  pag.  38). 

Pelata  (concime). 

«  Qui  Icaverit  de  pelaìuine  pelate,  seu  curie 
debeat  cxtrahcre  de  terra  messes  tres,  » 
(Stat.  Cuxii). 

Pelegia  (rissa). 

La  curia  di  Nizza  voleva  procedere  occa- 
sionr  ciijusdam  pelegie  hahite.  »  [C/iarl. 
S.  Pontii,  pag.   no). 

Peliparius  (pellicciaio). 

«  Pauliis  de  Cainiilio  et  Ioanncs  de  For 
nariis  consules  artis  pelipariorum.  »  (Ali- 
zeri,  Notizie,  HI,  pag.  262). 

Pelisia  (pelliccia;. 

«  Lucruiìi  pelisiaruìii  que  poncntur  ad 
velli  la.  »  (Alizeri,  Notizie,  II,  pag.  474). 

Pellerinum  (tormento  cui  si  sottopone 
vano  i  colpevoli  e  che    risponde  al 

Piloriuiìi). 

«  Fustigetur  incontinenti  per  omnes  ruoias 
Baennarum  vel  ponatur  ad  pellerinum.  » 
(Assandria,  Stat.  Baennar.,  pag.  .xxxviii 
verso). 

Penatum  (nome  di  un  coltello). 

«  ..SV  evaginai'erit  irato  animo  penatum, 
seu  cosiolerimn  seu  vasalot um.,  seu  cesar inatn 
vel  ensein,  condetnnetur  in  lib.  xv.  »  (Stat. 
S.   Romuli\ 


Pania  (covone). 

«  Si  quis  posuerit  igneiii  in  aliqua  domo 
vel  tccto  .seu  penia  biave...  teneatur  emen- 
dare etc .  »  (Barelli,  Statuti  di  Ormea, 
pag.  151)- 

Penitenciare  (confessarsi). 

«  Aliquis  medicus  qui  curaverit  egrotum 
vel  egrotam  pacietitei>i  febrem  continuavi... 
non  debeai  ire  ad  egrotum  ultra  semel,  nisi 
prius  ei  denunciaverit,  quod  se  debeat  peni- 
tenciare. »  (F'ilippi,  Statuti  delTarte  degli 
speziali,   pag.  94). 

Pennellus  e  Penonus  (piccola  bandiera 
che  si  vedeva  sull'asta  dei  cava- 
lieri). 

«  Omlibet  deferens  banneriani  vel  pen- 
nellinn  eie.  »  (Podestà,  pag.  38). 

Pancia  (lobo). 

«  Dehcnt  liabere  collare,  prctcr  barbinam 
et  caudaìn  cum  tribus  nodis  et  minoreìu 
penolani  fegati.  »  (Giorn.  ligustico,  1882, 
pag.  163). 

Pentecostas  (scrive  il  Magri  nelle  A^c/zz/^ 
di  vocaboli  ecclesiastici,  che  antica- 
mente mentre  si  cantava  il  VeniSancte 
Spiritiis,  suonavansi  le  trombe  per 
indicare  il  repentino  suono  che  pre- 
cedette la  venuta  dello  Spirito  Santo 
e  che  inoltre  si  facevano  cadere  dal 
tetto  fiamme  di  fuoco,  volar  colombe 
per  la  chiesa  e  spargevansi  rose. 
Tali  simboliche  rappresentazioni 
erano  ancora  in  uso  nel  XVil  secolo; 
ma  erano  degenerate  in  spettacoli 
ridicoli  che  turbavano  la  santità 
della  festa,  laonde  il  vescovo  d'Al- 
benga,Vincenzo  Landinelli,  nelle  sue 
Coìistifìitiotics  et  decreta  synodalia 
dell'anno  1620,  pag.  224,  slancia  la 
scomunica  contro  questi  profanatori 
del  tempio,  che  durante  la  funzione 
dal  tetto  facevano  piombare  addosso 
le  femmine  dei  globoli  di  stoppa 
accesa  e  facevano  scorrazzare  per  la 
chiesa  animali,  alla  cui  coda  erano 
state  legate  materie  infiammabili. 
Mette  qui  conto  di  riferire  le  sue 
testuali  parole:  «  Diehus  Pentecostes 

54 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE   LIGURE 


187 


egre  ferc7is  venator  callidus,  fer- 
petutcs  humani  generis  inimicus,  fi- 
deles  eo  die  in  Ecclesiani  convenientes, 
quo  discipuloruni  corda  novo  celestis 
gaudii  rare  perfusa  siint,  divina  Spi- 
rittis  Sancii  suavitatc  liquescere,  ut 
eos  a  pietatc  et  devotione,  ad  risuin 
cachinuniqiLe  diverteret,  indtixit  iion- 
nullorimi  rudiuni  animos  ut  ex  su- 
pernis  Ecclesie  tegìilis  infra  femi- 
naruin  septa ,  stiipa  deviitteretnr 
ignita,  vel  animaliuni  alligata  candis 
per  singulos  tenipli  angulos  htdi- 
biinda  invelieretìir.)  ». 

Perdonare  (perdonare,  menar  buono). 
«    De   non  perdonare   alieni  forenderio 
aliquod  dapnnni.  »  (Stat.  Apricalis). 

Perla  (pietra  preziosa). 

«  Anulus  unus  auri  cum  perla  rotini.  » 
{Sestri  antico,  pag.  327). 

Pertractura  (disegno). 

«  Ifein  lego  quendani  meian  parvuin  libruui  1 
pertracluraruw  facfuin  manti  mea  propria.  » 
(Nel  già  citato  testamento  del  pittore  Ber-  \ 
nardino  Sismondi  del   1498). 

1 
Pertusius  (buco).  | 

«  Nec  debenl  perniittere  in  galbara  di- 
ctorum  molendinorum  aliquod pertusium  per 
quod  exire  possit  farina.  »  (Stat.  Vallis 
Arotie). 

Petra  Ardenna  (nome  della  vetta,  che 
si  alza  al  principiare  del  ligure 
Apennino). 

«  Pars  Apennini  est  qiie  Petra  Ardenna 
vocatur.  »  (Ant.  Astesano,  poeta  del  xiv  se- 
colo). 

Pibolis? 

«  A  dieta  qnerc/iu  revolvendo  versus  Vare 
usque  ad  qiiandam  magnam  pibolem  prope 
dictani  querchum  que  est  dicti  Raymundi  et 
B  dieta  piboli  veda  via  et  linea  usque  ad 
magnum  Vare.  »  (Chart.  S.  Pontii,  pag.  89). 

Picare  (lavorare  col  piccone  o  becca- 
strino). 

«  lornadani  unam  in  laborando,  picando 
vel  sparando.  Teneatur  ipsani  terrani  pi- 
care vel  leare  cimi  besliis.  »  (Stat.  Triorie). 

55 


Pictavinus  ? 

«  Solidos  XX  de  pictavinis  et  libra s  n 
piperis  dederuìil.  »  (Caphar.  Ann.  noi). 

Pignata  (pignatta). 

In  un  inventario  del  1281,  riferito  dal 
Ferretto  {Cod.  diploin.,  2",  pag.  401)  sono 
ricordati  i  matalasos  tres,  gastapuin  biavi  et 
pignalain  rami. 

Pila  (pilastro  dei  ponti). 

(Questo  vocabolo,  secondo  che  scrive  il 
Podestà,  nel  medio  evo  si  dava  non  solo 
ai  pilastri  dei  ponti  che  attraversano  rivi  e 
torrenti,  ma  anche  a  quelli  che  si  ergevano 
sul  margine  del  porto  per  effettuare  lo 
sbarco  e  l'imbarco  delle  merci.  Giorn.  li- 
gustico,  1904,  pag.  45). 

Pilastrum  (specie  di  colonna  quadrata). 
«    Venditiones  que  in  ripa  facte   sunt  de 
pilastris  et  de  columnis.  »  {Lib.  jurium,  i", 
ann.  1159). 

Pilla  (vaso  di  pietra  che  riceve  e  con- 
tiene acqua). 

«  Promisit dare  qnandam  pillaìu  marnwri, 
cujus  pitie  concila  debeat  esse  laroa  eie.  » 
(Alizeri,  Notizie,  IV,  j^ag.    196). 

,  Pinta  (misura  di  capacità  pel  vino). 

«  Habere  debeat  tres  partes  in  die  cum 
tribns  pintis  vini.  »  (Ferretto,  Gli  Statuti  dei 
canonici  dì  Rapallo,  pag.   14). 

,  Piperata  (specie  di  salsa). 
I  «  Deiìide  piperata  seu  salsa  sine  sircaro 

'  cum  carnibus  vitulorum,  castratorum  et  ca- 

pretorum  seu  agnortim,  sine  aliquo  cujusvis 
generis  volatili.  »  (Stat.  Padri,  pag.  139). 

Pipio  (colombo  giovane  di  nido). 

«  Nulla  persona  audeat...  sagiptare  prò 
capiendo  coliwibos  seu  pipiones.  »((iiornale 
ligustico,  1883,  pag.  115). 

A  Ivrea  dicevansi  pepiones  i  colombi  sel- 
vatici. 

Pisare  (pesare). 

«  Hoc  modo  accipitur  pesatura  de  can- 
tarlo et  de  omnibus  mercibus  que  pisantur 
ad  centenarium,  dcnarios  quatuor.  »  {Liber 
jurium,  1",  pag.  72). 

Pischeria  (serbatojo  d'acqua). 

«  Palatium  cum  logia...  viridariis,  pi- 
scheriis  etc.  »  (Alizeri,  Notizie,  I,  pag.  195). 


i88 


GIROLAMO  ROSSI 


Pistare  (pigiare  l'uva). 

«  Et  pislant  et  p07iunt  inusfiwi  in  biitis.  » 
(Belgrano,  Registro  arcivesc.^  pag.  39). 

PistoUa  (pistola,  vedi  Sclopetus). 

Pistonus    (arma    da    fuoco,    vedi    Sclo- 
petus). 

Pitantia  (pietanza). 

«  Tempore  jeuniorum  pitantia  dupticatur.  » 
(Landinellus,  Consti tut.   Synod,,  pag.  456). 

Pitetus  (uomo  legato  alla  curia  arcive- 
scovile). 

«  Cotivenit  /las  terras  sue  curie  esse  et 
pitetos  illos  qui  in  ea  morabantur,  suos  esse 
famutos.  »  (Belgrano,  Registro  arcivesc., 
pag.  384). 

Pizzegarolus  (pizzicagnolo). 

«  De  tabernariis  et  pizzegaroliis  ad  ini- 
nutum  vendentibus.  »  (Stat.  Trebiani,  ru- 
brica 72). 

Placerius  (custode  della  pubblica  loggia). 
«  £go   Obertus   de   Vifitimitio   olim  pla- 
cerius communis  lanuensiuni  in  Faniagusta.  » 
(Desimoni,  Actes  de  Famagouste,  pag.  97). 

Placitum  (giudizio). 

«  Uberi  ìiomines  non  in  anno  nisi  ad  tria 
piacila  conti tum  veniant.  »  (Garoni,  Guida, 
P^b-  95.  da  dove  il  verbo  placitare  per 
render  giustizia). 

PlagiaePlazia(faldadimontee  spiaggia). 

«  Oue  bestie  pascere  non  possint  in  plagiis 
Triorie  et  villarum.  Conjines  plagiaruni 
Andanee,  Curtini.  »  (Stat.  Triorie). 

«  De  non  vendendo  herbani  de  plazia  ina- 
rencha  »,  si  ha  nello  Statuto  di  Albenga. 

Nel  senso  di  spiaggia  poi  si  ha  nel  Caf- 
faro  all'anno  iioo:  Ibi  in  plagia  Caiphas 
galeas  prò  ira  inaris  extrax-erunt,  e  nello 
statuto  di  Levanto  :  Causa  procelle  vel  tem- 
pestate inaris ,  aliqua  barca  existens  ad 
plaziain...  eo  casti  possit  licentia  dari  seu 
concedi  atterrare  ad  plaziam. 

Platea  (anziché  indicare  'piazza  signifi- 
cava un  sito  pubblico  privilegiato 
per  tenervi  pubblico  mercato,  al 
quale  scopo  stavano  ivi  deposti  i 
pubblici  pesi  e  misure;  e  a  darne 
una    prova    accenneremo    come    in 


Pigna  venisse  appellata  Piazza  vec- 
chia il  porticato  aderente  alla  par- 
rocchia. Che  nella  platea  si  avessero 
i  pubblici  pesi  e  misure  è  indicato 
negli  Statuti  di  Ovada,  da  cui  è 
prescritto  che  il  lapis  cavatus  prò 
vino  inensurando  sia  posto  in  platea 
e  con  altro  articolo  si  ordina  de  non 
vendendo pisces  nisi  ad plateam.  Con- 
simile cosa  si  legge  negli  Statuti  di 
Valle  d'Arozia:  consules  revidere  de- 
beant  et  stantiare  omnes  mensuras 
in  pnblica  platea.  Dagli  ordini  della 
città  di  vSarzana  si  cava:  camerarius 
teneatur  fabricari  facere  de  lapide 
marmoreo  super  platea  calcandule 
starium,  mi?iam,  modtum,  quartiun 
et  alias  mensuras,  e  da  quelli  di 
Porto  Venere  è  imposto  circa  le 
messi,  de  ponderando  ipsas  in  platea. 
Chi  ha  conoscenza  delle  terre  liguri 
non  tarderà  a  convincersi  che  platea 
valeva  pubblico  mercato,  ma  non 
veramente  piazza). 

Planca  (plancola). 

«  Ponatur  una  planca  super  beudutn  ino- 
letidinoru7n.  »  (Stat.  Albingane). 

«  Ouis  abstulerit  pianella  aliqua  de  aqua 
cadat  eie.  »  (Stat.  Cuxii). 

Pianella  (quadrello  per  pavimento). 

«  Fornaxarii  teneantur  facere  tegulas, 
lateres  sive  cupos  et  planellas  soluin  ad  ino- 
dulum.  »  (Stat.  Novar.  et  Stat.  Bobii). 

Piata  (barca  di  fondo  piatto). 

«  Piate  vero  et  barche  magne  prò  onere.  » 
(Stat.  Padri). 

Pleberium  (pieve  e  sede  di  battistero). 

«  Honiines  de  Recho  et  eorunt  plebe...  de 

loto pleberio  Se.vti.  »  (Garoni,  Guida,  p.  132). 

Plebs  (nei  primi  secoli  della  Chiesa  si- 
gnificava diocesi,  nel  ix  secolo»  in- 
dicò sede  di  battistero  un  delegato 
del  vescovo  per  conferire  il  batte- 
simo, da  dove  la  nota  espressione 
del  Concilio  romano  dell'anno  826: 
Ecclesie  baptismales  quas  plebes  ap- 
pellant). 

56 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE  LIGURE 


189 


Plotum  (questo  vocabolo  che  abbiamo 
registrato  senza  spiegazione  nella  i*^ 
parte  esprimeva  il  grosso  ceppo  di 
legno  ad  elevanduvi  capita  et  ad 
ìuictilandum  alia  Diembra). 

Plotus  (palo  cui  si  leg'avano  i  condan- 
nati alla  berlina  o  altra  pena  infa- 
mante). 

«  Pro  constructioiie  iriioìi  piotar  uni,  in 
qiiibus  fuerunt  scartariati.  »  (Cais,  La  ville 
de  Nice,  pag.  1S6). 

Poderium  e  Podere  (vocabolo  che  ha 
doppio  significato). 

1°  Quello  di  distretto  comunale  come 
nell'espressione  dello  Statuto  di  Ovada  : 
possit  et  valeat  ire  redire  et  stare  in  burgo 
Uvade,  mercato  et  poderio  ejiis  ;  ed  altra 
consimile  dello  Statuto  d'Albenga:  Sialiqua 
persona  scripta  fiicrit  in  cartulario  poderii 
Albingane  collectaìu  facere  tencatur. 

2°  Quello  di  podere  o  proprietà  come 
si  evince  da  una  carta  riferita  a  pag.  162 
del  Ligustico  dell'anno  1882  nella  quale 
sono  ricordati  podere  de  Brasile,  podere  de 
Pogio,  podere  de  Bolono  e  altri  del  vesco- 
vato di  Luni,  che  per  amore  di  brevità 
omettiamo. 

Polastrum  (pollo  giovine). 

«  Accipe  polastrum  qui  fccerit  nunqnam 
ova  et  de  eius  alis  fac  exire  sanguinem  eie.  » 
(Rossi,  Storia  di   Ventiiniglia,  pag.  79). 

Pomellus  (bottone  per  veste). 

«  Item  ponielli  quinque  de  ambra.  »  (De- 
simoni,  Actes  de  Faìuagouste,  pag.  23). 

Pomus  (palla  di  metallo  con  cui  finisce 
la  guardia  d'una  spada  o  d'altro 
oggetto  in  asta). 

«  Crux  una  magna  cuni  po>no  lotoni.  » 
(Alizeri,  Notizie,  I,  pag.  65). 

Poncha  (promontorio  o  lingua  di  terra). 
«  A  porta  Olivi  usque  ad  poncham  Var.  >\ 
(Stat.  Nicie). 

Portale  (portale). 

«  Proinisit  facere  et  fabricare  portale 
unum  marmoreum  album.  »  (Alizeri,  No- 
tizie, V,  pag.  51). 

Portanerius  (custode  delle  porte  di  una 

terra). 

«  Item  quod  homines   calizani   teneantur 

solvere  portanerio  sive  dicam  ut  moris  est 
57 


per  ipsos  dominos  eligendo  et  possint  ipsi 
domiìii  tradere  et  consigliare  claves  por- 
tarum  burgi  Calizani,  qjie  sunt  ipsorum  do- 
miìtorum.  »  (Stat.  Calizani).  Portaticum  di- 
cevasi  una  tassa  che  si  pagava  alle  porte, 
come:  nullum  portaticuìn  ncque  pedaticuin, 
ncque  ribaiicttm  dabunt  honmies{Lib.jurium, 
i",  pag.  118)  e  portagium  chiamavasi  in 
Nizza  un  balzello  che  si  pagava  dai  car- 
cerati. 

Portrida  (fazione). 

«  Comes  Ventus  nec  Fulco  Curlus  ne  e 
aliquis  alius  de  portrida  audiantur .  »  (Cais, 
Stat.  de   Vinthnille,  pag.   119). 

Posse  (distretto). 

Si  ha  sovente  l'espressione  in  posse  Al- 
bingane e  in  posse  Diani  per  accennare  al 
distretto  di  detti  comuni. 

Posta  (proposta,  partito). 

«  Item  et  quelibet posta  quc  tangat  in  dc- 
trimentum  et  expensas  comwiis  et  debent 
deliberari  per  lapides  albos.  »  (Stat.  Thabie}. 

Postribolum  (lupanare). 

«  Capitula postriboli ìnontis  Albani  Getme.  » 
(Stat.  Padri,  pag.  27). 

Postum  (luogo,  dove  uno  si  deve  tro- 
vare). 

«  Debent  de  presenti  arma  capere  et  cum 
ipsis  ire  ad  postos  »  (Stat.  Uvade). 

Pratica  (uso  e  facilità  di  fare  qualche 
cosa). 

«  Nec  id  faciant  consiliarii  cmn  Potestas 
vel  judex  vel  notarii  duxerint,  vel  propo- 
sitionem  vel  praticam  fecerint  »  (Podestà, 
pag.  19), 

Preissia  (particolare  disposizione  di  ter- 
reno declive,  ancora  oggidì  del  dia- 
letto). 

Nello  Statuto  di  Sospello  parlandosi  di 
passaggi  si  ha  pur  preissiam  pratoruin. 

Presa  (misura  rispondente  a  ^/^  di 
palmo). 

«  Teneantur  draperii  dare  presas  con- 
suetas,  videlicel  quartas  tres  prò  qualibet 
canna.  »  (Stat.  Albingane).  Si  ha  preysa 
negli  Sttidi  di  storia  ligure  di  Giovanni 
Filippi,  pag.  191. 

Si  ha  anche  nel  senso  di  derivazione 
d'acqua: 

«  Habeatet  possideat  presam  bedalis  die  ti 
molendini.  »  [Cliari.  S.  Pontii,  pag.  103). 


igo 


GIROLAMO   ROSSI 


Primicie  (primizie), 

«  Dono  ecclesiavi  emù  oìiuiibiis  deciinis 
priìiiìciis  et  oblatioìiihus.  »  {Carf.  IJiineiisé). 

Prisione  (carcere). 

«  Ceperiint  malefaciores  et  posiicrunt  in 
prisionein.  »  (Podestà,  pag.  92). 

Privata  (cesso  \ 

«  Nenio  faciat  privata  sua,  aqueriuni  qjie 
vel  quod  cadat  in  viis  seu  carrtibiis.  »  (Stat. 
Diani), 

Procuratio  ''così  appellavasi  il  convito 
cui  aveano  diritto  gli  ecclesiastici 
in  certe  determinate  feste  ed  i  feu- 
datari i  quando  si  recavano  a  tenere 
i  placiti). 

«  Debeaut  dare  oinni  anno  prò  una  pro- 
curatione   lìhras   odo.  »    {lAb.  juriiim,   II, 

pag-  335)- 

«  Pro  curia  Baaluchi  debent  faccre  pro- 
curationein  unain  ad  madiuin  et  aliam  ad 
Sanctum  iWchaeleiii  corniti.  »  {Lib.  juriuiii, 
I",  pag.  1312). 

Prosoneta  (sensale). 

«  Aliquis  eoruìH  non  sit  de  arte  predicta 
nec sii etiam  censarius  vet pro.soneta .  »  (Giorn. 
ligustico,  1896,  pag.  315). 

Pugione  (specie  di  stilo). 

«  Si  aliqua  persona  percusserit  aliquem 
cuni  ense  vel  pugione  incurrat  in  penain.  » 
(Stat.  Garlende). 

Puletra  (cavalla  giovine  o  poledra). 

«  Emit  puletravi  unani  brunetam.  »  ('Fer- 
retto, Cod.  diptom.,  2",  pag.  310). 

Pulezia    (poleggia,  girella    da  taglio  e 
corrente). 

«  Lignis  de  ylice  prò  /adendo  puleziis.  » 
(Relgrano,  Documenti.^  pag.  247). 


Pulveragium  (diritto  che  si  pagava  ai 
proprietarii  delle  terre  per  cui  pas- 
savano gli  averi  per  trarre  alle  re- 
gioni marittime), 

«  Arhitramur  quod  passagia  seu  pulve- 
ragia  animantium.,  sinf  didorum  donii- 
norum.  »    Cais,  Les  fiefs  etc,  pag.  517). 

«  Nullus  accipiat  ratione  pulveragii  vel 
pedagii  aliquid  de  ovibus  in  eundo  vel  re- 
deundo.  »  {Cart.  Lirinense,  7^  pag.  xxxvii). 

Pupare  (prender  latte). 

«  Exceptis  bestiis  impinguandis  et  por- 
cetlis  pupantibus  »  (Assandria,  Stat.  Baen  . 

Pupella  ? 

«  De  porco  qui  coci  interfecerint  et  pa- 
raverint  ad  opus  coquinc,  ipsi  coci  debent 
habere  suniatani  quatn  debet  incidi  per 
luediain  pupd/am  a  dextris  et  a  sinistris.  » 
(Giorn.  ligust.,   1.SS2,  pag.   163). 

Purisare? 

«  Possint  facere  d  reficere  et  purisare 
diduììi  bcdale.  »  {Chart.  S.  Pontii,  pag.  103). 

Puteuli  (pozzetti  medicinali  collocati 
anticamente  nelle  chiese,  appellati 
nella  vicina  (xallia  Doires  Dieii). 

Un  frammento  d'iscrizione  ventimigliese 
conserva  qui curat puteolos  sacraiinn ediuiu, 
frase  che  si  riferisce  alle  aeque  lustrali  esi- 
stenti nei  ve.stiboli  dei  templi,  di  cui  parla 
Seneca.  Tale  usanza  si  mantenne  per  lungo 
tempo  nelle  primitive  chiese  cristiane  ;  e 
di  acc]ue  che  si  bevevano  per  guarire  da 
alcune  infermità  conservano  memoria  le 
cattedrali  di  Albenga  e  di  Ventimiglia  e 
la  chiesa  plebana  di  S.  Maria  di  Nogaretto 
presso  Castel  Vittorio. 

Putonia  (meretrice). 

«  Quicumque  dixerit  ntulieri  viruin  ha- 
benti  putoniain,  vel  gaduiem,  perdat  solidos 
decem.  »  (Podestà,  pag.  40). 


Q 


Quadrellum    e   Quadretum  (majolica  di  | 
forma  quadrata  per  pavimento). 

«  Miniare  quadrcllorum  predo  solid.  tri- 
ginta  et  miniare  plandlaruvi  predo  solid. 
viginti  quiìique  »,  espressione  dello  Statuto 
di  Bobbio,  che  fa  conoscere  la  diversa  con- 
fezione fra  quadretto  e/>?a?/<'//(?.-  il  quadretto 
poi  pare  di  costruzione  savonese  leggendo 


nell'Alizeri,  Notizie,  VI,  pag.  236:  vendidit 
latcres  vulgariter  nuucupatos  quadreti  Sa- 
vane. 

Quadrum  (quadro). 

«  Promisit  construere  d pingcre  maiestatem 
unavi  seu  quadrum  altitudine  palmoruin 
septem  etc.  »  (Convenzione  fra  il  comune 
di  Montalto  e  il  P.  M.  Macari). 

58 


GLOSSARIO   MEDIOEVALE   LIGURE 


igi 


Quargina  fQuarzina,  borgo  di  Ormea 
poco  discosto  dal  Xegrone,  celebre 
pei  suoi  formaggi). 

«  Ah  unaquaque  do^no  caseatica  in  Quar- 
gina, sex  formellas  casei.  »  (Durandi,  Delle 
antiche  contese  dei  pastori,  pag.  198). 

Quaria  (quaglia). 

«  Qui  accipiet  perdires  et  quarias...  et 
bracos  bonos  ad  cazandum.  »  (Ferretto,  Cod. 
diploni.,  2°,  pag.  295). 

Quarta  (diritto  che  i  prelati,  i  cano- 
nici ed  i  parroci  prelevavano  dalle 
rendite  ecclesiastiche). 

«  Decima  et  quarta  tam  tocius  territorii 
Vintimilii,  quani  Podii  Pini  usque  ad  fos- 
satuni  de  Gor-òi.  »  (Divisio  prebendàr.,  1260). 


Quartarium  ('misura  di  capacità  dei  so- 
lidi). 

«  Debeant  vendere  ad  quartarium  Seti 
quartariìiuin  prò  rata  sextarii.  »  (Stat.  Al- 
binganej. 

Quietus  (quitanzato). 
I  «  Et  facimus  illos  vacare  solutos  et  quietos 

I  etfacere  cartam  finis  et  remissionis.  »  (Caph . 

Annali'. 

Quinternus  (registro). 
I  «  Oinnes    quinterni   officialium    comunis 

debeant  a    Camerario  inquiri.  »   (Podestà, 
pag.  29). 

Quista  (questua,  concorso). 

«  Item  si  filiaìn  suam  vel  filias  in  matri- 
nionium   cotlocaverit,   prò   qualibet  earum 
semel  quistam  facere  possit.  »   (Cais,   Les 
I  fiefs  eie,  pag.  463). 


R 


Rabayrolus  (operajo  della  Rayba). 

<,<  Ligatores  ballar uniy  rabayroli.  »  (Stat. 
Saoiie). 

Ragiare? 

«  Pro  die  quo  steterit  ad  ìnensurandum, 
ragiandum.  »    Stat.  Sarzane). 

Rampa  (collare  che  si  appendeva   alle 
bestie  da  tiro). 

Per  l'esempio  vedi  Atliilhaìnenticìu. 

Rampegolus  (ferro  od  àncora  da  quattro 
marre). 

«  Spala  una,  rampegulo  uno.  »  (Belgrano, 
Documenti,  pag.  244). 

Rampogna  (rimprovero). 

«  Si  vero  dixerit  rampognam  vel  tiirpia 
verba  potestati,  possit  eie.  »  (Stat.  Nicie). 

Rancura  (rancore). 

«  Ipsnm  impedimenluììi  debeat  removeri 
sub  pena  predicta  quoties  J'uerit  querimonia 
vel  rancura.  »  (Stat.  Ziiccarelli). 

Rapugliare  (raspollare). 

«  Si  invenerit  aliqitein  aliquos  in  dieta 
ejus  terra  rapugliare  seu  colligere  olivas, 
cadat  eie.  »  (Stat.  Albingane). 

59 


Rasorius  (rasojo). 

«  Barbera  teneanttir  liabere  bacile  unum, 
toagiolas  albas  et  rasorios.  »  CStat.  Unelie), 

Rasoyra  (randello). 

«  Minha  habeat  ferruin  unum  per  uiediuni 
super  qnod  trahatur  rasoyra.  »  (Stat.  Al- 
bingane). 

Rassa  e  talora  Raxa  (congiura). 

«  Rassam  vel  juram  cum  aliqiia  persona 
de  Riveria  vel  aliquo  modo  faclam  cassa- 
bimus.  »  {Lib.  jurium,   i",  pag.  473). 

«  Conspirationem  sire  raxam  quain  dili- 
genter  inquiram.  i>  (Belgrano,  Registro  2", 
pag.  348). 

Rasteleria  (graticcio  di  legno  per  so- 
stener il  fieno  nelle  stalle). 

«  J/angiatura  una  cum  rasteleria.  »  (Giorn. 
ligustico,  1S90,  pag.  38). 

Rastellum  (nel  senso  di  strumento  den- 
tato per  sceverare  la  paglia  dalla 
biada). 

«  5/  aliqua  persona  arripnerit  axerbale 
vel  rastellum.  »  (Stat.  Triorie). 

Nel  senso  di  steccato:  « prope  rastellum 
palata  versus  por  tam  S.  Andree.i>  (Podestà» 
pag.  52). 


ig2 


GIROLAMO   ROSSI 


Rationerius  (ragioniere). 

Lo  Statuto  di  Trioia  ha  il  capitolo  De 
Rationeriis  ai  quali  è  imposto  l'obbligo  di 
rivedere  l'operato  dei  sindaci,  dei  massari 
e  dei  magazzinieri. 

Ratta  (proporzione). 

«  Debeaiit  vendere  ad  quartarìum  sete  quar- 
tarinuiii  prò  ratta  sesiarii.  »  (Stat.  Albing.). 

Rauba  (roba). 

«  Nemo  aiideat  accipere  aralrum,  jugiini 
vel  perticam  auf  aliquam  aliani  raubani 
bovum.  »  (Stat.  Triorie). 

Rayda    accorr'uomo). 

«  Nisi  irei  ad  raydani  vel  visi  fuoaret 
latroìies,  debeat  aliquis  ire  per  civitatein 
post  soìiituin.  »  (Stat.  Nicie).  In  questo 
senso  si  ha  pure  nello  Statuto  di  Carpasio, 
e  quello  di  Taggia  alla  rubrica  de  sacra- 
mento sequellc  prescrive  agli  abitanti  accor- 
rere ad  streinitam  sive  raydani. 

Reanus  ed  anche  Riana  (fossato  desti- 
nato al  corso  delle  acque  piov^ane). 
«  Vicarius  Uvade  teneatur  et  debeat  fluì 
facere  aquas  ad  reanos  burgi  Uvade.  »  (Stat. 
Uvade\ 

Rebicius  (pettirosso,  nel  dialetto  ligure 
rebizzo). 

Fra  gli  uomini  di  Hressano  che  nel  1259 
giurarono  fedeltà  a  Genova  si  leggono  i 
nomi  di  «  Gandulp/ius  Rebicius  e  Leonetus 
Rebicius.  »  {Lib.  jnrinni,  i",  col.   1314). 

Recamare  (ricamare). 

I  pizzi  a  fuselli  costituiscono  un  vanto 
industriale  della  Liguria;  occupazione  do- 
mestica non  solo  propria  dei  luoghi  di 
Santa  Margherita  e  di  Rapallo,  ma  di  tutta 
la  regione  ligure  orientale.  Ogni  casa  ha 
il  suo  tombolo,  sul  quale  donne  di  tutte 
le  età  spuntano  e  puntano  aghi  ed  in 
(juest'arte  all'opera  del  trapuntare  occor- 
rono ad  ogni  tratto  le  pratiche  di  chi  di- 
segna. 

«  IJbcr  qui  vocatnr  ardo  ad  baptizaìidum  ; 
lajola  una  rccainata.  »  (Vigna,  /.'antica  col- 
legiata, pag.  187). 

«  Que  laboreria  faci  ani  e  uni  suis  inlaliis, 
frixis,  designis,  recatnis  et  aliis.  »  (Alizeri, 
Notizie,  VI,  pag.  93 \ 

Rechatare  (riscattare). 

«  Vidcantur  esse  prò  rechatando  vel  qiiod 
enipta  fucrint  vel  rechatata.  »  (.Stat.  Genue, 
II,  Visdomini,  pag.  27  verso. 


Recreta  (epiteto  che  si  trova  unito  a 
guerra). 

«  Non  debelli  facere  marchiones  paceni 
ncque  treguam  nec  guerram  recr etani.  » 
(S.  Quintino,  Osservazioni,  pag.  149).  «  Non 
facienius  paceni  ncque  treguam  nec  guerram 
recretavi,  nec  finem  Otoni  corniti.  »  (Idem, 
pag.  226). 

Refrescamentum  (ristoro). 

«  Non  possit  dare  auxilium  alieni  cur- 
sali  vel  Ugno  vel  vaso  cursalium...  vel  fu- 
maticuni  vinum  etaliquid  refrescamentum.  » 
(Stat.  Genue,  Visdomini,  II,  pag.  19). 

Regardator  (sorvegliante). 

«  Idem  fiat  de  regardatoribiis,  cutn  multi 
damnum  incnrrant.  »  (Stat.  Nicie). 

Reginetà  (sorta  di  giuoco). 

«  Idem  intelligatur  in  ludis  reginetà,  bis- 
sariarunt  et  pirle  sive  rote.  »  (Stat.  Bobii). 

Registrum  (libro  in  cui  si  scrivevano 
gli  atti  pubblici). 

«  Scripta  a  dicto  notarlo  in  suis  quinternis 
seu  in  suis  registris.  »  (Podestà,  pag.  57). 

Rellorium  (orologio). 

Inghetto  Spinola  e  Deserino  Musso  com- 
prano siphos  et  gotos  coralli  nacare  et  ar- 
genti, rellorium  unum.  (Ferretto,  Cod.  di- 
ploni.,  2",  pag.  245). 

Remairolum  (aspersorio). 

«  I/iìii  reniairolum  unum  prò  aqua  bene- 
dieta.  »  (Alizeri,  Notizie,  VI,  pag.  252). 

Renna  (sentiero). 

«  Non  debeat  laborare  prope  vias  seu  se- 
mitas  seu  rennas  publicas.  »  (Stat,  Triorie). 

Respublica  {Gniueìisis).  L'illustre  De- 
simoni  a  pag.  LVI  delle  sue  note 
allo  Statuto  dei  Padri  scrive,  che 
dall'anno  1530  in  poi  cominciò  a 
dirsi  Respublica  il  Comune  geno- 
vese per  quello  stesso  classicismo 
o  risorgimento  delle  lettere  che  fece 
cainbiare  Jaiììia  in   Genita. 

Retalium  (modo  di  vendita  che  equi- 
vale al  minuto). 

«  Quum  facile  possit  contingerc  produci 
fanuam  de  partibus  ac  locis  Alemanic  telas, 
canabacios  et  fustaneos  noti  causa  trasmit- 

60 


GLOSSARIO   MEDIOEVALE   LIGURE 


193 


tendi  ad  alia  loca,  vel  potius  veiidendi  fru- 
sfaHin  sive  ad  retalitun.  »  (Giorn.  ligustico, 
1885,  pag  84). 

Retornalia  (pranzi  di  sposi). 

«  Ad  hostiurn  nuptiaruni  sponsalioruin 
benedictionis  seu  retornalioruni.  »  (Olivero, 
Memo7-ie  storiche  di  Cera,  pag.  77). 

Retornare  (ritornare). 

«  Schivia  debeat  lafiter  apiari  quod  non 
retornet  in  via  conmnis.  »  (Stat.  Cuxiiy. 

Reverendarius  (rivenditore  al    minuto). 

«  NcìHO  reverendarius  sive  pesigarolus  de 

Plebe audeat eniere  etc .  »(Stat.  PlebisTheuci).  1 

Da    questo    nome    si    formò    revenderolia 

treccaj  ricordata  negli  Statuti  di  Albenga. 

Revellinus     (fortificazione    triangolare, 
esteriore,  isolata). 

«  Ad  defensioneìu  porte  bullientis,  sive 
revellini  ejusdem  porte.  »  (Lavezzari,  Storia 
d'Acqui,  pag.  248 1. 

Ricina  o  Ricinetum,  risponde  all'odierna 
Recco.  {^Storia  di  Recco.,  pag".  io). 

Ridipilla  ? 

«  Audeat  ponere    stratnen icsque    ad 

pratuìn  et  ad  ridipillam  et  a  juncario  su- 
perius.  »  (Podestà,  pag.  42). 

Rimare  (ordire). 

«  Pannos  quos  ab  aliqua  persona  rece- 
perit  ad  suendutn,  et  rimanduni  vel  te- 
xenduni.  »  ;Stat.  Sarzane). 

Risma  (pacco  di  quaranta  quaderni  di 
carta). 

«  Balla  papiri  de  stracia  intelligatur  de 
ristnis decevi.ì)  {Concess.  Savonens.,  pag.  18). 

Robaria  (ladroneccio). 

«  Capsieta  de  robariis  que  appellatur  sal- 
vaterra.  »  (Cuneo,  Del  debito  pubblico,  pa- 
gina 202).  Eravi  in  Genova  l'ufficio  de  ro- 
bariis che  vegliava  e  giudicava  dei  furti. 

Rochetus  (veste  clericale,  vedi  Moz- 
zetto). 

Roda  (ruota  montata  verticalmente  al- 
l'estremità posteriore  della  chiglia 
in  sostegno  della  poppa). 

«  Dieta  navis  sii  in  carena  cubitorutn  xxxi 
longitudinis,  de  roda  in  roda  cubiloruni  l.  » 
(Belgrano,  Documenti,  pag.  6). 

61 

25  —  Mise,  5.  Ili,  T.  XIII. 


Rodare  ? 

«  Quod  neino  audeat  rodare  pannos  grossos 
ctiin  aliquo  ingetiio,  Jtec  vendendo  canare  nisi 
per  squinani  in  loco  plano.  »  (Stat.  Sospitelli). 

Rognonus  (rene). 

«  Non  fulcient  sive  ponent  quid  aliud  circa 
rognonos  vel  aliquam  parteni  bestiariim.  » 
(Stat.  Uvade). 

Romana. 

Torna  utile  all'articolo  Romana  aggiun- 
gere un  brano  dello  Statuto  di  Oneglia  che 
oltre  di  darci  i  particolari  dei  diversi  pesi 
e  misure,  ricorda  come  l'esemplare  veniva 
conservato  nella  chiesa  parrocchiale  di  Santa 
Maria  : 

Iteni  quod  rasperii  teneantur  ernere  pensas 
ad  expensas  doininoruni  et  habere  statcrain 
unain  cum  romana  ad  quam  pensari  possint 
libre  vigintiquinque  ad  librani  janue.  Et 
libram  et  mediani  librain  et  uncias  ad  pen- 
sandum  addictam  balanciam.  Item  quartinos 
duos  ad  inensurandum  vinum  umcin  de  la- 
pide et  aliuin  de  tigno  ad  mensuram  la- 
pideam  que  est  in  ecclesia  Sane  te  Marie. 
Et  pitttam  et  mediani  pintam  de  ramo  et 
vitreo  que  pinta  sii  talis  quod  quadraginta 
pinte  faciant  unum  quartinum  predicfum. 
Et  starios  duos  fodratos  Ugni  unum  de 
raso  et  alium  de  culmo  et  duas  eminas  imam 
de  raso  et  aliam  de  culmo  et  feratas  ad 
inetisuram  justam  et  consuetam  in  Une  Ha. 
Item  libram  unam  et  dimidiam  de  ramo 
prò  mensurando  ateo  ad  mensuram,  justam 
et  consuetam  in  Une  Ha.  Que  mensure  et 
stancie  statere  et  balancie  sint  marcate  et 
bullate  signo  dominorum,  ad  quas  et  que 
mensuras  et  pondera  vendatur  et  eniatur  in 
tota  valle. 

Roncilius  (roncolaV 

«  Possint  et  valeant  cum  ronciliis  et  secu- 
ribus  incidere  arbores.  »  (Stat.  Garlende). 
Si  trova  rondila  a  pag.  60  dello  Statuto  di 
Vezzano. 

Ronzinus  (piccolo  e  vecchio  cavallo). 
«  Pro    quolibet  roìtzino    vel    ronzina  »  si 
ha  nello    Statuto  di  Triora  e   in  quello   di 
Sarzana  si  legge  :  Si  commmie  roncinumam- 
bassiatori  oportuerit. 

Rostum  (arrosto). 

«  Salsa  composita  cum  galinis,  caponibus^ 
seu  pullis  ad  rostum  et  taparis.  »  (Stat.  dei 
Padri,  pag.  138). 


194 


GIROLAMO   ROSSI 


Rota  (strumento  che  girando  sopra  un 
pernio  nell'apertura  d'un  muro  serve 
a  dare  ed  a  ricevere  roba  da  per- 
sone rinchiuse). 

«  Moniales  nequc  ad  cra/as  >iec/ue  ad  ro/a>n 
loquatitur .  »  {Syiiod.  dioces.  Gentiensia,  pa- 
gina 436). 

Rotulus  (appellavasi  la  centesima  parte 
del  cantaro.  Vedi  Desimoni,  Actcs 
de  Famagoìtste,  pag.   161). 

Ruata  (borgo). 

«  Hoiniìies  ruatc  Berichi  loco  Miilazatii, 
in  Ceva  sunt  franchi  de  pcda^io  tantum^  alie 
vero  mate  sunt  franche  de  medio  pedagio 
tantum.  »  (Pro  franchisiis  in  Ceva). 

Rubus  (peso  di  25  libbre). 

«  De  danino  credatur  dominus  ferii  usgue 
in  rubos  duos.  »  (Stat.  Triorie,  cap.  47). 

Ruffianus  (mezzano). 

«  De  nieretricibus  et  ruffianis  expel- 
lendis.  »  (Stat.  crimin.  Saone,  pag.  51. 

Ruga  (definita  dal  Rezzano  «  strada 
specialmente  delle  città  del  levante, 
che  si  concedeva  di  abitarla  ai  mer- 
canti della  nazione  forastiera  che 
vi  aveva  il  fondaco  »). 

«  Dabit  vobis  ipse   rex   ecclesiam,  fun- 

dicum,  furnum  et  batneunt  atque  rugant,  in 

qua  fanne  vicecomes  -maneat  cum  piena  juris- 

dictione .  •>•>  {Lib.  juriuni,  i'\  pag.  336). 

«  Coìiccdinms  rugaiii    unain    eorum  (ja- 


nuensium)  negofiatoribus  convenientem.  » 
;ldem,  pag.  371). 

«  Non  possim  nec  debeam  habitantem  in 
predicta  ruga  conipetli  ve!  vocari  prò  aliquo 
maleficio  seu  placito.  »  (Idem,  pag.  412). 

Sulle  contrade  e  rughe  antiche  di  Pa- 
lermo nei  secoli  xii  e  xv,  ha  pubblicato 
una  interessante  monografia  il  sig.  Vin- 
cenzo De  Giovanni. 

Rumare  (grugnire). 

«  Si  quis  habuerit  aliquem  porcuni  et  quem 
teneat  causa  mattandi,  seu  ut  dicitur  prò 
ìnazale,  teneatur  illuni  facere  ferrare  seu 
ponere  atiulum  seu  ferruni  ad  ìiares  taliter 
quodnon  possit,  ut  dicitur,  rumare.  »  (Stat. 
Pornasii). 

Rumenta  (immondezze  . 

«  De  pena  proicieiitiuvi  rumentas  in  rivuin 
communis.  »  Altro  esempio  si  ha  nello  Sta- 
tuto dei  Padri. 

Runcus  (terreno  incolto  da  coltivare). 
«  Si  aliquis  occasione  runchi  seu  zerbate 
igìieni  fecerit.  »  (Stat.  Pornasii). 

«  De  non  accipiendo  Ugno  in  alieno  ran- 
cho.f>  ;Stat.  Quiliani). 

Rupes  Widonis  (Roccavione). 

«  Hoinincs  de  Tenda  se  se  convenerunt 
cum  dominis  de  Rupe  Widonis.  »  (Convenz. 
del  1198). 

Ruyanus  (canale). 

«  furo  facere  receptari  grondas  et  aque- 
ductus  et  ruyanos  et  chiavicas.  »  (Todestà, 
pag.  49). 


Sabaterius  (calzolaio), 

«  Item  statuerunt  quod  sabaterii  qui  ven- 
dunt  soleas  sequantur  formam  antiquam... 
nec  passini  accipere  prò  uno  pari  suhtel- 
larum  solando,  nisi  duos  dcnarios.  »  (Stat. 
Nicie). 

Sabbadaticus    (balzello    che    si    levava 
•sulla  macinatura). 

«  De  sabbadatico  denarios  xn.  »  (Belgrano, 
Registr.  arcivesc,  pag.  34). 

Sabbatus  sanctus  (fra  le  gazzarre,  onde 
il    popolino    fruiva    nella   vita   non  \ 
godereccia   ligure,  viene   ricordato  | 


dallo  Statuto  di  Oneglia  lo  strepito 
con  armi  solito  a  farsi  nel  villaggio 
di  Prosanego,  il  giorno  del  sabato 
santo). 

«  De  gaviliis  non  faciendis  in  sabbato 
sancto.  Item  quod  aliqua  persona  non  debeat 
facere  aliquam  gaviliatn  vel  rixam  in  Pro- 
sanego in  die  sabbati  sancii,  sub  pena  li- 
brar. XXV  janue  :  de  armis  non  portandis 
ad  ecclesiam  in  sabbato  sancto.  Item  quod 
aliqua  persona  non  debeat  portare  aliqua 
arma  in  die  sabbati  sancii  ad  ecclesiam  Pro- 
sanegi,  nec  ad  canontcam  nec  circa  ipsas, 
nisi  gladium  sub  pena  solidar.  xx  prò  quo- 
libet  et  insuper  amiltat  arma.  »  (Stat.  Unelie). 

62 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE   LIGURE 


195 


Saburra  (zavorra). 

«  Non proiiciant saburrani  in  poriu  Olivi» 
(Gioffredo,  Storia,  pag.  485). 

«  Non  audeat  nec  presumat  proiicere  seu 
exoiierare  savorratn  sive  jairiani  in  dicto 
scario.  »  (Stat.  Linguilie). 

Sacristia  sacristiaappellavasinel  medio 
evo  il  locale  dove  si  custodivano  le 
carte  del  comune,  non  che  quelle  in 
cui  il  Banco  di  San  Giorgio  custo- 
diva il  numerario.  Al  qual  riguardo 
scrive  il  Cuneo  che  tre  erano  le 
sacristie:  cioè  la  vecchia  dove  erano 
riposti  gli  scudi  d'oro  e  d'argento  ; 
la  nuova  destinata  a  ricevere  per  oro 
e  argento  tutti  i  pezzi  da  otto  reali 
dai  particolari  ivi  depositati;  poi 
una  terza  dove  si  riponeva  il  de- 
naro depositato  in  moneta  corrente). 
«  Pro  pensione  palatii  quo  lenenfur  curie 
constilatuìH  et  ubi  tenetur  sacristia.  »  (Cuneo, 
pag.  276). 

Safranus    zafferano). 

«  Si  que  bestie  invente  fuerint  dare  dam- 
num  iti  aliqua  fassia  safrani  seu  herbe  illius 
solvat  etc.  »  (Stat.  Triorie). 

Saga  (indovina). 

«  Sagas  iteni  niulieres...  que  projitentur 
occulta  tnedice  discipline  medicatnenta  te- 
nere, jubetnus  ne  parrochias  intrent.  »  (Spi- 
nala, Synod.  albingan.,  pag.  8). 

Sagimen  (grasso,    per  ■  l'esempio    vedi 
Zelsniont). 

Sagitea    nave    rapidissima  costrutta  in 
forma  di  freccia). 

«  Sagitea  una  Pisanorum  centutn  re- 
niorum  venit  in  portibus  de  infra  mare.  » 
^Muratori,  Rer.  italic.  script.,  voi.  \'I, 
col.  388). 

Sagrum  (specie  di  artiglieria  poco  dis- 
simile dal  falconetto). 

«  Pro  mercede  et  manifactura  de  sagris 
quatuor.  »  (Alizeri,  Notizie,  VI,  pag.  417). 

Saitare  (trar  saette). 

«  Tarchorutn  milites  circutniendo  et  sai- 
tando  dimiserunt.  »  (Caphar.,  Annal.), 

Salda  (disposizione  di  terreno). 

«  Bestie  pascere  passini  in  saldis  eorutn, 
quorum  sunt.  »  (Podestà,  pag.  29). 

63 


Salicare  (selciare). 

«  Suo  tempore  sali  cala  fuit  ecclesia,  co- 
ventus.  »  (Belgrano,  Documenti,  pag.  331). 

Sanbucha  (sella  equestre  per  donne). 
Aldoino,  conte  di  Ventimiglia,  nel  1281 
elegge    un    procuratore   per  redimere  sati- 
bucham  de  argento  circumdataìn  xamito.  » 
(Ferretto,  Cod.  diploìn.,  1^,  pag.  369). 

Sanctus  Egidius  (S.  Gilles  in  Provenza, 
dove  i  Genovesi  avevano  un  fon- 
daco). 

«  Ad  par  te  s  Gal  He  festhiantius  tendeba- 
mus...  apud  sanctum  Egidium.  »  (Belgrano, 
Regis.  arciv.,  pag.  446). 

Sandaracha  (sandraca,  resina). 

«  Soluìn  chori  ligneum  fricetur  sanda- 
racha. »    Synod.  genuens.  Basii,  pag.  479). 

Sangallus  (specie  di  tessuto). 

«   Tela    Sangalli   planum    altaris    saltem 
contingat.  »  (Spinula,  Synod.  albingan.,  pa- 
j  gina  18). 

Sarabula    calzoni  . 

«  Ipsc  surrexit  in  sarabulis  cum  repa- 
gulo  in  manu.  »  (Giorn.  ligustico,  1888,  pa- 
gina 232). 

Sarcitor  (sarto). 

Un  Andriolo  sarcitor  ricorda  il  Ferretto 
a  pag.  106  del  2"  voi.  del  Codice  diplom. 

Sarminalis  (sermento  o  ramo    secco   di 

vite). 

«  luro  auferre  totum  fenum  et  paleas 
quam  sarminales  qui  et  que  starent  coadu- 
nate. »    Podestà,  pag.  43). 

Sarpare    (levar    l'ancora    per    mettersi 
alla  vela). 

«  Barcarii  vel  habentes  barcas  vel  aliquod 
tiaviliutn  passini  varare  et  sarpare  cum  suis 
naviliis  de  ripa  Portus.  »  (Stat.  Portus 
Mauric),  si  trova  anche  serpare. 

Sartago  (padella). 

«  Item  duas  sartagines  seu  patellas.  » 
(Cais,  La  ville  de  Nice,  pag.  398). 

Sauma    salmata). 

«  De  unaquaque  sauma  pellium  agnorum 
etaliorum  coriorum,  tarenum  unum.  »  [Lib. 
jurium,  1°,  pag.  202). 


ig6 


GIROLAMO   ROSSI 


Saxire  (pignorare). 

«  De  pecunia  vel  re  saxita  »  Stat.  Saone) 
e  da  questo  verbo  si  formò  il  sost.  saxi- 
tnentum,  di  cui  Io  Statuto  di  Zuccarello: 
Si  saximentiim  factuiii  fuerit  de  aliqua  re. 

Sbarra  (sbarra). 

«  Pisces  vendi  debea7it  ad piscariam  deiniiis 
sbarram.  »  (Stat.  Diani). 

Sbatere  (sbattere). 

«  Si  quis  dixerit  a/iquoc^  malum  de  Deo 
vel  de  Sancta  Maria  vel  eos  blasfemaverit... 
frustetur  et  sbafelur  per  tres  vices  »  (Ba- 
relli, Libro  della  catena,  pag.  io). 

Scadicum  (diritto  di  pascolo). 

«  (Vadunt)  ad  pascenduni  apigo  usque  ad 
mare  siile  scadico  et  passaiico.  »  (S.  Quin- 
tino, Osservazioni^  pag.  57). 

Scala  (bilancia) 

«  Legatum  misertmt  prò  exigendo  scalis 
et  embolo  promissis.»  (Caphar.  Anfial.). 

Scaliaticum    diritto    che   una  nave  pa- 
gava per  entrare  in  porto). 

«  Si  ablatmn  esset  sibi  ratione  scaliatici 
vel  magene...  contra  franchisiain...  debeat 
restitiitioneni  fieri.  »  [Lib.  juriinn,  2",  pa- 
gina 443). 

Scandaliare  (dicevasi  della  verifica  delle 
pubbliche  misure  e  pesi). 

«  Meìisure  et  pondera  que  scandaliate  et 
signate  se  idaliata  et  signata  non  fuerint, 
comburanlur.  »  (Stat.  Unelie). 

Scandalium  (peso  all'ingrosso). 

«  Venditores  carniuni  feneantur  sacra- 
mento  non  ponderare  carnes  ad  scandalimn, 
dum  tajnen  valent  ininns  de  soldis  duobus 
sed  pondercnt  ipsas  ad  jiistas  libras  ba- 
lancie.  »  (Stat.  Unelie). 

Scandolum  (legno  in  forma  di  doghe). 

«  Habentes  domos  in  burgo  tegulis,  cupis 
vel  scandolis,  infra  annos  xn  proximos  co- 
prire teneantur.  »  (Convent.  Calizani). 

Scanzella  (cancello  da  coro). 

«  Magister  Anselmus  de  Furneriis  de  Ca- 
stronovo  Lombardie^  magister  anthelami 
scanzellarum  lignarum.  ».  {Atti  della  so- 
cietà storica  di  Savona,  voi.  20,  pag.  44). 


Scapatus  (rovinato). 

«  Pugnator  respondii  qiiod  erat  totus  sca- 
patus. »  (Belgrano,  Registro  2°,   pag.  326). 

Scaraguaita  (soldato  di  ronda). 

«  De  eundo  ad  scaraguaitas.  »  (Assandria, 
Stat.  Paennarum). 

Scarfiatura  (scalfitura). 

«  Nisitalis  sanguis  per  scarfiatur  ani  fuerit 
factus.  »  (Stat.  Sarzane,\ 

Scaritum  (dicevasi    di   cnstrum   fornito 
di  armati). 

«  Castruni    Tevigle    vobis   reddam  guar- 
nitum  et  scaritum.  »  {Lib.jurium,  r",  p.  155), 

Scartogius  (cartoccio,  ornamento  dei  ca- 
pitelli). 

«  Teneatur  fabricare  portas  factas   ad 
scartogios   cuin   suis   cornixiis.  »    (Alizeri 
Notizie,  VI,  pag.  43). 

Scarzare  (diminuire,  sottrarre). 

I  «  Qui  basitaverit  seu  scarzaverit  dictum 

pillotum,   currat   in    pena.  »    (Stat.    Plebis 
Theuci,  pag.  155). 

Scaticum    (si    incontra    per    escatium^ 
dazio  sulle  ghiande,  vedi  Esca). 

Sceda  (foglietto). 

«  Teneantur  noiarii  jurare  quod  non  fa- 
cient  nec  imbr  eviabunt  aliquod  instrunientum, 
nisi  notaverint  illud  in  sceda  vel  nota.  »  (Po- 
destà, pag.  56). 

Scharamiza  (scaramuccia). 

«  Puit  ferutus  et  vulneratus  ad  schara- 
mizam  cum  illis  domini  regis.  »  (Giorn. 
ligustico,  1900,  pag.  105). 

Schella  (campana  piccola,  squilla). 

«  Sonetur  ex  aliis  parvis  (campanis)  sive 
schellis  sancii  Nicolai.  »  (Stat.  Diani\ 

Schennapisces  (spinapesce). 

«  Cum  ulneis  rubeis  et  scala  ad  schenna- 
pisces. »  (Not.  de  Aniandolesio,  voi.  20,  pa- 
gina 540). 

Schiffatum  (gabella   che  si  pagava  nel 
porto  di  Genova). 

«  Controversia  inter  collectorem  introiius 
schiffati.  »  (Stat.   Padri,  pag.  93). 

Schina  (piega). 

«  Mensuratur  pannus  per  schinam  non 
tirando  pannum,  sed  ponatur  canna  super 
panno.  »  (Stat.  Nicie). 

64 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE  LIGURE 


1,97 


Schivare  (scansare,  sfuggire). 

«  Item  qiiod  persone  bestie  et  plaustra 
passini  per  eaiii  viam  ire,  redire  et  se  schi- 
vare. »  (Stat.  Albingane). 

Sciabecha  (rete  da  pesca  per  varie  ra- 
gioni di  pesci  che  sguizzolano  a  fior 
d'acqua,  mano  a  mano  che  le  ragne 
si  accostano  al  lido). 

«  Appliceiur  illi  patrono,  seti  sciabeche 
cujus  est  bolum,  »  (Targioni  Tozzetti,  La 
pesca  in  Italia,  voi.  I,  parte  i'',  pag.  379). 

Sciphus? 

«  Primo  sciphi  duo  de  pede  de  argento, 
unus  quorum  est  ad  artna  dicti  salveti.  » 
(Desimoni,  Actes  de  Famagouste,  pag.  23). 

Sciruppus    e    Syrupus    (sciroppo,    per 
l'esempio  vedi  Speciaria). 

Sclavare  e  Scravare  (potare  un  albero 
dei  rami  soverchi). 

«  Siinciderit  aliquaiH  arboreìu  silvestrem 
ad  caldani,  que  sii  schivata  vel  sbrondata, 
condemnetur.  »  (Stat.  Linguilie). 

«  Liceat  tenenti  boves  aut  bestias  de  can- 
cello scravare  ranios  illium  salvando  calciavi 
et  ciinam  prò  pascendis  dictis  bobus.  »  (Stat. 
S.  Romuli).  Scravare  è  tuttora  vivo  in 
Triora,  e  dice  il  Zecchini  che  tale  opera- 
zione in  Lombardia  si  chiama  zuccare  o 
scalvare. 

Sclavus  (schiavo). 

«  Negli  Statuta  criminalia  Saone  a  p.  25 
si  ha  la  rubrica  de  percussione  sclavoruni 
utriusque  sexus  ;  %\\  Statuiti  diCaff.  ,p.  582, 
vietano  al  console  del  luogo  di  avere  famigli 
schiavi  :  non  possit  esse  aliquis  sclavus. 

Sclopetus  (archibugio). 

Sclopetus  si  ha  nel  Sinodo  albingane  se  del 
vescovo  Spinola,  ma  scopetus  negli  Statuti 
dello  stesso  comune ,  cuni  nono  audeat 
lanciare  cuni  balislra,  cum  arcu  et  scopeto. 

Scoferius  (calzolaio,  per  l'esempio  vedi 

Socularis). 
Scopa  (scopa,  frutice  con  cui  si  fanno 

granate). 

«  Possit  portare   bozolos  arastras  et  di- 

vilias  seu  scopas.  ».  (Stat.  Unelie^. 

Scopare  (spazzare). 

«  Te7ieatur  quelibet  persona  Mentoniomni 
die  sabati,  ante  cjus  doinuin  scopai-i  facere.  » 
(Stat.  Mentonij. 

:65 


Scopellum  (misura  dei  mugnai  che  con- 
teneva la  ventesima  parte  d'un  se- 
stario). 

«  Debeai  tenere  scopellum  unum  qui  teneai 
in  capacitate  de  viginti  partibus  unam  se- 
starii  frumenti.  »  (Stat.  Sarzane). 

Scorzone  (scorpione),  vedi   Tarantora. 

Scuffium  (tributo  imposto  dai  Longo- 
bardi). 

«  Non  possit  capere  nec  capi  facere  aliquod 
pedagium,  theloneum  nec  aliquod  scuffium 
ab  aliquo  hoìnine.  »  (Ugliengo  e  Vineis, 
Storia  di  Cuneo,  pag.  233). 

Sculdascius  (giudice  sotto  i  Longo- 
bardi). 

«  Nullus  dux,  marchio.,  comes,  vicccomes, 
sculdascius,  decanus  audeat  ingredi.  »  {Liber 
jurium,  1°,  pag.  3). 

Sculmare  (abbattere). 

«  De  sculinantibus  cumulos  feni  in  alienis 
pratis.  »  (Stat.  Mioglie). 

Scurare  (sbarrazzare). 

Et  teneatur  magtsiratus  Albingane  facere 
scurare  omni  anno  puteuni  Auree,  qui  est 
in  quartario  S.  Siri  et  puteum  Turiate  qui 
est  in  eodem  quarterio.  »  (Stat.  Albingane). 
Si  ha  pure  j-c«rar^  nello  Statuto  di  S.  Remo. 

Scurzata  (sorta  di  piccola  nave). 

«  Cum  galeis  lxxii  et  duabus  sagitteis  et 
duabus  scurzatis,  apparuit.  »  (Caphar.  An- 
nales,  1191'. 

Scutella  (^mantenimento). 

«  Consules  habere  debeant  prò  suo  salario 
ad  ralioneni  asperoruni  centuni  prò  sua 
scutella.  »  (Stat.  Gazarie,  pag.  387). 

Sechagna  (tratto  di  mare  o  fi.ume  ri- 
dotto a  secco). 

«  Incipiendo  a  capanna  Simeonis...  usque 
ad  portum  sechagne.  »  (Stat.  Sarzane). 

Sedilia  (cesso). 

«  Aquarolos  sive  sedilia  promittit  ei  te- 
nere chiusa.  »  (Belgrano,  Registro  2°,  pa- 
gina 192). 

Sedumen  (abitazione  povera). 

«  A' ulta  persona  debeat  plorare  clamando., 
Palmas  ac  ìnanus  verberando  post  cadavera. 


igS 


GIROLAMO  ROSSI 


postquam  separata  fuerit  a  domo  vel  a  se- 
dumine  persone  defuncte.  »  (Stat.  Uvade). 
«  Donamus  casus  sedumina  et  capellas  et 
omnes  res  juris  nostri.  »  (S,  Quintino,  Os- 
servazioni, pag.  66). 

Segarius  ? 

«  Potestas  teneatur  facere  serrari  omnes 
aditus  segarios  et  clavigas.  »   ^Stat.   Bobii  . 

Segestri  insula  (è  la  penisola  di  Sestri 
di  levante). 

«  Totum  quod  Coita  de  l'ezzano  ìiabuit 
in  insula  Segestri.  »  (Giorn.  ligustico,  1S92, 
pag.  353). 

Sella  (latrina), 

«  aita  sella  utatur  vel  fiat  vel  intret  in 
sulcus  chiavicariim  :  ne  putredincs  sellaruni 
a  transeuntibus  videantur.  »    Podestà,  p.  38). 

Sendatum  (fodera). 

«  Si  in  mantello  fuerit  sendatum  habeat 
inde  III  solidos.  »  (Stat.  Nicie). 

Seneschalchus    siniscalco,  maresciallo). 
«  Setiescalchus  per  aliquotdies  studuit  in  ter 
Pisanos  et  Januenses  treguani  coniponere.  » 
(Ottobon.  Scrib.  ann.   1194). 

Sensarium  (sensale). 

«  De  officio  sensariorum.  »  (Stat.  Saone). 

Septa  (Ceuta  in  Africa). 

«  Occasione  rixe  facte  inter  Christianos 
et  Saracenos  apud  Septam  ».  (Ferretto,  Cod. 
diploin,   I",  pag.  24). 

Septuagenarius  (settuagenario). 

Prima  del  Concilio  di  Trento  non  aven- 
dosi registro  dei  battezzati,  avveniva  che 
per  constatare  l'età  di  un  individuo  si  do- 
vesse ricorrere  a  pubblici  atti  di  notorietà 
quando  per  esempio  l'età  di  settant'anni 
dispensava  dal  servire  in  guerra  ;  laonde 
alla  rubrica  XX\'l  dello  Statuto  di  Sarzaiia 
si  legge: 

«  Nullus  intelligatur  esse  septuagenarius, 
nisi  in  generali  Consilio  et  artium  diete  terre 
de  sua  etate  per  duos  testes  ad  minus  pro- 
baverit  fide  dignos,  » 

Sequella  e  sequimentum  (questi  due  vo- 
caboli pigliano  il  senso  dell'antica 
compagna). 

«  luro  compellere  omnes  burgenses  Sar- 
zane  jurare  regimentum  et  sequimentum 
meum  et  communis.  »  (Podestà,  pag.  "47). 
Nello  Statuto  di  Diano  si  ha  sequella. 


Serbare  (tagliare  l'erba). 

«  Si  quis  serbaverit  alienani  messem  in- 
cidat  in  penain.  »  (Stat.  Novar.). 

Serenata  (canti    e    suoni    soliti    a    farsi 
di  notte  per  le  vie). 

«  Nocturnis  cantile7iis  non  intersint  nec 
non  cantantibìis  ad  cantandum  per  vicos  ut 
vulgo  dicitur  :  serenate.  »  (Spinula,  Synod. 
albing.,  pag.  188;. 

Serrum  (lunga  fila  di  pietre  che  serra 
il  passo). 

«  Descendit  usque  ad  serrum  de  Berlino  : 
protenditur  per  crestam  serri  de  Posse.  » 
(Cari.  S.  Pontii,  pag.   105  e  iii). 

Serventata  (falange  di  servi  a  scopo  di 
aggredire  . 

«  Ouicumque  fuerit  in  exercitu  cuni  ser- 
ventata possit  haber  e  penam.»  (Stat.  Cuxii). 

Sesta  l'ordine). 

«  Rem  publicam  suo  tempore  tractaverunt 
et  civitatem  in  sesta  tenuerunt.  »  (Caphar. , 

Annales). 

Sigillum  (sigillo). 

L'autorità  del  sigillo  fu  somma  presso  i 
comuni  italiani  nel  medio  evo,  perchè  l'ap- 
posizione di  esso  bastava  a  render  legale 
ogni  pubblico  atto.  V'aveano  d'ordinario 
due  sigilli,  il  maggiore  ed  il  minore;  il  primo 
stava  alle  mani  del  Priore  degli  anziani 
e  l'altro  in  quelle  del  cancelliere  del  co- 
mune, col  quale  dovea  suggellare  le  lettere. 
Il  comune  di  Sarzana  lasciava  al  cancel- 
liere sigillum  sculptumad  imaginem  sancte 
Marie  ;  sigillum  autem  sculptum  ad  sidus 
idest  ad  artna  communis  Sarzane  stet  in 
custodia  prioris  aniianorum.  —  Sigilluni 
magnum  et parvuin  aveva  Genova  (Alizeri, 
Notizie,  VI,  pag.  381),  lo  stesso  trovo  per 
Albenga  e  per  Nizza,  come  pure  risulta  ne 
fossero  forniti  i  Cavalieri  del  Tempio  e  di 
Gerusalemme. 

Sinazare  (far  segno). 

«  Et  ipse  lune  cridavit  et  sinazavit.  »  (  Bei- 
grano,  Registro  2°,  pag.  329). 

Smacere  (smagliare). 

«  Non  gramoret  canabum  nec  smacet  in 
burgo  Garexii  »  (Barelli,  pag.  70). 

Smaltus     (composto     trasparente,    che 

serve  a  ricoprire  e  ornare  metalli). 

«  Tabernaculum  unum  cum  tribtis  smaltis 

in  pede  r>  (Belgrano,    l'ita  privata,}^.   100). 

66 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE  LIGURE 


199 


Soatus  'pelle  di  agnello). 

«  Nec  passini  portare  siibtulares  rubeos 
iieque  de  soato  albo.  »  [Atti  della  Società 
storica  di  Savona,  voi.  I,  pag.  55). 

Socida    società  per  bestiami). 

«  Quis  habuerit  bestiam  in  socidani  suani 
mettariatn  tueatur.  »  (Stat.Zuccarelli.  Questo 
vocabolo  modificato  in  socita  era  vivo  in 
Corsica,  come  ci  attesta  il  Morati  a  pa- 
gina 486  della  sua  Pr attica). 

Socius  (chiamavasi  il  frate  che  era  dato 
compagno  ad  uno  dello  stesso  or- 
dine, eletto  vescovo). 

«  Actum  Cespitelli  presentibiis  fratre  Pe- 
tro  de  Vanio  socio  dicti  domini  episcopi.  » 
(Rossi,  Documenti  inediti,  pag.  39). 

Socularis  (calzare  in  forma  di  pianella, 
ma  colle  suole  di  legno,  specie  di 
zoccolo).  I 

«  Scoferii  debeant  facere  soculares  novos 
prò  denariis  tribus.  »  (Stat.  Apricalis  . 

Solarium  (chiamavasi  la  volta  della  sala 
o  camera  formata  di  travi). 

«  Proniisit  depingere  solarium  catninate 
dotnus  Antonii  de  lanua.  »  (Alizeri,  N^o- 
tizie,  2",  pag-.  344). 

Solidatio  (consolidazione  di  più  debiti 
pubblici  in  uno). 

«  Contrac tus  et  solidatio  .  cuyn  magnifico 
Officio  sancii  Georgii.  ».  (Stat.  Padri,  pa- 
gina 224). 

Spaldus  (nella  prima  parte  abbiamo  dato 
spaucus  per  spalto,  ora  abbiamo  tro- 
vato spaldus). 

«  De  arboribus  navium  et  frequentibus 
bretoschis  el  spatiosis  spaldis  muìiierimt  » 
^Caphar.,  Annali). 

Spalheare  (liberare  il  frumento  dalla 
paglia). 

Nell'epoca  della  trebbiatura  del  grano, 
questo  si  otteneva  battendo  le  spighe  con 
correggie,  ovvero  facendolo  pestare  da  buoi 
o  cavalli,  come  è  nel  caso  nostro.  Lo  Statuto 
di  Sospello  punisce  la  frode  che  si  com- 
mette in  calcando,  triturando,  spalherando, 
ventando  et  mensurando  graninn. 

67 


Spalla    (diritto     feudale,    detto     anche 
Espalla). 

«  Quartani  partetn  iinius  spalle  et  diiorum 
panuìH.  »  {Liber  juriw.n.  Il  Belgrano,  a  pa- 
gina 89  del  Registro  2»,  ricorda  che  l'arci- 
vescovo di  Genova  riscuoteva,  a  Nervi, 
spallaìn  unam  porci  valens  denarios :  xvi). 

Spazare    o    spassare    (nettare    il    pavi- 
mento). 

«  Spazator  fimi  mercati  teneatnr  et  debeat 
omni  die  veneris  spazare  seu  spazari facere 
plateam  mercati.  »  (Stat.  Thabie).  «  Ouelibet 
persona  spasset  et  expediat  lapides  de  viis 
piiblicis  »  (Stat.  Diani). 

Speciaria  (farmacia). 

Il  D'Arnis  dà  al  vocabolo  speciaria  e 
speciarius  il  significato  di  bottega  e  di  ne- 
goziante di  spezie.  Abbiamo  per  altro  negli 
Statuti  dell'arte  degli  speziali  in  Savona 
pubblicati  dal  Filippi  a  pag.  94  e  95  del 
tomo  II  degli  Atti  della  società  storica  di 
quella  città,  che  nel  xiv  secolo  con  questa 
voce  venivano  indicate  le  farmacie  ed  i  far- 
macisti. 

Oììines  speciarii  de  Saona  faciaiit  con- 
fectioties  et  syrupos  etaliam  rem  speciariam 
bene  et  legali  ter  et  sine  f rande  ;  cosi  si  legge 
nel  giuramento  di  questi  professionisti  del- 
l'anno 1345. 

Speronus  (sprone). 

«  Xon   debeant   vendere  primo   speronos 

prò  equis,  strigias  prò  equis,  item  sonagios 

prò   spraveriis   et  falconibus.  »   (Sententie, 

provisiones  et  decreta  prò  artibus  mercia- 

1  riorum,  pag.  6). 

Spia  (spia,  delatore). 
I  «  Item  ordinatimi  est,  quod  si  qua  persona 

j  spiam  iverit  et  inventa  fiuerit  ad  faciendum 

notum  inimicis  dominorum  et  hominum  Ga- 
rexii cavalcatam  vel  insultum...  puniatur  ita 
quod moriatur  »  (Barelli,  Libro  della  catena, 
pag.  19). 

Spitum  (asta  o  verga). 
!  <.<  Tur  texonusdet  unum  fascium  spitorum.  ». 

I  (Belgrano,  Registr.  arciv.,  i»,  pag.  783). 

Spola  (strumento    di    legno  a  guisa  di 
navicella  per  uso  del  tessere). 

Beltrame  accorda  il  figlio  con  un  lanajuolo  : 
«  causa  scribendi  rationes  faciendi  spolas, 
mapas  et  canones.  »  (Ferretto,  Codic.  diplom. , 
2»,  pag.  27S). 


200 


GIROLAMO   ROSSI 


Spontonus  (bastone  ferrato). 

«  Nevio  audeat  portare  ensem,  cullellunt 
de  latere,  lanceam,  rochum,  spontonum.  » 
(Stat.  Albingane).  Indica  pure  la  forma  o 
tipo  della  moneta,  come  ne  reca  un  esempio 
Stalutum  Saonc. 

Stacchetta  (misura  di  capacità,  valente 
mezza  pinta). 

I  barili  che  si  fabbricano  sono  capaci  di 
tre  in  quattro  stacchètte  :  stacchetlaritm 
Irium  vel  quaiiior.  (Rocca,  Pesi  eie,  p.  68). 

Stajanus  (Stagi ieno). 

«  Homiìies  de  Pradello  de  Stajano,  de 
Molinello  et  de  Rivara.  »  (Olivieri,  Serie 
dei  consoli,  pag.  245  . 

Stallus  (molo). 

«  Teneatur  ire  ad  vidcndum  si  possit  fieri 

aliquis  portus  vel  stallus  in  loco  uhi  dicitiir 

Albara.  »  (Stat.  Albingane). 
Significa  anche  scompartimento  del  coro  : 
«  Ne   quis  ca7tonicus  alterius  stalluin  oc- 

cupet.  »(Landinellus,  Synod.  albing.,  p.  162). 

Stambeccus  (stambecco,  capra  selva- 
tica). 

«  Quod  capre,  irci  et  stambeci  non  possint 
pascolari  nisi  in  Carpiono.  »  (Stat.  Treb- 
biani). 

Stamegna  (tessuto  fatto  colla  parte  più 
fina  della  lana,  che  in  gran  parte 
serviva  alla  difesa  delle  finestre). 

«  Fieni  finestre illis  duobus  barchonatis... 
Clini  suis  staniegnis  ut  possit  stare  mine 
hyenie  agitante.  »  (Alizeri,  Notizie,  II,  pa- 
gina 94).  Se  la  stamegna  fine  veniva  lar- 
gamente usata  nel  senso  ora  indicato,  oc- 
corre notare,  che  la  stamegna  ordinaria  era 
il  tessuto  più  adoperato  nelle  campagne  e 
specialmente  fra  i  pastori.  Il  capitolo  30 
dello  Statuto  di  Triora  prescrive:  ciisto- 
dientes  paratores  parantes  pannos  laneos  et 
stamegnas,  teneantiir  parare  prinimn  pan- 
num  seu  stamcgnam.  E  se  il  grande  pro- 
gresso delle  industrie  ha  fatto  pressoché 
sparire  i  noti  gonc  staminei  dei  pastori,  ha 
del  pari  fatto  relegare  fra  le  rarità  anti- 
quarie l'uso  della  stamegna  alla  difesa  delle 
imposte  delle  finestre. 

Al  qual  fine  occorre  notare,  che  le  finestre 
delle  case  erano  nellantichità  assai  poche, 
piccole  e  di  forma  quadrata:  nelle  chiese 
poi  la  luce  penetrava  da  strette  feritoie  che 


si  allargavano  internamente  in  larghe  strom- 
bature. Questo  spiega  perchè  al  lapis  spe- 
cularis  dei  Romani,  succedesse  sotto  i  Lon- 
gobardi l'uso  di  difendere  tali  aperture 
con  marmi  o  pietre  a  trafori,  come  si  vede 
tuttora  nell'antico  Battistero  d'Albenga,  e 
nel  medio  evo  fosse  invalso  l'uso  della  sta- 
megna e  della  carta  oleata.  Il  su  accennato 
documento  dell'Alizeri  dell'anno  1483,  se 
ricorda  le  finestre  ctim  suis  stamignis,  men- 
ziona pure  gli  oculos  vitreos  {si  rivochi  in 
mente  il  significato  di  oculus)  qui  sunt  in 
capite  diete  sale,  il  che  ci  fa  certi  che  era 
già  penetrato  l'uso  dei  piccoli  vetri,  inqua- 
drati su  listelli  di  piombo,  ma  esser  questo 
un  lusso,  che  si  permettevano  le  chiese  e 
le  abitazioni  dei  signori,  le  cui  finestre  bi- 
fore, sormontate  dall'archetto  a  sesto  acuto, 
ebbero  per  lunga  età  il  beneficio  di  rice- 
vere la  luce  attraverso  piccoli  vetri.  E  che 
così  stia  la  cosa  ci  viene  confermata  da  un 
brano  della  Storia  di  Oneglia  del  Pira  (vo- 
lume I,  pag.  70),  dal  quale  apprendiamo, 
che  verso  la  metà  del  secolo  xvrn  si  tro- 
vavano in  Oneglia  appena  dodici  case,  le 
quali  avessero  invetriate  di  lusso,  cioè  con 
piccoli  vetri,  tessuti  a  liste  di  piombo,- 
mentre  tutte  le  altre  erano  chiuse  a  tela 
detta  stamegna  e  a  carta. 

Stanfortis  (tessuto). 

«  Mcnsurari  facient  per  schenam  omnes 
stanfortes...  inglesios  parosinos.  »  (Giorn. 
ligustico,  1S96,  pag.  292). 

Stanga  (sbarra). 

«  Debeat  habere  nianiaoras .,  stangas  et 
restos.  »  (Belgrano,  Documenti,  pag.  31. 

Stangare  (sbarrare). 

«  Teneatur  et  debeat  aperire  et  stangare 
portas  burgi  sicut  debet.  »  (Cuneo,  Debito 
pubblico,  pag.  279). 

Stantia  (meta). 

«  Ouelibct  persona  possit  vendere  pan  evi 
ad  stantiavi  Albinge  et  carnes  ad  stantiavi 
Plebis  Theiici.  »  (Stat.  Naticini),  Da  questa 
voce  si  formò  lo  stantiator  dello  statuto 
di  Ciarlenda  e  lo  stantiorus  di  quello  di 
Triora,  che  rispondono  al  grasciere  ita- 
liano. 

Starium   (misura   che    andava    sempre 

associata  o  ad  cnltìinni  o  ad  rasuvì). 

Staria  de  culmo  et  de  raso  sono  ricordati 

a  pag.  174  dello  Statuto  di  Porto  Maurizio. 

68 


GLOSSARIO   MEDIOEVALE  LIGURE 


20I 


Steparium  (specie  di  chiudenda). 

«  Si  qua  persona  incider it  vel  dirne rit 
c/ansurani  alienain  steparium,  cesam  asa- 
riitui,  solvat  e  te.  »  (Idem.  pag.  54). 

Stercorare  o  stercorizare  (concimare 
una  proprietà,  lasciandovi  pascere 
e  dormire  i  greggi). 

«  Qui  voluerit  leamare  seu  cuin  suis  ovibus 
in  eo  {territorio)  stercorare  teneatur  etc.  » 
(Stat.  Pornasii).  Stercorizare  si  ha  nello 
Statuto  di  Zuccarello. 

Sterla  (uccello,  pernix  cinerea), 

«  Non  aliqua  persona  possit  einere  per- 
nices,  sterlas,  turbos,  co/uinbos,  causa  ven- 
dendi  extra  civitatem.  »  (Stat.  Albingane). 

Sterline  (qualità  particolare  d'argento). 
«  Pronisit  construere pedein...  de  argento 
sterlina  deaurato   et  exnialdato.  »    Alizeri, 
Notizie,  II,  pag.  298'. 

Stivalis  (stivale). 

«  Par  unum  stivaliuni  de  pellibus  ilcinis.  » 
(Ferretto,  Cod.  diplom.,  2°,  pag.  376). 

Stolum  (flotta,  naviglio). 

«  Tempore  enim.  stoli  Cesarie...  in  civi- 
tate  lanuensium  compagna  triìim  annoruni 
et  sex  consulum  incepta  fuit.  »  (Caphar., 
Ann.,  1099). 

Stopare  (otturare). 

«  De  via  coìnunis  non  stopanda.  »  (As- 
sandria,  Stat.  Baennar.,  pag.  334).  Questa 
voce  si  ha  pure  negli  Statuti  di  Albenga 
e  di  Bobbio. 

Storio  (storione,  pesce). 

«  Storiones  et  urnbrine  cervie  vel  alius 
magnus  piscis  quocies  captus  fuerit  curie 
episcopi  debet  dari.  »  (Podestà,  pag.  9), 

Stracare  (modo  speciale  di  pesca). 

«  De  banuo  contra  stracantes,  aniorbantcs 
et  piscantes  cutn  corbino,  nanzea,  incanata, 
bertavel,  barrel  et  capairono.  ».  È  questo 
il  capitolo  229  dello  Statuto  di  Sospello  in 
cui  si  ha  :  nemo  audcat  piscari  ad  stracani. 

Stramen  (fogliame). 

«  De  paleis  vero  et  foliatiis  et  quolibet 
stratnine  sit  iti  hanno  sol.  v.  »  (Stat.  Zucca- 

relli). 


Strameria  (fenile). 

«  Nulla  persona  aiideat  jaccre  vel  doi-- 
mire  in  aliqua  domo  strameria.  »  (Stat. 
Triorie). 

Strangulione  (tonsillite). 

Nel  Trattato  di  mascalcia  di  Girardenghi 
da  Novi  (Biblioteca  Aprosiana)  si  legge  il 
capitolo:  de  strangulione  et  de  stranguria. 

Strapassus  (mal  governo). 

«  De  sfrapassis  bestiarum.  »  (Stat.  Mioglie). 

Strapunta  (materasso). 

«  Lego  lectum  meum  munitum  videlicet  de 
duabus  strapuntis.  »  (Not.  Giov.  de  Aman- 
dolesio,  anno  1259). 

Strascinare  (tirare  a  forza). 

«  Teneatur  potestas  eum  condemnare ,  fa- 
ciendo  ipsum  strascinare  usque  ad  locwn 
justitie.  »  (Stat.  Godani). 

Stremita  (corri  corri). 

«  Quando  audierit  campanas  sonar?  ad 
stremitam.  »  (Stat.  Falcinelli). 

«  Si  pulsatuin  fuerit  ad  stremitam  prò 
Turrianis.  »  (Stat.  Uvade). 

Strana  (benandata,  regalo). 

<  Prefatus  dominus  unum  denaritim  ja- 
nuense  prò  sirena  dare  tenetur.  »  (Saige, 
Docnments,  2",  pag.   161). 

Streva  (staffa). 

«  Ego  Sion  supra  equum  et  liabeo  pedes 
in  strevis.  »  (Oberti  cancell.,  Annal.,  p.  162). 

Strigia  (stregghia  per  ripulire  i  cavalli, 
per  l'esempio  vedi  Speroniis). 

Stronatus  (stuonato,  vedi  l'esempio  in 
Magagna). 

Stuchium  (astuccio,  per  l'esempio  vedi 
Cross  la). 

Stucus  (stucco,  impasto  di  gesso  e  pol- 
vere di  marmo  per  fare  statue  e  or- 
namenti in  rilievo). 

«  Promisit  consignare  capellam  et  tradere 
completam  ut  vulgo  dicitur  de  stuco.  »  (Ali- 
zeri,  Notizie,  VI,  pag.  208). 


69 


26  —  Mise,  S.  HI,  T.  XIII. 


202 


GIROLAMO   ROSSI 


StufFa  (stufa,  bagno  caldo). 

«  A  sulco  vel  clavica  contiguo  vel  contigua 
dotnui  hereduni  Mudi  lacobi  ubi  est  stuffa.  », 
(Stat.  Sarzane). 

Stuperius  (calafato. 

«  Ca pittila  artis  stuperiorum.  »  i^Garoni, 
Guida,  pag.  25S).  , 

Stupinum  (lucignolo). 

«  Fumus  quidem  igtteus  per  aquaìn  et 
oleum  usque  ad  stopiuuin  ascendebat.  »  (Ca- 
phar.,  Annal.,  pag.  9). 

Sturmum  (alla  distesa). 

«  Teneantur  ire  in  exercitu,  cmn  audi- 
verint  campanas  ad  sturinuin  sonare.  »  (Po- 
destà, pag.  36). 

Subastare  (sequestrare). 

«  Et  teneantur  incantare  res  quas  subasta- 
verini  per  dies  novent.  »  (Stat.  S.  Stephani). 


Subastatio  (incanto). 

«  Potesias  teneatur  procedere  ad  incan- 
ticutn  seu  subastationeiìi.  »  (Podestà,  p.  24). 

Sufflare  (soffiare). 

«  Beccarti  non  presumant  sufflare  carnes.  » 
(Garoni,  Codice  della  Liguria,  pag.  153). 

Suggatorium  (pezzo  di  pannolino). 

«  Fainu/i[f ornar ioruin)  teneantur  portare 
in  capite  infulain  albam  et  capillos  curtos 
et  /emine  suggatorium.  »  (Stat.   Bobii). 

Supersaliens  (incaricato  di  vegliare  al- 
l'interesse del  proprietario  del  ca- 
rico di  una  nave). 

«  Oinnes  homines  qui  venerint  de  pelago 
prò  mercato  tribuant  unusquisque  ad  operani 
moduli  denarios  xii,  sive  sii  supersaliens, 
sive  sii  in  portu,  excepti  pueri  qui  non 
fuerint  in  parte.  »  (Cuneo,  pag   242). 


T 


Tabarrum  (tabarro  o  mantello). 

«  Nullus  canonicus  deambulet  per  civi- 
tatem  sine  veste  exteriori  vel  tabarro.  » 
(Spiiiula,  Synod.    Vintimil.,  pag.  13). 

Tabellio  (notaio). 

«  Tabelliones  dicli  conimunis  teneantur 
facere  idem.  »  (Stat.  Diani,  cap.  39). 

Taberga  (casipola). 

«  Ad  tabergam  cui  coheret  ab  uno  latere 
terra  goslorum.  »  {Lib.  jurium,  i,  an.  1315  . 

Tabula  (nella  prima  parte  si  è  data  la 
definizione  di  questo  vocabolo  per 
libro  dell'alfabeto,  al  qual  riguardo 
occorre  di  aggiungere,  che  nel 
tom.  IX  degli  Atti  della  Società  li- 
gure di  storia,  a  pag.  521,  si  parla 
delle  Tavole  da  putti  rosso  e  nero, 
che  si  vendevano  a  soldi  otto  il 
quinterno).  Si  hanno  per  altro  altri 
significati,  e  primo  quello  di  giuoco 
della  dama. 

«  Quelibct  persona  possit  ludere  impune 
ad  tabulas  quocumque  modo  ad  omnia  Inda 


vacata  luda  tabularum.  »  (Stat.  P.  Mau- 
ricii).  E  che  tabula  equivalesse  a  dama  si 
può  riscontrare  a  pag.  57  degli  Studi  epo- 
rediesi pubblicati  nel   1900). 

Tabula  inoltre  dava  nome  ai  boni  viri 
chiamati  giudici  arbitri  dal  podestà,  eletti 
per  decidere  di  cause  di  leggiero  conto  ; 
tali  boni  viri  de  tabula  erano  appellati  tne- 
diani  de  tabula  nello  Statuto  di  Taggia  in 
cui  si  ha  la  rubrica:  de  mediatiis  de  tabula 
seu  de  causis  civilibus  et  pecuniariis  bonis 
viris  committendis. 

Tabuleta  prò  scribendo  (il  caro  della 
pergamena  e  del  papiro  aveva  in- 
trodotto l'uso  di  tavolette  incerate 
per  iscrivervi  sopra  col  grafie,  per 
cui  nel  XIII  secolo  si  ricorreva  al 
mi)iisterium  faciendi  tabuletas  blan- 
cas  de  cera  prò  scribendo  (Giornale 
ligustico,  1896,  pag.  448).  Introdotta 
però  nel  frattempo  la  carta  bamba- 
gina e  di  lino,  cominciò  ad  iniziarsi 
un  periodo  di  cultura  maggiore  ; 
sebbene  si  trovi  ancora  che  nel  1377 
i  genovesi  Lionello  de  ^lari  e  Nicolò 

70 


GLOSSARIO   MEDIOEVALE   LIGURE 


203 


Marrusso,  curatori  a  far  l'inven- 
tario dei  beni  di  A.  Griffoetti,  tro- 
varono ancora  Tabuletas  prò  scri- 
bendo,  dal  che  si  evince  che  l'uso 
della  carta  non  era  tanto  genera- 
lizzato. Archivio  storico  siciliano, 
nuova  serie,  anno  X,  i88ò,  p.  373). 

Tacholinus  (panno  rosso). 

«  De  gabella  solvendi  de  panno  alba x io, 
tacholino  et  similibus.  »  (Stat.  Sarzane). 

Taliare  (tagliare). 

«  Arlem  taliandi  hracas,  camisas  et  ne- 
biatos.  »  (Ferretto,  Cod.  diplom.,  i",  pag.  21). 

Talla  (devastazione,  danno). 

«  Voluinus  hnnmnes  ab  omnibus  fodris, 
tallis,  collectis,  bannis  et pedogiis.  »(S.  Quin- 
tino, Osservazioni,  pag,  161). 

Tapetum  (tappeto). 

«  Tapetum  ujiuìh  novum  magnum  et  pul- 
chrum.  »  (Belgrano,  Vita  privata,  pag.  60). 

Tapezaria  (arazzo). 

«  Tapezarie  duo  cum  arma  conunutiis, 
tapezarie  quinque  alie  cum  historia  S.  lohan. 
Baptiste.  »  {Idem.,  pag.  61). 

Tara  (diffalco  a  pesi  di  merci).. 

«  Deduci  Pro  tara  debeat  de  tanto  eorutn 
pondere  quo primitus ponderabant.  »  (Giorn. 
ligustico,  1896,  pag.  316). 

Tarantora   (tarantola,    specie  di  lucer- 
tola). 

«  Per  nullum  tempus  de  tnundo  possit 
habere  malum  Petrus  de  serpe,  de  scorzono, 
de  tarantora,  de  lupo,  de  cane  rabioso  etc.  » 
(Atti  della  Società  ligure,  voi.  XIX.  pag.  650). 

Taravella  (strumento  di  legno  che  fa 
strepito,  usato  dai  pescatori  e  dai 
ragazzi  durante  la  settimana  santa). 
«  Non  debeat  intrare  dictani  villani  sine 
capello  in  capite  et  sine  taravellis  et  subtel- 
laribus  iti  pedibus.  »  (Assandria,  Stat.  Baen- 
narum). 

Tarchonerius   (fabbricante    di   scudi    o 
targhe). 

«  Consules  artis  pictorum  et  tarchonerio- 
ruìH  civitatis  lanue.  »  (Alizeri,  Notizie^  II, 

pag-  n)- 
71 


Tarezator  (ufficiale  deputato  in  Savona 
all'esame  ed  alla  pulitura  delle  lane 
preparate  per  la  tessitura,  così  viene 
definita  la  voce  dall'egregio  Gio- 
vanni Filippi). 

«  Possit  officium  tarczatorum  fieri  et expli- 
cari  intarezando  lanam.  »  (Giorn.  ligustico, 
1896,  pag.  305). 

Targua  o  Targa  (scudo  di  legno  e  cuoio). 
«  Qui  estrahet  targuam  vel  scutum,  spalani 
vel  cultellum,  massoni  vel  bastotium,  dabit, 
etc.  »  (Stat.  Nicie). 

Tarida  (nome  da  cui  originò  la  tartana 
che  aveva  una  o  due  vele  al  più,  di 
forma  triangolare,  dette  anche  vele 
latine;  tali  navi,  scrive  il  De  Al- 
bertis,  nelle  Costruzioni  navali  fu- 
rono dette  taride  dai  Genovesi,  fa- 
rete dai  Veneti,  tasuree  dai  Catalani). 
«.  Debentfacer e  prò  domino  rege  taridas  » 
(Belgrano,  Documenti,  pag.  19). 

Tarinus  (moneta  d'oro  siciliana). 

«  Non  tenearis  de  solutione  mihi  facicnda 
predictarum  unciarum  tarinorum.  »  (Bei- 
grano,  Documenti,  pag.   143). 

Tarsia  (intaglio  a  disegni  sul  legno). 
«  Construxerunt  scauuiutn  Ugni  tarsie  et 
commisure  et prospectum.  »  (Alizeri,  Notizie, 
III,  pag.  94). 

Tascha  gravezza  che  pesava  su  molti 
generi  di  prodotti,  essendovi  la  tascha 
piscium,  la  tascha  frtictuuni  tcrtie 
decime  partis  ex  ipsa  terra  exeuntium, 
quando  bladatitr  sive  ad  tascham). 

«  Remiltinius  tascham  piscium  piscatoribus 
Nicie,  ita  quod  nullo  tempore  tascham  ab 
eis  exigimus.  »  {Cari.   S.  Pontii,   pag.  79). 

«  Solvei  undecimam  partem  prò  tascha 
omnium  ficuum  et  7iucum  iti  gradicerio  suo.  » 
{Idem.). 

Tassilus  (dado  puntato  da  sei  lati). 

Si  riporta  qui  questo  vocabolo 
latino  per  far  conoscere  le  frodi  che 
si  potevano  commettere  nel  giuocare 
con  esso.  Lo  statuto  di  S.  Romolo 
dell'anno  1435  al  capitolo  de  non 
ludendo  ad  tassillos  soggiunge:  si 
per  aliqueni  ex  ludentibus  fuerit  Ì7i 


204 


GIROLAMO   ROSSI 


ludendo  operatus  tassilus  amoratus, 
focatus ,  artificialus  quomolibet  vel 
falsus,  tunc  condemnetur .  Lasciamo 
a  qualche  studioso  di  interpretare 
il  significato  dei  tre  ora  nominati 
epiteti. 

Tatia  (tazza). 

«  Promisit  tradere  duodenas  viginti  quin- 
que  tatiai'um  terre  ex  magJiis  et  duodenas 
toiidem  viginti  quinque  tatiarum  ex  illis 
que  vocantur  inezane  lahoratorum  alla  ve- 
neziana. »  (Alizeri,  Notizie,  VI,  pag.   228). 

Tectum  appensum  (soffitta). 

«  Debet  facere  diias  apothccas  cuin  tecto 
appenso.  »  {La  porta  soprana  di  S.  Andrea, 
pag.  36). 

Telietum  (monastero  già  dei  Cistcrciensi 
in  vicinanza  di  Sassello). 

«  Abbas  de  Telieto per  se  et sociiim  suum... 
respondit  dicens  ;  niihi  utique  piacerei  quod 
hotnines  ire  deberent  eie.  »  (Olivieri,  Serie 
dei  consoli  di  Genova,  pag.  420). 

Tenalie  (tanaglie). 

«  Item paria  deceni  teiialiaruìn,  »  (Alizeri, 
Notizie,  VI,  pag.  365). 

Tenebre  (uffici   divini    della    settimana 

santa). 

«  Si  tempore  quo  fuerint tenebre  in  ecclesiis 
sancii  Romuli  aliquis  fregerit  niajestatem, 
bancani  ani  ostiuin  condemnetur.  Questa  di- 
sposizione dello  Statuto  di  San  Remo  al- 
lude ai  rumori,  soliti  a  farsi  nella  settimana 
santa  e  che  erano  ben  maggiori  durante  il 
percorso  delle  Rogazioni  minori. 

Tenivella  (succhio). 

«  Ferrarius  leneatur  [liabere)  prò  factura 
tenivelle solid  I.»(Assandria,  Stai. Baennar). 

Tenuta  (proprietà). 

«  Loco  totani  tenutani  terre,  qiiain  tenet 
Fulco  Piscis  »  (Belgrano,  Registro  2",  pa- 
gina 200) 

Terracius  (terrazzo). 

«  Impluvia  teda,  quas  vulgo  tcrracios 
vocant.  »{Synod.  dioeces.  genuensis,  pag.  461). 

Terrucium  (piccolo  podere). 

«  Siquis  habncrit  aliquem  alberguin,  ter- 
rucium, vel  domum  in  territorio  Naticini, 
leneatur  eie.  »  (Stat.  Naticini). 

Tesorie  (vedi  Forbici). 


Tessa  (misura  di  sei  piedi). 

«  Teneatiir  fieri  apertam  viani,  ainplam 
una  tessa.  »  (Assandria,  Stat.  Baennar., 
rubr.  28). 

Tessura  e  anche  Tensura  (rete  per  la 
caccia  di  uccelli  e  pesci). 

Nello  statuto  di  Carrodano  e  Mat- 
talana  si  ha  il  capitolo  de  tensiiris, 
no7ifurandisnec  tensuris  devastandis, 
vocabolo  spiegato  dallo  Sforza  in 
teiisure  o  tesure;  ma  è  chiaro  che 
con  tale  voce  si  indicava  tanto  la 
rete  quanto  il  luogo  per  la  caccia. 
Lo  statuto  di  jMioglia  ha  la  rubrica 
de  non  capiendo  tessoras  in  alienis 
castagnetis.  Per  la  pesca  si  ha 

«  Si  quis  levabit  bertadellos  aut  alienas 
tesuras,  lentos  ad  pisces,  condemnetur.  » 
(Stat.  Godani;. 

Testa  (capo). 

«  Possinl  vendi  ad  vistam  teste,  gambe, 
pedes  et  gambuta.  »  (Stat.  Sarzane). 

Testis  (tegame). 

«  Quicuinque  projecerit  anforas  vel  or- 
ciolos,  vel  testes,  perdat  eie.  •»  (Podestà,  pa- 
gina 39). 

Testonus  (moneta  di  buon  argento,  che 
il  Desimoni  dice  introdotte  sul  fine 
del  XV  secolo  e  che  valeva  quin- 
dici soldi  e  poi  una  lira). 

«  Quod  pater  et  mater  non  debent  incitare 
aliquem  cum  scuto  vel  lesiono.  » 

Telare  (succhiar  latte). 

«  Bestie  tenere  non  dent  banum  nisi  essent 
cernute  a  matribus.  Victuli  vero  et  armen- 
tini  non  habeantur  prò  teneris,  postquam 
fuerint  sivernati.  Nec  alique  bestie  tetantes 
bimayum  vel  munzayum.  »  (Barelli,  Libro 
della  catena,  pag.  50). 

Theloneum  (dazio  sulle  merci,  vedi 
Scuffi,uiìi). 

Theucus  (Pie ve  di  Teco  in  vai  d' Arossia). 
«  Domini  Ulmete  faciant  omnia  su pradicta 
attendere  et  observare  et  suam  auctoritatem 
hominibus  de  Theuco  prestare.  »  Laudo  del 
1226  a  pag.  20S  del  Durandi,  Antiche  con- 
tese fra  i  pastori  di  Val  di  Panaro  e  Val 
d' Arossia. 

72 


GLOSSAHIO   AIEDlOEyAj:.E   LIGURE 


205 


Thonicella  (veste  dei  diaconi  e  suddia- 
coni all'altare). 

<  Cmn  missa  solemni  cinu  novis  thoni- 
cellis  auroortiatis.  >>{Storia  di  Recco,  p.  148). 

«  Fabricavit  cum  opere  suo  cimi  atiro  et 
setta  tonixelle  et  caputiiiin  pivialis.  »  (Ali- 
zeri,  Notizie,  VI,  pag.  228). 

Tiburius  (questo  vocabolo  che  abbiamo 
lasciato  senza  spiegazione  nella  prima 
parte,  pare  significhi  cupola  come 
dal  seguente  esempio). 

«  Promisit  facere  in  lanternino  pinaciili 
seu  tiburii  diete  ecclesie  hnagineniDeipatris.  » 
(Alizeri,  Notizie,  VI,  pag.  224). 

Tigurium  (tugurio). 

«  Seguendo  collectani  carpi  usque  ad  tigu- 
rium Goraxini  (Stat.  Bajardi). 

Timo  (timone). 

«  Perniittet  exlrahi...  arbores  et  antennas 
atque  timoìies  al  limonar ia.  Il  Belgrano,  dai 
cui  documenti  caviamo  questo  brano,  spiega 
il  vocabolo  timona,ria  per  quell'apparecchio 
che  serviva  a  sostenere  il  timone  contro  il 
fianco  della  nave,  donde  aziona. 

Tina  (vaso  grande  o  vasca). 

«  Prima  lina,  sive  fons  superior,  recipit 
origine-m  a  prato  Gregorii  Ricci.  »  (Stat. 
Sospitelli). 

Toapetum  (trappeto  o  franto]  o). 

«  Mutuum  cum  parte  eundi  ad  mutuantis 
molendimim,  vel  toapetum,  damnetur.  »(Lan- 
dinellus,  Sytiod.  albingan.  pag.  408). 

Tobalea  e  talora  toa^ia  (  pannolino 
bianco  che  copre  l'altare). 

«  Tribus  Ihiteaminibus  sive  tobaleis  sacri 
ficetur.   »  (De    Marinis,    Synod.  genuensis, 
pag.  13). 

Tola  (scrive  il  Rocca  nel  suo  pregiato 
libro  dei  pesi  e  misure,  che  questo 
vocabolo  usato  di  frequente  nelle 
carte  liguri,  risponde  all'antica  Ta- 
bula, pertica  di  dodici  piedi  qua- 
drati). 

Tolta  (aumento  di  tassa  forzato  . 

«  NulluìH pedagium  novum,  nullain  toltam 
super  inipositionem  constituam.  »  {Lib.  ju- 
rium,  I",  pag.  419).  Il  Cuneo  a  pag.  266 
ricorda  gli  ititroitus  tolte  grani  Purcifere ; 
dalla  tolta  hanno  preso  nome  le  maletolte 
che  si  incontrano  nelle  carte  degli  Aleramici 
in  Cairo). 

73 


Toma    (raviggiuolo,    piccola  forma  di 
cacio  fresco). 

«  Possi t  emere  caseum  grossuni  et  totnas 
prò  suo  usu.  »  (Stat.  Albingane).  Totnam  et 
bruceum  si  incontra  nello  Statuto  di  Nizza, 
caseum  et  tornavi  in  quello  di  Mentone.  È 
noto  l'antico  proverbio  promettere  Roma 
e  toma:  la  toi.ia  secondo  il  P.  Franco  equi- 
varrebbe al  cacio  tìo:e  di  Koma. 

♦ 
Tomerum  (vera  di  pozzo). 

«  Intt'lligatur  ad  remunerandu)n  toineriun 
putei.  »  (Podestà,  pag.  34). 

Tonina  (salume). 

«  Idem  intelligatur  de  vendentibus  seu  re- 
vendenlibus  panem,  pisces  salsos,  toninam 
et  alia  coinestibilia.  »  (Stat.  Albingane). 

Torna  (tornèo). 

«  Ordinaverunt  quod  duelum  ìiec  torna 
noìi  possit  facere  inter  predictas  universi- 
tates.  »  Convenz.  fra  Briga  e  Triora  del- 
l'anno 1250). 

Tornator    (lavoratore    di    ceramica    al 
tornio). 

«  Magistri  tornatores  vasoru)n  terreorum 
seu  vasallaininuni.  »  (Alizeri,  Notizie,  VI, 
pagg.  230). 

Tornus  detto  anche  dornus  (misura). 

«  Nel  1264  Marchesino  di  Voltri  promette 
a  Daniele  di  Fontanella  di  consegnargli 
quattro  mezanos  remi  qui  sint  iti  latitudine 
et  grossituditie  fortium  unutti  et  iti  longitu- 
dine cubitos  tresdecitn.  »  (Rocca,  Pesi  e  ati- 
tiche  misure,  pag.  61). 

Tortagna  (ritorta  di  vermene  verdi  per 
legare  il  fieno). 

«  Habeant  totam  herbani  et  fetium  et  tor- 
tagtias  et  speros profeno  portatido.  »  [Sestri 
antico,  pag.  48-49  . 

Totorium  (lavatoio). 

«  Fiat  totorium  seu  ablatorium  patmorum 
et  aliaruin  rerum,.  »  (Podestà,  pag.  60). 

Trabuchare  ? 

«  Nulla  persona  trabuchet  seu  fundat  mo- 
netam  januinam,  sub  pena  eie.  »  (Stat.  Janue 
Visdomini,  2»,  pag.  11). 

Trabuchus  (misura  agraria  di  sei  piedi). 
«  Qui  tertninus  dìstat  a  tnare  per  trabu- 
chos  viginli.  »  {Atti  della  Società  storica  sa- 
vonese, voi.  2°,  pag.  T31). 


2o6 


GIROLAMO   ROSSI 


Tracta  (nome  di  una  gabella). 

«  Niilliis  emptor  hannorum  traete  etemen- 
dorum  aliquod  officili  ìit  ducale  {habere)  pos- 
sit.  »(Stat.  Sospitelli).  Un  decreto  del  Doge 
e  cardinale  Paolo  di  Campofregoso,  del 
28  settembre  1847,  accorda  agli  abitanti  di 
Penna,  che  per  la  gabella  Traete  possano 
imporre  il  dazio  di  due  grossi  per  ogni 
bestia  grossa  e  di  un  quarto  di  grosso  per 
ogni  bestia  piccola. 

Trafigare  (trafficare). 

«  Idem  Alemanus  possit  et  valeat  ire  et 
trafigare  ad  quascumque  mundi  par  te  s.  » 
(Alizeri,  Notizie,  1°,  pag.  413). 

Trahinus  (barca  peschereccia). 

«  Omnes  patroni  trahinormn  piscaiitiuin 
incalles  Villefrance.  »(Atto  notarile  del  1418, 
secondo  il   Moris  piscare  ad  trahinum  va- 
leva pescare  col  lume). 
Traina  (specie  di  trave). 

«  .^SY  quis  tiraverit  trainam  per  viaiu  vol- 
tarmn,  solvat  prò  hanno  »  (Barelli,  Statuti 
di  Ormea,  pag.  157. 

Tramezana  (tramezzo). 

«  Vellet  sibi  servire...  mediante  tramezana 
de  mactotio.  »  (Alizeri,  Notizie,  II,  p.  208  . 

Trapa  (ramoscello). 

«  Homiìies  dicti  loci  scifidentes  bacula, 
schoegacia  trapas  raniaoiras  in  nemore 
Randiati  incidant  eie.  »  (Stat.  Bajardi). 

Traslicium  (tela,  traliccio). 

«Itemunum  traslicium  stacatiim.  y>{Cart. 
S.  Pofitii,  pag.  240). 

Travacha? 

«  Ioanncs  de  Rezio  et  Daniel  florentinus 
qui  pingere  habcfit  travacham  lobie  bran- 
dalis.  »  (Alizeri,  Notizie,  1°,  pag.  331). 

Travazare  (tramutare). 

«  Quod  januenses  prò  rebus  et  mercibus 
de  vassello  in  vasselum  travazatis,  nihil  sol- 
vant  rationc  juris  dohanarum.  »  (Sella,  Pan- 
dette delle  Gabelle,  pag.   118). 

Treuga  (tregua). 

«  Treuga  facta  cum  predicto  Sarracetio, 
insitnul  valde  aniicari  ceperunt.  »  (Caphar. 
Annal.). 

Treugus  (trivio  o  piazzetta). 

«  Teneatur  spazare  vias  et  lapide s  corani 
domo  sua  per  trcugos  rectos  »  (Barelli,  Libro 
della  catena,  pag.  29).  Sono  ricordati  in 
questi  capitoli  altri  treughi  cioè  quelli  ec- 
crexie,  liazoliorutn  et  galterii. 


Trezenum  (diritto  che  si  pagava  dal- 
l'enfiteuta  nel  trapasso  della  pro- 
prietà). 

«  Trezenuìn  infra  annum  solverit.  »  (Stat. 
Mentoni). 

Tricator  (fraudolente). 

«  Capere  consueverant  in  dicto  burgo  la- 
trones,  fures,  tricatores,  paltrones  et  fal- 
sarios.  »  (Podestà,  pag.  85). 

Triculus  (oste). 

«  Nullus  hospitator  vel  triculus  masculus 
vel /emina.,  pullos,  ora  seufructus  vel  pisces 
recefites  eniere  audeat.  »  (Stat.  Sarzanej. 

Trincharia  (sorta  di  giuoco  . 

«  'Tabernarius  tenens  trinchariam  possit 
vendere  vimini.  »  (Stat.  Nicie  . 

Tripoli  (polvere  che  si  usa  per  nettare 
i  metalli). 

«  Candelabra  abstergentur  pulver  e  puniceo 
quem  dicunt  Tripolim.  »  {Synod.  dioecesane 
Genuens.  ecclesie,  pag.  487). 

Trippa  (ventre  delle  bestie). 

«  Aliqua  persona  non  audeat  vel prcsumat 
lavare  aliquos  pannos  et  interiora  bestiarum 
sicut  utdieitur  trippe...  infra  fontes.  »  (Stat. 
Pornasii,  cap.  148). 

Triturare  (smagliare). 

«  Si  aliqua  persona  trituraverit  segetes 
ante  tempus.  »  (Stat.  Garlende,  pag.  53). 

Troia  (femmina  del  maiale). 

«  De  porcis  et  trois  non  nutriendis.  -st 
(Stat.  Albingan.). 

Trolium  (anticamente  esprimeva  un 
pozzo  o  cisterna  in  genere,  non  è 
stato  che  in  epoca  posteriore,  che 
si  riservò  tale  voce  a  designare  i 
pozzi  d'olio,  foderati  di  lastre  di 
lavagna). 

«  Si  quis  fecerit  fossas  seu  trolios  in  suis 
Ortis,  nemo  ipsos  vietare  possit.  »(Stat.  Apri- 
calis). 

Trossonus  (tronco). 

«  Subtus  quo  {querchu)  sunt  duo  trossoni 
de  qucrchu.»{Cart.  S.  Pontii,  pag.  89). 

Tuberes  (spiegato  dal  Cais  di  Pierlas 
per  azzeruoli). 

«  Campum  de  Ctenonios  ubi  tuberes  tra- 
huntur.  »  {Cart.  S.  Pontii,  pag.  43). 

[74 


GLOSSARIO   MEDIOEVALE  LIGURE 


207 


Tupinus    piccola  pignatta). 

«  Trayta  quingenti  tupinoruìn.  »(Morozzo, 
Le  storie  di  Monteregale,  voi.  3°,  pag.  68). 

Turchimanare  (interpretare). 

«  lacobinus  de  saticto  Siro  predicta  omnia 
turchimanavit.  »  (Ferretto,  Cod.  di  pioni.,  2", 
pag.  394). 

Turibile  (turibolo). 

«  Promittit  facere  et  construere  turibile 
unum  argenti.  »(Alizeri,  Notizie,  VI,  p.  316). 

Turire  1  montare  dei  tori). 

«  Homines  qui  eligant  iv  lauros  de  quo- 
libet  qjtarterio,  ad  turiendum  vachas  Baen- 
naruìH.  »  (Assandria,  Stai.  Baennaruni). 

Turonensis    moneta  francese  divisa   in 
lire,  soldi  e  denari). 

«  Constituo  ad  exigenduni  et  recipiendtcni 
a  domino  rege  Francie,  libras  ccntum  et 
solido s  tres  et  dennrios  tres  turonenses.  » 
(Belgrano,  Documenti,  pag.  67). 

Turrianus  (custode  di  torre). 

«  Si  pulsatimi  fuerit  ad  streìnitam  per 
turrianos.  »   Stat.   Uvade,  pag.  181). 


Turris  (torre,  abitazione  degli  homines 
majorcs  o  domini,  che  alzavano  tali 
edifici  nel  castrum,  e  mai  nel  borgo, 
dove  rumoreggiavano  e  prevale- 
vano gli  uomini  della  compagna  ; 
e  secondochè  scrive  il  Giancardi 
3-  P^g"-  52  delle  Imprese  di  Alassio, 
era  in  uso  nella  Liguria  che  le  fa- 
miglie, le  quali  erano  in  grado  di 
costrurre  ed  armare  a  loro  spese 
una  nave  o  galera,  acquistavano  il 
diritto  di  alzare  una  torre  nel  paese, 
privilegio  che  faceva  passare  gli 
arricchiti  borghesi  nel  campo  degli 
odiati  signori). 

Tuvea  (massa  vulcanica  consolidata  in- 
sieme). 

«  Circa  archam  tuveani  supradictani  in- 
venta sunt  ossa  et  reliquie  beatoruni  confes- 
sorum  Felicis  et  Roniuli.  »  (Ottob.  Scribe, 
Annales.,  anno  1188). 


U 


Uels  (Utelle,  nel  contado  di  Xizza). 

«  De  Uels  xviii  denarios.  »  (Cais,  Cartul. 
de  la  Cath.  de  Nice,  pag.  48). 

Ulmeta  (Ormèa,  capoluogo  dellcA^iozene 
lunghesso  il  Tanaro,"  reso  celebre 
nel  medio  evo  per  le  secolari  con- 
tese cogli  emuli  pastori  di  Val  di 
Arossia,  che  convenivano  in  Teuco, 
contese  di  cui  tratta  con  erudita 
memoria  Iacopo  Durandi). 

«  Alpes  Viozene  in  posse  et  territorio  Ul- 
mete...  nemo  possi t  bandire  vel  disbatidire 
hominibus  Ulmete dictum  locutn.  »  (Durandi, 
pag.  204  e  208). 

Umbraculum  (ombrello  per  accompa- 
gnare il  viatico). 

«  Satis  ad  faciendum  novum  umbraculum 
Corporis  lesu  Chrisli.  »  (Alizeri,  Notizie, 
VI,  pag.  332). 

Umbrina  (ottimo  pesce  di  scaglia). 

«  Piscatores  non  possint  vendere  ad poti- 
dus  aliquam  juntam  de  capite  vel  de  cauda 

73 


alicujus  thotii,  sede,  umbrine,  figi  vel  cer- 
vioris,  sub  pena  eie.  »  (Pandiani,  Stat.  di 
Porto   Venere,  pag.  87). 

Unta  (oltraggio). 

«  Si  fecerint  ficuin,  vel  dixerint  untani 
vel  vituperium  Dei  vel  alicujus  sancii,  au- 
feraìn  solidosjatine/ises.  »  1  Podestà,  pag.  51). 

Usaticus  (usufrutto). 

«  Condo7iavit  tcrciam  parteni  totius  usatici 
et  lezede,  quam  in  sua  terra  soliti  erant 
dare.  »  {Lib.  jurium,   i",  pag.  39). 

Usucapio  (prescrizione?) 

«  lurent...  de  rebus  et  libellariis  injuste 
ablatis  usucapione  per  viginti  annos.  » 

Uvaga  (misura  di  capacità). 

«  Pro  qualibet  uvaga  cere  odo  denarios.  » 
{Lib.  jurium,  2",  pag.  462). 

Uxerius  (sorta  di  nave). 

«  Pro  servitio  iviperatoris  cum  duodecim 
galeis  et  uxeriis fecerunt.  »(Ottobon,  Scribe, 
Ann.  1194). 


208 


GIROLAMO   ROSSI 


V 


Vacheta  (libro  in  cui  si  scrivono  le 
cose  minute). 

«  Insuper  dicti  notarii  facere  icueantur 
unum  repertorium  in  quadam  vacheta.  » 
(Stat.  Sarzane), 

Vadimonium  (scommessa). 

«  Considera!! fes  odia  lifes  et  discordìas... 
que  ex  infi-ascriptis  vadimoniis  orivi  vi- 
deniur,  staluinius  etc.  »  (Stat.  Padri,  p.  224). 

Valdum  ? 

«  Item  quod  possit  pasturare  et  allevare 
in  Valdo  marchiouis  sine  drictu  et  fictu  et 
aliquadacita.  »(Documeiiti  di  Cairodel  1235). 

Valimentum  (valore). 

«  In  dieta  quantitate  seu  in  valimenio  diete 
qiiantilatis.  »  (Rossi,  Stai,  liguri,  pag.  202). 

Vallonus  (torrentello). 

«  Juxta  vineam  niagistri  Petri  Barralis 
et  juxta  vatlonmn  a  parte  inferiori...  a 
parte  superiori  juxta  quoddani  vallonetutn.  » 
{Cari.  S.  Pontii,  pag.  271). 

Vanga  (fossa). 

«  De  clausuris  terrarum  et  vàngis  pur- 
gandis.  »  (Stat.  Levanti,  pag.  40). 

Varare  (immettere  in  inare  una  nave). 

«  Quocumque  tempore  lignum  novum  de- 
beatur  varare,  debeat  dare  scaraticum.  » 
(Cuneo,  pag.  11). 

«  Mestrales  habeant  potestatem  recipiendi 
pignora  ad  varandum  Ugna  nova.  »  [Lib. 
Juriiim,   i",  ann.  1149). 

Vassellus  (vascello). 

«  De  lignis  seu  vassrllis  onera  tis  fructi- 
hus.  *  (Sella,  Pandette,  pag.  163). 

Vasteria  (tratto  di  terreno,  dove  i  pa- 
stori adunavano  e  lasciavano  dor- 
mire i  loro  greggi,  ricevendo  dai 
proprietari  un  convenuto  compenso 
per  lo  stallatico  che  vi  rimaneva, 
atto  a  concimare  il  podere). 

«  Vasteria  tnultum  necessaria  juxta  terratn 
Simconis  Cabagnr  qu''  pallia  reinanere  de- 
beat tatii  prò  vasteria,  quain  abeuragio  et 
passagio.  »  (Stat.  Sospitelli). 


È  indubitato  che  al  vocabolo  vasteria 
vanno  associati  i  nomi  di  vaylis  capo  di 
una  o  più  parie  di  armenti  o  greggi,  di 
pastor  custode  di  mandrie,  di  pecudarius 
conduttore  di  armenti  e  primo  fra  tutti 
quello  di  vaccarius  fabbricante  di  for- 
maggi; poiché  conviene  persuadersi  che 
nei  passati  secoli  nei  quali  era  sconosciuta 
l'eguaglianza,  anche  in  mezzo  ai  pastori 
era  riuscita  a  far  capolino  la  gerarchia. 

Vastum  (danno). 

«  Si  vastum  factum  f neri tipsis  comitibus.  » 
(Cais,  Pes  Stat.  de   Vinti mil.,  pag.  120). 

Vazi? 

«  Item  concesscrant  liberam  facultatetn 
posse  libere  et  impune  super  alpibus  Tende 
unant  paritam  pecudum  magnani  et parvam 
proni  honiinibus  Priorie  placuerit  et  vide- 
bitut  et  alias  bestias  de  vazi  grossas  vel 
minutas  pascere  totas  alpes  Tende.  »  (Con- 
venzione dell'anno  141 1). 

Veges  (veggia  o  botte,  che  nel  medio 
evo  era  in  uso  per  misurare  la  ca- 
pacità delle  navi). 

«  Habeat  dieta  navis  vegetes  prò  aqua  te- 
nenda  prò  niezarolis  duobus  niillibus.  »  (Bei- 
grano,  Documenti,  pag.  11). 

Vendersi  o  Vendertii  (antica  abbazia  in 
quello  di  Tortona,  di  cui  si  perdette 
il  nome  coli' erezione  dell'abbazia 
di  Albera.  (Pollini,  Alemorie  storiche 
drlln  chiesa  di  Tortona,  pag.  49). 

Veretonus  (proiettile  da  balestra). 

«  Item  veretonorum  capsie  sex.  »  Rossi, 
Storia  del  marchesato  eie,  pag.  91). 

Vernacia  (vino  prelibato). 

«  Non  liceat  alieni  vendere  vinum  eodem 
tempore  in  taberna,  excepta  vernacia.  » 
(Stat.  Sarzane). 

Vernix  (vernice). 

«  SoluìH  chori  ligncnm  fi-icctur  sanda- 
racha,  quam  verniccm  dicuvt.  »  {Synod. 
dioeces.  genuensis,  pag.  479). 

.76 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE  LIGURE 


209 


Vermis  (baco  da  seta). 

«  ihii  ìuisso  Gebennas  qiiesi/uin,  vermes 
facientes  siricum.  »  (Giorn.  ligustico,  1882, 
pag.  74). 

Verzarium  (verziere). 

«  Hoìiiines  qui  habent  terras  deversus  ver- 
zarium. »  (Stat.  Albingane). 

Veta  (impedimento). 

«  Ille  qui  fecerit  vetain,  ieneatur  emendare 
furtum.  »  (Stat.  Carpasii). 

Vetturalis  (vetturale). 

«  Nullus  vetturalis  vadens  apud  Lunam... 
accipiat  Itisi  unam  soinmam  ]>ro  asino.  » 
(Podestà,  pag.  46). 

Viagium  (corsa,  viaggio). 

«  Naulizamus  bucium  novum  nostrum  qui 
vocatur  S.  lohannes  in  viagio  Romanie.  » 
(Belgrano,  Documenti,  pag.  318). 

Vianda  (cibo). 

«  Veniemus  ad  expensas  comunis  tantum 
viande  et  civade  dunitaxat.  »  {Lib.jtcriuni,  I, 
pag.  408)  ;  «  /«  vianda  armis  et  pannis  et 
aliis  rebus  necessariis.y>(Ogenì  Panis,  Annat. 
1210). 

Vicecomes  (titolo  distinto  affatto  dal 
feudale  e  che  veniva  assunto  da 
compartecipi  in  contratti  di  com- 
mercio o  di  navigazione,  per  cui 
si  trovano  numerosi  casati  di  Vi- 
sconti in  Genova). 

«  Vicecomites  et  participes  vicecomitatus 
jura  que  habent  in  dicto  introytUf  possunt 
vendere  donare.  »  (Doneaud,  Commercio  e 
navigazione  dei  Genovesi,  pag.   152). 

Omnes  homines  exceptis  illis  de  cpiscopatu 
lamie,  quando  veniunt  lanuam,  cum  mer- 
cibus  et  implicitam  faciunt  dant  vicecomi- 
tatum  secundum  quod  continctur  in  registro 
vicecomitatus.  Omnes  vicecomites  et  omnes 
qui  habent  partem  in  introytu  ripe  et  vice- 
comitatus faciam  convocare.  (Idem.,  p.  148  . 

Vidimus  (così  appellavansi  nel  medio 
evo  le  copie  autentiche  di  docu- 
menti estratti  dall'originale). 

«  Petierunt  compctetis  et  idoneum  vidhnus 
et  exemplum  publicicm  in  judicio  et  extra 
vatiturum.  »  (Manuel  di  S.  Giovanni,  Me- 
morie storiche  di  Dronero,  parte  3^,  pag.  73). 


Vigilie  (nei  primi  secoli  del  Cristiane- 
simo, nelle  notti  precedenti  le  so- 
lennità, si  teneano  aperte  le  chiese 
per  recitarvi  le  orazioni  prepara- 
torie pel  domani). 

«  Predicta  impteantur  officia  et  vigiliarum 
prò  nobis  ipsa  nocte  largiantur  studia  et 
cantetur  vesper.-»  (Cart.  Lirinense,pag.  263). 

Ma  da  questi  notturni  convegni  essendo 
originati  disordini  e  scandali  ,  vennero 
proibiti  : 

«  Vigilie  et  excubie  in  ecclesiis  non  per- 
niittcnde.  »  (Landinellus,  Synod.  Albingan., 
pag.  144). 

Vincus  osterius  (ferro  da  far  ostie). 

«  Item  prehet  vincos  ostcrios  ad  faciendum 
ostias.  »  (Cart.  S.  Pentii,  pag.  369). 

Vineta  (vinello). 

«  Aliqua  persona  non  audeat  vendere  vi- 
netani  prò  vi?io.  »  (Stat.  S.  Romuli). 

Viola  (strumento  musicale  a  corde). 

«  Quicumque  repertus  fuerit  de  nocte... 
pulsando  cum  lira,  viola,  lento,  seu  alio 
quovis  instrumento...  condemnefur,  »  {Stat. 
criminal.  Saone,  pag.  53). 

Visarium  e  anche  Vilzarium? 

«  De  arboribus  stantibus,  vel pluvientibus 
vel  adumbrantibus  super  alienis  domibus 
visariis  et  aleis.  »  (Stat.  Lavine). 

«  Si  quis  inventus  fuerit  de  nocte  in  aira 
vel  vilzario,  vel  in  horto,  solvat.  »  (Stat. 
Naticini). 

Voga  (remo). 

Corrado  di  Mileto  promette  di  conse- 
gnare in  Genova  duodeciìii  vogas  della 
lunghezza  di  13  gode  e  della  lunghezza 
unius  buche  canis  et  grossitudinis  medii 
parmi.  Il  Rocca  Pietro  crede  che  la  mi- 
sura di  bocca  di  cane  risponda  a  dieci  dita. 

Vogare  (remare). 

«  Remi  boni  prò  vogando  ad  minus  cxxx.  » 
(Saoli,  Della  colonia  dei  Genovesi  in  Calata, 
pag.  506).  Si  incontra  non  di  rado  il  vo- 
gerius  per  rematore. 

Volta  (la  copertura  in  materia  di  un 
edificio,  per  distinguerla  dal  sola- 
rium, che  era  fatto  di  legno). 

«Pro  pensioìie  volte,  in  qua  reponiin- 
tur  cartularia  notariorum  defunctoruni.  » 
(Cuneo,  pag.  277). 


77 


27  —  Mise,  S.  Ili,  T.  XIII. 


2IO 


GIROLAMO   ROSSI 


Si  trova  anche  in  significato  di  fiata, 
viva  sempre  nel  dialetto: 

«  Lit  mulieres  que  ad  secundam  voltam 
transierint.....  teneantur.  »  (Stat.  Pere , 
pag.  694). 

Vultergium  (fodera). 

«  Tovaliolam  unain  involiilam  uni  vul- 
tergio  novo.  »  (Giornale  ligustico,  1884, 
pag.  354). 

Vulturum  (Voltri). 


L'egregio  Alizeri  a  pag.  109  del  1°  voi. 
delle  sue  Notizie,  scrive  che  non  uno,  ma 
due  Voltri  (o  Vutri  nel  linguaggio  verna- 
colo) suonano  e  in  Toscana  e  in  Liguria. 
Aggiunge  che  dove  possono  con  voce  ita- 
liana produrre  equivoco,  sotto  spoglia  la- 
tina non  usano  confondersi,  conciossiachè 
il  nostro  Voltri  negli  atti  di  quella  età, 
non  altrimenti  che  prima  e  dopo,  non  si 
appella  che  Vulturum.  Mentre  Vultrium 
non  nostro,  fu  già  castello,  ed  ora  credo  non 
più  che  villaggio  in  Maremma  vicino  di 
Grosseto. 


X 


Xola  (pialla  incurvata). 

«  Ferrar ius  habeat  prò  fac tura  xole  ìwve 
solid.  III.  »  (Assandria,  Stat.  Baenuar.). 


Y 


Ypotecharius  (farmacista). 

«  Medici  nou  habeant  societatem  cuni 
ypothecariis,  ncc  ypothccarii  cum  viedicis.  » 
(Stat.  Nicie). 


Zabra  (ciabre  in  Piemonte  e  chiara- 
vugli  in  Liguria). 

«  De  zabra  secundo  nubenlibus  uou 
fienda.  »  {Syuod.  cpis.  taurinensis  Provane, 
1507,  cap.  LXXX). 

Zapella    sorta  di  giuoco). 

«  Ludere  ad  ludum  zapetle  vulgo  pareti.  » 
(Stat.  Lavine). 

Zelsmont  (grasso  di  foca). 

«  Pro  qualibet  lagena  sive  tonna  sagi- 
ìuinis  foce  yVulgariter  die  ti  zelsmont.^  quatuor 
denarios.  »  {Lib.  jurium,  II,  pag.  462). 

Zerbinus  (stuoja). 

Il  Ferretto  {Cod.  diplom.  2",  pag.  421) 
ricorda  certo  Nicolò,  che  riceve  lire  ven- 
titre implicatas  in  carpitis  et  pice  et  zer- 
binis. 

Zerbolum  e  Zerbodum  (nome  di  un 
antico  castello  dei  Conti  di  Venti- 
miglia.  che  si  ergeva  al  confine  oc- 
cidentale del  loro  feudo). 

In  una  bolla  di  papa  Lucio  III  del  1184, 
nella  quale  conferma  ai  canonici  della  cat- 
tedrale di  Ventimiglia  varii  luoghi  dove  po- 
tevano decimare,  viene  ricordato  Agerbol  ; 


in  altra  carta  del  1186  è  detto  coincs  non 
debcat  habcre  refugiuni  in  Poypino  vel  Ro- 
chabruna  ncque  in  Colbi  vel  in  Gerbol;  in 
altro  atto  di  vendita  fatto  dai  Templari  in 
Albenga  il  18  gennaio  1191,  è  compreso 
locuin  ubi  dicitur  Zerbolum  qui  est  ultra 
Vigintimilli  civitatem  ;  finalmente  nella 
cessione  fatta  da  Guglielmo  ed  Enrico, 
conti  di  Ventimiglia,  al  comune  di  Genova 
sono  ricordati  Castrum  Golbii,  Zerbodi  etc. 
Di  questa  località,  pressoché  ora  dimenti- 
cata, rintracciava  le  rovine  di  quattro  torri 
quadrate  e  di  un'elegante  chiesuola  dedi- 
cata a  S.  Quintino  del  xii  secolo,  l'egregio 
cav.  canonico  de  Villeneuve,  Elemosiniere 
e  Bibliotecario  di  S.  A.  S.  il  Principe  di 
Monaco. 

Zingari  (vagabondi  originarli  delle  Indie 
che  predicono  la  buona  ventura). 

«  A  sua  parrochia  mendicos,  vagabuudos 
et  crroìies ,  qui  vulgo  zingari  dicuntur, 
expellat.  »  (Spinula,  Constit.  Synod.  Sarza- 
nensis,  pag.  202). 

Zopus  (zoppo). 

«  Ncc  debeat  aliquis  constitui  serviens 
qui  sii  sideratus  zopus.  »  (Cuneo,  Debito 
pubblico,  pag.  285). 

78 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE  LIGURE 


Zornea  (giornea,  sopravveste  di  dignità 

militare). 

«  Zorneas  duas  de  camucato  albo  prò  dictis 
fratribiis.  »  (Giorn.  ligust.,  1SS4,  pag.  334). 

Zucha  (zucca). 

«  De/eretifes  zuchas  rccentes  nihil  solvant.  » 
(Stat.  Vezzani,  pag.  36). 

Zuchus  (parte  ingrossata  di  qualunque 
radice  d'albero). 


«  Quis  extirpaverit  zuchos  ha  Io  sta- 
tuto di  Garlenda  ;  e  la  rubrica  de  zuchis 
non  extirpandis,  si  legge  in  quello  di 
Triora. 


Zuoitus  ? 


«  Coìtfeciones  scirtippos  specias  medicinas 
et  alias  quascmnque  spectantia  ad  dictavi 
artem  (speciarii)  facient  de  bona  zuoito.  » 
(Filippi  negli  Slatuli  già  citati,  pag.  95). 


W 

Tanto  nella  lingua  tedesca,  quanto  nel  rozzo  latino,  la  iìì  doppia  si  pronuncia 
come  gu  nell'italiana  lingua,  come  : 

Waita  e  Scarawaita,  per  guaita  e  sca-     Wardianus,  per  guardianus. 


raguaita. 
Wantelmus,  per  Guantelmus. 
Warcinia  (dicevasi  l'opera  di  segare  il 

fieno). 
«  Ipsa  warcinia  facere  minime  volueri- 

mns.»  {Be\gvano,  Cariarlo  /genovese,  p.  566). 


Warnerius,  per  Guarnerius, 
Wide,  per  Guido. 
Wilelmus,  per  Gulielmus. 


79 


212 


GIROLAMO   ROSSI 


GLOSSARIO  DEL  DIALETTO 


Acabanare  (nascondere). 

«  Li  fece  tuti  acabanare  in  una  villa 
apreso  Santa  Maria  de  Loreto.  »  (Abate, 
Cronache  Savonesi,  pubblicate  nel  1897  dal 
dott.  G,  Assereto,  pag,  59). 

Acatare  (comprare). 

«  Chi  eusse  denari  a  chatarla.  »  {Memo- 
riale di  Sa/uzzo,  pag.  422). 

Achotrao  (acconciato). 

Vedi  esempio  a  pag.  459  dell'ora  citato 
Memoriale. 

Angao  (pei-golato). 

«  Denanci  a  dite  cazc  gè  aviano  uno 
belo  angao,  bene  fornito  de  vize.  »  (Abate, 
pag.  155). 

Angaria  (imposizione). 

«  La  villa  de  Leze  fa  angaria  per  fochi 
224.  »  (Abate,  pag.  212). 

Arabelare  (rimorchiare). 

«  La  sua  madre  la  arabelava  in  la  riana.  » 
(Abate,  pag.  315). 

Arancare  (sradicare). 

«  Fece  arancarc  li  termi.  »  (Abate  , 
pag.  157). 

Arembare  (appoggiare). 

«  E  fecero  la  porta  de  la  cita  verso  la 
marina  arembata  a  lo  dito  baloardo.  » 
(Abate,  pag.  85). 

Arre  (errore). 

Vedi  esempio  a  pag.  10  del  Ciornaìc 
Lio  US  fico  ilei  1886. 


B 

Baragna  (luogo  pieno  di  spine  e  di 
sterpi). 

Vedi  esempio  nel  Bruzza,  Iscrizioni  ver- 
cellesi, pag.  xcvi. 

Barcon  (finestra  aperta  sino  al  pavi- 
mento). 

Biribissi  (di  questo  giuoco  tanto  noto 
nel  XVIII  secolo,  dà  la  descrizione 
il  Casanova  a  pag.  201  della  C071- 
tessa  Clementina). 

Era  un  tavoliere  che  aveva  36  caselle  : 
ogni  giuocatore  estraeva  tre  numeri  con- 
secutivi e  se  indovinava  alcuno  dei  36  nu- 
meri guadagnava  32  volte  la  posta.  I  ban- 
chieri del  biribissi,  detti  biribanii,  erano 
tre,  uno  teneva  il  sacco,  l'altro  il  denaro 
e  il  terzo  aveva  l'ispezione  del  tavoliere. 

Bregantino  (nave). 

«  Teniamo  una  nave  armata  in  le  porte 

de  Saona  e  uno  bregantino  armato.  »  (Abate, 

pag.  52). 
Brumezzo  (esca  che  si  sparge  nel  mare 

per  adescar  pesci.  Giorn.  ligustico, 

1886,  pag.   12). 

Brustia  (pettine  grosso). 

«  Una  brustia  da  lino  e  dei  petini  da 
stopa.  »  (Abate,  pag.  194). 

Buso  (acerbo,  immaturo). 


Capeta  (dispregiativo,  dice  l'Assereto, 
a  significar   gente    d'infima  plebe). 
«  Vogio  fare  memoria  de  li  grandi  bra- 
vasi  e  spadasini    e   capete    e  rompiceli.  » 
(Abate,  pag.  266). 

80 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE  LIGURE 


21 


Caraca  (barca). 

«  La  peste  se  diceva  uzita  da  una  caraca 
de  Napoli.  »  (Abate,  pag.  20). 

Caregaro  (calzolajo). 

«  Lospitale  per  li  infermi  incurabili  no- 
minato lospitale  de  S,  Paulo...  e  lospitale 
de  li  caregari.  »  (Abate,  pag.  216). 

Chiaggio  (così  veniva  chiamato  un  ter- 
reno, che  avea  sofferto  il  taglio 
degli  alberi  e  non  conservava  più 
che  cespugli  ed  arbusti.  {Basidi  di 
Cairo,  artic.  5). 

Cosciatico  (diritto  che  vantavano  al- 
cuni feudata,ri  di  prelibare  il  primo 
fiore  delle  spose). 

È  vocabolo  usato  dal  prete  Panizzi  in 
un  poemetto,  stampato  alla  macchia  nel 
1713- 

Cratiliaria  (unito  a  taberna,  indicava  il 
luogo  dove  si  facevano  i  basti). 

D 

Danza  moresca  (così  appellavasi  una 
danza  fatta  da  carbonari  che  salta- 
vano in  mezzo  a  cerchi  di  legno, 
di  cui  gli  uni  si  intrecciavano  ad 
altri  in  modo  diffìcile  e  studiato. 
Ora  con  spade  battevano  a  cadenza 
musicale,  ora  baldanzosi  correvano 
all'assalto  ed  ora  retrocedevano  però 
in  modo  misurato  e  concorde). 


Fantina  (nubile). 

«  Fu  trattato  de  donare  dita  fantina  per 
spoza  alo  figliolo  secondo  de  lo  dito  re  di 
Fransa.  »  (Abate,  pag.  108). 

Fideli  (vermicelli). 

Il  Verzellino  ricorda  fra  le  gabelle  di 
Savona  quella  dei  fideli. 

Foglietta  (dazio  che  s'imponeva  a  chi 
smerciava  al  minuto  generi  di  ci- 
baria e  vino). 


Gauzera  (gazzarra,  allegria). 

«  Il  Signore  de  IMonago  ha  fatto  grande 
gauzera.  »  (Saige,  Documents,  I,  pag.  623). 

81 


Giboreia  (specie  di  ricotta,  di  cui  si 
parla  negli  Statuti  di  Nizza  del  1673, 
pag.  43)- 

I 

Imbrumme  (ingombro,  vedi  Giornale 
ligustico,   1886,  pag.  15). 

Incartare  (matricolare). 

«  Ninno  ardiva  incartare  alcun  garsone 
per  meno  tempo  d'anni  sei.  »  {Aiti  delia 
Società  Storica  Savonese,  tom.  2",  pag.  85). 

Intopare  (imbattersi). 

«  In  meso  Jesu  Christi  li  intopava.  » 
{Atti  detta  Società  Ligure,  voi.  XIX,  pag.638). 


Lairo  (in  Castel  Vittorio,  tale  voce  vale 

grido). 

Lala  (zia  in  tutta  la  Liguria). 

Libbia  (sorgente  d'acqua). 

«  Se  mai  libbia  o  pozzo  derivasse  dal- 
l'altrui terra.  »  {Statut.  Rio  di  Groppo, 
pag-  38)- 

M 

Masacano  (muratore). 

«  Mi  ordinono  che  avese  adornare  a  veci 
con  3  masacani.  »  (Abate,  pag.  159). 

Mascata  (ceffone). 

«  Non  osi  dare  mascate  o  masellate.  » 
{Stai.  Rio  di  Groppo,  pag.  7). 

Mazzaro  (mantiglia  bianca  che  porta- 
vano le  donne  genovesi,  rispondente 
in  parte  al  zendado  nero  veneziano). 

Monti  liguri  (col  Trattato  di  Campo- 
formio  e  di  Luneville  i  feudi  impe- 
riali vennero  aggregati  alla  Re- 
pubblica ligure  sotto  la  detta  de- 
nominazione). 


Osca  (quella  porzione  di  metallo  affilato 
che  si  stacca  da  un'arma  da  taglio). 


214 


GIROLAIMO   ROSSI 


Piccagia  (legacela). 
Poazza  (grossa  falce). 

R 

Ramassa  (slitta). 

«  Non  manca  il  comodo  d'abbreviare  la 
strada  (coperta  di  neve)  col  beneficio  della 
loza  detta  Ramassa.  »  (Gofifrcdo,  Storia  delle 
Alpi  marittime,  pag.  28). 

Rapa  (uva  pigiata). 

«  Tina,  bota  e  torni  da  torze  la  rapa.  » 
(Abate,  pag.  103). 

Reba  (piazza  del  mercato). 

«  In  data  piaza  se  contane  la  reba,  dove 
tuti  li  mulatieri  portano  tute  le  vitoaglie 
a  vendere.  »  (Abate,  i)ag.  208). 

Repellare  (giocare  o  sia  repellare  in 
compagnia). 

Questa  spiegazione  testuale  che  caviamo 
dal  capit,  XXVI  degli  Statuti  civili  e  cri- 
minali di  Rio  di  Groppo,  serve  a  snebbiare 
il  significato  dei  vocaboli  Repelatio  e  Re- 
pelium  da  noi  inseriti  nella  prima  parte 
di  c}uesto  Glossario  e  che  secondo  l'anno- 
tatore della  Cronaca  di  Sahizzo  risponde- 
rebbe al  rabel  piemontese. 

Revezolo  (cruschello). 

«  La  valuta  de  lo  breno  e  de  lo  reve- 
zolo. »  (Abate,  pag.  163). 

Richela  (grano  di  prima  qualità). 

«Comprano  una  mina  di  richela.  »  (Abate, 
pag.  162). 

s 

Sacrestia  (questo  vocabolo  oltre  di  si- 
gnificare il  luogo  dove  si  conserva- 
vano le  cose  sacre,  dinotava  pure 
in  Genova  e  nella  Riviera  la  stanza 
dove  erano  custodite  le  carte  del 
Comune.  Così  pure  venivano  deno- 
minate nel  palazzo  di  S.  Giorgio  le 
stanze,  dove  era  depositato  il  de- 
naro; e  sacristi  erano  appellati  co- 
loro che  erano  incaricati  della  cu- 
stodia dei  pegni). 

Scotona  (vacca  giovine). 


Sebba  (tinello). 

«  Ogni  macinatore  dovrà  avare  almeno 
due  tinella,  dette  volgarmente  sebbe.  »  (Stat. 
Nizza,  1673). 

Sesdro  (scrive  il  Pollini  a  pag.  164 
delle  Notizie  di  Malesco,  che  così 
si  chiamava  la  stalla  destinata  a 
custodire  i  tori  per  l'accoppiamento 
colle  vacche  . 

Spaudo  (così  si  appellava  nei  paesi  di 
Val  d'Arossia  un'imposizione  pecu- 
niaria, che  un  giovine  sposo  doveva 
sborsare  alla  gioventù  del  luogo, 
nel  giorno  in  cui  impalmava  la  fi- 
danzata). 

T 

Targata  (messo  comunale). 

«  Mandavano  targete  a  domandar  cose 
nuove.  »  (Abate,  pag.  71). 

Tartanone  (specie  di  rete  che  si  tira  in 
mare  come  la  rissuola  e  la  sciabica). 

Temeni  (così  sono  denominati  dal  Ce- 
lesia  i  recinti  in  pietra  che  si  rin- 
vengono in  alcune  alture  delle  Alpi). 

Traina  (mercè  un  esempio  estratto  dal- 
l'Abate, si  può  con  sicurezza  affer- 
mare che  truina  valeva  tetto  appeso). 
Le  antiche  chiesa  coperta  la  più  parte 
in  travature,  lasciavano  costrurre  solo  sopra 
gli  absidi,  dei  tetti  appesi  che  decoravano 
di  pitture.  L'ora  citato  autore  parlando  a 
pag.  49  d'un  ladro,  che  avea  rubato  il  ta- 
bernacolo nella  chiesa  dì  S.  Pietro  di  Sa- 
vona, scrive  che  fu  trovato  tra  viczo  lo 
telo  e  la  truina.,  cioè  nell'intercapedine 
formata  tra  la  travatura  e  la  volta  in  calce. 
Da  queste  poche  parole  viene  chiarito  il 
dubbio  da  noi  incontrato  nel  dare  la  spie- 
gazione della  voce  troyna. 

u 

Uvernengo  (d'inverno). 

«  C'è  uno  arboro  de  pele  uvarnenga.  » 
(Abate,  pag.  157). 


Zachara  ? 

«  Non  osi  battere  alcuna  persona  con 
pugno,  preda,  bastone  o  zachara.  »  (Stat. 
Rio  di  Groppo). 


82 


GLOSSARIO   MEDIOEVALE  LIGURE 


215 


AGGIUNTE    AL   GLOSSARIO 


Acquinea  (Gli  Ebrei  erano  ammessi  a 
giurare,  secondo  un  atto  del  1376, 
super  literas  mosaicas,  ut  est  moris 
judeis,  jtirare  ad  acquineam).  Bres 
Giuseppe,  da  un  Archivio  ?iotarile 
di  Grassa.  —  Nizza,  tip.  Robaudi, 
1907,  parte  I,  pag.   73. 

Acumiadare  (accomiatare). 

«  Promittimt  dictuni  Guillielnmni  noti  de- 
serere,  nec  acumiadare.  f>  (Idem,  pag.  11). 

Aleysuch  (giuoco  d'azzardo). 

«  Prcdicttis  nobìlis...  non  debeat  liiderè  ad 
aliqiiem  ludum  «  aleysuch  »  sed  tantum  causa 
solata  ad  banhat.  »  (Idem,  pag.  45  e  46). 


Banhat  (giuoco  d'  azzardo,  vedi  Aley- 
such). 

Bolendinum  (modo  di  pesca). 

Nel  1474  a  pescatori  di  Oneglia  era  stata 
concessa  facultatem  cum  eoruin  barcha  et 
ingeniis  suis  ad  bolendinum  tantum  piscandi 
anas  presenti  et  non  ultra.  »(Idem,  pag.  54). 

Bota  (barca  peschereccia).  Per  l'esempio 
vedi  Bordigol. 

Bordigol  o  Bordiga  (chiamavasi  un  re- 
cinto formato  con  giunchi  e  canne, 
nei  canali  di  comunicazione  fra  gli 
stagni  e  il  mare  per  prendervi  i 
pesci). 

«  Faciant  etfacere  debeant  in  stagno  maggie 
robine  territorii  loci  de  napola  unmn  inge- 
niuìn  bordigol,  vulgariler  appellatuììi  aptum  et 
sufficiens  adpisces  capiendum  qtceìnadmodutn 
in  talibus  capi  solent.  Itein  debeatit  tenere 

83 


unam  botani  sive  barcam  et  retia  necessaria 
ad  ipstim  bordigol.  Item  habere  debeant 
pales,  catinas,  fayssinas  et  alia  necessaria 
ad  perfectionem  dicti  bordigoli  faciendi.  » 
(Idem,  pag.  32). 

Questa  nota  conferma  quanto  scrivevamo 
al  vocabolo  Burdigheta  a  pag.  29  della  i* 
parte. 

Bugueira  (specie  di  rete). 

«  Suis  retibus  sive  bugueiris  colatis,  in 
mare  venit  cum  suo  trayno  et  suis  marina- 
riis.  »  (Idem,  pag.  125). 


Calanca  (distretto  marittimo  assegnato 
per  potervi  pescare). 

«  Notificatio  calancarum  ad  piscandum 
prò  uìiiver sitate  de  Canoys;  »  ed  in  tale  no- 
tificazione sono  ricordate  otto  calanche  nelle 
isole  di  S.  Onorato  e  di  S.  Margherita.  » 
(Idem,  pag.  54). 

Colobrina  (colubrina,  pezzo  lungo  d'ar- 
tiglieria). 

«  Itetìi  et  quatuor  colobrinas  bonas  et  suf- 
ficientes  ferri  munitas.  »  (Idem,  pag.  77). 


Eysseldonus  (tegola). 

Giovanni  Bosqui  di  Barcellonetta  pro- 
mette di  fornire  il  numero  di  dodicimila 
eysseldonum,  pel  tetto  della  chiesa  did  frati 
minori  di  San  F"rancesco.(Idem,  pag.  29). 


Fayssina  (fascio  di  legna  legato  ai  due 
capi  per  far  riparo  ad  acque  che 
inondano).  Per  l'esempio  vedi  Bor- 
digol. 


2l6 


GIROLAMO   ROSSI 


Fermalhus  (fermaglio). 

«  Dccreiuin  in  pergameno  copertimi  de 
cario  rubro  cuin  iniposicione  quatuor  fer- 
malhoruni.  »  (Idem,  pag.  15). 


Gauta  (gota). 

«  Percussus  tani  cmn  una  alaiiia  retro  in 
espatulis  quam  cmn  uno  lapide  in  capite, 
sive  in  la  gauta.  y^  {Idem,  pag.  16). 

M 
Massonaria  (così   venivano    chiamati    i 
diversi    riparti,  in    cui    si  divideva 
la  estremità  inferiore    delle  ancone 
in  legno). 

Fu  convenuto  che  tutte  le  effigie  tanto 
nel  quadro,  che  nella  predetta,  abbiano  ta- 
òernacu/a  s\ve\a7nassonaria  di  colore  buono 
e  che  ogni  campo  del  (juadro  come  della 
predetta  debba  essere  di  oro  fino  ad  arbitrio 
del  pittore.  (Idem,  pag.  60). 

Misterium  (mestiere). 

Promette  d'insegnare  bene  et  legalitcr 
misterium  sartorie.  (Idem,  pag.  17). 


Clama    (  falciola 
Gauta. 


Per   l'esempio   vedi 


Pavescol? 

La  barca  fu  attaccata  con  uno  pavescol  navi 
Biscaynor uni. [Idem,  pag.  50). 

Poypinus    (nome   generico  di    speciali 
ricinti  di  difesa). 

I  recenti  studi  che  si  fanno  sull'età  pre- 
istorica in  Francia,  ci  consiglia  a  rifarci  sul 
Podiuvi  pinian  della  i»  parte,  affine  di  la- 
sciare l'addentellato  per  risalire  agli  an- 
tichi ricinti  in  terra  od  in  pietra  dell'età  del 
bronzo,  noti  coi  nomi  di  Poypes,  che  l'abate 
F.  Richard  Marchand  assimila  alle  nume- 


rose Mottes  della  Francia.  Noi  abbiamo  in 
Liguria  il  Poypinus  che  si  alza  ad  occidente 
della  Villa  Matuziana  (S.  Remo)  ed  altro  Poy- 
pinus che  fu  la  culla  di  Mentone,  come  ab- 
biamo pure  notizia  delle  Mote  del  contado  di 
Nizza  e  vicinanze  mandando  a  riscontrare  i 
particolari  a  detto  vocabolo.  Scrive  il  citato 
abate  che  documenti  feudali  fanno  ricordo 
di  Motte  e  di  Poypi  sino  al  xn  secolo,  il  che 
a  suo  avviso  non  toglie  che  tale  tipo  di 
motta  e  di  Poypo,  cioè  di  recinti  di  terra  o  di 
pietra,  possa  risalire  ad  epoca  preistorica. 
Può  darsi  che  tra  non  molto,  spiegandosi 
anche  fra  noi  questo  genere  di  studi  si  possa 
dire  :  et  meminisse  juvabit 


Quoquinus  (malfattore). 

