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Full text of "Mistici senesi"

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University  of  Toronto 


http://www.archive.org/details/misticisenesiOOmisc 


y  5  ^ 

PIERO  MISCIATTELLI 


MISTICI  SENESI 


SIENA 

TIPOGRAFIA    EDITRICE    S.    BERNARDINO 
1911 


^L^ 


MISTICI  SENESI 


PROPRIETÀ    LETTERARIA 


SOMMARIO 


Ar,LA     MKMOKIA     DI     PlKRo     PlCCOLOMINI. 

('apiiolo        I.   Sena  vetus  ciWtas  Virgiiiis 
Capitolo      11.    Filippo  defili  Agazzari    . 
Capitolo    HI.   Giovanni  Colombini 
Capitolo    ÌV.   Caterina  Benincasa 
Capitolo      \'.    Bernardino  degli  Albizzeschi 
Capitolo     y\.   B.   Ochino  e  l'eresia  in  Siena 
Capitolo   \'I1.    Brandauo  il   Pazzo  di  Cristo 
Indice  delle  Illnstrazioni 
Indice  delle   Persone    .... 


Png. 

IX 

1 
66 
94 
180 
US 
180 
217 
245 
247 


Errata 
Pa^'.  32,   riga  23   —   dai 

210,     »     26    -   Luca  d'Olanda 
'^     250,      «      18   —  » 


Corrige 
dei 
Francisco  de  Hollanda 


i 


Fot.  Lombardi. 
SIENA  (Accad.  di  Belle  Arti) 


Cristo  fra  le  due  Marie. 


Sodoma 


ALLA  MEMOHLI  HI  PIERO  PICCOLOMINI 


Bicordo  un'  ora  crepmcolare  vissuta  ne  la 
grandezza  desolante  del  jìaesac/f/io  cinereo  della 
Val  d'  Orda,  perchè  seppe  riempirmi  V  anima 
di  quel  medesimo  sentimento  lirico  e  religioso  il 
quale  fu  realizzato  nelle  vite  di  molti  mistici 
senesi,  che  già  si  nutrirono  di  codesta  cam- 
pagna. _      .  . 

Era  meco  in  quella  sera  lontana  il  mio  ami- 
co Piero  Piccolomini,  anima  fervida,  ricca  d'idee 
combattute  con  la  violenza  della  sua  balda  gio- 
vinezza, e  che  la  morte  avrebbe  rapito  anzi  tempo. 

Dal  suo  castello  della  Ripa  noi  tornavamo 
in  automobile  dopo  il  tramonto  d'  una  torbida 
giornata  d'autunno  alla  volta  di  Siena,  della 
quale  lungi  apparivano  le  torri  in  un    cielo    d% 

sangue. 

Nella  mattinata  V  amico  mi  aveva  fatto  gu- 
stare dall'organo  d'una  chiesetta  campestre, 
respirante  preghiera,  una  Comunione  appassio- 
nata di  Benedetto  3{arcello.  Su  la  via  del 
ritorno  ci  eravamo  fermati  a  Monteoliveto  i>er 
rivedere  qli  affreschi  del  Sodoma.  Per  tal  guisa 
neir  atmosfera  delle   mie    sensazioni   il    fascino 


IX 


ALLA   MEMORIA 


della  melodia  sacra,  avvolgendo  i  fantasmi  eni- 
gmatici del  pittore  leonardesco,  mi  aveva  disposto 
a  sentire  più  acutamente  le  dissonanze  dell'  ani- 
ma senese  ed  a  comprenderne  le  più  profonde 
armonie. 

Quella  nota  di  sangue  nel  cielo  fosco  rispon- 
deva alla  nota  funerea  della  campagna  tragica 
che  nei  pressi  di  Monteoliveto  sembra  distac- 
carsi con  straordinaria  evidenza  dal  fondo  d'una 
tavola  quattrocentesca  occupata  da  qualche  scena 
di  mistico  dolore;  e  V  eco  piangente  della  mu- 
sica, che  non  m'  abbandonava  tutta  via,  profu- 
mavasi  del  sentimento  nostalgico  e  voluttuoso 
del  Sodoma, 

In  tali  accordi  offerti  dalla  Natura  e    dal- 
l' Arte  alla  mia  sensibilità  commossa,  io  disco- 
privo V  anima  cateriniana  assetata    di    sangue, 
d'estasi,  di  martirio,  cupida  d'  amore  e  di  morte. 
Colui  che  abbia  sentita  nel   «  Cristo  fra  le 
due  Marie  »   (1)  l'  angoscia  amorosa    di  quegli 
occhi  pieni  di  ombra    e    lo    spasimo    che  attra- 
versa   d'  un    brivido   indicibile    quelle    membra 
livide,  ed  abbia  respirato  il  supremo  anelito  del- 
l' Amante  Divino  per  le  labbra   semiaperte    co- 
me una  ferita,  ^mò  meglio  comprendere  la  pas- 
sione della  vergine  Caterina  e  l'  eroismo  perfet- 
to d' ogni  suo  atto  onde  s'accresce  la    dolcezza 
dei  suoi  abbandoni  e  si  chiarifica  il  mistero  di 
gioia  racchiuso  nel  racconto   della   sua    deifica- 
zione: (2)   «   Cristo  una  volta  li  aperse  el  lato 
sinistro  et  li  trasse  fora    il    core    et    se  partì 


(1)  Vedi  illustraz.  n.  1. 

(2)  Uso  questa  parola  secondo    il    senso    attribuitole    dal 
neo-platonico  Dionisio  e  resa  dal  greco  :  £x0itoatg. 


I 


DI    PIERO   PICCOLOMINI 

con  quello,  essa  remanendo  senza  core.  Da  poi 
alquanti  giorni  ritornò  ;  et  reaprì  el  lato  jìre- 
dicto  et  li  piiose  nel  suo  loco  uno  core  rubicondo 
et  tucto  relucente  dicendo  a  lei  :  Figlinola  V  al- 
tro giorno  ti  tolsi  el  tuo  core,  liora  te  restitui- 
sco el  mio.  Et  da  quel  tempo  la  sancta  vergine 
non  potè  più  dire  :  Signore,  io  te  ricomando 
el  core  mio  ;  ma  diceva  :  'Signore,  io  te  rico- 
rnando el  core  tuo.  » 

Bicordo  eh'  io  dissi  al  mio  compia gno  come 
a  signijicare  la  bellezza  di  questo  miracolo  di 
amore  mi  sembrasse  veramente  degna  la  Comu- 
nione del  31  ar cello.  Giacche  la  nmisica,  qiiaiid'  è 
divina,  puh  trascinarci  fino  air  altezza  d' un 
supremo  rapimento  ;  la  musica  la  quale,  come 
bene  scrisse  Dante  nel  Convito,  «  trae  così  gli 
spiriti  umani  che  sono  quasi  principalmente  va- 
pori del  cuore,  sicché  quasi  cessano  da  ogni  ope- 
razione » .  Ed  io  compresi  allora  come  si  tradu- 
cessero in  canti,  su  quelle  medesime  lande  de- 
serte dell'  Arbia  e  deW  Orda,  i  sensi  d'  amor 
divino  dei  poveri  gesuati  quando  percorrendole 
coglievano  i  frutti  delle  loro  fatiche  apostoliche, 
e  come  nel  canto  dovessero  esprimersi  tutte  le 
pene  e  tutte  le  gioie  di  quelle  anime  ardenti. 

Per  gioia  e  pena  ch'io  sento 
piango  e  canto  sospirando, 

confessa  in  una  sua  lauda  il  maggiore  dei  poeti 
gesuati,  il  Bianco  da  Siena.  Ed  in  questi  due 
versi  può  dirsi  rivelata  V  essenza  del  mistico 
romanticismo  senese  fiorito  in  mezzo  agli  odi 
implacabili  delle  fazioni  avverse,  fra  le  glorie 
della  giovine  Bcpubblica,  sotto  V  incubo  orrendo 
delle  2>estilenze  micidiali. 

XI 


ALLA   MEMORIA 

Terra  adatta  alla  cultura  dei  sentimenti 
eroici  è  in  verità  la  Val  d'  Orda,  popolata  di 
castelli  e  priva  affatto  di  lusinghe  naturali. 
Perciò  forse  la  predilesse,  sovra  ogni  altra,  la 
dolce  madonna  Povertà  che  quivi  si  offerse  come 
sposa  a  Francesco  d' Assisi.  È  nota  la  leggenda 
francescana  vivificata  dall'  arte  di  quello  squi- 
sito pittore  senese  che  fu  il  Sassetta  (1). 

Il  Santo  nelV  ultimo  anno  della  sua  vita 
avviavasi  a  piedi  da  Pieti  verso  Siena  quando 
arrivato  un  giorno  sul  tramonto  in  luogo  deserto 
fra  Campiglia  e  S.  Quirico  d'  Orda  gli  appar- 
vero air  improvviso  tre  fanciulle  eh'  erano  la 
Povertà,  la  Castità  e  V  Ubbidienza  :  e  la  pri- 
ma vestiva  di  panno  bigello  ed  avea  i  piedi  scal- 
zi ;  la  seconda  portava  una  tunica  bianca,  e  la 
terza  di  color  rosato  sanguigno.  Il  santo  ravvisò 
subito  la  molto  amata  Povertà  e  volle  inanel- 
larla per  patto  di  fede.  Nel  quadro  del  Sassetta, 
si  veggono  le  tre  Grazie  che  ritornano  in  cielo 
dileguandosi  sopra  V  Amiata,  e  V  Eletta,  che 
nel  dipartirsi  rivolge  il  capo  indietro  verso  Fran- 
cesco con  un  sorriso  d'  addio  pieno  di  gratitu- 
dine. 

Il  teatro  di  questa  scena  idilliaca  di  pace 
fu  spesso  invaso  da  guerrieri  avidi  di  stragi  e 
di  rapine.  S.  Quirico  vide  accampate  sotto  le 
sue  mura  le  genti  del  Barbarossa,  orde  di  avven- 
turieri inglesi,  masnade  di  fuorusciti  fiorentini, 
soldatesche  albanesi,  francesi  e  spagnuole.  Nella 
Yal  d'  Orda  si  disputarono  le  sorti  della  libertà 
soffocata  dairimj^eratore  Carlo  V,  e  Montalcino 
seppe  difendere  eroicamente  V ultima  bandiera  del- 

(1)   Vedi  Illustraz.  n.   2. 

XII 


Matrimonio  di  S.  Francesco  con  la  Povertà. 
(  ollezione  Chalandon  (Chantilly)  SASSETTA 


DI   PIERO    PICCO LOMINl 

la  Repubblica  quando  la  resistenza  era  divennta 
una  follia. 

I  senesi  furono  syblììm  nel  misticismo  patriot- 
tico come  in  quello  religioso,  e  sojìra  tutti  i  se- 
nesi della  Val  d'  Orda.  £ssi  affrontarono  indo- 
miti gli  incendi^  le  rovine,  le  im2)iccagioni  senza 
numero.  Il  più  pAccolo  di  quei  castelli  valse  alle 
truppe  imjyeriali  un  assedio  perchè,  come  riferi- 
scono le  antiche  cronache  «  le  genti  non  cura- 
vano di  essere  uccise^  dicendo  ciascheduno  di 
voler  morire  per  lo  stato  di  Siena  » .  Ji!  fu  al- 
lora che  <  gli  alberi  jìar èva  p)roducessero  uomini 
morti  ». 

Primavere  di  sangue  e  piimavere  d'amore 
conobbe  questa  terra  che  la  primavera  della  na- 
tura giammai  non  rallegra.  Ed  è  forse  questo 
il  privilegio  del  suo  destino. 

II  misticismo  senese  non  è  la  manifestazione 
nevrotica  di  anime  deboli  e  sentimentali,  ma 
fiore  purpureo  del  ^^m  gentil  sangue  italico  ;  lo 
contrassegnano  nei  suoi  eletti  rajypr esentanti  la 
virtù  delle  azioni,  la  genialità  degli  spiriti  che 
l'arte  conterranea  incarnò  spesso  in  forine  me- 
ravigliose. 

Tali  sensi  e  pensieri  animati  dal  soffio  dei 
ricordi  e  dalla  visione  fuggente  dei  luoghi  me- 
morabili, ini  volgevano  la  fantasia  in  quella  sera 
vicino  all'  amico  morituro  divenuto  silenzioso, 
mentre  V  automobile  divorava  la  via  romana  fra 
i  gridi  lugubri  e  laceranti  della  sirena.  E  nella 
corsa  mi  sembrava  di  sentirla  palpitare  come 
una  viva  arteria  codesta  via  romana  che  serpeg- 
giando nella  solitudine  congiunge  la  città  madre, 
r  Urbe  immortale,  alla  figlia  gloriosa.  Per  essa 
mossero  verso  Montalcino  dopo  l'  ultimo  assedio 

xin 


ALLA   MEMORIA 

i  superstiti  senesi,  laceri,  affamati,  nelV  ostinor 
zione  suprema  di  non  piegare  il  capo  dinanzi 
allo  straniero  :  degna  perciò  di  essere  chiamata 
via  sacra,  se  il  sangue  di  quei  martiri  della 
libertà  e  della  fede  repubblicana  riesce  a  com- 
muovere ancora  d' un  profondo  sentimento  le 
anime  dei  moderni  pellegrini  d' Italia. 

Vaporava  dalla  campagna  circostante  la  tri- 
stezza di  passioni  soffocate,  e  di  spiriti  umiliati 
e  contriti,  ma  si  udivano  altresì,  a  quando  a 
quando,  gli  echi  di  canti  eroici. 

Dal  castello  lontano  deW Amiata  fino  alle  por- 
te di  Siena,  i  fantasmi  di  pietà  e  di  morte  non 
ci  abbandonarono.  Vedemmo  Buonconvento  ove 
tristemente  si  spense  il  24  agosto  1318  Arri- 
go VII  di  Lussemburgo,  V  eroe  dantesco  della 
«  Monarchia  »  ed  il  ricordo  ci  apparve  intensifi- 
cato dal  dolore  del  poeta  esule,  cui  uccise  quella 
morte  V  ultima  e  molto  vagheggiata  speranza  di 
rientrare  in  patria.  Nel  cielo  temporalesco  si 
disegnò  ad  un  tratto  il  colle  di  Malamerenda  : 
quattro  magri  cipressi  gemevano  lassù  contor- 
cendosi come  anime  dannante  sotto  il  vento  av- 
verso, ricordando  la  strage  delle  famiglie  Tolo- 
mei  e  Salimbeni  ivi  convenute  per  una  cena  che 
doveva  cementare  un  patto  di  pace.  Non  lungi 
dalla  porta  Romana  incontrammo  le  dolorose 
stazioni  che  facevano  nel  tempo  antico  i  condan- 
nati a  morte  :  V  Albergaccio,  ove  i  miseri  pas- 
savano V  ultima  notte;  la  Coroncina,  ove  spin- 
tonava il  rosario  dei  moribondi  ;  infine  Poggio 
alle  Forche,  ove  si  eseguiva  la  sentenza  capitale. 

Questo  luogo  mi  risuscitò  il  fantasma  della 
vergine  Caterina,  e  l'ardente  dolcezza  di  quella 
femminilità  che    il  Sodoma  riuscì  ad  esprimere 

XIV 


DI   PIERO    PICCOLOMINI 

con  tanta  potenza  cVarte  ne  la  cap2)ella  di  S.  Do- 
menico. Nel  volto  della  donna  genuflessa^  rajnta 
in  estasi  a  contemplar  l'anima  delV ucciso  invo- 
la ntesi  ai  cieli j  è  il  pallore  mortale  del  cadavere 
che  f/iace  ai  suoi  piedi,  ma  negli  occhi  sfolgo- 
ranti di  luce  febbrile,  bene  si  manifesta  V ardore 
delle  2^(f^t'ol(^  confort  a  trici  testé  rivolte  al  condan- 
nato :  «  Giuso,  alle  nozze  fratello  mio  dolce!  Che 
tosto  sarai  alla  vita  durabile  » . 

Non  è  forse  lo  slancio  verso  la  vita  dura- 
bile, non  è  per  V  appunto  codesto  supremo  ane- 
lito verso  r  eterno,  io  mi  pensava,  che  meglio 
rivela  il  valore  del  misticismo  constisi anziato  di 
vita  eroica  f  II  vento  della  morte  io  V  avevo  re- 
spirato nella  corsa  folle,  e  vicino  all'  invisibile 
fato  del  mio  comjìagno  mi  fu  concesso  di  senti- 
re quanto  2>oco  valga  la  nostra  esistenza  fragile 
ed  effimera  di  fronte  alla  bellezza  d'  una  Idea 
viva  di  passione  che  intò  diventare,  realizzata 
nelVinfinito,  sorgente  di  straordinarie  energie  per 
gli  uomini  futuri. 

La  volontà  di  ridestare  in  un  libro  i  prin- 
cipali personaggi  del  misticismo  senese,  mi  sorse 
in  quel  punto  come  costretta  da  un  comando  nel 
mio  spirito,  e  la  manifestai  all'  amico  prima  di 
scendere  dall'  automobile.  Egli  approvò  con  sin- 
cera fede  eccitatrice,  ed  il  suo  sguardo,  pur 
velato  dalla  malinconia  d'un  vago  presentimento, 
lampeggiò  d' un  sorriso. 

Fu  r  ultimo  fulgore  che  io  vidi  accendersi 
negli  occhi  di  queW  Anima. 


XV 


^i! 


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r     0) 


2p 


I      II     >0<:    Il      ni^i  I      II     >0<     h      1 1[^  I      II     ><>c=ii 


CxVPITOLO  I. 


SEXA    YETUS    CIYITAS    YIRGIXIS. 


Per  la  somma  di  Yita  interna  accumulata 
nei  secoli,  Siena  può  aspirare  con  diritto  al 
titolo  di  «  Patria  d'  anime  » .  A  differenza  di 
quasi  tutte  le  consorelle  d'Italia  non  si  è  piegata 
su  le  comodità  moderne,  ma  fieramente  assisa 
sopra  i  tre  colli  storici  yìyc  nel  sogno  d'  un 
tempo  che  fu. 

Siena  rassomiglia  un  poco  a  quella  regina 
della  leggenda  die  s'  addormentò  un  giorno 
nel  castello  incantato  e  sentì  correre  i  secoli 
su  di  lei  senza  che  riuscissero  a  profanarne 
la  bellezza.  Moltissime  creazioni  fantastiche 
della  sua  gioYentù  hanno  sopravvissuto  al  tem- 
po ed  è  per  questo  che  i  lineamenti  fisiono- 
mici non  si  sono  mutati. 

Ecco  il  Duomo  ed  ecco  il  Battistero,  ecco 
r  Ospedale  ed  i  templi  di  S.  Francesco  e  di 
S.  Domenico,    il    Palazzo    Pubblico,    i    cento 

1 


CAPITOLO   I 

oratori  ed  i  palagi  austeri,  le  fontane,  le  co- 
lonne dominate  dalla  Lupa,  le  piazze  e  le  vie, 
le  coste  e  gli  archi  dell'  epoca  repubblicana. 
Ed  ogni  anno  per  la  festa  tradizionale  de 
r  Assunta  V  attraversa  il  brivido  febrile  de 
F  antiche  passioni  che  si  ridestano  negli  abi- 
tanti allo  sventolio  dei  vessilli  delle  contrade, 
a  l'apparizione  del  Carroccio  nella  Piazza  del 
Campo. 

Da  r  altissima  Torre,  la  maggior  cam- 
pana, che  ha  il  nome  della  Tergine  Assun- 
ta, nei  giorni  del  Palio  e  delle  più  liete  o 
dolorose  ricorrenze  nazionali,  si  riscuote  e 
parla  :  è  la  voce  di  Siena  nella  Storia.  Il  vec- 
chio bronzo  batte  i  suoi  tocchi  lunghi,  misu- 
rati ed  eguali,  attraverso  una  scala  di  vibra- 
zioni sonore,  basse,  robuste,  che  giungono  con 
sicura  lentezza  ai  paesi  del  contado  :  è  in 
quella  voce  la  malinconia  d'un  sogno  di  gran- 
dezza svanito  che  passa  nel  sospiro  d'una  pre- 
ghiera ;  è  il  vago  rimpianto  de  l'antica  Fede  ; 
è,  talvolta,  per  la  Torre,  come  un  presenti- 
mento di  morte.  Per  quanto  tempo  ancora  ? 
Forse  in  un  giorno  non  lontano  tutto  ciò  fi- 
nirà per  scomparire  e  la  città  medievale,  che 
seppe  resistere  al  Rinascimento,  soccomberà 
vinta  dalla  violenza  della  vita  moderna.  Ma 
non  è  una  ragione  di  più  per  amare  e  cercar 
di  comprendere  1'  anima  della  mistica  princi- 
pessar  alla  quale  il  sentimento  della  solitudine 

2 


SENA   TETUS   CIVITAS   VIRGINIO 

nella  luce  crepuscolare  conferisce  un  fascino 
strano  e  profondo?  Quando  una  cosa  bella 
s'  approssima  alla  sua  decomposizione,  sia  una 
creatura  vivente  o  un'  opera  d'  arte,  sembra 
che  susciti  più  acuto  V  interesse  umano  in  co- 
loro che  proseguono  con  passione  il  culto  di 
tutte  le  migliori  energie,  spinti  quasi  dal  bi- 
sogno di  restituire  alla  vita  universa  gli  atomi 
di  risurrezione  che  la  morte  disgrega  e  che 
vorrebbe  distruggere. 

La  storia  e  la  leggenda,  le  arti  figurative 
e  la  poesia  celebrano  le  origini  del  Comune 
senese  che  riconosciuto  indipendente  nel  1186 
da  V  imperatore  Enrico  VI  crebbe  e  s'  af- 
forzò nel  secolo  XIII.  Primi  ressero  la  città 
i  Komani,  poi  i  Vescovi,  poi  i  Gastaldi,  poi 
i  Conti  Salici,  poi  i  Consoli  municipali  con 
una  spiccata  tendenza  oligarchica.  La  forte 
borghesia  e  la  rinnovata  nobiltà  composta 
dalle  famiglie  dei  grandi  mercanti  e  bau- 
chieri  che  portarono  il  credito  del  fiorino  se- 
nese in  Francia,  in  Inghilterra,  in  Fiandra 
e  in  Oriente  accumulando  enormi  ricchezze, 
compirono  nel  1277  la  prima  rivoluzione  in 
senso  democratico,  escludendo  per  sempre  i 
Magnati  dal  Governo  dopo  aver  garantita 
r  indipendenza  della  Eepubblica  con  la  vit- 
toria di  Monteaperto  nel  1260,  e  dopo  aver 
dato    al    Comune    il    sapiente    Constituto    del 

3 


CAPITOLO  I 

]2G2  (1).  N'el  1277  con  P  instituzione  del 
Governo  dei  Nove,  clie  perseverò  con  lievi 
mutamenti  lino  al  1355  e  vide  l'apogeo  della 
gloria  senese,  fa  stabilito  che  di  questo  magi- 
strato potessero  far  parte  solamente  coloro  che 
'  uscivano  dalla  classe  dei  buoni  mercanti,  hono- 
rum mercatorum  (2).  Si  poteva  salire  al  gover- 
no dei  l!^OYG  a  V  età  di  venticinque  anni  ma 
bisognava  appartenere  alla  classe  dei  costrut- 
tori del  Comune. 

La  vittoria  democratica  avvantaggiò  le  cor- 
porazioni di  arti  e  mestieri  le  quali  acquista- 
rono personalità  giuridica,  ebbero  statuti  e  pri- 
vilegi, e  parteciparono  al  governo  del  Comune 
che  al  magistrato  di  Mercanzia  concesse  un 
tribunale  pro^^rio  ove  decideva  nelle  controver- 
sie con  ampia  facoltà,  e  ricorreva  al  consiglio 
dei  Consoli,  rappresentanti  il  collegio  delle  Ca- 

(1)  Consti tuto  del  Com.  di  Siena  -  Edito  da  Lud.  Zdekauer 
—  Milano,  Hoepìi  1897. 

(2)  I  condottieri  dell'  esercito  senese  clie  vinse  a  Montea- 
perto  erano  ghibellini,  ma  la  gran  massa  dei  combattenti  era 
guelfa,  come  guelfa  era  in  gran  parte  la  sana  e  forte  bor- 
ghesia indirizzata  al  trafiico,  e  che  per  1'  alterigia  del  par- 
tito avverso  dovette  emigrare  dopo  la  vittoria.  Molte  fra 
le  più  cospicue  famiglie  senesi  si  ritirarono  a  Eadicofani,  ma 
ben  presto  ritornarono  e  ridussero  nelle  loro  mani  la  somma 
della  cosa  pubblica.  La  morte  di  Corradino  e  la  caduta  della 
casa  Sveva  aiutò  la  rivoluzione  borghese.  Il  governo  dei 
Nove  prese  un  assetto  stabile  nel  1286  j  durò  circa  70  anni  e 
fu  il  migliore  tra  quanti  ressero  i  destini  della  Eepubblica 
senese. 


SENA   VETUS   CIVITAS   VIKGIXIS 

pitiuliiii    delle    Arti,  in    questioni    di    materia 
commerciale  e  finanziaria. 

Verso  la  line  del  sec.  XII  ed  ai  primi  del 
XIII  il  Popolo  conA'eniva  a  Parlamento  nel 
Campo  ma  presto  sorsero  i  Consigli  presie- 
duti dal  Podestà  e  questi  si  radunarono  nella 
chiesa  di  S.  Cristofano  ;  più  tardi,  verso  lo 
scorcio  del  secolo,  nel  Palazzo  Pubblico.  Nel 
12()0  il  Consiglio  Generale  era  composto  di 
trecento  membri.  Un  perfetto  ordine  inter- 
no creato  da  leggi  sapienti  regolava  la  con] pa- 
gine del  giovine  Comune,  saldo  nella  disciplina 
d' una  fede  religiosa  ben  viva,  quantunque  la 
vita  pubblica  fosse  agitata  alla  superficie  dalle 
più  fiere  passioni.  Vigoreggiavano  d'  orgoglio 
i  sentimenti  civici  (il  Comune  teneva  un  appo- 
sito Registro  detto  il  Memoriale  delle  offese  in 
cui  erano  notate  le  ingiurie  e  i  torti  ricevuti 
dai  Signorotti  o  dai  Borghi  riottosi  del  Con- 
tado) e  la  legge  dantesca  del  «  contrappasso  » 
veniva  applicata  sempre  con  rigidezza  e  so- 
vente con  crudeltà.  Cotesti  sentimenti,  germo- 
gliati dalle  oscure  profondità  barbariche  del- 
l' anima  medievale,  e  contro  i  quali  nel  Uu- 
gento  insorse  il  verbo  di  S.  Francesco  d'Assisi, 
s' aggruppavano  e  saliAano,  quasi  in  ordine 
gerarchico,  nella  Repubblica  di  Siena,  da  l' in- 
dividuo alla  famiglia,  da  questa  alla  Consor- 
teria, alla  Compagnia,  alla  Contrada,  al  Terzo, 
alla  Città,  al  Comune.  Ogni  fiimiglia,  ed  ogni 

5 


CAPITOLO   I 

Contrada,  così  il  Popolo  come  il  Comune,  ave- 
vano vivo  il  senso  della  propria  dignità  sim- 
bolizzandola in  uno  speciale  emblema. 

Avveniva  che  ogni  oiFesa  fatta  a  l' indi- 
viduo o  a  l'Ente  autonomo  propagasse  in  cer- 
chi concentrici  le  onde  irose  della  vendetta 
fino  a  turbare  l' intiera  città,  come  un  sasso 
gettato  in  mezzo  ad  uno  specchio  d' acqua 
comunica  l' impeto  del  colpo  in  vibrazioni  sem- 
pre più  estese  fino  ai  limiti  del  bacino.  Di 
qui  nacquero  gli  odi  di  parte  ed  il  fermento 
di  tutte  le  passioni  comunali. 

Vero  è  che  la  legge  puniva  le  provocazioni 
le  quali  potessero  accendere  discordie,  ed  in 
Siena  ce  lo  prova  il  fatto  che  il  Capitano  del 
Popolo  nel  1264  condannò  alla  non  lieve  mul- 
ta di  25  lire  un  tal  Ventura  Gualtieri  del 
popolo  di  S.  Egidio  per  aver  dipinto  sopra  un 
palvese  una  lupa  (emblema  del  Comune)  alla 
quale  un  leone  (emblema  del  Popolo)  standole 
sopra  dava  con  la  branca  nel  muso  in  modo  da 
farla  sanguinare.  Ma  non  è  questo  un  indice 
de  r  estrema  suscettibilità  di  quei  cittadini  ? 

La  censura  aveva  ragione  di  condannare 
la  satira  politica  poi  che  non  si  spengeva  mai, 
come  adesso,  in  un  sorriso.  Ogni  fede,  ogni 
idea  era  vissuta  dalla  grande  maggioranza  dei 
cittadini  fino  a  V  assurdo.  Su  certe  cose  non 
si  soffriva  il  ridicolo.  Quando  s'affacciava,  sapea 
rintuzzarlo  una  spada  o  un  pugnale. 

6 


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SENA   VETUS   CIVITAS  VIRGINIS 

Il  sentimento  religioso  in  quei  primitivi 
senesi  mal  conteneva  gli  spiriti  intìammati  di 
vendetta,  mentre  ben  riusciva  a  identificarsi 
con  l'amor  patrio,  come  si  vide  nelle  giornate 
memorabili  del  Settembre  1260  quando  si  de- 
cisero le  sorti  del  giovine  Comune. 

Bisogna  ricordare  Monteaperto  (1)  se  si 
vuol  vedere  in  una  vampa  di  bellezza  passio- 
nale r  anima  senese  del  Dugento. 

I  fiorentini  avevano  inviato  due  cavalieri 
con  V  intimo  :  «  volere  che  le  mura  vengano 
sfasciate  in  più  luoghi,  acciocché  dove  loro 
piace  F  entrare,  passino,  com'  è  di  loro  piace- 
re. E  più  voliamo  in  ogni  Terzo  di  Siena  met- 
tere una  Signoria,  et  in  Oamporeggi  far  for- 
tezza per  istatico  e  sicurtà  della  nostra  Signo- 
ria di  Firenze  »  (2).  Si  ebbero  questo  mandato 
netto  e  breve  :  «  Bitornate  a'  vostri,  e  dite  che 
lor  sarà  risposto  a  boce  viva  »   (3). 

II  Consiglio  del  Popolo  si  riunì  a  Parla- 
mento nella  chiesa  di  S.  Cristofano.  Buona- 
guida  Lucari  fu  eletto  dittatore.  Il  senese  Sa- 
limbene  Salimbeni  avendo  udito  nella  se- 
duta consiliare  che  nelle  casse  del  Comune 
non  si  trovavano  i  centomila  fiorini  d'oro  per 
pagare  le  spese    di    guerra    subito  si  alzò  per 


(1)  Vedi  illustraz.  n.  4. 

(2)  Cron.  di  Dom.  Aldobrandini,   ediz.   Porri,   pag.   4. 

(3)  Id.,  pag.    5. 

7 


CAPITOLO   I 

dichiarare  che  i  denari  e'  erano  e  pronti  (1). 
Poco  dopo  li  recò  in  un  carro  parato  a  fe- 
sta, dono  magnifico  d'  amor  patrio.  Il  Buona- 
guida  radunato  il  popolo,  così  parlò  :  «  Ora 
mi  pare  che  ci  diamo  in  avere  et  in  persona, 
la  città  e  '1  contado,  con  tutte  le  nostre  ra- 
gioni alla  Vergine  Maria.  »  Indi,  a  capo  sco- 
perto, con  i  piedi  nudi,  la  correggia  alla  gola, 
con  le  chiavi  in  mano  delle  porte  di  Siena,  si 
avviò  al  Duomo  seguito  dal  popolo.  A  la  so- 
glia del  tempio  fu  incontrato  dal  Vescovo,  e 
tutti  dimenticarono  le  ingiurie,  e  furono  fatte 
le  paci  fra  i  più  fieri  nemici,  per  la  carità 
della  patria.  Buonaguida  ginocchioni  dinanzi  a 
V  immagine  di  Maria  fece  questo  voto  e  que- 
sta preghiera:  «  O  Maria  pietosissima,  o  con- 
siglio et  aiuto  degli  afflitti,  aiutate;  et  io  ti 
do  et  dono  la  Città  di  Siena  con  tutti  gli 
abitanti,  il  contado,  et  ogni  nostra  ragione; 
ecco    io  ti    consegno  le  chiavi,    guarda  la  tua 


(1)  Codesta  guerra  costò  cara  ai  mercanti  senesi  che  di- 
mostrarono una  lodevole  generosità  patriottica,  quantunque  si 
comprenda  clie  era  legata  strettamente  ai  loro  più  vivi  inte- 
ressi. Così  un  di  loro  scriveva  il  5  luglio  1260  da  Siena  a  Messer 
lacomo  de'  Cacciaconti  che  troTavasi  alla  fiera  di  Provins  in 
Francia.  «  Sapi,  lacomo,  noi  semo  ogì  in  grande  dispesa  et 
in  grande  facenda,  a  chagione  de  la  guerra  che  noi  avemo 
chon  Fiorenza.  E  sapi  che  a  noi  chostarà  asai  a  la  borsa  ma 
Fiorenza  chonciaremo  noi  sì  che  giamai  no  ce  ne  miraremo 
drieto...  »  —  Cf.  Lettere  volgari  del  secolo  XIII.  Bologna, 
Romagnoli,   1871. 


SEXA    VETUS   CIVITAS   VIRGINIS 

città  (la  tutte  le  rie  opere,  et  massime  da  ti- 
rannie fiorentine.  Deli!  Madre  pietosa,  accetta 
questo  piccolo  dono  della  nostra  buona  vo- 
lontà. E  tu,  Xotaio  rogati  di  tale  donazione, 
che  sia  perpetua  durante  il  mondo  »    (1). 

Il  domani,  alla  prima  luce  de  1'  al})a,  fu 
gridato  il  bando  :  «  Ognuno  s'  armi  col  nome 
di  Dio  et  della  Vergine  Maria,  et  ognuno  si 
appresenli  al  suo  Gonialoniere.  »  E  per  la 
Porta  S.  Tiene  uscirono  gli  uomini  del  Terzo 
di  S.  Martino  Testiti  di  rosso,  e  quelli  del 
Terzo  di  Città  vestiti  di  verde,  e  quelli  dei 
Terzo  di  Oamullia  vestiti  di  bianco,  e  poi  i 
cavalieri  tedesclii  del  conte  Giordano  :  Fari- 
nata degli  Uberti  e  Provenzano  Salvani  erano 
tra  i  cavalieri  senesi  al  comando  del  conte 
Aldobrandino.  Per  ultimo  scese  in  campo  il 
Carroccio  col  gonfalone  bianco,  che  ben  dava 
conforto,  che  pareva  il  manto  di  Maria  (2). 

La  battaglia  fu  combattuta  accanitamente 
dalle  due  parti  ;  i  senesi  attaccarono  al  grido 
di  S.  Giorgio,  i  fiorentini  al  grido  di  S.  Ze- 
nobi. 

Come  nelle  guerre  fra  i  greci  ed  i  troiani 
gli  antichi  iddii,  così  i  Santi,  numi  dell'olim- 
po cristiano,  divisi  in  due  schiere,  avevano 
preso  parte  per  l'uno  o  l'altro  dei  contendenti. 

(1)  Clou.    cit.   Aia.   p:\ir.    8. 

(2)  Cron.    cit.    Aid.   pag.    10. 

9 


CAPITOLO   I 

Quando  i  fiorentini  cominciarono  a  piegare,  i 
senesi  tolsero  ad  inseguirli  tra  S.  Maria  a  Do- 
fana  e  PArbia. 

Poco  lungi  dal  podere  di  Fonte  al  Pino  i 
fiorentini  perdevano  il  Carroccio  menato  «  per 
grandigia  »  mentre  morivano  per  difenderlo 
Messer  Tornaquinci  con  i  tre  figli.  Il  cronista 
Ventura  così  descrive  quella  carneficina  «.... 
li  Sanesi  con  quanto  ardire  menavano  le  mani 
addosso  a  quelli  malvagi  fiorentini,  che  parean 
porci  feriti  ;  sempre  percuotendo  a'  cavalli  e 
agli  uomini,  parevano  lioni  iscatenati  addosso 
a  quelli  loro  nemici  ;  perocché  lor  non  valeva 
chiamare  S.  Zanobi  e  S.  Riparata,  che  aiutas- 
sero; che  ne  facevano  maggior  macello  che  non 
fanno  i  beccai  delle  bestie  el  venerdì  Santo  » . 

La  Domenica  seguente,  poco  dopo  terza, 
i  senesi  rientrarono  trionfalmente  in  Città  per 
la  porta  ond'erano  usciti.  Innanzi  a  tutti  pro- 
cedeva rinviato  fiorentino  superstite  che  aveva 
recato  in  Siena  l'insolente  messaggio,  e  come 
narra  il  Ventura  «  era  a  cavalcione  in  sur  un 
asino,  e  aveva  legate  le  mani  dietro,  e  volto 
aveva  il  viso  verso  la  coda  dell'asino,  e  trasci- 
nava la  bandiera  e  stendardo  del  Comune  di 
Firenze  per  terra  ».  Seguiva  fra  le  acclama- 
zioni dei  vecchi,  delle  donne,  dei  fanciulli 
1'  esercito  trionfatore,  con  il  Carroccio  su  cui 
sventolava  il  bianco  stendardo  insieme  a  quelli 
dei  tre  Terzi  componenti  il  Tricolore  italiano. 

10 


SENA   VETUS   CIYITAS   VIRGINIS 

Fu  aperta  ima  breccia  nelle  mura  per  non 
abbassare  lo  stendardo  vittorioso  del  Comune. 
Il  Carroccio  fiorentino  fu  spezzato  ed  arso  sul 
campo  a  furia  di  popolo.  Poi  tutti  andarono 
in  Duomo  a  sciogliere  il  voto  promesso  a  Ma- 
ria. E  venne  allora  statuito  in  onore  della 
Vergine  Regina  di  Siena  che  nella  iscrizione 
delle  monete  alle  parole  «  Sena  Vetus  »  fosse 
aggiunto  <c  Civitas  Virginis  »  e  che  ogni  cit- 
tadino a  Fetà  di  sedici  anni  avesse  ad  offrire, 
la  vigilia  dell'Assunta,  una  libra  di  cera  lavo- 
rata alla  chiesa  Cattedrale. 

E  fu  promesso  ancora  che  in  onore  di 
Maria  ardesse  giorno  e  notte  nna  lampada 
dinanzi  al  Carroccio.  Due  templi  vollero  eri- 
gere i  senesi  :  uno  in  gloria  di  S.  Giorgio, 
il  quale  mostra  tante  aperture  nel  Campa- 
nile per  quante  bandiere  furono  tolte  ai  fio- 
rentini :  r  altro  tra  S.  Maria  a  Dofana  e 
TArbia,  ove  fu  conquistato  il  Carroccio  nemi- 
co ;  e  ciò  per  ricordare  la  vittoria  che  lo 
storico  fiorentino  Villani  doveva  comentare 
con  una  frase  terribilmente  concisa:  <  Allora 
fu  rotto  ed  annullato  il  Popolo  vecchio  di 
Firenze  >. 

La  città  alla  quale  Dante  Alighieri  dove- 
va giungere,  42  anni  dopo  Monteaperto,  ra- 
mingo, da  Roma,  col  cuore  avvelenato  dalla 
condanna  d' esilio,   era    anzi    tutto    una    città 

11 


CAPITOLO   I 

colta:  ove  se  si  pensava  ad  arricchire,  germo- 
gliava altresì  F  ambizione  del  sapere. 

La  città  di  Siena  fu  sempre  avida  di  sa- 
pienza come  di  bellezza  e  di  virtù  eroiche,  nei 
secoli  del  suo  maggior  splendore.  A  questo 
proposito  è  notevole  la  dichiarazione  con  la 
quale  termina  il  Breve  dei  Pittori  senesi  del 
trecento:  «N^euna  cosa  quanto  sia  minima 
può  aver  cominciamento  o  fine  senza  queste 
tre  cose  :  senza  potere  et  senza  sapere,  et  sen- 
za con  amore  volere  ». 

Il  Comune  era  gelosissimo  del  suo  fioren- 
te studio.  Vi  si  annoveravano  nel  Dugento 
ventidue  professori  di  Teologia,  di  Fisica,  di 
Medicina,  di  Grammatica,  di  N^otaria  e  di  Fi- 
losofìa. Una  delle  facoltà  più  celebrate  era 
quella  di  medicina.  Forse  v'  insegnò  e  certa- 
mente vi  fu  scolare  quel  maestro  Aldobrandi- 
no da  Siena  del  quale  il  Landouzy  e  il  Pépin 
scoprirono  poco  tempo  fa  tutte  le  opere  ma- 
noscritte nella  Biblioteca  dell'  Arsenale  a  Pa- 
rigi, e  del  quale  pubblicarono  «  Il  JSegime 
del  Gor])o  »  (1)  che  è  il  primo  trattato  d' igiene 
in  lingua  francese,  e  scritto  nel  1236.  Mae- 
stro Aldobrandino  fu  chiamato  alla  Corte  di 
Provenza  da  Beatrice  di  Savoia,  suocera  di 
S.  Luigi,  re  di    Francia.    Lo  stile  di  maestro 

(1)  Le  Eégiine  du  Corps  de  Maitre  Aldobrandin  de  Sienne 
par  les  docteurs  Louis  Landouzy  et  Roger  Pépin  —  Paris, 
Champion  ed.   1911. 

12 


SENA   VETUS   CIVITAS   VIRGINIS 

Aldobrandiuo  è  molto  personale  ;  la  sua  lin- 
gua è  piccarda  con  caratteri  fonetici  speciali 
al  dialetto  vallone,  ciò  clie  e'  interessa  per- 
chè assai  probabilmente  è  la  lingua  francese 
che  dovevano  parlare  i  mercanti  senesi  del 
Dugento  i  quali  commerciavano  soprattutto  con 
le  Fiandre,  la  Provenza  e  lo  Champagne;  for- 
se al  seguito  di  qualcuno  di  quei  mercanti 
andò  questo  medico  che  doveva  tinire  i  suoi 
giorni  a  Troyes,  nello  Ciiampagne. 

Xel  1247  il  Comune  di  Siena,  approfittan- 
do delle  condizioni  alquanto  critiche  nel  quale 
ritrovavasi  lo  studio  di  Bologna,  decise  d' in- 
grandire la  sua  università  e  ciò  fu  annunziato 
da  messi  speciali  j)er  tutta  la  Toscana  onde 
richiamar  scolari.  Fu  in  quell'  occasione  che 
venne  in  Siena  ai  5  di  febbraio  1247,  il  fa- 
moso Pietro  Hispano,  piìi  tardi  Papa  Gio- 
vanni XXI  ;  r  erudito  che  il  Salimbene  nella 
sua  cronica  chiama  <  grande  solista,  logico, 
disputatore  e  teologo  »  e  che  Dante  ricorda 
fra  i  sommi  dottori  nel  cielo  del  sole.  Quan- 
di egli  venne  allo  studio  di  Siena  era  giova- 
nissimo, poco  più  che  ventenne,  essendo  nato 
verso  il  1226,  e  da  poco  aveva  lasciato  V  uni- 
versità di  Parigi.  Fra  i  professori  de  l'anno 
scolastico  1248  egli  figura  come  insegnante  di 
medicina  fisica  e  specialmente  di  dietetica.  La 
bontà  delle  sue  conoscenze  mediche  egli  rive- 
lò nella  sua  opera    fondamentale  di   medicina 

13 


CAPITOLO   I 

il  «  Thesaurus  Pauperum  >  che  fin  nel  titolo 
dimostra  com'  egli  s'  interessasse  francescana- 
mente al  soccorso  dei  poveri,  così  com'  era  sua 
cura  di  aiutare  in  particolar  modo  gli  studio- 
si indigenti.  Oltre  che  da  lui  l'università  di 
Siena  fu  illustrata  nel  Dugento  da  grandi  let- 
tori quali  Pepone  e  Tebaldo,  Giovanni  Mor- 
dente e  Pietro  Ancarano,  Dino  del  Garbo  e 
l'amico  de  l'Alighieri  Gino  da  Pistoia  che  vi 
recò  non  solo  la  sua  sapienza  di  giurista  ma 
il  fiore  profumato  della  lirica  primavera  del 
«  Dolce  stil  novo  ». 

L'  università  di  Siena  ebbe  altresì  una  cat- 
tedra di  Astrologia  ove  fu  maestro  quel  Guido 
Bonatti  che  Dante  sprofondò  nella  quarta 
bolgia  del  suo  Inferno.  Nei  libri  di  Biccherna 
si  possono  vedere  i  numerosi  pagamenti  che 
a  lui  e  ad  altri  astrologhi  furono  fatti  per 
servizi  resi  al  Comune.  E  nota  la  fede  che  in 
quel  tempo  anche  le  persone  colte  avevano 
per  questa  scienza  che  attraverso  il  pensiero 
arabo  trascinava  molti  a  1'  eresia,  come  quel 
disgraziato  Cecco  d'  Ascoli  che  fu  bruciato  nel 
1327,  ed  in  Siena  Griffolino  il  quale  fu  arso 
per  stregoneria,  e  Capocchio,  come  pericoloso 
alchimista  (1). 

Fu  1'  astrologo  arabo  Albumazar  il    quale 

(1)  Inferno  XXIX  —  Vedi  altresì  Arcli.  di  Stato  in   Sie- 
na, Biccherna,  cod.   68,  carta  121. 

14 


SEXA    VETUS   CIVITAS   VIRGIXIS 

affermò  per  il  primo  che  V  origine  di  tutte  le 
religioni  e  la  nascita  dei  profeti  dipendesse  da 
certi  congiungimenti  planetari.  Egli  disse  che 

V  unione  di  Giove  con  Saturno  aveva  susci- 
tata la  religione  d'  Israele,  e  quella  di  Giove 
con  Marte,  la  religione  caldea  ;  con  il  Sole, 
r  egizia  ;  con  Venere,  la  maomettana  ;  con 
Mercurio,  la  cristiana  ;  e  che  il  congiungi- 
mento di  Giove  con  la  luna  sarebbe  stato  il 
segno  della  fine  d'  ogni  religione  su  la  terra. 
Le  opinioni  intorno  a  questa  scienza,  confinante 
con  il  più  pericoloso  modernismo,  furono  allora 
disparate  :  ma  s'  agitarono  vive  fino  a  quando 
rimase  in  vita  il  sistema  Tolomaico.  Le  sco- 
perte di  Xewton  e  di  Galileo  uccisero  l'Astro- 
logia. E  pertanto  curioso  sapere  come  i  cattolici 

V  accettassero  in  parte,  ed  in  parte  la  respin- 
gessero. Il  Petrarca  mostra  di  credere  al  desti- 
nato delle  costellazioni,  almeno  a  giudicarne 
da  quel  suo  verso  : 

Sua  ventura  ha  ciascun  dal  dì  che  nasce. 

Ma  egli  poi  affermava  che  V  Astrologia  e 
la  Medicina  erano  due  espressioni  di  un  co- 
mune ciarlatanismo  (1).  In  realtà  la  scienza 
astrologica  universitaria  si  confondeva  spesso 
a  quella  popolare  collegandosi  ad  una    ciarla- 

(1)  Cfr.  «  Libri  IV  Invectivarum  contra  medicum  quemdom  ». 

15 


CAPITOLO   I 

tanesca  dottrina  medica  della  qnale  avremo 
occasione  di  riparlare  per  ciò  che  riguarda  il 
pensiero  mistico-popolare  senese  quale  si  ri- 
specchia negli  «  Assempri  »  di  fra  Filippo 
degli  Agazzari. 

Frattanto,  dopo  aver  gettato  uno  sguardo 
sul  campo  della  cultura  universitaria  senese 
nel  Dugento,  cerchiamo  di  rappresentarci  la 
trasformazione  edilistica  che  in  quel  tempo 
occupava  la  città,  e  quali  fossero  i  costumi  e 
le  passioni  degli  abitanti. 

Cadute  sotto  il  piccone  le  mura  del  primo 
cerchio  della  «  Sena  Vetus  »,  la  cinta  fortifi- 
cata era  andata  ad  abbracciare  nuove  case  e 
sobborghi.  ì^el  1256,  sotto  il  Potestà  Uberto  di 
Mandello,  furono  vendute  le  mura  del  primo 
cerchio  perchè  divenute  inutili,  e  si  lavorava 
attivamente  a  costruire  le  nuove  ed  a  riattare 
a  più  robusta  difesa  l'antiporto  di  Camullia. 

La  città,  divisa  in  Terzi  fin  dal  principio 
del  Dugento,  contava  fra  le  sue  strade  princi- 
pali Via  Galgaria,  Via  del  Casato,  Via  del 
Travaglio,  non  più  sterrate  ma  rivestite  di  mat- 
toni a  ferretti,  i  quali  costavano  al  Comune  26 
soldi  il  migliaio.  Lungo  queste  vie  popolose  ve- 
deansi  spesso  dipinti  sui  muri  delle  case,  per 
infamia,  i  ritratti  dei  mancatori  di  parola  con 
l'effigie  capovolta.  Le  strade  non  misuravano 
mai  più  di  dodici  braccia  di  larghezza,  e  le  co- 

16 


SENA    YETUS   CIVITAS  VIRGINIS 

steggiayano  altissime  case  turrite,  severe,  ove 
la  luce  filtrava  attraverso  finestre  chiuse  con 
pelli  (li  pecora  depilate  e  rese  trasparenti  con 
olio  di  seme  di  lino. 

Ad  ogni  capo  di  strada  v'erano  dei  pila- 
strini con  le  catene  che  la  Signoria  faceva  ti- 
rare nei  tempi  di  sommosse,  specie  per  impe- 
dire ai  Nobili  di  fare  irruzioni  a  cavallo. 

Nei  punti  più  alti  della  città  i  quartieri 
d'  importanza  strategica,  come  quelli  di  Por- 
rione,  di  Salicotto,  di  E-ialto,  di  Spallaforte, 
di  Cartagine,  di  Castelvecchio. 

Isolati,  sdegnosi  di  novità  popolaresche,  s'er- 
gevano i  «  Castellari  >  delle  famiglie  patrizie 
che  non  avevano  saputo  mettersi  d'accordo  con 
le  idee  dei  tempi,  ma  in  verità  v'  erano  pure 
alcuni  nobili  penetrati  di  schietti  sentimenti 
democratici  o  abbastanza  furbi  per  secondarli, 
e  capaci  come  un  Provenzan  Salvani  di  met- 
tersi a  capo  del  moto  popolare. 

Nelle  parti  basse  della  città,  a  valle,  mor- 
moravano le  belle  fonti  (1)  sotto  gli  archi  a 
sesto  acuto,  ornate  di  sedili,  di  rilievi,  d'iscri- 
zioni come  quelle  di  Ovile,  di  Follonica,  di 
Fontebranda. 

La  Piazza  del  Campo,  1'  antico  Foro  di 
Siena  romana,  era  l'oggetto  di  particolare  sor- 

(1)  Per  la  storia  delle  fonti  senesi  si  veda  l'opera  fonda- 
mentale di  Fabio  Bargagli  Petriicci  <  Le  Fonti  di  Siena  ». 
Firenze  2  voi.  ediz.  Leo  S.  Olschki  1906. 

17 


CAPITOLO   I 

veglianza  da  parte  del  Comune,  e  nel  Consti- 
tuto  del  1262  ne  vien  regolato  l'uso  con  molte 
disposizioni. 

Ai  cavalieri  novelli  si  dava  facoltà  di  oc- 
cuparla per  quindici  giorni  rizzandovi  chiusi 
ed  antenne  per  farvi  giostre  e  tornei.  K^el  Du- 
gento  non  vi  si  correva  il  Palio.  Il  giuoco 
prediletto  dei  senesi  era  quello  delle  Elmora 
che  consisteva  in  finte  battaglie  cruenti. 

N^el  1291  la  gente  del  Terzo  di  Camollia 
scese  nel  campo  insieme  al  popolo  di  S.  Mar- 
tino per  dar  battaglia  contro  il  Terzo  di  Città. 
I  combattenti  erano  armati  di  aste,  di  sassi,  e 
s'accanirono  talmente  nel  giuoco  feroce  che  vi 
furono  dieci  morti  e  parecchi  feriti.  Dopo  que- 
sto fatto  il  Comune  proibì  in  simili  giuochi  le 
aste  ed  i  sassi  permettendo  solo  le  pugna  (1). 

Una  delle  feste  più  belle  che  vide  la  Piaz- 
za del  Campo  fu  la  grandiosa  rappresentazione 
ch'ebbe  luogo  quando  il  senese  Ambrogio  San- 
sedoni   (2)  ottenne  dal  Pontefice  Gregorio    IX 

(1)  Del  giuoco  delle  Pugna  ci  ha  lasciato  una  vivacissima 
descrizione  il  novelliere  Gentile  Sermini. 

(2)  Ambrogio  nacque  in  Siena  dalla  nobilissima  famiglia 
Sansedoni  ai  16  aprile  1220.  Ai  16  aprile  1237  indossò  l'a- 
bito domenicano.  Poi  chiese  ed  ottenne  di  farsi  istruire  nello 
studio  di  Parigi,  sotto  il  famoso  Alberto  Magno.  Risiedè  a 
Parigi  diversi  anni,  poi  in  Colonia  -,  in  Roma  per  ordine  di 
Innocenzo  IX  venne  ad  insegnare  teologia.  Rifiutò  il  vesco- 
vado offertogli  da  Gregorio  IX.  Predicò  la  Crociata.  Ricon- 
ciliò Clemente  IV  con  il  Principe    Corradino.   Fu  uomo  sem- 

18 


SENA   VETUS   CIVITAS   VIRGINIS 

la  liberazione  di  Siena  da  V  interdetto  con  il 
quale  era  stata  colpita  nel  1266  per  aver  essa 
difesa  la  ragione  de  1'  Impero. 

Il  Comune  per  ottenere  la  grazia  inviò  il 
futuro  Beato  a  Eoma  come  suo  ambasciatore 
ed  egli  riuscì  ad  ottenere  il  breve  d'assoluzio- 
ne il  13  luglio  1276.  La  letizia  popolare  fu 
grande.  Xel  centro  della  Piazza  fu  eretto  un 
grandioso  padiglione  che  aveva  a  V  intorno 
boscaglie  con  tenebrose  caverne  simili  a  quelle 
che  si  vedono  ne  F  inferno  di  Giovanni  di 
Paolo. 

L'  inizio  della  rappresentazione  fu  segnato 
dal  volo  d'  una  candida  colomba  che  percor- 
rendo la  via  d' un  filo  di  ferro  teso  dalla  rin- 
ghiera del  Palazzo  civico  calò  con  il  becco 
fiammeggiante  ad  accendere  il  boccio  d'  un 
gran  fiore  ch'era  in  cima  al  padiglione  e  che 
appena  toccato  scoppiò  liberando  una  quan- 
tità di  razzi.  Contemporaneamente  si  aprì  il 
padiglione,  a  guisa  della  scena  d'  un  teatro,  e 
si  videro  le  stanze  bene  addobbate  del  Pon- 
tefice, il  quale  seduto  sul  trono  in  mezzo  ad 
una    ricca    corte    di    cardinali,  di  principi,  di 


plice  ed  austero j  rappresentante  tipico  della  nobiltà  senese 
del  dugento  ;  ricco,  intelligente,  avveduto.  Morì  il  19  marzo 
1286  e  fu  Beato.  Il  Comune  fece  fare  per  lui  un  sepolcro  mar- 
moreo in  una  cappella  eh'  era  nel  mezzo  del  tempio  di  S. 
Domenico.  Sepolcro  e  cappella  furono  distrutti  (luando  rovinò 
il  tetto  della  chiesa. 

19 


CAI*ITOLO   T 

ambasciatori,  ascoltava  il  messaggio  di  frate 
Ambrogio.  Poi  eh'  ebbe  finito  di  parlare  si 
udì  la  risposta  del  Papa.  Allora  un  coro  di 
fanciulli  vestiti  da  angioli,  sopra  un  carro 
tutto  messo  a  festa,  intonò  una  laude  in  onore 
di  Maria  e  di  frate  Ambrogio  che  assisteva 
alla  rappresentazione. 

Finito  il  canto  apparve  sopra  una  splendida 
nube  un  Arcangelo  il  quale  cominciò  a  dare 
colpi  orrendi  alle  porte  delle  caverne  nascoste 
nelle  boscaglie  ;  e  ne  scaturirono  diavoli  e  stre- 
goni fischiando  orribilmente,  e  si  abbandona- 
rono ad  una  di  quelle  fantastiche  «  diàbleries  » 
così  comuni  nei  sacri  misteri  di  Francia  e  che 
i  mercanti  senesi  avevano  certo  costà  vedute 
ed  ammirate.  Ma  tosto  la  legione  diabolica 
venne  assalita  da  cavalieri  armati  di  lance  e 
di  spade  e  naturalmente  sconfitta  e  dispersa. 

Un  vago  angioletto  annunziò  allora  la  fine 
dello  spettacolo  che  terminò  con  un  coro  se- 
rafico. 

^el  contrasto  di  queste  feste  d'  arte  e  dei 
giuochi  magnificamente  virili  ai  quali  si  ap- 
passionavano i  dugentisti  senesi  noi  scorgiamo 
V  anima  della  città. 

La  piazza,  nel  frattempo,  vedeva  sorgere  il 
pubblico  palazzo  e  presentava  un  aspetto  pit- 
toresco con  le  sue  tende  di  baratteria,  ed  in 
giro  le  botteghe  dei  barbieri,  dei  ciabattini, 
degli  speziali,  dei  farsettai,  ove  le  vaghe  senesi 

20 


I 


SEXA   VETUS   CIVITAS   TIRGINIS 

andavano  a  comperare  le  sete  di  Francia,  le 
ghirlande  d' argento,  le  cioppette,  le  frangio 
per  la  coda  delle  pesanti  gonnelle.  Ivi  sai'à 
stata  molto  probabilmente  la  bottega  di  Mae- 
stro Pace  di  Talentino  che  verso  la  metà  del 
Dngento  inaugurò  la  prima  Scuola  di  oreli- 
ceria  che  si  conosca  in  Italia.  Dai  libri  di 
Biccherna  e  da  quelli  de  1'  Opera  di  S.  laco- 
mo  di  Pistoia  appare  com'  egli  lavorasse  per 
il  Comune  di  Siena  a  decorare  il  Carroccio 
dopo  Monteaperto  ed  arricchisse  d'un  grande 
calice  d'  oro  «  sculpito  >  e  tempestato  di  pietre 
preziose  e  d' un  <  testavangelo  »  d' argento 
con  figure  in  pieno  rilievo  «  La  Sagrestia  dei 
helli  arredi  »  che  fu  rubata  dalla  mano  sacri- 
lega di  Tanni  Pucci.  Alla  bottega  di  Maestro 
Pace  e  dei  suoi  soci  orafi  Ugolino  Odorighi, 
Ranuccio  Gherardini,  Tura  Bernardini  e  Eosso 
Biliotti  noi  possiamo  immaginare  che  facessero 
visite  frequenti  le  più  ricche  dame  de  l'ari- 
stocrazia e  della  borghesia  senese  del  Dugento, 
come  sarebbe  stata  la  moglie  di  Griffolino 
Ildebrandini  che  ci  ha  lasciato  una  nota  delle 
sue  gioie,  del  1272,  ove  fra  molti  anelli  e  fer- 
magli, figura  un  «  atrecciatoio  »  ossia  una  di 
quelle  bende  di  seta  vermiglia  intessuta  con 
perle  a  disegni  di  aquile,  leoni,  cervi,  intrec- 
ciati in  una  ramaglia  trapunta  d' oro,  e  che 
servivano  a  tener  fermi  i  capelli  sul  capo  delle 
donne  eleganti,  in  graziose  acconciature. 

21  ^ 


CAPITOLO   I 


Queste  dame  doTevano  attirare  gli  sguardi 
invidiosi  delle  povere  treccole  (1),  delle  fa- 
vaiole, delle  panicocole  (2),  delle  tranaciaiuo- 
le  (3),  e  delle  battibambagia  le  quali  gremi- 
vano con  trespoli  e  carrettini  la  Piazza  nelle 
ore  del  mercato.  In  quelle  ore  appariva  ogni 
tanto  nel  Campo  un  banditore  del  Comune,  a 
cavallo,  vestito  di  rosso  e  col  berretto  a  cono^ 
squillando  la  «  tuba  intiera  »  :  la  gente  subito 
gli  si  accalcava  intorno  per  udire  le  novità 
della  giornata:  l'ultima  deliberazione  del  Con- 
siglio ;  era  talvolta  un  bando  d'esilio  per  qual- 
che cittadino  illustre  ;  la  pena  del  fuoco  o  il 
taglio  della  mano  j)er  un  falso  monetario;  la 
decapitazione  d'un  assassino.  Quivi  pure  saran 
giunti  gli  echi  dei  pietosi  casi  della  Pia,  come 
delle  «  fiere  gesta  »  di  Ghino  di  Tacco,  com- 
mentate vivacemente  dai  popolani  che  si  ap- 
passionavano, come  Dante,  alla  triste  storia 
d'una  donna  disgraziata  in  amore  ed  alle  ter- 
ribili avventure  d'  un  nobile  e  coraggioso  bri- 
gante. 

Tacco,  padre  di  Ghino,  era  stato  ucciso  per 
ordine  di  messer  Benincasa  di  Laterina  vica- 
rio del  Potestà  di  Siena,  e  Ghino  non  ebbe 
pace  finche  non  riuscì  a  vendicarlo.  Raccolti 
un  giorno  quattrocento  de'  suoi  uomini  più  ar- 

(1)  Venditrici  ambulanti. 

(2)  Venditrici  di  pane. 

(3)  Venditrici  di  treccie  di  cipolle. 

22 


SENA   VETUS   CIVITAS   VIRGINIS 

diti,  sopra  veloci  cavalli,  mosse  alla  volta  di 
Roma  dalla  sua  Eadicofani,  ove  se  ne  stava 
come  in  un  nido  d'  aquila.  Occupata  per  sor- 
presa una  delle  porte  dell'  Urbe  e  lasciatevi 
alcune  guardie,  corse  difilato  in  Campidoglio 
ove  sapeva  trovarsi  il  Benincasa  in  ufficio. 

Xarra  il  Buti  che  «  in  su  la  sala,  dove 
stava  lo  ditto  messer  Benincasa  ad  audienza, 
al  banco  della  ragione,  1'  uccise,  e  levolli  la 
testa,  e  vennesene  senza  ninno  impedimento  >. 
Dopo  questa  impresa  audace,  d'assai  crebbe  il 
suo  prestigio,  e  su  di  lui  favoleggiò  la  leggen- 
da nella  quale  Dante  ed  il  Boccaccio  si  com- 
piacquero. Quest'  ultimo  racconta  nel  Deca- 
meron un  di  quei  tratti  che  ci  mostrano  la 
nobiltà  sdegnosa  del  brigante.  Un  giorno  fece 
arrestare  su  la  strada  dai  suoi  bravi  V  abate 
di  Oluny,  ricchissimo  prelato,  che  andava  ai 
bagni  di  Chiusi.  Questi  minacciò  quegli  uo- 
mini di  scomunica  ma  un  di  loro  rispose  : 
«  Messere,  voi  siete  in  parte  venuto,  dove 
dalla  forza  di  Dio  in  fuori  di  niente  ci  si  teme 
l)er  noi  ;  e  le  scomunicazioni  e  gì'  interdetti 
sono  scomunicati  tutti  ».  L'  abate  comprese 
il  sermone  e  se  ne  andò  ai  bagni  con  la  bor- 
sa più  leggera.  Al  ritorno,  Ghino  vistolo  sano 
per  la  dieta  impostagli  volle  rendergli  tutte 
le  cose  che  gli  avea  rubate  ed  accomiatossi 
da  lui  con  un  grande  convito,  durante  il  quale 
così  gli    parlò:     «  Messer    F  abate,  voi  dovete 

23 


CAPITOLO   I 

sapere,  che  Tesser  geotiluomo  e  cacciato  di 
casa  sua,  e  povero,  ed  aver  molti  e  possenti 
nemici,  hanno  condotto  (per  potere  la  sua  vita 
difendere  e  la  sua  nobiltà,  e  non  malvagità  di 
animo)  Ghino  di  Tacco,  il  quale  sono  io,  ad 
essere  rubatore  delle  strade,  e  nimico  della 
corte  di  Roma  ».  Un  uomo  che  sapeva  usare 
un  tal  linguaggio  non  poteva  dispiacere  trop- 
po a  Dante,  ne  ai  senesi  del  Dugento.  E 
sembra  che  l'ammirasse  anche  il  prelato  fran- 
cese giacche,  ritornato  in  Roma,  persuase  il 
Papa  a  crearlo  cavaliere  di  S.  Giovanni  e  ad 
arricchirlo  di  pingue  benefìcio. 

Il  Dugento  vide  in  Siena  le  gioiose  follie 
della  Brigata  spendereccia.  Dodici  giovani  no- 
bili e  ricchissimi  tra  i  quali  quel  ISTiccolò  Sa- 
limbeni, 

che  la   costuma   ricca 

del  garofano  prima  discoperse, 

e  con  lui  Tingoccio,  Ancaiano,  Bartolo,  Eai- 
notto  e  gli  altri  che  trovarono  il  lor  poeta  in 
Folgore  da  Sangimignano  (1)  ebbero  il  genio 
di  sprecare  in  pochi  mesi  centinaia  di  migliaia 
di  fiorini  d'  oro.  Abitavano  una  casa  meravi- 
gliosamente addobbata,  detta  la  «  Consuma  », 
ove  davan  feste,  pranzi  sontuosi   con  stoviglie 


(1)  Le  Bime  di  Folgore  da  Sangimignano  pubbl.    da    Giulio 
Gavone  —  Bologna,  Romagnoli  1880. 

24 


SENA   VETUS   CIVITAS   YIRGINIS 

e  vasellami  d'  oro  e  d'  argento.  Portavano  in 
dosso  vestiti  di  «  rascese  >  e  dormivano  su  len- 
zuola di  sete  con  belle  coperte  di  vaio. 

