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y 5 ^
PIERO MISCIATTELLI
MISTICI SENESI
SIENA
TIPOGRAFIA EDITRICE S. BERNARDINO
1911
^L^
MISTICI SENESI
PROPRIETÀ LETTERARIA
SOMMARIO
Ar,LA MKMOKIA DI PlKRo PlCCOLOMINI.
('apiiolo I. Sena vetus ciWtas Virgiiiis
Capitolo 11. Filippo defili Agazzari .
Capitolo HI. Giovanni Colombini
Capitolo ÌV. Caterina Benincasa
Capitolo \'. Bernardino degli Albizzeschi
Capitolo y\. B. Ochino e l'eresia in Siena
Capitolo \'I1. Brandauo il Pazzo di Cristo
Indice delle Illnstrazioni
Indice delle Persone ....
Png.
IX
1
66
94
180
US
180
217
245
247
Errata
Pa^'. 32, riga 23 — dai
210, » 26 - Luca d'Olanda
'^ 250, « 18 — »
Corrige
dei
Francisco de Hollanda
i
Fot. Lombardi.
SIENA (Accad. di Belle Arti)
Cristo fra le due Marie.
Sodoma
ALLA MEMOHLI HI PIERO PICCOLOMINI
Bicordo un' ora crepmcolare vissuta ne la
grandezza desolante del jìaesac/f/io cinereo della
Val d' Orda, perchè seppe riempirmi V anima
di quel medesimo sentimento lirico e religioso il
quale fu realizzato nelle vite di molti mistici
senesi, che già si nutrirono di codesta cam-
pagna. _ . .
Era meco in quella sera lontana il mio ami-
co Piero Piccolomini, anima fervida, ricca d'idee
combattute con la violenza della sua balda gio-
vinezza, e che la morte avrebbe rapito anzi tempo.
Dal suo castello della Ripa noi tornavamo
in automobile dopo il tramonto d' una torbida
giornata d'autunno alla volta di Siena, della
quale lungi apparivano le torri in un cielo d%
sangue.
Nella mattinata V amico mi aveva fatto gu-
stare dall'organo d'una chiesetta campestre,
respirante preghiera, una Comunione appassio-
nata di Benedetto 3{arcello. Su la via del
ritorno ci eravamo fermati a Monteoliveto i>er
rivedere qli affreschi del Sodoma. Per tal guisa
neir atmosfera delle mie sensazioni il fascino
IX
ALLA MEMORIA
della melodia sacra, avvolgendo i fantasmi eni-
gmatici del pittore leonardesco, mi aveva disposto
a sentire più acutamente le dissonanze dell' ani-
ma senese ed a comprenderne le più profonde
armonie.
Quella nota di sangue nel cielo fosco rispon-
deva alla nota funerea della campagna tragica
che nei pressi di Monteoliveto sembra distac-
carsi con straordinaria evidenza dal fondo d'una
tavola quattrocentesca occupata da qualche scena
di mistico dolore; e V eco piangente della mu-
sica, che non m' abbandonava tutta via, profu-
mavasi del sentimento nostalgico e voluttuoso
del Sodoma,
In tali accordi offerti dalla Natura e dal-
l' Arte alla mia sensibilità commossa, io disco-
privo V anima cateriniana assetata di sangue,
d'estasi, di martirio, cupida d' amore e di morte.
Colui che abbia sentita nel « Cristo fra le
due Marie » (1) l' angoscia amorosa di quegli
occhi pieni di ombra e lo spasimo che attra-
versa d' un brivido indicibile quelle membra
livide, ed abbia respirato il supremo anelito del-
l' Amante Divino per le labbra semiaperte co-
me una ferita, ^mò meglio comprendere la pas-
sione della vergine Caterina e l' eroismo perfet-
to d' ogni suo atto onde s'accresce la dolcezza
dei suoi abbandoni e si chiarifica il mistero di
gioia racchiuso nel racconto della sua deifica-
zione: (2) « Cristo una volta li aperse el lato
sinistro et li trasse fora il core et se partì
(1) Vedi illustraz. n. 1.
(2) Uso questa parola secondo il senso attribuitole dal
neo-platonico Dionisio e resa dal greco : £x0itoatg.
I
DI PIERO PICCOLOMINI
con quello, essa remanendo senza core. Da poi
alquanti giorni ritornò ; et reaprì el lato jìre-
dicto et li piiose nel suo loco uno core rubicondo
et tucto relucente dicendo a lei : Figlinola V al-
tro giorno ti tolsi el tuo core, liora te restitui-
sco el mio. Et da quel tempo la sancta vergine
non potè più dire : Signore, io te ricomando
el core mio ; ma diceva : 'Signore, io te rico-
rnando el core tuo. »
Bicordo eh' io dissi al mio compia gno come
a signijicare la bellezza di questo miracolo di
amore mi sembrasse veramente degna la Comu-
nione del 31 ar cello. Giacche la nmisica, qiiaiid' è
divina, puh trascinarci fino air altezza d' un
supremo rapimento ; la musica la quale, come
bene scrisse Dante nel Convito, « trae così gli
spiriti umani che sono quasi principalmente va-
pori del cuore, sicché quasi cessano da ogni ope-
razione » . Ed io compresi allora come si tradu-
cessero in canti, su quelle medesime lande de-
serte dell' Arbia e deW Orda, i sensi d' amor
divino dei poveri gesuati quando percorrendole
coglievano i frutti delle loro fatiche apostoliche,
e come nel canto dovessero esprimersi tutte le
pene e tutte le gioie di quelle anime ardenti.
Per gioia e pena ch'io sento
piango e canto sospirando,
confessa in una sua lauda il maggiore dei poeti
gesuati, il Bianco da Siena. Ed in questi due
versi può dirsi rivelata V essenza del mistico
romanticismo senese fiorito in mezzo agli odi
implacabili delle fazioni avverse, fra le glorie
della giovine Bcpubblica, sotto V incubo orrendo
delle 2>estilenze micidiali.
XI
ALLA MEMORIA
Terra adatta alla cultura dei sentimenti
eroici è in verità la Val d' Orda, popolata di
castelli e priva affatto di lusinghe naturali.
Perciò forse la predilesse, sovra ogni altra, la
dolce madonna Povertà che quivi si offerse come
sposa a Francesco d' Assisi. È nota la leggenda
francescana vivificata dall' arte di quello squi-
sito pittore senese che fu il Sassetta (1).
Il Santo nelV ultimo anno della sua vita
avviavasi a piedi da Pieti verso Siena quando
arrivato un giorno sul tramonto in luogo deserto
fra Campiglia e S. Quirico d' Orda gli appar-
vero air improvviso tre fanciulle eh' erano la
Povertà, la Castità e V Ubbidienza : e la pri-
ma vestiva di panno bigello ed avea i piedi scal-
zi ; la seconda portava una tunica bianca, e la
terza di color rosato sanguigno. Il santo ravvisò
subito la molto amata Povertà e volle inanel-
larla per patto di fede. Nel quadro del Sassetta,
si veggono le tre Grazie che ritornano in cielo
dileguandosi sopra V Amiata, e V Eletta, che
nel dipartirsi rivolge il capo indietro verso Fran-
cesco con un sorriso d' addio pieno di gratitu-
dine.
Il teatro di questa scena idilliaca di pace
fu spesso invaso da guerrieri avidi di stragi e
di rapine. S. Quirico vide accampate sotto le
sue mura le genti del Barbarossa, orde di avven-
turieri inglesi, masnade di fuorusciti fiorentini,
soldatesche albanesi, francesi e spagnuole. Nella
Yal d' Orda si disputarono le sorti della libertà
soffocata dairimj^eratore Carlo V, e Montalcino
seppe difendere eroicamente V ultima bandiera del-
(1) Vedi Illustraz. n. 2.
XII
Matrimonio di S. Francesco con la Povertà.
( ollezione Chalandon (Chantilly) SASSETTA
DI PIERO PICCO LOMINl
la Repubblica quando la resistenza era divennta
una follia.
I senesi furono syblììm nel misticismo patriot-
tico come in quello religioso, e sojìra tutti i se-
nesi della Val d' Orda. £ssi affrontarono indo-
miti gli incendi^ le rovine, le im2)iccagioni senza
numero. Il più pAccolo di quei castelli valse alle
truppe imjyeriali un assedio perchè, come riferi-
scono le antiche cronache « le genti non cura-
vano di essere uccise^ dicendo ciascheduno di
voler morire per lo stato di Siena » . Ji! fu al-
lora che < gli alberi jìar èva p)roducessero uomini
morti ».
Primavere di sangue e piimavere d'amore
conobbe questa terra che la primavera della na-
tura giammai non rallegra. Ed è forse questo
il privilegio del suo destino.
II misticismo senese non è la manifestazione
nevrotica di anime deboli e sentimentali, ma
fiore purpureo del ^^m gentil sangue italico ; lo
contrassegnano nei suoi eletti rajypr esentanti la
virtù delle azioni, la genialità degli spiriti che
l'arte conterranea incarnò spesso in forine me-
ravigliose.
Tali sensi e pensieri animati dal soffio dei
ricordi e dalla visione fuggente dei luoghi me-
morabili, ini volgevano la fantasia in quella sera
vicino all' amico morituro divenuto silenzioso,
mentre V automobile divorava la via romana fra
i gridi lugubri e laceranti della sirena. E nella
corsa mi sembrava di sentirla palpitare come
una viva arteria codesta via romana che serpeg-
giando nella solitudine congiunge la città madre,
r Urbe immortale, alla figlia gloriosa. Per essa
mossero verso Montalcino dopo l' ultimo assedio
xin
ALLA MEMORIA
i superstiti senesi, laceri, affamati, nelV ostinor
zione suprema di non piegare il capo dinanzi
allo straniero : degna perciò di essere chiamata
via sacra, se il sangue di quei martiri della
libertà e della fede repubblicana riesce a com-
muovere ancora d' un profondo sentimento le
anime dei moderni pellegrini d' Italia.
Vaporava dalla campagna circostante la tri-
stezza di passioni soffocate, e di spiriti umiliati
e contriti, ma si udivano altresì, a quando a
quando, gli echi di canti eroici.
Dal castello lontano deW Amiata fino alle por-
te di Siena, i fantasmi di pietà e di morte non
ci abbandonarono. Vedemmo Buonconvento ove
tristemente si spense il 24 agosto 1318 Arri-
go VII di Lussemburgo, V eroe dantesco della
« Monarchia » ed il ricordo ci apparve intensifi-
cato dal dolore del poeta esule, cui uccise quella
morte V ultima e molto vagheggiata speranza di
rientrare in patria. Nel cielo temporalesco si
disegnò ad un tratto il colle di Malamerenda :
quattro magri cipressi gemevano lassù contor-
cendosi come anime dannante sotto il vento av-
verso, ricordando la strage delle famiglie Tolo-
mei e Salimbeni ivi convenute per una cena che
doveva cementare un patto di pace. Non lungi
dalla porta Romana incontrammo le dolorose
stazioni che facevano nel tempo antico i condan-
nati a morte : V Albergaccio, ove i miseri pas-
savano V ultima notte; la Coroncina, ove spin-
tonava il rosario dei moribondi ; infine Poggio
alle Forche, ove si eseguiva la sentenza capitale.
Questo luogo mi risuscitò il fantasma della
vergine Caterina, e l'ardente dolcezza di quella
femminilità che il Sodoma riuscì ad esprimere
XIV
DI PIERO PICCOLOMINI
con tanta potenza cVarte ne la cap2)ella di S. Do-
menico. Nel volto della donna genuflessa^ rajnta
in estasi a contemplar l'anima delV ucciso invo-
la ntesi ai cieli j è il pallore mortale del cadavere
che f/iace ai suoi piedi, ma negli occhi sfolgo-
ranti di luce febbrile, bene si manifesta V ardore
delle 2^(f^t'ol(^ confort a trici testé rivolte al condan-
nato : « Giuso, alle nozze fratello mio dolce! Che
tosto sarai alla vita durabile » .
Non è forse lo slancio verso la vita dura-
bile, non è per V appunto codesto supremo ane-
lito verso r eterno, io mi pensava, che meglio
rivela il valore del misticismo constisi anziato di
vita eroica f II vento della morte io V avevo re-
spirato nella corsa folle, e vicino all' invisibile
fato del mio comjìagno mi fu concesso di senti-
re quanto 2>oco valga la nostra esistenza fragile
ed effimera di fronte alla bellezza d' una Idea
viva di passione che intò diventare, realizzata
nelVinfinito, sorgente di straordinarie energie per
gli uomini futuri.
La volontà di ridestare in un libro i prin-
cipali personaggi del misticismo senese, mi sorse
in quel punto come costretta da un comando nel
mio spirito, e la manifestai all' amico prima di
scendere dall' automobile. Egli approvò con sin-
cera fede eccitatrice, ed il suo sguardo, pur
velato dalla malinconia d'un vago presentimento,
lampeggiò d' un sorriso.
Fu r ultimo fulgore che io vidi accendersi
negli occhi di queW Anima.
XV
^i!
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2p
I II >0<: Il ni^i I II >0< h 1 1[^ I II ><>c=ii
CxVPITOLO I.
SEXA YETUS CIYITAS YIRGIXIS.
Per la somma di Yita interna accumulata
nei secoli, Siena può aspirare con diritto al
titolo di « Patria d' anime » . A differenza di
quasi tutte le consorelle d'Italia non si è piegata
su le comodità moderne, ma fieramente assisa
sopra i tre colli storici yìyc nel sogno d' un
tempo che fu.
Siena rassomiglia un poco a quella regina
della leggenda die s' addormentò un giorno
nel castello incantato e sentì correre i secoli
su di lei senza che riuscissero a profanarne
la bellezza. Moltissime creazioni fantastiche
della sua gioYentù hanno sopravvissuto al tem-
po ed è per questo che i lineamenti fisiono-
mici non si sono mutati.
Ecco il Duomo ed ecco il Battistero, ecco
r Ospedale ed i templi di S. Francesco e di
S. Domenico, il Palazzo Pubblico, i cento
1
CAPITOLO I
oratori ed i palagi austeri, le fontane, le co-
lonne dominate dalla Lupa, le piazze e le vie,
le coste e gli archi dell' epoca repubblicana.
Ed ogni anno per la festa tradizionale de
r Assunta V attraversa il brivido febrile de
F antiche passioni che si ridestano negli abi-
tanti allo sventolio dei vessilli delle contrade,
a l'apparizione del Carroccio nella Piazza del
Campo.
Da r altissima Torre, la maggior cam-
pana, che ha il nome della Tergine Assun-
ta, nei giorni del Palio e delle più liete o
dolorose ricorrenze nazionali, si riscuote e
parla : è la voce di Siena nella Storia. Il vec-
chio bronzo batte i suoi tocchi lunghi, misu-
rati ed eguali, attraverso una scala di vibra-
zioni sonore, basse, robuste, che giungono con
sicura lentezza ai paesi del contado : è in
quella voce la malinconia d'un sogno di gran-
dezza svanito che passa nel sospiro d'una pre-
ghiera ; è il vago rimpianto de l'antica Fede ;
è, talvolta, per la Torre, come un presenti-
mento di morte. Per quanto tempo ancora ?
Forse in un giorno non lontano tutto ciò fi-
nirà per scomparire e la città medievale, che
seppe resistere al Rinascimento, soccomberà
vinta dalla violenza della vita moderna. Ma
non è una ragione di più per amare e cercar
di comprendere 1' anima della mistica princi-
pessar alla quale il sentimento della solitudine
2
SENA TETUS CIVITAS VIRGINIO
nella luce crepuscolare conferisce un fascino
strano e profondo? Quando una cosa bella
s' approssima alla sua decomposizione, sia una
creatura vivente o un' opera d' arte, sembra
che susciti più acuto V interesse umano in co-
loro che proseguono con passione il culto di
tutte le migliori energie, spinti quasi dal bi-
sogno di restituire alla vita universa gli atomi
di risurrezione che la morte disgrega e che
vorrebbe distruggere.
La storia e la leggenda, le arti figurative
e la poesia celebrano le origini del Comune
senese che riconosciuto indipendente nel 1186
da V imperatore Enrico VI crebbe e s' af-
forzò nel secolo XIII. Primi ressero la città
i Komani, poi i Vescovi, poi i Gastaldi, poi
i Conti Salici, poi i Consoli municipali con
una spiccata tendenza oligarchica. La forte
borghesia e la rinnovata nobiltà composta
dalle famiglie dei grandi mercanti e bau-
chieri che portarono il credito del fiorino se-
nese in Francia, in Inghilterra, in Fiandra
e in Oriente accumulando enormi ricchezze,
compirono nel 1277 la prima rivoluzione in
senso democratico, escludendo per sempre i
Magnati dal Governo dopo aver garantita
r indipendenza della Eepubblica con la vit-
toria di Monteaperto nel 1260, e dopo aver
dato al Comune il sapiente Constituto del
3
CAPITOLO I
]2G2 (1). N'el 1277 con P instituzione del
Governo dei Nove, clie perseverò con lievi
mutamenti lino al 1355 e vide l'apogeo della
gloria senese, fa stabilito che di questo magi-
strato potessero far parte solamente coloro che
' uscivano dalla classe dei buoni mercanti, hono-
rum mercatorum (2). Si poteva salire al gover-
no dei l!^OYG a V età di venticinque anni ma
bisognava appartenere alla classe dei costrut-
tori del Comune.
La vittoria democratica avvantaggiò le cor-
porazioni di arti e mestieri le quali acquista-
rono personalità giuridica, ebbero statuti e pri-
vilegi, e parteciparono al governo del Comune
che al magistrato di Mercanzia concesse un
tribunale pro^^rio ove decideva nelle controver-
sie con ampia facoltà, e ricorreva al consiglio
dei Consoli, rappresentanti il collegio delle Ca-
(1) Consti tuto del Com. di Siena - Edito da Lud. Zdekauer
— Milano, Hoepìi 1897.
(2) I condottieri dell' esercito senese clie vinse a Montea-
perto erano ghibellini, ma la gran massa dei combattenti era
guelfa, come guelfa era in gran parte la sana e forte bor-
ghesia indirizzata al trafiico, e che per 1' alterigia del par-
tito avverso dovette emigrare dopo la vittoria. Molte fra
le più cospicue famiglie senesi si ritirarono a Eadicofani, ma
ben presto ritornarono e ridussero nelle loro mani la somma
della cosa pubblica. La morte di Corradino e la caduta della
casa Sveva aiutò la rivoluzione borghese. Il governo dei
Nove prese un assetto stabile nel 1286 j durò circa 70 anni e
fu il migliore tra quanti ressero i destini della Eepubblica
senese.
SENA VETUS CIVITAS VIKGIXIS
pitiuliiii delle Arti, in questioni di materia
commerciale e finanziaria.
Verso la line del sec. XII ed ai primi del
XIII il Popolo conA'eniva a Parlamento nel
Campo ma presto sorsero i Consigli presie-
duti dal Podestà e questi si radunarono nella
chiesa di S. Cristofano ; più tardi, verso lo
scorcio del secolo, nel Palazzo Pubblico. Nel
12()0 il Consiglio Generale era composto di
trecento membri. Un perfetto ordine inter-
no creato da leggi sapienti regolava la con] pa-
gine del giovine Comune, saldo nella disciplina
d' una fede religiosa ben viva, quantunque la
vita pubblica fosse agitata alla superficie dalle
più fiere passioni. Vigoreggiavano d' orgoglio
i sentimenti civici (il Comune teneva un appo-
sito Registro detto il Memoriale delle offese in
cui erano notate le ingiurie e i torti ricevuti
dai Signorotti o dai Borghi riottosi del Con-
tado) e la legge dantesca del « contrappasso »
veniva applicata sempre con rigidezza e so-
vente con crudeltà. Cotesti sentimenti, germo-
gliati dalle oscure profondità barbariche del-
l' anima medievale, e contro i quali nel Uu-
gento insorse il verbo di S. Francesco d'Assisi,
s' aggruppavano e saliAano, quasi in ordine
gerarchico, nella Repubblica di Siena, da l' in-
dividuo alla famiglia, da questa alla Consor-
teria, alla Compagnia, alla Contrada, al Terzo,
alla Città, al Comune. Ogni fiimiglia, ed ogni
5
CAPITOLO I
Contrada, così il Popolo come il Comune, ave-
vano vivo il senso della propria dignità sim-
bolizzandola in uno speciale emblema.
Avveniva che ogni oiFesa fatta a l' indi-
viduo o a l'Ente autonomo propagasse in cer-
chi concentrici le onde irose della vendetta
fino a turbare l' intiera città, come un sasso
gettato in mezzo ad uno specchio d' acqua
comunica l' impeto del colpo in vibrazioni sem-
pre più estese fino ai limiti del bacino. Di
qui nacquero gli odi di parte ed il fermento
di tutte le passioni comunali.
Vero è che la legge puniva le provocazioni
le quali potessero accendere discordie, ed in
Siena ce lo prova il fatto che il Capitano del
Popolo nel 1264 condannò alla non lieve mul-
ta di 25 lire un tal Ventura Gualtieri del
popolo di S. Egidio per aver dipinto sopra un
palvese una lupa (emblema del Comune) alla
quale un leone (emblema del Popolo) standole
sopra dava con la branca nel muso in modo da
farla sanguinare. Ma non è questo un indice
de r estrema suscettibilità di quei cittadini ?
La censura aveva ragione di condannare
la satira politica poi che non si spengeva mai,
come adesso, in un sorriso. Ogni fede, ogni
idea era vissuta dalla grande maggioranza dei
cittadini fino a V assurdo. Su certe cose non
si soffriva il ridicolo. Quando s'affacciava, sapea
rintuzzarlo una spada o un pugnale.
6
3
o
3
rf
(b
fi)
SENA VETUS CIVITAS VIRGINIS
Il sentimento religioso in quei primitivi
senesi mal conteneva gli spiriti intìammati di
vendetta, mentre ben riusciva a identificarsi
con l'amor patrio, come si vide nelle giornate
memorabili del Settembre 1260 quando si de-
cisero le sorti del giovine Comune.
Bisogna ricordare Monteaperto (1) se si
vuol vedere in una vampa di bellezza passio-
nale r anima senese del Dugento.
I fiorentini avevano inviato due cavalieri
con V intimo : « volere che le mura vengano
sfasciate in più luoghi, acciocché dove loro
piace F entrare, passino, com' è di loro piace-
re. E più voliamo in ogni Terzo di Siena met-
tere una Signoria, et in Oamporeggi far for-
tezza per istatico e sicurtà della nostra Signo-
ria di Firenze » (2). Si ebbero questo mandato
netto e breve : « Bitornate a' vostri, e dite che
lor sarà risposto a boce viva » (3).
II Consiglio del Popolo si riunì a Parla-
mento nella chiesa di S. Cristofano. Buona-
guida Lucari fu eletto dittatore. Il senese Sa-
limbene Salimbeni avendo udito nella se-
duta consiliare che nelle casse del Comune
non si trovavano i centomila fiorini d'oro per
pagare le spese di guerra subito si alzò per
(1) Vedi illustraz. n. 4.
(2) Cron. di Dom. Aldobrandini, ediz. Porri, pag. 4.
(3) Id., pag. 5.
7
CAPITOLO I
dichiarare che i denari e' erano e pronti (1).
Poco dopo li recò in un carro parato a fe-
sta, dono magnifico d' amor patrio. Il Buona-
guida radunato il popolo, così parlò : « Ora
mi pare che ci diamo in avere et in persona,
la città e '1 contado, con tutte le nostre ra-
gioni alla Vergine Maria. » Indi, a capo sco-
perto, con i piedi nudi, la correggia alla gola,
con le chiavi in mano delle porte di Siena, si
avviò al Duomo seguito dal popolo. A la so-
glia del tempio fu incontrato dal Vescovo, e
tutti dimenticarono le ingiurie, e furono fatte
le paci fra i più fieri nemici, per la carità
della patria. Buonaguida ginocchioni dinanzi a
V immagine di Maria fece questo voto e que-
sta preghiera: « O Maria pietosissima, o con-
siglio et aiuto degli afflitti, aiutate; et io ti
do et dono la Città di Siena con tutti gli
abitanti, il contado, et ogni nostra ragione;
ecco io ti consegno le chiavi, guarda la tua
(1) Codesta guerra costò cara ai mercanti senesi che di-
mostrarono una lodevole generosità patriottica, quantunque si
comprenda clie era legata strettamente ai loro più vivi inte-
ressi. Così un di loro scriveva il 5 luglio 1260 da Siena a Messer
lacomo de' Cacciaconti che troTavasi alla fiera di Provins in
Francia. « Sapi, lacomo, noi semo ogì in grande dispesa et
in grande facenda, a chagione de la guerra che noi avemo
chon Fiorenza. E sapi che a noi chostarà asai a la borsa ma
Fiorenza chonciaremo noi sì che giamai no ce ne miraremo
drieto... » — Cf. Lettere volgari del secolo XIII. Bologna,
Romagnoli, 1871.
SEXA VETUS CIVITAS VIRGINIS
città (la tutte le rie opere, et massime da ti-
rannie fiorentine. Deli! Madre pietosa, accetta
questo piccolo dono della nostra buona vo-
lontà. E tu, Xotaio rogati di tale donazione,
che sia perpetua durante il mondo » (1).
Il domani, alla prima luce de 1' al})a, fu
gridato il bando : « Ognuno s' armi col nome
di Dio et della Vergine Maria, et ognuno si
appresenli al suo Gonialoniere. » E per la
Porta S. Tiene uscirono gli uomini del Terzo
di S. Martino Testiti di rosso, e quelli del
Terzo di Città vestiti di verde, e quelli dei
Terzo di Oamullia vestiti di bianco, e poi i
cavalieri tedesclii del conte Giordano : Fari-
nata degli Uberti e Provenzano Salvani erano
tra i cavalieri senesi al comando del conte
Aldobrandino. Per ultimo scese in campo il
Carroccio col gonfalone bianco, che ben dava
conforto, che pareva il manto di Maria (2).
La battaglia fu combattuta accanitamente
dalle due parti ; i senesi attaccarono al grido
di S. Giorgio, i fiorentini al grido di S. Ze-
nobi.
Come nelle guerre fra i greci ed i troiani
gli antichi iddii, così i Santi, numi dell'olim-
po cristiano, divisi in due schiere, avevano
preso parte per l'uno o l'altro dei contendenti.
(1) Clou. cit. Aia. p:\ir. 8.
(2) Cron. cit. Aid. pag. 10.
9
CAPITOLO I
Quando i fiorentini cominciarono a piegare, i
senesi tolsero ad inseguirli tra S. Maria a Do-
fana e PArbia.
Poco lungi dal podere di Fonte al Pino i
fiorentini perdevano il Carroccio menato « per
grandigia » mentre morivano per difenderlo
Messer Tornaquinci con i tre figli. Il cronista
Ventura così descrive quella carneficina «....
li Sanesi con quanto ardire menavano le mani
addosso a quelli malvagi fiorentini, che parean
porci feriti ; sempre percuotendo a' cavalli e
agli uomini, parevano lioni iscatenati addosso
a quelli loro nemici ; perocché lor non valeva
chiamare S. Zanobi e S. Riparata, che aiutas-
sero; che ne facevano maggior macello che non
fanno i beccai delle bestie el venerdì Santo » .
La Domenica seguente, poco dopo terza,
i senesi rientrarono trionfalmente in Città per
la porta ond'erano usciti. Innanzi a tutti pro-
cedeva rinviato fiorentino superstite che aveva
recato in Siena l'insolente messaggio, e come
narra il Ventura « era a cavalcione in sur un
asino, e aveva legate le mani dietro, e volto
aveva il viso verso la coda dell'asino, e trasci-
nava la bandiera e stendardo del Comune di
Firenze per terra ». Seguiva fra le acclama-
zioni dei vecchi, delle donne, dei fanciulli
1' esercito trionfatore, con il Carroccio su cui
sventolava il bianco stendardo insieme a quelli
dei tre Terzi componenti il Tricolore italiano.
10
SENA VETUS CIYITAS VIRGINIS
Fu aperta ima breccia nelle mura per non
abbassare lo stendardo vittorioso del Comune.
Il Carroccio fiorentino fu spezzato ed arso sul
campo a furia di popolo. Poi tutti andarono
in Duomo a sciogliere il voto promesso a Ma-
ria. E venne allora statuito in onore della
Vergine Regina di Siena che nella iscrizione
delle monete alle parole « Sena Vetus » fosse
aggiunto <c Civitas Virginis » e che ogni cit-
tadino a Fetà di sedici anni avesse ad offrire,
la vigilia dell'Assunta, una libra di cera lavo-
rata alla chiesa Cattedrale.
E fu promesso ancora che in onore di
Maria ardesse giorno e notte nna lampada
dinanzi al Carroccio. Due templi vollero eri-
gere i senesi : uno in gloria di S. Giorgio,
il quale mostra tante aperture nel Campa-
nile per quante bandiere furono tolte ai fio-
rentini : r altro tra S. Maria a Dofana e
TArbia, ove fu conquistato il Carroccio nemi-
co ; e ciò per ricordare la vittoria che lo
storico fiorentino Villani doveva comentare
con una frase terribilmente concisa: < Allora
fu rotto ed annullato il Popolo vecchio di
Firenze >.
La città alla quale Dante Alighieri dove-
va giungere, 42 anni dopo Monteaperto, ra-
mingo, da Roma, col cuore avvelenato dalla
condanna d' esilio, era anzi tutto una città
11
CAPITOLO I
colta: ove se si pensava ad arricchire, germo-
gliava altresì F ambizione del sapere.
La città di Siena fu sempre avida di sa-
pienza come di bellezza e di virtù eroiche, nei
secoli del suo maggior splendore. A questo
proposito è notevole la dichiarazione con la
quale termina il Breve dei Pittori senesi del
trecento: «N^euna cosa quanto sia minima
può aver cominciamento o fine senza queste
tre cose : senza potere et senza sapere, et sen-
za con amore volere ».
Il Comune era gelosissimo del suo fioren-
te studio. Vi si annoveravano nel Dugento
ventidue professori di Teologia, di Fisica, di
Medicina, di Grammatica, di N^otaria e di Fi-
losofìa. Una delle facoltà più celebrate era
quella di medicina. Forse v' insegnò e certa-
mente vi fu scolare quel maestro Aldobrandi-
no da Siena del quale il Landouzy e il Pépin
scoprirono poco tempo fa tutte le opere ma-
noscritte nella Biblioteca dell' Arsenale a Pa-
rigi, e del quale pubblicarono « Il JSegime
del Gor])o » (1) che è il primo trattato d' igiene
in lingua francese, e scritto nel 1236. Mae-
stro Aldobrandino fu chiamato alla Corte di
Provenza da Beatrice di Savoia, suocera di
S. Luigi, re di Francia. Lo stile di maestro
(1) Le Eégiine du Corps de Maitre Aldobrandin de Sienne
par les docteurs Louis Landouzy et Roger Pépin — Paris,
Champion ed. 1911.
12
SENA VETUS CIVITAS VIRGINIS
Aldobrandiuo è molto personale ; la sua lin-
gua è piccarda con caratteri fonetici speciali
al dialetto vallone, ciò clie e' interessa per-
chè assai probabilmente è la lingua francese
che dovevano parlare i mercanti senesi del
Dugento i quali commerciavano soprattutto con
le Fiandre, la Provenza e lo Champagne; for-
se al seguito di qualcuno di quei mercanti
andò questo medico che doveva tinire i suoi
giorni a Troyes, nello Ciiampagne.
Xel 1247 il Comune di Siena, approfittan-
do delle condizioni alquanto critiche nel quale
ritrovavasi lo studio di Bologna, decise d' in-
grandire la sua università e ciò fu annunziato
da messi speciali j)er tutta la Toscana onde
richiamar scolari. Fu in quell' occasione che
venne in Siena ai 5 di febbraio 1247, il fa-
moso Pietro Hispano, piìi tardi Papa Gio-
vanni XXI ; r erudito che il Salimbene nella
sua cronica chiama < grande solista, logico,
disputatore e teologo » e che Dante ricorda
fra i sommi dottori nel cielo del sole. Quan-
di egli venne allo studio di Siena era giova-
nissimo, poco più che ventenne, essendo nato
verso il 1226, e da poco aveva lasciato V uni-
versità di Parigi. Fra i professori de l'anno
scolastico 1248 egli figura come insegnante di
medicina fisica e specialmente di dietetica. La
bontà delle sue conoscenze mediche egli rive-
lò nella sua opera fondamentale di medicina
13
CAPITOLO I
il « Thesaurus Pauperum > che fin nel titolo
dimostra com' egli s' interessasse francescana-
mente al soccorso dei poveri, così com' era sua
cura di aiutare in particolar modo gli studio-
si indigenti. Oltre che da lui l'università di
Siena fu illustrata nel Dugento da grandi let-
tori quali Pepone e Tebaldo, Giovanni Mor-
dente e Pietro Ancarano, Dino del Garbo e
l'amico de l'Alighieri Gino da Pistoia che vi
recò non solo la sua sapienza di giurista ma
il fiore profumato della lirica primavera del
« Dolce stil novo ».
L' università di Siena ebbe altresì una cat-
tedra di Astrologia ove fu maestro quel Guido
Bonatti che Dante sprofondò nella quarta
bolgia del suo Inferno. Nei libri di Biccherna
si possono vedere i numerosi pagamenti che
a lui e ad altri astrologhi furono fatti per
servizi resi al Comune. E nota la fede che in
quel tempo anche le persone colte avevano
per questa scienza che attraverso il pensiero
arabo trascinava molti a 1' eresia, come quel
disgraziato Cecco d' Ascoli che fu bruciato nel
1327, ed in Siena Griffolino il quale fu arso
per stregoneria, e Capocchio, come pericoloso
alchimista (1).
Fu 1' astrologo arabo Albumazar il quale
(1) Inferno XXIX — Vedi altresì Arcli. di Stato in Sie-
na, Biccherna, cod. 68, carta 121.
14
SEXA VETUS CIVITAS VIRGIXIS
affermò per il primo che V origine di tutte le
religioni e la nascita dei profeti dipendesse da
certi congiungimenti planetari. Egli disse che
V unione di Giove con Saturno aveva susci-
tata la religione d' Israele, e quella di Giove
con Marte, la religione caldea ; con il Sole,
r egizia ; con Venere, la maomettana ; con
Mercurio, la cristiana ; e che il congiungi-
mento di Giove con la luna sarebbe stato il
segno della fine d' ogni religione su la terra.
Le opinioni intorno a questa scienza, confinante
con il più pericoloso modernismo, furono allora
disparate : ma s' agitarono vive fino a quando
rimase in vita il sistema Tolomaico. Le sco-
perte di Xewton e di Galileo uccisero l'Astro-
logia. E pertanto curioso sapere come i cattolici
V accettassero in parte, ed in parte la respin-
gessero. Il Petrarca mostra di credere al desti-
nato delle costellazioni, almeno a giudicarne
da quel suo verso :
Sua ventura ha ciascun dal dì che nasce.
Ma egli poi affermava che V Astrologia e
la Medicina erano due espressioni di un co-
mune ciarlatanismo (1). In realtà la scienza
astrologica universitaria si confondeva spesso
a quella popolare collegandosi ad una ciarla-
(1) Cfr. « Libri IV Invectivarum contra medicum quemdom ».
15
CAPITOLO I
tanesca dottrina medica della qnale avremo
occasione di riparlare per ciò che riguarda il
pensiero mistico-popolare senese quale si ri-
specchia negli « Assempri » di fra Filippo
degli Agazzari.
Frattanto, dopo aver gettato uno sguardo
sul campo della cultura universitaria senese
nel Dugento, cerchiamo di rappresentarci la
trasformazione edilistica che in quel tempo
occupava la città, e quali fossero i costumi e
le passioni degli abitanti.
Cadute sotto il piccone le mura del primo
cerchio della « Sena Vetus », la cinta fortifi-
cata era andata ad abbracciare nuove case e
sobborghi. ì^el 1256, sotto il Potestà Uberto di
Mandello, furono vendute le mura del primo
cerchio perchè divenute inutili, e si lavorava
attivamente a costruire le nuove ed a riattare
a più robusta difesa l'antiporto di Camullia.
La città, divisa in Terzi fin dal principio
del Dugento, contava fra le sue strade princi-
pali Via Galgaria, Via del Casato, Via del
Travaglio, non più sterrate ma rivestite di mat-
toni a ferretti, i quali costavano al Comune 26
soldi il migliaio. Lungo queste vie popolose ve-
deansi spesso dipinti sui muri delle case, per
infamia, i ritratti dei mancatori di parola con
l'effigie capovolta. Le strade non misuravano
mai più di dodici braccia di larghezza, e le co-
16
SENA YETUS CIVITAS VIRGINIS
steggiayano altissime case turrite, severe, ove
la luce filtrava attraverso finestre chiuse con
pelli (li pecora depilate e rese trasparenti con
olio di seme di lino.
Ad ogni capo di strada v'erano dei pila-
strini con le catene che la Signoria faceva ti-
rare nei tempi di sommosse, specie per impe-
dire ai Nobili di fare irruzioni a cavallo.
Nei punti più alti della città i quartieri
d' importanza strategica, come quelli di Por-
rione, di Salicotto, di E-ialto, di Spallaforte,
di Cartagine, di Castelvecchio.
Isolati, sdegnosi di novità popolaresche, s'er-
gevano i « Castellari > delle famiglie patrizie
che non avevano saputo mettersi d'accordo con
le idee dei tempi, ma in verità v' erano pure
alcuni nobili penetrati di schietti sentimenti
democratici o abbastanza furbi per secondarli,
e capaci come un Provenzan Salvani di met-
tersi a capo del moto popolare.
Nelle parti basse della città, a valle, mor-
moravano le belle fonti (1) sotto gli archi a
sesto acuto, ornate di sedili, di rilievi, d'iscri-
zioni come quelle di Ovile, di Follonica, di
Fontebranda.
La Piazza del Campo, 1' antico Foro di
Siena romana, era l'oggetto di particolare sor-
(1) Per la storia delle fonti senesi si veda l'opera fonda-
mentale di Fabio Bargagli Petriicci < Le Fonti di Siena ».
Firenze 2 voi. ediz. Leo S. Olschki 1906.
17
CAPITOLO I
veglianza da parte del Comune, e nel Consti-
tuto del 1262 ne vien regolato l'uso con molte
disposizioni.
Ai cavalieri novelli si dava facoltà di oc-
cuparla per quindici giorni rizzandovi chiusi
ed antenne per farvi giostre e tornei. K^el Du-
gento non vi si correva il Palio. Il giuoco
prediletto dei senesi era quello delle Elmora
che consisteva in finte battaglie cruenti.
N^el 1291 la gente del Terzo di Camollia
scese nel campo insieme al popolo di S. Mar-
tino per dar battaglia contro il Terzo di Città.
I combattenti erano armati di aste, di sassi, e
s'accanirono talmente nel giuoco feroce che vi
furono dieci morti e parecchi feriti. Dopo que-
sto fatto il Comune proibì in simili giuochi le
aste ed i sassi permettendo solo le pugna (1).
Una delle feste più belle che vide la Piaz-
za del Campo fu la grandiosa rappresentazione
ch'ebbe luogo quando il senese Ambrogio San-
sedoni (2) ottenne dal Pontefice Gregorio IX
(1) Del giuoco delle Pugna ci ha lasciato una vivacissima
descrizione il novelliere Gentile Sermini.
(2) Ambrogio nacque in Siena dalla nobilissima famiglia
Sansedoni ai 16 aprile 1220. Ai 16 aprile 1237 indossò l'a-
bito domenicano. Poi chiese ed ottenne di farsi istruire nello
studio di Parigi, sotto il famoso Alberto Magno. Risiedè a
Parigi diversi anni, poi in Colonia -, in Roma per ordine di
Innocenzo IX venne ad insegnare teologia. Rifiutò il vesco-
vado offertogli da Gregorio IX. Predicò la Crociata. Ricon-
ciliò Clemente IV con il Principe Corradino. Fu uomo sem-
18
SENA VETUS CIVITAS VIRGINIS
la liberazione di Siena da V interdetto con il
quale era stata colpita nel 1266 per aver essa
difesa la ragione de 1' Impero.
Il Comune per ottenere la grazia inviò il
futuro Beato a Eoma come suo ambasciatore
ed egli riuscì ad ottenere il breve d'assoluzio-
ne il 13 luglio 1276. La letizia popolare fu
grande. Xel centro della Piazza fu eretto un
grandioso padiglione che aveva a V intorno
boscaglie con tenebrose caverne simili a quelle
che si vedono ne F inferno di Giovanni di
Paolo.
L' inizio della rappresentazione fu segnato
dal volo d' una candida colomba che percor-
rendo la via d' un filo di ferro teso dalla rin-
ghiera del Palazzo civico calò con il becco
fiammeggiante ad accendere il boccio d' un
gran fiore ch'era in cima al padiglione e che
appena toccato scoppiò liberando una quan-
tità di razzi. Contemporaneamente si aprì il
padiglione, a guisa della scena d' un teatro, e
si videro le stanze bene addobbate del Pon-
tefice, il quale seduto sul trono in mezzo ad
una ricca corte di cardinali, di principi, di
plice ed austero j rappresentante tipico della nobiltà senese
del dugento ; ricco, intelligente, avveduto. Morì il 19 marzo
1286 e fu Beato. Il Comune fece fare per lui un sepolcro mar-
moreo in una cappella eh' era nel mezzo del tempio di S.
Domenico. Sepolcro e cappella furono distrutti (luando rovinò
il tetto della chiesa.
19
CAI*ITOLO T
ambasciatori, ascoltava il messaggio di frate
Ambrogio. Poi eh' ebbe finito di parlare si
udì la risposta del Papa. Allora un coro di
fanciulli vestiti da angioli, sopra un carro
tutto messo a festa, intonò una laude in onore
di Maria e di frate Ambrogio che assisteva
alla rappresentazione.
Finito il canto apparve sopra una splendida
nube un Arcangelo il quale cominciò a dare
colpi orrendi alle porte delle caverne nascoste
nelle boscaglie ; e ne scaturirono diavoli e stre-
goni fischiando orribilmente, e si abbandona-
rono ad una di quelle fantastiche « diàbleries »
così comuni nei sacri misteri di Francia e che
i mercanti senesi avevano certo costà vedute
ed ammirate. Ma tosto la legione diabolica
venne assalita da cavalieri armati di lance e
di spade e naturalmente sconfitta e dispersa.
Un vago angioletto annunziò allora la fine
dello spettacolo che terminò con un coro se-
rafico.
^el contrasto di queste feste d' arte e dei
giuochi magnificamente virili ai quali si ap-
passionavano i dugentisti senesi noi scorgiamo
V anima della città.
La piazza, nel frattempo, vedeva sorgere il
pubblico palazzo e presentava un aspetto pit-
toresco con le sue tende di baratteria, ed in
giro le botteghe dei barbieri, dei ciabattini,
degli speziali, dei farsettai, ove le vaghe senesi
20
I
SEXA VETUS CIVITAS TIRGINIS
andavano a comperare le sete di Francia, le
ghirlande d' argento, le cioppette, le frangio
per la coda delle pesanti gonnelle. Ivi sai'à
stata molto probabilmente la bottega di Mae-
stro Pace di Talentino che verso la metà del
Dngento inaugurò la prima Scuola di oreli-
ceria che si conosca in Italia. Dai libri di
Biccherna e da quelli de 1' Opera di S. laco-
mo di Pistoia appare com' egli lavorasse per
il Comune di Siena a decorare il Carroccio
dopo Monteaperto ed arricchisse d'un grande
calice d' oro « sculpito > e tempestato di pietre
preziose e d' un < testavangelo » d' argento
con figure in pieno rilievo « La Sagrestia dei
helli arredi » che fu rubata dalla mano sacri-
lega di Tanni Pucci. Alla bottega di Maestro
Pace e dei suoi soci orafi Ugolino Odorighi,
Ranuccio Gherardini, Tura Bernardini e Eosso
Biliotti noi possiamo immaginare che facessero
visite frequenti le più ricche dame de l'ari-
stocrazia e della borghesia senese del Dugento,
come sarebbe stata la moglie di Griffolino
Ildebrandini che ci ha lasciato una nota delle
sue gioie, del 1272, ove fra molti anelli e fer-
magli, figura un « atrecciatoio » ossia una di
quelle bende di seta vermiglia intessuta con
perle a disegni di aquile, leoni, cervi, intrec-
ciati in una ramaglia trapunta d' oro, e che
servivano a tener fermi i capelli sul capo delle
donne eleganti, in graziose acconciature.
21 ^
CAPITOLO I
Queste dame doTevano attirare gli sguardi
invidiosi delle povere treccole (1), delle fa-
vaiole, delle panicocole (2), delle tranaciaiuo-
le (3), e delle battibambagia le quali gremi-
vano con trespoli e carrettini la Piazza nelle
ore del mercato. In quelle ore appariva ogni
tanto nel Campo un banditore del Comune, a
cavallo, vestito di rosso e col berretto a cono^
squillando la « tuba intiera » : la gente subito
gli si accalcava intorno per udire le novità
della giornata: l'ultima deliberazione del Con-
siglio ; era talvolta un bando d'esilio per qual-
che cittadino illustre ; la pena del fuoco o il
taglio della mano j)er un falso monetario; la
decapitazione d'un assassino. Quivi pure saran
giunti gli echi dei pietosi casi della Pia, come
delle « fiere gesta » di Ghino di Tacco, com-
mentate vivacemente dai popolani che si ap-
passionavano, come Dante, alla triste storia
d'una donna disgraziata in amore ed alle ter-
ribili avventure d' un nobile e coraggioso bri-
gante.
Tacco, padre di Ghino, era stato ucciso per
ordine di messer Benincasa di Laterina vica-
rio del Potestà di Siena, e Ghino non ebbe
pace finche non riuscì a vendicarlo. Raccolti
un giorno quattrocento de' suoi uomini più ar-
(1) Venditrici ambulanti.
(2) Venditrici di pane.
(3) Venditrici di treccie di cipolle.
22
SENA VETUS CIVITAS VIRGINIS
diti, sopra veloci cavalli, mosse alla volta di
Roma dalla sua Eadicofani, ove se ne stava
come in un nido d' aquila. Occupata per sor-
presa una delle porte dell' Urbe e lasciatevi
alcune guardie, corse difilato in Campidoglio
ove sapeva trovarsi il Benincasa in ufficio.
Xarra il Buti che « in su la sala, dove
stava lo ditto messer Benincasa ad audienza,
al banco della ragione, 1' uccise, e levolli la
testa, e vennesene senza ninno impedimento >.