Nessuno  porti  lazaros,  quòquinos  aut  me- 
retrices  publicas  sub  pena  xxv  librarum. 
(Idem,  pag.  55). 

R 

Robina  (nome  di  canale  che  metteva  in 
comunicazione  gli  stagni  col  mare). 
Per  l'esempio  vedi  Bordigol. 

Romancium  (romanzo). 

«  Roìnanciuni  qui  vocatuni  Morons,  scrip- 
tum in  lingua  francigena.  »  (Idem,  pag. 42). 


Serpentina  (grossa    artiglieria  antica  o 
draghetto). 

Prometto  di  fare  duas  serpcntinas  ferri 
septcìn  palnioruni...  cumtribus  bonas  et suf- 
Jìcicntcs  trayan ,vulgariter  loqucndo.  »  (Idem , 
pag-  77). 


Zona  (cintura). 

«  Promittit  unum  par  calligaruin,  uniun 
velhum  sive  bindain,etunam  zonam.  »  (Idem, 
pag.  io). 


84 


GLOSSARIO  MEDIOEVALE  LIGURE 


217 


INDICE  DEI  VOCABOLI  ANTIQUATI 

incRisi    nel    te^^to    degli   esempi    addotti 


/  iiu7neri  di  questi  iridici  si  riferiscono  a  quelli  che  si  trovarlo  a  pie  di  pagina. 


Acimare Pag.       5 

Amarinata »     io 

Amoratus .     .     »     72 


Angurialis » 

Asperus » 

Auleum » 

Axonus » 


Cinata » 

Civada    » 


8 
65 

9 
II 


Harancum f^g-  18 

Basilare »  64 

Bertesca »  14 

Bimayum » 

Bordonus » 

Bovarilis » 

Bracas     » 

Brenta »  16 

Bricola »  16 

Brilla »  32 

Bucius »  77 

Bullatum »  13 

fiutare »  6 


Caliga Png-  8 

Camuscius »  22 

Cantilena »  66 

Capaironus »  69 


Ò7 

77 


Clavica »  70 

Cloaca »  31 

Corbinum »  21 

Corium »  6 

Cornixium »  64 

85 

28  —  Mise,  S.  Ili,  T.  XIII. 


Fegatellum Pag.     20 

Follator »     20 

Franchisia »     64 


Galetus Pag.  7 

Garnire »  9 

Granata »  28 

Grangia »  18 

Grantonata »  29 

Grixius »  32 


laria Pag.  63 

Incanata »  69 

Inglesia »  68 

Intrata »  5 

Iona »  ir 


Lento Pag.     TJ 

Lezeda »     75 

Lira »     77 


M 


Martur » 

Massatello » 

Matracium » 

Meania » 

Mendigono » 


64 


Magena Pag 

Mala »     II 

Malvasia »     57 

Manaira »     11 

Mantellum »     66 

22 

57 

13 

8 

17 


2l8 


GIROLAMO   ROSSI 


Mesica Pag-  21 

Mettaria »  67 

Mezarolia »  76 

Mezeta ,..,..»  26 

Munzajum »  72 

P 

Pagiolus Pag.  20 

Parosinus »  68 

Parancare »  15 

Partita »  5 

Pavella »  63 

Pecudarius »  9 

Pilastrum •     .     »  6 

Pillotum »  64 

Portalis ,     .     .     .     »  9 

Portrida »  57 

Presa »  6 

Q 

Qiiarantenum Pag.  15 

R 

Rampa Pag.  io 

Rasperius »  7 


Rastrellum Pag.  .S7 

Rochum »  68 

Rubinus »  28 

S 

Scalinata Pag-  9 

Scelonus »  14 

Scartariatiis *  57 

Sculdascius »  65 

Scorzonus »  71 

Scurare »  18 

Segnoria »  29 

Serra »  11 

Stuchiuni »  26 

Sperus »  73 

Susina »  7 

T 

Tirare Pag.  64 

Triaca »  17 

Turbus »  69 

V 

Vermilium Pag.  14 

Vernacia »  57 

Verrina »ii 

Verrugium »  11 


INDICE 


A  chi  legge '. Paj^.  3 

Glossario »  5 

Glossario  del  dialetto »  80 

Aggiunte  al  Glossario »  83 

Indice  dei  vocaboli  antiquati »  85 


86 


LEONE  FONTANA 


RICORDI 

DEL  COLLEGA 

Antonio  Manno 


YVyvVYYYVYYVVVVVVVyVVVVYVVVVVVVvVYYVVVVVV'.N^^''V'VVVVS^  V\^  V~ 


Leone  Fontana  in  certo    modo,  e    scientificamente,  fu    il    figlio    delle 
proprie  opere. 


* 

I  suoi  venivano  dalla  Valsolda,  dove  il  munifico  uomo  aveva  dotato  :  il 
suo  paese,  di  condutture  di  acqua  potabile;  il  municipio,  di  una  decorosa  casa 
comunale;  la  parrocchia,  di  tali  benefizi  ecclesiastici  che  ancora  ne  rimane,  ai 
nepoti,  la  designazione  del  parroco. 

Ma,  in  quell'ambiente  ricco,  virtuoso,  onoratissimo,  Leone  non  trovava 
ancora  l'esempio  e  lo  sprone  ai  forti  studi  né  vi  respirava  il  gusto  per  l'arte. 

Fu  da  se  stesso  che  si  creò  colla  incrollabile  sua  volontà,  con  la  costanza 
indefettibile,  con  le  aspirazioni  nobili  e  serene,  scevre  di  ambizioni  volgari^ 
ma  desiderosissimo  di  rendersi  utile. 

•  * 

Nacque  in  Torino  addi  31  di  gennaio  del  1836  da  Vincenzo  ed  Orsola 
Spurgazzi. 

Riportata  la  laurea  legale  {1S56,  21  luglio),  cercò,  come  pubblica  carriera, 
quella  così  faticosa,  così  male  compensata,  che  si  strascina  ingloriosamente 
negli  Archivi  di  Stato. 

Ma  vi  fu  guidato  dalle  sue  aspirazioni  di  studi  storici;  perchè  vi  avrebbe 
trovato  modi  ed  agi  di  prendere  pratica  nel  deciferare  paleograficamente 
ed  avrebbe  maneggiato  i  materiali  storico-legali  verso  i  quali  si  sentiva 
attratto. 

*  * 

Fu  breve  il  suo  fermarsi  negli  Archivi,  dal  '59  al  '67  ;  perchè,  venuto  a 
conoscere  che  si  meditava  una  riduzione  di  «  organici  »;  acciò  non  venisse 
danno  ed  esclusione  a  taluni   colleghi  non    bene    provveduti  ;  egli,  ricco    di 


222  ANTONIO   MANNO 


censo,  e  seguendo  un  sentimento  che  il  neo  Direttore  generale,  Michelan- 
gelo Castelli,  «  non  poteva  fare  a  meno  di  altamente  lodare  (i)  »,  lasciò  lui 
l'ufficio  per  tema  che  altri  lo  perdesse. 

In  quegli  anni,  quasi  per  esaminare  e  giudicare  se  stesso,  prese  parte 
a  parecchi  «  concorsi  scientifici  >>. 

Uno  ne  aveva  bandito  la  R.  Accademia  di  scienze,  lettere  ed  arti  di 
Modena,  sopra  l'argomento  delle  Spese  comunali. 

La  sua  Memoria  fu  segnalata  per  un  «  Accessit  »  e  il  presidente,  Carlo 
Malmusi,  gli  scriveva  (1864,  26  nov.)  non  esserglisi  usata  compiacenza,  ma 
che  il  giudizio  «  non  fu  che  un  atto  di  mera  giustizia  »  e  che  ne  «  traeva 
«  argomento  ad  incoraggiarlo  a  proseguire  nella  bella  via  e  in  sifatta  ma- 
«  niera  di  buoni  studi  che  tanto  preoccupò    elettissimi    ingegni  italiani  nel- 

«  l'interesse  della  cosa  pubblica  ». 

* 

*  * 

Un  altro  tema  fu  allora  proposto,  con  premi,  dalla  Accademia  delle  scienze 
morali  e  politiche  della  Società  Reale  di  Napoli  sopra  la  tesi:  «  Delle  leggi 
«  relative  alla  stampa  ».  Furono  presentate  quattro  Memorie  e  la  Commissione, 
presieduta  dall'Imbriani,  a  relazione  dell'Arabia  (2),  assegnò  la  vittoria  al- 
l'avvocato Domenico  Gaetani,  ma  giudizio  incoraggiante  per  il  Fontana. 

* 

*  * 

Come  nel  concorso  indetto  dalla  R.  Accademia  delle  scienze  di  Torino 
per  invitare  gli  studiosi  ad  «  investigare  l'influenza  del  contratto  enfiteotico 
«  sulle  condizioni  dell'agricoltura  e  sulla  libertà  personale  ai  coltivatori,  spe- 
«  cialmcnte  in  Italia  »  (tornata  1860,  24  gennaio). 

Il  premio  non  fu  conceduto,  ma  nella  Memoria  mandata  dal  Fontana,  la 
Giunta  che  la  esaminò,  deplorando  che  lo  scrittore,  per  sopravv^enutagli 
malattia,  non  avesse  potuto  condurla  a  termine,  vi  lodava  la  «  esposizione 
«  che  procede  ordinata,  con  ischietta  semplicità  ;  vi  traspira  un  alito  di  buon 
«  senso  che  concilia  all'autore  l'attenzione,  non  meno  che  la  benevolenza  dei 
«  lettori  ». 

* 

*  * 

Fu  pure  un  concorso  che  determinò  la  precisa  direzione  dei  suoi  studi. 
Era    stato   pubblicato    nel  1876    dal  R.  Istituto    Lombardo    di  scienze, 
lettere  ed  arti  col  tema:  «  Studi  critici  e   documentati   sugli   statuti  dei  Co- 
muni  e  delle   Corporazioni  nell'Italia  superiore  e  nelle  regioni   contermini  »• 


(i)  Lettera  27  nov.  1S67  per  annunciargli  l'aspettativa  conceduta  con  R,  D.  21  luglio  1867, 
susse.2:uita  dall'accettazione  della  rinuncia. 

(2)  Reìidiconti  dell'  Accademia.  Napoli,  1S65,  183. 


RICORDI  DI   LEONE   FONTANA  22^ 


Corse  l'arringo  con  un  lavoro  che  modestamente  intitolò  :  «  Note  per  una 
Bibliografia  degli  Statuti  dei  Comuni  dell'Italia  superiore  ».  L'illustre  Ascoli 
che  ne  riferiva  all'Istituto,  notate  certe  lacune  prodotte  «  da  cause  che  hanno 
«  dolorosamente  imposta  l'interruzione  di  quegli  studi  »  (ed  era  la  disgrazia 
della  sua  vedovanza),  trovava  così  buona  la  struttura  del  lavoro  ed  esser  l'au- 
tore così  pienamente  entrato  nello  spirito  del  tema  «  che  non  si  saprebbe 
«  imaginare  di  leggieri  un  altro  lavoro  i  cui  intendimenti  meglio  corrispon- 
di: dessero  a  ciò  che  l'Istituto  voleva  ». 

Notava  esser  larga  ed  eletta  la  suppellettile  statutaria  di  cui  disponeva 
e  riconoscendo  «  il  lavoro  condotto  con  bel  metodo,  il  ragionamento  sobrio, 
«  solido,  imparziale  »  proponeva  di  offrirgli,  come  si  fece,  il  palio  maggiore 
della  nobile  corsa. 

Ma,  se  riportò  l'ambito  premio,  tuttavia  non  rimase  soddisfatto,  né  sa- 
ziato di  se  stesso. 

Già  correva  quella  prurigine  nei  giovani,  che  adesso  è  addirittura  una 
morbosa  scribendi  cacoetlics ;  tutti  volevano  stampare  ed  egli,  con  un  lavoro 
coronato,  non  solo  lo  ripose  a  maturare  nel  prudenziale  novenario  Oraziano  ; 
non  solo  resistette  alle  continue  pressioni  degli  amici ,  né  le  mie  furono 
fiacche  ;  ma  con  una  incontentabilità  che  ha  pochi  esempi,  sempre  miglio- 
rando, correggendo,  accrescendo  la  sua  Bibliografia  stattitaria  italiana,  finì 
col  lasciarla  inedita,  e  il  figlio,  con  pietose,  diligenti  ed  opportune  cure,  la 
pubblicò  postuma  nel  1907  (i). 

Chi  scrive  consumò  molti  anni  nelle  fatiche  bibliografiche  e,  conoscen- 
done le  difficoltà  e  le  insidie,  in  tutta  coscienza  loda  ed  esalta  l'opera  del 
Fontana.  Non  istituisco  confronti,  non  faccio  paragoni,  ma  con  tutta  verità 
la  proclamo  la  migliore  in  Italia  fra  le  congeneri. 

Vi  è  metodo  e  sicurezza  di  notazione  ;  vi  sono  sobrii,  ma  opportuni  schia- 
rimenti e  vi  é  tutta  quella  immensa  preparazione,  che  non  apparisce  ad 
occhi  inesperti  e  che  egli  condusse  per  trent'anni,  senza  posa,  senza  stan- 
chezza, estendendola  a  tutte  le  fonti,  ed  in  paese  e  fuori. 

* 
*  * 

E  da  notarsi  come,  modesto  e  generoso  sem.pre,  non  si  rifiutasse  ad 
aiutare  di  collaborazioni  ignorate  scrittori  che  pur  battevano  la  stessa  strada 
di  lui. 

Ne  dò  prove  pubblicando  alcune  lettere  inedite  trovate  nel  suo  carteggio. 


(i)  Bibliografia  degli  Statuti  dei  Comuni  dell'Italia  superiore  compilata  da  Leone  Fon- 
tana [con  prefazione  "biografica  ed  analitica  di  Paolo  Boselli,  pubblicata  postuma  dal  figlio 
ingegnere  Vincenzo].  Milano-Torino-Roma,  Fratelli  Bocca,  1907  (Torino,  tip.  Vincenzo  Bona), 
3z/.,  8"  (ritr.,  xiv  pp.  -re.  -  510;  504;  524  pp.  -  i  e).  L'importante  Indice  delle  persone  e 
dei  luoghi  (III,  387-522)  è  diligente  ed  utile  compilazione  del  figlio  Vincenzo. 


ANTONIO   MANNO 


Francesco  Ferro  (0  a  Leone  Fontana, 
s  ^"  u  D I  o 

dall'avvocato 

FRANCESCO  dott.  FERRO 

TREVISO 

Preg""^  Signore, 

Il  carissimo  amico  mio  professore  Don  Iacopo  Cavaliere  Bernardi  di 
Pinerolo  m'inviava  la  sua  lettera  del  12  maggio  contenente  le  nozioni  da 
me  desiderate  intorno  agli  Statuti  di  Alba  e  di  Altare.  Egli  poi  mi  animava 
a  rivolgermi  direttamente  a  Lei  se,  per  avventura,  altro  fosse  per  occorrermi, 
col  biglietto  che  qui  Le  trascrivo: 

«  Le  notizie  d'Alba  e  di  Aitare  te  le  darà  precise  la  lettera  che  ti  ac- 
«  chiudo.  L'illustre  giovane  che  la  scrive  è  addetto  agli  Archivi  generali 
«  di  Stato,  e  se  vuoi  metterti  in  corrispondenza  con  esso,  presterassi  ai  de- 
«  Sideri  tuoi  volentieri.  É  tanto  buono  ed  operoso.  » 

Avvalorato  in  tal  forma  dall'amico,  non  esito  ad  approfittare  del  suo 
buon  consiglio,  indirizzandole  la  presente,  nella  quale  mi  giova  spiegarle  lo 
scopo  che  mi  sarei  prefisso,  affinchè  Ella  possa  conoscere  le  mie  idee  e  ve- 
dere se  e  come  sieno  le  medesime  attuabili. 

Possessore  di  una  sufficiente  collezione  di  Statuti  italiani  e  stampati  e 
manoscritti  mi  occupo  incessantemente  di  accrescerla  o  con  permute  o  con 
acquisti.  Il  possesso  appunto  dei  medesimi  e  la  imperfezione  unita  a  qualche 
errore  che  riscontrai  negli  appunti  stampati  dal  Bonaini,  e  nel  Saggio  biblio- 
grafico degli  Stallili  ilaliani  pubblicati  dal  Berlan,  ed  anche  \vq\V Elenco  dei 
Coi/nini  degli  Stali  Sardi  ch'ebbero  nel  Medio  Evo  stattUi  proprii  contenuto 
nel  giornale  Y Indipendente  e  Palriolta  fecero  in  me  insorgere  il  pensiero  di 
compilare  una  Bibliografia  degli  Statuti  italiani,  la  quale  si  desidera  ancora 
che  potesse  riuscire  più  soddisfacente  e  più  vantaggiosa. 

In  addietro  io  mi  limitai  a  quelli  della  mia  provincia,  ed  Ella  ne  abbia 
la  prova  nell'opuscolo  che  le  accompagno,  e  che  La  prego  aggradire  unen- 
dovi anche  un  breve  statuto  di  Valvassone  stampato  a  mia  cura,  con  alcune 
osservazioni.  E  dell'uno  e  dell'altro  glie  ne  spedisco  tre  esemplari,  uno  per 
Lei  e  due  da  disporsi  come  meglio  reputasse  opportuno. 

Ora  vorrei  che  tale  bibliografia  fosse  possibilmente  estesa  a  tutta  Italia, 
ed  ho  già  dato  mano  alla  compilazione  di  qualche  articolo,  e  mi  propongo  di 
proseguire  colla  maggiore  possibile  alacrità,  valendomi  dei  materiali  che 
possedo,  degli  elenchi  di  varie  biblioteche  già  procuratimi,  e  ritirando  le 
nozioni  opportune  d'onde  mi  possono  abbisognare. 

Il  Piemonte  abbonda  di  disposizioni  statutarie,  e  io  ne  possedo  di  stam- 
pate e  di  manoscritte,  e  tra  quest'ultime  alcune  anche  di  quelle  non  ricor- 
date da  alcuno,  come  sarebbero  quelle  di  Arcola,  Ameglia,  di  Trebbiano,  e 
di  Sarzanello,  pure  abbisogno  di  non  poche  notizie  su  qualche  edizione  di 
cui  sono  mancante,  e  più  particolarmente  sui  manoscritti,  riguardo  ai  quali 
sono  nella  ferma  credenza  che  il  giornale  V Indipendente  sia  incorso  in  gravi 
errori. 

Allorché  compilai  la  Bibliografia  degli  Statuti  della  provincia  di  Treviso, 
trattavasi  di  un  numero  assai  limitato,  mi  sono  esteso  in  qualche  articolo. 
Credo  però  che  la  generale  avesse  a  compilarsi  con  qualche  maggior  restri- 


(i)  Francesco   Ferro   pubblicò:    Bibliografia  degli  Statuti  della  provincia  di  Treviso 
(Treviso,  Andreola-Medésia,  1S58).  Statuta  Collalti  edita  (Treviso,  e.  s.,  1S59). 


RICORDI    DI   LEONE   FONTANA  225 


zione,  non  però  tale  che  non  si  debbano  correggere  gli  errori  nei  quali  fos- 
sero incorsi  gli  altri,  o  che  abbiano  a  mancare  le  opportune  nozioni.  Affinchè 
Ella  possa  conoscere  il  metodo  da  me  osservato,  le  unisco  tre  o  quattro 
articoli,  e  fra  questi  anche  quello  di  Alessandria.  Alla  perfetta  completa- 
zione  del  medesimo  mi  mancano  le  indicazioni  relative  agli  Statuti  dei  giu- 
reconsulti citati  nel  giornale  V Indipendente  nel  modo  che  segue  : 

«  Statuti  particolari  de'  Giureconsulti  compilati  nel  1458  -  161 7  -  1629; 
«  nel  1683-1695;  nel  1698-1707,  stampati  in  Alessandria,  Biblioteca  (xallenga  », 
dalla  quale  biblioteca  appunto  potrebbero  ottenersi. 

In  tale  intrapresa  io  non  ho  alcuna  idea  di  speculazione,  e  non  ho  le- 
gami con  alcuno,  cosicché  se  quella  potesse  aver  luogo,  con  chi  mi  prestasse 
assistenza  potrei  aderire  alle  condizioni  più  favorevoli. 

Eccole  detto  tutto-  e  colla  mia  solita  franchezza  e  lealtà.  Spetta  ora  a 
Lei  il  decidersi,  se  voglia  cooperare  ad  un'opera  che  ritengo  vitilissima  ed 
agli  studi  storici  ed  ai  legali,  ed  in  qual  forma,  nel  caso  affermativo,  intenda 
cooperarvi. 

Le  aggiung'o  che  non  nutro  neppure  la  voglia  di  figurare  in  principalità, 
e  che  se  taluno  volesse  assumerla,  mi  presterei  tanto  e  tanto  nella  compi- 
lazione di  quegli  articoli  dei  quali  mi  fosse  data  la  possibilità  di  occuparmi. 

Ella  vegga  la  cosa  e  mi  onori  di  un  suo  prossimo  riscontro.  Mi  creda 
intanto  con  tutta  stima. 

Dev"^"  Serv-"' 
Treviso,  31  maggio  1S60.  Francesco  Ferro. 

Francesco  Ferro  a  Leone  Fontana. 

Stinf"  Signore 

La,  pregiatissima  lettera  di  V.  S.  del  30  decorso  mi  ha  vivamente  col- 
pito. E  ben  vero  che  l'amico  Bernardi  mi  aveva  assicurato  che  le  cogni- 
zioni e  l'amore  allo  studio  di  V.  S.  andavano  congiunti  ad  una  rara  genti- 
lezza, ma  non  avrei  mai  potuto  immaginarmi  che  questa  giungesse  al  segno 
da  dovermi  quasi  ritenere  scortese  se  non  approfittassi  in  qualche  modo  delle 
fattemi  esibizioni. 

Poiché  dunque  V.  S.  non  può  assumere  una  parte  diretta  nel  lavoro  da 
me  divisato,  e  del  quale  vado  occupandomi,  e  poiché  mi  offre  l'opera  sua, 
della  quale  però  non  voglio  abusare,  mi  permetto  implorare  alcune  nozioni 
sopra  altri  statuti  dei  quali  o  per  essere  ancora  inediti,  o  per  riuscire  di 
non  facile  reperimento,  non  sono  ancora  possessore.  Quali  siano  le  nozioni 
da  me  desiderate  V.  S.  potrà  rilevarlo  dall'inserto  foglio. 

E  per  questo  mi  rivolgo  nuovamente  alla  S.  V.  perchè  io  non  ho  titolo 
alcuno  per  indirizzarmi  né  all'avv.  Claretta,  né  al  cav.  Adriani,  al  quale 
ultimo  vorrà  soffrire  il  disturVjo  di  consegnare  la  inserta,  tenendomi  in  do- 
vere di  rendergli  grazie  pel  disturbo  che  volle  addossarsi  dell'Elenco  da  lui 
compilato,  e  che  tornerà  utilissimo  all'opera  da  me  divisata,  contemplando, 
come  V.  S.  mi  accennò,  statuti  inediti  o  poco  conosciuti. 

In  questi  ultimi  tempi  si  accumularono  sopra  le  mie  spalle  affari  sopra 
affari  di  professione,  i  quali  mi  tennero  molestamente  occupato  senza  che  potessi 
concedere  neppure  un  ritaglio  di  tempo  ai  miei  studi  prediletti.  Ma  se  il  cielo 
lo  acconsente,  mi  ricatterò  e  in  breve  del  tempo  perduto.  Ciò  per  altro  non 
impedì  che  io  potessi  accrescere  la  mia  collezione  di  una  trentina  circa  di 
statuti  o  affatto  nuovi,  o  di  edizioni  da  me  non  possedute,  il  che  mi  torna 
utilissimo  per  non  recare  disturbo  ad  alcuno  onde  ripetere  nozioni,  ed  essere 
in  caso  di  compilare  io  stesso  gli  articoli  bibliografici.  —  Da  ciò  V.  S.  potrà 
immaginare  quale  sarebbe  il  mio  desiderio  di  possedere  anche  quelli  stam- 
pati descritti  nella  inserta  memoria  che  io  sarei  pronto  ad  acquistare  a  denaro, 

9 

29  —  Mise,  S.  Ili,  T.  XIII. 


2  26  ANTONIO   MANNO 


od  anche    mediante  permuta    di    altri    Statuti    nostrali   possedendo  più   che 
qualche  duplicato. 

Se  V.  S.  avrà  l'opportunità  di  far  pervenire  l'acclusa  all'amico  Bernardi 
mi  farà  piacere.  Non  si  stanchi  di  assistermi,  si  giovi  dell'  opera  mia  per 
quanto  possa  valere  e  mi  abbia  con  riconoscenza  e  stima 

Suo  dev'''"  Serv'"' 
Francesco   Ferro. 
Treviso,  29  luglio  1860, 

Iacopo  Bernardi  a  Leone  Fontana. 

Prcg""^  Sig.  ed  Amico, 

Il  Falconcini  (i)  mi  scrive  cento  e  mille  cose  graziosissime  di  Lei,  più 
migliaia  me  ne  dice  il  Barrerà.  Ella  è  destinato  ad  essere  amato  e  giovevole 
a  tanti.  Oggi  il  Barrerà  (2)  doveva  essere  a  Torino.  Il  Vescovo  nostro  ed 
io,  per  quantunque  ho  meglio  potuto,  cercammo  trattenerlo  a  Pinerolo  e 
abbiam  vinto.  —  Ci  perdoni  questa  vittoria,  nella  quale  il  Barrerà  e'  entra 
per  nulla,  tranne  la  condizione  dolorosa  d'essere  stato  vinto. 

Questo  doveva  dirle  nell'atto  di  significarlo  la  viva  mia  riconoscenza, 
di  pregarla  a  riverirmi  la  famiglia,  e  a  credermi  il  suo  devotissimo,  rico- 
noscentissimo 

Ab.  Bernardi. 
Pinerolo,  19  maggio  1861. 

Iacopo  Bernardi  a  Leone  Fontana. 

Chiar""^  Signor  Avvocato, 

Grazie  tante  a  nome  dell'amico  della  trasmissione  delle  notizie  biblio 
grafìche  sugli  Statuti.  Le  invierò  sollecitamente  a  Torino,  e  l'amico  nostro 
l>e  farà  i  debiti  ringraziamenti  anch'esso.  —  Aggiungerò  la  nuova  cortesis- 
sima  offerta  di  Lei.  Le  trasmetto  un  opuscolino  per  la  sorella.  E  compimento 
di  un  altro  che  Le  ho  trasmesso,  mi  sembra. 

Perseveri  nei  suoi  studi  e  si  ricordi  talvolta  del 

Siw  devot"'"  ed  affez'"^ 
Ab.  Bernardi. 
Pinerolo,  4  maggio  1862. 

Antonio  Valsecchi  (V)  a  Leone  Fontana. 

Egregio  Signore, 

Le  invio  sotto  fascia  un  estratto  della  mia  Bihliograjia  degli  Statuti  ita- 
liani, che  contiene  un  ragguaglio  su  quelli  di  Avigliana.  È  un  tributo  di 
riconoscenza    ch'io    Le    debbo,  sebbene    Ella  non    mi  conosca,  né  io   abbia 


(i)  Enrico  Falconcini  che  pubblicò:  ^linministraie  e  fa/e  economie:  Proposte  (Torino, 
1864);  Cinque  mesi  di  prefettura  in  Sicilia  (Firenze,  1863). 

(2Ì  Carlo  Barrerà  Pezzi,  autoredi:  Storia  della  Valso  Ida  con  documenti  e  statuti  i^\\\^- 
rolo,  1864);  Documenti  ilalo-ispani  {?\nGro\o,  1864);  Di  Giovanni  Cabotto,  rivelatore  del  set- 
tentrionale cmisferio  d'America  (Venezia,  1881). 

(3)  Autore  delle  opere:  Bibliografia  degli  Statuti  italiani  contenuti  nella  sua  privata 
biblioteca,  voi.  I  (Padova,  1862);  Bibliografia  analitica  degli  Statuti  di  Albenga,  cogli  Statuti 
stessi  ed  una  prefazione  di  Bern.  iMattiauda  (Albenga,  1885);  Cenni  storico-biografici  sulla 
origine  e  lo  sviluppo  della  legislazione  criminale,  civile,  mercantile  e  feudale  della  /Repubblica  di 
Venezia  (Venezia,  1880)  ecc. 

IO 


RICORDI   DI   LEONE   FONTANA  227 

l'onore  di  conoscerla.  In  leggendo  l'articolo  Ella  vedrà  come  io  debbo  esserle 
obbligato:  essendo  esso  più  cosa  sua  che  mia.  Solo  mi  duole  di  non  aver 
potuto  nominarla,  essendone  stato  sconsigliato  dal  signor  avv.  Ferro  di 
Treviso  per  delicati  riguardi.  Egli  però  palesommi  il  di  Lei  nome,  ond'  io 
potessi  mandarle  gli  articoli  nei  quali  mi  sono  valso  della  dotta  memoria  da 
I.ei  spedita  allo  stesso  signor  Avvocato.  Ora  ho  pubblicato  il  1"  fascicolo 
del  mio  lavoro,  nei  due  seguenti  saranno  stampati  gli  articoli  degli  Statuti 
di  Albenga  e  di  Asti,  di  cui  a  suo  tempo  Ella  riceverà  un  esemplare,  come 
di  tutti  gli  altri  in  cui  avrò  potuto  giovarmi  delle  notizie  da  Lei  fornite 
al  signor  Ferro. 

Perdoni  la  libertà  che  mi  son  presa  e  mi  consideri 

Suo  obblr'io  Servo 

Antonio  Valsecchi. 
Padova,  8  maggio  1S62. 

P.  S.  —  L'articolo  tarderà  un  giorno  a  giungerle  pei  riguardi  della  Censura. 


Antonio  Valsecchi  a  Leone  Fontana. 

p^ggiM  Signore, 

Mille  grazie  delle  notizie  che  mi  ha  favorite  e  mi  sono  giunte  proprio 
nel  punto  in  cui  lo  stampatore  mi  esponeva  la  necessità  di  stampare  l'arti- 
colo già  composto  e  riveduto  per  avere  in  libertà  il  carattere  corsivo,  di 
cui  abbisognava  per  la  composizione  di  quello  sullo  Statuto  di  Alessandria, 
il  quale  riescirà  lunghetto  e  per  la  materia,  e  perchè  vi  ho  trovate  circa 
600  voci  da  aggiungersi  al  Glossario.  —  Appena  che  sarà  uscito  il  2°  fasci- 
colo Le  manderò  gli  articoli  di  Asti  ed  Alessandria  che  ne  formeranno 
parte,  e  quello  di  Aosta  che  fu  pubblicato  nel  1°. 

Se  avesse  qualche  cosa  a  dirmi  intorno  gli  Statuti  di  Alessandria,  e  spe- 
cialmente sui  codici  mss.  che,  per  avventura,  esistessero  in  codesto  R.  Ar- 
chivio, ne  Le  sarei  sommamente  obbligato.  Io  mi  valgo  senza  cerimonia 
della  sua  cortesia,  e  desidero  ch'Ella  si  valga  con  altrettanta  libertà  di  me 
in  tutto  ciò  in  cui  fossi  atto  a  servirla. 

Nell'articolo  di  Asti  La  ho  nominata  parlando  dello  Statuto  de'  Notai, 
dove  ho  trascritte  le  notizie  eh'  Ella  me  ne  ha  date  :  ma  relativamente  al 
resto  ho  conservato  l'anonimo,  temendo,  come  mi  ha  fatto  supporre  il  sig. 
avv.  Ferro,  che  potesse  spiacerle  di  essere  nominato  in  notizie  tratte  dal- 
l'Archivio. Se  però  ciò  non  Le  fosse  discaro,  io  potrò  rivelare  il  suo  nome 
nell'articolo  sopra  lo  Statuto  di  Albenga  che  fornirà  la  materia  del  3"  fasci- 
colo, giacché  anche  per  quello  mi  son  valso  della  sua  Memoria. 

Il  sig,  avv.  Ferro  non  mi  ha  comunicato  finora  che  la  detta  Memoria 
in  cui  si  parlava  di  Albenga,  di  Asti  e  di  Avigliana,  ed  un  cenno  sopra 
Aosta,  ma  soltanto  dopo  che  il  relativo  articolo  era  stampato.  Mi  riservo 
però  di  valermene  in  un'appendice  che  aggiungerò  in  seguito  a  quell'articolo. 

Siccome  a  mio  nipote  De  Antichi,  di  cui  Le  feci  motto  nell'ultima  mia, 
ho  mandato  un  esemplare  del  saggio  da  darsi  alla  Redazione  del  Mediatore 
perchè  si  facesse  noto  in  quello  la  pubblicazione  del  mio  lavoro  ;  interes- 
sandomi perciò  di  sapere  se  quell'involto  sia  giunto  al  suo  destino  ;  di  che 
mi  fa  dubitare  il  silenzio  di  detto  mio  nipote;  cosi  La  prego  nuovamente 
di  far  chiedere  di  lui  al   ^Ministero  delle  Finanze  presso  il  quale  è  impiegato 

1 1 


228  ANTONIO  MANNO 


per  fargli   sapere    l'invio    da    me    fattogli,    e     sollecitarlo    ad   accusarmene 
la  ricevuta. 

E  rinnovando  le  sincere  proteste  della  mia  stima  e  gratitudine   me  Le 
dichiaro 

Aff'""  ed  obbl'"'"  Servitore  ed  Amico 


Padova,  19  mags^io  1862. 


Antonio  Valsecchi. 


Antonio  Valsecchi  a  Leone  Fontana. 

Pregiatissimo  Amico, 

Ella  mi  fa  sempre  cortesissimi  ringraziamenti  per  quei  poveri  opuscoli 
che  di  quando  in  quando  Le  invio,  ma  si  dimentica  le  obbligazioni  ch'io  ho 
con  Lei  per  le  molte  e  preziose  notizie  che  mi  ha  date  su  diversi  Statuti 
e  che  gioveranno  a  dar  merito  alla  mia  Bibliografia  analitica^  obbligazioni 
ch'io  non  dimenticherò  giammai. 

Le  invio  i  due  fascicoli  della  stessa  bibliografia  ch'Ella  mi  chiede  per 
la  Biblioteca  di  codesto  R.  Archivio  di  Stato.  Il  prezzo  d'associazione  ò  di 
L.  3,31  ;  lascio  però  Lei  arbitro  di  stabilire  una  riduzione  se  lo  credesse 
conveniente.  A  proposito  è  Ella  rientrato  in  qualche  ufficio  presso  lo  stesso 
Archivio  ?  mi  sarebbe  assai  caro  di  sentirmelo  affermare. 

Gradisca  le  proteste  della  mia  più  sentita  stima,  e  se  ha  l'occasione  di 
vedere  il  sig.  comm.  Domenico  Promis  gli  porga  i  miei  complimenti  ed  i 
miei  auguri. 


Suo  affez'"^'*  ed  obblig'"^"  Amico 
Antonio  Valsecchi. 


Padova,  2  gennaio  1872. 


Quintino  Sella  a  Leone  Fontana. 

Carissimo  nipote, 

Ciò  che  mi  mandasti  sui  Biandrate  mi  pose  sulla  via,  e  mi  indusse  a 
ripigliare  il  lavoro.  Ti  mando  le  bozze  quali  avevo  prima  allestite,  e  le  ag- 
giunte che  farei  mutatis  mutandis. 

Dacché  si  deve  ritoccare  il  quadro  genealogico  fatto  di  recente  da  un 
uomo  così  coscienzioso  come  il  Bianchetti,  mi  parve  necessario  dare  un 
qualche  maggior  sviluppo  al  cenno  sui  Biandrate;  indi  la  broda  lunga  che 
tu  vedrai. 

Non  ho  capito  bene  dalla  tua  lettera  dohde  tu  abbia  tratto  il  quadro 
del  .Salvai  e  la  nota  che  annettesti,  e  che  suppongo  pure  del  Salvai.  Vedrai 
che  ho  lasciate  in  bianco  le  citazioni. 

Non  vi  è  indiscrezione  maggiore  che  il  chiedere  ad  un  uomo  di  pian- 
tare in  asso  i  suoi  studi  per  occuparsi  dei  lavori  di  un  altro.  Ma  dacché 
hai  fatto  trenta  abbi  pazienza  di  far  trentuno. 

Fammi  adunque: 

1°  il  piacere  di  mettere  in  ordine  le  citazioni; 

2"  di  vedere  tu  l'Angius  e  il  Benvenuto  di  S.  Giorgio  che  io  non  co- 
nosco affatto,  onde  riconoscere  se  vi  sia  qualcosa  a  toccare  in  ciò  che  io 
dico  sui  12  de  Biandrate,  dei  quali  per  tua  disgrazia  il  codice  d'Asti  parla; 
3"  di  suggerirmi  liberamente  tutto  ciò  che  ti  pare  da  mutarsi  e  cor- 
reggersi, e  come  fondo  e  come  forma.  Non  aver  paura  della  mia  barba 
bian.ca  :  del  resto  anche  la  tua  comincia  a  farsi  troppo  rispettabile. 

12 


RICORDI   DI   LEONE   FONTANA  229 


Quando  tu  avrai  fatto  con  tuo  comodo  le  emendazioni,  aggiunte  e  detrazioni 
che  crederai  (e  più  ne  farai,  e  più  ti  sarò  grato,  giacché  tutta  questa  roba  non 
è  pane  per  i  miei  denti),  manderò  ogni  cosa  al  Bianchetti.  Non  mando  prima, 
giacché  suppongo  che  non  abbia  i  libri  di  cui  testé  parlavo.  Faccio  questa 
supposizione  perchè  a  Roma  mi  disse  che  non  conosceva  il  INIoriondo,  ove 
pure  vi  sono  documenti  relativi  ai  Biandrate,  e  perché  mi  scrisse  l'annessa 
lettera,  dalla  quale  risulta  chiaro  che  non  conosce  e  non  ha  sott'occhio  il 
quadro  del  Salvai. 

Naturalmente  avrò  poi  a  combinare  con  lui  la  forma  che  meglio  gli 
convenga,  e  forse  anche  in  ciò  tu  mi  dovrai  aiutare,  potendo  essere  che  si 
aprisse  con  te  molto  più  liberamente.  Tu  comprendi  che  io  ho  un  desiderio 
solo:  fare  ciò  che  meglio  piaccia  a  lui.  A  me  non  importerebbe  nulla  il 
sopprimere  il  capitolo  dei  Biandrate,  ed  il  lasciar  fare  a  lui  in  una  apposita 
memorietta  la  rettificazione  del  suo  quadro  genealogico. 

E  curioso  che  scrivendo  la  prima  volta  io  già  volevo  fare  l'ipotesi  che 
il  conte  Emanuele  discendesse  da  Uberto  IL  Fu  l'Uberto  III  del  Bianchetti 
che  mi  fece  paura,  sebbene  non  mi  persuadesse. 

Nulla  di  nuovo,  neppure  il  caldo,  che  é  di  una  costanza  immutabile, 
tutt'al  più  un  po'  crescente.  Addio. 

Tuo  aff'""  zio 
Quintino. 

/■'.S.—  Se  ti  vien  comodo,  mostra  questa  faccenda  dei  Biandrate  a  Vayra. 


Gli  scrittori  adesso,  specialmente  giovani,  cercano  il  record  col  numero 
delle  pubblicazioni. 

Leone  Fontana  si  può  dire  che  volesse  limitare  la  sua  produzione  alla 
sola  Bibliografia. 

Infatti  non  fu  che  per  istanze  mie  ch'egli  si  decise  a  commemorare  Carlo 
Bon-Compagni,  con  il  quale  era  all'unissono  nei  sentimenti  politici  (i)e  Carlo 
Dionisotti  suo  collega  ed  amico  (2). 

Noi  due  si  doveva  pubblicare  uniti  la  corrispondenza  dell'illustre  Mitter- 
mayer  con  Federigo  Sclopis  (3),  come  me  ne  aveva  pregato  la  coltissima 
contessa  Isabella  vSclopis,  nata  Avogadro.  Ma  per  troppe  occupazioni  di  en- 
trambi non  se  ne  fece  nulla. 

Di  inedito  lasciò  un  pensatissimo  lavoro  «  SulV andamento  dell'imposta 
di  ricchezza  mobile  nella  provincia  di  Torino  ». 


* 


Oltre  che  di  storia,  fu  studiosissimo  e  fine  intelligente  d'arte.  Con  cure 
sollecite  e  non  senza  spese  fortissime  radunò  rarità  di  molto  pregio.  Fu  dei 
primi  ad  occuparsi  del  nostro,  quasi  sconosciuto,  pittore  Defendente  De  Fer- 
rari, e  ne  raccolse  parecchie  tavole.  Come  molti  codici  miniati  e  preziosi  che 
lasciò  ammirare  nelle  mostre  solenni  dell'Arte. 


(i)  Commemorazione  del  conte  Carlo  Boìi-Compagni;   in  Miscellanea  di  Storia  italiana  della 
R.  Deputazione  di  Storia  Patria.  Torino,  1882,  XX,  521-44. 

(2)  Coumieinor azione  del  Comm.  Carlo  Dioìiisotii  ;  in  Miscellanea  di  Storia  italiana  della 
R.  Deputazione  di  Storia  Patria.  Torino,  1901,  XXXVH,  469-475. 

(3)  Nel  mio  Diarietto  di  ricordi  ho  segnato  la  proposta  che  feci  al  Fontana  (1880,  8  .?;iugno) 
e  la  sua  accettazione  (i  i   giugno). 

13 


230  ANTONIO  MANNO 


^  * 

Entrò  fra  i  consiglieri  comunali  di  Torino  nel  giugno  '87.  Conferma- 
rongli  l'ufficio  e  la  fiducia  le  elezioni  dell'Sg,  '92,  '95,  '96,  '99.  Assessore  nel 
sindacato  Voli,  e  pro-sindaco.  Commissario  regio  a  Torino  (26  gennaio-marzo 
1896)  in  difficili  momenti.  Fu  unanime  il  plauso  per  l'opera  sua  di  concordia, 
cosicché  lo  vollero  vSindaco  (1898,  g  aprile),  ma  non  accettò. 

Gli  fu  premio  alla  vita  operosa,  dignitosa  e  generosa,  la  nomina  a  sena- 
tore del  Regno  (1900,  14  gennaio). 

* 
*  * 

Aveva  dato  l'affetto  suo  e  la  sua  mano  a  Rosa,  dei  Sella  (1869,  22  aprile). 
La  consorte  gli  morì  giovanissima  (1875)  ed  egli,  che  serbò  sempre  il  lutto 
vedovile,  concentrò  i  suoi  affetti  domestici  nel  figlio  ingegnere  Vincenzo, 
prosecutore  dell'opera  paterna,  e  nella  figlia  Maria,  consorte  dell'avvocato 
Basilio  Cridis. 

Morì,  in  mezzo  a  largo  e  sincero  rimpianto,  in  Torino  addì  9  del  feb- 
braio 1905  e  come  egli  aveva  scritto  del  Bon-Compagni  «  mancava  di  vita 
«  placidamente  perchè  in  pace  colla  sua  coscienza  e  credente  in  Dio  e 
«  nella   sua  giustizia  »  (i). 

■* 

Tempera  robusta  e  carattere  mite,  dolce,  quasi  timido.  Rifulgevano  in 
lui  le  doti  della  bontà  e  della  modestia. 


Quando  gli  annunziai  che  era  stato  eletto  socio  effettivo  della  R.  Depu- 
tazione di  storia  patria  (2),  quasi  quasi  voleva  sfuggire  a  questa  distinzione 
e  dovetti  fargli  cortese  pressura  perchè  accettasse. 

* 

*  * 

Fu  lui  che,  anonimamente,  ideò,  propose  e  sostenne,  in  ogni  anno,  la 
pubblica  sottoscrizione  per  fondare  Ospizi  marini  (3).  Eppure  ninno  mai  ne 
seppe  nulla.  Il  figlio  scoprì  questa    beneficenza  ordinando    le  carte  paterne. 

Chiudo  il  mio  dire  con  un  saluto  di  cordialità  e  di  rispetto  all'anima 
sua  desideratissima  e  buona  e  col  trascrivere  queste  due  lettere  che  rivelano 
una  sua  singolare  e  pudica  modestia. 


(i)  Cf.  la  Commemorazione  di  Alessandro  Laftes,  in  Archivio  storico  i/a/ia no, Firenze,  1907 
V,  XL,  151;  la  Rivista  slorica  italiana,  Torino,  1905,  XXII,  414;  ed  il  Bollettino  storico 
bibliofirajico  subalpino,  Pinerolo,  1905,  X,  241. 

Notevolissimo  ed  alTettuoso  ricordo  ne  lasciò  Paolo  Boselli  premettendo  una  sua  infor- 
mazione biografica  alla  Bibliografia  statutaria,  I,  V-XII. 

(2;  Adunanza  del  io  magcfio  iSSo  e  R.  Decreto  di  apprt)vazione  del  successivo  o:iorno  20. 

(31  Gazzetta  del  popolo  di  Torino  (1S70,   iS  giugno). 


RICORDI    DI    LEONE   FONTANA  23 1 


NDEliZA  di  FIH41IZA 

A  TORINO 


.«w^ii^  *  Gener.  5770 
*'^""""  /   Sez.  870 

Sezione  4^. 


OGG    ETTO: 
elegato  governativo 
EONE  Fontana 

Con  dispaccio  20  gennaio  u.  s.  il  Ministero  delle  Finanze,  Direzione  Gen. 
delle  Imposte  dirette,  mi  scrive  quanto  segue  : 

«  Valutando  al  giusto  gli  utili  e  zelanti  servigi,  resi  dall'avv.  sig.  Leone 
«  Fontana,  nella  sua  qualità  di  Delegato  presso  la  Commissione  provinciale 
^  di  appello  per  le  imposte  dirette  di  codesta  città,  il  Ministero  non  sarebbe 
«  stato  alieno  dal  secondare  la  proposta  fatta  dal  sig.  Intendente,  colla 
«  nota  segnata  a  margine,  per  la  concessione  al  medesimo  di  un  pubblico 
'<  attestato  della  Sovrana  considerazione. 

«  Se  non  che  avendo  il  sig.  avv.  Fontana  avuto  forse  notizia  della  pro- 
«  posta  rassegnata  a  di  lui  favore,  si  è  indirizzato  al  sig.  Ministro  dichia- 
«  randogli  che,  mentre  tiene  in  gran  pregio  tale  dimostrazione  di  gradimento, 
«  esprimeva  tuttavia  il  desiderio  che,  per  ora,  non  fosse  dato  corso  ad  alcuna 
«  disposizione. 

«  In  presenza  di  così  esplicite  dichiarazioni  e  non  potendo  a  meno  di 
«  apprezzare  questo  atto  di  delicatezza,  il  sig.  ^Ministro  si  è  astenuto  dal 
«  rassegnare  alla  firma  di  S.  M.  il  Decreto,  già  predisposto,  per  la  conces- 
«  sione  al  sig.  avv.  Fontana  di  una  onorificenza  cavalleresca. 

"  «  Lo  stesso  sig.  Ministro  ha  però  interessato  il  sottoscritto  ad  esprimere 
«  al  sig.  Fontana  la  sua  particolare  soddisfazione  per  gli  utili  servigi  resi 
«  all'Amministrazione,  come  delegato  di  codesta  Commissione,  soggiungen- 
«  dogli  che,  se  per  secondare  il  desiderio  da  lui  espresso,  non  ha  ora  dato 
«  corso  alla  proposta  suindicata,  confida  che  alla  prossima  occasione  egli  vorrà 
«  aggradire  un  simile  attestato  di  benemerenza  che  il  Ministero  si  farà  do- 
«  vere  di  proporre   alla  Corona. 

«  Voglia  pertanto  il  sig.  Intendente  far  note  queste  dichiarazioni  al 
«  sig.  Delegato  prementovato  in  adempimento  dell'ordine  ministeriale  ». 

Nulla  rimanendomi  ad  aggiungere  alle  avanti  trascritte ,  lusinghiere , 
ministeriali  dichiarazioni,  mi  limito  a  rinnovarle  i  sensi  della  predistinta  mia 
considerazione  ed  osservanza. 

U  Intendente. 
Cali  . 

ìl^"  Sig.  Fontana  avv.  Leone, 
iclegato  governativo  presso  la 
"Commissione  governai,  d' x[p- 
')ello  per  le  imposte  dirette. 

Torino. 


15 


2  32  ANTONIO   MANNO    -    RICORDI   DI   LEONE   FONTANA 

Costantino  Perazzi  a  Leone  Fontana. 

MINISTERO  delle  FINANZE  Ron^a.  5  gennaio  1873. 

Il  Segretario  Generale  , 

Carissbiio  Leone, 

Peppina  mi  comunicò  il  tuo  bel  telegramma  e  la  tua  lettera,  ch'io,  a 
mia  volta,  feci  leggere  a  S.  E.  Quintino. 

Ambedue  troviamo  che  tu  avresti  tutte  le  ragioni  di  dolerti  di  essere 
oggi  crocefisso,  qualora  la  proposta  fosse  partita  da  me  o  dal  Sella.  Ma  la 
proposta  è  venuta  dalla  Intendenza  di  Finanza  di  Torino;  venne  esaminata 
dalla  Direzione  Generale  delle  Imposte  a  Firenze  ;  e  venne  a  noi  con  tutte 
quelle,  e  sono  molte,  per  le  decorazioni  di  Capo  d'anno.  Come  vedi  in  tutto 
ciò,  né  il  Segretario  generale,  tuo  cognato,  né  il  Ministro,  zio  di  tua  moglie, 
nulla  là  hanno  messo;  hanno  approvate  le  proposte  state  fatte,  in  forma 
affatto  ordinaria,  dall'Amministrazione  competente  a  farla. 

Se  tuttavia,  malgrado  questa  esposizione  dei  fatti  come  sono  avvenuti, 
il  tuo  sentire  delicatissimo  ti  consiglia  a  persistere  nella  tua  preghiera  di- 
retta a  Peppina,  la  tua  volontà  sarà  fatta. 

La  Peppina  sarà  soddisfattissima  di  aver  ottenuto  dal  suo  Costantino 
una  grazia  per  te. 

Tu  non  vuoi  essere  crocefisso. 

Giovanni  e  le  sorelle  e  i  cognati  non  avranno  ragione  alcuna  di  met- 
terti in  burla. 

Tua  madre  non  avrà  un  cavaliere  in  casa  e  la  tua  gentile  Rosetta  non 
ti  vedrà  crocefisso,  per  ora. 

L'Italia  avrà  un  cavaliere  di  meno  ! 

Io  poi  sono  l'unico  fortunato  in  tutto  questo  affare;  di  aver  cioè  avuto 
un'occasione  per  rammentarmi  a  te,  alla  tua  Rosetta  e  a  tutti. 

Tuo 
Costantino  [Phrazzi]. 


* 


La  memoria  onesta  di  Leone  Fontana  rimarrà  a  lungo  nei  cuori  degli 
amici,  nei  fasti  della  R.  Deputazione  di  Storia  patria  e  nella  riconoscenza 
degli  studiosi. 


16 


CARLO    CIPOLLA 


INVENTARI  TRASCRITTI 


DA 


PERGAMENE  BOBBIESI 


DEI  SECOLI  Xlll-XlV 


30  —  Mise,  S.  Ili,  T.  XIII. 


Y  V  Y  Y  V  V    V  ■.'  V  V  V  -r  V  V  V  '^  W  Y  Y  Y  V  V  V  V  V  V  Y  Y"V 


Nello  spoglio  sistematico  da  me  fatto  delle  pergamene  riguardanti  l'Ab- 
bazia di  Bobbio,  mi  sono  incontrato  in  alcuni  documenti  notevoli  per  questo 
che  in  ciascuno  di  essi  si  trova  inserito  un  inventario  o  nota  di  oggetti,  di 
mobilie,  ecc.  Quei  documenti  mi  furono  somministrati  dall'Archivio  capito- 
lare di  Bobbio  (1289)  e  dall'Archivio  di  Stato  di  Torino  (1361,  1362,  1388,  1388). 
Tre  di  questi  ultimi  spettano  alla  categoria  Paesi,  ed  uno  solo  viene  dall'Ar- 
chivio della  famosa  Abbazia. 

Il  più  antico  inventario  si  riferisce  alla  Canonica  di  Bobbio.  Il  seguente, 
di  cui  ho  fatto  uso  in  altra  mia  monografia,  ha  attinenza  colla  chiesa  di 
S.  Colombano  della  Spelonca,  la  quale  ricorda  il  luogo  che  il  Santo,  tro- 
vando che  il  monastero  era  luogo  non  abbastanza  deserto  e  rimoto,  sentiva 
meglio  conveniente  al  suo  intenso  amore  per  la  solitudine.  Il  terzo  ed  il 
quarto  documento  ci  parlano  di  due  case  private  di  Bobbio.  Il  quinto  invece 
spetta  ad  una  bottega  di  mereiaio  situata  in  Piacenza.  Nessuno  di  questi 
atti  si  riferisce  quindi  all'Abbazia  bobbiese,  e  perciò  nessuno  fra  essi  po- 
trebbe trovar  posto  nel  Cartario  della  medesima. 

L'interesse  di  questi  documenti  è  vario,  ma  nessuno  di  essi  n'è  privo. 
Furono  già  pubblicati  numerosi  inventari,  che  rappresentano  le  ricchezze, 
talvolta  meravigliose,  delle  gioie,  delle  mobilie,  degli  utensili,  che  pompo- 
samente decoravano  i  castelli  e  le  magioni  dei  principi,  o  che  costituivano 
il  fardello  nuziale  delle  spose  delle  nostre  famiglie  più  doviziose.  E  sta  bene; 
ma  la  società  non  consta  unicamente  di  famiglie  ricche  e  signorili.  Tornano 
quindi  non  meno  preziosi  gli  inventari  delle  masserizie  delle  famiglie  del 
popolo,  che  formano  la  maggioranza  della  popolazione.  Sotto  questo  punto 
di  vista  considerati,  i  nostri  inventari  III,  IV  e  V  hanno  pieno  diritto  all'at- 
tenzione dello  studioso. 

Poverissima  era  la  famiglia  di  cui  troviamo  il  riflesso  nell'inventario 
del  1362,  doc.  III:  si  tratta  di  poche  mobilie,  letto,  scranna,  scrigno,  tovaglie, 
laveggi,  ecc.  Non  molto  meglio  fornita  era  la  famiglia  bobbiese,  il  cui  inven- 
tario del  1388  occupa  il  IV  posto  nella  presente  raccolta.  E  una  famiglia 
dedita  alla  coltura  dei  campi.  Superiore  assai  è  la  famiglia  del  mereiaio,  che 
nel  doc.  V,  1388,  vide  elencato,  in  parte,  il  suo  mobilio.  Siamo  in  tutti  i  casi 
sempre  in  contatto  con  una  famiglia  borghese,  tutto  al  più  di  agiata  condi- 
zione ;  ma  nulla  più  in  là.  Nell'ultimo  inventario  le  vesti  sovrabbondano,  sia 
3 


236  CARLO   CIPOLLA 


da  uomo,  sia  da  donna;  alcune  fra  esse  sono  anche  ornate.  L'oro  e  l'argento 
compariscono  più  volte  nel  corso  dell'inventariazione.  La  persuasione  che  la 
famiglia  fosse  agiata  viene  anzi  sopra  tutto  dall'abbondanza  e  dalla  bontà 
dei  vestiti.  C'è  qualche  traccia  della  vita  contadinesca  ;  ma,  più  che  dei 
buoi,  si  parla  qui  dei  cavalli.  Peraltro  un  concetto  pieno  intorno  allo  stato 
di  quella  famiglia  non  possiamo  proprio  farcelo,  mentre  l'inventario  pre- 
sente viene  dichiarato  essere  soltanto  il  complemento  di  altro  precedente 
inventario,  che  non  ci  è  pervenuto,  o  che  almeno  a  me  rimane  tuttora  nascosto. 

I  documenti  I  e  II,  rispettivamente  degli  anni  1289  e  1361,  riguardano 
specialmente  i  libri,  i  vasi,  i  paramenti  e  quant'altro  si  riferisce  al  culto.  Il 
secondo  di  questi  due  documenti,  come  quello  ch'è  un  testamento,  ci  dà  una 
nota  affatto  incompleta  rispetto  alla  suppellettile  spettante  a  S.  Colombano 
della  Spelonca.  Infatti  vi  si  ricordano  solo  quei  pochissimi  oggetti,  che  for- 
mano argomento  ai  legati  di  un  canonico  bobbiese,  che,  stendendo  l'atto  di 
sua  ultima  volontà,  si  ricorda  di  quel  santuario.  Di  tutt'altra  natura  è  il 
doc.  I,  che  contiene  la  piena  descrizione  dei  libri,  vasi,  paramenti  pertinenti 
alla  Canonica  di  Bobbio.  Chiudesi  l'elenco  con  brevi  notizie  su  quanto  stava 
nella  cucina  e  n^X  forno. 

La  chiesa  dei  canonici  di  Bobbio  non  mancava  dei  libri  necessari  alla 
celebrazione  della  Messa  e  al  canj^  nel  coro.  Aveva  anche  alcuni  volumi 
biblici,  qualche  passionarlo,  e  forse  appena  un  libro  estraneo  alla  vita  e  alla 
coltura  ecclesiastica:  voglio  dire  un  volume  d'argomento  legale,  detto  Bro- 
cardiis.  E  curioso  il  vedere  come  i  canonici  possedessero  due  esemplari  della 
Bibbia;  l'esemplare  men  buono  stava  momentaneamente  in  prestito  presso  il 
vescovo  di  Bobbio.  Pare  adunque  che  il  vescovo,  per  conto  suo,  non  avesse 
nell'episcopio  neanche  un  testo  biblico.  La  Bibbia  rimasta  presso  i  canonici 
qui  viene  detta  maggiore,  e  non  è  improbabile  che  si  tratti  di  uno  di  quei 
grandi  volumi,  del  sec.  xi  incirca,  che  più  o  men  bene  conservati,  e  più  o 
men  bene  miniati,  spesseggiano  ancora  nelle  biblioteche.  Tra  gli  oggetti 
sacri  destinati  al  culto,  primeggia  la  croce  coperta  d'argento,  dorata,  su  cui 
stavano  incastonate  molte  pietre  (preziose). 

Ho  pubblicato  qualche  anno  fa  l'elenco  dei  pochi  libri  e  dei  miserabili 
oggetti,  spettanti,  intorno  a  questa  medesima  epoca,  alla  rettoria  di  Bardo- 
lino, la  quale  dipendeva  dall'Abbazia  di  Bobbio.  Non  è  dubbio  che  c'è  una 
notevole  differenza  fra  la  chiesa  canonicale  di  Bobbio,  e  la  cappella  di 
Bardolino  sul  Garda.  Per  altro  bisogna  ben  dire  che  se  a  Bobbio  v'era  tutto 
quello  di  cui,  a  rigore,  non  si  potea  fare  a  meno,  la  chiesa  era  così  meschi- 
namente provvista,  da  doversi  credere  che  anche  i  canonici  vivessero  molto 
e  molto  modestamente. 

Al  testo  del  documento  faccio  seguire  un  piccolo  lessico,  nel  quale 
tentai  d'interpretare  i  vocaboli,  spesso  alquanto  oscuri,  senza  pretesa  d'averli 
sempre  indovinati.  Talvolta  anzi  fui  costretto  a  sospendere  ogni  giudizio  e 
a  tacere  ogni  ipotesi,  poiché  non  ricavava  neanche  dal  contesto  luce  suf- 
ficiente. 

Bobbio  e  Piacenza  ebbero  continue  vicendevoli  relazioni.  Le  due  città 
spettano  anzi  al  medesimo  ambiente  storico.  La  distanza  cronologica  fra  il 
più  antico  e  il  più  recente  dei  nostri    cinque   documenti    non    raggiunge   il 

4 


INVENTARI   TRASCRITTI   DA   PERGAMENE  BOBBIESI  237 

secolo.  Potevano  quindi,  senza  troppe  gravi  difficoltà,  sia  per  ragioni  topo- 
grafiche, sia  per  ragioni  cronologiche,  tutti  e  cinque  i  documenti  venire  con- 
siderati insieme.  Le  differenze  nella  vita,  se  anche  c'erano,  emergono  poco, 
poiché  il  I  doc,  che  si  discosta  dal  III  per  lo  spazio  di  73  anni,  non  si 
riferisce  a  cose  famigliari,  se  non  in  minima  parte.  Il  II  poi,  intermedio  fra 
il  I  e  il  III  così  da  essere  assai  più  accostato  a  quest'ultimo  che  non  all'altro, 
rispecchia  unicamente  la  vita  ecclesiastica.  Rimangono  i  documenti  IV  e  V, 
del  medesimo  anno,  i  quali  per  conseguenza  possono  meglio  considerarsi 
tenendoli  uniti,  che  non  divisi. 

Di  questi  documenti,  il  più  fornito  di  notizie  è  l'ultimo,  del  1388,  riguar- 
dante Piacenza.  Ed  è  interessante  il  notare  come  appunto  si  riferisca  a  quel- 
l'anno la  bella  e  particolareggiata  descrizione  de  moribus  civitatis  Placentie 
composta  dal  cronista  Giovanni  de  Mussis  (i),  il  quale  parla  dei  vestiti,  del 
cibo,  della  forma  delle  case,  del  mobilio,  ecc.,  paragonando  gli  usi  di  quel- 
l'anno con  quelli  di  mezzo  secolo  innanzi,  per  dimostrare  che  un  enorme 
cambiamento  era  avvenuto.  La  semplicità  di  un  tempo  avea  dato  posto 
all'  affettazione  ed  al  lusso.  Di  questa  mutazione  il  cronista  assegna  a 
causa  gli  estesi  commerci,  che  i  mercanti  piacentini  facevano  non  solo  in 
Francia,  ma  perfino  in  Ispagna  (2). 

Di  questa  vita  sontuosa  il  nostro  documento  se  ne  risente  ben  poco;  in 
mezzo  ad  esso  viviamo  la  vita  semplice  d'una  agiata  famiglia  borghese,  presso 
alla  quale  prevalgono  le  antiche  abitudini,  mentre  le  costumanze  nuove  le  sono 
contese,  non  foss'altro,  dalle  ristrettezze  dei  mezzi  di  fortuna.  Quindi  appena 
possiamo  avvertire  qualche  differenza  sostanziale  fra  il  documento  presente  e 
quelli  di  Bobbio,  che  cronologicamente  lo  precedono.  Soltanto  qui  e  colà  pos- 
siamo sorprendere  l'influsso  della  vita  delle  classi  più  ricche,  nelle  pianelle, 
nello  strascico  delle  vesti,  in  alcune  guarnizioni  e  in  vari  ornamerfti,  forse  nel- 
l'uso dei  bacini.  Ma  nulla  c'è  che  nettamente  distacchi  i  nostri  borghesi  da  quelli 
delle  generazioni,  che  li  precedettero.  Mentre  si  parla  dei  cucchiai,  non  si  ri- 
cordano né  le  tazze,  né  le  forchette,  che  il  De  Mussis  registra,  quando  pa- 
ragona gli  usi  del  tempo  in  cui  scriveva  con  quelli  dell'età  anteriore  (3).  Certo 
è  che,  specialmente  in  questo  caso,  l'argomento  ex  silcntio  vale  ben  poco, 
mentre  non  possediamo  che  una  parte  dell'intero  documento,  siccome  di  sopra 
avvertii;  tuttavia  non  è  inutile  notare  tale  deficienza. 

Ringrazio  per  le  cortesie  ricevute  nelle  mie  lunghe  indagini  su  queste 
carte  bobbiesi,  tanto  la  Direzione  del  R.  Archivio  di  Stato  di  Torino,  quanto 
il  rev'"^  mons.  Cesare  Bobbi,  che  mi  aperse  cortesemente  gli  Archivi  eccle- 
siastici della  sua  città. 

(i)  Rer.  Italie.  Script.,  XVI,  579  e  sgg. 

(2)  Loc.  cit.,  col.  5S2  E. 

(3)  Sulla  forchetta,   cf.    G.    Lombroso,  La  forchetta    da    tavola  in  Europa  in  Atti  Acca- 
demia Lincei.  IMeinorie,  seri^  III,  voi.  X,  pgg.  14T-S. 


238  CARLO   CIPOLLA 


DOCUMENTI 


(Orig.  a  Bobbio,  nell'Arch.  del  Capit.)- 
1289,  agosto  5;  Bobbio  nel  claustro  della  Canonica. 

Rufino,  prevosto  di  Bobbio,  al  principio  del  suo  reggimento,  in  presenza 
di  varie  persone,  fa  l'elenco  dei  libri,  delle  croci,  dei  calici  e  di  quant'altro  rin- 
venne nella  chiesa  maggiore  di  Bobbio.  Dichiara  adunque  di  aver  trovato 
nella  chiesa  una  croce  coperta  d'argento,  dorata,  ed  adornata  di  molte  pietre; 
due  calici  d'argento;  due  Bibbie,  di  cui  una  è  in  prestito  presso  il  vescovo 
di  Bobbio;  due  volumi  contenenti  le  Esposizioni  dei  Vangeli  e  le  Passioni 
dei  Santi;  un  volume  degli  Apostoli,  Martiri,  Confessori  e  Vergini;  un  vo- 
lume  coi  libri  dei  Profeti,  dei  Re  e  dei  Maccabei  ;  un  volume  colle  Epistole 
di  S.  Paolo;  un  libro  colle  Esposizioni  dei  Vangeli  e  le  Passioni  dei  Santi;  un 
vecchio  libro  detto  Brocardus  {\)\  due  Messali,  in  uno  dei  quali  sono  le  Epi- 
stole di  tutto  l'anno;  Epistolario  degli  Apostoli,  Martiri,  Confessori  e  Vergini(2)  ; 
tre  Salteri;  un  libro  coi  Vangeli  di  tutto  l'anno;  un  altro  vecchio  Messale  ;  due 
Antifonari  Notturni;  due  Antifonari  Diurni;  un  libro  detto  Manuale,    con- 


(i)  Il  eh.  collega  prof.  A.  Del  Vecchio,  ciurmi  rivolsi  per  avere  la  spiegazione  di  questo 
vocabolo,  richiamò  la  mia  attenzione  su  quanto  scrive  F.  C.  Savigny,  Storia  del  dirUio 
romano  nel  medio  evo,  trad.  E.  Bollati,  voi.  II,  parte  I,  pp.  340-1,  Firenze,  1S44,  a  propo- 
sito di  alcune  compilazioni,  che  hanno  analogia  colle  glosse,  e  che,  al  pari  di  queste,  deri- 
vano la  loro  origine  dall'insegnamento  orale.  Fra  tali  compilazioni  si  annoverano:  «Brocarda, 
Brocardi  o  Brocardica  ».  Soggiunge  anzi  il  Savigny:  «  Le  regole  che  appartenevano  essen- 
zialmente all'insegnamento  orale,  erano  dette,  come  insegna  \}%d\\\\o,  Brocarda  o  Gcncralia». 
A  pag.  341,  nota  24,  egli  cita  i  «  Brocardica  iuris  »  di  Azzone  come  quelli  che  godevano 
larga  stima  e  simpatia. 

Il  nome  pare  derivasse  dai  libri  Decretorwn  di  Burcardo.  vescovo  di  Worms,  che  s'in- 
contra anche  nei  cataloghi  librari. 

Pompeo  Molmenti  ,  La  storia  di  Venezianclla  vita  privata,  Bergamo,  1903,  I,  441,  pub- 
blica il  catalogo  dei  libri  dei  Padri  Predicatori  di  Treviso,  ed  ivi  si  legge  elencata  la  «  Suma 
magistri  Brocardi  theoctonici  ». 

Non  è  possibile  sapere  se  l'inventario  alluda  all'opera  del  vescovo  di  Worms,  ovvero 
ad  alcuna  delle  raccolte  di  regole  e  di  aforismi,  d'origine  scolastica,  note  sotto  il  nome  di 
Brocarda.  Il  modo  con  cui  la  citazione  è  fatta,  (-1  fa  propendere  tuttavia  in  favore  di  questa 
seconda  spiegazione,  che  in  confronto  della  prima  offre  le  maggiori  probabilità  in  (pianto  che 
l'inventario  non  dice  che  il  libro  fosse  proprio  di  Burcardo,  e  specialmente  perchè  tali  com- 
l>ilazioni  erano  varie  e  diverse.  Tuttavia  nulla  asserisco. 

(2)  Forse  si  dovrà  intendere  le  Epistole  di  S.  Paolo  (o  piuttosto  le  Canoniche)  seguile 
da    Passioni  e  da  Vite  di  .Santi. 

6 


INVENTARI   TRASCRITTI   DA   PERGAMENE   BOBBIESI  239 

tenente  le  orazioni  di  tutto  l'anno;  un  Capitolario  (i);  due  libri  detti 
Ordia  (2);  altri  libri  fuori  d'uso.  Quattro  pianete  ed  altre  vesti  ecclesia- 
stiche, ed  oggetti  addetti  al  culto.  Masserizie  trovate  nella  casa  e  nella 
cucina  di  detta  chiesa.       Oggetti  rinvenuti  nel  forno  dei  canonici. 

Bisogna  notare  che  le  masserizie  sono  in  numero  alquanto  ristretto,  e 
tutt'altro  che  numerosi  sono  gli  oggetti  esistenti  nel  forno.  Delle  altre  stanze 
abitate  dai  canonici  si  tace  affatto. 

Anno  dominice  (3)  octuagesimo  nono,  indicione  secunda,  die  veneris 
quinto  mensis  augusti,  in  caustro  (4)  canonice  Bobiensis,  coram  presbitero. 
Savino  capelano  ecclesie  maioris  Bobiensis,  Jacobino  custode  ipsius  ecclesie 
qui  stat  cum  canonicis  predicte  ecclesie,  Opigone  {4)  de  Maxilla  not.  testibus 
rogatis.  ^  Dominus  Rufinus  prepositus  Bobiensis  volens  bona  et  res  ipsius 
ecclesie  per  ipsum  inventa  in  dieta  ecclesia  permanere  ad  honorem  et  utili- 
tatem  diete  ecclesie  et  specialiter  libros,  cruces,  chalices,  ornamenta  et  para- 
menta,  que  sunt  in  ipsa  ecclesia,  instrumentum  (5)  et  alia  utensilia  et  privilegia 
ipsius  ecclesie  et  in  premisis  omnem  suspicionem  vitare,  de  ipsis  bonis  in 
principio  sui  regiminis,  in  presencia  Rufìneti  de  Camolinario,  Columbini  fer., 
magistri  Johanis  de  Maxilla  et  Petrì  de  Porcili  canonicorum  ipsius  ecclesie 
ibidem  residencium,  inventarium  facere  incoavit.  Primo  dixit  se  invenisse 
in  dieta  ecclesia  unam  crucem  copertam  de  argento  et  auratam  et  pluribus 
lapidibus  ornatam.  Item  duos  calices  unum  magnum  et  alium  palvum  de 
argento.  Item  duas  Bliblias  (4)  unam  maiorem  alia,  una  quarum  non  est  bona, 
sicut  alia,  quam  minus  bonam  habet  dominus  episcopus  Bobiensis  in  mutuo 
a  canonicis  ecclesie.  Item  duos  libros  in  quibus  scripte  sunt  Exposiciones 
Evvangeliorum  et  Pasiones  Sanctorum.  Item  unum  librum  Appostolorum, 
Martirum,  Confessorum  et  Virginum.  Item  unum  librum  Prophetarum,  Regum 
et  Machabeorum.  Item  unum  librum  Epistolarum  Pauli.  Item  librum  unum 
Exposicionum  Evvangeliorum  et  Paxionum  Sanctorum.  Item  unum  librum 
veterem  qui  appellatur  Brocardus.  Item  duo  Missalia,  in  uno  quorum  sunt 
Epistole  totius  anni.  Item  alium  Epistolarium  in  quo  sunt  Epistole  Aposto- 
lorum,  Martirum,  Confessorum,  et  Virginum.  Item  tres  Salterios.  Item  unum 
librum  in  quo  scripta  sunt  omnia  Evvangelia  tocius  (6).  Item  unum  aliud 
Misale  vetus.  Item  duos  Antiphonarios  Noturnos,  unum  novum  et  alium 
veterem.  Item  duos  alios  Antiphonarios  Diurnos.  Item  unum  librum  in 
quo  sunt  oracciones  tocius  anni,  qui  appellatur  IManualis.  Item  unum 
Capitolarium.  Item  duos  libros  qui  appellantur  Ordia  et  alios  quamplures 
libros  quibus  non  utitur.  Item  quatuor  planetas.  Item  quatuor  piviales.  Item 
duo  paramenta  unum  de  diachono  et  aliud  de  subdiachono.  Item  quatuor 
palia  de   altare.       Item    unum    aliud   palium,  quod  ponitur  quandoque  super 


(i)  Anche  per  questa  parola  ricorsi  al  consiglio  del  prof.  Del  Vecchio,  il  quale  mi  fece  no- 
tare che  qualcuno  potrebbe  sospettare  che  qui  si  alluda  ad  una  raccolta  di  Capitolari,  essen- 
zialmente ecclesiastici  ;  e  pensare,  piuttosto  che  alla  raccolta  di  Ansegiso,  a  quella  che  va  sotto 
il^nome  del  preteso  Benedetto  Levita. 

Ma  chi  considera  come  queste  raccolte  di  Capitolari  non  ebbero  in  Italia  larga  diffu- 
sione, preferirà  un'altra  ipotesi  suggeritami  dal  Del  Vecchio  stesso  e  dal  prof.  F.  Paletta 
(cui  pure  mi  rivolsi),  secondo  la  quale  sotto  il  nome  di  Capitolario  è  meglio  credere  indicato 
un  libro  liturgico,  o  comun(}ue  ecclesiastico,  ripartito  in  capitoli. 

(2)  Qualche  lettore  penserà  facilmente  alle  Ordalie,  ma  tale  identificazione  non  ha  in 
favor  suo  alcuna  probabilità  seria  e  scientifica. 

(3j  Mancano  le  parole:  «  incarnationis  niillesiino  ducentesinio  ». 

(4)  Sic. 

(5)  Forse  sarà  da  leggere  :  «  instrumenia  ». 

(6)  Si  aggiungerà  o  si  sottintenderàHa  parola  «  anni». 


240  CARLO  CIPOLLA 


gradii  ecclesie  memorate.  Item  duas  cortinas  unam  palvam  et  aliam 
magnani.  Item  vigintiduas  gausapes  de  altari.  Item  duos  terribulos.  Istud 
est  massaricium  inv^entum  per  ipsum  dominum  prepositum  in  domo  seu 
cohina  predicte  ecclesie:  primo  duas  tinas  et  duas  vegetes  comunes  ipsi 
domo.  Item  tres  lebetes  bronci,  unum  magnum  et  duos  palvos.  Itém  duos 
lebetes  rami,  unum  maiorem  alio.  Item  duas  patelas  rami  unam  maiorem 
alia.  Item  unum  tescum  rami.  Item  in  fumo  dictorum  canonicorum  unam 
calderiam  et  unam  cagam  rami  et  duas  catenas  ferri,  que  sunt  in  dicto  fumo. 

{S.   T.)  Ego  Francischus  de  Maxilla  sacri  palaci  notarius  ibi  interfuy  et 
rogatus  liane  cartam  (i)  ita  scripsì. 


II. 

(Originale  nell'Archivio  di  Stalo  di  Torino,   Paesi,  lettera   A',  b.   24  I-Bobbio   1350-62]) 
1361,  agosto  24;  Bobbio,  in  casa  di  Girardino  Cigata. 

Testamento  che  fece  «  d.  presbiter  Columbus  Cigata  canonicus  maioris  ecclesie 
Robiensis,  nec  non  rector  et  minister  ecclesie  Sancti  Columbani  de  Spe- 
luncha  diocessis  Bobiensis  »,  il  quale,  trovandosi  sano  di  mente  e  di  corpo, 
dispone  delle  cose  sue  ;  e  fra  l'altro  stabilisce  molti  legati  in  favore  della 
chiesa  stessa. 

«  —  Item  legavit  iure  legati  idem  testator  diete  ecclesie  sancti  Colum- 
bani de  Speluncha  unum  suum  calicem  argenti  doratum  punderis  unciarum 
octo.  Item  legavit  diete  eclesie  Sancti  Columbani  florenos  quatuor  auri  prò 
emendo  unam  planetam.  Item  legavit  diete  eclesie  unum  paramentum  artare, 
tolendo  tamen  unum  paramentum  veterum  de  altare  de  dieta  eclesia,  in  quo 
paramento  vetero  vult  et  precepit  deberi  sepeliri  quando  cassus  avencrit 
ipsum  mori.  —  Lascia  L.  25  imper.  a  '  Colombo  preposito  maioris  eclesie 
Bobij  '  e  a  prete  '  Colombo  de  Marcio  capelano  monasteri]  sancti  Colum- 
bani,' da  distribuirsi  ai  poveri,  in  suffragio  dell' aniìna     di  esso  testatore. 

Di  questo  documento  tenni  conto  quando  raccolsi  le  notizie  artistiche 
sul  monastero  bobbiese  {L'Arte,  1904,  VII,  245)  al  cadere  del  medioevo  e 
nel  rinascimento. 

Giacché  ho  toccato  di  cose  d'arte,  traggo  profitto  della  occasione  che 
mi  si  offre  per  aggiungere  una  notizia  artistica,  che,  se  rispondesse  al  vero, 
sarebbe  di  non  lieve  interesse,  ma  che  ha  tutta  l'apparenza  di  provenire  da 
una  pura  e  semplice  illusione. 

A  Bobbio,  nel  palazzo  episcopale,  nella  busta  unica  contenente  le  Lettere 
di  Vescovi  trovai,  in  originale,  la  lettera  che  Gaspare  Lancellotti  Birago, 
vescovo  di  Bobbio,  in  data  di  Bobbio,  4  maggio  1754,  indirizzava  al  ]\Iinistro 
dell'Interno  del  regno  Sardo.  Non  so  se  la  lettera  sia  effettivamente  giunta 
al  suo  destino,  né  se  il  dono,  che  in  essa  è  accennato,  abbia  avuto  luogo.  In 
ogni   modo  ecco   il  passo  della  medesima,  che  riguarda  l'arte:  «  ....mi  pre- 

(i)  cart. 


INVENTARI   TRASCRITTI   DA   PERGAMENE   BOBBIESI  24 1 


valgo  dello  stesso  {espresso)  per  farle  pervenire  una  miserabile  bagatella  da 
presentare  in  mio  nome  a  S.  S.  R.  M.  (i).  Questa  è  un  bacile  antico,  con  il  suo 
bocale  di  maiolica,  dipinto,  per  quanto  mi  disse  il  Cavaliere  me  lo  donò 
anni  sono,  dal  celebre  Raffaele  d'Urbino  ». 

Lavori  di  tal  genere  non  registra  G.  B.  Cavalcasene  nella  sua  monografia 
intorno  a  Raffaele  (2).  Alla  Galleria  di  Torino  nulla  esiste  che  possa  porsi 
in  corrispondenza  colle  parole  testé  riferite,  come  mi  assicurava  il  suo  illustre 
direttore  conte  Alessandro  Baudi  di  Vesme.  Alons.  Lancellotti  Birago  offriva 
il  regalo  con  molta  cautela,  e  non  si  faceva  garante  dell'attribuzione  che  al 
bacino  e  al  bocale  erasi  fatta.  Questa  garanzia  non  la  farò  neppur  io. 


III. 

(Originale  nell'Archivio  di  Stato  di  Torino,  Paesi,  lett.  B,  Bobbio,  b.  24  [1330-63  |). 
1362,  novembre;  Bobbio. 

Ludovicus  de  Cecardis  filius  condam  d.  Opicini,  civis  Bobii,  canonichus  secu- 
larius  maioris  eclesie  Bobiensis,  tutor  legiptimus  decreto  iudicis  consti- 
tutus  et  confirmatus  Petrino  pupillo  filio  et  heredi  universali  dicti 
condam  Peroti  de  Cecardis  filli  dicti  condam  d.  Francischi  secondo  il 
decreto  di  tutela  del  31  ottobre  p.  p.^  fa  Vinv  editar  io  dei  beili  mobili  e  im- 
mobili del  medesimo. 

Item  unum  lectum  ciìm  una  cultre  de  burdo  cum  duabus  parvis  lentua- 
minibus  (3).  Item  unum  banchale  de  duobus  coperchijs.  Item  unum  scruneum, 
Item  unam  mastram.  Item  unam  tinam.  Item  duas  vegetes  magnas.  Item 
unam  vezolam.  Item  unam  catenam  feri.  Item  unum  lebetem  magnum  de 
ramo.  Item  duos  lebeticulos  parvos  de  ramo.  Item  unum  lebetem  de 
petra.  Item  unum  discum.  Item  unam  scranam.  Item  duas  banchas.  Item 
duas  toagias.     Item  duas  toagolas  de  manibus. 


IV. 

(Originale  nell'Archivio  di  Stato  di  Torino,  Paesi,  lett.  B,  Bobbio,  b.  26  |  1379-90]). 
1388,  giugno   15;  Bobbio,  palazzo  comunale. 

Sotto  il  portico  comunale  della  città,  dove  si  rende  ragione.  Agne- 
sina  figlia  di  Franceschino  de  Locho  e  vedova  di  Copizoto  de  Petraglora, 
tutrice  di  Antonio,  Guglielmino  e  Caratosina,  suoi  figli,  in  età  minore,  ìti 
seguito  all'inventario  dei  beni  lasciati  dal  suddetto  Copizoto,   1387  (=  1388) 


(i)  Carlo  Emanuele  III. 

(2)  Firenze,  1890,  2  volumi. 

(3)  lentuam. 

31  —  Mise,  S.  Ili,  T.  XIII. 


242  CARLO   CIPOLLA 


febbraio,  volendo  passare  a  seconde  nozze  consegnò  le  cose  poste  in  inven- 
tario a  Sanguino  de  Petra  Glora,  quale  più  prossimo  (parente)  dei  detti  minori. 
Ci  sono  laveggi,  secchi,  recipienti,  varie  mobilie  da  stanza,  lettiera,  lenzuoli, 
cose  di  cucina;  aspo  da  molinello;  diversi  arnesi  propri  dei  contadini,  zappa, 
forca,  bastone  di  ferro,  falci  messorie,  vaglio. 

In  nomine  Domini  amen.  Anno  dominice  incarnationis  millesimo  trecen- 
tessimo  octuagesimo  octavo,  indicione  undecima,  die  decimo  quinto  iunij, 
Bobij,  sub  porticu  Comunis  Civitatis  Bobij,  ubi  ius  redditur,  presentibus  ISIi- 
chaele  de  Spixia  fq.  Ugoloti,  Johanoto  de  Locho  et  Bagino  de  la  Nuce, 
omnibus  civibus  Bobiensibus,  testibus  rogatis  et  vocatis.  ^  Cum  Agnexina 
filila  Franceschini  de  Locho  et  uxor  condam  Copizoti  de  Petraglora,  tutrix 
legiptima  Antoni j,  Guillielminj  et  Caratosine  filliorum  suorum  ex  dicto  condam 
Copizoto,  post  inventarium  ab  ea  confectum  de  bonis  hereditatis  dicti  condam 
Copizoti  et  dictorum  minorum,de  quo  quidam  inventario  dixerunt  contineri 
publico  instrumento  scripto  et  rogato  per  dominum  presbiterum  Johannem 
Ocellum  not.  im^cccLxxxvij  die  nono  mensis  februarij.  Volens  dieta  Agne- 
xina ad  secundas  nuptias  pervenire,  consignavit  et  consignat  in  presentia 
mey  notarij  et  testium  suprascriptorum  Sanguino  de  Petra  Glora  f. 
condam  Johannis  tamquam  proximiori  et  propinquiori  dictorum  minorum, 
ibidem  presenti  aceptanti  et  recipienti  res  et  bona  infrascripta.  Primo  tria 
scrinia.  Item  unum  lebetem  de  ramo  capacem  quatuor  situUarum.  Item 
unum  lebetem  de  ramo  capacem  unius  situile.  Item  unum  lebetem  petre 
capacem  unius  situile.  Item  unum  lebetem  parvum  de  petra.  Item  unam 
mexiam.  Item  unam  tinellam.  Item  unum  urnum  de  somis  quatuor.  Item 
unam  vegetem  capacem  starium  undecim.  Jtem  unum  vegetem  capacem 
stari  sedecim.  Item  unam  sytullam  feratam  ab  aqua  cum  una  captia  ramy. 
Item  unum  lectum  de  pexio.  Item  tria  lontiamina.  Item  unam  levam. 
Item  quatuor  toagias  que  sunt  blachia  tredecim.  Item  libras  quinque  filli 
de  canipa.  Item  unum  iugum  fulcitum.  Item  unam  massam  ferij.  Item 
unam  sapam.  Item  unum  forchatum  de  fero.  Item  unum  dischum.  Item 
duas  banchas.  Item  unum  sedacium.  Item  unam  minam  de  dugijs.  Item 
unum  gavardum  (?)  de  ferro.  Item  duos  ornellos  de  axino.  Item  unam  ca- 
tenam  fercij.  Item  unam  tortariam.  Item  bugarollum  prò  faciendo  bugatas, 
Item  unum  veguticullum  capacem  stari  septem.  Item  unum  mortalle  la- 
pidis.  Item  tres  corbellas.  Item  unum  arbivum  (?  .  Item  unum  canestrum. 
Item  quatuor  scutcllas  terre.  Item  tria  incixoria.  Item  tria  toffanea  de 
ligno.  Item  starla  sex  viny  vetery.  Item  unam  aspam  de  molinello.  Item 
unam  scallam  de  barixellis.  Item  unam  mastram  frustam  sine  copercho. 
Item  unam  messuram.  Item  unum  messarollum.  Item  unum  maracium. 
Item  unum  graturollum.     Item  unam  galetam.     Item    unum   scrineum  novum 

de  nuce.      Item   unum   urnatum   de  Item   viginti   duobus   assidibus   de 

castanea.  Item  unam  padellam  ramy.  Item  unum  lebetem  ramy  parvi. 
Item  unam  crivelleriam.  Quibus  omnibus  sic  peractis  per  dictum  Sanguinum 
tamquam  proximiorem  dictorum  minorum  ut  supra  consignate  fucrunt  su- 
prascripte  rcs  die  suprascripto,  in  presentia  mey  notarij  et  testium  supra- 
scriptorum, et  ibidem  predictus  Sanguinus  confessus  fuit  se  predicta  omnia 
penes  se  habcre.  Et  de  predictis  diete  partcs  rogaverunt  me  notarium  infra- 
scriptum  ut  publicum  conficerem  instrumentum  in  laudem  sapientium  (i) 
ditandum  et  ordinandum. 

{S.  T.)  Ego  Columbanus  de  Spixia  imperiali  auctoritate  notarius  publicus 
Bobiensis  hijs  omnibus  interfui  et  rogatus  ita  scripssi. 

(i)  sapidi. 

IO 


INVENTARI   TRASCRITTI    DA   PERGAMENE   BOBBIESI  243 


Y. 

(Originale  nell'Archivio  di  Stato  di  Torino,  Abbazia  di  Bobbio, 
Categoria  II,  «  beiti  posti  fuori  di  Bobbio  »,  b.  4). 

1388,  agosto   13;   Piacenza. 

Nella  bottega  dell'erede  del  fu  Antonio  de  Lm^ntssa  (i),  mereiaio.  Mar- 
gherita, vedova  del  predetto  Antonio  de  Lamussa  quale  tutrice  dei  suoi  figli 
minorenni  Franceschino,  Giovanni  e  Caterina,  a  complemento  dell'inventario 
dell'eredità  lasciata  dal  defunto  marito,  in  data  9  maggio  1388,  procede  ad 
un  nuovo  inventario,  dichiarando  di  aver  trovato,  oltre  a  quanto  sta  regi- 
strato nell'inventario  precedente,  anche  gli  oggetti  qui  elencati,  e  prima  di 
tutto  una  cascina  posta  nella  vicinia  di  S.  Salvatore  in  Cantono,  dal  nome 
Borgo  Santo. 

Enumeransi:  bancali,  cassette,  cassoni,  specialmente  (ma  non  unicamente) 
per  la  bottega;  scrigno,  —  lettiera,  letto  di  penne,  lenzuoli,  coltri,  bacini  per 
le  mani  e  per  il  capo,  specchi,  fibbie  di  legno  e  di  ferro  per  cortine  —  albio 
per  conservar  le  carni,  mortaio,  orci  —  veggie,  veggioli,  laveggi  —  madia, 
secchie  stagnate,  boccali  di  stagno,  scodelle  di  rame,  padella  di  rame,  cucchiai, 
coltelli,  coltellini  per  il  pane;  martelli  di  ferro,  tenaglie  di  ferro;  bilancie,  sta- 
dere, un  contrappeso  della  stadera;  incudine;  sonagli  (campanelli),  passetti  per 
misurare  —  tovagliuoli,  sciugatoi.  [I  cucchiai  e  i  coltelli  (e.  cutelus  ^>)  ci  sono, 
ma  le  forchette  mancano,  del  che  non  è  certo  da  far  meraviglia,  per  l'uso 
ristretto  che  se  ne  faceva  (2)].  Molti  sono  gli  oggetti  di  vestiario:  bari- 
lotti da  uomo  e  da  donna,  villana  (?)  con  pomelli,  gabbani  da  uomo  e  da 
donna;  mantello  da  uomo;  giubba;  giacchetta  da  uomo,  cappuccio  da  uomo, 
brache,  trampoli,  vesti  (?)  d'oro  lucchese,  strascici,  guanti,  coreggie,  treccie 
di  seta  a  tre  colori,  cinghie,  cordoni  per  fermar  le  vesti;  borse  e  borsette  di 
molte  specie  e  grandezze  ;  pelli  bianche,  rosse  ;  pelli  di  capretto  variamente  la- 
vorate ;  pomelli:  punteruoli  d'argento;  cappelli  di  feltro  e  di  cuoio;  fibbie  di 
ferro,  fibbie  di  ottone  per  le  brache  ecc.  Inoltre  si  elencano  molti  tessuti  : 
tela  bianca,  verde,  gialla,  azzurra:  velluto  verde  e  vermiglio,  «  cole  »  di  più 
colori,  tessuti  per  donna  di  color  verde  e  di  color  celeste,  guarnizioni  d'ar- 
gento lucchese.  E  ancora  si  ricordano,  in  quantità  non  piccole,  il  filo,  il  refe; 
la  bambagia  di  colori  diversi,  la  lana  nera  filata,  il  canape  da  filare,  l'oro 
filato,  tre  oncie  d'oro  lucchese.  —  Si  parla  di  molte  corde.  —  Molti  sono  gli 
oggetti  che  si  riferiscono  ai  lavori  donneschi:  ditali,  aghi  e  filo  da  cucire, 
aghi  di  ottone,  aghi  per  i  sacchi,  forbici  e  cesoie,  punteruoli  per  la  cucitura 
delle  brache,  l'arcolaio,  le  spole  per  tessere. 


(i)  Il  cognome  de  la  Mussa  ci  ricorda  quello  del  cronista  di  Piacenza  Giovanni  de 
Mussis.  Rispetto  alla  maniera  di  scrivere  «  de  Lamussa  »  osservo  che  ordinariamente  nel 
sec.  XIV  scrivevasi  similmente  :  «  de  Lascala  »  in  luogo  di  «  de  la  Scala  ». 

(2)  Cfr.  Galli  in  Boll.  Slor.  Pavese,  voi.  I,  p.   169. 


1 1 


244  CARLO   CIPOLLA 


Pochi  Oggetti  si  riferiscono  alla  scrittura  :  pelli  caprine  per  iscrivere, 
tavolette,  cesoie  per  tagliar  la  carta. 

In  maggior  numero  sono  gli  oggetti  che  hanno  attinenza  agli  animali 
da  stalla.  Si  rammentano  i  chiodi  e  i  gioghi  per  i  buoi  ;  i  pettini,  la  stregghia, 
i  cuscini  per  il  cavallo,  i  manichi  della  sferza,  le  coreggie  per  il  ronzino. 

Quasi  nulla  c'è  che  abbia  attinenza  colle  armi,  eccetto  il  filo  da  balestra. 

Se  tutti  questi  oggetti  costituivano  soltanto  l'appendice  di  quanto  era 
stato  descritto  nell'inventario  del  giorno  9  maggio  precedente,  bisogna  ben 
dire  che  la  casa  del  mereiaio  Antonio  de  la  Mussa  fosse  abbastanza  fornita  di 
tutto  quanto  può  riuscire  utile  e  comodo  ad  una  buona  famiglia  borghese. 
Mancano,  nell'elenco  presente,  alcuni  oggetti  che  per  una  famiglia  comunque 
numerosa  sono  evidentemente  necessari.  Un  letto  solo,  e  una  sola  lettiera 
compaiono  nell'elenco.  Basterebbe  questa  circostanza  per  dimostrare  che 
l'inventario  presente  è  incompleto.  Ma  se  noi  consideriamo  che  l'appendice 
è  così  bene  provvista,  abbiamo  davvero  di  che  far  lamenti  che  l'inventario 
primo  non  ci  sia  pervenuto. 

In  nomine  Domini  amen.  Anno  ab  incarnatione  eiusdem  millesimo 
trecentesimo  octuagesimo  octavo,  inditione  undecima,  die  terciodecimo  mensis 
augusti.  Placentie,  in  statione  heredis  condam  Antoni]  de  Lamussa  mer- 
(jarij.  Corani  Joanne  Bagaroto  filio  condam  domini  Egidij,  Christoforo 
Bagaroto  filio  dicti  condam  domini  Egidij,  Guilielmo  de  Eavezola  filio  condam 
domini  Oberti,  Gabriele  Scovalocha  filio  condam  domini  Francischi,  et  Hono- 
forio  de  Casellis  filio  condam  domini  Albertoni,  testibus  vocatis  et  rogatis. 
^  Domina  Margarita  uxor  condam  Antonij  de  Lamussa  merzarij,  filli 
condam  Francischi,  tutrix  data  et  constituta  per  dominum  iudicem  racionis 
de  Banclìo  Cervij,  Francischino,  Johanni  et  Caterine  pupillis  filijs  et  here- 
dibus  dicti  condam  Antonij  ex  ipsa  domina  Margarita,  de  qua  tutella  con- 
tinetur  instrumento  publico  breviato  per  J^udovicum  Malpedem  notarium 
presenti  millesimo,  die  .  viiij  .  mensis  maij  proxime  preteriti,  post  quodam 
inventarium  alias  per  ipsam  tutricem  tutorio  nomine  predicto  factum,  de 
bonis  dictorum  pupillorum,  de  quo  continetur  instrumento  publico  breviato 
per  dictum  Ludovichum  Malpedem  notarium  suprascriptis  millesimo  et  die 
proxime  dictis,  volens  iterato  facere  inventarium  de  bonis  dictorum  pupil- 
lorum et  evitare  omnem  fraudem  et  malarum  linguarum  suspicionem,  im- 
presso sibi  dicto  nomine  venerabili  signo  sancte  Crucis,  dixit  se  invenisse 
ultra  predicta  posita  in  primo  inventario  breviato  per  suprascriptum  Ludo- 
vicum  ut  supra,  hec  infrascripta.  Primo  videlicet  unam  cassinam  muratam 
et  cuppatam  positam  in  vicinia  sancti  Salvatoris  in  Cantone,  qui  appellatur 
Burgus  Sanctus,  de  qua  Casina  redditur  fictum  quolibet  anno  ecclesie  sancti 
Salvatoris  de  Placentia  solidos  vigintiquatuor  denariorum  Placentinorum. 
Item  unum  banchale  a  tribus  coperchijs  cum  scranapost.  Item  unum  banchale 
cum  quinque  coperchijs  positum  in  statione.  Item  unum  banchale  a  tribus 
coperchijs  positum  in  dieta  staccione.  Item  duos  cassonos  positos  in  dieta 
statione.  Item  unum  scrineum  a  duobus  coperchijs.  Item  quatuor  cassonos. 
Item  unam  lecteriam  de  asidibus.  Item  unum  albionum  a  carnibus  salatis. 
Item  sex  vegetes  unius  cari  prò  qualibet  earum.  Item  tres  vegetes  capaci- 
tatis  unius  modij  prò  qualibet  earum.  Item  duos  vezolos  capaces  stariorum 
quatuor  prò  quolibet  eorum.  Item  tres  lebates  (.v/V) rami inter  magnos  etparvos. 
Item  unam  padelam  rami  a  frigendo.  Item  duos  bazinos  a  manibus.  Item 
unum  bazinum  a  capite.  Item  duas  situlas  rami.  Item  unum  mortale  la- 
pidis.  Item  unam  misiam.  Item  duas  urcias  lapidis.  Item  sex  toalias  a 
tabula.      Item  sex  toalias  a  manibus.      Item  quatuor  guardanapulos.      Item 

12 


INVENTARI  TRASCRITTI  DA   PERGAMENE   BOBBIESI  245 


tria  paria  lenzolorum,  de  tribus  telis  et  dimidio  prò  quolibet  eorum,  Item 
unum  lectuni  pennarum  ponderis  circha  penssium  quatuor.  Item  unam 
cultrim  a  dicto  lecto  de  burdo.  Item  brazias  .  xxx  .  tele  albe.  Item 
unam  stagnatam.  Item  tres  bochales  de  stagno.  Item  duos  scadilarios  (j-/^) 
ligni.  Item  octo  scudelas  de  peltro.  Item  octo  gradilinos  de  peltro.  Item 
duodecim  cugiarios  argenteos.  Item  penssas  triginta  lini.  Item  pensses 
octo  cordarum  inter  subtilem  et  grossam.  Item  tres  quarelos  <;ingiarum. 
Item  quatuor  duodenas  pelarum  albarum.  Item  unam  duodenam  pelarum 
coloris  rubey.  Item  unam  duodenam  capredorum  deauratorum.  Item  unum 
penssem  capredorum  alborum.  Item  brazias  quinquaginta  buratorum.  Item 
tres  pensses  de  fillo  a  piscatoribus.  Item  unum  penssem  de  ripo  albo,  Item 
duodecim  libras  ripi  inter  album,  rubrum  et  nigrum.  Item  duo  miliaria 
pomelorum  contrafactorum  et  soliorum.  Item  unam  duodenam  et  dimidiam 
confavatorum  (sic)  inter  piatos  et  cepeluetos  (sic).  Item  quatuor  duodenas  de 
tinagis  feri.  Item  duas  duodenas  martilorum  feri.  Item  tres  pensses  masca- 
Mucij.  Item  libras  decem  serici  de  diversis  coloribus.  Item  unam  libram 
auri  filati.  Item  brachios  duos  veluti  viridi  et  vermilij  coloris.  Item  tres 
libras  cole  de  pluribus  coloribus.  Item  quatuor  grossas  de  augetis  de  cervio 
et  soata.  Item  duas  duodenas  bursitorum  inter  magnos  et  parvos.  Item 
brazias  duodecim  de  tela  viridi,  galeti  et  biavi  coloris.  Item  sex  duodenas 
de  augetis  de  setta  (?)  et  camusia.  Item  unam  duodenam  caupenalarum  a 
bobus.  Item  sex  capelos  feltri  et  coraminis.  Item  unam  duodenam  zingil- 
lorum  parvorum.  Item  duo  paria  de  zisorijs.  Item  quatuor  paria  de  forvi- 
cibus.  Item  tres  duodenas  de  capredis  prò  scribendo.  Item  unam  duodenam 
de  cordonis  de  serico.  Item  unam  duodenam  intercirorum  de  seda,  triplici 
colore.  Item  sex  interciorios  de  cola  de  triplici  coloribus.  Item  sex  bursas 
de  veluto.  Item  duodecim  bursetas  mediolanenses.  Item  triginta  pectines 
ab  equo.  Item  duodecim  corigias  ab  homine.  Item  sex  corigias  a  femina 
de  coramine  nigro.  Item  medium  niellare  de  scachetis  inter  nigras  et 
albas.  Item  medium  miliare  de  buthis.  Item  medium  miliare  de  ro- 
bacis.  Item  mediam  libram  de  aricharcho.  Item  sex  strigias  ab  equo.  Item 
unam  duodenam  manicorum  a  scuriatis  ab  equo.  Item  duos  cutelinos  a 
pane.  Item  quatuor  spolas  a  texendo.  Item  sex  scarselas  ab  homine.  Item 
sex  gafaras  de  argento  luchexo.  Item  sex  fubias  de  octono  a  bragerio.  Item 
sex  libras  bambaxij  endigi  coloris.  Item  unam  libram  bambaxij  albi.  Item 
duas  libras  bambaxij  abocolis.  Item  mediam  libram  clavorum  a  bobus.  Item 
unam  libram  de  lana  nigra  filata.  Item  unam  libram  de  testo  a  femina  co- 
loris viridi  et  celestrino  (i).  Item  tres  uncias  auri  luchexi.  Item  brazias  .  xij. 
de  trayneto.  Item  tres  nestulas  auri  luchexi.  Item,  quatuor  leros  de 
seda.  Item  sex  testos  filij  a  femina.  Item  duas  grossas  de  fubijs  feri  inter 
parvas  et  magnas.  Item  didalos  viginti  ferrj.  Item  viginti  didalos  clausos 
a  femina.  Item  medium  miliare  de  augugietis  prò  cusiendo.  Item  medium 
miliare  de  augugijs  de  octono.  Item  duas  duodenas  de  agugijs  prò 
sachis.  Item  duodecim  pugilares  de  cornu  parvos.  Item  duodecim  zisoretas 
a  papiro.  Item  sex  moderatores  feri.  Item  duodecim  zonchulas  corde  prò 
bobus.  Item  quatuor  piumazolos  ab  equo.  Item  duodecim  capita  bragi- 
lorum  de  corio.  Item  unum  filium  de  pomelis  de  repo.  Item  quatuor  cor- 
donos  de  repo.  Item  duas  bursetas  ripi.  Item  centum  fubias  de  ligno  a 
cortina.  Item  duodecim  fubias  feri  a  cortina.  Item  centum  lebios  a  pla- 
nelis.  Item  duodecim  speculos  parvos.  Item  quatuor  bazas  capistrorum. 
Item  quatuor  capredos  orpelatos  albos.  Item  quatuor  capredos  orpelatos 
auri  coloris.  Item  quatuor  libras  de  cervio.  Item  sex  borchetas  a  vege- 
tibus.  Item  sex  mofelas  ab  homine  de  extra.  Item  tria  bireta  ab  homine 
de  extra.     Item  quatuor  speronos.       Item  unum  penssem   canipe  a   filando 

(i)  sic. 

13 


246  CARLO  CIPOLLA 


Item  duas  libras  filj  prò  apontando.  Item  duas  libras  iìlj  a  balistris.  Item 
brazias  duodecim  asteloni  de  lana.  Item  brazias  .  xxiilj  .  asteloni  argentey 
luchixi.  Item  duodecim  curigias  fulgfitas  a  ronzino.  Item  duodecim  zingias 
disfulcitas.  Item  duas  duodenas  agugetarum  a  domina  inter  nigras  et 
albas.  Item  tres  duodenas  agugetarum  repi  longitudinis  unius  brachij  prò 
qualibet.  Item  quatuor  paria  de  balanzijs  inter  parva  et  magna.  Item 
unum  pesarolum.  Item  duas  scadoras  (sic)  rami.  Item  unam  incudinem 
prò  forando  agogetas.  Item  unum  cutelum  prò  incidendo  coramen.  Item  tres 
carnerios  de  canavacio.  Item  unum  marchum  qui  levat  libras  quinque.  Item 
unum  sextum  prò  signando  corium.  Item  duos  ponzonos,  Item  certas  ca- 
sietas  parvas  prò  statione.  Item  unum  passum  prò  mensurando.  Item 
unam  scaciam  prò  cusiendo  bragerios.  Item  quatuor  forceletas  a  sarto- 
ribus.  Item  duos  sonagios.  Item  unum  barilotum  de  mischio  cum  uno  frixo 
auri  a  domina.  Item  unum  cabanum  a  domina  cum  uno  frixo  aureo.  Item 
unum  barilotum  de  medietate  cum  uno  frixo  parvo.  Item  unum  barilotum 
de  panno  scuro.  Item  unam  vilanam  de  medietate  cum  pomelli s  .  XXX  . 
argenteis  cremonenssibus.  Item  unum  raantelum  ab  homine  panni  azurini 
sive  celistrini.  Item  unam  zupam  de  rubeo,  Item  unum  barilotum  de 
mischio  ab  homine.  Item  unam  zachetam  biavi  ab  homine.  Item  unum 
gabanum  a  talijs  de  biavo  ab  homine.  Item  unum  caputeum  de  mischio 
ab  homine.  Dicens  et  protestans  ipsa  domina  Margarita  tutorio  nomine 
predicto  quod  si  quid  aliud  in  bonis  et  hereditate  dicti  condam  Antoninj  viri 
sui  et  dictorum  pupillorum  ;r,  id  quam  cicius  poterit  in  inventarium  redigi 
faciet  atque  poni.  Et  de  predictis  dieta  dieta  domina  Margarita  dicto  no- 
mine rogavit  me  notarium  ut  unum  et  plura  publica  unius  tenoris  confi- 
cerem  instrumenta. 

(-.S'.  T.)  Ego  Antonius  de  Saviano  imperiali!  auctoritate  notarius  publicus 
Placontinus  predictis  omnibus  et  singullis  suprascriptis  interfuj  et  rogatus 
hoc  instrumentum  ita  scripsi. 


fi)  Si  sottintenda  ;  inventum  fuerit. 


14 


INVENTARI   TRASCRITTI   DA    PERGAMENE   BOBUIESI  247 


APPUNTI  LESSICALI 


Il  vocabolo  che  pongo  all'inizio  di  ciascun  articolo  non  si  legge  sempre 
tal  quale  nel  documento,  poiché  spesso  esso  è  bensì  il  vocabolo  dato  da 
questo,  ma  ridotto  al  nominativo  singolare. 

Per  alcune  parole  ricorsi  al  chiariss.  arciprete  Gaetano  Tononi,  piacen- 
tino, il  quale,  dottissimo  nella  storia  locale  e  pratico  del  dialetto,  mi  aiutò 
coi  suoi  consigli.  Altri  utili  insegnamenti  ebbi  dalla  dottrina  e  dalla  cor- 
tese amicizia  del  professore  Carlo  vSalvioni.  All'uno  ed  all'altro  vadano  i  miei 
ringraziamenti. 

Questi  documenti  possono  giovare  anche  per  la  conoscenza  dei  dialetti 
locali  di  Bobbio,  ma  sopratutto  di  Piacenza.  Ebbi  altra  volta  l'opportunità 
di  pubblicare  brevi  aneddoti  in  volgare  bobbiese  del  cadere  del  sec.  XV,  in 
Atti  Accad.  Torino,  seduta  del  io  aprile  1904.  Un  materiale  completerà 
l'altro. 


LIBRI    CITATI. 

Benassi  U.,  Storia  di  Parma,  voi.  I,  Parma,  Battei,   1899. 

Bkvkre  R.,  Arredi  suppellettili  utensili  d'uso  nelle  Provincie  napoletane  dal  xii  al  xvi  secolo, 
in  Arch.  Stor.  Napol.,  1896,  XXI,  626. 

—  Vestimcìiti  e  gioielli  in  uso  nelle  prov.  napolet.  dal  \.\\  al  xvi  secolo,   1897,    ivi,  XXII,  312. 

—  Ordigni  ed  utensili  per    l'esercizio    delle    arti   ed   industrie    dal  xii  al   xvi    secolo,  1897, 

ivi,  XXII,  702. 

BoNARDi  A.,  Inventari  Padovani  inediti  del  1510,  in  Atti  e  Meni.  Accad.  di  Padova,  XXIII, 
(1907),  p.  193. 

Casanova  E.,  La  donna  senese  del  Quattrocento,  in  Poli.  stor.  Senese,  1901,  t.  VIII. 

Cecchetti  B.,    Iresti  veneziane.,  Venezia,  tip.  Emiliana,  1886. 

—  Libri,  scuole,  maestri  a   Venezia,  in  Archivio   Veneto,  XXXI. 

Cipolla  C,  Libri  e  mobiglie  di  casa  Aleardi,  in  Archivio   Veneto,  1882,  XXIV. 

—  Un  amico  di  Casagrande    della  Scala,  in  Mem.  Accad.   Torino,  1901,    t.    II,    scienze  ino- 

rali, p.  37-42  (doc.  del  1339). 

—  Docuìiienti  per    la   storia   del   Priorato  di   Bardolino,  in  Atti  Mem.   Accad.    di    Verona, 

1904-05,  LXXX,  p.  1S9-3  (il  documento  è  senza  data,  ma  appartiene  al  sec.  xiii), 
p.  184-6  (lessico).  Usufruii  qui,  in  un  caso,  anche  un  documento  del  1215,  edito  a 
p.  125-6. 

15 


248  CARLO   CIPOLLA 


Cittadella  L.  N.,  Istroniento  di  divisione  seguita  li  12  settembre  1493  tra  te  sor  ette  Angeta 
ed  Ippolita  Sforza   Visco7ili,  in  Miscett.  di  storia  italiana,  Torino,  1863,  IV. 

Contratto  JJn)  di  nozze  del  1537,  ed.  G.  Giomo,  V.  Lazzakini,  R.  Predelli,  Venezia, 
tip.  Emiliana,  1905. 

Crusca  {Dizionario  della),  5*  impressione,  Firenze,  1863  e  sgg. 

Daviusohn  R.,  Forscfiungen  zur  Geschiclite  von  Florenz,  3''  parte,  Berlino,   1901. 

Du  Gange,  Glossar  inni  niediae  et  infunae  latinitatis.  Parisiis,  1840-50;  ed.  Favre,   1883-87. 

I""ahketti  a.,  Vestire  degli  uoìnini  e  delle  donne  in  Perugia,  in  Mein.  Accad.  Scienze  Torino, 
1888,  Serie  II,  voi.  XXXVIII. 

Fc)kcellini-De  ViT,  Lexicon  totius  Latinitatis,  Prato,  185S-75. 

Cìaitek  L.,  //  dialetto  di   Verona  nel  secolo  di  Dante,  in  Ardi.    Veneto,  1882,  XXIV,  329. 

Galli  E.,  La  casa  di  abitazione  a  Pavia  e  Jielle  campagne  nei  sec.  xiv  e  xv,  in  Boll.  star, 
pavese,  1901,  voi  I,  155  e  sgg. 

LiTTKK  E.,  Dictionnaire  de  la  langue  franfaise,  Paris,  1863-78. 

Ludwk;  G.,  Rcstt'Ho,  Spiegel  u.  Toilettenutensilien  in  Venedig  zur  Zeit  der  Penaissance,  in 
Italienische  Porschungen  herausgegeben  vom  Kunsthistorisctien  Institut  in  Florenz, 
Berlino  1906,  I,  185. 

Lui'i  C.,  Manuale  di  paleografia  delle  carte,  Firenze  1873. 

—  La  Casa  Pisana  e  i  suoi  annessi  nel  medio   evo    in    Arch.   star,  ital.,  V  Serie,  t.    XX VI! 

(1901),  XXVIII  (1901),  XXIX  (1902),  XXXI  (1903),  XXXII  (1903). 

Manno  A.,  Arredi  ed  armi  di  Sigismondo  Fieschi  da  un  inventario  del  1532,  in  Atti  Soc, 
ligure  di  Storia  patria,  1876,  X. 

Mazzatinti  G.,  Di  alcune  leggi  suntuarie  Eugubine  dal  xiv  al  xvi  secolo,  in  Boll,  deput. 
Umbra,  1S97,  III,  287. 

Mazzi  C.,  La  casa  di  maestro  Bartolo  di  Tura,  m  Boll.  stor.  senese,  1856-1900,  voi.  III-VII., 
— <  La  compagnia  mercantile  di  Piero  e  Giovanni  di  Cosimo  dei   Medici   in    JMilano   nel  1459, 
in  Rivista  dette  Biblioteche  e  degli  ^Irchivi,  1907,  XVIII,  n.  2-4. 

Merki':l  C,  Tre  corredi  initancsi  del  Quattrocento,  in  Boll.  Istit.  stor.  ital.,  1S93,  fase.  13, 
pag.  94. 

—  //  castello  di  Quart  in   Valle  d'Aosta,  ivi,  1895,  fase.   15,  p.  7. 

—  Come  vestivano  gli  uomini  del  Decamerone,  in  Rend.  Accad.  Lincei,  1897,  V  Serie,  t.  VI. 
MoLMENTi  P.,  La  storia  di  Venezia  nella  vita  privata,  voi.  I  e  li.  Bergamo,  1905,  1906. 
Motta  E.,  Nozze  principesche  del  Quattrocento,  Milano,  1894. 

Mussis  (de)  Iohannes,  De    moribus   civium    Placcntic,    ap.    Muratori,    Rer.    Ital.  Script., 

XVI,  579. 

Sacchetti  A.,  La  casa  dhm  canonico  del  sec.  xv,  in  Memorie  stor.  cii'idalcsi,  1906,  voi.  Il, 
I  e  sgg. 

Santoli  Q.,  //  «  Liber  Censuum  »  del  Comune  di  Pistoia,  Pistoia  1907. 

Staffetti  L.,  Inventario  di  beni  e  robe  dell'Opera  di  S.  Martino  in  Pietrasanta  in  Giorn. 
storico  letter.   Liguria,  1895,  VI,  175,  305. 

Tommaseo-Bellini,  Dizionario  di  lingua  italiana,  Torino,   1865-79. 

Vavra  P,  Inventario  dei  castelli  di  Chambéry,  di  'Torino  e  di  Ponte  d'Ain,  in  Mise,  storia 
ital.,   1884,  Torino,  XXII,  9. 

Verga  E.,  Le  leggi  suntuarie  milanesi,  in  Archivio  storico  lombardo,  189S,  fase.  I. 

Viollet-Le-Duc,  Dictionnaire  raisonnè  du  mobilicr  franfais,  Paris,  1858-74. 

Wattenbach  W.,  Das  Schriftszvesen  im  mi  Ilei  alte  r ,  y  ediz.,  Lipsia,  1896. 

16 


INVENTARI   TRASCRITTI   DA   PERGAMENE  BOBBIESI  249 


agugeta.  Xel  doc.V  questo  nome  ricorre  più  volte.  Dai  seguenti  quattro  passi  : 
«  duas  duodenas  agugetarum  a  domina  inter  nigras  et  albas  »  ;  «  tres  duo- 
denas  agugetarum  repi  longitudinis  unius  brachii  prò  qualibet  »  «  medium 
miliare  de  agugietis  prò  cusiendo  »  ;  «  tres  duodenas  agugetarum  repi, 
longitudinis  unius  brachii  prò  qualibet  ».  risulta  che  se  ne  faceva  largo 
uso.  Un  altro  passo  dimostra  che  a  costituire  V agugeta  entrava  anche  il 
ferro:  «  unam  incudinem  prò  ferando  agogetas  ».  Penso  che  a  spiegare 
questa  parola  possa  giovare  ciò  che  scrive  Va YR A,  Inventario,  p.  159: 
«  cinq  aguillietes  ferré  d'or  »  «  aguillietes  »  «  aguillete  »  e  «  esquil- 
lete  »  cordoncini  ferrati  ai  due  capi  con  punta  acuminata,  che  servivano 
ad  allacciare  le  vesti  e  le  armature  e  divennero  anche  ornamenti  ed  og- 
getti di  lusso  ».  Il  Du  Gange  registra  agtnleta  e  agtilheta,  aquileta  nel 
senso  di  lig?cla,  ricorrendo  ad  esempi  francesi.  Nel  francese  moderno  ab- 
biamo aigtcillette,  che  Littré  spiega  «  cordon  ferré  par  les  deux  bouts  qui 
servait  à  attacher  le  haut-de-chausses  au  pourpoint  »  ;  raccoglie  quindi 
parecchi  esempi,  nei  quali  la  parola  comparisce  come  d'uso  militare. 
E  il  diminutivo  di  aigtdlle.  Un  documento  presso  Merkel,  Tre  corredi, 
p.  139,  ricorda  una  corda  di  seta  «  cum  agugiellis  argenti  prò  alaziando  ». 
Probabilmente  si  adoperava  la  parte  per  indicare  il  tutto  e  viceversa 
e  l'ago  dava  il  nome  anche  all'oggetto  di  cui  era  una  porzione. 
Cfr.  «  augeta  ». 

altare,  artare,  altare.  Ambedue  le  forme  si  trovano  nel  doc.  II. 

apontare,  cucire,  appuntare,  fare  i  punti.  Xel  doc.  V:  «  duas  libras  fili  prò 
apontando  ». 

arbivum,  «  unum  arbivum  »  nel  doc.  IV,  dove  per  altro  la  «  v  »  non  è  del  tutto 
certa  alla  lettura.  Dagli  oggetti,  in  mezzo  ai  quali  si  trova,  questa  parola 
si  spiegherà  facilmente  per  albio,  conca,  vaso. 

argentum.  Il  doc.V  ricorda  un  vestito  con  trenta  «.  pomellis...  argenteis  cremo- 
nenssibus  »,  e  altrove  menziona  altri  oggetti  «  de  argento  luchexo  »  e 
«  argenti  luchixi  ».  Più  innanzi  c'incontreremo  anche  nell'oro  lucchese. 

aricharchum.  Xel  doc.  V:  «  mediam  libram  de  aricharcho  »,  cioè  di  oricalco, 
di  ottone.  Xell'Inventario  Aleardi  (pag.  46)  trovo:  «  rechalchum  ». 
Cf.  sotto  «  octonum  ». 

artare,  v.  altare. 

aspa,  aspa  e  aspo  si  registrano  con  egual  senso  (TOìMMASEO-Bellini);  sull'aspo 
si  dispone  la  matassa. 

assidis,  asse.  Nel  doc.  IV  «  ...  viginti  duobus  assidibus  de  castanea  »,  e  nel 
doc.  V  compare  una  lettiera  fatta  di  assi  «  lecteria  de  asidibus  ».  Xel 
doc.  del  1437  presso  Sacchetti,  p.  i6,  «  unum  assidera  ». 

astelonus,  guarnizione.  Due  volte  questa  parola  occorre  nel  doc.  V,  nel  primo 
dei  quali  luoghi  ricordansi  dodici  braccia  «  asteloni  de  lana  »,  e  nel 
secondo  24  braccia  «  asteloni  argentey  luchixi  », 

32  —  Mise,  S.  Ili,  T.  XIII. 


250  CARLO  CIPOLLA 


Il  De  Mussis  (col.  580)  parla  di  un  nuovo  copricapo  di  lusso,  intro- 
dotto nella  moda  muliebre  di  Piacenza,  e  dice  che  lo  si  adoperava  «  cum 
astalonis  sive  cordibus  sericis  vel  deauratis  ».  N.  Verga,  esaminando 
questo  passo,  spiega  (p.  73)  astaloni  per  guernizioni. 

Nei  passi  citati  del  nostro  documento,  pare  trattarsi  di  due  lunghe 
guarnizioni,  nel  primo  caso  di  lana,  nel  secondo  di  argento  lucchese  : 
esse,  a  seconda  dei  casi,  si  saranno  tagliate  per  usufruirne  a  decorare 
le  teste  delle  donne.  L'attuale  dialetto  piacentino  ha  «  stolon  »  per: 
fettuccia,  nastro  grossolano. 

augeta.  Due  volte  s'incontra  questo  nome  nel  doc.  V:  «  quatuor  grossas  de 
augetis  de  cervio  et  soata  »  «  sex  duodenas  de  augetis  de  setta  (?)  et 
camusia».  L'interpretazione  di  questa  parola  non  mi  è  chiara.  La  prepo- 
sizione de  vorrebbe  indicare  che  V  augeta  era  formata  di  cervio  (che 
varrebbe  cervo,  cerviatto?),  di  soata  (che  indicherebbe  sogatta),  ecc.:  ma 
siccome  neppur  questi  ultimi  nomi  sono  di  evidente  significazione,  così 
neanche  il  significato  di  augeta  (o  augetus  ?)  ne  riesce  sufficientemente 
chiarito.  Ma,  considerando  il  modo  imperfetto  delle  espressioni  adope- 
rate nel  presente  inventario,  possiamo  forse  intendere  la  preposizione  de 
in  altro  senso,  cioè  per  da,  per  «servire  a  cucire  la  pelle  di  cervo,  la 
sogatta,  ecc. 

Trovo  «  auguli  (=  auguti),  augutelli  >  nel  senso  di  chiodi,  piccoli 
chiodi,  nell'inventario  di  Bartolo  della  Tura  illustrato  dal  Mazzi  (VII,  306, 
n.  792)  (i),  il  che  mi  ricorda  la  menzione  di  una  corda  di  seta  «  cum 
augugiellis  argenteis  prò  alaciando  »  in  un  inventario  milanese  del 
sec.  XVI  illustrato  dal  Merkel,  Inv.,  p.  139. 

Potremo  dunque  pensare  alle  spille  o  a  qualche  cosa  di  simile? 
potremo  pensare  a  ganci,  ad  allacciature  di  varia  specie  e  natura? 

L'amico,  prof.  Carlo  Salvioni,  cui  sottoposi  qualche  questione  riguar- 
dante questa  parola,  mi  fa  notare  la  rispondenza  ch'essa  ha  coll'antica 
parola  aogia  ago.  vSe  dunque  interpretiamo  augeta  (ovvero  atigetns  ?) 
per  ago,  dovremo  intendere  aghi  che  servono  per  la  seta  (?)  e  per  la 
pelle  camosciata  (?)  ecc.  ? 

Evidentemente  di  questi  oggetti  faceasi  ben  largo  uso,  se  in  un 
caso  se  ne  notano  6  dozzine,  e  nell'altro  caso  quattro  grosse.  E  una 
grossa  si  spiega  per  «  dodici  dozzine  »,  il  che  importerebbe  adunque 
48  dozzine  (cf.  To^mmaseo-Bellini  sub  v.  grossa). 

Se  poi  si  crede  che  augeta  sia  la  stessa  cosa  che  agiigeta,  con  questa 
supposizione  la  maggiore  difficoltà  svanisce,  poiché  le  particolarità  che 
si  enunciano  à^Waiigeta  si  accordano  con  quanto  sappiamo  6.é\\!agugeta. 
Che  se  intendiamo  senz'altro  augeta  nel  senso  di  ago  o  di  una  particolare 
specie  di  ago,  potremo  trovare  un  conforto  a  questa  interpretazione  in 
ciò  che  si  è  detto  sulla  preposizione  de. 

augugia.  Ricorre  questo  nome  due  volte  nel  doc.  V  e  sempre  col  significato 
di  ago  «  medium  miliare  de  augugiis  de   octono  »   «  duas   duodenas  de 


(i)  La  parola  aguli,  arw//,  a/////,  per  cliiodi,  si  trova  nei  docum.  Pisani,  Luri,  XXXII,  97. 

18 


INVENTARI   TRASCRITTI    DA   PERGAMENE   BOBBIESI  25 1 

agugiis  prò  sachis  ».  Nel  primo  caso  avremo  aghi  di  ottone,  piccoli,  sot- 
tili, per  gli  usi  pili  fini;  nel  secondo  caso  penseremo  ad  aghi  più  grossi, 
fatti  forse  di  ferro.  Nel  doc.  del  1493  presso  Cittadella,  513,  si  ri- 
cordano aghi  in  grande  abbondanza  «  agugie  da  cusire  mille  ducente  » 
«  agucie  da  pomelle  due  mille  quatrocento  ».  Presso  Motta,  21,  troviamo 
perfino  «  una  gugia  d'argento  per  fare  maglie  »,  ma  trattasi  di  oggetti 
spettanti  a  famiglie  ricchissime,  e  quindi  tale  testimonianza  non  può 
far  regola.  In  alcuni  dialetti  veneti  dicesi  ucia  per  ago,  e  ucia  da  Romolo 
per  spillo.  E  quest'ultimo  significato  daremo  alle  '<  agucie  da  pomelle  » 
del  testé  citato  documento  del   1493. 

aurum  filatum,  «  una  libra  auri  filati  »,  doc.  V.  Dell'oro  e  dell'argento  filato 
parla  la  tariffa  fiorentina  del  1307,  presso  Davidsohn,  p.   100. 

aurum  luchexum,  «  tres  uncias  auri  luchexi  »  «  tres  nestulas  auri  luchexi  s 
nel  doc.  V. 

azurinus.  Un  mantello  di  panno  azzurrino  o  cilestrino  cita  il  doc.  V. 

balanzia,  bilancia.  Il  doc.  V  ci  dice  che  se  ne  usavano  di  grandi  e  di 
piccole. 

balistra,  balestra,  «  duas  libras  fili  a  balistris  »,  doc.  V.  D'acciaio  era  la  ba- 
lestra registrata  fra  gli  oggetti  confiscati  ai  Medici,  1497  (ìMazzt,  Medici, 
p.  14). 

bambaxium,  bambagia.  Du  Gange  spiega  «  bambaxium  »  per  ;:  tela  bom- 
bacina  »;  ma  non  so  se  sia  precisamente  in  questo  significato,  piuttosto 
che  in  quello  di  bambagia  che  qui'  si  debba  intendere  boiiibaxiiim,  mentre 
l'unità  di  misura  non  è  il  braccio,  proprio  della  tela,  ma  la  libbra.  Il 
doc.  V  dice  infatti  «  tres  libras  bambaxii  endigi  coloris  »  «  unam  libram 
bambaxii  albi  ».  E  ancora:  «  duas  libras  bambaxii  a  bocolis  (o  piuttosto: 
ab  oculis)  »,  dove  la  parola  hocolus,  se  la  accetta  tal  quale,  non  mi  par 
chiara.  Si  può  pensare  a  bocciòlo?  o  a  qualche  ornamento  della  tela 
bombina,  supposto  che  qui  si  parli  proprio  di  tela  ? 

bancha,  panca. 

banchale.  Era  una  cassapanca?  Nel  doc.  Ili  («  unum  banchale  de  duobus 
coperchiis  »)  e  nel  doc.  V  («  banch.  a  tribus  coperchiis  ciim  scrana 
post  »  «  banchale  cum  quinque  coperchiis  »)  si  parla  dei  coperchii  del 
bancale,  sicché  si  può  supporre  trattarsi  di  una  cassapanca,  con  più 
cassetti,  a  seconda  della  lunghezza  della  medesima,  ogni  cassetto  avendo 
il  suo  coperchio.  Banchi  con  cassettini  sono  indicati  da  A.  Sacchetti, 
p.  7.  Sulle  cassapanche  cf.  Galli,  p.  162,  164.  Staffetti,  p.  307, spiega 
bancale,  per  sedile;  ne  ciò  fa  ostacolo. 

barilotus.  Quattro  ne  ricorda  il  doc.  V,  dei  quali  due  erano  a  colori  meschiati  ; 
l'uno,  per  donna,  avea  un  ornato  d'oro,  non  così  l'altro  ch'era  per  uomo. 
Un  terzo  «  barilotus  »  era  di  mezzalana  («  de  medietate  »)  con  un  pic- 
colo ornato  e    non   è    detto    se    fosse    per  uomo  o    per   donna;  l'ultimo 

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252  CARLO  CIPOLLA 


finalmente  era  di  panno  scuro.  Secondo  Cecchetti,  Vesti,  p.  83,  il  «  bar- 
lotto  »  o  «  sacco  a  barilotto  »  era  una  specie  di  cappotto  grossolano,  ad 
uso  dei  pescatori,  o,  comunque,  una  veste  di  confidenza.  Le  testimonianze 
offerteci  dal  nostro  doc,  V  mostrano  che  non  erano  esclusi  anche  bari- 
lotti con  ornamenti,  ma  che  in  generale  tratta  vasi  di  una  veste  semplice. 

Il  De  Mussis  (col.  580  D)  dice  che  gli  uomini  portavano  «  barillotos 
et  pellardas  »,  e  che  le  pelli  di  animali  sia  domestici,  sia  selvatici,  ser- 
vivano per  le  fodere  dei  barilloti  stessi. 

MOLMENTI  (I,  255)  menziona  i  bar  lotti  e  spiega  per  cappotti. 

barixellus.  Nel  doc.  IV:  «  unam  scalam  de  barixellis  ».  Dal  posto  in  cui 
questo  passo  si  trova  non  si  può  ricavar  luce.  Ma  siccome  barisclhis 
significa  barile  secondo  il  Du  Cange,  potremo  forse  per  scala  intendere 
il  gradino  che,  nella  cantina,  sostiene  il  barile? 

baza.  Nel  doc.  Y:  «  quatuor  bazas  capistrorum  ».  Dal  luogo  dove  tale  notizia 
si  trova,  non  si  può  cavarne  luce  a  spiegarla,  poiché  prima  si  parla  di 
specchi  e  poscia  di  pelli  di  capretto.  Se  «  capistrum  »  secondo  l'uso 
classico  e  medioevale  si  deve  intendere  per  capestro,  cavezza,  legame  o 
fune  in  genere  (per  frenare  il  cavallo,  ecc.),  baza  sarà  un'unità  di  misura. 
Nel  ven.  baza  significa  :  abbondanza.  O  forse  si  dovrà  leggere:*  brazas  », 
il  che  non  pare,  perchè  si  sarebbe  detto  «  brazias  »? 

bazinus.  Nel  doc.  V  si  ricorda  i  bacini  per  lavar  le  mani,  «  bazinis  a  ma- 
nibus  »,  e  quello  per  lavare  il  capo  «  bazinus  a  capite  ».  De'  bacini, 
forse  d'uso  recente,  discorre  il  De  Mussls  (col.  583).  Nel  doc.  1437  presso 
Sacchetti,  p.  13:  «  unum  bacinum  ».  Galli,  p.  176,  dall'inventario  di 
Valentina  Visconti  (Muratori,  Rer.  Ital.  Script.,  XVI,  809)  trae: 
«  bacile  unum  album  argenti  ad  lavandum  caput  ». 

biretum.  Nel  doc.  V:  «  tria  bireta  ab  homine  de  extra  ».  Forse  con  quest'ul- 
tima aggiunta  vuoisi  accennare  a  che  si  trattava  di  oggetto  spettante  a 
persona  forestiera,  o  proveniente  esso  stesso  da  paesi  forestieri  ?  Berrette 
di  varie  foggie  ricorda  Cecchetti,  Vesti,  60.  —  Il  De  Mussis  (col.  580  D) 
dice  che  i  Piacentini  portavano  «  biretas  ». 

blachium,  v.  brachium. 

blavus,  colore  azzurro  o  turchino.  Nel  doc.  V  abbiamo  alcune  braccia  di  tela 
di  vario  colore,  ed  anche  «  biavi  coloris  ».  Più  innanzi  ivi  pure  compa- 
risce una  giacchetta  da  uomo  di  color  biavo,  e  più  avanti  un  gabbano 
da  uomo  de  biavo.  Cecchetti,  p.  17,  in  un  doc.  del  1329  trovò  «  bla- 
vado  »,  e  in  altro  del  1459,  color  «  biavo  »,  p.  16;  egli  spiega,  p.  2>ò^ 
per  turchino  od  azzurro.  Un  inventario  padovano  del  15 io  tien  nota  di 
due  borse  di  seta,  per  donna,  «  una  bianca  l'altra  biava  »  (BONARDI, 
p.  198).  Il  color  biavo  menzionasi  nel  contratto  nuziale  del  1537,  p.  22. 
Sul   color  biavo  cf.  Verga,  p.  16. 

Bliblia.  Il  doc.  I  reca  «  duas  Bliblias  ». 

bochalis,  boccale.  Nel  doc.  V  leggo:  «  tres  bochales  de  stagno  ». 

boculus,  V.  sotto  «  bambaxium  ». 

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INVENTARI   TRASCRITTI   DA   PERGAMENE  BOBBIESI  253 

borcheta.  Il  doc,  V  registra  «  sex  borchetas  a  vegetibus  »,  che  si  intenderà 
per  :  sei  borchie  o  brocche  (specie  di  chiodi)  da  veggia.  Nel  Du  Gange 
si  nota  «  broca  »  anche  nel  senso  di  punta,  dente,  aculeo, 

brachius,  blachium.  Nel  doc.  V  abbiamo  questa  parola  usata  tanto  al  neutro 
(«  brachia  tredecim  »)  quanto  al  maschile  («  blachios  duos  veluti  »). 
Nel  doc.  1493  presso  Cittadella  (p.  483)  è  ovvia  la  misura  di  lun- 
ghezza a  braccia  «  braza  ».  .  Cf.  «  brazium  ». 

bragerius,  braca.  Nel  doc.  V:  «  sex  fubias  de  octono  a  bragerio  »,  «  unam 
scaciam  prò  cusiendo  bragerios  ».  Cecchetti,  Vesti,  p.  64,  citando  vari 
documenti  dal  11 77  al  1439,  ci  parla  di  «  bracarla  »  «  brage  »  «  bra- 
gerium  ».  Merkel,  Decaìner.,  p.  376  e  sgg.  si  ferma  a  lungo  sulle 
«  brache  »,  e  ne  illustra  le  forme  diverse. 

bragilus.  Il  doc.  V  dice:  «  duodecim  capita  bragilorum  a  corio  ».  Ha  Du 
Gange  :  «  Bracile,  quasi  braca  aut  bracca,  brevior  et  levior,  quomodo 
monachi  sub  tunica  deferunt  ».  Tuttavia  ivi  è  detto  che  non  tutti  con- 
vengono nel  significato  di  bracile,  cui  altri  interpretano  per  cingola, 
quale  si  adoperava  a  coprire  i  lombi.  Nel  caso  attuale  il  contesto  pare 
voler  indicare  dodici  capi  di  vestiario,  che  possono  essere  dodici  paia 
di  braghette  di  cuoio. 

brazia.  Nel  doc.  V:  «  brazias  duodecim  asteloni  »  «  brazias  XXX  tele  albe  » 
«  brazias  duodecim  de  tela  viridi  ».  Gf.  «  brachium,  brazium  ». 

brazium.  Nello  stesso  senso.  Nel  doc.  V  :  «  brazia  quinquaginta  buratorum  ». 
Gf.  «  bracius,  blachium  ». 

broncum,  bronzo,  «  tres  lebetes  bronci  »  reca  il  doc.  I.  Nel  doc.  1437 
presso  Sacchetti,  p.  15,  r.  7:  «  de  brondio  »,  e  «  unum  bronzinum  », 
ivi,  r.  23.  Gf.  Galli,  p.  169  e  Staffetti,  p.  198. 

bugarollus.  Il  doc.  IV  ha:  «  unum  bugarollum  prò  faciendo  bugatas  ».  E 
evidentemente  il  paiuolo  per  la  lisciva. 

bugata,  bucato,  cf.  bugarollus.  Gf.  Manno,  p.  162  (glossario),  che  si  riferisce 
a  un  documento  del  1532. 

buratus.  Di  mezzo  fra  le  pelli,  il  filo  ed  il  refe,  il  doc.  V  elenca:  «  brazia 
quinquaginta  buratorum  ».  Il  bnrattus  presso  il  Du  Gange  si  registra 
come  un  pezzo  di  poco  conto,  rado  e  trasparente.  A  Pavia  (Galli, 
p.  160)  chiamavasi  buratus  il  setaccio  per  separare  la  farina  dalla  crusca. 
Ed  è  ovvio  buratar  per  cribare,  nel  dialetto  veneto. 

burdum.  Il  doc.  Ili  e  il  V  menzionano  ciascuno  una  coltre  de  htirdo.  Secondo 
il  Du  Gange,  sub  v.  bordum  è  una  specie  di  panno,  frane:  borde  ;  spiega 
poi  burdus  per  «  sutor  vestiarius  ». 

bursa,  bursitus,  burseta.  Il  doc.  V  ricorda  sei  bursas  di  velluto,  due  dozzine 
«  bursitorum  inter  magnos  et  parvos  »,  dodici  «  bursetas  mediolanenses  », 
due   <i.    bursetas  ripi  ».    Abbiamo    adunque  varie    specie    di  borse    e    di 

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254  CARLO  CIPOLLA 


borsette.  E  il  Cecchetti,  Vesti,  97-8,  avverte  a  ragione  che  ce  n'erano  di 
varie  maniere.  Le  borse,  a  modo  di  tasca,  pendevano  dalla  cintura,  sia 
degli  uomini  sia  delle  donne.  Se  ne  aveano  di  molto  ornate,  e  il  Cec- 
chetti ci  sa  dire  (da  un  doc.  nel  voi.  V  delle  Grazie,  e.  2,2,  t,  all'Arch.  di 
Stato  di  Venezia)  che  nel  1533  una  donna  Scaligera  mandò  a  Venezia  per 
l'acquisto  di  borse  lavorate  ad  oro.  Nelle  statue  giacenti  p.  e.  sui  se- 
polcri dei  sec.  xiv-XV,  non  è  raro  di  vedere  riprodotte  siffatte  borse,  e 
altrettanto  ripetasi  riguardo  alle  pitture.  Ho  in  mente  il  gruppo  della 
Pietà,  sec.  XV,  nel  duomo  di  Modena,  con  esempi  di  borse  pendenti. 
Talora  siffatte  borse  ornavansi  con  «  peroli  di  perle  ».  Vayra,  p.  227, 
ha  occasione  di  menzionare  diverse  maniere  di  cotali  borse,  le  quali  erano 
di  seta,  di  seta  ed  oro,  di  velluto,  ecc.  Nel  doc.  1437  presso  Sacchetti, 
p.  11:  «  unam  bursam  antiquam  de  coreo  rubeo  »  e:  «  unum  borsonum 
de  veluto  biavo  ».  Ivi  pure  (p.  14)  si  parla  di  una  borsa  bellissima,  per 
donna. 

Della  borsa  tratta  dottamente  Merkel,   Tre  corredi,  p.   137. 

buthus.  Il  doc.  V  reca:  «  medium  miliare  de  buthis  ».  Trattasi  di  bottoni  ? 
Dal  luogo  dove  questa  notizia  si  trova  non  potei  ritrarre  luce  alcuna. 

cabanus.  Il  doc.  V  ha:  «  unum  cabanum  a  domina  cum  uno  frixo  aureo  ». 
Nell'inventario  di  Bartolo  della  Tura,  illustrato  dal  ]\1azzi,  «  uno  gab- 
bano di  panno  bruschino  »  (V,  83,  n.  315). 

calderia,  caldaja.  Il  doc.  I  menziona  «  unam  caldariam  »  come  esistente  in 
un  forno. 

calix.  Due  calici,  uno  grande  e  Taltro  piccolo,  d'argento,  si  incontrano  ricor- 
dati nel  doc.  I.  E  il  doc.  II  accenna  ad  un  calice  d'argento  dorato  del  peso 
di  8  oncie.  Un  calice  di  rame  registrasi  nell'inventario  vSacco  (cf.  il  mio 
articolo  Un  amico,  p.  44),  ed  uno  di  peltro  avea  S.  Colombano  di  Bar- 
dolino {Bard.,  p.  184)  al  cadere  del  sec.  xiii.  Il  doc.  II  ricordandone 
uno  d'argento  dorato,  prova  l'antichità  dell'uso  attuale  rispetto  a  tali 
calici  d'uso  comune. 

camusia.  Nel  doc.  V:  «  sex  duodenas  de  augetis  de  setta  (?)  et  camusia  »,  Ma 
da  questa  frase  non  argomento  il  significato  della  parola.  Il  Salvioni, 
ancorché  con  qualche  esitazione,  pensa  a  :  camoscia,  pelle   camosciata. 

canavacium.  Fra  gli  aghi,  il  coltello  e  il  contrappeso  della  stadera,  il  doc.  V 
registra:  «  tres  carnerios  de  canavacio  »:  tre  carnieri  fatti  di  canavaccio. 

canestrum,  canestro.  Registrasi  nel  doc.  IV. 

canipa,  canape.  11  doc.  I:  «  libras  quinquc  filli  de  canipa  ».  E  il  filo  di  canapa 
si  preparava  filando,  laonde  nel  doc.  V  si  legge  :  «  unum  penssem  canipc 
a  filando  ».  11  pensum  è  quel  tanto  di  canapa  che  la  rocca  può  portare, 
ma  in  questo  jcaso  suppongo  che  si  intenda  peso,  nel  senso  di  misura. 

capelus,  cappello.  Nel  doc.  V  «  sex  capelos  feltri  et  coraminis  ». 

capistrum,  capestro,  cavezza,  corda,  «  quatuor  bazas  capistrorum  »,  dice  il 
doc.  V. 

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INVENTARI    TRASCRITTI   DA  PERGAMENE  BOBBIESI  255 

capredus.  Molto  uso  si  faceva  di  questo  oggetto,  e  pare  anzi  che  ce  ne 
fossero  varie  qualità.  Nel  doc.  V  in  un  luogo  si  legge  :  «  tres  duodenas 
de  capredis  prò  scribendo  »,  dove  sembra  trattarsi  di  carta  di  capretto. 
C.  Lupi  ricorda  i  pezzi  di  carta  capredi,  che  fanno  riscontro  a  quello  che 
lo  stesso  erudito  riferisce  da  un  doc.  del  1377:  «  prò  quodam  pesso  carte 
montonine  ».  {Manuale  di  paleografia,  p.  39;  donde  Wattenbach,  p.  131). 

In  un  documento  del  sec.  xvi  (presso  Merkel,  Decamerone^  p.  437) 
si  legge:  «  pelle...  de  cavredo  ».  Federico  d'Urbino  avea  i  libri  in 
'<  cavretti  bellissimi  ».  Vespasiano  da  Bisticci,    Vite,  pag.  97. 

In  altri  casi  sembra  trattarsi  di  vesti  fatte  con  pelli  di  capretto,  in 
diverse  foggie  ornate.  Sempre  nel  doc.  V  si  legge:  «  unam  duodenam 
capredorum  deauratorum  »,  «  quatuor  capredos  orpelatos  albos  »,  «  quatuor 
capredos  auri  coloris. 

Circa  l'impiego  di  molte  pelli  d'animali  domestici  e  selvaggi,  delle 
quali  faceansi  le  fodere  de'  vestiti  da  uomo,  veggasi  De  Mussis,  col.  580  D. 

captia,  V.  caQa. 

caputeus,  cappuccio.  Nel  doc.  V:  vc  unum  caputeum  de  mischio  ab  homine  ». 
ÌMazzi,  Tura,  n.  641,  654,  655:  «  cappuccio  di  rosado  »  «  cappuccio  di 
pavonazo  ».  Fra  i  copricapo  usati  a  Piacenza  dagli  uomini,  il  De  AIussis 
(col.  580  D)  annovera  appunto  i  «  capucios  ». 

carnerius.  Xel  doc.  1437  presso  Sacchetti,  p.  16:  «  unum  carnerium  cum 
tribus  anulis  —  »  Cf.  sotto:   <-  canavacium  ». 

carum,  carro,  come  unità  di  misura.  Xel  doc.  V  abbiamo  infatti:  «  sex  ve- 
getes  unius  cari  prò  quolibet  ^>,  cioè  sei  vegge  ciascuna  delle  quali 
aveva  la  capacità  di  un  carro.  Xon  di  rado  in  luogo  di  carruìn  si  usa 
plaustrufìi. 

casieta.  Nel  doc.  V:  «  certas  casietas  parvas  prò  statione  »,  cassette  piccole 
per  la  bottega. 

Casina,  cascina,  nel  doc.  V. 

cassonus,  cassone;  nel  doc.  V  se  ne  ricordano  due  volte,  di  cui  una  volta  in 
riguardo  a  quelli  esistenti  nella  bottega.  Tale  parola  è  registrata  dal 
(lAiTER,  XXIV,  383.  I  cassoni  poteano  avere  «  seratura  »  e  «  forni- 
menti »,  come  quello  dei  figli  di  Cosimo  de'  Medici,  trafficanti  a  Milano, 
cf.  jMazzi,  Medici,  p.  61.  Secondo  Galli,  p.  174,  a  Pavia  i  cassoni  con- 
tenevano di  solito,  ma  non  sempre,  la  biancheria  da  letto.  X'on  di  rado 
erano  intarsiati  e  dipinti  e  formavano  così  un  oggetto  di  lusso.  Ognuno 
sa  come  i  cofani  ed  i  cassoni  si  trasformassero  talvolta  in  preziosi  og- 
getti artistici.  Del  cassone  per  la  farina,  parla  Staff^eTTI,  p.  313. 

castanea,  castagno.  Nel  doc.  V:  «  viginti  duobus  assidibus  de  castanea  ». 

catena,  catena.  Xel  doc.  I  «  duas  catenas  ferri  que  sunt  in  dicto  fumo  »,  e 
nel  doc.  Ili  ;  unam  catenam  ferri  >■>,  e  nel  doc.  IV  «  unam  catenam 
ferjrjii  ». 

23 


2.s6  CARLO   CIPOLLA 


caupenala.  Nel  doc.  V,  senza  che  dal  contesto  si  possa  aver  aiuto  per  l'in- 
terpretazione: «  unam  duodenam  caupenalarum  a  bobus  ».  Più  volte  ivi 
ricorre  menzione  di  oggetti  che  servivano  per  i  buoi:  «  mediam  libram 
clavorum  a  bobus  »  «  duodecim  zonchulas  corde  prò  bobus  ».  Siccome 
il  testo  non  è  correttissimo,  pare  non  impossibile  leggere:  «  campanela  », 
ed  avremo  allora  le  campanelle,  che  si  appong^ono  alle  vacche  ed  ai  buoi, 
nelle  mandrie  e  sui  pascoli. 

caca,  captia,  cazza.  Nel  doc.  I  «  unam  cacjam  rami  »,  e  nel  doc.  IV  «  unam 
sytullam  feratam  ab  aqua  cum  una  captia  ramy  ».  Trovai  «  cacia  »  nello 
stesso  senso  in  luv.  Sacco,  p.  44,  e  Bard..  p.  184.  Bevere,  XXII,  706,  ha 
«  cacza  »  per  schiumaruola  (V.  documento  IV,  pag.   io). 

celestrinus.  Nel  doc.  V  ricordasi  un  tessuto  («  testus  »)  da  donna  di  color  verde 
e  celestrino,  e  un  panno  da  uomo  di  color  «  azurini  sive  celistrini  ». 

cervius.  Nel  doc.  V:  «  quatuor  libras  de  cervio  »  «  quatuor  grossas  de 
augetis  de  cervio  et  soata  ».  Si  accenna  a  pelle  di  cervo? 

clavus,  chiodo.  Nel  doc.  V:  «  mediam  libram  clavorum  a  bobus  ». 

