V-
MISCELLANEA
STORIA ITALIANA
TERZA. SERIE
TOMO XIII
(XLIV DELLA RACCOLTA)
R. DEPUTAZIONE SOVRA GLI STUDI DI STORIA PATRIA
PER LE ANTICHE PROVINCIE E LA LOMBARDIA
MISCELLANEA
DI
STORIA ITALIANA
TERZA SERIE
TOMO Xlll
(XLIV DELLA RACCOLTA)
TORINO
FRATELLI BOCCA LIBRAI DI S. M.
MCMIX.
^A
/
/^- //-/^
PROPRIETÀ LETTERARIA
STAMPERIA REALE G. B. PARAVIA K C.
1389-1908 (50C4) 909.
ELENCO
MEMBRI DELLA REGIA DEPUTAZIONE
SOVRA
GLI STUDI DI STORIA PATRIA
per le Antiche Provincie e la Lombardia
Presidoiic.
Carutti di Cantogno Barone Domenico, Senatore del Regno, Socio della Reale Accademia
delie Scienze di Torino, Socio della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche della
R. Accad. dei Lincei e dell'Istituto storico italiano, Accademico corrispondente della
Crusca, Membro onorario del Consiglio degli Archivi, Presidente onorario di Sezione del
Consiglio di Stato ; Gr. Uff. * ; Gr. Cord. ©, Cav. e Cons. o, Gr. Cordone Leone neerl.
Is. Catt. di Sp. e S. Marino ecc., Torino, via della Zecca, 7 (15 aprile 1884Ì.
Vice-Presidenti.
BosELLi S. E. Paolo, Primo Segretario di S. M. per l'Ordine Mauriziano e Cancelliere del-
l'Ordine della Corona d'Italia, Presidente della Giunta Direttiva del R. Politecnico italiano,
Dottore aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza della R. Università di Genova, già
Prof, nella R. Università di Roma, Prof, onorario della R. Università di Bologna, Vice
Presidente della R. Accad. delle Scienze di Torino, Socio Corrispondente dell'Accademia
dei Georgofili, Presidente della Società di Storia patria di Savona, Socio onorario della
Società ligure di Storia patria, Socio onorario dell'Accademia di Massa, Socio della
R. Accademia di Agricoltura, Corrispondente dell'Accademia Dafnica di Acireale, Pre-
sidente onorario della Società di Storia patria degli Abruzzi in Aquila, Corrispondente
della classe di Scienze morali del R. Istituto di Bologna, Membro del Consiglio e della
Giunta degli Archivi, Deputato al Parlamento Nazionale, Presidente del Consiglio pro-
vinciale di Torino, Presidente del Consiglio Superiore della Marina mercantile. Membro
del Consiglio del Contenzioso diplomatico, Gran Cord. *, e ©, Gran Cord. dell'Aquila
Rossa di Prussia, dell'Ordine di Alberto di Sassonia, dell'Ordine di Bertoldo I di Ziih-
ringen (Baden) e del Sole levante del Giappone, Gr. Uff. Ordine di Leopoldo del Belgio,
Ufifìz. della Corona di Prussia, della L. d'O. di Francia e C. O. della Concez. di Porto-
gallo, Torino, piazza Maria Teresa, 3 (19 maggio 1892).
Staglieno Marchese Marcello, Socio della Società ligure di Storia patria, dell'Accademia
ligustica di Belle Arti , della R. Accademia Albertina di Torino , Segretario della
Comm. Araldica ligure, ecc., *, Uff. ©, Genova, via Caffaro, 29 ini. 6 (3 maggio 1900).
Vi r. deputazione sovra gli studi di storia patria
Nov'ATi Francesco , Dottore in Lettere , Professore ordinario di Storia comparata delle
letterature neolatine nella R. Accademia scientifico-letteraria di Milano e Preside-Rettore
della stessa Accademia, Presidente della Società storica lombarda, Membro della
Commissione reale per l'edizione delle opere del Petrarca, Socio corrispondente della
R. Accademia delle Scienze di Torino, Socio corrispondente dell'Ateneo di Bergamo,
della R, Accademia di Scienze e Lettere di Padova, Membro della R. Commissione Aral-
dica per la Lombardia, Corrispondente del R, Istituto lombardo di Scienze e Lettere,
della R. Deputazione di Storia patria per l'Umbria, della Società storica pistoiese, della
Società storica della Valdelsa , Socio onorario della R. Accademia di Belle Arti in
Milano, Comm. &, Mi/ano, z'ia Borgonuovo, i8 (26 giugno 1902).
Segretaj^io.
Manno Barone D. Antonio, Socio della R. Accademia delle Scienze di Torino e dell'Isti-
tuto storico italiano. Commissario del Re presso la Consulta Araldica, Membro del Con-
siglio degli Archivi, Dottore hoìioris caussa della R. Università di Tiìbingen, Gr. Uff. %,
e Gr. Cord. ©, Bali Cav. Gr. Cr. di onore e devozione del S. M. O. di Malta, fregiato di
Ordini stranieri, Torino, via Ospedale, 19 (2 giugno 1875).
Membri residenti ifi Torino.
Carutti di Cantogno Barone Domenico, predetto (8 maggio 1S51).
Manno Barone D. Antonio, predetto (21 aprile 1874).
BosELLr Paolo, predetto (7 aprile J890).
Baudi di Vksme (dei Conti) Nobile Alessandro, Direttore della Regia Pinacoteca di Torino,
Torino, via dei Mille, 54 (4 giugno 1895).
MoROZzo della Rocca Cav. Emmanuele, Dottore di Leggi, Maggior Generale nella Riserva,
Aiutante di campo onorario della fu S. M. il Re Umberto I, Corrispondente dell'Acca-
demia di Scienze, Agricoltura e Belle Lettere di Aix, Uff. ^j^, Comm. ©, e O. Concezione
di Portogallo, Victring, presso Klagenfurt (Austria) e Torino, via della Rocca, 29
(4 giugno 1895).
UssEGLio Avv. Leopoldo, Primo Ufficiale del Gran Magistero Mauriziano, Comm. %, ^,
Torino, via Genova, 3 (27 aprile 1897).
Roberti Giuseppe, Dottore in Lettere, Professore nell'Accademia militare e nel R. Liceo Gio.
berti di Torino, membro della Commissione Araldica piemontese ; Corrispondente del-
l'Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Besan<;on, ©, Torino, via Bonafous, 7
(23 giugno 1898).
RoNDOLiNO Ferdinando, Dottore di Leggi, Torino, via Porta Palatina, 2, e Cavaglih
(3 maggio 1900).
Rinaudo Costanzo, Dottore in Lettere, Filosofia, Teologia e Giurisprudenza, Aggregato alla
Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Univ. di Torino, Prof, di Storia nel R. Liceo Gioberti
e di Scienze sociali alla Scuola dì guerra, Comm. # e ©, Torino, via Brofferio, 3
(26 giugno 1902).
.Sforza nob. Giovanni, Socio nazionale residente della R. Accademia delle Scienze di To-
rino, Vice-Presid. della R. D. di Storia patria di Modena per la Sotto-sezione di Massa
e Carrara, Socio effettivo di quelle di Toscana e di Parma, Corrispondente della R. Ac-
cademia di Scienze, Lettere ed Arti in Modena e della Società ligure di Storia patria.
Socio ordinario non residente della R. Accademia lucchese di Scienze, Lettere ed Arti,
Socio onorario della R. Accademia di Belle Arti di Carrara, ÌMembro d'onore à.^W Aca-
dcmie Chablaisienue di Thonon-les-Bains, Membro aggregato à^W Acadcmic dcs Sciences,
Belles-I.cttres et Aris de Savoie, Socio della R. Commissione per i testi di lingua, Membro
R. DEPUTAZIONE SOVRA GLI STUDI DI STORIA PATRIA VII
della Commissione Araldica piemontese, della Società di Storia patria di Vignola, della
Commissione municipale di Storia patria e belle arti della Mirandola, della Commissione
senese di Storia patria, e della Società storica di Carpi, Corrispondente della Commis-
sione Araldica toscana, della Società Georgica di Treja e della Colombaria di Firenze,
Presidente onorario della R. Accademia dei Rinnovati di Massa, ecc., Direttore del
R. Archivio di Stato di Torino, Uff. © e ^, Torino, via Giusti^ 4 (15 maggio 1904).
Lattes Alessandro, Dottore in Leggi, Socio corrispondente del R. Istituto lombardo di
Scienze e Lettere, Libero docente di Storia del diritto italiano presso la R. Università
di Torino, Torino, via Vittorio Amedeo //, 16 (7 giugno 1906).
Segre Dott. Arturo, Professore di Storia e Geografia del R. Liceo Vittorio Alfieri di Torino,
Libero docente di Storia moderna nella R. Università di Torino, Corrispondente esterno
della R. Deputazione veneta di Storia patria, Membro della Soc. stor. lombarda, Torino,
via Assieita, 65 (16 maggio 1907).
Membri non residenti in Torino,
Rossi prof. Girolamo, Ispettore degli Scavi e Monumenti nella provincia di Porto Maurizio,
Corrispondente della R. Deputazione di Storia patria delle Romagna, di quella della
Toscana, Umbria "e Marche, della Società ligure di Storia patria, dell'Imperiale Istituto
archeologico della Germania, della Società di Storia della Svizzera Romanza, della So-
cietà Georgica di Treja, dell'Economica di Chiavari, della Società delle Scienze naturali
e storiche di Nizza, della Società degli Architetti delle Alpi marittime, dell'Istituto di
Numismatica e di Antichità di Buenos Aires, dell'Istituto delle Provincie di Francia,
della R. Consulta Araldica, dell'Accademia di S. Tommaso di Ventimiglia, •5^ e Comm. @
e di S. Carlo di Monaco, Ventimiglia (i" luglio 1860).
Ceruti Sac. Antonio, Dottore Vice Prefetto della Biblioteca Ambrosiana, Membro effet-
tivo del Regio Istituto lombardo di Scienze e Lettere e della R. Commissione per i testi
di lingua, Corrispondente della Società ligure e della R. Deputazione di Storia patria
di Venezia, Onorario della R. Accademia di Belle Arti di Milano, delle Società archeolo-
giche di Novara e Udine, delle .Società Colombaria di Firenze e Raffaello di Urbino, ecc.
%, Cernobbio (io marzo 1868).
Dell'Acqua Carlo, Dottore di Leggi, Bibliotecario emerito della Regia Università di Pavia,
Presidente emerito del Consiglio d'Amministrazione civile della R. Basilica di S. Michele
in Pavia, Presidente della Società per la conservazione dei Monumenti pavesi dell'Arte
cristiana, Membro della Commissione provinciale d'antichità e BB. AA., Corrispondente
Acc. fisio-medica di Milano, della R. Accademia di Lucca, Membro della Commissione
di vigilanza sugli Istituti di Belle Arti di Pavia e del Museo civico dì Storia patria, %,
Comm. ©, Pavia (io maggio 1880).
Due Monsignor Augusto, Arcivescovo titolare di Traiano|)oli, Comm. *, Aosta (15 aprile 1884).
Staglieno Marchese Marcello, predetto (15 aprile 1884).
Neri Prof. Achille, Socio della Commissione per i testi di lingua e della R. D. di Storia
patria di Modena, Corrispondente della Società ligure di Storia patria, della Reale Acca-
demia di Se, LL. ed AA. di Lucca, della R. Deputazione di Storia patria per le Pro-
vincie parmensi e della R. Accad. dei Rinnovati di Massa, ^- e ©, Genova, via Lomellini,
Scuola « Agostino Lomellini » (15 aprile 1884).
Cipolla Conte Carlo, Professore di Storia moderna nel R. Istituto di studi superiori di
Firenze, Socio della R. Accad. delle Scienze di Torino e della Regia Deputazione di
Storia patria di Venezia, Socio nazionale della R. Accad. dei Lincei, Comm. ©, I^irenze,
via Lorenzo il magnifico, 8 (14 aprile 1885).
Seletti Avvocato Emilio, Consigliere nella Presidenza della Società storica lombarda. Cor-
rispondente R. Deputazione di Storia patria per le Provincie di Parma e Piacenza, ^,
Milano, via Santa Marta, 19 (15 aprile 1886).
vili R. DEPUTAZIONE SOVRA GLI STUDI DI STORIA PATRIA
Beltrami Arch. Luca, Senatore del regno, Membro effettivo del R. Istituto lombardo di
Scienze e Lettere, Membro onorario del /?. InstUnt of Briiish Architects, Membro
corrispondente dell' Lstituto di Francia, Milano, via Cernaia, i (14 maggio 1889).
Motta Ingegnere Emilio, Segretario della Società storica lombarda. Bibliotecario della Tri-
vulziana, Consigliere di Presidenza della Società numismatica italiana, Socio d'onore
della R. Accademia di Beile Arti, Milano, via Vittoria, 53 (19 maggio 1892).
Poggi Vittorio, Dottore in Leggi, Ten. Colonn. nella Riserva, Prefetto della Biblioteca e del-
l'Archivio civico di Savona, già R. Commissario per le Antichità e Belle Arti della Liguria,
Dottore aggregato alla Facoltà di F'ilosofia e Lettere della R. Univ, di Genova, Corri-
spondente della R. Accad. delle Scienze di Torino, Socio emerito della R. Deputazione di
Storia patria di Parma e Corrispondente di quella di Romagna, Socio della Società ligure
di Storia patria. Vice presidente della Società storica savonese. Membro della R. Commis-
sione conservatrice dei Monumenti per la provincia di Genova, Membro dell'I. Istituto
archeologico germanico. Accademico di merito dell'Accad. ligustica di Belle Arti, Membro
della Comniiss. Araldica ligure. Membro della Commissione direttiva della Galleria Bri-
gnole Sale De-Ferrari nel Palazzo Bianco di Genova, Presidente della Commissione per
la Pinacoteca civica di Savona, R. Ispettore pei Monumenti e Scavi del circondario di
Savona, ^ e Comm. ©, Savona (19 maggio 1892),
NovATi Francesco, predetto (19 maggio 1892).
Carta Avv. Francesco, Bibliotecario della Estense e della Universitaria di Modena, e e ^t-
(4 giugno 1895).
Imperiale di S. Angelo Marchese Cesare, Dottore in Leggi, Deputato al Parlamento, Pre-
sidente della Società ligure di Storia patria, Delegato della stessa Società presso l'Istituto
storico; decorato della medaglia d'argento dei benemeriti della Salute pubblica (1884),
Comm. ©, Genova (23 giugno 1898 .
Peragallo Sac. Luigi Prospero, Socio fondatore della Soc. geogr. di Lisbona, Corrispon-
dente della Soc. geogr. italiana. Membro della R. Accademia di Scienze di Lisbona,
della R. Accademia di buone lettere di Siviglia, dell'Accademia etrusca di Cortona,
Vice Presidente della Soc. ligure di Storia patria, Corrispondente della Società di let-
ture e conversazioni scientifiche di Genova, della Società scientifica Cristoforo Colouibo di
Genova, Membro onorario della Società letteraria Luigi de Carnòes di Oporto, della
Società letteraria Luip^i de Canides in Napoli, e della Società letteraria Alnieida Garret
di Lisbona, Abate mitrato della insigne Basilica di Carignano in Genova, Cav. *, 5>,
Genova, piazza di Carignano, 14 (23 giugno 1898).
Manfroni Camillo, Dottore in Lettere, Membro della R. Società romana di Storia patria,
della R. Accad. di Scienze e Lettere di Padova, della R. Acad. de la historia di Madrid.
dell'Ateneo veneto, Corrispondente della R. Deputazione veneta di Storia patria, Pro-
fessore ordinario di Storia moderna nella R. L^niversità di Padova. *, Uff. e», Padova
(23 giugno 1898).
Savio Sac. Fedele, Professore di Storia ecclesiastica nella Pontificia Università Gregoriana,
Socio nazionale non residente della R. Accad. delle Scienze di Torino e della Società
storica lombarda, Roma, via del Seminario, 120 (18 maggio 1899).
Bensa Enrico, Dott. aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza della R. Università di Genova,
Prof, pareggiato di Diritto marittimo nella detta Università e Prof, ordinario di Diritto
nella R. Scuola Superiore di applicazione per gli studi commerciali. Socio della Società
di legislazione comparata, dell'Associazione italiana di Diritto marittimo e dell'Associa-
zione internazionale per la protezione della proprietà industriale, Presidente della Sezione
di legislazione nella Società ligure di Storia patria, Consigliere dell'AssociazioiM per la
riforma e la codificazione del diritto internazionale. Membro della Commissione per la
conservazione dei Monumenti della provincia di Genova, ©. Genova, via S. Bernardo, 19
18 maggio 1899.
Da Ponte Nobile Pietro. Dottor di Leggi, R. Ispettore degli Scavi e Monumenti e Socio
dell'Ateneo di Brescia, Corr. della Consulta Araldica, ecc., ik>, Brescia (3 maggio 1900).
R. DEPUTAZIONE SOVRA GLI STUDI DI STORIA PATRIA IX
Gasparolo Sac. Francesco, Dott. in Teol., Filosof. , Paleografia e Leggi, Canonico, Alessandria
(3 maggio 1900).
AsSERETO Ugo, Dott. in Leggi, T. Gen. nella Riserva, Comm. © e *, Genova, via Galeazzo
Alessi, 7-7 (19 maggio 1901).
Calligaris Dott. Giuseppe, Prof, nel R. Liceo Parini, Milano, via Moscova, 51 (26 giugno 1902).
Frutaz Sac. Francesco Gabriele, Professore, Canonico della cattedrale d'Aosta, Corrispon-
dente della Commissione Araldica piemontese. Membro dell'Accademia di Savoia, %,
Aosta (26 giugno 1902).
Maiocchi Sac. Rodolfo, Dott. in S. T., Cameriere d'onore di S. S. Pio X, Membro della
Commiss. prov. di Pavia di Antichità e Belle Arti, della Soc. storica lombarda, dell'Ateneo
di Bergamo, del R. Ateneo di Brescia, dell'Accad. di Scienze, Lettere ed Arti degli Agiati
di Rovereto, Rettore dell'Almo Collegio Borromeo di Pavia, Pavia (26 giugno 1902).
Accame avv. Paolo Antioco, Comm. @, Pietra Lis^ure (io maggio 1903).
LiPPi Dott. Silvio, Direttore del R. Archivio di Stato di Cagliari, Membro e segretario della
Commissione Araldica sarda. Corrispondente della R. Accademia di Belle Lettere di
Barcellona, © e ^, Cagliari (16 maggio 1907).
Contessa Dott. Carlo, Prof, nel R. Liceo à' Ivrea (16 maggio 1907).
Ratti Mgr. Achille, Prefetto dell'Ambrosiana, Prelato domestico di S. S., %, Milano
(4 giugno 1908).
Ruggero Giuseppe, M. Generale nella Riserva; Roìua, via Torino, 138 (4 giugno 190S).
GoRRiNi Dottor Giacomo, Capo-divisione, Direttore degli Archivi del Ministero degli Esteri,
Membro del Consiglio per gli Archivi del Regno e del Consiglio direttivo della Società
geografica italiana. Corrispondente della R. Deputazione di Storia patria per la Romagna
e di quella per la Toscana, Comm. © e •^, Grand'Uff. dell'Ordine Medjidiè di Turchia>
Comm. della Legione d'Onore, Comm. dell'Ordine di Francesco Giuseppe d'Austria
con placca, Comm. dell'Ordine della Concezione di Portogallo. Comm. dell'Ordine di
Danilo I del Montenegro, Comm. della Corona di Prussia, Cav. di 3^^ classe dell'Aquila
Rossa di Prussia, Roma (4 giugno 1908).
Corrispondenti
(Italiani) .
Greppi S. E. Conte Giuseppe, Ambasciatore di S. M. in ritiro. Senatore del Regno, Acca-
demico onorario della R. Accademia di Storia di Spagna, ecc., Gr. Cr. ^ e ©, Bali Gran
Croce di devozione del S. M. O. di Malta, Gr. Croce di Carlo III di Spagna, di S. Michele
di Baviera, di Fed. del Wurtemberg, di S. Alessandro Newsky di Russia, ecc., Milano
(11 aprile 1858).
Cavagna Sangiuliani di Gualdana Conte Comm. Antonio, Membro della Società ligure
di Storia patria, dell'Accad. del ducato d'Aosta, dell'Accademia Cingolana degli Incolti,
dell'Ateneo di Bergamo, Presidente della Commissione conservatrice del Museo civico
di Storia patria di Pavia, Vice-Presid. della Soc. per la conservazione dei Monumenti
dell'Arte cristiana in Pavia, Vice-Presid. della Società pavese di Storia patria. Membro
della Commiss, provinciale di Pavia conservatrice dei Monumenti di Belle Arti, Cav
d'on. e di dev. del S. M. O. di Malta, Zelada di Bereguardo (Pavia) (21 aprile 1874).
Visconti March. Carlo Ermes, Milano, via Borgonuovo, 5 (18 aprile 1877).
MiNOGLio Giovanni, Dottore in Leggi, ©, Torino, corso Re Umberto, 25 (18 aprile 1877).
Sommi PiCENARor (Marchese Bali fr. Guido', Socio onorario dell'Ateneo di Bergamo, Corri-
spondente della R. Acc. dei Fisiocritici di Siena, dell'Ateneo di Treviso, della R. Acc.
RafiTaelIo d'Urbino, della R. Deput. di Storia patria di Venezia, dell'Accademia fisio-
medico-statistica di Milano, Membro della Società storica lombarda e della Commis-
sione araldica veneta; Gran Priore del S. M. O. di Malta per il Lombardo- Veneto,
Gr. Uff. *, Gr. C. O. di Francesco Giuseppe d'A. e di S. Sepolcro, Comm. dell'O.
pont. Piano con stella, Venezia, Priorato di Malta (io maggio 1880).
X R. DEPUTAZIONE SOVRA GLI STUDI DI STORIA PATRIA
Greppi (dei Conti) Nobile Emanuele, Dottore in Leggi, Lff. ©, 31ilaìw, via S. Antonio, 12
(9 maggio 1882).
CoRio Dott. Ludovico, Prof., Milano, R. Liceo Manzoni (15 aprile 1884).
Gerbaix (De) di Sonnaz di St-Romain, Barone di Arenthon, Conte Carlo Alberto, Dottore
in Legge, Senatore del Regno, Inviato straord, e Ministro di i'' classe, Membro aggregato
dell'Accad. di Savoia, Membro A^V Acadhnie Chablaisiemie , Gran Cord. © e *, Ufficiale
dell'Istruzione pubblica di Francia, Gran Cordone di Leopoldo del Belgio, id. con spade
deirO. di Alessandro di Bulgaria, id. del Medgiché di Turchia, id. dell'Ordine neerlan-
dese deirOrange Nassau, id. della Quercia del Granducato di Lussemburgo, Gran Croce
del Cristo e della Concezione di N. D. di Villavi^iosa (Portogallo), decorato della
medaglia commemorativa della campagna Bulgaro-Serba 1885, ecc., Torino, via S. Fran-
cesco da Paola, 4 e Roma (Senato), (15 aprile 1884).
Pais Nobile Dottore Ettore, Professore ordinario di Storia antica nella R. Università di Napoli
in missione a Roma, Dottore onorario della Università di Chicago, Corrispondente della
R. Accademia dei Lincei in Roma, Socio straniero della R. Accademia di Scienze di
Monaco di Baviera, Socio ordinario della R. Accademia di Archeologia, Lettere e Belle
Arti di Napoli, Corrispond. dell'Accad. Pontaniana, Membro ordinario dell'I. R. Insti-
tuto germanico di corrispondenza archeologica in Berlino, Corrispondente della R. De-
putazione veneta di Storia patria; Membro onorario della Società storica pugliese, Socio
onorario dell'Accademia Properziana del Subasio, Corrispondente della R. Accademia
Peloritana di Messina e della R. Accad. di Acireale, Socio onorario della R. Deputaz. di
Storia patria delle Marche, Corrispondente della R. Deputazione di Storia patria delle
Provincie della Romagna, Membro della .Società di Storia diplomatica di Parigi, Roma,
via dei Sediari, 76 (15 aprile 1884).
Provana di Collegno Conte Luigi, Gentiluomo di Corte di S. M. la Regina Madre, Presi-
dente della Commissione Araldica piemontese, Corrispondente della Consulta Araldica,
Uff. ^ e ©, Comm. Corona di Prussia e di Danilo I del Montenegro. Uff. S. Carlo di
Monaco, Torino, via S. Dalmazzo, 15 (15 aprile 1886).
Sangiorgu) Dott. Gaetano, Professore di .Storia civile e commerciale nel R. Istituto tecnico
Carlo Cattaneo di Milano, Socio degli Atenei di Brescia e di Bergamo, ©, Milano^ via
Aurelio Saffi, 12 (15 aprile 1886).
Podestà Francesco, Accademico di merito dell'Accademia ligustica di Belle Arti (Classe
scrittori d'arte). Socio effettivo della Società ligure di Storia patria, pittore dilettante;
Genova, corso Principe Amedeo, 9 (15 aprile 1886).
Rotta .Sac. Paolo, Canonico di .S. Ambrogio, in Milano,©, Milano, piazza S. Ambrogio, 12
(14 maggio 1889).
Peretta Sac. Luigi, Professore a riposo, Segretario della Società ligure di Storia patria,
Direttore delle scuole civiche, ©, Genova, via Caffaro, 19-5 (17 aprile 1890).
MoRoz/.o della Rocca S. E. Contessa Irene, nata Vesaris-Asinari di Castiglione, dama di pa-
lazzo della fu S. M. la regina M. Adelaide, Roma, via Pasqualina, 3 (17 aprile 1890).
Carotti Giulio, Dottore in Leggi, Socio della Società storica lombarda, Professore di Storia
dell'arte nella R. Accademia di BB. AA. e di Storia dell'architettura nel R. Politecnico
di Milano, .Socio aggregato dell'ins. R. Accad, di S. Luca in Roma e dell'Ateneo di
Brescia, Membro della Commissione conservatrice dei Monumenti, ©, Milano, via Sol-
feriìio, 22 (28 aprile 1892).
Bruno Agostino, Segretario onorario, .Sovraintendente agli Archivi amministrativi di Savona,
R. Ispettore degli Scavi e Monumenti d'antichità, Segretario generale della Società storica
.savonese. Presidente della .Società letteraria Gabriello Chiabrera, Ufficiale d'Accademia
di Francia, ecc., *, Uff. ©, Savona (28 aprile 1892).
Assandria Giuseppe, Dottore in Chimica, Socio effettivo della Società di Archeologia e
Belle Arti per la provincia di Torino, decorato della medaglia d'argento per i bene-
meriti della Salute pubblica, UH". ©, Torino, piazza Emanuele Filiberlo, 18 e Beneva-
gienna (4 giugno 1895).
R. DEPUTAZIONE SOVRA GLI STUDI DI STORIA PATRIA XI
Ceretti Can. Felice, R. Ispettore onorario dei Monumenti, Vice Presidente della Commis-
sione di Storia patria e di Arti belle della Mirandola, Membro attivo della R. Deputa-
zione di Storia patria per le Provincie modenesi. Corrispondente della Deputazione
storica ferrarese, e di quella di Carpi, della R. Commiss. Araldica modenese, ecc., ©,
Mirandola, contrada Fulvia, 360 (4 giugno 1S95).
ToNETTi Federico, R. Ispettore dei Monumenti e degli Scavi pel circondario di Valsesia, Corri-
spondente della Soc. di Archeologia e Belle Arti per la provincia di Torino, e dell'Atene
di Scienze, Lettere ed Arti di Bergamo, l'arallo (4 giugno 1895).
AsTEGiANO Lorenzo, Dottore in Lettere , Professore nel R. Liceo d' Azeglio , Torino, via
Giusti, 2 (2 giugno 1896).
Mazzi Angelo, Bibliotecario civico, Bergamo {l'j aprile 1897).
Faccio Cesare, Colonnello in ritiro. Bibliotecario civico, Uff. ©, Vercelli, via Pietro Micca, 4
(27 aprile 1897).
S.\nt' Ambrogio Dott. Diego, Membro della Commissione provinciale per la conservazione
dei Monumenti, ©, Milano, corso Magenta, 45 (14 giugno 1898).
GiORCELLi Dott. Giuseppe, Casale Monferrato , via Rivetta, 9 (14 giugno lì
Davari Sefano, Sotto Archivista di Stato di i* classe, Mantova (8 maggio 1899).
Ferrari Dott. Sante, Professore nella R. L'niversità di Genova, Genova (8 maggio 1899)*
AssERETO Xob. Dott. Giovanni, Savona (26 aprile 1900).
Baudi di Vesme Nobile Benedetto, Ingegnere, Torino, via Maria Vittoria, 50 (26 aprile 1900).
BiAGiNi P. Enrico M** Barnabita, Professore, Moncalieri, R. Collegio Carlo Alberto {263.'pY.igQo).
RiGONi Dott. Guido, Professore nel R. Liceo Colombo, Laureato in Legge e in Lettere,
Socio corrispondente della R. Deputaz. veneta di Storia patria. Vice-presidente della
Sezione di Storia nella Società ligure di Storia patria, Genova (26 aprile 1900).
BoFFiTo P. Giuseppe Barnabita, Professore, Firenze, Collegio Della Querce (26 aprile 1900).
Frati Dott. Carlo, Bibliotecario capo della R. Biblioteca Marciana di Venezia, Corrispondente
della R. Deputazione di Storia patria, per le Provincie modenesi, della Commissione muni-
cipale di Storia patria della Mirandola, della R. Commissione pei testi di lingua , della
Società bibliografica italiana, dell'Ateneo veneto, Uff. ©, Venezia, Calle dei Fabri, 930
(26 aprile 1900).
Gabotto Dott. Ferdinandiì, Professore nella R. Università di Genova, Presidente della
Società storica subalpina, Socio della R. Accademia Peloritana di Messina, Corrispon-
dente della Società storica savonese e di quella di Valdelsa , @ , Genova e Torino,
via Ponza, 4 (26 aprile 1900).
Gaggia Giacinto, Professore, Brescia (26 aprile 1900).
Garassint Dott. Giambattista, Prof, nella R. Scuola normale superiore di Milano, Vice-Segre-
tario generale della Società storica savonese, Membro dell'Accademia di Udine, Membro
onorario dell'Istituto udinese Teobaldo Cicconi , iMilano , Scuola normale Carlo Tenca
(26 aprile 1900).
Luzio Dott. Aless., Dirett, del R. Arch. di Stato di Mantova, ©, Mantova (26 aprile 1900),
Wenzel Mons. Pietro, Archivista del Vaticano, Roma (26 aprile 1900).
Casati Conte Gabrio, Milano (2 maggio 1901).
Magistretti Mgr. Marco, Dottore in Teologia, Canonico del Duomo, Prelato domestico
di S. S., Milano (2 maggio 1901).
XII R. DEPUTAZIONE SOVRA GLI STUDI DI STORIA PATRIA
Verga Dott. Ettore, Direttore dell'Archivio storico civico, Socio collaboratore della R. Depu-
tazione di Storia patria per l'Umbria, ^, Milatw (i6 giugno 1902),
Jachino Dott. Giovanni, Prof, di Storia nel R. Istit. tecnico nautico di Savona (16 giugno 1902).
ScHiAPPARKLLi Dott. Luigi, Prof, di Paleografia e Diplomatica nel R. Istituto superiore di
Firenze, Firenze, via G. Benivieni, 4 {16 giugno 1902).
GuERRiNi Domenico, Colonnello nel 67" fanteria già Professore di Storia militare nella Scuola
di Guerra, ©, Covio (27 aprile 1903).
Valente Dottor Pompeo, Professore nel Liceo d'Asti, Asti (27 aprile 1903).
Renier Rodolfo, Dott. in Lettere ed in Filosofia, Professore di Storia comparata delle Let-
terature neo-latine nella R. Università di Torino, Socio della R. Accademia delle Scienze
di Torino, Socio attivo della R. Commissione dei testi di lingua. Socio non residente
dell' L R. Accademia degli Agiati di Rovereto, Socio corrispondente della R. Deputa-
zione veneta di Storia patria, di quella per le Marche, di quella per l'Umbria, di quella
per le Provincie modenesi, della Società storica abruzzese e della Commissione di Storia
patria e di Arti belle della Mirandola, del R. Istituto veneto, della R. Accademia Virgi-
liana di Mantova, della R. Accademia di scienze e lettere di Padova, di quella di Verona,
dell'Ateneo veneto e di quello di Brescia, Membro della Società storica lombarda e della
Società Dantesca italiana, Socio onorario dell'Accademia etrusca di Cortona, dell'Acca-
demia Cosentina, dell'Accademia Dafnica di Acireale e della R. Accademia di scienze e
lettere di Palermo, Uff. *, Comm. ©, Torino, Corso Vittorio Eman. II, 90(27 aprile 1903).
Monti Sac. Dottor Santo, Presidente della Società storica comense. Conservatore del Museo
civico di Como, Regio Commissario per la conservazione dei Monumenti, Belle Arti e
Antichità nella provincia di Como, %, Conio (27 aprile 1903).
Marengo Avv. Emilio, Genova, R. Archivio di Stato (2 maggio 1905).
Ferretto Arturo, Membro del Consiglio di Presidenza della Società ligure di .Storia patria.
Genova (2 maggio 1905).
OxiLiA Dott. (Giuseppe Ugo, Chiavari, Liceo civico (2 maggio 1905).
Armando Vincenzo, ©, Torino, via Maria Vittoria, 3 (23 aprile 1907).
BiscARO Dott. Gerolamo, Consigliere d'Appello, Membro della Società storica e della Com-
missione Araldica lombarda, @, Milano, Corso Garibaldi, 125 (23 aprile 1907).
Casanova Dott. Prof. Eugenio, Direttore del R. Arch. di Stato, ©, Napoli (23 aprile 1907),
De Magistris Dott. Carlo, Torino (23 aprile 1907). via Giovanni Prati, 3.
Einaudi Prof. Dott. Luigi, Torino, via Giusti, 4 (23 aprile 1907).
Gai-LAvresi Dott, Giuseppe, &, Milano, via Monte Napoleone, 28 (23 aprile 1907).
Mazzini Dott. Ubaldo, Bibliotecario, Conservatore dell'Archivio storico e Direttore del Museo
della città di Spezia, Spezia (23 aprile 1907).
Milano Prof. Dott. Euclide, Alba (23 aprile 1907).
Ognibene Dott. Giovanni, Direttore del R. Archivio di Stato, ©, Modena (23 aprile 1907).
Pia Avv. Secondo , © e del Cristo di Portogallo , Torino, via Principe Amedeo, 25
(23 aprile 1907).
Prato Dott. Giuseppe, Torino, piazza Savoia, 6 (23 aprile 1907).
Sai.sotto Prof. Carlo, Novara, A\ Gifinasio (23 aprile 1907).
ZucCHi Dott. Mario, Torino, via della Rocca, 34 (23 aprile 1907).
R. DEPUTAZIONE SOVRA GLI STUDI DI STORIA PATRIA XIII
Fea Pietro, Bibliotecario della Camera dei Deputati, Comm &, Roma (28 aprile 1908).
RuFFiNi Prof. Dott. Francesco, Membro della R. Accad. delle Scienze di Torino, Comm. ©,
Torhw, via Principe Amedeo, 22 (28 aprile 1908),
Z.ANELLi Dott. Prof. Agostino, Brescia (28 aprile 190S).
Bruno Federico, (?=, Savona (28 aprile 1908).
Co rrispon denti
(Stranieri).
De Montet Alberto, Segretario della Società storica della Svizzera Romanza, Membro della
Società storica svizzera e della Commiss, dei Monumenti storici per il cantone di Vaud,
Corrisp. della R. Deputazione di Storia patria delle Romagne e delle Accademie di .Sa-
voia, di Besanpon, di Macon, ecc., ©, Chardomie sur Vevey, Cantone di Fawrf (Svizzera)
(io maggio 1880).
Delisle Leopoldo, Membro dell'Istituto di Francia, Amministratore generale onorario della
Biblioteca nazionale di Parigi, ecc., Parigi, rtie de Lille, 21 (23 maggio i88r).
VoN Pflugk-Harttung Mobile Giulio, Dottore, Professore, Consigliere degli Archivi, Corri-
spondente della R. Acc. delle Scienze di Lucca, della Società ligure di Storia patria, della
Società storica siciliana, della R. Società romana dell'Ateneo di Brescia, della Soc. Reale
stor. di Londra e di quella degli Antiquari di Francia, di Losanna, ecc., Comm. ©, Uff.
di Alberto il valoroso di Sass., S. Mich. di Bav., Corona e Fed. di Wiirtemberg, Lione
di Zahringen di Baden, Corona di Romania, Corona di 3-' ci. di Prussia, dee. della grande
medaglia di Meklenburg, Cav. d'onore dell'O. dei Giovanniti di Prussia, Berlino, N. IV.
Spenerstrasse, 23 (16 maggio 1883).
Chevalier Sac. Ulisse, Canonico onorario di Lione, di Grenoble, di Marsiglia e di Valenza,
Professore di Storia ecclesiastica nell'Università Cattolica di Lione, Dottore in Filosofia
e Teologia, Corrispondente dell'Istituto di Francia, Socio corrispondente dell'Accademia
di Storia di Madrid, della R. Accademia delle Scienze di Torino e della R. Società
romana di Storia patria, Membro n. r. del Comitato dei lavori storici e scientifici di
Parigi, Cav, Leg. d'On. di Francia, Uff. della Pubblica Istruzione,*, Romans {Dròme)
Francia (16 maggio 1883).
Demole Eugenio, Dott. di Filosofia, Direttore del Gabinetto numismatico di Ginevra, Ginevra,
rue des Granges, 16 (15 aprile 1884).
RoTT Edoardo, Dottore in Leggi, Correspondant de l'Institut de France (Académie des
Sciences morales et politiques), .Segretario della .Società storica di Storia diplomatica di
Parigi, Uff. ^^ e Legion d'Onore, Officier de l'Instruction publique, Comm. e», Parigi,
avenue Trocadero, 50 (17 aprile 1890).
CouRTOis d'ArcoujÈres Nobile Eugenio, Segretario perpetuo e già Presidente dell'Acca-
demia di Savoia, Membro effettivo dell' Accademia Chablaisieime di Thonon, Membro
onorario della Società di Storia della Moriana, della Società Florimontana e dell'Acca-
demia Salésienne d'Annecy e Corrispondente della Società di storia e di archeologia di
Ginevra, %, Chambcry, Croix d'Or, i (4 giugno 1895).
Fazy Enrico, Consigliere di .Stato, Direttore dell'Archivio di Stato di Ginevra, Presidente
deiri-stituto nazionale di Ginevra, Corrispondente della Società degli Antiquari di Francia,
di quella di .Storia di Berna, ecc., Ginevra (4 giugno 1895).
RiTTER Eugenio, Professore nella Facoltà di Lettere dell' Università di Ginevra, Membro
aggregato dell'Accad. di Savoia, Corrispondente della Società Florimontana d' Annecy,
della Società storica della Moriana, Membro onorario della Società savoiarda di Storia
e dell'Accad. Chablaisienne , Ginevra, chemin des Collages, 3 (4 giugno 1895).
XIV R. DEPUTAZIONE SOVRA GLI STUDI DI STORIA PATRIA
PÉlissikk Leone G., Professore di Storia nell'Università di Montpellier, Membro non resi-
dente del Comitato dei lavori storici, Membro dell'Accad. e della Società archeologica
di Montpellier, dell'Accad. d'Aix, Corrispondente della Società degli Antiquari di Francia,
della R. Deputazione veneta di Storia patria, di quella per la Toscana, delle Società lom-
barda e romana di Storia patria, già Presidente della Società per lo studio delle lingue
romanze, *, <5i, Uff. dell'Istruzione pubblica, MoiitpeIlie)\ villa Leyris (14 giugno 189S).
Costa de Beauregakd Marchese Carlo Alberto, Membro dell'Accademia di Francia. Comm. •*,
Pari(ri, piazza S. Francesco Zaverio, 6 (26 aprile 1900).
Ehrlk P. Francesco, Prefetto della P>iblioteca Vaticana, l\:oma (26 aprile 1900).
KosER Oott. Rinaldo, Direttore generale degli Archivi di Stato, Berlino (26 aprile 1900).
Prudhomme Augusto, Direttore dell'Archivio dipartim. di Grenoble, Presidente dell'Asso-
ciazione degli Archivisti francesi , Membro del Comitato dei lavori storici , segretario
perpetuo dell'Accad. delfinale, Cav. Leg. d'Onore, Uff. dell'Istruzione pubblica, Grenoble
(26 aprile 1900).
W'iNTEK Dott. Gustavo, Direttore degli Archivi di Corte e di .Stato di Vienna, Vienna
(26 aprile 1900).
Da Cunha Dott. Saverio, Direttore della Biblioteca nazionale di Li-sbona, Corrispondente
della R. Accad. di scienze di Lisbona e della Società ligure di Storia patria. Arcade
Romano, Lisbona, via S. Bartolomeo, 12, 2" (16 giugno 1902).
Camus Giulio, Professore di lettere francesi nella Scuola di Guerra e nella R. Università di
Torino, *, e^, Torino, via della Zecca, 35 (27 aprile 1903).
Weii, Maurizio, Comandante, * e Uff., ©, Cav. della Legion d'Onore e degli Ordini: della
Corona di Ferro, di Francesco Giuseppe d'Austria, di S. Vladimiro, di S. Anna, del
Merito militare di Spagna (2'>' cla.sse), di Carlo III di Spagna. Comm. dell.O. di N. S.
della Concezione di Villavigiosa e dell'O. Imperiale del Medgichè di Turchia, l'iTiciale
di Accademia, Parigi, via Rabelais, 3 (27 aprile 1903).
Peyre Ruggero, Professore nel Liceo Carlo Magno, Parigi, Rite Jacob, 13 (27 aprile 1903).
Kehr Paolo, Professore nell'Università di Gottinga, Direttore del R. Istituto storico prus-
siano, Roma, via Dogana Vecchia, 29 (27 aprile 1903).
BouviER Felice, Laureato dell'Accademia francese, Socio dell'Accademia di Stanislas di
Nancy, Membro della Società di Emulazione delle Dogese, della Società di Storia della
Rivoluzione francese, della Società storica di Storia diplomatica di Parigi, Cav. della
Legione d'Onore, Uffiziale dell'Istruzione pubblica, Comm. del Nicham-Iftillar, Uff. ©.
Parigi, Rue Mozart, 123 (27 aprile 1903).
Liebenau (Dr. Teodoro di), Direttore del R. Archivio di Stato, Lucerna, Franciscancrplat-, 14
(28 aprile 1904).
Di' Teil Barone Pietro Maria Ciiuseppe, e», Uff. d' Accad., Comm. O. Piano, ecc., Laureato
dall'Istituto di Francia {Accademia delle Scienze morali e politiche). Segretario generale
della Società antischiavista di Parigi, Socio della Società degli Antiquari di Francia, ecc.,
Paris, XVI, 2, quai Debilly e Castello di Saint- Monelin per ìValten {Nord- Francia).
(2 maggio 1905).
Deioh Dott. Carlo. Prof, alla Sorbona, ©, Parigi, Rite Ménilmontant, So (23 aprile 1907).
XV
MUTAZIONI
ACCADUTE
NEL CORPO 13ELLA R. OEPUTAZIONK
DOPO L'ULTIMO ELENCO
NOMINE
Xella toni a la del 28 aprile 1908 la R. Dcpnlazione elesse e S. M. sanziono
con R. Decreto 4 giugno :
A Soci effettivi:
jMonsignor Achille RATTI.
Generale Giuseppe Ruggero.
Prof. Giacomo GORRixi.
Nella stessa tornata furono eletti :
A corrispondenti nazionali :
Coinin, Pietro Fea.
Prof. Dott. Francesco RuFFlNi.
Prof. Dott. Agostino Zanellt.
Cav. Federico Bruno.
MORTI
Socio effettivo
ig gennaio 1908 — Felice ChiapuSSO.
Corrispondente :
31 agosto 1907 — Pietro PAVESI,
XVI
XCIV.
REGIA DEPUTAZIONE
SOVRA
GLI STUDI DI STORIA PATRIA
per le Antiche Provincie e la Lombardia
Processo verbale dell'adunanza generale tenuta dalla Regia Deputazione
il 23 aprile 1907, alle ore 9, nelle proprie sale.
Presidenza del Presidente :
Senatore Barone Domenico Carutti di Cantogno.
Intervenuti: Presidente: Carutti ; V. Presidejiti: Boselli, Staglieno; Deputati: Accame,
Baudi di Vesme, Bensa, Cipolla, Frutaz, Lattes, Motta, Neri, Peragallo, Poggi,
Rinaudo, Roherti, Seletti, Sforza, Usseglio ; Segretario: Manno. Scusano l'assenza il
V. P. Novati ed i OD.: Assereto, Manfroni, Rossi. Savio e Maiocchi.
Il Presidente commemora brevemente i Soci defunti dopo l'ultima adunanza, cioè i de-
putati Ferrerò, FÈ d'Ostiani e Intra, i corrispondenti nazionali Calderini, Barozzi,
Papa ed Ambrosoli, ed il corrispondente straniero Perrin.
Il Seg-retario riferisce sulle pubblicazioni e comincia indicando come negli //. P. Monumenta
sta lavorando il e. Lippi sopra gli Stamenti de If Isola di Sardeg?ia ; ed il d. Cipolla sopra
V Atlaìite Bobbiese ; il d. Frutaz ed il e. Schiaparelli sopra le Carte Augustane. Vi sono
di più in preparazione il Codice diplom. delle relazioni fra la Casa di Savoia e la S. Sede
ed il Cartulario della Berardenga. Accenna alle pubblicazioni in corso di stampa per la Mi-
scellanea, presenta i primi 32 fogli stampati del voi Vili della sua Bibliografia, ed il primo
volume compiuto della Biblioteca storica recente. Riferendo sulle pubblicazioni del 1706 pre-
senta finiti i volumi i" e 7" e dà minute spiegazioni sui particolari dei volumi da pubblicarsi,
esprimendo il convincimento che l'opera possa essere ultimata nel 1909.
Procedutosi allo spoglio delle schede pervenute per la elezione dei DD. risultano eletti
i dottori: Carlo Contessa, Silvio Lippi ed Arturo Segre che verranno proposti alla So-
vrana approvazione.
Si procede in seguito alla nomina di corrispondenti e riescono eletti : Italiani: cav. Vin-
cenzo Armando, dr. Girolamo Biscaro, pr. Eugenio Casanova, dr. Carlo De Magistris,
pr. Luigi Einaudi, dr. Giuseppe Gallavresi, dr. Ubaldo Mazzini, pr. Euclide Milano,
dr. Giovanni Ognibene, avv. Secondo Pia, dr. Giuseppe Prato, pr, Carlo Salsotto.
dr. Mario Zucchi ; Stranieri: pr. Carlo Dejob.
A far parte del Consiglio di presidenza sono eletti per acclamazicjne i dd. Sforza e
Rinaudo.
// Segretario />. // Presidente
Antonio Manno. Paolo Boselli.
VERBALE XVII
Processo verbale dell'adunanza generale tenuta dalla Regia Deputazione
il giorno 28 aprile del 1908, alle ore 9, nelle proprie sale.
Presidenza del V^ice- Presidente: Onorevole Paolo Boselli.
Intervenuti: V. Presidenti: Boselli, Stagliexo; Deputati: Accame, Baldi di Vesme,
Bensa, Cipolla, Contessa. Frutaz, Lattes, Lippi, Manfroni, Neri, Poggi, Rinaldo,
Roberti, Rondolino, Segre, Sforza, Usseglio ; Segretario: Manno. Scusano l'assenza
il Presid. Carutti, il V. P. Novati ed i DD. : Assereto, Da Ponte, Imperiale, Morozzo,
Motta, Peragallo, Rossi e Seletti.
Il Vice-Presidente Boselli assume la presidenza e commemora con queste parole i
soci defunti :
Morì in Roma il 19 gennaio di quest'anno Felice Chiapisso, membro della nostra De-
putazione dal 1897. In altre Assemblee ebbero solenni e meritate lodi le qualità esimie ed
operose che Egli mostrò assiduamente nella Camera dei Deputati e nell'esercizio di funzioni
governative. La sua rettitudine fu esemplare, la sua dipartita fu pubblico lutto, segnatamente
nella \'alle di Susa che lo conobbe promotore efficace di avanzamenti civili e di quanto
meglio giova alla generale prosperità.
Coll'istessa diligenza perseverante, sincera, precisa, onde emerse nell'arringo politico e
amministrativo, Felice Chiapusso perscrutò le memorie storiche, interrogò monumenti, pre-
scegliendo argomenti relativi al Piemonte e in modo precipuo a Susa e a quei dintorni ricchi
di alti ed eloquenti ricordi. Dall'. -//re» antico ai Castelli, àd\V Ospizio del Moiicenisio alla
Ctiiesa della Madonna del Ponte, dallo Statuto di Lodovico di Savoia allo Stemma della citta
di Susa, le monografie del Chiapusso percorrono varie età, toccano le vicende politiche e la
storia artistica, e mettono in luce parti inesplorate, chiariscono, certificano, descrivono fatti
dapprima incerti e confusi, usando un acume critico appropriatamente erudito.
In tre volumi intitolati alle famiglie Segusine, Egli adunò non solo una singolare ric-
chezza di accurate ricostruzioni genealogiche ma una copia preziosa di notizie che s'atten-
gono a tutta la vita storica di quella città e agli istituti che in essa beneficano ed insegnano.
Preparava il Chiapusso una compiuta storia di Susa ed aveva pronti all'uopo documenti
e studii, e intorno ad essa intensamente lavorava.
È voto nostro che la colta Signora Irene Chiapusso- Voli, la cpiale con ingegno squi.sito,
descrisse la flora delle regioni Susine, provveda a che sia ordinata e pubblicata la parte di
quella opera già recata a buon termine. E con questo voto il compianto della Deputazione
di Storia patria si unisce a quello della famiglia Chiapusso e della nobile città di Susa cui
l'onorato Collega rivolse segnatamente gli studii per i quali fu tra noi pregiato e caro.
Il Prof. Pietro Pavesi, no.stro Socio corrispondente, mori il .^i agosto 1907. Chiarissimo
nelle scienze naturali per le ricerche nuove e sagacie perle pubblicazioni, che sono in gran
numero ed assai pregiate, coltivò eziandio con nobile amore le discipline storiche. In esse
provò il suo ingegno pronto, fervido, penetrativo, direi quasi nervoso, unito all'uso preciso
dell'indagare e ad una lucida abilità di esposizione, spesso anche colorita. Ed ancora nel
trattare argomenti scientifici Egli aveva come a diletto l'accoppiare ad essi le investigazioni
storiche.
Presiedendo una Commissione intorno al dazio sui tonni, lo conobbi relatore di ferma
coscienza e di vivissima attività, e quella relazione sua è lavoro notabile ad un tempo per
le ragioni delle scienze naturali e per quelle dell'economia pubblica e della storia.
Aveva il Pavesi lampi di felice e gagliarda eloquenza. Sindaco di Pavia, allorquando
s'inaugurò il monumento a Benedetto Cairoli, Egli, uomo di parte, pronunziò al cospetto
XVIII R. DEPUTAZIONE SOVRA. GLI STUDI DI STORIA PATRIA
del Duca di Aosta tale discorso al disopra delle tendenze partigiane, che merita di essere
ricordato. Per verità era acceso nei convincimenti politici suoi che propendevano alle novità
più avanzate; ma, indipendente ed anche focoso nelle idee proprie, non era intollerante delle
idee altrui; lo conobbi uomo leale e fu uomo di schietta onestà.
Noi sentiamo di aver perduto uno di noi, perchè nella varia e larga manifestazione del
suo ingegno e della sua operosità intellettuale ebbero parte chiara e prediletta gli studi che
la nostra Deputazione promuove.
Il segretario barone Manno espose la gestione finanziaria dello scaduto esercizio 1907-0S
e, dopo approvati il Resoconto ed il Bilancio, il medesimo .Segretario riferì sulle pubblica-
zioni in conso.
Per i Monuinenta presentò il Codice dip/omatico bobbiesc radunato ed illustrato dal socio
Cipolla. Disse avanzata la stampa del voi. IX della sua Bibliografia storica degli Stati
della Monarchia di Savoia, nella raccolta sulle Caiiipagne in Piemonte per la guerra della
successione spagnuola in preparazione il volume 2" della parte militare affidata al prof. Carlo
De Magistris; prossimi ad uscire i volumi i" e 3'» della parte diplomatica a cura dei pro-
fessori Carlo Contessa, Giuseppe Rohkrti e Arturo Segre, ed i volumi 2», 3° e 40 della
parte miscellanea. Così per i volumi XIII e XIV della terza serie della Miscellanea di storia
italiana e del volume 2" della Biblioteca di storia italiana recente (1800-1S70).
È approvata la proposta della Presidenza che il limite inferiore degli argomenti da trat-
tarsi nella Biblioteca di storia italiana recente scambio che arrestarsi al 1850 sia protratto
all'anno 1870.
Deliberò in via eccezionale di farsi rappresentare al Congresso storico internazionale che
si terrà a Berlino nel prossimo mese di agosto.
Procedutosi ad elezioni, riescirono candidati a membri effettivi : Monsignor Achille Ratti,
generale Giuseppe Ruggero e professore Giacomo Gorrini, le cui nomine si proporranno
all'approvazione Sovrana.
Infine furono eletti : soci corrispondenti italiani Pietro I'ea, Francesco Rufkini, Ago-
stino Zanelli e Federico Bruno, e nominati Delegati presso l'ufficio di presidenza i soci
Carlo Cipolla e Leopoldo Usseglio.
// Segretario p. il Presidente
Antonio Manno. Paolo Boselli.
XIX
DONI OFFERTI
ALLA
R. DEPUTAZIONE SOVRA GLI STUDI DI STORIA PATRIA
dal 26 aprile 1904 al 16 dicembre 1908
Accademia (La R.) Petrarca di Arezzo a Francesco Petrarca nel VI centenario
della sua nascita,
zz: Arezzo, tipografia Giuseppe Cristelli, 1904, S" (xiv-104 pp., 2 tav.
Ambrosoli (Solone). Di alcune nuove zecclie italiane.
= Roma, tipogr. della R. Accademia dei Lincei, 1904, 8° (6 pp.
ArcolliÈres (d'). A propos de trois lettres des conventionnels Hérault de Séchelies
et Philibert Simond. — La fète civique de Chambéry du 3 mars 1793.
zz: Chambéry, imprimerle generale Savoisienne, 1907, 8" (50 pp. i e.
Arno (prof. Carlo). Sebastiano Sineo e i tre anni di guerra del Piemonte (1703-1706).
(Documenti inediti).
ZZI Coi tipi della Casa editrice Renzo Streglio. Venaria Reale [1906], 8" (8 pp.
Arno (Carlo). L'eroe Sebastiano Sineo e i Sineo di Roddi. Solenne commemora-
zione pronunciata scoprendosi la lapide che Roddi decretò in onore di Sebastiano
Sineo (14 ottobre 1906).
zz: Alba, tip. Sineo, 1906, 8' (30 pp.
Arno (Carlo). La prima parola di resistenza all'Austria pronunziata in Piemonte
nel 1846 con la Società per l'esportazione dei vini indigeni,
=: Roma, tip. dell'Unione cooperativa editrice, 1907, 8° (6 ce.
Arno (Carlo). Riccardo Sineo e la proclamazione di Roma capitale d'Italia,
zz: Tortona, tip. Adriano Rossi, 1907, 8" (60 pp. i ritr.
Beck (Friedrich). Ueber die Vervvertung der Doubletten unserer Bibliotheken. Fin
Aufruf zur Grlindung eines internationalen Instituts fùr Doublettenaustausch.
=: Basel, Verlag von Cari Beck, 1904, 8° (14 pp.
BÉdier (Joseph). Le lai de l'ombre publié.
zn Fribourg, imprimerie et librairie de l'Gi^uvre de .Saint Paul, 1890, 4'' (58 pp.
2 csn.
Bergadani (Roberto). Alba nelle guerre per la successione del Monferrato (161 3-
1631).
ZZI Torino, tip.-lit. Carlo Giorgis, 1905, 8» (100 pp.
Bergadani (Roberto). Il manifesto di Alessandro Tassoni intorno le cose passate
tra esso ed i Principi di Savoia. Commento storico,
zz: Torino, tip. E. Marietti, 1906, 8" (92 pp, i e.
Biblioteca (la) Marciana nella sua nuova sede,
zzz 27 aprile 1906. Biblioteca Nazionale Marciana. Venezia, 4" (118 pp. 4 tav.
L'A,
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
L'Univ.
(li Friburo-o
L'A.
L'A.
La
Biblioteca
XX DONI OFFERTI
L'Acc. BiiJi.ioTKCA della R. Accademia dei Lincei, l'elenco bibliografico delle Accademie,
Società, Istituti scientifici, direzioni di periodici ecc. corrispondenti con la R. Ac-
cademia dei Lincei, e Indici delle loro pubblicazioni pervenute all'Accademia
sino a dicembre 1907.
= Roma, tipogr. della R. Accademia dei Lincei. 190S, 8» (vni-422 pp.
L'A.
Biconi (Guido). Augusto Franchetti.
=: Genova, tipogr. della Gioventù, 1905, 8" (8 pp.
i-'A- Biconi (Guido). Note ligustiche. IL Su d'un contributo di E. Simonsfeld alla storia
genove.se del dodicesimo secolo.
=: Genova, tip. della (iioventù, 1906, 8" (8 pp.
L'A- Biconi (Guido). Dopo Lissa (1811).
=r Milano, tipogr. editr. L. F. Cogliati, 1906, 8" (8 pp.
Il Miiiisieio BoET (G.). Le Segnalazioni marittime.
delKi Manna ^ Genova, tipogr. del R. Istituto idrografico, 1905, 40 (56 pp. 3 tav.
Boi.i.ETTiNO ufficiale del primo Congresso storico del Risorgimento italiano e Saggio
di mostra sistematica (Milano, novembre 1906), n. 1-2, 4-9.
= Milano. 1906, S'\
L'A. BoNTEMPi (Francesco). Storia delle scienze e delle arti italiane dall'era romana al
.secolo ventesimo al regno di Umberto I re d'Italia.
=z Torino, tip. editrice Giov. Vaccarino, 1905, 8" (124 pp.
L'A. BoscAssi (Angelo). Illustrazione .storica dello stemma di Genova premiata al con-
corso del » Giornale Araldico » del 1895, 2'' edizione.
=: Genova, stabilimento fratelli Pagano, 1903, 8° (36 pp. 9 tav.
L'isiit. BoTET V Sisù (Joaquim). Les monedes catalanes, estudi y descripció de les monedes
Stor. italiano carolingies, comtals, senyorials, reyals y locals propries de Catalunya. \'ol. I.
r= Barcelona, Institut d'e.studis Catalans, 1908, 1'.
L'A. BoucHET (Ch. A.). Les archives de la ville d'Evian en Chablais. Inventaire des ar-
chives antérieures à l'année 1790,
=r Evian-les-Bains, imi)r. Munier | 1908I 8" (44 pp. 2 tav.
L'A. BouviER (Felix). La révolle de Casalmaggiore.. aoiìt 1796.
=z Macon, Protat frères imi)r., 1906, 8" (28 pp.
L'istit. Buccio DI Ranai.lo di Popplito di Aquila. Cronaca aquilana rimata, a cura di \'in-
stor. italiano cenzo De Bartholomaeis.
:=: Roma, f-'orzani e C, tipografi del Senato, 1907, S" (i.x.\ii-344 pp. 2 csn.
IO tav.
L'A. BuRACGi (Gian Carlo). Uno Statuto ignoto di Amedeo IX, duca di Savoia,
zz Torino, Vincenzo Bona, tipografo della Real Casa, 1909, 8° (32 pp,
L'A. BuKAGGi (Gian Carlo). Gli Statuti di Amedeo Vili, duca di Savoia, del 26 luglio 1423,
— Torino, Carlo Clausen. 1907, 4» (2 csn. 34 pp.
11 canonico Caffaro (dr. Albino). Pineroliensia (contributo agli .studi .storici su Pinerolo), ossia
CaiTaro ^.j^^,^ pinerolese specialmente negli ultimi due secoli del medio evo. Opera po-
stuma dedicata agli ili'"' signori Sindaco e Consiglieri della città di Pinerolo.
=: Pinerolo, tip. Chiantore-Mascarelli, 1906, S« (i e. 362-x.xii pp. i ritr.
i-'A. Calvi (Emilio). Tavole storiche dei Comuni italiani. Parte I. Liguria e Piemonte.
= Roma, Ermanno Loescher e C, 1903, 4».
L'A. Camerano (Lorenzo). Pietro Pavesi. Cenni biografici.
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XXII
DONI OFFERTI
La Biblioi.
di Rovereto
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
La
Riblioteca
L'Univ.
di Louvain
L'A.
L'A.
Chiesa (Gustavo). Regesto dell'Archivio comunale della città di Rovereto. Fase. i».
rz Rovereto, tip. Roveretana, 1904, 8°.
Cii'Oij.A (Carlo). Commemorazione di Ferdinando Gregorovius.
=1 Torino, Carlo Clausen, 1891, 8" (12 pp.
Cipolla (Carlo). Asti sotto la dominazione francese dal novembre 1745 al marzo 1746.
= Alessandria, tip. G. Jacquemod, 1893, 8» (70 pp.
Cipolla (Carlo). Una iscrizione medioevale a Cisano sul Lago di Garda,
zn Torino, Carlo Clausen, 1894, 8° (12 pp. i tav.
Cipolla (Carlo). Ricerche sull'antica biblioteca della Novalesa.
z=i Torino, Carlo Clausen, 1894, 4" (190 pp. 5 tav.
Cipolla (Carlo). Cesare Cantù ed Enrico von Sybel. Cenni commemorativi,
zr Torino, Carlo Clausen, 1895, 8" (18 pp.
Cipolla (Carlo). Per la storia del processo di Boezio,
zz Roma, tipogr. poliglotta della S. C, de Propaganda Fide, 1900, 4° (14 pp.
Cipolla (Carlo). Nuove notizie intorno ai diplomi inii)eriali conservati nell'Archivio
comunale di Savona,
zz Rovereto, tip, Roveretana ditta V'. Sottochiesa, 1900, 8" (i e. 20 pp.
Cipolla (Carlo). Nuove notizie sulle relazioni del P. Luigi Tosti col Piemonte.
^ Torino, Carlo Clausen, 1901, 8" (8 pp.
Cipolla (Carlo). Toponomastica dell'ultimo residuo della colonia Altotedesca nel
Veronese,
zz Torino, Carlo Clausen, 1902, 4" (i e. 20 pp. i tav.
Cipolla (Carlo). Lettere inedite di Raterio, vescovo di Verona.
zz Roma, tipogr. poliglotta della S. C. de Propaganda Fide, 1903, 4" (24 pp.
I tav.
Cipolla (Carlo). Spigolature Corsiniane. Scipione MalTei e Vincenzo Patuzzi e alcune
questioni teologico-morali.
:z: Roma, tip, poliglotta della S. C. de Propaganda Fide, 1903, 4"^ (12 pp.
Cipolla (Carlo). (Rivista delle pubblicazioni di storia medievale italiana fatte negli
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— Berlin, 8^,
Cipolla (Carlo). Per un diploma di Berengario L
=z Verona, 1904, stab, I-^ranchini, 80 (12 pp.
Cipolla (Carlo). Emanuele Bollati barone di Saint-Pierre. Commemorazione.
=z Torino, Carlo Clausen, 1904, 8» 1,8 pp.
Cipolla (Carlo). Sui motivi del ritorno di Francesco Petrarca in Italia nel 1347.
zz Torino, tip. Bona, 1906, 8° {14 pp.
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zz Lovanii. P^xcud. Josephus van Linthout, 1904, S".
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anno. Manoscritto finora inedito, pubblicato e commentato,
zz Torino, tip. degli Artigianelli, 1906, i6o(xvi-i8o pp.
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zz Torino, tip. degli Artigianelli, 1907, 16" (6 csn. 286 pp. 2 ce.
DAL 20 APRILE 1904 AL 16 DICEMBRE 1908
XXIII
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ottantenne denunziato alla storia sarda.
= Sassari, tipogr. e libreria G. Gallizzi e C, 1904, 8'^ (32 pp,
[CouRTOis d'ArcolliÈresJ Le comte Octave de Boigne.
= Chambéry, impr. Savoisienne [1904], ló» (8 pp.
Cko.vaca del parroco di Chianale sugli avvenimenti che si succedettero in Chianale
dal 1744 al 1747 (in francese, inedita],
ziz Ms. autogr., 4° (44 csn.
CuRLO (avv. Faustino). Storia della famiglia Cavassa di Carmagnola e di Saluzzo.
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Clvelikr (J.\ Cartulaire de l'abbaye du Val-Benoit.
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L-934 PP-
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zzz Sarzana, premiata tip. Enrico Costa e C, 1905, 8" (28 pp.
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=: Digne, imprimerle Chaspoul, Constans et \'e Barbaroux, 1892, S" (8 pp.
Du Teil (Joseph). Le livre de raison de noble Honoré Du Teil (1571 1586) publié
avec des documents inédits sur la Provence et précède d'une notice biographique.
■=. Digne, imprimerie Chaspoul, Constans et Vve Barbaroux, 1894. 8" (xvi-
36 pp.
La Soc. sicil.
di
Storia Patria
L'A.
L'A.
Uoiio di S. E.
il Presid.
del Consiglio
L'Accad.
ili Bruxelles
L'A.
L'A.
L'A,
L'A.
LA.
L'Accad.
di Bruxelles
L'A.
L'A.
XXIV
DONI OFFERTI
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
LA.
L'Arcaci,
di Bru.xelles
L'istit.
Stor. italiano
L'Accad.
di Bruxelles
L'A.
Gli eredi
dell'A.
L'A.
L'I'iilversità
L'A.
Dv Teil (Joseph . Une famille militaire au xvinf siècle, documents inédits sur le
régiment Royal-artillerie, la bataille d'Hastenbeck, les campagnes des Indes,
l'école d'artillerie d'Auxonne et le siège de Toulon.
=z Paris, Alphonse Picard et fils, éditeurs, 1896, 8" iViii-572 pp. 7 tav. i lab.
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= Paris, librairie Plon. Plon, Nourrit et C'è iniprimeurs-éditeurs, 1902, 8" (4csn.,
VI11-56S pp. 4 tav.
Du Te:l (Joseph). Autour du Saint-Suaire de Lirey. Documents inédits, remarcjues
juridiques et esquisse généalogique.
=z Paris, 1902, 80 (2 csn, 28 pp.
— Seconde édition avec pièces jiistificatives.
=: Paris, Alphonse Picard et fils, libraires, 1902, 8" (4 csn. 46 pp. i tav.
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= Paris, imprimerie cl'ouvriers .Sourds-Muets, 1903, S" (io pp.
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Fkrrero (Ermanno). L'Are d'Auguste à Suse publié sous les auspices de la Société
d'archeologie et des Beaux-Arts pour la province de Turin. 19 planches d'après
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DAL 20 APRILE iq04 AL l6 DICEMBRE IQOB
XXV
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Frutaz (F. G.). Le chàteau de Verres et l'inventaire de son mobilier en 1565.
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=z Neuchàtel, imprimerle Wolfrath et Sperlé, 1904, 8'^ (28 pp, 1 tav.
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zr Palermo, Alberto Reber, 1906, 8" (LXXvi-128 pp.
L'Istit.
Stor. italiano
Gli eredi
dell'A,
Il Municipio
di Lodi
L'A.
L'A.
L'A.
L'Unione
tipografica
11 Minislfio
della
Piibhl. Istruz.
L'A.
11 prof.
Canierano
Il df.tt.
Liebenau
L'A,
LA.
XXVI DONI OFFERTI
L'A- GiANoi.i (Carlo Alberto. Il vino di Gheniine e le sue qualità ii^ieuiche.
= Varallo, tip. Camascliella e Zanfa, 1904, 16" (44 pp.
L'A. GiGiJO-Tos (Elìsio). Maria Bricco e la fazione di Pianezza, 5-6 settembre 1706.
Monografia illustrata.
=z Torino. Casa editrice Renzo .Streglio, 1905, S" 178 pp.
L'A. GiGLio-Tos (Efisio). Di tre lettere inedite sulla battaglia di Torino 7 7iiie 1706.
=1 Torino, tipogr. Subalpina. 1905, 8" (28 pp.
L'A. GiGMO-Tos (Efisio). Liberatione de l'assedio di Torino segnilo li 7 settembre 1706
sotto il comando del serenine Princii^e Eugenio di .Savoja, et di .S. A. R. con la
sconfitta dell'esercito gallispa?io diretto dal duca d'Orléans, nipote del re XIV""o
et dal duca della Eogliada, genero del .Signor di Ciamillard fChamillard). segret''"
di guerra.
3z: Torino, tip. Subalpina, 1905, H" (72 pp. 2 ce.
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nel 1705.
Z3 Milano, cart. e liti) -tipogr. C. Crespi, 1906, 8" (12 pp.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
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33 Alessandria, .Società poligrafica, 1907, 8" (8 pp.
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coniato in Casale, creduto inedito. — Mocenigo d'argento dei mede.simi. — In
(piale anno fu aperta la zecca di Casale ed in quale venne chiusa.
zz Milano, tipogr. editr. L. V. Cogliati, 1908, 8** (18 pp.
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rr Bra, tipogr. Racca, 1895, 8" (124 pp. 2 ce.
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Hanol-et (Karl). La chronique de Saint Hubert dite Cantatorium, nouvelle édition. L Accad.
„,,,.,,..,. ,^ ^ o, , .. 'li Bruxelles
=z Bruxelles, libr. Kiessling et C, 1906, 8» (uv-290 pp. 2 csn. i tav.
Hknrv (Victor). Lexique étymologique des termes les plus usuels du breton moderne. L'Univ.
= Rennes, J. Plihon et L. Hervé, 1900, 8« (xxx-350 pp. ''' "^^""^^
Homerus Homeri Iliadis pictae fragmenta Ambrosiana phototypice edita cura do- La Bibl.
ctorum Ant. M. Ceriani et Ach. Ratti. Praefatus est Ant. M. Ceriani. Ambrosian.i
= Mediolani, apud Ulricum Hoepli, 1905, 4" (4 csn. 44 pp. 2 csn. 104 tav,
Imhkrt (Carlo). Le valli valdesi durante la prima dominazione francese. L'A,
=: Milano, pr-emiata tipogr. « Agraria », 190S, 8« (16 pp.
Institut d'estudis catalans (Reglament). L'isiit.
T-, 1 n^ I 1^ Stor. italiano
=: Barcelona, 1907, 8» (16 pp.
Isaia (C). Torino, dintorni e provincia. Pubblicazione illustrata della Pro Torìjio. , 11
r:r Coi tipi di R. Streglio e C. Torino, 1905, 16'^ 1 160 pp. 2 tav. Municipio
Isola (I. G.). Le storie nerbonesi ; romanzo cavalleresco del secolo xiv. L'A
r^ Bologna, ])resso Gaetano Romagnoli, 1877-1905. 4 voi. 8".
Labruzzi (Francesco). Se il conte Umberto Biancamano {w contestabile del regno I-'A.
di Borgogna.
= Firenze, tipogr. Galileiana, 1905, 8" (16 pp.
La Mantia (Francesco). Relazione delle feste fatte in Sciacca dal 19 al 26 no- la.
vembre 1713 per la solenne acclamazione di Vittorio Amedeo di .Savoia re di
Sicilia, pubblicata.
1= Sciacca, tip. editr. Bartolomeo Guadagna, 1908, S" (12 pp.
La Mantia (Giuseppe). 1 capitoli delle colonie greco-albanesi di Sicilia dei secoli I-'A-
XV e XVI raccolti e pubblicati.
=1 Palermo, stab. tip, A. Giannitrapani. 1904, 4° xuv-88 pp.
Lannoy(F1. de). Les origines diplomatiques de Tlndépendance belge. La Confé- L'Univ.
1 r j / r. o , <li l.ouvain
rence de Londres (1830-18311.
z= Louvain, Charles Peeters éditeur, 1903, 8" (xvni-3To pp.
Lattes (Alessandro). L'interinazione degli editti. Studio di storia del diritto pub- i,'a.
blico piemontese.
z=i Torino, Carlo Clausen, 1908, 8" (48 pp.
LegÉ (can. Vincenzo). Il culto della .S. Croce in Tortona, l'assedio della citt.à nel \:.\.
1642 e il sacco di Viguzzolo.
:=: Tortona, tip. Vescovile Ditta S. Rossi, 1904, 8" (14 pp.
LegÉ (can. Vincenzo). II Seminario di Tortona. Cenni storici. L'A.
=: Tortona, tip. Ditta S. Rossi, 1904, 8° (16 pp.
Lec;k (Vincenzo). La derivazione delle acque dal Curone e convenzioni tra \'olpedo, l'a.
Casalnoceto, Castellaro, Volpeglino e Viguzzolo. Notizie storiche medioevali,
zz Tortona, tip. libr. Rossi Adriano, 1904, 8^* (16 pp.
XXVIII DONI OFFERTI
L'A. Legk (can. Vincenzo). Scoperta di antichi sepolcri presso Tortona e presso Mon-
talto Pavese.
:= Tortona, tip. Vescovile Ditta S. Rossi, 1906, 8" (12 pp.
L'A. Legé (can. Vincenzo). La pieve di S. Ponzo .Semola, il suo titolare e il suo Patrono
celeste.
= Tortona, tip. Ditta .Salvatore Rossi, 1906, 16» (iS pp.
L'edit. Lettiere di piemontesi illustri. V'ittorio Emanuele II — Balbo — Botta — Cavour —
Cibrario — Collegno — D'Azeglio — Gioberti Grassi — La Marmora — Lanza
— Manno — Pellico — Peyron — Regaldi. [Pubbl. da A, D'Ancona].
=: Pisa, tip. editrice del cav. F. Mariotti, 1905, 8° (24 pp.
L'A. LiEKENAU (T. V.). Anton von Turn, Herr zu lllens, als Bùrge far den Crafen von
Savoyen, in Basel und Freiburg.
= S. 1., 1904, 8" (2 ce.
L'A. LiEBENAU (Theodor von). Aus dem Diarium des Johannes Riitiner von S' Gallen
aus den Jahren 1529-1539.
= Basel, 8" (6 ce.
L'A. LiKBKNAU (T. V.). Aus der Chronik des Minoriten Heinrich.
= S. 1., 18S9, 8" (4 pp.
]/A. Lthuenau (T. v.). Aus Werner Steiner's Leben und Schriften.
= S. i., 8» (io pp.
L'A. LiEHENAr (T. V.). Berlingers Bericht ùber das Treffen auf dem Cubel.
=: S. i., 8» (i e.
L'A. Liebknau (T. V.). Beschreibung des IL Cappelerkrieges von Werner Steiner von Zug.
=: S. i., 8° (8 pp.
L'A. Liebknau (T. v.). Bundnerische Kirchengesetze.
iz: S. i., 8« (2 ce.
LA. LiEBENAU (T. V.). Courad's von Mure Clipearius Teutonicorum.
= S. i., 8" (16 pp.
'-'^' LiEBENAU (T. V.). Dalla Storia di Castel S. Pietro,
zz Bellinzona, tip. Colombi, 1883, 8° (12 pp.
L'.\. LiEBENAU (Th. V.). Das alteste Wappengedicht Deutschlands.
= .S. 1., 1880, 80 (16 pp.
L'A. LiEBENAU (T. V.). Das Geleit am Gotthard. Ein Beitrag zur Erklarung der Tellsage.
= S. i., 8''(iopp.
L'A. LiEBENAU (T. V.). Das Schvveizerkreuz.
=1 S. 1., 1900, 8" (io pp. I tav.
LA. LiEBENAU (T. v.). Das Treffen zu Carate,
:= Bellinzona, stab. tip. E. Colombi e C, 1904, 8'' (8 pp.
L'A. LiEBENAU (Th. V.), Dcr hi. Cari Borromeo und die Schweizer.
rz Luzern, Buchdr. v. J. Sellili, 1884, 8" (52 pp.
L'A. LiEBENAU (T, V.). Der Humanist LHrich Zasius als Stadtschreiber von Baden im
Aargau.
■ == Luzern, Buchdr. Rader & C, 1898, 8» (12 pp.
L'A. LiEBENAU (T. V.). Die Abtrelung des Eschenthals an Frankreich im jahre 1515.
=: S. ],, 1894, 8» (io pp.
L'A. LiEBENAU (T, V.). Die Anfange der Golthardbefestigung.
=z Bellinzona, 1900, 8" (4 pp.
DAL 26 APRILE 1 904 AL 16 DICEMBRE 1908
XXIX
LiEBENAU (T. V,). Die Chroniken des Franz Katzeno;eau von Freiburs; und Anton
Paillard.
zz S, i., 80 (io pp.
LiEBENAU (Th. V.). Die Chronisten des Stiftes Xeuchàtel.
= S. i., 8» (24 pp.
LiEBENAU (T. V.). Die Conferenzen von Glurns und Mais 1496.
= S. i., 8» (2 pp.
LiEBENAU (T. V.). Die Gruber'sche Fehde.
=: S. i., S''^ (14 pp.
LiEBEN.vu (T. V.). Die Herren von Sax zu Misox.
zz Chur, Druck v. Sprecher, X'ieli & Hornauer, 1890, 8" (48 pp. i tab.
LiEBENAU (Th, v.). Die Schlacht bei Sempach.
= Basai, 1897, S« (12 pp.
LiEBENAU (T. V.). Die Stellung des Aiislandes im i. Villmerg-erkrieg.
zz S. 1., 1892, 8» (4 pp.
LiEBENAU (Th. V.), Die Stellung Luzerns zu den westphalischen Fehmtjerichten.
= Stans, 1878, Buchdr. v. Caspar von Matt., 8" (16 pp.
LiEBENAU (T. v.). Die Zimmermann von Hilferdingen.
zz Luzern, 1887, 8° (20 pp.
LiEBENAU (T. V.). Ein Ehrentag der papstlichen Garde.
=: S. i., 8" (3 ce.
LiEBENAU (T. V.). Ein Luzerner Pathenpfennig.
zz Genève, impr. Jarr^-s, 1895, 8" (4 pp.
LiEBENAU (T. v.). Ein Memoria! von Peter Valkenaer.
= S. i., 8" (6 pp.
LiEBENAU (T. V.). Ein Schweizerischer Condottiere aus Wallensteins Tagen. Oberst
Franz Peter Kònig von Mohr, Schultheiss von Freiburg.
=: S. i., 80 (72 pp.
LiEBENAU (T. v.). Ein Zùrcher-Schlachtbericht iiber Nancy,
zz S. 1., 1898, 8° (4 pp.
LiEBENAU (T. V.). Fra Gabriele De Benedictis.
= S. i., 8" (4 pp.
LiEBENAU (T. V.). Franz von Sickingen und die Eidgenossen.
=: S. 1,, 1891, 8" (4 pp.
LiEBENAU (T. V.). Hans Bircher, Schultheiss von Luzern.
zu S. 1., 1902, S° (12 pp.
LiEBENAU (T. v.). Hans Junker von Rappers\v>'l.
— S. 1., 1890, 8° (4 pp.
LiEBENAU (T. v.l. Juliana von Krudener im Kanton Luzern.
:zz Luzern, 1901, 8° (16 ce.
LiEBENAU (T. V.). Kleine Neuenburger Chronik.
z= S. i., 1892, 8° (4 pp.
LiEBENAU (T. V.). La famiglia Beroldingen. Versione italiana del dr. A. Pioda. .
zz Bellinzona, tip. e lit. eredi Carlo Colombi, 1890, 8*^ (28 pp. 3 tab.
LiEBENAU (T. V.). Luzernerische Berichte ùber die Bartholomausnacht.
zz S. i., 8° (12 pp.
LiEBENAU (T. V.). Marnol als kaiserlieher Gesandter in der Schweiz.
= [Innsbruck), 8° (16 pp.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
LA.
L'A.
LA.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
XXX DONI OFFERTI
L'A. LiEBENAU (T. V.). .Meister Anton Isenmaim, der Baumeister des Rathauses in Luzern.
rr S. 1., T900, 8" (4 pp.
L'A. T.iKiìENAL' (T. V.). Mumpelt;art und tlie Schweiz. 1474-1476.
= S. i.. 8" (S pp.
L'A. LiKHKNAU (Th. V.). Murhaclier-Annalen.
r= S. i., 8" ( IO pp.
L'A. LiEHKNAU (T. V.). Niimismati.sche Analeclen.
= S, i., 8» (io pp.
'-'A. LiEHENAi" (']'. V.). Oberst Joseph Anirhyn nntl der Fall von Turin.
= S. i., H" (30 pp.
l-'A' LiKHKNAU (T. V.). Oslschvveizerische Chronik \-on 1442-1448.
iz: S. i , 8'^ (8 PI).
l-'A. LiKiJENAL' (T. V.). l'apsl Sixtus 1\'. ais X'ermittler Zwischen Mailand und der
Schweiz 1483.
=z S. 1., 1891. 8" (4 p)).
l-'A. LiEHENAi; [[\ V.). Projekte zur Aiinexion des Aostathales.
= S. i.. 8" (12 pp.
l-'A. I.iKHENAU (T. V.). KechtS!L;iitachten iìber den Krieo; zwischen W'allis und Mailand
von i486.
:= S. 1., 1895, 8" ( 12 p)).
'-'A. LiEBENAU (T. y.\ Regesten zur (ieschichte des Eschenthaler Krietjes von 1425.
— S. i., 80(8 pp.
l.'A. LiEiìENAC (T. V.). Rennward Cysat i'iber die Beziehuno^en der .Schweiz zu Frankreich
in der Zeit Heinrich III.
=z S. 1., T901. 80 (4 pp.
L'A. LiEHENAU (Th. V.). Thomas Murner in l)asel.
^ Basel, T879, 16" (32 pp.
L'A. LiEBENAU (T. V.). Ueber das .Schweizer-Panner.
nz S. I., 1902, 40 (i e. 4 pp.
I,'A, LiKiìENAU (T. V.). Ueber die Crafen von Lenzbura;.
= S. i., 80 (8 pp.
L'A. LiHiiKNAU (T. V.). Feber eine geheinie Mission des (ial)riel Morosini.
zrz Bellinzona, 1901, 8" (8 pp.
L'A. LiEBENAU (T. V. ). Ueber Iustin.a;ers Relation betrefiend den prqiektirten Feldzug
KOnij; Sigismunds gegen Mailand v. L HLv
— S. i., 80 (4 pp.
L'A. LiEBENAU (T. v.). Ueber Kriegssitten. »
ziz S. 1., 1901, 8" (4 pp.
L'A, LiKUENAU (T. v.). Vier Briefe Herzog Heinrichs von Rohan.
rz .S. 1., 1890, 8" (4 pp.
I/A. LiEBENAU iT. V.). Werner .Schodelers Besclireibung der Schlacht von Marignano
von 15 15.
=z S. i., 8" (6 p)).
L'A. LiEBENAU (T. V.). Wolfgang Erler von Schwyz.
zzz S. 1., 1902, 8" (4 pp.
L'A, LiKBKNAU (T. V.). Zur Basler Chronik iles Nikolaus Cerung genannt Blauenstein.
=1 .S. i., 8" (12 pp.
DAL 2Ò APRILE I QO4 AL 16 DLCEMBRE 1908
XXXI
Lieuknau (T. V.). Zur Biographie Jorg's uf der Fliie. i-''^-
rz S. 1., 1890. S" (4 pp.
LiKHEXAU (Tli. V.). Zur Bundesfeier von 1291 i89r. L'a.
= S. i., 8" (pag.to 283-310).
LiEHKNAU ( r. V.). Zur Erhaltung der alten Deiikiualer Helvetiens. L'A.
= S. ]., 1900, S» (r e.
LiEMKNAU (Th. V.). Zur (ieschichte der .Ablassprediger in der Schvvei^. L'A.
=1 Basai, 8" (ro ])p.
LiKHENAU (T. V.). Zur (ieschichte der Universitiit Basel. I,'A.
= [Basel], r89r, 8" (4 pp.
LiEHE.VAU (T. V.). Zur Ge.schichte des Schlosses Locamo. l'A-
= S. 1., 1900, 8" (I e.
LiEiiENAU (Tii. v.i. u. \y. V. vi)N MuLiNEN. Dieljold Schilling's Berner Chronik vou LA.
1424 bis 1468.
=: Beni, Buchdr. Karl Stanii)Hi & C, 1S92, ^" {170 pp.
LoEViNsoN (Ermaiuio). .Sulle condizioni religiose della diocesi di Alacelo al prin- L'A.
cipio del secolo xviii.
= Rome, imprimerle de la Pai^; de Philippe Cuggiani, 1904. 8" {16 pp.
Lo.Mi'.AKDO (Giacomo Maria). Memorie canavesane (Un teatro ducale — Una con- LA.
grega di Beoni).
zn Torino, tip. A. .Spandre e C, 1903, 8" (24 pp.
LuGA.No (p. Placido). Le ultime vicende dell'abbazia di Precipiano. LA.
= Tortona, tipogr. editrice Rossi Adriano, 1906, 8" (14 pp.
Maiocchi (Rod.)e Casacca (Xaz.). Code.\ diplomaticus Ord. E. S. Augustini Papiae. l'a.
Voi. I II.
= Papiae, ex olìtìcina t\pogr. C. Rossetti, 1905- 1906, 4".
Ma occhi (Rodolfo). Codice diplomatico dell'Università di Pavia raccolto ed ordi- LA.
nato. \'ol. T-2.
= Pavia, premiata tipogr. .Successori frat. P\isi, 1905-1906, 4".
M.M.iiEZ. Campagne de M'' le Maréchal de Xoailles en l'année mdcc.xi. 111. journal...
publié avec des notes et un jilan de la bataille de Dettingen jiar- Joseph
l)u Teli,
rr Paris, Alphonse Picard, libraire-éditeur, 1892, 16" (viii-78 pp. i tav.
Manikedi (Pietro). Cesare Cantù. La biografia ed alcuni scritti inediti o meno noti L'A.
inibblicata nel centenario della sua nascita.
rz Torino, Unione tip. -editrice, 1905, 8" (272 pp. 3 csn. ritr.
Manno (Antonio). Commemorazione del Marchese Vittorio Scali di Casaleggio letta L'A.
all'Unione Conservatrice di Torino la sera del 24 febbraio 1905.
:= Torino, tipogr. Matteo Artale, 8" (16 pp.
Manno (Antonio). 11 regolamento tecnico-araldico spiegato ed illustrato. L'A.
= Roma, stabil. tipogr. Giuseppe Civelli, 1906, 8" (76 pp.
Manno (Antonio). Vocabolario araldico ufficiale seguito dal Dizionarietto di voci l'a.
araldiche francesi tradotte in italiano.
rz Roma, stabilimento Giuseppe Civelli, 1907, 8" (74 pp.
Mannucci (Francesco Luigi). La cronaca di Jacopo da Varagine. L'Kdit.
=: Genova, a cura del Municipio, 1904, 8' (vi 11-86 pp.
Mannucci (France.sco Luigi). L'auon/mo ,Qr;ioz'est' e la sua raccolta di rime (sec. .xiii- L'Edit.
XIV). Con appendice di rime latine inedite e tre facsimili.
zz Genova, a cura del Municipio, 1904, 8'-' (viii-272 pp. i tav.
Il haiom
Dii Teil
XXXII DONI OFFERTI
L'A. Massa (Angelo). Documenti e notizie pef la storia dell'istruzione in Genova,
=: Genova, tipogr. della Gioventù, 1906, 8" (56 pp.
L'istit. Massó-Torrents (J.), Oliver (M. S.). Dictamen-acord de l'institut d'estudis ca-
talans proposant a la excma. diputació provincial de Barcelona l'adquisició
de la biblioteca Aguiló.
=r Barcelona, Societat anonima « La Neotipia », 1908, 4" (t6 pp.
L'A. Mazzei (Emanuele) Guglielmo), Il Paraguay come mèta della nostra emigrazione
agricola e industriale,
zn Pistoia, tip. Grotta Giusti, 1907, 8" (56 pp.
L'^\ M01RAGHI (A). Un critico insigne in veste da camera. Osservazioni a certe osser-
vazioni di G, Romano,
= Pavia, .Scuola tipografica Artigianelli, igoS, 16" (98 pp.
Il Ministero Mo.NOGRAiiA storica dei porti dell'antichità: nella penisola italiana; nell'Italia
.^^"^ insulare.
Manna
=z Roma, officina poligrafica italiana, 1905- 1906, 2 voi, 4".
L'istit. MoNTicoi.o (Giovanni). I capitolari delle Arti Veneziane sottoposte alla Giustizia e
stor. italiano ^^^- ^^^^ Giustizia vecchia dalle origini al Mcccxxx. Voi. II.
:= Roma, nella sede dell'Istituto, 1905, 8",.
L'A. MoRozzo (Emanuele) della Rocca. Le storie dell'antica città del Monteregale ora
Mondovì in Piemonte. Voi. 3".
=: Mondovi, tip. C. A, I'>acchia, 1905-7. 8" (xii-320; 306 pp. 4 csn.
L'A. Negri (Paolo). Storia del 46" reggimento fanteria (brigata Reggio) dalla sua forma-
zione fino alla presa di Roma.
=: Imola, Coop. tip. -editrice Paolo Galeati, 1905, 8' (246 pp.
La Biblioteca Negroni (Carlo). Relazioni e discorsi al Consiglio comunale di Novara, Parte seconda.
'^'^""'^ = Novara, tipogr. commerciale Parzini e Bossetti, 1904, 4" (viii-232 pp.
La Biblioteca Negroni (Carlo), Relazioni al Consiglio provinciale di Novara,
rr Novara, tip. commerciale Parzini e Bossetti, 1904, 4" (4 csn. 156 pp.
NicoLLET (F. N.). Affouagement des communes des Hautes-Alpes de 1662 à 1666.
=: Gap, Louis Jean et Peyrot imprimeurs-éditeurs, 1903, 8*^ (86 pp. i e.
nazionale
Il Notizie biografiche sul dottor Francesco Tadini.
signor Tadini ^. " .• ^. ^, , ,. „ ,,,
=1 Novara, 1904, tip. G. Gaddi, 4" (8 pp. i ntr.
L'istit. NovATi (Francesco). Epistolario di Coluccio Salutati. \'i)l. 1\', parte 1.
1 a lano __ j^q,^-,jj^ nella .sede dell'Istituto, 1905, 8".
L'A. OxiLiA (G. U). La vita e le rime di Pierozzo Strozzi,
rz Firenze, tip. Galileiana, 1904, 8" (16 pp.
L'A. O.xii.iA (Giuseppe Ugo). Una lettera inedita di Pietro Giordani.
:= Genova, tip, succursale del « Secolo xix », 1906, 8" (12 pp.
L'A. OxiLiA (Gius. Ugo). I figli di Carlo Alberto allo .studio.
=1 Roma, Nuova Antologia, 1907, S*^ (16 pp.
L'A, OxiLlA (Gius. Ugo). Nino Bixio.
= Roma, Nuova Antologia, 1908, 8" (44 pp.
L'A. Pagliano (Emilio). L'assassinio del i^rincipe lìnrico di Cornovaglia (Viterbo, 1271),
Nota storica a due versi della Divina Commedia,
=: Roma, tip. della Casa editrice italiana. 1903, S^ (28 pp.
L'A. Pagliano (avv. Emilio M.). La Repubblica di S, Marino. Ordinamento e leggi.
zi: Roma, tip. .'\rligianelli .S. Giuseppe, 1905, 8>' (66 pp.
DAL 2Ò APRILE 1904 AL 16 DICEMBRE 1 go8
XXXIII
Pagliano (dr. Emilio M.). Oscar II oratore.
=: Roma, tip. degli Artigianelli di S. Giuseppe, 1905, .S" (20 } p.
Pagliano (avv. Emilio M.). Pagine inedite sull'assedio di Torino del 1706.
=z Roma, 1906, Enrico Voghera tipografo, 8" (38 pp.
I'enna (Giuseppe). Chinino di .Stato ai tempi di Napoleone I.
zz: Alessandria, .Società poligrafica, 1907, 8" (3 ce.
Pkkagallo (Prospero). Due episodi del poema I Lusiadi di Canujes ed altre poesie
straniere colla traduzione in verso italiano.
= Genova, stab. tipogr. vedova Rapini e figli (igtu), S" (64 pp.
Pkkagaij.o (Prospero). Epistola di 1 ). Emanuele Re di Portogallo al j^apa Le(jne X
annunziandogli l'entrata solenne dell'ambasciata portoghese in Abissinia.
z=L Genova, stab. tipogr. vedova Papini e figli. 1906, 8° (30 pp. i e.
Pergola (D.). Confuta/ione di alcuni responsi rabbinici e breve riassunto di pub-
blicazioni sul giudaismo.
1= Torino, tip. Origlia, Pesta e C., 1904, 12" (24 pp.
Pesce (Ambrogio). Alcune notizie intorn<j a Giovanni Antonio Del P'iesco ed a
Nicolò da Campofregoso (1443-1452).
zr Genova, tip. della Gioventù, 1905, 8*^ (50 pp.
Pesce (Ambrogio). Un restauro alla porta delle P"ontane marose (1436).
=z Genova, tip. della Gioventù, 1906, 8" (4 pp.
Pesce (Ambrogio). Un episodio del costume in Genova (il ratto d'ima fanciulla)
(i45i)-
=z Genova, tip. fratelli Carlini fu Gio. Batta, 1906, 8" (20 pp.
Pesce (Ambrogio). Alcuni documenti intorno a la ricostruzione del Castelletto e ad
un intrigo di Alfonso d'Aragona (1448-1455).
=: Genova, tip. della Gioventù, 1907, 8"^ (26 pp.
Pesce (dott. Angelo) Notizie sugli archivi di .Stato comunicate alla VII riunione
bibliografica italiana tenuta in Milano dal 31 maggio al 3 giugno 1906.
=:= Roma, tip. delle Mantellate, 1906, 8'^ (160 pp.
Pettorelli (Arturo). Un'arca del secolo xv nella cattedrale di Borgo .San Donnino
(note e rilievi).
Z3 1905, Borgo .San Donnino-.Salsomaggiore, tip. Mattioli, 4" (26 pp.
Peyre (Roger). Histoire generale des beaux-arts contenant plus de 300 illuslrations
d'après les ceuvres les plus célèbres. 6e édition.
=: Paris, librairie Ch. Delagrave [1904] 180 (xv[-8o6 pp.
Pevre (Roger). Le Rhòne de sa .source à la mer.
=r Paris, impr. Courmont frères I1905I 8° (80 pp. 4 tav,
Pevre (Roger). Les majoliques d'Urbino. Epoque de la renai.ssance italienne.
= Paris, PZ. Rouveyre. | 19071,4" (16 pp.
Peyre (Roger). Padoue et Verone.
=11 Paris, libr. Renouard, H. Laurens éditeur, 1907, 8" (188 pp.
Pevre (Roger). Histoire generale des beaux-arts contenant plus de 300 illuslrations
d'après les ceuvres les plus célèbres. .Septième édition.
z= Paris, librairie Ch. Delagrave, 1907, 18" (XVI-S84 pp.
Pilucìk-Hakttung (J. von). .Splitter und .Spane aus Geschichte und Gegenwart.
:=: Berlin, Allgemeiner Verein fiìr Deutsche Literatur, 1908, 8° (4 csn.
328 pp. 7 tav. ritr.
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
LA.
LA.
LA.
L'A.
LA.
L'istil.
stor. italiano
XXXIV
DONI OFFERTI
L'istit.
stor. italiano
L'Istit.
stor. catalano
L'A.
L'Istit.
catalano
L'A.
L'A.
LAccad.
di Bruxelles
L'A.
L'A.
L'A.
L'A.
Il pr. Cipolla
L'I'niv.
di Friburgo
L'Accad,
del Belgio
L'Accad.
del Belgio
Lliiiv.
di Louvain
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L'Accad,
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L'Univ.
di Friburgo
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DAL 26 APRILE 1904 AL 16 DICEMBRE 1 908 XLI
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Oppenheimer (Ludwig). Ist "die Richtigkeit der Datierung beini eigenhandigen Testament
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Kron (Joseph). P"rauenlobs (jelehrsamkeit. Beitràge zu seinem Verstàndnis.
=: Strassburg i. E., Druck von M. Du Mont Schauberg, [906, 8" (68 pp.
Kltter (Paul). Joachim von Sandrart. Eine kunsthistorische Studie.
== Strassburg, J. H. Ed. Heitz, 1907, 8'^ (3 csn. 74 pp.
Lange (Heinrich). Das Zeitwort in den beiden Handschriften von Lazamon's Brut.
=: Strassburg i. E., Elsass-Lothringische Druckerei, 1906, S" (5 csn. 130 pp.
Laqukur (Ricardus). (Juaestiones epigraphicae et papyrologicae selectae.
= Argentorati, typis expr. M. Du Mont Schauberg, 1904, 8° (viii-iio pp.
Le Compte (Irville Charles). The sources of the Anglofrench Commentary on the Proverbs
of Solomon contained in manuscript 24862 (fonds frangais) of the Bibliothèque nationale
of Paris.
n: Collegeville, Pa., 1906, Thompson brothers, 8'^ (4 csn. xx-66 pp. t tab.
LiEBE (Reinhard). Fechners Metaphysik.
:= (jreifswald, Druck v. Julius Abel, 1903, 8" (3 ce. 90 pp.
LiNCKENHELD (Emil). Der Hexameter bei Klopstoek und Voss.
= Strassburg, i. E., Buehdr. C. et. J. Goeller, 1906, 8" (i e. 116 pp.
Long (Irwin Hoeh de). Die hebraische Proposition *]y3.
=: Leipzig, Druck von W. Drugulin, 1905, 80 (36 pp.
LuTZ (Paulus). Quaestiones criticae in Cieeronis orationes Philippicas.
=: Schlettstadt, typis expressit Paulus Rugraff, 1905, 8» (84 pp.
Marti.n (Friedrich). Die produktiven Abstraktsuftixe des Mittelenglischen.
ZZI Strassburg i. E., Druck v. M. Du Mont Schauberg, 1906, 8" (viii-80 pp.
Mau (Georg). Die Religionsphilosophie Kaiser Julians in seinen Reden auf den Konig Helios
und die CiOttermutter. I. Kapitel : Konig Helios.
z= Leipzig, Druck won B. G. Teubner, 1906, 8° (2 csn., 90 pp.
XLVIII DONI OFFERTI
Maurer (Alfred). Rùhl ein Elsasser aus der Revolutionszeit,
=r Strassburg, Univ. Buchdr. J. H. Ed. Heitz, 1905, 8" {iv-144 pp.
Meyer (Hermann). Die Begriffe Form und Zahlh€\ Pestalozzi im Zusamnienhange mit seinen
pàdagogischen Ideen und in ihrer Beziehung zu Kant.
= Strassburg i. E., Buchdr. C. Miih e C, 1904, 8" (64 pp.
Meyer (Rudolf Adelbert). Franzòsische Lieder aus der florentiner Handschrit't .Strozzi-
Magliabecchiana CI. vn, 1040. Teil I.
=: Halle a S., Dfuck v. Ehrhardt Karras, 1906, 8» (viii-42 pp,
MiRONOw (Nicolaus). Die Dharmapariksa des Aniitagati. Ein Beitrag zur Literatur- und Reli-
gionsgeschichte des indischen Mittelalters.
= Leipzig, Drude v. G. Kreysing, 1903, 8" (2 ce. 58 pp.
MiJM.ER (Friedrich Wilhelm). Organisation und Geschaftsordnung der elsassischen Land-
standeversammlungen und ihr Verhiiltniss zu Frankreich nach dem westfalischen Frieden,
nebst einem Verzeichnis der Standetage,
^ I Strassburg, 1906], 8' (viii-74 pp.
Natiian (Nathan Max). Ein anonymes Worterbuch zur Misna nnd Jad Hahazaka.
:^ Berlin, Druck v. H. Itzkovvski, 1905, 8" (48 pp.
NiESE (Hans). Prokurationen und Laiidvogteien. Ein Beitrag zur Gesciiichte der Reichsgli-
terverwaltung im 13. Jahrhundert.
=: Innsbruck, Verlag der Wagner'schen Univ. Buchdr.. 1904, 8" (70 pp.
BopEscu (Johann). Die l<2rzalilung oder das Martyrium des Barl)aren Christophorus und seiner
Cienossen.
zr Leipzig, Druck v. W. Drugulin, 1903, 8" (viii-58 pp.
Radtke (Robert). Der Artikel bei Wolfram von Eschenbach.
=: Strassburg i. E., Druck der « Strassburger Neuesten Nachrichten », 1906, 80 (viii-84 pp.
Raich (Maria). Fichte, scine Ethik und seine Stellung zum Problem des Individualismus.
=: Tiìbingen, 1905, Buchdr. v. H. Laupp jr., 8" (2 ce, viii-196 pp.
Reil (Johannes). Die friihchristlichen Darstellungen der Krenzigung Christi.
= Leipzig, Druck v. G. Kreysing, 1904, 8" (58 pp.
Reis (Petrus). Studia Tulliana ad oratoreni ptrtinentia.
r= Argentorati, apud Carolum L Truebner, 1906, 8° (62 pp.
Reis (Richard). Die Sprache im « Libvre du bon Jehan, Due de Bretagne » des Guillaume
de Saint-André.
:= Erlangen, Buchdr. v. F. Junge & Sohn, 1903, 8" (56 pp.
RiMSivV-KoRSAKOW (Andreas). Herbarts Ontologie. Eine kritische Darstellung.
= St-Petersburg, Gedruckt bei C. Birkenfeld. 1093, 8° (76 pp. 3 csn.
Sander (Cari). Die Franzosen und ihre Literatur ini Urteil der moralischen Zeitschriften
Steeles und Addisons.
zz .Strassburg i. E., Druck v. .^L Du Mont .Schauberg, 1903, 8" (3 csn. 160 pp.
Schapiro (Israel). Die haggadi.schen Elemente im erzahlenden Teil des Korans. Teil L
=: Berlin, Drucke von H. Itzkowski, 1907, 8" (56 pp. i e.
ScHii-LiNir (Ludovicus). Quacstiones rhetoricae selectae.
^ Lipsia, typis B. G. Teubneri, 1903, 8".
ScHiNDLiNG (Bernhard). Die Murbacher Glossen. Ein Beitrag zur altesten Sprachgeschichte
des Oberrheins.
■=. Strassburg i. E., Buchdr. C. et J. Goeller, 1906, 8"' (88 pp.
SCHIRER (G. Ludwig). Oton de Grausoii und seinc Dichtungen.
z= Strassburg i. 'E., Druck von M. Du Mont Schauberg, 1904, 8" (.\x1v-120 pp.
DAL 26 APRILE 1904 AL 16 DfCEMBRE I go8 XÌAX
ScHNEiDER (Xicolaus). Quaestioiies Sophocleae.
= Argentorati, typis expressit M. Du Mont Schauberg, 1904, 8» (46 pp.
ScHòNEWOLF (Otto). Die synibolische Darstellung der Auferstehung in der friihcliristliihen
Kunst.
=: Leipzig. Druck v. (). Kreysing, 1907, 8" (2 ex. 44 pp.
ScHRADER (F. Ottu). Leber deii .Slami der indischen Philosophie ziir Zeit Maliaviras und
Buddhas.
zuz Leipzig. Druck v. G. Kreysing. 1902, 8" (x-70 pp.
.SCHUKKI.VG (Walther). Das Kalpa Siìtra, die alte,.Sammliing Jinistischer .Monciisvorschriften.
Tz: Leipzig, Druck v. G. Kreysing, 1905, 8" (72 pp.
Scn\v.\KZ ( Wilhelm ). .Studien ùber die aus dem Lateinischen entlehnten Zeit\vi>rter der eiigli-
schen Sprache.
= Strassbnrg i. E., Huchdr Hertzer, Hubert et Fritsch. 1903, 4" (viii-64 pp.
Sii.BERMAN.N (Samuel). Das Targuni zu Ezechiel nach einer sudarabischen Handschrift heraus-
gegeben, mit einer Einleitung und Varianten versehen.
=z Strassbnrg i. E., Drnck v. Dnigulin in Leipzig.. 1902, 8" (2 ce. 40 pp.
Sr.vDLER (Ernst). Ueber das \'erh;iltnis der Handschrilten D und G von Wolfranis l'arzival.
— Strassbnrg i. E.. Buchdr C. Muh et Cie , 1906, 8" (176 pp.
Tarrai. (Nikolausl. Laut und Formenlehre der .Mundart des Kantons Falkenberg in L(Jthr.
=: Strassbnrg, Buchdr. v. J. H. Ed. Heitz, 1903, 8" (2 ce, 120 pp.
Tkichmaxn (Wilhelm). Johannes Zschorn von Westhofen. Fin Beitrag zur elsassischen Lite-
raturgeschichte des sechzehnten Jahrhunderts.
= Strassbnrg, Univ. Buchdr. v. J. H. Ed. Heitz, 1905, 8" (114 PP- i tav. 4 csn.
Walter (Otto). Uebereinstimmungen in Gedanken, Vergleichen und Wt-ndungen bei den
indischen Kunstdichtern von \';dmTki bis auf Màgha.
zn Leipzig, Druck v. fi. Kreysing, 1904, 8" (44 pp.
Wehring (Georg). Der geschichtsphilosophische Standpunkt Schleiermachers, zur Zeit seiner
Freundschaft mit den Romantikern.
= Strassbnrg i. E., Buchdr. C. Miih et Cie, 1907. 8° (142 pp.
Wkntzcke (PauL. Johann Frischmann, ein Publizist des 17. Jahrhunderts.
= Strassburg, Druck von M. Du Mont Schauberg, 1904, 8» (viii-162 pp. 3 csn.
Wessung (Aloysì. Die konfessionellen Unruhen in der Reichsstadt .Aachen zu Beginn des
17. Jahrhunderts und ihre UnterdriJckung durch den Kaiser und die Spanier im Jahre i6r_i.
= Strassburg, M. Du Mont .Schauberg, 1905, 8'^ fxii-ii6 pp.
Westendorp (Karl). Die Anfànge der franzòsisch-niederlandischen Portraittafel.
= Kòln, 1906, Druck der Kolner Verlags-Anstalt und Druckerei A.-G., 8» (80 pp.
Wiii.iAMs (John David Ellis), Sir William Davenant's relation to Shakespeare. With an
.\nalysis of the Chief Characters of Davenant's Plays.
= S. f., [1908], 8"* (4 csn. 120 pp.
Yahuda (A. .S.). Prolegomena zu einer erstmaligen Herausgabe des Kitiìb al-hidàja 'ila farà'
id al-qualùb von Bachja ibn Josef ibn Paqiìda aus dem' Andalus neb.st einer grosseren
Textbeilage,
= Darmstadt. 1904, C. F. Winter'sche Buchdr., 8" (2 ce. 44-49 pp.
Zei,le*r (Georg). KOnig Konrad 1\' in Italien 1252-1254.
z= Bremen, Druck v. H. Seemann, 1907, 8° (2 ce. no pp.
Ziegler (Oskar). Die Politik .Strassburgs wàhrend des bischotiichen Krieges ( 1592-93^-
:= Leipzig-Reudnitz, Druck von August Hoffmann, 1906, 8° (116 pp.
DONI OFFERTI
Pubblicazioni periodiche:
La Società Alua Fomi'kia. Rivista bimestrale della Società di studi storici ed artistici per Alba
e territori connessi A. I., n. 1-2.
=: Alba, 1908, 8».
La Direz. Analkcta Bollandiana, XXIII-XXVII.
= Bruxelles, 1904-1908, 8". ,1 ,,
L'Univ. Annales de Bretagne. Revue trimestrielle publiée par la faculté des lettres de
Renues, T. XVIII-XXIII.
r= Rennes, 1902- 1908, 8".
La Società Annales de la Société d'études provenc^ales, A. I. n. ,^-6; II-I\', \', 11. 1-3.
:= Aix-en-Provence, 1904-1908, 8".
La Società Annales de la Société d'étnulation et d'agric. (U i'Ain.
rz Bourg, 1904-1907, S°.
L'Univ. Annales de l'Université de Grenoble, T. XV, n. 3; XVI-XX, n. r-2.
z= Paris-Grenoble, 1903- 1908, 8".
La Società Annales des Basses Alpes. Bulletin de la Société scientitique et littéraire des Basses
Alpes, n, 88107.
=: Digne, impr. Barbaroux, Chapsol, 1903-1907, 8".
L'Univ. Annuaike de l'Université calholique de Louvain, 1904-1906, 1908.
m Louvain, 1904-1908, 8".
L'Univ. Annuario della R. Università degli studi, 1904 1905-1907-08.
^=. Torino, 1905-1908, S°.
11 Ministero ANNUARIO militare del Regno d'Italia, 1905- 1907.
:= Roma, tip. Voghera, 1905-1907, 8".
La Dire/,. Anzeiger und Mitteilungen des germanischen Nationalmuseums.
^ Niirnberg, 1904-1907, 8".
La Società Archives de la Société d'histoire dii canton de Fribourg, \'1II, n. 2-3; LX, n. i.
=: Fribourg, 1905-1908, 8".
La Società ARCHIVIO delia R. Società romana di Storia patria. XX\'II XXXI, n. 1-2.
:= Roma, nella sede della Società, 1904- 1908, 8».
La Dcput. Archivio storico italiano, Ser. V, voi. 33-42.
toscana . i 00 -f
di St. Patria =: Firenze, 1904-1908, 8".
La Soc.st. Archivio storico lombardo.
=: Milano, 1904 1908, 8'.
Il Uirettorc ARCHIVIO Storico pei la città e coniimi del circtmdario di Lodi diretto da Giovanni
Agnelli, XXin-XXVIL
= Lodi, 1904-190S, 8°.
La Società ARCHIVIO Storico per la Sicilia orientale. l-\'.
=: Catania, 1904-1908, 8".
La Società .\kchivio storìco per le Provincie naiioletane, pul)blicato a cura della Società di
di St. p. e» • . •
Stona patria.
UT Napoli, 1905- 1908, 8".
La Depili. ARCHIVIO Storico per le provincie parmensi. \(.l. S; N. S., voi. 1-8.
m Parma, 1904-1908, 8".
La Società ARCHIVIO .fitorico sardo edito dalla Società storica sarda. 1-1 V 1-2.
=: Cagliari, 1905- 1908, 8».
DAL 26 APRILE 1904 AL 16 DICEMBRE 1 908 LI
Archivio storico siciliano, pubblicazione periodica della Società siciliana perla LaSocietìi
» edilnce
Storia patria.
n: Palermo, 1904-1907, S». .
Archivio (Nuovo) veneto, pubblicazione periodica delia R. Deputazione veneta La Oeput.
sopra gli studi di Storia patria.
:= \'enezia, 1904-1908, S".
Arte e Storia, periodico settimanale. La Direz.
:= Firenze, 1904-1908, 4".
Ateneo (L') veneto, rivista bimestrale di scienze, lettere ed arti. La Direz.
=: Venezia, 1904-1908, S".
Atti del Consiglio provinciale di Torino, 1903-1907. • . • il Consiglio
= Torino, 1904-1908, 8°. , ,
Atti del Consorzio di bonificazione dell'Agro mantovano-reggiano e del comitato 11 Consorzio
esecutivo, A. 1903.
=r Mantova, 1904, 8».
Atti dell'i, r. Accademia degli Agiati di Rovereto. Serie III, voi. 10-141-2. L'Accad.
r= Rovereto, 1904-1908, S".
Atti della R. Accademia dei Lincei. Rendiconto dell'adunanza solenne 1904-1908. L'Accad.
Memorie d. ci. di scienze morali, serie V, voi. 8-11. Notizie d. .Scavi, I-V.
:= Roma, 1904- 1908, 4".
Aiti della R. Accademia delle Scienze di Torino. Voi. 40-43. L'Accad.
=: Torino, 1905-1908, 8'^.
Atti della R. Accademia Lucchese di Scienze, lettere ed arti. \'ol. XXXI.
=1 Lucca, 1902, 8».
Atti della R. Università di Genova. Voi. XVIII. , , L'Unìv.
zr Genova, 1894, 8*^.
Atti della Società di Archeologia e belle arti perla prov. di Torino. \'ol.7",fasc. 5°-6°. La Società
=z Torino, 1905-1908, 8".
Atti della Società economica di Chiavari. ' La Società
:= Chiavari, 1904-190S, 8".
Atti della Società ligure di Storia patria, XXXIV-XXXVII. ' • : La Società
=1 Genova, 1904-1907,' 8». ■
Atti e memorie della Deputazione ferrare.se di .Storia patria. Voi. 14-19'. La Depui.
ZZI Ferrara, 1903-1908, 8».
Atti e Memorie della R. Deputazione di ."~-toria patria per le province delle .Marche, '-a Deput .
N. S., I-IV.
=: Ancona, 1904-1907, 8".
Atti e Memorie della R. Deputazione di .Storia patria per le provincie modenesi. La Deput.
Serie V, voi. 3-5 ; VI, v. i.
zz Modena, 1904-1908, 8". ^ v / /
Atti e Memorie della R. Deputazione di .Storia patria per le provincie di Romagna. La Deput.
Serie III, 22-26 1-3.
z^ Bologna, 1904- 1908, 8".
Atti parlamentari della Camera dei Senatori. Discu.ssioni. i' Senato
=: Roma, Forzani e C, 1904-1908, 8".
Beitrage zur Erforschun^ steirischer Geschichtc Herausg. vom historischen La Società
V^ereine fiir .Steiermark, 34-35 Jahrg.
=: Graz, 1905-1906, 8".
LII DONI OFFERTI
La Società [BIBLIOTECA della Società storica subalpina. Voi. 13-18, 19', 20. 21, 24, 25. 27-29.
rr: Pinerolo, 1902-1905, 8".
i.a p,ii.]iot. HiBiJOTECA nazionale centrale di Firenze. Bollettino delle pubblicazioni italiane
ricevute per diritto di stampa,
rr Firenze. 1904-190S, S".
La Società BoLETiN de la R. .Sociedad geografica de Madrid.
. ', =z Madrid, 1904-190S, 8".
La Bibliot. Bollettino della civica Biblioteca di Bergamo. A. I-II 1-3.
=r Bergamo, 1907- 1908, 8".
La Società Rf)LLETTrNo della Società africana d'Italia.
^ Napoli, 1904- 1908, 8".
La Società BOLLETTINO della .Società geografica italiana.
=: Roma, 1904 1908, 8".
La Depiit. iioij.KTTiNo della R. Deputazione di .Storia patria per l'Umbria, X-XIV i.
= Perugia, 1904-1908, 8°.
La Società BoLLpniTNO della .Società storica tortonese.
= Tortona, 1904-1908, 8".
Ministero BOLLETTINO del .Ministero degli affari esteri, 1904-1908.
:zz Roma, 1904-1908, 8».
La Società Bollettino men.suale pubbl. per cura del Comitato direttivo della Società meteoro-
logica italiana.
:=. Torino, 1 904-1 908.
La uiiez. BOLLETTINO storico della Svizzera italiana.
= Bellinzona, 1 904-1908, 8".
La Direz. BOLLETTINO .Storico per la provincia di Novara,
m Novara, 1907- 1908.
L'Accad. BuLLETiN de l'Académie delphinale, XX'II-XX.
= Grenoble, 1904-1907, 8".
LaComniis. Bui.LHTiN de la Commission royale d'iiistoire, T. I.XXIII-LXXVI.
:= Brn.xelles. 1904-1907, 8".
La Società Bl'lletin de la Société des sciences, lettres et arts de Pan. 11 serie, t. ,^2-34.
:zi Pau, 1904- 1906, 8».
LaSocieht BiM.LKTiN de la Société d'études des Hautes Alpes.
:::: (iap, an secrétariat de la Société, 1904-1908, 8".
La Società BuLLETiN de la .Société d'histoire et d'archeologie de Genève, 11 9; HI 1-3.
=: Genève, 1904-1908. 8".
La Società Blllktin de la Société d'histoire Vaudoise, n. 20-22, 25.
rr Torre Pellice, 1 903-1908, 8".
L isiitiito Bii.i.HTiN de rinstitut national genevois. XX.\Vl-XXX\'ll.
::::: Genève, 1905-1907, 8">.
L'Ai. ad. Bui.letin intemational de l'Académie des sciences de Cracovie.
=r Cracovie, 1904- 1908, 8".
L'istiiuKi Hi I. lettino dell'Istituto storico italiano, 25-29.
:ir Roma, 1904-1908, 8".
la i):i.-7 lUi.LETTiNo, storico pistoiese. \I-X.
:=z Pistoia, 1904-1908, 8*'.
DAL 2Ò APRILE 1904 AL 16 DICEMBRE 1908 LITI
Calendario del Santuario pontificio di Pompei pel 1905-1908. L'editore
=z Valle di Pompei. 1905-1908, 32».
Carin'thia I. Mittheilungen des Geschichtsvereines fin Karnten, Jahrg. 94-97- La Società
= Klagenfurt, 1904- 1907, 8".
Cassa di risparmio di Torino. Resoconto dell'a. i904[-i907l. . La Direz.
zr Torino, 1905-1908, 4".
Civiltà (La) cattolica. La Direz.
=1 Roma, 1904-190S. 8".
Collectanea Friburgensia commentationes Academicae Universitatis Friburgensis L'Univ.
Helvetiorum. Fase. 2-9, 12-16.
= Friburgi Helv., 1893-1905.
Commentari dell'Ateneo di Brescia per l'anno i904('-i907l. L'Ateneo
zr Brescia, 1904-1907, 8".
Corriere (II) israelitico, periodico mensile per la storia, lo spirito e il progresso La Direz.
del giudaismo.
z=. Trieste, 1904- 1906, 8".
Documenti per servire alla storia di Sicilia, pubblicati a cura della Società siciliana La Società
per la Storia patria.
:= Palermo, 1904-1907, 8".
Giornale araldico-genealogico-diplomatico, XXIX, 1-5. La Direz.
=: Bari, 1905. 8».
HisTORisCHE Monatsblàtter tur die Provinz Posen. . ^^ ^'^*^- ^^
zz: Posen, 1904-1907, 8'^.
Jahrbuch fiir Schweizerische Geschichte .Herausgegeben auf Veranstaltung der allge- La Società
meinen geschichtforschenden Gesellschaft der Schvveiz, 29-33.
^ Zurich, 1904-1908, 8". ^
Jahresbericht der histor.-antiquar. Gesellschaft von Graubiìnden. XXXI1-XXX\"II. La Società
=: Chur, 1904-1908, 8».
Jahresbericht des Karntnerischen Geschichtsvereines in Klagenfurt. 1903-1906. La Società
^ Klagenfurt, 1904-1907, 8''.
Index lectionum quae in Uniyersitate Friburgensi habenlur. L'L'niv.
:zi Friburgi Helvetiorum, 1890-92. 4".
Madonna Verona. A. I-II, 1-3. La Direz.
z= Verona, 1907-1908, 8°.
MÉmoires de l'Académie des sciences, belles lettres et arts de Savoie, X. L'Accad.
z= Chambéry, 1903, 8».
.MÉmoires de la Société d'émulation du Doubs. Serie VII, voi. 7-10; VIII, voi. t. La Società
Table génér. 1841-1905.
^ Besan^on, 1903- 1907, 8".
MÉmoires et documents publiés par l'Académie Chablaisieiine foiidée lo 7 de L'Accad.
cambre 1886. Voi. 16-21.
=: Thonon, impr. .\. Dubouloz, 1902-1907, 8".
Mkmoirhs et docimients publiés par l'Arad. Salésieinie, 27-31, L'Accad.
zz Annecy, 1904-1907, 8".
MÉmoires et documents publiés par la .Société d'histoire de la Sui.sse romaiule. La Società
2 «le serie, t. VI-VIl.
zz: Lausanne, 1906- 1907, S".
LIV DONI OFFERTI
La Società Mkmoires et dooLiineiits publiés par la Société d'histoire et d'archeologie de Ge-
nève. Nouv. serie: Vili 2-3, IX-XI i; 111-4": 111.
rr Genève, 1904-190S, S".
La Società Mkmoires et documents piil)liés par la Société savoisienne d'histoire et d'arciièologie.
Voi, 42-45.
=r Chambéry, 1903-1907, 8".
L'Accad. Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino. Serie li, 54 5'S.
zn Torino, 1904-1908, 4».
LaComniis. MEMORIE Storiche della città e dell'antico ducato della Mirandola. i)ul)l)]. per cura
della Coinniissione municipale di Storia patria, 16-17.
:= Mirandola, 1905-1907, 8".
La Diiez. MISCELLANEA di Storia e cultura ecclesiastica, 3-5.
33 Roma, 1904-1906, 8".
La Società MONUMENTA historica Societatis Jesu a patribus ejusdem Societatis edita. Fase. 1-179.
=: Madrid, 1S94-1908, 8».
La Uepiit. MoNU.MENTi istorici pertinenti alle provincie di Romagna, pubblicati a cura della
„,R. Deputazione storica romagnola. Serie 1, t. IH, fase, s"-
= Bologna, 1877, 4",
La nepiii. Monumenti storici pubbl. dalla R. Deputazione veneta di Storia patria. .Serie 1,
voi. 12-13 '< II> 10-12 '.
^ Venezia, 1905-1907, 8°.
La Dire/.. ^- MusEO industriale italiano. Annuario 1904-1905.
= Torino, 1905, 8°.
La Società PERIODICO della Società storica per la provincia cantica diocesi di Como. N. 60-70.
:= Como, 1904-190S, 8".
La nirez. PoLVBiBLiON Revue bibliographitpic universelle.
n: Paris, 1904-1908, 8' .
La Società P"^" ToRiNO. Pubblicazione mensile illustrala, i-l\'.
nz Torino, 1905-1908, 4".
La Direz. RASSEGNA (La) Nazionale.
=: Firenze, 1904-1908, 8».
L'Ciiiv. Recueil ile travaiix i)iibliés par les membres (.\e^ conférences d'iiistoire et de phi-
lologie. Fase. 11-14, 17,18.
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L'AccacL Recueil des Mémoires et documents de l'.^cadémie de la Val d'isère. Meni. NTII.;
Doc. Ili, 2-3.
z:z Moutiers, 1905 -1907, 8".
L'Anad. Rendiconti e memorie della R.Accad. di scienze, lettere ed arti dei Zelanti di Acireale.
=z Acireale, 1905-1907, 8".
L ArcaiL RENDICONTI della R. Accademia dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e
filologiche. Serie V, voi. 13-17.
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La nircz. Revue bénédictine.
:zz Abbaye de Maredsous, 1904-190S, 8".
Ln Direz. Revue des questions historiques.
zn Paris, 1904-1908, 8".
La Direz. Rkvue historique.
=r Paris, 1904-190S, 8^'.
DOX[ OFFERTI DAL 20 APRILE 1 904 AL 16 DICEMBRE 1 908 LV
Revue savoisienne, publication mensuelle de la Société florimontane. La Società
= Annecy, 1904- 1908, S".
Rivista di artiglieria e genio. La Direz.
z= Roma, 1904- 1908, 8".
Rivista Ligure di scienze, lettere ed arti. Organo della Società di letture e conver- La Società
sazioni scientifiche.
zn Genova, 1904-1908, 8'^.
Rivista marittima. La Direz.
^= Roma, 1904- 1907, 8".
Rivista storica benedettina. La Direz.
== Roma, 1906 -1908, 8".
Rivista storica italiana. La Direz.
=r Torino, 1904-1908, 8".
Rosario (Ilj e la nuova Pompei, periodico mensuale benedetto tre volte dal papa La Direz.
Leone XIIL
^ Valle di Pompei, 1904- 1908, 8".
Senato del Regno. Atti interni. Leg. XXL Sess. II, voi. 1-5. Il Senato
= Roma, 1904, 4".
Skrifter utgifna af umanistiska X'etenskapssamfundet i L'psala. \'I1I-1X. La Società
rz Upsala, 1902-1906, 8'.
Società storica per la provincia e antica diocesi di Como. Raccolta storica. \'ol. 5". La Società
= Como, 1905, 8°.
SociÉté académique, religieuse et scientifique du Duché d'Aoste. Bulletin. n. 18-19. La Società
:= Aoste, 1901-1905, 8^.
Studi e documenti di storia e diritto. Pubblicazione periodica dell'Accademia di LAccad.
conferenze storico-giuridiche,
zrr Roma, tipogr. Vaticana, 1904, 8".
Studi e testi. N. 13-15, 17, 19. La Direz.
z= Roma, tip. Vaticana, 1904- 1908, 8".
-Studi sassaresi pubblicati per cura di alcuni professori della Università di Sas.sari. La Direz.
::i3 Sassari, 1904-1905, 8^.
Ville de Genève. Bibliothèque publique. Compie rendu, 1903-1904. La
r^ • o, " Biblioteca
zz Genève, 1904-1905, S'\
Wirtembergisches Urkundenbuch. Herausgegeben von dem k. .Staatsarchiv in L'Archivio
Stuttgart. IX.
=: Stuttgart, 1907, 4».
Zkitschrift des historischen Gesellschaft tur die Provinz Posen. XIX-XXII. La Società
:= Posen, 1904-1907, 8".
Zeitschrift der historischen Vereines fiìr Steiermark. IV-V. La Società
;i= Graz, 1906- 1907, 8".
LUIGI DALMASSO
I PIEMONTESI
ALLA
GUERRA DI CANDIA
(1644- 1669)
1 — Mise, S. IH, I. XIII.
T' V V V V / V V V V \' •/ .' .' V V V V \- / V
PREFAZIONE
Gli eroi delle Crociate trovavano nel cinquecento un valente
araldo, e le lor gesta gloriose, rievocate con tanto sentimento dal-
l'infelice amante di Eleonora Farnese, ridestavano nei guerrieri cri-
stiani un nuovo e grande desiderio di opporsi alla forza turca. Ma i
tempi erano cambiati : le orribili profezie, sorte sulla fine del primo
millennio dell'era volgare, avevano potuto affratellare i popoli del-
l'Europa occidentale in un misticismo intenso, che per due secoli
consecutivi li traeva in numero immenso sull'arido suolo della Pale-
stina coll'unico proposito di liberare dal dominio turco il sepolcro di
Cristo ; nel cinquecento invece, e peggio ancora nel seicento, le pas-
sioni umane, fatte più ardenti dopo le vane apprensioni del mille,
avevano resi tali popoli più che mai ostili gli uni agli altri, di modo
che solo un grave e generale pericolo poteva spingerli ad una co-
mune azione contro i Turchi, come avvenne a Lepanto e sul Raab.
Invano la Repubblica Veneta cercava di unirli a sé, allorquando i
Turchi piombavano sul suo bel regno di Candia, invano chiamava
quest' isola l'antemurale della cristianità, invano proclamava che i
Turchi, fatti padroni di essa, avrebbero avuto un buon punto d'ap-
poggio per depredare più comodamente le coste Europee e per fare
nuovi acquisti: essi non si mossero, giacché troppo vivo era l'astio
che portavano all' antica Republica e per il suo splendore e per la
sua politica astuta ed egoistica; si limitarono a mandare in Oriente
qualche migliaio di mercenari ed alcune galere, a cui pare quasi che
fosse stato impartito l'ordine di restare inoperose. Solo poche volte
la ragione di Stato permise a guerrieri arditi di volare in soccorso
di Candia, e non è a dire che costoro, spinti dall'entusiasmo che
aveva suscitato l'autore della Gerusalejìime liberata, compissero atti
degni di encomio; ma il loro eccessivo ardore, la loro impazienza e
l'inconsideratezza, con cui affrontarono i più gravi cimenti, fece sì
LUIGI DALMASSO
che la lor opera riuscisse il più delle volte infruttuosa. Resero ser-
vigi di vera e grande importanza i soldati piemontesi ; ed il trat-
tare di questi servigi, oltre esser utile per se stesso, riesce utilissimo
per la spiegazione che si potrà dare dei fatti che ad essi si connet-
tono, di quelli specialmente che riguardano le relazioni diplomatiche
tra la Republica Veneta e Carlo Emanuele II. Quindi io sono gra-
tissimo all'illustre ed amato mio professore Cav. Uff. Camillo Man-
froni, d'avermi consigliato simile lavoro col nobile e generoso intento
di vedere i suoi allievi, che con solerzia e sapienza istruisce, avviarsi
alla ricerca del vero. Rendo eziandio i debiti e sentiti ringraziamenti
agli egregi Impiegati agli Archivi di Torino, che hanno agevolato il
mio compito sottoponendo con affabilità e premura alla mia visione
tutti i documenti, di cui ho fatto ricerca e su cui quasi esclusiva-
mente si basa la mia narrazione, eccezione fatta per i due primi ca-
pitoli, desunti in gran parte il primo dalla Storia della Monarchia
piemontese di Ercole Ricotti, ed il secondo dalla Storia della guerra
di Candia di Andrea Valiero, il che ho voluto senz'altro dichiarare
per evitare in seguito citazioni troppo frequenti.
V V V Vw V V V V V V V V V V V V V V V V VN' V V V V V V V V V V V V V V V V V V V V V V v'V'v v'v^v'v^v^/^/v
Capitolo L
Relazioni politiche tra Venezia ed il Piemonte prima della guerra di Candia. — Aspirazione
dei Duchi di Savoia. — Vicende e condizioni dell'uno e dell'altro Stato.
Antiche e cordiali sono le prime relazioni politiche, che ci è dato di
trovare nella storia, tra Venezia ed il Piemonte. Nel 1381 Amedeo VI in-
terviene nella lotta secolare tra Venezia e Genova, propone la sua media-
zione, ed ha il piacere di accordare in Torino gli ambasciatori di entrambe
le Republiche. Nel 1426 poi Amedeo Vili si collega coi Veneziani e coi
Fiorentini per porre un argine alle mire ambiziose di Filippo INIaria Visconti,
a cui strappa Vercelli col suo territorio.
Più tardi scorgiamo tra i due Stati qualche malumore: i legati veneziani
Giustiniani e Foscarini al congresso di Mantova, indetto dal papa Pio II nel
1464 per esortare i principi cristiani alla pace ed alla concordia nella santa
impresa d'una crociata contro i Turchi, trattano male i legati piemontesi,
forse per l'intromissione del Piemonte nelle relazioni diplomatiche tra Ve-
nezia e Borgogna, e così il Piemonte non vuol saperne della crociata. Nel
1467 però troviamo ancora i due Stati uniti in alleanza, e l'anno seguente
vediamo il Senato Veneto dichiarare formalmente al duca Galeazzo Maria
Sforza, pieno di mal talento contro Savoia, che non avrebbe mai sofferto
che il suo alleato Amedeo IX patisse ingiuria da potenza italiana.
A guastare del tutto i buoni rapporti, tra la casa di vSavoia ed il Senato
Veneto, stava da qualche tempo sul tappeto la questione dell'isola di Cipro.
Quest'isola era stata tolta agli Arabi da Riccardo Cuor di Peone, il quale
nel 1187 la cedeva a Guido di Lusignano in cambio del titolo dire di Geru-
salemme, a cui Guido di Lusignano aveva diritto per le sue nozze con vSi-
billa, vedova del Marchese di Monferrato e figlia di Amaury, fratello e
successore di Baldovino III. Guido di Lusignano reggeva l'isola fino al 1194,
ed i suoi discendenti si succedevano senza interruzione nel governo dell'isola
fino a Carlotta, la quale nel 1459 sposava Luigi di Savoia, fratello di
Amedeo IX, chiamandolo a cingere la corona di Cipro. AÌa, sfortunato al
pari d'un altro principe di Savoia, che tanto tempo dopo ebbe a sentire le ama-
rezze che apporta l'impero di paesi stranieri, Luigi di vSavoia non riteneva a
lungo tale corona, A contrastargli il trono era sorto, sostenuto dalla Rcpublica
Veneta, il bastardo Iacopo di Lusignano, che l'assediava per quattro anni
nella piazza di Cerines e lo costringeva nel 1462 a ritornarsene in Piemonte.
LUIGI DALMASS(Ì
Vane riuscirono le proteste deg-li ambasciatori sabaudi a Venezia per
l'appoggio accordato dalla Rcpublica a Iacopo di Lusignano: morto costui
nel 1473, il .Senato Veneto prendeva a proteggerne la moglie, schermendosi
dal rispondere agli ambasciatori sabaudi, che gli esponevano i diritti di
Luigi di Savoia. Frattanto circondava la sua protetta, che al tempo delle
nozze aveva adottata come figlia diletta di S. Marco, di tali e tante astuzie,
larvate dalla più fine ostentazione di riverenza, da indurla nel 1489 a rinun-
ziare al trono in favore della Rcpublica, accontentandosi per ventun anno
d'una corte ben più umile entro un castello di Asolo presso Treviso. La
Rcpublica di Venezia, allora all' apogeo della sua potenza, non ostante la
perdita di Negroponte, Scutari ed altri possessi, carpiti dai Turchi, non
frappose indugio a raccogliere il frutto delle sue arti astute, senza che il duca
di Savoia Carlo I, a cui pure era stato ceduto il Regno da Carlotta nel 1487,
certamente con maggior competenza, che ella sola legalmente ne poteva
disporre, potesse impedirglielo, mancando di forze navali sufficienti.
Le relazioni tra Venezia ed il Piemonte divenivano quindi molto aspre,
e la Rcpublica non dubitava di promuovere il saccheggio di varie terre
piemontesi all'epoca della discesa di Carlo Vili in Italia, respingeva l'offerta
di alleanza fattale da Filippo II Senza Terra, e, durante il governo di Fili-
berto II, ritirava i suoi rappresentanti dalla Corte sabauda. Carlo III, che
nel 1530 all'incoronazione di Bologna aveva il vanto di primeggiare tra i
servili cortigiani dell'Imperatore, le faceva chiedere dai suoi ambasciatori
la restituzione di Cipro od un compenso, muovendo nello stesso tempo
grandi rimostranze a Carlo V per l'illecita occupazione della Rcpublica. Ma
(lucsta si rideva della sua richiesta e delle sue rimostranze, e Carlo III, la cui
ambizione era tanta da far seguire il suo nome da ben ventun epiteto, ultimo dei
(juali era quello di « Re di Cipro >, vuoto di senso e di sostanza, finiva mise-
ramente i suoi giorni nell'unica possessione che gli era rimasta, quella di Ver-
celli, la quale non doveva tardare a divenire alla sua volta appena nominale.
A ristorare le sorti della casa di Savoia sorgeva Emanuele Filiberto, uomo
assennato e valoroso. A S. Quintino egli acquistava il diritto alla restitu-
zione dei domin? aviti, e, convinto che la salvezza di questi domini dipen-
desse da una l)uona intesa colla Republica Veneta, offriva ad essa perenne-
mente i suoi servigi, si mostrava in ogni occasione a lei ossequente, e se la
rendeva veramente obligata a I>epanto, dove inviava le sue galere « le mi-
gliori di Ponente» (i). Frutto della sua condotta verso Venezia erano i titoli
di ; Altezza » e di «Serenissima», accordatigli dalla Republica, che a tutti
gli altri Principi italiani dava il titolo di « Eccellenza », non che l'iscrizione
sua nel libro d'oro della nobiltà veneta.
Ma tutto questo, se poteva soddisfare il forte animo di Emanuele Fili-
berto, intento a trar gloria non da effimere pompe, ma da opere virili e da
un saggio e provvido governo, non appagava punto i suoi successori, in
cui tutta riviveva l'ambizione di Carlo III, acuita dall'invidia che Pio V
aveva acceso nell' animo dei Principi italiani, concedendo a Cosimo dei
(i) Skgrk Artur», lììitaviiclc Filiberto e la Rt'pithlica di ì'furzin, X'isentini, T901 {Miscel-
lanea di Storia Veneta y serie 2'', toni. \'1I.
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA
Medici i titoli di « Granduca, Altezza e Serenissimo ». Essi volevano ad ogni
costo il titolo di « Re > ed il trattamento regio per i loro ambasciatori
presso tutte le Corti, e per ottenerlo ricorrevano alle millantate pretese su
Cipro, caduta fin dal 1572 in mano del Gran Sultano, il quale, modestis-
simo riguardo ai titoli, non era per far gran caso se qualche Principe ita-
liano soddisfaceva la sua vanità nominandosi re dell'una o dell'altra terra,
che egli pacificamente sfruttava.
Carlo Emanuele I, duca battagliero ed ardimentoso, cercava dapprima
di meritarselo il titolo di « Re >. Per mezzo del rodiano Francesco Accida
e del cavaliere gerosolomitano Imberto della Manta suscitava fra i 35 mila
Cristiani di Cipro il desiderio di scacciare i Turchi e di riconoscere lui per
proprio re. E le sue mire non si soffermavano qui: Giovanni Renesis, capi-
tano albanese, promuoveva a suo vantaggio la rivoluzione in Albania ed in
Macedonia, e lo faceva acclamare re da molti abitanti di quelle provincie.
Tutto era pronto per una generale sommossa; ma, perchè essa non finisse
miseramente soffocata nel sangue, che il Turco è solito versare a rivi, oc-
correvano forze potenti, tanto più potenti in quanto che larghissimo sarebbe
stato il cerchio delle operazioni militari. Ed ecco il nostro Duca rivol-
gersi al Re di Spagna per averlo suo parente col matrimonio tra ITntante di
Spagna ed il principe Vittorio Amedeo, non che suo alleato coU'offerta lusin-
ghiera dell'Egitto, comoda strada per arrivare alle Indie. E colla coopera-
zione della vSpagna egli sognava quella della Toscana e di Venezia, a cui
il Papa prometteva qualche compenso nell'Arcipelago, e non si curava di
accertarsi se Venezia fosse per tollerare che Cipro passasse nelle sue mani.
Il suo inviato particolare Conte di Verrua non trovava troppa accondi-
scendenza presso il freddo Ministro di Filippo III, ed allora egli si congiun-
geva con Enrico IV ai danni della Spagna, ripromettendosi aiuti per con-
quistare la Lombardia ed il Genovesato col titolo di <-, Re ». Chiunque sof-
fermi la mente sui vasti ideali che il Duca aveva concepito a proposito delle
terre cristiane intolleranti del giogo turco, sarà per ammettere che non si
sarebbe accontentato dell'acquisto della Lombardia e del Genovesato. Il padre
Emanuele Filiberto aveva tenuto continuamente gli occhi sulla riviera ligure,
ed aveva avuto vari rapporti cogli abitanti malcontenti di Genova ; ma,
principe calmo e positivo, egli mirava unicamente ad aprire la strada dal
cuore del Piemonte al iVIediterranco : il possesso di Savona o di Finale l'a-
vrebbe sodisfatto, e, quando il Doria gli vendette Oneglia, si mostrò pago.
L'ardente suo figlio aveva intenti più alti: egli voleva Genova addirittura
e non Genova per sé stessa, ma qual principio di nuove e più grandi con-
quiste. La gloria acquistata da questa antica Republica, quale potenza na-
vale, faceva presumere che potesse tuttodì apprestare una flotta formidabile,
ed il vasto agro lombardo, congiunto alle forti balze della Savoia e del
Piemonte, non avrebbe lasciato mancare i soldati necessari per armare tale
flotta. Con essa e pochi aiuti, fornitigli dal Papa, Carlo Emanuele I avrebbe
potuto realizzare il suo sogno di apparire il redentore delle terre soggette
al Turco, o, per lo meno, strappare al Turco il reame di Cipro, siccome s'era
proposto di fare due anni prima Ferdinando I, Granduca di Toscana (i).
(i) C. Mankroni, La Marina iVilit. del Gratiducato Medìceo, parte II, cap. III. Roma, 1S96.
LUIGI DALMASSO
Enrico IV cadeva sotto il pugnale assassino, e così svaniva quest'altro
sogno di Carlo Emeinuele I. Di esso però ebbero sentore i Genovesi, ai quali
poteva forse garbare la dipendenza dalla .Spagna, non già quella da un Prin-
cipe, che, per essere vicinissimo a loro, avrebbe esercitato un'autorità troppo
viva. Essi quindi mostrarono un vivo risentimento, e coprirono di disprezzo
il Duca di Savoia trascinandone l'effigie per le vie della città in burlesco
trionfo.
Carlo Kmanuele I più non aveva una mota sicura a cui tendere: ago-
gnava di estendere i suoi domini, e due volte si gettava sulle terre dei
Duchi di IMantova; col Maresciallo di I.esdiguieres concertava la conquista
del Genovesato, che era pronto a lasciare in mano della Francia, se questa
in seguito l'avesse aiuttito ad occupare il Milanese ; prendeva parte alla guerra
della Valtellina e, durante essa, assaliva (ìenova, che poscia tentava di avere
ricorrendo ad un'infame congiura; ed in tutte queste contingenze avanzava
con vane querimonie, come quella del 2 febbraio 1628 rivolta al Conte
d'Aglio (i), le sue pretese al titolo di <; Ke di Cipro >, titolo che era per
acquistare gloriosamente colle armi, e che poscia si accontentava di avere
solo nominalmente, il cardinale Richelieu, volendolo indurre a far tregua
coi (xenovesi ed a nominare gli arbitri (^lie jionessero fine alle divergenze
sorte tra lui ed i (xenovesi, per accattivarsi l'animo suo gli offriva nel 1626,
per bocca del signor Di Bullion, l'esca lusinghiera di questo titolo; ma nel 1628
lo stesso Cardinale dichiarava all'ambascnatort; veneto Zorzi che non glielo
avrebbe mai concesso.
Il pretenderlo doveva mettere il Duca in brutta vista presso Venezia;
ma egli non si curava gran che della sua amicizia, giacché, quantunque la
magnificenza dei suoi palazzi e lo splendore delle sue feste la ritenessero in
alto nel concetto universale, tuttavia la sua potenza aveva incominciato a
dissolversi. Non l'invidia degli altri Stati italiani, non l'acredine dei Monarchi
stranieri, che in lei vedevano il più grande ostacolo al loro desiderio di ren-
dere soggetta la penisola italica, avevano originato la sua dissoluzione, bensì
le violenze dei Turchi, coi quali essa, che doveva avere il vanto di avve-
duta, adottava dapprima una politica poco assennata stringendo un trattato
di pace nel 1454 e partecipando nel 1459 al congresso di Bologna, in modo
da giustificare l'operato del 'l'ureo, che ad ogni pie' sospinto le rompe guerra
tenendo in non cale tutti i trattati posteriori, ed ora le toglie Negroponte e
Scutari, ora Lepanto, Corone e Modone, ora Malvasia, Napoli di Romania,
Egina e Paro, ora Cipro, senza che essa ritragga dal mondo cristiano le
forze necessarie per rintuzzare la tracotanza di così nefasto nemico. Fiera
della sua ricchezza e consapevole delle virtù dei suoi cittadini, sempre pronti
a sacrificare la lor vita sull'altare della patria, non mostrava di risentire i
danni a lei causati dai Turchi, e trovava in~ sé stessa tanta forza da resistere
•die due terribili guerre, di cui era promotore Giulio li (1508 e 15 13), ai
fulmini che contro lei scagliava Paolo V (1606), ed alle ostilità che l'Austria
e la Spagna, unite assieme, le manifestavano in difesa dcgU Uscocchi (1614-17).
(i) Clarktta, S/oria del Rrgtio di Carlo Emattuclc li. Genova, 1877-7S.
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA
]\Ia un grav^e fatto veniva a farne comprendere l'infermità interna : un'abbo-
minevole congiura, ordita da gente straniera ed odiata, come erano gli Spa-
gnuoli in Italia, aveva luogo in Venezia (1618), e se essa non poteva
provare la debolezza della sua organizzazione, che invero il governo era
pronto a soffocare la congiura, provava però il malcontento dei cittadini,
chiaro sintomo questo della piega cattiva che prendevano i pubblici affari.
Non dobbiamo quindi stupirci se Carlo Emanuele I, capo d'un forte vStato,
che tale l'aveva reso il provvido governo del padre, ardimentoso per sé
stesso ed abbastanza iiccorto per essere penetrato della incipiente debolezza
della Republica, tenesse in poco conto la sua amicizia, se nel 1607 la sola esi-
guità del compenso lo trattenesse dall' unirsi al Fuentes contro A'enezia, se
nel 1613, saputo che il Senato Veneto aveva sovvenuto d'armi e di danaro il
Duca di Mantova, ne licenziasse ipso facto l'ambasciatore, richiamandolo
l'anno seguente a mezzo del Pescina. Il Senato Veneto, in grazia forse dei
buoni rapporti avuti col padre, gli perdonava questo infido e baldanzoso
procedere, e nel 1616 stanziava una forte somma per aiutarlo a combattere
la Spagna; nel 1624 accettava il progetto da lui concertato col maresciallo
Lesdiguieres a danno dei Genovesi, sebbene alieno dal veder mutamenti
nelle cose italiche, e lo sovveniva di nuovo danaro nel 1629. Ala la sua
tolleranza doveva avere un limite: nel 1630 Carlo Emanuele I licenziava
un'altra volta l'ambasciatore Veneto, e da questo momento i Veneziani non
volevano più avere alcun rapporto coi Duchi di Savoia, e, costretti poco
tempo dopo dall'infausta sorte a richiedere assistenza ed aiuti presso tutte
le Corti, si mostravano altezzosi verso i Duchi di Savoia, non dando ascolto
alle loro proteste di stima e tenendo in non cale le loro offerte.
Vittorio Amedeo I, al pari del padre, aspirava al possesso di Genova,
ed al titolo di <. Re > ; ma non aveva l'ardimento di Carlo Emanuele I, e le
forze delle terre a lui soggette, dilaniate da tante guerre, erano molto inde-
bolite: di conseguenza, per venire a capo delle sue aspirazioni, egli doveva
ricorrere all'aiuto di qualche potenza, non come ugaiale ed alleato, ma quale
misero vassidlo e tributario. Xel 1631, in un trattato segreto colla Francia,
dietro promessa di aiuto, assicurava la cessione di Pinerolo e della valle Pe-
rosa; l'anno seguente egli cedeva queste terre, ma invano sollecitava dai
Francesi l'adempimento delle loro promesse. Si rivolgeva ad Urbano Vili,
e, protestando di non voler rimanere inferiore ai Principi della Chiesa, da
lui onorati col titolo superiore di « Eminentissimi ;>, domandava pel fratello car-
dinale Maurizio il titolo di v- Altezza » e per i suoi ambasciatori la sala regia
ed il titolo di <;: Eccellenza ». E mentre infruttuose riuscivano le sue preghiere,
le sue proteste e le sue suppliche, Venezia chiudeva la sua corona ducale a
mo' di corona regia, e con destrezza otteneva a Roma ed a Parigi trat-
tamento corrispondente per i suoi ambasciatori; e, quando, per incitamento
del Duca, il Re di Francia spediva a Venezia il maresciallo Di Toiras per
indurla ad un accomodamento col Piemonte, si chiudeva in uno sdegnoso
riserbo. Vittorio Amedeo I trasformava alla sua volta la corona, assumendo
il titolo di « Re di Cipro ;> e di « iVltezza Reale », ed essa gli susci-
tava contro lo scherno di tutta l'Europa, non che gli amari motteggi del
2 — Mise, s. ni, T. xin.
IO LUIGI DA LAI ASSO
Richelieu, che asseriva esser giusto che il Duca ingrandisse i suoi titoli,
avendo accresciuto lo Stato di Pinerolo.
Nel 1635 pareva che si dovesse venire ad un accomodamento: nelle
convenzioni segrete del trattato di Rivoli si stabiliva che, fatta la conquista
e la spartizione del Milanese, il Re di Francia avrebbe onorato il Duca del
titolo regio e si sarebbe adoprato perchè il Papa e gli altri Regnanti faces-
sero altrettanto; mentre il Duca gli avrebbe ceduto il titolo e le ragioni
sue sopra Cipro, affinchè le rimettesse alla Rcpublica di Venezia, e avrebbe
tolto inoltre dal proprio stemma le armi di Cipro per sostituirle con quelle
di Francia. vSe ciò fosse avvenuto, sarebbe caduta una delle cause che fo-
mentavano il rancore di Venezia contro il Piemonte, e forse si sarebbe
eziandio passato sopra édl'affronto arrecato da Carlo Emanuele I a Venezia
col licenziarne per due volte l'ambasciatore. Ma le armi francesi insieme a
quelle del Duca di Savoia e del Duca di Parma, fortemente osteggiate dal
governatore Peganes, nulla conquistavano, e Vittorio Amedeo perdeva poco
dopo la vita.
Maria Cristina dei I)orboni ereditava il governo e con esso le ostilità
della Spagna, a cui si univano quelle dei cognati, irritati della pieghevolezza
di Vittorio Amedeo I verso la Francia e sopratutto della leggerezza, con
cui egli rinunziava alla città di Pinerolo ed alla valle della Perosa. La fiera
donna, resasi famosa sotto il nome di « Madama Reale » e per la sua ori-
gine regale e per il suo ardente desiderio d'essere trattata regalmente, non
tardava a convincersi che nulla doveva attendere dalla Francia, o, per meglio
dire, dal Richelieu, che della Francia era il vero padrone e che del Piemonte
tentava di fare una provincia soggetta, poco curandosi della parentela che
univa il suo Re ai Duchi di Savoia. Ella aveva dunque appuntate sul petto
le armi della Spagna, la Francia la voleva prostrata ai suoi piedi, parte del
Piemonte si disponeva a detronizzarla, e l'altra parte, dissanguata dalle guerre
precedenti, non aveva braccia per difenderla. Si vedeva costretta a procac-
ciarsi qualche appoggio in Italia, e naturalmente si rivolgeva a Venezia che, non
ostante le disavventure di cui si fece menzione innanzi ed i danni avuti dalla
guerra della Valtellina (1624-26) e da quella per la successione di ]\rantova(i62 7),
era pur sempre lo Stato più considerevole di tutta l'Italia. Il 18 marzo 1639,
a mezzo dell'ambasciatore francese in Venezia, presentava al Doge due let-
tere, la prima per annunziare la morte del suo primogenito Francesco Gia-
cinto, la seconda per esprimere il desiderio suo di sovvenire la Republica
colle galere piemontesi in caso di guerra contro il Turco. Ma le sue lettere
rimanevano senza risposta forse, siccome ella stessa opinava, per opera dei
Francesi interessati a vedere la discordia fra gli IStati italiani ; e subito dopo
la povera Duchessa doveva pensare a conservare lo Stato al figlio rimastogli,
e tutta la sua energia doveva applicare nel resistere alle bramose voglie
tanto dei cognati, sorretti dalla Spagna, quanto del Richelieu, suo terribile
protettore. Per conto suo Venezia s'involgeva nella guerra di Castro, che
contribuiva ad indebolire le sue forze.
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA
Capitolo II,
La guerra di Candia in rapporto dei principali avvenimenti europei nei primi quindici anni.
Maria Cristina, allorché offriva a Venezia le galere piemontesi in caso
di una guerra contro il Turco, forse non pensava che questa guerra dovesse
scoppiare presto ; e, osservando la tranquillità con cui la Republica Veneta
attendeva ai suoi commerci, senza provvedere alle fortificazioni delle piazze
orientali, si è tratti a credere che neppur essa pensasse di essere attaccata
nuovamente dai Turchi. La verità però è questa: avendo constatato da tempo
e con dolore che il commercio aveva preso altre vie, e più non era per lei
quella fonte copiosissima di guadagno, che l'aveva resa splendida fra le più
splendide città, non sapeva risolversi a spendere. D'altra parte essa aveva
adottato col Gran Sultano la più rigorosa neutralità, fino ad impedire che i
legni da guerra delle potenze occidentali si fermassero nei mari che bagna-
vano le sue isole, e sperava con questo sistema di vita di tenersi amico il
Sultano. Per ultimo le continue e sanguinose battaglie, combattute contro i
Persi, ed i torbidi, che da .Solimano II a Alurad IV avevano sconvolto Costan-
tinopoli, facevano credere che i Turchi non avrebbero più avuto la forza per
iniziare un'altra guerra di conquista in Europa. Gli eventi pur troppo di-
mostrarono il contrario : per molti anni ancora essi dovevano riuscire di mi-
naccia al mondo cristiano, fino a che sotto le mura di Vienna, nel 17 17, non
recideva loro i nervi E-ugenio di Savoia, prode capitano, glorioso al pari di
Carlo Martello, che a Poitiers fermava la marcia trionfale degli Arabi, anzi
più glorioso ancora, giacché i Turchi dovunque riuscirono a mettere il piede
sparsero le barbarie, mentre gli Arabi amarono la civiltà, e nella parte dell'Eu-
ropa che conquistarono, fecero fiorire 1' agricoltura, le arti e le scienze, co-
sicché doveva riuscire impresa più santa e bella arrestare l' invasione dei
primi anziché quella degli altri.
Per molti anni ancora i Turchi dovevano riuscire di minaccia al mondo
cristiano; esteso il loro dominio fino alla Georgia ed all'altipiano iranico,
essi si volsero contro l'Europa: nel 1642 occuparono Azof, in seguito fecero
segno dei loro fieri colpi la Republica Veneta, i cui possessi erano a loro
troppo vicini per non allettarne la cupidigia. Colla scusa di punire l'offesa dei
Cavalieri di Alalta, che avevano depredato un loro vascello e si erano vantati
d'aver nelle mani un figlio del sultano Amurath, essi allestivano una forte ar-
mata, nell'aprile del 1645 uscivano dal porto di Stamboul e si avanzavano verso
Occidente; ma, arrivati a Xa varino, piegavano a mezzogiorno e si dirigevano
12 LUIGI DALMASSO
verso Candia, facendo conoscere alle nazioni europee che anche i Veneti
avevano ferito la loro suscettibilità e meritato il loro castigo, violando le
capitolazioni e precisamente ospitando in Candia i Maltesi, non che alcuni
schiavi turchi e respingendo invece una galera turchesca.
La Republica Veneta ne era sgomenta: essa aveva finito per presen-
tire il pericolo che le sovrastava, però il timore di disgustare i Turchi con
qualche armamento le aveva impedito di preparare una valida difesa, e le
altre nazioni europee non pensavano punto a venirle in aiuto. Oltre l'invidia,
che avevano sempre avuto per Venezia, le distoglieva dal preoccuparsi di
essa il loro particolare affanno. Spagna, Francia, Olanda. Svezia, Germania
e Danimarca erano implicate nella guerra dei trent'anni, che già aveva in-
debolite le lor forze, e faceva loro tendere ansiosamente gli sguardi verso
Westftdia, da cui tardava ad uscire il trattato di pace. Vigeva inoltre la
guerra tra la .Spagna ed il Portogallo, tra la Svezia e la Danimarca, tra il
Papa ed il Duca di l*arma. La guerra civile sconvolgeva l'Inghilterra, le
fazioni ]3olitiche e religiose rendevano inorme la Polonia : nella Russia an-
dava prendendo consi"«;tenza il predominio dei Romanofif, ma molto tempo
ancora doveva passare prima che essi potessero avere influenza sugli eventi
europei.
Chiamando Candia l'antemurale della Cristianità, Venezia reclamava
presso tutte le Corti cristiane aiuti per difendere quest'isola, ed è presto
enumerato (juello che otteneva. Il Papa ed il Re di Francia davano un po'
di danaro ed, insieme alla Spagna ed all'Impero, permettevano qualche le-
vata nei loro Stati; il Duca di Parma regalava due mila fanti; il Duca di
Modena offriva i suoi servigi; la Republica di Lucca concedeva la levata
di mille fanti; Genova invece non esitava a far sentire all'antica rivale il
suo rancore proibendo ai suoi cittadini di investire denari fuori della
città, nonostante che Venezia aprisse depositi assai vantaggiosi. 11 jirincipe
Ludovisio radunava sotto lo stendardo della Chiesa le navi maltesi, fioren-
tine, napolitano e pontificie; ma il suo compito si riduceva ad una passeg-
giata per i mari orientali (i). Ed il Piemonte?... Come s'è detto nel prece-
dente capitolo, Venezia nulla ricercava nella Corte di Torino, e ben poco
avrebbe potuto dare questa Corte. La guerra civile era finita: di fronte al
pericolo che correva la patria di esser preda dello straniero, che già s' era
impadronito di varie piazze, i principi Maurizio e Tommaso avevano fatto
tacere le lor brame, e Maria Cristina poteva dar sfogo alla sua ambizione,
circondandosi d'uno sfarzo inusitato, moltiplicando le sue dimore e quelle
dei suoi cortigiani e rendendole tutte meravigliose per ampiezza e splen-
dore. Ma quante miserie celava il suo lusso! I poveri contadini, non ancora
rimessi dai danni che le continue guerre loro avevano apportato, dovevano
versare nelle casse ducali ingenti somme e, non riuscendo a farlo, esulavano
lasciando le aride terre in preda del fisco (2).
(i) C. Manfroni, Jm Marina Militare del Craiidiicaio Mediceo, parte II, cap. \'l (tlcili-
cato fiiraniniirapflio Verrazzano).
(2) \'iM!asi in proposilo le (Iure roiidizioni della po|iolazioiie di Droiiero nella Storia del
Claretla 'jià menzionata.
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA
E COSÌ Venezia rimaneva quasi sola a far fronte alla terribile ed inva-
dente forza turca: aveva coscienza della sua inferiorità, siccome dimostra
l'insistenza con cui i suoi ambasciatori a Costantinopoli intrattenevano le
autorità turche sui mezzi per venire ad un accordo ; ma comprendeva che
la perdita di Candia, l'unico grande possesso che le rimaneva, avrebbe se-
gnato la fine della sua potenza, e non esitava ad ingaggiare una fiera lotta
per ritenere quell'isola. Non riusciva nell'intento, ma spiegava nella bisogna
una vigoria sorprendente, e meravigliava il mondo intiero che non era certo
per crederla tanto forte ed ardimentosa. Candia, perla preziosa del Mediter-
raneo, insigne ecatompoli dell'età preistorica, culla di (ìiove, regno memo-
rando di Minosse e R adamante, gloria di Teseo, usciva dall'oscurità in cui
da secoli languiva, quale dominio dei Latini, dei Greci, degli Arabi ed in-
fine dei Veneti, che l'avevano acquistata per dieci mila marchi da Bonifacio I,
marchese di Monferrato e duce della quarta crociata, e dall'anno 1204 al-
l'anno 1266 l'avevano difesa validamente dalla cupidigia genovese. Usciva
dall'oscurità, e riceveva rinomanza quale agone meraviglioso tra gli ultimi
eroi della Cristianità ed i forti campioni dell'Islamismo. Non sta nell'ambito
della presente dissertazione il narrare per disteso i fatti d'armi avvenuti nei
primi quindici anni della guerra, prima cioè che il Piemonte partecipasse ad
essa, quindi si sorvolerà su tali fatti o per lo meno se ne darà appena il
cenno sufficiente per chiarire il periodo storico che si deve trattare.
Nel 1645 i Turchi occupavano S. Todero e Canea, nel 1646 prendevano
Retimo, e l'anno seguente si accampavano presso la capitale dell'isola, l'an-
tico forte arabo denominato Kandak. Inoltre si spingevano nella Dalmazia
collo scopo palese di portare le loro armi direttamente su A^'enczia, ed oc-
cupavano Novegradi, che, per buona ventura, Leonardo Foscolo riusciva a
riprendere facendo strage di cinquanta mila nemici. Colla vendita dei pub-
blici pascoli e colle offerte di chi aspirava alle pubbliche cariche, di chi am-
biva un titolo nobiliare ed infine dei giovanotti che desideravano di entrare
anzi tempo in Consiglio, Venezia allestiva una forte flotta, e per mezzo di
Alvise Contarini, ambasciatore straordinario a IMùnster, arruolava soldatesche
in tutti gli Stati. Nello stesso tempo acquistava navi in Provenza ed in
Olanda, cercava di indurre Vladislao, re dei Polacchi, a muover guerra ai
Turchi, affrettava la conclusione della pace di Westfalia e, fedele al suo
principio di « conservar l'impero anzi con la prudenza civile che col valor
militare ^ conforme l'osservazione del patrizio Antonio Querini (i), spediva
a Costantinopoli per trattar della pace nel 1647 il Ballarino e nel 1651 il
Capello. A tale scopo anche il Re di Francia aveva mandato colà il Varancs,
ed è fama che per mezzo suo il Sultano invitasse il Re di Francia a collegarsi
con lui contro Venezia, né questa proposta deve apparir strana a chi pensi
alla lega conclusa nel 1537 tra Francesco I e Solimano il Alagnifico. In
quanto ai negozi intavolati direttamente da Venezia è lecito domandarsi
perchè la Republica insistesse su essi, avendo l'animo deliberato di ritener
l'isola di Candia e vedendo il fermo proposito dei Turchi di impadronirsene.
(r) i.ERNARDV, Fene::ia ed il Turco, cap. I. Firenze, 1902.
14 LUIGI DALMASSO
A tale molesta insistenza si deve la fine miseranda del Ballarino, del Giava-
rino e del Padavino,
I capitani veneti, ad eccezione di Marin Capello, combattevano col so-
lito coraggio in Candia, in Dalmazia e per tutto il bacino orientale del Me-
diterraneo; ma la fortuna non era loro propizia. Andrea Cornaro cadeva
difendendo Retimo e lavando col sangue la macchia attribuitagli di vessa-
tore dell'isola; Tommaso Morosini perdeva la vita nell'anno 1646 presso i
Dardanelli che voleva bloccare; nel 1647 Giov^anni Battista Grimani teneva
per tre mesi chiusa nel porto di Napoli di Romania l'armata turca, che do-
veva traghettare le milizie in Candia, ma l'anno seguente periva miseramente
in una burrasca.
In tal modo si giungeva alla pace di Westfalia, da cui Venezia tanto
si riprometteva e che invece le arrecava pochissimo vantaggio, qualche le-
vata appena nell'Impero e le truppe dell'elettore di Baviera, e ciò in' causa
delle molteplici guerriglie che continuavano a lacerare l'Europa. Infatti per-
duravano le animosità tra la Francia e la .Spagna, e quest' ultima doveva
inoltre combattere contro il Portogallo. La Paranoia poi non tardava ad es-
sere teatro d'una nuova guerra civile, detta delia Fronda. B' Ingiiilterra
aveva detronizzato il suo re, ed ora pensava a domare la ribellione nell'Ir-
landa e nella Scozia ed a combattere l'Olanda, che aveva apprestato aiuti
ai ribelli. La Danimarca e la Polonia, oltre le lotte intestine tra la nobiltà ed
il Re, subivano continui attacchi da parte degli Svedesi, che si spingevano
eziandio contro lo Czar intento a rendere soggetti i boiardi. L' Imperatore
lottava per rendere ereditari i poteri elettivi, cioè la corona di Boemia, la
corona d'Ungheria e la dignità imperiale; mentre l'Italia settentrionale con-
tinuava ad essere percorsa e danneggiata da eserciti francesi e spagnuoli,
quella meridionale scontava i moti rivoluzionari del 1647, e tutta quanta
sottostava all'ignavia dell'Inquisizione.
Tale perturbazione durava in quasi tutti gli Stati europei fino al 1659,
e di conseguenza fino allora Venezia non riceveva che lievi soccorsi, una
levata di due mila fanti dalla regina di Francia nel 1651, una piccola levata
da Parma ed il costo di otto vascelli dalla Spagna nel 1652, mille fanti dal
Duca di Modena nel 1653 6 cento mila scudi dal Mazzarino nel 1658. Con
questi lievi soccorsi Venezia compiev^a prodigi, e resteranno sempre memo-
rande, oltre gli eroici sforzi di vari comandanti, che immortalarono il loro
nome tentando di fermare l'armata turca ai Dardanelli o almeno impedirne
lo sbarco a Candia, le gloriose imprese di Iacopo da Riva che nel 1649
inseguiva il Kapudan-Pascha , il quale con ottanta navi aveva sforzato
il passaggio dei Dardanelli, lo raggiungeva presso Smirne e gii affon-
dava quindici navi; di Giorgio Mocenigo, che nel 1651, presso Paros, batteva
la flotta turca, per modo che non osava più apparire in aperto mare per
due anni ; di Lazzaro Mocenigo, che nel 1655 aifrontava cento navi turche
e riportava una brillante vittoria che costava al nemico ventitre navi; di
Lorenzo Marcello che il mattino del 2Ò giugno 1656 cadeva da prode presso
i Dardanelli ottenendo, in cambio della vita sua, la distruzione dell'armata
nemica; e di Lazzaro Mocenigo ancora, che nel 1656 occupava Tenedo e
Lemno. e nc^ll'anno sogu<-n1i' si proponeva di sforzare i Dardanelli, distruggere
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA
il naviglio turco e portare la guerra a Costantinopoli, nel cuore dell' im-
pero nemico: egli perdeva la vita a soli trentatre anni senza conseguire
l'intento, ma le sue gesta meravigliarono il mondo, che in eterno vedrà gi-
ganteggiare la sua ardita figura entro il Bosforo, di fronte eilla terra delle
epiche lotte.
Tanto eroismo non bastava per deprimere le forze turche, che non de-
primeva né la rivoluzione avvenuta a Costantinopoli nel 1648, nò la ribel-
lione scoppiata nell'Asia Minore nel 1649, nò una nuova rivoluzione successa
a Costantinopoli nel 1651. Sotto l'impero del nuovo Gran Visir, Alahomed
Coprili, albanese di nascita ed originariamente cristiano, uomo attivo, ener-
gico ed ardimentoso, salito al potere nel 1656, essi riacquistarono presto le
isole di Lemno e Tenedo, e portavano rinforzi considerevoli a Cussein che, ri-
preso S, Tederò, caduto in mano dei Veneti nel 1650, e difesa validamente Canea,
assalita dagli stessi nel 1658, se ne stava ora inerte, per mancanza di soldati,
nel forte da lui costrutto di fronte alla città assediata, ritraendo il necessario
sostenimento dall'isola che, ad eccezione della capitale e delle piccole città
di Suda, Garabusa e Spinalunga, era tosto passata sotto il dominio turco,
non avendo invero di che lodarsi del governo veneto. Però i Turchi più
non avevano il coraggio di affrontare i Veneti sul mare, e non essendo loro
riuscito possibile, non ostante la vittoria di Chnin, riportata nel 1654, schiac-
ciare le forze della Republica nella Dalmazia e per la struttura della re-
gione, facile ad essere fortificata e difesa, e per i sentimenti degli abitanti,
dei Alorlacchi principalmente, restii ad una egemonia anticristiana, si indu-
cevano a trattiire la pace, e gli ambasciatori Ballarino e Capello, già mal-
trattati e successivamente relegati ad Adrianopoli, erano fatti segno a qualche
cortesia e nel 1658 venivano tratti a Costantinopoli, dove il Gran \^isir of-
friva loro la pace a patto della cessione della città di Candia. Il patto non
era accettato, ed allora il Gran Visir si rivolgeva all'Imperatore domandan-
dogli, non si saprebbe se con somma leggerezza e sfrontatezza, ovvero per
naturai conseguenza dei blandi rapporti intervenuti tra i Turchi ed i popoli
europei, il passaggio nei suoi Stati per portar la guerra nel Friuli. L'Impe-
ratore ricusava questo favore, siccome era facile argomentare, ed i Turchi
impegnavano una fiera lotta col Ragotzi, già loro vassallo in Transilvania,
coU'evidente proposito di giungere colla forza ai confini dellTmpero, e di
là addosso ai Veneti.
Ed eccoci all'anno 1659: si concludeva alfine la pace tra la Spagna e
la Francia, ed i buoni effetti di essa si facevano presto sentire alla Repu-
blica Veneta, la quale otteneva cento mila scudi dal Re cattolico, trecento
fanti dal Duca di Modena, quattro galere dal (iranduca di Toscana e la
promessa di quattro mila fanti e di duecento cavalieri dal Re di Francia, a
cui forse, più che il desiderio di illustrare il suo nome di Re cristianissimo,
stava a cuore di v^endicare l'offesa fattagli dal Visir imprigionando e mal-
trattando il proprio ambasciatore, che s'era ricusato di leggere e tradurre
una lettera mandata da Candia al Ballarino. Inoltre Venezia scriveva al
Granduca di Moscovia per indurlo a prendere le armi contro i Turchi, ed
otteneva che i Moscoviti ed i Tartari si collegassero al Ragotzi. Degli altri
Stati europei l'Inghilterra e l'Olanda pensavano a dare sviluppo ai loro
l6 LUIGI DALMASSO
commerci, e non erano certo per rimpiangere che la Republica Veneta,
tormentata dai Turchi, fosse nell'impossibilità di ostacolare i loro progressi ;
la Danimarca e la Svezia erano tuttora in lotta fra loro, né rappacificate si
sarebbero volte contro i Turchi, con cui non potevano avere contrasti né
per ragioni di confini, né per interessi commerciali, né per opinioni religiose:
la Svezia anzi fin dal 1657, unitamente alla Polonia, aveva mandato a Co-
stantinopoli un suo ambasciatore; la Prussia s'era appena liberata dalla di-
pendenza feudale verso la Polonia, e pensava ad assodare la propria libertà:
il Portogallo continuava a combattere l'egemonia spagnuola; il Sommo Pon-
tefice ed i Cavalieri di Malta mandavano ancora le loro galere nei mari eli
Candia; ma esse, pronte sempre ad attaccare lite colle galere venete in causa
di frivole pretese di precedenza e di speciali riguardi, cooperavano ben
poco agli sforzi delle medesime per sorprendere e distruggere le navi ne-
miche. Il Piemonte prendeva finalmente j)arte alla guerra di Candia e, sic-
come la presente dissertazione volge appunto sugli aiuti dati dal Piemonte
a Venezia, necessita riferire specificatamente come, quando ed in qual mi-
sura essi furono dati. ,
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA 17
Capitolo 111,
Considerevoli aiuti dati dal Piemonte a Venezia fin dal 1660. — Riconciliazione fra i
due Stati.
Si è detto che Maria Cristina, finita la ofuerra civile nel Piemonte, pro-
fondeva denari in vane spese gravando dì balzelli i poveri sudditi. Ciò ella
faceva per uguagliarsi ai Re europei, ed i mezzi da lei adoperati per rag-
giungere questo ideale, non si limitavano ad avere una splendida corte : ella
cercava eziandio di riavere le terre che le erano state tolte dallo straniero
ed impetrava da tutti i regnanti il titolo regio. Il marchese di .S. Maurizio,
diretto a Mùnster, si fermava a Parigi e, per incarico da lei avuto, pregava
il Mazarino di accordare al Duca di Savoia il titolo di « Re di Cipro -» e
di restituirgli le piazze occupate dai Francesi durante la guerra civile, oltre
la città di Pinerolo e la valle della Perosa, non essendosi effettuata la presa
di Genova. Nulla otteneva, neppure il vano titolo regio.
l.'insuccesso di questa missione, benché mitigato dal trionfo diplomatico
del Bellezia, il quale riusciva ad ottenere al marchese di S. Maurizio in
Mùnster ingresso e trattamento regio, e dalla restituzione delle piazze di
Trino, Avigliana, Susa, Chivasso e Cavour, fatta dal Mazarino per indurre
il Duca di Savoia a ratificare il trattato di Mùnster, spingeva Maria Cristina
ad insistere nel suo antico intento di far pace con Venezia, sia per unire
le sorti del Piemonte a quelle d' un popolo fratello, aifinchè — siccome
ella ebbe poi a dichiarare al Sagredo nella prima udienza accordatagli —
non si acconsentisse mai che la bella provincia italica perdesse la sua li-
bertà *, sia per ottenere da Venezia stessa il trattamento che le altre Potenze
le ricusavano sopratutto per istigazione di Venezia. E per aver modo di
approfittare di qualche buona congiuntura per conseguire il suo intento,
teneva a Venezia agenti segreti che la informassero delle vicende della Re-
publica. Durante tutto il 1646, il 1647 ed il 1648 l'agente suo era il Boc-
calini, che appare informatore anche del Re di Polonia. Egli scriveva a
Maria Cristina ed al primo Segretario di vStato, inarchese di S. Tommaso (i),
che la Republica dava cento mila talleri al Re di Polonia, e glie ne pro-
metteva altri cento mila per indurlo ad attaccare i Turchi obbligandoli ad
una diversione, ed aggiungeva che Vladislao assumeva con ardore l'impresa;
ma pur troppo ci risulta che il Senato di Polonia gli impediva di compierla.
(i) Ardi, di Stato di Torino, Lettere degli ambasciatori piemont. a Venezia, mazzo S".
3 — Mise, s. HI, T. xni.
LUIGI DALMASS3
Annunziava poi che il Grimani aveva fornito di armati la piazza di Candia,
per la qual cosa era stato possibile fare una sortita con grande strage dei
nemici; enumerava tutti gli armamenti fatti dalla Repubblica, e parlava
eziandio della fellonia dei Candioti. Nel 1649 il Boccalini andava a Roma
per ritornarsene all'altare, ed il suo ufficio era assunto dal legato aposto-
lico Andrea Borghi che lo teneva fino al 1652. Dopo aver così mostrato
l'interesse che ella prendeva per la Republica, Maria Cristina spediva a
Venezia il padre domenicano i\lario Foresti coll'incarico di trattare della
riconciliazione; ma neanche questo negozio incontrava fortuna, dicono gli
storici veneziani, per mal animo dell'insospettito ambasciatore spagnuolo. E
se gli storici veneziani dicono il vero, e ISIaria Cristina supponeva il giusto
nel credere che i 1^'rancesi facessero riuscir vani i tentativi da lei fatti nel
1639 per propiziarsi il Senato Veneto, noi non avremo certo a rallegrarci
dei buoni uffici dei l^Yancesi e degli Spagnuoli i quali, non contenti di tor-
mentarci per conto loro con ogni genere di vessazioni, cercavano ancora di
tener vivi i rancori che da tanto tempo dividevano ed angustiavano i Prin-
cipi italiani. Ma altra causa ben più importante riteneva la Republica Ve-
neta dal ricongiungersi al Piemonte. Leggendo la monografia del Segre
sulle relazioni diplomatiche tra Emanuele Filiberto e Venezia, noi vediamo
a più riprese la Republica Veneta trattare molto freddamente Emanuele
Filiberto, e, dacché questo principe, oltre essere insigne e per senno poli-
tico e per valor militare, si mostrava oltre ogni dire cortese e generoso verso
la Republica, siccome appare da tutte le relazioni degli ambasciatori veneti
a Torino, noi non sapremmo spiegarci la condotta della Republica, se non
avessimo davanti alla mente le persecuzioni orribili dei Valdesi, perpetrate
da Emanuele Filiberto a mezzo del conte della Trinità. Tali persecuzioni
dovevano suscitare anche allora un grande disgusto, e più che altri doveva
mostrarsi disgustata la Republica Veneta, che sempre rispettò i Protestanti
e più volte prestò loro aiuto. Ed il sentimento d' ostilità ch'essa ebbe per
lo stesso Emanuele Filiberto tanto prode e stimato, era naturale che si fa-
cesse sentire vieppiù contro la debole Maria Cristina, che sopra tutti i Duchi
di Savoia peccò di eccesso religioso e si macchiò di sangue innocente.
Nello stesso anno 1653 il Mazarino, persa Casale, sentiva il bisogno di
una efficace coopcrazione da parte del Duca di Savoia nel combattere gli
Spagnuoli, e per ingraziarselo gli restituiva duo altre piazze, quella di V^errua
e quella di Villano va d'Asti, e gli accordava il trattamento regio. Da questo
momento la fortuna di Maria Cristina pare prendere consistenza. Nel 1655
le sue soldatesche, unite al Duca di Modena, comandante le armi francesi,
occupavano Valenza; nel 1657 il presidio francese sgombrava la cittadella di
Torino; nel 165S il general marchese Villa prendeva possesso di Trino; e
nel 1659 la Spagna le restituiva Vercelli, impegnandosi di adoprarsi perchè
anche la Francia le restituisse Pinerolo. Già una sua figlia, l'Adelaide, sie-
deva su d'un trono, quello di Baviera, e l'altra figlia. Margherita, volgeva
i dolci sguardi verso il Re di Francia, e, fallito il suo matrimonio con questo
Monarca, aveva tuttavia la fortuna di essere impalmata da Francesco II
Farnese. In virtù di queste unioni accordavano al Duca di Savoia il titolo
di « Re di Cipro > ed il corrispondente trattamento ai suoi ambasciatori il
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CAXDTA ig
Duca dì Parma e l'Elettore di Baviera, e con essi gli Elettori di Alagonza
e di Colonia, non che il Duca di Modena, già dianzi imparentato colla casa
di Savoia per il matrimonio di Isabella con Alfonso III d'Este. Perchè non
dovevano accordare gli stessi onori gli altri Monarchi, quello Cattolico anzi-
tutto, in seguito alle feroci rappresaglie del 1655 sopra i Valdesi che, colla
benemerenza del mondo cattolico, avevano attirato sul capo di Maria Cri-
stina le violenti invettive del Milton, oltre quelle di tutta la gente umana?...
Nel 1660 Gian Girolamo Doria, Marchese del Maro e di Ciriè, andava a
Madrid per sollecitare a favore del Duca di Savoia tali onori ; ma la Spagna
non si induceva ad accordarli, e la Francia, per non esser da meno, li
ritoglieva.
Era giocoforza rivolgersi un'altra volta a Venezia, conseguirne l'amicizia
e con questa il ìndia osta presso le Corti europee per l'identico trattamento,
di cui la Republica godeva. Già il 4 novembre 1657 il conte Lorenzo Xemis
erasi recato dal papa Alessandro VII per pregarlo, a nome del Duca di Sa-
voia, di adoprarsi per rappacificare il Piemonte con Venezia, ed il Pontefice
gli aveva promesso di dar ordini in proposito al suo Nunzio residente in
Venezia, e di aver ragioni per credere che si sarebbe presto venuto ad un
accomodamento, avendo scorto la Republica ben disposta ad esso. D'altra
parte abbiamo visto che nel 1653 i Veneti avevano cercato di addossare al-
l'ambasciatore spagnuolo la causa dell' esito negativo che la missione di
Mario Foresti aveva sortito. Questo fatto dimostrava chiaramente che il loro
disgusto contro i Duchi di Savoia era in parte scemato, o, per lo meno, che
essi, costretti dalla convenienza, se non dal sentimento di fraternità, piega-
vano verso un aggiustamento. Per meglio disporli ad esso il Duca di Savoia
concedeva il 17 giugno 1660 al colonnello Giacomo Pasquale di Marron, al
servizio della Republica di Venezia, di fare nei suoi Stati una levata di
trecento fanti. Il 15 gennaio 1661 dava facoltà al signor Petiti, luogotenente
colonnello di Pasquale Alarron, di continuare la levata intrapresa dal suo
superiore, che aveva dovuto partire per Venezia. Ed il 27 agosto 1661 per-
metteva al colonnello Giovan Battista Coscia di arruolare, per la Republica
di Venezia e da servire contro il Turco, trecento fanti, di cui cinquanta suoi
sudditi e gli altri forestieri, entro la durata di tre mesi. Di tutte queste con-
cessioni noi troviamo contezza nell' Archivio di Torino (vSez. 4^^, Guerra e
Marina) e precisamente nella raccolta degli <; Ordini Generali > del duca Carlo
Emanuele II ai generali Veadore e Contadore. E nella stessa raccolta si
può avere visione del seguente importantissimo documento :
Trattato per li due reggimenti di Fanteria dei Sig' Col' eomni. Bonifacio
Chiazza e Bartolomeo Masserac, quali vanno al servizio della S""' Rcpii-
hlica di Venezia.
« Li 1000 fanti esibiti da Savoia saranno ricevuti colle presenti con-
« dizioni :
« Militeranno col nome di Regg*' di Savoia e saranno obligati al ser-
« vizio di Dalmazia, saranno ristretti sotto due Reggti caduno di dieci com-
» pagnie e godranno le paghe infrascritte.
20 LUIGI DALMASSO
« Capitano ducti 60, luogotenente 52, alfiere 24, due sergenti 15 caduno,
« quattro caporali 8 caduno, uno scrivano io, alli soldati lire 30, e per capo
« soldo lire 2-10 per caduno al mese a proporzione degli effettivi.
« p]d al colonnello ducati 150 con obligo di comandare alla propria com-
« pagnia senza alcuna paga di capitano.
« Venendo queste in campagna godranno delle paghe solite ad esibirsi
« a simil milizia e sono le seguenti :
« Capitano due'' no, luogotenente 50, alfiere 30, due sergenti 20 caduno,
« quattro caporali io caduno, uno scrivano 15, alli soldati lire 36 in tutto,
« a caduno per paga oltre il capo soldo sopradetto.
« In campagna come sopra potrà ognuno delli predetti Reggti militare
« unito ed in tal caso saranno corrisposti per il Stato colonnello ducati 200
« al mese per tutti gli ufficiali maggiori del Reggto rispettivamente senza
« che possano pretendere altro.
« Potranno li Regg*' essere licenziati a publico bene placido, per il quale
« effetto li resta destinata la città di Padova, e sarà data una paga in dono
« alli capitani, ufficiali e soldati per far ritorno alle case loro, a quelli però
« della prima condotta solamente.
« L'armi fuori che la spada saranno date dal publico per essere dai sol-
« dati scontate conforme al solito, cioè a ragione di lire una al mese, eccetto
« per quelle che si perdessero in funzione contro il nemico.
« Cadun capitano sarà obligato di reclutare la propria compagnia col
« donativo solito praticarsi colli altri e saranno procurate le permissioni ed
« il passo conforme ricercasse il bisogno.
« Per la giustizia in campagna e essenzioni a vivandieri si concederà
« quello che si stilla alli altri Reggti oltramontc.
« Movendo ovvero assentandosi capitano ovvero ufficiali sarà in facoltà
« del colonnello a proporre altri soggetti in luogo loro per essere da pu-
« blici rappresentanti approvati, e lo stesso per quelli che terminata la carn-
ee pagna ricercassero ed ottenessero la licenza.
« All'arrivo di dette truppe nello Stato si darà una paga rispettivamente
« a ragione di Presidio come sopra e per le spese al lido glie ne sarà data
« una terza parte in dono, senza che possano pretendere altro.
« Le barche per il trasporto saranno provvedute ed il nolo di esse sod-
« disfatto al publico.
« Consistendo le compagnie predette in numero di 50 o 40 dovranno
« sussistere, come pel contrario declinando a meno di 30 potranno essere
« conforme il publico ricercasse riformate.
« Per il cambio o riscatto dei prigionieri sarà osservato con loro quello
« che hodiernamente si stilla all'altra milizia che si trova in servizio in simil
« occasione.
« Torino, li 20 maggio 1660 e in Milano li 24 maggio 1660.
« Io Domenico De Vico, Residente di Venezia. y>
Questo documento prova ad evidenza che fin dal 1660 il Duca di Savoia
aveva esibito a Venezia mille uomini. E che essi siano stati accettati risulta
chiaramente da vari altri documenti. Anzitutto fra gli « Ordini Generali »,
di cui già si è fatto menzione, troviamo quello, impartito il 3 settembre 1660,
di ■■:: ritenere a tutti i bilanciati nel fondo militare l'ammontare d'una mesata,
« avendo le molte spese incontrate poi mantcnimontcì delle truppe destinate
'< per Venezia reso mancante il fondo militare di buona somma ». Poscia,
sfogliando il bilancio del 1660, esso pure compreso nella Sez. 4" dell'Archivio
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA
di Torino, colpirà il nostro sguardo il seguente conto compilato il 9 di-
cembre 1 660 :
« La paga data in contanti alla fanteria dal i ' dicembre 1659 ^ tutto
« dic^"''^ 1660, che sono mesi 13, se ben non se ne sono passati che mesi 12
« per essersi levata la mesata di maggio alla fanteria e dovendosi levare
« quella di dicembre al Reggto di Guardia sono L. 6580.30. Così divise :
« Alla fanteria oggi in piedi compresi gli ufficiali dell'artiglieria che si
'< pagano come quelli dei presidii L. 6035.49. Alli reggimenti e compagnie
« riformate che sono andati a Venezia e non servono più L. 544.81 y>.
Inoltre fra le patenti del duca Carlo Emanuele II, comprese sempre nella
Sez. 4" dell'Archivio di Torino, ci apparirà quella del i" luglio 1662, colla
quale Giuseppe d'Ambron era nominato cornetta per aver servito otto anni
nel Reggimento di S. Damiano e due nelle truppe savoiarde al servizio della
Republica di Venezia. Finalmente nella sede principale dell'Archivio di
Stato in Torino, fra le lettere degli ambasciatori piemontesi residenti a Ve-
nezia (i), trovasi una lettera di Gremonville, uno dei capi delle truj^pe fran-
cesi andate a Candia nel 1660, il quale il 4 settembre 1661 scriveva al Duca
di Savoia rigettando l'accusa fattagli d'aver trattato male i soldati del Duca
che si trovavano in Levante, non accordando loro le paghe. Non è possibile ar-
gomentare da questa lettera se il Gremonville alluda ai mille uomini, di cui
si occupa il trattato sopra riportato e che, contrariamente al trattato, sareb-
bero stati adibiti ad un servizio diverso di quello che dovevano prestare in
Dalmazia, ovvero a truppe piemontesi formanti con quelle francesi il corpo
d'armata andato a Candia nel 1660: nell'uno e nell'altro caso però noi ci
convinceremo sempre più che il Duca non attendeva che l'aggiustamento
avesse luogo per dare a Venezia qualche aiuto, siccome asseriscono alcuni
storici, che si menzioneranno in seguito; ma fin dal 1660 andava apprestan-
dole validi rinforzi, spianando egli stesso la via all'ambito aggiustamento.
Così avveniva che nel 1660, trovandosi una sera il marchese del Borgo
in casa di donna Eleonora Castellani, l'ambasciatore veneto residente a
Roma, fattosi vicino, dicessegli che professava obligazione all'abate Costa
per avergli procacciata la sua conoscenza, la quale egli credeva molto pro-
ficua ai Principi che rappresentavano. L'anno seguente i due ambasciatori,
da un discorso all'altro, venivano a quello dell'aggiustamento, e l'ambascia-
tore veneto lasciava subito sperare un buon risultato, assicurato viemmag-
giormente dall'assenza del Pesaro, uno di quelli che con più calore erasi
opposto a quell'atto (2).
Contemporaneamente Maria Cristina, a mezzo dell'arcivescovo di Zara e
del vescovo di Famagosta, di passaggio a Torino, faceva noto a Venezia
« il desiderio che ella sempre aveva nutrito di veder riconciliata la sua casa
« colla Republica, non avendo mai tralasciata congiuntura per insinuare
« questa buon'opera ». Maria Cristina poi pregava il Re di Francia, suo ni-
pote, ed il Duca di Modena di predisporre l'animo dei Veneti alla pace,
ed essi cortesemente ne davano incarico ai loro ambasciatori in A^enezia,
(i) Mazzo 9''''.
(2) Claretta, Regno di Carlo Emanuele II. Genova, 1S77-7S.
2 2 LUIGI D^LMASSO
l'arcivescovo d'Embrun ed il marchese Calcagnini, Per ultimo Maria Cristina,
nell'autunno del 1661, dava ordine al marchese Villa, suo ambasciatore a
Parigi, d'interessare sulla questione il Grimani, ambasciatore della Republica,
ed il Grimani si affrettava a scriverne al Senato. Poco stante ]\Iaria Cristina
apprendeva e dal, marchese Villa e dal Cardinal d'Este la buona disposizione
della Republica per l'aggiustamento, e tosto spediva a Venezia l'abate Vin-
cenzo Dini, il quale, già dianzi agente di Modena in Venezia, aveva cercato
di raccogliere in sé simile negozio.
L'abate Dini fu accolto molto cortesemente, e fu invitato ad esporre le
sue proposte a Marco Pisani, savio di terraferma. Le controversie si ridus-
sero a cinque capi, al licenziamento dell'ultimo ambasciatore veneto dalla
Corte di Savoia, al titolo col quale la Republica doveva trattare il Duca,
al trattamento da applicarsi tra gli ambasciatori veneti e di Savoia nelle
altre Corti, al libro di padre Monod, stampato a Torino, e al titolo di « Re
di Cipro » assunto dal Duca. Dopo molte conferenze segrete si convenne
che i Veneziani deputerebbero un ambasciatore a Torino, tostochè ne fosse
mandato uno a loro; che quest'ultimo nella prima udienza manifesterebbe di-
spiacere delle interrotte corrispondenze ; che il Duca rivolgerebbe qualche
parola di scusa al primo ambasciatore che gli sarebbe spedito dicendo che
era dispiacente di quanto era seguito; che nello scrivere e nel trattare colla
Republica o in scrittura che questa dovesse dare ai ministri di lui, si con-
tenterebbe, quanto ai titoli della sua particolare persona, dei termini prati-
cati prima della recisione delle buone intese, e che le lettere della Republica
sarebbero ricevute con lo stile ed i titoli soliti; che egli inoltre proibirebbe
con espresso editto il libro di padre Monod, e gli ambasciatori della Re-
publica in Torino sarebbero trattati colle medesime formalità che si usavano
coi nunzi del Papa e coll'ambasciatore di Francia, mentre gli ambasciatori
del Duca sarebbero trattati dalla Republica nella forma di prima (1).
Nell'aprile dell'anno 1662 queste convenzioni erano discusse tra il mar-
chese di Pianezza e l'abate Dini: avevano la sanzione del ministro piemon-
tese, e subito veniva nominato ambasciatore straordinario a Venezia il mar-
chese del Borgo, da tre anni residente a Roma. Il 6 luglio egli faceva la
solenne sua entrata in Venezia, e da parte sua la Republica nominava am-
basciatore a Torino il senatore Alvise Sagredo che, dopo essersi trattenuto
incognitamente per alcuni giorni nel borgo del Po, finché fosse regolato il
suo ricevimento, il 15 ottobre veniva accolto con squisita gentilezza dal
Duca e dalla Duchessa Madre.
Il Claretta, nella sua « Storia .> dianzi menzionata, asserisce che le ini-
ziative di questo aggiustamento procedettero da Roma, e non da Parigi, sic-
come affermano altri storici, ed a prova del suo asserto riferisce il discorso
tenuto il 4 novembre 1657 dal conte Lorenzo Neniis al pontefice Ales-
sandro VII e l'abboccamento dei due ambasciatori, di Venezia e di Savoia,
in casa della dama Eleonora Castellani ; ma, per quanto fino ad ora si è ve-
nuto esponendo, è necessario ammettere che né da Roma né da Parigi esse
(i) Patrucco, Relaziojti tra Savoia e l'emazia durante la A'cQoenza di Maria Cristina
{Bollett. storico subalpino. Torino, 1S96).
1 PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA 2^
procedettero, bensì dalla Corte di Torino, e precisamente da Maria Cristina,
che nulla lasciò d'intentato per indurre la Republica ad un accomodamento.
In esso i poeti italiani videro la salvezza e la prosperità della nostra peni-
sola: viceversa non fu che un palliativo. La Corte di Torino ed il Senato
Veneto poco dopo si trovavano più che mai divisi ed ostili, sia per colpa
della diplomazia piemontese, troppo sollecita ad accettare un accomodamento
che non era di sua piena soddisfazione, ma che essa si lusingava di poter
a mano a mano modificare, sia per colpa del Senato Veneto, rigidissimo nel
conservare le proprie prerogative, ritenendo il Piemonte ad un livello infe-
riore al suo nell'ordine gerarchico degli Stati europei, e poco propenso, se
non avverso, ai Duchi di Savoia per i sentimenti religiosi sopra riferiti.
24 T.rriGl DALMASSO
Capitolo IV.
Esito infelice della spedizione francese. — Diversioni austro-turche. — Politica equivoca della
Republica Veneta, che è abbandonata da tutti i^li altri Stati fuorché dal Piemonte. —
Merito e miserabile sorte dei soldati piemontesi al servizio della Republica.
I soldati francesi, venuti in aiuto di Venezia, furono tremila anziché
quattro mila, conforme la promessa di Luigi XIV. J^ice A. Vallerò (i) che
ciò avvenne per la ripugnanza che i Francesi, al par degli altri popoli, sen-
tivano nel recarsi in Oriente, e noi vedremo in seguito quanto sia erronea
e gratuita questa asserzione, che fa torto all'indole francese piena di slancio
e di abnegazione per ogni causa generosa. Comandati da Almerigo, fratello
del Duca di Modena, che fu assistito da Bas e (jremon ville, nipote dell'am-
basciatore del Re di Francia in Venezia, essi sbarcavano nel 1660 a Suda,
s'impadronivano del forte d'Apricorno, uccidevano il bassa di Canea ; poscia,
sopraggiunti rinforzi ai Turchi, si portavano in Candia ed assaltavano il
campo nemico. Ala, appena a loro cominciava ad arridere la vittoria, imme-
mori della strage di tin altro esercito francese, ben più numeroso ed agguer-
rito che, per soverchia fiducia sul proprio valore, veniva sterminato da
Hayezid presso Nicopcjli, essi si sbandavano per darsi al saccheggio, e così
al nemico riusciva facile sorprenderli ed opprimerli. I superstiti ritornavano
in Francia l'anno seguente, ed i Turchi, che frattanto avevano sgominato
eziandio il Ragotzi, i Moscoviti ed i Tartari, ed avevano occupato la Tran-
silvania insieme a due regioni ungheresi, non temendo in Candia i soli Ve-
neti, si disponevano, sotto la perspicace e gagliarda direzione di Acmed,
creato Gran Visir alla morte del padre Mahomed, avvenuta nel 1 661, si di-
sponevano, dico, a ritener per forza le terre occupate, non ostante che due
incendi avessero afflitto la loro capitale, ed una fiera burrasca avesse di-
strutto nel mar Nero ventisette delle loro galere. Davanti a tale proposito
l'Imperatore concedeva di buon grado a Venezia di assoldare due reggimenti
in Baviera, e pregava il Pontefice di indire un congresso fra tutti i regnanti
per combattere i Turchi.
II congresso veniva indetto a Roma nell'anno 1662, e l'esito infelice di
esso, in causa dell'ambasciatore Crichi, obligava l'Imperatore e Venezia a
domandare pace al Turco, l'uno offrendo la Transilvania, l'altra parte del-
l'isola. I Turchi non se ne davano per intesi, ed occupavano Cattaro, s'im-
possessavano di due vascelli veneti che portavano a Candia trecento fanti e
(i) Storia della guerra di Candia. Venezia, 1679, cap. I\'.
r PrEMONTKSI ALLA GUERRA I)[ CAXDLV
cento cavalli, ed acquistavano forza in Un_t»-heria. L'anno sei^uente il Gran
Visir sconfio-gcva gli Ung-hercsi, ed atterriva Tlmperatore, il quale cercava
d'indurre il Pontefice e la Rcpublica Veneta ad unirsi a lui. i?arrebbe che
la Kepublica, ,L;ià tanto dolente per essere, a suo avviso, abbandonata dagli
altri Stati, avrel)be dovuto accettare con trasjìorto l'invito: viceversa essa scri-
veva al suo ambasciatore Sagredo di non impegnarsi in nessun trattato. Un au-
torevole senatore veneto, Andrea Vallerò, già menzionato, dice che a c|uesto
atto sorprendente la spingeva anzitutto il timore di tirarsi addosso l'ira del
Re di i^Vancia, collegandosi col Papa, tuttora, a ciiusa del Crichi, sotto il
peso del risentimento francese, in secondo luogo il tergiversare dell' Impe-
ratore a suo riguardo nei tempi passati. A questi due motivi fa d'uopo ag-
giungerne un terzo, l'egoismo della Republica, la quale credette di riuscire
ad aver ragione dei Turchi in Candia, allorché essi fossero intenti a com-
battere contro l'Imperatore, e non giudicò opportuno legarsi le mani con un
trattato che, costringendola ad agire conform.e l'intento comune, l'avrebbe
forse distolta dal conseguire il proprio. E evidente anzi che quest'ultimo
motivo sia stato il principale, giacché il bollore francese, all'epoca di cui si
parla, era già scemato, e l'Imperatore non era stato verso la Republica più
avaro di aiuti di quanto il fossero stati gli altri regnanti, e dava prova di
molta fermezza negando recisamente ai Turchi il passaggio per i suoi Stati.
Pertanto, pur conservando un'alta ammirazione per lo slancio e la tenacia
con cui Venezia sostenne contro il Turco la guerra, noi siamo tratti a con-
dannare il suo modo di prc:)cedere verso le altre potenze, che essa diceva
indifferenti ai suoi guai, e che invece essa stessa allontanava da sé con una
politica di basse speculazioni.
Era naturale che venisse trattata alla stessa stregua, e noi vediamo che
l'Imperatore, scampato alle violenze turche per la valentia di Raimondo
Montecuccoli e per gli aiuti del Re di Erancia, stipulava la pace col (ìran
Sultano senza a\-er riguardi per \'enezia. E qui non é tutto! Già nel 1662
l'ambasciatore inglese, desideroso di ingraziarsi i Turchi, da cui aspettava
qualche agevolezza commerciale, aveva loro imprestato il proprio vascello
per trasportare aiuti a Candia. 1 Cavalieri di Malta, stanchi d'una guerra, a
cui avevano dovuto partecipare essendo stati incolj)ati d'averla causata, pre-
tendevano nel 1661 di conservare esclusivamente per loro quattro navi turche
tolte dall'armata cristiana a INIehemet, che andava bassa a Candia in luogo
di Cussein fatto uccidere dal Gran Visir, ed avanzavano poscia per due anni
consecutivi la pretesa di tenere le loro navi a destra della generalissima :
tutto ciò per aver modo di separarsi dall'infida Republica. Il Papa non con-
segnava ad essa i duecento mila scudi lasciati in eredità dal Mazzarino per
combattere i Turchi, dicendo che le somme enormi inviatele dal Re Catto-
lico e dagli altri Principi erano servite, non già a far guerra contro i Turchi,
bensì a riempir le casse dei nobili veneti, i quali ora dovevano sborsarle.
L'Olanda, al par dell'Inghilterra, non aveva scrupolo di richiedere il Sultano
di quiilche favore commerciale. Anziché schierarsi contro T invadente razza
mongolica, mostrandosi solidali colla Republica Veneta, colla quale avevano
comunanza di origine e affinità di sentimenti, queste ed altre nazioni, di cui
si fece cenno nel precedente capitolo, si professavano amiche dei Turchi, e
4 — Mise., s. ni, T. xm.
20 LUIGI DALMASSO
poco o niente si curavano della Repul)lica. Anche la Francia dimenticava
l'affronto ricevuto dal Turco nella persona del proprio ambasciatore, dimen-
ticava le giovani vite dei suoi figli troncate dalla scimitarra turca e, per
mezzo del mercante Ribolli, domandava nel 1664 di mandare un altro am-
basciatore a Costantinopoli, pur protestando d'esser sempre l'emerita soste-
nitrice della Cristianità col portar guerra ai Mussulmani di Barberia, che
colle loro scorrerie infestavano il bacino mediterraneo. Forse per far dispetto
all'eterna sua nemica perfin Genova aspirava al lusso di aver un ambascia-
tore in Oriente, e nel 1664 il rappresentante dell'Impero, ]>efte, proponeva
alla Porta per quell'ufiìcio il Durazzo. La Spagna era più che mai impressio-
nata dalla fiera resistenza dei Portoghesi, che nel 1Ò63 riportavano a Villa-
viciosa una grtmde vittoria: d'altra parte era morto fin dal 1661 il suo primo
•ministro don Luigi d'Hacos, che quasi solo aveva avuto a cuore la causa
della Republica Veneta e sempre l'aveva sovvenuta di danaro, temendo a
ragione che le perdite di essa fossero preludi funesti ai regni di Napoli e di
Sicilia.
Non risulta che dal 1662 al 1664 qualche regnante venisse in aiuto della
Republica. Il Piemonte solo, fermo nel suo proposito di meritarsi la bene-
merenza di essa a vantaggio dei suoi intenti diplomatici, si mostrava coi
fatti e colle parole propenso a sorreggerla. Appena seguito l'aggiustamento,
spediva a Venezia trecento fanti agli ordini dei colonnelli Monti ed Arborio
in surrogazione dei caduti negli anni antecedenti, e così veniva di nuovo
portato a mille il numero dei soldati piemontesi al servizio della Republica.