I  loro  svai>'hi  e  i  loro  austi  ci  son  descritti 
e  lodati  dal  poeta  di  Sangimignano  in  una 
corona  famosa  di  dodici  sonetti  dedicati  per 
r  appunto  al  capo  della  Brigata,  Niccolò  Sa- 
limbeni.  ìfel  sonetto  dedicatorio  Folgore  trova 
il  modo  di  scherzare  ironicamente  su  la  pas- 
sione di  S.  Francesco  per  la  povertà,  il  grande 
scandalo  di  quei  tempi,  e  canta  con  un  senso 
oraziano  della  vita  clie  sembra  quasi  del  Ri- 
nascimento : 

«  Chiesa  non  v'abia  mai  né  monastero 

lassate  predicar  i  preti  pazi, 

eh'  hanno  troppe  bugie  e  j)oco  vero  ». 

Quando  giunge  1'  aprile  che  vi  sieno  per 
voi  : 

«  ambianti   palafren,    destrier  di  Spagna 
e  gente  costumata  a  la  francesca 
cantar,  danzar  a  la  provenzalesca 
con  istormenti  novi  de  la  Magna  ». 

Di  maggio,  nella  gioia  della  primavera,  e 
d'  ottobre,  quando  discende  V  autunno  triste  : 

«  e  pulzellette  giovene  e  garzoni 
baciarsi  ne  la  bocca  e  ne  le  guance 
d'  amor  e  di  ffoder  vi  si  rasoni.   » 


Ilo 


CAPITOLO   I 

«  la  sera  per  la  sala  andate  a  ballo 
e  bevete  del  mosto  e  v'  inebriate 
che  non  ci  ha  miglior  vita  in  veri  tate 
e  questo  è  ver  come  '1  fiorino  è  giallo.  » 

Ho  detto  die  il  canto  di  questo  poeta  epi- 
cureo sembra  preannunziare  il  paganesimo 
della  Rinascenza.  In  verità  passava  in  quella 
gioconda  poesia  Fultima  folata  del  paganesimo 
fiorito  nei  verzieri  di  Provenza  e  le  fantasie 
di  quei  nobili  giovani  ricordano  quelle  dell'im- 
peratore Federico  II  e  della  sua  gaia  corte 
siciliana. 

«  cantar,  danzar  a  la  provenzalesca 
con  istormenti  novi  de  la  Magna.  » 

Questi  sentimenti  sono  ben  diversi  da  quelli 
della  maggioranza  dei  senesi  cbe  preparavano 
la  rivoluzione  guelfa  e  democratica  del  1277. 

Dante  Alighieri  ricordando  più  tardi  la 
vanità  di  quei  giovani  gli  giudicherà  con  dispet- 
to mescolato  ad  un'  amara  ironia,  e  generaliz- 
zando nei  senesi  del  tempo  un  sentimento  che 
era  in  realtà  di  pochi  ricchi  vagabondi,  bolla 
col  marchio  di  vanità  tutto  il  popolo  di  Siena 
con  palese  ingiustizia. 

Ed  egli  avea  pur  colto,  con  mirabile  in- 
tuito, il  fiore  di  quella  vita  senese  in  Pier 
Pettinagno  !  I  giovani  della  Brigata  Spende- 
reccia erano  i  peggiori  rappresentanti  della 
classe  magnatizia,    legata  a  l'impero  e  vicina 

26 


SENA   VETUS   CIVITAS   YIRGIXIS 

a  perdere  il  potere  ;  potrebbero  rassomigliarsi 
nella  loro  yanità  godereccia  a  certi  signori 
deir  aristocrazia  francese  del  sec.  XYIII,  in- 
consapevoli di  folleggiare  su  l'orlo  d'un  abisso. 

Folgore  da  Sangimignano  e  Cecco  Angio- 
lieri  non  sono  due  poeti  rappresentativi  del 
Dugento  senese,  tutto  intento  a  creare  il  Pa- 
lazzo del  Comune  e  la  bella  Cattedrale. 

Cultore  della  poesia  spiritualistica  e  rappre- 
sentante legittimo  del  popolo  nuovo  era  in  quei 
tempi  V  avo  materno  di  S.  Caterina,  ìf uccio 
Piacente,  coltralo,  il  quale  mostra  nelle  sue 
liriche  d'  amore,  al  paragone  del  nobile  Cecco 
Angiolieri,  così  volgarmente  plebeo  di  senti- 
menti, quanta  fosse  la  gentilezza  d' un  popo- 
lano senese  del  Dugento  (1). 

La  fabbrica  del  Duomo  avanzò  quella  del 
Palazzo  Pubblico.  Nel  1264  i  senesi  finirono  di 
voltare  la  cupola  per  opera  dei  loro  capi-maestri 
Stefano  di  Giordano  e  Eosso  di  Bartolomeo. 

Ad  abbellire  la  facciata  si  chiamò  Giovan- 
ni Pisano.  Niccolò,  padre  di  lui,  creava  frat- 
tanto ne  l' interno  del  tempio  il  magnifico  am- 
bone, capolavoro  scultorio  del  sec.  XIII;  e 
giovandosi  de  l' aiuto  del  figlio,  e  dello  scola- 
ro Arnolfo  di  Cambio,  riusciva  a    condurlo  a 

(1)  Per  le  liriche  di  questo  e  d'  altri  poeti  spiritualisti 
senesi  del  Sec.  XIII  vedansi  nella  Bibl.  Com.  di  Siena  i  MS. 
I,  VI,  9   —   H,  X,   2. 

27 


CAPITOLO   I 

termine  in  due  anni  di  fatica.  Queste  opere 
attestano  il  fervore  di  rinnovamento  che  acce- 
se Siena  subito  dopo  la  grande  vittoria  sui 
fiorentini  e  sono  una  prova  della  sua  fede 
civile  alimentata  da  spirito  religioso. 

Questo  popolo  si  può  dire  che  uscisse  dalla 
Chiesa  come  dalla  fonte  del  suo  battesimo  ; 
se  di  lui  volessimo  cercare  nelle  immagini  più 
comuni  del  tempo  la  vera  rappresentazione 
simbolica  la  troveremmo  forse  nel  gigante  S. 
Cristoforo,  raffigurante  la  Chiesa,  che  solleva 
su  le  proprie  spalle  il  fanciullo,  per  aiutarlo 
a  raggiungere  la  sponda,  oltre  il  fiume  peri- 
glioso della  vita. 

Di  fatti  prima  che  fosse  terminato  il  Pa- 
lazzo civico  nelle  chiese  stavano  tutti  gii  uf- 
fici pubblici.  Il  Potestà  a  S.  Pellegrino;  i 
Consoli,  a  S.  Cristofano  ;  lo  Studio,  prima  a 
S.  Vigilio,  poi  a  S.  Pietro  d'  Ovile.  Ciò  spiega 
il  carattere  religioso,  quasi  di  tempio,  che  as- 
sunse il  Palazzo  comunale,  ove  Simone  di  Mar- 
tino, al  principio  del  sec.  XIY,  s'affrettava  a 
rappresentare  nella  sala  delle  Balestre  la  Ma- 
donna in  trono  col  Figlio,  sotto  un  ricco  bal- 
dacchino sostenuto  dagli  apostoli,  in  mezzo  ad 
una  turba  di  angioli,  di  santi,  e  di  profeti;  ove 
più  tardi,  Taddeo  di  Bartolo,  Sano  di  Pietro, 
il  Yecchietta,  e  finalmente  il  Sodoma,  dovevano 
eternare  le  immagini  dei  migliori  santi  e  beati 
senesi. 

28 


e 


SENA   VETUS   CIVITAS   VIRGINIS 

I  fasti  del  buono  e  del  cattivo  Governo 
magnificamente  rappresentati  da  Ambrogio  Lo 
renzetti  nella  sala  dei  Xove,  mentre  s' inspira- 
no per  r  arte  ad  una  visione  acuta  della  vita 
reale,  s'  accordano  poi  nella  concezione  simbo- 
lica con  il  pensiero  teologico  della  Chiesa.  La 
superba  figura  della  «  Pace  »  dominatrice  porge 
il  ramo   d'  olivo  del  patto  francescano  (1). 

L'  arte  senese  fu  sempre  luce  di  fede  reli- 
giosa e  civile.  I  pittori  rimasero  fedeli  al  Bre- 
ve del  1355  ove  dichiaravano  di  essere  :  «  per 
la  grazia  di  Dio,  manifestatori  agli  uomini 
grossi  che  non  sanno  lectera  de  le  cose  mira- 
colose operate  per  virtù  et  in  virtù  della  fede  » 
Eran  dunque  più  che  pittori  intesi  a  far  mo- 
stra di  talento  personale,  pittografi  semplici, 
ardenti. 

II  cinquantenario  di  Monteaperto  Siena  lo 
celebrò  recando  in  trionfo  al  Duomo,  per  le 
sue  strade  cosparse  di  fiori,  la  famosa  ancona 
della  3Iadonna  dipinta  da  Duccio  di  Buonin- 
segna  (2)  il  quale  su  V  iscrizione  del  dipinto 
volle  significare  alla  Regina  della  Città  la 
supplichevole  gratitudine  di  tutto  un  popolo. 

(1)  La  città  che  aveva  parteggiatomi  tempo  per  l'Impero 
non  esitò  nel  Trecento  di  far  dipingere  a  Spinello  Aretino  su 
le  pareti  del  pubblico  palazzo  le  gesta  del  papa  senese  Ales- 
sandro ITI  Bandinelli.  E  nella  sala  di  Balia  vedesi  il  papa 
della  Lega  di  Legnano  che  posa  il  piede  sopra  la  testa  di 
Federico  Barbarossa. 

(2)  Vedi  illustraz.   n.   5. 

29 


CAPITOLO   1 

Mater  Sancta  Dei  sis  causa  Senis  requiei 
Sis  Ducio  vita  te  quia  piuxit  ita. 

Agnolo  di  Tura,  cronista  senese,  dice  che 
fu  «  la  più  òella  tavola  che  mai  si  vedesse  et 
facesse  »  e  die  «  costò  più  di  tremila  fiorini 
d'oro,  »  Duccio  a  dipingerla  ci  mise  trentadue 
mesi. 

Lorenzo  Ghiberti  nei  suoi  Commentari 
scrive  :  «  Questa  tavola  fu  fatta  molto  eccel- 
lentemente e  dottamente  :  è  magnifica  cosa.  » 
Yenne  allogata  al  Buoninsegna  il  9  ottobre 
1308  da  messer  lacomo  di  Gilberto  Mare- 
scotti,  operaio,  ossia  Rettore  del  Duomo. 

Un  cronista  cittadino  che  probabilmente 
prese  parte  alla  festa  così  la  descrisse:  «  In 
quello  di  che  si  portò  al  Duomo  si  serraro  le 
buttighe  ;  et  ordinò  il  Vescovo  una  magnia  et 
divota  compagnia  di  preti  e  frati  con  una  so- 
lenne pucissione,  accompagnato  dai  signori 
ìfove  e  tutti  gli  uffiziali  del  Oomuno  e  tutti 
i  populari,  e  di  mano  in  mano  tutti  e  più 
degni  erano  appresso  a  la  detta  tavola  per 
insino  al  Duomo  facendo  la  pocissione  intor- 
no al  Champo  come  s'  usa,  sonando  le  cham- 
pane  tutte  a  gloria  per  divozione  di  tanta 
nobile  tavola  quanta  è  questa,  la  qual  tavola 
fecie  Ducio  di  Mccolo  dipintore,  e  feciesi  in 
casa  de'  Muciatti  di  fuore  de  la  porta  a  Stal- 
loreggi.  E  tutto  quello  dì  si  stette  a  orazione 

30 


SENA   VETUS   CIVITAS   VIRGINIS 

con  molte  limosiue,  le  quali  si  fece  a  povare 
persone,  pregbanclo  Iddio  e  la  sua  Madre,  la 
quale  è  nostra  Avocata,  ci  difenda  per  la  sua 
inlìnita  misericordia  da  ogni  avversità  e  ogni 
male  e  guardici  da  mani  di  traditori  e  ni  mici 
di  Siena.  » 

Duccio  di  Boninsegna  lo  sapeva  che  la  sua 
Madonna  era  bella  ;  essa  non  assomigliava  a 
quelle  rigide  madonne  bizantine  dagli  occhi 
aperti  e  fissi  nello  spavento  di  gastighi  celesti 
e  terreni.  Anch'  oggi  le  alita  intorno  come  un 
odor  di  primavera.  La  Vergine  duccesca  è 
donna  di  popolo,  non  Regina  ;  è  figlia  della 
grande  rivoluzione  francescana  e  democratica 
del  popolo  italiano;  ha  il  cuore  di  madre,  e 
sa  piangere  con  coloro  eli  e  piangono  perchè 
conosce  il  dolore.  Come  bella  nel  suo  dolore 
la  vide  Duccio  ai  piedi  della  Croce  !  Questa 
pura  creatura  d'arte  ebbe  un'  alta  potenza  di 
commozione  su  l' anima  dei  mistici  senesi  del 
Trecento.  Opere  come  questa  che  hanno  rac- 
chiuso in  sé  tesori  inestimabili  di  sentimenti 
umani  si  può  credere  che  abbiano  realmente 
un'  anima. 

Dinanzi  alla  bellezza  d'un  tal  dolore  fem- 
minile, tremante  su  gli  abissi  della  disperazio- 
ne, ci  tornano  alla  memoria  i  versi  d'un  ignoto 
poeta  senese  del  Dugento  (1)  : 

(1)  Questi  versi  della    fine    del  Sec.  XIII  furono  ritrovati 

31 


CAPITOLO   I 

Amor  crocifìsso,  Amore, 

e  perchè  mi  ai  lasciata,  Amore  ? 

Amor,  tu  m'ai  lasciata 
lo  cor  mi    s'  assottiglia 
tutta  quanta  è  disviata 
la   nostra   famiglia, 
la  tua  mamma  è  sconsolata  : 
ma  chi  la  consola,  Amore? 

Amor,  non  aggio  padre, 

né  mamma,    né  sorella, 

né  altro  figlio,  né  frate 

per  me  tarapinella  ; 

tu  eri  la  mia  reditate 

di  rocche  e  di  castella,  Amore  ! 

Amor,  se  m'  abandoni 
non  saccio  che  mi  fare, 
mettaromi  a  cercare, 
lo  mondo  in  giune  e   'n  sune 
Se  mi  dovesser  mangiare 
li  orsi,  Amore. 

In  questi  versi  vibrano  gli  accenti  della 
passione  francescana.  l!son  li  avrebbe  mai  po- 
tuti scrivere  uno  dai  monaci  chiusi  nei  mo- 
nasteri dell'  antica  clausura  ;  già  non  sono  dei 
versi,  ma  lacrime,  singulti,  e  sospiri  d'un'ani- 
ma  angosciata  nella  solitudine  dell'abbandono, 
povera  dell'  unica  e  vera  ricchezza,  povera 
d'  amore. 

Sono  versi  che  destano  risonanze  profonde 

dal  Can.   Lusini  insieme  ad  altre  rime  spirituali  fra  le  anti- 
che carte  del  convento  di  S.  Francesco  in  Siena. 

32 


SENA   VETUS   CIVITAS   VIRGINIS 

in  Ogni  anima  perchè  non  scritti  per  yanità 
letteraria  ma  detti,  come  una  preghiera,  per  un 
intimo  bisogno  spirituale. 

Il  medesimo  valore  umano  si  ritrova  in 
diversi  altri  documenti  artistici  ed  anche  let- 
terari del  Dugento,  soprattutto  in  Siena.  Leg- 
gete le  lettere  (1)  indirizzate  dalla  beata  Cri- 
stiana Menabuoi,  da  fra'  Bartolomeo  della  Ver- 
na e  da  frate  Dvonisio  a  Geri  ed  a  Guccio 
Montanini.  I  Montanini  erano  uomini  gagliar- 
di, dediti  a  1'  esercizio  della  mercatura  ;  Geri 
fece  più  volte  il  viaggio  di  Francia  solo  ed 
insieme  ai  figli,  e  noi  lo  vediamo  far  parte  del 
Governo  dei  ìfove,  nel  primo  bimestre  del 
1286  che  recò  il  Popolo  stabilmente  al  potere. 

Orbene  attraverso  lo  specchio  di  quelle  let- 
tere si  scorgono  i  limpidi  e  schietti  sensi  di 
fede,  d'amore  e  di  cortesia  di  quei  ricchi  e  po- 
tenti mercanti  senesi,  ed  i  rapporti  di  riverente 
amicizia  che  mantenevano  con  le  anime  reli- 
giose del  tempo  per  attingerne  forza  di  virtù. 
La  beata  Cristiana  si  rivolge  «  al  suo  divoto 
et  amico  karissimo  in  Jhesu  Cristo  Guccio  de 
Geri  Montanini  de  Siena  >  per  chiederlo  o  rin- 
graziarlo di  qualche  favore,  come  di  aver  te- 
nuto in  prestito  certo  tempo  un  suo  cavallo, 
ovvero    per   raccomandarsi  alle  sue  preghiere, 

(1)  Lettere  volgari  del  sec.  XIII  a  Geri  e  a  Guccio  Mon- 
tanini —  Lisini,    Siena,  1889.  Per  nozze. 

33 


CAPITOLO   I 

e  finisce  1'  epistole  con  frasi  come  queste:  <  Se 
qua  se  puote  fare  alcuna  cosa  che  ve  sia  in 
piacere,  mandatela  comandando  che  se  farae 
volentieri.  Colui  che  ve  fece  senza  voi,  sia 
sempre  con  voi.  Amen  ». 

E  così  frate  Dyonisio  stando  «  in  molta 
pace  »  da  Pisa  scrive  ammonendo  il  suo  gio- 
vane amico  Guccio:...  «  Sappo  bene  che  da 
te  abbo  ricevuti  et  potuto  ricevere  molti  ser- 
vigi, ma  il  maggiore  che  mi  possa  fare  tu,  el 
tuo  fratello,  el  quale  amo  secondo  te,  anzi  quasi 
chome  te,  questo  è  che  ne  le  buona  via  che 
avete  presa  dobbiate  perseverare,  et  di  questo 
prego  ispesso  Colui  eh'  el  puote  solo  fare.  Ad- 
monirti  per  molte  parole  non  fa  bisogno,  ma 
reducoti  ad  memoria  che  la  negligentia  è  il 
maggiore  nemico  eh'  abbia  F  anima,  pensare 
de  la  morte  è  grande  suo  conforto,  ponere 
mente  gli  spirituali  caduti,  et  spetialmente  in 
Siena,  è  utilissimo  ammaestramento,  lassare 
quanto  è  possibile  a  huomo  eh'  à  famiglia  gli 
inpacci  del  secolo  è  in  ispirito  grande  nutri- 
camento...  ». 

Destituire  d'importanza  le  ricchezze  e  le 
preoccupazioni  della  vita  materiale  per  addi- 
tare la  conquista  dei  beni  interni  come  fonte 
delle  gioie  più  vere  fu  lo  scopo  precipuo  del- 
l'apostolato  di  Francesco  che  ben  comprese  i 
pericoli  d' una  società  che  usciva  dal  lungo 
giogo    feudale  e  s' immergeva  tutta    nei  com- 

34 


SENA   VETUS   CIVITAS   VIRGINIS 

merci,  nel  traflBco  del  danaro,  nella  brama  di  ar- 
ricchire. Il  figlio  del  mercante  di  Assisi  volle 
salvare  T  anima  della  vittoriosa  borghesia  del 
Dugento  ed  in  gran  parte  vi  riuscì.  Per  que- 
sto egli  cercò  di  fare  udire  la  sua  parola  non 
tanto  in  mezzo  alla  gente  dei  campi  ma  su 
le  piazze  e  le  vie  delle  giovani  città  comu- 
nali. 

Il  Poverello  venne  la  prima  volta  a  Siena 
nel  1212.  Ce  lo  dice  il  cronista  Andrea  Dei 
confermando  la  narrazione  dei  Fioretti  che  è 
veramente  squisita  :  «  Andando  un  dì  santo 
Francesco  per  cammino  con  frate  Masseo,  il 
detto  frate  Masseo  andava  un  poco  innanzi: 
e  giugnendo  a  un  trebbio  di  via,  per  lo  quale 
si  poteva  andare  a  Firenze,  a  Siena,  e  ad  Arez- 
zo, disse  frate  Masseo:  Padre,  per  quale  via 
dobbiamo  andare  ^  Risponde  santo  Francesco  : 
Al  segnale  eh'  io  ti  mostrerò,  onde  io  ti  co- 
mando per  lo  merito  della  santa  obbedienza, 
che  in  questo  trebbio,  nel  luogo  ove  tu  tieni 
i  piedi,  tu  t'  aggiri  intorno  intorno,  come  fan- 
no i  fanciulli,  e  non  ristare  di  volgerti,  s' io 
non  tei  dico.  Allora  frate  Masseo  incominciò 
a  volgersi  in  giro  ;  e  tanto  si  volse  che  per  la 
vertigine  del  capo,  la  quale  si  suole  generare 
per  cotale  girare,  egli  cadde  più  volte  in  terra  : 
ma  non  dicendoli  santo  Francesco  che  ristesse, 
ed  egli  volendo  fedelmente  ubbidire,  si  rizza- 
va. Alla  perfine,  quando  si  volgeva  forte,  disse 

35 


CAPITOLO  I 

santo  Francesco  :  Sta  fermo,  e  non  ti  muovere  ; 
ed  egli  istette.  E  santo  Francesco  il  domandò  : 
Inverso  qnale  parte  tieni  la  faccia?  Risponde 
frate  Masseo:  Inverso  Siena.  Disse  santo  Fran- 
cesco :  Quella  è  la  via,  per  la  quale  Iddio 
vuole,  clie  noi  andiamo.  Andando  per  quella 
via,  frate  Masseo  si  maravigliò  di  quello  che 
santo  Francesco  gli  aveva  fatto  fare,  come  i 
fanciulli,  dinanzi  ai  secolari  che  passavano  : 
nondimeno  per  riverenzia  non  ardiva  a  dire 
niente  al  Padre  Santo.  Appressandosi  a  Siena, 
il  popolo  della  città  udì  dello  avvenimento  del 
santo,  e  fecionglisi  incontro  ;  e  per  divozione 
il  portarono  lui  e  il  compagno  insino  al  Vesco- 
vado, che  non  toccarono  niente  terra  co'  piedi. 
In  quella  ora  alquanti  uomini  di  Siena  com- 
batteano  insieme,  e  già  v'  erano  morti  due  di 
loro.  Giugnendo  ivi  santo  Francesco,  predicò 
loro  sì  divotamente  e  sì  santamente,  che  gli 
ridusse  tutti  quanti  a  pace,  e  grande  unitade, 
e  concordia  insieme  »    (1). 

I  più  antichi  cronisti  senesi  ci  dicono  come 
il  Poverello  giunse  e  come  se  ne  partì.  Scrive 
il  Dei:  «  E  partissi  di  Siena  una  mattina  a 
buon'  ora  e  fermossi  dove  oggi  si  chiama  l'ar- 
bolo  di  S.  Francesco,  e  vi  ficcò  un  suo  ba- 
stone, e  attaccossi,  e  crebbe  grande  albero.  E 
allora  si  fé  quello  romitorio,  e  cominciossi  la 

(1)   Fioretti,  cap.  XI. 

36 


SENA   YETUS    CIVITAS   VIRGIXIS 

chiesa  di  S.  Francesco  ».  Un  altro  cronista 
anonimo  (1)  della  fine  del  Du<>'ento  pur  ci 
racconta  come  a  V  improvviso  inverdisse  il  ba- 
stone del  Santo  pellegrino. 

Ha  voluto  forse  la  leggenda  ricordare  con 
il  miracolo  il  frutto  spirituale  della  sua  paro- 
la che  doveva  essere  seme  fecondo  di  bene  in 
tante  anime?  Certamente  1'  efficacia  del  suo 
breve  apostolato  in  Siena  fu  grande  se  nel 
1220,  a  r  annunzio  della  morte  di  lui,  il  Co- 
mune decretò  V  erezione  d'  una  Chiesa  in  suo 
onore.  Alla  fabbrica  del  primo  tempio  france- 
scano misero  mano  i  senesi  nel  1228,  1'  anno 
della  canonizzazione  del  Poverello,  e  sembra 
fosse  compiuta  nel  1255.  Quella  chiesa  proba- 
bilmente di  stile  romanico  non  era  vasta  come 
la  presente  :  piccola  anzi  e  povera  ;  ma  v'  al- 
bergava lo  spirito  dell'  Assisiate,  e  gli  umili 
come  i  grandi  cittadini  vi  si  raccoglievano  nel- 
r  amore  d'  una  fede  eh'  era  gioia  ed  era  pace. 
I  ricchi  mercanti,  in  fin  di  vita,  disillusi  delle 
cose  vane  e  delle  grandezze  del  mondo,  reca- 
vano ai  custodi  del  tempio  i  danari  guada- 
gnati spesso  con  estorsioni  ed  usure,  e  li  pre- 
gavano di  distribuirli  ai  poveri.  Poi  chiede- 
vano in  quel  tempio  o  nel  chiostrino  contiguo 
di  S.  Gherardo  una  semplice  sepoltura.  Ivi  i 
Tolomei,  i  Salvani,  i  Salimbeni  ebbero  le  tom- 

(1)  Bibl.  Com.  di  Siena.  Codice  I,   11,  5. 

Oi 


CAPITOLO  I 


be  di  famiglia.  È  quasi  certo  che  Proyenzan 
Salvarli,  il  vincitore  di  Monteaperto,  fosse  sep- 
pellito in  S.  Francesco. 

L' anima  di  Provenzano,  come  quella  di 
Dante,  conobbe  il  dissidio  di  due  civiltà  in 
contrasto.  Ghibellino,  superbo  del  suo  sangue, 
non  credè,  di  umiliar  sé  stesso  quando  con 
esempio  novo  nella  storia  dell'aristocrazia  feu- 
dale, egli  primo  fra  i  cittadini  di  Siena,  con 
un  gesto  pieno  di  bellezza  francescana,  mentre 
vivea  più  glorioso, 


Liberalmente  nel  Campo  di  Siena 
Ogni  vergogna   deposta,    s'  affisse  : 

E  lì,  per  trar  P  amico  suo  di  pena, 
Che  sostenea  nella  prigion  di  Carlo, 
Si  condusse  a  tremar  per  ogni  vena. 

Questo  rappresentante  autentico  dell'aristo- 
crazia, fu  capace  di  umiliarsi  a  chieder  l'ele- 
mosina per  amor  di  carità  cristiana  ;  ed  egli 
sentì  ancora,  e  non  poteva  non  sentire,  la  forza 
del  Popolo  che  ascendeva  nella  fiamma  del 
nuovo  ideale  civile,  anche  se  dentro  di  sé, 
come  vuole  Dante,  fu  «  presuntuoso  —  a  re- 
car Siena  tutta  alle  sue  mani  ».  In  uno  dei 
piìi  antichi  poemi  politici  italiani,  che  Celso 
Cittadini  crede  scritto  nel  1262  da  un  senese, 
alcuni  versi  posti  in  bocca  di  Provenzan  Sal- 

38 


SENA   VETUS   CIVITAS   VIRGINIS 

vani  confermerebbero  la  sua  fede  nel  Popolo. 
Egli  parla  di  Siena  con  un  certo  Rugieri  im- 
paurito, dopo  Monteaperto,  della  partenza  per 
Kadicofani  di  cospicue  famiglie  guelfe,  soprat- 
tutto per  timore  de  V  inimicizia  del  Papa,  e 
così  gii  dice  : 

Ku^ieri,   or  ti  konforta 

Et   abi  giuoko   et  riso 

Gieso    Cristo   la  tiene  et  porta 

(la  llui  non  è  diviso, 

lo  franko  popolo  accieso 

la  porrà  in   altura 

Siena,  ciò  m'  è  viso. 

Città   di   natura  ! 

L'odio  guelfo  del  concittadino  Cavolino  To- 
lomei,  nella  rotta  di  Colle  del  1269  doveva 
spiccare  il  capo  dal  busto  a  Provenzan  Salva- 
ni,  facendo  fremere  di  gioia  Finvida  Sapia  clie, 
benché  senese,  come  ci  riferisce  Benvenuto  da 
Imola  «  era  tanto  furente  di  odio,  che  prima 
gridava  che  si  sarebbe  gittata  dalla  finestra  se 

i  senesi  avessero  vinto odiava  ella  il  popolo 

di  Siena,  come  la  Zanganella  il  popolo  di  Fio- 
renza, cioè  odiava  la  prosperità  di  quel  popolo, 
e  quel  Provinciano  tanto  famoso  e  potente  ». 
Anche  questa  donna,  come  l'anima  del  nemico 
suo,  s'  inabissa,  alfine,  attraverso  la  visione 
dantesca,  nel  turbine  dell'amore  francescano: 
noi  la  vediamo  Sapia  nel  secondo  girone  del 
Purgatorio,  addossata  alla  costa  dura  del  mon- 

39 


CAPITOLO   I 

te,  ricoperta  da  un  manto  di  cilicio,  con  le 
palpebre  degli  occhi  cucite  di  filo  di  ferro,  ma 
certa  di  riaprirle  nella  luce  dell'  empireo,  con- 
fessarsi, umilmente,  così  : 

«  Pace  volli  con  Dio  in  su  lo  stremo 
della  mia  vita;  ed  ancor  non  sarebbe 
lo  mio  dover,  per  penitenza,  scemo. 

Se  ciò  non  fosse  che  a  memoria  m'  ebbe 
Pier  Pettinagno  in  sue  sante  orazioni, 
A  cui  di  me  per  caritate  increbbe  ». 

Il  Salvani,  nel  giudizio  di  Dante,  trovò 
certo  il  pegno  de  V  eterna  salute  per  la  no- 
biltà del  suo  atto  in  favore  de  1'  amico. 

Quando  F  Alighieri  venne  in  Siena  potè 
vedere  le  case  del  vincitore  di  Monteaperto 
ridotte  a  un  mucchio  di  rovine  (un  guelfo. 
Meo  Tolomei,  s' era  accollato  le  spese  della 
distruzione)  e  meditare  dinanzi  a  quelle  pietre 
ch'erano  già  state  segni  di  splendore,  su  la 
vanità  della  gloria  terrena  e  sull'ingratitudine 
degli  uomini. 

La  Signora  di  Oastiglioncello  dovè  la  sua 
salvezza  a  l' umile  prece  del  popolano  che  ci 
appare  in  Siena,  come  il  primo  fiore  della 
fede  di  S.  Francesco,  e  che  ne  preannunzia  la 
gloria  nel  Purgatorio  dantesco. 

Poche  notizie  ci  sono  giunte  di  Pier  Pet- 
tinagno   ma    quelle    poche,   indiscutibilmente 

40 


SENA   VETUS   CIVITAS   VIRGINIS 

storielle,  sono  tali  che  possiamo  rappreseiitarei 
assai  bene  la  sua  figura  spirituale. 

Ignoriamo  V  anno  preciso  della  nascita  di 
Pier  Petti nagno.  Egli  traflicava  in  pettini  da 
scardassare,  in  pettini  da  telai  per  tessere.  Ebbe 
quattro  tìgli,  Bencivenni,  Francesco,  Ventura, 
Kistoro. 

Fu  del  popolo  di  S.  Desiderio  ed  appartenne 
al  terz'ordine  di  S.  Francesco.  Semplice,  umile, 
onesto,  si  guadagnò  per  le  sue  chiare  Tirtìi  l'am- 
mirazione dei  suoi  concittadini.  K^on  appartenne 
mai  al  Consiglio  della  Repubblica  e  ciò  proba- 
bilmente perchè  non  volle,  mentre  il  6  gennaio 
1282  accettò  l'incarico  di  scegliere  cinque  pri- 
gionieri fra  i  più  meritevoli  d'  essere  liberati. 
Così  pure  il  Consiglio  quando  nel  1285  stabilì 
di  elargire  una  elemosina  straordinaria  ai  con- 
venti ed  ai  poveri  della  Città  si  affidò  al  Petti- 
nagno.  Conosciamo  egualmente  dai  pubblici  do- 
cumenti conservati  ne  V  archivio  di  Stato,  che 
egli  fece  una  ricevuta  come  membro  d'una  com- 
missione comunale  «  j?>ro  picturis  quas  fecerunt 
fieri  ad  portas  >,  immagini  religiose  ch'egli  forse 
consigliò  ai  governatori  della  città.  Morì  il  12 
dicembre  1280  e  fu  proclamato  santo  a  voce 
di  popolo.  Sette  giorni  dopo  la  morte,  la  Re- 
pubblica ordinò  che  fosse  costruito,  nella  chiesa 
di  S.  Francesco  «  Super  tumulum  Sancti  Petri 
Fectenarii,  veneraMlis  civis  Senensis,  unum  se- 
jìulchruni  noMle  cimi  ciborio  et  altari  » . 

41 


\  CAPITOLO   I 

Il  sepolcro  del  Pettinagno,  scolpito  da  un 
certo  maestro  Agostino^  fu  tenuto  in  grande 
onore  anche  nel  nuovo  tempio  francescano  il 
quale  cominciato  verso  il  1260,  ebbe  il  suo 
compimento  magnifico  nel  secolo  XIV  grazie 
al  concorso  di  tutti  i  cittadini,  e  del  Comune, 
che  passava  ai  Minori  25,000  mattoni  a  Fan- 
no (1).  Dopo  F  incendio  del  1655  il  sepolcro 
del  terziario  francescano,  nei  lavori  di  restau- 
ro, andò  disperso  e  poi  distrutto.  Poco  impor- 
tava al  secolo  XYII  il  culto  d'  un  beato 
Pettinagno.  E  sol  di  lui  rimase  il  ricordo  lu- 
minoso nel  Poema  di  Dante. 

L'  Ospedale  della  Scala,  il  luogo  sacro  al 
dolore,  alla  povertà,  alla  morte,  severamente 
s'  inalzava  dinanzi  alla  maestosa  cattedrale 
quasi  per  ricordare  ai  fedeli  F  eterna  verità 
della  vita,  il  tormentoso  supremo  mistero  che 
solo  si  spiega  in  Dio.  Fu  questo  il  focolare 
primo  del  misticismo  senese,  ove  praticarono 
il  loro  noviziato  eroico  quasi  tutti  i  santi  cit- 
tadini. Le  origini  dell'  Ospedale  sono  antichis- 
sime. Fu  al  principio  Pellegrinalo,  ma  in  un 
documento  del  1090  esso  appare  già  come  isti- 
tuto ospedaliero.  La  direzione  fino  al  secolo 
XIII,   nel    quale  divenne  Ente    autonomo,  fu 

(1)  Questo  dono  ai  Minori  «  Pro  opere  noviter  incepto  »  è 
decretato  per  legge  nel  Constituto  del  1262. 

42 


SENA   YETUS   CIVITAS    VIRGINIS 

vivamente  combattuta  fra  i  Canonici  della  vi- 
cina cattedrale  e  la  fratellanza  de<ili  Oblati, 
compagnia  laica  che  prevalse  sotto  il  pontifi- 
cato di  Celestino  III  ottenendo  libero  governo 
e  la  libera  scelta  del  Kettore.  Vero  è  che  poco 
dopo  il  Papa,  dinanzi  ai  violenti  richiami  del 
Capitolo,  riatfermò  in  parte  i  diritti  dei  Cano- 
nici al  possesso  dei  beni  de  l'Ospedale,  ma  sic- 
come in  questa  lotta  fra  P  elemento  ecclesia- 
stico e  l'elemento  laico  il  popolo  prese  le  parti 
di  quest'  ultimo,  la  Compagnia  degli  Oblati 
trionfò  al  fine  nel  Dugento.  L'Ospedale  s'ebbe 
le  sue  Costituzioni  dal  rettore  Ristoro  di  Giunta 
Meniilii  ;  divenne  ricchissimo  ;  e  ne  1'  anima 
popolare  si  rinsaldò  la  fede  che  il  popolano 
Sorore  fondasse  il  massimo  Istituto  della  Be- 
neficenza cittadina. 

La  vita  di  Sorore  si  nasconde  nella  leg- 
genda d'  un  sogno  medievale  di  pace  che  il 
pennello  di  Taddeo  e  di  Domenico  di  Barto- 
lo fece  rifiorire  gentilmente  nel  Trecento  su 
le  nude  pareti  dell'  ospedale  di  Santa  Maria 
della  Scala,  ov'  ebbe  il  beato  la  sua  casa  pa- 
terna, su  le  rovine  d' un  antico  tempio  con- 
sacrato a  Minerva,  di  fronte  alla  chiesa  di 
S.  Bonifacio  che  poi  doveva  lasciare  il  luogo 
al  duomo  superbo. 

Bella  e  profumata  di  poesia  è  la  leggenda 
di  Sorore  attraverso  la  quale  ci  è  dato  di  sen^ 
tire  un  poco  l'anima  primitiva  della  città  to- 

43 


CAPITOLO   I 

scana,  fiorente  nella  sua  vita  nova,  e  nutrita 
di  alte  virtù  avviarsi  sicura  alla  conquista 
della  sua  gloria:  con  quest'  uomo  è  il  cuore 
stesso  del  popolo  senese  clie  assorge,  nella  notte 
dell'  oppressione,  verso  forme  superiori  di 
vita  civile  e  libera,  modellandosi  su  quello  di 
Cristo. 

Piero  si  chiamò  il  padre,  e  Grazia  la  ma- 
dre di  Sorore  :  egli  nacque,  come  e'  informa- 
no le  antiche  cronache,  il  25  marzo  dell'anno 
832.  La  madre  pria  eh'  ei  nascesse  ebbe  la  più 
singolare  visione.  Una  scala  le  appari  la  cui 
sommità  toccava  il  cielo  e  per  essa  saliva  il 
nato  di  lei,  mentre  che  con  grande  stupore 
stavano  ai  piedi  della  medesima  innumerevoli 
persone  contemplando  il  suo  salire,  certo  pre- 
sagio aggiunge,  con  meravigliosa  ingenuità  un 
antico  biografo,  eh'  egli  per  le  opere  sante  sue 
doveva  salire  sopra  il  cielo  dei  cieli  a  con- 
templare la  divina  Essenza,  o  pur  d'  aver  ad 
essere  il  fondatore  dell'  ospedale  di  S.  Maria 
della  Scala.  Di  fatto  tre  gradini  ha  la  scala 
che  fu  tolta  ad  impresa  dell'  ospedale  senese, 
significando  che  per  tre  gradi  si  arriva  facil- 
mente in  Paradiso  :  per  il  primo  s'  intende  la 
Fede  fondamento  dello  spirituale  edificio;  per 
il  secondo  la  Speranza,  senza  la  quale  non  si 
consegue  il  desiderato;  per  il  terzo  la  Carità, 
cima  di  tutte  le  virtù  che  introduce  F  anima 
nella  comunione  degli  spiriti  angelici. 

44 


SEXA    VETUS   CIVITAS   VIRGINIS 

L'  unione  dei  poveri  e  dei  ricebi,  dei  de- 
boli e  dei  potenti,  costituisce  la  forza  vera 
d' uno  Stato  e  ne  assicura  il  continuo  pro- 
gresso nella  pace  interna  :  questo  è  il  pensiero 
politico  clic  ci  è  permesso  di  scoprire  dietro 
quello  religioso  del  Beato  cbe  lo  contiene  vir- 
tualmente in  s^erme. 

Siena  si  può  dire  cbe  porti  il  vanto  fra  le 
città  d' Italia  risorgenti  a  vita  comunale  di 
aver  primamente  studiati  e  risoluti  con  sagace 
intelligenza  alcuni  gravi  problemi  economico- 
sociali.  Xel  secolo  nono  essa  vide  sorgere,  e 
fiorire  il  migliore  ospedale  d' Italia  per  i  ma- 
lati poveri  e  per  i  trovatelli,  e  vide  fruttifi- 
care r  impresa,  giaccbè  molti  altri  ne  sorsero 
poco  dopo  nelle  varie  città  consorelle  cbe  tol- 
sero ad  esempio  e  si  sottoposero  nel  governo 
a  quello  di  Siena.  Tra  questi  fu  F  ospedale 
fiorentino  della  Scala  che  fino  al  secolo  XVI 
si  mantenne  agli  ordini  del  Rettore  senese, 
e  cosi  pure  quelli  di  Acquapendente,  Eieti, 
Todi,  S.  Miniato  al  Tedesco,  Monte  S.  Sa- 
vino, Poggibonsi,  S.  Gimignano  ed  altri  an- 
cora. 

Il  famoso  ospedale  di  Siena  nacque  su  le 
fondamenta  della  casa  del  ciabattino  Sorore, 
deir  umile  casetta  cbe  il  popolano  senese  aprì 
insieme  alla  porta  del  suo  cuore,  per  accogliere 
i  poveri  pellegrini,  gli  atfamati,  i  sofferenti,  i 
bimbi  sperduti. 

45 


CAPITOLO   I 

La  carità  di  questo  servo  di  Cristo,  anima 
veramente  sorella  dell'  umano  dolore,  era  gran- 
de quanto  la  sua  povertà.  Ma  del  poco  fece 
F  assai.  I  ricchi  vedendo  così  generoso  quel 
povero,  cercarono  di  emularlo  e  furono  larghi 
a  lui  di  elemosine  onde  aiutarne  l'opera  bene- 
fica. Sorore  potè  allora  centuplicare  i  frutti 
della  sua  carità,  ed  il  bene  fu  molto  in  Sie- 
na, ed  il  demonio  n'ebbe  invidia.  Di  quest'in- 
vidia satanica  ci  narra  la  leggenda  un  fatto 
che  mostra  attraverso  il  velo  allegorico  il  nòc- 
ciolo dell'  antica  realtà,  e  si  colora  della  gra- 
zia ingenua  dell'  ardente  fede  medievale. 

Con  il  permesso  del  Signore  si  travestì 
adunque  un  giorno  il  Demonio  da  pellegri- 
no e  chiese  alloggio  a  Sorore  che  amorevol- 
mente 1'  accolse  nella  sua  casa  e  gli  diede  il 
miglior  letto  per  riposare.  Venuta  la  mattina 
il  Demonio  si  presentò  a  Sorore  dicendogli  : 
«  Certo  che  della  carità  usatami  ti  tengo 
grande  obbligo  ma  dell'  oltraggio  fattomi  non 
posso  se  non  dolermi,  perchè  essendo  venuto 
ad  alloggiare  teco,  acciocché  non  mi  fosse  alle 
osterie  o  in  altro  luogo  tolta  buona  somma  di 
danari  eh'  io  portava,  in  effetto,  vedo  essermi 
fallito  il  pensiero,  e  che  tu  non  sei  quel  san- 
t'  uomo,  pieno  di  carità  che  il  mondo  ti  pre- 
dica, ma  pubblico  assassino  di  strada,  toglien- 
do il  suo  ai  poveri  pellegrini,  com'  hai  rubata 
a  me  la  borsa  con  tanti  denari  ». 

46 


SENA   VETUS   CIVITAS   VIRGIXIS 

Rimase  confuso  e  quasi  fuor  di  so  a  que- 
ste parole  Sorore,  uè  a  peua  poteva  ripigliare 
il  fiato  per  parlare,  sentendosi  gravato  da  sì 
gran  calunnia,  e  perchè  era  innocente  e  tanto 
puro  e  semplice,  che  non  poteva  credere  colui 
dicesse  bugia,  né  riuscendo  ad  esser  persuaso 
che  alcuno  dei  pellegrini,  i  quali  aveva  al- 
loggiato, avesse  commesso  il  furto,  si  diede  a 
ricercare  per  tutta  la  casa  la  borsa  che  il 
diavolo  bugiardamente  affermava  essergli  stata 
rubata. 

Xon  trovandola,  il  povero  Sorore  esortò  ca- 
ritativamente i  pellegrini  che  s' alcuno  di  loro, 
acciecato  dal  demonio,  avesse  commesso  il  fur- 
to, lo  restituisse  per  salute  dell'  anima  sua  e 
togliesse  lui  dallo  scandalo  e  la  sua  casa,  giac- 
che non  vi  sarebbero  più  concorsi  i  forestieri 
udendo  che  vi  si  derubava  la  gente.  Tutti  re- 
stano smarriti,  e  per  mostrar  di  non  essere 
ingrati  al  benefattore,  fan  vedere  minutamente 
ogni  loro  avere  e  si  spogliano  per  dar  soddi- 
sfazione all'  importuno  accusatore  che  contro 
il  servo  di  Dio  esclamava  :  «  Io  non  resto 
soddisfatto  perchè  tu  sei  un  ladro  è  non  co- 
storo »;  e  con  grandi  ingiurie  e  villanie,  im- 
mantinente V  andò  a  denunziare  alla  Corte, 
dove  chiamato  Sorore  davanti  al  tribunale  riu- 
scì ad  esporre  le  sue  ragioni,  ma  tant'  era  la 
perfidia  del  demonio,  che  già  non  solo  i  mi- 
nistri   di  giustizia,    ma    altri    cittadini  s'  eran 

47 


CAPITOLO  I 

cominciati  a  sollevare  contro  di  lui,  sospet- 
tando che  il  bene  fosse  apparente  :  e  trattando 
il  giudice  di  metterlo  in  carcere  si  levò  egli 
un  sacchetto  con  alcune  reliquie  dal  collo  e 
lo  porse  al  Podestà  dicendogli:  «  Signore,  fa- 
tegli giurar  qui  sopra  che  sia  vero  quel  che 
avanti  al  vostro  tribunale  ha  esposto,  d'  aver 
portata  in  casa  mia  la  borsa,  e  poi  di  me  fate 
quanto  vi  piace  » .  A  queste  parole  sparve  il 
demonio  con  grandissimo  rumore  e  lasciò  il 
giudice  pieno  d' immondezza,  ed  attoniti  gli 
astanti,  e  Sorore  potè  ritornarsene  alle  sue 
opere  buone  tranquillo,  e  con  F  aureola  d'  un 
prodigio  confermante  la  sua  santità.  E  vero 
però  che  a  qualcosa  l'invidia  satanica  gli  ser- 
vì, cioè  a  farlo  più  accorto  :  di  fatti,  d'  allora 
in  poi,  deliberò  di  far  V  inventario  esatto  di 
tutte  le  cose  che  portavano  i  suoi  ospiti  non 
a  pena  mettevano  piede  nella  sua  casa.  E 
quest'  uso  si  perpetua  ancora  nell'ospedale  del- 
la Scala,  per  1'  utilità  dimostratane  dal  demo- 
nio a  Sorore. 

Le  opere  di  misericordia  del  Beato  sceneg- 
giate a  buon  fresco  da  Taddeo  di  Bartolo  e 
dai  suoi  aiutanti  nei  saloni  e  lungo  le  corsie 
dell'  ospedale  senese  e'  introducono  ne  1'  inti- 
mità della  casa  trecentesca  e  ci  fanno  cono- 
scere i  curiosi  costumi  cittadini  del  tempo.  Noi 
sappiamo  dalle  cronache  come  presto  entrasse 

48 


t 


La  scuola  nell'  Ospedale. 

Fot.  Lombardi. 
SIENA.  (Ospedale  della  Scala) 


Domenico  di  Bartolo 


SENA   YETUS   CIYITA8   VIRGIXIS 

F  USO  che  i  gentiluomini  e  le  gentildonne,  a 
V  ora  (li  desinare  e  di  cena,  tutto  V  anno,  e 
massime  V  estate,  andassero  a  V  ospedale  e 
<  presi  panni  da  riparto'si  dalle  hrutture  >  si 
mettessero  quelli  a  servir  di  propria  mano  gli 
uomini  infermi,  e  quello  le  donne. 

Nei  freschi,  meraA  igliosamente  vivi,  noi  ri- 
vediamo i  signori  e  le  signore  delP  antica  no- 
biltà senese  ai  letti  degli  ammalati,  aggirarsi 
in  mezzo  a  la  folla  dei  frati  ospitalieri  avvolti 
nel  lungo  manto  nero  sul  quale  ricadeva  il 
cappuccio  simile  a  quello  dei  vescovi,  e  con  in 
capo  la  scutfìetta  a  mandorla  annodata  con 
lacci  sotto  la  gola  sì  da  ricoprir  le  orecchie  ; 
e  vediamo  i  medici  ed  i  chirurghi  muniti 
degli  strumenti  dell'  empirica  arte  loro,  prov- 
visti di  tiale,  e  di  scatolette  per  unguenti,  di 
pannilini;  ed  in  altre  stanze,  ecco  i  preti  am- 
ministrare i  sacramenti  ai  moribondi,  ecco  su 
la  porta  dell'  ospizio  affollarsi  i  poveri  per  la 
distribuzione  delle  pagnotte  e  dei  vestiti,  ecco 
le  balie  gravemente  sedute  per  terra  allattare 
i  bimbi  trovati  nella  ruota  ;  ed  i  più  grandi- 
celli cresciuti  a  cura  dell'  opera  pia  sotto  la 
guida  d'  un  frate  severo,  armato  d'  una  lunga 
ferula,  intenti  a  sillabare,  sui  libri  ed  a  verga- 
re le  carte  ;  (1)  ecco  le  fanciulle  da  marito  at- 
tendere   pudiche,  a  capo  chino,  i  giovani    nei 

(1)  Vedi  iUustrazione  X.®  6. 

49 


CAPITOLO    I 

giorni  della  ricliiesta.  Quest'  ultima  scena  ci 
mostra  uno  dei  singolari  costumi  della  vita 
senese  (1). 

Lascio  la  parola  ad  un  cronista  che  vide 
lo  spettacolo:  «  Ogni  anno,  il  giovedì  e  vener- 
dì Santo  s'  apparecchiano  bianchissime  mense 
avanti  ai  superbi  edilizi  dello  spedale,  e  si  fio- 
riscono, e  dalla  parte  delle  muraglie,  che  ri- 
sguardano  la  chiesa  Oatedrale,  si  pongon  le 
banche,  e  a  seder  vi  stanno  le  citole  da  ma- 
rito, parecchie  hore  del  giorno,  con  occhi  bassi 
e  man  cortesi,  mostrando  (come  hanno  in  ef- 
fetto) grandissima  modestia,  e  cantando  divo- 
tissime  laudi,  che  non  è  senz'  una  certa  divo- 
zione :  e  in  quei  giorni  è  lecito  ai  giovani  e 
altri  non  maritati,  presentare  alcuna  di  loro; 
e  quel  presente  s' intende  per  segno  che  quel 
tale  chiede  quella  per  consorte,  e  si  fa  allora 
scriver  dal  signor  Oamarlengo  dell' Ospidale  il 
nome,  cognome  e  patria  dell'  uomo  e  della 
giovane  che  desidera  per  moglie;  e  fatta  dili- 
gente ricerca  delle  condizioni  di  chi  chiede,  se 
si  trova  esser  persona  da  bene,  e  che  sia  per 
ben  tenere  la  donna,  se  gli  dà  per  moglie  dalla 
Santa  Casa,  con  solita  dote,  e  d'essa  tien  cura 
la  detta  Oasa  come  di  sua  figliuola  sempre,  e 
massime  quando  rimanesse  vedova.  Da  quei 
giorni  determinati  in  poi,  e  cavate  certe  hore 

(1)  Vedi  illustrazione  N.**  7. 

50 


Lo  sposalizio  delle  fanciulle 

Fot.  Lombardi. 
SIENA.  (Ospedale  della  Stala) 


DoMKNico  DI  Bartolo. 


SENA   A'ETUS    CIVITAS    VIRGIXIS 

cV  iilcuni  santi  giorni  delV  anno,  che  a  coppia 
a  coppia  con  le  matrone,  vedove,  gnardie  e 
vecclii,  visitano  due  o  tre  chiese,  andando  per 
r  indulgenze  o  a  far  V  ofterta  nelhi  propria 
chiesa  dello  Spedale,  stanno  le  giovene  con  ri- 
stretto e  riguardo,  senz'esser  viste  da  huomiui 
con  diligentissime  guardie  alla  Huota,  come 
se  monache  raccliiuse,  velate  e  sacrate  fus- 
sero....  ». 

Per  certo  erano  queste  le  donne  che  pote- 
vano salire  degnamente  sugli  altari,  circomfuse 
di  grazia  celestiale  nelle  tavole  d'oro,  a  figu- 
rar le  dolci  sembianze  di  Maria,  e  quanto  di- 
verse apparivano  dalle  loro  concittadine  che 
più  tardi  avrebbero  tolto  a  prototipo  di  per- 
fezione la  Eatfaella  del  Piccolomini!  Altri  tem- 
pi, altri  costumi. 

Frattanto  pur  fra  le  fastose  e  raffinate  ele- 
ganze del  Rinasci  mento,  che  in  Siena  sfolgorò 
nel  suo  pieno  splendore  e  con  eccessi  di  pa- 
gana corruzione,  la  donna  senese  rimase  pur 
sempre,  come  ce  la  descrive  il  Bargagli,  una 
signora  «  alla  cui  presenza  gli  occhi  si  dilet- 
tano, gli  orecchi  si  consolano,  gii  spiriti  si  ri- 
storano, l' intelletto  si  pasce  altamente,  et  gli 
ingegni  divengono  elevati  et  gli  elevati  si  raf- 
finano e  si  fanno  perfetti  » ,  sdegnando  ella  di 
«  dare  tutto  il  giorno  o  tutta  la  notte  al  dan- 
zare come  in  alcuni  luoghi  si  costuma  » .  La 
senese  continuerà  sempre  ad  irraggiare  un  poco 

51 


CAPITOLO   I 

di  quella  luce  scaturieute  dalle  sue  tradizionali 
virtù,  dalla  trecentesca  nobiltà  delle  caste  ma- 
donne, che  sulle  tavole  di  Matteo  di  Giovanni, 
anima  botti celliana,  tradiscono  nei  volti  appas- 
sionatamente malinconici  tutta  la  pena  d'  un 
gran  tesoro  perduto. 

Rivarcliiamo  la  soglia  dell'anno  mille  e  tor- 
niamo a  Sorore.  Fra  Gregorio  Lombardelli 
dell'  ordine  dei  predicatori  raccolse  di  lui,  in 
mezzo  al  popolo,  alcuni  squisiti  fioretti  i  quali 
serbano  in  un  libro  rarissimo,  stampato  in 
Siena  presso  Luca  Bonetti,  l'anno  1585,  gran 
parte  della  loro  primitiva  fragranza.  Da  que- 
sto abbiam  tolta  la  leggenda  del  demonio  che 
visitò  Sorore  travestito  da  pellegrino,  ma  va- 
rie altre  ve  ne  sono  parimente  deliziose  per 
fresca  italianità  :  «  Come  il  Signore  gli  apjpa- 
reccJiiò  nuovo  mezo  cV affaticarsi  nelVopere  cari- 
tative per  lo  parto  cVuna  povera  donna.  Come 
venendo  a  Siena  tm  giovane,  vestito  a  monaco, 
2)er  ammazzar  certi  suoi  nemici,  fu  convertito 
da  /Sorore,  e  venne  alla  pace  » .  Come  ricevè  al 
servizio  dello  spedale  quel  soldato  che  gli  tolse 
il  lenzuolo  e  gli  dette  la  guanciata.  Come  il 
Dimonio  in  forma  di  òellissima  giovene  pellegri- 
nante^ tentò  Sorore  e  rimase  confuso  » .  Questi 
sono  i  titoli  di  alcuni  fra  i  Fioretti  del  beato, 
i  quali  meriterebbero  d'essere  conosciuti  e  por- 
terebbero   certo    un    contributo  notevole    allo 

52 


SEX  A   YETUS   CIVITAS   VIRGINIS 

studio  della  nostra  meravii2:liosa  letteratura  lei»- 
gendaria,  illuminando  la  storia  del  misticismo 
senese.  Sorore  morì  nella  sua  città  nativa  ai 
quindici  d'  agosto  dell'  anno  898,  come  gli  fu 
preannunziato  dalla  Regina  degli  Angeli. 

Il  primo  sabato  d'  agosto  dell'  898,  mentre 
stava  in  orazione,  sembra  che  gli  apparisse  la 
Tergine  e  così  gli  favellasse:  Poiché  tanti 
anni  mi  hai  servito  con  sincerità  di  cuore,  ho 
voluto  venire  a  dirti  oggi  che  1'  opere  sante 
tue  sono  state  molto  accette  al  mio  Figliuolo 
e  non  passeranno  senza  rimunerazione  in  Cie- 
lo ;  e  la  Scala  che  tu  hai  fatta,  sarà  cagione 
che  molti  saliranno  a  Lui,  e  son  saliti.  Però 
a  cagion  che  tu  possa  ormai  quietarti  dalle 
tante  fatiche  e  riceverne  una  pia  mercede,  ap- 
parecchiati alla  morte,  del  presente  mese  nel 
giorno  della  mia  Assunzione,  nel  quale  sì  come 
in  terra  e  in  cielo  si  fa  grandissima  festa  per 
mio  honore  così  la  tua  salita  darà  simile  alle- 
grezza a  tutta  la  celestial  Corte  » .  E  ciò  detto 
sparve  la  visione  restando  Sorore  pieno  di  dol- 
cezza spirituale.  Ei  volle  quindi  prender  con- 
gedo dai  suoi  compagni  frati  ospitalieri  con 
un  paterno  discorso  che  è  il  suo  testamento. 
Ed  approssimandosi  il  giorno  della  predetta 
sua  dipartita  dalla  terra  ei  si  spogliò  d'  ogni 
cura  dello  Spedale  per  apparecchiarsi  a  mo- 
rire. Due  giorni  innanzi  fu  preso  da  febbre 
fortissima  :    la   mattina    dell'  Assunta   quando 

53 


CAPITOLO   I 

il  sacerdote  nella  messa  solenne  a  1'  Arcive- 
scoYado  pronunziava  il  Gloria  in  excelsis  Deo, 
Sorore  alzò  gli  ocelli  al  cielo,  giunse  le  mani 
e  rese  F  anima  a  Dio  (1). 

L'opera  della  pubblica  beneficenza  die  per- 
vasa dallo  spirito  francescano  ebbe  in  Siena 
un  apostolo  nel  beato  Pettinagno  ed  il  suo 
Battista  nel  simbolico  Sorore  è  in  realtà  1'  e- 
spressione  del  sentimento  laico  cristiano.  Fin 
dal  Dugento  cominciò  ad  accentrarla  in  se 
r  Ospedale  al  quale  andavano  moltissimi  la- 
sciti ed  offerte  di  ricchi  cittadini,  cosicché 
l'istituto  ospitaliero  divenne  in  breve  tempo 
assai  ricco,  ed  al  principio  del  sec.  XIV  pos- 
sedeva varie  tenute  e  più  di  50  grangie  ossia 
magazzini  fortificati  per  il  grano.   L'  Ospedale 

(1)  Il  beato  Sorore  è  una  creazione  della  fantasia  mistica 
del  popolo  senese.  Il  P.  Lombardelli  clie  si  occupò  nel  Sei- 
cento di  questa  singolare  figura  non  ebbe  alcuna  preoccupa- 
zione d'  indole  critica  nel  comporre  la  sua  storia.  Or  ecco  il 
fatto  clie  dette  credito  alla  leggenda  trecentesca.  Il  24  maggio 
1492  lavorandosi  per  accrescere  la  fabbrica  dello  Spedale  fu 
trovata  un'  urna  con  le  j)arole  :  B.  Soror.  La  voce  latina  Soror 
ebbe  l' interpretazione  di  Sorore  j  più  facile  fu  di  scoprire 
sotto  la  j) reposta  iniziale  B.  il  titolo  di  Beato.  Così  non  solo 
fu  dal  popolo  confermata  la  credenza  nella^  santità  del  ciabat- 
tino fondatore  del  civico  spedale  ma  si  ritennero  trovate  le 
reliquie  del  beato.  Giova  pertanto  osservare  che  un  personaggio 
mitico  può  essere  altrettanto  vivo  nella  coscienza  d' un  popolo 
che  un  personaggio  realmente  vissuto  e  che  perciò  lo  storico 
lungi  dal  trascurarlo  deve  rappresentarlo  così  come  vive  nella 
fantasia,  nel  sentimento,  ne  1'  arte  popolare,  cioè  senza  strap- 
pargli la  maschera  della  storicità. 

54 


SEXA   YETUS   CIVITAS   VIRGINIS 

alloggiava  i  poveri  pellegrini,  raccoglieva  ed 
educava  i  gittatelli  e  curava  tutti  i  malati  fuor 
elle  i  lebbrosi.  Questi  ultiuii  erano  raccolti  nel 
«  Lebrosaj'io  »  di  S.  Lazzaro  ;  non  i)otevano 
abitare  in  città  nò  per  due  miglia  a  1'  intor- 
no, e  giravano  per  le  vie  di  campagna  cou  un 
campanello  al  collo  per  avvisare  ad  ognuno 
di  scansarsi  al  loro  passaggio.  La  condizione 
di  (questi  disgraziati  doveva  essere  terribilmente 
penosa,  ed  essi  offrivano  ai  mistici  l'occasione 
di  esercitare  la  più  eroica  carità. 

Se  r Ospedale  fu  il  cuore,  le  braccia  della 
beneficenza  pubblica  furono  le  numerose  Com- 
pagnie. Xe  facevano  parte  indistintamente  laici 
e  sacerdoti,  nobili  ed  artigiani;  ciascuna  aveva 
i  suoi  Capitoli  ai  quali  dovevano  conformarsi 
i  soci;  la  Compagnia  era  governata  da  un  Prio- 
re assistito  da  sei  o  dodici  consiglieri  e  per  la 
parte  amministrativa  da  un  Camarlengo.  I  soci 
dovevano  raccogliersi  nell'Oratorio  della  Com- 
pagnia per  la  preghiera  o  la  disciplina  in  co- 
mune. 

Tutti,  secondo  un  turno  stabilito  dal  Priore, 
andavano  per  le  case  una  o  due  volte  la  setti- 
mana, ad  accattare  pane  e  denaro  per  i  pove- 
ri, ed  ogni  cosa  veniva  consegnata  al  Camar- 
lingo il  quale  ne  prendeva  nota  nel  libro  d'en- 
trata ed  uscita  della  Compagnia,  essendo  in  ob- 
bligo alla  fin  d'anno  di  riferire  a  l'Assemblea 
su  la  propria  gestione.  Ciò  che  caratterizza  il 

55 


CAPITOLO   I 

funzionamento  filantropico  di  queste  compa- 
gnie laicali  si  è  che,  a  differenza  dell'  Opera 
ospitaliera,  non  solevano  accumulare  1'  elemo- 
sine ma  erano  tenute  a  distribuirle  dentro  gli 
otto  giorni  dalla  consegna. 

Divise  per  quartieri  (ogni  parrocchia  ne 
aveva  più  d'  una)  quasi  tutti  i  cittadini  vi 
appartenevano,  e  siccome  lo  scopo  delle  me- 
desime era  V  aiuto  dei  poveri  indirizzato  al 
perfezionamento  morale  del  socio,  ben  si  com- 
prende come  lo  spirito  religioso  che  le  infor- 
mava contenesse  in  una  salutare  disciplina 
uomini  di  natura  violenti  e  poco  sensibili  alla 
sofferenza  umana.  Se  noi  percorriamo  i  Cajn- 
toli  della  Compagnia  dei  disciplinati  sotto  le 
volte  dell'Ospedale  (1),  (risalgono  al  1295),  una 
delle  più  importanti  della  Città,  ci  colpisce 
subito  la  rassomiglianza  di  questi  statuti  con 
le  regole  degli  ordini  monastici.  Ma  nelle  com- 
pagnie soffiava  uno  spirito  nuovo  che  dovea 
fecondare  il  misticismo  dei  santi  riformatori 
come  il  Colombini  e  Caterina  Benincasa.  Gli 
autentici  rappresentanti  della  classe  aristocra- 
tica non  potevano  sentirlo  e  quando  si  con- 
vertivano alla  vita  religiosa  preferivano  rin- 
chiudersi negli  antichi  conventi  benedettini  ove 
sopravviveva  F  anima  religiosa  medioevale,  op- 
pure si  riducevano    a   vita    solitaria  in  luoghi 

(1)  Ediz.  di  Luciano  Bauclii  —  Siena  —  Gati,   1866. 

56 


SENA   VETUS   CIVITAS   VIRGIXIS 

orridi  e  belli,  lungi  da  V  abitato,  vicino  a  !e 
rocche  turrite,  in  un  mondo  d'angeli  e  di  de- 
moni. Da  un  lato  si  presentavano  ad  essi  come 
modelli  i  leggendari  protettori  della  città,  uo- 
mini di  fiero  e  generoso  sangue  romuleo  come 
Vittorio  ed  Ansano,  dall'altro  lato  i  prototipi 
della  vita  penitente  ed  eremitica  realizzata  dai 
monaci  di  Lecceto  speccliiantisi  a  lor  volta  so- 
pra S.  Girolamo  il  quale  sin  nel  tardo  Quat- 
trocento rimase  sul  quadro  di  devozione  se- 
nese a  straziarsi  il  petto  con  un  sasso  alla 
destra  della  Vergine,  mentre  già  alla  sinistra 
di  lei  era  apparsa  la  dolce  figura  del  predica- 
tore popolare  Bernardino,  il  tipico  rappresen- 
tante della  corrente  mistica  francescana  che  si 
ricongiunge  con  il  moto  cateriniano  e  con 
quello  dei  Gesuati  integrandone  d'  ambedue  gli 
spiriti.  Primo  il  Colombini,  come  vedremo  più 
innanzi,  pur  conservandosi  fedele  alla  legge  di 
mortificazione  proposta  dalla  perfetta  vita  ere- 
mitica, entra  risolutamente  nella  via  france- 
scana dell'  azione,  per  virtù  de  1'  esempio  e 
della  parola.  Egli  doveva  mostrare  per  tal  guisa 
il  cammino  alla  popolana  Caterina  Benincasa 
la  quale  compieva  vent'  anni  quando  il  fonda- 
tore dei  Gesuati  veniva  rapito  dalla  morte  al 
suo  fecondo  apostolato. 

Il  prototipo  del  Santo  senese  medioevale, 
che  succede  alla  categoria  dei  santi  romani 
leggendari  come  Vittorio  ed  Ansano,  è  il  gio- 

57 


CAPITOLO   I 

Tane  cavaliere  S.  Galgano  (1),  nna  figura  clie 
appartiene  più  al  mito  che  alla  storia. 