Dopo questa impresa audace, d'assai crebbe il
suo prestigio, e su di lui favoleggiò la leggen-
da nella quale Dante ed il Boccaccio si com-
piacquero. Quest' ultimo racconta nel Deca-
meron un di quei tratti che ci mostrano la
nobiltà sdegnosa del brigante. Un giorno fece
arrestare su la strada dai suoi bravi V abate
di Oluny, ricchissimo prelato, che andava ai
bagni di Chiusi. Questi minacciò quegli uo-
mini di scomunica ma un di loro rispose :
« Messere, voi siete in parte venuto, dove
dalla forza di Dio in fuori di niente ci si teme
l)er noi ; e le scomunicazioni e gì' interdetti
sono scomunicati tutti ». L' abate comprese
il sermone e se ne andò ai bagni con la bor-
sa più leggera. Al ritorno, Ghino vistolo sano
per la dieta impostagli volle rendergli tutte
le cose che gli avea rubate ed accomiatossi
da lui con un grande convito, durante il quale
così gli parlò: « Messer F abate, voi dovete
23
CAPITOLO I
sapere, che Tesser geotiluomo e cacciato di
casa sua, e povero, ed aver molti e possenti
nemici, hanno condotto (per potere la sua vita
difendere e la sua nobiltà, e non malvagità di
animo) Ghino di Tacco, il quale sono io, ad
essere rubatore delle strade, e nimico della
corte di Roma ». Un uomo che sapeva usare
un tal linguaggio non poteva dispiacere trop-
po a Dante, ne ai senesi del Dugento. E
sembra che l'ammirasse anche il prelato fran-
cese giacche, ritornato in Roma, persuase il
Papa a crearlo cavaliere di S. Giovanni e ad
arricchirlo di pingue benefìcio.
Il Dugento vide in Siena le gioiose follie
della Brigata spendereccia. Dodici giovani no-
bili e ricchissimi tra i quali quel ISTiccolò Sa-
limbeni,
che la costuma ricca
del garofano prima discoperse,
e con lui Tingoccio, Ancaiano, Bartolo, Eai-
notto e gli altri che trovarono il lor poeta in
Folgore da Sangimignano (1) ebbero il genio
di sprecare in pochi mesi centinaia di migliaia
di fiorini d' oro. Abitavano una casa meravi-
gliosamente addobbata, detta la « Consuma »,
ove davan feste, pranzi sontuosi con stoviglie
(1) Le Bime di Folgore da Sangimignano pubbl. da Giulio
Gavone — Bologna, Romagnoli 1880.
24
SENA VETUS CIVITAS YIRGINIS
e vasellami d' oro e d' argento. Portavano in
dosso vestiti di « rascese > e dormivano su len-
zuola di sete con belle coperte di vaio.
I loro svai>'hi e i loro austi ci son descritti
e lodati dal poeta di Sangimignano in una
corona famosa di dodici sonetti dedicati per
r appunto al capo della Brigata, Niccolò Sa-
limbeni. ìfel sonetto dedicatorio Folgore trova
il modo di scherzare ironicamente su la pas-
sione di S. Francesco per la povertà, il grande
scandalo di quei tempi, e canta con un senso
oraziano della vita clie sembra quasi del Ri-
nascimento :
« Chiesa non v'abia mai né monastero
lassate predicar i preti pazi,
eh' hanno troppe bugie e j)oco vero ».
Quando giunge 1' aprile che vi sieno per
voi :
« ambianti palafren, destrier di Spagna
e gente costumata a la francesca
cantar, danzar a la provenzalesca
con istormenti novi de la Magna ».
Di maggio, nella gioia della primavera, e
d' ottobre, quando discende V autunno triste :
« e pulzellette giovene e garzoni
baciarsi ne la bocca e ne le guance
d' amor e di ffoder vi si rasoni. »
Ilo
CAPITOLO I
« la sera per la sala andate a ballo
e bevete del mosto e v' inebriate
che non ci ha miglior vita in veri tate
e questo è ver come '1 fiorino è giallo. »
Ho detto die il canto di questo poeta epi-
cureo sembra preannunziare il paganesimo
della Rinascenza. In verità passava in quella
gioconda poesia Fultima folata del paganesimo
fiorito nei verzieri di Provenza e le fantasie
di quei nobili giovani ricordano quelle dell'im-
peratore Federico II e della sua gaia corte
siciliana.
« cantar, danzar a la provenzalesca
con istormenti novi de la Magna. »
Questi sentimenti sono ben diversi da quelli
della maggioranza dei senesi cbe preparavano
la rivoluzione guelfa e democratica del 1277.
Dante Alighieri ricordando più tardi la
vanità di quei giovani gli giudicherà con dispet-
to mescolato ad un' amara ironia, e generaliz-
zando nei senesi del tempo un sentimento che
era in realtà di pochi ricchi vagabondi, bolla
col marchio di vanità tutto il popolo di Siena
con palese ingiustizia.
Ed egli avea pur colto, con mirabile in-
tuito, il fiore di quella vita senese in Pier
Pettinagno ! I giovani della Brigata Spende-
reccia erano i peggiori rappresentanti della
classe magnatizia, legata a l'impero e vicina
26
SENA VETUS CIVITAS YIRGIXIS
a perdere il potere ; potrebbero rassomigliarsi
nella loro yanità godereccia a certi signori
deir aristocrazia francese del sec. XYIII, in-
consapevoli di folleggiare su l'orlo d'un abisso.
Folgore da Sangimignano e Cecco Angio-
lieri non sono due poeti rappresentativi del
Dugento senese, tutto intento a creare il Pa-
lazzo del Comune e la bella Cattedrale.
Cultore della poesia spiritualistica e rappre-
sentante legittimo del popolo nuovo era in quei
tempi V avo materno di S. Caterina, ìf uccio
Piacente, coltralo, il quale mostra nelle sue
liriche d' amore, al paragone del nobile Cecco
Angiolieri, così volgarmente plebeo di senti-
menti, quanta fosse la gentilezza d' un popo-
lano senese del Dugento (1).
La fabbrica del Duomo avanzò quella del
Palazzo Pubblico. Nel 1264 i senesi finirono di
voltare la cupola per opera dei loro capi-maestri
Stefano di Giordano e Eosso di Bartolomeo.
Ad abbellire la facciata si chiamò Giovan-
ni Pisano. Niccolò, padre di lui, creava frat-
tanto ne l' interno del tempio il magnifico am-
bone, capolavoro scultorio del sec. XIII; e
giovandosi de l' aiuto del figlio, e dello scola-
ro Arnolfo di Cambio, riusciva a condurlo a
(1) Per le liriche di questo e d' altri poeti spiritualisti
senesi del Sec. XIII vedansi nella Bibl. Com. di Siena i MS.
I, VI, 9 — H, X, 2.
27
CAPITOLO I
termine in due anni di fatica. Queste opere
attestano il fervore di rinnovamento che acce-
se Siena subito dopo la grande vittoria sui
fiorentini e sono una prova della sua fede
civile alimentata da spirito religioso.
Questo popolo si può dire che uscisse dalla
Chiesa come dalla fonte del suo battesimo ;
se di lui volessimo cercare nelle immagini più
comuni del tempo la vera rappresentazione
simbolica la troveremmo forse nel gigante S.
Cristoforo, raffigurante la Chiesa, che solleva
su le proprie spalle il fanciullo, per aiutarlo
a raggiungere la sponda, oltre il fiume peri-
glioso della vita.
Di fatti prima che fosse terminato il Pa-
lazzo civico nelle chiese stavano tutti gii uf-
fici pubblici. Il Potestà a S. Pellegrino; i
Consoli, a S. Cristofano ; lo Studio, prima a
S. Vigilio, poi a S. Pietro d' Ovile. Ciò spiega
il carattere religioso, quasi di tempio, che as-
sunse il Palazzo comunale, ove Simone di Mar-
tino, al principio del sec. XIY, s'affrettava a
rappresentare nella sala delle Balestre la Ma-
donna in trono col Figlio, sotto un ricco bal-
dacchino sostenuto dagli apostoli, in mezzo ad
una turba di angioli, di santi, e di profeti; ove
più tardi, Taddeo di Bartolo, Sano di Pietro,
il Yecchietta, e finalmente il Sodoma, dovevano
eternare le immagini dei migliori santi e beati
senesi.
28
e
SENA VETUS CIVITAS VIRGINIS
I fasti del buono e del cattivo Governo
magnificamente rappresentati da Ambrogio Lo
renzetti nella sala dei Xove, mentre s' inspira-
no per r arte ad una visione acuta della vita
reale, s' accordano poi nella concezione simbo-
lica con il pensiero teologico della Chiesa. La
superba figura della « Pace » dominatrice porge
il ramo d' olivo del patto francescano (1).
L' arte senese fu sempre luce di fede reli-
giosa e civile. I pittori rimasero fedeli al Bre-
ve del 1355 ove dichiaravano di essere : « per
la grazia di Dio, manifestatori agli uomini
grossi che non sanno lectera de le cose mira-
colose operate per virtù et in virtù della fede »
Eran dunque più che pittori intesi a far mo-
stra di talento personale, pittografi semplici,
ardenti.
II cinquantenario di Monteaperto Siena lo
celebrò recando in trionfo al Duomo, per le
sue strade cosparse di fiori, la famosa ancona
della 3Iadonna dipinta da Duccio di Buonin-
segna (2) il quale su V iscrizione del dipinto
volle significare alla Regina della Città la
supplichevole gratitudine di tutto un popolo.
(1) La città che aveva parteggiatomi tempo per l'Impero
non esitò nel Trecento di far dipingere a Spinello Aretino su
le pareti del pubblico palazzo le gesta del papa senese Ales-
sandro ITI Bandinelli. E nella sala di Balia vedesi il papa
della Lega di Legnano che posa il piede sopra la testa di
Federico Barbarossa.
(2) Vedi illustraz. n. 5.
29
CAPITOLO 1
Mater Sancta Dei sis causa Senis requiei
Sis Ducio vita te quia piuxit ita.
Agnolo di Tura, cronista senese, dice che
fu « la più òella tavola che mai si vedesse et
facesse » e die « costò più di tremila fiorini
d'oro, » Duccio a dipingerla ci mise trentadue
mesi.
Lorenzo Ghiberti nei suoi Commentari
scrive : « Questa tavola fu fatta molto eccel-
lentemente e dottamente : è magnifica cosa. »
Yenne allogata al Buoninsegna il 9 ottobre
1308 da messer lacomo di Gilberto Mare-
scotti, operaio, ossia Rettore del Duomo.
Un cronista cittadino che probabilmente
prese parte alla festa così la descrisse: « In
quello di che si portò al Duomo si serraro le
buttighe ; et ordinò il Vescovo una magnia et
divota compagnia di preti e frati con una so-
lenne pucissione, accompagnato dai signori
ìfove e tutti gli uffiziali del Oomuno e tutti
i populari, e di mano in mano tutti e più
degni erano appresso a la detta tavola per
insino al Duomo facendo la pocissione intor-
no al Champo come s' usa, sonando le cham-
pane tutte a gloria per divozione di tanta
nobile tavola quanta è questa, la qual tavola
fecie Ducio di Mccolo dipintore, e feciesi in
casa de' Muciatti di fuore de la porta a Stal-
loreggi. E tutto quello dì si stette a orazione
30
SENA VETUS CIVITAS VIRGINIS
con molte limosiue, le quali si fece a povare
persone, pregbanclo Iddio e la sua Madre, la
quale è nostra Avocata, ci difenda per la sua
inlìnita misericordia da ogni avversità e ogni
male e guardici da mani di traditori e ni mici
di Siena. »
Duccio di Boninsegna lo sapeva che la sua
Madonna era bella ; essa non assomigliava a
quelle rigide madonne bizantine dagli occhi
aperti e fissi nello spavento di gastighi celesti
e terreni. Anch' oggi le alita intorno come un
odor di primavera. La Vergine duccesca è
donna di popolo, non Regina ; è figlia della
grande rivoluzione francescana e democratica
del popolo italiano; ha il cuore di madre, e
sa piangere con coloro eli e piangono perchè
conosce il dolore. Come bella nel suo dolore
la vide Duccio ai piedi della Croce ! Questa
pura creatura d'arte ebbe un' alta potenza di
commozione su l' anima dei mistici senesi del
Trecento. Opere come questa che hanno rac-
chiuso in sé tesori inestimabili di sentimenti
umani si può credere che abbiano realmente
un' anima.
Dinanzi alla bellezza d'un tal dolore fem-
minile, tremante su gli abissi della disperazio-
ne, ci tornano alla memoria i versi d'un ignoto
poeta senese del Dugento (1) :
(1) Questi versi della fine del Sec. XIII furono ritrovati
31
CAPITOLO I
Amor crocifìsso, Amore,
e perchè mi ai lasciata, Amore ?
Amor, tu m'ai lasciata
lo cor mi s' assottiglia
tutta quanta è disviata
la nostra famiglia,
la tua mamma è sconsolata :
ma chi la consola, Amore?
Amor, non aggio padre,
né mamma, né sorella,
né altro figlio, né frate
per me tarapinella ;
tu eri la mia reditate
di rocche e di castella, Amore !
Amor, se m' abandoni
non saccio che mi fare,
mettaromi a cercare,
lo mondo in giune e 'n sune
Se mi dovesser mangiare
li orsi, Amore.
In questi versi vibrano gli accenti della
passione francescana. l!son li avrebbe mai po-
tuti scrivere uno dai monaci chiusi nei mo-
nasteri dell' antica clausura ; già non sono dei
versi, ma lacrime, singulti, e sospiri d'un'ani-
ma angosciata nella solitudine dell'abbandono,
povera dell' unica e vera ricchezza, povera
d' amore.
Sono versi che destano risonanze profonde
dal Can. Lusini insieme ad altre rime spirituali fra le anti-
che carte del convento di S. Francesco in Siena.
32
SENA VETUS CIVITAS VIRGINIS
in Ogni anima perchè non scritti per yanità
letteraria ma detti, come una preghiera, per un
intimo bisogno spirituale.
Il medesimo valore umano si ritrova in
diversi altri documenti artistici ed anche let-
terari del Dugento, soprattutto in Siena. Leg-
gete le lettere (1) indirizzate dalla beata Cri-
stiana Menabuoi, da fra' Bartolomeo della Ver-
na e da frate Dvonisio a Geri ed a Guccio
Montanini. I Montanini erano uomini gagliar-
di, dediti a 1' esercizio della mercatura ; Geri
fece più volte il viaggio di Francia solo ed
insieme ai figli, e noi lo vediamo far parte del
Governo dei ìfove, nel primo bimestre del
1286 che recò il Popolo stabilmente al potere.
Orbene attraverso lo specchio di quelle let-
tere si scorgono i limpidi e schietti sensi di
fede, d'amore e di cortesia di quei ricchi e po-
tenti mercanti senesi, ed i rapporti di riverente
amicizia che mantenevano con le anime reli-
giose del tempo per attingerne forza di virtù.
La beata Cristiana si rivolge « al suo divoto
et amico karissimo in Jhesu Cristo Guccio de
Geri Montanini de Siena > per chiederlo o rin-
graziarlo di qualche favore, come di aver te-
nuto in prestito certo tempo un suo cavallo,
ovvero per raccomandarsi alle sue preghiere,
(1) Lettere volgari del sec. XIII a Geri e a Guccio Mon-
tanini — Lisini, Siena, 1889. Per nozze.
33
CAPITOLO I
e finisce 1' epistole con frasi come queste: < Se
qua se puote fare alcuna cosa che ve sia in
piacere, mandatela comandando che se farae
volentieri. Colui che ve fece senza voi, sia
sempre con voi. Amen ».
E così frate Dyonisio stando « in molta
pace » da Pisa scrive ammonendo il suo gio-
vane amico Guccio:... « Sappo bene che da
te abbo ricevuti et potuto ricevere molti ser-
vigi, ma il maggiore che mi possa fare tu, el
tuo fratello, el quale amo secondo te, anzi quasi
chome te, questo è che ne le buona via che
avete presa dobbiate perseverare, et di questo
prego ispesso Colui eh' el puote solo fare. Ad-
monirti per molte parole non fa bisogno, ma
reducoti ad memoria che la negligentia è il
maggiore nemico eh' abbia F anima, pensare
de la morte è grande suo conforto, ponere
mente gli spirituali caduti, et spetialmente in
Siena, è utilissimo ammaestramento, lassare
quanto è possibile a huomo eh' à famiglia gli
inpacci del secolo è in ispirito grande nutri-
camento... ».
Destituire d'importanza le ricchezze e le
preoccupazioni della vita materiale per addi-
tare la conquista dei beni interni come fonte
delle gioie più vere fu lo scopo precipuo del-
l'apostolato di Francesco che ben comprese i
pericoli d' una società che usciva dal lungo
giogo feudale e s' immergeva tutta nei com-
34
SENA VETUS CIVITAS VIRGINIS
merci, nel traflBco del danaro, nella brama di ar-
ricchire. Il figlio del mercante di Assisi volle
salvare T anima della vittoriosa borghesia del
Dugento ed in gran parte vi riuscì. Per que-
sto egli cercò di fare udire la sua parola non
tanto in mezzo alla gente dei campi ma su
le piazze e le vie delle giovani città comu-
nali.
Il Poverello venne la prima volta a Siena
nel 1212. Ce lo dice il cronista Andrea Dei
confermando la narrazione dei Fioretti che è
veramente squisita : « Andando un dì santo
Francesco per cammino con frate Masseo, il
detto frate Masseo andava un poco innanzi:
e giugnendo a un trebbio di via, per lo quale
si poteva andare a Firenze, a Siena, e ad Arez-
zo, disse frate Masseo: Padre, per quale via
dobbiamo andare ^ Risponde santo Francesco :
Al segnale eh' io ti mostrerò, onde io ti co-
mando per lo merito della santa obbedienza,
che in questo trebbio, nel luogo ove tu tieni
i piedi, tu t' aggiri intorno intorno, come fan-
no i fanciulli, e non ristare di volgerti, s' io
non tei dico. Allora frate Masseo incominciò
a volgersi in giro ; e tanto si volse che per la
vertigine del capo, la quale si suole generare
per cotale girare, egli cadde più volte in terra :
ma non dicendoli santo Francesco che ristesse,
ed egli volendo fedelmente ubbidire, si rizza-
va. Alla perfine, quando si volgeva forte, disse
35
CAPITOLO I
santo Francesco : Sta fermo, e non ti muovere ;
ed egli istette. E santo Francesco il domandò :
Inverso qnale parte tieni la faccia? Risponde
frate Masseo: Inverso Siena. Disse santo Fran-
cesco : Quella è la via, per la quale Iddio
vuole, clie noi andiamo. Andando per quella
via, frate Masseo si maravigliò di quello che
santo Francesco gli aveva fatto fare, come i
fanciulli, dinanzi ai secolari che passavano :
nondimeno per riverenzia non ardiva a dire
niente al Padre Santo. Appressandosi a Siena,
il popolo della città udì dello avvenimento del
santo, e fecionglisi incontro ; e per divozione
il portarono lui e il compagno insino al Vesco-
vado, che non toccarono niente terra co' piedi.
In quella ora alquanti uomini di Siena com-
batteano insieme, e già v' erano morti due di
loro. Giugnendo ivi santo Francesco, predicò
loro sì divotamente e sì santamente, che gli
ridusse tutti quanti a pace, e grande unitade,
e concordia insieme » (1).
I più antichi cronisti senesi ci dicono come
il Poverello giunse e come se ne partì. Scrive
il Dei: « E partissi di Siena una mattina a
buon' ora e fermossi dove oggi si chiama l'ar-
bolo di S. Francesco, e vi ficcò un suo ba-
stone, e attaccossi, e crebbe grande albero. E
allora si fé quello romitorio, e cominciossi la
(1) Fioretti, cap. XI.
36
SENA YETUS CIVITAS VIRGIXIS
chiesa di S. Francesco ». Un altro cronista
anonimo (1) della fine del Du<>'ento pur ci
racconta come a V improvviso inverdisse il ba-
stone del Santo pellegrino.
Ha voluto forse la leggenda ricordare con
il miracolo il frutto spirituale della sua paro-
la che doveva essere seme fecondo di bene in
tante anime? Certamente 1' efficacia del suo
breve apostolato in Siena fu grande se nel
1220, a r annunzio della morte di lui, il Co-
mune decretò V erezione d' una Chiesa in suo
onore. Alla fabbrica del primo tempio france-
scano misero mano i senesi nel 1228, 1' anno
della canonizzazione del Poverello, e sembra
fosse compiuta nel 1255. Quella chiesa proba-
bilmente di stile romanico non era vasta come
la presente : piccola anzi e povera ; ma v' al-
bergava lo spirito dell' Assisiate, e gli umili
come i grandi cittadini vi si raccoglievano nel-
r amore d' una fede eh' era gioia ed era pace.
I ricchi mercanti, in fin di vita, disillusi delle
cose vane e delle grandezze del mondo, reca-
vano ai custodi del tempio i danari guada-
gnati spesso con estorsioni ed usure, e li pre-
gavano di distribuirli ai poveri. Poi chiede-
vano in quel tempio o nel chiostrino contiguo
di S. Gherardo una semplice sepoltura. Ivi i
Tolomei, i Salvani, i Salimbeni ebbero le tom-
(1) Bibl. Com. di Siena. Codice I, 11, 5.
Oi
CAPITOLO I
be di famiglia. È quasi certo che Proyenzan
Salvarli, il vincitore di Monteaperto, fosse sep-
pellito in S. Francesco.
L' anima di Provenzano, come quella di
Dante, conobbe il dissidio di due civiltà in
contrasto. Ghibellino, superbo del suo sangue,
non credè, di umiliar sé stesso quando con
esempio novo nella storia dell'aristocrazia feu-
dale, egli primo fra i cittadini di Siena, con
un gesto pieno di bellezza francescana, mentre
vivea più glorioso,
Liberalmente nel Campo di Siena
Ogni vergogna deposta, s' affisse :
E lì, per trar P amico suo di pena,
Che sostenea nella prigion di Carlo,
Si condusse a tremar per ogni vena.
Questo rappresentante autentico dell'aristo-
crazia, fu capace di umiliarsi a chieder l'ele-
mosina per amor di carità cristiana ; ed egli
sentì ancora, e non poteva non sentire, la forza
del Popolo che ascendeva nella fiamma del
nuovo ideale civile, anche se dentro di sé,
come vuole Dante, fu « presuntuoso — a re-
car Siena tutta alle sue mani ». In uno dei
piìi antichi poemi politici italiani, che Celso
Cittadini crede scritto nel 1262 da un senese,
alcuni versi posti in bocca di Provenzan Sal-
38
SENA VETUS CIVITAS VIRGINIS
vani confermerebbero la sua fede nel Popolo.
Egli parla di Siena con un certo Rugieri im-
paurito, dopo Monteaperto, della partenza per
Kadicofani di cospicue famiglie guelfe, soprat-
tutto per timore de V inimicizia del Papa, e
così gii dice :
Ku^ieri, or ti konforta
Et abi giuoko et riso
Gieso Cristo la tiene et porta
(la llui non è diviso,
lo franko popolo accieso
la porrà in altura
Siena, ciò m' è viso.
Città di natura !
L'odio guelfo del concittadino Cavolino To-
lomei, nella rotta di Colle del 1269 doveva
spiccare il capo dal busto a Provenzan Salva-
ni, facendo fremere di gioia Finvida Sapia clie,
benché senese, come ci riferisce Benvenuto da
Imola « era tanto furente di odio, che prima
gridava che si sarebbe gittata dalla finestra se
i senesi avessero vinto odiava ella il popolo
di Siena, come la Zanganella il popolo di Fio-
renza, cioè odiava la prosperità di quel popolo,
e quel Provinciano tanto famoso e potente ».
Anche questa donna, come l'anima del nemico
suo, s' inabissa, alfine, attraverso la visione
dantesca, nel turbine dell'amore francescano:
noi la vediamo Sapia nel secondo girone del
Purgatorio, addossata alla costa dura del mon-
39
CAPITOLO I
te, ricoperta da un manto di cilicio, con le
palpebre degli occhi cucite di filo di ferro, ma
certa di riaprirle nella luce dell' empireo, con-
fessarsi, umilmente, così :
« Pace volli con Dio in su lo stremo
della mia vita; ed ancor non sarebbe
lo mio dover, per penitenza, scemo.
Se ciò non fosse che a memoria m' ebbe
Pier Pettinagno in sue sante orazioni,
A cui di me per caritate increbbe ».
Il Salvani, nel giudizio di Dante, trovò
certo il pegno de V eterna salute per la no-
biltà del suo atto in favore de 1' amico.
Quando F Alighieri venne in Siena potè
vedere le case del vincitore di Monteaperto
ridotte a un mucchio di rovine (un guelfo.
Meo Tolomei, s' era accollato le spese della
distruzione) e meditare dinanzi a quelle pietre
ch'erano già state segni di splendore, su la
vanità della gloria terrena e sull'ingratitudine
degli uomini.
La Signora di Oastiglioncello dovè la sua
salvezza a l' umile prece del popolano che ci
appare in Siena, come il primo fiore della
fede di S. Francesco, e che ne preannunzia la
gloria nel Purgatorio dantesco.
Poche notizie ci sono giunte di Pier Pet-
tinagno ma quelle poche, indiscutibilmente
40
SENA VETUS CIVITAS VIRGINIS
storielle, sono tali che possiamo rappreseiitarei
assai bene la sua figura spirituale.
Ignoriamo V anno preciso della nascita di
Pier Petti nagno. Egli traflicava in pettini da
scardassare, in pettini da telai per tessere. Ebbe
quattro tìgli, Bencivenni, Francesco, Ventura,
Kistoro.
Fu del popolo di S. Desiderio ed appartenne
al terz'ordine di S. Francesco. Semplice, umile,
onesto, si guadagnò per le sue chiare Tirtìi l'am-
mirazione dei suoi concittadini. K^on appartenne
mai al Consiglio della Repubblica e ciò proba-
bilmente perchè non volle, mentre il 6 gennaio
1282 accettò l'incarico di scegliere cinque pri-
gionieri fra i più meritevoli d' essere liberati.
Così pure il Consiglio quando nel 1285 stabilì
di elargire una elemosina straordinaria ai con-
venti ed ai poveri della Città si affidò al Petti-
nagno. Conosciamo egualmente dai pubblici do-
cumenti conservati ne V archivio di Stato, che
egli fece una ricevuta come membro d'una com-
missione comunale « j?>ro picturis quas fecerunt
fieri ad portas >, immagini religiose ch'egli forse
consigliò ai governatori della città. Morì il 12
dicembre 1280 e fu proclamato santo a voce
di popolo. Sette giorni dopo la morte, la Re-
pubblica ordinò che fosse costruito, nella chiesa
di S. Francesco « Super tumulum Sancti Petri
Fectenarii, veneraMlis civis Senensis, unum se-
jìulchruni noMle cimi ciborio et altari » .
41
\ CAPITOLO I
Il sepolcro del Pettinagno, scolpito da un
certo maestro Agostino^ fu tenuto in grande
onore anche nel nuovo tempio francescano il
quale cominciato verso il 1260, ebbe il suo
compimento magnifico nel secolo XIV grazie
al concorso di tutti i cittadini, e del Comune,
che passava ai Minori 25,000 mattoni a Fan-
no (1). Dopo F incendio del 1655 il sepolcro
del terziario francescano, nei lavori di restau-
ro, andò disperso e poi distrutto. Poco impor-
tava al secolo XYII il culto d' un beato
Pettinagno. E sol di lui rimase il ricordo lu-
minoso nel Poema di Dante.
L' Ospedale della Scala, il luogo sacro al
dolore, alla povertà, alla morte, severamente
s' inalzava dinanzi alla maestosa cattedrale
quasi per ricordare ai fedeli F eterna verità
della vita, il tormentoso supremo mistero che
solo si spiega in Dio. Fu questo il focolare
primo del misticismo senese, ove praticarono
il loro noviziato eroico quasi tutti i santi cit-
tadini. Le origini dell' Ospedale sono antichis-
sime. Fu al principio Pellegrinalo, ma in un
documento del 1090 esso appare già come isti-
tuto ospedaliero. La direzione fino al secolo
XIII, nel quale divenne Ente autonomo, fu
(1) Questo dono ai Minori « Pro opere noviter incepto » è
decretato per legge nel Constituto del 1262.
42
SENA YETUS CIVITAS VIRGINIS
vivamente combattuta fra i Canonici della vi-
cina cattedrale e la fratellanza de<ili Oblati,
compagnia laica che prevalse sotto il pontifi-
cato di Celestino III ottenendo libero governo
e la libera scelta del Kettore. Vero è che poco
dopo il Papa, dinanzi ai violenti richiami del
Capitolo, riatfermò in parte i diritti dei Cano-
nici al possesso dei beni de l'Ospedale, ma sic-
come in questa lotta fra P elemento ecclesia-
stico e l'elemento laico il popolo prese le parti
di quest' ultimo, la Compagnia degli Oblati
trionfò al fine nel Dugento. L'Ospedale s'ebbe
le sue Costituzioni dal rettore Ristoro di Giunta
Meniilii ; divenne ricchissimo ; e ne 1' anima
popolare si rinsaldò la fede che il popolano
Sorore fondasse il massimo Istituto della Be-
neficenza cittadina.
La vita di Sorore si nasconde nella leg-
genda d' un sogno medievale di pace che il
pennello di Taddeo e di Domenico di Barto-
lo fece rifiorire gentilmente nel Trecento su
le nude pareti dell' ospedale di Santa Maria
della Scala, ov' ebbe il beato la sua casa pa-
terna, su le rovine d' un antico tempio con-
sacrato a Minerva, di fronte alla chiesa di
S. Bonifacio che poi doveva lasciare il luogo
al duomo superbo.
Bella e profumata di poesia è la leggenda
di Sorore attraverso la quale ci è dato di sen^
tire un poco l'anima primitiva della città to-
43
CAPITOLO I
scana, fiorente nella sua vita nova, e nutrita
di alte virtù avviarsi sicura alla conquista
della sua gloria: con quest' uomo è il cuore
stesso del popolo senese clie assorge, nella notte
dell' oppressione, verso forme superiori di
vita civile e libera, modellandosi su quello di
Cristo.
Piero si chiamò il padre, e Grazia la ma-
dre di Sorore : egli nacque, come e' informa-
no le antiche cronache, il 25 marzo dell'anno
832. La madre pria eh' ei nascesse ebbe la più
singolare visione. Una scala le appari la cui
sommità toccava il cielo e per essa saliva il
nato di lei, mentre che con grande stupore
stavano ai piedi della medesima innumerevoli
persone contemplando il suo salire, certo pre-
sagio aggiunge, con meravigliosa ingenuità un
antico biografo, eh' egli per le opere sante sue
doveva salire sopra il cielo dei cieli a con-
templare la divina Essenza, o pur d' aver ad
essere il fondatore dell' ospedale di S. Maria
della Scala. Di fatto tre gradini ha la scala
che fu tolta ad impresa dell' ospedale senese,
significando che per tre gradi si arriva facil-
mente in Paradiso : per il primo s' intende la
Fede fondamento dello spirituale edificio; per
il secondo la Speranza, senza la quale non si
consegue il desiderato; per il terzo la Carità,
cima di tutte le virtù che introduce F anima
nella comunione degli spiriti angelici.
44
SEXA VETUS CIVITAS VIRGINIS
L' unione dei poveri e dei ricebi, dei de-
boli e dei potenti, costituisce la forza vera
d' uno Stato e ne assicura il continuo pro-
gresso nella pace interna : questo è il pensiero
politico clic ci è permesso di scoprire dietro
quello religioso del Beato cbe lo contiene vir-
tualmente in s^erme.
Siena si può dire cbe porti il vanto fra le
città d' Italia risorgenti a vita comunale di
aver primamente studiati e risoluti con sagace
intelligenza alcuni gravi problemi economico-
sociali. Xel secolo nono essa vide sorgere, e
fiorire il migliore ospedale d' Italia per i ma-
lati poveri e per i trovatelli, e vide fruttifi-
care r impresa, giaccbè molti altri ne sorsero
poco dopo nelle varie città consorelle cbe tol-
sero ad esempio e si sottoposero nel governo
a quello di Siena. Tra questi fu F ospedale
fiorentino della Scala che fino al secolo XVI
si mantenne agli ordini del Rettore senese,
e cosi pure quelli di Acquapendente, Eieti,
Todi, S. Miniato al Tedesco, Monte S. Sa-
vino, Poggibonsi, S. Gimignano ed altri an-
cora.
Il famoso ospedale di Siena nacque su le
fondamenta della casa del ciabattino Sorore,
deir umile casetta cbe il popolano senese aprì
insieme alla porta del suo cuore, per accogliere
i poveri pellegrini, gli atfamati, i sofferenti, i
bimbi sperduti.
45
CAPITOLO I
La carità di questo servo di Cristo, anima
veramente sorella dell' umano dolore, era gran-
de quanto la sua povertà. Ma del poco fece
F assai. I ricchi vedendo così generoso quel
povero, cercarono di emularlo e furono larghi
a lui di elemosine onde aiutarne l'opera bene-
fica. Sorore potè allora centuplicare i frutti
della sua carità, ed il bene fu molto in Sie-
na, ed il demonio n'ebbe invidia. Di quest'in-
vidia satanica ci narra la leggenda un fatto
che mostra attraverso il velo allegorico il nòc-
ciolo dell' antica realtà, e si colora della gra-
zia ingenua dell' ardente fede medievale.
Con il permesso del Signore si travestì
adunque un giorno il Demonio da pellegri-
no e chiese alloggio a Sorore che amorevol-
mente 1' accolse nella sua casa e gli diede il
miglior letto per riposare. Venuta la mattina
il Demonio si presentò a Sorore dicendogli :
« Certo che della carità usatami ti tengo
grande obbligo ma dell' oltraggio fattomi non
posso se non dolermi, perchè essendo venuto
ad alloggiare teco, acciocché non mi fosse alle
osterie o in altro luogo tolta buona somma di
danari eh' io portava, in effetto, vedo essermi
fallito il pensiero, e che tu non sei quel san-
t' uomo, pieno di carità che il mondo ti pre-
dica, ma pubblico assassino di strada, toglien-
do il suo ai poveri pellegrini, com' hai rubata
a me la borsa con tanti denari ».
46
SENA VETUS CIVITAS VIRGIXIS
Rimase confuso e quasi fuor di so a que-
ste parole Sorore, uè a peua poteva ripigliare
il fiato per parlare, sentendosi gravato da sì
gran calunnia, e perchè era innocente e tanto
puro e semplice, che non poteva credere colui
dicesse bugia, né riuscendo ad esser persuaso
che alcuno dei pellegrini, i quali aveva al-
loggiato, avesse commesso il furto, si diede a
ricercare per tutta la casa la borsa che il
diavolo bugiardamente affermava essergli stata
rubata.
Xon trovandola, il povero Sorore esortò ca-
ritativamente i pellegrini che s' alcuno di loro,
acciecato dal demonio, avesse commesso il fur-
to, lo restituisse per salute dell' anima sua e
togliesse lui dallo scandalo e la sua casa, giac-
che non vi sarebbero più concorsi i forestieri
udendo che vi si derubava la gente. Tutti re-
stano smarriti, e per mostrar di non essere
ingrati al benefattore, fan vedere minutamente
ogni loro avere e si spogliano per dar soddi-
sfazione all' importuno accusatore che contro
il servo di Dio esclamava : « Io non resto
soddisfatto perchè tu sei un ladro è non co-
storo »; e con grandi ingiurie e villanie, im-
mantinente V andò a denunziare alla Corte,
dove chiamato Sorore davanti al tribunale riu-
scì ad esporre le sue ragioni, ma tant' era la
perfidia del demonio, che già non solo i mi-
nistri di giustizia, ma altri cittadini s' eran
47
CAPITOLO I
cominciati a sollevare contro di lui, sospet-
tando che il bene fosse apparente : e trattando
il giudice di metterlo in carcere si levò egli
un sacchetto con alcune reliquie dal collo e
lo porse al Podestà dicendogli: « Signore, fa-
tegli giurar qui sopra che sia vero quel che
avanti al vostro tribunale ha esposto, d' aver
portata in casa mia la borsa, e poi di me fate
quanto vi piace » . A queste parole sparve il
demonio con grandissimo rumore e lasciò il
giudice pieno d' immondezza, ed attoniti gli
astanti, e Sorore potè ritornarsene alle sue
opere buone tranquillo, e con F aureola d' un
prodigio confermante la sua santità. E vero
però che a qualcosa l'invidia satanica gli ser-
vì, cioè a farlo più accorto : di fatti, d' allora
in poi, deliberò di far V inventario esatto di
tutte le cose che portavano i suoi ospiti non
a pena mettevano piede nella sua casa. E
quest' uso si perpetua ancora nell'ospedale del-
la Scala, per 1' utilità dimostratane dal demo-
nio a Sorore.
Le opere di misericordia del Beato sceneg-
giate a buon fresco da Taddeo di Bartolo e
dai suoi aiutanti nei saloni e lungo le corsie
dell' ospedale senese e' introducono ne 1' inti-
mità della casa trecentesca e ci fanno cono-
scere i curiosi costumi cittadini del tempo. Noi
sappiamo dalle cronache come presto entrasse
48
t
La scuola nell' Ospedale.
Fot. Lombardi.
SIENA. (Ospedale della Scala)
Domenico di Bartolo
SENA YETUS CIYITA8 VIRGIXIS
F USO che i gentiluomini e le gentildonne, a
V ora (li desinare e di cena, tutto V anno, e
massime V estate, andassero a V ospedale e
< presi panni da riparto'si dalle hrutture > si
mettessero quelli a servir di propria mano gli
uomini infermi, e quello le donne.
Nei freschi, meraA igliosamente vivi, noi ri-
vediamo i signori e le signore delP antica no-
biltà senese ai letti degli ammalati, aggirarsi
in mezzo a la folla dei frati ospitalieri avvolti
nel lungo manto nero sul quale ricadeva il
cappuccio simile a quello dei vescovi, e con in
capo la scutfìetta a mandorla annodata con
lacci sotto la gola sì da ricoprir le orecchie ;
e vediamo i medici ed i chirurghi muniti
degli strumenti dell' empirica arte loro, prov-
visti di tiale, e di scatolette per unguenti, di
pannilini; ed in altre stanze, ecco i preti am-
ministrare i sacramenti ai moribondi, ecco su
la porta dell' ospizio affollarsi i poveri per la
distribuzione delle pagnotte e dei vestiti, ecco
le balie gravemente sedute per terra allattare
i bimbi trovati nella ruota ; ed i più grandi-
celli cresciuti a cura dell' opera pia sotto la
guida d' un frate severo, armato d' una lunga
ferula, intenti a sillabare, sui libri ed a verga-
re le carte ; (1) ecco le fanciulle da marito at-
tendere pudiche, a capo chino, i giovani nei
(1) Vedi iUustrazione X.® 6.
49
CAPITOLO I
giorni della ricliiesta. Quest' ultima scena ci
mostra uno dei singolari costumi della vita
senese (1).
Lascio la parola ad un cronista che vide
lo spettacolo: « Ogni anno, il giovedì e vener-
dì Santo s' apparecchiano bianchissime mense
avanti ai superbi edilizi dello spedale, e si fio-
riscono, e dalla parte delle muraglie, che ri-
sguardano la chiesa Oatedrale, si pongon le
banche, e a seder vi stanno le citole da ma-
rito, parecchie hore del giorno, con occhi bassi
e man cortesi, mostrando (come hanno in ef-
fetto) grandissima modestia, e cantando divo-
tissime laudi, che non è senz' una certa divo-
zione : e in quei giorni è lecito ai giovani e
altri non maritati, presentare alcuna di loro;
e quel presente s' intende per segno che quel
tale chiede quella per consorte, e si fa allora
scriver dal signor Oamarlengo dell' Ospidale il
nome, cognome e patria dell' uomo e della
giovane che desidera per moglie; e fatta dili-
gente ricerca delle condizioni di chi chiede, se
si trova esser persona da bene, e che sia per
ben tenere la donna, se gli dà per moglie dalla
Santa Casa, con solita dote, e d'essa tien cura
la detta Oasa come di sua figliuola sempre, e
massime quando rimanesse vedova. Da quei
giorni determinati in poi, e cavate certe hore
(1) Vedi illustrazione N.** 7.
50
Lo sposalizio delle fanciulle
Fot. Lombardi.
SIENA. (Ospedale della Stala)
DoMKNico DI Bartolo.
SENA A'ETUS CIVITAS VIRGIXIS
cV iilcuni santi giorni delV anno, che a coppia
a coppia con le matrone, vedove, gnardie e
vecclii, visitano due o tre chiese, andando per
r indulgenze o a far V ofterta nelhi propria
chiesa dello Spedale, stanno le giovene con ri-
stretto e riguardo, senz'esser viste da huomiui
con diligentissime guardie alla Huota, come
se monache raccliiuse, velate e sacrate fus-
sero.... ».
Per certo erano queste le donne che pote-
vano salire degnamente sugli altari, circomfuse
di grazia celestiale nelle tavole d'oro, a figu-
rar le dolci sembianze di Maria, e quanto di-
verse apparivano dalle loro concittadine che
più tardi avrebbero tolto a prototipo di per-
fezione la Eatfaella del Piccolomini! Altri tem-
pi, altri costumi.
Frattanto pur fra le fastose e raffinate ele-
ganze del Rinasci mento, che in Siena sfolgorò
nel suo pieno splendore e con eccessi di pa-
gana corruzione, la donna senese rimase pur
sempre, come ce la descrive il Bargagli, una
signora « alla cui presenza gli occhi si dilet-
tano, gli orecchi si consolano, gii spiriti si ri-
storano, l' intelletto si pasce altamente, et gli
ingegni divengono elevati et gli elevati si raf-
finano e si fanno perfetti » , sdegnando ella di
« dare tutto il giorno o tutta la notte al dan-
zare come in alcuni luoghi si costuma » . La
senese continuerà sempre ad irraggiare un poco
51
CAPITOLO I
di quella luce scaturieute dalle sue tradizionali
virtù, dalla trecentesca nobiltà delle caste ma-
donne, che sulle tavole di Matteo di Giovanni,
anima botti celliana, tradiscono nei volti appas-
sionatamente malinconici tutta la pena d' un
gran tesoro perduto.
Rivarcliiamo la soglia dell'anno mille e tor-
niamo a Sorore. Fra Gregorio Lombardelli
dell' ordine dei predicatori raccolse di lui, in
mezzo al popolo, alcuni squisiti fioretti i quali
serbano in un libro rarissimo, stampato in
Siena presso Luca Bonetti, l'anno 1585, gran
parte della loro primitiva fragranza. Da que-
sto abbiam tolta la leggenda del demonio che
visitò Sorore travestito da pellegrino, ma va-
rie altre ve ne sono parimente deliziose per
fresca italianità : « Come il Signore gli apjpa-
reccJiiò nuovo mezo cV affaticarsi nelVopere cari-
tative per lo parto cVuna povera donna. Come
venendo a Siena tm giovane, vestito a monaco,
2)er ammazzar certi suoi nemici, fu convertito
da /Sorore, e venne alla pace » . Come ricevè al
servizio dello spedale quel soldato che gli tolse
il lenzuolo e gli dette la guanciata. Come il
Dimonio in forma di òellissima giovene pellegri-
nante^ tentò Sorore e rimase confuso » . Questi
sono i titoli di alcuni fra i Fioretti del beato,
i quali meriterebbero d'essere conosciuti e por-
terebbero certo un contributo notevole allo
52
SEX A YETUS CIVITAS VIRGINIS
studio della nostra meravii2:liosa letteratura lei»-
gendaria, illuminando la storia del misticismo
senese. Sorore morì nella sua città nativa ai
quindici d' agosto dell' anno 898, come gli fu
preannunziato dalla Regina degli Angeli.
Il primo sabato d' agosto dell' 898, mentre
stava in orazione, sembra che gli apparisse la
Tergine e così gli favellasse: Poiché tanti
anni mi hai servito con sincerità di cuore, ho
voluto venire a dirti oggi che 1' opere sante
tue sono state molto accette al mio Figliuolo
e non passeranno senza rimunerazione in Cie-
lo ; e la Scala che tu hai fatta, sarà cagione
che molti saliranno a Lui, e son saliti. Però
a cagion che tu possa ormai quietarti dalle
tante fatiche e riceverne una pia mercede, ap-
parecchiati alla morte, del presente mese nel
giorno della mia Assunzione, nel quale sì come
in terra e in cielo si fa grandissima festa per
mio honore così la tua salita darà simile alle-
grezza a tutta la celestial Corte » . E ciò detto
sparve la visione restando Sorore pieno di dol-
cezza spirituale. Ei volle quindi prender con-
gedo dai suoi compagni frati ospitalieri con
un paterno discorso che è il suo testamento.
Ed approssimandosi il giorno della predetta
sua dipartita dalla terra ei si spogliò d' ogni
cura dello Spedale per apparecchiarsi a mo-
rire. Due giorni innanzi fu preso da febbre
fortissima : la mattina dell' Assunta quando
53
CAPITOLO I
il sacerdote nella messa solenne a 1' Arcive-
scoYado pronunziava il Gloria in excelsis Deo,
Sorore alzò gli ocelli al cielo, giunse le mani
e rese F anima a Dio (1).
L'opera della pubblica beneficenza die per-
vasa dallo spirito francescano ebbe in Siena
un apostolo nel beato Pettinagno ed il suo
Battista nel simbolico Sorore è in realtà 1' e-
spressione del sentimento laico cristiano. Fin
dal Dugento cominciò ad accentrarla in se
r Ospedale al quale andavano moltissimi la-
sciti ed offerte di ricchi cittadini, cosicché
l'istituto ospitaliero divenne in breve tempo
assai ricco, ed al principio del sec. XIV pos-
sedeva varie tenute e più di 50 grangie ossia
magazzini fortificati per il grano. L' Ospedale
(1) Il beato Sorore è una creazione della fantasia mistica
del popolo senese. Il P. Lombardelli clie si occupò nel Sei-
cento di questa singolare figura non ebbe alcuna preoccupa-
zione d' indole critica nel comporre la sua storia. Or ecco il
fatto clie dette credito alla leggenda trecentesca. Il 24 maggio
1492 lavorandosi per accrescere la fabbrica dello Spedale fu
trovata un' urna con le j)arole : B. Soror. La voce latina Soror
ebbe l' interpretazione di Sorore j più facile fu di scoprire
sotto la j) reposta iniziale B. il titolo di Beato. Così non solo
fu dal popolo confermata la credenza nella^ santità del ciabat-
tino fondatore del civico spedale ma si ritennero trovate le
reliquie del beato. Giova pertanto osservare che un personaggio
mitico può essere altrettanto vivo nella coscienza d' un popolo
che un personaggio realmente vissuto e che perciò lo storico
lungi dal trascurarlo deve rappresentarlo così come vive nella
fantasia, nel sentimento, ne 1' arte popolare, cioè senza strap-
pargli la maschera della storicità.
54
SEXA YETUS CIVITAS VIRGINIS
alloggiava i poveri pellegrini, raccoglieva ed
educava i gittatelli e curava tutti i malati fuor
elle i lebbrosi. Questi ultiuii erano raccolti nel
« Lebrosaj'io » di S. Lazzaro ; non i)otevano
abitare in città nò per due miglia a 1' intor-
no, e giravano per le vie di campagna cou un
campanello al collo per avvisare ad ognuno
di scansarsi al loro passaggio. La condizione
di (questi disgraziati doveva essere terribilmente
penosa, ed essi offrivano ai mistici l'occasione
di esercitare la più eroica carità.