Questa a mezzo del conte Bigliore (i) faceva sapere al Duca che non s'im-
maginava di dover pagare la levata di detta truppa; ma poscia sempre a
mezzo del Ligliore (2) lo ringraziava di avergliela mandata. 11 marchese del
Borgo (3) consigliava al Duca di dare a Venezia altri quattro mila fanti per
costituire un corpo d'armata di cinque mila uomini che avessero diritto a
libertà di azione, e tosto il Duca così scriveva allo zio:
« Molto III'"" Signor Zio,
« Accerterà V. S. per parte nostra il Signor Ambasciatore di Venezia
V' che faremo levare e condurre a nostre spese sino al lido di Venezia tre
>< mila fanti e trecento cavalli coi suoi ufficiali per servire in Levante nella
V, prossima campagna. E di più contribuiremo per il mantenimento di dette
« truppe duecento mila lire piemontesi in contanti ed altre duecento mila in
grano, purché si compiaccia S. Serenità di dar ordini in valida forma ai
suoi ambasciatori residenti nelle Corti straniere e particolarmente a Roma
ed in Francia di trattare colli nostri che si trovano e si troveranno in esse
col reciproco titolo di Riccllciìza e pari cortesia, salvo però la mano nei
« luoghi neutri all'ambasciatore veneto. Ouand<,) seguisse rottura di guerra
(i) Ardi, di Stato di Torino, Corrispoudcvza dci^li ainbasa'atori pinnonfcsi a l'eiiczia.
mazzo 9", Lettera del 20 giu.s:no 1662.
(2) Id., Id., mazzo 9", Lettera del 19 agosto 1662.
(3) Id., /</., mazzo-'9'"', Lettera del 2 settembre 1662.
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA
27
« in Italia (che Dio non voglia) e non potessimo compire a quanto sopra,
« ma scambievolmente non ritirassimo l'ordine sopra detto per il trattamento
« degli ambasciatori sinché meglio s' intendi ssero le cose e per altra via ci
« fosse permisso di servire Sua Serenità a suo continto.
« Il desiderio grande che abbiamo di far conoscere le disposizioni del-
« l'animo nostro verso la Serenissima Republica ci fa anche desiderare di
« lasciarle personaggio a noi tanto caro e necessario e di cui facciamo tanta
« stima quanta del signor marchese Villa, generale della nostra cavalleria
« per servire nella predetta campagna e con dette truppe e le altre nostre
« che già militano a quel servizio, purché vi concorrerà la sua volontà e
« soddisfazione, ed egli sia trattato nella forma conveniente quanto al co-
« mando, onde se gli ne farà con prima occasione l' apertura e se ne avrà
« la risposta e nascendovi difficoltà nella di lui risoluzione si darà altro capo
« cospicuo per il medesimo fine » (i).
L'offerta era generosa e mite era il compenso che se ne voleva ritrarre,
e reca meraviglia il sapere che la Republica non 1' accettasse tosto con
slancio, che posponesse il suo interesse materiale allo stolido desiderio di
conservare, rispettivamente al Piemonte, un'effimera superiorità. Tanta pos-
sanza aveva in quell'epoca la vanità nel cuore umano ! Però essa, seguendo
il suo sistema di diplomazia, alieno dalle franche dichiarazioni e proclive al
tergiversare, nel dubbio che l'offerta del Duca potesse divenire col tempo,
più che necessaria, indispensabile, non dava alcuna risposta diretta, ed in-
direttamente si esprimeva tanto evasivamente che il Dini era tratto in in-
ganno, ed il 20 gennaio 1663 (2) scriveva al marchese di .S. Tommaso che
Venezia avrebbe concessa la parità di trattamento al Piemonte, qualora il
Duca avesse dato effetto all' intento, manifestato al Sagredo, di offrire tre
mila fanti e trecento cavalli, ed il 31 marzo (3) sollecitava la spedizione di
trecento galeotti, smanioso di trarre il Piemonte a far cosa grata alla Re-
publica. Quand'anche il Governo piemontese non avesse avuto sentore della
riluttanza della Republica nel fargli le desiderate concessioni, e non fosse
punto restio dall' aderire alle sollecitazioni del Dini, la rivolta dei Valdesi,
durata buon tratto dell'anno 1663 e dell'anno 1664, doveva costringerlo a
ritenere per sé i soldati ed i denari. Di conseguenza l'offerta del Duca, con-
sigliata dal marchese del Borgo e favorita da Maria Cristina, pronta a sog-
giacere ai più gravi oneri per ottenere i suoi fini diplomatici, cadeva nel-
l'oblio.
Nelle varie lettere che il Duca spediva al Dini (4), più non parlava di
aiuti, né esigui, né importanti: appena in quella del 31 ottobre 1663 annun-
ziava di aver spedito a Venezia trentacinque galeotti insieme a quattro pri-
gioni colpevoli dell'assassinio del capitano Barbero, mentre era al ser-
vizio della Republica. Viceversa non si stancava dal richiamare il Senato
(i) Questa leUera è inclusa nel mazzo 13" della Corrispondenza citata, e porta la data
del 6 ottobre 1662.
(2) Archivio di Stato di 'foriiio. Corrispondenza ecc., mazzo 9".
(3) Corrispondenza ecc., mazzo 9".
(4) Id., mazzo 8".
28 LUIGI DALMASSO
Veneto all'osservanza dei suoi doveri verso gli ufficiali ed i soldati piemontesi
passati al suo soldo. Il io marzo 1663 richiedeva gli emolumenti dovuti ai
fratelli Chiarboio, entrambi distinti e valorosi capitani ; il 20 ottobre dello
stesso anno raccomandava il tenente colonello Profitio Torre, che dairOriente
veniva a Venezia per reclamare le paghe per sé e per tutto il reggimento
a cui apparteneva; il g febbraio 1664 rinnovava la sua raccomandazione a
favore di detto colonnello, non che dell'intero reggimento di cui era colon-
nello La Cerv^erie e maggiore Charboneau ; ed il 7 marzo insisteva perchè
fossero soddisfatti entrambi i reggimenti ed in primo luogo il maggiore Char-
boneau, che doveva recarsi a Torino per dar sesto ai suoi affari. Reca me-
raviglia l'apprendere che queste autorevoli istanze rimanessero senza frutto.
Ma tant'è! Oltre Profitio Torre, La Cerverie e Charboneau, capitarono a Ve-
nezia il colonnello Arborio, il capitano Leautier ed altri ufficiali ancora; ed
è facile immaginare qual grama vita vi conducessero costretti, com'erano,
a mille privazioni, mancando quasi tutti di danaro, ed a mille umiliazioni,
dovendo lesinare, nel vero senso della parola, quanto loro era dovuto.
Punto migliore era la sorte dei loro commilitoni rimasti in Oriente. Ecco
quanto di loro scrive il colonnello Arborio al Duca il 16 agosto 1664 da
Venezia (i): « I due reggimenti sono ormai ridotti a 700 uomini, che da tre
« mesi e mezzo hanno ricevuto appena un reale, subiscono un'infinità di mal-
« trattamenti e sono adibiti a servizi gravosi ed inusitati, come quella di rin-
« correre le saiche turche, nella qual impresa perirono miseramente il capi-
« tano Ignazio Chiarbone ed il luogotenente d' Arbisson, figlio del maggior
« di Villanova >. La necessità che non vuol leggi scusa la Republica d'aver
adibito quei soldati a servizi non contemplati nel trattato del 20 maggio 1660;
ma nessuna ragione, neppur la grande strettezza in cui essa si trovava ri-
guardo a denari, può scusarla d'aver tenuto nell'indigenza tanti uomini e
d'aver permesso che venissero maltrattati. E tanto meno la Republica potrà
essere scusata se si pensa che essa, rinunziando ad un'effimera superiorità
e dividendo col Duca di .Savoia un vano titolo, poteva ottenere che questi
pagasse i suoi soldati portandoli ad un numero molto maggi(ire.
Nò si deve credere che i due reggimenti non meritassero un trattamento
migliore. Innumerevoli sono gli elogi che loro furono tributati dai proprii co-
mandanti, siccome avremo modo di rilevare ad onore e vanto dei soldati
piemontesi, che in ogni tempo si mostrarono pazienti, disciplinati e valorosi.
E se J. li, Scheither nella sua « Novissima praxis militaris » cita, fra i mi-
gliori soldati combattenti a Candia alla fine dell'assedio, i Tedeschi, gli Schia-
voni, i (Treci e non i Piemontesi, ciò si deve all'esiguo numero a cui essi
allora erano ridotti. Risulta bensì che si trovava a Candia un reggimento
di Savoiardi forte dapprima di seimila uomini e ridotti nel 1668 a mille cin-
quecento uomini (2), ma esso non aveva alcun rapporto coi due reggimenti
del Duca: era stiito costituito puramente da mercenari, i quali erano stati in
(i) Corrispondenza ecc., mazzo 66".
(2) Cfr. il Gap. II (Iella Giicrrii di Candia nco/i anni 1667-69 di Biggk. Torino, 1901.
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA 29
gran parte banditi di strada ed ospiti delle prigioni, ed alla dissolutezza dei
costumi univano l'intolleranza delle fatiche e l'insipienza dell'arte militare.
I due reggimenti del Duca invece erano costituiti da truppe regolari che,
come abbiamo detto, spesso furono encomiate per la loro bravura, e di con-
seguenza avevano diritto a qualche riguardo da parte della Republica. In
tutto il tempo che esse rimasero al suo servizio è ricordato a loro carico
un solo fatto deplorevole, l'ammutinamento avvenuto sulla nave «-. S. Simeone y^
in cui trovarono la morte il capitano Barbero, già ricordato, e qualche altro
ufficiale (i). Tale fatto rimase isolato, ma diede modo alla Republica di trat-
tare sempre peggio le misere truppe.
(i) Vedasi la lettera scritta dal Bigliore al Duca il i" novembre 1664. Corrispondenza ecc.,
mazzo 9°.
30 LUIGI DALMASSO
Capitolo V.
Opera dell'ambasciatore conte Bigliore (ìi Luserna. — Assunzione del marchese Villa al
comando delle armi venete. — Cenni relativi alle truppe concesse dal Duca a Venezia.
Soffocata un'altra volta nel sangue la rivolta dei Valdesi, Carlo Ema-
nuele II aveva modo di rivolgere la mente alla vecchia questione diploma-
tica, dibattutasi tra i suoi antenati e la Republic-a di Venezia. Benché fosse
dichiarato mag'giorenne a (juattordici anni, egli non assumeva la direzione
del governo che a ventotto anni compiuti, giacche Maria Cristina, desiderando
di conservare il potere, finché visse, lo tenne lontano dagli affari procuran-
dogli i div^ertimenti più snervanti, che dovevano accorciare la sua vita e cir-
condare di mestizia i soli dieci mesi di matrimonio della sua prima moglie
Francesca d'Orleans, morta nel gennaio del 1664, poco dopo Maria Cristina,
Ciò non ostante egli non si mostrava punto inferiore ai diplomatici contem-
poranei, famosi per i loro raggiri e per la loro perizia. E ciò risulta sufficien-
temente dalle istruzioni che diede al conte Bigliore di Euserna, da lui eletto
il 22 marzo 1664 suo ainbasciatore presso la Kepubblica, Dette istruzioni fu-
rono di due generi, palesi le une e segrete le altre. Nelle prime il Duca
esprimeva al {Migliore il suo desiderio di mantenere la buona unione ed in-
telligenza rinnovatasi colla Republica ed iniziata dal marchese del Borgo,
e raccomandava al medesimo di non adoperare concetti che potessero ecci-
tare gelosia e poca soddisfazione, e di non conferire al Duca il titolo di
« Reale Altezza >\ bensì quello di <. Serenissimo « che si attribuiva al Doge,
e nelle repliche quello di « Mio Principe ». Gli ingiungeva però di pr(^cu-
rare, prima dell'entrata pubblica, che gli venissero dati tutti i trattamenti
ambiti dal governo, fra cui il titolo di :; Eccellenza » per parte del cavaliere
deputato a riceverlo, dei savi grandi e dei procuratori, (xli ordinava inoltre
di innalzare sulla porta del suo palazzo l'arma reale di Savoia, costituita di
tutti i quarti, siccome usavasi a Torino e nei paesi di dizione propria, e così
finiva: «Per ultimo sarete anche informato dell'intenzione che abbiamo ri-
« portato dalla Kepublica che, mediante qualche soccorso considerevole che
« le havessimo dato nella congiuntura che ha sulle braccia lo sforzo delle
« armi ottomane, ci avrebbe accordata la parità di trattamento fra gli amba-
« sciatori suoi e nostri per decreto del Senato, come anche il titolo di Se-
« renissimo; ma la molteplicità dei pesi che abbiamo avuto sulle braccia,
« le gelosie dei moti eccitati in Italia e altri accidenti che sono dopo avve-
« nuti havendo sospesa in sin hora con molto nostro disgusto l'esecuzione
« dei suddetti concerti, ne rimane però sempre in noi un vivo desiderio e
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA
31
: di veder migliorarsi lo stato nostro presente che tuttavia soggiace in queste
v< congiunture a nuove ed inevitabili occasioni di spesa che fanno per ora
« insuperabile contrasto colla volontà nostra, salvo che la Rcpublica, mossa
« da qualche non preveduta contingenza, fosse per disporsi a qualche faci-
« lità e si aggiustasse colle forze nostre indebolite » (i).
Nelle istruzioni segrete si ordinava al Bigliore, nel caso che l'ambascia-
tore francese ricusasse di dargli il trattamento regio, che lasciasse credere
di proseguire i preparativi per istabilirsi a Venezia, ed intanto facesse giun-
gere un corriere che gli recasse ordini improvvisi ed importanti di portarsi
a INIagonza per trattare affari pressanti coll'Elettore di Baviera, prima che si
chiudesse la dieta di Ratisbona. E non era questo il solo mezzo di protesta
che gli veniva consigiiato : lo si esortav^a eziandio a pretendere da tutti i fun-
zionari veneti i dovuti riguardi, « quand'anche si convenisse di fingervi am-
« malato, perchè in questo modo li tirerete a farvi la prima visita >.
Come si può arguire da queste istruzioni e dalla scelta dell'ambascialore,
uomo insigne e per natali e per studi legali, Carlo Emanuele lì desiderava
di continuare le buone relazioni tra lo vStato suo e quello di Venezia; ma
non era per proseguire la politica blanda e generosa della madre. Forse
nella sua mente stava già maturando il proposito , che aveva infiammato
l'animo dell'avo Carlo Emanuele I, d'impossessarsi di Cipro, e questo pro-
posito che ci vien confermato e dal risentimento, col quale egli rigetta
l'asserzione dell'ambasciatore veneto in Ispagna d'aver rinunziato ai suoi di-
ritti su Cipro (2), e dal carteggio che ebbe col marchese \"illa, siccome ve-
dremo in seguito, questo proposito, dico, se da una parte lo rendeva restio
a concedere a Venezia nuovi aiuti, di cui egli stesso poteva abbisognare,
dall'altra gli faceva ricercare la sua amicizia, non avendo egli l'ardire del-
l'avo di mandare ad effetto i suoi propositi senza darsi pensiero degli Stati
che avessero avuto convenienza ad impedirglielo, né vivendo in epoche
adatte a sfoggiare simile ardire.
Il Conte di Luserna non doveva servirsi del sistema di difesa consiglia-
togli dal suo Principe, giacché aveva dalla Republica, senza restrizione e
renitenza, l'accoglienza desiderata, non che l'avviso che era stato eletto am-
basciatore a Torino Catterino Belegno, di illustri natali e di grandi facoltà.
11 Senato Veneto, aprendo le prigioni e ricavando i denari necessari dalla
vendita dei titoli nobiliari, aveva fatto molti armamenti per cacciare i Turchi
dall'isola di Candia durante la lotta da loro impegnata contro l'ImjDero; ma
dacché essi, vinti sul Raab, tendevano a far pace coU'Imperatore, era stato
costretto a mandare qtiegli armamenti in Dalmazia, dubitando fortemente che
i Turchi dall'Ungheria si spingessero contro i suoi dominii di terraferma.
E, persuaso che i suoi armamenti, non che dargli la forza sufficiente per
attaccare il nemico, ormai non bastassero neppure a salvaguardcirlo da
esso, aveva interesse a trattare colla massima cortesia tutti gli Stati, da ciù
(i) Anche queste istruzioni si trovano nella Corrispondenza citata. Portano la data del
27 marzo 1662 e fanno parte del mazzo 13".
. (2) Arch. di Stato di Torino, Corrisp. ecc., Lettera del Duca al Bigliore in data del io
giugno 1665, mazzo 13".
LUIGI DA LM ASSO
poteva attendere aiuti, e di conseguenza anche il Piemonte. D'altra parte il
I^ini, magnificando le buone intenzioni del Duca di -Savoia verso la Repu-
blica, aveva indotto quest'ultima a far buon viso al Piemonte. Il Claretta ha
per il Dini amare parole reputandolo poco pii!i d'un mestatore; ma in verità,
se da un lato egli ci appare eccessivamente desioso d'ingerirsi d'affari che
non erano di sua pertinenza, dall'altro si deve ammettere che fece il possi-
bile per vedere uniti e concordi i duo Stati più importanti d'Italia. Cosicché
ingiustamente si rimpiange la speciale distinzione, con cui egli, partitosi da
Venezia dopo l' insediamento del Bigliore, fu ricevuto a Torino da Carlo
Emanuele IL
L'ottima accoglienza, avuta dalla Kepublica, incoraggiava il Bigliore
a dar pronta esecuzione agli ordini impartitigli riguardo allo stemma, che
egMi taceva innalzare sulla porta del suo palazzo in tutta la sua integrità.
Naturalmente il .Senato Veneto non lasciava passare il fatto sotto silenzio,
che, agendo diversamente, sarebbe venuto implicitamente ad ammettere i di-
ritti del Piemonte nell'isola di Cipro. Esso invitava insistentemente il Duca
a far abbattere tale stemma, ed il Duca, contrariamente al consiglio del suo
ambasciatore, che avrebbe voluto obligare la Rcpublica a tollerarlo mi-
nacciandola di sottrarle le trupjie ]iiemontesi che militavano al suo soldo (i),
finiva per comandare che si ripristinasse lo stemma già usato dal marchese
del Borgo.
Si A detto elle il 1 Migliore mostrasse nella sua mansione di ambasciatore
poco tatto e poca prudenza, ed invero è evidente che nella faccenda dello
stemma avrebbe potuto agire con maggior circonspezione e riguardo, atten-
dendo ad innalzarlo intiero allorché avesse avuto aflìdamento che il Senato
Veneto l'avrebbe tollerato. Tanto meno ragionevole appare la minaccia che
egli intendeva fare alla Republica di ritirare le truppe piemontesi ormai
ridotte ad un numero troppo esiguo, perchè lilla lor perdita la Serenissima
potesse posporre il proprio prestigio, che anche in tempi di minore vanità
sarebbe stato compromesso, rinunziandosi sforzatamente ad un privilegio
qualsiasi. Fallito il suo tentativo di imporsi alla Serenissima, egli cercava
di rendersela propizia ottenendole dal Duca qualche aiuto, ed in replicate
lettere sollecitava la spedizione di soldati e di galeotti, non nascondendo
che dovevano servire a conferirgli decoro (2). Viceversa pare che aderisse
di mala voglia agli inviti del Duca e dei suoi ufficiali, che lo spingevano a
reclamar le paghe dovute dalla Republica, giacché non si peritava di os-
servare che bastava ricercar denaro per divenir odioso al Senato Veneto (3),
salvo a menar gran v^anto delle indennità che il Senato a mano a mano an-
dava ballottando per i detti ufficiali (4). Da (piesto modo di procedere ri-
sulta che egli, più che all'interesse del Principe a cui serviva, pensava a
sé stesso e, seguendo le sciocche tendenze del tempo in cui viveva, aspirava
a rendersi persona autorevole e considerata, l suoi famigli, come ben può
(i) Ardi, di Stato di Torino, Coiris/y. ecc.. Lettera si^cdila dal lìigliore al marchese di
S. Tommaso il 26 j^iugno 1664, mazzo 13".
(2) Corrisp. ecc. Lettera del Piigliore al Duca in data del 13 settembre 1664, mazzo 9".
(3) /ir/., Lettera deJ^o stesso allo stesso del 30 agosto 1664, mazzo 9°.
{4) Id., Lettere dello stesso allo stesso del 6 e 13 settembre 1664, mazzo 9".
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA
[ìresumersi, rispecchiavano i suoi sentimenti: il 9 settembre i66_i, assente
l'ambasciatore, cacciavano brutalmente dalle vicinanze del Palazzo alcuni
sbirri veneti; e che la lor tracotanza, anziché essere redarguita, trovasse ap-
provazioni, appare dal fatto che alcuni giorni dopo essi erano sopra ad un
povero Zaffo, sedutosi inavvedutamente sotto l'arma del IMinistro, e lo ri-
ducevano in fin di vitcL. ].a Serenissima non mancava di prendere la difesa
dei suoi agenti, ponendo al 1)ando i filmigli del Conte, od assegnando grcjsse
taglie a chi fosse riuscito ad arrestarli e consegnarli alla giustizia, e se il
Duca a tutta prima, basandosi sugli scritti del Bigliore, pareva disposto a
sostenere i suoi adepti approvando i loro atti (1), non tcirdava a ravvedersi
ed a far le scuse alla Republica. Ne rimaneva male il conte di Luserna,
che comprendeva essersi resa inopportuna la sua permcinenza a Venezia e
ripetutamente pregava il Duca di richiamarlo. Pur troppo il Duca non po-
teva accontentarlo essendo immense le spese d'insediamento degli ambascia-
tori e conservandosi poco florido l'erario piemontese.
Fedele alla sua dichiarazione di non venire in aiuto della Republica,
insino a che essa non gli avesse fatto nel campo diplomatico qualche con-
cessione, Carlo Emanuele II lasciava insoddisfatte le istanze, che gli faceva
il Conte di Luserna, perchè inviasse alla Serenissima nuove truppe. Ed a
ritenerlo dal soddisfare a queste istanze, oltre le sue speciali aspirazioni su
Cipro, non v'ha dubbio che contribuissero le querimonie che a lui rivolge-
vano tuttavia i suoi ufficiali. 11 colonnello Arborio, ricevuto dal Senato Ve-
neto una piccola indennità, due mila ducati appena, da bravo e buon co-
mandante, s'era affrettato a partire per l'Oriente per impedire agli ufficiali
subalterni di licenziarsi in causa dei mali trattamenti (2), e giunto all'isola
di Paros, così scriveva al Principe suo il 26 novembre (3) : « De truppe tro-
« vansi in buono stato, essendo le migliori, siccome viene universalmente
« giudicato; ma continuano ad essere mal trattate: cinque compagnie, divise
« dalle altre, furono mandate in Candia, e fu imprigionato il sergente mag-
« giore Alessandro Cominges per il sospetto, non confermato dal processo,
« d'aver ferito in un incontro il tenente colonnello IMonti ». Da questo stralcio
di lettera si apprende che le truppe del Duca, non solo erano pregevoli e
degne di qualche riguardo, ma addirittura eccellevano su tutte le altre :
sarà quindi con maggior riprovazione che si rileverà che i maltrattamenti
inflitti ad esse si sping'essero al punto di imprigionare per un semplice
dubbio uno dei capi più ragguardevoli, al qual fatto se ne può aggiungere
un altro non meno riprovevole, quello di destinare al remo, col pretesto
di non poterlo riconoscere, un ufficiale che era scampato all'ammutinamento
della nave S. Simeone, e con stenti immensi s'era diretto a Venezia (4). Tale
condotta meritava serie rimostranze, ed il Duca non tralasciava di farle. Non
solo egli rifiutava nuove truppe, asserendo di non poterle concedere a causa
delle ultime levate per la Germania, non solo rifiutava le stesse levate che
la Germania, fatta pace coi Turchi, respingeva; ma inoltre faceva scrivere
(i) Corrisp. ecc., Lettera del Duca al lìiijliore in data del 27 settembre 1664, ma/zo 13".
(2) Id. Id., Lettera dell'Arborio al Duca in data del 6 settembre 1664, mazzo 66".
(3) /(/. Id., mazzo 660.
(4) hi. Id., Lettera scritta dal Migliore al Duca il 1" novembre 1664, mazzo 9".
Mise, s. Ili, T. xui.
34 LUIGI DALMASSO
dal Pianezza al Bigliorc (i) che era determinato a richiamare i suoi due
reggimenti, qualora essi non fossero mandati subito in Dalmazia e conve-
nientemente trattati. Doveva però recedere dal dar atto alla sua minaccia e
mostrarsi nuovamente propenso verso la Republica.
Aveva acquistato fama di valente generale, durante la lunga guerra
combattutasi tra la Spagna e la Francia, il marchese Villa, generale della
cavalleria del Duca di Savoia e luogotenente generale dell'armata di S. !M.
Cristianissima, e, finita quella guerra, l' opera sua era stata ricercata dal
Senato Veneto colla missione di Ippolito Marufiì, che fiiceva al Villa vive
istanze, perchè cooperasse coll'Almerico al buon esito della spedizione fran-
cese in Candia. Il Villa sollecitava da Carlo Emanuele II e da Luigi XIV il
permesso di aderire a tali istanze, e Luigi XIV il 22 marzo 1660 gli scri-
veva da 'Aix elogiando moltissimo il « disegno generoso di impiegare il suo
« valore e la sua attività a servire la Republica, allora che la pace tra la
« Francia e la Spagna gli levava il modo d' impiegarli al servizio della co-
v; rona francese ». Il IMazarini poi con lettera del io marzo, spedita pure da
Aix, gli concedeva a nome del Re v. di condur seco il Reggimento di
'< fanteria e quello di cavalleria alloggiati sotto il suo nome nel Delfinato e
« insieme di fare qualche levata ;, e con lettera del 30 marzo, proveniente
da Avignone, gii prometteva <-. una gratificazione per aiutarlo a mettersi in
«equipaggio ». Per l'urgenza di qualche affare, siccome asserisce il suo
segretario particolare (ìiovan Ikittista Rostagno , nel libro <; Viaggi in
Dalmazia ed in Levante dell'Ecc'"" .Signor (ihiron Francesco Villa, marchese
di Cigliano e Volpiano, conte di Camerano q cavaliere dell'Annunziata :» (2)
ovvero per volontà del Duca di Savoia, siccome fa presumere la poca sod-
disfazione avuta da quest'ultimo col trattato dei Pirinei, che aveva lasciata
insoluta la questione del Monferrato e di conseguenza lo obligava a pro-
trarre la guerra col Duca di Mantova, egli non poteva in seguito assentarsi
dal Piemonte, e con lui rimanevano in Occidente il Reggimento di fan-
teria e quello di cavalleria, che egli comandava in Francia. Così avveniva
che il numero dei Francesi andati a Candia nel 1660 fu di tremila an-
ziché di quattromila.
Niente faceva presumere che il Villa sarebbe ancora interessato dal
Senato Veneto a partecipare alla guerra di Candia, quantunque il Duca di
Savoia, siccome s'è vist(j nel cap. IV^, nel 1662 mostrasse d'esser disposto
ad accordargli la sua licenza. j\Ia nello scorcio dell'anno 1664, recatosi egli
a l^arigi quale ambasciatore straordinario del Duca, era da Alvise Grimani
invitato ad assumere addirittura il comando delle armi venete. Anche questa
volta egli avvertiva il Re di Francia ed il Duca di Savoia dell'invito, do-
mandando loro il permesso di accettarlo; e Luigi XIV, pur mostrando il suo
gradimento per la <; nuova » e la sua fiducia che : un'elezione sì degna
^< producesse delli avvantaggi considerabili per la Cristianità » (3), più non
(1) Corrisfy. ecc.. Lettera del 4 ottobre 1664, mazzo 11".
(2) Questo liliro, oltre le lettere ora menzionate, comprende tutti i servigi prestati dal
Villa alia Republica Veneta, di moiio che supplisce a sulficienza al diario che il Claretta
vorrebbe ricostituito coll'epistolario del Villa, conservato nell'Archivio di Stato di Torino.
(3) Lettera del 3 aprile 1665 scritta a Parigi e riportata dal Rostagno.
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CAXDIA 35
disponeva perchè con lui partissero soldati francesi, né altrimenti lo favo-
riva ; mentre Carlo Emanuele II accordava il suo consenso ed inoltre faceva
noto all'ambasciatore veneto Catterino Belegno che avrebbe mantenuto a
sue spese i due reggimenti piemontesi al loro arrivo in Dalmazia (i), e pro-
muoveva fra la nobiltà del suo regno un sacro ardore per la guerra contro
il Turco, dimodoché, al momento di lasciar Torino, il marchese Villa aveva
attorno a sé un'eletta schiera di cavalieri.
Traevano Carlo Emanuele II a questo nuovo atto di generosità verso
la Republica vari motivi : anzitutto la tranquillità che da qualche tempo
allietava il suo stato e gli permetteva di privarsi del suo primo generale,
in secondo luogo il suo spirito inclinato ad imprese gloriose, per ultimo la
sua persuasione che il marchese Villa compiesse qualche fatto insigne, che
rendesse g-rande la sua influenza presso il Senato. Costui in certo qual modo
andava ad assumere il comando supremo delle armi venete, giacché era sta-
bilito che non avrebbe avuto altra dipendenza che quella del Capitan Gene-
rale, militando in armata, e del Provveditore Generale in Dahnazia, militando
in quella provincia (2), dipendenza che a suo avviso doveva essere più am-
ministrativa che militare, quindi tutto suo sarebbe stato il merito delle vit-
torie che si sarebbero riportate, ed il Senato, a causa di esso, sarebbe stato
largo di favori verso il Duca, né v'era dubbio che il Villa si sarebbe ado-
prato per procurargli questi favori, poiché, ferrarese di nascita, egli teneva
le migliori fortune e d'averi e d'impieghi alla Corte di Torino.
La generosità di Carlo Emanuele II trovò a Venezia molto favore, per
cui era possibile al conte Bigliore concertare col Senato nuova principii ri-
guardo all'amministrazione della giustizia sopra i soldati piemontesi, ed un
lieve beneficio ne riportavano eziandio gli ufficiali piemontesi : il maggiore
Cominges ricuperava la libertà, Profitio Torre riceveva mille cento e quat-
tordici ducati e poteva raggiungere il suo reggimento; in seguito avevano
qualche compenso anche gli altri ufficiali. Xon é a dire però che questi
provvedimenti non si facessero desiderare a lungo ed ardentemente : molte
sono le lettere del Bigliore, del Pianezza e del Duca, che lamentano per lungo
tempo ancora la lentezza della Republica nel togliere dalle pene coloro
che l'avevano servita e continuavano a servirla. Fra esse sono da menzio-
nare quelle del Bigliore colla data del 14 marzo e del ro aprile 1665 (3), in
cui è ritratta la triste esistenza del capitano Ceola, fermo, senza mezzi di sus-
sistenza, nell'isola di Cerigo con tutta la sua compagnia di corazze.' Intanto
a Tripoli traeva i suoi giorni nella schiavitù il capitano La F.oubera, e la
Republica non pensava punto a riscattarlo. Questo compito doveva assu-
merselo il fratello stesso di La Loubera, capitano anch' egli nelle truppe
piemontesi (4).
(i) Corrisp. ecc.. Lettera del Duca al Bigliore in data del 14 febbraio 1665, mazzo 13».
(2) Cfr. Ducale veneta del 15 aprile r665, pubblicata da G. R. Rostagno.
(3) Corrisp. ecc., mazzo 9''"*.
(4) Cfr. ordine dato da Carlo Eman. Il il 28 maggio 1665 ai generali Veadore e Conta-
dorè (Sez. IV dell'Arch. di Torino) di lasciar partire per Tripoli il capitano La Loubera che
intendeva di provvedere per proprio conto al riscatto del fratello.
30 LUIGI DALMASSO
Capitolo VI.
Il marcliesc Villa in I^alinazia ed in Levante. — Riorilinainento tlell'armata. — Contingente
delle forze apprestate dal Piemonte ed epoca in cui fur apprestate. — Dissensi tra il
Villa e gli altri comandanti. — Propositi del Duca di Savoia riguardo all'isola di Cipro.
vSotto gli auspici della Gran Madre di Dio, il 25 marzo 1665, il marchese
Villa partiva da Torino, accompagnato dal marchese Francesco Villa, suo
cugino, dal capitano Benedetto Lagnasco, suo nipote, dal conte Luigi Saluzzo
di Monterosso e da Bernardino Baretta Monforte, tutti e quattro suoi capi-
tani personali, da Francesco Giovanni Pusterla ed Alessandro De Negri,
aiutanti generali, dall'ingegnere Giovanni Gerolamo Quadruplani, da venti
ufficiali riformati e dai volontari conte di Brusasco, Amedeo del Pozzo,
capitano Francesco Bay e capitano Giovanni Amedeo Asinari : seguito
imponente di cavalieri insigni, che con slancio ammirabile rinunziavano
agli splendori della lor casta, e delle giovani lor vite facevano olocausto
per la grandezza della Ropublica Veneta e per il trionfo della religione
cristiana.
TI giorno 8 aprile il Villa ora a Venezia e, ricevuto solennemente in
Senato, mostrava il suo grato animo per essere stato eletto « fra molti più
« cospicui soggetti ad un imjoiego tanto onorato da famosissimi predeces-
« sori e tanto onorevole per se stesso », con un discorso che tralascieremo
di riportare come quello che si conviene, più che ad una dissertazione sto-
rica, ad una dissertazione letteraria, costituendo un rimarchevole saggio dello
stile stranamente fiorito e cervellotico del seicento. Basti dire che in essi il
Villa « ardisce farsi presago di dover vedere non solamente dal Corno Veneto
<; rinversate un'altra volta nel Mare le minacciose Corna di quel volubile
« Pianeta dell'Ottomano, ma reintegrati quei gloriosi acquisti che resero il
« nome veneto assai più chiaro del Sole in Oriente », e reputa Provvidenza
divina la sua elezione, in quanto che suo proavo Alfonso Villa s'era trovato
alla battaglia di Lepanto, e suo avo Francesco, non che suo padre Guido
<■; consacrato avrebl^ero le loro destre all'Impero Veneto, se l'incomparabile
« equità della Serenissima Republica non avesse approvato che l'uno, rite-
« nuto dal Pontefice suo signore diretto col Generalato dell' artiglieria di
« Santa Chiesa, preferisse il debito naturale al volontario, e l'altro, essendo
<; ritenuto dall'invittissimo Carlo Emanuele suo signore per le guerre soprav-
« venute al Piemonte, giudicasse servizio del Senato il servizio di un Prin-
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CAXDIA 37
« cipe confederato, figliuolo della Republica... » (i). Giova però ricordare
a suo onore che fin d'allora egli raccomandava « il numero e la qualità
« delle truppe e la copia delle provvigioni che sono i nervi dell'esercito, in
« modo che i mezzi corrispondessero agli alti fini », Per quanto grandi gli
sforzi della Republica nel mettere assieme molti soldati e provvedere ai
loro bisogni, essi non corrisposero mai alle richieste dei Comandanti, i quali,
non che essere in grado di attaccare il nemico, poterono a stento resistere
ad esso, ed è merito insigne del Villa aver preteso ed ottenuto un esercito
rilevante, il più rilevante che fino allora fosse stato inviato a Candia.
Xel maggio successivo, mentre a Torino si festeggiava il nuovo matri-
monio di Carlo Emanuele II con Giovanna Battista di Savoia-Xemours, il
marchese Villa, munito di patenti che lo creavano generale della fanteria
con imperio sugli altri generali di cavalleria e di artiglieria, andava in
Dalmazia, ed a Spalato era ricevuto con gran pompa e deferenza dal prov-
veditore generale Caterino Cornaro. Visitava quindi quasi tutte le piazze,
e dovunque dava gli ordini opportuni per la difesa necessaria in ogni
evento. Ma si veniva a sapere che il Gran Visir aveva stimato pericoloso
e poco proficuo indugiare nella Dalmazia sterile e ben fortificata, e senz'altro
se n'era ritornato a Costantinopoli. Svanito pertanto il timore d'un attacco
in Dalmazia, il Senato Veneto ritornava al suo primitivo proposito d' intra-
prendere una guerra offensiva nell'isola di Candia, dove i Turchi per il male
contaggioso erano ridotti a dieci mila, e g'ii indigeni mostravano gran de-
siderio di espellerli. Il 27 luglio esso richiamava a Venezia il marchese Villa,
e con lui concertava una sollecita spedizione in Candia, essendo giunto av-
viso che anche i Turchi stavano facendo grandi armamenti collo stesso intento
di restare i soli padroni dell'isola. Fu stabilito di porre agli ordini del Villa
un forte esercito comprendente mille cavalieri, tre mila fanti di Venezia, tre
mila della Dalmazia, tre mila dell'armata e mille di Candia. Il Villa si por-
tava a Treviso, a Vicenza ed a Verona per la scelta delle truppe, poscia
prendeva coinmiato dal Senato con un discorso non meno reboante di quello
sopra menzionato, ed il 3 ottobre, spedita una lettera piena di entusiasmo
al Duca, andava a riverire la Madonna di E.oreto, accompagnato da Monsieu
ed Espini, oltre tutti i cavalieri componenti il suo seguito, compreso il conte
di Monterosso, che, pur chiamato da urgenti interessi in patria, preferiva
la via del sacrifizio a quella del dovere. Deg'li ufficiali appartenenti ai due
reggimenti piemontesi che militavano in Oriente, rimanevano in Italia La
Cerverie, Charboneau e Teautier. Quest'ultimo pareva disposto a ritornare
egli pure in Oriente, giacché il Pianezza nella sua lettera al Bigliore del
20 dicembre 1665 (2) scriveva che pii^i non accennava a rinunziare alla sua
compagnia, anzi desiderava un avanzamento per la morte del Monti; ma per
quanto risulta dai documenti, che si possono consultare, né egli, nò La Cer-
verie, né Charboneau raggiunsero il loro reggimento, ed il marchese Villa,
il 31 dicembre scrivendo al Duca (3), proponeva la nomina del tenente Recco
(i) Si può aver visione dell'intiero discorso nel libro del Rostagno più volte ricordato.
(2) Corrisp. ecc., mazzo 11".
(3) Id., mazzo io".
38 LUIGI DALMASSO
in luogo di Leautier, e domandava istruzioni per la sostituzione di La Cerverie
e di Charboneau.
La visita del marchese Villa al celebre Santuario di Increto era appresa
con gioia dal Sommo Pontefice, che il 17 ottobre rivolgeva al generale un
breve cordialissimo (i), lodandolo di aver voluto « iter in Orientem adornans
« Laurctanam Domum inviserc ac piorum conatum exordia a Sanctissimae
« Virginis veneratione auspicare ». Alessandro VII prometteva intanto alla
Republica le sue galere, mentre il (xranduca di Toscana le prometteva
400 fanti perchè servissero in Dalmazia, il Re di Francia le mandava 100 mila
scudi, l'Elettore di Baviera le concedeva 1500 fanti, e 400 glie ne concedeva
l'Imperatore oltre la levata di due reggimenti. Con questi aiuti esigui, dei
quali i primi due non le perveniv'ano che molto tempo dopo, la Serenissima
si accingeva alla più ardimentosa impresa, qual era quella di affrontare il
Turco in unV])oca in cui, libero da ogni cura, esso poteva disporre di tutte
le sue forze immense e terribili. 11 Ballarino l'avverte che il Gran Visir si
dispone a passare in persona a Candia, ma essa non si sgomenta, e non
cede alle insistenze che dal suo ambasciatore le vengono fatte, perchè ab-
bandoni il proposito di far guerra ed accetti la divisione del regno di Candia,
che il Turco, impressionato dai suoi armamenti, s' induce finalmente ad ac-
cordarle mediante la rinunzia da parte sua alla fortezza di Suda. Tanto coraggio
commuove il mondo cristiano, ed innumerevoli versi sono composti in onore
del V-^illa, su cui da questo momento si concentrano le speranze di coloro
che nel l'ureo non vedono egoisticamente il mezzo di abbattere o menomare
le potenze rivali, ma giustamente riconoscono in esso il peggiore nemico
del progresso e della libertà, e contro esso vorrebbero rivolte le ostilità di
tutte le nazioni civili. Ricorderemo fra i versi dedicati al Villa, l'ode re-
citatagli in casa dello zio marchese Giovanni, governatore d'Ancona, ed i
tre sonetti presentatigli da I. De Band a nome di Creta, di Venezia e delle
milizie di Candia (2). In tutti è espressa la più alta ammirazione per il suo
valore, la sua esperienza ed il suo tatto, e la convinzione che dalla sua ele-
zione al comando delle armi venete si debbano attendere copiosi frutti. Ma
pur troppo egli non poteva esplicare le sue doti in causa delle opposizioni
fattegli dagli altri comandanti, e la, sua opera, che aveva ottimi principii,
lini va per riuscire stenle.
Il marchese Villa proseguiva prontamente il suo viaggio per il Levante
con soddisfazione del Senato Veneto (3), ed a Zante era raggiunto dal tenente
colonnello Torre, che gli dava ottime notizie dei due reggimenti piemontesi,
forti ancora di 700 uomini circa (4). Mentre stava colà attendendo ordini dal
Capitan Generale, molti aiuti pervenivano ai Turchi, i quali cercavano conr
temporaneamente di accattivarsi l'animo dei Cantlioti rinunziando quasi to-
talmente alle imposte, e ben tredici vascelli sbarcavano a Canea mille gian-
(i) Anch'esso fu pubblicato dal Rostaj^no.
(2) Pubblicati tutti dal Rosta.2:uo.
(3) Ducale del 16. ottobre 1665, pubblicata dal Rostasno.
(4) Corn'sp. ecc., Lettera scritta dal Villa al Duca il 2t novembre 1665, mazzo io".
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA
39
nizzeri e seicento misscrlini, senza che il Capitano delle navi Marco Loredano
riuscisse a fermarli. Costui toglieva sulle sue navi il Villa, e lo portava al-
l'isola di Paros, dove il 6 dicembre era ricevuto e complimentato dal capitan
generale, Andrea Cornaro, e dal tenente generale dell'artiglieria, signor L.Vert-
miller. Tosto egli dava opera al riordinamento dell'armata, che divideva in
cinque brigate ponendole rispettivamente agli ordini dei colonnelli baron De
Freishem, Sagramosa, Arborio, conte Martimoni, liuttis e Motta. (ìli studiosi
dell'arte militare avran modo di osservare questo riordinamento sul libro
del Rostagno già citato : noi ricorderemo solamente che ebbe il plauso del
Senato Veneto (i), e che della brigata Arborio, oltre il reggimento Pietro
Antonio Furietti, comandato dal tenente colonnello Chasteaunef, ed un altro
reggimento composto di tre compagnie franche sottostanti ai capitani Ven-
turini, Lignon e Umberti, facevano parte i due reggimenti piemontesi, co-
mandati dal tenente colonnello Profitio Torre e dal sergente maggiore Di
Cominges, così disposti :
I. — Reggimento Ersan o La Cerverie.
Coiiibatt. effettivi Ruolo
Colonnello Ersan o Pa Cerverie 36 44
Tenente CoP Profitio Torre 44 51
Compagnia Charboneau 37 41
» Bronzo 42 47
Capitano Valentino Torre 40 44
Compagnie Baron Di Valesa 36 41
Capitano Re 38 46
Totale .... 17^ '^
IL
Reggimento Arborio.
Colonnello Arborio .
Tenente CoP Monti . .
Sergte Magg. Cominges
Capitano Trinques .
» La Loubera
» Patriarca .
» Pasqual . .
» Caccia .
Totale
»
Totale
Combatt. effettivi
Ruolo
42
48
37
43
38
45
38
44
35
39
32
41
38
4Ò
37
43
297
349
273
314
570
663
(i) Ducale del 4 febbraio 1666, pubblicata dal Rostagno.
40 LUIGI DALMASSO
Questo quadro, confrontato con un altro spedito al Duca il io die. 1667 (i)'
in cui i soldati picMuontesi, tra j^raduati, suìjalterni, foriti ed ammalati, rag--
giungono appena il numero di 500, ci dà modo di constatare quanto sia
erronea l'affermazione del Valiero assegnante al Duca il merito d'aver fatto
nel 16ÒÒ una recluta di 500 fanti per rinforzare tali reggimenti, giacche per
tutto l'anno i66ó e l'anno 1667,00! libro del I^lostagno e le lettere del Villa,
è possibile enumerare quasi ad una ad una le perdite dei due reggimenti,
e si può assicurare che esse non eccedettero la differenza che passa tra i
soldati che troviamo alla fine del 1665 e quelli che eranvi alla fine del 1667.
Lo stesso Valiero, che fu provveditore g-enerale delle isole Ionie, e che
nel 1667 era stato scelto a sostituire il (riavarina ed il Padavino, uccisi dal
(xran Visir, afferma che c|uesti diu^ reggimenti passarono al servizio della
Republica una volta seguito l'aggiustamento tra Venezia ed il Piemonte (2),
mentre g-ià si è dimostrato che essi stavano al servizio della Repubblica fin
dal 1660. Il (^laretta poi viene addirittura a dirci che essi furono spediti dal
Duca a Candia insieme al marchese Villa (3), mentre il Villa scrive al Duca,
prima da Venezia, il 14 aprile 1665, poscia da Spalato, il 29 giugno, che nulla
sa sul conto hn-o; finalmente da Zanl(>, il 21 novembre, annunzia d'aver
ap]ireso dal iorre ottime notizie di essi, e solo a Paro, il 31 dicembre, può
riferire d'averli trovati (4). Nò si può credere che i reg-gimenti, a cui ac-
cenna il Claretta, siano diversi dai due comandati dall'Arborio e dal Torre,
in quanto che, scorrendo tutte le lettere del Duca, quelle del Bigliore e
([nelle del Villa, non ne troviamo menzionati altri. E se il Claretta allude
sem])licomentc ai rinforzi, gli si obbietterà che il (piadro sopra riportato cor-
risponde perfettamente alle lettere dell'Arborio e del Villa, che facevano
ascendere a 700 circa il numero dei soldati piemontesi alla fine dell'anno 1664
e durante tutto il 1665, mentre con qualche altro rinforzo tale numero
avrebbe dovuto visibilmente aumentare, cosicché si può concludere che
nessun altro soldato partisse col Villa da Torino all'infuori dei cavalieri co-
stituenti il suo seguito e della gente addetta al loro servizio. Valga quanto
s'è detto per confutare egualmente l'asserzione del Biggc (5), che il Duca di
Savoia inviasse a Candia nel 1666 un battaglione di 500 uomini. Il Duca però,
se non inviava altri soldati, il 12 g-ennaio i6ó6 dava ordine ai banchieri
Comesi e Ressanio di Venezia di rimettere le 669 doppie (14 mila lire circa),
depositate dal marchese Villa, al Savio della Scrittura, signor Barbarigo
perchè le mandasse in Levante assieme ad altro denaro da lui inviatogli
per completare la paga dei suoi due reggimenti per la durata di sei mesi,
e questa paga egli era indotto a sborsare, quantunque non fosse avvenuto
il passaggio dei suoi soldati in Dalmazia, avendo constatato la necessità della
loro permanenza in Oriente. Prima dei denari erano spedite in Levante le
(i) Compreso fra le leUere del Villa. Corrisp. Cci.^ mazzo io".
(2) La ^i^iicrra di Candia, cap. VII.
(3) // rci^fio di Carlo Jìmanuclc II.
(4) Corrisp. ecc., LeUere del marchese Villa, mazzo io".
(5) /(/. Id. Lettera del Duca al Bigliore, mazzo ro».
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA 41
bandiere ducali colla croce bianca, e questo distintivo adottato solo allora
dai due reggimenti piemontesi (i), unito al fatto che molte istanze erano
state rivolte al Duca perchè facesse nuove levate per rinforzare i due reg-
gimenti, forse fu causa dell'errore in cui furono tratti il Claretta ed il Rigge.
Risultò dal riordinamento dell'armata che la fanteria era effettivamente
composta di 7728 uomini (in ruolo 9076; e la cavalieria di 860 (in ruolo 956);
ma dovevano giungere ancora Lorenzo Cornerò dalla Dalmazia con 800 fanti
e Da Molin da Smirne con 600 fanti. Il 6 gennaio, giunti costoro, le truppe
furono imbarcate; però a causa dell'imperversare dello scirocco, che impe-
diva lo sbarco a Candia, dovettero fermarsi prima in Antiparo, poscia in
Argentiera, mentre i Turchi sbarcavano a Candia altri 1500 gianizzeri e io
pezzi di artiglieria. ]1 marchese Villa proponeva « che si godesse il favore
« del tempo anche contrario, all'intento di lasciarsi portare a seconda del vento
« in alcuna delle isole doviziose del Turco per ristaurare le truppe ed evi-
« tare li discapiti e patimenti che facevano infermare molti capi e soldati e
« morire la maggior parte degli ammalati, che sopra le due navi, scelte a ser-
« vire d'ospedale, seguivano l'armata, parendo al marchese suddetto che, ben
« lungi d'impedire l'impresa progettata a tentarsi nel regno di Candia, poteva
« questa scorsa facilitare, ingelosendo il nemico in altre parti ; ma la puntua-
« lità del signor Capitan Generale in non contravvenire, nemmeno per ombra,
« agli ordini che diceva tenere da Sua Serenità di non operare se non in
« regno di Candia, non lasciò al detto signor marchese Villa rinnovare in
« questo fatto premure » (2). Così principiava il nostro Generale il periodo
di azione: i suoi disegni trovavano subito un ostacolo, altri ostacoli trovavano
in seguito e, quel che è peggio, essi non partivano dal solo Capitan Gene-
rale: i mali lamentati dall'anonimo scrittore degli avvenimenti di Candia, al
tempo dello sbarco del principe Almerico d'Este (3), non erano scomparsi;
anche allora ogni Comandante voleva fare e faceva il Generale. Non è da
stupirsi quindi che il Villa non riuscisse a compiere imprese importanti.
Da Argentiera il marchese Villa scrivendo al Duca il 6 febbraio 1666 (4),
dava ottime notizie dei due reggimenti piemontesi e, con iscritto cifrato ac-
cennava all'opportunità di togliere Cipro al Turco col consenso del .Senato
Veneto. Lo scritto presuppone una segreta intesa fra il Duca ed il suo Ge-
nerale per concertare il modo d'impossessarsi dell'isola così cara alla casa
Savoia, e per esso resterà fuor di dubbio il proposito attribuito al Duca, di
far valere le sue ragioni sopra quell'isola. 11 Claretta, nella biografia che ci
dà del marchese Villa, afferma che anche il Duca, in lettere cifrate, intrat-
teneva il Villa sui disegni che aveva ideato riguardo a Cipro, e lo stupore
nostro nel vedere che egli, quasi privo di navi, pensasse a togliere ai Turchi
un'isola così lontana dai suoi Stati, cadrà facilmente quando si pensi che nel
1666, per una insignificante questione di territorio, egli veniva a diverbio
(r) Cfr. la lettera scriUa dalI'Arborio al Duca il 28 aprile t666 e riferente il gaudio delle
truppe piemontesi alla vista delie bandiere. (\>rris/>. ccc.^ mazzo 66".
(2) RosTAGNo, Viaj^iii ecc.
(3) Bernard V, Venezia ed il Turco, cap. IV.
(4) Corrisp. ecc., mazzo io".
6 — Mise, s. HI, 1. xni.
LUIGI DA LM ASSO
con Genova e non voleva saperne di accomodamento, anzi preparava nel-
l'anno seguente una forte armata per passare a vie di fatto. Indubbiamente
Carlo Emanuele TI voleva occupare Genova per servirsene, secondo il con-
cetto di Carlo Emanuele I, come base di operazione militare per giungere
a Cipro. Una volta salito sulle galere genovesi, pronto a sciogliere le vele
per portar guerra al Turco, gli Stati cristiani, non solo avrebbero tollerato
la sottomissione di Genova, ma inoltre avrebbero mandato a lui parte di
quegli aiuti che da tanto tempo davano alla Republica Veneta; e mentre
questa si sarebbe sforz^ita per ritenere il possesso di Candia, a lui sarebbe
riuscito facile impadronirsi di Cipro, che i Turchi non avrebbero potuto op-
porgli gravi ostacoli, e per conto loro i Ciprioti desideravano tuttodì di
abbattere l'aborrito giogo ottomano.
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA 43
Capitolo \'II.
Sbarco a Suda. — Accampamento delle truppe di fronte a Candia. — Loro peregrinazioni
per l'Arcipelago. — Disgusto del Marchese Villa e del Duca di Savoia. — Ostacoli fatti
al rimpatrio del Villa.
Il 14 febbraio l'armata veneta entrava nel porto di Suda coll'intenzione
di espugnare Canea, il 26 procedeva allo sbarco ed il 28 dello stesso mese
avveniva uno scontro tra parte di essa e la guarnigione di Canea. Il tenente
generale Vertmiller riceveva ordine di avanzare con 600 fanti e 180 cavalieri
per assicurare le ciurme che facevano legna, e S7ia spoiite inseguiva un ma-
nipolo di Turchi che lo traeva fin presso Canea, dove, assalito dal presidio,
perdeva 300 uomini, tra cui il capitano Patriarca e 59 soldati piemontesi (i).
Questo incidente, unito a quello delle incessanti pioggie che infastidivano le
truppe ed impedivano ai Cristiani di arrestare i Turchi, che da Retimo e da
Candia si recavano a Canea, faceva prendere al Villa la deliberazione di partire.
Però egli avrebbe voluto condurre l'armata a vSpinalonga per accamparsi
senza rischio e con comodo in qualche valle ubertosa, ed intanto accrescere
l'esercito di buon numero di regnicoli ed inferire ai nemici qualche danno,
quindi dirigersi o per terra o per mare verso Candia nuova e magari ritor-
nare a Canea; altri invece voleva che si cercasse di conquistar Scio per
distogliere il Gran Visir, che già si trovava in jMorea, dal passare nell'isola;
e prevalse il parere del Vertmiller che, all'espugnazione di qualche isola,
anteponeva, per gli utili che dovevano derivarne, la distruzione del campo
turco.
Il 3 marzo le truppe erano di nuovo imbarcate, ed il giorno 1 1 erano
accolte dal provveditore generale Antonio Friuli in Candia, dove poco dopo
giungevano eziandio il provveditore d'armata Pesaro ed il capitan generale
Cornare. Il 12 aprile, nei fossi della cittcà, verso la parte del Panigrà, si pas-
sava in rivista la cavalleria la quale, assalita furiosamente dai nemici, era
costretta a ritirarsi in disordine. Il 19 poi tutto l'esercito, composto di 650
cavalieri e di 6000 fanti, oltre 1300 uomini della Piazza, prendeva posto fra
la città e la valle del fiume Gioffiro, e si schierava parte di fronte a Candia
nuova, parte verso la valle del Giofiìro e parte lungo la linea del mare. I
due reggimenti piemontesi, insieme a quelli del Preter e del Furietti, stavano
verso la valle agli ordini del colonnello Arborio, e tosto il loro valore era
messo a dura prova.
(i) Corrisp. ecc.. Lettera scritta dal Villa al Duca il 6 marzo 1666, mazzo io".
44
LUIGI DALMASSO
Il mattino del 21 aprile 2000 Turchi facevano impeto sopra 50 fanti cri-
stiani, che si tenevano fuori delle linee presso un mulino a vento, e li costrin-
gevano a ritirarsi lungo la sponda della valle. Qui avveniva una zuffa furiosa,
nella quale avevano il sopravvento i Cristiani che riuscivano a riprendere il
posto primitivo, sorretti dall'artiglieria del forte e dai moschetti del campo.
Verso le venti dello stesso giorno i Turchi cercavano un'altra volta di far
ritirare i nostri, e con più ferocia era rinnovata la zuffa del mattino con
grave danno stavolta dei Turchi, seicento dei quali perdevano la vita. Nel
combattimento del mattino prendevano viva e gloriosa parte 25 moschettieri
del reggimento Arborio comandati dal tenente Della Cerusa, e nel combat-
timento della sera i capitani Re, I.a Toubera e Bronzo colle loro compagnie,
il conte Monterosso, il conte Brusasco e Del Tozzo: trovava la morte il
tenente Della Cerusa (i).
La notizia dei due combattimenti giungeva à Venezia molto alterata : il
5 giugno il Bigliorc scriveva al Duca, suo signore, che addirittura il mar-
chese Villa aveva conquistato Candia nuova, e partecipava al marchese di
S. Tommaso il giubilo dei Veneti per la grande vittoria e la loro gratitudine
verso S. A. R. unica nell'assisterli (2). Ciò dimostra che immensa davvero
era la stima, che si faceva del valore del Villa, e la speranza che su esso si
fondava. Disgraziatamente il Capitan Generale toglieva al Villa 1200 fanti
per armare le navi che dovevano impedire lo sbarco dei Turchi, che da ogni
parte dell'Impero si dirigevano verso l'isola, e così il Villa più non poteva
pensare ad assaltare il campo nemico, tanto più che esso, forte dapprima di
poco più di dieci mila uomini, s'era accresciuto di vari rinforzi sfuggiti alla
sorveglianza delle navi venete divise in tre gruppi, comandati rispettivamente
dal capitano delle navi Girolamo Grimani, dall'almirante Nicolò Beon e dal
Capitano Generale. Non avvenivano quindi che poche scaramuccie per il
taglio del fieno che l'uno e l'altra parte si disputavano, notevole quella del
16 maggio, in cui cadevano 200 Turchi. E, quantunque l'opera del Villa
riuscisse sempre provvida « per le forme prudenti e caute colle quali dirigeva
« le armi e sosteneva a fronte del nemico il decoro delle medesime >:> (3), tut-
tavia egli era avvilito, ed è con rammarico che il 30 maggio scriveva al
Duca che niente d'importante poteva comunicargli, non ostante che vivissimo
fosso sempre stato il suo desiderio di compiere qualche insigne impresa per
non esser nel caso di <; ritornare con rossore in Piemonte ;^ (4). Per conto
loro i due reggimenti piemontesi desideravano di ritornarsene in Italia, po-
tendo ormai formare un solo reggimento (5).
Il i" giugno con grande contentezza dei Turchi e con grande costerna-
zione degli abitanti di Candia, per cui finiva il sollievo che dopo ventidue
anni di assedio avevano goduto, i Cristiani toglievano l'accampamento con-
forme gli ordini del Capitan Generale, a cui stava a cuore farli partecipare
(i) Corrisp. ecc., Lettera scrina dal Villa al Duca il 27 aprile 1666, mazzo io".
(2) Id. id., mazzo 13".
(3) Ducale veneta del 23 ffiusiio 1666, diretta al Villa e pubblicata dal Rostasno.
(4) Corrisp. ecc., mhzzo 10".
(5) Id., Lettera scritta il 2.S aprile i6fi6 dall'Arborio al Duca, mazzo 66".
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CAXDIA 45
all'infruttuosa caccia che egli dava alle navi nemiche. Fatta la rassegna si
trovò che la fanteria, durante i 45 giorni che durò l'accampamento, era solo
diminuita di 166 uomini e la cavalleria di 83 cavalli, compresi i morti d'in-
fermità ed i disertori: viceversa si calcolava che dei Turchi fossero periti
più di due mila. TI Senato Veneto ringraziava il Villa d'aver <; preservate
« colla sua saggia e prudente condotta le Milizie con aumento di coraggio
« e di disciplina >> (i) e, constatata la necessità di nuove forze in causa del-
l'accresciuto numero dei nemici, faceva vive istanze presso tutte le Corti per
avere soccorsi, ma solo dopo dure concessioni fatte al Cardinal Nipote, otte-
neva dal Papa la levata di 500 fanti nelle Marche, un sussidio straordinario
sopra gli ecclesiastici dello Stato Veneto, la promessa di 200 fanti per la
Dalmazia, dove il bassa di Bosnia aveva ripreso le ostilità, e l'elezione del
priore Bichi a generale delle galere. Il generalato però non aveva effetto che
l'anno seguente, e durante quest'anno il grave compito delle galere di INIalta
consisteva nell'accompagnare in Germania, unitamente alle galere di Spagna,
l'Infante divenuta imperatrice. Nessun aiuto apprestava l'Imperatore, nò il
Re di Francia, che si disponeva ad occupare il Brabante e la Franca Contea,
provocando la guerra detta di devoluzione. Gli scarsi risultati delle sue istanze
inducevano il Senato A^eneto a riprendere col Turco le trattative di pace.
Scriveva quindi al Ballarino, il quale non senza contrasto otteneva di por-
tarsi per esse a Larissa presso il Sultano, irritatissimo del tentativo dei Ve-
neti di occupare Canea che, conforme la divisione da essi proposta, doveva
essere dei Turchi. Moriva egli per viaggio, ed il Senato nominava a suo suc-
cessore Girolamo Giavarino: venuto poi a conoscenza della lodevole condotta
del segretario del Ballarino, signor Padavino, senza distruggere la sua ele-
zione, stabiliva che il Giavarino capitando in Oriente si associasse al Pa-
davino.
Frattanto il marchese Villa, insieme ai due reggimenti piemontesi ed al
rimanente dell'armata da lui organizzata, eccetto mille uomini lasciati al
Priuli per rinforzo della guarnigione che doveva difendere la Piazza, pren-
deva imbarco sulle navi venete e, celebrato a Milo la nascita del l*rincipe
ereditario del Piemonte (2), vagava a lungo per l'Arcipelago cercando invano
navi turche da assaltare, e lasciando a Porto d'Antro le spoglie del conte
Del Pozzo e di Costantino Valesa, morti miseramente lontani dai patrii affetti
e dal fragore guerresco. Avrebbe voluto tentare la conquista di qualche
isola; ma secondo il solito il parere degli altri Comandanti gli si mostrava
contrario (3). Quest'opposizione, avvilente e direi quasi sistematica, non po-
teva certo piacere al marchese Villa che, come s'è visto, presumeva d'aver
militarmente una indiscutibile supremazia. S'aggiunga che correvano voci
ingiuriose sul conto suo : a differenza dei precedenti Comandanti egli s'era
astenuto dal cacciare i soldati in una pazza mischia, il cui risultato era sempre
stato un completo eccidio, ed ecco che lo si incolpava d'aver evitato i
(i) Ducale del 24 agosto 1666, pubblicata dal Rostagno.
(2) Corrisp. ecc.. Lettera scritta dal Villa al Duca il 21 lu,2:lio 1666, mazzo io".
(3) Id., Lettera scritta dal l'igliore al Duca il 24 luglio, uiazzo 11".
4b LUIGI DALMASSO
conflitti (i). Disgustato oltre ogni dire egli domandava di ritornare in Italia (2),
reputando finito il suo compito verso la Republica, che l' avea assunto al
suo servizio per due sole campagne (3).
Il Duca, finché sperò che il Senato Veneto, stretto dal bisogno del suo
aiuto, fosse per concedergli le desiderate prerogative, si astenne dal far
pressioni perchè il Villa fosse soddisfatto (4), anzi si mostrò disposto a pa-
gare ancora i due reggimenti piemontesi ormai privi di denaro (5); ma
quando si persuase che nulla avrebbe ottenuto, non ostante che il Bigliore
gli scrivesse che il Senato non aveva tenuto conto delle accuse rivolte al
Villa e gli aveva mandato 45 mila ducati dando ordine al nuovo capitan
generale Francesco Morosini di trattarlo con tutti i riguardi, non ostante
tutto ciò ordinava allo stesso Bigliore di ottenere il natila osta per il ritorno
del Villa, scrivendo a quest'ultimo di non differire la sua partenza (6). E
la determinazione sua non parrà intempestiva quando si pensi che, in cambio
di qualche favore, egli otteneva dalla superba rivale, verso cui era stato
cortese e generoso, fieri affronti. B' ambasciatore veneto non si peritava di
mostrare la sua superiorità sulla Corte di Torino, comparendo in mezzo ad
essa con valletti che tenevano alzata la sua veste (7); all'incontro l'ambascia-
tore suo a Venezia era sottoposto all'avvilimento che accompagna il truffa-
tore per aver cercato d'introdurre di soppiatto in città due anfore di vino;
i soldati piemontesi che militavano in Oriente erano più che mai persegui-
tati (8), e la giustizia sopra essi continuava ad essere amministrata spieta-
tamente ed arbitrariamente da gente veneta, senza riguardo ai loro capi
naturali, di modo che il Villa era obligato ad intervenire in persona per
liberare un soldato piemontese imprigionato dai Veneti (9). Prima però che
il marchese Villa fosse informato del desiderio del Duca a suo riguardo
avvenivano in Oriente importanti avvenimenti.
Sopraggiunto il mese di ottobre, le navi venete si erano ritirate nel porto
di Paro per le opportune riparazioni, ed il Primo Visir, che da tempo si
trovava a Napoli di Romania per regolare l'invio delle truppe turche in
Candia, saputo libero il mare, si era affrettato a passare alla sua volta nel-
l'isola, e tosto aveva chiamato a sé il Padavino incaricandolo di far sapere
alla Serenissima che avrebbe avuto la pace solo rinunziando a tutta l'isola,
e ritenendo per so la sola città di Candia ed un piccolo territorio circostante,
il provveditore generale Andrea l^riuli faceva noto il fatto al Capitan Ge-
nerale, e costui induceva il Villa a ritornare in Candia ed assumere la difesa
della Piazza. 11 19 novembre il marchese Villa metteva piede in essa e,
(i) Conisp. ecc., Lettera del Villa al Duca in data del io settembre, mazzo io".
(2) Id., Lettera del Bigliore al Duca in data del 3 agosto, mazzo 11".
(3) Id., Lettera del Villa al Duca in data del 16 settembre, mazzo io".
(4) Id., Lettera del Duca al Bigliore in data del 3 settembre, mazzo 13".
(5) Id., Lettera del Duca al Bigliore in data del 29 ottobre, mazzo 13".
(6) Id., Lettera del Duca al Bigliore il 13 novembre, mazzo 13".
(7) Id , Lettera del Duca al Bigliore il 14 aprile, mazzo 13".
(8) Id., Lettera del. -Villa al Duca il 6 novembre, mazzo 10".
(9) Id., Lettera del Villa al Duca il 27 settembre, mazzo io".
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA 47
coadiuvato dal cav. Verneda, sopraintendente generale dell'artiglieria e delle
fortificazioni, dava opera a fortificarla, compiendo in 45 giorni vari lavori
fuori ed entro le mura. Incjltre ordinava varie sortite per rovinare le trincee
degli avversari: ad una di queste sortite prendeva parte l'Arborio con due-
cento savoiardi, i quali mettevano in fuga molti Turchi inseguendoli fin entro
i loro accampamenti e, senza spaventarsi del numero stragrande dei nemici
precipitatisi da ogni parte sopra loro, operavano una bella ritirata, lasciando
sul terreno due soli soldati, un caporale ed il tenente Liprandi (1'.
Il Senato Veneto era avvertito e della « prontezza colla quale si portava
« a riveder Candia > e della e sua applicata virtuosa assistenza al mantcni-
« mento della Piazza », e dell'una e dell'altra cosa si mostrava soddisfatto
e grato (2), assicurando che avrebbe dato « ordini molto assoluti », perchè
dovesse « possedere tutte le prerogative della carica e veder ogni buon trat-
« tamento verso ufficiali e soldatesche », e perchè fossero « coi mezzi più
« validi provvedute tutte le occorrenze ». Ma pare che le promesse del Senato
poco corrispondessero ai fatti. TI 19 novembre il Villa annunziava al Duca (3)
le angustie della Piazza, che non riceveva dalla madrepatria i mezzi suffi-
cienti per difendersi, non che le angustie dei due reggimenti piemontesi
incaricati della difesa dell'opera coronata di .Santa ]\Iaria, posta a sud della
città, di fronte al bastione Martinengo. L'8 ed il 19 dicembre parlava ancora
di quelle angustie, e domandava ordini per sé e per i due reggimenti che,
da ben tre mesi, erano di nuovo senza paga (4). In quanto ai rapporti tra il
Villa ed i Comandanti veneti, si facevano sempre peggiori. Il tenente gene-
rale Vertmiller aspirava ad avere la carica del Villa, e non tralasciava occa-
sione per censurare il suo operato (5). L'ii gennaio poi entrava nella Piazza
il nuovo provveditore generale Antonio Barbaro, atteso dal Villa con piacere,
sia per la fama che aveva di valoroso soldato, sia per l'affidamento che dava
la sua energia per una prossima fine di tutti i contrasti avvenuti fino allora
fra i vari capi. Ma costui era autocratico quanto valoroso ed energico, e,
tenendo in non cale le patenti del Villa, che lo creavano capo delle milizie
costituenti il corpo d'armata sbarcato a Suda, pretendeva di sopraintendere
a tutti i soldati che si trovavano nell'assediata città (6).
Ciò non ostante tanto il Villa quanto l'Arborio avevano coscienza del
proprio dovere, ed entrambi scriv^evano al Duca che l'arrivo del Visir li
obligava a restare sul luogo del combattimento (7), Aggiungeva il Villa
che era indotto a restare, anche perdio il Bigliore gli avea comunicato che
il Senato non considerava campagna il tempo da lui trascorso in Dalmazia.
Annunziava infine d'aver mandato a Venezia suo cugino Francesco Villa ed
(i) Corrisp. ecc., Lettera del Villa al Duca in data del 22 gennaio 1667, mazzo io".
(2) Ducali del 29 dicembre r666 e del 29 gennaio 1667, stampate dal Rostagno.
(3) Corrisp. ecc., mazzo io".
(4) Cfr. eziandio la lettera scritta dall'Arborio al Duca il 19 gennaio 1667, Corrisp. ecc.-,
mazzo 66".
(5) Corrisp. ecc., Lettera scritta dal Bigliore al Duca l'ii settembre 1666, mazzo 11".
(6) Id.. Lettera scritta dal Bigliore al Duca il 18 marzo 1667, mazzo 12", non che il
cap. VII della Storia di Candia del Valiero.
(7j Corrisp. ecc., mazzo io" e 66".
48 LUIGI DALMASSO
i capitani Valenza e Bosso a reclamare le paghe ed a sollecitare la spedi-
zione d'una grande quantità di munizioni. Ma verso la fine di gennaio ecco
giungergli da parte del Duca l'ordine di partire. Tosto egli domandava
debita scorta per condursi a Zantc, e, non avendola ottenuta, si recava
ugualmente in quell' isola non senza ripugnanza del Capitan Generale (i).
Colà riceveva lettera del Bigliore, ed apprendeva che il Senato gli aveva
rifiutato recisamente la licenza d'andarsene, e che il Duca propendeva ormai
a lasciarlo in Levante. Scriveva al Duca per avere nuovi e precisi ordini sul
modo di regolarsi; ma poco dopo era raggiunto dal capitan generale Fran-
cesco Morosini, che, confermando quanto aveva scritto il Bigliore e profes-
sando al Villa la più alta stima ed il più grande ossequio, conforme il disposto
del Senato Veneto (2), lo induceva a ritornarsene sul luogo del bisogno.
Il Morosini andava in Oriente « con tanta quantità di denaro, di muni-
« zioni e di milizie da far apparire meravigliose le risorse della Republica (3) »
e questa non sarà certo stata l'ultima ragione per cui il Villa accettava di
riprendere il suo posto, potendo da essa trarre speranza di migliori risultati
per l'opera sua di provetto generale. D'altra parte, se ò vero che gli
uomini grandi esercitano un fascino sulle persone che avvicinano, e senza
sforzo le traggono a far ciò che essi desiderano, non v'ha dubbio che il
marchese Villa fosse avvinto al Morosini « l'ultimo veiìeziano », siccome fu
detto per antonomasia, essendo stato l'ultimo uomo che in se riunisse tutte
le grandi qualità che avevano reso Venezia florida e potente.
(1) Corrisp. ecc.. Lettera scriUa dal X'illa al Duca il 12 febbraio 1667, mazzo io".
(2) /<:/., Lettera scritta dal iìigliore al Duca il 23 ottobre 1666, mazzo 11".
(3) Vamero, S/oria della innerva di Caudia. cap. VIL
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CAXDIA 49
CAPiroLO Vili.
Primordi dell'assedio di Candia sotto la direzione di Maiiomed Coprili. — Scarso concorso
degli Stati cristiani agli sforzi della Kcpuhlica durante la campagna dell'anno 1667.
I\rentrc Francesco Morosini, col capitano delle navi Girolamo Grimani e
co] capitano dello galeazze Alessandro Molino, applicava tutto il suo ardore
nell'impedire che giungessero all'isola i grandi armamenti che da tutto l'im-
pero ottomano venivano spediti, Francesco Villa rientrava in ("andia senza
onori e cerimonie di sorta, e trovava molto fermento fra i soldati piemontesi,
volendosi mandare a morte uno di loro senza precedente cognizione di causa
da parte dei propri comandanti. Come si vede, non inaugurava troppo bene
il suo ritorno avvenuto 1*8 aprile; se non che gli ordini che teneva il Ca-
pitan Generale di far rispettare il Villa, erano davvero assoluti, e fin dal
25 aprile questi poteva scrivere con compiacenza al Duca che viveva in
buona compagnia col Barbaro ed, insieme ai due reggimenti piemontesi, era
da tutti onorato (i). E tale era veramente, in primo luogo dal Senato Veneto,
il quale colla ducale del 2 marzo già gli aveva mostrato « la propria sod-
« disfazione per gli impieghi della decorsa campagna > oltre « la confidenza
« che le zelanti sue applicazioni e gli stimoli generosi avessero a rendere
« celebre con felice esito il suo valore :, ed ora si mostrava « oltre modo
« grato nel vedere che si conservasse alla Piazza il suo valore ed espe-
« rienza i> (2).
Alla lor volta le truppe piemontesi ricevevano la dovuta giustizia e
((ualche paga: due mila reali erano stati consegnati per esse da Andrea
Cornare al Villa (3), ed il Bigliore mandava al Duca il 9 aprile (_i) un lungo
elenco delle somme ballottate dal Senato a fiivore dei vari Comandanti
piemontesi, aggiungendo che il tenente colonnello Torre ed il capitano Bosso
sarebbero subito ripartiti per l'Oriente. Il povero ambasciatore si dava inoltre
(i) Corrisp. ecc., mazzo io".
(2) Ducale del 29 aprile, stampata dal Rostagno.
(3) Corrisp. ecc., Lettera scritta dal Villa al Duca il 14 marzo, mazzo io".
(4) /rf., mazzo 12".
7 — Mise, s. ni, T. XIII,
50 LUIGI DALMASSO
molta pena per dimostrare al Duca che eg-li non era stato causa del ritorno
del Villa in Candia (i); ma il Duca tagliava corto ad ogni recriminazione,
mandando il suo consenso perchè il Villa ed i due reggimenti piemontesi
restassero al servizio della Kepublica fino a tutto ottobre, in modo da com-
piere le due campagne che erano nel concetto del Senato Veneto, e recla-
mando una ducale che accertasse il loro ritorno per quell'epoca (2). Se non
che recedeva dal protendere questa ducale (3), ed il ritorno non si effettuava
che molto tempo dopo.
.Sempre più soddisfatto il marchese Villa assisteva agli ultimi lavori di
fortificazioni, che furono certo meravigliosi, giacché resero la città di Candia
inespugnabile, mentre era fama che le sue mura, costrutte dall'architetto
veronese Sanmicholi in principio del secolo XVI, non fossero delle più forti,
ed il Vertmiller, che insieme al Verneda aveva diretto i lavori, aveva di-
chiarato che la città era impotente a resistere. Troppo si è scritto su tali
lavori e sulla configurazione e struttura di tutta la fortezza, perchè qui si
debba fare molte parole in proposito. Si dirà solamente che le mura forma-
vano un arco, di cui la {)arte convergente poggiava sulle falde del monte
Ida, ed i capi terminavano a mare coi due mezzi bastioni di Sant'Andrea e
Sabionera, questo costrutto ad Oriente, quello ad occidente della città. Cinque
bastioni, protetti al par dei mezzi bastioni da molteplici opere avanzate, sor-
gevano tutto intorno col seguente ordine, a cominciare dal Sabionera: primo
il Vitturi, secondo il (iesù, terzo il Martinengo, quarto il Betlem, quinto il
Panigrà (4 . La difesa del Sabionera era stata affidata al duca Battaglia,
quella del X'itturi a (iiovanni iNhjrosini, quella del Gesù al Villa, quella del
IMartincngo al provveditore del regno Battaglia, quella del Betlem al Pisani,
quella del Panigrà al liarbaro e quella del Sant'Andrea al Vertmiller.
11 21 maggio il (xran Visir compariva nel campo turco. Già v'era stato
prima, e scriveva il marchese Villa al Duca di Savoia che <; sebbene di soli
« 35 anni aveva la barba che gii scendeva fino a mezzo petto >. Aggiungeva
il Villa che, riconosciute le fortificazioni fatte dagli assediati ben più impor-
tanti di quanto ne fosse stato ragguagliato dai suoi ufficiali, aveva preso a
slogare il suo sdegno sul capo dei bombardieri, facendogli dare trecento basto-
nate, perchè nel saluto fattogli non aveva caricato i cannoni con palle; quindi
era ritornato a Canea per raccogliere ed ordinare il maggior numero possibile
di soldati (5). Venuto definitivamente ad assumere la direzione dell'assedio,
faceva smantellare Candia nuova per obligare tutti i suoi soldati a starsene
alle trincee, e si accampava di fronte al f^anigrà con un esercito di quaranta
mila combattenti e di otto mila guastatori, che dall'opera coronata di Santa
Maria, dove si trovavano i due reggimenti piemontesi, si estendeva fino al mare.
(i) Corrisp. ecc. Lotterà scritta dal Uìì^Iìdic al Duca il 14 ma.ni^io, mazzo 12", non die quella
scritta al Marchese di S. Tommaso il 19 mag.s;io, mazzo io".
(2) /rf., Lettera scritta dal Bij:vlior<-^ al Duca il 2 i;iii,i;no, mazzo 12".
(3) /e/., Lettera scritta dal Higiiore al I^uca il 23 luglio, mazzo 12".
(4) Cfr. la descrizione fattaci dal Rostagno, che sembra essere servita di esemplare a]
Bigge, sebbene questi \\s9n citi mai il libro del Rostagno.
(5) Corrisp. ccc , Lettera dell'S gennaio 1667, mazzo io".
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA 51
Il vero assedio di Candia, o almeno il periodo saliente e memorabile del-
l'assedio incomincia da questo momento e dura fino al settembre del 1669:
è esaurientemente descritto in tutte le sue parti dal Bigiife (i), che parla
eg-ualmonte delle imprese navali che ad esso si connettono, di conseguenza
si potrà sorvolare sui fatti estranei all' azione della gente piemontese che
partecipò ad esso, rischiarando invece, col sussidio delle lettere del Villa e
dell'Arborio, non che col sussidio del racconto del Rostagno, quest' azione
che, pur essendo di poca importanza, ò degna di grande gloria.
Le mosse del Gran Visir davano occasione alla Republica Veneta d'in-
sistere presso tutte le Corti europee per avere nuovi e validi aiuti, ed in
seguito alle sue istanze Alessandro VII adempiva la promessa di mandare
in Dalmazia duecento fanti, e scriveva al Gran Mastro di Malta per l'unione
delle galere maltesi con quelle pontificie sotto il comando del priore liichi,
a cui era imposto di partir subito per l'Oriente, dove si recavano eziandio
le galere di Napoli e di Sicilia, agli ordini di D. Gianettino Doria e del
marchese Di Villafranca, piìi non essendo la regina di Spagna riuscita a
fermarle, allorché Luigi XIV invadeva la Fiandra per i millantati diritti della
moglie Ilaria Teresa. E qui finisce l'enumerazione degli aiuti apprestati a
Venezia nella prima metà dell'anno 1667. Nella seconda metà sorgeva un
uomo che prendeva proprio a cuore la difesa di Candia: il 20 giugno saliva
al trono pontificio Clemente IX, il quale non aveva che un desiderio, non
aveva che una meta, non aveva che un ideale, quello di abbattere la forza
turca, di far trionfare le armi cristiane. Egli dava a Venezia tutti gli aiuti,
di cui personalmente poteva disporre, e si adoperava senza posa per trarre
gli altri principi ad imitarlo. Concedeva una lev^ata di 700 fanti nei suoi Stati,
donava 50 mila scudi e 100 mila libbre di ])olvere,e dava ordine che si formasse
colle sue milizie un battaglione di 500 uomini, che andasse prontamente a
servire nella piazza di Candia sotto il comaiido del barone Muzio Mattei.
Scriveva poi al Duca di Savoia per sconsigliarlo dal richiamare il marchese
Villa, chiedeva alla Regina di Spagna il permesso di riscuotere le decime
nei suoi domini, cercava di indurre (xenova e Toscana a mandare in Oriente
anche le loro galere, domandava il concorso dell'Imperatore, s'interponeva tra
la Spagna ed il Portogallo, tra la Spagna e la Francia, tra Venezia ed il Duca
di Modena, che si riteneva offeso perchè alcuni ladri veneti erano stati arre-
stati nella casa del suo ambasciatore, e faceva tacere il risentimento di Fer-
rara in causa dell'ordine dato dalla Serenissima di otturare una diramazione
del Po. Le sue preghi(^rc e le sue esortazioni sortivano col tempo buoni ri-
sultati, ma pur troppo per tutto il 1667 e per buona parte del 166S Ve-
nezia ne ritraeva pochissimi vantaggi. Il Duca di Sax'oia ])ersisteva noi
voler il ritorno del Villa, a cui intendeva affidare il comando dell'armata che
aveva preparato a danno di Genova, e che temporaneamente era diretta dal
Pianezza; la Spagna ricusava le decime dicendo che esse si potevano ri-
scuotere solo nel caso d'una guerra degli .Spagnuoli contro i Turchi; Ge-
nova accampava le solite e stolte precedenze su Malta per esimersi meno
(t) S/oria della guerra di Candia negli anni 1667-69.
52 LUIGI DALMASSO
Sgarbatamente dal concedere le sue galere; le galere toscane erano adibite
al trasporto della seta in Messina; e la guerra sconvolgeva l'estremo occi-
dente, che, oltre la Spagna, il Portogallo e la Francia, prendevano le armi
per porre argine all'ambizione di Luigi XIV, l'Olanda, la Svezia e l'Inghil-
terra. L'Imperatore mandava a A^'enczia 500 fanti agli ordini del colonnello
barone Chimansech, ma costoro si sbandavano quasi tutti; il battaglione di
Muzio Mattci non arrivava a Candia che nel g'ennaio del 1668; e tanto la
flotta del P>ichi quanto quella spagnuola non contribuivano gran che alla difesa
della Piazza. Sbarcati dodici cavalieri di Malta, fra cui il valoroso d'Harcourt,
esse si univano alle galere venete, comandate da Antonio Pasqualigo, e
non riuscivano a fermare alcuno dei grandi armamenti che il Sultano, reca-
tosi appositamente a Larissa, inviava al Gran Visir, ricusavano di sbarcare
le ciurme per aiutare gli assediati a riparare ai danni sofferti dalle fortifi-
cazioni, ed appena sopraggiungeva il mese di ottobre, se ne tornavano in
Occidente, lasciando nella Piazza solo cento soldati pontifici.
Un dono ingente, relativamente alla persona che lo faceva, ma inane
riguardo ai bisogni della Republica, era quello del cardinale Barberini, che
già altre volte aveva generosamente beneficato la Republica, ed ora le in-
viava dodici mila scudi per provvedere i necessari materiali di guerra. E
doveroso ricordare che anche Carlo Emanuele II le inviava una discreta
somma, 7495 reali, per pagare le sue truppe (i). Quest'ultimo aveva avuto
poco prima un abboccamento coU'Elettore di Baviera, suo cognato, a Cat-
tajo presso Venezia, dove s'era recato in incognito (2); e quale sarà stato
lo scopo di quest'abboccamento, se non la guerra che egli aveva in animo di
muovere a Genova ?... Era ormai previdibile che una lotta cruenta sarebbe
scoppiata attorno a Luigi XIV, ed avrebbe distolto i principali Stati europei,
che avevano rapporti col Piemonte e, con Genova, dall'occuparsi degli affari
di queste due regioni. Quindi il Duca di Savoia avrebbe potuto, con maggior
facilità di quanto sperava pel passato, realizzare i suoi sogni: tuttavia il
consenso di qualche Stato non doveva riuscirgli discaro, ed eccolo ricercare
l'appoggio del cognato e rendersi con un altro lieve soccorso sempre più
obligata la Repubblica Veneta, la quale, se certo non era per rimpiangere
che egli assalisse la sua antica rivale, avrebbe però avuto interesse ad osta-
colare, se non direttamente colle sue forze stremate, almeno indirettamente per
mezzo della sua astuta diplomazia, ogni tentativo su Cipro, che reputava di
sua pertinenza.
Tutto sommato Venezia, durante l'anno 1667, ritraeva dal mondo cristiano
pochissimi aiuti ; e dacché le sue risorse, sebbene meravigliose, non erano
inesauribili, oltre i rinforzi addotti da Francesco Morosini, essa faceva per-
venire a Candia, prima del 21 aprile i668, giorno della partenza del Villa,
molti altri soccorsi, ma non tanti quanti ne occorrevano, e ce ne potremo
persuadere enumerandoli. Il 27 luglio Ottavio Labia sbarcava 600 fanti e
200 mila ducati, il io setteml)rt' il signor Ricca consegnava 500 fanti e vari
(i) Corris/>. t'cc. Lettera «lei \'illa al Huca in data del j^o settembre 1667, mazzo 10°.
^2) /(/., Lettera del Bigliore al Duca del 9 luglio 1667, mazzo 12"
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDTA 53
guastatori, il 20 settembre Giuseppe ÌMorosini deponeva altri 500 fanti e 200
mila ducati, il 20 novembre due vascelli sbarcavano poche centinaia di sol-
dati e di guastatori, il 2 g'ennaio arrivava il nuovo provveditore generale
Bernardo Nani insieme a Muzio Alattei ed ai 500 fanti pontificii, ed il 21
gennaio il signor Gelsi apportava qualche provvigione di guerra. All'incontro
i Turchi andavano di giorno in giorno crescendo di numero, essendosi il
Sultano recato a Larissa, come già s'è detto, appositamente per rendere
più frequente e sollecito l'invio di aiuti; e tanto il Rostagno, quanto il Villa,
quegli nel suo libro più volte menzionato, questi nella lettera scritta al Duca
il IO dicembre (i), affermano che nell'anno 1667 combatterono attorno a Candia
70 mila Turchi, i quali ritraevano largo sostentamento dall'isola e riceve-
vano continuamente da tutte le parti dell'impero g'ran quantità di munizioni.
Un giorno solo i loro tiri si fecero scarsi, 1*8 aprile 1668, e già il giorno
dopo 16 grossi vascelli sbarcavano a Canea enormi provvigioni.
(i) Corrisp. ecc., mazzo io".
54 LUIGI DALMASSO
CAriTor.o IX.
L'assedio di Candia durante l'anno 1667. — Valore palesalo da tutta la sente del Duca. —
Angustie dc;lla i)iazza. - Istanze fatte al marchese Villa perchè rimanesse in Oriente, ed
inflessibile volontà del Duca di riaverlo in Piemonte.
TI 24 maggio 1667 i Turchi davano inizio all'attacco acccstandosi con
ardire alle mura(i); ma vista la grande strage che ne seguiva, cercavano
di avvicinarsi alla L^iazza por mezzo di vie sotterranee. Benché in numero
di gran lunga inferiore, gli assediati non si sgomentavano: respingevano gli
assalti, stavano pazientemente ascoltando l'avanzarsi dei nemici sotto terra,
e collo scoppio di frequenti fornelli li facevano saltare in aria impadronen-
dosi delle l(ìro gallerie. Inoltre facevano molte sortite per abbattere le trincee
più vicine, importante quella del 20 giugno, che dava occasione al Villa di
scrivere al Duca che i Savoiardi solennizzavano i natali del loro Principe
togliendo ai Turchi infinite spoglie (2).
r Savoiardi partecipavano pure alla sortita del 4 settembre, in cui tro-
vava la morte Alessandro De Negri, aiutante generale del Villa; a quella
dcil 17 settembre, in cui periva un soldato e rimaneva ferito Alessandro Co-
minges che funzionava da tenente colonnello; a quella del 3 ottobre, in cui
cadevano tre ufficiali del seguito del M"" Villa e cinque soldati; a quella del
g novembre, in cui meritavano il plauso del Capitano Generale per il vaU)re
dimostrato e ])er i danni inferti al nemico; a quella del 15 febbraio, in cui
restava ferito il capitano Pasquale; a quella del 22 febbraio, in cui facevano
strage di molti Turchi tneritando una speciale ricompensa dal Capitano Ge-
nerale; ed a quella del 29 febbraio, in cui ora ferito il sergente maggiore
Trinques (3). Guidati da esperti comandanti, nello stesso tempo che mo-
stravano grati valore, evitavano il pericohì di radere nelle imboscate che i
Turchi volevano tendere agli avversari, precipitando poscia in gran numero
(i) rorrixp. ecc.. Lettera del Villa al Duca in dala del 27 maggio, mazzo io".
(2) hi. id., mazzo 10".
(3) Cfr. la narrajrrone particolareggiata del Rostagno.
I PIE.MONTESI ALLA GUERRA DI CANDL\
55
sopra loro e facendone veri macelli. E cosi il 19 dicembre 1667 essi erano
ancora in numero di 500 divisi nel seguente modo :
Reggimento Arborio.
ulfic. e sergenti fattion. feriti ammalali in tutto
Compagnia Colonella 6
» Ten''- col.°Cominges 5
» S. M. Trinques 5
» Lorenzo Patriarca 4
>, Cap. Pietro Pasquale 4
» Pietro F. Caccia 5
» Carlo Umberto 5
» fu La Loubera ora di-
retta dal cap.C. Bosso 4
Totale sS
23
4
33
24
3
32
28
4
37
16
7
27
23
IO
37
19
3
27
37
5
47
23
8
35
193
44
275
Reggimento Profitio Torre.
uffic
. e sergenti
fattion.
feriti ammalati
in tutto
Colonella
5
28
5
38
Charboneau
2
14
7
23
S, j\r. Am. Bronz.o
5
18
'3
36
Cap. Valen. Torre
5
19
IO
■ 34
» F. Caresana
3
23
II
37
fu cap. (t. F. Di Valesa 3
18
7
28
fu cap. Antonio Re
3
24
3
30
Totale
26
144
5^
226
38
^93
44
275
. Totale
64
337
100
501
Grande era però la mortalità degli ufficiali piemontesi, grande essendo
l'ardimento con cui essi andavano cercando il luogo ed il modo per segna-
larsi : oltre i caduti nelle sortite, oltre il capitano barone Di Valesa ucciso
il 20 luglio, oltre il capitano Antonio Re ucciso il 13 settembre, cadevano
morti: il 2 giugno il capitano Galeazzo, che faceva parte del corteggio del
AL'" Villa; il 5 giugno il capitano Mattio Bottoni, scudiero del Villa; il 21
luglio il tenente della guardia del Villa; il 29 gennaio Du Band, tenente
capitano della colonella Arborio; il 27 marzo il tenente Agostino Rostagno,
aiutante generale del Villa. Moriva anche il conte di Brusasco, capitano della
guardia del Villa. Dotato di coraggio incomparabile, egli partecipava a
quasi tutte le sortite, ed accorrevi! con prontezza ovunque il bisogno lo ri-
chiedesse : il 23 luglio, con 30 uomini della guardia a cui comandava, scen-
deva nel fosso prospiciente al bonetto della mezzaluna Mocenigo per cacciare
i Turchi che vi erano penetrati; il 27 dello stesso mese saliva arditamente
con 15 uomini sul ciglio esterno del fosso per dar agio agli assediati di
5 6 LUIGI DALMASSO
asportare la terra gettatavi dai nemici, e ciò fjiceva eziandio il 27 agosto ed
il 23 settembre. Ala la dea della guerra, che spesso si compiace di preser-
vare dalla morte i soldati più temerari, non doveva assisterlo sempre : il 15
gennaio accorso con parte della sua compagnia sulle mura per bersagliare
i nemici che si erano avvicinati, era colpito da una palla di moschetto in
bocca, moriva il 17 febbraio dopo lungo e doloroso penare, ed il giorno se-
guente aveva una onorevole sepoltura, degna del suo merito.
Anche il V'illa non tralasciava occasione alcuna per mettere a prova il
suo valore, fedele a quanto scriveva al Duca in principio dell'assedio « Io
« non ricuserò di espormi ad ogni cimento, rischio e fatica per cooperare
« alla conservazione di questa famosa ed importante metropoli e per rintuz-
« zare il ferocissimo orgoglio dei perfidi nemici del nome cristiano ». E varie
volte correva seri rischi: il 28 maggio, trovandosi sul baloardo Betlem, era
colpito da una palla di moschetto che si arrestava sulla medaglia dell'Ordine
dell'Annunziata; il io giugno e l'S agosto era colpito dal risalto dei sassi
lanciati dalle cannonate nemiche; il 29 settembre, sceso dal baloardo Panigrà
per fiir otturare una breccia aperta dal nemico, era coperto di sassi e di terra sol-
levati dallo scoppio d'un fornello; il i<S ottobre, mentre era all'ingresso della
galleria posta a sinistra del Panigrà, scoppiava un fornello nemico e dalla
violenza del fumo era sbattuto a terra; infine il 14 novembre era colpito da
un jx'zzo di bomba. La sua opera poi riusci \'a vantaggiosissima, come quella
che nei momenti di grave pericolo non si faceva mai desiderare. 11 5 luglio
i Turchi con un grosso fornello rompevano un pezzo di palizzata del bo-
netto sinistro del Panigrà, ed egli era pronto a portarsi sul luogo col Par-
baro e col Vertmiller per far costrurre una palizzata volante. 11 2^ luglio
accorreva anch'egli alla mezzaluna IMocenigo per regohire le mosse dei sol-
dati. 11 31 luglio provvedeva perchè fossero riparati i nuovi danni arrecati
dai nemici, che, rotta parte della palizzata del corno destro del Panigrà,
erano entrati per essa a combattere ad armi bianche cogli assediati. Inoltre
guidava le sortite, faceva asportare la terra gettata dai Turchi nelle fosse,
faceva tagliare altre contrascarpe per rendere più difficile al nemico la di-
scesa ne' fossi, dirigeva i tiri facendo trasportare i cannoni nei luoghi più
adatti per danneggiare le batterie nemiche ed, allorché il Barbaro, insoffe-
rente della supremazia di qualsiasi persona, era richiamato a Venezia, egli
andava ad occupare il suo posto al Panigrà per essere più vicino alle ope-
razioni militari, che colà quasi tutte si svolgevano.
Se grande era l'ardore del Villa, non è a dire che tale fosse eziandio
la sua fiducia in lieti ev^enti. La piazza difettava di milizie, né erano bastate
le ciurme sbarcate dal Capitan Generale, dietro preghiera del Villa stesso (i),
per sopperire a tutti i bisogni di essa, giacche occorreva guernire le mura,
internarsi con mine e zappe nelle viscere della terra, far frequenti sortite, e
per tutti questi bisogni si avevano appena sette od otto mila uomini, fra cui
ogni giorno il cannone nemico faceva orribili vuoti. I soldati inviati a mano
a mano da Venezia, non che riparare alle mancanze iirccedenti, non basta-
(i) Corrisp. ecc., Lettera scritta da! Villa al Duca il 22 g;iiig:no 1667, mazzo io".
I PIEMONTESI ALEA (IT'ERRA DI CANDIA 57
vano neppure a riempire i vuoti fatti in seg'uito, ed il più delle volte essi
avevano pocao nessuna istruzione militare, come quelli che in gran parte erano
racimolati fra i vagabondi. Si aggiunga che i difensori della Piazza, i due
reggimenti piemontesi specialmente, conducevano una vita tristissima non
venendo pagati con regolarità ed essendo tutti i viveri saliti a ])rezzì esor-
bitanti. Ne seguiva che la loro salute era spesso danneggiata, ed il 28 giugno
il Villa scriveva al Duca che giacevano a letto l'Arborio, il Torre e 50 sol-
dati savoiardi ammalati, oltre altri 40 feriti (i). Il Capitan (ìenerale, entrato
a prendere parte alla difesa della Piazza verso la fine di giugno, faceva del
suo meglio per rimediare a questi mali, ed a titolo d'imprestito dava ai due
reggimenti piemontesi qualche denaro (2) ; alla fine di settembre arrivavano
ad essi anche i 7-195 ducati spediti dal Duca; ma tanto il danaro del Capitan
(xenerale quanto quello del loro Principe era insufficiente a toglierli dai tor-
menti. Il iS dicembre il AP*" Villa scriveva al Duca (3) che i 7495 ducati erano
bastati appena per tre mesi, e che Alessandro Cominges sarebbe andato a
Venezia coU'incarico conferitogli dai due reggimenti di reclamare le paghe
dei nove mesi antecedenti. Contemporaneamente faceva noto che il Cominges
aveva fin allora coperto con onore la carica di tenente colonnello e Profitio
Torre quella di colonnello, e proponeva la loro promozione effettiva a quel
grado, la qual cosa il Duca accordava con patenti del 2 aprile dell'anno suc-
cessivo (4).
I gravi inconvenienti ora lamentati non solo toglievano al Villa la cara
speranza di compiere lodevole impresa, ma inoltre infondevano nel suo animo
un po' di scoraggiamento, siccome appare dalla lettera in cui ringraziava il
Duca delle « dorate file di chioma di quella bellissima donna che veramente
« meritano assai più la corona di stelle che quelle della famosa Arianna ..,
così proseguendo : « stimo essermi state inviate dall'immensa bontà di V, A. R.
« acciò me ne prevagli di fili per uscire con onor mio e gloria di V. A. R.
« con queste truppe dal labirinto che trovo in quest'isola, più intricato di
« quello che già fabbricò il rinomato Dedalo » (5). Ma la fiducia riposta in
lui da tutto il presidio e "dal Senato Veneto in special modo, che non ristava
dal ringraziarlo del suo zelo e dal manifestare la persuasione che la sua
opera desse ottimi risultati, non gli lasciava concepire il desiderio di abban-
donare la piazza. Xon sarà vano riportare in proposito qualche stralcio delle
ducali che gli pervenivano (6). In quella del 30 giugno è detto che dalle let-
tere sue era resa maggiore la consolazione apportata dal Barbaro « col rap-
«. presentare con qual fervore ed applicazione egli fosse tutto immerso nel
« servizio della Piazza prevenendo l'ostilità con provvisioni proprie del bi-
« sogno e della singolare sua virtù e vigilanza ». In quella del 30 luglio si
« dichiara che : la confidenza di tutti gli animi si stabiliva sul fondamento
(i) Corrisp. ecc., mazzo 10°.
(2) Id.. Lettera del Villa al Duca in data del 25 as,-osto, mazzo io«.
(3) Corrisp. ecc., mazzo loo.
(4) Comprese nella Sez, IV dell'Archivio di Torino.
(5) Corrisp. ecc., mazzo 10°.
(6) Publicate anch'esse dal Rostagno.
8 — Mise, S. HI, T. XUl.
58 LUIGI DA LM ASSO
« dell'esperienza e valore che egli possedeva ». Quella del io agosto cosi
suona: « Si convalida dalle prove sempre più apj)resso noi il concetto della
« sua estimata condotta, e si staijilisce la confidenza di veder propulsato ogni
« sforzo dei Barbari con incremento di gloria al suo nome e merito distin-
•< tissimo presso il Cristianesimo ». Ed ecco come incomincici quella del
20 settembre: « Soiio accompagnate le generose azioni di V. S. 111'"=' da tanti
<c applausi dei nostri principali Rappresentanti, e noi medesimi li scorgemo così
« zelanti e proficue al servizio nostro e della Cristianità tutta, che non poterne
« non testimoniargliene, come tacemo, un pieno merito e uno sviscerato aggra-
« dimento ». In quella dcll'iS ottobre, dopo essersi parlato della vigorosa di-
fesa del presidio, si aggiunge : /. 11 merito di essa ridonda a gloria del di
« lei nome, che non lascia bramare nò maggior coraggio né maggior dire-
« zione. Il Senato perciò fa stima della sua virtù al più sublime segno, e
s< retribuisce al suo qualificato impiego li maggiori applausi >. Insieme al
Senato V'eneto cercava di trattenere il \"illa a Candia Clemente IX, il quale
gli rivolgeva la seguente lettera (1):
«x eie Ili e lì s P. P. IX Dilecto /ilio .Xobili Viro M. G. F. Villae,
« Dilecte fili, Nobilis vir, salutem et ap(ìstolicam j^enedictionem. Neminem
« assumptione ad summum Ponti ficatum nostra magis gaudere ac pleniori
« lactitia pcrfrui posse plano vellemus, quam eum potissime virum, qui prò
v' tuenda causa Christianitati universae maxime salutari et necessaria propriam
« vitam summis tot discriminibus objicere non expavit, sua sponte intra
« muros inclusus, ab immanibus hostis potentissimi ac infestissimi viribus
« acerrime oppugnatae atque divexatae Civitatis. Age dum intimo cordi
^: nostro vere Dilecte Fili, tantis ac tam praeclaris inceptis, quod egregie
« facis, omnipotentis Dei brachio unico fidcns, animo isto generoso perseve-
« ranter insiste, nomini tuo incomparabilis gloriae celebritatem in Terris et
« quod caput est donum in Caelis actornac possessionis Coronam immarces-
« sibilem piane relaturus. Iluius interim ac victoriae simbolum, tum etiam
« amoris nostri pignus accipiet nobilitas tua exiguum ex se quidem, sed
« sacris Indulgentiarum Thesauris ingens ac pretiosum Coronae donum: cui
« adiecimus, insuper argenteas plurcs medallias extraordinariis Indulgentiis
« auctas, quas officialibus tuis, seu aliis nomine nostro opportune distribuere
« poteris, corundom pietati ac fortitudini in ista nedum Candiac sed etiam
« totius Rei Cristianae defensione magis ac magis excitandac, atque pro-
« vehendae coetcrum exercitum Dee porrectis iugiter precationibus insistentes
« Apostolicam Benedictionem, qua Nobilitati tuae qua Militibus cunctis istis
< tuis, Paternae prorsus elargimur. Quibus insuper omnibus et singulis In-
« dulgcntiam Plenariam (cuius desumendae rationem et modum Superior Ec-
; clesiasticus ex alterius Diplomatis nostri tenore prescribet) impertiri be-
« nigne voluimus, quo Misericors Deus corimi quoque vel potissimum qui
« prò Icge et populo cius possunt animas suas, piis operibus et orationibus
« propitiatus, memor sit testamenti Sancti sui et contorat hostes nostros ut
« sciant omnes gentcs, quia est etiam hodie, qui redimat et liberet Israel.
« Datum Romae apud Sanctam Mariam Maiorem sub annulo Piscatoris die
<< vigesima nona Septembris 1667. Pontificatus nostri anno primo :^->.
(r) Piiblicala dal Rostayno ancora.
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA 59
Sensibile a cosi vive ed elevate attestazioni di stima, il Villa rimaneva
impavido sulla breccia di Candia, che s'era fatta sempre più pericolosa; in
quanto che per l'indebolimento continuo delle forze della piazza i Turchi
non tardavano a prendere il sopravvento. Il 25 ottobre essi acquistavano
l'opera esterna del Padigrà, poscia costruivano nuovi forti davanti al Sabio-
nera ed al Sant'Andrea, coU'intento di dominare il porto e difficoltare alla
piazza i soccorsi e, resi sempre piìi baldanzosi e feroci, assassinavano il 2;^
novembre il povero Padavino e Girolamo (iiavarina, passato anch'etili nel
campo turco il 22 luglio. Il Villa rimaneva impavido sulla breccia, ed al
Duca di Savoia, che alhi fine di ottobre lo richiamava in Piemonte, rispon-
deva nobilmente che non richiedeva l'imbarco, essendo Candia tuttavia as-
salita dai Turchi (i), ed era felice di poter annunziare pochi giorni dopo che
i Turchi avevano ormai un altro nemico, la peste, che mieteva a centinaia
le vittime, e che il loro chirurgo maggiore, di nazione provenzale, rifugia-
tosi nell'opera di Santa Maria il 28 novembre, affermava che solo di ferite
erano morti circa trenta mila Turchi, fra cui il bassa di Natòlia ed il bey di
Rumelia. Il Villa però esprimeva il desiderio che si spedissero subito soc-
corsi rilevanti, essendo grandi anche le perdite dei Veneziani, di cui mori-
vano, nel 1667, 3600 militari e 2184 cittadini di Candia, e scongiurava il Duca
a non permettere che egli fosse trattenuto in Oriente, se non nel caso che
si fosse soddisfatto al suo equo desiderio. Viceversa Carlo Emanuele II,
senza curarsi dei bisogni della piazza e dei riguardi che al Villa s'impone-
vano, ordinava al suo ambasciatore in Venezia d'insistere presso il .Senato,
perchè lasciasse partire per l'epoca concertata il marchese Villa ed i due
reggimenti piemontesi.
Il Bigliore prometteva di ubbidire all' ordine ricevuto (2), e reca me-
raviglia che il Senato Veneto, in data del 16 novembre, scrivesse al Villa (3) :
« Gran merito resta da noi ascritto al qualificato impiego della sua espe-
« rienza, della quale riconoscemo li prosperi eventi, e ben se li promettono
<-- continuati da quell'affettuosa assistenza, che confidiamo sia essa per donare
« al servizio della Cristianità, non meno in soddisfazione del zelo del suo
« proprio animo, che a riscontro delle brame del Sommo Pontefice e di quelle
« del Sig. Duca di .Savoia, delle quali Le perveniranno li più espressi motivi.
« Mentre a noi giunto il contento di veder tolto per ora a Lei l'impegno
« del ritorno, ci consoliamo d'aver a godere il Presidio del suo singolare
« talento, a prò dei public! interessi, con aumento in noi sempre maggiore
'■- di quell'affettuosa disposizione, che nutriamo verso il merito di V. S. Ili"'-'',
« gli anni del quale siano felici e lunghi ». Porse il Senato era certo che,
per intercessione del Papa, Carlo Emanuele U avrebbe receduto dal suo
proposito di riavere con sé il Villa e le sue genti (4); ma la sua certezza
non tardava a divenire vaga speranza, siccome appare da questo altro stralcio
([) Corrisp. ecc.. Lettera ck-l Villa al Duca in data del 19 novembre, mazzo io".
(2) Id., Lettera del Bigliore al Duca in data del 22 ottol)re 1667, mazzo 12".
(3) Ducale publicata dal Rostagno.
(4) Corrisp. ecc.. Lettera scritta dal Bigliore al Duca il 29 dicembre, mazzo io".
6o LUIGI DALJMASSO
della ducale del 2;^ dicembre (1): « Lei che ritiene il vanto d'aver avuto gTan
« parte nella difesa, come ci consola l'intendere sia condisceso a farci godere
« il bene della sua matura condotta, così ci diamo a credere vorrà stabilire
« la propria permanenza sino alla partenza dal Regno dello stesso Primo
« Visir per raccogliere quell'intiero merito colla Cristianità che il mondo Le
« appresta e che confidiamo non vorrà il vSig. Duca di .Savoia lasciarle de-
« fraudare anco nei riguardi della sua propria gloria, che si accrescerà da
« estesa permissione a Lei di giovare alla pul)l)lica causa, e di coadiuvare
« colle proprie truppe al sostenimento dell' antemurale del Cristianesimo.
<■■ Tanto ci promettiamo dalla religiosa pietà del Sig. Duca stesso, e tanto
« confidiamo dalla disposta volontà di S. V. Ili"'-'' »,
Carlo Emanuele II si mostrava inflessibile riguardo al Villa, concedendo
solo che rimanessero in Candia i due reggimenti piemontesi (2), ed il Senato
Veneto finiva per affidare la carica del Villa al marchese S. Andrea Mombrum,
insigne comandante francese. Fu generale la persuasione presso i Veneti
che il Duca di .Savoia insistesse per riavere il Villa collo scopo di estorcere
dalla Republica i trattamenti uguali in tutte le Corti; mentre a noi risulta
che egli aveva uno scopo ben più importante, quello di affidare al Villa il
comando dell'armata che aveva preparato ai danni di Genova. Ad og'ni modo
è ovvio che la sopradetta parità stava così a cuore del Duca da trarlo fa-
cilmente a posporre i suoi interessi a quelH della Republica, se questa
gliel'avesse concessa, ed è da rim.piangersi che la Republica, sempre fiera
e sdegnosa anche nella sventura, preferisse privarsi dell'opera saggia e so-
lerte del Villa, anziché far pago il desiderio del Duca, giacché, allorquando
il marchese Villa toccava il suolo piemontese, l' intervento di Luigi XIV
aveva già fatto tacere le bramose voglie del Duca riguardo a Genova, ed il
Villa non poteva altrimenti dar jìrova del suo valore.
(i) Piiblicata pure dal Rostasjno.
(2) Corrixp. ecc.^ Lettera del Bigliore al Duca in data del 14 gennaio 166.S, mazzo 12".
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA 6l
Cai^tolo X.
Ultimi fasti del marchese Villa in Candia. — Compito suo durante la permanenza a \'enezia.
— Vicende delle truppe piemontesi. — Riepilogo.
Prima di lasciar Candia il marchese Villa aveva la fortuna di partecipare
all'avvenimento principale dei 29 mesi, durante i quali il Gran Visir colla
sua presenza rendeva più terribile la lotta dei Veneziani contro i Turchi. L'8
marzo il Capitan Generale, conosciuto il proposito del Grati Visir d'impadro-
nirsi dell'isola di Stantia sorprendendo di notte tempo le sette galere che,
agli ordini del provveditore ordinario d'armata, Lorenzo Cornaro, incrocia-
vano tra Stantia, sede principale dell'armata veneta, e vS. Pelagio, nuovo porto
dei Turchi, per impedire l'accesso dei rifornimenti turchi, armava sollecita-
mente 13 galere equipaggiandole di Soo militi scelti agli ordini del A'illa e
del nuovo provveditore generale liernardo Nani, e con esse si univa al Cor-
naro, a cui ordinava di avanzare verso S. Pelagio. Tosto il Cornaro era iti-
vestito dalle navi turche, ma sopraggiungeva il Morosini col grosso dell'ar-
mata e, dopo un accanito combattimento, che durò dalle io di sera alle 4
dei mattino al chiaror delle torcie a vento, i Turchi erano costretti a ritirarsi
lasciando in mano degli avversari 5 galere e 410 uomini immuni da ferite.
Ricevevano inoltre la libertà iioo schiavi cristiani, che servivano i Turchi
in qualità di rematori e che in seguito andarono quasi tutti a colmare i vuoti
della piazza. Ma erano pure rilevanti i danni dei Veneziani che perdettero,
tra ufficiali, soldati e rematori, circa 350 uomini e ne ebbero feriti 833.
Dopo questa splendida vittoria, che affermava una volta ancora la pos-
sanza della Reptiblica per mare, Francesco Morosini s'inoltrava nell'Arcipe-
lago per spiare il passaggio dei rinforzi turchi, e Francesco Villa rientrava
in Candia, dove poco dopo era raggiunto dal nuovo Duca della città, Zac-
caria iSIocenigo, che gli portava il congedo del Senato Veneto. Il 2 1 aprile
il Villa con tutto il suo seguito prendeva imbarco sul vascello Grand' Ales-
sandro, ossequiato da tutti i comandanti della piazza, riveriva alla Stantia
il Morosini il quale, fiducioso nella stella che benigna gli sorrideva dal lon-
tano firmamento, si preparava ad altri gloriosi combattimenti; ed il giorno
13 maggio sbarcava nel Lazzaretto vecchio di Venezia. Colà era trattenuto
fino al 22 giugno con grande amarezza del Bigliore e del Duca, che non sa-
pevano persuadersi che ad un così cospicuo personaggio fosse imposta qua-
rantena tanto lunga. Appena arrivato, scriveva al Duca che aveva lasciato
i due reggimenti piemontesi, ridotti a 400 uomini, di cui solo 300 erano atti
a combattere, uniti ai soldati pontifici, il cui comandante Muzio ^Sfattei era
LUIGI DALMASSO
morto fin dal 26 marzo, due mesi dopo il suo arrivo in Candia (i), E così ap-
prendiamo che in meno di quattro mesi altri 100 soldati piemontesi erano
periti !... Quindi per invito del Senato Veneto compilava uno stato della
piazza, dell'armata veneta e del campo turchesco al momento della sua par-
tenza da Candia (2).
Risulta da esso che le fortificazioni esteriori della piazza erano in buono
stato dal forte reale di S. Demetrio fino all'opera coronata di vS. Maria, nes-
suna di esse ancora essendo stata pressata dai nemici; che il rivellino Betlem,
attaccato dai Turchi, era stato ben risarcito insieme alla sua ritirata, e che
era stata ristabilita la persa comunicazione fra esso e la mezzaluna Mocenigo;
che era stata ristorata buona parte del parapetto di questa mezzaluna, e
s'ora riguadai^nata la comunicazione tra essa ed il rivellino Panigrà assicu-
curandola con vari bonetti; che il rivellino Panigrà era stato ben risarcito
e molto ben provveduto sotto terra di gallerie e fornelli ; che era stata di-
strutta l'opera Panigrà, e che si erano proparate gallerie, fornelli ed altri
lavori sotto ossa, di modo che i Turchi non avrebbero più potuto ristabi-
lire gli alloggiamenti loro sopra il bordo della sua contrascarpa e tanto
mono traversare la fossa senza gran fatica o spargimento di sangue; che il
rivellino S. Spirito era stato ben risarcito al pari della sua ritirata e si tro-
vava ben preparato sotto terra, contrariamente all'opinione dei nemici che
credevano di non trovare dal rivellino S. Spirito al mare alcuna opposi-
zione di lavori sotterranei ; che il piccolo ridotto di vS. Andrea era stato ri-
mosso in buona difesa; che nella fossa della città, verso vS. Andrea, dal mare
fino alla cortina che unisce il baloardo Panigrà con quello di Betlem s'era
formato una fortissima palizzata, che serviva mirabilmente per difendere
qualche tempo detta fossa; che erano stati risarciti eziandio il baloardo della
Sabionera, il cavalior Zani, la debole muraglia che copriva il porto e sopra-
tutto il bersagliato baloardo Betlem; che si andava riducendo in buono stato
il baloardo Panigrà, e s'era principiato a formare una ritirata davanti al
baloardo S. Andrea torrapionando la tenaglia che congiungeva detto baloardo
col mare, cosicché potesse resistere al cannone nemico. Risulta inoltre che
alla difesa della piazza si trovavano 4700 combattenti, compresi gli ufficiali
ed esclusi i feriti, i servi, due piccoli reggimenti greci destinati ai lavori,
buon numero di guastatori, galeotti o minatori ; che la piazza ora assai ben
guernita di artiglierie, ma scarseggiava di munizioni, massimo di polvere ;
che non aveva penuria consid(>revolo di viveri, eccetto che di carni che co-
stavano assali, di modo che i poveri ufficiali forili avoxano fatica a trovar
modo di sussistere, anche quando erano ben pagati. Risulta che l'armata di
mare era divisa in tre squadre, di cui una composta di 15 galere e 4 galeazze,
sotto la dirozicìno del C'apitan (ienerale, era partita por Suda alU) scopo di
impedire lo sbarco al capitano Bassa; l'altra di 4 galere, una galeazza e sette
od otto vascelli, sotto la direzione del provvoditor d'armata Cornare, rima-
neva a vStantia per difendere quest'isola e por provvedere ai bisogni della
(i) Corris/y. m., I.etteia del 13 inaL^^io, mazzo yo.
(2) Detto stalo eziandio fu imlìblicato dal Kosta.L^iio,
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDÌ A
piazza, che dal provveditore generale Nani potevano essergli segntdati ; la
terza di nove galere rimaneva nel porto di Candia essendo le sue ciurme
impiegate nei lavori di fortificazione, ma coll'arrivo di nuovi guastatori si
sarebbe messa anch'essa in istato di agire. Risulta infine che le due prime
squadre erano guernite di circa 2200 combattenti, compreso un migliaio di
uomini liberati dalla schiavitù nel furioso combattimento dell'S marzo; e che
l'esercito turco al principio dell'anno 1Ó68 era ridotto a 20 mila persone ap-
pena, di cui 14 mila sole erano atte a combattere, che di esse erano perite
altre 3 mila nelle due ultime sortite e nel combattimento navale dell'S marzo,
ma che pervenivano da Costantinopoli i8oo giannizzeri, poscia 1500 fanti e
poscia anc<jra 600 fanti, non che ,300 bombardieri e 50 guastatori, mentre
altri considerevoli rinforzi si attendevano.
Si è dato un ampio sunto di questa relazione perchè da essa, meglio
che da qualsiasi altro racconto, appare l'attiva, indefessa ed efficace opera
del marchese Villa nel rilevare e sopperire, per quanto gli era possibile colle
deboli forze di cui disponeva, a tutti i bisogni della Piazza, e ben a ragione
egli poteva vantarsi davanti al Senato, alla presenza del quale era finalmente
ammesso il 23 giugno, di < aver lasciato Candia virilmente difesa » e di
.< aver cooperato alla veneta gloria non solamente nella fedele ed esatta os-
.. servanza degli ordini prudentissimi del signor Capitan Generale e nel sod-
« disfare puntualmente ai salutevoli sensi dei signori Rappresentanti, ma
« ancora nel secondare il generoso ardore degli Ufficiali e dei valorosi sol-
dati » (i). Il vSenato riconosceva i suoi meriti, e con 170 voti favorevoli contro
8 sfavorevoli decretava di regalargli, in pegno della propria gratitudine, un
bacile d'oro del valore di sei mila ducati. Gli consegnava inoltre la seguente
ducale (2) :
« Doni. Contareno Dei Gratin Ditx Venetianim Univcrsis
« et singulis ad qiws Jiae nostrae perveiieriìit sigìii-ftcamus ctini Seiiatu.
« Nell'esercizio dell'armi che decorò con antiche marche d'onore la Fa-
« miglia Villa, trasse dai: suoi Maggiori con la nascita l'eredità delle glorie
«il 'marchese Ghiron PVancesco, il quale unita al coraggio dell'animosa
maturità e la prudenza del senno, seguendo l'orme loro generose si vide
« ai gradi più distinti aperta quella via, che prima colle fatiche e coi sudori
« s'aveva gloriosamente appianata col servizio della Corona di Francia e del
« signor Duca di Savoia, ed ha sostenuto cariche decorose e grandi, nelle
« quali ha confermato con prove singolari il concetto dell'ottima virtuosa
« condotta. Tratto poi da spiriti d'egual generosità si portò con grazioso con-
« senso del medesimo signor Duca, come Generale della Fanteria, al servizio
« pure della Republica nostra per render meritorio appresso il signor Iddio
« contro gli infedeli quel valore che tra i Principi Cristiani lo aveva reso
« applaudito ed illustre. Passò destinato a frenare le aggressioni dei Barbari,
« che si temevano sopra alcuna I^iazza della Dalmazia. Si condusse dopo con
« egual prontezza e coraggio in Levante, ove nella guerra offensiva e nel
^< campeggiamento a fronte dei nemici assistè con prudenza e maturità alle
« operazioni. Sopr'arrivata l'innondazione delle più vigorose forze dei Turchi
(i) Cfr. il discorso da lui pronunziato e publicato dal Rostagno.
(2) Publicata pure dal Rostagno.
64 LUIGI DALAI ASSO
« con la persona dello stesso Primo Visir e dei principali IVIinistri e Capi
« dell'armi ottomane per tentare l'impresa di Candia, sostenne eoii i più fieri
« e validi sforzi della ferocità dei medesimi, che con potentissimo esercito
« per il corso d'un anno intiero in un continuo travaglio del ferro e del fuoco
« lian combattuto la Pia/za. Sono evidenti le prove con quanto valore abbia
v; egli animata con l'esempio tra il cimento delle morti e dei pericoli la co-
« stanza delle milizie e sost(Mìute con intrepidezza e coraggio singolari l'im-
« portanti incombenze della carica, Il merito i)er così religiosa difesa è vegì-
<.< strato nel cielo, mentre le glorie della virtù sua sono universalmente
« decantate nel mondo. Ora però che, ritornato di Candia, chiamatovi per i
e premurosi riguardi del signor Duca, suo signore, conviene restituirsi alla
« Patria, la Reijublica nostra clie riconosce dalla valorosa assistenza del
«. sudetto (Generale M"'' Villa tanti illustri ])rolìtti all'armi pubbliche, vuole
« con la presente ampia attestazione pubblicare maggiormente le condizioni
« delle di lui benemerenze insigni, le sue glorie distinte e le osservanze della
« propria generosa gratitudine. Così che raffermate con queste affettuose
« rimostranze le di lui egregie oj)erazioni, passino ad eternare nei posteri le
V memorie del suo valore e del gradimento singolare, che ])orta il Senato
« sempre nella generosità del publico animo vive e [)erpetue le raccordanze.
'< Dat. in n, D. P, die quarta Julii 1608.
« Signata Agostino Biancht, Srgniario ».
;Vnche il Papa gii rivolgeva un breve cordialissimo, in data del 26 maggio
166S, in cui è detto: Spectata virtus atque constantia Nobilitatis tuae in
« defensionem tandiu contra. tantas hostis infestissimi vires at<|uc pertinaciam
« (^ivitatis Candiae, uti gloriam immortalem inclito nomini tuo compara vit,
« ita non minoris penes nos existimationis atque charitatis cumulum sibi
(]uaesivit. Ouem etiam insupcr auxerunt ])rovvida sane Consilia, quibus
« inde proficiscens (uim illius Civitatis futurao (juoque tutelae, tum etiam
« co[Marum nostrarum in ea proj)ugnatione prò viribus peragenda fructui ac
« laudii)us per op[)ortune consuluisti .
Molti poeti, fra. cui il b'rugoni, raffigurarono il dolore di Candia in seg'uito
alla partenza del \'illa o del suo Marte, come ormai tutti lo chiamavano. Ed
un certo l^ascelli, fitti gii elogi d(d (xenerale, così concludeva:
1*^ (lUfsto sia c-lie (iiu-ll 'l'eroe i;uerriero.
Che (il Creta sostenne il nohil regno,
Di Cipro vada a conquistar linii>ero (1)
Questi versi provano ad evidenza clic il desiderio di impadronirsi dell'isola
di Cipro, non che formare il lontano miraggio dti Duca, era portino noto
e condiviso dagli Italiani.
Sarebbe ora il caso di accennare alle dixergenze sorte tra il \'illa ed il
Higliore per futili questioni di etichetta, che attestano la xanità dei sentimenti
dell'ambasciatore piemontese a Venezia; ma sorvoleremo sopra esse per rife-
rire fatti più importanti. Era venuto il momento in cui il marchese Villa
doveva approfittare del favore, a cui i servizi resi alla Republica gli davano
diritto, ]icr ottenere al J^uca le note prerogative, ed il Duca non tralasciava
di dargliene ufficiale incarico dopo che l'intervento del Re di Erancia nelle
(i) Tutti i carmi tlcclicati ai \'illa furono puhlicati dal Rostagno.
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDÌ A 65
sue controversie con (jenova l'avca obligato a recedere, almeno per il mo-
mento, dall'intento di conseguire colle armi gli ambiti onori regi. Anzi per
facilitare al Villa il suo compito, permetteva al Duca di Modena di fare nei
suoi Stati un'altra levata di 200 uomini da mandarsi a Candia, e scriveva al
Papa ed a vari Nunzi pregandoli di congiungersi a lui per trarre la Repu-
blica ad ammettere la parità degli ambasciatori veneziani e piemontesi (i).
Il marchese Villa faceva del suo meglio per accontentare il Principe suo,
ma non otteneva altro che complimenti (2). Né mig^lior risultato ottenevano
le chiare ed esplicite dichiarazioni, con cui il Duca accompagnava le sue
ripulse alle domande di soccorsi che, a nome della Republica, gli rivolgeva
il Bigliore. — « Vedendoci poco corrisposti non siamo punto inclinati a far
spese per mandare galeotti » — scriveva egli il 27 ottobre i668 (3), ed il
15 marzo 1669 (4) aggiungeva: « Non possiamo dare soccorsi alla Serenissima,
« la quale per obligarci sa benissimo che cosa fare con giustizia e conve-
« nienza ». Il Duca lasciava presto questo linguaggio altezzoso ed incaricava
il Nunzio che era a Venezia di « sentire le istruzioni del Senato riguardo al
« trattamento dei suoi ambasciatori presso le Corti, dicendosi pronto per
« ottenere la parità ad assoldare nuove reclute per i due reggimenti che
« aveva a Candia portandoli a due mila uomini ed a pagarli per tutto
« il i66g » (5). Ma anche quest'ultimo tentativo di obligarsi la Republica
restava senza frutto, come restavano senza frutto tutte le altre generosità
del Duca, e quella di permettere che ritornasse in Candia il cugino del mar-
chese Villa, chiamato da Clemente IX a comandare le truppe pontificie col
grado di Sergente Generale di Battaglia, e quella di inviare alla Serenissima
l'ingegnere Lesping (6).
Frattanto i poveri soldati piemontesi che si trovavano a Candia, conti-
nuavano a combattere ed a cadere da prodi. Cadeva Profitio Torre, ed il
12 dicembre 1668 il conte Bigliore scriveva al Duca che il Coming^cs ed il
Bozzo, arrivati al Lazzaretto feriti, gli avevano accertato che i savoiardi,
passati ultimamente in rivista, erano 250 tra sani, storpi e feriti, che 100
erano i sani, e tutti si portavano coraggiosamente (7). Il 23 febbraio i66g
lo stesso Bigliore comunicava al Duca una lettera del Senato Veneto, in cui
si lodava il loro valore, e si annunziava che il cugino del marchese Villa era
già perito (8). Sebbene le loro paghe importassero ormai un lieve aggravio,
data l'esiguità del numero a cui ascendevano, essi restavano tuttavia insod-
disfatti: l'Arborio pure era obbligato ad andare a Venezia per reclamare i
propri emolumenti (9). In causa dei suoi meriti insigni costui era stato eletto
(i) Memoriale del Duca del mese di febbraio, marzo ed aprile 166S, piil)licato dal
Claretta.
(2) Corrisfy. ecc., Lettera del Villa al Duca in data del 23 giugno e seguenti, mazzo lo^'
(3) /(/., Lettera del Duca al lìigliore, mazzo 13".
(4) M., id.
(5) Memoriale del Duca pul)licalo dal Claretta, mese di aprile.
(6) Corrisp. ecc. Lettera scritta dal Bigliore al Duca il 16 febbraio 1669, mazzo 12".
(7) Id., mazzo 12".
(8) Id., id.
(9) Corrisp. ecc., Lettera scritta dal Bigliore al Marchese di S, Tommaso il 25 maggio
1669, mazzo IO".
9 — Mise, S. Ili, T. XUI.
66 LUIGI DALMASSO
Serg'cnte MajJ'giore di Battaglia (i), e sul punto di salpare dal lido veneto
insieme alle truppe bavaresi, per ritornare a Candia, il Duca gli faceva con-
segnare colla relativa croce di diamanti la patente di Cavaliere Gran Croce
dell'Ordine dell'Annunziata (2). Il 6 settembre avveniva la resa della Piazza,
ed il y egli scriveva al Duca che i soldati piemontesi, ridotti a 120 uomini,
fra cui molti inabili, sarebbero arrivati in Italia verso Natale (3). Povere
truppe! Erano decimate, e la falce della morte stava ancora sospesa sul loro
capo 11 conte Solaro scriveva da V^enczia il 25 gennaio 1670 al Duca di
Savoia (4) che parte di esse era perita in un naufragio, che affondiiva due
vascelli, e da cui riusciva a trarsi in salvo solo il capitano Carlo Umberto.
K così un ordine generale di Carlo Emanuele II, in data del 3 maggio 1670(5),
stabiliva di formare dei ritornati da Candia una compagnia di appena
40 uomini da incorporarsi al reggimento Savoia. Sorte più misera non poteva
avverarsi! Né a lungo godeva degli allori acquistati il marchese Villa, morto
nel 1670,
Riepilogando: il desiderio che sempre ebbero i Duchi di Savoia di ac-
crescere il loro prestigio, si acuiva sotto il governo di Maria Cristina, la
quale, debole e naturalmente restia al fragor delle armi, cercava colla gene-
rosità di trarre la Republica Venata a dividere col Piemonte gli onori regi,
a cui l'uno e l'altro Stato pretendeva d'aver diritto. E, per volontà di Maria
Cristina, Carlo Emanuele II oltre varie levate accordava alla Republica
Veneta nel 1660 due reggimenti di truppe regolari, rinforzandoli nel 1662
di 300 uomini. Ma la Republica non v^oleva saperne di far paghe le aspi-
razioni di Maria Cristina, non ostante il sicuro iiffidamento di ricevere dal
Piemonte nuovi e di gran lunga maggiori aiuti; ed allora Carlo Emanuele II
pensava, al par dei suoi antenati, di guadagnare colle armi il merito di por-
tare il titolo di « Re » e di avere il trattamento corrispondente presso le Corti
europee. Egli rivolgeva i cupidi sguardi sopra Genova, che doveva servigli
a conquistar Cipro, e faceva conoscere alla Republica Veneta che non
avrebbe ricevuto da lui altri aiuti senza una reciproca cortesia nel campo
diplomatico, minacciava an/À di ritoglierle i due reggimenti piemontesi, in
seguito alle lagnanze che il cattivo trattamento aveva loro strappato. Solo
allorché la Republica chiamava a capo delle sue truppe il marchese Villa,
sulla cui influenza futura egli faceva assegnamento per conseguire i suoi
intenti politici, permetteva che una schiera di eletti Cavalieri piemontesi si
portasse a Candia insieme al Villa, ed a proprie spese pagava i suoi reggi-
menti per sei mesi nell'anno 1666 e per tre mesi nel 1667. 11 Villa, non che
potergli giovare, non era neppur lasciato libero di agire conforme il proprio
criterio, di conseguenza domandava di essere richiamato in patria. Da parte
(1) Patente del Duca Carlo iMnan. Il, in liata del 24 ottobre 166S, compresa nell'Arch.
Milit. di Torino.
(2) Corrisp. ecc., Lettera scritta dal Duca al Bigliorc l'S giugno 1669, mazzo 12".
(3) Id., mazzo 66».
(4) Ili., mazzo 13".
(5) Compreso nell'Arch. Milit. di Torino (Corso Palcstro).
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA Ò7
sua il Duca si persuadeva che non avrebbe mai ottenuto nulla dalla Repu-
blica, ed insistentemente richiedeva che gli fossero restituiti i suoi soldati
tutti. Il marchese Villa, cedendo alle istanze del Senato Veneto, tramandava
alcun tempo la sua partenza, e finalmente nella primavera del 1668 ritornava
in Italia, dove Carlo Emanuele II, costretto a desistere dal combattere aper-
tamente contro Genov^a, preparava contro questa città un'infame congiura,
ed intanto riprendeva le trattative colla Republica, facendole nuove lusin-
ghiere offerte e permettendole di ritenere ancora le sue soldatesche, che pe-
rirono quasi tutte. Non v'ha dubbio che le forze, apprestate da Carlo Ema-
nuele II a Venezia, contribuirono a ritardare la resa di Candia; ma beneficio
ben più grande ne avrebbe ricavato la Republica, se un vano desiderio di
preminenza non le avesse impedito di dar ascolto alle proposte del Duca,
accettando tutte le sue offerte.
LUIGI DALMASSO
BIBLIOGRAFIA
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di Lionne, dirette al marchese Villa e publicate dal Rostagno nel suo libro sui
« Viaggi in Dalmazia e Levante dell'Ecc"'" sig. Ghiron Francese Villa ». Torino, 1668.
V. Di.scorsi pronunziati dal marchese Villa davanti al Senato veneto nell'aprile 1665, nel-
l'ottobre 1665 e nel giugno 1668, publicati pur essi dal Rostagno.
VI. .Stato nel quale si trovavano la piazza di Candia, l'armata di mare della Ser'"'' Repu-
blica ed il campo turchesco la notte del sabato, 21 aprile 1668, in cui parti dalla
suddetta città il sig. marchese general Villa (incluso sempre nel libro del Rostagno).
VII. Carmi di I. Du P>and, Frugoni, Pastorel, D. G. Diamante, Bartolomeo Sinibaldo, Cavalier
Ametheo, P>ascelli ed altri autori anonimi, rijìortati dal Rostagno ancora.
DOCUMENTI INEDITI.
I. — Quelli compre.si nell'archivio di Stato di Torino (Piazza Castello)
sotto il titolo di : Corrispondenza degli ambasciatori piemontesi residenti a Ve-
nezia », e così divisi:
Mazzo 8".
Lettere di S. A. R. Carlo Emanuele II all'abate Vincenzo Dini dell'anno 1663 e 1664.
Mazzo 9".
Fascicolo I". — Lettere dell'abate Vincenzo Dini al marchese di .S. Tommaso dell'anno 1662,
1663 e 1664.
Fascicolo 2'». — Lettere dell'abate Vincenzo Dini a S. A. R. Carlo Eman. II ed alla Ser"'"
Maria Cristina dell'anno 1662, 1663 e 1664.
Fascicolo 3". — Lettere di .S. A. R. Carlo I^man. II e di Maria Cristina all'abate Vincenzo
Dini dall'anno 1662 al 1666.
Fascicolo 4". — Lettere del conte Pigliore di Luserna dall'amio 1661 al 1664.
Fascicolo 5". — Lettere dello stesso dell'anno 1665.
Mazzo 9'"--'.
Fascicolo I". — Lettera del chevalier de Gremoville a Maria Cristina, spedita da Venezia il
4 settembre 1661.
Fascicolo 2". — Lettere di Solaro di Miìretta. marchese del Borgo, dell'anno 1^162.
I PIEMONTESI ALLA GUERRA DI CANDIA 71
Mazzo io».
Fascicolo I" e 2". — Lettere del conte Bigliore di Luserna al marchese di S. Tommaso dal-
l'anno 1664 all'anno 1669.
Fascicolo 3" e 4". — Lettere del marchese Francesco \'illa a S. A. R. Carlo P^manuele II
dall'anno 1665 all'anno 1668.
Mazzo ii".
I-Fascicolo 1°. — Lettere del conte Biijliore di Luserna a S. A. R. Carlo Eman. II del-
l'anno 1666.
Fascicolo 2". — Lettere del marchese di Pianezza al conte Bigliore dall'anno 1664 al 1667.
Mazzo 12".
Lettere del conte Bigliore di Luserna a S. A. R. Carlo Eman. II dell'anno 1667, 166S e 1669.
Mazzo 13".
Fascicolo 1°, 2" e 3". — Lettera del duca Carlo Emanuele II all'abate V'incenzo Din!, al
conte Bigliore ed allo Zio, dall'anno 1662 all'anno 1669.
Fascicolo 4<*. — Lettere del marchese del Bor^o Solaro di Moretta a S. A. R. Carlo Ema-
nuele Il dell'anno 1670.
Mazzo 66".
Lettere del colonnello vercellese Alessandro Arborio a S. A. R. Carlo Eman. IL
IL — Quelli compresi nell' Archivio militare di Torino (Corso Pa-
lestro), cioè :
i" Bilancio militare del 1660.
2" Ordini del duca Carlo Eman. II ai generali Veadore e Contadore.
3" Trattato per i due reggimenti piemontesi passati al servizio della Republica, incluso fra
gli ordini ora citati.
40 Patenti ducali di Carlo Emanuele II.
y
ALESSANDRO LATTES
FRANCESCO DE AGUIRRE
SCIPIONE MAFFEI
10 Mise. S. Ili, T. XIll.
Nel secondo decennio del sec. XVili Vittorio Amedeo li, cessate le cure
guerresche, soddisfatta la sua aspirazione a liberare lo Stato dagli stranieri e
l'antica ambizione de' suoi maggiori pel titolo regio, potè volgere il pensiero
al riordinamento interno de' suoi dominii e dedicarsi con ogni sollecitudine
all'istruzione dei sudditi ed all'Università torinese, coli' intento di migliorar
quella e rialzare questa, sottraendole alla padronanza assoluta degli ordini
religiosi. Per prepararsi con larghezza conveniente di idee a tali riforme, di
cui aveva già compresa la necessità fino dal 1689(1). egli fece raccoglier
documenti, notizie, informazioni sulle più celebri Università italiane e stra-
niere, come quelle di Bologna, Padova, Pavia, Parigi, Oxford e (ì-ermania :
alcune delle relazioni a lui presentate si conservano ancora negli archivi
nazionali (2). Richiese inoltre pareri e proposte ad alcune persone illustri del
tempo, probabilmente, come afferma il Fabroni (3), a Vincenzo (jravina, che
aveva pure accettato d'insegnare nel nuovo Ateneo e ne fu impedito solo
da.lla morte — certo a Francesco de Aguirre ed a vScipione Maffei, dei quali
ci pervennero e sono ormai stampate le scritture. Nel R. Archivio di Stato
di Torino (4) .si conservano due fascicoli, nei quali in varie colonne, di fronte
alla trascrizione degli statuti stampati del 1680 (5) e delle riforme proposte
dal de Aguirre compendiosamente riassunte, sono annotate le osservazioni
minute di parecchie altre persone interrogate sullo stesso argomento : vi si
nominano oltre il ]\Iaffei, l'avv. Grimani, il dottor Dupin. il Buglioli, il
padre Brini toscano, il Rondelli, il Bencini, il padre del ]\Iiro, i professori
d'Utrecht (richiesti del loro parere nel 17 18) ed un'altra persona indicata sempli-
(i) R. Arch. di Stato in Torino, Università, mazzo I, n. 25. Incarico dato nel 1689 a ri-
formatori e magistrati supremi di esaminare e proporre ordini utili e necessari per l'Università.
(2) Ivi, n. 34. Documenti e notizie sullo studio di Bologna, mandate da Francesco Maria
Monti Bendini (1711)- — J^- 35- Relazione sull'Univ. di Parigi. — N. 36. Relazione di Francesco
Filippo Piccono sullo studio di Padova (1712). — N. 24. Inventario di statuti, regolamenti e
privilegi d'università straniere, tratti dagli Archivi di S. M. nel 1714, mandati per ordine del
Re al decano Machet ad Annecy e restituiti nel 1716 : 'vi si nominano f5ologna, Padova.
Pavia, Colonia, Tubinga, Leida, Oxford e una relazione di Cristoforo Pfafl' sulle università
tedesche più celebri. Cfr. Vallauri, .S7. delle università degli studi del Piemonte, ^ 319, e
Peyron, Codd. italici inanu exarati, p. 52, 486.
{3) Vallauri, op. cit., p. 358.
(4) R. Arch. di Torino, Università, mazzo II, n. 2, 3. Ristretto di pareri diversi sovra gli
statuti dell' Univ. di Torino.
(5) Privilegia almae Uuiversitatis Tauriiiensis, colla conferma di .Afaria Cìiovanna Battista.
Torino, 1679.
76 ALESSANDRO LATTES
cernente col nome // Nazionale (cioè piemontese o savoiardo), il quale apparisce
non assolutamente avvèrso ai Gesuiti, conoscitore delJe Università d'Olanda
e dei libri colà pubblicati (i). Ma, come già dissi, i pareri più importanti, che
ci siano compiutamente noti, sono quelli del siciliano Francesco Aguirre
o de Ag. e del veronese Scipione JMaffei.
Il primo, condotto dal Re stesso a Torino nel 17 14, quando tornò di Sicilia
colla sua corte, nominato avvocato fiscale e censore dell'Università per vigi-
lare sull'osservanza delle costituzioni e statuti {2), presentò nel 1717(3) wna
relazione compiuta sul riordinamento di quella. Il manoscritto, col titolo
Della fondazione e ristabiliììiento degli stadi generali in Torino, si conservava
nella Biblioteca nazionale e fu ridotto in pessimo stato dall'incendio del 1904, ma
era già stato copiato e stampato per cura dell'on. Lampiasi deputato di Salemi
e per incarico di quel comune, patria dell'Autore (4). Il de Aguirre afferma
(p. 19) d'aver esaminato anche le norme vigenti in altre Università ed Acca-
demie e ne fa spesso menzione : secondo il prof. Mandalari egli avrebbe
avuto a modello le riforme dello Studio generale di Sicilia, e specialmente
la più importante, compiuta con una prammatica di Marcantonio Colonna
del IO ottobre 1579, ma il de Aguirre non ne fa mai cenno nell'opera sua e
vi è forse qualche errore di data, perchè tale prammatica non è molto estesa
né di gran conto, come rilevo dalle ricerche che ne fece per me il cortesis-
simo prof. Enrico Resta (5).
Scipione Maffei ebbe frequenti relazioni colla Corte piemontese e non
rare occasioni di venire a Torino: suo padre Gian Francesco aveva pur avuto
in feudo la terra di Farigliano nelle Langhe per eredità dello zio, marchese
De Monte, generale di Savoia, ma il feudo non passò a Scipione, il quale
parla soltanto del padre suo come fenda fa rio fedele (6). Nel 17 18, su invito
del conte Annibale Maffei, suo remotissimo congiunto (7), viceré di Sicilia
(i) Il dottor Dupin fu dottore della Sorbona, morto nel 1719. Cfr. Ardi, cit., mazzo d'ad-
dizione n. 5, che contiene un cartegs^io fra il Re ed il conte Vernone intorno a certe per-
sone della Sorbona, che si agitavano per venir ad insegnar filosofia a Torino, ove si no-
mina ISIr. Dupin tra i promotori principali. 11 Bencini è Francesco Domenico B., maltese,
professore di teologia dogmatica, l)ibliotecario nel 1729, preside della facoltà d'arti nel 1732,
al)ate di S. Ponzio, professore di teologia anche nel collegio urbano de Propaganda Fide :
Galli, Cariche, II, 57, 84. Il padre del Miro è probabilmente il padre Miro di cui parla il
Metastasio nella lettera ricordata in fine di questo lavoro (p. 16). Nulla potei trovare intorno
alle altre persone indicate,
(2) Manimlari, Un Siciliano in Piemoiilc {&A\y Italia moderna, anno llp, pag. 7. — Cfr.
Galli, op. cit., II, 41.
(3) La lettera accompagnatoria della relazione al Re ha la data 4 aprile 171 7 e non v'è
dubbio intorno a (]uesta ; certamente solo per errore si legge l'anno 1715 nella edizione
citata alla nota seguente.
(4) D'Aguirre, Delta fondazione ecc . Palermo, Giannitrapani, 1901. Di alcune delle pagine
salvate dall'incendio furono pubblicati i facsimili per cura della R. Università in un volume
edito in occasione dello scoprimento della lapide commemorativa del V centenario dalla sua
fondazione, coltitelo: Feriis saccularihiis R. Athenaei taurincnsis, p. 17.
(5) Manualari, op. cit., 7. Cfr. Coco Vito, Legcs onnii concilio et inunificeniia latae a
Ferdinando ///(Catania, 1780), p. xviii.
(6) MT I ; Maffei. Relaz. della libreria di Torino, lettera ad Apostolo Zeno in Rime e
prose del Marcii. Maffei (V^enezia, i7?9), 209. - Cfr. Manno, Dizion. feudale degli anlichi
Slati della Mon. di Savoia, no.
(7) Angius, Famiglie nobili della Moìi. di Savoia, I, 4S1. La divisione dei due rami vero-
nese e piemontese sembra risalisse al sec. xiv.
FRANCESCO DE ACUIRRE E SCIPIONE MAFFEI 77
e più tardi ambasciatore in P>ancia pel re Vittorio, compose una lunga rela-
zione sullo Studio torinese, col titolo di Parere siil viigliore ordiname7ito
dell' Ufi iver sita di Torino, come già tre anni prima, su richiesta di Francesco
Grimani Calergi, savio grande della Repubblica veneta, aveva scritto un
Parere intorno al sistema dell' Università di Padova (i). Questo fu stampato
sino dal 1808 nel Gior ìtale della Società d' incoraggia mento di Milano (2):
l'altro per Torino fu pubblicato soltanto nel 1871 dal canonico G. B. Giullari
di Verona per nozze (3), sul manoscritto autografo che si conserva nella
Biblioteca capitolare di Verona, mentre ve n'ha una copia all'Archivio di
Stato in Torino (4), Il ]\laffei dichiara in fine del suo scritto d'aver voluto
formare un istituto nuovo ben diverso dalle accademie esistenti, senz'aver
né veduto né studiato quanto si fa in altre Università, cosicché il suo pro-
getto é opera indipendente del suo pensiero e della sua esperienza. Giova
pur ricordare, come egli abbia contribuito più tardi (1723) al decoro dell'Uni-
versità in altro modo, coU'indurre il Re a far collocare nell'atrio del nuovo
palazzo molte lapidi scoperte in città nella demolizione d'antichi baluardi
presso la Consolata, nel reale palazzo e nel castello della Venaria (5), lapidi
le quali poi ora si trovano nel R. Museo d'Antichità di Torino,
Grandi furono gli elogi tributati più volte e ripetuti anche di recente
al de Aguirre (6) per la parte avuta nel riordinamento dell'Università e
grandi furono certo i suoi meriti, ma per evitare ogni esagerato giudizio
intorno all'opera sua (7) giova non dimenticare che gli ordini introdotti per
suo consiglio ebbero breve durata, cosicché non può dirsi che eg'li abbia
avuto veramente una grande influenza sulle sorti dell'Università. Sono certa-
mente dovute al de Aguirre le norme pubblicate col R. editto 25 ottobre 1720
all'apertura degli studi e copiate con lievi modificazioni nelle RR. Costituzioni
generali del 1723, di cui formano parte integrante (lib. II, tit. 22) (8), ma
nel 1729 si promulgarono altre costituzioni, staccate dalle RR. CC. rinno-
vate, che rimasero in vigore sino al 177 1, e queste furono elaborate dal
conte Caissotti, quando il siciliano avea già abbandonato la Corte di Savoia,
e presentano mutamenti notevoli rispetto alle prime. Separata definitivamente
la facoltà e il collegio di medicina da quelli di filosofia ed arti, cui erano
prima riuniti, e costituite per la prima volta le quattro facoltà distinte —
sancita la perpetuità dell'uflìcio pei professori, finché non se ne rendessero
indegni in alcun modo — ricostituito il magistrato della riforma e soppresso
(i) Gli scritti surricordati si citano tjui per brevità colle sigle seguenti : A per l'opera
del de Aguirre, MP, MT per quelle del Maffei su Padova e Torino.
(2) Giornale cit. nel testo, an. II. Il Parere fu ristampato in Maffei. Opuscoli letterari
(Venezia, 17:^9), da cui viene qui citato.
^3) Nuova serie d'aneddoti, n. VII: perle nozze Portalupi-Giustiniani Barbarigo (Verona,
1871). Cfr. voi. cit. Feriis saecularibiis ecc., p. 21,
(4) Università, mazzo d'addizione n. 4.
(5) Maffei, Musaemn Taurinense, proemio e Istoria diplomatica, lettera dedicatoria a Vit-
torio Amedeo II.
(6) Cfr. da ultimo il citato scritto del Mandalari e Romamo, Francesco d'Agiiirre e la
sua opera niss. nell'Arch. stor. siciliano, 1902.
(7) Cfr. p. es. Romano, op. cit., 356.
(8) DuBOiN, Raccolta delle legni ecc., XIV.
7 8 ALESSANDRO LATTES
l'ufficio di avvocato fiscale dell'Università ch'era stato creato per consiglio
del d'Aguirre od a lui assegnato — istituito il collegio delle provinole pei gio-
vani poveri - introdotto quel complesso di ordini sulle pubbliche scuole e
sulla loro subordinazione all'Università, che fu uno dei mezzi più geniali e
più potenti nella lotta contro l' insegnamento dato dagli ecclesiastici, spe-
cialmente dai (Gesuiti (i). Alcune di queste novità erano state proposte
anche dal de Aguirre, come la distinzione delle facoltà (A, 45), la perpetuità
delle cattedre (A, 1 19), l'istituzione del collegio (A, 169) (2), ma egli non aveva
saputo farle accettare, mentre vi riuscì il Caissotti, cosicché l'opera del primo
fu dal secondo radicalmente mutata, e senza dubbio la prevalenza di questo
nelle cose universitarie non fu una delle ultime cagioni che spinsero il sici-
liano a lasciare più o meno misteriosamente Torino per andare a miglior
fortuna nella Corte imperiale di T.ombardia (3 .
V'è un altro punto dell'ordinamento proposto dal de Aguirre che merita
di esser considerato e che forma il soggetto principale di queste pagine, quan-
tunque sia per lo più trascurato da chiunque tratta di tale argomento e del
nuovo assetto dato dal Re all'Università, cioè la distribuzione degli inse-
gnamenti in ciascuna facoltà; essa suole per lo più lasciarsi da parte, mentre
si esaminano le minute norme date pei riformatori, pel rettore, pei professori
e studenti, per la collazione dei gradi, cioè la disposizione esterna degli studi
universitari. Eppure quella fu materia non meno importante dell'altra né
meno degna d'attenzione per la diffusione della buona cultura, tanto più nello
stato di depressione e d' iibbietta decadenza, in cui si trovavano gli studi
in Piemonte sul principio del sec. XViii in mezzo alla prevalenza dello spirito
militare e dell'opera gesuitica (4): né alcuno potrà negare che i criteri larghi
ed aperti nella scelta delle discipline da insegnare possano giovare almeno
tanto, se non assai di più, quanto il modo di elezione dei professori, i diritti
ed obblighi degli studenti, la stessa indipendenza dei maestri. In questa parte
appunto mi pare singolarmente attraente ed efficace il confronto fra le pro-
poste del de Aguirre e quelle del Maffei, tanto viva ed evidentissima ne balza
fuori agli occhi di tutti la diversità di mente, di coltura, di intenti e di libertà
di pensiero fra i due valentuomini. Era il primo uomo d'ingegno, in corri-
spondenza coi migliori contemporanei, uno dei più dotti che allora vivesse
in Italia secondo il giudizio del Botta, ma si dimostra imbevuto di spirito
avvocatesco e burocratico, cresciuto sempre nei pubblici uffici, di idee non
larghe né progredite ; l'altro, che sappiamo dalle molte opere essere stato
(i) Vallauri, op. cit., 406. — Carutti, Storia dì ì'itlorio Amedeo II,' 462.
(2) Cfr. pure intorno al collegio delle provincie l'analoga proposta del Maffei (MT. ,
26). Non sembra invece esatta ratFerniazione del Romano (op. cit., p. 350, 351) che nell'opera
del d'Aguirre si trovi pure 1' origine della grande innovazione suaccennata, la subordina-
zione di tutte le scuole dello Stalo all'Università; egli ne adduce, come prova, la proposta
di istituire in Torino alcune scuole di grammatica minori dipendenti dall' Università, per
preparare i giovani allo studio dell'eloquenza latina (A., 71), ma questo è mollo diverso e
molto minore dell'istituire in tutte le città dello Stato scuole di grammatica, rettorica e
buone lettere, ugualmente dipendenti da (luella.
(3) Carutti, op. cit., 472.
(4) Tenivklli, Saprà il rislabiliin. della R. Ihiiv. di Torino nei Sagj^i de//' Accademia
d'o/i Ihiiani, I. p. 2,1. —Botta, .SV. d'Ila'ia, iib. XKWIII (Parigi, i,S3?,Vin, ir}. t2^0. —
Nai'ionk, Eloi^i de' ironisti piemoiilesi, 217.
O
FRANCPZSCO DE AGUIRRE E SCIPIONE MAFFEI 79
letterato eruditissimo, acuto indagatore d'archeologia e di cose naturali, ver-
sato in molte discipline e veramente enciclopedico (i), ci appare libero ed
indipendente, come sempre visse, pugnace avversario del cattivo gusto, di
idee pratiche e teoriche assai vaste e precise, alcune delle quali solo ai di
nostri possono dirsi accettate da tutti. E forse chi ben consideri la diver-
sità grande tra' due ingegni, potrebbe trarne qualche non inutile ammaestra-
mento intorno alla qualità delle persone che giovi chiamare a dar consigli
e preparar leggi sull'ordinamento degli studi, massime universitari.
Un primo indizio della differente tendenza dei due autori si dimostra
nel posto che assegnano all'esame delle materie da insegnare nello Studio
rinnovato: il de Aguirre ne tratta nel secondo libro, dopo aver ragionato
nel primo delle autorità preposte all'Università e di tutti gli ufficiali minori,
il Maffei destina a quell'argomento la maggior parte del suo scritto ed entra
subito in lìicdins res, trattando dell'ordinamento dello Studio con brevità nelle
ultime pagine. Intorno ad esso basterà accennare che egli si trova d'accordo
col de Aguirre nei punti principali da lui toccati, quali sono i lamenti per
gli stipendi troppo meschini, il biasimo per le lauree concesse solo per
danaro, la necessità di escludere i non laureati da ogni professione, ufficio
e beneficio, l'istituzione d'un collegio pei giovani meno agiati delle provincie,
il bisogno di una ricca e grandiosa biblioteca aperta agli studiosi.
Il de Aguirre prende le mosse dall'antica divisione delle sette arti, il
trivio delle liberali (grammatica, rettorica, dialettica) e il quadrivio delle
matematiche (aritmetica, geometria, astronomia e musica), e passa poi alle
quattro scienze (storia, fisica, etica e teologia). Esse devono tutte trovar posto
nell'Università e soltanto la grammatica latina potrà insegnarsi in qualche
scuola minore, purché annessa e dipendente da quella ; vi si richiedono
quindi in primo luogo professori di lingua latina e greca e dell'ebraica, indi-
spensabile agli studiosi di teologia, di rettorica ed eloquenza, di logica e
dialettica, e delle quattro arti matematiche suddette, la quali comprende-
ranno altresì l'architettura civile e militare, l'arte nautica e la geografia, la
pittura e la scultura. Degli scrittori italiani è permesso valersi soltanto per
l'eloquenza, perchè da essi può apprendersi non solo l'arte di ben parlare,
ma anche la conoscenza d'in /in ite cose necessarie alla vita civile (A, 72): sif-
fatto silenzio intorno alla lingua italiana può apparire anche strano in chi
cooperò largamente a diffondere in Piemonte la grammatica dei dotti solitari
di Port Royal, poiché essi appunto consideravano la lingua nazionale come
un mezzo efficace di resistenza contro i Gesuiti, tenaci nell'uso della latina (2).
Invece il ^laffei mette a fondamento d'ogni studio le lingue che tiel sigjii-
ficato delle parole chiudono la notizia delle cose, e nel primo posto la lingua
toscana, poiché gli uomini colti devono conoscer la lingua propria, né solo
per il ben parlare, ma anche per le cose che il ben parlare trae seco (MP, 179,
186; MT, 3). L'idioma straniero è marchio di servitù ed il Maffei rivolge pre_
ghiera al Re stesso di non usar più il francese neppur nei comandi mili-
tari, poiché egli é principe italiano, e per antico titolo viene detto marchese
(r) Landau, Gcsch. der italienischeit Lileratur in xviii Jahrh., .S4 e segg.
(2) Vallauri, oj). cit., 355, 374. Cfr. Cordova, / Sici/ia?ii in Picìnonte, 27.
7
8o ALESSANDRO LATTES
d' Italia (i), e può assai più facilmente sperare d'estendere i suoi stati dalla
parte d'Italia che da quella di Francia (MT, 4). Alle lingue latina, greca
ed ebraica, vorrebbesi aggiungere anche l'arabica, assai nota nel medio evo
e necessaria per comprendere opere di gran valore: queste due ultime giove-
ranno pure a combattere ebrei, protestanti, musulmani colle loro stesse armi,
poiché fanno di quelle un largo studio a sostegno di loro eresie (MT, 5).
Contrasta invece il Maffei all'istituzione d'una cattedra speciale di retorica,
perchè i retori guastano e corrompono le idee colla faragiììc di terniini, di
speciilazioni e di -precetti, ed i professori delle tre lingue basteranno a formare
il gusto e far conoscere i più pregiati scrittori (MT, 6). Così pure per la
logica ammette che vi sia un lettore speciale, sebbene vcdiaìiio gli iioiiiini di
senno ottirnainei/te discorrere senza notizia di logica e ndiamo assai spesso i
professori di logica discorrere pessiiiiaìiiente (JM'J , io), ed ci vorrebbe che il
maestro di logica fosse istruito in tutti i sistemi e non avesse ad impun-
tarsi assohifaìiiente per riiìio di essi.
Quanto alle scienze, parlano ontrnnibi in ])rim(> luogo della storia. Al
d'Aguirre non sembra che luolto in uso sia l' institnirne pnbhlica cattedra
(A, 73) e basta che il professor d'eloquenza ammaestri gli studenti sugli
avvenimenti e sugli autori storici d'ogni tempo: migliori effetti si potranno
ottenere dalle Accademie, nelle quali, con pubbliche esercitazioni periodiche
dei loro membri, di professori e di giovani già graduati nello studio, si prov-
vederci all'esposizione ordinata de' periodi storici, alla traduzione ed alla cri-
tica de' migliori storici antichi, intendendo sempre soltanto de' greci e latini,
11 Maffei parte invece da un principio sostanziale nobilissimo, che nes-
suna parte dello scibile deve rimaner fuori dell'Università: il nome di Uni-
versità fa comprendere die /ino studio pubblico e regio debb' essere un emporio
di ogni sorta di buone lettere, e quelle specie di dottrine che sono in oggi la
delizia e la gloria dei letterati vi devono esser tutte comprese (MT, 8). Mu-
tatis imt-tandis, allargata l'estensione delle buone lettere fino ad abbracciare
anche le scienze, quanto siamo tuttora lontani da un concetto così liberale!
quanto è grande piuttosto la tendenza ad allontanarsene ogni dì più !
Massima è l'importanza attribuita alla storia, in cui la maggiore e miglior
parte del sapere umano è compresa, poiché consiste finalmente in istoria il nostro
sapere (MP, 179, 185; MT, 6). Certamente a noi apparisce singolare la ripar-
tizione di tale insegnamento in tre cattedre, cronologia, storia ecclesiastica e
storia letteraria, a cui si aggiungono dal Maffei, come discipline sussidiarie,
la paleografia, l'archeologia, la numismatica, e lo studio delle lingue latino-
barbare del medio evo. Il professore di cronologia ha da spiegare la forma
e le divisioni dell'anno e i modi di computarlo presso i diversi popoli : tale
materia è considerata tanto importante che appena potrà essere completa-
mente trattata in un anno. La storia ecclesiastica è non solo il cardine degli
studi sacri, ma è pure strettamente connessa a tutti i negozi politici e civili.
(i) E appena necessario ricordare clic qui si alliuif a quella formula comune dei docu-
menti relativi ai conti di.Savoia, in cui gli antichi eruditi le.a^gevano le parole ci ytalic marchio,
mentre ora si leggono più esattamente le altre et in ytalia ìiiarcJiio, intendendosi cioè che
(luei signori avevano titolo di marchesi al di cjua delle Ali>i, come erano conti al di Kà dei
monti.
FRANCESCO DE AGUIRRE E SCIPIONE MAFFEI
La storia letteraria ha il compito quasi infinito di far conoscere gli uomini
illustri d'ogni età, i buoni libri d'og-ni tempo e d'og-ni argomento, le varie
opinioni e le più notabili controversie in ogni materia (]MP, 185; ]MT, 7).
Assai diverso e più elevato è il modo in cui noi comprendiamo gli studi e
il metodo storico, e forse anche allora la scienza storica si era sollevata in
Italia, almeno nei libri, ad un punto più alto per ampiezza di contenuto e
larghezza di ricerche (i). ma è pur sempre notevole come il AJafifei ne intenda
tutta l'utilità, le dia posto fra gli insegnamenti generali 2), affidi a quei pro-
fessori l'ufficio di sparger nuovi lumi, mostrare come i buoni studi educhino
le menti e giovino a perfezionare ciascuno nella speciale professione: ad essi
appartiene combattere l'attuale tendenza dei giovani, per cui di nuli' altro si
curano clic di cpielìe lezioni alle quali dalla speranza del guadagno condotti
sono e dalla )ieccssità della legale o medica Unirea costretti (MT, q). Né gli
studenti, né gli uomini, mutano coi tempi, e l'utilità degli ammaestramenti,
che dovrebbe offrire la storia, sembra svanire, se ci si ritrova sempre allo
stesso punto !
Quanto alle scienze fisiche o filosofiche, non v'é gran divario tra le pro-
poste dei due scrittori, poiché erano discipline estranee agli studi d'entrambi,
a cui però entrambi attribuiscono notevole importanza, mentre i Gesuiti pren-
devano cura soltanto della parte letteraria dell'insegnamento. I.a fisica, secondo
il de Aguirre, comprende tre cattedre, la metafisica, la fisica speculativa e
la sperimentale: studia l'una le ragioni prime delle cose divine ed umane,
l'altra i principii, moti ed effetti delle cose naturali (per conoscere i quali
si raccomanda di scegliere col parere di uomini insigni un sistcììia utile),
la terza provvede agli esperimenti colle macchine nuovamente inventate e
può riunirsi anche agli insegnamenti già accennati di matematica pratica
(geografìa, nautica, ecc.). Per la medicina si distinguono cinque cattedre, la
teorica sugli aforismi d'ippocrate, la pratica per la cura delle malattie, la
botanica, la chirurgia e l'anatomia.
Anche qui si manifesta la mente più aperta e più libera del ^Nlaffei. Egli
combatte contro ogni limitazione della scienza fisica entro le teorie aristote-
liche (MP, 118; j\[T, II), tanto più che furono spesso fraintese e deformate
dagli interpreti, e vi contrappone non solo Platone, ma i moderni ingegni,
Bruno, Fracastoro, Telesio, Patrizio e Galileo e gli oltramontani Cartesio e
Gassendi : — richiede un lettore speciale di medicina 7ieoterica che insegni le
dottrine di coloro che tentano rendersi superiori ai pregiudizi volgari e ricu-
sano abusarsi della credulità coinitne, purché non si scelga tra quelli che dopo
aver ragionato modernamente e dottamente applicano tutti i vecchi espedienti
nella cura dei malati (MT, 13 ; — propone che si chiami un savio uomo
per l'arte chimica e gli si fornisca un laboratorio conveniente, poiché per
l'inesperienza di tale arte errori sì nocivi si coniìiiettoìio sovente nelle prepara-
zioni (MP, 181; MT, 14). E sono pur notevoli le altre parole, che de' sistemi^
(i) CiPcjLLA, Per la storia (V Italia e de suoi conquistatori, p. 10-13.
(2) Sono pur propensi alla separazione dell'insegnamento della storia dall'eloquenza il
I)ui)in, il del Miro, e i professori d'Utrecht fra le persone già citate in principio p. 4, notai;.
9
11 .Mise. S. HI, T. .XIII.
ALESSANDRO LATTKS
come arbitrari, l'uno caccia l' altro, ma scoprendo qualche plinto di fatto non
più osservato nella natura, si fissa una verità per sempre (MT, 14).
Entriamo orii in un campo piìi famigliare ad entrambi, nella facoltà di
leggi. Amendue considerano necessaria una cattedra di filosofia morale che
troverà il suo fondamento nelle opere d'Aristotile, purché vi si aggiunga
anche l'esame degli altri sistemi, e purché, secondo il d'Aguirre, il posto
principale sia dato alle massime della religione e della filosofia cristiana.
Vuole il Maffei che vi si aggiunga qualche lettura di gius pubblico, lo studio
del qnale tanfo serve agli interessi dei principi {}), e qualcuna di politica, per
additare veramente il modo con die si puh render felice uno Stato (AIP, 180;
MT, 15, ló). Forse già comprendeva che non possono i sovrani da soli
bastare a far conseguire tale felicità ai loro soggetti, se tutti non vi coope-
rano e non imparano a cooperarvi.
Naturalmente per entrambi il nocciolo dello studio delle leggi civili è
formato dalle leggi romane e dal Corpus Inris Civilis. Secondo il de Aguirre
c^uesto si deve esporre secondo il solito in tre cattedre distinte, per le Pan-
dette, pel Codice colle Autentiche inserite in esso, per le Istituzioni: ma se
ne aggiungeranno altre straordinarie per ispiegare separatamente l'origine
delle leggi secondo il testo di i\jmponio, il titolo de Regiilis inris, l'editto
del pretore, i libri di Papiniano, i tre ultimi libri del codice, le somme dei
titoli composte da (iotofredo e Culaccio, le più celebri repetitiones di Bartolo.
Pare che l'avvocato siciliano voglia tornare ancora più indietro della scuola
del diritto comune, voglia senz'altro rimettere in vigore la costituzione proe-
miale dei Digesti Omnem reipnhlicac nostrae sanctioncm : così per le lezioni
private che i professori facessero nelle case loro si doveva rinnovare hi
costituzione teodosiana f)e studiis liberalilms {Cod. XI, ig), e quasi risusci-
tare pei professori il nome antico à.' antecesso res, per gli studenti quelli di
edittali o fapinianisti secondo l'anno di studio e di prolite dopo la licenza
(A., 105, 164). Appena appena vuoisi ammettere che, se vi sono due lettori
di Pandette, l'uno insegni secondo la pratica dei giureconsulti antichi, più
necessaria alla pratica forense, cy?///^ eccitativa di molte nuove ed utili quistioni
(che noi ora diciamo vuota casistica scolastica), l'altro segua i metodi nuovi
di coloro che con tanta erudizione seppero scoprire il senso delle leggi
romane (A, 102). Le cattedre di diritto feudale e criminale si ricordano a
mera pompa senza dar loro importanza (A, 109); appena si accetterebbe una
cattedra che romanamente si chiamasse di diritto delle g'enti naturale e civile.
Pensa invece il ÌMaifei che quattro debbano essere i lettori principali di
diritto civile, ma senza ripartire la materia fra essi ; sempre costante nei suoi
giudizi intorno all'importanza della storia, propone che alcuno di essi insegni
tuttei la storia delle romane leggi, dimostrando le varie scuole di giuristi e
(i) Quali fossero ciiiquant'anni dopo i sentimenti di Carlo Emanuele III, apprendiamo
da un documento inedito, dove si legge che a parer suo una cattedra di diritto pubblico non
porterebbe alcun vantaggio pratico agli studenti di leggi ; il diritto naturale e delle genti
s'impara inii)iicitamente nello studio delle leggi romane, essendo il fondamento della ragione
civile; la lettura di libri basta per conoscere le diversità dei governi; i principii legali ordi-
nari sono sulTicienti per risolvere le questioni sull'esercizio della sovranità e sulla successione
dei principi. (,'\rcli. di Stato, (università, mazzo d'addiz. n. 6. Progetto di riforma delle
costituz. universit. coi sentimenti e risoluzioni di Carlo lùii. IIIi.
IO
FRANCESCO DE AGUIRRE E SCIPIONE MAFFEI 83
l'eccellenza del Cuiaccio, del Gotofredo, dell'Alciato e dei compagfni loro:
inoltre raccomanda lo studio degli usi dalla dominazione Gota sino al sec. xii
sulle leggi e sulle carte barbariche e medievali. E assai notevole che egli
accenna in via d'esempio ai molti equivoci che derivano dal considerare la
teoria dei possessi e quasi possessi soltanto colle idee del Corpus luris,
quando hanno radice nei secoli anteriori al ristahiliììiento del diritto romano
(MT, 15): centocinquant'anni all'incirca dovettero passare primachè questa
idea, così importante nella storia del possesso, fosse accolta da tutti gli sto-
rici del diritto! Sono pur necessari (ed il ^Nlaffei concorda in questo con altri
contemporanei autori di proposte riforraatrici) (i) anche lettori di diritto feu-
dale, penale e municipale, perchè sono materie d'utilità pratica, lo Stato del
Re è pieno di feudi, ed a torto si trascurano le leggi particolari dei paesi che
vagliono oggi per autorità (del principe) e non solamente per ragione (diritto
romano), poiché secondo quelle si giudica e si dispone delle facoltà (AIP, 180;
MT, 15, 16). Si noti però che queste discipline, almeno le due prime, s'inse-
gnavano veramente a Torino sino dal sec. XVII.
Ugualmente pel diritto canonico il de Aguirre propone un numero ecces-
sivo di cattedre, tre ordinarie pel Decreto, le Decretali e le Istituzioni, e
parecchie straordinarie separate, pel lib. VI, per le Clementine, per le Estra-
vaganti, per le costituzioni e consuetudini posteriori, per le materie 'speciali
(beneficii, censure, sacramenti). Invece il ÌMaffei richiede due sole cattedre,
del diritto antico e del moderno, poiché a ben conoscerlo e porre in chiaro
i veri contini del sacerdozio e del principato, tanto sono necessarie le Decre-
tali quanto i canoni antichi, i quali ebbero vigore per tre secoli nella Chiesa
e devono esser liberati dagli errori aggiunti da (Traziano e dalle imposture
di Isidoro, senza trascurare poi le bolle più recenti e i canonisti migliori. In
questa parte assai più si estende il de Aguirre, sia per l'indirizzo costante da
lui seguito nell'opera sua, a cominciare dalla strenua difesa del tribunale siculo
della Monarchia contro le pretese della Curia, sia per la molto maggiore cono-
scenza delle aspre battaglie combattute da \"ittorio Amedeo II: mentre il
Maflfei si accontenta di quelle poche parole intorno ai veri confini, l'altro
vuole che i professori di diritto canonico insegnino fino a qual segno le
regole ecclesiastiche possano obbligare i fedeli, espongano le vere origini delle
leggi ed usi di cui si vale la Chiesa nelle materie delle giurisdizioni e bene-
ficii, giurino di non sostenere proposizioni contrarie all' innata potestà del
principe ed a quella spezialmente die gli compete per ragione divina, per uso
e pratica dell'antica Chiesa, per ragione delle genti, per diritto civile, per
dettame di retta ragione, che tende a conservare i diritti della sua corona
(A, 84, 85) (2).
(i) Cfr. Ardi. Torin. (hiiversita, mazzo I, n. 13. Progetti per lo stabilimento d'una
univers. a Chambéry. — Ivi mazzo d'addizione n. 12. Parere del Giannone per TUnivers. di
Napoli, an. 1733. — De Blasus, L' Univers. di Napoli nel 1714 in Arch. sfar. napoL, I, 148.
(2) In un parere citato dal De Blasiis, loc. cit., 149, 155, si propone istituire a Napoli
una lettura speciale delle materie di giurisdizione, senza il nome particolare per evitare le
proteste degli ecclesiastici! — Cfr. Ardi. Torin., (hiivcrsità, mazzo V, Sistema per ben insc-
enare le lesasi ecclcs.
84 ALESSANDRO LATTES
Quanto alla facoltà di teologia suddivisa in quattro inseg-namenti, sacra
scrittura, teologia dogmatica, scolastica e morale), basterà notare che pel
de Aguirre essa rappresenta il culmine della scienza e dell'Università: egli
raccomanda ai lettori di seguire le dottrine della scuola francese die Ita sempre
rapportato il pruno onore fra tutte le Nazioni d'Europa (A, 87, 100), come l'ita-
liana nella giurisprudenza, e vorrebbe un lettore speciale che spiegasse le
sentenze di Pietro Lombardo ed un altro per la Somma di S. Tommaso: la
storia ecclesiastica sarebbe la sola cattedra pubblica di storia da lui am-
messa e dovrebbe essere insegnata dal professore di teologia dogmatica.
Il j\Iaffei è molto più indifferente, raccomanda che s'introduca l'insegnamento
della teologia specialmente per aumentare il concorso degli studenti, accetta
quello della scolastica in particolare, solo perchè è tanto diffusa che non si
può escludere dall'Università e giova a conoscere le armi usate dagli eretici
nel difendere le proprie eresie — ma pensa che i professori debbano dar no-
tizie di tutte le scuole e delle loro controversie senza arrabbiarsi per alcuna
di esse, che la scuola francese non sappia conservare in ogni punto la mo-
derazione conveniente e che in qualunque caso i lettori debbano essere ita-
liani. Dovranno inoltre gli insegnanti usare direttamente delle fonti, testi
sacri. Santi Padri, decreti pontificii, evitare la discussione di questioni im-
maginarie ed inutili, e tener conto sia dei meriti sia dei difetti di S. To-
maso e dello studio che egli stesso faceva sui testi e sugli scrittori più antichi
(MT, 18, 29).
Questo esame assai minuto delle proposte presentate dai due valenti
ingegni ad uno scopo comune vale a mettere in piena luce la loro diversità
ed a parer mio la grande superiorità del Afaffei sul d'Aguirre. In ogni parte
dello scibile, anche in quelle più lontane dalle sue meditazioni, quegli di-
mostra una peculiare indipendenza dalle idee dominanti, una tendenza a ri-
correre sempre alle fonti ed ai testi primitivi, una propensione ad ampliare
l'estensione delTinsegnamento, ad elevare la coltura, ad escludere le materie
che danno più facile esca a chiacchiere vuote ed inutili. Anche il d'Aguirre con.
sigila più volte ai lettori, specialmente ai teologi, d'astenersi da vane e ri-
dicole sottigliezze, ma il Maffei ribatte per tutti lo stesso chiodo e più lunga-
mente, poiché insegnamenti e dispute scolastiche sono cose false ed inefficaci,
quando si tratta di argomenti veri ed importanti nella vita, come le cause
forensi (jMT, 27, 28). Quantunque egli non abbia potuto sempre sottrarsi ad
errori per noi ridevoli, da cui soltanto pensatori e scienziati posteriori po-
terono sgombrare il cammino, egli seppe pur levarsi a volo più libero e più
alto sopra il fondo comune dello scibile contemporaneo, comprender la ne-
cessità d'una onesta e moderata libertà, sia pur senza pregiudizio nò della
pietà nò dello «Stato, difender la concessione d'un giusto arbitrio a' profes-
sori fuori da ceppi precisi ed insuperabili (IVtT, 3, 11). Il suo Parere si può
veramente considerare come un monumento assai notevole della coltura ita-
liana. Certamente non giova dimenticare che il Alaffei era libero da tutti quei
vincoli che legavano il d'Aguirre alla Corte di Savoia, sicché potè francamente
consigliare al Re, come dissi, l'uso della lingua italiana nei comandi mili-
tari e raccomandare'V//6' Prostra Maestà si degni di non usare la pienezza della
FRANCESCO DE AGUIRRE E SCIPIONE MAFFEI
podestà con dispensare dalle Leggi (i) (MT, 26), ma è pur vero che non man-
carono alla Corte di Vittorio Amedeo nobili piemontesi, legati da quegli
stessi vincoli, anzi da maggiori per antica origine e tradizione gentilizia, i
quali seppero pur parlare alto e forte in faccia allo stesso Re, quando lo
credettero necessario.
Né il d'Aguirre né il Alaffei riuscirono a persuadere il Re della bontà delle
loro proposte ed a fargliele accettare nel riordinamento dell'Università.
Tanto l'editto del 1720 quanto le RR. Costituzioni del 1723 fanno menzione
solo di alcuni professori senza alcuna norma intorno ad una distribuzione
sistematica di materie: nel calendario, detto volgarmente Docehir, formato
per lo stesso anno 1720, primo dell'Università rinnovata 2), gli insegnamenti
sono incompleti, e si continuò, come nei secoli precedenti, a chiamare i mi-
gliori ingegni — o quelli creduti tali — e lasciarli alquanto liberi nella scelta
dell'argomento delle loro letture. T.a distinzione delle quattro facoltà e la
ripartizione delle materie tra esse apparisce per la prima volta nelle RR.
ce. del 1729, nella nuova riforma eseguita dopo la partenza del de Aguirre:
quattro lettori nella facoltà di leggi (istituzioni, diritto canonico, due di diritto
civile che comprendeva il feudale e lo studio delle RR. CC), quattro in teo-
logia sacra scrittura, teologia morale, due di teologia dogmatica e scolastica in-
sieme), sei in medicina (istituzioni, medicina teorica e pratica, anatomia, chirurgia
e botanica), sei nella facoltà d'arti (filosofìa, fisica sperimentale, geometria, ma-
tematica, eloquenza latina, lingua greca). Nessuna novità fu accolta in questo
programma: é chiaramente prescritto ai professori di teologia di mantenersi
fedeli ai precetti di S. Tomaso; nessuna cattedra particolare di diritto cri-
minale ; il diritto vigente vi fu compreso solo perchè da pochi mesi si erano
promulgate le RR. CC. ; non si parla della lingua italiana fino alle nuove
costituzioni del 1771, in cui fu affidato ad un professore unico l'insegna-
mento della eloquenza italiana e della lingua greca, ed al solo professore
di chirurgia fu concesso usar la lingua volgare, dovendo tutte le altre le-
zioni dettarsi e spiegarsi in latino ; della storia non si fa mai cenno e nel
1731 fu esplicitamente "dichiarato che non si credeva conveniente istituirne
pubblica lettura (3). Soltanto dall' elenco dei professori di leggi rileviamo
che negli anni 1736-38 Vassallo Albertengo insegnò storia della giurispru-
denza romana (4), e possiamo dire che lo studio torinese fu il primo ad
avere una cattedra di storia giuridica, per quanto ristretta e provvisoria;
invece più tardi, quando già a Pavia nel regolamento di ^Nlaria Teresa si
era istituita una cattedra di storia del giure civile, nelle RR. CC. del 1771
troviamo soltanto che il professore d'istituzioni civili doveva esporre in prin-
cipio dell'anno alcune nozioni di storia della giurisprudenza e quello di
diritto canonico accennare alla storia dei punti più importanti della disci-
plina ecclesiastica (5).
(i) Sugli abusi a cui dava luogo specialmente sotto Vittorio Amedeo II l'applicazione della
così detta Equità Paterna, v. Duboin, op. cit., VII, 51, 153 e Sclopis, Storia detta legislazioue
itatiana (2' ed.), II, 44^ = IH. 215, 216.
(2) Duboin, op. cit,, 615.
(3) Ivi, 621. Cfr. Arch. Torin., mazzo n. 4. Progetto 1731.
(4) DuBOTN, op. cit., 1595-
(5j Ibid., 642, n. 7 ; 643, n. 13.
86 ALESSANDRO LATTES
*
* *
Intorno alle strette relazioni che corsero fra i due illustri italiani più
volte ricordati nelle pagine precedenti, ci offre qualche notizia un co-
dice della biblioteca Trivulziana. Il cod. 196 del sec. xviii contiene sessan-
totto lettere senza dubbio originali, molte delle quali conservano tuttora in
calce od a tergo il nome del destinatario, che è appunto 1' avvocato conte
Francesco d'Aguirre; anche quelle che ne mancano, si possono ritenere indi-
rizzate al medesimo, sia per la riunione colle prime nello stesso codice, sia
per molti indizi tratti dal contenuto, ad eccezione di tre sole dirette ad altre
persone. Esse sono riunite a gruppi secondo gli scrittori senza ordine di
date e vanno dal 17 18 al 1760. Del manoscritto parlarono il Porro nel Cata-
logo della biblioteca, omettendo il nome del destinatario comune (i), il Motta,
attuale degnissimo e cortesissimo bibliotecario di essa, in una nota desti-
nata a far rilevare l'importanza storica e letteraria del codice (2), il Manda-
lari nello studio citato sul d'Aguirre, quantunque forse non abbia veduto
il codice stesso e riproduca qualche brano di lettere da altre fonti (3).
Ben nove di quelle lettere sono appunto scritte da Scipione Maffei al
d'Aguirre ed il Mandalari ne diede soltanto le diite senza pubblicarne parte
alcuna (4). Esse dimostrano i vincoli d'amicizia che legavano fra loro i due
letterati ed accennano più volte agli interessi che il Mafifei aveva a Torino,
pei quali egli ebbe frequente occasione di recarsi in questa città. Una sola
lettera parla brevemente dell'Università da poco instaurata, un'altra si rife-
risce alle lapidi ed iscrizioni torinesi, di cui il Mafifei prendeva cura anche
lontano, e non sarà sgradito il leggerne qui riferiti i due tratti.
« Verona, 17 settembre 1723 [Cod. Triv., f. 78) ».
.; Sarà sempre riputata una delle più belle imprese di cotesto Real
Sovrano, quella dell'aver fondato cotesta nuova Università, perchè veramente
il paese, più all'armi dedito che alle lettere, avea sommo bisogno di soggetti
che mettessero gli studij in miglior metodo e che sgombrassero alquanto di
barbarie che ancor ci regnava. In altre parti d' Italia sarebbe cosa da co-
media il proporre ancora il Tesauro per modello di rettorica e il dar fuori
un trattato che avesse per titolo I di fctti dell' Artefice fatti maestri dell' Arte ».
[Queste ultime parole si riferiscono alle opere rettoriche del conte Ema-
nuele Tesauro, che rappresentava la (]uintessenza del gusto depravato e do-
minava sovrano in Piemonte, e ad un opuscolo manoscritto, che era stato
diffuso per criticare certe iscrizioni funebri composte dai professori Bernardo
l.ama ed Agostino Campiani in morte d'una principessa (5)].
(i) Porro, Catal. dei mss. della Trivnl~iaiia, 210.
(2) Arch. stor. lomh., 1904, I, 181.
(3) Mandalari, op. cit. Le lettere vi sono citate da Crevenna, Calalogue raisonnc de la
collection de livres de M>- Pierre Antoine C. ncc^ociaul à Amsterdam e da Campori, Episto-
lario di L. A. Muratori, VI, VII.
(4) Quattro di queste- lettere furono pubblicate per intero nel citato Catalogne {l\ , 85-88).
(5) Tenivei.li. op. cit., 36. — Vai. LAURI. o\). cit., 376, 377. Cfr. p. es. anche Epistolario
cit., \'I, 2397.
'1
FRANCESCO DE AGUIRKE K SCJ PIONE MAEFEI 87
« Venezia, 16 giugno 1724 {Cod. Triv., f. .S6: la sola firma è autografa (i) ».
<'. \\ prego scrivermi se dopo la mia partenza si siano alla Consolata
scavate altre lapidi, perchè due giorni avanti vi si trovò la più bella di tutte
e naturalmente dovevano andarsene trovando dell'altre, il che mi sarebbe
carissimo, e quegli Amici son benissimo capaci di farle nascondere. Vi rac-
comando però, se qualch'una ne è data fuori, farla portar subito all'Univer-
sità e parimente mandarmene subito una copia esattissima e pittoresca. Se
parimente aveste notizia di qualch'una altra scoperta nelli Stati del Re, in
grazia mandatemene la notizia e la copia, e non lasciate di far condurre
tutte quelle che si potesse, essendo questa l'intentione del Re e premen-
domi sommamente d'ariccliir più che posso il Libro del IMuseo Torinese
che vo preparando. In Savoia so che c'è molto e in Vercelli non poco ».
E di nuovo in altra lettera del 26 agosto 1724 da Verona: « Se si trova
o scopre in Torino o in Piemonte qualche iscrizione, non lasciate di racco-
glierla e farmene parte ».
La maggior parte di quelle lettere si riferisce ad argomenti scienti-
fici od alle note beghe del MafFei con altri letterati. Nel 1726 chiede notizia
d'un papiro che si conserva nella Biblioteca di (rinevra, vorrebbe confron-
tarlo coi quattro da lui posseduti e domanda se potrà averlo a Torino da
esaminare per due giorni, o, se si può, farne decalcare una copia mediante
carta imbevuta di petrolio. Nel 1739 dà commissione per far fabbricare (in
Milano) un prisma di cristallo di monte, un triangolo perfetto con due ma-
nubrietti da farlo girare al sole, per sue esperienze intorno ai colori, cioè
allo spettro solare. Più tardi vorrebbe avere un libretto stampato ma non
messo in vendita, contenente le iscrizioni delle lapidi conservate in casa
Archinti, nel cortile e nell'ingresso del palazzo.
Così da parecchie lettere del 1739 apprendiamo che il Maffei conside-
rava l'Argellati come suo nemico mortale, per colpa del quale le sue Osser-
vazioni letterarie erano poco conosciute a Milano, — accusava di grave in-
gratitudine il Muratori (2) che aveva verso di lui obbligazioni grandissime —
si lamentava che non avesse avuto alcun effetto la benevolenza con cui egli
lo aveva trattato nella lettera a lui diretta nell'opera Galliae aìitiq-iiitates, —
giudicava un complesso di menzogne e sciocchezze un libretto del Gori contro
di lui (Maffei).
Possiamo pur ricordare la lettera 13 giugno 1726 in cui il Maffei do-
manda quando avverrà presso a poco il parto della Principessa Reale, desi-
derando essere in quel tempo a Torino.
Anche in altre lettere dello stesso codice prov^enienti da persone diverse
si leggono accenni all'Università di Torino, ma questi vennero quasi tutti
pubblicati dal Mandalari nello scritto citato: sono giudizi di professori e
letterati sullo Studio e sui lettori, lusinghieri durante i primi tempi d'aspet-
(i) Catalogne cit., IV, 85.
(2) Sui rapporti fra il Muratori ed il Maffei, v. Accademia delle Scienze di Torino, Atti,
XXXV. 369 ed Arch. Sfar, loinb., 1905, 434,433 d-A\V Epistolario cit.
15
ALESSANDRO LAI TKS - FRANCESCO DE AGUIRRE E SCIPIONE MAFFEI
tativa e finché il d'Aguirre era a Torino ed aveva parte nell'opera riforma-
trice, pungenti e satirici più tardi, quando gli effetti non corrisposero e il
de Aguirre se n'andò a Milano. Meritano di essere ricordate alcune curiose
lettere del Metastasio, di cui si nota in quell'opuscolo soltanto la data e che
non furono comprese fra quelle stampate nel Catnlogìie del Crevenna.
Nel 17 19 (Napoli, 23 dicembre) il giovane Trapassi, che era già in car-
teggio col de Aguirre (i), gli si raccomanda per ottenere un posto alla Corte
di Torino: l'anno successivo (Napoli, 5 marzo) gli scrive nuovamente, offren-
dosi come lettore per l'Università, e lo prega d'indicare il suo nome al Conte
della Perosa, ministro di Vittorio Amedeo alla Corte napoletana, poiché
questi cercava uoinini per l'Università e il padre Miro, piemontese dimo-
rante in Napoli, avrebbe dato del Metastasio ottime informazioni, come ben
degno d'occupare una* cattedra legale, se il conte gliele avesse chieste (6W.
Triv., f. 66). Pronta ed esplicita dev'essere stata la risposta del de Aguirre
che senza pietosi veli comunicò al Metastasio l'assoluto rifiuto del Magi-
strato della Riforma, se giudichiamo dal ringraziamento a denti stretti di
quest'ultimo.
« Napoli, 9 aprile 1720 [Cod. Triv., 60) ».
« In somma \ . S. Ili'"' non sa in qualche sia affare esser già mai da sé
stesso diverso: mi à così obligato l'ingenua risposta di cui ella à degnatola
mia lettera sul progetto fattomi dal Rev'"" Miro ch'io molto più mi com-
piaccio di quella amichevole sincerità e candidezza, di quello che altri fatto
avrebbe di una cortegiana repulsa, che a ])rimo aspetto tale non fosse com-
parsa. Non mi à recato meraviglia simile impedimento ossia difficoltà... Egli
é per vero che mi figurava che a quest'ora si fosson affatto sgannati coloro
che suppongono potersi costì riempiere l'Università così a primo colpo tutta
d'uomini celebri e provetti et in sì fatte cose da lungo tempo essercitati,
essendoché tali uomini sono tutti certamente nelle loro dimore accommo-
dati... Uomini che anno fatto il loro credito non si espongono così facilmente
alle fattighe-e pericoli d'una nascente Università, nella quale, per farsi re-
putare a paragone della loro stinui acquistata, dovrebbero rifarsi da capo in
tutti que' studi da' quali ne' luoghi ove dimorano sono dispensati dal con-
cetto che s'è già di loro formato. Queste ed altre tali riflessioni a Y. S. lll'"^'
cosi famihari, mi meraviglia che non abbiano ancora sgombrato dalla mente
di codesti regolatori ccxsì volgari pregiudizi >.
Non fu grave tuttavia la ])erdita per X Università torinese, poiché il
Metastasio cercava soltanto un impiego proficuo e chiede nella stes.sa lettera
ragguagli di che onore r di clic lucro siano gli ufficii di segreteria alla Corte,
di cui lo stesso d'i\guirre gli aveva fatto parola, rettamente stimando la
sua capacità e la grande inferiorità del suo ingegno a paragone della vasta
mente del suo defunto Maestro.
(i) Metastasio. Let/ere disperse o incdilc a cura di (ìiosul- Carducci. 1, L"? e segi";.. 24
e segg.
16
FILIPPO VIVANET
LA SARDEGNA
NEGLI
ARCHIVI E NELLE BIBLIOTECHE
DELLA SPAGNA
:me.moria postuma
pubblicata con Prefazione
DA
SILVIO LIPPI
12 Mise. S. Ili, T. XIII.
PREFAZIONE
Queste pagine furono scritte dal comm. prof. Filippo X'ivanet
pochi mesi prima che un'immatura ed improvvisa morte lo sottraesse
all'affetto della diletta famiglia, alla stima dei suoi concittadini ed alla
ammirazione dei suoi vecchi e giovani amici (^'. Egli tu preclaro cit-
tadino, onesto ed imparziale amministratore della cosa pubblica — per
molti anni — nel Comune e nella Provincia, e dotto professore nella
R. Università, di cui, con uno splendido discorso, illustrò le gloriose
vicende (2),
La sua feconda opera di letterato e di storico ed il prezioso con-
tributo di dottrina, di erudizione e di esperienza recato agli insigni
istituti, nei quali mi toccò l'alto onore di averlo indulgente collega,
illustre e benamato maestro, meritano di essere ricordati.
Quando a ventun'anni, nel 1857, dalla sua giovane lira uscivan le
prime strofe frementi d'amor patrio, che egli, bene a proposito, inti-
tolava Annonic '3), il. migliore storico ed il più benemerito letterato
della Sardegna, Giuseppe Manno, scriveva a Pietro Martini: « questo
giovane promette al Parnaso Sardo 7nao^mini incre^nentnm. Havvi in
lui la scintilla sacra ^ (4). E, rivolgendosi poscia alla modesta, gentile
e felice madre del giovane e brillante poeta, ripeteva quell'augurio,
di cui non ve n'ha più lusinghiero, « benedetta colei che in te s'in-
cinse! » E benedetta fu davvero la vecchierella, che, fino alla più
tarda età, ebbe il sovrano conforto dell'insuperabile affetto di figli, che
furono decoro della famiglia e della patria.
(i) Nacque in Cagliari dai coniugi Antonio Vivanet e Teresa Sanguinetti il 23 aprile 1S36
e vi morì l'ii giugno 1905.
(2) Stato di servizio dell\4teneo cas^/iaritatio. In Annuario della K. Università di Ca-
gliari, anno 1902-1903.
(3) Tip. A. Timon, Cagliari, 1857.
(4) Silvio Lippi, Lettere iìicdite del barone Giuseppe Manno a Pietro Martini, 1835-1S65.
Cagliari, tip. dell'Unione Sarda, 1902. Edizione privata di C copie.
FILIPPO VIVANE'!
Quando, pochi anni dopo, dalla sua penna, cui non erano ignote
le più eccelse vétte del pensiero, uscivan, come scintille roventi, fiere
parole di accusa contro la leggerezza di Gustavo jourdan ed in undici
giorni scriveva quel grosso volume ('), che contiene la nobile, digni-
tosa, alta, serena e patriottica difesa della Sardegna, il suo nome ve-
niva tosto e meritamente collocato al fianco di quelli dei più valenti
letterati dell'isola ed il suo vigoroso intelletto, d'allora in poi, non
venne meno in tutte le generose iniziative cittadine.
Quando le LL. AA. RR. i Principi Sabaudi Umberto, Amedeo
ed Oddone visitarono la città di Cagliari, egli volle essere l'anonimo,
ma diligente cronista del lieto avvenimento (2)^ seguendo l'esempio di
Pietro Martini (3) e di Pasquale Tola ^^', che avevano disteso le belle
relazioni dei due fausti viaggi del re Carlo Alberto nell'isola.
Atto solenne di riverente stima e squisito modello letterario reste-
ranno a lungo, per la nobiltà dello stile, non meno che per la serena
obiettività degli apprezzamenti e l'elevatezza del gentile pensiero, le
dotte biografie dettate in onore del generale Alberto Ferrerò della
Marmora (s), di Pietro Martini '^), del barone Giuseppe Manno ^7)^ del
canonico Giovanni Spano (^^ e di Giovanni vSiotto-Pintor (9). Era questo
uno dei rami della letteratura, nel quale rimarrà per molto tempo
degno di ammirazione, perchè non so se più debbasi lodare la squi-
sitezza del sentimento inspiratore, la venustà della forma o la rettitu-
dine dei giudizi. Certo è che da quelle splendide ed eleganti pagine,
finite con ogni cura, balza fuori un nobilissimo pensiero, che involge
ed affascina l'animo del lettore e dà solchi profondi e leggère sfuma-
ture alle bonarie figure di quegli insigni benefattori della Sardegna,
di quei valorosi letterati che sì efficacemente contribuirono £id illustrarne
le passate vicende.
(i) Gustavo Jourdan e la Sardegna. Cagliari, tip. A. Timon, iS6i.
(2) RaoguagHo del soggiorno fallo dalle LL. AA. RR. L'inherlo, Amedeo, Oddone di
Savoia a Cagliari e delle feste celebrate da questa cittadinanza onde onorare il fausto avve-
nimento del loro arrivo. Cagliari, tip. A. Timon, 1862.
(3) Relazione del viaggio fatto in Sardegna nel 1841 da S. M. il Re Carlo Alberto e dal
suo figliuolo primogenito S. A. R. Vitto7-io Emanuele, duca di Savoia. Cagliari, tip. Timon.
(4) Relazione del viaggio fatto in Sardegna nel 1843 da S. M. il Re Carlo Alberto e
dal suo figliuolo secondogenito S. A. R. Ferdinando ^^ farla, duca di Cìenova. Cagliari, tip.
Timon, 1843.
(5) Elogio del cav. Alberto Ferrerò della Marmora. Cagliari, tip. A. Timon, 1863. —
Alberto La Marmora (Conferenza). Cagliari, tip. lit. Commerciale, 1893.
(6) Pietro Martini, la sua vita e le sue opere. Cagliari, tip. A. Timon, 1866.
(7) // barone Giuseppe Manno. Cagliari, tip. A. Timon, 1864.
(8) Lettera biografica {sul can. Giov. Spano) a S. E. mons. Eugenio Cano vescovo di
Bosa (20 aprile 1878). In Spano : Bosa velus, opera postuma. — Discorso per la inaugura-
zione del busto a Giovanni Spano. Cagliari, tip. del Corriere, 1890.
(9) Giovanni Siotto Pintor nella politica e nelle lettere. Cagliari, tip. dell'Unione
Sarda, 1895.
LA SARDEGNA NEGLI ARCHIVI E NELLE BIBLIOTECHE DELLA SPAGNA 93
A Lui non era possibile di rinserrare fra anqusti confini la po-
tenza del fervido ed esuberante ingegno: era stato poeta geniale, let-
terato insigne, biografo accurato ed imparziale: volle diventare storico.
Studiò la Sardegna nella Divina Commedia e nei suoi commenta-
tori ('), fece rapporti, nella qualità di Regio Commissario dei Musei
e Scavi di antichità, illustrativi dei trovamenti archeologici nell'isola (2),
scrisse sulla storia antica della Sardegna (3), poscia le note per la storia
del castello di Acquafredda (4) e le relazioni sull'andamento dell'Ufficio
regionale per la conservazione dei monumenti '•''). E l'opera sua non
restrinse a distendere le sapienti relazioni: percorse spesso l'isola, ne
visitò ed illustrò i più importanti edifizi antichi, propose gli opportuni
restauri, incitò gli Enti interessati ad elargire sussidi pecuniari e sot-
trasse molti monumenti a lenta, ma sicura rovina, o, per lo meno, ri-
tardò l'opera deleteria del tempo.
Chiamato a rappresentare l'isola nella R. Deputazione sovra gli
studi di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, nella
quale — lasciando di sé ottima fama — l'avevano preceduto il barone
Giuseppe Manno, Pasquale Tola, Pietro ^lartini e Giovanni Spano, si
mostrò degno dell'onore conferitogli, prima di socio corrispondente e
poi di membro effettivo. E quando la stessa benemerita R. Deputa-
zione deliberò che il suo nome fosse legato ad una opera poderosa,
voglio dire, all'importante edizione degli Atti dei Parlamenti Generali
di Sardegna, che andranno a formare alcuni volumi, in foglio, dei suoi
classici Mommienta, Egli, conscio della sua operosità e confidente nel
suo vigore, accettò ben volentieri il gradito incarico, nel quale l'ave-
vano preceduto Carlo Baudi di Yesme e Felice Comino. Vi si applicò
da principio con calma, quasi per valutarne esattamente tutta l'esten-
sione e l'importanza, poi con lena crescente, togliendo ore al riposo,
alle cure dei suoi molteplici uffici, alle inesauribili gioie della diletta
famiglia. Colla costante perseveranza di chi vuol riuscire ad ogni costo
e coU'immutabile fede dell'apostolo, davasi a tutt'uomo ad illustrarne
(i) La Sardegna 7iella « Divina Coììiìiiedia » e nei suoi coìnnientatori. Sassari, tip.
Azuni, 1879.
(2) Rapporti del R. Cominissario dei Musei e scavi di antichità, illustrativi dei trovamenti
archeologici di Sardegna. In Notizie degli scavi, anno 1S79 e seg.
(3) La storia antica della Sardegna (discorso inaugurale). Cagliari, tip. del Commercio,
1881. — Cagliari antica, dalle origini alla fine dell'era romana. Cagliari, tip. Valdès, 1902.
Estratto dal volume pubblicato in occasione del X Congresso degli Ingegneri ed Architetti
italiani iti Cagliari.
(4) Note per la storia del Castello di Acquafredda. Cagliari, tip. Ut. Commerciale, 1S94.
(5) Dodici relazioni a S. E. il Ministro della P. I. sulV atidaviento dell'ufficio regionale
per la conservazione dei minuinviti. Cagliari, 1.S93-1906. L'ultima è stata pubblicata a cura
dell'ing. Dionigi .Scano, reggente la direzione del ]iredetto ufficio.
94 FILIPPO VIVANET
la prima parte. Le difficoltà si sovrapponevano alle difficoltà ed anda-
vano aumentando in ragione delle minuziose indagini, che egli voleva
condurre con ogni diligenza. Sulle non molto chiare vicende del prin-
cipio della signoria aragonese egli voleva gettare uno sprazzo di nuova
luce, opperò alle lunghe meditazioni susseguivano alacri ricerche, più
estese e più esaurienti, ed il lavoro assumeva più vaste proporzioni
nella potente concezione del geniale scrittore.
Volle al suo fianco un giovane compagno e l'ebbe di sua ele-
zione: l'offiirta fu accettata con slancio eguale al generoso pensiero
che l'aveva .suggerita, c[uello, cioè, di alleggerire il faticoso e pesante
lavoro ad un valoroso veterano, che, avendo robuste le forze del corpo
e della mente, non intendeva di rinunziare alla nobile ambizione di
dettare la migliore e più importante parte della storia sarda degli
ultimi sei secoli, relativa alla costituzione ed al funzionamento dell'as-
semblea rappresentativa e legislativa della Sardegna. Ma Egli, pur
troppo! non vedrà il bel volume che al lato dei nomi dei suoi com-
pianti predecessori, caduti durante la preparazione dell'immane lavoro,
porterà inciso il suo, a perenne ricordo delle sue alte benemerenze!
Reduce da una escursione scientifica in Spagna, dove aveva par-
tecipato attivamente ai lavori del Congresso Internazionale di architet-
tura, tenutosi a Madrid, ed era intervenuto — festevolmente accolto
— ad una solenne riunione dell'insigne R. Accademia di belle lettere
di Barcellona, aveva compilato — a somiglianza dell'opera del com-
pianto mons. Isidoro Carini per la Sicilia — una interessante memoria
sui documenti conservati in alcuni archivi e biblioteche della penisola
iberica in rapporto alla Storia Sarda e l'aveva mandata alla accennata
R. Deputazione torinese. Ora la breve memoria vede la luce nella
Miscellanea dì storia italiana ed offre una utile e sicura, quantunque
incompleta, guida ai cultori degli studi storici, i quali finora ad ecce-
zione di quanto il Carini aveva incidentalmente pubblicato nella sua
preziosa Relazione (^) ed io Xi^VAzwenire di Sardegna l^) e nella Pic-
cola Rivista (3), ben poco conoscevano del prezioso materiale archivistico
spagnuolo relativo a questa isola. Epperò è da augurare che al pre-
sente lavoro ne susseguano altri, condotti con criteri archivistici più
razionali ed estesi a tutti i depositi di carte, giacche la migliore e
più completa documentazione della storia sarda dal principio del se
(i) IsiooRO Carini, Gli Archivi e le biblioteche di Spai^na in rapporto alla storia d' Italia
ili generale e di Sicilia in particolare. Palermo, tip. dello Statuto, 1884.
(2) Cagliari, 11 febbraio 1890, anno XX, n. 36.