N^ella  biblioteca  comunale  di  Siena  si  può 
leggere  la  sua  leggenda  in  un  codice  del  Tre- 
cento (2)  die  ci  trasporta  con  il  suo  fascino 
fresco  di  visione,  sopra  un  monte  solitario, 
formato  di  alabastro  bianco,  detto  Montesie- 
pi,  ove  sorgono  le  grandiose  rovine  del  tem- 
pio monumentale  consacrato  a  S.  Galgano  (3). 
Dionisia  madre  di  lui  narrò  nel  processo  di 
canonizzazione  le  cose  vedute  dal  figlio  in 
sogno  e  che  poi  dovevano  realizzarsi.  Come  il 
suo  cavallo  lo  conducesse  a  Montesiepi,  ov'egli 
ficcò  nel  masso  la  spada  formandone  una  cro- 
ce, ed  ove  per  tre  volte  avendo  deciso  di  ri- 
tornare al  secolo,  in  cui  avea  condotta  vita  fe- 
roce e  dissoluta,  ne  fu  trattenuto  da  una  forza 
misteriosa.  S.  Michele  lo  guidò  ad  un  fiume 
«  sopra  il  quale  era  un  ponte,  lo  quale  era 
molto  longo  et  senza  grandissima  fadiga  non 
si  poteva  passare  :  sotto  lo  qual  ponte,  sicco- 
me la  visione  li  mostrava,  lì  era  uno  molino 
lo  quale  continuamente  si  roteava  e  si  volle- 
va,  lo  quale  significava  le  cose  terrene  le  qua- 
li sono  in  perpetua  flussione.  Et  passando  ol- 
tre pervenne  in  un  bellissimo  dilettevole  prato, 
lo  quale  era  pieno    di    fiori,  del  quale    usciva 

(1)  Vedi  illustrazione  N.®  8. 

(2)  Cf.   Cod.  miscel.   C.  VI.   8  da  carte  179  a  carte  204. 

(3)  Vedi  illustraz.   ii.^  9. 

58 


8 


Fot.  Lombardi. 
SIENA.  (Abbazia  di  S.  Galgano) 


S.  Galgano. 


Urbano  uà  Cohtona  ? 


SENA   VETUS   CIVITAS   VIRGINIS 

ismisurato  odore  et  gratioso.  Poi  escendo  di 
questo  prato,  parevagli  entrare  sotterra  et  ve- 
nire al  monte  Siepi  nel  qual  monte  trovava 
dodici  apostoli  in  una  casa  ritonda,  li  quali  li 
recavano  uno  libro  aperto  dinanzi,  et  che  elli 
lo  leggesse,  en  la  qual  parte  del  libro  era  que- 
sta sententia:  «  quoniam  non  cognovi  literatu- 
ram,  introiho  in  ^>o^e;«im<s  Domini  ;  Domini 
memorahor  notitie  tue  solius,  »  Et  essendo  in 
questa  casa  ritonda  et  sguardando  cogli  occhi 
in  cielo,  vidde  una  immagine  speciosa  et  bel- 
lissima ne  V  aire  » .  Così  Galgano  di  Chiu- 
sdino,  l'anno  USO,  cavaliere  illetterato,  uomo 
di  grande  fede,  giunse  al  conspetto  di  Dio  e 
si  fece  romito.  Dopo  un  anno  moriva,  secon- 
do che  narra  la  leggenda,  a  l'età  di  33  anni. 
Ma  il  sogno  del  mistico  cavaliere  medievale 
fiorì  subito,  quasi  per  prodigio.  ^N^el  1185  era 
già  sorta  a  Montesiepi  una  cappella  di  forma 
rotonda  come  la  casa  veduta  da  Galgano,  il 
quale  in  quest'  anno  medesimo  veniva  cano- 
nizzato da  Papa  Lucio  III.  Vicino  alla  cap- 
pella che  sussiste  tuttora,  sorse  rapidamente 
la  grande  abbazia  cistercense.  Sono  quasi  sem- 
pre i  grandi  santi  i  quali  danno  la  vita  agli 
ordini  religiosi:  questa  volta  fu  un  ramo  del- 
l' ordine  di  S.  Bernardo  (1)  che  fece  la  fama 


(1)  L'  abì)azia  di  San    Galgano    —    Arch.    Antonio  Cane- 
Ktrelli.  Firenze.  Alinari.   1895. 

50 


CAPITOLO   I 

di  S.  Galgano.  Montesiepi  divenne  il  centro  del- 
l' irradiazione  cistercense  in  Toscana  (1). 

I  monaci,  vari  dei  quali  venuti  a  S.  Gal- 
gano dall'  abbazia  di  Olairvaux,  cominciarono 
verso  il  1224  a  costruire  il  tempio  il  quale 
reca  V  impronta  d'una  solennità  sobria  di  linee, 
propria  alle  chiese  dei  cistercensi,  e  nella  co- 
struzione ricorda  particolarmente  quella  di  Ca- 
samari. 

L'ideatore  del  tempio  sembra  sia  stato  certo 
fra  Ugolino  di  Maffeo,  nominato  nei  Oaleffi  di 
S.  Galgano  ;  doveva  essere  uno  di  quei  <  ma- 
gistri  lapidum  »  i  quali  spesso  possedevano  il 
genio  dei  grandi  arcliitetti. 

La  fabbrica  era  già  a  buon  punto  nel  1224 
e  senza  dubbio  finita  nel  1288.  I  monaci  acqui- 
starono presto  molta  stima  ed  autorità  nella 
Eepubblica,  come  quelli  che  godevano  la  più 
ampia  fiducia  della  Curia  romana,  ed  ancora, 
io  mi  penso,  poi  eh'  essendo  molti  di  loro  fran- 
cesi dovevano  essere  un  tramite  utilissimo  ai 
commerci  dei  mercanti  senesi  che  negoziavano 
soprattutto  con  la  Francia.  Sta  il  fatto  che 
vari  monaci  furono  chiamati  quali  arbitri  in 
vertenze  fra  alcuni  Vescovi  ed  il  Comune  : 
molti  furono  Camarlinghi    di  Biccherna,    cioè 

(1)  L'  ordine  cistercense  fondato  da  S.  Koberto  sulla  fine 
del  sec.  XI  per  reagire  contro  il  lasso  e  lo  spirito  mondano 
infiltratosi  ne  1'  ordine  benedettino  ebbe  nel  1115  la  sua  or- 
ganizzazione regolare  da  S.  Bernardo. 

60 


t> 


SEX  A   VETUS   CIVITAS   VIRGIXIS 

tesorieri  del  pubblico  erario  ;  altri  operai  del- 
l' Opera  del  Duomo.  Essi  partecipavano  util- 
mente alla  vita  del  giovine  Comune  che  pa- 
gava la  fedeltà  e  gli  aiuti  dell'  ordine  con  la 
sua   protezione. 

Xon  credo  che  S.  Galgano  apparisse  mai 
come  un  rifugio  ad  uomini  veramente  spiri- 
tuali. 

Di  fatto  nel  1318  quando  Giovanni  di 
Mino  Tolomei,  Ambrogio  di  Mino  Piccolo- 
mini  e  Patrizio  di  Francesco  Patrizi,  disgu- 
stati del  mondo,  risolsero  di  ritirarsi  a  vita  di 
preghiera,  non  crederono  opportuno  di  battere 
a  r  uscio  di  S.  Galgano.  A  Lecceto  avrebbero 
forse  potuto,  come  ai  conventi  di  S.  Francesco 
o  di  S.  Domenico,  ma  il  romitorio  agostiniano 
era  troppo  pieno  di  monaci  per  quei  tre  spi- 
riti avidi  di  solitudine,  ed  i  conventi  degli 
ordini  mendicanti  erano  invasi  da  uno  spirito 
democratico  che  i  tre  nobili  senesi  non  ama- 
vano e  decisamente  anzi  avversarono  nelle  con- 
stituzioni  de  1'  ordine  nuovo  che  dovevan  fon- 
dare a  Monteoliveto.  Xon  è  fuor  di  luogo 
ricordare  che  il  Tolomei  apparteneva  a  quella 
classe  dei  nobili  che  nel  1277  furono  esclusi 
per  sempre  dal  governo  della  città  (1). 

Il  Tolomei  nato  nel  1272  visse  1'  infanzia 
e    la    fanciullezza  in  un'  atmosfera   famigliare 

(1)  Cfr.  Tommasi.  Historie  di  Siena.  II,  pag.  88-89. 

61 


CAPITOLO   I 

satura  d'odio  ghibellino  e  di  misticismo  cristia- 
no; in  mezzo  ad  uomini  micidiali  come  i  ri- 
cordati suoi  parenti  Cavolino  e  Meo,  e  le  anime 
dolcemente  cristiane  della  beata  ^era  (1230- 
1287)  e  del  beato  Giovan  Battista  Tolomei 
(1248-1320).  Non  sappiamo  come  si  determinas- 
se la  sua  vocazione  alla  vita  religiosa.  Ciò  fu 
nel  1313  poco  dopo  la  morte  dell'  imperatore 
Enrico  VII  a  Buoncon vento.  Il  Tolomei  insie- 
me al  Patrizi,  al  Piccolomini  e  ad  un  certo 
Francesco,  di  cui  non  ci  è  pervenuto  il  nome 
di  famiglia,  uscirono  un  giorno  fuori  di  Porta 
Romana  e  s' avviarono  ad  un  luogo  chiamato 
Acona  (1)  sopra  Buonconvento,  poco  lungi  da 
Chiusure  in  Val  d'  Ombrone,  eh'  era  un  pos- 
sesso dei  Tolomei.  In  questo  luogo  eravi  una 
«  villa  parvissima  » ,  ed  i  quattro  nobili  senesi 
si  edificarono  con  le  proprie  mani  un  «  ^>a- 
latium  terreum  »  che  vedovasi  ancora  nel  1450. 
In  cotesta  solitudine,  vivendo  nel  silenzio 
e  nella  preghiera,  lavoravano  la  terra  adem- 
piendo alla  legge  di  povertà  evangelica  (2).  Si 

(1)  Vedi  illustrazione  N."*  10. 

(2)  Il  primo  cronista  de  l'ordine  monteolivetano  Antonio 
da  Barga  insiste  nel  farci  sapere  che  il  Tolomei  era  «  vir 
doctus  ». 

L'amore  della  terra  in  questi  nobili  eremiti  usciti  dalle  uni- 
versità è  diverso  che  per  S.  Francesco.  Ci  fa  piuttosto  i)en- 
sare  al  Tolstoi.  Non  è  una  gioia  semplice,  ma  di  reazione.  Essi 
non  avrebbero  difatti  i^otuto  lasciare  per  i  campi  i  libri  delle 
loro  biblioteche  conventuali. 

62 


>. 


SEXA    TETUS   CIYITAS   TTUCrlNTS 

costrussero  anche  una  capi)ella.  La  lama  della 
loro  santità  si  sparse  per  Fltalia  e  giunse  alle 
orecchie  di  papa  Giovanni  XXIT,  il  quale,  so- 
spettoso sempre  di  moti  eretici,  inviò  ad  Aco- 
na  una  legazione  clie  trova  vasi  in  Toscana 
sotto  gli  ordini  del  Card.  Bertrando  del  Pog- 
getto  e  questa  esortò  gli  eremiti  ad  ottempe- 
rare alle  prescrizioni  del  Concilio  Lateranense 
del  1215  il  quale  li  obbligava  a  scegliersi  una 
delle  regole  monastiche  approvate  da  Roma. 
Il  20  marzo  1319  il  Tolomei  con  i  suoi  com- 
pagni compariva  dinanzi  al  vescovo  d' Arezzo 
Tarlati  per  1'  approvazione  del  nuoAO  ordine 
monteolivetano  foggiato  su  quello  di  S.  Bene- 
detto. 

La  potenza  e  V  espansione  di  quest'  ordine 
religioso,  caratteristicamente  senese,  è  collegata 
alla  gloria  della  Repubblica,  ma  ciò  che  più 
importa  a  noi  si  è  di  rilevare  come  Mouteoli- 
veto  rappresentasse  nel  movimento  mistico  cit- 
tadino il  pensiero  tradizionale  vestito  di  quel 
carattere  aristocratico  eh'  era  ne  1'  anima  dei 
suoi  fondatori,  i  quali  non  per  nulla  al  prin- 
cipio del  sec.  XIV  preferirono  alla  regola  fran- 
cescana o  domenicana  quella  benedettina. 

A  ilonteoliveto  erano  male  accolti  coloro 
che  non  fossero  di  elevato  lignaggio,  e  addirit- 
tura respinti  quelli  di  nascita  illegittima.  Que- 
sto spirito  di  esclusione  parve  poco  cristiano 
a  Caterina  Benincasa  la  quale  cercò  di  demo- 

G3 


CAPITOLO   T 

cratizzare  i  frati  Olivetani.  In  una  sua  lettera 
a  frate  Giusto  priore  di  Monte  Oliveto  rac- 
comanda caldamente  die  ne  1'  accettare  i  po- 
stulanti egli  non  si  ponga  a  considerare  «  mai 
per  veruna  dignità,  nò  per  bassezza,  né  per 
grandezza;  né  per  essere  legittimi,  né  illegit- 
timi ;  che  il  figliuolo  di  Dio,  le  cui  vestigio  ci 
convien  seguitare  non  schifò  né  schifa  mai  per- 
sona per  veruno  stato,  né  altra  generazione, 
né  giusti  né  peccatori  ».  Ella  ad  un  puntò 
esclama  :    «  E  siano  nati  eome  si  voglia  !  » 

Quando  seppe  che  il  priore  aveva  rifiutato, 
malgrado  le  sue  raccomandazioni,  un  postu- 
lante illegittimo,  gli  scrisse  con  tutta  franchez- 
za :  « Meravigliomi  molto  clic  la  rispo- 
sta   venne    del    no  ;    et    honne    avuto    grande 

ammirazione »    nella    qual    risposta    della 

santa  traspira  la  lieve  ironia  del  disgusto  che 
meglio  determina  ai  nostri  occhi  la  differenza 
profonda  delle  due  correnti  mistiche  senesi  ; 
quella  democratica  degli  uomini  nuovi  ;  quella 
conservatrice  degli  uomini  vecchi  ;  liberi  sem- 
pre più  i  primi  da  tutti  gli  impacci  conven- 
zionali; intesi  a  rompere  le  catene  delle  vec- 
chie regole  monastiche  onde  far  trionfare  il 
libero  spirito  del  vangelo  ne  l'esercizio  aposto- 
lico della  carità.  Chiusi  gli  altri,  secondo  l'an- 
tica tradizione,  nei  grandiosi  monasteri  ove 
1'  arte  fiorendo  dai  più  celebrati  pennelli  non 
significava  tanto  un  invito  alla  preghiera  quan- 

64 


SEXA  YETUS   CIYITAS   VIRGIXIS 

to  ima  celebrazione  dei  fasti  dell'  ordine.  Gli 
affreschi  del  Sodoma  e  del  Signorelli  nel  cliio- 
stro  olivetano  di  Cliinsure  ce  ne  offrono  una 
prova.  Questa  caratteristica  tendenza  d'  un  mi- 
sticismo diremo  così  nobiliare  doveva  essere  nel 
1425  sviluppata  per  le  donne  da  S.  Francesca 
romana  che  a  V  ordine  del  B.  Bernardo  To- 
lomei  s'  inspirò  nel  fondare  la  congregazione 
delle  nobili  oblate  di  Tor  de'  Specchi  e  volle 
al  medesimo  vincolarla.  S.  Francesca  nella 
storia  del  misticismo  femminile  è  la  più  lon- 
tana da  S.  Caterina  da  Siena. 


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CAPITOLO  II. 


FILIPPO    DEGLI   AGAZZARI. 


Come  le  antiche  case  ayeYano  il  loro  foco- 
lare, così  ogni  città  possiede  un  luogo,  quasi 
sempre  silenzioso  e  nascosto,  consacrato  parti- 
colarmente al  culto,  ove  la  mistica  fiamma 
della  fede  arde  più  vivace  affocando  di  santità 
r  aria  che  si  respira,  ed  ove  si  perpetuano  e 
si  fissano  lungo  i  secoli  nei  custodi,  e  nell'as- 
senza di  questi,  nelle  cose  stesse  e  nelle  pietre, 
le  abitudini,  i  pensieri,  i  sentimenti  della  per- 
fetta vita  spirituale. 

Siena  ha  questo  focolare  mistico  nell'eremo 
di  Lecceto,  lUcetum  vetus  sanctitatis  illicmm  (1), 
denominato  anticamente  Foltignano,  e  poi  dopo 
il  1220  Selva  del  Lago,  per  uno  specchio  di 
acqua  che,  scomparso  in  tempi  posteriori,  do- 
veva cedere  alla  folta  selva  di  lecci  circostante 

(1)  Vedi  illustraz.  n.  11. 

66 


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FILIPPO    DEGLI    ACiAZZARI 

il  vanto  di  battezzare  del  proprio  nome  V  ere- 
mo vetusto  dei  frati  eremitani  di  S.  Agostino. 
Questi  elei  reeingoiio  tuttavia  della  loro  sem- 
preverde corona  la  chiesa  ed  il  convento,  co- 
sicché da  lungi  sola  emerge  la  torre  campanaria 
che  rintocca  da  secoli,  lenta  e  grave,  a  1'  alba, 
a  mezzogiorno,  ed  a  calata  di  sole,  sopra  i 
campi  di  Marciano,  invitando  i  contadini  alla 
preghiera. 

Vuole  la  tradizione  che  nella  foresta  di 
Lecceto  si  rifugiassero  le  genti  senesi  conver- 
tite al  cristianesimo  da  S.  Ansano,  e  si  narra 
nelle  cronache  cittadine  che  S.  Agostino  e 
Santa  Monica  e  S.  Girolamo  e  S»  Domenico 
e  S.  Francesco  e  vari  pontefici  e  uomini  di 
Dio  ricercassero  la  pace  religiosa  di  quell'ere- 
mo lusingatore,  ove  il  beato  Filippo  degli  Agaz- 
zari  scrisse  su  lo  scorcio  del  secolo  decimo- 
quarto i  suoi  vivaci  Assempriy  e  Paolo  di 
maestro  Xeri,  un  discepolo  di  Ambrogio  Lo- 
renzetti,  dipinse  verso  il  1343  le  scene  della 
vita  privata,  documenti  entrambi  inestimabili 
per  addentrarci  nello  studio  e  nella  conoscenza 
della  storia  senese  contemporanea. 

Fra  Filippo  fu  della  nobilissima  casata 
Agazzari  o,  come  dapprima  si  disse,  della  Gaz- 
zaia,  figlio  di  un  Leonardo  Cola.  Xon  si  sa 
quando  nascesse,  ma  conoscendosi  che  nel  1422 
mancò  ai  vivi,  e  supponendosi  che  nel  1353, 
non  appena  preso  F  abito  dei  frati  di  S.  Ago- 

67 


CAPITOLO   II 


stino  di  Lecceto  avesse  quindici  anni,  possiamo 
porre  V  anno  della  sua  nascita   verso  il  1339, 
confermandoci  un  suo  biografo  antico  eh'  egli  -tM 
morì  ottuagenario.  ^M 

Dal  1398  in  poi,  cioè  per  ventiquattro  anni, 
fu  priore  del  suo  convento.  Quando  nel  1353 
egli  entrò  nella  pace  della  selva  leccetana,  già 
da  dieci  anni  Paolo  di  Neri  aveva  rappresen- 
tato su  le  pareti  del  portico  conventuale  le 
battaglie,  le  passioni,  i  divertimenti  degli  uo- 
mini mondani,  quasi  per  offrire  a  Filippo  la 
visione  del  regno  satanico  e  per  incitarlo  a' 
scrivere  gli  Assempri,  ISTon  è  credibile  con  qual 
senso  drammatico  della  vita,  con  quale  com- 
prensione del  movimento,  il  poco  noto  trecen- 
tista abbia  manifestata  la  forza  della  sua  arte. 

^e\  centro  d'  un  affresco  (1)  si  vede  tirato 
da  bianchi  cavalli  un  bel  carro  adorno  a  festa, 
ove  folleggia  una  compagnia  di  gaudenti,  con 
liete  musiche,  dietro  la  quale  trae  il  popolo. 
Sembra  di  veder  passare  la  òrigata  spende- 
reccia. 

Cupido  vola  sul  carro,  scoccando  dardi  in- 
fiammati, ma  sopra  uno  dei  cavalli  sta  il  de- 
monio bifronte  con  una  faccia  rivolta  alla 
gioviale  compagnia  e  V  altra  intenta  su  d'  un 
volume  aperto,  ove  segna  ogni  parola,  ogni 
atto,  ogni  sguardo  amoroso,  nella   sua   partita 

(1)   Vedi  illiistraz.  n.   12. 

68 


£il 


FILIPPO   DEGLI   AGAZZAIU 

di  credito.  Il  demonio  è  in  quelle  scene,  come 
sarà  negli  Assempri  di  fra  Filippo,  coni'  era 
nella  coscienza  dei  senesi  contemporanei,  lo 
spirito  onnipresente,  l'instancabile  insidiatore, 
il  vigile  e  tremendo  nemico.  Ecco  (1)  una  co- 
mitiva di  cacciatori  i  quali  con  lunghe  picche 
cercano  di  ferire  un  cinghiale  :  il  demonio,  na- 
scosto fra  i  rami  d'  un  albero,  bramosamente 
li  guata.  Un  altro  diavoletto  si  nasconde  die- 
tro il  cambiavalute;  e  nella  pittura  del  tribu- 
nale si  veggono  scendere  le  insinuazioni  sata- 
niche verso  le  orecchie  del  giudice  lungo  certe 
onde  sonore,  rappresentate  con  linee  serpeg- 
gianti. I  pescatori  non  possono  gettare  le  pro- 
prie reti  senza  che  lo  spiritello  maligno  salti 
a  prua  minaccioso;  e  mentre  i  soldati  combat- 
tono su  gli  spalti  e  le  torri  della  città  asse- 
diata, ecco  i  mostri  infernali  che  vengono  a 
rapire  le  anime  dei  caduti.  Ma  la  scena  più 
vìa  ace  e  curiosa  è  quella  ove  il  pittore  mostra 
la  passione  dei  giuocatori  di  tavole  (2). 

Il  giuoco  delle  tavole  come  quello  dei  dadi, 
dì  zara  a  chi  tocca  e  di  zara  alVavanzo  era  in 
voga  a  quel  tempo.  I  giuocatori,  per  lo  più 
feccia  dei  barattieri,  usavano  radunarsi  in  Siena 
nella  piazza  del  Campo,  ove  il  Comune  aveva 

(1)  Vedi  ilinstraz.  n.  13. 

(2)  L'  episodio  dei  giuocatori  è  comune  nelle  rappresenta- 
zioni sacre  senesi.  Cfr.  la  rappresentazione  del  B.  Giov.  Co- 
lombini.  Bibl.   V.   E.  Roma,   N.®  483. 

G9 


CAPITOLO   II 

assegnato  loro  un  ridotto,  e  là  conTenivano^ 
come  a  teatro,  anche  le  persone  dabbene,  ciò 
che  sappiamo  dai  versi  d'un  poeta  trecentista. 

Gentiluomini  e  donne  v'  han  allato 
Che  spesso  veggion  venire  alle  mani 
Le  trecche,  e'  barattier  eli'  hanno  giocato. 

E  vedesi  chi  perde  con  gran  soffi 

Bestemmiar  colla  mano  alla  mascella 
E  ricevere  e  dare  molti  ingoffi. 

Paolo  di  ^eri  ha  raffigurato  appunto  il 
giuocatore  perdente  «  caldo  caldo  con  V  ira  e 
con  F  impeto  del  giuoco  » ,  come  ci  dice  il 
Sacchetti  di  Messer  Giovanni  da  ìfegroponte, 
e  V  ha  ritratto  in  piedi,  tendendo  il  pugno 
contro  r  avversario,  il  quale  rimane  seduto, 
con  gesto  di  stupore,  e  cerca  di  parare  il  colpo. 
Dietro  le  spalle  dell'aggressore  un  demonio  si 
precipita  tutto  lieto.  Così  pure,  in  un'  altra 
scena,  vedesi  il  re  delle  tenebre,  trasformato 
per  la  circostanza  ne  1'  Eolo  virgiliano,  che 
soffia  la  tempesta  in  un  lungo  trombone  onde 
perdere  un  vascello  da  guerra  alle  prese  contro 
un  altro,  nemico.  Xessun  angiolo  di  Dio  per 
i  cieli  di  queste  rappresentazioni  accorre  in 
soccorso  dei  miseri  mortali. 

Il  mondo  è  il  regno  incontrastato  del  de- 
monio. Per  l'anima  altra  salvezza,  altro  porto 
di  rifugio  non  v'  h^  all'  infuori  del  chiostro. 
Tale  sembra  essere  l'ammonimento  significato 

70 


e 
B 


FILIPPO   DEGLI    AGAZZAKI 

da  queste  scene  ove,  per  la  meditazione  se- 
greta dei  monaci,  si  Acggono  raftigurati  gli 
nomini  descritti  con  orrore  dal  buon  fra  Filip- 
po- nel  cinquantunesimo  assempro  deiredizione 
Carpellini  :  «  coloro  che  stanno  tutto  il  dì 
oziosi,  e  solamente  vacano  tutto  '1  dì  a  ritro- 
varsi in  brigate,  e  con  compagni  a  ridare  et 
a  cianciare,  e  tuttodì  parlare  parole  oziose  e 
vane,  e  disutili;  e  tuttodì  mormorando  e  de- 
truendo  e'  fatti  altrui,  e  tuttodì  giocando  a' 
diversi  giochi  abbominevoli,  e  tuttodì  disone- 
stando co'  fatti  e  co'  le  parole  in  ogni  malo 
modo;  et  andarsi  spassando  a  nullare  e  a  cac- 
ciare e  mangiare  e  bere  tuttodì  come  le  be- 
stie, e  tuttodì  facendo  le  co.se  pericolose  et 
abbominevoli,  e  le  false  vendite  e  gV  iniqui 
contratti,  e  facendo  le  merende,  e  i  conviti,  e 
de'  poveri  non  curarsi  niente  ...» 

Xon  potrà  maravigliare  che  dinanzi  a  que- 
ste raffigurazioni  di  laici  vagabondi  e  dissoluti, 
le  anime  dei  giovani  frati  si  riempissero  di 
odio  per  il  mondo  e  si  compiacessero  nelle 
vendette  che  sai  mondani  immai>;inavano  com- 
piesse  il  demonio.  Ond'  è  che  raccoglievano 
avidamente  nella  commossa  fantasia  gli  echi 
di  tutti  i  miracoli,  di  tutti  gli  strani  e  terri- 
bili casi  accaduti  ai  peccatori  e  alle  peccatri- 
ci, echi  sospinti  verso  i  silenzi  del  chiostro 
dalla  rozza  fede  popolare.  Così  gli  eremi  dive- 
nivano i  giardini  adatti  alla  cultura   dei    fiori 

71 


CAPITOLO   II 


vivaci  e  profumati  sboccianti  dalla  mistica 
anima  del  popolo  :  così  è  che  fra  Filippo,  en- 
trato quindicenne  nella  pace  religiosa  di  Lec- 
ceto,  potè  scrivere  i  suoi  Assemjm^  e  guada- 
gnarsi la  corona  di  beato. 

Dell'  operosità  letteraria  di  fra  Filippo,  la 
quale  sembra  fosse  grandissima,  non  ci  resta- 
no oggi  che  due  manoscritti  nella  Biblioteca 
comunale  di  Siena,  ma  questi  per  fortuna  au- 
tentici ed  autografi  come  dimostrò  il  Oarpel- 
lini,  al  quale  andiamo  debitori  di  un'  edizione 
abbastanza  completa,  la  migliore  esistente,  de- 
gli Assempri  (1)  ;  giacche  alcuni  pochi  ne 
comparvero  nella  dispensa  XXV  delle  Curiosità 
inedite  e  rare  del  cav.  Zambrini,  per  il  Ro- 
magnoli, in  Bologna. 

Il  Oarx^ellini  ha  tratta  la  lezione  degli 
Assempri  dal  codice  I,  IV,  9,  esistente  nella 
suddetta  Biblioteca,  il  quale  è  palinsesto,  ed 
ove  cotesti  racconti  cominciano  alla  metà  della 
carta  23  versa  e  terminano  a  carte  101.  Sfo- 
gliando quelle  162  pagine  di  scrittura  compat- 
ta, vergate  con  mano  sicura,  a  belle  lettere 
roton dette,  ci  sembra  quasi  d'  aver  presente 
lo  spirito  del  frate  agostiniano,  e  riscontrando 
€he  r  assempro  sessantun  esimo  (in  tutti  sono 
62)  è  scritto  nel  1416,    ci    vien  fatto    di  rile- 


(1)  Gli  Assempri    di    fra  Filippo    da    Siena.   Siena,   Gati, 
libr.  edit.   1864. 


FILIPPO   DEGLI   AGAZZAIU 

rare  clr  culi  scrisse  presso  che  ottuagenario 
quelle  pagine  e  ci  meravigliamo  come  la  ma- 
no del  vegliardo  corresse  ancora  così  franca 
su  la  carta,  senza  tremiti,  senza  incertezze,  e 
quasi  scandendo  il  tranquillo  ritmo  del  cuore 
robusto.  Egli  era  in  i)ace  con  Dio  e  con  gli 
uomini. 

Quei  suoi  racconti,  nella  bella  e  semplice 
lingua  popolana  senese,  mirano  a  correggere 
i  contemporanei  dei  loro  vizi  dominanti,  il 
giuoco  e  r  usura  negli  uomini;  la  vanità  nelle 
donne  :  narrando  di  fatti  miracolosi  non  mo- 
stra per  essi  alcuna  meraviglia  (quei  trecen- 
tisti vivevano  nel  meraviglioso),  ma  rivela  tut- 
tavia una  certa  ostentazione  nel  documentare 
la  testimonianza  storica,  riferendosi  alla  fede 
di  persone  eh'  egli  stimava  rispettabili,  dalle 
quali,  segregato  nel  chiostro,  gii  aveva  attinti. 
Sono  frequenti  queste  riferenze:  «  un'antica 
e  venerabile  donna  >  ;  «  un  uomo  antichis- 
simo e  venerabile  e  di  buona  coscienza  »  ; 
«  un  grandissimo  servo  di  Dio  »  ;  «  un  reli- 
gioso degno  di  fede  ». 

Quando  fra  Filippo  era  fanciullo  avvenne 
in  Siena  la  prima  rivoluzione  contro  la  bel- 
lezza antica.  Xel  1345  fu  scoperta  vicino  alle 
fondamenta  della  casa  dei  Malavolti,  ne  V  at- 
tuale piazza  Umberto  1,  una  magnifica  statua 
che  seml)ra  raffigurasse  le  sembianze  di  Ve- 
nere Anadiomène.    Xon  ò  a  dirsi    l'  esultanza 

73 


CAPITOLO   II 

che  destò  questa  scoperta  nel  x^opolo,  il  quale 
come  nel  giugno  del  1311  aveva  recato  pro- 
cessionalmente  al  Duomo  la  Madonna  di  Duc- 
cio, così  doveva  recare  in  trionfo  la  dea  pa- 
gana dell'  amore  per  abbellirne  la  fontana  di 
Piazza,  quella  fonte  Gaia  rallegratasi  d'  acque 
copiose  nel  1343.  Per  alcuni  anni  videsi  allora, 
regina  della  città  mistica,  non  più  la  Vergine 
Maria,  ma  Venere  Anadiomène,  della  quale 
troneggiava  nella  pubblica  piazza  il  divino  si- 
mulacro, meravigliosamente  bello;  e  le  antiche 
cronache  ci  narrano  che  tutti  traevano  estatici 
«  a  questa  tanta  meraviglia   e  tanta"  arte  » . 

Senonchè,  poco  dopo,  per  improvvisi  rove- 
sci di  fortuna  che  colpirono  la  repubblica,  lo 
spirito  mistico  prese  di  nuovo  il  sopravvento 
in  Siena  e  purtroppo  ai  danni  della  bella  sta- 
tua, la  quale,  riconosciuta  come  causa  di  quei 
mali  e  tempio  del  demonio,  venne  un  giorno 
del  1357  a  furore  di  popolo  rovesciata  dalla 
fonte  Gaia,  frantumata  in  mille  pezzi,  e  questi 
frammenti  sepolti,  lungi  da  Siena,  in  terra 
fiorentina.  Così  potè  ripetersi  a  1'  alba  del  ri- 
nascimento in  Siena  una  di  quelle  sollevazioni 
della  fede  contro  V  arte,  le  quali  già  vide 
Poma  nel  tramonto  della  sua  forza  imperiale. 
La  città  serbava  vivo  tra  le  sue  mura  lo  spi- 
rito della  fede  medievale.  iSTel  medio  evo  i  numi 
che  avevano  avuto  altari  e  templi  non  muo- 
iono, non  dileguano,  ma  si  trasformano  in  de- 

71 


FILIPPO   DEGLI   AGAZZARI 

moni.  Giove,  Giunone,  Diana,  xVpollo,  Mercu- 
rio, Xettuiio,  Venere,  i  fauni  ed  i  satiri  e  le 
ninfe,  sopravvivono  al  culto  che  loro  era  reso, 
e  ricompaiono  fra  le  tenebre  dell'  inferno  cri- 
stiano, in<^ombrando  di  strani  terrori  le  menti, 
accendendo  le  più  belle  e  paurose  leggende. 

Satana  personifica  in  se  tutta  la  corruzione 
pagana  :  i  cristiani  credevano  il  mondo  pagano 
fattura  di  Satana,  ma,  realmente,  era  il  mondo 
pagano  che  foggiava  in  gran  parte  Satana  nella 
fantasia  dei  cristiani.  Così  era  la  corruzione 
della  società  del  Trecento  che  animava  lo  spi- 
rito satanico  nelle  fiintasie  dei  pittori,  dei  poeti, 
dei  santi,  e  dei  fraticelli  ingenui  come  il  buon 
fra  Filippo  ;  ed  in  Firenze  ispirava  a  Dante 
Alighieri  la  creazione  delle  sue  bolgie  infer- 
nali, ed  in  Pisa,  a  V  Orcagna,  le  scene  terri- 
bilmente meravigliose  del  camposanto.  Xoi 
dobbiamo  a  Satana  molti  capii  avori  d'  arte 
cristiana  che  sono  assai  superiori  a  quelli  con- 
sacrati dalla  moderna  rettorica  nelle  liriche 
del  Carducci  e  del  Eapisardi,  ma  li  dobbiamo 
ad  un  Satana  che  oserei  direi  cristiano,  che 
usciva  dallo  scontro  di  due  civiltà  contrastanti, 
di  due  filosofìe  avverse,  non  a  pena  la  Chiesa 
cattolica  rimaneva  trionfante  nella  lotta.  Quan- 
do lo  spirito  del  male  trionfa  davvero  su  le 
anime  non  lo  si  vede  più  digrignare  i  denti, 
e  sputar  zolfo,  ed  agitar  forconi,  nelle  fantasie 
artistiche    dei    credenti,    pittori    e    novellieri  ; 


CAPITOLO   II 

quando  il  male  stesso  diventa  un  mito,  e  la 
corruzione  è  al  colmo  sotto  una  vernice  ele- 
gante, e  non  si  parla  più  del  demonio  e  se  ne 
dubita  come  dell'  esistenza  delle  leggi  morali, 
allora  lo  spirito  misterioso  vive  in  pace  con 
gli  uomini  :  è  il  padrone  che  non  molesta  lo 
schiavo  docile. 

Se  noi  guardiamo  un  poco  al  personaggio 
simbolico  che  si  chiama  Satana,  vedremo  come 
il  terrore  di  lui  che  agitò  le  masse  cristiane, 
non  sia  tanto  un  segno  di  bassa  superstizione 
quanto  un  indice  di  lotta  spirituale  contro  i 
vizi  e  le  passioni  volgari,  per  il  trionfo  di  una 
elevata  idealità  morale,  per  il  trionfo  dello 
spirito  su  la  materia. 

Era'  Filippo  degli  Agazzari  esprime  ap- 
punto attraverso  la  sua  caratteristica  demono- 
fobia cotesta  idealità  di  lotta  per  l' elevazione 
cristiana  dello  spirito,  e  nei  suoi  Assemprij 
pur  fra  mezzo  le  scorie  e  le  incrostazioni  della 
superstiziosa  anima  popolare,  egli  riesce  a  far 
valere  ai  nostri  occhi,  depurato  al  calore  della 
sua  mistica  fiamma,  l'aureo  tesoro  d'una  fede 
sostanzialmente  ricca  di  verità,  come  attra- 
verso la  rappresentazione  artistica,  ingenua  e 
potente  del  novellatore,  giganteggia  la  figura 
del  moralista.  Il  moralista  è  quasi  sempre  lo 
storico  dei  costumi  eh'  egli  condanna,  e  ci 
offre  documenti    psicologici    importantissimi    i 

76 


FILIPPO   DEGLI   AGAZZARI 

quali  ci  permettono  di  rivivere   nelle  più  lon- 
tane età. 

Ho  già  accennato  come  i  vizi  dominanti 
nella  florida  e  popolosa  Siena  del  Trecento 
fossero  1'  usura  negli  uomini  e  la  passione  del 
«  lisciarsi  »,  dell'imbellettarsi,  nelle  donne. 

Contro  il  «  liscio  »  e  contro  1'  usura  fra 
Filippo  è  implacabile.  È  famoso  V  assempro 
ove  narra  di  una  donna  che  fu  «  lisciata  » 
dal  diavolo,  il  quale,  camuifatosi  da  camerie- 
ra, le  annerì  orribilmente  la  faccia  :  e  in  un 
altro  racconta  d'  una  bella  fanciulla  eh'  ebbe 
roso  dal  «  liscio  »  tutte  le  gote,  e  ancora  di 
una  donna  che  crepò  nei  vestimenti.  A  edifi- 
cazione delle  poche  le  quali  serbavansi  one- 
ste riferisce  il  fatto  d'una  buona  giovane  che, 
perdi'  ella  non  si  volle  «  lisciare  » ,  vide  nel- 
1'  ostia  consacrata  un  viso  d'  un  fanciullo  con 
molto  splendore.  Non  mancano  neppure  «  due 
assempri  moragli  »  che  il  fraticello  pone  acciò 
che  i  buoni  sapx^iano  in  che  modo  debbono  ga- 
stigare  e  correggere  le  loro  donne  quando  si 
lisciano  e  imbrattansi  i  volti  ;  e  la  pena  è 
molto  severa.  Sembra  però  che  ad  alcuni  ma- 
riti non  dispiacesse  cotesta  vanità  delle  proprie 
mogli  :  non  certo  a  Cecco  Angiolieri,  almeno 
a  giudicarne  da  questi  versi  : 

Quando  mia  donna  esce  la  man'  dal  letto 
Che  non  s'  ha  posto  ancor  del  fattibello, 
Non  ha  nel  mondo  sì  laido  vasello 

77 


CAPITOLO   II 

Che,  lungi  lei,  non  paresse  un  diletto, 
Così  ha  il  viso  di  bellezze  netto; 
Infin  eli'  ella  non  cerne  al  buratello 
Biacca,  allume,  scaglinola  o  bambagello; 
Pare  a  vedere  un  segno  maledetto  ! 
Ma  rifassi   d'un  liscio  smisurato 
Che  non  è  uom  che  la  veggia  in  cheli'  ora 
Ch'  ella  no  '1  faccia  di  sé  innamorato. 

Cecco  Angiolieri  suonava  una  campana  che 
alle  orecchie  di  fra  Filippo,  se  pur  mai  gliene 
giunse  l'eco,  dovette  certo  sembrare  la  campa- 
na del  demonio,  ma  egli  non  riuscì  a  strap- 
parne la  corda,  e  morto  TAngiolieri,  altri  poeti 
cittadini  la  suonarono  a  distesa  mettendo  lo 
scompiglio  non  solo  nelle  famiglie,  ma  pure 
nei  conventi,  e  nel  secolo  XV  che  vide  fra 
Filippo  scrivere  i  suoi  Assempri  e  Bernardino 
predicare  in  piazza  con  sì  grande  consenso  del 
popolo  fedele,  pur  si  cantavano  per  le  vie  di 
Siena  questi  versi  che  Arturo  Ricci  trascrisse 
nei  suoi  Canzonieri  senesi  della  seconda  metà  del 
Quattrocento  e  che  un  poeta  anonimo  mette 
in  bocca  a  gioconde  monachine  scappate  dal 
chiostro  : 

Fanciullette  semplicelle, 
Pure,  sciocche,   nei  primi  anni 
fummo  fatte  monacelle  : 
con  lusinghe  e  con  inganni 
ci  vestiron  questi  panni  ; 

e  siccome  altre  loro  compagne  avevano  avuto 

78 


FILIPPO   DEGLI   AGAZZARI 

la  fortuna  (V  aiular  spose,    ecco    come  rappre- 
sentano le  claustrate  le  diverse  sorti  : 

I'  una  è  sempre  in  doglia  e  in  pianto, 
1'  altra  è  sempre  in  gioco  e  festa, 
1'  una  ha  il  vezzo  e  il  ricco  manto, 
l'altra  il  bigio  e  il  velo  in  testa  : 
questo  tempo  eli  e  ci  resta 
non  vogliam  perderlo  al  tutto, 
ma  per  trarne  qualche  frutto, 
noi  Togliamo  esser  dotate  ! 


o' 


Anche  questi  versi  tradiscono  il  vizio  della 
vanità,  che  Dante,  tiorentino,  rinfaccia  ironico 
agli  uomini  senesi;  più  d'ogni  altra  cosa  è  «  il 
vezzo  e  il  ricco  manto  »  che  desiderano  e  rim- 
piangono le  donne  della  canzone,  fiori  d'  una 
femminilità  ben  diversa  da  quella  cateriniana, 
e  che  darebbero  ragione  a  l'ignoto  epigrafista 
d'un  camino  del  rinascimento  sul  quale  vidi 
una  volta  incise  queste  parole:  <  Quid  laevius 
veìitoì  Jlamen,  Quid  Jtaminef  fumus.  Quid  fumo? 
mulier.  Quid  muliereì  nihil  » .  Assai  contrasta 
questo  concetto  che  della  donna  ebbero  la  mag- 
gior parte  degli  uomini  del  rinascimento  e  che 
ò  sostanzialmente  quello  pagano,  con  1'  altro 
emergente  dallo  studio  psicologico  delle  donne 
cristiane  che  si  disegnano  con  straordinaria  ef- 
ficacia su  lo  sfondo  storico  della  vita  italiana 
e  soprattutto    senese  dei  secoli  XIV  e  XY. 

Bella  e  nobile  ci  torna  alla  memoria  la  fi- 
gura di  quella  Madonna  Onorata  Saracini  della 

79 


CAPITOLO   II 

quale  Bernardo  Ilicino  ci  ha  tramandata  una 
stupenda  biografia  e  che  nel  1451  movendo  fuor 
di  Porta  CamuUia  insieme  alle  altre  matrone 
senesi  a  ricevere  F  imperatore  Federico  III  e 
la  sua  consorte  Eleonora,  e  rimproverata  da  al- 
cune sue  amiche  d'essersi  abbigliata  troppo  mo- 
destamente, rispose  che  le  signore  senesi  avreb- 
bero dovuto  far  pompa  solo  della  loro  modestia, 
giacché  per  ricchezza  di  ornamenti  femminili 
potrebbero  facilmente  sorpassarle  le  donne  di 
altre  città  più  ricche.  Ci  piace  la  superbia  di 
questa  risposta  su  le  labbra  della  bellissima  pa- 
trizia senese  dai  grandi  occhi  neri  splendenti 
ne  l'ovale  perfetto  del  volto  fra  i  meravigliosi 
capelli  d'  oro  quale  ce  la  descrive  rilicino,  ed 
il  Pinturicchio  forse  raffigurò  in  una  fra  le 
più  vaghe  dame  del  corteggio  piccolomineo  di- 
pinto nella  libreria  del  Duomo.  Eran  queste, 
in  ogni  modo,  le  donne  che  la  parola  e  l'esem- 
pio dei  mistici  senesi  esaltavano  in  una  luce 
di  purezza  morale  senza  mortificare  in  un  vano 
e  troppo  austero  ascetismo.  Essi  guardavano 
in  vero  che  la  donna  fosse  ottima  madre  di 
famiglia  e  quindi  cittadina  esemplare,  e  lavo- 
ravano per  ciò  stesso  al  consolidamento  ed 
alla  prosperità  della  repubblica. 

Assai  più  rigido,  com'è  naturale,  ci  si  mo- 
stra fra'  Pilippo  contro  i  peccati  degli  uomini 
avari,  contro  i  dissanguatori  del  popolo  che 
verso    le    venialità    femminili.   Quasi  tutti  gli 

80 


FILIPPO   DEGLI   AGAZZARI 

usurai  muoiono  disperati  nei  suoi  Asscmjyri. 
Del  resto  la  Chiesa  condannava  severamente 
gli  offensori  del  più  alto  precetto  cristiano, 
quello  della  carità,  contro  il  quale  urta  soprat- 
tutto V  usura.  Sotto  il  pontificato  di  Alessan- 
dro III,  nel  1179,  il  Concilio  Laterano  aveva 
prescritto  :  «  Ut  usurali  manifesti  nec  ad  Co- 
munionem  admittantur  xVltaris,  nec  Cliristia- 
nam,  si  in  hoc  peccato  decesserint,  accipiant 
sepulturam  ».  Questo  decreto  fu  confermato 
nel  1271  dal  secondo  Concilio  generale  di  Lione 
e  legittima  canonicamente  le  parole  violente 
del  frate  nel  SS""  assempro,  ove  parlando  dei 
cadaveri  degli  usurai  scrive  :  «  E'  quali  corpi 
si  debbano  sotterrare  al  fosso  co'  cani  e  co'  le 
bestie,  e  non  ne  le  chiese  e  ne'  luoghi  sacri  » . 

Xon  ò  credibile  come  contrastasse  penosa- 
mente in  quei  tempi  il  lusso  e  V  empietà  dei 
ricchi  usurai  banchieri  con  la  miseria  ed  il 
fendente  misticismo  di  quasi  tutto  il  popolo. 

Fra  Filippo  ci  narra  d'uno  di  questi  stroz- 
zini che  amava  ostentare  le  sue  ricchezze  an- 
dando sempre  «  abbottonato  d'ariento  contraf- 
facendo tutti  i  frutti  dell'  anno  » ,  che  portava 
cioè  su  gli  abiti  dei  bottoni  d'argento  foggiati 
secondo  i  frutti  della  stagione,  ed  il  medesimo 
<  quando  mangiava  teneva  su  la  mensa  un 
carro  d'  oro  per  salettiera  co'  buoi  e  col  bifol- 
co.... e  si  faceva  sonare  dinanzi  in  su  la  mensa 
quattordeci    borsegli    con  quattordeci  migliaia 

81 


CAPITOLO   II 

di  ducati  d'  oro  dentro  vi  ;  e  questi  diceva  clie 
era  V  uno  Gesù  Cristo,  e  1'  altro  la  Vergine 
Maria,  e  gli  altri  i  dodici  apostoli  >.  Male 
però  gliene  avvenne,  che  morì  miseramente  ed 
il  suo  corpo  non  trovò  pace  in  sepoltura  ono- 
rata. L'erede  avendogli  fatta  fare  una  cappella 
«  la  notte  che  la  mattina  vi  si  doveva  metta- 
re  il  corpo  e  sotterrare  le  sue  ossa,  parbe  che 
tutti  i  dimoni  dello  'nferno  venisno  per  la  lor 
chiesa  con  tanta  tempesta  e  con  tanto  busso  e 
romore  che  intorno  a  la  chiesa  per  tutte  quelle 
contrade  non  vi  potè  dormire  persona.  E  la 
mattina  quella  chiesa  era  stata  gittata  nel  fiu- 
me che  era  ine  presso  ». 

Un  altro  di  questi  usurai  —  mentre  gia- 
ceva malato  —  fu  veduto  assassinare  dal  dia- 
volo, il  quale,  sotto  1'  aspetto  d' un  «  uomo 
terribile  con  un  cappello  pinzuto  in  capo  salse 
sul  letto,  gitosse  boccone  sopra  de  lo  'nfermo 
che  stava  rivescio  sul  letto,  e  misseli  le  mani 
ne  la  gola  e  strozzollo  ».  N^elle  descrizioni  di 
queste  scene  vi  è  F  efiicacia  della  sobrietà,  la 
evidenza  della  rappresentazione  drammatica 
raggiunta  con  F  intuizione  rapidissima  d' un 
occhio  che  sa  cogliere  le  cose  in  movimento, 
che  fissa  F  essenziale  senza  disperdersi  mai  sui 
particolari.  Mirabile  perciò  è  F  assempro  58*" 
ove  si  narra  d'  un  uomo  che  per  aver  denari 
si  offerse  al  diavolo  :  «  Allora  il  diavolo  gli 
dette  i  denari  che  gli  adimandò  e  sparì.  E  poi 

82 


FILIPPO    DEGLI   AGAZZAKI 

(Toppo  al(|uanto  tempo  aiulando  co'  la  moglie 
sua  a  un  suo  prato  e  gionto,  vicldo  '1  diavolo 
venire  da  lon^a  verso  lui  ne  la  forma  cli'ei^li 
r  aveva  veduto  la  prima  volta.  E  cominciò 
tutto  a  impallidire  et  a  tremare  di  paura.  Al- 
lora la  moglie  vedendo  questo  il  dimandò  per- 
di' egli  era  così  impaurito  e  tremava  forte.  Egli 
le  disse  tutto  '1  fatto  coni'  era  stato  e  come  '1 
diavolo  veniva  per  lui.  Allora  la  moglie  gli 
disse  :  O  misero  sciauurato  come  non  V  hai 
detto  già  cotanto  tempo  acciò  che  tu  ne  fusse 
potuto  confessare  et  rendare  in  colpa.  E  sopra 
giognendo  '1  diavolo  disse:  Tu  se'  mio  in  ani- 
ma et  in  corpo  sicché  io  posso  far  di  te  ciò 
eh'  io  voglio.  E  dette  queste  parole  il  prese 
per  le  hraccia.  Allora  la  moglie  1'  abbraccicò 
ne  le  s^ambe  e  tenevalo.  El  diavolo  tirandolo 
per  le  braccia  attrascinò  lui  e  lei  un  buon 
pezzo  su  per  lo  prato.  A  la  perfine  la  moglie 
non  potendolo  più  tenere  il  lassò.  El  diavolo 
allora  el  portò  in  aria  in  tanta  altezza  che  la 
moglie  sua  noi  poteva  più  vedere.  E  doppo 
questo  se  ne  portò  l'anima  sua  e  '1  corpo  lassò 
cadere  in  terra  ». 

Veramente  meravigliosa  ci  appare  la  fede 
di  quei  trecentisti  i  quali  non  stupivano  e  non 
dubitavano  della  meravigliosa  impossibilità  di 
simili  fatti  e  che,  potevano  in  buona  fede, 
dopo  averli  riferiti  attestare  come  il  beato  fra 
Filippo  :    «  Questo  assempro  udii  da  un  uomo 

83 


CAPITOLO   II 

degno  di  fede  el  quale  1'  udì  da  un  frate  che 
confessò  la  moglie,  et  udìllo  da  lei  mede- 
sima ». 

È  appunto  questa  fede  nel  meraviglioso 
che  ci  offre  la  chiave  per  comprendere  il 
mondo  dell'  arte  e  dello  spirito  senese  nel  Tre- 
cento. 


Con  fra  Filippo  noi  siamo  altresì  introdotti 
nel  mondo  curioso  delle  credenze  popolari  se- 
nesi, di  quelle  superstizioni  elcTate  al  grado 
di  verità  domestiche  che  sopravvivono  ancor 
oggi,  tramandate  dai  vecchi,  nelle  case  dei 
contadini,  rifiorite  sempre  su  le  radici  del- 
l'antica religione  pagana,  sebbene  impregnate 
del  misticismo  della  nuova  fede,  e  che  riman- 
gono fedelmente  avvinte  alle  antichissime  tra- 
dizioni come  le  piante  d' edera  ai  ruderi  ve- 
tusti e  crollanti,  e  che  moriranno  solo  quando 
i  contadini  avranno  dimessi  insieme  ai  pitto- 
reschi costumi  del  tempo  andato  anche  molti 
abiti  spirituali. 

La  civiltà  moderna  affretta  questa  trasfor- 
mazione e  non  è  senza  un  vivo  interesse  che 
io  ho  potuto  accertare  più  d'  una  volta  la  so- 
pravvivenza di  certi  precetti  ricordati  da  fra 
Filippo  nei  suoi  Assempri,  come  di  certi  scru- 
poli curiosi  e  superstizioni,  nella  fede  schietta 
ed  ingenua  di  alcune  famiglie  patriarcali  del 
contado  senese. 

84 


FILIPPO   DEGLI   AGAZZARI 

Una  massaia  mi  disse  un  giorno  che  non 
avrebbe  mai  sfornato  il  pane  di  domenica,  giac- 
che le  sarebbe  certamente  accaduta  una  disgra- 
zia. La  ragione  di  questa  convinzione  può 
scoprirsi  nel  iS""  assempro  di  fra  Filippo,  ove 
si  narra  appunto  di  una  donna  clic  <  cosse  '1 
pane  la  Dimcnica  e  volendolo  poi  sfornare, 
era  tutto  sanguinoso  ».  La  massaia  ignorava 
r  assempro,  ma  però  mi  aggiungCA^a  :  «  Il  pane 
fatto  la  domenica  non  lo  mangiano  neppure 
le  bestie  » .  E  fra  Filippo  scriveva  cinquecento 
anni  fa  :  «  Prende  del  pane  che  sia  macinato 
o  cotto  in  domenica,  e  portane  a  una  peschie- 
ra di  pesci,  e  gittolo  de  le  briciole  di  quel 
pane,  e  vedrai  manifestamente  che  nullo  pesce 
ne  prenderà  mai  nessuna  briciola  ». 

Così  pure  sopravvive  la  fede  nei  medici 
fattucchieri  presso  varie  famiglie  di  contadini 
senesi  ed  è  assai  più  forte  della  fiducia  che 
ripongono  nei  medici  condotti  laureati  nelle 
maggiori  università  del  regno,  e  ciò  malgrado 
le  diffide  di  fra  Filippo  e  di  San  Bernardino, 
che  vedevano  sempre  il  demonio  nelle  incan- 
tagioni e  non  mai  la  ciarlataneria  umana.  Kel- 
r  assempro  16*^  egli  scrive  :  «  ...molte  pazze 
ritrillate  più  tosto  vanno  per  consiglio  e  per 
aiuto  per  i  lor  bisogni  e  per  le  lor  necessità 
a  maladetti  indivini  et  incantatrici  che  non 
fanno  a'  medici  naturagli  et  a'  servi  di  Dio;  e 
dannosi  a  credere  che  quello  che  Dio  non  vuol 

85 


CAPITOLO   II 


fare  egli  el  possano  fare  e'  diavogli  dello  in- 
ferno ;  e  per  giusto  giudicio  di  Dio  sono  illusi 
dal  diavolo  secondo  che  meritano  ». 

Bisogna  però  riconoscere,  con  buona  pace 
di  fra'  Filippo,  die  non  solo  le  «  pazze  ritril- 
late »  avevano  fede  nei  «  maledetti  indivini  » 
ma  i  governatori  del  Comune  (1). 

Vedemmo  già  come  questo  ricorresse  in 
varie  contingenze  a  Guido  Bonatti  e  come 
nello  Studio  ci  fosse  una  cattedra  di  astrolo- 
gia. Da  un  codice  prezioso  del  sec.  XIY  che 
si  conserva  nella  Biblioteca  comunale  di  Sie- 
na intitolato  «  Libro  di  Astrologia  o  Sfera  »  (2) 
noi  sappiamo  ciò  che  s'  insegnava  presso  a 
poco  su  quella  cattedra.  Ivi  si  discuteva  gra- 
vemente delle  diverse  virtù  dei  segni  zodiacali, 
e  come  si  potesse  giungere  a  «  V  espianatio- 
ne  dei  sogni  buoni  e  cattivi  »,  con  la  cono- 
scenza della  luna.  Ed  ecco  com'  era  diviso  il 
mese  lunare  :  nel  primo  giorno  nacque  Ada- 
mo «  ed  è  buono  a  terminare,  vendere,  navi- 
gare ;  »  nel  secondo  Eva,  «  e  il  bambino  che 
nasce  crescerà  presto  e  sarà  fortunato  ;  V  in- 
fermo guarirà  ».  Ma  nel  quinto  giorno,  quan- 


(1)  Narra  il  Tommasi  (Historie,  lib.  IX,  pag.  223)  che 
nelle  fondamenta  della  Torre  del  Mangia  si  jDosero  pietre 
«  telesmata  »  con  lettere  ebraiche  gre«;he  e  latine  per  «  as- 
sicurarla dalla  percossa  delle  saette  e  dalle  concussioni  dei 
tuoni  e  delle  tempeste  ». 

(2)  Cod.  L,  X,   40. 

86 


FILIPPO   DEGLI   AGAZZAEI 

(lo  Caino  si  offerse  a  Dio  «  nou  si  troverà  il 
flirto,  chi  si  ammala  morirà  tosto,  o  avrà  tìera 
malattia,  e  chi  fugge  non  ritorna  ».  (Ili  alma- 
nacchi si  compilavano  naturalmente  in  corri- 
spondenza alle  divinazioni  degli  astrologhi,  e  sic- 
come in  Siena,  a  quel  tempo,  soffiava  vento  ghi- 
bellino, si  leggono  di  tali  profezie:...  «mentre 
la  corte  di  Roma  sarà  in  Italia,  non  sarà  mai 
buona  pace  tra  i  cristiani  » .  Uno  che  si  accin- 
gesse a  far  viaggio  poteva  leggervi  :  «  partiti 
come  ti  pare,  ma  abiti  il  vangelio  adosso  di  S. 
Johanni  perchè  uno  certo  spirito  t'  è  nimico  » . 

Ed  ecco  alcune  ricette  mediche  :  «  Colui 
che  patisse  d'  insonnia  basta  scriva  sopra  un 
coltello  i  nomi  dei  sette  dormienti  e  lo  metta 
sotto  il  capo  per  fare  buon  sonno  » .  A  voler 
cacciare  le  febbri  terzane  si  scrivano  tre  nomi 
con  segni  ripetuti  di  croce,  o  anche  si  faccia- 
no tre  parti  disuguali  di  un  frutto  e  si  man- 
gino, scrivendo  queste  due  formule  a  digiuno: 
«  Pater  par  est;  tìlius  vita  est  »  e  ciò  men- 
tre un  fanciullo  ed  una  fanciulla  reciteranno 
tre  pater  e  tre  ave.  Spesso  in  margine  della 
pagina  si  legge  :  «  è  provato  » ,  quasi  j)er  ras- 
sicurare il  dubbioso. 

Frattanto  il  Comune  non  ricorreva  solo  agli 
astrolaghi  ma  anche  alle  maliarde,  o  a  strego- 
ni, come  può  vedersi  dai  libri  di  Biccherna  (1) 

(1)  Ardi,  di  Stato  in  Siena  (A.  S.  S.  voL  2,  e)  liem  XX 

87 


CAPITOLO   II 

quasi  sempre  per  incaricarle  di  spargere  pol- 
veri malefiche  nel  campo  dei  fiorentini  nemici. 
Queste  polveri  erano  manipolate  generalmente 
da  donne  e  riposte  in  tgisclie  di  cuoio  ed  in 
ampolle  di  vetro.  I  medesimi  libri  di  spese  ci 
offrono  curiose  notizie  sul  modo  usato  per  com- 
porre queste  polveri.  Esse  dovevano  essere  con- 
fezionate di  notte.  Veniva  immolata  qualche 
marmotta  e  si  adoperavano  pel  sacrificio  col- 
telli di  foggia  strana.  Alla  cerimonia  inter- 
venivano ragazzi  e  fanciulle  con  pignatte,  e 
facevansi  libazioni  rituali. 

Ludovico  Zdekauer  nella  sua  conferenza  su 
la  Vita  pubblica  dei  senesi  nel  Dugento  (1)  af- 
ferma che  la  Chiesa  nulla  facesse  per  impedire 
simili  aberrazioni,  ed  anzi  dice  che  ci  si  pre- 
stava, ed  a  riprova  cita  un  sol  documento  del 
1229  il  quale  si  riferisce  ad  un  caso  di  esor- 
cismo. È  importante  invece  ricordare  come 
r  arcivescovo  Buonfiglio  Ugurgieri  il  quale 
resse  la  chiesa  senese  dal  1216  al  1252  coman- 
di chiaramente  nelle  sue  Costituzioni  «  quod 
nullus  Clerieus  aliquas  divinationes  faciat  »  (2) 
e  noi  sappiamo  come  tutti  i  mistici  senesi  da 

sol.  domine  Galiene  Gualenghi  prò  faciminis  que  fecit  in  exer- 
citu  fiorentinorum  ».  «  Item,  iiij  Uh.  Buonaiunte  plehis  sancii 
Leonini  prò  quodam  pulvere  qui  proiecit  in  exercitum  jloren- 
tinoTum  ». 

(1)  Pag.  73  —   Tip.  Lazzeri  1897. 

(2)  Pecci,  Storia  del  Vescovado   di  Siena    (Lucca,    1748)^ 
pag.  210. 

88 


FILIPPO   DEGLI   AGAZZAEl 

fra  Filippo  a  S.  Bernarcliiìo  si  opponessero  alla 
potenza  degli  astrolaglii  e  degli  indovini. 

La  chiesa  medioevale  combatto  la  mai>'ia 
riconoscendo  invece  la  Scienza  pitagorica  dei 
numeri  che  inspirò  i  Santi  Padri  Barnaba,  Ire- 
neo, Clemente  Alessandrino,  Eusebio  da  Cesarea. 
S.  Agostino  considera  i  numeri  come  pensieri 
di  Dio.  Egli  ci  lascia  intendere  che  ogni  cifra 
ha  il  suo  significato  provvidenziale  :  «  La  Sa- 
pienza divina,  egli  dice,  si  riconosce  ai  numeri 
impressi  in  ogni  cosa  »   (1). 

La  magia  era  ai  tempi  di  fra  Filippo  stret- 
tamente connessa  alla  scienza  necromantica  che 
ha  molti  punti  di  contatto  con  il  moderno 
ò'jjiritiffmo.  (Hi  spiriti  erano  evocati  non  solo 
perche  venissero  in  aiuto  delle  miserie  umane, 
ma  specialmente  per  soddisfare  1'  appassionata 
curiosità  dei  mortali  di  penetrare  nelle  tenebre 
del  futuro.  Il  VilUmi  ci  narra  nella  sua  Cronica 
che  P}-ovenzan  Salva  ni  portava  sempre  seco  un 
demonio  chiuso  in  una  fiala,  docilissimo  ai 
suoi  desiderii  e  comandi,  e  nel  quale  egli  ave- 
va riposto  una  grande  stima.  Così  pure  il  ca- 
pitano dei  fiorentini  alla  battaglia  di  Monte- 
aperto  era  posseduto  da  uno  di  questi  spiriti 
misteriosi  e  se  lo  teneva  caro  «  chiuso  in  una 
lampolla  »  ;  non  sappiamo  però  in  quali  rap- 
porti restasse  con  il  furbo  diavoletto  dopo  la 
tremenda  disfatta. 

(1)  Cfr.  Quaestio  in  Heptateiich.   —  De  Musica. 

89 


CAPITOLO   II 

Fra  Filippo  ci  racconta  di  aver  conosciuta 
una  fanciulla  in  Siena  che  fu  a  pericolo  per 
una  incantagione  clie  la  madre  le  fece,  ed  egli 
ci  descrive  il  modo  che  teneva  la  donna  per 
evocare  il  demonio  e  conoscere  da  lui  gli  au- 
tori di  certi  furti  :  «  Ella  aveva  un  bicchiere 
et  empival  d'  acqua,  e  così  pieno  el  poneva  in 
terra,  e  la  madre  e  la  figliuola  si  ponevano  a 
sedere  in  terra  allato  al  bicchiere,  e  poi  faceva 
dire  alla  figliuola  le  parole  diaboliche,  sopra 
il  bicchiere  dell'  acqua.  E  dette  le  parole  dia- 
boliche, il  diavolo  appariva  sull'  acqua  eh'  era 
nel  bicchiere  ne  la  figura  e  forma  et  abito  di 
colui,  ovvero  di  colei  che  aveva  fatto  il  furto,  e 
in  che  modo  furava,  e  dove  l'aveva  riposto  ». 
In  quei  tempi,  che  le  città  non  disponevano 
d'  un  servizio  di  pubblica  sicurezza,  il  diavolo 
poliziotto  doveva  essere  prezioso,  e  la  donna 
faceva  certo  affari  d'  oro.  Non  così  la  pensa- 
vano i  mistici,  i  quali  tenevano  un  contegno 
ben  diverso  con  i  ladri,  come  sappiamo  da 
uno  fra  i  più  deliziosi  assempri  di  fra  Filip- 
po, pervaso  di  francescana  semplicità  e  che 
mi  piace  di  riportar  quasi  per  intero  :  «  ...es- 
sendo Priore  del  detto  convento  (Selva  del 
Lago)  un  santissimo  e  venerabile  frate  Ban- 
dino  e  de'  Balzetti  da  Siena,  essendo  di  me- 
riggiana  a  tempo  di  silenzio,  i  frati  a  le  celle 
loro,  e  vedendo  frate  Bandino  che  un  ladro 
aveva  furato  1'  asino  del  luogo  e  menavasenelo, 

90 


FILIPPO   DEGLI   AGAZZAEI 

innanzi  clie  egli  volesse  rompere  il  silenzio  o 
farlo  rompere  a'  frati  soiferse  che  '1  ladro  se 
ne  menasse  queir  asino.  Egli  non  dimeno  se 
n'  andò  in  chiesa  dinanzi  a  la  tavola  del  Sal- 
vatore et  ine  si  gittò  in  orazione  e  pregò  Idio 
per  quel  ladro,  acciò  che  Dio  gli  desse  vero 
conoscimento  sì  che  egli  tornasse  a  penitenzia 
e  salvasse  V  anima  sua.  Unde  il  ladro  andan- 
dosene coir  asino  et  essendo  già  presso  che 
fuore  de  la  Selva,  quando  venne  all'  uscire, 
r  asino  si  fermò  a  modo  che  fusse  stato  di 
pietra  confitto  in  terra,  e  per  nullo  modo  gli 
potè  tanto  dare  che  V  asino  si  volesse  mai 
mutare  per  uscir  fuore  de  la  Selva.  Allora  il 
ladro  temendo  di  non  essere  sopragionto  se  ne 
voleva  andare  e  lassare  1'  asino.  E  medesima- 
mente volendo  uscir  fuor  de  la  Selva  gii  pa- 
reva che  Farla  gli  facesse  muro  e  per  nullo 
modo  ne  poteva  uscire.  Unde  egli  vedendosi 
a  così  fatto  partito  fu  compunto  nel  suo  cuore 
e  fece  boto  a  Dio  e  a  la  Vergine  Maria  che 
se  li  desse  grazia  eh'  egli  si  potesse  partire 
inde,  eh'  egli  ritornerebbe  a  dietro  e  rimerrebbe 
r  asino  e  rendarebbelo,  e  da  inde  innanzi  amen- 
darebbe  e  correggiarebbe  la  vita  sua.  E  fatto 
'1  boto,  1'  asino  per  se  medesimo  si  volse  a 
dietro,  et  anco  egli  subbitamente  gli  parbe 
essere  sciolto  e  ritornò  a  dietro  coli'  asino  e 
dimandò  il  Priore  del  luogo,  cioè  il  benedetto 
frate  Bandino  eh'  era  Priore,  e  rendè    1'  asino 

91 


CAPITOLO   II 

e  con  molte  lacrime  si  rendè  in  colpa  e  diman- 
dogli  perdonanza  e  disseli  il  miracolo  eh'  era 
intervenuto.  Allora  il  benedetto  frate  Bandino 
gli  perdonò  e  feceli  dare  buona  limosina.  E 
poi  con  molto  amore  e  con  molta  carità  Famu- 
ni  e  pregollo  che  egli  non  facesse  più  male, 
e  che  egli  amendasse  la  vita  sua  et  egli  così 
gli  promisse  di  fare  ;  e  mandoUo  in  pace  » . 