Se r Ospedale fu il cuore, le braccia della
beneficenza pubblica furono le numerose Com-
pagnie. Xe facevano parte indistintamente laici
e sacerdoti, nobili ed artigiani; ciascuna aveva
i suoi Capitoli ai quali dovevano conformarsi
i soci; la Compagnia era governata da un Prio-
re assistito da sei o dodici consiglieri e per la
parte amministrativa da un Camarlengo. I soci
dovevano raccogliersi nell'Oratorio della Com-
pagnia per la preghiera o la disciplina in co-
mune.
Tutti, secondo un turno stabilito dal Priore,
andavano per le case una o due volte la setti-
mana, ad accattare pane e denaro per i pove-
ri, ed ogni cosa veniva consegnata al Camar-
lingo il quale ne prendeva nota nel libro d'en-
trata ed uscita della Compagnia, essendo in ob-
bligo alla fin d'anno di riferire a l'Assemblea
su la propria gestione. Ciò che caratterizza il
55
CAPITOLO I
funzionamento filantropico di queste compa-
gnie laicali si è che, a differenza dell' Opera
ospitaliera, non solevano accumulare 1' elemo-
sine ma erano tenute a distribuirle dentro gli
otto giorni dalla consegna.
Divise per quartieri (ogni parrocchia ne
aveva più d' una) quasi tutti i cittadini vi
appartenevano, e siccome lo scopo delle me-
desime era V aiuto dei poveri indirizzato al
perfezionamento morale del socio, ben si com-
prende come lo spirito religioso che le infor-
mava contenesse in una salutare disciplina
uomini di natura violenti e poco sensibili alla
sofferenza umana. Se noi percorriamo i Cajn-
toli della Compagnia dei disciplinati sotto le
volte dell'Ospedale (1), (risalgono al 1295), una
delle più importanti della Città, ci colpisce
subito la rassomiglianza di questi statuti con
le regole degli ordini monastici. Ma nelle com-
pagnie soffiava uno spirito nuovo che dovea
fecondare il misticismo dei santi riformatori
come il Colombini e Caterina Benincasa. Gli
autentici rappresentanti della classe aristocra-
tica non potevano sentirlo e quando si con-
vertivano alla vita religiosa preferivano rin-
chiudersi negli antichi conventi benedettini ove
sopravviveva F anima religiosa medioevale, op-
pure si riducevano a vita solitaria in luoghi
(1) Ediz. di Luciano Bauclii — Siena — Gati, 1866.
56
SENA VETUS CIVITAS VIRGIXIS
orridi e belli, lungi da V abitato, vicino a !e
rocche turrite, in un mondo d'angeli e di de-
moni. Da un lato si presentavano ad essi come
modelli i leggendari protettori della città, uo-
mini di fiero e generoso sangue romuleo come
Vittorio ed Ansano, dall'altro lato i prototipi
della vita penitente ed eremitica realizzata dai
monaci di Lecceto speccliiantisi a lor volta so-
pra S. Girolamo il quale sin nel tardo Quat-
trocento rimase sul quadro di devozione se-
nese a straziarsi il petto con un sasso alla
destra della Vergine, mentre già alla sinistra
di lei era apparsa la dolce figura del predica-
tore popolare Bernardino, il tipico rappresen-
tante della corrente mistica francescana che si
ricongiunge con il moto cateriniano e con
quello dei Gesuati integrandone d' ambedue gli
spiriti. Primo il Colombini, come vedremo più
innanzi, pur conservandosi fedele alla legge di
mortificazione proposta dalla perfetta vita ere-
mitica, entra risolutamente nella via france-
scana dell' azione, per virtù de 1' esempio e
della parola. Egli doveva mostrare per tal guisa
il cammino alla popolana Caterina Benincasa
la quale compieva vent' anni quando il fonda-
tore dei Gesuati veniva rapito dalla morte al
suo fecondo apostolato.
Il prototipo del Santo senese medioevale,
che succede alla categoria dei santi romani
leggendari come Vittorio ed Ansano, è il gio-
57
CAPITOLO I
Tane cavaliere S. Galgano (1), nna figura clie
appartiene più al mito che alla storia.
N^ella biblioteca comunale di Siena si può
leggere la sua leggenda in un codice del Tre-
cento (2) die ci trasporta con il suo fascino
fresco di visione, sopra un monte solitario,
formato di alabastro bianco, detto Montesie-
pi, ove sorgono le grandiose rovine del tem-
pio monumentale consacrato a S. Galgano (3).
Dionisia madre di lui narrò nel processo di
canonizzazione le cose vedute dal figlio in
sogno e che poi dovevano realizzarsi. Come il
suo cavallo lo conducesse a Montesiepi, ov'egli
ficcò nel masso la spada formandone una cro-
ce, ed ove per tre volte avendo deciso di ri-
tornare al secolo, in cui avea condotta vita fe-
roce e dissoluta, ne fu trattenuto da una forza
misteriosa. S. Michele lo guidò ad un fiume
« sopra il quale era un ponte, lo quale era
molto longo et senza grandissima fadiga non
si poteva passare : sotto lo qual ponte, sicco-
me la visione li mostrava, lì era uno molino
lo quale continuamente si roteava e si volle-
va, lo quale significava le cose terrene le qua-
li sono in perpetua flussione. Et passando ol-
tre pervenne in un bellissimo dilettevole prato,
lo quale era pieno di fiori, del quale usciva
(1) Vedi illustrazione N.® 8.
(2) Cf. Cod. miscel. C. VI. 8 da carte 179 a carte 204.
(3) Vedi illustraz. ii.^ 9.
58
8
Fot. Lombardi.
SIENA. (Abbazia di S. Galgano)
S. Galgano.
Urbano uà Cohtona ?
SENA VETUS CIVITAS VIRGINIS
ismisurato odore et gratioso. Poi escendo di
questo prato, parevagli entrare sotterra et ve-
nire al monte Siepi nel qual monte trovava
dodici apostoli in una casa ritonda, li quali li
recavano uno libro aperto dinanzi, et che elli
lo leggesse, en la qual parte del libro era que-
sta sententia: « quoniam non cognovi literatu-
ram, introiho in ^>o^e;«im<s Domini ; Domini
memorahor notitie tue solius, » Et essendo in
questa casa ritonda et sguardando cogli occhi
in cielo, vidde una immagine speciosa et bel-
lissima ne V aire » . Così Galgano di Chiu-
sdino, l'anno USO, cavaliere illetterato, uomo
di grande fede, giunse al conspetto di Dio e
si fece romito. Dopo un anno moriva, secon-
do che narra la leggenda, a l'età di 33 anni.
Ma il sogno del mistico cavaliere medievale
fiorì subito, quasi per prodigio. ^N^el 1185 era
già sorta a Montesiepi una cappella di forma
rotonda come la casa veduta da Galgano, il
quale in quest' anno medesimo veniva cano-
nizzato da Papa Lucio III. Vicino alla cap-
pella che sussiste tuttora, sorse rapidamente
la grande abbazia cistercense. Sono quasi sem-
pre i grandi santi i quali danno la vita agli
ordini religiosi: questa volta fu un ramo del-
l' ordine di S. Bernardo (1) che fece la fama
(1) L' abì)azia di San Galgano — Arch. Antonio Cane-
Ktrelli. Firenze. Alinari. 1895.
50
CAPITOLO I
di S. Galgano. Montesiepi divenne il centro del-
l' irradiazione cistercense in Toscana (1).
I monaci, vari dei quali venuti a S. Gal-
gano dall' abbazia di Olairvaux, cominciarono
verso il 1224 a costruire il tempio il quale
reca V impronta d'una solennità sobria di linee,
propria alle chiese dei cistercensi, e nella co-
struzione ricorda particolarmente quella di Ca-
samari.
L'ideatore del tempio sembra sia stato certo
fra Ugolino di Maffeo, nominato nei Oaleffi di
S. Galgano ; doveva essere uno di quei < ma-
gistri lapidum » i quali spesso possedevano il
genio dei grandi arcliitetti.
La fabbrica era già a buon punto nel 1224
e senza dubbio finita nel 1288. I monaci acqui-
starono presto molta stima ed autorità nella
Eepubblica, come quelli che godevano la più
ampia fiducia della Curia romana, ed ancora,
io mi penso, poi eh' essendo molti di loro fran-
cesi dovevano essere un tramite utilissimo ai
commerci dei mercanti senesi che negoziavano
soprattutto con la Francia. Sta il fatto che
vari monaci furono chiamati quali arbitri in
vertenze fra alcuni Vescovi ed il Comune :
molti furono Camarlinghi di Biccherna, cioè
(1) L' ordine cistercense fondato da S. Koberto sulla fine
del sec. XI per reagire contro il lasso e lo spirito mondano
infiltratosi ne 1' ordine benedettino ebbe nel 1115 la sua or-
ganizzazione regolare da S. Bernardo.
60
t>
SEX A VETUS CIVITAS VIRGIXIS
tesorieri del pubblico erario ; altri operai del-
l' Opera del Duomo. Essi partecipavano util-
mente alla vita del giovine Comune che pa-
gava la fedeltà e gli aiuti dell' ordine con la
sua protezione.
Xon credo che S. Galgano apparisse mai
come un rifugio ad uomini veramente spiri-
tuali.
Di fatto nel 1318 quando Giovanni di
Mino Tolomei, Ambrogio di Mino Piccolo-
mini e Patrizio di Francesco Patrizi, disgu-
stati del mondo, risolsero di ritirarsi a vita di
preghiera, non crederono opportuno di battere
a r uscio di S. Galgano. A Lecceto avrebbero
forse potuto, come ai conventi di S. Francesco
o di S. Domenico, ma il romitorio agostiniano
era troppo pieno di monaci per quei tre spi-
riti avidi di solitudine, ed i conventi degli
ordini mendicanti erano invasi da uno spirito
democratico che i tre nobili senesi non ama-
vano e decisamente anzi avversarono nelle con-
stituzioni de 1' ordine nuovo che dovevan fon-
dare a Monteoliveto. Xon è fuor di luogo
ricordare che il Tolomei apparteneva a quella
classe dei nobili che nel 1277 furono esclusi
per sempre dal governo della città (1).
Il Tolomei nato nel 1272 visse 1' infanzia
e la fanciullezza in un' atmosfera famigliare
(1) Cfr. Tommasi. Historie di Siena. II, pag. 88-89.
61
CAPITOLO I
satura d'odio ghibellino e di misticismo cristia-
no; in mezzo ad uomini micidiali come i ri-
cordati suoi parenti Cavolino e Meo, e le anime
dolcemente cristiane della beata ^era (1230-
1287) e del beato Giovan Battista Tolomei
(1248-1320). Non sappiamo come si determinas-
se la sua vocazione alla vita religiosa. Ciò fu
nel 1313 poco dopo la morte dell' imperatore
Enrico VII a Buoncon vento. Il Tolomei insie-
me al Patrizi, al Piccolomini e ad un certo
Francesco, di cui non ci è pervenuto il nome
di famiglia, uscirono un giorno fuori di Porta
Romana e s' avviarono ad un luogo chiamato
Acona (1) sopra Buonconvento, poco lungi da
Chiusure in Val d' Ombrone, eh' era un pos-
sesso dei Tolomei. In questo luogo eravi una
« villa parvissima » , ed i quattro nobili senesi
si edificarono con le proprie mani un « ^>a-
latium terreum » che vedovasi ancora nel 1450.
In cotesta solitudine, vivendo nel silenzio
e nella preghiera, lavoravano la terra adem-
piendo alla legge di povertà evangelica (2). Si
(1) Vedi illustrazione N."* 10.
(2) Il primo cronista de l'ordine monteolivetano Antonio
da Barga insiste nel farci sapere che il Tolomei era « vir
doctus ».
L'amore della terra in questi nobili eremiti usciti dalle uni-
versità è diverso che per S. Francesco. Ci fa piuttosto i)en-
sare al Tolstoi. Non è una gioia semplice, ma di reazione. Essi
non avrebbero difatti i^otuto lasciare per i campi i libri delle
loro biblioteche conventuali.
62
>.
SEXA TETUS CIYITAS TTUCrlNTS
costrussero anche una capi)ella. La lama della
loro santità si sparse per Fltalia e giunse alle
orecchie di papa Giovanni XXIT, il quale, so-
spettoso sempre di moti eretici, inviò ad Aco-
na una legazione clie trova vasi in Toscana
sotto gli ordini del Card. Bertrando del Pog-
getto e questa esortò gli eremiti ad ottempe-
rare alle prescrizioni del Concilio Lateranense
del 1215 il quale li obbligava a scegliersi una
delle regole monastiche approvate da Roma.
Il 20 marzo 1319 il Tolomei con i suoi com-
pagni compariva dinanzi al vescovo d' Arezzo
Tarlati per 1' approvazione del nuoAO ordine
monteolivetano foggiato su quello di S. Bene-
detto.
La potenza e V espansione di quest' ordine
religioso, caratteristicamente senese, è collegata
alla gloria della Repubblica, ma ciò che più
importa a noi si è di rilevare come Mouteoli-
veto rappresentasse nel movimento mistico cit-
tadino il pensiero tradizionale vestito di quel
carattere aristocratico eh' era ne 1' anima dei
suoi fondatori, i quali non per nulla al prin-
cipio del sec. XIV preferirono alla regola fran-
cescana o domenicana quella benedettina.
A ilonteoliveto erano male accolti coloro
che non fossero di elevato lignaggio, e addirit-
tura respinti quelli di nascita illegittima. Que-
sto spirito di esclusione parve poco cristiano
a Caterina Benincasa la quale cercò di demo-
G3
CAPITOLO T
cratizzare i frati Olivetani. In una sua lettera
a frate Giusto priore di Monte Oliveto rac-
comanda caldamente die ne 1' accettare i po-
stulanti egli non si ponga a considerare « mai
per veruna dignità, nò per bassezza, né per
grandezza; né per essere legittimi, né illegit-
timi ; che il figliuolo di Dio, le cui vestigio ci
convien seguitare non schifò né schifa mai per-
sona per veruno stato, né altra generazione,
né giusti né peccatori ». Ella ad un puntò
esclama : « E siano nati eome si voglia ! »
Quando seppe che il priore aveva rifiutato,
malgrado le sue raccomandazioni, un postu-
lante illegittimo, gli scrisse con tutta franchez-
za : « Meravigliomi molto clic la rispo-
sta venne del no ; et honne avuto grande
ammirazione » nella qual risposta della
santa traspira la lieve ironia del disgusto che
meglio determina ai nostri occhi la differenza
profonda delle due correnti mistiche senesi ;
quella democratica degli uomini nuovi ; quella
conservatrice degli uomini vecchi ; liberi sem-
pre più i primi da tutti gli impacci conven-
zionali; intesi a rompere le catene delle vec-
chie regole monastiche onde far trionfare il
libero spirito del vangelo ne l'esercizio aposto-
lico della carità. Chiusi gli altri, secondo l'an-
tica tradizione, nei grandiosi monasteri ove
1' arte fiorendo dai più celebrati pennelli non
significava tanto un invito alla preghiera quan-
64
SEXA YETUS CIYITAS VIRGIXIS
to ima celebrazione dei fasti dell' ordine. Gli
affreschi del Sodoma e del Signorelli nel cliio-
stro olivetano di Cliinsure ce ne offrono una
prova. Questa caratteristica tendenza d' un mi-
sticismo diremo così nobiliare doveva essere nel
1425 sviluppata per le donne da S. Francesca
romana che a V ordine del B. Bernardo To-
lomei s' inspirò nel fondare la congregazione
delle nobili oblate di Tor de' Specchi e volle
al medesimo vincolarla. S. Francesca nella
storia del misticismo femminile è la più lon-
tana da S. Caterina da Siena.
^ è"
Co
4
i==iizi:x^ Il jll^l I li >^ Il 1 1[^ uiznniz^^
CAPITOLO II.
FILIPPO DEGLI AGAZZARI.
Come le antiche case ayeYano il loro foco-
lare, così ogni città possiede un luogo, quasi
sempre silenzioso e nascosto, consacrato parti-
colarmente al culto, ove la mistica fiamma
della fede arde più vivace affocando di santità
r aria che si respira, ed ove si perpetuano e
si fissano lungo i secoli nei custodi, e nell'as-
senza di questi, nelle cose stesse e nelle pietre,
le abitudini, i pensieri, i sentimenti della per-
fetta vita spirituale.
Siena ha questo focolare mistico nell'eremo
di Lecceto, lUcetum vetus sanctitatis illicmm (1),
denominato anticamente Foltignano, e poi dopo
il 1220 Selva del Lago, per uno specchio di
acqua che, scomparso in tempi posteriori, do-
veva cedere alla folta selva di lecci circostante
(1) Vedi illustraz. n. 11.
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FILIPPO DEGLI ACiAZZARI
il vanto di battezzare del proprio nome V ere-
mo vetusto dei frati eremitani di S. Agostino.
Questi elei reeingoiio tuttavia della loro sem-
preverde corona la chiesa ed il convento, co-
sicché da lungi sola emerge la torre campanaria
che rintocca da secoli, lenta e grave, a 1' alba,
a mezzogiorno, ed a calata di sole, sopra i
campi di Marciano, invitando i contadini alla
preghiera.
Vuole la tradizione che nella foresta di
Lecceto si rifugiassero le genti senesi conver-
tite al cristianesimo da S. Ansano, e si narra
nelle cronache cittadine che S. Agostino e
Santa Monica e S. Girolamo e S» Domenico
e S. Francesco e vari pontefici e uomini di
Dio ricercassero la pace religiosa di quell'ere-
mo lusingatore, ove il beato Filippo degli Agaz-
zari scrisse su lo scorcio del secolo decimo-
quarto i suoi vivaci Assempriy e Paolo di
maestro Xeri, un discepolo di Ambrogio Lo-
renzetti, dipinse verso il 1343 le scene della
vita privata, documenti entrambi inestimabili
per addentrarci nello studio e nella conoscenza
della storia senese contemporanea.
Fra Filippo fu della nobilissima casata
Agazzari o, come dapprima si disse, della Gaz-
zaia, figlio di un Leonardo Cola. Xon si sa
quando nascesse, ma conoscendosi che nel 1422
mancò ai vivi, e supponendosi che nel 1353,
non appena preso F abito dei frati di S. Ago-
67
CAPITOLO II
stino di Lecceto avesse quindici anni, possiamo
porre V anno della sua nascita verso il 1339,
confermandoci un suo biografo antico eh' egli -tM
morì ottuagenario. ^M
Dal 1398 in poi, cioè per ventiquattro anni,
fu priore del suo convento. Quando nel 1353
egli entrò nella pace della selva leccetana, già
da dieci anni Paolo di Neri aveva rappresen-
tato su le pareti del portico conventuale le
battaglie, le passioni, i divertimenti degli uo-
mini mondani, quasi per offrire a Filippo la
visione del regno satanico e per incitarlo a'
scrivere gli Assempri, ISTon è credibile con qual
senso drammatico della vita, con quale com-
prensione del movimento, il poco noto trecen-
tista abbia manifestata la forza della sua arte.
^e\ centro d' un affresco (1) si vede tirato
da bianchi cavalli un bel carro adorno a festa,
ove folleggia una compagnia di gaudenti, con
liete musiche, dietro la quale trae il popolo.
Sembra di veder passare la òrigata spende-
reccia.
Cupido vola sul carro, scoccando dardi in-
fiammati, ma sopra uno dei cavalli sta il de-
monio bifronte con una faccia rivolta alla
gioviale compagnia e V altra intenta su d' un
volume aperto, ove segna ogni parola, ogni
atto, ogni sguardo amoroso, nella sua partita
(1) Vedi illiistraz. n. 12.
68
£il
FILIPPO DEGLI AGAZZAIU
di credito. Il demonio è in quelle scene, come
sarà negli Assempri di fra Filippo, coni' era
nella coscienza dei senesi contemporanei, lo
spirito onnipresente, l'instancabile insidiatore,
il vigile e tremendo nemico. Ecco (1) una co-
mitiva di cacciatori i quali con lunghe picche
cercano di ferire un cinghiale : il demonio, na-
scosto fra i rami d' un albero, bramosamente
li guata. Un altro diavoletto si nasconde die-
tro il cambiavalute; e nella pittura del tribu-
nale si veggono scendere le insinuazioni sata-
niche verso le orecchie del giudice lungo certe
onde sonore, rappresentate con linee serpeg-
gianti. I pescatori non possono gettare le pro-
prie reti senza che lo spiritello maligno salti
a prua minaccioso; e mentre i soldati combat-
tono su gli spalti e le torri della città asse-
diata, ecco i mostri infernali che vengono a
rapire le anime dei caduti. Ma la scena più
vìa ace e curiosa è quella ove il pittore mostra
la passione dei giuocatori di tavole (2).
Il giuoco delle tavole come quello dei dadi,
dì zara a chi tocca e di zara alVavanzo era in
voga a quel tempo. I giuocatori, per lo più
feccia dei barattieri, usavano radunarsi in Siena
nella piazza del Campo, ove il Comune aveva
(1) Vedi ilinstraz. n. 13.
(2) L' episodio dei giuocatori è comune nelle rappresenta-
zioni sacre senesi. Cfr. la rappresentazione del B. Giov. Co-
lombini. Bibl. V. E. Roma, N.® 483.
G9
CAPITOLO II
assegnato loro un ridotto, e là conTenivano^
come a teatro, anche le persone dabbene, ciò
che sappiamo dai versi d'un poeta trecentista.
Gentiluomini e donne v' han allato
Che spesso veggion venire alle mani
Le trecche, e' barattier eli' hanno giocato.
E vedesi chi perde con gran soffi
Bestemmiar colla mano alla mascella
E ricevere e dare molti ingoffi.
Paolo di ^eri ha raffigurato appunto il
giuocatore perdente « caldo caldo con V ira e
con F impeto del giuoco » , come ci dice il
Sacchetti di Messer Giovanni da ìfegroponte,
e V ha ritratto in piedi, tendendo il pugno
contro r avversario, il quale rimane seduto,
con gesto di stupore, e cerca di parare il colpo.
Dietro le spalle dell'aggressore un demonio si
precipita tutto lieto. Così pure, in un' altra
scena, vedesi il re delle tenebre, trasformato
per la circostanza ne 1' Eolo virgiliano, che
soffia la tempesta in un lungo trombone onde
perdere un vascello da guerra alle prese contro
un altro, nemico. Xessun angiolo di Dio per
i cieli di queste rappresentazioni accorre in
soccorso dei miseri mortali.
Il mondo è il regno incontrastato del de-
monio. Per l'anima altra salvezza, altro porto
di rifugio non v' h^ all' infuori del chiostro.
Tale sembra essere l'ammonimento significato
70
e
B
FILIPPO DEGLI AGAZZAKI
da queste scene ove, per la meditazione se-
greta dei monaci, si Acggono raftigurati gli
nomini descritti con orrore dal buon fra Filip-
po- nel cinquantunesimo assempro deiredizione
Carpellini : « coloro che stanno tutto il dì
oziosi, e solamente vacano tutto '1 dì a ritro-
varsi in brigate, e con compagni a ridare et
a cianciare, e tuttodì parlare parole oziose e
vane, e disutili; e tuttodì mormorando e de-
truendo e' fatti altrui, e tuttodì giocando a'
diversi giochi abbominevoli, e tuttodì disone-
stando co' fatti e co' le parole in ogni malo
modo; et andarsi spassando a nullare e a cac-
ciare e mangiare e bere tuttodì come le be-
stie, e tuttodì facendo le co.se pericolose et
abbominevoli, e le false vendite e gV iniqui
contratti, e facendo le merende, e i conviti, e
de' poveri non curarsi niente ...»
Xon potrà maravigliare che dinanzi a que-
ste raffigurazioni di laici vagabondi e dissoluti,
le anime dei giovani frati si riempissero di
odio per il mondo e si compiacessero nelle
vendette che sai mondani immai>;inavano com-
piesse il demonio. Ond' è che raccoglievano
avidamente nella commossa fantasia gli echi
di tutti i miracoli, di tutti gli strani e terri-
bili casi accaduti ai peccatori e alle peccatri-
ci, echi sospinti verso i silenzi del chiostro
dalla rozza fede popolare. Così gli eremi dive-
nivano i giardini adatti alla cultura dei fiori
71
CAPITOLO II
vivaci e profumati sboccianti dalla mistica
anima del popolo : così è che fra Filippo, en-
trato quindicenne nella pace religiosa di Lec-
ceto, potè scrivere i suoi Assemjm^ e guada-
gnarsi la corona di beato.
Dell' operosità letteraria di fra Filippo, la
quale sembra fosse grandissima, non ci resta-
no oggi che due manoscritti nella Biblioteca
comunale di Siena, ma questi per fortuna au-
tentici ed autografi come dimostrò il Oarpel-
lini, al quale andiamo debitori di un' edizione
abbastanza completa, la migliore esistente, de-
gli Assempri (1) ; giacche alcuni pochi ne
comparvero nella dispensa XXV delle Curiosità
inedite e rare del cav. Zambrini, per il Ro-
magnoli, in Bologna.
Il Oarx^ellini ha tratta la lezione degli
Assempri dal codice I, IV, 9, esistente nella
suddetta Biblioteca, il quale è palinsesto, ed
ove cotesti racconti cominciano alla metà della
carta 23 versa e terminano a carte 101. Sfo-
gliando quelle 162 pagine di scrittura compat-
ta, vergate con mano sicura, a belle lettere
roton dette, ci sembra quasi d' aver presente
lo spirito del frate agostiniano, e riscontrando
€he r assempro sessantun esimo (in tutti sono
62) è scritto nel 1416, ci vien fatto di rile-
(1) Gli Assempri di fra Filippo da Siena. Siena, Gati,
libr. edit. 1864.
FILIPPO DEGLI AGAZZAIU
rare clr culi scrisse presso che ottuagenario
quelle pagine e ci meravigliamo come la ma-
no del vegliardo corresse ancora così franca
su la carta, senza tremiti, senza incertezze, e
quasi scandendo il tranquillo ritmo del cuore
robusto. Egli era in i)ace con Dio e con gli
uomini.
Quei suoi racconti, nella bella e semplice
lingua popolana senese, mirano a correggere
i contemporanei dei loro vizi dominanti, il
giuoco e r usura negli uomini; la vanità nelle
donne : narrando di fatti miracolosi non mo-
stra per essi alcuna meraviglia (quei trecen-
tisti vivevano nel meraviglioso), ma rivela tut-
tavia una certa ostentazione nel documentare
la testimonianza storica, riferendosi alla fede
di persone eh' egli stimava rispettabili, dalle
quali, segregato nel chiostro, gii aveva attinti.
Sono frequenti queste riferenze: « un'antica
e venerabile donna > ; « un uomo antichis-
simo e venerabile e di buona coscienza » ;
« un grandissimo servo di Dio » ; « un reli-
gioso degno di fede ».
Quando fra Filippo era fanciullo avvenne
in Siena la prima rivoluzione contro la bel-
lezza antica. Xel 1345 fu scoperta vicino alle
fondamenta della casa dei Malavolti, ne V at-
tuale piazza Umberto 1, una magnifica statua
che seml)ra raffigurasse le sembianze di Ve-
nere Anadiomène. Xon ò a dirsi l' esultanza
73
CAPITOLO II
che destò questa scoperta nel x^opolo, il quale
come nel giugno del 1311 aveva recato pro-
cessionalmente al Duomo la Madonna di Duc-
cio, così doveva recare in trionfo la dea pa-
gana dell' amore per abbellirne la fontana di
Piazza, quella fonte Gaia rallegratasi d' acque
copiose nel 1343. Per alcuni anni videsi allora,
regina della città mistica, non più la Vergine
Maria, ma Venere Anadiomène, della quale
troneggiava nella pubblica piazza il divino si-
mulacro, meravigliosamente bello; e le antiche
cronache ci narrano che tutti traevano estatici
« a questa tanta meraviglia e tanta" arte » .
Senonchè, poco dopo, per improvvisi rove-
sci di fortuna che colpirono la repubblica, lo
spirito mistico prese di nuovo il sopravvento
in Siena e purtroppo ai danni della bella sta-
tua, la quale, riconosciuta come causa di quei
mali e tempio del demonio, venne un giorno
del 1357 a furore di popolo rovesciata dalla
fonte Gaia, frantumata in mille pezzi, e questi
frammenti sepolti, lungi da Siena, in terra
fiorentina. Così potè ripetersi a 1' alba del ri-
nascimento in Siena una di quelle sollevazioni
della fede contro V arte, le quali già vide
Poma nel tramonto della sua forza imperiale.
La città serbava vivo tra le sue mura lo spi-
rito della fede medievale. iSTel medio evo i numi
che avevano avuto altari e templi non muo-
iono, non dileguano, ma si trasformano in de-
71
FILIPPO DEGLI AGAZZARI
moni. Giove, Giunone, Diana, xVpollo, Mercu-
rio, Xettuiio, Venere, i fauni ed i satiri e le
ninfe, sopravvivono al culto che loro era reso,
e ricompaiono fra le tenebre dell' inferno cri-
stiano, in<^ombrando di strani terrori le menti,
accendendo le più belle e paurose leggende.
Satana personifica in se tutta la corruzione
pagana : i cristiani credevano il mondo pagano
fattura di Satana, ma, realmente, era il mondo
pagano che foggiava in gran parte Satana nella
fantasia dei cristiani. Così era la corruzione
della società del Trecento che animava lo spi-
rito satanico nelle fiintasie dei pittori, dei poeti,
dei santi, e dei fraticelli ingenui come il buon
fra Filippo ; ed in Firenze ispirava a Dante
Alighieri la creazione delle sue bolgie infer-
nali, ed in Pisa, a V Orcagna, le scene terri-
bilmente meravigliose del camposanto. Xoi
dobbiamo a Satana molti capii avori d' arte
cristiana che sono assai superiori a quelli con-
sacrati dalla moderna rettorica nelle liriche
del Carducci e del Eapisardi, ma li dobbiamo
ad un Satana che oserei direi cristiano, che
usciva dallo scontro di due civiltà contrastanti,
di due filosofìe avverse, non a pena la Chiesa
cattolica rimaneva trionfante nella lotta. Quan-
do lo spirito del male trionfa davvero su le
anime non lo si vede più digrignare i denti,
e sputar zolfo, ed agitar forconi, nelle fantasie
artistiche dei credenti, pittori e novellieri ;
CAPITOLO II
quando il male stesso diventa un mito, e la
corruzione è al colmo sotto una vernice ele-
gante, e non si parla più del demonio e se ne
dubita come dell' esistenza delle leggi morali,
allora lo spirito misterioso vive in pace con
gli uomini : è il padrone che non molesta lo
schiavo docile.
Se noi guardiamo un poco al personaggio
simbolico che si chiama Satana, vedremo come
il terrore di lui che agitò le masse cristiane,
non sia tanto un segno di bassa superstizione
quanto un indice di lotta spirituale contro i
vizi e le passioni volgari, per il trionfo di una
elevata idealità morale, per il trionfo dello
spirito su la materia.
Era' Filippo degli Agazzari esprime ap-
punto attraverso la sua caratteristica demono-
fobia cotesta idealità di lotta per l' elevazione
cristiana dello spirito, e nei suoi Assemprij
pur fra mezzo le scorie e le incrostazioni della
superstiziosa anima popolare, egli riesce a far
valere ai nostri occhi, depurato al calore della
sua mistica fiamma, l'aureo tesoro d'una fede
sostanzialmente ricca di verità, come attra-
verso la rappresentazione artistica, ingenua e
potente del novellatore, giganteggia la figura
del moralista. Il moralista è quasi sempre lo
storico dei costumi eh' egli condanna, e ci
offre documenti psicologici importantissimi i
76
FILIPPO DEGLI AGAZZARI
quali ci permettono di rivivere nelle più lon-
tane età.
Ho già accennato come i vizi dominanti
nella florida e popolosa Siena del Trecento
fossero 1' usura negli uomini e la passione del
« lisciarsi », dell'imbellettarsi, nelle donne.
Contro il « liscio » e contro 1' usura fra
Filippo è implacabile. È famoso V assempro
ove narra di una donna che fu « lisciata »
dal diavolo, il quale, camuifatosi da camerie-
ra, le annerì orribilmente la faccia : e in un
altro racconta d' una bella fanciulla eh' ebbe
roso dal « liscio » tutte le gote, e ancora di
una donna che crepò nei vestimenti. A edifi-
cazione delle poche le quali serbavansi one-
ste riferisce il fatto d'una buona giovane che,
perdi' ella non si volle « lisciare » , vide nel-
1' ostia consacrata un viso d' un fanciullo con
molto splendore. Non mancano neppure « due
assempri moragli » che il fraticello pone acciò
che i buoni sapx^iano in che modo debbono ga-
stigare e correggere le loro donne quando si
lisciano e imbrattansi i volti ; e la pena è
molto severa. Sembra però che ad alcuni ma-
riti non dispiacesse cotesta vanità delle proprie
mogli : non certo a Cecco Angiolieri, almeno
a giudicarne da questi versi :
Quando mia donna esce la man' dal letto
Che non s' ha posto ancor del fattibello,
Non ha nel mondo sì laido vasello
77
CAPITOLO II
Che, lungi lei, non paresse un diletto,
Così ha il viso di bellezze netto;
Infin eli' ella non cerne al buratello
Biacca, allume, scaglinola o bambagello;
Pare a vedere un segno maledetto !
Ma rifassi d'un liscio smisurato
Che non è uom che la veggia in cheli' ora
Ch' ella no '1 faccia di sé innamorato.
Cecco Angiolieri suonava una campana che
alle orecchie di fra Filippo, se pur mai gliene
giunse l'eco, dovette certo sembrare la campa-
na del demonio, ma egli non riuscì a strap-
parne la corda, e morto TAngiolieri, altri poeti
cittadini la suonarono a distesa mettendo lo
scompiglio non solo nelle famiglie, ma pure
nei conventi, e nel secolo XV che vide fra
Filippo scrivere i suoi Assempri e Bernardino
predicare in piazza con sì grande consenso del
popolo fedele, pur si cantavano per le vie di
Siena questi versi che Arturo Ricci trascrisse
nei suoi Canzonieri senesi della seconda metà del
Quattrocento e che un poeta anonimo mette
in bocca a gioconde monachine scappate dal
chiostro :
Fanciullette semplicelle,
Pure, sciocche, nei primi anni
fummo fatte monacelle :
con lusinghe e con inganni
ci vestiron questi panni ;
e siccome altre loro compagne avevano avuto
78
FILIPPO DEGLI AGAZZARI
la fortuna (V aiular spose, ecco come rappre-
sentano le claustrate le diverse sorti :
I' una è sempre in doglia e in pianto,
1' altra è sempre in gioco e festa,
1' una ha il vezzo e il ricco manto,
l'altra il bigio e il velo in testa :
questo tempo eli e ci resta
non vogliam perderlo al tutto,
ma per trarne qualche frutto,
noi Togliamo esser dotate !
o'
Anche questi versi tradiscono il vizio della
vanità, che Dante, tiorentino, rinfaccia ironico
agli uomini senesi; più d'ogni altra cosa è « il
vezzo e il ricco manto » che desiderano e rim-
piangono le donne della canzone, fiori d' una
femminilità ben diversa da quella cateriniana,
e che darebbero ragione a l'ignoto epigrafista
d'un camino del rinascimento sul quale vidi
una volta incise queste parole: < Quid laevius
veìitoì Jlamen, Quid Jtaminef fumus. Quid fumo?
mulier. Quid muliereì nihil » . Assai contrasta
questo concetto che della donna ebbero la mag-
gior parte degli uomini del rinascimento e che
ò sostanzialmente quello pagano, con 1' altro
emergente dallo studio psicologico delle donne
cristiane che si disegnano con straordinaria ef-
ficacia su lo sfondo storico della vita italiana
e soprattutto senese dei secoli XIV e XY.
Bella e nobile ci torna alla memoria la fi-
gura di quella Madonna Onorata Saracini della
79
CAPITOLO II
quale Bernardo Ilicino ci ha tramandata una
stupenda biografia e che nel 1451 movendo fuor
di Porta CamuUia insieme alle altre matrone
senesi a ricevere F imperatore Federico III e
la sua consorte Eleonora, e rimproverata da al-
cune sue amiche d'essersi abbigliata troppo mo-
destamente, rispose che le signore senesi avreb-
bero dovuto far pompa solo della loro modestia,
giacché per ricchezza di ornamenti femminili
potrebbero facilmente sorpassarle le donne di
altre città più ricche. Ci piace la superbia di
questa risposta su le labbra della bellissima pa-
trizia senese dai grandi occhi neri splendenti
ne l'ovale perfetto del volto fra i meravigliosi
capelli d' oro quale ce la descrive rilicino, ed
il Pinturicchio forse raffigurò in una fra le
più vaghe dame del corteggio piccolomineo di-
pinto nella libreria del Duomo. Eran queste,
in ogni modo, le donne che la parola e l'esem-
pio dei mistici senesi esaltavano in una luce
di purezza morale senza mortificare in un vano
e troppo austero ascetismo. Essi guardavano
in vero che la donna fosse ottima madre di
famiglia e quindi cittadina esemplare, e lavo-
ravano per ciò stesso al consolidamento ed
alla prosperità della repubblica.
Assai più rigido, com'è naturale, ci si mo-
stra fra' Pilippo contro i peccati degli uomini
avari, contro i dissanguatori del popolo che
verso le venialità femminili. Quasi tutti gli
80
FILIPPO DEGLI AGAZZARI
usurai muoiono disperati nei suoi Asscmjyri.
Del resto la Chiesa condannava severamente
gli offensori del più alto precetto cristiano,
quello della carità, contro il quale urta soprat-
tutto V usura. Sotto il pontificato di Alessan-
dro III, nel 1179, il Concilio Laterano aveva
prescritto : « Ut usurali manifesti nec ad Co-
munionem admittantur xVltaris, nec Cliristia-
nam, si in hoc peccato decesserint, accipiant
sepulturam ». Questo decreto fu confermato
nel 1271 dal secondo Concilio generale di Lione
e legittima canonicamente le parole violente
del frate nel SS"" assempro, ove parlando dei
cadaveri degli usurai scrive : « E' quali corpi
si debbano sotterrare al fosso co' cani e co' le
bestie, e non ne le chiese e ne' luoghi sacri » .
Xon ò credibile come contrastasse penosa-
mente in quei tempi il lusso e V empietà dei
ricchi usurai banchieri con la miseria ed il
fendente misticismo di quasi tutto il popolo.
Fra Filippo ci narra d'uno di questi stroz-
zini che amava ostentare le sue ricchezze an-
dando sempre « abbottonato d'ariento contraf-
facendo tutti i frutti dell' anno » , che portava
cioè su gli abiti dei bottoni d'argento foggiati
secondo i frutti della stagione, ed il medesimo
< quando mangiava teneva su la mensa un
carro d' oro per salettiera co' buoi e col bifol-
co.... e si faceva sonare dinanzi in su la mensa
quattordeci borsegli con quattordeci migliaia
81
CAPITOLO II
di ducati d' oro dentro vi ; e questi diceva clie
era V uno Gesù Cristo, e 1' altro la Vergine
Maria, e gli altri i dodici apostoli >. Male
però gliene avvenne, che morì miseramente ed
il suo corpo non trovò pace in sepoltura ono-
rata. L'erede avendogli fatta fare una cappella
« la notte che la mattina vi si doveva metta-
re il corpo e sotterrare le sue ossa, parbe che
tutti i dimoni dello 'nferno venisno per la lor
chiesa con tanta tempesta e con tanto busso e
romore che intorno a la chiesa per tutte quelle
contrade non vi potè dormire persona. E la
mattina quella chiesa era stata gittata nel fiu-
me che era ine presso ».
Un altro di questi usurai — mentre gia-
ceva malato — fu veduto assassinare dal dia-
volo, il quale, sotto 1' aspetto d' un « uomo
terribile con un cappello pinzuto in capo salse
sul letto, gitosse boccone sopra de lo 'nfermo
che stava rivescio sul letto, e misseli le mani
ne la gola e strozzollo ». N^elle descrizioni di
queste scene vi è F efiicacia della sobrietà, la
evidenza della rappresentazione drammatica
raggiunta con F intuizione rapidissima d' un
occhio che sa cogliere le cose in movimento,
che fissa F essenziale senza disperdersi mai sui
particolari. Mirabile perciò è F assempro 58*"
ove si narra d' un uomo che per aver denari
si offerse al diavolo : « Allora il diavolo gli
dette i denari che gli adimandò e sparì. E poi
82
FILIPPO DEGLI AGAZZAKI
(Toppo al(|uanto tempo aiulando co' la moglie
sua a un suo prato e gionto, vicldo '1 diavolo
venire da lon^a verso lui ne la forma cli'ei^li
r aveva veduto la prima volta. E cominciò
tutto a impallidire et a tremare di paura. Al-
lora la moglie vedendo questo il dimandò per-
di' egli era così impaurito e tremava forte. Egli
le disse tutto '1 fatto coni' era stato e come '1
diavolo veniva per lui. Allora la moglie gli
disse : O misero sciauurato come non V hai
detto già cotanto tempo acciò che tu ne fusse
potuto confessare et rendare in colpa. E sopra
giognendo '1 diavolo disse: Tu se' mio in ani-
ma et in corpo sicché io posso far di te ciò
eh' io voglio. E dette queste parole il prese
per le hraccia. Allora la moglie 1' abbraccicò
ne le s^ambe e tenevalo. El diavolo tirandolo
per le braccia attrascinò lui e lei un buon
pezzo su per lo prato. A la perfine la moglie
non potendolo più tenere il lassò. El diavolo
allora el portò in aria in tanta altezza che la
moglie sua noi poteva più vedere. E doppo
questo se ne portò l'anima sua e '1 corpo lassò
cadere in terra ».
Veramente meravigliosa ci appare la fede
di quei trecentisti i quali non stupivano e non
dubitavano della meravigliosa impossibilità di
simili fatti e che, potevano in buona fede,
dopo averli riferiti attestare come il beato fra
Filippo : « Questo assempro udii da un uomo
83
CAPITOLO II
degno di fede el quale 1' udì da un frate che
confessò la moglie, et udìllo da lei mede-
sima ».
È appunto questa fede nel meraviglioso
che ci offre la chiave per comprendere il
mondo dell' arte e dello spirito senese nel Tre-
cento.
Con fra Filippo noi siamo altresì introdotti
nel mondo curioso delle credenze popolari se-
nesi, di quelle superstizioni elcTate al grado
di verità domestiche che sopravvivono ancor
oggi, tramandate dai vecchi, nelle case dei
contadini, rifiorite sempre su le radici del-
l'antica religione pagana, sebbene impregnate
del misticismo della nuova fede, e che riman-
gono fedelmente avvinte alle antichissime tra-
dizioni come le piante d' edera ai ruderi ve-
tusti e crollanti, e che moriranno solo quando
i contadini avranno dimessi insieme ai pitto-
reschi costumi del tempo andato anche molti
abiti spirituali.
La civiltà moderna affretta questa trasfor-
mazione e non è senza un vivo interesse che
io ho potuto accertare più d' una volta la so-
pravvivenza di certi precetti ricordati da fra
Filippo nei suoi Assempri, come di certi scru-
poli curiosi e superstizioni, nella fede schietta
ed ingenua di alcune famiglie patriarcali del
contado senese.
84
FILIPPO DEGLI AGAZZARI
Una massaia mi disse un giorno che non
avrebbe mai sfornato il pane di domenica, giac-
che le sarebbe certamente accaduta una disgra-
zia. La ragione di questa convinzione può
scoprirsi nel iS"" assempro di fra Filippo, ove
si narra appunto di una donna clic < cosse '1
pane la Dimcnica e volendolo poi sfornare,
era tutto sanguinoso ». La massaia ignorava
r assempro, ma però mi aggiungCA^a : « Il pane
fatto la domenica non lo mangiano neppure
le bestie » . E fra Filippo scriveva cinquecento
anni fa : « Prende del pane che sia macinato
o cotto in domenica, e portane a una peschie-
ra di pesci, e gittolo de le briciole di quel
pane, e vedrai manifestamente che nullo pesce
ne prenderà mai nessuna briciola ».
Così pure sopravvive la fede nei medici
fattucchieri presso varie famiglie di contadini
senesi ed è assai più forte della fiducia che
ripongono nei medici condotti laureati nelle
maggiori università del regno, e ciò malgrado
le diffide di fra Filippo e di San Bernardino,
che vedevano sempre il demonio nelle incan-
tagioni e non mai la ciarlataneria umana. Kel-
r assempro 16*^ egli scrive : « ...molte pazze
ritrillate più tosto vanno per consiglio e per
aiuto per i lor bisogni e per le lor necessità
a maladetti indivini et incantatrici che non
fanno a' medici naturagli et a' servi di Dio; e
dannosi a credere che quello che Dio non vuol
85
CAPITOLO II
fare egli el possano fare e' diavogli dello in-
ferno ; e per giusto giudicio di Dio sono illusi
dal diavolo secondo che meritano ».
Bisogna però riconoscere, con buona pace
di fra' Filippo, die non solo le « pazze ritril-
late » avevano fede nei « maledetti indivini »
ma i governatori del Comune (1).
Vedemmo già come questo ricorresse in
varie contingenze a Guido Bonatti e come
nello Studio ci fosse una cattedra di astrolo-
gia. Da un codice prezioso del sec. XIY che
si conserva nella Biblioteca comunale di Sie-
na intitolato « Libro di Astrologia o Sfera » (2)
noi sappiamo ciò che s' insegnava presso a
poco su quella cattedra. Ivi si discuteva gra-
vemente delle diverse virtù dei segni zodiacali,
e come si potesse giungere a « V espianatio-
ne dei sogni buoni e cattivi », con la cono-
scenza della luna. Ed ecco com' era diviso il
mese lunare : nel primo giorno nacque Ada-
mo « ed è buono a terminare, vendere, navi-
gare ; » nel secondo Eva, « e il bambino che
nasce crescerà presto e sarà fortunato ; V in-
fermo guarirà ». Ma nel quinto giorno, quan-
(1) Narra il Tommasi (Historie, lib. IX, pag. 223) che
nelle fondamenta della Torre del Mangia si jDosero pietre
« telesmata » con lettere ebraiche gre«;he e latine per « as-
sicurarla dalla percossa delle saette e dalle concussioni dei
tuoni e delle tempeste ».
(2) Cod. L, X, 40.
86
FILIPPO DEGLI AGAZZAEI
(lo Caino si offerse a Dio « nou si troverà il
flirto, chi si ammala morirà tosto, o avrà tìera
malattia, e chi fugge non ritorna ». (Ili alma-
nacchi si compilavano naturalmente in corri-
spondenza alle divinazioni degli astrologhi, e sic-
come in Siena, a quel tempo, soffiava vento ghi-
bellino, si leggono di tali profezie:... «mentre
la corte di Roma sarà in Italia, non sarà mai
buona pace tra i cristiani » . Uno che si accin-
gesse a far viaggio poteva leggervi : « partiti
come ti pare, ma abiti il vangelio adosso di S.
Johanni perchè uno certo spirito t' è nimico » .
Ed ecco alcune ricette mediche : « Colui
che patisse d' insonnia basta scriva sopra un
coltello i nomi dei sette dormienti e lo metta
sotto il capo per fare buon sonno » . A voler
cacciare le febbri terzane si scrivano tre nomi
con segni ripetuti di croce, o anche si faccia-
no tre parti disuguali di un frutto e si man-
gino, scrivendo queste due formule a digiuno:
« Pater par est; tìlius vita est » e ciò men-
tre un fanciullo ed una fanciulla reciteranno
tre pater e tre ave. Spesso in margine della
pagina si legge : « è provato » , quasi j)er ras-
sicurare il dubbioso.