(3) Cagliari, 31 gennaio 1S99, anno I, n. 4.
6
LA SARDEGNA NEGLI ARCHIVI E NELLE BIBLIOTECHE DELLA SPAGNA 95
colo decimoquarto alla line del decimosettimo è conservata negli ar-
chivi e nelle biblioteche di Spagna e specialmente in quelli esistenti
a Barcellona, Alcalà de Henares, Simancas e Madrid.
Fin dalla fondazione venne dai colleghi elevato alla meritata ca-
rica di Presidente della Commissione Araldica sarda, ufficio molto
delicato in una regione, dove difettava l'esatta conoscenza di notizie
genealogiche, dove — dopo la celebrazione del Parlamento Generale
dell'anno 1698 — non si era eseguito alcun altro censimento nobiliare
e non esisteva neppure una raccolta degli stemmi. Ora invece tutti
questi lavori sono compiuti e vi ha certamente contribuito la sua so-
lerte azione direttiva. Agli elenchi provvisori e detìnitivi, già pubbli-
cati, seguirà fra non molto la riproduzione cromolitografica delle armi
gentilizie delle famiglie nobili e titolate della Sardegna. Ma la sua
operosità scientifica ben più si estese ed è comprovata dalle sue nu-
merose e dotte pubblicazioni '^K
Se da molti sarà seguito il suo nobile esempio di costanza, di
studio e di equanimità, alla sua diletta città natale — per la quale
dalla sua mente e dal suo cuore sgorgava un perenne inno di bene,
di entusiasmo e di ammirazione — non mancherà certamente un degno
e lieto avvenire.
Cagliari, 25 agosto 1906.
Silvio Lippe
(i) Arturo Guzzoni degli Anxakani, Akunc notizie suir l'uiversità di Cagliari, in
Annuario della R. Università, per l'anno scolastico i.S97-iS9<S. Cagliari, tip. X'aldès, 1S9S,
p. 305. — Archivio storico sardo, edito dalla Società storica sarda, voi. I, fase. 1-2, p. 166.
Cagliari, tip. Dessi, 1905.
~/-/"\^ V V V V V V V V V VVVVYVVVVVVVV
L'abate Isidoro Carini, ben noto e distinto cultore di studi storici, già
addetto all'Archivio di Stato di Palermo, ora passato da qualche anno a
miglior vita (i), ricorrendo il sesto centenario del celebre Vespro di Sicilia,
ebbe incarico dal R" Governo di recarsi in Barcellona per trascrivervi con
ogni cura i due preziosi Registri intitolati: ;; De rebus regni Siciliae » colla
fondata speranza che nel grande Archivio della « Corona de Aragon >, ove essi
vengono conservati, si potessero rintracciare molte ed importanti notizie,
sinora ignote, intorno a quell'avvenimento storico per cui cessava il dominio
angioino nell'Isola. Il successo ottenuto dal Carini in siffatte ricerche per-
suase ad ampliare il suo incarico ed estenderlo ai principali archivi e biblio-
teche di Spagna, che doveano custodire necessariamente documenti di sin-
golare valore riguardanti la storijt civile, militare e politica d'Italia.
Frutto pregiato di questa visita fu la sua opera intitolata <; Gli archivi e le
Biblioteche di .Spagna in rapporto alla storia d'Italia in generale e di Sicilia in
particolare v (2) divisa in due parti, la prima delle quali contiene il testo della
relazione del suo viaggio al sovrintendente degli archivi siciliani Commen-
datore Giuseppe Silvestri, e la seconda i documenti e gli allegati, di cui stimò
bene corredare il suo diffuso ed elaborato rapporto. Dal rapido ma allo stesso
tempo accurato inventario compilato dal valente e benemerito Archivista di
Palermo risulta esistere carte interessanti la storia della Sardegna nell'Ar-
chivio della Corona di Aragona, che, come fu detto, risiede in Barcellona,
in quello (jenerale e -Centrale di Alcalà de Henares, e nel Generale di
Simancas, e, per quanto riguarda le Biblioteche, nella Nazionale e dell'Ac-
cademia della Storia di Madrid ed in quella detta di « Santa Cruz » in Valla-
dolid, la capitale della vecchia Castiglia.
Come richiedeva la natura del lavoro, brev^issime sono le indicazioni
date nella prima parte, ma queste diventano più precise e dettagliate nella
seconda, ove è fatta la descrizione delle carte che poteano interessare gli
studiosi di storia italiana e particolarmente della Sicilia, nei diversi istituti
archivistici e librari della Penisola. Per quanto si riferisce alla Sardegna
abbiamo il seguente quadro :
Archivio della Corona di Aragona.
Si ricava l'esistenza di Regesti Sardiniae (parte I, fase. I, pag. 20) ed in
particolare nel Registro 1,500, foglio 1,5 verso, i seguenti documenti: Convo-
catoria delle Cortes di Barcellona riunite nel 1379-1380 per trattare del
(i) Moriva in Roma il 25 gennaio 1S95.
(2) Palermo, tipografia dello « Statuto » 18S4.
9
13 Mise, S. Ili, T. Xm.
g8 FILIPPO VIVANET
viaggio che il Re Don Fedro od uno dei suoi figli disegnavano fare all'Isola
di Sardegna per sedarvi il fuoco della ribellione ed, in fine di questo Registro,
una lettera dello stesso Don Fedro in data 20 febbraio 1385 che proroga le
Cortes di JMonzon, in cui i tre Bracci aveano chiesto calorosamente al Re,
che fossero destituiti e processati, come rei di alto tradimento, molti Consi-
glieri della Corona e del primogenito, per aver fatto parte dei segreti di
Stato a Don Fedro e a Don Errico di Castiglia, non che al Giudice di Ar-
borea, ai baroni siciliani, all'angioino ed al Comune di Genova, come pure
per aver favorito l'Infante di Maiorca ed affrettato la pace coi Genovesi,
con gran vantaggio di questi ultimi. (Carini, parte I, fase. I, pag. 26-27).
Nel Registro di Fietro \\, n. 38, fol. 209, una lettera senza data in cui
il Re conferma al Fodestà, agli anzicini, ed al Comune di Fisa, che gli
aveano inviato ambasciatori, le immunità e grazie concesse loro dai suoi
predecessori e raccomanda ad essi le immunità ed i privilegi che godono i
Catalani in Fisa e Sardegna e specialmente in Cagliari. (Carini, « Gli Ar-
chivi » ecc., parte II, fase. I, pag. :^-3).
Nel Registro n. 46, fol. 122 verso:
l.ettera del Re Fietro, da Valenza 1" dicembre 1283, perchè a Lappo
Guindone maestro portolano del Regno di Sicilia, con moglie, figlio, famiglia,
due cavalcature e l'arnesio (i), si dia passaggio per Sicilia, toccando la Sar-
degna per potersi ivi abboccare col (xiudice di Arborea. (Carini, ivi, pag. 25).
Registro n. 46, fol. 178 verso:
« Valènza, io aprile 1284. — Al nobile Don Mariano Giudice di Arborea
« dilecto afiìni suo. Sapemmo che due nostre galee, provenienti dai mari di
« Sicilia furono prese e ritenute in Cagliari da' Fisani , morti parecchi ed
« altri presi; più clie l'armata Fisana, teste venuta nei mari di "Maiorca, fece a
«noi ed agli uomini nostri molti danni, portando seco navi, merci ed altro.
« Ce ne maravigliammo; e, poiché nostra intenzione è mantener co' detti
«Pisani quelle buone relazioni ch'ebber con essi i predecessori nostri e
«quelli della consorte nostra la Regina Costanza, non essendovi causa
« di nimistà vi preghiamo di farci avere la restituzione delle menzionate
« galee ecc. Che se i medesimi han qualche motivo di lagnanza cel dicano
«e faremo loro giustizia». (Carini, ibidem, pag. 31).
Nell'i^rchivio (TcneraK; Centrale di Alcalà de ilenares, nella Sezione
storica contenente ben 15.000 legiijos, alla rubrica « Xegociacion de Italia >'
il Carini ebbe a riscontrar carte riguardanti afiari di Sardegna ed un <> Ne-
gociado » di Sardegna senza però venire a dettagli, (Carini, parte I, fase. I,
pag. 77), né in questa, né nella seconda parte del suo libro.
Foco o nulla egli riusci a spigolare negli Archivi e Biblioteche di Madrid
trovandosi nella sua opera appena un accenno alla nostra Isola in una rac-
colta di documenti relativi all'Italia in generale (parte I, fase. II. pag. 218),
posseduta dalla Biblioteca Nazionale in un manoscritto cartaceo che potrebbe
darci qualche notizia sui genovesi che tennero l'episcopato in Sardegna (2)
(i) Armatura completa.
(2) Archiepiscoporan> et Episcoporum Geiiuensium, qui in Iiisulis et Regnis Siciliae et
Sardiniae, in Italia atqu'e in coeteris Europae Regnis, nempe in Imperio Austriaco, Catholica
et Christianissima HisiKiniaiuni et (ialliarum Coronis meritissime Infulas tenuerunt Pienissima
descriptio sequitur.
IO
LA SARDEGNA NEGLI ARCHIVI E NELLE BIBLIOTECHE DELLA SPa'gNA
99
(parte I, fase. I, pag-. loS) ed in una lettera, datata da Cagliari nel 13 giugno
1410, del luogotenente di Governatore e probi uomini con la quale si annun-
ciava la morte ivi avvenuta del Re di Sicilia Martino II a P)ernardo Cabrerà,
Conte di ^Modica parte II, fase. II, pag. 2Ò5) esistente nell' « Academia de
Hi storia .•.
A Valladolid nella biblioteca del celebrato Collegio di Santa Cruz il
Carini registrava un gran volume col titolo <. Atroees sucesos de Cerdeiìa »
contenente documenti (Carini, parte I, fjisc. Il, pag. 272) relativi all'uccisione
del viceré marchese di Camarassa, ed un registro, in eastigliano, di corri-
spondenze di Sardegna col titolo '< Registro de las cartas de Cerdena del ano
1668». di ben 214 fogli, e che hanno certamente relazione con questo straor-
dinario avvenimento che in quell'anno commosse l'intera Isola (Carinl parte
I, fase. II, pag. 275), la cui definitiva sentenza rimase nella Biblioteca già
Arzobispal ora Provincial della stessa città.
Più larga messe raccolse il Carini nell'Archivio Generale di Simancas
trovando nel suo rapporto menzionata la Sardegna più volte. Alla rubrica
« Negociacion de Italia » si notano ben 94 legajos relativi alla Sardegna ed
a Torino dal 17 14 al 1788 (Carini, parte I, fase. II, pag. 306), altre carte
relative ai Parlamenti (ibidem, pag. 310); documenti riguardanti le Corti ed
altri negozi Sardi negli anni 1641 e 42, 1669, 1678, 1697 (Carini, ibidem,
fase. III, pag. 345) e nella «. Segreteria di Guerra » treni rimessi in Sardegna
Carini), ibidem, pag. 371), e finalmente tutte le pratiche relative all'Inquisi-
zione del 1541 al 1719 Carini, ibidem, pagg-. 374 e 375).
E più specificatamente come risultavagli dall' « Inventario razonado de
« los papeles de Estado de la Xegociation de Espana que hallan en el Real
Arehivo de Simancas, Ano 1818», compilato a nuovo da Don Tomaso Gon-
zales Canonico delia Santa Chiesa di Piacenza, Accademico della Storia in-
caricato da S. M. per l'assestamento e coordinamento di esso Archivio :
« Estado de Espaiìa, — Legajo 2665. — Sobre las Cortes de Cerdeiìa, 1641.
Legajo 2666. — Estado de los negocios politicos y militares de Cer-
deiìa, 1642.
Legajo 2688, — Estado politico y militar de Cerdena, 16Ò9.
Legajo 2703. — Sobre la Cortes de Cerdena, 1678.
Legajo 4146. — Deplorable estado de Cerdena, An. 1697 (Carini,
parte II, fase. Ili, pag. 429).
Legajo 3042 an. 1668. — Avvisi dell'assassino del Conte di Camarasa
in Sardegna (ibid., pag, 438),
Piitronato delle chiese di Sardegna, 930, 990, 1000, 3019, (Ibid., pag. 445).
Sardegna. — Sussidio, 925, 3044, 3070. (Ibidem, pag. 441).
Legajo 930 an. 1577. — Novità intentate in Roma contro il patronato
reale di Sicilia e Sardegna (Ibidem, pag. 461).
Legaio 990 an. 1609. — Sul Patronato delle chiese ed Abbazie di
Sicilia e Sardegna (Ibid., pag, 461).
Legajo 1000 an, 1Ò14. — Corrispondenza di Roma dell'Ambasciatore
Conte di Castro. Sul patronato di Sicilia e Sardegna (Carini, ibidem).
Legajo 3009. — Sulla perpetuità del patronato ecclesiastico di Sicilia e
Sardegna (Carini, ibidem. Tutti questi mazzi di carte vennero già menzio-
nati dal Carini a pag. 441).
1 1
lOO
FILIPPO VIVANET
Sotto la rubrica « Inquisiciones de la Corona de Aragon » viene anche la
Inquisicion de Cerdefia che comprende i seguenti incartamenti:
Pleitos civiles. — Legajo i con 21 processi.
Legajo 2. — Contiene 28 processi.
Pleitos criminales. — Legajo i. — Contiene 25 processi.
Legajo 2. — Contiene 38 processi.
Procesos de fé'. ^ Legajo 2. — Contiene 22 processi.
Competencias. — Legajo i e 2. — Varii processi.
Expediences de visitas 4 Legajos ciascuno con varii processi (Carini,
parte II, fase. Ili, pag. 498-99).
E nell'inventario de libros encuadernados corrispondientes al suprimido
Consejo de Inquisicion :
Atado (fascicolo) 20. — Cartas de Cerdefia.
Atado 41. Cerdefia. — Relaciones de causas — Cartas. E finalmente nell'in-
ventario, de los libros encuadernados pertenecientes al Supremo Tribunal
de la Inquisicion.
Legajo 57. — Libro primero de Decretos Reales y Consultas originales
sobre materias de la Inquisicion de Cerdefia, 1592- 1653.
Legajo 58. — Libro 2° tocantes al Reino de Cerdefia, 1664- 1705.
Legajo 497. — - Libro de cartas de la Inquisicion de Cerdefia al Con-
sejo de la Inquisicion 1541-69.
1570-1575
157Ó-1587
1588-1603
1604- 1606
1607-1619
1620-1622
1Ò23-1627
1628-1635
1636-1644
» 1645-1651
» ..... 1652-1661
» , . . . . 1662-1671
» ..... 1684- 1697
de Registro de Cartas del Consejo de Inquisicion a
la de Cerdefia establecida en Sacer. Hay autos de fé' 161 7-1 7 18.
Legajo 512. — Libro de Relaciones de Causas Civiles y Criminales y
autos de fé' 1572-92.
Legajo 513. — Libro de Relaciones 1595- 1678.
Legajo 514. — Libro de Ejemplares y Competencias de dicha Inqui-
sicion de Sacer, ó Cerdefia. La i'' fecha es de 2 de mars 1573 adelante,
(Carini, ibidem, pag. 500).
La serie delle carte sarde registrate dal Carini nell'Archivio di Simancas
è composta dei due seguenti legajos :
N. 4566. — Corrispondenza di Sardegna 17 18,
N. 4582. — Corrispondenze sull'evacuazione di Sardegna 1720, che è
l'anno in cui essa passò per effetto del trattata di Londra alla dipendenza
della Casa di Savoja.
12
Idem
498
Libi
»
499
»
»
500
»
»
501
»
»
502
»
»
503
»
»
504
»
»
505
»
»
506
»
»
507
»
»
508
»
»
509
»
»
510
»
»
511
»
LA SARDEGNA XEGLI ARCHIVI E NELLE BIBLIOTECHE DELLA SPAGNA lOI
Il Dottor Silvio Lippi, ora Direttore del R. Archi\io di Stato, di Cag-liari,
riconoscendo l'importanza delle ricerche fatte dall'abate Carini , ne esponeva
sommariamente i risultati, per quanto riguardava la Sardegna, in un suo
articolo inserito nel numero 36 dell' Avr'rniré' di Sardegna (11 febbraio 1890)
ed in un altro articolo, pubblicato nel numero 4 del giornale letterario La
Piccola Rivista del 31 gennaio 1899 ritornava sull'argomento impinguandolo
con dati procuratogli dall'egregio letterato Don Francesco Carreras y Candi
di Barcellona.
Per quanto si riferisce all'Archivio della Corona di Aragona, ove stanno
certamente acctimulate le maggiori ricchezze, egli presentava il seguente
quadro :
Data
dei documenti
1326
al
1303
al
I32I
al
1329
al
1335
al
1387
al
1397
al
I4I2
al
T4I6
al
1458
al
1479
al
1516
al
1554
al
1.559
al
1573
al
1598
al
1330
1326
1327
1335
1386
1395
I4I0
I4IÒ
1458
1478
I5I6
1533
1559
1599
1587
1620
Numero d'ordine
dei volumi
Titolatura
316
344 al 345
394
508
1006
1938
2226
2398
2626
3395
3586
3891
4002
4324
4354
4903
403
518
al
al
al 1048
al 1943
al 2237
al 2640
al 3405
al- 3604
al 3895
al 4004
al 4345
al 4355
al 4922
Numero
dei volumi di ogni
serie
Sardiniae
et Officialium
Sardiniae
et Corsicae
Sardiniae
>>
»
»
»
»
»
»
»
»
»
2
IO
II
43
6
12
I
15
II
19
5
3
22
2
20
Totale dei volumi relativi alla Sardegna . . N° 183
A queste sole indicazioni si limitavano le nostre informazioni sopra la
quantità ed importanza delle carte conservate nell'Archivio della Corona di
Aragona, sebbene dalle celebrato storie di Girolamo ("urita, anche al giorno
d'oggi, il più riputato annalista della Casa di Aragona, apparisse chiara-
mente quanto vi avesse ampiamente mietuto ogni qualvolta gli occorresse
di parlare della Sardegna. Xon è però a meravigliarsi ch'esse fossero cosi
ristrette, osservando che nessun sardo avendo attinto a questa fonte diret-
tamente, mancava l'interesse nel raccoglitore di più diffuse notizie, e quelle
che ci pervennero dall' archivista siciliano non poteano essere notate che
13
I02 FILIPPO VIVANET
per incidenza, cioè quando si facevano innanzi a Ini sulla via che egli dovea
percorrere a prò della storia della sua Sicilia.
Recatomi in Spagna — massime collo scopo d'integrare il materiale, riguar-
dante i nostri Parlamenti, della pubblicazione dei cui Atti nei « Monumenta
Historiae patriae » venni, assieme al collega Dott. Silvio Lippi incaricato dalla
R'' Deputazione di storia patria per le antiche Provincie e per la Lombardia, di
cui mi onoro far parte — appena toccata una terra legata da tanti ricordi alla mia
Isola nativa, avendola essa governata per ben quattro secoli (1323- 1720), il mio
primo pensiero fu quello di compulsarne gli Archivi dove era certo di trovare
una ricchissima suppellettile di documenti preziosi per la nostra storia. Appena
giunto in Barcellona, la grande città commerciale ed industriale della Spagna,
l'antica capitale della vasta contea ch'ebbe lingua e letteratura propria, io non
indugiai a presentarmi a Don Francesco de Bofarull, illustre Direttore del-
l' « Archivo General de la Corona de Aragon » affinchè mi ponesse in grado
di esaurire le mie ricerche nel grande Istituto a lui affidato. Disgraziata-
mente io era giunto in un momento poco propizio, giacché ferveva in esso
il lavoro di aggiustamento nell'ipotesi di una imminente visita del Sovrano,
che a giorni dovea recarsi in Catalogna, e da un' altra parte correvano i
giorni dedicati al santo ozio pasquale, per cui si rendeva in più modi dif-
ficile la possibilità di accordare il permesso di studio sopra non poche carte
che richiedevano assistenza, continuata remozione e riduzione a sito di nu-
merosi incartamenti, attenta sebbene riguardosa vigilanza qual è prescritta
dai regolamenti in tutti gli Archivi del mondo. Fortuna volle però che io
avessi a fare con un uomo di eccezionale valore qual è Don Francesco de
Bofarull y Sans, sincero amico degli Italiani e degli studiosi, il quale, dopo
qualche diniego in vista del momento speciale in cui ricorreva a lui, finì
per accondiscendere alle mie istanze, dandomi colla maggiore simpatia e
benevolenza tutte quelle facilitazioni che non avrei potuto sperare maggiori
nella mia stessa patria.
Ora per meglio apprezzare la buona ventura di potersi dissetare a così
ricca fonte, sarà bene che anzitutto io delinei a grandi tratti l'importanza
dell'Istituto, la copia veramente ammirevole e straordinaria di documenti
ufficiali che in esso hanno appropriata e decorosa sede. Se oggi però si
trova a questa altezza, non sempre prospera arrise ad esso la fortuna, e ben
si può dire ch'essa incominciò verso il 1814 dopo che ne fu affidata la direzione
a Don Prospero de Bofarull che con indicibile amore ed impegno attese a
riordinarlo ed a giovarsi delle carte ivi contenute per la pubblicazione di
opere storiche di grandissimo valore come la versione castigliana della
« Cronica Uni versai del Principat de Cathalunya del Pujades », « los Condes
« de Barcelona vindicados » e la « Colecion de Documentos ineditos ». Successe
a lui il figlio Don Manuel ch'ebbe il merito di collocare il prezioso deposito
nell'attuale edificio, posto nel più nobile luogo della città ed a poca distanza
dalla residenza degli antichi Conti di Barcellona e dal grandioso Duomo.
Devesi a lui 1' attuale ordinamento dell'Archivio, continuato e perfezionato
dall'attuale Direttore Don F^rancesco, suo figliolo, per cui si può dire che
la storia dell'Archivio (xenerale di Aragona si confonde con quella della
illustre famiglia dei Bofarull.
H
LA SARDEGNA XKt.l.l ARCJllVl L .XLLLK lUhLlOlECHE DELLA SPAGMA I 03
In questo archivio, per quanto ne ragguaglia il Carini, si contengono
ben 18626 pergamene, 6388 volumi o Registri di cancelleria, 2158 tra
« legajos» e libri riguardanti il Consiglio di Aragona nei secoli XV, XVI
e xvii.
E dagli appunti da me presi tanto dall'inventario compilato nel 1823 dal
primo suo direttore Don Prospero de Bofarull, come dalle note autentiche dei
successivi versamenti operati da altri Archivi, e dai chiarimenti gentilmente
datimi sempre che ne sentii il bisogno, dal suo personale, traggo i seguenti
dati che mi permettono di costruire un prospetto assai pii^i vicino al vero dei
precedenti e che può dare un'imagine esatta della immensa congerie di carte
che si conservano nell'Archivio di Barcellona, aventi uno speciale interesse
per la storia Sarda, accumulate lungo il grande evo che corse tra la fine
del xiii° secolo ed il primo ventennio del xviii".
Giacomo II.
Regnò dal 13 agosto 1291 al 2 novembre 1327.
N" 3 registri riguardanti la Sardegna colle seguenti rubriche:
^^ j Sardmiae et Corsicae dall anno 1303 al 1328.
A" 342 (
N° 376 Sardiniae et officialium dall'anno 1326 al 1330.
Alfonso il Buono.
Regnò dal 25 dicenibre 1327 al 24 gennaio 1336.
X" II registri della Sardegna coi N""' ,508, 509, 510, 511, 512, 513, 514,
515, 516, 517, 518 e vanno dall'anno 1327 al 1335.
Pietro il Ceremonioso.
Regnò dal 24 gennaio 133Ó al 5 gennaio 1387.
Di questo lungo regno esistono nientemeno che X° 1164 registri in 1241
volumi. Appartengono alla Sardegna N° 36 registri in altrettanti volumi, rela"
tivi agli anni che corrono tra il 1337 ed il 1386, ed individuati coi N"'* 281,
394, 245, 189, 246, 228, 240, 190, 198, III, 87. 54, 146, 149, 199, 149'"% i37>
198, 171, 152, 196, 194, 248, 143, 398, 125, 192, 177, 199, 226, 184, 195, 153,
188, 196 ^'\ 114.
Appartengono anche al regno di Pietro, altri 3 volumi di carte relative
agli Atti del R° (Consiglio per pratiche vertite negli anni 1369 e 1370.
Giovanni il Cacciatore.
Regnò dal 5 gennaio 1387 al 19 maggio 1396.
N" 283 registri in N" 286 volumi in tutto, dei quali si riferiscono alla
Sardegna N° 6 registri per gli anni 1387-88, 1388-93, 1392-95, 1393-96.
Nessun registro lungo le luogotenenze della Regina Donna Violante e
dell'Infante Don Martino.
15
I04
FILIPPO VIVANET
Martino 1 Umano.
R('(nio dal ig maggio 1396 al 31 maggio 14 io.
]3i questo regno esistono X" 248 registri in N" 248 volumi. Di .Sardegna
soli N° 3 registri che si riferiscono agli anni 1397-401, 1402-409 e 1409-410,
il primo dei quali con fogli utili (scritti) 195, il secondo 196 ed il terzo 120.
Nulla si trova per il tempo in cui ebbero la luogotenenza le Regine
Dona Maria de Luna prima moglie del Re Martino e Dona Margherita de
l*rades sua seconda moglie.
Ferdinando l'Onesto.
Regno dal 25 luglio 141 2 al 2 aprile 1416.
Di t[uesto sovrano esistono N" 94 registri in X" 96 violami. X'^on vi ha
che un solo registro per la Sardegna con X° 163 fogli utili e che va dal 141 2
al 14 16. Nulla durante la luogotenenza del principe Don Alfonso.
Alfonso il Magnanimo.
Regno dal 2 aprile 141 6 al 27 giugno 1458.
Di questo lungo e memorando regno stanno ben X° 866 registri in
altrettanti volumi portanti per la classificazione degli atti le seguenti rubriche:
Comune — Comune. Sigilli secreti — (xratiarum — Oficialium — Ofi-
cialium Cathalunie — Diversorum Sardinie — Curie — Secretorum —
Pecunia — Majoricarum -- Sententiarum - Itinerum — Itinerum. Sigilli
secreti — Comune Sicilie - Comune cancellerie Sicilie — Curia Sicilie —
Pecunia vSicilie — Curie Cancellerie Neap(olis) — Privilegiorum Cancellerie
Neap(olis) — Varia.
Trattano di cose attinenti alla Sardegna N 15 registri in pari numero di
volumi che portano le seguenti indicazioni cronologiche :
Anni 141 6-1426 Fogli utili (scritti) .
»
I4I7-I43I
»
»
I427-I432
»
»
I444-I446
»
-■>
»
»
»
'445-1455
»
»
1447-1449
••>
»
1 448-1 481
»
»
1449- 145 2
»
»
I449-I458
»
»
I45I-I454
^>
»
145-^-1453
»
»
1453- 1455
1455- 1458
»
x°
201
■•>
197
»
161
»
212
»
136
»
185
»
225
N>
182
■>
190
•■>
79
195
189
151
149
X'^ulla nella luogotenenza tenuta lungamente dalla Regina Donna Maria
figlia primogenita di Enrico III di Castiglia e moglie del Re Alfonso.
16
LA SARDEGNA NEGLI ARCHIVI E NELLE BIBl.K »l ECIIE DELLA SPA(tNA 105
Giovanni il Grande.
Regno dal 27 gingilo 1458 al 19 gennaio 1479.
In tutto registri X ig in pari numero di volumi. Appartengono all'Isola
di Sardegna N° 11 registri che si riferiscono agli:
Anni 1 458-1 461 con fogli utili X° 183
'' i45«-i463 » - ' i«5
» 1459- 1464 » ....... » 183
» 1461 -1469 » »..,... ^> 177
» 14Ò3-1466 /> » » 165
» 1464- 1470 » »...,.. » 177
» 14Ò7-1478 » »......» 237
» 1470- 1478 » » . . ... . >> 181
» 1474-147Ò » ....... » 123
» 1475- 1478 » » » 183
i477-'47y 121
E notevole che il numero totale dei registri appartenenti a questo regno
sia così poco numeroso e che quello dei volumi relativi alla Sardegna sia
così grande. Ciò si spiega cogli avvenimenti politici di quel tempo in cui la
Catalogna sorse contro il proprio Sovrano a difesa dei diritti dello sventurato
Don Carlos, mentre il reame Sardo, pur parteggiando per esso, e funestato
dalla sedizione del marchese di Oristano, mantenne non interrotti rapporti
col Re d'Aragona. In tanta abbondanza di carte, certo ampia e cospicua
messe si potrà agevolmente raccogliere a vantaggio della nostra storia, in
un'epoca singolare per gli avvenimenti di cui essa fu teatro in quel torno.
Nulla d'interessante per noi restò invece nell'Archivio di Aragona, lungo
le luogotenenze avvenute in questo regno durato ventun anni, come in quella
dell'infante primogenito Don Carlos, di Don Carlos e Donna Giovanna seconda
moglie di (xiovanni II, della sola regina Giovanna, dell'infanta Donna Gio-
vanna sua figlia e finalmente di Don Ferdinando principe di Castiglia.
Ferdinando il Cattolico.
Regno dal 19 gennaio 1479 al 2^^ gennaio 1516.
In tutto X" 349 registri in X" 348 volumi. Per la ^Sardegna X" 13 registri
cosi ripartiti :
Anni 1479-1480 Fogli utili X" 170
■479-1480 » 277
» 1 481 -1485 » » 192
» 1483-1484 » » 165
» 1484- 1488 » » 251
» 1 488-1 501 » y-} 222
:•> 1492-1499 V -V 300
» 1495-1502 » ^^2)^2
» 1502-1508 » » 374
» 1507- 15 IO » /> 285
» 1502- 15 13 » » 292
» 15H-I515 » • » 278
» 15 12-15 16 » » 245
17
14 Mise, S. Ili, T. XIII.
io6
1,1 PPO Vl\'ANl-/r
Nulla nelle luogotenenze.
Con Ferdinando il cattolico, prevalsa la Castigiia sulle altre autonomie
della penisola iberica, le carte di Stato, sotto i succeduti governi di Carlo V
e di Filippo II, vennero avviate al grande Archivio di Simancas, divenuto
il deposito centrale della monarchia spagnuola, e quindi furono ad esso
mandate anche quelle della vSardegna.
Senonchè nel 1852, con saggio accorgimento, come appartenenti alla
Corona di Aragona, esse vennero riunite e versate nell'Archivio de la Corona
de Aragon insediato a Barcellona. Giunto a questo punto debbo abbando-
nare la guida sinora seguita dell'Inventario compilato dal benemerito Don
Prospero de Bofarull ed affidarmi all' , Inventario manual razonado de los
« papeles de Estado, Guerra, Gracia y [usticia, Patronato y Hacienda de la
« Real Camara de la Corona de Aragon conservati nel Real Archivo de
«Simancas fino all'anno 1700, compilato a nuovo nell'anno 1819 da Don
« Tomas Gonzales » del Consiglio di S. M., Canonico della Santa Chiesa di
Piacenza, Accademico dell'istoria e delegato Regio per il riordinamento di
esso Archivio Generale. Questo documento servì di base alla consegna fatta,
neir8 agosto dell'anno sopraindicato 1852 a Don José Majolas, di ben tren-
tasei cestoni di carte passate dall'Archivio di Simancas a quello di Barcellona.
J.a ragione di questo trasporto è di per sé evidente informandosi al concetto
logico di riunire in un solo Istituto tutti i documenti ufficiali del cessato reame
d'Aragona. F, poiché la Sardegna storicamente era una pertinenza di esso, era
ragionevole che le carte ad essa relative non continuassero a rimanere nel-
l'Archivio di Castigha, cioè a .Simancas, ma prendessero posto in quello della
Corona di Aragona a Barcellona.
L'inventario fatto dal Gonzales, forse per la strabocchevole quantità di
carte ch'egli dovette catalogare, procede in modo assai sintetico prima per
numero ordinativo di volume e per indicazione cronologica degli anni a cui
esse si riferiscono, indi per semplice numero progressivo e per sommaria
indicazione della materia.
A foglio 6 del suindicato iriventario si legge quanto segue:
N" 296 — En libro de Cerdeha che contiene despachos
de toc
as materias
dal 1621
al
1Ò22
»
297 — Altro libro
1621
■^
1622
»
298 —
»
1622
^>
1624
»
299' —
»
1622
;-
1Ò25
»
299' —
»
1622
^^
1625
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300 —
»
1624
1627
»
301 —
»
>-> 1624
»
1Ò26
»
302 -
» . . ^
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1628
»
303 —
»
» 1625
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1628
»
304 —
»
-; 1Ò28
»
1629
»
305 —
»
> 1628
>
1631
«
306 —
:• 1628
■>•
163 1
»
307 —
. IÒ30
»
1632
»
308 —
»
; 1631
»
1633
18
LA SARDEGNA XEGLr ARCHIVI E NELLE BIBLIOTECHE DELLA SPAGNA 107
X" 309 —
Altro libro . . . dal 1632 al
^33
» 310* —
» 1633 »
1634
» 310' —
» 1633 »
1634
>^ 311 —
» 1633 »
1635
» 312 —
»
» 1633 >•
1635
» 5^3 —
«
» 1635 »
1636
>^ 314 —
»
» 1635 »
1636
^> 315 —
/>
» 1636 »
1638
» 316 -
»
» 1637 »
1638
>• 317 —
«
» 1638 »
1640
» 318 -
»
•
» 1638 »
1640
» 319 —
»
» 1640 »
1643
» 320 —
» 1640 >>
1643
» 321 —
» 1643 -^
164,^
» 322 —
/>
» 1643 »
1647
» 323* —
7.
» I 646 ;
16,50
» 32 T,^ —
■^
» 1 646 :^
1650
» 324 —
■•-
» I 646 »
16,50
» 32,5 —
» 1643 »
1654
» 326 —
» 1649 ^■
1654
» 327 —
»
» 1651 »
1655
» 328 —
»
» 1654 »
[660
» 329 —
».
» 1654 >:■
1660
» 330 —
»
» 1660 »
1665
» 331 —
»
» 1661 »
1665
» 332 —
»
» 1665 »
167,5
» 333 —
»
» 1670 yy
1675
» 334 —
»
» 1669 »
[676
» 335 —
»
» 1675 »
1680
^ 33à -
»
1678 •;■
681
» 337 —
»
» I 680 »
[687
» 338 -
»
» 1 68 1 >^
1687
» 339 —
»
». 1686 -V
1690
» 340 —
»
» 1687 »
1693
» 341 —
»
» 1689 »
[691
» 342 —
«
» 1691 »
694
» 343 —
»
» 1695 »
1699
» 344 —
»
» 1695 »
1699
» 34.5 —
»
1699 ' » ]
700
» 34'3 —
»
del 1700.
Sono dunque N" 54 volumi di miscellanea (despachos de todas materias)
che si noverano come appartenenti al governo della Sardegna, ed abbraccianti
il lungo periodo che passa tra il 1621 ed il 1700, cioè a diro il regno intero
di Filippo IV ed il successivo di Carlo II.
Col solo numero d'ordine vengono indi elencati ai fogli X° 22 verso, 23,
19
Io8 FILIPPO VIVANET
24, 25, 26 da ambe le parti, sotto la rubrica g-enerale di vSecretaria de Cer-
dena, i seguenti affari notevoli (Negocios notables) :
N' 1618. — Papeles tocantes a la plaza 3^ cargo de Virey de Cerdena.
N" 1619, 1620, 1621. — Idem.
N" 1622. — lurisdicion del Virrey y General de las Galeras.
N° 1623. — Viceregia del Gobernador Cerbellon.
N° 1624. — Plaza de Regente de la Audiencia.
N" 1625, 1626, 1627, 1628. — Plazas de la Audiencia.
N° 1Ò29. — Fiscal del crimen de la Audiencia.
N° 1630. — Alguaziles de Cerdefia.
N° 1631. — Procuradores fiscales de la Audiencia y Real Patrimonio
— Archiverò de Cerdena.
N" 1632. — Fundacion de sala criminal de la Audiencia.
N" 1633. — Entretenidos y meritorios cerca de la persona del Virrey.
N" 1634. — Coadjutores del Maestre racional.
N" 1Ò35. — Diversos oficios de Cerdena.
N" 1636. — Secretano, oficiales y escribanos de Camara — Procurador
Real.
N° 1637. — lurisdiction y preminencias del procurador real ~ Teniente
de procurador real — Asesor del procurador real.
N" 1638. — Coadjutor del Maestre Racional.
N" 1639. — luez d'apellationes.
N° 1640. — Competencias entre l' Audiencia y el Procurador Real.
N' 1641. — Oficios annuales, biennales y triennales.
N" 1642, 1643, 1644, 1645, 1646, 1647. — Idem.
N' 1648. — Sobrastante de las obras Reales de Caller — Corridor y
pregonero mayor.
N** 1649. — Asesoria del Veguer al D' Diaz.
N" 1650. — Alguatzil de la mar de Caller — vSalincros de Caller, Sacer^
Oristan, Alguer, Orosey y Ollastra.
N" 1Ò51. — Escribanias de Quart, Alontestre, Bosa, Iglesias, Part Ocier^
Guilarza y otras.
N° 1652. — Consultor y Fiscal de las Incontradas Reales — ]\Iaestre
Racional y de la Seca.
N° 1653. — Medidores de la lana en Caller, Oristano y Alguer — Insa-
culaciones de Cerdeiia.
N» 1654. — Consules de comercio en Cerdena — (niardias de Campos y
ganados — Conoscimientos y juicios de prohomens en las causas criminales
de los caballeros.
N" 1655. — Secretarios de Caller, Oristano e Iglesias — Suspencion de
la Fiscalia de la Audiencia al Doctor Bonfant — Protomedico de Cerdena.
N" 1656. — General de las Galeras, Gobernador y cabo de ellas.
N° 1657. — Capitanes y otros oficios de galeras. Item del presidio de
tierra.
No 1Ò58. — Veedor, Contador. pagador y tenedor de Bastimentos de
Galeras de Cerdeiia.
N" 1659, 1660. — Idem.
20
LA SARDEGNA NEGLI ARCHIVI E NELLE BIBLIOTECHE DELLA SPAGNA 109
N' 1661. — Entretenimientos y sueldos de Gaìeras — Credenciales
para sacar.
N° 1662. — Idem. ,
N" 1663. — Auditoria de las Galeras — General de la caballerìa de
Cerdefia — Maestre de Campo Racional de la caballeria de Cerdena.
N** 1664. — Placa de Gobernador de Alguer.
N° 1665. — Idem de Sacer y teniente del Castillo Aragones — Capitan
de las torres de Cerdena y Majordom de artilleria.
N° 1666. — Asesores ci vii y criminal de gobierno de Sacer.
N° 1667. — Comissario General de la caballeria del Cap de Sacer.
N" 1668. — Teniente de Comissario General y officiales de la artilleria
— Castellano del Castillo aragones.
N" 1669. — Castellano del Castillo de Caller y alcaido de la torre de
San Pancracio.
N" 1670. — Guardias Reales de las puertas de Caller, Oristano, Alguer,
Terranova, Puerto-Torres y Bosa — Capitanos de las marinas de Gallura y
Orosey — Capitan de las torres de l'Asinara.
N" 167 1. — Sargentias de los apendicios de Caller — Sargentia major
de las milicias del Cap de Sacer y de Caller.
N" 1672. — Sargentias majores de Sacer y Bosa, Alguer, Iglesias y
Sarrabos.
N" 1673. — Alcaydia de torres y plazas de artilleros,
N° 1674. — Fiscal de la Gobernacion de Sacer — Comissario de la Ca-
balleria del Cap de Caller.
N" 1675. — Visita contra el Gobernador de Caller y el Doctor Canales.
N" 1676. — Ouejas contro Don Francisco Bico (i) Regente del Consejo.
N° 1677. — Escribano, Contador y Pagador de la Amministracion de
las torres de Cerdena.
N° 1678. — JNlunicionero del Cap de Sacer y tenidor de Bastimentos de
Caller.
N° 1679. — Presasj naufragios y corsos en Cerdena.
N" 1680. — Fortificacion y defensa de Cerdena.
N" 1681. — vSacas y Extraciones de Cerdefia.
N" 1682, 1683, 1684, 1685. — Idem.
Dopo questi vengono registrati i seguenti numeri contenenti « mazos de
consultas y decretos del negociado » di Sardegna dall'anno 1505 fino al 1700,
cioè a dire i N""' 1686, 1687, 1688, 1689, i6go, 1691, 1692, 1693, 1694, 1695,
1696, 1697. 1698, 1699, 1700, 1701, 1702, 1703, 1704, 1705, 1706, 1707, 1708,
1709, 1710, 1711, 1712, 1713, 1714, 1715, 171Ò, 1717, 1718, 1719.
Dopo i quali, sempre sotto la rubrica « Secreteria de Cerdena », seguono
i sottodescritti volumi relativi ad importanti affari dell'Isola.
N" 1720. — Galeras de Cerdefia.
N" 1721, 1722, 1723, 1724, 1725, 1726, 1727, 1728, — Idem.
(i) V[CO, l'autore de V Hisioria frenerai dr la isla y reyno de Sardena e del Libro pri-
mero y seffundo de las leycs y pragniàlicas reales del reyno de Sarderux.
2\
I IO FILIPPO VIYANET
N" 1729. — Forzados y Esclavos de Cerdena. •
N" 1730, 1731. — Idem.
N'-i 1732, 1733, 1734, 1735. - Idem.
N" 1736. — Almadravas (i) 3^ pesquerias de Cerdena.
N" 1737. — Idem.
N" 1738. — Provisiones Ecclesiasticas para regulares.
N" 1739. — Idem.
N" 1740. — Asasinato de lo iVIarques Laconi y Camarasa.
N'' 1741, 1742, 1743. — Idem.
N" 1744. — Muerte de Don Joseph Ang-ioy. Idem del Doctor Faragadu
Asesor criminal de Sacer — Frision del Marques de Laconi por haber pedido
el complimiento de una merced Real en tratas de Cerdefia.
N° 1745. — Prision de Don Juan Batista Masones lurat en cap de Caller
— Desafio entre los Marqueses Laconi y Cea.
N" 1746. — Suspencion y prision de D. Joseph Olivier y D. Joseph
Palmas Fiscal y asesor del Real patrimonio.
N° 1747. — Camorras entre los Marqueses Laconi y Villasor — Caso
del Doctor Ligia Prior de San Lazare de Oristan.
N" 1748. — Patrimonio Real.
N" 1749. — Visitas hechas al mismo.
N" 1750, 1751. — Venta de algunos bienes y efectos del mismo.
N" 1752. — Subsidio, Decima y Escusado (2) de Cerdena.
N" 1753- ~ Donativo para la paga de un tercio de Infanteria por
cince anos.
N" 1754. — frigo de Cerdena beneficiado en Cadiz para la recepta del
Consejo.
N" 1755. — Idem.
N" 1756. — Vilanzos y cuentas de la tesoreria de Cerdena.
N° 1757. — Idem.
N" 1758. — Casas de aposento consignadas en sacas de Cerdena.
N'' 1759, 1760. — Cuentas del dinero que el Regente Azcon recibió para
levas en Cerdena.
N° 1761. — Competencias entre la Jurisdicion Real ordinaria, la del Go-
bernador y la Ecclesiastica.
N'' 1762, 1763. — Idem.
N° 1764. — Venta del Salto (Bosque, Posesion) de Soleminis por el
Regente Bico.
]S[° 1765. — Venta de Culler y Escano — Cobranza de deudas atra-
sadas — Vilanzos y cuentas de tesoreria — Salinas de Cerdena y su admini-
stracion — Maridatge y Coronage en Cerdena — Deudas del Principe de
Pomblin (3) a la recepta de Cerdena — Continuacion de Donati ves sin con-
vocar Cortes.
(i) Tonnare.
(2) Escusado significa- « monopolio ».
(3) Luogotenente e capitano generale in Sardegna dal novembre 1662 al dicembre 1664 in
:ui mori, non si può dire con certezza se in Alghero od in .Sassari.
22
LA SARDEGNA NEGLI ARCHIVI E NELLE BIBLIOTECHE DELLA SPAGNA l 1 I
N" 1766. — Propines de Cortes en Cerclena — Mercedes de Habitos
Militares (i).
X" 1767. — Perdones, indultos y composiciones — Uso y concesion de
salvasfuardias Reales en materias Ecclesiasticas — Caso de Don Juan
Esgrecho.
N" 1768. — Levas en Cerdena.
N" 1769. — Sacos y asientos y Factorias — liancos de vendre carne —
Caso de Don Francisco Quesada y Don Antonio Manca.
N" 1770. — Sacos de incierro y porcionistas Reals que llevaban los Mr-
reyes — Milicias de Cerdena — Capuchinos de vSacer.
N° 177 1. — Visita y reglamento "por las torres de Cerdena y forma de
su administracion — Barca de Estafeta para Cerdena — Arcipreite de
Iglesias — Cuento y ensierro de trigo en Iglesias.
N" 1772. — Puntos con la jurisdiction Ecclesiastica sobre prohibicion
de armas — Etiquetas, cortesias y tratamiento — Concesion de puerto
a Orosey.
N° 1773- — Ceremonias, etiquetas y trataniientos en las Iglesias y pro-
cessiones.
N' 1774. — Pesadores de Caller y Alguer — Causa a Don Jeronimo
Machin y Don Matheo Roca capitanes de galeras de Cerdena — \"enta de
la Encontrada de Barbaja Velvi y otros saltos del principe Doria.
N" 1775. — Capellania del tercio de las Galeras de Cerdeiìa — Pleitos
en Cerdeiìa.
N° 1776. — Prov'ision de armas en Cerdeiìa,
N" 1777. — Alojamentos y paso de tropas.
N** 1778. — Sobre caixas 12) para Cerdena — Tratados de pace —
Compagnia de caballos feudatarios — Fundaciones monasticas en Cerdeiìa.
N" 1779. — Provisiones ecclesiasticas por resulta — Pesca del coral en
Cerdena — Pesca del coral en Tabarca con noticias de està Isla y conta-
duria de ella — Expulsion del Doctor Querqui Vicario General Ecclesia-
stico en Sacer.
N" 1780. — Visita hecha en Cerdena por el Doctor Cors.
N° 1781. — Valimienas y reformas en Cerdena — Ordenes generales
para Cerdeiìa basta el ano 1679 — Legitimaciones y naturalesa en Cerdefia.
Sotto la rubrica generica di « Cartas » seguono dal X° 1782 al 1841,
cinquantanove « mazos » di carte del < negociado de Cerdena » che dal-
l'anno 1600 vanno al 1700, e dopo questi col titolo di Memoriales col
numero progressivo dal 1842 al 1885 altri quarantatre « mazos de memo-
riales del negociado de Cerdena », relativi al tempo che corre dal 1Ò44
al 1 700.
In ultimo in un'altra rubrica intitolata « Varios papeles sin fecha » che
abbraccia anche altre parti della monarchia, si trova registrata col N° i886,
un altro « mazo de papeles » del « negociado de Cerdeiìa ».
(i) Ordini militari.
(2) Lagnanze, in sardo « ciiexias ».
FILIPPO VIVAXKT
ÌJ'd questa succinta enumerazione chiaramente risulta che nell'Archivio
Reale della Corona di Aragona esistono nientemeno che N'' 363 incartamenti
relativi alla Sardegna così distribuiti :
i" Registri da Giacomo II a P"erdinando il Cattolico . N" 102
2" Volumi di Miscellanea (Dispachos de todas materias) » 54
3" Idem di affari notevoli (Negocios notables) .... » 129
4° « Mazos de Consulta» y Decretos » del « Negociado de
Cerdeiìa » » 34
5" « iNIazos de mcmoriales » "43
6** « Papeles sin fecha > » i
Totale X'^ 363
In questo cumulo veramente ingente di carte, molte delle quali di gran
valore storico, non sono compresi i volumi di atti (procesos; ed i Legajos
(filze) che si riferiscono ai parlamenti sardi, dei quali mi riservo dar notizia
in altra più opportuna sede. Dal fin qui detto appetre però nel modo più lumi-
noso che l'azione giuridica, politica ed amministrativa, in una parola di go-
verno, svoltasi nei quattro secoli in cui la Sardegna fu soggetta alla Spagna,
trova la sua ufficiale documentazione oltreché nell'Archivio di Stato di Ca-
gliari, e in quelli, delle città più importanti, dei Vescovi e delle Cattedrali
dell'Isola, nel grande Istituto di Barcellona che senza dubbio è una delle
maggiori illustrazioni della fiorente metropoli della bella terra di Catalogna.
Un ricco deposito di non minore importanza per noi, stante il conside-
revole periodo di tempo cui si riferisce (1556-1720), doveva essere l'Archivio
Generale di Simancas, che dopo Carlo V, ma specialmente da Filippo II
in poi, fu considerato come l'archivio della immensa monarchia spagnuola.
Ma esso fu di molto attenuato dal versamento fatto, come si disse, nel 1852
e per molte e lamentate vicende a cui soggiacque nel corso del tempo.
Grande sperpero di carte dovette infatti avvenire nei successivi trasporti
da Valladolid e da Madrid a Simancas, ingente quantità di scritture fu
inviata a Bajona nel 1810 per ordine dell'Imperatore Napoleone, altre
vennero sciupate da soldati e da contadini nelle vicende guerresche e nei
rivolgimenti politici di cui fu teatro la Spagna in quell'epoca, né si può
dire in quale misura abbiano potuto contribuire le carte della Sardegna nelle
gravi dispersioni avvenute per tante e così ripetute cagioni. Ciononpertanto,
affine di poter giudicare rettamente sull'utilità di una mia visita in quel-
l'Archivio per avere completa notizia delle carte relative ai parlamenti sardi
e nel dubbio che queste ed altre fossero potute rimaner in quel grande
Istituto anche dopo lo stralcio fattone nel 1&52, mi posi in relazione col
chiaro suo direttore Don Giuliano Paz, il quale colla massima cortesia si
compiacque secondare il soddisfacimento del manifestatogli mio desiderio.
Da una lunga corrispondenza con lui tenuta debbo dedurre che le ricerche
fatte sull'oggetto principale delle mie indagini furono quasi negative poiché
i documenti relativi alle nostre congreghe, non abbracciano gli atti (pro-
cesos) delle Corti, ma si riducono a pochi pareri del Consiglio di Stato
24
LA SARDEGNA NEGLI ARCHIVI E NELLE BIBLIOTECHE DELLA SPAGNA II3
sopra quesiti sollevati da alcuni Viceré ch'ebbero a presiederle. Giacciono
invece ancora in questo archivio le pratiche concernenti l'Inquisizione di
Sardegna dal 1541 al 1719 e tra queste la corrispondenza passata tra il tri-
bunale inquisitoriale di Sassari ed il Consiglio supremo dell'Istituto (i).
D'interesse sardo, per altri affari di governo e di amministrazione, ri-
mane ben poco ed ecco in qual modo i documenti mi vennero descritti dal-
l'egregio predetto Direttore :
Legajo 2666. — Estado — Consulta del Consejo d'Estado de ig majo
de 1642 sobre las proposiciones de Rafael Maranjes paraque Don Ramon
Rubi pasase a Cerdena y hiciese gestiones para conservar aquella tierra
en poder de S. M. ;
Consulta del Consejo de Estado de 18 de febrero de 1642 en que se cita
otra del Consejo de Aragon sobre la competencia del Obispo de Alguer en
Cerdefia en que dice el Consejo su parecer.
Legajo 2668. — Estado — Consulta del Consejo de Estado de 24 de
enero de 1669 sobre lo que escribia el Duque de Osuna de haber entregado
a franceses los lugares de la Cerdena ;
Consulta del Consejo de Estado de 13 abril de 1669 sobre lo que escribe
el Duque de San German dando cuenta del estado en que estaban las cosas
del Reino de Cerdena a su llegado ;
Consulta del Consejo de Estado de 2 de majo de 1669 sobre las cartas
del Duque de San German y el ministre que vin de Napoles a Cerdefia.
Legalo 2703. — Estado — Consulta del Consejo de Estado de 2 octubre
de 1678 sobre lo que escribia de lo sucedido en el puerto de Palamos con
la galeras de Cerdena.
Oltre a queste vi si trovano altri incartamenti che riguardano la Sar-
degna quand'essa avea già cessato di appartenere alla Spagna; come:
Legajo 5366. — Estado — Papeles relativos al ajuste de artilleria en el
Reino de Cerdefia. Anos 1 720-1 725.
Idem 5367 — Testamèntos, feudos majores y fidecomisos de vassallos
espagnolos en Cerdeiìa, ano 1770.
E finalmente sotto la rubrica « Negociacion de Roma » carte relative
all'assassinio del Viceré Camarassa (2).
Mi proponeva di fare qualche ricerca nella Biblioteca Nazionale di
Madrid, ma poiché, per diverse ragioni, non mi fu possibile intraprenderla
di persona, ne feci parola al sig'". Conte Caprara, segretario addetto alla
nostra ambasciata che colla maggiore cortesia accolse premurosamente il
mio invito. Il suo buon volere non fu però allietato di messe copiosa poiché
egli, con sua lettera del 21 maggio 1904, mi assicurava che tra le poche
carte, che si trovano in quell'importante stabilimento e che interessano la
Sardegna, ebbe solo a notare un manoscritto, datato da Cagliari addi
13 agosto 1484, col titolo: « Pragmatica acerca de los derechos de los
magnates, senores y barones de la Isla de Cerdena ». Né di altro, che
meritasse di essere notato, mi dava contezza.
(i) Carini, Gli archivi ecc.. Parte I», fase. Ili, pag. 374-75.
(2) Carini, Archivi e Biblioteche ecc.. Parte I», fase. II, pag. 326.
25
15 — Mise, S. Ili, T. XIII.
114
FILIPPO VIVANET
Attinsi dirette notizie air« Accademia de la Historia » parimenti a IVIadrid,
ove il Carini aveva riscontrato pochissimo che potesse interessare la nostra
Isola e dal segretario della suUodata Accademia ebbi assicurazione categorica
che nulla si trova in quell'Archivio che cibbia attinenza colla Sardegna pen-
dente la dominazione spagnola. Il celebre processo di Sigismondo Arquer,
imputato di luteranismo e bruciato nella piazza di Toledo il 4 giugno 1571,
essendo stato tolto dall'Archivio centrale di Alcalà di Henares ove prima
era depositato, come asseriva il Lippi (i), venne trasportato all' « Archivio
Historico Nacional a Madrid », nel quale, precisamente nella Sezione dei
« Papeles de estado », di cui, per cortesia del suo chiaro Direttore Don Vin-
cenzo Vignau, posso dare la sicura enumerazione, trovansi inoltre i seguenti
documenti :
1" Ano 1625.^ — Consulta del Consejo de Estado y parecer del Conde
de Chinchón sobre la conveniencia de poner una escuadra de Galeras en
dicho reino de Cerdena, Libro 737, foglio 479;
2° 1625. — Consulta del Consejo de Estado sobre la conveniencia de
levantar gente naturai para la defensa de dicho reino, y de que su Virrey
tuviese la cifra general para comunicarse con los Ministros fuera de Espana,
libro 737, foglio 506;
3" 1625. — Consulta del Consejo de Estado sobre las obras de defensa
que debian hacerse en Cerdefia, Mallorca, jMenorca e Ibiza. — libro 737,
foglio 519;
4" 1640, 1660, 1666, 1680. — Titulo de Capitan General y otros papeles
tocantes a este virreinato ; cuentas ; relaciones de conventos etc. ;
1647, 1708. — Consultas del Consejo;
1660, 1661 — RR. DD. dirigidos al virrey;
1673-77. — Corrispondencia del Marques de Villagarcia encargado de
negocios en Genova con los Virreyes de Cerdena ;
1681. — Pretensiones del principe di Chimay al virreinato de Sicilia (2).
1701. — Sobre las galeras que iban a ]\Iahon (3 ;
lyoi. — Consultas del Consejo de Estado sobre los forzados Franceses
en las galeras de Cerdefia ;
iyo4. — Sobre lo sucedido con el capitan de la Capitana y el General
de las galeras ;
1709. — Sobre la recuperacion de dicho reino.
Per nulla omettere di ciò ch'è venuto a mia cognizione devo ancora
trascrivere il titolo di due documenti i soli ch'esistano nell'Archivio Ge-
neral centrai di Alcalà di Henares (4), uno dei quali in data del 13 di-
cembre 1618 si riferisce alla « provisione de 200.000 ducados (11 reales
cada ducado = 2.200.000 reales) para el Real o Nacional servici© en Genova
(i) La piccola Rivista, 31 gennaio 1899. — Più razionalmente avrebbe dovuto trovarsi
a Simancas ove sono le carte appartenenti all'Inquisizione.
(2) Riproduco dall'elenco comunicatomi questo titolo, ma non saprei dire quale relazione
questa rubrica possa avere colla Sardet^na.
(3) Idem.
(4) « A qui solamente existen dos documentos ». Lettera 24 agosto dell'egregio suo Diret-
tore Don Julio Melgares Marin.
26
LA SARDEGNA NEGLI ARCHIVI E NELLE BIBLIOTECHE DELLA SPAGNA 1 15
y Cerdena », l'altro in data del 29 giugno 1654, riguardante la « venta de
seis almadrabas (tonnare) que pertenecian al Rey en los mares de Cerdeiìa
por precio di 376,500 reales ».
Solo a grandi linee, come poteva essermi consentito dal tempo ristretto
che potei fermarmi in Ispagna, distratto anche in gran parte dal principale
obbiettivo cui erano rivolte le mie ricerche, cioè i Parlamenti sardi, ho po-
tuto tracciare i ricchi depositi esistenti nei numerosi archivi e nelle biblio-
teche di questo grande paese, col quale abbiamo avuto tanto tempo d'in-
teressi intrecciati e di vita comune. Fui uno dei pochi sardi che entrarono
nel celebrato Istituto Barcellonese, vera e nobile illustrazione della metro-
poli commerciale spagnuola, dopo essere trascorsi circa due secoli di riunione,
a quella parte della famiglia latina colla quale abbiamo maggiori attinenze
di sangue, di tradizioni, di storia.
Com'è dato ai pionieri, a coloro che per i primi esplorano regioni sino
ad essi sconosciute, è molto se possono compiere un lavoro di orientamento
ed io ho dovuto limitarmi a cercar di raggiungere questo scopo modesto,
restringendomi ad una rapida sintesi. Xon sarà però inutile a chi viene
dopo di me, il sapere che il gran serbato] o a cui bisogna largamente attin-
gere a vantaggio della nostra storia dai primi anni del secolo XIV al primo
ventennio del secolo xviii, è l'Archivio della Corona di Aragona, in Bar-
cellona « la fior de las bellas ciudades del mundo ». Ho curato per ciò di
raccogliere le maggiori indicazioni sui vasti giacimenti di carte che riguar-
dano la nostra Isola, che vi si trovano, ed è là che dovrebbero muovere in
intellettuale pellegrinaggio gli studiosi delle nostre vicende svoltesi tra i
due termini sopraindicati, specialmente se persone bene informate di quanto,
e non è poco, è rimasto in Sardegna, come il dott. Silvio Lippi (i), il cav. Enrico
Costa (2) ed il dott. Michele Pinna (3). Nei ponderosi registri di Giacomo II, di
Alfonso il Benigno, di Pietro IV e dei suoi successori si troveranno certamente
le ragioni riposte ed ignorate di molti avvenimenti sia preliminari o concomi-
tanti della conquista, sia relativi al suo lento e faticoso consolidamento. Ed una
corsa non disagiosa a Madrid, a Simancas poco lontana da Valladolid, potrà
offrire il mezzo di sciogliere molti quesiti storici e somministrare il bandolo di
molte e gravi questioni rimaste sinora poco illustrate od anche insolute. Per
certa scienza, che mi viene dalla personale esperienza, posso assicurare i miei
conterranei, che volessero tentare il cimento, ch'essi riceveranno da un uomo
di singolare dottrina e di idee larghe come Don Francisco de Bofarull e
dai suoi collaboratori, tra i quali mi è caro ricordare Don Andrea Germenez
y Soler, la più festosa e benevola accoglienza, e che essi si troveranno cir-
condati da un ambiente simpatico, che rende gradito e fruttuoso il lavoro.
Posso dire lo stesso degli altri maggiori centri archivistici come Madrid,
(i) S. Lippi : L'Archivio Comunale di Cagliari, tip. Valdés, 1897; Inventario del Regio
Archivio di Stato di Cagliari e notizie degli archivi comunali^ vescovili e capitolari della
Sardegna, tip. Valdès, 1902.
(2) E. Costa : Archivio del Comune di Sassari, tip. Dessi, 1902.
• (3) M. Pinna : L' Archivio Comunale d'Iglesias, tip. Dessi, 1898 ; V Archivio del Duomo
di Cagliari, tip. Dessi, 1889; Indice dei documenti cagliaritani del R. Archivio di Stato dal
1323 al 1720, tip. Meloni e Àitelli, 1903.
27
Il6 FILIPPO VIVANET - LA SARDEGNA NEGLI ARCHIVI, ECC.
Simancas, Alcalà d'Henares poiché, se la storia ci ha separato, resta sempre
viva la tradizione del lungo contatto esistito tra la Sardegna e la Penisola
iberica, rimane latente quello che io chiamerei il lievito della storia, la cui
forza non si distrugge col tempo, e le grandi analogie di affinità etniche, di
costumi, di linguaggio, di ricordi locali, che ancora sopravvivono, generano
una corrente di naturale simpatia che si comunica a tutti i rapporti sociali
ed alle idealità create e diffuse dal culto delle lettere e degli studi. Egli è
perciò che io chiudo questa breve monografia col manifestare l'intenso de-
siderio che provo che tra la Spagna e la Sardegna, come membri della
stessa famiglia, si possano stabilire diretti e periodici rapporti di uffici e
di traffici, i quali, non attossicati come una volta dal veleno delle premi-
nenze politiche, portano con se quella dolce effusione di affetto cordiale e
sincero che è il sentimento più nobile ed elevato del cuore umano. E nel
chiudere questo breve lavoro prendo occasione per ringraziare tutti coloro
che mi resero più facile il compito che mi era proposto, mandando dal
cuore l'augurio che questo nobile paese, ora decaduto dal suo antico splen-
dore, possa riguadagnare quella grandezza a cui gli dà diritto il suo passato
e la mai smentita virtù dei suoi figli !
28
GIACINTO GAGGIA
COMMEMORAZIONE
Moiis. LUIGI FÉ D'OSTIANI
'V Y V VV Vv w V v~w~w~y~W V~v vyyvvvvvvvvvyyvvvvvvvyvVyvvvvvv yvvvvvvv"
LUIGI FÉ DOSTIANI
Mons. Luigi Fé' d'Ostìani nacque in Brescia il 20 ottobre 1829 dal conte
Giulio e contessa Paolina Fenaroli.
Terminati in patria i corsi secondari, passò a Padova allo studio delle
leggi, dove nel 1852 consegui la laurea in diritto canonico e civile. Lo stesso
anno, vestito l'abito ecclesiastico, incominciò gli studi teologici nel Seminario
di Brescia, e, nel 1855, venne ordinato sacerdote. Gli studi giuridici e teo-
logici non lo distolsero però mai dalla storia, alla quale, in particolar modo,
si sentiva portato, ed il primo suo scritto sul celebre bravo Giorgio Vicario
uscì appunto, a Trieste, nel 1855. Recatosi indi a Roma, dove fino agli ul-
timi anni usò fermarsi alcun mese d'inverno e per ragion di salute e per
attendere alla pratica del diritto canonico nelle S. Congregazioni romane,
quivi divideva il suo tempo fra queste e gli archivi, onde ebbe conoscenza
coi principali archivisti romani, che poi l'aiutarono nelle sue ricerche, sempre
volte ad illustrare la storia bresciana.
Il Vescovo di allora, mons. Verzeri, che assai stimava la dottrina ca-
nonica di lui, lo chiamò a prestare l'opera in curia, e ciò gli fu bella occa-
sione per leggere attentamente le pergamene e le carte antiche, che vi si
trovano, pigliando nota d'ognuna che facesse al suo scopo. E con questi
documenti studiò quant'altri si conservano nella Biblioteca comunale o giac-
ciono in archivi, principalmente privati, come men conosciuti, e così seppe
rischiarare alcuni punti della storia bresciana, con diligenza pari all'amore,
che ei nutriva per la sua città e provincia.
Xè i gravi offici di parroco dell'insigne Prepositura di S. Nazaro, a cui
venne eletto nel 1873, lo distolsero da tali ricerche, che rimasero, fino all'ul-
timo, il suo sollievo, e, forse, l'unico spasso, che ei si concedeva; onde,
anche durante la nuova carica, non mancò di dare al pubblico vari opuscoli
e memorie, che gli meritarono bella fama di studioso e paziente indagatore.
La stessa morte, che lo colse ai 3 febbraio 1907, lo trovò, mentre stava
3
I20 G. GAGGIA
stampando un suo scritto, già da tempo abbozzato, sulla storia dell' ultimo
anno della dominazione di Venezia in Brescia (1796).
Sarà cosa certamente gradita ad ognuno, che si piaccia della storia di
quell'epoca torbida e famosa, il sapere come la munifica erede del com-
pianto Prevosto, la nobile contessa Paolina de Montholon-Fe' d'Ostiani , in
degna maniera onorando sé e l'illustre estinto, ha disposto che la stampa
dell'opera venga recata a compimento.
G. Gaggia.
BIBLIOGRAFIA DI LUIGI FÉ D'OSTIANI 121
BIBLIOGRAFIA
Mons. LUIGI FÉ D'OSTIANI
1. Giorgio Vicario - Frammento di racconti storici. Trieste, Lloyd, 1855,
p. 16 in-8.
2. Il Comune e la Parrocchia di Provezze. Brescia , tip. del Pio Istituto,
1859, in-8.
3. // P. Francesco Sanson e la Chiesa di S. Francesco in Brescia. Ivi, 1867,
p. 18 in-8 gr.
4. Altobello Aver oidi vescovo di Pota e la Chiesa dei SS. Nazaro e Celso in
Brescia. Ivi, 1868, p. 16 in-8.
5. Bartolomeo Averoldi zdtimo abbate di Leno e arcivescovo di Spoleto. Ivi,
1869, p. II in-8.
6. Brevi cenni della vita e degli scritti di alcuni sacerdoti bresciani. Ivi,
1869, p. 18.
7. Brevi notizie storiche sui Canonici Teologi di Brescia. Ivi, 1870.
8. Brevi cenni sui Penitetizieri inag glori della città e diocesi bresciana.
Ivi, 1871.
9. // vescovo Domenico Bollani. Brescia, Istituto Pavoni, 1875, p. viii-206
in-8.
10. // S. P. Pio VII in Venezia ; Lettere inedite del conte Ferrante Avogadro
illustrate. Brescia, tip. Bersi, 1877, in-8.
11. I proverbi 0 modi di dire storici bresciani. Ivi, 1878, p. 15 e 13 in-i6.
12. Della supposta scoperta di una pergaiìiena intorno ad Arnaldo da Brescia.
Ivi, 1882.
13. Della fabbricazione delle armi bianche in Brescia; da wi codice della
Queriniatia. Ivi, 1882, in-8.
5
16 — Mise, S. Ili, T. XIII.
122 G. GAGGIA - BIBLIOGRAFIA DI LUIGI FÉ D'OSTIANI
14. Muzio Calini, arcivescovo di Zara, ed i Bresciani al Concilio di Tre?ito ;
C071 due appendici in Archivio vctieto, 1882.
15. // Coìuune e V Abbazia di Rodcngo: Memoria storica ilhistrata con disegni
del prof . E. Madoni. Brescia, tip. Vescovile, 1886, p. 141 in-8.
16. // Santuario e la Chiesa delle Grazie Ì7t Brescia, 1886.
17. Delle illustri famiglie bresciane recentemente estinte. Brescia, tip. Queri-
niana, 1890, p. 79 in- 16.
18. / co7iti rurali bresciani nel medio evo. In Ardi, storico lombardo , 1890.
19. La Chiesa e la Confraternita bresciana in Roma. Brescia, 1890.
20. Diario di Brescia (io maggio 1796; 25 marzo 1797) in Archivio ve-
neto, 1892.
21. La Pieve di Bornato e i stioi Arcipreti. Brescia, tip. Savoldi, 1892, in-8.
22. Descrizione della vecchia Pieve di Bedizzole. Brescia, in- 12.
2^. Indice cronologico dei Vicari vescovili e capitolari di Brescia. Brescia,
tip. Qiieriniana, 1900, p. 72 in-4.
24. Elenco storico dei viventi patrizi bresciani e loro ascendenze fino al 1796.
Brescia, tip. Centrale, 1902, p. viii-97 in-8.
25. Storia, tradizione ed arte nelle vie di Brescia. Tip. Queriniana, 1895- 1903,
pp. 70-49-41-70-53-73-63-45-74. Fascicoli 9 in-i6.
26. FÉ d'Ostiani e Bettoni-Cazzago. Liber Potheris civitatis Brixiae (Monu-
menta Historiac Patriae, voi. XIX).
27. Commemorazione del conte F. Bettoni-Cazzago ; in Miscellatica di Storia
italiana, 1901.
28. Brescia nel 1796 (sotto stampa).
29. Sermone inedito di Albertano giudice di Brescia. Brescia, Istituto Pavoni,
1874, p. 70 in-8.
30. Di un codice Laudario Bresciano- Vaticano trascritto ed annotato. Brescia,
tip. Queriniana, 1S93, p. viii-64 in-4.
Oltre a questi, pubblicò vari brevi scritti, che non credo qui di dovere
enumerare, perchè non sono di argomento storico.
DIEGO SANT'AMBROGIO
ORIGINE E NOTIZIE DIVERSE
INTORNO AL
PRIORATO CLUNIACENSE
S. PIETRO DI CASTELLETTO
IN
PROVINCIA DI VERCELLI
/
V V V VV V"V"V\' Y 7 y V V V V V~^ V V V W^^^ VVVYVVVVVYVVYYVVVVVVVVYYVVVVYVVV
Benché d'una chiesa ed annessovi monastero dal titolo della Vergine
Maria , riferisca il Casalis nella sua descrizione di Castelletto al Cervo, a
9 miglia ad ostro di Vercelli, ove il torrente Avostola sbocca nel fiume
Cervo, poche e remote notizie dei primordii di quella religiosa istituzione si
possedevano fin qui in Vercelli stesso.
Sapevasi che il borgo aveva in passato il nome celtico di Oliate od
Oliade, e che veniva esso confermato, in un diploma dell'imperatore Ottone HI
del 999, fra i possessi di spettanza del Vescovo di Vercelli, colla frase te-
stuale: « Co7ifirniamus Sanctam Mariani Aloliade, quae dicitur Mo7iasterioluni
« cum suis pertinentiis ».
Più innanzi, nel 1014, convalidandosi dall'imperatore Enrico II i diritti
del Vescovo precitato sulle terre deferite nella giurisdizione e nel possesso
suo, si citava di nuovo fra essi il Alonasteriuni de Coliade e in altro capo-
verso « totani abbatiam de Coliade cum castello Grignasco ecc. »
Nulla è detto in quei diplomi circa l'ordine religioso cui spettava quel
cenobio, e il Casalis mette innanzi che fosse dei Cluniacensi, ma sulle ge-
nerali affatto e senza citare al riguardo veruna fonte storica.
Per quel che concerne sì vetusto convento, il quale risale alla seconda
metà del X secolo, è presumibile intanto che cogli avvenimenti politici e
religiosi svoltisi in Piemonte colla nomina a re d'Italia di Arduino d'Ivrea
nei primi anni dell'XI e colla istituzione a poca distanza da quel borgo nel
1003 della celebre Abbazia di San Benigno, che assunse il nome di Frut-
tuaria, siasi quella monastica famiglia aggregata a quella del chiostro an-
zidetto, adottando le regole benedettine in esso introdotte ma con spiccata
tendenza alla riforma cluniacense , e diretta dipendenza anzi dalla Casa
madre di Cluny.
Da un documento infatti testé venuto in luce colle carte di Cluny, pub-
blicate ultimamente dal Governo francese (i), Taffìliazione sua a quell'ordine
risulta indubitata e parrebbe anzi che il cenobio di Castelletto al Cervo, dal
titolo di Santa Maria, già accennasse verso la fine dell' xi secolo a certa
decadenza di regola e di costumi, inquantochè da una lettera di un Oberto,
conte del Canavese, e di un Ardizzino, castellano di Castelletto, risulta che
(r) L'opera, in 6 volumi, editi dal 1888 al 1903, è intitolata : Recueil des chartes de V Ab-
baye de Cluny , forine par Anguste Bernard, complete, revisé et publié par Alexandre Bruel.
Paris, Imprimerie Nationale.
126 DIEGO SANT'AMBROGIO
si rivolgono i medesimi all'Abate degli Abati in Cluny perchè abbia a por
rimedio alla discordia crescente in quel monastero e ai disordini che ne
nascevano in luogo.
In tale reclamo che i ricorrenti indirizzano all' Abate di Cluny , desi-
gnandolo non come fiaccola sotto il moggio, ma quale faro lucente su elevato
candelabro, espongono essi che la discordia nel chiostro vi crebbe al punto
da farvi nascere omicidii e delitti efferati, sì che ne sentì gravi cose al ri-
guardo frate Engezo allorché venne col pontefice nel Vercellese.
Si accenna inoltre al terrore che si sparse d'ogni intorno, al punto da
essere il monastero schivato da tutti e considerato come un mostro , chie-
dendosi che, a por rimedio a tanto disordine, venisse preposto a quell'ospizio
frate Garnerio insediato allora a Vertemate e cui erano noti i fedeli e gli
amici e i negozi tutti della casa monastica di Castelletto.
E, benché non si conosca la risposta data al riguardo dall' Abate di
Cluny che era a quella data del 1070, San Majolo, venuto più volte perso-
nalmente in Italia, fa duopo credere che un fondo di vero vi fosse in quella
recriminazione del conte Oberto e del castellano Ardizzino, di cui offriamo
anzi, qui appresso, la testuale trascrizione.
3430.
Littcrac Ohe r ti, Comitis Cancvcsani, et Ardicionis, Castellani de Castelletto,
Abbati de Clugnedo {Cluiiiacó) dircctae, de discordia in cella Castelletti
crescente.
1070 circa.
(Bibl. nat. cop, 25-86).
Venerabili patri ac domno et in ecclexia per Dei misericordiam, non sub
modio lumini, sed super candelabrum posito abati de Clugnedo , Obertus,
Comes Canevesanus, et Ardicio, castellanus de Castelletto, salutem et de-
bitam per omnia reverenciam.
Quoniam, sicut ait apostolus, dominis ac dominorum causis in omni ti-
more subici et eas procurare debemus, contrarium vel id non observare
facere non audemus. Notum sit igitur vestrae paternitati; ob prioris sevi-
ciam in cella Castelleti tantam discordiam crevisse quod etiam omicidia apud
eundem fieri vilescat, et in ejusdem manibus plures conversos vulneratos et
alia flagitiosa facinora patrari ab eo vilipendatur; nam quod memorem jusiu-
randum quo omnes monachos laicorum more sibi subjectum est, quod Enggezo
frater qui, cum domnus papa esset in ndstris partibus, illuc venit satis
audivit.
Quae res homines nostrae provinciae ita terret, ut domum et fratres
omnino vitent, et quasi monstrum procul dubio aborretur, vestram itaque
benignitatem humiliter deposcimus, pater carissime, ut supradictae domus
fratrum misereamini, qui suum conscilium vobis, ut alio tempore, in presenti
aperire non sunt obliti.
Aje nunc, inutilis personae sarcinam removete et eidem hospicio Gar-
nerium fratrem, quem priorem cellae quae dicitur a Vertemate constituistis,
cui fideles et amici et negocia domus bene sunt nota, si placet, admovere
deprecamur. Sin autem, hac et alia vestrae probitati, inquiunt, nosque om-
nino modo subjectos committimus et prò posse nostro equidem equo animo
toleramus. Salvete.
6
PRIORATO CLUNIACENSE DI S. PIETRO DI CASTELLETTO 127
In ogni modo, e presumibilmente in seguito a quella protesta dimo-
strante l'impellente necessità di riforma di quell'originario convento di Santa
Maria de Moliade in Castelletto, sappiamo che provvedimenti radicali vi
devono essere stati adottati, sì da istituirvisi più tardi una vera e normale
casa ed obbedienza dell'Ordine col titolo di priorato.
Che la Congregazione benedettina di San Pietro di Cluny possedesse
infatti un priorato nel xiv secolo in Castelletto, appar comprovato dalla
menzione che viene fatta di esso nel catalogo delle case dell'Ordine secondo
la definizione o il Concilio generale del 1367 nei termini seguenti:
« Prioratus Sancti Petri de Castelletto, Vercellensis diocesis, ubi debent
esse, Priore computato, secundum definitionem anni 1367, septem monachi,
quamvis reperiatur quod antiquitus numerus erat de octo monachis >.
Resterebbe ora a giudicarsi se, stante la differenza di titolo fra il mo-
nasteriolo del X secolo, dedicato a Santa Maria, e il priorato di San Pietro
in Castelletto del 1127, si trattasse di due separate istituzioni, benché baste-
rebbe, a dir vero, a risolvere la questione nel senso di una sola, il fatto di
essere entrambi pertinenti all' egual Ordine di Cluny ; — ma, una maggior
conferma al riguardo l'offre l'istrumento stesso di fondazione di detto prio-
rato, o meglio l'originario atto di donazione in data del 21 novembre 1127
con cui un marchese Oberto, avente lo stesso nome del conte Oberto del 1070
e figlio suo ma col mutato titolo di marchese, offre insieme alla moglie
Berta e ad altri ai monaci cluniacensi ed a Stefano priore di Castelletto, i beni
loro in fondo di Occimiano.
In tale stipulazione dell'anno 1127, gli offerenti precitati che dichiarano
di vivere secondo la legge salica, le cui disposizioni, per diploma dato a
Roncaglia dall'imperatore Lotario nel 11 36, dovevano poi venire a cessare
nove anni dopo la data suindicata, premesso il movente della donazione che
è quello di acquistarsi il regno dei cieli e di giovare all'anima loro, cedono
gli appezzamenti specificatamente indicati colle relative misure di terreno e
di bosco nel territorio di Occimiano, ed in Pomaro, San Salvatore , Lugo,
Cacciago ed altri luoghi, nonché i rispettivi loro diritti di decima.
É detto nell'atto che Stefano, priore di Castelletto, fu il ricevitore da
parte del monastero di Cluny in Francia, con che il prefato priore sia il
fautore ed operatore ad liaedificandum et coviponenduvi, relativamente alla
pezza di terra di compendio del monastero della Santa ]\Iadre di Dio e Ver-
gine Maria e di San Pietro ed a santificazione ed onore di Santa Croce, e
che ivi abbia egli a mandarvi monaci e rettori colla maggior possibile dili-
genza, ripetendosi col formulario solito le maggiori assicurazioni per la piena
osservanza della pattuita cessione, e ciò allo scopo di escludere ogni e
qualsiasi possibilità di opposizioni fino all'impegno di offrire poi il doppio
dei beni offerti, ove {qicod ahsit !), come dice il testo, ciò si verificasse, nò
fossero gli offerenti in grado di difendere quanto fu da essi stabilito.
7
128 DIEGO SANT'AMBROGIO
L'atto è rogato dal notaio e giudice Ottone e controfirmato, nel castello
stesso di Occimiano, dai donatori e dai figli loro, nonché da diversi militi e
vassalli del marchese Oberto.
Ora, risultando da quest'atto che il priorato, detto semplicemente di
San Pietro di Castelletto vercellese, nel Catalogo del Marrier del 1367, aveva
in realtà la Chiesa e annessovi monastero dedicati alla Vergine Madre Maria
in prima linea e poscia a San Pietro ed anche alla Santa Croce, fa d'uopo
arguire che si trattasse per entrambi di una stessa istituzione, il cui titolo
si semplificò posteriormente ma conservò per altro la primitiva dedica a
Santa Maria.
Solo, l'entità per sé della donazione del marchese Oberto e della di lui
moglie Berta con altri, e la circostanza che in quel largo atto di cessione
di territorio è fatto cenno che il ricevitore di essa, per conto del monastero
di Cluny, Stefano priore di Castelletto, vien nominato quale adiutor et ope-
rator ad haedificandiun et compone7idum^ lasciano con questa frase agio a
ritenere che un vero e proprio priorato dell'Ordine Cluniacense in Castel-
letto Cervo non sia sorto che con quella stipulazione del 21 novembre 1127.
Una tal supposizione viene ad essere per sé convalidata, in modo da
non lasciar dubbi, col diploma, di una data fra gli anni dal 1333 al 1337,
con cui Lotario II, che prendeva il titolo di Lotario III, apparentemente in
causa di Lotario, figlio di Ugo di Provenza (Art de vérifier les dates, tomo II,
pag. 20), conferma alla chiesa di Castelletto nell'Episcopato vercellese i beni
che possedeva a quella data e che potesse il monastero acquistare in av-
venire.
Il diploma viene rilasciato dietro istanza del venerabile fratello e priore
del monastero degli Apostoli Pietro e Paolo, di nome Pietro , affinché il
possente imperatore prenda quel convento sotto la sua protezione, citandosi
a tal riguardo quanto aveva già fatto all'uopo l'antecessore suo, di divina
memoria, Enrico imperatore, con manifesta allusione alla precedente casa
monastica di Santa Maria di Oliade.
Si diffida pertanto con quel diploma che non possa verun vescovo,
duca , marchese, conte, visconte, gastaldo, sculdassiiis o rettore, e nessuna
persona, importante o meno, del regno, molestare i possessi del cenobio di
S. Pietro in modo qualsiasi, rilasciandosi ad esso, in premio di futura rimu-
nerazione celeste, fino i diritti fissati affinché maggiori riescano i proventi
per l'elemosina ai poveri e l'assistenza ai monaci.
Vien stabilito, parimente, che in caso di contestazione abbiano a giudi-
care equamente non i più umili, ma ^li uomini più nobili e maggiormente
degni di fede, pattuendosi una multa di quaranta libbre d'oro da pagarsi
per metà alla Camera imperiale, e per metà al cenobio di Castelletto , per
chiunque avesse a violare quelle prescrizioni.
L'atto porta il sigillo dell'imperatore ed è convalidato dal Sotto Can-
celliere Ekkeardo, in luogo di l>runone.
A maggior schiarimento e per norma degli studiosi, pubblichiamo anzi
qui di seguito entrambi tali atti, quali risultano inscritti negli Annali precitati
di Cluny. Del primo di essi, l'apografo, già in possesso del Sig. Augusto
Bernard ed ora nella Biblioteca nazionale di Parigi, ha l'apparenza di una
8
PRIORATO CLUNI ACENSE DI S. PIETRO DI CASTELLETTO 129
copia in pergamena della fine del xii secolo, eseguita assai probabilmente
in Francia, valendosi dell'originale scomparso. Tale documento contiene
parecchie correzioni, ma sulla sua autenticità non si ha ragione di accam-
pare dubbi.
Nel diploma, premesso quanto già fu osservato circa la citazione ri-
sguardante l'imperatore Lotario, par superfluo riferire che il predecessore di
quest'ultimo, menzionato quale tutore del monastero di Castelletto nel xii se-
colo, è l'imperatore Enrico V (1106-1125).
9
17 — Mise, S. Ili, T. XIII.
130 DIEGO SANT'AMBROGIO
DOCUMENTI
3396.
CJiarta qtia Ohcrfus, marchio, et Berta, uxor ejus, et alii dant monachis clu-
niacensibtis et Stephano , Priori de Castelletto, res sztas in fnndo Oci-
miani, ecc.
1127, 21 novembre.
(Bibl. nat. fonds lat. nouv. acqu. 1674, n. 4).
Anno ab incarnatione Domini nostri Jesu Christi millesimo centesimo
vigesimo septimo, undecimo Kalendas Decembris, indici© sexta. Monasterio
Sancti Petri, quod est situm et constructum in loco Cluneti, nos , Obertus
marchio, filius cuiusdam item Oberti, et Berta, quae et Adaelasia jugalis, filia
cujusdam Darnadi, et Wilielmus atque Aledran et Bernardus , Riprandus
et Obertus, pater et filii, qui et quae professi sumus ex natione nostra lege
vivere salica, ipso namque jugale et genitori nostro nobis consentiente et
subter confìrmante, offertor et donatores, offertrix et donatrix praedicto
monasterio, presentes presentibus diximus: quisquis in sanctis ac venera-
bilibus locis ex suis aliquid contulerit rebus, juxta Auctoris vocem, in hoc
saeculo centum accipiet, et insuper, quod melius est, vitam possidebit ae-
ternam.
Ideoque nos qui supra jugales, simul cum filiis nostris, donamus et ce-
dimus atque offersionem facimus a praescnti die in eodem monasterio prò
animarum nostrarum atque gcnitorum nostrorum mercede, Hii sunt de no-
stris juris rebus et portioniÌDus in loco et fundo Ocimiani , pecia una de
sedimine , per mensuram juxtam jugera tres et perticae iugales quattuor,
atque pecia una de bosco cum areis suarum juris nostri insimul tenente
quod esse videtur jugera dccem et octo et perticae jugales octo, et jacet a
loco qui nominatur Moneta usque in Tuniscina et usque in Paludo.
Item in eodem loco Ocimiani similiter de nostris rebus juris inter vites
et prata atque terra aratoria , per mensuram justam jugera tredccim et
perticae jugales quattuor, quod est super totum media centum. Insuper
donamus atque cedimus in praedicto monasterio totani illam decimam, sci-
licet de omnibus fructibus illis, quibus ex nostris justis laboribus sine con-
tradicione dare potuerimus in Ocimiano et in Pomaro, atque in Sancto Sal-
vatore, si ve in Lugo, vcl in Conciago, et in omnibus aliis nostris locis de
nonis partibus, item decimam dare omnia in intcgrum.
IO
PRIORATO CLUNIACENSE DI S. PIETRO DI CASTELLETTO 131
In hac donatione et offersione domnus Stephanus, prior de Castellilo,
receptor fuit a parte praedicti monasterii, eo videlicet ordine ut supradicta
pecia de sedimine monasterium Sanctae Dei genitricis virginis Mariae atque
Sanati Petri seu et sanctae Crucis, in sanctifìcatione et honore ipse prior
Stephanus adjutor et operator ad haedificandum et componcndum fieri debet;
et ibi monachos et rectores mittere debet, ita ut diligcnter ut quantum po-
tuerit exerceatur. Quam autem super ista pecia de sedimine et de bosco
insimul tenente, atque de vitibus sive de pratis seu et de terris arabilibus,
simul cum praedictis decimis et omnibus rebus juris nostri superius dictis,
una cum accessionibus et ingressibus, seu cum superioribus et inferioribus
earum rerum, qualiter superius legitur, in integrum, ab hac die in praedicto
monasterio donamus, cedimus atque conferimus, et per praesentem cartulam
offersionis ibi habendum confirmamus; et faciat pars ipsius monasterii aut
cui pars monasterii dederit jure proprietario nomine quicquid voluerit, sine
nostra et haeredum ac prohaeredum nostrorum contradictione et repetitione.
Si quis vero, quod futurum esse non credo, si nos, qui supra, jugales
(quod absit !) aut ullus de haeredibus nostris ac prohaeredibus seu quislibet
opposita persona contra hanc cartulam offersionis ire quandoque temptave-
rimus aut eas per quodvis ingenium infrangere quaesierimus, tunc inferamus
ad illam partem contra quam exinde litem intulerimus, multa quae est pena
auri optimi uncias centum, argenti ponderas ducenti, et quod repetierimus
et vindicare non valeamus, sed praesens haec cartula offersionis diuturnis
temporibus firma permaneat atque persistat inconvulsa , cum stipulatione
subnixa, et a nobis qui supra jugalibus nostrisque haeredibus ac prohaere-
dibus, qualiter superius legitur, in integrum, ab omni homine defensare.
Quod si defendere non potuerimus aut si nobis exinde aliquid per
quodvis ingenium subtrahere quaesierimus, tunc in duplum suprascriptores
parti praedicti monasterii restituamus, sicut prò tempore fuerint melioratae
aut valuerint per extimationem in consimilibus locis. Et nec nobis liceat
ullo tempore nolle quod voluimus, sed quod a nobis semel factum vel quod
scriptum est inviolabiliter conservare promittimus cum stipulatione subnixa.
Hanc enim cartulam offersionis paginae Otonis notarii et judicis manu
conscribere rogavimus, in qua subter confirmans , testibusque confirmans
obtulit roborandum.
Actum infra castrum praedicti Ocimiani feliciter.
Signa manuum suprascriptorum jugalium et filiorum, qui hanc cartam
offersionis prò animarurh suarum mercede fieri rogaverunt. Et ipse Obertus,
marchio, qui ad eandem conjugem suam atque ad filios suos consensit,
ut supra.
Signa manuum Otonis Nanis de Trivilla, et Beri de Paxiliano, et Ugonis
Merenza , Rainaldi et Oberti de Gamundio, Fulco de Forio, Wilielmnus de
Ovilla, Joannes Pizo, milites et vassalli ipsius marchisi inde fuerunt tcstes.
Ego, qui supra, Oto, notarius et judex scriptor hujus cartulae offersionis
post traditam compievi et tradidi.
{A tergo) M.C.XXVII . xi . kal. decembris, indicio vi. Cartam donationis
et offersionis fecerunt Obertus, marchio, et Berta, que et Adelasia jugalis,
filia cujusdam Darnadi, AVilielmo et Bernardo et Riprando et Oberto et
Aledran interrogante, de pecia una de sedimine modia X, et de busco modia
quinquaginta insimul tenente, a loco Monetae usque in Tuniscina et usque
in Padulo et nominative de suis rebus in loco Ocimiani, de terra eulta et
vitibus atque de pratis modia quadraginta, eo ordine uti.
Testes, Oto Nano de Trivilla, Ugo IMerenza, Fulco de Foro et Rai-
naldus de Camundi, Wilielmus de Ovilla, Berus de Paxiliano, Joannes de
Sancto Benedicto.
132 DIEGO SANT'AMBROGIO - PRIORATO CLUNI ACENSE ECC.
4044.
Diploma Lotharii III, Romanorum imperator, prò ecclesia Castclleti
in cpiscopatu Vcrcellensi sita.
1133-1137.
(Ribl, nat. n. 1 46-30 ; cop. 283-91).
In nomine sanctae et individuae Trinitatis , Lotharius, divina favente
clemcntia tercius Romanorum imperator augustus. Cum imperialis munifi-
centia omnino nulli deesse debeat, maxime tamen Dei cultoribus et Christi
pauperibus exaudicionis suae aures accomodare debet, quorum orationibus
adjuti , sic transeamus per bona temporalia , ut non amittamus aeterna ;
proinde, omnium fidclium nostrorum , tam futurorum quam praesentium,
noverit industria, qualiter nostram adiit praesentiam, venerabilis frater et
prior monasterii apostolorum Petri et Pauli , nomine Petrus , rogans ut
ecclesiam suam, quae dicitur Castellitus, sitam in episcopatu Vercellensi, in
nostram susciperemus tuicionem, moreque antecessoris nostri , divae me-
moriae , Ileinrici imperatoris, bona ipsius, tam acquisita quam acquirenda,
imperiali auctoritate et praecepto confirmaremus,
Cujus justis peticionibus annuentes, confirmamus quicquid ad presens
vel habet, vel habitura est, legaliter tamen et juste, acquisiturum, omniaque
in integrum, quae ad praedictum locum pertinere videntur, vel quo a fide-
libus sibi oblata fuerint, aut quicquid ipsius loci habitatores juste et lega-
liter acquirere potuerint, per hoc nostrum pracceptum denominato loco,
regali auctoritate confirmamus, comprehcndentes non minus ea quae comes
Wido ob remedium animae suae eidem obtulit ecclesiae, tam in possessio-
nibus quam in aliis mobilibus et immobilibus.
Precipiendo itaque jubemus, ut nullus episcopus, dux, marchio, comes,
vicecomes, gastaldio, sculdassius, nullaque regni nostri magna parvave per-
sona, praefatum locum cum omnibus pertinentiis suis, vel fratres ejus aut
aliquem eorum utriusque sexus homines inquietare, molestare vel per pla-
citum fatigare, aut de his quae suprascripta sunt vel demum aquisiturus est
locus sine regali judicio devastare audeat, vel sine voluntate habitantium
aliquam consuetudinem ibidem mittere presumat aut aliquam minorationem
aut depredationem de acquisitis vel acquirendis facere temptet.
Et quicquid de praedicti monasterii possessionibus fiscus noster sperare
poterit, totum nos prò futurae remunerationis premio eidem loco concedimus,
ut in alimonia paupcrum et stipendia monachorum nostris futurisque tem-
poribus semper proficiat in augmentum, Insuper concedimus ut nullus homo
audeat respondere mallaturam advocato ejus. Et si aliquo tempore aliqua
contentio centra id ipsum monasterium exorta fuerit, non per viliores sed
per nobiliores et veraciores homines diffiniatur ex utraque parte. Si quis
igitur nostrae confirmationi praeceptum violare praesumpserit, sciat se com-
positurum quadringentas auri libras, mcdietatem camerae nostrae et medie-
tatcm praedicto loco. Et ut haec nostra imperialis auctoritas firmior habeatur
et diligentius observetur, praesentis decreti paginam sigilli nostri impressione
subtus insigniri jussimus. Signum domni Lotharii , tercii Romanorum im-
peratoris.
Ego, Eckardus, sub cancellarius, vice Brunoni.
\2
GIROLAMO ROSSI
GLOSSARIO
MEDIOEVALE LIGURE
APPENDICE
^^^^v^ V V V V V V"V V V V ^^^^'^^^^^^^^^^^^^^V V V V V V V V ^^^^^^ V vv VV V '/^^^^'z V V j*^^^^
A chi legge.
La favorevole accoglienza fatta all'apparire del nostro Glossario
da benemeriti cultori di cose storiche e filologiche, fra i quali ricor-
deremo, con sensi di grato animo, gli egregi Camillo Manfroni, Giu-
seppe Flecchia, Giacomo Filippi ed Arturo Ferretto, ci ha infuso co-
raggio a compiere l'opera con \\n^ Appendice di altre voci, che, per un
senso di male intesa economia, avevamo creduto di poter omettere.
Né sarà senza frutto aggiungere qui il rapido cenno datone dal chia-
rissimo prof. E. G. Parodi, il quale, sebbene dichiarasse il lavoro nostro
condotto troppo lontano da ogni huoìi indirizzo metodico, tuttavia lo ri-
teneva così utile ^^^•, giudizio che superava ogni nostra aspettazione.
Poiché avendo dichiarato nel Discorso preliminare che si sarebbe
da noi fedelmente esposto il materiale, cioè a base di fatti, senza im-
barcarci nel mare magno dell'etimologia, assodato che il nostro dizio-
nario avea recato pratica utilità, ci passammo leggermente di non
avere atteso a teorie e metodi, che, per essere soltanto congetture
del vero, vanno soggetti, non rare volte, a sparire ; laddove i fatti
restano.
Dobbiamo confessarlo : il sermo ricstictis o plebejus delle popola-
zioni liguri inquinate loquentes, durante il lungo periodo in cui si andava
alterando il classico latino, ci ha sempre fortemente attirato senza idee
preconcette; laonde abbiamo dato opera ad estrarre e riprodurre con
tutti gli errori (senza fastidire le idee grossolane e le frasi triviali) le
locuzioni dialettali dai diversi Codici, che da lunghi lustri e senza
posa andiamo rimuginando : punto dissimili dal botanico e dal zoologo
che vanno con ordine annoverando e piante e animali ; senza che
mai ci pungesse il desiderio d'indagare i modi, onde si sono svolte
(t) Giornale storico e letterario della Liguria, anno 1901, pag. 231.
3
136 GIROLAMO ROSSI
e modificate nel dialetto, certi che la nostra fatica, dinanzi alla cri-
tica, non perderebbe valore di sorta, né scemerebbe l'attendibilità dei
risultati.
Nel fornire i vocaboli delle opportune indicazioni sono riapparsi i
già lamentati ostacoli ; essendoché non pochi di essi, simili a nummi
antichi obsoleti, hanno opposto ostinata resistenza ad essere cangiati in
buona moneta metallica in corso. Non abbiamo per questo omesso
dall'inserirli col solito punto interrogativo, fiduciosi che, analizzati
nelle loro radici da qualche filologo , possano conservare ancora
qualche resto dell'antico idioma ligure, non essendo possibile che i
Romani sieno riusciti a far sparire intieramente la lingua del popolo
conquistato.
Una singolare avvertenza ci occorse di fare in ordine ad alcuni
di essi, i quali, sebbene per antichità deteriorati, spandono sempre
guizzi di viva luce, che non accenna a tramontare ; quali sarebbero,
ad esempio, admiratus, bancherius, bcrsagiiuUy carafatus, condola, ma-
gisier assie, recamare e seapterius, prova questa, che la ruggine non ha
presa sull'acciaio e prova palmare ancora, che non poche ragioni del
nostro non inglorioso essere del momento presente, hanno profonde
radici nei secoli passati.
Il manipolo di voci adunque, che, dopo la presente aggiunta, può
dirsi convertito quasi in covone, se non verrà salutato dai pochi che
sorseggiano alle fonti del secolo d'oro, tornerà senza dubbio gradito
ai non pochi studiosi, che attendono a raccogliere tutti gli anelli della
catena che lega l'evo medio al moderno. E se già un Valerio Fiacco,
nei primordii dell'età cristiana, ebbe lode per aver raccolto voci latine
cadute in disuso, non si vorrà negare una parola di conforto a chi
ne ha voluto imitare l'esempio, con risultato però impari alle fatiche
sostenute.
Ventimiglia, 23 gennaio 1907.
Girolamo Rossi.
GLOSSARIO
A
Abandonare (abbandonare).
« Domini ipsaruni possessionuin fraudo-
lenter et callide asserutil predictis debitoribus
baiitiortDn ipsoriim, licenliam iniraudi pos-
sessiones suas et ut patrio alludainus voca-
bulo, abandonuni. » (Stat. Xicie).
Abatere (abbattere, buttar giù).
« De alienis arhoribtis abatendis et colli-
gendis » (Giuseppe Barelli, // libro della
catena del comune di Garessio, pag. 52).
Abevragium (abbeveratoio).
Questo vaso quadrangolare di legno, in-
tagliato in grossi tronchi d'alberi, veniva
posto per dissetare gli armenti ed i greggi
o presso i fonti o presso qualche corso
di acqua e in esso i mandriani solevano
immettere il siero e gli avanzi della ricotta,
di cui sono ghiotti detti animali. Lo Sta-
tuto di Sospello ha molte rubriche sugli
abeuragium , quali ad esempio : abeura-
gium fontis de Fiat, abeuragium fontis de
Herquieto : in altre carte è usato anche
abeveratorium.
Ablactare (abbattere).
« Qui hactenus muros in aliquo loco
destruxeritseu ablactaverit ipsos illisfaciam
reactari. » (Podestà Luigi, Statuti di Sar-
zana dell'anno 1269, pag. 51).
Abolena (Bolena, comune nel Nizzardo).
« Girardus presbiter capelanus episcopi
de Abolena. » (Cais, Cartulaire de V ancienne
cathèdrale de Nice. Turin, Paravia, 1888,
pag. 126).
Acaptum (diritto d'entrata).
« Ad acaptum seu prò intrata et nomine
iutrate et acapte duorum pullorum galline
seu quasi. '{Chartrier de Vabbaye de Saint-
Pons, Monaco, 1903, pag. 327).
5
Acaviglare (accapigliarsi).
« Si cognati et cognate et socer et nurus
se acaviglaverint vel tenzonaverint » (G. Ba-
relli, // libro della catena., pag. 16).
Accomendatio (compagnia di negozio).
I' De pecunia in accomendatione vcl so-
cietate accepta. » (Stat. Albingane).
Accon e Acon (così era chiamata Acri
distrutta dai Saraceni nel 1271).
« .5"^ movit cum loto exercitu ad partes
Acconis. »
Aceptare (accettare).
« Non debeant rationerii acceptare illas
parlitas. » (Stat. Triorie, pag. 8).
Acerbalis (falce).
« De furantibus alicnum acerbale. »
(Stat. Lavine).
Aclunus (gatto).
« De capientibus gallinas et aclunos ut
vulgo gatti » (Stat. Apricaliset Insule bone,
ann. 1430, rubr. 52).
Acordio (accordo, convenzione;,
« L'I stare debeat per partes ipsas que
convenerunt de acordio. » (Alizeri, Notizie
dei professori del diseguo in Liguria, voi. 2°,
pag. 131)-
Acotonare (una delle operazioni del-
l'arte della lana).
L'anno 1267 si costituisce in Genova una
società de arte acimandi et acotonandi (Fer-
retto, Codici diplomatici fra la Liguria e la
Toscana, i» p., pag. 81).
Admiratus (ammiraglio).
« Philippus de Cleves... regius admiratus
et Januensium guber?iator. » (Stat. Padri,
pag. 146).
18
Mise, s. ni, T. xin.
138
GIROLAMO ROSSI
Adobare (nello Statuto di Nizza signi-
fica venire a composizione).
« Nisi prius adohaverii se aun defmictis. »
Era però vocabolo anche usato nell'arte
dei conciatori , trovando adobare cofimn
negli Statuti di Taggia e più chiaramente
in un documento del già citato Borfiga :
« Reducimus in unum grossum pelamina
iam adobata quam pilosa. »
Adonegare ?
« SU in arbitrio domini si nialuerit ado-
negare et partiri in campo fmctus cuin
colono. » (Stat. civit. Bobii, pag. 56).
Adrechium (tragetto).
Questo vocabolo in senso di viuzza tra-
versale è usitatissimo nelli Statuti di So-
spello, da cui caviamo un solo esempio :
« Otiia dieta bandita de Herco est mnltmn
frigida tempore hiemali addiderunt cideni
de bandita inacetii, que est i?i adrechio de
Agaize » (pag. 162).
Afaitare (conciare, da dove afaitaria per
concieria di pelli).
« Si aliqiia persona afaitaverit in districhi
Thabie aliquos corios debeat etc. » (Statuta
Thabie, si ha pure nello Statuto di Albenga).
Afanum (fatica, lavoro).
« Possit extrahere afanum snum de
dieta terra. » (Stat. Carpasii).
Afferrare (tener stretta con forza una
persona).
« .5"/ aliquis biitaverit aliquam personam
diete ville vel afferraverit ad personam vel
dederit ei de pugno vel alapham, vel tira-
verit per capillos solvat etc. » (Stat. Na-
ticini).
Afuzelatus (a forma di fuso).
« Convcnerunt faccre pilastros quatuor
cum suis mediis colonis in ipsis pilasfris afu-
zelatis. » (Alizeri, Notizie dei prof essori etc,
voi. V, pag. 76).
Agazus (frutice della famiglia delle co-
nifere, per l'esempio vedi Chiola
nella r' parte'.
Agilulphi Castrum (così appellavasi nel
medio evo la terra di Montignoso
nella Riviera di Levante). Vedi
Giornale storico letterario della Li-
guria, anno 1902, p. 338.
Agogia (bussola per navigare).
« Magister qui agogias prò navigando
cotificit. » (Giorn. ligust., anno 1875, pag. 72).
Agothare (spingere l'acqua in qualche
direzione).
« Seii possit illam aquam agothare vel
divertere. » (Statuta Centalli).
Agumena (gomena).
« Agumenas xxvni de cantariis sex prò
q2ialibet.ì> {Belgruno, Documenti, pag. 219).
Agusius (Uscio, comune nella provincia
di Genova).
« Manfredns archipresbiter plebis de
Agusio. » (Giornale ligustico, 1879, pag. 14).
Aigremont (Agromonte, nome che ri-
sponde presentemente al luogo di
San Lorenzo sulla destra sponda del
Varo, fondato nel 1468 dal vescovo
di Vence, il cui territorio divise a
trenta individui della valle d'Oneglia.
Un Raimondo di Aigremont è ri-
cordato a carte 104 del Cartolario
di Lerino).
Albaceum e Albasium (è il genovese
haxin e l'italiano fustano, tela di co-
tone misto con canapa).
« Nulla fiat presa deinceps in ipsa (canna)
nisi prò qualibet pecìa tettar um vel albacei. »
(Stat. Albingane, 1519, fol. 38).
Albara e anche Arbara (pioppo).
« Arbores fructum non portantes... seu
arbare et salices etc. » (Stat. Albingane,
idem., fol. 40).
Albasania (luogo della diocesi di Nizza
che risponde a Sagnes o S. Mar-
gherita alla foce del Varo : Breve
de Sinodo : Albasania xii donar ios.
(Cais, Cartulaire, pag. 50).
Albergum (un tal nome assumevano le
f^imiglie doviziose che si opposero
all'irrompere delle fazioni popolari
e che risponde alle clientele dei
Romani e alle fare dei Longobardi.
Ebbero alberghi Torino , Chieri ,
Sa vigliano ed Asti, e la costituzione
6
GLOSSARIO .MEDIOEVALE LIGURE
139
di Genova del 1528 ricorda ventotto
alberghi).
« Si essef de slirpc, progenie ve/ albergo
ipsiìis ieslaforis.» Stat. dei Padri, pag. 103).
Alearare (rivedere, approvare).
« Quod rasperii teneantur alearare iiien-
suras. » (Stat. Sospitelli).
Alciare e Altiare (alzare).
« Maligno spirita inolus alciavit pugnitm
et bis percussit. » (Cais, Docuin. sui Gri-
maldi, pag. 49). Da dove derivò VAlciata
(rialzo) : « possit habere alciatam cujnslibet
canale dictoriiin ìnolendinoriun. » (Stat. Sar-
zane, pag. xiii).
Alevamen (vivaio di pianticelle).
« Si aliqua persona inciderit aliqiiod ale-
vamen sylvaticiim, vel similia alevamina non
inserita, sit eie. » (Stat. Garbagne).
Alevare (far crescere pianticelle).
« siliqua persona non incida t fraschas...
salvo prò alevare boschunt » (Barelli, // libro
della catena di Garessio, pag. 55).
Alodium (proprietà libera ,.
« Iteni pedagiwn sive alodiunt de Pax-ano »,
(Ferretto, Cod. diplotn., 2°, p. 317).
Amarena (specie di ciliegia).
« Si aliqua persona inventa fuerit co-
medere seu accipere persica., poma, pira,
ceresias, amarenas, sjisinas eie. solvat. »
(Stat. Xaticini, rubr. 58).
Amasia (concubina).
« Si quis uxorem suam expellerit de
domo... non debeat tenere, secum aliquaui
amasiaì)i. > (Stat. Uvade, pag. 218).
Amassare (radunare).
« Itti qui custodiunt boves in bovarili non
plures quinquagiìita siniul possint ani debeant
amassare. » (Stat. Diani, pag. 17).
Ambaxata (ufficio dell'inviato).
« Res perdita in exercitu, vel cavalcata
vel ambaxata prò comuni facta. » (Podestà,
Statuto di Sarzajia, pag. 16).
Aminiculus (ajuto).
« Christum in eoruin aminiculo vacando
enses junxcrunt. » (Caphar., pag. 12).
Amirandus (ammiraglio).
« Obediant (marinarii) doìnino regi et
admirando ipsius. » (Belgrano, Documenti,
pag. 5)-
7
Amola (misura pel vino).
j « Vinum in galetis vel amolis » si ha
i negli Statuti di Oneglia.
I Amorbare (infettare).
« De aquis non avarregandis vel amor-
I bandis. » (Stat. Diani, pag. 8r).
Amploa (acciuga).
« Piscatores teneantur dare tempore qua-
dragesime sive cqrttevalis sardinas grossas
sive ampioas. » (Stat. Albingane).
» Possint einere de saldenis et anchiois
quot voluerint. » (Stat. Portus Mauricii ,
pag. XLiii).
Amuchiare (ammassare).
« Nulla persona audeat tenere et avtu-
chiare femim vel leanien in viis publicis. »
(Stat. Albingane).
Amurca e anche solo Murca (immon-
dezza, acqua di rifiuto).
« Aquila persona audeat vel presumat proii-
cere amurcam in viis publicis. » (Stat. Yez-
zani, pag. xxxi e li).
« Aquila persotia projiciat de domo sua
intra terram Falcinelli murcam vel aliam
turpem rem. » (Stat. Falcinelli).
Anca o Anqua (osso che si trova fra
il fianco e la coscia).
« Omnis lìiacellarius teneatur facere uni-
cuique unam peciam carnium... excepto de
tertio angue animaliuìn. » (Stat. Nicie).
Anchina (fune posta fra le costiere che
servono a tener congiunta l'antenna
coll'albero).
« Naulizamus navem cum anchinis et su-
peranchinis et par anchinis. » (Belgrano, Do-
cumenti, pag. 73).
Anchona (quadro dipinto sul legno).
« Tabula anchona seu majestas latitudinis
palmorum noveni. « (Alizeri, 2», pag. 63) ;
in altri documenti di questo autore si trova
anche cona.
Anchoragium (diritto che doveva pa-
gare una nave per entrare in porto ;
tale diritto variava secondo la di-
versa capacità : se essa aveva il
balao, cioè il palco più alto della
coperta oggi detto castello, pagava
140
GIROLAMO ROSSI
Vanchoragiuvi ; pagavano invece il
ripaticum quelle che ne andavano
prive.
« Fuìt observatunt exigere a7ichoragium
ab omnibus patronis vaxorum que ut vulgo
dicitur lo balao et ab illis qui non habent
dictuin balao, exigiiur sohwt cabellam riva-
guli. » (Stat. dei Padri, pag. 251).
I patroni per evitare lo sborso del mag-
giore diritto d'ancoraggio, fecero allora co-
strurre le grandi navi senza balao, alla
quale astuzia si pose riparo nel 1548 con ve-
nire ordinato, che pagassero l'ancoraggio
le navi capaci di 1500 cantari e il ripatico
tutte le altre.
Andanea (villa di Triora).
« Quahior atitiani scilìcet trcs de Trioria,
unus de villis, scilicel unus de Molinis se-
cundus de Atidanea tertius de Curtino. »
(vStat. Triorie, cap. 4).
Andarivellum (chiamavasi unistrumento
che serviva ad alzare o abbassare
il sacchetto delle gabbie sulle navi :
era una cosa istessa colla sagora,
di cui si è detto nella prima parte.
Angaria (obbligo feudale di servire il
feudatario di persona e cogli ani-
mali mediante mercede, quando era
senza mercede dicevasi perangaria.
Angurialis (contadino, villano).
« Liber burgeusis Sarzane preter sci'vos
etanguriales, habeat eie. » (Podestà, pag. 34).
Anozare ?
« Debeant revidere et anozare onuies ar-
borea castaìiearuni et nucuni. » (Compro-
messo fra Pigna e Castelfranco, 1477).
Antepedes (uose).
« Sartor habeat de caligis Iwminuiii cmn
antepedibus iv denarios et siiie aittepedibus
ITI denarios. » (Stat. Nicie).
Anulus episcopalis (un vescovo appena
consecrato riceveva dal metropoli-
tano l'anello, il quale doveva resti-
tuire nell'atto della sua rinunzia).
« In refutatìoue epìscopatus aiiulum de
ipsius episcopi vianu susceperit. » (Cais, Car-
tulaire eie, pag. 90).
Aparciamentum (divisione dei beni fra
i figli, così il D'Arnis).
« Non possi t accipere ab aliquo hoinine qui
iverit in eoruni hospitio, de ledo, de tabula,
de lignis sale et aparciainento nisi soliduni
unum. » (Pandiani , Stai. Porto Venere,
pag. 99).
Aperium (alveare).
« Iteni in aperio empio in Venassoìio cum
apibus quos tenet ad ineariam. » (Test, de
Gubernatis, 1529).
Apia (ascia).
« Aliquis bestiarius caprariim non debeat
fcrre apiam nec securrm » (G. Barelli, Gli
statuti di Oi'mea, pag. 175).
Apicare (impiccare).
<( Vidi hominem... queni dictus Gulielinus
(Ventus)fecit apicare in ipsis furcis. »(Saige,
Documents relatifs aux seigneuries de
Menton eie, pag. 52).
Apodiare (appoggiare).
« Consors possit edificare ctfacere quid-
quid volucrit super ipso muro vel paride
et se apodiare eidem. » (Stat. Civ. Sarzane,
lib. I, rubr. 38).
Apodixia e anche Apodissa (dichiara,
polizza ed anche quietanza).
« De facientìbus apodixiam sive scripluras
vianu propria. » (Stat. Untii}.
« Tencatur eis pignoribus apodissam im-
poìtere in hunc modum. » (Podestà, pag. 28).
« Non possit rogare instrumentum nisi
prius habita apodixia a dieta camera de sa-
tisfadione die ti ducati. » (Stat. dei Padri,
pag. 25S).
Appapirus (carta).
u Juxta dcsigntun in appapiru factum per
dictum Lucam. '» (Alizieri, Notizie, VI,
pag- 49).
Apraare (ridurre a prato).
« Itevi quod prata hominum castri Doy,
que sunt et fiterint in I.angauo sinl apraala
et signata. » (Conventio Triorie et Castri
Doy, 1280).
Arancare (svellere, sradicare).
« Si quis furtive aràneaverit aliquasar-
bores, cadat de. » (Stat. Lavine). Vocabolo
che si ha negli Statuti di Diano, Mentone,
Cesio, Pornassio e Mioglia.
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
Idi
Arangiatura (malattia di ventre dei ca-
valli .
Il Girardenghi ha il capitolo de afangia-
tura equi, infirmiias ventris.
Arazium (arazzo, tappeto),
« Quiugentas alias paniiorum de arazio
sive auleorum, » (Belgrano, Vita privata,
pag. 6i).
Arcella (ornamento femminile, si veda
Foiogetus nella i* parte).
Archator (balestriere).
« Eo dizdius durante archatores ferieriint
Baldoiniini, » fObert. Cancell).
Archibuxium (arma da fuoco antica, ar-
chibugio).
« Gregorio Joardo prò predo archibu-
xioruin triuni libras xix. »(Alizieri, voi. VI,
pag. 408).
Architravus (architrave).
« Pro architrave porte Bastile et sculplure
lapidis cuin figura sancii Gr e gorii. » (Alizeri,
voi. IV, pag. 226).
Ardenna (Pietra Ardenna è nelle vici-
nanze di Ceva e di Garessio lungo
il corso del fiume Tanaro e si trova
nella secondaria catena di monti che
costituiscono l'apennino ligure).
« Pars Apetmini est que Petra Ardenna
vocatur. » (Astesano Antonio, poeta del
XIV secolo).
Arembamentum (ringhiera o parapetto).
« Proìnisitfacere sex pedestalos proarein-
bamento scale. » (Alizeri, voi. V, pag. 77).
Arengus (è usato in senso di adunanza
o parlamento).
« Teneatur legere capitula in arengo vel
parlamento. » (Stat. Cohedani, pag. 30),
Arengo era anche il nome d'una cam-
pana od ordigno composto d'una lamina
di bronzo incastrata nel mezzo d'una tavola
riquadrata battuta con due martelletti da
dove la frase sonare ad aringo e si sa che
al suono dell'arengo i Veneziani accorre-
vano ad eleggere il doge. Da aringo ha
origine il vocabolo arengera nel senso di
tribuna che si incontra negli Statuti di Al-
benga : « non possit aliquis consulere nec
super arengera vel scalinata ascendere nisi
semel sine licentia consulum. »
Arenitum fcosì appellavasi nel medio
evo il luogo ora chiamato Invrea,
territorio comunale di Varazze, che
ebbe un monastero di monache detto
S. Maria di Latronorio. (Xuovo gior-
nale ligustico, pag. 593).
Arganus (strumento per alzare o calar
giù pesi).
« Operafitibus ibidemsartias,arga)ios, taleas
et alia ibidem, necessaria. » (Stai. S. Romuli).
« De guastis faclis in argafiis et canonis »
(Barelli, // libro della catena, pag. iS).
Argomoniaticus (in Scio posseduta dai
Genovesi, era gravata di una tassa
la donna che, perduto il marito, vo-
leva rimaner vedova : questo è il
senso di Argovio7iiaticus come si
legge nel Giornale ligustico del
1882, pag. 122).
Arma (stemma).
« Promisit facere portalle utiuin cuin uìia
arma Spinula in medio /risii. »(Alizieri, V,
pag. 63).
Arocia (corso d'acqua tributario della
Centa).
Non passini nulriri capras in glariis flu-
minuni Arocie. » (Stat. Albingane).
Arpaxone (pascolo).
« Pastores pecudtcm sive pecudarii non
debeant venire domuìii de loto arpa.xone,
sine licentia cuslodis Alpis. » (Stat. Triorie).
Arra (arra).
« Ad presens dal prò arra libras xxx
Janue. » Alizieri, V, pag. 40'.
Arrestum (occupazione).
< Pro notificando arrestum quod erat
factum de Castro Monachi... et garnisonem
in eodem castro posuerat. » (Cais, La ville
de Nice, pag. 155).
Arrisolari (lastricare).
« Et faciant etiam arrisolari de bonis
lateribus ad domum ubi quisque habitat. »
(Stat. dei Padri, pag. 8).
142
GIROLAMO ROSSI
Arrumdare (conchiudere, restar d'ac-
cordo).
« Si aliquod merchatum factum fuerif. . .
vel arrumdatmn fuerii, seu res fuerit inon-
f eruta... consules teneantur etc. «(Barelli, //
libro della catena^ pag. 35). L'arumdare,
vivo ancora nel dialetto per istringere un
negozio, è associato con mouferuta di cui
si è dato spiegazione nella parte prima.
Arteliaria (grosse armi da fuoco).
« Multe externoruni naves hujusmodi ar-
ia liariis iiavigant.» (Alizeri, voi. VI,p. 407 .
Arvus (sito incolto).
« Inferius via publica et a lafere quidam
arvus sive gerbus. » (.Saige, Docniìiciits,
pag. 238).
Asarcìata (dicevasi di nave che doveva
essere fornita di gomene, di corde,
di cavi, di vele e di àncore).
« Teneatur habere in poriu naves furuitas,
asarciatas compie tas et amari ?iatas. » (Bei-
grano, Docuiìicnti etc, pag. 3).
Asazium (saggio).
« Debeat fieri ac si de Oìimibus factum
fuisset asazium sive cercha vel probatio. »
(Giornale ligustico, 1896, pag. 306).
Asazonare (finire).
« Quod (malones) sint bette codi et asa-
sonati, bona fide. » (Stat. Nicie).
Asnesium e Arnisium (bagaglio e anche
suppellettile).
« Totaiti raubam cortim, vexilla et teti-
toria et asnesium tot atti cepcrunt. » (Oger.
Panis, pag. 98).
« Concedunt omtte arnìsitim quod habcbat
in civitate Janue vasa argetitea lectos et
pannos. » (Saige, D o eumeni s etc, pag. loi).
« Per mittiinus portare in dieta nave asnesia
et ballas vestras. » (Ferretto, Documenti su
Per civaie e Simone Doria, pag. 26).
Asona poi Alsano e quindi Arsinale
(edificio alla riva del mare per con-
servare e riparare le navi).
« Nec compellantur merces de dugana nec
de due 'iella nec de asona nec res alicujus
amirati.»{ Atti della Società ligure di Storia,
voi. }tlX, pag. 172 .
Aspa (Di questo vocabolo si è dato
nella prima parte il significato di
certa forma particolare di candele,
qui si ripete perchè è nome che
faceva parte dei pezzi costituenti
l'aratro, come ne evince la particella
della rubrica specialia Prosanegi
negli statuti Unelie, in cui si legge):
Si aliquis laboraverit jtixta dictas plagias
et ibi fuerit necesse aliquod metubrum aratri
vel scilicet : cendegula, trazola, parutinum,
cuneum., aspam, caraliam et torta gnam ,
prò lignamine possit accipere.
Virgilio al libro primo delle Georgiche
ricorda sei parti dell'aratro, cioè vomis,
burini, temo, bine aures, denfalia et stive ;
ed altre sei ne conta il Robert {SuWaralro
degli antichi^ Memoria della R. Accademia
delle Scienze di Torino, i8i6):cioè vomere,
bura, timone, orecchie, dentale e stiva ;
confessiamo di non essere riusciti a sneb-
biare il vero significato delle voci dello Sta-
tuto ora citato.
Athilhamentum (pezzi di legno che si
attaccavano al collo dei muli e buoi
da tiro).
« Habere dcbeant diias bestias prò tirattdo
granum quas tollere non audeant donec
traxerint totum... nisi prò adequando alias
areas mutando rampavi seu athilhamettta. >
(Stat. Sospitelli).
Atras (esclamazione di minaccia).
« Atras, atras quare ducitis ipsum homi-
nem etaliorum.. . opportet vos retrocedere . »
{Chartrier de S. Pons., pag. 255).
Atta (epiteto di casa fortificata).
« Qui habent domum attam in Sarzana
teneaìitur eam dare potestati. » (Podestà,
pag. 52).
Auctorizare (approvare, dare il con-
senso).
« Si dicti agnati auctorizare noluerint,
noti valeat disposino. » (Stat. Albingane).
Auginus (così scrive il Celesia a pag. 14
della Valle del Varo, appella vasi il
monte di cento Croci negli Apen-
nini).
IO
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
U3
Avelana (nocciola). I
« A vigilia nalivitatis Doiniiti ad epipha-
niam, possint liniere ad avelanas. » (Statuta j
Apricalis et Insule bone, 1430. • |
Ave Maria (così chiamasi il suono mat-
tutino, meridiano e v^espertino della
campana delle chiese cristiane cat-
toliche).
Nel medio evo col suono della campana |
si dava il segno del coprifoco, cioè l'or- I
dine di spegnere colla cenere i fuochi ac-
cesi, prescrizione necessaria di epoca in
cui le case erano costrutte in legno :' difatti
nello Statuto di Sarzana alla rubr. 21 del
secondo libro si legge a prhna campana
custodie que puhatiir itt sevo usque ad cain-
panani dici. Però nello Statuto di Levanto
del xui secolo si ha: non possit aliqua per-
sona jactare in plateis usque ad sonuin cam-
pane Ave Marie e così in altra carta del
1296 la quale ricorda campanas que pul-
santur prò salutatione Virginis Marie. Dal
che siamo indotti a credere che questo pio
uso si generalizzasse nel xni secolo.
Avere (questo vocabolo comprendeva
l'armento e il gregge).
Sulle malghe liguri pascolavano in nu-
mero grande gli averi, i quali si distingue-
vano in avere grossum (armenti ) e in avere
miiiulum (greggi). Lo Statuto di Nizza dice
i pastori habebutit licentiam pasccndi corum
avere ; quello di Castellaro : ntcllum avere
e.xtraneum audeat Mitrare territorititn. Gli
Statuti del contado di Ventimiglia del xiv
secolo hanno appositi capitoli : de traclis
averium et victualiuìn servandis ; altro de
transitu averium e ricordano i diritti di
passaggio, di pulvcraggio e di rainaggio
che i proprietarii avevano sui pastori che
conducevano i greggi a svernare nelle re-
gioni marittime ; il Gioffredo finalmente
(pag. 977) registra : Nicienses habebant manus
violentas... rapientes averia quecumque tam
grossa, quam minuta.
Aviamentum (indirizzo, tirocinio).
« Deheant recurrere ad aliquos pictores
quibus est aviamentum magnum in dieta
arte. » (Capitula pictorum Genue).
Avocator (dicevasi l'incaricato di di-
fendere le ragioni delle chiese).
« Johannes cpiscopus sancte vadensis ec-
clesie una cum avocator e suo elegit etc. » San
Quintino, Osservazioni, pag. 9).
Axia 'accetta, arma simile alla scure).
Nel testamento di un mastro d'ascia del
1277 si ha notizia degli strumenti da lui
adoperati, cioè axiam unam, axonum unum,
viaìiarias duas, serras tres, marchas tres,
scorpcllos sex, verrugios duos , verrinas
tres,jonas duaa, limas duas, trapanum uìium,
molam unam prò amolare ferramenta. »
Ferretto, Cod. diplom., 2» parte, pag. 153).
« De juramento magistrorum ascie et
calafactorum. » (Stat. antiq. Saone).
« Ego Bonaver de Portu venere magister
axie, proìuitto et convenio facere quandam
galeam. » (Belgrano, Documenti, pag. 68).
Axiungia (grasso).
« Ouelibet persona que vendiderit ad mi-
nutuni carnes, panem et axiungia. » (Stat.
Levanti, pag. 16 .
Azardum (azzardo, sorte, rischio).
« Aliqua persona non audeat luderc ad
tassillos sive ad azardum. » ^Statuta S. Ro-
muli, 1435)-
Azarium e anche Assahum (acciajo\
« Homines ementes seu empturi ferrum
assalium labot atum, nullavigabellaiìi solvere
teneanttcr. » (Convenzione tra Ventimiglia
e Dolceacqua).
Azima (pezzo di carne colle costole,
che soleva riempirsi con uova ed
erbucce;.
« Et par unum caponum... pullos duos
et aximas duas. » (Belgrano, Registro ar-
civescovile, pag. 212).
B
Bacile (bacino e bacile).
« Barbera leneantur habcre bacile unum,
toagiolos albos et rasorium. » (Stat. Unelie,
pag. 49%
Bacinetum (cervelliera).
« Quilibet de Turia qui sii abilis ad por-
tanduni arma, tencatur habcre luium cli-
1 1
peum, unam cervelcriam sive bacinetum et
comune leneatur habere unam banderiam. »
(Stat. Unelie, specialia Turrie\
Baculus (bastone, insegna di comando .
« Imago regis sedcnfis in catrcda et te-
nentis baculum cum flore in manu sini-
stra. » (Belgrano, Documenti, pag. 34).
144
GIROLAMO ROSSI
Oberto, conte di Ventimiglia, nel 1234
subinfeuda la terza parte di Carpasio, cum
bacillo queniin manu tertebat. »{Lìberjiiriia>i,
I» colonna, pag. 945".
« Stafucrimt quod sìngulis annis in prin-
cipio assuinpiionis bacilli et rce^iininis... sfa-
tuta prescntari debcant. » (Stat. Ceriane).
Badile (badile).
« Aliqua persona non debeai devastare...
cum sapa ncque badile. » (Stat. Capriate,
pag. 193)-
Balancia (bilancia).
« Becehiarii teneantiir ponderare ad ba-
lancias. » (Stat. Sarzane).
Balconus e anche Barconus (finestra
grande).
« Pro balehono magno Sancii Georgii. »
(Varni, Appunti artistici.^ pag. 92).
« Nulla persona presuinaf caria ad fe-
neslras, ostia sive balcones in dieta platea
appensa retinere. » (Stat. Sarzane).
Baldachinus (baldachino).
« (hnbella qtie prò baldachino inservire
debet... sii ex corto rubei coloris, intus vero
serico ceruleo munita. » (Spinula, Consti t.
Synod. Lune et Sarzane., pag. i35\
« Quoddam bardachinuni sive ut vulgo di-
citur paliu}n factum de borcalo foderaluin ca-
morato. » [Atti della Società ligure,\o\. XIII,
pag. 402 \
Balista (Tra le armi destinate al saet-
tamento erano le balestre e gli archi,
quelle da non potersi tirare senza
essere appoggiati, questi manege-
voli, essendo di legno o di corno).
« Iteni veretonorum capsias sex, item ba-
liste due. » (Rossi, Storia del marchesato
di Dolceacqua).
Balla (fardello).
«Emotas plus ex ballis bonoruui pannoruìii
scarlatoruin et fustaneoruin extraxerunt. »
(Ogerii Panis, 1205).
Balsamus ?
« Ile no7i colligendo balsamos in terra sua
vel aliena. Aliqua persona non possit facere
vel colligere balsamos aliquos de castaneo nec
aliquo alio Ugno in loto posse Quiliani. »
(Atti della Società storica di Savona ,
voi, 2», pag. 346).
Balzanus (epiteto che si dava a cavallo
o mulo coi piedi bianchi e il manto
d'altro colore).
« Mulum balzanmn de omnibus pedibus. »
(Ferretto, Cod. diplom., pag. 426).
Balzellige (tassa, balzello).
« Exempti ab omnibus et singulis inune-
ribus angheriis, perangheriis, collectiSy itn-
positionibus balzellige. » (Stat. Sarzane,
fol. Lxni).
Bambinus (bambino).
. « In dictis columnis ubi sunt duo pueri sive
bambini. » (Alizeri, Notizie, voi. V, pag. 82).
Bamnitio (decreto pubblicato a suon di
tromba).
« Banmitio et disbamnitio fieri debeat in
dicto loco Viozene per hoviines Ulmete. »
Durandi, Delle antiche contese dei pastori
di vai di Tanaro e vai di Arozia, pag. 218).
Banasta (cesta bislunga intessuta di
verbene, usata nella vendemmia).
« Sanaste in quibus portantur racenii...
tempore vindetnmiarum sint tales, quod te-
neant iv pancrios. » ;Stat. Nicie).
Banca e Bancum (tavola dove i mer-
canti contano il denaro).
« Dieta banca teneant ad modum et for-
mam quo et qua solebant tenere Astenses in
Janna. » {Codex astensis, V, pag. 227).
Bancale (cassapanca).
« Bancale unum prò libris cum duobus
clavaturis. » fGiornale ligustico, 1S90,
pag. 37)-
Bancherius (banchiere).
« Gentes sciant qui tenent banchum et qui
sunt sodi cujuslibet bancherii. » (Doneaud,
// commercio e la navigazione dei Genovesi.
Oneglia, tip. Ghilini, 1882, pag. 82).
Bandera (bandiera, gonfalone).
« De porfanda bandera in lignis Alhin-
gane. »
Bannum (multa).
« Captai gabellottus condemnationes et
oììinia banna. » (Garroni, Guida di Savona,
pag. 128).
Baratanus (chi traffica il danaro altrui
depositato).
« De baratanis punicndis. » (Stat, ge-
nuens. \'isdomini, 20, pag. 14).
12
GLOSSARIO MEDIOEVALE
145
Baratare (far cangi).
« Possit vendere et baratare libere etexpe-
dire. » (Atti della Società ligure di Storia,
voi. XIX, pag. 173).
Barataria (frode).
« Si barataria commiserit in batneando
farinani. » (Stat. Levanti, pag. 26).
Barba (zio).
« Advcrsus heredes avi paterni, ncque
barbavi, ncque fratris ncque avie paterne. »
'Stat. Nicie).
Barbalata (così chiamavasi il territorio
di Falicone colla chiesa di S. Michele).
{Chartrìer de S. Pons, pag. 21).
Barberius (in origine i barbieri oltre di
tosare i capegli e radere la barba
facevano le più semplici operazioni
chirurgiche). <
« Quilibet barberius habitator burgi Sar-
zane teneatur et debeat ire vel mitterc disci-
pulum cuni utcnsitibus suis ad radcndum,
tondciidum et salaxanduin qualibet die ».
(Podestà, pag. 56).
Barbina?
« Debeant habere soinataììi porci preter
barbina m.» (Giornale ligustico, 1S82, p, 264).
Barbuta (elmetto).
Di una barbuta fa ricordo il Ligustico
del 1890, pag. 37.
Barca (nave di non molta grandezza
per lo più da carico).-
« Itetn quod habeat dieta navis tmam bar cavi
catiferi. » (Relgrano, Documenti, pag. 6. La
barca di cantiere (scrive il Belgrano) andava
allora al rimorchio di ogni nave).
Barigildus (i Barigildi erano in Corsica
quello che gli Scahmi erano in
Francia, e gli Judiccs civitatis in
Italia: così il De Gregori, n&Vi! Intro-
duzione agli Statuti di Corsica).
Barilarius (barilajo).
« De juramento barilarioruni. » (Stat.
antiq. Saone).
Barilis (barile).
« Si aliqua persona Sarzane portaverit
(vinuin) in barilibus non bulatis, solvere cotn-
pettatur. » (Stat. Sarzane, rubr. 44).
Barrius (muro di cinta di una città o
terra).
•« Nullus civis faciat soillas nec extra nec
juxta barrios » (Stat. Nicie).
Bascacia (biscazza).
Guglielmo Tassarolo promette di non
giuocare « ad aliquem luduiii taxillorum
neque ad aliquam aliatn bascaciaìu. » (Fer-
retto, Cod. diploni., 2°, p. 15).
Basitare?
« Qui basitaverit scu scarzaverit dictuin
pillotuni currat in penavi. » (Stat. Plebis,
pag. 155)-
Bassaca (pagliericcio).
« Primuvi U71UVI cubile cuvi bassaca pauci
valoris » (Invent. castri Roquete, 1507).
Bassalum (bracciale).
« Quod quilibet homo possit portare causa
venationis et ludendi ad bassalum, bali stavi
unam cum viatraciis. » (Stat. Nicie).
Bastardus (figlio naturale).
« Perinde ac si talis bastardus vel alius
non Icgitivie natus ex legitimo matrimonio
natifuissent. » (Stat. Sarzane 3°, rubr. 18).
Bastonus (bastone).
« De nofi percutiendo aliquevi forensem
de baculo aut bastono. » (Pandiani, Stat. de
Porto Veliere, pag. 78),
Batenderium (collo stesso significato di
batitorium, cioè maciulla).
« Itevi batituram canapi ad batendcriuvi. »
(Stat. Calizani, pag. 57).
Batifredum (torre di legno per gli as-
se dii, V. Bertesca).
Batilaurum (battiloro).
«Joannes de Picardia de Tome, bati-
laurum. » (Alizeri, Notizie, I, pag. 410).
Batitorium (edificio ove si faceva ma-
cerare e si batteva il canape).
« Pono libi in pigno, partem violendini
mei et batitorii quod habeo prò episcopo. »
(Cais, Cartulairc de l' ancienne cathcdrale
de Nicé).
Batutus (confratello d'una confraternita
di disciplinanti).
« In laborcrio ecclesie consorcie Beate
Marie ordinis batutorum de Clavaro. »
(Ferretto, Le Rappresentazioni sacre).
13
19 — Mise, S. Ili, T. XIII.
146
GIROLAMO ROSSI
Bauzum (grosso pietrone).
« Si quis haberet aliquem boveni senein...
qui cecidisset de aliqua ripa vel bauzo. »
(Stat. Garlende, pag. 49: si ha baucius
negli Statuti di Tiiora e di Sospello).
Becaria (luogo dove si macellano le
bestie).
« Ordinanius quod becaria fiat ad ymo
burgum ad dominn Mar lini becari. » ( Podestà ,
pag. 34)-
Bedale (canale).
« Necessariuni mihi fuerit in terra vestra
bedale ampliare. » (Cais, Carlul. eie., p. 128).
Belfredum (beltresca o torretta di legno
che si alzava sulle mura per osser-
vare i moti dei nemici).
« Non possit ascendere super campanile ,
super por tas et bel/redo. » (Assandria, Stai.
Baennarum, pag. lxix verso).
Bellumcadrum (Beaucaire sul Rodano,
colla quale città Genova aveva re-
lazioni di commercio).
« Nos faciemus dominis navium solu/ioncs
apud Bellunicadrnm. »(Belgi'ano, Doc. , p.42).
Bembelium (San Colombano, comune
nel mandamento di Chiavari).
« Ecclesia Sancii Columbani de Bcmbelio. »
(Bolla di papa Urbano VI del 13S7).
Bequs (becco).
« Si quis macellator capram seu bcqum
macellaverit. » (Stat. Apricalis).
Berlina (castigo con cui si espongono i
malfattori al pubblico scherno).
« Si qua persona proditionetn fecerit de
terra Falcinelli... trahalur per lerram Fal-
cinelli ad caudam asini nsque ad locìcm
justitie et posfea furcis siispendatur. » (Stat.
Falcinelli '.
Beroviarius (ministro di giustizia o
birre).
« Cum uno vel pluribus bcroviariorum ca-
pitanci vel rectoris contingat ire ad capien-
dam aliquavi personam. » (Stat. Sarzane).
Bertesca (torricella di legno che si
alzava sulle mura per osservare i
movimenti nemici).
« Adjuveìil fa cere et trahcre patos, vi-
minos, sepes, boscos , palancam, scelonos
et lignamina ad bertescain et baiifrcdmn
tantum. » (Giornale ligustico, 1892, pag. 365 .
Berzerium ?
« Non possit nec debeat deferri seu de-
ferri facere ferrum factum vel itifectum
lignamina facta vel infecta , berzerimn ,
7icrvuin, sagitfas. » (Sauli, Imposicio affidi
Gazarle, pag. 376).
Bestenta (fermata).
« Sii licitum ire et redire per vias publicas
sine faciendo aliquam bestenfam seu moram
per vias publicas. » (Stat. Quiliani).
Bifulcus ?
« A bifulcis nsque ad summitateni mon-
tium... nsque ad bifulcos aque calcandule.»
(Stat. Sarzane).
Biglietti (viglietti).
« Fiant Ires cartule quas vulgo appellamus
biglietli. » (Stat. Garlende et Paravennae,
pag. 18).
Binda (benda).
' « Unum confalonum comunis Saone cum
duabus bindis vermiliis et cum una binda
alba.» (Garoni, Guida, pag. 126).
Biretus (berretto).
« Colinus de Forne magister biretorum. »
(Alizeri, Notizie, I, pag. 411. — Da dove
Bcrefarius).
Biribì (sorta di giuoco che arieggiava
alcun che di simile alla bisca di
Montecarlo ; colla differenza che nel
birtbì invece dello girella si aveva
un sacchetto).
Il Casanova lo descrive nella Contessa
Clementina e dice, che consisteva in un ta-
voliere che aveva 36 caselle e sì pagava
trentadue volte la posta. I banchieri del
Biribì erano tre : uno teneva il sacco dei
numeri, l'altro il denaro, il terzo invigilava
il tavoliere: Il vescovo Albinganese Spi-
nola a pag. 72 del suo Sinodo, inseriva:
« alcarum , taxillorum et saculi vulgo bi-
ribiribì ludos prohibcmus. »
Bisacia (tasca grande per riporvi robe).
« De omnibus et singulis dictis bisaciis,
ligaciis vel sachis fieri debcat ut supra. »
(Giornal. ligust., 1S96, pag. 306).
Bisamne (iìume Bisagno).
« Fuit sturmus et prelium maximum in
Bisamne.» (Obert. Scribe, ann. 1192).
Bisatium (pagliericcio).
« Itnn bisatium unum, lintcamenium ufium,
cussinumuuum.fresatam unam. »(Cais, CoJiit
di Ventimiglia, pag. 133).
14
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
147
Bisatium (moneta).
« Debei dare paliuin unum valentem bi-
satios X. » {Lib. jurium, pag. 173).
Biscona?
« Teneatur coinpellere molinarius quod
nullo modo advertant aquain biscone de loco
suo , causa ducendi ad ipiaiii clausam. »
(Stat. lanue Visdomini, voi. I.pag. 72).
Bislachum ?
« Profloreno soldmn unum cudi diniidio...
et prò bislaco soldmn unum. » (Stat. Al-
bingane).
"Bissana (Bussana).
Che movendo da Vipsana passando in
Bissana, venisse a formarsi l'antico nome
di Bussana abbiamo in altri scritti asserito,
e questa Bissana) troviamo in un documento
riferito dal Desimoni in cui si leggono:
« Ambrosiics de Diano et Lanrenlius de
Bissana. » [Acles de Famagousle , pag. 32).
Biava (ogni sorta di frumento).
« Non debent dicium quaranlemnìi de
omnibus illis blavis que per mare veniunt. »
(Cuneo, Del debilo pubblico, pag. 12 .
Blavetum (tessuto di colore azzurro).
« Tradidit ballavi unam blavelorum de
^a/(9;/(9. »(Ferretto, Cod, diplom., 2" ^pa^. 2,02).
Bocia olivarum (gruppo di migne).
« Si que persona inventa fuerit... incidere
olivas... prò qualibet bocia soldos viginti,-»
(Stat. Albingane'.
-.Bogia (arnese di ferro per accompa-
gnare il torchio nello stringere).
« Cum uno tor colar io prò oleo coìificieìido
et stia bogia fe?-ri. » (Garoni, Codice della
Liguria, p. i36\
Bolagus (gonfiamento fumo, e gorgoglio
della terra vulcanica, bollentino prin-
cipio di eruzione).
« Terra posila in vallone de nionlenigro
ubi dicitur Bolagus. » Questa è la memoria
più antica che il notaio Giovanni de Aman-
dolesio registri all'anno 1264, sulla nota
località, creduta un resto di cratere sul
Montenegro presso Bordighera, e che per
iscopo scientifico veniva visitata nel secolo
xviii dall'illustre Carlo Amoretti di Oneglia
e nel 1831 dall'Intendente di San Remo
Alberto Nota.
Boldronus (pelle lanosa, pergamena non
rasata).
15
« Pilluin quod abradelur et percipietur
sive pillabitur de cartis seti de pellibus bol-
dronoruin. » (Ferretto, Cod. dipi. ,2'^, p. 278).
Bolengheria (panetteria).
« Quelibet bolengheria volens facere pa7tetn
noìi possit e te. » (Assandria , Stai. Bacn-
narum, rubr. 140).
Bolexinum ?
« Annuatim extivo tempore... e lavica de
cantone usque ad bolexinum latitudinis bra-
chiorum decem et fovee terre Sarzane
debcant ampliari. » (Stat. .Sarzane, lib. t,
rubr. xxxii).
Bolum ì
« Quod patroni retiarum non auferant
bolum alteri patrono... per dal pisces quos
ceperit in bolo prediclo. » (Tozzetti, La pesca
in Llalia, voi. pag. 379'.
Bolzonus (arnese di ferro e anche di
legno in forma di freccia richiesto
per armare una galera).
« Bolzonum unum de ferro longumparniis
Il et asta prò dicto bolzono que nianeat
semper in corsia. » (Lmposicio officii Gazerie,
pag. 326). Di un istrumento veementissimo
detto Bulzone, parla Ottobono Scriba, a
pag. 44 dell'edizione preparata dal marchese
Cesare Imperiale.
Bombace (bambagia).
« De brazili, bombace, incenso, indico,
altimiue » lib. eie. {Liber jurium, I, p. i76^\
Bombarda (mortaio o cannone grosso
per gettar bombe).
« Cum expositicm fuùrit paucos aut fere
nullos in hac urbe inveniri qui conflandis
conslruendisque bombardis apti sint, conce-
dimus eie. » (Alizeri, Notizie, VI, pag. 407).
Ne fu suo derivato il bombarderius : si scri-
veva anche bumbarderius.
Bonetus (sorta di berretto).
Il Feretto, nel Cod. dipi., voi. 2°, pag. 358,
ricorda : « bonetos noveni et capellos odo
ferri. »
Bordatum (tela listata e variegata).
« Pro aliqua parte sive particnla de sirico
vel bordato. » {Atti della Società storica
Savonese, voi. I, pag. 543). Nello Statuto di
Savona del 1404 s'incontra il vocabolo Bor-
datura in senso di orlo di fregi.
Borello (stoffa mista di lana e lino).
« Cuidam mercatori prò duabus peciis de
borello prò familiare. » (Desimoni, Conti
dell'ambasciata, pag. 591). ^( -^
148
GIROLAIMO ROSSI
Boscherius (guarda boschi).
Lo Statuto di Nizza ha il capitolo de
boschcriis.
Boscus (bosco).
« De igne non ponendo in boschis. » (Stat.
Vezzani, pag. io6 ; da dove originò il boscare
nel senso di far legna).
Botarius (bottaio).
« Dejuramento botariorum. » (Stat. antiq.
Saone).
Bothonus (bottone).
« Crucem unam argenteain parvani cuin
bothono de cristallo. » (Giorn. ligustico, 1890,
pag. 55).
Botus (tocco di campana).
« Campane que pulsaniur ad bolos.» (Stat.
lanuae, Visdomini, 2", p. 28).
Bracerius (contadino che lavora col
badile, distinto dal boaterius che
lavora coi buoi).
« Qnilibet boaterius possit accipere nsgue
ad stayratas duas et bracerius nsqtie ad
stayratam unam. » (Stat. Apricalis).
Brachilis (barchile, da dove l'acqua si
versa in due pile).
« Laboreriuni in quodain brachile mar-
moreo R. d. d. Card. Roani. » (Alizeri,
Notizie, V, pag. 315).
Bracus (cane da caccia).
« Dabit astorem unum et be7ie afailatitm
qui bene accipiat perdices et quarias et bracos
bonos et stifficientes ad cazandum perdices. »
(Ferretto, Cod. diplom., 2", pag. 295),
Bradella (sgabello).
« Bradella seu scabellum siibtus sacerdotum
pedibus sit ligneum. » (Landinellus, Synod.
Albingati., pag. 175).
Braga (l'espressione dello Statuto nicese
a Capite aia (Capo d'aglio) ad
Bragam, equivale da Eza al Varo).
Brage (calzoni).
« Item vendat bragas et caniisas etbisacias. »
(Desimoni, Actes de Famagouste, pag. 3).
Brandonus (torcia),
« Emi debcani braudoni xii ad sociandum
corpora defutictoru}n.»{Sia.\.. Levanti, p. 125).
Bravum (antica rocca che sorgeva sul
monte che intercede fra Sospello e
Scarena).
« Hec sunt res quas habemus... octavam
partem de loto Bravo. » (Cais, Cart. de Nice,
pag. 115).
Braxa (bragia).
« For7iarius non del braxas alieni nisi
fuerint bagnate et coperte » (Barelli, Il libro
della catena di Garessio, pag. 43).
Braxeria (braciere).
« Causa fabricandi seu complendi braxe-
riam inceptam. » (Alizeri, Notizie, XI, p. 279).
Brazaria (servizio feudale che consi-
steva in lavori manuali).
« De brazaria quani dedit prò vestitura
castri Mugini... habuit filiuni pauperem. »
{Cari. Lirinense, pag. 106).
Brazile (legno che tinge in rosso, per
l'esempio vedi Boiìibacé).
Brenta (misura pel vino).
« Item brenta una vini. » (Giornale li-
gustico, 1890, pag. 40'.
Brenus (crusca).
« Item prò qualibet salniata furfuris sive
breni patacos tres. » (Saige, Documcnts., 2°,
pag. 162).
Bricola (macchina per lanciare pietre).
« Solvile Dominico de Ranco deputato ad
fabricationem unius bricole libras centum. »
(Alizeri, Notizie, voi. VI, pag. 399).
Bricus (sasso sporgente d'una vetta di
monte).
« Confines a dictis bighettis ad bricmn
scogie. » (Garoni , Codice della Liguria,
pag. 133). Lo Statuto di Sospello ha brecus
nello stesso significato.
Brila (specie di giuoco).
« Si qua persona luxerit ad brilani in
burgo GarexiiySolvat etc. » (Barelli, Il libro
della catena, pag. 72).
Brilla (briglia), per l'esempio vedi cqui-
tatura.
Brocha (vaso di terra cotta col bec-
cuccio per l'esito dell'acqua).
« Tencatur dum vinuin vendi t... situlam
unam vcl brocham aqiie mentis tenere. »
(Stat. Sarzane),
16
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
149
Brolium (prato cinto dì alberi).
« Aduni in Ronianisio in brolio ecclesìe
S. Petri. » (Ugllengo e Vineis, Storia di
Cuneo ^ pag. 234).
Bronzum e Brunzium (bronzo).
« Promitlo facere campanam de bronzo
vesfro.» (Alizeri, A'otìzie, IV, pag. 67,
« Debet habere pintam unam de bronzio. »
(Stat. Uvade).
Brugnatum (Brugnato, già sede di dio-
cesi, regione abitata dai liguri
Briniati).
Brunetus (nome di una moneta formata
nel medio evo con maggiore quan-
tità di rame che d'argento, da dove
la denominazione moneta bruna. De-
nari hruncti si coniavano in Genova
coi tipi della moneta pavese).
Brustia (pettine grosso).
« Ligo silicei, lebes, calhena, jugum cum
aratro f limito a bobus, brustia per pectinim
a canapo. » (Stat. Garlende, pag. ■^■^.
Bruxare (abbruciare).
« Si iverit ad estiìnanduin de podio bru-
xato.» (Stat. Diani, viene usato brusare
negli Statuti di Porto Venere).
Bucalis (boccale, misura pel vino),
« Cedo vineant tneam ad servitiuui annuum
unius bucalis vini puri. » {Chart. S. Pontii,
pag. 294).
Buccorale (vera di pozzo),
« Cuilibet persone que ascenderit super
buccorale putei prò aquam traheudo ,aiif crani
prò banno eie, (Podestà, pag. 54).
Bucius (nome di una nave a remi).
« Ecce due galee Pisanorum venientcs
obviain illis cum tribus buciis. » (Belgrano,
Documenti^ pag. 315).
Budellus (budello).
« Vendere teneatur... tripas cum mendi-
gono... cor alani cum corde et pinguedine...
rostetum cum budello. » (Stat. Sospitelii).
Bugata (bucato, liscivia).
« Cevoliuni unum prò bugata. » (Ferretto,
Cod. diploni., 2", pag. 77 .
Bugetum (dardaglione).
« Guarnaca de /emina sine busto cum
bugeto. » (Stat. Bobii, pag. 69).
17
Bulco?
« Ligneum instruxcrunt hulco7icm, cum
quo turrim novani Bulbonensi deatruxc-
runt. » (Otob. Scribe).
Bullus (bollo, sigillo),
« Ponderet cum ponderiòus... bullatis de
inarco vel bullo conimunis Sarzane. » (Stat.
Sarzane).
Burdum (tessuti di diversi colori a righe,
da cui il Desimoni crede sia origi-
nato il hirdató).
Burgensis (borghese, abitatore di borgo).
Coll'aiuto degli Statuti di Sarzana del
1219, editi dal canonico Podestà, aggiun-
giamo alcuni cenni che serviranno di rin-
calzo al burgensaticus della prima parte. In
una città o terra feudale, attorno al castello
abitavano i partigiani del signorotto, che
da lui teneano in enfiteusi delle proprietà
e col nome di domini o feudales erano dì-
stinti dai burgenses, che avevano le loro
dimore fuori delle porte. Furono i burgenses
i primi promotori delle compagne, le quali
dovettero poi giurare non solo i domini,
ma gli stessi comites e marchiones. I bur-
genses come più numerosi avevano erette
le loro chiese fuori dell'abitato e nelle
piazze circostanti rendevano giustizia i con-
soli. Fra i due ordini di cittadini era forte
gelosia e se uno della nobiltà avesse tenuto
prigione uno del borgo, gli abitanti di questa
erano obbligati a correre in aiuto del de-
tenuto ed era multato di multa se noi
faceva :
« Si aliquis burgensis captus fuerit vel
detenius in persona ab aliquo nobililatis
potestas et consules et comunis qnam omncs
burgenses teneantur speciali juramento et
debeant ipsiuu adjuvare.» ; Podestà, pag. 35).
Busegus (boldrone).
« Buldroni qui appellantur busegi. » (Fer-
retto, Cod. diplom., I", pag. 164).
Bussola o Buxola (questa voce aveva
varii significati in Genova: i** di bos-
solo o urna; 2" di vaso; 3° di let-
tiga).
« Ordo circa transitum de una bussola ad
aliani. » (Stat. di Savonal
« Nemo audeat fieri vel imprimi in vasis
seu bossolis triache signum alterius spe-
darle. » (Capitul. Aromatiorum).
I50
GIROLAMO ROSSI
Sino al 1579 in cui venne introdotto in
Genova l'uso delle carrozze, i signori so-
levano recarsi a passeggio e a visitarsi fra
loro, sedendo in sedie chiuse a braccioli
riccamente tapezzate, portate da due fac-
chini, appellate bussole o anche por iaji /ine,
come scrive il Belgrano a pag. 286 delia Vita
privata dei Genovesi.
Bustus (arnese che cinge i fianchi).
« Roba de /emina que sii curn busto in-
tegro. » (Stat. Rohii, pag. 69).
Butare (gettare).
« De lapidibus non butandis seuproiiciendìs
per vias. » (Stat. Pornasii, pag. 38 .
Butis (botte).
« Debent laborare illas butes et vascula. »
(Belgrano, Registro, 2", p. 41).
Buza (misura).
« Concedo conwnmi lanuc libertatein can-
ta rii, buze et vwdii et omniuni aliar uin
niensnrationuìn. » {I.ib. jurium, i, pag. 406)
C
Caballus (cavallo).
«Non requisivere... nisi tantum nostros
fideles et caballos nostroruvi majoruìii. »
(S. Quintino, Osservazioni, pag. 34).
Cabana (capanna).
« Siiniliter cabanam salis Saui-gii. » (Cais,
La ville de Nice, pag. 123).
Cabestrum (capestro).
« De precepto predicti locumtenentis... vi-
delicet prò uno cabestro una corda » (Cais,
La Ville de Nice, Turin, Bocca frèrcs, 1898,
pag. 77)-
Cadana (fossa).
« Habeant curavi scurandi vel scurare
faciendi aquas cadanartim sive ipsas cadanas
iisque ad venas. » (Stat. Albingane).
Cafalqum (specie di tettoia).
« Contra facientes ignetn in alienis gran-
giis et cafalquis. » (Stat. Sospitelli).
Cagazo (parola ingiuriosa).
« Si alieni Iwmini dixerit cagazo scu alieni
mulieri que non sitpublica, mcretrix, putana,
solvere teneatur. » (Stat. Sarzane).
Cagella (sorta di tributo).
« Cageilain aliquain super eoruin homines
non levabimus. » (S. Quintino, Osservazioni,
pag. 200).
Cagnercia (foja dei cani).
« De catulis tenendo ligatis et clausis tem-
pore quo vadunt ad cagncrciam. » (Manuel
di S. Giovanni, / marchesi del Vasto,
pag. 243).
Cagnorata (cova di lupi ed orsi).
« Solventur Jiorenos tres et grossos sex
prò singula cagnorata Inporum etnrsorum.-»
(Stat. Sospitellii. Il Dizionario del Tramater
registra che le fiere tutte, chi in siepe chi
in cova, fanno il covacelo pel futuro parto.
Calafatus (chi ristoppa le navi).
« Ego JMariinus calafatus de Lambregario
promitto eie. » (Belgrano, Documenti, p. 35).
Si ha Carafatus nello Statuto di Levanto.
Calare (discendere).
« Capre vero non stent nec vadant a tecto
heriiardi inferius, usque ad baranchum ca-
lando ad planum » (Barelli, // libro della
catena di Garessio, pag. 51).
Calasta (arnese domestico).
« Calaste quatuor in mezano. » (Giornale
ligustico, 1890, pag. 87).
Calcia (pedale d'albero).
« Si quis inciderit alienam arborem ad
calcinm. » (Stat. Lavine).
« Arbores non incidant ad calciam sive
ad citnain. » (Stat. S. Romuli, si trova anche
caucia).
Calciatura (saldatura).
« Ferrarius teneatur (liabere) prò cal-
ciatura securis sofidos dnos. » (Assandria,
Stai. Bacnnarum, pag. lxxi).
Calocchia (palo cui si attacca l'estremità
dei tralci).
« Colligendo vel paleam, vel calochias, vel
cervatinas, vel cannas. » (Stat. Sarzane).
Calzolarius (calzolaio).
« Ullus calzolarius tingati vel tendat vel
exbattet aliquam pellevi vel corios snbius
porticum. » (Podestà, pag. 60).
18
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
151
Cambium (traffico di monete e di titoli).
« PfOììiittimus Uhi dare noìiiine caìubii
tantum, argentuìn de januinis veteribus. »
(Belgrano, Documenti, pag. 154'.
Camerarius (custode del pubblico de-
naro).
« Poteslas teneatur oinnes introitiis et pro-
ventus comunis facere pervenire ad inanus
cainerarii. » (Podestà, pag. 28;'.
Caminus (via).
« Ctii coheret superiiis caininmn vetus. »
(Saige, Dociiments, pag. 142'.
« Siciit illeniet caminus vadit versus
orientem.» (Desìmoni, Quatre titres, p. 14).
(Camino si appellò il luogo dove si accen-
deva il fuoco;.
« Si igfiis ad calefaciendum accendatur in
aule cantino, yy (Landinellus, Synod. al-
bingan., pag. 452 .
Andrea Gattaro nella Storia di Padova,
pubblicata dal Muratori, racconta che nel
1368 trovandosi in Roma Francesco Vecchio
di Carrara, non vedesse un solo camino in
quella città, perchè tutti facevano fuoco
nel mezzo della casa sul pavimento od in
cassoni pieni di terra. Pare che l'uso in-
cominciasse circa il 1300 incirca nella Lom-
bardia e la via Caniinadella ne riterrebbe
ancora il nome. È quistione, se il jajn
smnnia procul vìllarum culmina fumant di
Virgilio e il dissolve frigus Ugna super foco
large repoTiens , bastino a dirimere il dubbio
e a far chiara prova, se 2000 anni fa gli
Italiani facessero uso di camini o d'un
focolare sormontato da urta gola, per dar
esito al fumo e sfuggir così la formazione
della caligine, per cui, in case fatte di legno,
era tanto facile ad appiccarsi il fuoco.
Camisia (camicia).
« Posuit se in camisia et fugain rapuit. »
i Chartrier de S. Pons, pag. 257).
Camola (arbusto proprio delle terre
incolte).
« Si quis inciderit vel fregerit... frase has
vel nascas aut caino las det bannuni sol. v. »
(Stat. Unelie).
Campana (campana).
« Campane per se sonaverunt.->-> ;Caphar,
Annales, noi).
Campana de custodia appellavasi il copri-
foco : « sonufn tertimn campane qtie pul-
sattir prò custodia noe tur na. » (Stat. Sarzane,
da dove la voce campanilis).
19
Campio (difensore).
« Du7n campiones in campo preliarentur,
talem transactioneìn fecerunt. » (Rossi, Do-
cumenti sopra il contado di Ventimiglia.,
pag. 5)-
Campitelliani locus (viene ricordato a
pag. 221 del 2° volume degli yl/// 6'
Memorie della Società storica savo-
nese).
Camucatus (stoffa ricca tessuta di seta
e di peli di cammello).
« Pallium camucativiridis. »"(Vigna,/-'a7/-
tica collegiata di S. Maria di Castello^
pag. 265), forse era una cosa sola col ca-
mucus ricordato dal Desimoni : « item spatam
unam florcJitinavt munitam de camuco. »
{Actes de Famagouste , pag. 98).
Canabacium (pannolino grosso e ruvido).
« Pro tclis canabaciis et fustancis quos et
quas de Alemania lanuam producent. » Gior-
nale ligustico, 18S5, pag. 84).
Canabarium (orto messo a cavoli).
« Dedit Nicholao... hortum et canabarium
aquisitos a Vaqueriis. y> {Te slam. dcGubcr-
natis, 1529).
Candella (oltre il significato nostro di
candela, tal vocabolo significava
pure la corda che serviva a soste-
nere gli alberi dello navi).
« Item zuìicum et candellas et sarda prò
muniendis arboribus. » (Belgrano , Docu-
menti, pag. 31).
Candellelia e Candelaria (festa della
Purificazione della Vergine Maria).
« Usque ad festum Sancte Marie cande-
larie. » (S. Quintino, Osservazioni, pag. 186).
« Teneatur solvere solidos x ad Candel-
lariam. » (Datta, Stat. di Nizza, pag. 253 .
Canitium (chiudenda di canne).
Per avere un saggio della povertà delle
abitazioni nel medio evo, riferiamo un par-
ticolare dell'antico Statuto di Sarzana, in
cui si dice che dovendosi dividere una casa
\)\so%x\.'x\ì7\. chiuder e ipsam prò parte sibi con-
tingente, de tabulis, vel canitiis vel matonibus
vel palis, concedendo un lasso di tempo di
un mese, se il muro divisorio si faceva de
canitiis; di due se si faceva de tabulis vel
palis, e di due anni invece se si faceva di
mattoni. (Podestà, pag. 62).
152
GIROLAMO ROSSI
Canna (misura di dieci palmi).
« Centenaria canabariornm intellioanliir
de centimi caunis. » (Belgrano, Docuìnenti,
pag. io), da canna origina l'usitatissimo verbo
cannare per misurare.
Canonus (cannone).
« Proiiiittit fabricare et construere pecia
tria artegiornm bronzi vidclicet canonuni
umiin et rcliqua duo pecia dieta forcones. »
(Alizeri, Notizie, voi. VI, pag. 409). Canonus
si trova anche in senso di specie di fuso.
Ferretto, Cod. diplomat., 2", pag. 278.
Cansare (astenersi).
« Non dcbeant intervenire nec cansare
predicti honiines de Cairo, quod non con-
tradicant. » (S. Quintino, Osservaziofd, p. 57).
Cantarius (peso di libbre 150 di Genova).
« Cantarius et rubiis sit ecclesie sancii
Laurenti. » ' Lib. jurmm, i", pag. 68).
Cantera (tiratojo).
« Itevi banc/iniii scanni cnin suo pooioto
fulcito et fasciato cimi suis canteris prò
tibris duabus. » (Alizeri, Notizie, voi. VI,
pag. 33), e abbiamo il diminutivo in catithe-
ret/ia in qua sunt plnres pomelli argenti. »
(Ferretto, Cod. diplom., 2°, pag. 20S).
Canterius (palo di legno pesante e so-
lido, ricercato per formarne le barche
Calder li).
« Non possit auferre alienos trabes sive
canterios.-» (Stat. Diani, pag. 53: tale vo-
cabolo sì ha negli statuti di Levante, d'Al-
benga e di Zuccarello. Ben a ragione il
marchese Imperiale ( Annales lannenses,
P-55) appone al Pertz d'aver detta questa
voce d'ignoto significato.
Cantum (àngolo).
« A signo canti Garofali, in quo canto
debet se retrahere pedem unum.'» {Lib. ju-
riuvi, I", pag. 48).
Caparrus (caparra),
<i. Item ab Ugolino Censario quos Imbuita
me seu dare caparruin darevios xv. » (De
Simoni, e nello Statuto di Albenga si ha il
verbo caparrare).
Caponus (cappone).
« In ovuli anno debet curie caponos diios
et juncataviunavi.y> (Belgrano, Registro, 2",
pag. 90).
Caporalis (graduato di soldati e birri).
« Ire dcbeant constituto caporale et uno
alio bandercrio. » Stat. Vezzani, pag. 58).
Capretus (capretto).
« Excepto tamen fegatello capretoruvi. »
(Giorn. ligustico, 1S82, pag. 163).
Capriolus (uno dei due influenti, onde
si forma il torrente Tacua, ora Ar-
gentina).
« Via Dobaire descendendo deorsuvi usque
adflunicn Caprioli. » (Stat. Triorie, pag. 36).
Capucium (era questo il copricapo più
usuale in Liguria, per il che farlo
cadere ad uno reputavasi ad offesa).
« De non levando capucium velaliudpignus
alicui persone. » (Stat. S. Stephani).
Car (il pezzo più grosso dei due com-
ponenti l'antenna).
« Itevi alias duas pecias antennarum que
dicuntur car. » (Belgrano, Z?of//;«d'«//, pag. 9).
Caratus (così era chiamata caduna delle
parti in cui veniva diviso con feudo,
una nave).
« Nulluni daìunum causaretur caratis nec
drictibus dugane ymo utile. » (Stat. dei Padri,
pag. 337).
Caravana (carovana, compagnia di mer-
canti).
« Feliciter caravana Giostra de ultra mare
venit in portum Janue. »{Oger'n Panis, 1217).
Carbonaria (fossi fortificati intorno alle
terre).
« Carbonariam seu tcrraliam coviunis
intus et extra foveas... nulla persona fodiat
vel cavet. » (Stat. Sarzane).
Carcheria (fabbrica di panno).
« Item ad carcheria follatoris vel ad
colla Praza. » {Lib. juriuni, I, pag. 1315)-
Carenam dare (valeva mandare una
nave alla banda per rassettarla \
« Modus dandi carenam navibus. » (Stat.
Padri, pag. 270. A pag. 249 dei Documenti
del Belgrano si legge dare latus nello stesso
significato).
20
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
153
Gargare (caricare).
« Non sii ausus cargare Ugna ex quo ipsa
cargaverit in nemore. » (Stat. Nicie'.
Carnelevarius (carnovale;.
« /;/ hebdoììiada carnelevarii inìlites scp-
tiiaginia perrexerimt.» ' Caphari, Annales).
Carpita (panno con lungo pelo per co-
prire i letti).
« Oberto Mangiavaca da Varazze porta
panni et carpitas in Sardegna. » (Ferretto,
Cod. diplom., 20, pag. 131).
Carraca (grossa nave mercantile).
« Non faciani galeain nec sagittam nec
carracani. » (Giorn. ligustico, 1896, pag.72).
Carratelum (vaso vinario).
« Teneanlur solvere denarios iv prò sin-
gnlo carratello. » Stat. Ceriane, pag. 23).
Carratia (palo).
« De accipieniibus carratias arundijies et
alia regirnina vitiunt. » (Stat. Uvade).
Carreria (via).
« De facientibus impedìinentis in carreriis
Apricalis. » (Stat. Apricalis).
Carrezzare (tirare il carro coi buoi).
« Si quis in predictis diebus laboraverit
sive bovcs iungendo aut carrezando solvat
etc. » (Id., pag. 24).
Carrubeus e Cadubrius da quadriiviuvi
(vicolo o contrada stretta).
« De turpitudine non facienda circa pa-
raniurum sive in carrubeis civitatis. » (Stat.
Albingane).
Carta (così e accompagnate talora con
nicnihrana erano chiamate nel medio
evo le carte membranacee che s'im-
biancavano dai cartarii, prima di es-
sere poste in vendita. Ve n' era
di tre misure: la piccola, la mezzana
e la grande, che si vendevano a di-
versi prezzi. Nel xiv secolo prese a
conoscersi la carta vegetale col nome
di papiro.
« Stabit tecuni causa adiscendi artem scri-
bendi libros et vendendi cartas. » (Alizeri,
Notizie, voi. Ili, pag. 1314).
Cartarius (chi preparava e vendeva le
carte membranacee o pergamene).
21
20 — Mise, S. Ili, T. XIII.
« lohannes cartarius promisit et convenit
notnine suo quod toium pilum quod abradetur
de carlis sive de pellibus boldronorum non
vendei. » (Giorn. ligustico, 1896, pag. 549).
Carzare (scardassare la lana).
« De arte rctundendi et carzandi pannos. »
(Ferretto, Cod. diplom., I, pag. 78,'.
Casalis (villaggio).
« Alliciebanf ontnes ex civitatibus, oppidis
et casalibtis, » (Otob. Scribe).
Casana (banco di sconto).
« Concessa quod in dieta civitate Nicie
fiat et fieri possit una casana, prout fit et
consuetum est fieri in principalibus locis
Ytalie. •» (Cais, La ville de Nice, pag. 467).
Casanerius (^banchiere).
« Philippus Busquetti casanerius. » (Idem,
pag. 266'.
Caschifellone (piccolo borgo sulla Pol-
cevera secca or detto San Michele
di Castrofino, oCastrofìno solamente
presso Pedemonte).
« Constile s laudaverunt... totani decimam
hereditafis filiorum Rustici de Caschifel-
lo7io. » (Olivieri, Serie dei Consoli, pag. 239).
Casicavalus specie di formaggio).
« Qui enierint mesischam., casicavalos vel
caseiim grassum etc. » (Pandiani, Stat. Por-
tusveneris, pag. 82).
Cassalis (franto).
Di quest'aggettivo che accompagna z^/^/«?/.s
e che origina da quafio, dà la chiara spie-
gazione lo statuto di Sarzana (Lib. II, rubr.
XIII) colle parole: « Si qua persona stu-
diose vulnus cassale fecerit vel os capitis
penetraverit... debeat condemnari etc. » Lo
statuto più antico poi dello stesso comune,
edito dal Podestà, indica il modo, dicendo :
« quicumque percusscrit aliquem de ferro
/adendo ei vulnus cassale, per dal etc. »
Castrum doloris (catafalco).
Il Pacchiero, curato di Monaco, descri-
vendo nel 1643 il gran funerale fatto alla
morte del Re di Francia Luigi XIII, ricorda
il castrum doloris eretto nel mezzo della
chiesa; frase che si vede usata nel Diarium
Burchardi all'anno 1484.
Cavagnium (cavagne).
« Portari faciat corbina, cavagnia seu
barillos vel alia vasa causa vindemmiandi
(Stat. Albingane;.
154
GIROLAMO ROSSI
Cavalcatura (bestia che si cavalca).
« Pro ipso roncino scu cavalcatura sol-
vere non cogatur. » (Stat. Sarzane).
« De cavalcaturis prò morbo magagna re-
futandis. » (Stat. Janue Visdomini, lo, pa-
gina 65 verso).
Cavio (capo dei pastori).
« Si quis berberi US discesserit a paria, vel
vacito seii agnelata sinc verbo vel liccntia
cavionis, salvai eie. » (Barelli, Gli statuti di
Ormea, pag. 159).
Gazare (cacciare).
Per l'esempio si veda la voce Bracus ;
come si ha pure la rubrica dello statuto
di Bobbio « de tion eundo in vineis ad ca-
zandurn. »
Cazarolius?
« Teslis inler bancalarios, cazarolios et
capsiarios. » (Alizeri, Notizie, voi. II, pa-
gina 31).
Celerius (dicevasi il custode delle celle
dove sulle alpi si fecevano il burro
ed i formaggi).
« Celerius lencatur hoc incusare et si non
incusaverit debeai emendare caseos vel ca~
seum captum » (Barelli, Gli slattili di Ormea,
pag. 161).
Censarius (sensale).
« Teslis Wilelìims de Sanclo Georgia cen-
sarius. » (Belgrano, Documenti.^ pag. 179).
Centa (fiume che scorre presso la città
d'iVlbenga).
« De ftan /adendo edificium in flumine
Gente. » (Stat. Albingane).
Cepa (ceppaja).
« De nojt arranchando seu cepando cepas
de brugo in aliena. » {Atti della Società Sa-
vonese, tom. 2", pag. 344).
Cepum (carcere).
« Pass il rixainfacientcs panere in cepum. »
(Stat. Padri, pag. 28).
Cercare (cercare).
« Ilem qui voluerint scrutare seu cercare
res furatas, possit. » (Compromesso fra
Tenda e Briga, 1233).
Gli statuti di Cosio hanno anche il so-
stantivo cerca.
Cerra (bolletta).
« Nullus de vendentibus de dictis pannis
possit aufcrre cerras e capitibus. » (Gior-
nale ligustico, 1S96, pag. 310).
Cervelleria (cappelletto di ferro).
Per l'esempio vedi Bacinetum.
Cesa (siepe).
« Et teneantur saltarti scarnare cesas
oinnes que stcnt iti lateribus viartini per
quas ducitur et deferltir fenum. » (Podestà,
pag. 30).
Cesarina (specie di coltello), vedi Pe-
natu?n.
Ceva (città capoluogo del marchesato
omonimo).
Inxta hanc Garexii jacei hoc in tempore castrum
Cui domina ex Ceve nobilis illa dotmis.
Antonii Astesani. — Olivero, Memorie sto-
riche di Ceva).
Charte (giuoco delle carte).
« Lìidat ad aleas vel ad folia Itisoria vi-
delicel chartas. » (Stat. Triorie).
« Quod ntilltts ludat ad luduni taxillortim
vel chartarum. » (Stat. Levanti ,\
« Quod nullus audeat ludere ad luditm ta-
xillortim vel chartarum. » (Stat. Cohedani).
Chimela (Cimiez antico Cemellu7n).
« Jtixta antiqua urbe Chimela super flumen
Pallionis donamus ecclesiam Sancii Mar-
tini. » {Chartrier de S. Patis, pag. 7).
Chirotheca (guanto).
« Par unum chirolhecartim de camuscio
frodatorum tnarturis. » (Giornale ligustico,
1884, pag. 354).
Choree (danze).
In qual conto fossero tenute le chiese nel
medio evo, è fatto chiaro dall'abuso insorto
di farle servire ad uso di sala da ballo o da
conviti, reliquie forse delle feste asinorum.
Si riferisce a quest' effetto la rubrica dello
statuto di Pornassio : De choreis in ecclesia
Pomata (era la parrochiale) noti ducendis
seu in ipsis chorizando. Ilem ordinamiis et
affirmainus quod aliqtia persona de Pornatio
non debeat choreas ducere seu chorizare in
ecclesia Sancii Dalmata dicti loci Pornasii,
nec ibi facere altquam tabernavi. »
Christophorus sanctus (S. Cristoforo).
Fra le superstiziose credenze medioevali
eravi quella che bastava aver visto S.Cristo-
foro dalle gigantesche dimensioni, dipinto
sulla porta sinistra della chiesa, per aver
augurio di buon viaggio, da dove :
Chriitophori sancii speciem quicumque tuetur,
Ilio namqut die nullo languore tenetur.
22
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
155
Dal suo nome s'intitolava in Genova un
borgo; in Ventimiglia un monte; a Milano
una chiesa ; di una chiesuola a lui dedicata
in Lerici parla il Remondini ; l'Alizeri segna
che in Savona era rappresentato fuori della
chiesa di S. Martino ; a Pigna lo si vedeva
sulla facciata della chiesa di S. Tommaso,
a Taggia sopra un'edicola del Colletto, nella
valle Barbaira presso Rocchetta eravi una
chiesuola, ora distrutta ; il vescovo Vaccari
nel 1504 accorda indulgenza a chi visiterà
la chiesa di S. Cristoforo in Sospello; Ver-
celli, pili avventurata di tutte, teneva (come
scrive il Della Chiesa nella sua Corona
Reale) in venerazione fra le più insigni re-
liquie un dente del Santo di smìstirata
grandezza. La sua festa si celebrava il
giorno 25 luglio e coincideva perciò con
quella di S. Giacomo, e fra i giorni feriali
nella Curia di Genova si trova quello bea-
tortim Jacobi et Christophori. Un'avvertenza
da notare si è che svanendo il culto, si di-
menticò il nome del Santo ; e tanto a Monte
San Savino, quanto a Ventimiglia le chiese
già intitolate ai Santi Jacopo e Cristoforo
non sono più conosciute che con quella di
S. Giacomo.
Chusitura (cucitura). i
« Pro labore de duobtts subtellaribus de-
narium unum et diììiidium ; prò chusitura
denarium unum. » (Stat. Unelie).
Cianca (palancola).
« Appellationes ad ipsum devolvantur , vi-
delicet locorum intra ciancham de vallibus
Barcilonie. » (Stat. Niciej.
Ciatum (accusa).
« De illis furtis de quibus non est facere
ciatmn, ita constituerunt. » (Rossi, Docu-
menti sopra il co7itado di Ventimiglia).
Cichonia (noria).
« Teneatur habere in quolibet ipsorum
puteorum cichoniavi , catenam et l'exen-
tarium. »(Stat. Albingane\
Cima (sommità, cima).
« Habet asiani unam cuni flore lilii in
cima. » {Lib.jnrium, II, col. 201).
Cimossa (viv^agno).
« Vendere pannum ad cannam per schinam.
et per cimossam. » (Stat. Albingane).
Cinquadra ?
« Nullus homo de predictis confiniis possit
comperare salein a Monacho usque Cinqua-
23
dram. — Non passini vendere salein et por-
tare a Panobio usque Cinquadram. » {Lib.
jurium, I, anno 1152).
Ciprisium (veste muliebre).
In una carta del 1276 certa Carucosa lega
alla sorella Debem ciprisium virgaturn e ad
altra sorella Martina ciprisium viridis. (Fer-
retto, Cod. diplomai., 2", pag. 52).
Ciriale (orto).
« Super quesiionibìts terminandis de 07 io
seu ciriale cum dojno.-»{Be]grano, Registro 2° ,
pag. 312].
Cirreus (cedro).
« Si emerii vel acquisiverii de illis cirreisi
qui nati sunt in dicio loco Saticii Romul,
vel ipsi ementi necessarii fuerint prò ejs
revendendis ludeis. » (Stat. S. Romuli).
Cisigna (si crede risponda alla Pieve di
Visigna).
« Damus et concedìmiis iotum illud de
plebe Cisigne. » (Olivieri, Serie dei Consoli,
pag. 327).
Citronus (arancio).
« I?i eamdem penam incnt'rai qui panem
citronos vel alia traxerit versus aliquem. »
(Stat. Levanti).
Civada ^civaja, per l'esempio riscontra
Viandd).
Civitatula (si vuole fosse questo il nome
primitivo dell'abbazia di Tiglieto).
« Monasterium Sancie Marie Virginis et
Saiicte Crucis quod constructum est in loco
Civitatule. » :S. Quintino, Osservazioni, pa-
gina 157).
Civetie aqua (così denominavasi il tor-
rentello di S. Lorenzo, presso Porto
Maurizio, avendosi in una carta del
1469: usque ad aqu,am Civetie sive
sancii Laurenfii),
Clamelotum (stoffa fatta di peli di cam-
mello).
« Pianeta una clamcloii: palium clameloti
virgati. » (Vigna, L'antica collegiata eie,
pag. 265).
Clapella (quadrello per pavimenti).
« Iniroiius madonorum, clapellarum et
cuporum. » (Cuneo, Del debito pubblico,
pag. 265).
i.s6
GIROLAMO ROSSI
Clarea (gradevole pozione che gli spe-
ziali erano obbligati a preparare nel
Natale e che non potevasi smerciare
più di due soldi la pinta).
« Magistri spellar ie... ovini anno ad fesium
Nativitatis Domini, clat'eam seu poxionetn
bonam et competenteni facere guani vendere
teìicantur. » (Filippi, Statuti dell'arte degli
speziali in Savona, pag. 98).
Clausola (chiudenda),
«Ouidiruerit alienaìH clansulam velsepem,
solvat. » (Stat. Lavine).
E stata usata questa voce in senso di
pianeta.
« Item unam clausolam veluti rubri. y>
[Charlrier de S. Pons, pag. 368).
Clavasonem (chioderia).
« Promisit ponere omnia necessaria vide-
licet clavasonem, collam etc. ». (Alizeri,
Notizie, VI, pag. 128).
Clavellum (ordigno, specie di crocco).
« Item crucem de argento albani cum cla-
ve Ilo, cum quo jungitur in bordano de ar-
gento. » {Charlrier de S. Pons, pag. 273).
Clavica (fogna).
« Teneor etfoveas et clavicas facere fieri
apiari et desimi ubicumque necessarium. »
(Podestà, pag. 29).
Clericus (così chiamavasi nel medio evo
chi sapeva di lettere, vestiva l'abito
ecclesiastico per andare immune da
ogni gravezza e che poteva menare
una sola donna col consenso del
vescovo, da dove resta spiegato il
senso di clei'ictis conjtigatus e 11071
conjugatus).
« Nullus clericus sive conjugatus sive noìi
conjugatus debeat habere officium Ì7i terris
nostris. »(Cais, Statuls de Vintimi Ile, pag. 50).
Clocha (specie di veste da viaggio a
cavallo).
M, Portai tot clochas et corrigios. » (Fer-
retto, Cod. dìplom., 20, pag. 42).
elusa (argine, riparo).
« Possit facere beudos vcl clusas impune. »
(Stat. Diani, pag. 98).
Cobla (carro cui si legano buoi e cavalli
per farli lavorare).
« Ouod calcatores habere debeant in qua-
libet cobla duas besliaspro trahendo granimi. »
(Stat. Sospitelli). Il D'Arnis , al vocabolo
cobla non dà che due soli significati, quello
di specie di rete per pescare ed altro di
trave.
Coccum (ricetto).
« Porlabant eas (merces) apud coccum
liberuni. » (Saige, Monaco et les Grimaldi,
pag. 282).
Cocha (nave del xiv secolo).
« Pro recuperalione rerum coche Galeacii
de Pino. » (Giornale ligustico, 1900, pag. 100).
Codolis anche Coguli (nome di un ca-
stello distrutto presso Sospello).
Coffa (coffa a paniere).
« Si quando pìsccs venduntur ntanus po-
suerinl ad coffant vel cavagnmn. » (Stat.
Diani),
Cognitor (giudice conciliatore).
« Iletn statuerunt et ordinaverunt quod
cognitores Cohedani electi debeant determi-
nare et definire questione s a soldis xx in-
fcrius. » (Stat. Zuccarelli).
Collyvista (cassiere).
« Collyvista seu ut ajunt campsor aut ar-
gentarius faber. » (Stat. crimin. Saone, pa-
gina 105).
Colochium (palo da sostenere le viti).
De cervaschinis sive colochis si legge a
pag. 93 del Podestà.
Columba (sinonimo di chiglia).
« Navis... que longitudo est de pedibus sep-
iuaginta in tc/«w6rt. »(Belgrano, Documenti,
pag. 37S).
Comando (homines de) (chiamavansi
quelli che ricevevano qualche terra
a titolo feudale dai loro signori).
« De comandis ita concordatum est — Hoc
idem feccrunl consules et homines de Tenda
de comandis suis versus dominos Morocii. »
(Rossi, Documenti sopra il Contado di Ven-
timiglia, pag. io).
Commater (madrina).
« Nulli puero in baptismo, vel obstetrici,
baile vel commatri pecunia donclur. » (Stat.
Levanti, pag. 45).
Commerchium (comercio).
« Quod aliquis non habeat commerchium. »
(Promis, Stat. Pere, pag. 774\
24
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
157
Compater (padrino).
« Iiir amento compatroni, veritas inqui-
ratur. » (Stat. Levanti, pag. 45).
Comperare (comprare).
« Non possit illud vacuuni vendere nec
comperare. » {Lib. juriion, pag. loi).
Complantacio (così appellavasi la con-
cessione di terra in affitto per essere
coltivata).
« Duo pecia una de vinea qiie viihi ad-
venit prò complantacione. » (Cais, Le Cartu-
laire de A^ice, pag. 20).
Comptes (Contes nel contado di Nizza).
« Recuperava castrtitn de Comptes. » (Cais,
Le fief de Chàteauneuf, pag. 424).
« Iteni Comptes vìpedites armatos .»{C/iar-
trier de Lerins, pag. 41).
Il Gioffredo nella Nicea civitas dice il vo-
cabolo sincope di Compiies, e da li muo-
vevano tre strade, una che mena a Berrà,
l'altra a Coaraza e la terza a Scarena sulla
riva del Paglione. Erano qui un compito ed
un fano nell'epoca romana. Nei sinodi della
diocesi di Nizza questa località è designata
col nome de Compitis.
Concia (concia).
« Non possit aliqua persona in dictis ne-
tnoribus mortellos incidere, vel fieri facere
prò tincta vel concia coraminis. » (Stat. Sar-
zane).
Confalonus (confalone, bandiera).
« Quicumque non rcccpcrit confalonem
vel banfteriam perdat solidos jamic x. » (Po-
destà, pag. 37).
Confrayria (confraternita).
Fra le tante confraternite religiose sorte
nel medio evo importa ricordare quella
detta Saìicti Spiritus, che aveva per iscopo
il mutuo soccorso. Confratelli d'ambo i
sessi erano tenuti a pagare ogni anno una
quota e un contributo di proventi, di cui
si servivano per soccorrere le famiglie po-
vere, alle quali veniva dato ogni anno un
banchetto di fraternità nella festa di Pen-
tecoste. « Hugo de Pigtia prò remedio anime
donavit procuratoribus confrayrie sancii
Spiritus, grammi e te. » (Rossi, Storia del
Marchesato di Dolceacqua, i» edizione). —
« Eligantur priores prò confratriis presentis
loci. » (Stat. Triorie).
25
Congia (specie di armatura).
« Item imam congiam deauratam cum
suo scuto vermilio. » (Not. P. Bottini di
Mentone, 1467).
Conservaticum ( dicevasi di vascelli
che navigavano di conserva: chia-
mandosi conserva una convenzione
stipulata fra diversi capitani di
navi, che imprendevano uno stesso
viaggio).
« De observando conservatico cum aliis
ligìiis et 7iavibus die ti domini regis. » (Bei-
grano, Documenti, pag. 223).
« Conserve majorum navium dant comuni
solidos XX. » {Lib. jiirium, i", pag. 63).
Consorcia (confraternita).
« In laborerio ecclesie consortie Beate
Marie ordinis battutorum de Clavaro. »
(Ferretto, Contributo alla storia del Teatro,
pag. 18).
Constamularius ?
« Constamularius ejus Vermilio Leo pre-
cepto principis ipsius Anthiochiam venit. >
(Caphar., Annal., anno 1098).
Contractula (grumo).
« Omnes stercus seu contractulas que in
dieta lana reperientur abscindi debeant. »
(Giornale ligustico, 1896, pag. 306).
Copa (misura di capacità che consisteva
nel centesimo della mina).
« Relinquatur possessio et potestas colli-
gendi et precipiendi dictum introytnm, vi-
delicet unam copam de qualibet mina victita-
lium, que lanuam deferuntur, que copa sii
centesim,a mine. » (Canale, Storia civile e
commerciale dei Genovesi, voi. 2", pag. 397).
Copeta (moneta).
« Debeat solvere copetam et obtilum unum
prò bestia onerata sale. » (Garoni, Guida,
pag. 134)-
Coracia (corazza, corsaletto formato di
cuojo, si trova anche Cuyrasa.
« Tecum stabit occasione adiscendi tuuin
ministerium faciendi coracias et artem co-
razani. » (Alizeri, Notizie, I, pag. 393).
Corata (uno degli intestini).
« Vendere teneantur tripas cum mendi-
gono... coratam cum corde, rostetum cum
budello. » (Stat. Sospitelli).
158
GIROLAMO ROSSI
Corba (corba).
« So/l'ai prò qualibet corba vel cesto vel
alio vase solid. lx. » (Stat. Vallis Arotie).
Cordoanerius (fabbricante di corda).
« Testes Bariholomeus de Rapallo cor-
doanerius. » (Alizeri, Notizie, I, pag. 217).
Coredum (corredo).
« De coredis non accipiendis in pignore...
non possint coreda de ledo vel dorso in pi-
gnora capi. » (Stat. Sarzane).
Cornix (cornice).
« Lapis architravis ex martnore cuin siiis
cornicibus ex petra nigra. » (Vanii, Appuriti
su Levanto, pag. 90).
Correrium (corriere, messo).
« Nello statuto di Godano vi ha la ru-
brica de officio correrli e in quello di Vez-
zano de salario correrli.
Corrigia (processione dei regolari).
« Processiones menstrue aut corrigie que
quolibet mense fieri soletti in ecclesiis re-
gulariuniy soluin illoruin ecclesiam ambianl.»
(Spinola, Constilnt. Synodales sarzanenses,
pag. 166).
Corrilium (ruscello).
« Eimdo per flumen Nervie versus mare
usque ad corrilium stve rianam. » (Convent.
fra Apricale ed Isolabona).
Corroata (servizio).
« Pro una descoblada si niitries porcum
et prò una corroata expensis diete ecclesie. »
{Chartrier de S. Pons, pag. 83).
Gota (indumento da chiesa).
« Cola quatuor tele; toagiolete duo brocate
auro eie. » {Sestri antico, pag. 312).
Cotonium (cotone).
« Pro singulo saco de cotone. » {Lib. ju-
rium, 1°).
Coustuma (imposizione).
« Liceal naves extrahere absque ulta cou-
stuma vel dacita. » (Belgrano, Documenti,
pag. 13).
Cova (fascio di biade che si fa nel
mietere).
« Si aliqua persona acceperit covani unavi
de aliquo borato sii in menda. » (Stat. Apri-
calis).
Cozolus ?
« Teneantur ipsi conimunerii revidere
cozulos ìnolendinariorum semel quolibet
mense. » {Stat. Vezzani, pag. 21).
Credensera (armadio, credenza).
« Promittit construere in dicto mediano
credenseram unam bornei et in caniinata
diete domus aliam credenseram. » (Alizeri,
Notizie, VI, pag. 35).
Cresta (vetta).
« A dicto camino protenditur per crestam
serri de bosso. » {Chartrier de S. Pons,
pag. III).
Crestonus (agnello castrato).
« Quelibet persona que vendiderit carnes,
debeat eas vendere prò talibus qualcs fucrint,
scilicet capram prò capra, ovcm prò ove,
crestonum prò crestono. » (Stat. Apricalis).
Criafora (allarme).
« Quilibet homo debeat pergere ad cria-
foram... etqtiinon secutus fuerit solvat eie.-*
(Assandria, Stat. Baennarum, pag. 11).
Cropa (tergo).
« Consules teneantur in dicto festo dare
cropam unam carnis ovine. » (Rossi, Storia
di Dolceacqua, pag. 243).
Crossia (bastone pastorale).
« Ilem (prebet) unam crossiam argenti
deaurati, ilem canonos tres argenti deaurati
prò dieta crossia in quodaìu stuchio corey. »
{Chartrier de S. Pons, pag. 370).
Croia (coperta incurvata di materia
sopra un edificio).
« Actum Nicie in domo episcopali in ca-
mera in qua jacet dictus dominus episcopus
testator, nominata croia. » {Chartrier de
S. Pons, pag. 66).
Crozula (bastone con asta orizzontale
al capo superiore).
Chi osserva la rozza figura dell'annalista
Cafiaro dalla barba fluente, disegnata nel
primo foglio degli Annales genuenscs, con-
servati nella Biblioteca Nazionale di Francia,
e testé riprodotti in cromolitografia per cura
del marchese Imperiale, vedrà star egli se-
duto sopra una cattedra, coperto il capo
d'un berretto a cupola, vestito d'un ampio
paludamento con capuccio e appoggiata
la mano manca sopra di un baculo, termi-
nante in tau, simile a quello che il Boldetti
riscontrava ai consoli romani dell'anno 370.
2(3
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
159
Era questo il baculo del comando, così de-
scritto in un documento medioevale: te-
neantur dicti jugales portare tres partes
crucis sive signuni qui dicittir crocia. (Bei-
grano, Documenii, pag. 41).
Colla crocia impertanto venivano date le
investiture, ed il Ducange ricorda che l'anno
1092 Fulcone, conte andegavense, veniva
riconosciuto nel suo titolo feudale ; per ba-
culum justitie et misericordie que crocia di-
citurin marne. L'uso di valersi di un coltello,
di un bastone, d'un libro e della crocia ha
origine nelle pratiche del diritto salico, di
cui si valsero i rettori del comune di Ge-
nova ; e mentre infatti l'anno 1177 Ottone,
conte di Ventimiglia, investe i consoli ge-
novesi di alcuni castelli per bacnluin quem
in maiiu tenebat, i consoli dello stesso co-
mune l'anno 1214 investivano Ottone ed
Ugo del Carretto dei castelli di Cairo e
Dego per crozulatn comunis lanue, la qual
forma di crozula o crocia rimandiamo il
lettore a riscontrare nel disegno, da* cui
abbiamo preso le mosse in quest'articolo,
come rimandiamo a riscontrare i due do-
cumenti nel primo volume àt\ Liber juriuìn.
Cruces civitatis (così erano riconosciute
le croci, erette nei bivii e nei trivii
delle città e terre, perchè contami-
nati dai ricordi di Mercurio, di
Diana e dei Lari compitali, che vi
erano stati venerati, e tali croci ve-
nivano solennemente portate in pro-
cessione in occasione di qualche
pubblica calamità).
« Cruces civitatis a unaquaqtce portarum
per honestas personas tenerentur. » (Ca-
phari, Afmales, anno 1094^
Tali croci venivano in particolar modo
erette sopra colonnette lunghesso le pub-
bliche vie, da dove l'origine di Crux ferrea
di Cairo ora Cosseria, e la Crux ferrea di
vai di Bisagno per trarre a Torriglia ora
Scoffera. Una eruditissima Memoria sulle
Croci ntonumeutali di Bologna rese di pub-
blica ragione il conte Giovanni Gozzadini
negli Atti e Metnorie della R. DeptUazione
della Romagna nell'anno 1863).
Cucularia (Curenna, castello dell'Albin-
ganese).
« De non celebraìido Consilio super alte-
nationem seu reinissionem castri Ligi et
Cucularie » (Stat. Albingane),
Cufia (elmo di metallo o di cuojo).
« Proniittinius dare libi duodenam de
cufiis bonis de coretis. » (Alizieri, Notizie,
1°, pag. 3S7).
Cumba (vallicella).
« Una pecia de terra in la cu)nba.y> {Cliar-
trier de Lerins).
Cuniare (coniare).
« Aliqua persona non prcsumat facere
fabrichare cutiiare vel cudere monetam ali-
qicam. » (Stat. lanue Visdomini, 2°, pag. 11),
Cupa (misura pel vino).
«Dedit Iwspitali perpetuo xxx cupasvini.»
{Chartrier de S. Pons, pag. 86).
Cupus (coppo, tegola).
« Quod edificia facta super comuni cope-
riantur cupis vel scandalis. » (Assandria,
Statuì. Baen7iarum, rubr. 51 .
Curiofo (Corfù).
« Et sic in simul concordando, usque ad
civitatem Curiofo, venerunt. »(Caphari, An-
nales, anno noi).
Curtis (così si appellava nel medio evo
una frazione del dominio feudale,
in cui si inviavano castellani o giu-
dici a render giustizia).
D
Datium (dazio, gabella).
« Liceat unicuique Sarzanentium... facere
panein prò vendendo sine solutione alicujus
data vel gabelle. » (Stat. Sarzane).
27
Debatus (contestazione, lite).
« Causa visitandi aliquem locum debati vel
ad tollendum aliquam rixam. » (Stat. Albin-
gane;.
i6o
GIROLAMO ROSSI
Decima (Alle decime ecclesiastiche isti-
tuite per mantenere il culto, si ag-
giunsero nel secolo x le così dette
decime domenicali, le quali erano
state usurpate dai signorotti e che
si cangiarono in proprietà).
« Adquìsivit prelibato monasterio niul-
torunt locorìim decimas. » {Cai't. Lirinense,
docum. II).
Decima de mari era una decima, onde
erano colpiti i traffici marittimi a favore
degli arcivescovi di Genova:
« Tenerentur speciali jtiramento solvere
facere deciniam de mari, sicut est nsiis domno
archiepiscopo. » (Belgrano, Registro arci-
vescovile).
Deganus (messo pubblico).
« Teneatur ipse deganus... ire per curiam
et coììiuneni... et si opus fuerit extra terrani
comtilem. » Stat. Lavine).
Dehonare ?
« Macellarii tetteantur ipsos banchos le-
vigare et dehonare. » (Stat. Albingane).
Delemor (Gavi).
« Parrochie sancii Rcmigii et sancii Ste-
phani et capella castri Palodii consueverunt
venire ad letanias ad infrascriptam plebem
Delemor, qtie dicitur mine plebs de Gavi. »
(Rossi, Cairo e le rogazioni triduatie, pa-
gina 3S).
Demandum (domanda).
« Si aliquis cui factum crii demandum
de aliquid parte villarum diccret appellatori
verbiim injuriosum, sii condemnatus. » (Con-
venzione fra Tenda e Briga, 1233).
Demanium (dominio dello stato e della
corona).
« Civitatem ipsant (Saone) cum castris et
villis in demanii nostri et imperii dominio
tenere dignaremur. » (Garoni, Guida, pa-
gina 166).
Denarius Dei (moneta che si dava in
arra d'un contratto, come s'incontra
nello statuto d'Albenga).
Dentexo (pesce, dcntcx vulgaris).
« Dente xi, par amie, et alii qui ferro scin-
duntur vendantur prò denariis odo. » (Rossi,
Storia di Ventimiglia, i" edizione, pag. 243).
Derizela (girella necessaria per tendere
la balestra).
« Pro capsis quatuor veretoìwrum... com-
putatis acciarinis et derizela. » (Rossi, Storia
di Dolceacqua, pag. 82).
Deretale (misura da vino).
« Teneatur tenere contimie medium quar-
tum , mitadellam , mezetam et deretale. »
(Stat. Sarzane).
Derocare (distruggere).
« Et si aliquis homo in dictis aliquod ca-
strum fecisset, derocabo ipsum. » (Rossi,
Statuti liguri, pag. 196).
« Audeat ipsain domuni destruere vel de-
rocare. » (Podestà, pag. 66).
Desamparare (abbandonare).
« Aliqua persona non audeat seti pr esumai
qicavis occasione relinquere scu desamparare
dominum seu magistrum suum cum quo
stare promiserat. » (Stat. Sospitelli).
Descoblada (pezzo di carne porcina
senza grasso).
« De juribus porcorum de quibus habere
debet descoblada. » {Cari. Lirinetise, 2°, pa-
gina 74).
Desgrossare (levar la parte più gros-
solana).
« Polivit et desgrossavit dieta ntarmora. »
(Alizieri, Notizie, voi. 4", pag. 140).
Destranare (dire ingiuria).
« furo aiiferre omnibìis personis que
blastcmaverint seu destranaverint sanclam
Mariani vel Deum sol. xjanue. » (Podestài
pag. 50-
Devetum (proibizione).
« Si pecuniam sociciatis detulerit vel mi-
seritin devetum, ego laudabo. » (Stat. Nicie).
Diamans (diamante).
« Unus smcragdinus , unus diamans grossus,
uniis diamans parvus, unus rubinetus, una
grafiata. » (Ferretto, Cod. diplom. 2", pa-
gina 208).
Difalcare (sottrarre).
« Drapcrius a quo talis pannus emptus
fuerit (debeat) deducere et difalcare de
predo venditionis duos palmos. » (Giornale
ligustico, 1896, pag. 309).
Disbrigare (rilasciare).
« lusticia teneattir disbrigari facere viro
incontinenti ter ciani par lem dodis uxoris »
(Barelli, // libro della catena, pag. 37).
28
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
l6l
Discargare e Discaricare (scaricare .
Si trova discargare nello statuto di Nizza
e il Belgrano ha nei Documenti, pag. 298 :
Si necesse fuerit ibidem similiter discaricare
res et eqiios.
Discolari (sgocciolare).
« Qualiter aqua grondanctariun et sedi-
minum debeat discolari. » (Assandria, Stat.
Baentiarum, rubr, 348).
Disligare (slegare).
« Diete balle non solventur nec disliga-
buntur nisi in presentia factorum comer-
chiorum. » (Giorn. ligustico, 1885, pag. iSj.
Distringitor (ufficiale che si associava
al confaloniere in tempo di guerra,
per tenere a posto i combattenti).
« Jtiro facere eligi distrìngitores qui
setnper sint cum confaloneriis... cuin iverint
in cavalcatam. » (Podestà, pag. 54).
Doeta (assicella).
<,< Aliqua persona non possit facere doetas
qucrcum vel castanearum... nec possit ex-
trahcre doetas de finibus Garexii » ( Barelli,
pag. 54)-
Doio (nome del golfo in cui siede
Ogliastra in Sardegna).
« Galeas niandavere que nostras invenientes
in gulfo Doio in fugani verterunt. » Caphar.,
ann. 1266).
Domignonus (risponde al doìijon francese
e indicava la torricella che domina
il castello).
« De ipsis castris turribus et domignonibus
et curia, faciam guerraìu. » {Liber jurium,
I, pag. 201).
Donnicatus (ager), campo che il proprie-
tario si era riserv'ato per coltivare
egli stesso o per mezzo d'altri a
proprio conto.
« Tradiderunt... castra et villas et se-
gnoriam... cum mero et inixto imperio cum
exercitibus et cavalcatis fidelitatibus atque
do7inicatis » {Lib. jurium, i, pag. 1298).
Dorso {vestitus de) dosso.
« Reservati sin^mnes panni linei et lanci
de dorso et de ledo. » (Stat. Pornasii). « Quod
noti possit accipere pannos de dorso credi-
toris. » (Podestà, pag. 23).
29
21 — Mise, S. HI, T. Xin.
Dracetorium (credenza).
« Item unum buffetum seu dracetorium »
(Cais, La ville de Nice, pag. 398).
Draco (dragone, rettile mostruoso).
Questo vocabolo risveglia il ricordo di un
punto di transazione fra il paganesimo ed
il cristianesimo in Liguria, leggendo nel-
l'antico officio di S. Verano vescovo di
Cavaillon (an. 252), che liberò Albenga (che
andava evangelizzando) dalla presenza d'un
fiero dragone, ivi adorato.