[cjoffaneum.  Il  doc.  IV:  «  tria  toffanea  de  ligno  ».  Se  la  proposta  correzione 
è  esatta,  avremo  il  ricordo  dei  coffani,  che  sì  di  spesso  s'incontrano  nei 
documenti,  e  che,  senza  questa  ipotesi,  mancherebbero  nei  nostri  inven- 
tari. Del  coffano  parlano,  col  Merkel,  tutti  coloro,  a  dir  così,  che  pub- 
blicarono inventari.  I>'uso  dei  coffani  era  molto  vario;  alcuni  fra  essi 
servivano  anche  «  per  tenere  cose  da  mangiare  »  ;  cfr.  Mazzi,  Tura, 
V,  274,  n.  432. 

cohina,  cucina,  nel  doc.  I.  Non  è  detto  qui  se  la  cucina  fosse  al  basso,  o  se 
si  trovasse  in  alto,  come  spesso  avveniva,  almeno  per  Pisa  (Lltpi, 
Casa  Pisana,  XXVII,  311),  al  fine  di  agevolare  l'uscita  del  fumo.  Bi- 
sogna riflettere  che  i  tubi  e  i  camini  all'  uso  nostro  mancavano.  — 
Sulla  cocliina  cf.  Galli,  p.  157. 

cola.  Ecco  un'altra  parola  oscura.  Il  doc.  V  ne  fa  due  menzioni:  «  tres  libras  cole 
de  pluribus  coloribus»  «  sex  interciarios  de  cola  de  triplici  coloribus  ». 
Parallelo  a  quest'ultimo  passo,  n'è  ivi  un  altro,  che  parla  di  treccie  di 
seta  «  de  seda  »,  pure  a  tre  colori.  Cola  sta  in  corrispondenza  quindi 
con  :  seta?  Ma  di  più  non  posso  dire,  e  penso  che  forse  si  possa  alludere 
ai  cascami  di  seta,  giacché  non  si  può  pensare  né  alla  lana,  né  alla 
canape,  ecc.  Tuttavia  non  escludo  la  possibilità  di  avvicinare  questa 
parola  a  colla,  corda  {^Dizionario  della  Crusca,  III,  138),  quantunque  in 
questo  caso  la  parola  corda  assuma  un  significato  speciale. 

confavatus.  Dal  doc.  V,  che  ricorda  questo  oggetto  («  unam  duodenam  et 
dimidiam  confavatorum  inter  piatos  et  copeluetos  »)  si  può  dedurre  sol- 
tanto che  altri  di  essi  erano  piatti,  ed  altri  erano  a  coppella,  cioè  convessi 
(o  concavi^ 

contrafactus.  Nel  doc.  V,  parlasi  di  quegli  oggetti  d'ornamento  alle  vesti,  che 
in  generale  ricorrono  con  grande  frequenza,  sotto  il  nome  di  pomell;  esso 

24 


INVENTARI   TRASCRITTI   DA  PERGAMENE  BOBBIESI  257 

ne  distingue  due  specie,  una  di  pomelli  lisci  («  soliorum  »)  e  l'altra  di  «  con- 
trafactorum  »,  lavorati.  Non  mi  pare  sia  il  caso  di  pensare  a:  fatti  ad 
imitazione;  poiché  a  ciò  non  ci  spinge  neanche  un  doc.  del  1437  presso 
Cecchettt  (  Vesti,  p.  26;  cf.  p.  21),  dove  parlasi  di  panni  <  contrafatti  alla 
fiorentina  >.  Intenderemo  dunque  soltanto:  lavorati. 

copeluetus,  fatto  a  coppella;  nel  doc.  V:  «  unam  duodenam  et  dimidiam  con- 
favatorum  Inter  piatos  et  copeluetos  ».  E  notissimo  ciò  che  dice  Sac- 
chetti {Nov.,  137):  «  questi  non  sono  bottoni,  ma  sono  coppelle  ».  La 
coppella  così  viene  definita  dalla  Crusca  (III,  723):  «  Specie  di  bottone, 
che  serviva  di  ornamento  nelle  vesti  femminili,  probabilmente  così  chia- 
mato dall'essere  di  forma  concava  ». 

coperchium.  Sotto  «  banchale  »  ho  già  accennato  a  che  i  bancali  potevano 
avere  due  (doc.  Ili  e  V)  e  anche  tre  e  cinque  coperchi  (doc.  V).  Farmi 
chiaro  che  qui  si  tratta  di  panche  lunghe,  nelle  quali  si  aprivano  due, 
tre,  cinque  cassetti.  Oltre  al  bancale,  anche  altri  oggetti  aveano  coperchi, 
e  il  doc.  IV  ricorda  «  unam  mastram  frustram  sine  copercho  ». 

coramen,  cuoio.  Se  ne  facea  cappelli,  giacché  nel  doc.  V  incontriamo  ricor- 
dati sei  cappelli  «  feltri  et  coraminis  ».  Si  formavano,  con  cuoio  negro, 
le  cinture  da  donna;  ivi.  Ed  era  necessario  uno  speciale  coltello  per  ta- 
gliare il  cuoio;  ivi.  —  Presso  MANNO  (p.  764,  glossario,  al  doc.  del  1532): 
«  coyrame,  coyro  »,  nel  senso  di  cnoio.  Cf.  «  corium  ». 

corbella.  Nel  doc.  IV  «  tres  corbellas  »;  corbeille,  canestro,  cesta. 

corda.  Nel  doc.  V  :  «  duodecim  zonchulas  corde  prò  bobus  »  ;  e  ancora  : 
«  pensses  octo  cordarum  inter  subtilem  et  grossam  {sic)  ». 

cordonus,  cordone,  ed  era  di  varie  qualità,  di  seta  come  di  refe,  secondo  che 
si  legge  nel  doc.  V.  Nel  doc.  1437  presso  Sacchetti,  p.  11,  r.  39: 
«  unum  cordonum  cum  duobus  groppis  de  auro  laboratis  ». 

corigia,  curigia,  coreggia,  cintura.  Nel  doc.  V:  «  duodecim  corigias  ab  ho- 
mine  »  «  sex  corigias  a  femina  de  coramine  nigro  »  «  duodecim  curigias 
fulzitas  a  ronzino  ».  In  tutti  questi  casi  si  tratta  di  coreggie  di  poco 
prezzo,  mentre  talvolta  se  ne  aveano  di  lusso,  specialmente  quando  la  parola 
coreggia  è  adoperata  nel  senso  di  cintura.  — Merkel  {Decani.,  p.  507  esgg.) 
dice  che  la  «  corigia  »  era  talvolta  di  cuoio  e  talvolta  di  seta  ;  era  più 
o  meno  ricca,  ed  in  italiano  chiamavasi  coreggia  quando  era  veramente  di 
cuoio,  come  esprime  il  nome,  e  cintura  quand'era  di  lana  o  di  seta.  Tut- 
tavia, egli  soggiunge,  questa  distinzione  non  è  costantemente  osservata. 
Talora  la  coreggia  era  fornita  di  lamine  o  fibbie  argentee,  per  adattare 
le  quali  si  prestava  opportunamente  la  seta.  Trovai  la  cintura  quale 
oggetto  di  lusso  nell'inventario  Sacco  (C/)/  amico  di  Cangrande  I,^.  44). 
Cecchetti  (  Vesti,  p.  89)  parla  della  cintura,  considerandola  anche  come 
oggetto  di  lusso.  Cinture  d'oro  e  d'argento  si  trovano  ricordate  in  docu- 
menti del  1371  e  del  1466  presso  G.  Mazzatinti,  Leggi  Eug.,  p.  291, 
e  296. 

25 

33  —  Mise,  S.  Ili,  T.  XIII. 


CARLO  CIPOLLA 


Spesso  nelle  leggi  suntuarie  perugine  la  «  centura  »  o  la  «  corrigia  » 
compare  come  oggetto  di  lusso  (Fabretti,  p.  190,  1445;  p.  193,  1460; 
p.  214,  1502).  Fra  i  documenti  veneziani  editi  dal  I.UDWIG  (p.  346)  uno 
dice:  «  una  zenta  {cinta)  de  seda  cremesina  ».  Ricchissime  cinture  vengono 
annoverate  fra  i  beni  spettanti,  1458,  ai  figli  di  Cosimo  dei  ÌMedici:  sono 
di  seta,  d'oro,  d'argento,  di  broccato  d'oro,  di  broccato  d'argento  (C.  Mazzi, 
Medici,  p.  7). 

Il  De  Mussis  (col.  579  E)  menziona  le  cinture  al  suo  tempo  usate 
dalle  donne  di  Piacenza;  esse  erano  di  argento  dorato  e  con  perle. 

Nel  caso  nostro  la  parola  corigia  è  presa  per  cintura  da  uomo  e  da 
donna,  e  per  coreggia  da  ronzino.  L'uso  svariato  di  tale  parola  confermasi 
dal  doc.  1532  edito  dal  Manno  (p.  736,  737)  dove  si  trova  la  «  corregia  » 
da  spada,  che  serviva  cioè  per  fermare  la  spada  alla  cintura. 

L'uso  di  adornare  le  cinture  giunse  a  tale,  che  a  Parma,  nelle  leggi 
suntuarie  del  1506,  erasi  creduto  di  permettere  che  le  donne  le  portas- 
sero con  ornamenti  d'oro  e  d'argento  (Benassi,  I,   116). 

corium,  cuoio.  Se  ne  formava  le  brachette,  «  duodecim  capita  bragilorum  de 
corio  »,  doc.  V;  un  altro  passo  del  medesimo  documento  accenna  alla 
misurazione  del  medesimo:  «  unum  sextum  prò  signando  corium  ».  Veg- 
gasi  anche  quanto  si  disse  sotto  «  coramen  ». 

cortina.  Dal  doc.  1  appare  che  c'erano  cortine  grandi  e  piccole  «  duas  cor- 
tinas,  unam  palvam  et  unam  magnam  ».  E  per  le  cortine  si  adoperavano 
fibbie  di  legno  e  di  ferro;  erano  usate  in  buon  numero  specialmente 
quelle  di  legno.  Ciò  risulta  dal  doc.  V:  «  centum  fubias  de  ligno  a  cor- 
tina »  «  duodecim  fubias  feri  a  cortina  ».  Xel  doc.  1437  presso  SACCHETTI, 
p.   14:  «  unam  cortinam  ante  lectum  ». 

Il  doc.  I  si  riferisce  a  oggetti  d'uso  ecclesiastico,  ma  negli  altri  casi 
(cioè  nel  doc.  V)  si  può  supporre  che  si  parli  delle  cortine,  che  velavano 
il  letto.  Il  De  Mussis  (col.  583)  accenna  a  siffatte  cortine,  scrivendo 
«  ...  et  cortinis  de  tela  circum  circa  dieta  lecta  ».  E  per  il  letto  serviva 
la  cortina  dipinta  a  figure  di  leopardi,  che  vediamo  descritta  nell'inven- 
tario Aleardi  (p.  45). 

Cremona.  Come  a  Lucca,  anche  a  Cremona  si  fabbricava  l'argento,  se  il  doc.  V 
ricorda  1'  «  argentum  Crcmonensse  ». 

crivelleria,  crivello,  vaglio.  Il  doc.  IV  :  «  unam  crivelleriam  ». 

crux.  Il  doc.  I,  in  capo  alla  serie  degli  oggetti  d'uso  ecclesiastico,  menziona 
«  crucem  copertam  de  argento  et  auratam  et  de  pluribus  lapidibus 
ornatam  ». 

cugiarius,  cucchiaio.  Il  doc.  V  reca:  «  duodecim  cugiarios  argenti  ».  Il  De 
Mussis  (col.  583)  fra  le  nuove  costumanze  del  tempo  in  cui  scriveva  (1388), 
enumera  i  cucchiai  d'argento  «  utuntur  taciis,  cugiariis  et  forcellis  ar-" 
genti  ».  Galli,  p.  168,  rilevò  che  il  cucchiaio  di  solito  era  di  ottone, 
ma  questo  metallo  poteva  essere  sostituito  dall'argento;  nelle  case  po- 
vere se  ne  faceva  scarso  uso. 

26 


INVENTARI   TRASCRITTI   DA   PERGAMENE   BOBBIESI  259 

cuhris,  coltre  del  letto,  secondo  i  doc.  Ili  («  unam  cultrim  de  dicto  lecto  de 
burdo  »)  e  V  («  unum  lectum  cum  una  cultre  de  burdo  »).  E  bordo  era 
una  specie  di  panno,  secondo  il  lessico  Du  Cange.  —  Nei  documenti 
di  Pietro  da  Sacco  {Un  amico,  p.  46)  e  di  Bardolino  (p.  184)  avevo  tro- 
vato «  eultra  »  e  «  eultra  nigra  ».  Cf.  anche  l'inventario  Aleardi  (p.  45). 
Sulla  coltre,  cf.  L.  Staffetti,  p.  202-3,  che  spiega  per  copriletto, 
variante  per  materia  e  grandezza.  Sacchetti,  p.  7. 

cappata  (casina),  cascina,  casa  coperta  da  coppi.  Di  coppi  non  trovo  men- 
zione nelle  particolareggiate  notizie  che  Lupi,  Casa  Pisana,  XXXI,  386, 
ci  somministra  sui  tetti  pisani.  Staffetti,  p.  218,  ha  la  parola  coppo  in 
altro  verso. 

curigia,  V.  corigia. 

cusire.  Il  doc.  V  ricorda  gli  aghi  «  prò  cusiendo  »  e  «  unam  scaciam  prò 
cusiendo  bragerios  ». 

cutelinus,  cortellini,  per  tagliare  il  pane  «  duos  cutelinos  a  pane  »  (doc.  V). 

cutelus.  Il  doc.  V  ricorda  «  unum  cutelum  prò  incidendo  coramen  ».  Nel 
doc.  di  Bardolino  (p.  184)  incontrasi  un  coltello  da  tavola  '--  coltellus  a 
discho  ».  Il  De  AIussis  (col.  583)  fra  le  novità  introdottesi  ai  suoi  tempi, 
annovera  anche  i  coltelli  grandi  da  tavola. 

didalus,  ditale.  C'era,  come  si  usa  ancora  oggi,  il  ditale  chiuso,  da  donna,  e 
c'era  il  ditale  aperto.  Infatti  nel  doc.  V  leggiamo  :  «  didalos  viginti 
ferri  »,  «  viginti  didalos  clausos  a  femina  »,  Nel  secondo  caso  non  è 
detto  se  i  ditali  fossero  di  ferro.  In  altri  documenti  figurano  ditali  di 
argento,  siccome  risulta  dalle  seguenti  citazioni.  Cecchetti  (  Vesti^  p.  121) 
cita  un  doc.  del  1338  in  cui  si  legge:  «  dezedale  (=  ditale)  unum  ar- 
genti »;  presso  Motta  (p.  2\)  trovo  indicati  «  due  didali  d'argento  ». 

dischus,  discus,  desco,  tavolino.  Lo  si  ricorda  nei  doc.  Ili  e  IV.  Avevo  già 
trovato  il  dischus  nell'inventario  Sacco  {Un  aniico^"^.  46),  e  in  quello  di 
Bardolino  (p.  184).  Staffetti,  p.  307,  si  studia  di  descriverlo. 

disfulcitus,  il  contrario  di  fulcito,  e  quindi  senza  ornamenti,  senza  aggiunte. 
Il  doc.  V  annota:  «  duodecim  zingias  (cinghie)  disfulcitas  >'.  Probabil- 
mente queste  cinghie  avranno  mancato  di  fermagli  e  in  ciò  avrà  con- 
sistito il  loro  difetto. 

dugia,  doga.  Il  doc.  IV  fra  una  serie  di  vari  oggetti,  menziona:  «  unam  minam 
de  dugiis  »,  dove  si  parla  di  un  vaso  della  capacità  di  una  mina  formato 
da  strisele  di  legno,  che  chiamiamo  appunto  doghe. 

duodena.  dozzina. 

endigum,  colore  indico.  Doc.  V:  <c  sex  libras  bambatii  endigi  coloris  ». 

feltrum,  feltro.  Doc.  V:    -  sex  capelos  feltri  et  coraminis  ». 

fercium,  nel  doc,  IV,  ferium,  ferum,  ferro. 

27 


200  CARLO  CIPOLLA 


fiUium,  il  doc.  V  ricorda:  «  unum  fìlium  de  pomelis  »,  una  fila,  una  serie  di 
bottoni. 

filum.  Nel  doc.  IV:  «  libras  quinque  filili  a  canipa  ».  Più  di  sovente  questa 
parola  s'incontra  nel  doc.  V  :  «  tres  pensses  de  fillo  a  piscatoribus  » 
«  duas  libras  fili  a  balistris  »  «  duas  libras  fili  prò  apontando  ».  Nel 
doc.  1532  presso  Manno  (p.  150)  si  parla  di  rubbi  o  libbre  di  filo. 

fisare,  filare.  Doc.  V:  «  unum  penssem  canipe  a  filando  ». 

forceleta,  forbicette.  Nel  doc.  V:  «  quatuor  forceletas  a  sartoribus  ».  Un  doc. 
presso  Casanova  (p.  78)  ha:  «  doi  forcelle  d'ariento  ».  Il  De  Mussis 
(col.  583)  fra  le  novità  introdotte  dalla  moda  di  Piacenza  rammenta  anche 
«  forcellis  argenti  »,  ma  il  nostro  documento  di  argento  non  parla.  — 
Cf  «  zisoria  ». 

forvex,  forbice.  Doc.  V:  «  quatuor  paria  de  forvicibus  ».  In  doc.  del  12 15  di 
Bardolino  (p.  126)  leggesi:  «  cum  una  forpice  ».  Bevere  (XXII,  705) 
registra:  «  par  forficularum  ».  Si  consultino  Viollet-Le-Duc,  Diction- 
naire,  II,  492,  e  Merkel,  Tre  corredi,  p,  125  e  p.  180.  —  Nel  doc.  1437 
presso  Sacchetti,  p.  14  «  unum  par  forficum  ad  dominas  »  Cf.  forceleta. 

frigere,  friggere,  Doc.  V:  «  unam  padelam  rami  a  frigendo  ». 

frixum.  Il  doc.  V  registra  un  barilotto  da  donna  «  cum  uno  frixo  auri  »,  ed 
altro  barilotto  (da  uomo?)  «  cum  uno  frixo  parvo  ».  Talvolta  pare  che 
frixa  sia  da  interpretarsi  per  frangia,  e  così  Manno  (p.  767  glossario) 
spiegò  la  frase  «  drappo  frixato  »,  ch'egli  trovava  nel  suo  inventario 
del  1532.  ÌA2i  frixuiìi  ha  senso  assai  più  largo;  entrò  in  uso  anche  in 
scultura  e  in  architettura  nel  senso  di  ornamento.  E  con  tale  significato, 
di  carattere  generico  e  comprensivo,  si  incontra  assai  di  sovente,  salvo 
a  subire  quelle  determinazioni  che,  caso  per  caso,  le  circostanze  sugge- 
rivano. Presso  Motta  (p.  21)  trovo:  «  scufiolo  negro  cum  uno  friso  d'oro 
tirado  »,  e  ancora  (p,  21):  «  uno  friso  d'argento  ».  Il  Cecchetti  (  Vesti, 
p.  95)  cita  assai  opportunamente  un  atto  del  1334  con  cui  il  Senato  di 
Venezia  non  ammise  «  aliquam  frisaturam  vel  ornamentum  perlarum  nec 
auri  nec  argenti,  salvo  perolos  argenti  vel  argenti  deauratos  ad  manicas  ». 
Qui  vediamo  frisatura  spiegata  per  ornamento,  comprendente  anche  la 
frangia  dei  peroli. 

Perciò  talvolta  la  parola  frisii  ha  il  valore  generico  di  guernizioni, 
come  vedesi  presso  Verga,  p.  35  (e  glossario,  p.  74).  Più  volte  nei 
documenti  delle  leggi  suntuarie  perugine  del  sec.  xiv  si  ricordano  le 
«  fregiature  »  (Fabretti,  p.   166). 

Il  De  Mussis  (col.  580  D)  discorre  di  certi  mantelli  da  donna  «  cum 
frixiis  aureis  ».  E  ancora  (col.  579  D)  scrive:  <-  super  aliquibus  indumentis 
ponitur  frisia  magna  et  larga  auri  circumcirca  ».  Qui  proprio  si  parla  di 
guernizioni. 

Notevole  è  un  passo  di  un  doc.  1235  inserto  nel  «  Lib.  Censuum  » 
di  Pistoja  (ed.   Santoli,  p.  203)  dove  comparisce  il  verbo  in   forma  di 

participio,  e  con  significato  generico:  «  unam   planetam...  fresciatam 

de  orpello  ». 


INVENTARI   TRASCRITTI   DA   PERGAMENE  BOBBIESI  26 1 


fubia,  fibbia.  Ce  n'eran  di  ferro,  e  di  varie  grandezze,  «  duas  grossas  de  fero 
inter  parvas  et  magnas  >  (doc.  V).  Per  le  cortine,  si  adoperavano  tanto 
di  legno,  quanto  di  ferro  (ivi);  e,  fatte  di  ottone,  servivano  perle  brache 
(ivi).  Ma  fuori  di  qui  troviamo  ricordate  le  fibbie  di  lusso,  e  Cecchetti 
{Vesti,  p.  97)  lesse  in  documenti  degli  anni  1329,  1361,  1445  i  ricordi 
di  fibbie  d'argento  smaltato  e  ornate  di  perle.  Della  fibia  trattò  colla 
consueta  sua  erudizione  il  Merkel,   Corredi,  p.   164. 

fulcitus,  ornato,  allestito.  Il  doc.  V  reca:  «  duodecim  curigias  fulzitas  a  ron- 
zino ».  Avranno  avute  queste  coreggie  le  loro  fibbie,  e  quant'altro  era 
necessario  perchè  funzionassero  bene.  Anche  il  giogo  per  i  buoi,  ricordato 
nel  doc.  IV,  evdi /idcito  :  «  unum  iugum  fulcitum  ».  Per  il  senso  opposto, 
cf.  <  disfulcitus  ». 

Nei  documenti  veneziani,  del  tempo  della  Rinascenza,  pubblicati  dal 
compianto  LuD\\^G  (p.  312,  320,  326)  troviamo  i  participi  «  fornide  »  e 
«  desfornide  »  applicati  a  certe  «  cassette  da  pettini  »,  secondo  che  ave- 
vano o  non  avevano  i  pettini,  secondo  ch'erano  bene  o  male  allestite. 

Nel  Dizionario  della  Crtcsca  (VI,  2,  589)  si  dice  che  figuratamente 
fulcito  vale  munito,  guarnito.  E  perciò  in  Un  contratto  miziale  del  1537 
(p.  24)  si  ricorda  una  cestella  di  vimini  «  fornida  cum  el  suo  degeal 
{ditale)  d'arzento  ». 

L'inventario  Aleardi  (p.  48)  ci  dà  :  «  unum  galerium  palearum  ful- 
citum sirico  albo  et  virido  ». 

furchatum,  forca.  Doc.  IV:  «  unum  forchatum  de  fero  ».  Presso  Galli, 
p.  179:  «  forcha  ferri  ». 

furnus,  forno.  Xel  doc.  I  leggesi  :  «  in  fumo  dictorum  canonicorum  ». 

gabanus,  gabbano,  specie  di  mantello  con  maniche.  Il  doc.  V  ha:  «  unum 
gabanum  a  taliis  de  biavo  ab  homine  ».  Presso  Mazzi,  Tìira,  V,  83, 
n.  315:  «  uno  gabbano  di  panno  bruschino  ». 

gafara.  Il  doc.  V  reca:  «  sex  gafaras  de  argento  luchexo  ».  Probabilmente, 
per  la  spiegazione,  è  da  ricorrere  a  gaffa,  puntale. 

galeta.  Il  doc.  IV  ha:  «  unam  galetam  ».  La  galeta  era  una  misura  di  capa- 
cità, per  l'olio  e  il  vino,  nei  documenti  di  Bardolino,  come  avvertii 
altrove  Bard.,  p.  184).  Nel  Lexicon  del  Du  Gange  questa  parola  s'in- 
terpreta per:  «  mensura  frumentaria  ». 

galetus.  Il  doc.  V  reca:  «  brazias  duodecim  de  tela  viridi,  galeti  et  biavi 
coloris  ».  Accanto  alla  tela  verde  ed  azzurra  (bleu)  c'è  la  tela  di  color 
galeto,  che  si  spiegherà  per  gialeto,  gialletto. 

gausape,  mantile.  Il  doc.  I  reca:  «  vigintiduas  gausapes  de  altari  ».  Cf.  Staf- 
FETTI,  p.   316. 

gavardus,  paletta  di  ferro,  dove  peraltro  la  prima  lettera  non  è  sicura.  Il 
doc.  IV  ha:  «  unum  gavardum  de  ferro  ».  Il  dialetto  piacentino  conserva 
anche  oggidì  la  parola  <;  gavard   >  nel  senso  che  ho  testé  indicato. 

29 


202  CARLO   CIPOLLA 


gradilinus.  Fra  le  scodelle  di  peltro  e  i  cucchiai  di  argento,  il  doc.  V  registra: 
«  octo  gradilinos  de  peltro  ».  Il  Salvioni  raffronta  queste  parole  coU'an- 
tico  alfabeto  italiano  gradelin,  graelin,  coppa,  vaso.  Nella  credenza  pa- 
vese descritta  da  Galli,  p,  165,  trovano  posto  i  gradelini  colle  sco- 
delle, coi  cucchiai,  ecc.  E  per  scodella  di  terra  intende  questa  parola 
Staffetti,  pag.  217. 

graturollus,  grattugia  (?).  Il  doc.  IV  reca:  «  unum  graturollum  ». 

grossa,  grossa  (dodici  dozzine).  Il  doc.  V  ha:  «  quatuor  grossas  de  augetis  —  », 
e  «  tres  grossas  de  fubiis  —  ». 

guardanapulus,  guardanappa,  sciugatoio.  Il  doc.  V  reca:  «  quatuor  guarda- 
napulos  ».  Di  varie  specie  e  forme,  per  i  piedi  e  per  le  mani,  ne  registra 
Bevere  (XXI,  635)  sotto:  «  guardanappus  »,  che  interpreta  per:  sciu- 
gatoio. Delle  «  guardanapparum  Francisenarum  »  tiene  nota  la  tariffa 
fiorentina  del  1307,  presso  Davidsohn,  p.  100.  Secondo  Galli,  p.  167,  a 
Pavia  i  giiardanapi  e  i  sicganapi  erano  specie  di  tovaglie  della  lunghezza 
da  5  a  7  braccia,  che  servivano  a  ripulire  il  piatto  ad  ogni  pietanza. 
Erano  di  un  tessuto  apposito,  più  o  meno  fine,  talora  ricamato,  nìagari 
a  colori  se  si  trattava  di  case  agiate  ;  ma  anche  di  semplice  tela,  oppure 
di  pezzi  di  tovaglia  adibiti  allo  scopo,  di  varia  lunghezza  ecc.  Crede 
il  G.  che  le  case  dei  poveri  ne  fossero  sprovviste,  poiché  ivi  ben  di 
rado  si  mangiava  più  di  una  pietanza;  tutt'al  più  colà  si  potevano  tro- 
varne di  tela  greggia.  Cf.  Staffetti,  p.  210,  316. 

Il  De  Mussis  (col.  583)  quando  paragona  l'età  presente  colla  passata 
avverte  il  diffondersi  dell'uso  degli  sciugatoi:  «  et  utuntur  guardenapis, 
quae  a  paucis  utebantur  ». 

incixorium.  Il  doc.  IV  reca:  «  tria  incixoria  ».  Questa  parola  viene  così  inter- 
pretata dal  Du  Gange  {s.  v.  :  incisorium)  «  ofbiculus  mensarius,  super 
quo  escas  incidimus  »  «  novacula  »  «  instrumentum  omne  aptum  ad 
incidendum  ».  E  avvertasi  che  novaada  nel  Lessico  di  Forcellini-De  ViT 
si  rende  per  «  culter  acuta  acie  ».  Cf.  Staffetti  (p.  219)  spiega  «  ta- 
glieri, varii  di  grandezza  e  materia  ». 

incudo,  incudine.  Nel  doc.  V  leggiamo:  «  unam  incudinem  prò  ferando  ago- 
getas  ».  Sarà  stato  una  piccola  incudine,  che  le  famiglie  tenevano  in 
casa  propria,  per  quei  servizi  di  minor  conto,  ai  quali  potevasi  agevol- 
mente provvedere,  senza  ricorrere  al  fabbro  ferraio. 

interciroria  o  intercitores,  intrecciatoi.  A  ciò  si  riferiscono  due  passi  del 
doc.  V:  «  unam  duodenam  intercirorum  de  seda  triplici  colore  »  «  unam 
duodenam  intercirorum  de  cola  de  triplici  coloribus  ». 

Bevere  (XXII,  326)  :  «  intrechiatura,  intriciatura  »  ;  e  dà  vari  esempi 
di  tali  oggetti,  alcuni  dei  quali  erano  ricchissimi,  ornati  d'oro  e  di  pietre 
preziose.  Egli  accosta  «  intrezatorium  »  a  «  ligatorium  »,  poiché  di  un 
oggetto  si  possono  avere  parecchi  nomi  facilmente.  Cecchetti  (  Vesti, 
p.    100)  fa  parola   delle   treccie    usate   ad    ornamento   del  capo,  e  da  un 

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INVENTARI   TRASCRITTI   DA   PERGAMENE   BOBBIESI  263 

doc.  del  1245  ricava  «  unum  parium  de  drezatoriis  de  perlis  »;  in  altro 
doc.  del  1351  egli  trova  «  drezatores  de  perlis  »;  e  similmente  in  altri 
documenti. 

Xè  sarà  tempo  sprecato  se  ci  soffermiamo  sul  triplice  colore,  rife- 
rendoci a  quanto  avverte  Vayra  (p.  89,  n.  367)  a  proposito  di  certe  coltri 
da  letto,  che  erano  di  seta  bianca,  verde  e  rossa.  Il  triplice  colore,  in 
condizioni  uguali  o  simili,  lo  troviamo  anche  nell'Inventario  del  Vayra 
(p.  loi,  n.  529;  p.  105,  n.  579;  p.  151,  n.  1034  e  n.  1039).  Il  doc.  V  parla 
altrove  della  tela  verde,  gialla,  bleu. 

Il  triplice  colore  è  caratteristico  nel  medioevo,  e  i  passi  che  ora 
citiamo  ci  fanno  pensare  alla  figurazione  dantesca  di  Beatrice: 

Sopra  candido  vel,  cinta  d'oliva 
Donna  m'apparve,  sotto  verde  manto, 
Vestita  del  color  di  fiamma  viva. 

Così  in  Purg.,  XXX,  31.  E  in  Farad.,  XXXI,  13-15: 

Le  faccie  tutte  avean  di  fiamma  viva 
E  l'ali  d'oro  e  tutto  l'altro  bianco, 
Che  nulla  neve  a  quel  termine  arriva. 

In  una  legge  suntuaria  perugina  del  sec.  XIV,  stesa  tanto  in  latino 
quanto  in  volgare,  leggesi  una  prescrizione  che  riguarda  l'oggetto  di  cui 
ci  occupiamo,  ancorché  la  parola  sia  leggermente  modificata:  «  intercia- 
turas  auri  vel  argenti  »  «  entrecciature  d'oro  ovvero  d'argento  »  (Fabretti, 
pp.  164-65).  Il  De  Mussis,  parlando  delle  donne  piacentine ,  afferma 
(col.  580)  che  «  portant  tergollas  [terzollas?]  de  perlis  grossis  »,  e  poi 
tocca  dei  nuovi  ornamenti  del  capo  usati  in  luogo  delle  «  terzarum  de 
auro  vel  de  serico,  quas  portare  solebant  contextas  seu  interzatas  in 
capillis  capitis  earum  ». 

Il  Dizionario  della  Crusca  (Vili,  1125)  così  definisce  la  parola  intrec- 
ciatoio  «  Ornamento  femminile  da  porre  sulle  treccie,  fatto  di  seta  e  di 
metallo  e  talvolta  guernito  di  perle  ». 

^Iolmenti  (I,  253)  fra  gli  adornamenti  muliebri  del  capo  registra 
;  drezadori  »,  che  spiega  (p.  267):  «  ornamenti  di  perle  alle  treccie  ». 

iugum.  Nel  doc.  IV  «  unum  iugum  fulcitum  v,  cioè  bene  allestito,  cui  nulla 
manca. 

labeticulus,  diminutivo  di  «  labes  »,  piccolo  lavaggio.  Il  doc.  Ili  ha:  «  duos 
labeticulos  parvos  rami  ».  Cf.  lebes. 

lana,  lana.  Il  doc.  V  reca:  <-  unam  libram  de  lana  nigra  filata  »,  «  duodecim 
astaloni  de  lana  ».  Nel  primo  caso  si  tratta  di  lana  filata,  ma  non  tessuta. 

lapis,  pietra.  Il  doc.  Ili  reca:  «  unum  mortalle  lapidis  »,  cioè  un  mortaio  di 
pietra.  Cf.  petra. 

lebes,  laveggio.  Questo  oggetto  si  trova  menzionato  nel  doc.  IV  con  molta 
frequenza,  e  da  tali  passi  si  può  dedurre  come  il  laveggio  potea  esser 
fatto  di  varie  materie  ed  avere  differenti  dimensioni.  Se   ne   elenca  uno 

31 


264  CARLO  CIPOLLA 


di  rame  capace  di  4  secchie  («  quatuor  situUarum  »)  ed  altro  pure  di 
rame,  capace  di  una  secchia;  altro,  capace  di  una  secchia,  era  di  pietra; 
se  ne  ricordano  ancora  due  piccoli,  l'uno  di  pietra  e  l'altro  di  rame.  Nel 
doc.  Ili  si  parla  di  un  laveggio  grande  di  rame  e  di  uno  di  pietra.  Nel 
doc.  I  si  parla  di  lavaggi  di  bronzo  grandi  e  piccoli,  e  si  tocca  pure  di 
due  altri  in  rame.  Nel  doc,  V  ricordansi  tre  la  veggi  (i)  di  rame  di  diverse 
grandezze.  E  interessante  notare  come,  almeno  per  alcuni,  la  loro  capacità 
fosse  calcolata  sopra  l'unità  di  misura,  e  non  fosse  casuale. 

Negli  antichi  inventari  è  ovvio  trovare  menzionati  i  laveggi.  Anche 
nell'inventario  del  1532  edito  dal  Manno  si  registra  «  uno  lavezo  de 
bronzo  »  (p.  747).  Un  laveggio  di  rame,  «  labes  covri  »  sta  nell'inven- 
tario di  BardoHno  (p.  185).  E  «  labes,  labetum  »  abbiamo  nell'inventario 
di  Pietro  De  Sacco,  p.  46.  Cf.  St affetti,  p.   176. 

lebius.  Il  doc.  V  reca:  «  centum  lebios  a  planelis  »,  in  mezzo  fra  le  fibbie 
per  le  cortine,  e  di  specchi.  Colla  parola  pianole  si  intende  il  trampolo, 
di  bassa  altezza.,  usato  dalle  signore,  come  diremo  a  suo  luogo.  Ora 
lehius  era  un  oggetto  che  serviva  per  la  pimiella.  Forse  per  allacciarla 
al  piede? 

lecteria  de  asidibus,  la  lettiera,  lo  scheletro  del  letto.  Così  nel  doc.  V.  In  senso 
simile  l'inventario  Sacco  (^Un  amico,  p.  46)  dava:  «  leteria  ».  Cf.  Staf- 
FETTI,  p.   311. 

lectus,  letto;  propriamente  il  materasso,  non  la  lettiera,  ma  nel  caso  nostro 
pare  che  più  esteso  sia  il  senso  di  questa  parola,  almeno  nel  doc.  IV 
dove  si  legge:  a  unum  lectum  de  pexio  »,  cioè  di  pezzo,  di  abete.  Nel 
doc.  III  sembra  che  alla  parola  lectus  sia  meglio  conservato  il  suo  signi- 
ficato genuino,  dicendosi  «  unum  lectum  cum  una  cultre  de  burdo,  cum 
duabus  isic)  parvis  lentuaminibus  ».  Proprio  nel  senso  di  materasso,  ad 
esclusione  della  lettiera,  la  parola  lectus  s'incontra  nel  doc.  V  :  «  unum 
lectum  pennarum  ponderis  circha  penssium  quatuor  »  «  unum  lectum 
cum  plumacio  »  doc.  1437  SACCHETTI,  p.  15.  Cf.  Galli,  p.  157-58  che 
spiega:  «  vasi  di  terra  di  varia  grandezza...  corrispondenti  forse  alle 
nostre  pignatte  di  terra  o  di  laveggio  ».  Egli,  p.  171-72,  riconosce  che 
la  parola  lectus  nei  documenti  pavesi  si  adopera  sia  nel  suo  significato 
proprio  e  ristretto,  sia  più  largamente,  comprendendo  anche  la  lettiera. 
In  senso  stretto  valeva,  egli  nota,  la  fodera  di  terliccio  e  due  piumacci, 
ripieni  di  penne  d'oca,  o,  più  raramente,  di  gallina. 

Non  è  fuori  dell'uso  l'adoperare  la  «  lectus  »  in  senso  esteso.  In 
un  inventario  del  sec.  xiv,  che  si  legge  al  principio  del  voi.  loi  dei 
Regesta  Avenioiiensia  (Archivio  Vaticano)  trovasi  :  «  unum  lectum  pannis 
munitum  ». 

lentiamen,  lentuamen,  nei  doc.  Ili  e  IV.  Nell'inventario  Sacco  ^p.  47)  avevo 
trovato  «  lintheamcn  ».  Bevere  (XXI,  626)  ha  «  lintheamina  »  ed  anche 
«  lentiola  »,  e  «  linzolus  »  incontrasi  pure   nell'inv.   Sacco  (p.   47).   Nel 

(0  Se  il  doc.    ha:    lebates    in    luoso   di    lebetes    ciò    sarà    da    attribuirsi    ad  un    puro   e 
semplice  errore  di  scrittura. 


INVENTARI   TRASCRITTI   DA  PERGAMENE   BOBBIESI  265 


doc.  V  leggiamo:  'i  tria  paria  lenzolorum  ,de  tribus  telis  et  dimidio  prò 
quolibet  eorum  ».  Il  passo  è  notevole,  giacché  non  solamente  conserva  il 
nome,  ma  descrive  anche  il  modo  con  cui  il  lenzuolo  era  fatto,  e  lascia 
scorgere  quanta  fosse  presso  a  poco  la  larghezza  di  un  telo. 

Un  inventario  padovano  del  15 io  (Bonardi,  p.  197)  ricorda  cinque 
lenzuoli  «  de  do  telli  l'uno  »,  ed  altro  lenzuolo  «  de  4  telli  ».  I  lenzuoli 
piacentini  erano  formati  di  3  teli  e  Y,  :  le  misure  adunque  non  sono  tra 
loro  troppo  disformi.  Anzi  in  altro  inventario  padovano  del  medesimo 
anno  (ivi,  p.   195)  comparisce  «  un  linzuolo  de  telli  3  Y2  >>• 

Nell'In vent.  Aleardi  (p.  47)  si  menzionano  lenzuoli  fatti  «  de  tribus 
faldis  »,  ecc. 

Sul  liìiteainen  o  linzolo  e  sul  suo  uso  a  Pavia,  cf.  Galli,  p.   173. 

lerus.  Nel  doc.  V  legg'iamo,  in  mezzo  ad  oggetti  di  vestiario:  «  quatuor  leros 
de  seda  ».  Non  intendo  il  significato  di  questa  parola. 

leva.  Il  doc.  IV  ha:  «  unam  levam  »,  in  mezzo  a  utensili  d'ogni  genere. 
Sarà  una  leva,  poiché  non  pare  che  difficoltà  alcuna  si  opponga  a  tale 
interpretazione. 

libra,  libbra;  come  unità  di  peso  si  trova  nei  doc.  IV,  V. 

lignum,  legno. 

Luca,  Lucca.  Cf.  :   «  argentum  luchexum  »   «  aurum  luchexum  ». 

manicus,  manico  (manico  della  sferza).  Il  doc,  V  dice:  «  unam  duodenam 
manicorum  a  scuriatis  ab  equo  ». 

mantelus.  Nel  doc.  V  leggo:  «  unum  mantelum  ab  homine  panni  azurini 
sive  celistrini  ».  Gli  uomini  dunque  portavano  mantelli  di  tale  colore. 

maracius.  Il  doc.  IV,  dopo  le  falci  messorie,  registra  «  unum  maracium  ».  Nel 
Lexicon  (}iìqW>\5  Gange  questa  parola  s'interpreta  per:  «  vasa  quaecumque 
et  alia  utensilia,  quae  sali  conficiendo  inserviunt  ». 

marchus,  marco  della  stadera,  contrappeso.  Nel  doc.  V  leggesi:  «  unum 
marchum,  qui  levat  libras  quinque  ».  È  il  contrappeso  che  cammina  sul 
braccio  graduato  della  stadera,  e  che  nel  caso  presente  pesava  5  libbre. 
Veggasi  il  Dizionario  della  Crusca  (IX,  931)  sotto  «  marco  ». 

martilus,  forse:  martello  (di  ferro).  Il  doc.  V  ha:  «  duas  duodenas  martilorum 
feri  ». 

mascaducius.  Nel  doc.  V  leggo:  «  tres  pensses  mascaducii  ».  Il  dialetto  pia- 
centino conserva  anche  oggidì  la  parola  «  mascadis  »,  che  significa:  cuoio 
bianco  usato  nei  finimenti  o  tagliato  in  istriscie  per  legare. 

massa.  Nel  doc.  IV  leggo:  «  unam  massam  ferii».  Nell'Inventario  Sacco  c'è 
«  magia  »  mazza.  Bevere,  XXII,  728,  registra:  «  macza  ferrata  de  home 
de  arma  ».  E  nel  dizionario  Tomimaseo-Bellinj  si  trova  la  «  mazza  »  e  la 
«  mazzaferrata  »,  come  bastone  nodato  e  ferrato,  che  si  porta  in  bat- 
taglia. Un  docum.  veneziano  del  1325  (Cecchetti,  Vesti,  p.  120)  ha 
«  mazoleta...  de  fero  ». 

33 

34  —  Mise,  S.  Ili,  T.  XIII. 


206  CARLO  CIPOLLA 


Nel  caso  nostro,  meglio  che  di  un'arma,  si  tratterà  del  palo  di  ferro, 
ad  uso  rustico.  Infatti  la  presente  indicazione  si  trova  di  mezzo  fra  un 
giogo  ed  una  zappa. 

massaricium,  masserizia.  Così  nel  doc.  I,  e  si  usa  come  nome  complessivo 
degli  arnesi  di  casa  trovati  in  una  cucina,  cioè  due  tine,  due  vegge 
comuni,    tre  laveggi  di  bronzo,  ecc. 

mastra,  arca,  secondo  spiega  il  Du  Cange.  Nel  doc.  Ili  leggo,  in  mezzo  fra 
uno  scrigno  e  una  tina:  «  unam  mastram  ».  Il  doc.  IV  fra  la  «  scalla  de 
barixellis  »  e  la  «  messura  »  (falce  messoria),  registra  «  unam  mastram 
frustam  sine  copercho  »  (sic).  Per  il  significato  mi  attengo  al  Du  Cange. 

medietas.  Il  doc.  V  reca:  «  unum  barilotum  de  medietate  »  «  una  vilana  de 
medietate  ».  Questa  espressione  corrisponde  a  quanto  leggiamo  in  un 
doc.  veneziano  del  1338  (Cecchetti,  Ves^i,  p.  121;  cf.  p.  1 1  e  p.  57): 
«  rubinum  unum  de  mitade  de  duobus  meschiis  ».  CecCHETTI  (p.  25) 
menziona  anche  i  mezzanelli  di  seta  o  con  seta.  Su  «  mezolana  »,  «  me- 
zolanum  »  cf.  quanto  dissi  altrove.   Un  amico,  p.  48. 

Mediolanensis.  J.e  borsette  all'uso  milanese  sono  ricordate  dal  doc.  V,  come  di- 
cemmo sotto  «  burseta  ». 

messaroUus.  11  doc.  IV  ha:  «  unum  mes.sarollum  »,  diminutivo  della  falce 
messoria,  «  messura  ». 

messura.  11  doc.  IV  ha:  v;  unam  messuram  »,  falce  messoria. 

mexia.  Fra  un  laveggio  e  una  tinella  il  doc.  IV  menziona  «  unam  mexiam  », 
che  è  certo  la  madia,  cassa  in  cui  si  intride  la  pasta  per  fare  il  pane. 
L'Inv.  Sacco  (p.  47-8)  ha:  «  mesa  fodi  »,  e  l'Inv.  Aleardi  (p.  51):  «  mesa  ». 
—  Cf.  «  misia  ». 

mina,  emina,  misura  di  capacità.  Nel  doc.  IV:  «  unam  minam  de  dugiis  ». 
Du  Cange  spiega  «  mina  »  per  «  mensura  frumentaria  ».  La  doga  è 
una  di  quelle  striscie  di  legno  di  che  si  compone  il  corpo  della  botte  e 
altri  simili  vasi. 

mischium.  Il  doc.  V  menziona  due  barlotti,  e  un  capuccio  di  mischio.  Anche 

neirinv.  Sacco  (p.  48)  avvertii    la   parola   inesclus  nel  senso  di  panno  a 

più  tinte.  Trovo  lo  stesso  vocabolo  abbastanza  di  sovente  nei  documenti 

antichi.  Così  p.  e.  comparisce  in  un    doc.   del    1338    presso   Cecchetti, 

Vesti,  p.   121. 

misia,  madia.  Si  ha  nel  doc.  V.  In  egual  senso  occorre  «  mesa  »  tanto  nel- 
rinv.  Sacco  (p.  47)  quanto  in  quello  di  Bardolino  (p.  185).  Cf.:  «  mexia  ». 

moderator,  ordigno  di  ferro.  Il  doc.  V  ricorda:  «  sex  modcratores  feri  ». 
Di  solito  per  indicare  la  materia  di  cui  un  oggetto  è  fatto,  ivi  si  usa 
la  preposizione  «  de  »  coll'abl.  ;  ma  non  è  escluso  l'impiego  del  gen.  ; 
laonde  leggiamo  «  duodecim  fubias  feri  -,  «  duas  bursetas  ripi  »,  «  unum 
mortale  lapidis  »,  «  duas  situlas  rami  ». 

34 


INVENTARI   TRASCRITTI   DA   PERGAMENE   BOBBIESI  267 

Dal  luog"o  in  cui  il  citato  documento  ricorda  «  sex  moderatores 
feri  »  nulla  possiamo  dedurre  intorno  ad  essi.  Stanno  fra  le  cesoie  e  le 
corde  per  i  buoi. 

Ho  trovato  i  «  moderatores  »  anche  nell'inventario  Aleardi,  e  pro- 
posi, ma  con  molta  esitanza,  d'interpretare  questa  parola  con:  pesi  (p.  37). 
Non  mi  avvenne  d'incontrare,  ch'io  ricordi,  questa  parola  in  alcun  altro 
documento. 

modium,  moggio.  Il  doc.  V  menziona  alcune  vegge,  ciascuna  delle  quali 
avea  la  capacità  di  un  moggio. 

mofela,  guanto.  Nel  dialetto  piemontese  «  muflu  »  vale  guanto,  che  ha  libero 
soltanto  il  pollice,  mentre  le  altre  dita  sono  chiuse,  Il  doc.  V  reca  :  «  sex 
mofelas  ab  homine  de  extra  ».  La  frase  «  de  extra  »  si  incontra  anche  a 
proposito  del  hiretum  nel  doc.  medesimo,  e  può  chiedersi  se  significhi 
trattarsi  di  costumanza  estranea  al  luogo. 

molinellus,  arcolaio.  Nel  doc.  IV  leggesi  :  «  unum  {sic)  arpam  de  molinello  », 
Qui  è  a  notarsi  l'uso  della  preposizione  ^<  de  »  coll'abl. 

mortalle,  mortajo.  Il  doc.  IV  e  il  V  dicono  :  «  unum  mortalle  lapidis  ». 

murata  [casina  ,  cascina  fatta  di  muro. 

nestaia.  Il  doc.  V  reca  :  «  tres  nestulas  auri  luchexi  ».  Il  prof.  C.  Salvioni  mi 
avverte  che  «  néstola  »  per  nastro  vive  ancora  in  alcuni  dialetti  italiani. 

nux,  noce.  Col  legno  di  quest'albero  era  fatto  lo  scrigno,  di  cui  parla  il 
doc.  IV. 

octonum.  Aghi  di  ottone  e  fìbbie  egualmente  di  ottone  per  le  brache,  cita  il 
doc.  V.  Veggasi  sotto  «  aricharchum  ». 

ornellus.  Il  doc.  IV,  in  mezzo  ad  oggetti  di  ferro,  ricorda  :  «  duos  ornellos 
de  axino  ».  Di  lì  altro  non  si  può  ricavare  quanto  al  significato. 

orpelatus.  Questa  parola  occorre  due  volte  nel  V  documento,  e  sempre  in 
unione  colle  pelli  di  capretto  :  «  quatuor  capredos  orpelatos  albos  », 
«  quatuor  capredos  orpelatos  auri  coloris  ».  L'orpello  è  la  foglia  d'oro 
che  si  applica  sulla  superficie  d'altri  oggetti,  per  farli  parer  d'oro. 
CecchETTI  (  Vesti,  p.  43-4)  riferisce  di  alcuni  velluti  «  tessuti  coU'oro, 
come  ai  dì  nostri  coli 'orpello  ».  Nel  Lib.  Censuum  Pistojese  (p.  203), 
doc.  del  1235:  «  unam  planetam...  fresciatam...  de  orpello  ». 

padda,  padella,  patela.  Nel  senso  odierno,  questa  parola  ricorre  nei  doc.  I, 
IV  e  V.  In  tutti  e  tre  i  casi  viene  detta  di  rame,  e  nell'ultimo  si  sog- 
giunge anche  l'uso  che  se  ne  faceva:  «  a  frigendo  »,  cioè  per  friggere. 
Il  doc.  I  determina  che  una  padella  era  maggiore  dell'altra  ;  le  dimen- 
sioni della  padella  dunque  mutavano. 

palium,  drappo  d'altare,  tappeto.  Il  I  doc.  conserva  notizia  di  molti  oggetti 
d'uso  ecclesiastico,  e  fra  essi  menziona  «  quatuor  palla  de  altare  », 
nonché  «  unum  palium  quod  ponitur  quandoque  super  gradu  ecclesie  ». 

35 


268  CARLO  CIPOLLA 


palvus,  in  luogo  di  «  parviis  »,  ricorre  tre  volte  nel  doc.  I. 

pannus,  panno.  Il  doc.  V  menziona  un  barlotto  «  de  panno  scuro  »  e  un 
mantello  da  uomo  «  panni  azurini  si  ve  cilestrini  ». 

papirus,  carta.  Nel  doc.  V:  «  duode[ci]m  zisoretas  a  papiro  ».  Trovammo  le 
pelli  caprine  prò  scribendo,  ed  ora  c'imbattiamo  nella  carta  (bambacina). 

paramentum,  paramento  d'altare.  Due  volte  se  ne  parla  nel  doc.  Il;  nel  secondo 
caso  trattasi  di  un  paramento  vecchio  «  j^aramentum  veterum  {sic)  ». 
Nel  doc.  I  è  notevole  il  passo,  in  cui  la  parola  è  usata  nell'altro  suo 
significato,  cioè  in  quello  di  abito  sacerdotale:  «  duo  paramenta  unum 
de  diachono  et  aliud  de  subdiachono  ». 

passus,  passetto  (unità  di  misura).  Il  doc.  V  dice:  <;,  unum  passum  prò 
mensurando  ». 

patela,  v.   padda. 

pecten,  pettine.  Il  doc.  V  reca:  «  triginta  pectines  ab  equo  ». 

pelis,  pelle.  Nel  doc.  V  si  legge  :  «  quatuor  duodenas  pelarum  albarum  ». 
In  doc.  dei  sec.  xiv  e  xvi  il  Merkel  {Inventari,  p.  437)  trovò:  «  pelle 
nigra  de  agnis  »  e  «  pelle  72  ^^  cavredo  »,  Tuttavia  egli  stesso  (p.  435) 
si  mostra  esitante  nel  decidere  se  la  «  pellis  »  «  fosse  una  veste  speciale, 
ovvero  solo  una  fodera  di  altre  vesti  »  ;  egli  anzi  osserva  che  la  «  pel- 
liccia... di  consueto  faceva  da  fodera  alle  vesti  »,  ma  pur  soggiunge  che 
«  talora...  era  una  veste  essa  stessa  »  (p,  432),  prendendo  il  nome  di  pel- 
liccione, secondo  la  forma  francese. 

Delle  «  pelli  »  e  del  loro  uso  molto  esteso  discorre,  accostandole 
alla  pelliccia,  il  Cecchetti  (  Vesti,  p.  78),  e  mostrando  come  questa  si 
adoperasse  non  solo  dai  ricchi,  ma  anche  da  coloro  che  appartenevano 
alle  classi  mediocri  (ivi,  pp.  79-80).  Egli  (p.  79)  cita  un  doc.  del  1359 
con:  «  due  dozzine  di  pelli  rosse  »;  altro  del  1426:  «  prò  pelle  alba 
pulcherrima  ».  A  p.  8i  il  Cecchetti  scrive:  «  pelle  passò  a  denominar 
vesti,  che  talvolta  sembra  ne  fossero  prive,  od  erano  interamente  for- 
mate di  cuoio  e  pelli  ».  Bevere  (XXII,  2,2:^)  registra  pure  assieme  pelli 
e  pelliccie. 

peltrum,  stagno  raffinato.  Il  doc.  V  reca:  «  octo  scudelas  de  peltro  »,  «  octo 
gradilinos  de  peltro  ».  Sopra  questa  parola  cf.  Bardolino,  p.  185.  Sac- 
chetti,  pp.   166-7,  registra  «  peltrum  »  per  piatello  di  peltro. 

penna.  I  materassi  si  faceano  di  penna,  e  perciò  il  doc.  V  ricorda  un  letto 
di  penne  del  peso  di  circa  pesi  4,  «  unum  Icctum  pennarum  ponderis 
circha  penssium  quatuor  ». 

penssis,  peso,  nel  senso  di  una  data  misura  di  peso  così  denominata.  Il  doc.  V 
ha  :  «  unum  lectum  pennarum  ponderis  circha  penssium  quatuor  »  ; 
«  penssas  triginta  lini  »  «  pensses  octo  cordarum  »  «  tres  pensses  de 
fillo  a  piscatoribus  »  «  u[n|um  penssem  de  ripo  alto  »  «  tres  pensses 
mascaducii  »  «  unum  penssem  canipe  a  filando  ».  A  questo  significato 
ritorna  il  passo  edito  dal  Motta  (p.  36)  :  «  pesa  ogni  cosa  pesi  otto  e 
libre  cinque  ^>. 

36 


INVENTARI   TRASCRITTI  DA   PERGAMENE  BOBBIESI  269 


pesarolus.  Il  doc.  V  ha  :  «  unum  pesarolum  ».  Xel  Glosssarium  del  Du  Gange 
«  pesarolus  »  si  interpreta  per  '<.  staterà,  verticulum  ». 

petra,  pietra.  I  documenti  III  e  IV  rammentano  tre  laveggie  di  pietra. 
Cf.  sotto  lapis. 

pexius,  pezzo,  abete.  11  doc.  IV  registra  un  letto  (una  lettiera)  «  de  pexio  ». 
AIerkel  [Castello  di  Quart,  p.  35)  avvertiva,  esaminando  il  significato 
di  «  pessia  »  :  «  abete  rosso,  che  nell'Italia  settentrionale  generalmente 
è  detto  pezzo  ». 

piatus,  piatto,  cosa  piatta,  né  convessa  né  concava.  Il  doc.  V  dice  :  «  unam 
duodenam  et  dimidiam  confavotorum  inter  piatos  et  copeluetos  ». 

pivialis,  piviale.  Il  doc.  I,  dove  enumera  molti  paramenti  e  altri  oggetti  ec- 
clesiastici, ricorda:  «  quatuor  piviales  ». 

plancia,  pianella.  Il  doc.  V  riferisce  :  «  centum  lebios  a  planellis  ».  L'uso 
della  pianella  era  assai  diffuso,  come  apparisce  dal  MOTTA  (pp.  80-1). 
Cecchetti  (  Vesti,  p.  65)  toglie  da  un  doc.  del  1459:  «  zocholi  alti  molto... 
zoé  planele  molto  alte  »,  donde  possiamo  dedurre  la  relazione  d'identità 
esistente  fra  lo  zoccolo  e  la  pianella. 

Il  Verga  (p.  55)  a  proposito  delle  pianelle  nota  che  esse  «  non 
erano  in  fondo  se  non  quei  zoccoli  che  la  sporcizia  delle  strade  rendeva 
indispensabili  alle  dame,  quando  non  andassero  a  cavallo  ».  .Solamente 
si  può  chiedere  perchè  le  dame  poi  fossero  così  ambiziosamente  bra- 
mose d'aver  lunghi  strascichi.  Cf.  :  «  traynetus  ». 

Le  leggi  perugine  colpiscono  le  donne  che  hanno  le  pianelle  troppo 
ricche,  di  velluto,  d'oro,  d'argento  (1508;  p.  227),  ordinando  (1536;  p.  231) 
che  siano  le  «  pianelle  de  drappo  simplici  senza  alcuno  guarnimento 
de  oro  né  de  argento,  né  quelli  de  corame  ornate  con  drappe  ».  Non 
doveano  essere  più  alte  di  4  dita. 

Nel  Museo  Civico  Correr  di  Venezia,  nella  sala  destinata  a  racco- 
gliere gli  abiti  dell'antica  società  veneziana,  si  vedono  molti  di  questi 
zoccoli,  parecchi  dei  quali  raggiungono  tale  altezza  da  diventare  de'  veri 
trampoli.  E  vari  ne  descrive  o  ne  riproduce  il  Molmenti,  (II,  418-9,  422-3; 
cf.  I,  262),  non  senza  avvertire  che  Pietro  Casola  li  denominava  appunto 
«  zibre  »  o  «  pianelle  ». 

E  il  contratto  nuziale  veneziano  del  1537  (p.  22),  degli  zoccoli  dice 
tanto  quanto  delle  pianelle  riferiscono  i  citati  documenti  perugini:  «  un 
paio  de  zocoli  de  raxo  bianco  ».  Presso  SACCHETTI  (p.  14)  leggiamo: 
«  unum  par  de  planellis  >. 

pianeta,  pianeta.  Il  doc.  I  fra  le  vesti  e  altri  oggetti  ecclesiastici  registra  : 
«  quatuor  planetas  »,  e  dal  doc.  II  ne  apprendiamo  anche  il  valore  com- 
merciale :  «  florenos  quatuor  auri  prò  emendo  unam  planetam  ».  Non 
sappiamo  peraltro  se  questo  si  considerasse  come  uno  dei  prezzi  mag- 
giori o  come  uno  dei  minori,  il  che  sarebbe  utile  a  conoscersi,  special- 
mente trattandosi  di  una  specie  di  oggetti,  il  cui  valore  può  essere 
molto  vario,  a  seconda  della  sua  diversa  ricchezza. 

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2  70  CARLO   CIPOLLA 


plumazolus.  Nel  doc.  V  :  «  quatuor  piumazoli  ab  equo  ».  Avendo  trovato 
«  plumacium  »  nei  doc.  di  Bardolino  (p.  185)  interpretai  questa  parola 
per  «  piumaccio,  guanciale  ».  Nel  caso  presente  si  ha  il  diminutivo,  e 
l'indicazione  del  suo  uso;  serviva  adunque  a  modo  di  sella,  siccome  si 
usa  ancor  adesso,  specialmente  da  chi  cavalca  sugli  asinelli.  Presso  Staf- 
FETTI,  pp.  201-02,  «  plumacius  >>  vale  tanto  materasso  ripieno  di  piume 
di  oca  o  di  gallina,  quanto  anche  cuscino. 

pomelus  -llus,  bottone.  Di  questa  specie  di  ornamenti  fa  più  volte  ricordo  il 
doc.  V,  rammentando  «  duo  miliaria  pomellorum  contrafactorum  et  solio- 
rum  »,  «  unum  filium  [=fìlum|  de  pomelis  de  rapo»,  «  unam  villavam 
(villanam?)  de  medietate  cum  pomellis  .  xxx  .  argenteis  Cremonenssibus  ». 
Da  questo  passo  risulta  che  i  pomelli  servivano,  in  buon  numero,  per 
le  vesti,  mentre  si  vede  che  dei  pomelli  si  faceva  larghissimo  uso.  Evi- 
dentemente doveano  essere  di  piccola  dimensione.  Nel  secondo  passo 
la  frase  de  rrpo  forse  si  può  aggiungere  a  fihmi,  intendendo  un  filo  di 
refe  per  pomelli,  ma  non  è  escluso  lo  intendere  di  pomelli  fatti  di  refe. 

In  Piemonte  ancora  men  che  un  secolo  fa  le  famiglie  tenevano  molti 
dischetti  di  legno,  rotondi,  forati  al  centro,  che  si  infilavano  con  uno  spa- 
ghetto: al  bisogno,  si  cavavan  di  lì,  si  rivestivano  di  panno  e  se  ne 
formavan  bottoni. 

Le  «  pomelle  »  si  incontrano  presso  Cittadella  (p.  513)  :  «  agugie 
da  pomelle  due  mille  quatrocento  ».  Poi  a  p.  516  si  legge:  «  velleto 
uno  longo  con  una  pomellata  d'oro  intorno  »,  e  a  p.  569  :  «  pomellata  » 
con  «  frangia  ». 

Il  «  pomello  »  diminutivo  di  «  pomo  »  è  un  ornamento  che  si  col- 
lega, e  forse,  in  alcuni  casi,  si  identifica  colla  frangia;  ancorché  essen- 
zialmente si  accosti  al  bottone. 

La  spiegazione  comune  identifica  pomellus  a  bottone,  e  sta  bene  ; 
ma  si  tratta  di  bottoni  adoperati  anche  a  scopo  di  ornamento,  a  profu- 
sione, e  perciò  il  significato  stesso  della  parola  bottone  può  forse  appli- 
carsi con  una  certa  larghezza. 

Il  cronista  De  Mussis  discorre  più  volte  dei  povielli,  tanta  n'era 
l'importanza  nel  costume.  Egli  dice  (col.  580  D)  che  le  vedove  porta- 
vano vesti  di  bruno  «  sine  auro  et  perlis,  sed  solum  cum  pomellis  dicti 
panni  de  bruna  tantum  »,  cioè  i  bottoni  erano  di  quel  medesimo  panno 
bruno,  di  cui  era  fatto  il  vestito.  Alcune  vesti  di  gran  sfarzo,  dette 
«  cipriane  »,  erano  «  impomellatae  de  antea  a  gula  usque  in  terram 
pomellis  argenti  deaurati  vel  de  perlis  ».  L'ornamento  correva  dunque 
sui  contorni,  poiché  quelle  vesti  non  erano  sul  dinanzi  chiuse,  ma  aperte 
(col.  580  A).  Poco  innanzi  (col.  580  C)  soggiunge  che  le  vecchie  matrone 
portavano,  al  tempo  in  cui  egli  scriveva,  mantelli;  e  il  mantello  «  est 
pomcUatum  de  versus  gulam  pomellis  argenti  dcaurati  vel  de  perlis  per 
unam  spallam  et  fiunt  prò  malori  parte  cum  collare  ».  Questi  passi 
fanno  vedere  che  l'uso  dei  pomelli  era  estesissimo  e  perciò  non  ci  me- 
raviglieremo  se  in  tanta  abbondanza  essi  si  trovavano  nella  casa  mo- 
desta del  nostro  mereiaio. 

38 


INVENTARI   TRASCRITTI   DA   PERGAMENE   BOBBIESI  27 1 

Anche  il  Verga  (p.  i6)  spiega  pomelli  per  bottoni. 

L'etimologia  del  vocabolo  aiuta  ad  intendere  qual  ne  fosse  la  forma. 
Pare  che  se  a  Piacenza  ed  altrove  questi  oggetti  si  adoperavano  in 
forma  di  mela,  «  pomo  »,  si  usassero  altrove  in  forma  di  «  pera  ».  In- 
fatti se  «  pomello  »  viene  da  «  pomo  >\  «  perolo  »  viene  da  «  pera  »,  e 
perciò  probabilmente  pomello  e  perolo  hanno  lo  stesso  significato,  o 
almeno  un  significato  affine. 

De'  peroli  tacciono  i  nostri  documenti,  ma  in  ricambio  è  di  essi 
frequente  il  ricordo  in  tanti  altri  documenti  che  si  riferiscono  alle  vesti. 
Cecchetti  investì,  p.  12Ò)  cita  da  un  doc.  del  1366:  «  peroli  bianchi  e 
indoradi  »,  e  a  pp.  91-4  descrive  i  «  peroli  »  quali  bottoni  a  pera,  avver- 
tendo ch'essi  si  annoveravano  tra  i  principali  ornamenti  alle  vesti  maschili 
e  femminili.  Un  doc.  del  1392  (ivi,  p.  92  parla  di  66  peroli  grossi  d'argento, 
rotondi.  Una  deliberazione  del  Senato  Veneziano  del  1334,  che  Cec- 
chetti cita  (p.  95),  riguarda  «  perolos  argenti  vel  argenti  deauratos  » 
che  si  usavano  come  ornamento  alle  maniche.  Anche  le  borse,  secondo 
il  Cecchetti,  sono  alle  volte  ornate  con  «  peroli  di  perle  ». 

Bevere  (XXII,  318)  descrive  la  impomellatura,  bottoniera,  da 
«  pomettus  »  bottone,  fra  le  vesti  da  donna. 

Il  Du  Cange  si  mantiene  sulle  generali,  spiegando  «  pomellus  »  per 
ornamento  nelle  vesti  sacre,  e  «  pomellata,  impomellata  »  quale  veste 
ornata  di  pomelli. 

MOLMENTi  (I,  445)  riferisce  dal  testamento  di  Francesco  Dandolo, 
1339  :  «  tunica  habet  pirolos  intaiatos  de  argento  inaurato  »,  e  (p.  258) 
spiega  peroli  per  k  bottoni  a  pera  »,  collocandoli  fra  gli  ornamenti  delle 
vesti  maschili  e  femminili. 

Il  nostro  documento  ricorda  i  pomelli  Cremonesi.  Che  cosa  proprio 
si  voglia  specificatamente  significare  con  questa  frase,  non  risulta.  E  a 
credere  che  Piacenza  ricevesse  dalla  vicina  Cremona  una  forma  parti- 
colare di  questi  bottoni. 

ponzonus.  Dopo  il  ricordo  di  una  sesta  per  segnare   il  cuoio,  e  prima  della 

.    menzione  di  alcune  cassette  della  bottega,    il    doc.  V    ha  :    «  duos  pon- 

zonos  ».  Cittadella  (p.  493)  trae  da  un  doc.  del  1493  il  passo:  «  item 

stadera  una  de  ferra  grande  cumil  suo  ponzo  ».  Sarà  dunque  il  romano? 

pugilaris.  Il  doc.  V  reca:  «  duodecim  pugilares  de  cornu  parvos  ».  Si  allude 
a  tavolette  da  scrivere,  poiché  queste,  se  di  piccole  dimensioni,  si  diceano 
tabellae  o  pugillares,  cf.  Lupi  (p.  24).  Cecchetti,  Libri  (p.  363),  opina  che 
nelle  scuole  si  adoperassero  in  luogo  della  carta  le  tavolette,  non  cerate; 
peraltro  non  mi  sembra  che  i  documenti  da  lui  citati  convalidino  questa 
sua  opinione,  almeno  in  tutta  la  sua  estensione. 

quarelus.  Nel  doc.  V  leggo  :  «  tres  quarelos  <;ingiarum  ».  Che  si  alluda  forse 
a  parti  di  una  cinghia,  le  quali  fossero  di  forma  quadra  ?  Ovvero  che  sia 
da  interpretarsi  per  :  ferro  ricurvo  (specie  di  lesina)  adoperato  per  le 
cinghie  ?  L'uso  della  voce  «  ^ingiarum  »  al  genitivo  non  si  oppone  a 
tale  interpretazione. 

39 


CARLO   CIPOLLA 


ramum,  rame.  Ricorre  assai  di  spesso  questa  parola  nei  nostri  documenti. 
Il  doc.  I  ci  parla  di  due  laveggi,  di  due  padelle,  di  un  desco,  di  una 
cazza  di  rame.  Il  docili  parla  di  vari  laveggi,  più  o  meno  grandi,  dello 
stesso  metallo.  Nel  doc.  IV  troviamo  pure  ricordati  alcuni  laveggi,  una 
padella  e  una  cazza  di  rame.  Il  doc.  V  ci  mette  sott'occhio  tre  laveggi 
ed  una  secchia  di  rame. 

ripus  repus,  refe.  Nel  doc.  V,  dove  gli  oggetti  muliebri  spesseggiano,  il  refe 
è  frequentemente  menzionato.  C'è  molto  refe  bianco,  rosso  e  nero.  Ci 
sono  i  pomelli,  i  cordoni,  le  borsette  di  refe.  Un  po'  più  oscura  è  la 
frase,  che  s'incontra  pure  nello  stesso  documento:  «  tres  duodenas  agu- 
getarum  repi,  longitudinis  unius  brachii  prò  qualibet  »,  ma  poiché  agugeta 
sembra  essere  una  specie  di  cordini,  con  cui  si  allacciavano  le  vesti, 
così  anche  questo  passo  s'accorda  perfettamente  coi  precedenti. 

robaca.  Il  doc.  V  ha  :  «  medium  miliare  de  roba^is  »,  e  questa  notizia  si 
trova  fra  gli  scacchetti  e  l'ottone,  senza  che  si  possa  dedurre  di  lì  alcun 
elemento  interpretativo.  Appare  soltanto  che  si  doveva  trattare  di 
cose  piccole  o  comunque  di  secondaria  entità.  Forse  si  intendeva:  ro- 
baccia, minutaglia  ? 

ronzinus,  ronzino.  Il  doc.  V  ricorda  dodici  correggie  «  a  ronzino  ». 
sapa,  zappa.  Doc.  IV  :  «  unam  sapam  ». 

sartor,  sarto.  Di  lui  e  delle  piccole  forbici,  che  usava,  parla  il  doc.  V:  «  quatuor 
forcelatas  a  sartoribus  ». 

scacheta.  Il  doc.  V  inizia  una  serie  di  bagatelle,  di  varia  specie,  con  queste 
parole:  «  medium  miliare  de  scachetis  inter  nigras  et  albas  ».  Come  si 
potrà  pensare  mai  agli  scacchi  per  giocare,  mentre  500  di  essi  sareb- 
bero ben  troppi  ?  Tuttavia  nei  documenti  ch'ebbi  a  mano  trovai  ricor- 
dati questi  soltanto:  «  tabularium  a  scacchis  ;>  nell'Inv.  Sacco  (p.  51). 
Vayra  (p.  166,  n.  II 69)  riferisce  :  «  ung  coffret  petit,  ou  sont  les  eschacs 
d'argent  ».  Ed  è  anche  vero  che  nei  giuochi  di  scacchi,  di  dama,  e  si- 
mili, i  pezzi  si  dividono  in  bianchi  e  neri,  per  distinguere  le  forze  rispet- 
tive dei  due  giocatori. 

scacia.  Il  doc.  V  riferisce  :  «  unam  scaciam  prò  cusiendo  bragerios  ».  Se 
talvolta  le  brache  erano  di  cuoio,  e  se  ad  ogni  modo  erano  in  panno 
assai  forte  e  duro,  si  saranno  usati  trivelli,  succhielli,  punteruoli,  e  a 
qualcosa  di  simile  penseremo  per  interpretare  questa  parola.  Nel  Gloss. 
del  Du  Cange  trovasi  «  scacia  »  nel  senso  di  stampella,  bastone.  Nel 
documento   ora  citato  la  scacia  precede  le  forbicine  dei  sarti. 

scadilarius,  Il  doc.  V  reca  :  «  duos  scardilarios  ligni  »,  fra  tre  boccali  di 
stagno  e  due  scodelle  di  peltro.  Mi  chiesi  se  fosse  il  caso  di  correggere 
il  testo,  che  non  è  sempre  corretto,  riducendo  la  parola  a  «  scudilarios  », 
cucchiaio.  Presso  il  Du  Cange  si  registrano  «  scudilaria  rami  ».  O  mo- 
dificando la  parola,  con  facile  metatesi,  in  «  scalidarius  »  penseremo  a 
scaldini,  rivestiti  di  legno  ? 

40 


INVENTARI   TRASCRITTI   DA   PERGAMENE   BOBBIESI  273 

scadora.  Il  doc.  V,  dopo  aver  ricordato  il  pesarolus,  specie  di  stadera,  nota  : 
«  duas  scadoras  rami  ».  Che  sia  un  errore  per  «  staderas  »  ?  O  piut- 
tosto trattasi  di  due  scaldini  di  rame? 

scalla.  Il  doc.  IV  ha  :  «  unam  scallam  de  barixellis  y>,  dal  che  suppongo  si 
volesse  significare  lo  scanno  su  cui  poggiano  i  barili  e  le  botti. 

Bearsela.  Il  doc.  V  enumera  :  «  sex  scarselas  ab  homine  />.  Sembra  trattarsi 
di  scarselle,  separate  dagli  abiti,  e  da  portarsi  probabilmente  appese 
alla  cintura. 

scrana,  scranna.  Ne  parlano  i  doc.  III  e  V. 

scrineum,  scrigno,  armadio.  Il  doc  lA''  ricorda  tre  scrigni,  nonché  «  scrineum 
novym  de  nuce  ».  Nel  doc.  V  trovo  :  «  scrineum  a  duobus  coperchiis  », 
colle  quali  ultime  parole  si  alluderà  a  due  cassetti  in  esso  aperti  ;  il 
passo  mi  ricorda  che  nell'Inv.  Sacco  (p.  50)  menzionasi  «  scrineum  «ine 
coperchio  ».  Il  doc.  Ili  scrive:  «  unum  scruneum  »,  nella  quale  parola 
veggo  soltanto  una  varietà  grafica  per  scrineum  ;  anche  gli  oggetti  che 
a  quella  parola  fanno  compagnia  mi  sembra  autorizzino  tale  interpre- 
tazione. 

Secondo  i  documenti  veneziani  editi  dal  Ludwig  (p.  304)  lo  scrigno 
è  un  armadio  ferrato.  Staffetti  (pag.  313)  parla  dello  scrineus  in  cui 
chiudevansi  le  granaglie  e  la  farina. 

Neil'  Invent.  Aleardi  si  parla  più  volte  (pp.  46,  47)  di  scrigni  «  cum 
claxaria  et  davi  »  ;  ma  quivi  troviamo  menzione  della  serratura  e  della 
chiave  anche  rispetto  ad  altri  oggetti  che  non  sono  gli  scrigni.  Così 
p.  e.  avviene  di  leggervi  (p.  51)  :  «  unus  cassonus  picii  cum  clasaria 
et  davi  ». 

scudela,  scutella,  scodella.  Il  doc.  Ili  ricorda  «  quatuor  scutellas  terre  »  e  il  V 
«  octo  scudelas  de  peltro  ».  C'erano  dunque  in  uso  e  scodelle  di  terra 
e  scodelle  di  peltro.  Cittadella  (p.  493):  «  scudelle  di  peltro  ».  Nel 
Gloss.  del  Du  Cange  si  registrano:  «  scudilaria  rami  ». 

Il  De  Mussis  (col.  583)  nota  fra  gli  utensili  in  uso  a  Piacenza  al 
tempo  suo,  e  (pare)  introdottivisi  di  recente,  anche  le  scodelle  e  gli  sco- 
dellini di  pietra.  Cf  «  scadilarius  ». 

scuriata.  Il  doc.  V  registra  :  «  unam  duodenam  manicorum  a  scuriatis  ab 
equo  »,  cioè:  dodici  manichi  di  scudiscio,  di  sferza  da  cavallo. 

seda,  seta.  Si  ricorda  nel  doc.  \  più  d'una  volta,  e  potea  esser  di  vario 
colore,  se  ivi  si  ricordano  le  treccie  «  de  seda  triplici  colore  ».  Cf.  sotto 
«  sericus  ». 

sedacius.  Fra  due  panche  ed  un'emina  di  legno,  il  doc.  IV  enuncia:  «  unum 
sedacium  ».  Si  dovrà  intendere  setaccio,  mentre  il  dialetto  piacentino 
usa  in  questo  significato  la  parola  «  sdazz  >.  In  un  documento  Pi- 
stoiese del  1235  («  Lib.  CcnsMuvi  »  di  Pistoia,  p.  204):  <  unum  staccium 
ruptum  ».  Staffetti  (p.  196)  registra  sedacius  e  aggiunge  :  «  di  sottil 
trama  a  fili  di  settola,  onde  il  nome,  di  crine,  o  di  tela  di  ferro  ». 

35  —Mise,  S.  Ili,  T.  XIII. 


274  CARLO  CIPOLLA 


sericus,  setaceo  (simile  alla  seta  ?).  Il  doc.  V  ricorda  :  «  libras  decerti  serici 
de  diversis  coloribus  »,  <'  unam  duodenam  de  cordonis  de  serico  ». 

setta  (?).  La  lettura  di  questa  parola  non  mi  è  chiara  nel  seguente  passo 
del  doc.  V:  «  sex  duodenas  de  augetis  de  setta  (?)  et  camusia  ». 

sextus.  sesta.  Il  doc.  V  reca  :   «  unum  sextum  prò  signando  corium  ». 

situla,  situila,  secchia.  Nei  doc.  III  si  parla  tre  v^olte  della  secchia  come  della 
unità  di  misura  di  capacità.  Nel  doc.  IV  invece  abbiamo  lo  stesso  nome 
a  determinare  la  secchia,  come  oggetto  determinato  :  «  unam  sytullam 
feratam  ab  aqua  cum  una  captia  ramy  ».  In  quest'ultirtio  senso  occorre 
lo  stesso  vocabolo  nel  doc.  V  :  «  due  situle  rami  ».  Similmente  nel- 
l'inventario di  Bardolino  (p.  i86)  e  nell'In v.  Sacco  (p.  50)  «  situla  ab 
aqua  ». 

soata,  sogatta,  soatta.  Nel  doc.  V  :  «  quatuor  grossas  de  augetis  de  cervio 
et  soata  ».  Il  passo  pare  abbastanza  chiaro  se  si  interpreta  augeta  per 
agugeta,  così  che  significhi  il  cordone  di  cui  si  parla  sotto  quest'ultimo 
vocabolo. 

solius.  Nel  doc.  V  si  legge  :  «  duo  miliaria  pomelorum  contrafactorum  et 
soliorum  ».  La  parola  solius  quale  si  trova  in  un  doc.  del  1532  viene  dal 
Manno  (p.  770,  Gloss.)  spiegata  per  liscio. 

soma.  Veramente  la  soma  è  unità  di  misura  di  peso  (cf.  Gaiter,  XXIV,  391), 
ma  nel  caso  nostro  pare  che  il  vocabolo  sia  assunto  come  unità  di  mi- 
sura di  capacità,  forse  nel  senso  che  vi  si  contenesse  tanto  da  pesare 
un  multiplo  della  soma.  Fra  una  tinella  e  una  veggia,  il  doc.  IV  men- 
ziona :  «  unum  urnum  de  somis  quatuor  ». 

sonagius,  sonaglio,  campanello.  Il  doc.  V  nota  :  «  duos  sonagios  ». 

speculus,  specchio.  Nel  doc.  V  leggo  :  «  duodecim  speculos  parvos  ». 

speronus,  sperone.  Nel  doc.  V  :  «  quatuor  speronos  ». 

spola,  spola.  Il  doc.  V  reca  :  «  quatuor  spolas  a  texendo  ». 

stagnata,  cosi  nel  doc.  V,  e  alla  lettera  varrebbe:  pentola  stagnata;  ma  forse 
il  nome  si  applicava  anche  ad  una  pentola  che  non  fosse  stagnata.  Nel- 
l'Inv.  Sacco  (p.  50)  trovo:  «  stagnolus,  stagnata  »,  e  in  quello  di  Bar- 
dolino (p.  186):  «  stagnolum  ».  Manno  registra:  stagnara ,  stagnerà  per 
vaso  per  acqua,  mesciacqua  ;  e  tien  nota  anche  di  stagncllo,  stagnuolo. 
vaso  di  stagno.  Merkel,  Tre  corredi  (pag.  137),  parla  unitamente  del 
bronzino,  dello  stagnino,  del  ramino  ;  egli  pensa  che  questi  nomi  in- 
dicassero non  forme  divèrse  di  vasi,  ma  vasi  di  differenti  materie.  Tut- 
tavia, come  notai,  neanche  quest'ultimo  punto  è  fuori  d'ogni  contesta- 
zione. Il  Verga  (p.  ^,2)  a  proposito  di  stagnata,  ch'egli  trovava  nelle 
sue  leggi  suntuarie  milanesi,  avvertiva  doversi  tener  conto  dell'uso  e 
delle  forme  dialettali,  e  aggiungeva  che  perciò  egli  traduceva  stagnata 
con  caldaio  (caldaia),  che   sarebbe  veramente  un   vaso  di  rame.  Anche 

42 


INVENTARI    TRASCRITTI   DA   PERGAMENE   BOBBIESI  275 

Oggidì  nel  dialetto  di  Massa  si  dice:  «  Stagnata  per  tener  l'olio  »:  la 
stagnata  serve  anche  per  tenervi  il  latte,  nel  qual  caso  dicesi  anche 
ramina;  cf.  Staffetti,  p.  220, 

stagnum,  stagno.  Nel  doc.  V  leggo  :  «  tres  bochales  de  stagno  ». 

starium,  stajo,  misura  di  capacità.  Frequente  menzione  ne  fa  il  doc.  Ili,  par- 
lando di  una  veggia  capace  di  11  e  di  altra  di  16  staja  ;  e  così  ancora 
di  una  pii^i  piccola  capace  di  7  staja.  Poi  si  ricordano  pure  sei  staja  di 
vino  vecchio. 

Quest'ultimo  dato  conviene  con  quanto  dice  Bevere  (XXII,  711), 
che  spiega  siaruin  per  misura  di  liquido.  Il  doc.  V  tiene  nota  di  due 
VQgge  minori,  ciascuna  delle  quali  era  capace  di  4  staja. 

statio,  bottega.  Il  doc.  Y  ricorda  cassette,  bancali  e  cassoni  collocati  nella 
statio,  cioè  nella  bottega.  Nel  caso  nostro  si  tratta  di  una  bottega  di 
merceria  esistente  a  Piacenza. 

Gaiter  (XXIV,  388)  interpreta  statio  per  bottega  stabile. 

strigia,  streglia,  stregghia.  Il  doc.  V  reca  :  «  sex  strigias  ab  equo  ».  Bevere 
(XXII,  715)  registra:  «  strigilis  ». 

tabula,  tavola,  che  coprivasi  colla  tovaglia,  laonde  il  doc.  V  enumera  :  «  sex 
toalias  a  tabula  ».  Il  De  Mussis  (col.  583)  nota  come  d'uso  moderno 
le  tavole  lunghe. 

talia,  stria,  riga.  Leggo  nel  doc.  V:  «  unum  gabanum  a  taliis  de  biavo  ab 
homine  ».  Il  gabbano  era  adunque  striato  di  azzurro. 

tela,  tela.  Il  doc.  V  ricorda  tela  bianca,  e  verde  e  gialla  e  turchina.  Nei 
documenti  medievali  non  è  raro  l'accenno  alla  tela.  Presso  Cittadella 
(p.  476)  leggiamo:  «  tela  de  revi  »,  e  ancora  (p.  477):  «  fodrete  de  tela  de 
Cambriz  ».  Nel  doc.  del  1532  pubblicato  dal  Manno  (p.  747)  si  parla 
di  una  «  tela  grande  in  quattro  pesii  (=  pezzi)  ». 

telus,  telo.  Il  doc.  V  reca  :  «  tria  paria  lenzolorum  de  tribus  telis  et  dimidio 
prò  quolibet  eorum  ». 

terribulus,  torribolo.  Due  se  ne  menzionano  nel  doc.  I,  insieme  con  parecchi 
altri  oggetti  di  chiesa.  E  detto  «  tirabulum  »  in  un  doc.  Parmense 
del  1510  (Renassi,  1,275). 

tes[t]um.  Fra  il  massaricium  trovato  nella  cucina,  il  doc.  I  ricorda:  «  unum 
tescum  rami  ».  Penso  che  sia  da  leggere  :  «  testum  »  vaso,  testo. 

Veramente,  nel  latino  classico  «  testa,  testum  »,  donde  l'ital.  testo , 
questa  parola  si  usa  solo  nel  senso  di  vaso  fittile, 

testus,  tessuto.  Il  doc.  V  cita:  «  sex  testos  filli  a  femina  ».  In  altro  luogo 
il  medesimo  doc.  si  esprime  in  modo  da  far  dubitare  di  che  si  tratti, 
poiché  lo  misura  a  libbra,  il  che  per  un  tessuto  non  sarebbe  conve- 
niente :  «  unam  libram  de  testo  a  femina,  coloris  viridi  et  cilestrino    ». 

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276  CARLO   CIPOLLA 


Ma  anche  in  questo  caso  l'aggiunta  a  fe?nina  fa  credere  che  si  tratti 
di  un  oggetto  già  elaborato,  se  n'era  ormai  fissa  la  destinazione,  e  ciò 
corrisponde  bene  ad  un  tessuto,  anche  se  il  vestito  non  era  fatto. 

Presso  Motta  (p.  75)  trovo  :  «  tessuto  uno  de  bianco  a  la  da- 
maschina ». 

texere.  Si  usava  tessere  in  casa,  e  il  doc.  V  menziona  appunto  «  quatuor 
spolas  a  texendo  ». 

tina.  Nei  doc,  I,  III  si  ricordano  tine.  Una  «  tina  salgarii  »  cioè  di  salice, 
avevo  trovata  nell'Inv..  Sacco  (p.  51  );  similmente  nell'Inv.  di  Bardolino 
(p.  186).  —  tinella,  nel  doc.  IV. 

tinagia,  tenaglia.  Pare  che  se  ne  avesse  in  abbondanza,  se  il  doc.  V  men- 
ziona: «  quatuor  duodenas  de  tinagiis  feri  ».  Ma  l'inventario  si  riferiva 
ad  una  famiglia  che  aveva  una  bottega  da  merceria,  e  nelle  botteghe 
si  può  aver  bisogno  di  buon  numero  di  oggetti,  che  nelle  abitazioni 
private  occorrono  meno  di  sovente. 

toagia,  tovaglia.  Il  doc.  Ili  ricorda  quattro  toagias  che  formano  13  braccia 
(di  lunghezza)  «  blachia  tredecim  ».  Non  erano  grandi,  mentre  presso 
Cittadella  (p.  483)  un  documento  ci  parla  di  un  pezzo  di  tovaglia  di 
refe  lungo  braccia  31,  alto  braccia  2  Ve*  ^  doc.  V  ha:  «  sex  toalias  a 
tabula  »,  il  che  corrisponde  sostanzialmente  alla  «  toaia  a  dischio  »,  che 
s'incontra  nell'Inv.  Sacco  (p.  51).  Vagamente  il  doc.  Ili  ricorda:  «  duas 
toagias  »  senza  entrare  in  particolari. 

Nell'Inv.  Aleardi  (p.  47)  trovo  :  «  toalee  a  disco  ».  Sacchetti,  (p.  io) 
menziona  :  «  tabolea  »  «  tabogla  »- 

toagiola,  tovagliolo.  Il  doc.  Ili  è  molto  esplicito  :  «  duas  toagiolas  a  manibus  ». 
Nell'Inv.  Sacco  (pag.  51)  trovai  la  «  toalia  a  mano  »  e  1'  Inventario 
Aleardi  (p.  47)  mi  dà:  «  toalee  a  manu  ».  Sacchetti  (pag.  lo-i)  ha: 
«  tobaglucia  »   «  tovaglucia  ad  nasum  ». 

tortaria.  Il  doc.  IV  ricorda,  fra  una  catena  di  ferro  e  il  gran  paiuolo  per  il 
bucato,  anche  <(  unam  tortariam  ».  Intenderemo  ciò  che  in  francese  si 
chiama  tourtière,  vale  a  dire  l'utensile  che  serve  per  far  la  torta  ? 

Senza  dubbio  la  torta  era  tra  i  cibi  spesso  usati,  come  altrove, 
anche  in  Piacenza,  poiché  ce  ne  informa  il  De  Mussis  (col.  581  E). 

traynetus,  traino  (strascico  nei  vestiti  muliebri).  Il  doc.  V  ha:  «  brazias 
.  XII  .  de  trayneto  ».  Questo  oggetto  si  trova  fra  i  tessuti  e  le  sete  ;  e 
si  tratta  evidentemente  di  un  panno.  Casanova  (p.  92)  pubblicò  un 
ordine  suntuario  Senese  del  1460,  in  cui  si  permette,  in  date  circo- 
stanze, alle  donne  di  portare  «  veste  et  mantegli  senza  alcuno  traino  ». 
Le  proibizioni  contro  il  tragiiw  sono  frequenti  nelle  leggi  suntuarie 
Perugine,  fin  dal  sec.  xiv.  Infattr  in  una  provisione,  appunto  di  questa 
età,  si  vieta  che  la  «  gonella  trascinare  possa...  ».  Fabretti  (p.  166).  In 
altre  disposizioni  si  fissa  la  lunghezza  del  «  tragino  »  (anno  1508  ;  op.  cit. 
p.  221  ;  anno  1536,  p.  230).  Nel  1502  (p.  213)  proibivasi  di  «  portare  tra- 
gino per  terra  de  vesta  de  alcuna  qualità  ». 

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INVENTARI   TRASCRITTI   DA  PERGAMENE   BOBBIESI  277 

uncia,  oncia,  specie  di  peso.  Il  doc.  V  menziona  :  «  tres  uncias  auri  luchexi  ». 
Applica  lo  stesso  peso  ad  altro  oggetto,  prezioso  per  materia,  il  do- 
cumento II,    parlando  di  un  calice  dorato  «  ponderis  unciarum  octo  ». 

urcia,  orcio.  Il  doc.  V:  «  duas  urcias  lapidis  ». 

urnus,  urnetus.  Il  doc.  Ili  ricorda  esemplari  dell'una  e  dell'altra  specie,  e  del- 
Vi(rs?ts  dice  ch'era  capace  di  4  staja.  Nel  Gloss.  del  Du  Gange  si  re- 
gistra :  «  urna  »  come  misura  dei  liquidi.  Presso  Tommaseo-Bellini 
urna  e  umetta  si  spiegano,  non  determinatamente,  per  vasi. 

veges,  veggia.  Il  doc.  I  ricorda  :  «  duas  vegetes  comunes  »  cioè  di  gran- 
dezza usuale.  Due  grandi  veggie  s'incontrano  invece  nel  doc.  III. 

Il  doc.  IV  determina  la  cosa,  ricordando  una  veggia  della  capacità 
di  II  staja,  ed  una  capace  di  lò  staja.  Non  minore  varietà  di  notizie 
ci  viene  fornita  dal  doc.  V  dove  parlasi  di  veggie  capaci  ciascuna  di  un 
carro,  mentre  tre  possono  contenere  un  moggio  ciascuno.  Vi  si  parla 
anche  delle  borcìicic  (borchie,  brocche,  chiodi)  che  si  usavano  per  lo 
veggie,  a  vegetibus,  il  che  significa  che  le  veggie  erano  di  legno. 

Nell'Inv.  di  Bardolino  (p.  186)  c'è:  «  vega  »,  veggia.  Della  veggia 
e  delle  varie  forme  in  uso,  discorre  Staffetti,  p.  189-90. 

veguticullus,  diminutivo  di  veggia,  veggiolo  ;  il  doc.  IV  ha  :  «  unum  vegu- 
ticullum  capacem  stari  septem  ».  In  confronto  delle  veggie,  che  conte- 
nevano II  o  16  staja,  questo  apparisce  piccolo,  poiché  non  può  riceverne 
che  dette.  Simile  è  «  vigolum  »  che  trovai  nell'Inv.  Bardolino  (p.  186). 
E  pili  significante  ancora  è  «  veieticulus  castagnarii,  v,  largii,  v.  picii  », 
siccome  si  legge  nell'Inv.  Aleardi  (p.  52),  cioè  di  castagno,  di  larice, 
di  abete.  Cf.  «  vezola  »,  «  vezolus  ». 

velutus,  velluto.  Nel  doc.  V  leggo  :  «  brachios  duos  veluti  viridi  et  ver- 
milii  coloris  ». 

Da  un  altro  passo  dello  stesso  doc.  apparisce  che  col  velluto  si 
facevano  borse  ;  certo  quelle  che  si  appendevano  alla  cintura. 

vezola,  vezolus.  Diminutivo  di  veggia.  Il  doc.  III  accenna  vagamente  ad  una 
«  vezola  »,  ma  il  doc.  V  ricorda  due  «  vezoli  »  capaci  ciascuno  di  quattro 
staja.  Come  si  è  veduto,  il  «  veguticullus  »  ricordato  nel  medesimo 
doc,  conteneva  qualcosa  di  più,  cioè  7  staja. 

vila[n]a.  Il  doc.  V  reca  :  «  unam  jvilauam  de  medietate,  cum  pomellis .  xxx  . 
argenteis  Cremonenssibus  ».  Il  Du  Gange  registra:  «  villanus  »,  specie 
di  vestito,  velloso. 

viridis,  verde.  Nel  doc.  V  si  ricorda  un  tessuto  da  donna  di  color  verde  e 
celeste,  un  velluto  verde  e  vermiglio. 

zacheta,  giacchetta.  Il  doc.  V  menziona:  «  unam  zachetam  biavi,  ab  homine  ». 

zingia.  Gingia,  cinghia.  Il  doc.  V  subito  dopo  alle  corregge  per  il  ronzino, 
menziona:  «  duodecim  zingias  disfulcitas  »,  cioè  non  apprestate.  E  nello 
stesso  documento,  subito  appresso  al  ricordo  di  12  pesi  di  corde,  di 
varia  dimensione,  s'incontra:  la  frase  «  tres  quarelos  9Ìngiarum  ». 

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278      CARLO  CIPOLLA   -   INVENTARI  TRASCRITTI   DA   PERGAMENE   BOBBIESI 


zingillus,  forse  :  cinturini  (?).  Il  doc.  V  ha  :  «  unam  duodenam  zingillorum 
parvorum  ». 

zisoria,  cesoia.    Il  doc.  V  ricorda  :   «  duo  paia  de  zìsoriis  »  ed  ancora  men- 
ziona le  piccole  cesoie,   che   servivano  a  tagliare  la  carta  «  duode[ci|m 
zisoretas  a  papiro  ».  Casanova  (p.  79):  «  doi  paia  de  cessoie  ». 
Cf.  :  «-  forceleta,  forvex  ». 

zonchulas.  Il  doc.  V:  «  duodecim  zonchulas  corde  prò  bobus  ».  Forse  da 
coniugla,  pingla,  cioè  «  corium  quo  vinciuntur  ac  coniunguntur  boves  » 
(Du  Gange).  Ora  «  zóncola  »  vive  nei  dialetti  per  indicare  le  corregge 
che  assicurano  i  corni  dei  buoi  al  timone  del  carro. 

zupa,  giubba.  Il  doc.  V  :  «  unam  zupam  de  rubeo  />.  MANNO  (nel  Gloss.) 
annota:  «  zuppone  »,  e  spiega  per  giubbone,  vesta  stretta  da  busto. 
Mazzatinti  {Leggi  Eugubine,  p.  299)  da  un  doc.  della  fine  del  sec.  xv: 
«  ziupponi  d'huomini  come  di  donne  ».  Della  giubba  discorre,  colla  sua 
solita  competenza,  il  Merkel  [Decam.,  pp.  372-5).  Trovai  «  zupa  », 
giubba,  nell'In V.  vSacco  (p.  51). 

Secondo  il  De  Mussis  (col.  581  A)  gli  uomini  a  Piacenza  adope- 
ravano «  zuparellos  curtos  et  strictos  ». 

Staffetti  (pp.  193-94)  ricorda  le  <.<  zupe  »,  i  «  zupelli  »,  i  «  zu- 
poni  »  quali  vesti  affini  al  farsetto,  e  quindi  corti,  stretti,  adatti  a  tener 
caldo  il  corpo. 

Nota  finale.  —  M'incontrai  troppo  tardi,  per  usarne  a  tempo,  nel  lavoro 
del  Prof.  F.  G adotto,  Inv elitari  ìiicssiiiesi  inediti  del  Quattrocento,  in 
Arch.  stor.  Sic.  Orient.,  IV,  164.  Ivi  si  accenna  all'uso  dei  tre  colori  a 
proposito  di  un  anello  «  cum  tribus  lapidibus  diversorum  colorum  »  ; 
egli  cita  una  cintura,  1399,  di  re  Martino  I,  ch'era  di  seta  bianca,  rossa 
e  verde. Non  trascuro  il  ricordo  di  «  agugli  •»  (III,p.  270).  Notevole  per  noi 
è  pure  (p.  259)  il  lenzuolo  «  ad  tria  timpagna  »,  che  veramente  sembra 
corrispondere  a  teli,  o  alcun  che  di  simile  (cfr.  ivi,  p.  487).  Ma  i  punti 
di  contatto  fra  gli  inventari  messinesi  e  i  nostri  non  sono  tali  da  chia- 
rire quei  passi  di  questi  ultimi,  che  hanno  ancora  bisogno  di  spiega- 
zione. Gli  inventari  editi  ed  illustrati  da  Gabotto  sono  6,  dal  1406  al  1465. 


46 


# 


ERMANNO  FERRERÒ 


COMMEMORATO 


Antonio  Manno 


VV  V  V  VV  V  V  VV  VV  V  VV  V  V  V  V  V 


VVVYVVVVVYYVVVVVVYVYVVYVV 


La  domenica,  i8  maggio  del  1879,  il  caro  Vincenzo  Promis  ed  io,  appena 
terminata  la  quindicinale  adunanza  della  Classe  di  scienze  morali,  storiche  e 
filologiche  della  R.  Accademia  delle  scienze  di  Torino,  ci  alFrettavamo  a  cercare 
Ermanno  Ferrerò  che,  nello  stesso  palazzo  e  nel  Museo  di  antichità,  stava 
meditando  sopra  un  marmo  scritto.  Gli  recavamo,  aifettuosamente  solleciti, 
il  giocondo  annunzio  ch'egli,  neppure  ventiquattrenne,  con  dimostrazione 
senza  precedenti,  era  stato  eletto  socio  efifettivo  di  quell'  insigne  Acca- 
demia (i). 

Successo  straordinario,  ma  meritato,  per  quel  giovane  che,  nella  tesi 
per  la  laurea  legale  ed  in  quella  per  l'aggregazione  alla  Facoltà  di  lettere 
e  di  filosofia,  aveva  dato  saggi  di  ingegno,  di  studio  e  di  critica  tanto  no- 
tevoli da  collocarlo,  fin  da  allora,  in  prima  fila  fra  gli  studiosi  italiani. 


* 

*  * 


La  sua  vita,  di  mezzo  secolo,  non  si  svolse  nelle  pubbliche  agitazioni, 
ma  negli  studi  severi,  lunganimi,  pazientissimi  e  nell'onesto,  diligente  ed 
efficace  insegnamento.  Cosicché,  scambio  di  una  narrazione,  io  preferisco  in- 
formare il  lettore  dell'opera  di  Ermanno  Ferrerò  in  forma  schematica. 

Espongo  donde  uscisse,  quali  siano  stati  gli  ufiìci  suoi  e  le  onorificenze  ; 
come  pensassero,  di  lui,  maestri  competenti  ed  indico,  bibliograficamente, 
l'imponente  mole  dei  suoi  scritti. 


Ermanno  Ferrerò  sortì  la  tempera  dello  storico.  Mente  equihbrata  ed 
arguta.  Cosicché  non  si  lasciò  indurre,  attrarre,  affannare,  ingannare  da  par- 
venze speciose. 

Senza  preoccupazioni  personali,  svestendosi  delle  passioni,  indagò  sere- 
namente la  verità,  la  sola  verità,  tutta  la  verità. 


(i)  È  noto  quanto  sia  rigido  il  sistema  di  votazione  per  le  elezioni  dei  Soci  :  è  necessario 
riportare  i  quattro  quinti  dei  voti. 

5 

36  —  Mise,  S.  ni,  T.  XIII. 


282  ANTONIO   MANNO 


Senza  urgenze  e  necessità  famigliari,  anzi  in  condizioni  di  vita  agiata, 
potè,  come  non  possono  molti,  consacrare,  senza  vantaggi  materiali,  i  lunghi 
anni  in  quelle  faticose  indagini  che  sole  conducono  ad  opere  durevoli. 

Senza  aspirazioni  imperiose,  senza  avidità  ambiziose  che  opprimono  la 
serenità  della  mente,  gli  fu  dato  di  procedere  con  passo  diritto  e  fiero  nei 
giudizi  storici  ;  spogliandosi  da  opportunità  e  da  opportunismi,  neppure  di 
convenzionali  riguardi. 

Senza  preconcetti  di  parti  politiche  o  di  scuole  filosofiche  che,  pur 
troppo,  affogano  molte  coscienze  impazienti  di  successi;  non  si  trovò,  come 
i  più  (dico  cosa  grave  ma  che  sento),  colle  braccia  legate  e  dover  dire  cosi 
e  non  poter  dire  così. 

Nell'opera  ardua,  quasi  ieratica,  dell'apostolato  storico,  lo  sorreggevano 
tre  grandi  forze. 

Un  corredo  ricchissimo  di  erudizione,  quali  pochi  posseggono.  Un  cri- 
terio meditativo  e  logico;  sempre  calmo,  senza  escludere,  in  circostanze  so- 
lenni, qualche  vampa  sincera  di  entusiasmo.  Una  memoria  così  tenace,  così 
singolare  che  maravigliò  quanti  seguirono  le  sue  efficacissime  lezioni:  quanti 
udirono  le  sue  affascinanti  conferenze,  fatte  a  braccio,  con  lucidità  sorpren- 
dente ed  ordine  perfettissimo  (i). 

Memoria  prodigiosa  che  non  era  tanto  dote  di  natura,  quanto  frutto  di 
fortissimi  studi  :  Cid  leda  potoitcr  crii  res  —  N'ec  facmidla  deserei  hn?ic,  ncc 
lucidus  or  do  ! 


* 


E  di  facondia  fu  maestro  e  modello.  Vibrata,  nitida,  baritonale  la  voce, 
il  porgere  pieno  di  dignità,  il  fraseggiare  sobrio,  preciso,  evidente,  corretto. 
Lucidissima  ed  attraente  la  esposizione.  A  volte,  quando  descriveva,  specie 
le  battaglie,  più  che  oratore  era  artista,  le  parole  sue  pennellate,  di  buon 
tocco  e  felicissime. 

Tutta  la  Torino  intellettuale  lo  applaudì  caldamente  in  quella  solennità 
che  fu  bandita  dalla  Deputazione  di  storia  patria,  nell'aula  storica  del  Senato 
subalpino  in  Palazzo  Madama,  nella  quale  addì  13  del  maggio  1906,  al  cospetto 
di  Principi,  davanti  alle  autorità,  con  un  semplice  preavviso  di  due  giorni, 
con  improvvisazione  erudita  ed  affascinante,  faceva  sfilare  uomini  e  fatti  ed 
all'attentissimo  avido  uditorio  esponeva  una  splendida  rassegna  delle  cause 
e  delle  vicende  della  vittoria  torinese  del  1706  e  delle  azioni  gloriose  dei 
due  gran  Principi  di  Savoia  e  del  popolo  subalpino. 


*  * 


La  lunga,  difficoltosa,    intensa    e    paziente  sua  preparazione  per  l'opera 
magistrale  sulle  Campagne  in  Piemoìite,  durante  la  guerra  per  la  successione 


(i)  Ricordo,  fra  altre,  una  conferenza,  nella  sala  Troya  di  Torino,  nella  quale,  illustrando 
le  antichità  torinesi,  preannunciava  ordinatamente  un  centinaio  di  proiezioni  luminose, 
senza  foglio  che  le  indicasse. 

6 


COMMEMORAZIONE   DI    ER:\1ANN0   FERRERÒ  283 

di  Spagna  (1703-1707);  cominciò  a  stancarlo  e  poi  a  turbarlo,  e  sfiduciarlo 
Incontentabile  per  sé,  anche  dopo  il  vero  trionfo  di  Palazzo  Madama,  te- 
mette, e  non  era,  che  la  fibra  fortissima  si  raffievolisse;  si  spaventò,  e  non 
era,  che  il  sussidio  della  memoria  volesse  abbandonarlo. 

*  * 

Nel  mattino  del  14  ottobre  del  igo6,  nella  sua  villa  di  Tetti  Albera 
presso  a  Piobesi  scrisse  un  lungo  testamento,  lucidissimo,  affettuoso  per  i  suoi, 
pieno  di  particolari  e  di  indicazioni. 

In  esso,  con  mano  ferma,  scriveva  : 

«  Un  saluto  ai  corpi  scientifici  che  mi  accolsero  giovane  nel  loro  seno 
«  ed  ai  quali  fui  onorato  di  appartenere.  L'espressione  del  mio  rincresci- 
«  mento  alla  R.  Deputazione  di  storia  patria  se  non  ho  potuto  mantenere 
'<  l'impegno  con  essa. 

«  Le  copie  dei  documenti  di  Torino,  Parigi,  Vienna,  ecc.,  fatte  per  il 
«  lavoro,  a  cui  attendevo  per  incarico  della  Deputazione  di  storia  patria,  sono 
«  nel  mio  studio  di  Torino  insieme  col  voi.  II  dell'opera  già  compilata  in 
«  massima  parte  ;  ma  bisognevole  di  ritocchi  e  di  correzioni. 

«  Nel  mio  studio  di  Tetti  Albera  vi  sono  carte,  note,  ecc.,  per  il  lavoro, 
«  specialmente  per  le  Appendici  all'ultimo  volume.  Sullo  scrittoio  vi  sono 
«  prove  di  stampa,  capitoli  dell'introduzione  al  primo  volume,  già  pronto. 

«  Il  tutto  è  da  consegnare  al  barone  Manno.  L'introduzione  ha  d'uopo 
«  di  riscontri,  di  aggiunte,  di  mutazioni.  In  una  scatola  vi  sono  le  schede 
«  per  l'Indice  generale  di  tutto  il  testo  stampato  e  dei  fogli  impaginati  del 
«  capitolo  VIII  ». 


Poco  dopo,  alle  ore  16,  il  turbato  Ermanno,  che  fu  credente,  repenti- 
namente rendeva  l'anima  sua  a  Dio  creatore  ! 

Di  statura  più  che  sulla  mezzana,  bruno,  asciutto  di  membra,  diritto, 
serio,  con  portamento  sempre  dignitoso.  Affabile  cogli  amici.  Cogli  scolari 
autorevole,  esigente,  ma  Tiei  limiti  dell'equità  e  sempre  rigoroso   per  sé  nei 

suoi  doveri. 

* 

■h  * 

Con  tradizioni  di  molta  coltura  in  famiglia  le  continuò  accrescendole 
come  per  le  importanti  collezioni  di  antichità,  di  quadri,  di  armi  e  di  uni- 
formi militari.  Di  tutto  ciò  fu  appassionatissimo  e  trovò  in  casa  sua,  nella 
degna  consorte  e  nelle  figlie  sue,  affettuose  e  zelanti  collaboratrici  (i). 


(i)  Le  collezioni  di  quadri,  di  disegni,  di   stampe,  di  rarità  e    di   armi  sono  veramente 
notevoli  e  sarebbe  da  desiderare  che  se  ne  procurasse    un    catalogo  descrittivo.  La  raccolta 


284  ANTONIO   AIÀNNO 


*  * 


Il  nome  di  Ermanno  Ferrerò  rimarrà  indelebile  nel  Libro  d'Oro  degli 
studiosi  subalpini.  Alla  memoria  sua  tributo  saluti  commossi,  affettuosissimi. 

A.  M. 


di  monete  fu  radunata  da  Ermanno  e  sono  pezzi  romani  e  greci.  Il  nonno  gli  avea  lasciato 
medaglie  ;  egli  le  accrebbe. 

Fu  sua  la  collezione  importante  di  oggetti  militari;  armi  da  gitto  e  da  pallottola;  di 
taglio  e  di  punta,  di  difesa  ed  offensive  ;  vesti  ed  arredamenti  militari  ;  parecchie  di  armaiuoli 
celebri,  molte  con  fine  lavorazioni;  talune  rare;  tutte  scelte  con  gusto  ed  intelligenza. 

Le  stampe,  i  disegni,  \  quadri  e  le  Diitiialure  radunati  in  buona  parte  dal  nonno  Pietro 
Baldassarre.  Importanti  i  quadri  ad  olio,  del  delicato  pennello  di  Giovanni  Migliara,  mara- 
viglioso  negli  interni  e  nelle  prospettive.  Antiche  tavole  del  Breughel  e  dello  Sprangel.  Tele 
moderne  di  Giuseppe  Risi,  di  Pelagio  Palagi,  di  Massimo  d'Azeglio,  di  Angelo  Inganni,  di 
Ciro  Ferri,  del  Manzi,  del  Gallavresi,  dell'Appiani;  acquerelli  del  Migliara,  del  Magnani,  di 
Teodolinda  Migliara,  del  De  Gubernatis  (che  fu  per  un  poco  segretario  di  Carlo  Alberto), 
dello  Storelli  (di  cui  un  bellissimo  ritratto),  di  Camillo  Gandolfi,  ecc. 

Incisioni  in  numero  e  scelte  e  vi  si  trovano  dei  Durer,  dei  Bertolozzi,  dei  Morghen,  dei 
Porporati  e  di  tanti  altri  famosi  bulini. 

Parecchie  curiosità,  fra  le  quali  simpaticissima  una  statuettina  d'avorio  che  rappresenta 
il  duca  Carlo  Emanuele  I. 


COMMEMORAZIONE   DI   ERMANNO   FERRERÒ 


285 


APPENDICE   I 


GENEALOGIA. 


I.  —  Bartolomeo   ft   1631)    in    Canale; 
sp.  Antonia... 

1.  —  Michele,  ucciso  dagli  spagnuoli 

(1636). 

2.  —   Giampietro  (II), 

3.  —  Lorenzo  (t  1660). 

.  I 
Pietro  Francesco. 

I 
Lorenzo  (t  s.  1.),  chirurgo  in  Ca- 
nale. 

4.  —  Giovanni  Mattel). 

1)  Maurizio,  notaio  in  Valfenera. 
(i)  Matteo,  notaio  a  Valfenera. 

.1  .     ' 

Giambattista. 

I 
Matteo,  medico. 

(2)  Giuseppe,  prete. 

5.  —    Violante  Ottavda,  sp.Vincenzo... 

chirurgo  in  Valfenera. 

6.  —  Paola,    sp.  Giovanni   Battaglio 

di  Canale. 

—  Lodovica ,    sp.   Pietrine  Ardiz- 
zone,  da  Cisterna, 

—  Anna  Maria,  sp,  Giovanni  Bos- 
sotto,  da  Cisterna, 

—  ^«/(9«m«,sp.  Ambrogio  Chiesa. 

IL  —   Giarnpietro  (t    1669),    segretario 
del  comune  di  Sanfront, 

1.  —  L^odovico  (III), 

2,  —  Francesco  Bartolomeo;    ucciso 

dai   Francesi    in    Bricherasio 
(1690)  chirurgo,  a  Sa  vigliano. 
1  )   Giambattista,  chirurgo  a  Canale. 
I 
Francesco. 

(i)   Giambattista. 
(2)  Gian  Matteo. 

2)  Cristina. 

3)  Lodovica. 


3,  —  Michele  (t  1703), 

I     Giampietro  (t  s,  1,). 
2)  Giuseppe. 

III.  —  Lodovico  (t  1699),  segretario  del 

comune  di  vSan front,  sp.   Lu- 
crezia Ceruti. 

1.  —   Caterina,  sp.  notaio  Francesco 

Fenocchio,  da  Cavour. 

2.  —   Gianpietro    IV). 

3.  —  Baldassarre  {n.  1677  t  1754),  in- 

sinuatore provvisorio  a  Cor- 
negliano  dAlba  (1694,  22 
gennaio);  notaio  collegiate 
in  Torino. 

4.  —  Francesca    Maria,  sp.  Vassallo 

Sebastiano  Giuseppe  Prina. 

5.  —  Rosa  Enrica  (n,   1679,   t   1764), 

6.  —  Paola  Beatrice/sp,  Ignazio  For- 

neri,  torinese. 

IV.  —  Giampietro    (n,     1694,  t     1745), 

«  speciaro  »  in  Torino,  sp. 
Giovanna  Caterina  Fenolio 
(n.  1697,  -f"  1739)- 

1,  —  Lucrezia     ]\Iaria      Margherita 

(n.  17 15). 

2,  —  Baldassarre  (V), 

3,  —  Lucrezia  Maria  Lucia  (n.  17 17). 

4,  —  Teresa  Cecilia  (n.  1719,  t  1768), 

sp.  avvocato  Stefano  Gal- 
lina. Uno  dei  loro  figli  : 
Domenico,  dalla  moglie  Pao- 
lina Chesalet,  ebbe  Stefano 
Gallina  (n.  1790,  t  1867)  che 
fu  conte  (1834;,  primo  segre- 
tario di  Stato  per  l'interno 
(1841),  ministro  di  Stato  e 
senatore  (1848;.  Celebre  re- 
stauratore delle  finanze  pie- 
montesi, 

5,  —  Elisabetta  Margherita  (n,  1720, 

t  1768). 


286 


ANTONIO   MANNO 


6.  —  Rosa  Maria  Caterina  (n.   1721). 

7.  —  n" .  . .  {n.   1722). 

8.  —    Giuseppe  Vincenzo  (n.   1723,  t 

1777)- 

9.  —  n*  . .  .  (n.   1724). 

10.  —  Giorgio  Maurizio   (n.    1725,   t 

1750- 

11.  —    Vittoria   Caterina  (n.    1726,  t 

1 785),  sp. Francesco  Massone. 

12.  —   Carlo  Michele  (n.   1727). 

13.  —  Claudio     Francesco     Ignazio 

(n.  1729,  t   1752). 

14.  —  Paola  (n.  1730,  t  1787),  sp.  Lo- 

dovico Cinquatti. 

15.  —  Giacomo   Antonio   (n.    1731,  t 

1798). 

16.  —  Pietro  Domenico   (n.    1732,    t 

1784). 

17.  —  Giovanni  Paolo  (n.   1737). 


18.  —    Giovanni  Battista  (V).  Linea 
attiiale. 

V.  —  Baldassarre  Lodovico  (n.  17 16, 
t  T788),  sp.  Anna  Richelmi 
(t   1761). 

1.  —  Giovanna   Caterina  (n.  1753,  t 

5  maggio  1819),  sp.  (Torino, 
9  marzo  1 779)  conte  Giambat- 
tista Bertalazzone  d'Arache 
(t  Torino,  6  aprile  179Ò). 

2.  —  Pietro  (n.   1754). 

3.  —    Vittoria  (n.   1755,  t   1761). 

4.  —   Carlotta{n.  i^^b,  t  Torino,  9  set- 

tembrei798),sp.(Torino,i5  di- 
cembre 1793)  conte  Pietro 
Luigi  Bertalazzone  di  San 
Fermo. 

5.  —  Paola  (n.   1757). 

6.  —  Rosa  (n.   1758,  t  1790). 

7.  —  Teresa  (n.   1760). 


LINEA    ATTUALE. 


V*.  —  Giovanni Batt-ista,  dì  Giampietro 
(n.  1739,  t  i8i6\  sp.  Luisa 
Boyer  (n.  1766,  t   1801). 

1.  —  Baldassarre  (VI). 

2.  —    Teodolinda    (n.    1789,    +   1860), 

sp. . .  .  vSismondi. 

3.  —  Adelaide (y\.  x'j'^x, ^p. ..  .  Rulani. 

4.  —  Matilde  (n.    1793,   t    1871),  sp. 

i"  Luigi    Cauda;  2"  Stefano 
Nicola  Priggione. 
VI.  —  Pietro  Baldassarre  (n.    1787,    + 
1850),  sp.    i"    Orsola    Cumino, 
vedov'a    Murialdo;    2°    Teresa 
Vinay  (ti.  1803,  t   1-871)  (i). 
il'.  —  Nestore  (VII). 
2''.  —  Malvina  (n.  183 1,  t    1858),  sp. 
a vv.  comm.  Claudio  Calandra, 
padre  dello  scrittore  Edoardo 
e  dello  scultore  Davide. 


VII.  —  Nestore  (n.  1828,  t  1879),  diret- 
tore dell'Archivio  di  guerra, 
sp.  Sofia,  del  professore  Se- 
bastiano Vassalli,  distinto 
matematico  (n.  1832,  t  1881). 

I 
Vili.  —  ERMANNO(n.Torino,  27  agosto 

1855,   t   Tetti   Albera  [  Pio- 

besi    Torinese]     14    ottobre 

1906),  sp.  vSofia  (n.  1857)  del 

generale  Antonio   Brignone 

(1822- 1897) 

1.  —  Maria  Carmen. 

2.  —  Maria  Dolores,  sp.  (1906)  avv. 

Adolfo  Dosio.  Per  questi 
sponsali  fu  pubblicato  :  Val- 
MAGGi  (Luigi)  :  Nozze  Dosio 
Ferrero\^pi%o\2iX.\xx(ì  greche]; 
(Torino,  stab.  tip.  Torinese, 
1906),  8°  (15  pp. 


(i)  Notissimo  scrittore  r<9  del  Messaggiero  di  Broflerio.  Fu  intendente  e  Capo  di  Sezione 
nell'Azienda  s;enerale  dei  Ponti,  Strade  ed  Acque. 

Ne  parlai  nel  inio  studio  :  Aneddoti  documeii/ati  sii/ta  censura  in  Picinonic  dalla  Restau- 
razione atta  Costituzione.  (Torino,  1907;  17,  6r,  121). 


IO 


COMMEMORAZIONE   DI    ERMANNO    FERRERÒ  28' 


APPENDICE   II 


CURSUS    HONORUM  > 

1876,  2  agosto.   — Laureato  in   giurisprudenza  nella  R.  Università  di  Torino. 

1877,  IO  maggio.  —  Socio  della  > Società  di  Archeologia  e  Bella  Arti  di 
Torino. 

1878,  27  novembre.  —  Dottore  aggregato  della  Facoltà  di  lettere  e  filosofia, 
nella  R.  Università  di  Torino. 

1879,  21  aprile.  —  vSocio  dell'Istituto  archeologico   germanico  di  Roma. 
1879,  5  giugno.  —  R.  D.  di  nomina  a  membro  effettivo  della  R.  Accademia 

delle  scienze  di  Torino  (elezione  18  maggio). 

1879,  27  settembre.  —  R.  D.  di  motu  proprio  di  nomina  a  Cavaliere  dell'or- 
dine della  Corona  d'Italia. 

1880,  13  novembre.  —  Incaricato  di  supplire  il  prof.  Ercole  Ricotti  nella  cat- 
tedra di  vStoria  moderna  nella  R.  Università  di  Torino. 

1881,  16  giugno.  —  R.  D.  di  nomina  a  membro  effettivo  della  R.  Deputa- 
zione sovra  gli  studi  di  Storia  patria  per  le  Antiche  Provincie  e  la 
Lombardia  (elezione  2^  maggio). 

1881,  13  dicembre.  —  Confermato  nella  supplenza  alla  cattedra  di  Storia  mo- 
derna nella  R.  Università  di  Torino,  per  il  tempo  del  concorso  alla 
stessa  cattedra. 

1882,  25  giugno.  —  Socio  corrispondente  della  R.  Deputazione  di  Storia 
Patria  per  la  Romagna. 

1883,  12  ottobre.  —  R.  D.  di  nomina  a  professore  aggiunto  di  2'  classe  nella 
R.  Militare  x\ccademia. 

1884-1889.  —  Precettore  di  Storia  di  S.  A.  R.  il  Conte  di  Torino. 

1884,  16  settembre.  —  Medaglia  del  merito  civile  di  prima  classe  della  Re- 
pubblica di  San  Marino. 

1885- 1887.  —  Precettore  di  Storia  di  S.  A.  Reale  il  Duca  degli  Abruzzi. 

1885,  28  ottobre. —  R.  D.  di  nomina  a  professore  aggiunto  di  r'  classe  nella 
R.  Militare  Accademia. 

1887,  14  luglio.  —  R.  D.  di  nomina    a  professore  titolare  di   3"  classe  nella 

R.  Alilitare  Accademia. 
1889,  19  luglio.  —    Socio    corrispondente    della  Commissione    municipale  di 

Storia  patria  e  di  arti  belle  in  Mirandola. 
1889,   17  novembre.  —  R.  D.  di  nomina  a  professore  titolare  di  2"  classe  nella 

R.  Militare  Accademia. 


ANTONIO   MANNO 


1890,  2q  gùigno.  —  Incaricato  dal  Ministero  della  P.  I.  di  far  eseguire  scavi 
archeologici  al  Gran  vSan  Bernardo, 

i8gi,  15  aprile.  —  Associé  correspondant  étr anger  della  Société  nationale  des 
Anliquaires  de  France. 

1891,  20  luglio.  —  R.  D.  di  nomina  a  segretario  della  Classe  di  scienze  mo- 
rali, storiche  e  filologiche  della  R.  Accademia  delle  scienze  di  Torino. 

1891,  21  dicembre.  —  Segretario   della  Società  di   Archeologia  e   Belle  Arti 

di  Torino. 

1892,  5  ottobre.  —  Meiiibre  effectif  deììo.  Società  académique  du  Duché  d' Aoste, 
sous  le  atre  de  St-Anselme. 

1893,  12  gennaio.  —  R.  D.  di  nomina  ad  Ispettore  per  gli  scavi  e  scoperte 
di  antichità,  nel  circondario  di  Torino. 

1893,  25  giugno.  —  R.  D.  di  nomina  a  membro  della  Giunta  di  Belle  Arti 
presso  il  Ministero  della  Pubblica  Istruzione. 

1894,  3  maggio.  —  R.  D.  di  nomina  a  membro   della    Giunta    superiore  per 

la  Storia  e  l'Archeologia. 
1894,  6  agosto.  —  R.  D.  di    rielezione    a    segretario   della   Classe  di  scienze 

morali,  storiche  e  filologiche  della  R.  Accad.  delle  scienze  di  Torino. 
1894,  6  novembre.  —  D.   ministeriale  di  incarico  per  l'anno  scolastico  1894-95 

dell'insegnamento  dell'Archeologia  nella  R.  Università  di  Torino. 

1894,  20  dicembre.  —  Conferma  a  segretario  della  Società  di  Archeologia  e 
Belle  Arti  di  Torino. 

1895,  12  settembre.  —  D.  ministeriale  di  conferma  dell'incarico  della  cattedra 
di  Archeologia  nella  R.  Uni  ver.  di  Torino  per  l'anno  scolastico  1895-96. 

1895,  30  novembre.  —  D.  ministeriale    di    nomina  a  professore   straordinario 

di  Archeologia  nella  R.  Università  di  Torino. 

1896,  21  ottobre.  —  D.  ministeriale  di  conferma  a  professore  straordinario 
di  Archeologia  nella  R.  Università  di  Torino,  per  l'anno  scolastico 
1896-97. 

1897,  12  giugno.  —  R.  D.  di  nomina  a  Cavaliere  dell'Ordine  dei  SS.  Maurizio 
e  I.azzaro. 

1897,  30  ottobre.  —  D.  ministeriale  di  conferma  a  professore  straordinario 
di  Archeol .  nella  R.  Università  di  Torino,  per  l'anno  scolastico  1897-98. 

1898,  27  ottobre.  —  D.  ministeriale  di  conferma  a  professore  straordinario  di 
Archeologia  nella  R.  Università  di  Torino,  per  l'anno  scolastico  1898-99. 

1899,  28  ottobre.  —  D.  ministeriale  di  conferma  a  professore  straordinario  di 

Archeol.  nella  R.  Università  di  Torino,  per  l'anno  scolastico  1899-1900. 

1900,  II  settembre.  —  D.  ministeriale  di  conferma  a  professore  straordinario 

di  Archeol.  nella  R.  Università  di  Torino,  per  l'anno  scolastico  1 900-1. 

1901,  22  gennaio.  -  Presidente  della  Società  di  Archeologia  e  Belle  Arti 
di  Torino. 

1901,  7  aprile.  —  R.  D.  di  nomina  a  Direttore  della  Classe  di  scienze  mo- 
rali, storiche  e  filologiche  della  R.  Accademia  delle  scienze  di  Torino. 

1901,  31  ottobre.  —  D.  ministeriale  di  conferma  a  professore  straordinario 
di  Archeologia  nella  R.  Università  di  Torino,  per  l'anno  scolastico  1901-2. 

igo2,  4  ottobre.  —  D.  ministeriale  di  conferma  a  professore  straordinario  di 
Archeologia  nella  R.  Università  di  Torino,  per  l'anno  scolastico  1902-3. 

12 


COMMEMORAZIONE   DI   ERMANNO   FERRERÒ  289 


1903,  1  febbraio.  —  R.  D.  di  nomina  a  professore  ordinario  di  Archeologia 
nella  R.  Università  di  Torino. 

1904,  8  gennaio.  —  Conferma  a  Presidente    della    Società  di  Archeologia  e 
Belle  Arti  di  Torino. 

1904,  21   aprile.  —  R.  D.  di  rielezione    a   Direttore    della    Classe    di    scienze 

morali,  storiche  e  filologiche  della  R.  Accad.  delle  scienze  di  Torino. 
1904,30  aprile. —  Menibre  étranger  deWa.  Sociéte' fraìifaise  d' Archeologie pour 

la  conservation  et  la  description  des  monuments  historiques  di  Caèn. 
1904,  7  dicembre.   —    Offlcier  de   l'instruction  publique  di  Francia  [palme  ac- 

cademiche\. 
1906,  9  marzo.  —  Membre    correspondant    della    Acad.    nationale    de  Reims, 

Fu  anche  : 
Socio  della  Società  Storica  di  Alessandria. 
Membre  Correspondant  de  la  Société  historique   et  Archéologiqiie  de  l'arron- 

dissement  de  Saint-Malo. 


13 

37  —  Mise,  S.  m,  T.  XIII. 


!90  ANTONIO   MANNO 


APPENDICE    III 


<  T  E  S  T  I  M  O  N  I  A  » . 
Dei  Libertini. 

(Bibliogr.  n.   4). 

Federigo  Sclopis  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Torino,  23  gennaio  r877. 
Riveritissiiìio  Signore, 

Vengo  a  ringraziarla  del  prezioso  regalo  ch'Ella  mi  ha  fatto  inviandomi 
la  sua  dissertazione  sovra  i  Libertini.  Ella  ha  scelto  un  bel  tema  e  l'ha  svolto 
benissimo,  con  apposito  corredo  di  autorità  classiche  e  d'induzioni  storiche. 
Ricorrendo  alle  vere  fonti  della  cognizione  storica  del  diritto,  che  Ella  ha 
impreso  ad  esporre,  Ella  si  è  opportunatamente  giovata  dei  documenti  di 
archeologia  epigrafica  e  numismatica,  che  sono  i  veri  occhi  dell'interpreta- 
zione storica  del  Diritto  Romano.  Mi  congratulo  poi  specialmente  con  Lei 
pel  modo  col  quale  ha  considerato  il  moto  progressivo  dell'abolizione  della 
schiavitù  e  segnalata  l'influenza  potentissima  del  Cristianesimo  per  operare 
quella  grande  restaurazione  dell'umanità. 

Non  ci  voleva  meno  che  un  impulso  divino  per  distruggere  quelle  brut- 
tissime teorie  che  troviamo  esposte  ed  approvate  da  Aristotele  nel  Capi- 
tolo 2"  del  libro  I  della  sua  Politica,  a  cui  eransi  informate  le  istituzioni 
sociali  dell'antichità.  E  se  ne  videro  ancora  serpeggiare  le  tracce  fino  a 
tempi  non  tanto  lontani  da  noi.  Si  mercanteggiava  in  ischiavi  a  Venezia 
nel  secolo  xvi  ;  al  principio  del  secolo  xviii  si  tenevano  ancora  schiavi  in 
Sicilia  a  modo  di  lusso  aristocratico.  ]\Ia  torniamo  al  suo  lavoro  veramente 
distinto  per  solidità  di  criteri,  e  per  vastità  di  erudizione  ;  esso  riesce  ono- 
rifico primieramente  all'Autore  e  poscia  agli  studi  dell'Università  di  Torino 
dov'EUa  venne  istruita. 

Accolga,  Riveritissimo  Signore,  insieme  coi  miei  ringraziamenti  e  coi 
miei  sinceri  complimenti,  l'espressione  dei  sentimenti  di  distinta  osservanza 
che  Le  serba 

Federigo  Scloi'is. 

14 


COMMEMORAZIONE   DI   ERMANNO    FERRERÒ  29 1 


Tommaso  Vallauri  ad  Ermanno  Ferrerò. 

///"'"  Signor  Avvocato, 

\ .  S.  ha  fatto  opera  utilissima  scrivendo  l'erudita  sua  Dissertazione  Dei 
Libertini,  che  ancora  mancava  all'archeologia  romana.  D'ora  in  poi  la  bella 
sua  monografia  potrà  tenersi  in  certo  modo  come  il  complemento  della  dis- 
sertazione di  Lorenzo  Pignori  De  servis  eornmque  ministeriis,  che  abbiamo 
nel  voi.  IH  dei  .Supplementi  del  Polene  al  Novus  thesaiirtis  delle  antichità 
romane  del  .Sallengri. 

Io  mi  congratulo  sinceramente  con  V.  S.  pel  suo  lavoro,  che  ha  colmato 
un  vuoto  nella  Raccolta  delle  antichità  romane  del  Grevio,  e  che  altri  dirà 
scrittura  d'uomo  provetto,  anziché  di  giovane,  uscito  pur  ora  dalle  scuole 
universitarie.  La  ringrazio  del  dono,  che  Le  piacque  di  farmi,  e  del  cenno 
onorevole    per    me,    che    leggesi    a    carte    20   del  suo  libro.   Rapfini    Vale. 

Di  V,  S.  Ill">'^ 


Dev^^^"  servitore 
Tommaso  Vallauri. 


Di  casa  il  22  s^ennaio  del  1877. 


Vincenzo  De  Vit  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Roma,  il   I"  luglio  1877. 
Pregiatissimo  Signore, 

Ieri  ho  ricevuto  il  suo  libro  :  l'ho  scorso  tutto  tagliando  le  carte,  e  poi 
ne  ho  letto  una  parte  e  ne  sono  rimasto  soddisfatto  per  la  qual  cosa  La  rin- 
grazio e  del  dono  e  del  piacere  che  mi  ha  procurato  e  mi  procurerà  nel  leg- 
gerlo e  fin  d'ora  mi  associo  di  buon  grado  al  giudizio  di  quelli  che  giudi- 
carono il  suo  lavoro  degno  di  stampa  ......... 

Le  rinnovo  le  considerazioni  della  mia  stima  e  me  le  professo 

Suo  devotissimo 
Vincenzo    De    Vit, 


Giovanni  Battista  De  Rossi  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Roma,   12  febbraio  1S77. 
Stimat'""  Signore, 

La  sua  dissertazione  sni  Libertini  xm  ha  fatto  veramente  piacere  ;  essendo 
lavoro  degno  d'un  erudito  e  critico  italiano,  che  conosca  lo  stato  odierno  della 
scienza,  e  mantenga  quel  tipo  di  buon  senso,  che  a  noi  forse  la  natura  ha 
dato  in  dose  maggiore  che  ad  altre  nazioni.  Ella  perseveri  per  questa  via  : 
e  coltivi,  come  ha  cominciato,  gli  studi  dell'antica  epigrafia,  che  tanto  inti- 
mamente si  legano  con  quelli  della  giurisprudenza. 

L'Italia  ha  bisogno  di  chi  le  rivendichi  il  vanto  degli  studii  intorno  al 
diritto  romano  ed  alla  scienza  lapidaria,  ora  passato  quasi  tutto  ai  Tedeschi, 
con  i  quali  mi  piace  che  gareggiamo  ;  non  dispreggiandoli  e  puerilmente 
osteggiandoli,  ma  aspirando  a  far  meglio  di  loro,  aiutati  da  quel  buon  senso, 
che  senza  molta  fatica  troviamo  nel  nostro  intelletto. 

15 


>g2  ANTONIO   MANNO 


Finalmente  La  ringrazio  della  cortese  menzione  fatta  dei  miei  scritti  di 
cristiana  archeologia  e  di  epigrafìa  :  e  mi  profferisco  a  Lei  per  qualsivoglia 
cosa  potesse  in  me  esserle  utile  ;  mentre  mi  segno  con  sincero  animo 

Suo  dezwV"^  servitore, 
Giovanni  Battista  De  Rossi. 


Giuseppe  Bruzzo  consigliere  di  Stato,  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Roma,  30  aprile  1877. 

Un  giorno  nello  scorso  mese  essendomi  recato  a  far  visita  al  mio  ottimo 
amico  Padre  Bruzza  Barnabita,  trovai  sul  suo  tavolino  un  libro  Dei  Libertiììi; 
amante  io,  siri  dai  primi  anni,  delle  cose  romane,  della  sua  storia,  del  suo 
diritto,  lo  presi  a  svolgere,  e  sentito  dal  mio  amico  il  grande  pregio  in  cui 
teneva  il  lavoro,  lo  pregai  di  imprestarmelo.  Lo  lessi  colla  più  grande  at- 
tenzione ed  il  più  vivo  interessamento,  e  lo  trovai  un  lavoro  veramente 
splendido,  in  cui  l'autore  entra  nelle  viscere  della  società  romana  colla  scorta 
di  una  erudizione  veramente  ammirabile. 

Sentendo  dal  Padre  Bruzza,  con  cui  fummo  compagni  alle  scuole,  che 
Ella  è  giovinotto,  io  mi  permetto  di  porgere  alla  S.  V.  IH""'  i  miei  sinceri 
complimenti  e  le  mie  più  grandi  congratulazioni  perii  suo  splendido  lavoro. 

Colla  massima  stima  ho  l'onore  di  professarmi 

Dev'""' 
Giuseppe  Bruzzo. 

Tancredi  Canonico  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Roma  IO  agosto  1876. 
Egregio  e  car''^^°  Sig.  Avv. 

L'affettuosa  sua  lettera  e  l'annunzio  lietissimo  della  splendida  sua  laurea 
mi  recarono  una  duplice  e  vivissima  gioia. 

Oso  pregarla  di  volermi,  a  suo  tempo,  favorire  un  esemplare  del  suo 
bel  lavoro,  che  leg'gerò  con  vivo  interesse. 

Penso  alla  gioia  della  sua  famiglia  ed  alla  sua  propria;  la  divido  con 
tutto  il  cuore. 

Ella,  benché  ancora  sì  giovane,  ha  già  nel  suo  passato  la  base  ed  il 
pegno  d'uno  splendido  avvenire  per  sé,  e  di  un'influenza  utile  al  paese.  Mi 
tenga  sempre 

Suo  aff"'°  amico 

Tancredi    Canonico. 

Paolo  AUard  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Roucn,  21  janvier  1877. 
Monsicur, 

J'ai  reru  ce  matin  votrc  livre  sur  les  IJhcrtini,  et  je  m'empresse  de  vous 
remercier  de  l'honneur  que  vous  m'avez  fait  en  me  l'envoyant,  et  en  y  citant 
quelque  fois  mon  nom.  Je  n'ai  pu  encore  que  le  feuilleter  bien  rapidement, 
et  je  me  promcts  de  l'étudier  à  loisir;  je  suis  émerveillé  de  la  profonde  con- 
naissance  de  toutes  les  sources  juridiques  et  épigraphiques,  de  tous  les  tra- 
vaux  anciens  et  moderncs  sur  lo  sujet,  dont  chaque  page  de  votre  livre  donne 

ir, 


COMMEMORAZIONE   DI    ERMANNO   FERRERÒ  293 


la  preuve.  Je  crois  comme  voiis,  IMonsieur,  qu'une  étude  speciale  de  la  con- 
dition  des  affranchis  romains  restait  encore  à  faire  :  M.  Wallon  a  été  fort 
bref  sur  ce  sujet,  et  j'ai  conscience  de  m'en  ètre  trop  peu  occupé  dans  mon 
modeste  livre  sur  les  Esclaves  chrétiens.  Vous  ètes  venu  combler  à  propos 
une  véritable  lacune,  et  votre  ouvrage  me  parait  destine  à  occuper  une  place 
très  distinguée  dans  le  trésor  déjà  si  riche  de  l'érudition  italienne. 

Veuillez  agréer,  monsieur,  avec  mes  vifs  remerciements,   l'assurance  de 
mes  sentiments  les  plus  distingués, 

Votre  trcs  huiiible  serviteur 
Paul  Allard. 

Giacomo  Lombroso  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Roma,  27  del  77. 
Stimatissimo  Signore, 
La  prego  di  gradire  i  miei  sinceri  applausi  e  ringraziamenti  per  il  suo 
bel  libro  sui   Libertini.  Xe  godo  anche  per  la  cara  Torino. 

Suo  dev'""  oboi"'" 
Giacomo    L  u  m  n  r  o  s  o. 


L'ordinamento    delle    Armate    Romane. 

(Bibliogr.  n.    12). 

(Revues  des  Qucstions  Jiistoriqites ;  Paris,  1879;  P-  662^^. 

L'auteur  de  ce  livre  a  déjà  pris  rang"  parrai  les  maitres.  En  1877,  il  a 
publié  une  dissertation  sur  les  ^.^rdcncìns  {Dei  Libertini,  in-8°  de  x-144  pag.) 
qui  lui  a  valu  le  titre  de  docteur  de  la  faculté  de  Droit  de  Turin,  et  qui 
comble  une  véritable  lacune  ;  bien  qu'un  grand  nombre  d'ouvrages  aient  été 
publiés  sur  l'histoire  de  l'esclavage  antique,  il  n'existait  encore,  à  ma  connais- 
sance,  aucun  livre  traitant  spécialement  des  affranchis,  et  rassemblant  en 
un  corps  de  doctrines  tout  ce  que  les  documents  historiques,  les  textes  juri- 
diques  et  les  inscriptions  nous  apprennent  sur  leur  condition.  L'année  sui- 
vante,  l'infatigable  érudit  a  fait  paraìtre  l'ouvrage  important  dont  je  veux 
dire  un  mot  et  qui  traite  de  l'organisation  des  flottes  romaines.  Présente  au 
concours  d'agrégation  pour  la  faculté  des  Lettres  de  l'Université  de  Turin, 
ce  livre  a  valu  à  son  auteur  de  devenir  membre  de  ce  corps  savant.  L'éru- 
dition riche  et  précise,  la  critique  exacte  et  sevère  qui  se  font  remarquer 
à  toutes  les  pages  disent  d'avance  ce  que  sera  l'enseignement  du  nouveau 
professeur  ;  il  réunira  la  science  de  l'historien  et  du  jurisconsulte  à  celle 
de  l'épigraphiste,  condition  nécessaire  aujourd'hui  à  quiconque  veut  connaitre 
et  expliquer  le  monde  antique. 

Les  institutions  maritimes  de  Rome  ont  été  l'objet  de  nombreux  travaux; 
le  P.  Garrucci,  le  regrettable  C.  de  la  Berge,  M.  Robion,  Marquardt,  les 
ont  étudiées  à  des  points  de  vue  divers  ;  à  ces  auteurs,  cités  par  AL  Ferrerò, 
on  peut  ajouter  M.  A.  Jal,  qui  a  consacrò  plusieurs  ouvrages  spéciaux  à  la 
marine  des  anciens,  et  AL  C.  Lamarre,  qui  traite  de  l'armée  navale  dans  la 
troisiòme  partie  de  son  livre  sur  la  Milice  romaine,  Cependant  l'ouvrage 
de  AL  Ferrerò  restait  à  faire.  Les  écrivains  antiques  ont  laissé  peu  de  ren- 
seignements  sur  l'organisation  des  flottes  romaines  :  c'est  à  l'épig'raphie  qu'il 
faut  recourir  si  l'on  en  veut  avoir  une  idée  exacte.  Le  Corpzis  inscriptionum 
latinaruTu  nous  en  apprend  plus  sur  ce  sujet  que  Tite  Live,  Cesar,  Appien, 
Polybe  ou  Végèce.  M.  Ferrerò,  sans  negliger  les  autres  sources  d'information, 
a  demandò  surtout  à  cette  grande  collcction  les  éléments  de  son  trav;nl  outre 

17 


>94  ANTONIO    MANNO 


les  six  volumes  parus,  il  a  eu  à  sa  disposition  tonte  la  partie,  encore  inèdite, 
du  XI"  volume,  qui  contieni  les  inscriptions  relatives  à  la  flotte  de  Ravenne. 
C'est  donc,  en  réalité,  une  histoire  épigraphique  de  la  marine  militaire  de 
Rome  qu'il  a  voulu  nous  donner,  s'inspirant  d'un  voeu  émis  par  ]\I.  De  Rossi 
dès  1865.  En  acceptant  la  dédicace  du  livre  de  M.  Ferrerò,  l'illustre  archéo- 
logue  romain  a  rendu  justice  à  la  manière  dont  ce  vceu  a  été  rempli. 

I.'ouvrage  se  divise  en  deux  parties  :  l'une,  la  plus  courte,  résumé  en 
quelques  pages  l'histoire  de  la  marine  militaire  de  Rome  pendant  la  Répu- 
blique  (pag.  20-61).  Une  période  nouvelle  s'ouvre  avec  le  règne  d'Auguste; 
la  seconde  partie  de  l'ouvrage  de  M.  Ferrerò  est  consacrée  à  la  décrire.  De 
meme  qu'Auguste  avait  reparti  les  vingt-cinq  légions  composant  le  fond 
permanent  de  l'armée  romaine  entre  les  diverses  provinces  de  l'empire,  de 
mème  il  divisa  la  flotte,  devenue  également  permanente,  entre  plusieurs 
stations  maritimes.  Fa  péninsule  italique  fut  défendue  par , deux  escadres, 
stationnèes  l'une  à  Alisene,  l'autre  à  Ravenne.  Le  flotte  de  l'Égypte,  la  flotte 
du  Pont,  la  flotte  de  L3'bic,  la  flotte  de  Bretagne  protégèrent  ces  divers  pays. 
Les  grands  fleuves  qui  formaient  la  limite  entre  l'empire  et  les  peuples  bar- 
bares  possédèrent  aussi  leur  escadre  ;  il  y  eut  la  flotte  du  Rhin  ou  Germa- 
nique,  la  flotte  du  Danube  ou  Pannonique,  la  flotte  de  l'Euphrate.  Quand 
les  Barbares  se  furent  montrès  mena^ants  et  que  la  nècessité  de  garder  les 
frontières  fut  devenue  plus  pressante,  on  établìt  des  flottilles  sur  certains 
lacs  :  ainsi,  le  nord  de  l'Italie  fut  dèfendu  par  la  flottille  du  lac  de  Còme, 
et  l'est  de  la  Gaule  par  une  flottille  stationnée  sur  le  lac  de  Neuchàtel  :  ces 
petites  escadres  étaient  probablement  employées  surtout  pour  les  transports 
militaires.  M.  Ferrerò  nous  fait  connaìtre  la  nature  et  les  noms  des  vais- 
seaux  qui  composaient  les  forces  navales  de  l'empire  :  il  nous  explique  la 
composition  des  états-majors,  le  recrutement  du  corps  d'ofiìciers,  la  forma- 
tion  des  équipages,  la  condition  des  soldats  de  marine,  la  durée  de  leur  en- 
gagement, les  innombrables  emplois  secondaires  que  nécessitait  le  service 
des  flottes.  Par  la  clarté,  la  précision,  l'abondance  des  dètails,  l'excellent 
esprit  critique  de  l'auteur,  ce  chapitre  (pag.  61-131)  est  un  modèle  d'expo- 
sition.  Le  reste  de  l'ouvrage  (pag'.  1 31-195,  est  consacré  à  l'histoire  épigra- 
phique de  chaque  flotte  particulière  ;  il  m'est  impossible  d'entrer  ici  dans  aucun 
détail,  et  je  dois  me  borner  à  signaler  cette  riche  mine  de  documents,  qui 
n'avaient  jamais  été  rassemblés  et  classés.  Des  indices  rédigés  avec  le  plus 
grand  soin,  un  tableau  des  inscriptions  fausses  ou  suspectes,  terminent  le  livre. 

Si  courte  et  si  dccolorce  que  soit  cette  analyse,  elle  aura  fiiit  comprendre, 
je  l'espère,  la  nature  et  la  valeur  de  l'ouvrage  de  M.  Ferrerò.  Ce  n'est  point 
un  traité  complet  de  la  marine  militaire  de  Rome,  puisqu'il  laisse  de  coté 
tonte  la  partie  technique  ,  tout  ce  qui  touche  à  la  construction  et  à  la  ma- 
noeuvre  des  navires  de  guerre  :  mais  c'est,  en  quelque  sorte,  un  Corpiis  ììis- 
criptionum  de  la  res  classica  romaine,  dans  lequel,  aux  textes  épigraphiques 
les  plus  nombreux  et  les  plus  corrects,  est  joint  le  plus  riche  et  le  plus  abon- 
dant  comrnentaire.  Il  est  désormais  impossible  de  s'occuper  de  l'histoire 
de  la  marine  antique  ;  ou  mème  de  l'histoire  militaire  et  administrative  de 
l'empire  romain,  dans  laquelle  la  marine  joue  un  si  grand  ròle,  sans  recourir 
à  ce  livre  ;  il  a  sa  place  marquée  dans  tonte  bibliothèque  savante. 

Paul  Ali.ard. 

Acadcinie  des   Inscriptions  et  Belles  Lettres 

Paris,  Séance  dii   13  mai  1881. 

M.  DiTRUY  a  la  parole  pour  une  présontation  :  «  En  iSót»,  dit-il,  l'Aca- 
démie  donna  pour  sujet  de  concours  l'étude  de  l'organisation  navale  des 
Romains,  en  prenant  pour  modèle  l'ouvrage  de  Kellermann  sur  los  Vigiles. 

18 


COMMEMORAZIONE   DI    ERMANNO    FERRERÒ  295 


Le  regretté  ^I.  de  la  Berge  obtint  le  prix,  mais  son  mémoire  n'a  pas  encore 
été  publié.  Sur  les  conseils  de  ]\I.  De  Rossi,  j\1.  Ferrerò,  de  Turin,  a  repris 
ce  travail  dans  son  Ordinaiìieiito  delle  armate  romane  (Turin,  1878,  in-4°),  où 
il  a  utilisé  toutes  les  ressources  épigraphiques  pour  reconstituer  les  stations 
navales,  ctablir  le  nom  et  la  nature  des  vaisseaux,  la  condition  des  soldats, 
la  hiérarchie  des  grades,  eto. 

C'est  un  savant  livre,  comme  l'Académie  les  aime,  pour  lequel  l'auteur 
a  mis  à  profit  580  inscriptions  qu'il  a  reproduites  dans  son  ouvrage  ». 

{ Comptes-^-endus  de  l'Académie  des  Inscriptions  et  Belles  letires,  1881,  p.   133). 


Quintino  Sella  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Roma,  26  gennaio. 

Ho  ricevuto  l'opera  sua  sulle  Armate  romane.  Le  porgo  i  miei  migliori 
ringraziamenti,  e  le  mie  più  vive  congratulazioni  per  questo  suo  erudito 
lavoro. 

Con  distinta  stima  e  coi  più  cordiali  auguri 

Suo  devot'"" 
Quintino  Sella. 

Giulio  De  Petra  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Chiarissi/no  Signore, 

Ho  ricevuto,  ed  ho  scorso  con  grande  compiacimento  il  suo  dotto  vo- 
lume ;  e  mentre  La  ringrazio  della  gentilezza,  con  cui,  senza  mio  merito,  ha 
voluto  farmene  dono.  Le  faccio  le  più  vive  congratulazioni  pel  coscienzioso 
ed  accurato  studio  compiuto  sopra  un  tema  importante.,  che  aspettava  ancora 
una  speciale  illustrazione. 

Accolga  i  sensi  di  vera  stima  e  gratitudine,  con  cui  mi  dico 

Sito  dev'"'' 

Giulio  de  Petra. 
Napoli, II  novembre  1878. 


Giovanni  Battista  De  Rossi  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Roma,  31  ottobre  1S78. 
Stimat""'    Amico, 

La  pontificia  epistola  stampata  in  questo  foglio,  di  che  ora  sono  stato 
oltre  ogni  mio  merito  onorato,  mi  chiama  a  molti  atti  di  convenienza  e  di 
ossequii  che  esigono  tempo  e  distraggono  dallo  studio.  Ella  adunque  non 
mi  apponga  a  colpa  l'avere  appena  sfiorato  la  lettura  dell'egregio  volume, 
che  per  sua  cortesia  ha  voluto  dedicarmi.  Mi  è  bastato  il  primo  maggio  gu- 
statone per  apprezzarne  il  valore.  Mi  rallegro  di  cuore  con  la  S.  V.  di  sì 
bello  ed  ampio  lavoro. 

Mi  stupisce  la  brevità  del  tempo  bastatole  ad  ordire  e  compiere  la  lunga 
tela.  Ciò  mostra  quanto  bene  era  Ella  già  preparata.  Adunque  animo  ad 
niajora.  Le  auguro  sempre  nuovi  e  più  lieti  successi.  IVIi  saluti  i  cari  amici 
suoi  concittadini  e  mi  creda,  con  distinta  e  sincerissima  stima, 

Suo  dev"'°  obb"""  Amico 
Giovanni   Battista  De  Rossi. 

19 


igò  ANTONIO   ISfANNO 


Giovanni  Battista  De  Rossi  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Roma,   I  dicembre  1S78. 

a  A. 

Mi  permetto  di  farle  affettuosis siine  congratulazioni  in  semplice  cartolina 
postale,  il  cui  necessario  laconismo  bene  s'addice  alle  mie  troppe  presenti 
occupazioni. 

Ho  letto  tutto  il  bello  e  dotto  e  sagace  testo  premesso  alle  epigrafi 
delle  flotte  ;  ed  ho  percorso  la  collezione  epigrafica.  Il  lavoro  è  degnissimo 
della  corona  ottenuta.  Spero  fargliene  presto  a  Roma  a  viva  voce  nuove 
congratulazioni,  noi  l'aspettiamo  per  la  fine  dell'anno 

Suo  dcv'""  aff'""'  a... 
Giovanni  Battista  De  Rossi. 


Vincenzo  De  Vit  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Roma,  9  novembre  1S78. 
Illustrissimo  Signore, 

La  ringrazio  del  gentile  pensiero  ch'ebbe  di  regalarmi  il  suo  bel  lavoro 
sulle  Armate  Romane.  E  uno  di  quei  lavori  che  piacciono  sommamente  a  me, 
persuaso  come  sono,  che  le  speciali  lucubrazioni  quando  sono  fatte  con  esat- 
tezza e  condotte  con  retto  discernimento,  com'è  la  sua,  portano  un  reale  gio- 
vamento alla  scienza  e  la  fanno  progredire.  Aggradisca  pertanto  le  mie  più 
sincere  congratulazioni. 

Mi  riverisca,  quando  ha  occasione  di  vederlo,  il  prof.  Fabbretti  e  mi 
abbia  quale  con  piena  stima  me  Le  professo 

Suo  devot"'" 
Vincenzo  de  Vit. 


Nicomede  Bianchi  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Torino,  4  dicembre  1878. 
Alio  egregio  Sigfiore, 

Desidero  all'Università  di  Torino,  nel  presente  e  nell'avvenire,  Dottori 
aggregati  del  valore  di  Lei,  bravissimo  signor  Ermanno.  La  sua  dissertazione 
%\AV Ordinamento  delle  Armate  Romane  è  lavoro  degno  d'uomo  provetto 
in  così  difficili  e  gravissimi  studi,  ed  Ella  l' ha  compiuto  in  età  giovanile  ! 
Bravo  non  una  ma  dieci  volte  con  una  cordialissima  stretta  di  mano  e  molti 
cordiali  ringraziamenti.  Mi  lasci  che  mi  segni 

Suo  affezionato 
Nicomede    Bianchi. 

Luigi  Bruzza  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Roma,  8  novembre  1S78. 
Sig.  Avvocato  egregio  amico, 

Sono  nuovamente  tribolato  dalla  nevralgia  che  mi  produce  lunghi  periodi 
di  dolore  al  capo,  e  perciò,  sebbene  io  mi  fossi  proposto  di  non  scriverle 
prima  di  avere  letta  la    sua  opera,   per    non   apparire   sconoscente  verso  di 

20 


COMMEMORAZIONE  DI    ERMANNO   FERRERÒ  297 


Lei  che  me  ne  ha  favorita  una  copia,  le  scrivo  per  ringraziarla  della  sua 
gentilezza  e  dell'affetto  che  mi  porta. 

Benché  non  sia  in  questi  giorni  nel  caso  di  poterla  leggere,  ne  ho  udito 
a  parlare  con  molto  encomio  dal  De  Rossi,  il  quale  anzi  due  giorni  addietro 
la  lodò  in  un  convegno  alla  presenza  del  Fiorelli  e  dell'Henzen.  Ch'Ella  non 
facesse  un'opera  degna  non  se  ne  poteva  assolutamente  dubitare.  Ella  intanto 
ora  che  ha  il  suffragio  del  De  Rossi  può  essere  lieto  delle  sue  fatiche  ed 
avere  per  certo  che  alle  lodi  di  luì  seguiranno  quelle  degli  uomini  dotti  e 
competenti  negli  studi  epigrafici. 