Frattanto il Comune non ricorreva solo agli
astrolaghi ma anche alle maliarde, o a strego-
ni, come può vedersi dai libri di Biccherna (1)
(1) Ardi, di Stato in Siena (A. S. S. voL 2, e) liem XX
87
CAPITOLO II
quasi sempre per incaricarle di spargere pol-
veri malefiche nel campo dei fiorentini nemici.
Queste polveri erano manipolate generalmente
da donne e riposte in tgisclie di cuoio ed in
ampolle di vetro. I medesimi libri di spese ci
offrono curiose notizie sul modo usato per com-
porre queste polveri. Esse dovevano essere con-
fezionate di notte. Veniva immolata qualche
marmotta e si adoperavano pel sacrificio col-
telli di foggia strana. Alla cerimonia inter-
venivano ragazzi e fanciulle con pignatte, e
facevansi libazioni rituali.
Ludovico Zdekauer nella sua conferenza su
la Vita pubblica dei senesi nel Dugento (1) af-
ferma che la Chiesa nulla facesse per impedire
simili aberrazioni, ed anzi dice che ci si pre-
stava, ed a riprova cita un sol documento del
1229 il quale si riferisce ad un caso di esor-
cismo. È importante invece ricordare come
r arcivescovo Buonfiglio Ugurgieri il quale
resse la chiesa senese dal 1216 al 1252 coman-
di chiaramente nelle sue Costituzioni « quod
nullus Clerieus aliquas divinationes faciat » (2)
e noi sappiamo come tutti i mistici senesi da
sol. domine Galiene Gualenghi prò faciminis que fecit in exer-
citu fiorentinorum ». « Item, iiij Uh. Buonaiunte plehis sancii
Leonini prò quodam pulvere qui proiecit in exercitum jloren-
tinoTum ».
(1) Pag. 73 — Tip. Lazzeri 1897.
(2) Pecci, Storia del Vescovado di Siena (Lucca, 1748)^
pag. 210.
88
FILIPPO DEGLI AGAZZAEl
fra Filippo a S. Bernarcliiìo si opponessero alla
potenza degli astrolaglii e degli indovini.
La chiesa medioevale combatto la mai>'ia
riconoscendo invece la Scienza pitagorica dei
numeri che inspirò i Santi Padri Barnaba, Ire-
neo, Clemente Alessandrino, Eusebio da Cesarea.
S. Agostino considera i numeri come pensieri
di Dio. Egli ci lascia intendere che ogni cifra
ha il suo significato provvidenziale : « La Sa-
pienza divina, egli dice, si riconosce ai numeri
impressi in ogni cosa » (1).
La magia era ai tempi di fra Filippo stret-
tamente connessa alla scienza necromantica che
ha molti punti di contatto con il moderno
ò'jjiritiffmo. (Hi spiriti erano evocati non solo
perche venissero in aiuto delle miserie umane,
ma specialmente per soddisfare 1' appassionata
curiosità dei mortali di penetrare nelle tenebre
del futuro. Il VilUmi ci narra nella sua Cronica
che P}-ovenzan Salva ni portava sempre seco un
demonio chiuso in una fiala, docilissimo ai
suoi desiderii e comandi, e nel quale egli ave-
va riposto una grande stima. Così pure il ca-
pitano dei fiorentini alla battaglia di Monte-
aperto era posseduto da uno di questi spiriti
misteriosi e se lo teneva caro « chiuso in una
lampolla » ; non sappiamo però in quali rap-
porti restasse con il furbo diavoletto dopo la
tremenda disfatta.
(1) Cfr. Quaestio in Heptateiich. — De Musica.
89
CAPITOLO II
Fra Filippo ci racconta di aver conosciuta
una fanciulla in Siena che fu a pericolo per
una incantagione clie la madre le fece, ed egli
ci descrive il modo che teneva la donna per
evocare il demonio e conoscere da lui gli au-
tori di certi furti : « Ella aveva un bicchiere
et empival d' acqua, e così pieno el poneva in
terra, e la madre e la figliuola si ponevano a
sedere in terra allato al bicchiere, e poi faceva
dire alla figliuola le parole diaboliche, sopra
il bicchiere dell' acqua. E dette le parole dia-
boliche, il diavolo appariva sull' acqua eh' era
nel bicchiere ne la figura e forma et abito di
colui, ovvero di colei che aveva fatto il furto, e
in che modo furava, e dove l'aveva riposto ».
In quei tempi, che le città non disponevano
d' un servizio di pubblica sicurezza, il diavolo
poliziotto doveva essere prezioso, e la donna
faceva certo affari d' oro. Non così la pensa-
vano i mistici, i quali tenevano un contegno
ben diverso con i ladri, come sappiamo da
uno fra i più deliziosi assempri di fra Filip-
po, pervaso di francescana semplicità e che
mi piace di riportar quasi per intero : « ...es-
sendo Priore del detto convento (Selva del
Lago) un santissimo e venerabile frate Ban-
dino e de' Balzetti da Siena, essendo di me-
riggiana a tempo di silenzio, i frati a le celle
loro, e vedendo frate Bandino che un ladro
aveva furato 1' asino del luogo e menavasenelo,
90
FILIPPO DEGLI AGAZZAEI
innanzi clie egli volesse rompere il silenzio o
farlo rompere a' frati soiferse che '1 ladro se
ne menasse queir asino. Egli non dimeno se
n' andò in chiesa dinanzi a la tavola del Sal-
vatore et ine si gittò in orazione e pregò Idio
per quel ladro, acciò che Dio gli desse vero
conoscimento sì che egli tornasse a penitenzia
e salvasse V anima sua. Unde il ladro andan-
dosene coir asino et essendo già presso che
fuore de la Selva, quando venne all' uscire,
r asino si fermò a modo che fusse stato di
pietra confitto in terra, e per nullo modo gli
potè tanto dare che V asino si volesse mai
mutare per uscir fuore de la Selva. Allora il
ladro temendo di non essere sopragionto se ne
voleva andare e lassare 1' asino. E medesima-
mente volendo uscir fuor de la Selva gii pa-
reva che Farla gli facesse muro e per nullo
modo ne poteva uscire. Unde egli vedendosi
a così fatto partito fu compunto nel suo cuore
e fece boto a Dio e a la Vergine Maria che
se li desse grazia eh' egli si potesse partire
inde, eh' egli ritornerebbe a dietro e rimerrebbe
r asino e rendarebbelo, e da inde innanzi amen-
darebbe e correggiarebbe la vita sua. E fatto
'1 boto, 1' asino per se medesimo si volse a
dietro, et anco egli subbitamente gli parbe
essere sciolto e ritornò a dietro coli' asino e
dimandò il Priore del luogo, cioè il benedetto
frate Bandino eh' era Priore, e rendè 1' asino
91
CAPITOLO II
e con molte lacrime si rendè in colpa e diman-
dogli perdonanza e disseli il miracolo eh' era
intervenuto. Allora il benedetto frate Bandino
gli perdonò e feceli dare buona limosina. E
poi con molto amore e con molta carità Famu-
ni e pregollo che egli non facesse più male,
e che egli amendasse la vita sua et egli così
gli promisse di fare ; e mandoUo in pace » .
Vi sono in questa narrazione meraviglio-
samente fresca e viva certe pennellate misti-
che che ritroviamo solo in alcune tavole di
quel grande pittore senese che fu Stefano di
Giovanni cognominato il Sassetta. Fra Filippo
ci si rivela sotto un aspetto d' insolita dolcez-
za, quasi d' un'umanità nuova che non è quella
dell' austero eremita, ma sì piuttosto d' un ar-
dente fratello spirituale di Santa Caterina.
Questo frate Bandino che fa « buona limosi-
na » al ladro compunto e che lo rimanda in
pace dopo averlo umilmente pregato a non
commettere furti, ci sembra di veder uscire da
un chiostro umbro luminoso di sole e non da
quello fosco di Lecceto, recinto di mura come
una fortezza, occupato dalle immagini di mille
demoni. L'assempro ci par quasi un fiore cólto
dal mistico prato sul quale camminò il Pove-
rello svegliando la flora sconosciuta dell'umbra
primavera. È certo, in ogni modo, che una
nuova primavera francescana era per sbocciare
in Siena pervadendo dei suoi spiriti tutta l' Ita-
92
FILIPPO DEGLI AGAZZARI
lia del Eiuascimento ed opponendo una ma-
gnifica reazione mistica ed umana al Pagane-
simo risorto, contro il quale invano doveva
cozzare il crudo ascetismo fiorentino di Giro-
lamo Savonarola.
^W^
93
>0c II I <^ ',1 II ~xO< Il 5] <(> I !III3rZZ>(>C=I^3l
CAPITOLO III.
gioya:n^]S"i colombini.
A poche miglia da Siena, fuori di Porta
San Marco, sorgono ancora le mura dell' an-
ticliissimo convento dei santi Abbundio ed
Abbnndanzio, abitato per secoli dalle religiose
Benedettine, che si chiama volgarmente Mona-
stero di Santa Bonda.
In cima al tetto della casa fiorisce ogni
anno un ulivo selvaggio piantatovi da una
religiosa la quale, come narra la leggenda,
cólta dallo spavento di essere dannata, volle
sincerarsene con incredibile prova. Prese un
ramoscello d' olivo e lo ficcò fra le tegole pen-
sando : « Se attecchirà è segno che Dio vuol
salva F anima mia ». Il misericordioso Signo-
re Iddio non permise che codesto luogo di
pace fosse turbato dalla disperazione di quella
povera vergine e di fatto 1' ulivo attecchì fio-
rendo nel cielo come un simbolo di speranza.
94
GIOVANNI COLOMBINI
All' antico monastero si giunge per una
via serpeggiante fra dolci colline ricoperte di
viti e d' olivi ; indi si dominano le valli del-
l'Arbia e dell'Orda tino alla montagna di
Santa Fiora. Xel 1810 le monache furono co-
strette ad abbandonare la vecchia casa in
forza della legge napoleonica che soppresse
primamente i conventi, ed ora sono cent' anni
che la desolazione di quell' abbandono abita
il cenobio santificato da tante preghiere fem-
minili, e dove madonna Paola Foresia e le
sue compagne il 2 agosto dell'anno 1367 sep-
pellirono con lacrime d' amore la salma del
loro amico Giovanni Colombini.
S' adempieva per tal guisa la volontà del
poverello gesuato. Xel testamento (1) egli ave-
va scritto : «... che il mio corpo si seppellisca
appresso alla chiusura ovvero murato nel mo-
nasterio e chiostro di Santo Abbundio et Ab-
bundanzio di presso a Siena, lungo 1' uscita
dell'uscio dell'orto di detto monasterio; e che
sia portato colà morto, involto in uno cana-
vaccio, colle mani legate dietro, in sull'asino >.
A questa seconda disposizione si opposero
naturalmente gli amici ; si oppose il popolo di
Siena che già venerava in lui un santo, cioè
un « triumphator vitae ».
(1) Di questo testamento, evidentemente religioso, non si
trova 1' originale ne 1' Archivio di Stato di Siena. È riferito
dal Belcari nella Vita, da lui scritta, di Giov. Colombini.
95
CAPITOLO III
Come gli nltimi pensieri delPAssisiate an-
darono a ravvivarsi di speranza eterna nel
chiostro di San Damiano, così gli alitimi pal-
piti del Colombini batterono spiritualmente
fra le povere mura di santa Bonda. Oggigiorno
nessuno ricerca più V antico romitorio poiché
esso non offre alcuna preziosa reliquia artistica
dinanzi alla quale possa fondersi il delicato
snobismo estetico dei moderni pellegrini.
La piccola chiesa trecentesca parve già trop-
po modesta alle Benedettine del Settecento che
le costruirono a lato una compagna pretensiosa
con altari riccamente adorni di stucchi, la quale
ancora è adibita al culto, mentre quella che
aveva ospitato la salma del Colombini prima
della traslazione delle sue reliquie nel tempio
del Carmine in Siena, appare adesso trasfor-
mata in un tinaio. Ma il vaso della chiesetta
è intatto con la bella abside circolare lumeg-
giata dalle finestre originali, e con l'antica tra-
vatura poggiante sui mensoloni sobriamente
intagliati.
Quivi pregarono, avvinti dal comune ideale,
madonna Paola Foresia e Giovanni Colom-
bini ; suir altare di centro il fondatore dei
gesuati votò a Dio la figliuoletta Agnese, il
pegno vivente del suo amore terreno, e ad essa
r amico Vincenti accompagnò la propria figlia.
Quei singolari mistici non avrebbero creduta
perfetta la rinunzia mondana se non si fossero
96
GIOVANNI COLOBI BINI
obbligati a perpetuarla aiiclie nei propri figli,
se dalla terra abborrita, impero di Satana, non
avessero strappate tutte le radici delle loro
esistenze. jS^oì moderni non riusciamo a com-
prendere questi atti lesivi dell' altrui libertà
individuale e molti potranno giudicarli severa-
mente ignorando tuttavia come fossero ispirati
da una fede eh' era certezza d' amore. Ma sa-
rebbe opera vana affaticarci a giustificare azioni
infiammate da sentimenti che sono estinti in
troppi cuori : più facile invece è tentare di
ravvivarne la bellezza eroica attraverso ciò che
può sembrarci assurdo ed ingiusto. Del resto
r eroismo genuino non precipita quasi sempre
le azioni degli uomini nell' assurdo ? William
Blake diceva che l'uomo non giunge alla sag-
gezza se prima non passa per il castello della
Follia. Tutti i veri mistici vissero nel castello
della Follia, della divina follia di un sogno che
trasfigurava al loro sguardo le cose e le crea-
ture, e che alle anime delle persone eh' essi
avvicinavano conferiva la luce ed il calore
d' una bellezza ardente di passione.
Il Colombini venuto al mondo nel 1304 era
di vecchio ceppo senese (1) e come il padre suo
(1) ToMMASi, Storie mss., Bibl. Com. di Siena. Cod. A,
IV, pag. 58. « Era Giovanni d' una di queUe nobili famiglie,
che sin dal principio erano intervenute al governo della Re-
pubblica, le quali nel 1277, escluse le più potenti e le men
97
CAPITOLO III
Pietro e come gli altri fra i suoi maggiori aveva
ricoperto le più alte cariche dei Nove e tenuto
con saggezza 1' ufficio di Priore del Comune.
Splendida era stata la sua gioventù per il fa-
scino cavalleresco proprio dei giovani della
nobiltà che amavano le armi e le belle im-
prese e di mostrarsi al popolo cavalcando fo-
cosi destrieri sui quali rompevano di galoppo
per le vie anguste della città, gridando alla
folla della plebe spaurita ed ammirante, e fiera
de' suoi giovani ed audaci cavalieri, il « Salva !
salva ! » prescritto nei decreti della Signoria.
Il Colombini era altresì stimato in Siena per
r acuta intelligenza e per le ricchezze avite
assai considerevoli e da lui accresciute nel
commercio, poi che subito uscito dall' adole-
scenza, secondo il costume del tempo, egli
aveva scelto una professione ed erasi ascritto I
all' arte della lana. In Perugia aveva stabilito
un banco importante ; a San Giovan d' Asso,
Castello della Val d' Orcia, possedeva terre ;
ed egli amava assai il danaro, il fasto, i co-
stumi cavallereschi della nobiltà proprio come
il giovine Francesco d' Assisi prima della con-
versione.
Al santo umbro si ricongiunge il Colom-
bini anche per la rivoluzione d' anime eh' egli
quiete dal reggimento, s' erano compiaciute di rimaner popo-
lane. La qual voce reggenti e partecipanti dello Stato signi-
ficava ».
98
GIOVANNI COLOMBINI
suscitò, coutrassegiiata dal carattere pretta-
mente laico dei due condottieri e dei loro
primi compau'iii; dal medesimo disprezzo degli
onori e delle ricchezze; dal culto altissimo del-
l' amicizia femminile; dall' ardente spirito di
carità, dalla dt^vozione alla Chiesa, e dal ri-
spetto alla Curia in contrasto alle sètte ereti-
cali di coloro che Roma avversavano in omag-
gio alla povertà, ma più forse per superbia
della povertà ostentata come una bandiera di
ribellione (1).
Ancora il moto dei Gesuati ricorda il fran-
cescano primitivo, specialmente per quello spi-
rito di perfetta letizia che fioriva in canti di
amore divino, spontanei ed appassionati, e che
neiruno fecondò il genio di lacopone da Todi
e nell'altro il genio sconosciuto del Bianco da
Siena.
Questo spirito di mistica letizia nel dolore
e nella mortificazione, senso attivo della vita
(1) Non è stato ancora osservato come il sincero amore
[iella povertà è privilegio dei ricebi. I veri amanti della po-
vertà come S. Francesco d'Assisi ed il Colombini, ed i prin-
L'ipali tra i loro compagni uscirono da famiglie facoltose. In
B88i e non già nei fraticelli venuti dalle classi povere si ri-
scontra quel sentimento generoso e sincero. D^ altra parte
Dgni uomo ama ciò cbe gli ba costato un sacrificio, una
rinunzia : uno cbe sia nato povero e per il quale la povertà
rappresentò lo stato naturale fin dalla nascita non può sen-
:ire per essa cbe un sentimento d' indifferenza, di disgusto,
) di rassegnazione.
99
CAPITOLO III
che contrasta con la pazienza passiva del bi-
blico Giobbe avvelenantesi poi nelle impreca-
zioni, questo splendido sole della primavera
nmbra gioverà osservare come si svegliasse in
Siena solo verso la seconda metà del Trecento
quando apparvero Santa Caterina ed il Colom-
bini fra gli orrori delle pestilenze.
11 Beato Giovanni Colombini ci vien de-
scritto da Feo Belcari (1) nella Vita eh' egli
scrisse di lui come uomo « di gentile comples-
sione e di piccola e sottile persona. »
Sano di Pietro (2) in una tavola che si
conserva nell'Accademia senese di belle arti lo
ha raffigurato, ginocchioni, le mani giunte, il
volto assorto nella preghiera, straordinariamente
vivo e certo in ispirito rassomigliante ; indossa
il Beato quel costume bianco dei Gesuati, del
quale Papa Urbano (3) in Viterbo volle fossero
rivestiti il Colombini, il Vincenti ed i loro com-
pagni quando potè scagionarli dalla accusa di
eresia ond' erano gravati per le apparenze este-
riori che li accomunavano ai così detti frati-
celli dell' Opinione, contro i quali mostra vasi
implacabile la Curia Avignonese, tutta intenta,
pur da lontano, a disciplinare le correnti reli-
giose che s' agitavano di continuo in Italia.
(1) Feo Belcari. La vita del B. Colombini da Siena ^
Venezia, 1554.
(2) Vedi illustraz. N.** 14.
(3) Vedi illustraz. N." 15.
100
14
Fot. Lombardi.
Giovanni Colombini
Sano di Piktko
GIOVANNI COLOMBINI
Ora vieu fatto di domandarci quali fossero
le condizioni spirituali e civili della repubblica
senese allorcliò si determinò, verso il 1355, la
conversione del Colombini immerso negli agi,
negli onori, ed ormai non più giovine.
Nella seconda metà del secolo XIV Siena
soggiacque a dure prove.
La memorabile peste del 1348 arrestò d'un
colpo la sua fortuna politica che ascendeva me-
ravigliosamente; il secondo Magistrato dei Ifove
che aveva retto con tanta saggezza la cosa
pubblica tìn dal 1"" luglio 1292 e del quale il
Colombini aveva fiitto parte, fu rovesciato il
21 marzo 1355 i^er un colpo di mano della fa-
zione ghibellina nell'occasione della venuta di
Carlo IT e per tal modo s'iniziò un' epoca di
riaccese discordie e di civili disordini. ìfel
giugno del 1357 i senesi dovettero abbando-
nare definitivamente il sogno glorioso d'avere
la più superba cattedrale d'Italia, sogno fiori-
to nel 1339, e del quale rimangono tuttavia le
gigantesche vestigia marmoree che sfidano il
cielo ed il tempo. Il dominio della repubblica
fu più volte in quegli anni messo a ferro e
fuoco dalle compagnie di ventura imbaldanzite
dalle calamità. Ma crudelissima nemica fu la
peste che fra il 1348 ed il 1425 riapparve
ben cinque volte nelle mura di Siena a far
strage di cittadini, e cioè nel 1363, nel 1374,
nel 1400, nel 1411, nel 1424. Fra i cronisti
101
CAPITOLO III
senesi del tempo Agnolo di Tura e Neri di
Donato ci hanno dipinti i quadri più foschi
di queste pestilenze terribilmente micidiali.
I migliori cittadini nelle sventure onde fu-
rono oppressi in quegli anni, purificarono e ri-
temprarono il proprio genio in Dio attraverso
l'esperienza dei mali comuni, ed irraggiarono
per tutta Italia una grande luce di bellezza
spirituale. La città di Siena vide allora la sua
anima popolare, quale aquila ferita, lanciarsi
nel sommo dei cieli perdutamente, con suprema
esaltazione lirica.
La mirabile visione realistica della vita,
sorgente dal benessere terreno della ricchezza
accumulata nel Dugento, e che aveva fatto dei
pittori trecentisti senesi dei veri scopritori nel
mondo dell'arte e dei precursori dei fiorentini,
ad un tratto apparve mortificata, spezzata : e
mentre nella vicina Firenze, sempre più ricca
e forte, era prossima a sorgere l'aurora del ri-
nascimento con Masaccio, in Siena, all'incon-
tro, l'arte si fissò in una concezione prevalen-
temente religiosa del mondo; s'abbeverò di la-
crime, visse del pane quotidiano della pre-
ghiera.
L' arte senese del secolo XY non si può
comprendere nei suoi spiriti sostanziali da chi
non abbia vissuto nelF atmosfera religiosa dei
suoi mistici. Pertanto non sono le doti intel-
lettuali e le disposizioni artistiche che mi vien
102
15
Busto di Urbano V.
Avignone! (Museo Calvet)
GIOVANNI COLOMBINI
fatto particolarmente di ammirare nei senesi
(lei secoli XV e XVI (i lìorentini contempo-
ranei appaiono superiori per acutezza e logica
di raziocinio e per il senso dei valori tattili),
ma si piuttosto il tesoro inesauribile del loro
patrimonio sentimentale, la bellezza del loro
temperamento eroico, la capacità straordinaria
alla commozione ardente la quale trovasi sem-
pre in perfetta antitesi con ogni forma vacua
di esaltazione passeggera, di vano entusiasmo,
anche quando il fatto determinante sorga im-
provviso e sia parva favilla.
Pensiamo un poco quale e quanta fosse
la sensibilità mistica nelP anima di Giovanni
Colombini, d' un mercante, cioè d' un nomo
avvezzo a stimare la vita e il denaro j)iù
di quello che meritino, per riuscire ad assor-
birsi intero nella lettura della conversione di
Santa Maria Egiziaca, e, sulF esempio di quella
donna, sovvolgere di colpo tutta la propria
esistenza. Certo quella lettura non fu che la
causa occasionale alla risoluzione d' una crisi
che già maturavasi in qnelP anima, ma è pur
vero che tali crisi sono proprie dei tempera-
menti mistici ricchi di sensibilità, vale a dire
dei soli nomini capaci di azioni eroiche, giac-
che mai un fatto degno di questo aggettivo fu
compiuto al mondo dietro un freddo ragiona-
mento o per il luccicore d' un' idea astratta
proposta da un filosofo moralista. È sempre il
103
CAPITOLO III
sangue del sentimento che dà vita e forza alle
idee ; ed il Colombini il giorno che rincasando
s' ebbe dalla moglie Biagia il leggendario ove
lesse la vita di Santa Maria Egiziaca, dovette
certo sentire ima strana febbre nella commossa
umanità di quelle pagine perchè fosse preso il
suo cuore da sì grande simpatia per la mise-
rabile e gloriosa creatura eh' era stata, secondo
le parole della leggenda, « laccio di morte
teso a tutte le anime », e poi la « sommersa
nella grazia e nelP amore », della donna che
volle morire sola austeramente sopra le sabbie
del deserto aride ed ardenti come le sue povere
carni.
Dalle stragi della peste del 1348 o dalle
disillusioni politiche apprese il Colombini la ve-
rità dell'eterno doloroso mistero? Chi può dire?
Certo egli affermò come Dio gli avesse « mostra-
to e fatto conoscere che tutto il mondo sogna
e frenetica, e che la vita umana come fumo e
vento passa, e che chi più piglia dei beni terreni
ne ha peggior mercato » . Anch' egli come l' E-
giziaca aveva trascorsi i meglio anni dell' esi-
stenza a godere ed a far mercato di beni ter-
reni ed un giorno provò, come la donna leg-
gendaria, il disgusto amaro che in ogni cuore
cupido di bene sembra instillare il rimorso
d' essersi illuso sulla natura della vera felicità.
Egli subì allora il fenomeno, strano ma ca-
ratteristico, d' ogni crisi spirituale culminante
104
GIOVANNI COLOMBINI
in uua real coiiversioue: giova pertanto notare
che le vere conversioni, quelle cioè per le quali
i sentimenti si traducono in azioni, sono piut-
tosto rare fra gii uomini che hanno varcato la
cinquantina. 11 Colombini fu preso di folle
amore per tutto ciò che aveva disprezzato e
disprezzò le gioie lino allora ricercate. La po-
vertà fu per lui sinonimo di ricchezza e la
ricchezza di povertà. L'anima, ospite discono-
sciuta, divenne V unica regina nella sua casa.
Egli attese a vendicare se medesimo degli onori
che nella propria patria aveva ricevuti. E sic-
come nel palazzo pubblico per due mesi era
stato fatto segno del più alto ossequio nell'uf-
ficio supremo del priorato, per due mesi in
questo palazzo volle sottoporsi alle più umili
inservienze. Giammai videsi scandalo maggiore
nella città di Siena. Quando i suoi vecchi
amici lo riconobbero un giorno in mezzo ai
fondachi nella piazza del Campo cavalcante un
asino per dispregio, scalzo, col capo scoperto,
con una gonnella stretta ed un mantello corto
di grosso panno ripezzato, lo credettero e dis-
sero ammattito, ma egli cominciò ad ammo-
nirli : « Fate bene del pazzo quanto potete e
sarete savi. Cristo vi faccia impazzare che non
e' è di meglio » . Ed in fervore di spirito sog-
giungeva, Jacopone novello : « Povertà, povertà
il tuo linguaggio non s' intende. Viva la santa
povertà nei nostri cuori » . I più continuarono
105
CAPITOLO III
a deriderlo ; altri 1' ammirarono timidamente ;
alcuni pochi si unirono a lui e primo Fran-
cesco Vincenti, uno di nobile famiglia senese.
Laici fin da principio furono i compagni del
Colombini e per il loro carattere schiettamente
democratico contrastante con 1' alterigia e la
prepotenza propria ai membri delle famiglie
nobili e ricche del tempo, alle quali quasi tutti
appartenevano, essi acquistaronsi presto il fa-
vore popolare.
A San Giovan d'Asso, ove possedeva delle
terre che regalò ai poveri, questo singolare
socialista cristiano del Trecento si fece un
giorno trascinare per le vie legato con un ca-
pestro dai suoi compagni, ai quali aveva in-
giunto di batterh) e di oltraggiarlo con tali
rimproveri gridati al popolo : « Ecco costui
che vi volea affamare, che vi prestava ogni
anno il grano vecchio punto dalle tignuole,
eppoi rivoleva il nuovo buono ]3Ìù che comu-
nale e desiderava che valesse un fiorino lo
stajo ! Dategli forte a questo crudele odiatore
dei poveri ! » .
Il Colombini non rifuggiva dalle forme un
poco volgari e clamorose della teatralità pur di
flagellare, avvilire, distruggere, ed a questo se-
gretamente mirava, in se stesso, nella sua im-
magine di patrizio, quel regime di privilegio
che reggeva la società contemporanea. Consi-
derato sotto questo aspetto, egli ci appare in-
106
?,
GIOVANXI COLOMBINI
Tero fra i mistici senesi, come il rappresen-
tante tipico di quel moto idealmente anar-
chico e religioso che serpeggiava sempre sof-
focato dalle autorità ecclesiastiche e civili, tra
le varie sètte dei fraticelli.
Lo studioso non deve quindi limitarsi a
considerare le apparenze pazzesche di certi atti
del Colombini, ma vedere attraverso di quelle
un poco profondamente nelle sue intenzioni.
Gli avverrà allora di scoprire V ironista finis-
simo e mordace che si celava in quel grande
cuore d'amante. Egli sapeva che allorquando
umiliava sé stesso in così terribile guisa, umi-
liava ancora un principio, ragguagliava i più
alti papaveri di Siena, i grandi del suo paren-
tado, air altezza dei piii umili e sfortunati
plebei. E questo certo compresero i reggitori
del Comune, i quali nel 1363 condannarono
il Colombini ed il compagno suo Francesco
Vincenti al bando perpetuo da Siena. Sembra
che egli fosse dannato all'esilio sotto l'accusa
di essere un pericoloso novatore, capace di
rovinare le famiglie e di sollevare il j)^-
polo (1). E si noti che la pena comminatagli
dell' esilio era fra le più gravi che potessero
colpire un cittadino senese giacché i suoi beni
venivano confiscati, gli era interdetto di ere-
(1) ToMMASi, rass. cit. A, IV. 3, pag. 59 : « Da signori Do-
dici furono banditi di Siena sotto pretesto che troppa gente li
seguitasse. »
107
CAPITOLO III
ditare e di testare, ed infine i suoi nemici lo
potevano uccidere impunemente. Il banditore
della Signoria annunziava la condanna su
tutte le piazze : un famiglio del Comune po-
neva la candela accesa su la soglia d'una fra
le porte della città e prima che si fosse spenta
1 condannati sotto pena di morte dovevano
partirsene.
Insieme al Colombini ed al Vincenti ven-
ticinque Gesuati partirono per la via dell' esi-
lio, e pieni d' ardore pel sacrificio di quello
abbandono forzato dalla patria, volsero i passi
verso la città d' Arezzo. In Siena il popolo
insorse contro la sentenza dei Priori in favore
degli esuli, e nel frattempo, essendo scoppiata
improvvisamente un'epidemia, molti videro in
essa una punizione del cielo, cosicché 1 capi
del Comune di fronte alla plebe tumultuante
furono ben presto costretti non solo a revo-
care il bando contro i Gesuati, ma ad inviar
loro una ambasceria con la preghiera che fa-
cessero ritorno a Siena. Il Colombini accolse
con grato animo i messi del Comune, ma ri-
spose loro che verso altre terre ormai lo chia-
mava il Signore. Ed a Siena ritornò solo nel
1366, un anno prima della morte.
Frattanto per comprendere la novità di
quella riforma religiosa ne la vita senese e
per rilevarne la potenza di penetrazione gio-
verà notare come i primi Gesuati s' armassero
108
GIOVANNI COLOMBINI
cV un terribile cinismo per meglio colpire i
potenti, e dai loro adepti esigevano come prin-
cipal virtù il coraggio di saper sfidare 1' opi-
nione pubblica, il rispetto umano. Xarra uno
storico antico che « la maggior parte di quelli
che per loro fratelli ricevevano, costumavano
di spogliarli dinanzi all' immagine della Ver-
gine Maria che è in sul Campo, e ivi li rive-
stivano di vilissimi panni; e tutti colle gril-
lando d'ulivo in capo, e cantando due di loro
qualche di vota laude e così in diversi modi li
umiliavano per far loro fare nell' edifizio spi-
rituale perfetto fondamento. »
In queste prove il Colombini temprava le
anime dei suoi compagni. Io non posso di-
menticare r episodio del giovane Nardusa, un
patrizio senese appena ventenne e maestro già
in giurisprudenza che rimase colpito nelP ani-
ma da queste parole del Colombini : « Ho
potuto osservare che Dio compie cose mira-
bili per le mani dei semplici e dei peccatori,
mentre lascia i grandi, gli scienziati, i sa-
pienti nel gelo della loro scienza. » Questo
pensiero intensamente vissuto mosse il Nar-
dusa a seguire V ideale del Colombini. Ma
per lui fu più terribile la prova che per gli
altri, giacche sembra che amasse molto la
vita e che insieme all' ingegno avesse molta
ambizione. Arrossi quando fra i canti di giu-
109
CAPITOLO III
bilo, i suoi compagni gli strapparono di dosso
su la piazza del Campo la ricca tunica scar-
latta rivestendolo di cenci, e durissimo gli fu
il calvario fino alla cattedrale. Per le vie fu
riconosciuto dagli amici della vigilia che, sde-
gnosamente chiusi neir eleganza delle loro
splendide vesti profumate, non mancarono di
ferirlo con parole di scherno. Ed egli più
tardi dovette uscire in questa confessione che
mi commuove : « Ho sofferto tanto durante
quel tragitto che avrei preferito morire. » Il
Colombini esigeva che si morisse al mondo
per entrare nella sua vita, ^oi moderni non
comprendiamo più la bellezza delle grandi
rinuncio; ma è pur vero che la sola sensa-
zione forte la quale possa procurarsi colui
che dispone di tutto è di rinunciare a tutto;
ed è questo 1' unico mezzo perchè uno spirito
possa rinascere a vita novella: è la potatura
radicale al ceppo di un albero infrollito cui
sarà dato nella nova primavera di riscoppiare
in germini e rigogliosi virgulti.
Quando la prima volta m' avvenne d' in-
contrarmi su le pagine d' un polveroso mano-
scritto della biblioteca comunale di Siena con
la figura impallidita del giovane Nardusa, per
meglio rilevarne l' eroica bellezza non potei
fare a meno di ravvicinarlo a quel giovane
ricco e virtuoso della parabola evangelica, il
quale invitato dal Cristo che amava la sua
110
GIOVANNI COLOMBINI
bella gioventù, a compiere la suprema rinun-
cia ed a seguirlo, questi crollando amaramente
il capo si allontanò dal maestro in silenzio, op-
presso e quasi vergognoso della sua debolezza.
Aspra di molto era la regola (1) di quei
mistici poverelli senesi. Paolo Morigi nel suo
Paradiso dei Gcsuati (2) così ne descrive il
tenor di vita: « Tra il giorno e la notte per-
severavano air orazione da cinque in sei ore
(usavano pregare senza strepito di voce in
sentimento d' anima, prediligendo fra le pre-
ghiere il Pater JVoster), Due volte al giorno
si disciplinano nell' oratorio, ciò fanno una
volta air aurora e un' altra a un'ora di notte,
Xon dicono messa, nò accedono agli ordini
sacri, per umiltà, ed a coloro che di ciò li
rimproverano, adducono V esempio del Santis-
simo Marco Evangelista che per santa umiltà
si fece tagliare il dito grosso della mano per
essere scusato dal celebrare i sacri misteri e
così 1' esempio di San Paolo primo Eremita,
di Antonio Monaco, di quasi tutti i diecimila
monaci che abitavano i monasteri della Te-
baide sotto la guida dell' abbate Serapione, i
quali lavoravano i campi, riscattavano gli
imprigionati per debiti e non dicevano messa. »
(1) Cfr. Stephani Baluzii, Miscellanea Tomo IV; Orda
et forvia morum qtios et per consuetudinem observat Congre-
gano pauperum qui vulgariter Jesuati nuncupantur .
(2) P. Morigi, Paradiso dei Gesuati, Venezia, 1582.
Ili
CAPITOLO III
Lo spirito religioso dominante nella fami-
glia gesuata primitiva ben trasparisce ancora
dalle ammonizioni del gesuato senese Antonio
Bettini (1) che io trascrivo da una sua opera
intitolata II Monte Santo di Dio. Così egli enu-
mera al fratello in religione i membri del pa-
rentado spirituale: « La tua madre sia la san età
compunzione, la quale ti può lavare dalle soz-
zure dei peccati. El tuo fratello sia quello clie
s'affatica insieme con teco et ammonisceti. La
moglie tua sia la memoria della morte con la
quale ti corchi, giaci et levi. Li tuoi figliuoli
carissimi sieno li pianti et li sospiri del core.
El servo tuo sia el corpo tuo. Gli amici tuoi
siano le sancte virtudi le quali se ti saranno
amiche ti potranno esser buone et hutili nel
tempo della morte tua ».
Questi consigli non sono nuovi; rifioriscono
dalle radici dell' antica vita eremitica, e li
avrebbe potuti dare non solamente il Bettini,
ma uno qualsiasi dei frati agostiniani chiusi
(1) Il Beato Antonio Bettini nacque in Siena nel giugno
1396 ed entrò nel 1439 nell'Ordine dei Gesuati. Fu mandato
a Roma per ottenere una sede i)er i Gesuati ed ottenne dal
Cardinal Latino Orsini la Cliiesa dei Santi Giovanni e Paolo.
• Per ordine di Pio II partecipò al Concilio di Mantova e fu
legato apostolico presso Francesco Sforza duca di Milano. Da
Pio II fu creato Sommo Penitenziere per 1' Italia nel 1459 ;
nel 1461 fu creato Vescovo di Foligno^ rinunziò al Vescovato
per rientrare nel suo monastero. Scrisse, fra molte altre ope-
re^ Il Monte Santo di Dio, Firenze, 1477. Morì nel 1487.
112
GIOVANNI COLOMBINI
nel sacro fortilizio di Lecceto. lu quali accen-
ti, in quali forme spirituali deiranima coloiu-
biniana troveremo dunque l'originalità di quel-
la atììato mistico ed umano che ci sembra di-
scoprire nella rivoluzione dei Gesuati? Apriamo
le pagine deìV JEjìistolario di Giovanni Colom-
bini (1); leggiamo un poco le lettere non già
come il Bartoli che le pubblicò, per setacciar-
ne fior di lingua trecentesca, ma per sentirvi i
forti palpiti d'un vecchio generoso cuore.
Due furono le anime che agirono potente-
mente sul Colombini fino dai primi tempi della
sua conversione e che in certo modo tempra-
rono con le loro segrete energie la volontà del
poverello Gesuato : quella del beato Pietro Pe-
troni e quella di Paola di Ghino della nobile
famiglia dei Foresi, abbadessa di Santa Bonda,
una donna « di spirito superiore al suo sesso »
come afferma il Tantucci (2) e che per otte-
nere una riforma alla regola del suo Monaste-
ro osò di andar con una suora fino ad Avi-
gnone ove trovavasi il Pontefice Innocenzo VI.
Pietro Petroni è una figura tipica dell'an-
tico ascetismo senese. Egli appai'teneva ad una
delle più cospicue famiglie patrizie. Quattor-
(1) Le lettere del B. Giovanni Colombini pubblicate per
cura di Adolfo Bartoli, Lucca, Tip. Balatresi 1856.
(2) Codice della Biblioteca comunale di Siena, segnato B,
X, 3 fase. 6^
11
Q
CAPITOLO III
dicenne entrò nel Sodalizio di Santa Maria
della Scala per dedicarsi alla cura dei malati;
piìi tardi si rinchiuse nella Certosa di Mag-
giano fatta costruire dal cardinal Riccardo Pe-
troni (1). Prese il diaconato e doveva essere
sacerdote, ma per umiltà si tagliò l'indice della
mano sinistra onde apparire inabile per la ce-
lebrazione degli Uffizi divini. Sembra che co-
noscesse i segreti dei cuori. Fu il Petroni che
per mezzo di Giovacchino Ciani convertì il
vecchio Boccaccio; ed egli rinsaldò la vocazione
del Colombini con la disciplina del silenzio e
della meditazione solitaria per la quale 1' uomo
mette a nudo la sua anima al cospetto di Dio.
Della riverenza e della gratitudine che gli di-
mostrò il Beato Colombini abbiamo una prova
nel fatto che allorquando il Petroni mori egli
scrisse unitamente a Mcolao Vincenti, fratello
di Francesco suo primo seguace, una biografìa
di lui che nei secoli andò smarrita. Di essa
resta solo il rifacimento d' un frate certosino,
tal Bartolomeo da Siena, il quale a detta dei
PP. Bollandisti (2) : « Hanc latine ex italico
transtulit ac copioso stylo exornavit » distrug-
(1) Eiccardo Petroni nel 1262, professore nello studio di
Siena, compilò il libro VI delle Decretali assieme al cardinale
Longo e a Dino di Mugello. Eletto cardinale, morì in Geno-
va nel 1315 e fu sepolto nel Duomo di Siena, ove vedesi il
suo monumento presso la Cappella di San Giovanni.
(2) Ada sanctorum, Antuerinae, 1678, VII, 188 (al giorno
29 maggio).
114
GIOVANNI COLOMBINI
gendo rispirazione semplice, breve, commossa,
che doveva possedere l' opera originale.
Madonna Paola Foresia, buona di quella
bontà che è luce di bellezza interiore accesa
da vita profonda, fece conoscere al Colombini
quanto sia dolce di sentirsi avvinti con un'ani-
ma femminile sul terreno saldo d'una comune
verità avendo come oggetto d' ogni palpito e
d' ogni pensiero un supremo ideale d' amore.
Giacché la donna quando veramente ama non
riesce a concepire un amore che non sia eter-
no, ed in questa sua fede sta la sua potenza
fascinatrice.
Il Colombini trovò appunto in Paola Fo-
resia ciò che nella buona moglie Biagia avrebbe
cercato invano : 1' accensione d' un sentimento
eroico che dominando tutti gli altri conferisce
alla vita d'un uomo il valore d'un poema su-
blime. A Santa Bonda si può dire che il Co-
lombini sciogliesse il suo t oto di povertà quan-
do nel 1364 « inter vivos » fece alla sua ami-
ca la donazione di quasi tutti i beni terreni
mediante un atto pubblico rogato dal notaro
ser Francesco Di Landò (1), obbligandola in-
sieme alle sue compagne monache a sovvenire
la moglie Biagia e le sue fantesche finch'esse
durassero in vita. Accennammo già come egli
(1) Questo documento è riferito dal Carli nella sua Selva
di notizie, pag. 220-225.
115
CAPITOLO III
affidasse a madonna Paola la sua figliuola
Agnese votandola a Dio, e ciò fu tra il 1361
ed il 1364 quando gli venne a mancare il figlio
Pietro.
L' epistolario è documento mirabile, per
quanto fin qui, nella sua essenza psicologica
inesplorato, dell'appassionata amicizia che legò
a madonna Poresia il Colombini. La maggior
parte delle lettere ch'esso contiene sono rivolte
all'amica^ e difatti il codice più prezioso del-
l'epistolario fu conservato per secoli nel mona-
stero di Santa Bonda (1). Quasi tutte furono
scritte nel tempo del suo esilio e per esse noi
possiamo ricostruire le vicende di quegli anni
d'apostolato che maturarono l'ordine nascente,
ma sopratutto ci è dato di comprendere meglio
che in qualunque specchio biografico, l'anima
del grande mistico senese.
Santa Bonda fu per 1' anima del Colombi-
ni il luogo di rifugio e di conforto, come la
certosa di Maggiano quello di raccoglimento
severo nella disciplina rigida della penitenza.
Quand'egli o qualche compagno maggiormen-
te sentivansi oppressi dall' incomprensione mon-
dana, o saturi d' umiliazioni, o traboccanti
nell' anima di gioia e d' amore, costumavano
riversare i loro sentimenti, lieti o tristi, nel
(1) È il codice I, VI, 16, membranaceo della Bibl. com. di
Siena. Parrebbe scritto verso la fine del secolo XVI e forse
le lettere vi furono trascritte dalle copie originali.
116
GIOVANNI COLOMBINI
cuore ospitale di madonna Foresia e delle, al-
tre religiose che abitavano il suo romitorio. Si
può dire veramente che Santa Bonda fu il fo-
colare di tutte le speranze dei primi poverelli
Gesuati. Il Colombini vi trascorse le ore mi-
gliori e di frequente vi riuniva gli amici per
conviti spirituali. D' una di queste feste, così
ragguaglia un suo amicto : « Sappiate che sa-
bato a mane fu a Santa Bonda il maestro
della loica e tanti altri che furono otto frati,
el giovano nostro e noi, et ine istemmo con
tanta giocondità di spirito, che veramente vi
direbbero i frati che Cristo fu con noi ».
Spesso nelle lettere ai suoi seguaci il Co-
lombini ricorda con affetto devoto le amiche.
Ai compagni Giovanni d' Ambrogio e messer
Xiccoli scriveva : « Amatevi, cantate e fate fe-
sta e giocondità; siate a Madonna ubbidienti
e reverenti. ^Cristo vi sia nelP anima. Orate
sempre per noi, cosi facciamo per voi... più
non dico. Cristo impazzi noi con voi per suo
amore » . Ed in un' altra lettera raccomanda :
« Pregate Dio per le madri dei povari e di
tutta la carità, donne di Santa Bonda, le qua-
li miracolosamente durano fadighe e per tutti
pregano, e voi per tutte loro pregate, e siate
valenti e forti e costanti » .
Per tal guisa, con il ricordo di quelle ani-
me di donne eroiche, spronava i suoi alle vir-
tù forti cementando V unione con la preghie-
117
CAPITOLO III
ra. E non cessava dalle raccomandazioni di
essere valenti nell'amore divino, costanti nella
fede abbracciata, umili di spirito e concordi.
A Giovanni d'Ambrogio ed ai suoi compagni,
ecco come si esprime in una lettera a questo
riguardo : « Parlate dell'amore et in esso vi as-
setate. Io vi conforto nello stare e vedete che
Minuccio (un seguace clie disertò), per voler
aver suo parere, come infìno a qui è ito. Par-
tissi da' frati senza fare lo motto : abbiatene
compassione e pregate per lui ; Cristo il guar-
di. Tutto gli avviene per essare uscito del pa-
rere de' suoi frategli e volere fare per molti
consegli. Vanni vi dirà il fatto. Fecemi gran
dolore. Cristo F aiti. Vo'duve Cristo mi mena-
re. Ratto credo tornare. Cristo sia guardia di
voi e di me ».
Dalle lettere del Colombini trasparisce l'an-
sia d' un soldato del bene, che sente di fronte
al compito impostosi la brevità del tempo con-
cessogli dalla vita che dilegua rapida. Ed egli
non si perde mai in parole troppe ed inutili.
Arresta in una frase incisiva la più gagliarda
delle commozioni, soffocandola. Le sue esorta-
zioni, lungi dal distendersi in prediche, appa-
iono come gridi di un capitano ai soldati du-
rante la battaglia. Prima di Santa Caterina
egli scrisse le parole mirabili : « Le tentazioni
sono la vita, la corona dell'anima nostra. Non
vi sbigottiscano le tentazioni ; aspettiamole con
118
GIOVANNI COLOMBINI
allegrezza e sosteniamole con fortezza, concios-
siacliè al fuoco s' affina V oro e fassi perfetto.
Chi recusa la battaglia è già sconfitto ».
Il linguaggio del Colombini, quando infor-
ma madonna Paola delle conquiste spirituali
dei Gesnati, è sempre quello d' un soldato.