Vi  sono  in  questa  narrazione  meraviglio- 
samente fresca  e  viva  certe  pennellate  misti- 
che che  ritroviamo  solo  in  alcune  tavole  di 
quel  grande  pittore  senese  che  fu  Stefano  di 
Giovanni  cognominato  il  Sassetta.  Fra  Filippo 
ci  si  rivela  sotto  un  aspetto  d' insolita  dolcez- 
za, quasi  d'  un'umanità  nuova  che  non  è  quella 
dell'  austero  eremita,  ma  sì  piuttosto  d'  un  ar- 
dente fratello  spirituale  di  Santa  Caterina. 
Questo  frate  Bandino  che  fa  «  buona  limosi- 
na »  al  ladro  compunto  e  che  lo  rimanda  in 
pace  dopo  averlo  umilmente  pregato  a  non 
commettere  furti,  ci  sembra  di  veder  uscire  da 
un  chiostro  umbro  luminoso  di  sole  e  non  da 
quello  fosco  di  Lecceto,  recinto  di  mura  come 
una  fortezza,  occupato  dalle  immagini  di  mille 
demoni.  L'assempro  ci  par  quasi  un  fiore  cólto 
dal  mistico  prato  sul  quale  camminò  il  Pove- 
rello svegliando  la  flora  sconosciuta  dell'umbra 
primavera.  È  certo,  in  ogni  modo,  che  una 
nuova  primavera  francescana  era  per  sbocciare 
in  Siena  pervadendo  dei  suoi  spiriti  tutta  l' Ita- 

92 


FILIPPO   DEGLI   AGAZZARI 

lia  del  Eiuascimento  ed  opponendo  una  ma- 
gnifica reazione  mistica  ed  umana  al  Pagane- 
simo risorto,  contro  il  quale  invano  doveva 
cozzare  il  crudo  ascetismo  fiorentino  di  Giro- 
lamo Savonarola. 


^W^ 


93 


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CAPITOLO  III. 


gioya:n^]S"i  colombini. 


A  poche  miglia  da  Siena,  fuori  di  Porta 
San  Marco,  sorgono  ancora  le  mura  dell'  an- 
ticliissimo  convento  dei  santi  Abbundio  ed 
Abbnndanzio,  abitato  per  secoli  dalle  religiose 
Benedettine,  che  si  chiama  volgarmente  Mona- 
stero di  Santa  Bonda. 

In  cima  al  tetto  della  casa  fiorisce  ogni 
anno  un  ulivo  selvaggio  piantatovi  da  una 
religiosa  la  quale,  come  narra  la  leggenda, 
cólta  dallo  spavento  di  essere  dannata,  volle 
sincerarsene  con  incredibile  prova.  Prese  un 
ramoscello  d'  olivo  e  lo  ficcò  fra  le  tegole  pen- 
sando :  «  Se  attecchirà  è  segno  che  Dio  vuol 
salva  F  anima  mia  ».  Il  misericordioso  Signo- 
re Iddio  non  permise  che  codesto  luogo  di 
pace  fosse  turbato  dalla  disperazione  di  quella 
povera  vergine  e  di  fatto  1'  ulivo  attecchì  fio- 
rendo nel  cielo  come  un  simbolo  di  speranza. 

94 


GIOVANNI   COLOMBINI 

All'  antico  monastero  si  giunge  per  una 
via  serpeggiante  fra  dolci  colline  ricoperte  di 
viti  e  d'  olivi  ;  indi  si  dominano  le  valli  del- 
l'Arbia  e  dell'Orda  tino  alla  montagna  di 
Santa  Fiora.  Xel  1810  le  monache  furono  co- 
strette ad  abbandonare  la  vecchia  casa  in 
forza  della  legge  napoleonica  che  soppresse 
primamente  i  conventi,  ed  ora  sono  cent'  anni 
che  la  desolazione  di  quell'  abbandono  abita 
il  cenobio  santificato  da  tante  preghiere  fem- 
minili, e  dove  madonna  Paola  Foresia  e  le 
sue  compagne  il  2  agosto  dell'anno  1367  sep- 
pellirono con  lacrime  d'  amore  la  salma  del 
loro  amico  Giovanni  Colombini. 

S'  adempieva  per  tal  guisa  la  volontà  del 
poverello  gesuato.  Xel  testamento  (1)  egli  ave- 
va scritto  :  «...  che  il  mio  corpo  si  seppellisca 
appresso  alla  chiusura  ovvero  murato  nel  mo- 
nasterio  e  chiostro  di  Santo  Abbundio  et  Ab- 
bundanzio  di  presso  a  Siena,  lungo  1'  uscita 
dell'uscio  dell'orto  di  detto  monasterio;  e  che 
sia  portato  colà  morto,  involto  in  uno  cana- 
vaccio, colle  mani  legate  dietro,  in  sull'asino  >. 

A  questa  seconda  disposizione  si  opposero 
naturalmente  gli  amici  ;  si  oppose  il  popolo  di 
Siena  che  già  venerava  in  lui  un  santo,  cioè 
un   «  triumphator  vitae  ». 

(1)  Di  questo  testamento,  evidentemente  religioso,  non  si 
trova  1'  originale  ne  1'  Archivio  di  Stato  di  Siena.  È  riferito 
dal  Belcari  nella  Vita,   da  lui  scritta,  di  Giov.   Colombini. 

95 


CAPITOLO   III 

Come  gli  nltimi  pensieri  delPAssisiate  an- 
darono a  ravvivarsi  di  speranza  eterna  nel 
chiostro  di  San  Damiano,  così  gli  alitimi  pal- 
piti del  Colombini  batterono  spiritualmente 
fra  le  povere  mura  di  santa  Bonda.  Oggigiorno 
nessuno  ricerca  più  V  antico  romitorio  poiché 
esso  non  offre  alcuna  preziosa  reliquia  artistica 
dinanzi  alla  quale  possa  fondersi  il  delicato 
snobismo  estetico  dei  moderni  pellegrini. 

La  piccola  chiesa  trecentesca  parve  già  trop- 
po modesta  alle  Benedettine  del  Settecento  che 
le  costruirono  a  lato  una  compagna  pretensiosa 
con  altari  riccamente  adorni  di  stucchi,  la  quale 
ancora  è  adibita  al  culto,  mentre  quella  che 
aveva  ospitato  la  salma  del  Colombini  prima 
della  traslazione  delle  sue  reliquie  nel  tempio 
del  Carmine  in  Siena,  appare  adesso  trasfor- 
mata in  un  tinaio.  Ma  il  vaso  della  chiesetta 
è  intatto  con  la  bella  abside  circolare  lumeg- 
giata dalle  finestre  originali,  e  con  l'antica  tra- 
vatura poggiante  sui  mensoloni  sobriamente 
intagliati. 

Quivi  pregarono,  avvinti  dal  comune  ideale, 
madonna  Paola  Foresia  e  Giovanni  Colom- 
bini ;  suir  altare  di  centro  il  fondatore  dei 
gesuati  votò  a  Dio  la  figliuoletta  Agnese,  il 
pegno  vivente  del  suo  amore  terreno,  e  ad  essa 
r  amico  Vincenti  accompagnò  la  propria  figlia. 
Quei  singolari  mistici  non  avrebbero  creduta 
perfetta  la  rinunzia  mondana  se  non  si  fossero 

96 


GIOVANNI   COLOBI  BINI 

obbligati  a  perpetuarla  aiiclie  nei  propri  figli, 
se  dalla  terra  abborrita,  impero  di  Satana,  non 
avessero  strappate  tutte  le  radici  delle  loro 
esistenze.  jS^oì  moderni  non  riusciamo  a  com- 
prendere questi  atti  lesivi  dell'  altrui  libertà 
individuale  e  molti  potranno  giudicarli  severa- 
mente ignorando  tuttavia  come  fossero  ispirati 
da  una  fede  eh'  era  certezza  d' amore.  Ma  sa- 
rebbe opera  vana  affaticarci  a  giustificare  azioni 
infiammate  da  sentimenti  che  sono  estinti  in 
troppi  cuori  :  più  facile  invece  è  tentare  di 
ravvivarne  la  bellezza  eroica  attraverso  ciò  che 
può  sembrarci  assurdo  ed  ingiusto.  Del  resto 
r  eroismo  genuino  non  precipita  quasi  sempre 
le  azioni  degli  uomini  nell'  assurdo  ?  William 
Blake  diceva  che  l'uomo  non  giunge  alla  sag- 
gezza se  prima  non  passa  per  il  castello  della 
Follia.  Tutti  i  veri  mistici  vissero  nel  castello 
della  Follia,  della  divina  follia  di  un  sogno  che 
trasfigurava  al  loro  sguardo  le  cose  e  le  crea- 
ture, e  che  alle  anime  delle  persone  eh'  essi 
avvicinavano  conferiva  la  luce  ed  il  calore 
d'  una  bellezza  ardente  di  passione. 

Il  Colombini  venuto  al  mondo  nel  1304  era 
di  vecchio  ceppo  senese  (1)  e  come  il  padre  suo 

(1)  ToMMASi,  Storie  mss.,  Bibl.  Com.  di  Siena.  Cod.  A, 
IV,  pag.  58.  «  Era  Giovanni  d'  una  di  queUe  nobili  famiglie, 
che  sin  dal  principio  erano  intervenute  al  governo  della  Re- 
pubblica, le  quali  nel  1277,  escluse  le  più  potenti   e  le  men 

97 


CAPITOLO  III 

Pietro  e  come  gli  altri  fra  i  suoi  maggiori  aveva 
ricoperto  le  più  alte  cariche  dei  Nove  e  tenuto 
con  saggezza  1'  ufficio  di  Priore  del  Comune. 
Splendida  era  stata  la  sua  gioventù  per  il  fa- 
scino cavalleresco  proprio  dei  giovani  della 
nobiltà  che  amavano  le  armi  e  le  belle  im- 
prese e  di  mostrarsi  al  popolo  cavalcando  fo- 
cosi destrieri  sui  quali  rompevano  di  galoppo 
per  le  vie  anguste  della  città,  gridando  alla 
folla  della  plebe  spaurita  ed  ammirante,  e  fiera 
de'  suoi  giovani  ed  audaci  cavalieri,  il  «  Salva  ! 
salva  !  »  prescritto  nei  decreti  della  Signoria. 
Il  Colombini  era  altresì  stimato  in  Siena  per 
r  acuta  intelligenza  e  per  le  ricchezze  avite 
assai  considerevoli  e  da  lui  accresciute  nel 
commercio,  poi  che  subito  uscito  dall'  adole- 
scenza, secondo  il  costume  del  tempo,  egli 
aveva  scelto  una  professione  ed  erasi  ascritto  I 
all'  arte  della  lana.  In  Perugia  aveva  stabilito 
un  banco  importante  ;  a  San  Giovan  d'  Asso, 
Castello  della  Val  d'  Orcia,  possedeva  terre  ; 
ed  egli  amava  assai  il  danaro,  il  fasto,  i  co- 
stumi cavallereschi  della  nobiltà  proprio  come 
il  giovine  Francesco  d' Assisi  prima  della  con- 
versione. 

Al  santo   umbro  si  ricongiunge   il   Colom- 
bini anche  per  la  rivoluzione  d' anime  eh'  egli 

quiete  dal  reggimento,  s'  erano  compiaciute  di  rimaner  popo- 
lane. La  qual  voce  reggenti  e  partecipanti  dello  Stato  signi- 
ficava ». 

98 


GIOVANNI   COLOMBINI 

suscitò,  coutrassegiiata  dal  carattere  pretta- 
mente laico  dei  due  condottieri  e  dei  loro 
primi  compau'iii;  dal  medesimo  disprezzo  degli 
onori  e  delle  ricchezze;  dal  culto  altissimo  del- 
l' amicizia  femminile;  dall'  ardente  spirito  di 
carità,  dalla  dt^vozione  alla  Chiesa,  e  dal  ri- 
spetto alla  Curia  in  contrasto  alle  sètte  ereti- 
cali di  coloro  che  Roma  avversavano  in  omag- 
gio alla  povertà,  ma  più  forse  per  superbia 
della  povertà  ostentata  come  una  bandiera  di 
ribellione  (1). 

Ancora  il  moto  dei  Gesuati  ricorda  il  fran- 
cescano primitivo,  specialmente  per  quello  spi- 
rito di  perfetta  letizia  che  fioriva  in  canti  di 
amore  divino,  spontanei  ed  appassionati,  e  che 
neiruno  fecondò  il  genio  di  lacopone  da  Todi 
e  nell'altro  il  genio  sconosciuto  del  Bianco  da 
Siena. 

Questo  spirito  di  mistica  letizia  nel  dolore 
e  nella  mortificazione,   senso    attivo  della  vita 


(1)  Non  è  stato  ancora  osservato  come  il  sincero  amore 
[iella  povertà  è  privilegio  dei  ricebi.  I  veri  amanti  della  po- 
vertà come  S.  Francesco  d'Assisi  ed  il  Colombini,  ed  i  prin- 
L'ipali  tra  i  loro  compagni  uscirono  da  famiglie  facoltose.  In 
B88i  e  non  già  nei  fraticelli  venuti  dalle  classi  povere  si  ri- 
scontra quel  sentimento  generoso  e  sincero.  D^  altra  parte 
Dgni  uomo  ama  ciò  cbe  gli  ba  costato  un  sacrificio,  una 
rinunzia  :  uno  cbe  sia  nato  povero  e  per  il  quale  la  povertà 
rappresentò  lo  stato  naturale  fin  dalla  nascita  non  può  sen- 
:ire  per  essa  cbe  un  sentimento  d'  indifferenza,  di  disgusto, 
)  di  rassegnazione. 

99 


CAPITOLO  III 

che  contrasta  con  la  pazienza  passiva  del  bi- 
blico Giobbe  avvelenantesi  poi  nelle  impreca- 
zioni, questo  splendido  sole  della  primavera 
nmbra  gioverà  osservare  come  si  svegliasse  in 
Siena  solo  verso  la  seconda  metà  del  Trecento 
quando  apparvero  Santa  Caterina  ed  il  Colom- 
bini fra  gli  orrori  delle  pestilenze. 

11  Beato  Giovanni  Colombini  ci  vien  de- 
scritto da  Feo  Belcari  (1)  nella  Vita  eh'  egli 
scrisse  di  lui  come  uomo  «  di  gentile  comples- 
sione e  di  piccola  e  sottile  persona.  » 

Sano  di  Pietro  (2)  in  una  tavola  che  si 
conserva  nell'Accademia  senese  di  belle  arti  lo 
ha  raffigurato,  ginocchioni,  le  mani  giunte,  il 
volto  assorto  nella  preghiera,  straordinariamente 
vivo  e  certo  in  ispirito  rassomigliante  ;  indossa 
il  Beato  quel  costume  bianco  dei  Gesuati,  del 
quale  Papa  Urbano  (3)  in  Viterbo  volle  fossero 
rivestiti  il  Colombini,  il  Vincenti  ed  i  loro  com- 
pagni quando  potè  scagionarli  dalla  accusa  di 
eresia  ond'  erano  gravati  per  le  apparenze  este- 
riori che  li  accomunavano  ai  così  detti  frati- 
celli dell'  Opinione,  contro  i  quali  mostra  vasi 
implacabile  la  Curia  Avignonese,  tutta  intenta, 
pur  da  lontano,  a  disciplinare  le  correnti  reli- 
giose che  s'  agitavano  di  continuo  in  Italia. 

(1)  Feo   Belcari.    La  vita   del  B.    Colombini   da   Siena  ^ 
Venezia,    1554. 

(2)  Vedi  illustraz.   N.**  14. 

(3)  Vedi  illustraz.  N."  15. 

100 


14 

Fot.  Lombardi. 


Giovanni  Colombini 


Sano  di  Piktko 


GIOVANNI   COLOMBINI 

Ora  vieu  fatto  di  domandarci  quali  fossero 
le  condizioni  spirituali  e  civili  della  repubblica 
senese  allorcliò  si  determinò,  verso  il  1355,  la 
conversione  del  Colombini  immerso  negli  agi, 
negli  onori,  ed  ormai  non  più  giovine. 

Nella  seconda  metà  del  secolo  XIV  Siena 
soggiacque  a  dure  prove. 

La  memorabile  peste  del  1348  arrestò  d'un 
colpo  la  sua  fortuna  politica  che  ascendeva  me- 
ravigliosamente; il  secondo  Magistrato  dei  Ifove 
che  aveva  retto  con  tanta  saggezza  la  cosa 
pubblica  tìn  dal  1""  luglio  1292  e  del  quale  il 
Colombini  aveva  fiitto  parte,  fu  rovesciato  il 
21  marzo  1355  i^er  un  colpo  di  mano  della  fa- 
zione ghibellina  nell'occasione  della  venuta  di 
Carlo  IT  e  per  tal  modo  s'iniziò  un'  epoca  di 
riaccese  discordie  e  di  civili  disordini.  ìfel 
giugno  del  1357  i  senesi  dovettero  abbando- 
nare definitivamente  il  sogno  glorioso  d'avere 
la  più  superba  cattedrale  d'Italia,  sogno  fiori- 
to nel  1339,  e  del  quale  rimangono  tuttavia  le 
gigantesche  vestigia  marmoree  che  sfidano  il 
cielo  ed  il  tempo.  Il  dominio  della  repubblica 
fu  più  volte  in  quegli  anni  messo  a  ferro  e 
fuoco  dalle  compagnie  di  ventura  imbaldanzite 
dalle  calamità.  Ma  crudelissima  nemica  fu  la 
peste  che  fra  il  1348  ed  il  1425  riapparve 
ben  cinque  volte  nelle  mura  di  Siena  a  far 
strage  di  cittadini,  e  cioè  nel  1363,  nel  1374, 
nel  1400,  nel  1411,    nel    1424.    Fra  i  cronisti 

101 


CAPITOLO  III 

senesi  del  tempo  Agnolo  di  Tura  e  Neri  di 
Donato  ci  hanno  dipinti  i  quadri  più  foschi 
di  queste  pestilenze  terribilmente  micidiali. 

I  migliori  cittadini  nelle  sventure  onde  fu- 
rono oppressi  in  quegli  anni,  purificarono  e  ri- 
temprarono il  proprio  genio  in  Dio  attraverso 
l'esperienza  dei  mali  comuni,  ed  irraggiarono 
per  tutta  Italia  una  grande  luce  di  bellezza 
spirituale.  La  città  di  Siena  vide  allora  la  sua 
anima  popolare,  quale  aquila  ferita,  lanciarsi 
nel  sommo  dei  cieli  perdutamente,  con  suprema 
esaltazione  lirica. 

La  mirabile  visione  realistica  della  vita, 
sorgente  dal  benessere  terreno  della  ricchezza 
accumulata  nel  Dugento,  e  che  aveva  fatto  dei 
pittori  trecentisti  senesi  dei  veri  scopritori  nel 
mondo  dell'arte  e  dei  precursori  dei  fiorentini, 
ad  un  tratto  apparve  mortificata,  spezzata  :  e 
mentre  nella  vicina  Firenze,  sempre  più  ricca 
e  forte,  era  prossima  a  sorgere  l'aurora  del  ri- 
nascimento con  Masaccio,  in  Siena,  all'incon- 
tro, l'arte  si  fissò  in  una  concezione  prevalen- 
temente religiosa  del  mondo;  s'abbeverò  di  la- 
crime, visse  del  pane  quotidiano  della  pre- 
ghiera. 

L'  arte  senese  del  secolo  XY  non  si  può 
comprendere  nei  suoi  spiriti  sostanziali  da  chi 
non  abbia  vissuto  nelF  atmosfera  religiosa  dei 
suoi  mistici.  Pertanto  non  sono  le  doti  intel- 
lettuali e  le  disposizioni  artistiche  che  mi  vien 

102 


15 

Busto  di  Urbano  V. 

Avignone!  (Museo  Calvet) 


GIOVANNI   COLOMBINI 

fatto  particolarmente  di  ammirare  nei  senesi 
(lei  secoli  XV  e  XVI  (i  lìorentini  contempo- 
ranei appaiono  superiori  per  acutezza  e  logica 
di  raziocinio  e  per  il  senso  dei  valori  tattili), 
ma  si  piuttosto  il  tesoro  inesauribile  del  loro 
patrimonio  sentimentale,  la  bellezza  del  loro 
temperamento  eroico,  la  capacità  straordinaria 
alla  commozione  ardente  la  quale  trovasi  sem- 
pre in  perfetta  antitesi  con  ogni  forma  vacua 
di  esaltazione  passeggera,  di  vano  entusiasmo, 
anche  quando  il  fatto  determinante  sorga  im- 
provviso e  sia  parva  favilla. 

Pensiamo  un  poco  quale  e  quanta  fosse 
la  sensibilità  mistica  nelP  anima  di  Giovanni 
Colombini,  d'  un  mercante,  cioè  d'  un  nomo 
avvezzo  a  stimare  la  vita  e  il  denaro  j)iù 
di  quello  che  meritino,  per  riuscire  ad  assor- 
birsi intero  nella  lettura  della  conversione  di 
Santa  Maria  Egiziaca,  e,  sulF  esempio  di  quella 
donna,  sovvolgere  di  colpo  tutta  la  propria 
esistenza.  Certo  quella  lettura  non  fu  che  la 
causa  occasionale  alla  risoluzione  d'  una  crisi 
che  già  maturavasi  in  qnelP  anima,  ma  è  pur 
vero  che  tali  crisi  sono  proprie  dei  tempera- 
menti mistici  ricchi  di  sensibilità,  vale  a  dire 
dei  soli  nomini  capaci  di  azioni  eroiche,  giac- 
che mai  un  fatto  degno  di  questo  aggettivo  fu 
compiuto  al  mondo  dietro  un  freddo  ragiona- 
mento o  per  il  luccicore  d' un'  idea  astratta 
proposta  da  un  filosofo  moralista.  È   sempre  il 

103 


CAPITOLO  III 

sangue  del  sentimento  che  dà  vita  e  forza  alle 
idee  ;  ed  il  Colombini  il  giorno  che  rincasando 
s'  ebbe  dalla  moglie  Biagia  il  leggendario  ove 
lesse  la  vita  di  Santa  Maria  Egiziaca,  dovette 
certo  sentire  ima  strana  febbre  nella  commossa 
umanità  di  quelle  pagine  perchè  fosse  preso  il 
suo  cuore  da  sì  grande  simpatia  per  la  mise- 
rabile e  gloriosa  creatura  eh'  era  stata,  secondo 
le  parole  della  leggenda,  «  laccio  di  morte 
teso  a  tutte  le  anime  »,  e  poi  la  «  sommersa 
nella  grazia  e  nelP  amore  »,  della  donna  che 
volle  morire  sola  austeramente  sopra  le  sabbie 
del  deserto  aride  ed  ardenti  come  le  sue  povere 
carni. 

Dalle  stragi  della  peste  del  1348  o  dalle 
disillusioni  politiche  apprese  il  Colombini  la  ve- 
rità dell'eterno  doloroso  mistero?  Chi  può  dire? 
Certo  egli  affermò  come  Dio  gli  avesse  «  mostra- 
to e  fatto  conoscere  che  tutto  il  mondo  sogna 
e  frenetica,  e  che  la  vita  umana  come  fumo  e 
vento  passa,  e  che  chi  più  piglia  dei  beni  terreni 
ne  ha  peggior  mercato  » .  Anch' egli  come  l' E- 
giziaca  aveva  trascorsi  i  meglio  anni  dell'  esi- 
stenza a  godere  ed  a  far  mercato  di  beni  ter- 
reni ed  un  giorno  provò,  come  la  donna  leg- 
gendaria, il  disgusto  amaro  che  in  ogni  cuore 
cupido  di  bene  sembra  instillare  il  rimorso 
d'  essersi  illuso  sulla  natura  della  vera  felicità. 

Egli  subì  allora  il  fenomeno,  strano  ma  ca- 
ratteristico, d'  ogni  crisi   spirituale  culminante 

104 


GIOVANNI   COLOMBINI 

in  uua  real  coiiversioue:  giova  pertanto  notare 
che  le  vere  conversioni,  quelle  cioè  per  le  quali 
i  sentimenti  si  traducono  in  azioni,  sono  piut- 
tosto rare  fra  gii  uomini  che  hanno  varcato  la 
cinquantina.  11  Colombini  fu  preso  di  folle 
amore  per  tutto  ciò  che  aveva  disprezzato  e 
disprezzò  le  gioie  lino  allora  ricercate.  La  po- 
vertà fu  per  lui  sinonimo  di  ricchezza  e  la 
ricchezza  di  povertà.  L'anima,  ospite  discono- 
sciuta, divenne  V  unica  regina  nella  sua  casa. 
Egli  attese  a  vendicare  se  medesimo  degli  onori 
che  nella  propria  patria  aveva  ricevuti.  E  sic- 
come nel  palazzo  pubblico  per  due  mesi  era 
stato  fatto  segno  del  più  alto  ossequio  nell'uf- 
ficio supremo  del  priorato,  per  due  mesi  in 
questo  palazzo  volle  sottoporsi  alle  più  umili 
inservienze.  Giammai  videsi  scandalo  maggiore 
nella  città  di  Siena.  Quando  i  suoi  vecchi 
amici  lo  riconobbero  un  giorno  in  mezzo  ai 
fondachi  nella  piazza  del  Campo  cavalcante  un 
asino  per  dispregio,  scalzo,  col  capo  scoperto, 
con  una  gonnella  stretta  ed  un  mantello  corto 
di  grosso  panno  ripezzato,  lo  credettero  e  dis- 
sero ammattito,  ma  egli  cominciò  ad  ammo- 
nirli :  «  Fate  bene  del  pazzo  quanto  potete  e 
sarete  savi.  Cristo  vi  faccia  impazzare  che  non 
e'  è  di  meglio  » .  Ed  in  fervore  di  spirito  sog- 
giungeva, Jacopone  novello  :  «  Povertà,  povertà 
il  tuo  linguaggio  non  s' intende.  Viva  la  santa 
povertà  nei  nostri  cuori  » .  I  più  continuarono 

105 


CAPITOLO   III 

a  deriderlo  ;  altri  1'  ammirarono  timidamente  ; 
alcuni  pochi  si  unirono  a  lui  e  primo  Fran- 
cesco Vincenti,  uno  di  nobile  famiglia  senese. 
Laici  fin  da  principio  furono  i  compagni  del 
Colombini  e  per  il  loro  carattere  schiettamente 
democratico  contrastante  con  1'  alterigia  e  la 
prepotenza  propria  ai  membri  delle  famiglie 
nobili  e  ricche  del  tempo,  alle  quali  quasi  tutti 
appartenevano,  essi  acquistaronsi  presto  il  fa- 
vore popolare. 

A  San  Giovan  d'Asso,  ove  possedeva  delle 
terre  che  regalò  ai  poveri,  questo  singolare 
socialista  cristiano  del  Trecento  si  fece  un 
giorno  trascinare  per  le  vie  legato  con  un  ca- 
pestro dai  suoi  compagni,  ai  quali  aveva  in- 
giunto di  batterh)  e  di  oltraggiarlo  con  tali 
rimproveri  gridati  al  popolo  :  «  Ecco  costui 
che  vi  volea  affamare,  che  vi  prestava  ogni 
anno  il  grano  vecchio  punto  dalle  tignuole, 
eppoi  rivoleva  il  nuovo  buono  ]3Ìù  che  comu- 
nale e  desiderava  che  valesse  un  fiorino  lo 
stajo  !  Dategli  forte  a  questo  crudele  odiatore 
dei  poveri  !  » . 

Il  Colombini  non  rifuggiva  dalle  forme  un 
poco  volgari  e  clamorose  della  teatralità  pur  di 
flagellare,  avvilire,  distruggere,  ed  a  questo  se- 
gretamente mirava,  in  se  stesso,  nella  sua  im- 
magine di  patrizio,  quel  regime  di  privilegio 
che  reggeva  la  società  contemporanea.  Consi- 
derato sotto  questo  aspetto,    egli  ci  appare  in- 

106 


?, 


GIOVANXI   COLOMBINI 

Tero  fra  i  mistici  senesi,  come  il  rappresen- 
tante tipico  di  quel  moto  idealmente  anar- 
chico e  religioso  che  serpeggiava  sempre  sof- 
focato dalle  autorità  ecclesiastiche  e  civili,  tra 
le  varie  sètte  dei  fraticelli. 

Lo  studioso  non  deve  quindi  limitarsi  a 
considerare  le  apparenze  pazzesche  di  certi  atti 
del  Colombini,  ma  vedere  attraverso  di  quelle 
un  poco  profondamente  nelle  sue  intenzioni. 
Gli  avverrà  allora  di  scoprire  V  ironista  finis- 
simo e  mordace  che  si  celava  in  quel  grande 
cuore  d'amante.  Egli  sapeva  che  allorquando 
umiliava  sé  stesso  in  così  terribile  guisa,  umi- 
liava ancora  un  principio,  ragguagliava  i  più 
alti  papaveri  di  Siena,  i  grandi  del  suo  paren- 
tado, air  altezza  dei  piii  umili  e  sfortunati 
plebei.  E  questo  certo  compresero  i  reggitori 
del  Comune,  i  quali  nel  1363  condannarono 
il  Colombini  ed  il  compagno  suo  Francesco 
Vincenti  al  bando  perpetuo  da  Siena.  Sembra 
che  egli  fosse  dannato  all'esilio  sotto  l'accusa 
di  essere  un  pericoloso  novatore,  capace  di 
rovinare  le  famiglie  e  di  sollevare  il  j)^- 
polo  (1).  E  si  noti  che  la  pena  comminatagli 
dell'  esilio  era  fra  le  più  gravi  che  potessero 
colpire  un  cittadino  senese  giacché  i  suoi  beni 
venivano    confiscati,  gli  era    interdetto  di  ere- 

(1)  ToMMASi,  rass.  cit.  A,  IV.  3,  pag.  59  :  «  Da  signori  Do- 
dici furono  banditi  di  Siena  sotto  pretesto  che  troppa  gente  li 
seguitasse.   » 

107 


CAPITOLO   III 

ditare  e  di  testare,  ed  infine  i  suoi  nemici  lo 
potevano  uccidere  impunemente.  Il  banditore 
della  Signoria  annunziava  la  condanna  su 
tutte  le  piazze  :  un  famiglio  del  Comune  po- 
neva la  candela  accesa  su  la  soglia  d'una  fra 
le  porte  della  città  e  prima  che  si  fosse  spenta 
1  condannati  sotto  pena  di  morte  dovevano 
partirsene. 

Insieme  al  Colombini  ed  al  Vincenti  ven- 
ticinque Gesuati  partirono  per  la  via  dell'  esi- 
lio, e  pieni  d'  ardore  pel  sacrificio  di  quello 
abbandono  forzato  dalla  patria,  volsero  i  passi 
verso  la  città  d' Arezzo.  In  Siena  il  popolo 
insorse  contro  la  sentenza  dei  Priori  in  favore 
degli  esuli,  e  nel  frattempo,  essendo  scoppiata 
improvvisamente  un'epidemia,  molti  videro  in 
essa  una  punizione  del  cielo,  cosicché  1  capi 
del  Comune  di  fronte  alla  plebe  tumultuante 
furono  ben  presto  costretti  non  solo  a  revo- 
care il  bando  contro  i  Gesuati,  ma  ad  inviar 
loro  una  ambasceria  con  la  preghiera  che  fa- 
cessero ritorno  a  Siena.  Il  Colombini  accolse 
con  grato  animo  i  messi  del  Comune,  ma  ri- 
spose loro  che  verso  altre  terre  ormai  lo  chia- 
mava il  Signore.  Ed  a  Siena  ritornò  solo  nel 
1366,  un  anno  prima  della  morte. 

Frattanto  per  comprendere  la  novità  di 
quella  riforma  religiosa  ne  la  vita  senese  e 
per  rilevarne  la  potenza  di  penetrazione  gio- 
verà notare  come  i  primi  Gesuati  s' armassero 

108 


GIOVANNI   COLOMBINI 

cV  un  terribile  cinismo  per  meglio  colpire  i 
potenti,  e  dai  loro  adepti  esigevano  come  prin- 
cipal  virtù  il  coraggio  di  saper  sfidare  1'  opi- 
nione pubblica,  il  rispetto  umano.  Xarra  uno 
storico  antico  che  «  la  maggior  parte  di  quelli 
che  per  loro  fratelli  ricevevano,  costumavano 
di  spogliarli  dinanzi  all'  immagine  della  Ver- 
gine Maria  che  è  in  sul  Campo,  e  ivi  li  rive- 
stivano di  vilissimi  panni;  e  tutti  colle  gril- 
lando d'ulivo  in  capo,  e  cantando  due  di  loro 
qualche  di  vota  laude  e  così  in  diversi  modi  li 
umiliavano  per  far  loro  fare  nell'  edifizio  spi- 
rituale perfetto  fondamento.  » 

In  queste  prove  il  Colombini  temprava  le 
anime  dei  suoi  compagni.  Io  non  posso  di- 
menticare r  episodio  del  giovane  Nardusa,  un 
patrizio  senese  appena  ventenne  e  maestro  già 
in  giurisprudenza  che  rimase  colpito  nelP  ani- 
ma da  queste  parole  del  Colombini  :  «  Ho 
potuto  osservare  che  Dio  compie  cose  mira- 
bili per  le  mani  dei  semplici  e  dei  peccatori, 
mentre  lascia  i  grandi,  gli  scienziati,  i  sa- 
pienti nel  gelo  della  loro  scienza.  »  Questo 
pensiero  intensamente  vissuto  mosse  il  Nar- 
dusa  a  seguire  V  ideale  del  Colombini.  Ma 
per  lui  fu  più  terribile  la  prova  che  per  gli 
altri,  giacche  sembra  che  amasse  molto  la 
vita  e  che  insieme  all'  ingegno  avesse  molta 
ambizione.  Arrossi  quando  fra  i  canti  di  giu- 

109 


CAPITOLO  III 

bilo,  i  suoi  compagni  gli  strapparono  di  dosso 
su  la  piazza  del  Campo  la  ricca  tunica  scar- 
latta rivestendolo  di  cenci,  e  durissimo  gli  fu 
il  calvario  fino  alla  cattedrale.  Per  le  vie  fu 
riconosciuto  dagli  amici  della  vigilia  che,  sde- 
gnosamente chiusi  neir  eleganza  delle  loro 
splendide  vesti  profumate,  non  mancarono  di 
ferirlo  con  parole  di  scherno.  Ed  egli  più 
tardi  dovette  uscire  in  questa  confessione  che 
mi  commuove  :  «  Ho  sofferto  tanto  durante 
quel  tragitto  che  avrei  preferito  morire.  »  Il 
Colombini  esigeva  che  si  morisse  al  mondo 
per  entrare  nella  sua  vita,  ^oi  moderni  non 
comprendiamo  più  la  bellezza  delle  grandi 
rinuncio;  ma  è  pur  vero  che  la  sola  sensa- 
zione forte  la  quale  possa  procurarsi  colui 
che  dispone  di  tutto  è  di  rinunciare  a  tutto; 
ed  è  questo  1'  unico  mezzo  perchè  uno  spirito 
possa  rinascere  a  vita  novella:  è  la  potatura 
radicale  al  ceppo  di  un  albero  infrollito  cui 
sarà  dato  nella  nova  primavera  di  riscoppiare 
in  germini  e  rigogliosi  virgulti. 

Quando  la  prima  volta  m'  avvenne  d'  in- 
contrarmi su  le  pagine  d'  un  polveroso  mano- 
scritto della  biblioteca  comunale  di  Siena  con 
la  figura  impallidita  del  giovane  Nardusa,  per 
meglio  rilevarne  l' eroica  bellezza  non  potei 
fare  a  meno  di  ravvicinarlo  a  quel  giovane 
ricco  e  virtuoso  della  parabola  evangelica,  il 
quale  invitato    dal    Cristo    che    amava  la  sua 

110 


GIOVANNI   COLOMBINI 

bella  gioventù,  a  compiere  la  suprema  rinun- 
cia ed  a  seguirlo,  questi  crollando  amaramente 
il  capo  si  allontanò  dal  maestro  in  silenzio,  op- 
presso e  quasi  vergognoso  della  sua  debolezza. 
Aspra  di  molto  era  la  regola  (1)  di  quei 
mistici  poverelli  senesi.  Paolo  Morigi  nel  suo 
Paradiso  dei  Gcsuati  (2)  così  ne  descrive  il 
tenor  di  vita:  «  Tra  il  giorno  e  la  notte  per- 
severavano air  orazione  da  cinque  in  sei  ore 
(usavano  pregare  senza  strepito  di  voce  in 
sentimento  d'  anima,  prediligendo  fra  le  pre- 
ghiere il  Pater  JVoster),  Due  volte  al  giorno 
si  disciplinano  nell'  oratorio,  ciò  fanno  una 
volta  air  aurora  e  un'  altra  a  un'ora  di  notte, 
Xon  dicono  messa,  nò  accedono  agli  ordini 
sacri,  per  umiltà,  ed  a  coloro  che  di  ciò  li 
rimproverano,  adducono  V  esempio  del  Santis- 
simo Marco  Evangelista  che  per  santa  umiltà 
si  fece  tagliare  il  dito  grosso  della  mano  per 
essere  scusato  dal  celebrare  i  sacri  misteri  e 
così  1'  esempio  di  San  Paolo  primo  Eremita, 
di  Antonio  Monaco,  di  quasi  tutti  i  diecimila 
monaci  che  abitavano  i  monasteri  della  Te- 
baide  sotto  la  guida  dell'  abbate  Serapione,  i 
quali  lavoravano  i  campi,  riscattavano  gli 
imprigionati  per  debiti  e  non  dicevano  messa.  » 

(1)  Cfr.  Stephani  Baluzii,  Miscellanea  Tomo  IV;  Orda 
et  forvia  morum  qtios  et  per  consuetudinem  observat  Congre- 
gano pauperum  qui  vulgariter  Jesuati  nuncupantur . 

(2)  P.  Morigi,  Paradiso  dei   Gesuati,  Venezia,    1582. 

Ili 


CAPITOLO   III 

Lo  spirito  religioso  dominante  nella  fami- 
glia gesuata  primitiva  ben  trasparisce  ancora 
dalle  ammonizioni  del  gesuato  senese  Antonio 
Bettini  (1)  che  io  trascrivo  da  una  sua  opera 
intitolata  II  Monte  Santo  di  Dio.  Così  egli  enu- 
mera al  fratello  in  religione  i  membri  del  pa- 
rentado spirituale:  «  La  tua  madre  sia  la  san  età 
compunzione,  la  quale  ti  può  lavare  dalle  soz- 
zure dei  peccati.  El  tuo  fratello  sia  quello  clie 
s'affatica  insieme  con  teco  et  ammonisceti.  La 
moglie  tua  sia  la  memoria  della  morte  con  la 
quale  ti  corchi,  giaci  et  levi.  Li  tuoi  figliuoli 
carissimi  sieno  li  pianti  et  li  sospiri  del  core. 
El  servo  tuo  sia  el  corpo  tuo.  Gli  amici  tuoi 
siano  le  sancte  virtudi  le  quali  se  ti  saranno 
amiche  ti  potranno  esser  buone  et  hutili  nel 
tempo  della  morte  tua  ». 

Questi  consigli  non  sono  nuovi;  rifioriscono 
dalle  radici  dell'  antica  vita  eremitica,  e  li 
avrebbe  potuti  dare  non  solamente  il  Bettini, 
ma  uno  qualsiasi    dei   frati    agostiniani  chiusi 

(1)  Il  Beato  Antonio  Bettini  nacque  in  Siena  nel  giugno 
1396  ed  entrò  nel  1439  nell'Ordine  dei  Gesuati.  Fu  mandato 
a  Roma  per  ottenere  una  sede  i)er  i  Gesuati  ed  ottenne  dal 
Cardinal  Latino  Orsini  la  Cliiesa  dei  Santi  Giovanni  e  Paolo. 
•  Per  ordine  di  Pio  II  partecipò  al  Concilio  di  Mantova  e  fu 
legato  apostolico  presso  Francesco  Sforza  duca  di  Milano.  Da 
Pio  II  fu  creato  Sommo  Penitenziere  per  1'  Italia  nel  1459  ; 
nel  1461  fu  creato  Vescovo  di  Foligno^  rinunziò  al  Vescovato 
per  rientrare  nel  suo  monastero.  Scrisse,  fra  molte  altre  ope- 
re^  Il  Monte  Santo  di  Dio,  Firenze,   1477.  Morì  nel  1487. 

112 


GIOVANNI   COLOMBINI 

nel  sacro  fortilizio  di  Lecceto.  lu  quali  accen- 
ti, in  quali  forme  spirituali  deiranima  coloiu- 
biniana  troveremo  dunque  l'originalità  di  quel- 
la atììato  mistico  ed  umano  che  ci  sembra  di- 
scoprire nella  rivoluzione  dei  Gesuati?  Apriamo 
le  pagine  deìV  JEjìistolario  di  Giovanni  Colom- 
bini (1);  leggiamo  un  poco  le  lettere  non  già 
come  il  Bartoli  che  le  pubblicò,  per  setacciar- 
ne fior  di  lingua  trecentesca,  ma  per  sentirvi  i 
forti  palpiti  d'un  vecchio  generoso  cuore. 

Due  furono  le  anime  che  agirono  potente- 
mente sul  Colombini  fino  dai  primi  tempi  della 
sua  conversione  e  che  in  certo  modo  tempra- 
rono con  le  loro  segrete  energie  la  volontà  del 
poverello  Gesuato  :  quella  del  beato  Pietro  Pe- 
troni  e  quella  di  Paola  di  Ghino  della  nobile 
famiglia  dei  Foresi,  abbadessa  di  Santa  Bonda, 
una  donna  «  di  spirito  superiore  al  suo  sesso  » 
come  afferma  il  Tantucci  (2)  e  che  per  otte- 
nere una  riforma  alla  regola  del  suo  Monaste- 
ro osò  di  andar  con  una  suora  fino  ad  Avi- 
gnone ove  trovavasi  il  Pontefice  Innocenzo  VI. 

Pietro  Petroni  è  una  figura  tipica  dell'an- 
tico ascetismo  senese.  Egli  appai'teneva  ad  una 
delle  più  cospicue    famiglie  patrizie.    Quattor- 

(1)  Le  lettere    del    B.   Giovanni  Colombini    pubblicate    per 
cura  di  Adolfo  Bartoli,  Lucca,  Tip.  Balatresi  1856. 

(2)  Codice  della  Biblioteca  comunale  di   Siena,  segnato  B, 
X,  3  fase.  6^ 


11 


Q 


CAPITOLO   III 

dicenne  entrò  nel  Sodalizio  di  Santa  Maria 
della  Scala  per  dedicarsi  alla  cura  dei  malati; 
piìi  tardi  si  rinchiuse  nella  Certosa  di  Mag- 
giano  fatta  costruire  dal  cardinal  Riccardo  Pe- 
troni  (1).  Prese  il  diaconato  e  doveva  essere 
sacerdote,  ma  per  umiltà  si  tagliò  l'indice  della 
mano  sinistra  onde  apparire  inabile  per  la  ce- 
lebrazione degli  Uffizi  divini.  Sembra  che  co- 
noscesse i  segreti  dei  cuori.  Fu  il  Petroni  che 
per  mezzo  di  Giovacchino  Ciani  convertì  il 
vecchio  Boccaccio;  ed  egli  rinsaldò  la  vocazione 
del  Colombini  con  la  disciplina  del  silenzio  e 
della  meditazione  solitaria  per  la  quale  1'  uomo 
mette  a  nudo  la  sua  anima  al  cospetto  di  Dio. 
Della  riverenza  e  della  gratitudine  che  gli  di- 
mostrò il  Beato  Colombini  abbiamo  una  prova 
nel  fatto  che  allorquando  il  Petroni  mori  egli 
scrisse  unitamente  a  Mcolao  Vincenti,  fratello 
di  Francesco  suo  primo  seguace,  una  biografìa 
di  lui  che  nei  secoli  andò  smarrita.  Di  essa 
resta  solo  il  rifacimento  d'  un  frate  certosino, 
tal  Bartolomeo  da  Siena,  il  quale  a  detta  dei 
PP.  Bollandisti  (2)  :  «  Hanc  latine  ex  italico 
transtulit  ac  copioso  stylo  exornavit  »  distrug- 

(1)  Eiccardo  Petroni  nel  1262,  professore  nello  studio  di 
Siena,  compilò  il  libro  VI  delle  Decretali  assieme  al  cardinale 
Longo  e  a  Dino  di  Mugello.  Eletto  cardinale,  morì  in  Geno- 
va nel  1315  e  fu  sepolto  nel  Duomo  di  Siena,  ove  vedesi  il 
suo  monumento  presso  la  Cappella  di  San  Giovanni. 

(2)  Ada  sanctorum,  Antuerinae,  1678,  VII,  188  (al  giorno 
29  maggio). 

114 


GIOVANNI   COLOMBINI 

gendo  rispirazione  semplice,  breve,  commossa, 
che  doveva  possedere  l'  opera  originale. 

Madonna  Paola  Foresia,  buona  di  quella 
bontà  che  è  luce  di  bellezza  interiore  accesa 
da  vita  profonda,  fece  conoscere  al  Colombini 
quanto  sia  dolce  di  sentirsi  avvinti  con  un'ani- 
ma femminile  sul  terreno  saldo  d'una  comune 
verità  avendo  come  oggetto  d'  ogni  palpito  e 
d'  ogni  pensiero  un  supremo  ideale  d'  amore. 
Giacché  la  donna  quando  veramente  ama  non 
riesce  a  concepire  un  amore  che  non  sia  eter- 
no, ed  in  questa  sua  fede  sta  la  sua  potenza 
fascinatrice. 

Il  Colombini  trovò  appunto  in  Paola  Fo- 
resia ciò  che  nella  buona  moglie  Biagia  avrebbe 
cercato  invano  :  1'  accensione  d'  un  sentimento 
eroico  che  dominando  tutti  gli  altri  conferisce 
alla  vita  d'un  uomo  il  valore  d'un  poema  su- 
blime. A  Santa  Bonda  si  può  dire  che  il  Co- 
lombini sciogliesse  il  suo  t  oto  di  povertà  quan- 
do nel  1364  «  inter  vivos  »  fece  alla  sua  ami- 
ca la  donazione  di  quasi  tutti  i  beni  terreni 
mediante  un  atto  pubblico  rogato  dal  notaro 
ser  Francesco  Di  Landò  (1),  obbligandola  in- 
sieme alle  sue  compagne  monache  a  sovvenire 
la  moglie  Biagia  e  le  sue  fantesche  finch'esse 
durassero  in  vita.  Accennammo  già  come  egli 

(1)  Questo  documento  è  riferito  dal  Carli  nella  sua  Selva 
di  notizie,  pag.   220-225. 

115 


CAPITOLO  III 

affidasse  a  madonna  Paola  la  sua  figliuola 
Agnese  votandola  a  Dio,  e  ciò  fu  tra  il  1361 
ed  il  1364  quando  gli  venne  a  mancare  il  figlio 
Pietro. 

L' epistolario  è  documento  mirabile,  per 
quanto  fin  qui,  nella  sua  essenza  psicologica 
inesplorato,  dell'appassionata  amicizia  che  legò 
a  madonna  Poresia  il  Colombini.  La  maggior 
parte  delle  lettere  ch'esso  contiene  sono  rivolte 
all'amica^  e  difatti  il  codice  più  prezioso  del- 
l'epistolario fu  conservato  per  secoli  nel  mona- 
stero di  Santa  Bonda  (1).  Quasi  tutte  furono 
scritte  nel  tempo  del  suo  esilio  e  per  esse  noi 
possiamo  ricostruire  le  vicende  di  quegli  anni 
d'apostolato  che  maturarono  l'ordine  nascente, 
ma  sopratutto  ci  è  dato  di  comprendere  meglio 
che  in  qualunque  specchio  biografico,  l'anima 
del  grande  mistico  senese. 

Santa  Bonda  fu  per  1'  anima  del  Colombi- 
ni il  luogo  di  rifugio  e  di  conforto,  come  la 
certosa  di  Maggiano  quello  di  raccoglimento 
severo  nella  disciplina  rigida  della  penitenza. 
Quand'egli  o  qualche  compagno  maggiormen- 
te sentivansi  oppressi  dall'  incomprensione  mon- 
dana, o  saturi  d'  umiliazioni,  o  traboccanti 
nell'  anima  di  gioia  e  d'  amore,  costumavano 
riversare    i   loro   sentimenti,    lieti  o  tristi,  nel 

(1)  È  il  codice  I,  VI,  16,  membranaceo  della  Bibl.  com.  di 
Siena.  Parrebbe  scritto  verso  la  fine  del  secolo  XVI  e  forse 
le  lettere   vi  furono  trascritte  dalle  copie  originali. 

116 


GIOVANNI   COLOMBINI 

cuore  ospitale  di  madonna  Foresia  e  delle,  al- 
tre religiose  che  abitavano  il  suo  romitorio.  Si 
può  dire  veramente  che  Santa  Bonda  fu  il  fo- 
colare di  tutte  le  speranze  dei  primi  poverelli 
Gesuati.  Il  Colombini  vi  trascorse  le  ore  mi- 
gliori e  di  frequente  vi  riuniva  gli  amici  per 
conviti  spirituali.  D'  una  di  queste  feste,  così 
ragguaglia  un  suo  amicto  :  «  Sappiate  che  sa- 
bato a  mane  fu  a  Santa  Bonda  il  maestro 
della  loica  e  tanti  altri  che  furono  otto  frati, 
el  giovano  nostro  e  noi,  et  ine  istemmo  con 
tanta  giocondità  di  spirito,  che  veramente  vi 
direbbero  i  frati  che  Cristo  fu  con  noi  ». 

Spesso  nelle  lettere  ai  suoi  seguaci  il  Co- 
lombini ricorda  con  affetto  devoto  le  amiche. 
Ai  compagni  Giovanni  d'  Ambrogio  e  messer 
Xiccoli  scriveva  :  «  Amatevi,  cantate  e  fate  fe- 
sta e  giocondità;  siate  a  Madonna  ubbidienti 
e  reverenti.  ^Cristo  vi  sia  nelP  anima.  Orate 
sempre  per  noi,  cosi  facciamo  per  voi...  più 
non  dico.  Cristo  impazzi  noi  con  voi  per  suo 
amore  » .  Ed  in  un'  altra  lettera  raccomanda  : 
«  Pregate  Dio  per  le  madri  dei  povari  e  di 
tutta  la  carità,  donne  di  Santa  Bonda,  le  qua- 
li miracolosamente  durano  fadighe  e  per  tutti 
pregano,  e  voi  per  tutte  loro  pregate,  e  siate 
valenti  e  forti  e  costanti  » . 

Per  tal  guisa,  con  il  ricordo  di  quelle  ani- 
me di  donne  eroiche,  spronava  i  suoi  alle  vir- 
tù forti  cementando    V  unione  con  la  preghie- 

117 


CAPITOLO  III 

ra.  E  non  cessava  dalle  raccomandazioni  di 
essere  valenti  nell'amore  divino,  costanti  nella 
fede  abbracciata,  umili  di  spirito  e  concordi. 
A  Giovanni  d'Ambrogio  ed  ai  suoi  compagni, 
ecco  come  si  esprime  in  una  lettera  a  questo 
riguardo  :  «  Parlate  dell'amore  et  in  esso  vi  as- 
setate. Io  vi  conforto  nello  stare  e  vedete  che 
Minuccio  (un  seguace  clie  disertò),  per  voler 
aver  suo  parere,  come  infìno  a  qui  è  ito.  Par- 
tissi da'  frati  senza  fare  lo  motto  :  abbiatene 
compassione  e  pregate  per  lui  ;  Cristo  il  guar- 
di. Tutto  gli  avviene  per  essare  uscito  del  pa- 
rere de'  suoi  frategli  e  volere  fare  per  molti 
consegli.  Vanni  vi  dirà  il  fatto.  Fecemi  gran 
dolore.  Cristo  F  aiti.  Vo'duve  Cristo  mi  mena- 
re. Ratto  credo  tornare.  Cristo  sia  guardia  di 
voi  e  di  me  ». 

Dalle  lettere  del  Colombini  trasparisce  l'an- 
sia d'  un  soldato  del  bene,  che  sente  di  fronte 
al  compito  impostosi  la  brevità  del  tempo  con- 
cessogli dalla  vita  che  dilegua  rapida.  Ed  egli 
non  si  perde  mai  in  parole  troppe  ed  inutili. 
Arresta  in  una  frase  incisiva  la  più  gagliarda 
delle  commozioni,  soffocandola.  Le  sue  esorta- 
zioni, lungi  dal  distendersi  in  prediche,  appa- 
iono come  gridi  di  un  capitano  ai  soldati  du- 
rante la  battaglia.  Prima  di  Santa  Caterina 
egli  scrisse  le  parole  mirabili  :  «  Le  tentazioni 
sono  la  vita,  la  corona  dell'anima  nostra.  Non 
vi  sbigottiscano  le  tentazioni  ;  aspettiamole  con 

118 


GIOVANNI   COLOMBINI 

allegrezza  e  sosteniamole  con  fortezza,  concios- 
siacliè  al  fuoco  s'  affina  V  oro  e  fassi  perfetto. 
Chi  recusa  la  battaglia  è  già  sconfitto  ». 

Il  linguaggio  del  Colombini,  quando  infor- 
ma madonna  Paola  delle  conquiste  spirituali 
dei  Gesnati,  è  sempre  quello  d'  un  soldato. 
Narrandole  del  compagno  Vincenti  in  una  let- 
tera scrive  :  «...  Francesco  ha  messo  a  rotta 
di  Cristo  tutto  Monticchiello  et  è  stato  tenu- 
to un  pazzo  »  Xulla  più  lo  rallegra  che  una 
conquista  d'  anime,  e  non  manca  mai  di  rag- 
guagliarne la  sua  amica.  Ecco  alcuni  fram- 
menti di  lettere  indirizzate  alla  medesima  : 
*  ...  Giovanni  e  Conte  hanno  menato  uno  d'Ar- 
ci dosso  che  era  ito  a  Roma  a  tenere  F  alber- 
go, accostossi  a  loro  e  venneno  qua  e  colla  gra- 
zia di  Cristo  Crocifisso  ha  dato  tutto  il  suo 
ai  povari  che  valeva  bene  ottocento  libbre, 
tutto  r  ha  dispensato,  et  è  con  noi  povaro. 
Era  uomo  carnefice  e  micidiale.  Ora  assai 
buono  aspetto  ».  «...  Semo  stati  e  semo  a 
Montalcino  e  improvviso  così  ragionandoci  del 
nostro  diletto  Cristo  tutta  la  terra  si  mosse  a 
tanto  fervore  e  tante  lacrime  e  pianti  che  sa- 
rebbe troppo  scrivere  ogni  cosa.  E  per  la  in- 
finita bontà  di  Dio  molti  uomini  e  donne 
hanno  forte  mossa  vita,  e  sono,  poi  che  ci 
partimmo  da  voi,  assai  venuti  al  grado  del- 
l' alta  e  ricca  povertà,  lassando  ogni  lor  bene 
e  rendendo  paci  ».    «  ...  Lorino  è  molto  tocco 

119 


CAPITOLO   III 

da  Dio,  sin  tanto  che  per  la  grazia  di  Dio  nella 
presenzia  del  Padre  nostro  messere  lo  Vescovo 
esso  rendè  liberamente  pace  a  questi  tre  dei 
Piccogliuomini,  della  morte  di  messer  Lorino 
suo  zio,  la  quale  non  avarebbe  renduta  per 
migliaia  di  fiorini  secondo  che  esso  disse  »♦ 

Tanto  è  il  fervore  di  spirito  di  questi  nuo- 
vi apostoli  che  sembra  di  veder  ridesta  nei 
medesimi  1'  anima  del  Poverello  d'Assisi.  Ciò 
che  li  rattristava  era  il  vedersi  tacciati  da  molti 
per  eretici  e  di  sapere  che  anche  il  pontefice 
Urbano  Y  mostrava  di  credere  a  queste  voci. 
Ed  in  vero  come  novatori  pericolosi  erano 
stati  messi  al  bando  dal  comune  di  Siena.  In 
Arezzo,  poco  dopo,  ser  Biliatto,  un  loro  se- 
guace, fu  appiccato  per  eretico  come  saj)piamo 
dalla  lettera  91"^^  dell'edizione  Bartoli,  rivolta 
dal  Vincenti  alle  monache  di  Santa  Bonda.  Lo 
stesso  Vincenti,  in  un'  altra  epistola,  cerca  di 
tranquillizzare  a  questo  x^^^P^^i^^  1^  amiche 
dei  Gesuati:  «  ...  Mo  pensate  che  tante  so' le 
resie  delle  gienti,  che  non  si  può  credere  che 
noi  siamo  netti,  nò  puri  per  molti.  Ma  quan- 
do il  vero  si  saprà  saremo  assai  amati,  scri- 
varemo  bene  e  virtuosamente,  avaremo  assai 
appoggi  e  grandi  e  così  molti  contrari,  e  cre- 
diamo grande  battaglia;  ma  speriamo  buono 
fine  per  la  purità  e  verità  e  santo  desiderio. 
Noi  di  tutte  le  cose  ci  contentiamo  che  Dio 
vuole  ». 

120 


GIOVANNI   COLOMBINI 

Questi  frammenti  epistolari  sono  tali  da 
illumiuare  lo  stato  di  animo  nel  quale  do- 
vevano trovarsi  i  Gesuati  alla  vigilia  del 
giorno  in  cui  si  presentarono,  per  scagionar- 
si dalle  accuse,  dinanzi  a  papa  Urbano  che 
giungeva  d'  Avignone.  Il  Colombini  mosse  ad 
incontrarlo  con  circa  settanta  fra  i  suoi  com- 
pagni, quand'  egli  entrò  in  Oorneto  il  venerdì 
4  giugno  1367.  Al  cospetto  del  papa,  egli  ed 
il  compagno  Francesco  Vincenti,  si  trascina- 
rono con  uno  sforzo  eroico  di  volontà,  quasi 
moribondi.  Difatto  la  morte  doveva  cogliere 
il  Colombini  un  mese  dopo,  il  31  Luglio,  ed  il 
Vincenti  il  15  dell'  agosto  seguente.  In  Vi- 
terbo ebbero  però  la  gioia  di  udir  proclamare 
dal  pontefice  la  innocenza  delle  loro  intenzio- 
ni, dopo  un'  inchiesta  severa  promossa  dal  car- 
dinale di  Marsiglia,  domenicano.  Essi  non  rin- 
negarono tuttavia,  neppure  in  mezzo  agli  splen- 
dori della  Corte  avignonese,  la  loro  dolce  aman- 
te, la  Povertà.  Il  Vincenti  ne  scrive  da  Vi- 
terbo con  un  segreto  tripudio  alle  amiche  di 
Santa  Bonda,  mentre  il  Colombini  trovavasi 
gravemente  malato,  <  ...  pensate,  Madonna  e 
Madri  nostre,  che  qui  è  baronia  del  mondo  e 
1'  orrevolezze  e  le  gioie  e  vestimenti  e  signo- 
ri, e  tutte  le  belle  grandi  cose  sono  qui.  Ma 
tuttavia  mai  la  povertà  non  ci  fu  tanto  a  gra- 
do quanto  ora  e  mai  tanto  non  ci  piacque  ». 
Che    mirabile    consonanza  di  sentimenti  rivela 

121 


CAPITOLO   III 

questa  lettera  del  Vincenti  con  altra  che  già 
inviava  il  Colombini  a  Madonna  Paola  Fore- 
sia:  «  Noi  aviamo  nome  d'  essare  poveri,  mo 
tanta  roba  ci  è  mandata  che  io  me  ne  vergo- 
gno... e  se  noi  volessimo  seguitare  le  genti 
converrebbeci  fuggire  e  dileguare  ». 

Senonchè  giovava  a  rassicurarli  il  pensiero 
della  loro  elettissima  amica  lontana.  Purtroppo 
non  ci  son  pervenute  le  lettere  eh'  ella  invia- 
va ai  fratelli  Gesuati,  ma  ci  bastano  quelle 
che  possediamo  del  Colombini  per  sentire  a 
quali  corde  vibrava  quell'  anima  ardente  cui 
il  Beato  scriveva  :  «  Con  ogni  umiltà  e  buon 
volere  vi  chiamo  e  vi  voglio  mia  madre  spi- 
rituale e  che  per  vostro  figliuolo  mi  toniate  > . 
Dell'  umiltà  verace  eh'  egli  portava  a  lei  ed 
alle  sue  compagne  abbiamo  una  prova  nel  fram- 
mento di  un'  epistola  ove  dice  :  «  Pregovi,  o 
carissime,  che  facciate  singulare  pregio  per  la 
santa  Chiesa  et  anco  per  me  misero  peccato- 
re. Conosco  che  presuntuosaniente  ho  scritto, 
però  che  scrivo  la  virtù  che  non  è  in  me,  e 
dubito  che  alluminando  altrui  non  accechi 
me,  però  orate  per  me  che  n'  ho  gran  biso- 
gno ». 

Ma  il  Colombini  sapeva  veramente  illumi- 
nare le  anime  ;  e  gli  accenti  che  vibrano  in 
talune  fra  le  sue  più  belle  e  sincere  epistole 
piene  di  passione,  non  potranno  giammai  offu- 
scare   un    nobile    spirito.    Nella    meravigliosa 

122 


GIOVANNI   COLOMBINI 

atmosfera  lirica  di  alcuni  di  codesti  squarci 
epistolari  come  quello  che  ora  trascrivo,  si 
respira  veramente  V  aer  puro  ed  allocato  del 
più  alto  misticismo  senese  che  più  tardi  incen- 
dierà  V  anima  di  Caterina  Benincasa.  Ecco 
una  confessione  del  Colombini  :  «  Carissime, 
chi  mi  potrà  dire  1'  amore  e  la  carità  che  di 
voi  sente  l'anima  mia  e  il  cuore  mio,  il  quale 
tutto  arde  et  incendia  del  fuoco  dell'  amore 
dello  spirito  santo,  trasformandosi  tutto,  per 
carità  di  Cristo,  nelF  anima  vostra  con  istri- 
gnimenti  affocati  e  con  saette  passanti...  ». 

A  madonna  Paola  Foresi  a  ricorda  :  <  L'a- 
nima mia  è  spesso  nelle  vostre  braccia  opperò 
abbiatela  a  mente  » .  Ed  egli  vorrebbe  ch'ella 
fosse  sempre  piena  di  letizia  e  si  rammarica 
d'  ogni  ombra  che  veli  il  suo  cuore  :  <  Quanto 
la  lettera  vostra  mi  fusse  pena  della  malan- 
conia,  eh'  io  viddi  e  veggo,  non  vel  potrei 
dire  > .  Per  consolarla  le  manda  talora  il  Bar- 
na  di  Montalcino  o  il  Boccia  eh'  erano  i  più 
celebrati  cantori  di  laudi  della  sua  compagnia. 
Fra  il  Colombini  e  le  religiose  di  Santa  Bon- 
da  vi  è  una  vicendevole  ed  appassionata  comu- 
nione di  sentimenti  che  tanto  più  ci  piace 
perchè  giammai  contaminata  dalla  convenzio- 
nalità ipocrita  ed  untuosa  della  frase  misurata. 
L' epistolario  del  Colombini  ci  rivela  prima 
ancora  dell'epistolario  cateriniano  in  qual  modo 
nel  secolo  XIY,  in  Siena,  alcune  anime    sep- 

123 


CAPITOLO  III 

pero  realizzare  il  più  perfetto  ideale  dell'ami- 
cizia creatrice. 

In  quei  mistici  senesi  la  fede  religiosa  co- 
stituiva un  terreno  così  saldo  e  generoso  che 
r  amore  non  correva  mai  il  pericolo,  fioren- 
dovi su,  d'  essere  avvelenato  pur  dall'  ombra 
d'  un  solo  dubbio.  La  passione  di  Cristo  era 
fonte  d'  amore  per  quelle  anime  ;  e  perchè  in 
lui  amavano  intensamente  il  martire  si  com- 
prende come  non  avessero  paura  ma  sete  di 
martirio  ;  nella  sofferenza  d' altra  parte  si  tem- 
pra ed  ingigantisce  questo  divino  sentimento 
umano,  il  quale  riesce  a  sorridere  con  voluttà 
suprema  perfino  alla  Morte. 