Le  scrivo  queste  cose  con  vero  piacere,  godendo  dell'  onore  eh'  Ella 
sì  giovane  si  procaccia  colle  sue  fatiche,  e  che  fra  poco  saranno  coronate 
dall'  aggregazione  dottorale.  Le  tesi  che  presenta  al  Collegio  sono  belle 
e  ben  scelte,  ed  io  vorrei  potere  assistere  alla  loro  difesa,  come  vi  assi- 
sterò in  ìspirìto,  e  l' applaudirò  nel  mio  cuore  come  l' applaudirei  con 
le  mani  se  fossi  presente.  Ella  si  apre  un  beli'  avvenire,  e  provo  grande 
piacere,  che  mentre  in  Torino  già  mancano  tanti  di  quegli  uomini  illustri 
che  ne  mantenevano  il  lustro  della  scienza  e  della  dottrina,  sorga  almeno 
in  Lei,  un  nuovo,  ma  pur  troppo  unico  astro,  che  dovrà  un  giorno  far  ricor- 
dare e  metterlo  a  pari  degli  antichi  !  Così  ci  fosse  alcun  giovine  che  pren- 
desse ad  imitare  il  suo  esempio  !......... 

Le  scrissi  queste  cose  col  dolore  di  capo,  ma  conversando  con  Lei,  mi 
pare  di  non  sentirlo.  Mi  saluti  il  Cav.  Promis,  il  Bar.  Manno  e  mi  abbia  per 

Suo  aff"^' 
D.  Luigi  Bruzza  B. 

Biagio  Garanti  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Torino,  30  novembre  1878. 
Mio  caro  sig.  Ermanno, 

Non  dubitavo  del  suo  trionfo,  ma  ne  ho  provato  piacere  come  di  cosa  mia. 

La  ringrazio  del  dono  pregevolissimo  del  suo  lavoro  sv^  Ordinamento 
delle  Armate  Romane,  e  della  cortesissima  lettera  con  cui  volle  accom- 
pagnarlo. 

Certo  spero  e  desidero  che  i  rapporti  stretti  nella  sala  del  Risorgimento 
continuino  e  assumano  tutti  i    caratteri   di  una  cordialissima  amicizia. 

La  comunanza  di  idee,  di  speranze,  di  giudizi,  di  sentire,  lo  impongono 
come'  una  logica  conseguenza.  Mia  moglie  desidera  che  le  presenti  altresì 
le  sue  felicitazioni. 

Le  saremo  grati  se  qualche  volta  vorrà  venire  a  passare  qualche  istante 
da  noi. 

Intanto  accolga  un'affettuosa  stretta  di  mano  dal  suo     Aff^'^°  amico 

Biagio   Garanti. 

Guglielmo  Henzen  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Roma,  7  novembre  1878. 
Stimai^   Signore, 

Ella  ebbe  l'esimia  gentilezza  di  farmi  regalo  del  suo  libro  su  «  Y  Ordi- 
namento delle  Armate  Romane  ».  Ho  cominciato  a  leggerlo,  e  mi  è  un  singo- 
lare piacere  di  farle  i  miei  sinceri  complimenti  pel  suo  diligente  e  meritevole 
lavoro,  col  quale  Ella  ha  reso  un  vero  servigio  alla  scienza  epigrafica. 

Accolga  i  miei  sentiti  ringraziamenti  per  il  Suo  gentile  dono  e  mi  creda 

Suo  devotis^" 
G.  Henzen. 
21 

38  —  Mise,    S.  Ili,  T.  Xlll. 


2gS  ANTONIO   MANNO 


La  Rivoluz.  Inglese  del  1688  e  l'inviato  di  Savoia 

a  Londra. 

(Bibl.  n.  17). 

Giovanni  Battista  de  Rossi  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Albano  Laziale,  8  agosto  1880. 

C.  A., 

Le  rendo  le  debite  grazie  pel  cortese  dono  della  memoria  storica  sulla 
rivoluzione  inglese  del  1688.  Ella  tratta  con  pari  maestria  e  possesso  delle 
fonti  la  moderna  storia  e  l'antica  ;  i  documenti  diplomatici,  le  opere  d'arte  e 
le  epigrafi.  Mi  rallegro  di  sì  belli  saggi  del  suo  eletto  sapere  e  dei  forti 
suoi  studi.  I  miei  sono  stati  per  parecchi  mesi  intralciati  da  peregrinazioni 
valetìLdinis  curandae  causa.  Ora*  sto  nella  mia  consueta  villeggiatura  ed 
attendo  a  dar  corso  ai  primi  due  fascicoli  del  mio  Bull,  crist.  pel  li 
assai  ritardati. 

INIi  creda  sempre  con  tutto  l'animo 

suo  aj^'"'"  amico 
Giovanni  Battista  De  Rossi. 


Lettres  de  Henriette-jyLarie  de  France  reine  d'An- 
gleterre  à  sa  soeur  Christine,  Duchesse  de  Sa- 
voie. 

(Bibliogr.  n.  29). 

Domenico  Berti  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Roma,  I  agosto  1881. 
Ministero  di  Agricoltura  e  Comviercio, 

Il  Ministro, 

Nulla  poteva  riuscirmi  più  gradito  dell'omaggio  che  Vossignoria  si  è 
compiaciuta  farmi  inviandomi  un  esemplare  del  libro  dal  titolo  «  Lettres 
de  1  Jenriette  Marie  de  France,  Reine  d' Angleterre,  à  sa  soeur  Christine 
Duchesse  de  Savoie  ». 

Sento  quindi  il  dovere  di  ringraziare  vivamente  la  S.  V.  e  di  attestarle 
la  mia  riconoscenza  nell'atto  che  pieno  di  stima  mi  professo 

Domenico  Berti. 

Michele  Amari  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Pisa,  27  agosto  1886. 
Pregiatissimo  Signore, 

Prima  di  ringraziarla  debbo  chiederle  scusa.  Ritornando  a  casa  pochi 
giorni  fa  da  Roma  dove  sono  stato  un  pezzo  ho  trovato  il  suo  bel  dono.  Il 
ritardo  alla  risposta  è  stato  adunque  involontario  ma  non  mi  rincresce  meno 
per  questo. 

22 


COMME>[ORAZIONE   DI   ER^MANNO    FERRERÒ  299 


Ella  ha  avuto  un'idea  felicissima  a  pubblicare  coteste  lettere  della  regina 
d'Inghilterra  e  tanto  più  felice  quanto  Ella  ha  colto  l'occasione  di  premet- 
tere al  testo  un  lucido  sommario  degli  avvenimenti.  Le  assicuro  che  gradisco 
moltissimo  la  cortesia  che  mi  ha  usata  e  non  so  come  esprimerle  la  mia 
riconoscenza. 

Accolga  questi  sentimenti  e  i  miei  cordiali  saluti 

Devot"^" 
Michele  Amari. 


Corso  di  Storia  scritto  per  le  Scuole  Secondarie. 

(Bibliogr.  n.  41). 

Pasquale  Villari  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Firenze,  li  22  ottobre  1885. 
Egregio  Professore, 

Ricevo  il  quinto  voi.  della  sua  ultima  opera,  e  cordialmente  La  ringrazio. 
Da  piià  tempo  Ella  mi  manda  gentilmente  le  sue  ,belle  pubblicazioni,  che  io 
leggo  sempre  con  molto  piacere.  Assai  spesso  ho  consultato  questi  lavori 
per  le  scuole  secondarie,  e  sono  fra  i  pochi  fatti  in  Italia  con  coscienza  e  vera 
conoscenza  del  soggetto. 

In  questo  momento  ho  messo  in  cassa  quasi  tutti  i  miei  libri,  giacché 
mi  .tocca  la  sciagura  di  mutar  casa.  Altrimenti  le  avrei  mandato  un  mio 
volume,  tanto  per  ringraziarla  del  molto  che  m'ha  mandato  Ella.  Lo  farò 
dopo  i  primi  di  novembre,  quando  spero  essere  nella  nuova  casa.  Spero  che 
ben  presto  Ella  vorrà  darci  qualche  sua  nuova  ricerca  storica,  come  ne  ha 
fatte  altre  già  tanto  lodate  da  tutti  i  dotti. 

Mi  creda,  egregio  professore,  con  stima  sincera 

Suo  devoV'" 
Pasquale  Villari. 


Nicomede  Bianchi  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Novembre,  i,  18S1, 
Carissimo  Collega, 

Avete  fatto  un  bel  libro,  molto  profittevole,  col  vostro  Corso  di  storia 
moderna  (voi.  V).  Vi  mando  il  mio  mirallegro  di  tutto  cuore,  e  secondo  me 
da  Voi  ben  meritato,  Son  dolente  soltanto  di  dovervi  dire  questa  cosa  usando 
penna  altrui.  Ma  la  necessità  non  ha  legge,  anche  conviene  obbedirla  quando 
è  dura.  Ben  mi  è  caro  almeno  di  poter  terminare  questa  col  firmarmi  di 
mia  mano 

Vostro  off"'"  amico  e  collega 
Nicomede  Bianchi, 


300  ANTONIO  MANNO 


Iscrizioni  e  ricerche  nuove  intorno  all'Ordinamento 
delle  Armate  dell'Impero  Romano. 

(Bibliogr.  n.  43). 

Cesare  Canta  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Onor.  Collega, 

Ella  ha  posto  un  magnifico  coronamento  al  suo  edifizio  sulle  Armate. 
Quante  nuove  notizie  !  Fa  sgomento  il  pensare  quante  attenzioni  devono 
fare  loro  eruditi  per  seguitare  tanto  piovere  di  scoperte.  E  noi  venimmo 
così  tardi.  Delle  cure  eh'  Ella  presta  al  mio  lavoro  le  debbo  ringraziamenti 
vivissimi  .............. 

Conservi  la  sua  benevolenza  al 

Suo  ohW^" 
Cesare  CantÙ. 

Milano,  16  dicembre  1884. 

Paul  Allard  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Rouen,  30  janvier  1885. 
Cher  Monsieur, 

Je  suis  bien  en  retard  avec  vous.  Depuis  longtemps  je  voulais  vous 
écrire,  d'abord  pour  vous  exprimer  la  part  que  je  prends  au  nouveau  deuil 
de  famille  qui  vient  de  vous  attcindre,  puis  pour  vous  remercier  de  l'envoi 
de  vos  nouvelles  Recherches  sur  les  flottes  de  l'empire  romain.  C'est  une 
bien  belle  et  bien  utile  continuation  de  votre  grande  ouvrage  sur  le  méme 
sujet,  et  je  vous  suis  profondément  reconnaissant  d'avoir  bien  voulu  me  pro- 
curer,  avec  une  bonne  gràce  si  aimable,  cette  nouvelle  occasion  d'admirer 
votre  érudition  si    riche  et    si  claire,  et   de  m'instruire  à  votre  école  . 

Veuillez  agréer,  cher  Monsieur,  l'assurance  de  mon  respecteux  dévoùment. 

Paul  Allard. 


Gian  Battista  Mispoulet  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Paris,  17  mars  1885, 
Monsietir, 

Vous  m'excuserez  de  ne  vous  avoir  pas  remercié  plus  tòt  de  votre 
gracieux  envoi.  J' ai  lu  avec  beaucoup  d'intérèt  vos  nouvelles  études  sur 
la  marine  romaine  qui  complètent  si  heurcusement  votre  premier  volume 
en  attendant  quo  vous  nous  donniez,  commc  vous  nous  1' avez  promis,  une 
histoire  de  la  marine  sous  la  république. 

J'ai  été  très-heureux  et  très-flattó  de  voir  que  vous  voidiez  bien  accepter 
ma  solution  sur  la  question  du  mariage  des  soldats. 

24 


COMMEMORAZIONE  DI   ERMANNO   FERRERÒ  301 

Je  reviendrai  sur  cette  étude  fort  complexe  et  je  tiendrai  compte  de  vos 
observations.  ........... 


Merci  encore  une  fois  de  votre  livre  et  de  l'intéret  que  vous  voulez  bìen 
prendre  à  mes  travaux.  Croyez  bien  que  les  v^òtres  ne  m'intéressent  pas 
moins. 

Votre  respecteux  et  dévoiic 

J.    B.    MlSPOULET. 


e.  Pallu  de  Cessert  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Paris,  22  décembre  1884. 
Monsieur, 

Y  ai  été  très  flatté  en  recevant  1'  exemplaire  de  votre  bel  ouvrage  que 
vous  m'avez  fait  l'honneur  de  m'adresser.  Permettez-moi  de  vous  remercier. 

Je  l'ai  lu  avec  grande  attention  et  si  je  ne  vous  dits  pas  ici  tout  le  bien 
que  j'en  pense,  e'  est  que  je  le  fais  dans  le  X°  du  Bulletin  des  Antiquités 
Africaines  qui  est  sous  presse     .         .    • 

Veuillez  agréer,  Monsieur,  l'assurance  de  ma  parfaite  considération. 

C.  Pallu  De  Cessert. 


Vittorio  Duruy  ad  Ermanno  Ferrerò. 

30  novembre  18S4. 
Alonsieur, 

Je  viens  de  recevoir  votre  nouveau  volume  et  je  m'empresse  de  vous 
rem.ercier  de  l'honneur  que  vous  me  faites  en  me  chargeant  de  le  présenter 
à  r  Académie.  Mes  Confrères  qui  tiennent  en  grande  estime  vos  savantes 
études  seront  charmés  de  voir  que  votre  persévérance  ne  se  lasse  pas,  et 
qu'après  avoir  déjà  si  bien  fait  vous  veuillez  faire  mieux  encore. 

Permettez  qu'à  mes  félicitations  je  joigne  mes  remercìments  pour  votre 
bon  souvenir. 

Votre  tout  dévoué  serviteur 

V.    DUKUY. 


Iscrizioni  antiche  vercellesi 
in  aggiunta  alla   raccolta  del  P.  D.   Luigi  Bruzza. 

(Bibliogr.  n.  81). 

Alfredo'  Holder  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Trcs  honoré  Monsieur  et  cher  ami, 

J'ai  été  très  agréablement  surpris  par  1'.  aimable  visite  du  Professeur 
von  Duhu  qui  ma  apportò  de  vos  nouvelles  et  votre  superbe  publication 
sur  les  monnaies  gauloises  du  médailler  du  Grand  St-Bernard.  Quelques 
jours  après.  vous  me  tites  le  plaisir  de  m' envoyer  vos  beaux  rnémoires 
25 


502  ANTONIO  MANNO 


académiques  sur  les  inscriptions  de  Vercclles  et  de  Demonte.  Je  vous  suis 
bien  reconnaissant  de  ces  précieux  présents  que  j'ai  lus  non  seulement  avec 
le  plus  grand  intérèt  littéraire,  mais  aussi  avec  la  plus-vive  émotion  à  cause 
de  l'aimable  mention  dont  yous  voulez  bien  m'honorer. 

Je  suis  d'  autant  plus  sensible  à  ce  ben  accueil  de  mon  Trésor  vieux- 
celtique,  que,  dans  ma  patrie,  j'ai  été  vivement  attaqué  par  un  ingrat  . 

De  ce  que  je  ne  vous  ai  pas  encore  remercié  de  vos  beaux  livres,  vous 
en  étes  la  cause,  mon  cher  ami,  je  les  ai  lus  et  relus  et  mis  à  profìt  pour  mon 
livre  ;  et  ce  n'est  o^'aujourd' hui  que  j'ai  termine  mon  travail  de  dépouille- 
ment  des  plus  riches  sources. 

C  est  avec  le  plus  grand  plaisir  que  je  pense  à  mon  séjour  de  Turin 
où  j'ai  eu  le  bonheur  de  faire  votre  connaissance  et  celle  de  Mr.  le  Professeur 
Giuseppe  Mùller    ............. 


Veuillez  agréer,  bien  révéré  Monsieur  et  hien  clier  ami,  l'expression  de 
ma  plus  vive  reconnaissance. 

Votrc,  pour  toute  ma  vie, 
très    devoué  et   très   ohéissant 


D""  Alfred  Holder. 


Karlsruhe  (Bade)  le  9  juillet  1891. 


Nuove  iscrizioni  ed  osservazioni  intorno  ali  'ordi- 
namento delle  Armate  dell'Impero  Romano  ed 
indizi  generali  delle  iscrizioni  classiarie. 

(Bibliogr.   n.   152-153). 

Paolo  Allard  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Rouen,  6  janvier  1900. 
Monsieur, 

Je  suis  confus  de  ne  vous  avoir  pas  encore  remercié  de  l'envoi  si  gra- 
cieux  que  vous  avez  bien  voulu  me  faire,  il  y  a  plusieurs  semaines,  de  vos 
Nuove  Iscrizioni  ed  Osservazioni  intorno  alV  ordiìiamcnln  delle  Armate  del- 
l'impero romano.  Je  suis  fier  de  devoir  à  votre  sympathie  un  si  beau  et  si 
savant  livre,  qui  complète  de  fa^on  magistrale  les  deux  premiers  ouvrages 
que  vous  avez  dcjà  consacrés  aux  flottes  romaines.  Il  y  a  là  tout  un  coté 
des  institutions  impériales  étudic  par  vous  de  manière  absolument  definitive, 
et  sur  lequel  il  n'y  aura  plus  à  revenir.  Toutes  les  découvertes  d'inscriptions 
que  l'on  pourrait  encore  faire  n'ajouteront  à  vos  conclusions  rien  d'essentiel, 
et  ne  pourront  que  les  confirmer         ......... 

Veuillez  agréer,  Monsieur,  mes  plus  dévoués  et  reconnaissants  hommages. 

Paul  Allard. 

26 


COMMEMORAZIONE    DI    ER.MANXO   FERRERÒ  303 

Antonio  Héron  de  Villefosse  ad  Ermanno  Ferrerò. 

13  Décembre  1899. 
Mo7isieur  et  cher  Confrère, 

J'ai  regu  avec  un  vive  satisfaction  votre  nouveau  fascicule  sur  Ics  flottes 
romaines  ;  je  vous  remercie  de  cette  marque  d'  estìme  et  ce  bon  souvenir. 
Vous  avez  mene  à  Dieu  une  oeuvre  difficile  et  considérable  ;  votre  nom  y 
resterà  attaché.  Je  me  permets  de  vous  en  adresser  toutes  mes  félicitations. 
Vos  nouvelles  observations  sont  très  intéressantes  et  en  dressant  les  copieu- 
ses  tables  qui  terminent  votre  travail  vous  avez  rendu  un  véritable  service 
à  tous  les  travailleurs. 

Veuillez  agréer,  "Monsieur  et  cher  Confrère,  avec  l'expression  de  toute 
ma  gratitude,  celle  de  mes  sentiments  les  plus  distingués,  et  dévoués. 

Antoine  Héron  de  Villefosse. 

Stefano  Michon  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Palais  du  Louvre,  5  décembre  1899. 
Monsieur, 

Je  ne  veux'pas  attendre  pour  vous  remercier  du  si  gracieux  envoi  de 
votre  nouveau  travail  sur  les  flottes  romaines. 

J'  ai  souvent  éprouvé  combien  rendent  service  vos  recueils  précédents, 
et  le  précieux  index  que  vous  avez  joint  à  celui-ci  vous  faciliterà  encore 
les  recherches  et  vous  sera  un  nouveau  titre  à  la  reconnaissance  des  tra- 
vailleurs. Veuillez  agréer,  Monsieur,  avec  mes  meilleurs  remercìments,  l'as- 
surance  de  mes  sentiments  dévoués. 

Etienne  Michon. 

Roberto  Monsat  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Paris,  12  décembre  1S99. 
Cher  Confrère  et  Avii, 

La  poste  m'  a  très  exactement  apporté  les  «  Nuove  iscrizioni  ed  osser- 
vazioni intorno  all'Ordinamento  »  que  v  ous  avez  eu  l'amabilité  de  m'adresser. 
Je  tiens  à  vous  présenter  sans  retard  mes  vifs  remercìments  pour  votre  bon 
souvenir  avec  mes  félicitations  pour  ce  travail  considérable,  qui  forme  le 
digne  couronnement  de  1'  Ordinamento.  En  mentionnant  dans  votre  préface 
le  Mémoire  de  La  Berge  vous  avez  parie  de  moi  en  des  termes  obligeants 
auxquelles  je  suis  très  sensible. 

En  tete  de  mon  supplément  à  1'  étude  de  C.  de  la  Berge,  je  signalais 
l'apparition,  alors  recente,  de  vos  Iscrizioni  e  ricerche  nuove,  ajoutant  «  un 
deuxième  supplément  deviendra  nécessaire  après  1'  àchèvement  du  Corpus  ». 
J'étais  bien  prophète  ;  le  Corpus  est  en  effet  virtuellement  achevé  et  vous 
avez  bien  jugé  que  le  moment  était  venu  d'  apporter  les  dernières  pierres 
au  faìte  du  monument  élevé  par  vos  soins  à  la  marine  romaine. 

Votre  reconnaissant  et  dévoué 
Robert  Monsat. 
27 


304  ANTONIO   MANNO 


Giuseppe  Gatti  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Roma,  9  dicembre  1899. 
Stìmat""'  e  carissimo  Professore, 

Ho  ricevuto  la  nuova  Memoria  da  Lei  pubblicata  sulle  Armate  Romane 
e  non  voglio  tardare  un  momento  a  rendergliene  le  più  sentite  ed  affettuose 
grazie.  Gl'indici  generali,  che  Ella  vi  ha  aggiunto,  sono  di  un  pregio  inesti- 
mabile; e  creda  pure  che  comprendo  perfettamente  quanto  immane  lavoro 
debbono  esserle  costati!  Mi  congratulo  sinceramente  con  Lei  di  questo  scritto, 
che  così  dottamente  riassume  anche  i  precedenti  e  tutto  ciò  che  concerne 
l'ordinamento  delle  antiche  armate,  con  immensa  utilità  degli  studiosi. 

Silo  «/"'"  ed  ohhl'^ 
Giuseppe  Gatti. 


L'are  d'Auguste  à   Suse. 

(Bibliogr.   173). 

Renato  Lagnat  ad  Ermanno  Ferrerò. 

Paris,  27  gennaio  1901. 
Afon  honoré  Confrere, 

J'ai  regu  hier  la  superbe  publication  sur  1'  Are  de  Suse  que  vous  avez 
bien  voulu  m'envoyer.  Je  vous  prie  d'en  agréer  tous  mes  remerciments  et 
toutes  mes  félicitations. 

J'éspère  trouver  l'occasion  d'en  dire  quelque  part  tout  le  bien  quej'en 
pcnse. 

Croyez,  mon  honoré  Confrere,  avec  mes  sentiments  les  plus   distingués 

René  Lagnat. 


28 


COMMEMORAZIONE   DI    ERMANNO   FERRERÒ 


APPENDICE   IV 


BIBLIOGRAFIA  (0. 


1.  —  Lettera  sopra  una  nuova  mo- 
neta di  asiana  e  ^Martino  d'Aragona. 

=  (\n  Per  iodico  niDiiismat.  e  sfragist. 
Firenze,  1873,  V,  23-24. 

=  (a  parte)  (s.  n.)  8°  (4  pp.   i  tav. 

2.  —  Allocuzione  pronunciata  nella 
solennità  delle  premiazioni  presso  il 
Collegio-Convitto  San  ]\rassimo  in 
Torino  il  22  luglio  1874. 

=  in  Collegio -Convitto  S.  Mas- 
simo. Relazione  della  festa  scolastica 
1874.    Torino,  1874. 

=  (a  parte)  Torino,  tip.  Fodratti , 
1874,  8"  (18  pp. 

3.  —  Le  Ouatrième  congiaire  des 
Philippes. 

=  (in  Zeitschrift  fiir  Numisinatik. 
Berlin,  1876;  III,"  381-382. 

4.  —  Dei  Libertini.  Dissertazione  pre- 
sentata per  la  laurea  in  giurispru- 
denza nella  R.  Università  di  Torino, 
e  dalla  commissione  esaminatrice 
dichiarata  meritevole  della  stampa 
(2  agosto   1876). 

=  Torino,  fratelli  Bocca  (tip.  Bona), 
1877,  8"  (XII-145  pp. 

5.  —  La  Scuola  di  egittologia  nella 
R.  Università  di  Torino. 

=  (in  //  Risorgimento  ;  Torino, 
26  febbr.   1877. 

6.  —  La  Società  di  archeologia  e  belle 
arti  per  la  provincia  di  Torino, 

=  (in  //  Risorgifnento  ;  Torino  , 
I  aprile  1877. 


7.  —  La  Venere  di  Alilo. 

=    (in    //   Risorgimento  ;  Torino  , 
20  giugno   1877. 

8.  —  Testa  muliebre  di  marmo,  sco- 
perta in  Alba. 

=  (in  Atti  Soc.  Archeol.  e  BB.  A  A. 
Torino,   1877  ;  I,  315-317. 

9.  —  Statua    di    Claudio    trovata    in 
Susa. 

=^i^-x\  Atti  Soc.  Archeol.  e  BB.  A  A. 
Torino,   1877  ;  I,   319-325. 

Queste  due  pubblicazioni  furono  riunite  in 
una  sola  tiratura  a  parte;  8"  (12  pp.  -  2  tav. 

10.  —  I   TORSI  segusini   nell'Univer- 
sità. 

=   (in    //    Risorgimento.    Torino , 
3  sett.   1878. 

11.  —  Tesi.  Torino,  26  ottobre  1878. 

=  (s.  n.),  4"  (2  csn. 

Per  l'esame  della  sua  aggregazione  alla  fa- 
coltà torinese  di  lettere. 

12.  —   L'Ordinamento    delle  armate 
Romane  :  Ricerche. 

=  Roma,  Torino,  Firenze,  fratelli 

Bocca,    1878  (Torinq,  V.  Bona   tip.  , 

4"  (xvi-228  pp. 

Tesi  sostenuta  per  l'aggregazione  alla  facoltà 
di  lettere  e  filosofia  nell'Università  di  Torino. 

Cf.  recens.  Rcvues  des  guest,  histor.  ;  Paris, 
1879  ;  XXV,  662.  —  Revue  historiqite;  Paris,  1880, 
XIII,  158-164.  —  Revue  critique ;  Paris,  1879, 
XIII,  275.  —  Rivista  marittima  ;  Roma,  18S0. 
—  Rivista  di  filologia  ed  istr.  classica  ;  Torino, 
1879  ;  VII,  563-569.  —  Revue  de  l'instruction 
pubi,  en  Belgique;  Bruxelles,  1885,  XXVIII.  — 
Vaillant  V-J.,  Notes  boulonnaises :  Boulogne 
s.  M.,  1889,  20-35. 


(i)  Grazie  cordiali  all'amico  e  collega  cavaliere  Vincenzo  Armando  per  le  sue  infinite  cure 
e  diligenze  apprestatemi  per  questo  elenco  degli  scritti  del  Ferrerò.  Che  se  è  così  vicino  alla 
perfezione,  anche  per  le  minuzie,  lo  si  deve  alla  pia  e  colta  sollecitudine  ed  alle  ricerche  mi- 
nutissime della  signorina  Carmen,  figlia  del  povero  Ermanno. 


39  -^  Mise,  S.  HI,  T.  Xni. 


306 


ANTONIO  .MANNO 


13.  —  Discorso  pronunciato  nel  suo 
accoglimento  nella  facoltà  di  lettere 
e  filosofia  della  R.  Università  di  To- 
rino, il   19  dicembre   1878. 

=  Torino,  Vincenzo  Bona,  tip.  di 
S.  M.,   1878,  8"  (18  pp. 

14.  —  Tre  Statuette  di  bronzo  del 
Museo  di  Torino. 

=  (in  Atti  Soc.  Arch.  e  BB.  AA. 
Torino,  1879;  II,  341-348,  i  tav. 

=  (a  parte)  Torino,  Stamp.  reale 
della  ditta  G.  B.  Paravia  e  C.  di  I.  Vi- 
g'iiardi,   1879,  8"  (io  pp.   1   tav. 

15.  —  Sonetti  inediti  di  Giovanni 
Battista  Marino. 

=  (in  Curiosità  e  ricerche  di  storia 
sìtbalpiìia.    Torino,  1880;  iV,  403-407. 

=  (a parte)  Torino,  Vincenzo  Bona 
tipografo,   1879,  8"  (8  pp. 

16.  —  Documenti  sulle  relazioni  delle 
città  toscane  coU'Oriente  cristiano  e 
coi  Turchi ,  raccolti  da  G.  jMùller 
(Recensione). 

=  (in  Ardi.  stor.  ital.  ;  Firenze  , 
1880;  S.  IV,  V,  293-305. 

=:  (a  parte)  Firenze,  tip.  Cellini, 
1880,  8°  (16  pp. 

17.  —  La  Rivoluzione  inglese  del 
1688  e  l'inviato  di  Savoia  a  Londra. 

=  (in  Mein.  Acc.  Se.  Tor.\  1880, 
II,  XXXIP.  II 3- 153. 

=  (a  parte)  Torino,  Stamp.  Reale 
della  ditta  G.  B.  Paravia  e  C.  1880, 
4"  (46  PP- 

18.  —  Di  un  Codice  delle  lettere  di 
Santa  Caterina  da  Siena:  Notizia. 

=:  (in  Atti  Acc.  Se.  Torino,  1880; 
XV,  873-890. 

=  (a  parte)  Torino,  Stamp.  Reale 
della  ditta  G.  B.  Paravia  e  C.,  1880. 
S'*  (20  pp. 

19.  —  Carlo  Bon-Compagni.  Parole 
dette  nella  scuola  di  Storia  moderna 
dell'Università  di  Torino  il  18  di  di- 
cembre 1880. 

=  Torino,  Vincenzo  Bona,  1880, 
16"  (24  pp. 

20.  —  Sulla  Provenienza  di  un 
quadro  del  Van  Dyck,  conservato 
nella  Pinacoteca  torinese. 


^  (in   Ciiriosità  e  ricerche  di  storia 
subalpina.  Torino,  1881  ;  IV,  117-119. 
=  (a  parte)  8"  (2  csn. 

21.  —  Sul  primo  volume  delle  let- 
tere di  Caterina  de'  Medici,  pubbli- 
cato dal  conte  Ettore  de  la  Ferrière. 

=  (in  Atti  Acc.   se.   Torino,  1881  ; 

XVI,  457-466. 

^  (a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe- 
scher,  ed.  1881,  8''  (12  pp. 

22.  —  Il  Protestantismo  in  Ispagna. 
=  (in  Rassegna  settimanale.  Roma, 

20  marzo   1881  ;  VII,   185-188. 

2^  —  Sulle  Iscrizioni  classiarie 
dell'Africa. 

=  (in  Atti  Acc.    se.   Torino;  1881, 

XVII,  88-93. 

=  (a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe- 
scheri  1881,  8°  (8  pp. 

24.  —  Inscriptions  de  l'Afriquc  rela- 
ti ves  à  la  Flotte. 

=  (in  Bulletin  épigrapliique  de  la 
G«z//^,  Vienne-Paris,  1882;  lì,  157-162. 

=  (a  parte)  Vienne,  impr.  Sa  vigne, 
1882,  8"  (6  pp.-i   e. 

Traduzione  con  aggiunte    della  notizia  inse- 
rita in  Atti  Acc.  Se.,  XVII,  88. 

25.  —  Programma  del  corso  di  Storia 
moderna  professato  nella  Regia  Uni- 
versità di  Torino  nell'anno  accade- 
mico 1880-81.  Storia  d'Europa  dal 
Concilio  di  Trento  alla  pace  di  Vest- 
falia (1545- 1648). 

=:  Torino,  Vincenzo  Bona,  tipo- 
grafo di  S.  M.,   188],  16"  (24  pp. 

26.  —  L'Apologia  di  Ilaria  Mancini. 

=  (in  Rassegna  settimanale,  Roma, 
18  die.    1881  ;  VIIL  393-396. 

27.  —  Tombe  Romane  scoperte  a  To- 
rino. 

==  (in  Atti  Soc.  Archeol.  e  BB.  A  A. 
Torino,   1 881;  III,   117-118. 

2%.  —  Una  nuova  storia  di  Fi- 
lippo IL 

=^  (in  Arch.  stor.  ital.,  Firenze , 
1881-83;  Ser.  IV,  VIII,  405-421;  XI, 
375-380. 

=  (a  parte)  Firenze,  tip.  Cellini, 
1881-83,  8°  (18-6  pp. 

30 


COMMEMORAZIONE  DI   ERMANNO   FERRERÒ 


29.  —  Lettres  de  Henriette-Marie  de 
Fraiice ,  reine  d' Angleterre ,  à  sa 
soeur  Christine  Duchesse  de  Savoie 
publiées. 

=  (in  Misceli,  storia  Hai.  Torino, 
1882;  S.  II,  V  (XX),  313-456;  ritr.- 
facsimile. 

=  (a  parte)  Turin,  Bocca  frères, 
1881,  8°  (144  pp,  2  tav. 

Recens.  in  Revue  des  guest,  histor.;  Paris, 
1881  ;  XXX,  654.  —  Deutsche  Literaiurzeitung  ; 
III,  257,  ecc. 

30.  —  Sepolture  Romane  scoperte  a 
Torino. 

=^i^rv  Atti  Soc.  Archeol.  e  BB.  A  A. 
Torino*,   1882;  TU,  219-220. 

31.  —  Giovanni  Gaspare  Blunt- 
SCHLI.  Breve  commemorazione. 

=  (in  Atti  Accad.  se.  Tor.,  1882; 
XVII,  273-283. 

=  (a  parte)  Torino,  Ermanno  I.oe- 
scher,  1882,  8"  (14  pp. 

32.  —  Intorno  ad  una  iscrizione  clas- 
siaria  scoperta  a  Castelvolturno. 

=  (in  Atti  Acc.  se.   Torino,    1881; 

XVII,  379-382. 

=  (a  parte)  Torino,  Ermanno  Toe- 
scher,   1882,  8°  (6  pp.,  i   tav. 

33.  —  Breve  introduzione  ad  una 
narrazione  dei  primi  tempi  del  regno 
di  Berengario  I. 

=  (in  Atti  Ace.    se.   Torino,  1882; 

XVII,  477-4Q7- 

=  (a  parte)  Torino,  Ermanno  ]^oe- 
scher,   1882,  8°  {22  pp. 

34.  —  Intorno  a  due  opere  di  An- 
tonio de  Serpa  Pimentel. 

=  (in  Atti   Ace.  se.   Torino,   1882; 

XVIII,  1 76-1 86. 

=  (a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe- 
scher,  1882,  8"  (io  pp. 

35.  —  Intorno  ad  un  nuovo  diploma 
militare  romano. 

=  (in  Atti  Acc.    se.   Torino,   1883; 

XVIII,  353-356. 

=  (a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe- 
scher,   1883,  8°  (6  pp. 

36.  —  Intcìrno  a  due  nuove  pubbli- 
cazioni periodiche  sulle  antichità  afri- 
cane. 

31 


=  (in  Atti  Acc.  se.    Torino,    1883; 

XVIII,  561-564. 

=  (a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe- 
scher,   1883,  8°  (6  pp. 

37.  —  Inscription  de  Bijga  (Tunisie). 

=  (in  Bulle t in  triinestriel  des  an- 
tiquités  africaines.  Paris,  1883  ;  H. 
301-302. 

38.  —  Di  unx\  nuova  collezione  di 
documenti  diplomatici. 

=  (in  Atti  Acc.   se.    Torino,  1883; 

XIX,  213-224. 

=  (a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe- 
scher,    1884,  8"  (14  pp, 

39.  —  SOxMMARIO  delle  lezioni  di  storia 
militare  antica  e  del  medio  evo.  Ac- 
cademia militare  1882-83. 

=  (Litografato),  4"  (110  pp. 

40.  —  Alfredo  Reumont.  Vittoria 
Colonna.  Vita,  fede  e  poesia  nel  se- 
colo decimosesto.  Versione  di  Giu- 
seppe Alùller  ed  Ermanno  Ferrerò 
con  aggiunte  dell'autore. 

=  Torino, 'Ermanno  Loescher,  ed., 
1883,  8«  (XX-332  pp. 

41.  —  Corso  di  storia  scritto  perle 
scuole  secondarie. 

=  Torino,  Ermanno  Loescher,  ed., 
1883-1886,  6  voi.   16". 

Del  voi.  I"  si  è  pubblicata  la  undecima  ediz., 
(Torino,  casa  ed.  E.  Loescher  (tip.  V.  Bona  , 
1908,  8"  (XII-162  pp.  fig.);  del  6"  la  ottava; 
(e.  s.  (VIII-199  pp,  fig.);  i  voi.  2»,  3"  e  4" 
sono  all'ottava  edizione,  il  5"  alla  settima. 

42.  —  La  Marine  militaire  de  VK- 
frique  romaine. 

=  (in  Bulletin  triniestriel  des  anti- 
quités  africaines.  Paris  ,  1 884  ;  II, 
158-181. 

=  (a  parte)  Paris ,  Alphonse  Pi- 
card, éditeur,  1884,  8"  {^2  pp. 

43.  —  Iscrizioni  e  ricerche  nuove 
intorno  all'ordinamento  delle  armate 
dellTmpero  romano. 

=:  (in  Meni.  Acc.  se.  Torino^  1884; 
IL  XXXVP,  3-88. 

=  (a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe- 
scher,  1884,  4°  (88  pp. 

44.  —  P.  Giuseppe  Colombo. 

=  (in  Archivio  stor.  ital.  Firenze, 
1884;  IV,  XIV,  122-123. 

=  (in  Anntiario  biogr.  tmiversale. 
Torino,  1885;  I,  75. 


3o8 


ANTONIO   MANNO 


45.  —  Alcune  lettere  inedite  di  Vit- 
toria Colonna  marchesa  di  Pescara, 
pubblicate  da  Giuseppe  Mùllcr  ed 
Ermanno  Ferrerò. 

=  (in  Atti  Acc.  se.    Torino,  1884; 

XIX,  1069- 1094. 

=  (a  parte)  Torino,  Ermanno  I.oe- 
scher,  1884,  8"  (30  pp. 

46.  —  Solenne  inaugurazione  del 
monumento  al  conte  Carlo  Bon  Com- 
pagni nella  Regia  Università  degli 
studi  di  Torino,  21  novembre  1884. 

=  Torino,  tipografia  editr.  G.  Can- 
deletti,  1885,  8°. 

47.  —  MONNAIES  AFRICAINES  du  Musée 
de  Turin. 

=  (in  Bulletin  trim.  des  antiquités 
a/rieaines.  Paris,  1884;  II,  375-376. 

48.  —  Inscription  de  Vulcacius  Ru- 
finus. 

=  (in  Bulletin  trimestriel  des  an- 
tiquités africaines.  Paris,  1885  ;  III, 
137-140. 

49.  —  Sui  nuovi  studii  di  P.  Willems 
intorno  al  Senato  della  repubblica 
romana. 

=  (in  Atti  Acc.  se.    Torino,   1885  ; 

XX,  1117-1121. 

:=:  (a  parte)  Torino,  Stamp.  reale, 
1885,  8"  (8  pp. 

50.  —  Discorso. 

=  (in  Atti  del  terzo  Congresso  sto- 
rico italiano  (1885). 

=  (in  Misceli,  st.  ital.  Torino,  1887; 
lì,  X  (XXV),  [30-39]. 

=  (a  parte)  Torino,  vStamp.  reale 
della  Ditta  G.  B.  Paravia  e  C,  1885, 
8»  (14  pp. 

Per  la  inaugurazione  di  un  busto  ad  Ercole 
Ricotti,  nel  cortile  della  R.  Accademia  delle 
Scienze. 

51.  —  Breve  commemorazione  di 
Leone  Renier. 

=  (in  Atti  Acc.    se.    Torino,   1885; 

XXI,  156-170. 

=  (a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe- 
scher,   1885,  8"  (18  pp. 

=:  (in  Annuario  hiogr.  universale. 
Torino,  1886;  II,  439-444. 


52.  —  Iscrizioni  romane  di  Piobesi 
Torinese. 

=  (in  Atti  So  e.  Ardi,  e  BB.  A  A. 
Torino,    1885;  IV,  298-301. 

=  (a  parte)  Torino,  Stamp.  reale 
di  G.  B.  Paravia  e  C,  8°  (4  pp. 

53.  —  Breve  storia  d'Italia  dal 
principio  del  medio  evo  ai  tempi 
nostri  scritto  per  le  scuole  ginna- 
siali. 

=  Torino,  Ermanno  Loescher,  1885, 
16°  (164  pp. 

Nel  1906  se  ne  pubblicò  la  nona  edizione.  A 
partire  dalla  quarta  (1S93)  venne  tolta  dal  fron- 
tespizio l'indicazione  :  «  scritto  per  le  scuole 
ginnasiali  ». 

54.  —  Storia  dello  Impero  romano 
negli  ultimi  due  secoli:  Introduzione 
alla  storia  del  medio  evo  per  la  se- 
conda classe  liceale  giusta  i  recenti 
programmi  scolastici ,  estratto  dal 
voi.  III  del  Corso  di  storia  scritto  per 
le  scuole  secondarie. 

=  Torino,  Ermanno  Loescher,  1885, 
16"  (2  csn.  48  pp. 

55.  —  Ricordi  storici  sull'Accademia 
militare. 

=  (in  Accadeìnia   inilit.   Annuario 
per  l'a.  1885-86. 
=  Torino,  1-23. 

56.  —  Pubblicazioni  francesi  di  do- 
cumenti diplomatici. 

=  (in  Atti  Acc.  se.   Torino,    1886; 

XXI,  317-324- 

=  (a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe- 
scher, 1886,  8"  (io  pp. 

57.  —  Inscription  relative  à  un  Pau- 
sarius  de  la  Hotte  de  ]\lisène. 

=  (in  Bulletin  épigraphique  de  la 
Gaule.  Vienne-Paris,  1885  ;  V,  277-279. 

=  (a  parte)  Vienne,  imprim.  Sa- 
vigné,  1886,  8"  (4  pp. 

58.  —  NicoMEDE  Bianchi. 

=  (in  Archivio  stor.  italiano.  Fi- 
renze, 1886;  IV,  XVII,  414-428. 

=  (a  parte)  Firenze ,  tip.  Cellini 
e  C,  1886,  8**  (16  pp. 

59.  —  Iscrizioni  classiarie  di  Ca- 
gliari. 

=  (in  Atti  Acc.  se.  Torino,  1886; 
XXI,  959-964,  I  tav. 

=  (a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe- 
scher,  1886,  8"  (8  pp.   I   tav. 


COMMEMORAZIONE   DI    ERMANNO    FERRERÒ 


309 


60.  —  Luigi  Prospero  Gachard  : 
Commemorazione. 

=  (in  Meni.  Acc.  se.  Torino,  1886; 
II,  XXXVIIP,   105-136. 

=  (a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe- 
scher,  1886,  4°  (34  pp, 

=  (in  Annuario  biogr.  universale. 
Torino,  1887;  III,  373-381. 

61.  —  *Alessandro  Dorna. 

=  (in  L' Italia  inilitare.  Roma  , 
IO  sett.   j88ò;  XXV,  107. 

62.  —  La  patria  dell'imperatore  Per- 
tinace, 

=  (in  Atti  Acc.  se.  Torino,  1886; 
XXII,  75-87,  932. 

=  (a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe- 
scher,  1887,  8°  (16  pp. 

Recens.  di  G.  Sforza    in  Arch.    sior.  ila!.; 
V,  II,  60. 

63.  —  Iscrizione  scoperta  al  passo  del 
Furio. 

=  (in  Atti  Acc.  se.  Torino,  1S86; 
XXII,  256-259,  I  tav. 

=:  (a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe-' 
scher,  1887,  8    (6  pp.   i   tav. 

64.  —  Regia  Accademia  militare  : 
Nozioni  generali  di  diritto. 

=  Torino,  tip.  G.  Candeletti,  1886, 
8'  (IV- 100  pp. 

.Seconda  edizione. 

=  Torino,  tip.  G.  Candeletti,  1889, 
8°  (1V-104  PP- 

Terza  edizione. 

=  Torino,  tipogr.  editr.  G.  Can- 
deletti, 1891,  8°  (IV- 108  pp. 

Quarta  edizione. 

=  Torino,    tipografìa    G.   U.  Cas- 
sone   succ.    G.    Candeletti,     1902,    8° 
(104  pp. 
Trattato  scolastico. 

65.  —  Relazioni  diplomatiche  della 
monarchia  di  Savoia  dalla  prima  alla 
seconda  restaurazione  (1559-1814) 
pubblicate  da  Antonio  Manno,  Er- 
manno Ferrerò  e  Pietro  Vayra.  Fran- 
cia. Periodo  III. 

Volume  I  (17 13-17 15). 

=  Torino,  fratelli  Bocca,  librai 
di  S.  M.,  mdccclxxxvi  (Stamperia 
reale  di  G.  B.  Paravia  e  Comp.). 
(Biblioteca  storica  italiana,  pubblicata 
per    cura    della    R.    Deputazione    di 

33 


Storia  patria,  IV),  8°  (ritr.   —    xxii- 
510  pp. 

Volume  II  (1715-1717), 

=  c.  s.  MDCCCLXXXVin  (ritr.  VIII- 

474  PP- 

Volume  III  (17 17-17 19). 

=  e.  s.  MDCCCXCI  (ritr.  XII-392  pp. 

66.  —  Della  vita  e   degli  scritti  di 
Ercole  Ricotti. 

=:  (in  Meni.  Acc.  se.  Torino,  1887; 
II,  XXXVIIP,  309-401. 

=  (a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe- 
scher,   1888,  8"  (Vlll-172  pp. 

67.  —  La  STRADA  ROMANA  da  Torino 
al  ]\Ionginevro  descritta. 

=  (in  Aleni.  Acc.  se.  Torino,  1887; 
II,  XXXA^IP,  427-441,   I  tav. 

=  (a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe- 
scher,   1888,  4°  (18  pp.   i  tav. 

68.  --  Nozioni  di  Storia  dTtalia  com- 
pendiate per  le  scuole  tecniche. 

^Torino,  Ermanno Loescher,  1883, 
3  voi.   16°. 

Del  voi.  i"  si  è  fatta  la  settima  ediz.  nel  1906, 
del  2'^  la  quinta  nel  1904,  del  3"  una  ristampa 
della  quinta  nel  1901. 

69.  —  Il  Museo  civico  di  Susa. 

=  (in  Atti  Soc.  Arch.  e  BB.  A  A. 
Torino,  1887;  V,  59-62. 

70.  —  Di  alcune  iscrizioni  romane 
della  valle  di  Susa. 

=  (in  Atti  Acc.  se.  Torino.  1888; 
XXIII,   180-188. 

=  {a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe- 
scher,  1888,  8°  (12  pp.   I   tav., 

71.  —  GiANTOMMASO  TERRANEO,  Ce- 
sare Sacchetti  e  l'epigrafia  di  Susa. 

=  (in  Atti  Acc.  se.  Torino.  1888; 
XXIII,  456-467. 

=  {a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe- 
scher,  1888,  8°  (14  pp. 

72.  —  Un'opera  postuma  di  Ercole 
Ricotti. 

=  (in  Atti  Acc.   se.   Torino.    1888; 

XXIII,  527-533. 

=  [a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe- 
scher, 1888,  8°  (8  pp. 

73.  -  Ripostiglio  di  Fontanetto  da  Po. 
=  (in  Atti  Soc.  Ardi,  e  BB.  A  A. 

Torino,    1888;  V,  128-129. 


3IO 


ANTONIO   MANNO 


/  / 


74.  —  Una  NUOVA  tavoletta  votiva 
del  Gran  San  Bernardo. 

=  (in  Atti  Acc.  se.  Torino.  1889; 
XXIV,  293-296. 

=  {a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe- 
scher,   1889,  8"  (6  pp. 

75.  —  Frammenti  di  tavolette  votive 
del  Gran  San  Bernardo. 

=  (in  Atti  Acc.  se.  Torino  ;  1889, 
XXIV,  838-839. 

:=  {a  parte)  Torino,  Ermanno  Loe- 
scher,   1889,  8°  (4  pp.   i   tav. 

76.  —  Un  gentilizio  da  levare  ed  uno 
da  aggiungere  all'onomastico  latino. 

=  (in  Rivista  Jiiologia  e  istrtiz.  clas- 
sica, Torino,  1890,  XVIII,  1 40-1 41. 
=  {a  parie)  8°  (2  csn. 

.  —  Biografie  e  racconti  di  storia 

nazionale  per  le  scuole  ginnasiali. 
=  Torino,  Ermanno  Loeschcr,  1889, 

3  voi.   16°. 

Del  voi.  1°  si  è  pubblicata  la  settima  ediz. 
nel  1905  ;  del  2"  la  quinta  nel  1904,  del  3»  la 
(juinta  nel  1905. 

78.  —  Carteggio  di  Vittoria  Colonna 
marchesa  di  Pescara,  raccolto  e  pub- 
blicato da  Ermanno  Ferrerò  e  Giu- 
seppe MùUer. 

=  Torino,  Ermanno  Loescher,  1889, 
8°  (xxxii-394  pp.,   I   e,  2  tav. 

Supplemento...  Raccolto  ed  an- 
notato da  Domrcnico  Tordi... 

=  Torino, Ermanno  Loescher,  1892, 
8"  (viii-128  pp. 

Vittoria  Colonna  marchesa  di 
Pescara.  Carteggio  raccolto  e  pub- 
blicato da  Ermanno  Ferrerò  e  Giu- 
seppe MùUer.  Seconda  edizione  con 
supplemento  raccolto  ed  annotato  da 
Domenico  Tordi. 

=  Torino,  Ermanno  Loescher,  1892, 
8°  (xxxii-522  pp.,   I   e,  2  tav. 

79.  —  Guglielmo  Giesebrecht:  Pa- 
role commemorative. 

=  (in  Atti  Acc.   se.   Torino.   1890; 

XXV,  332-334- 

=  {a  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 
1890,  8*>  (6  pp. 

80.  —  Vincenzo  Promis. 

=  (in  Archivio  stor.  ital.,  P'ircnze, 
1890;  IV,  V,  176-182. 

=  {a  parte)  Firenze,  tip.  Ccllini, 
1890,  8"  (8  pp. 


81.  —  Iscrizioni  antiche  vercellesi 
in  aggiunta  alla  Raccolta  del  P.  D. 
Luigi  Bruzza. 

=  (in  Mem.  Acc.  se.  Torino.  1890; 
II,  XLP,  123-200. 

=  {a  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 
1891,  4°  (2  csn.,  78  pp. 

82.  —  Tombe  romane  scoperte  a  Mon- 
calieri  e  a  Trofarello. 

=  (in  Atti  Soc.  Ardi,  e  BB.  A  A. 
Torino,  1890;  V,  209-218,  3  tav. 

=  {a  parte)  Torino,  Stamperia  reale 
della  ditta  G.  B.  Paravia  e  C,  1890, 
8°  (12  pp.,  3  tav. 

83.  —  Relazione  degli  scavi  al  Pian 
de  Jupiter   sul   Gran  San  Bernardo. 

=  (in  Atti  Acc.  Lincei,  Roma,  1891, 
IV,  VIIP,  294-306. 

=  {a parte)  Roma,  Tipografia  della 
R.  Accademia  dei  Lincei,  1890,  4*" 
(14  PP- 

84.  —  Giorgio  Bancroft  :  Parole 
commemorative. 

==  fin  Atti  Acc.  se.  Torino.  1891  ; 
XXVI,  440-441. 

=  a  parte)  Torino,  Stamperia  reale, 
8"  (2  csn. 

85.  —  Le  monete  galliche  del  me- 
dagliere dell'Ospizio  del  Gran  S.  Ber- 
nardo descritte. 

=  (in  Mem.  Acc.  se.  Torino.  1891  ; 
II,  XLP,  331-3B7,  2  tav. 

=  [a  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 
1891,  4"  (60  pp.,  2  tav. 
In  collaborazione  con  Federico  von  Duhn. 

86.  —  Ara  votiva  scoperta  a  De- 
monte. 

=  (in  Atti  Acc.  se.  Torino-  1891; 
XXVI,  685-688,   I   tav. 

=  {a  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 
1891,  8°    6  pp. 

87.  —  Vincenzo  Promis  c  i  suoi  studii 
numismatici:  Parole  commemorative. 

=  (in  Aliscell.  stor.  ital.  Torino, 
1892;  XXIX,   197-204. 

=  {a  parte)  Torino,  Stamp.  reale 
della  ditta  G.  B.  Paravia  e  C-»  1891, 
8°  (8  pp. 

88.  —  Intorno  al  libro  di  Manuel 
Rodriguez  de  Berlanga  «  El  nuevo 
broììce  de  Italica  ». 

34 


COMMEMORAZIONE   DI    ERMANNO    FERRERÒ 


311 


=  (in  Atti  Acc.   se.   Torino.   1892; 

XXVII,  382-84. 

=;  {a parte)  Torino,  Stamperia  reale 
di  G.  B.  Paravia  e  C,  8''  (4  pp. 

8g.  —  Nuovi  ufficii  nelle  armate  ro- 
mane. 

=  (in  Atti  Acc.  se.  Torino.  1892; 
XXVn,   1076-1079. 

=:  {a  parte)  Torino,  1892,  8"  (8  pp. 

90.  ^  La  morte  di  uno  storico  [Vin- 
cenzo De  Vit|. 

=  (in  Gazzetta  Piemontese.  Torino, 
19-20  agosto    1892;  a.  XXVI,  n.  230. 
Cf.  n.  95,  96. 

91.  —  Scavi  al  «  Pian  de  Jupiter  » 
presso  il  Gran  San  Bernardo  [seconda 
relazione]. 

=  (in   Atti  Accad.  Lincei.  Roma, 

1893;  IV,  x^  63-77. 

=  («/ar/^)  Roma,  Tipografia  della 
R.  Accademia  dei  Lincei,  1892,  4° 
(18  pp. 

92.  —  Torino.  -  Iscrizione  latina  sco- 
perta fuori  l'abitato  [nov.   1892J. 

=  (in  Atti  Accad.  LÌ7icei.   Roma, 

1893;  IV,  x^  369:  V,  p,  133. 

93.  —  Federico  AVieseler:  Parole 
commemorative. 

=  (in  Atti  Acc.  se.    Torino.   1893; 

XXVIII,  206-207. 

=  {a  parte)  8°  (2  pp. 

94.  —  Iscrizioni  romane  di  Casellette. 

=  (in  Atti  Soc.  Ardi,  e  BB.  A  A. 
Torino,  1894;  V,  2,22-1,2^. 

=:  {a parte)  Torino,  Stamperia  reale 
G.  B.  Paravia   e  C,    1893,  8°  (2  csn. 

95.  —  Vincenzo  De-Vit. 

=  (in  Rivista  filologia  e  islr.  clas- 
sica. Torino,  1893;  XXI,  576. 
Cf.  n.  90,  96. 

96.  —  Vincenzo  De  Vii  :  Breve  com- 
memorazione. 

=  (in  Atti  Acc.  se.  Torino.  1893; 
XXVIII,  308-321. 

=^  (a  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 
1893,  8'  (16  pp. 

97.  —  Un  nuovo  libro  di  istruzioni 
diplomatiche  francesi. 


=  (in  Atti  Acc.  se.   Torino.   1893; 

XXVIII,  787-800. 

=  {a  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 

1893,  8°  116  pp. 

98.  —  Intorno  ad  un  ferro  di  pihmi 
scoperto  al  Gran  vSan  Bernardo. 

=  (in  Atti  Acc.  se.    Torino.   1893; 

XXIX,  156-158. 

=  {a  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 

1894,  8"  (6  pp. 

99.  —  Nuovi  scavi  nell'area  del  tempio 
di  Giove  Penino  sul  Gran  San  Ber- 
nardo eseguiti  nell'anno   1892. 

=  (in  Atti  Acc.  Lincei.  K.omci  1893; 

IV,  X^  440-450- 

=  [a  parte)  Roma,  tipogr.  della 
R.  Accademia  dei  Lincei,  1893,  4°, 
(M  PP- 

100.  —  Torino.  Tomba  dell'età  romana. 
=  (in   Atti  Accad.  Lincei.   Roma, 

1893  ;  V,  I^,   109-110. 

loi.  —  Quarta  relazione  degli  scavi 
«  Al  pian  de  Jupiter  »  sul  Gran  San 
Bernardo. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei.  Roma, 
1896;  V,  IP,  33-47. 

=  {a  parte)  Roma,  tipogr.  della 
R.  Accademia  dei  Lincei,  1S94,  4", 
(18  pp. 

102.  —  Luigi  Amato  Champollion 
FiGEAC:  Parole  commemorative. 

=  (in   Atti  Acc.  se.   Torino,   1894; 

XXIX,  559-560. 

=  {a  parte)  8"    2  pp. 

103.  —  Sepolture  di  età  romana,  rin- 
venute sul  confine  dei  comuni  di  San 
Giusto  Canavese  e  Foglizzo. 

=   in  Atli  Acc.  Lincei.  Roma  1896; 

V,  IP,  187. 

104.  —  Bene  Vagienna.  Nuove  iscri- 
zioni romane. 

=  (in  Atti  Acc.  Lincei.  Roma  1896; 
V,  IP,   187-188. 

105.  —  Cairo  Montenotte.  Iscrizione 
latina  ed  oggetti  vari  di  età  romana 
rinvenuti  nel  territorio  del  comune. 

=  (in  Atti  Acc.  Lincei.  Roma  1896; 
V,  IP,  zi\-iz^. 


31 


ANTONIO   MANNO 


io6.  —  Giovanni  Battista  De  Rossi: 
Parole  commemorative. 

=  (in  Atti  Acc.  se.  Torino.  1894; 
XXX,  43-46. 

=  i«  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 
1894,  8°  (6  pp. 

107.  Di  un'antica  porta  scoperta  nel 
recinto  romano  di  Aosta  e  di  una 
iscrizione  onoraria  ad  Augusto  quivi 
rinvenuta. 

=  (in  Atti  Acc.  Lincei.  Roma  1896; 
V.  IP,  367-372. 
In  collaborazione  con  A.  D'Andrade. 

108.  —  Torino.  Avanzi  antichi  scoperti 
nei  lavori  per  la  fognatura. 

=  (in  Atti  Acc.  Lincei.  Roma  1896! 

V,  11%  397-398. 

109.  -  Ariodante  Fabretti. 

=  (in  Annuario  Univ.  Torino.  1894- 
95;  Torino,  1895;   192-199. 

=  [a  parte)  Torino,  Stamperia 
reale  della  ditta  G.  B.  Paravia  e  C, 

1894,  8»  (14  pp. 

ITO.  —  Salussola.  Iscrizione  pagana 
e  frammento  d'iscrizione  cristiana. 

=^  (in  Atti  Acc.  Lincei.  Roma  1896; 
V,  IIP,  3-4- 

111.  —  Di  un'iscrizione  di  Aosta. 
=  (in  Atti  Acc.  se.   Torino.    1895; 

XXX,  360-364. 

=  [a  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 

1895,  8"  (8  pp.   I  tav. 

112.  —  Moretta.  Tombe  romane  sco- 
perte nel  territorio  del  comune. 

=  (in  Atti  Acc.  Liìicei.  Roma  1896; 
V,  IIP,  68. 

113.  —  BorCtOVERCELLI.  Frammento 
di  lapide  romana. 

=  (in  Atti  Acc.  Lincei.  Roma  1896  ; 
V.  IIP,  99. 

114.  —  Forino.  Tombe  romane  sco- 
perte fuori  della  città. 

=  (in  Atti  Acc.  Lincei.  Roma  1896; 
V,  IIP,  217-220. 

115.  —  Vercelli  |  Scoperte  di  anti- 
chità'. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei.  Roma, 
1896;  V,  IIP,  271. 

116.  —  T(ìR1XO.  Tomba  romana  sco- 
perta entro  l'abitato. 


=  (in  Atti  Accad.  Lincei.  Roma 
1896;  V,  IIP,  401. 

117.  —  LOMELLO.    Sepolture,    miliarii 
ed  iscrizione  cristiana. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei.  Roma, 
1896;  V,  IIP,  401-403. 

118.  —  Pieve  del   Cairo.   Antichità 
romane. 

Velezzo  Lo:melltna.  Coltello  di 
bronzo. 

Gravellona.  Tombe  dell'  età  ro- 
mana. 

Frascarolo.  Tombe  dell'età  ro- 
mana. 

Vigevano.  Antichità  romane. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei.  Roma, 
1896;  V,  IIP,  404-406. 

119.  —  Rosta.  Antichità  scoperte  nella 
borgata  Corbiglia. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei.    Roma, 

1896;  V,  IIP,  451-452). 

120.  ViLLARBASSE.   Iscrizione    dell'età 
romana. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei.  Rcjma, 
1896;  V,  IIP,  452. 

121.  Bianchetti  (Enrico).  I  sepolcreti 
di  Ornavasso. 

=  (in  Atti  Soc.  di  Ardi,  e  BB.  A  A. 

Torino,  1895;  ^^I- 

Il  Ferrerò  completò  questo  lavoro,  curandone 
la  stampa  di  buona  parte,  come  è  dichiarato 
nella  prefazione. 

122.  —  Balbinus  (D.  Caelius)  (I,  961). 

—  Britannica  (Classis)  (I,  1040-41) 

—  Classis  (II.  275-80)  — Claudius 
(II,  290-303)  —  Claudius  Gothicus 
(II,  303-5)  —  Commodus  (II,  547-61)  — 

CONSTANS  (II,  627)  —  CONSTANTINUS  I 
(II,  637-55)  —  CONSTANTINUS  II  (II, 
655-59)  —  CONSTANTINUfe  III  (II,  659- 
60)  —  CONSTANTINUS  ChLORUS  (II, 
660-68)     -  CONSTxVNTIUS  II  (II,  66S-76) 

—  Florianus  (III,  170-71). 

=  (in  De  Ruggiero  G.).  Dizion. 
epigr.  antich.  roinaììc.  Roma,  1895- 
1903. 

Alcuni    di    cjuesti   articoli    ebbero  tiratura  a 
parte,  edita  in  Roma,  E.  Pas(]ualucci,  cioè  : 
Classis  (1S95,  6csn.)  —  Comodus  (1807.  14  pp.) 

—  Constans  (1S97,  4  pp.'  —  Constantinus  I 
(1898,  20  pp.)  —   Constantinus  II  (1S9S,  4  pp.) 

—  Constantinus  III  (1898.  2csn.)  —  Constan- 
tinus Chlorus  (1898,  8  pp.)  —  Constantinus  II 
(1898,  8  pp.). 

36 


COMMEMORAZIONE   DI    ERMANNO    t^ERRERO 


313 


123.  —  Bruino.  Iscrizione  di  età  ro- 
mana esistente  a  Villarbasse. 

=  (in  Atti  Accad.   Lincei.  Roma, 

1897;  V,  Iv^  3. 

124.  —  Alessandria.  Antichità  pre- 
istoriche e  romane  scoperte  nella 
città  e  nel  territorio  del  comune. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei.   Roma, 

1897  ;V,IV^  55-57. 

=  {a  parte)  4°  (4  pp. 

125.  —  Torino.  Sepolture  dell'età  ro- 
mana. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei  Roma, 
1897;  V,  IV^  119. 

126.  Un  ripostiglio  di  monete  della 
repubblica  romana  scoperto  a  Ro- 
magnano  Sesia. 

=  (in  Atti  Acc.  se.  Torino,  1896; 
XXXI,  766-775- 

=  {a  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 
1896,  8°  (12  pp. 

127.  — Giuseppe FiORELLi:  Parole  com- 
memorative. 

=  (in  Atti  Acc.  se.    Toriato,    1S96; 

XXXI,  1072-1074. 

=  {aparté)\Yox\x^o,  tip.  Bona,  1896J 
8"  (4  pp. 

1 28.  —  MORTARA.  Sarcofago   romano. 
=  (in  Atti  Accad.  Lincei.  Roma , 

1897;  V,  IV^257. 

129.  —  SUSA.  Avanzi  di  sculture  e  di 
epigrafi  romane  scoperti  nella  città. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei.  Roma, 
1897;  V,  IV2,  301-302. 

130.  —  Ernesto  Curtius. 

=  (in  Atti  Acc.  se.    Torino,  1896; 

XXXII,  70-71. 

=  {a  parte)  Torino,  tip.  V. Bona,  1 896, 
8°  (2  pp. 

131.  —  Sul  corredo  dei  sepolcreti  di 
Ornavasso. 

=  (in  Atti  Accad.  se.  Torino,  1896; 
XXXII,  78-88. 

=  {a  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 
1896,  8°  (14  pp. 

132.  —  ViLLAR  Perosa.  Iscrizione  ro- 
mana scoperta  nel  territorio  del  Co- 
mune. 

=  (in  Atti  Accad.  LJncei.  Roma, 
1897;  V,  IV^  507. 

37 

40  —Mise,  s.  ni,  T.  xni. 


133-  —  Antichità  cristiane  di  Tor- 
tona. 

(in    Nuovo    Bullett.    Ardi.    Crisi. 
Roma,   1896;  II,  90-91. 
=  {a  parte)  8°(2  pp. 

134.  I  titoli  di  vittoria  di  Co- 
stantino. 

:=  (in  Atti  Acc.  se.    Torino,    1897; 

XXXII,  657-663. 

=  {a  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 
1897,  8°  (io  pp. 

Cf.  n.  140. 

^35-  -  Orbassano.  Iscrizione  romana 
scoperta  nella  chiesa  parrocchiale. 

=  (in   Atti   Accad.  Lincei.   Roma, 
1898;  V.  V^  187-188. 

136.  —  Acqui.  Tombe  di  età  romana 
scoperte  presso  la  città. 

=  (in   Atti  Accad.  Lincei.   Roma, 
1898;  V,  V^  189-193. 
=  {a  parte)  Roma,  1897,  4**. 

137.  —  Orbassano.  Iscrizione  di  età 
romana  scoperta  presso  la  chiesa 
parrocchiale. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei.  Roma, 
i898;V,V-,  329-330. 

138.  —  Tortona.  Antichità  tortonesi 
nei  ISIusei  di  Alessandria  e  di  Tor- 
tona. 

=  (in   Atti  Accad.  Lincei.   Roma, 
1898;  V,V^  361.381. 

139.  — Poirino.  Sepolture  dell'età  di 
mezzo  ed  avanzi  di  materiale  late- 
rizio romano. 

=  (in   Atti  Accad.  Lincei.  Roma, 

1898;  V,  v^  409-410. 

I    140.    —   I   TITOLI    DI    VITTORIA  dei    figli 
di  Costantino. 

=  (in  Atti  Acc.    se.   Torino,   1897; 

XXXIII,  59-63. 

=  {a  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 
1897,  8°  (8  pp. 

Cf.  n.  134,  148. 

141.  —  Atti  della  Società  (1887- 1894), 
(1895),  (1896). 

=  (in  Atti  Soc.  Ardi,  e  BB.  A  A. 
Torino,  1897;  VII,  1-13;  52-55;  61-64. 


314 


ANTONIO   MANNO 


142.  —   Iscrizioni    di    Chignolo  Ver- 
bano. 

=  (in  Atti  Soc.  Ardi,  e  BB.  A  A, 
Torino,  1897  ;  VII,  56-60. 

143.  —  I  FASTI   del  prefetto    del    pre- 
torio di  Bartolomeo  Borghesi. 

=  (in  Atti  Accad.  se.  Torino,  1897; 
XXXIII,  156-160. 

=  [a  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 
1898,  8(8pp. 

144.  —  Mogli  e  figli  di  Costantino. 
=  {in  Atti  Accad.  se.    Torino,  1897; 

XXXIII,  376-388. 

=  {a  parte)  Torino,  Carlo* Clausen, 
1898.  8°  (16  pp. 

145.  —  Almese.  Tombe  di  età  romana. 
=  (in  Atti  Accad.   Lincei.   Roma, 

1898;  V,  VP,  129-133. 

146.  —  Busca.  Piccolo  ripostiglio  di 
monete  romane  imperiali  di  bronzo. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei.  Roma, 
1898;  V,  VP,  177. 

147.  —  MoNCALiERi.  Tombe  dell'età 
romana  scoperte  nel  territorio  del 
comune. 

=  (in  Atti  ^Iccad.  LJ.ncei.  Roma, 
1898;  V,  VI-,  178-179. 

148.  —  Ancora  dei  figli  di  Costantino, 
:=  (in  Atti  Acc.  se.   Torino,    1898; 

XXXIV,  13  I-I  36. 

=  (a  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 

1898,  8''  (8  pp. 
Cf.  n.   140. 

149.  —  Mathi.  Tombe  dell'età  romana 
scoperte  nel  territorio  del  comune. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei.  Roma, 
1898;  V,  VP,  463-464. 

150.  —  Iscrizione  classiaria  sco- 
perta a  Roma. 

=  (in  Atti  Accad.  se.  Torino,  1899; 
XXXIV,  295-96. 

=  {a  parte)  Torino,  tip.  V.   Bona, 

1899,  8°  (2  pp. 

151.  —  Torino.  Tombe  antiche  sco- 
perte sulla  sinistra  della  Stura. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei.  Roma, 
1901;  V,  VIP,  3-4. 


152.  —  Nuove  iscrizioni  ed  osserva- 
zioni intorno  all'  ordinamento  delle 
armate  dell'impero  romano. 

^=  (in  Meni.  Acead.  se.  Torino,  1899; 
II,  XLIX^  165-254. 

:=  {a  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 
1899,  4"  (i  c.-j  70  pp. 

153.  —  Indici  generali  delle  iscri- 
zi  'ni  classiarie. 

=  (in  Meni.  Accad.  se.  Torino,  1899; 
11,  XLIX^  255-333. 

154.  —  Torino.  Tomba  scoperta  dentro 
l'abitato. 

=^  (in  Atti  Accad.  Lincei.  Roma, 
1901;  V,  VIP,  311. 

155.  Caluso.  Tomba  barbarica  sco- 
perta nel  comune. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei,  Roma, 
190);  V,  VIP,  369-370. 

156.  —  Savigliano.  Are  votive  sco- 
perte nel  territorio  della  borgata 
l.evaldigi. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei,  Roma, 
1901  ;  V,  VIP,  473-474- 

157.  —  Giuseppe  Mùller,  nato  il  2 
maggio  1825;  morto  il  13  luglio  1895. 

=  (in  Biograpìiisches  Jahrbuch  filr 
Alter t2cmskunde.\^evpz\^,  1900;  XXII, 
21-23. 

=  {a  parte)  8"  (8  pp. 

158.  —  Vincenzo  De  Vit,  nato  il  i'' 
luglio  1810,  morto  il  17  agosto  1892. 

=  (in Biograph.  Jalirbueh filr  Alter- 
ttunskunde.  Leipzig,  1900;  XXII, 
26-30. 

=  [a  parte)  8"  (8  pp. 
Questo  Biogr.  Jahrbuch  si  trova  annesso  al 
Jaìiresbericht  ì'i.  die  Fortschritle  dcr  clciss.  Al- 
ierfiiinswiss. ,  1 899 . 

159.  —  Atti  della  Società  (1897). 

=  (in  Atti  Soc.  Are/i.  e  BB.  A  A. 
Torino,  1900;  VII,  65-68. 

160.  —  Iscrizione  romana  di  Tortona. 
=  (in  Atti  Soc.  Arch.  e  BB.  A  A. 

Torino,  1900;  VII,  86. 

161.  —  Iscrizione  romana  di  Orbas- 

sanu. 

=  (in  Atti  Soc.  Arch.  e  BB.  A  A. 
Torino,   igoo;  VII,  87-88,  i  tav. 

38 


COMMEMORAZIONE   DI   ERMANNO    FERRERÒ 


315 


1Ò2.  —  Atti  della  Società  (1898). 

=  (in  Affi  Soc.  Arch.  e  BB.  A  A. 
Torino,   1900;  VII,   109-124. 

163.  —  Armille  di  bronzo  scoperte 
a  Montai to  Dora. 

=  (in  Atti  Soc.  Arch.  e  BB.  AA' 
Torino,    1900;  VII,   142-143,   i   tav. 

=  [a  parte)  Torino,  Stamp.  reale 
della  ditta  G.  B.  Paravia  e  C.,  1899, 
8°  (4  pp.-i   tav. 

164.  —  Istruzioni  agl'inviati  di  Fran- 
cia presso  le  Corti  di  Savoia  e  di 
IMantova. 

=  (in  Atti  Acc.  se.  Torino,  1900; 
XXXV,  624-641. 

=  {a  parteA  Torino,  Carlo  Clausen, 
1900,  8°  (20  pp. 

165.  —  Frammento  di  diploma  con- 
cernente l'armata  di  Miseno. 

=  (in  Atti  Acc.  se.  Torino,  1900  ; 
XXXV,  669-670.. 

=  [a  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 
1900,  8    (4  pp, 

1 66.  —  Rosta.  Tombe  dell'età  romana 
scoperte  nella  borgata  Corbiglia. 

=  (in  Atti  Acc.  Lincei.  Roma,  1903; 
V,  VIIP,   II 5- 116. 

167.  —  Atti  della  Società  (1899). 

=  (in  Atti  Soc.  Arch.  e  BB.  A  A. 
Torino,   1900-1901;  VII,   144-148. 

168.  —  Atti  della  vSocietà  (1900), 

=  (in  Atti  Soc.  Arch.  e  BB.  A  A. 
Torino,   1901;  VII,  196-199. 

169.  —  Ariodante  FABRETTi:Notizie 
sulla  vita  e  sugli  scritti. 

=  (in  Memorie  Accad.  se.  Torino, 
1901  ;  II,  LP,  161-21 1. 

=  {a  parte  Torino,  Carlo  Clausen, 
1902,  4°  (52  pp.  -  ritr. 

170.  —  Vercelli.  Scoperta  di  un  de- 
posito di  anfore  romane  presso  la 
città. 

=  (in  Atti   Accad.   Lincei.  Roma, 

1903  ;  V,  IX^  313-314. 

171-  —  Torino,  Scoperta  di  antichità 

romane  entro  la  città. 

=:  (in  Atti  Accad.  Lincei.   Roma, 

1903;  V,  IX^  391-397- 
39 


172.  —  Torino.  Antichità  barbariche 
scoperte  presso  la  città. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei.   Roma, 
1903;  V,  IX-,  507-510. 

173-  —  T'arc  d'Auguste  à  vSuse,  pu- 
blié  sous  les  auspices  de  la  Société 
d'archeologie  et  des  beaux  arts  pour 
la  province  do  Turin.  19  planches 
d'après  les  photographies  de  Secondo 
Pia  et  17  figures  dans  le  texte. 
=    Turin,    Bocca    frères    éditeurs 

1901,  (Impr.  Vinc.    Bona),  4°  (4  csn, 
40  pp.  -  19  tav. 

174.  —  PiOBESi  Torinese.  Antichità 
dell'età  romana  scoperte  nel  territorio 
del  Comune. 

^  (in  Atti  Accad.   Lincei.  Roma, 
1903;  V,  X-,  49-52. 

175.  —  Domenico  Perrero:  Notizia 
biografica  e  bibliografica, 

=  'in  Atti  Acc.  se.   Torino,   1902  ; 

XXXVII,  738-762. 

=  {a  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 

1902,  8"  (28  pp. 

176.  —  Villarbasse.  Iscrizione  ro- 
mana. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei.  Roma, 
1903;  V,  X^   -:,?,\--:,},2. 

177.  —  Randello  Vitta.  Sepolture 
barbariche  scoperte  nel  territorio  del 
Comune. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei.  Roma, 
1903:  V,  X-,  591-592. 

178.  —  Gaudenzio  Claretta:  Parole 
commemorative. 

=  (in  Atti  Acc.  se.   Toriato,    1903; 

XXXVIII,  279-286, 

=  {a  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 

1903,  8°  (io  pp. 

179.  — IMONTEU  DA  Po.  Scoperte  nel- 
l'area dell'antica  «  Industria  ». 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei.  Roma, 
1904;  V,  XI-,  43-46. 

180.  —  Una  nuova  iscrizione  dTn- 
dustria. 

=  (in  Atti  Acc.  se.  Torino,  1903  ; 
XXXVIII,  421-423. 

=  {a  parte)  Torino,  Carlo  Clausen, 
1903,  8°  (6  pp. 


3i6 


ANTONIO   .MANNO 


i8i.  —  Torino.  Tomba  scoperta  dentro  1  190.  —  ViNOVO.  Antichità   barbariche 


la  citta. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei.  Roma, 
1904;  V,  XP,  99. 

182.  —   Spada    di    bronzo   scoperta 
nella  Moriana. 

=  (in  Atti  Acc.  se.  Torino,  1903; 
XXXVIII,  585-586,   I  tav. 

=  {a  parte)  Torino,  Carlo  Clauson, 
1903,*  8"  (4  pp.-i    tav. 

183.  —  Torino.  Iscrizione  romana  sco- 
perta alla  destra  del  Po. 

=  (in  Atti  Aecod.  Lincei.  Koma, 
1904;  V,  XP,  583-584- 

184.  —  Sepolture   barbariche  sco- 
perta a  ]\Iandello  Vitta. 

=  (in  Atti  Soc.  Ardi,  e  BB.  A  A. 
Torino,  1904;  VII,  271-274. 

185.  —  Vasetto  roman(ì  scoperto  a 
Sillavengo. 

=  (in  Atti  Soc.  Arch.  e  BB.  A  A. 
Torino,   1904;  VII,  275. 

=  {il  parte)  [colle  Sepolture  bar- 
bariche di  Mandello]. 

Stamp.    reale   Paravia,   1 903  ;    8° 
(8  pp.-i   tav. 

186.  —  Croce  d'oro  barbarica  sco- 
perta ad  Alice  Castello. 

=  (in  Atti  Soe.  ArcJi.  e  BB.  A  A. 
Torino,   1904;  VII,  276-277. 

=  {a  parte)  Tipogr.  reale  Paravia, 
1903;  8"  (2  pp.-i   tav. 

187.  —  InscriPTIOn  votive  du  (irand 
Saint-Bernard. 

=:  (in  Bulletin  Soc.  antigitaires  de 
France.  Paris,   1904;   181 -184. 

188.  —  Di  un  manoscritto  di  Eu- 
genio De-Levis  e  l'onestà  epigrafica 
di  lui  e  di  Vincenzo  Malacarne. 

=  (in  Atti  Acc.  se.  7 orino,  1904; 
XXXIX,   1049- 1066. 

=  {a  parte)  Torino,  Carlo  Clauscn, 
1904,  8"  (20  pp. 

189.  —  Torino.  Tomba  dell'età  romana 
scoperta  nella  città. 

=  (in  Atti  Accad.   LJncei.   Roma, 
1904;  V,  Not.  Scavi,  I,  355-560. 
=  {a  parte)  4"  (pagto  355-360. 


scoperte  nel  territorio  del    Comune. 
=  (in  Atti  Accad.    Lincei.  Roma, 
1904;  V,  Not.  Scavi,  I,  375-376.. 

191.  —  Un'iscrizione  di  .Susa  e  la  fa- 
miglia di  Cozzio. 

^=  in  Bollettino  filologia  classica. 
Torino,   1904;  XI,  89-90. 

=  {a  parte)  Torino  ,  1904,  .stabil. 
tip.  Paglione  e  Momo,  8    (2  csn. 

192.  —   Il    2    SETTEMBRE    1706. 

=  (in  Super ga:  Guida  illustrata. 
Torino,   1904  ;  9. 

193.  —  Di  una  RECENTE  PUBBLICA- 
ZIONE sui  bassi  rilievi  dell'Arco  di 
Susa. 

=  (in  Atti  Soc.  Arch.  e  BB.  A  A. 
Torino,   1904;  VII,  280-293. 

=  [a  parte)  Torino,  Stamp.  reale 
della  ditta  G.  B.  Paravia  e  C.,  1904, 
8°  (16  pp. 

19;.  —  ISCRIZIONE  CRISTIANA  di  Tor- 
tona. 

=  (in  Bollett.  Soc.  star.  Tortonesc. 
Tortona,   1904;  IV,  60-61. 

'Q5-  ^  QuAREGNA.  Monete  imperiali 
romane  rinvenute  nel  territorio  del 
Comune. 

=  (in  Atti  Accad.  IJncci.  Roma, 
1905  ;  V,  Not.  d.  Scavi,  II,  75. 

196.  —  Relazione  sulla  Memoria  del 
prof.  Arturo  Segre:  La  questione  sa- 
bauda e  gli  avvenimenti  politici  e  mi- 
litari clic  prepararono   la   tregua   di 

Vaucelles. 

=  (in  Atti  Acc,  se.  Torino.  1905; 
XL,  827. 

197.  —  Giovanni  Battista  Adriani: 
Parole  commemorative. 

=  (in  Atti  Acc.  se.  Torino.  1905; 
XL,  902-904. 

=  [a  parte)  Torino.  Carlo  Clausen, 
1905,  8"  (6  pp. 

198.  —  Torino.  Tomba  barbarica  sco- 
perta fuori  della  città. 

=  (in  Atti  Accad.  Lincei,  Roma, 
1905;  V,  lYot.  Sca7'i,  II,  403-404. 

40 


COMMEMORAZIONE   DI    ERMANNO    FERRERÒ 


317 


199.  —  La  QUESTIONE  della  lapide  al 
Maresciallo  Marcin. 

=  (in  //  Momento.  Torino,  2-^  feb- 
braio 1906;  a.  IV,  n.  54. 

200.  —  Il  luogo  della  morte  del 
Maresciallo  Marcin. 

=  (in  //  Alomento.  Torino,  26  feb- 
braio  1906  ;  a.  IV,  n.  57. 

201.  —  Torino.  Tomba  dell'età  romana 
scoperta  fuori  della  città. 

=  (in  Atti  Accad.   Lincei.   Roma, 
1906;  V,  Not.  Scavi,  III,  297-298. 

202.  —  Discorso. 

=  (in  Adunanza  solenne  della 
R.  Deputazione  sovra  gli  studi  di 
storia  patria  per  le  antiche  Province 
e  la  Lombardia,  tenutasi  il  giorno 
13  di  maggio  del  1906;  in  Misceli. 
st.  ital.  Torino,  1906;  III,  XI,  (XLIl), 

V-XII. 

Ebbe  un  successo  maraviglioso,  ma  fu  una 
vera  improvvisazione,  senza  appunti  e  non  fu 
che  molto  imperfettamente  riprodotta  nei  gior- 
nali che  riferirono  tale  solennità. 

203.  —  Campagne  in  Piemonte  du- 
rante la  guerra  per  la  successione  di 
Spagna  (i  703-1 707).  Studio  documen- 
tario postumo  pubblicato  da  Carlo 
Pio  De  Magistris.  Voi.  primo. 

=  (in  Le  campagne  di  guerra   t?i 
Piemonte  (i  703-1 708).  Torino,  1907,1, 


204.  [Recensioni  e  cenni  bibliografici  |. 

=  (in  : 

a)  Archivio  stor.  ital.  :  !-'i ronzo, 
1880,  ser.  IV;  VI,   151,  300,  350,  517. 

—  1881,   VII,  64,  399,  445  ;  Vm,  452. 

—  1882,  IX,  110,^27;  X,  138,  237, 
425.  —   1883,  XI,  224,  281  ;  XII,  399. 

—  1884,  XIII,  107;  XIV,  95.  —  1885, 
XV,  100,  394;  XVI,  139,  431.  — 
1888,  ser.  V;  I,  361. 

b)  Bollettino  di  filologia  classica. 
Torino:  1894-95,  I»  12,  13,  I3^  251.  — 
1895-96,  II,   113.   —    1896-97,  III,   165. 

—  1897-98,  IV,  81,  181.  —  1898-99, 
V,  132,  151,  279.  —  1899-900,  VI,  204, 
276.—  1900-901,  VII,  251. —  1901-902, 
VIII,    279.   —   1902-903,  IX,  IO,   182. 

41 


—  1903-904,    X,    277.    —    1904-905, 
XI,  85. 

e)  La  Cultura:  Roma,  1882,  II, 
38;  III,  14.  -  1883,  III,  394.  —  1897, 
XVI,  83-,  280,  331.  —  1898,  XVII, 
17,  130,  171,  188,  2^2,  301,  360,  361, 
362.  —  1899,  XVIII,  8.  -  1900,  XIX, 
196.  —  1901,  XX,  167,  226,  313.  — 
1902,  XXI,  201,  330.  —  1903,  XXII, 

138,  275.  —  1904,  x:^iii,  234. 

d)  Gazzetta  pieni,  letteraria  :  To- 
rino, 25  ag.   1877,  I,  34. 

e)  Gazzetta  piemontese  :  Torino, 
29-30  genn.  1887,  n.  29. 

f)  Giornale  stor.  lettor,  ital.:  To- 
rino, 1884,  ni,  453. 

g)  Ntiova  Antologia:  Roma,  1897- 
1901. 

Diversi  cenni  biografici  che  essendo  anonimi 
non  si  possono  indicare  con  sicurezza. 

h)  //  Risorgimento  :  Torino,  1877: 
5  e  28  maggio,  numeri  124,  147.  — 
2*6  giugno,  n.  175.  —  24  luglio,  n.  203. 
22  sett.,  n.  262.  —  15  ott.  n.  285. — 
22  nov.,  n.   -^2}^. 

i)  Rivista  critica  delle  Scienze 
gittridiche  e  sociali:  Roma,  1883,  I, 
324.  —  1884,  II,  36,  321.  —  1885,  III, 
193.  368. 

1)  Rivista  di  filologia:  Torino,  VI 
(1878),  267,  280,  518.  —  VII  (1879), 
491.  —  Vili  (1880),  120,  291,  375,  383, 
568.  —  IX    (1881),    74,    87,    93,    147, 

412,    415.    X    (1882),    208,    212,     213. 

—  XI  (1883),  147,  157,  158,  314.  - 
XII  (1884),  272,  278,  292,  293,  420, 
424.  XIII  (1885),  279,  369,  370-  — 
XIV  (1886),  128,  132,  140,  439,  554, 
557,  560,  561.    -  XV  (1887),  284,  575 

—  XVI  (1888),  57,  226,  239,  255. 
XVIII  (1890Ì,  573.  XXII  (1894),  120, 
554  -  XX VI(i 898),  360, 623.  —XXVII 
(1899),  168,  169,  362.  —  XX\"III(i9oo), 
144.  —  XXXI  (1903),  514.  —  XXXIII 
(1905),   129. 

m)  Rivista  italiana  per  le  Scienze 
giuridiclie:  Roma,   1886,  I,   131. 

n)  I^ivista  sforica  ital.:  Torino, 
1891,  VILI,  578.  —   1900,  XVII,  119. 

—  1901,  XA'llI,  150.  —  1902,  XIX, 
168. 


3i8 


ANTONIO   MANNO  -  COMMEMORAZIONE  DI   ERAIANNO   FERRERÒ 


Commemorazioni. 

I.  —    D'Ovidio  (Enrico).    [Commemo- 
razione di  E.  Ferrerò]. 

=  {in  Atti  Ac  e  ad.  se.  Torino.  igo6. 
XLII,   12  1- 123. 

II.  — Valmaggi  (Luigi)  Ermanno  Fer- 
rerò. 

=  (in  Annuario  Università.  To- 
rino,  1906-1907,   181-192. 

=  [a  parte)  Torino,  Stamp.  Reale 
G.  B.  Paravia  e  C,  1907.  8"  (14  pp., 
ritr. 

=  (in  Rivista  di  Jilo logia,  Tr>r\n(\ 
1907;  XXXV,  208-219. 

III.  —  Baye    (J.    de).   [Cenni    comme- 
morativi]. 

=  (in  Biilletin  Soc.  ayitiquaires  de 
France.  Paris,  1906,  319-320  ;  1907, 
89-90. 

IV.  —  Baudi  di  Vesme  (Alessandro). 
Commemorazione  di  E,  F. 

=  (in  Atti  Soc.  Arch.  BB.  A  A. 
Torino,  1908- VII  (Sunto  in  Gazzetta 
del  Popolo,  IT)  nov.   1906). 


Articoli  necrologici, 
in  : 

Gazzetta  di  Sanremo,  21  ott.   1906; 

La  Stampa,  Torino,   16  ott.   1906; 

//  Corriere  di  Rivoli,  28  ott.  1906; 

La  Sesia,  Vercelli,   19  ott.   igoò. 

Gazzetta  di  Torino,  16- 17  ott.   1906. 

//  Momento,  Torino,    17  ott.   1906. 

//  Pensiero  di  Sanremo,  21  ott.  1906. 

Gazzetta  del  Popolo,   16  ott.   1906. 

LJ Ln dipendente^  Susa,  18  nov.  1906. 

Jadart  H.  —  Co?npte  rendu  dcs 
travatix  de  l'Acad.  de  Rcims,  1906-07, 
p.  20. 

Bollett.  Star.  bibl.   snbalp.,  XI,  247. 


Manoscritti. 

A')  Topografia  del  Piemonte  romano. 

B)  vSchedarii  dei   monumenti  romani 

e  barbarici  della  regione  subalpinn. 


42 


Dott.  PIETRO  TORELLI 


I  PATTI  DELLA  LIBERAZIONE 


DELL'ARCIVESCOVO 


CRISTIANO  DI  MAGONZA 

ARCICANCELLIERE  DELL'IMPERO 

PRIGIONE  DEI  MARCHESI  DI  MONFERRATO 


Si  trovano  in  copia  senza  dubbio  quasi  sincrona  in  una  pergamena  del- 
l'Archivio Gonzaga.  Rimasta  a  lungo  in  una  di  quelle  miscellanee  di  atti  che 
i  buoni  principii  archivistici  vorrebbero  abolite  ma  che  in  pratica  non  si  sa 
qualche  volta  come  togliere  di  mezzo,  fu  posta  ora  per  ragione  di  prove- 
nienza tra  vari  altri  atti  superstiti  del  diperso  Archivio  del  Monferrato  (i). 
Oltre  che  pel  contenuto  del  documento  stesso,  tale  provenienza  è  indubbia 
per  questo  fatto  :  la  ricorda  un  importantissimo  inventario  degli  atti  di  quel- 
l'archivio redatto  nel  1728  da  Pietro  Antonio  Lanzoni,  cosi:  «  Conventio 
facta  Inter  Archiepiscopum  Magontinum,  et  alios,  iuramento  firmata,  et 
Dominum  Conradum  Alarch.  jMontisferrati  ».  Il  Lanzoni  era  prefetto  dell'Ar- 
chivio di  Corte. 

La  nostra  pergamena  misura  cm.  16  X  39  5  l'inchiostro  è  slavato  molto, 
ma  l'atto  è  tuttavia  leggibile  senza  difficoltà;  la  scrittura,  una  minuscola 
romana  nuova  abbastanza  regolare,  è  tale  da  assicurarci  che  la  mano  che 
scrisse  non  è  posteriore  troppo  al  secolo  xii.  Daremo  in  fine  la  trascrizione 
compiuta  del  documento. 


L'episodio  della  cattura  dell'arcivescovo  Cristiano  di  jMagonza  è  suffi- 
cientemente illustrato  nei  particolari  della  sua  esecuzione,  e  gli  storici  pos- 
sono dirsi  concordi  nel  determinarne  le  ragioni  (2)  :  la  stanchezza  ingenerata 
nell'Italia  media  dal  suo  rigido  governo,  l'opera  latente  ma  ostinata  ed  efficace 
dell'imperatore  greco,  il  vivissimo  odio  personale  dei  marchesi  di  Monferrato 
verso  il  bellicoso  prelato.  A  quest'ultima  causa  tuttavia  solo  il  Davidsohn 
dà  il  massimo  peso,  ed  io  vorrei  a  questo  proposito  anche  più  rilevato  il 
fatto  della  inimicizia  dei  ^Monferrato  con  Guido  Guerra  ora  validissimo  alleato 
dell'arcivescovo,  e  la  probabile  intenzione  di  questa  famiglia  di  formarsi  uno 
stato  nell'Italia  centrale  di  cui  parevano  principio  Poggibonzi  e  jMarturi  (3). 


(i)  Alla  sede  :  Archivio  del  Monferrato. 

(2)  Vedi  infatti  ampiamente  per  tutto  quanto  è  inutile  ripetere  qui  Varrentrapp  C, 
Erzbischof  Christian  I  voti  Mainz.  Berlino,  1867,  a  pag.  94-96.  —  H.  Prutz,  Kaiser  Frie- 
drich I,  parte  3-'.  Danzig,  1S74,  pag.  57-62.  —  Giesebrecht,  Geschichte  der  deufschen 
Kaiserzeii,  voi.  V,  pag.  888-S9  e  voi.  VI,  pag.  558.  —  Ilgen  Teodoro,  Corrado  march,  di 
Monferrato,  nella  traduzione  del  Cerr.\to.  Casale,  1890.  —  Davidsohn  R.,  Geschichte  von 
Florenz,  I.  Berlino,  1896,  pag.  561-563  e  da  ultimo  Brader  D.,  Bonifaz  von  Montferrat  bis 
zum  Antritt  der  Krcuzfahrt.  Berlino,  1906,  pag.  24-25.  Non  vidi  gli  studi  del  Desimoni  nel 
Giornale  Ligustico. 

(3)  Davidsohn,  op.  cit.,  pag.  550.  Ma  vedi  anche  Ilgen,  op.  cit. 

5 

41  —Mise,  S.  Ili,  T.  Xlll. 


322  PIETRO   TORELLI 


Nel  primo  riguardo  non  potevano  ora  aver  dimenticato  il  ripudio  di  Agnete, 
figlia  di  Guglielmo  di  Monferrato,  da  parte  del  Guerra,  nel  secondo  la  condotta 
di  Cristiano  che  finì  più  tardi  colla  cessione  a  Siena  dei  diritti  su  Poggibonzi. 
Difficile  invece  e,  soprattutto,  contraddetta  dal  nostro  documento  mi 
pare  la  ragione  escogitata  dall'Ilgen  e  sostenuta  anche  dal  Cerrato.  Suppone 
il  primo  un  ravvicinamento  di  Guglielmo  ai  Lombardi  per  l'incertezza  dei 
negoziati  di  Venezia  che  parlavano  solo  di  una  pace  di  sei  anni.  Il  13  giugno 
o  gennaio  11 78,  osserva  l'Ilgen,  il  marchese  Guglielmo  e  i  suoi  figli  stringono 
una  lega  difensiva  e  offensiva  cogli  Alessandrini  (MORIONDO,  Monumenta 
Aquensia,  I,  colonna  72).  Se  fosse  gennaio  (i),  si  potrebbe  supporre  che 
Guglielmo,  che  era  a  Pisa  il  30,  cercasse  di  far  riconciliare  il  Barbarossa 
con  Alessandria.  Opponendovisi  l'imperatore  ostinatamente,  Gugliemo  avrebbe 
dato  l'incarico  a  Corrado  di  rivendicare  l'ont^re  della  sua  casa...  «  In  un  altro 
documento  poi  il  marchese  Guglielmo  si  obbliga  fino  al  1°  agosto  di  indurre 
l'imperatore  a  dare  il  suo  assenso  a  quel  contratto,  a  riconoscere  l'autonomia 
di  Alessandria  ecc.  Ma  essendosi  ricusato  l'imperatore  di  concedere  pace  agli 
Alessandrini,  egli  ciò  non  ostante  li  prende  sotto  la  sua  protezione  quali  suoi 
sudditi  ».  Ma  perchè  l'imperatore  non  cedeva  ai  suoi  desideri,  adontatosene 
il  marchese  Guglielmo  avrebbe  stretta  relazione  con  Emanuele  Comneno  (2). 
E  il  Cerrato  conferma  in  nota:  «  Nel  contratto  del  1178  si  rivela  un  tentativo 
della  lega  lombarda  di  conservarsi  la  città  e  di  soccorrerla  inducendo  il  mar- 
chese di  Monferrato  con  importanti  concessioni  vuoi  a  far  valere  tutta  la  sua 
influenza  per  indurre  l'imperatore  ad  accogliere  il  contratto,  vuoi,  in  caso 
d'insuccesso,  a  difendere  la  città  come  gli  altri  suoi  sudditi...  L'accordo  non 
incontrò  il  favore  dell'imperatore  e  riuscì  fallace  al  marchese  che  non  vi 
trovò  affatto  i  vantaggi  che  s'era  ripromessi...  L'imperatore  riconobbe  Ales- 
sandria solo  al  trattato  di  Norimberga  del  14  marzo  1183:  le  cambiò  il  nome 
in  quello  di  Cesarea,  s'impadronì  di  tutte  le  regalie,  trattò  ostilmente  Gu- 
glielmo il  Vecchio,  gli  tolse  i  suoi  diritti,  non  gli  usò  nessun  riguardo,  e  non 
lo  nomina  tra  i  suoi  amici  e  fedeli  —  qui  in  vicinia  Cesarea  sunt  —  »  (3). 
Vedremo  più  avanti  che  i  Monferrato  tornarono  ben  prima  in  grazia  dell'im- 
peratore, ma  già  il  nostro  documento  rivela  chiaramente  che  non  per  tale 
ragione  avrebbe  potuto  il  Barbarossa  mantenere  fino  air83  la  sua  collera 
verso  i  marchesi  se  questi  pongono  tra  i  patti  della  liberazione  di  Cristiano 
di  Magonza  «  quod  Alexandria  quam  palea  cognominatur  destruatur,  nec 
gratiam  domini  imperatoris  aut  filii  eius  regis  Henrici  aliquo  tempore 
habeat  ».  Questo  dimostra  a  mio  vedere  che  nel  contratto  del  1 178  la  potenza 
dei  comuni  lombardi  costrinse  piuttosto  la  volontà  del  marchese  i  cui  veri 
interessi  personali,  la  cui  antica,  costante  fede  ghibellina  spingevano  ancora 
a  sostenere  le  pretese  imperiali. 


(i)  Si  noti  intanto  che  il  mese  è  certamente  giugno.  Lo  rivela  V Invcntarium  del  Lan- 
zoNi  già  cilato:  a  fol.  22  r.  è  ricordato  «  Un  libro  coperto  di  carta  pergamena  con  l'inscri- 
tione  :  Instnunenla  et  tura  marchionis  prò  Atexandria,  nel  quale  sono  protocoli  d'instru- 
menti  che  principiano  li  13  giugno  117S  e  finiscono  sotto  li  3  giugno  1307  ecc.  ».  Nessun 
dubbio  che  il  primo  istrumento  sia  il  nostro. 

(2)  Ilgkn,  op.  cit.,  pag.  51-52. 

(3)  Si  cita  F.  Graf,  La  foudazionc  di  Alessandria  in  relazione  eon  la  storia  delta  lega 
lombarda. 


I  PATTI   DELLA   LIBERAZIONE  DI  CRISTIANO  DI  MAGONZA  323 

Il  fatto  Sta  che  capo  della  congiura  ed  esecutore  dell'audacissimo  colpo 
fu  Corrado,  figlio  del  marchese  Guglielmo  di  Monferrato;  ispiratore  invece 
n'era  stato  Emanuele  Comneno  il  cui  oro  correva  ora  per  l'Italia  a  suscitare 
odio  contro  l'imperator  Federico,  correva  perfino  per  le  città  lombarde  non 
ostante  il  recente  armistizio  di  Venezia.  Alle  evidenti  mire  dell'imperator 
bizantino,  la  soppressione  dell'arcivescovo  di  Magonza,  dell'uomo  che  Rai- 
naldo  di  Dassel  (i)  aveva  riconosciuto  come  il  più  efficace  sostegno  della 
politica  sveva,  era  una  necessità  imprescindibile  :  ed  egli  si  rivolse  a  Corrado 
di  Monferrato  perchè  suo  parente  (2)  e  più  perchè  capo  ormai  riconosciuto 
dei  malcontenti  dell'Italia  centrale  dopo  la  presa  di  Viterbo  da  parte  di  Cri- 
stiano, e  suo  nemico  personale  dopo  che  fatto  da  lui  prigioniero  era  stato 
costretto  a  pagargli  12.000  perperoruvi  per  la  sua  liberazione.  Del  resto, 
l'azione  di  Corrado  di  ^Monferrato  nell'Itaha  media  non  è  affatto  determinata, 
né  il  nostro  documento  arreca  su  di  essa  molta  luce.  Contro  l'arcivescovo 
era  già  nella  campagna  del  11 78  da  questi  condotta  contro  A^iterbo;  ma  qui 
Corrado  non  ci  appare  che  come  alleato  dei  nobili  viterbesi,  e  resta  sempre 
una  supposizione  e  nulla  più  quella  del  Ficker  (dovrò  riparlarne)  che  fino 
dal  1172  o  giù  di  lì  Corrado  avesse  il  governo  della  Toscana  meridionale 
come  plenipotenziario  imperiale  e  non  volesse  cedere  la  sua  posizione  dopo 
la  conclusione  della  pace  (3).  L'attraente  opinione  del  Prutz  (4)  che  essendo 
sempre  Guglielmo  il  Vecchio  in  buoni  rapporti  coll'imperatore,  Corrado 
tenesse  le  parti  dei  Lombardi,  opinione  che  spiegherebbe  la  presenza  di 
Corrado  ovunque  si  combattesse  contro  Timpero,  non  ha  base  di  fatto  e  mi 
pare  contraddetta  dal  nostro  documento;  Guglielmo  il  Vecchio  vi  figura 
espressamente  consenziente.  Xon  ci  inganni  la  frase  :  «  si  forte  dominus 
inperator  ex  aliquorum  sinistra  relacione  iram  vel  indignacionem  aut  mali- 
volenciam  aliquam  concepit  adversus  Guilielmum  Alarchionem  Montisferrati 
vel  Bonifacium  filium  eius  ecc.  »,  né  la  cura  con  cui  si  vuole  che  la  grazia 
imperiale  sia  restituita  a  Corrado  espressamente  senza  nominare  il  padre  e  il 
fratello.  Anzitutto,  più  avanti,  tale  grazia  si  vuole  data  et  rcddita  anche  a 
questi,  ed  essi  anzi  la  vogliono  quand'anche  Corrado  la  disprezzasse;  di  più, 
neppur  essi  vogliono  il  ritorno  di  Cristiano  in  Italia  coll'autorità  di  legato,  e 
tanto  meno  a  mano  armata,  senza  loro  espresso  consenso;  e  in  fine,  ciò  che 
per  me  è  decisivo,  la  distruzione  da  loro  richiesta  di  Alessandria  è  condizione 


(i)  Cancelliere  dell'impero  prima  di  Cristiano  era  stato  alla  sua  volta  celebrato  come 
«  principio,  mezzo  e  fine  dell'impero,  e  nel  corso  degli  ultimi  anni  (morì  nel  1167  della  pesti- 
lenza che  assali  l'esercito  di  Federico  sotto  Roma)  quasi  più  di  Federico  era  stato  l'anima 
dell'ardita  e  quasi  audace  politica  germanica  ».  H.  Prutz,  Storia  degli  stati  medioevali  d'oc- 
cidente, lib.  IV.  Ma  vedi  su  di  lui  I.  Ficker,  Rai7iald  von  Dassel  ecc.  Colonia,  1S50.  Ricordo 
Rainaldo  perchè  a  lui  suole  paragonarsi,  quantunque  con  svantaggio,  Cristiano  di  Magonza 

(\'^ARRENTRAPP,    DaVIDSOHN,    eCC). 

(2)  Maria,  figlia  di  Emanuele,  aveva  sposato  Rainero,  fratello  di  Corrado.  Roberti  de 
Monte,  Cronica,  in  M071.   Gemi.  Hist.,  SS.,  VI,  pag.  528.  —  Nicetas  Choniates,  263. 

(3)  FiCKER,  Forschungen  z.  Reichs  und  Rechtsgeschichte  Italiens,  voi.  II,  pag.  236-37. 
Si  osservi  a  questo  proposito  che  il  Muratori  fondandosi  soltanto  sul  documento  2  febbraio 
1180  da  lui  edito  in  Antiq.,  IV,  575,  di  cui  riparleremo,  aveva  creduto  che  questo  Corrado 
«  fusse  marchese  di  Toscana  trattandosi  d'una  città  (Siena)  che  era  nel  marchesato  di  Toscana  ». 
Ma  non  gli  era  tuttavia  sfuggito  che  quel  nome  «  manca  nel  ruolo  dei  marchesi  di  Toscana 
del  Capitano  della  Rena  ». 

(4)  Op.  cit.,  III,  pag.  59. 


324  PIETRO   TORELLI 


di  troppo  generale  interesse  per  tutta  la  casa  dei  Monferrato  per  ritenere 
Guglielmo  e  Bonifacio  estranei  all'opera  del  loro  figlio  e  fratello  :  e  se  mai, 
aggiungono,  debba  la  odiata  città  tornare  in  grazia  dell'imperatore,  ciò  non 
avvenga  se  non  col  nostro  consenso.  Oh  certo  non  avrebbe  mancato  di  base 
la  sÌ7iistra  relatio  di  chi  si  fosse  incaricato  di  raccontare  all'imperatore  le 
cose  come  stavano  veramente!  (i).  D'altra  parte  l'opinione  del  Prutz  non 
spiegherebbe  l'autorità  di  Corrado  capo  di  questa  guerra  contro  l'arcivescovo. 
Che  se  si  ritiene  sufficiente  quella  che  poteva  derivargli  dal  gran  nome  della 
sua  famiglia  e  dalle  sue  qualità  personali,  basta  considerarlo,  col  Cerrato  (2), 
più  che  staccato  dalla  parte  ghibellina,  solo  tra  gli  scontenti  della  concilia- 
zione col  papa,  nemici  di  Cristiano. 

A  chiarire  invece  l'opera  costante  dell'ispiratore  di  Corrado,  Emanuele 
Comneno,  a  mostrare  l'ampio  e  ingegnoso  piano  da  lui  combinato  pel  ricupero 
d'Italia  mi  pare  felicissimo  il  ravvicinamento  fatto  dal  Prutz  (3)  della  cattura 
di  Cristiano  coi  nuovi  rapporti  che  correvano  tra  l'im.peratore  bizantino  e 
Alessandro  III.  Alleati  fin  qui,  Emanuele  assume  dopo  la  pace  di  Venezia 
una  condotta  ostile  al  papa.  Ora  avviene  che  simultaneamente  all'arresto 
dell'arcivescovo  di  Magonza,  si  rinnova  in  seno  alla  chiesa  lo  scisma  appena 
sedato.  Per  opera  soprattutto  della  famiglia  di  Ottaviano,  il"  primo  antipapa, 
tuttora  odiato  a  morte  da  Alessandro  III  «  alcuni  ecclesiastici  usurparono  la 
dignità  cardinalizia,  e  costituitisi  solennemente  in  conclave,  il  29  settembre  1 179 
innalzarono  al  papato  col  nome  di  Innocenzo  III  Landò  di  Sezza...  Che  una 
impresa  cosi  temeraria  avesse  successo  almeno  per  un  certo  tempo,  ed  anzi 
potesse  avere  un  certo  seguito,  era  possibile  soltanto  colla  contemporanea 
prigionia  di  Cristiano  di  Magonza  :  privato  del  suo  forte  protettore...  ancora 
una  volta  Alessandro  si  trovò  in  serie  angustie  ».  E  dunque  fondatissimo  il 
ritenere  Emanuele  Comneno  non  estraneo  allo  scisma;  la  coincidenza  delle 
date,  si  noti,  è  assoluta  :  la  cattura  di  Cristiano  di  Magonza  avvenne  proprio 
circa  feshcm  Sane  ti  Michaelis  (29  settembre)  (4). 

Su  questa  data  appunto  e  sul  modo  in  cui  l'arcivescovo  fu  fatto  prigione, 
Benedetto  Pctroburgense,  la  fonte  più  diffusa  in  proposito,  Niceta  Choniate 
e  le  altre  fonti  minori  (5),  possono  dirsi  concordi;  e  benché  su  questo  punto 
nulla  c'insegni  il  nostro  documento,  così  convengono  con  esso  nelle  altre 
parti  che  anche  in  questa  non  possono  che  ritenersi  veritiere. 

Cristiano  s'era  dunque  recato  nella  Marca  d'Ancona,  secondo  il  Reuter  (6), 
per    ottenere    la    restituzione   dei  beni  sommamente  scemati  del  Chiostro  di 


(i)  Che  tutta  la  famiglia  fosse  allora  contro  l'impero  ritennero  già  I'Ilgen,  op.  cit.  e 
ScHEFFER-BoiCHORST,  Fricdrichs  I  le/zter  Streil  viit  dir  Kurie,  pag.  69.  Avremo  occasione 
di  affermarlo  ancora  per  rilevantissime  ragioni. 

(2)  Nella  citata  traduzione  dell'lLGEN. 

(3    Op.  cit.,  Ili,  pag.  60, 

(4)  Ex  gestis  Henrici  II  et  Ricardi  /,  falsamente  attribuito  a  Benedetto  Petroburgense, 
in  Mon.  Gemi.  Hisl.,  SS.,  XXVII,  pag.  99. 

(5)  BuoNCOMPAGNO,  De  obsidione  Anconae.  —  Muratori,  R.  I.  SS.,  VI,  945.  —  Tolo- 
SANUs,  CkronìcoH.  —  Accessìones  Faveiilinae  del  Mittakelli  ai  R.  I.  SS.,  cap.  XCII.  — 
S1GEHERTI,  Contiìniatio  Aquicinctiana  in  Mou.  Cerili.  Hist.,  SS.,  VI,  pag.  418.  —  Rokerti 
DE  Monte,  Cronica,  eod.  loc,  pag.  52S.  —  Aniiaìes  Colonieiises  Ma.viiiii,  eod,  loc,  XVII, 
pag.  789.  —  Rodolfo  di  Diceto,  eod.  loc,  XXVII.  —  Rogerii  de  Hoveden,  Cronica, 
eod.  loc,  XXVII,  pag.  145. 

(6)  3,  496,  nota  6. 

8 


I  PATTI  DELLA   LIBERAZIONE   DI   CRISTIANO  DI   MAGONZA  325 


S.  Clemente  di  Pescara,  indottovi  da  papa  Alessandro  con  una  lettera  in  data 
1°  maggio  II 79  (i);  e  certo  avrebbe  dovuto  tutto  aspettarsi  dal  marchese  Cor- 
rado; lo  pensa  il  Prutz  (2)  e  lo  conferma  chiaramente  il  nostro  documento:  tra 
l'arcivescovo  ed  il  marchese  dovevano  correre  da  qualche  tempo  rapporti 
ostili  se  tra  i  patti  della  liberazione  di  quello  si  pone  la  restituzione  di 
ostaggi  (3).  Sorpreso  il  29  settembre,  a  due  miglia  circa  da  Camerino  presso 
Piorago  su  un'altura  detta  di  Santa  Cristina  con  pochi  de'  suoi.  Cristiano  fu 
da  Corrado  fatto  prigione,  «  Coenredus,  collectis  exercitibus,  ex  improviso 
supervenit  ecc.  »,  scrive  il  supposto  Benedetto  Petroburgense:  e  noi  possiamo 
facilmente  ritenere  Corrado  a  capo  di  soldati  raccogliticci  inviatigli  da  Pisa 
«  che  non  poteva  aver  dimenticato  il  procedere  dell'arcivescovo  nel  1172  i>, 
da  Firenze  in  cui  <c  l'odio  contro  di  lui  durò  fin  che  visse  la  generazione 
d'allora  »,  da  Lucca  e  Pistoia  «  che  s'erano  vedute  tradite  da  lui  ai  vicini 
loro  nemici  »,  dai  nobili  di  Val  d'Arno  «  che  avevano  il  più  urgente  e  im- 
mediato interesse  di  tor  via  l'arcivescovo  tedesco  che  dovevano  temer  di 
trovare,  fra  poco,  in  luogo  dei  loro  nemici  patrii,  gli  Uberti  »  vinti  da  poco, 
da  Ugolino  da  Spoleto  (4).  vSono  questi  i  coauttores  del  marchese  Corrado  di 
cui  parla  il  nostro  documento  :  l'imperatore  dovrà  rendere  pienamente  la  sua 
grazia  ai  marchesi  di  ÌMonferrato,  a  Raineri©  conte  di  Biandrate,  ai  figli  Boni 
comitis,  agli  ISpoletini  <:  et  aliis  hominibus  qui  propter  dominum  C.  iram 
domini  imperatoris  incurrerunt  ».  Noto  subito  che  per  risolvere  quel  C.  che 
potrebbe  a  rigore  significare  cosi  Corrado  come  Cristiano,  propendo  per  il 
primo  significato.  La  frase  è  infatti  ripetuta  in  modo  quasi  identico,  ma  per 
esteso,  nel  giuramento  del  conte  Heinrich  von  Diez  :  «  Ego  comes  Henricus 
Dediest  iuro  supra  sancta  dei  evangelia  quod  bona  fide  observabo  conven- 
cionem,  ecc..  et  insuper  faciam  quod  dominus  inperator  et  rex  Henricus 
restituent  C.  Marchionis  Montisferati  filium  in  plenitudine  gratie  sue  et  iram 
et  omnem  suam  indignationem  remittent  coaintoribus  eius  guani  propter 
ipsum  Ctuir aduni  incurrerunt  ».  Io  ritengo  tuttavia  che  a  quel  propter  Cun- 
radum  non  si  possa  attribuire  nessun  peso  per  determinare  le  intenzioni  dei 
suoi  coauttores  che  evidentemente,  come  or  ora  notammo,  furono  spinti  non 
tanto  dagli  incitamenti  di  lui  quanto  invece  da  veri  interessi  propri  ad  en- 
trare nel  complotto.  Per  questo  la  questione  non  ha  importanza  che  per 
ristabilire  il  testo.  A  questi  coazittores  nominati  nel  giuramento  dell'ar- 
civescovo prigioniero,  va  aggiunto  il  conte  Aldeprandinus  che  trovasi 
nominato  in  quello  del  conte  Enrico  von  Diez,  e  che  poi  giura  a  sua  volta. 
Si  potrebbero  per  costui  ripetere  le  osservazioni  che  ho  fatte  più  sopra  ri- 
guardo al  padre  e  al  fratello  di  Corrado:  anch'egli,  come  quelli,  cerca  di 
diminuire  la  propria  responsabilità  facendosi  quasi  terzo  nel  grosso  affare; 
anch'egli,  come  quelli,  c'entra  invece  pienamente  e   direttamente.  E  uno  di 


(i)  Chronicon  Casauriense,  in  Muratori,  R.  I.  SS.,  II,  2,  910  (Iaffk,  II,  13409). 

(2)  Op.  cit.,  Ili,  pag.  60. 

(3)  Vedi  il  doc.  in  fine.  Notevole  tra  essi  è  il  conte  Rainerio  di  Biandrate. 

(4)  Tolgo  l'enumerazione  dei    congiurati,  che  è  poi    quella    del  citato    Gesta  Heinici  et 
Ricardi,  e  le  ragioni  particolari  del    loro    odio   dalla  grande  opera  del   Davidsohn  citata.  I 

brani  tra  «  »  sono  a  pag.  562. 


326  PIETRO  TORELLI 


quei  nobili  toscani  che  abbiamo  testé  veduti  pieni  d'interesse  a  toglier 
di  mezzo  Cristiano  di  Magonza,  e  una  rapida  scorsa  alle  notizie  che  ab- 
biamo di  lui  ci  fa  ritenere  non  ottime  anche  le  sue  disposizioni  personali 
verso  l'arcivescovo.  Fatto  già  nel  1163  conte  palatino  da  Rainaldo  di 
Dassel,il  grande  predecessore  di  Cristiano  di  Magonza,  ci  appare  dal  11 70 
fedele  alleato  di  Pisa,  capitano  di  parte  delle  sue  milizie  nella  guerra  contro 
Lucca,  fra  gli  amici  di  quella  città  nella  lega  con  Firenze  del  4  luglio  11 71, 
a  capo,  con  Guido  Guerra,  dei  conti  toscani  nell'assemblea  generale  tenuta 
dai  grandi  e  dalle  città  dell'Italia  media  in  Siena  nel  11 72,  e  qui  appunto 
presente  il  28  marzo  al  bando  dell'impero  pronunciato  da  Cristiano  contro 
Pisa  da  lui  fino  allora  tanto  favorita,  rifiutatasi  ora  di  eseguirne  i  comandi. 
Questo  è  per  noi  un  momento  notevole  nella  vita  del  conte  Aldobrandino: 
quantunque  presente  alla  pronuncia  del  bando,  non  si  ritiene  autorizzato  ad 
abbandonare  l'amica  città,  ma  combatte,  dopo  brevissimo  tempo,  in  suo  fa- 
vore. Di  qui  nacque  l'ira  dell'arcivescovo  verso  di  lui  che  tentò  di  punirlo 
mandando  Guido  Guerra  coi  soldati  sanesi  a  guastare  i  suoi  beni  posti  tra 
Monte  Amiata  e  Grosseto:  ma  il  conte  si  trovò  ben  preparato  a  riceverli 
né  gli  mancarono  gli  aiuti  dei  suoi  amici,  i  Pisani.  Pare  che  l'inimicizia  così 
sorta  tra  lui  e  l'arcicancelliere  si  spegnesse  quando  nel  febbraio  11 73  in 
Foligno  Cristiano  lo  riaccolse  nel  suo  favore,  ma  era  a  tutti  palese  che 
l'arcivescovo  cercava  con  questa  e  con  altre  simili  arti  di  assicurarsi  alle 
spalle  poiché  rivolgeva  appunto  allora  le  sue  mire  ad  Ancona.  E  non  a  lungo 
durò  certamente  la  interessata  riconciliazione  se  l'Aldobrandino  persistette 
nella  sua  costante  politica:  già  nello  stesso  anno  é  coi  Pisani,  i  Fiorentini 
e  i  conti  della  casa  Ardenghesca  in  guerra  contro  Siena,  Pistoia  e  Lucca,  e 
ancora  nel  11 75  alleato  con  Pisa  e  Firenze,  nemico  dei  Sanesi,  è  il  16  agosto 
da  questi  fatto  prigione  e  costretto  ad  allearsi  con  loro  (1).  Io  non  lo  trovo 
più  oltre,  ma  le  disposizioni  dell'animo  suo  contro  l'arcivescovo  e  Siena  a  lui 
fedelissima,  mi  sembrano  sufficientemente  provate,  il  suo  interesse  e  la  sua 
partecipazione  alla  cattura  di  quello  giustificatissimi. 

Poiché  abbiamo  già  osservato  di  quale  amicizia  fosse  legato  il  conte 
Raineri©  di  Biandrate  a  Corrado  di  Monferrato,  poiché  tutti  i  membri  di 
quella  famiglia  figurano  nei  documenti  della  fine  del  sec.  xil  e  principio 
del  XIII  quasi  sempre  a  lato  dei  Marchesi  di  Monferrato  «  quasiché  ne  fos- 
sero satelliti  »  (2),  non  mi  pare  sia  da  cercarsi  più  in  là  la  ragione  della 
partecipazione  di  Rainerio  a  questa  guerra  e  il  conseguente  sfavore  dell'im- 
perator  Federico.  Non  possiamo  invece  pensare  ad  un  rapporto  personale  coi 
Monferrato,  ma  piuttosto  ad  un  interesse  proprio  ed  immediato  rispetto  agli 
altri  coaiittores  di  Corrado;  gli  alii  hopiines  colla  quale  generica  espressione 
devonsi  intendere  i  Pisani,  i  Lucchesi,  i  Pistoiesi,  i  Fiorentini  e  i  nobili  di 
Val  d'Arno  pei  quali  valgono  le  ragioni  che  già  vedemmo  esposte  dal  Da- 


(i)  Davidsohn,  op.  cit.,  passim.  Rilevo  dal  doc.  293  di  Ficker,  Forsch.  ecc.,  1221 
maggio  17,  che  il  conte  Ildeprandino,  figlio  di  questo,  venne  da  Federico  li  preposto  proprio 
a  Poggibonzi,  la  terra  ond'ebbe  origine  la  potenza  dei  Monferrato  in  Toscana.  V.  anche  in 
proposito  i  tre  doc.  seguenti. 

(2)  L  cosa  notoria  e  indiscussa,  ma  riporto  l'osservazione  dal  voi.  I  di  prefazione  al 
Codex  Astcnsis  edito  da  Quintino  Sella  perchè  risultò  all'editore  spontaneamente  e  diret- 
tamente dai  molti  docc.  che  in  questo  codice  noniinaim  i  Rinndralc. 

IO 


I   PATTI   DELLA  LIBERAZIONE  DI  CRISTIANO   DI   MAGONZA  327 


vidsohn;  e  g"li  Spoletini  i  quali,  a  dir  vero,  non  sono  ricordati  nelle  cronache 
come  popolo,  rammentando  esse  invece  uno  dei  più  insigni  nobili  della  città, 
Hugelinus  de  Valle  Spolete.  Il  nostro  documento  ci  fa  credere  che  tutta  la 
città  di  Spoleto  partecipasse,  forse  rappresentata  da  questo  Ugolino,  alla 
congiura  ;  ed  io  vedo  in  ciò  una  certa  relazione  con  un  fatto  accaduto 
parecchi  anni  prima.  Nel  11 55  gli  Spoletini  facevano  prigioniero  Guido 
Guerra  che  incaricato  dall'imperatore  di  recarsi  in  Apulia  per  comunicare  a 
quelle  città  i  suoi  comandi  in  rapporto  specialmente  al  contegno  da  tenersi 
verso  il  re  di  Sicilia,  s'era  fidato  della  ospitalità  di  Spoleto.  Nel  fatto  dav- 
vero sorprendente,  non  riscontrando  né  '<  l'intenzione  di  procurarsi  un  ostaggio 
per  estorcere  un  trattamento  mite  dall'imperatore  che  si  avvicinava  »  né  sem- 
brandogli «  sufficientemente  giustificato  dall'odio  contro  i  tedeschi  e  i  loro 
partigiani  »,  il  Davidsohn  (i)  volle  vedere  la  mano  di  Firenze,  mortale  nemica 
del  conte  Guido.  ^la  a  parte  possibili  ragioni  d  odio  verso  Cristiano  in  par- 
ticolare, la  partecipazione  rivelataci  dal  nostro  documento  di  tutta  Spoleto 
alla  congiura  contro  l'arcicancelliere  dell'impero  può  farci  forse  con  maggior 
probabilità  supporre  una  costante  avversione  della  città  al  partito  imperiale, 
e  l'odio  contro  i  tedeschi  e  i  loro  partigiani  può  assumere  da  questa  nuova 
luce  un'importanza  decisiva  a  spiegare  anche  il  non  dissimile  avvenimento 
del   1155. 

Ignoti  alle  cronache,  sono  invece  enumerati  dal  nostro  documento  tra  i 
coauttores  di  Corrado  di  ^Monferrato  anche  i  filii  Boni  coniitis.  Ecco  il  non 
amplissimo  risultato  delle  mie  ricerche  intorno  a  costoro:  il  17  dicembre  1177 
ad  Assisi  l'irnperatore  Federico  I  confermava,  dietro  preghiera  dell'abate 
Lorenzo,  al  chiostro  di  S.  Leucio  sulla  collina  di  Todi  i  suoi  diritti  e  pos- 
sessi, liberandolo  da  tutte  le  contribuzioni  ad  eccezione  del  fodro  regio. 
Imponeva,  secondo  la  consueta  formula,  a  tutti  di  rispettare  tali  diritti  e 
beni,  ma  «  nominatim...  filiis  Bonicomitis  prò  ecclesia  Sancte  Marie  de  Gra- 
dellis  »  ch'era  una  delle  chiese  appartenenti  a  S.  Leucio  (2).  Ancora,  il 
1°  gennaio  11 78  ad  Assisi  l'imperatore  concedeva  alla  città  di  Fermo  la 
propria  grazia  e  vari  privilegi  :  era  fra  i  testimoni  un  UgoUnus  Bonicomitis  (3). 
Un  lohannes  Bonicomitis  è  nominato  poi  in  un  atto  del  maggio  1198  fatto  a 
Castiglione  Chiusino  quale  potestas  et  rector  civitatis  Perusii  (4).  Ancora  trovo 
un  Bonuscomes  conte  di  Montefeltro  e  d'Urbino  testimonio  il  20  gennaio  12 io 
ad  un  atto  imperiale  fatto  presso  Chiusi  (5),  e  ad  un  altro  l'ii  ottobre  del- 
l'anno stesso  in  Comitatn  Tudertino  (6).  jMì  par  difficile,  per  ragion  della  data, 
che  fosse  questi  il  padre  di  quell'Ugolinus  e  di  quel  lohannes:  l'ho  ricordato 
per  scrupolo  di  ricerca,  dolente  di  non  poter  dire  di  piìi  forse  solo  per  la 
mancanza  in  cui  mi  trovo  di  storie  locali.  ^la  ritengo  invece  non  improbabile 
che  appunto  quell'Ugolinus  e  quel  lohannes  siano  non  lontani  dai  nostri  Jilii 

(i)  Op.  cit.,  pag.  455-56. 

(2)  Edito  in  Stu-mpf,  Ada  imperii,  doc.  492,  nel  voi.  Ili  dei  Reichskanzler  ecc.  Nota  che 
la  data  del  luogo  è  una  congettura  del  Bethmann  dalla  parola  Asco...um  del  documento. 

(3)  Stumph,  op.  cit.,  doc.  49:^ 

(4)  FiCKER,  Forschungen  ecc.,  IV,  n.  201. 

(5)  BÒHMER,  Regesta  Imperli,  2^  ed.,  V,  n.  34S. 

(6)  BoHMER,  op.  cit.,  V,  n.  441. 

II 


328  PIETRO   TORELLI 


Bonicomitis  per  il  luogo  in  cui  vivevano  e  per  l'autorità  loro  personale:  lo' 
hannes,  vedemmo,  fu  podestà  di  Perugia,  Ugolinus  non  è  per  lo  meno  tra 
gli  aia  quamplurimi,  turba  senza  nome  ricordata  spesso  come  presente  ai 
documenti  imperiali  (i).  Certo  poi,  a  mio  vedere,  sono  gli  stessi  del  nostro 
documento  i  filii  Bonicomitis  del  privilegio  a  S.  Leucio  che  ricordai  per 
primo  (17  dicembre  1177):  dei  quali  mi  pare  in  somma  possa  con  sufficienti 
probabilità  concludersi  che  dovean  essere  nobili  dell'Italia  media,  nemici 
dell'arcivescovo  di  Magonza  per  ragioni  non  dissimili  da  quelle  di  tanti  altri 
potenti  e  delle  città  che  vedemmo  collegate  ai  danni  di  lui. 

Compiuto  adunque  con  questi  alleati  l'audacissimo  colpo  Corrado  pensò 
subito  di  mettere  al  sicuro  il  prezioso  ma  altrettanto  pericoloso  prigioniero  ; 
questo  par  che  significhino  le  frequenti  tramutazioni  d'uno  in  altro  castello. 
Corrado,  scrive  il  supposto  Benedetto  Petroburgense,  «  iniectis  in  eum  (Cri- 
stiano) manibus  tenuit  et  in  compedibus  ligatum  incarceravit:  primo  in  ca- 
stello quod  vocatur  Sanctus  Flavianus,  secundo  incarceravit  eum  in  Roca 
Wenais,  tercio  incarceravit  eum  apud  Aquampendentem  ».  L'ubicazione  di 
questi  luoghi  parve  importante  al  Ficker:  «  Non  conosco  »  scriveva  «  né 
S.  Flaviano,  secondo  il  Theiner,  I,  20,  vicinissimo  a  Montefiascone,  nò  Rocca 
Venere,  la  cui  situazione  potrebbe  dare  ancor  più  vicina  spiegazione  del 
cerchio  d'azione  di  Corrado  »  (2).  E  con  lo  stesso  scopo  indagò  l'Ilgen  la 
situazione  di  Rocca  Venere  senza  arrivare  ad  una  conclusione  certa.  Trovò 
nel  Dizionario  geografico  della  Toscana  del  Repetti  (V,  689)  l'indicazione  di 
due  luoghi  dal  nome  Venere  :  uno  presso  Arezzo  sulla  sinistra  dell'Arno  in 
pianura  al  quale  non  conviene  l'aggiunta  di  Rocca,  l'altro  nella  giurisdizione 
di  Lucca  che  con  molta  maggiore  probabilità  appare,  secondo  l'Ilgen,  essere 
il  nostro.  «  In  questo  caso  »  concludeva  ammettendo  senz'altro  l'accennata 
ipotesi  del  Ficker  sull'autorità  di  Corrado  nell'Italia  centrale,  «  si  ha  a  pre- 
sumere che  la  luogotenenza  del  marchese  si  estendesse  anche  su  territori 
della  Toscana  propria,  dove  sta  anche  la  terra  e  corte  di  Poggibonzi  e  Mar- 
turi  »  (3),  di  cui  abbiam  visto  più  sopra. 

È  quest'ultima  una  coincidenza  che  piace  senza  dubbio  ma  alla  quale 
possono  muoversi  obbiezioni  molto  gravi.  La  luogotenenza  di  Corrado  di 
Monferrato  è,  ricordiamolo  bene,  un'ipotesi,  e  un'ipotesi  già  difficile  per  se, 
quando  si  pensi  al  tempo  non  breve  durante  il  quale  il  marchese  avrebbe 
tenuto  tale  ufficio,  dal  1 172  cioè,  come  ritiene  il  Ficker,  alla  pace  di  Venezia, 
senza  che  ce  ne  rimanga  alcuna  notizia  sicura.  Se  poi  alla  lunghezza  del 
tempo  aggiungiamo  una  considerevolissima  ampiezza  di  territorio,  la  man- 
canza assoluta  di  tali  notizie  comincia  a  diventare  un  dato  serio  contro 
l'enunciata  ipotesi.  Perchè  è  bene  tener  presente  che  se  da  Camerino  a  Mon 
tefiascone  e  ad  Acquapendente  s'attraversa  gran  parte  d'Italia  nel  senso  della 
sua  larghezza,  da  queste  località  al  Venere  proposto  dall'llgen  (nel  manda- 


(i)  Di  un  Lconardus  Bonicomitis  clie  dovrebbe  pur  convenire  per  l'epoca  e  per  la  qua- 
lità sua,  non  trovo  che  un  figlio  lohannes,  podestà  di  Terni,  che  giura  fedeltà  alla  chiesa 
nel  1236.  —  BòiiMER,  op.  cit.,  V,  n.  13220,  edito  in  Thiìiner,  Cod.  dipi.,  I,  102. 

(2)  Forsc/iungcn,  cit.,  II,  pag.  237,  in  nota. 

(3)  Ilgen,  op.  cit.,  pag.  IO,  nota  i. 


\2 


I  PATTI   DELLA   LIBERAZIONE   DI   CRISTIANO  DI   M AGONZA  329 


mento  di  Pescia  a  23  km.  circa  ad  est-nord-est  di  Lucca)  corrono  nel  senso 
della  lunghezza  della  penisola  forse  più  che  200  km.  E  un  così  gran  tratto 
di  paese  che  mi  par  strano  ne  fosse  affidata  la  luogotenenza  al  giovane 
Corrado,  e  più  che  non  ce  ne  resti  memoria  :  soprattutto  in  (\vie\V inventario 
degli  atti  dell'Archivio  del  Monferrato  redatto  da  Pietro  Antonio  T.anzoni 
di  cui  ho  fatto  cenno  nelle  prime  righe  di  questo  studio,  e  che  per  la 
maggior  parte  degli  atti  è  un  vero  e  proprio  regesto-  Ebbene:  qui,  fra  le 
numerose  concessioni  imperiali  ai  vari  membri  della  famiglia,  nulla  ricorda 
la  luogotenenza  che  si  vuole  concessa  a  Corrado  e  che,  di  tanta  durata  e  di 
così  ampio  territorio,  non  avrebbe  certo  formato  la  più  piccola  tra  le  glorie 
degli  Aleramici. 

Non  siamo  così  giunti  certamente  a  risultati  positivi,  ma  tali  da  con- 
fortarci nell'opinione  già,  mi  pare,  per  sé  stessa  fondata  che  difficilmente 
l'arcivescovo  potè  esser  condotto  da  iNlontefiascone  fin  quasi  nell'estrema 
Toscana  settentrionale  e  di  là  ancora  riportato  ad  Acquapendente,  vicinis- 
simo cioè  a  Montefiascone.  Ne  concludo  che  Rocca  Wenais  dev'essere  un 
luogo  non  lontano  da  questi  due  paesi  ed  anzitutto  osservo:  come  mai  s'am- 
mise come  cosa  -eerta  che  Rocca  Wenais  equivalesse  a  Rocca  Venere  ?  Lin- 
guisticamente almeno  le  due  voci  non  corrispondono  affatto.  Poniamo  anzi- 
tutto esatta  la  grafia  del  cronista  :  il  W  corrisponderebbe  ad  un  italiano  Gn, 
non  mai  ad  un  Ve.  Notiamo  che  vicinissimi  o  anzi  nel  cerchio  d'influenza 
d'una  dominazione  spoletana,  cioè  a  dire  longobarda,  una  voce  tedesca  quale 
IVenais  non  sarebbe  né  strana  né  improbabile.  Ma  anche  ammettendo  che 
il  W  sia  un  arbitrio,  spiegabilissimo,  del  cronista,  anche  a  Venais  non  po- 
trebbe affatto  corrispondere  un  Venere.  Bisognerebbe  insomma  ammettere 
che  il  supposto  Benedetto  Petroburgense  scrivesse  o  avesse  intenzione  di 
scrivere  Wenais,  cioè  a  dire  We?iaris,  o  forse  Venaris  per  dedurne  una  deri- 
vazione dal  Veneris  latino  e  un  mutamento  nel  Venere  italiano.  Bisogne- 
rebbe insomma  supporre  troppo  quando  non  c'è  ragione  di  farlo.  L'evolu- 
zione natur^ile  della  parola  ci  porta  dunque  piuttosto  a  un  Gitene  o  Vene  (i) 
o  ad  una  voce  somigliante  che  non  saprei  precisare  (2).  Avverto  adunque 
che  notai  per  esempio  in  Winkelmann  :  Acta  imperii  inedita,  negli  Sta  tuta 
officiorum  editi  nel  voi.  I  un  Rocca  de  Venis  Rubeis  (Venarossa)  e,  è  quanto 
preme  veramente,  molte  Vena  presso  Ascoli.  La  non  eccessiva  distanza  dei 
luoghi  mi  fa  dunque  concludere  che  sebbene  siano  riuscite  vane  le  mie 
ricerche  geografiche,  la  inesattezza  certa  di  quelle  altrui  consente  la  suppo- 
sizione a  fil  di  logica  ragionevolissima  che  Rocca  Wenais  fosse  di  fatto 
vicina  a  Montefiascone  o  ad  Aquapendente.  Vedremo  più  innanzi  di  S.Flaviano. 


(i)  O  forse  Gueiiie  o    Ve  ine  ?  Cfr.  Neveis  r=L  Neive  (presso  Alba). 

(2)  È  strano  adunque  che  il  Ficker  e  l'Ilgen  rendessero  senz'altro  Wenais  con  Venere. 
E  strano  ma  non  nuovo:  nel  volume  di  prefazione  al  codice  Malabayla  edito  da  Quintino 
.Sella,  a  proposito  dei  luoghi  soggetti  ad  Asti  citati  nel  repertorio  del  Codice  (pag.  294;  è  un 
allegato  di  Pietro  Viare.ngo)  si  legge:  «  Veneis  =  Venere,  luogo  distrutto  dove  poscia 
venne  edificata  la  villa  di  Mango  o  >Iangano  nelle  cui  vicinanze  ritiene  il  nome  di  Avene 
un'antica  torre  che  segna  il  luogo  di  Venere  ».  A  farlo  apposta,  neppure  Avene  corrisponde 
al  Veneis  :  «  è  oltreniodo  improbabile  la  sua  dipendenza  da  Vetieis,  e  la  sua  presenza  sarà 
casuale»,  mi  scrive  l'illustre  prof.  C.  Salvioni,  la  squisita  gentilezza  del  quale  mi  pose  anche 
in  grado  di  affermare  tutto  quanto  di  esatto  ho  detto  in  questa  questione  linguistica. 

13 

42  —  Mise,  S.  HI,  T.  XIII. 


330  PIETRO   TORELLI 


Reso  cosi  innocuo  il  bellicoso  arcivescovo,  privato  così  di  un  capo  legit- 
timo ed  attivo  il  partito  imperiale  in  Italia,  d'un  sostegno  validissimo  papa 
Alessandro,  Corrado  di  Monferrato  partì  alla  volta  di  Costantinopoli  per 
concretare  coU'autore  principale  del  fatto,  l'imperatore  Emanuele  Comneno, 
la  condotta  che  si  sarebbe  tenuta  e  fissare  il  destino  del  malcapitato  Cristiano. 

Partì  lasciando  la  custodia  del  prigioniero  al  fratello  Bonifacio:  grave 
circostanza  che  determina  senz'altro  la  connivenza  dell'intera  casa  dei  Mon- 
ferrato all'opera  di  Corrado.  Se  questa  connivenza  è  dissimulata,  come  già 
notammo,  nei  patti  della  liberazione,  non  è  meno  confermata  o  dal  fatto  che 
partendo  l'uno  dei  fratelli  accorre  subito  l'altro  in  sua  vece  a  reggere  le 
sorti  della  guerra  nell'  Italia  media,  o  (il  che  pare  anche  piìi  conforme  al 
puro  e  semplice  linguaggio  delle  fonti:  «  tradidit  eum  (Cristiano)  Bonifacio 
fratri  suo  custodiendum  »  (i)),  dalla  presenza,  che  già  da  tempo  durasse  di 
due  figli  del  marchese  Guglielmo  alle  ostilità  aperte  contro  il  rappresen- 
tante dell'imperatore  in  Italia.  Solo  il  padre  si  tiene  in  disparte  per  salvarsi 
una  via  aperta  alla  riconciliazione  presto  o  tardi  necessaria  coll'Impero, 
ma  giù  neir  Italia  centrale  sul  campo  dell'azione  combattono  le  due  più 
valide  spade  della  famiglia  (2),  combatte  un  rappresentante  degli  amici  fede- 
lissimi conti  di  Biandrate,  e  con  tutta  probabilità  anche  (e  come  mai  altri- 
menti si  troverebbe  qui  ?)  il  capo  di  un'altra  importante  famiglia  stretta  da 
vincoli  di  parentela  e  d'amicizia  coi  Monferrato  :  Guglielmo  marchese  di 
Palude  (3).  E  costui  noto  soprattutto  per  essere  stato  poi  nel  11 85  podestà 
e  rettore  della  Garfagnana  e  Versilia  per  l'imperatore  (4)  nei  suoi  rapporti 
col  quale  seguì  le  identiche  vicende  dei  Monferrato  e  dei  conti  di  Biandrate. 
Lo  troviamo  infatti  spesso  testimonio  ad  atti  imperiali  (5),  ma  non  nel  breve 
periodo  in  cui  quelli  dovevano  essere  in  disgrazia  del  sovrano.  Dei  rapporti 
precisi  del  marchese  Guglielmo  di  Palude  coi  INIonferrato,  oltre  all'accennata 
parentela  non  so  molto;  appaiono  tuttavia  sempre  ottimi  non  ostante  che  il 
primo  si  facesse  cittadino  d'Alessandria  nel  11 78,  perchè  ciò  avvenne  proprio 
in  uno  dei  brevi  momenti  di  pace  tra  la  città  e  i  Marchesi  (6).  Del  paese 
che  diede  il  nome  alla  sua  nobile  famiglia,  Parodi,  Guglielmo  di  Monferrato 
s'impadronì,  com'è  noto,  nel  11 66:  è  notevolissima  a  questo  proposito  un'os- 
servazione degli  annali  di  Cafifaro  :  «  Ilio  tempore  Willielmus  Montisferrati 
Marchio  qui  antea  non  fuerit  tante  laudis,  tanteque  magnitudinis,  eo  quod 
Dominus    Fredericus    Imperator    sibi    multos    honores    contulerat,  et   villas, 


(i)  Cesfa  Henrici  cit.,  in  Mon.  Cerni.  Hist.  SS.,  XXVII,  pag.   100. 

(2)  Bonifacio,  tanto  noto  per  le  poesie  dei  trovatori,  di  Rambaldo  di  Vaqueiraz  soprat- 
tutto, non  è  ricordato  in  nessun  documento  più  antico  del  nostro  dopo  l'accenno  nella  pace 
di  Guglielmo  con  Vercelli,  i  aprile  1177.  Si  credette  finora  che  la  prima  a  farne  menzione 
fosse  poi  una  carta  dell'S  agosto  11S2,  edita  in  J\foii.  Hist.  Pafr.,  Chart.  I,  910.  —  V.  Cek- 
RATO,  ]^a  famigtia  di  Guglielmo  il  Vecchio  march,  di  ìMonferrato  in  Riv.  Star.  Ital.,  voi.  I, 
1884,  e  Bradkr,  Bonifaz  ecc.  cit.,  pag.  20,  n.  8. 

(3)  Sposò  Matilde,  sorella  del  maich.  Guglielmo  di  iMonferrato. 

(4)  GiKSEKRECHT,  op.  cit.,  VI,  HO.  —  FiCKEK,  Fo>schunge7i,  cit.,  158,  302  e  dei  docu- 
menti 156  e  158. 

(5)  In  Stumpf  dal  1178  al  1196,  ed  anche,  fino  a  (luest'anno,  in  Moriondo,  Monuiiiriita 
Aqncnsia,  II,  638  coi  figli  del  conte  Guido  di  Biandiale.  Ricorre  non  di  raro,  naturalmente, 
nel  Liber  jttriiim  rcip.  laniwnsis. 

(6)  MoRiONUo,  op.  cit.,  voi.  I,  col.  72. 

14 


I   PA.TTI    DELLA    LIBERAZIONE    DI   CRISTIANO   DI    MAGONZA  33 1 


terras  et  castra  ditioni  et  dominio  eius  supposuerat,  lanuensibiis  damna  et 
incommoda  callide  et  fraudulenter  exquisivit  »  (i).  Ignoro  come  il  paese 
venisse  poi  nelle  mani  di  Guglielmo  di  Palude,  se  per  investitura  del  mar- 
chese di  Monferrato  o  meno:  certo  quegli  lo  restituiva  a  Genova  il  io 
maggio  1171  giurando  fedeltà  alla  repubblica  (2).  Ma  sono  in  grado  di 
far  notare  che  rapporti  di  carattere  feudale  durarono  certamente  tra  le  due 
famiglie.  Il  marchese  Guglielmo  di  Monferrato  investiva  intorno  al  1190  il 
nostro  Guglielmo  di  Palude  della  terra  di  Castelletto.  Ce  lo  dice  un 
esame  di  testimoni  «  super  factum  Castelleti  »  fatto  nel  1220,  in  cui  tutti 
rammentano  che  da  circa  trent'anni  era  avvenuta  tale  investitura  (3),  E 
poi  noto  che  Guglielmo  di  Palude  aveva  investito  i  Monferrato  di  Solaria: 
lo  ricorda  il  marchese  Bonifacio  basandovi  in  parte  le  proprie  pretese  su 
Alessandria  fondata  con  gli  abitanti  di  vari  borghi  tra  cui  Solaria,  nelle 
petttiones  fatte  «in  praevio  pacis  tractatu  circa  annum   iigg^)  (4). 

Non  questi  soli  seguivano  Corrado  e  Bonifacio  di  Monferrato  nella  cam- 
pagna contro  Cristiano  di  Magonza:  tra  i  testimoni  e  i  mallevadori  al  nostro 
documento  troviamo  altri  senza  dubbio  sudditi  di  quei  marchesi.  Primo  e 
importante  Obertus  Pastronus  de  Vignale  :  in  questo  borgo  dipendente  dai 
Monferrato  la  famiglia  Pastroni  era  forse  la  maggiore.  .Si  rese  piìi  tardi  trista- 
mente famosa  nella  storia  del  suo  paese  perchè  tradì,  insieme  ai  Secchi,  il 
castello  di  Vignale  agli  Alessandrini  uccidendo  il  castellano  del  marchese 
Guglielmo  V  (5).  Dei  tempi  che  ci  riguardano  trovo  ricordati  vari  autorevoli 
membri  di  questa  famiglia,  un  Gualla  Pastronus  de  Vignali  soprattutto  in 
frequente  rapporto  coi  jMarchesi  di  Monferrato  (6).  Un  Obertus,  espressa- 
mente, no,  ma  non  è  forse  dissimile  dal  nostro  un  Pastronus  che  nel  11 78 
era  testimonio  alla  concordia  tra  il  marchese  Guglielmo  e  Alessandria  (7)  e 
poi  nel  II 98  era  «  frater  hospitalis  de  lerusalem  et  commandator  mansionis 


(i)  Oberti  Cancellarii,  Annales  lanuenses,  in  Annali  genovesi  di  Caffaro  e  suoi  conti- 
nuatori. Foìiti  per  la  storia  d'Italia,  Roma,  1890,  pag.  193.  ]  Genovesi  ne  portarono  querela 
all'imperatore.  V.  Canale,  Nuova  Istoria  della  Rep.  di  Genova,  I,  175. 

(2)  Liber  jtirium  Genuensium  in  Man.  Hist.  Patriae. 

(3)  Archivio  Gonzaga,  Arch.  del  Monferrato.  Nel  già  ricordato  inventario  del  Lanzoni 
il  documento  è  così  indicato:  «  Attestationes  quattuor  testium  examinatorum  super  facto 
Castelletti,  quod  fuerat  Guidi  (per  Guillielmi)  de  Pallodio.  9  oct.  sine  millesimo».  Ma  che 
siano  del  1220  è  dimostrato  da  altri  esami  testimoniali  sullo  stesso  fatto  compiuti  il  7  ott.  e 
il  26  nov.  appunto  del  1220.  Questi  ultimi,  che  non  sono  in  questo  archivio,  erano  pur  noti 
al  Moriondo  che  ne  dà  un  breve  transunto  nei  Monumenta  Aquensia,  voi.  II,  col.  650.  Il 
«  factum  Castelleti  »  è  la  questione  che  durò  a  lungo  tra  Alessandra  e  i  Monferrato  intorno 
al  possesso  di  questo  paese,  per  cui  vedi,  sempre  in  Moriondo,  voi.  I,  col.  68,  117,  ti8,  135 
e  soprattutto  137  in  un  Additamcnticm  alla  pace  del  1203,  in  cui  è  data  la  ragione  che  diede 
luogo  all'accennato  esame  testimoniale.  Vedi  del  resto  De  Conti,  Notizie  storiche  della 
città  di  Casale,  ecc.,  voi.  II,  pag.  io,   11. 

(4/  Moriondo,  op.  cit.,  voi.  I,  col.  118.  La  cosa  è  riconfermata  in  una  «  Investitura  sin- 
dici canonicae  S.  Martini  Turonensis  de  curte  Solarla  Bonifacio  marchioni  Montisferrati  », 
ibid.,  voi.  II,  col.  374.  Era  vicinissima  a  Castelletto,  come  risulta  dal  citato  esame  testi- 
moniale. 

(5)  Benvenuto  S.  Giorgio,  in  Muratori,  A'.  /.  .S"^".,  voi.  XXIII,  col.  402.  V.  anche  il 
doc.  n.  757  del  Cod.  Astense. 

(6)  Fu  nel  1193  dato  da  Bonifacio  in  ostaggio  ad  Asti.  Cod.  Astense,  n.  729.  Nel  1206, 
30  apr.,  giurò  una  pace  tia  Guglielmo,  figlio  di  Bonifacio,  e  Asti,  eod.  loc,  n,  734,  e  vedi 
anche  il  n.  626. 

(7)  MoRTovDo,  op.  cit.,  voi.   I,  col.  72. 

15 


332  PIETRO    TORELLI 


eiusdem  hospitalis  site  in  Ast  »  (i).  É  facile  supporre  che  la  elevata  carica 
di  coinmmidator  gli  fosse  stata  data  per  essersi  distinto  alla  crociata.  Suddito 
e  compagno  dei  giovani  marchesi  Corrado  e  Bonifacio  nelle  loro  imprese 
d'Italia  e  per  questo  presente  e  testimonio  all'atto  nostro,  seguì  forse  i  suoi 
signori  in  Oriente:  meglio  Corrado  che  partito  nel  1187  veniva  ucciso  nel 
1192.  Fatto  cavaliere  dell'ordine  degli  Spedalieri  il  nostro  Pastronus  tornò 
in  patria  dopo  la  morte  del  suo  signore  ed  ebbe  nella  vicina  Asti  l'ufficio 
di  cui  lo  vediamo  onorato  (2).  Comunque  sia,  del  resto,  la  qualità  della  sua 
famiglia  pone  il  nostro  Pastronus  immediatamente  dopo  i  conti  di  Biandrate 
e  il  marchese  di  Palude  nel  seguito  dei  Monferrato, 

Di  fatto  anzi  nel  nostro  documento  trovasi  il  Pastronus  forse  preposto 
al  marchese  di  Palude  se  questo  entra  come  mallevadore,  quello  invece 
giura  senz'altro  insieme  a  Bonifacio  di  Monferrato.  Ritengo  tuttavia  che 
questi  e  gli  altri  che  giurarono  col  detto  marchese,  cioè  Alprandinus  de 
Santo  Marco,  del  quale  non  so  nulla  affatto  (3),  e  Ugolinus  Valencie  di  cui 
dirò  subito,  avessero  importanza  grande  soprattutto  come  vassalli  dei  Mon- 
ferrato, e  per  questo  si  facessero  giurare  con  lui  allo  stesso  modo  con  che 
si  voleva  che  due  grandi  vassalli  dell'arcivescovo  di  Magonza,  Werner  von 
Bolanden  e  Hartmann  von  Bùdigen  giurassero  di  far  osservare  i  patti  accet- 
tati dal  loro  signore  prigioniero.  Si  vuole  insomma  nel  giuramento  dei 
vassalli,  che  del  signore  costituiscono  in  fondo  la  forza  effettiva,  una  ga- 
ranzia personale  che  non  si  presteranno  alla  violazione  dei  patti  quando 
il  loro  signore  la  volesse,  ma  faranno  anzi  valere  una  volontà  propria,  indi- 
pendente, opponendovisi.  Coloro  invece  che  intervengono  come  mallevadori 
sono  persone  d'importanza  grande  per  sé  stesse,  indipendentemente  dai 
loro  rapporti  coi  Monferrato,  come  vedemmo  di  Guglielmo  di  Palude  e 
come  vedremo  degli  altri. 