Narrandole del compagno Vincenti in una let-
tera scrive : «... Francesco ha messo a rotta
di Cristo tutto Monticchiello et è stato tenu-
to un pazzo » Xulla più lo rallegra che una
conquista d' anime, e non manca mai di rag-
guagliarne la sua amica. Ecco alcuni fram-
menti di lettere indirizzate alla medesima :
* ... Giovanni e Conte hanno menato uno d'Ar-
ci dosso che era ito a Roma a tenere F alber-
go, accostossi a loro e venneno qua e colla gra-
zia di Cristo Crocifisso ha dato tutto il suo
ai povari che valeva bene ottocento libbre,
tutto r ha dispensato, et è con noi povaro.
Era uomo carnefice e micidiale. Ora assai
buono aspetto ». «... Semo stati e semo a
Montalcino e improvviso così ragionandoci del
nostro diletto Cristo tutta la terra si mosse a
tanto fervore e tante lacrime e pianti che sa-
rebbe troppo scrivere ogni cosa. E per la in-
finita bontà di Dio molti uomini e donne
hanno forte mossa vita, e sono, poi che ci
partimmo da voi, assai venuti al grado del-
l' alta e ricca povertà, lassando ogni lor bene
e rendendo paci ». « ... Lorino è molto tocco
119
CAPITOLO III
da Dio, sin tanto che per la grazia di Dio nella
presenzia del Padre nostro messere lo Vescovo
esso rendè liberamente pace a questi tre dei
Piccogliuomini, della morte di messer Lorino
suo zio, la quale non avarebbe renduta per
migliaia di fiorini secondo che esso disse »♦
Tanto è il fervore di spirito di questi nuo-
vi apostoli che sembra di veder ridesta nei
medesimi 1' anima del Poverello d'Assisi. Ciò
che li rattristava era il vedersi tacciati da molti
per eretici e di sapere che anche il pontefice
Urbano Y mostrava di credere a queste voci.
Ed in vero come novatori pericolosi erano
stati messi al bando dal comune di Siena. In
Arezzo, poco dopo, ser Biliatto, un loro se-
guace, fu appiccato per eretico come saj)piamo
dalla lettera 91"^^ dell'edizione Bartoli, rivolta
dal Vincenti alle monache di Santa Bonda. Lo
stesso Vincenti, in un' altra epistola, cerca di
tranquillizzare a questo x^^^P^^i^^ 1^ amiche
dei Gesuati: « ... Mo pensate che tante so' le
resie delle gienti, che non si può credere che
noi siamo netti, nò puri per molti. Ma quan-
do il vero si saprà saremo assai amati, scri-
varemo bene e virtuosamente, avaremo assai
appoggi e grandi e così molti contrari, e cre-
diamo grande battaglia; ma speriamo buono
fine per la purità e verità e santo desiderio.
Noi di tutte le cose ci contentiamo che Dio
vuole ».
120
GIOVANNI COLOMBINI
Questi frammenti epistolari sono tali da
illumiuare lo stato di animo nel quale do-
vevano trovarsi i Gesuati alla vigilia del
giorno in cui si presentarono, per scagionar-
si dalle accuse, dinanzi a papa Urbano che
giungeva d' Avignone. Il Colombini mosse ad
incontrarlo con circa settanta fra i suoi com-
pagni, quand' egli entrò in Oorneto il venerdì
4 giugno 1367. Al cospetto del papa, egli ed
il compagno Francesco Vincenti, si trascina-
rono con uno sforzo eroico di volontà, quasi
moribondi. Difatto la morte doveva cogliere
il Colombini un mese dopo, il 31 Luglio, ed il
Vincenti il 15 dell' agosto seguente. In Vi-
terbo ebbero però la gioia di udir proclamare
dal pontefice la innocenza delle loro intenzio-
ni, dopo un' inchiesta severa promossa dal car-
dinale di Marsiglia, domenicano. Essi non rin-
negarono tuttavia, neppure in mezzo agli splen-
dori della Corte avignonese, la loro dolce aman-
te, la Povertà. Il Vincenti ne scrive da Vi-
terbo con un segreto tripudio alle amiche di
Santa Bonda, mentre il Colombini trovavasi
gravemente malato, < ... pensate, Madonna e
Madri nostre, che qui è baronia del mondo e
1' orrevolezze e le gioie e vestimenti e signo-
ri, e tutte le belle grandi cose sono qui. Ma
tuttavia mai la povertà non ci fu tanto a gra-
do quanto ora e mai tanto non ci piacque ».
Che mirabile consonanza di sentimenti rivela
121
CAPITOLO III
questa lettera del Vincenti con altra che già
inviava il Colombini a Madonna Paola Fore-
sia: « Noi aviamo nome d' essare poveri, mo
tanta roba ci è mandata che io me ne vergo-
gno... e se noi volessimo seguitare le genti
converrebbeci fuggire e dileguare ».
Senonchè giovava a rassicurarli il pensiero
della loro elettissima amica lontana. Purtroppo
non ci son pervenute le lettere eh' ella invia-
va ai fratelli Gesuati, ma ci bastano quelle
che possediamo del Colombini per sentire a
quali corde vibrava quell' anima ardente cui
il Beato scriveva : « Con ogni umiltà e buon
volere vi chiamo e vi voglio mia madre spi-
rituale e che per vostro figliuolo mi toniate > .
Dell' umiltà verace eh' egli portava a lei ed
alle sue compagne abbiamo una prova nel fram-
mento di un' epistola ove dice : « Pregovi, o
carissime, che facciate singulare pregio per la
santa Chiesa et anco per me misero peccato-
re. Conosco che presuntuosaniente ho scritto,
però che scrivo la virtù che non è in me, e
dubito che alluminando altrui non accechi
me, però orate per me che n' ho gran biso-
gno ».
Ma il Colombini sapeva veramente illumi-
nare le anime ; e gli accenti che vibrano in
talune fra le sue più belle e sincere epistole
piene di passione, non potranno giammai offu-
scare un nobile spirito. Nella meravigliosa
122
GIOVANNI COLOMBINI
atmosfera lirica di alcuni di codesti squarci
epistolari come quello che ora trascrivo, si
respira veramente V aer puro ed allocato del
più alto misticismo senese che più tardi incen-
dierà V anima di Caterina Benincasa. Ecco
una confessione del Colombini : « Carissime,
chi mi potrà dire 1' amore e la carità che di
voi sente l'anima mia e il cuore mio, il quale
tutto arde et incendia del fuoco dell' amore
dello spirito santo, trasformandosi tutto, per
carità di Cristo, nelF anima vostra con istri-
gnimenti affocati e con saette passanti... ».
A madonna Paola Foresi a ricorda : < L'a-
nima mia è spesso nelle vostre braccia opperò
abbiatela a mente » . Ed egli vorrebbe ch'ella
fosse sempre piena di letizia e si rammarica
d' ogni ombra che veli il suo cuore : < Quanto
la lettera vostra mi fusse pena della malan-
conia, eh' io viddi e veggo, non vel potrei
dire > . Per consolarla le manda talora il Bar-
na di Montalcino o il Boccia eh' erano i più
celebrati cantori di laudi della sua compagnia.
Fra il Colombini e le religiose di Santa Bon-
da vi è una vicendevole ed appassionata comu-
nione di sentimenti che tanto più ci piace
perchè giammai contaminata dalla convenzio-
nalità ipocrita ed untuosa della frase misurata.
L' epistolario del Colombini ci rivela prima
ancora dell'epistolario cateriniano in qual modo
nel secolo XIY, in Siena, alcune anime sep-
123
CAPITOLO III
pero realizzare il più perfetto ideale dell'ami-
cizia creatrice.
In quei mistici senesi la fede religiosa co-
stituiva un terreno così saldo e generoso che
r amore non correva mai il pericolo, fioren-
dovi su, d' essere avvelenato pur dall' ombra
d' un solo dubbio. La passione di Cristo era
fonte d' amore per quelle anime ; e perchè in
lui amavano intensamente il martire si com-
prende come non avessero paura ma sete di
martirio ; nella sofferenza d' altra parte si tem-
pra ed ingigantisce questo divino sentimento
umano, il quale riesce a sorridere con voluttà
suprema perfino alla Morte.
I primi Poverelli Gesuati sapevano morire.
Uno di loro, certo Marco d'Arezzo, invaso
dalla terribile nostalgia dell' Eterno, assistendo
alla dipartita d' un suo compagno, lo supplicò
che lo richiamasse dal regno d' oltre tomba.
Il desiderio fu esaudito. Marco in breve tem-
po ammalò e venne agli estremi. La vigilia
della morte siccome i suoi compagni attribui-
vano al dolore fisico la sua visibile agitazione
egli disse loro : « Oh v' ingannate ! Non v' ha
dubbio che bisogna soffrire fisicamente per
giungere alla morte ; ma quando un' anima è
vissuta tutta in Dio, la misericordia divina la
inebria nell' ultimo giorno d' una gioia che
vince di molto ogni pena corporea. Si muore
neir allegrezza. Quelli che voi avete presi per
124
GIOVANNI COLOMBINI
dei segni di sofierenza erano i brividi del mio
cuore vedendo avvicinarsi il suo dolce amore,
la sua gioia, la sua festa eterna... ». Il giorno
dopo spirava con negli occhi una gran luce
di cielo.
Quale fosse la qualità di codesto sovrumano
amore e come nascesse nelP anima del pove-
rello Gesuato, e come la rapisse nelF oblio di
ogni preoccupazione terrena ci viene descritto
in una lettera diretta dal Colombini ad un
certo messer Domenico, uomo famoso per scien-
za in quel tempo, del quale ci è pervenuta
anche la risposta al Colombini.
Ecco frattanto un brano dell' epistola a
messer Domenico, importantissimo per la com-
prensione del misticismo dei Gesuati senesi :
€ Et levasi suso del mezzo dell'anima un ajffet-
to infocato di puro e netto amore, senza neuna
considerazione di sé stesso, né di Dio, né di
Cristo, né di vita eterna ; non ispecolando in
neuna cosa celeste, né terrena, né umana, né
divina, che 1' anima abbia veduta o non ve-
duta senza neuna imaginazione. Ma solo l' af-
fetto dell' amore tirato dall' affetto del grande
amore unisconsi insieme, e divengono un affet-
to ; ine non si cerca né può cercare alcuna
cosa particulare, ma é uno notamento di bene
nel bene grande, un amore nel magnissimo
amore, e volamento d' amore, e quanto tirato
dall' amoro non é cosa che veggia, né senta,
125
CAPITOLO III
né chiegga ; ma è ismisuranza di bene e com-
pimento d' amore e termine, credo, di senti-
mento ; ma a cui è più a cui è meno, secon-
do gli infocati desideri. Entra tale affetto et
amore et affetto d'amore nell'abisso dell' amo-
re, nelle divine tenebre ; divine sono eh' esso
è essa divinità et abisso; tenebre sono, che
sono scure nel comprenderle e vederle, e più
tenebre a parlarne. Questa salita et affogamento
impedirebbe ogni considerazione et immagina-
zione d' alcuna cosa, qualunque fosse. Solo l'a-
more trova l' amore, e credo che sia godimento
dei godimenti ».
L' impressione profonda destata nel teologo
da questa lettera del Beato si rivela nella ri-
sposta che gl'indirizzava ed ove confessa : « Per
la vostra lettera ben conosco palesemente che
tutte le scientie naturali, etiche, politiche, me-
tafisiche, economiche, comediche, tragiediche,
croniche, liberali, meccaniche, ugualmente ogni
scientia scettica, suddita ad intelletto ovvero
a speculatione o a sensualità, e' son una nube
tenebrosa dell' anima o come dice la scrittu-
ra : vanitas vanitatum et omnia vanitas. Però
eh' io ho letto tutto el vecchio e nuovo Testa-
mento, Vite e Collazioni dei santi padri, quasi
tutti li scritti di Deonisio, el compendio della
Sagra Teologia, la Deosoehia, V Arilogio della
Sapienza, il Testo della mistica Teologia et
altri molti libri teologici et mai non compresi
126
GIOYAXXI COLOMBINI
in uu tanto lume di verità cleiramore unitivo,
quanto V ho compreso per la vostra lettera, e
sono sì forte invilito che mi pare essere un
animale bruto, considerata la mia miseria e
la mia ignoranza ».
Lo sconforto di queir anima si risvegliò nel
mio spirito la sera che mi ritrovai solitario fra
le rovine di quel dolce rifugio di pace, il ro-
mitorio di Santa Bonda ; potei quivi indugiar-
mi nella meditazione di alcune dolorose espe-
rienze che travagliano tante anime moderne
chiuse nella fede cieca della scienza, ed inten-
dere la legge misteriosa che mette in valore le
dissonanze al contatto delle armonie.
Ogni volta che un' anima discorde riesce a
vivere profondamente sola, in un luogo che
sappia evocarle il fascino d' una forte unione
spirituale, ivi già vissuta da qualche lontana
anima sorella, le vien fatto di sentire più acerba
la sofferenza della sua disintegrazione, giacché
ogni spirito elevato lavora istintivamente a
comporre atti e pensieri in una più lucida ve-
rità.
Lungo le arcate superstiti dell' antico chio-
stro s' allacciavano odorose due magnifiche
piante di gelsomino, e nelF acuta fragranza
eh' esalavano per l' aria vespertina sembrava
che rivivessero le anime di madonna Paola
127
CAPITOLO ITI
roresia e del suo fedele amico Giovanni Co-
lombini.
Questi non potè giungere vivo, per 1' estre-
mo commiato, a Santa Bonda come molto bra-
mava, e codesto desiderio rimasto inadempiuto
fece fiorire una gentile obliata leggenda. Essa
racconta che sentendosi il beato Colombini vi-
cino a morte, dopo aver dettate in Acquapen-
dente le volontà supreme al notaio Benedetto
Di Pace, supplicasse i discepoli che lo traspor-
tassero al Monastero di Santa Bonda perchè
potessero le amiche raccogliere il suo ultimo
respiro..
La brigata che accompagnava il morente
in questa dolce speranza, movendo su la via di
Siena, dovette arrestarsi per un poco di riposo
in un luogo di crete desolate, non lungi dal-
l' Abbadia di San Salvatore, mèta purtroppo
fatale di quel doloroso viaggio. L' ora volgeva
al tramonto. I Gesuati secondo il costume, nella
solitudine alta intonarono canti gioiosi d' amor
eterno, e quelle note di gioia sovrumana, sgor-
gando da poveri cuori feriti, commossero me-
ravigliosamente il paesaggio tragico. Il Colom-
bini pregò il Signore Iddio. Ed ecco all' im-
provviso le crete germogliarono fiori, sorri-
dendo di bellezza riconoscente agli ultimi raggi
del sole occiduo. Il Beato apparve ai suoi
compagni in un'estasi divina, con le mani le-
vate in atto di preghiera, inginocchiato verso
128
GIOVANNI COLOMBINI
r astro che dileguava rapido dinanzi a quel
prodigio. Ma quando il sole si fu nascosto
dietro le montagne lontane, i poverelli Gesuati
videro un miracolo nuovo. Dalla faccia del
moribondo s' irraggiava nell' oasi paradisiaca
tutto il fulgore scomparso.
-Gì.
Nota. — Intorno alla vita ed alle opere del Colombini ha
compiuto un pregevole studio critico, quantunque vòlto partico-
larmente a rintracciare le fonti storiche, G. Pardi, il quale
è apparso nel BuUettino Senese di Storia Patria, (Anno II,
fase. I, II, III, IV). Prima di lui un breve saggio letterario
pubblicò il Camerini, Profili letterari, pag. 221 (Firenze, 1870,
Barbera). Si veda inoltre la prefazione del Cesari alla Vita
scritta dal Belcari (ediz. Verona, 1817). Ed ancora B. Gamba
nelle Notizie intorno alle opere di F. Belcari (Milano, 1827).
Interessante per la conoscenza dello spirito critico che nello
studio dell' antica nostra letteratura mistica recavano uomini
come il Bartoli ed il Gamba è questo periodo tratto dall' o-
pera citata di quest' ultimo ; « Si ricordi chi legge, che in au-
tore di questa fatta sono da valutarsi le parole assai meglio
che 1« cosej e quelle baie, che non istarebbero oggidì a martello
in mezzo alla soda dottrina, vogliansi perdonare a' semplici
nostri padri )^.
129
><x II i"ì|"^|i II >o< Il i|[^||i II ì>o< Il I
CAPITOLO IV.
CATERIl!^A BEIS^IS^CASA.
La vergine Caterina visse ne la cella del
conoscimento di sé medesima per meglio co-
noscere Iddio; amò gli uomini per vestirsi e
per vestirli di verità. Più che all' insegnamen-
to dei teologi ella dava ascolto a la voce del-,
r amore, e la sua fede imperniavasi su la cre-
denza che r anima vivesse in Dio, e Dio nel-
r anima (1).
Cristo non invano le aveva detto : « Tu
conosci me in te ; da questo conoscimento trar-
rai quello che ti è necessario ». E le aveva
aggiunto : « Nel conoscimento dunque di te
ti umilierai, vedendo te per te non essere : e
r essere tuo conoscerai da me, che te e gli
altri ho amati prima che voi foste, e per Fa-
more ineffabile » .
(1) Questa fede corrisponde allo spirito della teologia pao-
lina cfr. Col. Ili, 4; Phil. I, 21^ Gal. II, 20.
130
S. Caterina.
Fot. Alioarì.
SIENA. (Chiesj» di S. Domenico)
Sodoma.
CATERINA BEXIXCASA
Il santone del Oristo è il prezzo della ri-
generazione spirituale, il prezzo dell' amore, e
quindi massimo peccato è V ingratitudine, il
disprezzo del sangue. Perciò il ricordo del dono
purpureo torna così di frequente nei suoi scritti,
esaltando il ritmo passionale dei suoi senti-
menti.
L' amore del sangue si dimostra coli' amo-
re del martirio, come sappiamo da quelle su-
blimi parole rivolte alla vergine dal Cristo e
che si leggono nel capitolo V del « Dialo-
go > (1) : « Tu domandavi di sostenere e di
punire i difetti d'altrui sopra di te, e tu non
ti avvedevi che domandavi amore, lume, e co-
noscimento della verità, perchè già ti dissi che
quanto era maggior 1' amore tanto cresceva il
dolore e la pena, onde a chi cresce V amore
cresce il dolore » .
L' esperienza di ri soffrire nel proprio spi-
rito e nel proprio corpo i mali e gli errori
degli uomini non era stata forse 1' esperienza
mortale del Cristo'? E non è 1' esperienza piìi
sublime dell' amore, e non dà luce di verità
(1) Il libro (Iella Divina Provvidenza dettato a tre suoi
dÌ8cex)oli nel 1378 mentre era in estasi è comunemente cono-
sciuto sotto il nome di « l)ialo(jo » e fa parte delle Opere
della Santa pubblicate dal Gigli. Il Guidini nei suoi « Bi-
cordi > apparsi ne V Archivio Storico, tom. IV, ne tratta a
lungo e scrive d' averlo tradotto di volgare in latino, verso
il 1386. Un esemplare di questa traduzione è nella Bibl. di
Siena. Cod. T. II, 4.
131
CAPITOLO IV
air anima ? Ma purtroppo anche nell' ordine
dei sentimenti è vera la sentenza dell' Eccle-
siaste: « Là ov' è molta scienza, ivi è molta
tristezza ». Questa è la sorte del vero amore,
di stare come dice la vergine « in continua
pena » . Ed a clii cresce 1' amore cresce il do-
lore come a chi cresce il sapere. Sono le anime
ricche di sentimento quelle più esposte ai fie-
ri colpi del dolore, ma come la santa senese,
sono altresì quelle che più sanno conquistare
i cuori. Assai mi piacciono queste riflessioni
che disvelano il segreto delle sue conquiste:
< L' intelletto nutrica l'affetto. Ohi più conosce
più ama, e più amando più gusta. Tanto serve
la persona alla creatura quanto V ama, e più
no ; e tanto manca nel servizio quanto manca
r amore ; e tanto ama quanto si vede amare.
Adunque vedi che dal vedersi amare viene l'a-
more, e 1' amore ti fa perseverare » .
La vita d' ogni grande anima si potrebbe
dire il poema del sentimento che vi trionfa.
Per i mistici questo è certo un folle amore di
Dio, cioè una fede religiosa che per i teologi
è dono miracoloso della Grazia, mentre per i
fisiologi è un dono dell'organismo, ma che pur
sempre è qualcosa che s'aggiunge in modo as-
soluto alla sfera vitale d' un individuo; una
Eorza che quand' anche questi perda tutto, e
salute, ed amici e beni terreni, e vegga umi- j
liato il proprio sentimento, e le cose e le per-
132
CATERINA BENINCASA
sone più care, sopravvive intatto, e fiorisce nel
deserto della tristezza vivificando tutto il mondo
interiore.
Gli amori degli nomini non hanno che gioie
fugaci, non riposano che su momentanee illu-
sioni subitamente distrutte. L'amor divino com-
prende invece la felicità eterna giacché si ac-
queta ne V Assoluto. Esso vien determinato
dalla segreta missione latente neir anima del
mistico di fissare la propria individualità di
oltre tomba. Come nella propensione di due
amanti secondo la carne, per dirla con Scho-
penauer, si presente la volontà di vivere del
nuovo individuo eh' essi possono e vogliono
generare, così nel tormentoso connubio d' una
anima con Dio s' accende misteriosamente la
volontà di vivere dell'anima ultraterrena, spo-
glia d' ogni gravità corporea, libera d' ogni
giogo, pura e felice.
Quando noi ascoltiamo dei santi come il
Colombini e Caterina Benincasa parlarci dei
gradi per i quali 1' anima passa dall' amore
corporeo a quello dell' invisibile bellezza,
quand' essi ricercano e scoprono le analogie
di questo processo con altri movinienti dello
umano pensiero, noi veramente sentiamo nelle
loro parole la forza nascosta, la fiamma che
consumò quei corpi mortali per generare alla
vita durabile 1' anima.
L'amor divino è l'unica passione che possa
133
CAPITOLO IV
assorbire tutta la vita d' un individuo, poiché
la sua durata è garantita da un desiderio che
solo la morte può estinguere nel possesso, a
differenza di tutti gli amori mossi dalla vo-
luttà fìsica, la più vana delle cose, giacche è
un' illusione precaria e destinata a spengersi
sempre non appena è sazio il desiderio.
L' amor divino è un eterno fìdanzamento
dell' anima con 1' oggetto della sua passione,
il quale essendo invisibile tanto più profonda-
mente la commuove con la dolcezza d'un'ansia
desiderosa che è principio di possesso. Appunto
per questo le aspirazioni alte, eroiche, infinite,
non appaiono che negli amanti di Dio protesi
verso la morte come verso il supremo amore,
verso la morte che è termine d' attività, cioè
compimento di felicità; e son dessi noncuranti
d' ogni sacrificio e d' ogni pena come coloro
pei quali è implicita la negazione della volontà
di vivere. Ciò che v' ha di volgare nella mas-
sima preoccupazione quotidiana di quasi tutti
gli uomini, cioè il fatto di campar la giornata,
non tocca minimamente il santo, il quale ras-
somiglia piuttosto ai fiori dei campi ed agli
uccelli dell'aria, che alla formica della favola,
tutta chiusa nel suo egoismo previdente.
Certo anche il santo è un' egoista giacché
tutti gli amanti sono egoisti, ma l'egoismo del
mistico è purificato dal fatto che il tesoro del
suo amore si riversa in tesoro di carità verace
134
CATEEINA BENINCASA
SU tutti coloro che softrouo nel silenzio e ne
r oblìo. L' egoismo del santo lungi dalP impo-
verire la vita umana, V arricchisce.
Il mondo della vita religiosa è il piìi serio
nel quale sia dato di vivere all' uomo. I rari
spiriti che in ogni tempo, dopo lunghe prove
e talvolta durissime, riuscirono alfine a pene-
trarvi dovettero dimettere gli abiti vani che
lusingano per i vivaci colori la maggior parte
degli uomini ed in cambio indossare quelli
umili e gravosi del sacrificio e dell'eroica ve-
rità ; dovettero riconoscere, cosa difficile per
molti filosofi, che tutto non è vanità nell'uni-
verso, malgrado le apparenze contrarie, e che
perciò falsi e miserevoli sono di fronte al-
l'enigma che ci avvolge gii atteggiamenti ironi-
ci 0 fatuamente spensierati e goderecci. L'uomo
religioso è colui che si è formato della vita
una concezione tragica, ove il dolore è com-
preso come un mezzo di purificazione e di
esaltamento dello spirito, come una via di li-
berazione, come un' arme di conquista del di-
vino insieme all'amore, ed ove il piacere altro
non ò che il coronamento dell' attività reli-
giosa.
Ciò che caratterizza il vero stato religioso,
come bene ha notato William James, è l'entu-
siasmo in una commozione solenne, e la reli-
gione nel senso più intimo e genuino della
parola comprende i sentimenti, gli atti, le espe-
135
CAPITOLO IV
rierize degli individui nella solitudine dell'ani-
ma loro in quanto si sentono in rapporto con
l'oggetto supremo delle proprie aspirazioni, Dio.
I fatti esteriori sono indifferenti quando non
estranei a ciò che costituisce l'essenza dell'idea-
le religioso, anche nel cattolicesimo. Se noi vo-
lessimo considerare con opportuni paragoni le
vite dei santi ci accorgeremmo che non è la
loro storia, ne le forme personali di devozione,
né i poteri taumaturgici, ne le forme di peni-
tenza che contrassegnano ed in certo modo si-
gillano nei medesimi il valore della santità. I
santi differiscono molto gli uni dagli altri come
tutti gli uomini, ma ebbero però qualcosa di
comune nello zelo per la gloria di Dio, nella
suscettibilità emotiva eccezionale per ogni cosa
che riguardi il Cristo; ne 1' ansietà per la sa-
lute delle anime.
La vergine Caterina ebbe come forse nes-
sun' altra donna, in grado supremo, 1' ansietà
per la salute delle anime.
L' epistolario di Caterina da Siena che è
un meraviglioso documento umano di quanto
si possono amare le anime in Dio, mi par non
sia stato ancora abbastanza seriamente rivissuto
dai moderni cultori dello spirito. Di preferenza
se ne sono serviti tìn qui gli agiografi come
della fonte più autentica di notizie intorno
alla Santa ; i filologi come d'un tesoretto di vo-
136
CATERINA BEXTXCASA
caboli preziosi e di frasi scelte del vago fa-
vellare senese — tesoretto che il Gii;li con il
suo vocabolario ostentò in faccia ai fiorentini
cruscanti — i romanzieri come d'un magnifico
campo sperimentale per la cultura di nuove e
raffinate sensazioni estetiche.
Il valore eterno di questo epistolario vera-
mente unico che ci presenta la vita come una
battaglia da combattersi senza tregua, ogni
giorno, contro noi stessi, per la conquista e
r elevazioìie della nostra parte migliore, è ri-
masto ancora ignoto ai più, ed ò forse sfug-
gito a molti per la mancanza d' un contatto
immediato con V anima cateriniana. E questo
ci è oft'erto dalle pagine che meglio rispecchia-
no la fede eroica di questa donna aftamata di
anime, ove limpida e forte s' inalza la nota
virile del suo cuore coraggioso, ove meglio si
palesa la sua perspicacia nello scrutare gli uo-
mini, la rapidità e la sicurezza del giudizio,
ed insieme il fascino della frase incisiva e tinta,
come voleva il Vico, di passione, capace di
prolungare la febbre della volontà oltre alla
momentanea esaltazione dell' entusiasmo, ove
si mostra la forza di quella disciplina interna
consistente in un potere di autoinibizione per
cui le veniva dato di mantenere fisso il pen-
siero sovra un oggetto fino ad infiammarlo.
Giaccliò una delle cose che maggiormente am-
miriamo in questa donna straordinaria, è la sua
137
CAPITOLO IV
linea d'azione che mai non s'arresta né devia,
ma corre sicura, veloce, diritta verso la mèta
sotto l' incalzare degli anni e dell' avversa for-
tuna ed i morbi del corpo frale.
Questo segno d^ un pensiero eterno, d' un
comando divino, ci viene indicato dall' episto-
lario assai meglio che da qualsiasi biografìa,
compresa quella del suo confessore, ove spesso
come bene osserva il Capecelatro, « si trapassa
dalla vita all' apologia, dalla leggenda al pa-
negirico » . Lungo la linea d' azione tracciata
dall' epistolario noi incontriamo via via le ani-
me nude di papi, di cardinali, di principi, di
povere suore, di prelati, di uomini d' arme, di
cortigiane, e di ribaldi ; è l' umanità che si
arffolla al j)assaggio dell' eroina ; è il grande
dramma della vita al quale ella partecipa come
protagonista innamorata del Dolore.
Caterina da Siena non è la fiammella che
al contatto d' un corpo estraneo si spenge, ma
sì la fiamma che non teme chi le s' avvicini,
e subito 1' avvolge e lo rapisce più ardente e
splendida nei cieli.
Ella possiede il segreto dell' eroismo genui-
no ; il suo misticismo è costruttivo a differenza
di quello dei mistici tedeschi usi a disperdere
le proprie forze spirituali nell' abisso dell' In-
definito. Il misticismo cattolico è classico, e le
visioni nelle anime che assorgono attraverso
di esso all' altezza dei rapimenti estatici si di-
138
CATEiaXA BEN INC AS A
seguano con grande precisione di contorni e
con quella lucidezza che ò qualità ])recipua
deir anima latina e cattolica. Tanto 8. Cate-
rina come S. Teresa, due donne di genio, sa-
pevano bene che in ogni creatura, per quanto
ricca di fervore spirituale ed assetata di libertà
divina, la coerenza dell' intelletto che ricono-
sce un freno, è la ' condizione della coerenza
del sentimento, dello sforzo, dell'azione; è in-
fine la condizione della vittoria.
Xon vi è salvezza fuori dell' ordine. Questo
Caterina sentiva così fortemente che tutti gli
sforzi pratici della sua azione religiosa, poli-
tica, sociale, furono rivolti a ricondurre 1' or-
dine nella chiesa lacerata dalle cupidigie e
dalle eresie ; nelle anime, divise dalle fazioni ;
in sé stessa, tumultuante fra la vita pratica e
la contemplativa.
Il conflitto fra lo spirito di libertà e quello
di autorità il quale nella chiesa agitò il fer-
mento di molte eresie e provocò scismi, il
conflitto fra le ragioni del misticismo idealista
e (juclle del razionalismo pratico, accesosi fra
Realisti e Nominalisti, e poi fra le varie sette
di fraticelli e le correnti degli ordini ufiìciali,
e che invano cercarono di comporre santi e
filosofi, ebbe la soluzione migliore in questa
poj)olana senese che si lasciò guidare dal più
illuminato amore, dal più sicuro intuito fem-
minile. Perciò a me piace rilevare in Caterina
139
CAPITOLO IV
da Siena la bellezza morale della consolatrice
di anime, di una fra le rare donne eh' ebbero
il culto supremo dell' amicizia (1). Sta qui ap-
punto la sua originalità più vera e profonda,
la quale ci viene rispecchiata dall' arte dell'E-
pistolario.
l^oi amiamo in Caterina la donna nella
quale « per 1' abbondanza del cuore la lingua
parlava quello che sentiva » secondo la testi-
monianza d' uno fra i suoi più intimi amici,
e che ai medesimi ricordava, come ci riferisce
il Pagliaresi nel noto volgarizzamento della
Leggenda maggiore « che a voler ricevere il
sentimento delle parole di Jesu Cristo ninna
via era più atta che di vestirsi di quello affetto
col quale egli 1' aveva dette » .
Quale fosse il tesoro che la vergine senese
sapeva profondere nelP amicizia, noi vediamo
bene in molte fra le sue lettere ed in quelle
dei componenti la sua famiglia spirituale.
L' esame dei cordiali rapporti d' amicizia
che ella ebbe particolarmente con il Paglia-
resi, con il Maconi, con il Caffarini, con Bar-
duccio Canigiani, con Giovanni Dalle Celle,
con ì^ìgi di Doccio, e con gli altri pochi dei
quali i nomi sono registrati nei Ricordi del
Guidini, e che usavano seco lei radunarsi nella
(1) Vedi illustraz. n. 17.
140
Ultime esortazioni di S- Caterina agli Amici.
PISA. (Colle/, del Prof. Koberto Schiff) Lorenzo Da Sanhevekino
♦
CATERINA BENINCASA
chiesa della Madonna sotto le volte delFospe-
dale, accresce luce alla psicologia di Caterina.
Frattanto rileveremo le idee dominanti disella,
come ci è dato di conoscere appunto dall'Epi-
stolario, usava d' inculcare nelF animo dei suoi
seguaci, quali norme di sapienza pratica per
la vita. Xelle poche sentenze che abbiamo
studiatamente scelto, rifulge la sostanza della
sua fede, la luce della sua carità, la bellezza
dei suoi desideri e delle sue speranze.
Chi si conforma alla volontà di Dio trova
la pace.
La creatura che pone la speranza e l'amore
nelle cose deboli diviene pazza come il vento.
Signoria vera è quella dell' anima nostra,
r esteriore è di prestito.
Chi governa altrui con fiacco amore di sé
è servo timido, sospettoso, maledico.
Chi neir amministrare la giustizia bada a
piacere altrui o teme dispiacere per danno
proprio, è schiavo. Molti sono i Filati.
Abbandonate la pompa e la vanità del se-
colo, sicché in questo punto del tempo, dolen-
dovi del tempo perduto, il vogliate restituire
nel tempo presente che avete.
Rendete il debito al povero e al ricco se-
condo che richiede la santa giustizia, la quale
sempre sia condita con misericordia.
Chi non ha battaglia non ha' vittoria, e chi
non ha vittoria si rimane confuso.
141
CAPITOLO IV
L^ uomo lia materia nel tempo delle gran-
di battaglie di levarsi dalla negligenzia, ed anco
ha materia di cognoscere la debilezza e fra-
gilità della passione sua sensitiva.
Al tempo della battaglia daremo la vita
per la vita, il sangue per il sangue.
A volere la vita durabile ci è bisogno di
lasciare la carne prima che venga la morte e
la carne abbandoni noi.
La perfezione non sta in macerare ed in
uccidere il corpo, ma in uccidere la propria e
perversa volontà.
La volontà perversa che consente alle ma-
lizie dei nemici nostri è un coltello che ucci-
de r anima.
l^oìi veggo che noi possiamo avere il lume
dell' intelletto senza la pupilla della santissi-
ma fede, la quale sta dentro nelP occhio. E se
questo lume è offuscato o intenebrito dall'amor
proprio di noi medesimi, l'occhio non ha lume
e però non vede : onde non vedendo non co-
nosce la verità.
Il Desiderio è il principio del possesso.
Il Timore taglia le braccia del Desiderio.
Il continuo orare non è altro che uno santo
desiderio ed affetto dolce d' amore, e 1' affetto
va dietro 1' intelletto.
Come i piedi portano il corpo, così l'affetto
porta r anima.
Non è alcun vizio né peccato che in que-
142
CATERINA BEXIXCASA
sta vita faccia gustare Taria deiriiiferuo quanto
r ira e V impazienza.
L'Impazienza è amor proprio vestito di vo-
lontà sensitiva.
La Tristezza proviene dalla fede che noi
poniamo nelle cose caduche.
La Pazienza non si trova se non nel tem-
po della fatica : dimostra se le virtù vi sieno
nell'anima e se la radice dell'amor proprio sia
viva ancora.
Bene usando la ragione si acquista la pa-
zienza.
Bisogna coltivare la terra della propria vo-
lontà sensitiva, per forza d'amore, onde nasca-
no le dolci e reali virtù.
Quando il giardino è fiorito ci si ponga
a guardia il cane della coscienza perchè possa
abbaiare se vengono i nemici.
Bisogna sentire tra le spine 1' odore della
rosa prossima ad aprirsi.
Ogni sua lettera vale una lezione di ener-
gia e di gentilezza. In mezzo a tanta virilità di
pensieri, d' azione e di sentimenti, ella sa ri-
manere donna e si raccoglie pietosamente ne
la comprensione del dolore. Nella lettera 63*
dell' edizione Tommaseo si possono leggere
queste parole: < Ho inteso che avete avuto e
avete grandissimo male.... pigliate ogni con-
forto che potete » . Ecco la serena indulgenza
umana.
143
CAPITOLO IV
Certamente non senza gravi pericoli que-
sta donna affascinante si piegò su la voragine
aperta delle passioni terrene e donò agli uomi-
ni incontrati per via il proprio cuore serban-
dolo immacolato a Dio. Ma ella disdegnava il
timore servile, ed affrontò i pericoli, e rimase
vittoriosa, quantunque tragicamente.
ìfon hanno osservato i biografi di S. Cate-
rina il fatto intorno al quale forse s'impernia
la più grande tragedia intima della sua vita :
la disperazione senza fondo nella quale piom-
bò attraverso la fiamma d'un immenso amore
per lei un uomo che fu tra i suoi cari amici
colui che scrivendo due lettere al Pagliaresi, (1)
le sole giunte fino a noi, non ardisce nominarsi,
e nell'una si firma con le iniziali: E. S. e nel-
1' altra così termina : « El nome mio non ci
pongo, perchè io non so come io ho nome».
Chi legga queste due lettere vede 1' anima
sanguinante di un uomo. Al Pagliaresi che
ogni tanto sembra gli si ricordasse per con-
fortarlo e ravviarlo scriveva : « Maravigliomi
molto come tu ti ricordi di me misero, avven-
ga Iddio eh' io sia tornato invaso di contu-
melia, non sentendo più 1' odore del quale io
mi pascea ; fuori son d' ogni buona via. Ma
(1) Cfr. F. Grottanelli. Leggenda minore di S. Caterina
da Siena e lettere dei suoi discepoli. Scritture inedite. Bolo-
gna, Romagnoli, 1868.
144
CATERINA BEXINCASA
sappi che se fosse il tempo dolce ch'io solevo
già avere, non mi poterei tene io non ti scri-
vessi più spesso, et imperò sappi, che scrivare
a te o a nessuno servo o amico di Dio, molto
al presente me ne vergogno, considerando la
mia miseria. Dio ti conservi nella grazia sua
te e tua mamma » . E nelP altra lettera si
legge ancora questa confessione sincera: « ... non
m' anumero più fratello tuo e di tuoi cari ami-
ci e fratelli. Et imperò non ti maravigliare
s' io non t' ho scritto, ovvero s' io non ti scrivo
più, insino a tanto eh' io non ritorno a cogliare
il frutto della vera ohbedienzia, della pazien-
zia e vera umilità. Ma è tanto che mi so di-
longato dalla vera via, che quasi io giudico
che sia cosa impossibile eh' io possi mai tro-
vare o gustare i predetti cibi od invenire luoco
di riposo. E questo m' è intervenuto imperò
eh' io ho tenuto chiuso 1' occhio dello intendi-
mento colla tenebra, e cacciato la luce del-
l'anima mia. Cacciato so dalla mensa, imperò
eh' io mi so vestito di scurità. Fame et appe-
tito di cosa buona più non ho. IS^ò principio
ne fìne alla presente lettera non faccio, imperò
che non è in me ».
Non dipingono queste frasi tutto il buio,
tutto il freddo, tutto il morto dell'abbandono
nel quale era caduta quell' Anima "? Il Paglia-
resi forse mostrò a S. Caterina queste lettere
dell' amico d' un tempo, ove trema la pietà
145
CAPITOLO IV
del rimpianto nella disperazione, e bene pos-
siamo figurarci la pena ond' esse riempirono
il cuore della donna che tante anime di ribal-
di salvò e pur doveva smarrire quella d'un
amico, non diversamente da ciò che avvenne
al Cristo. Ma noi le abbiamo qui riportate
per rilevare la dolorosa concordanza che in
questa prova dell' amicizia doveva rassomi-
gliarla al divino Maestro, e perchè nelle me-
desime ci vien fatto di scorgere quasi rispec-
chiata nella miseria del peccatore la purezza
della sua anima femminile : ne gli accenti la-
crimevoli dell' infelice si sente il rammarico
profondo del gran bene perduto.
Ohi fosse quest' uomo non si può precisare
con sicurezza, essendosi egli stesso avvolto,
vivente, nel silenzio. Eorse si può identificare
a r apostata del quale parlasi nei « Miracoli »
che « prima cominciando per buon zelo di voler
avere la sua dimestichezza (di Caterina) dilet-
tandosi molto e meravigliandosi della sua santa
vita ; dopo certo tempo ingannato dal diavolo
rivolse quello buono zelo in uno cattivo amore,
consumandosi tutto per disonesto zelo ; ma ella
perseverando sempre nella sua santa vita e nin-
no sembiante altro che puro e santo dando mai
a lui, e r uomo ardendo più l'uno dì che l'al-
tro, a tanto si condusse che nella chiesa un
dì egli pensò d' ucciderla. E andando egli in
verso lei così disposto, come piacque a Dio fu
146
CATERINA BENINCASA
nella chiesa uomo che se n' avvide e sturbò
quello male ; di che seguì che ivi a pochi dì
questo religioso uscì dall' ordine, cavossi Fa-
bito e tornossi a casa sua in uno castello che
ò di lungi a Siena, e quivi viveva mezzo di-
sperato. Et ella che sapeva sua uscita, pregava
Iddio per lui che avesse misericordia di quel-
la anima. Finalmente V uomo perseverando in
sua disperazione s'impiccò egli stesso per la
gola >.
Questo tragico caso, che fa della Santa
l' eroina d' un romanzo, si potrebbe credere
leggendario qualora non ci fossero pervenute
le due lettere al Pagliaresi ; ma esse attestano
r esistenza d' un doloroso dramma passionale
avvenuto nel cenacolo cateriniano.
147
:x;>czni=3 ||^;[iiiii=i>C><===ii==ill^|^==P=^^
CAPITOLO V.
ber:n^ardi:n^o degli albizzeschi.
Bernardino da Siena fu uomo di sangue
aristocratico e di fede francescana tacciata di
eresia, ma rivendicata dalle opere, quale già in
Siena era apparsa quella di Giovanni Colom-
bini che certo all' Albizzesclii infuse lo zelo
del nome di Gesù, cioè lo spirito della religio-
ne gesuata, laica ed apostolica. Egli giganteg-
gia fra gli uomini d' azione del Quattrocento
come S. Francesco tra quelli del secolo XIII.
I biografi che hanno scritto dell' apostolo
senese ne hanno considerata particolarmente
1' attività esterna : noi cercheremo di guardar
meglio nella sua anima e di rappresentarci sin-
teticamente il pensiero e 1' opera varia dell' e-
ducatore.
Le sembianze mortali dell'uomo ben ci ha
tramandate il contemporaneo e concittadino
148
18
Fot. Lombardi.
SIENA. (Palazzo Comunale)
S Bernardino.
Sano m Piktko
BERXAIIDINO DEGLI ALBIZZESCHI
Sano Di Pietro che lo raffigurò uelPaffresco del
Palazzo pubblico in Siena (1).
Ohi V abbia visto non può dimenticare quel
volto fine, d' un misticismo arguto accentuato
dal mento aguzzo, e che per gli occhi piccoli
vivacissimi sembra esalar V anima in un ardo-
re di fiamma. Regge il Santo su la palma della
mano sinistra V immagine della città natale
mentre colla destra addita il nome di Gesù
sfolgorante in alto, segnacolo d' amore e di
persecuzione. Giacciono per terra, vicino ai suoi
piedi nudi, le mitrie vescovili rifiutate, e la fi-
gura, libera da ogni gravità di carni, s'aderge
nobilmente nel ruvido sacco francescano, ani-
mata quasi da un desiderio di ascendere. Qui
è tutto l'uomo e la sua storia. Questo dipinto
di Sano è bello come documento psicologico e
biografico dell' eroe.
Ma per conoscere un aspetto più intimo di
queir anima fervidamente lirica bisogna ricer-
care una terracotta quasi sconosciuta che era
fino a poco tempo addietro in una piccola nic-
chia nel muro di cinta della clausura senese
dell' Osservanza, e bisogna rivederla, dinanzi
all' aperta campagna prossima ad immergersi
nella dolcezza del tramonto (2). Ivi l' ignoto
(1) Vedi iUiistraz. n.» 18.
(2) Vedi illiistraz. n." 19. L' Autore di questa bella ter-
racotta appartiene probabilmente a quella scuola robbiauo-
cozzarelliaua che lasciò varie opere squisite nella chiesa e nel
149
CAPITOLO V
scultore quattrocentista sembra abbia ritratte
il Santo mentre s' aggirava pensieroso e solita-
rio lungo il poetico viale del convento, reducej
forse da una di quelle sue faticose peregrina-
zioni apostoliclie. Bernardino ha chiuso il li-
bro che meditava ed ha reclinato il capo per
stanchezza su la palma della mano abbando-
nando r anima alla soavità del luogo e del-|
r ora ; obliati sono i mali e tutti gli odi sof-
ferti, e sol vive nel cuore del fraticello l' im-j
mensa pace della natura^ che è la pace del
Cristo.
L' umanità di quest' opera d' arte è l'uma-
nità stessa del mistico quattrocentista senesi
che ha sgombra la mente dai vani terrori dia-j
belici dell' ingenuo Filippo degli AgazzariJ
come da quelli apocalittici d' un Vincenzo Fer-
convento della Capriola. Luca ed Andrea della Robbia furon<
dne anime francescane e 1' arte loro assai bene rispecchia gli
spiriti del nuovo Poverello. La biblioteca nazionale di Parigi]
possiede un prezioso manoscritto dei Cantici di Jacopone da Todi]
ove si legge tre volte sul frontespizio e sulle due ultime pagine :j
« Questo libro è di Luca di Simone della Robbia » indicazione
veramente preziosa. Attraverso 1' ammirazione di Luca pei
r ardente poesia jacoponica noi riusciamo a comprendere il su-|
blime commento musicale del salmo davidico che ricorre nel
fregio della Cantoria fiorentina. E non è forse codesto il se-
condo cantico francescano delle creature *? Non è 1' inno dells
seconda primavera francescana espresso dalla scultura, la so^l
rella? minore della Poesia ! Quanta giovinezza sorride in quella]
teoria di efebi bellissimi, di fanciulle pudiche, di putti fe-
stanti !
150
Busto di S. Bernardino
Ignoto del see. XV
SIENA (Convento dell'Osservanza)
BERNARDINO DEGLI ALBIZZESCHI
reri, ma serba tuttavia nel cuore 1' antica for-
za della semplicità medievale : che non vibra
della violenta amorosa follia d^ un Giovanni
Colombini, ma pur vive intera la dottrina del
Cristo : che luni»i da sé rigetta le pratiche cru-
deli della mortificazione corporea, le quali po-
terono così fortemente suggestionare un Fran-
co Lippi (1), ma è padrone assoluto della pro-
pria volontà sensitiva. Veramente fu solo at-
traverso la personale esperienza ch'egli com-
prese la vanità del rigido ascetismo antico ver-
so il quale sentivasi attirato per l'esempio dei
maggiori rappresentanti della tradizione reli-
giosa e per la generosità del suo tempera-
mento esuberante. Giovanissimo anch'egli cer-
cò di conformarsi a quella vita come ci ha
raccontato in una pagina sparsa d' un delizio-
so umorismo e che chiarisce la prima crisi del
suo sentimento religioso. « EUi mi venne uno
pensiero di volere vi vare d' acqua e d' erbe, e
pensai di andarmi a stare in uno bosco, e co-
minciai a dire da me medesimo : « Che farai
tu in uno bosco? Che mangiarai tu'? Rispon-
devo così da me a me, e dicevo : Bene sta,
(1) Franco Lippi nacque ai 3 di dicembre del 1211 nel
Tillaggio di Grotti poco distante da Siena. Fu soldato e prese
parte nel 1229 alla guerra mossa dai senesi contro gli orvie-
tani. Convertitosi da vita dissoluta vestì l'abito carmelitano e
si niortilìcò aspramente. La morte lo raggiunse nel 1291 e Cle-
mente V." nel 1308 lo mise nel numero dei beati.