« Iterum pettini ut Draconcm quem ado-
rabant,fugant; itaque genuflexus ( Vcranus)
divinavi opem implora?is, divus Draco per
jìuminis alveiim in mare, dilabitur ac omnes
sacri Baptismatis, fontis abiliti, fidem ce-
perunt. »
Il Navone nella sua Ingannia (tom. 2°,
pag. 222) emettendo varie ipotesi per ispie-
gare il senso della parola dragone, annegato
nelle acque della Centa, ignora che pure
S. Silvestro papa « ligavit draconem in fine s
palata» presso la chiesa di S. Maria de
inferno. È risaputo da tutti gli agiografi la
parte potissima, che San Silvestro papa ebbe
sulle vittorie del paganesimo; e l'illustre
G. Battista De Rossi dice, che la vittoria
di S. Silvestro ha un senso storico preciso,
cioè allude alla cessazione del culto di Vesta
e del dragone effigiato con lei. Il Fabretti
ci ha conservato il disegno d'una statua di
Vesta in trono, sotto il quale sta accovac-
ciato un gran serpente. Il santo vescovo
Verano adunque sarebbe riuscito a far
sparire il Dragone, le cui caverne erano le
cripte del delubro di Vesta. Al culto di Vesta
che accarezzava il serpente, S. Silvestro so-
stituì il culto della Madre di Dio, che
schiacciò il capo del serpente. (Vedi Bol-
lettino Salesiano del gennaio 1906, pag. 12).
Dramatica (dalmatica, veste sacra).
« Preciiim uniiis dramatice auri bordati
prò dieta sacristia.f> (Alizeri, Notizie, i,
pag. 221).
Draperius (tessitore di lana).
De juramento draperiorum è il titolo
d'una rubrica dello Statuto di Savona ed
altro de draperiis si ha nello Statuto di
Albenga.
Daga (lista di legno onde si formano
barili e botti).
« Nulla persona debeat facere concas nec
aportare facere nec dugas seu aliquod alium
lignanien. » (Stat. Uvade).
102
GIROLAMO ROSSI
Dugana e Doana (edificio ove si depo-
sitano le merci giunte diill'estero per
sottoporle al pagamento di dazi),
« Obligaveruiit dictis proiectofibus dic-
iaruin coniperaruiìi porticus dugane » (Stat.
Padri, 222).
Dhoanerii chiamavansi gli uffìci^lli pre-
posti a questa riscossione.
« Tetieaniiir duo Icgales et bone fame
dhoanerios eligere » (Stat. Sarzane .
Duulix o Dulice parapetto).
Così viene spiegato dal Belgrano a pa-
gina 782 del suo Registro.
EfFaissare (diffalcare).
« 7^1? inihi effaissante in soliicione predicla
tres libras janiie quas a ine preterea ha-
btiisli. » (Saige, Monaco et les Grimaldi,
pag. 55)-
Elmum (elmo),
« Cam loricis et elmis armati pcrrexerunt
(Caph., Ann.).
Emphiteta (livellano).
« Noti teneatuf empiutela sive illa persona
qui illud ficticm solvere debuerit dare etc. »
(Podestà, pag. 68),
Emphiteusis (contratto" con cui si cede
il dominio d'uno stabile a tempo
lungo mediante il pagamento di un
annuo livello;.
« Confessi fuerunt se tenere et possidere
in emphiteusim perpeluam sub senhoria ec-
clesie Sancii Nicolai, donios casalia etc. »
{Cari. S. Pontii^ pag. 277).
Engannu§ (inganno).
« Bertramus coines juravit et sine cnganno
firmavit.^ {Lib. jurium, i, pag. 19).
Ensenium (donativo).
« Non possit accipere aliqucm servicium
vel ensenium quod valeat ultra solidos x, »
(Stat. Albingane).
Equitatura (cavalcatura),
« Tencantur lioneste prolùdere in vie tu...
ctduabus equitaluris. » {Carf. Lirinens. 2",
pag. 27).
Ora che il delirio della velocità ci in-
vade, ne più si pensa che a guadagnar
tempo e a sopprimere le distanze, gioverà
risalire colla memoria a quell'epoca, in cui
le gite facevansi a passo d'uomo o di qua-
drupedi, per strade impervie, per valichi
diffìcili, infestate non solo da ladroni, ma
sì bene da berrovieri, che riscuotevano bal-
zelli a nome e conto di signorotti di rocche
feudali. Chi viaggiava si valeva di cavalli,
di muli e di asini avvezzi ad andare a passi
corti e veloci, che si diceva andar d'ambio
e chi era di condizione signorile portava a
cavallo un mantello stretto in alto e largo
a basso detto elodia.
Tale e tanto era il bisogno di cavalcature,
che fra gli obblighi imposti nelle enfiteusi
e negli affitti, si trova ad ogni tratto im-
posto il servizio di esse; come a cagione
d'esempio nella donazione fatta nel 1256 da
Bonifacio conte di Castellane al Priorato di
San (iiuliano, si legge questo a pag. 179
del Cartario lerinense :
« Singulis annis albergam unain cum odo
equitaluris ».
Abbiamo detto che soprastavan pericoli,
anche quando le comitive erano numerose
e composte di gentiluomini, come ci è oc-
corso di nairare {Storia della città di Venti-
iniglia, pag. 164) all'anno 1439 in cui una
ventina di cavalieri, nei pressi di Limone,
venne assalita e maltrattata da una geldra
di indragati montanari. Ma il più delle
volte si viaggiava da soli, e allora con atto,
che si stipulava da un notajo, venivano
segnate le condizioni fra il viatore e il mu-
lattiere ; come ci è occorso di riscontrare
nei rogiti di Balauco Giovanni un atto
del 1498, col quale certo Fasalvi mette a
disposizione di Michele Sansone, che da
Ventimiglia vuol recarsi a Savona, equum
unum pili grixii cum sella et brilla ad
ratìoncm grossorum duorum prò singulo die.
: Non diremo qui come alle cavalcature
succedevano nel secolo xvi le vetture, poi
le ferrovie nel 1829, poi gli automobili nel
1894; ma crediamo metta conto far cono-
scere il viaggio da Cuneo a Bruxelles fatto
nel 1557 da Gio Lovera inviato del Duca
di Savoia, per far conoscere la lentezza, i
fastidi ed i pericoli inseparabili di chi viag-
30
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
163
giava in quei tempi. Partito questo gentil-
uomo il 30 agosto del detto anno, passando
per Tenda, Briga, Triora, Taggia, Oneglia,
Alassio, Leca di Albenga, Savona, Varazze,
Genova e Pontedecimo, tocca Milano il 20
settembre successivo e durante questo tra-
gitto, segna giorno per giorno le spese delle
osterie, dei maniscalchi, dei cavalli, delle
briglie, degli arcioni, dei borsacchini, degli
archibusi e delle fruste; e nella prima let-
tera che scrive dalla capitale lombarda parla
delle inique pratiche et ingiuste insidie per-
le strade, come nclfhosterie ; e che non sia
esagerazione nelle sue parole, si apprenderà
dal fatto che egli non dovea pur fare ri-
torno, morendo ucciso nel Belgio il 13 gen-
naio 1558 (i).
Torna di particolare interesse pei Liguri
il veder tracciato un itinerario fin qui igno-
rato, cioè come si prendessero le mosse da
Cuneo per passare in vai di Roja, e da
Tenda e Briga si valicasse nella valle Ar-
gentarla toccando Triora e Taggia per
Oneglia, tracciato che pareva cosa nuova
a chi, non sono molti anni, proponeva con
tale disegno la costruzione d'una ferrovia.
Erchole (Arcola, comune ligure).
« Deinde properavit cuin suo cxercitu
versus castrimi Ere /iole. » (Ferretto, Cod.
diploui., 2°, pag. 226),
Ermus Sanctus).
Fra i pochi che si attentarono di spie-
gare, come da Sanctus Romu/iis siasi potuto
formare San Remo, vi è stato chi ha asse-
rito, essere sempre stato appellato dal po-
polo sanremese sanctus eremus il divoto
romitaggio, dove era stato sepolto il santo
vescovo genovese San Romolo e che questa
forma popolare abbia finito per trionfare
della burocratica, usata negli uffici e nelle
scritture pubbliche. Non ignorando che due
località omonime si hanno nel Napoletano,
ci restringiamo a notare, che con uomini
di Quigliano e di Segno, in una carta di
Noli dell'anno 1186, giurano: « hoc jura-
(i) Questo Giornale di viaggio di Gio. Leverà da Cuneo
a Bruxelles nel 1557 è stato pubblicato dal Barone Manuel
di San Giovanni nella monografia Una pagina inedita della
Storia di Cuneo. Torino, tip. Marino, 1879, pag. 34 e
seguenti.
mentum fecerunt... Nicolaus de sancio ermo
et Anselmus de sancto ermo. » (Atti e Me-
morie della Società storica savonese, voi. 2",
pag. 566).
Esca (maturazione delle ghiande sulle
querce).
« Quando esca fucrit debemus vobis dare
scaticum. » {Lib. jurium, i, pag. 6).
Da essa si è formato Escatico che il Rez-
zano definisce: «censo che si pagava pel
pascolo dei maiali nelle selve pubbliche. »
Euzeria (eleceto).
h'euzeria dello Statuto di Sospello, ripe-
tuto in tre rubriche, risponde ?W Ellexctuvi
dello Statuto di Torria in vai d'Oneglia e
trae la sua origine dal francese Yeuse.
Evacuare (sbarrazzare).
« Obligatus sit proiicere terram, . quam
evaciiaverit et extraxcrit de dìcto fossato. »
(Stat. Novarum).
Exaltatio (assalto).
« De exaltatione alicujus in domo sua vct
in alio loco et in strata. » (Cais, Statuts de
Vintimille, pag. 43).
Excoriare (scorticare).
« Aliqua persona non audeat aliqvos ar-
bores niicum, castanearum excoriare. » (Sta-
tuta S. Romuli).
Excubare (fare la guardia).
« Vocatus sii... tam prò custodiendo castro
et defendendo et excubando ipso. » (Rossi,
Storia del Marchesato di Dolccacqua ,
i^ ediz., pag. 246).
Exenium (donativo).
Non possit acciperc aliquod exenium pre-
terquam oves, zuncatas » (Belgrano, Car-
tario genovese., pag. 574).
Expedimentum od Expendea (tributo o
dazio).
« Expedimenta et alias dacitas solvant ut
dictuni etc. » {Lib. jurium, 2", pag. 4i4)-
« Voluerint Inter se imponere aliquod co-
tumum vel expendeam prò damno dando. »
(Idem, pag. 569).
31
164
GIROLAMO ROSSI
Facharia e Facheria (modo di colonia
che determina la divisione dei frutti
tra il coltivatore ed il padrone),
« Si vero proprias ierras dederit ad fa-
chariain dividat decimam cnm episcopo. »
(Cais, Cartul.de la cath. de Nice, pag. 131).
Facherùis è ricordato nel cartolario di San
Ponzio.
Factura (incantesimo).
« De maliis et factiiris non faciendis. »
(Stat. Godani, ptig. 35 ; si ha pure il verbo
facturare).
Falodium, comune con/ arohis & far omini
avea il significato di torri di guardia
dove si accendevano fuochi, segnali
d'allarme che avvertivano il navi-
gante dell'avvicinarsi di navi cor-
sare. Nelle c^irte nostre sono ricordtiti
soventi il falodium capitis Panagii
che sorgeva sul capo vicino ad Aren-
zano; il falodhmi Biir digliele quello
in capite Fari ed altro in capile
inontis. I segni che si facevano da
queste torri, se di giorno pigliavano
nome di fumale, se di notte quello
di balasia.
Falodium significava pure quel fuoco
pubblico che si faceva nei paesi, in segno
di allegria o nelle feste principali o all'ar-
rivo di qualche principe.
Famulus (chi teneva l'amministrazione
dei beni vescovili, obbligato a giu-
rare fedeltà al prelato, da dove la
frase famulalum exhibcrc.
« Famulus sancti Syri si professus fuìt. »
(Belgrano, Illustraz. del Registro arcivesco-
vile, pag. 509).
Fantinus (putto).
« Proììiittit fabricare portalle unum... cum
arma Spinula in medio frixii et cum duobus
fantinis. » (Alizeri, Notizie, voi. V, pag. 63).
Farconus (strumento da guerra noto col
nome di falconetto o falcone).
« Occasione triuin pcciorum bronzii vide-
licet canoni et farconorum. » (Alizeri, No-
tizie, VI, pag. 410).
Fardella (pezze di tessuto).
« Obligo libi pignori fardella xvi serici
gialli. » (Desimoni, Actes de Famagouste,
pag. XXI).
Fassia o Fascia (Il ligure è riuscito con
improbo lavoro a convertire im-
mense lande rocciose in terreno ara-
bile, disponendolo in gradinate, che
con bella metafora appella fascie).
« Estimatores referre debeant quanta erit
terra prò qualibet fassia. » (Stat. Diani).
Fassium e Fascium (fascio).
« Euntes per vias cum fassis vel sine,
caregatis vel non caregatis. » (Stat. Naticini).
Fauda (falda, lembo).
« Per costavi illam usque ad faudas dicti
montis Bugnofti. » (Stat. S. Romuli).
Faudatum (specie di grembiale).
Marcoaldo Povero riceve lire cento hnpli-
catas in f andati s da portare in Siria. (Fer-
retto, Cod. diplom., 2», pag. 115).
Falcata (latte rappreso).
« Aliquis berberius non debeat aportare
aliquam felcatam vel zoncatam duni stcterit
in paria >> (Barelli, Gli statuti di Orinea,
pag. 161).
Femerium (immondezzaio).
« De hanno contra facientes femerios in
plateis. » ,Stat. Sospitelli).
Ferriolus (epitteto che si dà al mattone
ben cotto).
«De bonis matonis scu lateribus ferriolis. »
(Garroni, Guida, pag. 150).
Festucum cultellum (formola di diritto
salico, corrispondente a fianco del
romano e del longobardo, durante il
periodo marchionale).
« Per cultellum festucum notatum... legit-
tima ni facimus tradicionem.y> (Poggi, 7n3«-
dazionc del monastero di S. Quintino).
Feudum (oltre il noto senso di signoria,
si trova usato questo vocabolo in
quello di stipendio e di mercede).
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
16 =
« Si vendiderit aliali persone amittat w-
lariiint sive feuduni. » (Stat. Cunii).
« Si niercenariiis doininum vel dominam
diniiserit amittat feudum. » (Stat. Diani).
Fiala (piccola bottiglia).
« Debeat aportare vimini in bocellis parvis
seu fialis. » (Stat. Albingane .
Fiascus (fiasco).
« Declaranius res et nierces fiascos
ferri stagnati. » (Stat. Artium).
Figulus e Figatus (fégato).
« Non poìiderando de capite, anca, pede,
auricola, gambono, Jìgulo, pillinone vel inon-
gutia. » (Stat. Uvade).
Figonus (appellazione di dispregio, onde
venivano chiamati nelle diocesi di
Ventimiglia e d' Albenga operai
randagi, un q^dd simile dei Cici del
Triestino, colla differenza per altro
che mentre questi erano famigerati
pei ladronecci vedi Cameroni, Storia
etnografica di Trieìte, Trieste, 1886,
pag. 253), quelli erano rinomati per
infingardagine).
« Il Senequier {L es patois de Biot, Val-
lauris, Mons et Escragnoles, Nice, imp.
Malvano Mignon, 1880) ristringe ad una lo-
calità posta ad occidente del comune di
Ventimiglia la stanza dei Figofii; ma do-
cumenti comprovano che tale appellativo
si estendeva ed abbracciava la diocesi di
Albenga. Nel quaderno, conservato negli
Archivi di Stato in Genova, dell'anno 1520
intitolato Corsicae Fabr. Adiacii, nel quale
sono registrati i nomi degli individui che
in detto anno abbandonarono la Liguria
per recarsi a ripopolare Ajaccio in Corsica,
col nome di Battista Lanteri da Porto Mau-
rizio, utiiis ex condtictoriunfaniiliaruni mis-
sarmn a MS-" Officio ad habitandiiin in pre-
senti loco Adiacii, sono registrati con alcuni
pochi di Bajardo, e Vallebona (della diocesi
di Ventimiglia) uomini di Pietra lata, di Bo-
scomare, di Alassio, di Andagna e di Cosio
jurisdictionis Albinga7ie. Ebbene in detto
sommario si legge : Rado grani siculi, cum
arniis missis per mag^^^'^ Officium prò sub-
venendis faniiliis figonorutn niiper missis.
Dal che si evince che Figoni erano appel-
lati i girovaghi abitanti di queste due re-
gioni, che andavano in cerca di sorte mi-
gliore.
33
Filum (córso).
« Nec ullus per stratam vel per filmn
burgi projiciat aquatn de dontibus haben-
tibus solarla. » ^Podestà, pag. 50).
Firtellus (misura annonaria).
« Pro qnolibet centenario Jìrtellorum fru-
menti tres denarios. » {Lib. jnrium, 2",
pag. 463).
Flazata (coperta di letto).
« Iteiii unam flazatam listatavi. » [Cari.
S. Ponili, pag. 240).
Fliscia Crux (comune di Croce Fieschi).
Focatia focaccia).
« Placentas et focatias ani pa?ies vel vinuin
distribiiaìit. » (Giornale ligustico, 1898,
p. 368).
Fochus (vedi fumus).
Fodrum (diritto feudale che provvedeva
al mantenimento del signorotto, della
sua corte e a quello dei cavalli).
« Fecit finem... de oìiini fodro, exactione
et loto quodquam fodrum appellari potest. »
(Braida, Cortemilia e le Langhe, pag. 20).
Fogagium (diritto che i conti di Venti-
miglia riscuotevano sui forni, ricor-
dato in carte di Briga e di Gorbio).
« Fuerunt franqui et liberi a solutione
fogagiorum, cavalcatarum nec non a solu-
tione cinate in loco de Gorbio. » (Carte del-
l'anno 1406).
Pare risponda al fornagium ricordato dal
Cais, Le fief de Cliàteauneiif, pag. 517).
« Teneantur coquere panem suuin ad for-
mam. »
Fondicus (fondaco).
I fondachi medioevali rispondevano, se-
condo il Cantarelli, alle stationes dei romani,
come il fondaco dei tedeschi a Venezia.
« Pro agendis mercatorum tcutonicorum
requirencimn venire lanuam et habere fon-
dicum. i> {I porti d' Italia, pag. 319).
Scrive il Botto nelle due pagine di Storia
Spezzina che i fondachi rispondevano alle
nostre botteghe, ma abbiamo ragione di
credere, che tra il fondicus e Vapotlieca cor-
resse la differenza, che si ha tra lo smercio
all'ingrosso e lo smercio al minuto.
i66
GIROLAMO ROSSI
Forbicis (forbici).
« Abscindi debeantincdiaìitibiis forbicis sive
tezoriis aptis. » (Giornale ligustico, 1896,
pag. 3o6\
Forcella o Furcella (quest'arnese da
tavola, che secondo il Merkel {7>^
arredi milanesi del Quattrocento, nel
Ballettino dell'Istituto storico italiano
n. 13, anno 1893) compare in Francia
nel XVI secolo, è ricordato nel Gior-
nale ligustico del 1884, pag. 354, con
queste parole:
« Cortelleriani imam... ami nianicis de
argento et cuin una forcella de argento. »
L'uso per altro di andar compagna del
cucchiaio, s'introdusse assai più tardi e len-
tamente, come si evince dal Sinodo dioce-
sano albenganese, tenuto dal vescovo Lan-
dinello nel 1620, pag. 448, dal quale viene
prescritto, che ogni seminarista nel suo
ingresso abbia a corredo: « duos orbes
sfaneos ac totideni qnadras, coclcar saltein
icniim, quod non sii argenteum. » Si richie-
dono due scodelle di stagno, due quadre
ed un cucchiaio, si tace affatto della for-
chetta.
Forensis (forestiere).
« Persona forensis et extratica idem si-
gnifìcant. » (Stat. antiq. Saone).
Foricus?
« Nec adducat pecuniain alicujus Iwiiiinis
forici.» [Lib. juriuin, i, pag. 158).
Forestum o Foresta (selva destinata a
nutrire le fiere per la caccia dei
signori).
A cjuesto articolo già trattato nella prima
parte, occorre fare un'appendice per far
conoscere, che (jualunque selva potevasi
mutare in foresta, però coll'autorità regia.
Il gius di afforestazione ha preceduto i tempi
dei Carolingi : e sono di quest'epoca le frasi
instituere e dimiftere forestas, equivalenti
Visliltiere ad afforestare, e il dimittcre a
sradicar le selve a favore dell'agricoltura.
Fra gli ufficiali delle foreste erano i falco-
nieri e i cacciatori, i quali dovevano impe-
dire non solo la caccia, ma ancora l'entrata
nella foresta con cani, con falconi e coll'arco.
Era la caccia la occupazione prima dei feu-
datari in tempo di pace; e di un prodi-
gioso avvenimento, succeduto ad un Conte
di Ventimiglia mentre stava cacciando fra
Sospello e Mentone un furioso cinghiale,
parla il Gioffredoa pag. 758 della sua Sforia
delle Alpi Marittime.
Forum (in senso di merce).
« Quicmnque por taverit forum sive aliquain
merccm in castetlania Cuxii, non possit etc. »
■ (Stat. Cuxii).
Foxina (fucina).
« Caldcrarii et ferrarti non possint ma-
teare, seit. picare, seu travaglare nec foxinas
facere. » (Stat. Albingane).
Frascha (ramo fronzuto).
« Si inciderit atiquem ratnum vel ut di-
citur ramam sive frascfiam. » (Stat. Por-
nasii). Si ha il d'wnmwXìwo fraschefa negli
Statuti di Levanto : «fraschetas neniini
liceat facere in ipsis terris. »
Frealia (maniera di pèsca).
« Si quis piscaverit in aqnis ufniete ad
frealia vel qui posuerit niorbuni solvat
eie. » (Barelli, pag. 170).
Fregazonum (voc'abolo dell'arte ve-
traria).
Giovannino vetraio riceve nel 1312 tanto
vetro bianco et fregazonum da Dato Macia
da Firenze. (Ferretto, Cod. diplom. , parte I»,
pag. xi).
Frixones (anitre faraone).
Così spiega questo vocabolo il signor
Carlino a pag. 9 dei Cenni storici di Ovada
rimasti incompiuti.
Fronteria (frontiera).
« Caslrum de Castilhono situatum in
fronteria. » (Cais, Stai, de Vintiinitle, pag. 93).
Fullum gualchiera).
« Fullarc et fullari facere lotuin pannuni
quod faciant in fililo predicto. » (Rossi, Stat.
Liguri, pag. 205).
Fumus (capo di casa).
La rubrica 24 dello Statuto di Sarzana
tratta « De his qui collectas tenentur solvere
per fumum e in essa si precisa il significato
di fumus dicendosi : fumus ijitelligatur et
esse dcbcat illa persona que per se habitat
vel habitaverit in Sarzava vel districtu suo
qui aliquid habet vel habuerit proprium vel
divisum per se, vel que dotem receperit, seu
fiierit confessa recepisse. »
Il capitolo precedente s'intitola: De elec-
tione fumantinm e prescrive la elezione di
34
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
167
quattro cittadini per quartiere, incaricati di
segnare collectas per fiimuìn.
Il fuiniis dello Statuto di Sarzana e di
altri comuni della Liguria di levante è pari
in significato al focus della Liguria di po-
nente, fra cui ricordiamo lo statuto di
Diano.
Furnitus (provveduto).
« Tenebit diclani siiaui tabernam fiirni-
tam pane el vino, » (Stat. Garlende et Pa-
ravenne, pag. 47).
Fustaneus (tessuto).
Lo statuto d'Albenga parla de gabella
fusianeoriiin.
Fustigare (battere con verghe).
« Si solvere non polerini, fnstigentur ci
in fronte deconqneantur ciim ferro calido. »
Olivero, Alemorie storiche di Ceva, pag. 74.
Fustum (ricamo).
« Pianeta una velati ricbei, cuin fusto uno
ad hisloriam beate Marie cuin liliis et galis
aureis. » Giornale ligustico, 1S86, pag. 26S.
G
Gabella (gabella).
« ////' qui non possunt incantare in ga-
bellis coinunis. » (Stat. Apricalis et Insule
bone, 1430 .
Gachia (coprifoco)
« Ouodatìi sero longe post gachiaui. -> (Cais,
La ì'ille de Nice, pag. 76'.
Gadates (meretrice, per l'esempio vedi
Pìitoiiia).
Gadiator (esecutore testamentario).
« Constituo gadialores incos ad omnia le-
gata et debita solvenda.» (Gioffredo, Storia,
pag. 579)-
Gadium (^legato .
« Pars illius relieti vel gadii, detur in ad-
jutorio ìHoduli.» (Stat. Nicie).
Gaforium (vocabolo rinvenuto in una
carta savonese del 1 1 28 dal colto
studioso di cose ligure Giovanni
Filippi , significherebbe forse se-
condo lui la nostra àncora; il D'Ar-
nis per altro, che registra tale voce,
afferma, valere certo tributo con-
simile alla tolta).
Gagia (gabbia).
« Iteui gagia una de papagallo. » (Giorn.
ligustico, 1890, pag. 38).
Gaibellara o Garbellare (crivellare).
" Merces possint licenter gaibellare ad
fondicum. » {Atti Soc. ligure, voi. XIX,
pag. 172).
Gajum (selva folta).
òb
Galea (grandi navi da guerra che prima
andavano a remi e quindi a vela)
1242: Varate fuentrit galee X de mio
facte et cum ifisis taride xiii. (I.e
taride, lunghe navi, servivano d'or-
dinario a trasportar truppe, cavalli
e viveri).
Gambonus (gamba).
« Quod nullus bccharius possit vendere
ni si ad pensain, exccptis capitibus, intcrio-
ribus , pedibus et gambonibus. » (Stat. No-
var., pag. 17).
Gamerra (veste da donna, specie di
mantiglia).
« Ganierravipro aqua vetereni. » (Ferretto,
Cod. diplom.^ 2", pag. 129).
Ganganella (piccolo schiffo).
« Eìiiit barcani una)n ganganellam de
ronis odo. » (Terre tto, Cod. diploni., 2"",
pag. 237).
Garba (m.isura di capacità).
« Si aliquis fuerit appellatus de garba, et
inferius usque ad manafam , cadat eie. »
(.Stat. Apricalis. Da questa voce si è for-
mata garbeirata per raccolta di garbe, che
si riscontra negli Statuti di Nizza).
Garbora (forse nello stesso significato
\ di garba).
: « Teneantur inquirere niultorales et gar-
I boras. » (Stat. Carpasii).
Gardia (guardia).
« Galea non veniebat prò legatione et prò
gardia. » (Caphar., Annal.\
i68
GIROLAMO ROSSI
Garricie (terre incolte.
« Dono inedie tatcni lerrilorii... cuiìi oìn-
nibus pascuis, silvis ei garriciis ». .Cais,
Carf. de Ntce, pag. 6).
Garsonus (servo, aiutante).
« Reliquit in apotheca Francisiun (irò fini n
ejns garsoneni. » (Alizeri, Notizie^ VI, pa-
gina 350).
Gastaldus (ufficiali comitali, preposti
nelle ville).
« Marchio Oto investivìt noviine just i feudi ,
sub fidelitateiH quaiu inihi f ecisti, oastatdiaiii
Vadi. » (Garoni, Guida, jiag. 9).
Gatus (macchina da guerra per forare
le mura).
(( lanueiises cuin sto/o de galeis et gatis
super Pisanos irruerunt. » (Caphar., ^i««a/.).
Che fosse una macchina da guerra lo dice
il Cantù [Storia di Codio, voi. I, pag. 182) e
fra Salimbene che scr'we : fabricarent talein
gattum, per quern subito civitas capi posset.
Gatus ha dato il nome ad una villa dei
pressi di Oneglia, leggendo in questi Sta-
tuti : Eligantur duo de villa Gattoruni sive
Gazelii.
Gatto o gatta è pure il nome dell'ani-
male nemico dei sorci , avendo a pag. 87
degli Statuti di Bobbio : Si quis fnratus
fuerit cancm vcl gattani alicujus puniatur.
Gaudo (erba che tritata si riduceva in
formelle e poi si adoperava per tin-
gere in azzurro.
« De gaudis et omnibus tincturis panno-
rum. » (Cais, Gli Statuti delle gabelle di
Nizza, pag. 413).
Gavilia (contesa).
« Aliqua persona non debeat facere ali-
quam gaviliam vel rixam in Prosanego in
die Sabati sancii. » (Tale voce s* incontra
nelle carte di Val di Roja e nello statuto
di Diano).
Gaviretus ?
« Ipsum vulneravìt de quodam gavireto
suo usque ad morteìu. » (Cais, La ì'ille de
Nice, pag. loi).
Gaytagium ( imposizione che dispen-
sava dall'obbligo di fare la guardia
Guaita).
(Belgrano, Cartario genovese, pag. 566).
Gazari (così si chiamavano alcuni ere-
tici che negavano la supremazia
del papa, inveivano contro molte
cerimonie della Chiesa, predicavano
la comunanza dei beni , il matri-
monio dei preti e si dice ancora la
comunanza delle mogli, con essi si
confondevano i Paterini, dai quali
era stata invasa nel XV secolo la
valle di Oneglia).
« Kxpediri debeant de dieta valle (Une Ha)
omnes Gazari et Paterini et alii heretici
quocuinque nomine censeantur... et omnes
aia rebclles fidci catholice et sacrosancte
romane Ecclesia:. »
Gebius (giuoco di carte).
« Ludere ad faxillos, ad aissuch... ad char-
tas seu gebios. » (Cais, La Ville de Nice, pa-
gina 26).
Gelosia (ingraticolati di legno, soliti a
mettersi alle finestre dei monasteri
di donne).
« Que gelosie et fores esse debeant ligna-
minis predicti. » Alizeri , Notizie, VI , pa-
gina 59)-
Gerba (epiteto di terra non dissodata).
« Vendidit quondaiìi terram gerba>n sitam
in territorio de Turbia. » (Saige, Documents
relatifs eie, pag. 94).
Gerbodus (vedi Zerbolum\
Gestare (fare le occorrenze sue).
« Ullus audeat gestare seu stercora vel
alia tur pia facere in strata velviispublicis. »
(Podestà, pag. 78).
Giellum (tessuto serico).
« Obligo libi... fardella xvi serici gielli.*
(Desimoni, Actes de Famagouste, pag. 21).
Giponus (giubbone, veste stretta che
copriva il busto).
Gipum (gesso).
X Quotiescumque contrafeccril amittat cal-
cem et gipum.» (Stat. Nicie).
Giro (canale, bucha de Giro era deno-
minata nelle antiche carte la bocca
del Alar Nero, come si riscontra a
pag. 507 del voi. X degli Aiti della
Società Ligtire di Storia).
36
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
169
Gobeletum (calice).
« Gobeletum unum de argento dea/irato
cum coperchio. » fGiornale ligustico, 1S84,
pag. 355)-
Gonfalonus (vedi confalonus).
Gona (gonnella).
« Q"'i fecit veteres raubas seu gonas se-
ricas. » Stat. Artium merciarie. Le gone o
gonne erano portate nel Medio Evo tanto
da donne quanto da uomini, e da questi
erano ancora usate poco tempo fa in Sar-
degna. Lo statuto di Bobbio ha gunella).
Gondola (legno minore che nel XIII se-
colo era d'equipaggio nelle grandi
navi). ■
« Item quod habeat dieta navis utuim bar-
chani cantera, barchas duas de parascalino
et gondolatn. » (Belgrano, Documenti ., pa-
gina 7).
Gorgeria (armatura che difende la gola).
« Liceat milites terrigene itnpune gorge-
riam deportare. (Stat. Sarzane).
Gorus (specie di rete da pescare, vedi
l'esempio in Nasa).
Goromacha?
« Postdiìnidium meiisejn debeant eos foves)
ducere in goromachaìn et ullras colles. »
(Stat. Ceriane).
Grafionus (specie di ciliegia assai gu-
stosa).
« Tribuat ininas sex nuccjlarum et uiiuvi
gorbinum grafionorum ani ceresaricm gros-
saruin» (Atto del 1459).
Gramignosa (epiteto che si dava alla
carne di bestie colpite da impeti-
gine, specie di lebbra onde erano
assaliti i bovini).
« Qui vendiderit carncs grauiigìtosas prò
nitidis, condemnetur » (Stat. Albingane).
Grangia (casa rustica).
« Nulla persona audeat edificare seu fa-
cere aliquam domum seu grangiam, cellam
prò companagiis in terris cominunis. » (.Stat.
Sospitelli). In qualciie carta del Nizzardo si
trova a ne ile granoga.
Grabator (infermo d'ospedale).
« Hospitalis exerccatur proni institiifum
requirit , parentur que necessaria sunt ad
37
22 — Mise, s. ni, T. xni.
grabatorum ÌJistructionein. Mares et fe-
niine tabulato telario intermedio., dorniiant. »
(.Storia di Recco, pag. 72).
Grafigatura (graffiatura).
« Noìi audeat facere sanguincm alieni de
pugnis in naso , grafigaturis manuuDi. »
(Pandiani, Stat. Pori. Vener., pag. 79).
Grasserium (luogo dove si disseccano
i fichi).
« Le onzieme des ftgues qu' on aportera
in grasserio.» {Chart. S. Pontii, pag. 149).
Grascia (nome che comprende tutte le
materie necessarie al vitto).
« Pro iììiìnunitate a gabella grascie. »
(Stat. Saone).
Grattator (fautore).
« Fuerunt grattatores et capita prodi-
tionis. » (Rossi, Storia di Vcntimiglia, (va-
gina 107).
Grezo (greggio, non pulito).
« Promittit fabricare niisterios tres de
lignamitie, ut dicitur, grezo.-» (Alizeri, No-
tizie, VI, pag. 192).
Grida (bando).
« De qualibct grida (nuncius) habeat de-
narium unum. » (Podestà, pag. 32).
Griparia (grippo, sorta di nave).
Si ha notizia dell'afiondamento d'un
grippo (griparia) alla bocca di S. Caterina
nel porto di Famagosta. (Giorn. ligustico,
1900, pag, 105).
Grodare (pendere).
« Fruclus olivarum, castanearum et quer-
cum grodantium in terris alicnis, invito
domino terre, in qua grodaverint, colligerc
nemo audeat. » (Stat. Vezzani, pag. 60).
Grondana e Grunda grondaja).
« Computatis cornixionis et itnbre seu
grondana. » (.Stat. Padri, pag. 228 .
« Qui domum seu casamcntum edificaveril,
tali ter debeat edificare, quod grunde ipsius
casamenti , seu domus, pluiant super suum
propriuìH. » (Stat. Pornasii;.
Gropialis (grippia , corda attacc^lta al
ceppo dell'ancora, munita d'un
legno che galleggi nell'acqua).
« Quelibet dictarum anchorarum debeat
habere gropialem unum novum. » (Belgrano,
Doctcmenti, pag. 31).
lyo
GIROLAMO ROSSI
Grossum in (all'ingrosso, opposto di
al minatum).
« De his que in grosso vendile fiicrinf
habeat pofes fatevi. » {Lib. jiirium), i", pa-
gina 1144).
« Pro pannis emendis ab aliis int-rcaio-
ribus ad grossum vel ad talium. » (Sella,
Pandette, pag. 156).
Grotesca (pittura fatta a capriccio).
11 Belgrano a pag. 69 della Vita privata
ricorda grotesca cuni figtiris.
Guadagninum ''raschiatura delle pelli
per ridurle in cartapecora).
« Quod pilluui appellatur guadagninuìu
et esse debet lavatiun et siccum. » (Gìorn.
ligustico, 1896, pag. 449).
Guadum?
« Conccdit plciuiììi licentiain vendendi ,
a/ienandi, obligandi, et dividendi ac perinii-
tandi inter ipsos hoinines in guado et super
guado et in omnibus neinoribus. » (Alto di
Cairo del 1322).
Guaita (g'uardia, sentinella).
« Nunci teneanfur jur amento precise guaì-
tas et taboreria nunciare. » (Podestà, p. 33).
Differiva dalla scaraguaita che significava
servizio fuori della sentinella.
Guantus (guanto).
« Itein paria duo guantoruin de ferro. »
(Giorn. ligustico, 1890, pag. 39).
Guardare (visitare).
« Pro guarda7idis inuttis et innuinerabi-
libus tignis.» Ogerii Panis, ^-ìnn. 1211. In
senso di osservare: Jura servabo , quum
guardabo. » (Podestcà, pag. 13).
Guardia (guardia).
« Reddam guardiani prefati castri. » (Lib.
jurium, I", pag. 117).
Guarnacia (zimarra).
Albert da Pavia prende a pegno trcs
guarnacias di pelli di coniglio. » fFerretto,
Cod. diploiìi., 2°, pag. 21).
Guazatorium (lavatojo).
« Teneatur refici facere fon te in de bole-
xino et facere quodam abeveratorhim et
quodaiii guazatorium. ^ (Stat. .Sarzane\
Guazo (suolo o prodotto del suolo); in
qualche altra carta si legge Uvaiito.
« Volendosi fare la tradizione .simbolica
d'un monastero o d'un fondo, offrivasi un
cultellum fistucam, uotatum, nvantonem et
guasonem terre. Ancora oggidì in Val Scrivia
viene chiamata guaza la zolla di terra. »
(G. Poggi, J.a Tigullia, pag. •82).
Guerra (guerra).
« Si evenerit quod comune lanue giierram
halyeat cum Alberto de Cavi. » (Lib.juriian,
1", pag. 137).
« Rcstauretur damnum quod tempore
guerre habuerint (Idem, pag. 139). Si ha
pure il verbo guerriare: quando cantra
dicium Bonifacium Marchionem inde guer-
riare velici. » (Idem, pag. 528).
Guerpicium (abbandono di proprietà).
« Et hoc redilu et guerpicio ciini bona
voluntate et Dei timore, facimus. » (Cais,
Cari, de Nice, pag. 12).
Guidonagium ed anche Guidagium (uno
dei tre balzelli che si pagavano dai
pastori nel condurre i greggi ad
is vernare nelle regioni marittime).
« Strale libere concedimus Alexandrinis
et Derthonensibus sine omne pedagio, gui-
donagio vel dacita ulto modo. » [IJb. ju-
rium, 1°, pag. 275).
« Quando eorum animalia mittunl in pio-
vintiam, yemandi causa, occasione guidagii,
sive ramagii , vel pulveragii. » iCais, Stat.
de Vinti mi Ile, pag. 71).
H
Habitator (quando in i[ualchc rogito
notarile si trova questa qualifica,
indica che l'individuo nominato non
era nativo del luogo).
Habitaculum (dimora).
« Heredcs marchionis debent habitaculum
et compagnam januc jurare. » (Lib. jurium,
lo, pag. 136).
38
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
171
Harena S. Petrus de (S. Pier d'Arena),
« Loco vobis locum de Morella de Sancto Pe-
tra de Harena. » (Belgrano, Registro 2", pa-
oina 215).
Heremita (chi mena vita solitaria con-
templativa).
« Nere )ìi ite ibi dcserviculcs J)co, habcant
et possideant felicitcr. » (Gioftredo, Nicea
Civitas, pag. 177 .
Non si Ila più idea oggidì della quantità
di individui, che negli andati secoli vive-
vano in luoghi solitari, coperti di una veste
semitalare di color bigio, coi capegli incolti
e lunga barba, appoggiati ad un lungo ba-
stone sorretto da una croce, che tenevano
fissa la loro dimora in un povero tugurio
presso qualche cappella campestre, vivendo
delle elemosine dei fedeli. Erano essi tenuti
a recitare ogni giorno l'ufficio della Ver-
gine , oppure sessanta pater ed ave ed
avevano a protettore San Romualdo. Ogni
anno nella domenica in albis dove\ano
presentarsi nella chiesa cattedrale, dove
fatta la comunione, ascoltavano una predica
sull'ordine eremitico. Era loro vietato di
dar ricetto negli eremitaggi a donne, a
facinorosi e banditi. Ecco il testo di una
nomina ad eremita, rilasciato nel xvni se-
colo da
« Pier Maria Giustiniani
per grazia di Dio
Vescovo di Ventimiglia
«Al nostro diletto nel Signore fra Pasquale
della Seborca salute sempiterna. Poiché
siamo informati delli vostri buoni costumi
e del buono spirito che vi porta a servir
Dio nella solitudine e attesa l'obbligazione
da voi fatta che sarete obbediente a noi e
nostri successori, vi concediamo la licenza
di portar l'abito eremitico e per vostro
eremo vi assegniamo la chiesa o sia cap-
pella campestre della Madonna della Mi-
sericordia, situata nella nostra villa di
Latte e vi deputiamo a custodia per ser-
vizio della medesima; con che etc. dob-
biate ogni domenica e le feste di precetto
servire la chiesa di S. Bartolomeo.
Dato a Mentone li 25 luglio 1742.
X Pier Maria vescovo. »
Hemina (misura).
« ihuie xn librain effieitint, libra ima
et semis heminain facit, due heniine se.vta-
i-iuin reddnnt. » (Rocca, Pesi e misure an-
tiche di Genova, pag. 79}.
Herma (incolta).
« Jn.vta terrain hermain seu incnltam
Bussolinoruin. » Charti-ier de S. Pons, pa-
gina 272).
Homo (nel sec. Xlii significava villano).
« Obligationes quos habere debeo in hoini-
nibus sive rusticis ipsiiis ville. » '.Lib.jurimii,
i», pag. 944, quelli a loro preposti dicevansi
domini].
Honor (diritto).
« Dono medietatem honoris de Maria
de Aurosio. » {Chart. Lirinense, pagina
XVI n).
Horia (nome che corrisponde a Laura,
località del comune di Peglia).
(Vedi Chaitrier de S. Pons, pag. 20.)
Hostelaria (osteria).
« /;/ carreria publica jiixia hostelariain
de Angelo. » (Cais, La ville de A'ire , pa-
gina 318).
I
Ignis et Cathena (frase che nello statuto
di (jaressio valeva a rappresentare
un capo di famiglia).
« Non habeat aliquod officiutn in communi
Garexii, nisi steterit continue ad ignem et
cathenam ibi (pag. 28); al fuoco si unisce la
catena, come quella che teneva il paiuolo
appeso sopra il fuoco.
Illicis mons (chiamavasi la parte del
monte Capriono o Carpione che da
39
Lcrici si stende al capo Corvo)
(Giorn. ligustico, 1892, pag. 338).
Imbarbare (far gettare le barbatelle ai
magliuoli).
« Pro malliolis radicatidis seu iiìibarbandis
dumtaxat rigandis. » (Chartrier de S. Pons,
pag- 379)-
Imbastare (porre il basto).
« De bestiis asininis in diebus festivis non
iinbastandis. » (Stat. Pornasii).
172
GIROLAMO ROSSI
Imbotare (mettere il vino nelle botti).
« Niillus audeaf. ... vintim iìtibotare, nisi
priiis eie. » (Saige, Doeninents, 2", pag. 161).
Imbreviare (fare il sunto d' un rogito
notarile).
« Notarii non faeient vcl iinbreviabnnt
aliquod instriiinentuni nisi ilhid in secda vel
noia. » (Podestà, pag. 56).
Da questa voce si è formato:
Imbreviatura (protocollo o ristretto di
atti).
« NuIIus audeai einere vei vendere ivibre-
viatnras alienjits notar ii . » (Stat. Bobii ,
pagg. 63 a 87).
Immaltare (impastare calce con arena).
« Aliqua persoìia non teneat in bnrgo Ga-
rexii domuni copcrfain de paleis nisifnerinl
inimaltate » (Barelli, // libro della catena,
pag. 30).
Impastare (ridurre in pasta).
« Bancarimn unum ad iiiipastandinu prò
mensa. » (Rossi, Cairo, le Kogazioni , pa-
gina 87).
Imperium merum et mixtum (espres-
sione che nelle carte medioevali
sit^nificava alto dominio, cioè la giu-
risdizione civile e penale con diritto
di sangue).
Implicare (impiegare).
« Confiteor me Imbuisse a te in acomenda
libras trecentas duas latine, iviplicatas in
nncis eentmn auri tarinoruin. » (Belgrano,
Documenti, pag. 104).
Improperare (rimproverare).
« Si aliquis improperaverit alieni de Sar-
zana aliquod honiicidium. » (Podestà, p. 64).
Inasixio (ammollimento).
« Ista lana inasixione facta , debeat per
ipsos tarezaiores scolari. ■» (Giornale ligu-
stico, 1896, pag. 306).
Incantare (porre all'incanto).
« De eo quod justitia noìi possit incan-
tare nec incantari facere in incantis Avri-
gali. ■» (Stat. Apricalis).
Incanevare (porre in cantina).
« Si rendere voluerit de dieta suo vino,
quod liabuerit iinbotatum seu incanevatum,
licituvi sii. » (Stat. Sarzane).
Incatenatio navis (dicevasi il sequestro
d'una nave).
« Postquam incatenata fuerit aliqua navis
seu aliud navigiorilm genus per cavalerios
more solito. » (Stat. Padri, pag. 319).
Incongare?
« Persona cum qua incongans causam
habuit. » (Podestà, pag. 41).
Incaparare (acquistare una merce per
farne monopolio).
« Non valeai incaparare seu imniagazi-
nare aliquani quantitateni murte. » (Stat.
Plebis, pag. 147).
Indictio (periodo di 15 anni che ebbe
principio nell'anno 313 dell' E. V.
L'indizione genovese comincia nel-
l'anno 314, cosichè è sempre mi-
nore di un anno di quella dell' E. V.
Le città convenzionate contavano
l'indizione jtixta cnrsuni. L'indi-
zione ad esempio in Ventimiglia
contava un anno prima della ge-
novese).
Infilzare (mettere in filza).
« Quod dictuni est de cartulariis , dictum
esse inielligatur in quibuscumquc scripturis
et actis publicis infilzatis et non infilzatis. »
iStat. Albingane).
Infula ferrea (elmetto).
« Ouilibct ipsoruni liabeat panceram et
infulam ferream. » (Belgrano, Registro 2",
pag. 328;.
Infula pare valesse berretto , leggendo
negli Statuti di Diano, che i nuncii del
comune habeant infulam rubeam.
Inglarare (coprir di ghiaja).
« Potcstas teneatur mittere totum carigium
possessori di carri) Capriate ad ducenduni
de glarca... prò inglarando plateain. » (Stat.
Capriate).
Inlagionare (coprire di lagioni o qua-
drelli un pavimento).
« Promittit inlagionare scalavi undique
bene accomodando lagiona. » (Alizerl, No-
tizie, II, pag. 451).
Inpizare ?
« Teneatur ligare vel inpizare coruvi
arma. » (Candiani, Stat. Porto Venere, pa-
gina 75).
40
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
173
Inscurbiare (voce dell'arte del calzo-
lajo).
« Docebo filimn fuinìi de arte ifiscurbiandi
subtcllarcs. » (Ferretto, Cod. dip/om., 2",
pag. 409).
Insellare (porre la sella sopra una
bestia).
« A\jn audcat asinos vcl alia aninialia
insellare. » (Stat. Vezzani).
Inspingere (urtare).
« De inspi/ìffenlibiis alienai)! personam
irato animo. » (Stat. Lavine).
Intortia o Intortium (candelette ritorte
disposte a mazzi).
« Iteni censemus de illis cereis et iniortiis,
que circa feretrum deferu7itur. » (Landi-
nellus, Synod. albinganens., pag. 333^
Intrata (provento, reddito).
« Oinnes intratas et res comunis jura sal-
vabo et guardabo.» (Podestà, pag. 13).
Iperperi (chiamavansi i Bizanti di Co-
stantinopoli).
« I per per OS cxv auri et Karatos xv. »
(Desinioni, Actes de Famagotiste , pag. 94).
•
Iskiki.
« Sciendum est quod collaria et iskiki
agnornni et capretoruni , si assali fuerint ,
debent esse cocornin. » (Giornale ligustico,
1S82, pag. 164).
J
Jacha (biacca).
« Pro generibus speciernni, coralloruni,
cardeghiy lache. » (Concess. Savonens. pa-
gina 19).
Jacta (barcaccia).
« Manuteneattt unain iactam a se arando
dictum porium. » [Atti Società storica sa-
vonese, 2°, pag. 151).
Jaina (grossa trave).
« Librami Guglielmo Ponti de Nicla prò
una trabe appellata jaina. » Cais, l'ille de
Nice, pag. 199).
Jardinus (giardino).
« Statini galeas in terra extraxerunt et
jardinos ovines usque ad inuros civitatis
destruxerunt. » (Caphar., Annal. ann. noi).
Jasprum (diaspro).
« Pecie duo (cultelloriiiìi) cum inanicis
de jaspro.Tf (P'erretto, Cod. diploin., 2", pa-
gina 358).
Javella (fascio minore del covone).
« Si covam furatus fuerit sii in hanno
solid. LX, si imam javellam, sii in banno
solid. V. » (Stat. Zuccarelli).
Jharlatanus (ciarlatano).
« Decretimi contra Iharlatanos. » (.Stat.
Padri, pag. 222).
Jissartum (vivajo). ,
« De banno capientis in alienis Jissartis. »
(Stat. Sospitelli).
4^
Jnditia (un' errata lezione della Cliro-
nica Badaluci del vSac. Aberrando, ha
fatto credere che una città appel-
lata Jnditia si trovasse allo sbocco
dell'Argentina, presso Riva Ligure;
ecco il brano citato: Qmim antiquo
tempore , tit ipsa mina docet, secus
mare ad labentis Jluminis Aiixentine
ripas civitas quedavi Inditia consi
stcret ctc. Il Can. Lotti che aveva
potuto svelare altri non lievi errori,
che correvano nelle copie mano-
scritte della Chronica, surrogò civi-
tatis inditia consistcrcnt, la quale
città appunto sarebbe la Costa Ba-
lene degli Itinerari!).
Joja (pietra preziosa).
Il Ferretto a pag. 166 del voi. 2" del
Codice diplomatico parla di un atto passato
davanti Martino da Rracelli, vcnditor jo-
jaruni.
Jona listrumento da carpentiere , per
l'esempio vedi Magister ascie).
Jornata (giornata).
« Si jornatam amiserit. » (Si ha nello
Statuto di Zuccarello ed altri esempi in
quello di Triora).
174
GIROLAMO ROSSI
Jornea (giornea).
« Ahn possit perinìltere alìquas jorvcas
nisi so/iitn de fustaneo.-» {Atfi de/la Società
storica di Savona, 1°, pag. 344).
Judiciaria (epiteto che si dava a IHIln,
che sotto i Longobardi succede al
gali germanico e al pago latino),
« Non innlium longe de Jliivio Sturia
Judiciaria bredulense. » (Baudi di Vesme e
Fossati , Vicende della propriela in Ilalia ,
pag. 286),
« Villa qne dicitur Judiciaria vadensis. »
(S. Quintino, Osservazioni, pag. 9).
Juncata (latte rappreso).
« J gallinain in carnisprivio et j junca-
lani in S. Maria. » (Giorn. ii.i;ustico, 18S2,
pag. 160).
Jusselum (sorta di vivanda).
« Postea risuvi aut jusselum, cmn _q;alii/is
caponibus seu pullis coctis. » (.Stat. l'adri,
pag. 139).
Justare (racconciare).
« N^ec habere debeant ipsi inittistrales ali-
quid prò justandis pensis atti mensuris. »
.Stat. Padri, pag. 139).
K
Karatus (peso di 4 denari , trattan-
dosi di oro , per l' esempio vedi
I per peri).
Kilma (misura).
« Ilabcant potestatem capiendi denarios
quatuor de unaquaque Kilma lini que lanuc
intervenerint. » (Lib.jurium, i», anno 1)44).
Lacha (colore rosso scuro per dipin-
gere ad olio).
« Acto etiam quod darei aurum crzuliim
lacha aut aliquem alium colorem. » (Alizeri,
Notizie, II, pag. 370.
« Sporte quinque de tacita. » Sono ricor-
date dal Ferretto a pag. 244 del 2" voi. del
Codice diplomatico).
Lanciare (gettare con impeto ;.
« Nemo lanzet cum balista intra caslrum
Thabie. » (Stat. Thabie).
« Si lanzaverit ictuin irato animo, solvat
sol. V. » (Stat. Castellarii).
Langhe (terre comprese tra il Tanaro,
la Bermi da e l'Orba).
« Amnis Burmida potissiniam Langarum
partein alluit. » (Braida, Cortemi^lia e le
Langhe, pag. 124).
Laya (fosso),
« Aliquis noìi possit facerc layas prò xay-
vando canevas » (Barelli, // libro della catena,
pag. 59)-
Lanterna (vestimento da donna).
« Venerab. d. I. Corrubeus lifrat capaiii
itnaìu, uuìiìn berrctuìn , par calii;aruìn et
tanto fustaneo , prò facere duas lantcrnas
prò dorsu jìliarum dicti Pcrcivalis. » (Not.
Ikilauco, 1492).
Lardus (lardo).
« Possit tassare pretium carniuni salita-
rum, lardi et cujnslibet alterius salsuminis . »
(Stat. Sarzane).
Lata (palo per vite).
« Si reperietur aliqua persona carratias
portans et latas et patos exportare, condem-
netur. » (Stat. Ceriane).
Lavanca (valanga).
« De lavanca sire mina discurrcnte. »
(Stat. Lavine).
Laudimium (tassa che si pagava dal
possessore di un fondo, nell'atto di
vendita, a chi aveva diritto di li-
vello sul fondo stesso).
« Tencntur dare trezenuvi et jus laudimii
consuetum in casu venditionis. » (Chartrier
de S. Pons, pag. 272).
Launechildt (dono che sotto i Longo-
linrdi faceva il donatario al do-
nante).
42
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
175
« Accepto Lauiiechìldt, ìnantello uno, do-
nacio firma pcnnaneai. » (Belgraiio, Cartario
j^citovese, pag". 1S7).
Lax e talvolta Lac e Laceto (castello
distrutto nelle vicinanze di V. D.
di Laghetto).
« Oììines dechiias quas in castro Esc et
in La.v retincre videbamur. » (Cais, Char-
trier, pag. 3).
Leamen e Letamen (concime).
« Gabella fimi sai leaminis. » (Si ha negli
Statuta Thabie).
Lectus (alveo, letto d'un fiume).
« lice faciaììi rationciìi de alveo seii lecto
alicujus aqtie » (Stat. Albingane).
Leoca?
Qui acceperit duxerit sire straimitavcrit
leocain vel carrossatri vel aliqiwd ligìiainen
de noe te etc. (Barelli, p. 71).
Leprosus (affetto di lebbra).
« Baldiiinus qui postea rex effectus fini,
leprosus fiiit. >•> (Caphar., Auual. 1148J.
Lesno (lesina).
« Cultelluin vel lesnoueiii... non est portan-
duììi sine licentia nostra. » (Stat. Consulat.
Januensis).
Letame (vengono così chiamate nei
nostri statuti le Rogazioni tanto
maggiori, che minori).
Lo Statuto di Carrodano ha la rubrica
de cundo ad letanias, che -erano le minori.
Erano desse una processione che si ripe-
teva per tre giorni di seguito prima del-
l'Ascensione, durante la quale si percorreva
l'intero distretto delle pievi, fermandosi a
diverse stazioni in una delle quali era ce-
lebrata la messa. Precedeva il ramarro,
elle portava inalberato sopra una pertica
l'immagine d'un dragone, avente in bocca
una fiamma accesa, seguiva la croce, il clero
ed il popolo. Era uggioso il secondo giorno
pei lunghi schiamazzi e per gli urli che
accompagnavano la processione, coi ciuali
credevasi mettere in fuga gli spiriti ma-
ligni. (V^edi Rossi, Cairo e le Rogazioni
triduane antiche).
Leva (tassa, imposizione).
« Denarius unus cujuslibct mine salis ven-
diti in districtu et Tanna qui appellatur
leva. » , Cuneo, Debito pubblico, pag. 267).
43
Leucida (misura).
« Concessit leucidam. canlariurn, stateram
et rubbuìn. » fS. Quintino, Osservazioni ,
pag. 200).
Leza (dazio).
Quivendideritviandavi de qua dare debeat
lezam, vendat in foro (Barelli, pag. 4i\
Lia (feccia dell'olio).
« Nulla persotia Unelie possit nec debeat
proiicere nec ponere sancias olivarum ncque
liain in aliquain viam publicaiii. » (Stat.
Unelie).
Libellaria (unita a Villa accennava ad
un comune libero, opposto al feu-
dale).
« Confirmamus... villas libellarias, pisca-
tiones , venationes que habere soliti sunt, »
(S. Quintino, Osservazioni , pag. 29).
Liga (lega, congiura).
« Quicumque... conventiculas , vel conju-
rationes aut federa (que vulgariter lige di-
cuntur) inierit... solva t etc. » (Stat. crimi-
nalia Saone, pag. 69).
Lisagralum (materia velenosa che era
vietata agli speziali di vendere
senza ricetta).
« Non vendenf... lisagralìtni, arsenicum ;
subliinatutn scu aliqnid aliud venenorum. »
(Filippi, Statuti de W arte degli Speziali in
Savona, pag. 97); tale sostanza a pag. 95
viene detta risagratum.
Ligonizare (scavare con badile).
« Nemo audeat ligonizare prope inuros. »
(Stat. Garlende).
« Si aliqua persona laboravcrit scu li,i^o-
nizaverit prope aliqucm tcrminum, cadat.
(Idem).
Lìmonus (limone).
« Si quis inventus fuerit. esportando
ortalia, frtictus, persica., poma, ficus ^ da-
masinas, citrulos cedros, limonos et alios
fructus, condemnetur. » (Stat. Albingane).
Linosa (seme di lino).
« Debeant dare drictum... de rosa et de
linosa. » (Cuneo, Debito publico, pag. 12 .
Lisca (specie di fieno).
« Liceat cuilibet, poleas, liscas, fenum et
stramen tenere. » (Stat. Sarzane).
176
GIROLAMO ROSSI
Litatium
« Nec in annulis (aurifaber) ponal lita-
tium sub lapidibus annulorinn, vel aliud per
quod fraus aliqua couiììiitatur .ì> (^\.'A\.. Bobii .
Litterile leggio di coro .
« Proniittit fabricare scancillos octuagiuta
et litterile unum cum januis chori. » Ali-
zeri, Notizie, III, pag. 80).
Loerium (mercede).
Nell'antico Statuto d' Albenga alla rubrica
de his qui requisiti sunt per potestalem , si
dice, che nessuno può esimersi dal carico
imposto, nec possit inde liabere loerium a
coiìimuni.
Lotonus (ottone).
«- S( andate ta, coiitaria, et romana debcant
esse de ferro aul capro vel lotono. » (Stat.
Albingane .
Lovea ?
De agregando lovcam castancarum et
terratn comunis » (Barelli, pag. 51).
Ludus (rappresentazione sacra, nel qiial
senso la riporta Emiliano de Giudici,
nella storia della letteratura italiana,
tom. I, pagg. 364 e 365).
11 Ludus de tribus Marlis nel xi 11 secojo
si rappresentava nelle chiese, come ci ri-
corda l'Arturo Ferretto.
Lulisana (così si trova scritta la voce
Lniiigiaiia nel xiii secolo).
Lotus (lavatojo).
« Xon possit vendi per commune lutum
seu lavackiiiìii quod fuerit in si rata. » f Po-
destà, pag. 72).
M
Macaroni (vermicelli di grossa forma).
« liarixella una piena de macaronis. »
(Ferretto, Cod. diplom., 2", pag. 2S6).
Madiastinus (dispensiere).
« Nullam cuìn minislris et ipso coquo vel
madiasthw habeat familiaritatem. » (Landi-
nellus, Synod. Abingan., pag. 453'.
Magagna (difetto).
Si dieta campana haberet aliquam ma-
gagnam seu esset stronata , promitto eie. »
(Alizeri, Notizie, VI, pag. 67).
Da tale voce originava il verbo maga-
gnare che significava rendere difettoso,
come si ha in Quicumque magagnavcrit ma-
num vel pedem pania tur. » (Podestà, pa-
gina 3S}.
« Si percusserit bestiam tninatain et ipsam
magagnaverit vel parancaverit, solva t, eie. »
(Stat. Casenove).
Pare che traesse origine da mangano,
macchina da guerra, che scagliava sassi e
feriva uomini e bestie.
Magazenus e Machazenus (magazzeno).
Previa tamen existhnatione pannorum ip-
sorum de dictis maghazenis. » (Sella, Pan-
dette, pag. 156),
Magena (sorta di dazio).
« Solverti aliqaid ratione scaliatici et
ìnagene. » (Lib. juriam, 2", pag. 443).
Magiscola (magister scolarum).
« Ilonorifice ivit cum d. Oberto preposi lo
sancii Laurentii, Ogerio Calata magiscola. -d
(Ottobon. Scriba).
11 magiscola divenne poi in alcune cat-
tedrali una dignità dei Capitolo.
Magister Ascie (carpentiere).
La speciale arte del falegname ad uso
di costruzioni in legno, nota oggidì col
nome di carpentiere, che serve all'idraulica,
alla guerra e alla marina, è stata preceduta
per la parte che riguarda l'architettura
navale, dal maestro d'ascia, artista predi-
letto nel medio evo in tutte le città e terre
liguri. Lo statuto di Levanto ricorda unum
corafatum et ununi magistrum ascie ; l'an-
tico della città di Savona ha il Capitolo:
de juraniento magistroruìn ascie et cala-
factorum; Bonavera di Porto X'enere. Magi-
ster axie promittit faccre quandam galeain;
si può dire che non si hanno rogiti notarili
di quell'epoca che non facciano ricordo di
quest'operaio; accade talora di rintracciare
in quelle carte il novero degli istrumenti
che a lui abbisognano, come viene ricor-
dato nel testamento fatto il 30 ottobre 1277
dal maestro d'ascia di Porto Maurizio, che
enumera axiam imam, axonum unum, nia-
narias duas, serras Ires, marc/ias trcs, scor-
pellos sex, vcrrugios duos, verrinas tres, jo-
44
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
177
nas duas, liinas duasjrapanum unum, niolain
imam prò amolare ferramenta. (Ferretto,
Cod. diplom., 2", pag. 153).
Magister cartarum a navigando (carto-
grafo).
« Considerantes opus esse continue in hac
civitate magistris... qui conficiant cartas ad
navigandum. » (Giorn. ligustico, ann. 1873,
pag. 79)-
Majestas (ancona, dipinta sul legno).
« Promisit construere ìuajestatem unam prò
altari. » (Varni, Appunti artistici, pag. 85).
« Promisit constrtiere niajestatem in capella
altaris S. Jo. Bapt. » (Alizeri, Notizie, H,
pag. 28).
Malandrinus (malandrino, furfante).
« Teiicatur niagistratus cantra illuni taleni
malatidrinuìn vel hoinineìn male fame pro-
videre. » (Stat. Albingane). Altro esempio
di malandrino si ha a pag. 27 dello Statuto
di. Genova del Visdomini, voi. 2".
Maletolta (gabella che secondo il Ci-
brario s'imponeva sopra oggetti non
gabellati, e secondo il Desimoni,
varrebbe avaria).
Nel 1233 Ottone marchese del Carretto,
« cognoscens debilitatem et paupertatem totius
populide Cario, absolvit euni ab omnifodro,
fido seu malatolta, quani et que consuetus
est accipere. » {Documenti su Cairo 3Ton-
tenotte).
Malvasia (vino prelibato).
« Tabernarii solvere debeant prò gabella
tertiam partem pretii valoris vini, per eos
venditi, coinprehensis etiaìn moscatellis, ver-
naciis, nialvasiis et roxeziis. » {Convent.,
Concess. et decr. Civitatis Saone, pag. 21).
Mancha (deficiente).
« Qui vendiderit ad mensuram niancham
postquam marchata fnerit, mensura com-
buratur » (Barelli, // libro della catena,
pag. 39).
Manata (vedi garba).
Mandilus (fazzoletto).
« Misi unam crucem argenteam fasiatam
cum uno ex rnandilis sepie. » [Atti della
Società Ligure di Storia, voi. XIII, pag. 996).
Mandriare concedere al pascolo).
« De non retinendo bestiamen forensium
iti domo seu capana et de non mandriando
terras ultra odo dies. » (Stat. Falcinelli).
45
23 — Mise, S. Ili, T. XIII.
Manelha (maniglia).
« Iteni unum parvutn cacabum absque ina-
nhela. » (Chart. de S. Pons, pag. 2401.
Manganus (macchina da guerra per trar
pietre),
« Bella inulta cuìu tnanganis et gatis ad
civitatem dederunt. » (Caphar., Ann., 1148'.
Mangiatura (mangiatoia).
« In stala, mangiatura una cuni raste-
leria.y> Giornale ligustico, 1890, pag. 38).
Manicus (manico).
« Coltelleriani unam... cum nianicis de
argento. » (Giornale ligustico, 1884, p. 354).
Mansus (dicevansi la casa e la terra del
coltivatore).
« Dono cartain de decimis rerum omnium
de inanso boni avenionensis. » {Chartul. Li-
rinense).
Manteleti (così chiamavansi certi pezzi
di canevacci, che si mettono alle
vele dove si lega l'antenna all'albero
per conservarle).
« Troca una cum inanteletis et bigota. »
(Belgrano, Documenti, pag. 240 .
Manticularius (furfante).
« Liceattainen magistratui meretriccs , ìnan-
ticularios , publicos latrones torquere. > {Stat.
crimin. Saone, pag. io).
Manus morta (manomorta).
« Ouod nullus audeat vendere possessiones
in manus niortuas. » (Cais , Sfai, de Vinti-
mille, pag. 88).
Manzus (vitello).
« Item prò vacchis et manzis vena li bus
den. VI. » [Pro franchisiis Ceve, pag. 3].
Marabetinus (moneta).
« Centuin tredecim iniliaria inarabetino-
rumvalens promiserat.» (Caphar., Armai.).
Marcare (segnare con qualche impronta).
Lo Statuto di S. Romolo per punire alcuni
crimini usa marchetur ferro calido ; in quello
di Taggia si dice marchetur in maxilla
dextra il falsificatore di pesi e misure ; ed
in quello di Bardineto i ladri che non pa-
gano le multe, marchentur in fronte cum
ferro focato.
Marcha (al cittadino ingiuriato o dan-
neggiato concedevansi in Italia let-
178
GIROLAMO ROSSI
tere di marcila, per indennizzarsi
nella persona e negli averi del dan-
neggiante estero, ove gli fosse ricu-
sato giustizia: era il diritto di rap-
presaglia individuale legittimato).
« Tefieatur concedere inarchain et repre-
salias. » (Stat. Nicie).
Marescalcire (medicare le bestie).
« Ulla persona audeat marescalcire vel
scarcarc aliquam hesHani de aliqua infirnii-
iate vel inacagna, nisi causa ferrandi . » (Po-
destà, pag. 60).
Marinaricia (salario dei marinai).
« Affiriìiamiis qiiod niarinarius vel alius
qui marinar iciam defenderunf... habere non
possitele. »(Relgiaiio, Documenti , pag. 319)
Martirus (màrtore).
« Non possit portare ad manicas aliquas
frodaturas de pellibus martirorion. » Sta-
tata Saone).
Marrelus.
« Promisit fabricare barconos omnes diete
doinus ad marrelos scantos fulcitos omnibus
necessariis. » (Alizeri, Notizie, VI, pag. 43).
Marsapanetus (bossolo o bossolino).
« Marsapanetus eburneus rotundus iìi quo
sitili de digito sancii Nicholai et aliereliquie. »
(Alizeri, Notizie, i", pag. 72. Marzapanus si
ha nel Ligustico del 1S84, pag. 353).
Marza (corrotta, fetida).
« Baiium unius soldi so Iva t qui proyecerit
aqiiain niarzam vel riiinenfain per treugos »
(Harelli, pag. 29).
Mascarati (denominazione della parte
ghibellina in Genova).
« Per hoc tempus genus Mascharati et
Rampini veteribus nominibus omissis, comune
celere Italie nomen Gibellinorum et Guel-
forum acceperunt.-» (Foliete, Genuenseshi-
storie, lib. IV, pag. 84).
Masnada (compagnia di gente armata).
« Faciunt ad opus clcricorum et militum
et tocius masnade. » (Ciiornale ligustico, 18S2,
pag. 162).
Masnengus e anche Marengus (lavora-
tore forestiero).
« Si masnenghi herìnitorum bcstias in
aliqua ba unita custodieriut... consules possiut
et tejieanlur ipsos viasnetighos personaliter
deiiticre » (Barelli, pag. 44).
Dei masnengi, di cui parla l'Olivero a pa-
gina 76 delle Memorie storiche di Ceva, dà
il significato 1' Assandria, a pag. liv e 60
nei Capitula et Statuta Baennaruin, éo\e si
legge : « si quis habuerit aliquem masnengum
cxtraneum, teneatur facere jurare eie. »
Massacaresio (ora La Calle, città dell'Al-
geria).
Questo nome s'incontra nelle carte liguri
per essere stata una fattoria corallifera, ac-
cordata nel XV secolo dal re di Tunisi al
negoziante genovese Clemente Cicero.
Mastia e talora Mastra (madia).
« Si creditor solutus fuerit in vegetem
vel mastram, teneatur reddere. » (Stat. Men-
toni). « Quicumque molinarius debeat habere
mastram unam prò suo molendino. » (Sta-
tuta Uvade).
i»
Mastice (mastice).
« Palronus galee, officiales ministrarie et
scriba masticis. » Giornale ligustico, 1882,
pag. 55).
Massarius (cassiere).
« Unum massariuni habere debent consules
qui custodiat pecunias.y> (Stat. S. Stephani).
Matharacium (materasso).
« Unum matharacium, unum pulvinar et
unum cohopertorium modici valoris. » (Cais,
La Ville de Nice, pag. 347).
Matriculare (iscrivere).
« Teneatur se matriculare hoc modo. »
(Stat. Sarzane). *
Maure (nome rimasto in molte località
liguri, perchè occupate dai Saraceni).
Mazaria?
« iMazarie in introilu dabunt ad mare da-
renios decem.-» {Liber juriutn, an. 1156).
Maxoratoria (maciulla).
<,< Si qua persona f eceri t ìiMXoratoriam
nuciuiìi in Garexio, solvati etc. » (Barelli,
pag. 74)-
Meanus (pascolo).
Nello Statuto di Sospello si hanno i con-
fines meanorum de Ameglia, de Agaxze, de
Ubaco etc, come si ha pure Meania in senso
di mandria.
Medagia (medaglia).
« Que imagines seu inedagie laborari de-
beant per magistrum Carolum. » (Alizeri,
Notizie, II, pag. 373).
46
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
179
Medianus (unito ad homo, vale borghese).
« Imo eligere hoinines tres de onvii quar-
lerioy unum de diviiibus, aliutn de paupe-
ribus et reliquunt de niediam's. » (Podestà,
pag. 57)-
Melega (granoturco, formentone),
«In leguminibiis et melega incurrat ban-
num de die solid. xx et de noe te solid. xxx. »
(Stat. Albingane, anni 1519'. Gio. Ant. Mo-
linari nella sua Storia d'' Incisa {i^io) appog-
giato ad una Cronaca di Francesco Turzano,
vicario del vescovo d'Asti (1515) reca una
carta donationis vere Crucis et primi seminis
nielige, fatta alla comunità d'Incisa nel 1204
da Giacomo marchese d'Incisa, carta ornai
ritenuta apocrifa. D'altra parte il signor San
Donnino da Modena ha cercato di dimo-
strare nella Rivista Europea, che la melega
non fu conosciuta nel vecchio mondo, che
sul finire del secolo xvii. Se non ha valore
di sorta la carta del Molinari, viene posto
pure in contraddizione dal surriferito brano
dello Statuto albinganese, il San Donnino ;
né crediamo di male apporci assegnando
l'introduzione di questo cereale in Europa
nel secolo xiv, trovando ricordata la polenta
in un documento riferito a pag. 9S3 della
Storia dette Atpi marittime del Gioffredo e
che è dell'anno 1400 con queste testuali
parole : Saccos sex pottenta excambiavit prò
biscoto.
Menare (condurre).
« Ipsuni duxerunt sive menaverunt Sar-
zanam. » (Podestà, pag. 92).
Menutus (minuto).
« Pro eo inquisiverit bestia-m stiam gros-
sam vel menutam. » (Stat. Apricalis).
Mercantia (così veniva appellato in Ge-
nova un ufficio composto di otto
sapienti, che dovevano soprainten-
dere ad ogni cosa riferentesi al com-
mercio, con giurisdizione sopra le
cause a questo attinenti).
Merciprecare (implorare con preghiere).
« Merciprecando ut plebe jo Plecanie mise-
ricordiain prestaret. » iObert, Cancellar.,
Annales).
Meseleria (ospedale di lebbrosi).
« A flumine quod dicitur Beura proten-
ditur usque ad meseleriam. » {Chart. de
S. Pons, pag. 100).
47
Mesischa (siero di latte).
« (lui emerit mesiscìiam, casicavalos vel
caseuin grassutn He. » (Pandiani, Statufa
Pori. Veneris).
Mestralis e talora Mestralium (ufficiale
preposto alle grasce).
« Mestrales habeant potestatem accipiendi
pignora. » {Lib. jurium, I, anno 1149;.
Meta (listino dei prezzi).
« Maestrales de mense in mensem debeant
ponere metani. » Stat. Uvade .
« Nec ante metam pisces vcfidi debeant. »
Stat. Levanti ,\
Meta è stato usato anche in senso di
bieca:
« Si aliqua persona metam feni vel palee
acceperit solvat etc. » (Stat. Triorie); in
questo senso è dato pure dallo Statuto di
Zuccarello.
Metreta (misura detta mezzaruola).
« Item botes tres prò aqua prò mille me-
tretis. » (Belgrano, Documenti, pag. 15);
« Sub pena solid. xl prq qualibet metreta
dicti vini. » (Stat. Levanti).
Mezarolia (mezzaraolo, misura di 160
litri).
« Habeat vegetes prò aqua levanda usque
ad mezarolias centum. » (Belgrano, Docu-
menti, pag. II).
Milum (governatore dei Saraceni).
« Sii quesfio ad duganam ante milum. »
{Atti Società ligure, voi. XIX, pag. 168).
Mina (misura pari a kilogr. 90,895).
« Si dictuìn granunt excesserit quantitatein
minar UDi quinquagifi fa. » (Stat. Padri, p. 21 .
Misericordia (de) (così appellavasi in
Genova un magistrato che attendeva
al riscatto degli schiavi cristiani,
alla collocazione di zitelle povere e
a soccorrere famiglie indigenti).
Miscelare (mescolare).
« Si inventus fuerit farine aliquid miscu-
lasse, cadat etc. » (Stat. Albingane).
Missa Sancti Gregorii (consisteva nel
dire per trenta giorni consecutivi
al transito d'una persona, una messa
in di lei suffragio e nel salmeggiare
durante la messa l'ufficio dei morti).
i8o
GIROLAMO ROSSI
« Teneatur celebravi facere unufn trente-
narimn niissarwn, que tnisse Sancii Gregorii
nuncupaniur . » (Testamento di Lamberto
Grimaldi del 1487).
Mitratus (dicevasi del condannato ad
avere la mitra in testa per berlina).
« Mitratus stet pre foribus ecclesie integro
die festa.» (Costa, Constit. Synod. Savo-
nensis, pag. 97),
Lo Statuto di Loano punisce lo spergiuro
colla pena della mitra, della scova e della
corda.
Mixtura (mescolanza di farina con orzo
e segala).
« Tenetur prefato domino prò decima epi-
scopi in tninis xxv, videlicet duas tertias
partes mix tur e et tertiam frumenti. » (Rossi,
Storia di Dolceaqua, pag. 245).
Mochia (sopramanica larga cadente).
« In alio coffano iiivenerunt... mochias
duas de roxea, » (Giornale ligustico, 18S4,
pag. 354).
Monerius ?
« Constit Soldaie noti possit, audeat vel
presumat se impedire de boschis et moneriis
que accedant Capham.» {SV^ii. Caphe, p. 660),
Mondificare (spazzare).
« De viis et stratis mondificandis » (Sta-
tuta Sarzane).
Monhopolion (congrega, conciliabolo).
« Nulla persona audeat facere monhopo-
lion seu accampamentiim a tribus personis
supra sine licentia curie. » (1345, Atti della
comunità d'Ilonza).
Mons Arimannorum (risponde al comune
di Serravalle, come si può riscon-
trare a pag. 144 del 1° volume degli
Atti della Società ligure, pag. 144).
Montare (salire).
« Montando per fossatum... calando per
viam publicani versus villain » retornando
ad fossatuìu /*<3^c>r« (Barelli, p. 61).
Morbidare (avvelenare).
« Nulla persotia audeat, calce seu aliquo
alio vencno morbo, vel re mala, fìumina seu
aquas Triorie ani aliquam carum infcere,
tossicare, venenare, seu alio quovis modo
morbidare. » (Stat. Triorie).
Mortalegium (diritto di sepoltura).
« Sani ecclesiastici fructus canofiicoruin
tnortalegium totum. » (Cais, Cari. Calli. Nicie,
pag. I'.
Morticinus (epiteto di bestie decedute
di morte non naturale).
« Carnes morticinas idest que non sunt
niortuae, morte naturali. » (Stat. Zuccarelli).
« Exceptis carnibus graniignosis^ morbosis
seu morticinis. » (Stat. Vezzani).
Moschettum (arma da fuoco più grossa
dell'archibugio).
« Ducala 330 prò pretio xv moschet-
toruin artilariarum.» (Alizeri, Notizie, W,
pag. 411)-
Mota (dicevasi un'associazione di cit-
tadini, avente per iscopo di difen-
dersi dalle soperchierie dei feuda-
tari ; e mota pigliava nome il luogo
dove essi si ritiravano).
Di un'abbazia della Mota fa parola il
San Quintino a pag. 169 delle sue Osser-
vazioni critiche: di altra mota del contado
di Nizza, presso le rocche dei Richieri,
abbiamo queste parole: exitusque ad mo-
tam, remanente dieta mota et valotmm de-
cursus castrum de Levens, [Chartrier de
S. Pofis, pag, 74). Ma dove chiaro appare
quale fosse lo scopo della mota è in
Dolceacqua nel monte, detto ora di Nostra
Donna della 3Iuta, che fronteggia il castello
feudale e la terra, da cui lo distacca il
corso del torrente Nervia. La chiesa ricor-
data in una bolla di papa Calisto III del 1151
è detta semplicemente Ecclesia S. Marie,
ma in altre carte del successivo secolo^^^/t'^m
S. Marie de la Mota, denominazione venu-
tale dalla residenza, che quivi presero a far
gli uomini liberi contro i Conti di Venti-
miglia, costruendo il sottoposto borgo e la
chiesa pievana di S. Giorgio; di guisa che
il feudatario e i suoi vassalli stavano alla
sinistra della Nervia colla piccola chiesa de-
dicata a S. Antonio abate; e alla destra gli
uomini liberi della viola con una ampia
chiesa plebana ufficiata da canonici. La voce
Mota è ancora viva in un documento del
1446 ; ma la libertà che irradiava dal voca-
bolo tornando molesta al potente signorotto
Enrichetto Doria, vediamo presto conver-
tirsi in muta, la chiesa, per aver la Vergine
ridonata la voce ad una povera pastorella;
e il vecchio San Giorgio convertito in ci-
48
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
I8l
mitero, cedere la dignità di pieve alla cap-
pella di S. Antonio che si alzava ai piedi
del castello ; il signorotto aveva trionfato ;
né avevano più senso i versi che segnavano
la vittoria degli uomini della compagna:
Opposuit medium flunien natura fluentem,
Qui burcum vallo disterminat exteriori;
Hic obstat Corniti, ne vires transferal ultra.
Mezzetta (indumento ecclesiastico).
Si vieta ai membri del clero di compa-
rire in pubblico sine talari veste et siiper-
humerali sive mazzetta et in ecclesia sine
linea veste quam rochetum appellant. » (Palla-
vicini, Decreta provincialia, 1586, pag. 16).
Mugius mucchio).
« Quis acceperit fenum de cumulo vel
mugio. » (Stat. Zuccarelli).
« Si bestie invente fuerint in alienis pratis
non segatis aut supra niugiis vel metis etc.
(Stat. Naticini).
Multonus ed anche Mooton (montone).
Multone si ha nello Statuto di Albenga
e Mooton in quello di Carpasio, come: in
festo Sancii Joannis dejufiio inootouem tuiuni
valentem sol. vi et zoncatam imam.
Mundiburdium (secondo lo Schupfer era
il mundiburdio la suprema idea po-
litica del diritto germanico, e ab-
bracciava tutti gli ordini cittadi-
neschi del regno).
« Preceptimt et mundiburdium anteces-
sorum nostroruni nobilissimorum impera-
torum obtulit.» {San Quintino, Osservazioni,
pag. 25).
Muquilonus resto di candela).
« Expedire teneatur omnes candelas et
muquilonos. » (Stat. Sospitelli).
Murcha (immondezza).
« Nulla persona proiicìat de domo sua
aliquam tnurcham vel aliam tarpem rem. »
(Stat. Falcinelli).
Morta (mirto).
De coriis tenendis in viurtas si ha nello
Statuto di Albenga; si aggiunga ancora che
la coltura del mirto era molto estesa nel
medio evo, perchè esso oltre di servire
all'arte dei conciatori, veniva usato nelle
chiese nelle principali solennità dell'anno.
Muscatellum (vino generoso).
« De tur iti prandiis in principio vinti m
muscatellum cum biscotis. » 'Stat. Padri,
pag. 139).
Muscheta (moschea, tempio turco).
« Saraceni ad muschetam eorum fugerc
ceperunt. » (Caphar., Annales).
Museracus (musoliera).
« Lanceas et museracos et sagittas non
detraham. » (Giorn. ligustico, 1896, pag. 67).
Musihiata (mostacciata).
« Nevio audeat ferire de pugno vel de
manti super faciam alicujus persone vel de
musihiatis. » (Pandiani, Statuti di Porto Ve-
nere, pag. 77^.
Mystaches (mostacchio).
<< Luxuriatur barba... in labiis mystaches
hirsuti. » (Landinelli, Synod. Albingane,
pag. 384).
N
Nacara (conchiglia).
« Paria duo [de cullelletis) cum manicis
de jasprio et paria uno cum manicis vir-
gatis de nacara. » Ferretto, Cod. diplotn., 2°,
P- 358).
Naquus (gualdrappa).
Papa Innocenzo II elevando nel 1133 la
chiesa vescovile di Genova a sede di me-
tropoli, a Siro primo arcivescovo eletto con-
cede honorettir equo albo ciati naquo albo
in processionibus. {Lib. jiirium, i", pag. 42).
Nasa e Nausea per Nassa (arnese pe-
schereccio di forma circolare che si
49
butta in mare con determinato peso,
perchè vada al fondo e contiene esca
per pesci).
« Omnes piscatores gororuin, nasarmn,
tremaj orimi, bugarum debeant vendere ad
libravi. » (Pandiani, Stat. Portus Veneris).
Lo Statuto di Sospello ha una rubrica
intitolata : Debanno contra stt acantes, anior-
bantes et piscantes cuvi corbino, nauzea, in-
canata, bertavel, barrel et capairono.
Nauclerius (nocchiero ; scrive il Bei-
grano, che molti confusero il noc-
cliiero col pilota, malgrado che tutti
I82
GIROLAMO ROSSI
gli antichi documenti ci avvertano
della diversità, che esisteva fra le
funzioni di questo e quelle di quel-
l'altro; perchè nel mentre che il
pilota dirigeva la mota, il nocchiero
era il pratico del mare, il niatio-
vrieré).
« Unus {ex inarinariis) debet esse no-
cherius (altrimenti naticlerius) bonus et siif-
ficìCìis. » (Bel^rano, Documenti, j^ag. 24).
Naumata e Numata prezzo d'una merce
che si dava corrispondente al valore
di un nummo, come obolata di un
, obolo, deiìariata di un denaro e li-
brata d'una libbra).
« Et si emei'il vimiìu ad minutum solvat
de qualibet niunata sol. v. » (Stat. Albin-
gane).
« Taberìiarius tencatur dare de Jininatis
quas vendideril... pio denariis suis. » (Stat.
Lavnne).
Naveta (vaso in forma di navicella, per
tenervi l'incenso).
« Item tinuìn terribitnin de argento
item imam navetam de aramo deauratam. »
(Cari. S. Pontii^ pag. 370).
Nerozare (incrudelire).
« Asperrime erga civitatcm lamie nero-
zavit. » (Ottob. scriba, an. 1194).
Nettum (completo).
« Cum vero nettum non inveniat scriptum
possit notarins compiere. •» {Podestk, p. 17).
Nogaredum (campo messo a noci).
« Actum in ecclesia Sancte Marie de No-
garedo ». Carta del 1227, in questo senso
si ha nogarium nel voi. II del Carini, li-
rinense.
Novale (campo incolto).
« Sane novalium vesfrorum nullus in vobis
exigere decimas presumat. y>{Cart. S. Pontii,
pag. 57)-
Novena (diritto feudale).
« Item novena, acconciatnenta, affiliamenta
et tertiam partem successionmn. » (Stat. di
Calizzano).
Nucha (sorta di berretti, onde uomini e
donne coprivano parte del capo).
« Nucham imam a puella de chamocato
violato., nuctiam imam de zetoni ab homine. »
(Giorn. ligustico, 1884, pag. 354).
Nuriguerius (pastore di greggi).
« Dum nuriguerii dicti Castri novi velini
eani [banditam) emere pretio suprascripfo. »
(Cais, Le fief de Chàteauneuf, pag. 502).
Quicumque nuyrigherius sive nutritor si
legge negli Statuti di Sospello.
O
Obedientia (cosi veniva chiamata du-
rante lo scisma d'occidente il rico-
noscimento di uno dei diversi pon-
tefici che sedeva in Roma o in Avi-
gnone).
« Urbanus VI nomiualus predecessor dicti
Angeli Coriarii., olim Gregorii XII, in pre- \
fata obedientia... eidem ecclesie vintimiliensi
lune similiter vacanti providif.>'> {Rossi, Lht
Vescovo scismatico. Archivio storico italiano
del 1893).
Il Jarry nei Documents diplomatiqucs,
Paris, Picard, 1896, a pag. 6 reca la impor-
tantissima data (22 ottobre 1404) della rico-
gnizione fatta dall'arcivescovo di Genova e
dai vescovi di Savona, di Albenga e di
Ventimiglia all'antipapa Benedetto XIII:
Instrumentum rrdactionis lanue. Savane,
Albingane et Vintimilii ad obbedientiam Be-
nedicti XIII.
Oblatio (con tal vocabolo erano indicati
i doni offerti dai fedeli nelle princi-
pali solennità dell'anno: chi offriva
un fascio di legna, chi cacio, chi
agnelli, chi vino e chi olio; né le
donne erano da meno degli uomini,
ed esse portavano filo, lana e tela.
Dopo le funzioni tali oggetti veni-
vano posti all'incanto ed il prodotto
era destinato alla chiesa od al pie-
vano).
« Locum Sancii Nazarii de capile Albarii
primitiis et oblationibus concedimus. » (Desi-
moni, Regesti delle lettere pontificie, p. 112).
50
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
183
Oblia (specie di focaccia).
Il Gioftredo a pag. 313 della sua Storia
ricorda iiiedictalcìu decime et tascain et
quartain et deciinaiii de vino et oblias et
ìHu/toneni.
Obolata prezzo d'una merce del valore
di un obolo, vedi Naumata).
Occellare (uccellare).
« Nulla persona occellare audeat ad co-
lutnbos. » (Stat. Sarzane).
Occulus (apertura circolare praticata
negli edifici per introdurvi la luce).
« Se obli gavertmt fac ere occulitin magnum
in ecclesia Sancii Laiirentii vitreuni de bono
et darò vitreo, cuin figuris... bene ligatnm
et ordinatuni cutn siiis plombis et filis coin-
pletis. » (Alizeri, Notizie, voi. Ili, pag, 24 .
È chiaro che qui si parla di una vetriata
a figure colorate coi pezzi riuniti fra loro
per mezzo di piombo filato, vetriata che
lasciava penetrare la luce coi colori del-
l'iride nel vasto tempio. Segnava dessa un
progres.so, fra le finestre a strombatura dei
Longobardi chiuse da pietre traforate, come
se ne può tuttora avere un saggio nell'an-
tico Battistero di Albenga.
Oltrare (approvare).
« Eam venditionem sibi coinplacebal et
eaui oltrabat. » (Garroni, (ìuida, pag. 121).
Oralia (Cuscino).
« Causa adiscendi ministeriuni tuìcni te-
xendi oralia lini et sete. » (Ferretto, Codice
dipioin., 2", pag. 312).
Orata (pesce, vedi logelsein nella i"
parte).
Orba (unito a littcra significava ano-
nima).
« Litlcras fainosas quas dicunt orbas in
daumuììi notabile ter Hi, scribenles excoinu-
nicantur. » (Landinelli, Synod. Albingan .).
Orlus (orlo, estremità).
« Non perinittain orlimi de/erre ultra
predictaìH quanlitatcìn.-» (Giorn. ligust., 1S96,
pag. 72).
Ortoclea (torta).
« Non possil accipere de aliqua torta vel
ortoclea nisi denarios iv. » (Stat. Albin-
gan e).
Osmadum ?
«■ Puviale unum... cuin fusto trino aureo
ci cuin duobus osmadis. » (Giorn. ligu-
stico, 18S6, pag. 268).
Ostueyra (paravento).
« /lem unaiìi ostueyrani circa lectuni. »
{Carf. S. Fonia, pag. 240).
Ovum (gioco).
Fra i semplici giuochi del medio evo
eravi quello delle uova e delle nocciuole,
come è fatto chiaro da una rubrica dello .Sta-
tuto di Apricale e Isolabona dell'anno 1430,
nella quale si legge: reservato guod in festo
Pasce videlicet illis tribus diebus passini lu-
dere ad ova ; a vigilia nativitatis Domini ad
epiphaniam possinl ludere ad avelanas.
Paela (padella),
« Possil vendere... calderani, pairoluin rei
pairolam, paelain ctc. » (Stat. Aibiiigane).
Pagare (saldare un conto),
« Clautatit se quielos et pagalos. » (Bei-
grano, Registro 2^, pag. 173); e da questo
verbo si è formato pagamentuni di cui si
ha esempio negli Statuti di Diano : citttricus
teneatur portare literas sine aliquo salario
vel pagamento.
Pagiolum ?
« Duo sedilia laborata de straforis, bra-
seria vero et columne de lignaminibus nucis
inlaliatis. ad que sedilia ascendatur per duos
gradus , seu scarinos supra dictum pa-
giolum. » (Alizeri, Notizie, voi. VI, pag. 30).
51
Palla (ancona, quadro).
« Pallam S. Pctri martyris R. P. D. Em-
manuel Macharius de Pigna delineavit. »
(Calvi, Chronica convenlus Tabie).
Pallionis (Paglione, torrente presso
Nizza).
« Vinca que est ju.vla /lumen Pallionis. »
(Cais, Carf ut. de la cathed., pag. 52).
Palmata (così chiamavasi una terra
nella pieve di Voltri presso il lido
del mare, nome che si vuole le de-
rivasse da Pahnarùis o Palniatus,
che così veniva chiamato il pelle-
grino che dopo aver fatto per voto
o per pietà il viaggio di Gerusa-
i84
GIROLAMO ROSSI
lemme, ritornava in patria recando
rami di palma, onde è sì feconda la
Siria. Così la pieve di Veltri si
chiamò nei primi tempi Plchs de
Vultiiro, in seguito Pahìiaro ed
oggi Pro).
{Annali storici di Scslri di panai le, pag. 89
e 90).
Palmola (specie d'orzo).
« Pensavi faciant graiìuin, silii^ein^ordeuvi
ci palmolam aijuslihet persone (Jvadc. »
(Stat. Uvade).
Paltronarius (paltoniere, vagabondo).
« Exceptis latronibus, furihus, liraloribiis,
paltronariis et falsar iis. » (Podestà, pag. 8).
Panalis (misura di capacità per le ca-
stagne e l'avena, rispondente a un
decimo di salmata).
« Scrvitiuìn aìinunm unins panalis casla-
ncarum recentarimi in festa onitiimn San-
ctoruin. » [Chart. S. Pontii, pag. 286).
Pancia (ventre).
« De panciis aniinalinin non apcricndis in
■macello. » (Stat. Albingane).
Pancogolus (Il marchese Imperiale seri ve
che pancogolo era chi vendeva il
pane e fornajo chi lo cuoceva).
« Iniroytns paiicogoliormn, caiitari^ casei
rcdiinernnt. » (Ogerii Panis, Annales).
Panphilus (nave simile alla saetta).
« Proniissio facicndi corpi panphili nnius. »
(Relgrano, Documenti, pag. 27).
Pantanus (luogo dove c'è melma e acqua
stagnante).
« Acticiit extra burgtnn Thabie in can-
tra ta pantani. » {Atto del nat. Rainera
Arnaldo).
Papyrus (carta vegetale rispondente al
nostro pape).
« Itcìn dominus Dnlcisague ìiabet edificium
papyri quod tenet inagistcr Jìartholamciis
Villanus ad fictum. » (Rossi, Storia del
march, di Dolccacqua., pag. 24).
Parabola ordine, mandato).
« i\'an teneatur facere hoinicidiinn, in-
ccudiiiiìi, tradimentian nec gnaslmn nisi de
patcstatis parabola. » (Podestà, pag. 33).
« Non rccipiat in pignare nisi de parabola
itlius, cujus esset tela. » (Stat. Cuxii).
Paradisum (così chiamavansi le grandi
camere delle antiche galere).
« Vendit navem pegatam et calcatani totani
Clini tribus cohapertis et tribus paradisiis. »
(Fazio, Varazze e il suo distretta, pag. 94).
Paranchinum (istrumento per innalzar
pesi).
« Brace hii duo de asta, aste duo de proda,
paranchinum unum. » (Saige, Monaco et Ics
Grimaldi, pag. 160).
Parapetum (parapetto .
« Teneatur fieri facere quinquaginta bra-
chia parapeti de muro. » (Stat. Falcinelli).
Paratorium 'edificio dove si stendevano
i panni).
Nei rogiti del notaro Giovanni de Aman-
dolesio sono ricordati i malcndina ed i pa-
ratoria di Raimondo Giudice nel 1258.
Paria (riunione di più tropati di bestie
da introdurre al pascolo sulle Alpi).
« De pariis agnelatorum vel vaciarum ad
accipiendas aliquas bestias. » (Stat. Cuxii).
« Ut pastores unins parie sive societatis
non valeant facere nisi unum vailem pra
paria sive socie tate. » (Stat. Tri ori e).
Paricla (copia).
Nel medio evo di cadun contratto face-
vano i notari due esemplari perfettamente
identici e scritti sulla stessa pergamena
divisa in due colonne e segnata in mezzo
colla lettera dell'alfabeto. Firmato e con-
chiuso l'atto scindevasi la pergamena e
così potevasi dell'autenticità fare il con-
fronto. Desse appellavansi charte paride e
di una di quelle parla l'Olivieri a pag. 334
della Serie dei consoli del comune di Ge-
nova.
Paries (misura).
« Paries sii quinque brachiorum et dimidii
textoris, de parietc tele stupe den. acto. »
(Stat. Bobii, pag. 68).
Parlatorium (luogo dove si parla nel
chiostro delle monache).
« Actum Genue in parlatorio dicti mona-
sterii, respiciente versus pia team. » (Alizeri,
Notizie, W. pag. 60).
I Paromaria (Il Manfroni l'ha tradotto
' per paraonde).
I « Scafas duarum galearum et paromarias
1 retinuerunt. » (Oger. Panis, Annal. 12 io).
52
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
185
Parrago pergolato).
« Casale sitmn juxla parraghiem diete
ecclesie. » {Chart. S. Fonlii, pag. 277).
Partire (partire).
« Postquam diete galee cinn aliis galeis se
partiverint de por tu Monachi prò eundo et
navigando. » (Saige, Documents antcrieurs
au XV siede, tomo I, pag. 224).
Pascatum omnia festa (con questa frase
si comprendeva il periodo di tempo
che corre da Pasqua a Pentecoste:
e ad addurne una prova basterà ri-
ferire un brano degli antichi Statuti
di Sarzana in cui non si fa parola
della solennità di Pentecoste).
« Statuimiis et ordiìianiiis quod oììinia
festa Pascatum, gloriose Virginis Marie,
S. Ioaimis Baptiste, S. Luce, S. Francisci,
S. Laurentii et omnium apostoloruin devote
celehrentur. » (Podestà, pag. 66'.
Pascerium e Pascherium (pascolo d'in-
verno nelle regioni marittime, che
differiva dalle alpagium che signifi-
cava il pascolo d'estate entro monti).
« Cedit oinne jus quod habet in alpagiis
et pascheriis. » (Carta di Tenda del 1233).
Passagium ultramaris (espressione usi-
tata nelle vecchie carte per indicare
il viaggio in Terra Santa).
« /;/ subsidium Terre Sancie ultramaris si
fuerit passagium. » (FerrettOj Cod. dipi., 2",
pag. 35)-
Passare (transitare).
« Teneantur construere scafamunam
ad passandos omnes homiues et mulieres. »
(Podestà, pag. 67'.
Pasta (farina intrisa con acqua).
« De omnibus cibariis qtie fuerint ciim
pasta vel in cibo, pasta mictatur quando
opus est ad coquinam ; vel de coqucndis
fructibu y in igne vel cinere caci non debent
se introtnittere, nisi voluerint; sed pistores
debent servire de pasta et cortesiani de
fructihus. » (Giorn. ligustico, ann. 1882,
pag. 262).
Patena (piattello di metallo per coprire
il calice).
« Tra do caliccm cum patena, cayblam de
veluto eie. » Chart. S. Pontii, pag. 351).
53
P4 — Mise, s. ni, T. xni.
Patrania (nome collettivo d'una regione
dell'Apennino di levante in cui si
trovavano, due chiese che con titolo
abbaziale si denominavano da Pa-
trania).
« Abatiam de Patrania in honorem Sancte
Marie et Sancii Hoìiorati cum castro no-
mine Turricola. » (Vedi Carraro, Brevi
notizie sopra l'antica abazia di .S. Maria
di Patrania e Crosiglia, Cenni storici di
Torriglia).
Patronizare (avere il comando di una
nave).
« Persona que barcham suani patroniza-
verit teneatur etc. » (Stat. Levanti, p. 30).
Quando si aveva una comitiva di più
navi, il capo di esse appellavasi non più
patrono ma capitano.
Patronus (cartone per disegno).
Nel testamento del pittore Bernardino
Sismondi (149S) viene disposto in favore di
alcuni di lui colleghi supra patronos inter-
stisos, che sono i cartoni calcati, e poco
dopo dei patroni ponsi cioè foracchiati. —
Vedi Arte e storia, 30 aprile 1904.
Pavesium (scudo).
« lìi cainiìiata, primo pavcsia qninque. »
(Giorn. ligustico, 1890, pag. 37).
Pax (reliquario di metallo che si dava
a baciare ai maggiorenti durante la
messa cantata).
« Bacile unum prò o/erta, pacem unam. »
(Vigna, L'antica collegiata di S. Maria di
Castello .^ pag. 234).
Payrolus (pajuolo).
« Calderarii non presumanf vendere vel
vendi facere payroluni vel payrolam. »
(Stat. Albingane'.
Pecia (pezzo).
Pecia panni si legge negli Statuti di Al-
benga alla rubrica ut operantes lanam non
perniittant balere in domo sua e nella Pan-
detta pubblicata dal Sella si ha : vendere ad
pcciam et non ad tallum.
Pecudarius (pecorajo).
Pastorcs pecudum sive pecudarii hanno
gli Statuti di Triora, e in quelli di Cosio
si legge : Oves Ì7i alpe-m habeat eas collo-
catas a pastoribus sete pegorariis.
i8ò
GIROLAMO ROSSI
Pedagium (tassa di transito che si pa-
gava presso i ponti e ai confini di
diversi comuni).
« Non permittain colligere aliqiiibtis pe-
dagium in Sarzana nisi per pcdagcrimn
comunis. » In quest'esempio cavato dal
Podestà, si ha pure il pedagerinin, cioè
l'incaricato di riscuotere la tassa.
Pedestalus (piedestallo).
« I/cin proìiiisit facere quatuor pedeslalos
apponendos suo dictis pilastris. » [Alizeri,
Notizie, V, pag. 76).
Pedissequa (domestica, serva).
« J^e pena servitoruni et pedissequaruiu. »
(Stat. Genuae Visdomini, toni. II, pag. 13
verso).
Pelanda (scrive il ÌMerkel nei Tre cor-
redi milanesi del (juattrocento, che la
Pellanda è una cosa sola con Pel-
Iarda, perchè significava veste, tanto
da uomo quanto da donna, foderata
di peli).
« Itein pelanda ima domini fodrata variis
peonachi. » (Giorn. ligustico, 1890, pag. 38).
Pelata (concime).
« Qui Icaverit de pelaìuine pelate, seu curie
debeat cxtrahcre de terra messes tres, »
(Stat. Cuxii).
Pelegia (rissa).
La curia di Nizza voleva procedere occa-
sionr ciijusdam pelegie hahite. » [C/iarl.
S. Pontii, pag. no).
Peliparius (pellicciaio).
« Pauliis de Cainiilio et Ioanncs de For
nariis consules artis pelipariorum. » (Ali-
zeri, Notizie, HI, pag. 262).
Pelisia (pelliccia;.
« Lucruiìi pelisiaruìii que poncntur ad
velli la. » (Alizeri, Notizie, II, pag. 474).
Pellerinum (tormento cui si sottopone
vano i colpevoli e che risponde al
Piloriuiìi).
« Fustigetur incontinenti per omnes ruoias
Baennarum vel ponatur ad pellerinum. »
(Assandria, Stat. Baennar., pag. .xxxviii
verso).
Penatum (nome di un coltello).
« ..SV evaginai'erit irato animo penatum,
seu cosiolerimn seu vasalot um., seu cesar inatn
vel ensein, condetnnetur in lib. xv. » (Stat.
S. Romuli\
Pania (covone).
« Si quis posuerit igneiii in aliqua domo
vel tccto .seu penia biave... teneatur emen-
dare etc . » (Barelli, Statuti di Ormea,
pag. 151)-
Penitenciare (confessarsi).
« Aliquis medicus qui curaverit egrotum
vel egrotam pacietitei>i febrem continuavi...
non debeai ire ad egrotum ultra semel, nisi
prius ei denunciaverit, quod se debeat peni-
tenciare. » (F'ilippi, Statuti delTarte degli
speziali, pag. 94).
Pennellus e Penonus (piccola bandiera
che si vedeva sull'asta dei cava-
lieri).
« Omlibet deferens banneriani vel pen-
nellinn eie. » (Podestà, pag. 38).
Pancia (lobo).
« Dehcnt liabere collare, prctcr barbinam
et caudaìn cum tribus nodis et minoreìu
penolani fegati. » (Giorn. ligustico, 1882,
pag. 163).
Pentecostas (scrive il Magri nelle A^c/zz/^
di vocaboli ecclesiastici, che antica-
mente mentre si cantava il VeniSancte
Spiritiis, suonavansi le trombe per
indicare il repentino suono che pre-
cedette la venuta dello Spirito Santo
e che inoltre si facevano cadere dal
tetto fiamme di fuoco, volar colombe
per la chiesa e spargevansi rose.
Tali simboliche rappresentazioni
erano ancora in uso nel XVil secolo;
ma erano degenerate in spettacoli
ridicoli che turbavano la santità
della festa, laonde il vescovo d'Al-
benga,Vincenzo Landinelli, nelle sue
Coìistifìitiotics et decreta synodalia
dell'anno 1620, pag. 224, slancia la
scomunica contro questi profanatori
del tempio, che durante la funzione
dal tetto facevano piombare addosso
le femmine dei globoli di stoppa
accesa e facevano scorrazzare per la
chiesa animali, alla cui coda erano
state legate materie infiammabili.
Mette qui conto di riferire le sue
testuali parole: « Diehus Pentecostes
54
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
187
egre ferc7is venator callidus, fer-
petutcs humani generis inimicus, fi-
deles eo die in Ecclesiani convenientes,
quo discipuloruni corda novo celestis
gaudii rare perfusa siint, divina Spi-
rittis Sancii suavitatc liquescere, ut
eos a pietatc et devotione, ad risuin
cachinuniqiLe diverteret, indtixit iion-
nullorimi rudiuni animos ut ex su-
pernis Ecclesie tegìilis infra femi-
naruin septa , stiipa deviitteretnr
ignita, vel animaliuni alligata candis
per singulos tenipli angulos htdi-
biinda invelieretìir.) ».
Perdonare (perdonare, menar buono).
« De non perdonare alieni forenderio
aliquod dapnnni. » (Stat. Apricalis).
Perla (pietra preziosa).
« Anulus unus auri cum perla rotini. »
{Sestri antico, pag. 327).
Pertractura (disegno).
« Ifein lego quendani meian parvuin libruui 1
pertracluraruw facfuin manti mea propria. »
(Nel già citato testamento del pittore Ber- \
nardino Sismondi del 1498).
1
Pertusius (buco). |
« Nec debenl perniittere in galbara di-
ctorum molendinorum aliquod pertusium per
quod exire possit farina. » (Stat. Vallis
Arotie).
Petra Ardenna (nome della vetta, che
si alza al principiare del ligure
Apennino).
« Pars Apennini est qiie Petra Ardenna
vocatur. » (Ant. Astesano, poeta del xiv se-
colo).
Pibolis?
« A dieta qnerc/iu revolvendo versus Vare
usque ad qiiandam magnam pibolem prope
dictani querchum que est dicti Raymundi et
B dieta piboli veda via et linea usque ad
magnum Vare. » (Chart. S. Pontii, pag. 89).
Picare (lavorare col piccone o becca-
strino).
« lornadani unam in laborando, picando
vel sparando. Teneatur ipsani terrani pi-
care vel leare cimi besliis. » (Stat. Triorie).
55
Pictavinus ?
« Solidos XX de pictavinis et libra s n
piperis dederuìil. » (Caphar. Ann. noi).
Pignata (pignatta).
In un inventario del 1281, riferito dal
Ferretto {Cod. diploin., 2", pag. 401) sono
ricordati i matalasos tres, gastapuin biavi et
pignalain rami.
Pila (pilastro dei ponti).
(Questo vocabolo, secondo che scrive il
Podestà, nel medio evo si dava non solo
ai pilastri dei ponti che attraversano rivi e
torrenti, ma anche a quelli che si ergevano
sul margine del porto per effettuare lo
sbarco e l'imbarco delle merci. Giorn. li-
gustico, 1904, pag. 45).
Pilastrum (specie di colonna quadrata).
« Venditiones que in ripa facte sunt de
pilastris et de columnis. » {Lib. jurium, i",
ann. 1159).
Pilla (vaso di pietra che riceve e con-
tiene acqua).
« Promisit dare qnandam pillaìu marnwri,
cujus pitie concila debeat esse laroa eie. »
(Alizeri, Notizie, IV, j^ag. 196).
, Pinta (misura di capacità pel vino).
« Habere debeat tres partes in die cum
tribns pintis vini. » (Ferretto, Gli Statuti dei
canonici dì Rapallo, pag. 14).
, Piperata (specie di salsa).
I « Deiìide piperata seu salsa sine sircaro
' cum carnibus vitulorum, castratorum et ca-
pretorum seu agnortim, sine aliquo cujusvis
generis volatili. » (Stat. Padri, pag. 139).
Pipio (colombo giovane di nido).
« Nulla persona audeat... sagiptare prò
capiendo coliwibos seu pipiones. »((iiornale
ligustico, 1883, pag. 115).
A Ivrea dicevansi pepiones i colombi sel-
vatici.
Pisare (pesare).
« Hoc modo accipitur pesatura de can-
tarlo et de omnibus mercibus que pisantur
ad centenarium, dcnarios quatuor. » {Liber
jurium, 1", pag. 72).
Pischeria (serbatojo d'acqua).
« Palatium cum logia... viridariis, pi-
scheriis etc. » (Alizeri, Notizie, I, pag. 195).
i88
GIROLAMO ROSSI
Pistare (pigiare l'uva).
« Et pislant et p07iunt inusfiwi in biitis. »
(Belgrano, Registro arcivesc.^ pag. 39).
PistoUa (pistola, vedi Sclopetus).
Pistonus (arma da fuoco, vedi Sclo-
petus).
Pitantia (pietanza).
« Tempore jeuniorum pitantia dupticatur. »
(Landinellus, Consti tut. Synod,, pag. 456).
Pitetus (uomo legato alla curia arcive-
scovile).
« Cotivenit /las terras sue curie esse et
pitetos illos qui in ea morabantur, suos esse
famutos. » (Belgrano, Registro arcivesc.,
pag. 384).
Pizzegarolus (pizzicagnolo).
« De tabernariis et pizzegaroliis ad ini-
nutum vendentibus. » (Stat. Trebiani, ru-
brica 72).
Placerius (custode della pubblica loggia).
« £go Obertus de Vifitimitio olim pla-
cerius communis lanuensiuni in Faniagusta. »
(Desimoni, Actes de Famagouste, pag. 97).
Placitum (giudizio).
« Uberi ìiomines non in anno nisi ad tria
piacila conti tum veniant. » (Garoni, Guida,
P^b- 95. da dove il verbo placitare per
render giustizia).
PlagiaePlazia(faldadimontee spiaggia).
« Oue bestie pascere non possint in plagiis
Triorie et villarum. Conjines plagiaruni
Andanee, Curtini. » (Stat. Triorie).
« De non vendendo herbani de plazia ina-
rencha », si ha nello Statuto di Albenga.
Nel senso di spiaggia poi si ha nel Caf-
faro all'anno iioo: Ibi in plagia Caiphas
galeas prò ira inaris extrax-erunt, e nello
statuto di Levanto : Causa procelle vel tem-
pestate inaris , aliqua barca existens ad
plaziain... eo casti possit licentia dari seu
concedi atterrare ad plaziam.
Platea (anziché indicare 'piazza signifi-
cava un sito pubblico privilegiato
per tenervi pubblico mercato, al
quale scopo stavano ivi deposti i
pubblici pesi e misure; e a darne
una prova accenneremo come in
Pigna venisse appellata Piazza vec-
chia il porticato aderente alla par-
rocchia. Che nella platea si avessero
i pubblici pesi e misure è indicato
negli Statuti di Ovada, da cui è
prescritto che il lapis cavatus prò
vino inensurando sia posto in platea
e con altro articolo si ordina de non
vendendo pisces nisi ad plateam. Con-
simile cosa si legge negli Statuti di
Valle d'Arozia: consules revidere de-
beant et stantiare omnes mensuras
in pnblica platea. Dagli ordini della
città di vSarzana si cava: camerarius
teneatur fabricari facere de lapide
marmoreo super platea calcandule
starium, mi?iam, modtum, quartiun
et alias mensuras, e da quelli di
Porto Venere è imposto circa le
messi, de ponderando ipsas in platea.
Chi ha conoscenza delle terre liguri
non tarderà a convincersi che platea
valeva pubblico mercato, ma non
veramente piazza).
Planca (plancola).
« Ponatur una planca super beudutn ino-
letidinoru7n. » (Stat. Albingane).
« Ouis abstulerit pianella aliqua de aqua
cadat eie. » (Stat. Cuxii).
Pianella (quadrello per pavimento).
« Fornaxarii teneantur facere tegulas,
lateres sive cupos et planellas soluin ad ino-
dulum. » (Stat. Novar. et Stat. Bobii).
Piata (barca di fondo piatto).
« Piate vero et barche magne prò onere. »
(Stat. Padri).
Pleberium (pieve e sede di battistero).
« Honiines de Recho et eorunt plebe... de
loto pleberio Se.vti. » (Garoni, Guida, p. 132).
Plebs (nei primi secoli della Chiesa si-
gnificava diocesi, nel ix secolo» in-
dicò sede di battistero un delegato
del vescovo per conferire il batte-
simo, da dove la nota espressione
del Concilio romano dell'anno 826:
Ecclesie baptismales quas plebes ap-
pellant).
56
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
189
Plotum (questo vocabolo che abbiamo
registrato senza spiegazione nella i*^
parte esprimeva il grosso ceppo di
legno ad elevanduvi capita et ad
ìuictilandum alia Diembra).
Plotus (palo cui si leg'avano i condan-
nati alla berlina o altra pena infa-
mante).
« Pro constructioiie iriioìi piotar uni, in
qiiibus fuerunt scartariati. » (Cais, La ville
de Nice, pag. 1S6).
Poderium e Podere (vocabolo che ha
doppio significato).
1° Quello di distretto comunale come
nell'espressione dello Statuto di Ovada :
possit et valeat ire redire et stare in burgo
Uvade, mercato et poderio ejiis ; ed altra
consimile dello Statuto d'Albenga: Sialiqua
persona scripta fiicrit in cartulario poderii
Albingane collectaìu facere tencatur.
2° Quello di podere o proprietà come
si evince da una carta riferita a pag. 162
del Ligustico dell'anno 1882 nella quale
sono ricordati podere de Brasile, podere de
Pogio, podere de Bolono e altri del vesco-
vato di Luni, che per amore di brevità
omettiamo.
Polastrum (pollo giovine).
« Accipe polastrum qui fccerit nunqnam
ova et de eius alis fac exire sanguinem eie. »
(Rossi, Storia di Ventiiniglia, pag. 79).
Pomellus (bottone per veste).
« Item ponielli quinque de ambra. » (De-
simoni, Actes de Faìuagouste, pag. 23).
Pomus (palla di metallo con cui finisce
la guardia d'una spada o d'altro
oggetto in asta).
« Crux una magna cuni po>no lotoni. »
(Alizeri, Notizie, I, pag. 65).
Poncha (promontorio o lingua di terra).
« A porta Olivi usque ad poncham Var. >\
(Stat. Nicie).
Portale (portale).
« Proinisit facere et fabricare portale
unum marmoreum album. » (Alizeri, No-
tizie, V, pag. 51).
Portanerius (custode delle porte di una
terra).
« Item quod homines calizani teneantur
solvere portanerio sive dicam ut moris est
57
per ipsos dominos eligendo et possint ipsi
domiìii tradere et consigliare claves por-
tarum burgi Calizani, qjie sunt ipsorum do-
miìtorum. » (Stat. Calizani). Portaticum di-
cevasi una tassa che si pagava alle porte,
come: nullum portaticuìn ncque pedaticuin,
ncque ribaiicttm dabunt honmies{Lib.jurium,
i", pag. 118) e portagium chiamavasi in
Nizza un balzello che si pagava dai car-
cerati.
Portrida (fazione).
« Comes Ventus nec Fulco Curlus ne e
aliquis alius de portrida audiantur . » (Cais,
Stat. de Vinthnille, pag. 119).
Posse (distretto).
Si ha sovente l'espressione in posse Al-
bingane e in posse Diani per accennare al
distretto di detti comuni.
Posta (proposta, partito).
« Item et quelibet posta quc tangat in dc-
trimentum et expensas comwiis et debent
deliberari per lapides albos. » (Stat. Thabie}.
Postribolum (lupanare).
« Capitula postriboli ìnontis Albani Getme. »
(Stat. Padri, pag. 27).
Postum (luogo, dove uno si deve tro-
vare).
« Debent de presenti arma capere et cum
ipsis ire ad postos » (Stat. Uvade).
Pratica (uso e facilità di fare qualche
cosa).
« Nec id faciant consiliarii cmn Potestas
vel judex vel notarii duxerint, vel propo-
sitionem vel praticam fecerint » (Podestà,
pag. 19),
Preissia (particolare disposizione di ter-
reno declive, ancora oggidì del dia-
letto).
Nello Statuto di Sospello parlandosi di
passaggi si ha pur preissiam pratoruin.
Presa (misura rispondente a ^/^ di
palmo).
« Teneantur draperii dare presas con-
suetas, videlicel quartas tres prò qualibet
canna. » (Stat. Albingane). Si ha preysa
negli Sttidi di storia ligure di Giovanni
Filippi, pag. 191.
Si ha anche nel senso di derivazione
d'acqua:
« Habeatet possideat presam bedalis die ti
molendini. » [Cliari. S. Pontii, pag. 103).
igo
GIROLAMO ROSSI
Primicie (primizie),
« Dono ecclesiavi emù oìiuiibiis deciinis
priìiiìciis et oblatioìiihus. » {Carf. IJiineiisé).
Prisione (carcere).
« Ceperiint malefaciores et posiicrunt in
prisionein. » (Podestà, pag. 92).
Privata (cesso \
« Nenio faciat privata sua, aqueriuni qjie
vel quod cadat in viis seu carrtibiis. » (Stat.
Diani),
Procuratio ''così appellavasi il convito
cui aveano diritto gli ecclesiastici
in certe determinate feste ed i feu-
datari i quando si recavano a tenere
i placiti).
« Debeaut dare oinni anno prò una pro-
curatione lìhras odo. » {lAb. juriiim, II,
pag- 335)-
« Pro curia Baaluchi debent faccre pro-
curationein unain ad madiuin et aliam ad
Sanctum iWchaeleiii corniti. » {Lib. juriuiii,
I", pag. 1312).
Prosoneta (sensale).
« Aliquis eoruìH non sit de arte predicta
nec sii etiam censarius vet pro.soneta . » (Giorn.
ligustico, 1896, pag. 315).
Pugione (specie di stilo).
« Si aliqua persona percusserit aliquem
cuni ense vel pugione incurrat in penain. »
(Stat. Garlende).
Puletra (cavalla giovine o poledra).
« Emit puletravi unani brunetam. » ('Fer-
retto, Cod. diptom., 2", pag. 310).
Pulezia (poleggia, girella da taglio e
corrente).
« Lignis de ylice prò /adendo puleziis. »
(Relgrano, Documenti.^ pag. 247).
Pulveragium (diritto che si pagava ai
proprietarii delle terre per cui pas-
savano gli averi per trarre alle re-
gioni marittime),
« Arhitramur quod passagia seu pulve-
ragia animantium., sinf didorum donii-
norum. » Cais, Les fiefs etc, pag. 517).
« Nullus accipiat ratione pulveragii vel
pedagii aliquid de ovibus in eundo vel re-
deundo. » {Cart. Lirinense, 7^ pag. xxxvii).
Pupare (prender latte).
« Exceptis bestiis impinguandis et por-
cetlis pupantibus » (Assandria, Stat. Baen .
Pupella ?
« De porco qui coci interfecerint et pa-
raverint ad opus coquinc, ipsi coci debent
habere suniatani quatn debet incidi per
luediain pupd/am a dextris et a sinistris. »
(Giorn. ligust., 1.SS2, pag. 163).
Purisare?
« Possint facere d reficere et purisare
diduììi bcdale. » {Chart. S. Pontii, pag. 103).
Puteuli (pozzetti medicinali collocati
anticamente nelle chiese, appellati
nella vicina (xallia Doires Dieii).
Un frammento d'iscrizione ventimigliese
conserva qui curat puteolos sacraiinn ediuiu,
frase che si riferisce alle aeque lustrali esi-
stenti nei ve.stiboli dei templi, di cui parla
Seneca. Tale usanza si mantenne per lungo
tempo nelle primitive chiese cristiane ; e
di acc]ue che si bevevano per guarire da
alcune infermità conservano memoria le
cattedrali di Albenga e di Ventimiglia e
la chiesa plebana di S. Maria di Nogaretto
presso Castel Vittorio.
Putonia (meretrice).
« Quicumque dixerit ntulieri viruin ha-
benti putoniain, vel gaduiem, perdat solidos
decem. » (Podestà, pag. 40).
Q
Quadrellum e Quadretum (majolica di |
forma quadrata per pavimento).
« Miniare quadrcllorum predo solid. tri-
ginta et miniare plandlaruvi predo solid.
viginti quiìique », espressione dello Statuto
di Bobbio, che fa conoscere la diversa con-
fezione fra quadretto e/>?a?/<'//(?.- il quadretto
poi pare di costruzione savonese leggendo
nell'Alizeri, Notizie, VI, pag. 236: vendidit
latcres vulgariter nuucupatos quadreti Sa-
vane.
Quadrum (quadro).
« Promisit construere d pingcre maiestatem
unavi seu quadrum altitudine palmoruin
septem etc. » (Convenzione fra il comune
di Montalto e il P. M. Macari).
58
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
igi
Quargina fQuarzina, borgo di Ormea
poco discosto dal Xegrone, celebre
pei suoi formaggi).
« Ah unaquaque do^no caseatica in Quar-
gina, sex formellas casei. » (Durandi, Delle
antiche contese dei pastori, pag. 198).
Quaria (quaglia).
« Qui accipiet perdires et quarias... et
bracos bonos ad cazandum. » (Ferretto, Cod.
diploni., 2°, pag. 295).
Quarta (diritto che i prelati, i cano-
nici ed i parroci prelevavano dalle
rendite ecclesiastiche).
« Decima et quarta tam tocius territorii
Vintimilii, quani Podii Pini usque ad fos-
satuni de Gor-òi. » (Divisio prebendàr., 1260).
Quartarium ('misura di capacità dei so-
lidi).
« Debeant vendere ad quartarium Seti
quartariìiuin prò rata sextarii. » (Stat. Al-
binganej.
Quietus (quitanzato).
I « Et facimus illos vacare solutos et quietos
I etfacere cartam finis et remissionis. » (Caph .
Annali'.
Quinternus (registro).
I « Oinnes quinterni officialium comunis
debeant a Camerario inquiri. » (Podestà,
pag. 29).
Quista (questua, concorso).
« Item si filiaìn suam vel filias in matri-
nionium cotlocaverit, prò qualibet earum
semel quistam facere possit. » (Cais, Les
I fiefs eie, pag. 463).
R
Rabayrolus (operajo della Rayba).
<,< Ligatores ballar uniy rabayroli. » (Stat.
Saoiie).
Ragiare?
« Pro die quo steterit ad ìnensurandum,
ragiandum. » Stat. Sarzane).
Rampa (collare che si appendeva alle
bestie da tiro).
Per l'esempio vedi Atliilhaìnenticìu.
Rampegolus (ferro od àncora da quattro
marre).
« Spala una, rampegulo uno. » (Belgrano,
Documenti, pag. 244).
Rampogna (rimprovero).
« Si vero dixerit rampognam vel tiirpia
verba potestati, possit eie. » (Stat. Nicie).
Rancura (rancore).
« Ipsnm impedimenluììi debeat removeri
sub pena predicta quoties J'uerit querimonia
vel rancura. » (Stat. Ziiccarelli).
Rapugliare (raspollare).
« Si invenerit aliqitein aliquos in dieta
ejus terra rapugliare seu colligere olivas,
cadat eie. » (Stat. Albingane).
59
Rasorius (rasojo).
« Barbera teneanttir liabere bacile unum,
toagiolas albas et rasorios. » CStat. Unelie),
Rasoyra (randello).
« Minha habeat ferruin unum per uiediuni
super qnod trahatur rasoyra. » (Stat. Al-
bingane).
Rassa e talora Raxa (congiura).
« Rassam vel juram cum aliqiia persona
de Riveria vel aliquo modo faclam cassa-
bimus. » {Lib. jurium, i", pag. 473).
« Conspirationem sire raxam quain dili-
genter inquiram. i> (Belgrano, Registro 2",
pag. 348).
Rasteleria (graticcio di legno per so-
stener il fieno nelle stalle).
« J/angiatura una cum rasteleria. » (Giorn.
ligustico, 1S90, pag. 38).
Rastellum (nel senso di strumento den-
tato per sceverare la paglia dalla
biada).
« 5/ aliqua persona arripnerit axerbale
vel rastellum. » (Stat. Triorie).
Nel senso di steccato: « prope rastellum
palata versus por tam S. Andree.i> (Podestà»
pag. 52).
ig2
GIROLAMO ROSSI
Rationerius (ragioniere).
Lo Statuto di Trioia ha il capitolo De
Rationeriis ai quali è imposto l'obbligo di
rivedere l'operato dei sindaci, dei massari
e dei magazzinieri.
Ratta (proporzione).
« Debeaiit vendere ad quartarìum sete quar-
tarinuiii prò ratta sesiarii. » (Stat. Albing.).
Rauba (roba).
« Nemo aiideat accipere aralrum, jugiini
vel perticam auf aliquam aliani raubani
bovum. » (Stat. Triorie).
Rayda accorr'uomo).
« Nisi irei ad raydani vel visi fuoaret
latroìies, debeat aliquis ire per civitatein
post soìiituin. » (Stat. Nicie). In questo
senso si ha pure nello Statuto di Carpasio,
e quello di Taggia alla rubrica de sacra-
mento sequellc prescrive agli abitanti accor-
rere ad streinitam sive raydani.
Reanus ed anche Riana (fossato desti-
nato al corso delle acque piov^ane).
« Vicarius Uvade teneatur et debeat fluì
facere aquas ad reanos burgi Uvade. » (Stat.
Uvade\
Rebicius (pettirosso, nel dialetto ligure
rebizzo).
Fra gli uomini di Hressano che nel 1259
giurarono fedeltà a Genova si leggono i
nomi di « Gandulp/ius Rebicius e Leonetus
Rebicius. » {Lib. jnrinni, i", col. 1314).
Recamare (ricamare).
I pizzi a fuselli costituiscono un vanto
industriale della Liguria; occupazione do-
mestica non solo propria dei luoghi di
Santa Margherita e di Rapallo, ma di tutta
la regione ligure orientale. Ogni casa ha
il suo tombolo, sul quale donne di tutte
le età spuntano e puntano aghi ed in
(juest'arte all'opera del trapuntare occor-
rono ad ogni tratto le pratiche di chi di-
segna.
« IJbcr qui vocatnr ardo ad baptizaìidum ;
lajola una rccainata. » (Vigna, /.'antica col-
legiata, pag. 187).
« Que laboreria faci ani e uni suis inlaliis,
frixis, designis, recatnis et aliis. » (Alizeri,
Notizie, VI, pag. 93 \
Rechatare (riscattare).
« Vidcantur esse prò rechatando vel qiiod
enipta fucrint vel rechatata. » (.Stat. Genue,
II, Visdomini, pag. 27 verso.
Recreta (epiteto che si trova unito a
guerra).
« Non debelli facere marchiones paceni
ncque treguam nec guerram recr etani. »
(S. Quintino, Osservazioni, pag. 149). « Non
facienius paceni ncque treguam nec guerram
recretavi, nec finem Otoni corniti. » (Idem,
pag. 226).
Refrescamentum (ristoro).
« Non possit dare auxilium alieni cur-
sali vel Ugno vel vaso cursalium... vel fu-
maticuni vinum etaliquid refrescamentum. »
(Stat. Genue, Visdomini, II, pag. 19).
Regardator (sorvegliante).
« Idem fiat de regardatoribiis, cutn multi
damnum incnrrant. » (Stat. Nicie).
Reginetà (sorta di giuoco).
« Idem intelligatur in ludis reginetà, bis-
sariarunt et pirle sive rote. » (Stat. Bobii).
Registrum (libro in cui si scrivevano
gli atti pubblici).
« Scripta a dicto notarlo in suis quinternis
seu in suis registris. » (Podestà, pag. 57).
Rellorium (orologio).
Inghetto Spinola e Deserino Musso com-
prano siphos et gotos coralli nacare et ar-
genti, rellorium unum. (Ferretto, Cod. di-
ploni., 2", pag. 245).
Remairolum (aspersorio).
« I/iìii reniairolum unum prò aqua bene-
dieta. » (Alizeri, Notizie, VI, pag. 252).
Renna (sentiero).
« Non debeat laborare prope vias seu se-
mitas seu rennas publicas. » (Stat, Triorie).
Respublica {Gniueìisis). L'illustre De-
simoni a pag. LVI delle sue note
allo Statuto dei Padri scrive, che
dall'anno 1530 in poi cominciò a
dirsi Respublica il Comune geno-
vese per quello stesso classicismo
o risorgimento delle lettere che fece
cainbiare Jaiììia in Genita.
Retalium (modo di vendita che equi-
vale al minuto).
« Quum facile possit contingerc produci
fanuam de partibus ac locis Alemanic telas,
canabacios et fustaneos noti causa trasmit-
60
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
193
tendi ad alia loca, vel potius veiidendi fru-
sfaHin sive ad retalitun. » (Giorn. ligustico,
1885, pag 84).
Retornalia (pranzi di sposi).
« Ad hostiurn nuptiaruni sponsalioruin
benedictionis seu retornalioruni. » (Olivero,
Memo7-ie storiche di Cera, pag. 77).
Retornare (ritornare).
« Schivia debeat lafiter apiari quod non
retornet in via conmnis. » (Stat. Cuxiiy.
Reverendarius (rivenditore al minuto).
« NcìHO reverendarius sive pesigarolus de
Plebe audeat eniere etc . »(Stat. PlebisTheuci). 1
Da questo nome si formò revenderolia
treccaj ricordata negli Statuti di Albenga.
Revellinus (fortificazione triangolare,
esteriore, isolata).
« Ad defensioneìu porte bullientis, sive
revellini ejusdem porte. » (Lavezzari, Storia
d'Acqui, pag. 248 1.
Ricina o Ricinetum, risponde all'odierna
Recco. {^Storia di Recco., pag". io).
Ridipilla ?
« Audeat ponere stratnen icsque ad
pratuìn et ad ridipillam et a juncario su-
perius. » (Podestà, pag. 42).
Rimare (ordire).
« Pannos quos ab aliqua persona rece-
perit ad suendutn, et rimanduni vel te-
xenduni. » ;Stat. Sarzane).
Risma (pacco di quaranta quaderni di
carta).
« Balla papiri de stracia intelligatur de
ristnis decevi.ì) {Concess. Savonens., pag. 18).
Robaria (ladroneccio).
« Capsieta de robariis que appellatur sal-
vaterra. » (Cuneo, Del debito pubblico, pa-
gina 202). Eravi in Genova l'ufficio de ro-
bariis che vegliava e giudicava dei furti.
Rochetus (veste clericale, vedi Moz-
zetto).
Roda (ruota montata verticalmente al-
l'estremità posteriore della chiglia
in sostegno della poppa).
« Dieta navis sii in carena cubitorutn xxxi
longitudinis, de roda in roda cubiloruni l. »
(Belgrano, Documenti, pag. 6).
61
25 — Mise, 5. Ili, T. XIII.
Rodare ?
« Quod neino audeat rodare pannos grossos
ctiin aliquo ingetiio, Jtec vendendo canare nisi
per squinani in loco plano. » (Stat. Sospitelli).
Rognonus (rene).
« Non fulcient sive ponent quid aliud circa
rognonos vel aliquam parteni bestiariim. »
(Stat. Uvade).
Romana.
Torna utile all'articolo Romana aggiun-
gere un brano dello Statuto di Oneglia che
oltre di darci i particolari dei diversi pesi
e misure, ricorda come l'esemplare veniva
conservato nella chiesa parrocchiale di Santa
Maria :
Iteni quod rasperii teneantur ernere pensas
ad expensas doininoruni et habere statcrain
unain cum romana ad quam pensari possint
libre vigintiquinque ad librani janue. Et
libram et mediani librain et uncias ad pen-
sandum addictam balanciam. Item quartinos
duos ad inensurandum vinum umcin de la-
pide et aliuin de tigno ad mensuram la-
pideam que est in ecclesia Sane te Marie.
Et pitttam et mediani pintam de ramo et
vitreo que pinta sii talis quod quadraginta
pinte faciant unum quartinum predicfum.
Et starios duos fodratos Ugni unum de
raso et alium de culmo et duas eminas imam
de raso et aliam de culmo et feratas ad
inetisuram justam et consuetam in Une Ha.
Item libram unam et dimidiam de ramo
prò mensurando ateo ad mensuram, justam
et consuetam in Une Ha. Que mensure et
stancie statere et balancie sint marcate et
bullate signo dominorum, ad quas et que
mensuras et pondera vendatur et eniatur in
tota valle.
Roncilius (roncolaV
« Possint et valeant cum ronciliis et secu-
ribus incidere arbores. » (Stat. Garlende).
Si trova rondila a pag. 60 dello Statuto di
Vezzano.
Ronzinus (piccolo e vecchio cavallo).
« Pro quolibet roìtzino vel ronzina » si
ha nello Statuto di Triora e in quello di
Sarzana si legge : Si commmie roncinumam-
bassiatori oportuerit.
Rostum (arrosto).
« Salsa composita cum galinis, caponibus^
seu pullis ad rostum et taparis. » (Stat. dei
Padri, pag. 138).
194
GIROLAMO ROSSI
Rota (strumento che girando sopra un
pernio nell'apertura d'un muro serve
a dare ed a ricevere roba da per-
sone rinchiuse).
« Moniales nequc ad cra/as >iec/ue ad ro/a>n
loquatitur . » {Syiiod. dioces. Gentiensia, pa-
gina 436).
Rotulus (appellavasi la centesima parte
del cantaro. Vedi Desimoni, Actcs
de Famagoìtste, pag. 161).
Ruata (borgo).
« Hoiniìies ruatc Berichi loco Miilazatii,
in Ceva sunt franchi de pcda^io tantum^ alie
vero mate sunt franche de medio pedagio
tantum. » (Pro franchisiis in Ceva).
Rubus (peso di 25 libbre).
« De danino credatur dominus ferii usgue
in rubos duos. » (Stat. Triorie, cap. 47).
Ruffianus (mezzano).
« De nieretricibus et ruffianis expel-
lendis. » (Stat. crimin. Saone, pag. 51.
Ruga (definita dal Rezzano « strada
specialmente delle città del levante,
che si concedeva di abitarla ai mer-
canti della nazione forastiera che
vi aveva il fondaco »).
« Dabit vobis ipse rex ecclesiam, fun-
dicum, furnum et batneunt atque rugant, in
qua fanne vicecomes -maneat cum piena juris-
dictione . •>•> {Lib. juriuni, i'\ pag. 336).
« Coìiccdinms rugaiii unain eorum (ja-
nuensium) negofiatoribus convenientem. »
;ldem, pag. 371).
« Non possim nec debeam habitantem in
predicta ruga conipetli ve! vocari prò aliquo
maleficio seu placito. » (Idem, pag. 412).
Sulle contrade e rughe antiche di Pa-
lermo nei secoli xii e xv, ha pubblicato
una interessante monografia il sig. Vin-
cenzo De Giovanni.
Rumare (grugnire).
« Si quis habuerit aliquem porcuni et quem
teneat causa mattandi, seu ut dicitur prò
ìnazale, teneatur illuni facere ferrare seu
ponere atiulum seu ferruni ad ìiares taliter
quodnon possit, ut dicitur, rumare. » (Stat.
Pornasii).
Rumenta (immondezze .
« De pena proicieiitiuvi rumentas in rivuin
communis. » Altro esempio si ha nello Sta-
tuto dei Padri.
Runcus (terreno incolto da coltivare).
« Si aliquis occasione runchi seu zerbate
igìieni fecerit. » (Stat. Pornasii).
« De non accipiendo Ugno in alieno ran-
cho.f> ;Stat. Quiliani).
Rupes Widonis (Roccavione).
« Hoinincs de Tenda se se convenerunt
cum dominis de Rupe Widonis. » (Convenz.
del 1198).
Ruyanus (canale).
« furo facere receptari grondas et aque-
ductus et ruyanos et chiavicas. » (Todestà,
pag. 49).
Sabaterius (calzolaio),
« Item statuerunt quod sabaterii qui ven-
dunt soleas sequantur formam antiquam...
nec passini accipere prò uno pari suhtel-
larum solando, nisi duos dcnarios. » (Stat.
Nicie).
Sabbadaticus (balzello che si levava
•sulla macinatura).
« De sabbadatico denarios xn. » (Belgrano,
Registr. arcivesc, pag. 34).
Sabbatus sanctus (fra le gazzarre, onde
il popolino fruiva nella vita non \
godereccia ligure, viene ricordato |
dallo Statuto di Oneglia lo strepito
con armi solito a farsi nel villaggio
di Prosanego, il giorno del sabato
santo).
« De gaviliis non faciendis in sabbato
sancto. Item quod aliqua persona non debeat
facere aliquam gaviliatn vel rixam in Pro-
sanego in die sabbati sancii, sub pena li-
brar. XXV janue : de armis non portandis
ad ecclesiam in sabbato sancto. Item quod
aliqua persona non debeat portare aliqua
arma in die sabbati sancii ad ecclesiam Pro-
sanegi, nec ad canontcam nec circa ipsas,
nisi gladium sub pena solidar. xx prò quo-
libet et insuper amiltat arma. » (Stat. Unelie).
62
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
195
Saburra (zavorra).
« Non proiiciant saburrani in poriu Olivi»
(Gioffredo, Storia, pag. 485).
« Non audeat nec presumat proiicere seu
exoiierare savorratn sive jairiani in dicto
scario. » (Stat. Linguilie).
Sacristia sacristiaappellavasinel medio
evo il locale dove si custodivano le
carte del comune, non che quelle in
cui il Banco di San Giorgio custo-
diva il numerario. Al qual riguardo
scrive il Cuneo che tre erano le
sacristie: cioè la vecchia dove erano
riposti gli scudi d'oro e d'argento ;
la nuova destinata a ricevere per oro
e argento tutti i pezzi da otto reali
dai particolari ivi depositati; poi
una terza dove si riponeva il de-
naro depositato in moneta corrente).
« Pro pensione palatii quo lenenfur curie
constilatuìH et ubi tenetur sacristia. » (Cuneo,
pag. 276).
Safranus zafferano).
« Si que bestie invente fuerint dare dam-
num iti aliqua fassia safrani seu herbe illius
solvat etc. » (Stat. Triorie).
Saga (indovina).
« Sagas iteni niulieres... que projitentur
occulta tnedice discipline medicatnenta te-
nere, jubetnus ne parrochias intrent. » (Spi-
nala, Synod. albingan., pag. 8).
Sagimen (grasso, per ■ l'esempio vedi
Zelsniont).
Sagitea nave rapidissima costrutta in
forma di freccia).
« Sagitea una Pisanorum centutn re-
niorum venit in portibus de infra mare. »
^Muratori, Rer. italic. script., voi. \'I,
col. 388).
Sagrum (specie di artiglieria poco dis-
simile dal falconetto).
« Pro mercede et manifactura de sagris
quatuor. » (Alizeri, Notizie, VI, pag. 417).
Saitare (trar saette).
« Tarchorutn milites circutniendo et sai-
tando dimiserunt. » (Caphar., Annal.),
Salda (disposizione di terreno).
« Bestie pascere passini in saldis eorutn,
quorum sunt. » (Podestà, pag. 29).
63
Salicare (selciare).
« Suo tempore sali cala fuit ecclesia, co-
ventus. » (Belgrano, Documenti, pag. 331).
Sanbucha (sella equestre per donne).
Aldoino, conte di Ventimiglia, nel 1281
elegge un procuratore per redimere sati-
bucham de argento circumdataìn xamito. »
(Ferretto, Cod. diploìn., 1^, pag. 369).
Sanctus Egidius (S. Gilles in Provenza,
dove i Genovesi avevano un fon-
daco).
« Ad par te s Gal He festhiantius tendeba-
mus... apud sanctum Egidium. » (Belgrano,
Regis. arciv., pag. 446).
Sandaracha (sandraca, resina).
« Soluìn chori ligneum fricetur sanda-
racha. » Synod. genuens. Basii, pag. 479).
Sangallus (specie di tessuto).
« Tela Sangalli planum altaris saltem
contingat. » (Spinula, Synod. albingan., pa-
j gina 18).
Sarabula calzoni .
« Ipsc surrexit in sarabulis cum repa-
gulo in manu. » (Giorn. ligustico, 1888, pa-
gina 232).
Sarcitor (sarto).
Un Andriolo sarcitor ricorda il Ferretto
a pag. 106 del 2" voi. del Codice diplom.
Sarminalis (sermento o ramo secco di
vite).
« luro auferre totum fenum et paleas
quam sarminales qui et que starent coadu-
nate. » Podestà, pag. 43).
Sarpare (levar l'ancora per mettersi
alla vela).
« Barcarii vel habentes barcas vel aliquod
tiaviliutn passini varare et sarpare cum suis
naviliis de ripa Portus. » (Stat. Portus
Mauric), si trova anche serpare.
Sartago (padella).
« Item duas sartagines seu patellas. »
(Cais, La ville de Nice, pag. 398).
Sauma salmata).
« De unaquaque sauma pellium agnorum
etaliorum coriorum, tarenum unum. » [Lib.
jurium, 1°, pag. 202).
ig6
GIROLAMO ROSSI
Saxire (pignorare).
« De pecunia vel re saxita » Stat. Saone)
e da questo verbo si formò il sost. saxi-
tnentum, di cui Io Statuto di Zuccarello:
Si saximentiim factuiii fuerit de aliqua re.
Sbarra (sbarra).
« Pisces vendi debea7it ad piscariam deiniiis
sbarram. » (Stat. Diani).
Sbatere (sbattere).
« Si quis dixerit a/iquoc^ malum de Deo
vel de Sancta Maria vel eos blasfemaverit...
frustetur et sbafelur per tres vices » (Ba-
relli, Libro della catena, pag. io).
Scadicum (diritto di pascolo).
« (Vadunt) ad pascenduni apigo usque ad
mare siile scadico et passaiico. » (S. Quin-
tino, Osservazioni^ pag. 57).
Scala (bilancia)
« Legatum misertmt prò exigendo scalis
et embolo promissis.» (Caphar. Anfial.).
Scaliaticum diritto che una nave pa-
gava per entrare in porto).
« Si ablatmn esset sibi ratione scaliatici
vel magene... contra franchisiain... debeat
restitiitioneni fieri. » [Lib. juriinn, 2", pa-
gina 443).
Scandaliare (dicevasi della verifica delle
pubbliche misure e pesi).
« Meìisure et pondera que scandaliate et
signate se idaliata et signata non fuerint,
comburanlur. » (Stat. Unelie).
Scandalium (peso all'ingrosso).
« Venditores carniuni feneantur sacra-
mento non ponderare carnes ad scandalimn,
dum tajnen valent ininns de soldis duobus
sed pondercnt ipsas ad jiistas libras ba-
lancie. » (Stat. Unelie).
Scandolum (legno in forma di doghe).
« Habentes domos in burgo tegulis, cupis
vel scandolis, infra annos xn proximos co-
prire teneantur. » (Convent. Calizani).
Scanzella (cancello da coro).
« Magister Anselmus de Furneriis de Ca-
stronovo Lombardie^ magister anthelami
scanzellarum lignarum. ». {Atti della so-
cietà storica di Savona, voi. 20, pag. 44).
Scapatus (rovinato).
« Pugnator respondii qiiod erat totus sca-
patus. » (Belgrano, Registro 2°, pag. 326).
Scaraguaita (soldato di ronda).
« De eundo ad scaraguaitas. » (Assandria,
Stat. Paennarum).
Scarfiatura (scalfitura).
« Nisitalis sanguis per scarfiatur ani fuerit
factus. » (Stat. Sarzane,\
Scaritum (dicevasi di cnstrum fornito
di armati).
« Castruni Tevigle vobis reddam guar-
nitum et scaritum. » {Lib.jurium, r", p. 155),
Scartogius (cartoccio, ornamento dei ca-
pitelli).
« Teneatur fabricare portas factas ad
scartogios cuin suis cornixiis. » (Alizeri
Notizie, VI, pag. 43).
Scarzare (diminuire, sottrarre).
I « Qui basitaverit seu scarzaverit dictum
pillotum, currat in pena. » (Stat. Plebis
Theuci, pag. 155).
Scaticum (si incontra per escatium^
dazio sulle ghiande, vedi Esca).
Sceda (foglietto).
« Teneantur noiarii jurare quod non fa-
cient nec imbr eviabunt aliquod instrunientum,
nisi notaverint illud in sceda vel nota. » (Po-
destà, pag. 56).
Scharamiza (scaramuccia).
« Puit ferutus et vulneratus ad schara-
mizam cum illis domini regis. » (Giorn.
ligustico, 1900, pag. 105).
Schella (campana piccola, squilla).
« Sonetur ex aliis parvis (campanis) sive
schellis sancii Nicolai. » (Stat. Diani\
Schennapisces (spinapesce).
« Cum ulneis rubeis et scala ad schenna-
pisces. » (Not. de Aniandolesio, voi. 20, pa-
gina 540).
Schiffatum (gabella che si pagava nel
porto di Genova).
« Controversia inter collectorem introiius
schiffati. » (Stat. Padri, pag. 93).
Schina (piega).
« Mensuratur pannus per schinam non
tirando pannum, sed ponatur canna super
panno. » (Stat. Nicie).
64
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
1,97
Schivare (scansare, sfuggire).
« Item qiiod persone bestie et plaustra
passini per eaiii viam ire, redire et se schi-
vare. » (Stat. Albingane).
Sciabecha (rete da pesca per varie ra-
gioni di pesci che sguizzolano a fior
d'acqua, mano a mano che le ragne
si accostano al lido).
« Appliceiur illi patrono, seti sciabeche
cujus est bolum, » (Targioni Tozzetti, La
pesca in Italia, voi. I, parte i'', pag. 379).
Sciphus?
« Primo sciphi duo de pede de argento,
unus quorum est ad artna dicti salveti. »
(Desimoni, Actes de Famagouste, pag. 23).
Sciruppus e Syrupus (sciroppo, per
l'esempio vedi Speciaria).
Sclavare e Scravare (potare un albero
dei rami soverchi).
« Siinciderit aliquaiH arboreìu silvestrem
ad caldani, que sii schivata vel sbrondata,
condemnetur. » (Stat. Linguilie).
« Liceat tenenti boves aut bestias de can-
cello scravare ranios illium salvando calciavi
et ciinam prò pascendis dictis bobus. » (Stat.
S. Romuli). Scravare è tuttora vivo in
Triora, e dice il Zecchini che tale opera-
zione in Lombardia si chiama zuccare o
scalvare.
Sclavus (schiavo).
« Negli Statuta criminalia Saone a p. 25
si ha la rubrica de percussione sclavoruni
utriusque sexus ; %\\ Statuiti diCaff. ,p. 582,
vietano al console del luogo di avere famigli
schiavi : non possit esse aliquis sclavus.
Sclopetus (archibugio).
Sclopetus si ha nel Sinodo albingane se del
vescovo Spinola, ma scopetus negli Statuti
dello stesso comune , cuni nono audeat
lanciare cuni balislra, cum arcu et scopeto.
Scoferius (calzolaio, per l'esempio vedi
Socularis).
Scopa (scopa, frutice con cui si fanno
granate).
« Possit portare bozolos arastras et di-
vilias seu scopas. ». (Stat. Unelie^.
Scopare (spazzare).
« Te7ieatur quelibet persona Mentoniomni
die sabati, ante cjus doinuin scopai-i facere. »
(Stat. Mentonij.
:65
Scopellum (misura dei mugnai che con-
teneva la ventesima parte d'un se-
stario).
« Debeai tenere scopellum unum qui teneai
in capacitate de viginti partibus unam se-
starii frumenti. » (Stat. Sarzane).
Scorzone (scorpione), vedi Tarantora.
Scuffium (tributo imposto dai Longo-
bardi).
« Non possit capere nec capi facere aliquod
pedagium, theloneum nec aliquod scuffium
ab aliquo hoìnine. » (Ugliengo e Vineis,
Storia di Cuneo, pag. 233).
Sculdascius (giudice sotto i Longo-
bardi).
« Nullus dux, marchio., comes, vicccomes,
sculdascius, decanus audeat ingredi. » {Liber
jurium, 1°, pag. 3).
Sculmare (abbattere).
« De sculinantibus cumulos feni in alienis
pratis. » (Stat. Mioglie).
Scurare (sbarrazzare).
Et teneatur magtsiratus Albingane facere
scurare omni anno puteuni Auree, qui est
in quartario S. Siri et puteum Turiate qui
est in eodem quarterio. » (Stat. Albingane).
Si ha pure j-c«rar^ nello Statuto di S. Remo.
Scurzata (sorta di piccola nave).
« Cum galeis lxxii et duabus sagitteis et
duabus scurzatis, apparuit. » (Caphar. An-
nales, 1191'.
Scutella (^mantenimento).
« Consules habere debeant prò suo salario
ad ralioneni asperoruni centuni prò sua
scutella. » (Stat. Gazarie, pag. 387).
Sechagna (tratto di mare o fi.ume ri-
dotto a secco).
« Incipiendo a capanna Simeonis... usque
ad portum sechagne. » (Stat. Sarzane).
Sedilia (cesso).
« Aquarolos sive sedilia promittit ei te-
nere chiusa. » (Belgrano, Registro 2°, pa-
gina 192).
Sedumen (abitazione povera).
« A' ulta persona debeat plorare clamando.,
Palmas ac ìnanus verberando post cadavera.
igS
GIROLAMO ROSSI
postquam separata fuerit a domo vel a se-
dumine persone defuncte. » (Stat. Uvade).
« Donamus casus sedumina et capellas et
omnes res juris nostri. » (S, Quintino, Os-
servazioni, pag. 66).
Segarius ?
« Potestas teneatur facere serrari omnes
aditus segarios et clavigas. » ^Stat. Bobii .
Segestri insula (è la penisola di Sestri
di levante).
« Totum quod Coita de l'ezzano ìiabuit
in insula Segestri. » (Giorn. ligustico, 1S92,
pag. 353).
Sella (latrina),
« aita sella utatur vel fiat vel intret in
sulcus chiavicariim : ne putredincs sellaruni
a transeuntibus videantur. » Podestà, p. 38).
Sendatum (fodera).
« Si in mantello fuerit sendatum habeat
inde III solidos. » (Stat. Nicie).
Seneschalchus siniscalco, maresciallo).
« Setiescalchus per aliquotdies studuit in ter
Pisanos et Januenses treguani coniponere. »
(Ottobon. Scrib. ann. 1194).
Sensarium (sensale).
« De officio sensariorum. » (Stat. Saone).
Septa (Ceuta in Africa).
« Occasione rixe facte inter Christianos
et Saracenos apud Septam ». (Ferretto, Cod.
diploin, I", pag. 24).
Septuagenarius (settuagenario).
Prima del Concilio di Trento non aven-
dosi registro dei battezzati, avveniva che
per constatare l'età di un individuo si do-
vesse ricorrere a pubblici atti di notorietà
quando per esempio l'età di settant'anni
dispensava dal servire in guerra ; laonde
alla rubrica XX\'l dello Statuto di Sarzaiia
si legge:
« Nullus intelligatur esse septuagenarius,
nisi in generali Consilio et artium diete terre
de sua etate per duos testes ad minus pro-
baverit fide dignos, »
Sequella e sequimentum (questi due vo-
caboli pigliano il senso dell'antica
compagna).
« luro compellere omnes burgenses Sar-
zane jurare regimentum et sequimentum
meum et communis. » (Podestà, pag. "47).
Nello Statuto di Diano si ha sequella.
Serbare (tagliare l'erba).
« Si quis serbaverit alienani messem in-
cidat in penain. » (Stat. Novar.).
Serenata (canti e suoni soliti a farsi
di notte per le vie).
« Nocturnis cantile7iis non intersint nec
non cantantibìis ad cantandum per vicos ut
vulgo dicitur : serenate. » (Spinula, Synod.
albing., pag. 188;.
Serrum (lunga fila di pietre che serra
il passo).
« Descendit usque ad serrum de Berlino :
protenditur per crestam serri de Posse. »
(Cari. S. Pontii, pag. 105 e iii).
Serventata (falange di servi a scopo di
aggredire .
« Ouicumque fuerit in exercitu cuni ser-
ventata possit haber e penam.» (Stat. Cuxii).
Sesta l'ordine).
« Rem publicam suo tempore tractaverunt
et civitatem in sesta tenuerunt. » (Caphar. ,
Annales).
Sigillum (sigillo).
L'autorità del sigillo fu somma presso i
comuni italiani nel medio evo, perchè l'ap-
posizione di esso bastava a render legale
ogni pubblico atto. V'aveano d'ordinario
due sigilli, il maggiore ed il minore; il primo
stava alle mani del Priore degli anziani
e l'altro in quelle del cancelliere del co-
mune, col quale dovea suggellare le lettere.
Il comune di Sarzana lasciava al cancel-
liere sigillum sculptumad imaginem sancte
Marie ; sigillum autem sculptum ad sidus
idest ad artna communis Sarzane stet in
custodia prioris aniianorum. — Sigilluni
magnum et parvuin aveva Genova (Alizeri,
Notizie, VI, pag. 381), lo stesso trovo per
Albenga e per Nizza, come pure risulta ne
fossero forniti i Cavalieri del Tempio e di
Gerusalemme.
Sinazare (far segno).
« Et ipse lune cridavit et sinazavit. » ( Bei-
grano, Registro 2°, pag. 329).
Smacere (smagliare).
« Non gramoret canabum nec smacet in
burgo Garexii » (Barelli, pag. 70).
Smaltus (composto trasparente, che
serve a ricoprire e ornare metalli).
« Tabernaculum unum cum tribtis smaltis
in pede r> (Belgrano, l'ita privata,}^. 100).
66
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
199
Soatus 'pelle di agnello).
« Nec passini portare siibtulares rubeos
iieque de soato albo. » [Atti della Società
storica di Savona, voi. I, pag. 55).
Socida società per bestiami).
« Quis habuerit bestiam in socidani suani
mettariatn tueatur. » (Stat.Zuccarelli. Questo
vocabolo modificato in socita era vivo in
Corsica, come ci attesta il Morati a pa-
gina 486 della sua Pr attica).
Socius (chiamavasi il frate che era dato
compagno ad uno dello stesso or-
dine, eletto vescovo).
« Actum Cespitelli presentibiis fratre Pe-
tro de Vanio socio dicti domini episcopi. »
(Rossi, Documenti inediti, pag. 39).
Socularis (calzare in forma di pianella,
ma colle suole di legno, specie di
zoccolo). I
« Scoferii debeant facere soculares novos
prò denariis tribus. » (Stat. Apricalis .
Solarium (chiamavasi la volta della sala
o camera formata di travi).
« Proniisit depingere solarium catninate
dotnus Antonii de lanua. » (Alizeri, N^o-
tizie, 2", pag-. 344).
Solidatio (consolidazione di più debiti
pubblici in uno).
« Contrac tus et solidatio . cuyn magnifico
Officio sancii Georgii. ». (Stat. Padri, pa-
gina 224).
Spaldus (nella prima parte abbiamo dato
spaucus per spalto, ora abbiamo tro-
vato spaldus).
« De arboribus navium et frequentibus
bretoschis el spatiosis spaldis muìiierimt »
^Caphar., Annali).
Spalheare (liberare il frumento dalla
paglia).
Nell'epoca della trebbiatura del grano,
questo si otteneva battendo le spighe con
correggie, ovvero facendolo pestare da buoi
o cavalli, come è nel caso nostro. Lo Statuto
di Sospello punisce la frode che si com-
mette in calcando, triturando, spalherando,
ventando et mensurando graninn.
67
Spalla (diritto feudale, detto anche
Espalla).
« Quartani partetn iinius spalle et diiorum
panuìH. » {Liber juriw.n. Il Belgrano, a pa-
gina 89 del Registro 2», ricorda che l'arci-
vescovo di Genova riscuoteva, a Nervi,
spallaìn unam porci valens denarios : xvi).
Spazare o spassare (nettare il pavi-
mento).
« Spazator fimi mercati teneatnr et debeat
omni die veneris spazare seu spazari facere
plateam mercati. » (Stat. Thabie). « Ouelibet
persona spasset et expediat lapides de viis
piiblicis » (Stat. Diani).
Speciaria (farmacia).
Il D'Arnis dà al vocabolo speciaria e
speciarius il significato di bottega e di ne-
goziante di spezie. Abbiamo per altro negli
Statuti dell'arte degli speziali in Savona
pubblicati dal Filippi a pag. 94 e 95 del
tomo II degli Atti della società storica di
quella città, che nel xiv secolo con questa
voce venivano indicate le farmacie ed i far-
macisti.
Oììines speciarii de Saona faciaiit con-
fectioties et syrupos etaliam rem speciariam
bene et legali ter et sine f rande ; cosi si legge
nel giuramento di questi professionisti del-
l'anno 1345.
Speronus (sprone).
« Xon debeant vendere primo speronos
prò equis, strigias prò equis, item sonagios
prò spraveriis et falconibus. » (Sententie,
provisiones et decreta prò artibus mercia-
1 riorum, pag. 6).
Spia (spia, delatore).
I « Item ordinatimi est, quod si qua persona
j spiam iverit et inventa fiuerit ad faciendum
notum inimicis dominorum et hominum Ga-
rexii cavalcatam vel insultum... puniatur ita
quod moriatur » (Barelli, Libro della catena,
pag. 19).
Spitum (asta o verga).
! <.< Tur texonusdet unum fascium spitorum. ».
I (Belgrano, Registr. arciv., i», pag. 783).
Spola (strumento di legno a guisa di
navicella per uso del tessere).
Beltrame accorda il figlio con un lanajuolo :
« causa scribendi rationes faciendi spolas,
mapas et canones. » (Ferretto, Codic. diplom. ,
2», pag. 27S).
200
GIROLAMO ROSSI
Spontonus (bastone ferrato).
« Nevio audeat portare ensem, cullellunt
de latere, lanceam, rochum, spontonum. »
(Stat. Albingane). Indica pure la forma o
tipo della moneta, come ne reca un esempio
Stalutum Saonc.
Stacchetta (misura di capacità, valente
mezza pinta).
I barili che si fabbricano sono capaci di
tre in quattro stacchètte : stacchetlaritm
Irium vel quaiiior. (Rocca, Pesi eie, p. 68).
Stajanus (Stagi ieno).
« Homiìies de Pradello de Stajano, de
Molinello et de Rivara. » (Olivieri, Serie
dei consoli, pag. 245 .
Stallus (molo).
« Teneatur ire ad vidcndum si possit fieri
aliquis portus vel stallus in loco uhi dicitiir
Albara. » (Stat. Albingane).
Significa anche scompartimento del coro :
« Ne quis ca7tonicus alterius stalluin oc-
cupet. »(Landinellus, Synod. albing., p. 162).
Stambeccus (stambecco, capra selva-
tica).
« Quod capre, irci et stambeci non possint
pascolari nisi in Carpiono. » (Stat. Treb-
biani).
Stamegna (tessuto fatto colla parte più
fina della lana, che in gran parte
serviva alla difesa delle finestre).
« Fieni finestre illis duobus barchonatis...
Clini suis staniegnis ut possit stare mine
hyenie agitante. » (Alizeri, Notizie, II, pa-
gina 94). Se la stamegna fine veniva lar-
gamente usata nel senso ora indicato, oc-
corre notare, che la stamegna ordinaria era
il tessuto più adoperato nelle campagne e
specialmente fra i pastori. Il capitolo 30
dello Statuto di Triora prescrive: ciisto-
dientes paratores parantes pannos laneos et
stamegnas, teneantiir parare prinimn pan-
num seu stamcgnam. E se il grande pro-
gresso delle industrie ha fatto pressoché
sparire i noti gonc staminei dei pastori, ha
del pari fatto relegare fra le rarità anti-
quarie l'uso della stamegna alla difesa delle
imposte delle finestre.
Al qual fine occorre notare, che le finestre
delle case erano nellantichità assai poche,
piccole e di forma quadrata: nelle chiese
poi la luce penetrava da strette feritoie che
si allargavano internamente in larghe strom-
bature. Questo spiega perchè al lapis spe-
cularis dei Romani, succedesse sotto i Lon-
gobardi l'uso di difendere tali aperture
con marmi o pietre a trafori, come si vede
tuttora nell'antico Battistero d'Albenga, e
nel medio evo fosse invalso l'uso della sta-
megna e della carta oleata. Il su accennato
documento dell'Alizeri dell'anno 1483, se
ricorda le finestre ctim suis stamignis, men-
ziona pure gli oculos vitreos {si rivochi in
mente il significato di oculus) qui sunt in
capite diete sale, il che ci fa certi che era
già penetrato l'uso dei piccoli vetri, inqua-
drati su listelli di piombo, ma esser questo
un lusso, che si permettevano le chiese e
le abitazioni dei signori, le cui finestre bi-
fore, sormontate dall'archetto a sesto acuto,
ebbero per lunga età il beneficio di rice-
vere la luce attraverso piccoli vetri. E che
così stia la cosa ci viene confermata da un
brano della Storia di Oneglia del Pira (vo-
lume I, pag. 70), dal quale apprendiamo,
che verso la metà del secolo xvrn si tro-
vavano in Oneglia appena dodici case, le
quali avessero invetriate di lusso, cioè con
piccoli vetri, tessuti a liste di piombo,-
mentre tutte le altre erano chiuse a tela
detta stamegna e a carta.
Stanfortis (tessuto).
« Mcnsurari facient per schenam omnes
stanfortes... inglesios parosinos. » (Giorn.
ligustico, 1S96, pag. 292).
Stanga (sbarra).
« Debeat habere nianiaoras ., stangas et
restos. » (Belgrano, Documenti, pag. 31.
Stangare (sbarrare).
« Teneatur et debeat aperire et stangare
portas burgi sicut debet. » (Cuneo, Debito
pubblico, pag. 279).
Stantia (meta).
« Ouelibct persona possit vendere pan evi
ad stantiavi Albinge et carnes ad stantiavi
Plebis Theiici. » (Stat. Naticini), Da questa
voce si formò lo stantiator dello statuto
di Ciarlenda e lo stantiorus di quello di
Triora, che rispondono al grasciere ita-
liano.
Starium (misura che andava sempre
associata o ad cnltìinni o ad rasuvì).
Staria de culmo et de raso sono ricordati
a pag. 174 dello Statuto di Porto Maurizio.
68
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
20I
Steparium (specie di chiudenda).
« Si qua persona incider it vel dirne rit
c/ansurani alienain steparium, cesam asa-
riitui, solvat e te. » (Idem. pag. 54).
Stercorare o stercorizare (concimare
una proprietà, lasciandovi pascere
e dormire i greggi).
« Qui voluerit leamare seu cuin suis ovibus
in eo {territorio) stercorare teneatur etc. »
(Stat. Pornasii). Stercorizare si ha nello
Statuto di Zuccarello.
Sterla (uccello, pernix cinerea),
« Non aliqua persona possit einere per-
nices, sterlas, turbos, co/uinbos, causa ven-
dendi extra civitatem. » (Stat. Albingane).
Sterline (qualità particolare d'argento).
« Pronisit construere pedein... de argento
sterlina deaurato et exnialdato. » Alizeri,
Notizie, II, pag. 298'.
Stivalis (stivale).
« Par unum stivaliuni de pellibus ilcinis. »
(Ferretto, Cod. diplom., 2°, pag. 376).
Stolum (flotta, naviglio).
« Tempore enim. stoli Cesarie... in civi-
tate lanuensium compagna triìim annoruni
et sex consulum incepta fuit. » (Caphar.,
Ann., 1099).
Stopare (otturare).
« De via coìnunis non stopanda. » (As-
sandria, Stat. Baennar., pag. 334). Questa
voce si ha pure negli Statuti di Albenga
e di Bobbio.
Storio (storione, pesce).
« Storiones et urnbrine cervie vel alius
magnus piscis quocies captus fuerit curie
episcopi debet dari. » (Podestà, pag. 9),
Stracare (modo speciale di pesca).
« De banuo contra stracantes, aniorbantcs
et piscantes cutn corbino, nanzea, incanata,
bertavel, barrel et capairono. ». È questo
il capitolo 229 dello Statuto di Sospello in
cui si ha : nemo audcat piscari ad stracani.
Stramen (fogliame).
« De paleis vero et foliatiis et quolibet
stratnine sit iti hanno sol. v. » (Stat. Zucca-
relli).
Strameria (fenile).
« Nulla persona aiideat jaccre vel doi--
mire in aliqua domo strameria. » (Stat.
Triorie).
Strangulione (tonsillite).
Nel Trattato di mascalcia di Girardenghi
da Novi (Biblioteca Aprosiana) si legge il
capitolo: de strangulione et de stranguria.
Strapassus (mal governo).
« De sfrapassis bestiarum. » (Stat. Mioglie).
Strapunta (materasso).
« Lego lectum meum munitum videlicet de
duabus strapuntis. » (Not. Giov. de Aman-
dolesio, anno 1259).
Strascinare (tirare a forza).
« Teneatur potestas eum condemnare , fa-
ciendo ipsum strascinare usque ad locwn
justitie. » (Stat. Godani).
Stremita (corri corri).
« Quando audierit campanas sonar? ad
stremitam. » (Stat. Falcinelli).
« Si pulsatuin fuerit ad stremitam prò
Turrianis. » (Stat. Uvade).
Strana (benandata, regalo).
< Prefatus dominus unum denaritim ja-
nuense prò sirena dare tenetur. » (Saige,
Docnments, 2", pag. 161).
Streva (staffa).
« Ego Sion supra equum et liabeo pedes
in strevis. » (Oberti cancell., Annal., p. 162).
Strigia (stregghia per ripulire i cavalli,
per l'esempio vedi Speroniis).
Stronatus (stuonato, vedi l'esempio in
Magagna).
Stuchium (astuccio, per l'esempio vedi
Cross la).
Stucus (stucco, impasto di gesso e pol-
vere di marmo per fare statue e or-
namenti in rilievo).
« Promisit consignare capellam et tradere
completam ut vulgo dicitur de stuco. » (Ali-
zeri, Notizie, VI, pag. 208).
69
26 — Mise, S. HI, T. XIII.
202
GIROLAMO ROSSI
StufFa (stufa, bagno caldo).
« A sulco vel clavica contiguo vel contigua
dotnui hereduni Mudi lacobi ubi est stuffa. »,
(Stat. Sarzane).
Stuperius (calafato.
« Ca pittila artis stuperiorum. » i^Garoni,
Guida, pag. 25S). ,
Stupinum (lucignolo).
« Fumus quidem igtteus per aquaìn et
oleum usque ad stopiuuin ascendebat. » (Ca-
phar., Annal., pag. 9).
Sturmum (alla distesa).
« Teneantur ire in exercitu, cmn audi-
verint campanas ad sturinuin sonare. » (Po-
destà, pag. 36).
Subastare (sequestrare).
« Et teneantur incantare res quas subasta-
verini per dies novent. » (Stat. S. Stephani).
Subastatio (incanto).
« Potesias teneatur procedere ad incan-
ticutn seu subastationeiìi. » (Podestà, p. 24).
Sufflare (soffiare).
« Beccarti non presumant sufflare carnes. »
(Garoni, Codice della Liguria, pag. 153).
Suggatorium (pezzo di pannolino).
« Fainu/i[f ornar ioruin) teneantur portare
in capite infulain albam et capillos curtos
et /emine suggatorium. » (Stat. Bobii).
Supersaliens (incaricato di vegliare al-
l'interesse del proprietario del ca-
rico di una nave).
« Oinnes homines qui venerint de pelago
prò mercato tribuant unusquisque ad operani
moduli denarios xii, sive sii supersaliens,
sive sii in portu, excepti pueri qui non
fuerint in parte. » (Cuneo, pag 242).
T
Tabarrum (tabarro o mantello).
« Nullus canonicus deambulet per civi-
tatem sine veste exteriori vel tabarro. »
(Spiiiula, Synod. Vintimil., pag. 13).
Tabellio (notaio).
« Tabelliones dicli conimunis teneantur
facere idem. » (Stat. Diani, cap. 39).
Taberga (casipola).
« Ad tabergam cui coheret ab uno latere
terra goslorum. » {Lib. jurium, i, an. 1315 .
Tabula (nella prima parte si è data la
definizione di questo vocabolo per
libro dell'alfabeto, al qual riguardo
occorre di aggiungere, che nel
tom. IX degli Atti della Società li-
gure di storia, a pag. 521, si parla
delle Tavole da putti rosso e nero,
che si vendevano a soldi otto il
quinterno). Si hanno per altro altri
significati, e primo quello di giuoco
della dama.
« Quelibct persona possit ludere impune
ad tabulas quocumque modo ad omnia Inda
vacata luda tabularum. » (Stat. P. Mau-
ricii). E che tabula equivalesse a dama si
può riscontrare a pag. 57 degli Studi epo-
rediesi pubblicati nel 1900).
Tabula inoltre dava nome ai boni viri
chiamati giudici arbitri dal podestà, eletti
per decidere di cause di leggiero conto ;
tali boni viri de tabula erano appellati tne-
diani de tabula nello Statuto di Taggia in
cui si ha la rubrica: de mediatiis de tabula
seu de causis civilibus et pecuniariis bonis
viris committendis.
Tabuleta prò scribendo (il caro della
pergamena e del papiro aveva in-
trodotto l'uso di tavolette incerate
per iscrivervi sopra col grafie, per
cui nel XIII secolo si ricorreva al
mi)iisterium faciendi tabuletas blan-
cas de cera prò scribendo (Giornale
ligustico, 1896, pag. 448). Introdotta
però nel frattempo la carta bamba-
gina e di lino, cominciò ad iniziarsi
un periodo di cultura maggiore ;
sebbene si trovi ancora che nel 1377
i genovesi Lionello de ^lari e Nicolò
70
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
203
Marrusso, curatori a far l'inven-
tario dei beni di A. Griffoetti, tro-
varono ancora Tabuletas prò scri-
bendo, dal che si evince che l'uso
della carta non era tanto genera-
lizzato. Archivio storico siciliano,
nuova serie, anno X, i88ò, p. 373).
Tacholinus (panno rosso).
« De gabella solvendi de panno alba x io,
tacholino et similibus. » (Stat. Sarzane).
Taliare (tagliare).
« Arlem taliandi hracas, camisas et ne-
biatos. » (Ferretto, Cod. diplom., i", pag. 21).
Talla (devastazione, danno).
« Voluinus hnnmnes ab omnibus fodris,
tallis, collectis, bannis et pedogiis. »(S. Quin-
tino, Osservazioni, pag, 161).
Tapetum (tappeto).
« Tapetum ujiuìh novum magnum et pul-
chrum. » (Belgrano, Vita privata, pag. 60).
Tapezaria (arazzo).
« Tapezarie duo cum arma conunutiis,
tapezarie quinque alie cum historia S. lohan.
Baptiste. » {Idem., pag. 61).
Tara (diffalco a pesi di merci)..
« Deduci Pro tara debeat de tanto eorutn
pondere quo primitus ponderabant. » (Giorn.
ligustico, 1896, pag. 316).
Tarantora (tarantola, specie di lucer-
tola).
« Per nullum tempus de tnundo possit
habere malum Petrus de serpe, de scorzono,
de tarantora, de lupo, de cane rabioso etc. »
(Atti della Società ligure, voi. XIX. pag. 650).
Taravella (strumento di legno che fa
strepito, usato dai pescatori e dai
ragazzi durante la settimana santa).
« Non debeat intrare dictani villani sine
capello in capite et sine taravellis et subtel-
laribus iti pedibus. » (Assandria, Stat. Baen-
narum).
Tarchonerius (fabbricante di scudi o
targhe).
« Consules artis pictorum et tarchonerio-
ruìH civitatis lanue. » (Alizeri, Notizie^ II,
pag- n)-
71
Tarezator (ufficiale deputato in Savona
all'esame ed alla pulitura delle lane
preparate per la tessitura, così viene
definita la voce dall'egregio Gio-
vanni Filippi).
« Possit officium tarczatorum fieri et expli-
cari intarezando lanam. » (Giorn. ligustico,
1896, pag. 305).
Targua o Targa (scudo di legno e cuoio).
« Qui estrahet targuam vel scutum, spalani
vel cultellum, massoni vel bastotium, dabit,
etc. » (Stat. Nicie).
Tarida (nome da cui originò la tartana
che aveva una o due vele al più, di
forma triangolare, dette anche vele
latine; tali navi, scrive il De Al-
bertis, nelle Costruzioni navali fu-
rono dette taride dai Genovesi, fa-
rete dai Veneti, tasuree dai Catalani).
«. Debentfacer e prò domino rege taridas »
(Belgrano, Documenti, pag. 19).
Tarinus (moneta d'oro siciliana).
« Non tenearis de solutione mihi facicnda
predictarum unciarum tarinorum. » (Bei-
grano, Documenti, pag. 143).
Tarsia (intaglio a disegni sul legno).
« Construxerunt scauuiutn Ugni tarsie et
commisure et prospectum. » (Alizeri, Notizie,
III, pag. 94).
Tascha gravezza che pesava su molti
generi di prodotti, essendovi la tascha
piscium, la tascha frtictuuni tcrtie
decime partis ex ipsa terra exeuntium,
quando bladatitr sive ad tascham).
« Remiltinius tascham piscium piscatoribus
Nicie, ita quod nullo tempore tascham ab
eis exigimus. » {Cari. S. Pontii, pag. 79).
« Solvei undecimam partem prò tascha
omnium ficuum et 7iucum iti gradicerio suo. »
{Idem.).
Tassilus (dado puntato da sei lati).
Si riporta qui questo vocabolo
latino per far conoscere le frodi che
si potevano commettere nel giuocare
con esso. Lo statuto di S. Romolo
dell'anno 1435 al capitolo de non
ludendo ad tassillos soggiunge: si
per aliqueni ex ludentibus fuerit Ì7i
204
GIROLAMO ROSSI
ludendo operatus tassilus amoratus,
focatus , artificialus quomolibet vel
falsus, tunc condemnetur . Lasciamo
a qualche studioso di interpretare
il significato dei tre ora nominati
epiteti.
Tatia (tazza).
« Promisit tradere duodenas viginti quin-
que tatiai'um terre ex magJiis et duodenas
toiidem viginti quinque tatiarum ex illis
que vocantur inezane lahoratorum alla ve-
neziana. » (Alizeri, Notizie, VI, pag. 228).
Tectum appensum (soffitta).
« Debet facere diias apothccas cuin tecto
appenso. » {La porta soprana di S. Andrea,
pag. 36).
Telietum (monastero già dei Cistcrciensi
in vicinanza di Sassello).
« Abbas de Telieto per se et sociiim suum...
respondit dicens ; niihi utique piacerei quod
hotnines ire deberent eie. » (Olivieri, Serie
dei consoli di Genova, pag. 420).
Tenalie (tanaglie).
« Item paria deceni teiialiaruìn, » (Alizeri,
Notizie, VI, pag. 365).
Tenebre (uffici divini della settimana
santa).
« Si tempore quo fuerint tenebre in ecclesiis
sancii Romuli aliquis fregerit niajestatem,
bancani ani ostiuin condemnetur. Questa di-
sposizione dello Statuto di San Remo al-
lude ai rumori, soliti a farsi nella settimana
santa e che erano ben maggiori durante il
percorso delle Rogazioni minori.
Tenivella (succhio).
« Ferrarius leneatur [liabere) prò factura
tenivelle solid I.»(Assandria, Stai. Baennar).
Tenuta (proprietà).
« Loco totani tenutani terre, qiiain tenet
Fulco Piscis » (Belgrano, Registro 2", pa-
gina 200)
Terracius (terrazzo).
« Impluvia teda, quas vulgo tcrracios
vocant. »{Synod. dioeces. genuensis, pag. 461).
Terrucium (piccolo podere).
« Siquis habncrit aliquem alberguin, ter-
rucium, vel domum in territorio Naticini,
leneatur eie. » (Stat. Naticini).
Tesorie (vedi Forbici).
Tessa (misura di sei piedi).
« Teneatiir fieri apertam viani, ainplam
una tessa. » (Assandria, Stat. Baennar.,
rubr. 28).
Tessura e anche Tensura (rete per la
caccia di uccelli e pesci).
Nello statuto di Carrodano e Mat-
talana si ha il capitolo de tensiiris,
no7ifurandisnec tensuris devastandis,
vocabolo spiegato dallo Sforza in
teiisure o tesure; ma è chiaro che
con tale voce si indicava tanto la
rete quanto il luogo per la caccia.
Lo statuto di jMioglia ha la rubrica
de non capiendo tessoras in alienis
castagnetis. Per la pesca si ha
« Si quis levabit bertadellos aut alienas
tesuras, lentos ad pisces, condemnetur. »
(Stat. Godani;.
Testa (capo).
« Possinl vendi ad vistam teste, gambe,
pedes et gambuta. » (Stat. Sarzane).
Testis (tegame).
« Quicuinque projecerit anforas vel or-
ciolos, vel testes, perdat eie. •» (Podestà, pa-
gina 39).
Testonus (moneta di buon argento, che
il Desimoni dice introdotte sul fine
del XV secolo e che valeva quin-
dici soldi e poi una lira).
« Quod pater et mater non debent incitare
aliquem cum scuto vel lesiono. »
Telare (succhiar latte).
« Bestie tenere non dent banum nisi essent
cernute a matribus. Victuli vero et armen-
tini non habeantur prò teneris, postquam
fuerint sivernati. Nec alique bestie tetantes
bimayum vel munzayum. » (Barelli, Libro
della catena, pag. 50).
Theloneum (dazio sulle merci, vedi
Scuffi,uiìi).
Theucus (Pie ve di Teco in vai d' Arossia).
« Domini Ulmete faciant omnia su pradicta
attendere et observare et suam auctoritatem
hominibus de Theuco prestare. » Laudo del
1226 a pag. 20S del Durandi, Antiche con-
tese fra i pastori di Val di Panaro e Val
d' Arossia.
72
GLOSSAHIO AIEDlOEyAj:.E LIGURE
205
Thonicella (veste dei diaconi e suddia-
coni all'altare).
< Cmn missa solemni cinu novis thoni-
cellis auroortiatis. >>{Storia di Recco, p. 148).
« Fabricavit cum opere suo cimi atiro et
setta tonixelle et caputiiiin pivialis. » (Ali-
zeri, Notizie, VI, pag. 228).
Tiburius (questo vocabolo che abbiamo
lasciato senza spiegazione nella prima
parte, pare significhi cupola come
dal seguente esempio).
« Promisit facere in lanternino pinaciili
seu tiburii diete ecclesie hnagineniDeipatris. »
(Alizeri, Notizie, VI, pag. 224).
Tigurium (tugurio).
« Seguendo collectani carpi usque ad tigu-
rium Goraxini (Stat. Bajardi).
Timo (timone).
« Perniittet exlrahi... arbores et antennas
atque timoìies al limonar ia. Il Belgrano, dai
cui documenti caviamo questo brano, spiega
il vocabolo timona,ria per quell'apparecchio
che serviva a sostenere il timone contro il
fianco della nave, donde aziona.
Tina (vaso grande o vasca).
« Prima lina, sive fons superior, recipit
origine-m a prato Gregorii Ricci. » (Stat.
Sospitelli).
Toapetum (trappeto o franto] o).
« Mutuum cum parte eundi ad mutuantis
molendimim, vel toapetum, damnetur. »(Lan-
dinellus, Sytiod. albingan. pag. 408).
Tobalea e talora toa^ia ( pannolino
bianco che copre l'altare).
« Tribus Ihiteaminibus sive tobaleis sacri
ficetur. » (De Marinis, Synod. genuensis,
pag. 13).
Tola (scrive il Rocca nel suo pregiato
libro dei pesi e misure, che questo
vocabolo usato di frequente nelle
carte liguri, risponde all'antica Ta-
bula, pertica di dodici piedi qua-
drati).
Tolta (aumento di tassa forzato .
« NulluìH pedagium novum, nullain toltam
super inipositionem constituam. » {Lib. ju-
rium, I", pag. 419). Il Cuneo a pag. 266
ricorda gli ititroitus tolte grani Purcifere ;
dalla tolta hanno preso nome le maletolte
che si incontrano nelle carte degli Aleramici
in Cairo).
73
Toma (raviggiuolo, piccola forma di
cacio fresco).
« Possi t emere caseum grossuni et totnas
prò suo usu. » (Stat. Albingane). Totnam et
bruceum si incontra nello Statuto di Nizza,
caseum et tornavi in quello di Mentone. È
noto l'antico proverbio promettere Roma
e toma: la toi.ia secondo il P. Franco equi-
varrebbe al cacio tìo:e di Koma.
♦
Tomerum (vera di pozzo).
« Intt'lligatur ad remunerandu)n toineriun
putei. » (Podestà, pag. 34).
Tonina (salume).
« Idem intelligatur de vendentibus seu re-
vendenlibus panem, pisces salsos, toninam
et alia coinestibilia. » (Stat. Albingane).
Torna (tornèo).
« Ordinaverunt quod duelum ìiec torna
noìi possit facere inter predictas universi-
tates. » Convenz. fra Briga e Triora del-
l'anno 1250).
Tornator (lavoratore di ceramica al
tornio).
« Magistri tornatores vasoru)n terreorum
seu vasallaininuni. » (Alizeri, Notizie, VI,
pagg. 230).
Tornus detto anche dornus (misura).
« Nel 1264 Marchesino di Voltri promette
a Daniele di Fontanella di consegnargli
quattro mezanos remi qui sint iti latitudine
et grossituditie fortium unutti et iti longitu-
dine cubitos tresdecitn. » (Rocca, Pesi e ati-
tiche misure, pag. 61).
Tortagna (ritorta di vermene verdi per
legare il fieno).
« Habeant totam herbani et fetium et tor-
tagtias et speros profeno portatido. » [Sestri
antico, pag. 48-49 .
Totorium (lavatoio).
« Fiat totorium seu ablatorium patmorum
et aliaruin rerum,. » (Podestà, pag. 60).
Trabuchare ?
« Nulla persona trabuchet seu fundat mo-
netam januinam, sub pena eie. » (Stat. Janue
Visdomini, 2», pag. 11).
Trabuchus (misura agraria di sei piedi).
« Qui tertninus dìstat a tnare per trabu-
chos viginli. » {Atti della Società storica sa-
vonese, voi. 2°, pag. T31).
2o6
GIROLAMO ROSSI
Tracta (nome di una gabella).
« Niilliis emptor hannorum traete etemen-
dorum aliquod officili ìit ducale {habere) pos-
sit. »(Stat. Sospitelli). Un decreto del Doge
e cardinale Paolo di Campofregoso, del
28 settembre 1847, accorda agli abitanti di
Penna, che per la gabella Traete possano
imporre il dazio di due grossi per ogni
bestia grossa e di un quarto di grosso per
ogni bestia piccola.
Trafigare (trafficare).
« Idem Alemanus possit et valeat ire et
trafigare ad quascumque mundi par te s. »
(Alizeri, Notizie, 1°, pag. 413).
Trahinus (barca peschereccia).
« Omnes patroni trahinormn piscaiitiuin
incalles Villefrance. »(Atto notarile del 1418,
secondo il Moris piscare ad trahinum va-
leva pescare col lume).
Traina (specie di trave).
« .^SY quis tiraverit trainam per viaiu vol-
tarmn, solvat prò hanno » (Barelli, Statuti
di Ormea, pag. 157.
Tramezana (tramezzo).
« Vellet sibi servire... mediante tramezana
de mactotio. » (Alizeri, Notizie, II, p. 208 .
Trapa (ramoscello).
« Homiìies dicti loci scifidentes bacula,
schoegacia trapas raniaoiras in nemore
Randiati incidant eie. » (Stat. Bajardi).
Traslicium (tela, traliccio).
«Itemunum traslicium stacatiim. y>{Cart.
S. Pofitii, pag. 240).
Travacha?
« Ioanncs de Rezio et Daniel florentinus
qui pingere habcfit travacham lobie bran-
dalis. » (Alizeri, Notizie, 1°, pag. 331).
Travazare (tramutare).
« Quod januenses prò rebus et mercibus
de vassello in vasselum travazatis, nihil sol-
vant rationc juris dohanarum. » (Sella, Pan-
dette delle Gabelle, pag. 118).
Treuga (tregua).
« Treuga facta cum predicto Sarracetio,
insitnul valde aniicari ceperunt. » (Caphar.
Annal.).
Treugus (trivio o piazzetta).
« Teneatur spazare vias et lapide s corani
domo sua per trcugos rectos » (Barelli, Libro
della catena, pag. 29). Sono ricordati in
questi capitoli altri treughi cioè quelli ec-
crexie, liazoliorutn et galterii.
Trezenum (diritto che si pagava dal-
l'enfiteuta nel trapasso della pro-
prietà).
« Trezenuìn infra annum solverit. » (Stat.
Mentoni).
Tricator (fraudolente).
« Capere consueverant in dicto burgo la-
trones, fures, tricatores, paltrones et fal-
sarios. » (Podestà, pag. 85).
Triculus (oste).
« Nullus hospitator vel triculus masculus
vel /emina., pullos, ora seufructus vel pisces
recefites eniere audeat. » (Stat. Sarzanej.
Trincharia (sorta di giuoco .
« 'Tabernarius tenens trinchariam possit
vendere vimini. » (Stat. Nicie .
Tripoli (polvere che si usa per nettare
i metalli).
« Candelabra abstergentur pulver e puniceo
quem dicunt Tripolim. » {Synod. dioecesane
Genuens. ecclesie, pag. 487).
Trippa (ventre delle bestie).
« Aliqua persona non audeat vel prcsumat
lavare aliquos pannos et interiora bestiarum
sicut utdieitur trippe... infra fontes. » (Stat.
Pornasii, cap. 148).
Triturare (smagliare).
« Si aliqua persona trituraverit segetes
ante tempus. » (Stat. Garlende, pag. 53).
Troia (femmina del maiale).
« De porcis et trois non nutriendis. -st
(Stat. Albingan.).
Trolium (anticamente esprimeva un
pozzo o cisterna in genere, non è
stato che in epoca posteriore, che
si riservò tale voce a designare i
pozzi d'olio, foderati di lastre di
lavagna).
« Si quis fecerit fossas seu trolios in suis
Ortis, nemo ipsos vietare possit. »(Stat. Apri-
calis).
Trossonus (tronco).
« Subtus quo {querchu) sunt duo trossoni
de qucrchu.»{Cart. S. Pontii, pag. 89).
Tuberes (spiegato dal Cais di Pierlas
per azzeruoli).
« Campum de Ctenonios ubi tuberes tra-
huntur. » {Cart. S. Pontii, pag. 43).
[74
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
207
Tupinus piccola pignatta).
« Trayta quingenti tupinoruìn. »(Morozzo,
Le storie di Monteregale, voi. 3°, pag. 68).
Turchimanare (interpretare).
« lacobinus de saticto Siro predicta omnia
turchimanavit. » (Ferretto, Cod. di pioni., 2",
pag. 394).
Turibile (turibolo).
« Promittit facere et construere turibile
unum argenti. »(Alizeri, Notizie, VI, p. 316).
Turire 1 montare dei tori).
« Homines qui eligant iv lauros de quo-
libet qjtarterio, ad turiendum vachas Baen-
naruìH. » (Assandria, Stai. Baennaruni).
Turonensis moneta francese divisa in
lire, soldi e denari).
« Constituo ad exigenduni et recipiendtcni
a domino rege Francie, libras ccntum et
solido s tres et dennrios tres turonenses. »
(Belgrano, Documenti, pag. 67).
Turrianus (custode di torre).
« Si pulsatimi fuerit ad streìnitam per
turrianos. » Stat. Uvade, pag. 181).
Turris (torre, abitazione degli homines
majorcs o domini, che alzavano tali
edifici nel castrum, e mai nel borgo,
dove rumoreggiavano e prevale-
vano gli uomini della compagna ;
e secondochè scrive il Giancardi
3- P^g"- 52 delle Imprese di Alassio,
era in uso nella Liguria che le fa-
miglie, le quali erano in grado di
costrurre ed armare a loro spese
una nave o galera, acquistavano il
diritto di alzare una torre nel paese,
privilegio che faceva passare gli
arricchiti borghesi nel campo degli
odiati signori).
Tuvea (massa vulcanica consolidata in-
sieme).
« Circa archam tuveani supradictani in-
venta sunt ossa et reliquie beatoruni confes-
sorum Felicis et Roniuli. » (Ottob. Scribe,
Annales., anno 1188).
U
Uels (Utelle, nel contado di Xizza).
« De Uels xviii denarios. » (Cais, Cartul.
de la Cath. de Nice, pag. 48).
Ulmeta (Ormèa, capoluogo dellcA^iozene
lunghesso il Tanaro," reso celebre
nel medio evo per le secolari con-
tese cogli emuli pastori di Val di
Arossia, che convenivano in Teuco,
contese di cui tratta con erudita
memoria Iacopo Durandi).
« Alpes Viozene in posse et territorio Ul-
mete... nemo possi t bandire vel disbatidire
hominibus Ulmete dictum locutn. » (Durandi,
pag. 204 e 208).
Umbraculum (ombrello per accompa-
gnare il viatico).
« Satis ad faciendum novum umbraculum
Corporis lesu Chrisli. » (Alizeri, Notizie,
VI, pag. 332).
Umbrina (ottimo pesce di scaglia).
« Piscatores non possint vendere ad poti-
dus aliquam juntam de capite vel de cauda
73
alicujus thotii, sede, umbrine, figi vel cer-
vioris, sub pena eie. » (Pandiani, Stat. di
Porto Venere, pag. 87).
Unta (oltraggio).
« Si fecerint ficuin, vel dixerint untani
vel vituperium Dei vel alicujus sancii, au-
feraìn solidosjatine/ises. » 1 Podestà, pag. 51).
Usaticus (usufrutto).
« Condo7iavit tcrciam parteni totius usatici
et lezede, quam in sua terra soliti erant
dare. » {Lib. jurium, i", pag. 39).
Usucapio (prescrizione?)
« lurent... de rebus et libellariis injuste
ablatis usucapione per viginti annos. »
Uvaga (misura di capacità).
« Pro qualibet uvaga cere odo denarios. »
{Lib. jurium, 2", pag. 462).
Uxerius (sorta di nave).
« Pro servitio iviperatoris cum duodecim
galeis et uxeriis fecerunt. »(Ottobon, Scribe,
Ann. 1194).
208
GIROLAMO ROSSI
V
Vacheta (libro in cui si scrivono le
cose minute).
« Insuper dicti notarii facere icueantur
unum repertorium in quadam vacheta. »
(Stat. Sarzane),
Vadimonium (scommessa).
« Considera!! fes odia lifes et discordìas...
que ex infi-ascriptis vadimoniis orivi vi-
deniur, staluinius etc. » (Stat. Padri, p. 224).
Valdum ?
« Item quod possit pasturare et allevare
in Valdo marchiouis sine drictu et fictu et
aliquadacita. »(Documeiiti di Cairodel 1235).
Valimentum (valore).
« In dieta quantitate seu in valimenio diete
qiiantilatis. » (Rossi, Stai, liguri, pag. 202).
Vallonus (torrentello).
« Juxta vineam niagistri Petri Barralis
et juxta vatlonmn a parte inferiori... a
parte superiori juxta quoddani vallonetutn. »
{Cari. S. Pontii, pag. 271).
Vanga (fossa).
« De clausuris terrarum et vàngis pur-
gandis. » (Stat. Levanti, pag. 40).
Varare (immettere in inare una nave).
« Quocumque tempore lignum novum de-
beatur varare, debeat dare scaraticum. »
(Cuneo, pag. 11).
« Mestrales habeant potestatem recipiendi
pignora ad varandum Ugna nova. » [Lib.
Juriiim, i", ann. 1149).
Vassellus (vascello).
« De lignis seu vassrllis onera tis fructi-
hus. * (Sella, Pandette, pag. 163).
Vasteria (tratto di terreno, dove i pa-
stori adunavano e lasciavano dor-
mire i loro greggi, ricevendo dai
proprietari un convenuto compenso
per lo stallatico che vi rimaneva,
atto a concimare il podere).
« Vasteria tnultum necessaria juxta terratn
Simconis Cabagnr qu'' pallia reinanere de-
beat tatii prò vasteria, quain abeuragio et
passagio. » (Stat. Sospitelli).
È indubitato che al vocabolo vasteria
vanno associati i nomi di vaylis capo di
una o più parie di armenti o greggi, di
pastor custode di mandrie, di pecudarius
conduttore di armenti e primo fra tutti
quello di vaccarius fabbricante di for-
maggi; poiché conviene persuadersi che
nei passati secoli nei quali era sconosciuta
l'eguaglianza, anche in mezzo ai pastori
era riuscita a far capolino la gerarchia.
Vastum (danno).
« Si vastum factum f neri tipsis comitibus. »
(Cais, Pes Stat. de Vinti mil., pag. 120).
Vazi?
« Item concesscrant liberam facultatetn
posse libere et impune super alpibus Tende
unant paritam pecudum magnani et parvam
proni honiinibus Priorie placuerit et vide-
bitut et alias bestias de vazi grossas vel
minutas pascere totas alpes Tende. » (Con-
venzione dell'anno 141 1).
Veges (veggia o botte, che nel medio
evo era in uso per misurare la ca-
pacità delle navi).
« Habeat dieta navis vegetes prò aqua te-
nenda prò niezarolis duobus niillibus. » (Bei-
grano, Documenti, pag. 11).
Vendersi o Vendertii (antica abbazia in
quello di Tortona, di cui si perdette
il nome coli' erezione dell'abbazia
di Albera. (Pollini, Alemorie storiche
drlln chiesa di Tortona, pag. 49).
Veretonus (proiettile da balestra).
« Item veretonorum capsie sex. » Rossi,
Storia del marchesato eie, pag. 91).
Vernacia (vino prelibato).
« Non liceat alieni vendere vinum eodem
tempore in taberna, excepta vernacia. »
(Stat. Sarzane).
Vernix (vernice).
« SoluìH chori ligncnm fi-icctur sanda-
racha, quam verniccm dicuvt. » {Synod.
dioeces. genuensis, pag. 479).
.76
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
209
Vermis (baco da seta).
« ihii ìuisso Gebennas qiiesi/uin, vermes
facientes siricum. » (Giorn. ligustico, 1882,
pag. 74).
Verzarium (verziere).
« Hoìiiines qui habent terras deversus ver-
zarium. » (Stat. Albingane).
Veta (impedimento).
« Ille qui fecerit vetain, ieneatur emendare
furtum. » (Stat. Carpasii).
Vetturalis (vetturale).
« Nullus vetturalis vadens apud Lunam...
accipiat Itisi unam soinmam ]>ro asino. »
(Podestà, pag. 46).
Viagium (corsa, viaggio).
« Naulizamus bucium novum nostrum qui
vocatur S. lohannes in viagio Romanie. »
(Belgrano, Documenti, pag. 318).
Vianda (cibo).
« Veniemus ad expensas comunis tantum
viande et civade dunitaxat. » {Lib.jtcriuni, I,
pag. 408) ; « /« vianda armis et pannis et
aliis rebus necessariis.y>(Ogenì Panis, Annat.
1210).
Vicecomes (titolo distinto affatto dal
feudale e che veniva assunto da
compartecipi in contratti di com-
mercio o di navigazione, per cui
si trovano numerosi casati di Vi-
sconti in Genova).
« Vicecomites et participes vicecomitatus
jura que habent in dicto introytUf possunt
vendere donare. » (Doneaud, Commercio e
navigazione dei Genovesi, pag. 152).
Omnes homines exceptis illis de cpiscopatu
lamie, quando veniunt lanuam, cum mer-
cibus et implicitam faciunt dant vicecomi-
tatum secundum quod continctur in registro
vicecomitatus. Omnes vicecomites et omnes
qui habent partem in introytu ripe et vice-
comitatus faciam convocare. (Idem., p. 148 .
Vidimus (così appellavansi nel medio
evo le copie autentiche di docu-
menti estratti dall'originale).
« Petierunt compctetis et idoneum vidhnus
et exemplum publicicm in judicio et extra
vatiturum. » (Manuel di S. Giovanni, Me-
morie storiche di Dronero, parte 3^, pag. 73).
Vigilie (nei primi secoli del Cristiane-
simo, nelle notti precedenti le so-
lennità, si teneano aperte le chiese
per recitarvi le orazioni prepara-
torie pel domani).
« Predicta impteantur officia et vigiliarum
prò nobis ipsa nocte largiantur studia et
cantetur vesper.-» (Cart. Lirinense,pag. 263).
Ma da questi notturni convegni essendo
originati disordini e scandali , vennero
proibiti :
« Vigilie et excubie in ecclesiis non per-
niittcnde. » (Landinellus, Synod. Albingan.,
pag. 144).
Vincus osterius (ferro da far ostie).
« Item prehet vincos ostcrios ad faciendum
ostias. » (Cart. S. Pentii, pag. 369).
Vineta (vinello).
« Aliqua persona non audeat vendere vi-
netani prò vi?io. » (Stat. S. Romuli).
Viola (strumento musicale a corde).
« Quicumque repertus fuerit de nocte...
pulsando cum lira, viola, lento, seu alio
quovis instrumento... condemnefur, » {Stat.
criminal. Saone, pag. 53).
Visarium e anche Vilzarium?
« De arboribus stantibus, vel pluvientibus
vel adumbrantibus super alienis domibus
visariis et aleis. » (Stat. Lavine).
« Si quis inventus fuerit de nocte in aira
vel vilzario, vel in horto, solvat. » (Stat.
Naticini).
Voga (remo).
Corrado di Mileto promette di conse-
gnare in Genova duodeciìii vogas della
lunghezza di 13 gode e della lunghezza
unius buche canis et grossitudinis medii
parmi. Il Rocca Pietro crede che la mi-
sura di bocca di cane risponda a dieci dita.
Vogare (remare).
« Remi boni prò vogando ad minus cxxx. »
(Saoli, Della colonia dei Genovesi in Calata,
pag. 506). Si incontra non di rado il vo-
gerius per rematore.
Volta (la copertura in materia di un
edificio, per distinguerla dal sola-
rium, che era fatto di legno).
«Pro pensioìie volte, in qua reponiin-
tur cartularia notariorum defunctoruni. »
(Cuneo, pag. 277).
77
27 — Mise, S. Ili, T. XIII.
2IO
GIROLAMO ROSSI
Si trova anche in significato di fiata,
viva sempre nel dialetto:
« Lit mulieres que ad secundam voltam
transierint..... teneantur. » (Stat. Pere ,
pag. 694).
Vultergium (fodera).
« Tovaliolam unain involiilam uni vul-
tergio novo. » (Giornale ligustico, 1884,
pag. 354).
Vulturum (Voltri).
L'egregio Alizeri a pag. 109 del 1° voi.
delle sue Notizie, scrive che non uno, ma
due Voltri (o Vutri nel linguaggio verna-
colo) suonano e in Toscana e in Liguria.
Aggiunge che dove possono con voce ita-
liana produrre equivoco, sotto spoglia la-
tina non usano confondersi, conciossiachè
il nostro Voltri negli atti di quella età,
non altrimenti che prima e dopo, non si
appella che Vulturum. Mentre Vultrium
non nostro, fu già castello, ed ora credo non
più che villaggio in Maremma vicino di
Grosseto.
X
Xola (pialla incurvata).
« Ferrar ius habeat prò fac tura xole ìwve
solid. III. » (Assandria, Stat. Baenuar.).
Y
Ypotecharius (farmacista).
« Medici nou habeant societatem cuni
ypothecariis, ncc ypothccarii cum viedicis. »
(Stat. Nicie).
Zabra (ciabre in Piemonte e chiara-
vugli in Liguria).
« De zabra secundo nubenlibus uou
fienda. » {Syuod. cpis. taurinensis Provane,
1507, cap. LXXX).
Zapella sorta di giuoco).
« Ludere ad ludum zapetle vulgo pareti. »
(Stat. Lavine).
Zelsmont (grasso di foca).
« Pro qualibet lagena sive tonna sagi-
ìuinis foce yVulgariter die ti zelsmont.^ quatuor
denarios. » {Lib. jurium, II, pag. 462).
Zerbinus (stuoja).
Il Ferretto {Cod. diplom. 2", pag. 421)
ricorda certo Nicolò, che riceve lire ven-
titre implicatas in carpitis et pice et zer-
binis.
Zerbolum e Zerbodum (nome di un
antico castello dei Conti di Venti-
miglia. che si ergeva al confine oc-
cidentale del loro feudo).
In una bolla di papa Lucio III del 1184,
nella quale conferma ai canonici della cat-
tedrale di Ventimiglia varii luoghi dove po-
tevano decimare, viene ricordato Agerbol ;
in altra carta del 1186 è detto coincs non
debcat habcre refugiuni in Poypino vel Ro-
chabruna ncque in Colbi vel in Gerbol; in
altro atto di vendita fatto dai Templari in
Albenga il 18 gennaio 1191, è compreso
locuin ubi dicitur Zerbolum qui est ultra
Vigintimilli civitatem ; finalmente nella
cessione fatta da Guglielmo ed Enrico,
conti di Ventimiglia, al comune di Genova
sono ricordati Castrum Golbii, Zerbodi etc.
Di questa località, pressoché ora dimenti-
cata, rintracciava le rovine di quattro torri
quadrate e di un'elegante chiesuola dedi-
cata a S. Quintino del xii secolo, l'egregio
cav. canonico de Villeneuve, Elemosiniere
e Bibliotecario di S. A. S. il Principe di
Monaco.
Zingari (vagabondi originarli delle Indie
che predicono la buona ventura).
« A sua parrochia mendicos, vagabuudos
et crroìies , qui vulgo zingari dicuntur,
expellat. » (Spinula, Constit. Synod. Sarza-
nensis, pag. 202).
Zopus (zoppo).
« Ncc debeat aliquis constitui serviens
qui sii sideratus zopus. » (Cuneo, Debito
pubblico, pag. 285).