Che  Ugolinus  Valencie  sia  un  suddito  dei  marchesi  del  Monferrato  non 
mi  par  dubbio.  Valenza,  posta  tra  Casale  Monferrato  e  Alessandria,  la  pic- 
cola città  che  nel  1207  veniva  dal  marchese  Guglielmo,  figlio  del  nostro 
Bonifacio,  venduta  a  Pavia  (4),  era  nel  tempo  che  ci  riguarda  tra  le  loro 
più  ragguardevoli  proprietà.  Quest'Ugolinus  è  certo,  per  me,  una  sola  per- 
sona coir  Ugone  de  Valentia  che  era  testimonio  all'atto  di  concessione  di 
S.  Quirico  a  Siena  fatta  dall'arcivescovo  prigioniero  per  ottenere  dai  Sanesi 
il  pagamento  di  parte  del  riscatto  che  doveva  ai  Monferrato  (5).  Veramente 
il  documento  posto  in  confronto  con  altro  della  stessa  data,  di  cui  parlerò 
più  avanti,  porta  a  questa  mia  opinione  una  grave  difficoltà:  dice  il  primo: 


(1)  Cod.  Astcnsc,  cit.,  n.  632. 

(2)  Sperai  tuttavia  invano  di  ritrovarlo  qualclie  volta  come  testimonio  nei  Regesta  Regni 
HierosolyinUam  del  Ròhricht. 

(3)  Noto  tuttavia,  per  mostrare  non  nuovo  il  cognome  nel  territorio  Monferratense  o 
vicino,  nel  Cod.  As/etise,  un  notaio  Philippum  de  Sanctomarcho  Catule  al  n.  9S0,  e  un  Petrus 
de  Sancto  Marzo  al  n.  931. 

(4)  Guglielmo  la  cedette  onde  trarne  il  danaro  per  recarsi  dal  fratello  Demetrio  in  Oriente. 
Pare  anzi  che  si  aggiungesse  più  tardi  al  contratto  una  clausola  di  rivendicazione  per  cui  si 
ritenne  data  in  pegno  la  città.  Vedi  R.  Ma.iocchi,  Valenza  venduta  a  J\ivia  nel  1207  in 
Arch.  Stor.  Lotub.,  Serie  III,  voi.  XVMII,  1902,  pag.  361. 

(5)  .Se  ne  riparla  più  avanti. 

16 


I    PATTI    DELLA    LIBERAZIONE   DI   CRISTIANO   DI   MAGONZA  333 


«  Acta  sunt  hec  in  castro  Montisfrasconi  coram  Ugone  de  Valentia,  Valen- 
tiano  et  Trasramundo  eiusdem  castri  ».  Se  si  riferisce  il  castri  a  Valentia, 
come  parrebbe  più  naturale,  la  mia  opinione  cade  perchè  gli  altri  due  testi- 
moni sono  dal  secondo  documento  dimostrati  abitanti  di  Montefìascone,  e  il 
Valentia  diverrebbe  il  nome  forse  del  paese  originario  posto  chissà  dove 
di  tutti  e  tre  i  testimoni,  Ugone  compreso,  che,  come  abitanti  della  provincia 
di  Roma  nulla  più  avrebbero  a  che  fare  coi  seguaci  monferrini  del  marchese 
Corrado.  Ma  nel  secondo  documento  l'Ugone  non  si  trova  e  allora  sarebbe 
stato  necessario  l'apporre  al  nome  degli  altri  il  de  Valentia,  il  che  non 
avviene.  Riferisco  adunque  il  castri  al  più  lontano  ma  consonante  castro 
Montis  frasconi,  e  resto  così  nell'opinione  che  l'Ugone  de  Valentia  sia 
un  altro  suddito  che  segui  Corrado  e  Bonifacio  nella  loro  campagna  del- 
l'Italia centrale  (i). 

Espongo  per  puro  debito  di  compiutezza  il  magro  esito  delle  mie  ricerche 
su  un'altra  persona  che  potrebbe  supporsi  seguace  dei  marchesi  di  Monfer- 
rato. Si  trova  fra  i  mallevadori  un  Magister  Elemosina.  Notevole  è  che  lo 
stranissimo  nome  non  rinvengo  affatto  se  non  dato  ad  un  Arcliipresbiter  de 
Quargnento,  in  un  certo  rapporto  coi  Monferrato  perchè  era  presente  alla  pace 
del  II 78  tra  il  marchese  Guglielmo  e  Alessandria  (2),  che  divenne  poi  pre- 
posto dei  canonici  d'Asti.  In  tale  qualità  lo  trovo  dal  1182  al  11 97  nel  primo 
volume  Chartarum  dei  Monumenta  Historiae  patriae  [^  ,r\e\  1193  e  1197  nel 
Codice  astense  edito  dal  Sella  (4)  e  in  Ughelli  (5),  nelle  modificazioni  Ely- 
mosina,  Ahnosna,  Alnioina.  D'altra  parte  avverto  in  De  Conti  (6)  che  vari 
prepositi  ed  anche  non  pochi  canonici  (qui  dice  espressamente  della  chiesa 
casalense  ma  può  supporsi  anche  d'altrove)  si  chiamarono  magistri.  Cosa 
faceva  un  canonico  al  seguito  dei  due  bellicosi  giovani  marchesi  ?  (7). 

Mi  par  dunque  di  poter  concludere  da  queste  più  o  meno  fortunate 
ricerche  che  la  spedizione  di  Corrado  di  Monferrato  nell'  Italia  media  non 
ebbe  carattere  strettamente  personale,  ma  poggiò  sulla  più  larga  base  del 
consenso  unanime  dell'intera  famiglia. 

Proseguo  nella  esposizione  dei  fatti  :  non  dopo  la  morte  di  Emanuele 
Comneno,  come  si  andò  da  tutti  ripetendo  sin  qui,  ma  nel  momento  in  cui 
falliva  lo  scopo  per  il  quale  s'era  fatto  prigione  l'arcivescovo,  soltanto  cioè 
dopo  pochi  mesi  dal  suo  arresto,  come  subito  vedremo,  il  marchese  Boni- 
facio, sentito  indubbiamente  il  consiglio  del   padre,  veniva  con  Cristiano  di 


(i)  Ma  mi  par  difficile  stabilire  rapporti  di  questo  persona.2:gio  con  un  Ugolinus  de 
Valencia  che  a  mezzo  de'  fratelli  Iacopo  e  Anselmo  si  rende  cittadino  di  Vercelli  nel  1191. 
Documento  senza  mese  e  giorno  in  31on.  Hist.  Patriae,  Chart.  I,  n.  648. 

(2)  MoRiONDO,  op.  cit.,  I,  col.  72. 

(3)  Doc.  n.  594,  595,  619,  699,  700,  706,  1593,  1655. 

(4)  Doc.  n.  918  e  919. 

(5)  Astenses  Episc,  tomo  4.  Il  march.  Bonifacio  acquistò  da  lui  IMoncalvo. 

(6)  Notizie  storiche  di  Casale,  voi.  I,  pag.  253. 

(7)  Peggio  forse  mi  trovo  rispetto  al  Fredericus  filius  Lantegravii.  È  questo  nome  nel  senso 
di  marchese  ?  E  può  allora  pensarsi  ad  un  Federico  figlio  del  marchese  Guglielmo,  uomo 
di  chiesa  e  non  marchese,  citato  da  Sicardo  Cremonese  (Vedi  il  citato  studio  del  Cerrato, 
Sitila  famiglia  di  Guglielmo  il  Vecchio)  e  più  tardi,  se  pure  è  lo  stesso,  vescovo  d'Alba? 
Avremmo  allora  tre  dei  Monferrato  nell'Italia  centrale.  Ma  l'ipotesi  mi  pare  anche  più  che 
arrischiata. 

17 


334  PIETRO   TORELLI 


Magonza  a  quelle  trattative  che  sono  oggetto  del  nostro  documento.  È  qu'esto. 
si  noti,  senza  data  né  di  tempo  né  di  luogo,  ma  fortunate  circostanze  ci 
aiutano  a  determinare  il  primo  con  certezza  pur  lasciandoci  sul  secondo 
gravi  dubbi. 

Un  elemento  intrinseco  del  documento  stesso  esclude  intanto  che  fosse 
fatto  dopo  la  morte  di  Emanuele  Comneno.  Morì  questi  il  24  settembre  11 80. 
E  assurdo  pensare  che  la  notizia  giungesse  in  Italia  entro  il  mese,  e  del 
resto  a  che  sarebbe  valsa  la  garanzia  prestata  dai  mallevadori  «  usque  ad 
kalciidas  Octubrìs  »?  Bisognerebbe  credere  che  il  documento  si  facesse  in 
principio  dell'anno  dopo;  ma  mancherebbe  ugualmente  il  nesso  colla  morte 
del  bizantino  già  troppo  lontana,  e  d'altronde  vi  si  opporrebbe  prima  il 
documento  sanesc  di  cui  parlerò  subito,  poi  il  fatto  che  si  dovrebbe  di 
troppo  prolungare  la  prigionia  dell'arcivescovo  pensando  anche  all'andare  e 
venire  dei  messi  di  Germania  per  l'adempimento  delle  condizioni  dal  docu- 
mento stesso  imposte. 

A  risultati  positivi  ci  portano  invece  altre  considerazioni:  dei  xii  inilia 
perperortim  che  secondo  i  patti  Cristiano  doveva  pagare  per  la  sua  libera- 
zione, 400  libre  denariorum  furono  sborsate  da  Siena,  in  compenso  di  che 
Cristiano  confermò  a  questa  città  tutte  le  sue  consuetudini  e  diritti  antichi 
e  le  cedette  le  ragioni  imperiali  su  S.  Quirico,  sulla  metà  castri  Muntieli  e 
sulle  porte  di  Siena  stessa  (i).  Questo  ci  é  fatto  noto  da  un  documento  con- 
servato nell'Archivio  di  Stato  di  Siena  (2)  ed  edito  dal  Muratori  (3),  dato  in 
Montefiascone  il  2  febbraio  11 80,  che  é  quanto  dire  dato  dall'arcivescovo 
durante  la  sua  prigionia,  circa  quattro  mesi  dopo  la  cattura.  Ora,  siccome 
vi  é  detto  espressamente  che  tale  danaro  doveva  pagarsi  ai  nunzi  di  Cor- 
rado di  Monferrato  (si  noti  che  anche  qui  come  nel  nostro  documento  Boni- 
facio agisce  sempre  nel  nome  del  fratello  quantunque  già  lontano,  in  Oriente), 
é  chiaro  che  dovevano  già  essere  stipulati  i  patti  tra  i  quali  eKi  appunto 
una  somma  di  danaro  da  pagarsi  per  riscatto.  Se  il  termine  a  quo  della 
redazione  del  nostro  documento  é  il  29  settembre  11 79,  verso  il  qual  giorno 
l'arcivescovo  fu  fatto  prigione,  il  2  febbraio  11 80  ne  diventa  il  termine  ad 
(jiiciii.  E  se  osserviamo  che  dalla  conclusione  dei  patti  alla  redazione  del 
documento  sanese  doveva  esser  corso  qualche  tempo,  non  fosse  altro  per  la 
decisione  presa  dalla  città  di  intervenire  a  favore  dell'arcivescovo  probabil- 
mente dietro  l'offerta  di  questi  di  confermarle  privilegi  antichi  e  concederne 
di  nuovi,  veniamo  per  lo  meno  al  mese  di  gennaio,  veniamo  cioè  a  coinci- 
dere con  un  fatto  importantissimo  per  noi,  con  la  decadenza  o  precisamente 
con  la  caduta  dell'antipapa  Innocenzo  III.  Importantissimo  per  questo:  i 
nuovi  avvenimenti  d'Italia  resero  dopo  poco  tempo  presso  che  inutile  per 
l'impcrator  bizantino  il  riuscitissimo  colpo  di  mano  compiuto  a  danno  di 
Cristiano  di  Magonza.  Io  vado  più  innanzi  nel  ravvicinamento  fatto  dal  Prutz 


(i)  Il  Davidsohn    suppone  si  tratti    d'una    tassa    d'entrata    già    imposta  da  Cristiano  alle 
città  toscane  per  soddisfare  alla  necessità  di  danaro  dell'imperatore  e  sua  (op.  cil.,  pag.  561). 

(2)  Non  solo  al  fol.  25  del  CalefFo  vecchio  dove  lo  vide  il  Davidsohn,  ma  nell'originale, 
alla  sede:  Dipìomaiico.  Prov.  .ìrch.  A'ifortnazioni. 

(3)  AnHquifatcs,  IV,  575. 


I   PATTI   DELLA    LIBERAZIONE   DI   CRISTIANO   DI    MAGONZA  335 


di  questo  avvenimento  colla  difficile  situazione  di  papa  Alessandro  IH.  Se 
anche  nelle  sventure  di  questi  entrava  la  mano  di  Emanuele  Comneno  che 
nel  rappacificamento  del  papa  coll'imperator  Federico  non  poteva  non  ve- 
dere la  maggiore  minaccia  per  le  sue  mire  ambiziose,  se  la  cattura  dell'ar- 
civescovo non  era  che  una  mossa  necessaria  al  trionfo  di  Landò  di  Sezza, 
perchè  staccare  ora  avvenimenti  che  corsero  fin  qui  paralleli  ?  Vediamo  : 
appena  eletto,  il  nuovo  antipapa  trovò  presso  un  fratello  di  quell'Ottaviano, 
la  cui  famiglia  l'aveva  aiutato  a  salire  al  soglio  pontificio,  una  sicura  prote- 
zione in  un  suo  borgo  tra  Roma  e  Palombara;  ma  quantunque  Alessandro  III 
non  disponesse  di  mezzi  migliori  per  abbattere  l'avversario,  pur  tuttavia  con 
raggiri  e  trattative,  soprattutto  per  opera  del  cardinale  prete  Ugo  da  S.  Cle- 
mente della  potente  casa  dei  Pierleoni,  riuscì  ad  alienare  i  partigiani  del 
quarto  antipapa.  Comperato  anzi  per  mezzo  di  un'importante  somma  anche 
lo  stesso  fratello  di  Ottaviano,  consegnò  questi  l'antipapa  insieme  al  suo 
forte  borgo  alla  curia  romana,  e  cosi  Landò  di  .Sezza,  dopo  quattro  mesi  di 
pontificato,  nel  gennaio  1180  venne  portato  prigioniero  a  Velletri  nelle  mani 
di  Alessandro  (i).  Ecco  adunque  che  dopo  quattro  mesi  il  risultato  ottenuto 
con  la  cattura  dell'arcivescovo  Magontino  cadeva,  venendo  insieme  a  man- 
care la  ragion  principale  di  trattenere  il  prigioniero.  Forse  il  bizantino  sentì 
allora  la  solidità  effettiva  dell'unità  della  chiesa  quantunque  da  Alessandro 
ricostituita  appena,  forse  vide  nella  caduta  dell'antipapa  suo  protetto,  nello 
slegarsi  di  tante  fila  così  finemente  e  fortunatamente  conteste,  una  invinci- 
bile necessità  delle  cose,  vide  forse  il  crollo  delle  sue  speranze  accarezzate 
e  spinte  con  mezzi  abbondanti,  largamente  promettenti  in  principio,  abbat- 
tute poi  ad  una  ad  una  quasi  naturalmente  ;  e  rinunciò,  almeno  per  allora, 
al  grande  disegno.  Queste  tendenze  dovettero  manifestarsi  prestissimo  dopo 
la  cattura,  ai  primi  successi  di  Alessandro  III  contro  il  rivale,  e  dovette 
insieme  prestissimo  venir  mano  mano  a  mancare  l'interesse  di  Emanuele 
Comneno  a  trattenere  il  prigioniero,  venendo  d'altro  lato  e  insieme  a  farsi 
sempre  più  grave  la  posizione  de'  suoi  carcerieri  immediati,  i  quali,  restati, 
soli,  poiché  erano  in  giuoco  cominciarono  a  pensare  di  trar  profitto  soprat- 
tutto e  poi  esclusivamente  per  sé  dall'atto  compiuto  soprattutto  per  altri. 
Ecco  a  mio  vedere  la  ragione  delle  trattative  iniziate  prestissimo  dopo  la 
cattura  dai  Alonferrato  coU'arcivescovo  per  la  sua  liberazione, la  ragione  dei 
patti  del  nostro  documento  fissati  qualche  mese  soltanto  dopo  l'imprigiona- 
mento, in  nessun  rapporto  cioè  con  la  morte  dell'imperatore  d'Oriente.  Se 
la  liberazione  poi  si  protrasse  ancora  di  molto,  fu  probabilmente  per  l'im- 
possibilità di  adempiere  prima  a  quei  patti  (2),  ed  è  quindi,  a  mio  vedere, 
inesatto  anche  il  dar  qualche  peso  alla  fortuita  e  d'altra  parte  assolutamente 
imperfetta  coincidenza  della  liberazione  effettiva  dell'arcivescovo  con  la  morte 
dell'imperatore  bizantino,  se  non  forse  in  rapporto  agli  interessi  non  dell'im- 


(i)  Tolgo  quasi  letteralmente  dallo  stesso  Prutz,  che  pur  non  credette  collegar  questi 
fatti  colle  ulteriori  sorti  di  Cristiano  prigioniero. 

(2)  Di  fatto  gli  intervenuti  «  cautelandi  securitate  prestita  usque  ad  kalendas  octubris  » 
supponevano  evidentemente  già  che  la  prigionia  avreì)be  potuto  durare  suppergiù  un  anno 
dal  29  sett.  rr79  fi'l^  kalende  d'ott.  iiSo)  indipendentemente  dagli  interessi  dell'imperator 
bizantino. 

19 


33^  PIETRO  .TORELLI 


peratore  stesso   ma    dei    Monferrato    che  vedevano  con    lui  venir    meno  un 
eventuale  alleato  contro  l'imperatore  d'Occidente. 

Rispetto  al  luogo  della  redazione  del  nostro  documento  ci  si  dovrebbe 
decidere  senz'altro  per  Montefiascone  quando  fosse  davvero  inoppugnabile 
l'asserzione  del  Davicìsohn  che  «  il  castrum  S.  Flavianus  dei  Gesta  Henrici 
è  Montefiascone  »  (i).  Perchè,  veramente,  che  Cristiano  fosse  tenuto  prigione 
anche  in  questo  paese  non  ci  dice  alcun  cronista  ma  lo  si  dedusse,  ragio- 
nevolmente dal  testé  citato  documento  del  2  febbraio  1180.  La  sola  asser- 
zione del  Davidsohn  può  dunque  conciliare  questo  nostro  atto  con  le  cro- 
nache che  ci  dicono  espressamente  e  soltanto  «  primo  in  castello  quod 
vocatur  S.  Flavianus,  secundo...  in  Roca  Wenais,  tercio...  apud  Aquampen- 
dentem  ».  Ma  S.  Flaviano  è  poi  davvero  Montefiascone?  Questo  risulta, 
continua  il  Davidsohn,  «  da  due  documenti  del  Caleffo  vecchio  (Ardi. 
di  Stato  di  Siena,  fol.  28^  e  2=,)  del  2  febbraio  1180».  Il  secondo  di  questi 
documenti  è  quello  già  più  volte  citato,  il  primo  è  una  ^nis  et  reftitatio 
fcitta  da  Girardus  de  Siriano  per  sé  e  per  nove  soldati  che  furono  al  servizio 
di  Siena  a  Tommaso  console  della  città,  di  176  libre  dovutegli  per  stipendio, 
spese  e  danni  incontrati  per  tale  servizio  (2),  e  fu  fatto  «  in  burgo  vSancti  Fla- 
viani  in  domo  Valenzani  ».  Testi  furono  Vaknzamts,  inagistcr  Scopidus  ed 
altri,  notaio  '<  Tras/mmdus  siicv'x  palatii  notarius  et  index  ».  Ora,  l'altro  docu- 
mento della  stessa  data,  ttmte  volte  citato,  fu  fatto  «  in  castro  Montis  Fra- 
sconi, coram  Ugone  de  Valentìa,  Valentlano  et  Trasnmiido  eiusdem  castri  » 
notaio  Scopulus.  L'identità  dei  nomi  fa  facilmente  supporre  l'identità  delle 
persone  e  da  questa  il  Davidsohn  dev'esser  stato  condotto  a  credere  all'iden- 
tità dei  luoghi,  S.  Flaviano  e  Montefiascone.  Se  non  che,  lo  ha  notato  il 
Ficker  (3),  S.  Flaviano  trovasi  vicinissimo  a  Monte  Fiascone;  ed  io  rilevo 
dal  cinquantesimo  dei  documenti  di  S.  Salvatore  sul  monte  Amiata  editi  dal 
Calisse  (4)  che  una  terra  di  S.  Flaviano  è  presso  l'Olpeta  in  quel  di  Valen- 
tano.  Quest'ultimo  paese  non  dista  più  di  una  ventina  di  chilometri  da 
Alontetìascone  e  S.  Flaviano  poteva  esser  posto  tra  l'uno  e  l'altro  e  distare 
quindi  da  quest'ultimo  ancor  meno,  rendendo  spiegabilissimo  l'intervento 
delle  stesse  persone  alla  redazione  di  due  atti  fatti  nello  stesso  giorno  nei 
due  luoghi.  Per  questo  l'asserzione  del  Davidsohn  cade,  a  meno  che  non  si 
voglia  dare  molto  peso  a  questo  fatto;  il  documento  di  S.  Flaviano  venne 
redatto  precisamente  «  in  domo  Valenztmi  »,  e  il  Valentianus  corrispondente 
del  documento  di  Montefiascone  dice  invece  di  essere  proprio  di  Montefia- 
scone. La  cosa  è  risolvibile  solo  con  una  conoscenza  della  storia  locale  che 


(i)  Op.  cit.,  pag.  563,  nota  i. 

(2)  Venne  gentilmente  comunicato  dalla  Direzione  dell'Arch.  di  Stato  di  Siena  a  (]iiella 
di  Mantova,  da  copia  autentica  alla  sede:  l^ìplomalico.  Prov.  Arch.  Riformazioni.  Rilevo 
da  Ilgen,  op.  cit.,  pag.  60,  in  nota,  che  fondandosi  su  cpiesto  documento  «  il  dott.  Wiìstenfeld 
congettura  una  fazione  dei  Senesi  per  liberare  Cristiano,  p]  poiché  i  consoli  di  Viterbo  fanno 
da  mallevadori  in  quell'istrumento,  ne  inferisce  che  il  populus  viterbese,  fiu  da  prima  del 
partito  di  Cristiano,  abbia  prestato  aiuto  quale  alleato  dei  Senesi  ».  Mi  sembrano  troppo 
ardite  illazioni. 

(3)  Forschiingen,  cit.,  11,  pag.  237,  nota  7,  riferendosi  al  Codcx  dipi,  dominii  teiiip.  Sanctae 
Sedis  del  Thkinek.  I,  20. 

(4)  Nell'Arch.  della  R. 'Società  Romana  di  Storia  patria,   1S93,  voi.  XVI,  pag.  2S9. 

20 


I  PATTI  DELLA   LIBERAZIONE   DI   CRISTIANO   DI  MAGONZA  33; 


io  non  ho  qui  modo  di  formarmi.  Esiste,  veramente,  quasi  alle  porte  di 
Montefiascone  un  antichissimo  tempio  di  vS.  Flaviano;  può  esso  avere  un 
tempo  formato  il  centro  di  un  borgo  distinto  dal  castello  che  dà  ora  il  nome 
a  tutta  la  città?  (i)  Questo,  ad  ogni  modo,  vorrebb'essere  confermato  da  ben 
altri  documenti  :  sul  lievissimo  appoggio  di  questi  soli  non  è  lecito  prose- 
guire od  insistere,  tanto  più  che  è  molto  più  semplice  supporre  che  il  nostro 
Valentianus,  pur  essendo  di  Montefiascone,  avesse  una  casa  a  S.  Flaviano. 
È  invece  necessario  far  notare  che  le  fonti  pongono  la  partenza  di  Cor- 
rado per  l'Oriente  dopo  il  traporto  di  Cristiano  d'uno  in  altro  dei  tre  nomi- 
nati castelli:  S.  Flaviano,  Rocca  Wenais,  Acquapendente.  Ora,  siccome  il 
nostro  documento  fu  evidentemente  compiuto  assente  Corrado,  nulla  vieta 
di  credere  che  i  cronisti  non  registrassero  altri  eventuali  mutamenti  di  luogo 
avvenuti  sotto  Bonifacio  e  spiegabilissimi  se  si  vuole  ammettere,  come  par 
certo,  che  i  Monferrato  non  si  trovassero  in  quella  regione  se  non  come 
capitani,  a  capo  cioè  di  milizie  soggette  a  cambiamenti  di  sede  molteplici  a 
seconda  delle  esigenze  della  guerra.  Così,  trascinando  Bonifacio  per  maggior 
sicurezza  con  sé  il  prigioniero,  potè  questi  trovarsi  il  2  febbraio  a  INIonte- 
fiascone,  senza  che  da  tutto  ciò  a  noi  resti  tuttavia  lecita  più  che  una 
illazione  sul  luogo  di  redazione  del  nostro  documento:  non  fu  né  S.  Fla- 
viano né  Rocca  Wenais  perchè  allora  Corrado  essendo  ancora,  a  quanto 
lasciano  intendere  i  cronisti,  in  Italia  e  a  capo  della  spedizione  sarebbe  certo 
intervenuto  alla  stipulazione  dei  patti  come  primo  interessato,  ma,  salvo  altri 
avvenimenti  a  noi  ignoti,  o  Acquapendente  ove  lasciò  il  prigioniero  par- 
tendo per  Costantinopoli,  o  Montefiascone  dove  Cristiano  trovavasi  di  fatto 
il  2  febbraio  1 1 80. 

Passo  a  dar  notizia  di  coloro  che  sono  nominati  nel  nostro  documento 
e  dei  quali  non  ebbi  occasione  di  parlare  fin  qui. 

Ci  si  offre  primo  il  conte  Heinrich  von  Diez  (2).  La  grande  autorità  di 
questo  personaggio  appare  evidente  già  dal  nostro  stesso  documento,  e  fu  di 
fatto  grandissima  anche  presso  l'imperatore.  Prese  nome  da  un  suo  borgo  sul 
Lahn  dove  giacevano  i  principali  possedimenti  della  sua  famiglia,  ed  ebbe 
già  presto  una  parte  notevole  nella  storia  dell'impero  tedesco.  Confidente 
di  Federico  nelle  cose  di  Germania  nel  1 163,  fu  da  lui  adoprato  poi  frequen- 
temente in  importanti  affari.  Fu  vicario  imperiale  in  Lombardia  nel  1165-66, 
e  come  podestà  di  Milano  e  fedelissimo  al  suo  signore  si  mostrò  acerrimo 
nemico  e  vessatore  dei  Milanesi.  Lo  trovo  poi  sempre  con  Federico  nelle  prin- 
cipali riunioni  e  feste,  e  alla  pace  di  Venezia  del  11 77  fra  i  dodici  principi 
tedeschi^egli  giurò  per  l'imperatore.  Probabilmente  non  seguì  Cristiano  nella 
spedizione  d' Italia  ma  fu  dall'imperatore  espressamente  mandato  per  otte- 
nerne la  liberazione,  perchè  alle  feste  di  natale  del  11 79  era  ancora  con  Fede- 
rico a  Wurzburgo.  Lo  ritrovo  poi  soltanto  nel  1182  alle  feste  delle  pente- 
coste in  Mangonza  ;  giurò  la  pace  del  1183  e  sempre  accompagnò  il  suo 
signore,  anche    al  suo   ritorno    in    Italia.  Nel    1188  fu    ambasciatore   presso 


(i)  Giulianova  presso  Teramo  si  chiamava  per  es.  S.  Flaviano  da  un  suo  celebre  tempio. 
(2)  Nelle  forme  corrotte  Dedie  e  Dediest.  Vedilo  del  resto  in  Stumpf  e  Ficekr  scritto  : 
de  Dietze,  Diesi,  Dietze,  Dieze,  Dithse,  Die. 


21 

43  —  Mise,  s.  ni,  T.  xni. 


338  PIETRO   TORELLI 


Saladino  per  disdire  la  vecchia  amicizia  con  Federico  che  si  preparava  alla 
crociata.  Non  l'ho  seguito  più  in  là  di  questo  suo  importantissimo  incarico  (i). 

Ho  già  rilevato  che  cosa  significhi  il  giuramento  che  si  vuole  facciano 
Werner  von  Bolanden  e  Hartmann  von  Bùdingen  :  che  cioè  il  vassallo  agirà  in 
quel  senso  determinato  per  volontà  propria,  indipendente  da  quella  del  signore 
e  eventualmente  anche  contraria.  Werner  von  Bolanden  era  nel  1 158  fra  i  capi 
della  rivoluzione  di  Magonza  contro  l'arcivescovo  ;  sedata  la  quale  venne  come 
esiliato  in  Italia. presso  l'imperatore.  Dopo  questo  fatto  lo  trovo  ripetute  volte 
a  Magonza  (2),  troppo  frammentariamente  tuttavia,  per  la  sola  ragione, 
ritengo,  che  non  ho  modo  di  consultare  nò  gli  Ada  Maguiitina  di  Stumpf, 
nò  i  Regesta  archiepisc.  magitnt.  di  Bòhmer.  So  tuttavia  che  durante  la  pri- 
gionia dell'arcivescovo  il  13  aprile  11 80  si  trovava  con  Hartmann  von  Bù- 
dingen presente  alla  <--  Constitutio  ducatus  Coloniensis  in  Westfalia  »  (3) 
fatta  a  Gelnhausen,  ed  anche,  ma  solo,  alla  «  Sententia  de  advocatis  episco- 
porum  et  munitionibus  »  (4)  emessa  nella  stessa  curia  ancora  in  aprile  ma 
senza  data  di  giorno.  Si  trovò  poi,  come  il  conte  di  Diez,  alla  dieta  gene- 
rale tenuta  da  Federico  in  Magonza  nelle  pentecoste  del  1 182.  Nel  1183  era 
come  Reichsministerial  inviato  dall'imperatore  a  ritirare  per  la  corona,  in 
forza  dello  Spolìenrecht,  il  tesoro  del  defunto  arcivescovo  Arnaldo  di  Treviri: 
è  notevole  che  era  anche  fra  i  feudatari  di  quella  chiesa  arcivescovile.  Sempre 
poi  al  seguito  dell'imperatore,  fu  con  lui  in  Italia  nel  1185  e  86  e  con  lui 
tornò  in  Germania  dove  tenne  l'anno  dopo  prigioniero,  a  nome  dell'impera- 
tore, il  vescovo  Bertram  di  Metz.  Si  trova  poi  spesso  al  seguito  del  re  En- 
rico, né  mi  par  necessario  seguirlo  più  in  là  (5). 

Di  Hartmann  von  Bùtingen,  oltre  quanto  dissi  parlando  del  precedente, 
so  soltanto  ch'era  pur  sempre  ài  seguito  dell'imperatore:  ve  lo  trovo  per 
esempio  in  Stumpf  (6)  costantemente  dal  1182  al  1195. 

Volli  rilevare  la  condizione  sociale  di  questi  personaggi,  forse  presso  di 
noi  poco  noti,  perchè  si  possa  valutare  tutta  la  portata  delle  garanzie  che  i 
Monferrato  vollero  dei  patti  conchiusi  con  Cristiano.  Viene  da  sé  che  del- 
l'arcivescovo Filippo  di  Colonia  principe  dell'impero  è  inutile  far  parola. 

Due  personaggi  entrano  come  mallevadori  dei  patti  consacrati  dal  nostro 
documento,  il  cui  nome  può  far  supporre  relazioni  gravissime  dell'arresto 
dcU'arcicancelliere  dell'impero  o  forse  di  tutta  la  campagna  dei  Monferrato 
nell'Italia  media,  con  Roma  e  Genova.  Sono  questi  Leo  de  Monumento  e 
Grimaldus  Janue. 


(i)  Tolgo  qua  e  là  da  Giesebrecht,  op.  cit.  e  dalle  note  raccolte  di  alti  imperiali. 

(2)  Nei  Regcslen  Christians  che  il  Varrentrapp  fa  seguire  alla  sua  più  volte  citata 
monografia  dell'arcivescovo. 

(3)  Mon.  Germ.  HisL,  Lcgum,  II,  pag.  163-64. 

(4)  Ibidem,  eod.  loc. 

(5)  Vedi  Giesebrecht,  e  le  Raccolte  d'atti  impfiiali.  Del  resto  Werner  von  Bolanden  è 
notissimo  in  Germania  come  uno  dei  più  importanti  fra  quei  Rcìchsminìsterialcn  che  furono 
innalzati  dalla  politica  di  Enrico  VI.  Werner  comandava  ad  una  corte  feudale  che  si  pre- 
tendeva di  iioo  cavalieri!  V.  I.  Loserth,  Geschichte  des  spàteren  Mittelalters.  Monaco,  1903, 
pag.  5  in  Handbnch  d.  Mittcìlalt.  u.  Neueren  Geschichte  di  Below  e  Meineche. 

(6)  Reichstcanter,  Acta  imp.  inedita. 

22 


I   PATTI   DELLA    LIBERAZIONE   DI   CRISTIANO  DI   MAGONZA  339 


Trovo  il  primo  nel  catalogo  dei  presenti  alla  pace  di  Venezia  fornito  da 
uno  degli  Additamenta  al  Chronicon  Altinate,  la  Historia  Ducum  Veneti- 
corum:  «  Leo  de  Monumento,  rornanus  princeps,  cum  hominibus  xviii  »  (i). 
Secondo  poi  il  Gregorovius  (2)  :  «  i  Gesta  Innocentii  III,  cap.  XXIII,  lo 
chiamano  parente  di  Ottaviano  vescovo  di  Ostia  che  (secondo  l'Ughelli,  I,  67) 
era  della  famiglia  Poli  e  congiunto  d'Innocenzo  III.  Indi  ne  parla  nell'anno 
1207  il  testamento  del  cardinale  Gregorio  de  Crescentio  (Galletti,  Del  Pri- 
micer.,  pag.  335).  Un  casale  dava  il  cognome  alla  famiglia  de  Monumento, 
ma  l'origine  ce  n'è  ignota  ».  Seguono  notizie  su  altri  membri  della  famiglia, 
e  poi  più  innanzi  in  un'aggiunta;  «  Forse  la  famiglia  de  Monumento  fu  un 
ramo  degli  Astalli.  La  costruzione  che  le  dette  il  nome  era  la  torre  oggi 
detta  Selce  (turris  de  Selaciis)  nella  regione  Statuario,  sulla  via  Latina  ».  Io 
ho  poi  trovato  nel  lungo  periodo  dal  1177  al  1207  ripetute  volte  il  nostro 
Leo  de  Monumento:  alla  corte  di  Federico  in  Lodi  nel  natale  del  11S5,  e 
prima,  nel  maggio,  pure  al  seguito  dell'imperatore:  nel  11 86  con  re  Enrico 
che  nell'anno  seguente  gli  ordina  di  garantire  al  papa  Gregorio  Vili  buona 
scorta  ovunque  vada  ;  lo  conduce  di  fatto  a  Pisa.  Nell'SS  è  alla  corte  papale, 
e  nell'anno  stesso  e  nel  seguente  ancora  presso  l'imperatore  (3).  Già  dal  1185 
è  qualificato  come  console  romano. 

Ebbe  costui  nel  nostro  atto  la  veste  di  rappresentante  della  sua  città  ? 
C'entrano  le  vecchie  non  ottime  relazioni  di  Roma  con  l'arcivescovo,  c'entra 
da  parte  del  popolo  della  città  eterna  il  ricordo  della  vergognosa  sconfitta  di 
Tuscolo?(4;  O  forse  il  console  di  Roma  ebbe  anche  qui  l'ufficio  di  fatto 
soltanto  ornamentale  che  aveva  già  sostenuto  alla  pace  di  Venezia  ? 

Grimaldus  lanue  si  trova  in  vari  documenti  del  Liber  iurium  reipuhlicce 
lanuensis  dal  1161  al  1184.  Fu  console  della  città  nel  11 62  e  come  tale  andò 
dall'imperator  Federico  a  Pavia  e  poi  a  Torino.  Console  di  nuovo  fu  nel  1 1 70 
e  ancora  poi  nel  11 84.  Non  mi  par  necessario  cercare  di  più,  e  d'altra  parte  il 
solo  nome  di  Grimaldus  basterebbe  a  significare  l'importanza  del  personaggio 
nella  repubblica  genovese.  In  lui  sono  più  disposto  a  vedere  l'inviato  della 
fiera  sua  patria  che  non  poteva  aver  ^dimenticato  1'  antica  inimicizia  con 
Cristiano  nelle  sue  questioni  con  Pisa  pel  possesso  della  Sardegna  (5)  e  le 
sue  abbondanti  elargizioni  di  danaro  al  non  mai  sazio  prelato  (6;. 

Se  queste  mie  osservazioni  hanno  base  di  fatto,  si  può  vedere,  se  non 
nella  concezione  della  trama  contro  Cristiano  di  Magonza  dovuta  alle  mire 
dell'  imperator  bizantino,  almeno  nelle  conseguenze  che  si  cercò  di  trarre 
dal  suo  risultato  finale,  un  significato  più  ampio,  più  italiano.  Forse  correva 
per  tutte  le  fibre  della  penisola  lo  spirito  dei  comuni  lombardi. 


(i)  Mon.  Gemi.  Hist.  SS.,  XIV,  pag.  88. 

(2)  Storia  di  Roma  nel  M.  E.,  lib.  Vili,  cap.  VI,  pag.  602,  nota  36. 

(3)  Vedi  ancora  Gregorovius  pel  11S7,  del  resto  Giesebrecht,  op.  cit.,  voi.  V  e  VI 
passim  e  Stumpf,  op.  cit.,  per  gli  anni  1185-S6.  Una  buona  enumerazione  di  atti  in  cui  è 
ricordato  Leo  de  Monumento  è  in  Scheffer  Boichorst,  Kaiser  Fricdric  I  letztcr  Strcif 
ìiiit  der  Kurie,  pag.  70,  nota  i. 

(4)  30  maggio  1T67.  Vedi  Acerbo  Morena  in  Muratori,  R.  I.  S.,  VI.  Romoaldo 
Salernitano,  ibid.,  VII,  il  C/ironicon  Fossaenovae,  ecc. 

(5)  Canale,  Nuova  istoria  della  rcp.  di  Genova,  I,  pag.   175  e  segg. 

(6)  Ibid.  iSt,  e   1S2. 


340  PIETRO  TORELLI 


Un'ultima  osservazione  sul  contenuto  del  nostro  documento.  I  giuramenti 
di  Guglielmo  di  Monferrato  e  di  Uberto  di  Biandrate,  anche  per  la  loro 
posizione  materiale  già  fuori  del  documento  vero  e  proprio,  debbono  essere 
certamente  posteriori.  Hanno  quasi  il  carattere  di  una  narrazione  e  sono  la 
constatazione  di  un  fatto  avvenuto  solo  quando  i  patti  furono  portati  a  cono- 
scenza di  Guglielmo  ed  Uberto  lontani  dal  luogo  in  cui  furono  stipulati,  ma 
di  un  fatto  che  conserva  tuttavia  la  natura  di  elemento  integrante  del  con- 
tratto in  quanto  ne  è  la  ratifica  da  parte  di  persone  in  esso  direttamente 
interessate.  In  realtà,  se  l'interesse  di  Uberto  di  Biandrate  si  concreta  cer- 
tamente nella  liberazione  del  fratello  ostaggio  dei  soldati  di  Cristiano  di 
Magonza,  ritengo  che  quello  di  Guglielmo  di  Monferrato  assuma  nella  cosa 
assolutamente  il  primo  posto.  Sfatate  senz'  altro  da  tutto  il  documento  e 
infine  da  questa  ratifica  tutte  le  supposizioni  che  nel  fatto  non  fosse  impe- 
gnata realmente  tutta  la  famiglia,  non  posso  non  rammentare  che  una  delle 
nostre  fonti,  dall'Ilgen  appunto  per  questo  episodio  ritenuta  ottima  (i),  dice 
nettamente  che  l'imperator  bizantino  aveva  fornito  grossa  somma  di  danaro 
proprio  al  marchese  Guglielmo  che  a  sua  volta  mandò  il  figlio  Corrado  ricco 
delle  migliori  doti  di  capitano  e  di  soldato  a  combattere  l'arcivescovo  di 
Magonza.  Ed  è  di  fatti  meno  che  naturale  il  voler  togliere  al  marchese 
Guglielmo  in  questo  affare  la  direzione  dell'intera  politica  di  casa  sua.  Tutta 
la  famiglia,  e  quindi  e  soprattutto  il  suo  capo,  era  colpita  in  pieno  dal 
ripudio  di  una  figlia  da  parte  di  Guido  Guerra,  era  vivamente  interessata 
all'acquisto  di  nuovi  possedimenti  in  Toscana,  era  strettamente  legata  alla 
corte  di  Bisanzio  dallo  sposalizio  di  Raineri  con  Maria  avvenuto  nel  febbraio 
del  II 79:  le  cause  insomma  della  campagna  dei  Monferrato  nell'Italia  media 
toccavano  tutta  la  famiglia  e  quindi  e  soprattutto  il  suo  capo.  Il  pericolo  da 
parte  dell'imperatore  Federico  era  d'altronde  forse  men  grave  di  quanto  non 
sembri  ora  a  noi.  Legnano  aveva  gridato  forte  tutto  l' immenso  significato 
d'un  elemento  giovane  e  rigogliosamente  vitale,  nemico  irreconciliabile  delle 
vecchie  pretese  imperiali  ;  anche  più  sentite,  ma  solo  perchè  più  vicine,  erano 
le  ostilità  mosse  nella  Sassonia  orientale  da  Enrico  il  Leone.  Scoppiate  proprio 
nel  settembre  1 1 79  non  dovean  chiudersi  che  colla  dieta  di  Erfurt  nel  novembre 
del  1181  dopo  una  lotta  sempre  favorevole  ma  pure  gravissima  per  l'Impero. 
Era  dunque  facile  al  marchese  di  Monferrato  prevedere  l'impossibilità  d'un 
aiuto,  almeno  immediato,  dell'imperatore  al  suo  legato  d'Italia.  E  i  fatti  giu- 
stificarono le  previsioni  :  molte  minacce  vennero  dalla  corte  Cesarea,  molte 
promesse,  nessun  aiuto  (2).  D'altra  parte  al  suo  ritorno  in  Italia  Federico 
avrebbe  avuto  troppo  bisogno  di  un  appoggio  qualsiasi,  e  nessuno  avrebbe 
potuto  fornirglielo  più  valido  che  il  marchese  di  Monferrato.  Questi  si  sen- 
tiva necessario  e  quindi  sicuro  d'una  sollecita  riconciliazione,  e  i  fatti  rispo- 
sero perfettamente  alle  sue  previsioni:.  l'S  agosto  1182,  a  Vercelli,  Corrado 


(i)  Niccta  Choniatc.  Vedi  Ilgen,  op.  cit.,  pag.  3-4. 

(2)  <.<  Fredericus  modis  omnibus,  quibus  potuit,  mine  asperis  mine  blandis,  temptavit  eicere 
eancellarium  suum  a  eareere  quo  retentus  fuerat,  sed  nee  potuit  ».  Gesta  Henrici  II  in  Mon. 
Germ.  Misi.,  SS.,  XXVll,  pag.  99. 

24 


I  PATTI  DELLA  LIBERAZIONE  DI  CRISTIANO   DI  M AGONZA  34 1 

di  Monferrato  e  il  padre  promettevano  di  intervenire  presso  l'imperatore  in 
favore  dei  Vercellesi,  il  che  vuol  dire  che  godevano  già  o  si  sentivano  già 
sicuri  della  sua  grazia  ;  e  nel'  83  il  forte  vecchio  marchese  poteva  lasciare 
sicuramente  lo  stato  e  recarsi  in  Oriente  a  cercare  la  gloria. 

Questa  del  marchese  Guglielmo  è  una  delle  più  possenti  figure  italiane 
del  suo  tempo  :  «  mentre  gli  altri  rami  Aleramici  di  Saluzzo  e  Busca,  di 
Incisa,  d'Albenga,  di  Savona,  e  più  a  levante  le  case  Obertenghe,  i  marchesi 
Malaspina,  di  Massa,  di  Gavi  e  Parodi,  stirpi  longobarde,  erano  di  mano  in 
mano  assorbite  dai  comuni  già  vassalli,  il  marchese  Guglielmo  di  Monferrato, 
uom  grande  e  nobile,  come  scriveva  suo  cognato  Ottone  vescovo  di  Fri- 
singa,  quasi  solo  dei  baroni  d'Italia  potè  sfuggire  l'imperio  delle  città  »  (i). 
Sono  parole  di  Giosuè  Carducci  che  ne  aveva  poco  prima  dato,  togliendolo 
da  Ottone  Morena,  il  ritratto  :  <;  di  mezzana  statura,  ben  fatto  e  atticciato, 
avea  faccia  tonda  e  rossastra,  capelli  quasi  bianchi  :  grande  e  bel  parlatore, 
virtuoso  e  savio,  ilare  e  giocondo,  munifico  e  non  prodigo  »  (2).  Lo  ricordo 
perchè  la  fortuna  me  n'ha  posto  tra  mano  un  altro,  indiretto  veramente,  ma 
non  meno  compiuto.  Nell'esame  testimoniale  del  1220^  che  più  sopra  ricordai 
a  proposito  di  Guglielmo  di  Palude,  un  teste  «  interrogatus  cuius  coloris  et 
stature  erat  Guilielmus  Asdent  et  dominus  Guilielmus  marchio  ISIonti sferrati, 
de  Guilielmo  Asdente  dicit  quod  erat  magnus  et  pinguis  et  albus  coloris  et 
capud  blondum  et  valde  pulcer  homo  et  sapiens,  et  bonus  et  acerimus  miles. 
De  domino  Vilielmo  marchio  dicit  illud  idem  preter  quod  non  erat  ita  pin- 
guis set  magis  rubei  coloris  erat  ». 

E  questi  il  fondatore  vero  della  potenza  dei  Monferrato,  e  la  sua  invitta 
figura  ricorda  fieramente,  in  mezzo  al  sorgere  nuovo  delle  libertà  comunali, 
tutte  le  superbe  virtù  dominatrici  dell'antica  nobiltà  castellana,  in  strano 
contrasto  coll'antica  leggenda  Aleramica  «  dove  la  gente  degli  oppressori 
stranieri  è  riamicata  nella  oscurità  del  lavoro,  nella  carità  del  dolore,  nella 
serenità  del  valore,  al  popolo  oppresso  »  (3). 

Mantova,  gennaio  1907. 


(i)  Carducci,  Gli  Aleramici,  Nuova  antologia,  II  serie,  42,  18S3,  pag.  442. 

(2)  Ibid.,  pag.  440. 

(3)  Ibid.,  loc.  cit.,  pag.  434. 


25 


342  PIETRO  TORELLI 


DOCUMENTO 


(i  179  sett.  29  -  1 180  febb.  2). 

Convenzione  tra  Cristiano  arcivescovo  di  Magonza  e  Corrado  marchese  di 
Monferrato  rappresentato  dal  fratello  Bonifacio,  per  cui  il  primo  giura 
di  far  riaccogliere  per  privilegio  nella  grazia  dell'  Imperatore  Corrado  e  com- 
plici ;  di  non  scendere  più  come  legato  imperiale  in  Italia,  ma  solo  coli' Im- 
peratore stesso  o  col  consenso  dei  Monferrato  ;  di  opporsi  ad  ogni  ostilità 
de  W  Imperatore  verso  di  loro  ;  di  7nandar  nunci  in  Germania  a  far  giurare 
l' osservanza  di  ttitto  questo  a  4  prÌ7icipi  dell'impero  e  a  /\  vassalli  propri  ; 
di  restituire  gli  ostaggi;  di  pagare  12000  perperorum  ;  tì^/ /«/-  sì,  coli' Ar- 
civescovo di  Colonia,  die  Alessandria  venga  distrutta  ;  di  non  tentare 
frattanto  la  fuga.  Conferma  con  giura^nento  l'osservanza  di  tali  patti  il 
conte  Heinrich  von  Diez,  costituendosene  mallevadore. 

Bonifacio  di  Monferrato  promette  da  parte  sua  la  liberazione  dell'  Ar- 
civescovo entro  8  giorni  dall'  adempimento  di  quei  patti;  del  che  si  fa 
mallevadore  il  conte  Ildeprandino  e  il  die  conferrìiano  poi  Guglielmo  di 
Monferrato  e   Uberto  di  Biandrate. 

In  nomine  domini  nostri  ihesu.  in  perpetuum  amen,  hec  est  convencio 
et  concordia  que  facta  est  inter  dominum  Cristianum  Maguntinum  archiepi- 
scopum  et  dominum  Cunradum  filium  marchionis  Montisferrati.  presentibus 
et  assensum  prebentibus  istis  videlicet  domino  Bonifacio  filio  eiusdem 
Marchionis  Guilielmi  Montisferrati,  comite  Aldeprandino  et  Guilielmo  Mar- 
chione  Paloti,  et  magistro  Elemosina,  et  Alprandino  de  Sancto  Marco  et 
Oberto  Pastrono  Vignali,  et  presente  domino  C.  Maguntinus  Archiepiscopus 
iuravit  supra  sancta  evangelia  tenere  firmiter  hec  supscripta  capitula.  Ego 
C.  Maguntinus  Archiepiscopus  bona  fide  promitto  et  iuro  quod  dominus 
Fredericus  Romanorum  inperator  et  rex  Henricus  filius  eius  restituet  gra- 
tiam  suam  et  bonam  voluntatem  plenarie  domino  C.  filio  ^larchionis  Mon- 
tisferrati et  coauttoribus  eius  videlicet  Raincrio  comiti  Blandrati  et  filiis 
Boni  comitis  et  Spoletanis  et  aliis  hominibus  qui  propter  dominum  C.  iram 
domini  inperatoris  incurrerunt,  et  ob  hoc  nuUum  malum  eis  faciet.  Dominus 
etiam  Magjuntinus]  legacione  in  Italia  qualem  hactenus  habuit  aut  consimi- 
lem,  maxime  manu  armata,  non  habebit  nisi  de  voluntate  C.  vel  patris  eius 
aut  fratris  si  forte  C.  decederet  et  nisi  dominus  inperator  vel  rex  Henricus 
filius  eius  veniret  in  Italiam,  et  si  forte  dominus  inperator  vel  rex  Henricus 
filius  eius  vellet  ofendcre  dominum  Guilielmum  Marchionem  aut  filios  eius 
aut  terram  eorum,  quod  dominus  C.  Archiepiscopus  bona  fide  daret  operam 
quod  non  faceret  et  per  se  Maguntinus  non  ofenderet,  Insuper  dominus 
Philippus  Coloniensis  Archiepiscopus    iurabit  quod  bona   fide    faciet  tenere 

26 


I   PATTI  DELLA   LIBERAZIONE  DI  CRISTIANO  DI   MAGONZA  343 


C.  Maguntinum  Archiepiscopum  hanc  concordiam  et  tres  alii  principes 
domini  imperatoris  iurabunt  idem  quod  dominus  Coloniensis  Archiepiscopus, 
quos  omnes  Henricus  cum  legatis  jMarchionis  elegerint.  Preterea  Guarnerius 
de  Bonland  et  Artemannus  de  Botingen  cum  duobus  aliis  vasallis  IMagun- 
tini  Archiepiscopi  quos  predicti  nuncii  Marchionis  cum  comite  Henrico  ele- 
gerint idem  iurabunt  quod  dominus  Coloniensis.  luravit  eciam  dominus 
Maguntinus  quod  reddet  obsides  quos  habet  ipse  vel  alius  prò  eo,  et  absolvet 
videlicet  Rainerium  Blandratensem  et  alios.  Pecuniam  quoque  quam  a 
domino  Cunrado  recepit  videlicet  xii  milia  perperoi;um  aut  conpensacionem 
congruam  et  suficientem  reddet  sic,  medietatem  dabit  ante  liberacionem 
carceris,  aliam  vero  medietatem  infra  tres  menses  postea.  Insuper  eciam 
dominus  Maguntinus  C.  bona  fide  operam  dabit  quod  dominus  inperator 
observabit  gratiam  suam  quam  per  privilegium  suum  dabit.  Ad  hec 
etiam  C.  Maguntinus  et  Philippus  Coloniensis  Archiepiscopus  operam 
dabunt  bona  fide  sine  fraude  et  malo  ingenio  quod  Alexandria  que 
palea  cognominatur  destruatur  nec  gratiam  domini  inperatoris  aut  filii  eius 
regis  Henrici  aliquo  tempore  habeat  nisi  per  parabolam  Marchionis  jNIontis- 
ferrati  Guilielmi  aut  filiorum  eius  et  quod  a  potestate  et  dominio  eorum  non 
absolvatur.  luro  eciam  ego  C.  Maguntinus  Archiescopus  quod  infra  terminum 
quo  nuncii  ierint  et  redierint  prò  hoc  negocio  non  exibo  capcionem  nec 
exeundi  operam  dabo. 

Ego  Comes  Henricus  Dediest  iuro  supra  sancta  dei  evangelia  quod  bona 
fide  observabo  convencionem  factam  inter  dominum  C.  ÌMaguntinum  Archie- 
piscopum et  dominum  C.  filium  Alarchionis  Alontisferrati  et  observari  faciam 
a  domino  Maguntino  Archiepiscopo  et  insuper  faciam  quod  dominus  inpe- 
rator et  rex  Henricus  restituent  C.  Marchionis  jMontisferrati  filium  in  pleni- 
tudine gratie  sue  et  iram  et  omnem  suam  indignationem  remittent  coaiuto- 
ribus  eius  quam  propter  ipsum  Cunradum  incurrerunt.  Et  si  forte  dominus 
inperator  ex  aliquorum  sinistra  relacione  iram  vel  indigna cionem  aut  mali- 
volenciam  aliquam  concepit  adversus  Guilielmum  Marchionem  Montisferrati 
vel  Bonifacium  filium  eius  aut  comitem  Aldeprandinum  omni  modo  eis 
remittet.  Insuper  eciam  de  iuramento  principum  et  vassallorum  prestando 
et  de  pecunia  solvenda  et  obsidibus  reddendis  sicut  in  convencione  inter 
dominum  C.  Maguntinum  Archiepiscopum  et  dominum  C.  facta  scriptum 
est  observabo  et  observari  faciam,  et  insuper  bona  fide  dabo  operam  quod 
dominus  inperator  observabit  gratiam  suam  quam  per  privilegium  dabit 
]\larchioni  et  filiis  eius  et  aliis  coaiutoribus  C.  Quod  si  forte  hec  supradicta 
a  domino  Maguntino  observata  non  fuerint,  ego  comes  Henricus  veniam  in 
capcione  Marchionis  et  filiorum  eius  ad  mandatum  et  voluntatem  eorum.  Et 
super  hec  omnia  dominus  inperator  privilegium  suum  dabit  Guilielmo  Mar- 
chioni  Montisferrati  et  filiis  eius  de  gratia  data  et  restituta  eis.  Quod  si  forte 
C.  mandatum  patris  et  fratris  Bonifacii  et  comitis  Aldeprandini  contcpnens 
gratiam  domini  inperatoris  rennueret,  nichilominus  marchio  Alontisferrati  et 
filius  eius  Bonifacius  et  comes  Aldeprandinus  gratiam  domini  inperatoris 
habeant,  et  dominus  C.  Maguntinus  Archiepiscopus  pecuniam  eis  et  obsides 
secundum  quod  ordinatum  est  reddat,  et  capcione  sic  exeat  et  infra  ter- 
minum quo  nuncii  eunt  ad  dominum  inperatorem  et  redeunt  dominus 
C.  Maguntinus  Archiepiscopus  non  exibit  de  capcione  nec  operam  dabit 
exeundi.  Et  si  forte  aliquo  casu  exiret  ego  comes  Henricus  dabo  operam  ut 
redeat,  quod  si  non  rediret  ego  comes  Henricus  in  eandem  capcionem  intrabo. 

Ego  comes  Aldeprandinus  iuro  super  sancta  dei  evangelia  quod  veniente 
comite  Henrico  vel  alio  nuncio  vel  aliis  nunciis  ex  parte  domini  inperatoris 
et  regis  Henrici  filii  sui,  representato  et  dato  suo  privilegio  vel  cartis  de 
plenitudine  gratie  domini  imperatoris  et  filii  eius  date  et  reddite  Guilielmo 
marchioni  ]\Iontisferrati  et  filiis  eius  et  comiti  Aldeprandino  sine  fraude  uni 
eorum  vel  omnibus  reddite  et  soluta  medietate  pecunie,  prò  alia  vero  medietate 


344  PIETRO  TORELLI   -   I   PATTI   DELLA   LIBERAZIONE,   ECC. 


securitate  prestila  et  sicut  est  ordinatum  et  scriptum  in  convencione  et  obsi- 
dibus  reditis  infra  Vili  dies  reddeam  personam  domini  C.  Maguntini  Archie- 
piscopi liberam  et  absolvam  et  absolvi  faciam  in  loco  securo  secundum  suam 

voluntatem et  legatorum    domini   inperatoris  vel  legati.  Quod  si   forte 

dominus  C.  vel  aliquis  loco  eius  conpletis  his  qui  in  convencione  sunt  domi- 
num  archiepiscopum  nollet  liberum  dimitere,  ego  comes  Aldeprandinus  vel 
ipse  in  capcionem  comitis  Henrici  veniam  vel  filium  meum  dabo  in  loco  ei 
secure. 

Ego  Bonifacius  iuro-  idem  quod  comes  Aldeprandinus  et  insuper  faciam 
bona  fide  et  sine  fraude  Marchionem  IMontisferrati  hoc  idem  iurare  et  obser- 
vare,  et  insuper  iuro  quod  cum  a  Tuscia  recedere  voluero,  personam 
domini  archiepiscopi  comiti  Aldeprandino  dabo  in  loco  ei  securo. 

Hoc  idem  iuravit  Alprandinus  de  Sancto  Marco  et  Obertus  Pastronus 
de  Vignale  hoc  idem  iuravit,  Ugolinus  Valencie  hoc  idem  debet  iurare. 

Omnibus  his  interfucrunt  celandi  (i)  securitate  prestila  usque  ad  Kalendas 
octubris  Magister  Elemosina,  Fredericus  filius  Lantegravii  (?),  Leo  de  Monu- 
mento, Guillielmus  Marchio  de  Palode,  Grimaldus  lanune  [sic).  Ego  magister 
Vivianus  et  wScistus  interfuimus  et  scripto  comendavimus. 

Ego  C.  Maguntinus  Archiepiscopus  propria  manu  subscripsi. 

Guilielmus  Montisferrati  Marchio  hoc  idem  iuravit  quod  comes  Alde- 
prandinus et  Bonifacius  fihus  eiusdem  Marchionis.  Ubertus  comes  Blandrati 
hoc  idem  iuravit  quod  Guilielmus  Marchio  Montisferrati. 


fi)  Cautelaudi  ? 


28 


A.  TELLUCCINI 


LA  TRANSLAZIONE  DELLE  SALME 

DI 

DUE  PRINCIPESSE  DI  SAVOIA 

DALLA 

CHIESA  DE'  SS.  XII  APOSTOLI 
IN   ROMA 


44  —  Mise,  S.  Ili,  T.  XIII. 


V  Y  V  V  V  V  V  V  Y  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  V  VV  VV  V^T^^T^-'v"'/  S^  V  VV  VV  js^jTy 


Nella  chiesa  de'  SS.  XII  Apostoli  in  Roma  (i)  ove,  insieme  con  il  suo 
sposo,  giace  sepolta  la  principessa  Caterina  di  Savoia  (2),  trovarono  pure 
per  qualche  tempo  riposo  le  salme  di  altre  due  principesse  della  stessa  Casa: 
l'infanta  Maria  (1656)  e  la  principessa  Maria  Felicita  (1801). 

Al  presente,  però,  nulla  ci  ricorda  questi  ultimi  due  depositi  essendo 
state  le  salme  trasportate  altrove,  o  in  omaggio  ad  un  desiderio  manifestato  in 
un  atto  di  ultima  volontà,  od  in  seguito  alla  pietosa  cura  di  qualche  parente. 

La  prima  principessa  dunque  che  trovò  sepoltura  nella  basilica  Costan- 
tiniana fu  l'infanta  Maria  di  Savoia,  nata  l'S  febbraio  1594  da  Carlo  Ema- 
nuele I  e  dall'infanta  Caterina  d'Austria. 

Di  questa  principessa,  che,  come  la  sorella  Francesca  Caterina  (3),  pre- 
feri alle  agiatezze  della  Corte  le  austerità  della  vita  monastica,  esiste  una 
ampia  biografia  del  padre  Alessio  Bernardino,  suo  confessore  (4),  rimaneg- 
giata più  tardi  dal  Croset-Mouchet  (5).  Un'  altra  biografìa  è  del  Fratini  (6), 
che  ha  pubblicato,  ampliandola,  quella  manoscritta  e  fino  ad  allora  inedita 
del  padre  Franchini,  minore  conventuale  (7). 

L'infanta  Maria,  dopo  che  insieme  con  la  sorella  ebbe  visitati  i  santuari 
del  Piemonte,  perduta  la  compagna  delle  sue  pie  peregrinazioni  (8),  mosse 
alla  volta  di  Roma  ove  capitò  nell'anno  santo  (1650),  e  vi  si  trattenne  per 
attendere  alle  pratiche  di  religione. 

Innamorata  del  «  Poverello  d'Assisi  »  di  cui  seguiva,  come  terziaria,  le 
regole,  volle  poscia  recarsi  in  pellegrinaggio  alla  volta   della  basilica   dedi- 


(i)  Armellini,  Le  Chiese  di  Roma  dal  sec.  vi  al  xix.  Roma,  1891,  pp.  249-252. 

(2)  Caterina  di  Savoia-Carignano-Soissons-Villafranca,  figlia  del  principe  Luigi  Vittorio, 
nacque  il  4  aprile  1762  e  morì  in  Roma  il  4  settembre  1S23.  È  sepolta  insieme  con  il  marito 
nella  chiesa  de'  SS.  Apostoli  nel  pilastro  fra  la  cappella  di  S.  Francesco  e  quella  di  S.  Giu- 
seppe da  Copertino.  Lattari  F.,  I  viomimenti  dei  principi  di  Savoia  in  Roma.  Roma,  1S79, 
pp.  81-91. 

(3)  V.  Arpio  Maurizio,  Vita  dell Infa7ita  Catterina  di  Savoia,  religiosa  del  terzo  Ordine 
di  S.  Francesco.  Annecy,  1670. 

(4)  Bernardino  Alessio,  Vita  della  Serenissima  Infanta  Maria  di  Savoia,  ecc.  Mi- 
lano,  MDCLXIII. 

(5)  Croset-Mouchet  G.,  Vita  della  Veneranda  Serva  di  Dio  l'Infanta  Maria  Francesca 
Apollonia  Principessa  di  Savoia,  ecc.  Torino,  1878. 

(6)  Fratini  G.,    Vita  de IV Infanta  Maria  di  Savoia,  Terziaria  Francescana.  Foligno,  1897. 

(7)  Vita  dell'Infanta  di  Savoia.  Manoscritto  originale  del  P.  Franchini  da  Modena,  pre- 
sentemente presso  l'archivio  del  Rev.  Padre  Generale  de'  Minori  Conventuali. 

(8)  Francesca  Caterina  di  Savoia  morì  il  20  ottobre  1640.  V.  Cibrakio,  Storia  di  To- 
riato, II,  p.  58. 


348  A.   TELLUCCINI 


cata  al  serafico  santo,  e  prese  occasione  da  quella  gita  per  visitare  altre 
città  fra  cui  Montefalco,  Loreto  e  Perugia  (i). 

Tornata  in  Roma  verso  i  primi  di  dicembre  del  1653  (2),  i  biografi  ne 
assegnano  la  sua  dimora  in  varie  località:  prima  in  Borgo  (3),  nelle  vici- 
nanze di  S.  Pietro  in  Vaticano,  poscia  nel  palazzo  di  un  certo  Duca  Ge- 
nesio  (4),  quindi  in  una  villa  presso  Frascati  (5),  da  cui  sarebbe  passata  ad 
abitare  di  nuovo  in  Borgo,  e  finalniente  in  un  palazzo  Pamphili,  sito  nei 
pressi  del  Quirinale  (6). 

Nello  stabilire  la  casa  da  ultimo  abitata  dall'  infanta  e  nella  quale  essa 
morì  regna  molta  confusione  fra  i  suoi  biografi  e  non  crediamo  perciò  inop- 
portuno recare,  con  la  scorta  di  documenti,  un  po'  di  luce  sopra  questo 
punto. 

Il  Litta  (7),  che  la  vuole  morta  nel  monastero  delle  Oblate  a  Tor  de' 
Specchi,  equivoca  senza  dubbio  sul  tempo  in  cui  l' infanta  alloggiò  presso 
quelle  monache.  Essa  infatti  dimorò  nel  monastero  predetto;  ma  questo  fu 
in.  occasione  della  sua  prima  venuta  a  Roma  —  1650  —  (8). 

Il  Fratini  (9),  non  nominando,  dopo  quello  di  Borgo,  altro  alloggio  oc- 
cupato dall'infanta,  implicitamente  viene  ad  ammettere  che  ivi  essa  morì. 
F'  Alessio  indica  come  luogo  di  morte  un  palazzo  Pamphili,  situato  alle 
falde  del  Quirinale  (io). 


(i)  V.  Alessio,  op.  cit.,  pp.  165,  177,  180,  e  Croset-IVIouchet,  op.  cit.,  p.  115. 

(2)  Croset-Mouciiet,  op.  cit.,  p.  12S, 

(3)  Alessio,  op.  cit.,  p.  189;  Croset-Mouchet,  op.  cit.,  p.  129;  Fratini,  op.  cit.,  p.  202. 
Il  palazzo  di  Borgo  è  quello  situato  in  piazza  Scossacavalli,  ove  attualmente  risiede  l'Ospizio 
Apostolico  dei  Convertendi.  Appartenne  da  prima  agli  Spinola  genovesi,  poi  al  cardinal  di 
Bibiena  e  poscia  fu  destinato,  per  elargizione  del  cardinale  Gastaldi,  ad  ospizio  per  gli  eretici. 
In  questo  palazzo  morì  Carlotta  di  Cipro  moglie  di  Ludovico,  duca  di  Savoia.  V.  Belli  A., 
Delle  case  abitate  in  Roma  da  parecchi  uomini  illustri.  Roma,  1850,  p.  36,  e  Venuti  R., 
Accurata  e  succinta  descrizione  topografica  e  istorica  di  Roma  moderna.  Roma,  mdcclxvi, 
pag.  461. 

(4)  Alessio,  op.  cit.,  p.  190.  Il  Croset-iMouchet,  op.  cit.,  p.  143,  aflerma  che  il  palazzo 
del  duca  Genesio  trovavasi  «  su  di  un  certo  colle  ».  Il  Fratini,  op.  cit.,  p.  203,  dice  che  il 
palazzo  abitato  dall'infanta,  dopo  quello  di  piazza  Scossacavalli,  fu  «  il  palazzo  Sanesi  posto 
alla  Longara  'fra  Trastevere  e  ìiorgo  ».  L'esistenza  di  un  palazzo  Sannesio  o  Sanesi  è  ricor- 
data anclie  dal  Venuti  R.  nell'op.  cit.,  ]).  511,  e  dal  Nolli  nella  sua  Pianta  di  Roma,  ta- 
vola XXIV,  n.  1254,  e  sarebbe  sorto  di  rimpetto  alla  chiesa  di  S.  Spirilo  nel  breve  tratto 
di  via  che  mena  alla  Porta  S.  Spirito  o  del  Sangallo,  mentre  non  abbiamo  trovato  nessun 
accenno  del  palazzo  Genesio. 

(5)  Alessio,  op.  cit.,  p.  191  ;  Croset-Mouciiet,  op.  cit.,  p.  143.  Trattasi  della  Villa  Aldo- 
brandini  in  Frascati  detta  di  Belvedere.  V.  Venuti  R.,  op.  cit.,  II,  pp.  522-523. 

(6)  Alessio,  op.  cit.,  p.  192. 

(7)  Litta,  Famiglie  illustri  italiane  (Duchi  di  Savoia,  tav.  XVI). 

(8)  Alessio,  op.  cit.,  p.  159;  Croset-Mouchet,  op.  cit.,  pp.  104-105;  Fratini,  op.  cit., 
pag.  127. 

(9)  Fratini,  op.  cit.,  p.  203. 

(io)  Alessio,  op.  cit.,  p.  193.  Nella  prima  pagina  dell'opera  dell'Alessio  è  stampato  un 
ritratto  in  rame  dell'infanta  Maria  in  abito  monacale.  Detta  stampa  reca  in  basso  la  seguente 
inscrizione  : 

effigies  seren.  infantis  mariae  a  sabavdia 
e  più  sotto  : 

OBIJT   ROMAE   in    AEDinVS    PAMPHIJLIANIS   SVB    CIVIRINALI    DIE   XIII    IVLIJ 

1656 

Somigliantissimo  a  questo  ritratto  è  la  copia  di  uno  ad  olio  dell'infanta  medesima  che  il  Litta 
op.  loc.  cit.,  riproduce  in  una  stampa  colorata  e  che  dice  esistente  presso  le  Cappuccine  di 
Torino. 

6 


LA   TRANSLAZIONE   DELLE   SALME   DI   DUE   PRIXXIPESSE   DI   SAVOIA     349 

Il  Croset-Mouchet,  che,  come  abbiamo  accennato,  rimaneggiò  ed  alleg- 
gerì la  biografia  dell'Alessio,  nel  trovarsi  dinnanzi  ad  un  palazzo  Pamphili 
ne'  pressi  del  Quirinale,  di  cui  ai  suoi  tempi  non  si  aveva  più  nessuna 
memoria,  non  andò  troppo  per  il  sottile,  e  ricordando  che  una  pronipote 
del  papa  Pamphili,  a  nome  Olimpia,  aveva  sposato  (16  giugno  1635)  il  prin- 
cipe Alaffeo  Barberini  (i),  il  cui  palazzo  era  situato  nelle  vicinanze  del  Qui- 
rinale, affermò  senz'altro  che  l' infanta  abitò  e  morì  proprio  nel  palazzo 
Barberini  (2). 

Per  essere  però  tale  palazzo  situato  sulle  alture  e  non  alle  falde  del 
colle  predetto,  il  Croset-]\[ouchet  doveva  scostarsi  dall'opera  dell'Alessio, 
che  aveva  sempre  seguito,  ma  questo  egli  fece  con  gran  disinvoltura  (3). 

L'esistenza  in  quei  tempi  di  un  palazzo  Pamphili  tra  la  via  Mazzarino 
e  Monte  Magnanapoli  (4),  (l'attuale  via  Nazionale),  ci  fece  pensare  per  un 
momento  ad  esso  come  al  probabile  luogo  di  ultima  abitazione  dell'infanta, 
sopratutto  per  il  fatto  del  seguito  trasporto  della  sua  salma  nella  chiesa  dei 
SS.  Apostoli,  che  comprendeva  sotto  la  propria  giurisdizione  parrocchiale 
il  palazzo  predetto. 

L'indicazione  però  data  dall'Alessio,  che  il  palazzo  Pamphili  in  questione 
dovesse  essere  sub  Quirinali,  ci  ha  fatto  senz'altro  abbandonare  ed  escludere 
tale  ipotesi. 

Questo  era  lo  stato  dell'intricata  questione  che  ci  si  parava  innanzi.  Per 
diradarla  le  prime  nostre  indagini  furono  rivolte  all'  archivio  della  chiesi 
de'  SS.  Apostoli:  diciamo  subito  che  se  scarso  fu  il  frutto  di  quelle  ricerche 
esse  per  altro  servirono  a  porci  sulla  buona  via. 

Trovammo  infatti  nel  Libro  dei  Alorti  una  semplice  annotazione  suU'av- 
venuto  ricevimento  del  cadavere  dell'infanta  in  quella  chiesa  (5). 

L'annotazione,  pero,  era  troppo  semplice  e  laconica  per  non  porci  in 
guardia.  Se  la  defunta  avesse  appartenuto  alla  parrocchia  de'  SS.  Apostoli, 
dato  l'alto  suo  lignaggio,  chi  ne  registrò  il  ricevimento  della  salma,  non  si 
sarebbe  limitato  a  darne  la  nuda  notizia.  Inoltre  non  era  neppure  dichiarato, 
cosa  comune  ad  annotarsi  in  quei  tempi  negli  atti  di  morte  dei  parrocchiani, 
se  l'infanta  avesse  ricevuti  i  sacramenti  prima  di  morire,  il  che  ci  mera- 
vigliò non  poco  pensando  quanto  religiosa  e  pia  essa  fosse  stata  in  vita. 

Venuti  nella  persuasione  che  l'ultima  sua  abitazione  doveva  essere  posta 
sotto  altra  parrocchia,  iniziammo  le  indagini  presso  gli  archivi  delle  chiese 
alle  falde  del  Quirinale.  Fu  così  che  in  quello  della  chiesa  dei  SS.  Vincenzo 
ed  Anastasio  a  Trevi  raccogliemmo  la  prova  che  ci  convinse  pienamente 
aver  abitato  l'infanta  Maria  sotto  la  giurisdizione  di  questa  parrocchia  l'ul- 
timo anno  di  sua  vita. 


(i)  Cancellieri  F.,  //  Mercato,  il  Lae^o  de//' Acqua   Vergine  ed  il  Palazzo   Paiifiliaìio  al 
Circo  Agonale,  ecc.  Roma,  mucccxxi,  p.  no. 

(2)  Palazzo  situato  nell'attuale  via  delle  Quattro  Fontane, 

(3)  Croset-Mouchet:  «  Olimpia  Pamphili-Barberini  offrì  all'Infanta  il  magnifico  palazzo 
da  pochi  anni  costrutto  sulle  alture  del  Quirinale  ». 

(4')  Nuova  pianla  di  Roma  dala  in  luce  da    Giambattista    Nolm  l'anno  mdccxlviii,   ta- 
vola XX,  Rione  Trevi,  n.   169. 

(5)  Ardi,  chiesa  de' S5.  Apostoli  in   Roma  :   Mortuoruni  Liber  E.    1631-1661,  aff.   151. 


350  A,   TELLUCCINI 


Dal  Libro  dello  stato  delle  anime  (i),  del  165Ò  risulta  infatti  che  in  quel- 
l'anno essa  dimorò  insieme  con  la  %\x2i  J ani i glia,  in  un  palazzo  sito  a  sinistra 
della  via  ora  detta  della  Stamperia,  che  da  piazza  Fontana  di  Trevi  menava 
aW Angelo  Citstode,  l'attuale  via  del  Tritone  Nuovo. 

Un  manoscritto  da  noi  consultato  a  caso  e'  informò  poi  che  nel  punto 
sopraindicato  i  Pamphili  possedevano,  fin  dall'anno  1650,  un  palazzo,  nel 
quale  oggi  risiede  la  R.  Calcografia  (2). 

Non  è  esatto  quanto  afferma  l'Alessio  a  proposito  della  dimora  dell'in- 
fanta Maria  nel  palazzo  Pamphili.  Egli  invero  sostiene  che  ciò  sarebbe 
av^venuto  perchè  la  celebre  donna  Olimpia,  dopo  la  morte  del  cognato,  In- 
nocenzo X,  decise  di  lasciare  il  suo  palazzo  a  Fontana  di  Trevi  per  ritirarsi 
ad  abitare  in  quello  di  piazza  Navona  (3). 

Risulterebbe  invece  che  donna  Olimpia,  specialmente  nell'  ultimo  anno 
di  vita  di  quel  pontefice,  già  risiedeva  nel  sontuoso  palazzo  al  Circo  Ago- 
nale, dove  la  vediamo  spesso  ricevere  (4)  papa  Innocenzo  X,  che  si  recò 
da  lei  fino  nell'ottobre  del  1654,  pochi  mesi  cioè  prima  ch'egli   morisse  (5). 

Del  resto  una  prova  decisiva  che  esclude  aver  donna  Olimpia  dimorato 
nel  palazzo  nei  pressi  del  Quirinale,  noi  la  rileviamo  dal  citato  Libro  dello 
stato  delle  anime  (6),  dal  quale  risulta  che  nell'anno  della  morte  d'Inno- 
cenzo X  (7  gennaio  1655),  il  palazzo  Pamphili  a  Fontana  di  Trevi  era  disa- 
bitato e  che  negli  anni  1653  e  1654  vi  aveva  risieduto  la  Famiglia  dell' Emi- 
nentissirno  Cardinale  Maidaccliino  (7). 

Questo  porporato  non  è  altri  che  Francesco  Maldachini  ,  nipote  di 
papa  Innocenzo  X,  che  la  cognata  di  questo  fece  eleggere  cardinale  a  soli 
15  anni,  per  non  perdere,  con  la  rinuncia  al  cappello  cardinalizio  del  proprio 
tìglio  Camillo,  il  prestigio  che  essa,  come  prossima  congiunta  del  cardinale 


(i)  Arch.  chiesa  SS.  Vincenzo  ed  Anastasio  a  Trevi  :  Liber  Status  ainmai-um  ab  anno  1653 
Hsqiie  ad  1666. 

Famiglia  della   Ssrsnissima   Signora   Infanta  di  Savoia. 

La  Sercnissiuia  Signora  Infanta  Sig'''    Anna  Maria  i-acia 

L'Ill"ia  Signora  Marchesa  »       Angela  Cuconita 

»  »        D,  Margarita  Forni  »       Lodovica  Forno 

»  »        D.  Anna  Aiciata  »       (iironiina  Cuconita 

Suor  Ciiromina  Cocunita  »       Ottavia  Gianatta 

»     Margarita  Anselnia  »       Anna  M.   Binella 

»     Francesca  Cattarina  l'erota  »       Clara 

»     Vittoria  M.   Brunetta  »       Madama    sic)  Mora 

»      Cattarina  Pora  Cattarina  Curta 

»     Maria  Castagnira  Anna  M.  Curta. 

Cristina  Castagnera 

Margarita 

Gentildonna  della  Sig.  Marchesa 

(2)  Arch.  Stato  di  Roma:  Famiglie  romane  ,    3-131.    Ms.  anon.,    p.  211.  «  1650    Olimpia 
Panfili  comprò  il  palazzo  del  Card.  Coriiaro  presso  Fontana  di  Trevi  per   andare  all'Angelo 

Custode,  passato  poi  in  pertinenza  della  famiglia   Doria  e   nell'anno acquistato    dalla 

Camera  per   uso   della   Stamperia  con    un  canone  perpetuo  di  scudi  500  a  favore  della  casa 
Doria  ». 

(3)  Alessio,  op.  cit.,  p.   193. 

(4)  Cancellieri,  op.  cit.,  pp.   110-112. 

(5)  Idem,  p.  113. 

(6)  Arch.  chiesa  SS.  Vincenzo  ed  Anastasio  a  Trevi,  doc.  cil. 

(7)  Arch.  cit.,  anni  1655-1653-1654. 

8 


LA   TRANSLAZIONE   DELLE   SALME   DI   DUE   PRINCIPESSE   DI    SAVOIA     35 1 


padrone,  aveva  fino  ad  allora  esercitato  sui  prelati  e  sullo  stesso  sacro 
collegio  (i). 

Stabilito  con  sicurezza  il  luogo  ove  da  ultimo  dimorò  e  mori  la  infanta 
Maria,  veniamo  ora  a  fissare  la  data  della  sua  morte,  intorno  alla  quale 
regna  pure  qualche  incertezza. 

L'x\lessio  (2)  ed  il  Cibrario  (3)  segnano  quella  del  13  luglio  1656;  il 
Croset-Mouchet  (4),  seguito  dal  Lattari  (5),  indica  quella  del  14.  L'unica  fonte 
che  poteva  rassicurarci  sopra  questo  punto  era  l'atto  di  morte,  ed  in  questo 
noi  leggiamo  la  data  del   13  luglio   1656  (6). 

Anche  sul  giorno  in  cui  la  salma  fu  portata  nella  chiesa  de'  SS.  Apo- 
stoli v'è  divergenza  fra  i  varii  biografi. 

Per  l'Alessio  tale  trasporto  sarebbe  avvenuto  il  secondo  giorno  dopo  la 
morte  (7),  e  siccome  questa  è  da  lui  fissata  al  13  luglio  il  trasporto  sarebbe 
stato  effettuato  il  15  successivo.  Il  Croset  Alouchet,  che  stabilisce  il  14  luglio 
come  data  di  morte,  avendo  inoltre  affermato  che  la  salma  rimase  esposta 
per  due  giorni  nella  galleria  del  palazzo  Barberini  [sic]  (8),  viene  ad  ammet- 
tere che  solo  il  giorno  16  essa  fu  portata  in  SS.  Apostoli.  Anche  qui  sulla 
base  di  documenti  possiamo  affermare  che  il  trasporto  del  cadavere  ebbe 
luogo  il  14  luglio  (9)  a  hore  2  di  notte  (io). 

Come  in  vita  l'infanta  rifuggì  da  ogni  pompa  e  forma  esterna,  così  anche 
il  suo  funerale  fu  assai  modesto.  La  salma  vestita  d'habito  monacale  di  panno 
bigio  cinto  di  corda  col  manto  nero,  con  una  croce  sopra  il  petto,  et  corona 
di  fiori  di  seta  sopra  del  capo  (11),  fu  rinchiusa  in  una  cassa  di  cipresso,  che 
venne  collocata  entro  una  carrozza  dell'  infanta  medesima.  Tale  carrozza, 
circondata  da  quattro  torcie,  era  seguita  da  altre  vetture  con  entro  persone 
della  swa.  famiglia,  che,  come  abbiamo  veduto  (12),  componevasi  di  sei  suore, 
di  dame  ed  altri  personaggi  del  seguito,  in  tutto  circa  trenta  persone. 


(i)  Cancellieri,  op.  cit.,  pp.  107-108. 

(2)  Op.  cit. 

(3)  Op.  cit.,  p.  57  II. 

(4)  Op.  cit.,  p.  185. 

(5)  Op.  cit.,  p.  59. 

(6)  Adì  13  luglio  1656:  «  Passò  da  questa  a  miglior  vita  la  Serenissima  Infanta  Maria  di 
Savoia,  havendo  prima  ricevuti  devotamente  tutti  li  Santissimi  Sacramenti  e  fu  depositata 
nella  Basilica  de'  SS.  Xil  Apostoli  per  esser  poi  trasportata  nella  Chiesa  di  .S.  Francesco  in 
Assisi  come  haveva  disposto  nel  suo  Testamento  ».  Liber  li  Mortuoruììi  ab  anno  1652  usque 
ad  an.  1700,  aff.   13.  Arch.  Parrocchia  SS.  Vincenzo  ed  Anastasio  a  Trevi,  Roma. 

j)  Op.  cit.,  p.  222. 

(8)  Op.  cit.,  p.  167. 

(9  Anno  Domini  1656,  die  14  julij  :  Omissis.  L'istessa  sera  a  hore  due  di  notte  con  quattro 
torcie  fu  portato  in  questa  nostra  Chiesa  per  portarlo  poi  a  suo  tenipn  netta  nostra  Chiesa 
d' Assisi  il  Cadavere  dell' Altezza  di  Madama  D.  Maria  Infanta  di  Savoia.  —  Mortuarum 
Liber  E.,  1631-1661,  aff.  151.  Arch.  chiesa  SS.  XII  Apostoli,  Roma,  e  Testimoniali  di  rice- 
vimento della  salma  in  detta  chiesa,  rogate  dal  Notaio  Antonio  Leone,  14  luglio  1659.  Liber 
Moriuoruiìi  F.    1661-1696,  aff.  6.  Arch.  cit. 

(io)  Alessio,  op.  cit.,  p.  222,  «  verso  Phora  di  notte  ». 

(11)  Testintoniali,  cit. 

(12)  Liber  status  anitnaruni,  anno  1656  cit. 
9 


352  A.   TELLUCCINI 


Giunta  la  salma  nella  chiesa,  alla  presenza  dei  Padri  Maestri  Giovanni 
Battista  Orsini  e  Giovanni  Battista  da  Rivarolo,  minori  conventuali  (i),  ebbe 
luogo  l'atto  di  riconoscimento. 

r, 'abate  Gio.  Antonio  Aghemio  aprì  la  cassa  mortuaria  ed  il  cadavere 
venne  riconosciuto  dal  Conte  Ottavio  del  Carretto,  primo  Maggiordomo  della 
Altezza  sua,  dal  Conte  Lazaro  Baratta  primo  silo  Scudiere,  dal  Conte  Gio.  Andrea 
di  Cavar  etto  e  dal  Padre  Bernardo  Alessio  confessore  dell'  Infanta  stessa  (2). 

Sigillata  di  nuovo  la  cassa  di  cipresso  e  rinchiusa  in  altre  due,  una 
delle  quali  di  piombo,  il  feretro  venne  dato  in  consegna  al  padre  sacrestano 
della  chiesa  e  collocato  in  un  piccolo  camerino  a  canto  di  detta  Sacristia. 

Non  è  possibile  presentemente  stabilire  il  luogo  di  tale  provvisoria 
sepoltura,  giacché  è  noto  che  la  chiesa  de'  SS.  Apostoli,  minacciando  rovina, 
fu  di  nuovo  rifabbricata  nel  1702  su  disegno  dell'  architetto  Francesco 
Fontana  (3). 

Nessuno  degli  autori  da  noi  consultato  si  è  preso  cura  di  indicare  per 
quanto  tempo  la  salma  sia  rimasta  in  deposito  a  Roma. 

L'Alessio  ed  il  Lattari  non  ne  parlano  affatto,  il  Croset-Mouchet  dopo 
aver  accennato  al  trasporto  in  SS.  Apostoli  si  limita  a  dire  che  la  salma 
di  lì  a  poco  tempo  fu  portata  ad  Assisi  (4),  ed  il  Fratini,  mentre  nella  sua 
Storia  della  Basilica  e  del  Convento  di  S.  Francesco  d'Assisi,  edita  nel  1882, 
tace  su  questo  particolare,  nella  vita  dell'infanta,  posteriore  all'  opera  anzi- 
detta, pur  non  precisando  la  data,  afferma  che  la  translazione  della  salma 
da  Roma  ad  Assisi  non  ebbe  luogo  prima  del  1662,  spiegando  questo  ritardo 
come  conseguenza  della  peste,  che  nella  seconda  metà  del  secolo  xvir,  da 
Napoli  si  propagò  a  Roma  (5). 

Comunque,  a  noi  consta  che  proprio  nel  1662,  e  più  precisamente  il 
14  ottobre,  il  cadavere  dell'infanta  venne  tolto  dal  suo  loculo  provvisorio. 

Tale  data  che  ci  viene  indicata  da  una  semplice  annotazione  che  si  legge 
nel  Libro  dei  ]\Iorti  della  chiesa  de'  vSS.  Apostoli  (6),  è  confermata  dal  rogito 
steso  in  quell'occasione  dal  notaio  Francesco  Pacichelli  (7). 

Da  tale  atto,  che  noi  abbiamo  esaminato,  rilevasi  che  il  14  ottobre  di 
detto  anno,  presenti  i  testimoni  abate  Gio.  Antonio  Aghemio  e  reverendo 
G.  A.  Leoni,  la  salma  dell'infanta,  che  dovea  omai  trasferirsi  in  Assisi,  fu 
tolta  dalla  cameretta  accanto  alla  sacristia,  ove  trovavasi  fin  dal  14  luglio 
1656,  e  portata  in  una  camera  attigua  al  portone  del  convento  de'  Santis- 
simi Apostoli. 


(i)  La  chiesa  de' SS.  XII  Apostoli  venne  concessa  ai  frati  dell'Ordine  dei  minori  con- 
ventuali con  Bolla  pontilicia  «  Sedis  apos/o/icac  providcidia  »  del  1°  luglio  1463.  Rclazioite 
sul  Convento,  Chiesa  e  Sao  istia  dei  SS  XII  Apostoli.  Ms.  anon.  Arch.  chiesa  SS.  Apo- 
stoli, Roma. 

(2)  Testiìiioniali,  cit. 

(3)  Venuti  Ridolfino,  op.  cit. 

(4)  Op.  cit.,  p.  188. 

(5)  Fratini,    Vita  deW Infanta,  ecc.,  p.  226. 

(6)  «  Et  alti  14  ottobre  1662  fu  di  nuovo  estrulta  la  detta  Cassa  et  Cadavere  ».  Annota- 
zione in  calce  alle  Testimoniali  cit. 

(7)  Aftestatio  de  translatione  et  reeognitione  Cadaveris  Serenissiinae  Infantis  Sororis 
Mariae  Sabaudij.  Atto  rog.  Francesco  Pacichelli  14  ottobre  1662.  Arch.  notarile  distrettuale 
Roma.  iS.  390,  anno  1662. 

10 


LA   TRANSLAZIONE   DELLE  SALME  DI   DUE  PRINCIPESSE   DI   SAVOIA      3^^ 

Quivi  alla  presenza  pure  del  padre  guardiano  del  convento  stesso,  frate 
Francesco  Grassi,  la  cassa  venne  aperta  ed  il  cadavere  di  Sua  Altezza  fu 
riconosciuto  dai  testimonii  suddetti  e  dai  padri  G.  Battista  da  Rivarolo  e 
Giovanni  Sacco  sacrestano. 

Dopo  di  ciò  fu  steso  il  relativo  verbale  e  la  cassa  venneMi  nuovo  chiusa 
e  sigillata  col  sigillo  di  S.  Altezza  in  tre  luoghi. 

Pel  trasporto  che  ne  segui  da  Roma  ad  Assisi,  il  Fratini  ci  informa  che 
papa  Alessandro  VII  offrì  una  bellissima  lettiga  e  mandò  ad  accompagnare 
la  salma  il  maestro  di  casa  dei  Sacri  Palazzi  Apostolici,  insieme  con  pa- 
recchie guardie  palatine  (i),  cui  si  associarono  tre  religiosi  dell'ordine  dei 
minori  conventuali. 

Non  si  conosce  con  precisione  la  data  di  arrivo  della  salma  ad  Assisi  : 
questa  avremmo  voluto  fissare  con  certezza,  ma  le  ricerche  colà  eseguite  non 
hanno  corrisposto  alle  nostre  speranze.  Il  già  ricco  archivio  della  basilica  di 
S.  Francesco  è  ornai  spoglio  di  documenti,  che  furono  trasportati,  al  tempo 
della  soppressione  dell'ordine,  nella  biblioteca  civica  di  Assisi,  ove  non  tutti, 
però,  sono  conservati  (2). 

Se  per  mancanza  di  prove  non  possiamo  stabilire  il  giorno  in  cui  la 
salma  dell'infanta  ]\Iaria  giunse  in  Assisi,  siamo  però  in  grado  di  affermare 
che  questa  non  ebbe  subito  sepoltura  definitiva.  Il  Fratini  ci  fa  sapere  che. 
come  a  Roma,  essa  venne  depositata  in  una  stanza  ne'  pressi  della  sacristia, 
e  noi  aggiungiamo  che  solo  nel  1663  si  pensò  a  dare  alla  salma  medesima 
sepoltura  definitiva. 

Dal  verbale  di  un  Consiglio  tenuto  dai  padri  del  convento  di  Assisi, 
risulta  infatti  eh?  appena  l'ii  giugno  1663  fu  deciso  di  chiedere  il  permesso 
al  Gonfaloniere  della  città  di  runipere  il  pavimento  innanzi  l'altare  delle  San- 
tissime Reliquie  dovendosi  fare  il  sepolcro  per  la  Serenissima  Infa?ita  di 
Savoia  (3).  In  esso  la  salma  fu  trasportata  il  12  successivo, 

Tale  data  che  viene  fornita  dal  manoscritto  del  padre  Franchini  (4)  è 
confermata  dalla  bolletta  di  consegna  al  sagrestano-economo  della  cera 
avanzata  il  giorno  12- giugno  dalla  funzione /é?/"  la  sepoltura  data  all'  In- 
fanta Maria  (5). 

Così  finalmente  dopo  sette  anni  l'infanta  Maria  potè  avere  sepoltura  de- 
finitiva. Ora  la   sua  salma  riposa  nel    bel   tempio  d'Assisi,  sotto  la  predella 


(i)  Fratini,  op.  cit.,  p.  226. 

(2)  Il  reverendo  Padre  Maestro  Francesco  Maria  Dall'Olio,  custode  del  S.  Convento  di 
Assisi,  che  ha  per  noi  cortesemente  esplorato  l'Archivio  civico  di  (juella  città,  non  ha  potuto 
rinvenire  neppure  il  Libro  dei  morti  già  appartenente  alla  basilica.  I  documenti  che  verremo 
citando  e  che  si  riferiscono  alla  sepoltura  dell'infanta  in  Assisi  ci  furono  gentilmente  comu- 
nicati dal  reverendo  Padre  predetto,  al  quale  qui  pubblicamente  esprimiamo  i  sensi  della 
nostra  gratitudine. 

(3)  Libro  de'  Consigli  del  S.  Convento  d'Assisi  ann.  1644-1656.  Arch.  basilica  d'Assisi,  ora 
Biblioteca  civica  ivi. 

(4)  «  fu  sepolta  quivi  il  giorno  dodecimo  di  giugno  l'anno  1663,  in  giorno  di  martedì  ad 
un  bora  di  notte  ».  Ms.  cit. 

(5)  Libro  della  Cera.  XX,  1657-1670,  die  13  giugno  1663.  Arch.  basilica  d'Assisi  ora  nella 
Biblioteca  civica  ivi.  In  occasione  della  definitiva  sepoltura  furono  celebrate  nella  basilica  di 
Assisi  seicento  messe  in  suffragio  dell'anima  dell'infanta  Maria.  Liber  Erarij  incipiens  ab 
anno  1650  usque  ad  annuni  1664  per  totum  tneìisem  junij.  Arch.  cit. 

II 

45  —  Mise,  S.  Ili,  T.  XIII. 


354  ^-    TELLUCCINI 


dell'altare  di  S,  Giovanni  Battista,  detto  delle  reliquie,  ove  sul  pavimento 
leggcsi  in  una  lapide  di  porfido  la  seguente  inscrizione,  che  il  Fratini  (i  t  dice 
dettata  dal  pontefice  Alessandro  VII. 

MARIA  .  CAROLI  ,  EMM  .  SABAVDIAK  .  DVCIS  .   ET  .  CATHARINAE  .  HISPAN  .  INFANTIS  .   F  . 

S  .  FRANCISCI  .  TERTIVM  .  ORDINEM  .  VESTE  .   MORirìVS  .  VIRTVTHWS  .   PROFESSA 

VITAE  .  ASPERITATE  .  CONTINENTIA  .  CONVEKTKN'Ul   .  HAERETICOS  .  STVDIO 

SACRIS    .    PEREGRINATIONIBVS    .  ALENDIS   .    PAVPERIBVS  .  TEMPLIS    .    ORNANDIS 

MAGNAM    .    SANCTIMONIAE    .    FAMAM    .     CONSECVTA    .    OB    .    ROMAE    .     AN.    MDCLVI    .    AET   .    LXII 

ATQVE  .  UIC  .  VBI  .  SEPVIXRI  .  LOCV.M  .  SIBI  .  DELEGIT  .  CONDITA  .  EST 

*    * 

Maria  Felicita,  nata  il  19  marzo  1730  da  Carlo  Emanuele  IH  e  dalla  sua 
seconda  moglie  Polissena  d'Assia  Reinfels  Rottembourg,  è  l'altra  principessa 
di  Savoia,  che  trovò  provvisoria  sepoltura  nella  chiesa  dei  .SS.  Apostoli 
in  Roma. 

Anche  questa  principessa  fu  molto  pia  e  caritatevole,  e  sebbene  non 
abbia  seguito  la  vita  austera  e  quasi  monastica  dell'  infanta  INJaria,  pure  si 
tenne  del  tutto  lontana  dallo  splendore  della  Corte  (2). 

Un  ospizio  tutt'ora  esistente  nei  pressi  di  Torino  sta  a  testimoniare  della 
sua  carità:  alludiamo  all'Ospizio  delle  vedove  e  nubili  di  civil  condizione  da 
lei  fondato  nel   1787  sui  disegni  dell'architetto  Faletti  (3). 

In  un  interessante  ed  elaborato  studio  Cesare  Fraschetti  (4)  tratta  esau- 
rientemente della  morte  di  questa  principessa,  avvenuta  il  13  maggio  1801  (5), 
nel  palazzo  Colonna  in  Roma. 

Note  sono  le  ragioni  politiche  per  cui  Maria  Felicita,  insieme  con  lo 
sventurato  suo  nipote,  Carlo  Emanuele  IV,  si  trovasse  in  quei  tempi  in  Roma, 
come  altrettanto  noti  sono  i  vincoli  di  parentela  per  cui  il  principe  Colonna 
offrì  all'  esule  Re  di  Sardegna  ed  alla  sua  famig^lia  ospitaliti\  nel  proprio 
palazzo  (6). 


(i)  Op.  cit.,  p.  228. 

(2)  Fino  alla  metà  del  secolo  scorso  un  appartamentino  a  pianterreno  del  Rea!  Palazzo 
di  Torino,  prospicente  il  ,£;;iardino,  era  denominato  di  Madama  Felicita.  In  questo  apparta- 
mento, restaurato,  alloggiò  nel  1857  l'imperatrice  di  Russia  Alessandra  Federowna,  vedova 
di  Nicolò  I.  Rovere,    Descrizione  del  A\  Palazzo  di  Torino.  Torino,   1858,  pp.  47-56. 

(3)  CiBRARio,  Storia  di  Torino,  II,  pp.  66-67,  riporta  la  seguente  lapide  posta  nell'Ospizio 
a  ricordo  della  benefica  fondatrice  : 

MARIA    FELICITA    A   SABAVDIA 

REGVM  FILIA  SOROR  AMITA 

REGIVM   HUNC   VIDVARVM   CONVICTVM 

MIRA     PROVIDENTTA     EXCITAT 

SVMMA     AVCTORITATE     TVETVR. 

4)  Un  Funerale,   Un^ Abdicazione ,   Un  Battesimo  —  Memorie  Sahaude,  in  Rivista  d'Italia, 
fase.  I,  gennaio  1903. 

(5)  11  CiBRARio,  op.  loc.  cit.,  indica  come  anno  di  morte  il  1S02.  Dopo  la  pubblicazione 
da  parte  del  Fraschetti  nella  memoria  citata  dell'atto  di  decesso  della  Principessa,  estratto, 
dall'archivio  parrocchiale  de'  SS.  Apostoli,  non  può  nascere  più  dubbio  alcuno  su  tale  anno. 

(6)  D.  Filippo  Colonna  era  marito  di  Caterina  di  Savoia-Carignano,  cugina  di  Carlo  Ema- 
nuele IV.  —  V.  Fraschetti,  op.  cit.,  e  Silvagni,  La  Corte  e  la  Società  Romana  nei  se- 
coli xviii  e  XIX.  Firenze,  18S1,  I,  p.  1S97. 

12 


LA   TRAXSLAZIONE   DELT.^    '=^^^"     '  '    ^^'^    PRIXXIPESSE   DI    '^ 


La  salma  della  principessa  fu   sepolta  la  sera  del  15  maggio   1801   nella 
chiesa  de'  SS.  Apostoli,  annessa  al  palazzo  Colonna,  nella  cappella  della  Con-  • 
cezione  (i),  ove  restò  fino  al  1858. 

Nel  1857,  essendo  venuto  a  morte  il  commendatore  Agostino  Chiaveri  (2) 
ed  avendo  lasciato  con  suo  testamento  ventimila  scudi  perchè  fossero  eseguiti 
dei  restauri  alla  cappella  predetta,  i  religiosi  officianti  la  chiesa  si  rivolsero 
al  marchese  Migliorati,  ministro  della  Legazione  sarda  presso  la  S.  Sede, 
perchè  chiedesse  istruzioni  al  suo  governo,  essendo  necessario  di  erigere 
alla  principessa  Alarla  un  più  ricco  monumento,  che  armonizzasse  cogli  abbel- 
limenti che  si  aveva  in  animo  di  fare  (3). 

Re  Vittorio  Emanuele  II,  cui  fu  riferita  la  cosa,  ordinò  che  l' abate 
Stellardi,  suo  cappellano  e  cancelliere  della  R.  Cappella,  si  recasse  in  Roma 
per  ritirare  la  salma  della  Sua  congiunta. 

Lo  Stellardi  parti  da  Genova  il  4  dicembre  1857  sul  vapore  postale 
«  l'Avventino  »  e  giunse  a  Civitavecchia  il  6  successivo  (4).  Il  ministro  della 
Legazione  sarda  in  Roma  aveva  intanto  iniziate   la  pratiche  necessarie  per 


(i)  II  Lattari,  op.  cit.,  p.  64,  riporta  l'inscrizione  della  lapide  apposta  sulla  tomba  della 
principessa,  lapide  che  ora  trovasi  nella  R.  Chiesa  del  Sudario  in  Roma,  murata  nella  parete 
destra  del  corridoio  che  mena  alla  sacristia,  senza,  però,  nessuna  indicazione  che  ne  attesti 
la  provenienza. 

D.  O.  M. 

MARIA    FELICITA   A    SABAVDIA 

VIRGO 

SANX'TIMONIA    MORVM    INNOCENTI  A 

PRAESTANTISSIMA 

MAGNANIMA    PIETATE 

INSITA 

AERE     SVO     AD     TAVRINOS     MONTES 

COENOBIVM 

VIRGINIBVS   VIDVISQVE 

TVTA     EST 

ADVERSAE     FORTVNAE     IMPETV     MAJOR 

RELIGIONIS  FORTITVDINIS  EXEMPLVM 

AB   ATAVORVM   AVLA 

VLTRA     TVRRHENVM     AD     SARDOA     LITORA 

INDE    PER   VNIVERSAM    ITALIAM 

PROTRAHENS 

HOSPITA  PHILIPPI  COL\':viNAE 

PRINCIPIS   AFFINI 

NEAPOLITANI   REGNI   CONESTABILIS 

ROMAE   OBIIT   IN    DOMINO 

TERTIO    IDVS   MAJVS   MDCCCI 

VIXIT   ANNOS    .    LXXI    .    MENSEM    .    I  .  UIES    .    XXIV 

KAROLVS   EMANVEL   IV 

SARDINIAE   REX   PIENTISSIMVS 

AMITAE     KARISSIMAE    AD     EXVVIAS 

HIC    INTERIM    SITAS 

MOERORIS  OBSERVANTIAE  ERGO 

M.    P. 

(2)  Dal  Libro  dei  Consigli  del  Convento  de'  SS.  Apostoli  (Arch.  Chiesa  omonima\  anìio 
1857,  p.  149,  la  data  del  testamento  risulta  essere  quella  del  26  luglio  1S57. 

(3)  Il  ministro  della  Legazione  sarda,  che  si  recò  a  visitare  il  monumento,  lo  descrive 
infatti  come  assai  modesto,  «  componendosi  di  un'urna  circondata  da  un  muro  a  cuiesovrap- 
posta,  siccome  coperchio,  una  lapide  ».  Lettera  del  Migliorati  al  Conte  Nigra,  ministro  della 
R.  Casa.  Arch.  R.  Torino. 

(4)  Relazione  dell'abate  Stellardi  al  Conte  Nigra,  ministro  della  R.  Casa.  1°  marzo  1S58. 
Arch.  R.  Torino. 

lì 


356  A.    TELLUCCINI 


eseguire  la  rimozione  del  cadavere  ;  ma  queste  andarono  tanto  in  lungo  che, 
quando  giunse  il  7  dicembre  l'abate  Stellardi,  dovette  attendere  alcuni  giorni 
prima  di  poter  compiere  il  mandato  affidatogli. 

Solamente  il  10  gennaio  1858  il  cadavere  della  principessa  potè  essere 
tolto  dalla  sua  sepoltura  provvisoria. 

A  tale  funzione,  cui  furono  presenti  il  parroco  ed  alcuni  religiosi  offi- 
cianti la  chiesa  de'  SS.  Apostoli  (i),  intervennero  l'abate  Stellardi  ed  il 
ministro  in  Roma  del  Re  di  Sardegna:  testimoni  furono  monsignor  Pietro  Sola, 
vescovo  di  Nizza,  ed  il  marchese  Giulio  Raggi,  già  scudiere  della  regina 
Maria  Cristina. 

Tolta  la  lapide,  di  cui  già  conosciamo  l' iscrizione,  venne  alla  luce  una 
cassa  mortuaria  di  piombo  (2).  Constatato  che  questa  non  presentava  traccia 
di  manomessione  venne  senz'altro  rinchiusa  in  una  nuova  di  legno  sulla 
quale  fu  posta  una  placca  di  metallo  a  ricordo  del  disseppellimento  (3). 

Della  seguita  cerimonia  fu  steso  il  relativo  verbale  sottoscritto  dallo 
Stellardi,  dal  ministro  e  dai  testimonii,  i  quali  ascoltarono  poi  la  messa  cele- 
brata in  suffi-agio  della  defunta. 

Nella  sera  poi  del  14  gennaio  la  cassa,  posta  in  una  vettura,  partì  accom- 
pagnata dallo  Stellardi,  dal  marchese  Migliorati  e  da  quattro  carabinieri, 
concessi  da  Pio  IX  quale  scorta  fino  a  Civitavecchia.  Colà  giunse  sulle  prime 
ore  del  mattino  seguente  e  subito  venne  caricata  sulla  nave  della  R.  Marina 
sarda,  il  «  Monzambano  »,  ove  fu  collocata  nella  sala  d'armi  e  ricoperta  dalla 
bandiera  nazionale. 


(i)  In  occasione  della  translazione  della  salma,  Vitlorio  Emanuele  II  donò  alla  chiesa  dei 
SS.  Apostoli  un  calice  d'argento,  che  tuttora  si  conserva,  fornito  dall'orefice  di  Roma  Luigi 
Freschi,  del  peso  di  oncie  40  112,  ornato  dello  stemma  di  Savoia  e  recante  la  seguente  in- 
scrizione :  Victorius  Eìiimanuel  II  Sardiniae  Rex  Parrocciae  SS.  XII  Apostoloruni.  Nonis 
/aniiarii  MDCCCLvni.  Relazione  citata  e  Lettera  di  ringraziamento  pel  dono  ricevuto  del 
padre  p^uardiano  de'  Minori  conventuali  al  'ministro  del  Re  di  Sai-degna  in  Roma,  13  gen- 
naio 1858.  Arch.  cit. 

(2)  Essa  recava  la  seguente  inscrizione  : 

MARIA    FELICITA    DI   SAVOIA 

NATA    IN   TORINO 

I.I     19     MARZO     1730 

MOiriA    IN    ROMA 

LI      13      M  A  G  (^  I  <  )      I  S  o  I 

Relazione,  cit. 
(3) 

MARIA     FELICITA 
PRINCIPESSA   DI   SAVOIA 
NATA     IN    TORINO    ALLI     I9    MARZO     1730 
.  MORTA    IN  ROMA   ALLI    I3    MAGGIO  180I 

E    DEPOSITATA    NELLA   CAPPELLA    DELL'IMMACOLATA 

AI   SS.    DODICI    APOSTOLI 

PER   ORDINE    DEL    RE   VITTORIO    EMANUELE   II 

NE   FU   LEVATA 

NEL  GENNAIO   DELL'aNNO    1858 

E   TRASPORTATA   A   TORINO 

PER    ESSERE    QUINDI    TUMULATA 

NEL   REAL    SEPOLCRETO    DELLA    BASILICA 

DI   SOPKRGA 

Ibid. 

14 


LA   TRANSLAZIONE  DELLE   SALME   DI   DUE   PRINCIPESSE   DI   SAVOIA      357 


La  nave  salpò  da  Civitavecchia  alle  9  ^/.^  antimeridiane  del  giorno  15 
per  arrivare  il  dì  seguente  a  Genova  :  nel  pomeriggio  dello  stesso  giorno 
proseguì  per  Torino,  ove  giunse  alle  9,40  di  sera. 

La  sepoltura,  che  venne  data  alla  principessa  Maria  ne'  sotterranei  della 
chiesa  metropolitana  di  S.  Giovanni,  doveva  essere  provvisoria,  giacché  si 
aveva  in  animo  di  trasferire  subito  il  feretro  alla  R.  Chiesa  di  Superga. 
Stante  la  cattiva  stagione  quel  trasporto  venne  differito  e  fu  solo  effettuato 
il  IO  settembre  1858  (i). 

Ora  la  salma  della  pia  e  caritatevole  principessa,  che'  visse  negli  ultimi 
anni  una  vita  travagliata  per  avere  veduto  il  Piemonte  occupato  dalle  truppe 
francesi  ed  il  monarca,  suo  nipote,  prendere  la  via  dell'esilio,  riposa  nella 
sovrana  pace  dei  RR.  sepolcreti  di  Superga,  nella  seconda  camera  a  sinistra 
della  cappella  centrale  sotterranea,  vicino  alla  salma  di  un'altra  principessa 
sua  congiunta,  che  le  vicende  politiche  fecero  vivere  per  parecchi  anni  esule 
a  Roma:  la  principessa  Maria  Anna  del   Chiablese. 

La  lapide  che  ricorda  la  principessa  Maria  Felicita  fu  dettata  da  Luigi 
Cibrario  : 

FELICITATIS    .   A    .   SABAVDIA 

F   .    REGIS   .    CAROLI   EMMANVELIS    .    Ili 

VIRGINIS    .    PIENTISSIMAE    .    ALTRICIS   .    EGENTIVM    .    PERPETVAE 

QVAE   .    DECESSIT    .    ROMAE    .    Ili   .    IDIBVS    .    MAH    .    A    .    MDCCCI    .    ANNOR    .    LXXI 

OSSA    .    AB    .    VRBE    .   TRANSLATA    .    COMPOSVIT    .    APVD    .    MAJORES    .    SVOS 

REX    .    VICTORIVS    .    EMMANVEL    .    II    .    A    .    MDCCCLVIII    . 

Settembre  1907. 


(i)  Verbale  di  ricevimento  della  salma  nella  R.  Chiesa  di  Superga.  10  settembre  1S5S. 
Ardì.  cit.  Il  Lattari,  op.  cit.,  p.  65,  ignorando  forse  questa  sosta  di  circa  otto  mesi  della 
salma  a  Torino,  afferma  che  il  cadavere  di  Maria  Felicita  da  Roma  fu  trasportata  in  Pie- 
monte e  poi  a  Superga  il  10  settembre  1858. 


RANC1':SC()    KTOENIO     DI     SAX'OIA 
Conte    di    Soissons 


GIOVANNI  SFORZA 


IL   PRINCIPE 

Eugenio  Francesco  di  Savoia 

CONTE  DI  SOISSONS 

E    IL    SUO    FIDANZAMENTO 

cox 

MARIA  TERESA  CYBO 

DUCHESSA  DI  MASSA 


vvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvv  vv  v>/^>' V  v^/'^'^^^^v^v^v^v^vv^'^vv^v>^^ 


I. 


Il  7  decembre  del  17 io  mancò  ai  vivi  Carlo  II  Cybo  duca  di  Alassa  (i). 
Fin  dal  9  giugno  del  1705  aveva  fatto  il  suo  testamento,  col  quale  istituì 
erede  universale  il  primogenito,  Alberico  III,  principe  di  Carrara,  che  gli 
succedette;  e  lasciò  un  assegno  agli  altri  due  figliuoli,  Camillo  e  Alderano  (2). 


(i)  Cfr.  Diana  Palhologo  G.  B.  Orazione  detta  ne'  funerali  del  Serenissimo  D.  Carlo 
Cibo  Malaspina  Duca  del  S.  R.  1.  'e  di  Massa,  Principe  di  Carrara,  Duca  di  Ferentino, 
Duca  d'/ìjello,  Signore  di  Padula  Beneventana,  et  e.  Dedicata  alT  Eccellentissima  Signora 
Principessa  D.  Attua  Panfilia  Daria,  In  Lucca,  mdccxi.  Per  Pellegrino  Frediani;  in-8'',  con 
una  tavola  rappresentante  il  catafalco,  che  fu  inventato  da  Alessandro  Bergamini  e  inciso  da 
Teodoro  Ver  Cruijsse.  Vi  è  unita,  con  frontespizio  a  parte,  V Orazione  del  Conte  Gio.  Bat- 
tista Diana  Paleologo  della  ne'  funerali  della  Signora  Duchessa  di  Massa  D.  Teresa 
Panfilia  Cibo,  e  dedicata  all' Eininentissimo  Sig^'.  Cardinale  D.  Benedetto  Panfilio. 

{1)  Il  testamento,  che  si  conserva  nel  R.  Archivio  di  Stato  in  Massa,  è  tutto  scritto  di 
suo  pugno.  Così  dispone:  «Venendo  all'accomodamento  de'  miei  dilettissimi  figli  D.  Camillo 
e  D.  Alderano,  secondogeniti,  et  in  conseguenza  allo  stabilimento  della  mia  Casa  e  succes- 
sione, ho  lasciato  e  lascio,  a  titolo  d' instituzione  et  in  ogni  altro  miglior  modo  che  possa 
esprimersi  e  faccia  di  bisogno,  alli  predetti  miei  figli  secondogeniti  scudi  millecinquecento 
di  lire  otto,  moneta  di  Massa,  per  ciascheduno  di  loro;  da  pagarseli  annualmente,  loro  vita 
durante  e  naturale,  solamente  dall'infrascritto  mio  erede,  di  sei  mesi  in  sei  mesi  la  rata 
anticipata;  tolto  però  \o  jus  accrescendi  fra  detti  miei  figli,  di  modo  che,  premorendo  l'un 
all'altro,  cessi  l'obbligazione  rispetto  a  quello  di  essi  che  premorisse.  E  detta  annua  presta- 
tione  ho  lasciato  e  lascio  a  detti  miei  figli,  perchè  è  mia  mente  et  intenzione  che  debbano 
e  ciascheduno  di  loro  debba  renonciare  a  favore  dell'infrascritto  mio  erede,  tanto  per  la 
legittima  che  compete  alH  medesimi  nella  mia  eredità  et  in  quella  della  Duchessa,  mia 
moglie  e  loro  madre,  quanto  ad  ogni  altra  pretenzione  che  in  qualunque  modo,  o  per 
qualsivoglia  altra  causa,  pensata  o  impensata,  presente  o  futura,  mediata  o  immediata, 
tenessero  o  potessero  mai  in  qualonque  tempo  avere  sopra  l'eredità  mia  e  contro  la  persona 
di  detto  mio  erede,  beni  et  effetti  che  da  esso  si  possederanno,  e  che  promettino  e  si  obbli- 
ghino di  non  molestarlo  in  tempo  alcuno  per  sé,  o  per  altri ,  per  le  suddette  cause  ;  come 
cosi  gravo  et  intendo  di  aver  gravato  li  suddetti  miei  figli  e  ciascheduno  di  essi  a  far  detta 
renunzia,  obbligazione  e  promessa  per  pubblico  instrumento,  nel  tempo  e  termine  di  tre 
mesi  dal  giorno  che  seguirà  la  mia  morte.  Esorto  però  detti  miei  figli,  per  quanto  stimano 
gli  avvertimenti  e  consigli  di  padre  tanto  amorevole  e  tanto  amato  sempre  da  loro  in  vita, 
a  fare  la  detta  renonziri  a  favore  del  mio  erede  et  a  contentarsi  di  detto  annuo  assegnamento  ; 
quale,  a  detto  rifl-^so,  ho  voluto  sia  molto  maggiore  di  ([uello  che  lasciò  il  Sig.r  Duca  mio 
padre  alli  miei  fratelli,  benché  io  conosco  molto  bene  che  detta  annua  prestazione  sia  per 
riuscire  di  straordinario  aggravio  allo  stesso  mio  erede,  poiché  presentemente  si  sono  dimi- 
nuite assai  le  rendite  e  l'entrate  della  Casa  nostra  da  tutte  le  parti  e  soggiace  tuttavia  a 
maggiori  pesi  e  gravezze  di  quello  sia  mai  stata  in  tempo  delli  Sigri  Principi  miei  antenati; 
ponendo  ancora  in  considerazione  alli  detti  miei  figli,  che  non  ho  voluto  avere  riguardo 
alcuno,  nello  stabilire  l'accennato  assegnamento,  all'entrate  che  possono  sopravvenire  alli 
medesimi  nelli  successivi  tempi;  quali  entrate  potevo  gravare  ristessi  figli  e  ponerle  in 
conto  di  detto  assegnamento,  con  diminuirlo  in  tal  caso  a  proporzione  di  quello  avessero 
potuto  annualmente  ritraere  da  dette  loro  entrate.  Et  in  caso  che  dentro  il  tempo  e  termine 
suddetto  non  abbino  li  medesimi  miei  figli,  o   alcuno  di  essi,  fatta  la  detta  renunzia,  come 

5 

46  -Mise,  S.  Ili,  T.  XIII. 


362  GIOVANNI  SFORZA 


La  morte  di  Carlo  II  fu  universalmente  compianta.  «  Nelle  occasioni  era 
generoso,  né  volev^a  che  alcuno  si  partisse  da  lui  sconsolato  »,;  «  amò  li  sud- 


sopra,  diminuisco  e  voglio  che  resti  diminuito,  riduco  e  voglio  che  resti  ridotto  il  suddetto 
annuo  assegnamento  di  scudi  millecinquecento  a  soli  scudi  settecentocinquanta  annui,  mo- 
neta come  sopra,  per  ciascheduno  di  essi  che  averà  ricusato  di  fare  la  detta  renunzia,  da 
pagarseli  dal  mio  erede  nella  forma  sopra  disposta;  qual  annuo  assegnamento  di  scudi  set- 
tecentocinquanta lascio,  come  sopra,  a  detti  miei  figli  per  ragione  d' instituzione  et  in  ogni 
altro  modo  che  possa  e  debba  lasciarglielo;  con  dichiarazione  che  debba  essere  per  tutto 
quello  e  quanto  essi  miei  figli  potessero  in  qualsivoglia  modo  e  per  qualsivoglia  causa,  anco 
di  legittima  e  de  iure  privilegiata  o  privilegiatissiina  in  tutto,  come  sopra,  pretendere  dalla 
mia  eredità,  o  dell'infrascritto  mio  erede,  beni  et  effetti,  salvo  sempre  in  tal  caso  a  detti 
miei  figli  la  facoltà  di  conseguire  la  loro  legittima  materna;  esortando  novamente  detti  miei 
figli  a  volersi  quietare,  sodisfare  e  contentare  di  questa  mia  disposizione  et  a  non  molestare 
l'infrascritto  mio  erede  in  conto  alcuno;  ordinando  e  comandando  anzi  che  sia  da  loro  rive- 
rito e  rispettato,  come  si  conviene,  con  vivissimo  desiderio  che  non  diano  mai  causa  di  liti , 
discordie  e  male  soddisfazioni,  ma  che  conservino  tra  di  loro  la  pace,  l'unione  fraterna  e 
l'affettuosa  corrispondenza,  come  vogliono  le  leggi  umane  e  divine,  e  lo  faccino  anche  in 
ossequio  delle  ceneri  d'un  padre  che  gli  ha  tanto  amati  in  sua  vita.  Se  poi  li  medesimi 
miei  figli  secondogeniti  senza  aver  alcun  riguardo  alli  consigli  et  ordinazioni  paterne  (il  che 
non  voglio  mai  credere  che  sia  per  seguire,  stante  le  buone  qualità  loro)  non  volessero 
acquietarsi  alle  preaccennate  mie  disposizioni ,  ne  contentarsi  dell'  annuo  assegnamento 
lasciatoli  da  me  come  sopra,  e  portassero  per  detto  effetto  molestia  alcuna  al  sopradetto 
mio  erede,  allora  et  in  tal  caso  revoco  detta  annua  prestazione  e  di  quella  privo  li  detti 
miei  figli,  o  quello  di  essi  che,  come  sopra,  non  volesse  accpiietarsi;  dichiarando  e  volendo 
che  si  abbia  per  non  lasciata  e  che  detto  erede  rimanga  del  tutto  libero  da  essa  gravezza 
verso  detti  miei  figli,  a'  quali  nel  caso  suddetto  lascio  la  sola  legittima  che  de  iure  loro 
compete  ne'  miei  beni,  et  in  quella  solamente  gli  instituisco  eredi,  perchè  così  a  me  piace». 

Riguardo  poi  a  Camillo  e  ad  Alderano  in  particolare,  aggiunse  queste  disposizioni:  «Se 
bene  presentemente  mi  ritrovo  aver  fatto  al  predetto  D.  Camillo,  mio  figlio,  che  vive  in 
Roma,  un  annuo  assegnamento  di  scudi  duemila  di  quella  moneta,  che  li  faccio  pagare  dal 
Sig.  Leonardo  Libri  sino  a  mio  ordine;  ad  ogni  modo  intendo  e  voglio  che  subito  seguita 
la  mia  morte,  quando  non  l'avessi  fatto  prima,  cessi  il  suddetto  annuo  assegnamento  e 
venga  diminuito  alli  suddetti  scudi  millecinquecento  da  lire  otto,  moneta  di  Massa,  o  alli 
scudi  settecentocinquanta  moneta  simile  nel  caso  suo,  o  pure  che  resti  annullato  totalmente, 
secondo  li  casi  sopra  enonciati.  E  questa  retrattazione  dell'annuo  assegnamento  delli  scudi 
duemila  al  detto  mio  figlio  lo  faccio  con  aver  prese  tutte  le  misure  sopra  lo  stato  presente 
della  mia  Casa,  ridotta  in  angustie  assai  maggiori  di  quello  era  in  altri  tempi,  e  trovo  che 
assolutamente  non  posso  imponere  questo  peso  eccedente  all'infrascritto  mio  erede,  senza 
farlo  declinare  dal  grado  in  cui  dovrà  trovarsi  con  l'obbligo  di  sostenere  e  mantenere  il 
lustro  e  splendore  della  nostra  famiglia  e  dell' istessa  dignità  del  ducato,  oltre  la  considera- 
zione agli  aggravi  che  s'accrescono  allo  stesso  mio  erede  per  conto  del  suo  matrimonio. 
Rispetto  poi  alli  mobili  et  argenteria  che  possono  occorrere  per  il  bisogno  et  uso  di  detti 
miei  figli,  già  D.  Camillo  predetto  resta  condecentemente  proveduto  col  legato  fattoli  dalla 
felice  memoria  del  Sig.  Cardinale  Cybo,  mio  zio,  sì  delli  uni,  che  delli  altri;  con  questo  però 
che  detti  mobili  et  argenterie  rimanghino  appresso  detto  mio  figlio  a  semplice  uso,  e'  sua 
vita  durante,  alla  forma  della  disposizione  di  S.  Em."  per  il  che  mi  riporto  e  voglio  si  abbia 
relazione  al  medesimo  testamento  dell'Eni.''  Sua.  Quanto  poi  alla  persona  di  D.  Alderano, 
mio  figlio  terzogenito,  quando  del  tempo  della  mia  morte  sopravvivessero  ancora  tutti  e  due 
li  miei  Sigg."'  fratelli  D.  Alessandro  e  D.  Francesco  Maria,  quali  il  Signore  conservi  longa- 
mente,  ordino,  comando  e  voglio  che  dall'  infrascritto  mio  erede  siano  assegnati  al  detto 
mio  figlio  stanze  condecenti  nel  mio  palazzo,  a  discrizione  di  esso  mio  erede;  e  che  debba 
somministrarli  i  necessari  alimenti  sin  a  tanto  sia  mancato  di  vita  uno  de'  suddetti  miei 
fratelli;  nel  qual  caso  ordino  e  voglio  che  il  detto  D.  Alderano  debba  andare  ad  abitare 
nel  palazzo  destinato  per  li  cadetti  e  nell'  appartamento  che  sarà  rimasto  vacante  per  la 
morte  suddetta  d'uno  de'  miei  fratelli;  quando  però  non  concordasse  diversamente  col 
detto  mio  erede  per  servizio  e  benefizio  maggiore  della  mia  Casa,  o  che  si  trovasse  a  studio, 
o  in  altra  parte,  di  soddisfazione  di  detto  erede  ;  altrimenti  ,  stando  separato  dal  medesimo 
erede,  allora  doverà  cominciare  a  pagarli  il  suddetto  annuo  assegnamento  nella  forma  da 
me  sopra  ordinata,  e  non  prima,  stante  li  antedetti  riguardi,  e  consegnarli  quella  porzione 
di  mobili  et  argenti  che  godeva  in  vita  il  predetto  mio  fratello  premorto,  con  l'istessa  con- 
dizione di  puro  uso  e  di  dover  ritornare  la  detta  porzione  dopo  la  di  lui  morte  al  suddetto 
mio  erede  ». 

A  favore  del  primogenito  così  testò:  «  Venendo  ora  a  dichiarare  et  instituire  il  mio  erede 
imiversale,  dichiaro  et  instituisco  per  mio  erede  universale  Alberico,  mio  diletti.ssimo  figlio 
primogenito,  Principe  di  Carrara,  delli  miei  Stati  di  Massa  e  Carrara,  d'Aiello,  di  Fiorentino, 
Padulla  Beneventana  e  di  tutte  le  loro  fortezze,  ville,  terre  et  abitatori,  vassalli,  giurisdizioni, 
distretti  e  pertinenze  et  attinenze  e  di  tutto  quello  che  da  me  si  possiede  in  detti  Stati,  delli 

6 


IL  PRINCIPE  EUGENIO   FRANCESCO  DI  SAVOIA  36 


diti  con  animo  paterno  »,e  «  provava  estremo  disgusto  quando  era  costretto  a 
punire  qualche  malfattore,  poiché,  per  essere  d'incorrotta  giustizia,  intendeva 


palazzi  di  Ferrara  e  di  Pisa  e  de'  luoghi  di  Monte  assegnati  per  il  palazzo  di  Roma  dalla 
Santità  d'innocenzio  Decimo,  e  di  tutti  gli  altri  luoghi  di  Monte  a  me  spettanti,  delli  miglio- 
ramenti tatti  dalla  Duchessa  mia  moglie  nella  villa  della  Rinchiostra,  che  le  fu  concessa 
dal  Sig''  Duca  mio  padre  col  patto  e  condizione  che  doppo  la  di  lei  morte  dovesse  la  mede- 
sima villa  ritornare  tale  e  quale  si  fosse  ritrovata  al  Duca  di  Massa  che  avesse  regnato  in 
quei  tempo,  e  che  li  miglioramenti  suddetti  restassero  annessi  et  incorporati  al  feudo;  senza 
che  essa  o  li  suoi  eredi  potessero  pretendere  né  conseguire  la  ripetizione  o  il  compenso  del 
frantoio  da  olio  o  del  molino  situati  sul  Canale  detto  di  Sopra  la  Rocca.  Qual  frantoio, 
benché  fosse  fatto  fabbricare  di  pianta  dalla  detta  Duchessa  mia  moglie,  resta  nondimeno 
incorporato  al  feudo,  per  non  avere  la  stessa  Duchessa  avuta  da  me  concessione  alcuna 
dell'acqua  che  serve  per  detti  edilìzi.  Qual  acqua  come  ius  e  diritto  feudale  s'aspetta  priva- 
tamente a  me  et  alli  miei  successori  nel  Ducato  ;  ma  vi  era  fra  di  noi  il  concerto  che  lave- 
rebbe solamente  goduto  sua  vita  durante  e  poi  l'averebbe  incorporato  nel  fidecommisso, 
come  di  verità  ella  fece  et  apparisce  dal  suo  testamento;  essendosi  sempre  dichiarata  la  mede- 
sima Duchessa  di  non  voler  portare  pregiudizio  alcuno  con  dette  fabbriche  all'entrate  che  mi 
provengono  di  simili  edilìzi.  Delle  gioie,  oro  et  argento  e  di  tutti  li  miei  mobili  e  suppellettili 
di  qualsivoglia  sorte,  di  tutti  li  cavalli  della  mia  scuderia  e  di  tutte  le  mie  razze  e  di  tutti  gli 
altri  mobili,  immobili  e  semoventi,  ragioni,  azioni,  crediti  e  nomi  di  debitori  in  qualsivoglia 
luogo  posti  et  esistenti  e  dovutimi  per  qualsivoglia  causa  e  titolo,  compresovi  anche  il  credito 
che  si  ha  con  la  R.  Camera  Apostolica  per  causa  dell'imprestito  fattoli  dalla  felice  memoria 
del  Sig^  Cardinale  Innocenzio  Cybo,  del  quale  io  resto  erede  sostituito  per  esser  morti  li  due 
figli  di  detto  Sigr  Cardinale  senza  figli  ;  per  il  qual  imprestito  fu  assegnato  al  Sig^  Lorenzo 
Cybo  la  terra  di  Vetralla,  che  poi  la  Camera  li  ripigliò  ;  e  parimente  di  tutte  e  singole  pre- 
tenzioni  che  ho  o  in  qualunque  modo  posso  avere  sopra  altri  Stati.  Al  qual  mio  erede,  come 
sopra  instituito,  inerendo  et  uniformandomi  alle  primogeniture,  tìdecommissi  e  proibizioni 
instituite  et  ordinate,  disposte  e  respettivamente  comandate  dalli  Sig'"'  Principi  miei  antenati, 
proibisco  e  vieto  ogni  e  qualunque  benché  minima  alienazione,  non  solo  di  tutti  e  singoli  beni 
et  effetti  vincolati  dalli  detti  Sig'''  Principi  e  fidecommissi  e  primogenitura,  ma  anche  delli 
suddetti  miglioramenti  del  palazzo  di  Massa,  della  villa  della  Rinchiostra,  del  suddetto 
frantoio  e  molino;  quali  ancor  io  tutti  sottopongo,  voglio  et  intendo,  per  quanto  faccia  di 
bisogno,  che  restino  sottoposti  a  perpetua  primogenitura,  regolata  da  quella  delli  Stati  di  Massa 
e  Carrara.  Dopo  la  morte  del  suddetto  Principe  di  Carrara,  mio  erede,  come  sopra  instituito 
(che  Dio  preservi  longhissimi  anni),  sostituisco  e  chiamo  alla  successione  di  detta  mia  eredità 
il  suo  figlio  primogenito  maschio  e  li  primogeniti  maschi  discendenti  dallo  stesso  in  infinito, 
con  ordine  successivo  di  primogenitura,  finché  durerà  la  linea  o  discendenza  mascolina  di 
detti  primogeniti;  et  in  caso  mancasse  o  rimanesse  estinta  la  linea  e  discendenza  mascolina 
delli  primogeniti  suddetti,  allora  et  in  tal  caso  ordino,  comando  e  voglio  che  succeda  in  detta 
mia  eredità  il  secondogenito  e  li  primogeniti  discendenti  da  esso  et  così  successivamente 
degli  altri  con  il  medesimo  ordine  di  primogenitura.  E  dandosi  il  caso  che  mancasse  o 
s'estinguesse  la  mia  linea  mascolina  (che  Dio  non  voglia)  ordino  e  comando  che  debbano 
allora  succedere  le  femine  mie  discendenti,  nel  modo  istesso  che  vengono  chiamate  nell'inve- 
stiture e  nel  testamento  del  Sig""  Principe  Alberico,  mio  trisavo  ;  al  quale  in  detto  caso  mi 
riporto.  Dichiarando  et  intendendo  che  tutti  li  primogeniti  sopra  chiamati  e  li  secondogeniti 
nel  loro  caso  debbano  essere  legittimi  e  naturali  e  di  legittimo  matrimonio  concetti  e  nati  e 
dal  proprio  corpo  e  della  propria  moglie  di  ciaschedun  di  essi,  escludendo  perciò  tutti  li 
bastardi,  spurii  et  inlegittimi,  ancorché  fossero  legittimati  per  subseqiicns  inalrhnoniinn,  o  per 
rescritto,  grazia,  autorità,  balìa  e  privilegio  di  qualsivoglia  Principe  secolare  o  ecclesiastico  ». 
Non  manca  poi  di  dare  all'erede  «  quelli  paterni  ricordi  che  possono  conferire  al  suo 
maggior  stabilimento  e  quiete  nel  suo  governo  ».  .Son  questi  :  «  In  primo  luogo,  egli  deve  avere 
sempre  fisso  il  suo  pensiero  nel  riflettere  che  li  Principati  vengono  direttamente  dalla  mano 
di  Dio  e  che  non  si  conservano  se  non  con  il  suo  Divino  aiuto,  per  poter  reggere  il  di  lui 
dominio  col  suo  santo  timore  e  con  quelle  confidenze  che  è  vanità  averle  nelli  mezzi  umani. 
A  tal  fine  dovrà  invigilare  con  tutta  la  sua  applicazione  per  il  maggior  lustro  della  religione, 
per  la  riverenza  e  rispetto  delle  chiese,  per  la  retta  amministrazione  delle  opere  pie,  che 
restano  a  carico  del  Principe,  d'impedire  li  scandali,  che  sono  il  veleno  et  il  contagio  delle 
città  e  delli  Stati.  Di  portare  tutta  la  venerazione  alli  ecclesiastici  e  sfuggire  sempre  ad  ogni 
suo  potere  le  dispute  e  gl'incontri  con  il  loro  foro,  e  mostrarsi  in  tutti  li  rincontri  figlio  obbe- 
dientissimo  del  Sommo  Pontefice  e  della  Santa  Sede;  né  manchi  similmente  di  avere  a  cuore 
l'onore  delle  donne,  anzi  di  difenderle  con  l'autorità  sua.  Procuri  con  le  rimostranze  più  fine 
di  mantenere  l'amore  dei  sudditi,  li  quali  per  avere  origine  dalla  munificenza  del  Sig""  Prin- 
cipe Alberico,  mio  tritavo,  che  edificò  di  pianta  la  città  di  Massa,  devono  essere  riconosciuti 
come  figli  del  Principe,  non  dubitando  che  questi  non  siano  per  esser  grati  non  solo  al 
beneficio  fattoli  da  esso  Sig""  Principe  Alberico  con  dar  luogo  al  primo  essere  civile,  ma  alli 
tanti  altri  che  riconoscono  dalli  Sig"  Principi  suoi  successori  e  da  me  medesimo,  che  nelle 
maggiori  loro  angustie,  pericoli  e  strettezze,  ho  procurato  il  loro  sollievo   col   mio  proprio 


364  GIOVANNI   SFORZA 


che  i  delitti  fossero  puniti;  ma  se  solo  riguardavano  il  suo  privato  interesse, 
generosamente,  per  quanto  li  spettava,  li  perdonava  »  (1).  Affatto  singolare 
fu  soprattutto  la  sua  pietà  (2).  Nelle  guerre  per  la   successione   di    Spagna, 


danaro  e  della  Casa  ;  ripromettendomi  della  loro  continova  fede  e  pontualità  nel  governo 
d'esso  mio  erede.  Si  mantenga  la  buona  corrispondenza  con  la  Ser™'*  Repubblica  di  Genova, 
di  cui  è  figlio,  e  col  Ser»"»  Gran  Duca  di  Toscana  per  l'antica  attenenza  del  sangue,  e  delli 
altri  Sigr'  Principi  confinanti  ;  conservando  insieme  tutte  le  amicizie  che  lascerò  io,  anzi  procuri 
di  farsene,  essendo  questo  il  traffico  più  utile  che  si  trovi  nel  commercio  umano.  Li  racco- 
mando quanto  so  e  posso  di  star  sempre  unito  e  d'accordo  con  li  suoi  fratelli,  conforme 
richiede  lo  strettissimo  vincolo  del  sangue  ;  e  di  fare  ogni  cura  delie  sue  sorelle  monache, 
che,  essendo  state  chiamate  da  Dio  alla  vita  religiosa,  possono  esserli  di  grande  aiuto  con  le 
loro  orazioni  >. 

Carlo  II  ebbe  in  moglie  Teresa,  figlia  di  Camillo  Pamphili  Principe  di  S.  Martino  e  di 
Olimpia  Aldobrandini,  che  morì  il  7  agosto  del  1704.  Nel  testamento  di  lei.  fatto  il  3  di  maggio 
di  quell'anno,  si  legge:  «  Per  ragione  di  legato  a  titolo  di  particolare  institutione  et  in  ogni 
altro  meghor  modo  ha  lassato  e  lassa  alli  Sig''  Don  Camillo  suo  secondogenito  e  Don  Alde- 
rano  suo  terzogenito,  che  al  presente  si  ritrovano  in  Roma,  la  loro  legittima  che  gli  è  dovuta 
per  ragione  di  natura  et  in  conformità  delle  leggi  et  statuti  di  questa  città;  e  di  più,  oltre  la 
medesima,  lire  diecimila  moneta  corrente  di  Massa  per  ciascheduno  di  loro,  da  assegnarseli 
e  pagarseli  come  in  appresso  si  dirà  nell'articolo  dell'institutione  del  suo  Sig''*^  erede,  e  questo 
per  una  volta  solamente...  In  tutti  gli  altri  di  detta  Ser"''*  Sigr^i  Teslatrice  beni  mobili,  immo- 
bili, semoventi,  ragioni  e  azioni,  crediti,  denari  et  effetti  di  qualunque  sorte  siano  et  in  qua- 
lunque luogo  posti  et  esistenti  et  a  detta  Ser"'-»  Sig''"  Testatrice  in  qualsivoglia  modo,  causa 
e  titolo  spettanti  et  appartenenti,  salvo  però  tutte  le  cose  di  sopra  disposte  et  ordinate,  suo 
erede  universale  Pistessa  Ser™»  Sig''^  Testatrice  ha  instituito  et  instituisce,  ha  fatto  e  fa,  e  di 
propria  sua  bocca  ha  nominato  e  nomina  e  vuole  che  sia  l'Ili"'"  et  Ecc""»  Sig''  Prencipe  Al- 
berico Cybo  Malaspina,  figlio  primogenito  di  detta  Ser'»''  Sig'"-'*  Testatrice  e  di  detto  Ser"'" 
Sig'"  Duca  Carlo  Cybo  Malaspina,  suo  dilettissimo  marito,  al  quale  ha  voluto  e  vuole  che 
pervenga  tutta  la  di  lei  eredità  in  ogni  miglior  modo  che  dire  e  fare  si  puole,  col  peso  però 
et  obbligo  dell'infrascritta  particolare  primogenitura,  cioè:  Retrovandosi  tra  gli  altri  beni  et 
effetti  nell'eredità  di  detta  Ser'"**  Sig'^"  Testatrice  le  sue  gioie,  la  sua  villa  della  Rinchiostra 
con  li  mobili  in  essa  esistenti,  il  molino  posto  sopra  la  Rocca  et  il  frantoio  contiguo  a  detto 
molino,  con  li  terreni  adiacenti  all'uno  et  all'altro,  quali  stabili  asserisce  essere  siali  da  lei 
acquistati  e  fabbricati  respettivamente,  a  riserva  del  nudo  terreno  nella  villa  della  Rinchiostra, 
quale  resta  compreso  nell'antica  primogenitura  di  ciuesta  Ser'"'^  Casa,  perciò  a  fine  di  con- 
servare l'agnatione  et  il  maggior  decoro  e  splendore  nel  primogenito  delli  suoi  discendenti 
in  perpetuo  e  fino  durerà  il  mondo,  ha  sottoposto  e  sottopone  li  predetti  stabili  a  vincolo  di 
perpetua  e  sempiterna  primogenitura,  di  modo  che  passar  debbono  di  primogenito  in  primo- 
genito maschio  per  linea  mascolina,  legittimo  e  naturale,  sino  che  ve  ne  sono  della  sua  di- 
scendenza, e  morendo  alcuno  di  detti  primogeniti  senza  prole  mascolina  succedere  debba  il 
secondogenito  maschio,  parimente  legittimo  e  naturale, *e  così  successivamente  di  primogenito 

in    primogenito  gradatamente Einalmente  detta  Ser""*  Sig'^  Testatrice  prega  e  persuade 

detto  EccJ"<*  Sig''  Prencipe,  suo  erede  come  sopra  instituito,  a  volere  fare  continuare  la  nobile 
arte  della  seta  in  questa  città,  sotto  la  direzione  degli  ebrei  Olivieri  e  Costa,  come  di  presente 
si  ritrova,  ovvero  sotto  la  direzione  d'altri,  quando  questi  mancassero,  o  non  volessero  più 
continuarla;  e  questo  a  motivo  del  sollievo  de'  poveri  e  per  continuare  l'industria  ancora  nelle 
persone  civili  e  per  decoro  della  città  ». 

(i)  Rocca  O.,  Varie  memorie  del  mondo  ed  in  specie  delio  Stato  di  Massa  di  Carrara 
dal  1481  al  1738,  mss.  nella  Biblioteca  Estense  di  Modena,  p.  153. 

(2)  Sta  li  a  farne  fede  il  suo  stesso  testamento,  tutto  di  proprio  pugno,  dove  scrive  : 
«  Prevedendo  sin  d'oggi  il  momento  della  mia  morte,  consegno,  per  primo,  adesso  per 
allora,  l'anima  mia  nelle  mani  et  in  potere  degli  Angioli  miei  custodi,  pregandoli  a  volerla 
presentare,  avanti  che  comparisca  nel  tribunale  del  Giudice  tremendo,  alla  Beatissima  \'ergine 
delle  misericordie,  mia'avvocata,  a  fine  che  si  degni  intercederli  la  remissione  di  tutte  le 
colpe  che  possino  averla  deturpata  e  resa  in  stato,  unita  alla  carne,  della  sentenza  di  perdi- 
zione; e  questo  per  li  meriti  dell'immacolata  sua  concezione  e   delli  acerbissimi    dolori   che 

pati  nelli  spasimi  e  morte  del  suo  diletti.ssimo  figlio  Gesù  Christo Mi  protesto  di  credere 

e  di  aver  creduto  sempre,  senza  minima  esitazione,  tutto  ciò  che  ha  insegnato  et  insegna, 
crede  et  ha  creduto,  stabilisce  e  ha  stabilito  Santa  Madre  Chiesa  Catolica  Romana  per  salute 
delle  anime  de'  fedeli  e  per  maggior  culto  del  vero  Dio  trino  et  uno;  mi  protesto  che  sono 
stato  e  sarò  sempre  pronto  a  spargere  il  sangue  por  la  jiropagazione  e  difesa  della  S.  Fede 
di  Gesù  Christo,  poiché  questa  è  l'unica,  vera  et  infallibile.  Piango  intensamente  con  tutta 
l'espressione  delle  lacrime  del  mio  cuore  ogni  e  qualunque  mia  colpa,  tanto  di  commissione, 
che  d'ommissione,  sia  seguita  col  pensiero,  con  l'opere  o  con  le  parole,  domandandone  a 
S.  D.  M.  umilissimo  perdono,  con  supplicarla  a  degnarsi  di  ricevere  l'anima  mia  che  le  sarà 
restituita  dagli  Angeli  miei  custodi  e  scordarsi  dell'impurità  d'essa  con    la   memoria    e    col 

8 


IL   PRINXIPE  EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  365 


poco  mancò  non  perdesse  la  corona,  avendo  preso  a  favorire  Filippo  V  e  ne- 
gato il  chiesto  soccorso  all'Imperatore,  per  ricuperare  la  fortezza  dell"  Avenza. 
Spagnuoli  e  Austriaci  corsero  da  padroni  i  suoi  Stati,  con  grave  danno 
dell'erario  e  delle  popolazioni,  ridotte  addirittura  alla  miseria  e  alla  dispe- 
razione a  furia  d'angherie  e  di  balzelli.  Alberico  III,  suo  successore  ed  erede, 
per  conseguenza,  ebbe  a  trovarsi  in  grandi  strettezze  e  fu  «  costretto  a  vivere 
con  qualche  particolare  misura  e  necessaria  economia  »  (i). 

Rimasto  infecondo  il  suo  disgraziatissimo  matrimonio  con  Niccoletta 
Grillo  di  Genova;  né  volendo  Camillo,  suo  fratello  secondogenito,  abban- 
donare la  Corte  di  Roma  e  la  carriera  ecclesiastica,  che  percorse  poi  con 
fortuna,  essendogli  toccato  anche  il  cappello  cardinalizio,  conferitogli  da 
papa  Benedetto  XIII  il  2^  marzo  del  1729,  dopo  essere  stato  maggiordomo 
del  Sacro  Palazzo  e  patriarca  di  Costantinopoli  ;  Alberico  impose  all'altro 
suo  fratello  Alderano  di  ammogliarsi  (2).    11    20    marzo    del    17 15   Alderano 


riguardo  di  Maria  Vergine  immacolata,  sua  dilettissima  madre Havendo  io  sempre  pro- 
fessato una  somma  devozione  e  venerazione  verso  il  SSn'o  Sacramento  e  volendola  rimostrare 
anche  dopo  la  mia  morte  con  qualche  segno  e  testimonio  perpetuo,  comando  e  voglio  che 
il  mio  erede  pontualmente  faccia  fare  un  piviale  di  tutta  decenza  et  un  baldacchino  simile 
acciò  serva  solamente  l'uno  e  Taltro  per  il  parroco  quando  esce  col  sacrosanto  \'iatico  per 
la  città,  e  parimente  quattro  lampioni  o  siano  lanternoni,  simili  a  quelli  che  tiene  la  Compagnia 
intitolata  del  Sacramentp  ;  e  queste  cose,  per  uso  come  sopra,  si  doveranno  consegnare  alli 
offiziali  di  essa  Compagnia  acciò  le  conservino  e  somministrino  solamente  al  parroco  per 
detto  effetto.  Inoltre  voglio  e  comando  che  debbano  andar  sempre  presso  il  medesimo  Via- 
tico quattro  soldati  della  mia  Guardia  di  Palazzo  con  le  loro  alabarde  quando  sortisce  per  la 
città,  tanto  di  giorno,  che  di  notte,  e  vi  siino  sempre  due  livree  con  le  torcie,  o  di  cera  o  a 
vento,  secondo  li  tempi  o  stagione;  le  quali  due  livree  dovranno  essere  destinate  dal  mio 
erede  a  vicenda,  di  settimana  in  settimana;  e  quando  il  medesimo  sacrosanto  Viatico  uscirà 
fuori  delle  porte  della  città  vi  dovranno  andare  due  soldati  della  detta  Guardia  con  le  loro 
alabarde  e  le  due  livree  con  le  torcie,  come  sopra;  volendo  che  questa  mia  instituzione  duri 
in  perpetuo  e  si  mantenga  a  spese  del  mio  erede  e  di  tutti  li  miei  successori...  Premendomi 
inoltre  la  sussistenza  e  mantenimento  delli  PP.  Cappuccini  del  convento  di  Massa,  già  che 
paiono  sminuite  l'elemosine  per  le  miserie  del  publico,  esorto  e  consigHo  il  predetto  mio 
erede,  cessati  che  saranno  gli  impegni,  da  me  creati  e  registrati  nella  mia  segreteria,  delli 
predicatori  che  devono  predicare  la  Quaresima  e  l'Avvento  nel  duomo  di  Massa,  a  voler 
assegnare  quel  pulpito  alla  Religione  Cappuccina,  quando  però  li  Padri  Superiori  di  essa 
vorranno  mandarvi  predicatori  di  prima  riga,  in  sostenimento  della  riputazione  di  cui  si 
trova  il  medesimo  pulpito,  acciocché  le  elemosine  solite  a  darsi  alli  predicatori  restino  in 
sussidio  e  benefizio  di  detto  convento  ;  le  quali  elemosine  dovranno  essere  della  somma  che 
si  pratica  in  oggi  con  li  predicatori  d'altre  Religioni.  Consiglio  et  esorto  parimente  il  predetto 
mio  erede,  quando  seguirà  la  mia  morte  prima  di  potersi  far  fare  li  due  altari  di  marmo  in 
S.  Pietro  del  SS™°  Crocifisso  e  del  SS™o  Rosario,  già  cominciati  e  dismessi  per  le  cause 
note  al  medesimo  erede,  a  voler  compire  lui  quest'opera,  subito  che  ne  averà  il  commodo; 
essendo  certo  che  passerò  all'altra  vita  con  un  sommo  rammarico  se  non  mi  sarà  stato  pos- 
sibile venire  all'effettuazione  di  questo  mio  devoto  desiderio  ;  perciò  il  predetto  mio  erede 
resta  ancora  pregato  a  volere  con  la  pietà  sua  consolare  le  stesse  mie  ceneri  nell'erezione  di 
essi  miei  altari,  che  deve  servire  di  tanto  lustro  e  decenza  alla  chiesa  matrice,  dove  egli  ha 
ricevuto  l'essere  dell'anima  con  l'acqua  del  Sacro  Fonte  ». 

(i)  ViANi  G.,  Memorie  della  famiglia  Cybo  e  delle  monete  di  JÌIassa  di  Lunigiana,  Pisa 
Prosperi,  1808,  p.  58. 