151
CAPITOLO V
come facevano e' santi padri : io mangiarò del-
l' erba quando io arò fame ; e quando io arò
sete, berò dell' acqua. E così deliberai di fare;
e per vivare sicondo Iddio, deliberai anco di
comparare una bibbia per legiare, e andai per
comparare uno cuoio di camoza, perete non
passasse 1' acqua dal lato dentro, perchè non
si mollasse la Bibia. E col mio pensiero an-
dava cercando dove io mi potesse appollaiare,
e deliberai d' andare vedendo insino a Massa;
e quando io era per la valle di Bochegiano,
io andavo mirando quando su questo poggio
quando su quell' altro; quando in questa selva,
quando in quell' altra ; e andavo dicendo da
me a me : « Oli, qui sarà il buono essere !
Oh, qua sarà ancor migliore ! In conclusione,
non andando dietro a ogni cosa, io tornai a
Siena e deliberai di cominciare a provare la
vita che volevo tenere. E andami costà fuore
dalla Porta a Follonica, e incominciai a co-
gliere una insalata di cicerbite e altre erbuc-
ce, e non avevo ne pane ne sale né olio ; e dissi :
cominciamo per questa prima volta a lavarla
e a raschiarla, e poi 1' altra volta e noi fa-
remo solamente a raschiarla senza lavarla al-
tromente; e quando ne saremo più usi, e noi
faremo senza nettarla, e di poi poi e noi fa-
remo senza cogliarla. E col nome di Jesu be-
nedetto cominciai con uno boccone di cicerbi-
ta, e messamela in boca cominciai a masti-
152
BERNARDINO DEGLI ALBIZZESCHI
caria. Mastica, mastica, ella non poteva anda-
re giù. Xon potendola pollare, io dissi : oltre,
cominciamo a bere uno sorso d' acqua. Mieffe !
L' ac(|ua se n' andava giù e la cicerbita rima-
neva in boca. In tutto, io bebbi pareclii sorsi
d' acqua con uno bocone di cicerbita, e non la
potei gollare. Sai che ti voglio dire ? Con uno
bocone di cicerbita io levai via ogni tenta-
zione; che certamente io cognosco che quella
era tentazione. Questa che è seguita poi è stata
elezione, non tentazione. Oh, quanto si vuole
bilanciare, x^i'ii^i^ ^he altri seguiti quelle vo-
lontà che talvolta riescono molto gatti ve, e
pajono cotanto buone! » Xon si libera da que-
sta pagina un soffio di quella pura e semplice
fragranza che rallegra il prato verde dei « Fio-
retti >, e dove accanto all'umorismo gajo d'un
fra Ginepro, ed alla foga eroica d' un frate
Leone s' insinua la riflessione grave d' un frate
Egidio, ed il tutto si fonde nella serenità lu-
minosa del Maestro d' ogni armonia ?
In ogni modo qui si riscontra ancora la
saggia temperanza propria ad un santo del
Rinascimento esperto della vita, conoscitore
profondo dei cuori, il quale non pensò mai a
risospingere l' Italia nel medio evo, ma prima
d' ogni altro propose agli italiani il problema
grave ed urgente dell'educazione morale e re-
ligiosa, la necessità di riformare i costumi e
di ricreare a nuovo le coscienze. Egli fu di-
153
CAPITOLO V
fatto l'iniziatore di quel movimento di riforma
cristiana dei costumi che promossa da lui in-
sieme ai suoi compagni e discepoli Alberto da
Sarteano, Antonio da Eimini, Silvestro da
Siena, Roberto da Lecce, Antonio da Vercelli,
rinsaldò la fede degli umanisti cristiani, ap-
pianando r opera dei pedagoghi e preparando
quella ricostituzione interna della Chiesa che
doveva realizzarsi in parte nel Cinquecento gra-
zie alla geniale virtù dei grandi Cardinali Pio
da Carpi, Reginaldo Polo, il Contarini, il Sado-
leto, ed ancora per 1' opera di Filippo I^eri e
dei suoi padri dell' Oratorio, anime accese di
sentimento bernardiniano e che trionfarono del
fanatismo anarchico alimentato dagli ultimi
Piagnoni della setta savonaroliana.
Frattanto i più eletti rappresentanti del
cattolicesimo italiano del secolo XV è bene
notare che furono sopratutto educatori, ^el
divampare della rinnovata cultura classica sep-
pero opporsi a quegli umanisti paganeggianti
pieni di frivolità letteraria, coscienze vendute
alla galanteria cortigiana, antenati legittimi
degli scettici francesi del secolo XVIII per il
contenuto rettorico delle loro dottrine mate-
rialiste, beffeggiatori argutissimi de' costumi
ecclesiastici, ma ipocriti (1) i quali preannun-
(1) Alcuni di questi umanisti assalirono violentemente i
predicatori francescani dell'Osservanza. Il Poggio fra gli altri
non risparmiò neppure la persona di S. Bernardino accusan-
154
BEEXARDINO DEGLI ALBIZZESCHI
ziano quel personaggio rappresentativo del ri-
nascimento pagano clie fu Pietro Aretino, il
prototipo del giornalista poco scrupoloso, che
servendo per danaro Carlo A" non si vergognava
di aiutare la rovina morale e politica d'Italia.
Le più grandi coscienze del Quattro e del Cin-
quecento non rassomigliarono questi vani ed
ingegnosi letterati, ma furono dominati dalla
fede degli apostoli e degli educatori cristiani :
basta ricordare fra u'ii artisti Leonardo e Mi-
clielangelo, due anime profondamente religiose
e veramente divine ; fra gli umanisti Matfeo
Yegio, Giannozzo Man etti, il Traversari ed il
Giustiniani; fra i principi Lionello d' Este, il
cui nome ci ricliiama quello del suo grande
educatore Guarino da Verona, il maestro dei
maestri cristiani del rinascimento insieme a
Vittorino da Eeltre.
Prima di addentrarci nella psicologia inti-
ma di S. Bernardino giova conoscere an poco
le idee di questi grandi pedagoghi e sopratutto
del Guarino. Per esse principalmente s'illumi-
dolo (li mirare piuttosto alla sua propria fama eli e al bene
delle anime. Si veda la sua « Historia convivialis de Avari-
tia »; il « Dialogus adversus hipocrisim »; il a Dialogus de
miseria humanae couditionis » Epistolae ed. Tonellis. Si legga
particolarmente del Poggio l'epistola in data 16 Dicembre 1429
(libro 4** - Ep. Ili) ov'egli accusa Bernardino di aver fondato
un ritiro per i suoi compagni vicino a Firenze in un luogo
campestre ed ameno, quasi che i veri francescani dovessero
escludersi le pure gioie della natura.
155
CAPITOLO V
na il problema educativo quale fu risolto dagli
umanisti cristiani, e noi vi scorgiamo l'espres-
sione concreta del pensiero bernardiniano, poi
che a maturarle nelP anima di quei maestri
contribuì grandemente 1' influsso persuasivo
dell' amicizia personale eh' ebbe il Santo con
il Veronese (1), con il Traversari, il Manetti,
il Giustiniani, Francesco Barbaro, Maffeo Vegio
e Bernabeo Senese (2), ed assai giovò l' opera
infaticabile di Alberto da Sarteano che fu ad
un tempo uno dei più ardenti seguaci dell' Al-
bizzeschi e fedele discepolo del Guarino.
La pedagogia del Guarino e di Vittorino
da Feltro era tale da gettare nei giovani il
fondamento di una robusta vecchiezza. Essi
miravano all' educazione della mente e del
cuore. Ogni esercizio tìsico e spirituale era
fatto seriamente. Sobria la mensa, e durante
i pasti usavano far leggere ai giovani le im-
prese degli eroi : dai banchi di scuola veniva
bandita anzitutto la noia e con essa natural-
mente le questioni oziose, i cavilli della logi-
ca, i giocherelli dei Sofisti. Vittorino da Fel-
tro voleva che la logica insegnasse a pensare
e non a spropositare. Guarino, vero Socrate
(1) L' Albizzeschi sembra che prendesse lezioni di elo-
quenza dal Guarino. Cfr. Thimothaeus Maffeus. In Sanctam
religionem citato dal Melius nella vita d' Ambrogio Traver-
sari a pag. 384.
(2) Cfr. Giovanni Pannonio. Panegyrico Guarini.
156
BERNARDINO DEGLI ALBIZZESCHI
cristiano, consigliava fra i suoi giovani disce-
poli ed amici le discnssioni sulle cose lette e
studiate (1) e raccomandava purezza d'eloquio
e sobrietà e forza nella vita come nello stile.
In una lettera a Niccolò Dotti egli si scaglia
contro quei pedagoghi che consumavano il
tempo nelle figure, nei casi, nei gerundi ed in
simili deliri. Dice di loro che s' affaticavano
a rendere del doppio più stolti ed ignoranti i
discepoli che non fossero prima di presentarsi
alle loro scuole. Ai propri allievi il Guarino
insegnava a vivere secondo le massime del
Vangelo. Costumava riprenderli dei loro di-
fetti con dolcezza e non ricorreva mai al ba-
stone seguendo anche in questo il consiglio
deir apostolo senese (2). Dagli alunni facoltosi
(1) S. Bernardino fu un nemico del bastone, che in quei
tempi era, si può dire, il maestro d'ogni disciplina educa-
tiva. Fra Cherubino dei Minori, contemporaneo a 1' Albiz-
zeschi, e che dettò varie regole di vita ai Senesi in un trat-
tato intorno alla convivenza matrimoniale scriveva: « Se
la tua moglie ha la condizione servile, 1' animo rustico e vil-
lano, che con parole piacevoli non s' ammenda, riprendila con
parole brusche ed aspre, con minacele e con terrori, e con
altre paure. E se ancora questo non bastasse.... piglia il ba-
stone e battila molto bene.... dico che tu debbi battere tua
moglie quando facessi gran difetto : verbi gratia come se be-
stemmiasse Iddio o alcuno Santo o nominasse lo demonio... »
S. Bernardino raccomandava a 1' incontro : « .... o amoniscela
o sopportala ; non la battare mai ; fa' con buone e con dolci
parole. » Fred. Tom. II, 103.
(2) Si confronti per i rapporti corsi fra il Guarino e Lio-
nello d' Este e per F influsso culturale esercitato dal maestro
157
CAPITOLO V
che teneva in sua casa, prototipo del collegio-
famiglia, riceveva tenue stii)endio ; dai poveri
nulla. Alcuni di questi giovani appartenevano
a famiglie principesche.
La sua concezione del principe differisce
radicalmente da quella che doveva manifestare
Niccolò Machiavelli e ben si palesa nell' ora-
zione che recitò a Lionello in Ferrara 1' anno
1442, in occasione della morte di Mccolò III.
Ivi si dice : « Amino 1' esempio del principe
i sudditi acciocché non ne temano V imperio,
il qual' ultimo è breve se è dal timor custo-
dito. L' amore al contrario trae seco la rive-
renza, la quale meglio d' un esercito armato
custodisce la vita del Principe. « Quando il
Guarino pronunciava quest' orazione il Santo
senese era ancora vivo e sulle piazze di Fer-
rara era desta V eco della sua predicazione
alla quale bene consentiva la parola e la fede
dell' umanista e doveva pur corrispondere egre-
giamente l'opera del principe Lionello media-
e dal discepolo in Ferrara, lo studio di Gliosuè Carducci nel
volume XV delle Opere, edizione Zanichelli, pag. 38 e seg.
Il Carducci non fa cenno alcuno delle idee religiose del Gua-
rino. Si vegga ancora : Carlo Rosmini — « Vita e disciplina
di Guarino Veronese Voi. Ili Brescia. « Idea dell'ottimo pre-
cettore )^. Gerini « Gli scrittori pedagogici italiani del sec. XV ».
R. Sabbadini. « La scuola e gli studi di Guarino Guarini ».
Per Vittorino da Feltro cfr. « Idea dell' ottimo precettore
nella vita e disciplina di Vittorino da Feltro » Libri 4 del
Cav. Carlo dei Rosmini. Milano, Silvestri, 1845. Ancora
158
BERNARDINO DEGLI ALDIZZESCHI
tore di pace tra i Fiorentini e Ile Alfonso di
Xapoli suo suocero.
Nessuno più del Guarino rifuggiva dallo
spirito di parte e dai sentimenti di vendetta
così forti in quei tempi ed esecrati da Ber-
nardino nelle sue prediche. E inoltre egli
seppe comporre in armonia i diritti della cul-
tura e della bellezza insieme ai doveri cri-
stiani dello spirito. Quando fra' Alberto da
Sarzana predicò in Ferrara piacque al Guari-
no r ultima sua predica ove il frate s'assunse
a dimostrare quanto utili fossero le scienze
umane per 1' intelligenza dei libri sacri oppo-
nendosi a fra Giovanni da Prato il quale vo-
leva che tutti i libri profani fossero dati ai
fuoco. Questo fatto s' aggiunge a molti altri
che dimostrano 1' esistenza di due correnti in
seno alhi Chiesa di quel tempo, ed anche in
seno all' ordine francescano, temperata 1' una
dal buon senso che fa capo a S. Bernardino,
rigoristica 1' altra che doveva far capo al Sa-
vonarola. Ma ciò che meglio rivela a nostro
modo di vedere 1' altezza culturale del Guari-
no fiorente da una concezione francescana
della bellezza si è 1' atteggiamento da lui
preso quando comparve un volume di poesie
del Panormita, della quale opera egli lodò
coufr. « Vite degli Uom. Illustri » di Vespasiano da Bisticci
— Vittorino da Feltre.
159
CAPITOLO V
incondizionatamente i pre^i artistici, distin-
guendo il valore estetico da quello morale dei
Tersi ed affermando, egli per il primo, nomo
di costumi rigidissimi, l'indipendenza dell'arte
dalla morale. Questo inaspettato atteggiamento
del Guarino scandalizzò alcuni amici e sorse
a questo proposito una polemica fra lui ed il
beato Alberto da Sarzana, come sappiamo da
una lettera del beato del 1434 datata da Pa-
dova a Filippo Bendidio, ma gli originali di
quelle lettere si sono perduti.
Il Guarino favoriva altresì la libera espan-
sione delle attività femminili nel campo della
cultura ed alla gentile Isotta Nogarola che
seco lui lagnavasi a causa di certi malevoli^
che la Provvidenza 1' avesse fatta nascer don-
na, il Guarino rispondeva che se tutti pen-
sassero come lei sarebbero tutti infelici. « Ohe
piuttosto essa dovea rallegrarsi d' essere nata
donna, dacché sì bene sopra le altre donne
innalzavasi con 1' anima, con lo studio, con
la dottrina. Ohe la conoscenza del proprio va-
lore e delle proprie forze la potevano, senza
levarla in superbia, far superiore alle derisio-
ni, ai motteggi degli oziosi e dei maligni. »
Il Guarino morì a novant' anni, padre di tre-
dici figli, il 4 Dicembre 1490, in mezzo ad
una fiorente corona d' illustri discepoli fra i
quali s' annoveravano oltre al beato Alberto,
Francesco ed Ermolao Barbaro, Leonardo Giu-
160
BEENARDINO DEGLI ALBIZZESCHI
stiniani, Giano Paunoiiio, Vespasiano Strozzi,
Bartolomeo Fazio, Giovanni da Salerno, Ja-
copo degli Ammannati, il fiore degli umanisti
cristiani. Uno di essi, Francesco Barbaro scrisse
quel trattato « De re uxoria > che stranamente
collima per il contenuto d' idee con quanto
predicava S. Bernardino intorno all' unione co-
niugale. Lo studio della vita e dell' opera di
Vittorino da Feltre aggiungerebbe nuovi argo-
menti atti a convalidare la nostra tesi sopra
r influsso esercitato dall'apostolo senese su gli
educatori cristiani del Quattrocento. Lo spirito
di sacrificio del Feltrense bene fu simbolizzato
dal Pisanello nella medaglia che per lui volle
coniare, ove da una banda si vede l'effigie del
Maestro, e dall' altra un pellicano che col ro-
stro si squarcia il petto per nutrire del sangue
che n' esce la sua prole.
La pagina autobiografica di S. Bernardino
intorno alla vocazione della vita eremitica so-
pra trascritta pone in rilievo alcune qualità
della sua anima, le quali ci aiutano a com-
prenderne altre più nascoste, onde arricchivasi
quella creatura mistica complessa ed originale.
Queste qualità sono anzitutto rivelate dallo
stile proprio del Santo, ove sugli accesi pe-
riodi dialogati scoppiettano i granelli del sale
umoristico e rapida scorre fra i meandri delle
sobrie eleganze popolane la pura favella se-
IGl
CAPITOLO V
nese del tempo. Bernardino quantunque ari-
stocratico di nascita riuscì ad immedesimarsi
in cotal guisa gli spiriti democratici tanto da
parlare una lingua efficace, colorita, plebea
nel miglior senso della parola, che il popolo
intendeva, mentre i demagoghi moderni par-
lano spesso con gli accenti della rettorica cu-
rialesca, e non vibrano all'unisono con l'anima
popolare.
Umorismo e sincerità scaturiscono nella
narrazione bernardini ana dalla sorgente del
buon senso che non rifiuta i sacrifici, ma sa
discernerli e valutarli. S. Bernardino è domi-
nato dal sentimento classico dell' ordine, dei
limiti morali, del dovere civile, e sopratutto
dallo spirito di pace e di unione che si tra-
duce in forza per la famiglia, come per la città
e la nazione. Su 1' esempio di S. Erancesco
egli rinnegando in se l' ideale ascetico dell'in-
dividuo veniva a rigettare l' ideale romantico
della vita che isola l' uomo dalla comunità.
Dice in una sua predica : « Non volle Iddi<
che la generazione umana avesse principio se
non da uno misterio, fu questo solo per unio-
ne che noi doviamo avere insieme (1). In
una città debbono essere tutti « volontari a
ben vivare » .
Dall' ordine degli elementi contrastanti
(1) Pred. ed. Banchi. Tomo II, pag. 52.
162
BERNARDINO DEGLI ALIUZZESCIII
nella natura e nel corpo umano trae la ragio-
ne, r ordine della convivenza sociale. La ca-
rità ci viene insegnata dai membri del nostro
corpo (1) : < Tu vedi, egli dice, V esemplo nel
corpo nostro, il quale ò composto di molti
membri e quando uno di questi membri ha
alcuno difetto, tutti s^ ingegnano di aiutarlo.
Se e' duole il capo, la mano corre ad esso.
Halo rotto '? e la gamba il porta al medico ;
e così ogni membro s'ingegna d'aitarlo quanto
e' può. Colui clie non aita i suoi membri quan-
do hanno difetto, so' paralitichi per vizio di
non aver compassione, sai chi so' costoro *? So'
coloro che fanno il contrario di quello che
dovarebbero fare ; che dovendo aitare, et ellino
disaitano ».
Bernardino come gli altri mistici senesi è
un appassionato amante della sua città, un
nazionalista fervente ma non cieco, e ciò che
appare più singolare per un frate, sinceramente
laico. Egli combatteva 1' intromissione dei re-
ligiosi e degli ecclesiastici negli atfari del po-
tere civile tenendosi fermo al detto di S. Paolo
(A Timoteo, Capo. Ili) < Nemo militans deo
se implicat in opere saecuhiri > e non ammet-
teva che i religiosi potessero essere piìi onesti
dei laici nella gestione del pubblico denaro,
come varii ecclesiastici pretendevano. Così di-
(1) Id. pag. 55-58.
163
CAPITOLO V
fatto egli si esprime nella predica trigesimot-
tava: (1) « N^è voi secolari dovete dare uffizio
a religiosi ; riè anco i religiosi noi debbono
accettare, ne cercare, ne esercitare. Non si die
impacciare il religioso alle cose seculari, no » .
Assai l'affliggeva la mutabilità degli spiriti dei
suoi concittadini ugualmente propensi al bene
e al male, il lor carattere quasi femminile.
Nella predica vigesimaquinta ove si trattiene
a lungo su gli ordinamenti civici della patria
espone chiaro ai senesi i loro difetti insisten-
do sulla serietà con la quale ogni cittadino
dovrebbe esercitare il suo diritto di voto im-
plicante uno dei più sacri doveri : « Io mi
credo, egli dice, che voi dovareste molto con-
siderare prima che voi allarghiate la mano al
lupino eppure noi fate. E credo che voi sete
uno sangue molto dolce. E perchè io vi co-
gnosco di questa condizione, che tosto vi par-
tite e tosto ritornate ad una cosa medesima;
e vedendovi ora in tante divisioni e in tante
malevoglienze, in tanti odii, che se non fusse
che voi sete molto umani, voi n' areste tanto
dato sopra le ciarvelliere che voi areste fatto
(1) Di solito in Siena un frate cistercense era investito
della funzione di Camarlingo e S. Bernardino insorgendo
contro questa consuetudine secolare doveva apparir molto
audace. Vigile custode delle ricchezze del Comune il frate
bianco fu spesso raffigurato su le copertine dei libri di Bic-
cherna.
164
BERNARDINO DEGLI ALBIZZESCHI
qualche i^rau malo. E però dico che la condi-
zione vostra è che voi siete molto mobili ; e
come sete mobili al male, così ritornate tosto
al bene > (1). Con Unissimo intuito di psico-
logo culi coglie i due caratteri essenziali del-
V anima senese, mobilità ed nmanità, partico-
lare ad una razza oltremodo sensitiva, alquanto
strana, come quella ove prevaleva il senso
artistico, intuitiva più che riflessiva, insotì'e-
rente ai gioghi, mirabile nei suoi ardimenti,
nei suoi sogni, nelle sue follie.
Il Montine chiama i senesi « peuple de
grands enfants » . Il Cardinale De Bellay dice
di Siena « C est une terrible beste que cette
villo là, et sont estranges cerveaulx ».
Ma ambedue si accordano con Bernardino
a riconoscere il valore umano della medesima.
E questa umanità senese come bene ci viene
espressa nella seguente esclamazione del san-
to : « Quanto è forte e pieno di gentilezza co-
lui il quale ha più tosto passione nel prossi-
mo che compassione ! » In simile eccesso che
tonde a far vivere con entusiasmo la pena del
nostro fratello è F essenza della forza morale
pratica. In un grido egli qui ci disvela il suo
puro eroismo ; e noi ricordiamo eh' esso ebbe
luogo di manifestarsi a fatti e non a parole
(quando infierendo in Siena la peste, l' anno
(1) Prediche, ediz. cit. Tomo II, pag. 69, 70, 219.
165
CAPITOLO V
1400, Bernardino ventenne, a capo d' una
schiera volenterosa di dieci suoi compagni,
rimase giorno e notte, durante quattro mesi,
nelF ospedale della Scala al servizio degli am-
malati.
S. Bernardino, come F età che fu sua, ap-
partiene al Medio evo ed insieme al Binasci-
mento. Il settarismo feudalesco di carattere
prettamente medioevale era ancora dominante
in Italia, e contro i partiti dei guelfi e dei
ghibellini che straziavano con divisioni e con
rappresaglie di sangue le famiglie e le città
Egli intraprese una campagna accanita. IS^ella
decima predica tenuta su la piazza del Campo,
in Siena, nell'agosto del 1427 esclamava ad
un punto : « chi è colui che è cieco e sordo 1
È colui che tiene di parte e fassi di parte o
guelfo o ghibellino » . Le scene orrende delle
lotte partigiane sono evocate dal Francescano
senese a colori di sangue (1) : Quanti mali,
egli dice, sono preceduti da queste parti,
quante donne so' state ammazzate nelle città
proprie, in casa loro ; quante ne so' state sbu-
dellate ! Simile, quanti fanciulli morti per ven-
detta dei padri loro ! Simile, i fanciulli del
ventre delle proprie madri tratti e messo lo' i
pie ne' corpi, e presi i fanciullini e dato lo' del
capo nel muro; venduta la carne del nimico
(1) Prediche — ediz. cit. tomo I. Pag. 252.
166
BERNARDINO DEGLI ALBIZZESCHI
SUO alle becearia come T altra (tarne; tratto
lo' il cuore di corpo e mangiatolo crudo cru-
do. Quanti mortagliiadi eppoi sotterrati nella
feccia ! Egli ne so' stati arrostiti e poi man-
giati ; egli ne so' stati gittati giù dalle torri;
egli ne so' stati gettati su dai ponti giù nel-
1' acqua; egli è stata presa la donna e forza-
ta innanzi al padre e al marito e poi ammaz-
zatoli lì innanzi; nò mai avuto pietà F uno
dell' altro, se non morte. « Qui e' è furore di
vita medievale; ma pure in Bernardino, a sua
insaputa forse, sopravviveva 1' anima di quel-
r età violenta nell' odio e nell' amore, e tal-
volta r uomo vecchio irrompendo in lui attra-
verso la serena indulgenza francescana del-
l' uomo nuovo, sembra avvicinarlo ai violenti
eli' egli condanna. Di fatto una volta mentre
predicava contro i guelfi ed i ghibellini, tra-
scinato dalla foga del sentimento, infiammato
dall' eloquenza verbale, uscì in queste paro-
le che potrebbero meravigliarci nel mansueto
francescano : « Signor mio Jesu Cristo, io ti
prego che se il mio padre o la mia madre, o
ninno mio parente so' morti con queste parti
delle quali io parlo, io ti prego che per 1' a-
nima loro non vaglia nò messa, né orazione
che mai io facesse a utile di ninno di loro. E
anco ti prego. Signor mio, che se ninno di
loro ha tenute parti insino alla morte e non se
ne so' confessati, che mille diavoli abbino le
167
CAPITOLO V
anime loro, e die mai per loro non sia reden-
zione. ^
E quest'orazione è fatta per l'anime loro > .
Generalmente i biografi quando son presi d'am-
mirazione cieca per il personaggio che essi
vogliono far rivivere nascondono del medesimo
i difetti per esaltarne solo le virtù e non av-
vertono quelle strane profonde discordanze che
ritrovansi nell'anima di ogni uomo pur grande.
È questo un vecchio errore del quale non ri-
masero giammai immuni gli agiografi ufficiali,
paurosi di rompere la forma invecchiata di un
calco nella quale foggiavano tutti i santi.
Ma in taluni aspetti contraddittori della psi-
che bernardiniana noi riusciamo ad intendere
meglio l'umanità dell'uomo. D'altra parte se i
santi, come gli eroi, fossero perfetti, non avreb-
bero più alcun punto di contatto con il re-
stante degli uomini, sarebbero anzi antiumani.
Abbiamo già osservato come la qualità do-
minante in S. Bernardino fosse un acceso amo-
re per il prossimo dimostrato con i fatti me-
glio che colle parole. Vi era in quell' uomo,
cresciuto in una casa piena di gentilezza e di
pudore femminile, una sensibilità delicata che
gli faceva risoffrire intimamente l'altrui dolo-
re. E riesce perciò quasi inconcepibile im-
maginarsi com' egli potesse perseguitare quel-
le donne randagie che il popolo chiamava
streghe.
168
BERXAKDTXO DEGLI ALBIZZESCHI
La sua avversione contro queste donne de-
dite ai maletizi era forse legittimata dal fatto
che esse appartenevano alla classe delle piìi
abbiette e ])ericolose meretrici, ed in Koma,
nei secoli XV e XVI ac ne doveva essere un
gran numero, come sappiamo da vari cronisti
del tempo. Xel < Kagionamento del Zoppino >
attribuito tino a poco tempo addietro a Pietro
Aretino ed ora da Guillaume Apollinaire a
Francisco Delicado, un prete spagnolo, noi leg-
giamo descritte al vivo le stregonerie di que-
ste cortigiane romane (1). Pertanto bisogna ri-
(1) Ragionamento del Zoppino fatto frate ecc. Venezia
Francesco Marcolini, 1539. Ecco come il nostro Autore de-
scrive le maliarde odiate da S. Bernardino : « Le ti vogliono
fare incanti e vanno presto a cimiteri e tali a sepolture^ quivi
trovano le forze e quivi lesche con che ti legano, et ti lusin-
gano, et allo stato primo ti riducono, e queste sono le paci
che poi nascono. Quante per i sentieri ne ho veduto io cari-
che d'ossa, di teste e di vesti di morti! Quante con tenagliuz-
ze, forbicine o mollette empir le tasche de' denti cavati delle
putrefatte mascelle d'impiccati, a' quali spesso anchora o il
capestro tolgono o le scarpe. Et ho visto riportar li pezzi in-
tegri de la putrida carne, la quale con parole che elle a lor
modo dicono ti danno a mangiare. E quelle, che tu pensi e
tieni che sieno più grandi, ho visto torre a' morti le spoglie
che addosso a quelli sono state tagliate e sbarbare i capelli:
e le ho scontrate al lume della incantata luna, hor scarmigliate,
hor nude, co' più strani gesti e modi di streghe, formar tal
parole che a dirle ne tremo, che il più devoto accento che sia
in quello è dove chiamano il diavolo. Ma quante poi scalze, e
sole con qualche lor coltello rubato, vanno disegnando figure,
con mille legami misurano la terra, spannandosi il dosso, o i
panni che hanno, stringono altrui conic a loro stesse piace ? »
1(>9
CAPITOLO V
conoscere come S. Bernardino non riuscisse ad
essere immune da tutte le violenze che satura-
vano V atmosfera in cui respirava.
Ma se cadde in certi eccessi fu a questi
condotto dall' odio sincero nutrito per molte
pratiche superstiziose medievali che soprav-
vivevano nel tempo suo e che egli intendeva
distruggere. Di fatto, primo e vero precursore
della controriforma, egli predicò più volte con-
tro il culto delle false reliquie (1), contro lo
zelo di certi padri spirituali, precedendo in
questa via il Pascal, e contro le follie di tutti
1 visionari (2). Snella seconda delle sue predi-
che senesi cerca di distruggere le credenze
delle moltitudini nel destinato delle costella-
zioni. Ma il suo merito maggiore è il trionfo
sulle rinascenti paure apocalittiche dell' anti-
cristo.
Nei primi anni trascorsi a predicare in
Liguria e nel Piemonte e particolarmente a
Tortona, a Castelnuovo e ad Alessandria, egli
s' incontrò sovente con S. Vincenzo Ferreri e
con un certo frate Manfredo che insieme al
Ferreri annunciava prossimo l' avvento del-
l' anticristo. Bernardino si oppose a cotesta
predicazione dello spavento servendosi del suo
fine senso umoristico per paralizzarne gli effet-
(1) Prediche - ediz. cit. tomo I - pag. 237-238.
(2) « » « tomo II - pag. 377.
170
BERNARDINO DEGLI ALBIZZESCHI
ti disastrosi. Questo suo fermo atteggiamento
di fronte al celebre predicatore domenicano
ci mostra come egli sapesse ricongiungersi
alle vere tradizioni del Poverello, e quanto
nel fondo dell' animo si sentisse più vicino al
cantico di frate Sole che al « Dies irae ».
Giova citare il passo d' una predica senese
nella quale chiarisce ciò che pensava a pro-
posito della rinascente agitazione apocalittica:
« Insino quando era fanciullo udii che Anti-
cristo era nato, ma che dico io ^ Insino al
tempo delli Apostoli si disse che elli era nato,
e anco al tempo di S. Bernardo. E così anco
oggi si dice, e poco tempo è che si diceva
fermamente. Deh che pazzia è questa di colo-
ro che vogliono sapere più che Iddio non vuo-
le che si sappia? Chi è colui che il sa'? Non
è creatura al mondo che il possa sapere, im-
però che Iddio Cristo Gesù non volse dire
alli discepoli, né Cristo, in quanto uomo, noi
seppe mai » . Ed in altro luogo accentuando
meglio la modernità del suo pensiero dice :
« Mai Anticristo non verrà, se non quando il
silenzio sarà nella fede nostra » , ove destituisce
V importanza personale del personaggio mitico
per richiamarla sul pericolo che si faccia nella
fede cristiana degli uomini il silenzio, cioè la
morte spirituale, il vero anticristo.
Il mondo teologico di S. Bernardino è
uno dei più soggettivi quantunque paja confor-
171
CAPITOLO V
marsi sempre ad un sentimento di ossequiosa
ortodossia.
Ma io credo che nessun teologo romano
approverebbe oggi il consiglio che egli dava
ai suoi uditori senesi di lasciar piuttosto l'ob-
bligo domenicale della Messa che quello della
predica. « Se di queste due cose tu non po-
tessi fare altro che F una, o udire la messa o
udire la predica, tu debbi piuttosto lassare la
messa che la predica ; imperò che la ragione
ci è espressa che non è tanto pericolo dell' a-
nima tua a non udire la messa quanto è a non
udire la predica » (1). Bernardino è un anti-
formalista convinto e mira sempre all'essenza
delle cose. Prima della messa la predica, ma
prima della predica la casa, il dovere familia-
re e sociale. S. Bernardino non tenoreggiava
troppo colla vita contemplativa e mirava sem-
pre al ben viver civile. « Ecci chi abbia lo
infermo in casa'? - Si - I*^on cognosci tu quanto
bene fa il governo suo ^ Non 1' abbandonare
per venire a predica. Hai figliuoli ? - Si - Non
gli abbandonare di quello che hanno bisogno
per venire alla predica. Hai il marito e figliuoli
i quali bisogna che sieno governati di quello
che bisogna alla famiglia '^ - Si - Fa', fa' che
non li lassi per venire alla predica ; fa che tu
prima governi la casa di quelle cose che bi-
(1) Prediche ediz. cit., tomo I, pag. 66.
172
BERNARDINO DEGLI ALBIZZESCHI
sogna, e poi vieni alla predica perocché se
tu non procurasse di far quelle cose che bi-
sogna per tutta la famiglia, io non loderei il
yenir tuo che ti conviene misurare l'altare > (1).
Questa è sostanza di vita francescana. Poco
appresso al luogo citato il santo si domanda :
€ Sai tu quando si parte il capo dal busto ?
Quando tu ti parti dalla (vita) attiva e vai
alla contemplativa » . E questo è schietto umo-
rismo bernardiniano»
Se voi rileggete le novellette e gli apologhi
raccolti nei volumi delle sue prediche dal Zam-
brini, gusterete assai quest' umorismo senese
che rinfresca le antiche verità e fa risbocciare
in un sorriso il fiore appassito d' una fede o
d'una speranza. L'umorismo è come il sale che
preserva un' opera dalla corruzione della noia,
così facile ad infiltrarsi tra le verità morali
dei predicatori. L' umorismo di S. Bernardino
è congenito in lui al bisogno di sincerità, e
del resto i veri umoristi non sono mai degli
ipocriti, ma sempre dei moralizzatori molto
seri, quale appunto era 1' Albizzeschi, dotato
di « humour » in senso anglo-sassone, come il
Thackeray lo intende quando afferma che lo
scrittore umorista è colui che particolarmente
« sveglia e dirige il nostro amore, la nostra
pietà, la nostra bontà, il nostro disprezzo per
(1) Pred. ediz. cit. tomo II, pag. 43.
173
CAPITOLO V
la menzogna, le false pretensioni e l'ipocrisia,
la nostra compassione per i deboli, i poveri,
gli oppressi, gli infelici ».
Per un bisogno di parlare alto e sincero S.
Bernardino si tenne lontano da tutti gli onori
ecclesiastici e rifiutò di essere vescovo nella
sua città (1) come sappiamo da un passo della
sua predica decimottava : « S' io ci fussi ve-
nuto (a Siena) come voi volevate ci venisse,
cioè per vostro vescovo, elli mi sarebbe stata
serrata la metà della bocca. Vedi cosi ; (2)
così sarei stato che non arci potuto parlare se
non con la bocca chiusa. E io so' voluto venire
a questo modo per potere parlare cosi alla larga;
che cosi potrò dire ciò ch'io voglio e potrò j)ar-
lare più a mio modo d'ogni cosa » . Questo biso-
gno di sincerità egli cercava di trasfondere nel
carattere dei suoi connazionali per rinnovarli
giacche presentiva contro quale scoglio sarebbe
fra non molto tempo naufragata la splendida na-
ve del Rinascimento carica di tante intelligenze.
Se una nazione non possiede una maggioranza
di caratteri schietti, forti, onesti essa diviene
prima o poi schiava politicamente e spiritual-
mente dello straniero. E con qual dolore S.
Bernardino constatava la mancanza di lealtà
(1) L' offerta del Vescovado di Siena fu fatta a Bernar-
dino il 4 giugno 1427 dal pontefice Martino V.
(2) Cresce forza al discorso facendo 1' atto di serrarsi la
bo.cca.
174
S. Bernardino che predica su la piazza di S. Francesco in Siena.
Fot. Lomimuli Sano di Pikiko.
BERNARDINO DEGLI ALBIZZESCHI
nei suoi toscani : « O promesso o non promes-
so che abbi il toscano, egli s' attacca a fare
quello che me«>iio li mette » (1). Ed egli de-
plorava la disonestà degli italiani nei commerci
ritornando spesso su questo punto nelle sue
prediche, e con sottile discernimento ricolle-
gava a queste frodi la cupidigia del guadagno
negli uomini con i relativi eccessi dell' usura
e con la vanità femminile delP apparire. Nella
mirabile predica trentasettesima ove s' indugia
sulle vanità mondane, così egli apostrofa i
padri di famiglia senesi : « Tu darai una tua
fanciulla a uno per donna ; e colui che la
piglia, ne il padre, né la madre non pensano
donde la robba sua venga; che se fussero savi,
dovarebbano pensare la prima cosa: donde viene
questa robba, donde vengono questi vestiri, di
che è fatta la sua dota. Però che molte volte,
e il più de le volte, è fatta di robbaria, d'usura,
e del sudore dei contadini, e del sangue de le
vedove, e de le mirolla dei pupilli e degli orfa-
ni. Ohi pigliasse una di quelle cioppe e premes-
sela e torcessela, ne vedresti uscire sangue di
criature » .
Pertanto fra le principali riforme sociali
che egli promosse ed ottenne debbono annove-
rarsi le associazioni d' assistenza dei carcerati,
le campagne memorabili contro gli usurai cui
(1) Prodiche, ediz. cit. Tomo III, pag. 168 e seguenti.
ir—-"
liiJ
CAPITOLO V
fecero seguito in varie città opportuni freni
statutari, 1' abolizione di quel barbaro costume
vigente a Roma, a Perugia ed in altre città
d' Italia per il quale se un uomo uccideva un
suo nemico politico e metteva una sbarra di
ferro fuor della porta di casa acquistava di-
ritto d'impunità da parte della pubblica giu-
stizia, restando tuttavia lecito agli amici ed
ai parenti del morto di poterlo assalire ed uc-
cidere nella sua casa. Ma la campagna più
alta e più gloriosa fu quella per i diritti dello
spirito ; mentre dilagava ognor più un senso
materialistico ad inquinare 1' esistenza dei con-
temporanei egli non cessava dal riaffermare
le leggi del « reame spirituale » e gridava :
« L' anima è sopra tutte le cose terrene : so-
vr' essa stanno gli angeli » . E così concepiva
r anima : « (1).
Fa ragione cbe l'anima sia come una città,
la quale sia recata in quadro come questo pul-
pito; la quale abbi quattro porte da ogni parte,
una porta da levante, una dal ponente, una
dal mezzodì, una dal settentrione ; e che non
si può entrare per ninno modo in questa città,
se non per queste quattro porte. Le quali porte
io ti pongo che siano quattro effetti, i quali
sempre ha V anima, senza li quali ninna non
può essare. A regola : prima dalla porta del
(1) Pred. ediz. cit. Tomo I, pag. 44, 45.
17G
BERNARDINO DEGLI ALBIZZESCHI
levante. Che significa il godere? Che 1' anima
non goda ninna cosa secondo il mondo, ma
ogni cosa eh' essa ha, che di letizia sia, sem-
pre a riferirla in Dio. Siconda porta si è dal
ponente, la quale significa il dolore; ed en-
trando per questa porta del dolore, non si do-
glia mai l'anima di ninna cosa che l'avvenga,
se non sicondo Iddio e non sicondo il mondo;
e se non ha questa regola la cosa va male. La
terza porta si è del mezzodì, per la quale non
entra se non la speranza; per la qual porta se
1' anima ha ninna speranza di ninna cosa di
mondo, se non per rispetto della volontà di
Dio, ella sta male; imperò che di tutte le cose
che l'anima die sperare si è in Dio e per Dio....
la quarta porta si è dal settentrione, per la
quale entra il timore, et ogni volta che nel-
l'anima entra il timore per altro che per amor
di Dio, ogni sua operazione va male ».
Questo ridurre tutti gli ordini, gli affetti e
le volontà dello spirito ad una suprema perfe-
zione in Dio, cioè nel Giusto assoluto, questa
volontà di bene appariva a lui la garanzia mi-
gliore d'una fraterna convivenza sociale. Egli
voleva che 1' anima si unisse a Dio « come
una luce in aria che si fa una cosa mede-
sima >. (1). Ma questo miracolo non era pos-
sibile senza una fede viva e forte capace di
(1) Prediclie ediz. cit. Tomo II, pag. 205.
177
CAPITOLO. V
costringere la volontà verso lo sforzo eroico.
Per ciò cercava di risuscitare nelle anime il
Cristo ed additando la croce così ne rivelava
il significato simbolico : « La croce ha due
legni, l'uno va attraverso e 1' altro in su. Sai
che significano nelFuomo virtuoso? Quello del
traverso significa fadiga: quello che è per lo
dritto significa virtù; e se tu hai meno uno di
questi due, tu hai perduto ogni cosa, e non
puoi cognoscere nulla » (1).
(1) Si legge in fronte alle prediche dette da Bernardino
su la piazza del Canpo di Siena 1' anno 1427 e pubblicate
dal Banchi, come un certo maestro Bartolomeo, cimatore di
panni « avendo donna e più figliuoli, e avendo poca robba e
assai virtù, lassando stare per quello tempo il lavorare, ri-
colse e scrisse le presenti prediche da verbo ad verbum^
non lassando nissuna parola che non scrivesse, come lui pre-
dicava. » Il passo che segue mostra la virtù di questo devoto
stenografo che « stando alla predica, scriveva in tavole di
cera collo stile j e, detta la predica, tornava alla sua buttiga
e scriveva in foglio tutto quello che aveva scritto nelle pre-
dette tavole di cera; i^er modo che il giorno medesimo in-
nanzi che si ponesse a lavorare, aveva scritta due volte la
predica. « La qual cosa, aggiunge il prologhista aniico dello
stenografo, chi bene notarà trovarà essere cosa miracolosa
come umana, che in sì brevissimo tempo scrivesse tante cose
due volte, non lassando una minima paroluzza di quelle che
uscivano di quella santa boca, che lui non scrivesse ; come
per lo presente libro si manifesta. »
La prima predica di S. Bernardino fu detta in Siena
ne 1' oratorio di S. Onofrio il giorno 11 giugno 1405. Cfr.
Sigis. Tizio — Hist. Sen. MS. nella Bibliot. Com. di Siena,
Voi. IV, 53. Egli aveva allora 25 anni. Una seconda volta
predicò nel Duomo nel 1410 come appare a carte 242 del
178
BERNARDINO DEGLI ALBIZZESCHI
Libro JRossOj dal 1404 al 1415, che si conserva ne V archivio
de r Opera del Duomo. Ritornò a predicare in Siena [su la
Piazza di S. Francesco? (vedi illustraz. n. 20]) dal 1*' maggio
al 10 giugno 1425. Cfr. Cronaca cit. Aldob. (Bibl. Coni, di
Siena, Cod. A, VI, 0. e. 128).] 11 Comune ordinava nel giu-
gno 1425 di porre su la tacciata del Palazzo Pubblico, nel
luogo ov' era 1' arme viscontea, quel nome di Gesii di rame
dorato su fondo azzurro oltremarino clie tuttora vi si vede,
e lo facea dipingere anche nella sala del Mappamondo.
Le prediche pubblicate dal Banchi furono dette su la
Piazza del Campo dal 14 agosto alla line di settembre 1427.
^
179
^<><:
^|l II xCx II l|R>||l II xQx II I
CAPITOLO YI.
B. ocHixo E l' eresia ii^ sie:n^a.
L' atmosfera spirituale del Cinquecento ita-
liano satura di bellezza e di pensiero umani-
stico era divenuta irrespirabile per coloro che
avevano un' anima.
L' arte di Michelangiolo nelle dolorose me-
ditazioni dei suoi Profeti, ne 1' atteggiamento
disperato dei suoi Prigioni, attraverso la ma-
linconia religiosa delle sue « Pietà » esprime
intensamente il senso d' insoddisfazione, l' in-
terno dissidio delle rare anime del suo tempo
avvinte alla terra ed inebriate di cielo.
Le più potenti manifestazioni del genio
michelangiolesco sono gridi di un ribelle clie
tenta di emanciparsi dai modelli classici che
il Rinascimento idolatrava, e, in una parola,
dall' estetismo dominante.
Miclielangiolo fu un distruttore d' idoli.
Agitò gli oceani del Pensiero. Amò la guerra,
180
H'
qua/ XA tuo ri- /p^'^ ^^^>rì o j,f ^A^
ì
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>>
/o-^'
21
Bernardino Ochino.
« ìli sarà facile tutto in Christo per el guai vivo et epero di morire. »
Frater Bernardinus Senensis.
Lettera alla liaVia di Siena scritta da Roma il 5 Settembre 1540. (Archivio
di Stato in Siena).
B. OCHIXO E l'eresia IN SIENA
non la pace. Assai poco lo comprese il suo
amico Vasari : i discepoli, piccoli artisti, vi-
dero solo le forme esteriori di qnell' arte ;
Kaffaello, esteta sublime, 1' odiò di nn odio
pieno d'ammirazione ; i Papi mecenati apprez-
zarono Miclielangiolo come un decoratore ma-
gnifico del loro palazzo imperiale ; i Principi
se lo disputarono come un costruttore di mau-
solei. Vittoria Colonna con V intuito del suo
occhio interiore turbato da inquietudini reli-
giose vide sola, ne Panima del vecchio artista
V abisso della sua disperazione e per questo
Michelangiolo volle dedicarle nei sonetti d' a-
more la propria autobiografìa spirituale : Vit-
toria Colonna una delle prime e più ferventi
amiche del senese Bernardino Ochino.
Quest'uomo che doveva inalzare su le rovi-
ne delle libertà patrie il vessillo di libertà della
Riforma al cospetto del Papato e di Carlo V,
gli oppressori di Siena, nacque verso il 1487
dal Popolo di Pontebranda, che dette i natali
a S. Caterina. Suo padre fu Domenico Tom-
masini, popolano oscuro. Il figlio s' ebbe il
soprannome di Ochino perchè appartenente alla
contrada de V Oca.