78
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
Zornea (giornea, sopravveste di dignità
militare).
« Zorneas duas de camucato albo prò dictis
fratribiis. » (Giorn. ligust., 1SS4, pag. 334).
Zucha (zucca).
« De/eretifes zuchas rccentes nihil solvant. »
(Stat. Vezzani, pag. 36).
Zuchus (parte ingrossata di qualunque
radice d'albero).
« Quis extirpaverit zuchos ha Io sta-
tuto di Garlenda ; e la rubrica de zuchis
non extirpandis, si legge in quello di
Triora.
Zuoitus ?
« Coìtfeciones scirtippos specias medicinas
et alias quascmnque spectantia ad dictavi
artem (speciarii) facient de bona zuoito. »
(Filippi negli Slatuli già citati, pag. 95).
W
Tanto nella lingua tedesca, quanto nel rozzo latino, la iìì doppia si pronuncia
come gu nell'italiana lingua, come :
Waita e Scarawaita, per guaita e sca- Wardianus, per guardianus.
raguaita.
Wantelmus, per Guantelmus.
Warcinia (dicevasi l'opera di segare il
fieno).
« Ipsa warcinia facere minime volueri-
mns.» {Be\gvano, Cariarlo /genovese, p. 566).
Warnerius, per Guarnerius,
Wide, per Guido.
Wilelmus, per Gulielmus.
79
212
GIROLAMO ROSSI
GLOSSARIO DEL DIALETTO
Acabanare (nascondere).
« Li fece tuti acabanare in una villa
apreso Santa Maria de Loreto. » (Abate,
Cronache Savonesi, pubblicate nel 1897 dal
dott. G, Assereto, pag, 59).
Acatare (comprare).
« Chi eusse denari a chatarla. » {Memo-
riale di Sa/uzzo, pag. 422).
Achotrao (acconciato).
Vedi esempio a pag. 459 dell'ora citato
Memoriale.
Angao (pei-golato).
« Denanci a dite cazc gè aviano uno
belo angao, bene fornito de vize. » (Abate,
pag. 155).
Angaria (imposizione).
« La villa de Leze fa angaria per fochi
224. » (Abate, pag. 212).
Arabelare (rimorchiare).
« La sua madre la arabelava in la riana. »
(Abate, pag. 315).
Arancare (sradicare).
« Fece arancarc li termi. » (Abate ,
pag. 157).
Arembare (appoggiare).
« E fecero la porta de la cita verso la
marina arembata a lo dito baloardo. »
(Abate, pag. 85).
Arre (errore).
Vedi esempio a pag. 10 del Ciornaìc
Lio US fico ilei 1886.
B
Baragna (luogo pieno di spine e di
sterpi).
Vedi esempio nel Bruzza, Iscrizioni ver-
cellesi, pag. xcvi.
Barcon (finestra aperta sino al pavi-
mento).
Biribissi (di questo giuoco tanto noto
nel XVIII secolo, dà la descrizione
il Casanova a pag. 201 della C071-
tessa Clementina).
Era un tavoliere che aveva 36 caselle :
ogni giuocatore estraeva tre numeri con-
secutivi e se indovinava alcuno dei 36 nu-
meri guadagnava 32 volte la posta. I ban-
chieri del biribissi, detti biribanii, erano
tre, uno teneva il sacco, l'altro il denaro
e il terzo aveva l'ispezione del tavoliere.
Bregantino (nave).
« Teniamo una nave armata in le porte
de Saona e uno bregantino armato. » (Abate,
pag. 52).
Brumezzo (esca che si sparge nel mare
per adescar pesci. Giorn. ligustico,
1886, pag. 12).
Brustia (pettine grosso).
« Una brustia da lino e dei petini da
stopa. » (Abate, pag. 194).
Buso (acerbo, immaturo).
Capeta (dispregiativo, dice l'Assereto,
a significar gente d'infima plebe).
« Vogio fare memoria de li grandi bra-
vasi e spadasini e capete e rompiceli. »
(Abate, pag. 266).
80
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
21
Caraca (barca).
« La peste se diceva uzita da una caraca
de Napoli. » (Abate, pag. 20).
Caregaro (calzolajo).
« Lospitale per li infermi incurabili no-
minato lospitale de S, Paulo... e lospitale
de li caregari. » (Abate, pag. 216).
Chiaggio (così veniva chiamato un ter-
reno, che avea sofferto il taglio
degli alberi e non conservava più
che cespugli ed arbusti. {Basidi di
Cairo, artic. 5).
Cosciatico (diritto che vantavano al-
cuni feudata,ri di prelibare il primo
fiore delle spose).
È vocabolo usato dal prete Panizzi in
un poemetto, stampato alla macchia nel
1713-
Cratiliaria (unito a taberna, indicava il
luogo dove si facevano i basti).
D
Danza moresca (così appellavasi una
danza fatta da carbonari che salta-
vano in mezzo a cerchi di legno,
di cui gli uni si intrecciavano ad
altri in modo diffìcile e studiato.
Ora con spade battevano a cadenza
musicale, ora baldanzosi correvano
all'assalto ed ora retrocedevano però
in modo misurato e concorde).
Fantina (nubile).
« Fu trattato de donare dita fantina per
spoza alo figliolo secondo de lo dito re di
Fransa. » (Abate, pag. 108).
Fideli (vermicelli).
Il Verzellino ricorda fra le gabelle di
Savona quella dei fideli.
Foglietta (dazio che s'imponeva a chi
smerciava al minuto generi di ci-
baria e vino).
Gauzera (gazzarra, allegria).
« Il Signore de IMonago ha fatto grande
gauzera. » (Saige, Documents, I, pag. 623).
81
Giboreia (specie di ricotta, di cui si
parla negli Statuti di Nizza del 1673,
pag. 43)-
I
Imbrumme (ingombro, vedi Giornale
ligustico, 1886, pag. 15).
Incartare (matricolare).
« Ninno ardiva incartare alcun garsone
per meno tempo d'anni sei. » {Aiti delia
Società Storica Savonese, tom. 2", pag. 85).
Intopare (imbattersi).
« In meso Jesu Christi li intopava. »
{Atti detta Società Ligure, voi. XIX, pag.638).
Lairo (in Castel Vittorio, tale voce vale
grido).
Lala (zia in tutta la Liguria).
Libbia (sorgente d'acqua).
« Se mai libbia o pozzo derivasse dal-
l'altrui terra. » {Statut. Rio di Groppo,
pag- 38)-
M
Masacano (muratore).
« Mi ordinono che avese adornare a veci
con 3 masacani. » (Abate, pag. 159).
Mascata (ceffone).
« Non osi dare mascate o masellate. »
{Stai. Rio di Groppo, pag. 7).
Mazzaro (mantiglia bianca che porta-
vano le donne genovesi, rispondente
in parte al zendado nero veneziano).
Monti liguri (col Trattato di Campo-
formio e di Luneville i feudi impe-
riali vennero aggregati alla Re-
pubblica ligure sotto la detta de-
nominazione).
Osca (quella porzione di metallo affilato
che si stacca da un'arma da taglio).
214
GIROLAIMO ROSSI
Piccagia (legacela).
Poazza (grossa falce).
R
Ramassa (slitta).
« Non manca il comodo d'abbreviare la
strada (coperta di neve) col beneficio della
loza detta Ramassa. » (Gofifrcdo, Storia delle
Alpi marittime, pag. 28).
Rapa (uva pigiata).
« Tina, bota e torni da torze la rapa. »
(Abate, pag. 103).
Reba (piazza del mercato).
« In data piaza se contane la reba, dove
tuti li mulatieri portano tute le vitoaglie
a vendere. » (Abate, i)ag. 208).
Repellare (giocare o sia repellare in
compagnia).
Questa spiegazione testuale che caviamo
dal capit, XXVI degli Statuti civili e cri-
minali di Rio di Groppo, serve a snebbiare
il significato dei vocaboli Repelatio e Re-
pelium da noi inseriti nella prima parte
di c}uesto Glossario e che secondo l'anno-
tatore della Cronaca di Sahizzo risponde-
rebbe al rabel piemontese.
Revezolo (cruschello).
« La valuta de lo breno e de lo reve-
zolo. » (Abate, pag. 163).
Richela (grano di prima qualità).
«Comprano una mina di richela. » (Abate,
pag. 162).
s
Sacrestia (questo vocabolo oltre di si-
gnificare il luogo dove si conserva-
vano le cose sacre, dinotava pure
in Genova e nella Riviera la stanza
dove erano custodite le carte del
Comune. Così pure venivano deno-
minate nel palazzo di S. Giorgio le
stanze, dove era depositato il de-
naro; e sacristi erano appellati co-
loro che erano incaricati della cu-
stodia dei pegni).
Scotona (vacca giovine).
Sebba (tinello).
« Ogni macinatore dovrà avare almeno
due tinella, dette volgarmente sebbe. » (Stat.
Nizza, 1673).
Sesdro (scrive il Pollini a pag. 164
delle Notizie di Malesco, che così
si chiamava la stalla destinata a
custodire i tori per l'accoppiamento
colle vacche .
Spaudo (così si appellava nei paesi di
Val d'Arossia un'imposizione pecu-
niaria, che un giovine sposo doveva
sborsare alla gioventù del luogo,
nel giorno in cui impalmava la fi-
danzata).
T
Targata (messo comunale).
« Mandavano targete a domandar cose
nuove. » (Abate, pag. 71).
Tartanone (specie di rete che si tira in
mare come la rissuola e la sciabica).
Temeni (così sono denominati dal Ce-
lesia i recinti in pietra che si rin-
vengono in alcune alture delle Alpi).
Traina (mercè un esempio estratto dal-
l'Abate, si può con sicurezza affer-
mare che truina valeva tetto appeso).
Le antiche chiesa coperta la più parte
in travature, lasciavano costrurre solo sopra
gli absidi, dei tetti appesi che decoravano
di pitture. L'ora citato autore parlando a
pag. 49 d'un ladro, che avea rubato il ta-
bernacolo nella chiesa dì S. Pietro di Sa-
vona, scrive che fu trovato tra viczo lo
telo e la truina., cioè nell'intercapedine
formata tra la travatura e la volta in calce.
Da queste poche parole viene chiarito il
dubbio da noi incontrato nel dare la spie-
gazione della voce troyna.
u
Uvernengo (d'inverno).
« C'è uno arboro de pele uvarnenga. »
(Abate, pag. 157).
Zachara ?
« Non osi battere alcuna persona con
pugno, preda, bastone o zachara. » (Stat.
Rio di Groppo).
82
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
215
AGGIUNTE AL GLOSSARIO
Acquinea (Gli Ebrei erano ammessi a
giurare, secondo un atto del 1376,
super literas mosaicas, ut est moris
judeis, jtirare ad acquineam). Bres
Giuseppe, da un Archivio ?iotarile
di Grassa. — Nizza, tip. Robaudi,
1907, parte I, pag. 73.
Acumiadare (accomiatare).
« Promittimt dictuni Guillielnmni noti de-
serere, nec acumiadare. f> (Idem, pag. 11).
Aleysuch (giuoco d'azzardo).
« Prcdicttis nobìlis... non debeat liiderè ad
aliqiiem ludum « aleysuch » sed tantum causa
solata ad banhat. » (Idem, pag. 45 e 46).
Banhat (giuoco d' azzardo, vedi Aley-
such).
Bolendinum (modo di pesca).
Nel 1474 a pescatori di Oneglia era stata
concessa facultatem cum eoruin barcha et
ingeniis suis ad bolendinum tantum piscandi
anas presenti et non ultra. »(Idem, pag. 54).
Bota (barca peschereccia). Per l'esempio
vedi Bordigol.
Bordigol o Bordiga (chiamavasi un re-
cinto formato con giunchi e canne,
nei canali di comunicazione fra gli
stagni e il mare per prendervi i
pesci).
« Faciant etfacere debeant in stagno maggie
robine territorii loci de napola unmn inge-
niuìn bordigol, vulgariler appellatuììi aptum et
sufficiens adpisces capiendum qtceìnadmodutn
in talibus capi solent. Itein debeatit tenere
83
unam botani sive barcam et retia necessaria
ad ipstim bordigol. Item habere debeant
pales, catinas, fayssinas et alia necessaria
ad perfectionem dicti bordigoli faciendi. »
(Idem, pag. 32).
Questa nota conferma quanto scrivevamo
al vocabolo Burdigheta a pag. 29 della i*
parte.
Bugueira (specie di rete).
« Suis retibus sive bugueiris colatis, in
mare venit cum suo trayno et suis marina-
riis. » (Idem, pag. 125).
Calanca (distretto marittimo assegnato
per potervi pescare).
« Notificatio calancarum ad piscandum
prò uìiiver sitate de Canoys; » ed in tale no-
tificazione sono ricordate otto calanche nelle
isole di S. Onorato e di S. Margherita. »
(Idem, pag. 54).
Colobrina (colubrina, pezzo lungo d'ar-
tiglieria).
« Itetìi et quatuor colobrinas bonas et suf-
ficientes ferri munitas. » (Idem, pag. 77).
Eysseldonus (tegola).
Giovanni Bosqui di Barcellonetta pro-
mette di fornire il numero di dodicimila
eysseldonum, pel tetto della chiesa did frati
minori di San F"rancesco.(Idem, pag. 29).
Fayssina (fascio di legna legato ai due
capi per far riparo ad acque che
inondano). Per l'esempio vedi Bor-
digol.
2l6
GIROLAMO ROSSI
Fermalhus (fermaglio).
« Dccreiuin in pergameno copertimi de
cario rubro cuin iniposicione quatuor fer-
malhoruni. » (Idem, pag. 15).
Gauta (gota).
« Percussus tani cmn una alaiiia retro in
espatulis quam cmn uno lapide in capite,
sive in la gauta. y^ {Idem, pag. 16).
M
Massonaria (così venivano chiamati i
diversi riparti, in cui si divideva
la estremità inferiore delle ancone
in legno).
Fu convenuto che tutte le effigie tanto
nel quadro, che nella predetta, abbiano ta-
òernacu/a s\ve\a7nassonaria di colore buono
e che ogni campo del (juadro come della
predetta debba essere di oro fino ad arbitrio
del pittore. (Idem, pag. 60).
Misterium (mestiere).
Promette d'insegnare bene et legalitcr
misterium sartorie. (Idem, pag. 17).
Clama ( falciola
Gauta.
Per l'esempio vedi
Pavescol?
La barca fu attaccata con uno pavescol navi
Biscaynor uni. [Idem, pag. 50).
Poypinus (nome generico di speciali
ricinti di difesa).
I recenti studi che si fanno sull'età pre-
istorica in Francia, ci consiglia a rifarci sul
Podiuvi pinian della i» parte, affine di la-
sciare l'addentellato per risalire agli an-
tichi ricinti in terra od in pietra dell'età del
bronzo, noti coi nomi di Poypes, che l'abate
F. Richard Marchand assimila alle nume-
rose Mottes della Francia. Noi abbiamo in
Liguria il Poypinus che si alza ad occidente
della Villa Matuziana (S. Remo) ed altro Poy-
pinus che fu la culla di Mentone, come ab-
biamo pure notizia delle Mote del contado di
Nizza e vicinanze mandando a riscontrare i
particolari a detto vocabolo. Scrive il citato
abate che documenti feudali fanno ricordo
di Motte e di Poypi sino al xn secolo, il che
a suo avviso non toglie che tale tipo di
motta e di Poypo, cioè di recinti di terra o di
pietra, possa risalire ad epoca preistorica.
Può darsi che tra non molto, spiegandosi
anche fra noi questo genere di studi si possa
dire : et meminisse juvabit
Quoquinus (malfattore).
Nessuno porti lazaros, quòquinos aut me-
retrices publicas sub pena xxv librarum.
(Idem, pag. 55).
R
Robina (nome di canale che metteva in
comunicazione gli stagni col mare).
Per l'esempio vedi Bordigol.
Romancium (romanzo).
« Roìnanciuni qui vocatuni Morons, scrip-
tum in lingua francigena. » (Idem, pag. 42).
Serpentina (grossa artiglieria antica o
draghetto).
Prometto di fare duas serpcntinas ferri
septcìn palnioruni... cumtribus bonas et suf-
Jìcicntcs trayan ,vulgariter loqucndo. » (Idem ,
pag- 77).
Zona (cintura).
« Promittit unum par calligaruin, uniun
velhum sive bindain,etunam zonam. » (Idem,
pag. io).
84
GLOSSARIO MEDIOEVALE LIGURE
217
INDICE DEI VOCABOLI ANTIQUATI
incRisi nel te^^to degli esempi addotti
/ iiu7neri di questi iridici si riferiscono a quelli che si trovarlo a pie di pagina.
Acimare Pag. 5
Amarinata » io
Amoratus . . » 72
Angurialis »
Asperus »
Auleum »
Axonus »
Cinata »
Civada »
8
65
9
II
Harancum f^g- 18
Basilare » 64
Bertesca » 14
Bimayum »
Bordonus »
Bovarilis »
Bracas »
Brenta » 16
Bricola » 16
Brilla » 32
Bucius » 77
Bullatum » 13
fiutare » 6
Caliga Png- 8
Camuscius » 22
Cantilena » 66
Capaironus » 69
Ò7
77
Clavica » 70
Cloaca » 31
Corbinum » 21
Corium » 6
Cornixium » 64
85
28 — Mise, S. Ili, T. XIII.
Fegatellum Pag. 20
Follator » 20
Franchisia » 64
Galetus Pag. 7
Garnire » 9
Granata » 28
Grangia » 18
Grantonata » 29
Grixius » 32
laria Pag. 63
Incanata » 69
Inglesia » 68
Intrata » 5
Iona » ir
Lento Pag. TJ
Lezeda » 75
Lira » 77
M
Martur »
Massatello »
Matracium »
Meania »
Mendigono »
64
Magena Pag
Mala » II
Malvasia » 57
Manaira » 11
Mantellum » 66
22
57
13
8
17
2l8
GIROLAMO ROSSI
Mesica Pag- 21
Mettaria » 67
Mezarolia » 76
Mezeta ,..,..» 26
Munzajum » 72
P
Pagiolus Pag. 20
Parosinus » 68
Parancare » 15
Partita » 5
Pavella » 63
Pecudarius » 9
Pilastrum • . » 6
Pillotum » 64
Portalis , . . . » 9
Portrida » 57
Presa » 6
Q
Qiiarantenum Pag. 15
R
Rampa Pag. io
Rasperius » 7
Rastrellum Pag. .S7
Rochum » 68
Rubinus » 28
S
Scalinata Pag- 9
Scelonus » 14
Scartariatiis * 57
Sculdascius » 65
Scorzonus » 71
Scurare » 18
Segnoria » 29
Serra » 11
Stuchiuni » 26
Sperus » 73
Susina » 7
T
Tirare Pag. 64
Triaca » 17
Turbus » 69
V
Vermilium Pag. 14
Vernacia » 57
Verrina »ii
Verrugium » 11
INDICE
A chi legge '. Paj^. 3
Glossario » 5
Glossario del dialetto » 80
Aggiunte al Glossario » 83
Indice dei vocaboli antiquati » 85
86
LEONE FONTANA
RICORDI
DEL COLLEGA
Antonio Manno
YVyvVYYYVYYVVVVVVVyVVVVYVVVVVVVvVYYVVVVVV'.N^^''V'VVVVS^ V\^ V~
Leone Fontana in certo modo, e scientificamente, fu il figlio delle
proprie opere.
*
I suoi venivano dalla Valsolda, dove il munifico uomo aveva dotato : il
suo paese, di condutture di acqua potabile; il municipio, di una decorosa casa
comunale; la parrocchia, di tali benefizi ecclesiastici che ancora ne rimane, ai
nepoti, la designazione del parroco.
Ma, in quell'ambiente ricco, virtuoso, onoratissimo, Leone non trovava
ancora l'esempio e lo sprone ai forti studi né vi respirava il gusto per l'arte.
Fu da se stesso che si creò colla incrollabile sua volontà, con la costanza
indefettibile, con le aspirazioni nobili e serene, scevre di ambizioni volgari^
ma desiderosissimo di rendersi utile.
• *
Nacque in Torino addi 31 di gennaio del 1836 da Vincenzo ed Orsola
Spurgazzi.
Riportata la laurea legale {1S56, 21 luglio), cercò, come pubblica carriera,
quella così faticosa, così male compensata, che si strascina ingloriosamente
negli Archivi di Stato.
Ma vi fu guidato dalle sue aspirazioni di studi storici; perchè vi avrebbe
trovato modi ed agi di prendere pratica nel deciferare paleograficamente
ed avrebbe maneggiato i materiali storico-legali verso i quali si sentiva
attratto.
* *
Fu breve il suo fermarsi negli Archivi, dal '59 al '67 ; perchè, venuto a
conoscere che si meditava una riduzione di « organici »; acciò non venisse
danno ed esclusione a taluni colleghi non bene provveduti ; egli, ricco di
222 ANTONIO MANNO
censo, e seguendo un sentimento che il neo Direttore generale, Michelan-
gelo Castelli, « non poteva fare a meno di altamente lodare (i) », lasciò lui
l'ufficio per tema che altri lo perdesse.
In quegli anni, quasi per esaminare e giudicare se stesso, prese parte
a parecchi « concorsi scientifici >>.
Uno ne aveva bandito la R. Accademia di scienze, lettere ed arti di
Modena, sopra l'argomento delle Spese comunali.
La sua Memoria fu segnalata per un « Accessit » e il presidente, Carlo
Malmusi, gli scriveva (1864, 26 nov.) non esserglisi usata compiacenza, ma
che il giudizio « non fu che un atto di mera giustizia » e che ne « traeva
« argomento ad incoraggiarlo a proseguire nella bella via e in sifatta ma-
« niera di buoni studi che tanto preoccupò elettissimi ingegni italiani nel-
« l'interesse della cosa pubblica ».
*
* *
Un altro tema fu allora proposto, con premi, dalla Accademia delle scienze
morali e politiche della Società Reale di Napoli sopra la tesi: « Delle leggi
« relative alla stampa ». Furono presentate quattro Memorie e la Commissione,
presieduta dall'Imbriani, a relazione dell'Arabia (2), assegnò la vittoria al-
l'avvocato Domenico Gaetani, ma giudizio incoraggiante per il Fontana.
*
* *
Come nel concorso indetto dalla R. Accademia delle scienze di Torino
per invitare gli studiosi ad « investigare l'influenza del contratto enfiteotico
« sulle condizioni dell'agricoltura e sulla libertà personale ai coltivatori, spe-
« cialmcnte in Italia » (tornata 1860, 24 gennaio).
Il premio non fu conceduto, ma nella Memoria mandata dal Fontana, la
Giunta che la esaminò, deplorando che lo scrittore, per sopravv^enutagli
malattia, non avesse potuto condurla a termine, vi lodava la « esposizione
« che procede ordinata, con ischietta semplicità ; vi traspira un alito di buon
« senso che concilia all'autore l'attenzione, non meno che la benevolenza dei
« lettori ».
*
* *
Fu pure un concorso che determinò la precisa direzione dei suoi studi.
Era stato pubblicato nel 1876 dal R. Istituto Lombardo di scienze,
lettere ed arti col tema: « Studi critici e documentati sugli statuti dei Co-
muni e delle Corporazioni nell'Italia superiore e nelle regioni contermini »•
(i) Lettera 27 nov. 1S67 per annunciargli l'aspettativa conceduta con R, D. 21 luglio 1867,
susse.2:uita dall'accettazione della rinuncia.
(2) Reìidiconti dell' Accademia. Napoli, 1S65, 183.
RICORDI DI LEONE FONTANA 22^
Corse l'arringo con un lavoro che modestamente intitolò : « Note per una
Bibliografia degli Statuti dei Comuni dell'Italia superiore ». L'illustre Ascoli
che ne riferiva all'Istituto, notate certe lacune prodotte « da cause che hanno
« dolorosamente imposta l'interruzione di quegli studi » (ed era la disgrazia
della sua vedovanza), trovava così buona la struttura del lavoro ed esser l'au-
tore così pienamente entrato nello spirito del tema « che non si saprebbe
« imaginare di leggieri un altro lavoro i cui intendimenti meglio corrispon-
di: dessero a ciò che l'Istituto voleva ».
Notava esser larga ed eletta la suppellettile statutaria di cui disponeva
e riconoscendo « il lavoro condotto con bel metodo, il ragionamento sobrio,
« solido, imparziale » proponeva di offrirgli, come si fece, il palio maggiore
della nobile corsa.
Ma, se riportò l'ambito premio, tuttavia non rimase soddisfatto, né sa-
ziato di se stesso.
Già correva quella prurigine nei giovani, che adesso è addirittura una
morbosa scribendi cacoetlics ; tutti volevano stampare ed egli, con un lavoro
coronato, non solo lo ripose a maturare nel prudenziale novenario Oraziano ;
non solo resistette alle continue pressioni degli amici , né le mie furono
fiacche ; ma con una incontentabilità che ha pochi esempi, sempre miglio-
rando, correggendo, accrescendo la sua Bibliografia stattitaria italiana, finì
col lasciarla inedita, e il figlio, con pietose, diligenti ed opportune cure, la
pubblicò postuma nel 1907 (i).
Chi scrive consumò molti anni nelle fatiche bibliografiche e, conoscen-
done le difficoltà e le insidie, in tutta coscienza loda ed esalta l'opera del
Fontana. Non istituisco confronti, non faccio paragoni, ma con tutta verità
la proclamo la migliore in Italia fra le congeneri.
Vi è metodo e sicurezza di notazione ; vi sono sobrii, ma opportuni schia-
rimenti e vi é tutta quella immensa preparazione, che non apparisce ad
occhi inesperti e che egli condusse per trent'anni, senza posa, senza stan-
chezza, estendendola a tutte le fonti, ed in paese e fuori.
*
* *
E da notarsi come, modesto e generoso sem.pre, non si rifiutasse ad
aiutare di collaborazioni ignorate scrittori che pur battevano la stessa strada
di lui.
Ne dò prove pubblicando alcune lettere inedite trovate nel suo carteggio.
(i) Bibliografia degli Statuti dei Comuni dell'Italia superiore compilata da Leone Fon-
tana [con prefazione "biografica ed analitica di Paolo Boselli, pubblicata postuma dal figlio
ingegnere Vincenzo]. Milano-Torino-Roma, Fratelli Bocca, 1907 (Torino, tip. Vincenzo Bona),
3z/., 8" (ritr., xiv pp. -re. - 510; 504; 524 pp. - i e). L'importante Indice delle persone e
dei luoghi (III, 387-522) è diligente ed utile compilazione del figlio Vincenzo.
ANTONIO MANNO
Francesco Ferro (0 a Leone Fontana,
s ^" u D I o
dall'avvocato
FRANCESCO dott. FERRO
TREVISO
Preg""^ Signore,
Il carissimo amico mio professore Don Iacopo Cavaliere Bernardi di
Pinerolo m'inviava la sua lettera del 12 maggio contenente le nozioni da
me desiderate intorno agli Statuti di Alba e di Altare. Egli poi mi animava
a rivolgermi direttamente a Lei se, per avventura, altro fosse per occorrermi,
col biglietto che qui Le trascrivo:
« Le notizie d'Alba e di Aitare te le darà precise la lettera che ti ac-
« chiudo. L'illustre giovane che la scrive è addetto agli Archivi generali
« di Stato, e se vuoi metterti in corrispondenza con esso, presterassi ai de-
« Sideri tuoi volentieri. É tanto buono ed operoso. »
Avvalorato in tal forma dall'amico, non esito ad approfittare del suo
buon consiglio, indirizzandole la presente, nella quale mi giova spiegarle lo
scopo che mi sarei prefisso, affinchè Ella possa conoscere le mie idee e ve-
dere se e come sieno le medesime attuabili.
Possessore di una sufficiente collezione di Statuti italiani e stampati e
manoscritti mi occupo incessantemente di accrescerla o con permute o con
acquisti. Il possesso appunto dei medesimi e la imperfezione unita a qualche
errore che riscontrai negli appunti stampati dal Bonaini, e nel Saggio biblio-
grafico degli Stallili ilaliani pubblicati dal Berlan, ed anche \vq\V Elenco dei
Coi/nini degli Stali Sardi ch'ebbero nel Medio Evo stattUi proprii contenuto
nel giornale Y Indipendente e Palriolta fecero in me insorgere il pensiero di
compilare una Bibliografia degli Statuti italiani, la quale si desidera ancora
che potesse riuscire più soddisfacente e più vantaggiosa.
In addietro io mi limitai a quelli della mia provincia, ed Ella ne abbia
la prova nell'opuscolo che le accompagno, e che La prego aggradire unen-
dovi anche un breve statuto di Valvassone stampato a mia cura, con alcune
osservazioni. E dell'uno e dell'altro glie ne spedisco tre esemplari, uno per
Lei e due da disporsi come meglio reputasse opportuno.
Ora vorrei che tale bibliografia fosse possibilmente estesa a tutta Italia,
ed ho già dato mano alla compilazione di qualche articolo, e mi propongo di
proseguire colla maggiore possibile alacrità, valendomi dei materiali che
possedo, degli elenchi di varie biblioteche già procuratimi, e ritirando le
nozioni opportune d'onde mi possono abbisognare.
Il Piemonte abbonda di disposizioni statutarie, e io ne possedo di stam-
pate e di manoscritte, e tra quest'ultime alcune anche di quelle non ricor-
date da alcuno, come sarebbero quelle di Arcola, Ameglia, di Trebbiano, e
di Sarzanello, pure abbisogno di non poche notizie su qualche edizione di
cui sono mancante, e più particolarmente sui manoscritti, riguardo ai quali
sono nella ferma credenza che il giornale V Indipendente sia incorso in gravi
errori.
Allorché compilai la Bibliografia degli Statuti della provincia di Treviso,
trattavasi di un numero assai limitato, mi sono esteso in qualche articolo.
Credo però che la generale avesse a compilarsi con qualche maggior restri-
(i) Francesco Ferro pubblicò: Bibliografia degli Statuti della provincia di Treviso
(Treviso, Andreola-Medésia, 1S58). Statuta Collalti edita (Treviso, e. s., 1S59).
RICORDI DI LEONE FONTANA 225
zione, non però tale che non si debbano correggere gli errori nei quali fos-
sero incorsi gli altri, o che abbiano a mancare le opportune nozioni. Affinchè
Ella possa conoscere il metodo da me osservato, le unisco tre o quattro
articoli, e fra questi anche quello di Alessandria. Alla perfetta completa-
zione del medesimo mi mancano le indicazioni relative agli Statuti dei giu-
reconsulti citati nel giornale V Indipendente nel modo che segue :
« Statuti particolari de' Giureconsulti compilati nel 1458 - 161 7 - 1629;
« nel 1683-1695; nel 1698-1707, stampati in Alessandria, Biblioteca (xallenga »,
dalla quale biblioteca appunto potrebbero ottenersi.
In tale intrapresa io non ho alcuna idea di speculazione, e non ho le-
gami con alcuno, cosicché se quella potesse aver luogo, con chi mi prestasse
assistenza potrei aderire alle condizioni più favorevoli.
Eccole detto tutto- e colla mia solita franchezza e lealtà. Spetta ora a
Lei il decidersi, se voglia cooperare ad un'opera che ritengo vitilissima ed
agli studi storici ed ai legali, ed in qual forma, nel caso affermativo, intenda
cooperarvi.
Le aggiung'o che non nutro neppure la voglia di figurare in principalità,
e che se taluno volesse assumerla, mi presterei tanto e tanto nella compi-
lazione di quegli articoli dei quali mi fosse data la possibilità di occuparmi.
Ella vegga la cosa e mi onori di un suo prossimo riscontro. Mi creda
intanto con tutta stima.
Dev"^" Serv-"'
Treviso, 31 maggio 1S60. Francesco Ferro.
Francesco Ferro a Leone Fontana.
Stinf" Signore
La, pregiatissima lettera di V. S. del 30 decorso mi ha vivamente col-
pito. E ben vero che l'amico Bernardi mi aveva assicurato che le cogni-
zioni e l'amore allo studio di V. S. andavano congiunti ad una rara genti-
lezza, ma non avrei mai potuto immaginarmi che questa giungesse al segno
da dovermi quasi ritenere scortese se non approfittassi in qualche modo delle
fattemi esibizioni.
Poiché dunque V. S. non può assumere una parte diretta nel lavoro da
me divisato, e del quale vado occupandomi, e poiché mi offre l'opera sua,
della quale però non voglio abusare, mi permetto implorare alcune nozioni
sopra altri statuti dei quali o per essere ancora inediti, o per riuscire di
non facile reperimento, non sono ancora possessore. Quali siano le nozioni
da me desiderate V. S. potrà rilevarlo dall'inserto foglio.
E per questo mi rivolgo nuovamente alla S. V. perchè io non ho titolo
alcuno per indirizzarmi né all'avv. Claretta, né al cav. Adriani, al quale
ultimo vorrà soffrire il disturVjo di consegnare la inserta, tenendomi in do-
vere di rendergli grazie pel disturbo che volle addossarsi dell'Elenco da lui
compilato, e che tornerà utilissimo all'opera da me divisata, contemplando,
come V. S. mi accennò, statuti inediti o poco conosciuti.
In questi ultimi tempi si accumularono sopra le mie spalle affari sopra
affari di professione, i quali mi tennero molestamente occupato senza che potessi
concedere neppure un ritaglio di tempo ai miei studi prediletti. Ma se il cielo
lo acconsente, mi ricatterò e in breve del tempo perduto. Ciò per altro non
impedì che io potessi accrescere la mia collezione di una trentina circa di
statuti o affatto nuovi, o di edizioni da me non possedute, il che mi torna
utilissimo per non recare disturbo ad alcuno onde ripetere nozioni, ed essere
in caso di compilare io stesso gli articoli bibliografici. — Da ciò V. S. potrà
immaginare quale sarebbe il mio desiderio di possedere anche quelli stam-
pati descritti nella inserta memoria che io sarei pronto ad acquistare a denaro,
9
29 — Mise, S. Ili, T. XIII.
2 26 ANTONIO MANNO
od anche mediante permuta di altri Statuti nostrali possedendo più che
qualche duplicato.
Se V. S. avrà l'opportunità di far pervenire l'acclusa all'amico Bernardi
mi farà piacere. Non si stanchi di assistermi, si giovi dell' opera mia per
quanto possa valere e mi abbia con riconoscenza e stima
Suo dev'''" Serv'"'
Francesco Ferro.
Treviso, 29 luglio 1860,
Iacopo Bernardi a Leone Fontana.
Prcg""^ Sig. ed Amico,
Il Falconcini (i) mi scrive cento e mille cose graziosissime di Lei, più
migliaia me ne dice il Barrerà. Ella è destinato ad essere amato e giovevole
a tanti. Oggi il Barrerà (2) doveva essere a Torino. Il Vescovo nostro ed
io, per quantunque ho meglio potuto, cercammo trattenerlo a Pinerolo e
abbiam vinto. — Ci perdoni questa vittoria, nella quale il Barrerà e' entra
per nulla, tranne la condizione dolorosa d'essere stato vinto.
Questo doveva dirle nell'atto di significarlo la viva mia riconoscenza,
di pregarla a riverirmi la famiglia, e a credermi il suo devotissimo, rico-
noscentissimo
Ab. Bernardi.
Pinerolo, 19 maggio 1861.
Iacopo Bernardi a Leone Fontana.
Chiar""^ Signor Avvocato,
Grazie tante a nome dell'amico della trasmissione delle notizie biblio
grafìche sugli Statuti. Le invierò sollecitamente a Torino, e l'amico nostro
l>e farà i debiti ringraziamenti anch'esso. — Aggiungerò la nuova cortesis-
sima offerta di Lei. Le trasmetto un opuscolino per la sorella. E compimento
di un altro che Le ho trasmesso, mi sembra.
Perseveri nei suoi studi e si ricordi talvolta del
Siw devot"'" ed affez'"^
Ab. Bernardi.
Pinerolo, 4 maggio 1862.
Antonio Valsecchi (V) a Leone Fontana.
Egregio Signore,
Le invio sotto fascia un estratto della mia Bihliograjia degli Statuti ita-
liani, che contiene un ragguaglio su quelli di Avigliana. È un tributo di
riconoscenza ch'io Le debbo, sebbene Ella non mi conosca, né io abbia
(i) Enrico Falconcini che pubblicò: ^linministraie e fa/e economie: Proposte (Torino,
1864); Cinque mesi di prefettura in Sicilia (Firenze, 1863).
(2Ì Carlo Barrerà Pezzi, autoredi: Storia della Valso Ida con documenti e statuti i^\\\^-
rolo, 1864); Documenti ilalo-ispani {?\nGro\o, 1864); Di Giovanni Cabotto, rivelatore del set-
tentrionale cmisferio d'America (Venezia, 1881).
(3) Autore delle opere: Bibliografia degli Statuti italiani contenuti nella sua privata
biblioteca, voi. I (Padova, 1862); Bibliografia analitica degli Statuti di Albenga, cogli Statuti
stessi ed una prefazione di Bern. iMattiauda (Albenga, 1885); Cenni storico-biografici sulla
origine e lo sviluppo della legislazione criminale, civile, mercantile e feudale della /Repubblica di
Venezia (Venezia, 1880) ecc.
IO
RICORDI DI LEONE FONTANA 227
l'onore di conoscerla. In leggendo l'articolo Ella vedrà come io debbo esserle
obbligato: essendo esso più cosa sua che mia. Solo mi duole di non aver
potuto nominarla, essendone stato sconsigliato dal signor avv. Ferro di
Treviso per delicati riguardi. Egli però palesommi il di Lei nome, ond' io
potessi mandarle gli articoli nei quali mi sono valso della dotta memoria da
I.ei spedita allo stesso signor Avvocato. Ora ho pubblicato il 1" fascicolo
del mio lavoro, nei due seguenti saranno stampati gli articoli degli Statuti
di Albenga e di Asti, di cui a suo tempo Ella riceverà un esemplare, come
di tutti gli altri in cui avrò potuto giovarmi delle notizie da Lei fornite
al signor Ferro.
Perdoni la libertà che mi son presa e mi consideri
Suo obblr'io Servo
Antonio Valsecchi.
Padova, 8 maggio 1S62.
P. S. — L'articolo tarderà un giorno a giungerle pei riguardi della Censura.
Antonio Valsecchi a Leone Fontana.
p^ggiM Signore,
Mille grazie delle notizie che mi ha favorite e mi sono giunte proprio
nel punto in cui lo stampatore mi esponeva la necessità di stampare l'arti-
colo già composto e riveduto per avere in libertà il carattere corsivo, di
cui abbisognava per la composizione di quello sullo Statuto di Alessandria,
il quale riescirà lunghetto e per la materia, e perchè vi ho trovate circa
600 voci da aggiungersi al Glossario. — Appena che sarà uscito il 2° fasci-
colo Le manderò gli articoli di Asti ed Alessandria che ne formeranno
parte, e quello di Aosta che fu pubblicato nel 1°.
Se avesse qualche cosa a dirmi intorno gli Statuti di Alessandria, e spe-
cialmente sui codici mss. che, per avventura, esistessero in codesto R. Ar-
chivio, ne Le sarei sommamente obbligato. Io mi valgo senza cerimonia
della sua cortesia, e desidero ch'Ella si valga con altrettanta libertà di me
in tutto ciò in cui fossi atto a servirla.
Nell'articolo di Asti La ho nominata parlando dello Statuto de' Notai,
dove ho trascritte le notizie eh' Ella me ne ha date : ma relativamente al
resto ho conservato l'anonimo, temendo, come mi ha fatto supporre il sig.
avv. Ferro, che potesse spiacerle di essere nominato in notizie tratte dal-
l'Archivio. Se però ciò non Le fosse discaro, io potrò rivelare il suo nome
nell'articolo sopra lo Statuto di Albenga che fornirà la materia del 3" fasci-
colo, giacché anche per quello mi son valso della sua Memoria.
Il sig, avv. Ferro non mi ha comunicato finora che la detta Memoria
in cui si parlava di Albenga, di Asti e di Avigliana, ed un cenno sopra
Aosta, ma soltanto dopo che il relativo articolo era stampato. Mi riservo
però di valermene in un'appendice che aggiungerò in seguito a quell'articolo.
Siccome a mio nipote De Antichi, di cui Le feci motto nell'ultima mia,
ho mandato un esemplare del saggio da darsi alla Redazione del Mediatore
perchè si facesse noto in quello la pubblicazione del mio lavoro ; interes-
sandomi perciò di sapere se quell'involto sia giunto al suo destino ; di che
mi fa dubitare il silenzio di detto mio nipote; cosi La prego nuovamente
di far chiedere di lui al ^Ministero delle Finanze presso il quale è impiegato
1 1
228 ANTONIO MANNO
per fargli sapere l'invio da me fattogli, e sollecitarlo ad accusarmene
la ricevuta.
E rinnovando le sincere proteste della mia stima e gratitudine me Le
dichiaro
Aff'"" ed obbl'"'" Servitore ed Amico
Padova, 19 mags^io 1862.
Antonio Valsecchi.
Antonio Valsecchi a Leone Fontana.
Pregiatissimo Amico,
Ella mi fa sempre cortesissimi ringraziamenti per quei poveri opuscoli
che di quando in quando Le invio, ma si dimentica le obbligazioni ch'io ho
con Lei per le molte e preziose notizie che mi ha date su diversi Statuti
e che gioveranno a dar merito alla mia Bibliografia analitica^ obbligazioni
ch'io non dimenticherò giammai.
Le invio i due fascicoli della stessa bibliografia ch'Ella mi chiede per
la Biblioteca di codesto R. Archivio di Stato. Il prezzo d'associazione ò di
L. 3,31 ; lascio però Lei arbitro di stabilire una riduzione se lo credesse
conveniente. A proposito è Ella rientrato in qualche ufficio presso lo stesso
Archivio ? mi sarebbe assai caro di sentirmelo affermare.
Gradisca le proteste della mia più sentita stima, e se ha l'occasione di
vedere il sig. comm. Domenico Promis gli porga i miei complimenti ed i
miei auguri.
Suo affez'"^'* ed obblig'"^" Amico
Antonio Valsecchi.
Padova, 2 gennaio 1872.
Quintino Sella a Leone Fontana.
Carissimo nipote,
Ciò che mi mandasti sui Biandrate mi pose sulla via, e mi indusse a
ripigliare il lavoro. Ti mando le bozze quali avevo prima allestite, e le ag-
giunte che farei mutatis mutandis.
Dacché si deve ritoccare il quadro genealogico fatto di recente da un
uomo così coscienzioso come il Bianchetti, mi parve necessario dare un
qualche maggior sviluppo al cenno sui Biandrate; indi la broda lunga che
tu vedrai.
Non ho capito bene dalla tua lettera dohde tu abbia tratto il quadro
del .Salvai e la nota che annettesti, e che suppongo pure del Salvai. Vedrai
che ho lasciate in bianco le citazioni.
Non vi è indiscrezione maggiore che il chiedere ad un uomo di pian-
tare in asso i suoi studi per occuparsi dei lavori di un altro. Ma dacché
hai fatto trenta abbi pazienza di far trentuno.
Fammi adunque:
1° il piacere di mettere in ordine le citazioni;
2" di vedere tu l'Angius e il Benvenuto di S. Giorgio che io non co-
nosco affatto, onde riconoscere se vi sia qualcosa a toccare in ciò che io
dico sui 12 de Biandrate, dei quali per tua disgrazia il codice d'Asti parla;
3" di suggerirmi liberamente tutto ciò che ti pare da mutarsi e cor-
reggersi, e come fondo e come forma. Non aver paura della mia barba
bian.ca : del resto anche la tua comincia a farsi troppo rispettabile.
12
RICORDI DI LEONE FONTANA 229
Quando tu avrai fatto con tuo comodo le emendazioni, aggiunte e detrazioni
che crederai (e più ne farai, e più ti sarò grato, giacché tutta questa roba non
è pane per i miei denti), manderò ogni cosa al Bianchetti. Non mando prima,
giacché suppongo che non abbia i libri di cui testé parlavo. Faccio questa
supposizione perchè a Roma mi disse che non conosceva il INIoriondo, ove
pure vi sono documenti relativi ai Biandrate, e perché mi scrisse l'annessa
lettera, dalla quale risulta chiaro che non conosce e non ha sott'occhio il
quadro del Salvai.
Naturalmente avrò poi a combinare con lui la forma che meglio gli
convenga, e forse anche in ciò tu mi dovrai aiutare, potendo essere che si
aprisse con te molto più liberamente. Tu comprendi che io ho un desiderio
solo: fare ciò che meglio piaccia a lui. A me non importerebbe nulla il
sopprimere il capitolo dei Biandrate, ed il lasciar fare a lui in una apposita
memorietta la rettificazione del suo quadro genealogico.
E curioso che scrivendo la prima volta io già volevo fare l'ipotesi che
il conte Emanuele discendesse da Uberto IL Fu l'Uberto III del Bianchetti
che mi fece paura, sebbene non mi persuadesse.
Nulla di nuovo, neppure il caldo, che é di una costanza immutabile,
tutt'al più un po' crescente. Addio.
Tuo aff'"" zio
Quintino.
/■'.S.— Se ti vien comodo, mostra questa faccenda dei Biandrate a Vayra.
Gli scrittori adesso, specialmente giovani, cercano il record col numero
delle pubblicazioni.
Leone Fontana si può dire che volesse limitare la sua produzione alla
sola Bibliografia.
Infatti non fu che per istanze mie ch'egli si decise a commemorare Carlo
Bon-Compagni, con il quale era all'unissono nei sentimenti politici (i)e Carlo
Dionisotti suo collega ed amico (2).
Noi due si doveva pubblicare uniti la corrispondenza dell'illustre Mitter-
mayer con Federigo Sclopis (3), come me ne aveva pregato la coltissima
contessa Isabella vSclopis, nata Avogadro. Ma per troppe occupazioni di en-
trambi non se ne fece nulla.
Di inedito lasciò un pensatissimo lavoro « SulV andamento dell'imposta
di ricchezza mobile nella provincia di Torino ».
*
Oltre che di storia, fu studiosissimo e fine intelligente d'arte. Con cure
sollecite e non senza spese fortissime radunò rarità di molto pregio. Fu dei
primi ad occuparsi del nostro, quasi sconosciuto, pittore Defendente De Fer-
rari, e ne raccolse parecchie tavole. Come molti codici miniati e preziosi che
lasciò ammirare nelle mostre solenni dell'Arte.
(i) Commemorazione del conte Carlo Boìi-Compagni; in Miscellanea di Storia italiana della
R. Deputazione di Storia Patria. Torino, 1882, XX, 521-44.
(2) Coumieinor azione del Comm. Carlo Dioìiisotii ; in Miscellanea di Storia italiana della
R. Deputazione di Storia Patria. Torino, 1901, XXXVH, 469-475.
(3) Nel mio Diarietto di ricordi ho segnato la proposta che feci al Fontana (1880, 8 .?;iugno)
e la sua accettazione (i i giugno).
13
230 ANTONIO MANNO
^ *
Entrò fra i consiglieri comunali di Torino nel giugno '87. Conferma-
rongli l'ufficio e la fiducia le elezioni dell'Sg, '92, '95, '96, '99. Assessore nel
sindacato Voli, e pro-sindaco. Commissario regio a Torino (26 gennaio-marzo
1896) in difficili momenti. Fu unanime il plauso per l'opera sua di concordia,
cosicché lo vollero vSindaco (1898, g aprile), ma non accettò.
Gli fu premio alla vita operosa, dignitosa e generosa, la nomina a sena-
tore del Regno (1900, 14 gennaio).
*
* *
Aveva dato l'affetto suo e la sua mano a Rosa, dei Sella (1869, 22 aprile).
La consorte gli morì giovanissima (1875) ed egli, che serbò sempre il lutto
vedovile, concentrò i suoi affetti domestici nel figlio ingegnere Vincenzo,
prosecutore dell'opera paterna, e nella figlia Maria, consorte dell'avvocato
Basilio Cridis.
Morì, in mezzo a largo e sincero rimpianto, in Torino addì 9 del feb-
braio 1905 e come egli aveva scritto del Bon-Compagni « mancava di vita
« placidamente perchè in pace colla sua coscienza e credente in Dio e
« nella sua giustizia » (i).
■*
Tempera robusta e carattere mite, dolce, quasi timido. Rifulgevano in
lui le doti della bontà e della modestia.
Quando gli annunziai che era stato eletto socio effettivo della R. Depu-
tazione di storia patria (2), quasi quasi voleva sfuggire a questa distinzione
e dovetti fargli cortese pressura perchè accettasse.
*
* *
Fu lui che, anonimamente, ideò, propose e sostenne, in ogni anno, la
pubblica sottoscrizione per fondare Ospizi marini (3). Eppure ninno mai ne
seppe nulla. Il figlio scoprì questa beneficenza ordinando le carte paterne.
Chiudo il mio dire con un saluto di cordialità e di rispetto all'anima
sua desideratissima e buona e col trascrivere queste due lettere che rivelano
una sua singolare e pudica modestia.
(i) Cf. la Commemorazione di Alessandro Laftes, in Archivio storico i/a/ia no, Firenze, 1907
V, XL, 151; la Rivista slorica italiana, Torino, 1905, XXII, 414; ed il Bollettino storico
bibliofirajico subalpino, Pinerolo, 1905, X, 241.
Notevolissimo ed alTettuoso ricordo ne lasciò Paolo Boselli premettendo una sua infor-
mazione biografica alla Bibliografia statutaria, I, V-XII.
(2; Adunanza del io magcfio iSSo e R. Decreto di apprt)vazione del successivo o:iorno 20.
(31 Gazzetta del popolo di Torino (1S70, iS giugno).
RICORDI DI LEONE FONTANA 23 1
NDEliZA di FIH41IZA
A TORINO
.«w^ii^ * Gener. 5770
*'^"""" / Sez. 870
Sezione 4^.
OGG ETTO:
elegato governativo
EONE Fontana
Con dispaccio 20 gennaio u. s. il Ministero delle Finanze, Direzione Gen.
delle Imposte dirette, mi scrive quanto segue :
« Valutando al giusto gli utili e zelanti servigi, resi dall'avv. sig. Leone
« Fontana, nella sua qualità di Delegato presso la Commissione provinciale
^ di appello per le imposte dirette di codesta città, il Ministero non sarebbe
« stato alieno dal secondare la proposta fatta dal sig. Intendente, colla
« nota segnata a margine, per la concessione al medesimo di un pubblico
'< attestato della Sovrana considerazione.
« Se non che avendo il sig. avv. Fontana avuto forse notizia della pro-
« posta rassegnata a di lui favore, si è indirizzato al sig. Ministro dichia-
« randogli che, mentre tiene in gran pregio tale dimostrazione di gradimento,
« esprimeva tuttavia il desiderio che, per ora, non fosse dato corso ad alcuna
« disposizione.
« In presenza di così esplicite dichiarazioni e non potendo a meno di
« apprezzare questo atto di delicatezza, il sig. ^Ministro si è astenuto dal
« rassegnare alla firma di S. M. il Decreto, già predisposto, per la conces-
« sione al sig. avv. Fontana di una onorificenza cavalleresca.
" « Lo stesso sig. Ministro ha però interessato il sottoscritto ad esprimere
« al sig. Fontana la sua particolare soddisfazione per gli utili servigi resi
« all'Amministrazione, come delegato di codesta Commissione, soggiungen-
« dogli che, se per secondare il desiderio da lui espresso, non ha ora dato
« corso alla proposta suindicata, confida che alla prossima occasione egli vorrà
« aggradire un simile attestato di benemerenza che il Ministero si farà do-
« vere di proporre alla Corona.
« Voglia pertanto il sig. Intendente far note queste dichiarazioni al
« sig. Delegato prementovato in adempimento dell'ordine ministeriale ».
Nulla rimanendomi ad aggiungere alle avanti trascritte , lusinghiere ,
ministeriali dichiarazioni, mi limito a rinnovarle i sensi della predistinta mia
considerazione ed osservanza.
U Intendente.
Cali .
ìl^" Sig. Fontana avv. Leone,
iclegato governativo presso la
"Commissione governai, d' x[p-
')ello per le imposte dirette.
Torino.
15
2 32 ANTONIO MANNO - RICORDI DI LEONE FONTANA
Costantino Perazzi a Leone Fontana.
MINISTERO delle FINANZE Ron^a. 5 gennaio 1873.
Il Segretario Generale ,
Carissbiio Leone,
Peppina mi comunicò il tuo bel telegramma e la tua lettera, ch'io, a
mia volta, feci leggere a S. E. Quintino.
Ambedue troviamo che tu avresti tutte le ragioni di dolerti di essere
oggi crocefisso, qualora la proposta fosse partita da me o dal Sella. Ma la
proposta è venuta dalla Intendenza di Finanza di Torino; venne esaminata
dalla Direzione Generale delle Imposte a Firenze ; e venne a noi con tutte
quelle, e sono molte, per le decorazioni di Capo d'anno. Come vedi in tutto
ciò, né il Segretario generale, tuo cognato, né il Ministro, zio di tua moglie,
nulla là hanno messo; hanno approvate le proposte state fatte, in forma
affatto ordinaria, dall'Amministrazione competente a farla.
Se tuttavia, malgrado questa esposizione dei fatti come sono avvenuti,
il tuo sentire delicatissimo ti consiglia a persistere nella tua preghiera di-
retta a Peppina, la tua volontà sarà fatta.
La Peppina sarà soddisfattissima di aver ottenuto dal suo Costantino
una grazia per te.
Tu non vuoi essere crocefisso.
Giovanni e le sorelle e i cognati non avranno ragione alcuna di met-
terti in burla.
Tua madre non avrà un cavaliere in casa e la tua gentile Rosetta non
ti vedrà crocefisso, per ora.
L'Italia avrà un cavaliere di meno !
Io poi sono l'unico fortunato in tutto questo affare; di aver cioè avuto
un'occasione per rammentarmi a te, alla tua Rosetta e a tutti.
Tuo
Costantino [Phrazzi].
*
La memoria onesta di Leone Fontana rimarrà a lungo nei cuori degli
amici, nei fasti della R. Deputazione di Storia patria e nella riconoscenza
degli studiosi.
16
CARLO CIPOLLA
INVENTARI TRASCRITTI
DA
PERGAMENE BOBBIESI
DEI SECOLI Xlll-XlV
30 — Mise, S. Ili, T. XIII.
Y V Y Y V V V ■.' V V V -r V V V '^ W Y Y Y V V V V V V Y Y"V
Nello spoglio sistematico da me fatto delle pergamene riguardanti l'Ab-
bazia di Bobbio, mi sono incontrato in alcuni documenti notevoli per questo
che in ciascuno di essi si trova inserito un inventario o nota di oggetti, di
mobilie, ecc. Quei documenti mi furono somministrati dall'Archivio capito-
lare di Bobbio (1289) e dall'Archivio di Stato di Torino (1361, 1362, 1388, 1388).
Tre di questi ultimi spettano alla categoria Paesi, ed uno solo viene dall'Ar-
chivio della famosa Abbazia.
Il più antico inventario si riferisce alla Canonica di Bobbio. Il seguente,
di cui ho fatto uso in altra mia monografia, ha attinenza colla chiesa di
S. Colombano della Spelonca, la quale ricorda il luogo che il Santo, tro-
vando che il monastero era luogo non abbastanza deserto e rimoto, sentiva
meglio conveniente al suo intenso amore per la solitudine. Il terzo ed il
quarto documento ci parlano di due case private di Bobbio. Il quinto invece
spetta ad una bottega di mereiaio situata in Piacenza. Nessuno di questi
atti si riferisce quindi all'Abbazia bobbiese, e perciò nessuno fra essi po-
trebbe trovar posto nel Cartario della medesima.
L'interesse di questi documenti è vario, ma nessuno di essi n'è privo.
Furono già pubblicati numerosi inventari, che rappresentano le ricchezze,
talvolta meravigliose, delle gioie, delle mobilie, degli utensili, che pompo-
samente decoravano i castelli e le magioni dei principi, o che costituivano
il fardello nuziale delle spose delle nostre famiglie più doviziose. E sta bene;
ma la società non consta unicamente di famiglie ricche e signorili. Tornano
quindi non meno preziosi gli inventari delle masserizie delle famiglie del
popolo, che formano la maggioranza della popolazione. Sotto questo punto
di vista considerati, i nostri inventari III, IV e V hanno pieno diritto all'at-
tenzione dello studioso.
Poverissima era la famiglia di cui troviamo il riflesso nell'inventario
del 1362, doc. III: si tratta di poche mobilie, letto, scranna, scrigno, tovaglie,
laveggi, ecc. Non molto meglio fornita era la famiglia bobbiese, il cui inven-
tario del 1388 occupa il IV posto nella presente raccolta. E una famiglia
dedita alla coltura dei campi. Superiore assai è la famiglia del mereiaio, che
nel doc. V, 1388, vide elencato, in parte, il suo mobilio. Siamo in tutti i casi
sempre in contatto con una famiglia borghese, tutto al più di agiata condi-
zione ; ma nulla più in là. Nell'ultimo inventario le vesti sovrabbondano, sia
3
236 CARLO CIPOLLA
da uomo, sia da donna; alcune fra esse sono anche ornate. L'oro e l'argento
compariscono più volte nel corso dell'inventariazione. La persuasione che la
famiglia fosse agiata viene anzi sopra tutto dall'abbondanza e dalla bontà
dei vestiti. C'è qualche traccia della vita contadinesca ; ma, più che dei
buoi, si parla qui dei cavalli. Peraltro un concetto pieno intorno allo stato
di quella famiglia non possiamo proprio farcelo, mentre l'inventario pre-
sente viene dichiarato essere soltanto il complemento di altro precedente
inventario, che non ci è pervenuto, o che almeno a me rimane tuttora nascosto.
I documenti I e II, rispettivamente degli anni 1289 e 1361, riguardano
specialmente i libri, i vasi, i paramenti e quant'altro si riferisce al culto. Il
secondo di questi due documenti, come quello ch'è un testamento, ci dà una
nota affatto incompleta rispetto alla suppellettile spettante a S. Colombano
della Spelonca. Infatti vi si ricordano solo quei pochissimi oggetti, che for-
mano argomento ai legati di un canonico bobbiese, che, stendendo l'atto di
sua ultima volontà, si ricorda di quel santuario. Di tutt'altra natura è il
doc. I, che contiene la piena descrizione dei libri, vasi, paramenti pertinenti
alla Canonica di Bobbio. Chiudesi l'elenco con brevi notizie su quanto stava
nella cucina e n^X forno.
La chiesa dei canonici di Bobbio non mancava dei libri necessari alla
celebrazione della Messa e al canj^ nel coro. Aveva anche alcuni volumi
biblici, qualche passionarlo, e forse appena un libro estraneo alla vita e alla
coltura ecclesiastica: voglio dire un volume d'argomento legale, detto Bro-
cardiis. E curioso il vedere come i canonici possedessero due esemplari della
Bibbia; l'esemplare men buono stava momentaneamente in prestito presso il
vescovo di Bobbio. Pare adunque che il vescovo, per conto suo, non avesse
nell'episcopio neanche un testo biblico. La Bibbia rimasta presso i canonici
qui viene detta maggiore, e non è improbabile che si tratti di uno di quei
grandi volumi, del sec. xi incirca, che più o men bene conservati, e più o
men bene miniati, spesseggiano ancora nelle biblioteche. Tra gli oggetti
sacri destinati al culto, primeggia la croce coperta d'argento, dorata, su cui
stavano incastonate molte pietre (preziose).
Ho pubblicato qualche anno fa l'elenco dei pochi libri e dei miserabili
oggetti, spettanti, intorno a questa medesima epoca, alla rettoria di Bardo-
lino, la quale dipendeva dall'Abbazia di Bobbio. Non è dubbio che c'è una
notevole differenza fra la chiesa canonicale di Bobbio, e la cappella di
Bardolino sul Garda. Per altro bisogna ben dire che se a Bobbio v'era tutto
quello di cui, a rigore, non si potea fare a meno, la chiesa era così meschi-
namente provvista, da doversi credere che anche i canonici vivessero molto
e molto modestamente.
Al testo del documento faccio seguire un piccolo lessico, nel quale
tentai d'interpretare i vocaboli, spesso alquanto oscuri, senza pretesa d'averli
sempre indovinati. Talvolta anzi fui costretto a sospendere ogni giudizio e
a tacere ogni ipotesi, poiché non ricavava neanche dal contesto luce suf-
ficiente.
Bobbio e Piacenza ebbero continue vicendevoli relazioni. Le due città
spettano anzi al medesimo ambiente storico. La distanza cronologica fra il
più antico e il più recente dei nostri cinque documenti non raggiunge il
4
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 237
secolo. Potevano quindi, senza troppe gravi difficoltà, sia per ragioni topo-
grafiche, sia per ragioni cronologiche, tutti e cinque i documenti venire con-
siderati insieme. Le differenze nella vita, se anche c'erano, emergono poco,
poiché il I doc, che si discosta dal III per lo spazio di 73 anni, non si
riferisce a cose famigliari, se non in minima parte. Il II poi, intermedio fra
il I e il III così da essere assai più accostato a quest'ultimo che non all'altro,
rispecchia unicamente la vita ecclesiastica. Rimangono i documenti IV e V,
del medesimo anno, i quali per conseguenza possono meglio considerarsi
tenendoli uniti, che non divisi.
Di questi documenti, il più fornito di notizie è l'ultimo, del 1388, riguar-
dante Piacenza. Ed è interessante il notare come appunto si riferisca a quel-
l'anno la bella e particolareggiata descrizione de moribus civitatis Placentie
composta dal cronista Giovanni de Mussis (i), il quale parla dei vestiti, del
cibo, della forma delle case, del mobilio, ecc., paragonando gli usi di quel-
l'anno con quelli di mezzo secolo innanzi, per dimostrare che un enorme
cambiamento era avvenuto. La semplicità di un tempo avea dato posto
all' affettazione ed al lusso. Di questa mutazione il cronista assegna a
causa gli estesi commerci, che i mercanti piacentini facevano non solo in
Francia, ma perfino in Ispagna (2).
Di questa vita sontuosa il nostro documento se ne risente ben poco; in
mezzo ad esso viviamo la vita semplice d'una agiata famiglia borghese, presso
alla quale prevalgono le antiche abitudini, mentre le costumanze nuove le sono
contese, non foss'altro, dalle ristrettezze dei mezzi di fortuna. Quindi appena
possiamo avvertire qualche differenza sostanziale fra il documento presente e
quelli di Bobbio, che cronologicamente lo precedono. Soltanto qui e colà pos-
siamo sorprendere l'influsso della vita delle classi più ricche, nelle pianelle,
nello strascico delle vesti, in alcune guarnizioni e in vari ornamerfti, forse nel-
l'uso dei bacini. Ma nulla c'è che nettamente distacchi i nostri borghesi da quelli
delle generazioni, che li precedettero. Mentre si parla dei cucchiai, non si ri-
cordano né le tazze, né le forchette, che il De Mussis registra, quando pa-
ragona gli usi del tempo in cui scriveva con quelli dell'età anteriore (3). Certo
è che, specialmente in questo caso, l'argomento ex silcntio vale ben poco,
mentre non possediamo che una parte dell'intero documento, siccome di sopra
avvertii; tuttavia non è inutile notare tale deficienza.
Ringrazio per le cortesie ricevute nelle mie lunghe indagini su queste
carte bobbiesi, tanto la Direzione del R. Archivio di Stato di Torino, quanto
il rev'"^ mons. Cesare Bobbi, che mi aperse cortesemente gli Archivi eccle-
siastici della sua città.
(i) Rer. Italie. Script., XVI, 579 e sgg.
(2) Loc. cit., col. 5S2 E.
(3) Sulla forchetta, cf. G. Lombroso, La forchetta da tavola in Europa in Atti Acca-
demia Lincei. IMeinorie, seri^ III, voi. X, pgg. 14T-S.
238 CARLO CIPOLLA
DOCUMENTI
(Orig. a Bobbio, nell'Arch. del Capit.)-
1289, agosto 5; Bobbio nel claustro della Canonica.
Rufino, prevosto di Bobbio, al principio del suo reggimento, in presenza
di varie persone, fa l'elenco dei libri, delle croci, dei calici e di quant'altro rin-
venne nella chiesa maggiore di Bobbio. Dichiara adunque di aver trovato
nella chiesa una croce coperta d'argento, dorata, ed adornata di molte pietre;
due calici d'argento; due Bibbie, di cui una è in prestito presso il vescovo
di Bobbio; due volumi contenenti le Esposizioni dei Vangeli e le Passioni
dei Santi; un volume degli Apostoli, Martiri, Confessori e Vergini; un vo-
lume coi libri dei Profeti, dei Re e dei Maccabei ; un volume colle Epistole
di S. Paolo; un libro colle Esposizioni dei Vangeli e le Passioni dei Santi; un
vecchio libro detto Brocardus {\)\ due Messali, in uno dei quali sono le Epi-
stole di tutto l'anno; Epistolario degli Apostoli, Martiri, Confessori e Vergini(2) ;
tre Salteri; un libro coi Vangeli di tutto l'anno; un altro vecchio Messale ; due
Antifonari Notturni; due Antifonari Diurni; un libro detto Manuale, con-
(i) Il eh. collega prof. A. Del Vecchio, ciurmi rivolsi per avere la spiegazione di questo
vocabolo, richiamò la mia attenzione su quanto scrive F. C. Savigny, Storia del dirUio
romano nel medio evo, trad. E. Bollati, voi. II, parte I, pp. 340-1, Firenze, 1S44, a propo-
sito di alcune compilazioni, che hanno analogia colle glosse, e che, al pari di queste, deri-
vano la loro origine dall'insegnamento orale. Fra tali compilazioni si annoverano: «Brocarda,
Brocardi o Brocardica ». Soggiunge anzi il Savigny: « Le regole che appartenevano essen-
zialmente all'insegnamento orale, erano dette, come insegna \}%d\\\\o, Brocarda o Gcncralia».
A pag. 341, nota 24, egli cita i « Brocardica iuris » di Azzone come quelli che godevano
larga stima e simpatia.
Il nome pare derivasse dai libri Decretorwn di Burcardo. vescovo di Worms, che s'in-
contra anche nei cataloghi librari.
Pompeo Molmenti , La storia di Venezianclla vita privata, Bergamo, 1903, I, 441, pub-
blica il catalogo dei libri dei Padri Predicatori di Treviso, ed ivi si legge elencata la « Suma
magistri Brocardi theoctonici ».
Non è possibile sapere se l'inventario alluda all'opera del vescovo di Worms, ovvero
ad alcuna delle raccolte di regole e di aforismi, d'origine scolastica, note sotto il nome di
Brocarda. Il modo con cui la citazione è fatta, (-1 fa propendere tuttavia in favore di questa
seconda spiegazione, che in confronto della prima offre le maggiori probabilità in (pianto che
l'inventario non dice che il libro fosse proprio di Burcardo, e specialmente perchè tali com-
l>ilazioni erano varie e diverse. Tuttavia nulla asserisco.
(2) Forse si dovrà intendere le Epistole di S. Paolo (o piuttosto le Canoniche) seguile
da Passioni e da Vite di .Santi.
6
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 239
tenente le orazioni di tutto l'anno; un Capitolario (i); due libri detti
Ordia (2); altri libri fuori d'uso. Quattro pianete ed altre vesti ecclesia-
stiche, ed oggetti addetti al culto. Masserizie trovate nella casa e nella
cucina di detta chiesa. Oggetti rinvenuti nel forno dei canonici.
Bisogna notare che le masserizie sono in numero alquanto ristretto, e
tutt'altro che numerosi sono gli oggetti esistenti nel forno. Delle altre stanze
abitate dai canonici si tace affatto.
Anno dominice (3) octuagesimo nono, indicione secunda, die veneris
quinto mensis augusti, in caustro (4) canonice Bobiensis, coram presbitero.
Savino capelano ecclesie maioris Bobiensis, Jacobino custode ipsius ecclesie
qui stat cum canonicis predicte ecclesie, Opigone {4) de Maxilla not. testibus
rogatis. ^ Dominus Rufinus prepositus Bobiensis volens bona et res ipsius
ecclesie per ipsum inventa in dieta ecclesia permanere ad honorem et utili-
tatem diete ecclesie et specialiter libros, cruces, chalices, ornamenta et para-
menta, que sunt in ipsa ecclesia, instrumentum (5) et alia utensilia et privilegia
ipsius ecclesie et in premisis omnem suspicionem vitare, de ipsis bonis in
principio sui regiminis, in presencia Rufìneti de Camolinario, Columbini fer.,
magistri Johanis de Maxilla et Petrì de Porcili canonicorum ipsius ecclesie
ibidem residencium, inventarium facere incoavit. Primo dixit se invenisse
in dieta ecclesia unam crucem copertam de argento et auratam et pluribus
lapidibus ornatam. Item duos calices unum magnum et alium palvum de
argento. Item duas Bliblias (4) unam maiorem alia, una quarum non est bona,
sicut alia, quam minus bonam habet dominus episcopus Bobiensis in mutuo
a canonicis ecclesie. Item duos libros in quibus scripte sunt Exposiciones
Evvangeliorum et Pasiones Sanctorum. Item unum librum Appostolorum,
Martirum, Confessorum et Virginum. Item unum librum Prophetarum, Regum
et Machabeorum. Item unum librum Epistolarum Pauli. Item librum unum
Exposicionum Evvangeliorum et Paxionum Sanctorum. Item unum librum
veterem qui appellatur Brocardus. Item duo Missalia, in uno quorum sunt
Epistole totius anni. Item alium Epistolarium in quo sunt Epistole Aposto-
lorum, Martirum, Confessorum, et Virginum. Item tres Salterios. Item unum
librum in quo scripta sunt omnia Evvangelia tocius (6). Item unum aliud
Misale vetus. Item duos Antiphonarios Noturnos, unum novum et alium
veterem. Item duos alios Antiphonarios Diurnos. Item unum librum in
quo sunt oracciones tocius anni, qui appellatur IManualis. Item unum
Capitolarium. Item duos libros qui appellantur Ordia et alios quamplures
libros quibus non utitur. Item quatuor planetas. Item quatuor piviales. Item
duo paramenta unum de diachono et aliud de subdiachono. Item quatuor
palia de altare. Item unum aliud palium, quod ponitur quandoque super
(i) Anche per questa parola ricorsi al consiglio del prof. Del Vecchio, il quale mi fece no-
tare che qualcuno potrebbe sospettare che qui si alluda ad una raccolta di Capitolari, essen-
zialmente ecclesiastici ; e pensare, piuttosto che alla raccolta di Ansegiso, a quella che va sotto
il^nome del preteso Benedetto Levita.
Ma chi considera come queste raccolte di Capitolari non ebbero in Italia larga diffu-
sione, preferirà un'altra ipotesi suggeritami dal Del Vecchio stesso e dal prof. F. Paletta
(cui pure mi rivolsi), secondo la quale sotto il nome di Capitolario è meglio credere indicato
un libro liturgico, o comun(}ue ecclesiastico, ripartito in capitoli.
(2) Qualche lettore penserà facilmente alle Ordalie, ma tale identificazione non ha in
favor suo alcuna probabilità seria e scientifica.
(3j Mancano le parole: « incarnationis niillesiino ducentesinio ».
(4) Sic.
(5) Forse sarà da leggere : « instrumenia ».
(6) Si aggiungerà o si sottintenderàHa parola « anni».
240 CARLO CIPOLLA
gradii ecclesie memorate. Item duas cortinas unam palvam et aliam
magnani. Item vigintiduas gausapes de altari. Item duos terribulos. Istud
est massaricium inv^entum per ipsum dominum prepositum in domo seu
cohina predicte ecclesie: primo duas tinas et duas vegetes comunes ipsi
domo. Item tres lebetes bronci, unum magnum et duos palvos. Itém duos
lebetes rami, unum maiorem alio. Item duas patelas rami unam maiorem
alia. Item unum tescum rami. Item in fumo dictorum canonicorum unam
calderiam et unam cagam rami et duas catenas ferri, que sunt in dicto fumo.
{S. T.) Ego Francischus de Maxilla sacri palaci notarius ibi interfuy et
rogatus liane cartam (i) ita scripsì.
II.
(Originale nell'Archivio di Stalo di Torino, Paesi, lettera A', b. 24 I-Bobbio 1350-62])
1361, agosto 24; Bobbio, in casa di Girardino Cigata.
Testamento che fece « d. presbiter Columbus Cigata canonicus maioris ecclesie
Robiensis, nec non rector et minister ecclesie Sancti Columbani de Spe-
luncha diocessis Bobiensis », il quale, trovandosi sano di mente e di corpo,
dispone delle cose sue ; e fra l'altro stabilisce molti legati in favore della
chiesa stessa.
« — Item legavit iure legati idem testator diete ecclesie sancti Colum-
bani de Speluncha unum suum calicem argenti doratum punderis unciarum
octo. Item legavit diete eclesie Sancti Columbani florenos quatuor auri prò
emendo unam planetam. Item legavit diete eclesie unum paramentum artare,
tolendo tamen unum paramentum veterum de altare de dieta eclesia, in quo
paramento vetero vult et precepit deberi sepeliri quando cassus avencrit
ipsum mori. — Lascia L. 25 imper. a ' Colombo preposito maioris eclesie
Bobij ' e a prete ' Colombo de Marcio capelano monasteri] sancti Colum-
bani,' da distribuirsi ai poveri, in suffragio dell' aniìna di esso testatore.
Di questo documento tenni conto quando raccolsi le notizie artistiche
sul monastero bobbiese {L'Arte, 1904, VII, 245) al cadere del medioevo e
nel rinascimento.
Giacché ho toccato di cose d'arte, traggo profitto della occasione che
mi si offre per aggiungere una notizia artistica, che, se rispondesse al vero,
sarebbe di non lieve interesse, ma che ha tutta l'apparenza di provenire da
una pura e semplice illusione.
A Bobbio, nel palazzo episcopale, nella busta unica contenente le Lettere
di Vescovi trovai, in originale, la lettera che Gaspare Lancellotti Birago,
vescovo di Bobbio, in data di Bobbio, 4 maggio 1754, indirizzava al ]\Iinistro
dell'Interno del regno Sardo. Non so se la lettera sia effettivamente giunta
al suo destino, né se il dono, che in essa è accennato, abbia avuto luogo. In
ogni modo ecco il passo della medesima, che riguarda l'arte: « ....mi pre-
(i) cart.
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 24 1
valgo dello stesso {espresso) per farle pervenire una miserabile bagatella da
presentare in mio nome a S. S. R. M. (i). Questa è un bacile antico, con il suo
bocale di maiolica, dipinto, per quanto mi disse il Cavaliere me lo donò
anni sono, dal celebre Raffaele d'Urbino ».
Lavori di tal genere non registra G. B. Cavalcasene nella sua monografia
intorno a Raffaele (2). Alla Galleria di Torino nulla esiste che possa porsi
in corrispondenza colle parole testé riferite, come mi assicurava il suo illustre
direttore conte Alessandro Baudi di Vesme. Alons. Lancellotti Birago offriva
il regalo con molta cautela, e non si faceva garante dell'attribuzione che al
bacino e al bocale erasi fatta. Questa garanzia non la farò neppur io.
III.
(Originale nell'Archivio di Stato di Torino, Paesi, lett. B, Bobbio, b. 24 [1330-63 |).
1362, novembre; Bobbio.
Ludovicus de Cecardis filius condam d. Opicini, civis Bobii, canonichus secu-
larius maioris eclesie Bobiensis, tutor legiptimus decreto iudicis consti-
tutus et confirmatus Petrino pupillo filio et heredi universali dicti
condam Peroti de Cecardis filli dicti condam d. Francischi secondo il
decreto di tutela del 31 ottobre p. p.^ fa Vinv editar io dei beili mobili e im-
mobili del medesimo.
Item unum lectum ciìm una cultre de burdo cum duabus parvis lentua-
minibus (3). Item unum banchale de duobus coperchijs. Item unum scruneum,
Item unam mastram. Item unam tinam. Item duas vegetes magnas. Item
unam vezolam. Item unam catenam feri. Item unum lebetem magnum de
ramo. Item duos lebeticulos parvos de ramo. Item unum lebetem de
petra. Item unum discum. Item unam scranam. Item duas banchas. Item
duas toagias. Item duas toagolas de manibus.
IV.
(Originale nell'Archivio di Stato di Torino, Paesi, lett. B, Bobbio, b. 26 | 1379-90]).
1388, giugno 15; Bobbio, palazzo comunale.
Sotto il portico comunale della città, dove si rende ragione. Agne-
sina figlia di Franceschino de Locho e vedova di Copizoto de Petraglora,
tutrice di Antonio, Guglielmino e Caratosina, suoi figli, in età minore, ìti
seguito all'inventario dei beni lasciati dal suddetto Copizoto, 1387 (= 1388)
(i) Carlo Emanuele III.
(2) Firenze, 1890, 2 volumi.
(3) lentuam.
31 — Mise, S. Ili, T. XIII.
242 CARLO CIPOLLA
febbraio, volendo passare a seconde nozze consegnò le cose poste in inven-
tario a Sanguino de Petra Glora, quale più prossimo (parente) dei detti minori.
Ci sono laveggi, secchi, recipienti, varie mobilie da stanza, lettiera, lenzuoli,
cose di cucina; aspo da molinello; diversi arnesi propri dei contadini, zappa,
forca, bastone di ferro, falci messorie, vaglio.
In nomine Domini amen. Anno dominice incarnationis millesimo trecen-
tessimo octuagesimo octavo, indicione undecima, die decimo quinto iunij,
Bobij, sub porticu Comunis Civitatis Bobij, ubi ius redditur, presentibus ISIi-
chaele de Spixia fq. Ugoloti, Johanoto de Locho et Bagino de la Nuce,
omnibus civibus Bobiensibus, testibus rogatis et vocatis. ^ Cum Agnexina
filila Franceschini de Locho et uxor condam Copizoti de Petraglora, tutrix
legiptima Antoni j, Guillielminj et Caratosine filliorum suorum ex dicto condam
Copizoto, post inventarium ab ea confectum de bonis hereditatis dicti condam
Copizoti et dictorum minorum,de quo quidam inventario dixerunt contineri
publico instrumento scripto et rogato per dominum presbiterum Johannem
Ocellum not. im^cccLxxxvij die nono mensis februarij. Volens dieta Agne-
xina ad secundas nuptias pervenire, consignavit et consignat in presentia
mey notarij et testium suprascriptorum Sanguino de Petra Glora f.
condam Johannis tamquam proximiori et propinquiori dictorum minorum,
ibidem presenti aceptanti et recipienti res et bona infrascripta. Primo tria
scrinia. Item unum lebetem de ramo capacem quatuor situUarum. Item
unum lebetem de ramo capacem unius situile. Item unum lebetem petre
capacem unius situile. Item unum lebetem parvum de petra. Item unam
mexiam. Item unam tinellam. Item unum urnum de somis quatuor. Item
unam vegetem capacem starium undecim. Jtem unum vegetem capacem
stari sedecim. Item unam sytullam feratam ab aqua cum una captia ramy.
Item unum lectum de pexio. Item tria lontiamina. Item unam levam.
Item quatuor toagias que sunt blachia tredecim. Item libras quinque filli
de canipa. Item unum iugum fulcitum. Item unam massam ferij. Item
unam sapam. Item unum forchatum de fero. Item unum dischum. Item
duas banchas. Item unum sedacium. Item unam minam de dugijs. Item
unum gavardum (?) de ferro. Item duos ornellos de axino. Item unam ca-
tenam fercij. Item unam tortariam. Item bugarollum prò faciendo bugatas,
Item unum veguticullum capacem stari septem. Item unum mortalle la-
pidis. Item tres corbellas. Item unum arbivum (? . Item unum canestrum.
Item quatuor scutcllas terre. Item tria incixoria. Item tria toffanea de
ligno. Item starla sex viny vetery. Item unam aspam de molinello. Item
unam scallam de barixellis. Item unam mastram frustam sine copercho.
Item unam messuram. Item unum messarollum. Item unum maracium.
Item unum graturollum. Item unam galetam. Item unum scrineum novum
de nuce. Item unum urnatum de Item viginti duobus assidibus de
castanea. Item unam padellam ramy. Item unum lebetem ramy parvi.
Item unam crivelleriam. Quibus omnibus sic peractis per dictum Sanguinum
tamquam proximiorem dictorum minorum ut supra consignate fucrunt su-
prascripte rcs die suprascripto, in presentia mey notarij et testium supra-
scriptorum, et ibidem predictus Sanguinus confessus fuit se predicta omnia
penes se habcre. Et de predictis diete partcs rogaverunt me notarium infra-
scriptum ut publicum conficerem instrumentum in laudem sapientium (i)
ditandum et ordinandum.
{S. T.) Ego Columbanus de Spixia imperiali auctoritate notarius publicus
Bobiensis hijs omnibus interfui et rogatus ita scripssi.
(i) sapidi.
IO
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 243
Y.
(Originale nell'Archivio di Stato di Torino, Abbazia di Bobbio,
Categoria II, « beiti posti fuori di Bobbio », b. 4).
1388, agosto 13; Piacenza.
Nella bottega dell'erede del fu Antonio de Lm^ntssa (i), mereiaio. Mar-
gherita, vedova del predetto Antonio de Lamussa quale tutrice dei suoi figli
minorenni Franceschino, Giovanni e Caterina, a complemento dell'inventario
dell'eredità lasciata dal defunto marito, in data 9 maggio 1388, procede ad
un nuovo inventario, dichiarando di aver trovato, oltre a quanto sta regi-
strato nell'inventario precedente, anche gli oggetti qui elencati, e prima di
tutto una cascina posta nella vicinia di S. Salvatore in Cantono, dal nome
Borgo Santo.
Enumeransi: bancali, cassette, cassoni, specialmente (ma non unicamente)
per la bottega; scrigno, — lettiera, letto di penne, lenzuoli, coltri, bacini per
le mani e per il capo, specchi, fibbie di legno e di ferro per cortine — albio
per conservar le carni, mortaio, orci — veggie, veggioli, laveggi — madia,
secchie stagnate, boccali di stagno, scodelle di rame, padella di rame, cucchiai,
coltelli, coltellini per il pane; martelli di ferro, tenaglie di ferro; bilancie, sta-
dere, un contrappeso della stadera; incudine; sonagli (campanelli), passetti per
misurare — tovagliuoli, sciugatoi. [I cucchiai e i coltelli (e. cutelus ^>) ci sono,
ma le forchette mancano, del che non è certo da far meraviglia, per l'uso
ristretto che se ne faceva (2)]. Molti sono gli oggetti di vestiario: bari-
lotti da uomo e da donna, villana (?) con pomelli, gabbani da uomo e da
donna; mantello da uomo; giubba; giacchetta da uomo, cappuccio da uomo,
brache, trampoli, vesti (?) d'oro lucchese, strascici, guanti, coreggie, treccie
di seta a tre colori, cinghie, cordoni per fermar le vesti; borse e borsette di
molte specie e grandezze ; pelli bianche, rosse ; pelli di capretto variamente la-
vorate ; pomelli: punteruoli d'argento; cappelli di feltro e di cuoio; fibbie di
ferro, fibbie di ottone per le brache ecc. Inoltre si elencano molti tessuti :
tela bianca, verde, gialla, azzurra: velluto verde e vermiglio, « cole » di più
colori, tessuti per donna di color verde e di color celeste, guarnizioni d'ar-
gento lucchese. E ancora si ricordano, in quantità non piccole, il filo, il refe;
la bambagia di colori diversi, la lana nera filata, il canape da filare, l'oro
filato, tre oncie d'oro lucchese. — Si parla di molte corde. — Molti sono gli
oggetti che si riferiscono ai lavori donneschi: ditali, aghi e filo da cucire,
aghi di ottone, aghi per i sacchi, forbici e cesoie, punteruoli per la cucitura
delle brache, l'arcolaio, le spole per tessere.
(i) Il cognome de la Mussa ci ricorda quello del cronista di Piacenza Giovanni de
Mussis. Rispetto alla maniera di scrivere « de Lamussa » osservo che ordinariamente nel
sec. XIV scrivevasi similmente : « de Lascala » in luogo di « de la Scala ».
(2) Cfr. Galli in Boll. Slor. Pavese, voi. I, p. 169.
1 1
244 CARLO CIPOLLA
Pochi Oggetti si riferiscono alla scrittura : pelli caprine per iscrivere,
tavolette, cesoie per tagliar la carta.
In maggior numero sono gli oggetti che hanno attinenza agli animali
da stalla. Si rammentano i chiodi e i gioghi per i buoi ; i pettini, la stregghia,
i cuscini per il cavallo, i manichi della sferza, le coreggie per il ronzino.
Quasi nulla c'è che abbia attinenza colle armi, eccetto il filo da balestra.
Se tutti questi oggetti costituivano soltanto l'appendice di quanto era
stato descritto nell'inventario del giorno 9 maggio precedente, bisogna ben
dire che la casa del mereiaio Antonio de la Mussa fosse abbastanza fornita di
tutto quanto può riuscire utile e comodo ad una buona famiglia borghese.
Mancano, nell'elenco presente, alcuni oggetti che per una famiglia comunque
numerosa sono evidentemente necessari. Un letto solo, e una sola lettiera
compaiono nell'elenco. Basterebbe questa circostanza per dimostrare che
l'inventario presente è incompleto. Ma se noi consideriamo che l'appendice
è così bene provvista, abbiamo davvero di che far lamenti che l'inventario
primo non ci sia pervenuto.
In nomine Domini amen. Anno ab incarnatione eiusdem millesimo
trecentesimo octuagesimo octavo, inditione undecima, die terciodecimo mensis
augusti. Placentie, in statione heredis condam Antoni] de Lamussa mer-
(jarij. Corani Joanne Bagaroto filio condam domini Egidij, Christoforo
Bagaroto filio dicti condam domini Egidij, Guilielmo de Eavezola filio condam
domini Oberti, Gabriele Scovalocha filio condam domini Francischi, et Hono-
forio de Casellis filio condam domini Albertoni, testibus vocatis et rogatis.
^ Domina Margarita uxor condam Antonij de Lamussa merzarij, filli
condam Francischi, tutrix data et constituta per dominum iudicem racionis
de Banclìo Cervij, Francischino, Johanni et Caterine pupillis filijs et here-
dibus dicti condam Antonij ex ipsa domina Margarita, de qua tutella con-
tinetur instrumento publico breviato per J^udovicum Malpedem notarium
presenti millesimo, die . viiij . mensis maij proxime preteriti, post quodam
inventarium alias per ipsam tutricem tutorio nomine predicto factum, de
bonis dictorum pupillorum, de quo continetur instrumento publico breviato
per dictum Ludovichum Malpedem notarium suprascriptis millesimo et die
proxime dictis, volens iterato facere inventarium de bonis dictorum pupil-
lorum et evitare omnem fraudem et malarum linguarum suspicionem, im-
presso sibi dicto nomine venerabili signo sancte Crucis, dixit se invenisse
ultra predicta posita in primo inventario breviato per suprascriptum Ludo-
vicum ut supra, hec infrascripta. Primo videlicet unam cassinam muratam
et cuppatam positam in vicinia sancti Salvatoris in Cantone, qui appellatur
Burgus Sanctus, de qua Casina redditur fictum quolibet anno ecclesie sancti
Salvatoris de Placentia solidos vigintiquatuor denariorum Placentinorum.
Item unum banchale a tribus coperchijs cum scranapost. Item unum banchale
cum quinque coperchijs positum in statione. Item unum banchale a tribus
coperchijs positum in dieta staccione. Item duos cassonos positos in dieta
statione. Item unum scrineum a duobus coperchijs. Item quatuor cassonos.
Item unam lecteriam de asidibus. Item unum albionum a carnibus salatis.
Item sex vegetes unius cari prò qualibet earum. Item tres vegetes capaci-
tatis unius modij prò qualibet earum. Item duos vezolos capaces stariorum
quatuor prò quolibet eorum. Item tres lebates (.v/V) rami inter magnos etparvos.
Item unam padelam rami a frigendo. Item duos bazinos a manibus. Item
unum bazinum a capite. Item duas situlas rami. Item unum mortale la-
pidis. Item unam misiam. Item duas urcias lapidis. Item sex toalias a
tabula. Item sex toalias a manibus. Item quatuor guardanapulos. Item
12
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 245
tria paria lenzolorum, de tribus telis et dimidio prò quolibet eorum, Item
unum lectuni pennarum ponderis circha penssium quatuor. Item unam
cultrim a dicto lecto de burdo. Item brazias . xxx . tele albe. Item
unam stagnatam. Item tres bochales de stagno. Item duos scadilarios (j-/^)
ligni. Item octo scudelas de peltro. Item octo gradilinos de peltro. Item
duodecim cugiarios argenteos. Item penssas triginta lini. Item pensses
octo cordarum inter subtilem et grossam. Item tres quarelos <;ingiarum.
Item quatuor duodenas pelarum albarum. Item unam duodenam pelarum
coloris rubey. Item unam duodenam capredorum deauratorum. Item unum
penssem capredorum alborum. Item brazias quinquaginta buratorum. Item
tres pensses de fillo a piscatoribus. Item unum penssem de ripo albo, Item
duodecim libras ripi inter album, rubrum et nigrum. Item duo miliaria
pomelorum contrafactorum et soliorum. Item unam duodenam et dimidiam
confavatorum (sic) inter piatos et cepeluetos (sic). Item quatuor duodenas de
tinagis feri. Item duas duodenas martilorum feri. Item tres pensses masca-
Mucij. Item libras decem serici de diversis coloribus. Item unam libram
auri filati. Item brachios duos veluti viridi et vermilij coloris. Item tres
libras cole de pluribus coloribus. Item quatuor grossas de augetis de cervio
et soata. Item duas duodenas bursitorum inter magnos et parvos. Item
brazias duodecim de tela viridi, galeti et biavi coloris. Item sex duodenas
de augetis de setta (?) et camusia. Item unam duodenam caupenalarum a
bobus. Item sex capelos feltri et coraminis. Item unam duodenam zingil-
lorum parvorum. Item duo paria de zisorijs. Item quatuor paria de forvi-
cibus. Item tres duodenas de capredis prò scribendo. Item unam duodenam
de cordonis de serico. Item unam duodenam intercirorum de seda, triplici
colore. Item sex interciorios de cola de triplici coloribus. Item sex bursas
de veluto. Item duodecim bursetas mediolanenses. Item triginta pectines
ab equo. Item duodecim corigias ab homine. Item sex corigias a femina
de coramine nigro. Item medium niellare de scachetis inter nigras et
albas. Item medium miliare de buthis. Item medium miliare de ro-
bacis. Item mediam libram de aricharcho. Item sex strigias ab equo. Item
unam duodenam manicorum a scuriatis ab equo. Item duos cutelinos a
pane. Item quatuor spolas a texendo. Item sex scarselas ab homine. Item
sex gafaras de argento luchexo. Item sex fubias de octono a bragerio. Item
sex libras bambaxij endigi coloris. Item unam libram bambaxij albi. Item
duas libras bambaxij abocolis. Item mediam libram clavorum a bobus. Item
unam libram de lana nigra filata. Item unam libram de testo a femina co-
loris viridi et celestrino (i). Item tres uncias auri luchexi. Item brazias . xij.
de trayneto. Item tres nestulas auri luchexi. Item, quatuor leros de
seda. Item sex testos filij a femina. Item duas grossas de fubijs feri inter
parvas et magnas. Item didalos viginti ferrj. Item viginti didalos clausos
a femina. Item medium miliare de augugietis prò cusiendo. Item medium
miliare de augugijs de octono. Item duas duodenas de agugijs prò
sachis. Item duodecim pugilares de cornu parvos. Item duodecim zisoretas
a papiro. Item sex moderatores feri. Item duodecim zonchulas corde prò
bobus. Item quatuor piumazolos ab equo. Item duodecim capita bragi-
lorum de corio. Item unum filium de pomelis de repo. Item quatuor cor-
donos de repo. Item duas bursetas ripi. Item centum fubias de ligno a
cortina. Item duodecim fubias feri a cortina. Item centum lebios a pla-
nelis. Item duodecim speculos parvos. Item quatuor bazas capistrorum.
Item quatuor capredos orpelatos albos. Item quatuor capredos orpelatos
auri coloris. Item quatuor libras de cervio. Item sex borchetas a vege-
tibus. Item sex mofelas ab homine de extra. Item tria bireta ab homine
de extra. Item quatuor speronos. Item unum penssem canipe a filando
(i) sic.
13
246 CARLO CIPOLLA
Item duas libras filj prò apontando. Item duas libras iìlj a balistris. Item
brazias duodecim asteloni de lana. Item brazias . xxiilj . asteloni argentey
luchixi. Item duodecim curigias fulgfitas a ronzino. Item duodecim zingias
disfulcitas. Item duas duodenas agugetarum a domina inter nigras et
albas. Item tres duodenas agugetarum repi longitudinis unius brachij prò
qualibet. Item quatuor paria de balanzijs inter parva et magna. Item
unum pesarolum. Item duas scadoras (sic) rami. Item unam incudinem
prò forando agogetas. Item unum cutelum prò incidendo coramen. Item tres
carnerios de canavacio. Item unum marchum qui levat libras quinque. Item
unum sextum prò signando corium. Item duos ponzonos, Item certas ca-
sietas parvas prò statione. Item unum passum prò mensurando. Item
unam scaciam prò cusiendo bragerios. Item quatuor forceletas a sarto-
ribus. Item duos sonagios. Item unum barilotum de mischio cum uno frixo
auri a domina. Item unum cabanum a domina cum uno frixo aureo. Item
unum barilotum de medietate cum uno frixo parvo. Item unum barilotum
de panno scuro. Item unam vilanam de medietate cum pomelli s . XXX .
argenteis cremonenssibus. Item unum raantelum ab homine panni azurini
sive celistrini. Item unam zupam de rubeo, Item unum barilotum de
mischio ab homine. Item unam zachetam biavi ab homine. Item unum
gabanum a talijs de biavo ab homine. Item unum caputeum de mischio
ab homine. Dicens et protestans ipsa domina Margarita tutorio nomine
predicto quod si quid aliud in bonis et hereditate dicti condam Antoninj viri
sui et dictorum pupillorum ;r, id quam cicius poterit in inventarium redigi
faciet atque poni. Et de predictis dieta dieta domina Margarita dicto no-
mine rogavit me notarium ut unum et plura publica unius tenoris confi-
cerem instrumenta.
(-.S'. T.) Ego Antonius de Saviano imperiali! auctoritate notarius publicus
Placontinus predictis omnibus et singullis suprascriptis interfuj et rogatus
hoc instrumentum ita scripsi.
fi) Si sottintenda ; inventum fuerit.
14
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBUIESI 247
APPUNTI LESSICALI
Il vocabolo che pongo all'inizio di ciascun articolo non si legge sempre
tal quale nel documento, poiché spesso esso è bensì il vocabolo dato da
questo, ma ridotto al nominativo singolare.
Per alcune parole ricorsi al chiariss. arciprete Gaetano Tononi, piacen-
tino, il quale, dottissimo nella storia locale e pratico del dialetto, mi aiutò
coi suoi consigli. Altri utili insegnamenti ebbi dalla dottrina e dalla cor-
tese amicizia del professore Carlo vSalvioni. All'uno ed all'altro vadano i miei
ringraziamenti.
Questi documenti possono giovare anche per la conoscenza dei dialetti
locali di Bobbio, ma sopratutto di Piacenza. Ebbi altra volta l'opportunità
di pubblicare brevi aneddoti in volgare bobbiese del cadere del sec. XV, in
Atti Accad. Torino, seduta del io aprile 1904. Un materiale completerà
l'altro.
LIBRI CITATI.
Benassi U., Storia di Parma, voi. I, Parma, Battei, 1899.
Bkvkre R., Arredi suppellettili utensili d'uso nelle Provincie napoletane dal xii al xvi secolo,
in Arch. Stor. Napol., 1896, XXI, 626.
— Vestimcìiti e gioielli in uso nelle prov. napolet. dal \.\\ al xvi secolo, 1897, ivi, XXII, 312.
— Ordigni ed utensili per l'esercizio delle arti ed industrie dal xii al xvi secolo, 1897,
ivi, XXII, 702.
BoNARDi A., Inventari Padovani inediti del 1510, in Atti e Meni. Accad. di Padova, XXIII,
(1907), p. 193.
Casanova E., La donna senese del Quattrocento, in Poli. stor. Senese, 1901, t. VIII.
Cecchetti B., Iresti veneziane., Venezia, tip. Emiliana, 1886.
— Libri, scuole, maestri a Venezia, in Archivio Veneto, XXXI.
Cipolla C, Libri e mobiglie di casa Aleardi, in Archivio Veneto, 1882, XXIV.
— Un amico di Casagrande della Scala, in Mem. Accad. Torino, 1901, t. II, scienze ino-
rali, p. 37-42 (doc. del 1339).
— Docuìiienti per la storia del Priorato di Bardolino, in Atti Mem. Accad. di Verona,
1904-05, LXXX, p. 1S9-3 (il documento è senza data, ma appartiene al sec. xiii),
p. 184-6 (lessico). Usufruii qui, in un caso, anche un documento del 1215, edito a
p. 125-6.
15
248 CARLO CIPOLLA
Cittadella L. N., Istroniento di divisione seguita li 12 settembre 1493 tra te sor ette Angeta
ed Ippolita Sforza Visco7ili, in Miscett. di storia italiana, Torino, 1863, IV.
Contratto JJn) di nozze del 1537, ed. G. Giomo, V. Lazzakini, R. Predelli, Venezia,
tip. Emiliana, 1905.
Crusca {Dizionario della), 5* impressione, Firenze, 1863 e sgg.
Daviusohn R., Forscfiungen zur Geschiclite von Florenz, 3'' parte, Berlino, 1901.
Du Gange, Glossar inni niediae et infunae latinitatis. Parisiis, 1840-50; ed. Favre, 1883-87.
I""ahketti a., Vestire degli uoìnini e delle donne in Perugia, in Mein. Accad. Scienze Torino,
1888, Serie II, voi. XXXVIII.
Fc)kcellini-De ViT, Lexicon totius Latinitatis, Prato, 185S-75.
Cìaitek L., // dialetto di Verona nel secolo di Dante, in Ardi. Veneto, 1882, XXIV, 329.
Galli E., La casa di abitazione a Pavia e Jielle campagne nei sec. xiv e xv, in Boll. star,
pavese, 1901, voi I, 155 e sgg.
LiTTKK E., Dictionnaire de la langue franfaise, Paris, 1863-78.
Ludwk; G., Rcstt'Ho, Spiegel u. Toilettenutensilien in Venedig zur Zeit der Penaissance, in
Italienische Porschungen herausgegeben vom Kunsthistorisctien Institut in Florenz,
Berlino 1906, I, 185.
Lui'i C., Manuale di paleografia delle carte, Firenze 1873.
— La Casa Pisana e i suoi annessi nel medio evo in Arch. star, ital., V Serie, t. XX VI!
(1901), XXVIII (1901), XXIX (1902), XXXI (1903), XXXII (1903).
Manno A., Arredi ed armi di Sigismondo Fieschi da un inventario del 1532, in Atti Soc,
ligure di Storia patria, 1876, X.
Mazzatinti G., Di alcune leggi suntuarie Eugubine dal xiv al xvi secolo, in Boll, deput.
Umbra, 1S97, III, 287.
Mazzi C., La casa di maestro Bartolo di Tura, m Boll. stor. senese, 1856-1900, voi. III-VII.,
— < La compagnia mercantile di Piero e Giovanni di Cosimo dei Medici in JMilano nel 1459,
in Rivista dette Biblioteche e degli ^Irchivi, 1907, XVIII, n. 2-4.
Merki':l C, Tre corredi initancsi del Quattrocento, in Boll. Istit. stor. ital., 1S93, fase. 13,
pag. 94.
— // castello di Quart in Valle d'Aosta, ivi, 1895, fase. 15, p. 7.
— Come vestivano gli uomini del Decamerone, in Rend. Accad. Lincei, 1897, V Serie, t. VI.
MoLMENTi P., La storia di Venezia nella vita privata, voi. I e li. Bergamo, 1905, 1906.
Motta E., Nozze principesche del Quattrocento, Milano, 1894.
Mussis (de) Iohannes, De moribus civium Placcntic, ap. Muratori, Rer. Ital. Script.,
XVI, 579.
Sacchetti A., La casa dhm canonico del sec. xv, in Memorie stor. cii'idalcsi, 1906, voi. Il,
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Santoli Q., // « Liber Censuum » del Comune di Pistoia, Pistoia 1907.
Staffetti L., Inventario di beni e robe dell'Opera di S. Martino in Pietrasanta in Giorn.
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Tommaseo-Bellini, Dizionario di lingua italiana, Torino, 1865-79.
Vavra P, Inventario dei castelli di Chambéry, di 'Torino e di Ponte d'Ain, in Mise, storia
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Verga E., Le leggi suntuarie milanesi, in Archivio storico lombardo, 189S, fase. I.
Viollet-Le-Duc, Dictionnaire raisonnè du mobilicr franfais, Paris, 1858-74.
Wattenbach W., Das Schriftszvesen im mi Ilei alte r , y ediz., Lipsia, 1896.
16
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 249
agugeta. Xel doc.V questo nome ricorre più volte. Dai seguenti quattro passi :
« duas duodenas agugetarum a domina inter nigras et albas » ; « tres duo-
denas agugetarum repi longitudinis unius brachii prò qualibet » « medium
miliare de agugietis prò cusiendo » ; « tres duodenas agugetarum repi,
longitudinis unius brachii prò qualibet ». risulta che se ne faceva largo
uso. Un altro passo dimostra che a costituire V agugeta entrava anche il
ferro: « unam incudinem prò ferando agogetas ». Penso che a spiegare
questa parola possa giovare ciò che scrive Va YR A, Inventario, p. 159:
« cinq aguillietes ferré d'or » « aguillietes » « aguillete » e « esquil-
lete » cordoncini ferrati ai due capi con punta acuminata, che servivano
ad allacciare le vesti e le armature e divennero anche ornamenti ed og-
getti di lusso ». Il Du Gange registra agtnleta e agtilheta, aquileta nel
senso di lig?cla, ricorrendo ad esempi francesi. Nel francese moderno ab-
biamo aigtcillette, che Littré spiega « cordon ferré par les deux bouts qui
servait à attacher le haut-de-chausses au pourpoint » ; raccoglie quindi
parecchi esempi, nei quali la parola comparisce come d'uso militare.
E il diminutivo di aigtdlle. Un documento presso Merkel, Tre corredi,
p. 139, ricorda una corda di seta « cum agugiellis argenti prò alaziando ».
Probabilmente si adoperava la parte per indicare il tutto e viceversa
e l'ago dava il nome anche all'oggetto di cui era una porzione.
Cfr. « augeta ».
altare, artare, altare. Ambedue le forme si trovano nel doc. II.
apontare, cucire, appuntare, fare i punti. Xel doc. V: « duas libras fili prò
apontando ».
arbivum, « unum arbivum » nel doc. IV, dove per altro la « v » non è del tutto
certa alla lettura. Dagli oggetti, in mezzo ai quali si trova, questa parola
si spiegherà facilmente per albio, conca, vaso.
argentum. Il doc.V ricorda un vestito con trenta «. pomellis... argenteis cremo-
nenssibus », e altrove menziona altri oggetti « de argento luchexo » e
« argenti luchixi ». Più innanzi c'incontreremo anche nell'oro lucchese.
aricharchum. Xel doc. V: « mediam libram de aricharcho », cioè di oricalco,
di ottone. Xell'Inventario Aleardi (pag. 46) trovo: « rechalchum ».
Cf. sotto « octonum ».
artare, v. altare.
aspa, aspa e aspo si registrano con egual senso (TOìMMASEO-Bellini); sull'aspo
si dispone la matassa.
assidis, asse. Nel doc. IV « ... viginti duobus assidibus de castanea », e nel
doc. V compare una lettiera fatta di assi « lecteria de asidibus ». Xel
doc. del 1437 presso Sacchetti, p. i6, « unum assidera ».
astelonus, guarnizione. Due volte questa parola occorre nel doc. V, nel primo
dei quali luoghi ricordansi dodici braccia « asteloni de lana », e nel
secondo 24 braccia « asteloni argentey luchixi »,
32 — Mise, S. Ili, T. XIII.
250 CARLO CIPOLLA
Il De Mussis (col. 580) parla di un nuovo copricapo di lusso, intro-
dotto nella moda muliebre di Piacenza, e dice che lo si adoperava « cum
astalonis sive cordibus sericis vel deauratis ». N. Verga, esaminando
questo passo, spiega (p. 73) astaloni per guernizioni.
Nei passi citati del nostro documento, pare trattarsi di due lunghe
guarnizioni, nel primo caso di lana, nel secondo di argento lucchese :
esse, a seconda dei casi, si saranno tagliate per usufruirne a decorare
le teste delle donne. L'attuale dialetto piacentino ha « stolon » per:
fettuccia, nastro grossolano.
augeta. Due volte s'incontra questo nome nel doc. V: « quatuor grossas de
augetis de cervio et soata » « sex duodenas de augetis de setta (?) et
camusia». L'interpretazione di questa parola non mi è chiara. La prepo-
sizione de vorrebbe indicare che V augeta era formata di cervio (che
varrebbe cervo, cerviatto?), di soata (che indicherebbe sogatta), ecc.: ma
siccome neppur questi ultimi nomi sono di evidente significazione, così
neanche il significato di augeta (o augetus ?) ne riesce sufficientemente
chiarito. Ma, considerando il modo imperfetto delle espressioni adope-
rate nel presente inventario, possiamo forse intendere la preposizione de
in altro senso, cioè per da, per «servire a cucire la pelle di cervo, la
sogatta, ecc.
Trovo « auguli (= auguti), augutelli > nel senso di chiodi, piccoli
chiodi, nell'inventario di Bartolo della Tura illustrato dal Mazzi (VII, 306,
n. 792) (i), il che mi ricorda la menzione di una corda di seta « cum
augugiellis argenteis prò alaciando » in un inventario milanese del
sec. XVI illustrato dal Merkel, Inv., p. 139.
Potremo dunque pensare alle spille o a qualche cosa di simile?
potremo pensare a ganci, ad allacciature di varia specie e natura?
L'amico, prof. Carlo Salvioni, cui sottoposi qualche questione riguar-
dante questa parola, mi fa notare la rispondenza ch'essa ha coll'antica
parola aogia ago. vSe dunque interpretiamo augeta (ovvero atigetns ?)
per ago, dovremo intendere aghi che servono per la seta (?) e per la
pelle camosciata (?) ecc. ?
Evidentemente di questi oggetti faceasi ben largo uso, se in un
caso se ne notano 6 dozzine, e nell'altro caso quattro grosse. E una
grossa si spiega per « dodici dozzine », il che importerebbe adunque
48 dozzine (cf. To^mmaseo-Bellini sub v. grossa).
Se poi si crede che augeta sia la stessa cosa che agiigeta, con questa
supposizione la maggiore difficoltà svanisce, poiché le particolarità che
si enunciano à^Waiigeta si accordano con quanto sappiamo 6.é\\!agugeta.
Che se intendiamo senz'altro augeta nel senso di ago o di una particolare
specie di ago, potremo trovare un conforto a questa interpretazione in
ciò che si è detto sulla preposizione de.
augugia. Ricorre questo nome due volte nel doc. V e sempre col significato
di ago « medium miliare de augugiis de octono » « duas duodenas de
(i) La parola aguli, arw//, a/////, per cliiodi, si trova nei docum. Pisani, Luri, XXXII, 97.
18
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 25 1
agugiis prò sachis ». Nel primo caso avremo aghi di ottone, piccoli, sot-
tili, per gli usi pili fini; nel secondo caso penseremo ad aghi più grossi,
fatti forse di ferro. Nel doc. del 1493 presso Cittadella, 513, si ri-
cordano aghi in grande abbondanza « agugie da cusire mille ducente »
« agucie da pomelle due mille quatrocento ». Presso Motta, 21, troviamo
perfino « una gugia d'argento per fare maglie », ma trattasi di oggetti
spettanti a famiglie ricchissime, e quindi tale testimonianza non può
far regola. In alcuni dialetti veneti dicesi ucia per ago, e ucia da Romolo
per spillo. E quest'ultimo significato daremo alle '< agucie da pomelle »
del testé citato documento del 1493.
aurum filatum, « una libra auri filati », doc. V. Dell'oro e dell'argento filato
parla la tariffa fiorentina del 1307, presso Davidsohn, p. 100.
aurum luchexum, « tres uncias auri luchexi » « tres nestulas auri luchexi s
nel doc. V.
azurinus. Un mantello di panno azzurrino o cilestrino cita il doc. V.
balanzia, bilancia. Il doc. V ci dice che se ne usavano di grandi e di
piccole.
balistra, balestra, « duas libras fili a balistris », doc. V. D'acciaio era la ba-
lestra registrata fra gli oggetti confiscati ai Medici, 1497 (ìMazzt, Medici,
p. 14).
bambaxium, bambagia. Du Gange spiega « bambaxium » per ;: tela bom-
bacina »; ma non so se sia precisamente in questo significato, piuttosto
che in quello di bambagia che qui' si debba intendere boiiibaxiiim, mentre
l'unità di misura non è il braccio, proprio della tela, ma la libbra. Il
doc. V dice infatti « tres libras bambaxii endigi coloris » « unam libram
bambaxii albi ». E ancora: « duas libras bambaxii a bocolis (o piuttosto:
ab oculis) », dove la parola hocolus, se la accetta tal quale, non mi par
chiara. Si può pensare a bocciòlo? o a qualche ornamento della tela
bombina, supposto che qui si parli proprio di tela ?
bancha, panca.
banchale. Era una cassapanca? Nel doc. Ili (« unum banchale de duobus
coperchiis ») e nel doc. V (« banch. a tribus coperchiis ciim scrana
post » « banchale cum quinque coperchiis ») si parla dei coperchii del
bancale, sicché si può supporre trattarsi di una cassapanca, con più
cassetti, a seconda della lunghezza della medesima, ogni cassetto avendo
il suo coperchio. Banchi con cassettini sono indicati da A. Sacchetti,
p. 7. Sulle cassapanche cf. Galli, p. 162, 164. Staffetti, p. 307, spiega
bancale, per sedile; ne ciò fa ostacolo.
barilotus. Quattro ne ricorda il doc. V, dei quali due erano a colori meschiati ;
l'uno, per donna, avea un ornato d'oro, non così l'altro ch'era per uomo.
Un terzo « barilotus » era di mezzalana (« de medietate ») con un pic-
colo ornato e non è detto se fosse per uomo o per donna; l'ultimo
19
252 CARLO CIPOLLA
finalmente era di panno scuro. Secondo Cecchetti, Vesti, p. 83, il « bar-
lotto » o « sacco a barilotto » era una specie di cappotto grossolano, ad
uso dei pescatori, o, comunque, una veste di confidenza. Le testimonianze
offerteci dal nostro doc, V mostrano che non erano esclusi anche bari-
lotti con ornamenti, ma che in generale tratta vasi di una veste semplice.
Il De Mussis (col. 580 D) dice che gli uomini portavano « barillotos
et pellardas », e che le pelli di animali sia domestici, sia selvatici, ser-
vivano per le fodere dei barilloti stessi.
MOLMENTI (I, 255) menziona i bar lotti e spiega per cappotti.
barixellus. Nel doc. IV: « unam scalam de barixellis ». Dal posto in cui
questo passo si trova non si può ricavar luce. Ma siccome barisclhis
significa barile secondo il Du Cange, potremo forse per scala intendere
il gradino che, nella cantina, sostiene il barile?
baza. Nel doc. Y: « quatuor bazas capistrorum ». Dal luogo dove tale notizia
si trova, non si può cavarne luce a spiegarla, poiché prima si parla di
specchi e poscia di pelli di capretto. Se « capistrum » secondo l'uso
classico e medioevale si deve intendere per capestro, cavezza, legame o
fune in genere (per frenare il cavallo, ecc.), baza sarà un'unità di misura.
Nel ven. baza significa : abbondanza. O forse si dovrà leggere:* brazas »,
il che non pare, perchè si sarebbe detto « brazias »?
bazinus. Nel doc. V si ricorda i bacini per lavar le mani, « bazinis a ma-
nibus », e quello per lavare il capo « bazinus a capite ». De' bacini,
forse d'uso recente, discorre il De Mussls (col. 583). Nel doc. 1437 presso
Sacchetti, p. 13: « unum bacinum ». Galli, p. 176, dall'inventario di
Valentina Visconti (Muratori, Rer. Ital. Script., XVI, 809) trae:
« bacile unum album argenti ad lavandum caput ».
biretum. Nel doc. V: « tria bireta ab homine de extra ». Forse con quest'ul-
tima aggiunta vuoisi accennare a che si trattava di oggetto spettante a
persona forestiera, o proveniente esso stesso da paesi forestieri ? Berrette
di varie foggie ricorda Cecchetti, Vesti, 60. — Il De Mussis (col. 580 D)
dice che i Piacentini portavano « biretas ».
blachium, v. brachium.
blavus, colore azzurro o turchino. Nel doc. V abbiamo alcune braccia di tela
di vario colore, ed anche « biavi coloris ». Più innanzi ivi pure compa-
risce una giacchetta da uomo di color biavo, e più avanti un gabbano
da uomo de biavo. Cecchetti, p. 17, in un doc. del 1329 trovò « bla-
vado », e in altro del 1459, color « biavo », p. 16; egli spiega, p. 2>ò^
per turchino od azzurro. Un inventario padovano del 15 io tien nota di
due borse di seta, per donna, « una bianca l'altra biava » (BONARDI,
p. 198). Il color biavo menzionasi nel contratto nuziale del 1537, p. 22.
Sul color biavo cf. Verga, p. 16.
Bliblia. Il doc. I reca « duas Bliblias ».
bochalis, boccale. Nel doc. V leggo: « tres bochales de stagno ».
boculus, V. sotto « bambaxium ».
20
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 253
borcheta. Il doc, V registra « sex borchetas a vegetibus », che si intenderà
per : sei borchie o brocche (specie di chiodi) da veggia. Nel Du Gange
si nota « broca » anche nel senso di punta, dente, aculeo,
brachius, blachium. Nel doc. V abbiamo questa parola usata tanto al neutro
(« brachia tredecim ») quanto al maschile (« blachios duos veluti »).
Nel doc. 1493 presso Cittadella (p. 483) è ovvia la misura di lun-
ghezza a braccia « braza ». . Cf. « brazium ».
bragerius, braca. Nel doc. V: « sex fubias de octono a bragerio », « unam
scaciam prò cusiendo bragerios ». Cecchetti, Vesti, p. 64, citando vari
documenti dal 11 77 al 1439, ci parla di « bracarla » « brage » « bra-
gerium ». Merkel, Decaìner., p. 376 e sgg. si ferma a lungo sulle
« brache », e ne illustra le forme diverse.
bragilus. Il doc. V dice: « duodecim capita bragilorum a corio ». Ha Du
Gange : « Bracile, quasi braca aut bracca, brevior et levior, quomodo
monachi sub tunica deferunt ». Tuttavia ivi è detto che non tutti con-
vengono nel significato di bracile, cui altri interpretano per cingola,
quale si adoperava a coprire i lombi. Nel caso attuale il contesto pare
voler indicare dodici capi di vestiario, che possono essere dodici paia
di braghette di cuoio.
brazia. Nel doc. V: « brazias duodecim asteloni » « brazias XXX tele albe »
« brazias duodecim de tela viridi ». Gf. « brachium, brazium ».
brazium. Nello stesso senso. Nel doc. V : « brazia quinquaginta buratorum ».
Gf. « bracius, blachium ».
broncum, bronzo, « tres lebetes bronci » reca il doc. I. Nel doc. 1437
presso Sacchetti, p. 15, r. 7: « de brondio », e « unum bronzinum »,
ivi, r. 23. Gf. Galli, p. 169 e Staffetti, p. 198.
bugarollus. Il doc. IV ha: « unum bugarollum prò faciendo bugatas ». E
evidentemente il paiuolo per la lisciva.
bugata, bucato, cf. bugarollus. Gf. Manno, p. 162 (glossario), che si riferisce
a un documento del 1532.
buratus. Di mezzo fra le pelli, il filo ed il refe, il doc. V elenca: « brazia
quinquaginta buratorum ». Il bnrattus presso il Du Gange si registra
come un pezzo di poco conto, rado e trasparente. A Pavia (Galli,
p. 160) chiamavasi buratus il setaccio per separare la farina dalla crusca.
Ed è ovvio buratar per cribare, nel dialetto veneto.
burdum. Il doc. Ili e il V menzionano ciascuno una coltre de htirdo. Secondo
il Du Gange, sub v. bordum è una specie di panno, frane: borde ; spiega
poi burdus per « sutor vestiarius ».
bursa, bursitus, burseta. Il doc. V ricorda sei bursas di velluto, due dozzine
« bursitorum inter magnos et parvos », dodici « bursetas mediolanenses »,
due <i. bursetas ripi ». Abbiamo adunque varie specie di borse e di
21
254 CARLO CIPOLLA
borsette. E il Cecchetti, Vesti, 97-8, avverte a ragione che ce n'erano di
varie maniere. Le borse, a modo di tasca, pendevano dalla cintura, sia
degli uomini sia delle donne. Se ne aveano di molto ornate, e il Cec-
chetti ci sa dire (da un doc. nel voi. V delle Grazie, e. 2,2, t, all'Arch. di
Stato di Venezia) che nel 1533 una donna Scaligera mandò a Venezia per
l'acquisto di borse lavorate ad oro. Nelle statue giacenti p. e. sui se-
polcri dei sec. xiv-XV, non è raro di vedere riprodotte siffatte borse, e
altrettanto ripetasi riguardo alle pitture. Ho in mente il gruppo della
Pietà, sec. XV, nel duomo di Modena, con esempi di borse pendenti.
Talora siffatte borse ornavansi con « peroli di perle ». Vayra, p. 227,
ha occasione di menzionare diverse maniere di cotali borse, le quali erano
di seta, di seta ed oro, di velluto, ecc. Nel doc. 1437 presso Sacchetti,
p. 11: « unam bursam antiquam de coreo rubeo » e: « unum borsonum
de veluto biavo ». Ivi pure (p. 14) si parla di una borsa bellissima, per
donna.
Della borsa tratta dottamente Merkel, Tre corredi, p. 137.
buthus. Il doc. V reca: « medium miliare de buthis ». Trattasi di bottoni ?
Dal luogo dove questa notizia si trova non potei ritrarre luce alcuna.
cabanus. Il doc. V ha: « unum cabanum a domina cum uno frixo aureo ».
Nell'inventario di Bartolo della Tura, illustrato dal ]\1azzi, « uno gab-
bano di panno bruschino » (V, 83, n. 315).
calderia, caldaja. Il doc. I menziona « unam caldariam » come esistente in
un forno.
calix. Due calici, uno grande e Taltro piccolo, d'argento, si incontrano ricor-
dati nel doc. I. E il doc. II accenna ad un calice d'argento dorato del peso
di 8 oncie. Un calice di rame registrasi nell'inventario vSacco (cf. il mio
articolo Un amico, p. 44), ed uno di peltro avea S. Colombano di Bar-
dolino {Bard., p. 184) al cadere del sec. xiii. Il doc. II ricordandone
uno d'argento dorato, prova l'antichità dell'uso attuale rispetto a tali
calici d'uso comune.
camusia. Nel doc. V: « sex duodenas de augetis de setta (?) et camusia », Ma
da questa frase non argomento il significato della parola. Il Salvioni,
ancorché con qualche esitazione, pensa a : camoscia, pelle camosciata.
canavacium. Fra gli aghi, il coltello e il contrappeso della stadera, il doc. V
registra: « tres carnerios de canavacio »: tre carnieri fatti di canavaccio.
canestrum, canestro. Registrasi nel doc. IV.
canipa, canape. 11 doc. I: « libras quinquc filli de canipa ». E il filo di canapa
si preparava filando, laonde nel doc. V si legge : « unum penssem canipc
a filando ». 11 pensum è quel tanto di canapa che la rocca può portare,
ma in questo jcaso suppongo che si intenda peso, nel senso di misura.
capelus, cappello. Nel doc. V « sex capelos feltri et coraminis ».
capistrum, capestro, cavezza, corda, « quatuor bazas capistrorum », dice il
doc. V.
22
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 255
capredus. Molto uso si faceva di questo oggetto, e pare anzi che ce ne
fossero varie qualità. Nel doc. V in un luogo si legge : « tres duodenas
de capredis prò scribendo », dove sembra trattarsi di carta di capretto.
C. Lupi ricorda i pezzi di carta capredi, che fanno riscontro a quello che
lo stesso erudito riferisce da un doc. del 1377: « prò quodam pesso carte
montonine ». {Manuale di paleografia, p. 39; donde Wattenbach, p. 131).
In un documento del sec. xvi (presso Merkel, Decamerone^ p. 437)
si legge: « pelle... de cavredo ». Federico d'Urbino avea i libri in
'< cavretti bellissimi ». Vespasiano da Bisticci, Vite, pag. 97.
In altri casi sembra trattarsi di vesti fatte con pelli di capretto, in
diverse foggie ornate. Sempre nel doc. V si legge: « unam duodenam
capredorum deauratorum », « quatuor capredos orpelatos albos », « quatuor
capredos auri coloris.
Circa l'impiego di molte pelli d'animali domestici e selvaggi, delle
quali faceansi le fodere de' vestiti da uomo, veggasi De Mussis, col. 580 D.
captia, V. caQa.
caputeus, cappuccio. Nel doc. V: vc unum caputeum de mischio ab homine ».
ÌMazzi, Tura, n. 641, 654, 655: « cappuccio di rosado » « cappuccio di
pavonazo ». Fra i copricapo usati a Piacenza dagli uomini, il De AIussis
(col. 580 D) annovera appunto i « capucios ».
carnerius. Xel doc. 1437 presso Sacchetti, p. 16: « unum carnerium cum
tribus anulis — » Cf. sotto: <- canavacium ».
carum, carro, come unità di misura. Xel doc. V abbiamo infatti: « sex ve-
getes unius cari prò quolibet ^>, cioè sei vegge ciascuna delle quali
aveva la capacità di un carro. Xon di rado in luogo di carruìn si usa
plaustrufìi.
casieta. Nel doc. V: « certas casietas parvas prò statione », cassette piccole
per la bottega.
Casina, cascina, nel doc. V.
cassonus, cassone; nel doc. V se ne ricordano due volte, di cui una volta in
riguardo a quelli esistenti nella bottega. Tale parola è registrata dal
(lAiTER, XXIV, 383. I cassoni poteano avere « seratura » e « forni-
menti », come quello dei figli di Cosimo de' Medici, trafficanti a Milano,
cf. jMazzi, Medici, p. 61. Secondo Galli, p. 174, a Pavia i cassoni con-
tenevano di solito, ma non sempre, la biancheria da letto. X'on di rado
erano intarsiati e dipinti e formavano così un oggetto di lusso. Ognuno
sa come i cofani ed i cassoni si trasformassero talvolta in preziosi og-
getti artistici. Del cassone per la farina, parla Staff^eTTI, p. 313.
castanea, castagno. Nel doc. V: « viginti duobus assidibus de castanea ».
catena, catena. Xel doc. I « duas catenas ferri que sunt in dicto fumo », e
nel doc. Ili ; unam catenam ferri >■>, e nel doc. IV « unam catenam
ferjrjii ».
23
2.s6 CARLO CIPOLLA
caupenala. Nel doc. V, senza che dal contesto si possa aver aiuto per l'in-
terpretazione: « unam duodenam caupenalarum a bobus ». Più volte ivi
ricorre menzione di oggetti che servivano per i buoi: « mediam libram
clavorum a bobus » « duodecim zonchulas corde prò bobus ». Siccome
il testo non è correttissimo, pare non impossibile leggere: « campanela »,
ed avremo allora le campanelle, che si appong^ono alle vacche ed ai buoi,
nelle mandrie e sui pascoli.
caca, captia, cazza. Nel doc. I « unam cacjam rami », e nel doc. IV « unam
sytullam feratam ab aqua cum una captia ramy ». Trovai « cacia » nello
stesso senso in luv. Sacco, p. 44, e Bard.. p. 184. Bevere, XXII, 706, ha
« cacza » per schiumaruola (V. documento IV, pag. io).
celestrinus. Nel doc. V ricordasi un tessuto (« testus ») da donna di color verde
e celestrino, e un panno da uomo di color « azurini sive celistrini ».
cervius. Nel doc. V: « quatuor libras de cervio » « quatuor grossas de
augetis de cervio et soata ». Si accenna a pelle di cervo?
clavus, chiodo. Nel doc. V: « mediam libram clavorum a bobus ».
[cjoffaneum. Il doc. IV: « tria toffanea de ligno ». Se la proposta correzione
è esatta, avremo il ricordo dei coffani, che sì di spesso s'incontrano nei
documenti, e che, senza questa ipotesi, mancherebbero nei nostri inven-
tari. Del coffano parlano, col Merkel, tutti coloro, a dir così, che pub-
blicarono inventari. I>'uso dei coffani era molto vario; alcuni fra essi
servivano anche « per tenere cose da mangiare » ; cfr. Mazzi, Tura,
V, 274, n. 432.
cohina, cucina, nel doc. I. Non è detto qui se la cucina fosse al basso, o se
si trovasse in alto, come spesso avveniva, almeno per Pisa (Lltpi,
Casa Pisana, XXVII, 311), al fine di agevolare l'uscita del fumo. Bi-
sogna riflettere che i tubi e i camini all' uso nostro mancavano. —
Sulla cocliina cf. Galli, p. 157.
cola. Ecco un'altra parola oscura. Il doc. V ne fa due menzioni: « tres libras cole
de pluribus coloribus» « sex interciarios de cola de triplici coloribus ».
Parallelo a quest'ultimo passo, n'è ivi un altro, che parla di treccie di
seta « de seda », pure a tre colori. Cola sta in corrispondenza quindi
con : seta? Ma di più non posso dire, e penso che forse si possa alludere
ai cascami di seta, giacché non si può pensare né alla lana, né alla
canape, ecc. Tuttavia non escludo la possibilità di avvicinare questa
parola a colla, corda {^Dizionario della Crusca, III, 138), quantunque in
questo caso la parola corda assuma un significato speciale.
confavatus. Dal doc. V, che ricorda questo oggetto (« unam duodenam et
dimidiam confavatorum inter piatos et copeluetos ») si può dedurre sol-
tanto che altri di essi erano piatti, ed altri erano a coppella, cioè convessi
(o concavi^
contrafactus. Nel doc. V, parlasi di quegli oggetti d'ornamento alle vesti, che
in generale ricorrono con grande frequenza, sotto il nome di pomell; esso
24
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 257
ne distingue due specie, una di pomelli lisci (« soliorum ») e l'altra di « con-
trafactorum », lavorati. Non mi pare sia il caso di pensare a: fatti ad
imitazione; poiché a ciò non ci spinge neanche un doc. del 1437 presso
Cecchettt ( Vesti, p. 26; cf. p. 21), dove parlasi di panni < contrafatti alla
fiorentina >. Intenderemo dunque soltanto: lavorati.
copeluetus, fatto a coppella; nel doc. V: « unam duodenam et dimidiam con-
favatorum Inter piatos et copeluetos ». E notissimo ciò che dice Sac-
chetti {Nov., 137): « questi non sono bottoni, ma sono coppelle ». La
coppella così viene definita dalla Crusca (III, 723): « Specie di bottone,
che serviva di ornamento nelle vesti femminili, probabilmente così chia-
mato dall'essere di forma concava ».
coperchium. Sotto « banchale » ho già accennato a che i bancali potevano
avere due (doc. Ili e V) e anche tre e cinque coperchi (doc. V). Farmi
chiaro che qui si tratta di panche lunghe, nelle quali si aprivano due,
tre, cinque cassetti. Oltre al bancale, anche altri oggetti aveano coperchi,
e il doc. IV ricorda « unam mastram frustram sine copercho ».
coramen, cuoio. Se ne facea cappelli, giacché nel doc. V incontriamo ricor-
dati sei cappelli « feltri et coraminis ». Si formavano, con cuoio negro,
le cinture da donna; ivi. Ed era necessario uno speciale coltello per ta-
gliare il cuoio; ivi. — Presso MANNO (p. 764, glossario, al doc. del 1532):
« coyrame, coyro », nel senso di cnoio. Cf. « corium ».
corbella. Nel doc. IV « tres corbellas »; corbeille, canestro, cesta.
corda. Nel doc. V : « duodecim zonchulas corde prò bobus » ; e ancora :
« pensses octo cordarum inter subtilem et grossam {sic) ».
cordonus, cordone, ed era di varie qualità, di seta come di refe, secondo che
si legge nel doc. V. Nel doc. 1437 presso Sacchetti, p. 11, r. 39:
« unum cordonum cum duobus groppis de auro laboratis ».
corigia, curigia, coreggia, cintura. Nel doc. V: « duodecim corigias ab ho-
mine » « sex corigias a femina de coramine nigro » « duodecim curigias
fulzitas a ronzino ». In tutti questi casi si tratta di coreggie di poco
prezzo, mentre talvolta se ne aveano di lusso, specialmente quando la parola
coreggia è adoperata nel senso di cintura. — Merkel {Decani., p. 507 esgg.)
dice che la « corigia » era talvolta di cuoio e talvolta di seta ; era più
o meno ricca, ed in italiano chiamavasi coreggia quando era veramente di
cuoio, come esprime il nome, e cintura quand'era di lana o di seta. Tut-
tavia, egli soggiunge, questa distinzione non è costantemente osservata.
Talora la coreggia era fornita di lamine o fibbie argentee, per adattare
le quali si prestava opportunamente la seta. Trovai la cintura quale
oggetto di lusso nell'inventario Sacco (C/)/ amico di Cangrande I,^. 44).
Cecchetti ( Vesti, p. 89) parla della cintura, considerandola anche come
oggetto di lusso. Cinture d'oro e d'argento si trovano ricordate in docu-
menti del 1371 e del 1466 presso G. Mazzatinti, Leggi Eug., p. 291,
e 296.
25
33 — Mise, S. Ili, T. XIII.
CARLO CIPOLLA
Spesso nelle leggi suntuarie perugine la « centura » o la « corrigia »
compare come oggetto di lusso (Fabretti, p. 190, 1445; p. 193, 1460;
p. 214, 1502). Fra i documenti veneziani editi dal I.UDWIG (p. 346) uno
dice: « una zenta {cinta) de seda cremesina ». Ricchissime cinture vengono
annoverate fra i beni spettanti, 1458, ai figli di Cosimo dei ÌMedici: sono
di seta, d'oro, d'argento, di broccato d'oro, di broccato d'argento (C. Mazzi,
Medici, p. 7).
Il De Mussis (col. 579 E) menziona le cinture al suo tempo usate
dalle donne di Piacenza; esse erano di argento dorato e con perle.
Nel caso nostro la parola corigia è presa per cintura da uomo e da
donna, e per coreggia da ronzino. L'uso svariato di tale parola confermasi
dal doc. 1532 edito dal Manno (p. 736, 737) dove si trova la « corregia »
da spada, che serviva cioè per fermare la spada alla cintura.
L'uso di adornare le cinture giunse a tale, che a Parma, nelle leggi
suntuarie del 1506, erasi creduto di permettere che le donne le portas-
sero con ornamenti d'oro e d'argento (Benassi, I, 116).
corium, cuoio. Se ne formava le brachette, « duodecim capita bragilorum de
corio », doc. V; un altro passo del medesimo documento accenna alla
misurazione del medesimo: « unum sextum prò signando corium ». Veg-
gasi anche quanto si disse sotto « coramen ».
cortina. Dal doc. 1 appare che c'erano cortine grandi e piccole « duas cor-
tinas, unam palvam et unam magnam ». E per le cortine si adoperavano
fibbie di legno e di ferro; erano usate in buon numero specialmente
quelle di legno. Ciò risulta dal doc. V: « centum fubias de ligno a cor-
tina » « duodecim fubias feri a cortina ». Xel doc. 1437 presso SACCHETTI,
p. 14: « unam cortinam ante lectum ».
Il doc. I si riferisce a oggetti d'uso ecclesiastico, ma negli altri casi
(cioè nel doc. V) si può supporre che si parli delle cortine, che velavano
il letto. Il De Mussis (col. 583) accenna a siffatte cortine, scrivendo
« ... et cortinis de tela circum circa dieta lecta ». E per il letto serviva
la cortina dipinta a figure di leopardi, che vediamo descritta nell'inven-
tario Aleardi (p. 45).
Cremona. Come a Lucca, anche a Cremona si fabbricava l'argento, se il doc. V
ricorda 1' « argentum Crcmonensse ».
crivelleria, crivello, vaglio. Il doc. IV : « unam crivelleriam ».
crux. Il doc. I, in capo alla serie degli oggetti d'uso ecclesiastico, menziona
« crucem copertam de argento et auratam et de pluribus lapidibus
ornatam ».
cugiarius, cucchiaio. Il doc. V reca: « duodecim cugiarios argenti ». Il De
Mussis (col. 583) fra le nuove costumanze del tempo in cui scriveva (1388),
enumera i cucchiai d'argento « utuntur taciis, cugiariis et forcellis ar-"
genti ». Galli, p. 168, rilevò che il cucchiaio di solito era di ottone,
ma questo metallo poteva essere sostituito dall'argento; nelle case po-
vere se ne faceva scarso uso.
26
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 259
cuhris, coltre del letto, secondo i doc. Ili (« unam cultrim de dicto lecto de
burdo ») e V (« unum lectum cum una cultre de burdo »). E bordo era
una specie di panno, secondo il lessico Du Cange. — Nei documenti
di Pietro da Sacco {Un amico, p. 46) e di Bardolino (p. 184) avevo tro-
vato « eultra » e « eultra nigra ». Cf. anche l'inventario Aleardi (p. 45).
Sulla coltre, cf. L. Staffetti, p. 202-3, che spiega per copriletto,
variante per materia e grandezza. Sacchetti, p. 7.
cappata (casina), cascina, casa coperta da coppi. Di coppi non trovo men-
zione nelle particolareggiate notizie che Lupi, Casa Pisana, XXXI, 386,
ci somministra sui tetti pisani. Staffetti, p. 218, ha la parola coppo in
altro verso.
curigia, V. corigia.
cusire. Il doc. V ricorda gli aghi « prò cusiendo » e « unam scaciam prò
cusiendo bragerios ».
cutelinus, cortellini, per tagliare il pane « duos cutelinos a pane » (doc. V).
cutelus. Il doc. V ricorda « unum cutelum prò incidendo coramen ». Nel
doc. di Bardolino (p. 184) incontrasi un coltello da tavola '-- coltellus a
discho ». Il De AIussis (col. 583) fra le novità introdottesi ai suoi tempi,
annovera anche i coltelli grandi da tavola.
didalus, ditale. C'era, come si usa ancora oggi, il ditale chiuso, da donna, e
c'era il ditale aperto. Infatti nel doc. V leggiamo : « didalos viginti
ferri », « viginti didalos clausos a femina », Nel secondo caso non è
detto se i ditali fossero di ferro. In altri documenti figurano ditali di
argento, siccome risulta dalle seguenti citazioni. Cecchetti ( Vesti^ p. 121)
cita un doc. del 1338 in cui si legge: « dezedale (= ditale) unum ar-
genti »; presso Motta (p. 2\) trovo indicati « due didali d'argento ».
dischus, discus, desco, tavolino. Lo si ricorda nei doc. Ili e IV. Avevo già
trovato il dischus nell'inventario Sacco {Un aniico^"^. 46), e in quello di
Bardolino (p. 184). Staffetti, p. 307, si studia di descriverlo.
disfulcitus, il contrario di fulcito, e quindi senza ornamenti, senza aggiunte.
Il doc. V annota: « duodecim zingias (cinghie) disfulcitas >'. Probabil-
mente queste cinghie avranno mancato di fermagli e in ciò avrà con-
sistito il loro difetto.
dugia, doga. Il doc. IV fra una serie di vari oggetti, menziona: « unam minam
de dugiis », dove si parla di un vaso della capacità di una mina formato
da strisele di legno, che chiamiamo appunto doghe.
duodena. dozzina.
endigum, colore indico. Doc. V: <c sex libras bambatii endigi coloris ».
feltrum, feltro. Doc. V: - sex capelos feltri et coraminis ».
fercium, nel doc, IV, ferium, ferum, ferro.
27
200 CARLO CIPOLLA
fiUium, il doc. V ricorda: « unum fìlium de pomelis », una fila, una serie di
bottoni.
filum. Nel doc. IV: « libras quinque filili a canipa ». Più di sovente questa
parola s'incontra nel doc. V : « tres pensses de fillo a piscatoribus »
« duas libras fili a balistris » « duas libras fili prò apontando ». Nel
doc. 1532 presso Manno (p. 150) si parla di rubbi o libbre di filo.
fisare, filare. Doc. V: « unum penssem canipe a filando ».
forceleta, forbicette. Nel doc. V: « quatuor forceletas a sartoribus ». Un doc.
presso Casanova (p. 78) ha: « doi forcelle d'ariento ». Il De Mussis
(col. 583) fra le novità introdotte dalla moda di Piacenza rammenta anche
« forcellis argenti », ma il nostro documento di argento non parla. —
Cf « zisoria ».
forvex, forbice. Doc. V: « quatuor paria de forvicibus ». In doc. del 12 15 di
Bardolino (p. 126) leggesi: « cum una forpice ». Bevere (XXII, 705)
registra: « par forficularum ». Si consultino Viollet-Le-Duc, Diction-
naire, II, 492, e Merkel, Tre corredi, p, 125 e p. 180. — Nel doc. 1437
presso Sacchetti, p. 14 « unum par forficum ad dominas » Cf. forceleta.
frigere, friggere, Doc. V: « unam padelam rami a frigendo ».
frixum. Il doc. V registra un barilotto da donna « cum uno frixo auri », ed
altro barilotto (da uomo?) « cum uno frixo parvo ». Talvolta pare che
frixa sia da interpretarsi per frangia, e così Manno (p. 767 glossario)
spiegò la frase « drappo frixato », ch'egli trovava nel suo inventario
del 1532. ÌA2i frixuiìi ha senso assai più largo; entrò in uso anche in
scultura e in architettura nel senso di ornamento. E con tale significato,
di carattere generico e comprensivo, si incontra assai di sovente, salvo
a subire quelle determinazioni che, caso per caso, le circostanze sugge-
rivano. Presso Motta (p. 21) trovo: « scufiolo negro cum uno friso d'oro
tirado », e ancora (p, 21): « uno friso d'argento ». Il Cecchetti ( Vesti,
p. 95) cita assai opportunamente un atto del 1334 con cui il Senato di
Venezia non ammise « aliquam frisaturam vel ornamentum perlarum nec
auri nec argenti, salvo perolos argenti vel argenti deauratos ad manicas ».
Qui vediamo frisatura spiegata per ornamento, comprendente anche la
frangia dei peroli.
Perciò talvolta la parola frisii ha il valore generico di guernizioni,
come vedesi presso Verga, p. 35 (e glossario, p. 74). Più volte nei
documenti delle leggi suntuarie perugine del sec. xiv si ricordano le
« fregiature » (Fabretti, p. 166).
Il De Mussis (col. 580 D) discorre di certi mantelli da donna « cum
frixiis aureis ». E ancora (col. 579 D) scrive: <- super aliquibus indumentis
ponitur frisia magna et larga auri circumcirca ». Qui proprio si parla di
guernizioni.
Notevole è un passo di un doc. 1235 inserto nel « Lib. Censuum »
di Pistoja (ed. Santoli, p. 203) dove comparisce il verbo in forma di
participio, e con significato generico: « unam planetam... fresciatam
de orpello ».
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 26 1
fubia, fibbia. Ce n'eran di ferro, e di varie grandezze, « duas grossas de fero
inter parvas et magnas > (doc. V). Per le cortine, si adoperavano tanto
di legno, quanto di ferro (ivi); e, fatte di ottone, servivano perle brache
(ivi). Ma fuori di qui troviamo ricordate le fibbie di lusso, e Cecchetti
{Vesti, p. 97) lesse in documenti degli anni 1329, 1361, 1445 i ricordi
di fibbie d'argento smaltato e ornate di perle. Della fibia trattò colla
consueta sua erudizione il Merkel, Corredi, p. 164.
fulcitus, ornato, allestito. Il doc. V reca: « duodecim curigias fulzitas a ron-
zino ». Avranno avute queste coreggie le loro fibbie, e quant'altro era
necessario perchè funzionassero bene. Anche il giogo per i buoi, ricordato
nel doc. IV, evdi /idcito : « unum iugum fulcitum ». Per il senso opposto,
cf. < disfulcitus ».
Nei documenti veneziani, del tempo della Rinascenza, pubblicati dal
compianto LuD\\^G (p. 312, 320, 326) troviamo i participi « fornide » e
« desfornide » applicati a certe « cassette da pettini », secondo che ave-
vano o non avevano i pettini, secondo ch'erano bene o male allestite.
Nel Dizionario della Crtcsca (VI, 2, 589) si dice che figuratamente
fulcito vale munito, guarnito. E perciò in Un contratto miziale del 1537
(p. 24) si ricorda una cestella di vimini « fornida cum el suo degeal
{ditale) d'arzento ».
L'inventario Aleardi (p. 48) ci dà : « unum galerium palearum ful-
citum sirico albo et virido ».
furchatum, forca. Doc. IV: « unum forchatum de fero ». Presso Galli,
p. 179: « forcha ferri ».
furnus, forno. Xel doc. I leggesi : « in fumo dictorum canonicorum ».
gabanus, gabbano, specie di mantello con maniche. Il doc. V ha: « unum
gabanum a taliis de biavo ab homine ». Presso Mazzi, Tìira, V, 83,
n. 315: « uno gabbano di panno bruschino ».
gafara. Il doc. V reca: « sex gafaras de argento luchexo ». Probabilmente,
per la spiegazione, è da ricorrere a gaffa, puntale.
galeta. Il doc. IV ha: « unam galetam ». La galeta era una misura di capa-
cità, per l'olio e il vino, nei documenti di Bardolino, come avvertii
altrove Bard., p. 184). Nel Lexicon del Du Gange questa parola s'in-
terpreta per: « mensura frumentaria ».
galetus. Il doc. V reca: « brazias duodecim de tela viridi, galeti et biavi
coloris ». Accanto alla tela verde ed azzurra (bleu) c'è la tela di color
galeto, che si spiegherà per gialeto, gialletto.
gausape, mantile. Il doc. I reca: « vigintiduas gausapes de altari ». Cf. Staf-
FETTI, p. 316.
gavardus, paletta di ferro, dove peraltro la prima lettera non è sicura. Il
doc. IV ha: « unum gavardum de ferro ». Il dialetto piacentino conserva
anche oggidì la parola <; gavard > nel senso che ho testé indicato.
29
202 CARLO CIPOLLA
gradilinus. Fra le scodelle di peltro e i cucchiai di argento, il doc. V registra:
« octo gradilinos de peltro ». Il Salvioni raffronta queste parole coU'an-
tico alfabeto italiano gradelin, graelin, coppa, vaso. Nella credenza pa-
vese descritta da Galli, p, 165, trovano posto i gradelini colle sco-
delle, coi cucchiai, ecc. E per scodella di terra intende questa parola
Staffetti, pag. 217.
graturollus, grattugia (?). Il doc. IV reca: « unum graturollum ».
grossa, grossa (dodici dozzine). Il doc. V ha: « quatuor grossas de augetis — »,
e « tres grossas de fubiis — ».
guardanapulus, guardanappa, sciugatoio. Il doc. V reca: « quatuor guarda-
napulos ». Di varie specie e forme, per i piedi e per le mani, ne registra
Bevere (XXI, 635) sotto: « guardanappus », che interpreta per: sciu-
gatoio. Delle « guardanapparum Francisenarum » tiene nota la tariffa
fiorentina del 1307, presso Davidsohn, p. 100. Secondo Galli, p. 167, a
Pavia i giiardanapi e i sicganapi erano specie di tovaglie della lunghezza
da 5 a 7 braccia, che servivano a ripulire il piatto ad ogni pietanza.
Erano di un tessuto apposito, più o meno fine, talora ricamato, nìagari
a colori se si trattava di case agiate ; ma anche di semplice tela, oppure
di pezzi di tovaglia adibiti allo scopo, di varia lunghezza ecc. Crede
il G. che le case dei poveri ne fossero sprovviste, poiché ivi ben di
rado si mangiava più di una pietanza; tutt'al più colà si potevano tro-
varne di tela greggia. Cf. Staffetti, p. 210, 316.
Il De Mussis (col. 583) quando paragona l'età presente colla passata
avverte il diffondersi dell'uso degli sciugatoi: « et utuntur guardenapis,
quae a paucis utebantur ».
incixorium. Il doc. IV reca: « tria incixoria ». Questa parola viene così inter-
pretata dal Du Gange {s. v. : incisorium) « ofbiculus mensarius, super
quo escas incidimus » « novacula » « instrumentum omne aptum ad
incidendum ». E avvertasi che novaada nel Lessico di Forcellini-De ViT
si rende per « culter acuta acie ». Cf. Staffetti (p. 219) spiega « ta-
glieri, varii di grandezza e materia ».
incudo, incudine. Nel doc. V leggiamo: « unam incudinem prò ferando ago-
getas ». Sarà stato una piccola incudine, che le famiglie tenevano in
casa propria, per quei servizi di minor conto, ai quali potevasi agevol-
mente provvedere, senza ricorrere al fabbro ferraio.
interciroria o intercitores, intrecciatoi. A ciò si riferiscono due passi del
doc. V: « unam duodenam intercirorum de seda triplici colore » « unam
duodenam intercirorum de cola de triplici coloribus ».
Bevere (XXII, 326) : « intrechiatura, intriciatura » ; e dà vari esempi
di tali oggetti, alcuni dei quali erano ricchissimi, ornati d'oro e di pietre
preziose. Egli accosta « intrezatorium » a « ligatorium », poiché di un
oggetto si possono avere parecchi nomi facilmente. Cecchetti ( Vesti,
p. 100) fa parola delle treccie usate ad ornamento del capo, e da un
30
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 263
doc. del 1245 ricava « unum parium de drezatoriis de perlis »; in altro
doc. del 1351 egli trova « drezatores de perlis »; e similmente in altri
documenti.
Xè sarà tempo sprecato se ci soffermiamo sul triplice colore, rife-
rendoci a quanto avverte Vayra (p. 89, n. 367) a proposito di certe coltri
da letto, che erano di seta bianca, verde e rossa. Il triplice colore, in
condizioni uguali o simili, lo troviamo anche nell'Inventario del Vayra
(p. loi, n. 529; p. 105, n. 579; p. 151, n. 1034 e n. 1039). Il doc. V parla
altrove della tela verde, gialla, bleu.
Il triplice colore è caratteristico nel medioevo, e i passi che ora
citiamo ci fanno pensare alla figurazione dantesca di Beatrice:
Sopra candido vel, cinta d'oliva
Donna m'apparve, sotto verde manto,
Vestita del color di fiamma viva.
Così in Purg., XXX, 31. E in Farad., XXXI, 13-15:
Le faccie tutte avean di fiamma viva
E l'ali d'oro e tutto l'altro bianco,
Che nulla neve a quel termine arriva.
In una legge suntuaria perugina del sec. XIV, stesa tanto in latino
quanto in volgare, leggesi una prescrizione che riguarda l'oggetto di cui
ci occupiamo, ancorché la parola sia leggermente modificata: « intercia-
turas auri vel argenti » « entrecciature d'oro ovvero d'argento » (Fabretti,
pp. 164-65). Il De Mussis, parlando delle donne piacentine , afferma
(col. 580) che « portant tergollas [terzollas?] de perlis grossis », e poi
tocca dei nuovi ornamenti del capo usati in luogo delle « terzarum de
auro vel de serico, quas portare solebant contextas seu interzatas in
capillis capitis earum ».
Il Dizionario della Crusca (Vili, 1125) così definisce la parola intrec-
ciatoio « Ornamento femminile da porre sulle treccie, fatto di seta e di
metallo e talvolta guernito di perle ».
^Iolmenti (I, 253) fra gli adornamenti muliebri del capo registra
; drezadori », che spiega (p. 267): « ornamenti di perle alle treccie ».
iugum. Nel doc. IV « unum iugum fulcitum v, cioè bene allestito, cui nulla
manca.
labeticulus, diminutivo di « labes », piccolo lavaggio. Il doc. Ili ha: « duos
labeticulos parvos rami ». Cf. lebes.
lana, lana. Il doc. V reca: <- unam libram de lana nigra filata », « duodecim
astaloni de lana ». Nel primo caso si tratta di lana filata, ma non tessuta.
lapis, pietra. Il doc. Ili reca: « unum mortalle lapidis », cioè un mortaio di
pietra. Cf. petra.
lebes, laveggio. Questo oggetto si trova menzionato nel doc. IV con molta
frequenza, e da tali passi si può dedurre come il laveggio potea esser
fatto di varie materie ed avere differenti dimensioni. Se ne elenca uno
31
264 CARLO CIPOLLA
di rame capace di 4 secchie (« quatuor situUarum ») ed altro pure di
rame, capace di una secchia; altro, capace di una secchia, era di pietra;
se ne ricordano ancora due piccoli, l'uno di pietra e l'altro di rame. Nel
doc. Ili si parla di un laveggio grande di rame e di uno di pietra. Nel
doc. I si parla di lavaggi di bronzo grandi e piccoli, e si tocca pure di
due altri in rame. Nel doc, V ricordansi tre la veggi (i) di rame di diverse
grandezze. E interessante notare come, almeno per alcuni, la loro capacità
fosse calcolata sopra l'unità di misura, e non fosse casuale.
Negli antichi inventari è ovvio trovare menzionati i laveggi. Anche
nell'inventario del 1532 edito dal Manno si registra « uno lavezo de
bronzo » (p. 747). Un laveggio di rame, « labes covri » sta nell'inven-
tario di BardoHno (p. 185). E « labes, labetum » abbiamo nell'inventario
di Pietro De Sacco, p. 46. Cf. St affetti, p. 176.
lebius. Il doc. V reca: « centum lebios a planelis », in mezzo fra le fibbie
per le cortine, e di specchi. Colla parola pianole si intende il trampolo,
di bassa altezza., usato dalle signore, come diremo a suo luogo. Ora
lehius era un oggetto che serviva per la pimiella. Forse per allacciarla
al piede?
lecteria de asidibus, la lettiera, lo scheletro del letto. Così nel doc. V. In senso
simile l'inventario Sacco (^Un amico, p. 46) dava: « leteria ». Cf. Staf-
FETTI, p. 311.
lectus, letto; propriamente il materasso, non la lettiera, ma nel caso nostro
pare che più esteso sia il senso di questa parola, almeno nel doc. IV
dove si legge: a unum lectum de pexio », cioè di pezzo, di abete. Nel
doc. III sembra che alla parola lectus sia meglio conservato il suo signi-
ficato genuino, dicendosi « unum lectum cum una cultre de burdo, cum
duabus isic) parvis lentuaminibus ». Proprio nel senso di materasso, ad
esclusione della lettiera, la parola lectus s'incontra nel doc. V : « unum
lectum pennarum ponderis circha penssium quatuor » « unum lectum
cum plumacio » doc. 1437 SACCHETTI, p. 15. Cf. Galli, p. 157-58 che
spiega: « vasi di terra di varia grandezza... corrispondenti forse alle
nostre pignatte di terra o di laveggio ». Egli, p. 171-72, riconosce che
la parola lectus nei documenti pavesi si adopera sia nel suo significato
proprio e ristretto, sia più largamente, comprendendo anche la lettiera.
In senso stretto valeva, egli nota, la fodera di terliccio e due piumacci,
ripieni di penne d'oca, o, più raramente, di gallina.
Non è fuori dell'uso l'adoperare la « lectus » in senso esteso. In
un inventario del sec. xiv, che si legge al principio del voi. loi dei
Regesta Avenioiiensia (Archivio Vaticano) trovasi : « unum lectum pannis
munitum ».
lentiamen, lentuamen, nei doc. Ili e IV. Nell'inventario Sacco ^p. 47) avevo
trovato « lintheamcn ». Bevere (XXI, 626) ha « lintheamina » ed anche
« lentiola », e « linzolus » incontrasi pure nell'inv. Sacco (p. 47). Nel
(0 Se il doc. ha: lebates in luoso di lebetes ciò sarà da attribuirsi ad un puro e
semplice errore di scrittura.
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 265
doc. V leggiamo: 'i tria paria lenzolorum ,de tribus telis et dimidio prò
quolibet eorum ». Il passo è notevole, giacché non solamente conserva il
nome, ma descrive anche il modo con cui il lenzuolo era fatto, e lascia
scorgere quanta fosse presso a poco la larghezza di un telo.
Un inventario padovano del 15 io (Bonardi, p. 197) ricorda cinque
lenzuoli « de do telli l'uno », ed altro lenzuolo « de 4 telli ». I lenzuoli
piacentini erano formati di 3 teli e Y, : le misure adunque non sono tra
loro troppo disformi. Anzi in altro inventario padovano del medesimo
anno (ivi, p. 195) comparisce « un linzuolo de telli 3 Y2 >>•
Nell'In vent. Aleardi (p. 47) si menzionano lenzuoli fatti « de tribus
faldis », ecc.
Sul liìiteainen o linzolo e sul suo uso a Pavia, cf. Galli, p. 173.
lerus. Nel doc. V legg'iamo, in mezzo ad oggetti di vestiario: « quatuor leros
de seda ». Non intendo il significato di questa parola.
leva. Il doc. IV ha: « unam levam », in mezzo a utensili d'ogni genere.
Sarà una leva, poiché non pare che difficoltà alcuna si opponga a tale
interpretazione.
libra, libbra; come unità di peso si trova nei doc. IV, V.
lignum, legno.
Luca, Lucca. Cf. : « argentum luchexum » « aurum luchexum ».
manicus, manico (manico della sferza). Il doc, V dice: « unam duodenam
manicorum a scuriatis ab equo ».
mantelus. Nel doc. V leggo: « unum mantelum ab homine panni azurini
sive celistrini ». Gli uomini dunque portavano mantelli di tale colore.
maracius. Il doc. IV, dopo le falci messorie, registra « unum maracium ». Nel
Lexicon (}iìqW>\5 Gange questa parola s'interpreta per: « vasa quaecumque
et alia utensilia, quae sali conficiendo inserviunt ».
marchus, marco della stadera, contrappeso. Nel doc. V leggesi: « unum
marchum, qui levat libras quinque ». È il contrappeso che cammina sul
braccio graduato della stadera, e che nel caso presente pesava 5 libbre.
Veggasi il Dizionario della Crusca (IX, 931) sotto « marco ».
martilus, forse: martello (di ferro). Il doc. V ha: « duas duodenas martilorum
feri ».
mascaducius. Nel doc. V leggo: « tres pensses mascaducii ». Il dialetto pia-
centino conserva anche oggidì la parola « mascadis », che significa: cuoio
bianco usato nei finimenti o tagliato in istriscie per legare.
massa. Nel doc. IV leggo: « unam massam ferii». Nell'Inventario Sacco c'è
« magia » mazza. Bevere, XXII, 728, registra: « macza ferrata de home
de arma ». E nel dizionario Tomimaseo-Bellinj si trova la « mazza » e la
« mazzaferrata », come bastone nodato e ferrato, che si porta in bat-
taglia. Un docum. veneziano del 1325 (Cecchetti, Vesti, p. 120) ha
« mazoleta... de fero ».
33
34 — Mise, S. Ili, T. XIII.
206 CARLO CIPOLLA
Nel caso nostro, meglio che di un'arma, si tratterà del palo di ferro,
ad uso rustico. Infatti la presente indicazione si trova di mezzo fra un
giogo ed una zappa.
massaricium, masserizia. Così nel doc. I, e si usa come nome complessivo
degli arnesi di casa trovati in una cucina, cioè due tine, due vegge
comuni, tre laveggi di bronzo, ecc.
mastra, arca, secondo spiega il Du Cange. Nel doc. Ili leggo, in mezzo fra
uno scrigno e una tina: « unam mastram ». Il doc. IV fra la « scalla de
barixellis » e la « messura » (falce messoria), registra « unam mastram
frustam sine copercho » (sic). Per il significato mi attengo al Du Cange.
medietas. Il doc. V reca: « unum barilotum de medietate » « una vilana de
medietate ». Questa espressione corrisponde a quanto leggiamo in un
doc. veneziano del 1338 (Cecchetti, Ves^i, p. 121; cf. p. 1 1 e p. 57):
« rubinum unum de mitade de duobus meschiis ». CecCHETTI (p. 25)
menziona anche i mezzanelli di seta o con seta. Su « mezolana », « me-
zolanum » cf. quanto dissi altrove. Un amico, p. 48.
Mediolanensis. J.e borsette all'uso milanese sono ricordate dal doc. V, come di-
cemmo sotto « burseta ».
messaroUus. 11 doc. IV ha: « unum mes.sarollum », diminutivo della falce
messoria, « messura ».
messura. 11 doc. IV ha: v; unam messuram », falce messoria.
mexia. Fra un laveggio e una tinella il doc. IV menziona « unam mexiam »,
che è certo la madia, cassa in cui si intride la pasta per fare il pane.
L'Inv. Sacco (p. 47-8) ha: « mesa fodi », e l'Inv. Aleardi (p. 51): « mesa ».
— Cf. « misia ».
mina, emina, misura di capacità. Nel doc. IV: « unam minam de dugiis ».
Du Cange spiega « mina » per « mensura frumentaria ». La doga è
una di quelle striscie di legno di che si compone il corpo della botte e
altri simili vasi.
mischium. Il doc. V menziona due barlotti, e un capuccio di mischio. Anche
neirinv. Sacco (p. 48) avvertii la parola inesclus nel senso di panno a
più tinte. Trovo lo stesso vocabolo abbastanza di sovente nei documenti
antichi. Così p. e. comparisce in un doc. del 1338 presso Cecchetti,
Vesti, p. 121.
misia, madia. Si ha nel doc. V. In egual senso occorre « mesa » tanto nel-
rinv. Sacco (p. 47) quanto in quello di Bardolino (p. 185). Cf.: « mexia ».
moderator, ordigno di ferro. Il doc. V ricorda: « sex modcratores feri ».
Di solito per indicare la materia di cui un oggetto è fatto, ivi si usa
la preposizione « de » coll'abl. ; ma non è escluso l'impiego del gen. ;
laonde leggiamo « duodecim fubias feri -, « duas bursetas ripi », « unum
mortale lapidis », « duas situlas rami ».
34
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 267
Dal luog"o in cui il citato documento ricorda « sex moderatores
feri » nulla possiamo dedurre intorno ad essi. Stanno fra le cesoie e le
corde per i buoi.
Ho trovato i « moderatores » anche nell'inventario Aleardi, e pro-
posi, ma con molta esitanza, d'interpretare questa parola con: pesi (p. 37).
Non mi avvenne d'incontrare, ch'io ricordi, questa parola in alcun altro
documento.
modium, moggio. Il doc. V menziona alcune vegge, ciascuna delle quali
avea la capacità di un moggio.
mofela, guanto. Nel dialetto piemontese « muflu » vale guanto, che ha libero
soltanto il pollice, mentre le altre dita sono chiuse, Il doc. V reca : « sex
mofelas ab homine de extra ». La frase « de extra » si incontra anche a
proposito del hiretum nel doc. medesimo, e può chiedersi se significhi
trattarsi di costumanza estranea al luogo.
molinellus, arcolaio. Nel doc. IV leggesi : « unum {sic) arpam de molinello »,
Qui è a notarsi l'uso della preposizione ^< de » coll'abl.
mortalle, mortajo. Il doc. IV e il V dicono : « unum mortalle lapidis ».
murata [casina , cascina fatta di muro.
nestaia. Il doc. V reca : « tres nestulas auri luchexi ». Il prof. C. Salvioni mi
avverte che « néstola » per nastro vive ancora in alcuni dialetti italiani.
nux, noce. Col legno di quest'albero era fatto lo scrigno, di cui parla il
doc. IV.
octonum. Aghi di ottone e fìbbie egualmente di ottone per le brache, cita il
doc. V. Veggasi sotto « aricharchum ».
ornellus. Il doc. IV, in mezzo ad oggetti di ferro, ricorda : « duos ornellos
de axino ». Di lì altro non si può ricavare quanto al significato.
orpelatus. Questa parola occorre due volte nel V documento, e sempre in
unione colle pelli di capretto : « quatuor capredos orpelatos albos »,
« quatuor capredos orpelatos auri coloris ». L'orpello è la foglia d'oro
che si applica sulla superficie d'altri oggetti, per farli parer d'oro.
CecchETTI ( Vesti, p. 43-4) riferisce di alcuni velluti « tessuti coU'oro,
come ai dì nostri coli 'orpello ». Nel Lib. Censuum Pistojese (p. 203),
doc. del 1235: « unam planetam... fresciatam... de orpello ».
padda, padella, patela. Nel senso odierno, questa parola ricorre nei doc. I,
IV e V. In tutti e tre i casi viene detta di rame, e nell'ultimo si sog-
giunge anche l'uso che se ne faceva: « a frigendo », cioè per friggere.
Il doc. I determina che una padella era maggiore dell'altra ; le dimen-
sioni della padella dunque mutavano.
palium, drappo d'altare, tappeto. Il I doc. conserva notizia di molti oggetti
d'uso ecclesiastico, e fra essi menziona « quatuor palla de altare »,
nonché « unum palium quod ponitur quandoque super gradu ecclesie ».
35
268 CARLO CIPOLLA
palvus, in luogo di « parviis », ricorre tre volte nel doc. I.
pannus, panno. Il doc. V menziona un barlotto « de panno scuro » e un
mantello da uomo « panni azurini si ve cilestrini ».
papirus, carta. Nel doc. V: « duode[ci]m zisoretas a papiro ». Trovammo le
pelli caprine prò scribendo, ed ora c'imbattiamo nella carta (bambacina).
paramentum, paramento d'altare. Due volte se ne parla nel doc. Il; nel secondo
caso trattasi di un paramento vecchio « j^aramentum veterum {sic) ».
Nel doc. I è notevole il passo, in cui la parola è usata nell'altro suo
significato, cioè in quello di abito sacerdotale: « duo paramenta unum
de diachono et aliud de subdiachono ».
passus, passetto (unità di misura). Il doc. V dice: <;, unum passum prò
mensurando ».
patela, v. padda.
pecten, pettine. Il doc. V reca: « triginta pectines ab equo ».
pelis, pelle. Nel doc. V si legge : « quatuor duodenas pelarum albarum ».
In doc. dei sec. xiv e xvi il Merkel {Inventari, p. 437) trovò: « pelle
nigra de agnis » e « pelle 72 ^^ cavredo », Tuttavia egli stesso (p. 435)
si mostra esitante nel decidere se la « pellis » « fosse una veste speciale,
ovvero solo una fodera di altre vesti » ; egli anzi osserva che la « pel-
liccia... di consueto faceva da fodera alle vesti », ma pur soggiunge che
« talora... era una veste essa stessa » (p, 432), prendendo il nome di pel-
liccione, secondo la forma francese.
Delle « pelli » e del loro uso molto esteso discorre, accostandole
alla pelliccia, il Cecchetti ( Vesti, p. 78), e mostrando come questa si
adoperasse non solo dai ricchi, ma anche da coloro che appartenevano
alle classi mediocri (ivi, pp. 79-80). Egli (p. 79) cita un doc. del 1359
con: « due dozzine di pelli rosse »; altro del 1426: « prò pelle alba
pulcherrima ». A p. 8i il Cecchetti scrive: « pelle passò a denominar
vesti, che talvolta sembra ne fossero prive, od erano interamente for-
mate di cuoio e pelli ». Bevere (XXII, 2,2:^) registra pure assieme pelli
e pelliccie.
peltrum, stagno raffinato. Il doc. V reca: « octo scudelas de peltro », « octo
gradilinos de peltro ». Sopra questa parola cf. Bardolino, p. 185. Sac-
chetti, pp. 166-7, registra « peltrum » per piatello di peltro.
penna. I materassi si faceano di penna, e perciò il doc. V ricorda un letto
di penne del peso di circa pesi 4, « unum Icctum pennarum ponderis
circha penssium quatuor ».
penssis, peso, nel senso di una data misura di peso così denominata. Il doc. V
ha : « unum lectum pennarum ponderis circha penssium quatuor » ;
« penssas triginta lini » « pensses octo cordarum » « tres pensses de
fillo a piscatoribus » « u[n|um penssem de ripo alto » « tres pensses
mascaducii » « unum penssem canipe a filando ». A questo significato
ritorna il passo edito dal Motta (p. 36) : « pesa ogni cosa pesi otto e
libre cinque ^>.
36
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 269
pesarolus. Il doc. V ha : « unum pesarolum ». Xel Glosssarium del Du Gange
« pesarolus » si interpreta per '<. staterà, verticulum ».
petra, pietra. I documenti III e IV rammentano tre laveggie di pietra.
Cf. sotto lapis.
pexius, pezzo, abete. 11 doc. IV registra un letto (una lettiera) « de pexio ».
AIerkel [Castello di Quart, p. 35) avvertiva, esaminando il significato
di « pessia » : « abete rosso, che nell'Italia settentrionale generalmente
è detto pezzo ».
piatus, piatto, cosa piatta, né convessa né concava. Il doc. V dice : « unam
duodenam et dimidiam confavotorum inter piatos et copeluetos ».
pivialis, piviale. Il doc. I, dove enumera molti paramenti e altri oggetti ec-
clesiastici, ricorda: « quatuor piviales ».
plancia, pianella. Il doc. V riferisce : « centum lebios a planellis ». L'uso
della pianella era assai diffuso, come apparisce dal MOTTA (pp. 80-1).
Cecchetti ( Vesti, p. 65) toglie da un doc. del 1459: « zocholi alti molto...
zoé planele molto alte », donde possiamo dedurre la relazione d'identità
esistente fra lo zoccolo e la pianella.
Il Verga (p. 55) a proposito delle pianelle nota che esse « non
erano in fondo se non quei zoccoli che la sporcizia delle strade rendeva
indispensabili alle dame, quando non andassero a cavallo ». .Solamente
si può chiedere perchè le dame poi fossero così ambiziosamente bra-
mose d'aver lunghi strascichi. Cf. : « traynetus ».
Le leggi perugine colpiscono le donne che hanno le pianelle troppo
ricche, di velluto, d'oro, d'argento (1508; p. 227), ordinando (1536; p. 231)
che siano le « pianelle de drappo simplici senza alcuno guarnimento
de oro né de argento, né quelli de corame ornate con drappe ». Non
doveano essere più alte di 4 dita.
Nel Museo Civico Correr di Venezia, nella sala destinata a racco-
gliere gli abiti dell'antica società veneziana, si vedono molti di questi
zoccoli, parecchi dei quali raggiungono tale altezza da diventare de' veri
trampoli. E vari ne descrive o ne riproduce il Molmenti, (II, 418-9, 422-3;
cf. I, 262), non senza avvertire che Pietro Casola li denominava appunto
« zibre » o « pianelle ».
E il contratto nuziale veneziano del 1537 (p. 22), degli zoccoli dice
tanto quanto delle pianelle riferiscono i citati documenti perugini: « un
paio de zocoli de raxo bianco ». Presso SACCHETTI (p. 14) leggiamo:
« unum par de planellis >.
pianeta, pianeta. Il doc. I fra le vesti e altri oggetti ecclesiastici registra :
« quatuor planetas », e dal doc. II ne apprendiamo anche il valore com-
merciale : « florenos quatuor auri prò emendo unam planetam ». Non
sappiamo peraltro se questo si considerasse come uno dei prezzi mag-
giori o come uno dei minori, il che sarebbe utile a conoscersi, special-
mente trattandosi di una specie di oggetti, il cui valore può essere
molto vario, a seconda della sua diversa ricchezza.
37
2 70 CARLO CIPOLLA
plumazolus. Nel doc. V : « quatuor piumazoli ab equo ». Avendo trovato
« plumacium » nei doc. di Bardolino (p. 185) interpretai questa parola
per « piumaccio, guanciale ». Nel caso presente si ha il diminutivo, e
l'indicazione del suo uso; serviva adunque a modo di sella, siccome si
usa ancor adesso, specialmente da chi cavalca sugli asinelli. Presso Staf-
FETTI, pp. 201-02, « plumacius >> vale tanto materasso ripieno di piume
di oca o di gallina, quanto anche cuscino.
pomelus -llus, bottone. Di questa specie di ornamenti fa più volte ricordo il
doc. V, rammentando « duo miliaria pomellorum contrafactorum et solio-
rum », « unum filium [=fìlum| de pomelis de rapo», « unam villavam
(villanam?) de medietate cum pomellis . xxx . argenteis Cremonenssibus ».
Da questo passo risulta che i pomelli servivano, in buon numero, per
le vesti, mentre si vede che dei pomelli si faceva larghissimo uso. Evi-
dentemente doveano essere di piccola dimensione. Nel secondo passo
la frase de rrpo forse si può aggiungere a fihmi, intendendo un filo di
refe per pomelli, ma non è escluso lo intendere di pomelli fatti di refe.
In Piemonte ancora men che un secolo fa le famiglie tenevano molti
dischetti di legno, rotondi, forati al centro, che si infilavano con uno spa-
ghetto: al bisogno, si cavavan di lì, si rivestivano di panno e se ne
formavan bottoni.
Le « pomelle » si incontrano presso Cittadella (p. 513) : « agugie
da pomelle due mille quatrocento ». Poi a p. 516 si legge: « velleto
uno longo con una pomellata d'oro intorno », e a p. 569 : « pomellata »
con « frangia ».
Il « pomello » diminutivo di « pomo » è un ornamento che si col-
lega, e forse, in alcuni casi, si identifica colla frangia; ancorché essen-
zialmente si accosti al bottone.
La spiegazione comune identifica pomellus a bottone, e sta bene ;
ma si tratta di bottoni adoperati anche a scopo di ornamento, a profu-
sione, e perciò il significato stesso della parola bottone può forse appli-
carsi con una certa larghezza.
Il cronista De Mussis discorre più volte dei povielli, tanta n'era
l'importanza nel costume. Egli dice (col. 580 D) che le vedove porta-
vano vesti di bruno « sine auro et perlis, sed solum cum pomellis dicti
panni de bruna tantum », cioè i bottoni erano di quel medesimo panno
bruno, di cui era fatto il vestito. Alcune vesti di gran sfarzo, dette
« cipriane », erano « impomellatae de antea a gula usque in terram
pomellis argenti deaurati vel de perlis ». L'ornamento correva dunque
sui contorni, poiché quelle vesti non erano sul dinanzi chiuse, ma aperte
(col. 580 A). Poco innanzi (col. 580 C) soggiunge che le vecchie matrone
portavano, al tempo in cui egli scriveva, mantelli; e il mantello « est
pomcUatum de versus gulam pomellis argenti dcaurati vel de perlis per
unam spallam et fiunt prò malori parte cum collare ». Questi passi
fanno vedere che l'uso dei pomelli era estesissimo e perciò non ci me-
raviglieremo se in tanta abbondanza essi si trovavano nella casa mo-
desta del nostro mereiaio.
38
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 27 1
Anche il Verga (p. i6) spiega pomelli per bottoni.
L'etimologia del vocabolo aiuta ad intendere qual ne fosse la forma.
Pare che se a Piacenza ed altrove questi oggetti si adoperavano in
forma di mela, « pomo », si usassero altrove in forma di « pera ». In-
fatti se « pomello » viene da « pomo >\ « perolo » viene da « pera », e
perciò probabilmente pomello e perolo hanno lo stesso significato, o
almeno un significato affine.
De' peroli tacciono i nostri documenti, ma in ricambio è di essi
frequente il ricordo in tanti altri documenti che si riferiscono alle vesti.
Cecchetti investì, p. 12Ò) cita da un doc. del 1366: « peroli bianchi e
indoradi », e a pp. 91-4 descrive i « peroli » quali bottoni a pera, avver-
tendo ch'essi si annoveravano tra i principali ornamenti alle vesti maschili
e femminili. Un doc. del 1392 (ivi, p. 92 parla di 66 peroli grossi d'argento,
rotondi. Una deliberazione del Senato Veneziano del 1334, che Cec-
chetti cita (p. 95), riguarda « perolos argenti vel argenti deauratos »
che si usavano come ornamento alle maniche. Anche le borse, secondo
il Cecchetti, sono alle volte ornate con « peroli di perle ».
Bevere (XXII, 318) descrive la impomellatura, bottoniera, da
« pomettus » bottone, fra le vesti da donna.
Il Du Cange si mantiene sulle generali, spiegando « pomellus » per
ornamento nelle vesti sacre, e « pomellata, impomellata » quale veste
ornata di pomelli.
MOLMENTi (I, 445) riferisce dal testamento di Francesco Dandolo,
1339 : « tunica habet pirolos intaiatos de argento inaurato », e (p. 258)
spiega peroli per k bottoni a pera », collocandoli fra gli ornamenti delle
vesti maschili e femminili.
Il nostro documento ricorda i pomelli Cremonesi. Che cosa proprio
si voglia specificatamente significare con questa frase, non risulta. E a
credere che Piacenza ricevesse dalla vicina Cremona una forma parti-
colare di questi bottoni.
ponzonus. Dopo il ricordo di una sesta per segnare il cuoio, e prima della
. menzione di alcune cassette della bottega, il doc. V ha : « duos pon-
zonos ». Cittadella (p. 493) trae da un doc. del 1493 il passo: « item
stadera una de ferra grande cumil suo ponzo ». Sarà dunque il romano?
pugilaris. Il doc. V reca: « duodecim pugilares de cornu parvos ». Si allude
a tavolette da scrivere, poiché queste, se di piccole dimensioni, si diceano
tabellae o pugillares, cf. Lupi (p. 24). Cecchetti, Libri (p. 363), opina che
nelle scuole si adoperassero in luogo della carta le tavolette, non cerate;
peraltro non mi sembra che i documenti da lui citati convalidino questa
sua opinione, almeno in tutta la sua estensione.
quarelus. Nel doc. V leggo : « tres quarelos <;ingiarum ». Che si alluda forse
a parti di una cinghia, le quali fossero di forma quadra ? Ovvero che sia
da interpretarsi per : ferro ricurvo (specie di lesina) adoperato per le
cinghie ? L'uso della voce « ^ingiarum » al genitivo non si oppone a
tale interpretazione.
39
CARLO CIPOLLA
ramum, rame. Ricorre assai di spesso questa parola nei nostri documenti.
Il doc. I ci parla di due laveggi, di due padelle, di un desco, di una
cazza di rame. Il docili parla di vari laveggi, più o meno grandi, dello
stesso metallo. Nel doc. IV troviamo pure ricordati alcuni laveggi, una
padella e una cazza di rame. Il doc. V ci mette sott'occhio tre laveggi
ed una secchia di rame.
ripus repus, refe. Nel doc. V, dove gli oggetti muliebri spesseggiano, il refe
è frequentemente menzionato. C'è molto refe bianco, rosso e nero. Ci
sono i pomelli, i cordoni, le borsette di refe. Un po' più oscura è la
frase, che s'incontra pure nello stesso documento: « tres duodenas agu-
getarum repi, longitudinis unius brachii prò qualibet », ma poiché agugeta
sembra essere una specie di cordini, con cui si allacciavano le vesti,
così anche questo passo s'accorda perfettamente coi precedenti.
robaca. Il doc. V ha : « medium miliare de roba^is », e questa notizia si
trova fra gli scacchetti e l'ottone, senza che si possa dedurre di lì alcun
elemento interpretativo. Appare soltanto che si doveva trattare di
cose piccole o comunque di secondaria entità. Forse si intendeva: ro-
baccia, minutaglia ?
ronzinus, ronzino. Il doc. V ricorda dodici correggie « a ronzino ».
sapa, zappa. Doc. IV : « unam sapam ».
sartor, sarto. Di lui e delle piccole forbici, che usava, parla il doc. V: « quatuor
forcelatas a sartoribus ».
scacheta. Il doc. V inizia una serie di bagatelle, di varia specie, con queste
parole: « medium miliare de scachetis inter nigras et albas ». Come si
potrà pensare mai agli scacchi per giocare, mentre 500 di essi sareb-
bero ben troppi ? Tuttavia nei documenti ch'ebbi a mano trovai ricor-
dati questi soltanto: « tabularium a scacchis ;> nell'Inv. Sacco (p. 51).
Vayra (p. 166, n. II 69) riferisce : « ung coffret petit, ou sont les eschacs
d'argent ». Ed è anche vero che nei giuochi di scacchi, di dama, e si-
mili, i pezzi si dividono in bianchi e neri, per distinguere le forze rispet-
tive dei due giocatori.
scacia. Il doc. V riferisce : « unam scaciam prò cusiendo bragerios ». Se
talvolta le brache erano di cuoio, e se ad ogni modo erano in panno
assai forte e duro, si saranno usati trivelli, succhielli, punteruoli, e a
qualcosa di simile penseremo per interpretare questa parola. Nel Gloss.
del Du Cange trovasi « scacia » nel senso di stampella, bastone. Nel
documento ora citato la scacia precede le forbicine dei sarti.
scadilarius, Il doc. V reca : « duos scardilarios ligni », fra tre boccali di
stagno e due scodelle di peltro. Mi chiesi se fosse il caso di correggere
il testo, che non è sempre corretto, riducendo la parola a « scudilarios »,
cucchiaio. Presso il Du Cange si registrano « scudilaria rami ». O mo-
dificando la parola, con facile metatesi, in « scalidarius » penseremo a
scaldini, rivestiti di legno ?
40
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 273
scadora. Il doc. V, dopo aver ricordato il pesarolus, specie di stadera, nota :
« duas scadoras rami ». Che sia un errore per « staderas » ? O piut-
tosto trattasi di due scaldini di rame?
scalla. Il doc. IV ha : « unam scallam de barixellis y>, dal che suppongo si
volesse significare lo scanno su cui poggiano i barili e le botti.
Bearsela. Il doc. V enumera : « sex scarselas ab homine />. Sembra trattarsi
di scarselle, separate dagli abiti, e da portarsi probabilmente appese
alla cintura.
scrana, scranna. Ne parlano i doc. III e V.
scrineum, scrigno, armadio. Il doc lA'' ricorda tre scrigni, nonché « scrineum
novym de nuce ». Nel doc. V trovo : « scrineum a duobus coperchiis »,
colle quali ultime parole si alluderà a due cassetti in esso aperti ; il
passo mi ricorda che nell'Inv. Sacco (p. 50) menzionasi « scrineum «ine
coperchio ». Il doc. Ili scrive: « unum scruneum », nella quale parola
veggo soltanto una varietà grafica per scrineum ; anche gli oggetti che
a quella parola fanno compagnia mi sembra autorizzino tale interpre-
tazione.
Secondo i documenti veneziani editi dal Ludwig (p. 304) lo scrigno
è un armadio ferrato. Staffetti (pag. 313) parla dello scrineus in cui
chiudevansi le granaglie e la farina.
Neil' Invent. Aleardi si parla più volte (pp. 46, 47) di scrigni « cum
claxaria et davi » ; ma quivi troviamo menzione della serratura e della
chiave anche rispetto ad altri oggetti che non sono gli scrigni. Così
p. e. avviene di leggervi (p. 51) : « unus cassonus picii cum clasaria
et davi ».
scudela, scutella, scodella. Il doc. Ili ricorda « quatuor scutellas terre » e il V
« octo scudelas de peltro ». C'erano dunque in uso e scodelle di terra
e scodelle di peltro. Cittadella (p. 493): « scudelle di peltro ». Nel
Gloss. del Du Cange si registrano: « scudilaria rami ».
Il De Mussis (col. 583) nota fra gli utensili in uso a Piacenza al
tempo suo, e (pare) introdottivisi di recente, anche le scodelle e gli sco-
dellini di pietra. Cf « scadilarius ».
scuriata. Il doc. V registra : « unam duodenam manicorum a scuriatis ab
equo », cioè: dodici manichi di scudiscio, di sferza da cavallo.
seda, seta. Si ricorda nel doc. \ più d'una volta, e potea esser di vario
colore, se ivi si ricordano le treccie « de seda triplici colore ». Cf. sotto
« sericus ».
sedacius. Fra due panche ed un'emina di legno, il doc. IV enuncia: « unum
sedacium ». Si dovrà intendere setaccio, mentre il dialetto piacentino
usa in questo significato la parola « sdazz >. In un documento Pi-
stoiese del 1235 (« Lib. CcnsMuvi » di Pistoia, p. 204): < unum staccium
ruptum ». Staffetti (p. 196) registra sedacius e aggiunge : « di sottil
trama a fili di settola, onde il nome, di crine, o di tela di ferro ».
35 —Mise, S. Ili, T. XIII.
274 CARLO CIPOLLA
sericus, setaceo (simile alla seta ?). Il doc. V ricorda : « libras decerti serici
de diversis coloribus », <' unam duodenam de cordonis de serico ».
setta (?). La lettura di questa parola non mi è chiara nel seguente passo
del doc. V: « sex duodenas de augetis de setta (?) et camusia ».
sextus. sesta. Il doc. V reca : « unum sextum prò signando corium ».
situla, situila, secchia. Nei doc. III si parla tre v^olte della secchia come della
unità di misura di capacità. Nel doc. IV invece abbiamo lo stesso nome
a determinare la secchia, come oggetto determinato : « unam sytullam
feratam ab aqua cum una captia ramy ». In quest'ultirtio senso occorre
lo stesso vocabolo nel doc. V : « due situle rami ». Similmente nel-
l'inventario di Bardolino (p. i86) e nell'In v. Sacco (p. 50) « situla ab
aqua ».
soata, sogatta, soatta. Nel doc. V : « quatuor grossas de augetis de cervio
et soata ». Il passo pare abbastanza chiaro se si interpreta augeta per
agugeta, così che significhi il cordone di cui si parla sotto quest'ultimo
vocabolo.
solius. Nel doc. V si legge : « duo miliaria pomelorum contrafactorum et
soliorum ». La parola solius quale si trova in un doc. del 1532 viene dal
Manno (p. 770, Gloss.) spiegata per liscio.
soma. Veramente la soma è unità di misura di peso (cf. Gaiter, XXIV, 391),
ma nel caso nostro pare che il vocabolo sia assunto come unità di mi-
sura di capacità, forse nel senso che vi si contenesse tanto da pesare
un multiplo della soma. Fra una tinella e una veggia, il doc. IV men-
ziona : « unum urnum de somis quatuor ».
sonagius, sonaglio, campanello. Il doc. V nota : « duos sonagios ».
speculus, specchio. Nel doc. V leggo : « duodecim speculos parvos ».
speronus, sperone. Nel doc. V : « quatuor speronos ».
spola, spola. Il doc. V reca : « quatuor spolas a texendo ».
stagnata, cosi nel doc. V, e alla lettera varrebbe: pentola stagnata; ma forse
il nome si applicava anche ad una pentola che non fosse stagnata. Nel-
l'Inv. Sacco (p. 50) trovo: « stagnolus, stagnata », e in quello di Bar-
dolino (p. 186): « stagnolum ». Manno registra: stagnara , stagnerà per
vaso per acqua, mesciacqua ; e tien nota anche di stagncllo, stagnuolo.
vaso di stagno. Merkel, Tre corredi (pag. 137), parla unitamente del
bronzino, dello stagnino, del ramino ; egli pensa che questi nomi in-
dicassero non forme divèrse di vasi, ma vasi di differenti materie. Tut-
tavia, come notai, neanche quest'ultimo punto è fuori d'ogni contesta-
zione. Il Verga (p. ^,2) a proposito di stagnata, ch'egli trovava nelle
sue leggi suntuarie milanesi, avvertiva doversi tener conto dell'uso e
delle forme dialettali, e aggiungeva che perciò egli traduceva stagnata
con caldaio (caldaia), che sarebbe veramente un vaso di rame. Anche
42
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 275
Oggidì nel dialetto di Massa si dice: « Stagnata per tener l'olio »: la
stagnata serve anche per tenervi il latte, nel qual caso dicesi anche
ramina; cf. Staffetti, p. 220,
stagnum, stagno. Nel doc. V leggo : « tres bochales de stagno ».
starium, stajo, misura di capacità. Frequente menzione ne fa il doc. Ili, par-
lando di una veggia capace di 11 e di altra di 16 staja ; e così ancora
di una pii^i piccola capace di 7 staja. Poi si ricordano pure sei staja di
vino vecchio.
Quest'ultimo dato conviene con quanto dice Bevere (XXII, 711),
che spiega siaruin per misura di liquido. Il doc. V tiene nota di due
VQgge minori, ciascuna delle quali era capace di 4 staja.
statio, bottega. Il doc. Y ricorda cassette, bancali e cassoni collocati nella
statio, cioè nella bottega. Nel caso nostro si tratta di una bottega di
merceria esistente a Piacenza.
Gaiter (XXIV, 388) interpreta statio per bottega stabile.
strigia, streglia, stregghia. Il doc. V reca : « sex strigias ab equo ». Bevere
(XXII, 715) registra: « strigilis ».
tabula, tavola, che coprivasi colla tovaglia, laonde il doc. V enumera : « sex
toalias a tabula ». Il De Mussis (col. 583) nota come d'uso moderno
le tavole lunghe.
talia, stria, riga. Leggo nel doc. V: « unum gabanum a taliis de biavo ab
homine ». Il gabbano era adunque striato di azzurro.
tela, tela. Il doc. V ricorda tela bianca, e verde e gialla e turchina. Nei
documenti medievali non è raro l'accenno alla tela. Presso Cittadella
(p. 476) leggiamo: « tela de revi », e ancora (p. 477): « fodrete de tela de
Cambriz ». Nel doc. del 1532 pubblicato dal Manno (p. 747) si parla
di una « tela grande in quattro pesii (= pezzi) ».
telus, telo. Il doc. V reca : « tria paria lenzolorum de tribus telis et dimidio
prò quolibet eorum ».
terribulus, torribolo. Due se ne menzionano nel doc. I, insieme con parecchi
altri oggetti di chiesa. E detto « tirabulum » in un doc. Parmense
del 1510 (Renassi, 1,275).
tes[t]um. Fra il massaricium trovato nella cucina, il doc. I ricorda: « unum
tescum rami ». Penso che sia da leggere : « testum » vaso, testo.
Veramente, nel latino classico « testa, testum », donde l'ital. testo ,
questa parola si usa solo nel senso di vaso fittile,
testus, tessuto. Il doc. V cita: « sex testos filli a femina ». In altro luogo
il medesimo doc. si esprime in modo da far dubitare di che si tratti,
poiché lo misura a libbra, il che per un tessuto non sarebbe conve-
niente : « unam libram de testo a femina, coloris viridi et cilestrino ».
43
276 CARLO CIPOLLA
Ma anche in questo caso l'aggiunta a fe?nina fa credere che si tratti
di un oggetto già elaborato, se n'era ormai fissa la destinazione, e ciò
corrisponde bene ad un tessuto, anche se il vestito non era fatto.
Presso Motta (p. 75) trovo : « tessuto uno de bianco a la da-
maschina ».
texere. Si usava tessere in casa, e il doc. V menziona appunto « quatuor
spolas a texendo ».
tina. Nei doc, I, III si ricordano tine. Una « tina salgarii » cioè di salice,
avevo trovata nell'Inv.. Sacco (p. 51 ); similmente nell'Inv. di Bardolino
(p. 186). — tinella, nel doc. IV.
tinagia, tenaglia. Pare che se ne avesse in abbondanza, se il doc. V men-
ziona: « quatuor duodenas de tinagiis feri ». Ma l'inventario si riferiva
ad una famiglia che aveva una bottega da merceria, e nelle botteghe
si può aver bisogno di buon numero di oggetti, che nelle abitazioni
private occorrono meno di sovente.
toagia, tovaglia. Il doc. Ili ricorda quattro toagias che formano 13 braccia
(di lunghezza) « blachia tredecim ». Non erano grandi, mentre presso
Cittadella (p. 483) un documento ci parla di un pezzo di tovaglia di
refe lungo braccia 31, alto braccia 2 Ve* ^ doc. V ha: « sex toalias a
tabula », il che corrisponde sostanzialmente alla « toaia a dischio », che
s'incontra nell'Inv. Sacco (p. 51). Vagamente il doc. Ili ricorda: « duas
toagias » senza entrare in particolari.
Nell'Inv. Aleardi (p. 47) trovo : « toalee a disco ». Sacchetti, (p. io)
menziona : « tabolea » « tabogla »-
toagiola, tovagliolo. Il doc. Ili è molto esplicito : « duas toagiolas a manibus ».
Nell'Inv. Sacco (pag. 51) trovai la « toalia a mano » e 1' Inventario
Aleardi (p. 47) mi dà: « toalee a manu ». Sacchetti (pag. lo-i) ha:
« tobaglucia » « tovaglucia ad nasum ».
tortaria. Il doc. IV ricorda, fra una catena di ferro e il gran paiuolo per il
bucato, anche <( unam tortariam ». Intenderemo ciò che in francese si
chiama tourtière, vale a dire l'utensile che serve per far la torta ?
Senza dubbio la torta era tra i cibi spesso usati, come altrove,
anche in Piacenza, poiché ce ne informa il De Mussis (col. 581 E).
traynetus, traino (strascico nei vestiti muliebri). Il doc. V ha: « brazias
. XII . de trayneto ». Questo oggetto si trova fra i tessuti e le sete ; e
si tratta evidentemente di un panno. Casanova (p. 92) pubblicò un
ordine suntuario Senese del 1460, in cui si permette, in date circo-
stanze, alle donne di portare « veste et mantegli senza alcuno traino ».
Le proibizioni contro il tragiiw sono frequenti nelle leggi suntuarie
Perugine, fin dal sec. xiv. Infattr in una provisione, appunto di questa
età, si vieta che la « gonella trascinare possa... ». Fabretti (p. 166). In
altre disposizioni si fissa la lunghezza del « tragino » (anno 1508 ; op. cit.
p. 221 ; anno 1536, p. 230). Nel 1502 (p. 213) proibivasi di « portare tra-
gino per terra de vesta de alcuna qualità ».
44
INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI 277
uncia, oncia, specie di peso. Il doc. V menziona : « tres uncias auri luchexi ».
Applica lo stesso peso ad altro oggetto, prezioso per materia, il do-
cumento II, parlando di un calice dorato « ponderis unciarum octo ».
urcia, orcio. Il doc. V: « duas urcias lapidis ».
urnus, urnetus. Il doc. Ili ricorda esemplari dell'una e dell'altra specie, e del-
Vi(rs?ts dice ch'era capace di 4 staja. Nel Gloss. del Du Gange si re-
gistra : « urna » come misura dei liquidi. Presso Tommaseo-Bellini
urna e umetta si spiegano, non determinatamente, per vasi.
veges, veggia. Il doc. I ricorda : « duas vegetes comunes » cioè di gran-
dezza usuale. Due grandi veggie s'incontrano invece nel doc. III.
Il doc. IV determina la cosa, ricordando una veggia della capacità
di II staja, ed una capace di lò staja. Non minore varietà di notizie
ci viene fornita dal doc. V dove parlasi di veggie capaci ciascuna di un
carro, mentre tre possono contenere un moggio ciascuno. Vi si parla
anche delle borcìicic (borchie, brocche, chiodi) che si usavano per lo
veggie, a vegetibus, il che significa che le veggie erano di legno.
Nell'Inv. di Bardolino (p. 186) c'è: « vega », veggia. Della veggia
e delle varie forme in uso, discorre Staffetti, p. 189-90.
veguticullus, diminutivo di veggia, veggiolo ; il doc. IV ha : « unum vegu-
ticullum capacem stari septem ». In confronto delle veggie, che conte-
nevano II o 16 staja, questo apparisce piccolo, poiché non può riceverne
che dette. Simile è « vigolum » che trovai nell'Inv. Bardolino (p. 186).
E pili significante ancora è « veieticulus castagnarii, v, largii, v. picii »,
siccome si legge nell'Inv. Aleardi (p. 52), cioè di castagno, di larice,
di abete. Cf. « vezola », « vezolus ».
velutus, velluto. Nel doc. V leggo : « brachios duos veluti viridi et ver-
milii coloris ».
Da un altro passo dello stesso doc. apparisce che col velluto si
facevano borse ; certo quelle che si appendevano alla cintura.
vezola, vezolus. Diminutivo di veggia. Il doc. III accenna vagamente ad una
« vezola », ma il doc. V ricorda due « vezoli » capaci ciascuno di quattro
staja. Come si è veduto, il « veguticullus » ricordato nel medesimo
doc, conteneva qualcosa di più, cioè 7 staja.
vila[n]a. Il doc. V reca : « unam jvilauam de medietate, cum pomellis . xxx .
argenteis Cremonenssibus ». Il Du Gange registra: « villanus », specie
di vestito, velloso.
viridis, verde. Nel doc. V si ricorda un tessuto da donna di color verde e
celeste, un velluto verde e vermiglio.
zacheta, giacchetta. Il doc. V menziona: « unam zachetam biavi, ab homine ».
zingia. Gingia, cinghia. Il doc. V subito dopo alle corregge per il ronzino,
menziona: « duodecim zingias disfulcitas », cioè non apprestate. E nello
stesso documento, subito appresso al ricordo di 12 pesi di corde, di
varia dimensione, s'incontra: la frase « tres quarelos 9Ìngiarum ».
45
278 CARLO CIPOLLA - INVENTARI TRASCRITTI DA PERGAMENE BOBBIESI
zingillus, forse : cinturini (?). Il doc. V ha : « unam duodenam zingillorum
parvorum ».
zisoria, cesoia. Il doc. V ricorda : « duo paia de zìsoriis » ed ancora men-
ziona le piccole cesoie, che servivano a tagliare la carta « duode[ci|m
zisoretas a papiro ». Casanova (p. 79): « doi paia de cessoie ».
Cf. : «- forceleta, forvex ».
zonchulas. Il doc. V: « duodecim zonchulas corde prò bobus ». Forse da
coniugla, pingla, cioè « corium quo vinciuntur ac coniunguntur boves »
(Du Gange). Ora « zóncola » vive nei dialetti per indicare le corregge
che assicurano i corni dei buoi al timone del carro.
zupa, giubba. Il doc. V : « unam zupam de rubeo />. MANNO (nel Gloss.)
annota: « zuppone », e spiega per giubbone, vesta stretta da busto.
Mazzatinti {Leggi Eugubine, p. 299) da un doc. della fine del sec. xv:
« ziupponi d'huomini come di donne ». Della giubba discorre, colla sua
solita competenza, il Merkel [Decam., pp. 372-5). Trovai « zupa »,
giubba, nell'In V. vSacco (p. 51).
Secondo il De Mussis (col. 581 A) gli uomini a Piacenza adope-
ravano « zuparellos curtos et strictos ».
Staffetti (pp. 193-94) ricorda le <.< zupe », i « zupelli », i « zu-
poni » quali vesti affini al farsetto, e quindi corti, stretti, adatti a tener
caldo il corpo.
Nota finale. — M'incontrai troppo tardi, per usarne a tempo, nel lavoro
del Prof. F. G adotto, Inv elitari ìiicssiiiesi inediti del Quattrocento, in
Arch. stor. Sic. Orient., IV, 164. Ivi si accenna all'uso dei tre colori a
proposito di un anello « cum tribus lapidibus diversorum colorum » ;
egli cita una cintura, 1399, di re Martino I, ch'era di seta bianca, rossa
e verde. Non trascuro il ricordo di « agugli •» (III,p. 270). Notevole per noi
è pure (p. 259) il lenzuolo « ad tria timpagna », che veramente sembra
corrispondere a teli, o alcun che di simile (cfr. ivi, p. 487). Ma i punti
di contatto fra gli inventari messinesi e i nostri non sono tali da chia-
rire quei passi di questi ultimi, che hanno ancora bisogno di spiega-
zione. Gli inventari editi ed illustrati da Gabotto sono 6, dal 1406 al 1465.
46
#
ERMANNO FERRERÒ
COMMEMORATO
Antonio Manno
VV V V VV V V VV VV V VV V V V V V
VVVYVVVVVYYVVVVVVYVYVVYVV
La domenica, i8 maggio del 1879, il caro Vincenzo Promis ed io, appena
terminata la quindicinale adunanza della Classe di scienze morali, storiche e
filologiche della R. Accademia delle scienze di Torino, ci alFrettavamo a cercare
Ermanno Ferrerò che, nello stesso palazzo e nel Museo di antichità, stava
meditando sopra un marmo scritto. Gli recavamo, aifettuosamente solleciti,
il giocondo annunzio ch'egli, neppure ventiquattrenne, con dimostrazione
senza precedenti, era stato eletto socio efifettivo di quell' insigne Acca-
demia (i).
Successo straordinario, ma meritato, per quel giovane che, nella tesi
per la laurea legale ed in quella per l'aggregazione alla Facoltà di lettere
e di filosofia, aveva dato saggi di ingegno, di studio e di critica tanto no-
tevoli da collocarlo, fin da allora, in prima fila fra gli studiosi italiani.
*
* *
La sua vita, di mezzo secolo, non si svolse nelle pubbliche agitazioni,
ma negli studi severi, lunganimi, pazientissimi e nell'onesto, diligente ed
efficace insegnamento. Cosicché, scambio di una narrazione, io preferisco in-
formare il lettore dell'opera di Ermanno Ferrerò in forma schematica.
Espongo donde uscisse, quali siano stati gli ufiìci suoi e le onorificenze ;
come pensassero, di lui, maestri competenti ed indico, bibliograficamente,
l'imponente mole dei suoi scritti.
Ermanno Ferrerò sortì la tempera dello storico. Mente equihbrata ed
arguta. Cosicché non si lasciò indurre, attrarre, affannare, ingannare da par-
venze speciose.
Senza preoccupazioni personali, svestendosi delle passioni, indagò sere-
namente la verità, la sola verità, tutta la verità.
(i) È noto quanto sia rigido il sistema di votazione per le elezioni dei Soci : è necessario
riportare i quattro quinti dei voti.
5
36 — Mise, S. ni, T. XIII.
282 ANTONIO MANNO
Senza urgenze e necessità famigliari, anzi in condizioni di vita agiata,
potè, come non possono molti, consacrare, senza vantaggi materiali, i lunghi
anni in quelle faticose indagini che sole conducono ad opere durevoli.
Senza aspirazioni imperiose, senza avidità ambiziose che opprimono la
serenità della mente, gli fu dato di procedere con passo diritto e fiero nei
giudizi storici ; spogliandosi da opportunità e da opportunismi, neppure di
convenzionali riguardi.
Senza preconcetti di parti politiche o di scuole filosofiche che, pur
troppo, affogano molte coscienze impazienti di successi; non si trovò, come
i più (dico cosa grave ma che sento), colle braccia legate e dover dire cosi
e non poter dire così.
Nell'opera ardua, quasi ieratica, dell'apostolato storico, lo sorreggevano
tre grandi forze.
Un corredo ricchissimo di erudizione, quali pochi posseggono. Un cri-
terio meditativo e logico; sempre calmo, senza escludere, in circostanze so-
lenni, qualche vampa sincera di entusiasmo. Una memoria così tenace, così
singolare che maravigliò quanti seguirono le sue efficacissime lezioni: quanti
udirono le sue affascinanti conferenze, fatte a braccio, con lucidità sorpren-
dente ed ordine perfettissimo (i).
Memoria prodigiosa che non era tanto dote di natura, quanto frutto di
fortissimi studi : Cid leda potoitcr crii res — N'ec facmidla deserei hn?ic, ncc
lucidus or do !
*
E di facondia fu maestro e modello. Vibrata, nitida, baritonale la voce,
il porgere pieno di dignità, il fraseggiare sobrio, preciso, evidente, corretto.
Lucidissima ed attraente la esposizione. A volte, quando descriveva, specie
le battaglie, più che oratore era artista, le parole sue pennellate, di buon
tocco e felicissime.
Tutta la Torino intellettuale lo applaudì caldamente in quella solennità
che fu bandita dalla Deputazione di storia patria, nell'aula storica del Senato
subalpino in Palazzo Madama, nella quale addì 13 del maggio 1906, al cospetto
di Principi, davanti alle autorità, con un semplice preavviso di due giorni,
con improvvisazione erudita ed affascinante, faceva sfilare uomini e fatti ed
all'attentissimo avido uditorio esponeva una splendida rassegna delle cause
e delle vicende della vittoria torinese del 1706 e delle azioni gloriose dei
due gran Principi di Savoia e del popolo subalpino.