I  primi  Poverelli  Gesuati  sapevano  morire. 
Uno  di  loro,  certo  Marco  d'Arezzo,  invaso 
dalla  terribile  nostalgia  dell'  Eterno,  assistendo 
alla  dipartita  d'  un  suo  compagno,  lo  supplicò 
che  lo  richiamasse  dal  regno  d'  oltre  tomba. 
Il  desiderio  fu  esaudito.  Marco  in  breve  tem- 
po ammalò  e  venne  agli  estremi.  La  vigilia 
della  morte  siccome  i  suoi  compagni  attribui- 
vano al  dolore  fisico  la  sua  visibile  agitazione 
egli  disse  loro  :  «  Oh  v'  ingannate  !  Non  v'  ha 
dubbio  che  bisogna  soffrire  fisicamente  per 
giungere  alla  morte  ;  ma  quando  un'  anima  è 
vissuta  tutta  in  Dio,  la  misericordia  divina  la 
inebria  nell'  ultimo  giorno  d' una  gioia  che 
vince  di  molto  ogni  pena  corporea.  Si  muore 
neir  allegrezza.  Quelli  che  voi  avete  presi  per 

124 


GIOVANNI   COLOMBINI 

dei  segni  di  sofierenza  erano  i  brividi  del  mio 
cuore  vedendo  avvicinarsi  il  suo  dolce  amore, 
la  sua  gioia,  la  sua  festa  eterna...  ».  Il  giorno 
dopo  spirava  con  negli  occhi  una  gran  luce 
di  cielo. 

Quale  fosse  la  qualità  di  codesto  sovrumano 
amore  e  come  nascesse  nelP  anima  del  pove- 
rello Gesuato,  e  come  la  rapisse  nelF  oblio  di 
ogni  preoccupazione  terrena  ci  viene  descritto 
in  una  lettera  diretta  dal  Colombini  ad  un 
certo  messer  Domenico,  uomo  famoso  per  scien- 
za in  quel  tempo,  del  quale  ci  è  pervenuta 
anche  la  risposta  al  Colombini. 

Ecco  frattanto  un  brano  dell'  epistola  a 
messer  Domenico,  importantissimo  per  la  com- 
prensione del  misticismo  dei  Gesuati  senesi  : 
€  Et  levasi  suso  del  mezzo  dell'anima  un  ajffet- 
to  infocato  di  puro  e  netto  amore,  senza  neuna 
considerazione  di  sé  stesso,  né  di  Dio,  né  di 
Cristo,  né  di  vita  eterna  ;  non  ispecolando  in 
neuna  cosa  celeste,  né  terrena,  né  umana,  né 
divina,  che  1'  anima  abbia  veduta  o  non  ve- 
duta senza  neuna  imaginazione.  Ma  solo  l' af- 
fetto dell'  amore  tirato  dall'  affetto  del  grande 
amore  unisconsi  insieme,  e  divengono  un  affet- 
to ;  ine  non  si  cerca  né  può  cercare  alcuna 
cosa  particulare,  ma  é  uno  notamento  di  bene 
nel  bene  grande,  un  amore  nel  magnissimo 
amore,  e  volamento  d'  amore,  e  quanto  tirato 
dall'  amoro  non  é  cosa  che  veggia,    né    senta, 

125 


CAPITOLO   III 

né  chiegga  ;  ma  è  ismisuranza  di  bene  e  com- 
pimento d' amore  e  termine,  credo,  di  senti- 
mento ;  ma  a  cui  è  più  a  cui  è  meno,  secon- 
do gli  infocati  desideri.  Entra  tale  affetto  et 
amore  et  affetto  d'amore  nell'abisso  dell'  amo- 
re, nelle  divine  tenebre  ;  divine  sono  eh'  esso 
è  essa  divinità  et  abisso;  tenebre  sono,  che 
sono  scure  nel  comprenderle  e  vederle,  e  più 
tenebre  a  parlarne.  Questa  salita  et  affogamento 
impedirebbe  ogni  considerazione  et  immagina- 
zione d'  alcuna  cosa,  qualunque  fosse.  Solo  l'a- 
more trova  l' amore,  e  credo  che  sia  godimento 
dei  godimenti  ». 

L' impressione  profonda  destata  nel  teologo 
da  questa  lettera  del  Beato  si  rivela  nella  ri- 
sposta che  gl'indirizzava  ed  ove  confessa  :  «  Per 
la  vostra  lettera  ben  conosco  palesemente  che 
tutte  le  scientie  naturali,  etiche,  politiche,  me- 
tafisiche, economiche,  comediche,  tragiediche, 
croniche,  liberali,  meccaniche,  ugualmente  ogni 
scientia  scettica,  suddita  ad  intelletto  ovvero 
a  speculatione  o  a  sensualità,  e'  son  una  nube 
tenebrosa  dell'  anima  o  come  dice  la  scrittu- 
ra :  vanitas  vanitatum  et  omnia  vanitas.  Però 
eh'  io  ho  letto  tutto  el  vecchio  e  nuovo  Testa- 
mento, Vite  e  Collazioni  dei  santi  padri,  quasi 
tutti  li  scritti  di  Deonisio,  el  compendio  della 
Sagra  Teologia,  la  Deosoehia,  V  Arilogio  della 
Sapienza,  il  Testo  della  mistica  Teologia  et 
altri  molti  libri  teologici  et  mai  non  compresi 

126 


GIOYAXXI   COLOMBINI 

in  uu  tanto  lume  di  verità  cleiramore  unitivo, 
quanto  V  ho  compreso  per  la  vostra  lettera,  e 
sono  sì  forte  invilito  che  mi  pare  essere  un 
animale  bruto,  considerata  la  mia  miseria  e 
la  mia  ignoranza  ». 


Lo  sconforto  di  queir  anima  si  risvegliò  nel 
mio  spirito  la  sera  che  mi  ritrovai  solitario  fra 
le  rovine  di  quel  dolce  rifugio  di  pace,  il  ro- 
mitorio di  Santa  Bonda  ;  potei  quivi  indugiar- 
mi nella  meditazione  di  alcune  dolorose  espe- 
rienze che  travagliano  tante  anime  moderne 
chiuse  nella  fede  cieca  della  scienza,  ed  inten- 
dere la  legge  misteriosa  che  mette  in  valore  le 
dissonanze  al  contatto  delle  armonie. 

Ogni  volta  che  un'  anima  discorde  riesce  a 
vivere  profondamente  sola,  in  un  luogo  che 
sappia  evocarle  il  fascino  d'  una  forte  unione 
spirituale,  ivi  già  vissuta  da  qualche  lontana 
anima  sorella,  le  vien  fatto  di  sentire  più  acerba 
la  sofferenza  della  sua  disintegrazione,  giacché 
ogni  spirito  elevato  lavora  istintivamente  a 
comporre  atti  e  pensieri  in  una  più  lucida  ve- 
rità. 

Lungo  le  arcate  superstiti  dell'  antico  chio- 
stro s'  allacciavano  odorose  due  magnifiche 
piante  di  gelsomino,  e  nelF  acuta  fragranza 
eh'  esalavano  per  l' aria  vespertina  sembrava 
che  rivivessero    le    anime    di  madonna    Paola 

127 


CAPITOLO   ITI 

roresia  e   del  suo  fedele   amico  Giovanni  Co- 
lombini. 

Questi  non  potè  giungere  vivo,  per  1'  estre- 
mo commiato,  a  Santa  Bonda  come  molto  bra- 
mava, e  codesto  desiderio  rimasto  inadempiuto 
fece  fiorire  una  gentile  obliata  leggenda.  Essa 
racconta  che  sentendosi  il  beato  Colombini  vi- 
cino a  morte,  dopo  aver  dettate  in  Acquapen- 
dente le  volontà  supreme  al  notaio  Benedetto 
Di  Pace,  supplicasse  i  discepoli  che  lo  traspor- 
tassero al  Monastero  di  Santa  Bonda  perchè 
potessero  le  amiche  raccogliere  il  suo  ultimo 
respiro.. 

La  brigata  che  accompagnava  il  morente 
in  questa  dolce  speranza,  movendo  su  la  via  di 
Siena,  dovette  arrestarsi  per  un  poco  di  riposo 
in  un  luogo  di  crete  desolate,  non  lungi  dal- 
l' Abbadia  di  San  Salvatore,  mèta  purtroppo 
fatale  di  quel  doloroso  viaggio.  L'  ora  volgeva 
al  tramonto.  I  Gesuati  secondo  il  costume,  nella 
solitudine  alta  intonarono  canti  gioiosi  d'  amor 
eterno,  e  quelle  note  di  gioia  sovrumana,  sgor- 
gando da  poveri  cuori  feriti,  commossero  me- 
ravigliosamente il  paesaggio  tragico.  Il  Colom- 
bini pregò  il  Signore  Iddio.  Ed  ecco  all'  im- 
provviso le  crete  germogliarono  fiori,  sorri- 
dendo di  bellezza  riconoscente  agli  ultimi  raggi 
del  sole  occiduo.  Il  Beato  apparve  ai  suoi 
compagni  in  un'estasi  divina,  con  le  mani  le- 
vate in  atto   di  preghiera,  inginocchiato  verso 

128 


GIOVANNI   COLOMBINI 

r  astro  che  dileguava  rapido  dinanzi  a  quel 
prodigio.  Ma  quando  il  sole  si  fu  nascosto 
dietro  le  montagne  lontane,  i  poverelli  Gesuati 
videro  un  miracolo  nuovo.  Dalla  faccia  del 
moribondo  s' irraggiava  nell'  oasi  paradisiaca 
tutto  il  fulgore  scomparso. 


-Gì. 


Nota.  —  Intorno  alla  vita  ed  alle  opere  del  Colombini  ha 
compiuto  un  pregevole  studio  critico,  quantunque  vòlto  partico- 
larmente a  rintracciare  le  fonti  storiche,  G.  Pardi,  il  quale 
è  apparso  nel  BuUettino  Senese  di  Storia  Patria,  (Anno  II, 
fase.  I,  II,  III,  IV).  Prima  di  lui  un  breve  saggio  letterario 
pubblicò  il  Camerini,  Profili  letterari,  pag.  221  (Firenze,  1870, 
Barbera).  Si  veda  inoltre  la  prefazione  del  Cesari  alla  Vita 
scritta  dal  Belcari  (ediz.  Verona,  1817).  Ed  ancora  B.  Gamba 
nelle  Notizie  intorno  alle  opere  di  F.  Belcari  (Milano,  1827). 
Interessante  per  la  conoscenza  dello  spirito  critico  che  nello 
studio  dell'  antica  nostra  letteratura  mistica  recavano  uomini 
come  il  Bartoli  ed  il  Gamba  è  questo  periodo  tratto  dall'  o- 
pera  citata  di  quest'  ultimo  ;  «  Si  ricordi  chi  legge,  che  in  au- 
tore di  questa  fatta  sono  da  valutarsi  le  parole  assai  meglio 
che  1«  cosej  e  quelle  baie,  che  non  istarebbero  oggidì  a  martello 
in  mezzo  alla  soda  dottrina,  vogliansi  perdonare  a'  semplici 
nostri   padri  )^. 

129 


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CAPITOLO   IV. 


CATERIl!^A   BEIS^IS^CASA. 


La  vergine  Caterina  visse  ne  la  cella  del 
conoscimento  di  sé  medesima  per  meglio  co- 
noscere Iddio;  amò  gli  uomini  per  vestirsi  e 
per  vestirli  di  verità.  Più  che  all'  insegnamen- 
to dei  teologi  ella  dava  ascolto  a  la  voce  del-, 
r  amore,  e  la  sua  fede  imperniavasi  su  la  cre- 
denza che  r  anima  vivesse  in  Dio,  e  Dio  nel- 
r  anima  (1). 

Cristo  non  invano  le  aveva  detto  :  «  Tu 
conosci  me  in  te  ;  da  questo  conoscimento  trar- 
rai quello  che  ti  è  necessario  ».  E  le  aveva 
aggiunto  :  «  Nel  conoscimento  dunque  di  te 
ti  umilierai,  vedendo  te  per  te  non  essere  :  e 
r  essere  tuo  conoscerai  da  me,  che  te  e  gli 
altri  ho  amati  prima  che  voi  foste,  e  per  Fa- 
more  ineffabile  » . 

(1)  Questa  fede  corrisponde  allo  spirito  della  teologia  pao- 
lina  cfr.  Col.  Ili,  4;  Phil.  I,  21^  Gal.  II,  20. 

130 


S.  Caterina. 


Fot.  Alioarì. 
SIENA.  (Chiesj»  di  S.  Domenico) 


Sodoma. 


CATERINA   BEXIXCASA 

Il  santone  del  Oristo  è  il  prezzo  della  ri- 
generazione spirituale,  il  prezzo  dell'  amore,  e 
quindi  massimo  peccato  è  V  ingratitudine,  il 
disprezzo  del  sangue.  Perciò  il  ricordo  del  dono 
purpureo  torna  così  di  frequente  nei  suoi  scritti, 
esaltando  il  ritmo  passionale  dei  suoi  senti- 
menti. 

L'  amore  del  sangue  si  dimostra  coli'  amo- 
re del  martirio,  come  sappiamo  da  quelle  su- 
blimi parole  rivolte  alla  vergine  dal  Cristo  e 
che  si  leggono  nel  capitolo  V  del  «  Dialo- 
go >  (1)  :  «  Tu  domandavi  di  sostenere  e  di 
punire  i  difetti  d'altrui  sopra  di  te,  e  tu  non 
ti  avvedevi  che  domandavi  amore,  lume,  e  co- 
noscimento della  verità,  perchè  già  ti  dissi  che 
quanto  era  maggior  1'  amore  tanto  cresceva  il 
dolore  e  la  pena,  onde  a  chi  cresce  V  amore 
cresce  il  dolore  » . 

L'  esperienza  di  ri  soffrire  nel  proprio  spi- 
rito e  nel  proprio  corpo  i  mali  e  gli  errori 
degli  uomini  non  era  stata  forse  1'  esperienza 
mortale  del  Cristo'?  E  non  è  1'  esperienza  piìi 
sublime  dell'  amore,    e    non  dà  luce   di  verità 

(1)  Il  libro  (Iella  Divina  Provvidenza  dettato  a  tre  suoi 
dÌ8cex)oli  nel  1378  mentre  era  in  estasi  è  comunemente  cono- 
sciuto sotto  il  nome  di  «  l)ialo(jo  »  e  fa  parte  delle  Opere 
della  Santa  pubblicate  dal  Gigli.  Il  Guidini  nei  suoi  «  Bi- 
cordi >  apparsi  ne  V  Archivio  Storico,  tom.  IV,  ne  tratta  a 
lungo  e  scrive  d'  averlo  tradotto  di  volgare  in  latino,  verso 
il  1386.  Un  esemplare  di  questa  traduzione  è  nella  Bibl.  di 
Siena.   Cod.  T.   II,  4. 

131 


CAPITOLO   IV 

air  anima  ?  Ma  purtroppo  anche  nell'  ordine 
dei  sentimenti  è  vera  la  sentenza  dell'  Eccle- 
siaste: «  Là  ov'  è  molta  scienza,  ivi  è  molta 
tristezza  ».  Questa  è  la  sorte  del  vero  amore, 
di  stare  come  dice  la  vergine  «  in  continua 
pena  » .  Ed  a  clii  cresce  1'  amore  cresce  il  do- 
lore come  a  chi  cresce  il  sapere.  Sono  le  anime 
ricche  di  sentimento  quelle  più  esposte  ai  fie- 
ri colpi  del  dolore,  ma  come  la  santa  senese, 
sono  altresì  quelle  che  più  sanno  conquistare 
i  cuori.  Assai  mi  piacciono  queste  riflessioni 
che  disvelano  il  segreto  delle  sue  conquiste: 
<  L' intelletto  nutrica  l'affetto.  Ohi  più  conosce 
più  ama,  e  più  amando  più  gusta.  Tanto  serve 
la  persona  alla  creatura  quanto  V  ama,  e  più 
no  ;  e  tanto  manca  nel  servizio  quanto  manca 
r  amore  ;  e  tanto  ama  quanto  si  vede  amare. 
Adunque  vedi  che  dal  vedersi  amare  viene  l'a- 
more, e  1'  amore  ti  fa  perseverare  » . 

La  vita  d'  ogni  grande  anima  si  potrebbe 
dire  il  poema  del  sentimento  che  vi  trionfa. 
Per  i  mistici  questo  è  certo  un  folle  amore  di 
Dio,  cioè  una  fede  religiosa  che  per  i  teologi 
è  dono  miracoloso  della  Grazia,  mentre  per  i 
fisiologi  è  un  dono  dell'organismo,  ma  che  pur 
sempre  è  qualcosa  che  s'aggiunge  in  modo  as- 
soluto alla  sfera  vitale  d'  un  individuo;  una 
Eorza  che  quand'  anche  questi  perda  tutto,  e 
salute,  ed  amici  e  beni  terreni,  e  vegga  umi-  j 
liato  il  proprio  sentimento,  e  le  cose  e  le  per- 

132 


CATERINA   BENINCASA 

sone  più  care,  sopravvive  intatto,  e  fiorisce  nel 
deserto  della  tristezza  vivificando  tutto  il  mondo 
interiore. 

Gli  amori  degli  nomini  non  hanno  che  gioie 
fugaci,  non  riposano  che  su  momentanee  illu- 
sioni subitamente  distrutte.  L'amor  divino  com- 
prende invece  la  felicità  eterna  giacché  si  ac- 
queta ne  V  Assoluto.  Esso  vien  determinato 
dalla  segreta  missione  latente  neir  anima  del 
mistico  di  fissare  la  propria  individualità  di 
oltre  tomba.  Come  nella  propensione  di  due 
amanti  secondo  la  carne,  per  dirla  con  Scho- 
penauer,  si  presente  la  volontà  di  vivere  del 
nuovo  individuo  eh'  essi  possono  e  vogliono 
generare,  così  nel  tormentoso  connubio  d'  una 
anima  con  Dio  s'  accende  misteriosamente  la 
volontà  di  vivere  dell'anima  ultraterrena,  spo- 
glia d'  ogni  gravità  corporea,  libera  d'  ogni 
giogo,  pura  e  felice. 

Quando  noi  ascoltiamo  dei  santi  come  il 
Colombini  e  Caterina  Benincasa  parlarci  dei 
gradi  per  i  quali  1'  anima  passa  dall'  amore 
corporeo  a  quello  dell'  invisibile  bellezza, 
quand'  essi  ricercano  e  scoprono  le  analogie 
di  questo  processo  con  altri  movinienti  dello 
umano  pensiero,  noi  veramente  sentiamo  nelle 
loro  parole  la  forza  nascosta,  la  fiamma  che 
consumò  quei  corpi  mortali  per  generare  alla 
vita  durabile  1'  anima. 

L'amor  divino  è  l'unica  passione  che  possa 

133 


CAPITOLO   IV 

assorbire  tutta  la  vita  d' un  individuo,  poiché 
la  sua  durata  è  garantita  da  un  desiderio  che 
solo  la  morte  può  estinguere  nel  possesso,  a 
differenza  di  tutti  gli  amori  mossi  dalla  vo- 
luttà fìsica,  la  più  vana  delle  cose,  giacche  è 
un'  illusione  precaria  e  destinata  a  spengersi 
sempre  non  appena  è  sazio  il  desiderio. 

L'  amor  divino  è  un  eterno  fìdanzamento 
dell'  anima  con  1'  oggetto  della  sua  passione, 
il  quale  essendo  invisibile  tanto  più  profonda- 
mente la  commuove  con  la  dolcezza  d'un'ansia 
desiderosa  che  è  principio  di  possesso.  Appunto 
per  questo  le  aspirazioni  alte,  eroiche,  infinite, 
non  appaiono  che  negli  amanti  di  Dio  protesi 
verso  la  morte  come  verso  il  supremo  amore, 
verso  la  morte  che  è  termine  d'  attività,  cioè 
compimento  di  felicità;  e  son  dessi  noncuranti 
d'  ogni  sacrificio  e  d'  ogni  pena  come  coloro 
pei  quali  è  implicita  la  negazione  della  volontà 
di  vivere.  Ciò  che  v'  ha  di  volgare  nella  mas- 
sima preoccupazione  quotidiana  di  quasi  tutti 
gli  uomini,  cioè  il  fatto  di  campar  la  giornata, 
non  tocca  minimamente  il  santo,  il  quale  ras- 
somiglia piuttosto  ai  fiori  dei  campi  ed  agli 
uccelli  dell'aria,  che  alla  formica  della  favola, 
tutta  chiusa  nel  suo  egoismo  previdente. 

Certo  anche  il  santo  è  un'  egoista  giacché 
tutti  gli  amanti  sono  egoisti,  ma  l'egoismo  del 
mistico  è  purificato  dal  fatto  che  il  tesoro  del 
suo  amore  si  riversa  in  tesoro  di  carità  verace 

134 


CATEEINA   BENINCASA 

SU  tutti  coloro  che  softrouo  nel  silenzio  e  ne 
r  oblìo.  L' egoismo  del  santo  lungi  dalP  impo- 
verire la  vita  umana,  V  arricchisce. 

Il  mondo  della  vita  religiosa  è  il  piìi  serio 
nel  quale  sia  dato  di  vivere  all'  uomo.  I  rari 
spiriti  che  in  ogni  tempo,  dopo  lunghe  prove 
e  talvolta  durissime,  riuscirono  alfine  a  pene- 
trarvi dovettero  dimettere  gli  abiti  vani  che 
lusingano  per  i  vivaci  colori  la  maggior  parte 
degli  uomini  ed  in  cambio  indossare  quelli 
umili  e  gravosi  del  sacrificio  e  dell'eroica  ve- 
rità ;  dovettero  riconoscere,  cosa  difficile  per 
molti  filosofi,  che  tutto  non  è  vanità  nell'uni- 
verso, malgrado  le  apparenze  contrarie,  e  che 
perciò  falsi  e  miserevoli  sono  di  fronte  al- 
l'enigma che  ci  avvolge  gii  atteggiamenti  ironi- 
ci 0  fatuamente  spensierati  e  goderecci.  L'uomo 
religioso  è  colui  che  si  è  formato  della  vita 
una  concezione  tragica,  ove  il  dolore  è  com- 
preso come  un  mezzo  di  purificazione  e  di 
esaltamento  dello  spirito,  come  una  via  di  li- 
berazione, come  un'  arme  di  conquista  del  di- 
vino insieme  all'amore,  ed  ove  il  piacere  altro 
non  ò  che  il  coronamento  dell'  attività  reli- 
giosa. 

Ciò  che  caratterizza  il  vero  stato  religioso, 
come  bene  ha  notato  William  James,  è  l'entu- 
siasmo in  una  commozione  solenne,  e  la  reli- 
gione nel  senso  più  intimo  e  genuino  della 
parola  comprende  i  sentimenti,  gli  atti,  le  espe- 

135 


CAPITOLO   IV 

rierize  degli  individui  nella  solitudine  dell'ani- 
ma loro  in  quanto  si  sentono  in  rapporto  con 
l'oggetto  supremo  delle  proprie  aspirazioni,  Dio. 
I  fatti  esteriori  sono  indifferenti  quando  non 
estranei  a  ciò  che  costituisce  l'essenza  dell'idea- 
le religioso,  anche  nel  cattolicesimo.  Se  noi  vo- 
lessimo considerare  con  opportuni  paragoni  le 
vite  dei  santi  ci  accorgeremmo  che  non  è  la 
loro  storia,  ne  le  forme  personali  di  devozione, 
né  i  poteri  taumaturgici,  ne  le  forme  di  peni- 
tenza che  contrassegnano  ed  in  certo  modo  si- 
gillano nei  medesimi  il  valore  della  santità.  I 
santi  differiscono  molto  gli  uni  dagli  altri  come 
tutti  gli  uomini,  ma  ebbero  però  qualcosa  di 
comune  nello  zelo  per  la  gloria  di  Dio,  nella 
suscettibilità  emotiva  eccezionale  per  ogni  cosa 
che  riguardi  il  Cristo;  ne  1'  ansietà  per  la  sa- 
lute delle  anime. 

La  vergine  Caterina  ebbe  come  forse  nes- 
sun' altra  donna,  in  grado  supremo,  1'  ansietà 
per  la  salute  delle  anime. 

L'  epistolario  di  Caterina  da  Siena  che  è 
un  meraviglioso  documento  umano  di  quanto 
si  possono  amare  le  anime  in  Dio,  mi  par  non 
sia  stato  ancora  abbastanza  seriamente  rivissuto 
dai  moderni  cultori  dello  spirito.  Di  preferenza 
se  ne  sono  serviti  tìn  qui  gli  agiografi  come 
della  fonte  più  autentica  di  notizie  intorno 
alla  Santa  ;  i  filologi  come  d'un  tesoretto  di  vo- 

136 


CATERINA   BEXTXCASA 

caboli  preziosi  e  di  frasi  scelte  del  vago  fa- 
vellare senese  —  tesoretto  che  il  Gii;li  con  il 
suo  vocabolario  ostentò  in  faccia  ai  fiorentini 
cruscanti  —  i  romanzieri  come  d'un  magnifico 
campo  sperimentale  per  la  cultura  di  nuove  e 
raffinate  sensazioni  estetiche. 

Il  valore  eterno  di  questo  epistolario  vera- 
mente unico  che  ci  presenta  la  vita  come  una 
battaglia  da  combattersi  senza  tregua,  ogni 
giorno,  contro  noi  stessi,  per  la  conquista  e 
r  elevazioìie  della  nostra  parte  migliore,  è  ri- 
masto ancora  ignoto  ai  più,  ed  ò  forse  sfug- 
gito a  molti  per  la  mancanza  d'  un  contatto 
immediato  con  V  anima  cateriniana.  E  questo 
ci  è  oft'erto  dalle  pagine  che  meglio  rispecchia- 
no la  fede  eroica  di  questa  donna  aftamata  di 
anime,  ove  limpida  e  forte  s' inalza  la  nota 
virile  del  suo  cuore  coraggioso,  ove  meglio  si 
palesa  la  sua  perspicacia  nello  scrutare  gli  uo- 
mini, la  rapidità  e  la  sicurezza  del  giudizio, 
ed  insieme  il  fascino  della  frase  incisiva  e  tinta, 
come  voleva  il  Vico,  di  passione,  capace  di 
prolungare  la  febbre  della  volontà  oltre  alla 
momentanea  esaltazione  dell'  entusiasmo,  ove 
si  mostra  la  forza  di  quella  disciplina  interna 
consistente  in  un  potere  di  autoinibizione  per 
cui  le  veniva  dato  di  mantenere  fisso  il  pen- 
siero sovra  un  oggetto  fino  ad  infiammarlo. 
Giaccliò  una  delle  cose  che  maggiormente  am- 
miriamo in  questa  donna  straordinaria,  è  la  sua 

137 


CAPITOLO   IV 

linea  d'azione  che  mai  non  s'arresta  né  devia, 
ma  corre  sicura,  veloce,  diritta  verso  la  mèta 
sotto  l' incalzare  degli  anni  e  dell'  avversa  for- 
tuna ed  i  morbi  del  corpo  frale. 

Questo  segno  d^  un  pensiero  eterno,  d'  un 
comando  divino,  ci  viene  indicato  dall'  episto- 
lario assai  meglio  che  da  qualsiasi  biografìa, 
compresa  quella  del  suo  confessore,  ove  spesso 
come  bene  osserva  il  Capecelatro,  «  si  trapassa 
dalla  vita  all'  apologia,  dalla  leggenda  al  pa- 
negirico » .  Lungo  la  linea  d'  azione  tracciata 
dall'  epistolario  noi  incontriamo  via  via  le  ani- 
me nude  di  papi,  di  cardinali,  di  principi,  di 
povere  suore,  di  prelati,  di  uomini  d'  arme,  di 
cortigiane,  e  di  ribaldi  ;  è  l' umanità  che  si 
arffolla  al  j)assaggio  dell'  eroina  ;  è  il  grande 
dramma  della  vita  al  quale  ella  partecipa  come 
protagonista  innamorata  del  Dolore. 

Caterina  da  Siena  non  è  la  fiammella  che 
al  contatto  d'  un  corpo  estraneo  si  spenge,  ma 
sì  la  fiamma  che  non  teme  chi  le  s'  avvicini, 
e  subito  1'  avvolge  e  lo  rapisce  più  ardente  e 
splendida  nei   cieli. 

Ella  possiede  il  segreto  dell'  eroismo  genui- 
no ;  il  suo  misticismo  è  costruttivo  a  differenza 
di  quello  dei  mistici  tedeschi  usi  a  disperdere 
le  proprie  forze  spirituali  nell'  abisso  dell'  In- 
definito. Il  misticismo  cattolico  è  classico,  e  le 
visioni  nelle  anime  che  assorgono  attraverso 
di  esso  all'  altezza  dei  rapimenti  estatici  si  di- 

138 


CATEiaXA   BEN  INC  AS  A 

seguano  con  grande  precisione  di  contorni  e 
con  quella  lucidezza  che  ò  qualità  ])recipua 
deir  anima  latina  e  cattolica.  Tanto  8.  Cate- 
rina come  S.  Teresa,  due  donne  di  genio,  sa- 
pevano bene  che  in  ogni  creatura,  per  quanto 
ricca  di  fervore  spirituale  ed  assetata  di  libertà 
divina,  la  coerenza  dell'  intelletto  che  ricono- 
sce un  freno,  è  la  '  condizione  della  coerenza 
del  sentimento,  dello  sforzo,  dell'azione;  è  in- 
fine la  condizione  della  vittoria. 

Xon  vi  è  salvezza  fuori  dell'  ordine.  Questo 
Caterina  sentiva  così  fortemente  che  tutti  gli 
sforzi  pratici  della  sua  azione  religiosa,  poli- 
tica, sociale,  furono  rivolti  a  ricondurre  1'  or- 
dine nella  chiesa  lacerata  dalle  cupidigie  e 
dalle  eresie  ;  nelle  anime,  divise  dalle  fazioni  ; 
in  sé  stessa,  tumultuante  fra  la  vita  pratica  e 
la  contemplativa. 

Il  conflitto  fra  lo  spirito  di  libertà  e  quello 
di  autorità  il  quale  nella  chiesa  agitò  il  fer- 
mento di  molte  eresie  e  provocò  scismi,  il 
conflitto  fra  le  ragioni  del  misticismo  idealista 
e  (juclle  del  razionalismo  pratico,  accesosi  fra 
Realisti  e  Nominalisti,  e  poi  fra  le  varie  sette 
di  fraticelli  e  le  correnti  degli  ordini  ufiìciali, 
e  che  invano  cercarono  di  comporre  santi  e 
filosofi,  ebbe  la  soluzione  migliore  in  questa 
poj)olana  senese  che  si  lasciò  guidare  dal  più 
illuminato  amore,  dal  più  sicuro  intuito  fem- 
minile. Perciò  a  me  piace  rilevare  in  Caterina 

139 


CAPITOLO   IV 

da  Siena  la  bellezza  morale  della  consolatrice 
di  anime,  di  una  fra  le  rare  donne  eh'  ebbero 
il  culto  supremo  dell'  amicizia  (1).  Sta  qui  ap- 
punto la  sua  originalità  più  vera  e  profonda, 
la  quale  ci  viene  rispecchiata  dall'  arte  dell'E- 
pistolario. 

l^oi  amiamo  in  Caterina  la  donna  nella 
quale  «  per  1'  abbondanza  del  cuore  la  lingua 
parlava  quello  che  sentiva  »  secondo  la  testi- 
monianza d' uno  fra  i  suoi  più  intimi  amici, 
e  che  ai  medesimi  ricordava,  come  ci  riferisce 
il  Pagliaresi  nel  noto  volgarizzamento  della 
Leggenda  maggiore  «  che  a  voler  ricevere  il 
sentimento  delle  parole  di  Jesu  Cristo  ninna 
via  era  più  atta  che  di  vestirsi  di  quello  affetto 
col  quale  egli  1'  aveva  dette  » . 

Quale  fosse  il  tesoro  che  la  vergine  senese 
sapeva  profondere  nelP  amicizia,  noi  vediamo 
bene  in  molte  fra  le  sue  lettere  ed  in  quelle 
dei  componenti  la  sua  famiglia  spirituale. 

L'  esame  dei  cordiali  rapporti  d'  amicizia 
che  ella  ebbe  particolarmente  con  il  Paglia- 
resi,  con  il  Maconi,  con  il  Caffarini,  con  Bar- 
duccio  Canigiani,  con  Giovanni  Dalle  Celle, 
con  ì^ìgi  di  Doccio,  e  con  gli  altri  pochi  dei 
quali  i  nomi  sono  registrati  nei  Ricordi  del 
Guidini,  e  che  usavano  seco  lei  radunarsi  nella 

(1)  Vedi  illustraz.  n.   17. 

140 


Ultime  esortazioni  di  S-  Caterina  agli  Amici. 
PISA.  (Colle/,  del  Prof.  Koberto  Schiff)  Lorenzo  Da  Sanhevekino 


♦ 


CATERINA    BENINCASA 

chiesa  della  Madonna  sotto  le  volte  delFospe- 
dale,  accresce  luce  alla  psicologia  di  Caterina. 
Frattanto  rileveremo  le  idee  dominanti  disella, 
come  ci  è  dato  di  conoscere  appunto  dall'Epi- 
stolario, usava  d'  inculcare  nelF  animo  dei  suoi 
seguaci,  quali  norme  di  sapienza  pratica  per 
la  vita.  Xelle  poche  sentenze  che  abbiamo 
studiatamente  scelto,  rifulge  la  sostanza  della 
sua  fede,  la  luce  della  sua  carità,  la  bellezza 
dei  suoi  desideri  e  delle  sue  speranze. 

Chi  si  conforma  alla  volontà  di  Dio  trova 
la  pace. 

La  creatura  che  pone  la  speranza  e  l'amore 
nelle  cose  deboli  diviene  pazza  come  il  vento. 

Signoria  vera  è  quella  dell'  anima  nostra, 
r  esteriore  è  di  prestito. 

Chi  governa  altrui  con  fiacco  amore  di  sé 
è  servo  timido,  sospettoso,  maledico. 

Chi  neir  amministrare  la  giustizia  bada  a 
piacere  altrui  o  teme  dispiacere  per  danno 
proprio,  è  schiavo.  Molti  sono  i  Filati. 

Abbandonate  la  pompa  e  la  vanità  del  se- 
colo, sicché  in  questo  punto  del  tempo,  dolen- 
dovi del  tempo  perduto,  il  vogliate  restituire 
nel  tempo  presente  che  avete. 

Rendete  il  debito  al  povero  e  al  ricco  se- 
condo che  richiede  la  santa  giustizia,  la  quale 
sempre  sia  condita  con  misericordia. 

Chi  non  ha  battaglia  non  ha' vittoria,  e  chi 
non  ha  vittoria  si  rimane  confuso. 

141 


CAPITOLO   IV 

L^  uomo  lia  materia  nel  tempo  delle  gran- 
di battaglie  di  levarsi  dalla  negligenzia,  ed  anco 
ha  materia  di  cognoscere  la  debilezza  e  fra- 
gilità della  passione  sua  sensitiva. 

Al  tempo  della  battaglia  daremo  la  vita 
per  la  vita,  il  sangue  per  il  sangue. 

A  volere  la  vita  durabile  ci  è  bisogno  di 
lasciare  la  carne  prima  che  venga  la  morte  e 
la  carne  abbandoni  noi. 

La  perfezione  non  sta  in  macerare  ed  in 
uccidere  il  corpo,  ma  in  uccidere  la  propria  e 
perversa  volontà. 

La  volontà  perversa  che  consente  alle  ma- 
lizie dei  nemici  nostri  è  un  coltello  che  ucci- 
de r  anima. 

l^oìi  veggo  che  noi  possiamo  avere  il  lume 
dell'  intelletto  senza  la  pupilla  della  santissi- 
ma fede,  la  quale  sta  dentro  nelP  occhio.  E  se 
questo  lume  è  offuscato  o  intenebrito  dall'amor 
proprio  di  noi  medesimi,  l'occhio  non  ha  lume 
e  però  non  vede  :  onde  non  vedendo  non  co- 
nosce la  verità. 

Il  Desiderio  è  il  principio  del  possesso. 

Il  Timore  taglia  le  braccia  del  Desiderio. 

Il  continuo  orare  non  è  altro  che  uno  santo 
desiderio  ed  affetto  dolce  d'  amore,  e  1'  affetto 
va  dietro  1'  intelletto. 

Come  i  piedi  portano  il  corpo,  così  l'affetto 
porta  r  anima. 

Non  è  alcun  vizio  né  peccato  che  in   que- 

142 


CATERINA    BEXIXCASA 

sta  vita  faccia  gustare  Taria  deiriiiferuo  quanto 
r  ira  e  V  impazienza. 

L'Impazienza  è  amor  proprio  vestito  di  vo- 
lontà sensitiva. 

La  Tristezza  proviene  dalla  fede  che  noi 
poniamo  nelle  cose  caduche. 

La  Pazienza  non  si  trova  se  non  nel  tem- 
po della  fatica  :  dimostra  se  le  virtù  vi  sieno 
nell'anima  e  se  la  radice  dell'amor  proprio  sia 
viva  ancora. 

Bene  usando  la  ragione  si  acquista  la  pa- 
zienza. 

Bisogna  coltivare  la  terra  della  propria  vo- 
lontà sensitiva,  per  forza  d'amore,  onde  nasca- 
no le  dolci  e  reali  virtù. 

Quando  il  giardino  è  fiorito  ci  si  ponga 
a  guardia  il  cane  della  coscienza  perchè  possa 
abbaiare  se  vengono  i  nemici. 

Bisogna  sentire  tra  le  spine  1'  odore  della 
rosa  prossima  ad  aprirsi. 

Ogni  sua  lettera  vale  una  lezione  di  ener- 
gia e  di  gentilezza.  In  mezzo  a  tanta  virilità  di 
pensieri,  d'  azione  e  di  sentimenti,  ella  sa  ri- 
manere donna  e  si  raccoglie  pietosamente  ne 
la  comprensione  del  dolore.  Nella  lettera  63* 
dell'  edizione  Tommaseo  si  possono  leggere 
queste  parole:  <  Ho  inteso  che  avete  avuto  e 
avete  grandissimo  male....  pigliate  ogni  con- 
forto che  potete  » .  Ecco  la  serena  indulgenza 
umana. 

143 


CAPITOLO   IV 

Certamente  non  senza  gravi  pericoli  que- 
sta donna  affascinante  si  piegò  su  la  voragine 
aperta  delle  passioni  terrene  e  donò  agli  uomi- 
ni incontrati  per  via  il  proprio  cuore  serban- 
dolo immacolato  a  Dio.  Ma  ella  disdegnava  il 
timore  servile,  ed  affrontò  i  pericoli,  e  rimase 
vittoriosa,  quantunque  tragicamente. 

ìfon  hanno  osservato  i  biografi  di  S.  Cate- 
rina il  fatto  intorno  al  quale  forse  s'impernia 
la  più  grande  tragedia  intima  della  sua  vita  : 
la  disperazione  senza  fondo  nella  quale  piom- 
bò attraverso  la  fiamma  d'un  immenso  amore 
per  lei  un  uomo  che  fu  tra  i  suoi  cari  amici 
colui  che  scrivendo  due  lettere  al  Pagliaresi,  (1) 
le  sole  giunte  fino  a  noi,  non  ardisce  nominarsi, 
e  nell'una  si  firma  con  le  iniziali:  E.  S.  e  nel- 
1'  altra  così  termina  :  «  El  nome  mio  non  ci 
pongo,  perchè  io  non  so  come  io  ho  nome». 

Chi  legga  queste  due  lettere  vede  1'  anima 
sanguinante  di  un  uomo.  Al  Pagliaresi  che 
ogni  tanto  sembra  gli  si  ricordasse  per  con- 
fortarlo e  ravviarlo  scriveva  :  «  Maravigliomi 
molto  come  tu  ti  ricordi  di  me  misero,  avven- 
ga Iddio  eh'  io  sia  tornato  invaso  di  contu- 
melia, non  sentendo  più  1'  odore  del  quale  io 
mi  pascea  ;  fuori  son  d'  ogni    buona   via.    Ma 

(1)  Cfr.  F.  Grottanelli.  Leggenda  minore  di  S.  Caterina 
da  Siena  e  lettere  dei  suoi  discepoli.  Scritture  inedite.  Bolo- 
gna, Romagnoli,  1868. 

144 


CATERINA   BEXINCASA 

sappi  che  se  fosse  il  tempo  dolce  ch'io  solevo 
già  avere,  non  mi  poterei  tene  io  non  ti  scri- 
vessi più  spesso,  et  imperò  sappi,  che  scrivare 
a  te  o  a  nessuno  servo  o  amico  di  Dio,  molto 
al  presente  me  ne  vergogno,  considerando  la 
mia  miseria.  Dio  ti  conservi  nella  grazia  sua 
te  e  tua  mamma  » .  E  nelP  altra  lettera  si 
legge  ancora  questa  confessione  sincera:  «  ...  non 
m'  anumero  più  fratello  tuo  e  di  tuoi  cari  ami- 
ci e  fratelli.  Et  imperò  non  ti  maravigliare 
s' io  non  t'  ho  scritto,  ovvero  s' io  non  ti  scrivo 
più,  insino  a  tanto  eh'  io  non  ritorno  a  cogliare 
il  frutto  della  vera  ohbedienzia,  della  pazien- 
zia  e  vera  umilità.  Ma  è  tanto  che  mi  so  di- 
longato  dalla  vera  via,  che  quasi  io  giudico 
che  sia  cosa  impossibile  eh'  io  possi  mai  tro- 
vare o  gustare  i  predetti  cibi  od  invenire  luoco 
di  riposo.  E  questo  m'  è  intervenuto  imperò 
eh'  io  ho  tenuto  chiuso  1'  occhio  dello  intendi- 
mento colla  tenebra,  e  cacciato  la  luce  del- 
l'anima mia.  Cacciato  so  dalla  mensa,  imperò 
eh'  io  mi  so  vestito  di  scurità.  Fame  et  appe- 
tito di  cosa  buona  più  non  ho.  IS^ò  principio 
ne  fìne  alla  presente  lettera  non  faccio,  imperò 
che  non  è  in  me  ». 

Non  dipingono  queste  frasi  tutto  il  buio, 
tutto  il  freddo,  tutto  il  morto  dell'abbandono 
nel  quale  era  caduta  quell'  Anima  "?  Il  Paglia- 
resi  forse  mostrò  a  S.  Caterina  queste  lettere 
dell'  amico  d' un  tempo,    ove    trema    la    pietà 

145 


CAPITOLO   IV 

del  rimpianto  nella  disperazione,  e  bene  pos- 
siamo figurarci  la  pena  ond' esse  riempirono 
il  cuore  della  donna  che  tante  anime  di  ribal- 
di salvò  e  pur  doveva  smarrire  quella  d'un 
amico,  non  diversamente  da  ciò  che  avvenne 
al  Cristo.  Ma  noi  le  abbiamo  qui  riportate 
per  rilevare  la  dolorosa  concordanza  che  in 
questa  prova  dell'  amicizia  doveva  rassomi- 
gliarla al  divino  Maestro,  e  perchè  nelle  me- 
desime ci  vien  fatto  di  scorgere  quasi  rispec- 
chiata nella  miseria  del  peccatore  la  purezza 
della  sua  anima  femminile  :  ne  gli  accenti  la- 
crimevoli dell'  infelice  si  sente  il  rammarico 
profondo  del  gran  bene  perduto. 

Ohi  fosse  quest'  uomo  non  si  può  precisare 
con    sicurezza,    essendosi    egli   stesso    avvolto, 
vivente,  nel  silenzio.  Eorse  si  può  identificare 
a  r  apostata  del  quale  parlasi  nei  «  Miracoli  » 
che  «  prima  cominciando  per  buon  zelo  di  voler 
avere  la  sua  dimestichezza  (di  Caterina)  dilet- 
tandosi molto  e  meravigliandosi  della  sua  santa 
vita  ;  dopo  certo  tempo  ingannato  dal  diavolo 
rivolse  quello  buono  zelo  in  uno  cattivo  amore, 
consumandosi  tutto  per  disonesto  zelo  ;  ma  ella 
perseverando  sempre  nella  sua  santa  vita  e  nin- 
no sembiante  altro  che  puro  e  santo  dando  mai 
a  lui,  e  r  uomo  ardendo  più  l'uno  dì  che  l'al- 
tro, a  tanto  si  condusse    che    nella  chiesa  un 
dì  egli  pensò  d'  ucciderla.    E  andando  egli  in 
verso  lei  così  disposto,  come  piacque  a  Dio  fu 

146 


CATERINA   BENINCASA 

nella  chiesa  uomo  che  se  n'  avvide  e  sturbò 
quello  male  ;  di  che  seguì  che  ivi  a  pochi  dì 
questo  religioso  uscì  dall'  ordine,  cavossi  Fa- 
bito  e  tornossi  a  casa  sua  in  uno  castello  che 
ò  di  lungi  a  Siena,  e  quivi  viveva  mezzo  di- 
sperato. Et  ella  che  sapeva  sua  uscita,  pregava 
Iddio  per  lui  che  avesse  misericordia  di  quel- 
la anima.  Finalmente  V  uomo  perseverando  in 
sua  disperazione  s'impiccò  egli  stesso  per  la 
gola  >. 

Questo  tragico  caso,  che  fa  della  Santa 
l' eroina  d'  un  romanzo,  si  potrebbe  credere 
leggendario  qualora  non  ci  fossero  pervenute 
le  due  lettere  al  Pagliaresi  ;  ma  esse  attestano 
r  esistenza  d' un  doloroso  dramma  passionale 
avvenuto  nel  cenacolo  cateriniano. 


147 


:x;>czni=3  ||^;[iiiii=i>C><===ii==ill^|^==P=^^ 


CAPITOLO  V. 


ber:n^ardi:n^o  degli  albizzeschi. 


Bernardino  da  Siena  fu  uomo  di  sangue 
aristocratico  e  di  fede  francescana  tacciata  di 
eresia,  ma  rivendicata  dalle  opere,  quale  già  in 
Siena  era  apparsa  quella  di  Giovanni  Colom- 
bini che  certo  all'  Albizzesclii  infuse  lo  zelo 
del  nome  di  Gesù,  cioè  lo  spirito  della  religio- 
ne gesuata,  laica  ed  apostolica.  Egli  giganteg- 
gia fra  gli  uomini  d'  azione  del  Quattrocento 
come  S.  Francesco  tra  quelli  del  secolo  XIII. 

I  biografi  che  hanno  scritto  dell'  apostolo 
senese  ne  hanno  considerata  particolarmente 
1'  attività  esterna  :  noi  cercheremo  di  guardar 
meglio  nella  sua  anima  e  di  rappresentarci  sin- 
teticamente il  pensiero  e  1'  opera  varia  dell'  e- 
ducatore. 

Le  sembianze  mortali  dell'uomo  ben  ci  ha 
tramandate    il    contemporaneo    e    concittadino 

148 


18 

Fot.  Lombardi. 
SIENA.  (Palazzo  Comunale) 


S    Bernardino. 


Sano  m  Piktko 


BERXAIIDINO   DEGLI   ALBIZZESCHI 

Sano  Di  Pietro  che  lo  raffigurò  uelPaffresco  del 
Palazzo  pubblico  in  Siena  (1). 

Ohi  V  abbia  visto  non  può  dimenticare  quel 
volto  fine,  d'  un  misticismo  arguto  accentuato 
dal  mento  aguzzo,  e  che  per  gli  occhi  piccoli 
vivacissimi  sembra  esalar  V  anima  in  un  ardo- 
re di  fiamma.  Regge  il  Santo  su  la  palma  della 
mano  sinistra  V  immagine  della  città  natale 
mentre  colla  destra  addita  il  nome  di  Gesù 
sfolgorante  in  alto,  segnacolo  d' amore  e  di 
persecuzione.  Giacciono  per  terra,  vicino  ai  suoi 
piedi  nudi,  le  mitrie  vescovili  rifiutate,  e  la  fi- 
gura, libera  da  ogni  gravità  di  carni,  s'aderge 
nobilmente  nel  ruvido  sacco  francescano,  ani- 
mata quasi  da  un  desiderio  di  ascendere.  Qui 
è  tutto  l'uomo  e  la  sua  storia.  Questo  dipinto 
di  Sano  è  bello  come  documento  psicologico  e 
biografico  dell'  eroe. 

Ma  per  conoscere  un  aspetto  più  intimo  di 
queir  anima  fervidamente  lirica  bisogna  ricer- 
care una  terracotta  quasi  sconosciuta  che  era 
fino  a  poco  tempo  addietro  in  una  piccola  nic- 
chia nel  muro  di  cinta  della  clausura  senese 
dell'  Osservanza,  e  bisogna  rivederla,  dinanzi 
all'  aperta  campagna  prossima  ad  immergersi 
nella  dolcezza    del  tramonto  (2).    Ivi    l' ignoto 

(1)  Vedi  iUiistraz.  n.»  18. 

(2)  Vedi  illiistraz.  n."  19.  L'  Autore  di  questa  bella  ter- 
racotta appartiene  probabilmente  a  quella  scuola  robbiauo- 
cozzarelliaua  che  lasciò  varie  opere  squisite  nella  chiesa  e  nel 

149 


CAPITOLO   V 

scultore   quattrocentista    sembra  abbia   ritratte 
il  Santo  mentre  s'  aggirava  pensieroso  e  solita- 
rio lungo  il  poetico  viale  del  convento,  reducej 
forse  da   una  di  quelle  sue  faticose  peregrina- 
zioni   apostoliclie.  Bernardino  ha  chiuso    il  li- 
bro che  meditava  ed  ha  reclinato  il  capo  per 
stanchezza  su  la  palma    della  mano  abbando- 
nando r  anima  alla    soavità  del    luogo  e    del-| 
r  ora  ;  obliati  sono  i  mali    e  tutti    gli  odi  sof- 
ferti, e  sol  vive  nel  cuore  del  fraticello  l' im-j 
mensa    pace    della  natura^   che    è  la    pace  del 
Cristo. 

L'  umanità  di  quest'  opera  d'  arte  è  l'uma- 
nità stessa  del    mistico    quattrocentista  senesi 
che  ha  sgombra  la  mente  dai  vani  terrori  dia-j 
belici    dell'  ingenuo    Filippo    degli    AgazzariJ 
come  da  quelli  apocalittici  d' un  Vincenzo  Fer- 


convento  della  Capriola.  Luca  ed  Andrea  della  Robbia  furon< 
dne  anime  francescane  e  1'  arte  loro  assai  bene  rispecchia  gli 
spiriti  del  nuovo  Poverello.  La  biblioteca  nazionale  di  Parigi] 
possiede  un  prezioso  manoscritto  dei  Cantici  di  Jacopone  da  Todi] 
ove  si  legge  tre  volte  sul  frontespizio  e  sulle  due  ultime  pagine  :j 
«  Questo  libro  è  di  Luca  di  Simone  della  Robbia  »  indicazione 
veramente  preziosa.    Attraverso    1'  ammirazione    di  Luca   pei 
r  ardente  poesia  jacoponica  noi  riusciamo  a  comprendere  il  su-| 
blime  commento  musicale   del  salmo    davidico  che  ricorre  nel 
fregio  della   Cantoria  fiorentina.   E  non  è  forse  codesto  il  se- 
condo cantico  francescano  delle  creature  *?  Non  è  1'  inno  dells 
seconda  primavera  francescana  espresso  dalla  scultura,  la  so^l 
rella?  minore  della  Poesia  !   Quanta  giovinezza  sorride  in  quella] 
teoria  di    efebi  bellissimi,  di    fanciulle  pudiche,    di  putti   fe- 
stanti ! 

150 


Busto  di  S.  Bernardino 

Ignoto  del  see.  XV 
SIENA  (Convento  dell'Osservanza) 


BERNARDINO   DEGLI   ALBIZZESCHI 

reri,  ma  serba  tuttavia  nel  cuore  1'  antica  for- 
za della  semplicità  medievale  :  che  non  vibra 
della  violenta  amorosa  follia  d^  un  Giovanni 
Colombini,  ma  pur  vive  intera  la  dottrina  del 
Cristo  :  che  luni»i  da  sé  rigetta  le  pratiche  cru- 
deli della  mortificazione  corporea,  le  quali  po- 
terono così  fortemente  suggestionare  un  Fran- 
co Lippi  (1),  ma  è  padrone  assoluto  della  pro- 
pria volontà  sensitiva.  Veramente  fu  solo  at- 
traverso la  personale  esperienza  ch'egli  com- 
prese la  vanità  del  rigido  ascetismo  antico  ver- 
so il  quale  sentivasi  attirato  per  l'esempio  dei 
maggiori  rappresentanti  della  tradizione  reli- 
giosa e  per  la  generosità  del  suo  tempera- 
mento esuberante.  Giovanissimo  anch'egli  cer- 
cò di  conformarsi  a  quella  vita  come  ci  ha 
raccontato  in  una  pagina  sparsa  d'  un  delizio- 
so umorismo  e  che  chiarisce  la  prima  crisi  del 
suo  sentimento  religioso.  «  EUi  mi  venne  uno 
pensiero  di  volere  vi  vare  d'  acqua  e  d'  erbe,  e 
pensai  di  andarmi  a  stare  in  uno  bosco,  e  co- 
minciai a  dire  da  me  medesimo  :  «  Che  farai 
tu  in  uno  bosco?  Che  mangiarai  tu'?  Rispon- 
devo così  da  me    a    me,  e    dicevo  :    Bene  sta, 


(1)  Franco  Lippi  nacque  ai  3  di  dicembre  del  1211  nel 
Tillaggio  di  Grotti  poco  distante  da  Siena.  Fu  soldato  e  prese 
parte  nel  1229  alla  guerra  mossa  dai  senesi  contro  gli  orvie- 
tani. Convertitosi  da  vita  dissoluta  vestì  l'abito  carmelitano  e 
si  niortilìcò  aspramente.  La  morte  lo  raggiunse  nel  1291  e  Cle- 
mente V."  nel  1308  lo  mise  nel  numero  dei  beati. 

151 


CAPITOLO   V 

come  facevano  e'  santi  padri  :  io  mangiarò  del- 
l' erba  quando  io  arò  fame  ;  e  quando  io  arò 
sete,  berò  dell'  acqua.  E  così  deliberai  di  fare; 
e  per  vivare  sicondo  Iddio,  deliberai  anco  di 
comparare  una  bibbia  per  legiare,  e  andai  per 
comparare  uno  cuoio  di  camoza,  perete  non 
passasse  1'  acqua  dal  lato  dentro,  perchè  non 
si  mollasse  la  Bibia.  E  col  mio  pensiero  an- 
dava cercando  dove  io  mi  potesse  appollaiare, 
e  deliberai  d'  andare  vedendo  insino  a  Massa; 
e  quando  io  era  per  la  valle  di  Bochegiano, 
io  andavo  mirando  quando  su  questo  poggio 
quando  su  quell'  altro;  quando  in  questa  selva, 
quando  in  quell'  altra  ;  e  andavo  dicendo  da 
me  a  me  :  «  Oli,  qui  sarà  il  buono  essere  ! 
Oh,  qua  sarà  ancor  migliore  !  In  conclusione, 
non  andando  dietro  a  ogni  cosa,  io  tornai  a 
Siena  e  deliberai  di  cominciare  a  provare  la 
vita  che  volevo  tenere.  E  andami  costà  fuore 
dalla  Porta  a  Follonica,  e  incominciai  a  co- 
gliere una  insalata  di  cicerbite  e  altre  erbuc- 
ce,  e  non  avevo  ne  pane  ne  sale  né  olio  ;  e  dissi  : 
cominciamo  per  questa  prima  volta  a  lavarla 
e  a  raschiarla,  e  poi  1'  altra  volta  e  noi  fa- 
remo solamente  a  raschiarla  senza  lavarla  al- 
tromente;  e  quando  ne  saremo  più  usi,  e  noi 
faremo  senza  nettarla,  e  di  poi  poi  e  noi  fa- 
remo senza  cogliarla.  E  col  nome  di  Jesu  be- 
nedetto cominciai  con  uno  boccone  di  cicerbi- 
ta,  e  messamela  in  boca    cominciai    a   masti- 

152 


BERNARDINO   DEGLI    ALBIZZESCHI 

caria.  Mastica,  mastica,  ella  non  poteva  anda- 
re giù.  Xon  potendola  pollare,  io  dissi  :  oltre, 
cominciamo  a  bere  uno  sorso  d'  acqua.  Mieffe  ! 
L'  ac(|ua  se  n'  andava  giù  e  la  cicerbita  rima- 
neva in  boca.  In  tutto,  io  bebbi  pareclii  sorsi 
d'  acqua  con  uno  bocone  di  cicerbita,  e  non  la 
potei  gollare.  Sai  che  ti  voglio  dire  ?  Con  uno 
bocone  di  cicerbita  io  levai  via  ogni  tenta- 
zione; che  certamente  io  cognosco  che  quella 
era  tentazione.  Questa  che  è  seguita  poi  è  stata 
elezione,  non  tentazione.  Oh,  quanto  si  vuole 
bilanciare,  x^i'ii^i^  ^he  altri  seguiti  quelle  vo- 
lontà che  talvolta  riescono  molto  gatti  ve,  e 
pajono  cotanto  buone!  »  Xon  si  libera  da  que- 
sta pagina  un  soffio  di  quella  pura  e  semplice 
fragranza  che  rallegra  il  prato  verde  dei  «  Fio- 
retti >,  e  dove  accanto  all'umorismo  gajo  d'un 
fra  Ginepro,  ed  alla  foga  eroica  d'  un  frate 
Leone  s' insinua  la  riflessione  grave  d'  un  frate 
Egidio,  ed  il  tutto  si  fonde  nella  serenità  lu- 
minosa del  Maestro  d'  ogni  armonia  ? 

In  ogni  modo  qui  si  riscontra  ancora  la 
saggia  temperanza  propria  ad  un  santo  del 
Rinascimento  esperto  della  vita,  conoscitore 
profondo  dei  cuori,  il  quale  non  pensò  mai  a 
risospingere  l' Italia  nel  medio  evo,  ma  prima 
d'  ogni  altro  propose  agli  italiani  il  problema 
grave  ed  urgente  dell'educazione  morale  e  re- 
ligiosa, la  necessità  di  riformare  i  costumi  e 
di  ricreare  a  nuovo    le    coscienze.  Egli  fu  di- 

153 


CAPITOLO   V 

fatto  l'iniziatore  di  quel  movimento  di  riforma 
cristiana  dei  costumi  che  promossa  da  lui  in- 
sieme ai  suoi  compagni  e  discepoli  Alberto  da 
Sarteano,  Antonio  da  Eimini,  Silvestro  da 
Siena,  Roberto  da  Lecce,  Antonio  da  Vercelli, 
rinsaldò  la  fede  degli  umanisti  cristiani,  ap- 
pianando r  opera  dei  pedagoghi  e  preparando 
quella  ricostituzione  interna  della  Chiesa  che 
doveva  realizzarsi  in  parte  nel  Cinquecento  gra- 
zie alla  geniale  virtù  dei  grandi  Cardinali  Pio 
da  Carpi,  Reginaldo  Polo,  il  Contarini,  il  Sado- 
leto,  ed  ancora  per  1'  opera  di  Filippo  I^eri  e 
dei  suoi  padri  dell'  Oratorio,  anime  accese  di 
sentimento  bernardiniano  e  che  trionfarono  del 
fanatismo  anarchico  alimentato  dagli  ultimi 
Piagnoni  della  setta  savonaroliana. 

Frattanto  i  più  eletti  rappresentanti  del 
cattolicesimo  italiano  del  secolo  XV  è  bene 
notare  che  furono  sopratutto  educatori,  ^el 
divampare  della  rinnovata  cultura  classica  sep- 
pero opporsi  a  quegli  umanisti  paganeggianti 
pieni  di  frivolità  letteraria,  coscienze  vendute 
alla  galanteria  cortigiana,  antenati  legittimi 
degli  scettici  francesi  del  secolo  XVIII  per  il 
contenuto  rettorico  delle  loro  dottrine  mate- 
rialiste, beffeggiatori  argutissimi  de'  costumi 
ecclesiastici,  ma  ipocriti  (1)  i  quali  preannun- 

(1)  Alcuni  di  questi  umanisti  assalirono  violentemente  i 
predicatori  francescani  dell'Osservanza.  Il  Poggio  fra  gli  altri 
non  risparmiò  neppure  la  persona  di  S.  Bernardino  accusan- 

154 


BEEXARDINO   DEGLI   ALBIZZESCHI 

ziano  quel  personaggio  rappresentativo  del  ri- 
nascimento pagano  clie  fu  Pietro  Aretino,  il 
prototipo  del  giornalista  poco  scrupoloso,  che 
servendo  per  danaro  Carlo  A"  non  si  vergognava 
di  aiutare  la  rovina  morale  e  politica  d'Italia. 
Le  più  grandi  coscienze  del  Quattro  e  del  Cin- 
quecento non  rassomigliarono  questi  vani  ed 
ingegnosi  letterati,  ma  furono  dominati  dalla 
fede  degli  apostoli  e  degli  educatori  cristiani  : 
basta  ricordare  fra  u'ii  artisti  Leonardo  e  Mi- 
clielangelo,  due  anime  profondamente  religiose 
e  veramente  divine  ;  fra  gli  umanisti  Matfeo 
Yegio,  Giannozzo  Man  etti,  il  Traversari  ed  il 
Giustiniani;  fra  i  principi  Lionello  d'  Este,  il 
cui  nome  ci  ricliiama  quello  del  suo  grande 
educatore  Guarino  da  Verona,  il  maestro  dei 
maestri  cristiani  del  rinascimento  insieme  a 
Vittorino  da  Eeltre. 

Prima  di  addentrarci  nella  psicologia  inti- 
ma di  S.  Bernardino  giova  conoscere  an  poco 
le  idee  di  questi  grandi  pedagoghi  e  sopratutto 
del  Guarino.  Per  esse  principalmente  s'illumi- 

dolo  (li  mirare  piuttosto  alla  sua  propria  fama  eli  e  al  bene 
delle  anime.  Si  veda  la  sua  «  Historia  convivialis  de  Avari- 
tia  »;  il  «  Dialogus  adversus  hipocrisim  »;  il  a  Dialogus  de 
miseria  humanae  couditionis  »  Epistolae  ed.  Tonellis.  Si  legga 
particolarmente  del  Poggio  l'epistola  in  data  16  Dicembre  1429 
(libro  4**  -  Ep.  Ili)  ov'egli  accusa  Bernardino  di  aver  fondato 
un  ritiro  per  i  suoi  compagni  vicino  a  Firenze  in  un  luogo 
campestre  ed  ameno,  quasi  che  i  veri  francescani  dovessero 
escludersi  le  pure  gioie  della  natura. 

155 


CAPITOLO   V 

na  il  problema  educativo  quale  fu  risolto  dagli 
umanisti  cristiani,  e  noi  vi  scorgiamo  l'espres- 
sione concreta  del  pensiero  bernardiniano,  poi 
che  a  maturarle  nelP  anima  di  quei  maestri 
contribuì  grandemente  1'  influsso  persuasivo 
dell'  amicizia  personale  eh'  ebbe  il  Santo  con 
il  Veronese  (1),  con  il  Traversari,  il  Manetti, 
il  Giustiniani,  Francesco  Barbaro,  Maffeo  Vegio 
e  Bernabeo  Senese  (2),  ed  assai  giovò  l' opera 
infaticabile  di  Alberto  da  Sarteano  che  fu  ad 
un  tempo  uno  dei  più  ardenti  seguaci  dell' Al- 
bizzeschi  e  fedele  discepolo  del  Guarino. 

La  pedagogia  del  Guarino  e  di  Vittorino 
da  Feltro  era  tale  da  gettare  nei  giovani  il 
fondamento  di  una  robusta  vecchiezza.  Essi 
miravano  all'  educazione  della  mente  e  del 
cuore.  Ogni  esercizio  tìsico  e  spirituale  era 
fatto  seriamente.  Sobria  la  mensa,  e  durante 
i  pasti  usavano  far  leggere  ai  giovani  le  im- 
prese degli  eroi  :  dai  banchi  di  scuola  veniva 
bandita  anzitutto  la  noia  e  con  essa  natural- 
mente le  questioni  oziose,  i  cavilli  della  logi- 
ca, i  giocherelli  dei  Sofisti.  Vittorino  da  Fel- 
tro voleva  che  la  logica  insegnasse  a  pensare 
e  non  a  spropositare.    Guarino,    vero    Socrate 

(1)  L'  Albizzeschi  sembra  che  prendesse  lezioni  di  elo- 
quenza dal  Guarino.  Cfr.  Thimothaeus  Maffeus.  In  Sanctam 
religionem  citato  dal  Melius  nella  vita  d'  Ambrogio  Traver- 
sari  a  pag.  384. 

(2)  Cfr.  Giovanni  Pannonio.   Panegyrico  Guarini. 

156 


BERNARDINO   DEGLI   ALBIZZESCHI 

cristiano,  consigliava  fra  i  suoi  giovani  disce- 
poli ed  amici  le  discnssioni  sulle  cose  lette  e 
studiate  (1)  e  raccomandava  purezza  d'eloquio 
e  sobrietà  e  forza  nella  vita  come  nello  stile. 
In  una  lettera  a  Niccolò  Dotti  egli  si  scaglia 
contro  quei  pedagoghi  che  consumavano  il 
tempo  nelle  figure,  nei  casi,  nei  gerundi  ed  in 
simili  deliri.  Dice  di  loro  che  s'  affaticavano 
a  rendere  del  doppio  più  stolti  ed  ignoranti  i 
discepoli  che  non  fossero  prima  di  presentarsi 
alle  loro  scuole.  Ai  propri  allievi  il  Guarino 
insegnava  a  vivere  secondo  le  massime  del 
Vangelo.  Costumava  riprenderli  dei  loro  di- 
fetti con  dolcezza  e  non  ricorreva  mai  al  ba- 
stone seguendo  anche  in  questo  il  consiglio 
deir  apostolo  senese  (2).  Dagli  alunni  facoltosi 

(1)  S.  Bernardino  fu  un  nemico  del  bastone,  che  in  quei 
tempi  era,  si  può  dire,  il  maestro  d'ogni  disciplina  educa- 
tiva. Fra  Cherubino  dei  Minori,  contemporaneo  a  1'  Albiz- 
zeschi,  e  che  dettò  varie  regole  di  vita  ai  Senesi  in  un  trat- 
tato intorno  alla  convivenza  matrimoniale  scriveva:   «  Se 

la  tua  moglie  ha  la  condizione  servile,  1'  animo  rustico  e  vil- 
lano, che  con  parole  piacevoli  non  s'  ammenda,  riprendila  con 
parole  brusche  ed  aspre,  con  minacele  e  con  terrori,  e  con 
altre  paure.  E  se  ancora  questo  non  bastasse....  piglia  il  ba- 
stone e  battila  molto  bene....  dico  che  tu  debbi  battere  tua 
moglie  quando  facessi  gran  difetto  :  verbi  gratia  come  se  be- 
stemmiasse Iddio  o  alcuno  Santo  o  nominasse  lo  demonio...  » 
S.  Bernardino  raccomandava  a  1'  incontro  :  «  ....  o  amoniscela 
o  sopportala  ;  non  la  battare  mai  ;  fa'  con  buone  e  con  dolci 
parole.   »  Fred.   Tom.  II,   103. 