(2)  Alderano,  «  riconosciuto  di  talento  buonissimo  e  capace  di  far  buon  profitto  », 
fu  da'  genitori  «  provveduto  d'un  dotto  e  ben  morigerato  maestro  sacerdote  secolare, 
chiamato  D.  Andrea  Guerra  »,  dal  quale  venne  e  instruito  nelle  lettere  e  ne'  buoni 
costumi  ;  ed  infatti  molto  s'avanzava  e  cresceva  sempre  più  nelle  virtù  e  riusciva  d'uno 
spirito  assai  pronto,  di  modo  tale  che  rendeva  stupore  a  chi  seco  aveva  la  sorte  di  discor- 
rere ».  Quando  «  fu  d'  età  competente  »  venne  mandato  a  Roma  e  messo  nel  Collegio 
Romano,  «  acciò  ivi  facesse  maggior  acquisto  delle  scienze;  ed  infatti  cosi  successe  ». 
Rimastovi  tre  anni,  il  20  maggio  del  1705  tornò  a  Massa.  Il  padre,  dopo  averlo  trattenuto 
seco  alcune  settimane,  lo  inviò  a  Parma  «  nel  famoso  Collegio  diretto  da' PP.  Gesuiti,  acciò 
terminasse  il  corso  delle  scienze  e  delle  arti  cavalleresche,  alle  quali  mostrava  avere  sommo 
genio  ».  Di  lì  a  tre  anni  tornò  a  Massa,  e  «  quantunque  avesse  ben  profittato  nelle  scienze 
e  nelle  arti,  nel  rimanente  si  vide  tutto  diverso,    imperocché    poco    obbediva    al    genitore    e 


306  GIOVANNI   SFORZA 


«  partì  da  Massa  per  andare  in  Lombardia,  e  si  disse  per  concludere  il  suo 
accasamento  con  l'Ecc'"''  Donna  Ricciarda,  figlia  dell'EcC""  Sig"^  Conte  Camillo 
di  Novellara  (i),  che,  per  quanto  si  discorreva,  era  una  dama  gentilissima  e  per 
la  bellezza  del  corpo  e  per  le  doti  dell'animo  ;  ed  in  fatti  riuscì  tale  e  quale  si  è 
descritta  ».  Il  28  d'aprile  Alberico  «partecipò  la  conclusione  del  matrimonio  del 
Principe  fratello  colla  suddetta  Ecc"""  Signora,  il  che  apportò  sommo  contento 
alli  sudditi  fedeli,  essendosi  già  confermata  la  parentela  con  quella  Ecc"'"  Casa; 
e  se  in  altri  tempi  Casa  Cybo  concesse  una  Ricciarda  a  Casa  Gonzaga  (2), 
questa  Casa  diede  nel  presente  matrimonio  un'altra  Ricciarda  alla  Serenis- 
sima Casa  Cybo  ».  Il  26  di  m^aggio,  «  circa  l'ore  21,  vennero  a  Massa  gli 
Ecc'"'  Sposi,  accompagnati  dall'Ecc'""  vSig""  D.  Eilippo,  fratello  unico  di  detta 
Sigr'i  Principessa  (3).  Il  Scr"'°  Sig'  Duca  andò  loro  incontro  colla  Compagnia 


stava  poco  d'accordo  col  Principe  fratello  ».  Alla  fine  d'ottobre  del  1709  «  si  partì  all'im- 
provviso da  Massa  clandestinamente,  e  s'imbarcò  a  Lerici  per  andare  a  Genova  ».  Il  Duca 
«  spedi  a  (jiiella  volta  due  gentiluomini  e  lo  ritrovarono  in  casa  dell'Ecc"'"  Principe  D'Oria. 
Dopo  alcuni  trattati  s'accomodò  il  tutto,  e  ritornò  alla  patria  e  visse  quieto  per  certo  tempo, 
rispettoso  al  vecchio  genitore  e  d'accordo  col  Principe  fratello  e  colla  cognata.  Il  tempo  della 
quietezza  però  fu  breve,  poiché  nella  notte  del  giovedì  santo,  cioè  li  17  aprile  1710,  celatis- 
simamente  si  partì,  accompagnato  dal  sig.  Giuseppe  Maria  Cattani,  Paolo  Lazzaroni  e  da  un 
suo  fido  lacchè,  detto  Francesco  di  Vincenzo  Ugolini.  S'imbarcò  in  Lerici  per  Genova;  il 
padre  subito  vi  spedì,  e  v'era  capitato,  ma  vi  si  era  trattenuto  per  brevissimo  tempo,  e  sep- 
pesi  dallo  spedito  che  s'era  incaminato  verso  Torino.  Per  il  che  il  padre  ed  il  fratello  risol- 
vettero non  più  ricercarlo,  anzi  lasciarlo  scapricciare;  e  se  aveva  denari,  buon  per  lui,  altrimenti 
né  meno  di  soccorrerlo  con  questi;  e  solo  stavano  in  attenzione  dell'esito  di  questo  oltraggio, 
fatto  senza  prudenza  e  senza  riflesso  ».  Pensò  finalmente  a'  casi  suoi  e  tornò  a  Massa  segre- 
tamente. «  Fatto  a  se  chiamare  un  certo  P.  Anacleto  Catalani,  barnabita,  famigliare  della 
Ser"»''  Casa,  l'impegnò  ad  intromettersi  per  il  suo  aggiustamento  col  padre  e  col  fratello  ». 
Il  Catalani  «fece  le  sue  parti,  ma  furono  vane  ».  Soltanto  dopo  la  morte  di  Carlo  II, 
vennero  accomodate  le  differenze.  Il  3  novembre  del  17 io  Alderano  «  ritornò  in  Massa  ed 
andò  ad  abitare  il  palazzino  dove  sono  soliti  abitare  li  Principi  cadetti,  non  già  perchè  così 
li  prescrivesse  il  Duca  fratello,  ma  solo  per  vivere  più  libero  dalla  soggezione  di  quello  ». 
Alberico  III  gli  affidò  «  diverse  onorifiche  sopraintendenze,  acciò  esercitandosi  in  questi  mi- 
nisteri, avesse  campo  di  far  conoscere  la  rarità  del  suo  buon  talento  ».  Dette  ottimo  saggio 
di  sé,  e  «  continuò  ad  operare  con  gran  giudizio  fino  a  che  non  s'allignò  intorno  gente  fo- 
rastiera;  principiato  a  credere  a  questa,  mutò  sentimenti.  Capitò  pertanto  in  Massa  un  certo 
sacerdote  camaiorese  di  casa  Tommasi ,  il  quale  spacciavasi  per  la  prima  musa  del  Monte 
Parnaso;  fu  fermato  alla  sua  corte»  da  Alderano,  che  «lo  decorò  del  titolo  di  Poeta  del- 
l' Ecc"»"  Sig.  Principe  di  Carrara.  Questo  poeta  e  Francesco  Ciampi ,  sonatore  di  violino, 
che  pure  era  al  suo  soldo,  consigliarono  Sua  EcC^  ad  intricarsi  cogP impresari  dell'Opere 
di  Livorno  per  le  recite  di  carnevale  dell'anno  1715;  e  lo  servì  di  torcimanno  in  questi 
trattati  Giuseppe  Angeli,  sensale  di  corami  in  Livorno,  che  aveva  stretta  famigliarità  con 
Sua  Ecc"-.  Ottenuto  l'intento  dalli  due  consultori  Tommasi  e  Ciampi,  quello  compose  le 
parole  del  dramma,  intitolato  la  So/o;//sòa,  e  questo  la  musica.  Ambedue  nel  pubblicarsi 
dell'opera  guadagnarono  un  solennissimo  biasimo,  e  per  loro  maggior  disdetta  successe  che 
nello  stesso  carnevale  e  nello  stesso  teatro  si  recitava  un  altro  dramma  intitolato  il  Cifau 
Cid,  di  vaghissima  composizione,  tanto  delle  parole,  quanto  dell'opera,  molto  virtuosa  nella 
musica,  composta  dal  Sig.  Gio.  Battista  Stuck,  d'origine  livornese,  e  virtuoso  del  Ser."'"  Elet- 
tore di  Sassonia.  Questo  accidente  niente  attristò  il  Sig."^  Principe,  ma  molto  contristò  il 
Si 
ci[ 

distorlo,  e  percu 

di  Massa  ms.  nella  Biblioteca  Estense  di  Modena.  Alberico,  per  assicurare  successione  alla 
Casa,  pensò  allora  d'ammogliarlo,  anche  nella  speranza  che  la  vita  coniugale  gli  facesse 
metter  giudizio. 

(i)  Ebbe  per  madre  Matilde,  figlia  di  Sigismondo  d'Este,  del  ramo  de'  Marchesi  di  San 
Martino,  e  di  Teresa  Grimaldi  de'  Principi  di  Monaco. 

(2)  Ricciarda  Cybo,  figlia  di  Carlo  I  e  di  Brigida  Spinola,  nata  nel  1622,  sposò  Alfonso  II 
Gonzaga,  Conte  di  Novellara,  avo  di  Ricciarda  moglie  di  Alderano  Cybo. 

(3)  Philippe  morì  poi  a  Massa  il  14  decembre  172S  e  con  lui  si  estinse  la  linea  mascolina 
de'  Gonzaga  Conti  di  Novellara  e  Bagnolo.  Cfr.  Conipoiiimcuti  funebri  ve/  solenne  anniver- 

10 


ore  01  Sassonia,  yucsio  acciaente  mente  anrisro  u  .^^ig.'  1  rmcipe,  ma  mono  coniri;>io  11 
5Ìg.''  Duca  fratello,  dispiacendoli  che  questo  s'intricasse  in  impegni;  né  tralasciò  nel  prin- 
:ipio  procurare  d'impedirlo  alla  meglio;  ciò  non  ostante  non  vi  fu  rimedio,  né  li  riusci 
Ustorio,  e  perciò  incominciò  a  molto  temere».  Cfr.  Rocca  O.  Vita  di  Alderano  I  Ducali' 


IL  PRINCIPE  EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  367 

delle  Corazze,  insieme  con  molti  signori  di  ÌMassa  e  di  Carrara,  ornati  di 
vaghissima  gala,  e  fecero  una  bellissima  comparsa  nel  solenne  ingresso. 
Sparò  l'artiglieria,  siccome  fece  la  seguente  mattina  nel  principio  del  pranzo, 
oltre  l'altre  gazzarre  ;  vi  convenne  popolo  innumerabile  delli  Stati  e  di  questi 
contorni,  e  facevano  rimbombare  l'aria  di  voci  di  giubilo.  Scesero  alla  porta 
maggiore  di  S.  Pietro,  che  era  sfarzosamente  parata,  e  fatte  le  solite  preci, 
ricevuti  dal  Sig'"  Abbate,  canonici  e  clero,  s'incamminarono  verso  il  Palazzo, 
quide  era  egregiamente  accomodato,  con  gli  apparecchi  di  argenteria  e  dolci 
al  solito  nel  salone,  ed  entrarono  nel  loro  appartamento,  che  era  quello  già 
abitato  dalla  Sig''*  Duchessa  Grillo,  addobbato  cogli  stessi  arredi  (i).  La  sera 
poi  si  fece  il  banchetto  nuziale,  opulentissimo  e  sempre  accompagnato  di 
bellissima  musica.  Terminato  il  banchetto,  li  musici  cantarono  nella  piazza 
una  sontuosa  serenata,  e  per  la  città  si  fecero  illuminazioni,  fuochi  artificiali 
ed  altri  segni  d'allegrezza,  dimostrando  questi  fedelissimi  sudditi  il  contento 
che  provavano  di  tale  accasamento  ». 

Alberico,  per  testimonianza  del  Rocca,  «  si  faceva  amare  grandemente 
a'  suoi  sudditi  per  la  benignità  con  cui  li  riguardava,  e  si  poteva  asserire 
che  per  lui  non  vi  fosse  fisco,  condonando  sempre  quella  parte  delle  con- 
danne che  s'aspettavano  al  medesimo  ;  aveva  molta  carità  verso  i  bisognosi 
ed  in  specie  verso  quelli  che  si  vergognavano  a  mendicare  (2),  compativa 
gl'infelici,  frequentava  le  chiese,  rispettava  il  clero,  amava  con  ingenuità  li 
sudditi,  e,  per  concludere,  aveva  in  se  ogni  qualità  di  ottimo  regnante,  ne 
permetteva  che  alcuno  da  lui  si  partisse  sconsolato.  Si  sollazzava  alle  caccie 
anche  fuori  di  Stato,  ed  al  ritorno  divideva  tutta  la  preda  tra'  sudditi.  Insomma 
era  un  principe  che  meritava  ogni  più  buona  fortuna  e  lunghissima  vita  ». 
Per  disgrazia  di  Massa,  l'ebbe  invece  ben  corta  :  nato  il  30  agosto  del  1674, 
morì  il  20  novembre  del  17 15.  Camillo,  al  quale  sarebbe  toccata  la  corona, 
cedette  le  sue  ragioni  al  fratello  Alderano,  in  forza  d'una  convenzione  sotto- 


sario  della  morie  di  Sua  Eccellen~a  il  Signore  D.  Filippo  Gonzaga  Con  le  di  Novellar  a. 
Bagnolo,  ecc.  e  Principe  del  S.  R.  I.  consagrali  alle  Altezze  Serenissime  di  ^ìlderano  I  e 
Ricciarda,  sua  consorte.  Duchi  di  iMassa  e  Principi  di  Carrara,  ecc.  dal  conte  Scipione 
Giandomenici,  mentre  nella  chiesa  de''  Padri  Minori  Osservanti  di  S.  Francesco  di  questa 
citta  si  fatino  le  suddette  esequie  anniversarie,  con  machina  maestosissima  e  apparato  lugubre, 
In  Massa  mdccxxix.  Per  Giambatista  Frediani  e  fratelli  stampatori  ducali  ;  in-4"  di  pp. 
XX-XL-XIX. 

Nel  1727  erano  stati  celebrati  a  Massa  con  molta  pompa  anche  i  funerali  del  padre  della 
Duchessa  Ricciarda  :  Tributo  di  lacrime  dedicato  al  merito  eccelso  de'  Serenissimi  Aldcratio 
Cybo  Malaspina  e  Ricciarda  Gonzaga,  Duchi  del  Sacro  Romano  Imperio  e  di  J) Fassa,  Prin- 
cipi di  Carrara.,  Duchi  d'' Ajello  e  di  Ferentino,  ecc.  in  occasione  de'  funerali  fatti  da  essi 
grandiosamente  celebrare  nella  chiesa  de'  Padri  Minori  Osservanti  di  questa  Citta  per  la 
morte  di  Sua  Eccellenza  il  Sigtior  Conte  Camillo  Gonzaga  di  Novellara  Principe  del  Sacro 
Roin.  Imp.  In  Massa,  mdccxxvii.  Per  Giambatista  Frediani  e  fratelli  stampatori  ducali;  in-4'' 
di  pp.  LXVI,  col  disegno  del  catafalco,  inventato  da  Alberico  Alessandro  Pucci  di  Massa 
e  inciso  da  fr.  Antonio  Lorenzini  Minore  Conventuale.  \J  Orazione  funebre  è  del  P.  Ilue- 
FONSO  M.ARTA  GuiLLOT  de'  Servi  di  Maria,  teologo  del  Duca  Alderano. 

(i)  Niccoletta  Grillo,  moglie  di  Alberico  III ,  il  3  settembre  del  1713  fuggì  via  da 
Massa,  senza  mai  più  fare  ritorno  sotto  il  tetto  maritale.  Cfr.  Sforza  G.  Cronache  di  Massa 
di  Lunigiana  edite  e  illustrate,  Lucca,  Rocchi,  1882,  pp.  157-166  e  298  301. 

(2)  Il  ViANi  (Op.  cit.  p.  53)  affermava  nel  1808:  «  ContinUc#in  Massa  tuttora  la  memoria 
di  varie  beneficenze  secrete,  le  quali  mostrano  quanto  fosse  il  suo  cuore  propenso  alla  virtù 
e  amico  dell'  umanità  ». 

1 1 


368  GTOVANxr  sforza 


scritta  a  Montefiascone  il  2  decembre  dello  stesso  anno  e  ratificata  a  Roma 
il  2  febbraio  di  quello  seguente  (i). 

Al  nuovo  Duca,  il  29  giugno  del  1725,  Ricciarda  partorì  in  Novellara 
«  una  bambina  assai  vigorosa  ».  In  Massa  «  si  fecero  illuminazioni  universali 
per  tre  sere,  con  suono  di  tutte  le  campane,  sparo  d'artiglieria  del  castello, 
diverse  gazzarre  ed  altri  segni  di  giubilo.  In  S.  Pietro  si  cantò  messa  ponti- 
ficale, con  solenne  Te  Deum  prò  gratiarum  actione  d'avere  Sua  Divina  Maestà 
conceduto  successione  allo  Stato  »  (2).  Era  Maria  Teresa;  e  a  lei  tennero 
dietro  due  altre  femmine:  Marianna,  nata  essa  pure  a  Novellara  il  18  agosto 
del  1726,  che  fu  poi  moglie  di  Orazio  Albani  principe  di  Soriano  (3);  e 
Maria  Camilla,  che  vide  la  luce  a  Massa  il  22  aprile  del  1728  e  sposò  don 
Restanio  Gioacchino  di  Tocco  Cantelmo  duca  di  Popoli  (4). 

Alderano,  venuto  al  mondo  il  29  luglio  del  1690,  spirò  il  18  agosto 
del  1731.  Parve  «  al  paese  di  essere  risuscitato  da  morte  a  vita  e  di  essersi  sot- 
tratto da  un  giogo  insopportabile,  tollerato  pazientemente  quasi  per  anni  sedici, 
poiché  bisognava  sofferire  e  tacere;  che  se,  per  disgrazia,  alcuno  avesse 
detto  una  minima  parola  di  biasimo  o  di  sfogo  della  propria  passione,  era 
pigliato  di  mira  ».  Una  mano  di  persone  tristissime,  che  gli  stavano  al 
fianco  e  lo  padroneggiavano,  «  non  soddisfatte  d'averli  delapidate  le 
proprie  sostanze  e  la  riputazione  »,  mentre  era  in  agonia,  tentarono  un 
ultimo  colpo,  per  finire  di  spogliarlo.  Fin  dal  giorno  16  aveva  disposto 
della  sua  volontà,  e  l'aveva  fatto  «  prudentemente;  lasciando  tutrice  del- 
l'Ecc"'"»  figlie  la  Ser'"»  Sig-^''  Duchessa  e  contutore'  l'Ecc""  Sig'  Cardinale 
Camillo  Cybo,  suo  fratello  »  ;  e  istituendo  erede  della  corona  la  primogenita 
Maria  Teresa  15).  Il  P.  Francesco  Antonio  Agostini  di  Carrara,  confessore 
del  Duca  e  stretto  parente  de'  suoi  sfruttatori,  co'  quali  spartiva  i  disonesti 
guadagni,  mise  in  opera  la  propria  astuzia,  per  strappargli  un  codicillo  a 
favore  comune.  «  Per  assicurarsi  meglio  di  discorrere  con  franchezza  sopra 
tal  materia  col  moribondo,  procurava  d'esser  solo;  anzi,  se  a   sorte   entrava 


(1)  Cfr.  LiiNiG  J.  C.  Codex  Italiae  diftlomaticus  ;  II,  419-426. 

(2)  Rocca  O.  Op.  cit.  p.  216. 

(3)  Lo  sposò  il  2  gennaio  del  1748,  e  morì  il  9  ottobre  del   1797. 

(4)  Il  matrimonio  ebbe  luogo  il  24  agosto  del  1754.  Morì  il  2  agosto  del  1760. 

{5)  Fu  rogato  dal  notaio  Antonio  Pucci  ed  è  di  questo  tenore:  «A  dì  16  agosto  1731, 
a  ore  dieci  di  notte,  con  lumi  quattro  accesi.  In  nome  sia  del  Signore  Iddio.  F^sistente  di 
persona,  alla  presenza  mia  e  degl'infrascritti  testimoni,  il  Ser"'»  Sig.  Duca  Alderano  Cybo 
Malaspina,  Duca  di  Massa.  Principe  di  Carrara  e  del  Sacro  Romano  Impero,  Duca  d'Avello  e 
figliuolo  de'  Ser""  Sigg"  Duca  Carlo  Secondo  e  Duchessa  Donna  Teresa  Panfili,  ambedue 
di  sempre  gloriosa  ricordanza,  da  me  benissimo  conosciuto,  il  quale  seriamente  riflettendo 
quanto  sia  pericoloso  l'occupare  i  pensieri  nella  disposizione  delle  cose  temporali  sull'ore 
estreme  del  proprio  vivere,  che  si  debbono  solamente  impiegare  nel  prezioso  acquisto  del- 
l'eterna beatitudine;  perciò,  adesso  che,  per  la  grazia  di  Dio,  si  ritrova  sano  di  mente,  senso, 
loquela,  vista,  udito  ed  intelletto,  benché  infermo  di  corpo,  con  quella  piena  rassegnazione 
alle  divine  chiamate,  che  conviene  ad  ogni  buon  cristiano,  per  qualunciue  caso  che  piacesse 
all'Onnipotente  Iddio  Signor  Nostro  di  volerlo  al  godimento  della  gloria  immortale,  come 
disse  costantemente  sperare  ne'  meriti  del  Sangue  preziosissimo  di  Gesù  Cristo,  della  sua 
SS"""  Madre  Maria  Vergine,  avvocata  de'  peccatori,  e  di  tutti  li  Santi  del  Paradiso,  si  è 
prudentemente  risoluto  disporre  di  se  e  sue  cose,  per  mezzo  del  presente  suo  ultimo  non- 
cupativo  testamento,  il  quale  di  ragion  civile  si  dice  senza  scritti,  conforme  ha  disposto  e 
dispone  in  tutto  e  per  tutto,  W)nie  segue,  cioè  : 

In  primo  luogo,  ha  raccomandalo  con  la  più  profonda  umiliazione  l'anima  sua  alla 
SS"'»  individua  Trinità,   alla  gloriosissima  sempre  Vergine  Maria,   al  suo  santo  Angelo  Cu- 

12 


M  ARIA    T  E  K  E  S  A    C  \"  B  O 
Duchessa    di    Massa. 


IL   PRINCIPE   EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  369 


nella  camera  dell'infermo  alcun  altro  religioso  di  capacità,  per  raccomandarli 
l'anima,  questo  ne  lo  permetteva  per  brevissimo  tempo,  servendosi  del  pre- 
testo che  il  Sig""  Duca  si  voleva  reconciliare.  Non  la  perdonò  né  al  P.  Stefano 
Belatti,  chierico  regolare  de'  ministri  degli  infermi,  né  al  P.  Leone  Pussiò  de' 
minori  osservanti,  né  ad  altri  zelanti  religiosi.  Ma  la  vera  causa  della  solitudine 
era  che  il  buon  zoccolante  voleva  suggerire  al  moribondo  penitente  la  costru- 
zione del  detto  codicillo,  tutto  in  vantaggio  suo,  de'  suoi  parenti  e  famigliari.  E 
che  queste  fossero  le  suggestioni,  chiaramente  lo  dissero  quegli  altri  religiosi 
ed  altri,  che  le  sentivano  dall'anticamera.  Finalmente,  dopo  tante  suppliche, 
il  Sig''  Duca  fece  il  codicillo  bramato  e  così  il  padre  confessore  ebbe  il  suo 
intento.  Il  modo  poi  fu  questo.  Il  frate  chiamò  il  Sig''  Conte  Luciani,  primo 
ministro,  a  cui  rappresentò  qualmente  S.  A.  voleva  fare  un  poco  di  codi- 
cillo, per  disporre  d'alcuni  legati  ommessi  nel  testamento.  L'accorto  Ministro 
entrò  in  camera  dell'infermo,  e  vedutolo  in  stato  tanto  miserabile  e  quasi 
privo  di  loquela,  disse  al  detto  frate  confessore:  Non  vedete  voi  die  S.  A. 
non  s'intende  a  parlare,  e  come  volete  voi  che  io  intenda  la  sua  voloìità?  A 
cui  rispose  l'indegno  frate  :  Io  l'assecuro  che  questi  legati,  che  li  detterò,  sono 
secondo  l'intenzione  del  Sig''  Duca,  e  già  ha  accordato  il  tutto.  Poscia  incominciò 
a  dettare  certi  legati  ancora  sofFeribili  ;  e  se  sopra  di  questi  il  Ministro  inter- 
rogava il  Principe  moribondo  se  fosse  tale  la  sua  intenzione,  egli  con  voce 
quasi  equivoca  pareva  che  gli  approvasse,  ma  non  già  appariva  che  li  con- 
fermasse assolutamente.  E  perciò  il  Sig""  Conte  Luciani,   annoiato  e  maravi- 


stode  e  a  tutti  gli  Santi  suoi  avvocati,  supplicandoli  ad  assisterlo  nel  passaggio  da  (juesta 
all'altra  vita  e  intercederli  il  perdono  di  qualunque  sua  colpa,  acciocché  unitamente  con  loro 
possa  lodare,  benedire  e  ringraziare  in  eterno  la  suddetta  SS""^  Trinità. 

Il  suo  corpo,  fatto  cadavere,  ha  voluto  e  vuole  che  sia  seppellito  nella  cappella  de'  de- 
positi de'  Sigg""'  Principi  suoi  antecessori,  esistente  dentro  la  chiesa  de'  RR.  PP.  Minori 
Osservanti  di  S.  Francesco  di  questa  città  di  Massa. 

Al  sacro  Monte  di  Pietà  della  medesima  città  di  Massa  gli  ha  lasciato  e  lascia,  per 
ragion  di  legato  ed  in  suffragio  de'  poveri,  per  una  volta  tanto  scudi  venti,  da  bolognini  75 
r  uno,  moneta  di  Massa. 

Per  ragion  di  legato,  instituzione  et  in  ogni  altro  miglior  modo,  ecc.  ha  lasciato  e  lascia, 
nel  caso  che  fosse  collocata,  in  matrimonio,  alI'Ecc™''  Sig'"'*  Donna  Marianna,  figlia  secondo- 
genita di  detto  Sigr  Testatore  e  della  SerD^^^^  Sig^a  Duchessa  Donna  Ricciarda  Gonzaga,  per 
titolo  di  dote  la  somma  di  scudi  trentamila  romani,  da  paoli  dieci  l'uno;  e  quando  eleggesse 
piuttosto  di  entrare  in  qualche  monastero  e  far  ivi  la  sua  professione,  in  detto  evento  ha 
voluto  e  vuole  che  dall'infrascritta  sua  erede  proprietaria  le  sia  fatto  l'assegnamento  di 
scudi  venti  simili  per  ciascun  mese,  sua  vita  naturale  durante;  e  ciò  fuori  della  dote  con- 
sueta pagarsi  al  monastero  in  cui  farà  la  sua  professione,  come  sopra. 

Similmente,  per  ragion  di  legato,  instituzione  e  in  ogni  altro  miglior  modo,  ecc.  ha  la- 
sciato e  lascia  all'Ecc™*  SigrJ'  Donna  Maria,  figlia  terzogenita  di  detti  Ser""  Sigg""' Testatore 
e  Duchessa  Donna  Ricciarda,  l'istessa  dote  e  l' istesso  mensuale  assegnamento,  con  quel  di 
più  che  si  contiene  nel  precedente  legato  di  detta  Sig""^  Donna  Marianna,  al  quale  in  tutto 
e  per  tutto  si  è  rimesso  e  rimette. 

AirEm"»"  e  Rev™»  Sig""  Cardinale  Don  Camillo  Cybo,  suo  carissimo  fratello,  ha  lasciato 
e  lascia,  in  segno  della  fraterna  benevolenza  che  sempre  ha  portato  ali 'Em^  Sua,  due  quadri 
in  pittura  e  due  cavalli  della  di  lui  scuderia,  che  ad  ogni  piacere  di  detto  Em"'"  Sig""  Cardi- 
nale se  li  deveranno  far  consegnare  da  detta  Ser"!-"*  Sig"  Duchessa. 

Alle  quattro  Ecc"!®  Sigg'"*'  Principesse  Monache  nel  venerabile  Monastero  di  S.  Chiara 
di  questa  città  di  Massa,  di  lui  sorelle  amatissime,  ha  lasciato  e  lascia  un  quadro  in  pittura, 
rappresentante  qualche  sacra  immagine,  per  ciascheduna  di  esse,  da  farseli  parimente  conse- 
gnare da  detta  Ser™»  Sig''»  Duchessa  ad  ogni  loro  piacimento,  affinchè  ancora  le  predette 
abbiano  questa  tenue  rimostranza  del  di  lui  cordiale  affetto. 

In  tutti  poi  gli  altri  suoi  beni,  di  qualsivoglia  sorta,  posti  e  confinati,  tanto  nel  territorio 
di  Massa  e  Carrara,  quanto  in  qualunque  parte  del  mondo,  stabili,  mobili,  semoventi,  crediti, 
ragioni  ed  azioni,  presenti  e  future,  per  qualsivoglia  titolo  e  causa  a  lui  spettanti  e  apparte- 
nenti, sua  erede  universale  usufruttuaria.  permanendo  in  stato  vedovile,  ha  istituita,  chiamata 

13 

47  — Mise,  S.  III.  T.  XIII. 


370  GIOVANNI   SFORZA 


gliato  della  petulante  passione  del  confessore,  e  dopo  aver  scritto  sei  o  sette 
legati  di  poco  momento,  rivolto  al  detto  frate  li  disse  chiaramente,  che  in 
coscienza  non  poteva  proseguire  a  scrivere  quel  dettato,  e  levandosi  in  piedi 
disse:  Io  ne  lascio  a  lei  inllo  il  carico  ed  alla  di  lei  coscienza;  in  qzianto  a 
ine,  lo  giudico  in  stato  di  non  poter  discorrere  ;  ed  uscì  dalla  camera  »  (i). 

e  nominata  di  sua  propria  bocca  la  suddetta  Sei'""  Sig'-'  Duchessa  Donna  Ricciarda  Gon- 
zaga Cybo,  sua  dilettissima  consorte;  all'amore  di  cui,  quantunque  sappia  che  sia  intenso  e 
sviscerato,  raccomanda  niente  di  meno  con  tutto  lo  spirito  l'Eccn"- Sigg^^e  tre  Principesse  sue 
figlie  legittime  e  naturali  e  della  medesima  Ser'""  Sig>'"  Duchessa, 

Erede  sua  proprietaria  universale  ha  istituita,  chiamata  e  di  sua  propria  bocca  nominata 
l'Ecc"'»  Sig""''  Donna  Maria  Teresa,  sua  figlia  primogenita,  eziandio  rispetto  ai  beni  feudali 
e  giurisdizionali,  coerentemente  alle  benignissime  mvestilure  imperiali,  che  ammettono 
espressamente  le  femine  in  mancanza  de'  maschi  alla  successione  de'  feudi,  che  detto 
Ser'""  Sig""  Testatore  riconosce  dall'Augustissimo  Imperatore  e  Sacro  Romano  Imperio;  suppli- 
cando riverentemente  Sua  S.  C.  R.  M.  a  degnarsi  di  concedere  la  clementissima  sua  impe- 
riale investitura  alla  mentovata  Sig™  Donna  Maria  Teresa,  sua  figlia  primogenita,  come  sopra, 
anche  in  magnanimo  pubblico  attestato  di  quel  fedelissimo  vassallaggio  che  detto  Ser'""  Testa- 
tore e  li  di  lui  Siggri  Antenati  lianno  sempre  professato  alla  Cesarea  Maestà  Sua,  suoi  augu- 
stissimi predecessori  e  Sacro  Romano  Imperio.  Gravando  però  la  detta  Ecc'""  Sig''"  Donna 
Maria  Teresa,  primogenita,  a  provvedere  le  altre  due  prenominate  Sigg'e  sue  sorelle  della 
dote,  assegnamento  ed  altro,  che  detto  Sei'""  Sig""  Testatore  ha  disposto  e  ordinato  nelli  due 
premessi  legati  a  favore  delle  medesime  Ecc"'"  Sigg*'  Donna  Marianna  e  Donna  Maria. 

Dichiaiando  l'A.  S.  Ser'""  testante  che  nel  caso  venisse  a  mancare  detta  Sig'"  Donna 
Maria  Teresa,  sua  figlia  primogenita,  senza  successione  mascolina  e  feminina,  allora  s'intenda 
e  si  abbia  per  sostituita  in  cjualsivoglia  tempo  alla  stessa  Sig'-»  Donna  Maria  Teresa  la  nomi- 
nata Sig''-''  Donna  Marianna,  sua  figlia  secondogenita;  e  così  a  questa,  nel  caso  espresso  di 
sopra,  la  detta  Sig'"  Donna  Maria,  sua  figlia  terzogenita;  volendo  e  comandando  che  le 
suddette  rispettive  sostituzioni  debbano  aver  luogo  in  «pianto  ancora  alla  totale  estinzione  delle 
linee  e  discendenze  in  infinito  di  ciascuna  delle  tre  sopradette  Eccni«  Sig'^'^  Principesse,  sue 
figlie,  di  modo  che  la  di  lui  eredità  debba  passare  di  linea  in  linea  e  di  discendenza  in 
discendenza  nclli  casi  di  sopra  espressi,  serbato  però  sempre  l'ordine  della  perpetua  primo- 
genitura, e  non  altrimenti. 

Per  ultimo  tutrice  e  curatrice  di  dette  Ecc'"®  Sigg^  Principesse  Donna  Maria  Teresa, 
Donna  Marianna  e  Donna  Maria  il  predetto  Ser''^"  Sig''"  Testatore  ha  fatta,  eletta,  deputata 
e  costituita,  con  tutte  le  più  ampie  facoltà  e  autorità,  la  detta  Ser'""  Sig''-'  Duchessa  Ricciarda 
Gonzaga  Cybo,  madre  delle  medesime  e  di  lui  amatissima  consorte,  in  ogni  miglior  modo,  ecc. 
E  quando  il  menzionato  Em'""  e  Rev"'"  Sig^  Cardinale  Cybo,  suo  fratello,  volesse  compiacersi 
di  assistere,  come  spera  e  confida  nel  di  lui  bel  cuore,  le  dette  sue  figlie  e  di  lui  nepoti 
rispettivamente,  il  predetto  Ser'""  Sigr  Duca  unisce  ed  aggiunge  ancora  l'Em"  Sua  alla  tutela 
e  cura  di  dette  Sig''*"  Principesse,  di  maniera  che  in  tal  caso  debbano  essere  tutori  e  curatori 
prò  tempore  di  dette  Sig'®  Principesse  sorelle,  unitamente  e  congiuntamente,  la  detta 
Ser'^'"  Sig'>  Duchessa  madre  e  detto  Em'""  e  Rev'""  Sig^  Cardinale  Cybo  loro  zio. 

E  perchè,  non  meno  la  detta  Sern'-'  Sig'-'  Duchessa  tutrice  e  curatrice  che  insieme  il 
predetto  Em"'"  e  Rev""'  Sig'"  Cardinale,  in  detto  caso  tutore  e  curatore,  come  sopra  deputati 
e  costituiti  da  detto  Ser"'"  Sig""  Duca  testatore,  possino  portare  con  maggiore  facilità  il  grave 
peso  di  detta  tutela  e  cura  e  così  dei  governo  de'  suoi  Stati,  il  medesimo  Ser"'"  Sig""  Testatore, 
stando  però  ferma  e  nel  suo  essere  la  solita  sua  Consulta  di  Giustizia,  ha  eletti  deputati  e 
costituiti  in  Reggenti,  per  tutto  il  tempo  dell'età  minorile  di  detta  Ecc"'"  Sig''"  Donna  Maria 
Teresa  primogenita  e  delle  altre  rispettive  Sig"'  sorelle,  Donna  Marianna  e  Donna  Maria,  in 
evento  della  premorienza  di  qualcuna  di  loro,  che  Iddio  non  voglia,  il  Rev"i"  Sig"^  Abate  di 
Massa  prò  tempore,  il  molto  Rev''"  Padre  Maestro  e  Teologo  Guillott  Servita,  il  Sig"^  Conte 
Uditore  di  Camera  Bernardo  Luciani,  il  Sig'"  Presidente  Giuseppe  Ambrogio  Brunetti,  ritor- 
nato che  sia  da  Vienna,  il  Sig'"  Conte  Scipione  Giandomenici,  suo  segretario,  ed  il  Sig""  Cav.  Paolo 
Agostini,  segretario  di  detta  Consulta;  capi  della  quale  Reggenza  doveranno  essere  la  detta 
Serina  Sig"  Duchessa  sua  consorte  e  detto  Em"'"  Sig»"  Cardinale  suo  fratello,  nel  caso  restasse 
servito  di  accettare  detto  peso,  come  lo  supplica. 

E  questa  disse  il  detto  Ser"'"  Sig""  Duca  essere  e  voler  che  sia  la  di  lui  ultima  volontà 
e  il  suo  ultimo  testamento,  etc. 

Fatto,  letto  e  pubblicato  in  !\lassa,  nel  Palazzo  Ducale,  e  precisamente  nella  camera  del- 
l'appartamento dove  detto  Ser'""  Sig'"  Duca  Testatore  stava  giacendo  in  letto  per  la  sua  notoria 
infermità  di  corpo,  alla  presenza  di  molte  persone  e  in  specie  del  Molto  illustre  e  Molto 
reverendo  Sig.  D.  Tommaso  figlio  del  Sigi"  Dott.  Scipione  Belatti  di  Massa,  dell'Ili'""  Sig""  Conte 
Sebastiano  Cappelli  nobile  mantovano,  degli  111'"'  Sigg''  Dott.  Giuseppe  Antonio  Brichi  uditore 
generale,  del  Conte  Giovanni  del  Sig'  Conte  Belatto  Ceccopieri  e  deirEcc"'*"  Sig''  Dott.  medico 
fisico  Filippo  Toretli  di  questa  città,  testimoni  a  (luanto  sopra  presenti  e  rogati,  etc.  ». 

(il  Rocca  O.  l'ita  di  .ìldcraiio  I"  Dura  lì'"  di  .Vassa,  ms,  nella  Biblioteca  p^stense  di 
Modena,  p.  96. 

14 


IL  PRI\XIPE  EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  371 


Il  cardinale  Camillo,  suo  fratello,  che  era  nato  il  25  aprile  del  1681,  lo 
segui  nel  sepolcro  il  12  gennaio  del  1743.  Con  lui  finì  la  linea  mascolina 
de'  Cybo.  Nel  1731  si  erano  estinti  i  Farnesi,  nel  1737  i  Medici.  Ecco  di  lì 
a  pochi  anni  scomparire  anche  quest'altra  dinastia  italiana,  suscitando  la 
bramosia  in  molti  di  dar  la  mano  di  sposo  alla  giovane  erede,  che  portava 
una  corona  per  dote.  Tra'  candidati  ,  il  prescelto  fu  il  principe  Eugenio 
Francesco  di  Savoia  conte  di  Soissons. 


II. 


Un  ricco  gentiluomo  lucchese,  Francesco  Maria  Giuseppe  Fiorentini, 
reduce  da  un  lungo  viaggio  nella  Baviera,  in  Austria,  in  Ungheria,  in 
Boemia,  in  Francia,  in  Alsazia,  in  Lorena,  nelle  Fiandre  e  nell'Inghilterra, 
si  fermò  venti  giorni  a  Torino,  «  che  se  si  riguardi  per  le  sue  strade  e 
fabbriche  regolari,  tutte  tirate  in  linea,  non  v'è  città  più  bella  ».  Sfoggiò, 
al  suo  solito,  in  carrozze,  in  abiti,  in  livree,  deliziandosi  alle  conversazioni, 
alle  veglie,  col  fiore  della  nobiltà.  Il  conte  La  Pérouse  lo  introdusse  a  Corte 
e  venne  presentato  a  Vittorio  Amedeo  II  e  al  principe  Eugenio  Francesco, 
il  fidanzato  futuro  di  ]\Iaria  Teresa  Cybo  (ij;  del  quale  fa  questo  ritratto: 
«  Era  di  grande  aspettativa;  e  ben  mi  ricordo  che  i  PP.  (se  non  erro  Gesuiti) 
li  lasciavano  tenere  due  cavallini,  i  quali  attaccava  e  guidava  per  il  claustro. 
Egli  poi,  accompagnato  dal  suo  aio  (2),  mi  guidò    a    vedere  una  stanza  in 


(i)  Parlando  del  La  Pérouse  così  scrive:  «  Rispetto  a  S.  M.  mi  avvertì  che  vi  sarei  stato 
presentato,  e  poteva  darsi  o  che  mi  dicesse  poche  parole,  ovvero  che  mi  facesse  una  serie 
d'interrogazioni,  senza  darmi  tempo  a  risponderli:  che  però  in  tal  caso  non  mi  confondessi, 
come  a  molti  era  accaduto,  ma  se  altrimenti  non  mi  riusciva,  bastava  che  rispondessi  solo 
all'ultima  delle  fatte  interrogazioni.  Disse  ancora,  che  sebbene  un  cavalier  non  suddito  non 
sia  tenuto  a  baciar  la  mano,  né  il  Re  lo  pretenda,  tuttavolta  mi  sarei  fatto  merito  a  far 
l'atto  di  volerla  baciare,  che  era  sicuro  che  esso  non  l'averebbe  permesso  ». 

(2)  Ebbe  per  aio  Giambattista  Falletti  marchese  di  Cavatore.  Il  ritratto  di  chi  soprintese 
ai  suoi  studi  si  trova  in  fronte  al  primo  volume  dell'opera  intitolata:  Diciionariuin  casuuni 
conscientiae,  seu  praecipuaruvi  difficultaium  circa  nwralem  ac  disciplinavi  ecclesiasticain  deci- 
sianes,  e  scripturis,  Conciliis,  Pontificuni  decretalibus,  Patrihus,  iiecnoìi  celebcrrhnis  theologis 
et  canommi  peritis  deproviptae.  Authore  Ioanne  Pontas,  presbytero,  Facidtatis  Parisieusis 
luris  Canonici  doctore,  necnon  Ecclesiae  Parisiensis  Propoenitentiario.  Edilio  recens,  e  gallico 
in  latinum  pari  studio  et  fide  concinnata,  Luxemburgi,  sumptibus  Andreae  Chevalier  biblio- 
polae  et  Marci-Michaelis  Bousquet  et  sociorum,  mdccxxxi;  in-fol.  Sotto  il  ritratto,  disegnato 
a  Torino  day.  31.  Cleìne?itina  e  inciso  in  rame  da  Ioanncs  Bapt.  Scoliti,  si  legge:  P.  P. 
losepho  Roniae  Ord.  Mitiimorum  Collegae  Generali  Gallo,  E.»'i  S.  R.  E.  Card.  An.  Albani 
olini  in  Urbe  Teologo,  et  Ser.'ti  Principis  Eugenii  de  Sabaudia  studiis  regendis  excolendisqiie 
praeposito.  Il  frate  è  nell'atto  che  insegna    al  Principe,  il  quale,  ritto    dinanzi    al    tavolino, 

15 


372  GIOVANNI   SFORZA 


cui  sopra  varie  tavole  vi  erano  congegnati  mirabilmente  figurini  rappresen- 
tanti soldati  colle  uniformi  di  vari  reggimenti,  i  quali  esercitava  nel  maneggio 
delle  armi;  ed  in  altra  stanza  ogni  sorta  di  bastimenti,  dei  quali  faceva  la 
manovra,  e  sapeva  i  nomi  dei  pezzi  componenti  i  medesimi»  (i). 

Pronipote  del  famoso  Principe  Eugenio,  nasceva  da  Emanuele  Tommaso, 
figlio  del  suo  fratello  Tommaso  Luigi  (2).  Ebbe  per  madre  Teresa  Anna 
Felicita,  duchessa  di  Nikolsburg,  nata  nel  1694  ^^  Giovanni  Adamo  Andrea 
principe  di  Liechtenstein  (3),  alla  quale  «  si  debbono  il  Capitolo  delle  nobili 
dame,  l'Accademia  cavalleresca  di  Savoia,  il  Capitolo  de'  canonici  di  Savoia 
e  la  cappella  di  S.  Stefano;  istituzioni  fatte  in  Vienna  »  (4).  Venuto  al 
mondo  il  2;^  settembre  del  1714,  il  principe  Eugenio  Giovanni  Francesco  al 
titolo  di  Conte  di  Soissons  univa  quello  di  Duca  di  Troppeau  ;  terra  questa 
della  Slesia,  l'altra  della  Francia.  Vittorio  Amedeo  II,  che  lo  amò  con  tene- 
rezza di  padre  e  lo  fece  educare  sotto  i  suoi  occhi,  nel  1729  gli  conferì  il 
collare  dell'Annunziata;  il  4  gennaio  del  '30  Carlo  VI,  imperatore,  lo  nominò 


liene  aperto  C  /«/.  Cesar,  de  Bello  Gali.  lib.  W .  Su  in  alto,  un'aquila  ad  ali  spiegate,  regge 
col  becco  un  medaglione  rappresentante  il  gran  Principe  Eugenio  e  porta  scritto  in  due 
nastri  svolazzanti,  Imperh  stator  Evgenivs  |  omnes  spectantvr  in  vno.  Da  questo 
ritratto  è  tolto  quello  elei  Principe  Eugenio  Francesco,  che  adorna  la  presente  monografìa. 
(i)  Sfosza  G.,  Francesco  Maria  Fiorentini  ed  i  suoi  contemporaìiei  lucchesi,  saggio  di 
storia  letteraria  del  secolo  xvii,  Firenze,  Menozzi,  1879,  pp.  139-141. 

(2)  11  Principe  Emanuele  Tommaso  era  nato  l'S  decembre  del  1687;  al  fianco  di  Vittorio 
Amedeo  II  fece  la  campagna  del  1706  e  restò  ferito;  entrato  al  servizio  dell'Austria,  ebbe 
il  Toson  d'oro,  il  grado  di  feld  maresciallo,  la  proprietà  del  reggimento  de'  corazzieri,  ora 
dragoni  Principe  Montecuccoli  n"  8,  de'  quali  fu  luogotenente  generale;  e  venne  fatto  gover- 
natore d'Anversa.  Il  Principe  Eugenio,  suo  zio,  il  28  decembre  del  1729,  scriveva  al  Re 
Vittorio  Amedeo  II  :  «  La  bonté  que  V.  M.  a  pour  tous  ceux  qui  ont  l'honneur  de  luy 
appartenir  et  celle  qu'Elle  a  toujours  eu  en  particulier  envers  le  Prince  Emanuel,  mon  neveu, 
me  fait  ésperer  que  V.  M.  voudra  prendre  quelque  part  à  la  douleur  que  me  cause  sa 
perte,  arrivée  ce  matin  après  une  maladie  de  neuf  jours.  Daignes,  Sire,  conserver  ces  mémes 
bontés  au    Prince  son   fìls,  auxquelle  je  me  donne  l'honneur    de    vous    le    recommender  ». 

(3)  Il  Principe  Eugenio  scriveva  al  Duca  Vittorio  Amedeo  II  il  6  m.iggio  1713:  «  li  ne 
peut  pas  étre  inconnu  à  V.  A.  R.  qu'il  y  a  quelques  mois  que  le  Prince  de  Liechtenstein 
étant  mort  a  laissé  quelques  filles,  dont  il  y  a  trois,  qui  alors  n'étoient  pas  encore  mariées, 
et  non  obstant  que  les  biens  fidei-commis  fante  d'un  fils  sont  tombe  sur  le  grand  Maitre  de 
la  Cour  de  Sa  Majesté  Imperiale  le  Prince  Antoin  de  Liechtenstein,  il  est  pourtant  reste  aux 
dites  Princesses  autant  (jue  chacune  d'jcelles  at  heritée  170  à  150000  florins  d'Allemagne; 
une  richesse  asses  considerable.  Le  cas  s'étant  ensuite  presente  que  le  Prince  Emmanuel  a 
cru  d'étre  de  son  avantage  s'il  se  marioit  avec  une  des  ces  Princesses:  et  moy,  considerant 
qu'il  n'y  avoit  rien  à  redire  pour  la  qualité  et  que  ledit  Prince  n'ayant  pas  des  moyens 
suffisants  à  sa  qualité,  par  ce  mariage  se  pourrait  mettre  en  état  et  s'établir  solidement  en 
AUemagne.  Je  n'ay  trouvé  aucune  diftìculté  de  ma  part,  ny  voulu  étre  contraire  à  son  intention, 
laquelle  s'avancoit  en  attendant  telement  que  madame  la  Princesse  mère  et  la  fiUe  avec 
tonte  la  famille  ont  consenti  de  leurs  cotés  à  ce  mariage:  à  condition  pourtant  que  le  Prince 
Emmanuel  devroit  avoir  une  disposition  entière  et  libre  des  touts  les  revenus  :  une  chose  qui 
d'ailleurs  n'est  pas  accoutumée  dans  ces  pays-(;y.  Le  point  et  la  consommation  de  cette 
alliance  se  fond  à  présent  sur  le  consentement  de  \'.  A.  R.  lequel  est  attendu  avec  empres- 
sement,  esperant  qu'Elle  n'y  trouvera  aucune  difficulté  et  qu'elle  fera  ressentir  dans  cette 
occasion  au  dit  Prince  Emmanuel  des  efiets  de  sa  bonté  et  de  l'amitié  de  pére  que  V.  A.  R. 
luy  a  toujours  teimognée,  s'agissant  d'un  établissement  solide  pour  luy.  Les  prètentions  avec 
le  Prince  de  Carignano  sont  aussi  connues  à  V.  A.  R.  il  espere  cju'Elle  les  terminerà  dans 
cette  conjoncture  étant  un  fond  pour  fournir  en  partie  aux  fraix  indispensal)les  dans  une 
pareille  conjoncture  et  pour  assurer  le  douairre  ».  Il  consenso  di  Vittorio  Amedeo  fu 
pienissimo. 

(4)  LiTTA  P.,  Duchi  di  Savoia,  tav.  XXII. 

16 


IL  PRINCIPE  EUGENIO  FRANCESCO  DI  SAVOIA  373 


colonnello  de'  corazzieri,  reggimento  già  comandato  dal  padre  suo,  che  n'era 
proprietario  (i)  ;  e  gli  dette  poi  anche  il  Toson  d'oro  (2). 

Carlo  Emanuele  III,  re  di  Sardegna,  il  28  novembre  del  1731  scriveva, 
da  Torino,  a  Giuseppe  Roberto  Solaro  marchese  di  Breglie,  suo  inviato  a 
Vienna  : 

Le  comte  Philippi ,  qui  ariva  ici  le  2^,  nous  a  informe  de  la  part  de 
M/  le  Prince  Eugène  de  la  situation  dans  laquelle  se  trouve  l'affaire  du 
mariage  du  Prince  Eugène,  son  neveu,  avec  la  jeune  Princesse  de  Alassa,  et 
du  consentement  que  la  mère  et  le  cardinal  Cibo  y  ont  donne;  nous  informant 
en  méaie  tems  de  l'attention  avec  laquelle  le  Prince  souhaite  que  s'agissant 
d'un  Prince  de  notre  sang  nous  en  fassions  faire  la  demande.  Nous  ferons 
cette  démarche  avec  autant  plus  de  plaisir  que  ce  mariage  étant  V  ouvrage 
du  Prince,  au  juste  discernement  duquel  nous  déférons  beaucoup,  et  nous 
intéressant  avec  amitié  et  avec  inclination  aux  avantages  de  son  neveu,  nous 
nous  fesons  une  satisfaction  particulière  et  nous  nous  en  ferons  toujours  une 
d'y  contribuer,  et  le  Prince  n'a  qu'à  nous  suggérer  ce  qu'il  souhaite,  que 
nous  fassions  et  nous  le  ferons. 

Pour  mieux  marquer  l'intérèt  que  nous  prenons  dans  cette  affaire,  et 
pour  le  marquer  de  la  manière  la  plus  agréable,  soit  pour  le  Prince,  soit 
par  la  Duchesse  de  ]\Iassa,  nous  sommes  disposés  à  envoyer  à  ladite  Duchesse 
une  personne  qui  sous  le  motif  de  voyager  soit  chargée  d'une  de  nos  lettres 
pour  elle  et  fasse  la  demande  de  notre  part,  et  nous  écrirons  aussi  au  Car- 
dinal Cibo.  Ne  voulant  cependant  rien  faire  que  de  concert  avec  le  Prince, 
et  le  comte  Philippi  nous  ayant  dit  qu'il  avoit  occasion  de  dépècher  un 
courrier  à  Vienne,  nous  avons  jugé  de  communiquer  cette  pensée  au  Prince 
et  d'attendre  le  retour  du  dit  courrier  pour  nous  déterminer. 

Il  est  vrai  qu'il  y  a  une  réflexion  à  faire,  et  e' est  que  la  Duchesse  de 
Massa  ne  nous  aiant  jamais  écrit,  il  ne  paroit  pas  convenable  que  nous 
soions  les  premiers  a  lui  écrire.  L'expédient  pourtant  est  aisé  à  trouver,  et 


(i)  La  patente  con  la  quale  l'Imperatore,  il  4  gennaio  del  1730  gliene  fece  da  Vienna  la 
concessione  è  di  questo  tenore  :  «  Dass  Wlìr  das  durch  zeitliches  ableiben  des  hochgebohrenen 
unsseres  lieben  \'etters,  Fiìrsten,  Feld  Marschallleuthnanden  und  bestelten  Obristens  Thoma 
Emmanuelis  Herzogens  zu  Savoy  und  Piemont,  grafen  zu  Soisson  Liebden  erledigte  Cuirassier 
Regmet  den  hinterlassen  sohn  des  hochgebohrenen  und  unseres  auch  lieben  Vetters  und 
Fiìrstens  Eugeny  Joannis  Prinzen  von  Savoy  liebden  aus  mildister  erkhantnus  deren  von 
vorgedacht  der  abgeleibten  Vatters  liebden  unss  und  unseren  Ertzhaus  langwùrigen;  auch 
hiedurch  bey  den  fiirgewesten  schvvahren  und  Bluthigen  Kriegen  mit  Lobwurdiger  con- 
duite,  distingirten  eyfer  und  valor  in  alien  ftìrgefallenen  occasionen  erwisenen  erspriesslichen 
Kriegsdiensten,  wie  zumahien  der  vorgedacht  unseres  lieben  Vetters  Printzen  v.  Savoy  liebden 
aygendss  Beywohnenden  fùrtrettlichen  vernunfft  auch  geschicklichkeit  und  sonst  Besizenden 
fijrstlichen  stattlichen  qualiteten,  dann  anhero  auch  aus  dem  in  ihre  Persohn  setzenden  son- 
derbahren  vertrauen  aus  aygener  Bewegnusgdst  verlyhen  und  Sie  dariiber  fiir  unseren  wiìrk- 
lichen  Kay:  Obristen  Bestellet  haben  ».  Si  trova  nell'I,  e  R.  Archivio  di  Guerra  a  Vienna, 
e  mi  venne  favorita  dalia  squisita  gentilezza  dell'illustre  Direttore  di  esso  sig.  Voinovich, 
che  mi  comunicò  pure  molte  altre  notizie  e  documenti  intorno  al  giovane  Principe  Eugenio, 
e  gliene  esprimo  la  gratitudine  più  sentita. 

(2)  L'ii  gennaio  del  1730  il  Principe  Eugenio  di  Savoia,  da  Vienna,  cosi  ne  dava  avviso 
al  Re  di  Sardegna:  «  Il  y  a  quinze  jours  que  je  me  suis  donne  l'honneur  de  faire  part 
à  V.  M.  de  la  mort  du  Prince  Emanuel,  mon  neveu,  et  aujourd'hui  j'ay  celui  de  l'informer 
de  la  grace  que  S.  M.  I.  et  C.  a  faite  au  fils  du  defunt  Prince  Eugène  de  luy  conferer 
la  Toison  et  le  Régiment  vacant  par  la  morte  de  son  pére.  La  bonté  toutte  particulière 
avec  la  quelle  V.  M.  a  bien  voulue  regarder  jusques  icy  ce  jeune  Prince  me  fait  esperer. 
Sire,  que  vous  ne  seres  pas  insensibles  à  cette  faveur  extraordinaire  cpi'il  vient  de  recevoir 
da  l'Empereur,  à  laquelle  les  égards  que  ce  Monarque  a  pour  V.  M.  et  les  offices  que  dans 
son  nom  le  Marquis  de  Breuil  a  employé  en  faveur  dudit  Prince  n'auront  pas  peu  contribué. 
Permettes,  Sire,  que  j'ose  supplier  V.  M.  de  luy  continuer  la  mème  bienveillance  dont  elle 
l'a  honnoré  jusques  icy  ". 

17 


374  GIOVANNI  SFORZA 


c'est  d'ensinuer  au  Ministre  de  Massa,  qui  est  à  Vienne,  de  suggérer  à  la 
Duchesse  de  nous  écrire  une  lettre  de  civilité,  et  elle  le  peut  faire  d'autant 
plus  naturellement  que  les  fétes  de  Noèl  étant  imminantes  et  les  autres 
Princes  d'Italie,  comme  les  Ducs  de  JModène  et  de  Quastalle  aiant  l'attention 
de  nous  écrire,  comme  aussi  à  la  Reine,  dans  cette  occasion,  la  Duchesse 
de  ]\Iasse  en  peut  profiter  en  nous  écrivant  une  lettre  de  bonnes  fètes. 

Vous  informerez  donc  de  tout  ce  que  dessus  M/  le  Prince  Eugène  :  vous 
l'assùrerez  de  la  satisfaction  avec  laquelle  nous  entrerons  toujours  dans 
toutes  les  siennes  et  nous  contribuerons  toujours  à  celle  du  Prince  son 
neveu,  auquel  eifect  quoique  nous  croions  que  présentement  il  n'y  a  rien  de 
plus  à  faire  jusqu'à  ce  printems  qui  le  Prince  Eugène  allant  à  Vienne  exé- 
cute  le  projet  de  passer  par  Massa,  s'il  a  cependant  quelque  chose  de  plus 
à  nous  suggérer,  nous  le  ferons  avec  plaisir. 

Quant  au  formulaire  des  lettres  concernant  la  Duchesse  de  Massa,  nous 
n'avons  aucune  difficulté  de  nous  conformer,  autant  pour  le  formulaire  actif, 
que  pòur  le  passif,  à  celui  que  le  Due  de  Quastalle  pratique  avec  nous 
en  la  conformité  que  vous  verrés  par  une  lettre  originale  dudit  Due,  que 
nous  vous  envoions,  et  par  le  papier  ci-joint.  Et  pour  que  le  tout  se  passe 
de  bonne  grace  et  sans  incident,  vous  en  enformerés  naturellement  le  Mi- 
nistre de  la  Duchesse  de  Massa  (i). 

Il  Marchese  di  Breglie  non  mancò  d'informare  subito  d'ogni  cosa  l'in- 
viato massose,  che  era  il  cav.  Giuseppe  Ambrogio  Brunetti;  il  quale,  alla 
sua  volta,  ne  rese  avvisata  la  Duchessa  Ricciarda,  che  fece  tesoro  del  sug- 
gerimento, affrettandosi  a  scrivere  al  Re  di  .Sardegna: 

Sacra  Reale  Maestà, 

Quantunque  possa  comparire  affatto  superfluo  il  presente  mio  rispetto- 
sissimo ufizio  a  V.  M.  come  nata  alle  maggiori  e  più  felici  grandezze,  ad 
ogni  modo,  resa  io  coraggiosa  da  quella  magnanima  inclinazione  con  cui 
l'animo  suo  Reale  accoglie  sempre  con  infinita  benignità  le  rimostranze  di 
stima  e  venerazione  che  le  sono  presentate,  mi  do  l'onore  pregiatissimo  di 
manifestarle  nelle  imminenze  del  prossimo  S.  Natale  quelle  brame  ardentis- 
sime  che  nodrisco  e  nodrirò  mai  sempre  per  le  più  segnalate  prosperità 
della  medesima  M.  V,  e  di  tutta  insieme  la  di  lei  Real  Casa.  Mi  faccia  degna 
del  suo  clementissimo  gradimento,  conforme  lo  spero  ;  e  resto,  profondamente 
inchinandomi, 

Massa,  li  19  dicembre  173 1. 
Di  V.  S.  R.  M. 

f/;//.'""  dev."^"  serva  osseq.""" 
Ricciarda    Gonzaga   Cybo 

Duchessa  Vedova  di  Massa  (2). 

La  lettera  non  mancò  di  produrre  l'effetto  desiderato  e  voluto;  come 
ebbe  a  dichiarare  il  Re  stesso  al  comm.  Solaro  (3),  il  12   di  gennaio  deir32  : 


(i)  R.  Archivio  di  Stato  di  Torino.  Lettere  di  Ministri.  Anstria  ;  mazzo  n"  61. 

(2)  R.  Archivio  di  Stato  in  Torino.  Lettere  di  Principi.  Massa. 

(3)  Il  comm.  Antonio  Maurizio  Solaro  era  figlio  di  Ottavio  Francesco  dei  conti  di  Covone 
e  dì  Maria  Provana  di  Druent  ed  era  fratello  di  Giuseppe  Roberto  Solaro  marchese  di  Breglio, 
al  tpiale  succedette  nella  carica  di  ministro  del  l'è  di  Sardegna  presso  la  Corte  di  \'ienna. 
Ascritto  all'Ordine  di   Malta,  era  gran   Priore  di   l.omhanlia. 


IL   PRINCIPE  EUGENIO   FRANCESCO  DI  SAVOIA  375 

«  Nous  vous  informons  que  la  Duchesse  de  Massa  nous  a  écrit  la  lettre  de 
bonnes  fétes,  qui  lui  a  été  insinuée  ;  et  nous  lui  avons  fait  une  reponse  tres 
gracieuse  »  (i). 

Il  Brunetti,  presidente  del  Consiglio  di  Giustizia  a  ÌMassa,  si  trovava  a 
Vienna  fin  dal  3  febbraio  del  1729;  e  v'era  stato  inviato  dal  duca  Alderano, 
per  tutelare  e  rivendicare  i  diritti  della  moglie,  Ricciarda  Gonzaga,  alla  suc- 
cessione del  feudo  di  Xovellara  (2).  Per  testimonianza  del  Rocca,  «  nella 
Corte  Cesarea  era  ben  veduto,  non  solo  per  le  sue  buone  qualità,  ma  ancora 
per  l'efficaci  raccomandazioni  del  Barone  Sig/  Conte  Lazzaro,  di  lui  fratello, 
Gran  Cancelliere  della  Provincia  della  Slesia  (3)  e  molto  cognito  alla  Corte 
sopra  detta.  >> 

Da  Massa  gli  furono  mandate  le  seguenti  «  Capitolazioni,  da  concordarsi 
tra  li  tutori  e  curatori  della  Sig."  Donna  Maria  Teresa  Cybo,  a  cui  spetta 
la  successione  de'  feudi  di  Massa  e  Carrara  e  di  tutti  gli  altri  beni  allodiali 
della  Casa  Cybo,  ed  il  novello  di  lei  sposo,  prima  della  sottoscrizione  de' 
capitoli  matrimoniali  »  : 

I.  Spettando  per  ogni  ragione  alla  Duchessa  Donna  Ricciarda  Gonzaga 
Cybo,  vedova,  madre,  tutrice  e  curatrice  delle  figlie,  un  congruo  assegna- 
mento sopra  gli  effetti  della  Casa  Cybo,  sua  vita  durante,  si  contenta  detta 
Sig/  di  cedere  a  favore  della  sua  primogenita  e  del  futuro  sposo  ogni 
ragione,  che  potesse  spettargli  per  tale  assegnamento,  allorachè  dalla  cle- 
mente giustizia  di  S.  M.  Cesarea  venga  inx^estita  dello  Stato  di  Xovellara,  a  lei 
spettante,  con  l'investitura  a  suo  favore,  e  doppo  di  lei  della  sua  primo- 
genita e  de'  fig'li  maschi,  e  femine  in  difetto  de'  maschi,  nascituri  da  essa 
figlia  e  da'  suoi  successori  in  infinito;  contentandosi  essa  Signora  Duchessa 
per  suo  appannaggio  de'  frutti,  tanto  feudali,  che  allodiali  del  nominato  feudo 
di  Novellara,  e  di  tutto  altro  che  era  della  sua  famiglia  paterna;  promet- 
tendo in  tal  caso  di  non  recare  veruna  molestia,  o  suscitare  qualunque  mi- 
nima pretenzione  contro  la  sua  primogenita  e  di  lei  sposo  futuro  per  verun 
altro  appannaggio,  o  altra  cosa  di  sua  convenienza. 

E  perchè,  non  conseguendo  detta  vSig.*  l'investitura  preaccennata,  da  cui 
sarebbe  per  avere  il  s.uo  onesto  mantenimento,  rimarrebbe  in  tal  caso  il 
peso,  tanto  alla  sua  primogenita,  che  al  futuro  sposo,  di  darle  un  congruo 
appannaggio  per  il  suo  dovuto  mantenimento,  quale  avrebbe  da  stabilirsi 
prima  della  sottoscrizione  de'  capitoli  matrimoniali;  quindi  è  che  rimane 
indispensabile,  che  prima  della  sottoscrizione  di  detti  capitoli,  si  vedano  le 
determinazioni  di  S.  M.  circa  l'effettiva  investitura  come  sopra,  giacché  senza 
di  questa  non  puole  aver  luogo  la  rinuncia,  che  essa  Sig.'  Duchessa  si  esi- 
bisce di  fare  per  gli  appannaggi,  che  gli  spettano  per  il  suo  decoroso  e 
conveniente  mantenimento. 


(i)  Di  questa  Icllcra  non  si  trova  la  minuta  tra  le  carte  dell'Archivio  di  Torino,  né 
l'originale  tra  quelle  dell'Archivio  di  Massa. 

(2)  In  questa  occasione  il  Brunetti  stampò  un'allegazione  intitolata:  Status  Novellariae 
et  Bagnoli  succcssionis  prò  Seremssinia  Domina  Ricciai-da  Gonzaga  Cybo,  Ducissa  Jì/assae, 
cantra  Dominum  Ducevi.  Guastallae  ;  in-fol.  di  pp.  16,  senza  anno  e  note  tipografiche.  Venne 
pure  alla  luce  anche  un'allegazione  di  Pietro  Guerra  di  Massa,  avvocato  nella  Curia  Romana 
e  del  Sacro  Palazzo.  Ha  per  titolo:  Status  Novellariae  et  Bagnoli  succcssionis  ;  in-fol.  di  pp.  106, 
senza  anno  e  note  tipografiche.  Tutte  e  due  però  usciron  da'  torchi  de'  Frediani  di  Massa. 

(3)  Cfr.  Gerini  e..  Memorie  storiche  d' illustri  scrittori  e  di  uomini  insigni  dell'antica 
e  moderna  Lunigia7ia,  Massa,  Frediani,  1829;  I,  213-217. 

19 


376  GIOVANNI   SFORZA 


II.  Essendovi  due  altre  figlie  del  defunto  Duca  di  Massa  Don  Alderano, 
cioè  donna  Maria  Anna  secondogenita,  e  donna  Maria  terzogenita,  alle  quali 
conviene  una  dote  conveniente  per  i  loro  accasamenti;  considerando  che 
secondo  il  loro  stato  e  condizione,  e  secondo  l'uso  presente  delle  sue  pari, 
non  può  competer  loro  una  dote  minore  di  cinquanta  in  sessantamila  scudi 
per  ciascheduna;  perchè  vengano  queste  assicurate  di  una  tal  dote,  e  resti 
impiegata  in  tanti  luoghi  di  Monti  in  Roma,  che  costituischino  la  somma  di 
scudi  cinquantamila  di  capitale  per  ciascheduna,  quali  impiegati  ora  in 
questa  forma,  e  rinvestiti  i  frutti  di  mano  in  mano  inaugumento  del  capitale, 
giungeranno  nel  tempo,  che  dovrà  cadere  il  loro  maritaggio,  alla  somma  di 
sessantamila  scudi  in  circa,  perciò  converrà  che  si  stabilisca,  prima  della 
sottoscrizione  de'  capitoli,  per  esse  la  preaccennata  dote,  o  sia  investimento 
in  luoghi  di  Monti  in  Roma. 

E  perchè  tale  dote  è  conveniente  che  si  cavi  dagli  effetti  della  Casa 
Cybo,  a  cui  appartiene  il  dotarle;  quindi  è,  che  si  stima  conveniente  di 
alienare  qualche  capitale  dell'istessa  Casa,  che  apporti  il  minor  discapito  che 
sia  possibile,  acciò  che  il  prezzo  di  questi  abbia  a  servire  per  il  sopra 
espresso  investimento  e  doti. 

E  siccome  il  capitale,  che  si  crede  più  che  adeguato  a  questo  effetto,  si 
è  il  Ducato  di  Aiello  in  Calabria,  per  le  ragioni  che  si  diranno,  perciò  sarà 
di  mestieri  l'opera  del  futuro  sposo,  per  ottenere  da  S.  M.  la  grazia  di  poter 
vendere  detto  feudo,  e  di  potere  estrarre  il  denaro  dal  regno  di  Napoli  per 
farne  l'investimento  in  Roma  ne'  detti  luoghi  di  ^lonti,  giacché  l'investimento 
in  quel  regno  non  potrebbe  seguire  così  prontamente,  né  riuscirebbe  di 
quel  vantaggio  che  sarebbe  facendosi  in  Roma,  mentre  dal  regno  preac- 
cennato non  si  puole  estrarre  il  denaro  ad  arbitrio  di  chi  lo  possiede,  come 
si  possono  vendere  facilmente  i  luoghi  di  Alonti  in  Roma  ed  estrarsene  il 
prezzo,  onde,  impiegato  il  capitale  in  Roma,  resterebbe  sempre  in  arbitrio 
de*  futuri  sposi  delle  nominate  Signore  di  vendere  i  luoghi  di  Monti  e  farne 
l'investimento  in  quelle  città  dove  eglino  avessero  la  propria  dimora;  e 
tanto  più  ciò  è  conveniente  che  siegua,  quando  che  i  frutti  degli  investi- 
menti ne'  luoghi  di  Monti  in  Roma  sono  esenti  da  ogni  peso,  quando  che 
le  vendite  nel  regno  di  Napoli  sono  sempre  sottoposte  ai  vallimenti,  che 
impone  S.  jM.  bene  spesso  in  occasione  de'  bisogni  della  sua  imperiai  camera, 
e  precisamente  sopra  gli  effetti  de'  forastieri,  che  ivi  non  dimorano,  toglien- 
dosi a  questi  alle  volte  in  parte  ed  alle  volte  anche  tutte  l'entrate,  come 
siegue  di  presente. 

Le  ragioni  poi,  perchè  si  stima  più  conveniente  l'alienazione  di  questo 
feudo,  che  quello  di  ogni  altro  capitale  della  Casa  Cybo  a  quest'effetto,  sono 
le  seguenti,  cioè,  perchè  questo  feudo  non  diminuisce  in  veruii  modo  l'ouo- 
revolezza  al  Duca  di  Massa,  anzi  gli  è  piuttosto  in  ciò  di  discapito,  mentre 
lo  fa  barone  del  regno  di  Napoli  e  soggetto  all'  autorità  di  quei  regi 
Ministri,  che  a  questo  conto  lo  considerano  niente  più  d'ogni  altro  dei  più 
inferiori  baroni  del  regno,  trattandolo  con  il  titolo  d'Illustre,  come  ogni 
altro  mercante,  che  abbia  comperato  un  qualche  titolo.  In  oltre  perchè 
restando  tanto  lontano  da  Massa  non  poi  esser  governato  quello  Stato  come 
porterebbe  il  vantaggio  non  solo  de'  vassalli,  e  l'amministrazione  della  giu- 
stizia, ma  come  anche  converrebbe  all'interesse  ed  auìministrazione  degli  ef- 
fetti, essendo  a  questo  conto  molto  diminuito,  tanto  di  popolo,  che  di  territorio 
e  di  rendite  da  quello  ch'era  quando  fu  acquistato  dalla  Casa  Cybo,  già  che 
si  affittava  prima  per  cinquemila  e  più  ducati  di  quel  regno,  che  vuol  dire 
poco  meno  di  quattromila  scudi  romani,  quando  ora  non  si  affitta  più  che 
mille  e  ottocento  ;  e  finalmente  perchè  essendo  sottoposto  a  tutti  i  pesi,  che 
s'impongono  sopra  gli  effetti  de'  forastieri  non  residenti  nel  regno,  bene 
spesso  vien  diminuito  il  fruttato,  o  vien  tolto  anche  intieramente,  convenendo 
far  le  spese  del    proprio,    che  vi  vogliono  per  mantenerlo,  senza  prenderne 

20 


IL   PRINCIPE  EUGENIO  FRANCESCO   DI   SAVOIA'  37; 


verun  emolumento,  in  guisa  che  rimane  spesse  volte  di  aggravio  e  non  di 
utile,  come  appunto  succederebbe  ora,  se  il  Cardinal  Cybo,  che  è  riservatario 
de'  frutti,  non  avesse  una  grazia  speciale  da  SS.  M.,  come  cardinale,  di  essere 
esente  dal  peso  de'  preaccennati  vallimenti. 

E  perchè  quando  non  si  ottenesse  la  grazia  di  vendere  il  feudo  e  di 
potere  estrarre  il  denaro  dal  regno  di  Napoli  del  prezzo  di  esso,  converrebbe 
prima  della  sottoscrizione  de'  capitoli  matrimoniali  pensare  e  stabilire  in  altra 
guisa  il  capitale  da  investirsi  per  la  dote  di  sopra  nominata  delle  due 
seconda  e  terzagenita;  quindi  è  che  si  ricerca  tutta  l'opera  del  futuro  sposo, 
perchè  si  ottenga  da  S.  M.  tal  grazia,  tanto  necessaria  a  premettersi  alla 
sottoscrizione  dei  capitoli,  quanto  è  di  necessità  lo  stabilire,  preventivamente 
alla  stessa  sottoscrizione,  l'assicurazione  della  dote  delle  nominate  Signore 
seconda  e  terzagenita. 

III.  Essendo  di  ragione  che  le  dette  Sig.^^  seconda  e  teri:agenita  abbiano 
il  loro  dovuto  mantenimento  dalla  Casa  Cybo  sino  al  tempo  che  dovrà 
seguire  l'elezione  del  loro  stato,  o  di  maritarsi,  o  monacarsi;  quindi  è  che 
dovrà  contentarsi  il  nuovo  sposo  della  primogenita  di  mantenerle  sino  a 
quel  tempo  dal  giorno  che  entrerà  al  possesso,  tanto  de'  feudi,  che  degli 
effetti  della  Casa,  con  il  dovuto  decoro  e  convenienza,  nel  proprio  palazzo 
nella  città  di  Massa,  ove  dovrà  essere  la  di  lui  ordinaria  residenza,  come 
conviene  al  decoro  e  vantaggio  suo  e  dello  Stato  medesimo. 

IV.  Quando  poi  alcuna  delle  due  Signore,  seconda  e  terzagenita ,  o 
ambedue  queste  eleggessero  di  monacarsi,  in  tal  caso  dovrà  prendersi  la  dote 
conveniente  per  la  loro  monacazione,  secondo  lo  stile  di  quel  monastero,  ove 
vorranno  collocarsi,  dal  capitale  delli  cinquanta  mila  scudi,  che  devono  in- 
vestirsi per  la  sicurezza  della  loro  dote,  ed  il  restante  di  esso  capitale  dovrà 
loro  vita  durante  restare  sempre  fermo  nello  stesso  investimento,  dandosene 
fino  che  viveranno  ad  esse  ragguagliatamente  il  fruttato  per  loro  livello,  e 
doppo  la  loro  morte  ritornerà  il  capitale  medesimo  liberamente  alla  Casa 
Cybo,  cioè  al  futuro  sposo  della  primogenita,  o  suoi  figli,  in  mancanza  di  lui. 

V.  Restando  ultimo  superstite  della  famiglia  C3''bo  il  Cardinal  Don 
Camillo,  che  quantunque  chiamato  all'investitura  de' feudi  ed  alla  successione 
degli  allodiali  in  virtù  dei  fideicommissi  della  sua  Casa,  ha  nuUadimeno  de- 
siderato di  veder  succedere  in  tutte  queste  cose,  tanto  prima  il  Duca  Don 
Alderano,  suo  fratello,  ultimamente  defunto,  benché  minore  di  età,  quanto  ora 
la  di  lui  primogenita,  avendo  fatte  rispetto  al  nominato  fratello  le  opportune 
rinuncie  di  tutto,  con  la  sola  riserva  degli  effetti  della  Casa,  che  erano  nello 
stato  della  Chiesa  e  nel  regno  di  Napoli,  trovandosi  tali  effetti  riservati  a  sé  di- 
minuiti nella  quantità,  per  diverse  alienazioni,  che  ha  dovuto  fare  de'  capitali, 
con  il  consenso  espresso  del  detto  Duca  suo  fratello,  tanto  per  il  suo  ordinario 
mantenimento,  che  per  le  spese  straordinarie,  e  precisamente  in  occasione  di 
esser  stato  promosso  al  cardinalato, in  guisa  che  ora,  che  gli  conviene  un  tratta- 
mento maggiore,  per  la  nova  dignità,  che  sostiene,  si  trova  diminuite  le 
rendite,  quasi  che  per  metà,  riservatesi  già  nel  tempo  della  rinuncia  da  lui 
fatta,  in  cui  non  era  che  prelato  ;  quindi  é,  che  rinunciando  novamente  ora 
tutto  a  favore  della  sua  nepote  primogenita,  intende  riservarsi  un  annuo 
assegnamento  sopra  tutti  gli  effetti  della  Casa  Cybo,  tanto  feudali,  che  allodiali, 
di  scudi  tremila  romani,  o  durante  la  minorità  della  stessa  nepote,  o  sino 
che  siegua  il  di  lei  accasamento;  considerando  doverseli  ciò,  non  solo  per 
l'incomodo  della  tutela,  a  tenore  di  quello  che  dispongono  tutte  le  leggi,  ma 
per  ragione  ancora  della  maggior  spesa,  che  gli  conviene  nello  stato  di  tutore 
in  Massa,  di  quella  che  egli  faceva  nel  ritiro  che  aveva  preso  in  Mola  di 
Gaeta,  tanto  più  che  dimorando  fuori  della  Corte  di  Roma  non  può  sperare 
da  quella  la  necessaria  provista,  non  per  anche  conseguita,  sì  di  beni  eccle- 

21 

4S  — Mise,  S.  III.  T.  XIII. 


378  GIOVANNI   SFORZA 


siastici,  che  di  cariche  soHte  darsi  a  cardinali;  contentandosi  egli  sino 
all'enunciato  tempo  di  cosi  tenue  prov'ista,  a  riflesso  di  vedere  ora  la  Casa 
incomodata  da  molti  debiti,  lasciati  dal  defunto  fratello;  e  siccome  deve 
giustamente  sperarsi,  che  nel  tempo  che  durerà  la  minorità  della  sua  prima 
nepote,  o  che  essa  tarderà  ad  accasarsi,  stante  la  sua  tenera  età,  potrà  rimet- 
tersi in  stato  molto  migliore  la  stessa  sua  Casa,  perciò  intende,  che  o  finita 
la  minorità  di  essa  sua  prima  nepote,  o  seguendo  con  effetto  il  di  lei  acca- 
samento, abbia  allora  a  conseguire,  invece  delli  scudi  tremila,  scudi  seimila 
della  stessa  moneta  romana  l'anno,  da  doversi  prendere  dagli  effetti  tanto 
feudali  che  allodiali  della  Casa  Cybo,  a  di  lui  piacimento;  essendo  questa  una 
riserva  dovuta,  e  per  gratitudine  al  beneficio  da  lui  fatto  in  virtù  delle 
nominate  rinuncie,  ed  un  incomodo  assai  leggiero  a  chi  dovrà  soggiacervi, 
precisamente  per  il  poco  tempo  che  averà  da  durare,  non  tanto  perchè  nel 
tempo  che  dovrà  cominciargli  1'  assegnamento  delli  scudi  seimila  sarà  egli 
vicino  (quando  pure  vi  giunga)  all'età  di  sessant'anni,  quanto  perchè  avendo 
egli  strapazzata  la  sua  vita  con  longhe  e  continue  fatiche,  si  trova  pieno  di 
indisposizioni,  che  di  continuo  lo  molestano  e  gli  fanno  credere  di  molto  breve 
durata  il  suo  vivere. 

VI.  Siccome  il  feudo  di  Aiello  in  Calabria,  di  cui  si  è  parlato  di  sopra, 
è  uno  degli  effetti  già  per  prima  riservati  per  assegnamento  del  preaccen- 
nato Cardinale  Don  Camillo  Cybo,  per  ciò  qualora  si  venda,  come  si  crede  con- 
veniente, doverebbe  la  Casa  supplire  e  sborsare  al  Cardinale  il  fruttato  di  esso 
feudo  nella  somma  di  scudi  mille  e  ottocento  annui  ;  conviene  il  Cardinale, 
che  vendendosi  detto  feudo  ad  effetto  d'impiegare  centomila  scudi  per  le  doti 
delle  nepoti  seconda  e  terzagenita,  acciò  non  si  accresca  il  nuovo  incombro 
alla  Casa  di  questa  annua  apprestazione  di  scudi  mille  e  ottocento,  sino  che 
durerà,  o  l'età  pupillare  della  primogenita,  o  seguirà  il  suo  effettivo  acca- 
samento, e  che  egli  non  prenderà  dalla  Casa,  se  non  che  scudi  tremila,  abbia 
egli  da  prendere  la  reintegrazione  delli  scudi  mille  e  ottocento  dal  frutto 
che  renderanno  li  cento  mila  scudi  da  investirsi  in  luoghi  di  Monti  in  Roma 
per  l'assegnamento  delle  doti,  come  sopra;  ed  il  resto  del  fruttato  di  essi  cen- 
tomila scudi  debba  investirsi  in  augumento  del  capitale  delle  doti  medesime, 
e  quando  sarà  fatto  luogo  a  dover  egli  conseguire  l'annuo  assegnamento  di 
scudi  seimila,  abbiano  li  scudi  mille  e  ottocento  a  comprendersi  nelli  scudi 
seimila,  in  guisa  che  non  possa  egli  pretendere  verun  altro  compenso  alli 
scudi  mille  e  ottocento,  che  perderà,  se  non  che  li  soli  seimila;  con  la  con- 
dizione però,  e  non  altrimenti,  che  quando  mai  il  feudo  di  Aiello  potesse 
vendersi  di  più  delli  scudi  centomila,  da  investirsi  per  le  doti  come  sopra, 
tutto  il  di  più  che  gli  riuscisse  di  vendere  il  detto  feudo  abbia  da  rimanere 
liberamente  a  lui,  senza  che  da  veruno,  né  in  verun  tempo  possa  venirgli 
chiesto  conto  di  qualunque  somma,  o  poco,  o  assai  che  fosse  per  sopravan- 
zare alli  scudi  centomila  di  moneta  romana  la  vendita  di  detto  feudo  di  Aiello. 

VII.  Perchè  il  Cardinal  Don  Camillo  in  occasione  delle  alienazioni  fatte 
di  molti  mobili  dal  Duca  di  IMassa,  suo  fratello  defunto,  ha  ricomprato  da 
quegli  che  avevano  (perchè  spirato  il  convenuto  termine  a  redimerli)  tutto 
l'arbitrio  di  venderli,  trentadue  pezzi  di  arazzi  e  molti  pezzi  di  quadri  de' 
più  insigni  pittori,  tre  nobili  orologj ,  uno  de'  quali  fu  donato  dal  defunto 
Duca  di  Baviera  al  Cardinale  Alderano  Cybo,  e  due  bacili  di  avorio,  lavorati 
di  tutta  perfezione  e  istoriati,  con  suoi  boccali  compagni,  ed  essendo  il  Cardi- 
nale in  necessità  di  vendere  le  dette  cose  per  riscuotere  diversi  suoi  argenti, 
che  tiene  nel  Monte  della  Pietà  di  Roma,  e  sodisfare  i  debiti,  che  gli  ri- 
mangono, dispiacendogli  che  simili  cose  preziose,  e  di  gosto  considerabile, 
abbiano  da  uscire  dalla  sua  casa,  trovandosi  apprettato,  tanto  da'  creditori, 
che  dai  frutti,  che  gli  convien  sodisfare,  per  i  debiti  che  tuttavia  tiene, 
vedendosi  perciò    in    necessità    di    disfarsi    di    tali  cose,   e   non   potendo   di 

22 


IL   PRINCIPE  EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  379 


presente  la  sua  Casa  ed  il  patrimonio  della  pupilla  ricuperarle  con  il  proprio 
denaro,  offerisce  di  cederle  al  futuro  sposo  di  essa  pupilla,  in  Roma  ove  le 
ritiene,  per  il  solo  prezzo  che  gli  costano,  megliorate  e  ridotte  in  bon  stato, 
quale  si  è  di  scudi  ottomila  romani,  quando  però  così  gli  piaccia. 

Vili.  Dovendosi  cercare  la  conservazione  del  nome  della  famiglia  Cybo, 
da  cui  verrà  al  futuro  sposo  della  primogenita  il  possesso  de'  feudi  e  di 
molti  altri  effetti,  che  sono  ora  di  tale  famiglia,  si  contenterà  lo  stesso  futuro 
sposo  di  prendere  unito  al  suo  cognome  anche  quello  della  famiglia  Cybo, 
perchè  ne  rimanga  di  questa  ne'  tempi  avvenire  la  dovuta  memoria. 

IX.  Trovandosi  la  Casa  lasciata  dal  defunto  Duca  Don  Alderano  gravata 
di  debiti  nella  somma  di  scudi  .  . .  .  (i)  in  circa,  dalle  notizie  che  si  hanno  per 
le  istanze  fatte  fin  qui  da'  creditori  per  il  pagamento  de'  loro  crediti,  come 

pure  il  debito  di per  tante  robbe,  che  sono  impegnate,  di  valore  molto 

eccedente  al  denaro  preso  sopra  di  esse,  e  siccome  non  possono  riscotersi 
i  pegni  fatti  dalla  Casa,  perchè  ora  non  ha  denaro  da  riacquistarli ,  deve 
necessariamente  rispetto  a  questi  soggiacere  al  grave  pregiudizio,  tanto  del- 
l'augumento  de'  frutti  rigorosi,  che  corrono  alcuni  sino  al  sette  per  cento, 
quanto  la  vergognosa  e  pregiudiciale  necessità  di  veder  vendere  tali  pegni 
allo  incanto;  e  rispetto  alli  debiti,  di  dovere  vendere  diversi  e  boni  capitali 
per  quel  poco  che  si  troverà,  che  molte  volte  non  sarà  la  metà  del  giusto 
valore,  quindi,  e  per  salvare  l'onestà  della  Casa,  e  per  riparare  al  grave 
pregiudizio  della  vendita,  che  indispensabilmente  deverà  farsi  altrimenti  de' 
megliori  capitali,  con  la  perdita  delle  rendite  che  fruttano,  si  propone  al 
futuro  sposo  di  fare  egli  l'acquisto  delle  cose  impegnate,  per  decoro  e  van- 
taggio e  della  sposa  sua  e  della  Casa,  che  sarà  parimenti  sua;  come  pure 
di  sborsare  il  denaro  per  il  pagamento  di  quelli  debiti,  che  li  diminuiranno 
il  patrimonio  con  lo  augumento  de'  frutti  rigorosi,  che  si  fanno  sempre 
maggiori,  ed  evitare  anche  la  vendita  di  quegli  effetti,  che  sono  precisamente 
nello  Stato  di  Massa,  e  che  accrescono  notabilmente  quivi  l'utile  et  il  decoro 
del  Principato  ;  sul  riflesso  particolarmente  che  volendoli  poi  un  giorno  egli 
riacquistare,  o  non  potrà  farlo,  o  dovrà  indispensabilmente  effettuarlo  col 
disborso  di  denaro  molto  maggiore  (i). 

Il  2T,  di  gennaio  il  comm.  Solaro  scriveva  al  re  Carlo  Emanuele:  ■--<  Le 
Président  Brunetti  ayant  produit  plusieurs  articles  des  prétentions,  tant  de 
Madame  la  Duchesse  de  Massa,  que  de  M''  le  Cardinal,  nous  nous  sommes 
assemblez  avant  le  depart  de  mon  frère  chez  le  Comte  de  Metz  et  le  réf- 
frendaire  Koch,  qui  y  étoit  de  la  part  de  M''  le  Prince  Eugène,  a  mis  à  la 
marge  les  reponses  à  chaque  article  qui  ont  été  approuvées  par  tous  les 
autres.  Le  susdit  Président  s'est  chargé  de  les  envoyer,  et  on  a  convenu 
qu'on  ne  feroit  aucune  demarche  jusqu'à  ce  qu'on  fùt  éclairci  là  dessus.  jVP  le 
Prince  Eugène  souhaite  que  j 'agisse  comme  fesoit  mon  frère  dans  cette 
affaire;  je  lui  ai  dit  que  cela  étoit  conforme  aux  ordres  de  V.  ]\J.  et  que  je 
m'y  emploierois  avec  toute  l'attention.  Le  procez  pour  Nouvellai-a  doit  etre 
bientót  decide  ;  on  a  des  bonnes  espérances.  C'est  une  affaire  fort  essentielle 
pour  cette  maison  ».  Il  6  di  febbraio  gli  tornò  a  scrivere:  «  AP  le  Prince 
Eugène  il  m'a  chargé  de  témoigner  les  obligations  infinies  qu'il  a  à  V.  M.  de 
l'interét  qu'Elle  veut  bien  prendre  à  l'établissement  de  son  petit  neveu.  Je 
travaille  à  finir  avec  le  Comte  de  Metch  et  le  Président  Brunetti  tout  ce 
qui    regarde    le    mariage,    et  aurai   l'honneur  de  faire  bientòt  la  relation  a 


(i)  La  cifra,  qui  e  più  sotto,  nell'originale  è  in  bianco. 

(2)  R.  Archivio  di  Stato  in  Massa.  Matrimoni  della  Casa  Cybo,  filza  482. 

23 


380  GIOVANNI   SFORZA 


V.  M.  de  tout  ce  que  nous  aurons  convenu.  Il  est  bon  de  venir  au  plus  vite 
à  la  conclusion,  M"^  le  Due  de  Modène  fesant  toutes  les  propositions  les  plus 
avantageuses  pour  rompre  ce  traité  et  s'assurer  cette  soccession  en  etablissant 
le  mariage  avec  son  petit  fils;  j 'espère  que  nous  romprons  ses  mesures.  M""  le 
Prince  Eugène  m'a  chargé  d'une  commission  dont  je  prévois  exécution  fort 
difficile  ;  il  souhaite  que  je  dispose  la  Princesse  mère  de  son  petit  neveu  à 
s'expliquer  et  faire  ce  qui  seroit  juste  et  convenable  pour  son  fils  lorsqu'il 
viendra.  Je  crains  de  ne  pas  mieux  réussir  que  le  general  Filippi  et  mon 
frère  qui  ont  travaillé  tous  deux  fort  inutilement  à  la  porter  à  donner  les 
éclaircissemens  qu'elle  a  bien  resolu  de  réfuser  constamment.  Je  m'y  em- 
ploierai  avec  toute  l'attention  sans  espérer  de  réussir,  les  mèmes  obstacles 
subsistant  toujours  sans  qu'il  dépende  de  moi  de  les  aplanir  ».  Di  lì  a  tre 
giorni  ripigliò  la  penna  per  dirgli  :  «  Je  suis  en  devoir  de  rendre  compte  à 
V,  M.  des  mesures  qu'on  a  prises  pour  eluder  les  délais  de  ^M'^  le  Cardinal 
Cybo  et  venir  à  la  conclusion  du  mariag^e  :  on  a  convenu  que  pour  tout 
surmonter  et  ne  plus  otre  exposé  à  des  retardemens  qui  pourroient  faire 
manquer  une  affaire  si  avantageuse,  il  falloit  former  ici  un  pian  de  contract 
de  mariage  et  une  convention  séparée  qui  établit  les  autres  réglemens  à 
observer  de  part  et  d'autre.  J'ai  l'honneur  d'envoier  ces  deux  pièces  à  V.  M. 
Le  Comte  de  Metch,  commissaire  de  l'Empereur  à  cet  effet,  a  moien  qui  est 
le  plus  court  et  en  a  rendu  compte  à  S.  M.  L  qui  ordonnera  au  Comte 
Stampa  d'aller  à  Massa  pour  faire  scavoir  à  Madame  la  Duchesse  et  à  M""  le 
Cardinal  que  ce  pian  a  son  aprobation  et  qu'il  souhaite  que  le  mariage  soit 
conclu  sur  ce  pied.  Ledit  Comte  aura  aussy  une  instruction  de  M""  le  Prince 
Eugène  pour  disposer  tout  selon  ses  instructions.  EUes  sont  que  le  mariage 
se  fasse  au  pkistót;  à  cet  effet  il  souhaite  que  je  prévienne  V.  M.  à  fin  que 
sans  attendre  l'avis  d'ici,  Elle  veuille  bien  continuer  ses  bontéz  à  son  neveu 
et  envoyer  quelque  personne  de  sa  Cour  pour  faire  aussy  tòt  que  le  Comte 
Stampa  donnera  l'avis  au  Comte  Filippi  d'avoir  exécuté  sa  commission  et 
d'avoir  convenu  à  Massa  du  tems  de  faire  cette  démarche.  Il  y  a  apparence 
que  l'autorité  de  l'Empereur  donnera  tout  le  poid  à  cette  affaire  et  qu'elle 
sera  établie  en  peu  de  tems.  M''  le  Prince  Eugène  souhaite  que  ce  printems 
M*"  son  neveu  epouse  la  Princesse  avec  dispense,  et  comm'il  est  porte  par 
un  des  articles  du  contract  qu'il  sera  associé  à  l'autorité  après  les  noces,  il 
sera  en  droit  de  nommer  une  personne  de  confiance  qui  prenne  connoissance 
des  interèts  et  aye  part  au  maniement  des  affaires.  L'Etat  de  Masse  liquide 
doit  rapporter  20  m.  pistoles  et  Novellara,  y  compris  Vescovado  et  Bagnolo, 
IO  m.  Ces  derniers  fiefs  ne  sont  chargés  d'aucune  dette.  Je  ne  dois  pas 
prendre  sur  moi  de  signor  le  susdit  contract  comme  ministre  de  V.  M.  sans 
en  avoir  l'ordre,  que  je  supplie  V.  M.  de  m'envoyer,  M'  le  Prince  Eugène 
voiant  avec  une  parfaite  satisfaction  que  V.  M.  s'interesse  aux  affaires  de 
son  neveu  ». 

Il  Re  gli  rispondeva  il  2^  del  mese  stesso:  «  Commandeur  Solar.  Nous 
avons  eu  une  veritable  satisfaction  en  apprenant  par  votre  lettre  du  9  de  ce 
mois  que  l'affaire  du  mariage  du  Prince  Eugène  avec  la  Princesse  de  Massa 
tend  à  son  heureuse  conclusion.  La  pensée  de  M""  le  Prince  Eugène  que  ce 
mariage  s'exécutc  au  plustòt  qu'il  sera  possible  est  très  juste  et  ne  nous  a 

24 


IL   PRINCIPE   EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  38 1 

pas  fait  moins  de  plaisir  par  celui  que  nous  av-ons  de  voir  son  neveu  pour 
lequel  nous  avons  tant  d'aifectìon  bien  établi,  et  de  voir  cette  branche  de 
notre  Maison,  pour  laquelle  nous  nous  interesserons  toujours  bien  particu- 
lierèment,  mise  dans  une  situation  à  pouvoir  faire  cette  figure  qui  lui  con- 
vient.  Vous  en  feliciteres  de  notre  part  le  Prince  et  vous  pouves  lui  dire 
que  dès  que  nous  aurons  avis  ici  que  le  General  Stampa  se  servant  de  l'au- 
torité  imperiale  aura  réduit  la  Duchesse  de  IMassa  et  le  Cardinal  Cibo  à 
acquiescer  au  contract,  nous  exécuterons  aussitót  ce  que  lui  Prince  Eugène 
a  souhaité  dès  le  commencement  et  qui  a  été  convenu  avec  le  Marquis  de 
Breille,  qui  est  d'envoier  une  personne  de  notre  Cour  faire  la  demande  de 
notre  part  comme  chef  de  la  Maison  ».  Gli  soggiungeva:  «  Nous  avons 
d'ailleurs  approuvé  que  vous  n'ayes  point  pris  et  que  vous  ne  prenies  point 
sur  vous  de  signer  le  contract.  Puisque  non  seulement  ce  qui  a  été  convenu 
dès  le  commencement  dans  le  seule  susdite  démarche  d'envoier  faire  la  de- 
mande de  notre  part  comme  chef  de  la  Maison.  Mais  la  Duchesse  de  jMassa 
et  le  Cardinal  Cibo  aiant  fait  connoìtre  qu'ils  agréeroient  cette  démarche,  ont 
en  méme  tems  fait  connoìtre  aussi  qu'ils  souhaitoient  d'eviter  tout  ce  qui 
pourroit  les  mettre  dans  quelque  dépendance  de  nous.  Le  Président  Brunetti 
s'aiant  méme  laissé  finement  entendre  au  Marquis  de  Breille,  en  lui  disant 
en  propres  termes  que  ^Madame  de  Classa  et  le  Cardinal  souhaitoient  que 
tout  fùt  regie  et  établi  uniquement  par  l'intervention  de  l'Empereur,  de 
fagon  que  si  nous  intervenions  aujourdhui  par  un  Ministre  accredité  à  cette 
Cour  à  la  signature  du  contract  qui  enveloppe  des  pactes  de  famille  cela 
pourroit  donner  des  inquietudes  et  nous  sommes  fort  éloignés  d'en  donner  ». 

Con  altra  lettera,  scritta  lo  stesso  giorno,  ma  in  cifra,  il  Re  gli  manifestava 
su  questo  proposito  la  propria  volontà,  esprimendo  con  nobile  chiarezza  la  sua 
ripugnanza  a  vedere  l'autorità  imperiale  germanica  mescolarsi  in  negoziati  fra 
principi  italiani.  «  Vous  ne  deves  point  signer  le  contract  en  qualité  de  notre 
Ministre...  Les  veritables  raisons  par  lesquelles  nous  ne  voulons  point  que  vous 
signies  sont  que  ce  contract  se  stipulant  sous  l'autorité  d'un  commissaire 
imperiai  et  avec  l'obligation  de  reconnoìtre  une  commission  imperiale  pour 
liquider  les  dettes  de  la  maison  d'un  Prince  d'Italie  vassal  de  l'Empire,  il  ne 
nous  convient  pas  qu'un  de  nos  ministres  intervienne  méme  à  adopter  de  telles 
maximes;  et  d'ailleurs  le  paralèle  égal  que  l'on  fait  dans  le  contract  des  deux 
maisons  de  Savoye  et  de  Cybo  meriteroit  aussy  des  réflexions,  si  un  de  nos 
ministres  devoit  signer.  Tout  ceci  n'est  que  pour  vous  seul,  et  vous  n'en 
deves  point  parler  au  Prince  Eugène;  mais  nous  vous  le  disons  à  fin  que 
ayant  connoissance  de  nos  veritables  motifs,  vous  puissies  dans  le  cas  que 

le  Prince voulùt  faire  des  nouvelles  instances  pour  votre  signature  vous 

tachies  en  toute  maniere  de  l'éviter  ». 

Il  «  Progetto  di  contratto  di  matrimonio  »,  inviato  dal  Solaro  al  Re,  era 
di  questo  tenore  : 

Nel  nome  della  Santissima  Trinità,  Padre,  Figlio  e  Spirito  Santo.  Si[a] 
publico  e  manifesto  a  tutti  presenti  ed  in  avenire  che  la  Divina  Providenza, 
regolando  per  la  maggior  gloria  sua  e  bene  delli  uomini  le  cose  di  questo 
mondo,  siasi    degnata    di    movere    l'animo    clementissimo    dell'Augustissimo 

25 


382  GIOVANNI   SFORZA 


Imperador  de'  Romani  Carlo  Sesto,  gloriosamente  regnante,  a  stabilire  l'accop- 
piamento di  due  famiglie  si  raguardevoli  in  Europa,  quali  sono  quelle  di 
Savoya  e  di  Cybo,  uniendo  in  maritaggio  il  .Ser"'"  Sig''  Principe  Eugenio 
Francesco  di  Savoya,  Conte  di  Soissons,  figlio  del  fu  Ser™°  Sig""  Principe 
Emanuele  di  Savoya  e  della  Ser™=^  vSig"*  Principessa  Theresa  di  Liechten- 
stein, con  la  Ser""^  Sig'"''^  Principessa  Maria  Theresa  Cybo,  figlia  del  fu 
Ser'""  vSig""  Principe  D.  xVlderamo  Cybo  Duca  di  Massa  e  della  Ser'"*  Sig''" 
Principessa  Ricciarda  nata  Conzaga  Duchessa  di  Massa,  a  cui  effetto,  per 
sentire,  terminare  ed  appianare  le  varie  materie  che  si  dovevano,  avendo 
la  Maestà  Sua  Cesarea  e  Cattolica  deputato   rill™"   ed   Ecc"'"   vSig''   Conte  di 

Metchs,  nelle  sessioni  avanti  esso  tenutesi,  assistenti   il  Sig'"  Ministro (i) 

e  li  vSig'"'  procuratori  infrascritti,  per  accomodarsi  al  solito  di  queste  simili 
resoluzioni  che  esigge  se  ne  constituisca  un  atto  autentico  ad  eterna  memoria, 
ove  restino  perpetuamente  annotate  le  condizioni  che  debbono  a|n]darne  inse- 
parabili; doppo  d'aver  il  prenominato  Ser"'"  Sig'  Principe  Eugenio  Francesco 
di  Savoya  deputato,  attesa  la    sua    absenza,  il    suo  procuratore  per  segnare 

questo  contratto  il ;  e  la  prenominata  Ser'"'^  Sig''^  Principessa  iSIaria  Theresa 

Cybo,  coll'autorità  de'  Ser""  ed  Em'"''  Sig''  Cardinale  Cybo  suo  zio  paterno  e 

la  Ser»"»  Sig'"'*  Principessa sua  madre,  suoi  tutori,  il ,  sotto  il  benignissimo 

aggradimento  della  Maestà  Sua  Cesarea  e  Cattolica;  intervenendo  per  parte 
del  Ser""*  sposo  il  consenso  della  S.  R.  M.  di  Carlo  Emanuele  Re  di  Sar- 
degna e  Gerusalemme,  Duca  di  Savoya,  capo  della  Real  Casa  e  quello  della 
detta  Ser"''*  Sig'-''  Principessa  Theresa  di  Liechtenstein  sua  madre,  e  del 
Ser™"  Sig""  Principe  Eugenio  di  Savoya  suo  zio,  e  per  parte  della  vSer"'"  sposa 
quello  de'  Ser'"'  ed  Em'""  zio  e  madre  prenominati,  siansi  conchiusi,  stabiliti 
e  sottoscritti,  inanti  detto  111"""  ed  Ecc"'"  Sig""  Conte  di  Metchs  ed  alla  presenza 
de'  sig'''  testimoni  infrascritti,  gli  articoli  seguenti  : 

i"  Essi  Ser'"'  Sig""  Principe  e  Principessa  Eugenio  Francesco  di  Savoya 
Conte  di  Soissons  e  Maria  Theresa  Cybo  Duchessa  di  Massa,  con  l'Lnperiale 
aggradimento,  Reale  e  Ser'"'  consensi  predetti,  promettono  di  maritarsi  al  più 
presto  sarà  possibile  e  vivere  in  eterna  unione,  a  gloria  del  Altissimo  e  per 
felicitare  le  loro  respettive  Ser'"''  Case  ed  i  loro  sudditi  con  quella  prole  e 
descendenza  con  la  quale  vorrà  il  Cielo  benedire  il  loro  matrimonio. 

2°  Essendo  per  la  morte  del  fu  Ser'""  Sig''  D.  Alderamo  Cybo  Duca 
dì  Massa  senza  figliuoli  maschi,  rimasta  essa  Ser"""  .Sig''"  Principessa  Maria 
Theresa  l'herede  primogenita  delle  tre  Ser'"*"  Principesse  figlie  del  medemo 
fu  Sig'  Duca,  ed  appartendole  come  tale,  in  vigore  delle  investiture  e  fide- 
comissi  della  vSer'"''  Casa  Cybo,  tutti  li  Stati  e  beni  si  feudali  che  allodiali 
della  medema,  quindi  nel  governo  ed  amministrazione  loro  sarà  associato  e 
considerato  come  Sovrano  e  Signore  il  Ser'""  Sig""  Principe  sposo,  subito  che 
sarà  fatto  il  matrimonio. 

3"  Dovendo  per  una  indispensabile  necessità  in  tutti  li  contratti  di 
questa  sorte  intervenire  la  constituzione  della  dotte,  essa  Ser'""  Sig*""  Prin- 
cipessa Maria  Theresa  Cybo,  coll'autorità  de'  prenominati  Sig''  suoi  tuttori, 
si  assegna  e  constituisce  in  dotte  sovra    tutti    gli    effetti    di    sua    eredità   la 

somma  di  scuti alla  quale  esso    Ser'""  futuro    marito    fa    augmento,  detto 

regolarmente  per  causa  delle  nozze,  di  scuti secondo    l'uso  pratticato    in 

Italia;  con  dichiarazione  che  ove  mai,  l'uno  o  l'altra  de'  Ser"''  contrahenti 
premorissero  (il  che  Dio  non  voglia)  senza  figliuoli,  la  metta  di   detta  dotte 


(i)  I  puntolini  qui  e  altrove  indicano  i  brani  dcIl'originaJe  lasciati  in  liianco. 

2Ò 


IL   PRINCIPE  EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  383 

e  respettivo  aumento  debbi  cedere  ed  appartenere  per  dritto  di  giusto  gua- 
dagno a  chi  sopraviverà  ed  il  resto  cedere  all'erede  o  eredi  che  venissero 
a  destinarsi. 

4°  Sendosi  come  preliminare  di  questo  contratto  dovute  aggiustare  e 
concordare  alcune  condizioni  tendenti  alla  maggior  consolazione  delle  per- 
sone interessate  in  questo  stabilimento  ed  al  bene  della  Sor"'"  Casa  Cybo, 
perciò  il  foglio  di  dette  convenzioni  in  questo  medemo  giorno  da'  sig"^'  respet- 
tivi procuratori  signato  sarà  considerato  come  parte  essentiale  di  questo 
contratto  e  dovrà  venire  pienamente  osservato  in  tutti  li  suoi  articoli  e  ponti. 

5°  Farà  il  Ser™"  futuro  sposo  in  occasione  de'  sponsali  quel  regalo  di 
gioie  che  stimerà  conveniente  per  un  simile  caso;  e  le  medeme  in  tutti 
li  tempi  e  circostanze  cederanno  e  saranno  considerate  proprie  di  detta 
ggj-ma  gig-ra  futura  sposa  cd  alla  sua  libera  ed  intiera  disposizione. 

6"  ed  ultimo.  Tutto  questo  le  Ser""'  parti  contrahenti  promettono 
attendere  ed  inviolabilmente  osservare,  sotto  obbligo  de'  loro  beni  presenti 
e  futuri,  con  la  clausula  del  constituto  possessorio  d'essi  in  forma  più  pro- 
bante ed  ampia,  e  di  ratificarlo  ove  una  delle  parti  lo  richieda  in  qualsi- 
voglia tempo. 

In  fede  del  che  si  sono  a  quest'originale  sottoscritti  il  predetto  111""'  ed 
Ecc™»  Sig'"  Conte  di  Metchs,  il  Sig^  Ministro  predetto  di  S.  AI.  il  Re  di 
Sardegna  e  li  sig"  procuratori  con  li  sig""'  testimoni. 

Ecco  adesso  gli  «  Articoli  convenuti  in  seguito  al  capitolo  quarto  matri- 
moniale, oggi  concordato,  tra  li  Ser""  Sig"  futuri  sposi  Principe  Eugenio 
Francesco  di  Savoya  Conte  di  Soissons  e  Principessa  futura  sposa  Maria 
Theresa  Cybo  e  li  Ser*"'  ed  Em™°  Cardinale  Don  Camillo  Cybo  zio  della  me- 
dema  Sig'^'^  futura  sposa  e  la  Ser"'"  Sig'''^  Principessa  Madre  ». 

1°  Si  pagheranno  annualmente  alla  Ser"'^  Sig''-'^  Principessa...  scutti... 
quali  dovranno  servire  per  il  suo  appanaggio  e  vedovile,  compreso  però 
ogni  frutto  delle  sue  raggioni  dottali,  e  resterà  de'  medemi  in  possessione 
sino  a  che  sia  in  possesso  dello  Stato  di  Novellara,  Vescovado  e  Bagnolo  ; 
allora  cederà  e  rinoncierà  il  predetto  appanaggio  in  favore  de'  Ser*"'  sposi, 
sua  figlia  e  genero. 

2°  wSi  pagheranno  annualmente  all' Em'""  Sig""  Cardinale  Don  Camillo 
Cybo,  ultimo  superstite  maschio  della  Casa  Cybo,  oltre  tutto  quello  che  già 
possiede  di  sua  propria  appartenenza,  dalli  Ser""  futuri  sposi  scuti  due  milla 
romani  sin  a  che  seguirà  il  matrimonio,  ed  esso  seguito  scuti  quatro  milla, 
sua  vita  durante,  sopra  tutti  gli  effetti  della  Casa  Cybo. 

3"  Allorché  si  presenterà  un  partito  conveniente  per  maritare  e  collo- 
care le  due  Ser'"*"  Sig'"''  Principesse  cadette,  sorelle  della  Ser°"^  Sig'-^  futura 
sposa,  non  ostante  la  regola  stabilita  nella  Casa  per  l'assegnamento  della 
dotte,  si  obbligano  li  futuri  Ser'"'  sposi  di  assegnarle  e  pagarle  quella  dotte 
che  sarà  creduta  congrua,  avuto  riguardo  allo  stato  della  Casa  ed  alla  qualità 
del  futuro  marito,  secondo  il  consenso  che  si  potrà  avere  da  S.  M.  L;  doven- 
dosi tali  dotti  ricavare  dalli  effetti  feudali  e  primogeniali  di  detta  Casa; 
obbligandosi  fra  tanto  di  mantenerle  secondo  al  loro  grado  nel  loro  Stato 
di  Massa.  Come  altresì  in  caso  di  monacazione,  di  darle  quella  dotte  e  quella 
annua  pensione  che  sarà  creduta  propria  per  il  monastero  ove  potessero 
destinar  d'entrare. 

27 


384  GIOVANNI   SFORZA 


4"  Unirà  il  futuro  Ser"""  sposo  le  armi  ed  insegne  gentilizzie  della 
Casa  Cybo  alle  sue  e  ne  porterà  anche  il  cognome ,  per  maggior  lustro, 
decoro  e  conservazione  di  tal  Casa. 

5"  Avendo  il  Sig""  Duca  Don  Alderamo  Cybo,  padre  della  Ser"'=*  sposa, 
lasciato  vari  debiti  e  molti  effetti  dell'eredità  vincolati  al  feudo  ed  ai  fide- 
comissi  con  hipoteche,  si  deputerà  con  autorità  imperiale  una  Commissione, 
avanti  la  quale  si  dovranno  chiamare  tutti  li  creditori,  e  doppo  esaminati  li 
loro  titoli  e  ridotte  le  cose  a'  termini  dell'equità  e  del  giusto,  tutto  che  la 
Sgj-ma  sposa,  come  erede  ipso  jure  in  detti  beni,  non  sia  tenuta  ad  alcun  paga- 
mento, si  fisserà  una  regola,  o  per  andarne  pagando  annualmente  quella 
quantità  che  si  potrà,  o  si  prenderanno  misure  per  allienare  qualche  effetto, 
o  si  troverà  altra  strada  per  pagarli  tutti  in  una  volta  ;  ed  il  Ser"'"  futuro 
sposo,  doppo  che  se  ne  sarà  assestata  e  fissata  la  somma,  darà  tutta  la  mano 
per  ogni  più  pronta  sodisfazione,  ad  effetto  di  testimoniare  d'avere  per  la 
memoria  del  fu  Ser'""  Sig''  Duca  padre  della  Ser">*  sua  futura  sposa  tutta  la 
stima  e  divozione. 

Il  Re  scrisse  al  Solare:  «  Si  vous  eussics  dù  signer,  nous  aurions  pris 
en  consideration  le  projet,  que  vous  nous  aves  envoic,  pour  voir  ce  qui  se 
pouvoit  pratiquer  »  ;  non  avendo  voluto  che  lo  sottoscrivesse,  si  rimetteva 
in  tutto  e  per  tutto  «  au  discernement  de  AP  le  Prince  Eugène  et  a  ses  justes 
réflexions  »  ;  concludendo:  «  nous  sommes  dans  l'impatience  d'apprendre  que 
par  la  signature  des  parties  les  engagemens  dans  une  affaire  si  avantageusc 
soient  devenus  precis  et  positifs  ».  La  Corte  di  Massa  molto  ci  trovò  a  ridire, 
come  si  ricava  dalle  seguenti  «  Risposte  al  progetto  del  contratto  del  matri- 
monio, mandate  a  Vienna  al  Sig'  Presidente  Brunetti  »  (i). 

Il  progetto  di  cui  si  è  trasmessa  qui  la  copia,  non  puole  in  verun  conto 
approvarsi,  essendo  mancante  in  molte  cose  essenziali,  ed  in  molte  altre  che 
han  bisogno  di  una  differente  espressione. 

Nel  secondo  punto  si  asserisce  che  per  la  morte  del  fu  Set"""  Sig.  D.  Alde- 
rano  Cybo,  Duca  di  Massa,  senza  figliuoli  maschi,  è  rimasta  la  Principessa 
D.  Maria  Teresa,  figlia  primogenita,  in  vigore  delle  investiture  e  fideicom- 
missi  della  Casa  Cybo,  erede  di  tutti  li  Stati  e  beni  sì  feudali  che  allodiali 
della  medesima  Casa. 

Questa  proposizione  è  affatto  erronea,  perchè  né  le  investiture  nò  i  fidei- 
commissi  della  Casa  Cybo  chiamano  le  feniine  alla  successione  quando  esi- 
stono i  maschi,  onde  è  necessario  che  si  esprima  in  questo  capitolo  che 
appartiene  la  successione  ad  essa  Sig»  D.  Teresa  primogenita  in  virtù  della 
rinuncia  fatta  dal  Sig.  Cardinal  Cybo  a  favore  del  defunto  Sig.  Duca,  suo 
fratello;  e  che  sia  il  vero,  a  solo  riflesso  delle  ragioni,  che  potevano  com- 
petere allo  stesso  Sig"'  Cardinale,  ha  potuto  egli  chiedere  la  riserva  degli 
due  mila  scudi  romani  annui  prima  dell' eff"ettuazione  del  matrimonio  e  li 
quattro  mila  doppo  seguito  il  matrimonio,  sua  vita  naturale  durante,  de'  quali 
egli  si  contenta,  e  gli  vengono  anche  accordati,  giacché  niun  altro  riflesso 
che  questo  potrebbe  fargli  conseguire  precisamente  i  quattro  mila  scudi 
doppo  seguito  il  matrimonio. 

Si  segue  a  dire  nell'istesso  capitolo,  che  subito  che  sarà  fatto  il  matri- 
monio sarà  associato  e  considerato  in  tutti  i  beni,  tanto  feudali,  quanto  allo- 
diali della  Casa  Cybo,  come  sovrano  e  signore  il  Sig.  Principe  sposo.  Questa 


(i)  R.  Archivio  di  Stato  in  Massa.  Matrimoni  della  Casa  Cybo,  filza  4S2. 

l'è 


IL   PRINCIPE   EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  385 


proposizione,  come  troppo  assoluta,  ha  di  bisogno  di  moderazione  e  spiega- 
zione, giacché  essendo  indispensabile  a  premettersi  alla  sottoscrittione  del 
progetto,  che  si  propone,  l'investitura  de'  feudi  nella  persona  della  sposa, 
essendo  questa  investita  delli  stessi  feudi  non  potrà  mai  considerarsi  e  molto 
meno  esprimersi  nel  progetto  che  il  Sig.  Principe  sposo  abbia  ad  essere  egli 
il  sovrano  e  signore  de'  medesimi  feudi,  potendo  egli  solamente  avere  sopra 
di  questi  quell'uso  che  hanno  i  m.ariti  sopra  le  doti  delle  loro  mogli,  non  già 
la  sovranità  ed  assoluto  dominio. 

E  tanto  più  conviene  premunirsi  con  la  dilucidazione  di  questo  enunciato 
punto,  quanto  che  nel  capitolo  terzo  si  pretende  costituire  sopra  gli  effetti 
ereditari  della  sposa  una  precisa  dote,  costituita  in  quantità  di  denaro,  daP 
che  potrebbe  nascerne  una  certa  conseguenza,  che  assegnata  la  dote  alla 
Sig."  Principessa  Sposa  nella  quantità,  verbi  grazia,  di  cinquantamila  scudi, 
seguendo  la  morte  del  marito  non  avesse  ella  a  poter  pretendere  se  non  che 
la  restituzione  della  sua  dote,  costituita  nella  stessa  quantità  di  cinquantamila 
scudi  e  la  metà  della  soppraddote  che  fosse  per  fargli  lo  sposo,  senza  che 
potesse  ella  restare  nel  libero  possesso  de'  feudi,  non  considerati  più  com.e 
sua  dote  o  come  sua  appartenenza.  E  tanto  più  apparisce  di  tutto  ciò  l'animo 
determinato  di  chi  tratta  per  lo  sposo,  quanto  che  nell'ultime  parole  dello 
stesso  capìtolo  terzo  si  legge  :  ed  il  resto  cedere  all'erede  o  eredi  che  venissero 
a  destinarsi;  mentre  queste  parole  non  possono  applicarsi  che  all'erede  o 
eredi,  da  destinarsi  per  parte  dello  sposo;  giacché  per  parte  della  sposa  già 
rimangono  destinati  e  dai  fìdeicommissi  e  dalle  investiture,  mentre  mancando 
la  primogenita  senza  figli,  non  vi  è  luogo  a  veruna  destinazione  di  erede, 
ma  tanto  da'  fìdeicommissi,  per  i  beni  "allodiali,  che  dalle  investiture,  per  i 
feudaH,  vengono  in  tal  caso  chiamate  in  primo  luogo  la  secondogenita  e  in 
mancanza  di  questa,  parimente  senza  figli,  la  terzogenita.  Onde,  posto  tutto 
ciò,  dicendosi  in  esso  terzo  capitolo  che  a  riserva  della  dote  e  della  metà 
della  sopraddote  tutto  il  resto  debba  cedere  all'erede  o  eredi  che  venissero 
a  destinarsi,  non  puole  avere  altro  senso  una  simile  espressione,  se  non  che, 
tanto  li  feudi,  che  tutto  il  rimanente  degli  altri  beni,  abbiano  a  rimanere 
in  vantaggio  di  chi  fosse  per  costituire  per  erede  il  nuovo  sposo;  il  che 
quanto  sia  irragionevole  non  accade  qui  esprimerlo. 

Passando  ora  agli  articoli  convenuti  in  seguito  del  capitolo  4"  matrimo- 
niale, conviene  rispondere  come  in  appresso.  Riguardo  al  primo  punto,  in  cui 
si  enuncia  che  si  pagheranno  annualmente  alla  Sig*  Duchessa  D.  Ricciarda 
Gonzaga  Cybo  scudi,  etc.  sino  che  sia  in  possesso  dello  Stato  di  Xovellara, 
etc.  questa  espressione' si  considera  o  per  affatto  inutile,  o  come  fondata  sul 
supposto  che  non  abbia  da  rendersi  giustizia  per  molto  tempo  alle  ragioni 
che  competono  ad  essa  Sig'^  per  otterTere  da  S.  M.  C.  l'investitura  dovutagli 
di  Novellara,  etc.  giacché  qualora  gli  si  renda  prontamente,  come  gli  si  fa 
sperare,  giustizia  della  nominata  investitura  nella  corrente  quadragesima  , 
doppo  tre  anni  e  più  che  per  la  morte  del  suo  fratello,  unico  maschio  della 
sua  Casa,  viene  chiamata  alla  successione  di  quel  feudo,  non  può  cadere  aleuti 
dubbio  che  prima  della  sottoscrizione  del  progetto  del  matrimonio  di  cui  si 
tratta,  a  cui  devono  precedere  e  l'investitura  delli  Stati  per  la  futura  sposa 
e  tante  altre  provisioni  per  ridurre  il  progetto  in  forma  da  potersi  sotto- 
scrivere, sarà  certamente  definita  la  sua  causa  e  posta  essa  Sig'"»  in  possesso 
del  feudo;  onde  in  tal  caso  è  superfluo  che  si  discorra  di  determinare  per- 
la medesima  qualunque  sorte  di  assegnamento,  contentandosi  ella,  come  già 
accordò  ne'  primi  progetti  mandati  in  Vienna,  delle  rendite  allodiali  e  feudali 
di  quello  Stato,  per  ogni  suo  provedimento;  o  pure  si  vuole  che  la  definitione 
di  questa  causa  si  abbia  a  prolungare  ancora  per  molto  tempo,  e  con  ciò  si 
fa  torto  alla  giustizia  dei  tribunali  di  Vienna  ed  alla  ben  nota  clemenza 
dell'Augustissimo  Imperatore,  supponendo  non  meno  in  cotesti  supremi 
tribunali,  che   nella  Maestà  Sua,  una  troppo  supina  ingiustizia  nel  ritardare 

29 

1^  -Mise,  S.  IH,  T.  XIII. 


386  GIOVANNI   SFORZA 


dopo  tanto  tempo  e  senza  veruna  ragione  la  spedizione  di  simil  causa, 
doppo  che  già  tutte  le  cose  sono  digerite  in  forma,  che  nulla  più  manca  che 
la  sola  proposizione. 

Rispetto  al  secondo  punto  dogli  articoli  in  cui  si  accordano  al  Sig.  Car- 
dinale D.  Camillo  Cybo  scudi  duemila  sin  che  siegua  il  matrimonio  e  scudi 
quattromila  seguito  questo,  da  cavarsi  da  tutti  gli  eifetti  della  Casa  Cybo, 
oltre  tutto  quello  che  già  possiede  di  sua  propria  appartenenza,  non  cade  in 
ciò  verun  dubbio  rispetto  alla  quantità  della  somma,  mentre  egli  pospone 
di  buon  animo  ogni  sua  maggior  convenienza  al  vantaggio  delle  sue  nepoti; 
solo  rimane  che  si  variino  questi  periodi  nel  modo  della  loro  enunciativa. 
In  primo  luogo,  non  bene  si  esprime:  oltre  tutto  quello  che  egli  già  f ossicele 
di  sua  propria  appartcìienza,  giacché  molto  di  dubbio  potrebbero  importare 
le  parole  di  sua  appartenenza,  potendosi  porre  in  dubbio  se  quello  che  egli 
possiede  dalla  sua  Casa  sia  di  propria  appartenenza;  ma  conviene  piuttosto 
esprimere  :  oltre  tutto  quello  che  egli  possiede  secondo  le  riserve  da  lui  fatte 
nella  rinunzia  che  già  fece  al  fratello  e  secondo  tutti  gli  atti  e  convenzioni 
che  sono  sticcessivamente  seguite  tra  esso  ed  il  defonto  Sig.  Ditca  suo  fratello. 
Parimenti  converrà  che  rimanga  un'adeguata  cautela  al  Sig.  Cardinale,  perchè 
possa  essere  egli  assicurato  del  promesso  pagamento;  e  tanto  maggiormente 
egli  di  ciò  deve  esser  cauto,  quando  si  avessero  a  pagare  i  debiti  anche  in 
parte  coll'entrate  della  sua  Casa,  giacché  facendosi  ciò  non  vi  rimarrebbe 
il  modo  da  pagarsi  a  lui  l'assegnamento  accordatogli  e  non  averebbe  egli 
animo  né  di  procedere,  né  di  chiedere  ciò  che  gli  converrebbe  a  questo 
conto,  togliendolo  o  dall'Altare,  con  trattenere  la  soddisfazione  di  tanti  legati 
pii  che  restano  insoddisfatti,  o  dai  sudori  di  tanti  poveri  che  avanzano  le 
loro  mercedi  e  sono  in  stato  di  mendicare  la  forma  del  loro  sostentamento  ; 
tanto  più  che  trovandosi  ipotecate  a'  creditori  molte  tenute,  tanto  nello  Stato, 
che  fuori,  quando  simili  creditori  non  vengano  dimessi  per  altra  parte, 
restano  così  scarse  le  rendite  della  Casa,  che  appena  possono  supplire  al 
quotidiano  sostentamento  della  medesima,  non  che  a  soddisfare  al  nuovo 
peso  dell'assegnamento  accordato  al  Sig.  Cardinale.  In  fine,  è  di  necessità  che 
in  questo  secondo  articolo  si  esprimano  le  cause  per  cui  si  accorda  al  Sig. 
Cardinale  questa  nuova  riserva  de'  preaccennati  due  e  quattromila  scudi 
rispettivamente;  quali  sono  l'avere  egli,  non  ostante  l'essere  l'ultimo  maschio 
della  Casa,  ceduto  in  vantaggio  delle  nepoti  la  successione  tanto  alli  feudi, 
che  all'allodiali,  che  potevano  appartenergli;  la  qualità  del  suo  grado  presente, 
che  esige  un  maggior  trattamento  di  quello  gli  competeva  allorché  fece  la 
rinuncia  al  fratello;  ed  in  ultimo  la  dimentione  degli  assegnamenti  riservatisi 
con  l'alienazione  di  molti  capitali  che  gli  fruttavano,  fatta  con  il  consenso 
ed  approvazione  del  defunto  Sig.  Duca,  suo  fratello. 

All'articolo  terzo,  in  cui  si  conviene  di  accrescere  la  dote  alle  due  sorelle 
minori  della  futura  sposa,  in  caso  che  lo  portasse  la  qualità  del  loro  matri- 
monio, non  puole  accordarsi  questo  intiero  arbitrio,  che  si  riserba  il  futuro 
sposo,  vedendosi  molto  bene  che  non  potendosi  di  presente  trattare  un  ade- 
guato partito  per  esse  con  la  sola  dote  di  scudi  trentamila,  si  vorrebbe  con 
simile  riserva  precludere  la  strada  alla  madre  ed  al  zio  di  poter  esser 
richiesti  del  loro  consenso  per  lo  accasamento  delle  nominate  Signore,  giac- 
ché ogni  partito  avrebbe  a  dipendere  dalla  sola  volontà  dello  sposo,  se  da 
questa  unicamente  avesse  a  sortire  l' effetto  del  matrimonio  con  l'assegna- 
mento di  una  dote  proporzionata;  né  sono  al  caso  i  riflessi  che  si  fanno  e 
del  solito  della  Casa  nella  quantità  prefissa  delli  scudi  trentamila,  giacché 
a  ciascuno  é  ben  noto  che  le  doti  antiche  praticate  secoli  avanti,  secondo 
gli  ultimi  stati  delle  femmine  maritate  dalla  Casa  Cybo,  non  sono  applicabili 
al  tempo  presente,  in  cui  si  sono  tantd  comunemente  accresciute  le  doti; 
come  neppure  per  costituire  simili  doti  é  necessario  il  consenso  di  S.  ]\I. 
Imperiale,  giacché  rimangono  tanti  effetti  alla  Casa  Cybo  allodiali  anche  fuori 

30 


IL  PRINCIPE  EUGENIO   FRANCESCO  DI   SAVOIA  387 


dello  Stato  di  Massa,  che  per  cavare  doti  proporzionate  per  le  Signore 
cadette  non  è  di  mestieri  intaccare  gli  effetti  feudali,  per  i  quali  unicamente 
sarebbe  d'uopo  l'assenso  Imperiale.  E  finalmente  dicendosi  nello  stesso 
articolo  terzo,  che  in  caso  di  monacazione  di  dette  Signore  sarà  per  darsi 
loro  quella  dote  e  quell'annua  pensione  che  sarà  creduta  propria  per  il 
monastero  ove  potessero  destinare  di  entrare,  rispetto  alla  pensione  o  sia 
annua  apprestazione  di  livello  è  necessario  si  esprima:  purché  non  sia  minore 
di  quello  è  consueto  ed  è  stato  sin  qui  praticato  con  le  altre  Principesse 
dell'istessa  famiglia;  non  essendo  di  ragione  che  le  presenti  vSig*"  Principesse 
di  questa  Casa  abbiano  ad  avere  un  minor  trattamento  allora  che  succede 
al  possesso  di  tutti  i  beni  una  femmina,  di  quello  hanno  avuto  le  altre  allora 
che  sono  succeduti  li  maschi. 

Le  importanti  risposte  date  fin  qui  bastano  certamente  a  far  conoscere 
essere  affatto  impossibile  il  potersi  accordare  nei  termini  dello  stesso  pro- 
getto la  sottoscrizione  di  esso;  ma  quando  pure  ninna  di  queste  cose  sin 
qui  enunciate  potesse  meritare  quella  ponderazione,  che  pur  troppo  hanno 
in  loro  stesse,  per  escludere  affatto  la  maniera  di  poter  far  ciò  seguire, 
basterebbe  riflettere  al  quinto  ed  ultimo  articolo,  in  cui  si  discorre  del  paga- 
mento de'  debiti  lasciati  del  defunto  Sig.  Duca.  Questo  articolo,  che  si  pone 
in  ultimo  e  che  si  considera  come  cosa  meno  importante,  è  la  pupilla  degli 
occhi  tanto  della  Sig''  Duchessa  Madre,  che  del  Sig.  Cardinale.  Della  Sig" 
Duchessa  Madre,  perchè  troppo  ha  ella  con  giustizia  a  core  l'onore  delle 
ceneri  del  suo  defunto  consorte;  la  qualità  de'  debiti  degni  di  ogni  maggior 
compassione  per  conto  delle  persone  e  de'  luoghi  pii  che  ne  rimangono  cre- 
ditori; come  anche  perchè  vedesi  priva  della  maggior  parte  delle  rendite 
possedute  da'  creditori,  che  meritano  anche  minor  riflesso,  senza  che  da 
questi  si  possan  ritogliere,  e  non  ha  perciò  il  modo  di  potersi  sostentare  con 
le  figlie  nel  tempo  che  durerà  la  sua  tutela.  Rispetto  al  Sig.  Cardinale,  oltre 
tutte  le  preaccennate  considerazioni,  basta  il  dire  che  egli  non  ha  voluto  fin 
\]uì  né  ingerirsi,  né  accettare  in  verun  modo  la  tutela  delle  nepoti,  se  prima 
non  veniva  assicurato,  o  non  vedeva  effettivamente  soddisfatti  tutti  i  debiti 
del  defunto  fratello.  Anzi  a  questo  conto,  non  essendo  egli  mai  per  assumere 
tale  tutela,  se  prima  non  \àen  premessa  o  non  viene  accordata  con  espressa 
obbligazione  la  soddisfazione  de'  nominati  debiti,  ben  può  conoscersi  che 
egli  non  potrà  mai  sottoscrivere  né  il  progetto  né  qualunque  altro  foglio 
appartenente  a'  meditati  sponsali,  come  tutore,  se  egli  non  lo  è,  né  lo  vuol 
essere  in  altra  guisa.  Onde  posto  tutto  ciò,  è  superfluo  qualunque  altro  passo 
si  faccia  per  ottenere  o  dalla  Sig"  Duchessa  tutrice  o  dal  Sig.  Cardinale 
un  volontario  consenso  agli  sponsali  nelle  forme  che  fin  qui  si  pretendono 
effettuare. 

Le  osservazioni  e  le  lagnanze  della  Corte  di  Massa  non  trovarono  ascolto 
a  Vienna.  Salvo  poche  modificazioni,  non  di  sostanza,  ma  di  forma,  la 
scritta  matrimoniale  e  gli  articoli  restarono  come  erano.  Il  21  di  maggio  il 
Solaro  scriveva  al  Re:  «Le  contract  de  mariage  du  jeune  Prince  Eugéne  a 
été  signé  par  Madame  Mère  et  M'"  son  grand  onde  ».  Il  giorno  appresso 
venne  sottoscritto  anche  dal  Conte  di  Metchs,  consigliere  intimo  attuale  di 
Stato  e  vice  presidente  del  Consiglio  imperiale  aulico,  «  come  ministro  dele- 
gato di  Sua  Maestà  Cattolica  »  e  dal  cav.  Giuseppe  Ambrogio  Brunetti, 
«  ministro  attuale  presso  la  Corte  Cesarea  »  della  Duchessa  vedov^a  reggente 
di  Massa,  a  ciò  delegato  «per  atto  delli  16  aprile  ultimo  scorso». 


31 


388  GIOVANNI   SFORZA 


III. 


vSulle  trattative  dà  alcuni  interessanti  ragguagli  G.  B.  De  Mari,  ministro 
della  Repubblica  di  Genova  a  Torino,  in  questo  dispaccio,  che  indirizzò  a 
quella  Signoria,  il  4  di  giugno.  «  Voglia  o  non  voglia  rEm"'"  Cibo,  S.  M.  C. 
ha  ordinato  che  si  eseguisca  il  matrimonio  della  di  lui  Sig"  nipote  con  questo 
Sig"^  Principe  di  Suesson  ne'  modi  e  forme  che  concepita  ne  fu  l'idea  fino 
dal  bel  principio.  In  tale  guisa  la  secondogenita  resta  incapace  della  suc- 
cessione agli  Stati  di  Massa  e  Carrara  et  il  porporato  senza  quei  personali 
avantaggi  di  pensioni  e  beneficj  ecclesiastici  i  quali  eranli  stati  proferti. 
Così  dicevami  questo  generale  Filippi,  aggiongendo  che  i  concepiti  sospetti 
della  Corte  di  Vienna  doppo  la  venuta  in  Italia  del  Ser'""  Infante  D.  Carlos 
sono  stati  il  più  forte  motivo  per  cui  l'Imperatore  ha  voluto  assicurarsi  di 
quelli  Stati,  consegnandoli  a  persona  dipendente,  e  forse  con  l'idea  di  dover 
poi  mettere  in  miglior  stato  Lavenza  e  presidiarla  per  sempre  di  truppe 
alemanne.  Detto  Sig''  Principe  di  Suesson  partirà  a  tale  effetto  da  qui  per 
Massa  nel  mese  di  settembre  prossimo,  per  indi  portarsi  a  Vienna  presso  il 
Sig'  i^rincipe  Eugenio  di  lui  zio.  Ciò  sarebbe  accaduto  anche  prima,  se  tanto 
esso  che  la  Corte  non  si  ritrovassero  lontani  dalla  città  di  Vienna  »  (i). 

Il  generale  Gio.  Carlo  Stampa,  plenipotenziario  in  Italia  dell'Imperatore, 
per  ordine  suo  si  era  recato  appositamente  a  Massa  per  condurre  a  fine  le 
pratiche  del  vagheggiato  fidanzamento.  Dell'esito  felice  della  missione  il 
Principe  Eugenio  si  affrettò  a  darne  parte  al  Solaro,  scrivendogli  da  Carlo- 
baad  il  27  giugno:  «  Monsieur  le  Comte  Stampa  me  marquc  que  le  tout 
s'est  passe  avec  une  satisfaction  réciproque  à  ]\Iassa,  et  que  Madame  la 
Duchesse  est  entrée  de  très  bonne  grace  dans  l'idée  d'y  avoir  une  personne 
de  la  part  de  mon  neveu.  Je  me  souviens,  Monsieur,  quo  vous  m'aves  pro- 
pose à  cet  efifet  l'avocat  Morelli  (2),  et   vous   aures    la   bonté    de  le    sonder 


(i)  Il  27  giugno  del  1732  il  Principe  Eugenio  scriveva  al  Solaro:  «  J'apprens  par  votre 
lettre  du  14  de  ce  inois  et  celle  de  jM"'  le  Marcjuis  de  Breille  y  jointe  la  continuation  des 
bontés  de  S.  M.  le  Roi  pour  moi  et  mon  neveu.  Gomme  vous  connoissez,  Monsieur,  plus 
que  personne  mes  sentiniens  envers  ce  Prince,  vous  seres  assez  persuade  de  la  profonde 
reconnoissance  que  Je  lui  en  ai,  qui  ne  s(;auroit  ètre  plus  parfaite,  ni  ricn  de  plus  sincère 
(pie  l'attachement  resi)ectueux  que  j'ai  pour  Sa  Majesté.  J'espère  que  mon  neveu  ne  sera 
pas  moins  penetrò  que  moi  de  ces  sentiniens,  ni  moins  emprcssé  à  se  conserver  toujours 
1  lionneur  de  sa  bienv^eiliance  et  de  ses  bonnes  graces.  Le  Roi  l'agréant,  ainsy  il  resterà  à 
Turin  jusques  à  l'automne,  et  suivant  le  pian  concerté  il  se  rendra  à  Massa  pour  y  celebrer 
les  fian^ailles,  et  de  là  à  Vienne  vers  le  tems  que  S.  M.  I.  y  sera  de  retour.  Je  partage 
avec  lui  l'obligation  qu'il  a  aux  soins  obligeans  de  M^  votre  frère,  vous  priant,  Monsieur, 
de  lui  témoigner  combien  je  suis  sensible  à  tout  ce  qu'il  fait  pour  lui,  et  que  je  ne  le  serai 
pas  moins  s'il  continue  à  l'asister  de  ses  prudens  avis  ». 

(2)  II  .Solaro  il  9  luglio  1732  scriveva  da  Praga  al  Marchese  d'Ormea:  «  Ledit  Prince 
[Elugène]  aiant  bien  voulu  demander  mon  avis  sur  la  personne  de  contìance  qu'il  pourroit 
destiner  pour  aller  resider  à  Massa  de  la  part  de  Mons'  son  neveu  pour  y  regler  les  intéréts 
de  ce  pais  avec  Madame  la  Duchesse,  je  lui  dis  que  je  croiois  que  l'avocat  Morelli,  qui  est 
chargé  du  procès  de  la  Maison  de  Carignan,  avoit  les  qualités  necessaires  a  se  bien  aquitter 
de  cette  comnii.ssion  ». 

32 


IL   PRINCIPE   EUGENIO   FERDINANDO  DI  SAVOIA  389 


à  quelles  conditions  il  y  voudroit  aller  ».  Il  Re,  che  aveva  già  avuto  avviso, 
col  mezzo  del  conte  Filippi,  «  des  arrangemens  pris  à  ]\Iassa  »  dallo  Stampa, 
decise,  a  seconda  del  convenuto,  di  fare  egli  stesso  la  domanda  della  mano  di 
Maria  Teresa  per  il  suo  congiunto.  E  fin  dal  14  di  quel  mese  ne  scrisse  al 
Solaro:  «  Xous  avons  destine  »  (son  sue  parole)  «  le  chevalier  deBiandrà, 
notre  ecuier,  pour  y  aller  de  notre  part  faire  la  demande  à  la  Duchesse 
douarière,  et  il  partirà  pour  cet  efFect  dans  la  semaine  prochaine  ».  Il  21  gli 
riscrisse:    ;.  Le  chevalier  de  Riandrà  est  parti  ce  matin  pour  se  rendre  à  Massa 

et  y  exécuter  la  commission Xous  luy  avons  donne  des  instructions  con- 

formes  au  concert  qui  y  a  été  pris  ».  E  il  5  di  luglio:  '<  Le  chevalier  de 
Riandrà  est  revenu  dimanche  de  Massa;  il  y  a  été  re9u  avec  toutes  les 
distinctions,  et  la  Duchesse  a  témoigné  en  cette  occasion,  soit  par  les  trai- 
temens  qu'elle  luy  a  faits,  soit  par  la  lettre  qu'elle  nous  a  écrite,  combicn 
elle  se  fait  de  plaisir  et  d'honneur  de  cette  alliance  ». 

Il  giovane  fidanzato  si  affrettò  a  esprimere  la  propria  contentezza  alla 
madre  della  sposa  e  alla  sposa.  Alla  prima  scriveva  : 

Madame, 

Je  rend  mille  graces  à  Votre  Altesse  Serenissime  do  la  bonté  et  amitié 
avec  laquelle  Elle  a  bien  voulu  m'accorder  en  mariage  Madame  la  Prin- 
cesse de  Massa,  sa  Fille  ainée,  et  suis  extrèmement  sensible,  non  seulement 
à  la  préférence,  qu'elle  m'a  donnée  pour  une  alliance,  que  je  désirois  tant, 
mais  aussi  à  la  manière  obligeante  et  empressée,  avec  laquelle  V.  A.  S. 
a  repondu  sur  ce  sujet  à  la  demande  du  Roy.  Je  prie  V.  A.  d'ètre  convaincu 
de  la  sincerité  de  mes  sentiments  à  cet  égard,  de  ma  reconnoissance  et  de 
l'attachement  que  j'aurai  tonte  ma  vie  pour  la  personne  de  V.  A.  Je  mi 
trouve  engagé  par  ses  bienfaits,  et  porte  naturellement  par  les  informations 
que  j'ai  de  son  solide  mérite,  et  vertus,  aussi  peut  elle  ètre  pérsuadée  qu'en 
devenant  son  beau  fils,  je  me  fairais  un  devoir  de  dépendre  de  ses  conseils 
et  de  lui  marquer  en  toutes  rencontres  mon  veritable  respect  et  entière 
déférence,  je  compte  dans  peu  de  pouvoir  lui  exprimer  rnoi  mème  mes  sen- 
timens  et  j 'espère  que  V.  A.  S.  les  trouerait  conformes  à  ses  desirs,  ceux 
du  Roy  et  de  M''  mon.  onde.  Sont  remplis  d'estime,  et  denuie  de  l'obliger, 
et  je  puis  l'assurer  que  je  les  trouverais  toujours  prèts  à  donner  toutes  sortes 
d'attentions  pour  les  interéts  et  avantages  de  V.  A.  qui  déviennent  main- 
tenant  communs  à  tonte  la  Maison.  Je  prends  la  liberté  de  lui  envuier  la 
ci  jointe  pour  Madame  la  Princesse  sa  Fille  et  prie  V.  A.  de  la  lui  faire 
agréer  comme  la  première  marque  d'estime,  tendresse  et  d'attachernent, 
que  je  veux  toujours  avoir  pour  elle,  je  scais  avec  quel  soins  V.  A.  l'élève 
(sic).  Je  regarde  d'avance  la  benne  education  quelle  lui  donne,  comme  un 
bonheur,  dont  je  serai  toute  ma  vie  redevable  a  V.  A.  S.  et  j'ai  ci  l'honneur 
d'ètre  avec  tout  l'attachement  et  le  respect  possible, 

Madame,  de  Votre  Altesse  Serenissime 

Turili,  ce  9  juliet  1732. 

le  très  Jmmhles  et  trcs  nhcissant  scrvitnir 

Francois  Eugene  de  Savoye.. 

Fu  questa  la  lettera  che  indirizzò  alla  fidanzata  : 

Madame, 
J'ai  reQU  avec  tout  le  plaisir  possible  les  marques  d'amitié,    que   M""  le 
Comte  de  Riandrà  ni'a  apportées  de  la  part  de  V.  A.  S.  Je  ne  saurais  m'cm- 


390  GIOVANNI   SFORZA 


pécher  de  lui  en  témoigner  ma  reconnoissance  en  lui  ofFrant  mes  obéissances 
et  respects,  et  en  assurant  V.  A.  S.  du  parfait  contentement,  que  j'ai  de  la 
conclusion  de  notre  mariage.  Je  me  flatte  qu'Ellc  voudra  bien  agréer  ces 
lignes,  comme  le  premier  gage  de  l'amitié,  tendresse  et  veritable  respect 
avec  lequel  je  serai  toute  ma  vie, 
Madame,  de  V.  A.  S. 


Turili,  ce  9  juliet  1732. 


Ricciarda  così  gli  rispose 


le  trcs  hunibles  et  tres  ohéissant  serviteur 
Fran(;ois  Eugene  de  Savoye. 


Altezza  Serenissima, 
Dalla  singolare  benignità  di  V.  A.  S.  non  poteva  io  aspettare  se  non 
quelle  obbliganti  e  soprafìne  dichiarazioni,  che  leggo  nel  foglio  umanissimo 
di  cui  ha  voluto  favorirmi.  Si  accerti  dunque  di  ritrovare  in  me  ,  sinché 
vivo,  le  più  affettuose  rimostranze  di  stima,  dalle  quali  potrà  l'A.  V.  vS.  ri- 
cavare agevolmente,  di  essermi  spogliata  del  carattere  di  suocera  e  vestita 
di  un  altro  più  tenero,  che  sarà  quello  di  madre  amorosissima.  Frattanto 
sono  qua  impaziente  nell'aspettazione  di  quel  giorno,  che  deve  recarmi  la 
bella  sorte  di  poterla  servire  in  questa  sua  Casa.  Donna  Maria  Teresa  le 
invia  qui  acchiusa  la  sua  risposta,  che  si  merita  il  gentile  compatimento  di 
V.  A.  S.  a  fronte  della  sua  età,  e  qui,  con  vivo  desiderio  di  molti  pregia- 
tissimi comandamenti  suoi,  mi  costituisco  rispettosamente  con  tutto  lo  spirito 
Di  V.  A.  S. 

Massa,  li  16  luglio  1732. 

Dev:""  et  obbl.*"''  serva 
Ricciarda  Gonzaga  Cvp.o. 
Ecco  la  risposta  della  fidanzata  : 

Altezza  Serenissima, 
L'ofizio  rispettoso,  che  mi  presi  licenza  di  far  passare  a  V.  A.  S.  per 
mezzo  del  Sigr  Conte  di  Biandrà,  e  che  da  lui  è  stato  così  bene  adempito, 
l'averà  saputa  render  certa  di  quella  gran  stima ,  che  professo  al  merito 
eccelso  dell' A.  V.  S.  Ed  ora,  in  vista  de'  suoi  riveriti  caratteri,  le  confermo 
di  proprio  pugno  i  medesimi  sinceri  sentimenti  dell'animo  mio,  nel  costante 
attaccamento  dei  quali,  mi  protesto  voler  essere  per  sempre 
Di  V.  x\.  S. 

Massa,  li  16  luglio  1732, 

Dcv:""  et  ohbl:""  serva 
Maria  Teresa  Cybo{i). 

Il  De  Alari  il  27  d'agosto  scriveva  alla  Repubblica  di  Genova:  «Final- 
mente resta  stabilita  per  Vienna  la  partenza  di  questo  Sig"^  Principe  di  Soesson; 
deve  però  prima  visitare  in  Massa  la  futura  sua  sposa:  a  tal  effetto  per  la 
metà  dell'entrante  mese  si  trasferirà  in  Genova,  dove  devono  ritrovarsi  le 
galee  di  questo  Re,  per  servirlo  in  camino,  tanto  d'andata,  quanto  di  ritorno  ». 
Tornò  a  scrivere  il  17  di  settembre:  «  Questa  mattina  ha  preso  la  volta  di 
Genova  il  Signor  Principe  di  Soesson.  Fu  ieri  a  farmi  visita  tanto  esso  che 


(i)  R.  Archivio    di    Stato    in    Modena.  Cancelleria    Ducale.    Eredità   Cybo.    parte  I.   i., 
fase.  IV.  2. 

34 


IL   PRINCIPE   EUGENIO   FERDINANDO   DI   SAVOIA  39 1 


il  Sig'^  ÌSIarchese  di  Cavatore  »,  suo  aio.  «  Mi  dissero  che  se  il  tempo  fosse 
favorevole,  dalle  sedie  di  posta  sarebbero  passati  alle  galee;  ma  che,  nel 
ritorno,  tre  o  quattro  giorni  sarebbesi     trattenuto   per  vedere  la  città  »  (i). 

Fin  dal  io  di  quel  mese  si  era  adunata  a  Genova  la  Giunta  de'  Confini 
a  riferire  sui  provvedimenti  da  prendersi  per  l'annunziato  passaggio  del 
Principe.  Benché  ne'  libri  de'  cerimoniali  non  avesse  trovato  esempio  di 
complimento  fatto  a  persone  della  casa  di  Soissons,  fu  di  parere  «  nelle 
odierne  circostanze  possa  convenire  nel  passaggio  che  facesse  detto  Sig"^ 
Principe  per  il  Ser'""  Dominio  di  usargli  qualche  attenzione;  onde,  venendo 
egli  a  Genova,  la  minore  attenzione  che  se  gli  potesse  praticare  fosse  quella 
di  deputare  due  gentiluomini,  che  privatamente  lo  assistessero  ».  I  Collegi 
approvarono  il  consiglio,  e  furonodeputati  a  quell'ufficio  Ottavio  De  Mari 
e  IVIarcello  Durazzo.  Venne  poi  scritto  al  Commissario  di  wSarzana  e  al  Podestà 
di  Lerici:  «  State  in  attenzione,  al  suo  arrivo,  di  fargli  un  complimento  di 
visita  a  vostro  privato  nome,  e  assistetelo  in  tutto  ciò  gli   possa  occorrere  »  (2). 

Del  suo  soggiorno  a  Genova  si  trova  un  minuto  ragguaglio  ne'  di- 
spacci di  Lorenzo  Bernardino  Clerico,  ministro  residente  del  Re  di  Sardegna 
presso  quella  Repubblica.  «  Gionse  qui  giovedì  sera  »  (18  di  settembre) 
«  S.  A.  Ser"^^  il  Sig''  Principe  Eugenio  di  Soissons.  Ieri  le  furono  destinati 
per  servirlo  due  cavalieri,  uno  de'  quali  si  è  il  figlio  del  sig.  marchese  Gia- 
como Filippo  Durazzo,  che  alla  sera  le  diede  veglia.  Sta  il  suddetto  Principe 
attendendo  l'arrivo  delle  galee  di  S.  M.  che  devono  portarlo  a  Massa,  le  quali, 
se  sono  in  viaggio,  non  devono  aver  potuto  surmontare  li  venti  contrari  che 
si  sono  gettati  dappoi  ieri  »  (3),  Torna  a  scrivere:  «  Le  medeme  con  non 
poca  fatica  della  ciurma  (per  quanto  intesi  dal  sig.  cav.  Sforza)  giunsero  ieri 
[22]  verso  il  mezzogiorno  in  questo  porto,  doppo  il  soggiorno  di  quasi  24  ore 
fatto  in  Vado,  ove  per  motivo  de'  tempi  furono  costrette  d'entrare.  La  par- 
tenza per  Massa  restava  fissata  per  questa  mattina  nel  fare  dell'alba,  ma 
sendosi  alla  mezzanotte  novamente  gettati  li  venti  contrari,  s'aspetta  che  li 
medemi  calmino,  per  porre  immediatamente  alla  vela  e  sortire  di  questo 
porto.  L'apparenza  però  ella  è  che  ciò  non  si  possa  eseguire  né  per  questa 
sera,  né  per  questa  notte,  attesi  li  venti  freschi  ».  TI  27  scrive  nuovamente: 
«  La  partenza  seguì  verso  la  mezzanotte  »  (del  25^;  «  ma  avanzatesi  le  galee 
appena  dieci  miglia  al  largo,  ritrovativi  li  venti  contrari  assai  freschi,  furono 
costrette  retrocedere  e  rientrare  ieri  mattina  in  questo  porto,  ove  si  ritro- 
vano, aspettando  un  soffio  di  vento  favorevole  per  approfittarsene  ».  Il  30 
prosegue:  «  Due  ore  avanti  giorno  posero  domenica  alla  vela  le  due  galee... 
Le  notizie  che  ne  ho  avute  dopo  una  tale  partenza,  sono  che  appena  surmon- 
tato  quella  mattina  il  capo  dì  Portofino,  furono  le  medeme,  per  li  venti  sciroc- 
cali scopertisi  nell'altura  assai  freschi,  costrette  ricoverarsi  in  quel  seno,  dove 
attualmente  si  devono  supporre  per  cagione  de'  suddetti  venti  contrari,  che 
tuttavia  regnano  ».  Nel  dispaccio  del  4,  «  proseguendo  le  notizie  sul  viaggio  », 
scrive:  «  Per  avviso  giunto  a  questo  IMagistrato  di  Sanità  »  le  galee  <'  furono 


(i)  R.  Archivio  di  Stato  in  Genova.  Lettere  di  Ministri.  Torino,  busta  n»  5. 