* *
La lunga, difficoltosa, intensa e paziente sua preparazione per l'opera
magistrale sulle Campagne in Piemoìite, durante la guerra per la successione
(i) Ricordo, fra altre, una conferenza, nella sala Troya di Torino, nella quale, illustrando
le antichità torinesi, preannunciava ordinatamente un centinaio di proiezioni luminose,
senza foglio che le indicasse.
6
COMMEMORAZIONE DI ER:\1ANN0 FERRERÒ 283
di Spagna (1703-1707); cominciò a stancarlo e poi a turbarlo, e sfiduciarlo
Incontentabile per sé, anche dopo il vero trionfo di Palazzo Madama, te-
mette, e non era, che la fibra fortissima si raffievolisse; si spaventò, e non
era, che il sussidio della memoria volesse abbandonarlo.
* *
Nel mattino del 14 ottobre del igo6, nella sua villa di Tetti Albera
presso a Piobesi scrisse un lungo testamento, lucidissimo, affettuoso per i suoi,
pieno di particolari e di indicazioni.
In esso, con mano ferma, scriveva :
« Un saluto ai corpi scientifici che mi accolsero giovane nel loro seno
« ed ai quali fui onorato di appartenere. L'espressione del mio rincresci-
« mento alla R. Deputazione di storia patria se non ho potuto mantenere
'< l'impegno con essa.
« Le copie dei documenti di Torino, Parigi, Vienna, ecc., fatte per il
« lavoro, a cui attendevo per incarico della Deputazione di storia patria, sono
« nel mio studio di Torino insieme col voi. II dell'opera già compilata in
« massima parte ; ma bisognevole di ritocchi e di correzioni.
« Nel mio studio di Tetti Albera vi sono carte, note, ecc., per il lavoro,
« specialmente per le Appendici all'ultimo volume. Sullo scrittoio vi sono
« prove di stampa, capitoli dell'introduzione al primo volume, già pronto.
« Il tutto è da consegnare al barone Manno. L'introduzione ha d'uopo
« di riscontri, di aggiunte, di mutazioni. In una scatola vi sono le schede
« per l'Indice generale di tutto il testo stampato e dei fogli impaginati del
« capitolo VIII ».
Poco dopo, alle ore 16, il turbato Ermanno, che fu credente, repenti-
namente rendeva l'anima sua a Dio creatore !
Di statura più che sulla mezzana, bruno, asciutto di membra, diritto,
serio, con portamento sempre dignitoso. Affabile cogli amici. Cogli scolari
autorevole, esigente, ma Tiei limiti dell'equità e sempre rigoroso per sé nei
suoi doveri.
*
■h *
Con tradizioni di molta coltura in famiglia le continuò accrescendole
come per le importanti collezioni di antichità, di quadri, di armi e di uni-
formi militari. Di tutto ciò fu appassionatissimo e trovò in casa sua, nella
degna consorte e nelle figlie sue, affettuose e zelanti collaboratrici (i).
(i) Le collezioni di quadri, di disegni, di stampe, di rarità e di armi sono veramente
notevoli e sarebbe da desiderare che se ne procurasse un catalogo descrittivo. La raccolta
284 ANTONIO AIÀNNO
* *
Il nome di Ermanno Ferrerò rimarrà indelebile nel Libro d'Oro degli
studiosi subalpini. Alla memoria sua tributo saluti commossi, affettuosissimi.
A. M.
di monete fu radunata da Ermanno e sono pezzi romani e greci. Il nonno gli avea lasciato
medaglie ; egli le accrebbe.
Fu sua la collezione importante di oggetti militari; armi da gitto e da pallottola; di
taglio e di punta, di difesa ed offensive ; vesti ed arredamenti militari ; parecchie di armaiuoli
celebri, molte con fine lavorazioni; talune rare; tutte scelte con gusto ed intelligenza.
Le stampe, i disegni, \ quadri e le Diitiialure radunati in buona parte dal nonno Pietro
Baldassarre. Importanti i quadri ad olio, del delicato pennello di Giovanni Migliara, mara-
viglioso negli interni e nelle prospettive. Antiche tavole del Breughel e dello Sprangel. Tele
moderne di Giuseppe Risi, di Pelagio Palagi, di Massimo d'Azeglio, di Angelo Inganni, di
Ciro Ferri, del Manzi, del Gallavresi, dell'Appiani; acquerelli del Migliara, del Magnani, di
Teodolinda Migliara, del De Gubernatis (che fu per un poco segretario di Carlo Alberto),
dello Storelli (di cui un bellissimo ritratto), di Camillo Gandolfi, ecc.
Incisioni in numero e scelte e vi si trovano dei Durer, dei Bertolozzi, dei Morghen, dei
Porporati e di tanti altri famosi bulini.
Parecchie curiosità, fra le quali simpaticissima una statuettina d'avorio che rappresenta
il duca Carlo Emanuele I.
COMMEMORAZIONE DI ERMANNO FERRERÒ
285
APPENDICE I
GENEALOGIA.
I. — Bartolomeo ft 1631) in Canale;
sp. Antonia...
1. — Michele, ucciso dagli spagnuoli
(1636).
2. — Giampietro (II),
3. — Lorenzo (t 1660).
. I
Pietro Francesco.
I
Lorenzo (t s. 1.), chirurgo in Ca-
nale.
4. — Giovanni Mattel).
1) Maurizio, notaio in Valfenera.
(i) Matteo, notaio a Valfenera.
.1 . '
Giambattista.
I
Matteo, medico.
(2) Giuseppe, prete.
5. — Violante Ottavda, sp.Vincenzo...
chirurgo in Valfenera.
6. — Paola, sp. Giovanni Battaglio
di Canale.
— Lodovica , sp. Pietrine Ardiz-
zone, da Cisterna,
— Anna Maria, sp, Giovanni Bos-
sotto, da Cisterna,
— ^«/(9«m«,sp. Ambrogio Chiesa.
IL — Giarnpietro (t 1669), segretario
del comune di Sanfront,
1. — L^odovico (III),
2, — Francesco Bartolomeo; ucciso
dai Francesi in Bricherasio
(1690) chirurgo, a Sa vigliano.
1 ) Giambattista, chirurgo a Canale.
I
Francesco.
(i) Giambattista.
(2) Gian Matteo.
2) Cristina.
3) Lodovica.
3, — Michele (t 1703),
I Giampietro (t s, 1,).
2) Giuseppe.
III. — Lodovico (t 1699), segretario del
comune di vSan front, sp. Lu-
crezia Ceruti.
1. — Caterina, sp. notaio Francesco
Fenocchio, da Cavour.
2. — Gianpietro IV).
3. — Baldassarre {n. 1677 t 1754), in-
sinuatore provvisorio a Cor-
negliano dAlba (1694, 22
gennaio); notaio collegiate
in Torino.
4. — Francesca Maria, sp. Vassallo
Sebastiano Giuseppe Prina.
5. — Rosa Enrica (n, 1679, t 1764),
6. — Paola Beatrice/sp, Ignazio For-
neri, torinese.
IV. — Giampietro (n, 1694, t 1745),
« speciaro » in Torino, sp.
Giovanna Caterina Fenolio
(n. 1697, -f" 1739)-
1, — Lucrezia ]\Iaria Margherita
(n. 17 15).
2, — Baldassarre (V),
3, — Lucrezia Maria Lucia (n. 17 17).
4, — Teresa Cecilia (n. 1719, t 1768),
sp. avvocato Stefano Gal-
lina. Uno dei loro figli :
Domenico, dalla moglie Pao-
lina Chesalet, ebbe Stefano
Gallina (n. 1790, t 1867) che
fu conte (1834;, primo segre-
tario di Stato per l'interno
(1841), ministro di Stato e
senatore (1848;. Celebre re-
stauratore delle finanze pie-
montesi,
5, — Elisabetta Margherita (n, 1720,
t 1768).
286
ANTONIO MANNO
6. — Rosa Maria Caterina (n. 1721).
7. — n" . . . {n. 1722).
8. — Giuseppe Vincenzo (n. 1723, t
1777)-
9. — n* . . . (n. 1724).
10. — Giorgio Maurizio (n. 1725, t
1750-
11. — Vittoria Caterina (n. 1726, t
1 785), sp. Francesco Massone.
12. — Carlo Michele (n. 1727).
13. — Claudio Francesco Ignazio
(n. 1729, t 1752).
14. — Paola (n. 1730, t 1787), sp. Lo-
dovico Cinquatti.
15. — Giacomo Antonio (n. 1731, t
1798).
16. — Pietro Domenico (n. 1732, t
1784).
17. — Giovanni Paolo (n. 1737).
18. — Giovanni Battista (V). Linea
attiiale.
V. — Baldassarre Lodovico (n. 17 16,
t T788), sp. Anna Richelmi
(t 1761).
1. — Giovanna Caterina (n. 1753, t
5 maggio 1819), sp. (Torino,
9 marzo 1 779) conte Giambat-
tista Bertalazzone d'Arache
(t Torino, 6 aprile 179Ò).
2. — Pietro (n. 1754).
3. — Vittoria (n. 1755, t 1761).
4. — Carlotta{n. i^^b, t Torino, 9 set-
tembrei798),sp.(Torino,i5 di-
cembre 1793) conte Pietro
Luigi Bertalazzone di San
Fermo.
5. — Paola (n. 1757).
6. — Rosa (n. 1758, t 1790).
7. — Teresa (n. 1760).
LINEA ATTUALE.
V*. — Giovanni Batt-ista, dì Giampietro
(n. 1739, t i8i6\ sp. Luisa
Boyer (n. 1766, t 1801).
1. — Baldassarre (VI).
2. — Teodolinda (n. 1789, + 1860),
sp. . . . vSismondi.
3. — Adelaide (y\. x'j'^x, ^p. .. . Rulani.
4. — Matilde (n. 1793, t 1871), sp.
i" Luigi Cauda; 2" Stefano
Nicola Priggione.
VI. — Pietro Baldassarre (n. 1787, +
1850), sp. i" Orsola Cumino,
vedov'a Murialdo; 2° Teresa
Vinay (ti. 1803, t 1-871) (i).
il'. — Nestore (VII).
2''. — Malvina (n. 183 1, t 1858), sp.
a vv. comm. Claudio Calandra,
padre dello scrittore Edoardo
e dello scultore Davide.
VII. — Nestore (n. 1828, t 1879), diret-
tore dell'Archivio di guerra,
sp. Sofia, del professore Se-
bastiano Vassalli, distinto
matematico (n. 1832, t 1881).
I
Vili. — ERMANNO(n.Torino, 27 agosto
1855, t Tetti Albera [ Pio-
besi Torinese] 14 ottobre
1906), sp. vSofia (n. 1857) del
generale Antonio Brignone
(1822- 1897)
1. — Maria Carmen.
2. — Maria Dolores, sp. (1906) avv.
Adolfo Dosio. Per questi
sponsali fu pubblicato : Val-
MAGGi (Luigi) : Nozze Dosio
Ferrero\^pi%o\2iX.\xx(ì greche];
(Torino, stab. tip. Torinese,
1906), 8° (15 pp.
(i) Notissimo scrittore r<9 del Messaggiero di Broflerio. Fu intendente e Capo di Sezione
nell'Azienda s;enerale dei Ponti, Strade ed Acque.
Ne parlai nel inio studio : Aneddoti documeii/ati sii/ta censura in Picinonic dalla Restau-
razione atta Costituzione. (Torino, 1907; 17, 6r, 121).
IO
COMMEMORAZIONE DI ERMANNO FERRERÒ 28'
APPENDICE II
CURSUS HONORUM >
1876, 2 agosto. — Laureato in giurisprudenza nella R. Università di Torino.
1877, IO maggio. — Socio della > Società di Archeologia e Bella Arti di
Torino.
1878, 27 novembre. — Dottore aggregato della Facoltà di lettere e filosofia,
nella R. Università di Torino.
1879, 21 aprile. — vSocio dell'Istituto archeologico germanico di Roma.
1879, 5 giugno. — R. D. di nomina a membro effettivo della R. Accademia
delle scienze di Torino (elezione 18 maggio).
1879, 27 settembre. — R. D. di motu proprio di nomina a Cavaliere dell'or-
dine della Corona d'Italia.
1880, 13 novembre. — Incaricato di supplire il prof. Ercole Ricotti nella cat-
tedra di vStoria moderna nella R. Università di Torino.
1881, 16 giugno. — R. D. di nomina a membro effettivo della R. Deputa-
zione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Provincie e la
Lombardia (elezione 2^ maggio).
1881, 13 dicembre. — Confermato nella supplenza alla cattedra di Storia mo-
derna nella R. Università di Torino, per il tempo del concorso alla
stessa cattedra.
1882, 25 giugno. — Socio corrispondente della R. Deputazione di Storia
Patria per la Romagna.
1883, 12 ottobre. — R. D. di nomina a professore aggiunto di 2' classe nella
R. Militare x\ccademia.
1884-1889. — Precettore di Storia di S. A. R. il Conte di Torino.
1884, 16 settembre. — Medaglia del merito civile di prima classe della Re-
pubblica di San Marino.
1885- 1887. — Precettore di Storia di S. A. Reale il Duca degli Abruzzi.
1885, 28 ottobre. — R. D. di nomina a professore aggiunto di r' classe nella
R. Militare Accademia.
1887, 14 luglio. — R. D. di nomina a professore titolare di 3" classe nella
R. Alilitare Accademia.
1889, 19 luglio. — Socio corrispondente della Commissione municipale di
Storia patria e di arti belle in Mirandola.
1889, 17 novembre. — R. D. di nomina a professore titolare di 2" classe nella
R. Militare Accademia.
ANTONIO MANNO
1890, 2q gùigno. — Incaricato dal Ministero della P. I. di far eseguire scavi
archeologici al Gran vSan Bernardo,
i8gi, 15 aprile. — Associé correspondant étr anger della Société nationale des
Anliquaires de France.
1891, 20 luglio. — R. D. di nomina a segretario della Classe di scienze mo-
rali, storiche e filologiche della R. Accademia delle scienze di Torino.
1891, 21 dicembre. — Segretario della Società di Archeologia e Belle Arti
di Torino.
1892, 5 ottobre. — Meiiibre effectif deììo. Società académique du Duché d' Aoste,
sous le atre de St-Anselme.
1893, 12 gennaio. — R. D. di nomina ad Ispettore per gli scavi e scoperte
di antichità, nel circondario di Torino.
1893, 25 giugno. — R. D. di nomina a membro della Giunta di Belle Arti
presso il Ministero della Pubblica Istruzione.
1894, 3 maggio. — R. D. di nomina a membro della Giunta superiore per
la Storia e l'Archeologia.
1894, 6 agosto. — R. D. di rielezione a segretario della Classe di scienze
morali, storiche e filologiche della R. Accad. delle scienze di Torino.
1894, 6 novembre. — D. ministeriale di incarico per l'anno scolastico 1894-95
dell'insegnamento dell'Archeologia nella R. Università di Torino.
1894, 20 dicembre. — Conferma a segretario della Società di Archeologia e
Belle Arti di Torino.
1895, 12 settembre. — D. ministeriale di conferma dell'incarico della cattedra
di Archeologia nella R. Uni ver. di Torino per l'anno scolastico 1895-96.
1895, 30 novembre. — D. ministeriale di nomina a professore straordinario
di Archeologia nella R. Università di Torino.
1896, 21 ottobre. — D. ministeriale di conferma a professore straordinario
di Archeologia nella R. Università di Torino, per l'anno scolastico
1896-97.
1897, 12 giugno. — R. D. di nomina a Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio
e I.azzaro.
1897, 30 ottobre. — D. ministeriale di conferma a professore straordinario
di Archeol . nella R. Università di Torino, per l'anno scolastico 1897-98.
1898, 27 ottobre. — D. ministeriale di conferma a professore straordinario di
Archeologia nella R. Università di Torino, per l'anno scolastico 1898-99.
1899, 28 ottobre. — D. ministeriale di conferma a professore straordinario di
Archeol. nella R. Università di Torino, per l'anno scolastico 1899-1900.
1900, II settembre. — D. ministeriale di conferma a professore straordinario
di Archeol. nella R. Università di Torino, per l'anno scolastico 1 900-1.
1901, 22 gennaio. - Presidente della Società di Archeologia e Belle Arti
di Torino.
1901, 7 aprile. — R. D. di nomina a Direttore della Classe di scienze mo-
rali, storiche e filologiche della R. Accademia delle scienze di Torino.
1901, 31 ottobre. — D. ministeriale di conferma a professore straordinario
di Archeologia nella R. Università di Torino, per l'anno scolastico 1901-2.
igo2, 4 ottobre. — D. ministeriale di conferma a professore straordinario di
Archeologia nella R. Università di Torino, per l'anno scolastico 1902-3.
12
COMMEMORAZIONE DI ERMANNO FERRERÒ 289
1903, 1 febbraio. — R. D. di nomina a professore ordinario di Archeologia
nella R. Università di Torino.
1904, 8 gennaio. — Conferma a Presidente della Società di Archeologia e
Belle Arti di Torino.
1904, 21 aprile. — R. D. di rielezione a Direttore della Classe di scienze
morali, storiche e filologiche della R. Accad. delle scienze di Torino.
1904,30 aprile. — Menibre étranger deWa. Sociéte' fraìifaise d' Archeologie pour
la conservation et la description des monuments historiques di Caèn.
1904, 7 dicembre. — Offlcier de l'instruction publique di Francia [palme ac-
cademiche\.
1906, 9 marzo. — Membre correspondant della Acad. nationale de Reims,
Fu anche :
Socio della Società Storica di Alessandria.
Membre Correspondant de la Société historique et Archéologiqiie de l'arron-
dissement de Saint-Malo.
13
37 — Mise, S. m, T. XIII.
!90 ANTONIO MANNO
APPENDICE III
< T E S T I M O N I A » .
Dei Libertini.
(Bibliogr. n. 4).
Federigo Sclopis ad Ermanno Ferrerò.
Torino, 23 gennaio r877.
Riveritissiiìio Signore,
Vengo a ringraziarla del prezioso regalo ch'Ella mi ha fatto inviandomi
la sua dissertazione sovra i Libertini. Ella ha scelto un bel tema e l'ha svolto
benissimo, con apposito corredo di autorità classiche e d'induzioni storiche.
Ricorrendo alle vere fonti della cognizione storica del diritto, che Ella ha
impreso ad esporre, Ella si è opportunatamente giovata dei documenti di
archeologia epigrafica e numismatica, che sono i veri occhi dell'interpreta-
zione storica del Diritto Romano. Mi congratulo poi specialmente con Lei
pel modo col quale ha considerato il moto progressivo dell'abolizione della
schiavitù e segnalata l'influenza potentissima del Cristianesimo per operare
quella grande restaurazione dell'umanità.
Non ci voleva meno che un impulso divino per distruggere quelle brut-
tissime teorie che troviamo esposte ed approvate da Aristotele nel Capi-
tolo 2" del libro I della sua Politica, a cui eransi informate le istituzioni
sociali dell'antichità. E se ne videro ancora serpeggiare le tracce fino a
tempi non tanto lontani da noi. Si mercanteggiava in ischiavi a Venezia
nel secolo xvi ; al principio del secolo xviii si tenevano ancora schiavi in
Sicilia a modo di lusso aristocratico. ]\Ia torniamo al suo lavoro veramente
distinto per solidità di criteri, e per vastità di erudizione ; esso riesce ono-
rifico primieramente all'Autore e poscia agli studi dell'Università di Torino
dov'EUa venne istruita.
Accolga, Riveritissimo Signore, insieme coi miei ringraziamenti e coi
miei sinceri complimenti, l'espressione dei sentimenti di distinta osservanza
che Le serba
Federigo Scloi'is.
14
COMMEMORAZIONE DI ERMANNO FERRERÒ 29 1
Tommaso Vallauri ad Ermanno Ferrerò.
///"'" Signor Avvocato,
\ . S. ha fatto opera utilissima scrivendo l'erudita sua Dissertazione Dei
Libertini, che ancora mancava all'archeologia romana. D'ora in poi la bella
sua monografia potrà tenersi in certo modo come il complemento della dis-
sertazione di Lorenzo Pignori De servis eornmque ministeriis, che abbiamo
nel voi. IH dei .Supplementi del Polene al Novus thesaiirtis delle antichità
romane del .Sallengri.
Io mi congratulo sinceramente con V. S. pel suo lavoro, che ha colmato
un vuoto nella Raccolta delle antichità romane del Grevio, e che altri dirà
scrittura d'uomo provetto, anziché di giovane, uscito pur ora dalle scuole
universitarie. La ringrazio del dono, che Le piacque di farmi, e del cenno
onorevole per me, che leggesi a carte 20 del suo libro. Rapfini Vale.
Di V, S. Ill">'^
Dev^^^" servitore
Tommaso Vallauri.
Di casa il 22 s^ennaio del 1877.
Vincenzo De Vit ad Ermanno Ferrerò.
Roma, il I" luglio 1877.
Pregiatissimo Signore,
Ieri ho ricevuto il suo libro : l'ho scorso tutto tagliando le carte, e poi
ne ho letto una parte e ne sono rimasto soddisfatto per la qual cosa La rin-
grazio e del dono e del piacere che mi ha procurato e mi procurerà nel leg-
gerlo e fin d'ora mi associo di buon grado al giudizio di quelli che giudi-
carono il suo lavoro degno di stampa .........
Le rinnovo le considerazioni della mia stima e me le professo
Suo devotissimo
Vincenzo De Vit,
Giovanni Battista De Rossi ad Ermanno Ferrerò.
Roma, 12 febbraio 1S77.
Stimat'"" Signore,
La sua dissertazione sni Libertini xm ha fatto veramente piacere ; essendo
lavoro degno d'un erudito e critico italiano, che conosca lo stato odierno della
scienza, e mantenga quel tipo di buon senso, che a noi forse la natura ha
dato in dose maggiore che ad altre nazioni. Ella perseveri per questa via :
e coltivi, come ha cominciato, gli studi dell'antica epigrafia, che tanto inti-
mamente si legano con quelli della giurisprudenza.
L'Italia ha bisogno di chi le rivendichi il vanto degli studii intorno al
diritto romano ed alla scienza lapidaria, ora passato quasi tutto ai Tedeschi,
con i quali mi piace che gareggiamo ; non dispreggiandoli e puerilmente
osteggiandoli, ma aspirando a far meglio di loro, aiutati da quel buon senso,
che senza molta fatica troviamo nel nostro intelletto.
15
>g2 ANTONIO MANNO
Finalmente La ringrazio della cortese menzione fatta dei miei scritti di
cristiana archeologia e di epigrafìa : e mi profferisco a Lei per qualsivoglia
cosa potesse in me esserle utile ; mentre mi segno con sincero animo
Suo dezwV"^ servitore,
Giovanni Battista De Rossi.
Giuseppe Bruzzo consigliere di Stato, ad Ermanno Ferrerò.
Roma, 30 aprile 1877.
Un giorno nello scorso mese essendomi recato a far visita al mio ottimo
amico Padre Bruzza Barnabita, trovai sul suo tavolino un libro Dei Libertiììi;
amante io, siri dai primi anni, delle cose romane, della sua storia, del suo
diritto, lo presi a svolgere, e sentito dal mio amico il grande pregio in cui
teneva il lavoro, lo pregai di imprestarmelo. Lo lessi colla più grande at-
tenzione ed il più vivo interessamento, e lo trovai un lavoro veramente
splendido, in cui l'autore entra nelle viscere della società romana colla scorta
di una erudizione veramente ammirabile.
Sentendo dal Padre Bruzza, con cui fummo compagni alle scuole, che
Ella è giovinotto, io mi permetto di porgere alla S. V. IH""' i miei sinceri
complimenti e le mie più grandi congratulazioni perii suo splendido lavoro.
Colla massima stima ho l'onore di professarmi
Dev'""'
Giuseppe Bruzzo.
Tancredi Canonico ad Ermanno Ferrerò.
Roma IO agosto 1876.
Egregio e car''^^° Sig. Avv.
L'affettuosa sua lettera e l'annunzio lietissimo della splendida sua laurea
mi recarono una duplice e vivissima gioia.
Oso pregarla di volermi, a suo tempo, favorire un esemplare del suo
bel lavoro, che leg'gerò con vivo interesse.
Penso alla gioia della sua famiglia ed alla sua propria; la divido con
tutto il cuore.
Ella, benché ancora sì giovane, ha già nel suo passato la base ed il
pegno d'uno splendido avvenire per sé, e di un'influenza utile al paese. Mi
tenga sempre
Suo aff"'° amico
Tancredi Canonico.
Paolo AUard ad Ermanno Ferrerò.
Roucn, 21 janvier 1877.
Monsicur,
J'ai reru ce matin votrc livre sur les IJhcrtini, et je m'empresse de vous
remercier de l'honneur que vous m'avez fait en me l'envoyant, et en y citant
quelque fois mon nom. Je n'ai pu encore que le feuilleter bien rapidement,
et je me promcts de l'étudier à loisir; je suis émerveillé de la profonde con-
naissance de toutes les sources juridiques et épigraphiques, de tous les tra-
vaux anciens et moderncs sur lo sujet, dont chaque page de votre livre donne
ir,
COMMEMORAZIONE DI ERMANNO FERRERÒ 293
la preuve. Je crois comme voiis, IMonsieur, qu'une étude speciale de la con-
dition des affranchis romains restait encore à faire : M. Wallon a été fort
bref sur ce sujet, et j'ai conscience de m'en ètre trop peu occupé dans mon
modeste livre sur les Esclaves chrétiens. Vous ètes venu combler à propos
une véritable lacune, et votre ouvrage me parait destine à occuper une place
très distinguée dans le trésor déjà si riche de l'érudition italienne.
Veuillez agréer, monsieur, avec mes vifs remerciements, l'assurance de
mes sentiments les plus distingués,
Votre trcs huiiible serviteur
Paul Allard.
Giacomo Lombroso ad Ermanno Ferrerò.
Roma, 27 del 77.
Stimatissimo Signore,
La prego di gradire i miei sinceri applausi e ringraziamenti per il suo
bel libro sui Libertini. Xe godo anche per la cara Torino.
Suo dev'"" oboi"'"
Giacomo L u m n r o s o.
L'ordinamento delle Armate Romane.
(Bibliogr. n. 12).
(Revues des Qucstions Jiistoriqites ; Paris, 1879; P- 662^^.
L'auteur de ce livre a déjà pris rang" parrai les maitres. En 1877, il a
publié une dissertation sur les ^.^rdcncìns {Dei Libertini, in-8° de x-144 pag.)
qui lui a valu le titre de docteur de la faculté de Droit de Turin, et qui
comble une véritable lacune ; bien qu'un grand nombre d'ouvrages aient été
publiés sur l'histoire de l'esclavage antique, il n'existait encore, à ma connais-
sance, aucun livre traitant spécialement des affranchis, et rassemblant en
un corps de doctrines tout ce que les documents historiques, les textes juri-
diques et les inscriptions nous apprennent sur leur condition. L'année sui-
vante, l'infatigable érudit a fait paraìtre l'ouvrage important dont je veux
dire un mot et qui traite de l'organisation des flottes romaines. Présente au
concours d'agrégation pour la faculté des Lettres de l'Université de Turin,
ce livre a valu à son auteur de devenir membre de ce corps savant. L'éru-
dition riche et précise, la critique exacte et sevère qui se font remarquer
à toutes les pages disent d'avance ce que sera l'enseignement du nouveau
professeur ; il réunira la science de l'historien et du jurisconsulte à celle
de l'épigraphiste, condition nécessaire aujourd'hui à quiconque veut connaitre
et expliquer le monde antique.
Les institutions maritimes de Rome ont été l'objet de nombreux travaux;
le P. Garrucci, le regrettable C. de la Berge, M. Robion, Marquardt, les
ont étudiées à des points de vue divers ; à ces auteurs, cités par AL Ferrerò,
on peut ajouter M. A. Jal, qui a consacrò plusieurs ouvrages spéciaux à la
marine des anciens, et AL C. Lamarre, qui traite de l'armée navale dans la
troisiòme partie de son livre sur la Milice romaine, Cependant l'ouvrage
de AL Ferrerò restait à faire. Les écrivains antiques ont laissé peu de ren-
seignements sur l'organisation des flottes romaines : c'est à l'épig'raphie qu'il
faut recourir si l'on en veut avoir une idée exacte. Le Corpzis inscriptionum
latinaruTu nous en apprend plus sur ce sujet que Tite Live, Cesar, Appien,
Polybe ou Végèce. M. Ferrerò, sans negliger les autres sources d'information,
a demandò surtout à cette grande collcction les éléments de son trav;nl outre
17
>94 ANTONIO MANNO
les six volumes parus, il a eu à sa disposition tonte la partie, encore inèdite,
du XI" volume, qui contieni les inscriptions relatives à la flotte de Ravenne.
C'est donc, en réalité, une histoire épigraphique de la marine militaire de
Rome qu'il a voulu nous donner, s'inspirant d'un voeu émis par ]\I. De Rossi
dès 1865. En acceptant la dédicace du livre de M. Ferrerò, l'illustre archéo-
logue romain a rendu justice à la manière dont ce vceu a été rempli.
I.'ouvrage se divise en deux parties : l'une, la plus courte, résumé en
quelques pages l'histoire de la marine militaire de Rome pendant la Répu-
blique (pag. 20-61). Une période nouvelle s'ouvre avec le règne d'Auguste;
la seconde partie de l'ouvrage de M. Ferrerò est consacrée à la décrire. De
meme qu'Auguste avait reparti les vingt-cinq légions composant le fond
permanent de l'armée romaine entre les diverses provinces de l'empire, de
mème il divisa la flotte, devenue également permanente, entre plusieurs
stations maritimes. Fa péninsule italique fut défendue par , deux escadres,
stationnèes l'une à Alisene, l'autre à Ravenne. Le flotte de l'Égypte, la flotte
du Pont, la flotte de L3'bic, la flotte de Bretagne protégèrent ces divers pays.
Les grands fleuves qui formaient la limite entre l'empire et les peuples bar-
bares possédèrent aussi leur escadre ; il y eut la flotte du Rhin ou Germa-
nique, la flotte du Danube ou Pannonique, la flotte de l'Euphrate. Quand
les Barbares se furent montrès mena^ants et que la nècessité de garder les
frontières fut devenue plus pressante, on établìt des flottilles sur certains
lacs : ainsi, le nord de l'Italie fut dèfendu par la flottille du lac de Còme,
et l'est de la Gaule par une flottille stationnée sur le lac de Neuchàtel : ces
petites escadres étaient probablement employées surtout pour les transports
militaires. M. Ferrerò nous fait connaìtre la nature et les noms des vais-
seaux qui composaient les forces navales de l'empire : il nous explique la
composition des états-majors, le recrutement du corps d'ofiìciers, la forma-
tion des équipages, la condition des soldats de marine, la durée de leur en-
gagement, les innombrables emplois secondaires que nécessitait le service
des flottes. Par la clarté, la précision, l'abondance des dètails, l'excellent
esprit critique de l'auteur, ce chapitre (pag. 61-131) est un modèle d'expo-
sition. Le reste de l'ouvrage (pag'. 1 31-195, est consacré à l'histoire épigra-
phique de chaque flotte particulière ; il m'est impossible d'entrer ici dans aucun
détail, et je dois me borner à signaler cette riche mine de documents, qui
n'avaient jamais été rassemblés et classés. Des indices rédigés avec le plus
grand soin, un tableau des inscriptions fausses ou suspectes, terminent le livre.
Si courte et si dccolorce que soit cette analyse, elle aura fiiit comprendre,
je l'espère, la nature et la valeur de l'ouvrage de M. Ferrerò. Ce n'est point
un traité complet de la marine militaire de Rome, puisqu'il laisse de coté
tonte la partie technique , tout ce qui touche à la construction et à la ma-
noeuvre des navires de guerre : mais c'est, en quelque sorte, un Corpiis ììis-
criptionum de la res classica romaine, dans lequel, aux textes épigraphiques
les plus nombreux et les plus corrects, est joint le plus riche et le plus abon-
dant comrnentaire. Il est désormais impossible de s'occuper de l'histoire
de la marine antique ; ou mème de l'histoire militaire et administrative de
l'empire romain, dans laquelle la marine joue un si grand ròle, sans recourir
à ce livre ; il a sa place marquée dans tonte bibliothèque savante.
Paul Ali.ard.
Acadcinie des Inscriptions et Belles Lettres
Paris, Séance dii 13 mai 1881.
M. DiTRUY a la parole pour une présontation : « En iSót», dit-il, l'Aca-
démie donna pour sujet de concours l'étude de l'organisation navale des
Romains, en prenant pour modèle l'ouvrage de Kellermann sur los Vigiles.
18
COMMEMORAZIONE DI ERMANNO FERRERÒ 295
Le regretté ^I. de la Berge obtint le prix, mais son mémoire n'a pas encore
été publié. Sur les conseils de ]\I. De Rossi, j\1. Ferrerò, de Turin, a repris
ce travail dans son Ordinaiìieiito delle armate romane (Turin, 1878, in-4°), où
il a utilisé toutes les ressources épigraphiques pour reconstituer les stations
navales, ctablir le nom et la nature des vaisseaux, la condition des soldats,
la hiérarchie des grades, eto.
C'est un savant livre, comme l'Académie les aime, pour lequel l'auteur
a mis à profit 580 inscriptions qu'il a reproduites dans son ouvrage ».
{ Comptes-^-endus de l'Académie des Inscriptions et Belles letires, 1881, p. 133).
Quintino Sella ad Ermanno Ferrerò.
Roma, 26 gennaio.
Ho ricevuto l'opera sua sulle Armate romane. Le porgo i miei migliori
ringraziamenti, e le mie più vive congratulazioni per questo suo erudito
lavoro.
Con distinta stima e coi più cordiali auguri
Suo devot'""
Quintino Sella.
Giulio De Petra ad Ermanno Ferrerò.
Chiarissi/no Signore,
Ho ricevuto, ed ho scorso con grande compiacimento il suo dotto vo-
lume ; e mentre La ringrazio della gentilezza, con cui, senza mio merito, ha
voluto farmene dono. Le faccio le più vive congratulazioni pel coscienzioso
ed accurato studio compiuto sopra un tema importante., che aspettava ancora
una speciale illustrazione.
Accolga i sensi di vera stima e gratitudine, con cui mi dico
Sito dev'"''
Giulio de Petra.
Napoli, II novembre 1878.
Giovanni Battista De Rossi ad Ermanno Ferrerò.
Roma, 31 ottobre 1S78.
Stimat""' Amico,
La pontificia epistola stampata in questo foglio, di che ora sono stato
oltre ogni mio merito onorato, mi chiama a molti atti di convenienza e di
ossequii che esigono tempo e distraggono dallo studio. Ella adunque non
mi apponga a colpa l'avere appena sfiorato la lettura dell'egregio volume,
che per sua cortesia ha voluto dedicarmi. Mi è bastato il primo maggio gu-
statone per apprezzarne il valore. Mi rallegro di cuore con la S. V. di sì
bello ed ampio lavoro.
Mi stupisce la brevità del tempo bastatole ad ordire e compiere la lunga
tela. Ciò mostra quanto bene era Ella già preparata. Adunque animo ad
niajora. Le auguro sempre nuovi e più lieti successi. IVIi saluti i cari amici
suoi concittadini e mi creda, con distinta e sincerissima stima,
Suo dev"'° obb""" Amico
Giovanni Battista De Rossi.
19
igò ANTONIO ISfANNO
Giovanni Battista De Rossi ad Ermanno Ferrerò.
Roma, I dicembre 1S78.
a A.
Mi permetto di farle affettuosis siine congratulazioni in semplice cartolina
postale, il cui necessario laconismo bene s'addice alle mie troppe presenti
occupazioni.
Ho letto tutto il bello e dotto e sagace testo premesso alle epigrafi
delle flotte ; ed ho percorso la collezione epigrafica. Il lavoro è degnissimo
della corona ottenuta. Spero fargliene presto a Roma a viva voce nuove
congratulazioni, noi l'aspettiamo per la fine dell'anno
Suo dcv'"" aff'""' a...
Giovanni Battista De Rossi.
Vincenzo De Vit ad Ermanno Ferrerò.
Roma, 9 novembre 1S78.
Illustrissimo Signore,
La ringrazio del gentile pensiero ch'ebbe di regalarmi il suo bel lavoro
sulle Armate Romane. E uno di quei lavori che piacciono sommamente a me,
persuaso come sono, che le speciali lucubrazioni quando sono fatte con esat-
tezza e condotte con retto discernimento, com'è la sua, portano un reale gio-
vamento alla scienza e la fanno progredire. Aggradisca pertanto le mie più
sincere congratulazioni.
Mi riverisca, quando ha occasione di vederlo, il prof. Fabbretti e mi
abbia quale con piena stima me Le professo
Suo devot"'"
Vincenzo de Vit.
Nicomede Bianchi ad Ermanno Ferrerò.
Torino, 4 dicembre 1878.
Alio egregio Sigfiore,
Desidero all'Università di Torino, nel presente e nell'avvenire, Dottori
aggregati del valore di Lei, bravissimo signor Ermanno. La sua dissertazione
%\AV Ordinamento delle Armate Romane è lavoro degno d'uomo provetto
in così difficili e gravissimi studi, ed Ella l' ha compiuto in età giovanile !
Bravo non una ma dieci volte con una cordialissima stretta di mano e molti
cordiali ringraziamenti. Mi lasci che mi segni
Suo affezionato
Nicomede Bianchi.
Luigi Bruzza ad Ermanno Ferrerò.
Roma, 8 novembre 1S78.
Sig. Avvocato egregio amico,
Sono nuovamente tribolato dalla nevralgia che mi produce lunghi periodi
di dolore al capo, e perciò, sebbene io mi fossi proposto di non scriverle
prima di avere letta la sua opera, per non apparire sconoscente verso di
20
COMMEMORAZIONE DI ERMANNO FERRERÒ 297
Lei che me ne ha favorita una copia, le scrivo per ringraziarla della sua
gentilezza e dell'affetto che mi porta.
Benché non sia in questi giorni nel caso di poterla leggere, ne ho udito
a parlare con molto encomio dal De Rossi, il quale anzi due giorni addietro
la lodò in un convegno alla presenza del Fiorelli e dell'Henzen. Ch'Ella non
facesse un'opera degna non se ne poteva assolutamente dubitare. Ella intanto
ora che ha il suffragio del De Rossi può essere lieto delle sue fatiche ed
avere per certo che alle lodi di luì seguiranno quelle degli uomini dotti e
competenti negli studi epigrafici.
Le scrivo queste cose con vero piacere, godendo dell' onore eh' Ella
sì giovane si procaccia colle sue fatiche, e che fra poco saranno coronate
dall' aggregazione dottorale. Le tesi che presenta al Collegio sono belle
e ben scelte, ed io vorrei potere assistere alla loro difesa, come vi assi-
sterò in ìspirìto, e l' applaudirò nel mio cuore come l' applaudirei con
le mani se fossi presente. Ella si apre un beli' avvenire, e provo grande
piacere, che mentre in Torino già mancano tanti di quegli uomini illustri
che ne mantenevano il lustro della scienza e della dottrina, sorga almeno
in Lei, un nuovo, ma pur troppo unico astro, che dovrà un giorno far ricor-
dare e metterlo a pari degli antichi ! Così ci fosse alcun giovine che pren-
desse ad imitare il suo esempio !.........
Le scrissi queste cose col dolore di capo, ma conversando con Lei, mi
pare di non sentirlo. Mi saluti il Cav. Promis, il Bar. Manno e mi abbia per
Suo aff"^'
D. Luigi Bruzza B.
Biagio Garanti ad Ermanno Ferrerò.
Torino, 30 novembre 1878.
Mio caro sig. Ermanno,
Non dubitavo del suo trionfo, ma ne ho provato piacere come di cosa mia.
La ringrazio del dono pregevolissimo del suo lavoro sv^ Ordinamento
delle Armate Romane, e della cortesissima lettera con cui volle accom-
pagnarlo.
Certo spero e desidero che i rapporti stretti nella sala del Risorgimento
continuino e assumano tutti i caratteri di una cordialissima amicizia.
La comunanza di idee, di speranze, di giudizi, di sentire, lo impongono
come' una logica conseguenza. Mia moglie desidera che le presenti altresì
le sue felicitazioni.
Le saremo grati se qualche volta vorrà venire a passare qualche istante
da noi.
Intanto accolga un'affettuosa stretta di mano dal suo Aff^'^° amico
Biagio Garanti.
Guglielmo Henzen ad Ermanno Ferrerò.
Roma, 7 novembre 1878.
Stimai^ Signore,
Ella ebbe l'esimia gentilezza di farmi regalo del suo libro su « Y Ordi-
namento delle Armate Romane ». Ho cominciato a leggerlo, e mi è un singo-
lare piacere di farle i miei sinceri complimenti pel suo diligente e meritevole
lavoro, col quale Ella ha reso un vero servigio alla scienza epigrafica.
Accolga i miei sentiti ringraziamenti per il Suo gentile dono e mi creda
Suo devotis^"
G. Henzen.
21
38 — Mise, S. Ili, T. Xlll.
2gS ANTONIO MANNO
La Rivoluz. Inglese del 1688 e l'inviato di Savoia
a Londra.
(Bibl. n. 17).
Giovanni Battista de Rossi ad Ermanno Ferrerò.
Albano Laziale, 8 agosto 1880.
C. A.,
Le rendo le debite grazie pel cortese dono della memoria storica sulla
rivoluzione inglese del 1688. Ella tratta con pari maestria e possesso delle
fonti la moderna storia e l'antica ; i documenti diplomatici, le opere d'arte e
le epigrafi. Mi rallegro di sì belli saggi del suo eletto sapere e dei forti
suoi studi. I miei sono stati per parecchi mesi intralciati da peregrinazioni
valetìLdinis curandae causa. Ora* sto nella mia consueta villeggiatura ed
attendo a dar corso ai primi due fascicoli del mio Bull, crist. pel li
assai ritardati.
INIi creda sempre con tutto l'animo
suo aj^'"'" amico
Giovanni Battista De Rossi.
Lettres de Henriette-jyLarie de France reine d'An-
gleterre à sa soeur Christine, Duchesse de Sa-
voie.
(Bibliogr. n. 29).
Domenico Berti ad Ermanno Ferrerò.
Roma, I agosto 1881.
Ministero di Agricoltura e Comviercio,
Il Ministro,
Nulla poteva riuscirmi più gradito dell'omaggio che Vossignoria si è
compiaciuta farmi inviandomi un esemplare del libro dal titolo « Lettres
de 1 Jenriette Marie de France, Reine d' Angleterre, à sa soeur Christine
Duchesse de Savoie ».
Sento quindi il dovere di ringraziare vivamente la S. V. e di attestarle
la mia riconoscenza nell'atto che pieno di stima mi professo
Domenico Berti.
Michele Amari ad Ermanno Ferrerò.
Pisa, 27 agosto 1886.
Pregiatissimo Signore,
Prima di ringraziarla debbo chiederle scusa. Ritornando a casa pochi
giorni fa da Roma dove sono stato un pezzo ho trovato il suo bel dono. Il
ritardo alla risposta è stato adunque involontario ma non mi rincresce meno
per questo.
22
COMME>[ORAZIONE DI ER^MANNO FERRERÒ 299
Ella ha avuto un'idea felicissima a pubblicare coteste lettere della regina
d'Inghilterra e tanto più felice quanto Ella ha colto l'occasione di premet-
tere al testo un lucido sommario degli avvenimenti. Le assicuro che gradisco
moltissimo la cortesia che mi ha usata e non so come esprimerle la mia
riconoscenza.
Accolga questi sentimenti e i miei cordiali saluti
Devot"^"
Michele Amari.
Corso di Storia scritto per le Scuole Secondarie.
(Bibliogr. n. 41).
Pasquale Villari ad Ermanno Ferrerò.
Firenze, li 22 ottobre 1885.
Egregio Professore,
Ricevo il quinto voi. della sua ultima opera, e cordialmente La ringrazio.
Da piià tempo Ella mi manda gentilmente le sue ,belle pubblicazioni, che io
leggo sempre con molto piacere. Assai spesso ho consultato questi lavori
per le scuole secondarie, e sono fra i pochi fatti in Italia con coscienza e vera
conoscenza del soggetto.
In questo momento ho messo in cassa quasi tutti i miei libri, giacché
mi .tocca la sciagura di mutar casa. Altrimenti le avrei mandato un mio
volume, tanto per ringraziarla del molto che m'ha mandato Ella. Lo farò
dopo i primi di novembre, quando spero essere nella nuova casa. Spero che
ben presto Ella vorrà darci qualche sua nuova ricerca storica, come ne ha
fatte altre già tanto lodate da tutti i dotti.
Mi creda, egregio professore, con stima sincera
Suo devoV'"
Pasquale Villari.
Nicomede Bianchi ad Ermanno Ferrerò.
Novembre, i, 18S1,
Carissimo Collega,
Avete fatto un bel libro, molto profittevole, col vostro Corso di storia
moderna (voi. V). Vi mando il mio mirallegro di tutto cuore, e secondo me
da Voi ben meritato, Son dolente soltanto di dovervi dire questa cosa usando
penna altrui. Ma la necessità non ha legge, anche conviene obbedirla quando
è dura. Ben mi è caro almeno di poter terminare questa col firmarmi di
mia mano
Vostro off"'" amico e collega
Nicomede Bianchi,
300 ANTONIO MANNO
Iscrizioni e ricerche nuove intorno all'Ordinamento
delle Armate dell'Impero Romano.
(Bibliogr. n. 43).
Cesare Canta ad Ermanno Ferrerò.
Onor. Collega,
Ella ha posto un magnifico coronamento al suo edifizio sulle Armate.
Quante nuove notizie ! Fa sgomento il pensare quante attenzioni devono
fare loro eruditi per seguitare tanto piovere di scoperte. E noi venimmo
così tardi. Delle cure eh' Ella presta al mio lavoro le debbo ringraziamenti
vivissimi ..............
Conservi la sua benevolenza al
Suo ohW^"
Cesare CantÙ.
Milano, 16 dicembre 1884.
Paul Allard ad Ermanno Ferrerò.
Rouen, 30 janvier 1885.
Cher Monsieur,
Je suis bien en retard avec vous. Depuis longtemps je voulais vous
écrire, d'abord pour vous exprimer la part que je prends au nouveau deuil
de famille qui vient de vous attcindre, puis pour vous remercier de l'envoi
de vos nouvelles Recherches sur les flottes de l'empire romain. C'est une
bien belle et bien utile continuation de votre grande ouvrage sur le méme
sujet, et je vous suis profondément reconnaissant d'avoir bien voulu me pro-
curer, avec une bonne gràce si aimable, cette nouvelle occasion d'admirer
votre érudition si riche et si claire, et de m'instruire à votre école .
Veuillez agréer, cher Monsieur, l'assurance de mon respecteux dévoùment.
Paul Allard.
Gian Battista Mispoulet ad Ermanno Ferrerò.
Paris, 17 mars 1885,
Monsietir,
Vous m'excuserez de ne vous avoir pas remercié plus tòt de votre
gracieux envoi. J' ai lu avec beaucoup d'intérèt vos nouvelles études sur
la marine romaine qui complètent si heurcusement votre premier volume
en attendant quo vous nous donniez, commc vous nous 1' avez promis, une
histoire de la marine sous la république.
J'ai été très-heureux et très-flattó de voir que vous voidiez bien accepter
ma solution sur la question du mariage des soldats.
24
COMMEMORAZIONE DI ERMANNO FERRERÒ 301
Je reviendrai sur cette étude fort complexe et je tiendrai compte de vos
observations. ...........
Merci encore une fois de votre livre et de l'intéret que vous voulez bìen
prendre à mes travaux. Croyez bien que les v^òtres ne m'intéressent pas
moins.
Votre respecteux et dévoiic
J. B. MlSPOULET.
e. Pallu de Cessert ad Ermanno Ferrerò.
Paris, 22 décembre 1884.
Monsieur,
Y ai été très flatté en recevant 1' exemplaire de votre bel ouvrage que
vous m'avez fait l'honneur de m'adresser. Permettez-moi de vous remercier.
Je l'ai lu avec grande attention et si je ne vous dits pas ici tout le bien
que j'en pense, e' est que je le fais dans le X° du Bulletin des Antiquités
Africaines qui est sous presse . . •
Veuillez agréer, Monsieur, l'assurance de ma parfaite considération.
C. Pallu De Cessert.
Vittorio Duruy ad Ermanno Ferrerò.
30 novembre 18S4.
Alonsieur,
Je viens de recevoir votre nouveau volume et je m'empresse de vous
rem.ercier de l'honneur que vous me faites en me chargeant de le présenter
à r Académie. Mes Confrères qui tiennent en grande estime vos savantes
études seront charmés de voir que votre persévérance ne se lasse pas, et
qu'après avoir déjà si bien fait vous veuillez faire mieux encore.
Permettez qu'à mes félicitations je joigne mes remercìments pour votre
bon souvenir.
Votre tout dévoué serviteur
V. DUKUY.
Iscrizioni antiche vercellesi
in aggiunta alla raccolta del P. D. Luigi Bruzza.
(Bibliogr. n. 81).
Alfredo' Holder ad Ermanno Ferrerò.
Trcs honoré Monsieur et cher ami,
J'ai été très agréablement surpris par 1'. aimable visite du Professeur
von Duhu qui ma apportò de vos nouvelles et votre superbe publication
sur les monnaies gauloises du médailler du Grand St-Bernard. Quelques
jours après. vous me tites le plaisir de m' envoyer vos beaux rnémoires
25
502 ANTONIO MANNO
académiques sur les inscriptions de Vercclles et de Demonte. Je vous suis
bien reconnaissant de ces précieux présents que j'ai lus non seulement avec
le plus grand intérèt littéraire, mais aussi avec la plus-vive émotion à cause
de l'aimable mention dont yous voulez bien m'honorer.
Je suis d' autant plus sensible à ce ben accueil de mon Trésor vieux-
celtique, que, dans ma patrie, j'ai été vivement attaqué par un ingrat .
De ce que je ne vous ai pas encore remercié de vos beaux livres, vous
en étes la cause, mon cher ami, je les ai lus et relus et mis à profìt pour mon
livre ; et ce n'est o^'aujourd' hui que j'ai termine mon travail de dépouille-
ment des plus riches sources.
C est avec le plus grand plaisir que je pense à mon séjour de Turin
où j'ai eu le bonheur de faire votre connaissance et celle de Mr. le Professeur
Giuseppe Mùller .............
Veuillez agréer, bien révéré Monsieur et hien clier ami, l'expression de
ma plus vive reconnaissance.
Votrc, pour toute ma vie,
très devoué et très ohéissant
D"" Alfred Holder.
Karlsruhe (Bade) le 9 juillet 1891.
Nuove iscrizioni ed osservazioni intorno ali 'ordi-
namento delle Armate dell'Impero Romano ed
indizi generali delle iscrizioni classiarie.
(Bibliogr. n. 152-153).
Paolo Allard ad Ermanno Ferrerò.
Rouen, 6 janvier 1900.
Monsieur,
Je suis confus de ne vous avoir pas encore remercié de l'envoi si gra-
cieux que vous avez bien voulu me faire, il y a plusieurs semaines, de vos
Nuove Iscrizioni ed Osservazioni intorno alV ordiìiamcnln delle Armate del-
l'impero romano. Je suis fier de devoir à votre sympathie un si beau et si
savant livre, qui complète de fa^on magistrale les deux premiers ouvrages
que vous avez dcjà consacrés aux flottes romaines. Il y a là tout un coté
des institutions impériales étudic par vous de manière absolument definitive,
et sur lequel il n'y aura plus à revenir. Toutes les découvertes d'inscriptions
que l'on pourrait encore faire n'ajouteront à vos conclusions rien d'essentiel,
et ne pourront que les confirmer .........
Veuillez agréer, Monsieur, mes plus dévoués et reconnaissants hommages.
Paul Allard.
26
COMMEMORAZIONE DI ER.MANXO FERRERÒ 303
Antonio Héron de Villefosse ad Ermanno Ferrerò.
13 Décembre 1899.
Mo7isieur et cher Confrère,
J'ai regu avec un vive satisfaction votre nouveau fascicule sur Ics flottes
romaines ; je vous remercie de cette marque d' estìme et ce bon souvenir.
Vous avez mene à Dieu une oeuvre difficile et considérable ; votre nom y
resterà attaché. Je me permets de vous en adresser toutes mes félicitations.
Vos nouvelles observations sont très intéressantes et en dressant les copieu-
ses tables qui terminent votre travail vous avez rendu un véritable service
à tous les travailleurs.
Veuillez agréer, "Monsieur et cher Confrère, avec l'expression de toute
ma gratitude, celle de mes sentiments les plus distingués, et dévoués.
Antoine Héron de Villefosse.
Stefano Michon ad Ermanno Ferrerò.
Palais du Louvre, 5 décembre 1899.
Monsieur,
Je ne veux'pas attendre pour vous remercier du si gracieux envoi de
votre nouveau travail sur les flottes romaines.
J' ai souvent éprouvé combien rendent service vos recueils précédents,
et le précieux index que vous avez joint à celui-ci vous faciliterà encore
les recherches et vous sera un nouveau titre à la reconnaissance des tra-
vailleurs. Veuillez agréer, Monsieur, avec mes meilleurs remercìments, l'as-
surance de mes sentiments dévoués.
Etienne Michon.
Roberto Monsat ad Ermanno Ferrerò.
Paris, 12 décembre 1S99.
Cher Confrère et Avii,
La poste m' a très exactement apporté les « Nuove iscrizioni ed osser-
vazioni intorno all'Ordinamento » que v ous avez eu l'amabilité de m'adresser.
Je tiens à vous présenter sans retard mes vifs remercìments pour votre bon
souvenir avec mes félicitations pour ce travail considérable, qui forme le
digne couronnement de 1' Ordinamento. En mentionnant dans votre préface
le Mémoire de La Berge vous avez parie de moi en des termes obligeants
auxquelles je suis très sensible.
En tete de mon supplément à 1' étude de C. de la Berge, je signalais
l'apparition, alors recente, de vos Iscrizioni e ricerche nuove, ajoutant « un
deuxième supplément deviendra nécessaire après 1' àchèvement du Corpus ».
J'étais bien prophète ; le Corpus est en effet virtuellement achevé et vous
avez bien jugé que le moment était venu d' apporter les dernières pierres
au faìte du monument élevé par vos soins à la marine romaine.
Votre reconnaissant et dévoué
Robert Monsat.
27
304 ANTONIO MANNO
Giuseppe Gatti ad Ermanno Ferrerò.
Roma, 9 dicembre 1899.
Stìmat""' e carissimo Professore,
Ho ricevuto la nuova Memoria da Lei pubblicata sulle Armate Romane
e non voglio tardare un momento a rendergliene le più sentite ed affettuose
grazie. Gl'indici generali, che Ella vi ha aggiunto, sono di un pregio inesti-
mabile; e creda pure che comprendo perfettamente quanto immane lavoro
debbono esserle costati! Mi congratulo sinceramente con Lei di questo scritto,
che così dottamente riassume anche i precedenti e tutto ciò che concerne
l'ordinamento delle antiche armate, con immensa utilità degli studiosi.
Silo «/"'" ed ohhl'^
Giuseppe Gatti.
L'are d'Auguste à Suse.
(Bibliogr. 173).
Renato Lagnat ad Ermanno Ferrerò.
Paris, 27 gennaio 1901.
Afon honoré Confrere,
J'ai regu hier la superbe publication sur 1' Are de Suse que vous avez
bien voulu m'envoyer. Je vous prie d'en agréer tous mes remerciments et
toutes mes félicitations.
J'éspère trouver l'occasion d'en dire quelque part tout le bien quej'en
pcnse.
Croyez, mon honoré Confrere, avec mes sentiments les plus distingués
René Lagnat.
28
COMMEMORAZIONE DI ERMANNO FERRERÒ
APPENDICE IV
BIBLIOGRAFIA (0.
1. — Lettera sopra una nuova mo-
neta di asiana e ^Martino d'Aragona.
= (\n Per iodico niDiiismat. e sfragist.
Firenze, 1873, V, 23-24.
= (a parte) (s. n.) 8° (4 pp. i tav.
2. — Allocuzione pronunciata nella
solennità delle premiazioni presso il
Collegio-Convitto San ]\rassimo in
Torino il 22 luglio 1874.
= in Collegio -Convitto S. Mas-
simo. Relazione della festa scolastica
1874. Torino, 1874.
= (a parte) Torino, tip. Fodratti ,
1874, 8" (18 pp.
3. — Le Ouatrième congiaire des
Philippes.
= (in Zeitschrift fiir Numisinatik.
Berlin, 1876; III," 381-382.
4. — Dei Libertini. Dissertazione pre-
sentata per la laurea in giurispru-
denza nella R. Università di Torino,
e dalla commissione esaminatrice
dichiarata meritevole della stampa
(2 agosto 1876).
= Torino, fratelli Bocca (tip. Bona),
1877, 8" (XII-145 pp.
5. — La Scuola di egittologia nella
R. Università di Torino.
= (in // Risorgimento ; Torino,
26 febbr. 1877.
6. — La Società di archeologia e belle
arti per la provincia di Torino,
= (in // Risorgifnento ; Torino ,
I aprile 1877.
7. — La Venere di Alilo.
= (in // Risorgimento ; Torino ,
20 giugno 1877.
8. — Testa muliebre di marmo, sco-
perta in Alba.
= (in Atti Soc. Archeol. e BB. A A.
Torino, 1877 ; I, 315-317.
9. — Statua di Claudio trovata in
Susa.
=^i^-x\ Atti Soc. Archeol. e BB. A A.
Torino, 1877 ; I, 319-325.
Queste due pubblicazioni furono riunite in
una sola tiratura a parte; 8" (12 pp. - 2 tav.
10. — I TORSI segusini nell'Univer-
sità.
= (in // Risorgimento. Torino ,
3 sett. 1878.
11. — Tesi. Torino, 26 ottobre 1878.
= (s. n.), 4" (2 csn.
Per l'esame della sua aggregazione alla fa-
coltà torinese di lettere.
12. — L'Ordinamento delle armate
Romane : Ricerche.
= Roma, Torino, Firenze, fratelli
Bocca, 1878 (Torinq, V. Bona tip. ,
4" (xvi-228 pp.
Tesi sostenuta per l'aggregazione alla facoltà
di lettere e filosofia nell'Università di Torino.
Cf. recens. Rcvues des guest, histor. ; Paris,
1879 ; XXV, 662. — Revue historiqite; Paris, 1880,
XIII, 158-164. — Revue critique ; Paris, 1879,
XIII, 275. — Rivista marittima ; Roma, 18S0.
— Rivista di filologia ed istr. classica ; Torino,
1879 ; VII, 563-569. — Revue de l'instruction
pubi, en Belgique; Bruxelles, 1885, XXVIII. —
Vaillant V-J., Notes boulonnaises : Boulogne
s. M., 1889, 20-35.
(i) Grazie cordiali all'amico e collega cavaliere Vincenzo Armando per le sue infinite cure
e diligenze apprestatemi per questo elenco degli scritti del Ferrerò. Che se è così vicino alla
perfezione, anche per le minuzie, lo si deve alla pia e colta sollecitudine ed alle ricerche mi-
nutissime della signorina Carmen, figlia del povero Ermanno.
39 -^ Mise, S. HI, T. Xni.
306
ANTONIO .MANNO
13. — Discorso pronunciato nel suo
accoglimento nella facoltà di lettere
e filosofia della R. Università di To-
rino, il 19 dicembre 1878.
= Torino, Vincenzo Bona, tip. di
S. M., 1878, 8" (18 pp.
14. — Tre Statuette di bronzo del
Museo di Torino.
= (in Atti Soc. Arch. e BB. AA.
Torino, 1879; II, 341-348, i tav.
= (a parte) Torino, Stamp. reale
della ditta G. B. Paravia e C. di I. Vi-
g'iiardi, 1879, 8" (io pp. 1 tav.
15. — Sonetti inediti di Giovanni
Battista Marino.
= (in Curiosità e ricerche di storia
sìtbalpiìia. Torino, 1880; iV, 403-407.
= (a parte) Torino, Vincenzo Bona
tipografo, 1879, 8" (8 pp.
16. — Documenti sulle relazioni delle
città toscane coU'Oriente cristiano e
coi Turchi , raccolti da G. jMùller
(Recensione).
= (in Ardi. stor. ital. ; Firenze ,
1880; S. IV, V, 293-305.
=: (a parte) Firenze, tip. Cellini,
1880, 8° (16 pp.
17. — La Rivoluzione inglese del
1688 e l'inviato di Savoia a Londra.
= (in Mein. Acc. Se. Tor.\ 1880,
II, XXXIP. II 3- 153.
= (a parte) Torino, Stamp. Reale
della ditta G. B. Paravia e C. 1880,
4" (46 PP-
18. — Di un Codice delle lettere di
Santa Caterina da Siena: Notizia.
=: (in Atti Acc. Se. Torino, 1880;
XV, 873-890.
= (a parte) Torino, Stamp. Reale
della ditta G. B. Paravia e C., 1880.
S'* (20 pp.
19. — Carlo Bon-Compagni. Parole
dette nella scuola di Storia moderna
dell'Università di Torino il 18 di di-
cembre 1880.
= Torino, Vincenzo Bona, 1880,
16" (24 pp.
20. — Sulla Provenienza di un
quadro del Van Dyck, conservato
nella Pinacoteca torinese.
^ (in Ciiriosità e ricerche di storia
subalpina. Torino, 1881 ; IV, 117-119.
= (a parte) 8" (2 csn.
21. — Sul primo volume delle let-
tere di Caterina de' Medici, pubbli-
cato dal conte Ettore de la Ferrière.
= (in Atti Acc. se. Torino, 1881 ;
XVI, 457-466.
^ (a parte) Torino, Ermanno Loe-
scher, ed. 1881, 8'' (12 pp.
22. — Il Protestantismo in Ispagna.
= (in Rassegna settimanale. Roma,
20 marzo 1881 ; VII, 185-188.
2^ — Sulle Iscrizioni classiarie
dell'Africa.
= (in Atti Acc. se. Torino; 1881,
XVII, 88-93.
= (a parte) Torino, Ermanno Loe-
scheri 1881, 8° (8 pp.
24. — Inscriptions de l'Afriquc rela-
ti ves à la Flotte.
= (in Bulletin épigrapliique de la
G«z//^, Vienne-Paris, 1882; lì, 157-162.
= (a parte) Vienne, impr. Sa vigne,
1882, 8" (6 pp.-i e.
Traduzione con aggiunte della notizia inse-
rita in Atti Acc. Se., XVII, 88.
25. — Programma del corso di Storia
moderna professato nella Regia Uni-
versità di Torino nell'anno accade-
mico 1880-81. Storia d'Europa dal
Concilio di Trento alla pace di Vest-
falia (1545- 1648).
=: Torino, Vincenzo Bona, tipo-
grafo di S. M., 188], 16" (24 pp.
26. — L'Apologia di Ilaria Mancini.
= (in Rassegna settimanale, Roma,
18 die. 1881 ; VIIL 393-396.
27. — Tombe Romane scoperte a To-
rino.
== (in Atti Soc. Archeol. e BB. A A.
Torino, 1 881; III, 117-118.
2%. — Una nuova storia di Fi-
lippo IL
=^ (in Arch. stor. ital., Firenze ,
1881-83; Ser. IV, VIII, 405-421; XI,
375-380.
= (a parte) Firenze, tip. Cellini,
1881-83, 8° (18-6 pp.
30
COMMEMORAZIONE DI ERMANNO FERRERÒ
29. — Lettres de Henriette-Marie de
Fraiice , reine d' Angleterre , à sa
soeur Christine Duchesse de Savoie
publiées.
= (in Misceli, storia Hai. Torino,
1882; S. II, V (XX), 313-456; ritr.-
facsimile.
= (a parte) Turin, Bocca frères,
1881, 8° (144 pp, 2 tav.
Recens. in Revue des guest, histor.; Paris,
1881 ; XXX, 654. — Deutsche Literaiurzeitung ;
III, 257, ecc.
30. — Sepolture Romane scoperte a
Torino.
=^i^rv Atti Soc. Archeol. e BB. A A.
Torino*, 1882; TU, 219-220.
31. — Giovanni Gaspare Blunt-
SCHLI. Breve commemorazione.
= (in Atti Accad. se. Tor., 1882;
XVII, 273-283.
= (a parte) Torino, Ermanno I.oe-
scher, 1882, 8" (14 pp.
32. — Intorno ad una iscrizione clas-
siaria scoperta a Castelvolturno.
= (in Atti Acc. se. Torino, 1881;
XVII, 379-382.
= (a parte) Torino, Ermanno Toe-
scher, 1882, 8° (6 pp., i tav.
33. — Breve introduzione ad una
narrazione dei primi tempi del regno
di Berengario I.
= (in Atti Ace. se. Torino, 1882;
XVII, 477-4Q7-
= (a parte) Torino, Ermanno ]^oe-
scher, 1882, 8° {22 pp.
34. — Intorno a due opere di An-
tonio de Serpa Pimentel.
= (in Atti Ace. se. Torino, 1882;
XVIII, 1 76-1 86.
= (a parte) Torino, Ermanno Loe-
scher, 1882, 8" (io pp.
35. — Intorno ad un nuovo diploma
militare romano.
= (in Atti Acc. se. Torino, 1883;
XVIII, 353-356.
= (a parte) Torino, Ermanno Loe-
scher, 1883, 8° (6 pp.
36. — Intcìrno a due nuove pubbli-
cazioni periodiche sulle antichità afri-
cane.
31
= (in Atti Acc. se. Torino, 1883;
XVIII, 561-564.
= (a parte) Torino, Ermanno Loe-
scher, 1883, 8° (6 pp.
37. — Inscription de Bijga (Tunisie).
= (in Bulle t in triinestriel des an-
tiquités africaines. Paris, 1883 ; H.
301-302.
38. — Di unx\ nuova collezione di
documenti diplomatici.
= (in Atti Acc. se. Torino, 1883;
XIX, 213-224.
= (a parte) Torino, Ermanno Loe-
scher, 1884, 8" (14 pp,
39. — SOxMMARIO delle lezioni di storia
militare antica e del medio evo. Ac-
cademia militare 1882-83.
= (Litografato), 4" (110 pp.
40. — Alfredo Reumont. Vittoria
Colonna. Vita, fede e poesia nel se-
colo decimosesto. Versione di Giu-
seppe Alùller ed Ermanno Ferrerò
con aggiunte dell'autore.
= Torino, 'Ermanno Loescher, ed.,
1883, 8« (XX-332 pp.
41. — Corso di storia scritto perle
scuole secondarie.
= Torino, Ermanno Loescher, ed.,
1883-1886, 6 voi. 16".
Del voi. I" si è pubblicata la undecima ediz.,
(Torino, casa ed. E. Loescher (tip. V. Bona ,
1908, 8" (XII-162 pp. fig.); del 6" la ottava;
(e. s. (VIII-199 pp, fig.); i voi. 2», 3" e 4"
sono all'ottava edizione, il 5" alla settima.
42. — La Marine militaire de VK-
frique romaine.
= (in Bulletin triniestriel des anti-
quités africaines. Paris , 1 884 ; II,
158-181.
= (a parte) Paris , Alphonse Pi-
card, éditeur, 1884, 8" {^2 pp.
43. — Iscrizioni e ricerche nuove
intorno all'ordinamento delle armate
dellTmpero romano.
=: (in Meni. Acc. se. Torino^ 1884;
IL XXXVP, 3-88.
= (a parte) Torino, Ermanno Loe-
scher, 1884, 4° (88 pp.
44. — P. Giuseppe Colombo.
= (in Archivio stor. ital. Firenze,
1884; IV, XIV, 122-123.
= (in Anntiario biogr. tmiversale.
Torino, 1885; I, 75.
3o8
ANTONIO MANNO
45. — Alcune lettere inedite di Vit-
toria Colonna marchesa di Pescara,
pubblicate da Giuseppe Mùllcr ed
Ermanno Ferrerò.
= (in Atti Acc. se. Torino, 1884;
XIX, 1069- 1094.
= (a parte) Torino, Ermanno I.oe-
scher, 1884, 8" (30 pp.
46. — Solenne inaugurazione del
monumento al conte Carlo Bon Com-
pagni nella Regia Università degli
studi di Torino, 21 novembre 1884.
= Torino, tipografia editr. G. Can-
deletti, 1885, 8°.
47. — MONNAIES AFRICAINES du Musée
de Turin.
= (in Bulletin trim. des antiquités
a/rieaines. Paris, 1884; II, 375-376.
48. — Inscription de Vulcacius Ru-
finus.
= (in Bulletin trimestriel des an-
tiquités africaines. Paris, 1885 ; III,
137-140.
49. — Sui nuovi studii di P. Willems
intorno al Senato della repubblica
romana.
= (in Atti Acc. se. Torino, 1885 ;
XX, 1117-1121.
:=: (a parte) Torino, Stamp. reale,
1885, 8" (8 pp.
50. — Discorso.
= (in Atti del terzo Congresso sto-
rico italiano (1885).
= (in Misceli, st. ital. Torino, 1887;
lì, X (XXV), [30-39].
= (a parte) Torino, vStamp. reale
della Ditta G. B. Paravia e C, 1885,
8» (14 pp.
Per la inaugurazione di un busto ad Ercole
Ricotti, nel cortile della R. Accademia delle
Scienze.
51. — Breve commemorazione di
Leone Renier.
= (in Atti Acc. se. Torino, 1885;
XXI, 156-170.
= (a parte) Torino, Ermanno Loe-
scher, 1885, 8" (18 pp.
=: (in Annuario hiogr. universale.
Torino, 1886; II, 439-444.
52. — Iscrizioni romane di Piobesi
Torinese.
= (in Atti So e. Ardi, e BB. A A.
Torino, 1885; IV, 298-301.
= (a parte) Torino, Stamp. reale
di G. B. Paravia e C, 8° (4 pp.
53. — Breve storia d'Italia dal
principio del medio evo ai tempi
nostri scritto per le scuole ginna-
siali.
= Torino, Ermanno Loescher, 1885,
16° (164 pp.
Nel 1906 se ne pubblicò la nona edizione. A
partire dalla quarta (1S93) venne tolta dal fron-
tespizio l'indicazione : « scritto per le scuole
ginnasiali ».
54. — Storia dello Impero romano
negli ultimi due secoli: Introduzione
alla storia del medio evo per la se-
conda classe liceale giusta i recenti
programmi scolastici , estratto dal
voi. III del Corso di storia scritto per
le scuole secondarie.
= Torino, Ermanno Loescher, 1885,
16" (2 csn. 48 pp.
55. — Ricordi storici sull'Accademia
militare.
= (in Accadeìnia inilit. Annuario
per l'a. 1885-86.
= Torino, 1-23.
56. — Pubblicazioni francesi di do-
cumenti diplomatici.
= (in Atti Acc. se. Torino, 1886;
XXI, 317-324-
= (a parte) Torino, Ermanno Loe-
scher, 1886, 8" (io pp.
57. — Inscription relative à un Pau-
sarius de la Hotte de ]\lisène.
= (in Bulletin épigraphique de la
Gaule. Vienne-Paris, 1885 ; V, 277-279.
= (a parte) Vienne, imprim. Sa-
vigné, 1886, 8" (4 pp.
58. — NicoMEDE Bianchi.
= (in Archivio stor. italiano. Fi-
renze, 1886; IV, XVII, 414-428.
= (a parte) Firenze , tip. Cellini
e C, 1886, 8** (16 pp.
59. — Iscrizioni classiarie di Ca-
gliari.
= (in Atti Acc. se. Torino, 1886;
XXI, 959-964, I tav.
= (a parte) Torino, Ermanno Loe-
scher, 1886, 8" (8 pp. I tav.
COMMEMORAZIONE DI ERMANNO FERRERÒ
309
60. — Luigi Prospero Gachard :
Commemorazione.
= (in Meni. Acc. se. Torino, 1886;
II, XXXVIIP, 105-136.
= (a parte) Torino, Ermanno Loe-
scher, 1886, 4° (34 pp,
= (in Annuario biogr. universale.
Torino, 1887; III, 373-381.
61. — *Alessandro Dorna.
= (in L' Italia inilitare. Roma ,
IO sett. j88ò; XXV, 107.
62. — La patria dell'imperatore Per-
tinace,
= (in Atti Acc. se. Torino, 1886;
XXII, 75-87, 932.
= (a parte) Torino, Ermanno Loe-
scher, 1887, 8° (16 pp.
Recens. di G. Sforza in Arch. sior. ila!.;
V, II, 60.
63. — Iscrizione scoperta al passo del
Furio.
= (in Atti Acc. se. Torino, 1S86;
XXII, 256-259, I tav.
=: (a parte) Torino, Ermanno Loe-'
scher, 1887, 8 (6 pp. i tav.
64. — Regia Accademia militare :
Nozioni generali di diritto.
= Torino, tip. G. Candeletti, 1886,
8' (IV- 100 pp.
.Seconda edizione.
= Torino, tip. G. Candeletti, 1889,
8° (1V-104 PP-
Terza edizione.
= Torino, tipogr. editr. G. Can-
deletti, 1891, 8° (IV- 108 pp.
Quarta edizione.
= Torino, tipografìa G. U. Cas-
sone succ. G. Candeletti, 1902, 8°
(104 pp.
Trattato scolastico.
65. — Relazioni diplomatiche della
monarchia di Savoia dalla prima alla
seconda restaurazione (1559-1814)
pubblicate da Antonio Manno, Er-
manno Ferrerò e Pietro Vayra. Fran-
cia. Periodo III.
Volume I (17 13-17 15).
= Torino, fratelli Bocca, librai
di S. M., mdccclxxxvi (Stamperia
reale di G. B. Paravia e Comp.).
(Biblioteca storica italiana, pubblicata
per cura della R. Deputazione di
33
Storia patria, IV), 8° (ritr. — xxii-
510 pp.
Volume II (1715-1717),
= c. s. MDCCCLXXXVin (ritr. VIII-
474 PP-
Volume III (17 17-17 19).
= e. s. MDCCCXCI (ritr. XII-392 pp.
66. — Della vita e degli scritti di
Ercole Ricotti.
=: (in Meni. Acc. se. Torino, 1887;
II, XXXVIIP, 309-401.
= (a parte) Torino, Ermanno Loe-
scher, 1888, 8" (Vlll-172 pp.
67. — La STRADA ROMANA da Torino
al ]\Ionginevro descritta.
= (in Aleni. Acc. se. Torino, 1887;
II, XXXA^IP, 427-441, I tav.
= (a parte) Torino, Ermanno Loe-
scher, 1888, 4° (18 pp. i tav.
68. -- Nozioni di Storia dTtalia com-
pendiate per le scuole tecniche.
^Torino, Ermanno Loescher, 1883,
3 voi. 16°.
Del voi. i" si è fatta la settima ediz. nel 1906,
del 2'^ la quinta nel 1904, del 3" una ristampa
della quinta nel 1901.
69. — Il Museo civico di Susa.
= (in Atti Soc. Arch. e BB. A A.
Torino, 1887; V, 59-62.
70. — Di alcune iscrizioni romane
della valle di Susa.
= (in Atti Acc. se. Torino. 1888;
XXIII, 180-188.
= {a parte) Torino, Ermanno Loe-
scher, 1888, 8° (12 pp. I tav.,
71. — GiANTOMMASO TERRANEO, Ce-
sare Sacchetti e l'epigrafia di Susa.
= (in Atti Acc. se. Torino. 1888;
XXIII, 456-467.
= {a parte) Torino, Ermanno Loe-
scher, 1888, 8° (14 pp.
72. — Un'opera postuma di Ercole
Ricotti.
= (in Atti Acc. se. Torino. 1888;
XXIII, 527-533.
= [a parte) Torino, Ermanno Loe-
scher, 1888, 8° (8 pp.
73. - Ripostiglio di Fontanetto da Po.
= (in Atti Soc. Ardi, e BB. A A.
Torino, 1888; V, 128-129.
3IO
ANTONIO MANNO
/ /
74. — Una NUOVA tavoletta votiva
del Gran San Bernardo.
= (in Atti Acc. se. Torino. 1889;
XXIV, 293-296.
= {a parte) Torino, Ermanno Loe-
scher, 1889, 8" (6 pp.
75. — Frammenti di tavolette votive
del Gran San Bernardo.
= (in Atti Acc. se. Torino ; 1889,
XXIV, 838-839.
:= {a parte) Torino, Ermanno Loe-
scher, 1889, 8° (4 pp. i tav.
76. — Un gentilizio da levare ed uno
da aggiungere all'onomastico latino.
= (in Rivista Jiiologia e istrtiz. clas-
sica, Torino, 1890, XVIII, 1 40-1 41.
= {a parie) 8° (2 csn.
. — Biografie e racconti di storia
nazionale per le scuole ginnasiali.
= Torino, Ermanno Loeschcr, 1889,
3 voi. 16°.
Del voi. 1° si è pubblicata la settima ediz.
nel 1905 ; del 2" la quinta nel 1904, del 3» la
(juinta nel 1905.
78. — Carteggio di Vittoria Colonna
marchesa di Pescara, raccolto e pub-
blicato da Ermanno Ferrerò e Giu-
seppe MùUer.
= Torino, Ermanno Loescher, 1889,
8° (xxxii-394 pp., I e, 2 tav.
Supplemento... Raccolto ed an-
notato da Domrcnico Tordi...
= Torino, Ermanno Loescher, 1892,
8" (viii-128 pp.
Vittoria Colonna marchesa di
Pescara. Carteggio raccolto e pub-
blicato da Ermanno Ferrerò e Giu-
seppe MùUer. Seconda edizione con
supplemento raccolto ed annotato da
Domenico Tordi.
= Torino, Ermanno Loescher, 1892,
8° (xxxii-522 pp., I e, 2 tav.
79. — Guglielmo Giesebrecht: Pa-
role commemorative.
= (in Atti Acc. se. Torino. 1890;
XXV, 332-334-
= {a parte) Torino, Carlo Clausen,
1890, 8*> (6 pp.
80. — Vincenzo Promis.
= (in Archivio stor. ital., P'ircnze,
1890; IV, V, 176-182.
= {a parte) Firenze, tip. Ccllini,
1890, 8" (8 pp.
81. — Iscrizioni antiche vercellesi
in aggiunta alla Raccolta del P. D.
Luigi Bruzza.
= (in Mem. Acc. se. Torino. 1890;
II, XLP, 123-200.
= {a parte) Torino, Carlo Clausen,
1891, 4° (2 csn., 78 pp.
82. — Tombe romane scoperte a Mon-
calieri e a Trofarello.
= (in Atti Soc. Ardi, e BB. A A.
Torino, 1890; V, 209-218, 3 tav.
= {a parte) Torino, Stamperia reale
della ditta G. B. Paravia e C, 1890,
8° (12 pp., 3 tav.
83. — Relazione degli scavi al Pian
de Jupiter sul Gran San Bernardo.
= (in Atti Acc. Lincei, Roma, 1891,
IV, VIIP, 294-306.
= {a parte) Roma, Tipografia della
R. Accademia dei Lincei, 1890, 4*"
(14 PP-
84. — Giorgio Bancroft : Parole
commemorative.
== fin Atti Acc. se. Torino. 1891 ;
XXVI, 440-441.
= a parte) Torino, Stamperia reale,
8" (2 csn.
85. — Le monete galliche del me-
dagliere dell'Ospizio del Gran S. Ber-
nardo descritte.
= (in Mem. Acc. se. Torino. 1891 ;
II, XLP, 331-3B7, 2 tav.
= [a parte) Torino, Carlo Clausen,
1891, 4" (60 pp., 2 tav.
In collaborazione con Federico von Duhn.
86. — Ara votiva scoperta a De-
monte.
= (in Atti Acc. se. Torino- 1891;
XXVI, 685-688, I tav.
= {a parte) Torino, Carlo Clausen,
1891, 8° 6 pp.
87. — Vincenzo Promis c i suoi studii
numismatici: Parole commemorative.
= (in Aliscell. stor. ital. Torino,
1892; XXIX, 197-204.
= {a parte) Torino, Stamp. reale
della ditta G. B. Paravia e C-» 1891,
8° (8 pp.
88. — Intorno al libro di Manuel
Rodriguez de Berlanga « El nuevo
broììce de Italica ».
34
COMMEMORAZIONE DI ERMANNO FERRERÒ
311
= (in Atti Acc. se. Torino. 1892;
XXVII, 382-84.
=; {a parte) Torino, Stamperia reale
di G. B. Paravia e C, 8'' (4 pp.
8g. — Nuovi ufficii nelle armate ro-
mane.
= (in Atti Acc. se. Torino. 1892;
XXVn, 1076-1079.
=: {a parte) Torino, 1892, 8" (8 pp.
90. ^ La morte di uno storico [Vin-
cenzo De Vit|.
= (in Gazzetta Piemontese. Torino,
19-20 agosto 1892; a. XXVI, n. 230.
Cf. n. 95, 96.
91. — Scavi al « Pian de Jupiter »
presso il Gran San Bernardo [seconda
relazione].
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1893; IV, x^ 63-77.
= («/ar/^) Roma, Tipografia della
R. Accademia dei Lincei, 1892, 4°
(18 pp.
92. — Torino. - Iscrizione latina sco-
perta fuori l'abitato [nov. 1892J.
= (in Atti Accad. LÌ7icei. Roma,
1893; IV, x^ 369: V, p, 133.
93. — Federico AVieseler: Parole
commemorative.
= (in Atti Acc. se. Torino. 1893;
XXVIII, 206-207.
= {a parte) 8° (2 pp.
94. — Iscrizioni romane di Casellette.
= (in Atti Soc. Ardi, e BB. A A.
Torino, 1894; V, 2,22-1,2^.
=: {a parte) Torino, Stamperia reale
G. B. Paravia e C, 1893, 8° (2 csn.
95. — Vincenzo De-Vit.
= (in Rivista filologia e islr. clas-
sica. Torino, 1893; XXI, 576.
Cf. n. 90, 96.
96. — Vincenzo De Vii : Breve com-
memorazione.
= (in Atti Acc. se. Torino. 1893;
XXVIII, 308-321.
=^ (a parte) Torino, Carlo Clausen,
1893, 8' (16 pp.
97. — Un nuovo libro di istruzioni
diplomatiche francesi.
= (in Atti Acc. se. Torino. 1893;
XXVIII, 787-800.
= {a parte) Torino, Carlo Clausen,
1893, 8° 116 pp.
98. — Intorno ad un ferro di pihmi
scoperto al Gran vSan Bernardo.
= (in Atti Acc. se. Torino. 1893;
XXIX, 156-158.
= {a parte) Torino, Carlo Clausen,
1894, 8" (6 pp.
99. — Nuovi scavi nell'area del tempio
di Giove Penino sul Gran San Ber-
nardo eseguiti nell'anno 1892.
= (in Atti Acc. Lincei. K.omci 1893;
IV, X^ 440-450-
= [a parte) Roma, tipogr. della
R. Accademia dei Lincei, 1893, 4°,
(M PP-
100. — Torino. Tomba dell'età romana.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1893 ; V, I^, 109-110.
loi. — Quarta relazione degli scavi
« Al pian de Jupiter » sul Gran San
Bernardo.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1896; V, IP, 33-47.
= {a parte) Roma, tipogr. della
R. Accademia dei Lincei, 1S94, 4",
(18 pp.
102. — Luigi Amato Champollion
FiGEAC: Parole commemorative.
= (in Atti Acc. se. Torino, 1894;
XXIX, 559-560.
= {a parte) 8" 2 pp.
103. — Sepolture di età romana, rin-
venute sul confine dei comuni di San
Giusto Canavese e Foglizzo.
= in Atli Acc. Lincei. Roma 1896;
V, IP, 187.
104. — Bene Vagienna. Nuove iscri-
zioni romane.
= (in Atti Acc. Lincei. Roma 1896;
V, IP, 187-188.
105. — Cairo Montenotte. Iscrizione
latina ed oggetti vari di età romana
rinvenuti nel territorio del comune.
= (in Atti Acc. Lincei. Roma 1896;
V, IP, zi\-iz^.
31
ANTONIO MANNO
io6. — Giovanni Battista De Rossi:
Parole commemorative.
= (in Atti Acc. se. Torino. 1894;
XXX, 43-46.
= i« parte) Torino, Carlo Clausen,
1894, 8° (6 pp.
107. Di un'antica porta scoperta nel
recinto romano di Aosta e di una
iscrizione onoraria ad Augusto quivi
rinvenuta.
= (in Atti Acc. Lincei. Roma 1896;
V. IP, 367-372.
In collaborazione con A. D'Andrade.
108. — Torino. Avanzi antichi scoperti
nei lavori per la fognatura.
= (in Atti Acc. Lincei. Roma 1896!
V, 11% 397-398.
109. - Ariodante Fabretti.
= (in Annuario Univ. Torino. 1894-
95; Torino, 1895; 192-199.
= [a parte) Torino, Stamperia
reale della ditta G. B. Paravia e C,
1894, 8» (14 pp.
ITO. — Salussola. Iscrizione pagana
e frammento d'iscrizione cristiana.
=^ (in Atti Acc. Lincei. Roma 1896;
V, IIP, 3-4-
111. — Di un'iscrizione di Aosta.
= (in Atti Acc. se. Torino. 1895;
XXX, 360-364.
= [a parte) Torino, Carlo Clausen,
1895, 8" (8 pp. I tav.
112. — Moretta. Tombe romane sco-
perte nel territorio del comune.
= (in Atti Acc. Liìicei. Roma 1896;
V, IIP, 68.
113. — BorCtOVERCELLI. Frammento
di lapide romana.
= (in Atti Acc. Lincei. Roma 1896 ;
V. IIP, 99.
114. — Forino. Tombe romane sco-
perte fuori della città.
= (in Atti Acc. Lincei. Roma 1896;
V, IIP, 217-220.
115. — Vercelli | Scoperte di anti-
chità'.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1896; V, IIP, 271.
116. — T(ìR1XO. Tomba romana sco-
perta entro l'abitato.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma
1896; V, IIP, 401.
117. — LOMELLO. Sepolture, miliarii
ed iscrizione cristiana.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1896; V, IIP, 401-403.
118. — Pieve del Cairo. Antichità
romane.
Velezzo Lo:melltna. Coltello di
bronzo.
Gravellona. Tombe dell' età ro-
mana.
Frascarolo. Tombe dell'età ro-
mana.
Vigevano. Antichità romane.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1896; V, IIP, 404-406.
119. — Rosta. Antichità scoperte nella
borgata Corbiglia.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1896; V, IIP, 451-452).
120. ViLLARBASSE. Iscrizione dell'età
romana.
= (in Atti Accad. Lincei. Rcjma,
1896; V, IIP, 452.
121. Bianchetti (Enrico). I sepolcreti
di Ornavasso.
= (in Atti Soc. di Ardi, e BB. A A.
Torino, 1895; ^^I-
Il Ferrerò completò questo lavoro, curandone
la stampa di buona parte, come è dichiarato
nella prefazione.
122. — Balbinus (D. Caelius) (I, 961).
— Britannica (Classis) (I, 1040-41)
— Classis (II. 275-80) — Claudius
(II, 290-303) — Claudius Gothicus
(II, 303-5) — Commodus (II, 547-61) —
CONSTANS (II, 627) — CONSTANTINUS I
(II, 637-55) — CONSTANTINUS II (II,
655-59) — CONSTANTINUfe III (II, 659-
60) — CONSTANTINUS ChLORUS (II,
660-68) - CONSTxVNTIUS II (II, 66S-76)
— Florianus (III, 170-71).
= (in De Ruggiero G.). Dizion.
epigr. antich. roinaììc. Roma, 1895-
1903.
Alcuni di cjuesti articoli ebbero tiratura a
parte, edita in Roma, E. Pas(]ualucci, cioè :
Classis (1S95, 6csn.) — Comodus (1807. 14 pp.)
— Constans (1S97, 4 pp.' — Constantinus I
(1898, 20 pp.) — Constantinus II (1S9S, 4 pp.)
— Constantinus III (1898. 2csn.) — Constan-
tinus Chlorus (1898, 8 pp.) — Constantinus II
(1898, 8 pp.).
36
COMMEMORAZIONE DI ERMANNO t^ERRERO
313
123. — Bruino. Iscrizione di età ro-
mana esistente a Villarbasse.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1897; V, Iv^ 3.
124. — Alessandria. Antichità pre-
istoriche e romane scoperte nella
città e nel territorio del comune.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1897 ;V,IV^ 55-57.
= {a parte) 4° (4 pp.
125. — Torino. Sepolture dell'età ro-
mana.
= (in Atti Accad. Lincei Roma,
1897; V, IV^ 119.
126. Un ripostiglio di monete della
repubblica romana scoperto a Ro-
magnano Sesia.
= (in Atti Acc. se. Torino, 1896;
XXXI, 766-775-
= {a parte) Torino, Carlo Clausen,
1896, 8° (12 pp.
127. — Giuseppe FiORELLi: Parole com-
memorative.
= (in Atti Acc. se. Toriato, 1S96;
XXXI, 1072-1074.
= {aparté)\Yox\x^o, tip. Bona, 1896J
8" (4 pp.
1 28. — MORTARA. Sarcofago romano.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma ,
1897; V, IV^257.
129. — SUSA. Avanzi di sculture e di
epigrafi romane scoperti nella città.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1897; V, IV2, 301-302.
130. — Ernesto Curtius.
= (in Atti Acc. se. Torino, 1896;
XXXII, 70-71.
= {a parte) Torino, tip. V. Bona, 1 896,
8° (2 pp.
131. — Sul corredo dei sepolcreti di
Ornavasso.
= (in Atti Accad. se. Torino, 1896;
XXXII, 78-88.
= {a parte) Torino, Carlo Clausen,
1896, 8° (14 pp.
132. — ViLLAR Perosa. Iscrizione ro-
mana scoperta nel territorio del Co-
mune.
= (in Atti Accad. LJncei. Roma,
1897; V, IV^ 507.
37
40 —Mise, s. ni, T. xni.
133- — Antichità cristiane di Tor-
tona.
(in Nuovo Bullett. Ardi. Crisi.
Roma, 1896; II, 90-91.
= {a parte) 8°(2 pp.
134. I titoli di vittoria di Co-
stantino.
:= (in Atti Acc. se. Torino, 1897;
XXXII, 657-663.
= {a parte) Torino, Carlo Clausen,
1897, 8° (io pp.
Cf. n. 140.
^35- - Orbassano. Iscrizione romana
scoperta nella chiesa parrocchiale.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1898; V. V^ 187-188.
136. — Acqui. Tombe di età romana
scoperte presso la città.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1898; V, V^ 189-193.
= {a parte) Roma, 1897, 4**.
137. — Orbassano. Iscrizione di età
romana scoperta presso la chiesa
parrocchiale.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
i898;V,V-, 329-330.
138. — Tortona. Antichità tortonesi
nei ISIusei di Alessandria e di Tor-
tona.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1898; V,V^ 361.381.
139. — Poirino. Sepolture dell'età di
mezzo ed avanzi di materiale late-
rizio romano.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1898; V, v^ 409-410.
I 140. — I TITOLI DI VITTORIA dei figli
di Costantino.
= (in Atti Acc. se. Torino, 1897;
XXXIII, 59-63.
= {a parte) Torino, Carlo Clausen,
1897, 8° (8 pp.
Cf. n. 134, 148.
141. — Atti della Società (1887- 1894),
(1895), (1896).
= (in Atti Soc. Ardi, e BB. A A.
Torino, 1897; VII, 1-13; 52-55; 61-64.
314
ANTONIO MANNO
142. — Iscrizioni di Chignolo Ver-
bano.
= (in Atti Soc. Ardi, e BB. A A,
Torino, 1897 ; VII, 56-60.
143. — I FASTI del prefetto del pre-
torio di Bartolomeo Borghesi.
= (in Atti Accad. se. Torino, 1897;
XXXIII, 156-160.
= [a parte) Torino, Carlo Clausen,
1898, 8(8pp.
144. — Mogli e figli di Costantino.
= {in Atti Accad. se. Torino, 1897;
XXXIII, 376-388.
= {a parte) Torino, Carlo* Clausen,
1898. 8° (16 pp.
145. — Almese. Tombe di età romana.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1898; V, VP, 129-133.
146. — Busca. Piccolo ripostiglio di
monete romane imperiali di bronzo.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1898; V, VP, 177.
147. — MoNCALiERi. Tombe dell'età
romana scoperte nel territorio del
comune.
= (in Atti ^Iccad. LJ.ncei. Roma,
1898; V, VI-, 178-179.
148. — Ancora dei figli di Costantino,
:= (in Atti Acc. se. Torino, 1898;
XXXIV, 13 I-I 36.
= (a parte) Torino, Carlo Clausen,
1898, 8'' (8 pp.
Cf. n. 140.
149. — Mathi. Tombe dell'età romana
scoperte nel territorio del comune.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1898; V, VP, 463-464.
150. — Iscrizione classiaria sco-
perta a Roma.
= (in Atti Accad. se. Torino, 1899;
XXXIV, 295-96.
= {a parte) Torino, tip. V. Bona,
1899, 8° (2 pp.
151. — Torino. Tombe antiche sco-
perte sulla sinistra della Stura.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1901; V, VIP, 3-4.
152. — Nuove iscrizioni ed osserva-
zioni intorno all' ordinamento delle
armate dell'impero romano.
^= (in Meni. Acead. se. Torino, 1899;
II, XLIX^ 165-254.
:= {a parte) Torino, Carlo Clausen,
1899, 4" (i c.-j 70 pp.
153. — Indici generali delle iscri-
zi 'ni classiarie.
= (in Meni. Accad. se. Torino, 1899;
11, XLIX^ 255-333.
154. — Torino. Tomba scoperta dentro
l'abitato.
=^ (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1901; V, VIP, 311.
155. Caluso. Tomba barbarica sco-
perta nel comune.
= (in Atti Accad. Lincei, Roma,
190); V, VIP, 369-370.
156. — Savigliano. Are votive sco-
perte nel territorio della borgata
l.evaldigi.
= (in Atti Accad. Lincei, Roma,
1901 ; V, VIP, 473-474-
157. — Giuseppe Mùller, nato il 2
maggio 1825; morto il 13 luglio 1895.
= (in Biograpìiisches Jahrbuch filr
Alter t2cmskunde.\^evpz\^, 1900; XXII,
21-23.
= {a parte) 8" (8 pp.
158. — Vincenzo De Vit, nato il i''
luglio 1810, morto il 17 agosto 1892.
= (in Biograph. Jalirbueh filr Alter-
ttunskunde. Leipzig, 1900; XXII,
26-30.
= [a parte) 8" (8 pp.
Questo Biogr. Jahrbuch si trova annesso al
Jaìiresbericht ì'i. die Fortschritle dcr clciss. Al-
ierfiiinswiss. , 1 899 .
159. — Atti della Società (1897).
= (in Atti Soc. Are/i. e BB. A A.
Torino, 1900; VII, 65-68.
160. — Iscrizione romana di Tortona.
= (in Atti Soc. Arch. e BB. A A.
Torino, 1900; VII, 86.
161. — Iscrizione romana di Orbas-
sanu.
= (in Atti Soc. Arch. e BB. A A.
Torino, igoo; VII, 87-88, i tav.
38
COMMEMORAZIONE DI ERMANNO FERRERÒ
315
1Ò2. — Atti della Società (1898).
= (in Affi Soc. Arch. e BB. A A.
Torino, 1900; VII, 109-124.
163. — Armille di bronzo scoperte
a Montai to Dora.
= (in Atti Soc. Arch. e BB. AA'
Torino, 1900; VII, 142-143, i tav.
= [a parte) Torino, Stamp. reale
della ditta G. B. Paravia e C., 1899,
8° (4 pp.-i tav.
164. — Istruzioni agl'inviati di Fran-
cia presso le Corti di Savoia e di
IMantova.
= (in Atti Acc. se. Torino, 1900;
XXXV, 624-641.
= {a parteA Torino, Carlo Clausen,
1900, 8° (20 pp.
165. — Frammento di diploma con-
cernente l'armata di Miseno.
= (in Atti Acc. se. Torino, 1900 ;
XXXV, 669-670..
= [a parte) Torino, Carlo Clausen,
1900, 8 (4 pp,
1 66. — Rosta. Tombe dell'età romana
scoperte nella borgata Corbiglia.
= (in Atti Acc. Lincei. Roma, 1903;
V, VIIP, II 5- 116.
167. — Atti della Società (1899).
= (in Atti Soc. Arch. e BB. A A.
Torino, 1900-1901; VII, 144-148.
168. — Atti della vSocietà (1900),
= (in Atti Soc. Arch. e BB. A A.
Torino, 1901; VII, 196-199.
169. — Ariodante FABRETTi:Notizie
sulla vita e sugli scritti.
= (in Memorie Accad. se. Torino,
1901 ; II, LP, 161-21 1.
= {a parte Torino, Carlo Clausen,
1902, 4° (52 pp. - ritr.
170. — Vercelli. Scoperta di un de-
posito di anfore romane presso la
città.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1903 ; V, IX^ 313-314.
171- — Torino, Scoperta di antichità
romane entro la città.
=: (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1903; V, IX^ 391-397-
39
172. — Torino. Antichità barbariche
scoperte presso la città.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1903; V, IX-, 507-510.
173- — T'arc d'Auguste à vSuse, pu-
blié sous les auspices de la Société
d'archeologie et des beaux arts pour
la province do Turin. 19 planches
d'après les photographies de Secondo
Pia et 17 figures dans le texte.
= Turin, Bocca frères éditeurs
1901, (Impr. Vinc. Bona), 4° (4 csn,
40 pp. - 19 tav.
174. — PiOBESi Torinese. Antichità
dell'età romana scoperte nel territorio
del Comune.
^ (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1903; V, X-, 49-52.
175. — Domenico Perrero: Notizia
biografica e bibliografica,
= 'in Atti Acc. se. Torino, 1902 ;
XXXVII, 738-762.
= {a parte) Torino, Carlo Clausen,
1902, 8" (28 pp.
176. — Villarbasse. Iscrizione ro-
mana.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1903; V, X^ -:,?,\--:,},2.
177. — Randello Vitta. Sepolture
barbariche scoperte nel territorio del
Comune.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1903: V, X-, 591-592.
178. — Gaudenzio Claretta: Parole
commemorative.
= (in Atti Acc. se. Toriato, 1903;
XXXVIII, 279-286,
= {a parte) Torino, Carlo Clausen,
1903, 8° (io pp.
179. — IMONTEU DA Po. Scoperte nel-
l'area dell'antica « Industria ».
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1904; V, XI-, 43-46.
180. — Una nuova iscrizione dTn-
dustria.
= (in Atti Acc. se. Torino, 1903 ;
XXXVIII, 421-423.
= {a parte) Torino, Carlo Clausen,
1903, 8° (6 pp.
3i6
ANTONIO .MANNO
i8i. — Torino. Tomba scoperta dentro 1 190. — ViNOVO. Antichità barbariche
la citta.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1904; V, XP, 99.
182. — Spada di bronzo scoperta
nella Moriana.
= (in Atti Acc. se. Torino, 1903;
XXXVIII, 585-586, I tav.
= {a parte) Torino, Carlo Clauson,
1903,* 8" (4 pp.-i tav.
183. — Torino. Iscrizione romana sco-
perta alla destra del Po.
= (in Atti Aecod. Lincei. Koma,
1904; V, XP, 583-584-
184. — Sepolture barbariche sco-
perta a ]\Iandello Vitta.
= (in Atti Soc. Ardi, e BB. A A.
Torino, 1904; VII, 271-274.
185. — Vasetto roman(ì scoperto a
Sillavengo.
= (in Atti Soc. Arch. e BB. A A.
Torino, 1904; VII, 275.
= {il parte) [colle Sepolture bar-
bariche di Mandello].
Stamp. reale Paravia, 1 903 ; 8°
(8 pp.-i tav.
186. — Croce d'oro barbarica sco-
perta ad Alice Castello.
= (in Atti Soe. ArcJi. e BB. A A.
Torino, 1904; VII, 276-277.
= {a parte) Tipogr. reale Paravia,
1903; 8" (2 pp.-i tav.
187. — InscriPTIOn votive du (irand
Saint-Bernard.
=: (in Bulletin Soc. antigitaires de
France. Paris, 1904; 181 -184.
188. — Di un manoscritto di Eu-
genio De-Levis e l'onestà epigrafica
di lui e di Vincenzo Malacarne.
= (in Atti Acc. se. 7 orino, 1904;
XXXIX, 1049- 1066.
= {a parte) Torino, Carlo Clauscn,
1904, 8" (20 pp.
189. — Torino. Tomba dell'età romana
scoperta nella città.
= (in Atti Accad. LJncei. Roma,
1904; V, Not. Scavi, I, 355-560.
= {a parte) 4" (pagto 355-360.
scoperte nel territorio del Comune.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1904; V, Not. Scavi, I, 375-376..
191. — Un'iscrizione di .Susa e la fa-
miglia di Cozzio.
^= in Bollettino filologia classica.
Torino, 1904; XI, 89-90.
= {a parte) Torino , 1904, .stabil.
tip. Paglione e Momo, 8 (2 csn.
192. — Il 2 SETTEMBRE 1706.
= (in Super ga: Guida illustrata.
Torino, 1904 ; 9.
193. — Di una RECENTE PUBBLICA-
ZIONE sui bassi rilievi dell'Arco di
Susa.
= (in Atti Soc. Arch. e BB. A A.
Torino, 1904; VII, 280-293.
= [a parte) Torino, Stamp. reale
della ditta G. B. Paravia e C., 1904,
8° (16 pp.
19;. — ISCRIZIONE CRISTIANA di Tor-
tona.
= (in Bollett. Soc. star. Tortonesc.
Tortona, 1904; IV, 60-61.
'Q5- ^ QuAREGNA. Monete imperiali
romane rinvenute nel territorio del
Comune.
= (in Atti Accad. IJncci. Roma,
1905 ; V, Not. d. Scavi, II, 75.
196. — Relazione sulla Memoria del
prof. Arturo Segre: La questione sa-
bauda e gli avvenimenti politici e mi-
litari clic prepararono la tregua di
Vaucelles.
= (in Atti Acc, se. Torino. 1905;
XL, 827.
197. — Giovanni Battista Adriani:
Parole commemorative.
= (in Atti Acc. se. Torino. 1905;
XL, 902-904.
= [a parte) Torino. Carlo Clausen,
1905, 8" (6 pp.
198. — Torino. Tomba barbarica sco-
perta fuori della città.
= (in Atti Accad. Lincei, Roma,
1905; V, lYot. Sca7'i, II, 403-404.
40
COMMEMORAZIONE DI ERMANNO FERRERÒ
317
199. — La QUESTIONE della lapide al
Maresciallo Marcin.
= (in // Momento. Torino, 2-^ feb-
braio 1906; a. IV, n. 54.
200. — Il luogo della morte del
Maresciallo Marcin.
= (in // Alomento. Torino, 26 feb-
braio 1906 ; a. IV, n. 57.
201. — Torino. Tomba dell'età romana
scoperta fuori della città.
= (in Atti Accad. Lincei. Roma,
1906; V, Not. Scavi, III, 297-298.
202. — Discorso.
= (in Adunanza solenne della
R. Deputazione sovra gli studi di
storia patria per le antiche Province
e la Lombardia, tenutasi il giorno
13 di maggio del 1906; in Misceli.
st. ital. Torino, 1906; III, XI, (XLIl),
V-XII.
Ebbe un successo maraviglioso, ma fu una
vera improvvisazione, senza appunti e non fu
che molto imperfettamente riprodotta nei gior-
nali che riferirono tale solennità.
203. — Campagne in Piemonte du-
rante la guerra per la successione di
Spagna (i 703-1 707). Studio documen-
tario postumo pubblicato da Carlo
Pio De Magistris. Voi. primo.
= (in Le campagne di guerra t?i
Piemonte (i 703-1 708). Torino, 1907,1,
204. [Recensioni e cenni bibliografici |.
= (in :
a) Archivio stor. ital. : !-'i ronzo,
1880, ser. IV; VI, 151, 300, 350, 517.
— 1881, VII, 64, 399, 445 ; Vm, 452.
— 1882, IX, 110,^27; X, 138, 237,
425. — 1883, XI, 224, 281 ; XII, 399.
— 1884, XIII, 107; XIV, 95. — 1885,
XV, 100, 394; XVI, 139, 431. —
1888, ser. V; I, 361.
b) Bollettino di filologia classica.
Torino: 1894-95, I» 12, 13, I3^ 251. —
1895-96, II, 113. — 1896-97, III, 165.
— 1897-98, IV, 81, 181. — 1898-99,
V, 132, 151, 279. — 1899-900, VI, 204,
276.— 1900-901, VII, 251. — 1901-902,
VIII, 279. — 1902-903, IX, IO, 182.
41
— 1903-904, X, 277. — 1904-905,
XI, 85.
e) La Cultura: Roma, 1882, II,
38; III, 14. - 1883, III, 394. — 1897,
XVI, 83-, 280, 331. — 1898, XVII,
17, 130, 171, 188, 2^2, 301, 360, 361,
362. — 1899, XVIII, 8. - 1900, XIX,
196. — 1901, XX, 167, 226, 313. —
1902, XXI, 201, 330. — 1903, XXII,
138, 275. — 1904, x:^iii, 234.
d) Gazzetta pieni, letteraria : To-
rino, 25 ag. 1877, I, 34.
e) Gazzetta piemontese : Torino,
29-30 genn. 1887, n. 29.
f) Giornale stor. lettor, ital.: To-
rino, 1884, ni, 453.
g) Ntiova Antologia: Roma, 1897-
1901.
Diversi cenni biografici che essendo anonimi
non si possono indicare con sicurezza.
h) // Risorgimento : Torino, 1877:
5 e 28 maggio, numeri 124, 147. —
2*6 giugno, n. 175. — 24 luglio, n. 203.
22 sett., n. 262. — 15 ott. n. 285. —
22 nov., n. -^2}^.
i) Rivista critica delle Scienze
gittridiche e sociali: Roma, 1883, I,
324. — 1884, II, 36, 321. — 1885, III,
193. 368.
1) Rivista di filologia: Torino, VI
(1878), 267, 280, 518. — VII (1879),
491. — Vili (1880), 120, 291, 375, 383,
568. — IX (1881), 74, 87, 93, 147,
412, 415. X (1882), 208, 212, 213.
— XI (1883), 147, 157, 158, 314. -
XII (1884), 272, 278, 292, 293, 420,
424. XIII (1885), 279, 369, 370- —
XIV (1886), 128, 132, 140, 439, 554,
557, 560, 561. - XV (1887), 284, 575
— XVI (1888), 57, 226, 239, 255.
XVIII (1890Ì, 573. XXII (1894), 120,
554 - XX VI(i 898), 360, 623. —XXVII
(1899), 168, 169, 362. — XX\"III(i9oo),
144. — XXXI (1903), 514. — XXXIII
(1905), 129.
m) Rivista italiana per le Scienze
giuridiclie: Roma, 1886, I, 131.
n) I^ivista sforica ital.: Torino,
1891, VILI, 578. — 1900, XVII, 119.
— 1901, XA'llI, 150. — 1902, XIX,
168.
3i8
ANTONIO MANNO - COMMEMORAZIONE DI ERAIANNO FERRERÒ
Commemorazioni.
I. — D'Ovidio (Enrico). [Commemo-
razione di E. Ferrerò].
= {in Atti Ac e ad. se. Torino. igo6.
XLII, 12 1- 123.
II. — Valmaggi (Luigi) Ermanno Fer-
rerò.
= (in Annuario Università. To-
rino, 1906-1907, 181-192.
= [a parte) Torino, Stamp. Reale
G. B. Paravia e C, 1907. 8" (14 pp.,
ritr.
= (in Rivista di Jilo logia, Tr>r\n(\
1907; XXXV, 208-219.
III. — Baye (J. de). [Cenni comme-
morativi].
= (in Biilletin Soc. ayitiquaires de
France. Paris, 1906, 319-320 ; 1907,
89-90.
IV. — Baudi di Vesme (Alessandro).
Commemorazione di E, F.
= (in Atti Soc. Arch. BB. A A.
Torino, 1908- VII (Sunto in Gazzetta
del Popolo, IT) nov. 1906).
Articoli necrologici,
in :
Gazzetta di Sanremo, 21 ott. 1906;
La Stampa, Torino, 16 ott. 1906;
// Corriere di Rivoli, 28 ott. 1906;
La Sesia, Vercelli, 19 ott. igoò.
Gazzetta di Torino, 16- 17 ott. 1906.
// Momento, Torino, 17 ott. 1906.
// Pensiero di Sanremo, 21 ott. 1906.
Gazzetta del Popolo, 16 ott. 1906.
LJ Ln dipendente^ Susa, 18 nov. 1906.
Jadart H. — Co?npte rendu dcs
travatix de l'Acad. de Rcims, 1906-07,
p. 20.
Bollett. Star. bibl. snbalp., XI, 247.
Manoscritti.
A') Topografia del Piemonte romano.
B) vSchedarii dei monumenti romani
e barbarici della regione subalpinn.
42
Dott. PIETRO TORELLI
I PATTI DELLA LIBERAZIONE
DELL'ARCIVESCOVO
CRISTIANO DI MAGONZA
ARCICANCELLIERE DELL'IMPERO
PRIGIONE DEI MARCHESI DI MONFERRATO
Si trovano in copia senza dubbio quasi sincrona in una pergamena del-
l'Archivio Gonzaga. Rimasta a lungo in una di quelle miscellanee di atti che
i buoni principii archivistici vorrebbero abolite ma che in pratica non si sa
qualche volta come togliere di mezzo, fu posta ora per ragione di prove-
nienza tra vari altri atti superstiti del diperso Archivio del Monferrato (i).
Oltre che pel contenuto del documento stesso, tale provenienza è indubbia
per questo fatto : la ricorda un importantissimo inventario degli atti di quel-
l'archivio redatto nel 1728 da Pietro Antonio Lanzoni, cosi: « Conventio
facta Inter Archiepiscopum Magontinum, et alios, iuramento firmata, et
Dominum Conradum Alarch. jMontisferrati ». Il Lanzoni era prefetto dell'Ar-
chivio di Corte.
La nostra pergamena misura cm. 16 X 39 5 l'inchiostro è slavato molto,
ma l'atto è tuttavia leggibile senza difficoltà; la scrittura, una minuscola
romana nuova abbastanza regolare, è tale da assicurarci che la mano che
scrisse non è posteriore troppo al secolo xii. Daremo in fine la trascrizione
compiuta del documento.
L'episodio della cattura dell'arcivescovo Cristiano di jMagonza è suffi-
cientemente illustrato nei particolari della sua esecuzione, e gli storici pos-
sono dirsi concordi nel determinarne le ragioni (2) : la stanchezza ingenerata
nell'Italia media dal suo rigido governo, l'opera latente ma ostinata ed efficace
dell'imperatore greco, il vivissimo odio personale dei marchesi di Monferrato
verso il bellicoso prelato. A quest'ultima causa tuttavia solo il Davidsohn
dà il massimo peso, ed io vorrei a questo proposito anche più rilevato il
fatto della inimicizia dei ^Monferrato con Guido Guerra ora validissimo alleato
dell'arcivescovo, e la probabile intenzione di questa famiglia di formarsi uno
stato nell'Italia centrale di cui parevano principio Poggibonzi e jMarturi (3).
(i) Alla sede : Archivio del Monferrato.
(2) Vedi infatti ampiamente per tutto quanto è inutile ripetere qui Varrentrapp C,
Erzbischof Christian I voti Mainz. Berlino, 1867, a pag. 94-96. — H. Prutz, Kaiser Frie-
drich I, parte 3-'. Danzig, 1S74, pag. 57-62. — Giesebrecht, Geschichte der deufschen
Kaiserzeii, voi. V, pag. 888-S9 e voi. VI, pag. 558. — Ilgen Teodoro, Corrado march, di
Monferrato, nella traduzione del Cerr.\to. Casale, 1890. — Davidsohn R., Geschichte von
Florenz, I. Berlino, 1896, pag. 561-563 e da ultimo Brader D., Bonifaz von Montferrat bis
zum Antritt der Krcuzfahrt. Berlino, 1906, pag. 24-25. Non vidi gli studi del Desimoni nel
Giornale Ligustico.
(3) Davidsohn, op. cit., pag. 550. Ma vedi anche Ilgen, op. cit.
5
41 —Mise, S. Ili, T. Xlll.
322 PIETRO TORELLI
Nel primo riguardo non potevano ora aver dimenticato il ripudio di Agnete,
figlia di Guglielmo di Monferrato, da parte del Guerra, nel secondo la condotta
di Cristiano che finì più tardi colla cessione a Siena dei diritti su Poggibonzi.
Difficile invece e, soprattutto, contraddetta dal nostro documento mi
pare la ragione escogitata dall'Ilgen e sostenuta anche dal Cerrato. Suppone
il primo un ravvicinamento di Guglielmo ai Lombardi per l'incertezza dei
negoziati di Venezia che parlavano solo di una pace di sei anni. Il 13 giugno
o gennaio 11 78, osserva l'Ilgen, il marchese Guglielmo e i suoi figli stringono
una lega difensiva e offensiva cogli Alessandrini (MORIONDO, Monumenta
Aquensia, I, colonna 72). Se fosse gennaio (i), si potrebbe supporre che
Guglielmo, che era a Pisa il 30, cercasse di far riconciliare il Barbarossa
con Alessandria. Opponendovisi l'imperatore ostinatamente, Gugliemo avrebbe
dato l'incarico a Corrado di rivendicare l'ont^re della sua casa... « In un altro
documento poi il marchese Guglielmo si obbliga fino al 1° agosto di indurre
l'imperatore a dare il suo assenso a quel contratto, a riconoscere l'autonomia
di Alessandria ecc. Ma essendosi ricusato l'imperatore di concedere pace agli
Alessandrini, egli ciò non ostante li prende sotto la sua protezione quali suoi
sudditi ». Ma perchè l'imperatore non cedeva ai suoi desideri, adontatosene
il marchese Guglielmo avrebbe stretta relazione con Emanuele Comneno (2).
E il Cerrato conferma in nota: « Nel contratto del 1178 si rivela un tentativo
della lega lombarda di conservarsi la città e di soccorrerla inducendo il mar-
chese di Monferrato con importanti concessioni vuoi a far valere tutta la sua
influenza per indurre l'imperatore ad accogliere il contratto, vuoi, in caso
d'insuccesso, a difendere la città come gli altri suoi sudditi... L'accordo non
incontrò il favore dell'imperatore e riuscì fallace al marchese che non vi
trovò affatto i vantaggi che s'era ripromessi... L'imperatore riconobbe Ales-
sandria solo al trattato di Norimberga del 14 marzo 1183: le cambiò il nome
in quello di Cesarea, s'impadronì di tutte le regalie, trattò ostilmente Gu-
glielmo il Vecchio, gli tolse i suoi diritti, non gli usò nessun riguardo, e non
lo nomina tra i suoi amici e fedeli — qui in vicinia Cesarea sunt — » (3).
Vedremo più avanti che i Monferrato tornarono ben prima in grazia dell'im-
peratore, ma già il nostro documento rivela chiaramente che non per tale
ragione avrebbe potuto il Barbarossa mantenere fino air83 la sua collera
verso i marchesi se questi pongono tra i patti della liberazione di Cristiano
di Magonza « quod Alexandria quam palea cognominatur destruatur, nec
gratiam domini imperatoris aut filii eius regis Henrici aliquo tempore
habeat ». Questo dimostra a mio vedere che nel contratto del 1 178 la potenza
dei comuni lombardi costrinse piuttosto la volontà del marchese i cui veri
interessi personali, la cui antica, costante fede ghibellina spingevano ancora
a sostenere le pretese imperiali.
(i) Si noti intanto che il mese è certamente giugno. Lo rivela V Invcntarium del Lan-
zoNi già cilato: a fol. 22 r. è ricordato « Un libro coperto di carta pergamena con l'inscri-
tione : Instnunenla et tura marchionis prò Atexandria, nel quale sono protocoli d'instru-
menti che principiano li 13 giugno 117S e finiscono sotto li 3 giugno 1307 ecc. ». Nessun
dubbio che il primo istrumento sia il nostro.
(2) Ilgkn, op. cit., pag. 51-52.
(3) Si cita F. Graf, La foudazionc di Alessandria in relazione eon la storia delta lega
lombarda.
I PATTI DELLA LIBERAZIONE DI CRISTIANO DI MAGONZA 323
Il fatto Sta che capo della congiura ed esecutore dell'audacissimo colpo
fu Corrado, figlio del marchese Guglielmo di Monferrato; ispiratore invece
n'era stato Emanuele Comneno il cui oro correva ora per l'Italia a suscitare
odio contro l'imperator Federico, correva perfino per le città lombarde non
ostante il recente armistizio di Venezia. Alle evidenti mire dell'imperator
bizantino, la soppressione dell'arcivescovo di Magonza, dell'uomo che Rai-
naldo di Dassel (i) aveva riconosciuto come il più efficace sostegno della
politica sveva, era una necessità imprescindibile : ed egli si rivolse a Corrado
di Monferrato perchè suo parente (2) e più perchè capo ormai riconosciuto
dei malcontenti dell'Italia centrale dopo la presa di Viterbo da parte di Cri-
stiano, e suo nemico personale dopo che fatto da lui prigioniero era stato
costretto a pagargli 12.000 perperoruvi per la sua liberazione. Del resto,
l'azione di Corrado di ^Monferrato nell'Itaha media non è affatto determinata,
né il nostro documento arreca su di essa molta luce. Contro l'arcivescovo
era già nella campagna del 11 78 da questi condotta contro A^iterbo; ma qui
Corrado non ci appare che come alleato dei nobili viterbesi, e resta sempre
una supposizione e nulla più quella del Ficker (dovrò riparlarne) che fino
dal 1172 o giù di lì Corrado avesse il governo della Toscana meridionale
come plenipotenziario imperiale e non volesse cedere la sua posizione dopo
la conclusione della pace (3). L'attraente opinione del Prutz (4) che essendo
sempre Guglielmo il Vecchio in buoni rapporti coll'imperatore, Corrado
tenesse le parti dei Lombardi, opinione che spiegherebbe la presenza di
Corrado ovunque si combattesse contro Timpero, non ha base di fatto e mi
pare contraddetta dal nostro documento; Guglielmo il Vecchio vi figura
espressamente consenziente. Xon ci inganni la frase : « si forte dominus
inperator ex aliquorum sinistra relacione iram vel indignacionem aut mali-
volenciam aliquam concepit adversus Guilielmum Alarchionem Montisferrati
vel Bonifacium filium eius ecc. », né la cura con cui si vuole che la grazia
imperiale sia restituita a Corrado espressamente senza nominare il padre e il
fratello. Anzitutto, più avanti, tale grazia si vuole data et rcddita anche a
questi, ed essi anzi la vogliono quand'anche Corrado la disprezzasse; di più,
neppur essi vogliono il ritorno di Cristiano in Italia coll'autorità di legato, e
tanto meno a mano armata, senza loro espresso consenso; e in fine, ciò che
per me è decisivo, la distruzione da loro richiesta di Alessandria è condizione
(i) Cancelliere dell'impero prima di Cristiano era stato alla sua volta celebrato come
« principio, mezzo e fine dell'impero, e nel corso degli ultimi anni (morì nel 1167 della pesti-
lenza che assali l'esercito di Federico sotto Roma) quasi più di Federico era stato l'anima
dell'ardita e quasi audace politica germanica ». H. Prutz, Storia degli stati medioevali d'oc-
cidente, lib. IV. Ma vedi su di lui I. Ficker, Rai7iald von Dassel ecc. Colonia, 1S50. Ricordo
Rainaldo perchè a lui suole paragonarsi, quantunque con svantaggio, Cristiano di Magonza
(\'^ARRENTRAPP, DaVIDSOHN, eCC).
(2) Maria, figlia di Emanuele, aveva sposato Rainero, fratello di Corrado. Roberti de
Monte, Cronica, in M071. Gemi. Hist., SS., VI, pag. 528. — Nicetas Choniates, 263.
(3) FiCKER, Forschungen z. Reichs und Rechtsgeschichte Italiens, voi. II, pag. 236-37.
Si osservi a questo proposito che il Muratori fondandosi soltanto sul documento 2 febbraio
1180 da lui edito in Antiq., IV, 575, di cui riparleremo, aveva creduto che questo Corrado
« fusse marchese di Toscana trattandosi d'una città (Siena) che era nel marchesato di Toscana ».
Ma non gli era tuttavia sfuggito che quel nome « manca nel ruolo dei marchesi di Toscana
del Capitano della Rena ».
(4) Op. cit., III, pag. 59.
324 PIETRO TORELLI
di troppo generale interesse per tutta la casa dei Monferrato per ritenere
Guglielmo e Bonifacio estranei all'opera del loro figlio e fratello : e se mai,
aggiungono, debba la odiata città tornare in grazia dell'imperatore, ciò non
avvenga se non col nostro consenso. Oh certo non avrebbe mancato di base
la sÌ7iistra relatio di chi si fosse incaricato di raccontare all'imperatore le
cose come stavano veramente! (i). D'altra parte l'opinione del Prutz non
spiegherebbe l'autorità di Corrado capo di questa guerra contro l'arcivescovo.
Che se si ritiene sufficiente quella che poteva derivargli dal gran nome della
sua famiglia e dalle sue qualità personali, basta considerarlo, col Cerrato (2),
più che staccato dalla parte ghibellina, solo tra gli scontenti della concilia-
zione col papa, nemici di Cristiano.
A chiarire invece l'opera costante dell'ispiratore di Corrado, Emanuele
Comneno, a mostrare l'ampio e ingegnoso piano da lui combinato pel ricupero
d'Italia mi pare felicissimo il ravvicinamento fatto dal Prutz (3) della cattura
di Cristiano coi nuovi rapporti che correvano tra l'im.peratore bizantino e
Alessandro III. Alleati fin qui, Emanuele assume dopo la pace di Venezia
una condotta ostile al papa. Ora avviene che simultaneamente all'arresto
dell'arcivescovo di Magonza, si rinnova in seno alla chiesa lo scisma appena
sedato. Per opera soprattutto della famiglia di Ottaviano, il" primo antipapa,
tuttora odiato a morte da Alessandro III « alcuni ecclesiastici usurparono la
dignità cardinalizia, e costituitisi solennemente in conclave, il 29 settembre 1 179
innalzarono al papato col nome di Innocenzo III Landò di Sezza... Che una
impresa cosi temeraria avesse successo almeno per un certo tempo, ed anzi
potesse avere un certo seguito, era possibile soltanto colla contemporanea
prigionia di Cristiano di Magonza : privato del suo forte protettore... ancora
una volta Alessandro si trovò in serie angustie ». E dunque fondatissimo il
ritenere Emanuele Comneno non estraneo allo scisma; la coincidenza delle
date, si noti, è assoluta : la cattura di Cristiano di Magonza avvenne proprio
circa feshcm Sane ti Michaelis (29 settembre) (4).
Su questa data appunto e sul modo in cui l'arcivescovo fu fatto prigione,
Benedetto Pctroburgense, la fonte più diffusa in proposito, Niceta Choniate
e le altre fonti minori (5), possono dirsi concordi; e benché su questo punto
nulla c'insegni il nostro documento, così convengono con esso nelle altre
parti che anche in questa non possono che ritenersi veritiere.
Cristiano s'era dunque recato nella Marca d'Ancona, secondo il Reuter (6),
per ottenere la restituzione dei beni sommamente scemati del Chiostro di
(i) Che tutta la famiglia fosse allora contro l'impero ritennero già I'Ilgen, op. cit. e
ScHEFFER-BoiCHORST, Fricdrichs I le/zter Streil viit dir Kurie, pag. 69. Avremo occasione
di affermarlo ancora per rilevantissime ragioni.
(2) Nella citata traduzione dell'lLGEN.
(3 Op. cit., Ili, pag. 60,
(4) Ex gestis Henrici II et Ricardi /, falsamente attribuito a Benedetto Petroburgense,
in Mon. Gemi. Hisl., SS., XXVII, pag. 99.
(5) BuoNCOMPAGNO, De obsidione Anconae. — Muratori, R. I. SS., VI, 945. — Tolo-
SANUs, CkronìcoH. — Accessìones Faveiilinae del Mittakelli ai R. I. SS., cap. XCII. —
S1GEHERTI, Contiìniatio Aquicinctiana in Mou. Cerili. Hist., SS., VI, pag. 418. — Rokerti
DE Monte, Cronica, eod. loc, pag. 52S. — Aniiaìes Colonieiises Ma.viiiii, eod, loc, XVII,
pag. 789. — Rodolfo di Diceto, eod. loc, XXVII. — Rogerii de Hoveden, Cronica,
eod. loc, XXVII, pag. 145.
(6) 3, 496, nota 6.
8
I PATTI DELLA LIBERAZIONE DI CRISTIANO DI MAGONZA 325
S. Clemente di Pescara, indottovi da papa Alessandro con una lettera in data
1° maggio II 79 (i); e certo avrebbe dovuto tutto aspettarsi dal marchese Cor-
rado; lo pensa il Prutz (2) e lo conferma chiaramente il nostro documento: tra
l'arcivescovo ed il marchese dovevano correre da qualche tempo rapporti
ostili se tra i patti della liberazione di quello si pone la restituzione di
ostaggi (3). Sorpreso il 29 settembre, a due miglia circa da Camerino presso
Piorago su un'altura detta di Santa Cristina con pochi de' suoi. Cristiano fu
da Corrado fatto prigione, « Coenredus, collectis exercitibus, ex improviso
supervenit ecc. », scrive il supposto Benedetto Petroburgense: e noi possiamo
facilmente ritenere Corrado a capo di soldati raccogliticci inviatigli da Pisa
« che non poteva aver dimenticato il procedere dell'arcivescovo nel 1172 i>,
da Firenze in cui <c l'odio contro di lui durò fin che visse la generazione
d'allora », da Lucca e Pistoia « che s'erano vedute tradite da lui ai vicini
loro nemici », dai nobili di Val d'Arno « che avevano il più urgente e im-
mediato interesse di tor via l'arcivescovo tedesco che dovevano temer di
trovare, fra poco, in luogo dei loro nemici patrii, gli Uberti » vinti da poco,
da Ugolino da Spoleto (4). vSono questi i coauttores del marchese Corrado di
cui parla il nostro documento : l'imperatore dovrà rendere pienamente la sua
grazia ai marchesi di ÌMonferrato, a Raineri© conte di Biandrate, ai figli Boni
comitis, agli ISpoletini <: et aliis hominibus qui propter dominum C. iram
domini imperatoris incurrerunt ». Noto subito che per risolvere quel C. che
potrebbe a rigore significare cosi Corrado come Cristiano, propendo per il
primo significato. La frase è infatti ripetuta in modo quasi identico, ma per
esteso, nel giuramento del conte Heinrich von Diez : « Ego comes Henricus
Dediest iuro supra sancta dei evangelia quod bona fide observabo conven-
cionem, ecc.. et insuper faciam quod dominus inperator et rex Henricus
restituent C. Marchionis Montisferati filium in plenitudine gratie sue et iram
et omnem suam indignationem remittent coaintoribus eius guani propter
ipsum Ctuir aduni incurrerunt ». Io ritengo tuttavia che a quel propter Cun-
radum non si possa attribuire nessun peso per determinare le intenzioni dei
suoi coauttores che evidentemente, come or ora notammo, furono spinti non
tanto dagli incitamenti di lui quanto invece da veri interessi propri ad en-
trare nel complotto. Per questo la questione non ha importanza che per
ristabilire il testo. A questi coazittores nominati nel giuramento dell'ar-
civescovo prigioniero, va aggiunto il conte Aldeprandinus che trovasi
nominato in quello del conte Enrico von Diez, e che poi giura a sua volta.
Si potrebbero per costui ripetere le osservazioni che ho fatte più sopra ri-
guardo al padre e al fratello di Corrado: anch'egli, come quelli, cerca di
diminuire la propria responsabilità facendosi quasi terzo nel grosso affare;
anch'egli, come quelli, c'entra invece pienamente e direttamente. E uno di
(i) Chronicon Casauriense, in Muratori, R. I. SS., II, 2, 910 (Iaffk, II, 13409).
(2) Op. cit., Ili, pag. 60.
(3) Vedi il doc. in fine. Notevole tra essi è il conte Rainerio di Biandrate.
(4) Tolgo l'enumerazione dei congiurati, che è poi quella del citato Gesta Heinici et
Ricardi, e le ragioni particolari del loro odio dalla grande opera del Davidsohn citata. I
brani tra « » sono a pag. 562.
326 PIETRO TORELLI
quei nobili toscani che abbiamo testé veduti pieni d'interesse a toglier
di mezzo Cristiano di Magonza, e una rapida scorsa alle notizie che ab-
biamo di lui ci fa ritenere non ottime anche le sue disposizioni personali
verso l'arcivescovo. Fatto già nel 1163 conte palatino da Rainaldo di
Dassel,il grande predecessore di Cristiano di Magonza, ci appare dal 11 70
fedele alleato di Pisa, capitano di parte delle sue milizie nella guerra contro
Lucca, fra gli amici di quella città nella lega con Firenze del 4 luglio 11 71,
a capo, con Guido Guerra, dei conti toscani nell'assemblea generale tenuta
dai grandi e dalle città dell'Italia media in Siena nel 11 72, e qui appunto
presente il 28 marzo al bando dell'impero pronunciato da Cristiano contro
Pisa da lui fino allora tanto favorita, rifiutatasi ora di eseguirne i comandi.
Questo è per noi un momento notevole nella vita del conte Aldobrandino:
quantunque presente alla pronuncia del bando, non si ritiene autorizzato ad
abbandonare l'amica città, ma combatte, dopo brevissimo tempo, in suo fa-
vore. Di qui nacque l'ira dell'arcivescovo verso di lui che tentò di punirlo
mandando Guido Guerra coi soldati sanesi a guastare i suoi beni posti tra
Monte Amiata e Grosseto: ma il conte si trovò ben preparato a riceverli
né gli mancarono gli aiuti dei suoi amici, i Pisani. Pare che l'inimicizia così
sorta tra lui e l'arcicancelliere si spegnesse quando nel febbraio 11 73 in
Foligno Cristiano lo riaccolse nel suo favore, ma era a tutti palese che
l'arcivescovo cercava con questa e con altre simili arti di assicurarsi alle
spalle poiché rivolgeva appunto allora le sue mire ad Ancona. E non a lungo
durò certamente la interessata riconciliazione se l'Aldobrandino persistette
nella sua costante politica: già nello stesso anno é coi Pisani, i Fiorentini
e i conti della casa Ardenghesca in guerra contro Siena, Pistoia e Lucca, e
ancora nel 11 75 alleato con Pisa e Firenze, nemico dei Sanesi, è il 16 agosto
da questi fatto prigione e costretto ad allearsi con loro (1). Io non lo trovo
più oltre, ma le disposizioni dell'animo suo contro l'arcivescovo e Siena a lui
fedelissima, mi sembrano sufficientemente provate, il suo interesse e la sua
partecipazione alla cattura di quello giustificatissimi.
Poiché abbiamo già osservato di quale amicizia fosse legato il conte
Raineri© di Biandrate a Corrado di Monferrato, poiché tutti i membri di
quella famiglia figurano nei documenti della fine del sec. xil e principio
del XIII quasi sempre a lato dei Marchesi di Monferrato « quasiché ne fos-
sero satelliti » (2), non mi pare sia da cercarsi più in là la ragione della
partecipazione di Rainerio a questa guerra e il conseguente sfavore dell'im-
perator Federico. Non possiamo invece pensare ad un rapporto personale coi
Monferrato, ma piuttosto ad un interesse proprio ed immediato rispetto agli
altri coaiittores di Corrado; gli alii hopiines colla quale generica espressione
devonsi intendere i Pisani, i Lucchesi, i Pistoiesi, i Fiorentini e i nobili di
Val d'Arno pei quali valgono le ragioni che già vedemmo esposte dal Da-
(i) Davidsohn, op. cit., passim. Rilevo dal doc. 293 di Ficker, Forsch. ecc., 1221
maggio 17, che il conte Ildeprandino, figlio di questo, venne da Federico li preposto proprio
a Poggibonzi, la terra ond'ebbe origine la potenza dei Monferrato in Toscana. V. anche in
proposito i tre doc. seguenti.
(2) L cosa notoria e indiscussa, ma riporto l'osservazione dal voi. I di prefazione al
Codex Astcnsis edito da Quintino Sella perchè risultò all'editore spontaneamente e diret-
tamente dai molti docc. che in questo codice noniinaim i Rinndralc.
IO
I PATTI DELLA LIBERAZIONE DI CRISTIANO DI MAGONZA 327
vidsohn; e g"li Spoletini i quali, a dir vero, non sono ricordati nelle cronache
come popolo, rammentando esse invece uno dei più insigni nobili della città,
Hugelinus de Valle Spolete. Il nostro documento ci fa credere che tutta la
città di Spoleto partecipasse, forse rappresentata da questo Ugolino, alla
congiura ; ed io vedo in ciò una certa relazione con un fatto accaduto
parecchi anni prima. Nel 11 55 gli Spoletini facevano prigioniero Guido
Guerra che incaricato dall'imperatore di recarsi in Apulia per comunicare a
quelle città i suoi comandi in rapporto specialmente al contegno da tenersi
verso il re di Sicilia, s'era fidato della ospitalità di Spoleto. Nel fatto dav-
vero sorprendente, non riscontrando né '< l'intenzione di procurarsi un ostaggio
per estorcere un trattamento mite dall'imperatore che si avvicinava » né sem-
brandogli « sufficientemente giustificato dall'odio contro i tedeschi e i loro
partigiani », il Davidsohn (i) volle vedere la mano di Firenze, mortale nemica
del conte Guido. ^la a parte possibili ragioni d odio verso Cristiano in par-
ticolare, la partecipazione rivelataci dal nostro documento di tutta Spoleto
alla congiura contro l'arcicancelliere dell'impero può farci forse con maggior
probabilità supporre una costante avversione della città al partito imperiale,
e l'odio contro i tedeschi e i loro partigiani può assumere da questa nuova
luce un'importanza decisiva a spiegare anche il non dissimile avvenimento
del 1155.
Ignoti alle cronache, sono invece enumerati dal nostro documento tra i
coauttores di Corrado di ^Monferrato anche i filii Boni coniitis. Ecco il non
amplissimo risultato delle mie ricerche intorno a costoro: il 17 dicembre 1177
ad Assisi l'irnperatore Federico I confermava, dietro preghiera dell'abate
Lorenzo, al chiostro di S. Leucio sulla collina di Todi i suoi diritti e pos-
sessi, liberandolo da tutte le contribuzioni ad eccezione del fodro regio.
Imponeva, secondo la consueta formula, a tutti di rispettare tali diritti e
beni, ma « nominatim... filiis Bonicomitis prò ecclesia Sancte Marie de Gra-
dellis » ch'era una delle chiese appartenenti a S. Leucio (2). Ancora, il
1° gennaio 11 78 ad Assisi l'imperatore concedeva alla città di Fermo la
propria grazia e vari privilegi : era fra i testimoni un UgoUnus Bonicomitis (3).
Un lohannes Bonicomitis è nominato poi in un atto del maggio 1198 fatto a
Castiglione Chiusino quale potestas et rector civitatis Perusii (4). Ancora trovo
un Bonuscomes conte di Montefeltro e d'Urbino testimonio il 20 gennaio 12 io
ad un atto imperiale fatto presso Chiusi (5), e ad un altro l'ii ottobre del-
l'anno stesso in Comitatn Tudertino (6). jMì par difficile, per ragion della data,
che fosse questi il padre di quell'Ugolinus e di quel lohannes: l'ho ricordato
per scrupolo di ricerca, dolente di non poter dire di piìi forse solo per la
mancanza in cui mi trovo di storie locali. ^la ritengo invece non improbabile
che appunto quell'Ugolinus e quel lohannes siano non lontani dai nostri Jilii
(i) Op. cit., pag. 455-56.
(2) Edito in Stu-mpf, Ada imperii, doc. 492, nel voi. Ili dei Reichskanzler ecc. Nota che
la data del luogo è una congettura del Bethmann dalla parola Asco...um del documento.
(3) Stumph, op. cit., doc. 49:^
(4) FiCKER, Forschungen ecc., IV, n. 201.
(5) BÒHMER, Regesta Imperli, 2^ ed., V, n. 34S.
(6) BoHMER, op. cit., V, n. 441.
II
328 PIETRO TORELLI
Bonicomitis per il luogo in cui vivevano e per l'autorità loro personale: lo'
hannes, vedemmo, fu podestà di Perugia, Ugolinus non è per lo meno tra
gli aia quamplurimi, turba senza nome ricordata spesso come presente ai
documenti imperiali (i). Certo poi, a mio vedere, sono gli stessi del nostro
documento i filii Bonicomitis del privilegio a S. Leucio che ricordai per
primo (17 dicembre 1177): dei quali mi pare in somma possa con sufficienti
probabilità concludersi che dovean essere nobili dell'Italia media, nemici
dell'arcivescovo di Magonza per ragioni non dissimili da quelle di tanti altri
potenti e delle città che vedemmo collegate ai danni di lui.
Compiuto adunque con questi alleati l'audacissimo colpo Corrado pensò
subito di mettere al sicuro il prezioso ma altrettanto pericoloso prigioniero ;
questo par che significhino le frequenti tramutazioni d'uno in altro castello.
Corrado, scrive il supposto Benedetto Petroburgense, « iniectis in eum (Cri-
stiano) manibus tenuit et in compedibus ligatum incarceravit: primo in ca-
stello quod vocatur Sanctus Flavianus, secundo incarceravit eum in Roca
Wenais, tercio incarceravit eum apud Aquampendentem ». L'ubicazione di
questi luoghi parve importante al Ficker: « Non conosco » scriveva « né
S. Flaviano, secondo il Theiner, I, 20, vicinissimo a Montefiascone, nò Rocca
Venere, la cui situazione potrebbe dare ancor più vicina spiegazione del
cerchio d'azione di Corrado » (2). E con lo stesso scopo indagò l'Ilgen la
situazione di Rocca Venere senza arrivare ad una conclusione certa. Trovò
nel Dizionario geografico della Toscana del Repetti (V, 689) l'indicazione di
due luoghi dal nome Venere : uno presso Arezzo sulla sinistra dell'Arno in
pianura al quale non conviene l'aggiunta di Rocca, l'altro nella giurisdizione
di Lucca che con molta maggiore probabilità appare, secondo l'Ilgen, essere
il nostro. « In questo caso » concludeva ammettendo senz'altro l'accennata
ipotesi del Ficker sull'autorità di Corrado nell'Italia centrale, « si ha a pre-
sumere che la luogotenenza del marchese si estendesse anche su territori
della Toscana propria, dove sta anche la terra e corte di Poggibonzi e Mar-
turi » (3), di cui abbiam visto più sopra.
È quest'ultima una coincidenza che piace senza dubbio ma alla quale
possono muoversi obbiezioni molto gravi. La luogotenenza di Corrado di
Monferrato è, ricordiamolo bene, un'ipotesi, e un'ipotesi già difficile per se,
quando si pensi al tempo non breve durante il quale il marchese avrebbe
tenuto tale ufficio, dal 1 172 cioè, come ritiene il Ficker, alla pace di Venezia,
senza che ce ne rimanga alcuna notizia sicura. Se poi alla lunghezza del
tempo aggiungiamo una considerevolissima ampiezza di territorio, la man-
canza assoluta di tali notizie comincia a diventare un dato serio contro
l'enunciata ipotesi. Perchè è bene tener presente che se da Camerino a Mon
tefiascone e ad Acquapendente s'attraversa gran parte d'Italia nel senso della
sua larghezza, da queste località al Venere proposto dall'llgen (nel manda-
(i) Di un Lconardus Bonicomitis clie dovrebbe pur convenire per l'epoca e per la qua-
lità sua, non trovo che un figlio lohannes, podestà di Terni, che giura fedeltà alla chiesa
nel 1236. — BòiiMER, op. cit., V, n. 13220, edito in Thiìiner, Cod. dipi., I, 102.
(2) Forsc/iungcn, cit., II, pag. 237, in nota.
(3) Ilgen, op. cit., pag. IO, nota i.
\2
I PATTI DELLA LIBERAZIONE DI CRISTIANO DI M AGONZA 329
mento di Pescia a 23 km. circa ad est-nord-est di Lucca) corrono nel senso
della lunghezza della penisola forse più che 200 km. E un così gran tratto
di paese che mi par strano ne fosse affidata la luogotenenza al giovane
Corrado, e più che non ce ne resti memoria : soprattutto in (\vie\V inventario
degli atti dell'Archivio del Monferrato redatto da Pietro Antonio T.anzoni
di cui ho fatto cenno nelle prime righe di questo studio, e che per la
maggior parte degli atti è un vero e proprio regesto- Ebbene: qui, fra le
numerose concessioni imperiali ai vari membri della famiglia, nulla ricorda
la luogotenenza che si vuole concessa a Corrado e che, di tanta durata e di
così ampio territorio, non avrebbe certo formato la più piccola tra le glorie
degli Aleramici.
Non siamo così giunti certamente a risultati positivi, ma tali da con-
fortarci nell'opinione già, mi pare, per sé stessa fondata che difficilmente
l'arcivescovo potè esser condotto da iNlontefiascone fin quasi nell'estrema
Toscana settentrionale e di là ancora riportato ad Acquapendente, vicinis-
simo cioè a Montefiascone. Ne concludo che Rocca Wenais dev'essere un
luogo non lontano da questi due paesi ed anzitutto osservo: come mai s'am-
mise come cosa -eerta che Rocca Wenais equivalesse a Rocca Venere ? Lin-
guisticamente almeno le due voci non corrispondono affatto. Poniamo anzi-
tutto esatta la grafia del cronista : il W corrisponderebbe ad un italiano Gn,
non mai ad un Ve. Notiamo che vicinissimi o anzi nel cerchio d'influenza
d'una dominazione spoletana, cioè a dire longobarda, una voce tedesca quale
IVenais non sarebbe né strana né improbabile. Ma anche ammettendo che
il W sia un arbitrio, spiegabilissimo, del cronista, anche a Venais non po-
trebbe affatto corrispondere un Venere. Bisognerebbe insomma ammettere
che il supposto Benedetto Petroburgense scrivesse o avesse intenzione di
scrivere Wenais, cioè a dire We?iaris, o forse Venaris per dedurne una deri-
vazione dal Veneris latino e un mutamento nel Venere italiano. Bisogne-
rebbe insomma supporre troppo quando non c'è ragione di farlo. L'evolu-
zione natur^ile della parola ci porta dunque piuttosto a un Gitene o Vene (i)
o ad una voce somigliante che non saprei precisare (2). Avverto adunque
che notai per esempio in Winkelmann : Acta imperii inedita, negli Sta tuta
officiorum editi nel voi. I un Rocca de Venis Rubeis (Venarossa) e, è quanto
preme veramente, molte Vena presso Ascoli. La non eccessiva distanza dei
luoghi mi fa dunque concludere che sebbene siano riuscite vane le mie
ricerche geografiche, la inesattezza certa di quelle altrui consente la suppo-
sizione a fil di logica ragionevolissima che Rocca Wenais fosse di fatto
vicina a Montefiascone o ad Aquapendente. Vedremo più innanzi di S.Flaviano.
(i) O forse Gueiiie o Ve ine ? Cfr. Neveis r=L Neive (presso Alba).
(2) È strano adunque che il Ficker e l'Ilgen rendessero senz'altro Wenais con Venere.
E strano ma non nuovo: nel volume di prefazione al codice Malabayla edito da Quintino
.Sella, a proposito dei luoghi soggetti ad Asti citati nel repertorio del Codice (pag. 294; è un
allegato di Pietro Viare.ngo) si legge: « Veneis = Venere, luogo distrutto dove poscia
venne edificata la villa di Mango o >Iangano nelle cui vicinanze ritiene il nome di Avene
un'antica torre che segna il luogo di Venere ». A farlo apposta, neppure Avene corrisponde
al Veneis : « è oltreniodo improbabile la sua dipendenza da Vetieis, e la sua presenza sarà
casuale», mi scrive l'illustre prof. C. Salvioni, la squisita gentilezza del quale mi pose anche
in grado di affermare tutto quanto di esatto ho detto in questa questione linguistica.
13
42 — Mise, S. HI, T. XIII.
330 PIETRO TORELLI
Reso cosi innocuo il bellicoso arcivescovo, privato così di un capo legit-
timo ed attivo il partito imperiale in Italia, d'un sostegno validissimo papa
Alessandro, Corrado di Monferrato partì alla volta di Costantinopoli per
concretare coU'autore principale del fatto, l'imperatore Emanuele Comneno,
la condotta che si sarebbe tenuta e fissare il destino del malcapitato Cristiano.
Partì lasciando la custodia del prigioniero al fratello Bonifacio: grave
circostanza che determina senz'altro la connivenza dell'intera casa dei Mon-
ferrato all'opera di Corrado. Se questa connivenza è dissimulata, come già
notammo, nei patti della liberazione, non è meno confermata o dal fatto che
partendo l'uno dei fratelli accorre subito l'altro in sua vece a reggere le
sorti della guerra nell' Italia media, o (il che pare anche piìi conforme al
puro e semplice linguaggio delle fonti: « tradidit eum (Cristiano) Bonifacio
fratri suo custodiendum » (i)), dalla presenza, che già da tempo durasse di
due figli del marchese Guglielmo alle ostilità aperte contro il rappresen-
tante dell'imperatore in Italia. Solo il padre si tiene in disparte per salvarsi
una via aperta alla riconciliazione presto o tardi necessaria coll'Impero,
ma giù neir Italia centrale sul campo dell'azione combattono le due più
valide spade della famiglia (2), combatte un rappresentante degli amici fede-
lissimi conti di Biandrate, e con tutta probabilità anche (e come mai altri-
menti si troverebbe qui ?) il capo di un'altra importante famiglia stretta da
vincoli di parentela e d'amicizia coi Monferrato : Guglielmo marchese di
Palude (3). E costui noto soprattutto per essere stato poi nel 11 85 podestà
e rettore della Garfagnana e Versilia per l'imperatore (4) nei suoi rapporti
col quale seguì le identiche vicende dei Monferrato e dei conti di Biandrate.
Lo troviamo infatti spesso testimonio ad atti imperiali (5), ma non nel breve
periodo in cui quelli dovevano essere in disgrazia del sovrano. Dei rapporti
precisi del marchese Guglielmo di Palude coi INIonferrato, oltre all'accennata
parentela non so molto; appaiono tuttavia sempre ottimi non ostante che il
primo si facesse cittadino d'Alessandria nel 11 78, perchè ciò avvenne proprio
in uno dei brevi momenti di pace tra la città e i Marchesi (6). Del paese
che diede il nome alla sua nobile famiglia, Parodi, Guglielmo di Monferrato
s'impadronì, com'è noto, nel 11 66: è notevolissima a questo proposito un'os-
servazione degli annali di Cafifaro : « Ilio tempore Willielmus Montisferrati
Marchio qui antea non fuerit tante laudis, tanteque magnitudinis, eo quod
Dominus Fredericus Imperator sibi multos honores contulerat, et villas,
(i) Cesfa Henrici cit., in Mon. Cerni. Hist. SS., XXVII, pag. 100.
(2) Bonifacio, tanto noto per le poesie dei trovatori, di Rambaldo di Vaqueiraz soprat-
tutto, non è ricordato in nessun documento più antico del nostro dopo l'accenno nella pace
di Guglielmo con Vercelli, i aprile 1177. Si credette finora che la prima a farne menzione
fosse poi una carta dell'S agosto 11S2, edita in J\foii. Hist. Pafr., Chart. I, 910. — V. Cek-
RATO, ]^a famigtia di Guglielmo il Vecchio march, di ìMonferrato in Riv. Star. Ital., voi. I,
1884, e Bradkr, Bonifaz ecc. cit., pag. 20, n. 8.
(3) Sposò Matilde, sorella del maich. Guglielmo di iMonferrato.
(4) GiKSEKRECHT, op. cit., VI, HO. — FiCKEK, Fo>schunge7i, cit., 158, 302 e dei docu-
menti 156 e 158.
(5) In Stumpf dal 1178 al 1196, ed anche, fino a (luest'anno, in Moriondo, Monuiiiriita
Aqncnsia, II, 638 coi figli del conte Guido di Biandiale. Ricorre non di raro, naturalmente,
nel Liber jttriiim rcip. laniwnsis.
(6) MoRiONUo, op. cit., voi. I, col. 72.
14
I PA.TTI DELLA LIBERAZIONE DI CRISTIANO DI MAGONZA 33 1
terras et castra ditioni et dominio eius supposuerat, lanuensibiis damna et
incommoda callide et fraudulenter exquisivit » (i). Ignoro come il paese
venisse poi nelle mani di Guglielmo di Palude, se per investitura del mar-
chese di Monferrato o meno: certo quegli lo restituiva a Genova il io
maggio 1171 giurando fedeltà alla repubblica (2). Ma sono in grado di
far notare che rapporti di carattere feudale durarono certamente tra le due
famiglie. Il marchese Guglielmo di Monferrato investiva intorno al 1190 il
nostro Guglielmo di Palude della terra di Castelletto. Ce lo dice un
esame di testimoni « super factum Castelleti » fatto nel 1220, in cui tutti
rammentano che da circa trent'anni era avvenuta tale investitura (3), E
poi noto che Guglielmo di Palude aveva investito i Monferrato di Solaria:
lo ricorda il marchese Bonifacio basandovi in parte le proprie pretese su
Alessandria fondata con gli abitanti di vari borghi tra cui Solaria, nelle
petttiones fatte «in praevio pacis tractatu circa annum iigg^) (4).
Non questi soli seguivano Corrado e Bonifacio di Monferrato nella cam-
pagna contro Cristiano di Magonza: tra i testimoni e i mallevadori al nostro
documento troviamo altri senza dubbio sudditi di quei marchesi. Primo e
importante Obertus Pastronus de Vignale : in questo borgo dipendente dai
Monferrato la famiglia Pastroni era forse la maggiore. .Si rese piìi tardi trista-
mente famosa nella storia del suo paese perchè tradì, insieme ai Secchi, il
castello di Vignale agli Alessandrini uccidendo il castellano del marchese
Guglielmo V (5). Dei tempi che ci riguardano trovo ricordati vari autorevoli
membri di questa famiglia, un Gualla Pastronus de Vignali soprattutto in
frequente rapporto coi jMarchesi di Monferrato (6). Un Obertus, espressa-
mente, no, ma non è forse dissimile dal nostro un Pastronus che nel 11 78
era testimonio alla concordia tra il marchese Guglielmo e Alessandria (7) e
poi nel II 98 era « frater hospitalis de lerusalem et commandator mansionis
(i) Oberti Cancellarii, Annales lanuenses, in Annali genovesi di Caffaro e suoi conti-
nuatori. Foìiti per la storia d'Italia, Roma, 1890, pag. 193. ] Genovesi ne portarono querela
all'imperatore. V. Canale, Nuova Istoria della Rep. di Genova, I, 175.
(2) Liber jtirium Genuensium in Man. Hist. Patriae.
(3) Archivio Gonzaga, Arch. del Monferrato. Nel già ricordato inventario del Lanzoni
il documento è così indicato: « Attestationes quattuor testium examinatorum super facto
Castelletti, quod fuerat Guidi (per Guillielmi) de Pallodio. 9 oct. sine millesimo». Ma che
siano del 1220 è dimostrato da altri esami testimoniali sullo stesso fatto compiuti il 7 ott. e
il 26 nov. appunto del 1220. Questi ultimi, che non sono in questo archivio, erano pur noti
al Moriondo che ne dà un breve transunto nei Monumenta Aquensia, voi. II, col. 650. Il
« factum Castelleti » è la questione che durò a lungo tra Alessandra e i Monferrato intorno
al possesso di questo paese, per cui vedi, sempre in Moriondo, voi. I, col. 68, 117, ti8, 135
e soprattutto 137 in un Additamcnticm alla pace del 1203, in cui è data la ragione che diede
luogo all'accennato esame testimoniale. Vedi del resto De Conti, Notizie storiche della
città di Casale, ecc., voi. II, pag. io, 11.
(4/ Moriondo, op. cit., voi. I, col. 118. La cosa è riconfermata in una « Investitura sin-
dici canonicae S. Martini Turonensis de curte Solarla Bonifacio marchioni Montisferrati »,
ibid., voi. II, col. 374. Era vicinissima a Castelletto, come risulta dal citato esame testi-
moniale.
(5) Benvenuto S. Giorgio, in Muratori, A'. /. .S"^"., voi. XXIII, col. 402. V. anche il
doc. n. 757 del Cod. Astense.
(6) Fu nel 1193 dato da Bonifacio in ostaggio ad Asti. Cod. Astense, n. 729. Nel 1206,
30 apr., giurò una pace tia Guglielmo, figlio di Bonifacio, e Asti, eod. loc, n, 734, e vedi
anche il n. 626.
(7) MoRTovDo, op. cit., voi. I, col. 72.
15
332 PIETRO TORELLI
eiusdem hospitalis site in Ast » (i). É facile supporre che la elevata carica
di coinmmidator gli fosse stata data per essersi distinto alla crociata. Suddito
e compagno dei giovani marchesi Corrado e Bonifacio nelle loro imprese
d'Italia e per questo presente e testimonio all'atto nostro, seguì forse i suoi
signori in Oriente: meglio Corrado che partito nel 1187 veniva ucciso nel
1192. Fatto cavaliere dell'ordine degli Spedalieri il nostro Pastronus tornò
in patria dopo la morte del suo signore ed ebbe nella vicina Asti l'ufficio
di cui lo vediamo onorato (2). Comunque sia, del resto, la qualità della sua
famiglia pone il nostro Pastronus immediatamente dopo i conti di Biandrate
e il marchese di Palude nel seguito dei Monferrato,
Di fatto anzi nel nostro documento trovasi il Pastronus forse preposto
al marchese di Palude se questo entra come mallevadore, quello invece
giura senz'altro insieme a Bonifacio di Monferrato. Ritengo tuttavia che
questi e gli altri che giurarono col detto marchese, cioè Alprandinus de
Santo Marco, del quale non so nulla affatto (3), e Ugolinus Valencie di cui
dirò subito, avessero importanza grande soprattutto come vassalli dei Mon-
ferrato, e per questo si facessero giurare con lui allo stesso modo con che
si voleva che due grandi vassalli dell'arcivescovo di Magonza, Werner von
Bolanden e Hartmann von Bùdigen giurassero di far osservare i patti accet-
tati dal loro signore prigioniero. Si vuole insomma nel giuramento dei
vassalli, che del signore costituiscono in fondo la forza effettiva, una ga-
ranzia personale che non si presteranno alla violazione dei patti quando
il loro signore la volesse, ma faranno anzi valere una volontà propria, indi-
pendente, opponendovisi. Coloro invece che intervengono come mallevadori
sono persone d'importanza grande per sé stesse, indipendentemente dai
loro rapporti coi Monferrato, come vedemmo di Guglielmo di Palude e
come vedremo degli altri.
Che Ugolinus Valencie sia un suddito dei marchesi del Monferrato non
mi par dubbio. Valenza, posta tra Casale Monferrato e Alessandria, la pic-
cola città che nel 1207 veniva dal marchese Guglielmo, figlio del nostro
Bonifacio, venduta a Pavia (4), era nel tempo che ci riguarda tra le loro
più ragguardevoli proprietà. Quest'Ugolinus è certo, per me, una sola per-
sona coir Ugone de Valentia che era testimonio all'atto di concessione di
S. Quirico a Siena fatta dall'arcivescovo prigioniero per ottenere dai Sanesi
il pagamento di parte del riscatto che doveva ai Monferrato (5). Veramente
il documento posto in confronto con altro della stessa data, di cui parlerò
più avanti, porta a questa mia opinione una grave difficoltà: dice il primo:
(1) Cod. Astcnsc, cit., n. 632.
(2) Sperai tuttavia invano di ritrovarlo qualclie volta come testimonio nei Regesta Regni
HierosolyinUam del Ròhricht.
(3) Noto tuttavia, per mostrare non nuovo il cognome nel territorio Monferratense o
vicino, nel Cod. As/etise, un notaio Philippum de Sanctomarcho Catule al n. 9S0, e un Petrus
de Sancto Marzo al n. 931.
(4) Guglielmo la cedette onde trarne il danaro per recarsi dal fratello Demetrio in Oriente.
Pare anzi che si aggiungesse più tardi al contratto una clausola di rivendicazione per cui si
ritenne data in pegno la città. Vedi R. Ma.iocchi, Valenza venduta a J\ivia nel 1207 in
Arch. Stor. Lotub., Serie III, voi. XVMII, 1902, pag. 361.
(5) .Se ne riparla più avanti.
16
I PATTI DELLA LIBERAZIONE DI CRISTIANO DI MAGONZA 333
« Acta sunt hec in castro Montisfrasconi coram Ugone de Valentia, Valen-
tiano et Trasramundo eiusdem castri ». Se si riferisce il castri a Valentia,
come parrebbe più naturale, la mia opinione cade perchè gli altri due testi-
moni sono dal secondo documento dimostrati abitanti di Montefìascone, e il
Valentia diverrebbe il nome forse del paese originario posto chissà dove
di tutti e tre i testimoni, Ugone compreso, che, come abitanti della provincia
di Roma nulla più avrebbero a che fare coi seguaci monferrini del marchese
Corrado. Ma nel secondo documento l'Ugone non si trova e allora sarebbe
stato necessario l'apporre al nome degli altri il de Valentia, il che non
avviene. Riferisco adunque il castri al più lontano ma consonante castro
Montis frasconi, e resto così nell'opinione che l'Ugone de Valentia sia
un altro suddito che segui Corrado e Bonifacio nella loro campagna del-
l'Italia centrale (i).
Espongo per puro debito di compiutezza il magro esito delle mie ricerche
su un'altra persona che potrebbe supporsi seguace dei marchesi di Monfer-
rato. Si trova fra i mallevadori un Magister Elemosina. Notevole è che lo
stranissimo nome non rinvengo affatto se non dato ad un Arcliipresbiter de
Quargnento, in un certo rapporto coi Monferrato perchè era presente alla pace
del II 78 tra il marchese Guglielmo e Alessandria (2), che divenne poi pre-
posto dei canonici d'Asti. In tale qualità lo trovo dal 1182 al 11 97 nel primo
volume Chartarum dei Monumenta Historiae patriae [^ ,r\e\ 1193 e 1197 nel
Codice astense edito dal Sella (4) e in Ughelli (5), nelle modificazioni Ely-
mosina, Ahnosna, Alnioina. D'altra parte avverto in De Conti (6) che vari
prepositi ed anche non pochi canonici (qui dice espressamente della chiesa
casalense ma può supporsi anche d'altrove) si chiamarono magistri. Cosa
faceva un canonico al seguito dei due bellicosi giovani marchesi ? (7).
Mi par dunque di poter concludere da queste più o meno fortunate
ricerche che la spedizione di Corrado di Monferrato nell' Italia media non
ebbe carattere strettamente personale, ma poggiò sulla più larga base del
consenso unanime dell'intera famiglia.
Proseguo nella esposizione dei fatti : non dopo la morte di Emanuele
Comneno, come si andò da tutti ripetendo sin qui, ma nel momento in cui
falliva lo scopo per il quale s'era fatto prigione l'arcivescovo, soltanto cioè
dopo pochi mesi dal suo arresto, come subito vedremo, il marchese Boni-
facio, sentito indubbiamente il consiglio del padre, veniva con Cristiano di
(i) Ma mi par difficile stabilire rapporti di questo persona.2:gio con un Ugolinus de
Valencia che a mezzo de' fratelli Iacopo e Anselmo si rende cittadino di Vercelli nel 1191.
Documento senza mese e giorno in 31on. Hist. Patriae, Chart. I, n. 648.
(2) MoRiONDO, op. cit., I, col. 72.
(3) Doc. n. 594, 595, 619, 699, 700, 706, 1593, 1655.
(4) Doc. n. 918 e 919.
(5) Astenses Episc, tomo 4. Il march. Bonifacio acquistò da lui IMoncalvo.
(6) Notizie storiche di Casale, voi. I, pag. 253.
(7) Peggio forse mi trovo rispetto al Fredericus filius Lantegravii. È questo nome nel senso
di marchese ? E può allora pensarsi ad un Federico figlio del marchese Guglielmo, uomo
di chiesa e non marchese, citato da Sicardo Cremonese (Vedi il citato studio del Cerrato,
Sitila famiglia di Guglielmo il Vecchio) e più tardi, se pure è lo stesso, vescovo d'Alba?
Avremmo allora tre dei Monferrato nell'Italia centrale. Ma l'ipotesi mi pare anche più che
arrischiata.
17
334 PIETRO TORELLI
Magonza a quelle trattative che sono oggetto del nostro documento. È qu'esto.
si noti, senza data né di tempo né di luogo, ma fortunate circostanze ci
aiutano a determinare il primo con certezza pur lasciandoci sul secondo
gravi dubbi.
Un elemento intrinseco del documento stesso esclude intanto che fosse
fatto dopo la morte di Emanuele Comneno. Morì questi il 24 settembre 11 80.
E assurdo pensare che la notizia giungesse in Italia entro il mese, e del
resto a che sarebbe valsa la garanzia prestata dai mallevadori « usque ad
kalciidas Octubrìs »? Bisognerebbe credere che il documento si facesse in
principio dell'anno dopo; ma mancherebbe ugualmente il nesso colla morte
del bizantino già troppo lontana, e d'altronde vi si opporrebbe prima il
documento sanesc di cui parlerò subito, poi il fatto che si dovrebbe di
troppo prolungare la prigionia dell'arcivescovo pensando anche all'andare e
venire dei messi di Germania per l'adempimento delle condizioni dal docu-
mento stesso imposte.
A risultati positivi ci portano invece altre considerazioni: dei xii inilia
perperortim che secondo i patti Cristiano doveva pagare per la sua libera-
zione, 400 libre denariorum furono sborsate da Siena, in compenso di che
Cristiano confermò a questa città tutte le sue consuetudini e diritti antichi
e le cedette le ragioni imperiali su S. Quirico, sulla metà castri Muntieli e
sulle porte di Siena stessa (i). Questo ci é fatto noto da un documento con-
servato nell'Archivio di Stato di Siena (2) ed edito dal Muratori (3), dato in
Montefiascone il 2 febbraio 11 80, che é quanto dire dato dall'arcivescovo
durante la sua prigionia, circa quattro mesi dopo la cattura. Ora, siccome
vi é detto espressamente che tale danaro doveva pagarsi ai nunzi di Cor-
rado di Monferrato (si noti che anche qui come nel nostro documento Boni-
facio agisce sempre nel nome del fratello quantunque già lontano, in Oriente),
é chiaro che dovevano già essere stipulati i patti tra i quali eKi appunto
una somma di danaro da pagarsi per riscatto. Se il termine a quo della
redazione del nostro documento é il 29 settembre 11 79, verso il qual giorno
l'arcivescovo fu fatto prigione, il 2 febbraio 11 80 ne diventa il termine ad
(jiiciii. E se osserviamo che dalla conclusione dei patti alla redazione del
documento sanese doveva esser corso qualche tempo, non fosse altro per la
decisione presa dalla città di intervenire a favore dell'arcivescovo probabil-
mente dietro l'offerta di questi di confermarle privilegi antichi e concederne
di nuovi, veniamo per lo meno al mese di gennaio, veniamo cioè a coinci-
dere con un fatto importantissimo per noi, con la decadenza o precisamente
con la caduta dell'antipapa Innocenzo III. Importantissimo per questo: i
nuovi avvenimenti d'Italia resero dopo poco tempo presso che inutile per
l'impcrator bizantino il riuscitissimo colpo di mano compiuto a danno di
Cristiano di Magonza. Io vado più innanzi nel ravvicinamento fatto dal Prutz
(i) Il Davidsohn suppone si tratti d'una tassa d'entrata già imposta da Cristiano alle
città toscane per soddisfare alla necessità di danaro dell'imperatore e sua (op. cil., pag. 561).
(2) Non solo al fol. 25 del CalefFo vecchio dove lo vide il Davidsohn, ma nell'originale,
alla sede: Dipìomaiico. Prov. .ìrch. A'ifortnazioni.
(3) AnHquifatcs, IV, 575.
I PATTI DELLA LIBERAZIONE DI CRISTIANO DI MAGONZA 335
di questo avvenimento colla difficile situazione di papa Alessandro IH. Se
anche nelle sventure di questi entrava la mano di Emanuele Comneno che
nel rappacificamento del papa coll'imperator Federico non poteva non ve-
dere la maggiore minaccia per le sue mire ambiziose, se la cattura dell'ar-
civescovo non era che una mossa necessaria al trionfo di Landò di Sezza,
perchè staccare ora avvenimenti che corsero fin qui paralleli ? Vediamo :
appena eletto, il nuovo antipapa trovò presso un fratello di quell'Ottaviano,
la cui famiglia l'aveva aiutato a salire al soglio pontificio, una sicura prote-
zione in un suo borgo tra Roma e Palombara; ma quantunque Alessandro III
non disponesse di mezzi migliori per abbattere l'avversario, pur tuttavia con
raggiri e trattative, soprattutto per opera del cardinale prete Ugo da S. Cle-
mente della potente casa dei Pierleoni, riuscì ad alienare i partigiani del
quarto antipapa. Comperato anzi per mezzo di un'importante somma anche
lo stesso fratello di Ottaviano, consegnò questi l'antipapa insieme al suo
forte borgo alla curia romana, e cosi Landò di .Sezza, dopo quattro mesi di
pontificato, nel gennaio 1180 venne portato prigioniero a Velletri nelle mani
di Alessandro (i). Ecco adunque che dopo quattro mesi il risultato ottenuto
con la cattura dell'arcivescovo Magontino cadeva, venendo insieme a man-
care la ragion principale di trattenere il prigioniero. Forse il bizantino sentì
allora la solidità effettiva dell'unità della chiesa quantunque da Alessandro
ricostituita appena, forse vide nella caduta dell'antipapa suo protetto, nello
slegarsi di tante fila così finemente e fortunatamente conteste, una invinci-
bile necessità delle cose, vide forse il crollo delle sue speranze accarezzate
e spinte con mezzi abbondanti, largamente promettenti in principio, abbat-
tute poi ad una ad una quasi naturalmente ; e rinunciò, almeno per allora,
al grande disegno. Queste tendenze dovettero manifestarsi prestissimo dopo
la cattura, ai primi successi di Alessandro III contro il rivale, e dovette
insieme prestissimo venir mano mano a mancare l'interesse di Emanuele
Comneno a trattenere il prigioniero, venendo d'altro lato e insieme a farsi
sempre più grave la posizione de' suoi carcerieri immediati, i quali, restati,
soli, poiché erano in giuoco cominciarono a pensare di trar profitto soprat-
tutto e poi esclusivamente per sé dall'atto compiuto soprattutto per altri.
Ecco a mio vedere la ragione delle trattative iniziate prestissimo dopo la
cattura dai Alonferrato coU'arcivescovo per la sua liberazione, la ragione dei
patti del nostro documento fissati qualche mese soltanto dopo l'imprigiona-
mento, in nessun rapporto cioè con la morte dell'imperatore d'Oriente. Se
la liberazione poi si protrasse ancora di molto, fu probabilmente per l'im-
possibilità di adempiere prima a quei patti (2), ed è quindi, a mio vedere,
inesatto anche il dar qualche peso alla fortuita e d'altra parte assolutamente
imperfetta coincidenza della liberazione effettiva dell'arcivescovo con la morte
dell'imperatore bizantino, se non forse in rapporto agli interessi non dell'im-
(i) Tolgo quasi letteralmente dallo stesso Prutz, che pur non credette collegar questi
fatti colle ulteriori sorti di Cristiano prigioniero.
(2) Di fatto gli intervenuti « cautelandi securitate prestita usque ad kalendas octubris »
supponevano evidentemente già che la prigionia avreì)be potuto durare suppergiù un anno
dal 29 sett. rr79 fi'l^ kalende d'ott. iiSo) indipendentemente dagli interessi dell'imperator
bizantino.
19
33^ PIETRO .TORELLI
peratore stesso ma dei Monferrato che vedevano con lui venir meno un
eventuale alleato contro l'imperatore d'Occidente.
Rispetto al luogo della redazione del nostro documento ci si dovrebbe
decidere senz'altro per Montefiascone quando fosse davvero inoppugnabile
l'asserzione del Davicìsohn che « il castrum S. Flavianus dei Gesta Henrici
è Montefiascone » (i). Perchè, veramente, che Cristiano fosse tenuto prigione
anche in questo paese non ci dice alcun cronista ma lo si dedusse, ragio-
nevolmente dal testé citato documento del 2 febbraio 1180. La sola asser-
zione del Davidsohn può dunque conciliare questo nostro atto con le cro-
nache che ci dicono espressamente e soltanto « primo in castello quod
vocatur S. Flavianus, secundo... in Roca Wenais, tercio... apud Aquampen-
dentem ». Ma S. Flaviano è poi davvero Montefiascone? Questo risulta,
continua il Davidsohn, « da due documenti del Caleffo vecchio (Ardi.
di Stato di Siena, fol. 28^ e 2=,) del 2 febbraio 1180». Il secondo di questi
documenti è quello già più volte citato, il primo è una ^nis et reftitatio
fcitta da Girardus de Siriano per sé e per nove soldati che furono al servizio
di Siena a Tommaso console della città, di 176 libre dovutegli per stipendio,
spese e danni incontrati per tale servizio (2), e fu fatto « in burgo vSancti Fla-
viani in domo Valenzani ». Testi furono Vaknzamts, inagistcr Scopidus ed
altri, notaio '< Tras/mmdus siicv'x palatii notarius et index ». Ora, l'altro docu-
mento della stessa data, ttmte volte citato, fu fatto « in castro Montis Fra-
sconi, coram Ugone de Valentìa, Valentlano et Trasnmiido eiusdem castri »
notaio Scopulus. L'identità dei nomi fa facilmente supporre l'identità delle
persone e da questa il Davidsohn dev'esser stato condotto a credere all'iden-
tità dei luoghi, S. Flaviano e Montefiascone. Se non che, lo ha notato il
Ficker (3), S. Flaviano trovasi vicinissimo a Monte Fiascone; ed io rilevo
dal cinquantesimo dei documenti di S. Salvatore sul monte Amiata editi dal
Calisse (4) che una terra di S. Flaviano è presso l'Olpeta in quel di Valen-
tano. Quest'ultimo paese non dista più di una ventina di chilometri da
Alontetìascone e S. Flaviano poteva esser posto tra l'uno e l'altro e distare
quindi da quest'ultimo ancor meno, rendendo spiegabilissimo l'intervento
delle stesse persone alla redazione di due atti fatti nello stesso giorno nei
due luoghi. Per questo l'asserzione del Davidsohn cade, a meno che non si
voglia dare molto peso a questo fatto; il documento di S. Flaviano venne
redatto precisamente « in domo Valenztmi », e il Valentianus corrispondente
del documento di Montefiascone dice invece di essere proprio di Montefia-
scone. La cosa è risolvibile solo con una conoscenza della storia locale che
(i) Op. cit., pag. 563, nota i.
(2) Venne gentilmente comunicato dalla Direzione dell'Arch. di Stato di Siena a (]iiella
di Mantova, da copia autentica alla sede: l^ìplomalico. Prov. Arch. Riformazioni. Rilevo
da Ilgen, op. cit., pag. 60, in nota, che fondandosi su cpiesto documento « il dott. Wiìstenfeld
congettura una fazione dei Senesi per liberare Cristiano, p] poiché i consoli di Viterbo fanno
da mallevadori in quell'istrumento, ne inferisce che il populus viterbese, fiu da prima del
partito di Cristiano, abbia prestato aiuto quale alleato dei Senesi ». Mi sembrano troppo
ardite illazioni.
(3) Forschiingen, cit., 11, pag. 237, nota 7, riferendosi al Codcx dipi, dominii teiiip. Sanctae
Sedis del Thkinek. I, 20.
(4) Nell'Arch. della R. 'Società Romana di Storia patria, 1S93, voi. XVI, pag. 2S9.
20
I PATTI DELLA LIBERAZIONE DI CRISTIANO DI MAGONZA 33;
io non ho qui modo di formarmi. Esiste, veramente, quasi alle porte di
Montefiascone un antichissimo tempio di vS. Flaviano; può esso avere un
tempo formato il centro di un borgo distinto dal castello che dà ora il nome
a tutta la città? (i) Questo, ad ogni modo, vorrebb'essere confermato da ben
altri documenti : sul lievissimo appoggio di questi soli non è lecito prose-
guire od insistere, tanto più che è molto più semplice supporre che il nostro
Valentianus, pur essendo di Montefiascone, avesse una casa a S. Flaviano.
È invece necessario far notare che le fonti pongono la partenza di Cor-
rado per l'Oriente dopo il traporto di Cristiano d'uno in altro dei tre nomi-
nati castelli: S. Flaviano, Rocca Wenais, Acquapendente. Ora, siccome il
nostro documento fu evidentemente compiuto assente Corrado, nulla vieta
di credere che i cronisti non registrassero altri eventuali mutamenti di luogo
avvenuti sotto Bonifacio e spiegabilissimi se si vuole ammettere, come par
certo, che i Monferrato non si trovassero in quella regione se non come
capitani, a capo cioè di milizie soggette a cambiamenti di sede molteplici a
seconda delle esigenze della guerra. Così, trascinando Bonifacio per maggior
sicurezza con sé il prigioniero, potè questi trovarsi il 2 febbraio a INIonte-
fiascone, senza che da tutto ciò a noi resti tuttavia lecita più che una
illazione sul luogo di redazione del nostro documento: non fu né S. Fla-
viano né Rocca Wenais perchè allora Corrado essendo ancora, a quanto
lasciano intendere i cronisti, in Italia e a capo della spedizione sarebbe certo
intervenuto alla stipulazione dei patti come primo interessato, ma, salvo altri
avvenimenti a noi ignoti, o Acquapendente ove lasciò il prigioniero par-
tendo per Costantinopoli, o Montefiascone dove Cristiano trovavasi di fatto
il 2 febbraio 1 1 80.
Passo a dar notizia di coloro che sono nominati nel nostro documento
e dei quali non ebbi occasione di parlare fin qui.
Ci si offre primo il conte Heinrich von Diez (2). La grande autorità di
questo personaggio appare evidente già dal nostro stesso documento, e fu di
fatto grandissima anche presso l'imperatore. Prese nome da un suo borgo sul
Lahn dove giacevano i principali possedimenti della sua famiglia, ed ebbe
già presto una parte notevole nella storia dell'impero tedesco. Confidente
di Federico nelle cose di Germania nel 1 163, fu da lui adoprato poi frequen-
temente in importanti affari. Fu vicario imperiale in Lombardia nel 1165-66,
e come podestà di Milano e fedelissimo al suo signore si mostrò acerrimo
nemico e vessatore dei Milanesi. Lo trovo poi sempre con Federico nelle prin-
cipali riunioni e feste, e alla pace di Venezia del 11 77 fra i dodici principi
tedeschi^egli giurò per l'imperatore. Probabilmente non seguì Cristiano nella
spedizione d' Italia ma fu dall'imperatore espressamente mandato per otte-
nerne la liberazione, perchè alle feste di natale del 11 79 era ancora con Fede-
rico a Wurzburgo. Lo ritrovo poi soltanto nel 1182 alle feste delle pente-
coste in Mangonza ; giurò la pace del 1183 e sempre accompagnò il suo
signore, anche al suo ritorno in Italia. Nel 1188 fu ambasciatore presso
(i) Giulianova presso Teramo si chiamava per es. S. Flaviano da un suo celebre tempio.
(2) Nelle forme corrotte Dedie e Dediest. Vedilo del resto in Stumpf e Ficekr scritto :
de Dietze, Diesi, Dietze, Dieze, Dithse, Die.
21
43 — Mise, s. ni, T. xni.
338 PIETRO TORELLI
Saladino per disdire la vecchia amicizia con Federico che si preparava alla
crociata. Non l'ho seguito più in là di questo suo importantissimo incarico (i).
Ho già rilevato che cosa significhi il giuramento che si vuole facciano
Werner von Bolanden e Hartmann von Bùdingen : che cioè il vassallo agirà in
quel senso determinato per volontà propria, indipendente da quella del signore
e eventualmente anche contraria. Werner von Bolanden era nel 1 158 fra i capi
della rivoluzione di Magonza contro l'arcivescovo ; sedata la quale venne come
esiliato in Italia. presso l'imperatore. Dopo questo fatto lo trovo ripetute volte
a Magonza (2), troppo frammentariamente tuttavia, per la sola ragione,
ritengo, che non ho modo di consultare nò gli Ada Maguiitina di Stumpf,
nò i Regesta archiepisc. magitnt. di Bòhmer. So tuttavia che durante la pri-
gionia dell'arcivescovo il 13 aprile 11 80 si trovava con Hartmann von Bù-
dingen presente alla <-- Constitutio ducatus Coloniensis in Westfalia » (3)
fatta a Gelnhausen, ed anche, ma solo, alla « Sententia de advocatis episco-
porum et munitionibus » (4) emessa nella stessa curia ancora in aprile ma
senza data di giorno. Si trovò poi, come il conte di Diez, alla dieta gene-
rale tenuta da Federico in Magonza nelle pentecoste del 1 182. Nel 1183 era
come Reichsministerial inviato dall'imperatore a ritirare per la corona, in
forza dello Spolìenrecht, il tesoro del defunto arcivescovo Arnaldo di Treviri:
è notevole che era anche fra i feudatari di quella chiesa arcivescovile. Sempre
poi al seguito dell'imperatore, fu con lui in Italia nel 1185 e 86 e con lui
tornò in Germania dove tenne l'anno dopo prigioniero, a nome dell'impera-
tore, il vescovo Bertram di Metz. Si trova poi spesso al seguito del re En-
rico, né mi par necessario seguirlo più in là (5).
Di Hartmann von Bùtingen, oltre quanto dissi parlando del precedente,
so soltanto ch'era pur sempre ài seguito dell'imperatore: ve lo trovo per
esempio in Stumpf (6) costantemente dal 1182 al 1195.
Volli rilevare la condizione sociale di questi personaggi, forse presso di
noi poco noti, perchè si possa valutare tutta la portata delle garanzie che i
Monferrato vollero dei patti conchiusi con Cristiano. Viene da sé che del-
l'arcivescovo Filippo di Colonia principe dell'impero è inutile far parola.
Due personaggi entrano come mallevadori dei patti consacrati dal nostro
documento, il cui nome può far supporre relazioni gravissime dell'arresto
dcU'arcicancelliere dell'impero o forse di tutta la campagna dei Monferrato
nell'Italia media, con Roma e Genova. Sono questi Leo de Monumento e
Grimaldus Janue.
(i) Tolgo qua e là da Giesebrecht, op. cit. e dalle note raccolte di alti imperiali.
(2) Nei Regcslen Christians che il Varrentrapp fa seguire alla sua più volte citata
monografia dell'arcivescovo.
(3) Mon. Germ. HisL, Lcgum, II, pag. 163-64.
(4) Ibidem, eod. loc.
(5) Vedi Giesebrecht, e le Raccolte d'atti impfiiali. Del resto Werner von Bolanden è
notissimo in Germania come uno dei più importanti fra quei Rcìchsminìsterialcn che furono
innalzati dalla politica di Enrico VI. Werner comandava ad una corte feudale che si pre-
tendeva di iioo cavalieri! V. I. Loserth, Geschichte des spàteren Mittelalters. Monaco, 1903,
pag. 5 in Handbnch d. Mittcìlalt. u. Neueren Geschichte di Below e Meineche.
(6) Reichstcanter, Acta imp. inedita.
22
I PATTI DELLA LIBERAZIONE DI CRISTIANO DI MAGONZA 339
Trovo il primo nel catalogo dei presenti alla pace di Venezia fornito da
uno degli Additamenta al Chronicon Altinate, la Historia Ducum Veneti-
corum: « Leo de Monumento, rornanus princeps, cum hominibus xviii » (i).
Secondo poi il Gregorovius (2) : « i Gesta Innocentii III, cap. XXIII, lo
chiamano parente di Ottaviano vescovo di Ostia che (secondo l'Ughelli, I, 67)
era della famiglia Poli e congiunto d'Innocenzo III. Indi ne parla nell'anno
1207 il testamento del cardinale Gregorio de Crescentio (Galletti, Del Pri-
micer., pag. 335). Un casale dava il cognome alla famiglia de Monumento,
ma l'origine ce n'è ignota ». Seguono notizie su altri membri della famiglia,
e poi più innanzi in un'aggiunta; « Forse la famiglia de Monumento fu un
ramo degli Astalli. La costruzione che le dette il nome era la torre oggi
detta Selce (turris de Selaciis) nella regione Statuario, sulla via Latina ». Io
ho poi trovato nel lungo periodo dal 1177 al 1207 ripetute volte il nostro
Leo de Monumento: alla corte di Federico in Lodi nel natale del 11S5, e
prima, nel maggio, pure al seguito dell'imperatore: nel 11 86 con re Enrico
che nell'anno seguente gli ordina di garantire al papa Gregorio Vili buona
scorta ovunque vada ; lo conduce di fatto a Pisa. Nell'SS è alla corte papale,
e nell'anno stesso e nel seguente ancora presso l'imperatore (3). Già dal 1185
è qualificato come console romano.
Ebbe costui nel nostro atto la veste di rappresentante della sua città ?
C'entrano le vecchie non ottime relazioni di Roma con l'arcivescovo, c'entra
da parte del popolo della città eterna il ricordo della vergognosa sconfitta di
Tuscolo?(4; O forse il console di Roma ebbe anche qui l'ufficio di fatto
soltanto ornamentale che aveva già sostenuto alla pace di Venezia ?
Grimaldus lanue si trova in vari documenti del Liber iurium reipuhlicce
lanuensis dal 1161 al 1184. Fu console della città nel 11 62 e come tale andò
dall'imperator Federico a Pavia e poi a Torino. Console di nuovo fu nel 1 1 70
e ancora poi nel 11 84. Non mi par necessario cercare di più, e d'altra parte il
solo nome di Grimaldus basterebbe a significare l'importanza del personaggio
nella repubblica genovese. In lui sono più disposto a vedere l'inviato della
fiera sua patria che non poteva aver ^dimenticato 1' antica inimicizia con
Cristiano nelle sue questioni con Pisa pel possesso della Sardegna (5) e le
sue abbondanti elargizioni di danaro al non mai sazio prelato (6;.
Se queste mie osservazioni hanno base di fatto, si può vedere, se non
nella concezione della trama contro Cristiano di Magonza dovuta alle mire
dell' imperator bizantino, almeno nelle conseguenze che si cercò di trarre
dal suo risultato finale, un significato più ampio, più italiano. Forse correva
per tutte le fibre della penisola lo spirito dei comuni lombardi.
(i) Mon. Gemi. Hist. SS., XIV, pag. 88.
(2) Storia di Roma nel M. E., lib. Vili, cap. VI, pag. 602, nota 36.
(3) Vedi ancora Gregorovius pel 11S7, del resto Giesebrecht, op. cit., voi. V e VI
passim e Stumpf, op. cit., per gli anni 1185-S6. Una buona enumerazione di atti in cui è
ricordato Leo de Monumento è in Scheffer Boichorst, Kaiser Fricdric I letztcr Strcif
ìiiit der Kurie, pag. 70, nota i.
(4) 30 maggio 1T67. Vedi Acerbo Morena in Muratori, R. I. S., VI. Romoaldo
Salernitano, ibid., VII, il C/ironicon Fossaenovae, ecc.
(5) Canale, Nuova istoria della rcp. di Genova, I, pag. 175 e segg.
(6) Ibid. iSt, e 1S2.
340 PIETRO TORELLI
Un'ultima osservazione sul contenuto del nostro documento. I giuramenti
di Guglielmo di Monferrato e di Uberto di Biandrate, anche per la loro
posizione materiale già fuori del documento vero e proprio, debbono essere
certamente posteriori. Hanno quasi il carattere di una narrazione e sono la
constatazione di un fatto avvenuto solo quando i patti furono portati a cono-
scenza di Guglielmo ed Uberto lontani dal luogo in cui furono stipulati, ma
di un fatto che conserva tuttavia la natura di elemento integrante del con-
tratto in quanto ne è la ratifica da parte di persone in esso direttamente
interessate. In realtà, se l'interesse di Uberto di Biandrate si concreta cer-
tamente nella liberazione del fratello ostaggio dei soldati di Cristiano di
Magonza, ritengo che quello di Guglielmo di Monferrato assuma nella cosa
assolutamente il primo posto. Sfatate senz' altro da tutto il documento e
infine da questa ratifica tutte le supposizioni che nel fatto non fosse impe-
gnata realmente tutta la famiglia, non posso non rammentare che una delle
nostre fonti, dall'Ilgen appunto per questo episodio ritenuta ottima (i), dice
nettamente che l'imperator bizantino aveva fornito grossa somma di danaro
proprio al marchese Guglielmo che a sua volta mandò il figlio Corrado ricco
delle migliori doti di capitano e di soldato a combattere l'arcivescovo di
Magonza. Ed è di fatti meno che naturale il voler togliere al marchese
Guglielmo in questo affare la direzione dell'intera politica di casa sua. Tutta
la famiglia, e quindi e soprattutto il suo capo, era colpita in pieno dal
ripudio di una figlia da parte di Guido Guerra, era vivamente interessata
all'acquisto di nuovi possedimenti in Toscana, era strettamente legata alla
corte di Bisanzio dallo sposalizio di Raineri con Maria avvenuto nel febbraio
del II 79: le cause insomma della campagna dei Monferrato nell'Italia media
toccavano tutta la famiglia e quindi e soprattutto il suo capo. Il pericolo da
parte dell'imperatore Federico era d'altronde forse men grave di quanto non
sembri ora a noi. Legnano aveva gridato forte tutto l' immenso significato
d'un elemento giovane e rigogliosamente vitale, nemico irreconciliabile delle
vecchie pretese imperiali ; anche più sentite, ma solo perchè più vicine, erano
le ostilità mosse nella Sassonia orientale da Enrico il Leone. Scoppiate proprio
nel settembre 1 1 79 non dovean chiudersi che colla dieta di Erfurt nel novembre
del 1181 dopo una lotta sempre favorevole ma pure gravissima per l'Impero.
Era dunque facile al marchese di Monferrato prevedere l'impossibilità d'un
aiuto, almeno immediato, dell'imperatore al suo legato d'Italia. E i fatti giu-
stificarono le previsioni : molte minacce vennero dalla corte Cesarea, molte
promesse, nessun aiuto (2). D'altra parte al suo ritorno in Italia Federico
avrebbe avuto troppo bisogno di un appoggio qualsiasi, e nessuno avrebbe
potuto fornirglielo più valido che il marchese di Monferrato. Questi si sen-
tiva necessario e quindi sicuro d'una sollecita riconciliazione, e i fatti rispo-
sero perfettamente alle sue previsioni:. l'S agosto 1182, a Vercelli, Corrado
(i) Niccta Choniatc. Vedi Ilgen, op. cit., pag. 3-4.
(2) <.< Fredericus modis omnibus, quibus potuit, mine asperis mine blandis, temptavit eicere
eancellarium suum a eareere quo retentus fuerat, sed nee potuit ». Gesta Henrici II in Mon.
Germ. Misi., SS., XXVll, pag. 99.
24
I PATTI DELLA LIBERAZIONE DI CRISTIANO DI M AGONZA 34 1
di Monferrato e il padre promettevano di intervenire presso l'imperatore in
favore dei Vercellesi, il che vuol dire che godevano già o si sentivano già
sicuri della sua grazia ; e nel' 83 il forte vecchio marchese poteva lasciare
sicuramente lo stato e recarsi in Oriente a cercare la gloria.
Questa del marchese Guglielmo è una delle più possenti figure italiane
del suo tempo : « mentre gli altri rami Aleramici di Saluzzo e Busca, di
Incisa, d'Albenga, di Savona, e più a levante le case Obertenghe, i marchesi
Malaspina, di Massa, di Gavi e Parodi, stirpi longobarde, erano di mano in
mano assorbite dai comuni già vassalli, il marchese Guglielmo di Monferrato,
uom grande e nobile, come scriveva suo cognato Ottone vescovo di Fri-
singa, quasi solo dei baroni d'Italia potè sfuggire l'imperio delle città » (i).
Sono parole di Giosuè Carducci che ne aveva poco prima dato, togliendolo
da Ottone Morena, il ritratto : <; di mezzana statura, ben fatto e atticciato,
avea faccia tonda e rossastra, capelli quasi bianchi : grande e bel parlatore,
virtuoso e savio, ilare e giocondo, munifico e non prodigo » (2). Lo ricordo
perchè la fortuna me n'ha posto tra mano un altro, indiretto veramente, ma
non meno compiuto. Nell'esame testimoniale del 1220^ che più sopra ricordai
a proposito di Guglielmo di Palude, un teste « interrogatus cuius coloris et
stature erat Guilielmus Asdent et dominus Guilielmus marchio ISIonti sferrati,
de Guilielmo Asdente dicit quod erat magnus et pinguis et albus coloris et
capud blondum et valde pulcer homo et sapiens, et bonus et acerimus miles.
De domino Vilielmo marchio dicit illud idem preter quod non erat ita pin-
guis set magis rubei coloris erat ».
E questi il fondatore vero della potenza dei Monferrato, e la sua invitta
figura ricorda fieramente, in mezzo al sorgere nuovo delle libertà comunali,
tutte le superbe virtù dominatrici dell'antica nobiltà castellana, in strano
contrasto coll'antica leggenda Aleramica « dove la gente degli oppressori
stranieri è riamicata nella oscurità del lavoro, nella carità del dolore, nella
serenità del valore, al popolo oppresso » (3).
Mantova, gennaio 1907.
(i) Carducci, Gli Aleramici, Nuova antologia, II serie, 42, 18S3, pag. 442.
(2) Ibid., pag. 440.
(3) Ibid., loc. cit., pag. 434.
25
342 PIETRO TORELLI
DOCUMENTO
(i 179 sett. 29 - 1 180 febb. 2).
Convenzione tra Cristiano arcivescovo di Magonza e Corrado marchese di
Monferrato rappresentato dal fratello Bonifacio, per cui il primo giura
di far riaccogliere per privilegio nella grazia dell' Imperatore Corrado e com-
plici ; di non scendere più come legato imperiale in Italia, ma solo coli' Im-
peratore stesso o col consenso dei Monferrato ; di opporsi ad ogni ostilità
de W Imperatore verso di loro ; di 7nandar nunci in Germania a far giurare
l' osservanza di ttitto questo a 4 prÌ7icipi dell'impero e a /\ vassalli propri ;
di restituire gli ostaggi; di pagare 12000 perperorum ; tì^/ /«/- sì, coli' Ar-
civescovo di Colonia, die Alessandria venga distrutta ; di non tentare
frattanto la fuga. Conferma con giura^nento l'osservanza di tali patti il
conte Heinrich von Diez, costituendosene mallevadore.
Bonifacio di Monferrato promette da parte sua la liberazione dell' Ar-
civescovo entro 8 giorni dall' adempimento di quei patti; del che si fa
mallevadore il conte Ildeprandino e il die conferrìiano poi Guglielmo di
Monferrato e Uberto di Biandrate.
In nomine domini nostri ihesu. in perpetuum amen, hec est convencio
et concordia que facta est inter dominum Cristianum Maguntinum archiepi-
scopum et dominum Cunradum filium marchionis Montisferrati. presentibus
et assensum prebentibus istis videlicet domino Bonifacio filio eiusdem
Marchionis Guilielmi Montisferrati, comite Aldeprandino et Guilielmo Mar-
chione Paloti, et magistro Elemosina, et Alprandino de Sancto Marco et
Oberto Pastrono Vignali, et presente domino C. Maguntinus Archiepiscopus
iuravit supra sancta evangelia tenere firmiter hec supscripta capitula. Ego
C. Maguntinus Archiepiscopus bona fide promitto et iuro quod dominus
Fredericus Romanorum inperator et rex Henricus filius eius restituet gra-
tiam suam et bonam voluntatem plenarie domino C. filio ^larchionis Mon-
tisferrati et coauttoribus eius videlicet Raincrio comiti Blandrati et filiis
Boni comitis et Spoletanis et aliis hominibus qui propter dominum C. iram
domini inperatoris incurrerunt, et ob hoc nuUum malum eis faciet. Dominus
etiam Magjuntinus] legacione in Italia qualem hactenus habuit aut consimi-
lem, maxime manu armata, non habebit nisi de voluntate C. vel patris eius
aut fratris si forte C. decederet et nisi dominus inperator vel rex Henricus
filius eius veniret in Italiam, et si forte dominus inperator vel rex Henricus
filius eius vellet ofendcre dominum Guilielmum Marchionem aut filios eius
aut terram eorum, quod dominus C. Archiepiscopus bona fide daret operam
quod non faceret et per se Maguntinus non ofenderet, Insuper dominus
Philippus Coloniensis Archiepiscopus iurabit quod bona fide faciet tenere
26
I PATTI DELLA LIBERAZIONE DI CRISTIANO DI MAGONZA 343
C. Maguntinum Archiepiscopum hanc concordiam et tres alii principes
domini imperatoris iurabunt idem quod dominus Coloniensis Archiepiscopus,
quos omnes Henricus cum legatis jMarchionis elegerint. Preterea Guarnerius
de Bonland et Artemannus de Botingen cum duobus aliis vasallis IMagun-
tini Archiepiscopi quos predicti nuncii Marchionis cum comite Henrico ele-
gerint idem iurabunt quod dominus Coloniensis. luravit eciam dominus
Maguntinus quod reddet obsides quos habet ipse vel alius prò eo, et absolvet
videlicet Rainerium Blandratensem et alios. Pecuniam quoque quam a
domino Cunrado recepit videlicet xii milia perperoi;um aut conpensacionem
congruam et suficientem reddet sic, medietatem dabit ante liberacionem
carceris, aliam vero medietatem infra tres menses postea. Insuper eciam
dominus Maguntinus C. bona fide operam dabit quod dominus inperator
observabit gratiam suam quam per privilegium suum dabit. Ad hec
etiam C. Maguntinus et Philippus Coloniensis Archiepiscopus operam
dabunt bona fide sine fraude et malo ingenio quod Alexandria que
palea cognominatur destruatur nec gratiam domini inperatoris aut filii eius
regis Henrici aliquo tempore habeat nisi per parabolam Marchionis jNIontis-
ferrati Guilielmi aut filiorum eius et quod a potestate et dominio eorum non
absolvatur. luro eciam ego C. Maguntinus Archiescopus quod infra terminum
quo nuncii ierint et redierint prò hoc negocio non exibo capcionem nec
exeundi operam dabo.
Ego Comes Henricus Dediest iuro supra sancta dei evangelia quod bona
fide observabo convencionem factam inter dominum C. ÌMaguntinum Archie-
piscopum et dominum C. filium Alarchionis Alontisferrati et observari faciam
a domino Maguntino Archiepiscopo et insuper faciam quod dominus inpe-
rator et rex Henricus restituent C. Marchionis jMontisferrati filium in pleni-
tudine gratie sue et iram et omnem suam indignationem remittent coaiuto-
ribus eius quam propter ipsum Cunradum incurrerunt. Et si forte dominus
inperator ex aliquorum sinistra relacione iram vel indigna cionem aut mali-
volenciam aliquam concepit adversus Guilielmum Marchionem Montisferrati
vel Bonifacium filium eius aut comitem Aldeprandinum omni modo eis
remittet. Insuper eciam de iuramento principum et vassallorum prestando
et de pecunia solvenda et obsidibus reddendis sicut in convencione inter
dominum C. Maguntinum Archiepiscopum et dominum C. facta scriptum
est observabo et observari faciam, et insuper bona fide dabo operam quod
dominus inperator observabit gratiam suam quam per privilegium dabit
]\larchioni et filiis eius et aliis coaiutoribus C. Quod si forte hec supradicta
a domino Maguntino observata non fuerint, ego comes Henricus veniam in
capcione Marchionis et filiorum eius ad mandatum et voluntatem eorum. Et
super hec omnia dominus inperator privilegium suum dabit Guilielmo Mar-
chioni Montisferrati et filiis eius de gratia data et restituta eis. Quod si forte
C. mandatum patris et fratris Bonifacii et comitis Aldeprandini contcpnens
gratiam domini inperatoris rennueret, nichilominus marchio Alontisferrati et
filius eius Bonifacius et comes Aldeprandinus gratiam domini inperatoris
habeant, et dominus C. Maguntinus Archiepiscopus pecuniam eis et obsides
secundum quod ordinatum est reddat, et capcione sic exeat et infra ter-
minum quo nuncii eunt ad dominum inperatorem et redeunt dominus
C. Maguntinus Archiepiscopus non exibit de capcione nec operam dabit
exeundi. Et si forte aliquo casu exiret ego comes Henricus dabo operam ut
redeat, quod si non rediret ego comes Henricus in eandem capcionem intrabo.
Ego comes Aldeprandinus iuro super sancta dei evangelia quod veniente
comite Henrico vel alio nuncio vel aliis nunciis ex parte domini inperatoris
et regis Henrici filii sui, representato et dato suo privilegio vel cartis de
plenitudine gratie domini imperatoris et filii eius date et reddite Guilielmo
marchioni ]\Iontisferrati et filiis eius et comiti Aldeprandino sine fraude uni
eorum vel omnibus reddite et soluta medietate pecunie, prò alia vero medietate
344 PIETRO TORELLI - I PATTI DELLA LIBERAZIONE, ECC.
securitate prestila et sicut est ordinatum et scriptum in convencione et obsi-
dibus reditis infra Vili dies reddeam personam domini C. Maguntini Archie-
piscopi liberam et absolvam et absolvi faciam in loco securo secundum suam
voluntatem et legatorum domini inperatoris vel legati. Quod si forte
dominus C. vel aliquis loco eius conpletis his qui in convencione sunt domi-
num archiepiscopum nollet liberum dimitere, ego comes Aldeprandinus vel
ipse in capcionem comitis Henrici veniam vel filium meum dabo in loco ei
secure.
Ego Bonifacius iuro- idem quod comes Aldeprandinus et insuper faciam
bona fide et sine fraude Marchionem IMontisferrati hoc idem iurare et obser-
vare, et insuper iuro quod cum a Tuscia recedere voluero, personam
domini archiepiscopi comiti Aldeprandino dabo in loco ei securo.
Hoc idem iuravit Alprandinus de Sancto Marco et Obertus Pastronus
de Vignale hoc idem iuravit, Ugolinus Valencie hoc idem debet iurare.
Omnibus his interfucrunt celandi (i) securitate prestila usque ad Kalendas
octubris Magister Elemosina, Fredericus filius Lantegravii (?), Leo de Monu-
mento, Guillielmus Marchio de Palode, Grimaldus lanune [sic). Ego magister
Vivianus et wScistus interfuimus et scripto comendavimus.
Ego C. Maguntinus Archiepiscopus propria manu subscripsi.
Guilielmus Montisferrati Marchio hoc idem iuravit quod comes Alde-
prandinus et Bonifacius fihus eiusdem Marchionis. Ubertus comes Blandrati
hoc idem iuravit quod Guilielmus Marchio Montisferrati.
fi) Cautelaudi ?
28
A. TELLUCCINI
LA TRANSLAZIONE DELLE SALME
DI
DUE PRINCIPESSE DI SAVOIA
DALLA
CHIESA DE' SS. XII APOSTOLI
IN ROMA
44 — Mise, S. Ili, T. XIII.
V Y V V V V V V Y V V V V V V V V V V V V V V V V VV VV V^T^^T^-'v"'/ S^ V VV VV js^jTy
Nella chiesa de' SS. XII Apostoli in Roma (i) ove, insieme con il suo
sposo, giace sepolta la principessa Caterina di Savoia (2), trovarono pure
per qualche tempo riposo le salme di altre due principesse della stessa Casa:
l'infanta Maria (1656) e la principessa Maria Felicita (1801).
Al presente, però, nulla ci ricorda questi ultimi due depositi essendo
state le salme trasportate altrove, o in omaggio ad un desiderio manifestato in
un atto di ultima volontà, od in seguito alla pietosa cura di qualche parente.
La prima principessa dunque che trovò sepoltura nella basilica Costan-
tiniana fu l'infanta Maria di Savoia, nata l'S febbraio 1594 da Carlo Ema-
nuele I e dall'infanta Caterina d'Austria.