Nulla si conosce della sua infanzia e de
r adolescenza, ma noi crediamo che presto do-
vette grandeggiare dinanzi alla commossa fan-
tasia dell' Ochino la figura dell' ultimo apo-
stolo senese Bernardino degli Albizzeschi, del
181
CAPITOLO TI
quale portava il nome, e del quale avrebbe
ridestata la gloriosa tradizione apostolica con
il fascino della parola.
Acceso d' entusiasmo per V idea bernardi-
niana vestì, giovine, l'abito di S. Francesco nel
convento de V Osservanza fondato dal Santo.
Studiò medicina ne V Università di Perugia.
Quivi ebbe occasione, di contrarre amicizia
con Giulio dei Medici più tardi Papa Cle-
mente VII : sui medesimi banchi di scuola
si conobbero due uomini clie la vita avrebbe
piazzato in x^oli opposti come due forze a con-
trasto, perchè lampeggiassero. Quando si divi-
sero, il giovine e ricco fiorentino s'incamminò
per la via fastosa apertagli dalla potenza
della sua casata verso la suprema dignità ec-
clesiastica ; il fraticello riprese la via stretta
ed oscura del suo convento, avido di umilia-
zioni, con lo sj)irito mille volte più inquieto di
quando n' era uscito.
Questa lotta interna resa tormentosa per
la ricerca della verità teologica contrastante
ai desideri d'una fede sitibonda d'assoluto, l'O-
cliino avrebbe forse potuto calmare nel puro
sentimento francescano <:li' era fiorito nella
nuova Porziuncola dell' Osservanza da l'anima
de l' Albizzeschi. Purtroppo, non appena morto
il grande riformatore, s'erano dileguate dal suo
convento le semplici virtù ch'egli avea saputo
coltivarvi : Pandolfo Petrucci, il magnifico, a
182
B. OCHIXO E l'eresia IN SIENA
somiglianza di frate Elia, aveva edificata sopra
la celletta del nuovo Poverello un bel tempio,
per grandigia, ove a Parte di Cliacomo Cozza-
relli non rimase che piangere d'amore su Tidea
evangelica ottuscata.
Le terracotte robbiane e quelle del Cieco
di Gambassi e del Cozzarelli che sono a l'Os-
servanza esprimono quel sincero sentimento
cristiano che seppe trasfondere in molte anime
S. Bernardino, e che, immutato, attraverso il
paganesimo e le forme mitologiche della Ri-
nascita, riuscirono a conservare ne l'arte i se-
nesi del Quattro e molti del Cinquecento.
La lirica senese del secolo XV, quasi tutta
sepolta nei codici degli archivi cittadini, si
colora spesso di questo sentimento, come si
può vedere in alcune laudi e madrigali di quel
tempo che i fanciulli usavano cantare nelle
chiese e per le strade (1).
Spira da queste poesie religiose popolari
la fragranza dell' anima bernardiniana, che
1' Ocliino respirò nella sua gioventù.
Yi è un madrigale che sembra rispondere
alla famosa canzone di Lorenzo dei Medici
< Quanf è bella giovinezza ! » e riconduce per
le vie segrete del cuore la malinconia cristiana
che dissipa i vapori torbidi dei sensi :
(1) Debbo alla cortesia del Prof. Lusini 1' indicazione di
alcune di queste laudi.
183
CAPITOLO VI
Nissimo in gioventù ponglia el disio
che tosto manclia quello tempo giulio.
Nissiino ponga speranza in gioventude
che no' si può sperare.
Su giovinetti ; in questa età verde
al seguitare Yhesù
eh' ene su crocie, spande el fiume de l'amore.
Ghuai a colui eh' el giovinetto tempo perde
e fuggie la virtù,
che di dolciezza perde ogni sapore,
a gli uomini gentigli ene uno errore
pompe e ricchezze che dispiacciano addio.
Che chi pone speranza in sua bellezza,
de vadasi a specchiare,
che nostri specchi sono le sipolture.
Vedrai confuse le nostre saviezze
e come quelle tornare,
e breve tempo come quelle sellare.
Se ciò pensassino nostre menti dure
Nissuno seria di se stesso sì fiero.
Nissuno in gioventù pongha disio,
che tosto manca quello tempo giulio.
Il Pittore poeta di questa primavera fran-
cescana fu il Sassetta (1). Matteo di Giovanni,
Sano ed il Neroccio ne rapirono il profumo
verginale per soffonderlo nella malinconia delle
(1) Su questo pittore si veda il bel libro di Bernhard Be-
renson : « A Sienese Painter of the Franciscan Legend ».
London, J. M. Dent 1909.
184
S. Giovanni.
SIEXA Opera del Duomo) Giacomo Cozzaurlli.
I
B. OCHIXO E l'eresia IX SIENA
loro madonne; il Yeccliietta rese nei bronzi,
nervosamente donatelliani, le ascetiche ma-
grezze delle carni penitenti, soprattutto nel
suo stupendo Battista. Giacomo Cozzarelli, ul-
timo rappresentante della gloriosa tradizione
scultoria senese del Cinquecento, nel gruppo
della « Lamcnta::ìonc » a V Osservanza, che ò
indubbiamente il suo capolavoro, intorno al ca-
davere del Cristo disceso dalla Croce nel grem-
bo di Maria, ravvivò, come in un rogo d' a-
more, i sentimenti dolorosi vissuti nei secoli
dai mistici senesi, rivelando la bellezza dell'a-
micizia che diventa preghiera silenziosa e con-
templazione, nella dolce immagine del S. Gio-
vanni dell' Opera del Duomo, la quale dovette
appartenere un tempo al gruppo (1).
La spiritualità e 1' umanità di cotest' arte
pervasa di sentimento francescano si mostra
ancora ne 1' ingenua allegoria di Girolamo di
Benvenuto rappresentante Amore fatto prigio-
ne dalle Vergini (2). Il disco prezioso, attra-
verso la figurazione mitologico-cristiana ci of-
fre un simbolo del misticismo senese il quale
seppe velare di bende pudiche gli occhi stel-
lanti di Eros, nel secolo in cui riscoppiava più
libera la gioia dell' amore pagano.
(1) Vedi illustraz. n.'^ 22.
(2) Appartiene alla Collezione Jarves. New Haven. Con-
necticut. Vedi illustraz. n.'' 23.
185
CAPITOLO VI
L' arte senese ignora le scoperte, le gioie,
i trionfi della carne vittoriosa che in Italia
fecero celebri le scuole di Firenze e di Vene-
zia; Il sensualismo senese, ardentissimo, fu
sempre nascosto dagli artisti, il Sodoma com-
preso, con veli dietro i quali esso traspare
come un nemico da vincersi, e tanto più j)e-
ricoloso per quanto più occulto, ed emanante
la seduzione sottile de 1' angoscia clie sorge
dal soffocamento dei sensi.
Fu questa appunto 1' angoscia di Bernar-
dino Cellino: tragedia intima d'uno spirito fie-
ramente cristiano per virtù della fede, costretto
a vivere in un secolo saturo d' illusioni pagane
turbinanti dinanzi alla violenza del suo tem-
peramento sensuale. Da ciò nacque in lui il
dubbio profondo su 1' efficacia delle opere ri-
guardo alla giustificazione, dubbio nato da un
fiacco amore di se, come avrebbe detto S. Ca-
terina, e clie doveva più tardi precipitarlo nel
vortice de 1' eresia luterana ; di qui la sua
folle ebrezza di penitenza escludente la meri-
torietà delle opere dinanzi al valore immenso
della redenzione compiuta dal Cristo, solo, ])eY
tutti gli uomini.
In una lettera del 10 febbraio 1 542, Fanno
tragico della sua vita, egli scriveva al Mar-
chese del Vasto : « .... Il Cristo disarmato d'o-
gni forza et favore del mondo, nudo in su la
Croce, vestito solo di verità, humiltà, patien-
186
Amore fatto prigione dalle Vergini.
NEW HAVEN. Counecticut — Collezione Jaives. Giuolamo di Bknvknuto.
B. OCIIINO E l'eresia IX SIENA
tia, cliarità, et dcir altre sue divine virtù, con
impeto d' amore, in una sola guerra, ha su-
perato per sempre non gli liuomini al mondo
ma gli infernali s])iriti, la morte, li vitii, et
tutti gr inimici di Dio, et fatta la più bella
et ricca preda dell' anime per tanti secoli sta-
te qua in sì misera servitù, che mai si faces-
se o potesse fare. » Se noi credessimo ad una
vera e propria evoluzione del sentimento reli-
gioso culminante, in Bernardino Ocliino, at-
traverso la catena riallacciata di questa tradi-
zione mistica senese, avremmo forse in mano
la chiave per intendere il segreto di questo
apologista della Fede assoluta, cogliendo quasi
nella medesima 1' estremo tìore d' un albero
centenario giunto al termine ultimo del suo
sviluppo.
Anch' egli, come la maggior parte dei pro-
testanti, aveva il terrore di essere predesti-
nato alla dannazione. Si difendeva contro il
mondo e la carne con la penitenza. Siccome
r ordine degli Osservanti gli pareva poco ri-
goroso vicino a quello recentissimo della re-
gola francescana riformata da Matteo Bassi
nei suoi Cappuccini, egli chiese al Pontefice
di poter passare fra i nuovi seguaci dell' As-
sisiate, ciò che gli fu concesso dopo qualche
esitanza. Si dice che nel compiere questo passo
1' Ocliino esclamò : < Signore, se ora non mi
salvo, non so più che farmi ! » Aveva allora
187
CAPITOLO VI
circa 37 anni ; era vissuto nelF oscurità, nella
preghiera, nella meditazione solitaria dei più
tormentosi problemi dello spirito, nello studio
dei sacri testi, in una vigilia di perfetta peni-
tenza. Quest'uomo incanutito anzi tempo, dalle
guancie infossate, che non beveva mai vino e
dormiva su la nuda terra, e camminava scal-
zo, fu ignoto a tutti tino al 1534. In Siena
r avevano visto elemosinare di porta in porta
per i poveri. Ma nella quaresima di quell'anno
1534, egli comparve, nella rozza tonaca di
cappuccino, in Roma, sul pulpito di S. Loren-
zo in Damaso.
Bernardino Ochino rivelò, a F improvviso,
una meravigliosa potenza oratoria, attirando
r attenzione di tutta Roma sopra di se ed i
suoi compagni cappuccini, convenuti allora per
la prima volta ne 1' Urbe in numero di cento-
cinquanta.
Clemente VII potè vedere, in quell' anno,
prima che lo raggiungesse la morte, il trionfo
del suo umile compagno dell'Università peru-
gina. Gli Osservanti invidiosi del favore po-
polare che salutava l'ordine dei cappuccini,
capitanato spiritualmente da chi li aveva ab-
bandonati, suscitarono contro quelli i sospetti
di alcuni personaggi della Curia, e persuasero
il Pontefice a discacciarli da Roma. Questo
fatto dovette impressionare dolorosamente l'O-
chino e non può essere trascurato da chi studia
188
B. OCIIINO E l'eresia IX SIEXA
con animo sereno la crisi psicologica del frate
senese.
Con il suo fervore apostolico FOcliino con-
quistò subito Famicizia dei maggiori riforma-
tori cattolici, come il Cardinal Contarini, il
santo vescovo di Verona Giovali Matteo Gi-
berti ; cosi pure di alcune mistiche ed elettis-
sime dame come Vittoria Colonna, Giulia Gon-
zaga, Caterina Cybo. Vittoria Colonna parti-
colarmente prese a proteggerlo, e a difendere
presso il Papa Tordine dei Cappuccini. L'Ochi-
no dovette al suo vivo interessamento se riuscì
a far convocare nel 1535, contro il volere di
Ludovico da Fossombrone, il primo capitolo
dei cappuccini, ove a generale fu eletto fra
Bernardo d' Asti, e V Ochino fu messo nel
consiglio dei quattro Definitori.
La nuova carica non lo tolse alla predica-
zione eh' era divenuta la necessità della sua
vita, per troppi anni rimasta contenuta nella
rigida disciplina del silenzio.
Or da l'anima dell' Ochino eruppe la forza
nascosta con la violenza d' un vulcano.
La novità delle sue prediche consisteva ne
l'avere egli tolto a commentare il Vangelo,
libro quasi obliato nella resurrezione di tutte
le opere de l' antichità classica. Ai pagani
della Rinascita le bellezze del Vangelo, messe
in rilievo da chi le aveva per tanti anni tra-
gicamente vissute, davano come un senso nuo-
189
CAPITOLO VI
\o di piacere letterario anche se non riusci-
vano a persuadere intimamente quegli spiriti
a convertirsi. Delle prediche tenute dalFOchi-
no a Venezia nel 1539 rimase ammiratissimo
Pietro Bembo, che poco amava i predicatori,
ed il 6 aprile di quelF anno egli esprimeva
il suo entusiasmo in una lettera da Venezia
alla Marchesa di Pescara: « ... Il nostro frate
Bernardino (che mio voglio da ora innanzi
chiamare a parte con voi) è oggi mai adorato
in questa città. Né vi ha uomo nò donna che
non V alzi fino al cielo. Oh quanto vale, oh
quanto diletta, oh quanto giova! Ho pensiero
di supplicare I^ostro Signore ad ordinar la
sua vita di maniera, eh' ella possa bastar più
lungamente ad onor di Dio e giovamento de-
gli uomini ; che ella non è per bastare, gover-
nandola così duramente com' egli fa. Ragiona
molto diversamente e più cristianamente di
tutti gli altri che in pergamo siano saliti ai
miei giorni, e con più viva carità ed amore,
e migliori e più giovevoli cose. Piace a cia-
scuno sopra modo. Estimo eh' egli sia per por-
tarsene, quando egli si partirà, il cuore di tutta
questa città seco ».
Anche Pietro Aretino, per secondar la mo-
da, volle dimostrare con l' ipocrita unzione
letteraria che gli era caratteristica la sua am-
mirazione per il cappuccino senese : « .... È
incredibile, egli scrive, il suo predicare del
190
B. OCHIXO E l' ERESIA IN SIENA
continuo in fervore mantenendo lino a V ulti-
mo r altezza del sincero delle parole : io ardi-
sco dire che dagli apostoli al dì d' lioe:gi ninno
liabbia mai nel predicare pareggiato lui... Co-
me risplende bene lo evangelo intessuto con
il cliristiano delle sue digressioni, con che lu-
cide e con che vive catene egli lega insieme
il vecchio et il nuovo testamento, servando
sempre i lor sensi sacrosanti nella dovuta re-
ligione, onde le torme dei popoli non altri-
menti si trasferiscono a udirlo, che se egli
fosse il Battista nelle solitudini. Sono sopra
humani gli intelletti pieni di spiriti e gli spi-
riti pieni d'intelletti, che si veggono e si sen-
tono nel catholico delle sue prediche, il grave
corpo delle quali respira con un fiato sì pos-
sente e sì vehemente, che ben si vede in che
maniera la natura e lo studio, gli fanno squil-
lare le cose di Dio vero, di Dio sommo, di
Dio solo. Veramente egli è 1' honore del suo
ordine, della nostra Italia. »
Il Sadoleto uguagliava V Ochino ai più
grandi oratori antichi. Il vescovo di Fossom-
brone scriveva ad Annibal Caro : « Ho udito in
Lucca, pochi dì sono, fra' Bernardino da Siena,
veramente rarissimo uomo ; e mi piacque tanto
che gli ho indirizzati due sonetti, de' quali ve
ne mando uno. » Tanta era la leggerezza so-
nettistica dell'Italia di quel tempo, incapace di
comprendere la serietà d' un' anima religiosa.
191
CAPITOLO YI
La Riforma appariva ai più come un tema
interessante e nuovo di conversazione.
Il duca Ercole di Ferrara si compiaceva
nelle quistioni teologiche. La duchessa Renata
che al passaggio di Paolo III jier Ferrara
fece rappresentare dai suoi figliuoli, in onore
del Pontefice, gli Adelfi di Terenzio, ebbe
anch' essa il gusto delle discussioni religiose,
e desiderosa di emulare la regina Margherita
di ìfavarra favorì gli eretici. Ospitò nel suo
castello Aonio Falcarlo, Pietro Yergnanini,
Francesco Porto, Girolamo Bolsec; nel 1536 il
giovane Calvino e Marot; Bernardino Ochino
volle annoverare fra i suoi cari amici.
Il frate senese predicò la quaresima del
1536 in S. Giovanni Maggiore di I^apoli.
Quantunque riportasse anche quella volta un
grande trionfo ed avesse l'onore di attirare nel
suo uditorio Carlo V, il quale soleva dire che
Ochino predicava in modo da far piangere 1
sassi, sembra che a quel tempo si manifestas-
sero i primi dubbi seri su F ortodossia di lui.
In Napoli tornò a predicare nel 1539 e nel
1540, ed ivi subì certo l' influsso del suo
amico Giovanni Yaldès.
Pertanto 1' Ordine dei Cappuccini nel 1538
lo aveva eletto generale (1). Tutta Italia ve-
(1) Il Boverio, annalista de' Cappuccini, così parla dello
Cellino : « prudente; sagace, di bei costumi, esercitatissimo
192
B. OCHIXO E l'eresia IX SIENA
niva iiiceiìdiata dalla sua parola. Ma le pre-
diche dette, fra il 1534 ed il 1542, in Roma,
ili A^enezia, in Mantova, in Modena, in Lucca,
in Ferrara, in Xapoli, in Siena, destarono i
sospetti, le mormorazioni, ed alline le aperte
accuse dei teoloi>i. Xaturalmente i suoi amici
lo difendevano. Vittoria Colonna in una let-
tera al Gonzaga in data 22 aprile 1538 scrive
che : « se andavano glosando di falsa invidia
le sue sante parole > e soggiunge: « se sta, li
dicono che cerca e desidera grandeze ; se va
humilmente predicando, dicono : fuge Roma —
lui non si excusa ne parla per non mostrar
credere che di lui si facci conto, et tanto ta-
cer potria attribuirsi a presumptione cer-
cano hor calunniar questo lume che havemo,
et di qua nasce che li eretici ce cavan gli oc-
chi ; perchè come Cristo compare, a modo di
per lungo uso di molte cose, ingegno e grandezza (Z' animo
ad abbracciar qualunque gran fatto; tanta compostezza esterna
ed onestà, che mostrava apparenza non vulgare di virtù\ e
santità ; mirabile predicatore, coli' eloquenza guadagnava gli
animi, sicché fu una generale approvazione allorché nel terzo
capitolo generale, fu eletto generale il 1538. E tolse ad am-
ministrar 1' Ordine con tanto consiglio, prudenza, zelo della
regolar osservanza, e coli' esempio, d' ogni virtìi, che i frati
s' applaudivano dell' elezione d' un tal uomo. Quasi sempre
pedestre visitò i vari conventi grande autorità godeva
presso re e principi, che l'usavano in difficilissimi consigli^ il
Papa avealo in moltissimo onore; talmente era cercato, che
bisognava ricorrere al Papa per averlo predicatore, e le più
grandi Chiese non bastavano agli uditori. »
193
CAPITOLO TI
pharisei andamo a le calunnie, a pervertir le
parole, a seminar occulte spine ».
L' Ocliino nel 1539 pubblicò la prima edi-
zione dei « Dialoghi » e le Prediche tenute
a Venezia in quelF anno uscirono aneli' esse
per le stampe. Quelle opere non ebbero il
plauso che aveva riscossa V arte oratoria del
predicatore. Frattanto egli andava realmente
spargendo per tutta Italia i semi dell' ere-
sia. L' aperta difesa eh' egli faceva della dot-
trina su la giustificazione per mezzo della
Fede, gli valse una denunzia dei teatini Ra-
niero Gualanti e Antonio Cappone nel 1539. I
N^ovatori crescevano. Il Caracciolo nella sua
vita di Paolo IV dice che « andavano attorno
iscritti prima, e poi stampati i libri di costoro
come di tanti profeti, e già in pochi anni non
solo i plebei ed ignoranti, ma anche molti si-
gnori e signore nobili e molti religiosi e preti
se si erano infetti ».
Il vento di novità religiosa che sofiìava
d' oltr' alpe aveva cangiato gli spiriti di vari
fra i più gravi ed intelligenti prelati cattolici
i quali si preoccupavano forte di quel moto e
stimavano necessaria una riforma di costumi in
seno alla Chiesa. ISTel 1538 fu pubblicato l' im-
portantissimo documento col titolo « Consili um
delectorum Cardinalium et aliorum praelatorum
de Emendanda Ecclesia » redatto da Gaspare
Contarini, Giampietro Caraffa, Iacopo Sado-
194
B. ocniNO E l'eresia in siexa
leto, Reginaldo Polo, Federico Fregoso, Gero-
lamo Aleandro, Giovali Matteo Giberti, Gre-
gorio Cortese e Tomiuaso Badia, che apparve
ai protestanti come una confessione la quale
riconosceva le accuse mosse a Konia ; e ne
menarono grande strepito.
L' opera dei riformatori cattolici divenne
estremamente difificile ; la gioia dei protestanti
indebolì Paolo III di fronte ai cattolici rea-
zionari ed egli non seppe decidersi a realiz-
zare subito la riforma nella linea esposta dai
più sapienti cardinali, come si può vedere dalle
lettere interessantissime di Ottaviano Lotti
scritte da Eoma ad Ercole Gonzaga nel 1538.
La principale quistione teologica che divideva
i due campi riguardava la giustificazione. Il
Contarini (1), il Polo, Pietro Martire, V Ochi-
(1) 11 Cardinale Gaspare Contarini è il più grande di quei
prelati della riforma cattolica che nel 1536 costituirono il
« Collegium de Emendanda Ecclesia » Egli osò scrivere que-
ste verità: « La legge del Cristo è una legge di libertà
ogni sovranità è una sovranità della ragione L'autorità
del Papa è anch' essa un' autorità della ragione. Un papa
deve sapere che è sopra uomini liberi che egli esercita que-
sta autorità. Egli non deve, a suo piacimento, comandare o
proibire, o dispensare, ma solo dietro le regole della ragio-
ne, dei divini Comandamenti e dell' amore : una regola che
tutto riconduce a Dio ed al bene comune ». Il Contarini fu
prima ambasciatore di Venezia, i^resso Carlo V, nei Paesi
Bassi, in Germania ed in Spagna. Nominato Cardinale da
Paolo III nel 1535, fu legato Pontificio alla dieta di Rati-
sboua nel 1541; purtroppo quivi riuscirono vani i suoi sforzi
195
CAPITOLO VI
no intendeyano fosse modificata la formula lu-
terana in una formula superiore che accettan-
dola impedisse tutta via la derogazione dalle
opere. Essi volevano su le opere dar la pre-
valenza ai meriti della Eede e della Reden-
zione di Cristo. Si determinarono in quegli
anni nel seno della Chiesa tre correnti spiri-
tuali che riapparvero pochi anni or sono nella
crisi del Modernismo : la tendenza nettamente
ereticale ; la tendenza conciliativa ; la reazio-
naria.
Quest' ultima trionfò, attraverso la nuova
congregazione del S. Ufficio, nel concilio di
Trento. I rappresentanti della corrente conci-
liativa, uomini di grande ingegno, di studio e
•di religiosa pietà, videro riuscir vani con sor-
presa dolorosa i loro sforzi, perchè ad essi
sfuggì la portata politica delle dottrine soste-
nute dalle due maggiori schiere combattenti.
La legione luterana mirava a sopraffare spiri-
tualmente r Italia per meglio conquistarla po-
liticamente, e di fatto il duca Cosimo di Firenze
consigliava con spirito machiavellico Carlo Y
per stabilire 1' unione fra i cattolici e i protestanti. Questo
grande Cardinale del secolo XVI non riuscì ad intendersi
con i protestanti e si rese sospetto presso i cattolici. Morì
a Bologna, pieno di sconforto, nell'agosto del 1542. Fra i suoi
numerosi scritti ricordiamo agli studiosi della riforma catto-
lica del Cinquecento il « Compendium primae philosopliiae »
ed un Trattato su la giustificazione ove egli si accosta molto
alla teoria dei protestanti sulla grazia.
196
B. OCIIIXO E L'EKESIA IX SIEXA
a mettersi per essa eontro il Papa (1). La
legione cattolica, piantando il sno campo a
Trento, oltre le barriere delle Alpi, cercò
nella difesa del patrimonio teologico tradi-
zionale di opporsi alla germanizzazione del-
l' Europa.
Fu buona fortuna, per Eoma, che Carlo V
fosse spagnuolo, cioè latino, cioè romano. Le
lotte religiose della Riforma furono essenzial-
mente lotte per una supremazia politico-spiri-
tuale fra la civiltà latina e le civiltà nordiche.
Xon rappresentano di fatto una insurrezione
dello spirito di libertà contro la legge autori-
taria, assoluta, di Roma ? la rivolta luterana
è una rivolta di barbari.
E questi nuovi ribelli, come i primitivi cri-
stiani, per scuotere il giogo della chiesa uffi-
ciale romana eh' era una cosa sola con il po-
tere politico dell' Impero, trovarono i semi
dell'anarchia nel Vangelo. Rivendicare lo spi-
rito del Vangelo contro il Papa, imperatore :
ecco il sogno di Lutero. Ricondurre gli uomini
a l'ebionismo antico; abbattere la magnitìcenza
dei templi cattolici, immagini di dominazione;
umiliare la gloria di Roma risorta, così splen-
dida, grazie al genio del Rinascimento ; questo
il desiderio segreto dei barbari.
(1) È noto che il Duca divenne più tardi uno dei bracci
forti dell' Inquisizione in Toscana e Hopratutto a Siena.
197
CAPITOLO VI
Il Concilio di Trento riconquistò a Roma
una metà delP Europa, che quella avrebbe cer-
tamente perduta, se fossero prevalse le teorie
conciliative dei modernisti, ingenui nel sup-
porre clie fosse in gioco unicamente l' interesse
religioso d' una fede. Essi dimenticavano che
la forza della propaganda protestante s' era
sviluppata nel 1535 particolarmente per la
proroga di dieci anni fatta dalla lega di Sma-
calda.
La riforma protestante avrebbe potuto van-
tare la bellezza d'una rivendicazione della fi-
losoiìa sostenendo nobilmente con le parole e
con i fatti essere necessaria la libera indagine
per la conquista della verità ; ma quei rifor-
matori non seppero dimostrarsi liberali ; sof-
ocarono le idee ; accesero roghi ; tutte cose
note ma che bisogna tener presenti per po-
terci spiegare il dramma spirituale di Bernar-
dino Ochino in terra d' esilio, e per mettere
in giusto rilievo l' importanza delle dottrine
sostenute contro Calvino e Lutero dagli eretici
senesi.
I roghi cattolici hanno almeno un fonda-
mento logico nel principio della Chiesa di
Roma che stabilisce una dottrina morale e so-
ciale da cui non può derogare, xitenendosi essa
depositaria dell' unico Yero^ dal quale deri-
vano libertà ben definite, non arbitrarie al-
l' individuo. Nella chiesa cattolica la ragione è
198
B. OCUINO E l' eresia IN SIENA
sottomessa alla Fede : il Yani>elo stesso non ha
valore fuor dell' interpretazione tradizionale,
custodita dai Vescovi con a capo il Pontefice.
I Gesuiti riaffermarono la supremazia as-
soluta del Papa sui Vescovi, e nel concilio di
Trento il padre Laynez salvò la compagine
deir Episcopato cattolico, disciplinandolo come
un esercito agli ordini del governo di Poma.
I membri del consiglio creato da Paolo III
per la riforma interna della chiesa, ed insieme
a loro le anime veramente religiose e cristiane
d' Italia, fra le quali viveva e combatteva
rOchino, furono preoccupate solo dal bene spi-
rituale delle moltitudini. Xon concepivano la
Chiesa come un governo politico, o almeno non
vedevano di questo governo le necessità reali-
stiche. Il loro sogno era un ritorno puro e
semplice alla fonte evangelica. Trascinati nel
turbine d' una gigantesca illusione si videro
spinti a r improvviso su 1' orlo de 1' eresia.
Gli spiriti meno audacemente mistici riuscirono
a ritrarsene come il Contarini, il Giberti, Vit-
toria Colonna ; i piìi sicuri della propria ve-
rità vissuta si precipitarono nel vortice come
r Ochino, Pietro Martire, Aonio Paleario che
tini sul rogo.
L' atteggiamento di ribellione verso Poma,
assunto dal frate senese, forse fu favorito in
parte dalle condizioni politiche della sua pa-
tria che le truppe del pontefice collegate a
199
CAPITOLO VI
quelle dei fiorentini e degli spagnoli stringe-
Yano a poco a poco in un cerchio di ferro.
L' Ocliino rimase sempre fedele a Siena : il suo
affetto era corrisposto dai suoi concittadini i
quali s' adoperavano continuamente ad averlo
in mezzo a loro, e simpatizzavano con le sue
idee come dimostrano vari documenti dell' ar-
chivio di Stato senese e dell' archivio segreto
Vaticano (1). Principi e repubbliche facevano
a gara per avere a predicatore 1' Ochino e met-
tevano in moto ambasciatori e cardinali per
ottenerlo dal pontefice.
In Siena egli predicò nel 1540 ed introdusse
allora nelle Compagnie la devozione delle Qua-
rant' ore, ma invece del Sacramento faceva
esporre il Crocifìsso. Egli stesso in varie epi-
stole dettò minutamente le regole per le pre-
ghiere ed i sermoni da tenersi negli oratori.
« I sermoni, egli scriveva, per non tediare
sieno brevissimi e divoti, ammaestrando sem-
pre a l'orazione;.... s'avvertisca che sieno brevi
e senza cerimonie, ringraziamenti e frasche-
rie. » I documenti Bernardiniani su le Qua-
ranta ore (2) risalgono agli anni 1540 e 1541
quando ne 1' anima del frate si maturava il
(1) Cfr. Docum. su l'eresia iu Siena pubblicati da Paolo
Piccolomini - in Bollettino senese di Storia Patria, voi XV e
fase. I, 1910.
(2) Furono pubblicati dal Cantù nel voi. II della sua opera
« Gli Eretici d'Italia » Torino, 1866.
200
B. ocnixo E l'eresia in siexa
proposito di staccarsi dalla chiesa cattolica, per
vivere, coni' egli diceva, più perfettamente il
Vangelo di Cristo.
Xel 1541, scaduto il triennio di governo, fu
rieletto Cxenerale dal suo Ordine benché facesse
tutto il possibile per ritìutare 1' alta carica.
Xel 1512 predicò a Venezia nella chiesa
dei SS. Apostoli, e per le varie accuse d'eresia
che lo colpirono fu cliiauiato a discolparsi di-
nanzi al ^Jfunzio Pontiticio, al quale disse con
una puntata ironica: «< E più difficile convin-
cere uno d'eresia, che accusarlo di oscura de-
finizione di frasi teologiche » . Quando ritornò
sul pulpito insorse a difendere violentemente
la libertà di parola, e siccome il Nunzio Fanno
innanzi aveva fatto arrestare come predicatore
d'eresia il teologo milanese Giulio Terenziano,
parve alludere al fatto FOchino quando uscì in
questo appello: « Che facciamo o uomini veneti"?
Che macchiniamo? O città regina del mare, se
coloro che t'annunziano il vero chiudi in carcere,
mandi alle galere, come si farà luogo la ve-
rità*? Oh potesse questa liberamente enunciarsi!
quanti ciechi recupererebbero la vista! »
L'eco di queste parole commosse sicuramente
gli uomini di Curia, poi che finita la quare-
sima egli ricevette una lettera gentile del Car-
dinal Farnese che lo invitava a lioma in nome
del Papa (1).
(1) Ecco la lettera del Card. Alessandro Farnese a Fra
201
CAPITOLO VI
Giovan Matteo Giberti, amicissimo deFOclii-
no, lo consigliò di obbedire mentr'egli nel frat-
tempo avrebbe cercato di dissipare nella corte
di Roma le prevenzioni e le accuse contro di
Ini. Ma ne FUrbe il gruppo dei nemici della
Kiforma diveniva sempre più forte e batta-
gliero. Il 21 luglio Paolo III lasciandosi pren-
dere sempre più la mano dal Card. Caraffa, che
dirigeva il movimento reazionario, instituì la
Congregazione dell'Indice, la quale secondo il
pensiero del Teatino doveva usar dolcezza e
misericordia con i pentiti e severità esemplare
con i ribelli.
Sarebbe bastato a Bernardino Ochino far
atto di sottomissione ai teologi romani per
riacquistare quel prestigio presso il pontefice
clie r alta sua carica ne P ordine cappuccino,
in certo modo, gli garantiva. Egli era il pre-
Bernardino pubblicata dal Piccolomini in Boll. Senese di St.
Pat. Anno XV. fase. Ili pag. 299-300.
A frate Bernardino.
Reverende Pater. Essendo venuto all' orecchie di Nostro
Signore alcune cose di certi frati dell'ordine vostro, che, per
esser sopra la materia della religione, tanto zelosa, hanno bi-
sogno di rimedio et che si osti a' principij; Sua Beatitudine,
che vi dice non potersi facilmente venire ad effetto rilevante
senza che prima ne possa ragionare con la Paternità vostra,,
le piacerà che, dopo ricevuta la j^resente, la pensi di ve-
nirsene fin qua quanto più presto lo potrà, con sanità ; alla
quale desidero che attenda, et che me habbia nelle sue ora-
tioni, offerendomi a Lei sempre.
Da Roma, a 15 di luglio 1542.
202
B. OCHIXO E l'eresia IX SIENA
dicatore più celebre cV Italia ; stimato da prin-
cipi e cardinali, ricolmo di tutti gli onori, e
r età matura di 55 anni sembrava proteggerlo
da un colpo di testa. Invece più d'ogni altra
considerazione potò in lui 1' orgoglio del suo
misticismo respirante ne V insofì'erenza d' ogni
giogo : ma egli non ebbe paura di sotì'rire, di
ritornare nella più buia povertiì ; quando si
pensa che il pontefice era pronto a crearlo
cardinale, e clie a F Ocliino sarebbe stato fa-
cile, mostrandosi leggermente ipocrita, di sod-
disfare ad ogni sete d' onori, pur di piegarsi
al partito dominante, non possiamo aderire al
giudizio di certi storici che troppo V hanno
denigrato per odio teologico.
L' Ochino prima di andare a Koma si volle
consigliare col Card. Contarini a Bologna, ma
questi, morente, gli disse parole d' incerto si-
gnificato. L' amico Pietro Martire, a Firenze,
lo dissuase dal presentarsi al tribunale degli
inquisitori. Andando a Roma gli si allacciava
il dilemma di rinnegare le sue dottrine o di
morire sul rogo. Da Firenze il 22 agosto 1542,
dopo aver fatta una corsa a Siena per salutare
i suoi, scrisse alla Marchesa di Pescara espo-
nendole r ansia segreta del suo spirito: « Con
non piccolo fastidio di mente mi trovo qui
fuor di Firenze (egli scriveva da Montughi)
venuto con animo d' andar a Roma, dove sono
chiamato, benché da molti ne sia stato dis-
203
CAPITOLO TI
suaso, intendendo il modo col quale procedo-
no ; perchè non potrei se non negar Cristo, o
esser crocifisso. Il primo non vorrei; il secon-
do sì, con la sua grazia, ma quando Lui vor-
rà. Andar io alla morte volontariamente non
lio questo spirito. Dio quando vorrà mi saprà
trovar per tutto... Ho inteso che il Farnese
dice che son chiamato perchè ho predicato
eresie e cose scandalose. Il Teatino (1), Puc-
cio (2), ed altri che io non voglio nominare,
dalli avvisi che ho avuti parlano in modo, che
se io avessi crocifìsso Cristo, non so se si fa-
rebbe tanto rumore.
Io son tale qual sa Y. S. e la dottrina si
può saper da chi mi ha udito: mai predicai
più riservato e con modestia che quest' anno,
e già senza udirmi mi hanno pubblicato per
un eretico. Ho piacere che da me incomincino
a riformare la Chiesa. » Si potrebbe scorgere
in quest' ultima frase un fremito di quel se-
greto orgoglio mistico che è il segno al quale
si riconosce un eretico da un santo genuino.
Gli eretici della tempra di questo frate senese
potrebbero dirsi dei santi falliti per mancanza
d' umiltà interna ; uscirono tutti dalla Chiesa
per ebrezza di passione mistica, per superbia
di santità.
(1) Card. Caraffa.
(2) Puccio Antonio, fiorentino, vescovo di Pistoia, cardi-
nale.
204
B. OCIIINO E l'eresia IX SIENA
L' Ocliino dopo molta esitanza dolorosa si
decise di abbandonare V Italia e la Chiesa.
Da Firenze passò in Lombardia dopo aver
fatta una breve visita alla Duchessa di Came-
rino. Da Morbe^no il 31 agosto 1542 scrisse
al vescovo Giberti per informarlo della sua
decisione : « Io ho fatto un passo sì aspro che
la difficoltà clie ci lio avuto mi fa pensare
che sia stato Dio che mi ha fatto pigliare
questo partito. > La lettera finisce con queste
parole : « Quando sarò fermo vi avvisarò, sa-
lutate tutti gli amici in Christo, et pregate
Dio per me. » Della triste novella ebbe gran
pena il santo vescovo e la rispecchia in una
sua lettera al Gonzaga.
Sul confine d' Italia, vicino alla vetta del
S. Bernardo, il mistico senese consegnò il si-
gillo della sua religione a Mariano da Quin-
zano, fratello laico che aveva condotto seco ;
si rivolse per un ultimo saluto verso la patria
che non doveva rivedere giammai, e pianse.
Poi prese la via dell' esilio.
La notizia improvvisa della fuga dell' O-
chino suscitò dovunque uno scandalo enorme;
i suoi nemici lo coprirono di contumelie e di
calunnie volgari (1); i suoi amici furono in-
quisiti per accusa d' eresia, compreso il Giberti.
(1) Cf. Giacomo Lingeo : « De vita et moribus atque re-
bus gestis haereticorum sui temporis >. Parigi, 1581, pag. 27,
205
CAPITOLO VI
Un suo discepolo fra' Bartolomeo da Cuneo
fa condannato a morte. Il card. Caraffa de-
plorò V apostasia de V Ocliino scrivendogli una
lettera piena d' invettive che è uno squarcio di
cattiva retorica ecclesiastica, ove ogni frase dà
suono di falso (i). Paolo III pensò di soppri-
mere r ordine dei cappuccini. In mezzo a
questa tempesta il celebre predicatore giungeva
ramingo a Ginevra d'onde scrisse alla Signoria
di Siena per darle ragione del suo passo e per
incitarla a convertirsi alla vera fede del Van-
gelo ; ed a 1' amico Gjerolamo Muzio volle
confidare i sensi dell' animo esulcerato « Mi
suadeva la priidentia humana a più presto mo-
rire, clie vivere così infame. Ma lo spirito ri-
spondeva, che è somma gloria del cristiano
vivere per Cristo, et con Cristo, infame al
mondo So bene che s' el pio et ancho il
prudente considerarà quello che ho lassato in
Italia, a quante calunnie mi son esposto, et
dove son andato in questa mia ultima età sarà
certo ch'el mio partirmi non nacque da humana
et carnale prudentia, ne anco da sensualità;
si come spero in Christo che la mia vita di-
mostrarà ».
Quando l'Ochino giunse a Ginevra, Calvino
si affrettò ad annunciarne la venuta a Melan-
(1) Questa lettera si può leggere nella Storia dei Teatini
di Giovan Battista vescovo di Acerra.
206
B. OCniXO E l'eresia IX SIENA
ione scrivendogli : « Abbiamo qui fra' Ber-
nardino, quel famoso, qui suo discessu non
pariim Italiam commovit » .
L'eresiarca di Ginevra sperava forse di uti-
lizzare a suo vantaggio Tingegno deirOcliino ma
rimase deluso che questi si ribellò a Calvino
com' erasi ribellato al Pontelìce. In Ginevra
istituiva la prima chiesa italiana protestante e
dava alle stampe varie opere fra le quali una
delle più violenti contro Roma che s' intitola
« Cento (qwloglii ». Calvino ])rese ad odiarlo
e lo fece prima scomunicare e poi scacciare
da Ginevra. A piedi, povero, terribilmente
solo, r Ochino andò a Basilea ov'eransi rifu-
giati, x)ieni di disgusto per gli eccessi dei ri-
formatori, Erasmo ed Hutten, ed OA^e il Froben
stampava scritti arditissimi. Quivi V Ochino
pubblicò i suoi sermoni. Ad Augusta giunse la
sua fama e fu richiesto come predicatore con.
Tofterta di 200 fiorini di stipendio, e vi rimase
finche non giunse a discacciamelo Carlo Y.
In queir occasione ebbe salva la vita per
miracolo. A Strasburgo ritrovò l'amico Pietro
Martire e con lui passava in Inghilterra, a
predicare ai rifugiati italiani. Chi segua con il
pensiero questo fuggiasco senese del sec. XYI
crederà di vedere Mazzini, ramingo di terra
in terra, per sete di libertà.
Cessato nella Gran Bretagna il regime di
tolleranza religiosa con la morte di re Edoar-
207
CAPITOLO VI
do VI, rOcliino si rifugiò novamente in Sviz-
zera e fu eletto Pastore dagli emigrati italiani
di Locamo. Sembra clie aderisse alle opinioni
di Zuinglio ma ben presto non solo le abban-
donò ma tolse ad impugnarle dal pulpito, ciò
che gli valse una nuova condanna al bando.
Vecchio di 76 anni, riprese a piedi la via
dell'esilio ed a piccole tappe, vincendo grandi
disagi, andò in Polonia a predicare ai fratelli
italiani di Cracovia.
Protestanti e cattolici V odiavano ormai
d' un odio comune. Il protestante Bullinger
quando apparvero i suoi « Trenta Dialoghi »
scrisse dell' Ocliino : « è uomo dotto in senso
reprobo, ingrato contro il Senato (di Zurigo)
e i ministri, empio, malizioso, per non dire
bugiardissimo ». E 1' Ochino di rimando gli
rispose : « IS^on pensavo che il Bullinger fosse
papa a Zurigo, e che non solamente a' suoi
precetti, ma ancora alle sue esortazioni si aves-
se ad obbedire... »
Mentre polemizzava con i capi del movi-
mento protestante non lasciava di rispondere
agli attacchi dei teologi italiani.
Acerrimo nemico gli fu il suo concittadino
Ambrogio Catarino Polito. Questa figura che
Josef Schweizer ha messo recentemente in lu-
ce (1), seguì in Firenze la corte di Leone X.
(1) losef Schweizer Ambrosius Catharinus Politus (1484-
208
B. OCHINO E l'eresia IN SIENA
La fiimiliarità con un Piagnono e la lettura
delle opere di fra' Girolamo Savonarola indus-
sero Ambrogio a lasciare il mondo per il
chiostro, e prese 1' abito di S. Domenico in
S. Marco a Firenze col nome di Catarino. Il
fratello di lui Tommaso Politi fu il primo
cittadino senese che osò denunciare al Consi-
siglio di Balìa Don Diego di Mendoza come
traditore della Eepubblica, e n' ebbe in premio
la morte.
Ambrogio gli scrisse quand' era in carcere
due lettere ove si palesa F animo suo di rea-
zionario, incapace di comprendere gli ardimenti
di chi ama la libertà (1).
I trentasei anni della sua vita ecclesiastica
trascorse in Siena come priore di S. Domeni-
co, poi in Francia, poi a Trento ed a Bolo-
gna, ove partecipò attivamente ai lavori del
Concilio. Fu tra 1 più fieri confutatori di Lu-
tero ed uno dei più temuti capitani delle le-
gioni cattoliche contro la Eiforma.
Lo spirito dei teìnpi nuovi egli combattè
perfino in quel Savonarola che tanto aveva
amato in gioventù, ma soprattutto in Bernar-
dino Ochino. La violenza che quest' ultimo
1553), ein Tlieologe des Reformationszeitalters. Sein Leben
Tind seine Scbriften. Mùnster ; W., Dnick und Verlag der
Asclieudorffscben BucliliandluDg, 1910.
(1) Si possono leggere ne 1' Appendice al Diario di Ales-
sandro Sozzini.
209
CAPITOLO VI
mise nel combattere il Papato, Ambrogio Ca-
tarino la spiegò nel difenderlo. Fattosi asser-
tore dell' immacolata concezione di Maria,]
dottrina carissima ai senesi, venne in contra-
sto con i superiori del proprio Ordine, iinj
frazione del quale lo rinnegò. Il suo zelo cat^
tolico lo trasse a combattere Erasmo di Roti
terdam, Machiavelli, ed anche il cardinal di
Gaeta Tommaso de Vio, e Bartolomeo Spina^
maestro dei Palazzi Apostolici.
Assai strano è il caso che questo « Miles
Christi » del sec. XVI il quale riuscì a diven-
tar vescovo per lo spirito battagliero cosi pro-
fondamente ortodosso, dopo morte, s' ebbe da
Roma condannate le sue sentenze su la gra-
zia, la predestinazione, ed il sacramento euca-
ristico. Si vede che un fato singolare prede-
stinava i mistici senesi a bruciacchiarsi, vivi
o morti, nelP eresia.
L' Ochino non ebbe mai pace. Invano cercò
un rifugio a Basilea ed a Mulhausen. Discac-
ciato da tutti, si nascose in Moravia, ove alfine
r accoglieva tra le sue braccia la morte nel
1564.
Un fatto è degno di nota. Chi fosse en-
trato insieme a Luca d' Olanda nel cenacolo
romano di S. Silvestro al Quirinale, dinanzi
agli occhi pensierosi di Vittoria Colonna ed
a quelli velati d' angoscia del divino Miclie-
langiolo, avrebbe veduto un frate comentare
210
Ritratto di Fausto Socini
(Stampa sec. XVII),
B. OCIIIXO E l'EEESIA IN SIENA
sottilmente le epistole di S. Paolo. Quel frate
era il senese xin^brogio Catarino Polito.
Se lo spirito delia controriforma trionfai va
in Roma, ben ditlìcilmente riusciva a soiìbcarc
in Siena, caduta nello mani di Carlo V, la
libertà di pensare, di credere, di amare, con
queir entusiasmo pazzesco e generoso clic fu
il dono dei suoi mistici.
Il processo di Acliille BeiiToglienti mostra
come il fuoco eretico covasse nella città mi-
stica (1). 11 senese Mino Gelsi fuggiva nel 15G9
dalle strette dell'Inquisizione favorita dal duca
Cosimo e passava fra i Grigioni e poi a Ba-
silea cercando sempre di mettere pace fra i
dissidenti ; ed egli fu uno dei tre teologi pro-
testanti che, soli, disapprovarono il supplizio
del Serveto.
Ad alcuni eretici senesi scacciati dalla pa-
tria, come il Gelsi (2), e soprattutto ai Socini,
risale il vanto di aver propagato primamente
le idee che negano a l'uomo il diritto di con-
dannare a morte un suo simile, e clie svilup-
pate più tardi dai nostri più grandi penalisti
dovevano informare il codice della terza Italia.
(1) Vedi ne l'Arcliivio di Firenze il Carteggio di Cosimo^
Filza 200 e 214.