(2)  R.  Archivio  di  .Stato  in  Genova.  Confinium,  filza  n"  122,  Litt.  reg.  17,  e,  242"^ 

(3)  Dispaccio  al  D'Ormea,  del  20  settembre  1730. 


35 


392  GIOVANNI    SFORZA 


viste  giovedì  nel  golfo  della  Spezia,  dal  che  si  arguisce  che  S.  A.  Ser™*  il 
Sig'  Principe  Eugenio  possi  ancor  l'istessa  sera  essere  arrivato  a  Massa  ». 
Vi  giunse  infatti  il  3  d'ottobre  ;  e  il  giorno  seguente  dalla  Duchessa  Ric- 
ciarda  e  dagli  sposi  venne  sottoscritto  il  contratto  matrimoniale,  che  suona 
così: 

Essendoché,  mediante  la  clementissima  interposizione  dell'Augustissimo 
Imperatore,  nella  città  di  Vienna  d'Austria  fossero  li  22  del  prossimo  decorso 
mese  di  maggio  stabiliti  e  firmati  li  Capitoli  del  matrimonio  da  contraersi 
fra  le  persone  descritte  ne'  medesimi  Capitoli,  che  sono  del  tenore  seguente, 
cioè  : 

Nel  nome  della  Santissima  Trinità,  Padre,  Figlio  e  Spirito  Santo.  Sia 
pubblico  e  manifesto  a  tutti  presenti  e  in  avenire  che  la  Divina  Provvidenza, 
regolando  per  la  maggior  gloria  sua  e  bene  degli  uomini  le  cose  di  questo 
mondo,  siasi  degnata  di  movere  l'animo  clementissimo  dell'Augustissimo 
Imperador  de'  Romani  Carlo  Sesto,  gloriosamente  regnante,  a  stabilire  l'ac- 
coppiamento di  due  Famiglie  sì  ragguardevoli  in  Europa,  quali  sono  quelle 
di  Savoia  e  Cybo,  uniendo  in  maritaggio  il  Serenissimo  Signor  Principe 
Eugenio  Francesco  di  Savoia,  Conte  di  Soissons,  figlio  del  fu  Serenissimo 
Principe  Emanuele  di  Savoia  e  della  Serenissima  Signora  Principessa  Teresa 
de  Liechtenstein,  con  la  Serenissima  Signora  Duchessa  INlaria  Teresa  Cybo, 
figlia  del  fu  Serenissimo  vSignor  D.  Alderano  Cybo  Duca  di  Massa  e  della 
Sejrcnissima  Signora  Donna  Ricciarda  Gonzaga  Cybo  Duchessa  Vedova  di 
Massa,  al  cui  effetto,  per  sentire,  terminare  ed  appianare  le  varie  materie  che 
si  dovevano,  avendo  la  INIaestà  Sua  Cesarea  Cattolica  deputato  l'Ur""  et  Ecc""° 
Signor  Conte  di  Metsch,  Consiglier  intimo  attuale  di  Stato  e  Vicepresidente 
del  Consiglio  Imperiale  Aulico,  nelle  sessioni  avanti  esso  tenute,  assistenti 
li  ]\Iinistri  delle  Serenissime  Parti,  per  accomodarsi  al  solito  di  queste  simili 
risoluzioni,  che  esige  se  ne  costruisca  un  atto  autentico  ad  eterna  memoria, 
ove  restino  perpetuamente  annotate  le  condizioni  che  debbono  andarne  inse- 
parabili, dopo  aver  il  prenominato  Signor  Principe  Eugenio  Francesco  di 
Savoia  Conte  di  Soissons  deputato,  attesa  la  sua  assenza,  in  suo  procuratore, 
per  segnare  questo  contratto,  il  Serenissimo  Signor  Principe  Eugenio,   suo 

gran  zio  paterno,  come    per    atto  delli (i;>  e    la  prenominata  Signora 

Duchessa  Vedova  di  Massa,  in  qualità  di  madre,  tutrice  e  curatrice  della  Sere- 
nissima wSignora  Duchessa  Maria  Teresa  Cybo,  sua  figlia  primogenita,  futura 
sposa,  ITll"'"  Sig.  Cav.  Giuseppe  Ambrogio  de  Brunetti,  Presidente  del  suo 
Consiglio  di  Giustizia  e  suo  Ministro  attuale  presso  la  Corte  Cesarea,  come 
per  atto  delli  16  aprile  ultimo  scorso,  debitamente  da  detta  Signora  Costi- 
tuente sottoscritto  e  del  suo  sigillo  munito.  Essi  rispettivi  atti  di  procura 
originalmente  rimessi  al  prenominato  Cesareo  Ministro,  sotto  il  benignissimo 
aggradimento  della  Maestà  Sua  Cesarea  Cattolica;  intervenendo  per  parte  del 
Serenissimo  Sposo  anche  il  consenso  della  S.  R.  Maestà  di  Carlo  Emanuele 
Re  di  Sardegna,  Gerusalemme  e  Cipro,  Duca  di  Savoia,  ecc.  come  capo  della 
Real  Casa  e  quello  della  detta  Serenissima  vSignora  Principessa  Teresa  di 
Liechtenstein,  sua  madre,  e  del  predetto  Serenissimo  Signor  Principe  Eugenio 
di  Savoia,  suo  gran  zio  paterno  ;  e  per  parte  della  Serenissima  Sposa  quello 
di  detta  Serenissima  Donna  Ricciarda  Gonzaga  Cybo,  Duchessa  di  Alassa, 
sua  madre,  siansi  conclusi,  stabiliti  e  sottoscritti,  inanti  dello  111"'°  ed  Ecc"'" 
Sig.  Conte  di  Metsch  et  alla  presenza  de'  Sig"^'  testimoni  infrascritti,  gli  arti- 
coli seguenti  : 

I.  Essi  vSerenissimi  Signori  Principi  e  Duchessa,  Eugenio  Francesco  di 
Savoia  Conte  di  Soissons  e  Maria  Teresa  Cybo  Duchessa  di  Massa,  con  l'Im- 


(i)  Spazio  bianco  nell'originale. 

36 


IL  PRINCIPE  EUGENIO   FRANCESCO  DI   SAVOIA  393 


periale  aggradimento,  Reale  e  Serenissimi  consensi  predetti,  promettono  di 
maritarsi  al  più  presto  che  sarà  possibile  e  vivere  in  eterna  unione  a  gloria 
dell'Altissimo,  per  felicitare  le  loro  rispettive  Serenissime  Case  e  li  loro 
sudditi  con  quella  prole  e  discendenza  con  la  quale  vorrà  il  cielo  benedire 
il  loro  matrimonio. 

IL  Essendo  per  la  morte  del  fu  Serenissimo  Sig.  D.  Alderano  Cybo, 
Duca  di  Massa,  senza  figliuoli  maschi,  rimasta  essa  Serenissima  Signora 
Duchessa  Maria  Teresa  1'  erede  primogenita  delle  tre  Principesse  figlie  del 
medesimo  fu  Sig.  Duca,  et  appartenendole  come  tale,  in  vigore  delle  investiture 
e  fidecommissi  della  Serenissima  Casa  Cybo,  tutti  li  Stati  e  beni  sì  feudali 
che  allodiali  della  medema  ;  quindi  nel  governo  et  amministrazione  loro  il 
Serenissimo  Signor  Principe  Sposo  subito  che  sarà  contratto  il  matrimonio 
dovrà  essere  associato  e  considerato  ancor  esso  come  sovrano,  qual  marito 
allora  di  detta  Serenissima  Duchessa  Maria  Teresa. 

IH.  Dovendo  per  una  indispensabile  necessità  in  tutti  li  contratti  di 
questa  sorte  intervenire  la  costituzione  della  dote,  essa  Serenissima  Signora 
Duchessa  Maria  Teresa  Cybo,  coll'autorità  della  prenominata  Signora  Du- 
chessa Vedova,  sua  madre  e  tutrice,  si  assegna  e  costituisce  in  dote,  sovra 
tutti  gli  effetti  allodiali  e  fideicommissari  della  sua  Casa,  la  somma  di  fiorini 
centomila,  moneta  di  Germania,  o  sian  correnti  in  Vienna;  alla  quale  esso 
Serenissimo  futuro  marito  fa  aumento,  detto  regolarmente  per  causa  delle 
nozze,  di  fiorini  cinquanta  mila  simili,  secondo  l'uso  che  si  pratica  in  Italia  ; 
con  dichiarazione  che  ove  mai  l'uno  o  l'altra  de'  Serenissimi  contraenti  pre- 
morisse 'il  che  Dio  non  voglia)  senza  figliuoli,  la  metà  di  detta  dote  e  re- 
spettivo  aumento  debba  cedere  et  appartenere  per  diritto  di  giusto  guadagno 
a  chi  sopraviverà,  et  il  rimanente  di  detti  dote  et  aumento  alli  loro  rispettivi 
eredi.  E  quanto  alli  altri  beni  della  Ser™^  Casa  Cybo,  sì  feudali,  che  allodiali, 
si  osserverà  1'  ordine  di  succedere  stabilito  nella  medema  Casa,  tanto  dalle 
investiture,  che  da'  fideicommissi. 

IV.  Sendosi  come  preliminari  di  questo  contratto  dovute  aggiustare 
e  concordare  alcune  condizioni  tendenti  alla  maggiore  consolazione  delle 
persone  interessate  in  questo  stabilimento  et  al  bene  della  Ser'"*  Casa  Cybo, 
perciò  il  foglio  di  dette  convenzioni,  in  questo  medemo  giorno  separatamente 
segnato,  sarà  considerato  come  parte  essenziale  di  questo  contratto  e  deverà 
venir  pienamente  osservato  in  tutti  li  suoi  articoli  e  ponti. 

V.  Farà  il  Ser'""  futuro  marito  nell'occasione  de'  sponsali  quel  regalo 
di  gioie  che  stimerà  conveniente  per  un  simile  caso,  e  le  medeme  in  tutti  li 
tempi  e  circostanze  cederanno  e  saranno  considerate  proprie  di  detta  Sere- 
nissima Sig^  futura  Sposa  et  alla  sua  libera  et  intiera  disposizione. 

VI  et  ultimo.  Tutto  quanto  sovra  le  Ser™*^  Parti  contraenti  promettono 
ne'  suddetti  respettivi  nomi  attendere  et  inviolabilmente  osservare,  sott'obbligo 
de'  loro  beni  presenti  e  futuri,  con  la  clausola  del  costituto  possessorio  di 
essi  in  forma  più  probante  et  ampia,  e  di  ratificare  questi  articoli,  ove  una 
delle  Parti  lo  richieda  in  qualsivoglia  tempo  ;  ben  inteso,  che  la  suddetta 
obligazione  de'  beni  fatta  tanto  dal  suddetto  Ser'""  Sig.  Principe  Eugenio, 
gran  zio  paterno  del  futuro  Sposo,  che  dalla  Ser™'^  vSig«  Duchessa  Vedova  di 
Massa,  non  debba  considerarsi  che  in  qualità  V  uno  di  procuratore  e  l'altra 
di  madre,  tutrice  e  curatrice,  respettivamente,  de'  Serenissimi    futuri  Sposi. 

In  fede  del  che  si  sono  a  tre  originali  minute,  da  conservarsi  presso  li 
Ser""' Sposi  e  ISIinistro  Cesareo,  tutti  sottoscritti,  come  segue.  Fatt' in  Vienna 
d'Austria,  h  ventidue  del  mese  di  maggio,  l'anno  del  Signore  mille  settecento 
trentadue. 

Eugenio  di  Savoya  come  procuratore  e  zio  dello  Sposo.  Luogo  del 
♦I»  sigillo. 

Giovanni  Adolfo  Conte  di  Metsch  come  Ministro  delegato  di  S.  M. 
Cattolica.  Luogo  del  «J*  sigillo. 

37 

50  —  Mise,  S.  III.  T.  Xni. 


394  GIOVANNI   SFORZA 


TheresE  Princesse  de  Savoye  mère  de  l'espoux.  Luogo  del  «^  sigillo. 
Giuseppe  Ambrogio  de  Brunetti   come   procuratore    della  Sig'*  Du- 
chessa Madre  e  Tutrice  della  Sposa.  Luogo  del  -^  sigillo. 
Luogo  del  *^  sigillo.  Ignatio  di  Koch  testimonio. 
Luogo  del  «ì*  sigillo.  Giuseppe  Antonio  de  Morelli  testimonio. 

Articoli  convenuti  in  seguito  al  capitolo  quarto  matrimoniale,  oggi  sot- 
toscritto, fra  li  Ser'"'  Signori  futuri  Sposi  Principe  Eugenio  Francesco  di 
Savoia  Conte  di  Soissons  e  Duchessa  Maria  Teresa  Cybo,  col  mezzo,  auto- 
rità e  consenso  del  Ser"'"  Sig.  Principe  Eugenio  di  Savoia  e  della  Ser™*  Sig* 
Duchessa  Vedova  di  Massa,  nei  nomi,  come  in  detto  contratto,  sotto  pure  il 
Cesareo  aggradimento,  et  assistente  V  111'"°  et  Ecc™°  Sig.  Conte  di  Metsch 
Ministro  deputato,  come  in  esso. 

I.  Facendosi  riflesso  che  deve  la  Ser""^  Sig^'  Duchessa  Vedova  Madre 
aver  un  congruo  appannaggio,  non  tanto  per  il  suo  vedovile,  quanto  per  le 
fatiche  della  tutela,  sino  a  che  sia  in  possesso  dello  Stato  di  Novellara, 
Vescovado  e  Bagnolo,  perciò  li  Serenissimi  Sposi  et  il  Ministro  Cesareo, 
coll'autorità  dell'  Imperadore,  li  fanno  assegnazione  di  scudi  duemila  annui, 
moneta  romana,  da  prendersi  sulle  rendite  più  liquide  della  Ser™**  Casa  Cybo. 
IL  Allorché  si  presenterà  un  partito  conveniente  per  maritare  e  col- 
locare le  due  Sig^*  Ser™*'  Principesse  cadette,  sorelle  della  Ser™"  Sig*  Sposa, 
oltre  la  dote  già  a  loro  riguardo  stabilita  nel  testamento  paterno  e  le  regole 
sin  qui  osservate  nella  Ser'"'^  Casa  Cybo  per  l'assegnamento  delle  doti,  s'ob- 
bligano li  futuri  Ser""'  Sposi  di  pagarle  et  assegnarle  quella  maggiore  che 
sarà  creduta  congrua,  avuto  riguardo  allo  stato  della  Casa  et  alla  qualità 
del  futuro  loro  marito,  secondo  il  consenso  che  si  potrà  avere  da  S.  ^L  Impe- 
riale, dovendosi  tali  doti  ricavare  dagli  effetti  allodiali  e  fìdeicommissari  di 
detta  Casa  ;  obbligandosi  frattanto  di  mantenerle  secondo  il  loro  grado  nel 
loro  Stato  di  Massa  ;  come  altresi  in  caso  di  monacazione  di  darle  quella 
dote  e  quell'annua  pensione,  che  sarà  creduta  propria  per  il  monastero  ove 
potessero  destinar  d'entrare. 

HI.  Unirà  il  futuro  Ser"°  Sposo  le  armi  et  insegne  gentilizie  della  Casa 
Cybo  alle  sue  e  ne  porterà  anche  il  cognome,  per  maggior  lustro,  decoro 
e  conservazione  di  tal  Casa. 

IV  et  ultimo.  Avendo  il  Sig.  Duca  D.  Alderano  Cybo,  padre  della  Sere- 
nissima Sposa,  lasciato  vari  debiti  e  molti  effetti  dell'eredità,  vincolati  al  feudo 
et  ai  fideicommissi,  con  ipoteche,  si  deputerà  dalla  Ser'''^»  Sig"  Duchessa 
Vedova  di  Massa,  tutrice,  una  commissione,  avanti  quale  si  dovranno  chia- 
mare tutti  li  creditori  ;  e  dopo  esaminati  li  loro  titoli  e  ridotte  le  cose  a' 
termini  dell'equità  e  del  giusto,  tuttoché  la  Ser""  Sposa  come  erede  ipso 
iure  in  detti  beni  non  sia  tenuta  ad  alcun  pagamento,  si  fisserà  una  regola, 
o  per  andarne  pagando  annualmente  quella  quantità  che  si  potrà,  o  si  pren- 
deranno altre  misure  per  pagarli  tutti  o  in  parte  in  una  volta,  senza  però 
divenire  ad  alcuna  alienazione  de'  beni  soggetti  al  feudo  e  fideicommisso. 
Et  il  Ser'""  futuro  Sposo,  dopo  che  ne  sarà  assestata  la  somma,  darà  tutta  la 
mano  per  ogni  più  pronta  sodisfazione  ad  effetto  di  testimoniare  d'avere  per 
la  memoria  del  fu  Ser'""  Sig.  Duca,  padre  della  Ser"'*  sua  futura  Sposa,  tutta 
la  stima  e  divozione. 

Quali  articoli  le  Ser'"®  Parti  promettono  d' inviolabilmente  osservare  a 
nome  e  sotto  l'obbligazione  de'  beni,  come  in  detto  contratto  di  matrimonio. 
In  fede,  ecc.  Vienna  d'Austria,  li  22  del  mese  di  maggio,  l'anno  del  Signore 
mille  settecento  trentadue. 

Eugenio  di  Savoia  come  procuratore  e  zio  dello  Sposo.  Luogo  del 
♦I»  sigillo. 

Giovanni  Adolfo  Conte  di  Metsch  come  IMinistro  delegato  di  S.  M. 
C.  Luogo  del  ♦!♦  sigillo. 

38 


IL  PRINCIPE   EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  395 


Therese  Princesse  de  Savoye  mère  de  l'espoux.  Luogo  del  4-  sigillo. 
Giuseppe  Ambrogio  de  Brunetti  come  procuratore  della  Sig"  Duchessa 
Madre  e  tutrice  della  Sposa.  Luogo  del  ♦$♦   sigillo. 

Luogo  del  4»  sigillo.  Ignatio  di  Koch  testimonio. 

Luogo  del  4»  sigillo.  Giuseppe  Ambrogio  de  Morelli  testimonio. 

E  volendo  in  oggi,  a  cautela  maggiore  e  per  quanto  far  possa  di  bisogno, 
tanto  la  Ser'"*  Sig^  Duchessa  ISIaria  Teresa  Cybo,  con  il  benigno  consenso  e 
volontà  di  S.  A.  S.  la  Sig*  Duchessa  Vedova  Ricciarda  Gonzaga  Cybo,  sua 
Signora  e  Madre,  e  la  medema  Ser™^'  Sig'^  Duchessa  Ricciarda,  di  lei  tutrice 
e  curatrice,  da  una  parte;  e  come  pure  il  Ser"'°  Sig.  Principe  Francesco 
Eugenio  di  Savoia,  Conte  di  Soissons,  ora  esistente  di  persona  in  questa  città 
di  Massa,  dall'altra,  venire  e  procedere  alla  conferma,  approvazione  e  ratifica 
di  quanto  restò  conchiuso  e  stabilito,  come  sopra,  per  mezzo  dei  loro  rispet- 
tivi procuratori,  col  pieno  aggradimento  di  S.  M.  Cesarea  e  Cattolica;  quindi 
è  che  l'una  e  l'altra  delle  predette  Ser''^''  Parti  vicendevolmente  e  scambie- 
volmente approvano,  confermano  e  ratificano  in  ogni  sillaba  e  parola  i  pre- 
senti capitoli  matrimoniali,  conchiusi,  stabiliti  e  convenuti,  come  sopra,  nel 
dì  22  maggio  prossimamente  passato  in  detta  città  di  Vienna  d'Austria; 
quali  a  tal  fine  li  sono  stati  prima  letti  ad  alta  e  intelligibile  voce  e  da  esse 
Parti  Ser'"^  si  sono  bene  uditi,  ascoltati  e  compresi,  come  hanno  asserito, 
con  dichiarare  esser  loro  precisa  mente  ed  intenzione  che  ciascuno  di  essi 
capitoli  resti  e  si  abbia  per  approvato,  confermato  e  ratificato  in  ogni  miglior 
modo  e  in  ogni  piìi  ampia  forma  ;  promettendo  altresì  vicendevolmente  la 
puntuale  ed  inviolabile  osservanza  di  tutto  quello  e  quanto  si  contiene  ne' 
capitoli  preaccennati. 

Con  dichiarazione  ancora,  che  la  presente  ratifica  sarà  firmata  di  proprio 
pugno  da  ciascuna  di  dette  Serenissime  Parti  e  munita  del  di  loro  rispettivo 
sigillo  ;  ed  inoltre  che  di  essa  se  ne  sono  fatte  tre  simili,  cioè  una  perchè 
resti  nelle  mani  di  detta  Ser™''  .Sig''^  Duchessa  Madre  tutrice,  l'altra  in 
quelle  di  detto  Ser™»  Sig.  Principe  Eugenio  Francesco,  e  la  terza  per  do- 
versi rimettere  a  Vienna  in  potere  di  S.  Ecc.^^  il  Sig.  Conte  Gio.  Adolfo  di 
Metsch,  Ministro  delegato  di  S.  M.  Cesarea  e  Cattolica,  come  in  detti  capitoli. 
Et  in  fede,  etc. 

Massa,  li  quattro  ottobre  1732. 

(Z.  S.)  Io  Ricciarda  Gonzaga  Cybo,  Madre  e  Tutrice  della  sopra- 
scritta Maria  Teresa  Cybo,  alla  quale  ho  prestato  il  mio  pieno  consenso  per 
l'atto  sudetto,  approvo,  confermo  e  ratifico  li  preinserti  capitoli  matrimoniali 
in  ogni  miglior  modo 

Io  infrascritta,  con  la  presenza  e  consenso  della  .Sig'^*  Duchessa  Ricciarda 
Gonzaga  Cybo,  mia  Madre  e  Tutrice,  approvo,  confermo  e  ratifico  li  presenti 
capitoli  matrimoniali  in  ogni  miglior  modo 

(L.  S.)  Maria  Teresa  Cybo. 

Io  Francesco  Eugenio  di  Savoya  conte  di  Soisson  (sic)  approvo, 
confermo  e  ratifico  li  preinserti  capitoli  matrimoniali  in  ogni  miglior  modo. 

Gio.  Batista  Falletti  Marchese  di  Cavatore  fui  testimonio. 

(L.  S.)  Carlo  Adalberto  Cerrutti  Conte  di  Ferrere   fui  testimonio. 

(L.  S.)  Bernardo  Luciani  fui  testimonio. 

(L.  S.)  Giuseppe  Antonio  Brighi  fui  testimonio  (i). 


(i)  Archivio  di  Stato  in  Massa.  Matrimoni  di  Casa  Cybo,  filza  482, 
39 


396  GIOVANNI   SFORZA 


Il  6  d'ottobre,  lasciata  Massa,  il  fidanzato  s'incamminò  alla  volta  di  Lerici. 
Il  Commissario  di  Sarzana,  Gregorio  Ercole  Giustiniani,  scriveva  alla  Signoria 
di  Genova:  «  Giovedì  scorso  verso  le  tredici  passò  in  vicinanza  di  questa  città, 
da  Lerice  alla  volta  di  Massa,  il  Sig""  Principe  Francesco  Eugenio  di  Savoia, 
o  sia  Suissons;  quale  ieri  l'altro,  verso  le  diecinove,  per  la  stessa  strada, 
si  ricondusse,  di  ritorno  da  Massa,  alla  volta  di  Lerice,  senza  nemmeno  fer- 
marsi per  la  solita  cambiatura  di  cavalli;  che  però  non  ho  avuto  campo  di 
fare  allo  stesso  quel  complimento  particolare,  segnatomi  da  VV.  SS.  Ser""*^  »  (i). 
In  una  lettera  del  Clerico  al  D'Ormea,  del  7  ottobre,  si  legge  :  «  Giunsero 
quest'oggi,  un'ora  dopo  mezzogiorno,  in  questo  porto  le  due  galee  di  S.  M. 
di  ritorno  da  Massa,  con  S.  A.  Ser'"''  il  Sig""  Principe  Eugenio.  Il  Sig""  Mar- 
chese di  Cavatore,  che  imponemi  di  riverire  per  parte  sua  l'È.  V.,  mi  dice 
altresì  di  soggiungerle  che  l'A,  S.  si  era  diportata  in  tutto  con  sommo  uni- 
versale applauso  ed  ammirazione,  e  che  il  ricevimento  e  le  accoglienze  dal 
canto  della  Sig""*  Duchessa  di  Massa  erano  state  più  di  quello  si  poteva  aspet- 
tare e  desiderare,  non  meno  che  le  acclamazioni  di  tutti  que' popoli,  come  meglio 
averà  l'onore  al  suo  arrivo  costà  di  renderne  conto  a  S.  M.  ».  Gli  soggiungeva: 
«  Le  due  galee,  avendo  ritrovato  nel  porto  della  Spezia  due  vascelli  da  guerra 
spagnoli,  questi  hanno  preteso  con  la  forza  per  li  primi  dalle  medeme  il  saluto,  a 
cui  è  convenuto  acconsentirvi,  per  non  vedersi  calate  a  fondo,  secondo  l'intima 

fattasele Il  saluto  fu  di  quattro  colpi  e  la  restituzione  di  cinque  »  (2).  Il 

giorno    1 1    riscriveva  :   «   Mercoledì   mattina   diedero  alla  vela    alla  volta  di 
Villafranca  le  due  galee  di  S.  M.,  et  al  doppopranzo  presele  poste  per  Milano  (3) 


(i)  R.  Archivio  di  Stato  in  Genova.  Collegi,  Div.  filza  n"  222. 

(2)  Il  cav.  Sforza,  che  aveva  il  comando  delle  due  galere,  volle  però  una  dichiarazione 
dagli  spagiuioli  che  il  saluto  era  stato  preteso  con  la  forza.  L'ebbe  e  l'inviò  al  Re,  il  quale, 
il  18  d'ottobre,  così  ne  ragguagliava  il  Solaro:  «  Il  est  arrivò  une  affaire  à  deux  de  nos 
galeres  qui  etoient  alle  servir  le  jeune  Prince  Eugène  dans  le  voyage  qu'il  a  fait  à  Massa, 
avec  deux  vaisseaux  de  guerre  espagnols,  qui  sont  trouvés  dans  le  golfe  de  la  Spezie.  Vous 
verrez  le  détail  très  exact  du  fait  dans  la  relation  des  deux  officiers  qui  ont  été  employés 
dans  la  négociation  et  la  declaration  que  le  commandant  espagnol  a  signé.  Nous  avons  jugé 
à  propos  de  vous  en  enformer  en  vous  envoyant  une  copie  de  ces  pièces,  affin  que  vous  nous 
en  donniez  votre  sentiment,  vous  s^achant  bien  instruits  et  verse  dans  cette  matière  ».  Il 
Solaro  gli  rispose  il  12  di  novembre:  «  Je  trouve  que  le  commandant  espagnol  a  été  assez 
bien  fonde  à  demander  le  salut,  parce  qu'il  est  Constant  que  Ics  capitanes  de  Naples,  Sicile 
etSardaigne  n'etoient  considerées  que  comme  Patrones  Roiales  dans  le  tems  que  ce  Royaumes 
etoient  unis  à  l'Espagne  ;  n'y  aiant  eu  aucun  reglement  qui  deroge  à  cet  etablissement  il  a 
suivi  la  loi  etablie  dans  une  occasion  qui  lui  étoit  favorable  et  (luoiqu'il  soit  fort  naturel  et 
juste  que  le  Royaume  de  Sardaigne  aiant  été  separé  de  l'Espagne,  V.  M.  etant  en  possession 
de  touttes  les  prerogatives  royales  qu'on  lui  rende  aussy  celle  de  reconnaitre  l'etendart  que 
porte  sa  capitane  come  etendart  royal  ce  n'est  point  au  dit  commandant  à  entrer  dans  ce 
detail  et  sans  une  reconnoissance  precedente  de  sa  Cour  il  ne  peut  s'eloigner  de  la  pratique 
qu'il  trouve  etablie  ». 

(3)  A  Milano  fu  ospite  del  feldmaresciallo  conte  Daun,  il  quale  l'ii  d'ottobre  ne  dava 
ragguaglio  al  vecchio  Principe  Eugenio  con  la  seguente  lettera,  esistente  nell'I,  e  R.  Archivio 
di  Guerra  a  Vienna  :  «  Euer  Durchlaucht  habe  hierdurch  unterthanig  berichten  sollen,  wie 
dass  dero  petit  Neveux  der  Printz  Eugene  von  Savoye  gestern  friìii  gliìcklich  und  wohl  zu 
Mailand  angelangt  ist;  weilen  mich  al)er  etliche  Stundt  von  der  Stadt  entfernt  auf  dem  Landt 
und  dazu  nicht  mit  allzu  guter  Gesundheit  aufhalte,  folgsamb  Ihn  sebst  nichi  Empfangen 
kònnen,  so  habe  ich  meinen  Sohn  dahin  gesendct  unib  meinen  Platz  zu  vertreten  und  liat 
mir  gedachter  dero  Petit  Neveux  nicht  nur  die  Ehre  gethan  bei  Hof  sein  quartier  zu  nehmen, 
sondern  auch  mich  auf  dem  Landt  heimbzusuchen  und  mit  einem  Mittagmahl  vorlieb  zu 
nehmen  ,  vvornach  Ihn  gestern  mit  einer  Conversation  und  Soujié  die  Frau  Fi'irslin  von 
Liechtenstein  bewirtliet  hat.   Hent  aber  wird  er  bei  dem  Conunandirenden  Generalen  Hernn 

40 


IL   PRINCIPE  EUGENIO   FRANCESCO  DI   SAVOIA  397 


S.  A.  Ser'"'^  il  Sig-"  Principe  Eugenio  »  (i).  Prima  di  mettersi  in  viaggio  indi- 
rizzò, peraltro,  al  Re  questa  lettera: 

Sire, 

Ayant  heureusement  termine  mon  voyage  de  Massa  avec  une  satisfac- 
tion  qui  m'a  paru  réciproque,  je  ne  puis  diferer  plus  longtems  à  renouveller 
à  V.  ]\I.  les  sentimens  de  ma  plus  parfaite  reconnoissance  pour  toutes  les 
bontés  dont  elle  deigne  m'honnorer  et  pour  tant  davantages  qu'elle  m'a 
procures.  J'avoue  cependant  que  je  ne  puis  pas  jouir  d'une  consolation  tran- 
quille par  le  regret  que  je  resens  tous  les  jours  plus  de  me  voir  eloigner  de 
V.  M.,  Elle  m'a  de  tous  tems  comblé  de  tant  de  graces,  que  je  ne  puis  m'en 
resouvenir  sans  tendresse.  Je  la  suplie  de  me  pardonner  ce  terme,  qui  part 
du  fond  de  mon  cceur,  et  je  lui  proteste  que  ma  principale  occupation,  tant 
que  je  vivray,  sera  de  rechercher  toutes  les  occasions  possibles  à  lui  prouver 
mon  zèle  et  le  profond  respect  avec  lequei  j'ai  l'honncur  de  me  dire 

De  Votre  IMajesté 


Gènes,  ce  8  octobre  1732. 

Scrisse  pure  alla  Regina: 
Madaìne, 


le  trcs  Jiimihle 
et  très  obe'ùsant  soumis  servitctir  et  sujct 

EUGENE    DE    SaVOYE    (2). 


Je  suplie  V.  M.  d'agréer  que  j'aye  l'honneur  de  lui  renouveller  me  sou- 
missions,  et  de  l'assurer  de  ma  reconnoissance  pour  tant  de  bontés  qu'elle 
a  deigné  avoir  pour  moy,  dont  le  ressouvenir  a  fait  ma  principale  occupation 
depuis  mon  depart,  et  lui  proteste  qu'il  durerà  autant  que  ma  vie.  Je  me 
remets  à  ce  qu'on  lui  dira  de  vive  voix  touchant  la  belle  reception  qu'on 
m'a  fait  à  Massa.  Je  voudrois  bien  lui  dire  quelque  chose  de  la  princesse  ma 
future,  mais  que  lui  dirais-je  d'un  enfant? 

J'ai  cepandant  dans  l'idée  qu'elle  aura  de  l'esprit  puisque  j'ai  remarqué 
qu'elle  prenoit  plaisir  à  m'entendre  parler  de  V.  M.  Aussi  la  seule  chose  que 


Printzen  von  Liechtenstein  zu  mittag  speissen  und  hernach  sogleich  seine  reiss  nachher  Wien 
fortsetzen,  mir  ist  nur  leydt,  dass  sein  allzukurzer  Aufenthalt  mir  die  Freund  und  Elir  entzogen 
hat,  Ihn  besser  und  mehrers  bedienen  zu  kònnen,  ich  versichere,  dass  Euer  Durchlaucht  an 
diessem  jungen  Prinzen  ein  ganz  besonderes  Vergniigen  und  Consolation   haben    werden  ». 

(i)  Al  soggiorno  del  Principe  a  Genova  si  riferisce  questo  dispaccio  del  De  Mari,  de' 
22  d'ottobre:  «  II  Sig^"  Marchese  Cavatore,  che  avea  inspezione  sopra  il  Sigf  Principe  di 
Soesson,  non  ha  mancato  di  significarmi  tutte  le  distinzioni  usatesi  in  Genova  al  prefato 
Principe;  ha  però  supposto  che  si  avesse  usato  di  riserva,  per  non  dire  mancanza  di  riguardo, 
al  non  averlo  salutato  col  cannone  all'ora  quando  fu  sopra  una  di  codeste  galee,  giacché  da 
alcuni  signori  mi  confidò  fosse  a  lui  stato  detto  che  ciò  si  dovesse.  Siccome  il  discorso  fu 
tutto  privato,  m'avanzai  a  significargli,  che  io  era  persuasissimo  del  vivo  desiderio  in  V.  S** 
Ser'"<^  e  conseguentemente  delle  date  prevenzioni  perchè  non  si  tralasciasse  onore  alcuno,  il 
quale,  secondo  il  consueto,  fosse  dovuto  a  questo  Principe;  e  se  solo  nell'indicata  congiun- 
tura erasi  concepito  alcun  sinistro  sospetto,  avevo  io  l'esempio  alla  mano  per  notorizare  il 
contrario  ;  e  qui  le  portai  l'esempio  del  successo  istesso  col  Sig""  Conte  di  Charles  Roy,  il 
quale  ebbi  l'onore  di  servire  nel  passaggio  suo  in  Genova.  Egli  non  fu  salutato  nell'ingresso 
sopra  la  galea,  e  nel  ritorno  sbarcò  nella  Darsina  ;  particolarità  che  il  Sig""  Cavatore  mi  disse 
essere  cosi  accaduta  col  Sigi^  Principe  di  Soesson.  Se  per  avventura  me  ne  fosse  parlato  da 
altri,  giacché  il  primo  discorso  non  fu  che  confidenziale,  bramerei  essere  instrutto  come  con- 
tenermi, servendo  loro  di  notizia  che  il  Sig""  Conte  di  Charles  Roy  pretese  vivere  tuttavia  da 
privato,  anzi  con  altro  nome  ». 

(2)  R.  Archivio  di  Stato  in  Torino.   Lettere  tli  Principi.  Savoia-Soissons. 

41 


398  GIOVANNI   SFORZA 


j'ai  recommendé  c'est  qu'on  ait  le  soin  de  l'élever  continuellement  dans  des 
sentimens  de  vénérations  et  de  soumissions  env^ers  V.  INI.  afìn  que  nos  sen- 
timens  etant  conformes  sur  ce  chapitre  notre  union  deviennc  parfaite.  Je  la 
prie  en  attendant  de  me  continuer  l'honneur  de  sa  protection,  qui  m'est  si 
nécessaire  et  d'etre  persuade  du  profond  respect  avec  lequel  j'ai  l'honneur 
de  me  dire 
de  V.  M. 

le  très  huvihlc 
et  très  flbeissaiìt  soumis  serviteur  et  snjet 

EUGENE   DE   SaVOYE. 
Génes,  ce  8  octobre  1732  (i). 

Anche  la  Duchessa  Ricciarda  si  affrettò  a  esprimere  a  Carlo  Ema- 
nuele III  la  propria  riconoscenza  con  questa  lettera: 

Sacra  Reale  Maestà, 

Il  nuovo  segnalato  favore  che  mi  viene  compartito  dalla  magnanima  ge- 
nerosa inclinazione  di  V,  M.  nell'aver  disposto  che  il  Sig""  Conte  di  Biandrà, 
suo  scudiere,  faccia  ritorno  in  queste  parti,  ad  effetto  di  presentarmi  in 
nome  della  M.  V.  il  Ser"'"  Sig'"  Principe  Francesco  Eugenio,  destinato  sposo 
della  Duchessa  mia  figlia,  porge  un  vivo  eccitamento  alle  mie  strettissime 
obbligazioni  di  protestarne  a  V.  M.,  in  nome  pure  di  essa  Figlia,  un  devotis- 
simo rendimento  di  grazie;  alle  quali  accompagnando  le  suppliche  più  rispet- 
tose, per  implorare,  in  vantaggio  di  questa  sua  ossequiosissima  Casa,  la  be- 
nigna perseveranza  della  di  lei  Real  grazia  e  protezione,  per  parte  ancora 
della  medesima  Figlia  profondamente  m'inchino. 

Di  V.  S.  R.  M. 

Utnil'"^  dev'"^  osseq'""  serva 

Ricciarda  Gonzaga  Cybo 

Duchessa  Vedova  di  Massa. 
Massa,  li  6  ottobre  1732. 

Il  cardinale  Camillo  Cybo,  che  aveva  contrariato  le  trattative  tutte  del 
matrimonio,  senza  in  nessun  modo  volervi  prestare  il  proprio  consenso,  finì 
col  pentirsene  e  si  dette  a  cercare  il  modo  di  ripararvi.  Per  incarico  suo  il 
cardinale  Alessandro  Albani,  il  12  maggio  del  1733,  ne  scrisse  al  Marchese 
d'Ormea,  primo  ministro  del  re  Carlo  Emanuele  III.  Gli  diceva:  «  Avendo  il 
Sig""  Cardinale  Cybo  introdotto  il  discorso  sulle  cose  di  Massa,  ha  egli  mo- 
strato un  vivo  desiderio  di  rientrare  in  buona  armonia  con  S.  A.  Ser""*  il 
Sig''  Principe  Eugenio  e  sopire  le  differenze  con  dar  il  consenso  al  matri- 
monio, com'è  pronto  a  fare  con  sua  lettera,  senz'entrar  in  discussione  di 
veruna  cosa,  o  a  soscrizione  de'  capitoli,  parendogli  così  di  risarcire  ciò  che 
riguarda  la  sua  estimazione  appresso  il  mondo.  Anzi,  dicendo  egli  di  non 
volere  né  pretendere  alcuna  ingerenza  nell'amministrazione  de'  Stati,  non 
potrebbe  in  essi  cagionare  alcuna  inquietudine;  vedrebbe  riparato  il  suo 
onore,  giacché  fin' ora  non  è  stato  punto  considerato,  e  godrebbe  il  van- 
taggio dell'assegnamento  fattogli  ».  Il  D'Ormea  comunicò  la  lettera   al  Re, 


(i)  Biblioteca  Civica  di  Torino.  Raccolta   Cossilla.  Lettere  di  Principi    Savoia-Soissons. 

42 


IL   PRINCIPE   EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  399 

che  gli  dette  ordine  d' inviarla  in  copia  al  Solare,  perchè  la  mostrasse  al 
Principe  Eugenio.  Lo  fece  infatti,  scrivendogli:  «  Au  cas  que  S.  A.  Ser™® 
juge  qu'  il  y  aie  sur  une  telle  ouverture  quelque  pas  à  donner,  vous  lui 
dires  que  le  Roi  est  très  dispose  à  seconder  ses  intentions  et  à  faire  tout  ce 
qu'il  souhaitera  ».  Il  Solaro,  peraltro,  gli  fece  osservare:  «  J'ai  fait  autre  fois 
presque  la  mème  proposition  à  l'insinuation  de  ^M""  le  Cardinal  Albani;  elle 
a  été  mal  regue,  parce  que  la  réconciliation  avec  le  susdit  Cardinal  entraine- 
roit  naturellement  l'obligation  du  payement  de  l'augmentation  de  la  pension 
qui  lui  a  été  accordée  dans  le  tems  qu'  on  arreté  le  mariage;  de  manière 
que  j'ai  vù  que  pour  éviter  ce  nouveau  poid  et  les  discussions  qu'on  craint 
d'avoir  avec  lui  au  sujet  de  la  tutelle,  Mons""  le  Prince  Eugène  étoit  alors 
de  sentiment  de  laisser  cette  affaire  dans  l'état  qu'elle  est,  pour  ne  pas 
tomber  dans  ces  inconveniens;  je  sgai  qu'  il  a  été  confirmé  dans  cette  opi- 
nion par  M""  le  general  Stampa  et  par  l'envoyé  de  Massa,  qui  sont  d'  avis 
que  le  raccomodement  avec  ]VP  le  Cardinal  ne  peut  ètre  que  desavantageux 
à  sa  famille  et  désagréable  à  Madame  la  Duchesse  de  Massa,  qu'on  doit 
beaucoup  ménager  par  plusieurs  raisons,  et  ils  m'en  ont  parie  tous  les  deux 
dans  ce  sens,  me  priant  de  ne  faire  aucunne  ouverture  pour  établir  la  bonne 
intelligence  entre  Mons'"  le  Prince  Eugène  et  M'"  le  Cardinal  Cybo  ».  Cosi 
scriveva  il  19  giugno  del  1733;  tornò  a  scrivergli  il  giorno  27,  avvisandolo 
che  lo  Stampa  gli  aveva  mostrato  una  lettera  del  Cardinal  Cinfuegos,  «  par 
laquelle  il  lui  fait  savoir  l'empressement  que  lui  a  marqué  M'  le  Cardinal 
Cybo  de  se  reconcilier  avec  Mons"^  le  Prince  Eugène  et  il  lui  envoit  copie 
d'un  billet  du  susdit  Cardinal  par  lequel  il  presse  vivement  M""  le  Cardinal 
Cinfuegos  de  s'employer  pour  lui  procurer  cette  satisfaction.  M""  le  general 
Stampa,  se  voyant  sollicité  de  la  manière  ci-dessus  enoncée,  n'  a  pù  se  dis- 
penser de  faire  ses  représentations  à  Mons""  le  Prince  Eugène  pour  le  flechir; 
et  quoique  ses  instances  ayent  été  pressantes  il  n'  a  rien  pù  gagner  sur 
l'esprit  dudit  Prince,  qui  est  toujours  d'avis  qu'il  est  plus  convenable  à  la 
A[aison  de  Massa  de  tenir  M''  le  Cardinal  Cybo  à  l'ecart,  et  ne  pas  sur- 
charger  d'une  nouvelle  pension  un  heritage  qui  est  dejà  oberé  ».  Il  Mar- 
chese d'Ormea  replicava,  il  4  di  luglio:  «  Puisque  les  représentations  de 
M'  le  General  Stampa  n'ont  rien  opere  sur  l'esprit  de  M""  le  Prince  Eugène 
pour  le  porter  a  se  reconcilier  avec  I\P  le  Cardinal  Cybo,  S.  M.  a  approuvé 
le  parti  que  vous  avez  pris  de   n' en   point  parler». 


IV. 

Il  29  ottobre  il  Solaro  scriveva  al  Re:  «  Le  Prince  son  neveu  est  arrivé 
hier  au  matin.  J'ai  eu  l'honneur  de  le  mener  d'abord  chez  son  onde,  qui 
l'a  recù  avec  affection,  temoignant  beaucoup  de  plaisir  de  le  voir;  il  l'a 
presente  hier  au  soir  à  l'Empereur  et  à  l'Imperatrice,  et  m'a  chargé  du  soin 
de  le  mener  à  l'audience  de  l'Imperatrice  Amelie  et  des  Archiduchesses,  et 
de  tout  le  reste  qui  regarde  la  direction  de  sa  conduite  pour  remplir  exacte- 

.4.3 


400  GIOVANNI   SFORZA 


ment  toiis  les  devoirs  d'attention  et  de  politesse.  Je  tacherai  de  m'acquitter 
de  cette  commission  d'une  manière  qui  reponde  à  la  confiance  que  le  susdit 
Prince  a  bien  voulu  me  marquer.  Il  m'a  chargé  de  temoigner  sa  parfaite 
reconnoissance  a  V.  M.  des  soins  qu'elle  a  eu  la  bonté  de  prendre  pour 
l'education  de  son  neveu,  et  s'est  exprimé  en  particulier  avec  lui  dans  les 
mémes  sentimens,  dont  il  lui  a  ordonné  de  rendre  compte  à  V.  M.  Je  S9ai 
que  l'Empereur  et  l'Imperatrice  ont  approuvé  la  manière  dont  s'est  comporté 
ce  jeune  Prince  dans  l'audience  qu'il  en  a  eue,  L'Empereur  lui  a  marqué 
étre  fort  sensible  aux  sentimens  d'affection  et  d'amitié  dont  V.  M.  l'avoit 
chargé  de  l'assurer,  ce  qu'il  a  accompagno  d'expressions  de  la  haute  estime 
qu'il  a  pour  sa  Royale  Maison  et  pour  la  personne  de  V.  M.  » 

Il  Principe  non  mancò  di  scrivere  anch'esso  alla  Regina  e  al  Re.  Alla 
prima  indirizzò  questa  lettera  : 

Madame, 

Votre  Majesté  m'aiant  permis  à  mon  depart  de  me  donncr  l'honneur  de 
lui  reitterer  les  assurances  de  mes  respects  très  humbles,  je  profite  de  cette 
graces  avec  tous  l'empressement  posible  pour  apprandre  à  V.  M.  le  plaisir 
avec  lequelle  L.  M.  I.  ont  receu  ces  compliments;  elle  m'ont  repondu  qu'elle 
seront  toujours  très  sensibles  aux  temoignages  de  l'amitié  de  \^.  M.  et  elles 
m'ont  en  mème  tems  ordonnés  de  l'assurer  des  sentimens  réciproques  qu' elles 
conserveront  dans  toutes  les  occasions  pour  sa  Roiale  persone.  I.esdittes 
Majestcs  m'ont  ensuite  comblés  de  graces,  soit  par  la  manières  obligente 
avec  laquelle  elles  m'ont  receu,  que  par  les  expresions  gracieuscs  dont  elles 
m'ont  bien  voulu  onorer.  La  part  que  V.  M.  a  toujours  daignés  prendre  en 
tonte  ce  qui  me  regarde  me  fait  esperer  qu'elles  ne  sera  point  indiferantes 
sur  une  reccptions  qui  m'est  si  avantageuse,  c'est  ce  que  j'ose  me  promettre 
de  la  continuations  de  toutes  ces  bontés  et  de  sa  protection  que  j'implore.  Le 
prince  mon  onde,  très  honnorés  du  souvenir  de  V.  M.,  me  chargé  de  le  mettre 
a  ses  pieds.  J'ai  l'honneur  d'ètre  avec  tous  le  respects  et   soumisions  posibles 

de  V.  M. 

le  tris  hujnble 
et  très  obcissant  scrvitettr  et  sujet 

EUGENE  DE   SaVOYE   (i). 
Vienne,  ce   i''"'  novembre   1732. 

La  lettera  al  Re  è  questa  : 

Sire, 

J'ai  eu  l'honneur  d'informer  V.  M.  par  j\r  le  Marquis  de  Cavatour  de 
mon  voiagc  de  Massa;  et  par  celle  ci  j'ai  celui  de  lui  apprendre  la  ma- 
nière gracieuse  avec  laquelle  j'ai  été  receu  de  l'Empereur.  Le  mème  jour  de 
mon  arivé  le  Prince  Eugène,  mon  onde,  a  eu  la  bonté  de  me  conduirc  jusque 
à  la  porte  de  sa  chambre  et  s'est  ensuite  retiré.  L'Empereur  m'a  teimoigné 
tant  de  bonté  et  c'est  servi  de  termes  si  obligeants  que  je  ne  saurois  assez 
marquer  à  V.  M.  le  contentement  que  j'en  ai  recenti  :  je  n'ai  pas  manqué 
de  m'aquiter  aussitòt  de  la  comission  dont  elle  m'a  bien  voulu  honorer;    il 


(i)  Biblioteca  Civica  di   Torino.   Raccolta  Cossilla.    Lettere  di  Principi.  Savoia-Soissons. 

44 


IL   PRINCIPE   EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  401 


m'a  repondu  qui  ne  doutoit  point  de  l'amitié  de  V.  M.  et  qu'il  espéroit  quelle 
seroit  toujours  reciproques  pour  le  bien  des  deux  maisons.  J'ai  été  ensuite 
auprès  de  l'Imperatrice,  qui  m'a  re^u  de  la  manière  la  plus  obligeante  du 
monde.  Son  principale  entretien  a  été  sur  les  merites  et  belles  qualités  de 
la  Reine  et  de  toutes  la  familes  Royales,  pour  qui  elle  a  une  consideration 
toutes  particulières.  Le  Prince  Eugène  m'a  chargé  de  le  mettre  aux  pieds 
de  V.  M.  et  de  la  remercier  de  tonte  les  bontés  dont  elle  a  bien  voulu  m'o- 
norer  jusqu'à  present.  Quant  à  ma  mère  elle  commence  à  metre  un  peu  plus 
favorable  et  spère  que  cela  continuerà  de  mème.  J'implore  la  continuation  de 
graces  de  V.  Ì\I.  que  je  tacherai  de  meritar  par  le  respect  le  plus  pasioné 
et  soumis. 
De  V.  M. 

Vienne,  ce  2  g'^re  1732. 

Irès  humblc  et  trcs  obcissant  scrvitcur 
et  soumis  suj'et 

EUGENE   DE   SaVOYE. 


Il  giovane  sposo,  educato  a  Torino  con  rigidità  grande,  nel  trovarsi  a 
Vienna,  padrone  di  sé,  cominciò  a  darsi  al  giuoco:  la  passione  sfrenata  del 
padre  suo.  Fin  dal  31  decembre  il  Solaro  ne  aveva  fatto  avvertito  il  D'Ormea. 
«  J'ai  v'oulu  »  fgli  scrisse)  «  épargner  jusqu'à  present  à  vS.  AI.  le  chagrin  d'ètre 
informe  au  juste  du  mauvais  train  qu'a  pris  la  conduite  de  Mons""  le  Prince  de 
Soissons,  esperant  que  mes  soins  et  ceux  de  M""  le  comte  Serrù  (i)  produi- 
roient  un  chang'ement  qui  nous  mit  en  état  de  confirmer  les  avis  favorables 
que  j'ai  donnez  quelques  jours  après  son  arrivée,  aiant  marqué  assez  d'egard 
à  ses  promesses  pour  ne  pas  me  presser  à  lui  nuire  auprès  de  S.  M.  et  voìant 
que  ses  démarches  n'y  repondent  pas,  je  suis  obligé  de  ne  plus  differer  la 
connoissance  au  Roi  et  de  prier  V.  E.  de  vouloir  l'informer  que  le  susdit 
Prince  se  conduit  de  fagon  à  faire  reconnoitre  en  tout  les  inclinations  de  feu 
Mons''  son  Pére,  ce  qui  a  dejà  beaucoup  diminué  la  favorable  prevention 
qu'on  avoit  conine  de  lui,  et  met  en  reserve  les  personnes  qui  lui  convien- 
droient  et  les  dispose  a  l'écarter  de  leur  societé,  ce  qui  l'a  deja  porte  à  se 
livrer  au  jeu  d'une  manière  peu  convenable  à  sa  naissance,  sans  choix  des 
personnes  avec  lesquelles  il  se  commet  et  cherchant  de  faire  des  societés 
pour  en  tirer  avantage;  dés  que  j'en  ai  été  averti,  je  lui  ai  representé  ce  qui 
convenoit,  et  en  ai  parie  à  Mons""  son  onde,  qui  comptant  que  les  conseils 
qu'il  a  souhaitté  que  j'emploiasse  suffiroient  pour  le  retenir,  s'est  reposé  sur 
mes  soins,  je  crois  n'avoir  rien  negligé  avec  le  secours  du  comte  Serrù  à 
fin  de  le  ramener  par  les  raisons  de  son  propre  interèt,  celles  auxquelles 
son  honneur  l'engagé  de  faire  connoitre  l'utilité  des  soins  que  S.  M.  a  bien 
voulu  se  donner  pour  son  éducation  et  l'obligation  particulière  dans  laquelle 
il  est  de  soutenir  dignement  le  nom  qu'il  porte  et  la  gioire  que  son  Grand 
Onde  a  acquise;  voiant  que  je  ne  devois  plus  me  flatter  de  reussir  par  cette 
voye,  j'en  ai  averti  Alons""  le  Prince  Eugène,  et  lui  ai  fait  voir  la  necessité 


(i)  Gentiluomo  piemontese  che  il  Re  aveva  messo  al  fianco  del  giovane  Principe.  L'ac- 
compagnò a  Massa  ed  a  Vienna,  dove  appunto  era  rimasto,  sempre  con  lui. 

45 

51  —Mise,  S.  IH,  T.  XIII. 


402  GIOVANNI   SFORZA 


qu'il  y  a  de  le  tenir  cn  contraìnte  et  d'en  user  avec  plus  de  rigueur  qu'il 
n'a  fait  jusqu'à  present,  il  en  a  convenu  et  m'a  promis  qu'il  emploieroit 
son  autorité  pour  lui  imposer.  C'est  la  dernière  ressource  qui  reste  pour  le 
faire  rentrer  en  lui  mème  ;  aprés  quoi  il  n'y  a  plus  rien  à  esperer  si  elle 
est  inutile.  J'ai  representé  au  susdit  Prince  quMl  convenoit  qu'il  ordonnàt  au 
comte  Serrù  de  lui  rendre  compte  de  tous  ses  pas;  il  marque  avoir  de  l'es- 
time  pour  lui,  mais  a  été  si  porte  à  user  d'indulgence  à  l'egard  de  son 
neveu,  qu'il  a  negligé  cette  precaution,  ce  qui  a  beaucoup  contribué  à  le 
faire  tomber  dans  un  derangement  dont  il  ne  se  relevera  pas  aisement.  Je 
souhaitte  que  cela  arrive  contre  nion  attente  et  crois  qu'une  lettre  un  peu 
forte  de  la  part  de  S.  M.  pourra  y  contribuer.  Il  a  bien  de  s'y  attendre,  ne 
lui  aiant  point  cache  ce  que  j'étois  en  devoir  d'écrire  sur  son  compte,  après 
lui  avoir  donne  tout  le  tems  de  m'obliger  à  faire  une  relation  plus  favorable. 
Celle-ci  est  sincère.  » 

Il  Marchese  d'Ormea  presentò  al  Re  questa  lettera,  «  qui  roule  siir  la 
conduite  irregulière  de  Mons""  le  Prince  de  Soissons  »  ;  e  della  comunica- 
zione così  ragguagliò  il  Solaro  il  1 7  di  gennaio  :  «  S.  M.  en  a  appris  le  detail 
avec  autant  plus  de  sensibilité  qu'elle  a  toujours  pour  le  Prince  une  affection 
bien  vive  et  bien  particulière.  Elle  a  d'ailleurs  approuvé  vos  démarches  à 
cet  égard  et  se  fiate  que  ledit  Prince,  étant  presentement  sous  la  direction 
et  sous  les  yeux  de  M""  le  Prince  Eugène,  qui  n'ignore  plus  ses  inclinations 
et  ses  allures,  ce  Prince  y  mettra  ordre  en  y  donnant  ses  soins,  et  le  tenant 
en  crainte  pour  le  faire  rentrer  dans  son  devoir  et  lui  faire  reprendre  les 
sentimens  d'honneur  et  de  gioire  qu'il  doit  avoir.  S.  M.  souhaite  à  cet  efifect 
que  vous  continuies  à  y  donner  aussi  les  vòtres  autant  que  M'"  le  Prince 
Eugène  pourra  l'agréer,  et  que  vous  ne  dissimulies  point  à  M"^  son  neveu  le 
deplaisir  avec  lequel  le  Roi  a  appris  de  telles  nouvelles,  auxquelles  il  ne 
devoit  point  s'attendre  après  celles  agréables  qu'il  en  avoit  repues  au  com- 
mencement,  ni  que  vous  lui  cachies  les  mauvaises  impressions  que  ses  irre- 
gularités  ont  fait  dans  l'esprit  de  S.  M.  au  prejudice  mème,  au  cas  qu'il  y 
persiste,  des  sentimens  d'affection  et  de  partialité  qu'elle  a  pour  lui.  Ce 
Prince  vient  d'écrire  à  LL.  MM.  au  sujet  de  la  nou velie  année  (1),  et  le 
Roi,  en  lui  repondant,  s'expliquera  de  la  manière  que  vous  aves  suggerée, 
pour  tàcher  aussi  de  son  còte  de  le  remener  au  bien  qu'on  se  propose.  S.  M» 
agréera  cependant  que  vous  continués  à  l'informer  de  ses  allures  et  surtout 
de  l'effect  que  produirront  les  soins  et  les  meins  que  M''  le  Prince  Eugène 
pratiquera  pour  le  corriger  et  le  contenir  ». 

La  lettera  del  Re,  che  il  Marchese  D'Ormea  ricorda,  è  questa:  «  Mon 
cousin,  Vous  ne  sauries  ètre  trop  persuade  du  plaisir  avec  lequel  nous  re- 
cevons  ce  qui  nous  vient  de  votre  part,  si  vous  pouvies  juger  autant  que 
nous  le  desiderons,  combien  nous  avons  cté  touchés  de  la  sinceritc  des  voeux 
que  vous  aves  fait  pour  nos  prosperités  à  l'occasion  de  la  nouvelle   année. 


(i)  È  scritta  da  Vienna  il  15    deccmbre  1732.   Se   ne  conserva   l'autografo    nell'Archivio 
Torinese. 

46 


IL   PRINCIPE   EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  403 


Vos  souhaits  et  nos  satisfaction  se  rencontreront  tout  d'un  tems  par  le 
moien  d'une  conduite  qu'il  vous  seroit  aisé  de  tenir  et  de  rendre  digne  de 
l'estime  et  de  l'attention  de  la  Cour  ou  vous  étes  et  bien  agréable  à  M'"  le 
Prince  votre  onde  et  surtout  à  nous,  qui  avons  à  cceur  votre  bien  et  votre 
gioire.  Vous  aves  dù  le  connoitre  par  l'empressement  que  nous  avons  toujours 
marqué  pendant  votre  sejour  ici,  de  vous  voir  par  des  sentimens  élevés  et 
loing  de  tout  reproche  acheminé  dans  une  carrière  convenable  à  votre  état 
et  à  l'honneur  de  la  Maison.  AF  votre  Onde  vous  en  fournit  un  grand 
exemple  ,  vous  deves  vous  appliquer  à  l'imiter  et  à  le  suivre  autant  pour 
votre  decore  que  pour  vos  avantages  :  ne  pouvant  pas  douter  de  l'impor- 
tance  de  vous  attirer  ses  bonnes  graces.  Xous  ne  dirons  rien  des  motifs  qui 
nous  ont  excités  à  vous  parler  ainsi  que  nous  venons  de  faire,  puisque  nous 
voulons  bien  esperer,  que  quelque  irregularité  qu'il  y  ait  encore  dans  votre 
conduite,  vous  donneres  tous  vos  soins  pour  la  démentir  à  l'avenir,  en  re- 
prenant  des  sentimens  dignes  de  vous  et  de  votre  naissance.  Nous  l'esperons 
d'autant  que  notre  conftance  à  cet  égard  provient  également  de  l'affection 
très  vive  que  nous  conservons  pour  vous  et  plaisir  que  vous  vous  feres  d'}- 
répondre  pour  nous  engager  par  là  d'une  manière  sensible  à  vous  en  donner 
des  prouves  dans  toutes  les  occasions  ». 

Questa  lettera  è  del  7  di  febbraio.  Fin  dal  21  di  gennaio  il  Solaro  era 
tornato  a  scrivere  al  Marchese  d'Ormea:  «  Au  sujet  de  M'"  le  comte  Serrù, 
aiant  dejà  parie  à  Mons""  le  Prince  Eugène  de  l'intention  de  S.  j\I.  de  l'obliger 
en  le  destiner  auprès  de  la  personne  de  Mons''  son  neveu,  il  m'a  marqué 
ses  sentimens  d'une  respecteuse  reconnoissance  à  l'égard  de  S.  M.  et  ceux 
d'estime  qu'il  a  pour  ledit  comte,  s'étant  declaré  entierement  content  de  sa 
conduite;  mais  comme  Madame  la  Princesse  de  Savoye  (i,  continue  à  temoi- 
gner  peu  de  confiance  et  d'attention  pour  lui,  et  qu'en  dernier  lieu  elle  lui 
a  parie  dans  des  termes  si  peu  mesuréz,  qu'il  a  fallu  faire  usage  de  toutte 
sa  moderation  pour  se  contenir  dans  sa  reponce,  je  prévois  qu'elle  fera  encore 
pervenir  quelque  insinuation  à  Mons'"  le  Prince  Eugène  pour  l'écarter;  et  le 
dit  Prince  etant  daris  la  necessitò  de  deiferer  à  ses  instances  par  menagement 
d'interèt,  ou  pour  se  delivrer  de  ses  importunitez,  sera  reduit  à  s'expliquer 
plus  ouvertement  qu'il  n'a  fait  lorsqu'il  m'a  fait  intendre  les  sentimens  de 
Madame  la  Princesse,  dans  lesquels  il  n'entre  point  et  ne  les  approuve 
nullement;  cependant  pour  eviter  le  desagrement  de  la  proposition  dont  il 
y  a  apparence  qu'il  ne  pourra  se  deffendre,  je  crois  que  la  dignité  de  S.  M. 
exige  de  la  prevenir  en  ordonnant  le  retour  à  M''  le  comte  Serrù  avant  d'en 
étre  presse  par  les  indiscrettes  sollicitations  sourdes  ou  ouvertes  de  Madame 
la  Princesse,  qui  ne  veut  pas  connoitre  la  distinction  qu'attire  à  M""  son  fils 
l'interét  que  S.  M.  temoigne  prendre  à  sa  conduite;  et  ledit  comte,  qui 
n'est  pas  ici  de  la  manière  que  le  Roi  souhaitte,  sera  fort  heureux  de  pouvoir 
se  remettre  au  plustót  à  ses  pieds.  M'  le  Prince  de  Soissons  a  retranché  le 
jeu  à  cela  près  son  train  de  vie  n'a  pas  changé,  et  je  ne  puis  m'engager  à 


(i)  Anna  Teresa  di  Liechtenstein,  vedova  del  Principe  Emanuele  di  Savoia  e  madre  di 
Eugenio  Francesco. 

47 


404  GIOVANNI   SFORZA 


donnei-  des  meilleiirs  esperances  pour  l'avenir  ».  Il  Marchese  d'Ormea  gli 
rispose  il  7  di  febbraio:  «  Rapport  à  M""  le  comte  Serrù,  S.  M.  voit  bien 
que  M*^  la  Princesse  de  Savoie  continuant  à  teimogner  de  ne  pas  l'agréer 
il  convient  de  le  rappeller.  Le  Roi  souhaite  à  cet  effet  que  vous  en  parliez 
à  M'"  le  Prince  Eugène  de  la  manière  que  vous  jugerez  la  plus  propre  et 
la  plus  convenable  pour  leur  annoncer  ledit  rappel,  leur  faisant  toujours 
entrevoir  que  dans  la  destination  dudit  comte  il  a  cru  de  pouvoir  leur 
donner  de  mème  qu'à  M^  la  Princesse  une  nouvelle  marque  de  son  attention 
et  de  son  amitié.  Après  une  telle  démarche  vous  dires  de  la  part  du  Roi 
à  IVP  le  comte  Serrù  de  prendre  congé  et  de  se  rendre  ici  ;  et  pour  ne  pas 
retarder  son  depart,  vous  me  feres  le  plaisir  de  lui  avancer  pour  les  fraix 
du  voiage  cinquante  pistoles  d'Espagne  en  or,  dont  je  vous  enverrai  par 
le  premier  ordinaire  une  lettre  de  change  ». 

Il  Solaro  in  un'altra  lettera  scrive  :  «  Mons'"  le  Prince  de  Soissons  continue 
le  mème  train  dans  sa  conduite  au  jeu  près  que  Mons'"  son  onde  a  voulu 
absolument  qu'il  quittat;  pour  le  reste  il  en  use  avec  une  indulgence  et  un 
menagement  qui  est  fort  nuisible  à  ce  jeune  Prince  et  qui  rend  inutiles  tous 
les  conseils  qui  ne  sont  pas  soutenus  de  l'autoi'ité  et  de  la  severità  avec  la 
quelle  il  faudroit  lui  imposer,  ce  qui  raet  M''  le  comte  Serrù  et  moi  hors 
d'état  de  pouvoir  esperer  de  celui  faire  prendre  une  conduite  plus  regulière. 
Je  suis  très  mortifié  de  donner  à  S.  M.  un  chagrin  auquel  il  est  fort 
sensible,  mais  sachant  qu'il  prefère  la  verité  à  un  langage  flatteur,  qui  pourroit 
le  tenir  dans  l'erreur,  je  ne  s^aurois  la  deguiser  sans  manquer  à  mon  obli- 
gation,  ce  que  je  dois  preferer  à  toutte  autre  consideration  ».  A  questa  lettera, 
che  è  del  4  di  febbraio,  rispondeva  il  Marchese  d'Ormea  il  14  del  mese 
stesso:  «  S.  M.  est  toujours  plus  sensible  à  la  continuation  de  la  mauvaise 
conduite  de  M*"  le  Prince  Eugène  de  Savoye  Soissons.  Cependant  comme 
elle  n'a  rien  de  plus  à  vous  marquer  sur  ce  sujet  au  de  là  du  contenu  de 
la  lettre  que  je  vous  ai  écrite  le  17  du  passe  et  de  celle  que  S.  M.  mème 
lui  a  écrite  le  7  du  courant,  elle  s'y  rapporte  ». 

Il  25  del  medesimo  mese  di  febbraio  il  Solaro  seguita  a  informare:  «  I.es 
motifs  qui  ont  porte  S.  M.  à  donner  ses  ordres  pour  le  retour  de  M""  le 
comte  .Serrù  n'ont  point  cesse  du  còte  de  Madame  la  Princesse  de  Savoye, 
qui  parie  de  fa^on  à  ne  pas  dissimuler  que  ledit  comte  est  à  charge  à  son 
fils  par  rapport  a  la  dépence.  J'ai  prevenu  M"^  le  Prince  Eugène  sur  ledit 
ordre,  qui  m'a  dit  l'avoir  déjà  appris  par  M"^  le  comte  Philippi,  et  m'a  repeté 
qu'il  étoit  faché  que  la  mòre  en  eut  use  d'une  manière  si  peu  convenable  à 
l'honneur  que  S.  M.  avoit  fait  à  son  neveu,  et  qu'il  étoit  fort  content  de  la 
prudente  conduite  du  comte  Serrù.  Je  prévois  que  celle  du  jeune  Prince 
empirera  dès  qu'il  sera  delivré  du  seul  frein  qui  pouvoit  encore  le  retenir 
et  n'ayant  de  mon  cote  aucun  moyen  d'en  ètre  informe,  je  crains  qu'elle  ne 
prenne  un  ply  qu'il  ne  sera  plus  possible  de  redresser,  d'autant  plus,  que 
les  bontés  de  M""  son  onde  et  l'indifórence  qu'il  témoigne  sur  tout  ce  qui 
lui  revient,  le  persuadent  qu'il  lui  accordo  tacitement  son  approbation,  et 
que  tout  ce  qui  vient  de  la  part  des  autres  est  outré.  Il  est  presentement 
à  son  quartier,  où  je  lui  ferai  tenir  les  lettres  que  j'ai  regucs  pour  lui;  il  ne 
sera  pas  insensible  à  celle  de  S.  M.  dont  elle  a  daigné  me  donner  commu- 

48 


IL    PRINCIPE  EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  405 

nication,  parce  qu'il  a  employé  tous  ses  soins  pour  me  gagner  à  fin  que  je 
fisse  des  relations  favorables.  Je  n'en  ai  pas  use  avec  surprise,  l'ayant  toujours 
prevenu  sur  ce  que  j'étois  en  obligation  d'écrire.  Le  comte  Serru,  qui  l'ac- 
compagne,  proffittera  d'abord  de  l'avis  que  je  lui  donne,  et  quoique  son  sejour 
ici  fùt  avantageux  à  ses  interéts,  il  prefère  à  cette  consideration  les  égards 
qu'il  doit  avoir  pour  la  commission  dont  S.  M.  l'a  honnoré  qui  ne  lui  per- 
mettoient  pas  de  continuer  à  y  rester  avec  bienseance.  Je  lui  fournirai  les 
cinquante  pistoles  d'Espagne  qu'elle  m'ordonne  de  lui  avancer  ». 

Ecco  che  il  Principe  s'ammala.  «  M""  le  comte  Serrù  »  (così  il  Solare 
l'i  I  marzo)  <•'  m'a  depeché  un  domestique  de  jMons'^  le  Prince  Eugène  de  Sois- 
sons,  qui  m'a  apportò  une  des  ses  lettres  du  4  du  courant,  datée  de  sons  quar- 
tier  de  Rosenau  près  de  Tokai  (i).  Je  l'ai  recue  le  6,  Il  marque  que  ledit  Prince 
ayant  la  fièvredepuis  le  jour  précédent,  accompagno  d'une  fort  toux  et  ebulition 
de  sang,  avec  apparence  que  ce  seroit  la  rougeole.  Il  m'en  donnait  avis  promp- 
tement  à  fin  que  je  le  communique  à  Mons"^  son  onde  et  à  Madame  sa  mère, 
et  que  j'envoye  au  plustót  un  medecin,  n'ayant  pas  lieu  d'avoir  confiance  à  celui 
qu'il  n'avoit  eu  qu'avec  peine.  j'ai  d'abord  executé  cex  deux  commissions  et  ay 
fait  partir  le  7"""  un  medecin,  qui  a  l'approbation  des  susdits  Prince  et  Prin- 
cesse. Depuis  ces  nouvelles  je  n'en  a  point  eu  d'autres,  ce  qui  me  fait  esperer 
que  ce  n'aura  été  que  la  rougeole  qui  aura  eu  son  cours  naturel  ».  Fu  appunto 
cosi;  come  si  ricava  dalla  lettera  successiva  del  giorno  14.  «  M"^  le  comte 
Serrù  est  arrivé  avant  hier  d'Hongrie,  n'ayant  voulu  quitter  IMons""  le  Prince 
de  Soissons  qu'après  l'avoir  vù  bien  retabli  de  la  rougeole,  qu'il  a  eue  fort 
douce  et  sans  aucun  incident.  Je  laisse  le  soin  au  dit  comte  d'informer  S.  Al.de 
tout  ce  qui  regarde  la  personne  de  ce  Prince,  puisque  contant  de  poursivre 
son  voyage  dans  deux  ou  trois  jours  il  aura  l'honneur  d'étre  bientót  à  ses 
pieds.  Il  s'est  aquitté  très  dignement  de  sa  commission,  s'est  attiré  l'estime  de 
Mons''  le  Prince  Eugène,  et  a  temoigné  toutte  la  fidelité  et  le  zèle  qu'  il 
devoit  au  service  de  son  maitre,  ayant  refusé  les  propositions  avantageuses 
qu'on  lui  a  faites  pour  l'en  detacher  ».  Portò  al  Re  questa  lettera  del  giovane 
Principe,  scritta  da  Jolsua  l'ii  marzo:  «  Je  profite  avec  beaucoup  d'empres- 
sement  des  premiers  moments  de  ma  convalescenee,  ayant  eu  la  roujole  im- 
mediatements  arivée  à  mon  quartier,  et  de  1'  occasion  de  AP  le  comte  de 
Serrù,  que  V.  M.  a  juge  à  propos  de  rappeller,  pour  remercier  de  la  conti- 
nuation  de  sa  puissante  protection  quelle  me  fait  la  grace  de  me  prometre 
quoi  quelle  n'  ait  pas  tous  lieu  d'étre  contente  de  ma  conduite,  mais  je  puis 
assurer  V.  M.  que  la  lettre  qu'elle  m'a  fait  l'honneur  a  fait  une  telle  impresion 
sur  mon  esprit,  que  j 'espère  de  reparer  cette  faute  d'une  manière  qu'on 
n'aura  jamais  plus  suject  de  lui  faire  aucune  plainte  sur  mon  compte.  Je  crois 
que  le  recit  de  ma  situation  annueroit  V.  M.  ainsi  je  me  raporte  aux  infor- 
mations  que  lui  en  donerà  M""  le  comte  Serrù,  que  je  vois  partir  avec  tous 
le  regret  imaginable.  Je  suplie  V.  M.  de  lui  accorder  sa  puissante  protection 


(i)  Il  reggimento  de'  corazzieri,  del  quale  il  giovane  principe  Eugenio  era  proprietario, 
nel  1730  fu  di  guarnigione  nel  Milanese,  sotto  il  comando  del  De  Marcant;  l'anno  stesso  poi 
marciò  in  Ungheria,  dove  venne  dislocato  ne'  contadi  di  Borsod,  Szabolc  e  Gomor. 

49 


4o6  GIOVANNI  SFORZA 


qu'il  merite  par  toutes  sorte  d'  endroits  de  méme,  que  d'ètre  persuade  que 
tant  que  je  viverois  ma  principale  occupation  sera  de  rechercher  toutes  les 
occasion  de  lui  prò  ver  mon  zèle  ». 

In  realtà  nasce  il  dubbio  che  il  Solaro,  uomo  austerissimo  e  rigido,  nell'os- 
servare  la  condotta  del  Principe  vedesse  nero,  e  senza  accorgersene  né 
volerlo,  caricasse  un  poco  le  tinte.  Infatti  dopo  che  il  conte  Serrù  ebbe  a 
viva  voce  fatta  la  sua  relazione  al  Re,  la  tenerezza  di  Carlo  Emanuele  III 
verso  il  proprio  congiunto  non  diminuì  per  nulla,  anzi  si  fece  anche  più 
viva.  E  vero  però,  che  l'averlo  tolto  da  Vienna  e  mandato  di  guarnigione 
fu  un  salutare  rimedio  ;  e  al  reggimento  mutò  addirittura.  Notevole  è 
questa  sua  lettera  al  Re,  scritta  da  Rosenau  il  13  di  maggio:  «  Je  suis  si 
penetrò  des  bontés  dont  V.  M.  a  bien  voulu  m' onnorer  par  sa  lettre  du 
4  avril  et  des  égards  qu'elle  daingne  avoir  pour  la  recommendation  que  j'ai 
pris  la  liberto  de  lui  faire  en  faveur  de  monsieur  le  comte  Serrù,  que  je  ne 
saurais  assez  marquer  à  V.  M.  les  sentiments  respecteux  de  reconnoissance 
et  de  confusion  dont  je  suis  penetrò.  Je  tacherai  par  une  bonne  conduite  à 
meriter  la  continuation  de  sa  pulsante  protection  et  de  convaicre  de  plus  en 
plus  V.  M.  de  la  soumission  et  obéissances  très  humble  avec  laquel  je  serai 
toute  ma  vie.  Sire,  de  V.  M.  le  très  humble  et  très  obéissant  serviteur  et 
sujet  >. 

Fin  dal   1 9  aprile  lo  zio  aveva  indirizzata  questa  lettera  al  Re  : 

Sire, 

Je  reconnois  avec  le  respect  que  je  dois  la  bonté  avcc  laquelle  V.  M. 
a  bien  voulu  permettre  que  le  Prince  mon  neveu  se  demette  du  Collier  de 
l'Annonciade,  pour  recevoir  celui  de  la  Toison  que  Sa  jMajesté  Imperiale  et 
Catholique  luy  destine.  La  manière  gracieuse  avec  laquelle  vous  vous 
prettes.  Sire,  aux  instances  que  nous  avons  eu  l'honneur  de  vous  en  faire, 
ne  peut  qu'augmenter  infiniment  la  profonde  reconnoissance  que  nous  en 
devons  à  V.  M.  Je  la  supplie  de  croire  qu'elle  est  aussi  vive  qu'elle  puisse 
étre  et  que  rien  ne  peut  ògaler  notre  empressement  à  nous  meritter  la  con- 
tinuation des  ses  graces. 

De  Votre  Majesté 

tres  humble  et  très  obéissant  servitetir  et  vassal 

EUGENE   DE  SaVOYE. 

Il  nepote,  alla  sua  volta,  gli  scriveva  da  Vienna,  il  6  di  giugno: 

Sire, 

Je  regarde  comme  un  malheur  de  ma  situatìon  le  motif  par  lequelle 
Monseigneur  le  Prince  Eugène,  mon  onde,  s'est  vcu  dans  l'obligation  de 
suplier  V.  M.  de  vouloir  me  permettre  de  quitter  l'Ordrc  de  l'Anonciade,  du 
quelle  je  ne  me  demaitterai  qu'avec  tout  le  regret  imaginable  que  je  dois 
sentir  en  me  depolloiant  d' une  marque  de  distinction  qui  m'est  si  preceuse, 
et  ce  n'est  que  la  seule  raison  que  V.  M.  a  voulu  considcrcr  dans  la  lettre 
du  12  avril,  dont  elle  m'honnore,  qui  a  pu  me  determiner  à  consentir  à  une 
démarche  qui  me  prive  de  l'honneur  de  porter  le  méme  Ordre  que  V.  M. 
J'espère  qu'elle  me  fera  la  politesse  de  croire  que  ce  n'est  que  les  consequences 
facheuses  à  ma  fortune  que  javois   à  craindrc    qui   m'on   reduite  à  obéir,  et 

50 


IL   PRINCIPE   EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  407 


rieri  ne  me  peul  consoler  du  regret  que  je  sent  en  faisant  ce  pas,  que  l'as- 
surances  que  V.  M.  soit  persuade  que  mon  attachement  au  service  de  l'Em- 
pereur  ne  diminuera  pas  le  souvenir  des  obligations  infinies  que  j 'ai  à  V.  M. 
des  bontés  quelles  m'a  toujours  comblé,  et  que  je  ne  me  carteroi  jamais 
des  sentimens  de  soumissions  et  de  la  plus  rispecteuse  veneration  avec 
lesquelles  je  suis  dependant  des  volontés  de  V.  M.  qui  aiant  voulu  par  égard 
pour  les  raisons  ci  dessus  marquées  me  prescrire  ses  ordres  souverains,  je 
m'y  soumet  et  les  executerai  en  rendent  l'Ordre  de  l'Anonciade  la  manière 
qui  me  sera  determinò  par  M""  le  Commendeur  Solar  (i),  souhaitant  de  faire 
connoitre  en  cela  comme  dans  tous  le  reste  de  ma  conduite  la  parfaite  sou- 
mission  et  le  profond  respect  avec  lequel  j'ai  l'honneur  d'étre 
de  Votre  Majesté 

le  tres  humhle  et  tres  ohéissant  serviteur 
et  soumis  sujet 

EUGENE   DE   SAVOYE. 

Seguitiamo  a  spigolare  nel  carteggio  del  Solaro  col  D'Ormea:  «  Alons'"  le 
Prince  de  Soissons  est  arrivé  avant  hier  »  (25  maggio  1733)  «  de  son  quartier 
en  très  Ijonne  sante,  et  le  colonel  de  son  regiment  a  donne  des  bonnes  in- 
formations  de  sa  conduite  et  de  son  application  au  service  à  Mons'  le  Prince 
Eugène;  après  qu' il  aura  pris  la  Toison,  il  ira  à  Berlin,  ou  il  a  été  invite 
par  le  Roi  de  Prusse  pour  se  trouver  aux  nòces  de  la  Princesse  sa  fille 
avec  le  jeune  Prince  de  Beveren.  J'ai  regie  avec  lui  que  l'Ordre  de  l'An- 
nonciade  sera  rendu  à  S.  M.  de  la  manière  la  plus  rispecteuse  et  que  j'  ai 
crù  pouvoir  étre  la  plus  agréable  ;  il  enverra  un  de  ses  domestiques  en  poste 
chargé  du  dit  Ordre  et  d' une  lettre  de  Mons"^  le  Prince  Eugène  pour  M*"  le 
comte  Philippi,  qui  aura  la  commission  de  le  remetre  entre  les  mains  de 
S.  M.  et  de  faire  un  compliment  de  la  part  des  deux  Princes  avec  les 
expressions  convenables  à  cette  occasion  ».  Riscrive  il  17  di  giugno: 
«  Mons'  le  Prince  de  Soissons  part  aujourdhui  pour  Berlin;  il  a  ordre  de 
révenir  le  plustòt  qu'  il  pourra  pour  se  rendre  à  son  regiment,  qui  est  du 
nombre  de  ceux  qui  doi,vent  marcher  en  Pologne  ».  E  il  1°  d'agosto: 
«  Mons'  le  Prince  de  Soissons  est  de  retour  de  Berlin  pour  se  rendre  à  son 
regiment,  qui  est  du  nombre  de  ceux  qui  marchent;  comme  il  ne  peut  pas 
s'arréter,  il  ne  prendra  la  Toison  que  le  jour  de  S*  André  ». 

Del  viaggio  a  Berlino  il  Principe  stesso  fece  questo  ragguaglio  al  Re: 

Sire, 

Aiant  heureussement  termine  mon  voiage  de  Prusse  avec  toute  sort  de 
satisfaction,  je  ne  puis  diferer  plus  longtems  à  renouveller  à  V.  M.  les  sen- 
timens les  plus  respecteuses  de  ma  parfaite  soumission,  et  connoitre  en  mème 


(i)  Il  Re  scrisse  al  Solaro  il  16  di  maggio:  «  Quant  a  la  restitution  du  Collier,  nous 
croì'ons  plus  convenable  que  le  Prince  aille  vous  le  remettre  à  vous  mème  ».  E  così 
fu  fatto.  L'Orioles  nelle  sue  Memorie,  che  si  conservano  manoscritte  a  Torino  nella  Biblio- 
teca del  Re,  fa  il  seguente  cenno  di  questo  episodio:  «  1733,  29  giugno.  Incontrandosi 
incompatibilità,  per  le  costituzioni  della  Corte  di  Vienna,  tra  il  To.son  d'oro  e  l'abito  della 
SS.™*  Annunziata,  S.  M.  ha  disposto  che  il  Principe  Eugenio  di  Soissons  restituisse  il  secondo 
e  portasse  il  primo  ». 

51 


408  GIOVANNI  SFORZA 


tems  ceux  de  stime  et  de  consideration  dont  S.  AI.  Prussienne  s'est  servit 
dans  toiis  les  intertiens  que  j'ai  eu  l'honneur  d'  avoir  avec  lui.  Il  m'a  chargé 
particulièrement  de  faire  à  V.  M.  mille  compliments  de  sa  part.  A  mon 
retour  à  Vienne  j'ai  été  gratiose  de  S.  M.  I.  et  caressé  de  mon  oncle;  et 
voiant  que  mon  régiment  n'etoit  point  comprende  pour  tenir  cette  année  la 
campagne  sur  le  Rhin  j'ai  tant  solecité  mon  oncle  qu'il  en  a  obtenue  la 
permission  de  Sa  M**".  Je  viens  de  recevoir  les  derniers  ordres  pour  la 
marche,  ainsi  je  partirai  dans  8  jours  avec  mon  régiment  pour  mi  rendre. 
Je  m'apliquerai  dans  cette  campagne  d'un  manière  que  je  puissc  m'attirer 
et  meriter  la  continuation  de  sa  puissante  protection  souhaitant  de  faire  con- 
noitre  à  V.  M.  par  une  regularité  de  conduite  la  parfaite  soumission  et 
le  très  profond  respect  avec  lequel  j'ai  l'honneur  d'ètre, 
Sire,  de  V.  M.*» 

Rosenau,  ce  t2  aout  1733  (i). 

le  tvcs  huinblc  ci  tres  ohéissant  et  souniis 

et  fìdelle  sujet 

:  ^  EUGENE  DE  SAVOYE. 

La  successione  tanto  contrastata  alla  corona  di  Polonia,  vacante  per  la 
morte  di  Federico  Augusto  di  Sassonia,  avvenuta  il  i'  di  febbraio,  aveva 
fatto  scoppiare  la  guerra  tra  l'Austria  e  la  Francia;  volendo  questa,  toccasse 
a  Stanislao  Leczinzhi,  già  statone  re  al  principio  del  secolo,  poi  cacciato  via 
per  opera  della  Russia;  l'altra,  ad  Augusto  elettor  di  Sassonia,  figliuolo  del 
morto.  Né  il  sangue  e  la  parentela  mancava  di  averci  la  parte  sua,  essendo 
Luigi  XV  genero  del  Leczinzhi,  Carlo  VI  zio  dell'  Elettore.  La  campagna 
ebbe  luogo  sulle  sponde  del  Reno,  restando  mesi  e  mesi  i  due  eserciti  a 
guardarsi,  a  tastarsi  con  piccole  fazioni,  sfoggiando  artifizi  tattici  e  strate- 
gici, secondo  il  guerreggiare  scientifico  d'allora.  Vi  pigliò  parte  il  giovane 
Principe  Eugenio,  il  quale  per  il  suo  spirito  vivace,  la  bella  presenza,  l'a- 
bilità nelle  armi,  la  perizia  cavalleresca,  s'era  guadagnata  1'  ammirazione  e  il 
favore  di  tutta  la  corte  imperiale.  N'ebbe  la  prova  e  ne  sperimentò  gli  effetti 
all'  aprirsi  appunto  di  quella  campagna;  giacché  al  cominciar  dell'ottobre, 
nell'atto  di  mettersi  in  marcia,  in  premio  della  buona  condotta  tenuta  «  et 
de  son  application  au  service  »  venne  promosso  mastro  generale  di  campo 
della  cavalleria,  ossia  «  general  de  bataille  »,  come  egli  stesso  scriveva  al 
re  Carlo  Emanuele  III,  nel  dargliene,  con  naturale  quanto  viva  soddisfazione, 
l'annunzio;  che  dette  pure  anche  alla  Regina  (2)  e  riuscì  ben  gradito  all'uno 
e  all'altra;  non  avendo  il  Re  mai  smentito  la  sua  affezione  per  lui;  essendosi 
essa  sempre  interessata  di  tutto  quello  che  le  riguardava. 


(i)  Lettere  del  Principe  Francesco  Eugenio  al  Re  e  alla  Regina,  scritte  da  Miei  Venida 
il  12  novembre  del  1733. 

(2)  La  Regina  di  Sardegna,  Polissena  Cristina,  il  23  luglio  del  medesimo  anno  partorì 
il  suo  terzo  figliuolo,  Carlo  Romualdo,  che  ebbe  il  titolo  di  Duca  del  Chiablese  e  rivolò 
al  cielo  il  28  di  decembre.  A  Carlo  Emanuele  IH,  che  gliene  dette  l'annunzio,  così  rispon- 
deva Eugenio  Francesco  : 

«  Sire, 

L'agréable  nouvelle  qu'il  à  più  a  V.  RL  de  me  donner  d'un  troisième  Prince  que  la 
Reine  vient  de  mettre  heureusement  au  monde,  a  été  pour  moi  une  des  nouvelles  des  plus 
satisfaissantes  que  je  pouvois  jamais  recevoir,  yai  été  d'autant  plus  sensible  que  la  seule  lettre 


II.    PRINCIPE   EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  409 


[1  prozio  Princifìe  Eug-enio,  al  quale  aveva  dato  avviso  dell'arrivo  del 
suo  reggimento  de'  corazzieri  al  campo  di  l'ilsen  il  21  d'ottobre,  «  pour  aller 
du  cote  du   Rhin   ^>,  gli  rispondeva  da  Vienna  il   28  del  mese  stesso: 

Ce  n'est  pas  seulement  par  vous,  mon  cher  neveu,  aussi  par  des  autres, 
que  j'ai  appris,  qua  le  régiment  est  arri  ve  on  bon  état  au  camps  de  Pilsen. 

J'éspère  que  vous  vous  donnerez  tous  les  soins  possibles  pour  le  con- 
server dans  ce  mème  état;  et  l'assistance  de  monsieur  le  colonel  de  Ròmer 
vous  sera  en  ceci,  comme  en  toutes  autres  choses,  un  grand  secours.  Vous 
pouvez  mème  vous  en  servir  présentement,  d'autant  plus  aisement  que  S.  AF. 
vient  de  vous  faire  la  grace  de  vous  conférer  le  caractère  de  general  de 
bataille,  et  que  moyennant  cela  monsieur  de  Romer  rentrera  dans  tonte  son 
activité  de  commandement  du  régiment  (i). 

Quant  à  Starhemberg,  vous  savez  l'empressement  de  m;id<ime  la  Prin- 
zesse  votre  mère  à  le  voir  place;  il  s'agit  aussi  de  s'informer  s'il  est  passe 
quelquc  chose  au  régiment  de  Zellern   qui   vous  empéche   de   le   recevoir  (2). 

Il  29  decembre  si  distinse  per  il  suo  valore,  avendo,  alla  testa  di  sette 
compagnie  di  granatieri  e  di  mille  cavalli,  assalita  la  trincea  di  Selling,  non 
lontana  da  Khel,  portando  via  a'  Francesi  una  quantità  grande  di  palizzate 
e  di  fascine,  con  le  quali  avevano  essi  rafforzate  le  nuove  opere  di  fortifi- 
cazione (3).  Il  24  gennaio  del  '34  scriveva   da  Carlesroue    al    proprio  prozio: 

Moiiseigììcttr,  ' 

J  ai  l'honneur  d'informer  V,  K.  S.  que  j'ai  l'ordre  d'aller  avec  mon 
Régiment  en  quartier  dans  cerquelle  du  haut  Ruvin.  Le  Due  m'aiant  confier 
ce  comendement,  je  tacherai    de    m'en  aquitter    avec    tonte    l'exatitude    qui 


de  V.  M.  m'a  été  un  des  plus  souverains  remedes  du  monde,  car  aiant  attrapé  le  2,^  du 
passe  à  mon  depart  la  fièvre,  je  suivi  la  marche  avec  mon  Régiment  et  elle  ma  durejusque 
aux  premières  du  moi  que  je  l'ai  receu,  et  depuis  ce  tems  ie  me  trouve  entierement  retablis: 
de  quoi  j'ai  l'honneur  de  remercier  trés  humblement  V.  M.  la  supliant  d'ètre  persuade  de  la 
part  sincère  que  je  prends.  à  tous  ce  peut  regarder  sa  Royale  maison.  Je  prends,  en  mème 
tems,  la  liberto  de  me  recomendcr  toujours  à  la  puissante  protection  de  V.  M.  qui  m'est  si 
necessaire  et  d'ètre  persuade  de  la  parfaite  soumission  et  obéissances  très  respecteuse  avec 
laquele  j'ai  l'honneur  de  me  dire, 
Sire,  de  V.  M. 

Breviso,  ce  4  -jM^   i733- 

le  tres  timhle  et  tres  obrissant  servifeiir 
et  souinis  sujet 

EUGENK    DK   S.WOVE   ». 

Né  scordò  la  Regina  alla  quale  scrisse:  «  Madame,  Le  Roy  m'aiant  lait  la  grace  de 
me  donner  part  du  troisieme  Prince,  que  V.  M.  avoit  heureusement  eu.  jai  cru  qu'elie  ne 
desaprouverait  pas  que  je  praine  la  liberté  de  temoigner  à  V.  .M.  tonte  la  sensibilité  que 
jai  cu  d'aprendre  une  nonvelle  qui  etoit  pcnu' moi  des  plus  interessantes  cjue  je  pusse  jamais 
recevoir  et  la  felicitar  en  mème  tems  sur  l'accroissement  de  la    Royale  maison  ». 

(r)  Quando  Eugenio  Francesco  venne  nominato  generale,  il  de  Romer  prese  il  coniando 
del  suo  reggimento  de'  coraz>cieri.  Il  Principe  ebbe  poi  come  aiutante  il  capitano  di  cavalleria 
conte  Lodovico  di  .St.-(iermain.  del  suo  stesso  reggimento;  il  quale  più  tardi  passò  al  servizio 
da'  Francesi  e  nel   1775  fu  nu'nistro  della  guerra  del  re  Luigi  XV'I. 

(2)  Tanto  la  lettera  del  Principe  Eugenio  giuniore,  (juanto  quella  del  Principe  Eugenio 
seniore  si  con.servano  a  Vienna  nell'L  e  R.  Archivio  della  (iuerra. 

(3)  Il  maggiore  von  Dungern.  comandante  del  reggimento  Walsegg,  ne  dava  ragguaglio 
al  generale  maggiore  Walsegg,  proprietario  del  reggimento  stesso,  con  questa  lettera,  scritta 
da  Mùhlberg  il  30  decembre  1733,  che  si  conserva    nell'Archivio  della    Guerra    di    \ienna  : 

53 

52  — Mise,  S.   HI.  T.  Xni. 


4IO  GTOVAXXI   SFORZA 


me  sera  possible,  pour  pouvoir  m'attirer  de  plus  en  plus  la  protections  de 
V.  A.  '*>•  Il  ne  me  reste  qu'à  vous  souplier,  Alonseigtieur.  que  d'ètre  per- 
suade de  la  respecteuse  soumissions  avec  laquelle  j'ai  l'houneur  de  me  dire 

Alonseigneur, 
de  V.  A.  S.  le  frrs  Iniìiiblc  et  trcs  obcissant  scrvitcìir 

et  neveu 

KU(ÌENE   DE   SavoYK. 
(tIì  torna  a  scrivere  da  IMannheiin  il    15  del  successivo  febbraio: 

Moiiseigiieur, 

l'aunii  l'honneur  d'informer  V.  A.  S.  que  mon  regimeut  est  entres  en  quar- 
tier  le  12  de  ce  mois  une  partie  dans  le  pais  de  Darmes,  Tatat  et  l'autre  dans 
les  environs  de  Francfort.  Le  Due  de  Pever  m'a  donne  quelque  commissions 
toucant  la  postirung  le  long  du  Necher.  La  lecteur  m'a  reru  avec  beaucoup 
de  bontés,  et  niéme  m'a  charcher  d'écrire  à  V.  A.  S.  qu'il  ésperoit  qu'elle 
non  obliroit  point  Tamitié  que  V.  .V.  lui  temoignont  lursqu'il  était  sous  ces 
ordres,  et  mème  qu'il  la  prioit  de  la  vouloir  continuer.  ^I'  de  Sequingen, 
grand  chambelan,  est  ministre  à  cette  cour,  m'a  prioit  d'assurer  V.  A.  S.  de 
ces  respect.  Monseigneur,  il  ne  me  reste  qu'à  la  souplier  de  m'acorder  la 
continuation  de  sa  protections  de  meme  de  me  dire, 

Monseigneur, 
de  V.  \.  S.  le  trì's  /ni/iible  et  très  obeissant  serviteiir 

EUGKNE   i:)E   Sa\-OYE   (i)    ». 

x\ppunto  nel  febbraio,  il  giovane  Principe,  da  j^'rankfurt  sul  Meno,  ir- 
ruppe colla  sua  brigata  ne'  dintorni  del  Neckar.  uno  degli  affluenti  del  Reno, 
e  il  28  d'aprile  si  trovò  con  sette  squadroni  al  campo  presso  Philippsburg. 
In  quello  stesso  mese  il  vecchio  Principe  Eugenica  ])rese  il  comando  supremo 
dell'armata  del  Reno;  ma  a  cagione  della  scarsità  del  numero  e  del  cattivi > 
armamento  delle  sue  truppe,  che  erano  appena  la  metà  di  quelle  de'  Fran- 
cesi, forti  di  ben  centoventimila  uomini,  bisognò  che  si  limitasse  a  stare 
sulle  difensive.  Nel  maggio,  all'annunzio  che  il  nemico  aveva  varcato  il 
Reno,  abbandonò  le  linee  di  Kttlinger ,  e  per  Heidelberg .  Eppingen  e 
Bruchsal  ridusse  l'esercito  a  Wiesenthal,  per  coprire  tla  quella  forte  posi- 
zione gli  Stati  ereditari  della  monarchia,  11  27  d'agosto,  da  Heidelberg, 
ordinava  al  nepote,  che  alle  4  del  mattino  del  giorno  appresso,  con  la  sua 
brigata  attraversasse  il  Neckar  sul  ponte  di  barche  gettato  a  Ladenburg  e 
si  spingesse  per  la  foresta  al  campo  presso  Schwetzingen.  Al  cominciare 
del  novembre  i  due  eserciti  si  ritrassero  ai  quartieri  d'in\erno.  1  corazzieri 
di  Eugenio,  de'  quali  teneva  il  comando  il  de  Romer ,  ebbero  a  stanza 
Lindau  e  Bregenz;  ad  Eugenio  Francesco.  Hn  dal  settembre,  nella  sua  quif- 
lità  di  generale  maggiore  fu  assegnato  per  residen/a  Schwarzwald  (2). 

«  Unsere  luivis  alhier  seint,  class  gestern  unter  Kcminiando  des  jtini^cn  rrinzt-n  lùiiien,  be- 
stehend  in  7  (irenadier  —  Compagnien  und  rofio  Pferdt,  solche  die  Palli'^aden  von  der  Sel- 
lin.y:erschanz  iiinwei,'  i^enolimen,  welclien  kleinen  alIVont  sie  mit  eini.^en  Stiickschussen  ans 
Fort  Louis  revangiret,  aber  keinen  weitern  Schaden  verursacht  ». 

(i)  L'autografo  di  questa  lettera  è  nell'I,  e  R.   Ar-hivio  della  (iuerra  a  X'ienna. 

(2)  Son  notizie  ricavate  da'  documenti  dell'I,  e  K.  Archivio  della  Guerra  in  \'ienna. 

.^4 


II.   PRINCIPE  EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  4II 


Prima  clic  si  chiudesse  l'anno,  la  brillante  esistenza  del  Principe  sven- 
turatamente e  a  un  tratto  venne  troncata,  essendo  morto  a  Mannheim  il 
24  novembre,  compiti  di  poco  i  vent'anni  (i).  Giuliano  Sabbatini,  vescovo  di 
Appollonia,  il  4  decembre  cosi  ne  dava  il  tristo  annunzio  a  Rinaldo  d'Este, 
duca  di  Modena,  del  quale  era  ambasciatore  a  Vienna:  <;  Il  giorno  30  del 
caduto,  per  espresso  venuto  da  Manheim,  si  hebbe  la  nuova  della  morte 
colà  seguita  del  giovine  Principe  Eugenio  per  febbre  maligna;  la  quale  è 
stata  sentita  vivamente  da  questo  -Sig/  Principe  Eugenio,  suo  gran  zio, 
benché  non  abbia  lasciato  anche  in  ciò  di  mostrare  la  solita  superiorità  e 
fermezza  dell'animo  suo  »  (2).  Infatti  il  vecchio  Principe,  che  lo  amava  con 
tanto  affetto  e  aveva  riposte  in  hii  tutte  le  sue  speranze,  ne  provò  una  gran- 
dissima angoscia  (3);  e  non  senza  compiacenza  ricordava,  nel  suo  dolore, 
«  la  bonté  singulière  »  con  la  quale  Carlo  Emanuele  III  aveva  «  regardé  en 
tout  tems  V  il  prediletto  nepote  (4).  Se  ne  attristò   la    Ducliessa  Ricciarda,  che 


(i)  Il  LrrxA  {Duchi  di  Savoia  ;  tav.  XXII!  ne  fa  questo  ritratto  :  «  Non  amava  né  onori 
né  uno  splendido  matrimonio,  bensì  la  compagnia  di  persone  abbiette,  cosicché  s'ingollò  nei 
vizi  e  mori  di  vent'anni  a  Mannheim  nel  1734,  24  novembre,  in  conseguenza  delle  sue  dis- 
solutezze. Questo  male  era  allora  epidemia  pressoché  in  tutte  le  famiglie  sovrane  e  nelle 
private.  Il  mondo  ha  le  sue  fasi  ».  I  documenti,  come  s'è  visto  ,  stanno  li  a  smentire  le 
sue  affermazioni.  In  parte,  per  altro,  ha  diritto  di  venire  scusato  :  fu  tratto  in  ingaimo.  senza 
che  se  ne  avvedesse.  Le  notizie  documentate  per  servire  alla  genealogia  e  alla  storia  de' 
Reali  di  Savoia,  d'ordine  di  Carlo  Alberto,  gli  vennero  somministrate  da  uno  degli  uffiziali 
degli  Archivi  di  Corte,  il  conte  Luigi  Nomis  di  Cossilla,  raccoglitore  appassionato  e  lorlu- 
nato  d'autografi.  Trovati  i  primi  dispacci  del  comm.  Solaro  al  Marchese  D'Ormea.  ne'  quali 
l'invialo  sardo  in  Vienna  accenna  all'essersi  il  Principe  dato  al  giuoco,  e  se  ne  impensierisce 
e  accuora  e  ne  trae  triste  presagio  per  l'avvenire,  il  Nomis  di  Cossilla  si  fermò  li.  Su  que' 
primi  dispacci,  comunicatigli  da  lui,  il  Litta  tessè  il  proprio  racconto,  e  lasciando  libero  il 
volo  alla  fantasia,  anneri,  per  giunta,  le  tinte,  tirato  dalla  smania  sua  di  catoneggiare;  difetto 
frequente  e  grave  in  lui,  che  scema  pregio  all'opera,  a  cui,  per  onore  d'Italia,  consacrò  le 
sostanze  e  la  vita.  Se  il  Nomis  di  Cossilla  fosse  stato  meno  frettoloso  e  negligente  e  più 
coscienzioso,  continuando  a  sfogliare  i  <lispacci  del  Solaro  avrebbe  toccato  con  mano  che  il 
Principe  rinsavì  quasi  subito  e  diede  poi  tali  prove  di  sé,  da  far  rimpiangeie  fosse  così 
presto  rapito  alla  vita  un  giovane  di  tante  speranze.  Son  lieto  d'aver  chiarito  la  verità  e  riven- 
dicata la  sua  memoria. 

(2)  R.  Archivio  di  Stato  in  Modena.  Cancelleria  Ducale.  Carteggio  degli  Ambasciatori. 
Cieimania.  Giuliano  Sabbatini,  vescovo  d'Appollonia,  busta  \\^  226. 

(3)  Al  Duca  di  Wurtemberg  scriveva  da  Vienna  il  i"  decembre:  «  Von  Euer  Liebden 
hOchstgeschàtzten  p'reundschaft  und  dem  mir  zutragenden  Antheil  bin  ich  dermassen  ver- 
sichert  ,  dass  ich  nicht  genugsam  fur  jenen  zu  danken  vermag,  den  Sie  auf  eine  se  obli- 
geante  Art  iiber  den  Verlust  meines  Neveu,  des  Prinzen  Eugen  von  Savoyen  Liebden,  mir 
zu  bezeugen  sich  haben  gefallen  lassen.  Der  Allmachtige  wolle  Sie  und  dero  ganzes,  hohes 
Hans  viele  Jhare  von  derlei  betrubten  Zufallen  befreien  imd  ali  jenes  in  bestandiger  tiesund- 
heit  reichlich  Ihnen  angedeihen  lassen  ,  so  zu  dero  vvollkotnmenen  X'ergnùgen  gereichen 
kann.  Der  todte  Leichnam  wird  sonst,  wie  ich  vermuthe,  vor  Eintrelfung  Dieses  zur  Erde 
schon  gebracht  sein,  wi'ire  es  allenfalls  nicht  geschehen,  so  ersuche  \\.  Lbd.  von  der  Giìte 
zu  selli,  es  dahin  veranstalten  zu  machen,  dass  es  nach  militarischem  Gebrauch,  jedoch  ohne 
Geprange  geschehe  ».  Il  4  dello  stesso  mese  scriveva  al  feldniastro  conte  .Seckendorf:  «  Es  hat 
dem  Alìmachtigen  gefallen,  meinen  Neveu,  des  Prinztn  von  Savoyen  Liebden,  den  24  dieses 
in  Mannheim  zu  sich  zu  nehmen  und  wie  Selber  dem  V'ernehmen  nach  Schuldcn  hinterlassen, 
se  ersuche  Euer  E.xcellenz  von  deren  Anzahl  und  Beschaflènheit  Nachricht  einzuholen,  wie 
nicht  minder  der  verhandenen  Equipage  sich  zu  erkimdigen,  aneli  .Sorge  zu  tragen.  dass 
davon  nichts  zerstreut,  die  vorhandciien  Pferde  vvomi'ìglich  uni  einen  rechten  Preis  verkauft 
und  das  dafiir  eingehende  Geld  zur  Abtragung  der  .Schulden,  vornehmlich  zur  Bezahiung  der 
Medicorum,  Aiwtheker,  Hegrabniss  —  Unkosten  und  was  sonst  wàhrend  seiner  Krankheit  in 
Mannheim  aufgegangen,  angewendet  werde.  vvovon  .Sie  die  gefallige  Auskunft  mir  sodann  zu 
ertheilen,  ingleichen  bei  dem  Hernn  Obrist  Ròmer  sich  zu  informieren  belieben  werden,  ob 
er  bei  dem  Regimente  was  zugute  habe,  oder  in  dessen  Cassa  und  wie  vieles  alien falss 
.schuldig  sei  ». 

(4)  Lettera  del  Principe  Eugenio  a  Carlo  Emanuele  III,  scritta  da  Vienna  l'ir  de- 
cembre 1734. 

55 


412  GIOVANNI  SFORZA 


nello  sposo  destinato  alla  tìiJ^lia  «  aveva  riconosciuto  qualità  molto  amabili  »(i); 
e  quando  nell'estate  dell'anno  appresso  il  Marchese  di  Cavatore,  vecchio 
aio  del  Principe,  fu  a  riverirla,  le  si  rinfrescò  nella  mente  «  l'orrida  vista 
della  disg-ra/ia    lacrimevole  >>,    che  era  stata  per  lei  un   «   colpo  fatale»   (2). 


V. 


La  mano  di  r^Iaria  Teresa,  rimasta  libera,  fu  chiesta,  ma  in(]arn<\  da  un 
1^-incipe  (li  .Sassonia  idildbour^-haesen  (^s);  indarno  il  Princi])e  di  Darmastadt, 
^•overnatore  di  Mantova,  va|.>heg-giò  farne  la  sposa  di  Leopoldo,  suo 
figlio  (4);  l'ottenne  invece,  (lupo  lunghe  trattative,  il  Duca  di  Modena 
(die  ci    aveva  su  gli    occhi   tìn  da  quando  fu   fidanzata  ali  infelice   Principe 


(i)  Rocca  O.,  .IL'i/ior/e  del  inondo  ed  in  specie  dello  Stalo  di  Massa  di  Carrara  dal  1481 
all'anno  1738,  autografe  nella  Biblioteca  Estense  di  Modena,  p.  247. 

(2)  Itlcco  la  lettera  della  Duchessa   kicciarda: 

«  Sacra  Reale  Maestà, 

Nel  passaggio  che  fece  di  qui  per  i  Bagni  di  Lucca  il  Sig''  Marchese  di  Cavatore  mi 
venne  a  presentare  il  foglio  pregiatissimo  che  V.  M.  restò  servita  d  imiarnii,  e  dallo  stesso 
cavaliere  mi  furono  espresse  in  voce  ([uelle  premurose  commissioni  delle  quali  lo  aveva  inca- 
ricato, né  ad  altro  line  ho  sospesa  la  presente  ossequiosissima  risposta,  se  non  per  quello  di 
consegnarla  in  proprie  mani  del  medesimo  Sig''  Marchese,  giusta  il  nostro  precedente  appun- 
tamento. A  lui  duncpie  non  ho  mancato  di  significare  tutto  ciò  che  mi  correva  in  debito  di 
far  passare  all'orecchio  della  M.  V.  sopra  l'alfare  di  cui  si  tratta,  e  la  supplico  di  far  godere 
de'  suoi  generosi  riflessi  all'impegno  inevitabile  da  me  contratto  coll'Augustissimo  Imperatore 
dopo  il  colpo  fatale  della  perdita  del  Sig''  Piincipe  Sposo,  avendole  chiesta  la  grazia  di  accor- 
darmi che  potessi  non  aderire  a  (pialsivoglia  trattato  di  nuovo  accasamento  della  Duchessa 
mia  figlia,  sintantoché  la  medesima  col  crescere  degli  anni  si  venisse  a  trovare  in  una  cogni- 
zione più  matura  e  perfetta,  giacché  discorrevasi  principalmente  del  proprio  interesse;  nelle 
quali  circostanze  l'altissimo  discernimento  di  V.  M.  saprà  farle  presente  che  resto  troppo 
impedita  di  avanzare  alla  Corte  Cesarea  proposizioni  di  matrimonio,  mentre  queste  diritta- 
mente contradirebbero  ai  miei  preaccennati  sentimenti,  nei  quali  tuttavia  mi  confermo  all'orrida 
vista  della  disgrazia  lagrimevole  che  mi  successe  nella  conclusione  che  venni  a  stabilire  del 
primo.  Informata  dunque  la  M.  V.  di  quanto  mi.  son  data  l'onore  d'umilmente  rappresentarle 
io  stessa,  fuori  della  parte  che  ho  fatta  come  sopra  col  menzionato  Sig''  Marchese,  vivo  per- 
suasa che  dal  di  lei  magnanimo  cuore  mi  sarà  tlispensato  quel  benignissimo  compatimento 
che  imploro,  con  accertare  la  M.  V.  che  sarò  sempre  costante  nella  pratica  di  quell'infinita 
venerazione  colla  quale  continuo  ad   inchinarmi  profondamente. 

Massa,  li  9  luglio  1735  ». 

(3)  LiTTA  P.,  rr Estc,  tav.  XVIL 

4)  11  dott.  Lorenzo  Berti  scriveva  da  Mantova  il  16  decembre  1734  alla  Duchessa  Ric- 
ciarda  :  «Il  Sig.  Principe  di  Daruìastad.  nel  significarmi  la  morte  del  Sig.  Principe  di  Soissons, 
si  compiacipie  successivamente  egli  slesso  di  rinnovarmi  i  di  lui  sentimenti,  uniformi  a  quelli 
che  sino  in  settembre  1731  mi  si)iegò  il  Cavaliere  suo  gentiluomo  di  camera  risguardanti  al- 
l'accasamento del  .Sig.  Principe  Leopoldo,  suo  veramente  degno  ed  amabile  figlio,  con  la 
Ser"'^  Sig'""  Duchessa  di  Lei  liglia  primogenitn,  con  comandarmi  inoltre  che  io  procurassi  con 
tutta  sollecitudine  rilevare  le  tlis|)osizioni  che  pos.sono  aversi  dall'A.  W  S.  in  simile  affare  ». 
La  Duchessa  gli  rispondeva  il  13  febbraio  :  «  .Siccome  vi  vorrà  del  tempo  acciò  sia  rimar- 
ginata la  piaga  profonda  che  ha  impressa  nel  mio  cuore  il  colpo  funestissimo  di  cui  si  tratta, 
così  Ella  ben  vede  che  in  queste  luttuose  circostanze  non  sono  in  positura  non  che  di  accu- 
dire, ma  né  tampoco  di  rivolgere  il  pensiero  a  tali  cose  ».  R.  Archivio  di  Stato  in  Modena. 
Cancelleria  Ducale.  Eredità  Cybo,  part.   l,  cart.  1,  i,  fase.  I\^  i. 

SÉ) 


IL  PRINCIPE  EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  413 


(li     Soissons)     per     il     suo     primogenito    e    erede,    Ercole    Rinaldo  (i).    La 
promessa    ebbe     luogo     nel     i73<^    {2):     il    matrimonio    segui    il     lò    aprile 


(i)  Per  la  inaspettata  morte  del  Principe  Kugenio  Francesco  rimase  «  sciolto  l'impegno 
che  aveva  l'Imperatore  per  il  matrimonio  della  primogenita  di  .Massa  e  per  la  successione  di 
quel  Ducato  ed  in  conseguenza  lorse  per  quella  di  Novellara  ».  L'ambasciatore  Sabbatini, 
nel  richiamare  l'attenzione  del  Duca  di  Modena  su  questo,  gli  scriveva:  «  Mi  è  tornato  alla 
memoria  che  V.  A.  S.  mi  diede  tempo  fa  un  tocco  per  cui  si  degnava  di  lasciarmi  conoscere 
esserie  passata  per  la  mente  quaiclie  pensiero  sopra  ciucila  Principessa  per  i!  Ser™"  ne- 
pote  ».  Parlò  del  progetto  con  diversi  ministri  cesarei,  ma  non  con  l'Imperatore.  Essendosi 
però  trovato  seco  per  un  altro  negozio,  gli  ci  entrò  egli  stesso.  «  Ho  j)otuto  ravvisare  »  (cosi 
il  Sabbatini  al  Duca;  «  un  altro  effetto  del  suo  amore  per  V.  A.  .S.  e  per  la  Ser'"''  Casa. 
Prima  che  io  habbia  potuto  parlarne  di  niente,  mi  è  entrato  esso  nell'accidente  della  morte 
del  giovane  Eugenio,  per  cui  mi  ha  fatto  vedere  che  aveva  già  pensato  da  sì-  a  tutto  quanto 
che  potesse  ritirarsene  di  vantaggio  per  V.  A.  S.  e  aveva  già  in  animo  di  suggerirmelo.  L'iio 
humilmente  ringraziato».  Intese  poi  dallo  Starhemberg  «  haver  il  degno  Ministro  parlato  già 
di  questo  all'Imperatore  ed  averne  riportato  che  .S.  M.  terrà  la  cosa  in  sospeso  ,  qualunque 
pretendere  potesse  d'affacciarsi  »,  Il  Duca,  con  un  dispàccio  in  cifra,  approvò  che  f  s'intro- 
duca il  maneggio  del  matrimonio  tra  il  Ser"'"  nipote  e  la  piccola  Principessa  di  Massa,  per 
far  entrar  nella  Ser"»"  Casa  il  Ducalo  e  la  Contea  di  Novellara  ».  Il  Sabbatini  si  aiirettò 
a  rispondergli:  «  Spiegarò  all'Imperatore  le  mente  di  V.  A.  .S.  su  questo»  ;  e  subito  inta- 
volò co' ministri  imperiali  le  pratiche  per  la  conclusione  del  matrimonio.  Nel  ragguagliarne 
il  Duca,  così  finiva  un  suo  dispaccio  il  i"  gennaio  del  1735  :  «  Reslava  da  divisare  del 
mezzo  da  scegliersi  per  trattare  immediatamente  a  nome  dell'Imperatore  con  la  Sig"  Du- 
chessa. Considerammo  che  nell'altro  trattato  di  matrimonio  col  fu  giovane  P^ugenio  vi  ebbe 
la  mano  il  Conte  Generale  Stampa,  con  cui  la  predetta  Sig'"^  Duchessa  ha  poi  continuato  a 
carteggiare  almeno  per  longo  tempo  ».  Pu  dunque  riconosciuto  che  lo  Stampa,  commis- 
sario e  plenipotenziario  imperiale  in  Italia,  dove  si  doveva  recare  come  governatore  di 
Mantova,  era  «  l'istrumento  più  autorevole  e  più  proprio,  per  intendersi  anche  con  lettere 
con  la  detta  Ser"'^  Duchessa  ».  R.  Archivio  di  Stalo  in  Modena.  Dispacci  dell'ambascia- 
tore Sabbatini  del  4  e  12  decembre  1734  e  1°  gennaio  1735. 

Le  trattative  di  questo  matrimonio,  incominciate  dal  Duca  Rinaldo,  t\irono  tirate  innanzi 
e  condotte  a  fine  dopo  la  sua  morte,  seguita  il  26  ottobre  1737.  da  l'rancesco  III,  suo  figlio 
e  successore. 

(2)  Scrive  il  Rocca:  «  Nella  prossima  passata  quaresima  venne  in  Massa,  accompagnalo 
da  un  suo  gentiluomo  e  pochi  servitori  il  Sig'  Marchese  Carlo  Filiberto  d'Este,  zio  materno 
della  Ser™"  Sig""''  Duchessa  di  Massa,  e  si  vociferava  che  tal  venuta  tosse  per  spedizione 
fattali  dal  Sig''  Duca  Rinaldo  di  Modena,  per  trattare  l'accasamento  del  figliuolo  primogenito 
del  Principe  ereditario,  suo  figliuolo,  colla  Ser"'"  Donna  Maria  Teresa,  primogenita  del  già 
Ser'""  Sig''  Duca  Alderano,  in  oggi  Duchessa  di  !\Iassa.  Ma  la  Sig'""  Duchessa  madre  per 
allora  nulla  concluse,  rifiettendo  alla  poca  buona  sorte  che  aveva  incontrato  tietta  Duchessa 
col  Sig"'  Principe  di  Soissons;  onde  rispose  che  ella  non  voleva  ingerirsi  in  accasare  la  figlia, 
se  non  quando  questa  avesse  compiti  li  anni  dodici,  e  che  da  essa  stessa  avesse  prestato  il 
consenso  ai  propri  sponsali  ;  e  perciò,  avvicinandosi  la  Pasqua,  ritornò  a  Modena,  per  poscia 
in  breve  andare  al  suo  feudo  di  S.  Martino,  stante  che  la  di  lui  consorte  gli  aveva  partorita 
una  bambina.  Detto  .Sig''  Marchese  nella  sua  permanenza  in  Massa  diede  molto  saggio  della 
sua  bontà  e  generosamente  distribuì  larghe  elemosine  a  chiese  ed  ai  poveri,  frequentava  le 
sacre  funzioni  e  lasciò  di  sé  slesso  una  somma  stima.  Nell'autunno  di  nuovo  ritornò  a  Massa 
e  seco  condusse  il  Sig''  Consigliere  di  .S.  A.  Ser'""  di  Modena,  Michele  Torelli  di  Massa, 
stante  che  la  Duchessina  aveva  terminati  li  29  giugno  passato  |i737|  gli  anni  dodici,  onde 
restava  tolta  la  difficoltà  della  Sig''"  Duchessa  Madre,  e  perciò  s'avanzarono  li  trattati,  ma 
con  tale  secretezza,  che  non  si  traspirò  minimo  resultato;  e  perciò  temendo  Sua  Ecc"  d'es- 
sere impedito  di  ripatriare  per  l'imminente  invernata,  sollecitò  la  partenza.  Nella  sua  dimora 
in  Massa  sì  degnò  aggregarsi  all'Accademia  dei  Derelitti;  e  questi  signori  accademici  non 
mancarono  fare  dimostrazioni  di  giubilo  e  con  qualche  dispendio;  laonde  detto  Sigr"  consegnò 
a  chi  li  presentò  il  diploma  zecchini  dodici,  e  cosi  dimostrò  in  altra  occasione  la  sua  gene- 
rosità ».  Cfr.  Rocca  Ù.,  Vaj-ie  viemorie  del  mondo  ed  in  specie  dello  Staio  di  3/asxa  di  Car- 
rara  dal  14S1  alPanno  173S,  autografe  nella  Biblioteca  Estense  di  Modena,  p.  260.  Il  cronista 
massese  Nardino  Hertelloni  |  1697-1776]  aggiunge:  «  A  22  settembre  1738  giunse  in  Massa  il 
Ser"'"  Sig'"  Duca  Francesco  d'Este,  Duca  di  Modena,  a  ore  23  e  '/.j.  Venne  dalla  strada  nuova 
della  Tambura,  per  vedere  e  rallegrarsi  con  S.  E.  la  Sig'"  Principessa  Maria  Teresa  Cybo, 
destinata  per  sposa  del  suo  primogenito,  il  Principe  Ercole  Rinaldo.  P'u  aspettato  dalla  nostra 
Ser'»"'  Sig'"  Duchessa  Ricciarda  Gonzaga  Cybo  a  S.  Lucia  con  la  figlia  sposa.  Entrò  in  car- 
rozza con  le  medesime,  e  si  portarono  a  Palazzo,  accompagnato  dalla  nobiltà  e  dalla  plebe, 
con  gran  viva  del  popolo,  con  sfpiadre  di  soldati  alle  porte  et  alle  piazze  e  con  sparo  di 
Fortezza.  11  23  detto  andiede  S.  A.  Ser"'»  alle  Monache,  le  Sue  Ecc*"  Monache  sorelle  del 
fu  Sig''  Duca  Alderano  e  zie  di  S.  Ecc"  sposa,  per   rixerirle  e    seco    congratularsi.    La    sera 

57 


414  (ilOVANMl    SFORZA 


de]  1741  (i).  Il  6  aprile  del  1750  Maria  Teresa  si  sgravò  «  felicemente  d'una 
figlia  ».Era  Maria  Beatrice.  Il  parto  venne  festeggiato  a  Massa  con  lo  «  sparo 
di  bellissimi  fuochi  artificiati  -».  Maggiori  allegrezze  ebbero  luogo  per  la  nascila 
di  un  maschio,  avvenuta  essa  pure  in  Modena  «la  notte  dei  3  venendo  ai  4 
del  mese  di  gennaio  175,-)  -.  Il  cronista  massose  Xardino  Bertelloni  così  le 
descrive:  «A'  9  gennaio  il  Capitolo  di  Massa  ha  cantato  il  Te  Demiì  et  una 
messa  in  ringraziamento,  con  sparo  di  covette,  et  ha  fatto  dispensare  a'  po- 
veri del  pane.  A'  21  detto  la  Comunità,  per  ringraziamento  a  S.  1).  M.  della 
nascita  del  nuovo  Principino  di  Modena,  ha  fatto  cantare  la  messa  et  il 
Te  Driiìii  in  musica,  con  sparo  di  mortaletti.  Nella  piazza  di  S.  Pietro  hanno 
fatto  fare  una  aguglia,  con  sotto  due  botti  di  vino,  per  darne  a  chi  ne  voleva. 
Hanno  fatto  dispensare  del  pane  a'  poveri.  Sopra  il  poggiolo  del  Diana 
stavano  i  Sigg.  Consoli,  con  sonatori  diversi  di  Lucca,  che  sonavano.  Hanno 
dotate  dieci  giovani,  parte  artiste  e  parte  contadine,  a  venti  scudi  per  una. 
L'hanno  estratte  a  fortuna.  E  dal  medesimo  poggiolo  hanno  fatto  gettare 
de'  denari  dal  Sig.  Alberico  Covacela,  camarlingo  della  Comunità;  et  hanno 
fcitto  una  bellissima  mascherata,  parte  a  piedi  e  parte  a  cavallo  »  (2).  Il 
«  Ser"'"  infante  »  però,  appena  che  fu  entrato  ^<  nel  quinto  mese  di  sua  vita, 
piacque  a  Dio,  alle  ore  iS  del  dì  5  maggio  1753,  di  chiamarlo  a  sé,  per  farlo 
regnare  in  cielo  »   (3). 


del  23  detto  andiede  a  spasso  in  Fortezza  e  fu  salutato  con  sparo  d'artiglieria.  Il  24  andiede 
a  spasso  a  Lavenza  e  Carrara,  e  due  volte  fu  salutato  dalla  Fortezza  di  Lavenza.  Il  di  25 
andiede  a  visitare  S.  Pietro,  S.  iM'ancesco  e  la  .Scuderia.  Il  26  detto  andiede  a  vedere  pescare 
in  marina  alla  Bocca  di  Magliano  et  andiede  ancora  alla  Rinchiostra.  Il  di  27  a  ore  14  partì 
di  Massa,  per  fare  il  suo  ritorno  a  Modena.  Fu  accompagnato  con  quattro  carrozze  persino 
a  S.  Lucia  e  con  due  persino  a  Canevara  ».  Cfr.  Sfokza  G.,  Cronache  di  Massa  di  Lutiigiami 
edite  e  illustrate,  Lucca,  Rocchi,  1882,  p.  174.  Cfr.  i)ure  :  Idilio  fatto  in  occasione  della  venula 
nella  citta  di  Massa  deW Altezza  Serenissima  di  J-'rancesco  Ifl  d'Esle,  Duca  regnante  di  Modena, 
Reggio,  Mirandola,  ecc.  Alludesi  a\felic  issimi  sponsali  già  stabiliti  fra  il  Serenissimo  Sig''  Prin- 
cipe ereditario  di  Modena  e  la  Serenissima  Signora  J)ucliessa  di  Massa  e  Principessa  di  Car- 
rara Maria  Teresa  Cybo.  Da  presentarsi  a  S.  E.  il  Sig.  Marchese  Don  Carlo  Filiberto  d'Esie 
Principe  del  S-  A'.  7.  dal  conte  Ciovanni  Ceccopieri  a  nome  del  suo  umilissimo  servitore 
O.  T.  P.  A.  In  Massa,  17.^8.  Per  Giambattista  Frediani  e  Fratelli  Stamp.  Due.  con  licenza 
de'  Superiori;  in-4"  di  pp.  26. 

(i)  Il  Bkrtelloni  così  descrive  le  nozze:  «  A  16  aprile  1741  fu  sposata  S.  A.  Ser'"=' 
Maria  Teresa  a  ore  19  da  S.  Y..  il  Sig.  .Marchese  d'Este  di  S.  Martino  a  nome  di  S.  A.  S. 
il  primogenito  del  Ser'""  Duca  di  Modena,  il  Principe  P:rcole  Rinaldo.  Il  Sig""  Canonaco 
Allegretti  fece  da  parroco.  Testmioni  furono  il  Sig'  Marchese  .Santa  Cristina  d'Este,  il  Sig'' 
Don  Cosimo  Ceccopieri,  il  Sig''  Auditore  Bernardo  Luciani  et  il  Sig'  Consultore  Michele 
Toretti.  A  dì  25  aprile  7 74 e.  (Questa  mattina  S.  A.  Ser"'"  Sposa  s'è  portata  in  S.  Pietro, 
accompagnata  da  S.  \\.  il  Sig''  Marchese  S.  Martino,  da'  Sigg'''  Consoli  e  da  tutta  la  nobiltà 
di  Massa,  accompagnata  da  soldati  cherubinieri  di  Modena,  quali  giunsero  in  Massa  il  dì 
21  detto  in  numero  di  32,  con  suoi  cavalli.  Hanno  cantato  il  Te  Deum  e  la  messa.  Stava 
sotto  il  baldacchino  et  il  Sig'  Marchese  S.  .Martino  li  stava  al  fianco,  un  poco  i)iù  a  basso. 
Nel  tempo  che  cantavano  il  Te  /h'umW  soldati  modauesi,  che  sfavano  squadronati  in  piazza 
.S.  Pietro,  hanno  fatto  tre  spari,  e  tre  spari  haiuio  fatto  le  due  I-'ortezze  di  Massa  e  di  La- 
venza; e  per  tre  sere  continue  hanno  illuminato  tutte  le  case  di  Massa.  A  21, settembre  1741 
la  nostra  Ser'""  Padrona  sposa  è  andata  a  prendere  il  possesso  a  Carrara.  1:,  stata  salutata 
con  lo  sparo  della  Fortezza  di  Lavenza.  A  25  detto  la  nostra  Ser'""  Padrona  sposa  si  è  partita 
di  Massa  per  andare  a  Modena  dal  suo^amato  spo.so:  Nel  parine  è  stata  salutata  dalla  For- 
tezza di  Massa  con  40  tiri  di  cannone.  È  stata  accompagnata  dal  Sig'  Marchese  S.  Alartino, 
Marchese  Giannini,  da  due  paggi,  dalla  Sig'""  Marchesa  Giannini  dama  d'onore,  dal  Sig'  Conte 
Manetti  di  Massa,  da  una  figlia  del  Sig''  Francesco  Covacela  per  cameriera,  due  lacchè,  staf- 
lìeri  e  cherubinieri  .soldati.  Hanno  pernottato  a  Resceto  ».  Cfr.  .Si orz.x  G.,  Cronache  di 
Massa  di  Lunigiana  cil.,  pp.   175-176. 

(2)  Op.  cil.  ;  pp.   iSi,  183  e  202-203. 

(3)  R.  Archivio  di  .Stato  in  Modena.  Cancelleria  Ducale.  .Minutario  cronologico,  reg.  I, 
1749-1753- 

.sa 


IL   PRINCIPE    EUGENI')    FRANCESCO   DI    SAVOIA  4 1.5 


Per  la  Casa  d'  Este  fu  una  tremenda  disgrazia,  non  avendo  ^Viaria  Teresa 
dato  alla  luce  altri  maschi.  Ciò  valse  ad  alienare  maggiormente  da  lei  il 
marito,  <-<  economo  sino  all'avarizia  ,>,  e  rassomigliante  il  padre,  soltanto  "  nella 
frequenza  degli  amori  illegittimi  e  nella  discordia  colla  propria  consorte  »  (i). 
Era  «  saggia  e  di  carattere  molto  dolce,  ma  alle  volte  prosuntuosa  e  difficile 
a  scendere  da'  suoi  impuntamenti  »  ii).  Fini  col  separarsi  da  Ercole  ilL 
e  si  ridusse   a  Reggio,  dove  visse  il  resto  della  vita    sconsolata. 

Luigi  Ceretti  cosi  la  descrive  sul  suo  letto  di  morte  :  «  In  sì  deplorevole 
stato,  ciò  null'ostante  ella  conserva  una  tal  tranquillità,  che  è  confine  al  buon 
umore,  sia  che  ella  finga  per  imporre  ad  altri  e  a  sé  stessa,  sia  che  real- 
mente non  apprenda  il  pericolo,  come  sembra  dal  domandare  che  fece  ai 
medici  se  nella  buona  stagione  avrebber  potuto  giovarle  i  Bagni  di  Lucca. 
Xel  tempo  che  erano  in  sua  camera  i  medici  consulenti,  la  Real  Infante  di 
Parma,  di  ritorno  dalla  caccia  del  M.  dWragona,  passò  per  Reggio,  mandò 
(come  fa  ogni  giorno  per  espresso)  ad  intender  sue  nuove,  la  regalò  di  una 
buona  dose  di  Tokai.  Ella  volle  gustarne,  scherzò  sul  dono  e  parlò  a  lungo 
del  virile  carattere  della  Real  viaggnatrice.  La  sera  volle  che  i  medici,  insieme 
colle  dame  e  le  cameriste,  giuocassero  a  cucii  in  sua  camera,  scherzò  con 
.Savani,  che  non  sapendo  il  giuoco,  accusava  le  sue  carte,  parlò  on  .\raldi 
di  mille  cose  di  tempi  addietro,  disse  a  Savani  che  parevale  ancora  di  ve- 
derlo quando  recitava  in  una  commedia  a  Spilamberto,  e  si  notò  che  i  suoi 
discorsi  e  le  sue  facezie  quasi  tutte  avevano  Modena  per  iscopo.  /:"/  dulcrs 
morie ns  reminiscitiir  Argos  >  (3). 

Sul  finire  della  sua  poco  felice  esistenza,  per  Maria  Teresa  dovette 
essere  un  dolce  pensiero  il  sapere  che  gli  Stati  suoi  di  Massa  e  Carrara  (4) 
godettero  pace  e  prosperità  sotto  di  lei,  dotati  come  gli  aveva  di  buone  leggi 
e  di  provvide  istituzioni  (5).  Xè  i  sudditi,  da  essa  «  teneramente  amati  in 
ogni  occasione  ^>  (ò),  mancarono  di  piangerla  con  memore  affetto  (piando 
fu  tolta   ai   vivi  il   26    decembre    del    ijgo   (7).    A   Massa     ne    disse    le    lodi 


;:)  (iKf:ppi  K.,  Gli  ultimi  lìxtcnsi :  wf^W Arrhivio  storico  loiiihariio,  aiin  o\'III  |  iS.Si  |, 
fase.   I,  pp.   136-137. 

(2)  LiTTA  P.,  Famis;lit'  celebri  italiane.  D' Este  ;  tav.  Wll. 

il)  Archivio  de'  conti  Greppi  in  Milano.  Lettera  ile!  prot".  Lni.s^i  Ceretti  ail  Antonio 
Greppi. 

(4)  Xe  prese  l'investitnra  da  Carlo  \'l,  imperatore,  il  23  giugno  dei  1744.  nscita  die  t'n 
di  pupilla. 

(5)  Tra  le  provvide  istituzioni  di  lei.  quella  die  maggiormente  ne  raccomanda  il  nome 
alla  riconoscenza  de'  posteri  è  l'Accademia  di  Belle  Arti  di  Carrara,  che  fondò  il  26  .set- 
tembre 1769.  Cfr.  Lazzoni  F...  Carrara  e  la  ^ua  Accademia  di  lìcite  Arti,  riassunto  storico. 
Pisa,  Nistri,  1869,  pp.  23-29.  ■  Crkspei,lani  A.,  Medaglie  Estensi  ed  Austro- Estensi  edite  ed 
illustrate,  In    .Modena,  coi   tii)i  della  .S(jcictà  tipo.gratìca  modenese,   1.S93,  pp.  41-43  e  120-130. 

Maria  Teresa  favorì  anche  l'arte  tipografica,  avendo  accordato  nel  17S3  un  ampio  privi- 
legio a  Stefano  Frediani,  che  rimodernò,  l'avita  stamperia  e  la  provvide  di  caratteri  bodo- 
niani, fiodendosi  allora  in  Massa  ma.g.gior  larghezza  per  il  lato  della  censura  della  stampa, 
molti  concorsero  a  Ini  da  Bologna,  da  Firenze  e  da  Genova,  per  commettergli  lavori  che  in 
quelle  città  non  si  sarebbero  potuti  ese.gnire. 

(6)  ViANi  G.,  Memorie  della  famiglia  Cyho  e  delle  iiionete  di  Marisa  di  Luuigiaiia.  Pisa, 
Prosperi,  180S,  p.  60. 

(7)  Fu  sepolta  a  Reggio  nella  chiesa  della  B.  X'ergine  <l(lla  Chiara  con   (piesta  iscrizione  : 

MaRIAF.   THERESTAE    CvHO     I      HkRCCLI     III.     ATESTIO     MirriNAE     DUCI     I     AN.     .MDCCXf.I.      MKNSK 
APRII,.    NUPTAE     I     CINERFS     ;     VlXrP    AN".    I.XV.     MKNS.    V.    DIES    XXVU.      |     OKIIT    AN.    MOCCXC.    VU. 

59 


4l6  GIOVANNI   SFORZA 


lab.  (Gaspare  Jacopetti  (i);  a  Carrara  il   conte  Lodovico    Uzzoli  (2).    Anche 

le  muse  vollero  spargere    un  fiore    sul    suo  sepolcro,    auspice    sulle   sponde 

del  Frigido  l'Accatlemia    do'  Derelitti    e    su  quelle  del    ("arrione   la   Colonia 
Aruntica. 


KAL.  lAN.  Il  monumento  fu  scolpito  da  Giuseppe  Pisani  (f  1839Ì;  il  busto  è  di  Gio.  Antonio 
(.'ybei  (1706-1784),  due  scultori  carraresi.  CfV.  ("a/ 1  fogo  delle  opere  di  Giuseppe  Pisani,  dedi- 
cale a  S.  A.  R.  Frances'O  IV,  Arciduca  d'Austria,  Principe  Reale  d'' Ungheria  e  di  Boemia, 
Duca  di  Modena,  R'ggio,  Mirandola,  Massa  e  Carrara.  Modena,  per  G.  Vincenzi  e  com- 
paiano, .Mijcccxxxv,  p.  7.  Un  altro  busto  di  .Maria  Teresa  si  trova  a  Massa  nella  sala  del 
Palazzo  Provinciale.  È  opera  del  carrarese  \'itale  l'inelli.  padre  del  celebre  Carlo,  l'emulo 
del  Tenerani.  A  corredo  delia  presente  monografia  riproduco  il  l)Usto  bellissimo  scolpito  dal 
Cybei,  che  si  conserva  a  Carrara  nella  R.  Accademia  di  Helle  Arti,  del  quale  è  una  copia 
(piello  che  adorna  il  monumento  di   Maria  Teresa  a   Reggio. 

(i)  Cfr.  Solenni  esequie  falle  celebrare  il  dì  15  marzo  1791  nel  Duomo  della  ci  Uà  di  Massa 
in  suffragio  deltanima  di  S.  A.  .SV'r"'"  Maria  Teresa  Cybo  Malaspitia  d' Esle,  Duchessa  di 
Modena,  Massa  e  Principessa  di  Carrara,  ec.  ec.  ec,  da  .S.  A.  R.  la  Ser'""  piglia  Maria 
Bcalrice  d' liste.  Arciduchessa  dWnstria,  /duchessa  di  Massa  e  Carrara,  ec.  ec.  ec.  In  Massa, 
per  .Stefano  Frediani  stampatore,  |i79i|;  in-4'>  di  pp.  x.xiv-80.  La  raccolta  è  divisa  in  due 
parti:  I.  Orazione  delta  dal  Sig.  Abate  (Jaspark  ]xzovv:k:t\, professore  d'eloquenza  nel  Liceo 
della  città  di  Massa,  tra  gli  Arcadi  Anti.s'io  .S't/atiola  e  A. {ccademìco']  Z>.[ereliUo]  ne"  funerali 
di  S.  A.  .S.  Malia  Teresa  Cybo  d' Este  :  li.  Tributo  di  lacrime  che  sul  Frigido  le  Muse  ita- 
liane e  latine  consacrajio  alla  gloriosa  memoria  di  M.    Teresa  Cybo  d' liste. 

(2)  Solenni  esequie  fatte  celebrare  il  d)  17  marzo  179T  nel  Duomo  della  città  di  Canara 
in  suffragio  delP anima  di  .9.  A.  Ser""'  Maria  Teresa  Cybo  Malaspina  d' Este,  Duchessa  di 
Modena.  Massa  e  Principessa  di  Carrara,  ec.  ec.  ec.  da  S.  A.  R.  la  .S>;""'  figlia  Maria 
Beatrice  d^ Piste,  .h'ciduchessa  d' Aush-ia,  Duch'-ssa  di  Massa  e  Carrara,  ec.  ec.  ec.  In  Massa, 
per  .Stefano  Frediani  stampatore  ducale,  |  1791  j:  in  4"  di  pp.  xvi-46.  La  raccolta  è  divisa  in 
due  parti:  I.  Orazione  funebre  detta  da(  Sig.  Conte  Loihìvico  \A/.7snA  per  P infausta  morte 
di  S.  A.  S.  Maria  Teresa  Cybo  d'Eslef  II.  Componimenti  funebri  che  le  Muse  del  Carrione 
consacrano  alla  gloriosa  memoria  di  Maria  Teresa  Cybo  d' Este.  L'Accademia  e  Colonia 
Aruntica  di  Carrara  venne  istituita  nel  1787  e  l'anno  stesso  aggregata  all'Arcadia  di  Roma. 
Ne  fu  fondatore,  presidente  e  vice-custode  perpetuo  l'arcidiacono  conte  Lodovico  Ronanni, 
segretario  e  sotto-custode  l'avv.  Tommaso  Carusi  Cybei;  n'erano  censori  il  cav.  ab.  Miche- 
langelo Tonetti  e  il  capitano  Nicolao  Tacca. 


60 


TL   PRINCIPE   EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  417 


A  P  P  E  ìN  D  I  C  I 


I. 

Il  fidanzamento  di  Maria  Teresa  Cybo.  Duchessa  di  Massa, 
col  Principe  Eugenio  Francesco  di  Savoia.  Conte  di  Sois- 
sons.  ricordi  storici  del  canonico  Odoardo  Rocca  ("^ 


CAPITOLC^    I. 

Trattato  dell  "accasamento  della  Sig''*  Principessina,  e  con  chi.   -    \'iene  un  personaggio  a  trat- 
tare, e  Sua  P^nT^  il  Cardinale    Camillo   Cybo    all'improvviso    di    notte    parte    da    Massa. 

—  Conduce  seco  parte  della  Corte  e  parte  ne  lascia  a  Massa.  —  Si  aspetta  il  Sig'  Cene- 
rale  Stampa.  —  Giunge,  e  con  chi.  —  La  Sig'"  Duchessa  Io  fa  lexare  dall'Osteria  e 
condurre  in  palazzo.  —  Qualità  del  suddetto  Generale.   -     Espone  la  sua  commissione. 

—  Capitoli  di  detto  trattato.  —  Sua  EnT*  altamente  si  risente  di  tal  trattato.  —  Il  Gene- 
rale invia  il  suo  Segretario  a  Sua  Eni''.  —  Finezza  politica,  ma  violenta  di  Sua  l^m". 
P'sito  del  congresso.  —  Obiezione  poco  decente  del  Sig''  (Cardinale.  —  Staffilata  ricevuta 
da  .Sua  Eni».  —  Motivi  dei  Cardinale  per  cui  non  acconsente  al  dett<i  trattato.  -  Risposta 
a'  motivi.  —  .Sua  Em=<  dà  nelle  solite  smanie.  Lettera  contumeliosa  da  lui  scritta  a 
.S.  A.  —  La  lettera  non  recò  spavento.  —  Risposta  adeguata  a  S.  Em".  —  11  -Sig'  (iene- 
rale  spedisce  a  Vienna.  -,  S.  M.  Cesarea  approva  il  tutto.  —  Sua  Em"  si  fa  conoscere 
alla  Corte  di  Vienna.  E  risposto  alle  sue  pretensioni,  e  da  chi. —  Decreto  favorevole 
a  S.  A.  —  Risposta  a  .Sua  Em"  data  dall'Imperatore.  Compitezza  del  Sig""  Principe 
Eugenio.  —  S.  A.  si  rallegra  e  tutta  la  Ser"'»  Casa  e  sudditi.  —  Viene  a  Massa  Ferdi- 
nando, spedito  dal  .Sig''  Cardinale.  —  11  .Sig-'  Conte  .Stamina  vuol  i^artire  da  Massa.  — 
Parte  con  disgusto  di  tutti.  —  Per  viaggio  patisce  burrasca.  S.  A.  viene  alla  ])roces- 
sione  del  Corpus  Domini.  —  Sua  divozione.  —  II  paese  si  rallegra.  Opera  con  somma 
edificazione.  —  Commissioni  di  F'erdinando,  dategli  da  .Sua  P"m''.  e  suo  fine.  —  S.  A.  incontra 
il  suo  genio  e  ne  risulta  vantaggio.  —  .Azione  pessima.  —  -Ancora  le  .Monache  restano 
beffate,  e  meritamente.  —  Molte  alienazioni  fatte  da  Sua  Eni"  e  con  gran  sciui)io  dis- 
sipate. —  Villa  di  Castel  Gandolfo.  —  Come  chiamata.  —  Ferdinando  e  regalato  dalle 
Monache,  e  perchè.  ^  Biasima  la  città  ed  il  Governo.  —  Non  è  guardato  in  faccia  da  alcuno. 

Ivra  qualche  tempo  che  .si  vociferava  l'accasamenttj  della  Ser'"-'' Sig'"  I)u- 
ches-sa  Maria  Tere.sa,  figlia  pritnogenita  del  Sig'  Duca  Alderano  detonto,  a 
cui  .spettava  la  successione  nel  feudo  di  questi  Stati  e  tutti  li  fidecommessi 
della  nobilissima  Casa  Cybo,  col  Ser'""  Principe  Eugenio  Francesco  di  Saxoia, 


(i)  Son  tolti  dalla  sua  l'ila  di  Aldcraiio  I  Duca  II'  di  Massa,  che  si  conserva  autografa 
nella  Biblioteca  Estense  di  Modena.  Odoardo  Rocca,  canonico  massese ,  vis.se  dal  2  de- 
cembre   1676  al  22  aprile   1751. 

6   I 

53  —  Mise,  S.  HI,  T.  Xin. 


4Io  GTO NANNI    SFORZA 


unico  rampollo  della  Ser™"  Casa  dei  Conti  di  Soissons  ed  unico  pronipote 
del  Ser'""  Sig'  Principe  Eugenio  seni<jre,  Tenente  (Generale  del  S.  R.  I.  (> 
Vicario  di  S.  M.  Cesarea  in  Italia:  ma  da.  molti  tal  novità  non  ora  creduta. 
Finalmente  si  seppe  che  quanto  prima  sarebbe  venuto  in  Alassa  l'Ecc"'"  Sig"' 
(ienerale  (jio.  Carlo  Stampa,  Plenipotenziario  in  Italia  della  Maestà  dell'Im- 
peratore, e  da  esso  spedito  per  trattare  tal  accasamento;  ma  tal  venuta  pa- 
rimente non  era  affatto  creduta,  quantunque  ancora  si  dicesse  che  il  Sig''  Car- 
dinale [Caìnillo  Cybo\  aderisse  al  detto  accasamento.  Ma  ben  presto  si  seppe 
tutto  il  contrario,  poiché,  verihcatasi  la  venuta  del  Sig'  Generale  suddetto, 
si  seppe  che  Sua  Imminenza  era  onninamente  contrario  al  detto  sposalizio, 
perchè  aveva  la  mira  di  ammaritarla,  chi  diceva  al  Sig''  Duca  di  Bovino  della 

Casa  di (i),  e  chi    asseriva   al    i^riiieipe  Tomacelli   Cybo    di   Napoli,  come 

antico  parente  della  C'asa  (2);  tutti   e  due  soggetti  che  poco  averebbero  av- 

(r)  l.iuHina  dell'originale.  11  l)ii<:a  di  Uoviiio  appai  teneva  alla  Taniiglia  (iuevara,  colla 
(juale  si  era  imparentata  quella  de'  Cybo  nel  1635,  avendo  PlaciJia,  figlia  di  Carlo  1  e  di 
Brigida  Spinola,  sposato  don  Carlo  Antonio  de  (iuevara  Duca  di  Bovino  e  Gran  Siniscalco  del 
Regno  di  Xjipoli. 

(2)  Che  la  famiglia  de'  'l'omacelli  di  .Xapoli  abiìia  comune  l'origine  con  quella  de'  Cybo 
l'attesta  il  i^rincipe  Aiberico  1  nel  suo  ultimo  testamento,  dichiarando  «.  che  l'Ili""*  Casa 
Tomacelli  di  Napoli  è  l'istessa  con  l'Ili'"-'  Casa  Cybo  di  Genova,  e  cosi  detti  .SS'''  Tomacelli 
ili  Napoli  come  li  .S.S»'  Cybo  di  Genova  sono  sempre  stati  tenuti  e  reputati  della  medesima 
casata  Cybo,  e  come  parenti  e  da  un  istes.so  stipile  discendenti  si  sono  sempre  tra  cii  loro 
trattati  ».  Cfr.  .SroKZ.v  (i.,  A/berico  I  Cibo  Malaspina  e  Toiiiinaso  Cos/o  ;  \\g\V Archivio  storico 
italiano,  serie  V,  lom.  XXIX  11902],  pp.  45-63.  Nelle  seguenti  due  lettere  di  Alberico  I  a 
Federico  Tomacelli  .Marchese  di  Chiusano  si  tocca  della  comune  origine  delle    due  famiglie. 

///'"<'  Signore 
Son  molti  giorni  che  non  \\o  nova  di  W  .S.  Ili'""  e  come  che  desideri  la  salute  sua 
(juanto  la  mia  iste.ssa,  la  prego  a  favorirmi  con  darmene  parte,  che  mi  sarà  carissimo  e  con- 
forme al  desiderio  mio,  accompagnandoi  anco  con  qualche  comandamento  suo.  Non  prima 
di  questi  giorni  passati  ho  inteso  che  il  Costo,  volendo  impugnar  molte  cose  scritte  dal 
Mazzella,  fra  l'altre  si  riscalda  assai  in  mostrar  che  la  casa  Tomacella  e  Cybo  non  son  ristesse, 
fondandosi  solo  nel  detto  de'  SS''  Tomacelli  e  Capeci,  de'  (juali  erano  già  tiuelle  famiglie 
Bazzuti,  l'iscitelli  et  l'altre  che  seguono;  e  perchè  jjer  i  tanti  riscontri,  che  son  in  contrario, 
s'è  tenuto  da'  nostri  antepassati  e  da  noi  che  siano  ristesse,  il  che  non  deve  esser  discaro 
ne  a  luna  ne  a  l'altra  casa,  ho  posto  di  novo  in  un  foglio  le  medesime  ragioni,  altre  volte 
scritte,  per  darsi  al  detto  Costo;  ma  prima  ho  ordinato  a  l'Agente  mio  che  lo  mostri  a 
\'.  .S.  Ili"'"  acciò  che  vegga  se  v'è  da  dire  di  più  o  di  meno;  che  (|uando  stia  bene,  esso 
.Agente  lo  appresenterà  al  Costo.  Et  certo,  che  essendo  scritto  in  tante  opere,  orationi  publiche 
et  inscrittioni,  non  par  che  convenga  che  hor  si  dica  il  contrario  per  contese  fra  il  Costo  et 
Mazzella,  duranti  fatica  a  credere  ch'e'  .S.S''  di  cpiella  casa  siano  d'altra  oppinione  ;  e  a  Massa 
tengo  lettere  del  -S'  Scipione  buona  memoria,  nelle  (inali  mi  diceva  che  i  suoi  antepassati 
dicevano  esser  ristesse,  anzi  che  un  S"'  Giovanni  convenendoli  provare  non  soche  cosa,  ar- 
liculò  nominando  Papa  Innocenzo  per  TomaceIJo  ;  et  di  più  che  havendo  esso  Papa  donato 
una  turchina  granile  e  di  valuta,  haveva  lasciato  che  non  uscisse  della  famiglia;  e  alcuni  altri 
particolari  simili.  Ma  sia  come  si  xoglia,  si  deve  credere  più  agli  antichi,  che  erano  vicini  a 
<piei  tempi,  che  a'  moderni;  e  per  corroboralione  di  questo,  Honorio  secondo  crea  un  Cartlinale. 
e  si  trova  scritto  in  una  bolla,  ch'io  ho  copiata  atUentica  di  Roma,  Ordarico  Cybo  ;  e  il  Padre 
Ciacon,  sjiagnolo,  che  ha  mandato  poco  fa  fuori  una  istoria  de'  Papi  e  Cardinali,  dice  Alberico) 
Tomacello,  come  in  due  bolle  del  1  127  e  ii2<S,  con  l'istessa  arma,  onde  bisogna  che  fin  a  quel 
tempo  fusse  tanto  a  dire  Tomacello  che  Cybo  ;  si  che  V.  .S.  IH'»"  intenda  ;  dalla  quale  aspetto 
risposta,  e  con  (ptesto  le  bacio  le  mani.  Che  Xostro  Signore  la  conser\i. 

Di  Genova,  20  luglio  róoi. 