Di questa principessa, che, come la sorella Francesca Caterina (3), pre-
feri alle agiatezze della Corte le austerità della vita monastica, esiste una
ampia biografia del padre Alessio Bernardino, suo confessore (4), rimaneg-
giata più tardi dal Croset-Mouchet (5). Un' altra biografìa è del Fratini (6),
che ha pubblicato, ampliandola, quella manoscritta e fino ad allora inedita
del padre Franchini, minore conventuale (7).
L'infanta Maria, dopo che insieme con la sorella ebbe visitati i santuari
del Piemonte, perduta la compagna delle sue pie peregrinazioni (8), mosse
alla volta di Roma ove capitò nell'anno santo (1650), e vi si trattenne per
attendere alle pratiche di religione.
Innamorata del « Poverello d'Assisi » di cui seguiva, come terziaria, le
regole, volle poscia recarsi in pellegrinaggio alla volta della basilica dedi-
(i) Armellini, Le Chiese di Roma dal sec. vi al xix. Roma, 1891, pp. 249-252.
(2) Caterina di Savoia-Carignano-Soissons-Villafranca, figlia del principe Luigi Vittorio,
nacque il 4 aprile 1762 e morì in Roma il 4 settembre 1S23. È sepolta insieme con il marito
nella chiesa de' SS. Apostoli nel pilastro fra la cappella di S. Francesco e quella di S. Giu-
seppe da Copertino. Lattari F., I viomimenti dei principi di Savoia in Roma. Roma, 1S79,
pp. 81-91.
(3) V. Arpio Maurizio, Vita dell Infa7ita Catterina di Savoia, religiosa del terzo Ordine
di S. Francesco. Annecy, 1670.
(4) Bernardino Alessio, Vita della Serenissima Infanta Maria di Savoia, ecc. Mi-
lano, MDCLXIII.
(5) Croset-Mouchet G., Vita della Veneranda Serva di Dio l'Infanta Maria Francesca
Apollonia Principessa di Savoia, ecc. Torino, 1878.
(6) Fratini G., Vita de IV Infanta Maria di Savoia, Terziaria Francescana. Foligno, 1897.
(7) Vita dell'Infanta di Savoia. Manoscritto originale del P. Franchini da Modena, pre-
sentemente presso l'archivio del Rev. Padre Generale de' Minori Conventuali.
(8) Francesca Caterina di Savoia morì il 20 ottobre 1640. V. Cibrakio, Storia di To-
riato, II, p. 58.
348 A. TELLUCCINI
cata al serafico santo, e prese occasione da quella gita per visitare altre
città fra cui Montefalco, Loreto e Perugia (i).
Tornata in Roma verso i primi di dicembre del 1653 (2), i biografi ne
assegnano la sua dimora in varie località: prima in Borgo (3), nelle vici-
nanze di S. Pietro in Vaticano, poscia nel palazzo di un certo Duca Ge-
nesio (4), quindi in una villa presso Frascati (5), da cui sarebbe passata ad
abitare di nuovo in Borgo, e finalniente in un palazzo Pamphili, sito nei
pressi del Quirinale (6).
Nello stabilire la casa da ultimo abitata dall' infanta e nella quale essa
morì regna molta confusione fra i suoi biografi e non crediamo perciò inop-
portuno recare, con la scorta di documenti, un po' di luce sopra questo
punto.
Il Litta (7), che la vuole morta nel monastero delle Oblate a Tor de'
Specchi, equivoca senza dubbio sul tempo in cui l' infanta alloggiò presso
quelle monache. Essa infatti dimorò nel monastero predetto; ma questo fu
in. occasione della sua prima venuta a Roma — 1650 — (8).
Il Fratini (9), non nominando, dopo quello di Borgo, altro alloggio oc-
cupato dall'infanta, implicitamente viene ad ammettere che ivi essa morì.
F' Alessio indica come luogo di morte un palazzo Pamphili, situato alle
falde del Quirinale (io).
(i) V. Alessio, op. cit., pp. 165, 177, 180, e Croset-IVIouchet, op. cit., p. 115.
(2) Croset-Mouciiet, op. cit., p. 12S,
(3) Alessio, op. cit., p. 189; Croset-Mouchet, op. cit., p. 129; Fratini, op. cit., p. 202.
Il palazzo di Borgo è quello situato in piazza Scossacavalli, ove attualmente risiede l'Ospizio
Apostolico dei Convertendi. Appartenne da prima agli Spinola genovesi, poi al cardinal di
Bibiena e poscia fu destinato, per elargizione del cardinale Gastaldi, ad ospizio per gli eretici.
In questo palazzo morì Carlotta di Cipro moglie di Ludovico, duca di Savoia. V. Belli A.,
Delle case abitate in Roma da parecchi uomini illustri. Roma, 1850, p. 36, e Venuti R.,
Accurata e succinta descrizione topografica e istorica di Roma moderna. Roma, mdcclxvi,
pag. 461.
(4) Alessio, op. cit., p. 190. Il Croset-iMouchet, op. cit., p. 143, aflerma che il palazzo
del duca Genesio trovavasi « su di un certo colle ». Il Fratini, op. cit., p. 203, dice che il
palazzo abitato dall'infanta, dopo quello di piazza Scossacavalli, fu « il palazzo Sanesi posto
alla Longara 'fra Trastevere e ìiorgo ». L'esistenza di un palazzo Sannesio o Sanesi è ricor-
data anclie dal Venuti R. nell'op. cit., ]). 511, e dal Nolli nella sua Pianta di Roma, ta-
vola XXIV, n. 1254, e sarebbe sorto di rimpetto alla chiesa di S. Spirilo nel breve tratto
di via che mena alla Porta S. Spirito o del Sangallo, mentre non abbiamo trovato nessun
accenno del palazzo Genesio.
(5) Alessio, op. cit., p. 191 ; Croset-Mouciiet, op. cit., p. 143. Trattasi della Villa Aldo-
brandini in Frascati detta di Belvedere. V. Venuti R., op. cit., II, pp. 522-523.
(6) Alessio, op. cit., p. 192.
(7) Litta, Famiglie illustri italiane (Duchi di Savoia, tav. XVI).
(8) Alessio, op. cit., p. 159; Croset-Mouchet, op. cit., pp. 104-105; Fratini, op. cit.,
pag. 127.
(9) Fratini, op. cit., p. 203.
(io) Alessio, op. cit., p. 193. Nella prima pagina dell'opera dell'Alessio è stampato un
ritratto in rame dell'infanta Maria in abito monacale. Detta stampa reca in basso la seguente
inscrizione :
effigies seren. infantis mariae a sabavdia
e più sotto :
OBIJT ROMAE in AEDinVS PAMPHIJLIANIS SVB CIVIRINALI DIE XIII IVLIJ
1656
Somigliantissimo a questo ritratto è la copia di uno ad olio dell'infanta medesima che il Litta
op. loc. cit., riproduce in una stampa colorata e che dice esistente presso le Cappuccine di
Torino.
6
LA TRANSLAZIONE DELLE SALME DI DUE PRIXXIPESSE DI SAVOIA 349
Il Croset-Mouchet, che, come abbiamo accennato, rimaneggiò ed alleg-
gerì la biografia dell'Alessio, nel trovarsi dinnanzi ad un palazzo Pamphili
ne' pressi del Quirinale, di cui ai suoi tempi non si aveva più nessuna
memoria, non andò troppo per il sottile, e ricordando che una pronipote
del papa Pamphili, a nome Olimpia, aveva sposato (16 giugno 1635) il prin-
cipe Alaffeo Barberini (i), il cui palazzo era situato nelle vicinanze del Qui-
rinale, affermò senz'altro che l' infanta abitò e morì proprio nel palazzo
Barberini (2).
Per essere però tale palazzo situato sulle alture e non alle falde del
colle predetto, il Croset-]\[ouchet doveva scostarsi dall'opera dell'Alessio,
che aveva sempre seguito, ma questo egli fece con gran disinvoltura (3).
L'esistenza in quei tempi di un palazzo Pamphili tra la via Mazzarino
e Monte Magnanapoli (4), (l'attuale via Nazionale), ci fece pensare per un
momento ad esso come al probabile luogo di ultima abitazione dell'infanta,
sopratutto per il fatto del seguito trasporto della sua salma nella chiesa dei
SS. Apostoli, che comprendeva sotto la propria giurisdizione parrocchiale
il palazzo predetto.
L'indicazione però data dall'Alessio, che il palazzo Pamphili in questione
dovesse essere sub Quirinali, ci ha fatto senz'altro abbandonare ed escludere
tale ipotesi.
Questo era lo stato dell'intricata questione che ci si parava innanzi. Per
diradarla le prime nostre indagini furono rivolte all' archivio della chiesi
de' SS. Apostoli: diciamo subito che se scarso fu il frutto di quelle ricerche
esse per altro servirono a porci sulla buona via.
Trovammo infatti nel Libro dei Alorti una semplice annotazione suU'av-
venuto ricevimento del cadavere dell'infanta in quella chiesa (5).
L'annotazione, pero, era troppo semplice e laconica per non porci in
guardia. Se la defunta avesse appartenuto alla parrocchia de' SS. Apostoli,
dato l'alto suo lignaggio, chi ne registrò il ricevimento della salma, non si
sarebbe limitato a darne la nuda notizia. Inoltre non era neppure dichiarato,
cosa comune ad annotarsi in quei tempi negli atti di morte dei parrocchiani,
se l'infanta avesse ricevuti i sacramenti prima di morire, il che ci mera-
vigliò non poco pensando quanto religiosa e pia essa fosse stata in vita.
Venuti nella persuasione che l'ultima sua abitazione doveva essere posta
sotto altra parrocchia, iniziammo le indagini presso gli archivi delle chiese
alle falde del Quirinale. Fu così che in quello della chiesa dei SS. Vincenzo
ed Anastasio a Trevi raccogliemmo la prova che ci convinse pienamente
aver abitato l'infanta Maria sotto la giurisdizione di questa parrocchia l'ul-
timo anno di sua vita.
(i) Cancellieri F., // Mercato, il Lae^o de//' Acqua Vergine ed il Palazzo Paiifiliaìio al
Circo Agonale, ecc. Roma, mucccxxi, p. no.
(2) Palazzo situato nell'attuale via delle Quattro Fontane,
(3) Croset-Mouchet: « Olimpia Pamphili-Barberini offrì all'Infanta il magnifico palazzo
da pochi anni costrutto sulle alture del Quirinale ».
(4') Nuova pianla di Roma dala in luce da Giambattista Nolm l'anno mdccxlviii, ta-
vola XX, Rione Trevi, n. 169.
(5) Ardi, chiesa de' S5. Apostoli in Roma : Mortuoruni Liber E. 1631-1661, aff. 151.
350 A, TELLUCCINI
Dal Libro dello stato delle anime (i), del 165Ò risulta infatti che in quel-
l'anno essa dimorò insieme con la %\x2i J ani i glia, in un palazzo sito a sinistra
della via ora detta della Stamperia, che da piazza Fontana di Trevi menava
aW Angelo Citstode, l'attuale via del Tritone Nuovo.
Un manoscritto da noi consultato a caso e' informò poi che nel punto
sopraindicato i Pamphili possedevano, fin dall'anno 1650, un palazzo, nel
quale oggi risiede la R. Calcografia (2).
Non è esatto quanto afferma l'Alessio a proposito della dimora dell'in-
fanta Maria nel palazzo Pamphili. Egli invero sostiene che ciò sarebbe
av^venuto perchè la celebre donna Olimpia, dopo la morte del cognato, In-
nocenzo X, decise di lasciare il suo palazzo a Fontana di Trevi per ritirarsi
ad abitare in quello di piazza Navona (3).
Risulterebbe invece che donna Olimpia, specialmente nell' ultimo anno
di vita di quel pontefice, già risiedeva nel sontuoso palazzo al Circo Ago-
nale, dove la vediamo spesso ricevere (4) papa Innocenzo X, che si recò
da lei fino nell'ottobre del 1654, pochi mesi cioè prima ch'egli morisse (5).
Del resto una prova decisiva che esclude aver donna Olimpia dimorato
nel palazzo nei pressi del Quirinale, noi la rileviamo dal citato Libro dello
stato delle anime (6), dal quale risulta che nell'anno della morte d'Inno-
cenzo X (7 gennaio 1655), il palazzo Pamphili a Fontana di Trevi era disa-
bitato e che negli anni 1653 e 1654 vi aveva risieduto la Famiglia dell' Emi-
nentissirno Cardinale Maidaccliino (7).
Questo porporato non è altri che Francesco Maldachini , nipote di
papa Innocenzo X, che la cognata di questo fece eleggere cardinale a soli
15 anni, per non perdere, con la rinuncia al cappello cardinalizio del proprio
tìglio Camillo, il prestigio che essa, come prossima congiunta del cardinale
(i) Arch. chiesa SS. Vincenzo ed Anastasio a Trevi : Liber Status ainmai-um ab anno 1653
Hsqiie ad 1666.
Famiglia della Ssrsnissima Signora Infanta di Savoia.
La Sercnissiuia Signora Infanta Sig''' Anna Maria i-acia
L'Ill"ia Signora Marchesa » Angela Cuconita
» » D, Margarita Forni » Lodovica Forno
» » D. Anna Aiciata » (iironiina Cuconita
Suor Ciiromina Cocunita » Ottavia Gianatta
» Margarita Anselnia » Anna M. Binella
» Francesca Cattarina l'erota » Clara
» Vittoria M. Brunetta » Madama sic) Mora
» Cattarina Pora Cattarina Curta
» Maria Castagnira Anna M. Curta.
Cristina Castagnera
Margarita
Gentildonna della Sig. Marchesa
(2) Arch. Stato di Roma: Famiglie romane , 3-131. Ms. anon., p. 211. « 1650 Olimpia
Panfili comprò il palazzo del Card. Coriiaro presso Fontana di Trevi per andare all'Angelo
Custode, passato poi in pertinenza della famiglia Doria e nell'anno acquistato dalla
Camera per uso della Stamperia con un canone perpetuo di scudi 500 a favore della casa
Doria ».
(3) Alessio, op. cit., p. 193.
(4) Cancellieri, op. cit., pp. 110-112.
(5) Idem, p. 113.
(6) Arch. chiesa SS. Vincenzo ed Anastasio a Trevi, doc. cil.
(7) Arch. cit., anni 1655-1653-1654.
8
LA TRANSLAZIONE DELLE SALME DI DUE PRINCIPESSE DI SAVOIA 35 1
padrone, aveva fino ad allora esercitato sui prelati e sullo stesso sacro
collegio (i).
Stabilito con sicurezza il luogo ove da ultimo dimorò e mori la infanta
Maria, veniamo ora a fissare la data della sua morte, intorno alla quale
regna pure qualche incertezza.
L'x\lessio (2) ed il Cibrario (3) segnano quella del 13 luglio 1656; il
Croset-Mouchet (4), seguito dal Lattari (5), indica quella del 14. L'unica fonte
che poteva rassicurarci sopra questo punto era l'atto di morte, ed in questo
noi leggiamo la data del 13 luglio 1656 (6).
Anche sul giorno in cui la salma fu portata nella chiesa de' SS. Apo-
stoli v'è divergenza fra i varii biografi.
Per l'Alessio tale trasporto sarebbe avvenuto il secondo giorno dopo la
morte (7), e siccome questa è da lui fissata al 13 luglio il trasporto sarebbe
stato effettuato il 15 successivo. Il Croset Alouchet, che stabilisce il 14 luglio
come data di morte, avendo inoltre affermato che la salma rimase esposta
per due giorni nella galleria del palazzo Barberini [sic] (8), viene ad ammet-
tere che solo il giorno 16 essa fu portata in SS. Apostoli. Anche qui sulla
base di documenti possiamo affermare che il trasporto del cadavere ebbe
luogo il 14 luglio (9) a hore 2 di notte (io).
Come in vita l'infanta rifuggì da ogni pompa e forma esterna, così anche
il suo funerale fu assai modesto. La salma vestita d'habito monacale di panno
bigio cinto di corda col manto nero, con una croce sopra il petto, et corona
di fiori di seta sopra del capo (11), fu rinchiusa in una cassa di cipresso, che
venne collocata entro una carrozza dell' infanta medesima. Tale carrozza,
circondata da quattro torcie, era seguita da altre vetture con entro persone
della swa. famiglia, che, come abbiamo veduto (12), componevasi di sei suore,
di dame ed altri personaggi del seguito, in tutto circa trenta persone.
(i) Cancellieri, op. cit., pp. 107-108.
(2) Op. cit.
(3) Op. cit., p. 57 II.
(4) Op. cit., p. 185.
(5) Op. cit., p. 59.
(6) Adì 13 luglio 1656: « Passò da questa a miglior vita la Serenissima Infanta Maria di
Savoia, havendo prima ricevuti devotamente tutti li Santissimi Sacramenti e fu depositata
nella Basilica de' SS. Xil Apostoli per esser poi trasportata nella Chiesa di .S. Francesco in
Assisi come haveva disposto nel suo Testamento ». Liber li Mortuoruììi ab anno 1652 usque
ad an. 1700, aff. 13. Arch. Parrocchia SS. Vincenzo ed Anastasio a Trevi, Roma.
j) Op. cit., p. 222.
(8) Op. cit., p. 167.
(9 Anno Domini 1656, die 14 julij : Omissis. L'istessa sera a hore due di notte con quattro
torcie fu portato in questa nostra Chiesa per portarlo poi a suo tenipn netta nostra Chiesa
d' Assisi il Cadavere dell' Altezza di Madama D. Maria Infanta di Savoia. — Mortuarum
Liber E., 1631-1661, aff. 151. Arch. chiesa SS. XII Apostoli, Roma, e Testimoniali di rice-
vimento della salma in detta chiesa, rogate dal Notaio Antonio Leone, 14 luglio 1659. Liber
Moriuoruiìi F. 1661-1696, aff. 6. Arch. cit.
(io) Alessio, op. cit., p. 222, « verso Phora di notte ».
(11) Testintoniali, cit.
(12) Liber status anitnaruni, anno 1656 cit.
9
352 A. TELLUCCINI
Giunta la salma nella chiesa, alla presenza dei Padri Maestri Giovanni
Battista Orsini e Giovanni Battista da Rivarolo, minori conventuali (i), ebbe
luogo l'atto di riconoscimento.
r, 'abate Gio. Antonio Aghemio aprì la cassa mortuaria ed il cadavere
venne riconosciuto dal Conte Ottavio del Carretto, primo Maggiordomo della
Altezza sua, dal Conte Lazaro Baratta primo silo Scudiere, dal Conte Gio. Andrea
di Cavar etto e dal Padre Bernardo Alessio confessore dell' Infanta stessa (2).
Sigillata di nuovo la cassa di cipresso e rinchiusa in altre due, una
delle quali di piombo, il feretro venne dato in consegna al padre sacrestano
della chiesa e collocato in un piccolo camerino a canto di detta Sacristia.
Non è possibile presentemente stabilire il luogo di tale provvisoria
sepoltura, giacché è noto che la chiesa de' SS. Apostoli, minacciando rovina,
fu di nuovo rifabbricata nel 1702 su disegno dell' architetto Francesco
Fontana (3).
Nessuno degli autori da noi consultato si è preso cura di indicare per
quanto tempo la salma sia rimasta in deposito a Roma.
L'Alessio ed il Lattari non ne parlano affatto, il Croset-Mouchet dopo
aver accennato al trasporto in SS. Apostoli si limita a dire che la salma
di lì a poco tempo fu portata ad Assisi (4), ed il Fratini, mentre nella sua
Storia della Basilica e del Convento di S. Francesco d'Assisi, edita nel 1882,
tace su questo particolare, nella vita dell'infanta, posteriore all' opera anzi-
detta, pur non precisando la data, afferma che la translazione della salma
da Roma ad Assisi non ebbe luogo prima del 1662, spiegando questo ritardo
come conseguenza della peste, che nella seconda metà del secolo xvir, da
Napoli si propagò a Roma (5).
Comunque, a noi consta che proprio nel 1662, e più precisamente il
14 ottobre, il cadavere dell'infanta venne tolto dal suo loculo provvisorio.
Tale data che ci viene indicata da una semplice annotazione che si legge
nel Libro dei ]\Iorti della chiesa de' vSS. Apostoli (6), è confermata dal rogito
steso in quell'occasione dal notaio Francesco Pacichelli (7).
Da tale atto, che noi abbiamo esaminato, rilevasi che il 14 ottobre di
detto anno, presenti i testimoni abate Gio. Antonio Aghemio e reverendo
G. A. Leoni, la salma dell'infanta, che dovea omai trasferirsi in Assisi, fu
tolta dalla cameretta accanto alla sacristia, ove trovavasi fin dal 14 luglio
1656, e portata in una camera attigua al portone del convento de' Santis-
simi Apostoli.
(i) La chiesa de' SS. XII Apostoli venne concessa ai frati dell'Ordine dei minori con-
ventuali con Bolla pontilicia « Sedis apos/o/icac providcidia » del 1° luglio 1463. Rclazioite
sul Convento, Chiesa e Sao istia dei SS XII Apostoli. Ms. anon. Arch. chiesa SS. Apo-
stoli, Roma.
(2) Testiìiioniali, cit.
(3) Venuti Ridolfino, op. cit.
(4) Op. cit., p. 188.
(5) Fratini, Vita deW Infanta, ecc., p. 226.
(6) « Et alti 14 ottobre 1662 fu di nuovo estrulta la detta Cassa et Cadavere ». Annota-
zione in calce alle Testimoniali cit.
(7) Aftestatio de translatione et reeognitione Cadaveris Serenissiinae Infantis Sororis
Mariae Sabaudij. Atto rog. Francesco Pacichelli 14 ottobre 1662. Arch. notarile distrettuale
Roma. iS. 390, anno 1662.
10
LA TRANSLAZIONE DELLE SALME DI DUE PRINCIPESSE DI SAVOIA 3^^
Quivi alla presenza pure del padre guardiano del convento stesso, frate
Francesco Grassi, la cassa venne aperta ed il cadavere di Sua Altezza fu
riconosciuto dai testimonii suddetti e dai padri G. Battista da Rivarolo e
Giovanni Sacco sacrestano.
Dopo di ciò fu steso il relativo verbale e la cassa venneMi nuovo chiusa
e sigillata col sigillo di S. Altezza in tre luoghi.
Pel trasporto che ne segui da Roma ad Assisi, il Fratini ci informa che
papa Alessandro VII offrì una bellissima lettiga e mandò ad accompagnare
la salma il maestro di casa dei Sacri Palazzi Apostolici, insieme con pa-
recchie guardie palatine (i), cui si associarono tre religiosi dell'ordine dei
minori conventuali.
Non si conosce con precisione la data di arrivo della salma ad Assisi :
questa avremmo voluto fissare con certezza, ma le ricerche colà eseguite non
hanno corrisposto alle nostre speranze. Il già ricco archivio della basilica di
S. Francesco è ornai spoglio di documenti, che furono trasportati, al tempo
della soppressione dell'ordine, nella biblioteca civica di Assisi, ove non tutti,
però, sono conservati (2).
Se per mancanza di prove non possiamo stabilire il giorno in cui la
salma dell'infanta ]\Iaria giunse in Assisi, siamo però in grado di affermare
che questa non ebbe subito sepoltura definitiva. Il Fratini ci fa sapere che.
come a Roma, essa venne depositata in una stanza ne' pressi della sacristia,
e noi aggiungiamo che solo nel 1663 si pensò a dare alla salma medesima
sepoltura definitiva.
Dal verbale di un Consiglio tenuto dai padri del convento di Assisi,
risulta infatti eh? appena l'ii giugno 1663 fu deciso di chiedere il permesso
al Gonfaloniere della città di runipere il pavimento innanzi l'altare delle San-
tissime Reliquie dovendosi fare il sepolcro per la Serenissima Infa?ita di
Savoia (3). In esso la salma fu trasportata il 12 successivo,
Tale data che viene fornita dal manoscritto del padre Franchini (4) è
confermata dalla bolletta di consegna al sagrestano-economo della cera
avanzata il giorno 12- giugno dalla funzione /é?/" la sepoltura data all' In-
fanta Maria (5).
Così finalmente dopo sette anni l'infanta Maria potè avere sepoltura de-
finitiva. Ora la sua salma riposa nel bel tempio d'Assisi, sotto la predella
(i) Fratini, op. cit., p. 226.
(2) Il reverendo Padre Maestro Francesco Maria Dall'Olio, custode del S. Convento di
Assisi, che ha per noi cortesemente esplorato l'Archivio civico di (juella città, non ha potuto
rinvenire neppure il Libro dei morti già appartenente alla basilica. I documenti che verremo
citando e che si riferiscono alla sepoltura dell'infanta in Assisi ci furono gentilmente comu-
nicati dal reverendo Padre predetto, al quale qui pubblicamente esprimiamo i sensi della
nostra gratitudine.
(3) Libro de' Consigli del S. Convento d'Assisi ann. 1644-1656. Arch. basilica d'Assisi, ora
Biblioteca civica ivi.
(4) « fu sepolta quivi il giorno dodecimo di giugno l'anno 1663, in giorno di martedì ad
un bora di notte ». Ms. cit.
(5) Libro della Cera. XX, 1657-1670, die 13 giugno 1663. Arch. basilica d'Assisi ora nella
Biblioteca civica ivi. In occasione della definitiva sepoltura furono celebrate nella basilica di
Assisi seicento messe in suffragio dell'anima dell'infanta Maria. Liber Erarij incipiens ab
anno 1650 usque ad annuni 1664 per totum tneìisem junij. Arch. cit.
II
45 — Mise, S. Ili, T. XIII.
354 ^- TELLUCCINI
dell'altare di S, Giovanni Battista, detto delle reliquie, ove sul pavimento
leggcsi in una lapide di porfido la seguente inscrizione, che il Fratini (i t dice
dettata dal pontefice Alessandro VII.
MARIA . CAROLI , EMM . SABAVDIAK . DVCIS . ET . CATHARINAE . HISPAN . INFANTIS . F .
S . FRANCISCI . TERTIVM . ORDINEM . VESTE . MORirìVS . VIRTVTHWS . PROFESSA
VITAE . ASPERITATE . CONTINENTIA . CONVEKTKN'Ul . HAERETICOS . STVDIO
SACRIS . PEREGRINATIONIBVS . ALENDIS . PAVPERIBVS . TEMPLIS . ORNANDIS
MAGNAM . SANCTIMONIAE . FAMAM . CONSECVTA . OB . ROMAE . AN. MDCLVI . AET . LXII
ATQVE . UIC . VBI . SEPVIXRI . LOCV.M . SIBI . DELEGIT . CONDITA . EST
* *
Maria Felicita, nata il 19 marzo 1730 da Carlo Emanuele IH e dalla sua
seconda moglie Polissena d'Assia Reinfels Rottembourg, è l'altra principessa
di Savoia, che trovò provvisoria sepoltura nella chiesa dei .SS. Apostoli
in Roma.
Anche questa principessa fu molto pia e caritatevole, e sebbene non
abbia seguito la vita austera e quasi monastica dell' infanta INJaria, pure si
tenne del tutto lontana dallo splendore della Corte (2).
Un ospizio tutt'ora esistente nei pressi di Torino sta a testimoniare della
sua carità: alludiamo all'Ospizio delle vedove e nubili di civil condizione da
lei fondato nel 1787 sui disegni dell'architetto Faletti (3).
In un interessante ed elaborato studio Cesare Fraschetti (4) tratta esau-
rientemente della morte di questa principessa, avvenuta il 13 maggio 1801 (5),
nel palazzo Colonna in Roma.
Note sono le ragioni politiche per cui Maria Felicita, insieme con lo
sventurato suo nipote, Carlo Emanuele IV, si trovasse in quei tempi in Roma,
come altrettanto noti sono i vincoli di parentela per cui il principe Colonna
offrì all' esule Re di Sardegna ed alla sua famig^lia ospitaliti\ nel proprio
palazzo (6).
(i) Op. cit., p. 228.
(2) Fino alla metà del secolo scorso un appartamentino a pianterreno del Rea! Palazzo
di Torino, prospicente il ,£;;iardino, era denominato di Madama Felicita. In questo apparta-
mento, restaurato, alloggiò nel 1857 l'imperatrice di Russia Alessandra Federowna, vedova
di Nicolò I. Rovere, Descrizione del A\ Palazzo di Torino. Torino, 1858, pp. 47-56.
(3) CiBRARio, Storia di Torino, II, pp. 66-67, riporta la seguente lapide posta nell'Ospizio
a ricordo della benefica fondatrice :
MARIA FELICITA A SABAVDIA
REGVM FILIA SOROR AMITA
REGIVM HUNC VIDVARVM CONVICTVM
MIRA PROVIDENTTA EXCITAT
SVMMA AVCTORITATE TVETVR.
4) Un Funerale, Un^ Abdicazione , Un Battesimo — Memorie Sahaude, in Rivista d'Italia,
fase. I, gennaio 1903.
(5) 11 CiBRARio, op. loc. cit., indica come anno di morte il 1S02. Dopo la pubblicazione
da parte del Fraschetti nella memoria citata dell'atto di decesso della Principessa, estratto,
dall'archivio parrocchiale de' SS. Apostoli, non può nascere più dubbio alcuno su tale anno.
(6) D. Filippo Colonna era marito di Caterina di Savoia-Carignano, cugina di Carlo Ema-
nuele IV. — V. Fraschetti, op. cit., e Silvagni, La Corte e la Società Romana nei se-
coli xviii e XIX. Firenze, 18S1, I, p. 1S97.
12
LA TRAXSLAZIONE DELT.^ '=^^^" ' ' ^^'^ PRIXXIPESSE DI '^
La salma della principessa fu sepolta la sera del 15 maggio 1801 nella
chiesa de' SS. Apostoli, annessa al palazzo Colonna, nella cappella della Con- •
cezione (i), ove restò fino al 1858.
Nel 1857, essendo venuto a morte il commendatore Agostino Chiaveri (2)
ed avendo lasciato con suo testamento ventimila scudi perchè fossero eseguiti
dei restauri alla cappella predetta, i religiosi officianti la chiesa si rivolsero
al marchese Migliorati, ministro della Legazione sarda presso la S. Sede,
perchè chiedesse istruzioni al suo governo, essendo necessario di erigere
alla principessa Alarla un più ricco monumento, che armonizzasse cogli abbel-
limenti che si aveva in animo di fare (3).
Re Vittorio Emanuele II, cui fu riferita la cosa, ordinò che l' abate
Stellardi, suo cappellano e cancelliere della R. Cappella, si recasse in Roma
per ritirare la salma della Sua congiunta.
Lo Stellardi parti da Genova il 4 dicembre 1857 sul vapore postale
« l'Avventino » e giunse a Civitavecchia il 6 successivo (4). Il ministro della
Legazione sarda in Roma aveva intanto iniziate la pratiche necessarie per
(i) II Lattari, op. cit., p. 64, riporta l'inscrizione della lapide apposta sulla tomba della
principessa, lapide che ora trovasi nella R. Chiesa del Sudario in Roma, murata nella parete
destra del corridoio che mena alla sacristia, senza, però, nessuna indicazione che ne attesti
la provenienza.
D. O. M.
MARIA FELICITA A SABAVDIA
VIRGO
SANX'TIMONIA MORVM INNOCENTI A
PRAESTANTISSIMA
MAGNANIMA PIETATE
INSITA
AERE SVO AD TAVRINOS MONTES
COENOBIVM
VIRGINIBVS VIDVISQVE
TVTA EST
ADVERSAE FORTVNAE IMPETV MAJOR
RELIGIONIS FORTITVDINIS EXEMPLVM
AB ATAVORVM AVLA
VLTRA TVRRHENVM AD SARDOA LITORA
INDE PER VNIVERSAM ITALIAM
PROTRAHENS
HOSPITA PHILIPPI COL\':viNAE
PRINCIPIS AFFINI
NEAPOLITANI REGNI CONESTABILIS
ROMAE OBIIT IN DOMINO
TERTIO IDVS MAJVS MDCCCI
VIXIT ANNOS . LXXI . MENSEM . I . UIES . XXIV
KAROLVS EMANVEL IV
SARDINIAE REX PIENTISSIMVS
AMITAE KARISSIMAE AD EXVVIAS
HIC INTERIM SITAS
MOERORIS OBSERVANTIAE ERGO
M. P.
(2) Dal Libro dei Consigli del Convento de' SS. Apostoli (Arch. Chiesa omonima\ anìio
1857, p. 149, la data del testamento risulta essere quella del 26 luglio 1S57.
(3) Il ministro della Legazione sarda, che si recò a visitare il monumento, lo descrive
infatti come assai modesto, « componendosi di un'urna circondata da un muro a cuiesovrap-
posta, siccome coperchio, una lapide ». Lettera del Migliorati al Conte Nigra, ministro della
R. Casa. Arch. R. Torino.
(4) Relazione dell'abate Stellardi al Conte Nigra, ministro della R. Casa. 1° marzo 1S58.
Arch. R. Torino.
lì
356 A. TELLUCCINI
eseguire la rimozione del cadavere ; ma queste andarono tanto in lungo che,
quando giunse il 7 dicembre l'abate Stellardi, dovette attendere alcuni giorni
prima di poter compiere il mandato affidatogli.
Solamente il 10 gennaio 1858 il cadavere della principessa potè essere
tolto dalla sua sepoltura provvisoria.
A tale funzione, cui furono presenti il parroco ed alcuni religiosi offi-
cianti la chiesa de' SS. Apostoli (i), intervennero l'abate Stellardi ed il
ministro in Roma del Re di Sardegna: testimoni furono monsignor Pietro Sola,
vescovo di Nizza, ed il marchese Giulio Raggi, già scudiere della regina
Maria Cristina.
Tolta la lapide, di cui già conosciamo l' iscrizione, venne alla luce una
cassa mortuaria di piombo (2). Constatato che questa non presentava traccia
di manomessione venne senz'altro rinchiusa in una nuova di legno sulla
quale fu posta una placca di metallo a ricordo del disseppellimento (3).
Della seguita cerimonia fu steso il relativo verbale sottoscritto dallo
Stellardi, dal ministro e dai testimonii, i quali ascoltarono poi la messa cele-
brata in suffi-agio della defunta.
Nella sera poi del 14 gennaio la cassa, posta in una vettura, partì accom-
pagnata dallo Stellardi, dal marchese Migliorati e da quattro carabinieri,
concessi da Pio IX quale scorta fino a Civitavecchia. Colà giunse sulle prime
ore del mattino seguente e subito venne caricata sulla nave della R. Marina
sarda, il « Monzambano », ove fu collocata nella sala d'armi e ricoperta dalla
bandiera nazionale.
(i) In occasione della translazione della salma, Vitlorio Emanuele II donò alla chiesa dei
SS. Apostoli un calice d'argento, che tuttora si conserva, fornito dall'orefice di Roma Luigi
Freschi, del peso di oncie 40 112, ornato dello stemma di Savoia e recante la seguente in-
scrizione : Victorius Eìiimanuel II Sardiniae Rex Parrocciae SS. XII Apostoloruni. Nonis
/aniiarii MDCCCLvni. Relazione citata e Lettera di ringraziamento pel dono ricevuto del
padre p^uardiano de' Minori conventuali al 'ministro del Re di Sai-degna in Roma, 13 gen-
naio 1858. Arch. cit.
(2) Essa recava la seguente inscrizione :
MARIA FELICITA DI SAVOIA
NATA IN TORINO
I.I 19 MARZO 1730
MOiriA IN ROMA
LI 13 M A G (^ I < ) I S o I
Relazione, cit.
(3)
MARIA FELICITA
PRINCIPESSA DI SAVOIA
NATA IN TORINO ALLI I9 MARZO 1730
. MORTA IN ROMA ALLI I3 MAGGIO 180I
E DEPOSITATA NELLA CAPPELLA DELL'IMMACOLATA
AI SS. DODICI APOSTOLI
PER ORDINE DEL RE VITTORIO EMANUELE II
NE FU LEVATA
NEL GENNAIO DELL'aNNO 1858
E TRASPORTATA A TORINO
PER ESSERE QUINDI TUMULATA
NEL REAL SEPOLCRETO DELLA BASILICA
DI SOPKRGA
Ibid.
14
LA TRANSLAZIONE DELLE SALME DI DUE PRINCIPESSE DI SAVOIA 357
La nave salpò da Civitavecchia alle 9 ^/.^ antimeridiane del giorno 15
per arrivare il dì seguente a Genova : nel pomeriggio dello stesso giorno
proseguì per Torino, ove giunse alle 9,40 di sera.
La sepoltura, che venne data alla principessa Maria ne' sotterranei della
chiesa metropolitana di S. Giovanni, doveva essere provvisoria, giacché si
aveva in animo di trasferire subito il feretro alla R. Chiesa di Superga.
Stante la cattiva stagione quel trasporto venne differito e fu solo effettuato
il IO settembre 1858 (i).
Ora la salma della pia e caritatevole principessa, che' visse negli ultimi
anni una vita travagliata per avere veduto il Piemonte occupato dalle truppe
francesi ed il monarca, suo nipote, prendere la via dell'esilio, riposa nella
sovrana pace dei RR. sepolcreti di Superga, nella seconda camera a sinistra
della cappella centrale sotterranea, vicino alla salma di un'altra principessa
sua congiunta, che le vicende politiche fecero vivere per parecchi anni esule
a Roma: la principessa Maria Anna del Chiablese.
La lapide che ricorda la principessa Maria Felicita fu dettata da Luigi
Cibrario :
FELICITATIS . A . SABAVDIA
F . REGIS . CAROLI EMMANVELIS . Ili
VIRGINIS . PIENTISSIMAE . ALTRICIS . EGENTIVM . PERPETVAE
QVAE . DECESSIT . ROMAE . Ili . IDIBVS . MAH . A . MDCCCI . ANNOR . LXXI
OSSA . AB . VRBE . TRANSLATA . COMPOSVIT . APVD . MAJORES . SVOS
REX . VICTORIVS . EMMANVEL . II . A . MDCCCLVIII .
Settembre 1907.
(i) Verbale di ricevimento della salma nella R. Chiesa di Superga. 10 settembre 1S5S.
Ardì. cit. Il Lattari, op. cit., p. 65, ignorando forse questa sosta di circa otto mesi della
salma a Torino, afferma che il cadavere di Maria Felicita da Roma fu trasportata in Pie-
monte e poi a Superga il 10 settembre 1858.
RANC1':SC() KTOENIO DI SAX'OIA
Conte di Soissons
GIOVANNI SFORZA
IL PRINCIPE
Eugenio Francesco di Savoia
CONTE DI SOISSONS
E IL SUO FIDANZAMENTO
cox
MARIA TERESA CYBO
DUCHESSA DI MASSA
vvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvvv vv v>/^>' V v^/'^'^^^^v^v^v^v^vv^'^vv^v>^^
I.
Il 7 decembre del 17 io mancò ai vivi Carlo II Cybo duca di Alassa (i).
Fin dal 9 giugno del 1705 aveva fatto il suo testamento, col quale istituì
erede universale il primogenito, Alberico III, principe di Carrara, che gli
succedette; e lasciò un assegno agli altri due figliuoli, Camillo e Alderano (2).
(i) Cfr. Diana Palhologo G. B. Orazione detta ne' funerali del Serenissimo D. Carlo
Cibo Malaspina Duca del S. R. 1. 'e di Massa, Principe di Carrara, Duca di Ferentino,
Duca d'/ìjello, Signore di Padula Beneventana, et e. Dedicata alT Eccellentissima Signora
Principessa D. Attua Panfilia Daria, In Lucca, mdccxi. Per Pellegrino Frediani; in-8'', con
una tavola rappresentante il catafalco, che fu inventato da Alessandro Bergamini e inciso da
Teodoro Ver Cruijsse. Vi è unita, con frontespizio a parte, V Orazione del Conte Gio. Bat-
tista Diana Paleologo della ne' funerali della Signora Duchessa di Massa D. Teresa
Panfilia Cibo, e dedicata all' Eininentissimo Sig^'. Cardinale D. Benedetto Panfilio.
{1) Il testamento, che si conserva nel R. Archivio di Stato in Massa, è tutto scritto di
suo pugno. Così dispone: «Venendo all'accomodamento de' miei dilettissimi figli D. Camillo
e D. Alderano, secondogeniti, et in conseguenza allo stabilimento della mia Casa e succes-
sione, ho lasciato e lascio, a titolo d' instituzione et in ogni altro miglior modo che possa
esprimersi e faccia di bisogno, alli predetti miei figli secondogeniti scudi millecinquecento
di lire otto, moneta di Massa, per ciascheduno di loro; da pagarseli annualmente, loro vita
durante e naturale, solamente dall'infrascritto mio erede, di sei mesi in sei mesi la rata
anticipata; tolto però \o jus accrescendi fra detti miei figli, di modo che, premorendo l'un
all'altro, cessi l'obbligazione rispetto a quello di essi che premorisse. E detta annua presta-
tione ho lasciato e lascio a detti miei figli, perchè è mia mente et intenzione che debbano
e ciascheduno di loro debba renonciare a favore dell'infrascritto mio erede, tanto per la
legittima che compete alH medesimi nella mia eredità et in quella della Duchessa, mia
moglie e loro madre, quanto ad ogni altra pretenzione che in qualunque modo, o per
qualsivoglia altra causa, pensata o impensata, presente o futura, mediata o immediata,
tenessero o potessero mai in qualonque tempo avere sopra l'eredità mia e contro la persona
di detto mio erede, beni et effetti che da esso si possederanno, e che promettino e si obbli-
ghino di non molestarlo in tempo alcuno per sé, o per altri , per le suddette cause ; come
cosi gravo et intendo di aver gravato li suddetti miei figli e ciascheduno di essi a far detta
renunzia, obbligazione e promessa per pubblico instrumento, nel tempo e termine di tre
mesi dal giorno che seguirà la mia morte. Esorto però detti miei figli, per quanto stimano
gli avvertimenti e consigli di padre tanto amorevole e tanto amato sempre da loro in vita,
a fare la detta renonziri a favore del mio erede et a contentarsi di detto annuo assegnamento ;
quale, a detto rifl-^so, ho voluto sia molto maggiore di ([uello che lasciò il Sig.r Duca mio
padre alli miei fratelli, benché io conosco molto bene che detta annua prestazione sia per
riuscire di straordinario aggravio allo stesso mio erede, poiché presentemente si sono dimi-
nuite assai le rendite e l'entrate della Casa nostra da tutte le parti e soggiace tuttavia a
maggiori pesi e gravezze di quello sia mai stata in tempo delli Sigri Principi miei antenati;
ponendo ancora in considerazione alli detti miei figli, che non ho voluto avere riguardo
alcuno, nello stabilire l'accennato assegnamento, all'entrate che possono sopravvenire alli
medesimi nelli successivi tempi; quali entrate potevo gravare ristessi figli e ponerle in
conto di detto assegnamento, con diminuirlo in tal caso a proporzione di quello avessero
potuto annualmente ritraere da dette loro entrate. Et in caso che dentro il tempo e termine
suddetto non abbino li medesimi miei figli, o alcuno di essi, fatta la detta renunzia, come
5
46 -Mise, S. Ili, T. XIII.
362 GIOVANNI SFORZA
La morte di Carlo II fu universalmente compianta. « Nelle occasioni era
generoso, né volev^a che alcuno si partisse da lui sconsolato »,; « amò li sud-
sopra, diminuisco e voglio che resti diminuito, riduco e voglio che resti ridotto il suddetto
annuo assegnamento di scudi millecinquecento a soli scudi settecentocinquanta annui, mo-
neta come sopra, per ciascheduno di essi che averà ricusato di fare la detta renunzia, da
pagarseli dal mio erede nella forma sopra disposta; qual annuo assegnamento di scudi set-
tecentocinquanta lascio, come sopra, a detti miei figli per ragione d' instituzione et in ogni
altro modo che possa e debba lasciarglielo; con dichiarazione che debba essere per tutto
quello e quanto essi miei figli potessero in qualsivoglia modo e per qualsivoglia causa, anco
di legittima e de iure privilegiata o privilegiatissiina in tutto, come sopra, pretendere dalla
mia eredità, o dell'infrascritto mio erede, beni et effetti, salvo sempre in tal caso a detti
miei figli la facoltà di conseguire la loro legittima materna; esortando novamente detti miei
figli a volersi quietare, sodisfare e contentare di questa mia disposizione et a non molestare
l'infrascritto mio erede in conto alcuno; ordinando e comandando anzi che sia da loro rive-
rito e rispettato, come si conviene, con vivissimo desiderio che non diano mai causa di liti ,
discordie e male soddisfazioni, ma che conservino tra di loro la pace, l'unione fraterna e
l'affettuosa corrispondenza, come vogliono le leggi umane e divine, e lo faccino anche in
ossequio delle ceneri d'un padre che gli ha tanto amati in sua vita. Se poi li medesimi
miei figli secondogeniti senza aver alcun riguardo alli consigli et ordinazioni paterne (il che
non voglio mai credere che sia per seguire, stante le buone qualità loro) non volessero
acquietarsi alle preaccennate mie disposizioni , ne contentarsi dell' annuo assegnamento
lasciatoli da me come sopra, e portassero per detto effetto molestia alcuna al sopradetto
mio erede, allora et in tal caso revoco detta annua prestazione e di quella privo li detti
miei figli, o quello di essi che, come sopra, non volesse accpiietarsi; dichiarando e volendo
che si abbia per non lasciata e che detto erede rimanga del tutto libero da essa gravezza
verso detti miei figli, a' quali nel caso suddetto lascio la sola legittima che de iure loro
compete ne' miei beni, et in quella solamente gli instituisco eredi, perchè così a me piace».
Riguardo poi a Camillo e ad Alderano in particolare, aggiunse queste disposizioni: «Se
bene presentemente mi ritrovo aver fatto al predetto D. Camillo, mio figlio, che vive in
Roma, un annuo assegnamento di scudi duemila di quella moneta, che li faccio pagare dal
Sig. Leonardo Libri sino a mio ordine; ad ogni modo intendo e voglio che subito seguita
la mia morte, quando non l'avessi fatto prima, cessi il suddetto annuo assegnamento e
venga diminuito alli suddetti scudi millecinquecento da lire otto, moneta di Massa, o alli
scudi settecentocinquanta moneta simile nel caso suo, o pure che resti annullato totalmente,
secondo li casi sopra enonciati. E questa retrattazione dell'annuo assegnamento delli scudi
duemila al detto mio figlio lo faccio con aver prese tutte le misure sopra lo stato presente
della mia Casa, ridotta in angustie assai maggiori di quello era in altri tempi, e trovo che
assolutamente non posso imponere questo peso eccedente all'infrascritto mio erede, senza
farlo declinare dal grado in cui dovrà trovarsi con l'obbligo di sostenere e mantenere il
lustro e splendore della nostra famiglia e dell' istessa dignità del ducato, oltre la considera-
zione agli aggravi che s'accrescono allo stesso mio erede per conto del suo matrimonio.
Rispetto poi alli mobili et argenteria che possono occorrere per il bisogno et uso di detti
miei figli, già D. Camillo predetto resta condecentemente proveduto col legato fattoli dalla
felice memoria del Sig. Cardinale Cybo, mio zio, sì delli uni, che delli altri; con questo però
che detti mobili et argenterie rimanghino appresso detto mio figlio a semplice uso, e' sua
vita durante, alla forma della disposizione di S. Em." per il che mi riporto e voglio si abbia
relazione al medesimo testamento dell'Eni.'' Sua. Quanto poi alla persona di D. Alderano,
mio figlio terzogenito, quando del tempo della mia morte sopravvivessero ancora tutti e due
li miei Sigg."' fratelli D. Alessandro e D. Francesco Maria, quali il Signore conservi longa-
mente, ordino, comando e voglio che dall' infrascritto mio erede siano assegnati al detto
mio figlio stanze condecenti nel mio palazzo, a discrizione di esso mio erede; e che debba
somministrarli i necessari alimenti sin a tanto sia mancato di vita uno de' suddetti miei
fratelli; nel qual caso ordino e voglio che il detto D. Alderano debba andare ad abitare
nel palazzo destinato per li cadetti e nell' appartamento che sarà rimasto vacante per la
morte suddetta d'uno de' miei fratelli; quando però non concordasse diversamente col
detto mio erede per servizio e benefizio maggiore della mia Casa, o che si trovasse a studio,
o in altra parte, di soddisfazione di detto erede ; altrimenti , stando separato dal medesimo
erede, allora doverà cominciare a pagarli il suddetto annuo assegnamento nella forma da
me sopra ordinata, e non prima, stante li antedetti riguardi, e consegnarli quella porzione
di mobili et argenti che godeva in vita il predetto mio fratello premorto, con l'istessa con-
dizione di puro uso e di dover ritornare la detta porzione dopo la di lui morte al suddetto
mio erede ».
A favore del primogenito così testò: « Venendo ora a dichiarare et instituire il mio erede
imiversale, dichiaro et instituisco per mio erede universale Alberico, mio diletti.ssimo figlio
primogenito, Principe di Carrara, delli miei Stati di Massa e Carrara, d'Aiello, di Fiorentino,
Padulla Beneventana e di tutte le loro fortezze, ville, terre et abitatori, vassalli, giurisdizioni,
distretti e pertinenze et attinenze e di tutto quello che da me si possiede in detti Stati, delli
6
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 36
diti con animo paterno »,e « provava estremo disgusto quando era costretto a
punire qualche malfattore, poiché, per essere d'incorrotta giustizia, intendeva
palazzi di Ferrara e di Pisa e de' luoghi di Monte assegnati per il palazzo di Roma dalla
Santità d'innocenzio Decimo, e di tutti gli altri luoghi di Monte a me spettanti, delli miglio-
ramenti tatti dalla Duchessa mia moglie nella villa della Rinchiostra, che le fu concessa
dal Sig'' Duca mio padre col patto e condizione che doppo la di lei morte dovesse la mede-
sima villa ritornare tale e quale si fosse ritrovata al Duca di Massa che avesse regnato in
quei tempo, e che li miglioramenti suddetti restassero annessi et incorporati al feudo; senza
che essa o li suoi eredi potessero pretendere né conseguire la ripetizione o il compenso del
frantoio da olio o del molino situati sul Canale detto di Sopra la Rocca. Qual frantoio,
benché fosse fatto fabbricare di pianta dalla detta Duchessa mia moglie, resta nondimeno
incorporato al feudo, per non avere la stessa Duchessa avuta da me concessione alcuna
dell'acqua che serve per detti edilìzi. Qual acqua come ius e diritto feudale s'aspetta priva-
tamente a me et alli miei successori nel Ducato ; ma vi era fra di noi il concerto che lave-
rebbe solamente goduto sua vita durante e poi l'averebbe incorporato nel fidecommisso,
come di verità ella fece et apparisce dal suo testamento; essendosi sempre dichiarata la mede-
sima Duchessa di non voler portare pregiudizio alcuno con dette fabbriche all'entrate che mi
provengono di simili edilìzi. Delle gioie, oro et argento e di tutti li miei mobili e suppellettili
di qualsivoglia sorte, di tutti li cavalli della mia scuderia e di tutte le mie razze e di tutti gli
altri mobili, immobili e semoventi, ragioni, azioni, crediti e nomi di debitori in qualsivoglia
luogo posti et esistenti e dovutimi per qualsivoglia causa e titolo, compresovi anche il credito
che si ha con la R. Camera Apostolica per causa dell'imprestito fattoli dalla felice memoria
del Sig^ Cardinale Innocenzio Cybo, del quale io resto erede sostituito per esser morti li due
figli di detto Sigr Cardinale senza figli ; per il qual imprestito fu assegnato al Sig^ Lorenzo
Cybo la terra di Vetralla, che poi la Camera li ripigliò ; e parimente di tutte e singole pre-
tenzioni che ho o in qualunque modo posso avere sopra altri Stati. Al qual mio erede, come
sopra instituito, inerendo et uniformandomi alle primogeniture, tìdecommissi e proibizioni
instituite et ordinate, disposte e respettivamente comandate dalli Sig'"' Principi miei antenati,
proibisco e vieto ogni e qualunque benché minima alienazione, non solo di tutti e singoli beni
et effetti vincolati dalli detti Sig''' Principi e fidecommissi e primogenitura, ma anche delli
suddetti miglioramenti del palazzo di Massa, della villa della Rinchiostra, del suddetto
frantoio e molino; quali ancor io tutti sottopongo, voglio et intendo, per quanto faccia di
bisogno, che restino sottoposti a perpetua primogenitura, regolata da quella delli Stati di Massa
e Carrara. Dopo la morte del suddetto Principe di Carrara, mio erede, come sopra instituito
(che Dio preservi longhissimi anni), sostituisco e chiamo alla successione di detta mia eredità
il suo figlio primogenito maschio e li primogeniti maschi discendenti dallo stesso in infinito,
con ordine successivo di primogenitura, finché durerà la linea o discendenza mascolina di
detti primogeniti; et in caso mancasse o rimanesse estinta la linea e discendenza mascolina
delli primogeniti suddetti, allora et in tal caso ordino, comando e voglio che succeda in detta
mia eredità il secondogenito e li primogeniti discendenti da esso et così successivamente
degli altri con il medesimo ordine di primogenitura. E dandosi il caso che mancasse o
s'estinguesse la mia linea mascolina (che Dio non voglia) ordino e comando che debbano
allora succedere le femine mie discendenti, nel modo istesso che vengono chiamate nell'inve-
stiture e nel testamento del Sig"" Principe Alberico, mio trisavo ; al quale in detto caso mi
riporto. Dichiarando et intendendo che tutti li primogeniti sopra chiamati e li secondogeniti
nel loro caso debbano essere legittimi e naturali e di legittimo matrimonio concetti e nati e
dal proprio corpo e della propria moglie di ciaschedun di essi, escludendo perciò tutti li
bastardi, spurii et inlegittimi, ancorché fossero legittimati per subseqiicns inalrhnoniinn, o per
rescritto, grazia, autorità, balìa e privilegio di qualsivoglia Principe secolare o ecclesiastico ».
Non manca poi di dare all'erede « quelli paterni ricordi che possono conferire al suo
maggior stabilimento e quiete nel suo governo ». .Son questi : « In primo luogo, egli deve avere
sempre fisso il suo pensiero nel riflettere che li Principati vengono direttamente dalla mano
di Dio e che non si conservano se non con il suo Divino aiuto, per poter reggere il di lui
dominio col suo santo timore e con quelle confidenze che è vanità averle nelli mezzi umani.
A tal fine dovrà invigilare con tutta la sua applicazione per il maggior lustro della religione,
per la riverenza e rispetto delle chiese, per la retta amministrazione delle opere pie, che
restano a carico del Principe, d'impedire li scandali, che sono il veleno et il contagio delle
città e delli Stati. Di portare tutta la venerazione alli ecclesiastici e sfuggire sempre ad ogni
suo potere le dispute e gl'incontri con il loro foro, e mostrarsi in tutti li rincontri figlio obbe-
dientissimo del Sommo Pontefice e della Santa Sede; né manchi similmente di avere a cuore
l'onore delle donne, anzi di difenderle con l'autorità sua. Procuri con le rimostranze più fine
di mantenere l'amore dei sudditi, li quali per avere origine dalla munificenza del Sig"" Prin-
cipe Alberico, mio tritavo, che edificò di pianta la città di Massa, devono essere riconosciuti
come figli del Principe, non dubitando che questi non siano per esser grati non solo al
beneficio fattoli da esso Sig"" Principe Alberico con dar luogo al primo essere civile, ma alli
tanti altri che riconoscono dalli Sig" Principi suoi successori e da me medesimo, che nelle
maggiori loro angustie, pericoli e strettezze, ho procurato il loro sollievo col mio proprio
364 GIOVANNI SFORZA
che i delitti fossero puniti; ma se solo riguardavano il suo privato interesse,
generosamente, per quanto li spettava, li perdonava » (1). Affatto singolare
fu soprattutto la sua pietà (2). Nelle guerre per la successione di Spagna,
danaro e della Casa ; ripromettendomi della loro continova fede e pontualità nel governo
d'esso mio erede. Si mantenga la buona corrispondenza con la Ser™'* Repubblica di Genova,
di cui è figlio, e col Ser»"» Gran Duca di Toscana per l'antica attenenza del sangue, e delli
altri Sigr' Principi confinanti ; conservando insieme tutte le amicizie che lascerò io, anzi procuri
di farsene, essendo questo il traffico più utile che si trovi nel commercio umano. Li racco-
mando quanto so e posso di star sempre unito e d'accordo con li suoi fratelli, conforme
richiede lo strettissimo vincolo del sangue ; e di fare ogni cura delie sue sorelle monache,
che, essendo state chiamate da Dio alla vita religiosa, possono esserli di grande aiuto con le
loro orazioni >.
Carlo II ebbe in moglie Teresa, figlia di Camillo Pamphili Principe di S. Martino e di
Olimpia Aldobrandini, che morì il 7 agosto del 1704. Nel testamento di lei. fatto il 3 di maggio
di quell'anno, si legge: « Per ragione di legato a titolo di particolare institutione et in ogni
altro meghor modo ha lassato e lassa alli Sig'' Don Camillo suo secondogenito e Don Alde-
rano suo terzogenito, che al presente si ritrovano in Roma, la loro legittima che gli è dovuta
per ragione di natura et in conformità delle leggi et statuti di questa città; e di più, oltre la
medesima, lire diecimila moneta corrente di Massa per ciascheduno di loro, da assegnarseli
e pagarseli come in appresso si dirà nell'articolo dell'institutione del suo Sig''*^ erede, e questo
per una volta solamente... In tutti gli altri di detta Ser"''* Sigr^i Teslatrice beni mobili, immo-
bili, semoventi, ragioni e azioni, crediti, denari et effetti di qualunque sorte siano et in qua-
lunque luogo posti et esistenti et a detta Ser"'-» Sig''" Testatrice in qualsivoglia modo, causa
e titolo spettanti et appartenenti, salvo però tutte le cose di sopra disposte et ordinate, suo
erede universale Pistessa Ser™» Sig''^ Testatrice ha instituito et instituisce, ha fatto e fa, e di
propria sua bocca ha nominato e nomina e vuole che sia l'Ili"'" et Ecc""» Sig'' Prencipe Al-
berico Cybo Malaspina, figlio primogenito di detta Ser'»'' Sig'"-'* Testatrice e di detto Ser"'"
Sig'" Duca Carlo Cybo Malaspina, suo dilettissimo marito, al quale ha voluto e vuole che
pervenga tutta la di lei eredità in ogni miglior modo che dire e fare si puole, col peso però
et obbligo dell'infrascritta particolare primogenitura, cioè: Retrovandosi tra gli altri beni et
effetti nell'eredità di detta Ser'"** Sig'^" Testatrice le sue gioie, la sua villa della Rinchiostra
con li mobili in essa esistenti, il molino posto sopra la Rocca et il frantoio contiguo a detto
molino, con li terreni adiacenti all'uno et all'altro, quali stabili asserisce essere siali da lei
acquistati e fabbricati respettivamente, a riserva del nudo terreno nella villa della Rinchiostra,
quale resta compreso nell'antica primogenitura di ciuesta Ser'"'^ Casa, perciò a fine di con-
servare l'agnatione et il maggior decoro e splendore nel primogenito delli suoi discendenti
in perpetuo e fino durerà il mondo, ha sottoposto e sottopone li predetti stabili a vincolo di
perpetua e sempiterna primogenitura, di modo che passar debbono di primogenito in primo-
genito maschio per linea mascolina, legittimo e naturale, sino che ve ne sono della sua di-
scendenza, e morendo alcuno di detti primogeniti senza prole mascolina succedere debba il
secondogenito maschio, parimente legittimo e naturale, *e così successivamente di primogenito
in primogenito gradatamente Einalmente detta Ser""* Sig'^ Testatrice prega e persuade
detto EccJ"<* Sig'' Prencipe, suo erede come sopra instituito, a volere fare continuare la nobile
arte della seta in questa città, sotto la direzione degli ebrei Olivieri e Costa, come di presente
si ritrova, ovvero sotto la direzione d'altri, quando questi mancassero, o non volessero più
continuarla; e questo a motivo del sollievo de' poveri e per continuare l'industria ancora nelle
persone civili e per decoro della città ».
(i) Rocca O., Varie memorie del mondo ed in specie delio Stato di Massa di Carrara
dal 1481 al 1738, mss. nella Biblioteca Estense di Modena, p. 153.
(2) Sta li a farne fede il suo stesso testamento, tutto di proprio pugno, dove scrive :
« Prevedendo sin d'oggi il momento della mia morte, consegno, per primo, adesso per
allora, l'anima mia nelle mani et in potere degli Angioli miei custodi, pregandoli a volerla
presentare, avanti che comparisca nel tribunale del Giudice tremendo, alla Beatissima \'ergine
delle misericordie, mia'avvocata, a fine che si degni intercederli la remissione di tutte le
colpe che possino averla deturpata e resa in stato, unita alla carne, della sentenza di perdi-
zione; e questo per li meriti dell'immacolata sua concezione e delli acerbissimi dolori che
pati nelli spasimi e morte del suo diletti.ssimo figlio Gesù Christo Mi protesto di credere
e di aver creduto sempre, senza minima esitazione, tutto ciò che ha insegnato et insegna,
crede et ha creduto, stabilisce e ha stabilito Santa Madre Chiesa Catolica Romana per salute
delle anime de' fedeli e per maggior culto del vero Dio trino et uno; mi protesto che sono
stato e sarò sempre pronto a spargere il sangue por la jiropagazione e difesa della S. Fede
di Gesù Christo, poiché questa è l'unica, vera et infallibile. Piango intensamente con tutta
l'espressione delle lacrime del mio cuore ogni e qualunque mia colpa, tanto di commissione,
che d'ommissione, sia seguita col pensiero, con l'opere o con le parole, domandandone a
S. D. M. umilissimo perdono, con supplicarla a degnarsi di ricevere l'anima mia che le sarà
restituita dagli Angeli miei custodi e scordarsi dell'impurità d'essa con la memoria e col
8
IL PRINXIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 365
poco mancò non perdesse la corona, avendo preso a favorire Filippo V e ne-
gato il chiesto soccorso all'Imperatore, per ricuperare la fortezza dell" Avenza.
Spagnuoli e Austriaci corsero da padroni i suoi Stati, con grave danno
dell'erario e delle popolazioni, ridotte addirittura alla miseria e alla dispe-
razione a furia d'angherie e di balzelli. Alberico III, suo successore ed erede,
per conseguenza, ebbe a trovarsi in grandi strettezze e fu « costretto a vivere
con qualche particolare misura e necessaria economia » (i).
Rimasto infecondo il suo disgraziatissimo matrimonio con Niccoletta
Grillo di Genova; né volendo Camillo, suo fratello secondogenito, abban-
donare la Corte di Roma e la carriera ecclesiastica, che percorse poi con
fortuna, essendogli toccato anche il cappello cardinalizio, conferitogli da
papa Benedetto XIII il 2^ marzo del 1729, dopo essere stato maggiordomo
del Sacro Palazzo e patriarca di Costantinopoli ; Alberico impose all'altro
suo fratello Alderano di ammogliarsi (2). 11 20 marzo del 17 15 Alderano
riguardo di Maria Vergine immacolata, sua dilettissima madre Havendo io sempre pro-
fessato una somma devozione e venerazione verso il SSn'o Sacramento e volendola rimostrare
anche dopo la mia morte con qualche segno e testimonio perpetuo, comando e voglio che
il mio erede pontualmente faccia fare un piviale di tutta decenza et un baldacchino simile
acciò serva solamente l'uno e Taltro per il parroco quando esce col sacrosanto \'iatico per
la città, e parimente quattro lampioni o siano lanternoni, simili a quelli che tiene la Compagnia
intitolata del Sacramentp ; e queste cose, per uso come sopra, si doveranno consegnare alli
offiziali di essa Compagnia acciò le conservino e somministrino solamente al parroco per
detto effetto. Inoltre voglio e comando che debbano andar sempre presso il medesimo Via-
tico quattro soldati della mia Guardia di Palazzo con le loro alabarde quando sortisce per la
città, tanto di giorno, che di notte, e vi siino sempre due livree con le torcie, o di cera o a
vento, secondo li tempi o stagione; le quali due livree dovranno essere destinate dal mio
erede a vicenda, di settimana in settimana; e quando il medesimo sacrosanto Viatico uscirà
fuori delle porte della città vi dovranno andare due soldati della detta Guardia con le loro
alabarde e le due livree con le torcie, come sopra; volendo che questa mia instituzione duri
in perpetuo e si mantenga a spese del mio erede e di tutti li miei successori... Premendomi
inoltre la sussistenza e mantenimento delli PP. Cappuccini del convento di Massa, già che
paiono sminuite l'elemosine per le miserie del publico, esorto e consigHo il predetto mio
erede, cessati che saranno gli impegni, da me creati e registrati nella mia segreteria, delli
predicatori che devono predicare la Quaresima e l'Avvento nel duomo di Massa, a voler
assegnare quel pulpito alla Religione Cappuccina, quando però li Padri Superiori di essa
vorranno mandarvi predicatori di prima riga, in sostenimento della riputazione di cui si
trova il medesimo pulpito, acciocché le elemosine solite a darsi alli predicatori restino in
sussidio e benefizio di detto convento ; le quali elemosine dovranno essere della somma che
si pratica in oggi con li predicatori d'altre Religioni. Consiglio et esorto parimente il predetto
mio erede, quando seguirà la mia morte prima di potersi far fare li due altari di marmo in
S. Pietro del SS™° Crocifisso e del SS™o Rosario, già cominciati e dismessi per le cause
note al medesimo erede, a voler compire lui quest'opera, subito che ne averà il commodo;
essendo certo che passerò all'altra vita con un sommo rammarico se non mi sarà stato pos-
sibile venire all'effettuazione di questo mio devoto desiderio ; perciò il predetto mio erede
resta ancora pregato a volere con la pietà sua consolare le stesse mie ceneri nell'erezione di
essi miei altari, che deve servire di tanto lustro e decenza alla chiesa matrice, dove egli ha
ricevuto l'essere dell'anima con l'acqua del Sacro Fonte ».
(i) ViANi G., Memorie della famiglia Cybo e delle monete di JÌIassa di Lunigiana, Pisa
Prosperi, 1808, p. 58.
(2) Alderano, « riconosciuto di talento buonissimo e capace di far buon profitto »,
fu da' genitori « provveduto d'un dotto e ben morigerato maestro sacerdote secolare,
chiamato D. Andrea Guerra », dal quale venne e instruito nelle lettere e ne' buoni
costumi ; ed infatti molto s'avanzava e cresceva sempre più nelle virtù e riusciva d'uno
spirito assai pronto, di modo tale che rendeva stupore a chi seco aveva la sorte di discor-
rere ». Quando « fu d' età competente » venne mandato a Roma e messo nel Collegio
Romano, « acciò ivi facesse maggior acquisto delle scienze; ed infatti cosi successe ».
Rimastovi tre anni, il 20 maggio del 1705 tornò a Massa. Il padre, dopo averlo trattenuto
seco alcune settimane, lo inviò a Parma « nel famoso Collegio diretto da' PP. Gesuiti, acciò
terminasse il corso delle scienze e delle arti cavalleresche, alle quali mostrava avere sommo
genio ». Di lì a tre anni tornò a Massa, e « quantunque avesse ben profittato nelle scienze
e nelle arti, nel rimanente si vide tutto diverso, imperocché poco obbediva al genitore e
306 GIOVANNI SFORZA
« partì da Massa per andare in Lombardia, e si disse per concludere il suo
accasamento con l'Ecc'"'' Donna Ricciarda, figlia dell'EcC"" Sig"^ Conte Camillo
di Novellara (i), che, per quanto si discorreva, era una dama gentilissima e per
la bellezza del corpo e per le doti dell'animo ; ed in fatti riuscì tale e quale si è
descritta ». Il 28 d'aprile Alberico «partecipò la conclusione del matrimonio del
Principe fratello colla suddetta Ecc""" Signora, il che apportò sommo contento
alli sudditi fedeli, essendosi già confermata la parentela con quella Ecc"'" Casa;
e se in altri tempi Casa Cybo concesse una Ricciarda a Casa Gonzaga (2),
questa Casa diede nel presente matrimonio un'altra Ricciarda alla Serenis-
sima Casa Cybo ». Il 26 di m^aggio, « circa l'ore 21, vennero a Massa gli
Ecc'"' Sposi, accompagnati dall'Ecc'"" vSig"" D. Eilippo, fratello unico di detta
Sigr'i Principessa (3). Il Scr"'° Sig' Duca andò loro incontro colla Compagnia
stava poco d'accordo col Principe fratello ». Alla fine d'ottobre del 1709 « si partì all'im-
provviso da Massa clandestinamente, e s'imbarcò a Lerici per andare a Genova ». Il Duca
« spedi a (jiiella volta due gentiluomini e lo ritrovarono in casa dell'Ecc"'" Principe D'Oria.
Dopo alcuni trattati s'accomodò il tutto, e ritornò alla patria e visse quieto per certo tempo,
rispettoso al vecchio genitore e d'accordo col Principe fratello e colla cognata. Il tempo della
quietezza però fu breve, poiché nella notte del giovedì santo, cioè li 17 aprile 1710, celatis-
simamente si partì, accompagnato dal sig. Giuseppe Maria Cattani, Paolo Lazzaroni e da un
suo fido lacchè, detto Francesco di Vincenzo Ugolini. S'imbarcò in Lerici per Genova; il
padre subito vi spedì, e v'era capitato, ma vi si era trattenuto per brevissimo tempo, e sep-
pesi dallo spedito che s'era incaminato verso Torino. Per il che il padre ed il fratello risol-
vettero non più ricercarlo, anzi lasciarlo scapricciare; e se aveva denari, buon per lui, altrimenti
né meno di soccorrerlo con questi; e solo stavano in attenzione dell'esito di questo oltraggio,
fatto senza prudenza e senza riflesso ». Pensò finalmente a' casi suoi e tornò a Massa segre-
tamente. « Fatto a se chiamare un certo P. Anacleto Catalani, barnabita, famigliare della
Ser"»'' Casa, l'impegnò ad intromettersi per il suo aggiustamento col padre e col fratello ».
Il Catalani «fece le sue parti, ma furono vane ». Soltanto dopo la morte di Carlo II,
vennero accomodate le differenze. Il 3 novembre del 17 io Alderano « ritornò in Massa ed
andò ad abitare il palazzino dove sono soliti abitare li Principi cadetti, non già perchè così
li prescrivesse il Duca fratello, ma solo per vivere più libero dalla soggezione di quello ».
Alberico III gli affidò « diverse onorifiche sopraintendenze, acciò esercitandosi in questi mi-
nisteri, avesse campo di far conoscere la rarità del suo buon talento ». Dette ottimo saggio
di sé, e « continuò ad operare con gran giudizio fino a che non s'allignò intorno gente fo-
rastiera; principiato a credere a questa, mutò sentimenti. Capitò pertanto in Massa un certo
sacerdote camaiorese di casa Tommasi , il quale spacciavasi per la prima musa del Monte
Parnaso; fu fermato alla sua corte» da Alderano, che «lo decorò del titolo di Poeta del-
l' Ecc"»" Sig. Principe di Carrara. Questo poeta e Francesco Ciampi , sonatore di violino,
che pure era al suo soldo, consigliarono Sua EcC^ ad intricarsi cogP impresari dell'Opere
di Livorno per le recite di carnevale dell'anno 1715; e lo servì di torcimanno in questi
trattati Giuseppe Angeli, sensale di corami in Livorno, che aveva stretta famigliarità con
Sua Ecc"-. Ottenuto l'intento dalli due consultori Tommasi e Ciampi, quello compose le
parole del dramma, intitolato la So/o;//sòa, e questo la musica. Ambedue nel pubblicarsi
dell'opera guadagnarono un solennissimo biasimo, e per loro maggior disdetta successe che
nello stesso carnevale e nello stesso teatro si recitava un altro dramma intitolato il Cifau
Cid, di vaghissima composizione, tanto delle parole, quanto dell'opera, molto virtuosa nella
musica, composta dal Sig. Gio. Battista Stuck, d'origine livornese, e virtuoso del Ser."'" Elet-
tore di Sassonia. Questo accidente niente attristò il Sig."^ Principe, ma molto contristò il
Si
ci[
distorlo, e percu
di Massa ms. nella Biblioteca Estense di Modena. Alberico, per assicurare successione alla
Casa, pensò allora d'ammogliarlo, anche nella speranza che la vita coniugale gli facesse
metter giudizio.
(i) Ebbe per madre Matilde, figlia di Sigismondo d'Este, del ramo de' Marchesi di San
Martino, e di Teresa Grimaldi de' Principi di Monaco.
(2) Ricciarda Cybo, figlia di Carlo I e di Brigida Spinola, nata nel 1622, sposò Alfonso II
Gonzaga, Conte di Novellara, avo di Ricciarda moglie di Alderano Cybo.
(3) Philippe morì poi a Massa il 14 decembre 172S e con lui si estinse la linea mascolina
de' Gonzaga Conti di Novellara e Bagnolo. Cfr. Conipoiiimcuti funebri ve/ solenne anniver-
10
ore 01 Sassonia, yucsio acciaente mente anrisro u .^^ig.' 1 rmcipe, ma mono coniri;>io 11
5Ìg.'' Duca fratello, dispiacendoli che questo s'intricasse in impegni; né tralasciò nel prin-
:ipio procurare d'impedirlo alla meglio; ciò non ostante non vi fu rimedio, né li riusci
Ustorio, e perciò incominciò a molto temere». Cfr. Rocca O. Vita di Alderano I Ducali'
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 367
delle Corazze, insieme con molti signori di ÌMassa e di Carrara, ornati di
vaghissima gala, e fecero una bellissima comparsa nel solenne ingresso.
Sparò l'artiglieria, siccome fece la seguente mattina nel principio del pranzo,
oltre l'altre gazzarre ; vi convenne popolo innumerabile delli Stati e di questi
contorni, e facevano rimbombare l'aria di voci di giubilo. Scesero alla porta
maggiore di S. Pietro, che era sfarzosamente parata, e fatte le solite preci,
ricevuti dal Sig'" Abbate, canonici e clero, s'incamminarono verso il Palazzo,
quide era egregiamente accomodato, con gli apparecchi di argenteria e dolci
al solito nel salone, ed entrarono nel loro appartamento, che era quello già
abitato dalla Sig''* Duchessa Grillo, addobbato cogli stessi arredi (i). La sera
poi si fece il banchetto nuziale, opulentissimo e sempre accompagnato di
bellissima musica. Terminato il banchetto, li musici cantarono nella piazza
una sontuosa serenata, e per la città si fecero illuminazioni, fuochi artificiali
ed altri segni d'allegrezza, dimostrando questi fedelissimi sudditi il contento
che provavano di tale accasamento ».
Alberico, per testimonianza del Rocca, « si faceva amare grandemente
a' suoi sudditi per la benignità con cui li riguardava, e si poteva asserire
che per lui non vi fosse fisco, condonando sempre quella parte delle con-
danne che s'aspettavano al medesimo ; aveva molta carità verso i bisognosi
ed in specie verso quelli che si vergognavano a mendicare (2), compativa
gl'infelici, frequentava le chiese, rispettava il clero, amava con ingenuità li
sudditi, e, per concludere, aveva in se ogni qualità di ottimo regnante, ne
permetteva che alcuno da lui si partisse sconsolato. Si sollazzava alle caccie
anche fuori di Stato, ed al ritorno divideva tutta la preda tra' sudditi. Insomma
era un principe che meritava ogni più buona fortuna e lunghissima vita ».
Per disgrazia di Massa, l'ebbe invece ben corta : nato il 30 agosto del 1674,
morì il 20 novembre del 17 15. Camillo, al quale sarebbe toccata la corona,
cedette le sue ragioni al fratello Alderano, in forza d'una convenzione sotto-
sario della morie di Sua Eccellen~a il Signore D. Filippo Gonzaga Con le di Novellar a.
Bagnolo, ecc. e Principe del S. R. I. consagrali alle Altezze Serenissime di ^ìlderano I e
Ricciarda, sua consorte. Duchi di iMassa e Principi di Carrara, ecc. dal conte Scipione
Giandomenici, mentre nella chiesa de'' Padri Minori Osservanti di S. Francesco di questa
citta si fatino le suddette esequie anniversarie, con machina maestosissima e apparato lugubre,
In Massa mdccxxix. Per Giambatista Frediani e fratelli stampatori ducali ; in-4" di pp.
XX-XL-XIX.
Nel 1727 erano stati celebrati a Massa con molta pompa anche i funerali del padre della
Duchessa Ricciarda : Tributo di lacrime dedicato al merito eccelso de' Serenissimi Aldcratio
Cybo Malaspina e Ricciarda Gonzaga, Duchi del Sacro Romano Imperio e di J) Fassa, Prin-
cipi di Carrara., Duchi d'' Ajello e di Ferentino, ecc. in occasione de' funerali fatti da essi
grandiosamente celebrare nella chiesa de' Padri Minori Osservanti di questa Citta per la
morte di Sua Eccellenza il Sigtior Conte Camillo Gonzaga di Novellara Principe del Sacro
Roin. Imp. In Massa, mdccxxvii. Per Giambatista Frediani e fratelli stampatori ducali; in-4''
di pp. LXVI, col disegno del catafalco, inventato da Alberico Alessandro Pucci di Massa
e inciso da fr. Antonio Lorenzini Minore Conventuale. \J Orazione funebre è del P. Ilue-
FONSO M.ARTA GuiLLOT de' Servi di Maria, teologo del Duca Alderano.
(i) Niccoletta Grillo, moglie di Alberico III , il 3 settembre del 1713 fuggì via da
Massa, senza mai più fare ritorno sotto il tetto maritale. Cfr. Sforza G. Cronache di Massa
di Lunigiana edite e illustrate, Lucca, Rocchi, 1882, pp. 157-166 e 298 301.
(2) Il ViANi (Op. cit. p. 53) affermava nel 1808: « ContinUc#in Massa tuttora la memoria
di varie beneficenze secrete, le quali mostrano quanto fosse il suo cuore propenso alla virtù
e amico dell' umanità ».
1 1
368 GTOVANxr sforza
scritta a Montefiascone il 2 decembre dello stesso anno e ratificata a Roma
il 2 febbraio di quello seguente (i).
Al nuovo Duca, il 29 giugno del 1725, Ricciarda partorì in Novellara
« una bambina assai vigorosa ». In Massa « si fecero illuminazioni universali
per tre sere, con suono di tutte le campane, sparo d'artiglieria del castello,
diverse gazzarre ed altri segni di giubilo. In S. Pietro si cantò messa ponti-
ficale, con solenne Te Deum prò gratiarum actione d'avere Sua Divina Maestà
conceduto successione allo Stato » (2). Era Maria Teresa; e a lei tennero
dietro due altre femmine: Marianna, nata essa pure a Novellara il 18 agosto
del 1726, che fu poi moglie di Orazio Albani principe di Soriano (3); e
Maria Camilla, che vide la luce a Massa il 22 aprile del 1728 e sposò don
Restanio Gioacchino di Tocco Cantelmo duca di Popoli (4).
Alderano, venuto al mondo il 29 luglio del 1690, spirò il 18 agosto
del 1731. Parve « al paese di essere risuscitato da morte a vita e di essersi sot-
tratto da un giogo insopportabile, tollerato pazientemente quasi per anni sedici,
poiché bisognava sofferire e tacere; che se, per disgrazia, alcuno avesse
detto una minima parola di biasimo o di sfogo della propria passione, era
pigliato di mira ». Una mano di persone tristissime, che gli stavano al
fianco e lo padroneggiavano, « non soddisfatte d'averli delapidate le
proprie sostanze e la riputazione », mentre era in agonia, tentarono un
ultimo colpo, per finire di spogliarlo. Fin dal giorno 16 aveva disposto
della sua volontà, e l'aveva fatto « prudentemente; lasciando tutrice del-
l'Ecc"'"» figlie la Ser'"» Sig-^'' Duchessa e contutore' l'Ecc"" Sig' Cardinale
Camillo Cybo, suo fratello » ; e istituendo erede della corona la primogenita
Maria Teresa 15). Il P. Francesco Antonio Agostini di Carrara, confessore
del Duca e stretto parente de' suoi sfruttatori, co' quali spartiva i disonesti
guadagni, mise in opera la propria astuzia, per strappargli un codicillo a
favore comune. « Per assicurarsi meglio di discorrere con franchezza sopra
tal materia col moribondo, procurava d'esser solo; anzi, se a sorte entrava
(1) Cfr. LiiNiG J. C. Codex Italiae diftlomaticus ; II, 419-426.
(2) Rocca O. Op. cit. p. 216.
(3) Lo sposò il 2 gennaio del 1748, e morì il 9 ottobre del 1797.
(4) Il matrimonio ebbe luogo il 24 agosto del 1754. Morì il 2 agosto del 1760.
{5) Fu rogato dal notaio Antonio Pucci ed è di questo tenore: «A dì 16 agosto 1731,
a ore dieci di notte, con lumi quattro accesi. In nome sia del Signore Iddio. F^sistente di
persona, alla presenza mia e degl'infrascritti testimoni, il Ser"'» Sig. Duca Alderano Cybo
Malaspina, Duca di Massa. Principe di Carrara e del Sacro Romano Impero, Duca d'Avello e
figliuolo de' Ser"" Sigg" Duca Carlo Secondo e Duchessa Donna Teresa Panfili, ambedue
di sempre gloriosa ricordanza, da me benissimo conosciuto, il quale seriamente riflettendo
quanto sia pericoloso l'occupare i pensieri nella disposizione delle cose temporali sull'ore
estreme del proprio vivere, che si debbono solamente impiegare nel prezioso acquisto del-
l'eterna beatitudine; perciò, adesso che, per la grazia di Dio, si ritrova sano di mente, senso,
loquela, vista, udito ed intelletto, benché infermo di corpo, con quella piena rassegnazione
alle divine chiamate, che conviene ad ogni buon cristiano, per qualunciue caso che piacesse
all'Onnipotente Iddio Signor Nostro di volerlo al godimento della gloria immortale, come
disse costantemente sperare ne' meriti del Sangue preziosissimo di Gesù Cristo, della sua
SS""" Madre Maria Vergine, avvocata de' peccatori, e di tutti li Santi del Paradiso, si è
prudentemente risoluto disporre di se e sue cose, per mezzo del presente suo ultimo non-
cupativo testamento, il quale di ragion civile si dice senza scritti, conforme ha disposto e
dispone in tutto e per tutto, W)nie segue, cioè :
In primo luogo, ha raccomandalo con la più profonda umiliazione l'anima sua alla
SS"'» individua Trinità, alla gloriosissima sempre Vergine Maria, al suo santo Angelo Cu-
12
M ARIA T E K E S A C \" B O
Duchessa di Massa.
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 369
nella camera dell'infermo alcun altro religioso di capacità, per raccomandarli
l'anima, questo ne lo permetteva per brevissimo tempo, servendosi del pre-
testo che il Sig"" Duca si voleva reconciliare. Non la perdonò né al P. Stefano
Belatti, chierico regolare de' ministri degli infermi, né al P. Leone Pussiò de'
minori osservanti, né ad altri zelanti religiosi. Ma la vera causa della solitudine
era che il buon zoccolante voleva suggerire al moribondo penitente la costru-
zione del detto codicillo, tutto in vantaggio suo, de' suoi parenti e famigliari. E
che queste fossero le suggestioni, chiaramente lo dissero quegli altri religiosi
ed altri, che le sentivano dall'anticamera. Finalmente, dopo tante suppliche,
il Sig'' Duca fece il codicillo bramato e così il padre confessore ebbe il suo
intento. Il modo poi fu questo. Il frate chiamò il Sig'' Conte Luciani, primo
ministro, a cui rappresentò qualmente S. A. voleva fare un poco di codi-
cillo, per disporre d'alcuni legati ommessi nel testamento. L'accorto Ministro
entrò in camera dell'infermo, e vedutolo in stato tanto miserabile e quasi
privo di loquela, disse al detto frate confessore: Non vedete voi die S. A.
non s'intende a parlare, e come volete voi che io intenda la sua voloìità? A
cui rispose l'indegno frate : Io l'assecuro che questi legati, che li detterò, sono
secondo l'intenzione del Sig'' Duca, e già ha accordato il tutto. Poscia incominciò
a dettare certi legati ancora sofFeribili ; e se sopra di questi il Ministro inter-
rogava il Principe moribondo se fosse tale la sua intenzione, egli con voce
quasi equivoca pareva che gli approvasse, ma non già appariva che li con-
fermasse assolutamente. E perciò il Sig"" Conte Luciani, annoiato e maravi-
stode e a tutti gli Santi suoi avvocati, supplicandoli ad assisterlo nel passaggio da (juesta
all'altra vita e intercederli il perdono di qualunque sua colpa, acciocché unitamente con loro
possa lodare, benedire e ringraziare in eterno la suddetta SS""^ Trinità.
Il suo corpo, fatto cadavere, ha voluto e vuole che sia seppellito nella cappella de' de-
positi de' Sigg""' Principi suoi antecessori, esistente dentro la chiesa de' RR. PP. Minori
Osservanti di S. Francesco di questa città di Massa.
Al sacro Monte di Pietà della medesima città di Massa gli ha lasciato e lascia, per
ragion di legato ed in suffragio de' poveri, per una volta tanto scudi venti, da bolognini 75
r uno, moneta di Massa.
Per ragion di legato, instituzione et in ogni altro miglior modo, ecc. ha lasciato e lascia,
nel caso che fosse collocata, in matrimonio, alI'Ecc™'' Sig'"'* Donna Marianna, figlia secondo-
genita di detto Sigr Testatore e della SerD^^^^ Sig^a Duchessa Donna Ricciarda Gonzaga, per
titolo di dote la somma di scudi trentamila romani, da paoli dieci l'uno; e quando eleggesse
piuttosto di entrare in qualche monastero e far ivi la sua professione, in detto evento ha
voluto e vuole che dall'infrascritta sua erede proprietaria le sia fatto l'assegnamento di
scudi venti simili per ciascun mese, sua vita naturale durante; e ciò fuori della dote con-
sueta pagarsi al monastero in cui farà la sua professione, come sopra.
Similmente, per ragion di legato, instituzione e in ogni altro miglior modo, ecc. ha la-
sciato e lascia all'Ecc™* SigrJ' Donna Maria, figlia terzogenita di detti Ser"" Sigg""' Testatore
e Duchessa Donna Ricciarda, l'istessa dote e l' istesso mensuale assegnamento, con quel di
più che si contiene nel precedente legato di detta Sig""^ Donna Marianna, al quale in tutto
e per tutto si è rimesso e rimette.
AirEm"»" e Rev™» Sig"" Cardinale Don Camillo Cybo, suo carissimo fratello, ha lasciato
e lascia, in segno della fraterna benevolenza che sempre ha portato ali 'Em^ Sua, due quadri
in pittura e due cavalli della di lui scuderia, che ad ogni piacere di detto Em"'" Sig"" Cardi-
nale se li deveranno far consegnare da detta Ser"!-"* Sig" Duchessa.
Alle quattro Ecc"!® Sigg'"*' Principesse Monache nel venerabile Monastero di S. Chiara
di questa città di Massa, di lui sorelle amatissime, ha lasciato e lascia un quadro in pittura,
rappresentante qualche sacra immagine, per ciascheduna di esse, da farseli parimente conse-
gnare da detta Ser™» Sig''» Duchessa ad ogni loro piacimento, affinchè ancora le predette
abbiano questa tenue rimostranza del di lui cordiale affetto.
In tutti poi gli altri suoi beni, di qualsivoglia sorta, posti e confinati, tanto nel territorio
di Massa e Carrara, quanto in qualunque parte del mondo, stabili, mobili, semoventi, crediti,
ragioni ed azioni, presenti e future, per qualsivoglia titolo e causa a lui spettanti e apparte-
nenti, sua erede universale usufruttuaria. permanendo in stato vedovile, ha istituita, chiamata
13
47 — Mise, S. III. T. XIII.
370 GIOVANNI SFORZA
gliato della petulante passione del confessore, e dopo aver scritto sei o sette
legati di poco momento, rivolto al detto frate li disse chiaramente, che in
coscienza non poteva proseguire a scrivere quel dettato, e levandosi in piedi
disse: Io ne lascio a lei inllo il carico ed alla di lei coscienza; in qzianto a
ine, lo giudico in stato di non poter discorrere ; ed uscì dalla camera » (i).
e nominata di sua propria bocca la suddetta Sei'"" Sig'-' Duchessa Donna Ricciarda Gon-
zaga Cybo, sua dilettissima consorte; all'amore di cui, quantunque sappia che sia intenso e
sviscerato, raccomanda niente di meno con tutto lo spirito l'Eccn"- Sigg^^e tre Principesse sue
figlie legittime e naturali e della medesima Ser'"" Sig>'" Duchessa,
Erede sua proprietaria universale ha istituita, chiamata e di sua propria bocca nominata
l'Ecc"'» Sig""'' Donna Maria Teresa, sua figlia primogenita, eziandio rispetto ai beni feudali
e giurisdizionali, coerentemente alle benignissime mvestilure imperiali, che ammettono
espressamente le femine in mancanza de' maschi alla successione de' feudi, che detto
Ser'"" Sig"" Testatore riconosce dall'Augustissimo Imperatore e Sacro Romano Imperio; suppli-
cando riverentemente Sua S. C. R. M. a degnarsi di concedere la clementissima sua impe-
riale investitura alla mentovata Sig™ Donna Maria Teresa, sua figlia primogenita, come sopra,
anche in magnanimo pubblico attestato di quel fedelissimo vassallaggio che detto Ser'"" Testa-
tore e li di lui Siggri Antenati lianno sempre professato alla Cesarea Maestà Sua, suoi augu-
stissimi predecessori e Sacro Romano Imperio. Gravando però la detta Ecc'"" Sig''" Donna
Maria Teresa, primogenita, a provvedere le altre due prenominate Sigg'e sue sorelle della
dote, assegnamento ed altro, che detto Sei'"" Sig"" Testatore ha disposto e ordinato nelli due
premessi legati a favore delle medesime Ecc"'" Sigg*' Donna Marianna e Donna Maria.
Dichiaiando l'A. S. Ser'"" testante che nel caso venisse a mancare detta Sig'" Donna
Maria Teresa, sua figlia primogenita, senza successione mascolina e feminina, allora s'intenda
e si abbia per sostituita in cjualsivoglia tempo alla stessa Sig'-» Donna Maria Teresa la nomi-
nata Sig''-'' Donna Marianna, sua figlia secondogenita; e così a questa, nel caso espresso di
sopra, la detta Sig'" Donna Maria, sua figlia terzogenita; volendo e comandando che le
suddette rispettive sostituzioni debbano aver luogo in «pianto ancora alla totale estinzione delle
linee e discendenze in infinito di ciascuna delle tre sopradette Eccni« Sig'^'^ Principesse, sue
figlie, di modo che la di lui eredità debba passare di linea in linea e di discendenza in
discendenza nclli casi di sopra espressi, serbato però sempre l'ordine della perpetua primo-
genitura, e non altrimenti.
Per ultimo tutrice e curatrice di dette Ecc'"® Sigg^ Principesse Donna Maria Teresa,
Donna Marianna e Donna Maria il predetto Ser''^" Sig''" Testatore ha fatta, eletta, deputata
e costituita, con tutte le più ampie facoltà e autorità, la detta Ser'"" Sig''-' Duchessa Ricciarda
Gonzaga Cybo, madre delle medesime e di lui amatissima consorte, in ogni miglior modo, ecc.
E quando il menzionato Em'"" e Rev"'" Sig^ Cardinale Cybo, suo fratello, volesse compiacersi
di assistere, come spera e confida nel di lui bel cuore, le dette sue figlie e di lui nepoti
rispettivamente, il predetto Ser'"" Sigr Duca unisce ed aggiunge ancora l'Em" Sua alla tutela
e cura di dette Sig''*" Principesse, di maniera che in tal caso debbano essere tutori e curatori
prò tempore di dette Sig'® Principesse sorelle, unitamente e congiuntamente, la detta
Ser'^'" Sig'> Duchessa madre e detto Em'"" e Rev'"" Sig^ Cardinale Cybo loro zio.
E perchè, non meno la detta Sern'-' Sig'-' Duchessa tutrice e curatrice che insieme il
predetto Em"'" e Rev""' Sig'" Cardinale, in detto caso tutore e curatore, come sopra deputati
e costituiti da detto Ser"'" Sig"" Duca testatore, possino portare con maggiore facilità il grave
peso di detta tutela e cura e così dei governo de' suoi Stati, il medesimo Ser"'" Sig"" Testatore,
stando però ferma e nel suo essere la solita sua Consulta di Giustizia, ha eletti deputati e
costituiti in Reggenti, per tutto il tempo dell'età minorile di detta Ecc"'" Sig''" Donna Maria
Teresa primogenita e delle altre rispettive Sig"' sorelle, Donna Marianna e Donna Maria, in
evento della premorienza di qualcuna di loro, che Iddio non voglia, il Rev"i" Sig"^ Abate di
Massa prò tempore, il molto Rev''" Padre Maestro e Teologo Guillott Servita, il Sig"^ Conte
Uditore di Camera Bernardo Luciani, il Sig'" Presidente Giuseppe Ambrogio Brunetti, ritor-
nato che sia da Vienna, il Sig'" Conte Scipione Giandomenici, suo segretario, ed il Sig"" Cav. Paolo
Agostini, segretario di detta Consulta; capi della quale Reggenza doveranno essere la detta
Serina Sig" Duchessa sua consorte e detto Em"'" Sig»" Cardinale suo fratello, nel caso restasse
servito di accettare detto peso, come lo supplica.
E questa disse il detto Ser"'" Sig"" Duca essere e voler che sia la di lui ultima volontà
e il suo ultimo testamento, etc.
Fatto, letto e pubblicato in !\lassa, nel Palazzo Ducale, e precisamente nella camera del-
l'appartamento dove detto Ser'"" Sig'" Duca Testatore stava giacendo in letto per la sua notoria
infermità di corpo, alla presenza di molte persone e in specie del Molto illustre e Molto
reverendo Sig. D. Tommaso figlio del Sigi" Dott. Scipione Belatti di Massa, dell'Ili'"" Sig"" Conte
Sebastiano Cappelli nobile mantovano, degli 111'"' Sigg'' Dott. Giuseppe Antonio Brichi uditore
generale, del Conte Giovanni del Sig' Conte Belatto Ceccopieri e deirEcc"'*" Sig'' Dott. medico
fisico Filippo Toretli di questa città, testimoni a (luanto sopra presenti e rogati, etc. ».
(il Rocca O. l'ita di .ìldcraiio I" Dura lì'" di .Vassa, ms, nella Biblioteca p^stense di
Modena, p. 96.
14
IL PRI\XIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 371
Il cardinale Camillo, suo fratello, che era nato il 25 aprile del 1681, lo
segui nel sepolcro il 12 gennaio del 1743. Con lui finì la linea mascolina
de' Cybo. Nel 1731 si erano estinti i Farnesi, nel 1737 i Medici. Ecco di lì
a pochi anni scomparire anche quest'altra dinastia italiana, suscitando la
bramosia in molti di dar la mano di sposo alla giovane erede, che portava
una corona per dote. Tra' candidati , il prescelto fu il principe Eugenio
Francesco di Savoia conte di Soissons.
II.
Un ricco gentiluomo lucchese, Francesco Maria Giuseppe Fiorentini,
reduce da un lungo viaggio nella Baviera, in Austria, in Ungheria, in
Boemia, in Francia, in Alsazia, in Lorena, nelle Fiandre e nell'Inghilterra,
si fermò venti giorni a Torino, « che se si riguardi per le sue strade e
fabbriche regolari, tutte tirate in linea, non v'è città più bella ». Sfoggiò,
al suo solito, in carrozze, in abiti, in livree, deliziandosi alle conversazioni,
alle veglie, col fiore della nobiltà. Il conte La Pérouse lo introdusse a Corte
e venne presentato a Vittorio Amedeo II e al principe Eugenio Francesco,
il fidanzato futuro di ]\Iaria Teresa Cybo (ij; del quale fa questo ritratto:
« Era di grande aspettativa; e ben mi ricordo che i PP. (se non erro Gesuiti)
li lasciavano tenere due cavallini, i quali attaccava e guidava per il claustro.
Egli poi, accompagnato dal suo aio (2), mi guidò a vedere una stanza in
(i) Parlando del La Pérouse così scrive: « Rispetto a S. M. mi avvertì che vi sarei stato
presentato, e poteva darsi o che mi dicesse poche parole, ovvero che mi facesse una serie
d'interrogazioni, senza darmi tempo a risponderli: che però in tal caso non mi confondessi,
come a molti era accaduto, ma se altrimenti non mi riusciva, bastava che rispondessi solo
all'ultima delle fatte interrogazioni. Disse ancora, che sebbene un cavalier non suddito non
sia tenuto a baciar la mano, né il Re lo pretenda, tuttavolta mi sarei fatto merito a far
l'atto di volerla baciare, che era sicuro che esso non l'averebbe permesso ».
(2) Ebbe per aio Giambattista Falletti marchese di Cavatore. Il ritratto di chi soprintese
ai suoi studi si trova in fronte al primo volume dell'opera intitolata: Diciionariuin casuuni
conscientiae, seu praecipuaruvi difficultaium circa nwralem ac disciplinavi ecclesiasticain deci-
sianes, e scripturis, Conciliis, Pontificuni decretalibus, Patrihus, iiecnoìi celebcrrhnis theologis
et canommi peritis deproviptae. Authore Ioanne Pontas, presbytero, Facidtatis Parisieusis
luris Canonici doctore, necnon Ecclesiae Parisiensis Propoenitentiario. Edilio recens, e gallico
in latinum pari studio et fide concinnata, Luxemburgi, sumptibus Andreae Chevalier biblio-
polae et Marci-Michaelis Bousquet et sociorum, mdccxxxi; in-fol. Sotto il ritratto, disegnato
a Torino day. 31. Cleìne?itina e inciso in rame da Ioanncs Bapt. Scoliti, si legge: P. P.
losepho Roniae Ord. Mitiimorum Collegae Generali Gallo, E.»'i S. R. E. Card. An. Albani
olini in Urbe Teologo, et Ser.'ti Principis Eugenii de Sabaudia studiis regendis excolendisqiie
praeposito. Il frate è nell'atto che insegna al Principe, il quale, ritto dinanzi al tavolino,
15
372 GIOVANNI SFORZA
cui sopra varie tavole vi erano congegnati mirabilmente figurini rappresen-
tanti soldati colle uniformi di vari reggimenti, i quali esercitava nel maneggio
delle armi; ed in altra stanza ogni sorta di bastimenti, dei quali faceva la
manovra, e sapeva i nomi dei pezzi componenti i medesimi» (i).
Pronipote del famoso Principe Eugenio, nasceva da Emanuele Tommaso,
figlio del suo fratello Tommaso Luigi (2). Ebbe per madre Teresa Anna
Felicita, duchessa di Nikolsburg, nata nel 1694 ^^ Giovanni Adamo Andrea
principe di Liechtenstein (3), alla quale « si debbono il Capitolo delle nobili
dame, l'Accademia cavalleresca di Savoia, il Capitolo de' canonici di Savoia
e la cappella di S. Stefano; istituzioni fatte in Vienna » (4). Venuto al
mondo il 2;^ settembre del 1714, il principe Eugenio Giovanni Francesco al
titolo di Conte di Soissons univa quello di Duca di Troppeau ; terra questa
della Slesia, l'altra della Francia. Vittorio Amedeo II, che lo amò con tene-
rezza di padre e lo fece educare sotto i suoi occhi, nel 1729 gli conferì il
collare dell'Annunziata; il 4 gennaio del '30 Carlo VI, imperatore, lo nominò
liene aperto C /«/. Cesar, de Bello Gali. lib. W . Su in alto, un'aquila ad ali spiegate, regge
col becco un medaglione rappresentante il gran Principe Eugenio e porta scritto in due
nastri svolazzanti, Imperh stator Evgenivs | omnes spectantvr in vno. Da questo
ritratto è tolto quello elei Principe Eugenio Francesco, che adorna la presente monografìa.
(i) Sfosza G., Francesco Maria Fiorentini ed i suoi contemporaìiei lucchesi, saggio di
storia letteraria del secolo xvii, Firenze, Menozzi, 1879, pp. 139-141.
(2) 11 Principe Emanuele Tommaso era nato l'S decembre del 1687; al fianco di Vittorio
Amedeo II fece la campagna del 1706 e restò ferito; entrato al servizio dell'Austria, ebbe
il Toson d'oro, il grado di feld maresciallo, la proprietà del reggimento de' corazzieri, ora
dragoni Principe Montecuccoli n" 8, de' quali fu luogotenente generale; e venne fatto gover-
natore d'Anversa. Il Principe Eugenio, suo zio, il 28 decembre del 1729, scriveva al Re
Vittorio Amedeo II : « La bonté que V. M. a pour tous ceux qui ont l'honneur de luy
appartenir et celle qu'Elle a toujours eu en particulier envers le Prince Emanuel, mon neveu,
me fait ésperer que V. M. voudra prendre quelque part à la douleur que me cause sa
perte, arrivée ce matin après une maladie de neuf jours. Daignes, Sire, conserver ces mémes
bontés au Prince son fìls, auxquelle je me donne l'honneur de vous le recommender ».
(3) Il Principe Eugenio scriveva al Duca Vittorio Amedeo II il 6 m.iggio 1713: « li ne
peut pas étre inconnu à V. A. R. qu'il y a quelques mois que le Prince de Liechtenstein
étant mort a laissé quelques filles, dont il y a trois, qui alors n'étoient pas encore mariées,
et non obstant que les biens fidei-commis fante d'un fils sont tombe sur le grand Maitre de
la Cour de Sa Majesté Imperiale le Prince Antoin de Liechtenstein, il est pourtant reste aux
dites Princesses autant (jue chacune d'jcelles at heritée 170 à 150000 florins d'Allemagne;
une richesse asses considerable. Le cas s'étant ensuite presente que le Prince Emmanuel a
cru d'étre de son avantage s'il se marioit avec une des ces Princesses: et moy, considerant
qu'il n'y avoit rien à redire pour la qualité et que ledit Prince n'ayant pas des moyens
suffisants à sa qualité, par ce mariage se pourrait mettre en état et s'établir solidement en
AUemagne. Je n'ay trouvé aucune diftìculté de ma part, ny voulu étre contraire à son intention,
laquelle s'avancoit en attendant telement que madame la Princesse mère et la fiUe avec
tonte la famille ont consenti de leurs cotés à ce mariage: à condition pourtant que le Prince
Emmanuel devroit avoir une disposition entière et libre des touts les revenus : une chose qui
d'ailleurs n'est pas accoutumée dans ces pays-(;y. Le point et la consommation de cette
alliance se fond à présent sur le consentement de \'. A. R. lequel est attendu avec empres-
sement, esperant qu'Elle n'y trouvera aucune difficulté et qu'elle fera ressentir dans cette
occasion au dit Prince Emmanuel des efiets de sa bonté et de l'amitié de pére que V. A. R.
luy a toujours teimognée, s'agissant d'un établissement solide pour luy. Les prètentions avec
le Prince de Carignano sont aussi connues à V. A. R. il espere cju'Elle les terminerà dans
cette conjoncture étant un fond pour fournir en partie aux fraix indispensal)les dans une
pareille conjoncture et pour assurer le douairre ». Il consenso di Vittorio Amedeo fu
pienissimo.
(4) LiTTA P., Duchi di Savoia, tav. XXII.
16
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 373
colonnello de' corazzieri, reggimento già comandato dal padre suo, che n'era
proprietario (i) ; e gli dette poi anche il Toson d'oro (2).
Carlo Emanuele III, re di Sardegna, il 28 novembre del 1731 scriveva,
da Torino, a Giuseppe Roberto Solaro marchese di Breglie, suo inviato a
Vienna :
Le comte Philippi , qui ariva ici le 2^, nous a informe de la part de
M/ le Prince Eugène de la situation dans laquelle se trouve l'affaire du
mariage du Prince Eugène, son neveu, avec la jeune Princesse de Alassa, et
du consentement que la mère et le cardinal Cibo y ont donne; nous informant
en méaie tems de l'attention avec laquelle le Prince souhaite que s'agissant
d'un Prince de notre sang nous en fassions faire la demande. Nous ferons
cette démarche avec autant plus de plaisir que ce mariage étant V ouvrage
du Prince, au juste discernement duquel nous déférons beaucoup, et nous
intéressant avec amitié et avec inclination aux avantages de son neveu, nous
nous fesons une satisfaction particulière et nous nous en ferons toujours une
d'y contribuer, et le Prince n'a qu'à nous suggérer ce qu'il souhaite, que
nous fassions et nous le ferons.
Pour mieux marquer l'intérèt que nous prenons dans cette affaire, et
pour le marquer de la manière la plus agréable, soit pour le Prince, soit
par la Duchesse de ]\Iassa, nous sommes disposés à envoyer à ladite Duchesse
une personne qui sous le motif de voyager soit chargée d'une de nos lettres
pour elle et fasse la demande de notre part, et nous écrirons aussi au Car-
dinal Cibo. Ne voulant cependant rien faire que de concert avec le Prince,
et le comte Philippi nous ayant dit qu'il avoit occasion de dépècher un
courrier à Vienne, nous avons jugé de communiquer cette pensée au Prince
et d'attendre le retour du dit courrier pour nous déterminer.
Il est vrai qu'il y a une réflexion à faire, et e' est que la Duchesse de
Massa ne nous aiant jamais écrit, il ne paroit pas convenable que nous
soions les premiers a lui écrire. L'expédient pourtant est aisé à trouver, et
(i) La patente con la quale l'Imperatore, il 4 gennaio del 1730 gliene fece da Vienna la
concessione è di questo tenore : « Dass Wlìr das durch zeitliches ableiben des hochgebohrenen
unsseres lieben \'etters, Fiìrsten, Feld Marschallleuthnanden und bestelten Obristens Thoma
Emmanuelis Herzogens zu Savoy und Piemont, grafen zu Soisson Liebden erledigte Cuirassier
Regmet den hinterlassen sohn des hochgebohrenen und unseres auch lieben Vetters und
Fiìrstens Eugeny Joannis Prinzen von Savoy liebden aus mildister erkhantnus deren von
vorgedacht der abgeleibten Vatters liebden unss und unseren Ertzhaus langwùrigen; auch
hiedurch bey den fiirgewesten schvvahren und Bluthigen Kriegen mit Lobwurdiger con-
duite, distingirten eyfer und valor in alien ftìrgefallenen occasionen erwisenen erspriesslichen
Kriegsdiensten, wie zumahien der vorgedacht unseres lieben Vetters Printzen v. Savoy liebden
aygendss Beywohnenden fùrtrettlichen vernunfft auch geschicklichkeit und sonst Besizenden
fijrstlichen stattlichen qualiteten, dann anhero auch aus dem in ihre Persohn setzenden son-
derbahren vertrauen aus aygener Bewegnusgdst verlyhen und Sie dariiber fiir unseren wiìrk-
lichen Kay: Obristen Bestellet haben ». Si trova nell'I, e R. Archivio di Guerra a Vienna,
e mi venne favorita dalia squisita gentilezza dell'illustre Direttore di esso sig. Voinovich,
che mi comunicò pure molte altre notizie e documenti intorno al giovane Principe Eugenio,
e gliene esprimo la gratitudine più sentita.
(2) L'ii gennaio del 1730 il Principe Eugenio di Savoia, da Vienna, cosi ne dava avviso
al Re di Sardegna: « Il y a quinze jours que je me suis donne l'honneur de faire part
à V. M. de la mort du Prince Emanuel, mon neveu, et aujourd'hui j'ay celui de l'informer
de la grace que S. M. I. et C. a faite au fils du defunt Prince Eugène de luy conferer
la Toison et le Régiment vacant par la morte de son pére. La bonté toutte particulière
avec la quelle V. M. a bien voulue regarder jusques icy ce jeune Prince me fait esperer.
Sire, que vous ne seres pas insensibles à cette faveur extraordinaire cpi'il vient de recevoir
da l'Empereur, à laquelle les égards que ce Monarque a pour V. M. et les offices que dans
son nom le Marquis de Breuil a employé en faveur dudit Prince n'auront pas peu contribué.
Permettes, Sire, que j'ose supplier V. M. de luy continuer la mème bienveillance dont elle
l'a honnoré jusques icy ".
17
374 GIOVANNI SFORZA
c'est d'ensinuer au Ministre de Massa, qui est à Vienne, de suggérer à la
Duchesse de nous écrire une lettre de civilité, et elle le peut faire d'autant
plus naturellement que les fétes de Noèl étant imminantes et les autres
Princes d'Italie, comme les Ducs de JModène et de Quastalle aiant l'attention
de nous écrire, comme aussi à la Reine, dans cette occasion, la Duchesse
de ]\Iasse en peut profiter en nous écrivant une lettre de bonnes fètes.
Vous informerez donc de tout ce que dessus M/ le Prince Eugène : vous
l'assùrerez de la satisfaction avec laquelle nous entrerons toujours dans
toutes les siennes et nous contribuerons toujours à celle du Prince son
neveu, auquel eifect quoique nous croions que présentement il n'y a rien de
plus à faire jusqu'à ce printems qui le Prince Eugène allant à Vienne exé-
cute le projet de passer par Massa, s'il a cependant quelque chose de plus
à nous suggérer, nous le ferons avec plaisir.
Quant au formulaire des lettres concernant la Duchesse de Massa, nous
n'avons aucune difficulté de nous conformer, autant pour le formulaire actif,
que pòur le passif, à celui que le Due de Quastalle pratique avec nous
en la conformité que vous verrés par une lettre originale dudit Due, que
nous vous envoions, et par le papier ci-joint. Et pour que le tout se passe
de bonne grace et sans incident, vous en enformerés naturellement le Mi-
nistre de la Duchesse de Massa (i).
Il Marchese di Breglie non mancò d'informare subito d'ogni cosa l'in-
viato massose, che era il cav. Giuseppe Ambrogio Brunetti; il quale, alla
sua volta, ne rese avvisata la Duchessa Ricciarda, che fece tesoro del sug-
gerimento, affrettandosi a scrivere al Re di .Sardegna:
Sacra Reale Maestà,
Quantunque possa comparire affatto superfluo il presente mio rispetto-
sissimo ufizio a V. M. come nata alle maggiori e più felici grandezze, ad
ogni modo, resa io coraggiosa da quella magnanima inclinazione con cui
l'animo suo Reale accoglie sempre con infinita benignità le rimostranze di
stima e venerazione che le sono presentate, mi do l'onore pregiatissimo di
manifestarle nelle imminenze del prossimo S. Natale quelle brame ardentis-
sime che nodrisco e nodrirò mai sempre per le più segnalate prosperità
della medesima M. V, e di tutta insieme la di lei Real Casa. Mi faccia degna
del suo clementissimo gradimento, conforme lo spero ; e resto, profondamente
inchinandomi,
Massa, li 19 dicembre 173 1.
Di V. S. R. M.
f/;//.'"" dev."^" serva osseq."""
Ricciarda Gonzaga Cybo
Duchessa Vedova di Massa (2).
La lettera non mancò di produrre l'effetto desiderato e voluto; come
ebbe a dichiarare il Re stesso al comm. Solaro (3), il 12 di gennaio deir32 :
(i) R. Archivio di Stato di Torino. Lettere di Ministri. Anstria ; mazzo n" 61.
(2) R. Archivio di Stato in Torino. Lettere di Principi. Massa.
(3) Il comm. Antonio Maurizio Solaro era figlio di Ottavio Francesco dei conti di Covone
e dì Maria Provana di Druent ed era fratello di Giuseppe Roberto Solaro marchese di Breglio,
al tpiale succedette nella carica di ministro del l'è di Sardegna presso la Corte di \'ienna.
Ascritto all'Ordine di Malta, era gran Priore di l.omhanlia.
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 375
« Nous vous informons que la Duchesse de Massa nous a écrit la lettre de
bonnes fétes, qui lui a été insinuée ; et nous lui avons fait une reponse tres
gracieuse » (i).
Il Brunetti, presidente del Consiglio di Giustizia a ÌMassa, si trovava a
Vienna fin dal 3 febbraio del 1729; e v'era stato inviato dal duca Alderano,
per tutelare e rivendicare i diritti della moglie, Ricciarda Gonzaga, alla suc-
cessione del feudo di Xovellara (2). Per testimonianza del Rocca, « nella
Corte Cesarea era ben veduto, non solo per le sue buone qualità, ma ancora
per l'efficaci raccomandazioni del Barone Sig/ Conte Lazzaro, di lui fratello,
Gran Cancelliere della Provincia della Slesia (3) e molto cognito alla Corte
sopra detta. >>
Da Massa gli furono mandate le seguenti « Capitolazioni, da concordarsi
tra li tutori e curatori della Sig." Donna Maria Teresa Cybo, a cui spetta
la successione de' feudi di Massa e Carrara e di tutti gli altri beni allodiali
della Casa Cybo, ed il novello di lei sposo, prima della sottoscrizione de'
capitoli matrimoniali » :
I. Spettando per ogni ragione alla Duchessa Donna Ricciarda Gonzaga
Cybo, vedova, madre, tutrice e curatrice delle figlie, un congruo assegna-
mento sopra gli effetti della Casa Cybo, sua vita durante, si contenta detta
Sig/ di cedere a favore della sua primogenita e del futuro sposo ogni
ragione, che potesse spettargli per tale assegnamento, allorachè dalla cle-
mente giustizia di S. M. Cesarea venga inx^estita dello Stato di Xovellara, a lei
spettante, con l'investitura a suo favore, e doppo di lei della sua primo-
genita e de' fig'li maschi, e femine in difetto de' maschi, nascituri da essa
figlia e da' suoi successori in infinito; contentandosi essa Signora Duchessa
per suo appannaggio de' frutti, tanto feudali, che allodiali del nominato feudo
di Novellara, e di tutto altro che era della sua famiglia paterna; promet-
tendo in tal caso di non recare veruna molestia, o suscitare qualunque mi-
nima pretenzione contro la sua primogenita e di lei sposo futuro per verun
altro appannaggio, o altra cosa di sua convenienza.
E perchè, non conseguendo detta vSig.* l'investitura preaccennata, da cui
sarebbe per avere il s.uo onesto mantenimento, rimarrebbe in tal caso il
peso, tanto alla sua primogenita, che al futuro sposo, di darle un congruo
appannaggio per il suo dovuto mantenimento, quale avrebbe da stabilirsi
prima della sottoscrizione de' capitoli matrimoniali; quindi è che rimane
indispensabile, che prima della sottoscrizione di detti capitoli, si vedano le
determinazioni di S. M. circa l'effettiva investitura come sopra, giacché senza
di questa non puole aver luogo la rinuncia, che essa Sig.' Duchessa si esi-
bisce di fare per gli appannaggi, che gli spettano per il suo decoroso e
conveniente mantenimento.
(i) Di questa Icllcra non si trova la minuta tra le carte dell'Archivio di Torino, né
l'originale tra quelle dell'Archivio di Massa.
(2) In questa occasione il Brunetti stampò un'allegazione intitolata: Status Novellariae
et Bagnoli succcssionis prò Seremssinia Domina Ricciai-da Gonzaga Cybo, Ducissa Jì/assae,
cantra Dominum Ducevi. Guastallae ; in-fol. di pp. 16, senza anno e note tipografiche. Venne
pure alla luce anche un'allegazione di Pietro Guerra di Massa, avvocato nella Curia Romana
e del Sacro Palazzo. Ha per titolo: Status Novellariae et Bagnoli succcssionis ; in-fol. di pp. 106,
senza anno e note tipografiche. Tutte e due però usciron da' torchi de' Frediani di Massa.
(3) Cfr. Gerini e.. Memorie storiche d' illustri scrittori e di uomini insigni dell'antica
e moderna Lunigia7ia, Massa, Frediani, 1829; I, 213-217.
19
376 GIOVANNI SFORZA
II. Essendovi due altre figlie del defunto Duca di Massa Don Alderano,
cioè donna Maria Anna secondogenita, e donna Maria terzogenita, alle quali
conviene una dote conveniente per i loro accasamenti; considerando che
secondo il loro stato e condizione, e secondo l'uso presente delle sue pari,
non può competer loro una dote minore di cinquanta in sessantamila scudi
per ciascheduna; perchè vengano queste assicurate di una tal dote, e resti
impiegata in tanti luoghi di Monti in Roma, che costituischino la somma di
scudi cinquantamila di capitale per ciascheduna, quali impiegati ora in
questa forma, e rinvestiti i frutti di mano in mano inaugumento del capitale,
giungeranno nel tempo, che dovrà cadere il loro maritaggio, alla somma di
sessantamila scudi in circa, perciò converrà che si stabilisca, prima della
sottoscrizione de' capitoli, per esse la preaccennata dote, o sia investimento
in luoghi di Monti in Roma.
E perchè tale dote è conveniente che si cavi dagli effetti della Casa
Cybo, a cui appartiene il dotarle; quindi è, che si stima conveniente di
alienare qualche capitale dell'istessa Casa, che apporti il minor discapito che
sia possibile, acciò che il prezzo di questi abbia a servire per il sopra
espresso investimento e doti.
E siccome il capitale, che si crede più che adeguato a questo effetto, si
è il Ducato di Aiello in Calabria, per le ragioni che si diranno, perciò sarà
di mestieri l'opera del futuro sposo, per ottenere da S. M. la grazia di poter
vendere detto feudo, e di potere estrarre il denaro dal regno di Napoli per
farne l'investimento in Roma ne' detti luoghi di ^lonti, giacché l'investimento
in quel regno non potrebbe seguire così prontamente, né riuscirebbe di
quel vantaggio che sarebbe facendosi in Roma, mentre dal regno preac-
cennato non si puole estrarre il denaro ad arbitrio di chi lo possiede, come
si possono vendere facilmente i luoghi di Alonti in Roma ed estrarsene il
prezzo, onde, impiegato il capitale in Roma, resterebbe sempre in arbitrio
de* futuri sposi delle nominate Signore di vendere i luoghi di Monti e farne
l'investimento in quelle città dove eglino avessero la propria dimora; e
tanto più ciò è conveniente che siegua, quando che i frutti degli investi-
menti ne' luoghi di Monti in Roma sono esenti da ogni peso, quando che
le vendite nel regno di Napoli sono sempre sottoposte ai vallimenti, che
impone S. jM. bene spesso in occasione de' bisogni della sua imperiai camera,
e precisamente sopra gli effetti de' forastieri, che ivi non dimorano, toglien-
dosi a questi alle volte in parte ed alle volte anche tutte l'entrate, come
siegue di presente.
Le ragioni poi, perchè si stima più conveniente l'alienazione di questo
feudo, che quello di ogni altro capitale della Casa Cybo a quest'effetto, sono
le seguenti, cioè, perchè questo feudo non diminuisce in veruii modo l'ouo-
revolezza al Duca di Massa, anzi gli è piuttosto in ciò di discapito, mentre
lo fa barone del regno di Napoli e soggetto all' autorità di quei regi
Ministri, che a questo conto lo considerano niente più d'ogni altro dei più
inferiori baroni del regno, trattandolo con il titolo d'Illustre, come ogni
altro mercante, che abbia comperato un qualche titolo. In oltre perchè
restando tanto lontano da Massa non poi esser governato quello Stato come
porterebbe il vantaggio non solo de' vassalli, e l'amministrazione della giu-
stizia, ma come anche converrebbe all'interesse ed auìministrazione degli ef-
fetti, essendo a questo conto molto diminuito, tanto di popolo, che di territorio
e di rendite da quello ch'era quando fu acquistato dalla Casa Cybo, già che
si affittava prima per cinquemila e più ducati di quel regno, che vuol dire
poco meno di quattromila scudi romani, quando ora non si affitta più che
mille e ottocento ; e finalmente perchè essendo sottoposto a tutti i pesi, che
s'impongono sopra gli effetti de' forastieri non residenti nel regno, bene
spesso vien diminuito il fruttato, o vien tolto anche intieramente, convenendo
far le spese del proprio, che vi vogliono per mantenerlo, senza prenderne
20
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA' 37;
verun emolumento, in guisa che rimane spesse volte di aggravio e non di
utile, come appunto succederebbe ora, se il Cardinal Cybo, che è riservatario
de' frutti, non avesse una grazia speciale da SS. M., come cardinale, di essere
esente dal peso de' preaccennati vallimenti.
E perchè quando non si ottenesse la grazia di vendere il feudo e di
potere estrarre il denaro dal regno di Napoli del prezzo di esso, converrebbe
prima della sottoscrizione de' capitoli matrimoniali pensare e stabilire in altra
guisa il capitale da investirsi per la dote di sopra nominata delle due
seconda e terzagenita; quindi è che si ricerca tutta l'opera del futuro sposo,
perchè si ottenga da S. M. tal grazia, tanto necessaria a premettersi alla
sottoscrizione dei capitoli, quanto è di necessità lo stabilire, preventivamente
alla stessa sottoscrizione, l'assicurazione della dote delle nominate Signore
seconda e terzagenita.
III. Essendo di ragione che le dette Sig.^^ seconda e teri:agenita abbiano
il loro dovuto mantenimento dalla Casa Cybo sino al tempo che dovrà
seguire l'elezione del loro stato, o di maritarsi, o monacarsi; quindi è che
dovrà contentarsi il nuovo sposo della primogenita di mantenerle sino a
quel tempo dal giorno che entrerà al possesso, tanto de' feudi, che degli
effetti della Casa, con il dovuto decoro e convenienza, nel proprio palazzo
nella città di Massa, ove dovrà essere la di lui ordinaria residenza, come
conviene al decoro e vantaggio suo e dello Stato medesimo.
IV. Quando poi alcuna delle due Signore, seconda e terzagenita , o
ambedue queste eleggessero di monacarsi, in tal caso dovrà prendersi la dote
conveniente per la loro monacazione, secondo lo stile di quel monastero, ove
vorranno collocarsi, dal capitale delli cinquanta mila scudi, che devono in-
vestirsi per la sicurezza della loro dote, ed il restante di esso capitale dovrà
loro vita durante restare sempre fermo nello stesso investimento, dandosene
fino che viveranno ad esse ragguagliatamente il fruttato per loro livello, e
doppo la loro morte ritornerà il capitale medesimo liberamente alla Casa
Cybo, cioè al futuro sposo della primogenita, o suoi figli, in mancanza di lui.
V. Restando ultimo superstite della famiglia C3''bo il Cardinal Don
Camillo, che quantunque chiamato all'investitura de' feudi ed alla successione
degli allodiali in virtù dei fideicommissi della sua Casa, ha nuUadimeno de-
siderato di veder succedere in tutte queste cose, tanto prima il Duca Don
Alderano, suo fratello, ultimamente defunto, benché minore di età, quanto ora
la di lui primogenita, avendo fatte rispetto al nominato fratello le opportune
rinuncie di tutto, con la sola riserva degli effetti della Casa, che erano nello
stato della Chiesa e nel regno di Napoli, trovandosi tali effetti riservati a sé di-
minuiti nella quantità, per diverse alienazioni, che ha dovuto fare de' capitali,
con il consenso espresso del detto Duca suo fratello, tanto per il suo ordinario
mantenimento, che per le spese straordinarie, e precisamente in occasione di
esser stato promosso al cardinalato, in guisa che ora, che gli conviene un tratta-
mento maggiore, per la nova dignità, che sostiene, si trova diminuite le
rendite, quasi che per metà, riservatesi già nel tempo della rinuncia da lui
fatta, in cui non era che prelato ; quindi é, che rinunciando novamente ora
tutto a favore della sua nepote primogenita, intende riservarsi un annuo
assegnamento sopra tutti gli effetti della Casa Cybo, tanto feudali, che allodiali,
di scudi tremila romani, o durante la minorità della stessa nepote, o sino
che siegua il di lei accasamento; considerando doverseli ciò, non solo per
l'incomodo della tutela, a tenore di quello che dispongono tutte le leggi, ma
per ragione ancora della maggior spesa, che gli conviene nello stato di tutore
in Massa, di quella che egli faceva nel ritiro che aveva preso in Mola di
Gaeta, tanto più che dimorando fuori della Corte di Roma non può sperare
da quella la necessaria provista, non per anche conseguita, sì di beni eccle-
21
4S — Mise, S. III. T. XIII.
378 GIOVANNI SFORZA
siastici, che di cariche soHte darsi a cardinali; contentandosi egli sino
all'enunciato tempo di cosi tenue prov'ista, a riflesso di vedere ora la Casa
incomodata da molti debiti, lasciati dal defunto fratello; e siccome deve
giustamente sperarsi, che nel tempo che durerà la minorità della sua prima
nepote, o che essa tarderà ad accasarsi, stante la sua tenera età, potrà rimet-
tersi in stato molto migliore la stessa sua Casa, perciò intende, che o finita
la minorità di essa sua prima nepote, o seguendo con effetto il di lei acca-
samento, abbia allora a conseguire, invece delli scudi tremila, scudi seimila
della stessa moneta romana l'anno, da doversi prendere dagli effetti tanto
feudali che allodiali della Casa Cybo, a di lui piacimento; essendo questa una
riserva dovuta, e per gratitudine al beneficio da lui fatto in virtù delle
nominate rinuncie, ed un incomodo assai leggiero a chi dovrà soggiacervi,
precisamente per il poco tempo che averà da durare, non tanto perchè nel
tempo che dovrà cominciargli 1' assegnamento delli scudi seimila sarà egli
vicino (quando pure vi giunga) all'età di sessant'anni, quanto perchè avendo
egli strapazzata la sua vita con longhe e continue fatiche, si trova pieno di
indisposizioni, che di continuo lo molestano e gli fanno credere di molto breve
durata il suo vivere.
VI. Siccome il feudo di Aiello in Calabria, di cui si è parlato di sopra,
è uno degli effetti già per prima riservati per assegnamento del preaccen-
nato Cardinale Don Camillo Cybo, per ciò qualora si venda, come si crede con-
veniente, doverebbe la Casa supplire e sborsare al Cardinale il fruttato di esso
feudo nella somma di scudi mille e ottocento annui ; conviene il Cardinale,
che vendendosi detto feudo ad effetto d'impiegare centomila scudi per le doti
delle nepoti seconda e terzagenita, acciò non si accresca il nuovo incombro
alla Casa di questa annua apprestazione di scudi mille e ottocento, sino che
durerà, o l'età pupillare della primogenita, o seguirà il suo effettivo acca-
samento, e che egli non prenderà dalla Casa, se non che scudi tremila, abbia
egli da prendere la reintegrazione delli scudi mille e ottocento dal frutto
che renderanno li cento mila scudi da investirsi in luoghi di Monti in Roma
per l'assegnamento delle doti, come sopra; ed il resto del fruttato di essi cen-
tomila scudi debba investirsi in augumento del capitale delle doti medesime,
e quando sarà fatto luogo a dover egli conseguire l'annuo assegnamento di
scudi seimila, abbiano li scudi mille e ottocento a comprendersi nelli scudi
seimila, in guisa che non possa egli pretendere verun altro compenso alli
scudi mille e ottocento, che perderà, se non che li soli seimila; con la con-
dizione però, e non altrimenti, che quando mai il feudo di Aiello potesse
vendersi di più delli scudi centomila, da investirsi per le doti come sopra,
tutto il di più che gli riuscisse di vendere il detto feudo abbia da rimanere
liberamente a lui, senza che da veruno, né in verun tempo possa venirgli
chiesto conto di qualunque somma, o poco, o assai che fosse per sopravan-
zare alli scudi centomila di moneta romana la vendita di detto feudo di Aiello.
VII. Perchè il Cardinal Don Camillo in occasione delle alienazioni fatte
di molti mobili dal Duca di IMassa, suo fratello defunto, ha ricomprato da
quegli che avevano (perchè spirato il convenuto termine a redimerli) tutto
l'arbitrio di venderli, trentadue pezzi di arazzi e molti pezzi di quadri de'
più insigni pittori, tre nobili orologj , uno de' quali fu donato dal defunto
Duca di Baviera al Cardinale Alderano Cybo, e due bacili di avorio, lavorati
di tutta perfezione e istoriati, con suoi boccali compagni, ed essendo il Cardi-
nale in necessità di vendere le dette cose per riscuotere diversi suoi argenti,
che tiene nel Monte della Pietà di Roma, e sodisfare i debiti, che gli ri-
mangono, dispiacendogli che simili cose preziose, e di gosto considerabile,
abbiano da uscire dalla sua casa, trovandosi apprettato, tanto da' creditori,
che dai frutti, che gli convien sodisfare, per i debiti che tuttavia tiene,
vedendosi perciò in necessità di disfarsi di tali cose, e non potendo di
22
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 379
presente la sua Casa ed il patrimonio della pupilla ricuperarle con il proprio
denaro, offerisce di cederle al futuro sposo di essa pupilla, in Roma ove le
ritiene, per il solo prezzo che gli costano, megliorate e ridotte in bon stato,
quale si è di scudi ottomila romani, quando però così gli piaccia.
Vili. Dovendosi cercare la conservazione del nome della famiglia Cybo,
da cui verrà al futuro sposo della primogenita il possesso de' feudi e di
molti altri effetti, che sono ora di tale famiglia, si contenterà lo stesso futuro
sposo di prendere unito al suo cognome anche quello della famiglia Cybo,
perchè ne rimanga di questa ne' tempi avvenire la dovuta memoria.
IX. Trovandosi la Casa lasciata dal defunto Duca Don Alderano gravata
di debiti nella somma di scudi . . . . (i) in circa, dalle notizie che si hanno per
le istanze fatte fin qui da' creditori per il pagamento de' loro crediti, come
pure il debito di per tante robbe, che sono impegnate, di valore molto
eccedente al denaro preso sopra di esse, e siccome non possono riscotersi
i pegni fatti dalla Casa, perchè ora non ha denaro da riacquistarli , deve
necessariamente rispetto a questi soggiacere al grave pregiudizio, tanto del-
l'augumento de' frutti rigorosi, che corrono alcuni sino al sette per cento,
quanto la vergognosa e pregiudiciale necessità di veder vendere tali pegni
allo incanto; e rispetto alli debiti, di dovere vendere diversi e boni capitali
per quel poco che si troverà, che molte volte non sarà la metà del giusto
valore, quindi, e per salvare l'onestà della Casa, e per riparare al grave
pregiudizio della vendita, che indispensabilmente deverà farsi altrimenti de'
megliori capitali, con la perdita delle rendite che fruttano, si propone al
futuro sposo di fare egli l'acquisto delle cose impegnate, per decoro e van-
taggio e della sposa sua e della Casa, che sarà parimenti sua; come pure
di sborsare il denaro per il pagamento di quelli debiti, che li diminuiranno
il patrimonio con lo augumento de' frutti rigorosi, che si fanno sempre
maggiori, ed evitare anche la vendita di quegli effetti, che sono precisamente
nello Stato di Massa, e che accrescono notabilmente quivi l'utile et il decoro
del Principato ; sul riflesso particolarmente che volendoli poi un giorno egli
riacquistare, o non potrà farlo, o dovrà indispensabilmente effettuarlo col
disborso di denaro molto maggiore (i).
Il 2T, di gennaio il comm. Solaro scriveva al re Carlo Emanuele: ■--< Le
Président Brunetti ayant produit plusieurs articles des prétentions, tant de
Madame la Duchesse de Massa, que de M'' le Cardinal, nous nous sommes
assemblez avant le depart de mon frère chez le Comte de Metz et le réf-
frendaire Koch, qui y étoit de la part de M'' le Prince Eugène, a mis à la
marge les reponses à chaque article qui ont été approuvées par tous les
autres. Le susdit Président s'est chargé de les envoyer, et on a convenu
qu'on ne feroit aucune demarche jusqu'à ce qu'on fùt éclairci là dessus. jVP le
Prince Eugène souhaite que j 'agisse comme fesoit mon frère dans cette
affaire; je lui ai dit que cela étoit conforme aux ordres de V. ]\J. et que je
m'y emploierois avec toute l'attention. Le procez pour Nouvellai-a doit etre
bientót decide ; on a des bonnes espérances. C'est une affaire fort essentielle
pour cette maison ». Il 6 di febbraio gli tornò a scrivere: « AP le Prince
Eugène il m'a chargé de témoigner les obligations infinies qu'il a à V. M. de
l'interét qu'Elle veut bien prendre à l'établissement de son petit neveu. Je
travaille à finir avec le Comte de Metch et le Président Brunetti tout ce
qui regarde le mariage, et aurai l'honneur de faire bientòt la relation a
(i) La cifra, qui e più sotto, nell'originale è in bianco.
(2) R. Archivio di Stato in Massa. Matrimoni della Casa Cybo, filza 482.
23
380 GIOVANNI SFORZA
V. M. de tout ce que nous aurons convenu. Il est bon de venir au plus vite
à la conclusion, M"^ le Due de Modène fesant toutes les propositions les plus
avantageuses pour rompre ce traité et s'assurer cette soccession en etablissant
le mariage avec son petit fils; j 'espère que nous romprons ses mesures. M"" le
Prince Eugène m'a chargé d'une commission dont je prévois exécution fort
difficile ; il souhaite que je dispose la Princesse mère de son petit neveu à
s'expliquer et faire ce qui seroit juste et convenable pour son fils lorsqu'il
viendra. Je crains de ne pas mieux réussir que le general Filippi et mon
frère qui ont travaillé tous deux fort inutilement à la porter à donner les
éclaircissemens qu'elle a bien resolu de réfuser constamment. Je m'y em-
ploierai avec toute l'attention sans espérer de réussir, les mèmes obstacles
subsistant toujours sans qu'il dépende de moi de les aplanir ». Di lì a tre
giorni ripigliò la penna per dirgli : « Je suis en devoir de rendre compte à
V, M. des mesures qu'on a prises pour eluder les délais de ^M'^ le Cardinal
Cybo et venir à la conclusion du mariag^e : on a convenu que pour tout
surmonter et ne plus otre exposé à des retardemens qui pourroient faire
manquer une affaire si avantageuse, il falloit former ici un pian de contract
de mariage et une convention séparée qui établit les autres réglemens à
observer de part et d'autre. J'ai l'honneur d'envoier ces deux pièces à V. M.
Le Comte de Metch, commissaire de l'Empereur à cet effet, a moien qui est
le plus court et en a rendu compte à S. M. L qui ordonnera au Comte
Stampa d'aller à Massa pour faire scavoir à Madame la Duchesse et à M"" le
Cardinal que ce pian a son aprobation et qu'il souhaite que le mariage soit
conclu sur ce pied. Ledit Comte aura aussy une instruction de M"" le Prince
Eugène pour disposer tout selon ses instructions. EUes sont que le mariage
se fasse au pkistót; à cet effet il souhaite que je prévienne V. M. à fin que
sans attendre l'avis d'ici, Elle veuille bien continuer ses bontéz à son neveu
et envoyer quelque personne de sa Cour pour faire aussy tòt que le Comte
Stampa donnera l'avis au Comte Filippi d'avoir exécuté sa commission et
d'avoir convenu à Massa du tems de faire cette démarche. Il y a apparence
que l'autorité de l'Empereur donnera tout le poid à cette affaire et qu'elle
sera établie en peu de tems. M'' le Prince Eugène souhaite que ce printems
M*" son neveu epouse la Princesse avec dispense, et comm'il est porte par
un des articles du contract qu'il sera associé à l'autorité après les noces, il
sera en droit de nommer une personne de confiance qui prenne connoissance
des interèts et aye part au maniement des affaires. L'Etat de Masse liquide
doit rapporter 20 m. pistoles et Novellara, y compris Vescovado et Bagnolo,
IO m. Ces derniers fiefs ne sont chargés d'aucune dette. Je ne dois pas
prendre sur moi de signor le susdit contract comme ministre de V. M. sans
en avoir l'ordre, que je supplie V. M. de m'envoyer, M' le Prince Eugène
voiant avec une parfaite satisfaction que V. M. s'interesse aux affaires de
son neveu ».
Il Re gli rispondeva il 2^ del mese stesso: « Commandeur Solar. Nous
avons eu une veritable satisfaction en apprenant par votre lettre du 9 de ce
mois que l'affaire du mariage du Prince Eugène avec la Princesse de Massa
tend à son heureuse conclusion. La pensée de M"" le Prince Eugène que ce
mariage s'exécutc au plustòt qu'il sera possible est très juste et ne nous a
24
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 38 1
pas fait moins de plaisir par celui que nous av-ons de voir son neveu pour
lequel nous avons tant d'aifectìon bien établi, et de voir cette branche de
notre Maison, pour laquelle nous nous interesserons toujours bien particu-
lierèment, mise dans une situation à pouvoir faire cette figure qui lui con-
vient. Vous en feliciteres de notre part le Prince et vous pouves lui dire
que dès que nous aurons avis ici que le General Stampa se servant de l'au-
torité imperiale aura réduit la Duchesse de IMassa et le Cardinal Cibo à
acquiescer au contract, nous exécuterons aussitót ce que lui Prince Eugène
a souhaité dès le commencement et qui a été convenu avec le Marquis de
Breille, qui est d'envoier une personne de notre Cour faire la demande de
notre part comme chef de la Maison ». Gli soggiungeva: « Nous avons
d'ailleurs approuvé que vous n'ayes point pris et que vous ne prenies point
sur vous de signer le contract. Puisque non seulement ce qui a été convenu
dès le commencement dans le seule susdite démarche d'envoier faire la de-
mande de notre part comme chef de la Maison. Mais la Duchesse de jMassa
et le Cardinal Cibo aiant fait connoìtre qu'ils agréeroient cette démarche, ont
en méme tems fait connoìtre aussi qu'ils souhaitoient d'eviter tout ce qui
pourroit les mettre dans quelque dépendance de nous. Le Président Brunetti
s'aiant méme laissé finement entendre au Marquis de Breille, en lui disant
en propres termes que ^Madame de Classa et le Cardinal souhaitoient que
tout fùt regie et établi uniquement par l'intervention de l'Empereur, de
fagon que si nous intervenions aujourdhui par un Ministre accredité à cette
Cour à la signature du contract qui enveloppe des pactes de famille cela
pourroit donner des inquietudes et nous sommes fort éloignés d'en donner ».
Con altra lettera, scritta lo stesso giorno, ma in cifra, il Re gli manifestava
su questo proposito la propria volontà, esprimendo con nobile chiarezza la sua
ripugnanza a vedere l'autorità imperiale germanica mescolarsi in negoziati fra
principi italiani. « Vous ne deves point signer le contract en qualité de notre
Ministre... Les veritables raisons par lesquelles nous ne voulons point que vous
signies sont que ce contract se stipulant sous l'autorité d'un commissaire
imperiai et avec l'obligation de reconnoìtre une commission imperiale pour
liquider les dettes de la maison d'un Prince d'Italie vassal de l'Empire, il ne
nous convient pas qu'un de nos ministres intervienne méme à adopter de telles
maximes; et d'ailleurs le paralèle égal que l'on fait dans le contract des deux
maisons de Savoye et de Cybo meriteroit aussy des réflexions, si un de nos
ministres devoit signer. Tout ceci n'est que pour vous seul, et vous n'en
deves point parler au Prince Eugène; mais nous vous le disons à fin que
ayant connoissance de nos veritables motifs, vous puissies dans le cas que
le Prince voulùt faire des nouvelles instances pour votre signature vous
tachies en toute maniere de l'éviter ».
Il « Progetto di contratto di matrimonio », inviato dal Solaro al Re, era
di questo tenore :
Nel nome della Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. Si[a]
publico e manifesto a tutti presenti ed in avenire che la Divina Providenza,
regolando per la maggior gloria sua e bene delli uomini le cose di questo
mondo, siasi degnata di movere l'animo clementissimo dell'Augustissimo
25
382 GIOVANNI SFORZA
Imperador de' Romani Carlo Sesto, gloriosamente regnante, a stabilire l'accop-
piamento di due famiglie si raguardevoli in Europa, quali sono quelle di
Savoya e di Cybo, uniendo in maritaggio il .Ser"'" Sig'' Principe Eugenio
Francesco di Savoya, Conte di Soissons, figlio del fu Ser™° Sig"" Principe
Emanuele di Savoya e della Ser™=^ vSig"* Principessa Theresa di Liechten-
stein, con la Ser""^ Sig'"''^ Principessa Maria Theresa Cybo, figlia del fu
Ser'"" vSig"" Principe D. xVlderamo Cybo Duca di Massa e della Ser'"* Sig''"
Principessa Ricciarda nata Conzaga Duchessa di Massa, a cui effetto, per
sentire, terminare ed appianare le varie materie che si dovevano, avendo
la Maestà Sua Cesarea e Cattolica deputato rill™" ed Ecc"'" vSig'' Conte di
Metchs, nelle sessioni avanti esso tenutesi, assistenti il Sig'" Ministro (i)
e li vSig'"' procuratori infrascritti, per accomodarsi al solito di queste simili
resoluzioni che esigge se ne constituisca un atto autentico ad eterna memoria,
ove restino perpetuamente annotate le condizioni che debbono a|n]darne inse-
parabili; doppo d'aver il prenominato Ser"'" Sig' Principe Eugenio Francesco
di Savoya deputato, attesa la sua absenza, il suo procuratore per segnare
questo contratto il ; e la prenominata Ser'"'^ Sig''^ Principessa iSIaria Theresa
Cybo, coll'autorità de' Ser"" ed Em'"'' Sig'' Cardinale Cybo suo zio paterno e
la Ser»"» Sig'"'* Principessa sua madre, suoi tutori, il , sotto il benignissimo
aggradimento della Maestà Sua Cesarea e Cattolica; intervenendo per parte
del Ser""* sposo il consenso della S. R. M. di Carlo Emanuele Re di Sar-
degna e Gerusalemme, Duca di Savoya, capo della Real Casa e quello della
detta Ser"''* Sig'-'' Principessa Theresa di Liechtenstein sua madre, e del
Ser™" Sig"" Principe Eugenio di Savoya suo zio, e per parte della vSer"'" sposa
quello de' Ser'"' ed Em'"" zio e madre prenominati, siansi conchiusi, stabiliti
e sottoscritti, inanti detto 111""" ed Ecc"'" Sig"" Conte di Metchs ed alla presenza
de' sig''' testimoni infrascritti, gli articoli seguenti :
i" Essi Ser'"' Sig"" Principe e Principessa Eugenio Francesco di Savoya
Conte di Soissons e Maria Theresa Cybo Duchessa di Massa, con l'Lnperiale
aggradimento, Reale e Ser'"' consensi predetti, promettono di maritarsi al più
presto sarà possibile e vivere in eterna unione, a gloria del Altissimo e per
felicitare le loro respettive Ser'"'' Case ed i loro sudditi con quella prole e
descendenza con la quale vorrà il Cielo benedire il loro matrimonio.
2° Essendo per la morte del fu Ser'"" Sig'' D. Alderamo Cybo Duca
dì Massa senza figliuoli maschi, rimasta essa Ser""" .Sig''" Principessa Maria
Theresa l'herede primogenita delle tre Ser'"*" Principesse figlie del medemo
fu Sig' Duca, ed appartendole come tale, in vigore delle investiture e fide-
comissi della vSer'"'' Casa Cybo, tutti li Stati e beni si feudali che allodiali
della medema, quindi nel governo ed amministrazione loro sarà associato e
considerato come Sovrano e Signore il Ser'"" Sig"" Principe sposo, subito che
sarà fatto il matrimonio.
3" Dovendo per una indispensabile necessità in tutti li contratti di
questa sorte intervenire la constituzione della dotte, essa Ser'"" Sig*"" Prin-
cipessa Maria Theresa Cybo, coll'autorità de' prenominati Sig'' suoi tuttori,
si assegna e constituisce in dotte sovra tutti gli effetti di sua eredità la
somma di scuti alla quale esso Ser'"" futuro marito fa augmento, detto
regolarmente per causa delle nozze, di scuti secondo l'uso pratticato in
Italia; con dichiarazione che ove mai, l'uno o l'altra de' Ser"'' contrahenti
premorissero (il che Dio non voglia) senza figliuoli, la metta di detta dotte
(i) I puntolini qui e altrove indicano i brani dcIl'originaJe lasciati in liianco.
2Ò
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 383
e respettivo aumento debbi cedere ed appartenere per dritto di giusto gua-
dagno a chi sopraviverà ed il resto cedere all'erede o eredi che venissero
a destinarsi.
4° Sendosi come preliminare di questo contratto dovute aggiustare e
concordare alcune condizioni tendenti alla maggior consolazione delle per-
sone interessate in questo stabilimento ed al bene della Sor"'" Casa Cybo,
perciò il foglio di dette convenzioni in questo medemo giorno da' sig"^' respet-
tivi procuratori signato sarà considerato come parte essentiale di questo
contratto e dovrà venire pienamente osservato in tutti li suoi articoli e ponti.
5° Farà il Ser™" futuro sposo in occasione de' sponsali quel regalo di
gioie che stimerà conveniente per un simile caso; e le medeme in tutti
li tempi e circostanze cederanno e saranno considerate proprie di detta
ggj-ma gig-ra futura sposa cd alla sua libera ed intiera disposizione.
6" ed ultimo. Tutto questo le Ser""' parti contrahenti promettono
attendere ed inviolabilmente osservare, sotto obbligo de' loro beni presenti
e futuri, con la clausula del constituto possessorio d'essi in forma più pro-
bante ed ampia, e di ratificarlo ove una delle parti lo richieda in qualsi-
voglia tempo.
In fede del che si sono a quest'originale sottoscritti il predetto 111""' ed
Ecc™» Sig'" Conte di Metchs, il Sig^ Ministro predetto di S. AI. il Re di
Sardegna e li sig" procuratori con li sig""' testimoni.
Ecco adesso gli « Articoli convenuti in seguito al capitolo quarto matri-
moniale, oggi concordato, tra li Ser"" Sig" futuri sposi Principe Eugenio
Francesco di Savoya Conte di Soissons e Principessa futura sposa Maria
Theresa Cybo e li Ser*"' ed Em™° Cardinale Don Camillo Cybo zio della me-
dema Sig'^'^ futura sposa e la Ser"'" Sig'''^ Principessa Madre ».
1° Si pagheranno annualmente alla Ser"'^ Sig''-'^ Principessa... scutti...
quali dovranno servire per il suo appanaggio e vedovile, compreso però
ogni frutto delle sue raggioni dottali, e resterà de' medemi in possessione
sino a che sia in possesso dello Stato di Novellara, Vescovado e Bagnolo ;
allora cederà e rinoncierà il predetto appanaggio in favore de' Ser*"' sposi,
sua figlia e genero.
2° wSi pagheranno annualmente all' Em'"" Sig"" Cardinale Don Camillo
Cybo, ultimo superstite maschio della Casa Cybo, oltre tutto quello che già
possiede di sua propria appartenenza, dalli Ser"" futuri sposi scuti due milla
romani sin a che seguirà il matrimonio, ed esso seguito scuti quatro milla,
sua vita durante, sopra tutti gli effetti della Casa Cybo.
3" Allorché si presenterà un partito conveniente per maritare e collo-
care le due Ser'"*" Sig'"'' Principesse cadette, sorelle della Ser°"^ Sig'-^ futura
sposa, non ostante la regola stabilita nella Casa per l'assegnamento della
dotte, si obbligano li futuri Ser'"' sposi di assegnarle e pagarle quella dotte
che sarà creduta congrua, avuto riguardo allo stato della Casa ed alla qualità
del futuro marito, secondo il consenso che si potrà avere da S. M. L; doven-
dosi tali dotti ricavare dalli effetti feudali e primogeniali di detta Casa;
obbligandosi fra tanto di mantenerle secondo al loro grado nel loro Stato
di Massa. Come altresì in caso di monacazione, di darle quella dotte e quella
annua pensione che sarà creduta propria per il monastero ove potessero
destinar d'entrare.
27
384 GIOVANNI SFORZA
4" Unirà il futuro Ser""" sposo le armi ed insegne gentilizzie della
Casa Cybo alle sue e ne porterà anche il cognome , per maggior lustro,
decoro e conservazione di tal Casa.
5" Avendo il Sig"" Duca Don Alderamo Cybo, padre della Ser"'=* sposa,
lasciato vari debiti e molti effetti dell'eredità vincolati al feudo ed ai fide-
comissi con hipoteche, si deputerà con autorità imperiale una Commissione,
avanti la quale si dovranno chiamare tutti li creditori, e doppo esaminati li
loro titoli e ridotte le cose a' termini dell'equità e del giusto, tutto che la
Sgj-ma sposa, come erede ipso jure in detti beni, non sia tenuta ad alcun paga-
mento, si fisserà una regola, o per andarne pagando annualmente quella
quantità che si potrà, o si prenderanno misure per allienare qualche effetto,
o si troverà altra strada per pagarli tutti in una volta ; ed il Ser"'" futuro
sposo, doppo che se ne sarà assestata e fissata la somma, darà tutta la mano
per ogni più pronta sodisfazione, ad effetto di testimoniare d'avere per la
memoria del fu Ser'"" Sig'' Duca padre della Ser">* sua futura sposa tutta la
stima e divozione.
Il Re scrisse al Solare: « Si vous eussics dù signer, nous aurions pris
en consideration le projet, que vous nous aves envoic, pour voir ce qui se
pouvoit pratiquer » ; non avendo voluto che lo sottoscrivesse, si rimetteva
in tutto e per tutto « au discernement de AP le Prince Eugène et a ses justes
réflexions » ; concludendo: « nous sommes dans l'impatience d'apprendre que
par la signature des parties les engagemens dans une affaire si avantageusc
soient devenus precis et positifs ». La Corte di Massa molto ci trovò a ridire,
come si ricava dalle seguenti « Risposte al progetto del contratto del matri-
monio, mandate a Vienna al Sig' Presidente Brunetti » (i).
Il progetto di cui si è trasmessa qui la copia, non puole in verun conto
approvarsi, essendo mancante in molte cose essenziali, ed in molte altre che
han bisogno di una differente espressione.
Nel secondo punto si asserisce che per la morte del fu Set""" Sig. D. Alde-
rano Cybo, Duca di Massa, senza figliuoli maschi, è rimasta la Principessa
D. Maria Teresa, figlia primogenita, in vigore delle investiture e fideicom-
missi della Casa Cybo, erede di tutti li Stati e beni sì feudali che allodiali
della medesima Casa.
Questa proposizione è affatto erronea, perchè né le investiture nò i fidei-
commissi della Casa Cybo chiamano le feniine alla successione quando esi-
stono i maschi, onde è necessario che si esprima in questo capitolo che
appartiene la successione ad essa Sig» D. Teresa primogenita in virtù della
rinuncia fatta dal Sig. Cardinal Cybo a favore del defunto Sig. Duca, suo
fratello; e che sia il vero, a solo riflesso delle ragioni, che potevano com-
petere allo stesso Sig"' Cardinale, ha potuto egli chiedere la riserva degli
due mila scudi romani annui prima dell' eff"ettuazione del matrimonio e li
quattro mila doppo seguito il matrimonio, sua vita naturale durante, de' quali
egli si contenta, e gli vengono anche accordati, giacché niun altro riflesso
che questo potrebbe fargli conseguire precisamente i quattro mila scudi
doppo seguito il matrimonio.
Si segue a dire nell'istesso capitolo, che subito che sarà fatto il matri-
monio sarà associato e considerato in tutti i beni, tanto feudali, quanto allo-
diali della Casa Cybo, come sovrano e signore il Sig. Principe sposo. Questa
(i) R. Archivio di Stato in Massa. Matrimoni della Casa Cybo, filza 4S2.
l'è
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 385
proposizione, come troppo assoluta, ha di bisogno di moderazione e spiega-
zione, giacché essendo indispensabile a premettersi alla sottoscrittione del
progetto, che si propone, l'investitura de' feudi nella persona della sposa,
essendo questa investita delli stessi feudi non potrà mai considerarsi e molto
meno esprimersi nel progetto che il Sig. Principe sposo abbia ad essere egli
il sovrano e signore de' medesimi feudi, potendo egli solamente avere sopra
di questi quell'uso che hanno i m.ariti sopra le doti delle loro mogli, non già
la sovranità ed assoluto dominio.
E tanto più conviene premunirsi con la dilucidazione di questo enunciato
punto, quanto che nel capitolo terzo si pretende costituire sopra gli effetti
ereditari della sposa una precisa dote, costituita in quantità di denaro, daP
che potrebbe nascerne una certa conseguenza, che assegnata la dote alla
Sig." Principessa Sposa nella quantità, verbi grazia, di cinquantamila scudi,
seguendo la morte del marito non avesse ella a poter pretendere se non che
la restituzione della sua dote, costituita nella stessa quantità di cinquantamila
scudi e la metà della soppraddote che fosse per fargli lo sposo, senza che
potesse ella restare nel libero possesso de' feudi, non considerati più com.e
sua dote o come sua appartenenza. E tanto più apparisce di tutto ciò l'animo
determinato di chi tratta per lo sposo, quanto che nell'ultime parole dello
stesso capìtolo terzo si legge : ed il resto cedere all'erede o eredi che venissero
a destinarsi; mentre queste parole non possono applicarsi che all'erede o
eredi, da destinarsi per parte dello sposo; giacché per parte della sposa già
rimangono destinati e dai fìdeicommissi e dalle investiture, mentre mancando
la primogenita senza figli, non vi è luogo a veruna destinazione di erede,
ma tanto da' fìdeicommissi, per i beni "allodiali, che dalle investiture, per i
feudaH, vengono in tal caso chiamate in primo luogo la secondogenita e in
mancanza di questa, parimente senza figli, la terzogenita. Onde, posto tutto
ciò, dicendosi in esso terzo capitolo che a riserva della dote e della metà
della sopraddote tutto il resto debba cedere all'erede o eredi che venissero
a destinarsi, non puole avere altro senso una simile espressione, se non che,
tanto li feudi, che tutto il rimanente degli altri beni, abbiano a rimanere
in vantaggio di chi fosse per costituire per erede il nuovo sposo; il che
quanto sia irragionevole non accade qui esprimerlo.
Passando ora agli articoli convenuti in seguito del capitolo 4" matrimo-
niale, conviene rispondere come in appresso. Riguardo al primo punto, in cui
si enuncia che si pagheranno annualmente alla Sig* Duchessa D. Ricciarda
Gonzaga Cybo scudi, etc. sino che sia in possesso dello Stato di Xovellara,
etc. questa espressione' si considera o per affatto inutile, o come fondata sul
supposto che non abbia da rendersi giustizia per molto tempo alle ragioni
che competono ad essa Sig'^ per otterTere da S. M. C. l'investitura dovutagli
di Novellara, etc. giacché qualora gli si renda prontamente, come gli si fa
sperare, giustizia della nominata investitura nella corrente quadragesima ,
doppo tre anni e più che per la morte del suo fratello, unico maschio della
sua Casa, viene chiamata alla successione di quel feudo, non può cadere aleuti
dubbio che prima della sottoscrizione del progetto del matrimonio di cui si
tratta, a cui devono precedere e l'investitura delli Stati per la futura sposa
e tante altre provisioni per ridurre il progetto in forma da potersi sotto-
scrivere, sarà certamente definita la sua causa e posta essa Sig'"» in possesso
del feudo; onde in tal caso è superfluo che si discorra di determinare per-
la medesima qualunque sorte di assegnamento, contentandosi ella, come già
accordò ne' primi progetti mandati in Vienna, delle rendite allodiali e feudali
di quello Stato, per ogni suo provedimento; o pure si vuole che la definitione
di questa causa si abbia a prolungare ancora per molto tempo, e con ciò si
fa torto alla giustizia dei tribunali di Vienna ed alla ben nota clemenza
dell'Augustissimo Imperatore, supponendo non meno in cotesti supremi
tribunali, che nella Maestà Sua, una troppo supina ingiustizia nel ritardare
29
1^ -Mise, S. IH, T. XIII.
386 GIOVANNI SFORZA
dopo tanto tempo e senza veruna ragione la spedizione di simil causa,
doppo che già tutte le cose sono digerite in forma, che nulla più manca che
la sola proposizione.
Rispetto al secondo punto dogli articoli in cui si accordano al Sig. Car-
dinale D. Camillo Cybo scudi duemila sin che siegua il matrimonio e scudi
quattromila seguito questo, da cavarsi da tutti gli eifetti della Casa Cybo,
oltre tutto quello che già possiede di sua propria appartenenza, non cade in
ciò verun dubbio rispetto alla quantità della somma, mentre egli pospone
di buon animo ogni sua maggior convenienza al vantaggio delle sue nepoti;
solo rimane che si variino questi periodi nel modo della loro enunciativa.
In primo luogo, non bene si esprime: oltre tutto quello che egli già f ossicele
di sua propria appartcìienza, giacché molto di dubbio potrebbero importare
le parole di sua appartenenza, potendosi porre in dubbio se quello che egli
possiede dalla sua Casa sia di propria appartenenza; ma conviene piuttosto
esprimere : oltre tutto quello che egli possiede secondo le riserve da lui fatte
nella rinunzia che già fece al fratello e secondo tutti gli atti e convenzioni
che sono sticcessivamente seguite tra esso ed il defonto Sig. Ditca suo fratello.
Parimenti converrà che rimanga un'adeguata cautela al Sig. Cardinale, perchè
possa essere egli assicurato del promesso pagamento; e tanto maggiormente
egli di ciò deve esser cauto, quando si avessero a pagare i debiti anche in
parte coll'entrate della sua Casa, giacché facendosi ciò non vi rimarrebbe
il modo da pagarsi a lui l'assegnamento accordatogli e non averebbe egli
animo né di procedere, né di chiedere ciò che gli converrebbe a questo
conto, togliendolo o dall'Altare, con trattenere la soddisfazione di tanti legati
pii che restano insoddisfatti, o dai sudori di tanti poveri che avanzano le
loro mercedi e sono in stato di mendicare la forma del loro sostentamento ;
tanto più che trovandosi ipotecate a' creditori molte tenute, tanto nello Stato,
che fuori, quando simili creditori non vengano dimessi per altra parte,
restano così scarse le rendite della Casa, che appena possono supplire al
quotidiano sostentamento della medesima, non che a soddisfare al nuovo
peso dell'assegnamento accordato al Sig. Cardinale. In fine, è di necessità che
in questo secondo articolo si esprimano le cause per cui si accorda al Sig.
Cardinale questa nuova riserva de' preaccennati due e quattromila scudi
rispettivamente; quali sono l'avere egli, non ostante l'essere l'ultimo maschio
della Casa, ceduto in vantaggio delle nepoti la successione tanto alli feudi,
che all'allodiali, che potevano appartenergli; la qualità del suo grado presente,
che esige un maggior trattamento di quello gli competeva allorché fece la
rinuncia al fratello; ed in ultimo la dimentione degli assegnamenti riservatisi
con l'alienazione di molti capitali che gli fruttavano, fatta con il consenso
ed approvazione del defunto Sig. Duca, suo fratello.
All'articolo terzo, in cui si conviene di accrescere la dote alle due sorelle
minori della futura sposa, in caso che lo portasse la qualità del loro matri-
monio, non puole accordarsi questo intiero arbitrio, che si riserba il futuro
sposo, vedendosi molto bene che non potendosi di presente trattare un ade-
guato partito per esse con la sola dote di scudi trentamila, si vorrebbe con
simile riserva precludere la strada alla madre ed al zio di poter esser
richiesti del loro consenso per lo accasamento delle nominate Signore, giac-
ché ogni partito avrebbe a dipendere dalla sola volontà dello sposo, se da
questa unicamente avesse a sortire l' effetto del matrimonio con l'assegna-
mento di una dote proporzionata; né sono al caso i riflessi che si fanno e
del solito della Casa nella quantità prefissa delli scudi trentamila, giacché
a ciascuno é ben noto che le doti antiche praticate secoli avanti, secondo
gli ultimi stati delle femmine maritate dalla Casa Cybo, non sono applicabili
al tempo presente, in cui si sono tantd comunemente accresciute le doti;
come neppure per costituire simili doti é necessario il consenso di S. ]\I.
Imperiale, giacché rimangono tanti effetti alla Casa Cybo allodiali anche fuori
30
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 387
dello Stato di Massa, che per cavare doti proporzionate per le Signore
cadette non è di mestieri intaccare gli effetti feudali, per i quali unicamente
sarebbe d'uopo l'assenso Imperiale. E finalmente dicendosi nello stesso
articolo terzo, che in caso di monacazione di dette Signore sarà per darsi
loro quella dote e quell'annua pensione che sarà creduta propria per il
monastero ove potessero destinare di entrare, rispetto alla pensione o sia
annua apprestazione di livello è necessario si esprima: purché non sia minore
di quello è consueto ed è stato sin qui praticato con le altre Principesse
dell'istessa famiglia; non essendo di ragione che le presenti vSig*" Principesse
di questa Casa abbiano ad avere un minor trattamento allora che succede
al possesso di tutti i beni una femmina, di quello hanno avuto le altre allora
che sono succeduti li maschi.
Le importanti risposte date fin qui bastano certamente a far conoscere
essere affatto impossibile il potersi accordare nei termini dello stesso pro-
getto la sottoscrizione di esso; ma quando pure ninna di queste cose sin
qui enunciate potesse meritare quella ponderazione, che pur troppo hanno
in loro stesse, per escludere affatto la maniera di poter far ciò seguire,
basterebbe riflettere al quinto ed ultimo articolo, in cui si discorre del paga-
mento de' debiti lasciati del defunto Sig. Duca. Questo articolo, che si pone
in ultimo e che si considera come cosa meno importante, è la pupilla degli
occhi tanto della Sig'' Duchessa Madre, che del Sig. Cardinale. Della Sig"
Duchessa Madre, perchè troppo ha ella con giustizia a core l'onore delle
ceneri del suo defunto consorte; la qualità de' debiti degni di ogni maggior
compassione per conto delle persone e de' luoghi pii che ne rimangono cre-
ditori; come anche perchè vedesi priva della maggior parte delle rendite
possedute da' creditori, che meritano anche minor riflesso, senza che da
questi si possan ritogliere, e non ha perciò il modo di potersi sostentare con
le figlie nel tempo che durerà la sua tutela. Rispetto al Sig. Cardinale, oltre
tutte le preaccennate considerazioni, basta il dire che egli non ha voluto fin
\]uì né ingerirsi, né accettare in verun modo la tutela delle nepoti, se prima
non veniva assicurato, o non vedeva effettivamente soddisfatti tutti i debiti
del defunto fratello. Anzi a questo conto, non essendo egli mai per assumere
tale tutela, se prima non \àen premessa o non viene accordata con espressa
obbligazione la soddisfazione de' nominati debiti, ben può conoscersi che
egli non potrà mai sottoscrivere né il progetto né qualunque altro foglio
appartenente a' meditati sponsali, come tutore, se egli non lo è, né lo vuol
essere in altra guisa. Onde posto tutto ciò, è superfluo qualunque altro passo
si faccia per ottenere o dalla Sig" Duchessa tutrice o dal Sig. Cardinale
un volontario consenso agli sponsali nelle forme che fin qui si pretendono
effettuare.
Le osservazioni e le lagnanze della Corte di Massa non trovarono ascolto
a Vienna. Salvo poche modificazioni, non di sostanza, ma di forma, la
scritta matrimoniale e gli articoli restarono come erano. Il 21 di maggio il
Solaro scriveva al Re: «Le contract de mariage du jeune Prince Eugéne a
été signé par Madame Mère et M'" son grand onde ». Il giorno appresso
venne sottoscritto anche dal Conte di Metchs, consigliere intimo attuale di
Stato e vice presidente del Consiglio imperiale aulico, « come ministro dele-
gato di Sua Maestà Cattolica » e dal cav. Giuseppe Ambrogio Brunetti,
« ministro attuale presso la Corte Cesarea » della Duchessa vedov^a reggente
di Massa, a ciò delegato «per atto delli 16 aprile ultimo scorso».
31
388 GIOVANNI SFORZA
III.
vSulle trattative dà alcuni interessanti ragguagli G. B. De Mari, ministro
della Repubblica di Genova a Torino, in questo dispaccio, che indirizzò a
quella Signoria, il 4 di giugno. « Voglia o non voglia rEm"'" Cibo, S. M. C.
ha ordinato che si eseguisca il matrimonio della di lui Sig" nipote con questo
Sig"^ Principe di Suesson ne' modi e forme che concepita ne fu l'idea fino
dal bel principio. In tale guisa la secondogenita resta incapace della suc-
cessione agli Stati di Massa e Carrara et il porporato senza quei personali
avantaggi di pensioni e beneficj ecclesiastici i quali eranli stati proferti.
Così dicevami questo generale Filippi, aggiongendo che i concepiti sospetti
della Corte di Vienna doppo la venuta in Italia del Ser'"" Infante D. Carlos
sono stati il più forte motivo per cui l'Imperatore ha voluto assicurarsi di
quelli Stati, consegnandoli a persona dipendente, e forse con l'idea di dover
poi mettere in miglior stato Lavenza e presidiarla per sempre di truppe
alemanne. Detto Sig'' Principe di Suesson partirà a tale effetto da qui per
Massa nel mese di settembre prossimo, per indi portarsi a Vienna presso il
Sig' i^rincipe Eugenio di lui zio. Ciò sarebbe accaduto anche prima, se tanto
esso che la Corte non si ritrovassero lontani dalla città di Vienna » (i).
Il generale Gio. Carlo Stampa, plenipotenziario in Italia dell'Imperatore,
per ordine suo si era recato appositamente a Massa per condurre a fine le
pratiche del vagheggiato fidanzamento. Dell'esito felice della missione il
Principe Eugenio si affrettò a darne parte al Solaro, scrivendogli da Carlo-
baad il 27 giugno: « Monsieur le Comte Stampa me marquc que le tout
s'est passe avec une satisfaction réciproque à ]\Iassa, et que Madame la
Duchesse est entrée de très bonne grace dans l'idée d'y avoir une personne
de la part de mon neveu. Je me souviens, Monsieur, quo vous m'aves pro-
pose à cet efifet l'avocat Morelli (2), et vous aures la bonté de le sonder
(i) Il 27 giugno del 1732 il Principe Eugenio scriveva al Solaro: « J'apprens par votre
lettre du 14 de ce inois et celle de jM"' le Marcjuis de Breille y jointe la continuation des
bontés de S. M. le Roi pour moi et mon neveu. Gomme vous connoissez, Monsieur, plus
que personne mes sentiniens envers ce Prince, vous seres assez persuade de la profonde
reconnoissance que Je lui en ai, qui ne s(;auroit ètre plus parfaite, ni ricn de plus sincère
(pie l'attachement resi)ectueux que j'ai pour Sa Majesté. J'espère que mon neveu ne sera
pas moins penetrò que moi de ces sentiniens, ni moins emprcssé à se conserver toujours
1 lionneur de sa bienv^eiliance et de ses bonnes graces. Le Roi l'agréant, ainsy il resterà à
Turin jusques à l'automne, et suivant le pian concerté il se rendra à Massa pour y celebrer
les fian^ailles, et de là à Vienne vers le tems que S. M. I. y sera de retour. Je partage
avec lui l'obligation qu'il a aux soins obligeans de M^ votre frère, vous priant, Monsieur,
de lui témoigner combien je suis sensible à tout ce qu'il fait pour lui, et que je ne le serai
pas moins s'il continue à l'asister de ses prudens avis ».
(2) II .Solaro il 9 luglio 1732 scriveva da Praga al Marchese d'Ormea: « Ledit Prince
[Elugène] aiant bien voulu demander mon avis sur la personne de contìance qu'il pourroit
destiner pour aller resider à Massa de la part de Mons' son neveu pour y regler les intéréts
de ce pais avec Madame la Duchesse, je lui dis que je croiois que l'avocat Morelli, qui est
chargé du procès de la Maison de Carignan, avoit les qualités necessaires a se bien aquitter
de cette comnii.ssion ».
32
IL PRINCIPE EUGENIO FERDINANDO DI SAVOIA 389
à quelles conditions il y voudroit aller ». Il Re, che aveva già avuto avviso,
col mezzo del conte Filippi, « des arrangemens pris à ]\Iassa » dallo Stampa,
decise, a seconda del convenuto, di fare egli stesso la domanda della mano di
Maria Teresa per il suo congiunto. E fin dal 14 di quel mese ne scrisse al
Solaro: « Xous avons destine » (son sue parole) « le chevalier deBiandrà,
notre ecuier, pour y aller de notre part faire la demande à la Duchesse
douarière, et il partirà pour cet efFect dans la semaine prochaine ». Il 21 gli
riscrisse: ;. Le chevalier de Riandrà est parti ce matin pour se rendre à Massa
et y exécuter la commission Xous luy avons donne des instructions con-
formes au concert qui y a été pris ». E il 5 di luglio: '< Le chevalier de
Riandrà est revenu dimanche de Massa; il y a été re9u avec toutes les
distinctions, et la Duchesse a témoigné en cette occasion, soit par les trai-
temens qu'elle luy a faits, soit par la lettre qu'elle nous a écrite, combicn
elle se fait de plaisir et d'honneur de cette alliance ».
Il giovane fidanzato si affrettò a esprimere la propria contentezza alla
madre della sposa e alla sposa. Alla prima scriveva :
Madame,
Je rend mille graces à Votre Altesse Serenissime do la bonté et amitié
avec laquelle Elle a bien voulu m'accorder en mariage Madame la Prin-
cesse de Massa, sa Fille ainée, et suis extrèmement sensible, non seulement
à la préférence, qu'elle m'a donnée pour une alliance, que je désirois tant,
mais aussi à la manière obligeante et empressée, avec laquelle V. A. S.
a repondu sur ce sujet à la demande du Roy. Je prie V. A. d'ètre convaincu
de la sincerité de mes sentiments à cet égard, de ma reconnoissance et de
l'attachement que j'aurai tonte ma vie pour la personne de V. A. Je mi
trouve engagé par ses bienfaits, et porte naturellement par les informations
que j'ai de son solide mérite, et vertus, aussi peut elle ètre pérsuadée qu'en
devenant son beau fils, je me fairais un devoir de dépendre de ses conseils
et de lui marquer en toutes rencontres mon veritable respect et entière
déférence, je compte dans peu de pouvoir lui exprimer rnoi mème mes sen-
timens et j 'espère que V. A. S. les trouerait conformes à ses desirs, ceux
du Roy et de M'' mon. onde. Sont remplis d'estime, et denuie de l'obliger,
et je puis l'assurer que je les trouverais toujours prèts à donner toutes sortes
d'attentions pour les interéts et avantages de V. A. qui déviennent main-
tenant communs à tonte la Maison. Je prends la liberté de lui envuier la
ci jointe pour Madame la Princesse sa Fille et prie V. A. de la lui faire
agréer comme la première marque d'estime, tendresse et d'attachernent,
que je veux toujours avoir pour elle, je scais avec quel soins V. A. l'élève
(sic). Je regarde d'avance la benne education quelle lui donne, comme un
bonheur, dont je serai toute ma vie redevable a V. A. S. et j'ai ci l'honneur
d'ètre avec tout l'attachement et le respect possible,
Madame, de Votre Altesse Serenissime
Turili, ce 9 juliet 1732.
le très Jmmhles et trcs nhcissant scrvitnir
Francois Eugene de Savoye..
Fu questa la lettera che indirizzò alla fidanzata :
Madame,
J'ai reQU avec tout le plaisir possible les marques d'amitié, que M"" le
Comte de Riandrà ni'a apportées de la part de V. A. S. Je ne saurais m'cm-
390 GIOVANNI SFORZA
pécher de lui en témoigner ma reconnoissance en lui ofFrant mes obéissances
et respects, et en assurant V. A. S. du parfait contentement, que j'ai de la
conclusion de notre mariage. Je me flatte qu'Ellc voudra bien agréer ces
lignes, comme le premier gage de l'amitié, tendresse et veritable respect
avec lequel je serai toute ma vie,
Madame, de V. A. S.
Turili, ce 9 juliet 1732.
Ricciarda così gli rispose
le trcs hunibles et tres ohéissant serviteur
Fran(;ois Eugene de Savoye.
Altezza Serenissima,
Dalla singolare benignità di V. A. S. non poteva io aspettare se non
quelle obbliganti e soprafìne dichiarazioni, che leggo nel foglio umanissimo
di cui ha voluto favorirmi. Si accerti dunque di ritrovare in me , sinché
vivo, le più affettuose rimostranze di stima, dalle quali potrà l'A. V. vS. ri-
cavare agevolmente, di essermi spogliata del carattere di suocera e vestita
di un altro più tenero, che sarà quello di madre amorosissima. Frattanto
sono qua impaziente nell'aspettazione di quel giorno, che deve recarmi la
bella sorte di poterla servire in questa sua Casa. Donna Maria Teresa le
invia qui acchiusa la sua risposta, che si merita il gentile compatimento di
V. A. S. a fronte della sua età, e qui, con vivo desiderio di molti pregia-
tissimi comandamenti suoi, mi costituisco rispettosamente con tutto lo spirito
Di V. A. S.
Massa, li 16 luglio 1732.
Dev:"" et obbl.*"'' serva
Ricciarda Gonzaga Cvp.o.
Ecco la risposta della fidanzata :
Altezza Serenissima,
L'ofizio rispettoso, che mi presi licenza di far passare a V. A. S. per
mezzo del Sigr Conte di Biandrà, e che da lui è stato così bene adempito,
l'averà saputa render certa di quella gran stima , che professo al merito
eccelso dell' A. V. S. Ed ora, in vista de' suoi riveriti caratteri, le confermo
di proprio pugno i medesimi sinceri sentimenti dell'animo mio, nel costante
attaccamento dei quali, mi protesto voler essere per sempre
Di V. x\. S.
Massa, li 16 luglio 1732,
Dcv:"" et ohbl:"" serva
Maria Teresa Cybo{i).
Il De Alari il 27 d'agosto scriveva alla Repubblica di Genova: «Final-
mente resta stabilita per Vienna la partenza di questo Sig"^ Principe di Soesson;
deve però prima visitare in Massa la futura sua sposa: a tal effetto per la
metà dell'entrante mese si trasferirà in Genova, dove devono ritrovarsi le
galee di questo Re, per servirlo in camino, tanto d'andata, quanto di ritorno ».
Tornò a scrivere il 17 di settembre: « Questa mattina ha preso la volta di
Genova il Signor Principe di Soesson. Fu ieri a farmi visita tanto esso che
(i) R. Archivio di Stato in Modena. Cancelleria Ducale. Eredità Cybo. parte I. i.,
fase. IV. 2.
34
IL PRINCIPE EUGENIO FERDINANDO DI SAVOIA 39 1
il Sig'^ ÌSIarchese di Cavatore », suo aio. « Mi dissero che se il tempo fosse
favorevole, dalle sedie di posta sarebbero passati alle galee; ma che, nel
ritorno, tre o quattro giorni sarebbesi trattenuto per vedere la città » (i).
Fin dal io di quel mese si era adunata a Genova la Giunta de' Confini
a riferire sui provvedimenti da prendersi per l'annunziato passaggio del
Principe. Benché ne' libri de' cerimoniali non avesse trovato esempio di
complimento fatto a persone della casa di Soissons, fu di parere « nelle
odierne circostanze possa convenire nel passaggio che facesse detto Sig"^
Principe per il Ser'"" Dominio di usargli qualche attenzione; onde, venendo
egli a Genova, la minore attenzione che se gli potesse praticare fosse quella
di deputare due gentiluomini, che privatamente lo assistessero ». I Collegi
approvarono il consiglio, e furonodeputati a quell'ufficio Ottavio De Mari
e IVIarcello Durazzo. Venne poi scritto al Commissario di wSarzana e al Podestà
di Lerici: « State in attenzione, al suo arrivo, di fargli un complimento di
visita a vostro privato nome, e assistetelo in tutto ciò gli possa occorrere » (2).
Del suo soggiorno a Genova si trova un minuto ragguaglio ne' di-
spacci di Lorenzo Bernardino Clerico, ministro residente del Re di Sardegna
presso quella Repubblica. « Gionse qui giovedì sera » (18 di settembre)
« S. A. Ser"^^ il Sig'' Principe Eugenio di Soissons. Ieri le furono destinati
per servirlo due cavalieri, uno de' quali si è il figlio del sig. marchese Gia-
como Filippo Durazzo, che alla sera le diede veglia. Sta il suddetto Principe
attendendo l'arrivo delle galee di S. M. che devono portarlo a Massa, le quali,
se sono in viaggio, non devono aver potuto surmontare li venti contrari che
si sono gettati dappoi ieri » (3), Torna a scrivere: « Le medeme con non
poca fatica della ciurma (per quanto intesi dal sig. cav. Sforza) giunsero ieri
[22] verso il mezzogiorno in questo porto, doppo il soggiorno di quasi 24 ore
fatto in Vado, ove per motivo de' tempi furono costrette d'entrare. La par-
tenza per Massa restava fissata per questa mattina nel fare dell'alba, ma
sendosi alla mezzanotte novamente gettati li venti contrari, s'aspetta che li
medemi calmino, per porre immediatamente alla vela e sortire di questo
porto. L'apparenza però ella è che ciò non si possa eseguire né per questa
sera, né per questa notte, attesi li venti freschi ». TI 27 scrive nuovamente:
« La partenza seguì verso la mezzanotte » (del 25^; « ma avanzatesi le galee
appena dieci miglia al largo, ritrovativi li venti contrari assai freschi, furono
costrette retrocedere e rientrare ieri mattina in questo porto, ove si ritro-
vano, aspettando un soffio di vento favorevole per approfittarsene ». Il 30
prosegue: « Due ore avanti giorno posero domenica alla vela le due galee...
Le notizie che ne ho avute dopo una tale partenza, sono che appena surmon-
tato quella mattina il capo dì Portofino, furono le medeme, per li venti sciroc-
cali scopertisi nell'altura assai freschi, costrette ricoverarsi in quel seno, dove
attualmente si devono supporre per cagione de' suddetti venti contrari, che
tuttavia regnano ». Nel dispaccio del 4, « proseguendo le notizie sul viaggio »,
scrive: « Per avviso giunto a questo IMagistrato di Sanità » le galee <' furono
(i) R. Archivio di Stato in Genova. Lettere di Ministri. Torino, busta n» 5.
(2) R. Archivio di .Stato in Genova. Confinium, filza n" 122, Litt. reg. 17, e, 242"^
(3) Dispaccio al D'Ormea, del 20 settembre 1730.
35
392 GIOVANNI SFORZA
viste giovedì nel golfo della Spezia, dal che si arguisce che S. A. Ser™* il
Sig' Principe Eugenio possi ancor l'istessa sera essere arrivato a Massa ».
Vi giunse infatti il 3 d'ottobre ; e il giorno seguente dalla Duchessa Ric-
ciarda e dagli sposi venne sottoscritto il contratto matrimoniale, che suona
così:
Essendoché, mediante la clementissima interposizione dell'Augustissimo
Imperatore, nella città di Vienna d'Austria fossero li 22 del prossimo decorso
mese di maggio stabiliti e firmati li Capitoli del matrimonio da contraersi
fra le persone descritte ne' medesimi Capitoli, che sono del tenore seguente,
cioè :
Nel nome della Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. Sia
pubblico e manifesto a tutti presenti e in avenire che la Divina Provvidenza,
regolando per la maggior gloria sua e bene degli uomini le cose di questo
mondo, siasi degnata di movere l'animo clementissimo dell'Augustissimo
Imperador de' Romani Carlo Sesto, gloriosamente regnante, a stabilire l'ac-
coppiamento di due Famiglie sì ragguardevoli in Europa, quali sono quelle
di Savoia e Cybo, uniendo in maritaggio il Serenissimo Signor Principe
Eugenio Francesco di Savoia, Conte di Soissons, figlio del fu Serenissimo
Principe Emanuele di Savoia e della Serenissima Signora Principessa Teresa
de Liechtenstein, con la Serenissima Signora Duchessa INlaria Teresa Cybo,
figlia del fu Serenissimo vSignor D. Alderano Cybo Duca di Massa e della
Sejrcnissima Signora Donna Ricciarda Gonzaga Cybo Duchessa Vedova di
Massa, al cui effetto, per sentire, terminare ed appianare le varie materie che
si dovevano, avendo la INIaestà Sua Cesarea Cattolica deputato l'Ur"" et Ecc""°
Signor Conte di Metsch, Consiglier intimo attuale di Stato e Vicepresidente
del Consiglio Imperiale Aulico, nelle sessioni avanti esso tenute, assistenti
li ]\Iinistri delle Serenissime Parti, per accomodarsi al solito di queste simili
risoluzioni, che esige se ne costruisca un atto autentico ad eterna memoria,
ove restino perpetuamente annotate le condizioni che debbono andarne inse-
parabili, dopo aver il prenominato Signor Principe Eugenio Francesco di
Savoia Conte di Soissons deputato, attesa la sua assenza, in suo procuratore,
per segnare questo contratto, il Serenissimo Signor Principe Eugenio, suo
gran zio paterno, come per atto delli (i;> e la prenominata Signora
Duchessa Vedova di Massa, in qualità di madre, tutrice e curatrice della Sere-
nissima wSignora Duchessa Maria Teresa Cybo, sua figlia primogenita, futura
sposa, ITll"'" Sig. Cav. Giuseppe Ambrogio de Brunetti, Presidente del suo
Consiglio di Giustizia e suo Ministro attuale presso la Corte Cesarea, come
per atto delli 16 aprile ultimo scorso, debitamente da detta Signora Costi-
tuente sottoscritto e del suo sigillo munito. Essi rispettivi atti di procura
originalmente rimessi al prenominato Cesareo Ministro, sotto il benignissimo
aggradimento della Maestà Sua Cesarea Cattolica; intervenendo per parte del
Serenissimo Sposo anche il consenso della S. R. Maestà di Carlo Emanuele
Re di Sardegna, Gerusalemme e Cipro, Duca di Savoia, ecc. come capo della
Real Casa e quello della detta Serenissima vSignora Principessa Teresa di
Liechtenstein, sua madre, e del predetto Serenissimo Signor Principe Eugenio
di Savoia, suo gran zio paterno ; e per parte della Serenissima Sposa quello
di detta Serenissima Donna Ricciarda Gonzaga Cybo, Duchessa di Alassa,
sua madre, siansi conclusi, stabiliti e sottoscritti, inanti dello 111"'° ed Ecc"'"
Sig. Conte di Metsch et alla presenza de' Sig"^' testimoni infrascritti, gli arti-
coli seguenti :
I. Essi vSerenissimi Signori Principi e Duchessa, Eugenio Francesco di
Savoia Conte di Soissons e Maria Teresa Cybo Duchessa di Massa, con l'Im-
(i) Spazio bianco nell'originale.
36
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 393
periale aggradimento, Reale e Serenissimi consensi predetti, promettono di
maritarsi al più presto che sarà possibile e vivere in eterna unione a gloria
dell'Altissimo, per felicitare le loro rispettive Serenissime Case e li loro
sudditi con quella prole e discendenza con la quale vorrà il cielo benedire
il loro matrimonio.
IL Essendo per la morte del fu Serenissimo Sig. D. Alderano Cybo,
Duca di Massa, senza figliuoli maschi, rimasta essa Serenissima Signora
Duchessa Maria Teresa 1' erede primogenita delle tre Principesse figlie del
medesimo fu Sig. Duca, et appartenendole come tale, in vigore delle investiture
e fidecommissi della Serenissima Casa Cybo, tutti li Stati e beni sì feudali
che allodiali della medema ; quindi nel governo et amministrazione loro il
Serenissimo Signor Principe Sposo subito che sarà contratto il matrimonio
dovrà essere associato e considerato ancor esso come sovrano, qual marito
allora di detta Serenissima Duchessa Maria Teresa.
IH. Dovendo per una indispensabile necessità in tutti li contratti di
questa sorte intervenire la costituzione della dote, essa Serenissima Signora
Duchessa Maria Teresa Cybo, coll'autorità della prenominata Signora Du-
chessa Vedova, sua madre e tutrice, si assegna e costituisce in dote, sovra
tutti gli effetti allodiali e fideicommissari della sua Casa, la somma di fiorini
centomila, moneta di Germania, o sian correnti in Vienna; alla quale esso
Serenissimo futuro marito fa aumento, detto regolarmente per causa delle
nozze, di fiorini cinquanta mila simili, secondo l'uso che si pratica in Italia ;
con dichiarazione che ove mai l'uno o l'altra de' Serenissimi contraenti pre-
morisse 'il che Dio non voglia) senza figliuoli, la metà di detta dote e re-
spettivo aumento debba cedere et appartenere per diritto di giusto guadagno
a chi sopraviverà, et il rimanente di detti dote et aumento alli loro rispettivi
eredi. E quanto alli altri beni della Ser™^ Casa Cybo, sì feudali, che allodiali,
si osserverà 1' ordine di succedere stabilito nella medema Casa, tanto dalle
investiture, che da' fideicommissi.
IV. Sendosi come preliminari di questo contratto dovute aggiustare
e concordare alcune condizioni tendenti alla maggiore consolazione delle
persone interessate in questo stabilimento et al bene della Ser'"* Casa Cybo,
perciò il foglio di dette convenzioni, in questo medemo giorno separatamente
segnato, sarà considerato come parte essenziale di questo contratto e deverà
venir pienamente osservato in tutti li suoi articoli e ponti.
V. Farà il Ser'"" futuro marito nell'occasione de' sponsali quel regalo
di gioie che stimerà conveniente per un simile caso, e le medeme in tutti li
tempi e circostanze cederanno e saranno considerate proprie di detta Sere-
nissima Sig^ futura Sposa et alla sua libera et intiera disposizione.
VI et ultimo. Tutto quanto sovra le Ser™*^ Parti contraenti promettono
ne' suddetti respettivi nomi attendere et inviolabilmente osservare, sott'obbligo
de' loro beni presenti e futuri, con la clausola del costituto possessorio di
essi in forma più probante et ampia, e di ratificare questi articoli, ove una
delle Parti lo richieda in qualsivoglia tempo ; ben inteso, che la suddetta
obligazione de' beni fatta tanto dal suddetto Ser'"" Sig. Principe Eugenio,
gran zio paterno del futuro Sposo, che dalla Ser™'^ vSig« Duchessa Vedova di
Massa, non debba considerarsi che in qualità V uno di procuratore e l'altra
di madre, tutrice e curatrice, respettivamente, de' Serenissimi futuri Sposi.
In fede del che si sono a tre originali minute, da conservarsi presso li
Ser""' Sposi e ISIinistro Cesareo, tutti sottoscritti, come segue. Fatt' in Vienna
d'Austria, h ventidue del mese di maggio, l'anno del Signore mille settecento
trentadue.
Eugenio di Savoya come procuratore e zio dello Sposo. Luogo del
♦I» sigillo.
Giovanni Adolfo Conte di Metsch come Ministro delegato di S. M.
Cattolica. Luogo del «J* sigillo.
37
50 — Mise, S. III. T. Xni.
394 GIOVANNI SFORZA
TheresE Princesse de Savoye mère de l'espoux. Luogo del «^ sigillo.
Giuseppe Ambrogio de Brunetti come procuratore della Sig'* Du-
chessa Madre e Tutrice della Sposa. Luogo del -^ sigillo.
Luogo del *^ sigillo. Ignatio di Koch testimonio.
Luogo del «ì* sigillo. Giuseppe Antonio de Morelli testimonio.
Articoli convenuti in seguito al capitolo quarto matrimoniale, oggi sot-
toscritto, fra li Ser'"' Signori futuri Sposi Principe Eugenio Francesco di
Savoia Conte di Soissons e Duchessa Maria Teresa Cybo, col mezzo, auto-
rità e consenso del Ser"'" Sig. Principe Eugenio di Savoia e della Ser™* Sig*
Duchessa Vedova di Massa, nei nomi, come in detto contratto, sotto pure il
Cesareo aggradimento, et assistente V 111'"° et Ecc™° Sig. Conte di Metsch
Ministro deputato, come in esso.
I. Facendosi riflesso che deve la Ser""^ Sig^' Duchessa Vedova Madre
aver un congruo appannaggio, non tanto per il suo vedovile, quanto per le
fatiche della tutela, sino a che sia in possesso dello Stato di Novellara,
Vescovado e Bagnolo, perciò li Serenissimi Sposi et il Ministro Cesareo,
coll'autorità dell' Imperadore, li fanno assegnazione di scudi duemila annui,
moneta romana, da prendersi sulle rendite più liquide della Ser™** Casa Cybo.
IL Allorché si presenterà un partito conveniente per maritare e col-
locare le due Sig^* Ser™*' Principesse cadette, sorelle della Ser™" Sig* Sposa,
oltre la dote già a loro riguardo stabilita nel testamento paterno e le regole
sin qui osservate nella Ser'"'^ Casa Cybo per l'assegnamento delle doti, s'ob-
bligano li futuri Ser""' Sposi di pagarle et assegnarle quella maggiore che
sarà creduta congrua, avuto riguardo allo stato della Casa et alla qualità
del futuro loro marito, secondo il consenso che si potrà avere da S. ^L Impe-
riale, dovendosi tali doti ricavare dagli effetti allodiali e fìdeicommissari di
detta Casa ; obbligandosi frattanto di mantenerle secondo il loro grado nel
loro Stato di Massa ; come altresi in caso di monacazione di darle quella
dote e quell'annua pensione, che sarà creduta propria per il monastero ove
potessero destinar d'entrare.
HI. Unirà il futuro Ser"° Sposo le armi et insegne gentilizie della Casa
Cybo alle sue e ne porterà anche il cognome, per maggior lustro, decoro
e conservazione di tal Casa.
IV et ultimo. Avendo il Sig. Duca D. Alderano Cybo, padre della Sere-
nissima Sposa, lasciato vari debiti e molti effetti dell'eredità, vincolati al feudo
et ai fideicommissi, con ipoteche, si deputerà dalla Ser'''^» Sig" Duchessa
Vedova di Massa, tutrice, una commissione, avanti quale si dovranno chia-
mare tutti li creditori ; e dopo esaminati li loro titoli e ridotte le cose a'
termini dell'equità e del giusto, tuttoché la Ser"" Sposa come erede ipso
iure in detti beni non sia tenuta ad alcun pagamento, si fisserà una regola,
o per andarne pagando annualmente quella quantità che si potrà, o si pren-
deranno altre misure per pagarli tutti o in parte in una volta, senza però
divenire ad alcuna alienazione de' beni soggetti al feudo e fideicommisso.
Et il Ser'"" futuro Sposo, dopo che ne sarà assestata la somma, darà tutta la
mano per ogni più pronta sodisfazione ad effetto di testimoniare d'avere per
la memoria del fu Ser'"" Sig. Duca, padre della Ser"'* sua futura Sposa, tutta
la stima e divozione.
Quali articoli le Ser'"® Parti promettono d' inviolabilmente osservare a
nome e sotto l'obbligazione de' beni, come in detto contratto di matrimonio.
In fede, ecc. Vienna d'Austria, li 22 del mese di maggio, l'anno del Signore
mille settecento trentadue.
Eugenio di Savoia come procuratore e zio dello Sposo. Luogo del
♦I» sigillo.
Giovanni Adolfo Conte di Metsch come IMinistro delegato di S. M.
C. Luogo del ♦!♦ sigillo.
38
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 395
Therese Princesse de Savoye mère de l'espoux. Luogo del 4- sigillo.
Giuseppe Ambrogio de Brunetti come procuratore della Sig" Duchessa
Madre e tutrice della Sposa. Luogo del ♦$♦ sigillo.
Luogo del 4» sigillo. Ignatio di Koch testimonio.
Luogo del 4» sigillo. Giuseppe Ambrogio de Morelli testimonio.
E volendo in oggi, a cautela maggiore e per quanto far possa di bisogno,
tanto la Ser'"* Sig^ Duchessa ISIaria Teresa Cybo, con il benigno consenso e
volontà di S. A. S. la Sig* Duchessa Vedova Ricciarda Gonzaga Cybo, sua
Signora e Madre, e la medema Ser™^' Sig'^ Duchessa Ricciarda, di lei tutrice
e curatrice, da una parte; e come pure il Ser"'° Sig. Principe Francesco
Eugenio di Savoia, Conte di Soissons, ora esistente di persona in questa città
di Massa, dall'altra, venire e procedere alla conferma, approvazione e ratifica
di quanto restò conchiuso e stabilito, come sopra, per mezzo dei loro rispet-
tivi procuratori, col pieno aggradimento di S. M. Cesarea e Cattolica; quindi
è che l'una e l'altra delle predette Ser''^'' Parti vicendevolmente e scambie-
volmente approvano, confermano e ratificano in ogni sillaba e parola i pre-
senti capitoli matrimoniali, conchiusi, stabiliti e convenuti, come sopra, nel
dì 22 maggio prossimamente passato in detta città di Vienna d'Austria;
quali a tal fine li sono stati prima letti ad alta e intelligibile voce e da esse
Parti Ser'"^ si sono bene uditi, ascoltati e compresi, come hanno asserito,
con dichiarare esser loro precisa mente ed intenzione che ciascuno di essi
capitoli resti e si abbia per approvato, confermato e ratificato in ogni miglior
modo e in ogni piìi ampia forma ; promettendo altresì vicendevolmente la
puntuale ed inviolabile osservanza di tutto quello e quanto si contiene ne'
capitoli preaccennati.
Con dichiarazione ancora, che la presente ratifica sarà firmata di proprio
pugno da ciascuna di dette Serenissime Parti e munita del di loro rispettivo
sigillo ; ed inoltre che di essa se ne sono fatte tre simili, cioè una perchè
resti nelle mani di detta Ser™'' .Sig''^ Duchessa Madre tutrice, l'altra in
quelle di detto Ser™» Sig. Principe Eugenio Francesco, e la terza per do-
versi rimettere a Vienna in potere di S. Ecc.^^ il Sig. Conte Gio. Adolfo di
Metsch, Ministro delegato di S. M. Cesarea e Cattolica, come in detti capitoli.
Et in fede, etc.
Massa, li quattro ottobre 1732.
(Z. S.) Io Ricciarda Gonzaga Cybo, Madre e Tutrice della sopra-
scritta Maria Teresa Cybo, alla quale ho prestato il mio pieno consenso per
l'atto sudetto, approvo, confermo e ratifico li preinserti capitoli matrimoniali
in ogni miglior modo
Io infrascritta, con la presenza e consenso della .Sig'^* Duchessa Ricciarda
Gonzaga Cybo, mia Madre e Tutrice, approvo, confermo e ratifico li presenti
capitoli matrimoniali in ogni miglior modo
(L. S.) Maria Teresa Cybo.
Io Francesco Eugenio di Savoya conte di Soisson (sic) approvo,
confermo e ratifico li preinserti capitoli matrimoniali in ogni miglior modo.
Gio. Batista Falletti Marchese di Cavatore fui testimonio.
(L. S.) Carlo Adalberto Cerrutti Conte di Ferrere fui testimonio.
(L. S.) Bernardo Luciani fui testimonio.
(L. S.) Giuseppe Antonio Brighi fui testimonio (i).
(i) Archivio di Stato in Massa. Matrimoni di Casa Cybo, filza 482,
39
396 GIOVANNI SFORZA
Il 6 d'ottobre, lasciata Massa, il fidanzato s'incamminò alla volta di Lerici.
Il Commissario di Sarzana, Gregorio Ercole Giustiniani, scriveva alla Signoria
di Genova: « Giovedì scorso verso le tredici passò in vicinanza di questa città,
da Lerice alla volta di Massa, il Sig"" Principe Francesco Eugenio di Savoia,
o sia Suissons; quale ieri l'altro, verso le diecinove, per la stessa strada,
si ricondusse, di ritorno da Massa, alla volta di Lerice, senza nemmeno fer-
marsi per la solita cambiatura di cavalli; che però non ho avuto campo di
fare allo stesso quel complimento particolare, segnatomi da VV. SS. Ser""*^ » (i).
In una lettera del Clerico al D'Ormea, del 7 ottobre, si legge : « Giunsero
quest'oggi, un'ora dopo mezzogiorno, in questo porto le due galee di S. M.
di ritorno da Massa, con S. A. Ser'"'' il Sig"" Principe Eugenio. Il Sig"" Mar-
chese di Cavatore, che imponemi di riverire per parte sua l'È. V., mi dice
altresì di soggiungerle che l'A, S. si era diportata in tutto con sommo uni-
versale applauso ed ammirazione, e che il ricevimento e le accoglienze dal
canto della Sig""* Duchessa di Massa erano state più di quello si poteva aspet-
tare e desiderare, non meno che le acclamazioni di tutti que' popoli, come meglio
averà l'onore al suo arrivo costà di renderne conto a S. M. ». Gli soggiungeva:
« Le due galee, avendo ritrovato nel porto della Spezia due vascelli da guerra
spagnoli, questi hanno preteso con la forza per li primi dalle medeme il saluto, a
cui è convenuto acconsentirvi, per non vedersi calate a fondo, secondo l'intima
fattasele Il saluto fu di quattro colpi e la restituzione di cinque » (2). Il
giorno 1 1 riscriveva : « Mercoledì mattina diedero alla vela alla volta di
Villafranca le due galee di S. M., et al doppopranzo presele poste per Milano (3)
(i) R. Archivio di Stato in Genova. Collegi, Div. filza n" 222.
(2) Il cav. Sforza, che aveva il comando delle due galere, volle però una dichiarazione
dagli spagiuioli che il saluto era stato preteso con la forza. L'ebbe e l'inviò al Re, il quale,
il 18 d'ottobre, così ne ragguagliava il Solaro: « Il est arrivò une affaire à deux de nos
galeres qui etoient alle servir le jeune Prince Eugène dans le voyage qu'il a fait à Massa,
avec deux vaisseaux de guerre espagnols, qui sont trouvés dans le golfe de la Spezie. Vous
verrez le détail très exact du fait dans la relation des deux officiers qui ont été employés
dans la négociation et la declaration que le commandant espagnol a signé. Nous avons jugé
à propos de vous en enformer en vous envoyant une copie de ces pièces, affin que vous nous
en donniez votre sentiment, vous s^achant bien instruits et verse dans cette matière ». Il
Solaro gli rispose il 12 di novembre: « Je trouve que le commandant espagnol a été assez
bien fonde à demander le salut, parce qu'il est Constant que Ics capitanes de Naples, Sicile
etSardaigne n'etoient considerées que comme Patrones Roiales dans le tems que ce Royaumes
etoient unis à l'Espagne ; n'y aiant eu aucun reglement qui deroge à cet etablissement il a
suivi la loi etablie dans une occasion qui lui étoit favorable et (luoiqu'il soit fort naturel et
juste que le Royaume de Sardaigne aiant été separé de l'Espagne, V. M. etant en possession
de touttes les prerogatives royales qu'on lui rende aussy celle de reconnaitre l'etendart que
porte sa capitane come etendart royal ce n'est point au dit commandant à entrer dans ce
detail et sans une reconnoissance precedente de sa Cour il ne peut s'eloigner de la pratique
qu'il trouve etablie ».
(3) A Milano fu ospite del feldmaresciallo conte Daun, il quale l'ii d'ottobre ne dava
ragguaglio al vecchio Principe Eugenio con la seguente lettera, esistente nell'I, e R. Archivio
di Guerra a Vienna : « Euer Durchlaucht habe hierdurch unterthanig berichten sollen, wie
dass dero petit Neveux der Printz Eugene von Savoye gestern friìii gliìcklich und wohl zu
Mailand angelangt ist; weilen mich al)er etliche Stundt von der Stadt entfernt auf dem Landt
und dazu nicht mit allzu guter Gesundheit aufhalte, folgsamb Ihn sebst nichi Empfangen
kònnen, so habe ich meinen Sohn dahin gesendct unib meinen Platz zu vertreten und liat
mir gedachter dero Petit Neveux nicht nur die Ehre gethan bei Hof sein quartier zu nehmen,
sondern auch mich auf dem Landt heimbzusuchen und mit einem Mittagmahl vorlieb zu
nehmen , vvornach Ihn gestern mit einer Conversation und Soujié die Frau Fi'irslin von
Liechtenstein bewirtliet hat. Hent aber wird er bei dem Conunandirenden Generalen Hernn
40
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 397
S. A. Ser'"'^ il Sig-" Principe Eugenio » (i). Prima di mettersi in viaggio indi-
rizzò, peraltro, al Re questa lettera:
Sire,
Ayant heureusement termine mon voyage de Massa avec une satisfac-
tion qui m'a paru réciproque, je ne puis diferer plus longtems à renouveller
à V. ]\I. les sentimens de ma plus parfaite reconnoissance pour toutes les
bontés dont elle deigne m'honnorer et pour tant davantages qu'elle m'a
procures. J'avoue cependant que je ne puis pas jouir d'une consolation tran-
quille par le regret que je resens tous les jours plus de me voir eloigner de
V. M., Elle m'a de tous tems comblé de tant de graces, que je ne puis m'en
resouvenir sans tendresse. Je la suplie de me pardonner ce terme, qui part
du fond de mon cceur, et je lui proteste que ma principale occupation, tant
que je vivray, sera de rechercher toutes les occasions possibles à lui prouver
mon zèle et le profond respect avec lequei j'ai l'honncur de me dire
De Votre IMajesté
Gènes, ce 8 octobre 1732.