(2)  Si  confronti  per  i  rapporti  corsi  fra  il  Guarino  e  Lio- 
nello d'  Este  e  per  F  influsso  culturale  esercitato  dal  maestro 

157 


CAPITOLO    V 

che  teneva  in  sua  casa,  prototipo  del  collegio- 
famiglia,  riceveva  tenue  stii)endio  ;  dai  poveri 
nulla.  Alcuni  di  questi  giovani  appartenevano 
a  famiglie  principesche. 

La  sua  concezione  del  principe  differisce 
radicalmente  da  quella  che  doveva  manifestare 
Niccolò  Machiavelli  e  ben  si  palesa  nell'  ora- 
zione che  recitò  a  Lionello  in  Ferrara  1'  anno 
1442,  in  occasione  della  morte  di  Mccolò  III. 
Ivi  si  dice  :  «  Amino  1'  esempio  del  principe 
i  sudditi  acciocché  non  ne  temano  V  imperio, 
il  qual'  ultimo  è  breve  se  è  dal  timor  custo- 
dito. L' amore  al  contrario  trae  seco  la  rive- 
renza, la  quale  meglio  d' un  esercito  armato 
custodisce  la  vita  del  Principe.  «  Quando  il 
Guarino  pronunciava  quest'  orazione  il  Santo 
senese  era  ancora  vivo  e  sulle  piazze  di  Fer- 
rara era  desta  V  eco  della  sua  predicazione 
alla  quale  bene  consentiva  la  parola  e  la  fede 
dell'  umanista  e  doveva  pur  corrispondere  egre- 
giamente l'opera  del  principe  Lionello  media- 

e  dal  discepolo  in  Ferrara,  lo  studio  di  Gliosuè  Carducci  nel 
volume  XV  delle  Opere,  edizione  Zanichelli,  pag.  38  e  seg. 
Il  Carducci  non  fa  cenno  alcuno  delle  idee  religiose  del  Gua- 
rino. Si  vegga  ancora  :  Carlo  Rosmini  —  «  Vita  e  disciplina 
di  Guarino  Veronese  Voi.  Ili  Brescia.  «  Idea  dell'ottimo  pre- 
cettore )^.  Gerini  «  Gli  scrittori  pedagogici  italiani  del  sec.  XV  ». 
R.  Sabbadini.  «  La  scuola  e  gli  studi  di  Guarino  Guarini  ». 
Per  Vittorino  da  Feltro  cfr.  «  Idea  dell'  ottimo  precettore 
nella  vita  e  disciplina  di  Vittorino  da  Feltro  »  Libri  4  del 
Cav.    Carlo    dei    Rosmini.    Milano,    Silvestri,    1845.    Ancora 

158 


BERNARDINO   DEGLI   ALDIZZESCHI 

tore  di  pace  tra  i  Fiorentini  e  Ile  Alfonso  di 
Xapoli  suo  suocero. 

Nessuno  più  del  Guarino  rifuggiva  dallo 
spirito  di  parte  e  dai  sentimenti  di  vendetta 
così  forti  in  quei  tempi  ed  esecrati  da  Ber- 
nardino nelle  sue  prediche.  E  inoltre  egli 
seppe  comporre  in  armonia  i  diritti  della  cul- 
tura e  della  bellezza  insieme  ai  doveri  cri- 
stiani dello  spirito.  Quando  fra'  Alberto  da 
Sarzana  predicò  in  Ferrara  piacque  al  Guari- 
no r  ultima  sua  predica  ove  il  frate  s'assunse 
a  dimostrare  quanto  utili  fossero  le  scienze 
umane  per  1'  intelligenza  dei  libri  sacri  oppo- 
nendosi a  fra  Giovanni  da  Prato  il  quale  vo- 
leva che  tutti  i  libri  profani  fossero  dati  ai 
fuoco.  Questo  fatto  s'  aggiunge  a  molti  altri 
che  dimostrano  1'  esistenza  di  due  correnti  in 
seno  alhi  Chiesa  di  quel  tempo,  ed  anche  in 
seno  all'  ordine  francescano,  temperata  1'  una 
dal  buon  senso  che  fa  capo  a  S.  Bernardino, 
rigoristica  1'  altra  che  doveva  far  capo  al  Sa- 
vonarola. Ma  ciò  che  meglio  rivela  a  nostro 
modo  di  vedere  1'  altezza  culturale  del  Guari- 
no fiorente  da  una  concezione  francescana 
della  bellezza  si  è  1'  atteggiamento  da  lui 
preso  quando  comparve  un  volume  di  poesie 
del    Panormita,    della    quale    opera    egli    lodò 


coufr.   «  Vite  degli  Uom.   Illustri  »  di  Vespasiano  da  Bisticci 
—  Vittorino  da  Feltre. 

159 


CAPITOLO   V 

incondizionatamente  i  pre^i  artistici,  distin- 
guendo il  valore  estetico  da  quello  morale  dei 
Tersi  ed  affermando,  egli  per  il  primo,  nomo 
di  costumi  rigidissimi,  l'indipendenza  dell'arte 
dalla  morale.  Questo  inaspettato  atteggiamento 
del  Guarino  scandalizzò  alcuni  amici  e  sorse 
a  questo  proposito  una  polemica  fra  lui  ed  il 
beato  Alberto  da  Sarzana,  come  sappiamo  da 
una  lettera  del  beato  del  1434  datata  da  Pa- 
dova a  Filippo  Bendidio,  ma  gli  originali  di 
quelle  lettere  si  sono  perduti. 

Il  Guarino  favoriva  altresì  la  libera  espan- 
sione delle  attività  femminili  nel  campo  della 
cultura  ed  alla  gentile  Isotta  Nogarola  che 
seco  lui  lagnavasi  a  causa  di  certi  malevoli^ 
che  la  Provvidenza  1'  avesse  fatta  nascer  don- 
na, il  Guarino  rispondeva  che  se  tutti  pen- 
sassero come  lei  sarebbero  tutti  infelici.  «  Ohe 
piuttosto  essa  dovea  rallegrarsi  d'  essere  nata 
donna,  dacché  sì  bene  sopra  le  altre  donne 
innalzavasi  con  1'  anima,  con  lo  studio,  con 
la  dottrina.  Ohe  la  conoscenza  del  proprio  va- 
lore e  delle  proprie  forze  la  potevano,  senza 
levarla  in  superbia,  far  superiore  alle  derisio- 
ni, ai  motteggi  degli  oziosi  e  dei  maligni.  » 
Il  Guarino  morì  a  novant'  anni,  padre  di  tre- 
dici figli,  il  4  Dicembre  1490,  in  mezzo  ad 
una  fiorente  corona  d'  illustri  discepoli  fra  i 
quali  s'  annoveravano  oltre  al  beato  Alberto, 
Francesco  ed  Ermolao  Barbaro,  Leonardo  Giu- 

160 


BEENARDINO   DEGLI   ALBIZZESCHI 

stiniani,  Giano  Paunoiiio,  Vespasiano  Strozzi, 
Bartolomeo  Fazio,  Giovanni  da  Salerno,  Ja- 
copo degli  Ammannati,  il  fiore  degli  umanisti 
cristiani.  Uno  di  essi,  Francesco  Barbaro  scrisse 
quel  trattato  «  De  re  uxoria  >  che  stranamente 
collima  per  il  contenuto  d'  idee  con  quanto 
predicava  S.  Bernardino  intorno  all'  unione  co- 
niugale. Lo  studio  della  vita  e  dell'  opera  di 
Vittorino  da  Feltre  aggiungerebbe  nuovi  argo- 
menti atti  a  convalidare  la  nostra  tesi  sopra 
r  influsso  esercitato  dall'apostolo  senese  su  gli 
educatori  cristiani  del  Quattrocento.  Lo  spirito 
di  sacrificio  del  Feltrense  bene  fu  simbolizzato 
dal  Pisanello  nella  medaglia  che  per  lui  volle 
coniare,  ove  da  una  banda  si  vede  l'effigie  del 
Maestro,  e  dall'  altra  un  pellicano  che  col  ro- 
stro si  squarcia  il  petto  per  nutrire  del  sangue 
che  n'  esce  la  sua  prole. 

La  pagina  autobiografica  di  S.  Bernardino 
intorno  alla  vocazione  della  vita  eremitica  so- 
pra trascritta  pone  in  rilievo  alcune  qualità 
della  sua  anima,  le  quali  ci  aiutano  a  com- 
prenderne altre  più  nascoste,  onde  arricchivasi 
quella  creatura  mistica  complessa  ed  originale. 
Queste  qualità  sono  anzitutto  rivelate  dallo 
stile  proprio  del  Santo,  ove  sugli  accesi  pe- 
riodi dialogati  scoppiettano  i  granelli  del  sale 
umoristico  e  rapida  scorre  fra  i  meandri  delle 
sobrie    eleganze    popolane  la  pura    favella  se- 

IGl 


CAPITOLO   V 

nese  del  tempo.  Bernardino  quantunque  ari- 
stocratico di  nascita  riuscì  ad  immedesimarsi 
in  cotal  guisa  gli  spiriti  democratici  tanto  da 
parlare  una  lingua  efficace,  colorita,  plebea 
nel  miglior  senso  della  parola,  che  il  popolo 
intendeva,  mentre  i  demagoghi  moderni  par- 
lano spesso  con  gli  accenti  della  rettorica  cu- 
rialesca, e  non  vibrano  all'unisono  con  l'anima 
popolare. 

Umorismo  e  sincerità  scaturiscono  nella 
narrazione  bernardini ana  dalla  sorgente  del 
buon  senso  che  non  rifiuta  i  sacrifici,  ma  sa 
discernerli  e  valutarli.  S.  Bernardino  è  domi- 
nato dal  sentimento  classico  dell'  ordine,  dei 
limiti  morali,  del  dovere  civile,  e  sopratutto 
dallo  spirito  di  pace  e  di  unione  che  si  tra- 
duce in  forza  per  la  famiglia,  come  per  la  città 
e  la  nazione.  Su  1'  esempio  di  S.  Erancesco 
egli  rinnegando  in  se  l' ideale  ascetico  dell'in- 
dividuo veniva  a  rigettare  l' ideale  romantico 
della  vita  che  isola  l' uomo  dalla  comunità. 
Dice  in  una  sua  predica  :  «  Non  volle  Iddi< 
che  la  generazione  umana  avesse  principio  se 
non  da  uno  misterio,  fu  questo  solo  per  unio- 
ne che  noi  doviamo  avere  insieme  (1).  In 
una  città  debbono  essere  tutti  «  volontari  a 
ben  vivare  » . 

Dall'   ordine    degli    elementi    contrastanti 

(1)  Pred.  ed.  Banchi.   Tomo  II,  pag.   52. 

162 


BERNARDINO    DEGLI    ALIUZZESCIII 

nella  natura  e  nel  corpo  umano  trae  la  ragio- 
ne, r  ordine  della  convivenza  sociale.  La  ca- 
rità ci  viene  insegnata  dai  membri  del  nostro 
corpo  (1)  :  <  Tu  vedi,  egli  dice,  V  esemplo  nel 
corpo  nostro,  il  quale  ò  composto  di  molti 
membri  e  quando  uno  di  questi  membri  ha 
alcuno  difetto,  tutti  s^  ingegnano  di  aiutarlo. 
Se  e'  duole  il  capo,  la  mano  corre  ad  esso. 
Halo  rotto  '?  e  la  gamba  il  porta  al  medico  ; 
e  così  ogni  membro  s'ingegna  d'aitarlo  quanto 
e'  può.  Colui  clie  non  aita  i  suoi  membri  quan- 
do hanno  difetto,  so'  paralitichi  per  vizio  di 
non  aver  compassione,  sai  chi  so'  costoro  *?  So' 
coloro  che  fanno  il  contrario  di  quello  che 
dovarebbero  fare  ;  che  dovendo  aitare,  et  ellino 
disaitano  ». 

Bernardino  come  gli  altri  mistici  senesi  è 
un  appassionato  amante  della  sua  città,  un 
nazionalista  fervente  ma  non  cieco,  e  ciò  che 
appare  più  singolare  per  un  frate,  sinceramente 
laico.  Egli  combatteva  1'  intromissione  dei  re- 
ligiosi e  degli  ecclesiastici  negli  atfari  del  po- 
tere civile  tenendosi  fermo  al  detto  di  S.  Paolo 
(A  Timoteo,  Capo.  Ili)  <  Nemo  militans  deo 
se  implicat  in  opere  saecuhiri  >  e  non  ammet- 
teva che  i  religiosi  potessero  essere  piìi  onesti 
dei  laici  nella  gestione  del  pubblico  denaro, 
come  varii  ecclesiastici  pretendevano.  Così  di- 

(1)  Id.  pag.  55-58. 

163 


CAPITOLO   V 

fatto  egli  si  esprime  nella  predica  trigesimot- 
tava:  (1)  «  N^è  voi  secolari  dovete  dare  uffizio 
a  religiosi  ;  riè  anco  i  religiosi  noi  debbono 
accettare,  ne  cercare,  ne  esercitare.  Non  si  die 
impacciare  il  religioso  alle  cose  seculari,  no  » . 
Assai  l'affliggeva  la  mutabilità  degli  spiriti  dei 
suoi  concittadini  ugualmente  propensi  al  bene 
e  al  male,  il  lor  carattere  quasi  femminile. 
Nella  predica  vigesimaquinta  ove  si  trattiene 
a  lungo  su  gli  ordinamenti  civici  della  patria 
espone  chiaro  ai  senesi  i  loro  difetti  insisten- 
do sulla  serietà  con  la  quale  ogni  cittadino 
dovrebbe  esercitare  il  suo  diritto  di  voto  im- 
plicante uno  dei  più  sacri  doveri  :  «  Io  mi 
credo,  egli  dice,  che  voi  dovareste  molto  con- 
siderare prima  che  voi  allarghiate  la  mano  al 
lupino  eppure  noi  fate.  E  credo  che  voi  sete 
uno  sangue  molto  dolce.  E  perchè  io  vi  co- 
gnosco  di  questa  condizione,  che  tosto  vi  par- 
tite e  tosto  ritornate  ad  una  cosa  medesima; 
e  vedendovi  ora  in  tante  divisioni  e  in  tante 
malevoglienze,  in  tanti  odii,  che  se  non  fusse 
che  voi  sete  molto  umani,  voi  n'  areste  tanto 
dato  sopra  le  ciarvelliere  che  voi  areste  fatto 


(1)  Di  solito  in  Siena  un  frate  cistercense  era  investito 
della  funzione  di  Camarlingo  e  S.  Bernardino  insorgendo 
contro  questa  consuetudine  secolare  doveva  apparir  molto 
audace.  Vigile  custode  delle  ricchezze  del  Comune  il  frate 
bianco  fu  spesso  raffigurato  su  le  copertine  dei  libri  di  Bic- 
cherna. 

164 


BERNARDINO   DEGLI   ALBIZZESCHI 

qualche  i^rau  malo.  E  però  dico  che  la  condi- 
zione vostra  è  che  voi  siete  molto  mobili  ;  e 
come  sete  mobili  al  male,  così  ritornate  tosto 
al  bene  >  (1).  Con  Unissimo  intuito  di  psico- 
logo culi  coglie  i  due  caratteri  essenziali  del- 
V  anima  senese,  mobilità  ed  nmanità,  partico- 
lare ad  una  razza  oltremodo  sensitiva,  alquanto 
strana,  come  quella  ove  prevaleva  il  senso 
artistico,  intuitiva  più  che  riflessiva,  insotì'e- 
rente  ai  gioghi,  mirabile  nei  suoi  ardimenti, 
nei  suoi  sogni,  nelle  sue  follie. 

Il  Montine  chiama  i  senesi  «  peuple  de 
grands  enfants  » .  Il  Cardinale  De  Bellay  dice 
di  Siena  «  C  est  une  terrible  beste  que  cette 
villo  là,  et  sont  estranges  cerveaulx  ». 

Ma  ambedue  si  accordano  con  Bernardino 
a  riconoscere  il  valore  umano  della  medesima. 
E  questa  umanità  senese  come  bene  ci  viene 
espressa  nella  seguente  esclamazione  del  san- 
to :  «  Quanto  è  forte  e  pieno  di  gentilezza  co- 
lui il  quale  ha  più  tosto  passione  nel  prossi- 
mo che  compassione  !  »  In  simile  eccesso  che 
tonde  a  far  vivere  con  entusiasmo  la  pena  del 
nostro  fratello  è  F  essenza  della  forza  morale 
pratica.  In  un  grido  egli  qui  ci  disvela  il  suo 
puro  eroismo  ;  e  noi  ricordiamo  eh'  esso  ebbe 
luogo  di  manifestarsi  a  fatti  e  non  a  parole 
(quando    infierendo    in    Siena  la   peste,  l' anno 

(1)   Prediche,  ediz.  cit.   Tomo  II,  pag.   69,   70,   219. 

165 


CAPITOLO  V 

1400,  Bernardino  ventenne,  a  capo  d'  una 
schiera  volenterosa  di  dieci  suoi  compagni, 
rimase  giorno  e  notte,  durante  quattro  mesi, 
nelF  ospedale  della  Scala  al  servizio  degli  am- 
malati. 

S.  Bernardino,  come  F  età  che  fu  sua,  ap- 
partiene al  Medio  evo  ed  insieme  al  Binasci- 
mento.  Il  settarismo  feudalesco  di  carattere 
prettamente  medioevale  era  ancora  dominante 
in  Italia,  e  contro  i  partiti  dei  guelfi  e  dei 
ghibellini  che  straziavano  con  divisioni  e  con 
rappresaglie  di  sangue  le  famiglie  e  le  città 
Egli  intraprese  una  campagna  accanita.  IS^ella 
decima  predica  tenuta  su  la  piazza  del  Campo, 
in  Siena,  nell'agosto  del  1427  esclamava  ad 
un  punto  :  «  chi  è  colui  che  è  cieco  e  sordo  1 
È  colui  che  tiene  di  parte  e  fassi  di  parte  o 
guelfo  o  ghibellino  » .  Le  scene  orrende  delle 
lotte  partigiane  sono  evocate  dal  Francescano 
senese  a  colori  di  sangue  (1)  :  Quanti  mali, 
egli  dice,  sono  preceduti  da  queste  parti, 
quante  donne  so'  state  ammazzate  nelle  città 
proprie,  in  casa  loro  ;  quante  ne  so'  state  sbu- 
dellate !  Simile,  quanti  fanciulli  morti  per  ven- 
detta dei  padri  loro  !  Simile,  i  fanciulli  del 
ventre  delle  proprie  madri  tratti  e  messo  lo'  i 
pie  ne'  corpi,  e  presi  i  fanciullini  e  dato  lo'  del 
capo  nel  muro;    venduta   la  carne  del  nimico 

(1)  Prediche  —  ediz.  cit.   tomo  I.  Pag.   252. 

166 


BERNARDINO    DEGLI    ALBIZZESCHI 

SUO  alle  becearia  come  T  altra  (tarne;  tratto 
lo'  il  cuore  di  corpo  e  mangiatolo  crudo  cru- 
do. Quanti  mortagliiadi  eppoi  sotterrati  nella 
feccia  !  Egli  ne  so'  stati  arrostiti  e  poi  man- 
giati ;  egli  ne  so'  stati  gittati  giù  dalle  torri; 
egli  ne  so'  stati  gettati  su  dai  ponti  giù  nel- 
1'  acqua;  egli  è  stata  presa  la  donna  e  forza- 
ta innanzi  al  padre  e  al  marito  e  poi  ammaz- 
zatoli lì  innanzi;  nò  mai  avuto  pietà  F  uno 
dell'  altro,  se  non  morte.  «  Qui  e'  è  furore  di 
vita  medievale;  ma  pure  in  Bernardino,  a  sua 
insaputa  forse,  sopravviveva  1'  anima  di  quel- 
r  età  violenta  nell'  odio  e  nell'  amore,  e  tal- 
volta r  uomo  vecchio  irrompendo  in  lui  attra- 
verso la  serena  indulgenza  francescana  del- 
l' uomo  nuovo,  sembra  avvicinarlo  ai  violenti 
eli'  egli  condanna.  Di  fatto  una  volta  mentre 
predicava  contro  i  guelfi  ed  i  ghibellini,  tra- 
scinato dalla  foga  del  sentimento,  infiammato 
dall'  eloquenza  verbale,  uscì  in  queste  paro- 
le che  potrebbero  meravigliarci  nel  mansueto 
francescano  :  «  Signor  mio  Jesu  Cristo,  io  ti 
prego  che  se  il  mio  padre  o  la  mia  madre,  o 
ninno  mio  parente  so'  morti  con  queste  parti 
delle  quali  io  parlo,  io  ti  prego  che  per  1'  a- 
nima  loro  non  vaglia  nò  messa,  né  orazione 
che  mai  io  facesse  a  utile  di  ninno  di  loro.  E 
anco  ti  prego.  Signor  mio,  che  se  ninno  di 
loro  ha  tenute  parti  insino  alla  morte  e  non  se 
ne  so'  confessati,    che    mille  diavoli  abbino  le 

167 


CAPITOLO   V 

anime  loro,  e  die  mai  per  loro  non  sia  reden- 
zione. ^ 

E  quest'orazione  è  fatta  per  l'anime  loro  > . 
Generalmente  i  biografi  quando  son  presi  d'am- 
mirazione cieca  per  il  personaggio  che  essi 
vogliono  far  rivivere  nascondono  del  medesimo 
i  difetti  per  esaltarne  solo  le  virtù  e  non  av- 
vertono quelle  strane  profonde  discordanze  che 
ritrovansi  nell'anima  di  ogni  uomo  pur  grande. 
È  questo  un  vecchio  errore  del  quale  non  ri- 
masero giammai  immuni  gli  agiografi  ufficiali, 
paurosi  di  rompere  la  forma  invecchiata  di  un 
calco  nella  quale  foggiavano  tutti  i  santi. 

Ma  in  taluni  aspetti  contraddittori  della  psi- 
che bernardiniana  noi  riusciamo  ad  intendere 
meglio  l'umanità  dell'uomo.  D'altra  parte  se  i 
santi,  come  gli  eroi,  fossero  perfetti,  non  avreb- 
bero più  alcun  punto  di  contatto  con  il  re- 
stante degli  uomini,  sarebbero  anzi  antiumani. 

Abbiamo  già  osservato  come  la  qualità  do- 
minante in  S.  Bernardino  fosse  un  acceso  amo- 
re per  il  prossimo  dimostrato  con  i  fatti  me- 
glio che  colle  parole.  Vi  era  in  quell'  uomo, 
cresciuto  in  una  casa  piena  di  gentilezza  e  di 
pudore  femminile,  una  sensibilità  delicata  che 
gli  faceva  risoffrire  intimamente  l'altrui  dolo- 
re. E  riesce  perciò  quasi  inconcepibile  im- 
maginarsi com'  egli  potesse  perseguitare  quel- 
le donne  randagie  che  il  popolo  chiamava 
streghe. 

168 


BERXAKDTXO   DEGLI   ALBIZZESCHI 

La  sua  avversione  contro  queste  donne  de- 
dite ai  maletizi  era  forse  legittimata  dal  fatto 
che  esse  appartenevano  alla  classe  delle  piìi 
abbiette  e  ])ericolose  meretrici,  ed  in  Koma, 
nei  secoli  XV  e  XVI  ac  ne  doveva  essere  un 
gran  numero,  come  sappiamo  da  vari  cronisti 
del  tempo.  Xel  <  Kagionamento  del  Zoppino  > 
attribuito  tino  a  poco  tempo  addietro  a  Pietro 
Aretino  ed  ora  da  Guillaume  Apollinaire  a 
Francisco  Delicado,  un  prete  spagnolo,  noi  leg- 
giamo descritte  al  vivo  le  stregonerie  di  que- 
ste cortigiane  romane  (1).  Pertanto  bisogna  ri- 

(1)  Ragionamento  del  Zoppino  fatto  frate  ecc.  Venezia 
Francesco  Marcolini,  1539.  Ecco  come  il  nostro  Autore  de- 
scrive le  maliarde  odiate  da  S.  Bernardino  :  «  Le  ti  vogliono 
fare  incanti  e  vanno  presto  a  cimiteri  e  tali  a  sepolture^  quivi 
trovano  le  forze  e  quivi  lesche  con  che  ti  legano,  et  ti  lusin- 
gano, et  allo  stato  primo  ti  riducono,  e  queste  sono  le  paci 
che  poi  nascono.  Quante  per  i  sentieri  ne  ho  veduto  io  cari- 
che d'ossa,  di  teste  e  di  vesti  di  morti!  Quante  con  tenagliuz- 
ze,  forbicine  o  mollette  empir  le  tasche  de'  denti  cavati  delle 
putrefatte  mascelle  d'impiccati,  a'  quali  spesso  anchora  o  il 
capestro  tolgono  o  le  scarpe.  Et  ho  visto  riportar  li  pezzi  in- 
tegri de  la  putrida  carne,  la  quale  con  parole  che  elle  a  lor 
modo  dicono  ti  danno  a  mangiare.  E  quelle,  che  tu  pensi  e 
tieni  che  sieno  più  grandi,  ho  visto  torre  a'  morti  le  spoglie 
che  addosso  a  quelli  sono  state  tagliate  e  sbarbare  i  capelli: 
e  le  ho  scontrate  al  lume  della  incantata  luna,  hor  scarmigliate, 
hor  nude,  co'  più  strani  gesti  e  modi  di  streghe,  formar  tal 
parole  che  a  dirle  ne  tremo,  che  il  più  devoto  accento  che  sia 
in  quello  è  dove  chiamano  il  diavolo.  Ma  quante  poi  scalze,  e 
sole  con  qualche  lor  coltello  rubato,  vanno  disegnando  figure, 
con  mille  legami  misurano  la  terra,  spannandosi  il  dosso,  o  i 
panni  che  hanno,  stringono  altrui  conic  a  loro  stesse  piace  ?  » 

1(>9 


CAPITOLO   V 

conoscere  come  S.  Bernardino  non  riuscisse  ad 
essere  immune  da  tutte  le  violenze  che  satura- 
vano V  atmosfera  in  cui  respirava. 

Ma  se  cadde  in  certi  eccessi  fu  a  questi 
condotto  dall'  odio  sincero  nutrito  per  molte 
pratiche  superstiziose  medievali  che  soprav- 
vivevano nel  tempo  suo  e  che  egli  intendeva 
distruggere.  Di  fatto,  primo  e  vero  precursore 
della  controriforma,  egli  predicò  più  volte  con- 
tro il  culto  delle  false  reliquie  (1),  contro  lo 
zelo  di  certi  padri  spirituali,  precedendo  in 
questa  via  il  Pascal,  e  contro  le  follie  di  tutti 
1  visionari  (2).  Snella  seconda  delle  sue  predi- 
che senesi  cerca  di  distruggere  le  credenze 
delle  moltitudini  nel  destinato  delle  costella- 
zioni. Ma  il  suo  merito  maggiore  è  il  trionfo 
sulle  rinascenti  paure  apocalittiche  dell'  anti- 
cristo. 

Nei  primi  anni  trascorsi  a  predicare  in 
Liguria  e  nel  Piemonte  e  particolarmente  a 
Tortona,  a  Castelnuovo  e  ad  Alessandria,  egli 
s'  incontrò  sovente  con  S.  Vincenzo  Ferreri  e 
con  un  certo  frate  Manfredo  che  insieme  al 
Ferreri  annunciava  prossimo  l' avvento  del- 
l' anticristo.  Bernardino  si  oppose  a  cotesta 
predicazione  dello  spavento  servendosi  del  suo 
fine  senso  umoristico  per  paralizzarne  gli  effet- 

(1)  Prediche  -  ediz.   cit.  tomo  I  -  pag.   237-238. 

(2)  «  »       «     tomo  II  -  pag.  377. 

170 


BERNARDINO   DEGLI   ALBIZZESCHI 

ti  disastrosi.  Questo  suo  fermo  atteggiamento 
di  fronte  al  celebre  predicatore  domenicano 
ci  mostra  come  egli  sapesse  ricongiungersi 
alle  vere  tradizioni  del  Poverello,  e  quanto 
nel  fondo  dell'  animo  si  sentisse  più  vicino  al 
cantico  di  frate  Sole  che  al    «  Dies  irae  ». 

Giova  citare  il  passo  d'  una  predica  senese 
nella  quale  chiarisce  ciò  che  pensava  a  pro- 
posito della  rinascente  agitazione  apocalittica: 
«  Insino  quando  era  fanciullo  udii  che  Anti- 
cristo era  nato,  ma  che  dico  io  ^  Insino  al 
tempo  delli  Apostoli  si  disse  che  elli  era  nato, 
e  anco  al  tempo  di  S.  Bernardo.  E  così  anco 
oggi  si  dice,  e  poco  tempo  è  che  si  diceva 
fermamente.  Deh  che  pazzia  è  questa  di  colo- 
ro che  vogliono  sapere  più  che  Iddio  non  vuo- 
le che  si  sappia?  Chi  è  colui  che  il  sa'?  Non 
è  creatura  al  mondo  che  il  possa  sapere,  im- 
però che  Iddio  Cristo  Gesù  non  volse  dire 
alli  discepoli,  né  Cristo,  in  quanto  uomo,  noi 
seppe  mai  » .  Ed  in  altro  luogo  accentuando 
meglio  la  modernità  del  suo  pensiero  dice  : 
«  Mai  Anticristo  non  verrà,  se  non  quando  il 
silenzio  sarà  nella  fede  nostra  » ,  ove  destituisce 
V  importanza  personale  del  personaggio  mitico 
per  richiamarla  sul  pericolo  che  si  faccia  nella 
fede  cristiana  degli  uomini  il  silenzio,  cioè  la 
morte  spirituale,  il  vero  anticristo. 

Il  mondo  teologico  di  S.  Bernardino  è 
uno  dei  più  soggettivi  quantunque  paja  confor- 

171 


CAPITOLO   V 

marsi  sempre  ad  un  sentimento  di    ossequiosa 
ortodossia. 

Ma  io  credo  che  nessun  teologo  romano 
approverebbe  oggi  il  consiglio  che  egli  dava 
ai  suoi  uditori  senesi  di  lasciar  piuttosto  l'ob- 
bligo domenicale  della  Messa  che  quello  della 
predica.  «  Se  di  queste  due  cose  tu  non  po- 
tessi fare  altro  che  F  una,  o  udire  la  messa  o 
udire  la  predica,  tu  debbi  piuttosto  lassare  la 
messa  che  la  predica  ;  imperò  che  la  ragione 
ci  è  espressa  che  non  è  tanto  pericolo  dell'  a- 
nima  tua  a  non  udire  la  messa  quanto  è  a  non 
udire  la  predica  »  (1).  Bernardino  è  un  anti- 
formalista convinto  e  mira  sempre  all'essenza 
delle  cose.  Prima  della  messa  la  predica,  ma 
prima  della  predica  la  casa,  il  dovere  familia- 
re e  sociale.  S.  Bernardino  non  tenoreggiava 
troppo  colla  vita  contemplativa  e  mirava  sem- 
pre al  ben  viver  civile.  «  Ecci  chi  abbia  lo 
infermo  in  casa'?  -  Si  -  I*^on  cognosci  tu  quanto 
bene  fa  il  governo  suo  ^  Non  1'  abbandonare 
per  venire  a  predica.  Hai  figliuoli  ?  -  Si  -  Non 
gli  abbandonare  di  quello  che  hanno  bisogno 
per  venire  alla  predica.  Hai  il  marito  e  figliuoli 
i  quali  bisogna  che  sieno  governati  di  quello 
che  bisogna  alla  famiglia  '^  -  Si  -  Fa',  fa'  che 
non  li  lassi  per  venire  alla  predica  ;  fa  che  tu 
prima  governi  la  casa    di  quelle    cose  che    bi- 

(1)  Prediche  ediz.  cit.,  tomo  I,  pag.   66. 

172 


BERNARDINO    DEGLI    ALBIZZESCHI 

sogna,  e  poi  vieni  alla  predica  perocché  se 
tu  non  procurasse  di  far  quelle  cose  che  bi- 
sogna per  tutta  la  famiglia,  io  non  loderei  il 
yenir  tuo  che  ti  conviene  misurare  l'altare  >  (1). 
Questa  è  sostanza  di  vita  francescana.  Poco 
appresso  al  luogo  citato  il  santo  si  domanda  : 
€  Sai  tu  quando  si  parte  il  capo  dal  busto  ? 
Quando  tu  ti  parti  dalla  (vita)  attiva  e  vai 
alla  contemplativa  » .  E  questo  è  schietto  umo- 
rismo bernardiniano» 

Se  voi  rileggete  le  novellette  e  gli  apologhi 
raccolti  nei  volumi  delle  sue  prediche  dal  Zam- 
brini,  gusterete  assai  quest'  umorismo  senese 
che  rinfresca  le  antiche  verità  e  fa  risbocciare 
in  un  sorriso  il  fiore  appassito  d'  una  fede  o 
d'una  speranza.  L'umorismo  è  come  il  sale  che 
preserva  un'  opera  dalla  corruzione  della  noia, 
così  facile  ad  infiltrarsi  tra  le  verità  morali 
dei  predicatori.  L' umorismo  di  S.  Bernardino 
è  congenito  in  lui  al  bisogno  di  sincerità,  e 
del  resto  i  veri  umoristi  non  sono  mai  degli 
ipocriti,  ma  sempre  dei  moralizzatori  molto 
seri,  quale  appunto  era  1'  Albizzeschi,  dotato 
di  «  humour  »  in  senso  anglo-sassone,  come  il 
Thackeray  lo  intende  quando  afferma  che  lo 
scrittore  umorista  è  colui  che  particolarmente 
«  sveglia  e  dirige  il  nostro  amore,  la  nostra 
pietà,  la  nostra  bontà,  il  nostro   disprezzo  per 

(1)  Pred.  ediz.  cit.  tomo  II,  pag.  43. 

173 


CAPITOLO   V 

la  menzogna,  le  false  pretensioni  e  l'ipocrisia, 
la  nostra  compassione  per  i  deboli,  i  poveri, 
gli  oppressi,  gli  infelici  ». 

Per  un  bisogno  di  parlare  alto  e  sincero  S. 
Bernardino  si  tenne  lontano  da  tutti  gli  onori 
ecclesiastici  e  rifiutò  di  essere  vescovo  nella 
sua  città  (1)  come  sappiamo  da  un  passo  della 
sua  predica  decimottava  :  «  S'  io  ci  fussi  ve- 
nuto (a  Siena)  come  voi  volevate  ci  venisse, 
cioè  per  vostro  vescovo,  elli  mi  sarebbe  stata 
serrata  la  metà  della  bocca.  Vedi  cosi  ;  (2) 
così  sarei  stato  che  non  arci  potuto  parlare  se 
non  con  la  bocca  chiusa.  E  io  so'  voluto  venire 
a  questo  modo  per  potere  parlare  cosi  alla  larga; 
che  cosi  potrò  dire  ciò  ch'io  voglio  e  potrò  j)ar- 
lare  più  a  mio  modo  d'ogni  cosa  » .  Questo  biso- 
gno di  sincerità  egli  cercava  di  trasfondere  nel 
carattere  dei  suoi  connazionali  per  rinnovarli 
giacche  presentiva  contro  quale  scoglio  sarebbe 
fra  non  molto  tempo  naufragata  la  splendida  na- 
ve del  Rinascimento  carica  di  tante  intelligenze. 
Se  una  nazione  non  possiede  una  maggioranza 
di  caratteri  schietti,  forti,  onesti  essa  diviene 
prima  o  poi  schiava  politicamente  e  spiritual- 
mente dello  straniero.  E  con  qual  dolore  S. 
Bernardino    constatava  la  mancanza  di  lealtà 

(1)  L'  offerta  del  Vescovado  di  Siena  fu  fatta    a    Bernar- 
dino il  4  giugno  1427  dal  pontefice  Martino  V. 

(2)  Cresce  forza  al  discorso  facendo  1'  atto  di   serrarsi   la 
bo.cca. 

174 


S.  Bernardino  che  predica  su  la  piazza  di  S.  Francesco  in  Siena. 

Fot.  Lomimuli  Sano  di  Pikiko. 


BERNARDINO    DEGLI   ALBIZZESCHI 

nei  suoi  toscani  :  «  O  promesso  o  non  promes- 
so che  abbi  il  toscano,  egli  s'  attacca  a  fare 
quello  che  me«>iio  li  mette  »  (1).  Ed  egli  de- 
plorava la  disonestà  degli  italiani  nei  commerci 
ritornando  spesso  su  questo  punto  nelle  sue 
prediche,  e  con  sottile  discernimento  ricolle- 
gava a  queste  frodi  la  cupidigia  del  guadagno 
negli  uomini  con  i  relativi  eccessi  dell'  usura 
e  con  la  vanità  femminile  delP  apparire.  Nella 
mirabile  predica  trentasettesima  ove  s' indugia 
sulle  vanità  mondane,  così  egli  apostrofa  i 
padri  di  famiglia  senesi  :  «  Tu  darai  una  tua 
fanciulla  a  uno  per  donna  ;  e  colui  che  la 
piglia,  ne  il  padre,  né  la  madre  non  pensano 
donde  la  robba  sua  venga;  che  se  fussero  savi, 
dovarebbano  pensare  la  prima  cosa:  donde  viene 
questa  robba,  donde  vengono  questi  vestiri,  di 
che  è  fatta  la  sua  dota.  Però  che  molte  volte, 
e  il  più  de  le  volte,  è  fatta  di  robbaria,  d'usura, 
e  del  sudore  dei  contadini,  e  del  sangue  de  le 
vedove,  e  de  le  mirolla  dei  pupilli  e  degli  orfa- 
ni. Ohi  pigliasse  una  di  quelle  cioppe  e  premes- 
sela e  torcessela,  ne  vedresti  uscire  sangue  di 
criature  » . 

Pertanto  fra  le  principali  riforme  sociali 
che  egli  promosse  ed  ottenne  debbono  annove- 
rarsi le  associazioni  d'  assistenza  dei  carcerati, 
le  campagne  memorabili  contro  gli  usurai  cui 

(1)  Prodiche,   ediz.  cit.   Tomo  III,  pag.   168  e  seguenti. 

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liiJ 


CAPITOLO   V 

fecero  seguito  in  varie  città  opportuni  freni 
statutari,  1'  abolizione  di  quel  barbaro  costume 
vigente  a  Roma,  a  Perugia  ed  in  altre  città 
d' Italia  per  il  quale  se  un  uomo  uccideva  un 
suo  nemico  politico  e  metteva  una  sbarra  di 
ferro  fuor  della  porta  di  casa  acquistava  di- 
ritto d'impunità  da  parte  della  pubblica  giu- 
stizia, restando  tuttavia  lecito  agli  amici  ed 
ai  parenti  del  morto  di  poterlo  assalire  ed  uc- 
cidere nella  sua  casa.  Ma  la  campagna  più 
alta  e  più  gloriosa  fu  quella  per  i  diritti  dello 
spirito  ;  mentre  dilagava  ognor  più  un  senso 
materialistico  ad  inquinare  1'  esistenza  dei  con- 
temporanei egli  non  cessava  dal  riaffermare 
le  leggi  del  «  reame  spirituale  »  e  gridava  : 
«  L'  anima  è  sopra  tutte  le  cose  terrene  :  so- 
vr'  essa  stanno  gli  angeli  » .  E  così  concepiva 
r  anima  :    «  (1). 

Fa  ragione  cbe  l'anima  sia  come  una  città, 
la  quale  sia  recata  in  quadro  come  questo  pul- 
pito; la  quale  abbi  quattro  porte  da  ogni  parte, 
una  porta  da  levante,  una  dal  ponente,  una 
dal  mezzodì,  una  dal  settentrione  ;  e  che  non 
si  può  entrare  per  ninno  modo  in  questa  città, 
se  non  per  queste  quattro  porte.  Le  quali  porte 
io  ti  pongo  che  siano  quattro  effetti,  i  quali 
sempre  ha  V  anima,  senza  li  quali  ninna  non 
può  essare.  A  regola  :    prima    dalla   porta  del 

(1)  Pred.  ediz.  cit.   Tomo  I,  pag.  44,  45. 

17G 


BERNARDINO   DEGLI   ALBIZZESCHI 

levante.  Che  significa  il  godere?  Che  1'  anima 
non  goda  ninna  cosa  secondo  il  mondo,  ma 
ogni  cosa  eh'  essa  ha,  che  di  letizia  sia,  sem- 
pre a  riferirla  in  Dio.  Siconda  porta  si  è  dal 
ponente,  la  quale  significa  il  dolore;  ed  en- 
trando per  questa  porta  del  dolore,  non  si  do- 
glia mai  l'anima  di  ninna  cosa  che  l'avvenga, 
se  non  sicondo  Iddio  e  non  sicondo  il  mondo; 
e  se  non  ha  questa  regola  la  cosa  va  male.  La 
terza  porta  si  è  del  mezzodì,  per  la  quale  non 
entra  se  non  la  speranza;  per  la  qual  porta  se 
1'  anima  ha  ninna  speranza  di  ninna  cosa  di 
mondo,  se  non  per  rispetto  della  volontà  di 
Dio,  ella  sta  male;  imperò  che  di  tutte  le  cose 
che  l'anima  die  sperare  si  è  in  Dio  e  per  Dio.... 
la  quarta  porta  si  è  dal  settentrione,  per  la 
quale  entra  il  timore,  et  ogni  volta  che  nel- 
l'anima entra  il  timore  per  altro  che  per  amor 
di  Dio,  ogni  sua  operazione  va  male  ». 

Questo  ridurre  tutti  gli  ordini,  gli  affetti  e 
le  volontà  dello  spirito  ad  una  suprema  perfe- 
zione in  Dio,  cioè  nel  Giusto  assoluto,  questa 
volontà  di  bene  appariva  a  lui  la  garanzia  mi- 
gliore d'una  fraterna  convivenza  sociale.  Egli 
voleva  che  1'  anima  si  unisse  a  Dio  «  come 
una  luce  in  aria  che  si  fa  una  cosa  mede- 
sima >.  (1).  Ma  questo  miracolo  non  era  pos- 
sibile   senza    una    fede  viva  e  forte  capace  di 

(1)   Prediclie  ediz.  cit.  Tomo  II,  pag.  205. 

177 


CAPITOLO.   V 

costringere  la  volontà  verso  lo  sforzo  eroico. 
Per  ciò  cercava  di  risuscitare  nelle  anime  il 
Cristo  ed  additando  la  croce  così  ne  rivelava 
il  significato  simbolico  :  «  La  croce  ha  due 
legni,  l'uno  va  attraverso  e  1'  altro  in  su.  Sai 
che  significano  nelFuomo  virtuoso?  Quello  del 
traverso  significa  fadiga:  quello  che  è  per  lo 
dritto  significa  virtù;  e  se  tu  hai  meno  uno  di 
questi  due,  tu  hai  perduto  ogni  cosa,  e  non 
puoi  cognoscere  nulla  »  (1). 

(1)  Si  legge  in  fronte  alle  prediche  dette  da  Bernardino 
su  la  piazza  del  Canpo  di  Siena  1'  anno  1427  e  pubblicate 
dal  Banchi,  come  un  certo  maestro  Bartolomeo,  cimatore  di 
panni  «  avendo  donna  e  più  figliuoli,  e  avendo  poca  robba  e 
assai  virtù,  lassando  stare  per  quello  tempo  il  lavorare,  ri- 
colse e  scrisse  le  presenti  prediche  da  verbo  ad  verbum^ 
non  lassando  nissuna  parola  che  non  scrivesse,  come  lui  pre- 
dicava. »  Il  passo  che  segue  mostra  la  virtù  di  questo  devoto 
stenografo  che  «  stando  alla  predica,  scriveva  in  tavole  di 
cera  collo  stile j  e,  detta  la  predica,  tornava  alla  sua  buttiga 
e  scriveva  in  foglio  tutto  quello  che  aveva  scritto  nelle  pre- 
dette tavole  di  cera;  i^er  modo  che  il  giorno  medesimo  in- 
nanzi che  si  ponesse  a  lavorare,  aveva  scritta  due  volte  la 
predica.  «  La  qual  cosa,  aggiunge  il  prologhista  aniico  dello 
stenografo,  chi  bene  notarà  trovarà  essere  cosa  miracolosa 
come  umana,  che  in  sì  brevissimo  tempo  scrivesse  tante  cose 
due  volte,  non  lassando  una  minima  paroluzza  di  quelle  che 
uscivano  di  quella  santa  boca,  che  lui  non  scrivesse  ;  come 
per  lo  presente  libro  si  manifesta.  » 

La  prima  predica  di  S.  Bernardino  fu  detta  in  Siena 
ne  1'  oratorio  di  S.  Onofrio  il  giorno  11  giugno  1405.  Cfr. 
Sigis.  Tizio  —  Hist.  Sen.  MS.  nella  Bibliot.  Com.  di  Siena, 
Voi.  IV,  53.  Egli  aveva  allora  25  anni.  Una  seconda  volta 
predicò    nel   Duomo    nel   1410    come    appare  a  carte  242  del 

178 


BERNARDINO   DEGLI   ALBIZZESCHI 

Libro  JRossOj  dal  1404  al  1415,  che  si  conserva  ne  V  archivio 
de  r  Opera  del  Duomo.  Ritornò  a  predicare  in  Siena  [su  la 
Piazza  di  S.  Francesco?  (vedi  illustraz.  n.  20])  dal  1*'  maggio 
al  10  giugno  1425.  Cfr.  Cronaca  cit.  Aldob.  (Bibl.  Coni,  di 
Siena,  Cod.  A,  VI,  0.  e.  128).]  11  Comune  ordinava  nel  giu- 
gno 1425  di  porre  su  la  tacciata  del  Palazzo  Pubblico,  nel 
luogo  ov'  era  1'  arme  viscontea,  quel  nome  di  Gesii  di  rame 
dorato  su  fondo  azzurro  oltremarino  clie  tuttora  vi  si  vede, 
e  lo  facea  dipingere  anche  nella  sala  del  Mappamondo. 

Le  prediche    pubblicate    dal    Banchi    furono    dette    su    la 
Piazza  del  Campo  dal  14  agosto  alla  line  di  settembre  1427. 


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179 


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CAPITOLO  YI. 


B.  ocHixo  E  l'  eresia  ii^  sie:n^a. 


L'  atmosfera  spirituale  del  Cinquecento  ita- 
liano satura  di  bellezza  e  di  pensiero  umani- 
stico era  divenuta  irrespirabile  per  coloro  che 
avevano  un'  anima. 

L'  arte  di  Michelangiolo  nelle  dolorose  me- 
ditazioni dei  suoi  Profeti,  ne  1'  atteggiamento 
disperato  dei  suoi  Prigioni,  attraverso  la  ma- 
linconia religiosa  delle  sue  «  Pietà  »  esprime 
intensamente  il  senso  d'  insoddisfazione,  l' in- 
terno dissidio  delle  rare  anime  del  suo  tempo 
avvinte  alla  terra  ed  inebriate  di  cielo. 

Le  più  potenti  manifestazioni  del  genio 
michelangiolesco  sono  gridi  di  un  ribelle  clie 
tenta  di  emanciparsi  dai  modelli  classici  che 
il  Rinascimento  idolatrava,  e,  in  una  parola, 
dall'  estetismo  dominante. 

Miclielangiolo  fu  un  distruttore  d'  idoli. 
Agitò  gli  oceani  del  Pensiero.  Amò  la  guerra, 

180 


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21 

Bernardino  Ochino. 

«  ìli  sarà  facile  tutto  in  Christo  per  el  guai  vivo  et  epero  di  morire.  » 

Frater  Bernardinus  Senensis. 
Lettera  alla  liaVia  di  Siena  scritta  da  Roma  il  5  Settembre  1540.  (Archivio 
di  Stato  in  Siena). 


B.   OCHIXO   E   l'eresia  IN   SIENA 

non  la  pace.  Assai  poco  lo  comprese  il  suo 
amico  Vasari  :  i  discepoli,  piccoli  artisti,  vi- 
dero solo  le  forme  esteriori  di  qnell'  arte  ; 
Kaffaello,  esteta  sublime,  1'  odiò  di  nn  odio 
pieno  d'ammirazione  ;  i  Papi  mecenati  apprez- 
zarono Miclielangiolo  come  un  decoratore  ma- 
gnifico del  loro  palazzo  imperiale  ;  i  Principi 
se  lo  disputarono  come  un  costruttore  di  mau- 
solei. Vittoria  Colonna  con  V  intuito  del  suo 
occhio  interiore  turbato  da  inquietudini  reli- 
giose vide  sola,  ne  Panima  del  vecchio  artista 
V  abisso  della  sua  disperazione  e  per  questo 
Michelangiolo  volle  dedicarle  nei  sonetti  d'  a- 
more  la  propria  autobiografìa  spirituale  :  Vit- 
toria Colonna  una  delle  prime  e  più  ferventi 
amiche  del  senese  Bernardino  Ochino. 

Quest'uomo  che  doveva  inalzare  su  le  rovi- 
ne delle  libertà  patrie  il  vessillo  di  libertà  della 
Riforma  al  cospetto  del  Papato  e  di  Carlo  V, 
gli  oppressori  di  Siena,  nacque  verso  il  1487 
dal  Popolo  di  Pontebranda,  che  dette  i  natali 
a  S.  Caterina.  Suo  padre  fu  Domenico  Tom- 
masini,  popolano  oscuro.  Il  figlio  s'  ebbe  il 
soprannome  di  Ochino  perchè  appartenente  alla 
contrada  de  V  Oca. 

Nulla  si  conosce  della  sua  infanzia  e  de 
r  adolescenza,  ma  noi  crediamo  che  presto  do- 
vette grandeggiare  dinanzi  alla  commossa  fan- 
tasia dell'  Ochino  la  figura  dell'  ultimo  apo- 
stolo senese  Bernardino  degli  Albizzeschi,  del 

181 


CAPITOLO   TI 

quale  portava  il  nome,  e  del  quale  avrebbe 
ridestata  la  gloriosa  tradizione  apostolica  con 
il  fascino  della  parola. 

Acceso  d'  entusiasmo  per  V  idea  bernardi- 
niana  vestì,  giovine,  l'abito  di  S.  Francesco  nel 
convento  de  V  Osservanza  fondato  dal  Santo. 
Studiò  medicina  ne  V  Università  di  Perugia. 
Quivi  ebbe  occasione,  di  contrarre  amicizia 
con  Giulio  dei  Medici  più  tardi  Papa  Cle- 
mente VII  :  sui  medesimi  banchi  di  scuola 
si  conobbero  due  uomini  clie  la  vita  avrebbe 
piazzato  in  x^oli  opposti  come  due  forze  a  con- 
trasto, perchè  lampeggiassero.  Quando  si  divi- 
sero, il  giovine  e  ricco  fiorentino  s'incamminò 
per  la  via  fastosa  apertagli  dalla  potenza 
della  sua  casata  verso  la  suprema  dignità  ec- 
clesiastica ;  il  fraticello  riprese  la  via  stretta 
ed  oscura  del  suo  convento,  avido  di  umilia- 
zioni, con  lo  sj)irito  mille  volte  più  inquieto  di 
quando  n'  era  uscito. 

Questa  lotta  interna  resa  tormentosa  per 
la  ricerca  della  verità  teologica  contrastante 
ai  desideri  d'una  fede  sitibonda  d'assoluto,  l'O- 
cliino  avrebbe  forse  potuto  calmare  nel  puro 
sentimento  francescano  <:li'  era  fiorito  nella 
nuova  Porziuncola  dell'  Osservanza  da  l'anima 
de  l' Albizzeschi.  Purtroppo,  non  appena  morto 
il  grande  riformatore,  s'erano  dileguate  dal  suo 
convento  le  semplici  virtù  ch'egli  avea  saputo 
coltivarvi  :  Pandolfo  Petrucci,  il  magnifico,  a 

182 


B.   OCHIXO   E   l'eresia   IN    SIENA 

somiglianza  di  frate  Elia,  aveva  edificata  sopra 
la  celletta  del  nuovo  Poverello  un  bel  tempio, 
per  grandigia,  ove  a  Parte  di  Cliacomo  Cozza- 
relli  non  rimase  che  piangere  d'amore  su  Tidea 
evangelica  ottuscata. 

Le  terracotte  robbiane  e  quelle  del  Cieco 
di  Gambassi  e  del  Cozzarelli  che  sono  a  l'Os- 
servanza esprimono  quel  sincero  sentimento 
cristiano  che  seppe  trasfondere  in  molte  anime 
S.  Bernardino,  e  che,  immutato,  attraverso  il 
paganesimo  e  le  forme  mitologiche  della  Ri- 
nascita, riuscirono  a  conservare  ne  l'arte  i  se- 
nesi del  Quattro  e  molti  del  Cinquecento. 

La  lirica  senese  del  secolo  XV,  quasi  tutta 
sepolta  nei  codici  degli  archivi  cittadini,  si 
colora  spesso  di  questo  sentimento,  come  si 
può  vedere  in  alcune  laudi  e  madrigali  di  quel 
tempo  che  i  fanciulli  usavano  cantare  nelle 
chiese  e  per  le  strade  (1). 

Spira  da  queste  poesie  religiose  popolari 
la  fragranza  dell'  anima  bernardiniana,  che 
1'  Ocliino  respirò  nella  sua  gioventù. 

Yi  è  un  madrigale  che  sembra  rispondere 
alla  famosa  canzone  di  Lorenzo  dei  Medici 
<  Quanf  è  bella  giovinezza  !  »  e  riconduce  per 
le  vie  segrete  del  cuore  la  malinconia  cristiana 
che  dissipa  i  vapori  torbidi  dei  sensi  : 


(1)  Debbo  alla  cortesia  del  Prof.   Lusini  1'  indicazione   di 
alcune   di  queste  laudi. 

183 


CAPITOLO   VI 


Nissimo   in  gioventù   ponglia  el  disio 
che  tosto  manclia    quello  tempo  giulio. 

Nissiino  ponga   speranza   in  gioventude 
che  no'  si  può  sperare. 


Su  giovinetti  ;  in  questa  età  verde 

al  seguitare  Yhesù 

eh'  ene  su  crocie,   spande  el  fiume  de  l'amore. 

Ghuai  a  colui  eh'  el  giovinetto  tempo  perde 

e  fuggie  la  virtù, 

che  di  dolciezza  perde  ogni  sapore, 

a  gli  uomini  gentigli  ene  uno  errore 

pompe  e  ricchezze  che  dispiacciano  addio. 

Che  chi  pone  speranza  in  sua  bellezza, 

de  vadasi  a  specchiare, 

che  nostri  specchi  sono  le  sipolture. 

Vedrai  confuse  le  nostre  saviezze 

e  come  quelle  tornare, 

e  breve  tempo  come  quelle  sellare. 

Se  ciò  pensassino  nostre  menti  dure 

Nissuno  seria  di  se  stesso  sì  fiero. 

Nissuno  in  gioventù  pongha  disio, 
che  tosto  manca  quello  tempo  giulio. 

Il  Pittore  poeta  di  questa  primavera  fran- 
cescana fu  il  Sassetta  (1).  Matteo  di  Giovanni, 
Sano  ed  il  Neroccio  ne  rapirono  il  profumo 
verginale  per  soffonderlo  nella  malinconia  delle 

(1)  Su  questo  pittore  si  veda  il  bel  libro  di  Bernhard  Be- 
renson :  «  A  Sienese  Painter  of  the  Franciscan  Legend  ». 
London,  J.  M.   Dent  1909. 

184 


S.  Giovanni. 

SIEXA  Opera  del  Duomo)  Giacomo  Cozzaurlli. 


I 


B.   OCHIXO   E   l'eresia   IX   SIENA 

loro  madonne;  il  Yeccliietta  rese  nei  bronzi, 
nervosamente  donatelliani,  le  ascetiche  ma- 
grezze delle  carni  penitenti,  soprattutto  nel 
suo  stupendo  Battista.  Giacomo  Cozzarelli,  ul- 
timo rappresentante  della  gloriosa  tradizione 
scultoria  senese  del  Cinquecento,  nel  gruppo 
della  «  Lamcnta::ìonc  »  a  V  Osservanza,  che  ò 
indubbiamente  il  suo  capolavoro,  intorno  al  ca- 
davere del  Cristo  disceso  dalla  Croce  nel  grem- 
bo di  Maria,  ravvivò,  come  in  un  rogo  d'  a- 
more,  i  sentimenti  dolorosi  vissuti  nei  secoli 
dai  mistici  senesi,  rivelando  la  bellezza  dell'a- 
micizia che  diventa  preghiera  silenziosa  e  con- 
templazione, nella  dolce  immagine  del  S.  Gio- 
vanni dell'  Opera  del  Duomo,  la  quale  dovette 
appartenere  un  tempo   al  gruppo  (1). 

La  spiritualità  e  1'  umanità  di  cotest'  arte 
pervasa  di  sentimento  francescano  si  mostra 
ancora  ne  1'  ingenua  allegoria  di  Girolamo  di 
Benvenuto  rappresentante  Amore  fatto  prigio- 
ne dalle  Vergini  (2).  Il  disco  prezioso,  attra- 
verso la  figurazione  mitologico-cristiana  ci  of- 
fre un  simbolo  del  misticismo  senese  il  quale 
seppe  velare  di  bende  pudiche  gli  occhi  stel- 
lanti di  Eros,  nel  secolo  in  cui  riscoppiava  più 
libera  la  gioia  dell'  amore  pagano. 


(1)  Vedi  illustraz.  n.'^  22. 

(2)  Appartiene    alla  Collezione   Jarves.  New  Haven.   Con- 
necticut.  Vedi  illustraz.   n.''  23. 

185 


CAPITOLO   VI 

L'  arte  senese  ignora  le  scoperte,  le  gioie, 
i  trionfi  della  carne  vittoriosa  che  in  Italia 
fecero  celebri  le  scuole  di  Firenze  e  di  Vene- 
zia; Il  sensualismo  senese,  ardentissimo,  fu 
sempre  nascosto  dagli  artisti,  il  Sodoma  com- 
preso, con  veli  dietro  i  quali  esso  traspare 
come  un  nemico  da  vincersi,  e  tanto  più  j)e- 
ricoloso  per  quanto  più  occulto,  ed  emanante 
la  seduzione  sottile  de  1'  angoscia  clie  sorge 
dal  soffocamento  dei  sensi. 

Fu  questa  appunto  1'  angoscia  di  Bernar- 
dino Cellino:  tragedia  intima  d'uno  spirito  fie- 
ramente cristiano  per  virtù  della  fede,  costretto 
a  vivere  in  un  secolo  saturo  d' illusioni  pagane 
turbinanti  dinanzi  alla  violenza  del  suo  tem- 
peramento sensuale.  Da  ciò  nacque  in  lui  il 
dubbio  profondo  su  1'  efficacia  delle  opere  ri- 
guardo alla  giustificazione,  dubbio  nato  da  un 
fiacco  amore  di  se,  come  avrebbe  detto  S.  Ca- 
terina, e  clie  doveva  più  tardi  precipitarlo  nel 
vortice  de  1'  eresia  luterana  ;  di  qui  la  sua 
folle  ebrezza  di  penitenza  escludente  la  meri- 
torietà  delle  opere  dinanzi  al  valore  immenso 
della  redenzione  compiuta  dal  Cristo,  solo,  ])eY 
tutti  gli  uomini. 

In  una  lettera  del  10  febbraio  1 542,  Fanno 
tragico  della  sua  vita,  egli  scriveva  al  Mar- 
chese del  Vasto  :  «  ....  Il  Cristo  disarmato  d'o- 
gni forza  et  favore  del  mondo,  nudo  in  su  la 
Croce,  vestito  solo    di  verità,  humiltà,  patien- 

186 


Amore  fatto  prigione  dalle  Vergini. 
NEW  HAVEN.  Counecticut  —  Collezione  Jaives.  Giuolamo  di  Bknvknuto. 


B.   OCIIINO   E  l'eresia   IX   SIENA 

tia,  cliarità,  et  dcir  altre  sue  divine  virtù,  con 
impeto  d'  amore,  in  una  sola  guerra,  ha  su- 
perato per  sempre  non  gli  liuomini  al  mondo 
ma  gli  infernali  s])iriti,  la  morte,  li  vitii,  et 
tutti  gr  inimici  di  Dio,  et  fatta  la  più  bella 
et  ricca  preda  dell'  anime  per  tanti  secoli  sta- 
te qua  in  sì  misera  servitù,  che  mai  si  faces- 
se o  potesse  fare.  »  Se  noi  credessimo  ad  una 
vera  e  propria  evoluzione  del  sentimento  reli- 
gioso culminante,  in  Bernardino  Ocliino,  at- 
traverso la  catena  riallacciata  di  questa  tradi- 
zione mistica  senese,  avremmo  forse  in  mano 
la  chiave  per  intendere  il  segreto  di  questo 
apologista  della  Fede  assoluta,  cogliendo  quasi 
nella  medesima  1'  estremo  tìore  d'  un  albero 
centenario  giunto  al  termine  ultimo  del  suo 
sviluppo. 

Anch'  egli,  come  la  maggior  parte  dei  pro- 
testanti, aveva  il  terrore  di  essere  predesti- 
nato alla  dannazione.  Si  difendeva  contro  il 
mondo  e  la  carne  con  la  penitenza.  Siccome 
r  ordine  degli  Osservanti  gli  pareva  poco  ri- 
goroso vicino  a  quello  recentissimo  della  re- 
gola francescana  riformata  da  Matteo  Bassi 
nei  suoi  Cappuccini,  egli  chiese  al  Pontefice 
di  poter  passare  fra  i  nuovi  seguaci  dell'  As- 
sisiate,  ciò  che  gli  fu  concesso  dopo  qualche 
esitanza.  Si  dice  che  nel  compiere  questo  passo 
1'  Ocliino  esclamò  :  <  Signore,  se  ora  non  mi 
salvo,  non  so  più  che  farmi  !  »    Aveva  allora 

187 


CAPITOLO   VI 

circa  37  anni  ;  era  vissuto  nelF  oscurità,  nella 
preghiera,  nella  meditazione  solitaria  dei  più 
tormentosi  problemi  dello  spirito,  nello  studio 
dei  sacri  testi,  in  una  vigilia  di  perfetta  peni- 
tenza. Quest'uomo  incanutito  anzi  tempo,  dalle 
guancie  infossate,  che  non  beveva  mai  vino  e 
dormiva  su  la  nuda  terra,  e  camminava  scal- 
zo, fu  ignoto  a  tutti  tino  al  1534.  In  Siena 
r  avevano  visto  elemosinare  di  porta  in  porta 
per  i  poveri.  Ma  nella  quaresima  di  quell'anno 
1534,  egli  comparve,  nella  rozza  tonaca  di 
cappuccino,  in  Roma,  sul  pulpito  di  S.  Loren- 
zo in  Damaso. 

Bernardino  Ochino  rivelò,  a  F  improvviso, 
una  meravigliosa  potenza  oratoria,  attirando 
r  attenzione  di  tutta  Roma  sopra  di  se  ed  i 
suoi  compagni  cappuccini,  convenuti  allora  per 
la  prima  volta  ne  1'  Urbe  in  numero  di  cento- 
cinquanta. 

Clemente  VII  potè  vedere,  in  quell'  anno, 
prima  che  lo  raggiungesse  la  morte,  il  trionfo 
del  suo  umile  compagno  dell'Università  peru- 
gina. Gli  Osservanti  invidiosi  del  favore  po- 
polare che  salutava  l'ordine  dei  cappuccini, 
capitanato  spiritualmente  da  chi  li  aveva  ab- 
bandonati, suscitarono  contro  quelli  i  sospetti 
di  alcuni  personaggi  della  Curia,  e  persuasero 
il  Pontefice  a  discacciarli  da  Roma.  Questo 
fatto  dovette  impressionare  dolorosamente  l'O- 
chino  e  non  può  essere  trascurato  da  chi  studia 

188 


B.   OCIIINO   E   l'eresia    IX   SIEXA 

con  animo  sereno  la  crisi  psicologica  del  frate 
senese. 

Con  il  suo  fervore  apostolico  FOcliino  con- 
quistò subito  Famicizia  dei  maggiori  riforma- 
tori cattolici,  come  il  Cardinal  Contarini,  il 
santo  vescovo  di  Verona  Giovali  Matteo  Gi- 
berti  ;  cosi  pure  di  alcune  mistiche  ed  elettis- 
sime dame  come  Vittoria  Colonna,  Giulia  Gon- 
zaga, Caterina  Cybo.  Vittoria  Colonna  parti- 
colarmente prese  a  proteggerlo,  e  a  difendere 
presso  il  Papa  Tordine  dei  Cappuccini.  L'Ochi- 
no  dovette  al  suo  vivo  interessamento  se  riuscì 
a  far  convocare  nel  1535,  contro  il  volere  di 
Ludovico  da  Fossombrone,  il  primo  capitolo 
dei  cappuccini,  ove  a  generale  fu  eletto  fra 
Bernardo  d'  Asti,  e  V  Ochino  fu  messo  nel 
consiglio  dei  quattro  Definitori. 

La  nuova  carica  non  lo  tolse  alla  predica- 
zione eh'  era  divenuta  la  necessità  della  sua 
vita,  per  troppi  anni  rimasta  contenuta  nella 
rigida  disciplina  del  silenzio. 