1).   \'.  S.   Il 


///'""  .S'/'< 


.ìffc/ioiiatissiiiio    per    servirla 

Al.IUCKICO    CVBO. 


l\r  il  (  avalier   Francesco,  mio    fij;liuoIo,  che  se  ne  passa  in  Calabria,  al  quale  ho  com- 
messo che  in  ogni  modo  visiti  V .  S.   Ili"'",  li  mando  il  mio  ritratto  e  insieme  il  libro  o  coni 
pendio  delle  due  famiglie  mie,   materna  e  paterna,  con  tutti  i  parentadi  e  arme  loro  antiche 

62 


IL    i'KlXClPl-:    KUGE.NK)    i-KAXCESCÓ   DI    SAVUlA  \  U) 


vantaggiata  la  fortuna  della  Casa  Cybo  e  affatto  minati  questi  Stati,  essendo 
li  medesimi  cavalieri  non  troppo  dolati  di  beni  di  fortuna;  ma  il  Sig"^  Cardi- 
nale, che  non  aveva  altra  brama  che  d'accasare  la  nepote  a  persona  di  lui 
dipendente  e  di  poca  autorità,  per  potere  comandare  a  bacchetta,  voleva  che 
seguisse  in  tal  forma,  se  gli  fosse  riuscito.  K  per  ciò,  da  lui  penetratosi  che 
il  suddetto  Sig'  Generale,  partito  da  Milano,  s' incamminava  verso  questi 
Stati;  dopo  essersi  fatto  vedere  l'unica  \olta  la  seconda  domenica  di  quare- 
sima alla  predica  in  duomo  del  Sig'  dott.  D.  Paolo  Medici,  fiorentino,  la 
notte  seguente,  all'improvviso  e  senza  la  saputa  d'alcuno,  celatamente  a' 
suoi  cortigiani,  circa  le  9  ore,  li  io  marzo  1732,  partì  da  Massa  con  tutta 
sollecitudine,  come  se  fosse  stato  perseguitato  da'  Turchi,  per  ritornare  a 
Roma  e  di  li  a  Castel  (ìandolfo,  sua  villa;  conducendo  seco  il  caudatario,  il 
suo  amatissimo  Ferdinando  \Pas(]uaU)iL\,  un  suo  cam.eriere,  due  staftieri  ed 
Alberico  Buffa,  lacchè,  (xli  altri  di  sua  Corte  li  lasciò  in  Massa  nelli  suoi 
appartamenti  di  palazzo,  avendo  commissionato  al  Sig'  \).  (jic.  Battista  (ìior- 
gieri  che  somministrasse  il  solito  salario  alli  medesimi  sino  al  suo  ritorno 
in   Massa,  o  pure  sino  ad  altro  suo  ordine  (i). 

Di  giorno  in  giorno  aspettavasi  il  suddetto  Sig'  (jenerale,  come  infatti 
giunse  dalla  parte  di  Genova  verso  la  metà  del  mese  di  marzo,  accompa- 
gnato dal  Sig'^  Segretario  imperiale  Piccaluga,  da  un  nobile  paggio,  nepote 
del  Sig'  Alarchese  ].ucini,  da  un  cameriere,  da  un  corriere  e  da  due  staffieri. 
Scese  all'Osteria  della  Posta,  e  subito  il    Sig'   Segretario  Pittaluga.  suddetto 

e  moderne,  e  di  questa  città  e  di  fuori  ;  e  non  è  stato  poco  il  porle  insieme.  Se  bene  non  si 
basta  a  ritrovarle  tutte,  pur  è  fatica  da  contentarsene  e  che  darà  maggior  facilità  a'  posteri, 
se  però  ne  saran  curiosi  di  seguirla.  Potrà  V.  S.  Ili"'"  mostrarle  al  Petris  et  al  Vincenti,  da 
che  si  diletta  d'antichità,  e  dirmene  il  parer  suo.  Le  invio  anche  un  sommarietto  delia 
casa  Tomacella,  che  il  Vincenti  m'indri/czò  e  che  ho  fatto  copiare  a  un  libretto,  et  medesi- 
mamente la  copia  del  sumario  ch'ella  mi  mandò  delli  Tomacelli,  però  nel  principio  acomo- 
data alquanto  per  cagione  delli  autori  piìi  antichi  e  per  ordine,  e  di  più  una  clausola  auten- 
tica del  mio  testamento  per  un  fide  comisso  del  mio  parentado  antico,  che  ne  accetterà  la 
buona  et  amorevole  volontà  mia.  purché  i  nostri  discendenti  siano  del  medesimo  animo  et 
amore  che  siamo  noi,  come  per  ogni  ragione  cloveriano  essere  e  seguir  le  vestigie  nostre.  LJel 
resto,  io  vivo  sano,  laudato  X.  .Signore,  e  sempre  desiderosissimo  di  servirla  con  la  mia  S'"-'  Mar- 
chesa, intendendo  da  tutti  et  in  particolare  dalla  S"'  Donna  Isabella  D'Oria  di  quello  ch'è, 
onde  mi  cresce  il  desiderio  di  venire  a  Napoli  solo  per  servire  lei  et  V.  S.  IH"'-',  che  Iddio 
me  lo  conceda  et  ad  ambi  le  dia  ogni  contentezza  e  felicità  che  desiderano.  K  con  (|uesto 
fine,  di  cuore  le  bacio  le  mani. 
Di  Genova,  22  luglio  t6o^. 
Di  V.  S.  Ill"'«, 

Servitore  Albkr.ico  Cvbo  Priticipe  di  Jfassd. 

Potrà  anco  mostrare  il  compendio  al  Costo. 

(i)  Il  cardinale  Camillo  Cybo  si  trovava  a  Massa  fin  dal  20  ottobre  del  1731 .  Per  testimonianza 
del  Rocca,  era  venuto  da  Mola  di  (iaeta,  e  «  non  condusse  seco  se  non  il  suo  caudatario,  che  era 
un  semplice  chierico  di  180  20  anni,  e  questo  lo  serviva  ancora  di  segretario,  il  suo  scalco  diletto 
Ferdinando [Pasqualini  1,  che  poteva  dirsi  il  suo  arbitro,  e  quattro  staffieri,  che  tutti  esercitavano 
un'arte  meccanica,  cioè  uno  era  muratore,  un  altro  ferrare,  uno  legnarolo  e  l'altro  lo  serviva 
di  guardaroba  e  credenziere:  condusse  anche  il  cuoco,  e  non  altri.  Risolvè  pertanto  costi- 
tuire la  sua  Corte  e  farla  più  cospicua  ;  |)er  il  che  diede  primieramente  mano  a  fare  acco- 
modare tutto  il  quarto  del  palazzo,  dalla  parte  dell'alcova,  cioè  dal  salotto  verso  la  strada 
detta  del  Palazzo  sino  alla  cappellina  di  S.  Francesco  Xaverio,  da' fondamenti  sino  al  tetto. 
Ivi  fece  ogni  comodo  di  stanze  per  sé  e  per  la  propria  servitù  e  fece  ancora  tutte  le  officine 
e  magazzini  necessari  per  collocarvi  le  dovute  provvigioni  per  la  di  lui  persona  e  per  la  di 
lui  famiglia.  Assettò  il  tutto  colle  proprie  suppellettili  ed  utensili,  fatti  venire  e  da  Mola  di 
Gaeta  e  da  Roma,  non  essendosi  né  tampoco  colà  scordato  un  gatto,  che  anche  cpiesto  fece 
condurre  sopra  le  barche  ».  Pensò  poi  a  ordinare  la  propria  Corte  in  Massa,  «  riempiendola 
de'  seguenti  soggetti  :  dichiarò  suo    .Maestro   di   Camera  il  .Sig'  Cav.  Stefano  Giovanni  Cec- 

Ó3 


420  <;i'>\A.\.\l    ^!nK/A 


venne  p.  dare  avviso  al  Sig'  Auditore  Luciani  (i)  dell'arrivo  del  suddetto 
personag-gio,  e  dopo  immediatamente  detto  Sig*'  Auditore  si  portò  dalla 
.Ser™*  Padrona  ad  avvisarla  della  suddetta  venuta.  La  Serenissima  imman- 
tinente ordinò  che  S.  Ecc.''  fosse  levato  dall'Osteria  dal  detto  Sig''  Audi- 
tore e  dal  Sig''  ("onte  Staffetta,  assegnatoli  per  suo  gentiluomo,  e  condotto 
in  palazzo.  Sono  inenarrabili  le  cortesie  e  complimenti  vicendevoli  che  pas- 
sarono tra  la  Ser'"'*  Signora  e  detto  l\cc""'  Sig''  Conte,  a  segno  che  questo 
Signore  restò  talmente  legato,  che  si  protestò  di  non  avere  mai  trattato  con 
simil  dama,  e  che  molto  si  stimaxa  fortunato  d'avere  avuto  commissione 
dal  suo  Sovrano  di  dovere  trattare  con  una  tale  Signora,  e  che  sperava  nel 
tempo  della  sua  permaniMiza.  in  Massa  avere  la  gloria  di  farsi  distinguere 
tra'  suoi  più  riverenti  servitori.  Questo  Signore,  oltre  l'essere  Plenipoten- 
ziario di  S.  Al.  e  di  gran  nascita,  decorato  dell'insigne  croce  de'  cavalieri  di 
Malta,  oltre  l'altre  nobili  prerogative  che  l'adornano,  fu  destinato  da  S.  M. 
("esarea  e  Cattolica  per  trattare  i  suddetti  sponsali  tra  la  Ser""'  Sig"'»  Maria 
'i^eresa  ed  il  suddetto  Ser'""'  Principe  Eugenio  di  Savoia;  affare  molto  im- 
j)ortante  a  Sua  Maestà  Cesarea  ed  alla  Maestà  Reale  del  Re  di  Sardegna, 
stretto  congiunto  di  detto  Ser'""  Principe.  Passati  pochi  giorni  di  compli- 
mento, espose  il  Sig'  (xenerale  suddetto  le  commissioni  alla  Ser"'-"»  Sig'"  Du- 
chessa, ed  essa  convocò  la  sua  Reggenza,  per  consultare  con  essa  il  modo 
col  quale  doveva  rispondere  a  Sua  Ecc-'.  Da  questi  Sig''  furono  attentamente 
ascoltati  gli  oracoli  di  S.  M.  Cesarea,  espressi  da  S.  A.,  quali  sebbene  erano 
in  termini  di  consiglio  o  di  esortazione  a  accondiscendere  a'  suoi  rettissimi 
desideri,  con  tutto  ciò  furono  prudentemente  giudicati  espressi  comandi. 
Dopo,  il  Sig'  (ienerale  consegnò  i  capitoli,  da  discutersi,  alla  suddetta  Signora; 
li  quali  diede  al  primo  Ministro  Sig'  Luciani  acciò  con  gli  altri  reggenti 
ben  fossero  considerati,  significandoli  che  teneva  mandato  da  Sua  Ecc.*  di 
moderarli,  in  caso  ve  ne  fosse  stata  l'occorrenza.  Questi  capitoli  furono  da' 
suddetti  ben  ponderati,  e  coli' autorità  e  consenso,  liberamente  riformarono 
quello  che  giudicarono  doversi  riformare,  in  i specie  quello  che  riguardava 
le  due  Ecc.""'  Principesse  Donna  Maria  Anna  e  Donna  Maria  Camilla,  sorelle 
minori  della  Ser'""  Sig'"  Donna  Maria  Teresa,  primogenita  come  sopra.  Pa- 
rimente che  il  Sor'""  iVincMpe  destinati)  sposo  della  suddetta  Sig'",  seguito 
il  suo  matrimonio  colla   medesima,  dovesse  esseri^  riconosciuto  per   so\Tano 


copieri;  per  Coppiere  il  Sig'  Conte  Giuseppe  Guerra.  Ancora  prese  al  suo  servizio  per  Cap- 
pellani ed  Aiutanti  di  Segretaria  li  RR.  Sacerdoti  Gio.  Battista  Brunetti  e  Gaspero  Guerra. 
Per  camerieri  aggiunse  un  certo  Franchini,  sonatore  bravo  di  tromba  e  d'ogni  altro  stru- 
mento da  fiato,  Alberico  Pusciò  e  Giuseppe  Selmi,  orologiaio;  e  li  giorni  prima  aveva  fatto 
vestire  di  livrea  un  certo  Monsù  IVIartino,  tedesco,  che  era  all'attuale  servizio  di  Corte;  eil 
un  altro  giovane,  detto  Alberico  BuHa,  lo  prese  per  lacchè;  di  più.  prese  per  cuoco  della 
famiglia  un  altro  giovane,  chiamato  RatFaele  Passoni  ;  oltre  altra  gente  bassa,  per  servizio  della 
cucina.  Xon  aveva  condotto  cavalli,  perchè  detto  Signore  quando  parti  di  Roma  per  andare 
,1  Mola  di  Gaeta,  di  quelli  che  aveva  fece  regalo  a'  suoi  servitori,  ritenendo  solo  per  sé  due 
nulle,  quali  condusse  in  Massa.  Dopo  alquanti  giorni  giunse  in  Massa  il  suo  medico,  che  era 
regnicolo,  uomo  dotto  nella  sua  arte  e  persona  di  buon  garbo;  e  venne  accompagnato  da 
un  lacchè  ». 

(i)  Il  conte  Bernardo  Luciani  di  Carrara  il  9  luglio  del  171S  dal  Duca  Alderano  venne 
fatto  suo  primo  ministro  e  uditore  di  Camera,  con  Io  stipendio  «  di  dieci  pezze  il  mese, 
casa  pagata,  incerti  e  privilegi  ».  Morì  a  Massa  il  29  agosto  174.S. 


64 


ir,    PRINCIPE   EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  421 


come  marito  di  detta  Sig'"'  figlia  primogenita  del  già  .Sig'  Duca  Alderano 
coir  aggiungere  al  di  lui  nobilissimo  casato  ancora  Cybo  ivlalaspina,  cosi 
dovesse  inquartare  ancora  nell'  arma  sua  lo  stemma  della  detta  Casa  Cybo. 
In  oltre,  che  Dio  non  voglia,  non  avessero  questi  Serenissimi  regnanti 
discendenza,  dovesse  succedere  la  secondogenita,  e  non  a\endone  questa,  pas- 
sasse la  successione  alla  terzogenita.  Aggiustarono  anche  la  dote  alle  pre- 
dette due  Ecc"""  Princii)esse  secondo  e  terzogenita.  E  così  disposto  il  tutto 
d'unanime  sentimento,  scrissero  al  Sig'"  Cardinale  Cybo,  per  ottenere  la  di  lui 
approvazione  e  consenso.  Fu  quest'avviso  il  fulmine  che  percosse  il  Sig""  Car- 
dinale e  >c(.ìppiando  manifestò  le  sue  idee,  sino  allora  tenute  alquanto  celate. 
Pretese  dunque  che  non  altrimenti  alla  primogenita  né  alle  altre  figlie  d(>l 
fratello,  né  molto  meno  allo  sposo  di  quella  fosse  concessa  l'investitura  di 
questi  Stati  da  Sua  Maestà  Cesarea,  ma  a  lui  solo  sua  vita  durante;  e  di  più, 
messe  in  campo  molte  cavillazioni  e  chimeriche  ragioni,  e  di  queste  ne  mandò 
risposta  in  scritto.  Per  il  che  fu  giudicato  espediente  dall'Ecc'""  Sig'  (ìencrale 
Stampa,  coll'approvazione  della  Serenissima  Duchessa,  inviare  al  suddetto  il 
Sig"'  Piccaluga  in  qualità  d'inviato,  per  abboccarsi  col  porporato  e  trattare 
l'affare  in  voce  ;  e  speravano  buon  successo,  per  essere  accompagnato  da  una 
lettera  credenziale  di  Sua  Maestà  Cesarea  ;  e  parti  alla  volta  di  Roma  li 
2^  aprile,  (xiunto  colà,  immediatamente  si  presentò  all'Em"  del  Sig'  Cardinale 
Cienfuegos,  ambasciatore  dell'Imperatore  presso  .Sua  Santità,  per  conferire 
seco  il  modo  da  tenersi  coll'umor  stravagante  del  Sig''  Cardinale  Cybo.  ^\d 
ogni  buon  fine  il  Sig'  Ambasciatore  volle  ritrovarsi  col  Piccaluga  all'abboc- 
camento col  detto  Sig'  Cardinale  Cybo,  onde  spedì  al  medesimo,  che  ritro- 
vavasi  a  Castel  (jandolfo,  per  intendere  quando  gii  fosse  stato  comodo  di 
sentirli  in  un  negozio,  molto  premuroso  alla  ]\Iaestà  dell'Imperatore.  A  tal 
istanza,  Sua  Eminenza  rispose  non  essere  dovere  che  l'Em'""  Ambasciatore 
s'incomodasse  nel  viaggio  di  Castello,  ma  che  egli  stesso  sarebbe  venuto  a 
Roma  e  lì  avrebbe  ascoltato  quanto  si  fossero  degnati  rappresentargli.  Ed 
infatti  seguì  in  tal  forma,  passati  pochi  giorni.  Successe,  nel  principio,  il  sud- 
detto abboccamento  co-n  tutto  il  rispetto  ed  ossequio  do\  uto  a  Sua  ÌNlaestà, 
ponendosi  l'Em""*  Cybo,  in  segno  di  venerazione,  la  lettera  credenziale  (X)n- 
saputa  sopra  della  testa;  ma,  appena  letto  il  foglio,  mutò  sistema,  incomin- 
ciando a  smaniare,  col  dire  che  mai  avrebbe  consentilo  ad  alcun  trattato 
sopra  tal  negozio,  se  prima  non  gii  fosse  accordata  l'investitura  delli  Stati 
sua  vita  durante,  ed  ottenuta  questa,  allora  si  poteva  trattare  il  detto  affare; 
tanto  più  che  la  Principessina  nepote  non  era  ancora  capace  d'acconsentire 
a  sponsali,  che  secondo  i  sacri  canoni  richiedono  l'età  d'anni  sette  compiti, 
né  potevasi  dire  che  il  talento  valeva  l'età,  poiché  questa  piuttosto  era  debole 
dell'istesso.  Queste  ragioni  insussistenti  e  pretensioni  troppo  alte  furono  ribat- 
tute con  tutto  il  rispetto  dal  Sig'"  Piccaluga;  ma  quello,  persistendo  nella 
sua  ostinazione,  non  volle  rendersi  vinto  dalla  ragione,  e  perciò  il  Sig'  Car- 
dinale Cienfuegos  stimò,  per  il  meglio,  sciogliere  il  congresso,  col  dire  al 
Sig''  Cardinale  Cybo,  che  meglio  riflettesse  al  negozio  e  poscia  risolvesse. 

Non  si  deve  occultare  una  curiosa  e  ridicola  ragione  colla  quale  si  pre- 
tendeva non  esservi  luogo  di  stabilire  li  consaputi  sponsali,  e  questa  fu, 
come  qui  sopra  s'è  accennato ,  che  il  Sig'"  Cardinale  Cybo  asserì  che  la 
Ó5 


42  2  GIOVANNI    SFORZA 


Principessa,  sua  nepote,  era  piuttosto  di  poco  talento  (come  mai  accieca  la 
propria  opinione);  e  questa  obiezione  non  aspettò  l'Em'  Cienfuegos  che  vi 
rispondesse  il  Sig"""  Piccaluga,  ma  egli  stesso  gli  rispose:  «  Come  Vostra 
lùn"  ha  mutato  in  pochi  giorni  parere,  poiché  ultimamente,  ritornato  da 
ATassa  a  Roma,  Vostra  Eni'  aveva  fatto  encomi  dello  spirito  e  assennatezza 
delle  di  lei  dilettisme  nepotine  e  specialmente  della  maggiore,  ed  ora,  in  sì 
breve  tempo,  ha  mutato  naturale  »  ;  e  cosi,  con  destrezza,  gli  fece  capire: 
oportrre  memìacfìn  esse  inenwrnìi.  Per  il  che,  vedutosi  dal  Sig""  Cardinale 
Cienfuegos  e  dal  Sig""  Piccaluga  che  Sua  Km*  s'ostinava  nella  sua  negativa, 
dopo  alcuni  giorni  questo  parti  da  Roma  e  ritornò  a  Massa,  col  solo  pen- 
timento d'esservi  andato,  e  tutto  ammirato  della  grande  ostinazione  del  por- 
]iorato.  Seppe  però,  prima  di  partire,  che  il  vSig'"  Cardinale  Cienfuegos  ebbe 
discorso  coll'Em'""  ]>ercari,  amico  di  Sua  Em",  e  dal  Lercari  gli  fu  data  poca 
speranza;  ora,  disciolto  il  trattato,  questo  Signore  ridisse  al  Cardinale  Cien- 
fuegos :  «  A^eda  Vostra  Eminenza  se  l'avevo  preveduto  ».  Di  qui  si  deduce 
che  anco  da'  suoi  stretti  amici  è  conosciuta  la  stravaganza  del  suo  umore. 
Sino  nella  prima  risposta  data  da  Sua  F.m"  alla  Ser"'"  cognata  si  dedu- 
cevano i  di  lui  moti\i  perchè  dissentiva  da  tali  sponsali,  e  tra  gli  altri  di 
non  potere  in  alcun  conto  prestare  il  consenso,  perchè  ciò  non  poteva  fare 
senza  peccare  mortalmente,  come  sarebbe  stata  rea  dello  stesso  peccato  Sua 
Altezza  e  tutti  li  di  lei  Consiglieri;  e  portava  la  sua  proposizione  col  citare 
alcuni  canoni,  che  non  erano  adattati  alla  circostanza  del  caso,  e  l'autorità 
di  alcuni  dottori,  che  letti  con  attenzione,  erano  direttamente  contrari  alla 
sua  opinione,  perchè  da  lui  o  mal  intesi,  o  non  voluti  capire.  Onesto  foglio 
necessitò  la  Reggenza  a  scrivere  in  difesa  della  propria  riputazione,  col  ri- 
spondere apertls  verhis  all'opposte  ragioni  e  farli  conoscere  che  alcune  dot- 
trine portate  da  lui  di  certi  dottori  erano  piuttosto  obiezioni  che  portavano 
alla  propria  opinione,  come  sogliono  praticare  gì'  istessi,  onde  se  avesse  con- 
tinuata la  lettura  di  quelli,  non  si  sarebbe  servito  dei  medesimi  per  fonda- 
mento della  propria  opinione;  e  ciò  che  dico  era  evidente.  Quando  dunque 
Sua  Em"  ebbe  tal  risposta,  allora  fu  che  la  controversia,  che  sin'  allora  era. 
per  modo  di  dire,  stata  civile,  la  fece  criminale,  perchè  si  vide  convinto; 
onde  s'accinse  a  rispondere  /;/  iure,  ma  poi,  meglio  pensato,  stabilì  di  scri- 
vere una  lettera  risentitissima  a  S.  A.  ed  ostensiva  ai  Signori  della  Reg- 
genza, la  più  satirica  e  offensiva  che  si  fosse  sentito  escire  da  personaggi 
di  tal  rango.  I.a  lettera  pertanto  era  un'  ingiuriosa  invettiva  contro  la  Ser'"" 
cognata  e  contro  i  di  lei  (Consiglieri,  trattando  la  Signora  di  farsi  raggirare 
e  dolendosi  che  ella  avesse  a  lui  poco  credito  e  che  troppo  credesse  a'  suoi 
Ministri  adulatori;  poscia  contro  li  Signori  Reggenti  proruppe  in  epiteti 
molto  indecenti,  che  uscissero  non  da  un  porporato,  non  da  un  sacerdote, 
ma  anco  indegni  d'un  cristiano,  chiamando  quelli  maliziosi,  adulatori,  igno- 
rantissimi, ingiusti  ed  altri  simili.  Inoltre  aspramente  riprendendo  S.  A. 
Ser'""  che  anch'essa,  per  aver  dato  mente  a  quelli,  cadeva  in  peccato  mortal- 
mente; minacciandola  che  sempre  più  avrebbe  peccato  mortalmente,  se  non 
mutava  opinione  e  se  non  obbediva  a  lui,  e  che  si  riserbava  far  conoscere 
al  mondo  tutto  i  di  lei  err(^ri  e  li  maliziosi  consigli  de'  suoi  consultori,  e  si- 
mili detti  satirici.  Per  corroborare  poi  la  sua  erronea  opinione,  spacciava  che 

6ò 


IL    PRINCIPE   EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  423 


li  suoi  sentimenti  erano  stati  approvati  da'  primi  avvocati  di  Roma,  de'  quali 
n<jn  erano  degni  quelli  della  sua  Reggenza  esserli  scolari,  e  che  parlava 
così  per  esserli  comandato  dal  proprio  decoro  e  dalla  sua  integrità.  Consideri 
il  lettore,  se  meno  il  porporato  avrebbe  scapitato,  col  tralasciare  di  scrivere 
in  simile  maniera.  Tal  lettera  però  non  ebbe  l'effetto  supposto  dal  porpo- 
rato, poiché  niente  atterri  la  Ser""*  Signora,  né  li  suoi  consultori;  anzi  in 
brevissimi  periodi  gli  rispose  che  restava  molto  meravigliata  del  di  lui  foglio, 
e  per  tre  motivi,  che  furono  ben  espressi;  ed  erano  di  tal  peso  che  forse  gli 
avrebbero  distolta  la  volontà  d'inserirgli  in  qualche  manifestf>  che  li  fosse 
saltato  il  capriccio  (come  era  solito  di  manifestare  alle  stampe,  perchè 
erano  un  potentissimo  controveleno  contro  li  motivi  del  porporato,  e  di  peso 
traboccante. 

Dopo  la  spedizione  del  detto  Piccaluga  a  Roma,  anche  il  Sig''  Cienerale 
Stampa  spedì  il  proprio  corriere  a  Vienna,  per  ragguagliare  Sua  Maestà  Ce- 
sarea e  Cattolica  e  il  Sig'  Principe  Eugenio  seniore  dello  stato  in  cui  si 
trovava  il  negozio,  cioè  del  consenso  ottenuto  dalla  Serenissima  regnante 
per  la  Ser'"»  Sig'""  Donna  Maria  Teresa,  sua  primogenita,  dell'accasamento 
col  Ser"'"  Sig"^  Principe  Eugenio  iuniore,  pronipote  degnissimo  del  detto  Sig' 
Principe,  come  anche  degli  interessi  dell'accomodamento  delle  doti  per  le 
(lue  Ecc'""  Sig""'"  Principesse  minori  ed  insomma  di  tutto  l'operato  di  questa 
Keggenza  e  principalmente  del  Sig"^  Luciani,  favorevole  alla  conclusione  di 
detto  accasamento,  siccome  ancora  delle  chimeriche  opposizioni  di  Sua  Emi- 
nenza. Il  tutto  fu  approvato  da  Sua  Maestà  Cesarea  e  dalla  bontà  del  Sig' 
Principe  Eugenio  seniore  a  favore  del  pronipote;  e  ne  passarono  lettere,  il 
primo  di  gradimento  a  quanto  s'era  fatto  in  venerazione  de'  di  lui  cenni, 
l'altro  di  somma  stima  verso  la  Serenissima  e  d'offerte  inenarrabili  alla  me- 
desima e  d'obbligazione  insieme  alla  di  lei  i^ersona.  Xon  mancò  Sua  Emi- 
nenza di  farsi  conoscere  in  questa  occasione  alla  Corte  di  Vienna,  conforme 
poco  prima  s'era  fatto  conoscere  a  quella  di   Roma  (1),  onde  sempre  più  Sua 


Mj  II  Cardinale,  per  tesiimonianza  del  Rocca,  cjuando  tornò  in  patria  «  aveva  jiortato 
seco  da  Roma  alcune  casse  di  libri  sciolti,  quali  con  somma  sollecitudine  fece  legare  in  Massa. 
In  (jnesti  si  conteneva,  sotto  simbolo  d'una  lettera  scritta  da  un  amico  od  altro  amico,  un  ma- 
nifesto, che  esso  propalava  per  ripararsi  da  alcuni  richiami  avuti  dalla  Corte  Romana;  e  tre 
erano  li  principali  e  più  importanti.  Il  primo  era  perchè  aveva  rinunziato  la  Prioria  di  Roma 
della  Sacra  Religione  di  Malta,  e  da  questo  si  salvava  nel  suddetto  libro  colla  necessità  di 
fare  tal  ressignazione,  per  esserli  tal  Prioria  più  di  danno  che  d'utile  ;  incolpando  di  ciò  la 
poca  attenzione  che  ebbe  il  già  Cardinale  Panfili,  suo  zio,  poiché  poco  attese  alla  manu- 
tenzione degli  effetti  di  detta  Prioria,  pretendendo  che  Sua  Santità  dovesse  costringere  li 
Sigri  Principi  Panfili,  suoi  cugini,  eredi  dello  zio,  a  risarcire  tutti  li  danni,  etc.  E  questa  sua 
l^retensione  fu  causa  che  detti  Panfdi  fortemente  si  sdegnassero  seco;  come  anche  che  Sua  San- 
tità levasse  certa  pensione,  che  v'aveva  posto,  di  scudi  2000  romani,  e  questo  il  Papa  non  volle 
farlo,  considerando  che  v,<.\  dignità  era  capacissima  di  tal  aggravio.  Il  secondo  era  circa  la 
sua  assenza  dalla  cu:  ia,  città  e  .Stato  Romano,  senza  la  debita  licenza  del  Sommo  Pontefice  ; 
sopra  di  che  esso  pretendeva  schermirsi  coU'inferire  certi  viglietti  di  confidenza  passati  tra 
esso  e  la  .Segreteria  di  Stato  e  coU'Em'"*'  Corsini,  nepote  di  Sua  Santità;  il  che  fortemente 
sdegnò  la  Corte  Romana  e  principalmente  i  Ministri  di  Stato.  11  terzo  poi,  che  fu  anche  il 
meno  plausibile  etiam  appresso  i  suoi  bene  affetti,  perchè  era  il  più  debole  da  sostenersi  e 
facile  a  ribattersi,  era  la  taccia  che  gli  era  data  di  prodigo  e  dissipatore  delle  proprie  sostanze, 
come  era  pubblicato  per  tale  in  quella  Corte  e  città.  E  qui  sì  che  v'era  del  curioso,  poiché 
pretendeva  di  ripararsi  col  manifestare  alle  stampe  d'avere  dissipato  scudi  romani  t  15.000; 
e  questi  gli  aveva  impiegali  non  si  sa  in  che  cosa.  Questi  erano  luoghi  di  Monti,  censi  an- 
tichissimi colle  principali  case   di    Roma,   due  feudi  cospicui,  cioè  Padula  Beneventana  ed  il 

67 


424  GIOVANNI   SFORZA 


Maestà  credè  alle  sincere  relazioni  dell' Ecc™"  Conte  Stampa;  e  ciò  seguì  nel 
ricevere  una  quanto  lunga,  altrettanto  tediosa  scrittura,  fatta  dal  Sig''  avvo- 
cato conte  Pietro  Guerra,  colla  sottoscrizione,  per  quello  che  asserirono,  di 
ventiquattro  avvocati  romani,  mal  informati  delle  leggi  imperiali  e  affatto 
ignoranti  della  pratica  di  quelli  aug^usti  tribunali. 

'Pai  scrittura  fu  da  Sua  Maestà  consegnata  al  primo  degli  avvocati  fiscali 
del  S.  K.  Impero,  e  dal  medesimo  diligentemeniò  ricon(jsciuta,  ne  ricavò  due 
soli  dubbi  in  ordine  alla  vana  pretensione  dell'investitura  che  teneva  Sua 
Eminenza,  volendo  fossero  escluse  le  nipoti  ex  f mire  per  essere  femine;  quasi 
che  si  fosse  scordato  che  la  rinunzia  del  feudo  e  fedecommesso  fatta  da  lui 
in  favore  del  già  Sig''  Duca  Alderano,  non  fosse  seguita  a  favore  delli  figli 
legittimi  e  naturali  del  Sig'"  Duca  maschi,  e  in  difetto  di  ([uesti,  ancora  delle 
figlie  femine;  e  di  tal  rinunzia  n'era  ancora  fatta  menzione  nella  stessa  in- 
vestitura del  prodetto  Sig''  Duca,  e  perciò  fu  facilissimo  al  Sig'  Presidente 
Giuseppe  Ambrogio  Brunetti,  procuratore  delle  pupillo  suddette,  rispondere 
a'  detti  dubbi;  qual  dotta  risposta  fu  sommamente  stimata  in  quelli  augusti 
tribunali.  Laonde,  poco  dopo,  n'uscì  decreto  favorevole  in  tutto  alla  Duches- 
sina ed  esclusivo  in  tutto  al  Sig""  Cardinale  dalla  sua  pretensione;  e  di  più 
detto  decreto  liberava  la  Camera  Ser'""  dall'appannaggio  da  detto  porporato 
preteso  di  400  scudi  romani  annui,  come  si  disse,  da  lui  voluti.  E  così,  come 
si  suol  dire,  il  tordo  restò  preso  a  quel  vischio  che  s'ora  fabbricato,  ed  il 
cane  di  Esopo,  per  correre  presso  l'ombra  della  carne,  che  teneva  in  bocca, 
perde  questa  ancora.  Ricevè  dunque  Sua  Eminenza  per  risposta  dall'  Impe- 
ratore una  lettera  assai  risentita,  ed  in  poche  righe  che  gli  scrisse  lo  trattò 


Ducato  di  Ferentino  ;  e  pretendeva  scusare  la  sua  dissipazione  col  lappresenlaie  che  era  stato 
coortato  dalla  necessità  di  mantenersi  da  I'rincif)e  suo  pari  alla  Corte  Romana,  e  che  ciò  non 
ostante  aveva  rimpiazzati  detti  feudi  e  fedeconimessi  colla  compra  della  sua  villa  e  casino  di 
Castel  (iandollo.  Tal  scarico  poco  li  giovava,  essendo  che  era  chiaro  e  manifesto  che  sebbene 
era  semplice  [)relalo,  aveva  tante  rendite  proprie  e  della  Chiesa,  che  erano  \>\i\  che  suftì- 
cienti  a  mantenerlo  da  suo  pari  ;  e  che  poscia,  fatto  cardinale,  aveva  tanto  clie  li  bastava  ; 
e  non  li  sarel^be  stato  necessario  indebitarsi,  tjuando  ebbe  il  capi)ello,  se  fosse  stato  un  poco 
più  economo  nel  tempo  che  era  prelato;  onde,  se  gli  erano  diminuite  l'entrate,  la  colpa  era 
tutta  sua:  né  doveva  alienare  i  feudi  ed  altri  capitali  commessi  alla  di  lui  fede,  e  cosi  non 
si  sarebbe  trovato  nella  necessità  allegata.  .Appena  si  divulgò  il  detto  manifesto,  delle  cui 
copie  si  riempi  li  Stati  di  Massa  e  di  Carrara,  si  sentì  un  biasimo  tpiasi  universale,  pel  mo- 
tivo che  molto  gli  avrebbe  pregiudicato  appresso  il  Sommo  Pontelìce  ed  al  Sacro  Collegio, 
parlando  con  tro|)pa  libertà  e  divulgandolo  in  stampa,  come  veramente  successe.  Imperocché 
fu  letto  detto  libro  alla  presenza  di  Sua  Santità  e  molto  s'attristò  osservando  in  tpiello  una 
satira  contro  di  lui  e  delli  suoi  intimi  ministri  ed  ancora  congiunti.  Il  Santo  Padre  adunque 
nell'ascoltarlo,  dopo  avere  alquanto  taciuto  e  mandati  alcuni  sospiri  dall'intimo  del  cuore, 
prorruppe  in  (piesta  voce  :  Oh  qiiesH  sono  sacerdoti  !  Oh  qii  sti  sono  cardinii/i  nostri  fiafrìli  I 
Dal  che  fu  dedotto  il  disgusto  che  n'ebbe  Sua  Santità  e  il  biasimo  che  ne  ricavò  dagli  astanti 
e  il  discredito  appresso  tutti  quelli  che  l'hanno  saimto.  .Ap|)ena  si  divulgava  il  libro,  che  da 
una  dotta  penna  si  tesseva  la  risposta,  con  una  idea  ben  curiosa,  ed  era  una  invettiva  contro 
l'autore  del  suddetto  libro,  per  avere  in  quello  pubblicato  molte  cose  sconvenienti  al  .Sig*^"  Car- 
dinale Cybo  e  di  pochissimo  suo  credito;  ed  avvertiva  l'autore  del  suddetto  manifesto  fatto 
a  favore  di  Sua  Fminenza,  a  stare  celato,  acciò  egli  non  potesse  essere  conosciuto  dal  detto 
porporato,  essendo  che  meriterebbe  una  giusta  persecuzione  fino  alle  ceneri,  come  propalatore 
di  cose  tropjio  pregiudiziali  alla  reputazione  e  somma  spacciata  integrità  del  medesimo  fino 
a  tacciarlo  ci'ignorante  e  di  somma  imprudenza.  Una  di  queste  lisposte  \\\  inviata  al  sud- 
detto Signore,  per  il  che  grandemente  s'attristò,  e  principalmente  per  esservi  non  so  che  di 
danno  alla  sua  nobiltà  :  e  non  si  rinveniva  autore  accreditato  che  asserisse  il  contrario.  Questo 
dimcpif  fu  il  vantaggio  che  riportò  dal  suo  famoso  libro,  oltre  al  discredito  che  s'acqui.stò 
nella  Corte  di   Roma  ». 

68 


IL   PRINCIPE   EUGENIO    FRANCESCO   DI   SAVOIA  425 


da  debole  ed  anco  con  epiteti  più  piccanti,  e  trattò  il  di  lui  avvocato  conte 
(xuerra  da  ignoraiìte.  La  spedizione  di  questa  risposta  di  S.  M.  al  Sig'^  Car- 
dinale fu  trattenuta  per  alcuni  giorni,  per  dar  tempo  al  corriere  del  vSig. 
Conte  Stampa  giungesse  in  Massa  prima  che  Sua  Eminenza  avesse  nelle  mani 
detta  risposta. 

Ritornato  il  corriere  a  Massa  circa  li  27  maggio,  portò  le  suddette  ri- 
sposte firmate  da  S.  M.  Cesarea  e  quelle  del  Ser"'"  Sig""  Principe  Eugenio 
di  Savoia,  con  pienissima  soddisfazione,  poiché  erano,  come  si  disse,  di  tutta 
stima  ed  il  vSig""  Principe  la  trattava  col  titolo  d'Altezza  Serenissima.  Pari- 
mente il  Sig''  Principe  rispose  al  Sig""  Auditore  Luciani  una  cortesissima  lettera, 
nella  quale  si  protestava  obbligato  al  medesimo,  riconoscendolo  per  causa  prin- 
cipale della  riuscita  di  questo  trattato,  e  gli  dava  il  titolo  d'Illustrissimo;  qual 
lettera  il  medesimo  comunicò  alla  Ser™"  Padrona  ed  al  Sig""  Conte  Stampa,  dal 
quale  l'aveva  ricevuta,  e  ad  alcuni  suoi  parziali  amici,  quali  sommamente  go- 
derono della  buona  grazia  che  s'era  acquistato  appresso  S.  M.  Cesarea  e 
Ser"'"  Principe  Eugenio.  Il  contento  della  Ser*"''  fu  indicibile,  siccome  ancora 
de'  suoi  fedelissimi  sudditi,  né  più  temè  li  rimproveri  ingiuriosi  e  le  mi- 
nacele a  credenza  di  chi  doveva  con  tutta  giustizia  e  prudenza  condescen- 
dere  ad  un  accasamento,  che  portava  tanto  vantaggio  alla  sua  Casa,  ed  egli 
medesimo  ne  averebbe  ancora  goduto,  conforme  asserì  il  Sig""  Conte  Stampa; 
ma  la  sua  ostinazione  gli  fece  perdere  la  buona  grazia  dell'Imperatore  e  di 
tutta  l'Augustissima  Casa;  siccome  nell'anno  scorso  gli  aveva  fatto  perdere 
il  buon  credito  appresso  Sua  Santità  e  appresso  a  quasi  tutto  il  Sacro  Col- 
legio. Forse  però  un  giorno,  col  riflettere  alle  sue  disgrazie,  si  pentirà, 
benché  tardi,  de'  suoi  capricci.  Con  tutto  ciò,  i  poco  ben  affetti  alla  Sig'"''  Du- 
chessa ed  a'  suoi  Ministri  e  principalmente  al  Sig'^  Auditore  Luciani  disse- 
minavano per  la  città  molte  ciance,  ed  in  particolare  dicevano  che  Sua  Emi- 
nenza ritornava  ben  presto  a  Massa.  Da  qualche  plebeo  era  creduto  ciò;  ma 
ben  presto  ancor  questi  mutarono  sentimento,  poiché  svanì  la  concepita 
speranza  al  comparire  che  fece  in  Massa  il  suo  Ferdinando,  che  venne  nel 
proprio  carrozzino  cardinalizio,  accompagnato  da  un  lacchè  di  Sua  Eminenza, 
con  alcune  commissioni,  che  qui  sotto  leggeremo. 

Frattanto  il  Sig"^  Conte  Stampa,  avendo  terminata  la  sua  commissione, 
si  preparava  al  ritorno.  Non  si  può  esprimere  quanta  tristezza  portasse  alli 
fedelissimi  sudditi  la  partenza  d'un  tal  personaggio;  ed  in  vero  questo 
Ecc™"  Generale  possiede  qualità  adorabili,  è  affabile  con  tutti,  di  sommo  ri- 
spetto alla  Ser"'*  Signora,  riverente  agli  ecclesiastici,  devotissimo  nelle  chiese, 
grande  elemosiniere  dei  poveri,  e  per  concludere  in  poche  parole,  degno  pro- 
nipote del  grande  arcivescovo  di  Milano,  il  glorioso  porporato  S.  Carlo  Bor- 
romeo. Ancor  esso  si  partiva  addolorato,  sommamente  dispiacendoli  il  la- 
sciare questa  città  ed  in  particolare  la  Ser'""  Signora,  che  lo  riconosceva 
come  loro  stretto  congiunto,  non  mancando  esso  Signore  di  dimostrarle  ogni 
stima  ed  affetto.  Il  suo  ministero  però  non  gli  permetteva  il  farvi  più 
lunga  dimora.  Finalmente  la  mattina  delli  11  giugno  parti  da  Massa,  accom- 
pagnato fino  all'imbarco,  che  fece  alla  spiaggia  di  Massa,  da  molti  gentiluo- 
mini ed  altri  cittadini  di  Massa;  ed  al  palazzo  della  Ser*"*  v'era  una  gran 
moltitudine  di  popolo,  tanto  d  ecclesiastici,  quanto  secolari;  con  più  singhiozzi, 
ég 

54  —  Mise,  S.  III.  T.  XIII. 


426  GIOVANNI   SFORZA 


che  con  parole,  facevano  i  loro  complimenti,  ed  esso  a  tutti  corrispondeva 
con  gran  tenerezza,  e  per  strada,  se  incontrava  qualche  persona  civile,  s'al- 
zava sino  dal  cocchio,  per  renderli  il  saluto.  E  per  concluderla,  ha  legato  il 
cuore  di  tutti,  né  mai  si  scorderanno  delle  di  lui  ottime  qualità.  S'imbarccS 
sopra  una  feluca,  incaminandosi  verso  (renova,  per  poscia  di  lì  andare  a 
Milano.  Per  mare  patì  un  poco  di  burrasca  la  sera  degli  ii,  verso  Portofino; 
ma  alla  fine  giunse  felicemente  in  (ienova  l;i  mattina  ilei  Carpiis  Doiihiìi, 
12  giugno. 

In  detta  mattina  la  nostra  Ser'"''  Padrona  xolse  intervenire  alla  solenne  pr(ì- 
cessione  del  vSS'"^  Corpus  Doìniìii,  con  somma  edificazione  di  tutto  lo  Stato  e 
dei  forestieri  che  erano  venuti  a  detta  sacra  funzione.  Ella  porta\a  in  una 
delle  mani  un  grosso  cero  acceso  e  nell'altra  la  sua  corona,  nr  mai  alzava 
gli  occhi,  né  vagava  in  alcuna  parte,  ma  stette  sempre  fìssa  verso  il  Sacra- 
mento; intervenne  similmente  ai  divini  offici  per  tutta  l'ottava,  e  non  partiva 
dalla  tribuna  se  non  data  la  benedizione  del  Venerabile  dal  (Hlebrante.  Pa- 
rimente nella  sera  dell'ottava  intervenne  alla  processione  ed  osservò  ristesse 
come  fece  la  mattina  della  sopradetta  solennità.  Il  paese  aveva  occasione  di 
rallegrarsi  dell'intervento  della  suddetta  Ser'"",  poiché  si  conosceva  che  ella 
voleva  in  tutto  e  per  tutto  osservare  ]<ì  stilo  do'  Princìpi  della  famiglia  Cyb»), 
quali  erano  ossequiosissimi  al  SS'"*'  Sacramento  ;  anzi  in  occasione  che  si  fece 
altra  processione  per  impetrare  da  Nostro  Signore  la  grazia  di  preservare  gli 
animali  dello  Stato  dal  morbo,  che  pur  troppo  assaliva  quelle  povere  bestie,  ed 
era  indirizzata  alla  B,  Vergine  della  Misericordia,  ove.  in  concorso  infinito 
di  popolo,  anch'olla  v'intervenne,  ed  ancora  vi  andò  con  somma  divozione, 
sempre  recitando  il  SS'""  Rosario.  Oh  se  avessi  da  narrare  le  pie  devcjzionì 
di  questa  Signora,  certamente  vi  vorrebbe  un  gran  volume;  a  noi  basta 
d'  avere  dato  qualche  piccolo  saggio  acciò  che  ì  posteri  la  possano  sempre 
benedire,  e  riconoscere  lì  loro  x'antag'gi  dalla  dì  lei  somma  integrità  e  bontà. 

Non  per  anco  Ferdinando  Pasqualini,  inviato  con  commissioni  dal  Sig"" 
Cardinale,  s'era  partito  da  ^Tassa;  e  troppo  defrauderei  il  lettore  se  non  nar- 
rassi il  fine  per  cui  il  medesimo  era  venuto,  (^  fu  di  ihiedere  e  ottenere 
dalla  Padrona  Ser"'*  segreta  udienza  e  consegnarlo  una  lettera  credenzìaU' 
dì  Sua  Eminenza,  nella  quale  s'esprimeva  che  esso  Signore  non  pensava  più 
di  ritornare  a  ÌNIassa,  e  perciò  aveva  mandato  il  suo  scalco  Sig'  Ferdinando 
])er  raccogliere  le  sue  robbe  che  sì  ritrovavano  in  palazzo  e  ricondurle  a 
Roma.  Il  commissionato,  che  forse  aspettava  sentirsi  dire  dalla  Signora  che 
sentiva  molto  dispiacere  dalla  risoluzione  di  vSua  Eminenza,  come  del  sommo 
pregiudizio  alla  Casa,  o  altro  simile  complimento,  restò  qual  statua  «piando 
con  brevi  parole  sentissi  rispondere  che  servisse  pure  al  Sig^  Cardinale  con 
diligenza,  ed  occorrendoli  qualche  cosa  per  sollecitare  la  spedizione  si  facesse 
intendere,  poiché  ella  avrebbe  ordinato  che  in  tutto  fosse  incontrato  il  genio 
del  Sig"'  suo  cognato.  Appena  ch'ebbe  sentita  la  laconica  risposta,  l'igno- 
rante incivile  incominciò  con  impertinenza  a  dare  il  sacco  all'appartamento, 
col  levar  via  sino  i  chiodi  dalle  muraglie  e  guastare  questo  per  levare  certe 
mostre  de'  credenzoni,  fatte  di  legnami  di  pioppo,  e  commettere  molte  altre 
azioni,  adeguate  ad  un  suo  pari,  assistito  del  braccio  del  proprio  padrone. 
Fra  tanto  la  Sig'"  Duchessa  penetrò  che  questo    soggetto    aveva   ordine  dal 


IL   PRINCIPE   EUGENIO   FRANCESCO    Di   SAVOIA  427 


porporato  di  ripigliare  quelli  pochi  argenti,  che  egli  aveva  concesso  per  uso 
tlella  cognata  e  nipoti,  in  peso  di  libbre  trentasei  incirca;  e  per  ciò,  fattolo 
chiamare  gli  disse:  Che  commissione  tenete  in  ordine  agli  argenti,  che  si  ri- 
trovano appresso  al  mio  Maestro  di  casa,  concessimi  dal  Sig'  Cardinale?  A 
cui  francamente  rispose  che  apptmto  aveva  portato  seco  l'ordine  di  Sua 
Eminenza  di  riceverli  dal  Maestro  di  casa,  a  cui  ancora  averebbe  consegnato 
il  recapito  che  aveva  seco  portato,  contenente  la  ricevuta  de'  detti  argenti. 
E  ciò  sentitosi  da  S.  A.  Ser'"'',  di  subito  questa  ordinò  che  puntualmente  fos- 
sero consegnati  allo  stesso.  Questa  pessima  azione  non  solo  fu  biasimata 
dalli  sudditi  fedeli  di  S.  A.  Ser""',  ma  ancora  dalli  stessi  ben  affetti  al  por- 
porato; tanto  più  perchè  sapevasi  da  tutti  che  la  Sig"  Duchessa  avevagli  clo- 
nato due  bellissimi  quadri  de'  suoi  propri  di  Xovellara,  stimati  cinquanta 
doppie  per  ciascheduno  ;  e  si  poteva  dire  che  superassero  il  prezzo  delle 
miserabili  argenterie  di  cui  aveva  conceduto  1'  uso  alle  dette  Signore. 

Le  Sig'"''  Principesse  monache  (i)  con  molte  altre  di  quelle  religiose  festeg- 
giavano di  quella  Isella  \endetta,  perchè  supponevano  che  questo  spoglio 
d'argenterie  dovesse  atterrire  la  cognata  e  coortarla  d'umiliarsi  al  Sig'  Car- 
dinale, e  forse  anche,  per  non  perdere  la  sua  assistenza,  a  mancar  di  parola 
a  S.  M.  Cesarea  e  Cattolica  ed  al  Ser™"  Principe  Eugenio.  Ma  quanto  s'inganna 
il  sesso  fragile!  Imperciocché  già  S.  A.  era  provveduta  dell' argenteria  della 
madre,  morta  sino  li  18  marzo  prossimo  passato,  di  triplicato  peso  a  quella 
che  ritolse  Sua  Eminenza.  Inoltre  dovevano  le  buone  religiose  riflettere  che 
forse  verrà  il  tempo  che  converrà  al  Sig'  Cardinale  dar  conto  della  terza 
parte  dell'argenteria,  che  ritenne,  del  già  Sig'  Cardinale  Alderano  e  di  Mon- 
signor Patriarca  Odoardo  (2),  lasciata    in    fi  decommesso    al   Principe  succes- 


(r)  Carlo  11  Cybo,  oltre  Alberico  III,  il  cardinale  Camillo  e  Alderano,  ebbe  anche 
cinque  figliuole,  delle  (juali  .Maria  Maddalena  Brigida  visse  dal  13  novembre  1677  al  19  luglio 
del  1678.  Le  altre  furono:  Fulvia  Maria  Teresa,  nata  il  26  settembre  1675;  Olimpia,  nata 
rs  ottobre  1676;  Fulvia  Maria  Maddalena,  nata  l'S  giugno  1679  e  Maria  Maddalena  Ric- 
ciarda,  nata  il  15  febbraio  16S3,  che  si  fecero  monache  nel  monastero  di  S.  Chiara  di  Massa, 
pigliando  i  nomi  di  Teresa  Camilla,  di  Fulvia  Caterina,  di  Teresa  Maddalena  e  di  Teresa 
Vittoria.  Il  padre  così  le  ricorda  nel  testamento  :  «  Lascio,  per  ragion  di  legato,  alle  quattro 
mie  carissime  figlie  monache  iu  S.  Chiara  di  Massa,  oltre  all'assegnamento  che  tengono, 
fattoli  da  me,  altri  scudi  quaranta  moneta  di  Massa  per  ciascheduna,  da  pagarseli  dal  mio 
erede  annualmente  in  due  rate,  una  a  Natale  e  l'altra  a  Pascpia  di  Resurrezione;  e  nel  caso 
morisse  una  o  più  di  esse,  intendo  e  voglio  che  l'entrata  delli  detti  quaranta  scudi,  che 
teneva  o  tenevano,  resti  a  benefizio  e  da  repartirsi  egualmente  tra  (pielle  che  sopravviveranno, 
e  lo  stesso  debba  seguire  fino  all'ultima  di  loro,  la  quale  dovrà  avere  tutta  l'entrata,  come  se 
appunto  fosse  erede  delle  sorelle  premorte;  e  doppo  la  morte  di  tutte  quattro  le  suddette 
mie  figlie,  voglio  che  cessi  intieramente  detta  annua  prestazione  ». 

Fulvia  Caterina  morì  nel  maggio  del  1735.  «  Detta  .Signora  »  (scrive  il  Rocca)  «  fu  una 
dama  di  ottimi  costumi,  pia,  prudente,  caritativa  e  di  gran  talento,  e  sopra  il  tutto  molto 
affezionata  al  monastero  suo,  avendone  sempre  procurato  ogni  vantaggio:  e  per  utile  maggiore 
del  medesimo  softerì  l'incomodo  di  servire  al  medesimo  in  qualità  di  camerlenga,  ofìicio  di 
grandissimo  disturbo;  e  pure  li  riusci  mirabilmente,  col  soddisfare  a  tutte  le  religiose  ed 
avere  compassione  alli  poveri  debitori  dello  stesso  monastero.  Ebbe  pensiero  di  intraprendere 
una  fabbrica  molto  necessaria  al  monastero  stesso,  di  spesa  gravissima:  e  già  aveva  prepa- 
rati molti  materiali,  ma  fu  prevenuta  dalla  morte  e  lasciò  la  gloria  alle  sorelle  che  effettuassero 
quello  che  essa  aveva  ideato  ». 

(2)  Odoardo,  fratello  del  cardinale  Alderano  Cybo,  venne  al  mondo  il  6  decembre  del  1619. 
Né  anche  a  lui  mancarono  le  cariche  e  gli  onori,  es.sendo  stato  arcivescovo  di  .Seleucia,  nunzio 
apostolico  presso  la  Repubblica  Elvetica,  segretario  della  congregazione  de  Propai^anda  Fide 
e  patriarca  di  Costantinopoli. 


428  GIOVANNI   SFORZA 


sore  nel  Ducato  di  Massa  e   Principato  di  Carrara,  oltre  ad   una   gran  parte 
che    levò  dalla  guardarobba   ducale    sino   dall'anno   1716  e   seco   la   portò  a 
Roma;  né  puole  liberarlo  una  certa  quietanza,  estorta  dall' inavvedutezza  del 
già  Sig*"  Duca  Alderano,  imperocché  questa  non  poteva  giovare  al  Si gr  Car- 
dinale se  non   vivente  lui,  né  poteva  pregiudicare  a'  suoi  legittimi  successori 
nel  Ducato.  Siccome  ancora  gli  averebbero  fatto  inghiottire  amari  bocconi  per 
avere  alienati  li  feudi  di  Padula  Beneventana  e  del  Ducato  di  Ferentino  nello 
Stato  Ecclesiastico  (i),    per   non    avere  osservato  le  condizioni    prescrittegli 
da'  supremi  patroni,  cioè  di  rinvestire  in  tanti  luoghi  di  Monti  il  ritratto  di 
detti  feudi,  cioè  che  detti  luoghi  rendessero  al  regnante  tanta  entrata  quanta 
ricavava  da'  medesimi.   E    pure  tutto    il   contante   ricavato  fu    dissipato  con 
somma  prodigalità  in  spese  ca])riccioi>e  e  di    niente  vantaggio,  non   avendo 
dato  al  fratello   Duca,  allora  vivente,  né  pure  un  soldo;  e  per  ciò  di  questo 
non  tiene  alcuna  quietanza  dal  medesimo;  onde  per  questa  tenacità  lo  soleva 
intitolare:  Mio  fratello  è  un  gran  ciine,  come  più    volte  s'espresse  colle   so- 
relle monache  e  alcuni  altri  confidenti;  né  investiti  in  sodisfare  creditori  dello 
stesso,  come  gli  aveva  significato,  quando  li  ricercò  il  consenso  di  fare  dette 
alienazioni.  Di  più,  alienò  molti  fidecommessi,  consistenti  in  luoghi  di  Monti 
di  Roma  e  capitali  di  censi  grossissimi  con  famiglie  principali  di  detta  città; 
né  tampoco  di  questi  ne  aveva    speso    anche    in    minima  parte   in   beneficio 
della  Casa,  ma  tutti  distrutti  in  frascherie,  come  si  deduce  chiaramente  dalla 
di  lui  confessione,  espressa  nel  suo  manifesto,  asserendo  ascendere  la  somma 
di  dette  vendite  a   1 15.000  scudi,  moneta  romana;  che  non  lo  doveva  già  ma- 
nifestare in  detta  scrittura  per  proprio  decoro;  mentre  di  ([ualsic.si  altro  suo 
pari  si  recherebbe  somma  confusione  che  si  pubblicasse  tal  precipizio;  mag- 
giore assai  di  quello  aveva  fatto  il  Duca  fratello;  poiché  quello  era  solo,  con 
ricca  entrata  de'  beni  camerali  e  d'altre  entrate   ecclesiastiche,  e  questo  era 
in  famiglia  e  teneva  molta  servitù,  più  che  da  suo  pari;  e  sostituito  in  luogo 
de'  feudi  venduti  e    de'  fidecommessi,    se    non    la  miserabile  villa    di    Castel 
(Landolfo,  che  dando  pochissimo  introito,    fa   sopportare  al   medesimo  spese 
intollerabili.  Questa  è  quella  villa  di  piccolo  recinto,  per  adornare  la   quale 
fece  levare  le  bellissime  statue    di    marmo  ed  altri    vaghissimi   lavori    della 
stessa  materia  dalla  villa  di  Sopra  la  Rocca  e  dalla   Rinchiostra;    e  se  non 
era  il  presidio  alemanno,  che  guarda   il    Palazzo,    aveva  tentato   levare   nel 
proprio  Palazzo  Ducale  le  statue,  per  trasportarle  a  questa  sua   gran  villa; 
e  ciò  seguì  verso  l'anno  17 19.  E  pure,  anche  alla  giornata,  le  più   cospicue 
non  sono  in  opera,  e  solo  vi  sono  fra  le  siepi  di  lauro  le  figure  più  triviali, 
a  segno  che  è  chiamata  la  villa  de'  puppattoli  comunemente  da  tutti. 

Frattanto  Ferdinando  era  continuamente  regalato  dalle  Sig"^*"  Principesse 
monache;  ma  però  erano  gratificate  da  lui,  mandandoli  tutte   le   robe  man- 


ti) Il  feudo  di  Ferentino,  vicino  a  Terni,  nell'Umbria,  fu  comprato  da  Francesco  Cybo, 
e  n'ebbe  l'investitura  da  Leone  X  il  17  deceinbre  1517.  Eretto  in  ducato  da  papa  Pio  \ 
il  23  luglio  1619,  fu  venduto  dal  cardinale  Camillo  Cybo  alla  famiglia  Benedetti  nel  1729,  per 
la  somma  di  16500  scudi  romani.  11  feudo  di  Padula  Beneventana  fu  comprato  da  Alberico  1 
nel  1609.  Glielo  vendette  Cornelia  Spinelli  Contessa  di  Martorano,  per  la  somma  di  52,000 
ducati;  e  per  ugual  somma  fu  ceduto  dal  cardinale  Camillo  a  Baldassare  Coscia. 


IL   PRINCIPE   EUGENIO   EKANCESCO   DI   SAVOIA  429 


e;"iative  ed  altri  utensili  che  aveva  risoluto  non  portare  a  Roma,  Del  resto, 
vendè  anche  molti  utensili  di  poco  rilievo  ;  altri  ne  donò  a  gente  plebea,  di- 
pendente da  lui,  ovvero  dalle  Sig''**  Alonache.  Xel  tempo  che  questo  superbo 
ignorante  si  trattenne  in  Massa  in  eseguire  questa  bella  commissione,  non  si 
vergognò  di  biasimare  la  città  e  soprattutto  detrarre  de'  Ministri  ed  in  specie 
del  Sig''  Auditore  Luciani  e  degli  altri  più  confidenti  della  Ser"^*  Padrona. 
Ma  le  sue  maldicenze  non  ebbero  niente  di  credito,  anzi  non  fu  guardato  in 
cera  da  alcun  galantuomo,  a  riserva  del  Sig.  Cav.  (Giovanni  Ceccopieri.  già 
Maestro  di  Camera  del  Sig'"  Cardinale,  e  dal  Sig^  D.  (rio.  Battista  Giorgieri, 
poiché  questo  fu  lasciato  suo  agente  dal  Sig"^  Cardinale  qui  in  Massa  in  or- 
dine a  somministrare  il  bisognevole  a'  servitori  ivi  lasciati  ed  ogni  mese 
pagarli  il  salario;  benché  si  diceva  che  sino  allora  non  per  anco  era  stato 
rimborsato  d'alcun  denaro,  e  che  sperasse  dal  ritratto  delle  robbe  vendute 
dovere  ricuperare  il  suo  avere.  Anzi,  che  detto  Ferdinando  si  fece  inten- 
dere ne'  luoghi  vicini  che  averebbe  venduto  la  feluca  di  Sua  Eminenza,  che 
teneva  in  marina  nel  convento  de'  PP.  Serviti,  e  ciò  per  fare  denari.  Xon 
si  seppe  poi  se  veramente  il  (xiorgieri  ottenesse  cosa  alcuna,  non  com- 
piendo al  medesimo  palesarlo,  per  suo  meglio. 


73 


430  GIOVANNI    SFORZA 


CAPITOLO   li. 


\'ienc-  un  Inviato  di  S.  M.  di  Sardei^na.  —  Fa  tlonianda  della  Duchessina  per  il  Sig'  Prin- 
cipe Eugenio,  e  con  che  ordini.  Gran  rispetto  di  detto  Inviato.  — Accoglimenti  vicen- 
devoli. —  Comparsa,  delle  tre  Principesse.  —  Cerimonie  colla  novella  sposa.  —  L'Inviato 
fa  alcune  visite.  —  E  esortato  andare  alle  Monache,  e  sua  risposta.  —  Replica  dell'av- 
viso, e  sua  risoluzione.  —  \'a  dal  Luciani,  e  suoi  colloqui.  —  Non  piace  a  S.  A.  la  com- 
parsa del  cav.  Ceccopieri.  —  L'Inviato  visita  il  Colonnello.  —  Va  alle  Monache,  e  ciò 
che  segue.  —  La  sera  ritorna  dalla  .Ser'"".  —  Va  a  Carrara  e  molto  vi  gode.  —  .Si  licenzia 
dalla  Ser'"'".  —  Ritorna  a  Torino.  -  Lascia  grosse  mancie,  siccome  aveva  fatto  il  Gene- 
rale Stampa.  —  Venne  ancora  altro  personaggio  per  inchinare  S.  A.  —  Ottime  qualità 
del  Ser"'"  sposo  per  ricchezze,  nobiltà  e  virtù.  Gran  contento  della  .Sig'"  Duchessa  e 
de'  sudditi  di  Massa. 


Dalla  parte  di  (jenova  giunse  all'Osteria  «Iella  Posta,  la  nìattina  delli 
25  giugno,  l'Ili."'"  Sig.'  Cav.  Briandani  (i),  scudiere  principale  di  S.  M.  di 
Sardegna,  inviato  a  questa  .Ser."'"  .Signora  dalla  suddetta  ÌVIaestà,  per  fare  la 
pubblica  domanda  alla  detta  .Signora  della  .Ser.'"*  Sig.'"  Donna  Maria  Teresa 
in  sposa  del  prenominato  .Ser."'"  Principe  Eugenio  PVancesco  di  .Savoia  e 
(onte  di  .Soissons.  Questo  Inviato  era  accompagnato  da  un  solo  cameriere 
e  da  uno  staffiere,  li  ricevimento  del  detto  personaggio  segui  nella  seguente 
torma:  arrivato  questo  Signore  all'Osteria,  immediatamente,  per  parte  di 
(iiuseppe  (."eli,  Maestro  della  Posta,  spedì  al  Sig.'  Auditore  Luciani  un  vi- 
glietto  sigillato,  da  consegnarlo  in  propria  mano.  Detto  viglietto  conteneva 
la  partecipazione  del  suo  arrivo  all'Osteria  e  che  là  desiderava  i  suoi  ordini. 
Il  Sig.'  Auditore  suddetto,  colto  all'improvviso,  avvertì  detto  Celi  che  dicesse 
al  Sig.'  Cavaliere  inviato,  che  essendo  ancora  a  dormire  il  Sig.'  Luciani 
aveva  lasciato  il  viglietto  al  servitore,  il  quale  subitamente  era  andato  per 
svegliare  il  medesimo.  11  Sig.'  Luciani  si  servi  di  questo  poco  di  tempo  per 
avvisare  la  Sig."^"  Duchessa  della  venuta  suddetta,  acciò  potesse  prepararsi 
a  fare  il  ricevimento  del  dett<ì  Sig.'  Inviato.  Poscia  il  Sig.'  Auditore  si  portò 
in  carrozza  all'Osteria,  accompagnato  dal  suo  solo  servitore,  per  fare  il  primo 
abboccamento  col  suddetto  Inviato.  Furono  inesplicabili  le  cortesie  che  usò 
il  Sig"^  C^avaliere  sopradetto  verso  il  Sig.'  Conte  Luciani,  gli  significò  il  motivo 


(i)  Non  Briandani  ,  come  erroneamente  scrive  il   Rocca,  ma   Biandtìt. 


IL    PRINCIPE   EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAV'ilA  431 


per  cui  era  venuto  e  pregollo  volersi  ingerire  appresso  la  Ser.'""  Sig"  Duchessa 
di  farlo  ammettere  alla  di  lei  udienza;  e  poscia,  dopo  molti  altri  compli- 
menti, il  Luciani  si  licenziò  per  andare  dalla  Ser"'"  Padrona,  ed  il  Cavaliere, 
in  tutte  le  forme,  benché  il  Luciani  ostasse,  volse  accompagnarlo  sino  terminate 
le  scale  di  detta  Osteria.  Ritornò  dunque  il  .Sig.'  Auditore  Luciani  in  Palazzo, 
ed  espose  quel  tanto  che  gli  era  stato  espresso  dal  suddetto  Inviato  alla  Pa- 
drona; onde,  preparata  che  fu  la  medesima,  comandò  che  andassero  a  le\arl(» 
dall'Osteria  con  due  carrozze.  Nella  prima  v'era  il  vSig'  Auditore  Luciani,  il 
vSig'  Cav.  (xiovanni  Ceccopieri,  che  solo  compariva  vestito  di  colore,  e  il  Sig' 
(rio.  P>attista  Manetti,  in  qualità  di  gentiluomini;  e  l'altra  carrozza  era  vuota, 
figurante  la  carrozza  del  primo  Ministro,  (jli  accoglimenti  furono  cordialissimi, 
tanto  dell'Inviato  verso  li  suddetti  .Signori,  quanto  di  questi  ver.so  di  quello;  e 
così  entrarono  in  carrozza  e  vennero  al  Palazzo  I])ucale.  Alla  porta  di  (juesto 
erano  schierate  le  truppe  tedesche,  e  riceverono  l'ambasciatore  suddetto  a 
tamburo  battente.  Inoltre  vi  concorse  un  numerosissimo  corteggio  di  persone 
cospicue  della  città,  e  moltissimo  numero  di  cittadini,  che  vennero  in  piazza 
per  vedere  questo  personaggio.  Salì  le  scale  ed  ivi  trovò  la  Compagnia 
de'Rossi  armata,  in  guardia  delle  Ser""'  .Signore;  poscia  entrò  nell'antica- 
mera, che  era  ancora  ripiena  di  gentiluomini,  vestiti  a  lutto,  che  stavano 
come  di  corteggio  alla  propria  Padrona.  Lì  fu  incontrato  dalla  .Ser'""  e  da 
essa  fu  condotto  alla  camera  dell'udienza.  Si  può  dire  che  riuscissero  ine- 
splicabili le  cerimonie  quali  passarono  tra  S.  Altezza  e  detto  Caxaliere,  con 
contento  reciproco.  Fra  tanto  comparvero  la  .Ser"'^  Duchessa  Maria  Teresa 
e  l'Ecc™*"  due  sorelle,  accompagnate  dalla  Sig"  Teresa  Beggio.  prima  dama 
d'onore.  Queste  tre  dame  parevano  tre  angioli,  tanto  erano  di  bell'aspetto  e 
così  ben  accomodate,  quantunque  vestite  a  lutto.  Il  Cavaliere  fece  loro  rive- 
renza e  dimostrò  stupore  d'avere  ritrovato  la  Ser""  primogenita  piìi  grande 
di  quello  aveva  supposto.  Fece  con  questa  il  suo  distinto  complimento,  e 
dalla  medesima  fugli  risposto  con  gran  proprietà  ed  assennatezza,  col  ren- 
dere grazie  alla  Maestà  del  Re  di  Sardegna,  e  ringraziando  col  più  vivo 
del  cuore  il  Ser""*  Sig'  Principe  Eugenio,  suo  futuro  sposo,  dell'obbliganti 
maniere  che  le  erano  state  espresse  dal  detto  Cavaliere  ;  quale  parimente 
molto  ringraziava  si  ancora  per  il  molto  incomodo  sofferto  da  lui  per  di  lei 
sommo  contento.  Complimentò  di  poi  coli' altre  du<^  Principessine,  le  (]uali 
gli  corrisposero  a  meraviglia,  riguardo  alla  loro  puerile  età.  Dopo  l'udienza, 
che  fu  alquanto  lunga,  si  licenziò  il  Cavaliere  suddetto,  e  dalli  due  gentil- 
uomini assegnati  fu  condotto  al  destinato  appartamento.  A  tavola  fu  assi- 
stito dal  Manetti,  il  quale  intese  dallo  stesso  qualmente  voleva  andare  a 
riverire  il  Sig"^  Conte  Luciani  primo  Ministro  di  S.  A.,  avendone  precisa 
incumbenza  da  Sua  Maestà  di  Sardegna,  e  ancora  a  passare  simile  officio 
col  Sig.'  Colonnello  Cesareo.  Il  Manetti.  con  prudenza,  fece  sapere  tal  reso- 
luzione alli  suddetti,  acciò  non  fossero  colti  all'improvviso.  Fu  ancora  avvi- 
sato dallo  stesso  che  sarebbe  stato  bene  fosse  andato  dalle  Sig"  Monache; 
ma  questo  Signore  gli  rispose  che  non  teneva  tal  incombenza  e  che  solo 
doveva  eseguire  gli  ordini  precisi  di  .S.  M.  di  .Sardegna.  Ma  replicatogli  di 
nuovo  dal  Manetti.  con  pregare  detto  Signore  a  fare  qualche  parte  con 
dette  Religiose,  per  prendere,  come  si  suo]  dir»-,  la  lepre  col  carro,  alla 
75 


432  GIOVAKNI  SFORZA 


fine  condiscese  d'andarvi  come  cavaliere  privato  e  spogliato  del  carattere 
di  rappresentante  di  S.  Maestà.  In  circa  le  ore  20,  contro  l'aspettativa  delli 
detti  gentiluotnini,  che  supponevano  la  prima  visita  dovesse  essere  alle 
Principesse  monache,  fu  incaminato  alla  casa  del  Sig''  Conte  Luciani,  primo 
Ministro,  ed  ivi  si  trattenne  quasi  mezz'ora  in  discorsi  di  molta  confidenza, 
asserendo  al  Luciani  la  molta  stima  che  facevano  di  lui  S.  ]\I.  di  Sardegna 
ed  il  Ser"'"  Sig'  Principe  Eugenio,  e  che  questi  Signori  se  gli  protestavano 
tenuti  per  la  attenzione  che  aveva  avuta  in  far  riuscire  con  tanto  applauso 
quello  che  tanto  era  desiderato  da' predetti  Signori.  Finita  la  visita,  nel 
licenziarsi,  non  voleva  permettere  al  Luciani  d'essere  accompagnato  sino  a" 
debiti  luoghi,  e  vi  fece  resistenza.  Ma  ciò  non  ostante,  per  soddisfare  alle 
proprie  obbligazioni,  lo  volse  accompagnare  sino  alla  carrozza,  né  moversi 
di  li  sino  che  il  Sig''  Inviato  non  fosse  partito.  Non  molto  piacque  alla  Pa- 
drona Ser""'  la  comparsa  che  fece  il  Sig'  ("a\'.  (iio.  Ceccopieri  alla  Corte, 
stante  il  grave  lutto  per  la  morte  troppo  fresca  del  Ser'"°  Sig'  Duca  Alde- 
rano,  imperocché  nella  mattina  era  \estito  di  colore,  senza  alcun  segno  di 
lutto,  e  nella  giornata  poi  si  vesti  di  drappo  di  seta  nera,  dichiarandosi 
(per  quello  si  disse  che  non  era  servitore  attuale  di  Corte  e  perciò  non  gli 
convenixa  il  lutto. 

Do|)o  la  visita  al  Sig'  Luciani  andò  dal  Sig"  Colonnello  XeufFetel  e 
<|uivi  con  esso  si  trattenne  per  qualche  tempo  in  discorsi  famigliari.  .Sbri- 
gatosi da  quella,  si- portò  alle  Monache,  le  quali  l'accolsero  con  freddezza 
e  vi  passarono  ])ochissimi  complimenti,  anzi  si  disse  che  gli  usassero  delle 
improprietà.  Ma  esso,  con  prudenza,  le  sopportò  alla  meglio.  Di  poi.  ritor- 
nato dal  monasterio,  entrò  di  nuovo  in  carrozza  e  passeggiò  sino  al  Borgo 
del  Ponte,  e  di  là  se  ne  ritornò  al  Palazzo,  e  così  compì  la  giornata.  Nella 
sera  fu  trattenuto  da  alcuni  signori  di  Massa,  che  li  tennero  conversazione 
di  gioco  nel  suo  appartamento;  dopo  andò  dalla  Ser""  Padrona  e  Ser""" 
Hglie,  colle  quali  ebbe  discorsi  molto  famigliari,  quali  dettero  occasione  al 
detto  Inviato  di  sempre  più  ammirare  lo  sj:)irito  elevato  e  squisito  talento 
di  queste  Dame,  affermando  con  tutta  l'ingenuità  di  non  aver  mai  conver- 
sato con  Principesse  si  ammirabili  per  la  loro  prudenza  e  saviezza.  La 
mattina  seguente  si  portò  ad  ascoltare  la  messa  a  S.  Francesco  e  lodò  la 
bella  fabbrica  della  medesima,  facendo  stima  singolare  de'  belli  altari  e  altri 
addobbi  che  l'adornano.  Ancora  visitò  il  duomo  e  molto  lo  lodò  e  princi- 
[)almente  per  il  comodo  delle  tribune  de'  .Ser"''  Principi.  Il  dopo  pranzo^ 
colla  solita  sua  compagnia,  andò  a  Carrara,  ove  ebbe  gran  soddisfa- 
zione e  priìicipal niente  nel  vedere  i  virtuosi  lavori  di  marmo  che  vi  si  scol- 
piscoiio  in  tante  officine.  Lodò  molto  la  costruzione  di  quella  città,  e  la 
st(\ssa  sera,  incirca  l'ore  ventiquattro,  fece  ritorno  a  Massa.  Subitamente 
andò  dalla  Ser"'"  Padrona  e  Ser"'*  figlie  ed  in  ispecie  fece  un  bellissimo  col- 
loquio colla  Ser""  Sposa  e  confermò  parimente  essere  impossibile,  per  modo 
di  dire,  ritrovarsi  dame  nel  mondo  così  compite.  Poscia  si  licenziò,  alle- 
gando non  potersi  più  trattenere,  essendone  di  ciò  espresso  comando  da 
Sua  Maestà;  e  dopo  avere  reso  vivissime  grazie  alla  suddetta  Ser""*  di  tanti 
onori  compartitigli,  estremamente  lodando  le  due  belle  città  di  Massa  e 
Carrara  e  tutto  lo  Stato  o  moltitudine    di    (lersone    civili    che   le    riempiono» 


IL    PRIXCIPE   EUCtEXIO    FRANCESCO   DI   SAVOIA  433 


protestandosi  che  di  tutto  voleva  minutamente  ragguagliare  S.  M.  ed  il 
Ser'""  sposo,  e  principalmente  l'ammirabili  qualità  della  sposa,  e  di  tutt'altro 
che  ebbe  la  sorte  di  godere  in  questa  congiuntura,  si  partì  dalle  medesime 
Signore,  che  raccompagnarono  sino  alla  porta  delle  loro  anticamere,  e  di  li 
ritornò  a' suoi  appartamenti.  La  seguente  mattina,  27  giugno,  circa  l'ore  9 
sali  in  carrozza  di  .S.  A.,  accompagnato  fino  ;i11h  fortezza  di  Lavenza  dal 
Sig'  Auditore  Luciani  e  dalli  due  suddetti  gentiluomini  Ceccopieri  e  Ma- 
netti;  sceso  lì  di  carrozza,  entrato  in  calesse,  pure  della  Ser""*,  con  due  altri 
di  seguito,  proseguì  il  suo  viaggio  verso  Lerici,  ove  s'imbarcò.  Pertanto 
questi  Stati  restarono  sommamente  consolati  per  li  preludi  fortunati  che 
godono  di  restare  una  \olta  sollevati  da  tante  miserie,  mediante  questo 
matrimonio,  che  si  spera  seguirà  con  tanto  vantaggio. 

Tanto  il  Sig'  Generale  Stampa,  quanto  il  suddetto  Cavaliere,  propor- 
zionatamente, lasciarono  grosse  mancie  alla  Cavallerizza,  (juardia  e  Sala. 
Quelle  poi  del  Sig'  Generale  furono  maggiori,  perchè  questo  non  solo  gra- 
tificò li  suddetti,  ma  inoltre  il  suo  gentiluomo  Sig'  Conte  Staffetta,  il  Sig* 
Iacopo  Antonio  Luciani,  assegnatoli  per  paggio,  il  Padre  Tirati,  il  Maestro 
di  Casa  ed  il  Credenziere  Leonardo  Pellegrini. 

Venne  ancora  li  20  giugno  il  Sig''  Principe  d'Haraach,  figlio  del  Viceré 
di  Napoli,  il  quale  essendo  in  Genova,  di  ritorno  dalla  Corsica,  prima  di 
proseguire  verso  la  Germania,  volse  venire  a  Massa  col  solo  motivo  d'in- 
chinare queste  Ser'"*"  Principesse,  essendo  questo  parente  della  Ser"'"  Signora. 
Fatto  pertanto  il  suo  complimento,  tenendosi  del  tutto  incognito,  volse  ri- 
tornare a  Genova,  senza  apportare  un  minimo  incomodo  alla  C'asa  Ser'"*. 
Tutti  questi  gran  personaggi  hanno  encomiato  la  nostra  vSer"'"  Padrona  e 
fatto  elogi  al  Ser'""  sposo,  rappresentandolo  d'ottima  indole,  ottimi  costumi 
ed  accompagnati  da  somma  virti^i,  tanto  scientifica,  che  morale,  di  bellissimo 
aspetto  ancora,  asserendo  (-on  tutta  la  loro  ingenuità  che  è  il  più  bel  Prin- 
cipe d'Europa,  grandemente  amato  da  S.  M.  il  Re  di  Sardegna,  il  quale  si 
fa  gloria  che  quello  sia  suo  stretto  parente.  Inoltre  è  1'  unica  delizia  del 
Sigi-  Principe  Eugenio  seniore,  suo  prozio,  riguardandolo  qua!  unica  gemma 
della  sua  nobilissima  famiglia.  Siccome  ancora  è  inesplicabile  la  sviscera- 
tezza d'amore  che  li  porta  la  di  lui  vSer"'"  genitrice  e  l'Ecc'"'  sua  ava  ma- 
terna, ricchissima  di  beni  di  fortuna  e  della  nobilissima  casa  di  Liechestein, 
e  da  questa  conseguirà  una  ricchissima  eredità.  Inoltre  possiede  beni  ere- 
ditari della  sua  Ser'"-'  casa  paterna,  essendo  unico  erede,  con  una  sola  zia 
paterna,  d'età  d'anni  cinquantanove,  che  v'uol  dire  non  gli  recherà  aggravio 
nel  costituirgli  la  dote  (i).  Ha  ancora  un  proprio  reggimento,  del  quale  è  co- 
lonnello, composto  di  sedici  compagnie  militari,  chiamato  Reggimento  di 
Savoia.  Resta  che  S.  i).  M.  benedica  questi  incaminamenti  acciò  la  nostra 
Ser"""  Sig'-'  Duchessa  e  figlie,  dopo  tanti  traxagli,  possano  godere   una    vita 


(!)  Due  furono  le  zie  paterne  del  Principe  Eugenio  Francesco:  Anna  Vittoria,  nata  a 
Parigi  r  II  settembre  1684,  che  era  solita  vivere  a  Chambéry.  Sposò  nel  1738  F"ederiro  Duca 
di  Sassonia-Hildbourgausen  ;  fece  testamento  il  13  decemhre  1757,  lasciando  erede  il  Duca 
del  Ciablese  ;  morì  a  Torino  l'ii  ottobre  1763.  E  Teresa,  nata  il  io  decembre   1686. 

77 

55  —  Mise.  S.  HI,  T.  Xm. 


4,M  Gir» VANNI    SFORZA 


piemi  (li  contento,  conio  da  tutti  è  desiderato.  K  se  sua  Eni*  non  ha  \  oluto 
aderire,  ci  i)cnsi  (i). 


(i)  L'ab.  Ippolito  Palchetti  frattanto,  «  con  iinprudcn/a.  divulgava  per  Massa  la  prossima 
venuta  »  del  Cardinale  (così  il  Rocca);  «  forse  fondato  sulle  nuove  precorse  che  S.  M.  di 
Sardes;:na  si  fosse  messo  mezzano  per  agjji listare  Sua  Em-'  e  farlo  ancii'esso  concorrere  agli 
stabiliti  sponsali.  Kd  infatti  vi  fu  (jualche  trattato,  ma  li  mezzani  (.lell'aggiustamento  poco 
poterono  ottenere  dal  detto  Sig'  Cardinale  ;  imperocché,  secondo  quello  si  diceva,  si  con- 
dusse secondo  moltissime  istanze  a  condiscendere  di  sottoscrivere  i  suddetti  sponsali,  ma 
(x>n  tutte  le  repliche  che  furono  fatte  da'  trattati,  mai  volle  dar  parola  di  sottoscrivere  li 
capitoli,  e  perciò  (inaili  si  protestarono  clie  mai  più  volevano  intricarsi  in  persuadere  il  me- 
desimo ad  alcuno  aggiustamento  ». 


78 


IL    PRINCIPE    ErGEXin    FRAXCESrr»    DI    SAVOIA  435 


CAPITOLO   III, 


X'iene  in  Massa  il  Sig'  Conte  di  Sanift;.  —  Perchè.  —  Preparamenti  per  la  venuta  del  Prin- 
cipe. —  S'avvicina  la  venuta  del  Principe.  —  Giunge  in  Genova.  .Suo  trattamento  in 
detta  città.  —  Sua  pa.ssione  per  il  mare  cattivo.  —  X'iene  il  .Sig'  Marchese  d'Este.  — 
.>ue  qualità.  —  Giunge  il  Principe  in  Golfo.  —  Il  Benedetti  lo  presenta  di  bellissimo 
rinfresco.  Primo  incontro  al  Principe.  —  Parte  la  Ser"'=*  per  incontrare  S.  A.  —  Com- 
plimenti. —  Salutati  dalla  Fortezza  collo  sbaro.  —  Giunge  in  Mas.sa  il  Principe,  e  con 
qual  seguito.  —  Modo  in  cui  sedevano  a  mensa.  —  Suo  gentil  trattamento.  -  Preziosi 
regali  alla  sposa,  alla  Duchessa  e  alle  altre  tìglie.  —  .Suoi  divertimenti.  —  .Sua  amore- 
volezza nel  ricevere  li  complimenti  de'  sudditi.  —  \'a  alle  Monache,  e  cerimoniale  ivi 
usato.  —  Fa  molta  stima  del  Conte  Luciani.  —  Qualità  del  suo  Aio.  —  Riceve  il  Capi- 
tolo. -  Si  fa  scrittura  degli  sponsali.  —  Incontra  in  tutto  il  genio  della  Duchessa. 
Va  a  Carrara.  —  Sua  generosità.  —  Ritorna  con  sollecitudine  in  Massa.  —  Bella  pro- 
cessione. —  Sfarzo  della  Compagnia  di  .S.  Sebastiano.  —  Sodisfazione  del  Principe. 
.Suoi  donativi.  —  .Sollecita  la  partenza,  e  perchè.  —  Ritorna  alle  Monache.  -  Parole  pic- 
canti ivi  successe.  —  Le  .Monache  deluse  nella  loro  aspettativa.  —  Parte  il  Principe  e 
porta  seco  l'affetto  di  tutti.  —  he  galere  di  Sardegna  alle  nostre  spiaggie,  e  perchè.  — 
.Sue  promesse.  —  Bontà  delia  Signora.  —  Il  Sig'  Principe  a  Lerici.  —  Donativi  che  gli 
fanno  il  Benedetti  e  il  Marchese  Olandini. 


Li  17  .settembre  giunse  in  Ma.ssa  il  Sig^  Conte  di  Sani,  con  un  cameriere, 
inviato  dal  Ser"*"  Principe  Eugenio  Francesco,  sposo  della  Ser'""  Duchessina, 
e  portò  il  felice  avviso  della  venuta  di  S.  A.  .Ser""*.  Frattanto  qui  si  tanno 
molti  preparativi  per  ricevere  il  detto  Principe  colla  maggior  pompa  solenne 
che  sia  possibile,  ed  ih  specie  la  Ser^^**  Padrona  impiega  tutta  la  sua  atten- 
zione in  far  addobbare  i  di  lui  appartamenti,  ed  infatti  gli  riesce  accomodarli 
con  speciosità,  siccome  ha,  per  grazia  del  .Signore,  tutta  la  sua  argenteria 
che  li  occorre,  e  di  bellissimo  e  vago  lavoro  ;  anco  si  preparano  le  chiese 
principali  coll'adornarle  in  modo  cospicuo,  così  le  strade  e  le  piazze  della 
città.  Il  detto  Principe  ha  scritto  in  data  delli  14  settembre  una  compitissima 
lettera  alla  suddetta  Duchessa  ed  una  compitissima  risposta  al  Sig"^  Conte 
Luciani,  riconoscendolo  per  primo  Ministro.  Le  suddette  lettere  alla  Ser'""  Pa- 
drona dirette  contenevano  qualmente  il  Ser""'  Principe  in  breve  sarebbe  stato 
in  persona  a  tributare  alla  medesima  i  suoi  filiali  ossequi.  Laonde,  avvici- 
nandosi la  metà  di  settembre,  in  cui  l'aria  aveva  mitigato  i  suoi  calori,  tempo 
nel  quale  detto  Principe  doveva  partirsi  d'Italia  per  andare  a  Vienna  ad 
inchinare  S.  M.  Ce.sarea  e  ratificare  la  sua  filiale  osservanza  all'amatissimo 
e  suo  stimatissimo  zio  .Ser'""  Principe  Eugenio  ed  alla  sua  carissima  genitrice 


(1)  Correggi  qui  e  più  sotto:  Semi. 
79 


436  ,  GIOVANNI   SFORZA 


e  da  questi  ricevere  quelle  orate  accoglienze  ed  abbracciamenti,  che  meritano 
le  di  lui  ottime  qualità;  con  somma  prudenza  pensò  di  prepararsi  la  vSer""» 
Sig'*  Duchessa  per  il  ricevimento  d'un  personaggio  così  degno,  al  meglio  gli 
fosse  stato  possibile,  acciò  il  detto  Ser"'"  Principe  potesse  conoscere  la  somma 
stima  che  ne  teneva,  ed  acciò  il  medesimo  concepisse  affetto  non  solo  alla 
sposa  ed  a  tutta  la  Ser'"''  Casa,  ma  ancora  alli  Stati,  e  ne  facesse  stima. 
.Avendo   essa,  come    si    disse,  fatto  addobbare    il    Ducale   Palazzo,  ordinò  al 

canonico  Rocca i)  del  Capitolo  del  Duomo,  che  si  prendesse  la  cura  di  fare 

addobbare  l'istesso  Duomo  delle  suppellettili  più  solenni  che  si  ritrovano  in 
detta  chiesa  ed  esprimere  la  di  lei  intenzione  agli  altri  amministratori  delle 
chiese  della  città  e  distretto.  Parimente  studiava  apparecchiare  i  divertimenti 
che  gli  erano  possibili  e  tutto  mostrasse  la  gran  stima  che  faceva  del  pre- 
detto Principe.  Si  supponeva  che  detto  Ser""'  Principe  sarebbesi  partito  dalla 
Corte  Reale  di  Torino  cnrca  li  15  settembre,  ed  infatti  alla  comparsa  del 
Sig""  Conte  di  Sani,  come  si  disse,  s'accertò  che  la  partenza  era  imminente 
del  suddetto  personaggio. 

La  sera  dunque  delli  18  settembre  suddetto  S.  A,  giunse  in  (ienova. 
Ma  perchè  S.  ]\I.  il  Re  di  Sardegna  aveva  determinato  che  da  Genova  ve- 
nisse detto  Principe  a  queste  spiaggie  sopra  lo  di  lui  galere,  quindi  successe 
che  per  essere  assai  turbato  il  mare  le  medesime  non  erano  peranche  giunte 
da  Villafranca,  e  non  giunsero,  per  verità,  se  non  li  22  suddetto.  In  questo 
mezzo  ebbe  campo  S.  A.  di  trattenersi  in  Genova,  prendendo  l'alloggio  nel- 
l'Albergo Reale,  detto  di  S.  Marta,  non  volendo  accettare  altro  alloggio  da 
alcun  cavaliefe,  quantunque  la  principal  nobiltà  gareggiasse  in  offerirlo.  Si 
compiacque  però  di  portarsi  in  casa  del  nuovo  parente  Sig"^  Marchese  di 
Torriglia,  figlio  del  Principe  Doria,  e  li  ricevè  il  complimento  di  due  cavalieri 
nobili  del  Portico  vecchio,  deputati  dal  Ser"'"  Governo,  ed  in  oltre  ricevè  la 
visita  di  molti  altri  cavalieri  e  dame  principali  di  detta  città,  quali  gareggia- 
vano in  divertirlo  con  festini  ed  altri  nobili  trattenimenti,  de'  quali  ne  ven- 
nero distinti  ragguagli  ne'  pubblici  avvisi,  in  riconoscenza  del  merito  singo- 
lare di  S.  A.  La  seguente  mattina  delli  2t,  si  sarebbe  partito  da  Genova,  ma 
il  mare  si  turbò  e  perciò  convenne  al  suddetto  trattenersi  in  detta  città  al- 
cuni giorni,  contro  la  sua  volontà,  poiché  il  suo  genio  era  d'esser  presto  a 
Massa;  ma  il  mare,  ritornando  al  cattivo,  gì' impedì  l'intento.  Frattanto  in 
Massa  si  stava  dalla  Ser'""  Padrona  e  da'  suoi  fedelissimi  sudditi  con 
grand'ansietà  aspettando  che  il  mare  si  tranquillasse,  per  potere  personal- 
mente godere  il  loro  amatissimo  vSovrano,  che  da  tutti  era  rappresentato  per 
degnissimo  Principe  e  meritevole  della  benevolenza  universale.  Li  25  set- 
tembre, per  maggior  contento  della  Sig'"  Duchessa,  giunse  in  Massa  il 
Sig""  Marchese  Lanzo  d'Este,  suo  degnissimo  zio  materno  (2),  e  questo  farà 
più  spiccare  la  stima   del    personaggio   che   viene,   ed   ancora  recherà   gran 


(r.)  In  questo  punto  il  manoscritto  è  corroso. 

(2)  Carlo  Filiberto  d'Este.  Marchese  di  Lanzo,  Dronero,  Borgomanero  e  Ghemnie.  Sposò 
Teresa  del  conte  Valeriane  Sfondrati,  e  morì  il  30  aprile  del  1752.  Era  tìglio  di  Sigismondo 
e  di  Teresa  Grimaldi  de'  Principi  di  Monaco;  tolse  per  moglie  Margherita  di  Sav'oia.  figlia 
naturale  di  Carlo  Emanuele  I,  che  gli  portò  in  dote  il  .Marche.sato  di  Dronero. 

80 


IL   PRINCIPE  EUGENIO  FRANCESCO  DI   SAVOIA  437 


sollievo  alla  medesima  Signora  in  tal  congiuntura.  Questo  Sig"^  Marchese 
è  affezionatissimo  alla  nepote  ed  alle  Ser""^  figlie  della  suddetta,  ed  in  oltre 
porta  amore  a  questi  Stati,  onde  possiamo  sperare  che  il  tutto  sia  per  riuscire 
di  somma  contentezza  alla  Ser""^  e  d'intiera  soddisfazione  a  questi  fedelissimi 
sudditi,  che  sperano  pure  una  volta,  dopo  tante  calamità,  godere  il  bel  se- 
reno della  prosperità. 

Finalmente  li  2  ottobre,  circa  l'ore  20,  spuntarono  le  due  desiderate  ga- 
lere dalla  punta  del  monte,  per  incaminarsi  verso  questi  lidi;  ma  li  capitani 
delle  stesse,  osservando  che  il  mare  non  era  in  perfetta  calma  e  che  forse 
avrebbe  potuto  apportare  qualche  inquietudine  al  Ser™"  Principe,  fu  per  tanto 
stimato  bene  che  le  galere  tornassero  indietro  nel  Golfo  e  prendessero  terra 
a  Larici,  per  posare  S.  A.  con  la  sua  nobile  comitiva  e  venire  a  Massa  per 
terra.  Di  già  la  Ser"'*  Padrona  aveva  alcuni  giorni  prima  mandato  il  suo  cor- 
riere a  Lerici  acciò,  subito  giunto  il  personaggio  tanto  desiderato,  ne  portasse 
l'avviso  accertato,  come  puntualmente  eseguì,  e  giunse  ad  un'ora  di  notte 
del  detto  giorno,  assicurando  che  sarebbe  venuto  per  terra  al  di  seguente 
con  alcuni  personaggi  di  seguito.  Il  detto  Principe,  dopo  che  salì  sulle  ga- 
lere, non  volle  piìi  scendere,  eziandio  quando  da  Portofino  ritornò  a  (lenova 
per  non  aver  potuto  proseguire  il  viaggio  a  causa  del  mare  tempestoso,  né 
tampoco  quando  tornò  la  seconda  volta  in  detto  Portolano,  quantunque  vi 
si  trattenesse  quasi  giorni  quattro;  così  in  Lerici,  quantunque  il  Signor  An- 
giolo Benedetti  usasse  tutti  i  modi  per  riceverlo  nel  proprio  palazzo  ed  ivi 
servirlo.  Ma  esso  lo  ringraziò  e  solo  si  compiacque  ricevere  un  ben  degno 
rinfresco.  Saputasi  pertanto  accertata  notizia  della  venuta  del  Principe  Ser""" 
colla  precisa  circostanza  che  sarebbe  giunto  in  Massa  circa  le  ore  16,  fu 
perciò  comandato  dalla  Ser'""  Padrona  che  s'approntasse  il  tutto  non  solo 
per  l'incontro,  ma  anche  per  quello  potesse  occorrere  in  simile  congiuntura. 
Laonde,  circa  le  ore  1 1  del  venerdì  3  ottobre,  partì  una  delle  carrozze  con 
due  gentiluomini,  che  furono  il  Sig""  Cav.  Camillo  Ceccopieri,  destinato  Maestro 
di  camera,  ed  il  Cav.  Paolo  Augustini,  assegnato  per  Scalco  a  S.  A.;  e  an- 
darono al  confine  dello  Stato  ad  ivi  attendere  il  detto  vSer™"  e  farli  il  primo 
complimento  per  parte  della  Ser'""  Padrona.  V'andò  ancora,  in  forma  privata, 
il  Sig.  Conte  Bernardo  Luciani,  col  suo  figlio  maggiore,  e  tutti  aspettarono 
la  suddetta  venuta,  che  seguì  in  breve,  giungendo  in  un  vago  carrozzino, 
di  cui  l'aveva  servito  il  predetto  Sig'  Benedetti.  I  suddetti  cavalieri  espres- 
sero la  loro  commissione  con  bella  maniera  e  supplicarono  il  Principe  a  de- 
gnarsi scendere  dal  carrozzino  e  servirsi  della  carrozza  inviatagli  dalla 
vSig'^*  Duchessa.  Detto  Sig""^  dopo  avere  con  bel  garbo  fatta  qualche  resistenza, 
s'arrese  ed  entrò  nella  suddetta  carrozza.  Xel  passaggio,  fu  salutato  dalla 
Fortezza  di  Lavenza;  e  questo  fu  il  segno  che  doveva  partire  la  Ser'"^ 
Sig'"''  Duchessa,  accompagnata  dall'Eco"'"  Sig'  Marchese  Lanzo,  colla  Com- 
pagnia delle  Corazze  di  Massa,  dal  Sig"^  Colonnello  Conte  Cappello  (i)  e  suo- 


(i)  Racconta  il  Rocca  che  il  Cardinale  mentre  stava  a  Massa,  «  per  rendersi  amorevole  » 
la  Duchessa,  sua  cognata,  «  applicò  l'animo  ad  illustrare  il  Sig""  Conte  Sebastiano  Cappello, 
nobil  mantovano,  il  quale  essendo  stato  Maestro  di  camera  degli  Kcc""  Sii;''  Conti  Camillo 
e  Filippo  di   Xovellara.  padre  e  fratello  rispettivo   della   Ser'""  Sig'-'  e  dal  secondo  di  questi 

81 


438  GIOVANNI   SFORZA 


aiutante  e  da'  Sig"'''  g-entiluomini  di  Corte  in  altra  carrozza.  Si  incarnino  pertanto 
in  bellissima  carrozza  la  predetta  Sig""^  col  suddetto  seguito  verso  il  Frigido 
per  incontrare  il  Ser'""  Principe,  ed  incontratolo,  furono  inesplicabili  l'acco- 
glienze e  complimenti  che  ivi  vicendevolmente  seguirono.  J.a  Ser'""  prese 
nella  propria  carrozza  il  Ser'""  Principe  e  lo  collocò  alla  di  lei  sinistra  ed  in 
faccia  loro  stava  il  prefato  Sig'  Marchese  Lanzo.  Il  Sig'  Marchese  di  Cavador, 
aio  e  governatore  del  detto  Sig'  Principe  (i),  volle  salire  nel  calesse  del 
vSig*^  Luciani  e  venire  a  Massa  col  medesimo;  dopo  seguivano  le  carrozze 
de'  gentiluomini,  e  nel  carrozzino  del  Principe,  che  era  venuto  in  compagnia 
del  suo  aio,  salì  il  figlio  del  suddetto  Sig.  Conte  Luciani.  Giunti  alla  chiesa 
della  SS,  Vergine  della  Misericordia,  la  Fortezza  di  Massa  incominciò  a  sa- 
lutare col  cannone  e  continuò  lo  sbaro  finché  furono  giunti  in  piazza  di 
A[ercurio,  e  sempre  passavano  in  mezzo  al  popolo  affollato,  che  non  cessava 
di  far  rimbombare  l'aria  di  voci  di  giubilo;  e  per  verità  queste  voci  furono 
un  presagio  delle  contentezze  (-he  avrebbero  godute  i  sudditi  di  (|uesti  Stati 
nella  v^enuta  del  suddetto  Ser"'",  come  diffusamente  discorreremo. 

Intanto  il  Ser"'"  Principe  Eugenio  di  Savoia,  la  .Ser'""  Sig'  Duchessa  di 
Massa  ed  il  Sig'  Marchese  Lanzo  entrarono  in  Palazzo,  nel  mezzo  degli  ap- 
plausi delle  voci  giubilanti  de'  sudditi  fedelissimi  di  Classa,  e  dalla  Padrona 
fu  condotto  al  proprio  suo  appartamento;  quivi  si  replicarono  i  complimenti; 
o  fra  questo  mentre  scesero  nella  camera  dell'udienza  le  tre  Ser"""  figlie,  tutte 
vestite  di  ricco  drappo,  e  principalmente  risplendeva  fra  queste  la  Ser"'» 
Donna  Maria  Teresa,  destinata  sposa  al  Ser'""  Principe.  Questo  ne  restò  al 
sommo  sodisfatto  e  molto  li  piacque  la  novella  sposa,  né  cessava  d'encomiare, 
la  medesima  e  per  la  vaghezza  della  fanciulla  e  per  il  suo  spirito  commen- 
dabile, a  segno  che  egli  non  cessava  di  riguardarla,  molto  compiacendosi 
dell'istessa.  Fatti  dunque  li  complimenti,  il  Principe  Ser'""  si  licenziò,  per  in- 
camminarsi alli  propri  appartamenti;  la  Ser'""  Padrona  lo  voleva  accompa- 
gnare, ma  non  lo  volle  permettere,  anzi  non  permesse  d'esservi  accompa- 
gnato tamp(ìco  dal  Sig""  Marchese  Lanzo.  E  con  tutta  libertà  v'andò  solo, 
seguito  da'  suoi  gentiluomini,  ed  i\i  si  trattenne  sino  all'ora  di  pranzo.  Ed 
allora  ritornò  all'appartamento  della  Padrona  Serenissima,  ove  sederono  a 
mensa  nella  forma  seguente:  stava  nel  lato  destro  della  medesima  la  Ser'"" 
Padrona  e  dal  lato  sinistro  il  Ser"'"  Principe  vicino  alla  medesima,  in  faccia 
a  questo  sedeva  il  Sig'  Marchese  Lanzo  e  di  rimpetto  alla  Ser'""  madre  la 
Ser'""  Donna  Maria  Teresa  Duchessina  e  ne'  due  lati  della  tavola  vi  stavano 


raccomandato  alla  iiiedesiiiia  ed  al  irià  Sii;'  Duca  Aldeiano,  cognato,  da  detta  Sig'"  era  con- 
siderato con  distinzione  e  l)en  trattato  nel  proprio  palazzo.  E  per  dire  il  vero  questo  è  persona 
di  buona  pasta  e  piuttosto  di  dolce  temperamento.  Ma  s'avverta  che  con  tutto  ciò,  né  il  già 
Ser'""  Sig'  Duca,  ne  essa  Sig'"  avevano  mai  avanzato  quello  a  posto  che  gli  conferisse  giu- 
risdizione sopra  altri.  E  la  .Sig"^"  Duchessa  dopo  la  morte  del  marito  l'aveva  dichiarato  Capo- 
caccia in  luogo  del  Sig"'  Scipione  Gio.  Domenici  e  Cavallerizzo  maggiore  in  luogo  del  Sig'  Conte 
Gio.  Ceccopieri,  che  era  qualche  tempo  che  aveva  rassegnato  tal  carica.  Frattanto  Sua 
Km"  per  gratificarsi  l'animo  della  .Signora  elesse  il  suddetto  Conte  per  Colonnello  di  tutte 
le  milizie  dello  Stato  e  gli  conferì  maggiore  autorità  di  quella  avesse  avuto  qualunque  suo 
predecessore  ». 

(i)  Giambattista  l'alletti  Marchese  di  Cavatorf.  non  di  Cavador,  come  erroneamente  scrive 
il   Rocca. 

^2 


IL   PRIXCIPH   EUGENIO   FRANCESCO   DI   SAVOIA  439 


la  Eoe"'"  Sig''-'  Donna  ^Marianna  fra  il  Principe  ed  il  Marchese  e  l'Ecc^""  Donna 
Ilaria  Camilla  fra  la  madre  e  la  Duchessina.  Krano  reciprochi  li  complimenti 
di  stima  che  passavano  fra  questi  nobilissimi  personaggi,  e  principalmente 
il  Principe  dimostrava  un  sommo  rispetto  \erso  la  .Ser'"»  Duchessa  ed  un 
sommo  affetto  verso  la  sua  dilettissima  sposa,  l-'inì  il  banchetto,  e  perchè 
il  Principe,  come  si  disse,  dal  suo  primo  imbarco  sopra  le  galere  ed  in  tutta 
la  di  lui  permanenza  fatta  ivi  non  aveva  riposato  con  tutto  il  suo  comodo, 
perciò  fu  esortato  dalla  Ser"'"  a  prendersi  quella  libertà  che  avrebbe  usato 
nel  proprio  palazzo  e  andare  a  riposare,  conforme  esegui,  riposando  sino 
all'ore  iz.  Appena  levato,  si  portò  agli  appartamenti  della  .Sig'"  Duchessa 
ed  ivi  trattenendosi  in  discorsi  famigliari  con  detta  Sig"*,  colla  sposa  e  colle 
sorelle,  comparvero  li  suntuosi  e  ricchissimi  regali  che  seco  aveva  portati 
per  presentarli  alla  destinata  sposa.  Questi  consistevano  principalmente  in 
uno  sfarzosissimo  finimento  di  gioie  prezios(\  cioè  un  vezzo  con  una  prezio- 
sissima croce,  due  orecchini,  manigli,  orologi  d'oro  a  ripetizione,  tempestati 
di  gemme,  oltre  diverse  scatole,  parimente  d'oro,  ed  altri  nobilissimi  abbiglia- 
menti; il  valore  del  qual  donativo  dicono  ascendere  a  doppie  7000.  Inoltre 
presentò  alla  Ser"''*  Padrona  una  nobilissima  chincaglieria  di  diversi  assorti- 
menti di  robbe,  di  sommo  valore  e  stima;  ed  estremamente  ne  restò  conso- 
lata, riflettendo  alla  cordialità  del  Principe  ed  all'attenzione  singolare  del  Re 
di  vSardegna,  poiché  li  donativi  erano  in  sé  stessi  preziosi  per  il  materiale, 
ma  distintissimi  per  il  lavoro,  stante  l'ottimo  intendimento  di  chi  l'aveva 
fatti  lavorare,  perchè  l'istesso  Re  di  Sardegna  era  stato  il  provveditore  di 
si  nobili  galanterie.  Dopo  tal  presentazione  si  trattenne  detto  Principe  fino 
all'ora  di  cena  in  giuocare  colli  suoi  cavalieri,  poscia  cenò  nell'istessa  torma 
come  la  mattina  aveva  pranzato.  E  terminata  la  cena,  preso  commiato  dalla 
Sig'''  Duchessa,  si  ritirò  ne'  suoi  appartamenti,  ove  si  messe  a  riposo. 

La  mattina  seguente,  4  ottobre,  senti  dal  Sig'  Cav.  Ceccopieri,  suo 
Maestro  di  camera,  che  il  Capitolo  del  Duomo,  la  Reggenza  e  li  deputati 
del  PubbHco  volevano  essere  ad  inchinarlo.  Ed  egli  molto  volentieri  condi- 
scese alla  retta  brama  de'  suddetti,  onde  si  ])reparò  per  riceverli.  Il  Maestro 
di  camera  avrebbe  voluto  che  il  Capitolo  fosse  il  primo,  ma  ciò  non  si  potè 
effettuare,  stante  che  l'avviso,  che  sarebbe  stato  ammesso,  fu  improvviso,  né  li 
signori  capitolari  si  trovavano  radunati.  E  perciò  la  Reggenza  fu  la  prima 
ch'ebbe  la  sorte  d'inchinarlo.  A  questa  fece  ben  distinta  accoglienza  di  stima 
ed  in  specie  al  Sig"^  Conte  Luciani  ;  dipoi  ammesse  molti  altri  gentiluomini 
e  ministri  di  Corte,  verso  i  quali  dimostrò  gran  gradimento.  Dopo  andò  dalla 
Ser""»  Padrona  e  poscia  partendosi  di  lì  andò  alle  Monache  ed  in  quella  chiesa 
udì  la  messa  del  P.  Tirati  (13)  e  non  volle  inginocchiarsi  sopra  lo  strato  prepa- 
rato, ma  sul  gradino  dell'altare.  Sentita  la  messa,  si  fermò  ad  ascoltare  un 
mottetto  musicale,  cantato  da  una  religiosa;  di  poi   si  portò  al  parlatorio,  ove 


!i;,)  Il  padre  Leopoldu  l'irati,  Maestro  dell'Ordine  Agostiniano,  era  nativo  di  Firenze. 
Visse  e  mori  a  Massa  al  sarvizio  de'  Cybo.  Per  testimonianza  d'un  contemporaneo,  «  turon 
piacevoli  a  udirsi  i  suoi  canti  improvvisi,  ne'  quali  era  fluido,  abbondante  e  castigato.  Si 
dilettò  del  canto  e  di  sonar  la  spinetta.  Faceto  nelle  conversazioni,  n'era  il  condimento  ed  il 
sale  ».  Cfr.  Luciani   y.  (i.   Xolizic  de'  letterati  di  Massa,  Modena,  Xamias,  1895,  p.  26. 


«3 


440  GIOVANNI  SFORZA 


complimentò  colle  monache  Principesse,  trattenendovisi  quasi  un  quarto  d'ora; 
alla  fine  ritornò  in  Palazzo,  ed  entrato  nel  Teatro  v'ebbe  molta  sodisfazione; 
così  ancora  nel  Grottesco  e  nella  Libreria.  E  frattanto,  essendo  l'ora  di  pranzo, 
sali  agli  appartamenti  della  Ser"""  e  secondo  il  solito  si  posero  a  mensa.  Il 
Sìg^  Marchese  Cavador  volle  trattenere  a  seco  pranzare  il  Sig"^  Conte  Lu- 
ciani in  compagnia  del  Sig''  Cav.  Briandani  e  del  Sig"^  Conte  Sani.  Il  dopo 
pranzo,  andato  S.  A.  a'  suoi  appartamenti,  alquanto  riposò  e  circa  le  22  ore 
fece  aprire  la  camera  dell'udienza,  ed  essendo  in  anticamera  il  Sig'  Abate 
e  Sig"  Canonici  per  inchinarlo,  furono  subito  ammessi  (essendo  preceduto 
l'avviso  del  paggio  a  S.  A.  ed  infatti  ricevè  il  Capitolo  con  gran  cortesia 
ed  affabilità,  protestandosi  d'esser  tenuto  al  loro  ufficio  e  poscia  si  racco- 
mandò alle  loro  preghiere,  coll'averli  fatto  alcune  interrogazioni  circa  cose 
spettanti  al  servizio  divino,  gli  licenziò  con  amorevolezza,  di  nuovo  racco- 
mandandosi alle  loro  orazioni.  Usciti  dall'  udienza,  furono  accompagnati  dal 
Sig'"  Cav,  Ceccopieri  sino  in  cima  alle  scale.  Dopo,  ammesse  all'udienza  due 
Consoli,  deputati  dal  Pubblico,  e  furono  il  Sig'  Conte  (ìio.  Ceccopieri  ed  il 
Sig'  Scipione  Belatti  per  tal  complimento,  e  dopo  senti  ancora  altri  signori 
di  Corte.  Dipoi  ritornò  alle  Ser*"®  Signore  ed  ivi  si  trattenne  colle  medesime 
in  discorsi  molto  famigliari,  essendovi  sempre  presenti  li  Sig*^'  Marchese 
Lanzo  e  ^Marchese  Cavador,  oltre  altri  gentiluomini  e  cavalieri.  E,  S.  A. 
dalla  tribuna  volle  vedere  il  duomo,  quale  molto  lodò  e  specialmente  l'altare 
maggiore,  osservandone  la  bella  architettura;  e  fra  tanto  si  radunò  l'accademia 
musicale  d'istromenti,  che  molto  piacque  a  S.  A.,  stimando  m.olto  i  professori 
ed  in  particolare  il  -Sig'"  Tirati. 

In  questa  sera  ancora  seguì  la  reciproca  scrittura  di  sponsali  tra  S.  A. 
Ser'"*'  e  Sig'»  Duchessina,  alla  presenza  della  Sig"^*  Duchessa  madre,  del 
Sig'^  Marchese  Lanzo  e  della  Reggenza  Ducale,  come  anche  del  Sig"^  ]Mar- 
chese  Cavador  e  degli  altri  due  cavalieri  di  servizio  del  Principe  Ser"'"  e 
d'alcuni  altri  signori  di  confidenza.  Di  detta  scrittura  ne  furono  fatte  tre  copie, 
e  tutte  firmate  da  ambi  li  Ser"*'  sposi,  e  ciascheduno  di  loro  ne  ritennero 
una,  e  la  terza  doveva  essere  consegnata  a  vS.  M.  di  Sardegna.  Frattanto 
venne  l'ora  di  cena;  cenarono  alla  mensa,  secondo  il  solito,  e  poscia  anda- 
rono a  riposare  nelli  propri  appartamenti. 

Il  vSer"'"  Principe  aveva  stabilito  d'andare  il  giorno  seguente  a  Carrara 
il  dopo  pranzo,  e  la  Sig""*  Duchessa  aveva  motivato  al  medesimo  che  il  giorno 
seguente  in  Massa  era  solita  farsi  una  bella  processione,  alla  quale  concor- 
reva una  gran  parte  del  popolo  dello  Stato  ed  esso  forse  ne  avrebbe  portato 
sodisfazione,  se  si  fosse  degnato  vederla.  Altro  non  vi  volse!  La  seguente 
mattina  di  domenica,  ascoltata  la  messa,  anticipò  il  pranzo  circa  ore  due,  e 
dopo  immediatamente  parti  da  Massa  col  Sig""  Marchese  Lanzo  e  suoi  cava- 
lieri di  seguito,  oltre  il  Sig""  Cav.  Ceccopieri,  suo  Maestro  di  camera,  prote- 
standosi che  assolutamente  sarebbe  tornato  in  ora  opportuna  per  vedere  la 
suddetta  processione,  e  che  avvertissero  a  ritardare  la  solita  ora.  che  era 
circa  le  22  e  mezza.  Giunto  pertanto  a  Carrara,  i\'i  fu  accolto  da'  carraresi 
con  quelli  ossequii  che  ben  erano  dovuti  al  suo  grado.  Scese  al  Palazzo  du- 
cale e  di  lì  si  portò  ad  alcune  botteghe  di  scultori,  sempre  passando  per 
mezzo  al  popolo,  che  stava  affollato  per  le  strade  ovunque  passava.  Onorò, 

84 


IL    PRINCIPE   EUGENIO   FRANCESCO   DI  SAVOIA  44 1 


tra  l'altre,  la  bottega  del  S'ig"  Conte  (ìiovanni  Baratta,  cognito  a  lui  sino  in 
Torino  (i).  Questo  fu  molto  distinto  nell'accoglimento,  e  così  S.  A.  usò  col 
Sig'  Conte  Maggiore  Luciani;  dopo  entrò  nel  Duomo,  ove  appena  vi  si  fermò 
per  brevissimo  tempo,  e  dopo  andò  al  fiume  ed  ivi  si  trattenne  a  vedere  ti- 
rare alli  pesci,  e  di  questo  molto  si  compiacque.  Il  suddetto  Conte  Gio.  Ba- 
ratta regalò  S.  A.  d'una  bella  vitella,  di  vino,  capponi,  rosolii  e  spiriti  e  squi- 
siti tabacchi.  Jl  Principe  assolutamente  non  voleva  accettarli,  ma  avvisato 
dal  suo  Maestro  di  camera,  alla  fine,  persuadendosi  delle  ragioni  di  questi, 
gli  accettò.  È  vero  però  che  subitamente  fu  chiamato  l'Agente  della  Ser"»^ 
in  Carrara,  detto  Jori,  al  quale  consegnò  il  tutto,  incaricandolo  che  lo  in- 
viasse alla  Ser"'"  Padrona  il  giorno  seguente,  come  eseguì.  Diede  ancora 
l)reve  udienza  ad  alcuni  di  quelli  Signori,  che  bramarono  questa  con-solazione, 
ammettendone  più  in  una  volta.  Dubitava  frattanto  di  non  essere  in  tempo 
alla  suddetta  processione  e  spesse  volte  guardava  l'orologio,  alla  fine  partì, 
e  passando  da  Pavenza  fu  salutato  dalla  Fortezza,  (jiunsc  in  Massa  circa  le 
ore  21  e  mezzo,  v,  immantinente  si  portò  dalla  Sig'"  Duchessa;  quivi  si  trat- 
tenne sino  alle  ore  22  e  mezzo,  in  cui  principiò  la  detta  processione,  nella 
quale  erano  numerosissime  le  cinque  Confraternite,  di  maniera  che  la  Com- 
pagnia di  S.  Rocco  per  la  maggior  parte  era  rientrata  in  chiesa  prima  che 
uscisse  il  palco  colla  statua  della  SS"'*  Vergine,  sovra  cui  stava  il  baldac- 
chino di  tela  d'argento  sovra  alte  aste,  il  tutto  portato  da'  fratelli  principali 
della  Compagnia  di  S.  Sebastiano,  quali  ancora  accompagnavano  detto  palco 
con  50  torcie,  tutte  de'  detti  confratelli,  a  riserva  di  6  provvedute  dalla  Com- 
pagnia del  Rosario.  Parimente  v'erano  le  quattro  Religioni  (2)  ed  un  nu- 
merosissimo clero  ed  il  Capitolo  col  Sig""  Abate,  vestito  di  cappa  magna  epi- 
scopale. Era  poscia  seguita  detta  processione  da  moltissimo  popolo  dell'uno 
e  l'altro  sesso.  Il  Principe  nel  passaggio  di  detta  processione  stava  ad  una 
finestra  col  Sig""  Marchese  Lanzo  e  col  suo  governatore.  Durò  la  medesima  quasi 
due  ore,  e  sempre  vS.  A.  con  volto  ridente  stette  nel  detto  luogo,  mostrando 
contento  in  vedere  sì  bell'ordinanza  ed  un'affluenza  di  popolo  sì  numeroso 
e  principalmente  perchè  camminava  con  devozione.  Terminata  la  processione, 
andò  agli  appartamenti  della  Padrona  e  in  quella  sera  fece  un  poco  di  con- 
versazione, che  assai  gustò  al  Ser""'  Principe.  Esso  di  propria  sua  mano  volle 
porgere  la  tazza  di  rinfresco  alle  quattro  Ser"""  Padrone,  alla  colonnella  e  sua 
tigha,  e  voleva  fare  il  medesimo  al  Sig'  ISIarchese  ed  a'  suoi  gentiluomini 
con  somma  famigliarità,  ma  questi  non  volsero.  Frattanto  si  distribuirono  i 
donativi  a'  personaggi  destinati,  cioè  alla  Sig'"  Teresa  Beggio,  prima  dama 
d'onore   e    governatrice    della  Ser'"^'    Duchessina,  un    orologio  d'oro  a   tutta 


(i)  A  Giovanni  baratta,  nato  a  Carrara  il  13  maggio  del  1670,  furono  maestri  due  scul- 
tori fiorentini,  il  Foggini  e  il  .Saldani;  studiò  p\n  a  Roma  ed  ebbe  credito  e  fortuna.  Molti 
lavori  fece  per  Genova  ;  ne  ha  a  Livorno,  a  Firenze,  a  Pistoia,  a  Pisa,  a  Lucca,  a  Castel- 
liorentino  e  a  Torino,  dove  fu  caro  a  Madama  Reale,  che  lo  regalò  d'  una  collana  d'oro. 
Tornato  in  patria,  apri  nella  sua  casa  una  scuola  gratuita  per  i  giovani  che  volevano  dedi- 
carsi all'arte.  Alderano  I  lo  insignì  del  titolo  di  conte,  e  fu  forse  la  sola  volta,  che  quel 
Principe,  che  ne  fece  tanto  e  così  ignobile  scialacquo,  lo  conferisse  al  merito.  .Mancò  ai  vivi 
il  21  maggio  del  1747,  lasciando  gran  parte  delle  proprie  sostanze  alla  nativa  città. 

(2)  Le  quattro  Religioni  erano  quelle  de'  Minori  Osservanti  di  .S.  Francesco,  degli 
Agostiniani,  de'  Serviti  e  de"  Cappuccini. 

85 

5O  _  Mise,  S.  IH,  T.  Xni. 


442  GIOVANNI   SFORZA 


usanza,  colla  sua  catena  d'oro  e  uncino  di  lastra  d'oro  per  tenerlo  securo  at- 
taccato al  fianco  ;  alla  Sig''*  (jiuditta  Brunetti,  altra  dama  d'onore,  un  altro 
orologio  d'oro,  ma  non  così  ricco  come  il  suddetto  e  senza  catena  e  uncino  ;  alla 
dama  della  vSig"'*  Duchessa  due  fisciù,  d'oro  l'uno,  e  l'altro  d'argento;  alla 
Mad"  Ceccopieri,  damigella  della  Duchessina,  un  fisciù  d'oro,  ed  alla  Ric- 
ciarda  un  simile  d'argento;  poi  furono  consegnati  12  zecchini,  da  distribuirsi 
^dle  altre  quattro  donne  di  servizio  delle  suddette  Signore.  Donò  anche  S.  A. 
al  Sig'  Cav.  Ceccopieri,  suo  Maestro  di  camera,  una  bella  spada,  al  Sig' 
Cav.  Augustini  una  canna  d'India  gentile  col  suo  pomo  d'oro,  al  Sig"^  Ma- 
netti  un  vago  orologio  d'argento  ed  altro  simile  al  Maestro  di  casa  Gio.  Ja- 
copo Arrighi,  alli  Paci  una  bella  scatola  per  ciascheduno.  Finalmente  dispensò 
al  credenziere  zecchini  n"  8,  al  bottigliere  n°  5,  alla  sala  n"  12,  alla  caval- 
lerizza n"  6,  alla  cucina  n''  6,  alla  Fortezza  n"  h,  alla  guardia  de'  Rossi  n"  8. 
alli  tedeschi  n"  6  ed  al  maestro  di  ballo  n*  5.  Al  padre  Tirati  cUmìò  una  bella 
scatola  di  pietra  dura,  finita  d'argento  dorato  con  bellissimo  lavoro,  dicendosi 
che  in  questa  vi  fossero  4  luigi.  In  questa  sera  cominciarono  le  cerimonie 
della  vicina  partenza;  tali  complimenti  riuscivano  a  tutti  questi  Signori  sen- 
sibili, avendo  ciascuno  sommo  dispiacere  che  fosse  così  imminente  la  par- 
tenza. Ma  il  Ser'""  Principe  ed  il  suo  governatore  allegavano  motivi  tali  che 
pareva  indispensabile  il  non  potersi  più  trattenere,  temendo  nel  progresso 
dell'autunno  i  tempi  potessero  impedire  il  sollecito  viaggio  che  doveva  S.  A. 
intraprendere  verso  la  capitale  di  Cesare. 

Il  lunedì  mattina  pertanto  S.  A.  ritornò  alle  Monache,  cosi  esortato  dalhi 
Sig'-''  Duchessa,  ed  ivi  ascoltata  la  messa,  andò  al  parlatorio  delle  Principesse 
per  parteciparli    la   di  lui   partenza.    Fu  ancora  in  quest'occasione    breve  il 

complimento  ed  alloro  solito  non  mancarono  motteggiare,  come  si  disse (1) 

principalmente  la  Sig'"  Donna  Maria  Maddalena,  la  quale  gli  domandò  come 
amava  la  Duchessina  ed  esso  rispose  che  molto  l'amava  e  per  le  di  lei  doli 
e  per  essere  la  miglior  parte  di  se  stesso,  essendo  questa  Sig"^""  destinatagli 
in  consorte.  A  cui  soggiunse  la  monaca  che  molto  gli  piaceva  tal  sentimento; 
ma  però  desiderava  ancora  che  non  si  dimenticasse  dell'altre  due  Principesse 
cadette,  che  anch'esse  erano  figlie  del  Sig'  Duca  defunto.  vSentitosi  ciò  dal 
Ser""'  Principe,  molto  ben  capita  la  frase  (essendo  questo  stato  sempre  il 
manto  di  pietà  del  Sig"^  Cardinale  con  cui  aveva  celato  i  suoi  fini)  ributtò 
la  palla,  col  soggiungerle  che  anzi  tutta  la  sua  cura  sarebbe  stata  di  accasare 
le  medesime  con  soggetti  che  le  avrebbero  recata  maggior  fortuna  di  quella 
che  aveva  incontrata  la  prima.  Questa  risposta  rese  mutola  la  Monaca  e 
restò  come  un  ghiaccio,  forse  non  aspettandola  tale;  né  più  replicò.  Dissesi 
ancora  che  aspettavano  un  regalo,  ma  questa  volta  restarono  ingannate  nelle 
loro  speranze. 

Ritornato  dalle  Monache,  quasi  subito  pranzò  colla  solita  nobile  comitiva: 
e  qui  seguirono  espressioni  ingenue  vicendevoli  ed  inenarrabili,  e  per  verità 
erano  accompagnate  da  tal  tenerezza  a  segno  che  movevano  le  lagrime  a' 
circostanti.  Finalmente  avvicinandosi  l'ora  del  partire,  il  Princi|)c  s'alzò  dalla 


(i)  Segue  una  parola  illeggibile,  essendo  la  carta  corrosa  dall'inchiostro. 

8ò 


IL   PRINCIPE  EUGENIO   FRANCESCO  DI   SAVOIA  443 


mensa  e  quasi  s'ing'inocchiò  davanti  alla  Sig'""  Duchessa  ed  in  tutte  le  forme 
volle  baciarle  la  mano,  di  modo  che  alla  Sor""''  le  vennero  le  lagrime  di  te- 
nerezza; poscia,  rivolto  all'amatissima  sposa,  verso  di  questa  fece  tenerissime 
espressioni  d'affetto,  e  da  essa  con  somma  prudenza  furono  corrisposte;  e 
con  proporzioni  passò  li  suoi  offici  coll'altre  e  col  Sig*^  Marchese  T.anzo.  Pa- 
rimente fece  le  sue  parti  col  Conte  Luciani,  assicurandolo  che  mai  si  sarebbe 
scordato  dell'operato  e  sollecitudine  avuta  per  lui,  ringraziò  tutti  i  genti- 
luomini di  Corte,  ed  in  fine,  circa  l'ore  18  e  mezzo,  li  6  ottobre,  tutto  festoso 
ed  al  sommo  sodisfatto,  partì  da  Massa,  incamminandosi  verso  Lerici,  tenendo 
nel  proprio  calesso  il  Sig'  Marchese  Lanzo,  seguendolo  in  appresso  il  suo 
governatore,  solo  nel  carrozzino,  e  dopo  gli  altri  di  sua  Corte  in  tre  calessi. 
Il  Sig'"  Marchese  l'accompagnò  sino  al  Frigido,  perchè  così  volle  S.  A.,  nò 
vi  fu  modo  che  permettesse  al  detto  Marchese  Lanzo  d'andare  avanti  un  passo. 
Onde  S.  A.  entrò  nel  carrozzino  dove  era  il  solo  governatore  e  proseguì  il 
suo  felice  viaggio,  giungendo  a  Lerici  circa  l'ore  21,  ed  il  Sig"^  Marchese 
Lanzo  col  .Sig'"  Colonnello  Cappello  ritornò  a  Massa. 

Non  devesi  tralasciare  qualmente  la  domenica  mattina,  circa  l'ore  1 1,  com- 
parvero all'improvviso  all'altura  competente  delle  nostre  spiaggie  le  due  ga- 
lere di  S.  M.  di  Sardegna,  e  giunte  a  dirittura  del  Rondano,  fecero  la  salva 
reale  verso  la  nostra  città,  cioè  per  tre  volte  spararono  li  loro  cannoni,  e 
dalla  Fortezza  di  Massa  furono  risalutate  con  tutto  il  cannone.  Quanto  fu 
inaspettata  la  venuta  di  dette  galere,  altrettanto  espressero  la  gran  stima 
che  fa  S.  M.  di  Sardegna  del  nostro  Ser"'"  Principe,  che  ben  lo  merita,  non 
solo  per  la  stretta  parentela  che  passa  tra  essi,  ma  ancora  per  le  di  lui  ot- 
time qualità,  commendabili  in  grado  sublime.  Onde  ci  fa  sempre  più  sicuri, 
che  questi  Stati,  per  l'addietro  tanto  vessati,  debbano  sotto  un  tal  Sovrano 
godere  quelle  allegrezze  che  li  renderanno  perpetuamente  felici,  come  ne  ten- 
gono accertata  caparra.  Mentre  l'A.  S.  s'è  protestata  che  non  vole  trattenere 
il  suo  ritorno  al  tempo  in  cui  doveva  effettuare  il  matrimonio,  ma  anzi  ha 
assolutamente  promesso  alla  Ser'"*  Padrona  che  nel  termino  d'anni  due  vole 
di  novo  essere  a  godere  la  pregiatissima  grazia  di  S.  A.  e  non  per  pochi 
giorni,  come  per  necessità  urgentissima  gli  è  successo  al  presente,  ma  bensì 
per  qualche  mese,  molto  desiderando  d'approfittarsi  della  lingua  italiana  in 
questa  Corte.  Queste  espressioni  quanta  consolazione  abbiano  recato  alla  Ser'""' 
ed  alle  Ser"""  figlie,  siccome  ancora  a  tutti  li  Stati,  non  si  può  esprimere. 

Il  Ser"'"  Sig'  Principe,  giunto  a  Lerici,  addirittura  volle  salire  sopra  le 
galere,  e  ringraziò  il  Benedetti  ed  il  Marchese  Olandini  dell'invito  che  li  fe- 
cero di  prevalersi  della  loro  abitazione.  .Solo  si  contentò  ricevere  alcuni  do- 
nativi di  commestibili,  per  onorare  li  medesimi. 


«7 


444  GIOVANNI  SFORZA 


IL 


Ragguaglio  del  viaggio  intrapreso  da  Torino  per  Massa  del 
Ser.f"°  SigJ  Principe  Francesco  Eugenio  di  Savoia.  Conte 
di  Soissons.  destinato  sposo  della  Ser."^^  SigJ^  Maria  Teresa 
Cybo.  Duchessa  di  Massa  e  Principessa  di  Carrara  (^l 

Il  Ser.""^  ^^S-"  l^rincipe  avanti  la  sua  partenza  da  Torino,  fissata  per  il 
giorno  17  di  settembre  dell'anno  corrente  1732,  volle  praticare  l'obbligante 
finezza  di  far  precedere  la  spedizione  del  Sig.'"  Conte  ('erutti,  suo  gentiluomo, 
affinchè  presentasse  nelle  mani  di  S.  A.  S.  la  Sig."*  Duchessa  vedova  Reg- 
gente una  sua  lettera,  in  cui  le  dava  notizia  del  giorno  preciso  destinato  al 
suo  incaminamento  per  Massa,  dove  arrivò  il  suddetto  cavaliere  verso  le 
ore  16  del  dì  17. 

Con  le  lettere  capitate  da  Genova  li  22,  si  ebbe  l'avviso  che  detto  Ser."'" 
Sig/  Principe  era  pervenuto  in  detta  città  la  sera  dei  18,  ma  per  cagione 
del  mare  contrario  non  aver  potuto  pigliare  imbarco  sopra  la  capitana  delle 
galere  di  Sardegna,  fatta  partire  a  tal  fine  da  S.  M.  dal  porto  di  Villafranca, 
in  conserva  di  altra  galera  di  quella  squadra  ;  fermandosi  perciò  in  detta 
città  vS.  A.  S.,  sempre  servita  da  due  de'  principali  cavalieri,  deputati  da 
quella  Ser.'""  Repubblica;  sintantoché,  abbonacciatosi  il  mare,  ebbero  campo 
le  due  galere  di  far  vela;  né  permettendo  la  marea  della  piaggia  di  Massa 
lo  sbarco  ivi  dell'A.  S.  Ser.'""  restò  questo  effettuato  nel  Porto  di  Venere 
la  mattina  dei  3  ottobre,  sotto  la  salva  triplicata  degli  otto  pezzi  d'artiglieria 
per  ogni  volta  delle  medesime  galere,  ed  avendo  ritrovati  pronti  nel  luogo 
di  Lerice  li  calessi  occorrenti  sino  al  numero  di  cinque,  attese  le  precauzioni 
ordinate  da  detta  Ser.'""  Reggente,  la  quale  per  molti  giorni  prima  vi  aveva 
fatto  essere  un  suo  corriere,  s'incamminò  il  Sig.'    Principe  alla  volta  di  Massa. 

Giunto  a'  confini  tra  lo  Stato  di  Genova  ed  il  Principato  di  Carrara, 
trovò  disposta  una  compagnia  di  cinquanta  Corazze,  con  veste  e  calsoni  di 
dante,  come  pure  una  carrozza  a  sei  cavalli  con  due  Cavalieri  di  croce, 
che  li  fecero  un  boi  complimento  in  nomo  di  dotta  Sig.'"  Duchessa;  e  sceso 


(i)  Si  conserva  tra  le  carte  de'  Cybo  nel  R.  Archivio  di  Stato  in   Modena.  OtìVe  qualche 
particolarità  sconosciuta  al  Rocca,  o  da  lui  dimenticata. 

88 


IL  PRINCIPE  EUGENIO  FRANCESCO  DI   SAVOIA 


445 


di  calesse  il  Sig.'  Principe  col  Sig.'  Marchese  di  Cavattore,  suo  aio,  entrò 
in  detta  carrozza  cogli  altri  due  Cavalieri,  che  seco  aveva,  cioè  il  Sig/  Conte 
di  Riandrà  scudiere  di  S.  M.  Sarda  e  il  nominato  Sig.'  Conte  Cerutti,  essendo 
entrati  poscia  in  detto  calesse  li  predetti  due  cavalieri  di  Massa,  e  posta  in 
mezzo  la  carrozza  da  detta  guardia  delle  Corazze  ,  marciò  S.  A.  S.  in  tal 
forma  sino  alla  Fortezza  di  Lavenza,  ricevendo  continue  acclamazioni  di  viva 
da  quelli  sudditi,  che  stavano  nelle  vicine  campagne,  o  che  a  bella  posta  si 
erano  ivi  trasferiti,  per  ammirare  un  Principe  di  sì  rara  bellezza  e  prestar 
ossequio  al  di  loro  futuro  Padrone. 

Pervenuto  a  detta  Fortezza  di  T.avenza  trovò  nella  Strada  Romana 
schierato  in  bella  ordinanza  quel  presidio  Alemanno  ed  a  cavallo  il  Sig.'  Te- 
nente Colonnello  Xostelfer  con  gli  altri  uffiziali  dello  stesso  presidio  ,  dai 
quali  venne  complimentato;  e  detta  Fortezza  lo  salutò  con  pezzi  ventiquattro 
di  cannone. 

Nell'andare  avanti,  circa  un  miglio  in  distanza  da  Massa,  restò  sorpresa 
S,  A.  S.  nel  trovare  ivi  la  Sig/"  Duchessa  Reggente,  con  due  carrozze  a 
sei  cavalli  e  con  altra  compagnia  di  sessanta  Corazze,  vestite  come  sopra, 
le  quali  servivano  di  guardia  alla  medesima  Sig."^^  Duchessa,  che  stava  con 
S.  E.  il  Sig.'^  Marchese  d'Este.  di  lei  zio  materno,  trasportatosi  a  bello  studio 
in  detta  città  sei  giorni  prima  dal  suo  Stato  di  S.  ^Martino. 

A  tal  vista  pose  subito  piede  a  terra  il  Sig.'  Principe,  facendo  il  simile 
nel  tempo  stesso  il  mentovato  Sig.'  Marchese  d'Este,  e  volando  alla  car- 
rozza della  Sig.'-'  Duchessa  la  trattenne  dallo  scendere  in  terra,  com'era  in 
atto  di  eseguire,  avendola  riverita  e  complimentata  con  espressioni  rispet- 
tose non  meno  che  gentilissime,  alle  quali  corrispose  la  Sig."  Duchessa  con 
sentimenti  di  stima  e  tenerezsa,  onde  ciascuno  degli  astanti  ebbe  luogo  di 
ravvisare  in  detto  Principe  le  sommissioni  di  un  vero  figlio  e  nella  Sig." 
Duchessa  l'affetto  sincerissimo  di  vera  madre. 

Entrati  successivamente  nella  carrozza  di  essa,  tanto  il  Sig,"^  Principe, 
quanto  il  Sig,"^  Marchese  d'Este,  s'inoltrarono  verso  la  città  ,  e  gionti  alla 
chiesa  di  Nostra  Signora  di  Misericordia,  nel  mezzo  delle  universali  accla- 
mazioni de'  popoli,  diede  principio  a  .salutarlo  col  suo  cannone  la  Fortezza 
di  Massa,  che  prosegui  sino  al  numero  di  ventiquattro  tiri. 

Gionti  alla  città,  trovarono  di.sposti  sulla  Piazza  avanti  al  Palazzo  Du- 
cale cento  soldati  Alemanni  con  tamburini  battenti  e  co'  i  loro  ufiziali  alla 
testa,  ed  appena  entrata  la  carrozza  de'  Principi  dentro  il  suddetto  Palazzo 
fecero  le  truppe  Alemanne  una  scarica  generale  de'  loro  fucili. 

Non  volle  passare  il  Sig."^  Principe  all'appartamento  destinatoli,  ma  bensì 
accompagnare  la  Sig.''  Duchessa  al  suo  quarto,  dove  poco  dopo,  fatta  da  lei 
chiamare,  comparve  la  Ser."'-''  Sposa,  servita  da  due  dame  e  da  altrettanti 
cavalieri  di  croce,  con  la  quale  complimentò  il  Sig.'  Principe  Sposo,  parte 
in  lingua  italiana  e  parte  in  lingua  francese  ;  e  tuttoché  la  medesima  Prin- 
cipessa si  trovi  nella  tenera  età  di  anni  sette  e  tre  mesi,  li  rispose  con  tutta 
grazia  e  sensati  concetti  nell'uno  e  nell'altro  idioma. 

Fermatisi  per  qualche  tempo  insieme  i  detti  Ser.™'  portossi  poi  il  Sig.'  Prin- 
cipe al  di  lui  appartamento,  e  venuta  l'ora  del  pranzo,  seguì  esso  nella  camera 
dell'udienza  della  Sig.'*  Duchessa,  stando  alla  mensa  la  medesima  Sig. '^•'  con 
89 


440  GIOVANNI   SFORZA 


le  sue  tre  iiglie,  il  Sig-.'   Principe  e  Sig.'   iMarchese  d'Este;    avendo    sempre 
continuato  in  tal  modo. 

Nel  giorno  appresso  andò  il  Sig.'  Principe,  circa  le  ore  22.  nell'apparta- 
mento della  Sig."  Duchessa,  dove  trovavasi  la  Ser."'"  Sposa,  alla  quale  pre- 
sentò con  le  proprie  mani  un  nobilissimo  regalo  di  gioie,  come  pure  altro 
cospicuo  regalo  alla  vSig.'-'  Duchessa  Madre  e  all'altre  due  Principesse  cadette, 
giusta  la  seguente  descrizione  : 

Nota  delle  gioie  portole  in  regalo  alla  Ser.'""  Sig.'"  Maria  Teresa  Cyf)o.  Du- 
chessa di  Massa,  dal  Ser.'""  Sig:  Priiìcipe  Francesco  Eugenio  di  Savoia, 
Conte  di  Soissons,  sno  sposo: 

Diamanti:  Grani  Luigi  d'oro 

l'no  qual   forma  il  colano '7^8  43" 

I     detto  in  mezzo  la  croce       20  ^/^  311 

5    altri  nella  croce       57  %  65S 

1  nel  mezzo  alla  catenella        5  —  33 

2  nella  goliera 25  —  231 

5  altri,  come    sopra 65  —  682 

6  altri,  come  sopra 45  V«  53" 

2  altri,  come  sopra '2V>i  ^^~ 

4  altri,  come  sopra 21  ^/^  198 

2  quali  formano  li  bottoni  d'orecchie        .     .        —  793 

2  goccie  per  li  suddetti  bottoni 49 —  112S 

22    piccoli  nelli  galantini         42 —  113 

62    altri  piccoli  nella  goliera 73 —        '  iiS 

.Sommano  in  tutto  Luigi  d'oro       .     .     .     5337 

Siegue  la  nota  degli  altri  regali  fatti  dall'A.  Sua,  tanto  alla  predetta 
Ser.'""  Sposa  ed  alla  Ser.'"'  Sig.'''  Duchessa  Madre  Reggente,  quanto  alle 
Ser.""    due   Principesse  cadette: 

Una  mostra  d'orologio  d'oro  a  ripetizione  ,  d'  Inghilterra  ,  guarnita  di 
pietre  d'agata  orientale  e  briglianti,  catena,  crocetto  assortito. 

Uno  stuccio,  pure  d'oro,  con  catenella,  guarnito  come  sopra. 

Tre  altri,  uno  di  diaspro,  guarnito  di  diamanti;  altro  d'oro,  a  colonne; 
et  altro  d'agata,  foderato  d'oro. 

Tre  tabacchiere,  cioè  due  d'oro,  guarnite  una  con  diamanti  briglianti  ; 
l'altra  fatta  alla  Persiana;  e  la  terza  di  moere,  incrostata  e  smaltata,  con 
fodra  d'oro. 

Due  panier  navette  cheniglie,  uno  d'oro  et  l'altro  d'argento  ,  con  sue 
borse. 

Due  para  forbici  d'oro,  con  stucci  fodrati   di  sagrino. 

Una  scatola  d'oro,  per  le  mosche. 

Una  fiola,  per  il  salmoniaco,  d'oro  cesellata. 

N°  14  ventagline,  cioè  una  guarnita  di  briglianti.  e  lo  restanti  di  diverse 
sorti  d'assortimenti. 

Tre  mantiglie,  una  di  velluto  negro,  ricamata  d'oro;  altra  con  reso 
d'argento  e  sua  menagera;  et  altra  piccola. 

90 


IL  PRINCIPE  EUGENIO   FRANCESCO  DI   SAVOIA  447 


Un  mantelletto  alla  Pollonoisa  di  satino,  ricamato    d'argento,  con    reso. 

Tre  pellegrine,  cioè  una  di  garzo  broché  d' argento  ;  altra  di  velluto 
ponsò,  con  un  reso  ;  et  altra  di  broché  grande. 

Quattro  palatine,  cioè  due  con  bustiere.  braccialetti  con  fiori  ,  brodate 
d'argento,  con  un  esclavage. 

Quattro  nodi  o  siano  Postilioni   d'Amour. 

Sei  para  guanti   di  satino,  brodati  d'argento. 

dodici  para  guanti  di  tela  d'Olanda. 

Una  guarnitura  compita  di  pizzetto  d'Allancon. 

Tre  coveffure  con  ingagiante,  palatine,  manizza,  scossali,  bustiere.  brac- 
cialetti ;  una  di  satino  bianco,  con  reso  d'oro  e  fiori  ricamati  :  altra  di  satino 
rosso,  guarnita  d'argento;  et  altra  di   satino    blu.    guarnita    pure    d'argento. 

N°  24  dozzene  para  di  guanti  di  pelle. 

N"  6  guarniture  di  bindelli  brodati. 

X"  3Ò  aune  bindelli  d'argento. 

Bindelli  di  seta  in  molta  quantità  (i). 

Xe'  pochi  giorni  della  di  lui  dimora  in  Massa  ha  procurato  la  Sig."  Du- 
chessa di  farli  godere  ogni  sera  il  divertimento  d'un'  accademia  di  suoni  e 
musica,  gradita  estremamente  dal  Sig.'  Principe  ;  essendovi  sempre  stato 
un  copioso  rinfresco  di  frutti  gelati,  sorbetti  e  di  simili  bevande. 

Xel  giorno  5  andò  a  Carrara,  dove  fu  accolto  da  quei  sudditi  ,  che  a 
turbe  vi  erano  concorsi  ancora  dalle  terre  e  ville  di  quel  Principato  ,  con 
applausi  infiniti;  e  circa  le  ore  22  si  resticuì  a  Massa,  per  vedere  la  solenne 
processione  del  SS.'""  Rosario,  la  di  cui  festività  si  celebrava  in  detta  gior- 
nata; e  tanto  nell'andare,  quanto  nel  ritornare  fu  salutato  dalla  Fortezza  di 
Lavenza  con  dieciotto  tiri  di  cannone  per  volta. 

Premendo  poi  a  S.  A.  S.  di  prevenire  la  caduta  delle  nevi  su  gli  alti 
monti  che  debbono  transitarsi  per  andare  a  Vienna,  prese  congedo  la  mat- 
tina dei  6  dello  stante  ottobre,  e  dopo  aver  pranzato  in  compagnia  come 
sopra,  s'incamminò  alla  volta  di  Lerice  ad  effetto  d'imbarcarsi  sopra  le  me- 
desime galere  del  Re  di  Sardegna,  per  passare  a  Genova  e  di  là  a  Vienna; 
e  nel  sortire  dalla  città  fu  parimente  salutato  con  ventiquattro  tiri  di  can- 
none e  da  numero  eguale  nell'accostarsi  alla  Fortezza  di  Favenza,  fin  dove 
restò  accompagnato  dal  predett(j  Sig.'  Marchese  d'Este  e  da  più  gentiluomini 
della  Corte  della  Sig."  Duchessa. 

Prima  però  di  far  partenza  ordinò  il  Sig.'    Principe  li  sutto  notati  regali: 

al  Cavaliere  destinatoli  per  Maestro  di  Camera  una  spada  con  guardia 
d'  oro  ; 

al  (rentiluomo  di  Camera  un  bast(jne  con  pomo  d'oro  e  suo  nastro, 
assai  ricco  ; 

al  Coppiere  un  orologio  d'argento  ; 

alli  due  Paggi  una  tabacchiera  d'oro  per  ciascheduno; 


(i)   Di  queste  due  .\'o(v  ce  n'è  una  copia  anche    nell'  Archivio    di    Stato  in  .Massa.    Cfr. 
Archivio  dei  Duchi  di  Massa.  Matrimoni  della  Casa  Cybo,  filza  n"  482. 

91 


4|fi         GIOVANNI    SFORZA  -11.   PRlNC^IPi:   EUGENIO   FRANCESCO   DI    SAVOIA 


alle  due  Dame  della  Sot.'""  Sposa  un  orologio  d'oro,  con  finimenti 
eompagni,  per  cadauna; 

alla  prima  Damigella  due  Hsciìi  riccliissiiìii,  che  uno  ricamato  d'oro 
e  l'altro  d'argento; 

all'altre  due   Damigelle   un   fisciù   simile  per  ognuna  ; 

alle  quattro  donne  del  servi/io  più  ordinario  tre  zecchini  a  testa; 

al  Cappellancì  che  li  disse  la  Messa  una  tabacchiera  d'agata  ,  legata 
in  oro  ; 

al  Maestro  di  Casa  un  orologio  d'argento; 

agli   Aiutanti   di   Camera  zecchini  dieci  ; 

al  Confetturiere  zecchini  otto  ; 

al  Credenziere  zecchini  cinque  ; 

al   Dispensiere  zecchini  tre  ; 

alli  Staffieri  zecchini  dodici  ; 

ai  soldati  della  (luardia  di  S.    A.  S.  zeccliini   sei; 

alli  soldati  dell'altra  (Tuardia  Tedesca  zecchini   sei; 

alla  Cucina  zecchini  sei  ; 

alla  vScuderia  zecchini  otto  ; 

al  Corriere  zecchini  sei. 

Deve  ancora  sapersi  che  detto  Sig/  Princi[)c  tu  pri'sentato  alla  Sig.'"  Du- 
chessa in  nome  del  Re  di  Sardegna  dal  riferito  Sig.'  Conte  di  Riandrà,  suo 
Scudiere;  <>  che  la  mattina  dei  5,  verso  l'alba,  si  portarono  le  due  galere 
di  .Sardegna  in  faccia  a  Massa,  fermandosi  mezzo  miglio  in  distanza  dalla 
piaggia,  e  dopo  ammainate  le  vele ,  fecero  una  salva  triplicata  del  loro 
cannone,  di  otto  colpi  per  volta  ;  al  qual  saluto  rispose  la  Fortezza  di  Massa 
con  tiri  ventiquattro  e  quella  di  i.avenza  con  tiri  dieciotto,  avendo  nel  tempo 
stesso  la  Capitana  spiegato  il   Padiglione  Reale. 


92 


INDICE  DELLE  MATERIE 

CONTENUTE    NEL   VOLUME   gUARANTAQUATTRESIMO 

TREDICESIMO    DELLA    TERZA    SERIE 


Elenco  dei  membri  della  Regia  Deputazione     ........    Pag.  v 

Mutazioni  avvenute  nel  Corpo  della  Regia  Deputazione           ......  xv 

Verbale  della  XCIV-XCV»  seduta  generale »  xvi 

Doni  offerti  alla  R.  Deputazione           ...........  xix 

DALMASSO  (Luiyi).  I  Piemontesi  alla  guerra  di  Candia  (1644-1669)  Pdi^-        i 
L.VTTES  (Alessandro).  Francesco  De  Aguirre  e  Scipione  Maffei         »        73 
\T\'AXET  (Filippo).  La   Sardegna   negli  Archivi  e  nelle  Biblioteche 
della  Spagna.  (Memoria  postuma  publjlicata  con  prefazione    da 
Silvio  Lippi)       ...........       89 

GAGGLA  (Giacinto).  Commemorazione  di  M'>ns.  Luigi  Fé  d'Ostiani  117 

SAXT'AMBROGK  )  (Diego).  Origine  e  notizie  diverse  intorno  al  Prio- 
rato   cluniacense    di    S.    Pietro    di    Castelletto   in    provincia  di 

Vercelli .         .        »     123 

ROSSI  (Girolamo).  Glossario  medioevale  ligure  (Appendice)         .         »     133 
ALAXXO  (Antonio).  Leone  Fontana  (Ricordi),         .         .         .         .         »     219 
CIPOLLA  (Carlo).  Inventari  trascritti  da  Pergamene  Bobbiesi  dei  se- 
coli XIIT-XIV »      Z^T, 

MAXXO  (Antonio).  Commemorazione  di  Ermanno  Ferrerò  .         .  >     279 

TORELLI  (Pietro).  I  patti  della  liberazione  dell'Arcivescovo  Cristiano 
di  Magonza,  arcicancelliere  dell'impero,  prigione  dei  marchesi  di 
Monferrato  .         •         .         .         .         .         .         .        .         .         »     319 

TELIXXCIXI  (A.).  La  translazione  delle  salme  di  due  Principesse  di 

Savoia  dalla  chiesa  de'  SS.  XII  .Vpostoli  in   Roma      .         .         »     345 
SFORZA  (Giovanni).  Il  principe  Eugenio   Francesco  di  Savoia  conto 
di  Soissons  e  il  suo  fidanzamento    con  Maria  Teresa  Cybo  du- 
chessa di  Massa         .........)-      359 


57  —  Mise.  s.  HI,  T.  xni. 


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