Scrisse pure alla Regina:
Madaìne,
le trcs Jiimihle
et très obe'ùsant soumis servitctir et sujct
EUGENE DE SaVOYE (2).
Je suplie V. M. d'agréer que j'aye l'honneur de lui renouveller me sou-
missions, et de l'assurer de ma reconnoissance pour tant de bontés qu'elle
a deigné avoir pour moy, dont le ressouvenir a fait ma principale occupation
depuis mon depart, et lui proteste qu'il durerà autant que ma vie. Je me
remets à ce qu'on lui dira de vive voix touchant la belle reception qu'on
m'a fait à Massa. Je voudrois bien lui dire quelque chose de la princesse ma
future, mais que lui dirais-je d'un enfant?
J'ai cepandant dans l'idée qu'elle aura de l'esprit puisque j'ai remarqué
qu'elle prenoit plaisir à m'entendre parler de V. M. Aussi la seule chose que
Printzen von Liechtenstein zu mittag speissen und hernach sogleich seine reiss nachher Wien
fortsetzen, mir ist nur leydt, dass sein allzukurzer Aufenthalt mir die Freund und Elir entzogen
hat, Ihn besser und mehrers bedienen zu kònnen, ich versichere, dass Euer Durchlaucht an
diessem jungen Prinzen ein ganz besonderes Vergniigen und Consolation haben werden ».
(i) Al soggiorno del Principe a Genova si riferisce questo dispaccio del De Mari, de'
22 d'ottobre: « II Sig^" Marchese Cavatore, che avea inspezione sopra il Sigf Principe di
Soesson, non ha mancato di significarmi tutte le distinzioni usatesi in Genova al prefato
Principe; ha però supposto che si avesse usato di riserva, per non dire mancanza di riguardo,
al non averlo salutato col cannone all'ora quando fu sopra una di codeste galee, giacché da
alcuni signori mi confidò fosse a lui stato detto che ciò si dovesse. Siccome il discorso fu
tutto privato, m'avanzai a significargli, che io era persuasissimo del vivo desiderio in V. S**
Ser'"<^ e conseguentemente delle date prevenzioni perchè non si tralasciasse onore alcuno, il
quale, secondo il consueto, fosse dovuto a questo Principe; e se solo nell'indicata congiun-
tura erasi concepito alcun sinistro sospetto, avevo io l'esempio alla mano per notorizare il
contrario ; e qui le portai l'esempio del successo istesso col Sig"" Conte di Charles Roy, il
quale ebbi l'onore di servire nel passaggio suo in Genova. Egli non fu salutato nell'ingresso
sopra la galea, e nel ritorno sbarcò nella Darsina ; particolarità che il Sig"" Cavatore mi disse
essere cosi accaduta col Sigi^ Principe di Soesson. Se per avventura me ne fosse parlato da
altri, giacché il primo discorso non fu che confidenziale, bramerei essere instrutto come con-
tenermi, servendo loro di notizia che il Sig"" Conte di Charles Roy pretese vivere tuttavia da
privato, anzi con altro nome ».
(2) R. Archivio di Stato in Torino. Lettere tli Principi. Savoia-Soissons.
41
398 GIOVANNI SFORZA
j'ai recommendé c'est qu'on ait le soin de l'élever continuellement dans des
sentimens de vénérations et de soumissions env^ers V. INI. afìn que nos sen-
timens etant conformes sur ce chapitre notre union deviennc parfaite. Je la
prie en attendant de me continuer l'honneur de sa protection, qui m'est si
nécessaire et d'etre persuade du profond respect avec lequel j'ai l'honneur
de me dire
de V. M.
le très huvihlc
et très flbeissaiìt soumis serviteur et snjet
EUGENE DE SaVOYE.
Génes, ce 8 octobre 1732 (i).
Anche la Duchessa Ricciarda si affrettò a esprimere a Carlo Ema-
nuele III la propria riconoscenza con questa lettera:
Sacra Reale Maestà,
Il nuovo segnalato favore che mi viene compartito dalla magnanima ge-
nerosa inclinazione di V, M. nell'aver disposto che il Sig"" Conte di Biandrà,
suo scudiere, faccia ritorno in queste parti, ad effetto di presentarmi in
nome della M. V. il Ser"'" Sig'" Principe Francesco Eugenio, destinato sposo
della Duchessa mia figlia, porge un vivo eccitamento alle mie strettissime
obbligazioni di protestarne a V. M., in nome pure di essa Figlia, un devotis-
simo rendimento di grazie; alle quali accompagnando le suppliche più rispet-
tose, per implorare, in vantaggio di questa sua ossequiosissima Casa, la be-
nigna perseveranza della di lei Real grazia e protezione, per parte ancora
della medesima Figlia profondamente m'inchino.
Di V. S. R. M.
Utnil'"^ dev'"^ osseq'"" serva
Ricciarda Gonzaga Cybo
Duchessa Vedova di Massa.
Massa, li 6 ottobre 1732.
Il cardinale Camillo Cybo, che aveva contrariato le trattative tutte del
matrimonio, senza in nessun modo volervi prestare il proprio consenso, finì
col pentirsene e si dette a cercare il modo di ripararvi. Per incarico suo il
cardinale Alessandro Albani, il 12 maggio del 1733, ne scrisse al Marchese
d'Ormea, primo ministro del re Carlo Emanuele III. Gli diceva: « Avendo il
Sig"" Cardinale Cybo introdotto il discorso sulle cose di Massa, ha egli mo-
strato un vivo desiderio di rientrare in buona armonia con S. A. Ser""* il
Sig'' Principe Eugenio e sopire le differenze con dar il consenso al matri-
monio, com'è pronto a fare con sua lettera, senz'entrar in discussione di
veruna cosa, o a soscrizione de' capitoli, parendogli così di risarcire ciò che
riguarda la sua estimazione appresso il mondo. Anzi, dicendo egli di non
volere né pretendere alcuna ingerenza nell'amministrazione de' Stati, non
potrebbe in essi cagionare alcuna inquietudine; vedrebbe riparato il suo
onore, giacché fin' ora non è stato punto considerato, e godrebbe il van-
taggio dell'assegnamento fattogli ». Il D'Ormea comunicò la lettera al Re,
(i) Biblioteca Civica di Torino. Raccolta Cossilla. Lettere di Principi Savoia-Soissons.
42
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 399
che gli dette ordine d' inviarla in copia al Solare, perchè la mostrasse al
Principe Eugenio. Lo fece infatti, scrivendogli: « Au cas que S. A. Ser™®
juge qu' il y aie sur une telle ouverture quelque pas à donner, vous lui
dires que le Roi est très dispose à seconder ses intentions et à faire tout ce
qu'il souhaitera ». Il Solaro, peraltro, gli fece osservare: « J'ai fait autre fois
presque la mème proposition à l'insinuation de ^M"" le Cardinal Albani; elle
a été mal regue, parce que la réconciliation avec le susdit Cardinal entraine-
roit naturellement l'obligation du payement de l'augmentation de la pension
qui lui a été accordée dans le tems qu' on arreté le mariage; de manière
que j'ai vù que pour éviter ce nouveau poid et les discussions qu'on craint
d'avoir avec lui au sujet de la tutelle, Mons"" le Prince Eugène étoit alors
de sentiment de laisser cette affaire dans l'état qu'elle est, pour ne pas
tomber dans ces inconveniens; je sgai qu' il a été confirmé dans cette opi-
nion par M"" le general Stampa et par l'envoyé de Massa, qui sont d' avis
que le raccomodement avec ]VP le Cardinal ne peut ètre que desavantageux
à sa famille et désagréable à Madame la Duchesse de Massa, qu'on doit
beaucoup ménager par plusieurs raisons, et ils m'en ont parie tous les deux
dans ce sens, me priant de ne faire aucunne ouverture pour établir la bonne
intelligence entre Mons'" le Prince Eugène et M'" le Cardinal Cybo ». Cosi
scriveva il 19 giugno del 1733; tornò a scrivergli il giorno 27, avvisandolo
che lo Stampa gli aveva mostrato una lettera del Cardinal Cinfuegos, « par
laquelle il lui fait savoir l'empressement que lui a marqué M' le Cardinal
Cybo de se reconcilier avec Mons"^ le Prince Eugène et il lui envoit copie
d'un billet du susdit Cardinal par lequel il presse vivement M"" le Cardinal
Cinfuegos de s'employer pour lui procurer cette satisfaction. M"" le general
Stampa, se voyant sollicité de la manière ci-dessus enoncée, n' a pù se dis-
penser de faire ses représentations à Mons"" le Prince Eugène pour le flechir;
et quoique ses instances ayent été pressantes il n' a rien pù gagner sur
l'esprit dudit Prince, qui est toujours d'avis qu'il est plus convenable à la
A[aison de Massa de tenir M'' le Cardinal Cybo à l'ecart, et ne pas sur-
charger d'une nouvelle pension un heritage qui est dejà oberé ». Il Mar-
chese d'Ormea replicava, il 4 di luglio: « Puisque les représentations de
M' le General Stampa n'ont rien opere sur l'esprit de M"" le Prince Eugène
pour le porter a se reconcilier avec I\P le Cardinal Cybo, S. M. a approuvé
le parti que vous avez pris de n' en point parler».
IV.
Il 29 ottobre il Solaro scriveva al Re: « Le Prince son neveu est arrivé
hier au matin. J'ai eu l'honneur de le mener d'abord chez son onde, qui
l'a recù avec affection, temoignant beaucoup de plaisir de le voir; il l'a
presente hier au soir à l'Empereur et à l'Imperatrice, et m'a chargé du soin
de le mener à l'audience de l'Imperatrice Amelie et des Archiduchesses, et
de tout le reste qui regarde la direction de sa conduite pour remplir exacte-
.4.3
400 GIOVANNI SFORZA
ment toiis les devoirs d'attention et de politesse. Je tacherai de m'acquitter
de cette commission d'une manière qui reponde à la confiance que le susdit
Prince a bien voulu me marquer. Il m'a chargé de temoigner sa parfaite
reconnoissance a V. M. des soins qu'elle a eu la bonté de prendre pour
l'education de son neveu, et s'est exprimé en particulier avec lui dans les
mémes sentimens, dont il lui a ordonné de rendre compte à V. M. Je S9ai
que l'Empereur et l'Imperatrice ont approuvé la manière dont s'est comporté
ce jeune Prince dans l'audience qu'il en a eue, L'Empereur lui a marqué
étre fort sensible aux sentimens d'affection et d'amitié dont V. M. l'avoit
chargé de l'assurer, ce qu'il a accompagno d'expressions de la haute estime
qu'il a pour sa Royale Maison et pour la personne de V. M. »
Il Principe non mancò di scrivere anch'esso alla Regina e al Re. Alla
prima indirizzò questa lettera :
Madame,
Votre Majesté m'aiant permis à mon depart de me donncr l'honneur de
lui reitterer les assurances de mes respects très humbles, je profite de cette
graces avec tous l'empressement posible pour apprandre à V. M. le plaisir
avec lequelle L. M. I. ont receu ces compliments; elle m'ont repondu qu'elle
seront toujours très sensibles aux temoignages de l'amitié de \^. M. et elles
m'ont en mème tems ordonnés de l'assurer des sentimens réciproques qu' elles
conserveront dans toutes les occasions pour sa Roiale persone. I.esdittes
Majestcs m'ont ensuite comblés de graces, soit par la manières obligente
avec laquelle elles m'ont receu, que par les expresions gracieuscs dont elles
m'ont bien voulu onorer. La part que V. M. a toujours daignés prendre en
tonte ce qui me regarde me fait esperer qu'elles ne sera point indiferantes
sur une reccptions qui m'est si avantageuse, c'est ce que j'ose me promettre
de la continuations de toutes ces bontés et de sa protection que j'implore. Le
prince mon onde, très honnorés du souvenir de V. M., me chargé de le mettre
a ses pieds. J'ai l'honneur d'ètre avec tous le respects et soumisions posibles
de V. M.
le tris hujnble
et très obcissant scrvitettr et sujet
EUGENE DE SaVOYE (i).
Vienne, ce i''"' novembre 1732.
La lettera al Re è questa :
Sire,
J'ai eu l'honneur d'informer V. M. par j\r le Marquis de Cavatour de
mon voiagc de Massa; et par celle ci j'ai celui de lui apprendre la ma-
nière gracieuse avec laquelle j'ai été receu de l'Empereur. Le mème jour de
mon arivé le Prince Eugène, mon onde, a eu la bonté de me conduirc jusque
à la porte de sa chambre et s'est ensuite retiré. L'Empereur m'a teimoigné
tant de bonté et c'est servi de termes si obligeants que je ne saurois assez
marquer à V. M. le contentement que j'en ai recenti : je n'ai pas manqué
de m'aquiter aussitòt de la comission dont elle m'a bien voulu honorer; il
(i) Biblioteca Civica di Torino. Raccolta Cossilla. Lettere di Principi. Savoia-Soissons.
44
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 401
m'a repondu qui ne doutoit point de l'amitié de V. M. et qu'il espéroit quelle
seroit toujours reciproques pour le bien des deux maisons. J'ai été ensuite
auprès de l'Imperatrice, qui m'a re^u de la manière la plus obligeante du
monde. Son principale entretien a été sur les merites et belles qualités de
la Reine et de toutes la familes Royales, pour qui elle a une consideration
toutes particulières. Le Prince Eugène m'a chargé de le mettre aux pieds
de V. M. et de la remercier de tonte les bontés dont elle a bien voulu m'o-
norer jusqu'à present. Quant à ma mère elle commence à metre un peu plus
favorable et spère que cela continuerà de mème. J'implore la continuation de
graces de V. Ì\I. que je tacherai de meritar par le respect le plus pasioné
et soumis.
De V. M.
Vienne, ce 2 g'^re 1732.
Irès humblc et trcs obcissant scrvitcur
et soumis suj'et
EUGENE DE SaVOYE.
Il giovane sposo, educato a Torino con rigidità grande, nel trovarsi a
Vienna, padrone di sé, cominciò a darsi al giuoco: la passione sfrenata del
padre suo. Fin dal 31 decembre il Solaro ne aveva fatto avvertito il D'Ormea.
« J'ai v'oulu » fgli scrisse) « épargner jusqu'à present à vS. AI. le chagrin d'ètre
informe au juste du mauvais train qu'a pris la conduite de Mons"" le Prince de
Soissons, esperant que mes soins et ceux de M"" le comte Serrù (i) produi-
roient un chang'ement qui nous mit en état de confirmer les avis favorables
que j'ai donnez quelques jours après son arrivée, aiant marqué assez d'egard
à ses promesses pour ne pas me presser à lui nuire auprès de S. M. et voìant
que ses démarches n'y repondent pas, je suis obligé de ne plus differer la
connoissance au Roi et de prier V. E. de vouloir l'informer que le susdit
Prince se conduit de fagon à faire reconnoitre en tout les inclinations de feu
Mons'' son Pére, ce qui a dejà beaucoup diminué la favorable prevention
qu'on avoit conine de lui, et met en reserve les personnes qui lui convien-
droient et les dispose a l'écarter de leur societé, ce qui l'a deja porte à se
livrer au jeu d'une manière peu convenable à sa naissance, sans choix des
personnes avec lesquelles il se commet et cherchant de faire des societés
pour en tirer avantage; dés que j'en ai été averti, je lui ai representé ce qui
convenoit, et en ai parie à Mons"" son onde, qui comptant que les conseils
qu'il a souhaitté que j'emploiasse suffiroient pour le retenir, s'est reposé sur
mes soins, je crois n'avoir rien negligé avec le secours du comte Serrù à
fin de le ramener par les raisons de son propre interèt, celles auxquelles
son honneur l'engagé de faire connoitre l'utilité des soins que S. M. a bien
voulu se donner pour son éducation et l'obligation particulière dans laquelle
il est de soutenir dignement le nom qu'il porte et la gioire que son Grand
Onde a acquise; voiant que je ne devois plus me flatter de reussir par cette
voye, j'en ai averti Alons"" le Prince Eugène, et lui ai fait voir la necessité
(i) Gentiluomo piemontese che il Re aveva messo al fianco del giovane Principe. L'ac-
compagnò a Massa ed a Vienna, dove appunto era rimasto, sempre con lui.
45
51 —Mise, S. IH, T. XIII.
402 GIOVANNI SFORZA
qu'il y a de le tenir cn contraìnte et d'en user avec plus de rigueur qu'il
n'a fait jusqu'à present, il en a convenu et m'a promis qu'il emploieroit
son autorité pour lui imposer. C'est la dernière ressource qui reste pour le
faire rentrer en lui mème ; aprés quoi il n'y a plus rien à esperer si elle
est inutile. J'ai representé au susdit Prince quMl convenoit qu'il ordonnàt au
comte Serrù de lui rendre compte de tous ses pas; il marque avoir de l'es-
time pour lui, mais a été si porte à user d'indulgence à l'egard de son
neveu, qu'il a negligé cette precaution, ce qui a beaucoup contribué à le
faire tomber dans un derangement dont il ne se relevera pas aisement. Je
souhaitte que cela arrive contre nion attente et crois qu'une lettre un peu
forte de la part de S. M. pourra y contribuer. Il a bien de s'y attendre, ne
lui aiant point cache ce que j'étois en devoir d'écrire sur son compte, après
lui avoir donne tout le tems de m'obliger à faire une relation plus favorable.
Celle-ci est sincère. »
Il Marchese d'Ormea presentò al Re questa lettera, « qui roule siir la
conduite irregulière de Mons"" le Prince de Soissons » ; e della comunica-
zione così ragguagliò il Solaro il 1 7 di gennaio : « S. M. en a appris le detail
avec autant plus de sensibilité qu'elle a toujours pour le Prince une affection
bien vive et bien particulière. Elle a d'ailleurs approuvé vos démarches à
cet égard et se fiate que ledit Prince, étant presentement sous la direction
et sous les yeux de M"" le Prince Eugène, qui n'ignore plus ses inclinations
et ses allures, ce Prince y mettra ordre en y donnant ses soins, et le tenant
en crainte pour le faire rentrer dans son devoir et lui faire reprendre les
sentimens d'honneur et de gioire qu'il doit avoir. S. M. souhaite à cet efifect
que vous continuies à y donner aussi les vòtres autant que M'" le Prince
Eugène pourra l'agréer, et que vous ne dissimulies point à M"^ son neveu le
deplaisir avec lequel le Roi a appris de telles nouvelles, auxquelles il ne
devoit point s'attendre après celles agréables qu'il en avoit repues au com-
mencement, ni que vous lui cachies les mauvaises impressions que ses irre-
gularités ont fait dans l'esprit de S. M. au prejudice mème, au cas qu'il y
persiste, des sentimens d'affection et de partialité qu'elle a pour lui. Ce
Prince vient d'écrire à LL. MM. au sujet de la nou velie année (1), et le
Roi, en lui repondant, s'expliquera de la manière que vous aves suggerée,
pour tàcher aussi de son còte de le remener au bien qu'on se propose. S. M»
agréera cependant que vous continués à l'informer de ses allures et surtout
de l'effect que produirront les soins et les meins que M'' le Prince Eugène
pratiquera pour le corriger et le contenir ».
La lettera del Re, che il Marchese D'Ormea ricorda, è questa: « Mon
cousin, Vous ne sauries ètre trop persuade du plaisir avec lequel nous re-
cevons ce qui nous vient de votre part, si vous pouvies juger autant que
nous le desiderons, combien nous avons cté touchés de la sinceritc des voeux
que vous aves fait pour nos prosperités à l'occasion de la nouvelle année.
(i) È scritta da Vienna il 15 deccmbre 1732. Se ne conserva l'autografo nell'Archivio
Torinese.
46
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 403
Vos souhaits et nos satisfaction se rencontreront tout d'un tems par le
moien d'une conduite qu'il vous seroit aisé de tenir et de rendre digne de
l'estime et de l'attention de la Cour ou vous étes et bien agréable à M'" le
Prince votre onde et surtout à nous, qui avons à cceur votre bien et votre
gioire. Vous aves dù le connoitre par l'empressement que nous avons toujours
marqué pendant votre sejour ici, de vous voir par des sentimens élevés et
loing de tout reproche acheminé dans une carrière convenable à votre état
et à l'honneur de la Maison. AF votre Onde vous en fournit un grand
exemple , vous deves vous appliquer à l'imiter et à le suivre autant pour
votre decore que pour vos avantages : ne pouvant pas douter de l'impor-
tance de vous attirer ses bonnes graces. Xous ne dirons rien des motifs qui
nous ont excités à vous parler ainsi que nous venons de faire, puisque nous
voulons bien esperer, que quelque irregularité qu'il y ait encore dans votre
conduite, vous donneres tous vos soins pour la démentir à l'avenir, en re-
prenant des sentimens dignes de vous et de votre naissance. Nous l'esperons
d'autant que notre conftance à cet égard provient également de l'affection
très vive que nous conservons pour vous et plaisir que vous vous feres d'}-
répondre pour nous engager par là d'une manière sensible à vous en donner
des prouves dans toutes les occasions ».
Questa lettera è del 7 di febbraio. Fin dal 21 di gennaio il Solaro era
tornato a scrivere al Marchese d'Ormea: « Au sujet de M'" le comte Serrù,
aiant dejà parie à Mons"" le Prince Eugène de l'intention de S. j\I. de l'obliger
en le destiner auprès de la personne de Mons'' son neveu, il m'a marqué
ses sentimens d'une respecteuse reconnoissance à l'égard de S. M. et ceux
d'estime qu'il a pour ledit comte, s'étant declaré entierement content de sa
conduite; mais comme Madame la Princesse de Savoye (i, continue à temoi-
gner peu de confiance et d'attention pour lui, et qu'en dernier lieu elle lui
a parie dans des termes si peu mesuréz, qu'il a fallu faire usage de toutte
sa moderation pour se contenir dans sa reponce, je prévois qu'elle fera encore
pervenir quelque insinuation à Mons'" le Prince Eugène pour l'écarter; et le
dit Prince etant daris la necessitò de deiferer à ses instances par menagement
d'interèt, ou pour se delivrer de ses importunitez, sera reduit à s'expliquer
plus ouvertement qu'il n'a fait lorsqu'il m'a fait intendre les sentimens de
Madame la Princesse, dans lesquels il n'entre point et ne les approuve
nullement; cependant pour eviter le desagrement de la proposition dont il
y a apparence qu'il ne pourra se deffendre, je crois que la dignité de S. M.
exige de la prevenir en ordonnant le retour à M'' le comte Serrù avant d'en
étre presse par les indiscrettes sollicitations sourdes ou ouvertes de Madame
la Princesse, qui ne veut pas connoitre la distinction qu'attire à M"" son fils
l'interét que S. M. temoigne prendre à sa conduite; et ledit comte, qui
n'est pas ici de la manière que le Roi souhaitte, sera fort heureux de pouvoir
se remettre au plustót à ses pieds. M' le Prince de Soissons a retranché le
jeu à cela près son train de vie n'a pas changé, et je ne puis m'engager à
(i) Anna Teresa di Liechtenstein, vedova del Principe Emanuele di Savoia e madre di
Eugenio Francesco.
47
404 GIOVANNI SFORZA
donnei- des meilleiirs esperances pour l'avenir ». Il Marchese d'Ormea gli
rispose il 7 di febbraio: « Rapport à M"" le comte Serrù, S. M. voit bien
que M*^ la Princesse de Savoie continuant à teimogner de ne pas l'agréer
il convient de le rappeller. Le Roi souhaite à cet effet que vous en parliez
à M'" le Prince Eugène de la manière que vous jugerez la plus propre et
la plus convenable pour leur annoncer ledit rappel, leur faisant toujours
entrevoir que dans la destination dudit comte il a cru de pouvoir leur
donner de mème qu'à M^ la Princesse une nouvelle marque de son attention
et de son amitié. Après une telle démarche vous dires de la part du Roi
à IVP le comte Serrù de prendre congé et de se rendre ici ; et pour ne pas
retarder son depart, vous me feres le plaisir de lui avancer pour les fraix
du voiage cinquante pistoles d'Espagne en or, dont je vous enverrai par
le premier ordinaire une lettre de change ».
Il Solaro in un'altra lettera scrive : « Mons'" le Prince de Soissons continue
le mème train dans sa conduite au jeu près que Mons'" son onde a voulu
absolument qu'il quittat; pour le reste il en use avec une indulgence et un
menagement qui est fort nuisible à ce jeune Prince et qui rend inutiles tous
les conseils qui ne sont pas soutenus de l'autoi'ité et de la severità avec la
quelle il faudroit lui imposer, ce qui raet M'' le comte Serrù et moi hors
d'état de pouvoir esperer de celui faire prendre une conduite plus regulière.
Je suis très mortifié de donner à S. M. un chagrin auquel il est fort
sensible, mais sachant qu'il prefère la verité à un langage flatteur, qui pourroit
le tenir dans l'erreur, je ne s^aurois la deguiser sans manquer à mon obli-
gation, ce que je dois preferer à toutte autre consideration ». A questa lettera,
che è del 4 di febbraio, rispondeva il Marchese d'Ormea il 14 del mese
stesso: « S. M. est toujours plus sensible à la continuation de la mauvaise
conduite de M*" le Prince Eugène de Savoye Soissons. Cependant comme
elle n'a rien de plus à vous marquer sur ce sujet au de là du contenu de
la lettre que je vous ai écrite le 17 du passe et de celle que S. M. mème
lui a écrite le 7 du courant, elle s'y rapporte ».
Il 25 del medesimo mese di febbraio il Solaro seguita a informare: « I.es
motifs qui ont porte S. M. à donner ses ordres pour le retour de M"" le
comte .Serrù n'ont point cesse du còte de Madame la Princesse de Savoye,
qui parie de fa^on à ne pas dissimuler que ledit comte est à charge à son
fils par rapport a la dépence. J'ai prevenu M"^ le Prince Eugène sur ledit
ordre, qui m'a dit l'avoir déjà appris par M"^ le comte Philippi, et m'a repeté
qu'il étoit faché que la mòre en eut use d'une manière si peu convenable à
l'honneur que S. M. avoit fait à son neveu, et qu'il étoit fort content de la
prudente conduite du comte Serrù. Je prévois que celle du jeune Prince
empirera dès qu'il sera delivré du seul frein qui pouvoit encore le retenir
et n'ayant de mon cote aucun moyen d'en ètre informe, je crains qu'elle ne
prenne un ply qu'il ne sera plus possible de redresser, d'autant plus, que
les bontés de M"" son onde et l'indifórence qu'il témoigne sur tout ce qui
lui revient, le persuadent qu'il lui accordo tacitement son approbation, et
que tout ce qui vient de la part des autres est outré. Il est presentement
à son quartier, où je lui ferai tenir les lettres que j'ai regucs pour lui; il ne
sera pas insensible à celle de S. M. dont elle a daigné me donner commu-
48
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 405
nication, parce qu'il a employé tous ses soins pour me gagner à fin que je
fisse des relations favorables. Je n'en ai pas use avec surprise, l'ayant toujours
prevenu sur ce que j'étois en obligation d'écrire. Le comte Serru, qui l'ac-
compagne, proffittera d'abord de l'avis que je lui donne, et quoique son sejour
ici fùt avantageux à ses interéts, il prefère à cette consideration les égards
qu'il doit avoir pour la commission dont S. M. l'a honnoré qui ne lui per-
mettoient pas de continuer à y rester avec bienseance. Je lui fournirai les
cinquante pistoles d'Espagne qu'elle m'ordonne de lui avancer ».
Ecco che il Principe s'ammala. « M"" le comte Serrù » (così il Solare
l'i I marzo) <•' m'a depeché un domestique de jMons'^ le Prince Eugène de Sois-
sons, qui m'a apportò une des ses lettres du 4 du courant, datée de sons quar-
tier de Rosenau près de Tokai (i). Je l'ai recue le 6, Il marque que ledit Prince
ayant la fièvredepuis le jour précédent, accompagno d'une fort toux et ebulition
de sang, avec apparence que ce seroit la rougeole. Il m'en donnait avis promp-
tement à fin que je le communique à Mons"^ son onde et à Madame sa mère,
et que j'envoye au plustót un medecin, n'ayant pas lieu d'avoir confiance à celui
qu'il n'avoit eu qu'avec peine. j'ai d'abord executé cex deux commissions et ay
fait partir le 7""" un medecin, qui a l'approbation des susdits Prince et Prin-
cesse. Depuis ces nouvelles je n'en a point eu d'autres, ce qui me fait esperer
que ce n'aura été que la rougeole qui aura eu son cours naturel ». Fu appunto
cosi; come si ricava dalla lettera successiva del giorno 14. « M"^ le comte
Serrù est arrivé avant hier d'Hongrie, n'ayant voulu quitter IMons"" le Prince
de Soissons qu'après l'avoir vù bien retabli de la rougeole, qu'il a eue fort
douce et sans aucun incident. Je laisse le soin au dit comte d'informer S. Al.de
tout ce qui regarde la personne de ce Prince, puisque contant de poursivre
son voyage dans deux ou trois jours il aura l'honneur d'étre bientót à ses
pieds. Il s'est aquitté très dignement de sa commission, s'est attiré l'estime de
Mons'' le Prince Eugène, et a temoigné toutte la fidelité et le zèle qu' il
devoit au service de son maitre, ayant refusé les propositions avantageuses
qu'on lui a faites pour l'en detacher ». Portò al Re questa lettera del giovane
Principe, scritta da Jolsua l'ii marzo: « Je profite avec beaucoup d'empres-
sement des premiers moments de ma convalescenee, ayant eu la roujole im-
mediatements arivée à mon quartier, et de 1' occasion de AP le comte de
Serrù, que V. M. a juge à propos de rappeller, pour remercier de la conti-
nuation de sa puissante protection quelle me fait la grace de me prometre
quoi quelle n' ait pas tous lieu d'étre contente de ma conduite, mais je puis
assurer V. M. que la lettre qu'elle m'a fait l'honneur a fait une telle impresion
sur mon esprit, que j 'espère de reparer cette faute d'une manière qu'on
n'aura jamais plus suject de lui faire aucune plainte sur mon compte. Je crois
que le recit de ma situation annueroit V. M. ainsi je me raporte aux infor-
mations que lui en donerà M"" le comte Serrù, que je vois partir avec tous
le regret imaginable. Je suplie V. M. de lui accorder sa puissante protection
(i) Il reggimento de' corazzieri, del quale il giovane principe Eugenio era proprietario,
nel 1730 fu di guarnigione nel Milanese, sotto il comando del De Marcant; l'anno stesso poi
marciò in Ungheria, dove venne dislocato ne' contadi di Borsod, Szabolc e Gomor.
49
4o6 GIOVANNI SFORZA
qu'il merite par toutes sorte d' endroits de méme, que d'ètre persuade que
tant que je viverois ma principale occupation sera de rechercher toutes les
occasion de lui prò ver mon zèle ».
In realtà nasce il dubbio che il Solaro, uomo austerissimo e rigido, nell'os-
servare la condotta del Principe vedesse nero, e senza accorgersene né
volerlo, caricasse un poco le tinte. Infatti dopo che il conte Serrù ebbe a
viva voce fatta la sua relazione al Re, la tenerezza di Carlo Emanuele III
verso il proprio congiunto non diminuì per nulla, anzi si fece anche più
viva. E vero però, che l'averlo tolto da Vienna e mandato di guarnigione
fu un salutare rimedio ; e al reggimento mutò addirittura. Notevole è
questa sua lettera al Re, scritta da Rosenau il 13 di maggio: « Je suis si
penetrò des bontés dont V. M. a bien voulu m' onnorer par sa lettre du
4 avril et des égards qu'elle daingne avoir pour la recommendation que j'ai
pris la liberto de lui faire en faveur de monsieur le comte Serrù, que je ne
saurais assez marquer à V. M. les sentiments respecteux de reconnoissance
et de confusion dont je suis penetrò. Je tacherai par une bonne conduite à
meriter la continuation de sa pulsante protection et de convaicre de plus en
plus V. M. de la soumission et obéissances très humble avec laquel je serai
toute ma vie. Sire, de V. M. le très humble et très obéissant serviteur et
sujet >.
Fin dal 1 9 aprile lo zio aveva indirizzata questa lettera al Re :
Sire,
Je reconnois avec le respect que je dois la bonté avcc laquelle V. M.
a bien voulu permettre que le Prince mon neveu se demette du Collier de
l'Annonciade, pour recevoir celui de la Toison que Sa jMajesté Imperiale et
Catholique luy destine. La manière gracieuse avec laquelle vous vous
prettes. Sire, aux instances que nous avons eu l'honneur de vous en faire,
ne peut qu'augmenter infiniment la profonde reconnoissance que nous en
devons à V. M. Je la supplie de croire qu'elle est aussi vive qu'elle puisse
étre et que rien ne peut ògaler notre empressement à nous meritter la con-
tinuation des ses graces.
De Votre Majesté
tres humble et très obéissant servitetir et vassal
EUGENE DE SaVOYE.
Il nepote, alla sua volta, gli scriveva da Vienna, il 6 di giugno:
Sire,
Je regarde comme un malheur de ma situatìon le motif par lequelle
Monseigneur le Prince Eugène, mon onde, s'est vcu dans l'obligation de
suplier V. M. de vouloir me permettre de quitter l'Ordrc de l'Anonciade, du
quelle je ne me demaitterai qu'avec tout le regret imaginable que je dois
sentir en me depolloiant d' une marque de distinction qui m'est si preceuse,
et ce n'est que la seule raison que V. M. a voulu considcrcr dans la lettre
du 12 avril, dont elle m'honnore, qui a pu me determiner à consentir à une
démarche qui me prive de l'honneur de porter le méme Ordre que V. M.
J'espère qu'elle me fera la politesse de croire que ce n'est que les consequences
facheuses à ma fortune que javois à craindrc qui m'on reduite à obéir, et
50
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 407
rieri ne me peul consoler du regret que je sent en faisant ce pas, que l'as-
surances que V. M. soit persuade que mon attachement au service de l'Em-
pereur ne diminuera pas le souvenir des obligations infinies que j 'ai à V. M.
des bontés quelles m'a toujours comblé, et que je ne me carteroi jamais
des sentimens de soumissions et de la plus rispecteuse veneration avec
lesquelles je suis dependant des volontés de V. M. qui aiant voulu par égard
pour les raisons ci dessus marquées me prescrire ses ordres souverains, je
m'y soumet et les executerai en rendent l'Ordre de l'Anonciade la manière
qui me sera determinò par M"" le Commendeur Solar (i), souhaitant de faire
connoitre en cela comme dans tous le reste de ma conduite la parfaite sou-
mission et le profond respect avec lequel j'ai l'honneur d'étre
de Votre Majesté
le tres humhle et tres ohéissant serviteur
et soumis sujet
EUGENE DE SAVOYE.
Seguitiamo a spigolare nel carteggio del Solaro col D'Ormea: « Alons'" le
Prince de Soissons est arrivé avant hier » (25 maggio 1733) « de son quartier
en très Ijonne sante, et le colonel de son regiment a donne des bonnes in-
formations de sa conduite et de son application au service à Mons' le Prince
Eugène; après qu' il aura pris la Toison, il ira à Berlin, ou il a été invite
par le Roi de Prusse pour se trouver aux nòces de la Princesse sa fille
avec le jeune Prince de Beveren. J'ai regie avec lui que l'Ordre de l'An-
nonciade sera rendu à S. M. de la manière la plus rispecteuse et que j' ai
crù pouvoir étre la plus agréable ; il enverra un de ses domestiques en poste
chargé du dit Ordre et d' une lettre de Mons"^ le Prince Eugène pour M*" le
comte Philippi, qui aura la commission de le remetre entre les mains de
S. M. et de faire un compliment de la part des deux Princes avec les
expressions convenables à cette occasion ». Riscrive il 17 di giugno:
« Mons' le Prince de Soissons part aujourdhui pour Berlin; il a ordre de
révenir le plustòt qu' il pourra pour se rendre à son regiment, qui est du
nombre de ceux qui doi,vent marcher en Pologne ». E il 1° d'agosto:
« Mons' le Prince de Soissons est de retour de Berlin pour se rendre à son
regiment, qui est du nombre de ceux qui marchent; comme il ne peut pas
s'arréter, il ne prendra la Toison que le jour de S* André ».
Del viaggio a Berlino il Principe stesso fece questo ragguaglio al Re:
Sire,
Aiant heureussement termine mon voiage de Prusse avec toute sort de
satisfaction, je ne puis diferer plus longtems à renouveller à V. M. les sen-
timens les plus respecteuses de ma parfaite soumission, et connoitre en mème
(i) Il Re scrisse al Solaro il 16 di maggio: « Quant a la restitution du Collier, nous
croì'ons plus convenable que le Prince aille vous le remettre à vous mème ». E così
fu fatto. L'Orioles nelle sue Memorie, che si conservano manoscritte a Torino nella Biblio-
teca del Re, fa il seguente cenno di questo episodio: « 1733, 29 giugno. Incontrandosi
incompatibilità, per le costituzioni della Corte di Vienna, tra il To.son d'oro e l'abito della
SS.™* Annunziata, S. M. ha disposto che il Principe Eugenio di Soissons restituisse il secondo
e portasse il primo ».
51
408 GIOVANNI SFORZA
tems ceux de stime et de consideration dont S. AI. Prussienne s'est servit
dans toiis les intertiens que j'ai eu l'honneur d' avoir avec lui. Il m'a chargé
particulièrement de faire à V. M. mille compliments de sa part. A mon
retour à Vienne j'ai été gratiose de S. M. I. et caressé de mon oncle; et
voiant que mon régiment n'etoit point comprende pour tenir cette année la
campagne sur le Rhin j'ai tant solecité mon oncle qu'il en a obtenue la
permission de Sa M**". Je viens de recevoir les derniers ordres pour la
marche, ainsi je partirai dans 8 jours avec mon régiment pour mi rendre.
Je m'apliquerai dans cette campagne d'un manière que je puissc m'attirer
et meriter la continuation de sa puissante protection souhaitant de faire con-
noitre à V. M. par une regularité de conduite la parfaite soumission et
le très profond respect avec lequel j'ai l'honneur d'ètre,
Sire, de V. M.*»
Rosenau, ce t2 aout 1733 (i).
le tvcs huinblc ci tres ohéissant et souniis
et fìdelle sujet
: ^ EUGENE DE SAVOYE.
La successione tanto contrastata alla corona di Polonia, vacante per la
morte di Federico Augusto di Sassonia, avvenuta il i' di febbraio, aveva
fatto scoppiare la guerra tra l'Austria e la Francia; volendo questa, toccasse
a Stanislao Leczinzhi, già statone re al principio del secolo, poi cacciato via
per opera della Russia; l'altra, ad Augusto elettor di Sassonia, figliuolo del
morto. Né il sangue e la parentela mancava di averci la parte sua, essendo
Luigi XV genero del Leczinzhi, Carlo VI zio dell' Elettore. La campagna
ebbe luogo sulle sponde del Reno, restando mesi e mesi i due eserciti a
guardarsi, a tastarsi con piccole fazioni, sfoggiando artifizi tattici e strate-
gici, secondo il guerreggiare scientifico d'allora. Vi pigliò parte il giovane
Principe Eugenio, il quale per il suo spirito vivace, la bella presenza, l'a-
bilità nelle armi, la perizia cavalleresca, s'era guadagnata 1' ammirazione e il
favore di tutta la corte imperiale. N'ebbe la prova e ne sperimentò gli effetti
all' aprirsi appunto di quella campagna; giacché al cominciar dell'ottobre,
nell'atto di mettersi in marcia, in premio della buona condotta tenuta « et
de son application au service » venne promosso mastro generale di campo
della cavalleria, ossia « general de bataille », come egli stesso scriveva al
re Carlo Emanuele III, nel dargliene, con naturale quanto viva soddisfazione,
l'annunzio; che dette pure anche alla Regina (2) e riuscì ben gradito all'uno
e all'altra; non avendo il Re mai smentito la sua affezione per lui; essendosi
essa sempre interessata di tutto quello che le riguardava.
(i) Lettere del Principe Francesco Eugenio al Re e alla Regina, scritte da Miei Venida
il 12 novembre del 1733.
(2) La Regina di Sardegna, Polissena Cristina, il 23 luglio del medesimo anno partorì
il suo terzo figliuolo, Carlo Romualdo, che ebbe il titolo di Duca del Chiablese e rivolò
al cielo il 28 di decembre. A Carlo Emanuele IH, che gliene dette l'annunzio, così rispon-
deva Eugenio Francesco :
« Sire,
L'agréable nouvelle qu'il à più a V. RL de me donner d'un troisième Prince que la
Reine vient de mettre heureusement au monde, a été pour moi une des nouvelles des plus
satisfaissantes que je pouvois jamais recevoir, yai été d'autant plus sensible que la seule lettre
II. PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 409
[1 prozio Princifìe Eug-enio, al quale aveva dato avviso dell'arrivo del
suo reggimento de' corazzieri al campo di l'ilsen il 21 d'ottobre, « pour aller
du cote du Rhin ^>, gli rispondeva da Vienna il 28 del mese stesso:
Ce n'est pas seulement par vous, mon cher neveu, aussi par des autres,
que j'ai appris, qua le régiment est arri ve on bon état au camps de Pilsen.
J'éspère que vous vous donnerez tous les soins possibles pour le con-
server dans ce mème état; et l'assistance de monsieur le colonel de Ròmer
vous sera en ceci, comme en toutes autres choses, un grand secours. Vous
pouvez mème vous en servir présentement, d'autant plus aisement que S. AF.
vient de vous faire la grace de vous conférer le caractère de general de
bataille, et que moyennant cela monsieur de Romer rentrera dans tonte son
activité de commandement du régiment (i).
Quant à Starhemberg, vous savez l'empressement de m;id<ime la Prin-
zesse votre mère à le voir place; il s'agit aussi de s'informer s'il est passe
quelquc chose au régiment de Zellern qui vous empéche de le recevoir (2).
Il 29 decembre si distinse per il suo valore, avendo, alla testa di sette
compagnie di granatieri e di mille cavalli, assalita la trincea di Selling, non
lontana da Khel, portando via a' Francesi una quantità grande di palizzate
e di fascine, con le quali avevano essi rafforzate le nuove opere di fortifi-
cazione (3). Il 24 gennaio del '34 scriveva da Carlesroue al proprio prozio:
Moiiseigììcttr, '
J ai l'honneur d'informer V, K. S. que j'ai l'ordre d'aller avec mon
Régiment en quartier dans cerquelle du haut Ruvin. Le Due m'aiant confier
ce comendement, je tacherai de m'en aquitter avec tonte l'exatitude qui
de V. M. m'a été un des plus souverains remedes du monde, car aiant attrapé le 2,^ du
passe à mon depart la fièvre, je suivi la marche avec mon Régiment et elle ma durejusque
aux premières du moi que je l'ai receu, et depuis ce tems ie me trouve entierement retablis:
de quoi j'ai l'honneur de remercier trés humblement V. M. la supliant d'ètre persuade de la
part sincère que je prends. à tous ce peut regarder sa Royale maison. Je prends, en mème
tems, la liberto de me recomendcr toujours à la puissante protection de V. M. qui m'est si
necessaire et d'ètre persuade de la parfaite soumission et obéissances très respecteuse avec
laquele j'ai l'honneur de me dire,
Sire, de V. M.
Breviso, ce 4 -jM^ i733-
le tres timhle et tres obrissant servifeiir
et souinis sujet
EUGENK DK S.WOVE ».
Né scordò la Regina alla quale scrisse: « Madame, Le Roy m'aiant lait la grace de
me donner part du troisieme Prince, que V. M. avoit heureusement eu. jai cru qu'elie ne
desaprouverait pas que je praine la liberté de temoigner à V. .M. tonte la sensibilité que
jai cu d'aprendre une nonvelle qui etoit pcnu' moi des plus interessantes cjue je pusse jamais
recevoir et la felicitar en mème tems sur l'accroissement de la Royale maison ».
(r) Quando Eugenio Francesco venne nominato generale, il de Romer prese il coniando
del suo reggimento de' coraz>cieri. Il Principe ebbe poi come aiutante il capitano di cavalleria
conte Lodovico di .St.-(iermain. del suo stesso reggimento; il quale più tardi passò al servizio
da' Francesi e nel 1775 fu nu'nistro della guerra del re Luigi XV'I.
(2) Tanto la lettera del Principe Eugenio giuniore, (juanto quella del Principe Eugenio
seniore si con.servano a Vienna nell'L e R. Archivio della (iuerra.
(3) Il maggiore von Dungern. comandante del reggimento Walsegg, ne dava ragguaglio
al generale maggiore Walsegg, proprietario del reggimento stesso, con questa lettera, scritta
da Mùhlberg il 30 decembre 1733, che si conserva nell'Archivio della Guerra di \ienna :
53
52 — Mise, S. HI. T. Xni.
4IO GTOVAXXI SFORZA
me sera possible, pour pouvoir m'attirer de plus en plus la protections de
V. A. '*>• Il ne me reste qu'à vous souplier, Alonseigtieur. que d'ètre per-
suade de la respecteuse soumissions avec laquelle j'ai l'houneur de me dire
Alonseigneur,
de V. A. S. le frrs Iniìiiblc et trcs obcissant scrvitcìir
et neveu
KU(ÌENE DE SavoYK.
(tIì torna a scrivere da IMannheiin il 15 del successivo febbraio:
Moiiseigiieur,
l'aunii l'honneur d'informer V. A. S. que mon regimeut est entres en quar-
tier le 12 de ce mois une partie dans le pais de Darmes, Tatat et l'autre dans
les environs de Francfort. Le Due de Pever m'a donne quelque commissions
toucant la postirung le long du Necher. La lecteur m'a reru avec beaucoup
de bontés, et niéme m'a charcher d'écrire à V. A. S. qu'il ésperoit qu'elle
non obliroit point Tamitié que V. .V. lui temoignont lursqu'il était sous ces
ordres, et mème qu'il la prioit de la vouloir continuer. ^I' de Sequingen,
grand chambelan, est ministre à cette cour, m'a prioit d'assurer V. A. S. de
ces respect. Monseigneur, il ne me reste qu'à la souplier de m'acorder la
continuation de sa protections de meme de me dire,
Monseigneur,
de V. \. S. le trì's /ni/iible et très obeissant serviteiir
EUGKNE i:)E Sa\-OYE (i) ».
x\ppunto nel febbraio, il giovane Principe, da j^'rankfurt sul Meno, ir-
ruppe colla sua brigata ne' dintorni del Neckar. uno degli affluenti del Reno,
e il 28 d'aprile si trovò con sette squadroni al campo presso Philippsburg.
In quello stesso mese il vecchio Principe Eugenica ])rese il comando supremo
dell'armata del Reno; ma a cagione della scarsità del numero e del cattivi >
armamento delle sue truppe, che erano appena la metà di quelle de' Fran-
cesi, forti di ben centoventimila uomini, bisognò che si limitasse a stare
sulle difensive. Nel maggio, all'annunzio che il nemico aveva varcato il
Reno, abbandonò le linee di Kttlinger , e per Heidelberg . Eppingen e
Bruchsal ridusse l'esercito a Wiesenthal, per coprire tla quella forte posi-
zione gli Stati ereditari della monarchia, 11 27 d'agosto, da Heidelberg,
ordinava al nepote, che alle 4 del mattino del giorno appresso, con la sua
brigata attraversasse il Neckar sul ponte di barche gettato a Ladenburg e
si spingesse per la foresta al campo presso Schwetzingen. Al cominciare
del novembre i due eserciti si ritrassero ai quartieri d'in\erno. 1 corazzieri
di Eugenio, de' quali teneva il comando il de Romer , ebbero a stanza
Lindau e Bregenz; ad Eugenio Francesco. Hn dal settembre, nella sua quif-
lità di generale maggiore fu assegnato per residen/a Schwarzwald (2).
« Unsere luivis alhier seint, class gestern unter Kcminiando des jtini^cn rrinzt-n lùiiien, be-
stehend in 7 (irenadier — Compagnien und rofio Pferdt, solche die Palli'^aden von der Sel-
lin.y:erschanz iiinwei,' i^enolimen, welclien kleinen alIVont sie mit eini.^en Stiickschussen ans
Fort Louis revangiret, aber keinen weitern Schaden verursacht ».
(i) L'autografo di questa lettera è nell'I, e R. Ar-hivio della (iuerra a X'ienna.
(2) Son notizie ricavate da' documenti dell'I, e K. Archivio della Guerra in \'ienna.
.^4
II. PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 4II
Prima clic si chiudesse l'anno, la brillante esistenza del Principe sven-
turatamente e a un tratto venne troncata, essendo morto a Mannheim il
24 novembre, compiti di poco i vent'anni (i). Giuliano Sabbatini, vescovo di
Appollonia, il 4 decembre cosi ne dava il tristo annunzio a Rinaldo d'Este,
duca di Modena, del quale era ambasciatore a Vienna: <; Il giorno 30 del
caduto, per espresso venuto da Manheim, si hebbe la nuova della morte
colà seguita del giovine Principe Eugenio per febbre maligna; la quale è
stata sentita vivamente da questo -Sig/ Principe Eugenio, suo gran zio,
benché non abbia lasciato anche in ciò di mostrare la solita superiorità e
fermezza dell'animo suo » (2). Infatti il vecchio Principe, che lo amava con
tanto affetto e aveva riposte in hii tutte le sue speranze, ne provò una gran-
dissima angoscia (3); e non senza compiacenza ricordava, nel suo dolore,
« la bonté singulière » con la quale Carlo Emanuele III aveva « regardé en
tout tems V il prediletto nepote (4). Se ne attristò la Ducliessa Ricciarda, che
(i) Il LrrxA {Duchi di Savoia ; tav. XXII! ne fa questo ritratto : « Non amava né onori
né uno splendido matrimonio, bensì la compagnia di persone abbiette, cosicché s'ingollò nei
vizi e mori di vent'anni a Mannheim nel 1734, 24 novembre, in conseguenza delle sue dis-
solutezze. Questo male era allora epidemia pressoché in tutte le famiglie sovrane e nelle
private. Il mondo ha le sue fasi ». I documenti, come s'è visto , stanno li a smentire le
sue affermazioni. In parte, per altro, ha diritto di venire scusato : fu tratto in ingaimo. senza
che se ne avvedesse. Le notizie documentate per servire alla genealogia e alla storia de'
Reali di Savoia, d'ordine di Carlo Alberto, gli vennero somministrate da uno degli uffiziali
degli Archivi di Corte, il conte Luigi Nomis di Cossilla, raccoglitore appassionato e lorlu-
nato d'autografi. Trovati i primi dispacci del comm. Solaro al Marchese D'Ormea. ne' quali
l'invialo sardo in Vienna accenna all'essersi il Principe dato al giuoco, e se ne impensierisce
e accuora e ne trae triste presagio per l'avvenire, il Nomis di Cossilla si fermò li. Su que'
primi dispacci, comunicatigli da lui, il Litta tessè il proprio racconto, e lasciando libero il
volo alla fantasia, anneri, per giunta, le tinte, tirato dalla smania sua di catoneggiare; difetto
frequente e grave in lui, che scema pregio all'opera, a cui, per onore d'Italia, consacrò le
sostanze e la vita. Se il Nomis di Cossilla fosse stato meno frettoloso e negligente e più
coscienzioso, continuando a sfogliare i <lispacci del Solaro avrebbe toccato con mano che il
Principe rinsavì quasi subito e diede poi tali prove di sé, da far rimpiangeie fosse così
presto rapito alla vita un giovane di tante speranze. Son lieto d'aver chiarito la verità e riven-
dicata la sua memoria.
(2) R. Archivio di Stato in Modena. Cancelleria Ducale. Carteggio degli Ambasciatori.
Cieimania. Giuliano Sabbatini, vescovo d'Appollonia, busta \\^ 226.
(3) Al Duca di Wurtemberg scriveva da Vienna il i" decembre: « Von Euer Liebden
hOchstgeschàtzten p'reundschaft und dem mir zutragenden Antheil bin ich dermassen ver-
sichert , dass ich nicht genugsam fur jenen zu danken vermag, den Sie auf eine se obli-
geante Art iiber den Verlust meines Neveu, des Prinzen Eugen von Savoyen Liebden, mir
zu bezeugen sich haben gefallen lassen. Der Allmachtige wolle Sie und dero ganzes, hohes
Hans viele Jhare von derlei betrubten Zufallen befreien imd ali jenes in bestandiger tiesund-
heit reichlich Ihnen angedeihen lassen , so zu dero vvollkotnmenen X'ergnùgen gereichen
kann. Der todte Leichnam wird sonst, wie ich vermuthe, vor Eintrelfung Dieses zur Erde
schon gebracht sein, wi'ire es allenfalls nicht geschehen, so ersuche \\. Lbd. von der Giìte
zu selli, es dahin veranstalten zu machen, dass es nach militarischem Gebrauch, jedoch ohne
Geprange geschehe ». Il 4 dello stesso mese scriveva al feldniastro conte .Seckendorf: « Es hat
dem Alìmachtigen gefallen, meinen Neveu, des Prinztn von Savoyen Liebden, den 24 dieses
in Mannheim zu sich zu nehmen und wie Selber dem V'ernehmen nach Schuldcn hinterlassen,
se ersuche Euer E.xcellenz von deren Anzahl und Beschaflènheit Nachricht einzuholen, wie
nicht minder der verhandenen Equipage sich zu erkimdigen, aneli .Sorge zu tragen. dass
davon nichts zerstreut, die vorhandciien Pferde vvomi'ìglich uni einen rechten Preis verkauft
und das dafiir eingehende Geld zur Abtragung der .Schulden, vornehmlich zur Bezahiung der
Medicorum, Aiwtheker, Hegrabniss — Unkosten und was sonst wàhrend seiner Krankheit in
Mannheim aufgegangen, angewendet werde. vvovon .Sie die gefallige Auskunft mir sodann zu
ertheilen, ingleichen bei dem Hernn Obrist Ròmer sich zu informieren belieben werden, ob
er bei dem Regimente was zugute habe, oder in dessen Cassa und wie vieles alien falss
.schuldig sei ».
(4) Lettera del Principe Eugenio a Carlo Emanuele III, scritta da Vienna l'ir de-
cembre 1734.
55
412 GIOVANNI SFORZA
nello sposo destinato alla tìiJ^lia « aveva riconosciuto qualità molto amabili »(i);
e quando nell'estate dell'anno appresso il Marchese di Cavatore, vecchio
aio del Principe, fu a riverirla, le si rinfrescò nella mente « l'orrida vista
della disg-ra/ia lacrimevole >>, che era stata per lei un « colpo fatale» (2).
V.
La mano di r^Iaria Teresa, rimasta libera, fu chiesta, ma in(]arn<\ da un
1^-incipe (li .Sassonia idildbour^-haesen (^s); indarno il Princi])e di Darmastadt,
^•overnatore di Mantova, va|.>heg-giò farne la sposa di Leopoldo, suo
figlio (4); l'ottenne invece, (lupo lunghe trattative, il Duca di Modena
(die ci aveva su gli occhi tìn da quando fu fidanzata ali infelice Principe
(i) Rocca O., .IL'i/ior/e del inondo ed in specie dello Stalo di Massa di Carrara dal 1481
all'anno 1738, autografe nella Biblioteca Estense di Modena, p. 247.
(2) Itlcco la lettera della Duchessa kicciarda:
« Sacra Reale Maestà,
Nel passaggio che fece di qui per i Bagni di Lucca il Sig'' Marchese di Cavatore mi
venne a presentare il foglio pregiatissimo che V. M. restò servita d imiarnii, e dallo stesso
cavaliere mi furono espresse in voce ([uelle premurose commissioni delle quali lo aveva inca-
ricato, né ad altro line ho sospesa la presente ossequiosissima risposta, se non per quello di
consegnarla in proprie mani del medesimo Sig'' Marchese, giusta il nostro precedente appun-
tamento. A lui duncpie non ho mancato di significare tutto ciò che mi correva in debito di
far passare all'orecchio della M. V. sopra l'alfare di cui si tratta, e la supplico di far godere
de' suoi generosi riflessi all'impegno inevitabile da me contratto coll'Augustissimo Imperatore
dopo il colpo fatale della perdita del Sig'' Piincipe Sposo, avendole chiesta la grazia di accor-
darmi che potessi non aderire a (pialsivoglia trattato di nuovo accasamento della Duchessa
mia figlia, sintantoché la medesima col crescere degli anni si venisse a trovare in una cogni-
zione più matura e perfetta, giacché discorrevasi principalmente del proprio interesse; nelle
quali circostanze l'altissimo discernimento di V. M. saprà farle presente che resto troppo
impedita di avanzare alla Corte Cesarea proposizioni di matrimonio, mentre queste diritta-
mente contradirebbero ai miei preaccennati sentimenti, nei quali tuttavia mi confermo all'orrida
vista della disgrazia lagrimevole che mi successe nella conclusione che venni a stabilire del
primo. Informata dunque la M. V. di quanto mi. son data l'onore d'umilmente rappresentarle
io stessa, fuori della parte che ho fatta come sopra col menzionato Sig'' Marchese, vivo per-
suasa che dal di lei magnanimo cuore mi sarà tlispensato quel benignissimo compatimento
che imploro, con accertare la M. V. che sarò sempre costante nella pratica di quell'infinita
venerazione colla quale continuo ad inchinarmi profondamente.
Massa, li 9 luglio 1735 ».
(3) LiTTA P., rr Estc, tav. XVIL
4) 11 dott. Lorenzo Berti scriveva da Mantova il 16 decembre 1734 alla Duchessa Ric-
ciarda : «Il Sig. Principe di Daruìastad. nel significarmi la morte del Sig. Principe di Soissons,
si compiacipie successivamente egli slesso di rinnovarmi i di lui sentimenti, uniformi a quelli
che sino in settembre 1731 mi si)iegò il Cavaliere suo gentiluomo di camera risguardanti al-
l'accasamento del .Sig. Principe Leopoldo, suo veramente degno ed amabile figlio, con la
Ser"'^ Sig'"" Duchessa di Lei liglia primogenitn, con comandarmi inoltre che io procurassi con
tutta sollecitudine rilevare le tlis|)osizioni che pos.sono aversi dall'A. W S. in simile affare ».
La Duchessa gli rispondeva il 13 febbraio : « .Siccome vi vorrà del tempo acciò sia rimar-
ginata la piaga profonda che ha impressa nel mio cuore il colpo funestissimo di cui si tratta,
così Ella ben vede che in queste luttuose circostanze non sono in positura non che di accu-
dire, ma né tampoco di rivolgere il pensiero a tali cose ». R. Archivio di Stato in Modena.
Cancelleria Ducale. Eredità Cybo, part. l, cart. 1, i, fase. I\^ i.
SÉ)
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 413
(li Soissons) per il suo primogenito e erede, Ercole Rinaldo (i). La
promessa ebbe luogo nel i73<^ {2): il matrimonio segui il lò aprile
(i) Per la inaspettata morte del Principe Kugenio Francesco rimase « sciolto l'impegno
che aveva l'Imperatore per il matrimonio della primogenita di .Massa e per la successione di
quel Ducato ed in conseguenza lorse per quella di Novellara ». L'ambasciatore Sabbatini,
nel richiamare l'attenzione del Duca di Modena su questo, gli scriveva: « Mi è tornato alla
memoria che V. A. S. mi diede tempo fa un tocco per cui si degnava di lasciarmi conoscere
esserie passata per la mente quaiclie pensiero sopra ciucila Principessa per i! Ser™" ne-
pote ». Parlò del progetto con diversi ministri cesarei, ma non con l'Imperatore. Essendosi
però trovato seco per un altro negozio, gli ci entrò egli stesso. « Ho j)otuto ravvisare » (cosi
il Sabbatini al Duca; « un altro effetto del suo amore per V. A. .S. e per la Ser'"'' Casa.
Prima che io habbia potuto parlarne di niente, mi è entrato esso nell'accidente della morte
del giovane Eugenio, per cui mi ha fatto vedere che aveva già pensato da sì- a tutto quanto
che potesse ritirarsene di vantaggio per V. A. S. e aveva già in animo di suggerirmelo. L'iio
humilmente ringraziato». Intese poi dallo Starhemberg « haver il degno Ministro parlato già
di questo all'Imperatore ed averne riportato che .S. M. terrà la cosa in sospeso , qualunque
pretendere potesse d'affacciarsi », Il Duca, con un dispàccio in cifra, approvò che f s'intro-
duca il maneggio del matrimonio tra il Ser"'" nipote e la piccola Principessa di Massa, per
far entrar nella Ser"»" Casa il Ducalo e la Contea di Novellara ». Il Sabbatini si aiirettò
a rispondergli: « Spiegarò all'Imperatore le mente di V. A. .S. su questo» ; e subito inta-
volò co' ministri imperiali le pratiche per la conclusione del matrimonio. Nel ragguagliarne
il Duca, così finiva un suo dispaccio il i" gennaio del 1735 : « Reslava da divisare del
mezzo da scegliersi per trattare immediatamente a nome dell'Imperatore con la Sig" Du-
chessa. Considerammo che nell'altro trattato di matrimonio col fu giovane P^ugenio vi ebbe
la mano il Conte Generale Stampa, con cui la predetta Sig'"^ Duchessa ha poi continuato a
carteggiare almeno per longo tempo ». Pu dunque riconosciuto che lo Stampa, commis-
sario e plenipotenziario imperiale in Italia, dove si doveva recare come governatore di
Mantova, era « l'istrumento più autorevole e più proprio, per intendersi anche con lettere
con la detta Ser"'^ Duchessa ». R. Archivio di Stalo in Modena. Dispacci dell'ambascia-
tore Sabbatini del 4 e 12 decembre 1734 e 1° gennaio 1735.
Le trattative di questo matrimonio, incominciate dal Duca Rinaldo, t\irono tirate innanzi
e condotte a fine dopo la sua morte, seguita il 26 ottobre 1737. da l'rancesco III, suo figlio
e successore.
(2) Scrive il Rocca: « Nella prossima passata quaresima venne in Massa, accompagnalo
da un suo gentiluomo e pochi servitori il Sig' Marchese Carlo Filiberto d'Este, zio materno
della Ser™" Sig""'' Duchessa di Massa, e si vociferava che tal venuta tosse per spedizione
fattali dal Sig'' Duca Rinaldo di Modena, per trattare l'accasamento del figliuolo primogenito
del Principe ereditario, suo figliuolo, colla Ser"'" Donna Maria Teresa, primogenita del già
Ser'"" Sig'' Duca Alderano, in oggi Duchessa di !\Iassa. Ma la Sig'"" Duchessa madre per
allora nulla concluse, rifiettendo alla poca buona sorte che aveva incontrato tietta Duchessa
col Sig"' Principe di Soissons; onde rispose che ella non voleva ingerirsi in accasare la figlia,
se non quando questa avesse compiti li anni dodici, e che da essa stessa avesse prestato il
consenso ai propri sponsali ; e perciò, avvicinandosi la Pasqua, ritornò a Modena, per poscia
in breve andare al suo feudo di S. Martino, stante che la di lui consorte gli aveva partorita
una bambina. Detto .Sig'' Marchese nella sua permanenza in Massa diede molto saggio della
sua bontà e generosamente distribuì larghe elemosine a chiese ed ai poveri, frequentava le
sacre funzioni e lasciò di sé slesso una somma stima. Nell'autunno di nuovo ritornò a Massa
e seco condusse il Sig'' Consigliere di .S. A. Ser'"" di Modena, Michele Torelli di Massa,
stante che la Duchessina aveva terminati li 29 giugno passato |i737| gli anni dodici, onde
restava tolta la difficoltà della Sig''" Duchessa Madre, e perciò s'avanzarono li trattati, ma
con tale secretezza, che non si traspirò minimo resultato; e perciò temendo Sua Ecc" d'es-
sere impedito di ripatriare per l'imminente invernata, sollecitò la partenza. Nella sua dimora
in Massa sì degnò aggregarsi all'Accademia dei Derelitti; e questi signori accademici non
mancarono fare dimostrazioni di giubilo e con qualche dispendio; laonde detto Sigr" consegnò
a chi li presentò il diploma zecchini dodici, e cosi dimostrò in altra occasione la sua gene-
rosità ». Cfr. Rocca Ù., Vaj-ie viemorie del mondo ed in specie dello Staio di 3/asxa di Car-
rara dal 14S1 alPanno 173S, autografe nella Biblioteca Estense di Modena, p. 260. Il cronista
massese Nardino Hertelloni | 1697-1776] aggiunge: « A 22 settembre 1738 giunse in Massa il
Ser"'" Sig'" Duca Francesco d'Este, Duca di Modena, a ore 23 e '/.j. Venne dalla strada nuova
della Tambura, per vedere e rallegrarsi con S. E. la Sig'" Principessa Maria Teresa Cybo,
destinata per sposa del suo primogenito, il Principe Ercole Rinaldo. P'u aspettato dalla nostra
Ser'»"' Sig'" Duchessa Ricciarda Gonzaga Cybo a S. Lucia con la figlia sposa. Entrò in car-
rozza con le medesime, e si portarono a Palazzo, accompagnato dalla nobiltà e dalla plebe,
con gran viva del popolo, con sfpiadre di soldati alle porte et alle piazze e con sparo di
Fortezza. 11 23 detto andiede S. A. Ser"'» alle Monache, le Sue Ecc*" Monache sorelle del
fu Sig'' Duca Alderano e zie di S. Ecc" sposa, per rixerirle e seco congratularsi. La sera
57
414 (ilOVANMl SFORZA
de] 1741 (i). Il 6 aprile del 1750 Maria Teresa si sgravò « felicemente d'una
figlia ».Era Maria Beatrice. Il parto venne festeggiato a Massa con lo « sparo
di bellissimi fuochi artificiati -». Maggiori allegrezze ebbero luogo per la nascila
di un maschio, avvenuta essa pure in Modena «la notte dei 3 venendo ai 4
del mese di gennaio 175,-) -. Il cronista massose Xardino Bertelloni così le
descrive: «A' 9 gennaio il Capitolo di Massa ha cantato il Te Demiì et una
messa in ringraziamento, con sparo di covette, et ha fatto dispensare a' po-
veri del pane. A' 21 detto la Comunità, per ringraziamento a S. 1). M. della
nascita del nuovo Principino di Modena, ha fatto cantare la messa et il
Te Driiìii in musica, con sparo di mortaletti. Nella piazza di S. Pietro hanno
fatto fare una aguglia, con sotto due botti di vino, per darne a chi ne voleva.
Hanno fatto dispensare del pane a' poveri. Sopra il poggiolo del Diana
stavano i Sigg. Consoli, con sonatori diversi di Lucca, che sonavano. Hanno
dotate dieci giovani, parte artiste e parte contadine, a venti scudi per una.
L'hanno estratte a fortuna. E dal medesimo poggiolo hanno fatto gettare
de' denari dal Sig. Alberico Covacela, camarlingo della Comunità; et hanno
fcitto una bellissima mascherata, parte a piedi e parte a cavallo » (2). Il
« Ser"'" infante » però, appena che fu entrato ^< nel quinto mese di sua vita,
piacque a Dio, alle ore iS del dì 5 maggio 1753, di chiamarlo a sé, per farlo
regnare in cielo » (3).
del 23 detto andiede a spasso in Fortezza e fu salutato con sparo d'artiglieria. Il 24 andiede
a spasso a Lavenza e Carrara, e due volte fu salutato dalla Fortezza di Lavenza. Il di 25
andiede a visitare S. Pietro, S. iM'ancesco e la .Scuderia. Il 26 detto andiede a vedere pescare
in marina alla Bocca di Magliano et andiede ancora alla Rinchiostra. Il di 27 a ore 14 partì
di Massa, per fare il suo ritorno a Modena. Fu accompagnato con quattro carrozze persino
a S. Lucia e con due persino a Canevara ». Cfr. Sfokza G., Cronache di Massa di Lutiigiami
edite e illustrate, Lucca, Rocchi, 1882, p. 174. Cfr. i)ure : Idilio fatto in occasione della venula
nella citta di Massa deW Altezza Serenissima di J-'rancesco Ifl d'Esle, Duca regnante di Modena,
Reggio, Mirandola, ecc. Alludesi a\felic issimi sponsali già stabiliti fra il Serenissimo Sig'' Prin-
cipe ereditario di Modena e la Serenissima Signora J)ucliessa di Massa e Principessa di Car-
rara Maria Teresa Cybo. Da presentarsi a S. E. il Sig. Marchese Don Carlo Filiberto d'Esie
Principe del S- A'. 7. dal conte Ciovanni Ceccopieri a nome del suo umilissimo servitore
O. T. P. A. In Massa, 17.^8. Per Giambattista Frediani e Fratelli Stamp. Due. con licenza
de' Superiori; in-4" di pp. 26.
(i) Il Bkrtelloni così descrive le nozze: « A 16 aprile 1741 fu sposata S. A. Ser'"='
Maria Teresa a ore 19 da S. Y.. il Sig. .Marchese d'Este di S. Martino a nome di S. A. S.
il primogenito del Ser'"" Duca di Modena, il Principe P:rcole Rinaldo. Il Sig"" Canonaco
Allegretti fece da parroco. Testmioni furono il Sig' Marchese .Santa Cristina d'Este, il Sig''
Don Cosimo Ceccopieri, il Sig'' Auditore Bernardo Luciani et il Sig' Consultore Michele
Toretti. A dì 25 aprile 7 74 e. (Questa mattina S. A. Ser"'" Sposa s'è portata in S. Pietro,
accompagnata da S. \\. il Sig'' Marchese S. Martino, da' Sigg''' Consoli e da tutta la nobiltà
di Massa, accompagnata da soldati cherubinieri di Modena, quali giunsero in Massa il dì
21 detto in numero di 32, con suoi cavalli. Hanno cantato il Te Deum e la messa. Stava
sotto il baldacchino et il Sig' Marchese S. .Martino li stava al fianco, un poco i)iù a basso.
Nel tempo che cantavano il Te /h'umW soldati modauesi, che sfavano squadronati in piazza
.S. Pietro, hanno fatto tre spari, e tre spari haiuio fatto le due I-'ortezze di Massa e di La-
venza; e per tre sere continue hanno illuminato tutte le case di Massa. A 21, settembre 1741
la nostra Ser'"" Padrona sposa è andata a prendere il possesso a Carrara. 1:, stata salutata
con lo sparo della Fortezza di Lavenza. A 25 detto la nostra Ser'"" Padrona sposa si è partita
di Massa per andare a Modena dal suo^amato spo.so: Nel parine è stata salutata dalla For-
tezza di Massa con 40 tiri di cannone. È stata accompagnata dal Sig' Marchese S. Alartino,
Marchese Giannini, da due paggi, dalla Sig'"" Marchesa Giannini dama d'onore, dal Sig' Conte
Manetti di Massa, da una figlia del Sig'' Francesco Covacela per cameriera, due lacchè, staf-
lìeri e cherubinieri .soldati. Hanno pernottato a Resceto ». Cfr. .Si orz.x G., Cronache di
Massa di Lunigiana cil., pp. 175-176.
(2) Op. cil. ; pp. iSi, 183 e 202-203.
(3) R. Archivio di .Stato in Modena. Cancelleria Ducale. .Minutario cronologico, reg. I,
1749-1753-
.sa
IL PRINCIPE EUGENI') FRANCESCO DI SAVOIA 4 1.5
Per la Casa d' Este fu una tremenda disgrazia, non avendo ^Viaria Teresa
dato alla luce altri maschi. Ciò valse ad alienare maggiormente da lei il
marito, <-< economo sino all'avarizia ,>, e rassomigliante il padre, soltanto " nella
frequenza degli amori illegittimi e nella discordia colla propria consorte » (i).
Era « saggia e di carattere molto dolce, ma alle volte prosuntuosa e difficile
a scendere da' suoi impuntamenti » ii). Fini col separarsi da Ercole ilL
e si ridusse a Reggio, dove visse il resto della vita sconsolata.
Luigi Ceretti cosi la descrive sul suo letto di morte : « In sì deplorevole
stato, ciò null'ostante ella conserva una tal tranquillità, che è confine al buon
umore, sia che ella finga per imporre ad altri e a sé stessa, sia che real-
mente non apprenda il pericolo, come sembra dal domandare che fece ai
medici se nella buona stagione avrebber potuto giovarle i Bagni di Lucca.
Xel tempo che erano in sua camera i medici consulenti, la Real Infante di
Parma, di ritorno dalla caccia del M. dWragona, passò per Reggio, mandò
(come fa ogni giorno per espresso) ad intender sue nuove, la regalò di una
buona dose di Tokai. Ella volle gustarne, scherzò sul dono e parlò a lungo
del virile carattere della Real viaggnatrice. La sera volle che i medici, insieme
colle dame e le cameriste, giuocassero a cucii in sua camera, scherzò con
.Savani, che non sapendo il giuoco, accusava le sue carte, parlò on .\raldi
di mille cose di tempi addietro, disse a Savani che parevale ancora di ve-
derlo quando recitava in una commedia a Spilamberto, e si notò che i suoi
discorsi e le sue facezie quasi tutte avevano Modena per iscopo. /:"/ dulcrs
morie ns reminiscitiir Argos > (3).
Sul finire della sua poco felice esistenza, per Maria Teresa dovette
essere un dolce pensiero il sapere che gli Stati suoi di Massa e Carrara (4)
godettero pace e prosperità sotto di lei, dotati come gli aveva di buone leggi
e di provvide istituzioni (5). Xè i sudditi, da essa « teneramente amati in
ogni occasione ^> (ò), mancarono di piangerla con memore affetto (piando
fu tolta ai vivi il 26 decembre del ijgo (7). A Massa ne disse le lodi
;:) (iKf:ppi K., Gli ultimi lìxtcnsi : wf^W Arrhivio storico loiiihariio, aiin o\'III | iS.Si |,
fase. I, pp. 136-137.
(2) LiTTA P., Famis;lit' celebri italiane. D' Este ; tav. Wll.
il) Archivio de' conti Greppi in Milano. Lettera ile! prot". Lni.s^i Ceretti ail Antonio
Greppi.
(4) Xe prese l'investitnra da Carlo \'l, imperatore, il 23 giugno dei 1744. nscita die t'n
di pupilla.
(5) Tra le provvide istituzioni di lei. quella die maggiormente ne raccomanda il nome
alla riconoscenza de' posteri è l'Accademia di Belle Arti di Carrara, che fondò il 26 .set-
tembre 1769. Cfr. Lazzoni F... Carrara e la ^ua Accademia di lìcite Arti, riassunto storico.
Pisa, Nistri, 1869, pp. 23-29. ■ Crkspei,lani A., Medaglie Estensi ed Austro- Estensi edite ed
illustrate, In .Modena, coi tii)i della .S(jcictà tipo.gratìca modenese, 1.S93, pp. 41-43 e 120-130.
Maria Teresa favorì anche l'arte tipografica, avendo accordato nel 17S3 un ampio privi-
legio a Stefano Frediani, che rimodernò, l'avita stamperia e la provvide di caratteri bodo-
niani, fiodendosi allora in Massa ma.g.gior larghezza per il lato della censura della stampa,
molti concorsero a Ini da Bologna, da Firenze e da Genova, per commettergli lavori che in
quelle città non si sarebbero potuti ese.gnire.
(6) ViANi G., Memorie della famiglia Cyho e delle iiionete di Marisa di Luuigiaiia. Pisa,
Prosperi, 180S, p. 60.
(7) Fu sepolta a Reggio nella chiesa della B. X'ergine <l(lla Chiara con (piesta iscrizione :
MaRIAF. THERESTAE CvHO I HkRCCLI III. ATESTIO MirriNAE DUCI I AN. .MDCCXf.I. MKNSK
APRII,. NUPTAE I CINERFS ; VlXrP AN". I.XV. MKNS. V. DIES XXVU. | OKIIT AN. MOCCXC. VU.
59
4l6 GIOVANNI SFORZA
lab. (Gaspare Jacopetti (i); a Carrara il conte Lodovico Uzzoli (2). Anche
le muse vollero spargere un fiore sul suo sepolcro, auspice sulle sponde
del Frigido l'Accatlemia do' Derelitti e su quelle del ("arrione la Colonia
Aruntica.
KAL. lAN. Il monumento fu scolpito da Giuseppe Pisani (f 1839Ì; il busto è di Gio. Antonio
(.'ybei (1706-1784), due scultori carraresi. CfV. ("a/ 1 fogo delle opere di Giuseppe Pisani, dedi-
cale a S. A. R. Frances'O IV, Arciduca d'Austria, Principe Reale d'' Ungheria e di Boemia,
Duca di Modena, R'ggio, Mirandola, Massa e Carrara. Modena, per G. Vincenzi e com-
paiano, .Mijcccxxxv, p. 7. Un altro busto di .Maria Teresa si trova a Massa nella sala del
Palazzo Provinciale. È opera del carrarese \'itale l'inelli. padre del celebre Carlo, l'emulo
del Tenerani. A corredo delia presente monografia riproduco il l)Usto bellissimo scolpito dal
Cybei, che si conserva a Carrara nella R. Accademia di Helle Arti, del quale è una copia
(piello che adorna il monumento di Maria Teresa a Reggio.
(i) Cfr. Solenni esequie falle celebrare il dì 15 marzo 1791 nel Duomo della ci Uà di Massa
in suffragio deltanima di S. A. .SV'r"'" Maria Teresa Cybo Malaspitia d' Esle, Duchessa di
Modena, Massa e Principessa di Carrara, ec. ec. ec, da .S. A. R. la Ser'"" piglia Maria
Bcalrice d' liste. Arciduchessa dWnstria, /duchessa di Massa e Carrara, ec. ec. ec. In Massa,
per .Stefano Frediani stampatore, |i79i|; in-4'> di pp. x.xiv-80. La raccolta è divisa in due
parti: I. Orazione delta dal Sig. Abate (Jaspark ]xzovv:k:t\, professore d'eloquenza nel Liceo
della città di Massa, tra gli Arcadi Anti.s'io .S't/atiola e A. {ccademìco'] Z>.[ereliUo] ne" funerali
di S. A. .S. Malia Teresa Cybo d' Este : li. Tributo di lacrime che sul Frigido le Muse ita-
liane e latine consacrajio alla gloriosa memoria di M. Teresa Cybo d' liste.
(2) Solenni esequie fatte celebrare il d) 17 marzo 179T nel Duomo della città di Canara
in suffragio delP anima di .9. A. Ser""' Maria Teresa Cybo Malaspina d' Este, Duchessa di
Modena. Massa e Principessa di Carrara, ec. ec. ec. da S. A. R. la .S>;""' figlia Maria
Beatrice d^ Piste, .h'ciduchessa d' Aush-ia, Duch'-ssa di Massa e Carrara, ec. ec. ec. In Massa,
per .Stefano Frediani stampatore ducale, | 1791 j: in 4" di pp. xvi-46. La raccolta è divisa in
due parti: I. Orazione funebre detta da( Sig. Conte Loihìvico \A/.7snA per P infausta morte
di S. A. S. Maria Teresa Cybo d'Eslef II. Componimenti funebri che le Muse del Carrione
consacrano alla gloriosa memoria di Maria Teresa Cybo d' Este. L'Accademia e Colonia
Aruntica di Carrara venne istituita nel 1787 e l'anno stesso aggregata all'Arcadia di Roma.
Ne fu fondatore, presidente e vice-custode perpetuo l'arcidiacono conte Lodovico Ronanni,
segretario e sotto-custode l'avv. Tommaso Carusi Cybei; n'erano censori il cav. ab. Miche-
langelo Tonetti e il capitano Nicolao Tacca.
60
TL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 417
A P P E ìN D I C I
I.
Il fidanzamento di Maria Teresa Cybo. Duchessa di Massa,
col Principe Eugenio Francesco di Savoia. Conte di Sois-
sons. ricordi storici del canonico Odoardo Rocca ("^
CAPITOLC^ I.
Trattato dell "accasamento della Sig''* Principessina, e con chi. - \'iene un personaggio a trat-
tare, e Sua P^nT^ il Cardinale Camillo Cybo all'improvviso di notte parte da Massa.
— Conduce seco parte della Corte e parte ne lascia a Massa. — Si aspetta il Sig' Cene-
rale Stampa. — Giunge, e con chi. — La Sig'" Duchessa Io fa lexare dall'Osteria e
condurre in palazzo. — Qualità del suddetto Generale. - Espone la sua commissione.
— Capitoli di detto trattato. — Sua EnT* altamente si risente di tal trattato. — Il Gene-
rale invia il suo Segretario a Sua Eni''. — Finezza politica, ma violenta di Sua l^m".
P'sito del congresso. — Obiezione poco decente del Sig'' (Cardinale. — Staffilata ricevuta
da .Sua Eni». — Motivi dei Cardinale per cui non acconsente al dett<i trattato. - Risposta
a' motivi. — .Sua Em=< dà nelle solite smanie. Lettera contumeliosa da lui scritta a
.S. A. — La lettera non recò spavento. — Risposta adeguata a S. Em". — 11 -Sig' (iene-
rale spedisce a Vienna. -, S. M. Cesarea approva il tutto. — Sua Em" si fa conoscere
alla Corte di Vienna. E risposto alle sue pretensioni, e da chi. — Decreto favorevole
a S. A. — Risposta a .Sua Em" data dall'Imperatore. Compitezza del Sig"" Principe
Eugenio. — S. A. si rallegra e tutta la Ser"'» Casa e sudditi. — Viene a Massa Ferdi-
nando, spedito dal .Sig'' Cardinale. — 11 .Sig-' Conte .Stamina vuol i^artire da Massa. —
Parte con disgusto di tutti. — Per viaggio patisce burrasca. S. A. viene alla ])roces-
sione del Corpus Domini. — Sua divozione. — II paese si rallegra. Opera con somma
edificazione. — Commissioni di F'erdinando, dategli da .Sua P"m''. e suo fine. — S. A. incontra
il suo genio e ne risulta vantaggio. — .Azione pessima. — -Ancora le .Monache restano
beffate, e meritamente. — Molte alienazioni fatte da Sua Eni" e con gran sciui)io dis-
sipate. — Villa di Castel Gandolfo. — Come chiamata. — Ferdinando e regalato dalle
Monache, e perchè. ^ Biasima la città ed il Governo. — Non è guardato in faccia da alcuno.
Ivra qualche tempo che .si vociferava l'accasamenttj della Ser'"-'' Sig'" I)u-
ches-sa Maria Tere.sa, figlia pritnogenita del Sig' Duca Alderano detonto, a
cui .spettava la successione nel feudo di questi Stati e tutti li fidecommessi
della nobilissima Casa Cybo, col Ser'"" Principe Eugenio Francesco di Saxoia,
(i) Son tolti dalla sua l'ila di Aldcraiio I Duca II' di Massa, che si conserva autografa
nella Biblioteca Estense di Modena. Odoardo Rocca, canonico massese , vis.se dal 2 de-
cembre 1676 al 22 aprile 1751.
6 I
53 — Mise, S. HI, T. Xin.
4Io GTO NANNI SFORZA
unico rampollo della Ser™" Casa dei Conti di Soissons ed unico pronipote
del Ser'"" Sig' Principe Eugenio seni<jre, Tenente (Generale del S. R. I. (>
Vicario di S. M. Cesarea in Italia: ma da. molti tal novità non ora creduta.
Finalmente si seppe che quanto prima sarebbe venuto in Alassa l'Ecc"'" Sig"'
(ienerale (jio. Carlo Stampa, Plenipotenziario in Italia della Maestà dell'Im-
peratore, e da esso spedito per trattare tal accasamento; ma tal venuta pa-
rimente non era affatto creduta, quantunque ancora si dicesse che il Sig'' Car-
dinale [Caìnillo Cybo\ aderisse al detto accasamento. Ma ben presto si seppe
tutto il contrario, poiché, verihcatasi la venuta del Sig' Generale suddetto,
si seppe che Sua Imminenza era onninamente contrario al detto sposalizio,
perchè aveva la mira di ammaritarla, chi diceva al Sig'' Duca di Bovino della
Casa di (i), e chi asseriva al i^riiieipe Tomacelli Cybo di Napoli, come
antico parente della C'asa (2); tutti e due soggetti che poco averebbero av-
(r) l.iuHina dell'originale. 11 l)ii<:a di Uoviiio appai teneva alla Taniiglia (iuevara, colla
(juale si era imparentata quella de' Cybo nel 1635, avendo PlaciJia, figlia di Carlo 1 e di
Brigida Spinola, sposato don Carlo Antonio de (iuevara Duca di Bovino e Gran Siniscalco del
Regno di Xjipoli.
(2) Che la famiglia de' 'l'omacelli di .Xapoli abiìia comune l'origine con quella de' Cybo
l'attesta il i^rincipe Aiberico 1 nel suo ultimo testamento, dichiarando «. che l'Ili""* Casa
Tomacelli di Napoli è l'istessa con l'Ili'"-' Casa Cybo di Genova, e cosi detti .SS''' Tomacelli
ili Napoli come li .S.S»' Cybo di Genova sono sempre stati tenuti e reputati della medesima
casata Cybo, e come parenti e da un istes.so stipile discendenti si sono sempre tra cii loro
trattati ». Cfr. .SroKZ.v (i., A/berico I Cibo Malaspina e Toiiiinaso Cos/o ; \\g\V Archivio storico
italiano, serie V, lom. XXIX 11902], pp. 45-63. Nelle seguenti due lettere di Alberico I a
Federico Tomacelli .Marchese di Chiusano si tocca della comune origine delle due famiglie.
///'"<' Signore
Son molti giorni che non \\o nova di W .S. Ili'"" e come che desideri la salute sua
(juanto la mia iste.ssa, la prego a favorirmi con darmene parte, che mi sarà carissimo e con-
forme al desiderio mio, accompagnandoi anco con qualche comandamento suo. Non prima
di questi giorni passati ho inteso che il Costo, volendo impugnar molte cose scritte dal
Mazzella, fra l'altre si riscalda assai in mostrar che la casa Tomacella e Cybo non son ristesse,
fondandosi solo nel detto de' SS'' Tomacelli e Capeci, de' (juali erano già tiuelle famiglie
Bazzuti, l'iscitelli et l'altre che seguono; e perchè jjer i tanti riscontri, che son in contrario,
s'è tenuto da' nostri antepassati e da noi che siano ristesse, il che non deve esser discaro
ne a luna ne a l'altra casa, ho posto di novo in un foglio le medesime ragioni, altre volte
scritte, per darsi al detto Costo; ma prima ho ordinato a l'Agente mio che lo mostri a
\'. .S. Ili"'" acciò che vegga se v'è da dire di più o di meno; che (|uando stia bene, esso
.Agente lo appresenterà al Costo. Et certo, che essendo scritto in tante opere, orationi publiche
et inscrittioni, non par che convenga che hor si dica il contrario per contese fra il Costo et
Mazzella, duranti fatica a credere ch'e' .S.S'' di cpiella casa siano d'altra oppinione ; e a Massa
tengo lettere del -S' Scipione buona memoria, nelle (inali mi diceva che i suoi antepassati
dicevano esser ristesse, anzi che un S"' Giovanni convenendoli provare non soche cosa, ar-
liculò nominando Papa Innocenzo per TomaceIJo ; et di più che havendo esso Papa donato
una turchina granile e di valuta, haveva lasciato che non uscisse della famiglia; e alcuni altri
particolari simili. Ma sia come si xoglia, si deve credere più agli antichi, che erano vicini a
<piei tempi, che a' moderni; e per corroboralione di questo, Honorio secondo crea un Cartlinale.
e si trova scritto in una bolla, ch'io ho copiata atUentica di Roma, Ordarico Cybo ; e il Padre
Ciacon, sjiagnolo, che ha mandato poco fa fuori una istoria de' Papi e Cardinali, dice Alberico)
Tomacello, come in due bolle del 1 127 e ii2<S, con l'istessa arma, onde bisogna che fin a quel
tempo fusse tanto a dire Tomacello che Cybo ; si che V. .S. IH'»" intenda ; dalla quale aspetto
risposta, e con (ptesto le bacio le mani. Che Xostro Signore la conser\i.
Di Genova, 20 luglio róoi.
1). \'. S. Il
///'"" .S'/'<
.ìffc/ioiiatissiiiio per servirla
Al.IUCKICO CVBO.
l\r il ( avalier Francesco, mio fij;liuoIo, che se ne passa in Calabria, al quale ho com-
messo che in ogni modo visiti V . S. Ili"'", li mando il mio ritratto e insieme il libro o coni
pendio delle due famiglie mie, materna e paterna, con tutti i parentadi e arme loro antiche
62
IL i'KlXClPl-: KUGE.NK) i-KAXCESCÓ DI SAVUlA \ U)
vantaggiata la fortuna della Casa Cybo e affatto minati questi Stati, essendo
li medesimi cavalieri non troppo dolati di beni di fortuna; ma il Sig"^ Cardi-
nale, che non aveva altra brama che d'accasare la nepote a persona di lui
dipendente e di poca autorità, per potere comandare a bacchetta, voleva che
seguisse in tal forma, se gli fosse riuscito. K per ciò, da lui penetratosi che
il suddetto Sig' Generale, partito da Milano, s' incamminava verso questi
Stati; dopo essersi fatto vedere l'unica \olta la seconda domenica di quare-
sima alla predica in duomo del Sig' dott. D. Paolo Medici, fiorentino, la
notte seguente, all'improvviso e senza la saputa d'alcuno, celatamente a'
suoi cortigiani, circa le 9 ore, li io marzo 1732, partì da Massa con tutta
sollecitudine, come se fosse stato perseguitato da' Turchi, per ritornare a
Roma e di li a Castel (ìandolfo, sua villa; conducendo seco il caudatario, il
suo amatissimo Ferdinando \Pas(]uaU)iL\, un suo cam.eriere, due staftieri ed
Alberico Buffa, lacchè, (xli altri di sua Corte li lasciò in Massa nelli suoi
appartamenti di palazzo, avendo commissionato al Sig' \). (jic. Battista (ìior-
gieri che somministrasse il solito salario alli medesimi sino al suo ritorno
in Massa, o pure sino ad altro suo ordine (i).
Di giorno in giorno aspettavasi il suddetto Sig' (jenerale, come infatti
giunse dalla parte di Genova verso la metà del mese di marzo, accompa-
gnato dal Sig'^ Segretario imperiale Piccaluga, da un nobile paggio, nepote
del Sig' Alarchese ].ucini, da un cameriere, da un corriere e da due staffieri.
Scese all'Osteria della Posta, e subito il Sig' Segretario Pittaluga. suddetto
e moderne, e di questa città e di fuori ; e non è stato poco il porle insieme. Se bene non si
basta a ritrovarle tutte, pur è fatica da contentarsene e che darà maggior facilità a' posteri,
se però ne saran curiosi di seguirla. Potrà V. S. Ili"'" mostrarle al Petris et al Vincenti, da
che si diletta d'antichità, e dirmene il parer suo. Le invio anche un sommarietto delia
casa Tomacella, che il Vincenti m'indri/czò e che ho fatto copiare a un libretto, et medesi-
mamente la copia del sumario ch'ella mi mandò delli Tomacelli, però nel principio acomo-
data alquanto per cagione delli autori piìi antichi e per ordine, e di più una clausola auten-
tica del mio testamento per un fide comisso del mio parentado antico, che ne accetterà la
buona et amorevole volontà mia. purché i nostri discendenti siano del medesimo animo et
amore che siamo noi, come per ogni ragione cloveriano essere e seguir le vestigie nostre. LJel
resto, io vivo sano, laudato X. .Signore, e sempre desiderosissimo di servirla con la mia S'"-' Mar-
chesa, intendendo da tutti et in particolare dalla S"' Donna Isabella D'Oria di quello ch'è,
onde mi cresce il desiderio di venire a Napoli solo per servire lei et V. S. IH"'-', che Iddio
me lo conceda et ad ambi le dia ogni contentezza e felicità che desiderano. K con (|uesto
fine, di cuore le bacio le mani.
Di Genova, 22 luglio t6o^.
Di V. S. Ill"'«,
Servitore Albkr.ico Cvbo Priticipe di Jfassd.
Potrà anco mostrare il compendio al Costo.
(i) Il cardinale Camillo Cybo si trovava a Massa fin dal 20 ottobre del 1731 . Per testimonianza
del Rocca, era venuto da Mola di (iaeta, e « non condusse seco se non il suo caudatario, che era
un semplice chierico di 180 20 anni, e questo lo serviva ancora di segretario, il suo scalco diletto
Ferdinando [Pasqualini 1, che poteva dirsi il suo arbitro, e quattro staffieri, che tutti esercitavano
un'arte meccanica, cioè uno era muratore, un altro ferrare, uno legnarolo e l'altro lo serviva
di guardaroba e credenziere: condusse anche il cuoco, e non altri. Risolvè pertanto costi-
tuire la sua Corte e farla più cospicua ; |)er il che diede primieramente mano a fare acco-
modare tutto il quarto del palazzo, dalla parte dell'alcova, cioè dal salotto verso la strada
detta del Palazzo sino alla cappellina di S. Francesco Xaverio, da' fondamenti sino al tetto.
Ivi fece ogni comodo di stanze per sé e per la propria servitù e fece ancora tutte le officine
e magazzini necessari per collocarvi le dovute provvigioni per la di lui persona e per la di
lui famiglia. Assettò il tutto colle proprie suppellettili ed utensili, fatti venire e da Mola di
Gaeta e da Roma, non essendosi né tampoco colà scordato un gatto, che anche cpiesto fece
condurre sopra le barche ». Pensò poi a ordinare la propria Corte in Massa, « riempiendola
de' seguenti soggetti : dichiarò suo .Maestro di Camera il .Sig' Cav. Stefano Giovanni Cec-
Ó3
420 <;i'>\A.\.\l ^!nK/A
venne p. dare avviso al Sig' Auditore Luciani (i) dell'arrivo del suddetto
personag-gio, e dopo immediatamente detto Sig*' Auditore si portò dalla
.Ser™* Padrona ad avvisarla della suddetta venuta. La Serenissima imman-
tinente ordinò che S. Ecc.'' fosse levato dall'Osteria dal detto Sig'' Audi-
tore e dal Sig'' ("onte Staffetta, assegnatoli per suo gentiluomo, e condotto
in palazzo. Sono inenarrabili le cortesie e complimenti vicendevoli che pas-
sarono tra la Ser'"'* Signora e detto l\cc""' Sig'' Conte, a segno che questo
Signore restò talmente legato, che si protestò di non avere mai trattato con
simil dama, e che molto si stimaxa fortunato d'avere avuto commissione
dal suo Sovrano di dovere trattare con una tale Signora, e che sperava nel
tempo della sua permaniMiza. in Massa avere la gloria di farsi distinguere
tra' suoi più riverenti servitori. Questo Signore, oltre l'essere Plenipoten-
ziario di S. Al. e di gran nascita, decorato dell'insigne croce de' cavalieri di
Malta, oltre l'altre nobili prerogative che l'adornano, fu destinato da S. M.
("esarea e Cattolica per trattare i suddetti sponsali tra la Ser""' Sig"'» Maria
'i^eresa ed il suddetto Ser'""' Principe Eugenio di Savoia; affare molto im-
j)ortante a Sua Maestà Cesarea ed alla Maestà Reale del Re di Sardegna,
stretto congiunto di detto Ser'"" Principe. Passati pochi giorni di compli-
mento, espose il Sig' (xenerale suddetto le commissioni alla Ser"'-"» Sig'" Du-
chessa, ed essa convocò la sua Reggenza, per consultare con essa il modo
col quale doveva rispondere a Sua Ecc-'. Da questi Sig'' furono attentamente
ascoltati gli oracoli di S. M. Cesarea, espressi da S. A., quali sebbene erano
in termini di consiglio o di esortazione a accondiscendere a' suoi rettissimi
desideri, con tutto ciò furono prudentemente giudicati espressi comandi.
Dopo, il Sig' (ienerale consegnò i capitoli, da discutersi, alla suddetta Signora;
li quali diede al primo Ministro Sig' Luciani acciò con gli altri reggenti
ben fossero considerati, significandoli che teneva mandato da Sua Ecc.* di
moderarli, in caso ve ne fosse stata l'occorrenza. Questi capitoli furono da'
suddetti ben ponderati, e coli' autorità e consenso, liberamente riformarono
quello che giudicarono doversi riformare, in i specie quello che riguardava
le due Ecc.""' Principesse Donna Maria Anna e Donna Maria Camilla, sorelle
minori della Ser'"" Sig'" Donna Maria Teresa, primogenita come sopra. Pa-
rimente che il Sor'"" iVincMpe destinati) sposo della suddetta Sig'", seguito
il suo matrimonio colla medesima, dovesse esseri^ riconosciuto per so\Tano
copieri; per Coppiere il Sig' Conte Giuseppe Guerra. Ancora prese al suo servizio per Cap-
pellani ed Aiutanti di Segretaria li RR. Sacerdoti Gio. Battista Brunetti e Gaspero Guerra.
Per camerieri aggiunse un certo Franchini, sonatore bravo di tromba e d'ogni altro stru-
mento da fiato, Alberico Pusciò e Giuseppe Selmi, orologiaio; e li giorni prima aveva fatto
vestire di livrea un certo Monsù IVIartino, tedesco, che era all'attuale servizio di Corte; eil
un altro giovane, detto Alberico BuHa, lo prese per lacchè; di più. prese per cuoco della
famiglia un altro giovane, chiamato RatFaele Passoni ; oltre altra gente bassa, per servizio della
cucina. Xon aveva condotto cavalli, perchè detto Signore quando parti di Roma per andare
,1 Mola di Gaeta, di quelli che aveva fece regalo a' suoi servitori, ritenendo solo per sé due
nulle, quali condusse in Massa. Dopo alquanti giorni giunse in Massa il suo medico, che era
regnicolo, uomo dotto nella sua arte e persona di buon garbo; e venne accompagnato da
un lacchè ».
(i) Il conte Bernardo Luciani di Carrara il 9 luglio del 171S dal Duca Alderano venne
fatto suo primo ministro e uditore di Camera, con Io stipendio « di dieci pezze il mese,
casa pagata, incerti e privilegi ». Morì a Massa il 29 agosto 174.S.
64
ir, PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 421
come marito di detta Sig'"' figlia primogenita del già .Sig' Duca Alderano
coir aggiungere al di lui nobilissimo casato ancora Cybo ivlalaspina, cosi
dovesse inquartare ancora nell' arma sua lo stemma della detta Casa Cybo.
In oltre, che Dio non voglia, non avessero questi Serenissimi regnanti
discendenza, dovesse succedere la secondogenita, e non a\endone questa, pas-
sasse la successione alla terzogenita. Aggiustarono anche la dote alle pre-
dette due Ecc""" Princii)esse secondo e terzogenita. E così disposto il tutto
d'unanime sentimento, scrissero al Sig'" Cardinale Cybo, per ottenere la di lui
approvazione e consenso. Fu quest'avviso il fulmine che percosse il Sig"" Car-
dinale e >c(.ìppiando manifestò le sue idee, sino allora tenute alquanto celate.
Pretese dunque che non altrimenti alla primogenita né alle altre figlie d(>l
fratello, né molto meno allo sposo di quella fosse concessa l'investitura di
questi Stati da Sua Maestà Cesarea, ma a lui solo sua vita durante; e di più,
messe in campo molte cavillazioni e chimeriche ragioni, e di queste ne mandò
risposta in scritto. Per il che fu giudicato espediente dall'Ecc'"" Sig' (ìencrale
Stampa, coll'approvazione della Serenissima Duchessa, inviare al suddetto il
Sig"' Piccaluga in qualità d'inviato, per abboccarsi col porporato e trattare
l'affare in voce ; e speravano buon successo, per essere accompagnato da una
lettera credenziale di Sua Maestà Cesarea ; e parti alla volta di Roma li
2^ aprile, (xiunto colà, immediatamente si presentò all'Em" del Sig' Cardinale
Cienfuegos, ambasciatore dell'Imperatore presso .Sua Santità, per conferire
seco il modo da tenersi coll'umor stravagante del Sig'' Cardinale Cybo. ^\d
ogni buon fine il Sig' Ambasciatore volle ritrovarsi col Piccaluga all'abboc-
camento col detto Sig' Cardinale Cybo, onde spedì al medesimo, che ritro-
vavasi a Castel (jandolfo, per intendere quando gii fosse stato comodo di
sentirli in un negozio, molto premuroso alla ]\Iaestà dell'Imperatore. A tal
istanza, Sua Eminenza rispose non essere dovere che l'Em'"" Ambasciatore
s'incomodasse nel viaggio di Castello, ma che egli stesso sarebbe venuto a
Roma e lì avrebbe ascoltato quanto si fossero degnati rappresentargli. Ed
infatti seguì in tal forma, passati pochi giorni. Successe, nel principio, il sud-
detto abboccamento co-n tutto il rispetto ed ossequio do\ uto a Sua ÌNlaestà,
ponendosi l'Em""* Cybo, in segno di venerazione, la lettera credenziale (X)n-
saputa sopra della testa; ma, appena letto il foglio, mutò sistema, incomin-
ciando a smaniare, col dire che mai avrebbe consentilo ad alcun trattato
sopra tal negozio, se prima non gii fosse accordata l'investitura delli Stati
sua vita durante, ed ottenuta questa, allora si poteva trattare il detto affare;
tanto più che la Principessina nepote non era ancora capace d'acconsentire
a sponsali, che secondo i sacri canoni richiedono l'età d'anni sette compiti,
né potevasi dire che il talento valeva l'età, poiché questa piuttosto era debole
dell'istesso. Queste ragioni insussistenti e pretensioni troppo alte furono ribat-
tute con tutto il rispetto dal Sig'" Piccaluga; ma quello, persistendo nella
sua ostinazione, non volle rendersi vinto dalla ragione, e perciò il Sig' Car-
dinale Cienfuegos stimò, per il meglio, sciogliere il congresso, col dire al
Sig'' Cardinale Cybo, che meglio riflettesse al negozio e poscia risolvesse.
Non si deve occultare una curiosa e ridicola ragione colla quale si pre-
tendeva non esservi luogo di stabilire li consaputi sponsali, e questa fu,
come qui sopra s'è accennato , che il Sig'" Cardinale Cybo asserì che la
Ó5
42 2 GIOVANNI SFORZA
Principessa, sua nepote, era piuttosto di poco talento (come mai accieca la
propria opinione); e questa obiezione non aspettò l'Em' Cienfuegos che vi
rispondesse il Sig""" Piccaluga, ma egli stesso gli rispose: « Come Vostra
lùn" ha mutato in pochi giorni parere, poiché ultimamente, ritornato da
ATassa a Roma, Vostra Eni' aveva fatto encomi dello spirito e assennatezza
delle di lei dilettisme nepotine e specialmente della maggiore, ed ora, in sì
breve tempo, ha mutato naturale » ; e cosi, con destrezza, gli fece capire:
oportrre memìacfìn esse inenwrnìi. Per il che, vedutosi dal Sig"" Cardinale
Cienfuegos e dal Sig"" Piccaluga che Sua Km* s'ostinava nella sua negativa,
dopo alcuni giorni questo parti da Roma e ritornò a Massa, col solo pen-
timento d'esservi andato, e tutto ammirato della grande ostinazione del por-
]iorato. Seppe però, prima di partire, che il vSig'" Cardinale Cienfuegos ebbe
discorso coll'Em'"" ]>ercari, amico di Sua Em", e dal Lercari gli fu data poca
speranza; ora, disciolto il trattato, questo Signore ridisse al Cardinale Cien-
fuegos : « A^eda Vostra Eminenza se l'avevo preveduto ». Di qui si deduce
che anco da' suoi stretti amici è conosciuta la stravaganza del suo umore.
Sino nella prima risposta data da Sua F.m" alla Ser"'" cognata si dedu-
cevano i di lui moti\i perchè dissentiva da tali sponsali, e tra gli altri di
non potere in alcun conto prestare il consenso, perchè ciò non poteva fare
senza peccare mortalmente, come sarebbe stata rea dello stesso peccato Sua
Altezza e tutti li di lei Consiglieri; e portava la sua proposizione col citare
alcuni canoni, che non erano adattati alla circostanza del caso, e l'autorità
di alcuni dottori, che letti con attenzione, erano direttamente contrari alla
sua opinione, perchè da lui o mal intesi, o non voluti capire. Onesto foglio
necessitò la Reggenza a scrivere in difesa della propria riputazione, col ri-
spondere apertls verhis all'opposte ragioni e farli conoscere che alcune dot-
trine portate da lui di certi dottori erano piuttosto obiezioni che portavano
alla propria opinione, come sogliono praticare gì' istessi, onde se avesse con-
tinuata la lettura di quelli, non si sarebbe servito dei medesimi per fonda-
mento della propria opinione; e ciò che dico era evidente. Quando dunque
Sua Em" ebbe tal risposta, allora fu che la controversia, che sin' allora era.
per modo di dire, stata civile, la fece criminale, perchè si vide convinto;
onde s'accinse a rispondere /;/ iure, ma poi, meglio pensato, stabilì di scri-
vere una lettera risentitissima a S. A. ed ostensiva ai Signori della Reg-
genza, la più satirica e offensiva che si fosse sentito escire da personaggi
di tal rango. I.a lettera pertanto era un' ingiuriosa invettiva contro la Ser'""
cognata e contro i di lei (Consiglieri, trattando la Signora di farsi raggirare
e dolendosi che ella avesse a lui poco credito e che troppo credesse a' suoi
Ministri adulatori; poscia contro li Signori Reggenti proruppe in epiteti
molto indecenti, che uscissero non da un porporato, non da un sacerdote,
ma anco indegni d'un cristiano, chiamando quelli maliziosi, adulatori, igno-
rantissimi, ingiusti ed altri simili. Inoltre aspramente riprendendo S. A.
Ser'"" che anch'essa, per aver dato mente a quelli, cadeva in peccato mortal-
mente; minacciandola che sempre più avrebbe peccato mortalmente, se non
mutava opinione e se non obbediva a lui, e che si riserbava far conoscere
al mondo tutto i di lei err(^ri e li maliziosi consigli de' suoi consultori, e si-
mili detti satirici. Per corroborare poi la sua erronea opinione, spacciava che
6ò
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 423
li suoi sentimenti erano stati approvati da' primi avvocati di Roma, de' quali
n<jn erano degni quelli della sua Reggenza esserli scolari, e che parlava
così per esserli comandato dal proprio decoro e dalla sua integrità. Consideri
il lettore, se meno il porporato avrebbe scapitato, col tralasciare di scrivere
in simile maniera. Tal lettera però non ebbe l'effetto supposto dal porpo-
rato, poiché niente atterri la Ser""* Signora, né li suoi consultori; anzi in
brevissimi periodi gli rispose che restava molto meravigliata del di lui foglio,
e per tre motivi, che furono ben espressi; ed erano di tal peso che forse gli
avrebbero distolta la volontà d'inserirgli in qualche manifestf> che li fosse
saltato il capriccio (come era solito di manifestare alle stampe, perchè
erano un potentissimo controveleno contro li motivi del porporato, e di peso
traboccante.
Dopo la spedizione del detto Piccaluga a Roma, anche il Sig'' Cienerale
Stampa spedì il proprio corriere a Vienna, per ragguagliare Sua Maestà Ce-
sarea e Cattolica e il Sig' Principe Eugenio seniore dello stato in cui si
trovava il negozio, cioè del consenso ottenuto dalla Serenissima regnante
per la Ser'"» Sig'"" Donna Maria Teresa, sua primogenita, dell'accasamento
col Ser"'" Sig"^ Principe Eugenio iuniore, pronipote degnissimo del detto Sig'
Principe, come anche degli interessi dell'accomodamento delle doti per le
(lue Ecc'"" Sig""'" Principesse minori ed insomma di tutto l'operato di questa
Keggenza e principalmente del Sig"^ Luciani, favorevole alla conclusione di
detto accasamento, siccome ancora delle chimeriche opposizioni di Sua Emi-
nenza. Il tutto fu approvato da Sua Maestà Cesarea e dalla bontà del Sig'
Principe Eugenio seniore a favore del pronipote; e ne passarono lettere, il
primo di gradimento a quanto s'era fatto in venerazione de' di lui cenni,
l'altro di somma stima verso la Serenissima e d'offerte inenarrabili alla me-
desima e d'obbligazione insieme alla di lei i^ersona. Xon mancò Sua Emi-
nenza di farsi conoscere in questa occasione alla Corte di Vienna, conforme
poco prima s'era fatto conoscere a quella di Roma (1), onde sempre più Sua
Mj II Cardinale, per tesiimonianza del Rocca, cjuando tornò in patria « aveva jiortato
seco da Roma alcune casse di libri sciolti, quali con somma sollecitudine fece legare in Massa.
In (jnesti si conteneva, sotto simbolo d'una lettera scritta da un amico od altro amico, un ma-
nifesto, che esso propalava per ripararsi da alcuni richiami avuti dalla Corte Romana; e tre
erano li principali e più importanti. Il primo era perchè aveva rinunziato la Prioria di Roma
della Sacra Religione di Malta, e da questo si salvava nel suddetto libro colla necessità di
fare tal ressignazione, per esserli tal Prioria più di danno che d'utile ; incolpando di ciò la
poca attenzione che ebbe il già Cardinale Panfili, suo zio, poiché poco attese alla manu-
tenzione degli effetti di detta Prioria, pretendendo che Sua Santità dovesse costringere li
Sigri Principi Panfili, suoi cugini, eredi dello zio, a risarcire tutti li danni, etc. E questa sua
l^retensione fu causa che detti Panfdi fortemente si sdegnassero seco; come anche che Sua San-
tità levasse certa pensione, che v'aveva posto, di scudi 2000 romani, e questo il Papa non volle
farlo, considerando che v,<.\ dignità era capacissima di tal aggravio. Il secondo era circa la
sua assenza dalla cu: ia, città e .Stato Romano, senza la debita licenza del Sommo Pontefice ;
sopra di che esso pretendeva schermirsi coU'inferire certi viglietti di confidenza passati tra
esso e la .Segreteria di Stato e coU'Em'"*' Corsini, nepote di Sua Santità; il che fortemente
sdegnò la Corte Romana e principalmente i Ministri di Stato. 11 terzo poi, che fu anche il
meno plausibile etiam appresso i suoi bene affetti, perchè era il più debole da sostenersi e
facile a ribattersi, era la taccia che gli era data di prodigo e dissipatore delle proprie sostanze,
come era pubblicato per tale in quella Corte e città. E qui sì che v'era del curioso, poiché
pretendeva di ripararsi col manifestare alle stampe d'avere dissipato scudi romani t 15.000;
e questi gli aveva impiegali non si sa in che cosa. Questi erano luoghi di Monti, censi an-
tichissimi colle principali case di Roma, due feudi cospicui, cioè Padula Beneventana ed il
67
424 GIOVANNI SFORZA
Maestà credè alle sincere relazioni dell' Ecc™" Conte Stampa; e ciò seguì nel
ricevere una quanto lunga, altrettanto tediosa scrittura, fatta dal Sig'' avvo-
cato conte Pietro Guerra, colla sottoscrizione, per quello che asserirono, di
ventiquattro avvocati romani, mal informati delle leggi imperiali e affatto
ignoranti della pratica di quelli aug^usti tribunali.
'Pai scrittura fu da Sua Maestà consegnata al primo degli avvocati fiscali
del S. K. Impero, e dal medesimo diligentemeniò ricon(jsciuta, ne ricavò due
soli dubbi in ordine alla vana pretensione dell'investitura che teneva Sua
Eminenza, volendo fossero escluse le nipoti ex f mire per essere femine; quasi
che si fosse scordato che la rinunzia del feudo e fedecommesso fatta da lui
in favore del già Sig'' Duca Alderano, non fosse seguita a favore delli figli
legittimi e naturali del Sig'" Duca maschi, e in difetto di ([uesti, ancora delle
figlie femine; e di tal rinunzia n'era ancora fatta menzione nella stessa in-
vestitura del prodetto Sig'' Duca, e perciò fu facilissimo al Sig' Presidente
Giuseppe Ambrogio Brunetti, procuratore delle pupillo suddette, rispondere
a' detti dubbi; qual dotta risposta fu sommamente stimata in quelli augusti
tribunali. Laonde, poco dopo, n'uscì decreto favorevole in tutto alla Duches-
sina ed esclusivo in tutto al Sig"" Cardinale dalla sua pretensione; e di più
detto decreto liberava la Camera Ser'"" dall'appannaggio da detto porporato
preteso di 400 scudi romani annui, come si disse, da lui voluti. E così, come
si suol dire, il tordo restò preso a quel vischio che s'ora fabbricato, ed il
cane di Esopo, per correre presso l'ombra della carne, che teneva in bocca,
perde questa ancora. Ricevè dunque Sua Eminenza per risposta dall' Impe-
ratore una lettera assai risentita, ed in poche righe che gli scrisse lo trattò
Ducato di Ferentino ; e pretendeva scusare la sua dissipazione col lappresenlaie che era stato
coortato dalla necessità di mantenersi da I'rincif)e suo pari alla Corte Romana, e che ciò non
ostante aveva rimpiazzati detti feudi e fedeconimessi colla compra della sua villa e casino di
Castel (iandollo. Tal scarico poco li giovava, essendo che era chiaro e manifesto che sebbene
era semplice [)relalo, aveva tante rendite proprie e della Chiesa, che erano \>\i\ che suftì-
cienti a mantenerlo da suo pari ; e che poscia, fatto cardinale, aveva tanto clie li bastava ;
e non li sarel^be stato necessario indebitarsi, tjuando ebbe il capi)ello, se fosse stato un poco
più economo nel tempo che era prelato; onde, se gli erano diminuite l'entrate, la colpa era
tutta sua: né doveva alienare i feudi ed altri capitali commessi alla di lui fede, e cosi non
si sarebbe trovato nella necessità allegata. .Appena si divulgò il detto manifesto, delle cui
copie si riempi li Stati di Massa e di Carrara, si sentì un biasimo tpiasi universale, pel mo-
tivo che molto gli avrebbe pregiudicato appresso il Sommo Pontelìce ed al Sacro Collegio,
parlando con tro|)pa libertà e divulgandolo in stampa, come veramente successe. Imperocché
fu letto detto libro alla presenza di Sua Santità e molto s'attristò osservando in tpiello una
satira contro di lui e delli suoi intimi ministri ed ancora congiunti. Il Santo Padre adunque
nell'ascoltarlo, dopo avere alquanto taciuto e mandati alcuni sospiri dall'intimo del cuore,
prorruppe in (piesta voce : Oh qiiesH sono sacerdoti ! Oh qii sti sono cardinii/i nostri fiafrìli I
Dal che fu dedotto il disgusto che n'ebbe Sua Santità e il biasimo che ne ricavò dagli astanti
e il discredito appresso tutti quelli che l'hanno saimto. .Ap|)ena si divulgava il libro, che da
una dotta penna si tesseva la risposta, con una idea ben curiosa, ed era una invettiva contro
l'autore del suddetto libro, per avere in quello pubblicato molte cose sconvenienti al .Sig*^" Car-
dinale Cybo e di pochissimo suo credito; ed avvertiva l'autore del suddetto manifesto fatto
a favore di Sua Fminenza, a stare celato, acciò egli non potesse essere conosciuto dal detto
porporato, essendo che meriterebbe una giusta persecuzione fino alle ceneri, come propalatore
di cose tropjio pregiudiziali alla reputazione e somma spacciata integrità del medesimo fino
a tacciarlo ci'ignorante e di somma imprudenza. Una di queste lisposte \\\ inviata al sud-
detto Signore, per il che grandemente s'attristò, e principalmente per esservi non so che di
danno alla sua nobiltà : e non si rinveniva autore accreditato che asserisse il contrario. Questo
dimcpif fu il vantaggio che riportò dal suo famoso libro, oltre al discredito che s'acqui.stò
nella Corte di Roma ».
68
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 425
da debole ed anco con epiteti più piccanti, e trattò il di lui avvocato conte
(xuerra da ignoraiìte. La spedizione di questa risposta di S. M. al Sig'^ Car-
dinale fu trattenuta per alcuni giorni, per dar tempo al corriere del vSig.
Conte Stampa giungesse in Massa prima che Sua Eminenza avesse nelle mani
detta risposta.
Ritornato il corriere a Massa circa li 27 maggio, portò le suddette ri-
sposte firmate da S. M. Cesarea e quelle del Ser"'" Sig"" Principe Eugenio
di Savoia, con pienissima soddisfazione, poiché erano, come si disse, di tutta
stima ed il vSig"" Principe la trattava col titolo d'Altezza Serenissima. Pari-
mente il Sig'' Principe rispose al Sig"" Auditore Luciani una cortesissima lettera,
nella quale si protestava obbligato al medesimo, riconoscendolo per causa prin-
cipale della riuscita di questo trattato, e gli dava il titolo d'Illustrissimo; qual
lettera il medesimo comunicò alla Ser™" Padrona ed al Sig"" Conte Stampa, dal
quale l'aveva ricevuta, e ad alcuni suoi parziali amici, quali sommamente go-
derono della buona grazia che s'era acquistato appresso S. M. Cesarea e
Ser"'" Principe Eugenio. Il contento della Ser*"'' fu indicibile, siccome ancora
de' suoi fedelissimi sudditi, né più temè li rimproveri ingiuriosi e le mi-
nacele a credenza di chi doveva con tutta giustizia e prudenza condescen-
dere ad un accasamento, che portava tanto vantaggio alla sua Casa, ed egli
medesimo ne averebbe ancora goduto, conforme asserì il Sig"" Conte Stampa;
ma la sua ostinazione gli fece perdere la buona grazia dell'Imperatore e di
tutta l'Augustissima Casa; siccome nell'anno scorso gli aveva fatto perdere
il buon credito appresso Sua Santità e appresso a quasi tutto il Sacro Col-
legio. Forse però un giorno, col riflettere alle sue disgrazie, si pentirà,
benché tardi, de' suoi capricci. Con tutto ciò, i poco ben affetti alla Sig'"'' Du-
chessa ed a' suoi Ministri e principalmente al Sig'^ Auditore Luciani disse-
minavano per la città molte ciance, ed in particolare dicevano che Sua Emi-
nenza ritornava ben presto a Massa. Da qualche plebeo era creduto ciò; ma
ben presto ancor questi mutarono sentimento, poiché svanì la concepita
speranza al comparire che fece in Massa il suo Ferdinando, che venne nel
proprio carrozzino cardinalizio, accompagnato da un lacchè di Sua Eminenza,
con alcune commissioni, che qui sotto leggeremo.
Frattanto il Sig"^ Conte Stampa, avendo terminata la sua commissione,
si preparava al ritorno. Non si può esprimere quanta tristezza portasse alli
fedelissimi sudditi la partenza d'un tal personaggio; ed in vero questo
Ecc™" Generale possiede qualità adorabili, è affabile con tutti, di sommo ri-
spetto alla Ser"'* Signora, riverente agli ecclesiastici, devotissimo nelle chiese,
grande elemosiniere dei poveri, e per concludere in poche parole, degno pro-
nipote del grande arcivescovo di Milano, il glorioso porporato S. Carlo Bor-
romeo. Ancor esso si partiva addolorato, sommamente dispiacendoli il la-
sciare questa città ed in particolare la Ser'"" Signora, che lo riconosceva
come loro stretto congiunto, non mancando esso Signore di dimostrarle ogni
stima ed affetto. Il suo ministero però non gli permetteva il farvi più
lunga dimora. Finalmente la mattina delli 11 giugno parti da Massa, accom-
pagnato fino all'imbarco, che fece alla spiaggia di Massa, da molti gentiluo-
mini ed altri cittadini di Massa; ed al palazzo della Ser*"* v'era una gran
moltitudine di popolo, tanto d ecclesiastici, quanto secolari; con più singhiozzi,
ég
54 — Mise, S. III. T. XIII.
426 GIOVANNI SFORZA
che con parole, facevano i loro complimenti, ed esso a tutti corrispondeva
con gran tenerezza, e per strada, se incontrava qualche persona civile, s'al-
zava sino dal cocchio, per renderli il saluto. E per concluderla, ha legato il
cuore di tutti, né mai si scorderanno delle di lui ottime qualità. S'imbarccS
sopra una feluca, incaminandosi verso (renova, per poscia di lì andare a
Milano. Per mare patì un poco di burrasca la sera degli ii, verso Portofino;
ma alla fine giunse felicemente in (ienova l;i mattina ilei Carpiis Doiihiìi,
12 giugno.
In detta mattina la nostra Ser'"'' Padrona xolse intervenire alla solenne pr(ì-
cessione del vSS'"^ Corpus Doìniìii, con somma edificazione di tutto lo Stato e
dei forestieri che erano venuti a detta sacra funzione. Ella porta\a in una
delle mani un grosso cero acceso e nell'altra la sua corona, nr mai alzava
gli occhi, né vagava in alcuna parte, ma stette sempre fìssa verso il Sacra-
mento; intervenne similmente ai divini offici per tutta l'ottava, e non partiva
dalla tribuna se non data la benedizione del Venerabile dal (Hlebrante. Pa-
rimente nella sera dell'ottava intervenne alla processione ed osservò ristesse
come fece la mattina della sopradetta solennità. Il paese aveva occasione di
rallegrarsi dell'intervento della suddetta Ser'"", poiché si conosceva che ella
voleva in tutto e per tutto osservare ]<ì stilo do' Princìpi della famiglia Cyb»),
quali erano ossequiosissimi al SS'"*' Sacramento ; anzi in occasione che si fece
altra processione per impetrare da Nostro Signore la grazia di preservare gli
animali dello Stato dal morbo, che pur troppo assaliva quelle povere bestie, ed
era indirizzata alla B, Vergine della Misericordia, ove. in concorso infinito
di popolo, anch'olla v'intervenne, ed ancora vi andò con somma divozione,
sempre recitando il SS'"" Rosario. Oh se avessi da narrare le pie devcjzionì
di questa Signora, certamente vi vorrebbe un gran volume; a noi basta
d' avere dato qualche piccolo saggio acciò che ì posteri la possano sempre
benedire, e riconoscere lì loro x'antag'gi dalla dì lei somma integrità e bontà.
Non per anco Ferdinando Pasqualini, inviato con commissioni dal Sig""
Cardinale, s'era partito da ^Tassa; e troppo defrauderei il lettore se non nar-
rassi il fine per cui il medesimo era venuto, (^ fu di ihiedere e ottenere
dalla Padrona Ser"'* segreta udienza e consegnarlo una lettera credenzìaU'
dì Sua Eminenza, nella quale s'esprimeva che esso Signore non pensava più
di ritornare a ÌNIassa, e perciò aveva mandato il suo scalco Sig' Ferdinando
])er raccogliere le sue robbe che sì ritrovavano in palazzo e ricondurle a
Roma. Il commissionato, che forse aspettava sentirsi dire dalla Signora che
sentiva molto dispiacere dalla risoluzione di vSua Eminenza, come del sommo
pregiudizio alla Casa, o altro simile complimento, restò qual statua «piando
con brevi parole sentissi rispondere che servisse pure al Sig^ Cardinale con
diligenza, ed occorrendoli qualche cosa per sollecitare la spedizione si facesse
intendere, poiché ella avrebbe ordinato che in tutto fosse incontrato il genio
del Sig"' suo cognato. Appena ch'ebbe sentita la laconica risposta, l'igno-
rante incivile incominciò con impertinenza a dare il sacco all'appartamento,
col levar via sino i chiodi dalle muraglie e guastare questo per levare certe
mostre de' credenzoni, fatte di legnami di pioppo, e commettere molte altre
azioni, adeguate ad un suo pari, assistito del braccio del proprio padrone.
Fra tanto la Sig'" Duchessa penetrò che questo soggetto aveva ordine dal
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO Di SAVOIA 427
porporato di ripigliare quelli pochi argenti, che egli aveva concesso per uso
tlella cognata e nipoti, in peso di libbre trentasei incirca; e per ciò, fattolo
chiamare gli disse: Che commissione tenete in ordine agli argenti, che si ri-
trovano appresso al mio Maestro di casa, concessimi dal Sig' Cardinale? A
cui francamente rispose che apptmto aveva portato seco l'ordine di Sua
Eminenza di riceverli dal Maestro di casa, a cui ancora averebbe consegnato
il recapito che aveva seco portato, contenente la ricevuta de' detti argenti.
E ciò sentitosi da S. A. Ser'"'', di subito questa ordinò che puntualmente fos-
sero consegnati allo stesso. Questa pessima azione non solo fu biasimata
dalli sudditi fedeli di S. A. Ser""', ma ancora dalli stessi ben affetti al por-
porato; tanto più perchè sapevasi da tutti che la Sig" Duchessa avevagli clo-
nato due bellissimi quadri de' suoi propri di Xovellara, stimati cinquanta
doppie per ciascheduno ; e si poteva dire che superassero il prezzo delle
miserabili argenterie di cui aveva conceduto 1' uso alle dette Signore.
Le Sig'"'' Principesse monache (i) con molte altre di quelle religiose festeg-
giavano di quella Isella \endetta, perchè supponevano che questo spoglio
d'argenterie dovesse atterrire la cognata e coortarla d'umiliarsi al Sig' Car-
dinale, e forse anche, per non perdere la sua assistenza, a mancar di parola
a S. M. Cesarea e Cattolica ed al Ser™" Principe Eugenio. Ma quanto s'inganna
il sesso fragile! Imperciocché già S. A. era provveduta dell' argenteria della
madre, morta sino li 18 marzo prossimo passato, di triplicato peso a quella
che ritolse Sua Eminenza. Inoltre dovevano le buone religiose riflettere che
forse verrà il tempo che converrà al Sig' Cardinale dar conto della terza
parte dell'argenteria, che ritenne, del già Sig' Cardinale Alderano e di Mon-
signor Patriarca Odoardo (2), lasciata in fi decommesso al Principe succes-
(r) Carlo 11 Cybo, oltre Alberico III, il cardinale Camillo e Alderano, ebbe anche
cinque figliuole, delle (juali .Maria Maddalena Brigida visse dal 13 novembre 1677 al 19 luglio
del 1678. Le altre furono: Fulvia Maria Teresa, nata il 26 settembre 1675; Olimpia, nata
rs ottobre 1676; Fulvia Maria Maddalena, nata l'S giugno 1679 e Maria Maddalena Ric-
ciarda, nata il 15 febbraio 16S3, che si fecero monache nel monastero di S. Chiara di Massa,
pigliando i nomi di Teresa Camilla, di Fulvia Caterina, di Teresa Maddalena e di Teresa
Vittoria. Il padre così le ricorda nel testamento : « Lascio, per ragion di legato, alle quattro
mie carissime figlie monache iu S. Chiara di Massa, oltre all'assegnamento che tengono,
fattoli da me, altri scudi quaranta moneta di Massa per ciascheduna, da pagarseli dal mio
erede annualmente in due rate, una a Natale e l'altra a Pascpia di Resurrezione; e nel caso
morisse una o più di esse, intendo e voglio che l'entrata delli detti quaranta scudi, che
teneva o tenevano, resti a benefizio e da repartirsi egualmente tra (pielle che sopravviveranno,
e lo stesso debba seguire fino all'ultima di loro, la quale dovrà avere tutta l'entrata, come se
appunto fosse erede delle sorelle premorte; e doppo la morte di tutte quattro le suddette
mie figlie, voglio che cessi intieramente detta annua prestazione ».
Fulvia Caterina morì nel maggio del 1735. « Detta .Signora » (scrive il Rocca) « fu una
dama di ottimi costumi, pia, prudente, caritativa e di gran talento, e sopra il tutto molto
affezionata al monastero suo, avendone sempre procurato ogni vantaggio: e per utile maggiore
del medesimo softerì l'incomodo di servire al medesimo in qualità di camerlenga, ofìicio di
grandissimo disturbo; e pure li riusci mirabilmente, col soddisfare a tutte le religiose ed
avere compassione alli poveri debitori dello stesso monastero. Ebbe pensiero di intraprendere
una fabbrica molto necessaria al monastero stesso, di spesa gravissima: e già aveva prepa-
rati molti materiali, ma fu prevenuta dalla morte e lasciò la gloria alle sorelle che effettuassero
quello che essa aveva ideato ».
(2) Odoardo, fratello del cardinale Alderano Cybo, venne al mondo il 6 decembre del 1619.
Né anche a lui mancarono le cariche e gli onori, es.sendo stato arcivescovo di .Seleucia, nunzio
apostolico presso la Repubblica Elvetica, segretario della congregazione de Propai^anda Fide
e patriarca di Costantinopoli.
428 GIOVANNI SFORZA
sore nel Ducato di Massa e Principato di Carrara, oltre ad una gran parte
che levò dalla guardarobba ducale sino dall'anno 1716 e seco la portò a
Roma; né puole liberarlo una certa quietanza, estorta dall' inavvedutezza del
già Sig*" Duca Alderano, imperocché questa non poteva giovare al Si gr Car-
dinale se non vivente lui, né poteva pregiudicare a' suoi legittimi successori
nel Ducato. Siccome ancora gli averebbero fatto inghiottire amari bocconi per
avere alienati li feudi di Padula Beneventana e del Ducato di Ferentino nello
Stato Ecclesiastico (i), per non avere osservato le condizioni prescrittegli
da' supremi patroni, cioè di rinvestire in tanti luoghi di Monti il ritratto di
detti feudi, cioè che detti luoghi rendessero al regnante tanta entrata quanta
ricavava da' medesimi. E pure tutto il contante ricavato fu dissipato con
somma prodigalità in spese ca])riccioi>e e di niente vantaggio, non avendo
dato al fratello Duca, allora vivente, né pure un soldo; e per ciò di questo
non tiene alcuna quietanza dal medesimo; onde per questa tenacità lo soleva
intitolare: Mio fratello è un gran ciine, come più volte s'espresse colle so-
relle monache e alcuni altri confidenti; né investiti in sodisfare creditori dello
stesso, come gli aveva significato, quando li ricercò il consenso di fare dette
alienazioni. Di più, alienò molti fidecommessi, consistenti in luoghi di Monti
di Roma e capitali di censi grossissimi con famiglie principali di detta città;
né tampoco di questi ne aveva speso anche in minima parte in beneficio
della Casa, ma tutti distrutti in frascherie, come si deduce chiaramente dalla
di lui confessione, espressa nel suo manifesto, asserendo ascendere la somma
di dette vendite a 1 15.000 scudi, moneta romana; che non lo doveva già ma-
nifestare in detta scrittura per proprio decoro; mentre di ([ualsic.si altro suo
pari si recherebbe somma confusione che si pubblicasse tal precipizio; mag-
giore assai di quello aveva fatto il Duca fratello; poiché quello era solo, con
ricca entrata de' beni camerali e d'altre entrate ecclesiastiche, e questo era
in famiglia e teneva molta servitù, più che da suo pari; e sostituito in luogo
de' feudi venduti e de' fidecommessi, se non la miserabile villa di Castel
(Landolfo, che dando pochissimo introito, fa sopportare al medesimo spese
intollerabili. Questa è quella villa di piccolo recinto, per adornare la quale
fece levare le bellissime statue di marmo ed altri vaghissimi lavori della
stessa materia dalla villa di Sopra la Rocca e dalla Rinchiostra; e se non
era il presidio alemanno, che guarda il Palazzo, aveva tentato levare nel
proprio Palazzo Ducale le statue, per trasportarle a questa sua gran villa;
e ciò seguì verso l'anno 17 19. E pure, anche alla giornata, le più cospicue
non sono in opera, e solo vi sono fra le siepi di lauro le figure più triviali,
a segno che è chiamata la villa de' puppattoli comunemente da tutti.
Frattanto Ferdinando era continuamente regalato dalle Sig"^*" Principesse
monache; ma però erano gratificate da lui, mandandoli tutte le robe man-
ti) Il feudo di Ferentino, vicino a Terni, nell'Umbria, fu comprato da Francesco Cybo,
e n'ebbe l'investitura da Leone X il 17 deceinbre 1517. Eretto in ducato da papa Pio \
il 23 luglio 1619, fu venduto dal cardinale Camillo Cybo alla famiglia Benedetti nel 1729, per
la somma di 16500 scudi romani. 11 feudo di Padula Beneventana fu comprato da Alberico 1
nel 1609. Glielo vendette Cornelia Spinelli Contessa di Martorano, per la somma di 52,000
ducati; e per ugual somma fu ceduto dal cardinale Camillo a Baldassare Coscia.
IL PRINCIPE EUGENIO EKANCESCO DI SAVOIA 429
e;"iative ed altri utensili che aveva risoluto non portare a Roma, Del resto,
vendè anche molti utensili di poco rilievo ; altri ne donò a gente plebea, di-
pendente da lui, ovvero dalle Sig''** Alonache. Xel tempo che questo superbo
ignorante si trattenne in Massa in eseguire questa bella commissione, non si
vergognò di biasimare la città e soprattutto detrarre de' Ministri ed in specie
del Sig'' Auditore Luciani e degli altri più confidenti della Ser"^* Padrona.
Ma le sue maldicenze non ebbero niente di credito, anzi non fu guardato in
cera da alcun galantuomo, a riserva del Sig. Cav. (Giovanni Ceccopieri. già
Maestro di Camera del Sig'" Cardinale, e dal Sig^ D. (rio. Battista Giorgieri,
poiché questo fu lasciato suo agente dal Sig"^ Cardinale qui in Massa in or-
dine a somministrare il bisognevole a' servitori ivi lasciati ed ogni mese
pagarli il salario; benché si diceva che sino allora non per anco era stato
rimborsato d'alcun denaro, e che sperasse dal ritratto delle robbe vendute
dovere ricuperare il suo avere. Anzi, che detto Ferdinando si fece inten-
dere ne' luoghi vicini che averebbe venduto la feluca di Sua Eminenza, che
teneva in marina nel convento de' PP. Serviti, e ciò per fare denari. Xon
si seppe poi se veramente il (xiorgieri ottenesse cosa alcuna, non com-
piendo al medesimo palesarlo, per suo meglio.
73
430 GIOVANNI SFORZA
CAPITOLO li.
\'ienc- un Inviato di S. M. di Sardei^na. — Fa tlonianda della Duchessina per il Sig' Prin-
cipe Eugenio, e con che ordini. Gran rispetto di detto Inviato. — Accoglimenti vicen-
devoli. — Comparsa, delle tre Principesse. — Cerimonie colla novella sposa. — L'Inviato
fa alcune visite. — E esortato andare alle Monache, e sua risposta. — Replica dell'av-
viso, e sua risoluzione. — \'a dal Luciani, e suoi colloqui. — Non piace a S. A. la com-
parsa del cav. Ceccopieri. — L'Inviato visita il Colonnello. — Va alle Monache, e ciò
che segue. — La sera ritorna dalla .Ser'"". — Va a Carrara e molto vi gode. — .Si licenzia
dalla Ser'"'". — Ritorna a Torino. - Lascia grosse mancie, siccome aveva fatto il Gene-
rale Stampa. — Venne ancora altro personaggio per inchinare S. A. — Ottime qualità
del Ser"'" sposo per ricchezze, nobiltà e virtù. Gran contento della .Sig'" Duchessa e
de' sudditi di Massa.
Dalla parte di (jenova giunse all'Osteria «Iella Posta, la nìattina delli
25 giugno, l'Ili."'" Sig.' Cav. Briandani (i), scudiere principale di S. M. di
Sardegna, inviato a questa .Ser."'" .Signora dalla suddetta ÌVIaestà, per fare la
pubblica domanda alla detta .Signora della .Ser.'"* Sig.'" Donna Maria Teresa
in sposa del prenominato .Ser."'" Principe Eugenio PVancesco di .Savoia e
(onte di .Soissons. Questo Inviato era accompagnato da un solo cameriere
e da uno staffiere, li ricevimento del detto personaggio segui nella seguente
torma: arrivato questo Signore all'Osteria, immediatamente, per parte di
(iiuseppe (."eli, Maestro della Posta, spedì al Sig.' Auditore Luciani un vi-
glietto sigillato, da consegnarlo in propria mano. Detto viglietto conteneva
la partecipazione del suo arrivo all'Osteria e che là desiderava i suoi ordini.
Il Sig.' Auditore suddetto, colto all'improvviso, avvertì detto Celi che dicesse
al Sig.' Cavaliere inviato, che essendo ancora a dormire il Sig.' Luciani
aveva lasciato il viglietto al servitore, il quale subitamente era andato per
svegliare il medesimo. 11 Sig.' Luciani si servi di questo poco di tempo per
avvisare la Sig."^" Duchessa della venuta suddetta, acciò potesse prepararsi
a fare il ricevimento del dett<ì Sig.' Inviato. Poscia il Sig.' Auditore si portò
in carrozza all'Osteria, accompagnato dal suo solo servitore, per fare il primo
abboccamento col suddetto Inviato. Furono inesplicabili le cortesie che usò
il Sig"^ C^avaliere sopradetto verso il Sig.' Conte Luciani, gli significò il motivo
(i) Non Briandani , come erroneamente scrive il Rocca, ma Biandtìt.
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAV'ilA 431
per cui era venuto e pregollo volersi ingerire appresso la Ser.'"" Sig" Duchessa
di farlo ammettere alla di lei udienza; e poscia, dopo molti altri compli-
menti, il Luciani si licenziò per andare dalla Ser"'" Padrona, ed il Cavaliere,
in tutte le forme, benché il Luciani ostasse, volse accompagnarlo sino terminate
le scale di detta Osteria. Ritornò dunque il .Sig.' Auditore Luciani in Palazzo,
ed espose quel tanto che gli era stato espresso dal suddetto Inviato alla Pa-
drona; onde, preparata che fu la medesima, comandò che andassero a le\arl(»
dall'Osteria con due carrozze. Nella prima v'era il vSig' Auditore Luciani, il
vSig' Cav. (xiovanni Ceccopieri, che solo compariva vestito di colore, e il Sig'
(rio. P>attista Manetti, in qualità di gentiluomini; e l'altra carrozza era vuota,
figurante la carrozza del primo Ministro, (jli accoglimenti furono cordialissimi,
tanto dell'Inviato verso li suddetti .Signori, quanto di questi ver.so di quello; e
così entrarono in carrozza e vennero al Palazzo I])ucale. Alla porta di (juesto
erano schierate le truppe tedesche, e riceverono l'ambasciatore suddetto a
tamburo battente. Inoltre vi concorse un numerosissimo corteggio di persone
cospicue della città, e moltissimo numero di cittadini, che vennero in piazza
per vedere questo personaggio. Salì le scale ed ivi trovò la Compagnia
de'Rossi armata, in guardia delle Ser""' .Signore; poscia entrò nell'antica-
mera, che era ancora ripiena di gentiluomini, vestiti a lutto, che stavano
come di corteggio alla propria Padrona. Lì fu incontrato dalla .Ser'"" e da
essa fu condotto alla camera dell'udienza. Si può dire che riuscissero ine-
splicabili le cerimonie quali passarono tra S. Altezza e detto Caxaliere, con
contento reciproco. Fra tanto comparvero la .Ser"'^ Duchessa Maria Teresa
e l'Ecc™*" due sorelle, accompagnate dalla Sig" Teresa Beggio. prima dama
d'onore. Queste tre dame parevano tre angioli, tanto erano di bell'aspetto e
così ben accomodate, quantunque vestite a lutto. Il Cavaliere fece loro rive-
renza e dimostrò stupore d'avere ritrovato la Ser"" primogenita piìi grande
di quello aveva supposto. Fece con questa il suo distinto complimento, e
dalla medesima fugli risposto con gran proprietà ed assennatezza, col ren-
dere grazie alla Maestà del Re di Sardegna, e ringraziando col più vivo
del cuore il Ser""* Sig' Principe Eugenio, suo futuro sposo, dell'obbliganti
maniere che le erano state espresse dal detto Cavaliere ; quale parimente
molto ringraziava si ancora per il molto incomodo sofferto da lui per di lei
sommo contento. Complimentò di poi coli' altre du<^ Principessine, le (]uali
gli corrisposero a meraviglia, riguardo alla loro puerile età. Dopo l'udienza,
che fu alquanto lunga, si licenziò il Cavaliere suddetto, e dalli due gentil-
uomini assegnati fu condotto al destinato appartamento. A tavola fu assi-
stito dal Manetti, il quale intese dallo stesso qualmente voleva andare a
riverire il Sig"^ Conte Luciani primo Ministro di S. A., avendone precisa
incumbenza da Sua Maestà di Sardegna, e ancora a passare simile officio
col Sig.' Colonnello Cesareo. Il Manetti. con prudenza, fece sapere tal reso-
luzione alli suddetti, acciò non fossero colti all'improvviso. Fu ancora avvi-
sato dallo stesso che sarebbe stato bene fosse andato dalle Sig" Monache;
ma questo Signore gli rispose che non teneva tal incombenza e che solo
doveva eseguire gli ordini precisi di .S. M. di .Sardegna. Ma replicatogli di
nuovo dal Manetti. con pregare detto Signore a fare qualche parte con
dette Religiose, per prendere, come si suo] dir»-, la lepre col carro, alla
75
432 GIOVAKNI SFORZA
fine condiscese d'andarvi come cavaliere privato e spogliato del carattere
di rappresentante di S. Maestà. In circa le ore 20, contro l'aspettativa delli
detti gentiluotnini, che supponevano la prima visita dovesse essere alle
Principesse monache, fu incaminato alla casa del Sig'' Conte Luciani, primo
Ministro, ed ivi si trattenne quasi mezz'ora in discorsi di molta confidenza,
asserendo al Luciani la molta stima che facevano di lui S. ]\I. di Sardegna
ed il Ser"'" Sig' Principe Eugenio, e che questi Signori se gli protestavano
tenuti per la attenzione che aveva avuta in far riuscire con tanto applauso
quello che tanto era desiderato da' predetti Signori. Finita la visita, nel
licenziarsi, non voleva permettere al Luciani d'essere accompagnato sino a"
debiti luoghi, e vi fece resistenza. Ma ciò non ostante, per soddisfare alle
proprie obbligazioni, lo volse accompagnare sino alla carrozza, né moversi
di li sino che il Sig'' Inviato non fosse partito. Non molto piacque alla Pa-
drona Ser""' la comparsa che fece il Sig' ("a\'. (iio. Ceccopieri alla Corte,
stante il grave lutto per la morte troppo fresca del Ser'"° Sig' Duca Alde-
rano, imperocché nella mattina era \estito di colore, senza alcun segno di
lutto, e nella giornata poi si vesti di drappo di seta nera, dichiarandosi
(per quello si disse che non era servitore attuale di Corte e perciò non gli
convenixa il lutto.
Do|)o la visita al Sig' Luciani andò dal Sig" Colonnello XeufFetel e
<|uivi con esso si trattenne per qualche tempo in discorsi famigliari. .Sbri-
gatosi da quella, si- portò alle Monache, le quali l'accolsero con freddezza
e vi passarono ])ochissimi complimenti, anzi si disse che gli usassero delle
improprietà. Ma esso, con prudenza, le sopportò alla meglio. Di poi. ritor-
nato dal monasterio, entrò di nuovo in carrozza e passeggiò sino al Borgo
del Ponte, e di là se ne ritornò al Palazzo, e così compì la giornata. Nella
sera fu trattenuto da alcuni signori di Massa, che li tennero conversazione
di gioco nel suo appartamento; dopo andò dalla Ser"" Padrona e Ser"""
Hglie, colle quali ebbe discorsi molto famigliari, quali dettero occasione al
detto Inviato di sempre più ammirare lo sj:)irito elevato e squisito talento
di queste Dame, affermando con tutta l'ingenuità di non aver mai conver-
sato con Principesse si ammirabili per la loro prudenza e saviezza. La
mattina seguente si portò ad ascoltare la messa a S. Francesco e lodò la
bella fabbrica della medesima, facendo stima singolare de' belli altari e altri
addobbi che l'adornano. Ancora visitò il duomo e molto lo lodò e princi-
[)almente per il comodo delle tribune de' .Ser"'' Principi. Il dopo pranzo^
colla solita sua compagnia, andò a Carrara, ove ebbe gran soddisfa-
zione e priìicipal niente nel vedere i virtuosi lavori di marmo che vi si scol-
piscoiio in tante officine. Lodò molto la costruzione di quella città, e la
st(\ssa sera, incirca l'ore ventiquattro, fece ritorno a Massa. Subitamente
andò dalla Ser"'" Padrona e Ser"'* figlie ed in ispecie fece un bellissimo col-
loquio colla Ser"" Sposa e confermò parimente essere impossibile, per modo
di dire, ritrovarsi dame nel mondo così compite. Poscia si licenziò, alle-
gando non potersi più trattenere, essendone di ciò espresso comando da
Sua Maestà; e dopo avere reso vivissime grazie alla suddetta Ser""* di tanti
onori compartitigli, estremamente lodando le due belle città di Massa e
Carrara e tutto lo Stato o moltitudine di (lersone civili che le riempiono»
IL PRIXCIPE EUCtEXIO FRANCESCO DI SAVOIA 433
protestandosi che di tutto voleva minutamente ragguagliare S. M. ed il
Ser'"" sposo, e principalmente l'ammirabili qualità della sposa, e di tutt'altro
che ebbe la sorte di godere in questa congiuntura, si partì dalle medesime
Signore, che raccompagnarono sino alla porta delle loro anticamere, e di li
ritornò a' suoi appartamenti. La seguente mattina, 27 giugno, circa l'ore 9
sali in carrozza di .S. A., accompagnato fino ;i11h fortezza di Lavenza dal
Sig' Auditore Luciani e dalli due suddetti gentiluomini Ceccopieri e Ma-
netti; sceso lì di carrozza, entrato in calesse, pure della Ser""*, con due altri
di seguito, proseguì il suo viaggio verso Lerici, ove s'imbarcò. Pertanto
questi Stati restarono sommamente consolati per li preludi fortunati che
godono di restare una \olta sollevati da tante miserie, mediante questo
matrimonio, che si spera seguirà con tanto vantaggio.
Tanto il Sig' Generale Stampa, quanto il suddetto Cavaliere, propor-
zionatamente, lasciarono grosse mancie alla Cavallerizza, (juardia e Sala.
Quelle poi del Sig' Generale furono maggiori, perchè questo non solo gra-
tificò li suddetti, ma inoltre il suo gentiluomo Sig' Conte Staffetta, il Sig*
Iacopo Antonio Luciani, assegnatoli per paggio, il Padre Tirati, il Maestro
di Casa ed il Credenziere Leonardo Pellegrini.
Venne ancora li 20 giugno il Sig'' Principe d'Haraach, figlio del Viceré
di Napoli, il quale essendo in Genova, di ritorno dalla Corsica, prima di
proseguire verso la Germania, volse venire a Massa col solo motivo d'in-
chinare queste Ser'"*" Principesse, essendo questo parente della Ser"'" Signora.
Fatto pertanto il suo complimento, tenendosi del tutto incognito, volse ri-
tornare a Genova, senza apportare un minimo incomodo alla C'asa Ser'"*.
Tutti questi gran personaggi hanno encomiato la nostra vSer"'" Padrona e
fatto elogi al Ser'"" sposo, rappresentandolo d'ottima indole, ottimi costumi
ed accompagnati da somma virti^i, tanto scientifica, che morale, di bellissimo
aspetto ancora, asserendo (-on tutta la loro ingenuità che è il più bel Prin-
cipe d'Europa, grandemente amato da S. M. il Re di Sardegna, il quale si
fa gloria che quello sia suo stretto parente. Inoltre è 1' unica delizia del
Sigi- Principe Eugenio seniore, suo prozio, riguardandolo qua! unica gemma
della sua nobilissima famiglia. Siccome ancora è inesplicabile la sviscera-
tezza d'amore che li porta la di lui vSer"'" genitrice e l'Ecc'"' sua ava ma-
terna, ricchissima di beni di fortuna e della nobilissima casa di Liechestein,
e da questa conseguirà una ricchissima eredità. Inoltre possiede beni ere-
ditari della sua Ser'"-' casa paterna, essendo unico erede, con una sola zia
paterna, d'età d'anni cinquantanove, che v'uol dire non gli recherà aggravio
nel costituirgli la dote (i). Ha ancora un proprio reggimento, del quale è co-
lonnello, composto di sedici compagnie militari, chiamato Reggimento di
Savoia. Resta che S. i). M. benedica questi incaminamenti acciò la nostra
Ser""" Sig'-' Duchessa e figlie, dopo tanti traxagli, possano godere una vita
(!) Due furono le zie paterne del Principe Eugenio Francesco: Anna Vittoria, nata a
Parigi r II settembre 1684, che era solita vivere a Chambéry. Sposò nel 1738 F"ederiro Duca
di Sassonia-Hildbourgausen ; fece testamento il 13 decemhre 1757, lasciando erede il Duca
del Ciablese ; morì a Torino l'ii ottobre 1763. E Teresa, nata il io decembre 1686.
77
55 — Mise. S. HI, T. Xm.
4,M Gir» VANNI SFORZA
piemi (li contento, conio da tutti è desiderato. K se sua Eni* non ha \ oluto
aderire, ci i)cnsi (i).
(i) L'ab. Ippolito Palchetti frattanto, « con iinprudcn/a. divulgava per Massa la prossima
venuta » del Cardinale (così il Rocca); « forse fondato sulle nuove precorse che S. M. di
Sardes;:na si fosse messo mezzano per agjji listare Sua Em-' e farlo ancii'esso concorrere agli
stabiliti sponsali. Kd infatti vi fu (jualche trattato, ma li mezzani (.lell'aggiustamento poco
poterono ottenere dal detto Sig' Cardinale ; imperocché, secondo quello si diceva, si con-
dusse secondo moltissime istanze a condiscendere di sottoscrivere i suddetti sponsali, ma
(x>n tutte le repliche che furono fatte da' trattati, mai volle dar parola di sottoscrivere li
capitoli, e perciò (inaili si protestarono clie mai più volevano intricarsi in persuadere il me-
desimo ad alcuno aggiustamento ».
78
IL PRINCIPE ErGEXin FRAXCESrr» DI SAVOIA 435
CAPITOLO III,
X'iene in Massa il Sig' Conte di Sanift;. — Perchè. — Preparamenti per la venuta del Prin-
cipe. — S'avvicina la venuta del Principe. — Giunge in Genova. .Suo trattamento in
detta città. — Sua pa.ssione per il mare cattivo. — X'iene il .Sig' Marchese d'Este. —
.>ue qualità. — Giunge il Principe in Golfo. — Il Benedetti lo presenta di bellissimo
rinfresco. Primo incontro al Principe. — Parte la Ser"'=* per incontrare S. A. — Com-
plimenti. — Salutati dalla Fortezza collo sbaro. — Giunge in Mas.sa il Principe, e con
qual seguito. — Modo in cui sedevano a mensa. — Suo gentil trattamento. - Preziosi
regali alla sposa, alla Duchessa e alle altre tìglie. — .Suoi divertimenti. — .Sua amore-
volezza nel ricevere li complimenti de' sudditi. — \'a alle Monache, e cerimoniale ivi
usato. — Fa molta stima del Conte Luciani. — Qualità del suo Aio. — Riceve il Capi-
tolo. - Si fa scrittura degli sponsali. — Incontra in tutto il genio della Duchessa.
Va a Carrara. — Sua generosità. — Ritorna con sollecitudine in Massa. — Bella pro-
cessione. — Sfarzo della Compagnia di .S. Sebastiano. — Sodisfazione del Principe.
.Suoi donativi. — .Sollecita la partenza, e perchè. — Ritorna alle Monache. - Parole pic-
canti ivi successe. — Le .Monache deluse nella loro aspettativa. — Parte il Principe e
porta seco l'affetto di tutti. — he galere di Sardegna alle nostre spiaggie, e perchè. —
.Sue promesse. — Bontà delia Signora. — Il Sig' Principe a Lerici. — Donativi che gli
fanno il Benedetti e il Marchese Olandini.
Li 17 .settembre giunse in Ma.ssa il Sig^ Conte di Sani, con un cameriere,
inviato dal Ser"*" Principe Eugenio Francesco, sposo della Ser'"" Duchessina,
e portò il felice avviso della venuta di S. A. .Ser""*. Frattanto qui si tanno
molti preparativi per ricevere il detto Principe colla maggior pompa solenne
che sia possibile, ed ih specie la Ser^^** Padrona impiega tutta la sua atten-
zione in far addobbare i di lui appartamenti, ed infatti gli riesce accomodarli
con speciosità, siccome ha, per grazia del .Signore, tutta la sua argenteria
che li occorre, e di bellissimo e vago lavoro ; anco si preparano le chiese
principali coll'adornarle in modo cospicuo, così le strade e le piazze della
città. Il detto Principe ha scritto in data delli 14 settembre una compitissima
lettera alla suddetta Duchessa ed una compitissima risposta al Sig"^ Conte
Luciani, riconoscendolo per primo Ministro. Le suddette lettere alla Ser'"" Pa-
drona dirette contenevano qualmente il Ser""' Principe in breve sarebbe stato
in persona a tributare alla medesima i suoi filiali ossequi. Laonde, avvici-
nandosi la metà di settembre, in cui l'aria aveva mitigato i suoi calori, tempo
nel quale detto Principe doveva partirsi d'Italia per andare a Vienna ad
inchinare S. M. Ce.sarea e ratificare la sua filiale osservanza all'amatissimo
e suo stimatissimo zio .Ser'"" Principe Eugenio ed alla sua carissima genitrice
(1) Correggi qui e più sotto: Semi.
79
436 , GIOVANNI SFORZA
e da questi ricevere quelle orate accoglienze ed abbracciamenti, che meritano
le di lui ottime qualità; con somma prudenza pensò di prepararsi la vSer""»
Sig'* Duchessa per il ricevimento d'un personaggio così degno, al meglio gli
fosse stato possibile, acciò il detto Ser"'" Principe potesse conoscere la somma
stima che ne teneva, ed acciò il medesimo concepisse affetto non solo alla
sposa ed a tutta la Ser'"'' Casa, ma ancora alli Stati, e ne facesse stima.
.Avendo essa, come si disse, fatto addobbare il Ducale Palazzo, ordinò al
canonico Rocca i) del Capitolo del Duomo, che si prendesse la cura di fare
addobbare l'istesso Duomo delle suppellettili più solenni che si ritrovano in
detta chiesa ed esprimere la di lei intenzione agli altri amministratori delle
chiese della città e distretto. Parimente studiava apparecchiare i divertimenti
che gli erano possibili e tutto mostrasse la gran stima che faceva del pre-
detto Principe. Si supponeva che detto Ser""' Principe sarebbesi partito dalla
Corte Reale di Torino cnrca li 15 settembre, ed infatti alla comparsa del
Sig"" Conte di Sani, come si disse, s'accertò che la partenza era imminente
del suddetto personaggio.
La sera dunque delli 18 settembre suddetto S. A, giunse in (ienova.
Ma perchè S. ]\I. il Re di Sardegna aveva determinato che da Genova ve-
nisse detto Principe a queste spiaggie sopra lo di lui galere, quindi successe
che per essere assai turbato il mare le medesime non erano peranche giunte
da Villafranca, e non giunsero, per verità, se non li 22 suddetto. In questo
mezzo ebbe campo S. A. di trattenersi in Genova, prendendo l'alloggio nel-
l'Albergo Reale, detto di S. Marta, non volendo accettare altro alloggio da
alcun cavaliefe, quantunque la principal nobiltà gareggiasse in offerirlo. Si
compiacque però di portarsi in casa del nuovo parente Sig"^ Marchese di
Torriglia, figlio del Principe Doria, e li ricevè il complimento di due cavalieri
nobili del Portico vecchio, deputati dal Ser"'" Governo, ed in oltre ricevè la
visita di molti altri cavalieri e dame principali di detta città, quali gareggia-
vano in divertirlo con festini ed altri nobili trattenimenti, de' quali ne ven-
nero distinti ragguagli ne' pubblici avvisi, in riconoscenza del merito singo-
lare di S. A. La seguente mattina delli 2t, si sarebbe partito da Genova, ma
il mare si turbò e perciò convenne al suddetto trattenersi in detta città al-
cuni giorni, contro la sua volontà, poiché il suo genio era d'esser presto a
Massa; ma il mare, ritornando al cattivo, gì' impedì l'intento. Frattanto in
Massa si stava dalla Ser'"" Padrona e da' suoi fedelissimi sudditi con
grand'ansietà aspettando che il mare si tranquillasse, per potere personal-
mente godere il loro amatissimo vSovrano, che da tutti era rappresentato per
degnissimo Principe e meritevole della benevolenza universale. Li 25 set-
tembre, per maggior contento della Sig'" Duchessa, giunse in Massa il
Sig"" Marchese Lanzo d'Este, suo degnissimo zio materno (2), e questo farà
più spiccare la stima del personaggio che viene, ed ancora recherà gran
(r.) In questo punto il manoscritto è corroso.
(2) Carlo Filiberto d'Este. Marchese di Lanzo, Dronero, Borgomanero e Ghemnie. Sposò
Teresa del conte Valeriane Sfondrati, e morì il 30 aprile del 1752. Era tìglio di Sigismondo
e di Teresa Grimaldi de' Principi di Monaco; tolse per moglie Margherita di Sav'oia. figlia
naturale di Carlo Emanuele I, che gli portò in dote il .Marche.sato di Dronero.
80
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 437
sollievo alla medesima Signora in tal congiuntura. Questo Sig"^ Marchese
è affezionatissimo alla nepote ed alle Ser""^ figlie della suddetta, ed in oltre
porta amore a questi Stati, onde possiamo sperare che il tutto sia per riuscire
di somma contentezza alla Ser""^ e d'intiera soddisfazione a questi fedelissimi
sudditi, che sperano pure una volta, dopo tante calamità, godere il bel se-
reno della prosperità.
Finalmente li 2 ottobre, circa l'ore 20, spuntarono le due desiderate ga-
lere dalla punta del monte, per incaminarsi verso questi lidi; ma li capitani
delle stesse, osservando che il mare non era in perfetta calma e che forse
avrebbe potuto apportare qualche inquietudine al Ser™" Principe, fu per tanto
stimato bene che le galere tornassero indietro nel Golfo e prendessero terra
a Larici, per posare S. A. con la sua nobile comitiva e venire a Massa per
terra. Di già la Ser"'* Padrona aveva alcuni giorni prima mandato il suo cor-
riere a Lerici acciò, subito giunto il personaggio tanto desiderato, ne portasse
l'avviso accertato, come puntualmente eseguì, e giunse ad un'ora di notte
del detto giorno, assicurando che sarebbe venuto per terra al di seguente
con alcuni personaggi di seguito. Il detto Principe, dopo che salì sulle ga-
lere, non volle piìi scendere, eziandio quando da Portofino ritornò a (lenova
per non aver potuto proseguire il viaggio a causa del mare tempestoso, né
tampoco quando tornò la seconda volta in detto Portolano, quantunque vi
si trattenesse quasi giorni quattro; così in Lerici, quantunque il Signor An-
giolo Benedetti usasse tutti i modi per riceverlo nel proprio palazzo ed ivi
servirlo. Ma esso lo ringraziò e solo si compiacque ricevere un ben degno
rinfresco. Saputasi pertanto accertata notizia della venuta del Principe Ser"""
colla precisa circostanza che sarebbe giunto in Massa circa le ore 16, fu
perciò comandato dalla Ser'"" Padrona che s'approntasse il tutto non solo
per l'incontro, ma anche per quello potesse occorrere in simile congiuntura.
Laonde, circa le ore 1 1 del venerdì 3 ottobre, partì una delle carrozze con
due gentiluomini, che furono il Sig"" Cav. Camillo Ceccopieri, destinato Maestro
di camera, ed il Cav. Paolo Augustini, assegnato per Scalco a S. A.; e an-
darono al confine dello Stato ad ivi attendere il detto vSer™" e farli il primo
complimento per parte della Ser'"" Padrona. V'andò ancora, in forma privata,
il Sig. Conte Bernardo Luciani, col suo figlio maggiore, e tutti aspettarono
la suddetta venuta, che seguì in breve, giungendo in un vago carrozzino,
di cui l'aveva servito il predetto Sig' Benedetti. I suddetti cavalieri espres-
sero la loro commissione con bella maniera e supplicarono il Principe a de-
gnarsi scendere dal carrozzino e servirsi della carrozza inviatagli dalla
vSig'^* Duchessa. Detto Sig""^ dopo avere con bel garbo fatta qualche resistenza,
s'arrese ed entrò nella suddetta carrozza. Xel passaggio, fu salutato dalla
Fortezza di Lavenza; e questo fu il segno che doveva partire la Ser'"^
Sig'"'' Duchessa, accompagnata dall'Eco"'" Sig' Marchese Lanzo, colla Com-
pagnia delle Corazze di Massa, dal Sig"^ Colonnello Conte Cappello (i) e suo-
(i) Racconta il Rocca che il Cardinale mentre stava a Massa, « per rendersi amorevole »
la Duchessa, sua cognata, « applicò l'animo ad illustrare il Sig"" Conte Sebastiano Cappello,
nobil mantovano, il quale essendo stato Maestro di camera degli Kcc"" Sii;'' Conti Camillo
e Filippo di Xovellara. padre e fratello rispettivo della Ser'"" Sig'-' e dal secondo di questi
81
438 GIOVANNI SFORZA
aiutante e da' Sig"''' g-entiluomini di Corte in altra carrozza. Si incarnino pertanto
in bellissima carrozza la predetta Sig""^ col suddetto seguito verso il Frigido
per incontrare il Ser'"" Principe, ed incontratolo, furono inesplicabili l'acco-
glienze e complimenti che ivi vicendevolmente seguirono. J.a Ser'"" prese
nella propria carrozza il Ser'"" Principe e lo collocò alla di lei sinistra ed in
faccia loro stava il prefato Sig' Marchese Lanzo. Il Sig' Marchese di Cavador,
aio e governatore del detto Sig' Principe (i), volle salire nel calesse del
vSig*^ Luciani e venire a Massa col medesimo; dopo seguivano le carrozze
de' gentiluomini, e nel carrozzino del Principe, che era venuto in compagnia
del suo aio, salì il figlio del suddetto Sig. Conte Luciani. Giunti alla chiesa
della SS, Vergine della Misericordia, la Fortezza di Massa incominciò a sa-
lutare col cannone e continuò lo sbaro finché furono giunti in piazza di
A[ercurio, e sempre passavano in mezzo al popolo affollato, che non cessava
di far rimbombare l'aria di voci di giubilo; e per verità queste voci furono
un presagio delle contentezze (-he avrebbero godute i sudditi di (|uesti Stati
nella v^enuta del suddetto Ser"'", come diffusamente discorreremo.
Intanto il Ser"'" Principe Eugenio di Savoia, la .Ser'"" Sig' Duchessa di
Massa ed il Sig' Marchese Lanzo entrarono in Palazzo, nel mezzo degli ap-
plausi delle voci giubilanti de' sudditi fedelissimi di Classa, e dalla Padrona
fu condotto al proprio suo appartamento; quivi si replicarono i complimenti;
o fra questo mentre scesero nella camera dell'udienza le tre Ser""" figlie, tutte
vestite di ricco drappo, e principalmente risplendeva fra queste la Ser"'»
Donna Maria Teresa, destinata sposa al Ser'"" Principe. Questo ne restò al
sommo sodisfatto e molto li piacque la novella sposa, né cessava d'encomiare,
la medesima e per la vaghezza della fanciulla e per il suo spirito commen-
dabile, a segno che egli non cessava di riguardarla, molto compiacendosi
dell'istessa. Fatti dunque li complimenti, il Principe Ser'"" si licenziò, per in-
camminarsi alli propri appartamenti; la Ser'"" Padrona lo voleva accompa-
gnare, ma non lo volle permettere, anzi non permesse d'esservi accompa-
gnato tamp(ìco dal Sig"" Marchese Lanzo. E con tutta libertà v'andò solo,
seguito da' suoi gentiluomini, ed i\i si trattenne sino all'ora di pranzo. Ed
allora ritornò all'appartamento della Padrona Serenissima, ove sederono a
mensa nella forma seguente: stava nel lato destro della medesima la Ser'""
Padrona e dal lato sinistro il Ser"'" Principe vicino alla medesima, in faccia
a questo sedeva il Sig' Marchese Lanzo e di rimpetto alla Ser'"" madre la
Ser'"" Donna Maria Teresa Duchessina e ne' due lati della tavola vi stavano
raccomandato alla iiiedesiiiia ed al irià Sii;' Duca Aldeiano, cognato, da detta Sig'" era con-
siderato con distinzione e l)en trattato nel proprio palazzo. E per dire il vero questo è persona
di buona pasta e piuttosto di dolce temperamento. Ma s'avverta che con tutto ciò, né il già
Ser'"" Sig' Duca, ne essa Sig'" avevano mai avanzato quello a posto che gli conferisse giu-
risdizione sopra altri. E la .Sig"^" Duchessa dopo la morte del marito l'aveva dichiarato Capo-
caccia in luogo del Sig"' Scipione Gio. Domenici e Cavallerizzo maggiore in luogo del Sig' Conte
Gio. Ceccopieri, che era qualche tempo che aveva rassegnato tal carica. Frattanto Sua
Km" per gratificarsi l'animo della .Signora elesse il suddetto Conte per Colonnello di tutte
le milizie dello Stato e gli conferì maggiore autorità di quella avesse avuto qualunque suo
predecessore ».
(i) Giambattista l'alletti Marchese di Cavatorf. non di Cavador, come erroneamente scrive
il Rocca.
^2
IL PRIXCIPH EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 439
la Eoe"'" Sig''-' Donna ^Marianna fra il Principe ed il Marchese e l'Ecc^"" Donna
Ilaria Camilla fra la madre e la Duchessina. Krano reciprochi li complimenti
di stima che passavano fra questi nobilissimi personaggi, e principalmente
il Principe dimostrava un sommo rispetto \erso la .Ser'"» Duchessa ed un
sommo affetto verso la sua dilettissima sposa, l-'inì il banchetto, e perchè
il Principe, come si disse, dal suo primo imbarco sopra le galere ed in tutta
la di lui permanenza fatta ivi non aveva riposato con tutto il suo comodo,
perciò fu esortato dalla Ser"'" a prendersi quella libertà che avrebbe usato
nel proprio palazzo e andare a riposare, conforme esegui, riposando sino
all'ore iz. Appena levato, si portò agli appartamenti della .Sig'" Duchessa
ed ivi trattenendosi in discorsi famigliari con detta Sig"*, colla sposa e colle
sorelle, comparvero li suntuosi e ricchissimi regali che seco aveva portati
per presentarli alla destinata sposa. Questi consistevano principalmente in
uno sfarzosissimo finimento di gioie prezios(\ cioè un vezzo con una prezio-
sissima croce, due orecchini, manigli, orologi d'oro a ripetizione, tempestati
di gemme, oltre diverse scatole, parimente d'oro, ed altri nobilissimi abbiglia-
menti; il valore del qual donativo dicono ascendere a doppie 7000. Inoltre
presentò alla Ser"''* Padrona una nobilissima chincaglieria di diversi assorti-
menti di robbe, di sommo valore e stima; ed estremamente ne restò conso-
lata, riflettendo alla cordialità del Principe ed all'attenzione singolare del Re
di vSardegna, poiché li donativi erano in sé stessi preziosi per il materiale,
ma distintissimi per il lavoro, stante l'ottimo intendimento di chi l'aveva
fatti lavorare, perchè l'istesso Re di Sardegna era stato il provveditore di
si nobili galanterie. Dopo tal presentazione si trattenne detto Principe fino
all'ora di cena in giuocare colli suoi cavalieri, poscia cenò nell'istessa torma
come la mattina aveva pranzato. E terminata la cena, preso commiato dalla
Sig''' Duchessa, si ritirò ne' suoi appartamenti, ove si messe a riposo.
La mattina seguente, 4 ottobre, senti dal Sig' Cav. Ceccopieri, suo
Maestro di camera, che il Capitolo del Duomo, la Reggenza e li deputati
del PubbHco volevano essere ad inchinarlo. Ed egli molto volentieri condi-
scese alla retta brama de' suddetti, onde si ])reparò per riceverli. Il Maestro
di camera avrebbe voluto che il Capitolo fosse il primo, ma ciò non si potè
effettuare, stante che l'avviso, che sarebbe stato ammesso, fu improvviso, né li
signori capitolari si trovavano radunati. E perciò la Reggenza fu la prima
ch'ebbe la sorte d'inchinarlo. A questa fece ben distinta accoglienza di stima
ed in specie al Sig"^ Conte Luciani ; dipoi ammesse molti altri gentiluomini
e ministri di Corte, verso i quali dimostrò gran gradimento. Dopo andò dalla
Ser""» Padrona e poscia partendosi di lì andò alle Monache ed in quella chiesa
udì la messa del P. Tirati (13) e non volle inginocchiarsi sopra lo strato prepa-
rato, ma sul gradino dell'altare. Sentita la messa, si fermò ad ascoltare un
mottetto musicale, cantato da una religiosa; di poi si portò al parlatorio, ove
!i;,) Il padre Leopoldu l'irati, Maestro dell'Ordine Agostiniano, era nativo di Firenze.
Visse e mori a Massa al sarvizio de' Cybo. Per testimonianza d'un contemporaneo, « turon
piacevoli a udirsi i suoi canti improvvisi, ne' quali era fluido, abbondante e castigato. Si
dilettò del canto e di sonar la spinetta. Faceto nelle conversazioni, n'era il condimento ed il
sale ». Cfr. Luciani y. (i. Xolizic de' letterati di Massa, Modena, Xamias, 1895, p. 26.
«3
440 GIOVANNI SFORZA
complimentò colle monache Principesse, trattenendovisi quasi un quarto d'ora;
alla fine ritornò in Palazzo, ed entrato nel Teatro v'ebbe molta sodisfazione;
così ancora nel Grottesco e nella Libreria. E frattanto, essendo l'ora di pranzo,
sali agli appartamenti della Ser""" e secondo il solito si posero a mensa. Il
Sìg^ Marchese Cavador volle trattenere a seco pranzare il Sig"^ Conte Lu-
ciani in compagnia del Sig'' Cav. Briandani e del Sig"^ Conte Sani. Il dopo
pranzo, andato S. A. a' suoi appartamenti, alquanto riposò e circa le 22 ore
fece aprire la camera dell'udienza, ed essendo in anticamera il Sig' Abate
e Sig" Canonici per inchinarlo, furono subito ammessi (essendo preceduto
l'avviso del paggio a S. A. ed infatti ricevè il Capitolo con gran cortesia
ed affabilità, protestandosi d'esser tenuto al loro ufficio e poscia si racco-
mandò alle loro preghiere, coll'averli fatto alcune interrogazioni circa cose
spettanti al servizio divino, gli licenziò con amorevolezza, di nuovo racco-
mandandosi alle loro orazioni. Usciti dall' udienza, furono accompagnati dal
Sig'" Cav, Ceccopieri sino in cima alle scale. Dopo, ammesse all'udienza due
Consoli, deputati dal Pubblico, e furono il Sig' Conte (ìio. Ceccopieri ed il
Sig' Scipione Belatti per tal complimento, e dopo senti ancora altri signori
di Corte. Dipoi ritornò alle Ser*"® Signore ed ivi si trattenne colle medesime
in discorsi molto famigliari, essendovi sempre presenti li Sig*^' Marchese
Lanzo e ^Marchese Cavador, oltre altri gentiluomini e cavalieri. E, S. A.
dalla tribuna volle vedere il duomo, quale molto lodò e specialmente l'altare
maggiore, osservandone la bella architettura; e fra tanto si radunò l'accademia
musicale d'istromenti, che molto piacque a S. A., stimando m.olto i professori
ed in particolare il -Sig'" Tirati.
In questa sera ancora seguì la reciproca scrittura di sponsali tra S. A.
Ser'"*' e Sig'» Duchessina, alla presenza della Sig"^* Duchessa madre, del
Sig'^ Marchese Lanzo e della Reggenza Ducale, come anche del Sig"^ ]Mar-
chese Cavador e degli altri due cavalieri di servizio del Principe Ser"'" e
d'alcuni altri signori di confidenza. Di detta scrittura ne furono fatte tre copie,
e tutte firmate da ambi li Ser"*' sposi, e ciascheduno di loro ne ritennero
una, e la terza doveva essere consegnata a vS. M. di Sardegna. Frattanto
venne l'ora di cena; cenarono alla mensa, secondo il solito, e poscia anda-
rono a riposare nelli propri appartamenti.
Il vSer"'" Principe aveva stabilito d'andare il giorno seguente a Carrara
il dopo pranzo, e la Sig""* Duchessa aveva motivato al medesimo che il giorno
seguente in Massa era solita farsi una bella processione, alla quale concor-
reva una gran parte del popolo dello Stato ed esso forse ne avrebbe portato
sodisfazione, se si fosse degnato vederla. Altro non vi volse! La seguente
mattina di domenica, ascoltata la messa, anticipò il pranzo circa ore due, e
dopo immediatamente parti da Massa col Sig"" Marchese Lanzo e suoi cava-
lieri di seguito, oltre il Sig"" Cav. Ceccopieri, suo Maestro di camera, prote-
standosi che assolutamente sarebbe tornato in ora opportuna per vedere la
suddetta processione, e che avvertissero a ritardare la solita ora. che era
circa le 22 e mezza. Giunto pertanto a Carrara, i\'i fu accolto da' carraresi
con quelli ossequii che ben erano dovuti al suo grado. Scese al Palazzo du-
cale e di lì si portò ad alcune botteghe di scultori, sempre passando per
mezzo al popolo, che stava affollato per le strade ovunque passava. Onorò,
84
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 44 1
tra l'altre, la bottega del S'ig" Conte (ìiovanni Baratta, cognito a lui sino in
Torino (i). Questo fu molto distinto nell'accoglimento, e così S. A. usò col
Sig' Conte Maggiore Luciani; dopo entrò nel Duomo, ove appena vi si fermò
per brevissimo tempo, e dopo andò al fiume ed ivi si trattenne a vedere ti-
rare alli pesci, e di questo molto si compiacque. Il suddetto Conte Gio. Ba-
ratta regalò S. A. d'una bella vitella, di vino, capponi, rosolii e spiriti e squi-
siti tabacchi. Jl Principe assolutamente non voleva accettarli, ma avvisato
dal suo Maestro di camera, alla fine, persuadendosi delle ragioni di questi,
gli accettò. È vero però che subitamente fu chiamato l'Agente della Ser"»^
in Carrara, detto Jori, al quale consegnò il tutto, incaricandolo che lo in-
viasse alla Ser"'" Padrona il giorno seguente, come eseguì. Diede ancora
l)reve udienza ad alcuni di quelli Signori, che bramarono questa con-solazione,
ammettendone più in una volta. Dubitava frattanto di non essere in tempo
alla suddetta processione e spesse volte guardava l'orologio, alla fine partì,
e passando da Pavenza fu salutato dalla Fortezza, (jiunsc in Massa circa le
ore 21 e mezzo, v, immantinente si portò dalla Sig'" Duchessa; quivi si trat-
tenne sino alle ore 22 e mezzo, in cui principiò la detta processione, nella
quale erano numerosissime le cinque Confraternite, di maniera che la Com-
pagnia di S. Rocco per la maggior parte era rientrata in chiesa prima che
uscisse il palco colla statua della SS"'* Vergine, sovra cui stava il baldac-
chino di tela d'argento sovra alte aste, il tutto portato da' fratelli principali
della Compagnia di S. Sebastiano, quali ancora accompagnavano detto palco
con 50 torcie, tutte de' detti confratelli, a riserva di 6 provvedute dalla Com-
pagnia del Rosario. Parimente v'erano le quattro Religioni (2) ed un nu-
merosissimo clero ed il Capitolo col Sig"" Abate, vestito di cappa magna epi-
scopale. Era poscia seguita detta processione da moltissimo popolo dell'uno
e l'altro sesso. Il Principe nel passaggio di detta processione stava ad una
finestra col Sig"" Marchese Lanzo e col suo governatore. Durò la medesima quasi
due ore, e sempre vS. A. con volto ridente stette nel detto luogo, mostrando
contento in vedere sì bell'ordinanza ed un'affluenza di popolo sì numeroso
e principalmente perchè camminava con devozione. Terminata la processione,
andò agli appartamenti della Padrona e in quella sera fece un poco di con-
versazione, che assai gustò al Ser""' Principe. Esso di propria sua mano volle
porgere la tazza di rinfresco alle quattro Ser""" Padrone, alla colonnella e sua
tigha, e voleva fare il medesimo al Sig' ISIarchese ed a' suoi gentiluomini
con somma famigliarità, ma questi non volsero. Frattanto si distribuirono i
donativi a' personaggi destinati, cioè alla Sig'" Teresa Beggio, prima dama
d'onore e governatrice della Ser'"^' Duchessina, un orologio d'oro a tutta
(i) A Giovanni baratta, nato a Carrara il 13 maggio del 1670, furono maestri due scul-
tori fiorentini, il Foggini e il .Saldani; studiò p\n a Roma ed ebbe credito e fortuna. Molti
lavori fece per Genova ; ne ha a Livorno, a Firenze, a Pistoia, a Pisa, a Lucca, a Castel-
liorentino e a Torino, dove fu caro a Madama Reale, che lo regalò d' una collana d'oro.
Tornato in patria, apri nella sua casa una scuola gratuita per i giovani che volevano dedi-
carsi all'arte. Alderano I lo insignì del titolo di conte, e fu forse la sola volta, che quel
Principe, che ne fece tanto e così ignobile scialacquo, lo conferisse al merito. .Mancò ai vivi
il 21 maggio del 1747, lasciando gran parte delle proprie sostanze alla nativa città.
(2) Le quattro Religioni erano quelle de' Minori Osservanti di .S. Francesco, degli
Agostiniani, de' Serviti e de" Cappuccini.
85
5O _ Mise, S. IH, T. Xni.
442 GIOVANNI SFORZA
usanza, colla sua catena d'oro e uncino di lastra d'oro per tenerlo securo at-
taccato al fianco ; alla Sig''* (jiuditta Brunetti, altra dama d'onore, un altro
orologio d'oro, ma non così ricco come il suddetto e senza catena e uncino ; alla
dama della vSig"'* Duchessa due fisciù, d'oro l'uno, e l'altro d'argento; alla
Mad" Ceccopieri, damigella della Duchessina, un fisciù d'oro, ed alla Ric-
ciarda un simile d'argento; poi furono consegnati 12 zecchini, da distribuirsi
^dle altre quattro donne di servizio delle suddette Signore. Donò anche S. A.
al Sig' Cav. Ceccopieri, suo Maestro di camera, una bella spada, al Sig'
Cav. Augustini una canna d'India gentile col suo pomo d'oro, al Sig"^ Ma-
netti un vago orologio d'argento ed altro simile al Maestro di casa Gio. Ja-
copo Arrighi, alli Paci una bella scatola per ciascheduno. Finalmente dispensò
al credenziere zecchini n" 8, al bottigliere n° 5, alla sala n" 12, alla caval-
lerizza n" 6, alla cucina n'' 6, alla Fortezza n" h, alla guardia de' Rossi n" 8.
alli tedeschi n" 6 ed al maestro di ballo n* 5. Al padre Tirati cUmìò una bella
scatola di pietra dura, finita d'argento dorato con bellissimo lavoro, dicendosi
che in questa vi fossero 4 luigi. In questa sera cominciarono le cerimonie
della vicina partenza; tali complimenti riuscivano a tutti questi Signori sen-
sibili, avendo ciascuno sommo dispiacere che fosse così imminente la par-
tenza. Ma il Ser'"" Principe ed il suo governatore allegavano motivi tali che
pareva indispensabile il non potersi più trattenere, temendo nel progresso
dell'autunno i tempi potessero impedire il sollecito viaggio che doveva S. A.
intraprendere verso la capitale di Cesare.
Il lunedì mattina pertanto S. A. ritornò alle Monache, cosi esortato dalhi
Sig'-'' Duchessa, ed ivi ascoltata la messa, andò al parlatorio delle Principesse
per parteciparli la di lui partenza. Fu ancora in quest'occasione breve il
complimento ed alloro solito non mancarono motteggiare, come si disse (1)
principalmente la Sig'" Donna Maria Maddalena, la quale gli domandò come
amava la Duchessina ed esso rispose che molto l'amava e per le di lei doli
e per essere la miglior parte di se stesso, essendo questa Sig"^"" destinatagli
in consorte. A cui soggiunse la monaca che molto gli piaceva tal sentimento;
ma però desiderava ancora che non si dimenticasse dell'altre due Principesse
cadette, che anch'esse erano figlie del Sig' Duca defunto. vSentitosi ciò dal
Ser""' Principe, molto ben capita la frase (essendo questo stato sempre il
manto di pietà del Sig"^ Cardinale con cui aveva celato i suoi fini) ributtò
la palla, col soggiungerle che anzi tutta la sua cura sarebbe stata di accasare
le medesime con soggetti che le avrebbero recata maggior fortuna di quella
che aveva incontrata la prima. Questa risposta rese mutola la Monaca e
restò come un ghiaccio, forse non aspettandola tale; né più replicò. Dissesi
ancora che aspettavano un regalo, ma questa volta restarono ingannate nelle
loro speranze.
Ritornato dalle Monache, quasi subito pranzò colla solita nobile comitiva:
e qui seguirono espressioni ingenue vicendevoli ed inenarrabili, e per verità
erano accompagnate da tal tenerezza a segno che movevano le lagrime a'
circostanti. Finalmente avvicinandosi l'ora del partire, il Princi|)c s'alzò dalla
(i) Segue una parola illeggibile, essendo la carta corrosa dall'inchiostro.
8ò
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 443
mensa e quasi s'ing'inocchiò davanti alla Sig'"" Duchessa ed in tutte le forme
volle baciarle la mano, di modo che alla Sor""'' le vennero le lagrime di te-
nerezza; poscia, rivolto all'amatissima sposa, verso di questa fece tenerissime
espressioni d'affetto, e da essa con somma prudenza furono corrisposte; e
con proporzioni passò li suoi offici coll'altre e col Sig*^ Marchese T.anzo. Pa-
rimente fece le sue parti col Conte Luciani, assicurandolo che mai si sarebbe
scordato dell'operato e sollecitudine avuta per lui, ringraziò tutti i genti-
luomini di Corte, ed in fine, circa l'ore 18 e mezzo, li 6 ottobre, tutto festoso
ed al sommo sodisfatto, partì da Massa, incamminandosi verso Lerici, tenendo
nel proprio calesso il Sig' Marchese Lanzo, seguendolo in appresso il suo
governatore, solo nel carrozzino, e dopo gli altri di sua Corte in tre calessi.
Il Sig'" Marchese l'accompagnò sino al Frigido, perchè così volle S. A., nò
vi fu modo che permettesse al detto Marchese Lanzo d'andare avanti un passo.
Onde S. A. entrò nel carrozzino dove era il solo governatore e proseguì il
suo felice viaggio, giungendo a Lerici circa l'ore 21, ed il Sig"^ Marchese
Lanzo col .Sig'" Colonnello Cappello ritornò a Massa.
Non devesi tralasciare qualmente la domenica mattina, circa l'ore 1 1, com-
parvero all'improvviso all'altura competente delle nostre spiaggie le due ga-
lere di S. M. di Sardegna, e giunte a dirittura del Rondano, fecero la salva
reale verso la nostra città, cioè per tre volte spararono li loro cannoni, e
dalla Fortezza di Massa furono risalutate con tutto il cannone. Quanto fu
inaspettata la venuta di dette galere, altrettanto espressero la gran stima
che fa S. M. di Sardegna del nostro Ser"'" Principe, che ben lo merita, non
solo per la stretta parentela che passa tra essi, ma ancora per le di lui ot-
time qualità, commendabili in grado sublime. Onde ci fa sempre più sicuri,
che questi Stati, per l'addietro tanto vessati, debbano sotto un tal Sovrano
godere quelle allegrezze che li renderanno perpetuamente felici, come ne ten-
gono accertata caparra. Mentre l'A. S. s'è protestata che non vole trattenere
il suo ritorno al tempo in cui doveva effettuare il matrimonio, ma anzi ha
assolutamente promesso alla Ser'"* Padrona che nel termino d'anni due vole
di novo essere a godere la pregiatissima grazia di S. A. e non per pochi
giorni, come per necessità urgentissima gli è successo al presente, ma bensì
per qualche mese, molto desiderando d'approfittarsi della lingua italiana in
questa Corte. Queste espressioni quanta consolazione abbiano recato alla Ser'""'
ed alle Ser""" figlie, siccome ancora a tutti li Stati, non si può esprimere.
Il Ser"'" Sig' Principe, giunto a Lerici, addirittura volle salire sopra le
galere, e ringraziò il Benedetti ed il Marchese Olandini dell'invito che li fe-
cero di prevalersi della loro abitazione. .Solo si contentò ricevere alcuni do-
nativi di commestibili, per onorare li medesimi.
«7
444 GIOVANNI SFORZA
IL
Ragguaglio del viaggio intrapreso da Torino per Massa del
Ser.f"° SigJ Principe Francesco Eugenio di Savoia. Conte
di Soissons. destinato sposo della Ser."^^ SigJ^ Maria Teresa
Cybo. Duchessa di Massa e Principessa di Carrara (^l
Il Ser.""^ ^^S-" l^rincipe avanti la sua partenza da Torino, fissata per il
giorno 17 di settembre dell'anno corrente 1732, volle praticare l'obbligante
finezza di far precedere la spedizione del Sig.'" Conte ('erutti, suo gentiluomo,
affinchè presentasse nelle mani di S. A. S. la Sig."* Duchessa vedova Reg-
gente una sua lettera, in cui le dava notizia del giorno preciso destinato al
suo incaminamento per Massa, dove arrivò il suddetto cavaliere verso le
ore 16 del dì 17.
Con le lettere capitate da Genova li 22, si ebbe l'avviso che detto Ser."'"
Sig/ Principe era pervenuto in detta città la sera dei 18, ma per cagione
del mare contrario non aver potuto pigliare imbarco sopra la capitana delle
galere di Sardegna, fatta partire a tal fine da S. M. dal porto di Villafranca,
in conserva di altra galera di quella squadra ; fermandosi perciò in detta
città vS. A. S., sempre servita da due de' principali cavalieri, deputati da
quella Ser.'"" Repubblica; sintantoché, abbonacciatosi il mare, ebbero campo
le due galere di far vela; né permettendo la marea della piaggia di Massa
lo sbarco ivi dell'A. S. Ser.'"" restò questo effettuato nel Porto di Venere
la mattina dei 3 ottobre, sotto la salva triplicata degli otto pezzi d'artiglieria
per ogni volta delle medesime galere, ed avendo ritrovati pronti nel luogo
di Lerice li calessi occorrenti sino al numero di cinque, attese le precauzioni
ordinate da detta Ser.'"" Reggente, la quale per molti giorni prima vi aveva
fatto essere un suo corriere, s'incamminò il Sig.' Principe alla volta di Massa.
Giunto a' confini tra lo Stato di Genova ed il Principato di Carrara,
trovò disposta una compagnia di cinquanta Corazze, con veste e calsoni di
dante, come pure una carrozza a sei cavalli con due Cavalieri di croce,
che li fecero un boi complimento in nomo di dotta Sig.'" Duchessa; e sceso
(i) Si conserva tra le carte de' Cybo nel R. Archivio di Stato in Modena. OtìVe qualche
particolarità sconosciuta al Rocca, o da lui dimenticata.
88
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA
445
di calesse il Sig.' Principe col Sig.' Marchese di Cavattore, suo aio, entrò
in detta carrozza cogli altri due Cavalieri, che seco aveva, cioè il Sig/ Conte
di Riandrà scudiere di S. M. Sarda e il nominato Sig.' Conte Cerutti, essendo
entrati poscia in detto calesse li predetti due cavalieri di Massa, e posta in
mezzo la carrozza da detta guardia delle Corazze , marciò S. A. S. in tal
forma sino alla Fortezza di Lavenza, ricevendo continue acclamazioni di viva
da quelli sudditi, che stavano nelle vicine campagne, o che a bella posta si
erano ivi trasferiti, per ammirare un Principe di sì rara bellezza e prestar
ossequio al di loro futuro Padrone.
Pervenuto a detta Fortezza di T.avenza trovò nella Strada Romana
schierato in bella ordinanza quel presidio Alemanno ed a cavallo il Sig.' Te-
nente Colonnello Xostelfer con gli altri uffiziali dello stesso presidio , dai
quali venne complimentato; e detta Fortezza lo salutò con pezzi ventiquattro
di cannone.
Nell'andare avanti, circa un miglio in distanza da Massa, restò sorpresa
S, A. S. nel trovare ivi la Sig/" Duchessa Reggente, con due carrozze a
sei cavalli e con altra compagnia di sessanta Corazze, vestite come sopra,
le quali servivano di guardia alla medesima Sig."^^ Duchessa, che stava con
S. E. il Sig.'^ Marchese d'Este. di lei zio materno, trasportatosi a bello studio
in detta città sei giorni prima dal suo Stato di S. ^Martino.
A tal vista pose subito piede a terra il Sig.' Principe, facendo il simile
nel tempo stesso il mentovato Sig.' Marchese d'Este, e volando alla car-
rozza della Sig.'-' Duchessa la trattenne dallo scendere in terra, com'era in
atto di eseguire, avendola riverita e complimentata con espressioni rispet-
tose non meno che gentilissime, alle quali corrispose la Sig." Duchessa con
sentimenti di stima e tenerezsa, onde ciascuno degli astanti ebbe luogo di
ravvisare in detto Principe le sommissioni di un vero figlio e nella Sig."
Duchessa l'affetto sincerissimo di vera madre.
Entrati successivamente nella carrozza di essa, tanto il Sig,"^ Principe,
quanto il Sig,"^ Marchese d'Este, s'inoltrarono verso la città , e gionti alla
chiesa di Nostra Signora di Misericordia, nel mezzo delle universali accla-
mazioni de' popoli, diede principio a .salutarlo col suo cannone la Fortezza
di Massa, che prosegui sino al numero di ventiquattro tiri.
Gionti alla città, trovarono di.sposti sulla Piazza avanti al Palazzo Du-
cale cento soldati Alemanni con tamburini battenti e co' i loro ufiziali alla
testa, ed appena entrata la carrozza de' Principi dentro il suddetto Palazzo
fecero le truppe Alemanne una scarica generale de' loro fucili.
Non volle passare il Sig."^ Principe all'appartamento destinatoli, ma bensì
accompagnare la Sig.'' Duchessa al suo quarto, dove poco dopo, fatta da lei
chiamare, comparve la Ser."'-'' Sposa, servita da due dame e da altrettanti
cavalieri di croce, con la quale complimentò il Sig.' Principe Sposo, parte
in lingua italiana e parte in lingua francese ; e tuttoché la medesima Prin-
cipessa si trovi nella tenera età di anni sette e tre mesi, li rispose con tutta
grazia e sensati concetti nell'uno e nell'altro idioma.
Fermatisi per qualche tempo insieme i detti Ser.™' portossi poi il Sig.' Prin-
cipe al di lui appartamento, e venuta l'ora del pranzo, seguì esso nella camera
dell'udienza della Sig.'* Duchessa, stando alla mensa la medesima Sig. '^•' con
89
440 GIOVANNI SFORZA
le sue tre iiglie, il Sig-.' Principe e Sig.' iMarchese d'Este; avendo sempre
continuato in tal modo.
Nel giorno appresso andò il Sig.' Principe, circa le ore 22. nell'apparta-
mento della Sig." Duchessa, dove trovavasi la Ser."'" Sposa, alla quale pre-
sentò con le proprie mani un nobilissimo regalo di gioie, come pure altro
cospicuo regalo alla vSig.'-' Duchessa Madre e all'altre due Principesse cadette,
giusta la seguente descrizione :
Nota delle gioie portole in regalo alla Ser.'"" Sig.'" Maria Teresa Cyf)o. Du-
chessa di Massa, dal Ser.'"" Sig: Priiìcipe Francesco Eugenio di Savoia,
Conte di Soissons, sno sposo:
Diamanti: Grani Luigi d'oro
l'no qual forma il colano '7^8 43"
I detto in mezzo la croce 20 ^/^ 311
5 altri nella croce 57 % 65S
1 nel mezzo alla catenella 5 — 33
2 nella goliera 25 — 231
5 altri, come sopra 65 — 682
6 altri, come sopra 45 V« 53"
2 altri, come sopra '2V>i ^^~
4 altri, come sopra 21 ^/^ 198
2 quali formano li bottoni d'orecchie . . — 793
2 goccie per li suddetti bottoni 49 — 112S
22 piccoli nelli galantini 42 — 113
62 altri piccoli nella goliera 73 — ' iiS
.Sommano in tutto Luigi d'oro . . . 5337
Siegue la nota degli altri regali fatti dall'A. Sua, tanto alla predetta
Ser.'"" Sposa ed alla Ser.'"' Sig.''' Duchessa Madre Reggente, quanto alle
Ser."" due Principesse cadette:
Una mostra d'orologio d'oro a ripetizione , d' Inghilterra , guarnita di
pietre d'agata orientale e briglianti, catena, crocetto assortito.
Uno stuccio, pure d'oro, con catenella, guarnito come sopra.
Tre altri, uno di diaspro, guarnito di diamanti; altro d'oro, a colonne;
et altro d'agata, foderato d'oro.
Tre tabacchiere, cioè due d'oro, guarnite una con diamanti briglianti ;
l'altra fatta alla Persiana; e la terza di moere, incrostata e smaltata, con
fodra d'oro.
Due panier navette cheniglie, uno d'oro et l'altro d'argento , con sue
borse.
Due para forbici d'oro, con stucci fodrati di sagrino.
Una scatola d'oro, per le mosche.
Una fiola, per il salmoniaco, d'oro cesellata.
N° 14 ventagline, cioè una guarnita di briglianti. e lo restanti di diverse
sorti d'assortimenti.
Tre mantiglie, una di velluto negro, ricamata d'oro; altra con reso
d'argento e sua menagera; et altra piccola.
90
IL PRINCIPE EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA 447
Un mantelletto alla Pollonoisa di satino, ricamato d'argento, con reso.
Tre pellegrine, cioè una di garzo broché d' argento ; altra di velluto
ponsò, con un reso ; et altra di broché grande.
Quattro palatine, cioè due con bustiere. braccialetti con fiori , brodate
d'argento, con un esclavage.
Quattro nodi o siano Postilioni d'Amour.
Sei para guanti di satino, brodati d'argento.
dodici para guanti di tela d'Olanda.
Una guarnitura compita di pizzetto d'Allancon.
Tre coveffure con ingagiante, palatine, manizza, scossali, bustiere. brac-
cialetti ; una di satino bianco, con reso d'oro e fiori ricamati : altra di satino
rosso, guarnita d'argento; et altra di satino blu. guarnita pure d'argento.
N° 24 dozzene para di guanti di pelle.
N" 6 guarniture di bindelli brodati.
X" 3Ò aune bindelli d'argento.
Bindelli di seta in molta quantità (i).
Xe' pochi giorni della di lui dimora in Massa ha procurato la Sig." Du-
chessa di farli godere ogni sera il divertimento d'un' accademia di suoni e
musica, gradita estremamente dal Sig.' Principe ; essendovi sempre stato
un copioso rinfresco di frutti gelati, sorbetti e di simili bevande.
Xel giorno 5 andò a Carrara, dove fu accolto da quei sudditi , che a
turbe vi erano concorsi ancora dalle terre e ville di quel Principato , con
applausi infiniti; e circa le ore 22 si resticuì a Massa, per vedere la solenne
processione del SS.'"" Rosario, la di cui festività si celebrava in detta gior-
nata; e tanto nell'andare, quanto nel ritornare fu salutato dalla Fortezza di
Lavenza con dieciotto tiri di cannone per volta.
Premendo poi a S. A. S. di prevenire la caduta delle nevi su gli alti
monti che debbono transitarsi per andare a Vienna, prese congedo la mat-
tina dei 6 dello stante ottobre, e dopo aver pranzato in compagnia come
sopra, s'incamminò alla volta di Lerice ad effetto d'imbarcarsi sopra le me-
desime galere del Re di Sardegna, per passare a Genova e di là a Vienna;
e nel sortire dalla città fu parimente salutato con ventiquattro tiri di can-
none e da numero eguale nell'accostarsi alla Fortezza di Favenza, fin dove
restò accompagnato dal predett(j Sig.' Marchese d'Este e da più gentiluomini
della Corte della Sig." Duchessa.
Prima però di far partenza ordinò il Sig.' Principe li sutto notati regali:
al Cavaliere destinatoli per Maestro di Camera una spada con guardia
d' oro ;
al (rentiluomo di Camera un bast(jne con pomo d'oro e suo nastro,
assai ricco ;
al Coppiere un orologio d'argento ;
alli due Paggi una tabacchiera d'oro per ciascheduno;
(i) Di queste due .\'o(v ce n'è una copia anche nell' Archivio di Stato in .Massa. Cfr.
Archivio dei Duchi di Massa. Matrimoni della Casa Cybo, filza n" 482.
91
4|fi GIOVANNI SFORZA -11. PRlNC^IPi: EUGENIO FRANCESCO DI SAVOIA
alle due Dame della Sot.'"" Sposa un orologio d'oro, con finimenti
eompagni, per cadauna;
alla prima Damigella due Hsciìi riccliissiiìii, che uno ricamato d'oro
e l'altro d'argento;
all'altre due Damigelle un fisciù simile per ognuna ;
alle quattro donne del servi/io più ordinario tre zecchini a testa;
al Cappellancì che li disse la Messa una tabacchiera d'agata , legata
in oro ;
al Maestro di Casa un orologio d'argento;
agli Aiutanti di Camera zecchini dieci ;
al Confetturiere zecchini otto ;
al Credenziere zecchini cinque ;
al Dispensiere zecchini tre ;
alli Staffieri zecchini dodici ;
ai soldati della (luardia di S. A. S. zeccliini sei;
alli soldati dell'altra (Tuardia Tedesca zecchini sei;
alla Cucina zecchini sei ;
alla vScuderia zecchini otto ;
al Corriere zecchini sei.
Deve ancora sapersi che detto Sig/ Princi[)c tu pri'sentato alla Sig.'" Du-
chessa in nome del Re di Sardegna dal riferito Sig.' Conte di Riandrà, suo
Scudiere; <> che la mattina dei 5, verso l'alba, si portarono le due galere
di .Sardegna in faccia a Massa, fermandosi mezzo miglio in distanza dalla
piaggia, e dopo ammainate le vele , fecero una salva triplicata del loro
cannone, di otto colpi per volta ; al qual saluto rispose la Fortezza di Massa
con tiri ventiquattro e quella di i.avenza con tiri dieciotto, avendo nel tempo
stesso la Capitana spiegato il Padiglione Reale.
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INDICE DELLE MATERIE
CONTENUTE NEL VOLUME gUARANTAQUATTRESIMO
TREDICESIMO DELLA TERZA SERIE
Elenco dei membri della Regia Deputazione ........ Pag. v
Mutazioni avvenute nel Corpo della Regia Deputazione ...... xv
Verbale della XCIV-XCV» seduta generale » xvi
Doni offerti alla R. Deputazione ........... xix
DALMASSO (Luiyi). I Piemontesi alla guerra di Candia (1644-1669) Pdi^- i
L.VTTES (Alessandro). Francesco De Aguirre e Scipione Maffei » 73
\T\'AXET (Filippo). La Sardegna negli Archivi e nelle Biblioteche
della Spagna. (Memoria postuma publjlicata con prefazione da
Silvio Lippi) ........... 89
GAGGLA (Giacinto). Commemorazione di M'>ns. Luigi Fé d'Ostiani 117
SAXT'AMBROGK ) (Diego). Origine e notizie diverse intorno al Prio-
rato cluniacense di S. Pietro di Castelletto in provincia di
Vercelli . . » 123
ROSSI (Girolamo). Glossario medioevale ligure (Appendice) . » 133
ALAXXO (Antonio). Leone Fontana (Ricordi), . . . . » 219
CIPOLLA (Carlo). Inventari trascritti da Pergamene Bobbiesi dei se-
coli XIIT-XIV » Z^T,
MAXXO (Antonio). Commemorazione di Ermanno Ferrerò . . > 279
TORELLI (Pietro). I patti della liberazione dell'Arcivescovo Cristiano
di Magonza, arcicancelliere dell'impero, prigione dei marchesi di
Monferrato . • . . . . . . . . » 319
TELIXXCIXI (A.). La translazione delle salme di due Principesse di
Savoia dalla chiesa de' SS. XII .Vpostoli in Roma . . » 345
SFORZA (Giovanni). Il principe Eugenio Francesco di Savoia conto
di Soissons e il suo fidanzamento con Maria Teresa Cybo du-
chessa di Massa .........)- 359
57 — Mise. s. HI, T. xni.
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