Or  da  l'anima  dell'  Ochino  eruppe  la  forza 
nascosta  con  la  violenza  d'  un  vulcano. 

La  novità  delle  sue  prediche  consisteva  ne 
l'avere  egli  tolto  a  commentare  il  Vangelo, 
libro  quasi  obliato  nella  resurrezione  di  tutte 
le  opere  de  l' antichità  classica.  Ai  pagani 
della  Rinascita  le  bellezze  del  Vangelo,  messe 
in  rilievo  da  chi  le  aveva  per  tanti  anni  tra- 
gicamente vissute,  davano  come  un  senso  nuo- 

189 


CAPITOLO   VI 

\o  di  piacere  letterario  anche  se  non  riusci- 
vano a  persuadere  intimamente  quegli  spiriti 
a  convertirsi.  Delle  prediche  tenute  dalFOchi- 
no  a  Venezia  nel  1539  rimase  ammiratissimo 
Pietro  Bembo,  che  poco  amava  i  predicatori, 
ed  il  6  aprile  di  quelF  anno  egli  esprimeva 
il  suo  entusiasmo  in  una  lettera  da  Venezia 
alla  Marchesa  di  Pescara:  «  ...  Il  nostro  frate 
Bernardino  (che  mio  voglio  da  ora  innanzi 
chiamare  a  parte  con  voi)  è  oggi  mai  adorato 
in  questa  città.  Né  vi  ha  uomo  nò  donna  che 
non  V  alzi  fino  al  cielo.  Oh  quanto  vale,  oh 
quanto  diletta,  oh  quanto  giova!  Ho  pensiero 
di  supplicare  I^ostro  Signore  ad  ordinar  la 
sua  vita  di  maniera,  eh'  ella  possa  bastar  più 
lungamente  ad  onor  di  Dio  e  giovamento  de- 
gli uomini  ;  che  ella  non  è  per  bastare,  gover- 
nandola così  duramente  com'  egli  fa.  Ragiona 
molto  diversamente  e  più  cristianamente  di 
tutti  gli  altri  che  in  pergamo  siano  saliti  ai 
miei  giorni,  e  con  più  viva  carità  ed  amore, 
e  migliori  e  più  giovevoli  cose.  Piace  a  cia- 
scuno sopra  modo.  Estimo  eh'  egli  sia  per  por- 
tarsene, quando  egli  si  partirà,  il  cuore  di  tutta 
questa  città  seco  ». 

Anche  Pietro  Aretino,  per  secondar  la  mo- 
da, volle  dimostrare  con  l' ipocrita  unzione 
letteraria  che  gli  era  caratteristica  la  sua  am- 
mirazione per  il  cappuccino  senese  :  «  ....  È 
incredibile,  egli    scrive,    il    suo    predicare    del 

190 


B.   OCHIXO   E   l' ERESIA   IN   SIENA 

continuo  in  fervore  mantenendo  lino  a  V  ulti- 
mo r  altezza  del  sincero  delle  parole  :  io  ardi- 
sco dire  che  dagli  apostoli  al  dì  d'  lioe:gi  ninno 
liabbia  mai  nel  predicare  pareggiato  lui...  Co- 
me risplende  bene  lo  evangelo  intessuto  con 
il  cliristiano  delle  sue  digressioni,  con  che  lu- 
cide e  con  che  vive  catene  egli  lega  insieme 
il  vecchio  et  il  nuovo  testamento,  servando 
sempre  i  lor  sensi  sacrosanti  nella  dovuta  re- 
ligione, onde  le  torme  dei  popoli  non  altri- 
menti si  trasferiscono  a  udirlo,  che  se  egli 
fosse  il  Battista  nelle  solitudini.  Sono  sopra 
humani  gli  intelletti  pieni  di  spiriti  e  gli  spi- 
riti pieni  d'intelletti,  che  si  veggono  e  si  sen- 
tono nel  catholico  delle  sue  prediche,  il  grave 
corpo  delle  quali  respira  con  un  fiato  sì  pos- 
sente e  sì  vehemente,  che  ben  si  vede  in  che 
maniera  la  natura  e  lo  studio,  gli  fanno  squil- 
lare le  cose  di  Dio  vero,  di  Dio  sommo,  di 
Dio  solo.  Veramente  egli  è  1'  honore  del  suo 
ordine,  della  nostra  Italia.  » 

Il  Sadoleto  uguagliava  V  Ochino  ai  più 
grandi  oratori  antichi.  Il  vescovo  di  Fossom- 
brone  scriveva  ad  Annibal  Caro  :  «  Ho  udito  in 
Lucca,  pochi  dì  sono,  fra'  Bernardino  da  Siena, 
veramente  rarissimo  uomo  ;  e  mi  piacque  tanto 
che  gli  ho  indirizzati  due  sonetti,  de'  quali  ve 
ne  mando  uno.  »  Tanta  era  la  leggerezza  so- 
nettistica  dell'Italia  di  quel  tempo,  incapace  di 
comprendere  la  serietà  d' un'  anima  religiosa. 

191 


CAPITOLO   YI 

La  Riforma  appariva  ai  più  come  un  tema 
interessante  e  nuovo  di  conversazione. 

Il  duca  Ercole  di  Ferrara  si  compiaceva 
nelle  quistioni  teologiche.  La  duchessa  Renata 
che  al  passaggio  di  Paolo  III  jier  Ferrara 
fece  rappresentare  dai  suoi  figliuoli,  in  onore 
del  Pontefice,  gli  Adelfi  di  Terenzio,  ebbe 
anch'  essa  il  gusto  delle  discussioni  religiose, 
e  desiderosa  di  emulare  la  regina  Margherita 
di  ìfavarra  favorì  gli  eretici.  Ospitò  nel  suo 
castello  Aonio  Falcarlo,  Pietro  Yergnanini, 
Francesco  Porto,  Girolamo  Bolsec;  nel  1536  il 
giovane  Calvino  e  Marot;  Bernardino  Ochino 
volle  annoverare  fra  i  suoi  cari  amici. 

Il  frate  senese  predicò  la  quaresima  del 
1536  in  S.  Giovanni  Maggiore  di  I^apoli. 
Quantunque  riportasse  anche  quella  volta  un 
grande  trionfo  ed  avesse  l'onore  di  attirare  nel 
suo  uditorio  Carlo  V,  il  quale  soleva  dire  che 
Ochino  predicava  in  modo  da  far  piangere  1 
sassi,  sembra  che  a  quel  tempo  si  manifestas- 
sero i  primi  dubbi  seri  su  F  ortodossia  di  lui. 
In  Napoli  tornò  a  predicare  nel  1539  e  nel 
1540,  ed  ivi  subì  certo  l' influsso  del  suo 
amico  Giovanni  Yaldès. 

Pertanto  1'  Ordine  dei  Cappuccini  nel  1538 
lo  aveva   eletto  generale  (1).    Tutta  Italia   ve- 


(1)  Il  Boverio,    annalista  de'  Cappuccini,  così  parla    dello 
Cellino  :  «  prudente;    sagace,  di  bei    costumi,    esercitatissimo 

192 


B.    OCHIXO   E   l'eresia   IX   SIENA 

niva  iiiceiìdiata  dalla  sua  parola.  Ma  le  pre- 
diche dette,  fra  il  1534  ed  il  1542,  in  Roma, 
ili  A^enezia,  in  Mantova,  in  Modena,  in  Lucca, 
in  Ferrara,  in  Xapoli,  in  Siena,  destarono  i 
sospetti,  le  mormorazioni,  ed  alline  le  aperte 
accuse  dei  teoloi>i.  Xaturalmente  i  suoi  amici 
lo  difendevano.  Vittoria  Colonna  in  una  let- 
tera al  Gonzaga  in  data  22  aprile  1538  scrive 
che  :  «  se  andavano  glosando  di  falsa  invidia 
le  sue  sante  parole  >  e  soggiunge:  «  se  sta,  li 
dicono  che  cerca  e  desidera  grandeze  ;  se  va 
humilmente  predicando,  dicono  :  fuge  Roma  — 
lui  non  si  excusa  ne  parla  per  non  mostrar 
credere  che  di  lui  si  facci  conto,  et  tanto  ta- 
cer potria  attribuirsi  a  presumptione cer- 
cano hor  calunniar  questo  lume  che  havemo, 
et  di  qua  nasce  che  li  eretici  ce  cavan  gli  oc- 
chi ;  perchè  come  Cristo  compare,  a  modo    di 

per  lungo  uso  di  molte  cose,  ingegno  e  grandezza  (Z'  animo 
ad  abbracciar  qualunque  gran  fatto;  tanta  compostezza  esterna 
ed  onestà,  che  mostrava  apparenza  non  vulgare  di  virtù\  e 
santità  ;  mirabile  predicatore,  coli'  eloquenza  guadagnava  gli 
animi,  sicché  fu  una  generale  approvazione  allorché  nel  terzo 
capitolo  generale,  fu  eletto  generale  il  1538.  E  tolse  ad  am- 
ministrar 1'  Ordine  con  tanto  consiglio,  prudenza,  zelo  della 
regolar  osservanza,  e  coli'  esempio,  d'  ogni  virtìi,  che  i  frati 
s'  applaudivano    dell'  elezione    d'  un    tal  uomo.  Quasi  sempre 

pedestre    visitò    i   vari    conventi grande   autorità    godeva 

presso  re  e  principi,  che  l'usavano  in  difficilissimi  consigli^  il 
Papa  avealo  in  moltissimo  onore;  talmente  era  cercato,  che 
bisognava  ricorrere  al  Papa  per  averlo  predicatore,  e  le  più 
grandi  Chiese  non  bastavano  agli  uditori.   » 

193 


CAPITOLO    TI 

pharisei  andamo    a    le  calunnie,  a  pervertir  le 
parole,  a  seminar  occulte   spine  ». 

L'  Ocliino  nel  1539  pubblicò  la  prima  edi- 
zione dei  «  Dialoghi  »  e  le  Prediche  tenute 
a  Venezia  in  quelF  anno  uscirono  aneli'  esse 
per  le  stampe.  Quelle  opere  non  ebbero  il 
plauso  che  aveva  riscossa  V  arte  oratoria  del 
predicatore.  Frattanto  egli  andava  realmente 
spargendo  per  tutta  Italia  i  semi  dell'  ere- 
sia. L'  aperta  difesa  eh'  egli  faceva  della  dot- 
trina su  la  giustificazione  per  mezzo  della 
Fede,  gli  valse  una  denunzia  dei  teatini  Ra- 
niero Gualanti  e  Antonio  Cappone  nel  1539.  I 
N^ovatori  crescevano.  Il  Caracciolo  nella  sua 
vita  di  Paolo  IV  dice  che  «  andavano  attorno 
iscritti  prima,  e  poi  stampati  i  libri  di  costoro 
come  di  tanti  profeti,  e  già  in  pochi  anni  non 
solo  i  plebei  ed  ignoranti,  ma  anche  molti  si- 
gnori e  signore  nobili  e  molti  religiosi  e  preti 
se  si  erano  infetti  ». 

Il  vento  di  novità  religiosa  che  sofiìava 
d'  oltr'  alpe  aveva  cangiato  gli  spiriti  di  vari 
fra  i  più  gravi  ed  intelligenti  prelati  cattolici 
i  quali  si  preoccupavano  forte  di  quel  moto  e 
stimavano  necessaria  una  riforma  di  costumi  in 
seno  alla  Chiesa.  ISTel  1538  fu  pubblicato  l' im- 
portantissimo documento  col  titolo  «  Consili um 
delectorum  Cardinalium  et  aliorum  praelatorum 
de  Emendanda  Ecclesia  »  redatto  da  Gaspare 
Contarini,  Giampietro   Caraffa,    Iacopo    Sado- 

194 


B.  ocniNO  E  l'eresia  in  siexa 

leto,  Reginaldo  Polo,  Federico  Fregoso,  Gero- 
lamo Aleandro,  Giovali  Matteo  Giberti,  Gre- 
gorio Cortese  e  Tomiuaso  Badia,  che  apparve 
ai  protestanti  come  una  confessione  la  quale 
riconosceva  le  accuse  mosse  a  Konia  ;  e  ne 
menarono  grande  strepito. 

L'  opera  dei  riformatori  cattolici  divenne 
estremamente  difificile  ;  la  gioia  dei  protestanti 
indebolì  Paolo  III  di  fronte  ai  cattolici  rea- 
zionari ed  egli  non  seppe  decidersi  a  realiz- 
zare subito  la  riforma  nella  linea  esposta  dai 
più  sapienti  cardinali,  come  si  può  vedere  dalle 
lettere  interessantissime  di  Ottaviano  Lotti 
scritte  da  Eoma  ad  Ercole  Gonzaga  nel  1538. 
La  principale  quistione  teologica  che  divideva 
i  due  campi  riguardava  la  giustificazione.  Il 
Contarini  (1),  il  Polo,  Pietro  Martire,  V  Ochi- 


(1)  11  Cardinale  Gaspare  Contarini  è  il  più  grande  di  quei 
prelati  della  riforma  cattolica  che  nel  1536  costituirono  il 
«  Collegium  de  Emendanda  Ecclesia  »  Egli  osò  scrivere  que- 
ste verità:  «  La  legge  del  Cristo  è  una   legge   di    libertà 

ogni  sovranità  è  una  sovranità    della    ragione L'autorità 

del  Papa  è  anch'  essa  un'  autorità  della  ragione.  Un  papa 
deve  sapere  che  è  sopra  uomini  liberi  che  egli  esercita  que- 
sta autorità.  Egli  non  deve,  a  suo  piacimento,  comandare  o 
proibire,  o  dispensare,  ma  solo  dietro  le  regole  della  ragio- 
ne, dei  divini  Comandamenti  e  dell'  amore  :  una  regola  che 
tutto  riconduce  a  Dio  ed  al  bene  comune  ».  Il  Contarini  fu 
prima  ambasciatore  di  Venezia,  i^resso  Carlo  V,  nei  Paesi 
Bassi,  in  Germania  ed  in  Spagna.  Nominato  Cardinale  da 
Paolo  III  nel  1535,  fu  legato  Pontificio  alla  dieta  di  Rati- 
sboua  nel  1541;  purtroppo  quivi  riuscirono  vani  i  suoi  sforzi 

195 


CAPITOLO   VI 

no  intendeyano  fosse  modificata  la  formula  lu- 
terana in  una  formula  superiore  che  accettan- 
dola impedisse  tutta  via  la  derogazione  dalle 
opere.  Essi  volevano  su  le  opere  dar  la  pre- 
valenza ai  meriti  della  Eede  e  della  Reden- 
zione di  Cristo.  Si  determinarono  in  quegli 
anni  nel  seno  della  Chiesa  tre  correnti  spiri- 
tuali che  riapparvero  pochi  anni  or  sono  nella 
crisi  del  Modernismo  :  la  tendenza  nettamente 
ereticale  ;  la  tendenza  conciliativa  ;  la  reazio- 
naria. 

Quest'  ultima  trionfò,  attraverso  la  nuova 
congregazione  del  S.  Ufficio,  nel  concilio  di 
Trento.  I  rappresentanti  della  corrente  conci- 
liativa, uomini  di  grande  ingegno,  di  studio  e 
•di  religiosa  pietà,  videro  riuscir  vani  con  sor- 
presa dolorosa  i  loro  sforzi,  perchè  ad  essi 
sfuggì  la  portata  politica  delle  dottrine  soste- 
nute dalle  due  maggiori  schiere  combattenti. 
La  legione  luterana  mirava  a  sopraffare  spiri- 
tualmente r  Italia  per  meglio  conquistarla  po- 
liticamente, e  di  fatto  il  duca  Cosimo  di  Firenze 
consigliava  con  spirito  machiavellico  Carlo  Y 

per  stabilire  1'  unione  fra  i  cattolici  e  i  protestanti.  Questo 
grande  Cardinale  del  secolo  XVI  non  riuscì  ad  intendersi 
con  i  protestanti  e  si  rese  sospetto  presso  i  cattolici.  Morì 
a  Bologna,  pieno  di  sconforto,  nell'agosto  del  1542.  Fra  i  suoi 
numerosi  scritti  ricordiamo  agli  studiosi  della  riforma  catto- 
lica del  Cinquecento  il  «  Compendium  primae  philosopliiae  » 
ed  un  Trattato  su  la  giustificazione  ove  egli  si  accosta  molto 
alla  teoria  dei  protestanti  sulla  grazia. 

196 


B.   OCIIIXO   E   L'EKESIA   IX   SIEXA 

a  mettersi  per  essa  eontro  il  Papa  (1).  La 
legione  cattolica,  piantando  il  sno  campo  a 
Trento,  oltre  le  barriere  delle  Alpi,  cercò 
nella  difesa  del  patrimonio  teologico  tradi- 
zionale di  opporsi  alla  germanizzazione  del- 
l' Europa. 

Fu  buona  fortuna,  per  Eoma,  che  Carlo  V 
fosse  spagnuolo,  cioè  latino,  cioè  romano.  Le 
lotte  religiose  della  Riforma  furono  essenzial- 
mente lotte  per  una  supremazia  politico-spiri- 
tuale fra  la  civiltà  latina  e  le  civiltà  nordiche. 
Xon  rappresentano  di  fatto  una  insurrezione 
dello  spirito  di  libertà  contro  la  legge  autori- 
taria, assoluta,  di  Roma  ?  la  rivolta  luterana 
è  una  rivolta  di  barbari. 

E  questi  nuovi  ribelli,  come  i  primitivi  cri- 
stiani, per  scuotere  il  giogo  della  chiesa  uffi- 
ciale romana  eh'  era  una  cosa  sola  con  il  po- 
tere politico  dell'  Impero,  trovarono  i  semi 
dell'anarchia  nel  Vangelo.  Rivendicare  lo  spi- 
rito del  Vangelo  contro  il  Papa,  imperatore  : 
ecco  il  sogno  di  Lutero.  Ricondurre  gli  uomini 
a  l'ebionismo  antico;  abbattere  la  magnitìcenza 
dei  templi  cattolici,  immagini  di  dominazione; 
umiliare  la  gloria  di  Roma  risorta,  così  splen- 
dida, grazie  al  genio  del  Rinascimento  ;  questo 
il  desiderio  segreto  dei  barbari. 


(1)  È  noto  che  il  Duca  divenne  più  tardi  uno  dei   bracci 
forti  dell'  Inquisizione  in  Toscana  e  Hopratutto  a  Siena. 

197 


CAPITOLO   VI 

Il  Concilio  di  Trento  riconquistò  a  Roma 
una  metà  delP  Europa,  che  quella  avrebbe  cer- 
tamente perduta,  se  fossero  prevalse  le  teorie 
conciliative  dei  modernisti,  ingenui  nel  sup- 
porre clie  fosse  in  gioco  unicamente  l' interesse 
religioso  d'  una  fede.  Essi  dimenticavano  che 
la  forza  della  propaganda  protestante  s'  era 
sviluppata  nel  1535  particolarmente  per  la 
proroga  di  dieci  anni  fatta  dalla  lega  di  Sma- 
calda. 

La  riforma  protestante  avrebbe  potuto  van- 
tare la  bellezza  d'una  rivendicazione  della  fi- 
losoiìa  sostenendo  nobilmente  con  le  parole  e 
con  i  fatti  essere  necessaria  la  libera  indagine 
per  la  conquista  della  verità  ;  ma  quei  rifor- 
matori non  seppero  dimostrarsi  liberali  ;  sof- 
ocarono  le  idee  ;  accesero  roghi  ;  tutte  cose 
note  ma  che  bisogna  tener  presenti  per  po- 
terci spiegare  il  dramma  spirituale  di  Bernar- 
dino Ochino  in  terra  d'  esilio,  e  per  mettere 
in  giusto  rilievo  l' importanza  delle  dottrine 
sostenute  contro  Calvino  e  Lutero  dagli  eretici 
senesi. 

I  roghi  cattolici  hanno  almeno  un  fonda- 
mento logico  nel  principio  della  Chiesa  di 
Roma  che  stabilisce  una  dottrina  morale  e  so- 
ciale da  cui  non  può  derogare,  xitenendosi  essa 
depositaria  dell'  unico  Yero^  dal  quale  deri- 
vano libertà  ben  definite,  non  arbitrarie  al- 
l' individuo.  Nella  chiesa  cattolica  la  ragione  è 

198 


B.    OCUINO    E    l'  eresia   IN    SIENA 

sottomessa  alla  Fede  :  il  Yani>elo  stesso  non  ha 
valore  fuor  dell'  interpretazione  tradizionale, 
custodita  dai  Vescovi  con  a  capo  il  Pontefice. 

I  Gesuiti  riaffermarono  la  supremazia  as- 
soluta del  Papa  sui  Vescovi,  e  nel  concilio  di 
Trento  il  padre  Laynez  salvò  la  compagine 
deir  Episcopato  cattolico,  disciplinandolo  come 
un  esercito  agli  ordini  del  governo  di  Poma. 

I  membri  del  consiglio  creato  da  Paolo  III 
per  la  riforma  interna  della  chiesa,  ed  insieme 
a  loro  le  anime  veramente  religiose  e  cristiane 
d'  Italia,  fra  le  quali  viveva  e  combatteva 
rOchino,  furono  preoccupate  solo  dal  bene  spi- 
rituale delle  moltitudini.  Xon  concepivano  la 
Chiesa  come  un  governo  politico,  o  almeno  non 
vedevano  di  questo  governo  le  necessità  reali- 
stiche. Il  loro  sogno  era  un  ritorno  puro  e 
semplice  alla  fonte  evangelica.  Trascinati  nel 
turbine  d' una  gigantesca  illusione  si  videro 
spinti  a  r  improvviso  su  1'  orlo  de  1'  eresia. 
Gli  spiriti  meno  audacemente  mistici  riuscirono 
a  ritrarsene  come  il  Contarini,  il  Giberti,  Vit- 
toria Colonna  ;  i  piìi  sicuri  della  propria  ve- 
rità vissuta  si  precipitarono  nel  vortice  come 
r  Ochino,  Pietro  Martire,  Aonio  Paleario  che 
tini  sul  rogo. 

L' atteggiamento  di  ribellione  verso  Poma, 
assunto  dal  frate  senese,  forse  fu  favorito  in 
parte  dalle  condizioni  politiche  della  sua  pa- 
tria   che  le  truppe    del    pontefice    collegate    a 

199 


CAPITOLO   VI 

quelle  dei  fiorentini  e  degli  spagnoli  stringe- 
Yano  a  poco  a  poco  in  un  cerchio  di  ferro. 
L' Ocliino  rimase  sempre  fedele  a  Siena  :  il  suo 
affetto  era  corrisposto  dai  suoi  concittadini  i 
quali  s'  adoperavano  continuamente  ad  averlo 
in  mezzo  a  loro,  e  simpatizzavano  con  le  sue 
idee  come  dimostrano  vari  documenti  dell'  ar- 
chivio di  Stato  senese  e  dell'  archivio  segreto 
Vaticano  (1).  Principi  e  repubbliche  facevano 
a  gara  per  avere  a  predicatore  1'  Ochino  e  met- 
tevano in  moto  ambasciatori  e  cardinali  per 
ottenerlo  dal  pontefice. 

In  Siena  egli  predicò  nel  1540  ed  introdusse 
allora  nelle  Compagnie  la  devozione  delle  Qua- 
rant'  ore,  ma  invece  del  Sacramento  faceva 
esporre  il  Crocifìsso.  Egli  stesso  in  varie  epi- 
stole dettò  minutamente  le  regole  per  le  pre- 
ghiere ed  i  sermoni  da  tenersi  negli  oratori. 
«  I  sermoni,  egli  scriveva,  per  non  tediare 
sieno  brevissimi  e  divoti,  ammaestrando  sem- 
pre a  l'orazione;....  s'avvertisca  che  sieno  brevi 
e  senza  cerimonie,  ringraziamenti  e  frasche- 
rie. »  I  documenti  Bernardiniani  su  le  Qua- 
ranta ore  (2)  risalgono  agli  anni  1540  e  1541 
quando    ne    1'  anima    del  frate  si  maturava  il 

(1)  Cfr.  Docum.  su  l'eresia  iu  Siena  pubblicati  da  Paolo 
Piccolomini  -  in  Bollettino  senese  di  Storia  Patria,  voi  XV  e 
fase.  I,   1910. 

(2)  Furono  pubblicati  dal  Cantù  nel  voi.  II  della  sua  opera 
«  Gli  Eretici  d'Italia  »  Torino,  1866. 

200 


B.  ocnixo  E  l'eresia  in  siexa 

proposito  di  staccarsi  dalla  chiesa  cattolica,  per 
vivere,  coni'  egli  diceva,  più  perfettamente  il 
Vangelo  di  Cristo. 

Xel  1541,  scaduto  il  triennio  di  governo,  fu 
rieletto  Cxenerale  dal  suo  Ordine  benché  facesse 
tutto  il  possibile  per  ritìutare  1'  alta  carica. 

Xel  1512  predicò  a  Venezia  nella  chiesa 
dei  SS.  Apostoli,  e  per  le  varie  accuse  d'eresia 
che  lo  colpirono  fu  cliiauiato  a  discolparsi  di- 
nanzi al  ^Jfunzio  Pontiticio,  al  quale  disse  con 
una  puntata  ironica:  «<  E  più  difficile  convin- 
cere uno  d'eresia,  che  accusarlo  di  oscura  de- 
finizione di  frasi  teologiche  » .  Quando  ritornò 
sul  pulpito  insorse  a  difendere  violentemente 
la  libertà  di  parola,  e  siccome  il  Nunzio  Fanno 
innanzi  aveva  fatto  arrestare  come  predicatore 
d'eresia  il  teologo  milanese  Giulio  Terenziano, 
parve  alludere  al  fatto  FOchino  quando  uscì  in 
questo  appello:  «  Che  facciamo  o  uomini  veneti"? 
Che  macchiniamo?  O  città  regina  del  mare,  se 
coloro  che  t'annunziano  il  vero  chiudi  in  carcere, 
mandi  alle  galere,  come  si  farà  luogo  la  ve- 
rità*? Oh  potesse  questa  liberamente  enunciarsi! 
quanti  ciechi  recupererebbero  la  vista!  » 

L'eco  di  queste  parole  commosse  sicuramente 
gli  uomini  di  Curia,  poi  che  finita  la  quare- 
sima egli  ricevette  una  lettera  gentile  del  Car- 
dinal Farnese  che  lo  invitava  a  lioma  in  nome 
del  Papa  (1). 

(1)  Ecco  la    lettera    del    Card.    Alessandro  Farnese  a  Fra 

201 


CAPITOLO   VI 

Giovan  Matteo  Giberti,  amicissimo  deFOclii- 
no,  lo  consigliò  di  obbedire  mentr'egli  nel  frat- 
tempo avrebbe  cercato  di  dissipare  nella  corte 
di  Roma  le  prevenzioni  e  le  accuse  contro  di 
Ini.  Ma  ne  FUrbe  il  gruppo  dei  nemici  della 
Kiforma  diveniva  sempre  più  forte  e  batta- 
gliero. Il  21  luglio  Paolo  III  lasciandosi  pren- 
dere sempre  più  la  mano  dal  Card.  Caraffa,  che 
dirigeva  il  movimento  reazionario,  instituì  la 
Congregazione  dell'Indice,  la  quale  secondo  il 
pensiero  del  Teatino  doveva  usar  dolcezza  e 
misericordia  con  i  pentiti  e  severità  esemplare 
con  i  ribelli. 

Sarebbe  bastato  a  Bernardino  Ochino  far 
atto  di  sottomissione  ai  teologi  romani  per 
riacquistare  quel  prestigio  presso  il  pontefice 
clie  r  alta  sua  carica  ne  P  ordine  cappuccino, 
in  certo  modo,  gli  garantiva.  Egli  era  il  pre- 
Bernardino  pubblicata  dal  Piccolomini  in  Boll.  Senese  di  St. 
Pat.  Anno  XV.   fase.  Ili  pag.   299-300. 

A  frate  Bernardino. 

Reverende  Pater.  Essendo  venuto  all'  orecchie  di  Nostro 
Signore  alcune  cose  di  certi  frati  dell'ordine  vostro,  che,  per 
esser  sopra  la  materia  della  religione,  tanto  zelosa,  hanno  bi- 
sogno di  rimedio  et  che  si  osti  a'  principij;  Sua  Beatitudine, 
che  vi  dice  non  potersi  facilmente  venire  ad  effetto  rilevante 
senza  che  prima  ne  possa  ragionare  con  la  Paternità  vostra,, 
le  piacerà  che,  dopo  ricevuta  la  j^resente,  la  pensi  di  ve- 
nirsene fin  qua  quanto  più  presto  lo  potrà,  con  sanità  ;  alla 
quale  desidero  che  attenda,  et  che  me  habbia  nelle  sue  ora- 
tioni,   offerendomi  a  Lei  sempre. 

Da  Roma,  a  15   di    luglio  1542. 

202 


B.   OCHIXO   E   l'eresia   IX   SIENA 

dicatore  più  celebre  cV  Italia  ;  stimato  da  prin- 
cipi e  cardinali,  ricolmo  di  tutti  gli  onori,  e 
r  età  matura  di  55  anni  sembrava  proteggerlo 
da  un  colpo  di  testa.  Invece  più  d'ogni  altra 
considerazione  potò  in  lui  1'  orgoglio  del  suo 
misticismo  respirante  ne  V  insofì'erenza  d' ogni 
giogo  :  ma  egli  non  ebbe  paura  di  sotì'rire,  di 
ritornare  nella  più  buia  povertiì  ;  quando  si 
pensa  che  il  pontefice  era  pronto  a  crearlo 
cardinale,  e  clie  a  F  Ocliino  sarebbe  stato  fa- 
cile, mostrandosi  leggermente  ipocrita,  di  sod- 
disfare ad  ogni  sete  d' onori,  pur  di  piegarsi 
al  partito  dominante,  non  possiamo  aderire  al 
giudizio  di  certi  storici  che  troppo  V  hanno 
denigrato  per  odio  teologico. 

L'  Ochino  prima  di  andare  a  Koma  si  volle 
consigliare  col  Card.  Contarini  a  Bologna,  ma 
questi,  morente,  gli  disse  parole  d' incerto  si- 
gnificato. L'  amico  Pietro  Martire,  a  Firenze, 
lo  dissuase  dal  presentarsi  al  tribunale  degli 
inquisitori.  Andando  a  Roma  gli  si  allacciava 
il  dilemma  di  rinnegare  le  sue  dottrine  o  di 
morire  sul  rogo.  Da  Firenze  il  22  agosto  1542, 
dopo  aver  fatta  una  corsa  a  Siena  per  salutare 
i  suoi,  scrisse  alla  Marchesa  di  Pescara  espo- 
nendole r  ansia  segreta  del  suo  spirito:  «  Con 
non  piccolo  fastidio  di  mente  mi  trovo  qui 
fuor  di  Firenze  (egli  scriveva  da  Montughi) 
venuto  con  animo  d'  andar  a  Roma,  dove  sono 
chiamato,  benché  da  molti    ne    sia    stato    dis- 

203 


CAPITOLO   TI 

suaso,  intendendo  il  modo  col  quale  procedo- 
no ;  perchè  non  potrei  se  non  negar  Cristo,  o 
esser  crocifisso.  Il  primo  non  vorrei;  il  secon- 
do sì,  con  la  sua  grazia,  ma  quando  Lui  vor- 
rà. Andar  io  alla  morte  volontariamente  non 
lio  questo  spirito.  Dio  quando  vorrà  mi  saprà 
trovar  per  tutto...  Ho  inteso  che  il  Farnese 
dice  che  son  chiamato  perchè  ho  predicato 
eresie  e  cose  scandalose.  Il  Teatino  (1),  Puc- 
cio (2),  ed  altri  che  io  non  voglio  nominare, 
dalli  avvisi  che  ho  avuti  parlano  in  modo,  che 
se  io  avessi  crocifìsso  Cristo,  non  so  se  si  fa- 
rebbe tanto  rumore. 

Io  son  tale  qual  sa  Y.  S.  e  la  dottrina  si 
può  saper  da  chi  mi  ha  udito:  mai  predicai 
più  riservato  e  con  modestia  che  quest'  anno, 
e  già  senza  udirmi  mi  hanno  pubblicato  per 
un  eretico.  Ho  piacere  che  da  me  incomincino 
a  riformare  la  Chiesa.  »  Si  potrebbe  scorgere 
in  quest'  ultima  frase  un  fremito  di  quel  se- 
greto orgoglio  mistico  che  è  il  segno  al  quale 
si  riconosce  un  eretico  da  un  santo  genuino. 
Gli  eretici  della  tempra  di  questo  frate  senese 
potrebbero  dirsi  dei  santi  falliti  per  mancanza 
d'  umiltà  interna  ;  uscirono  tutti  dalla  Chiesa 
per  ebrezza  di  passione  mistica,  per  superbia 
di  santità. 

(1)  Card.   Caraffa. 

(2)  Puccio  Antonio,  fiorentino,   vescovo  di  Pistoia,    cardi- 
nale. 

204 


B.    OCIIINO   E   l'eresia   IX   SIENA 

L'  Ocliino  dopo  molta  esitanza  dolorosa  si 
decise  di  abbandonare  V  Italia  e  la  Chiesa. 
Da  Firenze  passò  in  Lombardia  dopo  aver 
fatta  una  breve  visita  alla  Duchessa  di  Came- 
rino. Da  Morbe^no  il  31  agosto  1542  scrisse 
al  vescovo  Giberti  per  informarlo  della  sua 
decisione  :  «  Io  ho  fatto  un  passo  sì  aspro  che 
la  difficoltà  clie  ci  lio  avuto  mi  fa  pensare 
che  sia  stato  Dio  che  mi  ha  fatto  pigliare 
questo  partito.  >  La  lettera  finisce  con  queste 
parole  :  «  Quando  sarò  fermo  vi  avvisarò,  sa- 
lutate tutti  gli  amici  in  Christo,  et  pregate 
Dio  per  me.  »  Della  triste  novella  ebbe  gran 
pena  il  santo  vescovo  e  la  rispecchia  in  una 
sua  lettera  al  Gonzaga. 

Sul  confine  d' Italia,  vicino  alla  vetta  del 
S.  Bernardo,  il  mistico  senese  consegnò  il  si- 
gillo della  sua  religione  a  Mariano  da  Quin- 
zano,  fratello  laico  che  aveva  condotto  seco  ; 
si  rivolse  per  un  ultimo  saluto  verso  la  patria 
che  non  doveva  rivedere  giammai,  e  pianse. 
Poi  prese  la  via  dell'  esilio. 

La  notizia  improvvisa  della  fuga  dell'  O- 
chino  suscitò  dovunque  uno  scandalo  enorme; 
i  suoi  nemici  lo  coprirono  di  contumelie  e  di 
calunnie  volgari  (1);  i  suoi  amici  furono  in- 
quisiti per  accusa  d'  eresia,  compreso  il  Giberti. 


(1)  Cf.  Giacomo  Lingeo  :    «  De  vita  et  moribus  atque  re- 
bus gestis  haereticorum  sui  temporis  >.  Parigi,  1581,  pag.  27, 

205 


CAPITOLO   VI 

Un  suo  discepolo  fra'  Bartolomeo  da  Cuneo 
fa  condannato  a  morte.  Il  card.  Caraffa  de- 
plorò V  apostasia  de  V  Ocliino  scrivendogli  una 
lettera  piena  d' invettive  che  è  uno  squarcio  di 
cattiva  retorica  ecclesiastica,  ove  ogni  frase  dà 
suono  di  falso  (i).  Paolo  III  pensò  di  soppri- 
mere r  ordine  dei  cappuccini.  In  mezzo  a 
questa  tempesta  il  celebre  predicatore  giungeva 
ramingo  a  Ginevra  d'onde  scrisse  alla  Signoria 
di  Siena  per  darle  ragione  del  suo  passo  e  per 
incitarla  a  convertirsi  alla  vera  fede  del  Van- 
gelo ;    ed    a    1'  amico    Gjerolamo    Muzio    volle 

confidare  i  sensi  dell'  animo  esulcerato «  Mi 

suadeva  la  priidentia  humana  a  più  presto  mo- 
rire, clie  vivere  così  infame.  Ma  lo  spirito  ri- 
spondeva, che  è  somma  gloria  del  cristiano 
vivere    per   Cristo,    et    con    Cristo,  infame    al 

mondo So  bene  che  s'  el  pio  et    ancho    il 

prudente  considerarà  quello  che  ho  lassato  in 
Italia,  a  quante  calunnie  mi  son  esposto,  et 
dove  son  andato  in  questa  mia  ultima  età  sarà 
certo  ch'el  mio  partirmi  non  nacque  da  humana 
et  carnale  prudentia,  ne  anco  da  sensualità; 
si  come  spero  in  Christo  che  la  mia  vita  di- 
mostrarà  ». 

Quando  l'Ochino  giunse  a  Ginevra,  Calvino 
si  affrettò  ad  annunciarne  la  venuta  a  Melan- 


(1)  Questa   lettera  si  può  leggere  nella  Storia  dei  Teatini 
di  Giovan  Battista  vescovo  di  Acerra. 

206 


B.   OCniXO   E   l'eresia   IX   SIENA 

ione  scrivendogli  :  «  Abbiamo  qui  fra'  Ber- 
nardino, quel  famoso,  qui  suo  discessu  non 
pariim  Italiam  commovit  » . 

L'eresiarca  di  Ginevra  sperava  forse  di  uti- 
lizzare a  suo  vantaggio  Tingegno  deirOcliino  ma 
rimase  deluso  che  questi  si  ribellò  a  Calvino 
com'  erasi  ribellato  al  Pontelìce.  In  Ginevra 
istituiva  la  prima  chiesa  italiana  protestante  e 
dava  alle  stampe  varie  opere  fra  le  quali  una 
delle  più  violenti  contro  Roma  che  s' intitola 
«  Cento  (qwloglii  ».  Calvino  ])rese  ad  odiarlo 
e  lo  fece  prima  scomunicare  e  poi  scacciare 
da  Ginevra.  A  piedi,  povero,  terribilmente 
solo,  r  Ochino  andò  a  Basilea  ov'eransi  rifu- 
giati, x)ieni  di  disgusto  per  gli  eccessi  dei  ri- 
formatori, Erasmo  ed  Hutten,  ed  OA^e  il  Froben 
stampava  scritti  arditissimi.  Quivi  V  Ochino 
pubblicò  i  suoi  sermoni.  Ad  Augusta  giunse  la 
sua  fama  e  fu  richiesto  come  predicatore  con. 
Tofterta  di  200  fiorini  di  stipendio,  e  vi  rimase 
finche  non  giunse  a  discacciamelo  Carlo  Y. 

In  queir  occasione  ebbe  salva  la  vita  per 
miracolo.  A  Strasburgo  ritrovò  l'amico  Pietro 
Martire  e  con  lui  passava  in  Inghilterra,  a 
predicare  ai  rifugiati  italiani.  Chi  segua  con  il 
pensiero  questo  fuggiasco  senese  del  sec.  XYI 
crederà  di  vedere  Mazzini,  ramingo  di  terra 
in  terra,  per  sete  di  libertà. 

Cessato  nella  Gran  Bretagna  il  regime  di 
tolleranza  religiosa  con  la  morte  di  re  Edoar- 

207 


CAPITOLO   VI 

do  VI,  rOcliino  si  rifugiò  novamente  in  Sviz- 
zera e  fu  eletto  Pastore  dagli  emigrati  italiani 
di  Locamo.  Sembra  clie  aderisse  alle  opinioni 
di  Zuinglio  ma  ben  presto  non  solo  le  abban- 
donò ma  tolse  ad  impugnarle  dal  pulpito,  ciò 
che  gli  valse  una  nuova  condanna  al  bando. 
Vecchio  di  76  anni,  riprese  a  piedi  la  via 
dell'esilio  ed  a  piccole  tappe,  vincendo  grandi 
disagi,  andò  in  Polonia  a  predicare  ai  fratelli 
italiani  di  Cracovia. 

Protestanti  e  cattolici  V  odiavano  ormai 
d' un  odio  comune.  Il  protestante  Bullinger 
quando  apparvero  i  suoi  «  Trenta  Dialoghi  » 
scrisse  dell'  Ocliino  :  «  è  uomo  dotto  in  senso 
reprobo,  ingrato  contro  il  Senato  (di  Zurigo) 
e  i  ministri,  empio,  malizioso,  per  non  dire 
bugiardissimo  ».  E  1'  Ochino  di  rimando  gli 
rispose  :  «  IS^on  pensavo  che  il  Bullinger  fosse 
papa  a  Zurigo,  e  che  non  solamente  a'  suoi 
precetti,  ma  ancora  alle  sue  esortazioni  si  aves- 
se ad  obbedire...  » 

Mentre  polemizzava  con  i  capi  del  movi- 
mento protestante  non  lasciava  di  rispondere 
agli  attacchi  dei  teologi  italiani. 

Acerrimo  nemico  gli  fu  il  suo  concittadino 
Ambrogio  Catarino  Polito.  Questa  figura  che 
Josef  Schweizer  ha  messo  recentemente  in  lu- 
ce (1),  seguì  in  Firenze  la  corte  di  Leone  X. 

(1)  losef  Schweizer  Ambrosius  Catharinus    Politus    (1484- 

208 


B.   OCHINO   E   l'eresia   IN   SIENA 

La  fiimiliarità  con  un  Piagnono  e  la  lettura 
delle  opere  di  fra'  Girolamo  Savonarola  indus- 
sero Ambrogio  a  lasciare  il  mondo  per  il 
chiostro,  e  prese  1'  abito  di  S.  Domenico  in 
S.  Marco  a  Firenze  col  nome  di  Catarino.  Il 
fratello  di  lui  Tommaso  Politi  fu  il  primo 
cittadino  senese  che  osò  denunciare  al  Consi- 
siglio  di  Balìa  Don  Diego  di  Mendoza  come 
traditore  della  Eepubblica,  e  n'  ebbe  in  premio 
la   morte. 

Ambrogio  gli  scrisse  quand'  era  in  carcere 
due  lettere  ove  si  palesa  F  animo  suo  di  rea- 
zionario, incapace  di  comprendere  gli  ardimenti 
di  chi  ama  la  libertà  (1). 

I  trentasei  anni  della  sua  vita  ecclesiastica 
trascorse  in  Siena  come  priore  di  S.  Domeni- 
co, poi  in  Francia,  poi  a  Trento  ed  a  Bolo- 
gna, ove  partecipò  attivamente  ai  lavori  del 
Concilio.  Fu  tra  1  più  fieri  confutatori  di  Lu- 
tero ed  uno  dei  più  temuti  capitani  delle  le- 
gioni cattoliche  contro  la  Eiforma. 

Lo  spirito  dei  teìnpi  nuovi  egli  combattè 
perfino  in  quel  Savonarola  che  tanto  aveva 
amato  in  gioventù,  ma  soprattutto  in  Bernar- 
dino Ochino.    La    violenza    che    quest'  ultimo 

1553),  ein  Tlieologe  des  Reformationszeitalters.  Sein  Leben 
Tind  seine  Scbriften.  Mùnster  ;  W.,  Dnick  und  Verlag  der 
Asclieudorffscben  BucliliandluDg,   1910. 

(1)  Si  possono  leggere  ne  1'  Appendice  al  Diario  di  Ales- 
sandro Sozzini. 

209 


CAPITOLO   VI 

mise  nel  combattere  il  Papato,  Ambrogio  Ca- 
tarino  la  spiegò  nel  difenderlo.  Fattosi  asser- 
tore dell'  immacolata  concezione  di  Maria,] 
dottrina  carissima  ai  senesi,  venne  in  contra- 
sto con  i  superiori  del  proprio  Ordine,  iinj 
frazione  del  quale  lo  rinnegò.  Il  suo  zelo  cat^ 
tolico  lo  trasse  a  combattere  Erasmo  di  Roti 
terdam,  Machiavelli,  ed  anche  il  cardinal  di 
Gaeta  Tommaso  de  Vio,  e  Bartolomeo  Spina^ 
maestro  dei  Palazzi  Apostolici. 

Assai  strano  è  il  caso  che  questo  «  Miles 
Christi  »  del  sec.  XVI  il  quale  riuscì  a  diven- 
tar vescovo  per  lo  spirito  battagliero  cosi  pro- 
fondamente ortodosso,  dopo  morte,  s'  ebbe  da 
Roma  condannate  le  sue  sentenze  su  la  gra- 
zia, la  predestinazione,  ed  il  sacramento  euca- 
ristico. Si  vede  che  un  fato  singolare  prede- 
stinava i  mistici  senesi  a  bruciacchiarsi,  vivi 
o  morti,  nelP  eresia. 

L'  Ochino  non  ebbe  mai  pace.  Invano  cercò 
un  rifugio  a  Basilea  ed  a  Mulhausen.  Discac- 
ciato da  tutti,  si  nascose  in  Moravia,  ove  alfine 
r  accoglieva  tra  le  sue  braccia  la  morte  nel 
1564. 

Un  fatto  è  degno  di  nota.  Chi  fosse  en- 
trato insieme  a  Luca  d'  Olanda  nel  cenacolo 
romano  di  S.  Silvestro  al  Quirinale,  dinanzi 
agli  occhi  pensierosi  di  Vittoria  Colonna  ed 
a  quelli  velati  d'  angoscia  del  divino  Miclie- 
langiolo,   avrebbe    veduto   un    frate    comentare 

210 


Ritratto  di  Fausto  Socini 


(Stampa  sec.  XVII), 


B.    OCIIIXO   E   l'EEESIA   IN   SIENA 

sottilmente  le  epistole  di  S.  Paolo.  Quel  frate 
era  il  senese  xin^brogio  Catarino  Polito. 

Se  lo  spirito  delia  controriforma  trionfai  va 
in  Roma,  ben  ditlìcilmente  riusciva  a  soiìbcarc 
in  Siena,  caduta  nello  mani  di  Carlo  V,  la 
libertà  di  pensare,  di  credere,  di  amare,  con 
queir  entusiasmo  pazzesco  e  generoso  clic  fu 
il  dono  dei  suoi  mistici. 

Il  processo  di  Acliille  BeiiToglienti  mostra 
come  il  fuoco  eretico  covasse  nella  città  mi- 
stica (1).  11  senese  Mino  Gelsi  fuggiva  nel  15G9 
dalle  strette  dell'Inquisizione  favorita  dal  duca 
Cosimo  e  passava  fra  i  Grigioni  e  poi  a  Ba- 
silea cercando  sempre  di  mettere  pace  fra  i 
dissidenti  ;  ed  egli  fu  uno  dei  tre  teologi  pro- 
testanti che,  soli,  disapprovarono  il  supplizio 
del  Serveto. 

Ad  alcuni  eretici  senesi  scacciati  dalla  pa- 
tria, come  il  Gelsi  (2),  e  soprattutto  ai  Socini, 
risale  il  vanto  di  aver  propagato  primamente 
le  idee  che  negano  a  l'uomo  il  diritto  di  con- 
dannare a  morte  un  suo  simile,  e  clie  svilup- 
pate più  tardi  dai  nostri  più  grandi  penalisti 
dovevano  informare  il  codice  della  terza  Italia. 


(1)  Vedi  ne  l'Arcliivio  di  Firenze  il  Carteggio  di  Cosimo^ 
Filza  200  e  214. 

(2)  Vedasi  di  Mino  Gelsi  «  Disputatio  in  hoereticis  coèr- 
cendis  quatenus  progredi  liceat,  ubi  noniinatim  eos  ultimo 
supplicio  affici  non  debere  aperte  demonstratur.   » 

211 


CAPITOLO   VI 

Lelio  e  Fausto  Socini  (1)  uscivano  da  una 
famiglia  di  magistrati  e  pensatori  che  nel  Quat- 
trocento dette  alla  Repubblica  il  suo  più  gran- 
de Umanista  nel  famoso  giureconsulto  Mariano 
il  Vecchio. 

Ohi  non  ricorda  d'aver  veduto  nel  palazzo 
del  Bargello  l'immagine  di  questo  senese  scol- 
pita nel  bronzo  dal  suo  concittadino  il  Vec- 
chietta f  Mariano  è  steso  esanime  sopra  una 
coltre  funerea,  con  le  membra  raccolte  nel  saio 
di  S.  Domenico,  a  piedi  nudi  ;  s' incornicia  nel 
cappuccio  un  viso  solcato  da  rughe  profonde, 
incise  più  che  dagli  anni,  dai  pensieri  ;  su  gli 
occhi  sigillati  ne  le  fosse  delle  orbite  sembra 
che  pesi  il  dolore  dei  mali  ch'egli  presentì  per 
la  sua  patria. 

Ma  r  aspetto  di  quel  volto  è  tranquillo, 
rischiarato  quasi  dalla  luce  della  filosofìa  e 
della  fedo  eh'  egli  ospitò  nella  sua  mente.  Già 
di  lui  scrisse  Pio  II  che  lo  conobbe:  «  il 
volto  suo,  come  Socratico,  sempre  è  d'una  me- 
desima qualità,  ne  mai  si  muta  > .  E  nel  libro 
dei  morti  di  S.  Domenico  si  legge  «  che  i  suoi 
consigli  erano  stimati  come  se  fossero  proce- 
duti dalla  bocca  di  Dio  ». 

Nella  prefazione  alla  Storia  di  due  Amanti 
dedicata  a  Gaspare  Slyck  cancelliere    cesareo, 
il  Piccolomini  ci  offre  il  ritratto  del  suo  ami- 
li) Vedi  illustraz.  n.^  24. 

212 


B.    OCniNO   E   L^  ERESIA   IX   SIEXA 

CO  Mariano  Sozzini.  «  Costui  e  eloquente  :  è 
dottore  in  ragione  canonica  e  civile;  ò  buono 
istoriografo,  dotto  in  poesia,  e  leggiadramente 
in  latino  ed  italiano  i  suoi  versi  scrive.  Sa 
quanto  Platone  in  filosofìa,  come  Boezio  è 
geometra,  pari  a  Macrobio  nella  musica  e  non 
v'  ha  istromento  eli'  egli  non  conosca  ;  peritis- 
simo è  in  agricoltura  come  Virgilio.  Sa  ciò 
che  alla  vera  civiltà  si  conviene.  Mentre  che 
le  forze  erano  nel  suo  giovanil  corpo,  egli 
era,  come  Entello,  maestro  di  giuocare  alle 
braccia  ;  ed  in  correre  e  saltare  ed  al  cesto  da 
nessuno  era  superato  >. 

Era  i  diversi  Socini  che  audacemente  rac- 
colsero il  vessillo  della  Ixiforma  caduto  dalle 
mani  di  Bernardino  Ochino,  in  quel  triste  tra- 
monto di  tutte  le  libertà  senesi,  più  celebri 
son  rimasti  i  ricordati  Lelio  e  Eausto. 

Lelio  Socino  nato  in  Siena  nel  1525  fu 
ammesso  nel  1546,  a  21  anno,  nelF Accademia 
di  Vicenza  ove  cominciò  a  tenere  conferenze 
intese  a  demolire  la  credenza  nella  divinità  di 
Cristo.  Per  meglio  approfondire  1'  esegesi  bi- 
blica egli  studiò  ed  apprese  mirabilmente  il 
greco,  r  ebraico  e  1'  arabo.  Ben  presto  si  vide 
costretto,  per  le  idee  che  professava,  a  lasciar 
l'Italia  e  per  quattro  anni  viaggiò  in  Erancia, 
in  Inghilterra,  nei  Paesi  Bassi,  in  Germania, 
in  Polonia. 

Prese    stanza    finalmente  a  Zurigo,   ove  lo 

213 


CAPITOLO   VI 

ebbero  carissimo  Melantone  ed  altri  capi  della 
Kiforma  Protestante.  Ma  Calvino  in  cuor  suo 
diffidava  di  questo  libero  spirito  troppo  affama- 
to di  verità  e  nel  1552  gli  scriveva:  «  Quel 
clie  v'  lio  detto  già  altra  volta  or  ve  lo  ripeto 
sul  serio  ;  se  non  correggete  cotesto  prurito 
d'  indagine,  temete  d' incontri  gravissimi.  »  Il 
disgusto  di  Lelio  per  1'  intolleranza  di  Calvino 
si  manifestò  ben  presto  in  un  opuscolo  pubbli- 
cato nel  1554  senza  nome  di  autore  ne  luogo 
di  stampa  (1). 

Lelio,  passando  in  Polonia,  aderì  aperta- 
mente alle  dottrine  antitrinitarie  ond'  erasi 
fatto  banditore  Giovanni  Valentino  Gentile  da 
Cosenza,  e  venne  per  tal  guisa  a  capitanare  quel 
gruppo  protestante  unitario  contro  il  quale  s'ac- 
canì con  particolar  gusto  Calvino. 

Lelio  Socino  moriva  a  Zurigo  nel  1562,  ma 
Fausto,  suo  nipote  e  discepolo,  ne  ravvivava  il 
pensiero  sviluppando  la  fede  sociniana  in  una 
piccola  Chiesuola  fondata  a  Cracovia,  la  quale 
fu  distrutta  solo  nel  1658  quando  per  legge 
furono  espulsi  gli  eretici. 

Questa  curiosa  setta  senese  trapiantata  in 
Polonia,  in  mezzo  a  quella  gente  slava  che 
per  ardore  mistico  e  per  mobilità  spirituale  in- 
ducente a  divisione  gii  animi,  ha  diversi  punti 

(1)  S'  intitola  :  «  De  Jiaeretlcis  quo  jiire,  quove  fructii 
coerecndi  sunt  gladio  vel  igne ,  dialogus  inter  Calvinum  et 
Vaticanum.   » 

214 


15.    OCHIXO   E    L'EHIÙSIA   IX    SIENA 

(li  parentela  cou  V  antica  gente  della  città  to- 
scana, si  distinse  da  le  altre  sette  dei  Lni cra- 
ni, Calvinisti,  Ussiti,  Sacramentari,  Anabattisti, 
Triteisti,  Ariani.  La  caratterizza  il  fatto  elio 
da  essa  fu  sbandito  per  la  prima  volta  ogni 
dogma  clic  trascenda  la  ragione,  alla  quale 
Fausto  nella  sua  chiesuola  rivendicò  l'assoluto 
predominio. 

L'Ocliino  aveva  fiitta  l'apologia  della  Fede 
assoluta  in  nome  della  libertà  ;  Fausto  Socino 
fece  l' apologia  della  Ragione  autonoma  nel 
nome  della  medesima.  Cristo,  j^er  lui,  a  diffe- 
renza che  per  Lutero  e  Calvino,  non  è  più  il 
Verbo  incarnato.  Dio  rivelato  agli  uomini,  ma 
un  uomo  che  per  grazia  dello  spirito  supremo, 
assorse  al  grado  di  Maestro  d'  ogni  vero  su  la 
terra,  e  che  meritò  per  questo,  dopo  morto,  gli 
onori  della  Divinità.  N'el  concetto  del  Socino, 
il  Cristo,  per. le  sue  opere  e  dottrine  sublimi, 
merita  di  essere  adorato  come  Dio.  Ma  gli  uo- 
mini sono  pienamente  liberi  nelle  loro  azioni 
ne  possono  riconoscere  al  Cristo  d'  aver  soddi- 
sfatto con  la  redenzione  ai  loro  peccati.  L'uo- 
mo fu  mortale  prima  della  cosiddetta  caduta  ; 
non  si  trasmette  la  colpa  d^  origine.  Ogni  ani- 
ma arriva  a  discernere  da  sé  il  bene  ed  il  male. 
Il  Socino  dà  un  valore  puramente  allegorico 
ai  Sacramenti.  Xella  fede  di  lui  l' idea  reli- 
giosa non  è  che  un  riflesso  dell'  idea  morale. 
La  religione  è  1'  ancella    dell'  Etica.    De'  libri 

215 


CAPITOLO   VI 

sacri  non  si  deve  accettare  nulla  che  contrad- 
dica air  intelligenza. 

Per  queste  dottrine  il  Socino  può  conside- 
rarsi il  padre  del  razionalismo  moderno.  Ma 
se  nel  campo  filosofico  egli  fu  in  certo  modo 
un  precursore  di  Cartesio,  di  Spinoza,  di  Bayle 
e  di  Kant  ;  se  nel  campo  dell'  esegesi  biblica, 
umanizzando  il  Cristo,  negandolo  al  suo  mi- 
stero, annunziò  1'  opera  dello  Strauss  e  del 
Renan  ;  sul  terreno  delle  riforme  umanitarie, 
e  nelle  dottrine  di  diritto  penale  egli  fu  il  pri- 
mo apostolo  del  socialismo  moderno. 

Come  il  Tolstoi,  esagerando  la  dottrina  evan- 
gelica del  perdono,  negò  la  legittimità  della 
guerra  e  quella  di  qualsiasi  magistratura  rive- 
stita di  potere  punitivo. 

Il  Socino  inculcò  ai  suoi  seguaci  di  non 
resistere  al  male,  e  mentre  predicava  agli  uo- 
mini la  concordia  e  1'  amore,  vide  agitarglisi 
contro,  sollevata  dall'  odio  teologico,  la  plebe 
di  Varsavia,  che  l'avrebbe  volentieri  messo  a 
morte.  Egli  si  ritirò  allora  con  pochi  ed  ardenti 
seguaci  in  un  villaggio  distante  10  miglia  da 
Cracovia,  ove  morì  il  3  marzo  1604.  Sopra  la 
tomba  furono  inscritti  questi  esametri  : 

Tota  licet  Babylon  destkuxit  tecta  Lutherus, 
Calvinds  muros,  sed  fundamenta  Socinus. 


jgi_ 


216 


Busto  presunto  di  Brandano. 

SIENA.  (Museo  dell'  Opera  del  Duomo) 


zx^     Il      i1|<>|i  I      II     >0>c     II      I  ioli  I      II     ><>< — rr 


CAPITOLO  YII. 


BRA^DANO    IL    PAZZO    DI    CRISTO. 


Singolare,  caratteristica  è  la  figura  di  que- 
sto profeta  plebeo.  La  sua  storia  ondeggia  ne- 
cessariamente fra  la  realtà  e  la  leggenda  per- 
chè visse  in  una  tempesta  di  furiose  passioni; 
ed  il  popolo  senese,  il  quale  lo  proclamò  beato 
a  dispetto  della  Curia  romana,  volle  glorificare 
se  stesso,  immortalando  nel  nome  di  lui,  come 
in  un  vessillo  fatale,  la  propria  fede  in  Dio 
e  nella  Repubblica,  e  1'  odio  tenace  per  i  vio- 
latori delle  libertà  cittadine  clie  Brandano 
seppe  manifestare  con  fremiti  di  ribellione 
contro  Clejnente  VII  e  1'  imperatore  Carlo  V. 

Malgrado  il  fervido  amore  portato  al  Cri- 
sto, egli  non  ricorda  alcuno  dei  santi  cristiani  ; 
e  la  violenza  delle  sue  minacce,  delle  sue  pe- 
nitenze, delle  sue  azioni,  supera  quella  di 
molti  apocalittici  cristiani.  La  sua  intima  psi- 
cologia  religiosa,  per   taluni    aspetti    più    che 

217 


CAPITOLO   VII 

cristiana  è  giudaica,  soprattutto  se  la  si  con- 
sideri lumeggiata  dall'  interna  vis  profetica  ; 
aiiclie  le  condizioni  che  travagliavano  la  sua 
patria,  Siena,  consimili  a  quelle  attraversate 
dal  popolo  ebreo  quando  generò  grandi  con- 
duttori religiosi,  son  tali  da  farci  comprendere 
lo  spirito  aspro  d' insofferenza,  fiero,  implaca- 
bile, che  accese  quest'  uomo  il  quale  non  in- 
dietreggiò neppure  dinanzi  al  pensiero  dell'omi- 
cidio politico, 

I  mistici  senesi  furono  dei  violenti:  violen- 
ti nella  carità  come  Caterina  Benincasa  ;  nel- 
r  apostolato  sociale  come  il  Colombini  ;  nella 
predicazione  come  San  Bernardino  ;  tutti  usa- 
rono verso  gli  umili  e  verso  i  superbi  del 
mondo  il  medesimo  linguaggio  schietto,  rude, 
imperatorio.  Tutti  da  Santa  Caterina  fino  a 
Davide  Lazzaretti  (1)  ebbero  in  sommo  dispre- 
gio la  propria  vita  e  si  mostrarono  desiderosi 
di  sacrificarla  per  il  bene  degli  altri,  così  che 
il  segreto  del  loro  fascino  sulle  moltitudini 
vien  spiegato  in  gran  parte  dalla  bellezza 
dell'  offerto  martirio,  dalla  posta  eroica  del 
proprio  sangue  eh'  essi  misero  come  prezzo 
della  vittoria.  Tutti  o  quasi  attraversarono  le 
fiamme  dell'  eresia,  ma  nessuno  come  Branda- 
no  fu  sì  violento  nell'  amore   della    patria,  da 

(1)  Sopra  Davide  Lazzaretti  ed  il  Lazzaretti  sino,  non  ancora 
spento  su  la  montagna  di  S.  Fiora,  pubblicai  un  saggio  nel 
giornale  «  La  Voce  »  Anno  I,   2  dicembre,   1909. 

218 


BRAXDAXO   IL   PAZZO   DI   CraSTO 

offrirci  il  tipo  cV  una  vigorosa  ed  originalissi- 
ma personalità  mistica,  clic  più  ci  meraviglia, 
quando,  dopo  averla  storicamente  ricostruita, 
consideriamo  che  potè  assorgere  alTonor  degli 
altari  senza  che  lloma  riuscisse  ad  impedirlo. 

Del  culto  religioso  goduto  in  patria  da  Bran- 
dano  non  possiamo  dubitare.  Difatto  nelle  me- 
morie della  Compagnia  della  Madonna  sotto 
r  Ospedale  scritte  poco  dopo  la  sua  morte,  gli 
viene  attribuito  il  titolo  di  beato  (1)  e  si  as- 
serisce che  egli  avesse  lo  spirito  di  profezia  : 
certamente  il  popolo  lo  credeva  un  santo,  giac- 
che quando  il  cadavere  fu  trasportato  dalla 
casa  di  Giovan  Battista  Buoninsegni,  in  Siena, 
ov'  egli  morì,  alla  chiesa  di  San  Martino  nella 
quale  venne  con  molti  onori  sepolto,  grandis- 
sima fu  la  ressa  dei  devoti  secondo  la  testi- 
monianza di  un  contemporaneo,  che  si  litiga- 
rono i  brandelli  delle  vesti  per  serbarli  come 
reliquie,  e  sempre  dipoi  il  popolo  lo  tenne  in 
fama  di  santità,  e  1'  arcivescovo  Camillo  Bor- 
ghesi Tanno  1G12  fece  pubblicare  un  editto  in 
cui  esortava  i  fedeli  a  venerarlo  come  beato. 

Oggi  il  ricordo  del  profeta  popolare  che 
parve  nel  corpo  avvilito  ospitar  1'  anima  della 
Repubblica  moribonda  si  è  quasi  dileguato,  ed 
il  suo  nome,    più    che   nelle  preci  dei    devoti, 

(1)  Il  decreto  è  riportato  dal  Pecci  a  pagina  83  della 
Vita  di  Brandano,  pubblicata  iu  Siena  i)er  Fhanc.  Quinza 
€d  Ag.   Bi>'di,  nel  1746. 

219 


CAPITOLO  VII 

si  riode  talvolta,  per  antico  proverbio,  lanciato 
come  insulto  da  qualche  lingua  popolana:  Ya 
là  !  Sei  un  Brandano  !  —  significa  :  vattene, 
straccione  ! 

L'  umiltà  delle  vesti  lacere  onde  gloriavasi 
11  profeta,  e  che  già  parve  segno  di  perfezione 
ai  contemporanei,  da  parecchio  tempo  è  sino- 
nimo di  avvilimento,  da  quando  cioè  nella  me- 
moria del  popolo  senese  si  è  oscurata  l' imma- 
gine bizzarra  e  temuta  dell'apostolo  eremita, 
del  quale  alcuni  vogliono  tramandate  le  sem- 
bianze mortali  in  un  caratteristico  busto  d'ignoto 
autore  (1). 

Yi  è  qualcosa  di  michelangiolesco  in  quel- 
la scarna  faccia  dagli  occhi  pieni  di  martirio 
e  dal  forte  naso  dominante  l'ampia  barba  fluen- 
te sul  petto  sì  da  ricoprirlo  tutto.  Atteggiato 
a  giudice  severo  e  sdegnoso,  sembra  davvero 
eh'  egli  pronunci  in  tono  aspro  le  parole  am- 
monitrici della  scritta  che  ricorre  sul  piedi- 
stallo :  «  Eicordatevi  che  dovete  morire.  Per 
voi  non  vi  è  altro  che  il  ]3aradiso  o  l' inferno. 
Averete  il  paradiso  se  operarete  bene.  Averete 
1'  inferno  se  operarete  male  > . 

N'ella  Confessione   di .  Brandano    (2)    ci    si 

(1)  Vedi  illustraz.  n.'^  25. 

(2)  Vedasi  il  Cod.  K,  Vili,  55  della  Bibl.  com.  di  Siena. 
Vi  si  legge  :  «  La  presente  vita  o  confesso  di  Brandano  è 
stata  scritta  e  conservata  da  Simon  Pietro  Cipriano  nel  suo 
originale  molto  antico,   scritto  da  Tommè  Squarci    contempo- 

220 


BKANDANO   IL  PAZZO   DI   CRISTO 

offre  del  mistico  senese  un  ritratto  il  quale 
sembra  la  descrizione  di  quello  dipinto  dal  ni- 
pote Anselmo  Garosi  che  si  conserva  nella  sa- 
crestia della  chiesa  di  Provenzano  in  Siena  (I). 
Ivi  si  legge  eh'  egli  «  portava  li  capelli  lon- 
ghi  fino  alle  spalle  folti  e  sparti,  era  di  volto 
assai  fiero  et  haveva  aspetto  di  persona  rozza  ; 
nella  statura  del  corpo,  nella  disposizione  della 
persona,  nei  gesti,  nei  costumi,  si  mostrava 
simigliante  agli  apostoli  di  Gesù  Cristo  e  fu 
loro    imitatore   nella   penitenza  ». 

Bartolomeo  Garosi  nacque  di  famiglia  con- 
tadina verso  il  1490  in  Petroio,  paese  di- 
stante una  ventina  di  miglia  da  Siena.  Il  padre 
si  chiamava  Savino  e  la  madre  Meia,  diminu- 
tivo di  Bartolomea,  nome  che  pur  s'  ebbe  il 
figlio  soprannominato  a  sua  volta  Brandano. 

La  giovinezza  di  Brandano,  come  quella 
di  altri  santi,  fu  molto  scandalosa  essendo  egli 
grande  bestemmiatore  e  dedito  viziosamente  al 
giuoco.  Un  giorno  mentre  zappava  la  terra 
d'un  campo,  da  una  scheggia  di  pietra  infran- 
ta restò  percosso  nella  pupilla  dell'  occhio  si- 
nistro e  privato  in  parte  della  luce.  Del  fatto 
rimase  confuso  e  compunto  e  nacque  in  lui 
un  fermo  quantunque  improvviso  desiderio  di 

raneo  di  Brandano,  dopo  il  suo  ritorno  che   fece    di    Spagna 
il  penitente  Brandano  e  da  me    copiata    fedelmente    Gasi^aro 
Maria  Giannelli  il  2  giugno  179G  et  in  fede  mano  propria  ». 
(1)  Vedi  illustraz.  n.»  26. 

221 


CAPITOLO   VII 

mutar  vita,  per  servire  fedelmente  il  Signore. 
Aveva  allora  38  anni.  Il  medesimo  episodio 
della  cecità,  motivante  la  conversione,  ritrovasi 
nella  vita  d^un  altro  mistico,  il  B.  Franco 
Lippi  vissuto  nella  prima  metà  del  sec.  XIII 
e  che  appare  il  prototipo  del  più  fiero  asceti- 
smo senese.  Ancli^  ^g^h  come  Brandano.  sem- 
bra che  fosse  in  gioventù  dedito  al  giuoco  e 
facile  alla  bestemmia  e  per  punirsi  dei  suoi  falli 
martoriò  il  corpo  orribilmente.  La  sua  cella  ave- 
va seminato  di  spini  e  d'oggetti  pungenti  ed  ogni 
dì  dopo  nona  vi  camminava  a  piedi  nudi.  Si  fece 
un  cimiero  con  cerchi  di  ferro  che  portava  in 
testa  per  tormentarla  e  indossava  un  giaco  di 
grosse  maglie  di  ferro  sulle  carni  flagellate.  E 
incredibile  la  ferocia  dei  primitivi  mistici  se- 
nesi contro  se  stessi.  Bisogna  rileggere  le  vite 
dei  penitenti  eremiti  e  le  cronache  leccetane 
per  intendere  quali  gradi  di  follia  ascetic^a  toc- 
cassero alcuni.  ìfel  convento  di  Lecceto  si  rifu- 
giavano molti  uomini  invasi  dalla  voluttà  della 
penitenza,  e  quivi  fiorirono  i  miracoli,  le  belle 
leggende,  i  fatti  terribili  e  strani  che  abbiamo 
veduti  raccolti  e  descritti  da  Fra  Filippo  degli 
Agazzari.  Ivi  il  B,  Antonio  Patrizi  morì  nel 
1230,  e  sepolto  sotto  la  gronda  d'  un  tetto  nel 
cimitero  comune  dei  religiosi,  ogni  anno  dalla 
sua  bocca  fioriva  un  giglio.  Ivi  il  B.  Pietro 
dei  Bossi  visse  piangendo  la  passione  di  Cristo 
insieme  al  compagno   Giovanni  Incontri,  ed  i 

222 


Ritratto  di  Brandano. 
SIENA.  (Chiesa  di  Provenzano)  Ansklmo  Cakosi. 


BRAXDANO    IL    PAZZO    DI   CRISTO 

loro  A'olti,  consunti  dalle  lacrime,  furono  visti 
ridere  una  Aolta  sola,  dopo  divenuti  cadaveri. 

Santa  Caterina  scosse  per  la  prima  ^11  ere- 
mitani di  Lecceto  dal  lago  stagnante  del  loro 
misticismo  infecondo  ed  esortò  il  beato  Felice 
dei  Tancredi  ed  il  beato  Giovanni  Tantucci 
ad  uscire  dal  deserto  per  predicare  la  parola 
di  Dio.  Ma  gli  spiriti  e  le  forme  dell'  antica 
vita  penitente  non  scomparirono  da  Siena.  E 
Brandano  per  ciò  che  riguarda  la  disciplina 
della  carne  si  ricongiunge  direttamente  ai  mo- 
naci primitivi  e  particolarmente  al  B.  Franco 
Lippi  così  come  x^er  il  fervore  oratorio  a  San 
Bernardino  :  di  originalmente  suo,  derivatogli 
dal  temperamento  e  dalle  condizioni  politiclie 
e  religiose  del  tempo,  ebbe  lo  spirito  profetico 
congiunto  ad  un  mirabile  sentimento  patriot- 
tico. Si  x)uò  dire  che  la  fiaccola  fumosa  del 
vaticinio  egli  brandisse,  incendiario  di  Cristo, 
per  difendere  la  patria  dallo  straniero. 

In  quegli  anni  di  lenta  e  tragica  agonia 
della  gloriosa  Kepubblica,  1'  opera  di  Brandano 
e  perfino  le  sue  cupe  ammonizioni  pervase  dal 
dolore,  non  sono  prive  di  un  misterioso  signi- 
ficato per  chi  voglia  e  sappia  meditarle  in  cor- 
rispondenza con  i  fatti  che  dovevano  seguire. 
S'  adombra  nel  pianto  di  quelle  profezie  l'im- 
minente sciagura  dell'Italia  che  cadeva  vittima 
della  sua  debolezza  morale. 

Brandano  conobbe  eh'  era  destinato  ad  cs- 

223 


CAPITOLO   VII 

sere  la  viva  figura  del  Cristo.  Una  delle  sue 
prime  prediche,  doj^o  il  ritiro  semestrale  a  Mon- 
tefoUonica,  colpì  subito  i  cattivi  sacerdoti  ina- 
sprendo per  tal  modo  contro  di  lui  la  casta 
clericale  nella  stessa  guisa  che  il  Cristo  si  at- 
tirò gli  odi  della  sinagoga.  A  Celle  ed  a  San 
Casciano  fu  ripagato  a  suon  di  bastone.  Un 
giorno  giunse  a  Radicofani  e  nelle  pagine  auto- 
biografiche della  Confessione  racconta  :  «  Era 
il  giorno  di  venerdì  e  per  essere  tutto  percosso 
e  stanco  quelli  della  terra  mi  ricevettero  grata- 
mente con  allegra  faccia.  Il  mio  dolce  Gesù 
mi  ispirava  che  quel  giorno  m' accostarci  alla 
morte;  mi  fu  portato  di  far  colazione  ed  io  di- 
cevo a  loro:  mi  fate  molta  festa  e  mi  tradirete. 
Quelli  rispondevano:  Bartolomeo  non  dubitare 
di  cosa  alcuna,  noi  non  siamo  come  quelli  di 
Celle  e  di  San  Casciano.  Mossi  a  pietà  di  me, 
per  essare  ignudo,  un  soldato  mi  messe  una 
camicia  bianca  addosso  et  io  diceva  con  gran- 
dissima paura:  questa  è  la  porpora  !  Loro  mi 
dicevano  che  non  avessi  paura,  per  derisione  o 
burla.  Quelli  soldati  presero  un  paro  di  forbi- 
ci e  mi  fecero  una  croce  nel  mezzo  della  testa  » . 
E  questo  fu  il  crisma  del  pazzo  di  Cristo. 

Il  padre  Landucci  nella  sua  Selva  leccetana 
riferisce  com'  egli  chiedesse  in  grazia  di  figu- 
rare in  se  stesso  la  persona  del  Buon  Ladrone 
Bel  giorno  del  venerdì  santo,  in  cui  secondo 
P  uso  di  quei  tempi    rappresenta  vasi  material- 

224 


BRANDAXO   IL   PAZZO   DI   CRISTO 

meute  la  passione  del  Salvatore.  Oltennto  il 
permesso  e  collocato  su  la  croce  altro  non  fece 
che  piangere,  e  furono  così  abbondanti  le  la- 
grime che  ne  restò  bagnato  il  pavimento:  de- 
l)OSto  dalla  croce,  ricoprì  la  sua  nudità  vesten- 
do un  sacco  di  capecchio,  ed  a  piedi  scalzi, 
ogni  giorno,  alTalba,  usciva  per  la  terra  di  Pe- 
troio  ad  esortare  la  gente  a  convertirsi,  batten- 
dosi fieramente  il  petto  con  una  pietra  finché 
il  sangue  spicciava  dalla  carne  contusa  in  ab- 
bondanza, eccitato  forse  a  simile  forma  di  pe- 
nitenza dalla  contemplazione  delle  immagini 
di  San  Girolamo  che  si  vedevano  nei  quadri 
religiosi  dei  pittori  contemporanei. 

Questo  fu  il  principio  della  conversione.  Ma 
in  breve  abbandonando  il  suo  corpo  sempre 
più  a  dure  vigilie  ed  a  penitenze  crudeli  si 
sentì  a  poco  a  poco  invaso  di  spirito  profetico, 
ed  acquistata  coscienza  d'  una  misteriosa  mis- 
sione si  dette  infaticabilmente  a  predicare. 

Xei  pulpiti  delle  chiese,  sui  muricelli  delle 
strade  o  delle  piazze,  sx)ecialmente  nei  luoghi 
ove  si  assembrava  più  numeroso  il  popolo  per 
feste  o  mercati,  fu  visto  allora  apparire  una 
figura  strana  di  uomo  che  battendosi  con  una 
pietra  il  petto  richiamava  a  predica  la  gente. 
Egli  portava  sempre  su  di  sé  il  testo  degli 
evangeli,  e  siccome  non  sapeva  leggere,  face- 
vasi  dichiarare  da  qualche  sacerdote  il  passo 
ricorrente  nel  giorno  ;    quindi    improvvisando, 

225 


CAPITOLO   VII 

incatenava  V  attenzione  dell'  uditorio  per  due 
o  tre  ore  di  seguito  tenendo  nella  mano  de- 
stra un  crocifìsso  d'  ottone  con  le  due  Marie, 
come  si  vede  nel  quadro  di  Anselmo  Garosi, 
e  nella  sinistra  un  teschio  di  morto;  avvolto  il 
collo  d'  una  fune,  terribile  nelP  aspetto  della 
pallida  faccia,  ove  lampeggiavano  incavati  nelle 
orbite  due  occhi  olivastri,  e  nel  tono  della  voce 
annunciante  ai  peccatori  i  flagelli  dell'  ira  di- 
vina sterminatrice. 

Naturalmente  questo  pazzo  che  pur  talvolta 
parlava  da  savio  e  del  quale  vedevansi  spesso 
avverati  i  presagi  nella  desolazione  dei  tempi, 
e  che  splendeva  di  rare  virtù,  venne  fatto  ber- 
saglio di  odi  e  d' ingiurie  che  egli  soffriva  con 
gioia.  Il  popolo  senese  si  ravvisò  nel  perse- 
guitato de'  potenti  ;  ma  in  lui  vide  ancora  un 
messo  di  Dio,  un  vendicatore  della  patria  ac- 
cerchiata dagli  eserciti  spagnuoli  e  papali,  e  se 
ne  compiacque,  e  1'  esaltò  con  la  sua  ammira- 
zione plasmata  di  religioso  timore  e  di  patriot- 
tico entusiasmo. 

Quando  in  Siena  decadde  la  fazione  dei 
Nove,  i  Popolari  uniti  con  gli  altri  Ordini  del 
Gentiluomo,  del  Riformatore,  e  dei  Dodici,  e 
con  la  minuta  plebe  stabilirono  di  voler  vivere 
secondo  le  leggi  dell'  antica  libertà  e  mai  più 
soggettarsi  ad  alcun  tiranno  dopo  l'esperienza 
trista  del  Petrucci.  I  Grandi,  scacciati,  anda- 
rono   per  le  corti    d'  Italia  ad  eccitare  tatti  i 

226 


BRANDANO   IL   PAZZO   DI   CRISTO 

principi  contro  la  propria  patria  tincliè  le  loro 
suppliche  furono  accolte  da  Clemente  VII  de- 
sideroso di  piegare  la  città  di  Siena  alla  si- 
gnoria della  sua  casata.  Xeiranno  1526  Siena 
fu  stretta  d'  assedio  dallo  truppe  riunite  dei 
fiorentini  e  del  pontelice.  In  quei  giorni  di 
pericolo  Brandano  incuorò  i  senesi  alla  resi- 
stenza profetando  la  vittoria.  I  pochi  ma  va- 
lorosi senesi  sconfissero  di  fatto  gli  assalitori 
in  una  battaglia  campale,  e  Brandano  dovette 
involarsi  dall'  entusiasmo  popolare.  Il  profeta 
corse  allora  a  Boma  e  cominciò  a  predicare 
per  le  piazze  contro  Clemente  VII  e  contro 
la  città  nemica,  terribili  castighi. 

Fra  Mariano  Fedeli,  che  fu  confessore  di 
Brandano,  scrive  nella  descrizione  della  vita 
di  lui  riferita  dal  Pecci,  il  seguente  fatto  av- 
venuto in  queir  anno  1526  in  Eoma,  come 
dettatogli  da  lui  medesimo  :  «  Io  una  mattina 
ispirato  da  N^òstro  Signore,  entrai  in  campo- 
santo e  pigliai  una  bracciata  di  stinchi  di 
morti,  e  gli  portai  a  una  scala  per  dove  aveva 
da  passare  il  papa  per  dire  la  messa  a  San 
Pietro,  e  pigliando  quelli  stinchi,  mentre  egli 
passava,  ne  dono  uno  per  ciascuno  a  quei  car- 
dinali, e  uno  ne  volsi  dare  al  papa;  ma  egli 
schifandolo,  lo  buttai  ai  suoi  piedi,  sempre 
dicendogli  che  si  raccomandasse  a  Dio  perchè 
ognuno  aveva  da  rosicare  il  suo  osso  :  ma 
nello  scendere  che  io  feci    dalle    scale  di  San 

227 


CAPITOLO   YII 

Pietro  certi  maP  uomini,  o  fosse  la  Corte,  mi 
legarono  e  mi  trascinarono  nella  prigione  di 
Tor  di  ISTona  dove  stetti  sempre  predicando  a 
quei  carcerati  la  parola  di  Dio.  Una  mattina 
a  buon' ora  mi  pigliarono^  e  senza  vedere  dove 
mi  portassero,  mi  sentii  buttare  nel  fiume,  e 
per  la  strada  sentii  sempre  grandissima  quan- 
tità di  popolo  che  piangeva  con  molte  strida  e 
allora  mi  accorsi  che  mi  conducevano  a  farmi 
morire;  ma  subito  cominciai  a  raccomandarmi 
a  Dio,  e  sentii  che  ero  dentro  al  fiume,  e 
r  acqua  mi  faceva  un  grandissimo  strepito,  e 
mi  trovai  legato  in  un  sacco  con  una  cosa 
molto  pesante  :  allargate  le  mani  il  sacco  si 
sciolse  miracolosamente  e  cadde  una  folgore  di 
fuoco,  e  stato  che  io  ebbi  un  pezzo  molto  ri- 
posato fuori  di  sentimento,  mi  trovai  a  San 
Favolo  tutto  impastoiato  nel  sacco,  e  pieno  di 
loto,  e  allora  camminando  truovai  il  papa  che 
andava  alle  sette  chiese,  e  dopo  che  egli  mi 
ebbe  guardato  con  molta  meraviglia,  gli  dissi 
molte  cose  dell'  ira  di  Dio  contro  di  lui,  rim- 
proverandogli, e  ch'erano  finite  le  sue  felicità 
di  questo  mondo  ;  ma  egli  impetuosamente  mi 
fece  di  nuovo   carcerare. 

Sembra  che  il  papa  di  ciò  si  ripentisse  e 
lo  facesse  uscire  di  prigione  col  dire  :  «  se  egli 
è  matto,  è  pazzia  il  fargli  male  ;  se  egli  poi  è 
persona  buona  e  grata  a  Dio,  peggio  è  stra- 
ziarlo. »   Questo  detto  sensato  del  pontefice  ri- 

228 


BEANDAXO   IL   PAZZO    DI   CRISTO 

ferisce  come  autentico  Angelo  Bardi,  un  con- 
temporaneo, nella  sua  storia  di  Siena,  inedita. 
Sta  il  fatto  che  d'allora  in  poi  Brandano  non 
ebbe  più  molestie  e  potò  continuare  le  sue 
prediche  per  le  vie  di  Koma,  lanciando  vati- 
cini d'  imminente  rovina  che  tutti  videro  av- 
verarsi l'anno  seguente  1527,  nel  funesto  sacco 
di  Roma,  compiuto  dalle  truppe  imperiali, 
quando  il  papa  stesso  fu  fatto  prigione. 

L'  odio  di  Brandano  per  il  pontetìce  (1)  fu 
solo  superato  da  quello  che  nutrì  per  gli  spa- 
gnuoli.  Xarra  una  vecchia  cronaca  che  al- 
lorquando D.  Diego  di  Mendoza  condusse  in 
Siena  il  jiresidio  spagnuolo  si  vide  il  profeta, 
il  quale  camminando  per  la  città  «  haveva 
gli  occhi  piangoleggi  e  lacrimosi  >  onde  il 
popolo  gli  domandava  la  causa  di  ciò  et  egli 
rispondeva  :  <  Io  accieco  di  fumo  e  se  non  si 
muta  vento  Siena,  tu  sei  spedita  » ,  accen- 
nando la  superbia,  F  arroganza,  la  vanagloria 
degli  spagnuoli  e  che  però  la  città  era  per 
cambiar  costumi  ed  ogni  cosa  doveva  ridursi 
in  fumo.  Infuriato  egli  diceva  :  «  Siena  tu  ti 
sei  messa  il  topo  nel   borsello,   ti   roderà  i  co- 

(1)  A  i)apa  Clemente  il  mistico  senese  non  dette  mai  pace 
e  quando  si  rifugiò  in  Orvieto,  Brandano  l'inseguì  cercando  di 
persuadere  gli  orvietani  a  scacciarlo  dalla  città  come  autore  di 
rovine,  così  che  il  papa  dicesi  UvScisse  in  questa  esclamazione  : 
«  Potest  ne  facere  Deus  quod  Senenses  me  persequantur  ul)i- 
qne  ».   (Tolga  Iddio  che  i  Senesi  mi  perseguano  dappertutto). 

229 


CAPITOLO   VII 

xeggioli  et  t'aprirà  la  borsa,  non  ti  lasserà  quat- 
trini ». 

Il  Mendoza  (1)  nel  1548  onde  meglio  assi- 
curarsi la  signoria  della  Repubblica  ordinò  la 
costruzione  d'  una  fortezza.  Contro  questo  dise- 
gno d'oppressione  insorse  l' ira  popolana  dei  se- 
nesi   gelosi  della  propria    libertà,  ed  anche  in 
quest'occasione  tra  i  più  violenti  apparve  Bran- 
dano.  Per  le    vie  della  città  eccitava  la  plebe 
alla  rivolta  e  gridava  alto  il  ritornello  :  «  Don 
Diego,  Don  Diego,  ti  cacceranno  le  donne  con 
le  canne  > .  Il  Sozzini,  un  cronista  senese,  ec- 
cellentemente informato,  ci  dice  che  Brandano 
non  si  limitò  alle  minacce  con  il  Mendoza  ed 
essendo  stato  dallo  spagnuolo  pagato  per  quelle 
con  il  bastone  «  disegnò...  di  ritornare  un  altro 
giorno,  e  con  una  buona  pietra  dare  in  la  testa 
a  Don  Diego  ed  ammazzarlo  :  né  si  curava  poi 
di  esser  morto  e   dilaniato  lui.  Et  essendo  ve- 
nuto il  giorno  da  lui  pensato  mise  due  buone 
pietre  vive  in  seno  e  se  n'andò  in  detto  luogo  : 
e  i3er  sua  mala  sorte  vedde  uno  spagnuolo  con 
il    suo    saio    rosso.     Pensando    lui    fosse    Don 
Diego,  gli  avventò  una  pietra  alla  volta  della 
testa  e  non  lo  investi  appieno.  Gli  furon  subito 
messe  le  mani   addosso,    e    interrogato   perchè 
lui  avesse  tirato  a  quel    soldato,  audacemente 
rispose:     «  Perdonatemi  che    ho    preso  errore, 

(1)  Vedi  illustraz.  n.®  27. 

230 


Ki»t.   . Miliari. 


Ritratto  di  don  Diego  da  Mendoza. 


Milita,  Mjiirto.   riffor,  rornt',   hxko   <•  jx'lli' 
l,i  ila    In   ylll,    rìir    in    />ir<li   In    /iiiiini 


Tl/.IAN<». 


BRANDAXO   IL  PAZZO   DI   CRISTO 

perchè  pensava  fosse  Don  Diego  » .  Domanda- 
tolo perchè  voleva  dare  a  Don  Diego,  rispose  : 
«  Perchè  non  voglio  facci  male  alla  città  delli 
miei  cittadini  che  non  lo  meritano  »  (1).  Il 
capitano  per  paura  del  popolo  non  osò  di  uc- 
cidere Brandano,  ma  lo  fece  esiliare  (2). 

Un'  altra  volta  il  cupo  profeta  avvicinatosi 
ad  un  tal  capitano  Morone,  spaglinolo,  che  con 
un  bastone  alla  mano  eccitava  i  lavoranti  alla 
fortezza  di  far  presto,  gli  disse:  «  Fate  quanto 
volete  non  vedrete  questa  cittadella  finita  ». 
Indi  si  mise  a  rimproverare  i  muratori  che  la- 
vorassero ad  un'opera  come  quella.  Il  capitano 
sdegnato  lo  percosse  allora  più  volte  col  basto- 
ne. Brandano  gli  annunziò  che  in  quel  giorno 
stesso  egli  sarebbe  morto,  ciò  che  avvenne,  e  gli 
spagnuoli  non  avrebbero  compiuta  la  fabbrica 
della  fortezza,  ed  anche  questo  si  avverò,  perchè 
i  senesi  soccorsi  dalle  armi  del  re  di  Francia 
scacciarono  nel  1552  gli  spagnuoli  e  demolirono 
la  fortezza,  lasciando  solo  in  piedi  quella  parte 
la  quale  fascia  d'  una  muraglia  la  città. 

L'  Imperatore  Carlo  V  per  questo  scacco 
patito  dalle  sue  armi    montò  su  tutte  le  furie 

(1)  Cfr.  Diario  delle  cose  avvenute  in  Siena  dai  20  luglio 
1550  ai  28  giugno  1555,  scritto  da  A.  Sozzixi,  Firenze.  Vies- 
seux,  1842. 

(2)  Fra  1  Deliberati  dei  Dieci  Conservatori  vi  è  la  con- 
ferma di  un  bando  per  tre  mesi  da  Siena  inflitto  a  Brandano 
(9  marzo  1547).  (A.  S.  S.  Dieci  Conserv.  di  Libertà:  deliba 
ad  annum  f.°  131)  Archivio  di  Stato  di  Siena. 

231 


CAPITOLO   VII 

ed  avrebbe  subito  mosso  guerra  alla  repubblica 
senese,  colpevole  di  non  aver  voluto  accettare 
supinamente  il  suo  giogo  velato  d'ipocrisia,  se 
non  ne  fosse  stato  impedito  dalle  forze  degli 
elettori  Maurizio  duca  di  Sassonia  ed  il  mar- 
chese Alberto  di  Brandeburgo  che  gli  s'  eran 
congiurati  contro  in  Germania  forzandolo  a 
fuggirsi  da  Innsbruck.  Ma  ormai  il  dado  era 
giuocato  fra  Siena  e  1'  imperatore.  Quei  citta- 
dini che  per  troppi  anni  s'erano  dilaniati  nelle 
vane  discordie  interne,  dinanzi  al  pericolo  im- 
minente, parvero  come  per  prodigio  riacqui- 
stare ad  un  tratto  le  più  eroiche  energie  del- 
l' antica  potenza. 

Un  italiano  non  può  leggere  senza  profonda 
commozione  le  pagine  ignorate  dei  commen- 
tari e  quelle  dei  diari  in  massima  parte  ine- 
diti, che  descrivono  le  lotte  di  Siena  negli 
anni  dolorosi  della  prova  ultima.  La  piccola 
città  toscana  che  resiste  agli  eserciti  di  Carlo  V 
ci  offre  uno  spettacolo  di  gloriosa  bellezza  rie- 
vocato potentemente  in  una  tela  dell'  Aldi 
che  sta  in  Campidoglio.  Allora  rifulse  in  una 
luce  di  cateriniano  splendore  la  virtù  delle 
donne  senesi  capitanate  da  Laudomia  Forte- 
guerri,  da  Fausta  Piccolomini  e  dalla  popo- 
lana Livia  Fausti  (1).  Ancor  risuona  sopra  il 

(1)  Fra  queste  donne  v'erano  delle  poetesse  che  cantavano 
le  gesta  della  patria,  incitando  gli  animi  a  difendere  concordi 
la  libertà.  Kicordiamo  Aurelia  Petrucci,  Atalanta  Donati,  Laii- 

232 


I 


BRAXDAXO   IL   PAZZO   DI   CRISTO 

loro  coraggio  la  generosa  lode  del  prode  ma- 
resciallo di  Montine  :  «  Xon  sarà  giammai, 
donne  senesi,  eli'  io  non  immortali  il  vostro 
nome  sintanto  che  il  libro  di  Montine  vivrà  : 
perchè  invero  voi  siete  degne  di  lode  immor- 
tale, se  mai  degne  ve  ne  fnrono.  Al  principio 
delhi  belhi  risoluzione  che  questo  popolo  fece 
di  difendere  la  sua  libertà,  tutte  le  donne 
della  città  di  Siena  si  divisero  in  tre  parti  : 
la  prima  era  condotta  dalla  signora  Forte- 
guerri,  eh'  era  vestita  di  color  viola  e  tutte 
della  compagnia  che  la  seguivano  erano  del 
medesimo  colore,  avendo  gii  abiti  alla  guisa 
di  ninfe,  corti  tanto  che  mostraA^no  mezza  la 
gamba.  La  seconda  conduceva  la  Piccolomini 
vestita  di  raso  incarnatino  e  la  sua  compagnia 
era  dell'  istesso  costume.  La  terza,  Livia  Fau- 
sti, tutta  di  bianco,  siccome  eran  quelle  che 
la  seguivano  con  l' insegna  bianca.  E  sulle 
loro  insegne  v'erano  di  belle  imprese  ed  assai 
pagherei  a  ricordarmele.  Questi  tre  squadroni 
si  componevano  di  tremila  donne,  parte  della 
nobiltà  e  parte  del  popolo.  Le  loro  armi  erano 
picconi,  pale,  fascine  e  gerle,  e  con  queste  fe- 
cero la  loro  mostra  e  se  n'andarono  a  comin- 
ciare lo  fortificazioni.  Il  signore  di  Termos 
che  me  ne  ha  sovente    raccontato    (perchè    in 

domia  Forteguerri,  Silvia  Piccolomini.  Cfr.  Rime  diverse  di 
alcune  nobilissime  et  virtuosissime  donne.  -  Lucca,  Basdrago, 
1559. 


CAPITOLO   VII 

quella  città  non  ero  ancor  giunto)  assicuraya 
di  non  aver  visto  mai  in  sua  vita  spettacolo 
più  bello.  > 

In  queir  assedio  combattuto  ingenerosa- 
mente da  Firenze  alleata  all'  imperatore  ai 
danni  di  Siena,  rifulse  tuttavia  la  spada  d'un 
fuoruscito  ed  ardente  repubblicano  fiorentino, 
Piero  Strozzi,  degno  di  essere  rav^'icinato 
all'  altro  lontano  suo  concittadino.  Farinata 
degli  liberti,  clie  pugnò  sull'Arbia  fra  le  file 
de'  senesi.  Lo  Strozzi  fu  prode  ma  infelice 
campione.  In  uno  degli  scontri  più  importanti, 
a  Scannagallo,  perfino  i  cavalieri  francesi  del- 
l' esercito  alleato  lo  tradirono  abbandonandosi 
ad  ignominiosa  fuga.  I  contadini  di  codesta 
contrada  rievocano  ancora  nei  versi  di  una 
dolorosa  canzone  le  gesta  di  quella  giornata 
di  sangue.  E  risolcando  i  campi  lungamente 
arati,  cantano  talvolta  nei  crepuscoli  : 

Meglio  de'  vili  camalli  di  Pranza 
le  nostre  donne  fecero  provanza 


col  ferro,  co'  piedi 

caduti  nel  fosso 

ci  vennero  addosso, 

che  1'  acqua  non  corse 

se  rossa  non  era, 

o  Pietro  di  Strozzi 

Ferito  nel  fianco 

da  palla  nemica 

fra  gli  nrgli  e  i  singliiozzi 

234 


BRANDAXO   IL   PAZZO   DI   CRISTO 

d'  amara  fatica 
morire  volevi, 
e  non  il  potevi. 


Sul  valore  dimostrato  dai  senesi  (1)  duran- 
te r  assedio  valgano  queste  testimonianze  del 
maresciallo  di  Montine  :  <  Voglio  dar  questa 
lode  ai  senesi  per  la  verità,  come  è  vero  Iddio, 
che  non  si  trovò  mai  un  uomo  vecchio  o  gio- 
vane, che  restasse  a  casa  e  che  non  prendesse 
le  armi  »  (2).  Ed  in  altro  luogo  dei  Commen- 
tari il  Montine,  ricordando  il  ragionamento 
che  fece  ai  romani  sbigottiti  quando  il  Duca 
d'  Alba  s'  accostava  a  Roma  al  tempo  di  Pao- 
lo lY,  esce  in  queste  parole  :    «  Piuttosto  pi- 

(1)  Nel  diario  di  Alessandro  Sozziui  è  ricordato  questo 
episodio  dell'  assedio  che  ci  mostra  il  cuore  gaio  e  robusto 
dei  difensori.  I  Giovani  senesi,  in  una  giornata  di  tregua  sce- 
sero in  Piazza,  per  più  di  due  ore  fecero  un  magnifico  gioco 
di  Pallone.  Finito  il  gioco  del  Pallone,  si  fece  dare  nelle  Trom- 
bette, e  ciascuno  andò  al  suo  Terzo,  e  si  fece  un  bellissimo 
affronto  di  gioco  di  Pugna  ;  per  il  quale  Monsignor  Montluch 
venne  in  tanta  allegrezza  che  quasi  per  tenerezza  lacrimava, 
dicendo  che  mai  aveva  visto  di  più  coragiosi  giovani  di  loro. 
Gli  fu  risposto  da  alcuni  dicendo  :  «  Oh  pensate  se  noi  mena- 
remo  le  mani  contro  i  nemici,  quando  ci  diamo  infra  noi,  e 
la  sera  poi  stiamo  tutti  amici  ».  Finito  il  gioco  delle  Pugna, 
si  sentì  una  voce  gridare:  Alle  guardie,  alle  guardie!...  In 
un  subito  uscirno  di  piazza  per  pigliare  1'  arme  e  andare  o- 
gnuno  ai  suoi  luoghi    deputati  ». 

(2)  Cfr.  jL'  Assedio  di  Siena  pag.  75.  Firenze,  Lumachi, 
1905. 

235 


CAPITOLO  VII 

glierei  a  difendere  Siena  con  le  sole  donne 
senesi,  che  a  difender  Eoma  con  i  romani  che 
al  presente  ci  sono  » . 

Queste  gesta  eroiche  viventi  tuttora  nel 
lirismo  dei  canti  contadineschi  ci  riconducono 
a  Brandano,  ed  a  noi  piace  di  riavvicinare  a 
lui  la  figura  del  primo  santo  e  martire  senese, 
il  soldato  Vittorio.  Fra  questi  due  santi  svol- 
gesi,  come  fra  due  poli,  la  storia  più  gloriosa 
della  città  di  Siena.  Il  primo  un  martire  della 
fede,  profeta  di  gloria  ;  1'  ultimo  un  martire 
della  penitenza,  profeta  di  morte. 

Meglio  di  molti  altri  sapienti,  questo  pazzo 
di  Cristo  seppe  scorgere  nell'  indisciplina  mo- 
rale, nelle  discordie  fratricide  e  nella  lotta  fa- 
tale fra  la  Erancia  e  l'Impero,  in  mezzo  alle 
cupidigie  temporalesche  della  Chiesa,  le  cause 
principali  della  rovina  non  solo  della  Repub- 
blica, ma  dell'  Italia, 

Il  vecchio  profeta,  aifranto  dai  patimenti 
e  dalle  persecuzioni  sofi^'erte,  chiuse  la  bocca 
alle  minacele  dinanzi  ad  una  luminosa  speranza 
balenatagli  nel  cuore  con  l'avvento  di  Giulio 
III,  eletto  papa  nel  1550,  quando  già  volge- 
vano funesti  i  tempi  su  la  misera  Eepubblica 
senese. 

Il  superbo  Brandano  mosso  dalla  carità  di 
Cristo  e  della  patria,  indirizzò  allora  una  let- 
tera al  nuovo  Pontefice,  nobilissimo  documento 
della  sua  vita  d'  apostolo  riformista    e    di    pa- 

236 


BKAXDANO   IL   PAZZO   DI   CRISTO 

triota,  lina  lettera  rimasta  fìu  qui  inedita,  clic 
è  fra  le  più  umanamente  vibranti  del  secolo 
XTI.  Eccola  trascritta  :  (1) 

«  Io  Bartolomeo  Brandano  scrivo  a  Voi 
Santo  Padre  Papa  Giulio,  Pastore  della  Gran 
greggia  cristiana,  quanto  sete  obbligato  veglia- 
re et  star  desto  acciò  le  pecorelle  non  vadino 
in  perdizione  per  vostra  negligentia  perchè  di- 
nanzi al  Pastor  vivente  liaiete  a  render  stretto 
conto  per  voi  e  per  le  pecorelle  che  sono  per- 
se per  non  haver  dato  la  vera  sapientia  et 
vivi  lumi  i  quali  sete  obbligato  essendo  voi 
in  luogo  di  Cristo  et  egli  vi  ha  dato  le  chia- 
vi per  aprire  e  serrare  la  porta  del  paradiso, 
e  quando  il  pastore  dorme,  perde  la  serratura 
e  perde  V  ordine  dell'  aprire.  Intendetela,  San- 
to Padre,  havete  da  essare  quella  viva  sapien- 
tia la  quale  lega  V  hommini  con  Dio  insieme 
in  pace  et  unità,  com'  era  il  glorioso  S.  Pie- 
tro, S.  Silvestro  e  S.  Gregorio.  Veramente  loro 
sono  stati  veri  pastori  d'  anime,  conforme  al 
vivente  Pastore,  et  hanno  fatto  grande  frutto 
per  loro  e  per  le  pecorelle  alle  quali  hanno 
mostrato  la  vera  via  mettendole  nella  viva 
pastura  e  sant'  erbe  fresche  et  odorifere  piene 
di  soavità,  e  1'  hanno  menate  alla  fonte  viven- 
te dove  sempre  sono  state  et  non  hanno  più 
né  fame  né  sete  et  così  bramo    et    desio    del 

(1)  Cfr.   Cod.   CU.  della  JBihI.   Com.  di  Siena. 

237 


CAPITOLO   VII 

vostro  intelletto  che  si  riempisse  delli  sette 
doni  dello  Spirito  Santo  e  delle  sette  opere 
della  Misericordia,  che  fussi  buono  dispensa- 
tore delli  tesori  che  vi  son  dati  da  Cristo  a 
ciò  che  dinanzi  a  Dio  allegro  potiate  cammi- 
nare. 

«  O  Santo  Padre,  o  dolce  Pastore,  voi  ve- 
dete in  quanti  pericoli  è  passata  la  mina  delle 
povere  creature  del  Creatore,  e  tutto  questo 
procede  da  i  Pastori  i  quali  sono  il  sale  della 
terra  e  la  luce  del  mondo  ;  ogni  cosa  diventa 
cattiva  ;  vigilate. 

«  Svegliatevi  Santo  Padre  e  pregate  il 
Padro  Eterno  che  vi  apra  i  sensi  ad  intenda- 
re  la  Scrittura,  e  le  vie  per  le  quali  dovete 
camminare  per  guidare  il  gregge  al  luogo  si- 
curo. A  voi  s'  apparterrebbe  d'  essa  re  tutta  la 
Carità,  e  fra  1'  Imperatore  ed  il  Re  di  Fran- 
cia mettare  la  santa  pace,  mostrando  quest'al- 
tezza sopra  il  timor  di  Dio  e  questa  gloriosa 
verità  che  discesa  di  cielo  in  terra  ci  ha  ri- 
comprati col  suo  preziosissimo  sangue. 

«  Hoimmè  !  Io  vedo  il  contrario,  oggi 
s'  adora  il  Dio  del  ventre  ;  e  la  gloria  di  Dio 
ognuno  se  V  appropria  per  se,  e  la  Pace  e  la 
buona  Volontà  è  tornata  in  cielo  et  hora  quag- 
giù non  si  trova  ;  in  modo  che  ognuno  la  me- 
na neir  ombra  della  morte  ;  hoimmè  !  quanto 
conto  dovete  rendere  a  Dio  ! 

«  L'  anno  passato  il  vostro    meschino    ni- 

238 


BRANDAXO   IL   PAZZO   DI   CRISTO 

potè  (1)  con  tutta  crudelità  fu  nel  contado  di 
Siena  e  quanti  ne  fece  morire,  e  voi  ne  siete 
a  parte  di  questa  sentenzia  appresso  Dio  e 
non  ci  sarà  sensazione.  Io  dissi  alla  sua  ma- 
dre lloma,  che  facessi  orazione  per  il  suo  tì- 
glio ;  stava  in  pericolo  d'  essere  ammazzato, 
quest'  anno  ò  ritornato,  ma  1'  uomo  propone 
e  Dio  dispone  ;  voleva  ritornare  in  Siena  per 
forza  ;  entrato,  ma  non  come  voleva,  per  vo- 
stro amore  lo  tengono  da  gentil  signore  con 
molta  caritade....  io  vi  avviso.  Santo  Padre, 
anzi  Pas^tore,  che  voi  non  pigliate  impresa 
contro  la  città  vecchia  di  Siena,  che  è  città 
dell'alta  Peina  che  1'  ha  guardata  e  guarderà, 
e  chi  contra  ci  verrà,  malcontento  se  ne  par- 
tirà ;  vi  fo  intendere  questa  profezia,  che  que- 
sto campo  che  è  intorno  a  Siena  sarà  levato 
via,  con  sua  grande  doglia  e  gran  malinconia, 
presto  sarà.  Santo  Padre.  Aprite  1'  orecchio 
della  mente  a  Gesù  Cristo,  domandate  gran 
tesori  e  divini  quali  avete  a  dispensare  di 
questo  fonte  della  viva  Fede  e  della  viva  Spe- 
ranza. Tremate,  tremate  come  fa  il  vecchio 
neir  acqua,  che  voi  non  abbiate  qualche  fiacca 
maggiore  che  non    ebbe    papa    Clemente;    da 

(1)  Credo  che  si  alluda  ad  Ascanio  della  Cornia,  nipote 
di  Giulio  III,  comandante  le  truppe  italiane  ne  l'esercito  im- 
periale e  che  ferito  in  un  fatto  d'  arme,  fu  condotto  in  Siena 
prigione  di  Piero  Strozzi.  Per  riguardo  al  Papa  gli  era  usato 
ogni  riguardo.   Cfr.   Diario  cit.   di  A.   Sozzini. 

239 


CAPITOLO   VII 

levante  a  ponente  verrà  tanta  gente,  e  da  mez- 
zogiorno, che  ognuno  tornerà  alla  gran  madre 
antica  chi  in  questo  mondo  s'  intrica  ;  a  stri- 
garsi conviene  pelarsi  ;  e  non  rimarrà  capello 
nel  capo  della  giustizia  staccato,  poi  che  la 
misericordia  da  ognuno  è  dimenticata.  Guai 
al  Papa,  guai  ai  Cardinali,  guai  ai  vivi  che 
mangiano  il  pan  del  Dolore,  temete,  tremate^ 
tremate,  fate  questa  pace  santa  fra  V  Impera- 
tore e  il  Re  di  Francia.  Iddio  vi  darà  pos- 
sanza, et  operate  il  buon  Affetto.  Gesù  Cristo 
vivo  Pastore,  dolce  Maestro  v'  insegna  questa 
opera  per  cogliere  il  frutto  e  godremo  il  tutto 
in  Paradiso.  Amen  >/. 

L'apostolo  popolare  volle  spendere  gli  ulti- 
mi anni  della  sua  vita  in  patria  per  veder  di 
comporre  le  fazioni  cittadine,  per  esortare  i  suoi 
compatrioti  a  vita  cristiana,  per  ravvivare  le 
antiche  virtù  :  purtroppo  lo  spirito  pagano  del 
Rinascimento  aveva  corrotta  anche  la  città  mi- 
stica. Terribili  allora  risuonarono  fra  le  mura 
di  Siena  i  vaticini  del  suo  profeta  che  ricor- 
dano quelli  dei  grandi  ammonitori  del  popolo 
ebreo  : 

«  Siena  convertiti,  altrimenti  sei  spedita!  » 

<  Senesi,  intricate  la  matassa,  perderete  il 
capo,  perchè  vi  sarà  tagliato  con  vostro  danno! 

«  Siena  presto  verrà  chi  ti  rovinerà  :  voi 
fate  la  torta  ed  un  altro  la  goderà  ! 

«  Siena    ti    viene  addosso  una  gran  piena 

240 


BRANDAXO   IL   PAZZO   DI   CRISTO 

che  t'  afibgherà,  e  la  tua  piazza  vedi'ai  occu- 
pata dai  vivandieri,  e  la  cappella  dormentorio 
di  ladroni,  la  fonte  di  piazza  beveratoio  e  guaz- 
zalo di  cavalli,  e  i  ridotti  dei  Xobili,  stalle  per 
la  cavalleria!  » 

Fra  gli  orrori  urlanti  nelle  vie  anguste  della 
città,  quando  fu  stretta  d'assedio,  s'aggirò  Bran- 
dano  come  uno  spettro  fatale.  Ei  faceva  l'uffi- 
zio dei  servitori  ai  poveri  bisognosi,  e  ponen- 
do a  rischio  la  sua  vita,  andava  spesso  coper- 
tamente nel  campo  nemico  a  comperare  il  pane 
e  coglier  malva  e  radiche  per  i  poveri,  per 
tutte  le  bocche  inutili  scacciate  dalla  città  e 
languenti  sotto  le  mura. 

Affinchè  si  abbia  un'  idea  dello  strazio  di 
questi  miserabili,  giova  riferire  le  parole  del 
Montine:  «  Yi  dico  che  il  ruolo  delle  bocche 
inutili  ascese  a  quattromila  quattrocento  e  più; 
che  di  tutte  le  disperazioni  e  dolori  che  allora 
ho  veduti,  mai  ne  vidi  dei  simili,  né  credo  che 
ne  vedrò  mai  in  avvenire.  Imperocché  bisogna- 
va che  il  padrone  lasciasse  il  suo  servitore  che 
l'aveva  lungo  tempo  servito,  la  padrona  lasciasse 
la  sua  fantesca,  e  doveva  lasciare  la  propria 
città  una  moltitudine  di  poveretti  che  non  vi- 
vevano che  del  proprio  lavoro,  e  per  tre  giorni 
questa  desolazione  e  questi  pianti  durarono. 
Questi  poveretti  se  ne  andavano  attraverso  i 
nemici  che  li  ricacciavano  verso  la  città;  e  tutto 
il  campo  restava  notte  e  giorno  in    armi    per 

241 


CAPITOLO   VII 

questo  scopo,  giacché  ce  li  respingevano  fino 
a*  piedi  delle  mura,  affincliè  li  riprendessimo 
dentro  per  farci  finire  più  presto  quel  poco 
pane  che  ci  restava  e  per  vedere  se  la  città  si 
ribellasse  per  la  pietà  che  ispirava  questa  gente; 
ma  questo  non  si  verificò  e  tal  condizione  di 
cose  durò  otto  giorni.  Essi  non  mangiavano 
che  erbe;  più  della  metà  ne  morirono,  poiché 
anche  i  nemici  li  uccidevano  e  pochi  soltanto 
si  salvarono.  Vi  era  un  gran  numero  di  ragazze 
e  di  belle  donne;  queste  avevano  passo  libero, 
giacché  durante  la  notte  gli  spagnuoli  ne  atti- 
ravano qualcuna  presso  di  loro,  ma  senza  che 
il  Marchese  lo  sapesse,  perché  ne  andava  loro 
della  vita.  Alcuni  uomini  forti  e  vigorosi  pas- 
savano e  scappavano  durante  la  notte,  ma  quelli 
che  si  salvarono  non  furono  che  circa  una 
quarta  parte  ;  gli  altri  morirono.  Sono  queste 
le  necessità  della  guerra:  assai  spesso  bisogna 
esser  crudeli  per  venire  a  capo  di  vincere  il 
nemico.  Dio  dev'  essere  molto  misericordioso 
verso  di  noi  uomini  di  guerra,  che  facciamo 
tanti  mali  !  » 

Neir  anno  precedente  1'  assedio,  Brandano 
aveva  detto  a  certi  contadini  che  facevano  le 
fosse  da  grano:  «  Allargatele  bene,  e  fatele 
cupe,  perché  vi  hanno  da  zeppare  i  morti  con 
le  stanghe  » . 

Or  non  gli  restava  che  piangere  sopra  la 
sua  profezia. 

242 


BRAXDAXO   IL    PAZZO   DI   CRISTO 

La  morte  colse  Braiidauo,  profeta  di  ven- 
dette celesti,  in  mezzo  all'  esercizio  della  più 
alta  carità,  risparmiandogli  di  assistere  a  la  ca- 
duta della  patria,  de  la  quale  era  stato  un 
simbolo  vivo  di  amore  e  di  fede.  Egli  si  spe- 
gneva il  14  maggio  1554. 

Siena  capitolava  nelP  aprilo  del  1555. 


243 


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mDlCE  DELLE  ILLUSTRAZIONI 


Paa 


©• 


1.  Cristo  fra  le  due  Marie.   (Sodoma)            ...  IX 

2.  Matrimonio  di  S.  Francesco  con  la  Povertà  (Sas- 

setta)        ........  XII 

3.  Siena  (Stampa  del  sec.  XVI)             .         .          .          .  1 

4.  Monteaperto    ........  7 

5.  Madonna.  (Duccio  di  Buoninsegna)           ...  29 

6.  La  Scuola  ne  1'  Ospedale.  (Domenico  di  Bartolo)     .  49 

7.  Lo  sposalizio  delle  fanciulle.    (Domenico    di  Bar- 

tolo)   51 

8.  S.  Galgano.   (Urbano  da  Cortona?).          ...  59 

9.  Avanzi  del  tempio  dell'  Abbazia  di  S.  Galgano        .  61 

10.  Monteoliveto 63 

11.  Il  Convento  di  Lecceto.  (stampa  del  sec.  XVII)       .  67 

12.  Affresco  nel  convento  di  Lecceto.   (Paolo  di  Neri)  .  69 

13.  Altro  affresco  nel  convento   di  Lecceto    (Paolo  di 

Neri) 71 

14.  Giovanni  Colombini.   (Sano  di  Pietro)      .          .          .  101 

15.  Busto  di  Urbano  V 103 

16.  S.  Caterina  (Sodoma) 130 

17.  Ultime  esortazioni  di  S.  Caterina  agli  amici  (Lo- 

renzo da  Sanseverino)        ......  140 

18.  S.  Bernardino  (Sano  di  Pietro)         .  .  .  .148 

19.  Busto  di  S.   Bernardino  (Ignoto,   sec.  XV)       .          .  150 

245 


INDICE   DELLE   ILLUSTRAZIONI 

Pag, 

20.  S.    Bernarilino    che    predica    su    la    Piazza    di  S. 

Francesco  in  Siena.  (Sano  di  Pietro).         .  .174 

21.  Bernardino  Ochino  ......     180 

22.  S.  Giovanni  (Giacomo  Cozzarelli)     ....      184 

23.  Amore  fatto  prigione  dalle  Vergini    (Girolamo  di 

Benvenuto)         .          .         .          .          .          .  .186 

24.  Ritratto  di  Fausto  Sociuo         •          .          .          .  .     212 

25.  Busto  presunto  di  Brandano  (Ignoto  Autore)  .     217 

26.  Ritratto  di  Brandano  (Anselmo  Garosi)    .          .  .     220 

27.  Ritratto  di  Don  Diego  di  Mendoza  (Tiziano)  .  .     230 


24G 


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INDICE  DELLE  PEESONE 


Agazzari  Filippo  B.  66  e  seg. 
Agnolo  di  Tura,  30,   102. 
Agostino  (Santo)  67,  89. 
Alba  (duca  di),  235. 
Alberto  da  Sarteauo,   154. 
Alberto  (marchese  di  Brandebur- 

go)  232. 
Albizzeschi    (S.   Bernardino)  148 

e  seg. 
Albuiuazar,   14. 
Aldobrandino  (conte),  9. 
Aldobrandino  da  Siena  (medico) 

12,    13. 
Aleandro  Girolamo  195. 
Alighieri  Dante,  11,   13,  14,  22, 

23,  26,  38,  40,  75. 
Ammauuati  Iacopo,   161. 
Apollinaire  Guillaume,   169. 
Ancaiano  24. 
Ancarano  Pietro  14. 
Angiolieri  Cecco,  27,  77,  78. 
Ansano  (Santo)  57,  67. 
Antonio  (S.  eremita)  111. 
Antonio  da  Barga  (cronista)  62. 
Antonio  da   Rimini,   154. 
Antonio  da  Vercelli,   154. 
Aretino   Pietro  155,   190. 


Arnolfo  di  Cambio,  27. 
Arrigo  VII  (imperatore),  62. 

Badia  Tommaso,   195. 
Balzetti  Baudino,  90. 
Banchi  Luciano,  56,   178. 
Bandinelli  (Alessandro  III;  29,  81. 
Barbaro  Ermolao,   160. 
Barbaro  Francesco,  156,  160, 161. 
Bardi  Angelo,  229. 
Bargagli  Petrucci  Fabio,   17. 
Bargagli  Scipione,  51. 
Barna,  gesuato,   123. 
Barnaba  (S.    Padre),  89. 
Bassi  Matteo,   187. 
Bartolo,  24. 

Bartolomeo  da  Cuneo,  cappucci- 
no, 206. 
Bartolomeo   della  Verna,  33. 
Bartoli  Adolfo,   113,  129. 
Bayle,  216. 
Bellay  (card,   de)  165. 
Belcari  Feo,   95,   100. 
Bembo  Pietro,   190. 
Bendidio  Filippo,    160. 
Benedetto  di   Pace  notaio,   128. 
Benincasa  Caterina, 56, 130  e  seg. 


247 


INDICE   DELLE   PERSONE 


Benincasa  di  Laterina  (Potestà) 
22,  23,  65. 

Berenson  Bernhard,  184. 

Bernabeo   Senese,  156. 

Bernardo  (San),  59. 

Bernardo  d'  Asti,   189. 

Bertrando  del  Poggetto  (cardi- 
nale), 63. 

Bettini  (b.  Antonio)  112. 

Benvenuto  da  Imola,  39. 

Benvoglienti  Achille,  211. 

Bianco  da  Siena,  XI,   99. 

Biliatto,  gesuato,  120. 

Biliotti  Rosso   (orafe),  21. 

Bindi  Agostino  219. 

Blake  William  97. 

Boccaccio  Giovanni  23,   114. 

Boccia,  gesuato,  123. 

Bolsec  Girolamo,  192. 

Bonatti  Guido,  14,  86. 

Bonetti  Luca,  52. 

Borghesi  Camillo,   219. 

Boverio,  192. 

Brandano  217,  e  seg. 

Bullinger,  208. 

Buonarroti    Michelangiolo,    155, 
180. 

Buoninsegni  GiovanBattÌ8ta,219. 

Buti,  23. 

Cacciaconti  Jacomo,  8. 
CaiFarini,  amico    di  S.  Caterina, 

140. 
Calvino,  192,  198,  206,  207,  214. 
Camerini,   129, 
Camerino  (duchessa  di)  205. 
Canestrelli  Antonio,  59. 
Canigiani    Barduccio,    amico    di 

S.  Caterina,   140. 
Cantù,  200. 
Capecelatro  Card.   138. 
Capocchio,  14. 


Cappone  Antonio,  194. 

Caraffa  Giampietiio,  194, 202,  204. 

Carducci,  75.   158. 

Carlo  IV  (imperatore)  101. 

Carlo    V.,    155,    181,     192,  196, 

197,   200,  217,  231. 
Carli  (storico),   115. 
Caro  Annibale,  191. 
Garosi  Anselmo,  221,  226. 
Garosi  Bartol.    (vedi   Brandano) 

221. 
Carpellini,  71. 
Cartesio,  216. 
Cecco  d'Ascoli,  14. 
Celestino  III,  43. 
Gelsi  Mino,  211. 
Cesari,  129. 
Cherubino  frate,  157. 
Ciani  Giovacchino,  114. 
Cieco  di  Gambassi,   183. 
Gino  da  Pistoia,  14. 
Cittadini  Celso,  38. 
Clemente  VII,  182,   188,  217. 
Clemente  Alessandrino,  89. 
Gluny  (abate  di)  23. 
Cóla  Leonardo,  67. 
Colombini  Biagia,   104,  115. 
Colombini  Giovanni,  56,  94  e  seg. 
Colonna  Vittoria,    181,  187,  190, 

193,  203,  210. 
Contarini  (card.)  154,  189,   194. 
Cornia  (Ascanio  della)  239. 
Corradino,  4. 
Cortese  Gregorio,   195. 
Cozzarelli  Giacomo,   183. 
Cristoforo  (San)  28.  . 
Cybo  Caterina,   189. 

Dalle  Celle  Giovanni,   140. 
Dei  Andrea  (cronista)  35. 
Delicado  Francisco,    169.- 
Della  Robbia  Andrea,  150. 


248 


INDICE    DELLE    PERSOXE 


Della  Robbia  Luca,   150. 
Domeiiico,  teologo,   125. 
Dotti  Niccolò,  157. 
Duccio  di  Buouinsegaa,  29,  30. 
Dyonisio  (frate)  33. 

Edoardo  VI,  re  d'  Inghilterra, 

207. 
Egidio  (frate)  153. 
Eleonora  d'Aragona,  80. 
Elia  (frate)  183. 
Enrico    VI,  3. 

Erasmo  (da  Rotterdam)  207,  210. 
Ercole  (duca  di  Ferrara)  192. 
Eusebio  da  Cesarea,  89. 

Fainotto,  24. 

Farnese  Alessandro  (card.)  201. 
Fausti  Livia,  232,  233. 
Fazio  Bartolomeo,   161. 
Federico  Barbarossa,  29. 
Federico  II,  (imperatore),  26. 
Federico  III,  (imperatore),  80. 
Fedeli  (fra'  Mariano),  227. 
Ferreri  (S.  Vincenzo)  150,  170. 
Folgore  da  S.  Gimignano,  24,  27. 
Foresi  Paola  di  Ghino,  95,  113, 

115. 
Forte guerri  Laudomia,  232, 233. 
Francesca  romana  (Santa)  65. 
Francesco  d'  Assisi,  5,  25.  67. 
Francesco  di  Landò,  notaro,  115. 
Francesco  (?)  (fondatore  di  Mon- 

teoliveto)  62. 
Fregoso  Federico,   195. 
Froben,  207. 

Galgano  (San)  58. 

Galileo,   15. 

Gamba  B.   129. 

Garbo  (Dino  del)  14. 

Gentile  Giovanni  Valentino,  214. 


Gherardini  Ranuccio  (orafo)  21. 
Ghiberti  Lorenzo,  30. 
Ghino  di  Tacco,  22,  23,  24. 
Giberti  Giovau  Matteo,  189,  195, 

202,  205. 
Gigli  S.   131,   137. 
Ginepro  (frate)  153. 
Giordano  (conte),  9. 
Giorgio  (sauto),  9,   11. 
Giovanni  XXII,  (Papa)  63. 
Giovan  Battista  vescovo  di  Acer- 

ra,  206. 
Giovanni  d'  Ambrogio,  Gesuato, 

117. 
Giovanni  da  Negroponte,  70. 
Giovanni  da  Prato  (frate)  159. 
Giovanni  da  Salerno,  161. 
Giovanni  di  Paolo   (Pittore)  19. 
Giovanni  Pisano,  27. 
Girolamo  (San),  57. 
Girolamo  di  Benvenuto,  185. 
Giulio  III,  236. 
Giustiniani  Leonardo,   155. 
Giusto  (Priore  di  M.  Oliveto)  64. 
Gonzaga  Ercole,  195. 
Gonzaga  Giulia,  189. 
Gregorio  IX,  (Papa)  18. 
Griffolino,   14. 
Grottanelli,  144. 
Gualanti  Raniero,   194. 
Gualtieri  Ventura,   6. 
Guarino  da  Verona,  155. 
Guidini,   131,   140. 

Hispano  Pietro  (Papa   Giovanni 
XXI),  13. 

Hutten,  207. 

Ildebrandini  Griftolino,  21. 
Ilicino  Bernardo,  80. 
Innocenzo  VI,  Pa2)a,   113. 
Ireneo,  89. 


249 


INDICE   DELLE   PERSONE 


Jacopone  da  Todi,  99. 
James  William,  135. 

Kant,  216. 

Landovzy,   12. 
Landucci,  224. 
Laynez  (gesuita)  199. 
Lazzaretti  Davide,  218. 
Leonardo  da  Vinci,  155. 
Leone  X,  208. 
Leone  (frate)  153. 
Lingeo  Giacomo,  205. 
Lionello  d'  Este,  155. 
Lippi  (b.  Franco)  151,  222. 
Lisini  Alessandro,  33. 
Lombardelli  Gregario,  52. 
Lorenzetti  Ambrogio,  29,  67. 
Lotti  Ottaviano,  195. 
Luca  d'Olanda,  210. 
Lucio  III  (papa)  59. 
Lucari  Buonaguida,  7,  8. 
Ludovico  da  Fossombrone,  189. 
Luigi  (Santo,  re  di  Francia)  12. 
Lusini,  32,   183. 
Lutero,  197,  198.     ' 

Macbiavelli  Niccolò,  158,  210. 
Macoui,  amico  di  S.Caterina,  140. 
Malavolfci  (famiglia)  73. 
Manfredo  (frate)  170. 
Manetti  Giannozzo,  155. 
Marcello  Benedetto,  IX. 
Marco  d'Arezzo,  Gesuato,  124. 
Marco  Evangelista,  111. 
Marescotti  lacomo,  30. 
Margherita  di  Navarra,   192. 
Maria  Egiziaca  (Santa)  103. 
Mariano  da  Quinzano    (cappuc- 
cino) 205. 
Marot,   192. 
Martino  V,   174. 


Martino  (santo)  9. 

Martire  Pietro,  195,  203,  207. 

Masaccio,  102. 

Masseo  (frate)  35. 

Matteo  di  Giovanni,  52,   184. 

Maurizio  (duca  di  Sassonia)  232. 

Mazzini,  207. 

Medici  (Lorenzo  dei)  183. 

Melantone,  206,  214. 

Menabuoi  Cristiana,  33. 

Mendoza  (don  Diego)  209,  229, 

230. 
Menghi  (Ristoro  di  Giunta)  43. 
Michele  (San)  58. 
Minuccio,  Gesuato,   118. 
Monica  (santa)  67. 
Montanini  Gerì,  33. 
Montanini  Cuccio,  33. 
Montine  (di  Biagio)    165,    233, 

235,   241. 
Mordente  Giovanni,   14. 
Morigi  Paolo,  111. 
Morone,  capitano,  231. 
Muciatti  (famiglia)  30. 
Muzio  Gerolamo,  206. 

Nardusa,   109,   110. 
Neri  (S.  Filippo),   154. 
Neri  di  Donato,   102. 
Neroccio,    184. 
Newton,  15. 

Nigi  di  Doccio,  amico  di  S.  Ca- 
terina,  140. 
Niccoli  messer,  Gesuato  117. 
Niccolò  III  d'Este,   158. 
Niccolò  Pisano,  27. 
Nogarola  Isotta,  160. 

Ochino   Bernardino,  180  e  seg. 
Odorighi  Ugolino  (orafo),  21. 
Orcagna,  75. 
Orsini  card.  Latino,  112. 


250 


INDICE   DELLE   PERSONE 


Pace  di  Valentino  (orafo),  21. 

Pagliaresi,  amico  ili  S.  Cateri- 
na 140,  144. 

Paleario  Aouio,   192,   199. 

Pannouio  Giovanni,   156. 

Panonnita,  159. 

Paolo  III,  192. 

Paolo  III,  206. 

Paolo  IV,  235. 

Paolo  (S.  apostolo),   163. 

Paolo  (S.  eremita)  111 

Paolo  di  Neri  (pittore)  67. 

Pardi,  5,   129. 

Pascal,  170. 

Patrizi  (B.  Antonio)  222. 

Patrizi  (Patrizio  di  Francesco, 
beato)  61. 

Pecci  (storico)   88,  219. 

Pépin,   12. 

Pepone  (maestro),   14. 

Petrarca,   15. 

Petroni  Pietro,   13,   113. 

Petroni  Riccardo,  card.   114. 

Petrucci  Aurelia,  232. 

Petrucci  Paudolfo,   182. 

Piacente  Nuccio,  27. 

Piccolomiui  (Ambrogio  di  Mino, 
beato)  61. 

Piccolomini  Fausta,  232,  233. 

Piccolomini  Paolo,  200. 

Piccolomini  Silvia,  233. 

Pier  Pettinagno,  26,  40,  41,  54. 

Pinturicchio,  80. 

Pio  da  Carpi,   154. 

Pisanello,   161. 

Politi  Tommaso,  290. 

Polito  Ambrogio  Catarino,  208. 

Polo  (card.  Reginaldo)  154,  195, 

Porto  Francesco,   192. 

Puccio  Antonio  (card.)  204. 

Quinza  Francesco,  219, 


Rallaello,   181. 

Rapisardi,   75. 

Renan,   Ernesto,   216. 

Renata    (duchessa    di    Ferrara) 

192. 
Ricci  Arturo,  78. 
Riparata  (santa)  10. 
Roberto  (San),   60. 
Roberto  da  Lecce,   154. 
Rosmini  Carlo,   158. 
Rossi  (13.  Pietro  dei)  222. 
Rosso  di  Bartolomeo  (maestro) 

27. 

Sacchetti  Franco,   70. 
Sadoleto  (cardinale)    154,    191, 

194. 
Salimbene  (fra')  13. 
Salimbene  Salimbeni,   7. 
Salimbeni  (famiglia)  37. 
Salimbeni  Niccolò,  24. 
Salvaui  (famiglia)  37. 
Salvani  Provenzano,  9,  17,  38, 

39. 
Sano  di  Pietro,  28, 100, 149, 184. 
Sansedoni  Ambrogio,   18,  20. 
Sapia  (Saracini  ?)  39. 
Saracini  Onorata,  79. 
Sassetta,  XII,  92,  184. 
Savoia  (Beatrice  di)  12. 
Savonarola  Girol.   93,  209. 
Schweizer  Josef,  208. 
Serapione  abbate.  111. 
Sforza  Francesco,   112. 
Signorelli,  65. 
Silvestro  da  Siena,   154. 
Simone  di  Martino,  28. 
Slyck  Gaspare,  212. 
Socini  Fausto,  212. 
Socini  Lelio,  212. 
Socini  Mariano,  213. 
Sodoma  IX,  XV,  28,  65,   196. 


251 


INDICE   DELLE   PERSONE 


Sorore,  (beato)  43  e  seg. 
Sozzini  Alessandro.  230,  231,  235. 
Spina  Bartolomeo,  210. 
Spinello  Aretino,  29. 
Spinoza,  216. 
Stefano  di  Giordano,  27. 
Strauss,  216. 
Strozzi  Piero,  234. 
Strozzi  Vespasiano,   161. 

Taddeo  di  Bartolo,  28,  48. 

Tancredi  (B.  Felice  dei)  223. 

Tantucci,  113,  223. 

Tarlati  (vescovo)  63. 

Tebaldo  (maestro)  14. 

Teresa  S.  139. 

Terenziano  Giulio,  201. 

Termes  (Signore  di)  233. 

Thackeray,  173. 

Tingoccio,  24. 

Tolomei  Cavolino,  39,  62. 

Tolomei  (famiglia)  37. 

Tolomei  (Giovan    Battista,    bea- 
to) 62. 

Tolomei  Giovanni  (b.   Bernardo) 
61,  65. 

Tolomei  Meo,  40,  62. 

Tolomei  Nera  (beata),  62. 

Tolomei  Pia,  22. 

Tolstoi,  62,  216. 

Tommaseo,  143. 

Tommasi  (storico)  61,  86,  97, 107. 

Tommasini    Bernardino     (  vedi 
Ochino). 


Tommasini  Domenico,    181. 
Tornaquinci  (messer)  10. 
Traversar!  Ambrogio,  155. 
Tura  Bernardini  (orafo)  21. 

liberti  (Farinata  degli)  9. 
Uberto  di  Mandello,  16. 
Ugolino  di  Mafieo,  60. 
Ugurgieri  Buonfiglio,  88. 
Urbano  V.  (papa)  100,  120. 

Valdès  Giovanni,   192. 
Vanni  Fucci,  21. 
Vasari  Giorgio,  181. 
Vasto  (marchese  del)  186. 
Vecchietta,  28,   185,  212. 
Vegio  Maffeo,  155. 
Ventura  (cronista)  10. 
Vergnanini  Pietro,  192. 
Vico  Giambattista,  137. 
Viene  (santo)  9, 
Villani  Giovanni,  89. 
Vincenti  Francesco,  96,   106. 
Vincenti  Nicolao,   114. 
Vio  (Tommaso  de)  card.  210. 
Vittorino  da  Feltre,  155. 
Vittorio  (San)  57. 

Zambrini,   72. 
Zanganella,  39. 
Zdekauer  Ludovico,  4,  88. 
Zenobi  (Santo)  9,  10. 
Zuinglio,  208. 


252 


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