(2) Vedasi di Mino Gelsi « Disputatio in hoereticis coèr-
cendis quatenus progredi liceat, ubi noniinatim eos ultimo
supplicio affici non debere aperte demonstratur. »
211
CAPITOLO VI
Lelio e Fausto Socini (1) uscivano da una
famiglia di magistrati e pensatori che nel Quat-
trocento dette alla Repubblica il suo più gran-
de Umanista nel famoso giureconsulto Mariano
il Vecchio.
Ohi non ricorda d'aver veduto nel palazzo
del Bargello l'immagine di questo senese scol-
pita nel bronzo dal suo concittadino il Vec-
chietta f Mariano è steso esanime sopra una
coltre funerea, con le membra raccolte nel saio
di S. Domenico, a piedi nudi ; s' incornicia nel
cappuccio un viso solcato da rughe profonde,
incise più che dagli anni, dai pensieri ; su gli
occhi sigillati ne le fosse delle orbite sembra
che pesi il dolore dei mali ch'egli presentì per
la sua patria.
Ma r aspetto di quel volto è tranquillo,
rischiarato quasi dalla luce della filosofìa e
della fedo eh' egli ospitò nella sua mente. Già
di lui scrisse Pio II che lo conobbe: « il
volto suo, come Socratico, sempre è d'una me-
desima qualità, ne mai si muta > . E nel libro
dei morti di S. Domenico si legge « che i suoi
consigli erano stimati come se fossero proce-
duti dalla bocca di Dio ».
Nella prefazione alla Storia di due Amanti
dedicata a Gaspare Slyck cancelliere cesareo,
il Piccolomini ci offre il ritratto del suo ami-
li) Vedi illustraz. n.^ 24.
212
B. OCniNO E L^ ERESIA IX SIEXA
CO Mariano Sozzini. « Costui e eloquente : è
dottore in ragione canonica e civile; ò buono
istoriografo, dotto in poesia, e leggiadramente
in latino ed italiano i suoi versi scrive. Sa
quanto Platone in filosofìa, come Boezio è
geometra, pari a Macrobio nella musica e non
v' ha istromento eli' egli non conosca ; peritis-
simo è in agricoltura come Virgilio. Sa ciò
che alla vera civiltà si conviene. Mentre che
le forze erano nel suo giovanil corpo, egli
era, come Entello, maestro di giuocare alle
braccia ; ed in correre e saltare ed al cesto da
nessuno era superato >.
Era i diversi Socini che audacemente rac-
colsero il vessillo della Ixiforma caduto dalle
mani di Bernardino Ochino, in quel triste tra-
monto di tutte le libertà senesi, più celebri
son rimasti i ricordati Lelio e Eausto.
Lelio Socino nato in Siena nel 1525 fu
ammesso nel 1546, a 21 anno, nelF Accademia
di Vicenza ove cominciò a tenere conferenze
intese a demolire la credenza nella divinità di
Cristo. Per meglio approfondire 1' esegesi bi-
blica egli studiò ed apprese mirabilmente il
greco, r ebraico e 1' arabo. Ben presto si vide
costretto, per le idee che professava, a lasciar
l'Italia e per quattro anni viaggiò in Erancia,
in Inghilterra, nei Paesi Bassi, in Germania,
in Polonia.
Prese stanza finalmente a Zurigo, ove lo
213
CAPITOLO VI
ebbero carissimo Melantone ed altri capi della
Kiforma Protestante. Ma Calvino in cuor suo
diffidava di questo libero spirito troppo affama-
to di verità e nel 1552 gli scriveva: « Quel
clie v' lio detto già altra volta or ve lo ripeto
sul serio ; se non correggete cotesto prurito
d' indagine, temete d' incontri gravissimi. » Il
disgusto di Lelio per 1' intolleranza di Calvino
si manifestò ben presto in un opuscolo pubbli-
cato nel 1554 senza nome di autore ne luogo
di stampa (1).
Lelio, passando in Polonia, aderì aperta-
mente alle dottrine antitrinitarie ond' erasi
fatto banditore Giovanni Valentino Gentile da
Cosenza, e venne per tal guisa a capitanare quel
gruppo protestante unitario contro il quale s'ac-
canì con particolar gusto Calvino.
Lelio Socino moriva a Zurigo nel 1562, ma
Fausto, suo nipote e discepolo, ne ravvivava il
pensiero sviluppando la fede sociniana in una
piccola Chiesuola fondata a Cracovia, la quale
fu distrutta solo nel 1658 quando per legge
furono espulsi gli eretici.
Questa curiosa setta senese trapiantata in
Polonia, in mezzo a quella gente slava che
per ardore mistico e per mobilità spirituale in-
ducente a divisione gii animi, ha diversi punti
(1) S' intitola : « De Jiaeretlcis quo jiire, quove fructii
coerecndi sunt gladio vel igne , dialogus inter Calvinum et
Vaticanum. »
214
15. OCHIXO E L'EHIÙSIA IX SIENA
(li parentela cou V antica gente della città to-
scana, si distinse da le altre sette dei Lni cra-
ni, Calvinisti, Ussiti, Sacramentari, Anabattisti,
Triteisti, Ariani. La caratterizza il fatto elio
da essa fu sbandito per la prima volta ogni
dogma clic trascenda la ragione, alla quale
Fausto nella sua chiesuola rivendicò l'assoluto
predominio.
L'Ocliino aveva fiitta l'apologia della Fede
assoluta in nome della libertà ; Fausto Socino
fece l' apologia della Ragione autonoma nel
nome della medesima. Cristo, j^er lui, a diffe-
renza che per Lutero e Calvino, non è più il
Verbo incarnato. Dio rivelato agli uomini, ma
un uomo che per grazia dello spirito supremo,
assorse al grado di Maestro d' ogni vero su la
terra, e che meritò per questo, dopo morto, gli
onori della Divinità. N'el concetto del Socino,
il Cristo, per. le sue opere e dottrine sublimi,
merita di essere adorato come Dio. Ma gli uo-
mini sono pienamente liberi nelle loro azioni
ne possono riconoscere al Cristo d' aver soddi-
sfatto con la redenzione ai loro peccati. L'uo-
mo fu mortale prima della cosiddetta caduta ;
non si trasmette la colpa d^ origine. Ogni ani-
ma arriva a discernere da sé il bene ed il male.
Il Socino dà un valore puramente allegorico
ai Sacramenti. Xella fede di lui l' idea reli-
giosa non è che un riflesso dell' idea morale.
La religione è 1' ancella dell' Etica. De' libri
215
CAPITOLO VI
sacri non si deve accettare nulla che contrad-
dica air intelligenza.
Per queste dottrine il Socino può conside-
rarsi il padre del razionalismo moderno. Ma
se nel campo filosofico egli fu in certo modo
un precursore di Cartesio, di Spinoza, di Bayle
e di Kant ; se nel campo dell' esegesi biblica,
umanizzando il Cristo, negandolo al suo mi-
stero, annunziò 1' opera dello Strauss e del
Renan ; sul terreno delle riforme umanitarie,
e nelle dottrine di diritto penale egli fu il pri-
mo apostolo del socialismo moderno.
Come il Tolstoi, esagerando la dottrina evan-
gelica del perdono, negò la legittimità della
guerra e quella di qualsiasi magistratura rive-
stita di potere punitivo.
Il Socino inculcò ai suoi seguaci di non
resistere al male, e mentre predicava agli uo-
mini la concordia e 1' amore, vide agitarglisi
contro, sollevata dall' odio teologico, la plebe
di Varsavia, che l'avrebbe volentieri messo a
morte. Egli si ritirò allora con pochi ed ardenti
seguaci in un villaggio distante 10 miglia da
Cracovia, ove morì il 3 marzo 1604. Sopra la
tomba furono inscritti questi esametri :
Tota licet Babylon destkuxit tecta Lutherus,
Calvinds muros, sed fundamenta Socinus.
jgi_
216
Busto presunto di Brandano.
SIENA. (Museo dell' Opera del Duomo)
zx^ Il i1|<>|i I II >0>c II I ioli I II ><>< — rr
CAPITOLO YII.
BRA^DANO IL PAZZO DI CRISTO.
Singolare, caratteristica è la figura di que-
sto profeta plebeo. La sua storia ondeggia ne-
cessariamente fra la realtà e la leggenda per-
chè visse in una tempesta di furiose passioni;
ed il popolo senese, il quale lo proclamò beato
a dispetto della Curia romana, volle glorificare
se stesso, immortalando nel nome di lui, come
in un vessillo fatale, la propria fede in Dio
e nella Repubblica, e 1' odio tenace per i vio-
latori delle libertà cittadine clie Brandano
seppe manifestare con fremiti di ribellione
contro Clejnente VII e 1' imperatore Carlo V.
Malgrado il fervido amore portato al Cri-
sto, egli non ricorda alcuno dei santi cristiani ;
e la violenza delle sue minacce, delle sue pe-
nitenze, delle sue azioni, supera quella di
molti apocalittici cristiani. La sua intima psi-
cologia religiosa, per taluni aspetti più che
217
CAPITOLO VII
cristiana è giudaica, soprattutto se la si con-
sideri lumeggiata dall' interna vis profetica ;
aiiclie le condizioni che travagliavano la sua
patria, Siena, consimili a quelle attraversate
dal popolo ebreo quando generò grandi con-
duttori religiosi, son tali da farci comprendere
lo spirito aspro d' insofferenza, fiero, implaca-
bile, che accese quest' uomo il quale non in-
dietreggiò neppure dinanzi al pensiero dell'omi-
cidio politico,
I mistici senesi furono dei violenti: violen-
ti nella carità come Caterina Benincasa ; nel-
r apostolato sociale come il Colombini ; nella
predicazione come San Bernardino ; tutti usa-
rono verso gli umili e verso i superbi del
mondo il medesimo linguaggio schietto, rude,
imperatorio. Tutti da Santa Caterina fino a
Davide Lazzaretti (1) ebbero in sommo dispre-
gio la propria vita e si mostrarono desiderosi
di sacrificarla per il bene degli altri, così che
il segreto del loro fascino sulle moltitudini
vien spiegato in gran parte dalla bellezza
dell' offerto martirio, dalla posta eroica del
proprio sangue eh' essi misero come prezzo
della vittoria. Tutti o quasi attraversarono le
fiamme dell' eresia, ma nessuno come Branda-
no fu sì violento nell' amore della patria, da
(1) Sopra Davide Lazzaretti ed il Lazzaretti sino, non ancora
spento su la montagna di S. Fiora, pubblicai un saggio nel
giornale « La Voce » Anno I, 2 dicembre, 1909.
218
BRAXDAXO IL PAZZO DI CraSTO
offrirci il tipo cV una vigorosa ed originalissi-
ma personalità mistica, clic più ci meraviglia,
quando, dopo averla storicamente ricostruita,
consideriamo che potè assorgere alTonor degli
altari senza che lloma riuscisse ad impedirlo.
Del culto religioso goduto in patria da Bran-
dano non possiamo dubitare. Difatto nelle me-
morie della Compagnia della Madonna sotto
r Ospedale scritte poco dopo la sua morte, gli
viene attribuito il titolo di beato (1) e si as-
serisce che egli avesse lo spirito di profezia :
certamente il popolo lo credeva un santo, giac-
che quando il cadavere fu trasportato dalla
casa di Giovan Battista Buoninsegni, in Siena,
ov' egli morì, alla chiesa di San Martino nella
quale venne con molti onori sepolto, grandis-
sima fu la ressa dei devoti secondo la testi-
monianza di un contemporaneo, che si litiga-
rono i brandelli delle vesti per serbarli come
reliquie, e sempre dipoi il popolo lo tenne in
fama di santità, e 1' arcivescovo Camillo Bor-
ghesi Tanno 1G12 fece pubblicare un editto in
cui esortava i fedeli a venerarlo come beato.
Oggi il ricordo del profeta popolare che
parve nel corpo avvilito ospitar 1' anima della
Repubblica moribonda si è quasi dileguato, ed
il suo nome, più che nelle preci dei devoti,
(1) Il decreto è riportato dal Pecci a pagina 83 della
Vita di Brandano, pubblicata iu Siena i)er Fhanc. Quinza
€d Ag. Bi>'di, nel 1746.
219
CAPITOLO VII
si riode talvolta, per antico proverbio, lanciato
come insulto da qualche lingua popolana: Ya
là ! Sei un Brandano ! — significa : vattene,
straccione !
L' umiltà delle vesti lacere onde gloriavasi
11 profeta, e che già parve segno di perfezione
ai contemporanei, da parecchio tempo è sino-
nimo di avvilimento, da quando cioè nella me-
moria del popolo senese si è oscurata l' imma-
gine bizzarra e temuta dell'apostolo eremita,
del quale alcuni vogliono tramandate le sem-
bianze mortali in un caratteristico busto d'ignoto
autore (1).
Yi è qualcosa di michelangiolesco in quel-
la scarna faccia dagli occhi pieni di martirio
e dal forte naso dominante l'ampia barba fluen-
te sul petto sì da ricoprirlo tutto. Atteggiato
a giudice severo e sdegnoso, sembra davvero
eh' egli pronunci in tono aspro le parole am-
monitrici della scritta che ricorre sul piedi-
stallo : « Eicordatevi che dovete morire. Per
voi non vi è altro che il ]3aradiso o l' inferno.
Averete il paradiso se operarete bene. Averete
1' inferno se operarete male > .
N'ella Confessione di . Brandano (2) ci si
(1) Vedi illustraz. n.'^ 25.
(2) Vedasi il Cod. K, Vili, 55 della Bibl. com. di Siena.
Vi si legge : « La presente vita o confesso di Brandano è
stata scritta e conservata da Simon Pietro Cipriano nel suo
originale molto antico, scritto da Tommè Squarci contempo-
220
BKANDANO IL PAZZO DI CRISTO
offre del mistico senese un ritratto il quale
sembra la descrizione di quello dipinto dal ni-
pote Anselmo Garosi che si conserva nella sa-
crestia della chiesa di Provenzano in Siena (I).
Ivi si legge eh' egli « portava li capelli lon-
ghi fino alle spalle folti e sparti, era di volto
assai fiero et haveva aspetto di persona rozza ;
nella statura del corpo, nella disposizione della
persona, nei gesti, nei costumi, si mostrava
simigliante agli apostoli di Gesù Cristo e fu
loro imitatore nella penitenza ».
Bartolomeo Garosi nacque di famiglia con-
tadina verso il 1490 in Petroio, paese di-
stante una ventina di miglia da Siena. Il padre
si chiamava Savino e la madre Meia, diminu-
tivo di Bartolomea, nome che pur s' ebbe il
figlio soprannominato a sua volta Brandano.
La giovinezza di Brandano, come quella
di altri santi, fu molto scandalosa essendo egli
grande bestemmiatore e dedito viziosamente al
giuoco. Un giorno mentre zappava la terra
d'un campo, da una scheggia di pietra infran-
ta restò percosso nella pupilla dell' occhio si-
nistro e privato in parte della luce. Del fatto
rimase confuso e compunto e nacque in lui
un fermo quantunque improvviso desiderio di
raneo di Brandano, dopo il suo ritorno che fece di Spagna
il penitente Brandano e da me copiata fedelmente Gasi^aro
Maria Giannelli il 2 giugno 179G et in fede mano propria ».
(1) Vedi illustraz. n.» 26.
221
CAPITOLO VII
mutar vita, per servire fedelmente il Signore.
Aveva allora 38 anni. Il medesimo episodio
della cecità, motivante la conversione, ritrovasi
nella vita d^un altro mistico, il B. Franco
Lippi vissuto nella prima metà del sec. XIII
e che appare il prototipo del più fiero asceti-
smo senese. Ancli^ ^g^h come Brandano. sem-
bra che fosse in gioventù dedito al giuoco e
facile alla bestemmia e per punirsi dei suoi falli
martoriò il corpo orribilmente. La sua cella ave-
va seminato di spini e d'oggetti pungenti ed ogni
dì dopo nona vi camminava a piedi nudi. Si fece
un cimiero con cerchi di ferro che portava in
testa per tormentarla e indossava un giaco di
grosse maglie di ferro sulle carni flagellate. E
incredibile la ferocia dei primitivi mistici se-
nesi contro se stessi. Bisogna rileggere le vite
dei penitenti eremiti e le cronache leccetane
per intendere quali gradi di follia ascetic^a toc-
cassero alcuni. ìfel convento di Lecceto si rifu-
giavano molti uomini invasi dalla voluttà della
penitenza, e quivi fiorirono i miracoli, le belle
leggende, i fatti terribili e strani che abbiamo
veduti raccolti e descritti da Fra Filippo degli
Agazzari. Ivi il B, Antonio Patrizi morì nel
1230, e sepolto sotto la gronda d' un tetto nel
cimitero comune dei religiosi, ogni anno dalla
sua bocca fioriva un giglio. Ivi il B. Pietro
dei Bossi visse piangendo la passione di Cristo
insieme al compagno Giovanni Incontri, ed i
222
Ritratto di Brandano.
SIENA. (Chiesa di Provenzano) Ansklmo Cakosi.
BRAXDANO IL PAZZO DI CRISTO
loro A'olti, consunti dalle lacrime, furono visti
ridere una Aolta sola, dopo divenuti cadaveri.
Santa Caterina scosse per la prima ^11 ere-
mitani di Lecceto dal lago stagnante del loro
misticismo infecondo ed esortò il beato Felice
dei Tancredi ed il beato Giovanni Tantucci
ad uscire dal deserto per predicare la parola
di Dio. Ma gli spiriti e le forme dell' antica
vita penitente non scomparirono da Siena. E
Brandano per ciò che riguarda la disciplina
della carne si ricongiunge direttamente ai mo-
naci primitivi e particolarmente al B. Franco
Lippi così come x^er il fervore oratorio a San
Bernardino : di originalmente suo, derivatogli
dal temperamento e dalle condizioni politiclie
e religiose del tempo, ebbe lo spirito profetico
congiunto ad un mirabile sentimento patriot-
tico. Si x)uò dire che la fiaccola fumosa del
vaticinio egli brandisse, incendiario di Cristo,
per difendere la patria dallo straniero.
In quegli anni di lenta e tragica agonia
della gloriosa Kepubblica, 1' opera di Brandano
e perfino le sue cupe ammonizioni pervase dal
dolore, non sono prive di un misterioso signi-
ficato per chi voglia e sappia meditarle in cor-
rispondenza con i fatti che dovevano seguire.
S' adombra nel pianto di quelle profezie l'im-
minente sciagura dell'Italia che cadeva vittima
della sua debolezza morale.
Brandano conobbe eh' era destinato ad cs-
223
CAPITOLO VII
sere la viva figura del Cristo. Una delle sue
prime prediche, doj^o il ritiro semestrale a Mon-
tefoUonica, colpì subito i cattivi sacerdoti ina-
sprendo per tal modo contro di lui la casta
clericale nella stessa guisa che il Cristo si at-
tirò gli odi della sinagoga. A Celle ed a San
Casciano fu ripagato a suon di bastone. Un
giorno giunse a Radicofani e nelle pagine auto-
biografiche della Confessione racconta : « Era
il giorno di venerdì e per essere tutto percosso
e stanco quelli della terra mi ricevettero grata-
mente con allegra faccia. Il mio dolce Gesù
mi ispirava che quel giorno m' accostarci alla
morte; mi fu portato di far colazione ed io di-
cevo a loro: mi fate molta festa e mi tradirete.
Quelli rispondevano: Bartolomeo non dubitare
di cosa alcuna, noi non siamo come quelli di
Celle e di San Casciano. Mossi a pietà di me,
per essare ignudo, un soldato mi messe una
camicia bianca addosso et io diceva con gran-
dissima paura: questa è la porpora ! Loro mi
dicevano che non avessi paura, per derisione o
burla. Quelli soldati presero un paro di forbi-
ci e mi fecero una croce nel mezzo della testa » .
E questo fu il crisma del pazzo di Cristo.
Il padre Landucci nella sua Selva leccetana
riferisce com' egli chiedesse in grazia di figu-
rare in se stesso la persona del Buon Ladrone
Bel giorno del venerdì santo, in cui secondo
P uso di quei tempi rappresenta vasi material-
224
BRANDAXO IL PAZZO DI CRISTO
meute la passione del Salvatore. Oltennto il
permesso e collocato su la croce altro non fece
che piangere, e furono così abbondanti le la-
grime che ne restò bagnato il pavimento: de-
l)OSto dalla croce, ricoprì la sua nudità vesten-
do un sacco di capecchio, ed a piedi scalzi,
ogni giorno, alTalba, usciva per la terra di Pe-
troio ad esortare la gente a convertirsi, batten-
dosi fieramente il petto con una pietra finché
il sangue spicciava dalla carne contusa in ab-
bondanza, eccitato forse a simile forma di pe-
nitenza dalla contemplazione delle immagini
di San Girolamo che si vedevano nei quadri
religiosi dei pittori contemporanei.
Questo fu il principio della conversione. Ma
in breve abbandonando il suo corpo sempre
più a dure vigilie ed a penitenze crudeli si
sentì a poco a poco invaso di spirito profetico,
ed acquistata coscienza d' una misteriosa mis-
sione si dette infaticabilmente a predicare.
Xei pulpiti delle chiese, sui muricelli delle
strade o delle piazze, sx)ecialmente nei luoghi
ove si assembrava più numeroso il popolo per
feste o mercati, fu visto allora apparire una
figura strana di uomo che battendosi con una
pietra il petto richiamava a predica la gente.
Egli portava sempre su di sé il testo degli
evangeli, e siccome non sapeva leggere, face-
vasi dichiarare da qualche sacerdote il passo
ricorrente nel giorno ; quindi improvvisando,
225
CAPITOLO VII
incatenava V attenzione dell' uditorio per due
o tre ore di seguito tenendo nella mano de-
stra un crocifìsso d' ottone con le due Marie,
come si vede nel quadro di Anselmo Garosi,
e nella sinistra un teschio di morto; avvolto il
collo d' una fune, terribile nelP aspetto della
pallida faccia, ove lampeggiavano incavati nelle
orbite due occhi olivastri, e nel tono della voce
annunciante ai peccatori i flagelli dell' ira di-
vina sterminatrice.
Naturalmente questo pazzo che pur talvolta
parlava da savio e del quale vedevansi spesso
avverati i presagi nella desolazione dei tempi,
e che splendeva di rare virtù, venne fatto ber-
saglio di odi e d' ingiurie che egli soffriva con
gioia. Il popolo senese si ravvisò nel perse-
guitato de' potenti ; ma in lui vide ancora un
messo di Dio, un vendicatore della patria ac-
cerchiata dagli eserciti spagnuoli e papali, e se
ne compiacque, e 1' esaltò con la sua ammira-
zione plasmata di religioso timore e di patriot-
tico entusiasmo.
Quando in Siena decadde la fazione dei
Nove, i Popolari uniti con gli altri Ordini del
Gentiluomo, del Riformatore, e dei Dodici, e
con la minuta plebe stabilirono di voler vivere
secondo le leggi dell' antica libertà e mai più
soggettarsi ad alcun tiranno dopo l'esperienza
trista del Petrucci. I Grandi, scacciati, anda-
rono per le corti d' Italia ad eccitare tatti i
226
BRANDANO IL PAZZO DI CRISTO
principi contro la propria patria tincliè le loro
suppliche furono accolte da Clemente VII de-
sideroso di piegare la città di Siena alla si-
gnoria della sua casata. Xeiranno 1526 Siena
fu stretta d' assedio dallo truppe riunite dei
fiorentini e del pontelice. In quei giorni di
pericolo Brandano incuorò i senesi alla resi-
stenza profetando la vittoria. I pochi ma va-
lorosi senesi sconfissero di fatto gli assalitori
in una battaglia campale, e Brandano dovette
involarsi dall' entusiasmo popolare. Il profeta
corse allora a Boma e cominciò a predicare
per le piazze contro Clemente VII e contro
la città nemica, terribili castighi.
Fra Mariano Fedeli, che fu confessore di
Brandano, scrive nella descrizione della vita
di lui riferita dal Pecci, il seguente fatto av-
venuto in queir anno 1526 in Eoma, come
dettatogli da lui medesimo : « Io una mattina
ispirato da N^òstro Signore, entrai in campo-
santo e pigliai una bracciata di stinchi di
morti, e gli portai a una scala per dove aveva
da passare il papa per dire la messa a San
Pietro, e pigliando quelli stinchi, mentre egli
passava, ne dono uno per ciascuno a quei car-
dinali, e uno ne volsi dare al papa; ma egli
schifandolo, lo buttai ai suoi piedi, sempre
dicendogli che si raccomandasse a Dio perchè
ognuno aveva da rosicare il suo osso : ma
nello scendere che io feci dalle scale di San
227
CAPITOLO YII
Pietro certi maP uomini, o fosse la Corte, mi
legarono e mi trascinarono nella prigione di
Tor di ISTona dove stetti sempre predicando a
quei carcerati la parola di Dio. Una mattina
a buon' ora mi pigliarono^ e senza vedere dove
mi portassero, mi sentii buttare nel fiume, e
per la strada sentii sempre grandissima quan-
tità di popolo che piangeva con molte strida e
allora mi accorsi che mi conducevano a farmi
morire; ma subito cominciai a raccomandarmi
a Dio, e sentii che ero dentro al fiume, e
r acqua mi faceva un grandissimo strepito, e
mi trovai legato in un sacco con una cosa
molto pesante : allargate le mani il sacco si
sciolse miracolosamente e cadde una folgore di
fuoco, e stato che io ebbi un pezzo molto ri-
posato fuori di sentimento, mi trovai a San
Favolo tutto impastoiato nel sacco, e pieno di
loto, e allora camminando truovai il papa che
andava alle sette chiese, e dopo che egli mi
ebbe guardato con molta meraviglia, gli dissi
molte cose dell' ira di Dio contro di lui, rim-
proverandogli, e ch'erano finite le sue felicità
di questo mondo ; ma egli impetuosamente mi
fece di nuovo carcerare.
Sembra che il papa di ciò si ripentisse e
lo facesse uscire di prigione col dire : « se egli
è matto, è pazzia il fargli male ; se egli poi è
persona buona e grata a Dio, peggio è stra-
ziarlo. » Questo detto sensato del pontefice ri-
228
BEANDAXO IL PAZZO DI CRISTO
ferisce come autentico Angelo Bardi, un con-
temporaneo, nella sua storia di Siena, inedita.
Sta il fatto che d'allora in poi Brandano non
ebbe più molestie e potò continuare le sue
prediche per le vie di Koma, lanciando vati-
cini d' imminente rovina che tutti videro av-
verarsi l'anno seguente 1527, nel funesto sacco
di Roma, compiuto dalle truppe imperiali,
quando il papa stesso fu fatto prigione.
L' odio di Brandano per il pontetìce (1) fu
solo superato da quello che nutrì per gli spa-
gnuoli. Xarra una vecchia cronaca che al-
lorquando D. Diego di Mendoza condusse in
Siena il jiresidio spagnuolo si vide il profeta,
il quale camminando per la città « haveva
gli occhi piangoleggi e lacrimosi > onde il
popolo gli domandava la causa di ciò et egli
rispondeva : < Io accieco di fumo e se non si
muta vento Siena, tu sei spedita » , accen-
nando la superbia, F arroganza, la vanagloria
degli spagnuoli e che però la città era per
cambiar costumi ed ogni cosa doveva ridursi
in fumo. Infuriato egli diceva : « Siena tu ti
sei messa il topo nel borsello, ti roderà i co-
(1) A i)apa Clemente il mistico senese non dette mai pace
e quando si rifugiò in Orvieto, Brandano l'inseguì cercando di
persuadere gli orvietani a scacciarlo dalla città come autore di
rovine, così che il papa dicesi UvScisse in questa esclamazione :
« Potest ne facere Deus quod Senenses me persequantur ul)i-
qne ». (Tolga Iddio che i Senesi mi perseguano dappertutto).
229
CAPITOLO VII
xeggioli et t'aprirà la borsa, non ti lasserà quat-
trini ».
Il Mendoza (1) nel 1548 onde meglio assi-
curarsi la signoria della Repubblica ordinò la
costruzione d' una fortezza. Contro questo dise-
gno d'oppressione insorse l' ira popolana dei se-
nesi gelosi della propria libertà, ed anche in
quest'occasione tra i più violenti apparve Bran-
dano. Per le vie della città eccitava la plebe
alla rivolta e gridava alto il ritornello : « Don
Diego, Don Diego, ti cacceranno le donne con
le canne > . Il Sozzini, un cronista senese, ec-
cellentemente informato, ci dice che Brandano
non si limitò alle minacce con il Mendoza ed
essendo stato dallo spagnuolo pagato per quelle
con il bastone « disegnò... di ritornare un altro
giorno, e con una buona pietra dare in la testa
a Don Diego ed ammazzarlo : né si curava poi
di esser morto e dilaniato lui. Et essendo ve-
nuto il giorno da lui pensato mise due buone
pietre vive in seno e se n'andò in detto luogo :
e i3er sua mala sorte vedde uno spagnuolo con
il suo saio rosso. Pensando lui fosse Don
Diego, gli avventò una pietra alla volta della
testa e non lo investi appieno. Gli furon subito
messe le mani addosso, e interrogato perchè
lui avesse tirato a quel soldato, audacemente
rispose: « Perdonatemi che ho preso errore,
(1) Vedi illustraz. n.® 27.
230
Ki»t. . Miliari.
Ritratto di don Diego da Mendoza.
Milita, Mjiirto. riffor, rornt', hxko <• jx'lli'
l,i ila In ylll, rìir in />ir<li In /iiiiini
Tl/.IAN<».
BRANDAXO IL PAZZO DI CRISTO
perchè pensava fosse Don Diego » . Domanda-
tolo perchè voleva dare a Don Diego, rispose :
« Perchè non voglio facci male alla città delli
miei cittadini che non lo meritano » (1). Il
capitano per paura del popolo non osò di uc-
cidere Brandano, ma lo fece esiliare (2).
Un' altra volta il cupo profeta avvicinatosi
ad un tal capitano Morone, spaglinolo, che con
un bastone alla mano eccitava i lavoranti alla
fortezza di far presto, gli disse: « Fate quanto
volete non vedrete questa cittadella finita ».
Indi si mise a rimproverare i muratori che la-
vorassero ad un'opera come quella. Il capitano
sdegnato lo percosse allora più volte col basto-
ne. Brandano gli annunziò che in quel giorno
stesso egli sarebbe morto, ciò che avvenne, e gli
spagnuoli non avrebbero compiuta la fabbrica
della fortezza, ed anche questo si avverò, perchè
i senesi soccorsi dalle armi del re di Francia
scacciarono nel 1552 gli spagnuoli e demolirono
la fortezza, lasciando solo in piedi quella parte
la quale fascia d' una muraglia la città.
L' Imperatore Carlo V per questo scacco
patito dalle sue armi montò su tutte le furie
(1) Cfr. Diario delle cose avvenute in Siena dai 20 luglio
1550 ai 28 giugno 1555, scritto da A. Sozzixi, Firenze. Vies-
seux, 1842.
(2) Fra 1 Deliberati dei Dieci Conservatori vi è la con-
ferma di un bando per tre mesi da Siena inflitto a Brandano
(9 marzo 1547). (A. S. S. Dieci Conserv. di Libertà: deliba
ad annum f.° 131) Archivio di Stato di Siena.
231
CAPITOLO VII
ed avrebbe subito mosso guerra alla repubblica
senese, colpevole di non aver voluto accettare
supinamente il suo giogo velato d'ipocrisia, se
non ne fosse stato impedito dalle forze degli
elettori Maurizio duca di Sassonia ed il mar-
chese Alberto di Brandeburgo che gli s' eran
congiurati contro in Germania forzandolo a
fuggirsi da Innsbruck. Ma ormai il dado era
giuocato fra Siena e 1' imperatore. Quei citta-
dini che per troppi anni s'erano dilaniati nelle
vane discordie interne, dinanzi al pericolo im-
minente, parvero come per prodigio riacqui-
stare ad un tratto le più eroiche energie del-
l' antica potenza.
Un italiano non può leggere senza profonda
commozione le pagine ignorate dei commen-
tari e quelle dei diari in massima parte ine-
diti, che descrivono le lotte di Siena negli
anni dolorosi della prova ultima. La piccola
città toscana che resiste agli eserciti di Carlo V
ci offre uno spettacolo di gloriosa bellezza rie-
vocato potentemente in una tela dell' Aldi
che sta in Campidoglio. Allora rifulse in una
luce di cateriniano splendore la virtù delle
donne senesi capitanate da Laudomia Forte-
guerri, da Fausta Piccolomini e dalla popo-
lana Livia Fausti (1). Ancor risuona sopra il
(1) Fra queste donne v'erano delle poetesse che cantavano
le gesta della patria, incitando gli animi a difendere concordi
la libertà. Kicordiamo Aurelia Petrucci, Atalanta Donati, Laii-
232
I
BRAXDAXO IL PAZZO DI CRISTO
loro coraggio la generosa lode del prode ma-
resciallo di Montine : « Xon sarà giammai,
donne senesi, eli' io non immortali il vostro
nome sintanto che il libro di Montine vivrà :
perchè invero voi siete degne di lode immor-
tale, se mai degne ve ne fnrono. Al principio
delhi belhi risoluzione che questo popolo fece
di difendere la sua libertà, tutte le donne
della città di Siena si divisero in tre parti :
la prima era condotta dalla signora Forte-
guerri, eh' era vestita di color viola e tutte
della compagnia che la seguivano erano del
medesimo colore, avendo gii abiti alla guisa
di ninfe, corti tanto che mostraA^no mezza la
gamba. La seconda conduceva la Piccolomini
vestita di raso incarnatino e la sua compagnia
era dell' istesso costume. La terza, Livia Fau-
sti, tutta di bianco, siccome eran quelle che
la seguivano con l' insegna bianca. E sulle
loro insegne v'erano di belle imprese ed assai
pagherei a ricordarmele. Questi tre squadroni
si componevano di tremila donne, parte della
nobiltà e parte del popolo. Le loro armi erano
picconi, pale, fascine e gerle, e con queste fe-
cero la loro mostra e se n'andarono a comin-
ciare lo fortificazioni. Il signore di Termos
che me ne ha sovente raccontato (perchè in
domia Forteguerri, Silvia Piccolomini. Cfr. Rime diverse di
alcune nobilissime et virtuosissime donne. - Lucca, Basdrago,
1559.
CAPITOLO VII
quella città non ero ancor giunto) assicuraya
di non aver visto mai in sua vita spettacolo
più bello. >
In queir assedio combattuto ingenerosa-
mente da Firenze alleata all' imperatore ai
danni di Siena, rifulse tuttavia la spada d'un
fuoruscito ed ardente repubblicano fiorentino,
Piero Strozzi, degno di essere rav^'icinato
all' altro lontano suo concittadino. Farinata
degli liberti, clie pugnò sull'Arbia fra le file
de' senesi. Lo Strozzi fu prode ma infelice
campione. In uno degli scontri più importanti,
a Scannagallo, perfino i cavalieri francesi del-
l' esercito alleato lo tradirono abbandonandosi
ad ignominiosa fuga. I contadini di codesta
contrada rievocano ancora nei versi di una
dolorosa canzone le gesta di quella giornata
di sangue. E risolcando i campi lungamente
arati, cantano talvolta nei crepuscoli :
Meglio de' vili camalli di Pranza
le nostre donne fecero provanza
col ferro, co' piedi
caduti nel fosso
ci vennero addosso,
che 1' acqua non corse
se rossa non era,
o Pietro di Strozzi
Ferito nel fianco
da palla nemica
fra gli nrgli e i singliiozzi
234
BRANDAXO IL PAZZO DI CRISTO
d' amara fatica
morire volevi,
e non il potevi.
Sul valore dimostrato dai senesi (1) duran-
te r assedio valgano queste testimonianze del
maresciallo di Montine : < Voglio dar questa
lode ai senesi per la verità, come è vero Iddio,
che non si trovò mai un uomo vecchio o gio-
vane, che restasse a casa e che non prendesse
le armi » (2). Ed in altro luogo dei Commen-
tari il Montine, ricordando il ragionamento
che fece ai romani sbigottiti quando il Duca
d' Alba s' accostava a Roma al tempo di Pao-
lo lY, esce in queste parole : « Piuttosto pi-
(1) Nel diario di Alessandro Sozziui è ricordato questo
episodio dell' assedio che ci mostra il cuore gaio e robusto
dei difensori. I Giovani senesi, in una giornata di tregua sce-
sero in Piazza, per più di due ore fecero un magnifico gioco
di Pallone. Finito il gioco del Pallone, si fece dare nelle Trom-
bette, e ciascuno andò al suo Terzo, e si fece un bellissimo
affronto di gioco di Pugna ; per il quale Monsignor Montluch
venne in tanta allegrezza che quasi per tenerezza lacrimava,
dicendo che mai aveva visto di più coragiosi giovani di loro.
Gli fu risposto da alcuni dicendo : « Oh pensate se noi mena-
remo le mani contro i nemici, quando ci diamo infra noi, e
la sera poi stiamo tutti amici ». Finito il gioco delle Pugna,
si sentì una voce gridare: Alle guardie, alle guardie!... In
un subito uscirno di piazza per pigliare 1' arme e andare o-
gnuno ai suoi luoghi deputati ».
(2) Cfr. jL' Assedio di Siena pag. 75. Firenze, Lumachi,
1905.
235
CAPITOLO VII
glierei a difendere Siena con le sole donne
senesi, che a difender Eoma con i romani che
al presente ci sono » .
Queste gesta eroiche viventi tuttora nel
lirismo dei canti contadineschi ci riconducono
a Brandano, ed a noi piace di riavvicinare a
lui la figura del primo santo e martire senese,
il soldato Vittorio. Fra questi due santi svol-
gesi, come fra due poli, la storia più gloriosa
della città di Siena. Il primo un martire della
fede, profeta di gloria ; 1' ultimo un martire
della penitenza, profeta di morte.
Meglio di molti altri sapienti, questo pazzo
di Cristo seppe scorgere nell' indisciplina mo-
rale, nelle discordie fratricide e nella lotta fa-
tale fra la Erancia e l'Impero, in mezzo alle
cupidigie temporalesche della Chiesa, le cause
principali della rovina non solo della Repub-
blica, ma dell' Italia,
Il vecchio profeta, aifranto dai patimenti
e dalle persecuzioni sofi^'erte, chiuse la bocca
alle minacele dinanzi ad una luminosa speranza
balenatagli nel cuore con l'avvento di Giulio
III, eletto papa nel 1550, quando già volge-
vano funesti i tempi su la misera Eepubblica
senese.
Il superbo Brandano mosso dalla carità di
Cristo e della patria, indirizzò allora una let-
tera al nuovo Pontefice, nobilissimo documento
della sua vita d' apostolo riformista e di pa-
236
BKAXDANO IL PAZZO DI CRISTO
triota, lina lettera rimasta fìu qui inedita, clic
è fra le più umanamente vibranti del secolo
XTI. Eccola trascritta : (1)
« Io Bartolomeo Brandano scrivo a Voi
Santo Padre Papa Giulio, Pastore della Gran
greggia cristiana, quanto sete obbligato veglia-
re et star desto acciò le pecorelle non vadino
in perdizione per vostra negligentia perchè di-
nanzi al Pastor vivente liaiete a render stretto
conto per voi e per le pecorelle che sono per-
se per non haver dato la vera sapientia et
vivi lumi i quali sete obbligato essendo voi
in luogo di Cristo et egli vi ha dato le chia-
vi per aprire e serrare la porta del paradiso,
e quando il pastore dorme, perde la serratura
e perde V ordine dell' aprire. Intendetela, San-
to Padre, havete da essare quella viva sapien-
tia la quale lega V hommini con Dio insieme
in pace et unità, com' era il glorioso S. Pie-
tro, S. Silvestro e S. Gregorio. Veramente loro
sono stati veri pastori d' anime, conforme al
vivente Pastore, et hanno fatto grande frutto
per loro e per le pecorelle alle quali hanno
mostrato la vera via mettendole nella viva
pastura e sant' erbe fresche et odorifere piene
di soavità, e 1' hanno menate alla fonte viven-
te dove sempre sono state et non hanno più
né fame né sete et così bramo et desio del
(1) Cfr. Cod. CU. della JBihI. Com. di Siena.
237
CAPITOLO VII
vostro intelletto che si riempisse delli sette
doni dello Spirito Santo e delle sette opere
della Misericordia, che fussi buono dispensa-
tore delli tesori che vi son dati da Cristo a
ciò che dinanzi a Dio allegro potiate cammi-
nare.
« O Santo Padre, o dolce Pastore, voi ve-
dete in quanti pericoli è passata la mina delle
povere creature del Creatore, e tutto questo
procede da i Pastori i quali sono il sale della
terra e la luce del mondo ; ogni cosa diventa
cattiva ; vigilate.
« Svegliatevi Santo Padre e pregate il
Padro Eterno che vi apra i sensi ad intenda-
re la Scrittura, e le vie per le quali dovete
camminare per guidare il gregge al luogo si-
curo. A voi s' apparterrebbe d' essa re tutta la
Carità, e fra 1' Imperatore ed il Re di Fran-
cia mettare la santa pace, mostrando quest'al-
tezza sopra il timor di Dio e questa gloriosa
verità che discesa di cielo in terra ci ha ri-
comprati col suo preziosissimo sangue.
« Hoimmè ! Io vedo il contrario, oggi
s' adora il Dio del ventre ; e la gloria di Dio
ognuno se V appropria per se, e la Pace e la
buona Volontà è tornata in cielo et hora quag-
giù non si trova ; in modo che ognuno la me-
na neir ombra della morte ; hoimmè ! quanto
conto dovete rendere a Dio !
« L' anno passato il vostro meschino ni-
238
BRANDAXO IL PAZZO DI CRISTO
potè (1) con tutta crudelità fu nel contado di
Siena e quanti ne fece morire, e voi ne siete
a parte di questa sentenzia appresso Dio e
non ci sarà sensazione. Io dissi alla sua ma-
dre lloma, che facessi orazione per il suo tì-
glio ; stava in pericolo d' essere ammazzato,
quest' anno ò ritornato, ma 1' uomo propone
e Dio dispone ; voleva ritornare in Siena per
forza ; entrato, ma non come voleva, per vo-
stro amore lo tengono da gentil signore con
molta caritade.... io vi avviso. Santo Padre,
anzi Pas^tore, che voi non pigliate impresa
contro la città vecchia di Siena, che è città
dell'alta Peina che 1' ha guardata e guarderà,
e chi contra ci verrà, malcontento se ne par-
tirà ; vi fo intendere questa profezia, che que-
sto campo che è intorno a Siena sarà levato
via, con sua grande doglia e gran malinconia,
presto sarà. Santo Padre. Aprite 1' orecchio
della mente a Gesù Cristo, domandate gran
tesori e divini quali avete a dispensare di
questo fonte della viva Fede e della viva Spe-
ranza. Tremate, tremate come fa il vecchio
neir acqua, che voi non abbiate qualche fiacca
maggiore che non ebbe papa Clemente; da
(1) Credo che si alluda ad Ascanio della Cornia, nipote
di Giulio III, comandante le truppe italiane ne l'esercito im-
periale e che ferito in un fatto d' arme, fu condotto in Siena
prigione di Piero Strozzi. Per riguardo al Papa gli era usato
ogni riguardo. Cfr. Diario cit. di A. Sozzini.
239
CAPITOLO VII
levante a ponente verrà tanta gente, e da mez-
zogiorno, che ognuno tornerà alla gran madre
antica chi in questo mondo s' intrica ; a stri-
garsi conviene pelarsi ; e non rimarrà capello
nel capo della giustizia staccato, poi che la
misericordia da ognuno è dimenticata. Guai
al Papa, guai ai Cardinali, guai ai vivi che
mangiano il pan del Dolore, temete, tremate^
tremate, fate questa pace santa fra V Impera-
tore e il Re di Francia. Iddio vi darà pos-
sanza, et operate il buon Affetto. Gesù Cristo
vivo Pastore, dolce Maestro v' insegna questa
opera per cogliere il frutto e godremo il tutto
in Paradiso. Amen >/.
L'apostolo popolare volle spendere gli ulti-
mi anni della sua vita in patria per veder di
comporre le fazioni cittadine, per esortare i suoi
compatrioti a vita cristiana, per ravvivare le
antiche virtù : purtroppo lo spirito pagano del
Rinascimento aveva corrotta anche la città mi-
stica. Terribili allora risuonarono fra le mura
di Siena i vaticini del suo profeta che ricor-
dano quelli dei grandi ammonitori del popolo
ebreo :
« Siena convertiti, altrimenti sei spedita! »
< Senesi, intricate la matassa, perderete il
capo, perchè vi sarà tagliato con vostro danno!
« Siena presto verrà chi ti rovinerà : voi
fate la torta ed un altro la goderà !
« Siena ti viene addosso una gran piena
240
BRANDAXO IL PAZZO DI CRISTO
che t' afibgherà, e la tua piazza vedi'ai occu-
pata dai vivandieri, e la cappella dormentorio
di ladroni, la fonte di piazza beveratoio e guaz-
zalo di cavalli, e i ridotti dei Xobili, stalle per
la cavalleria! »
Fra gli orrori urlanti nelle vie anguste della
città, quando fu stretta d'assedio, s'aggirò Bran-
dano come uno spettro fatale. Ei faceva l'uffi-
zio dei servitori ai poveri bisognosi, e ponen-
do a rischio la sua vita, andava spesso coper-
tamente nel campo nemico a comperare il pane
e coglier malva e radiche per i poveri, per
tutte le bocche inutili scacciate dalla città e
languenti sotto le mura.
Affinchè si abbia un' idea dello strazio di
questi miserabili, giova riferire le parole del
Montine: « Yi dico che il ruolo delle bocche
inutili ascese a quattromila quattrocento e più;
che di tutte le disperazioni e dolori che allora
ho veduti, mai ne vidi dei simili, né credo che
ne vedrò mai in avvenire. Imperocché bisogna-
va che il padrone lasciasse il suo servitore che
l'aveva lungo tempo servito, la padrona lasciasse
la sua fantesca, e doveva lasciare la propria
città una moltitudine di poveretti che non vi-
vevano che del proprio lavoro, e per tre giorni
questa desolazione e questi pianti durarono.
Questi poveretti se ne andavano attraverso i
nemici che li ricacciavano verso la città; e tutto
il campo restava notte e giorno in armi per
241
CAPITOLO VII
questo scopo, giacché ce li respingevano fino
a* piedi delle mura, affincliè li riprendessimo
dentro per farci finire più presto quel poco
pane che ci restava e per vedere se la città si
ribellasse per la pietà che ispirava questa gente;
ma questo non si verificò e tal condizione di
cose durò otto giorni. Essi non mangiavano
che erbe; più della metà ne morirono, poiché
anche i nemici li uccidevano e pochi soltanto
si salvarono. Vi era un gran numero di ragazze
e di belle donne; queste avevano passo libero,
giacché durante la notte gli spagnuoli ne atti-
ravano qualcuna presso di loro, ma senza che
il Marchese lo sapesse, perché ne andava loro
della vita. Alcuni uomini forti e vigorosi pas-
savano e scappavano durante la notte, ma quelli
che si salvarono non furono che circa una
quarta parte ; gli altri morirono. Sono queste
le necessità della guerra: assai spesso bisogna
esser crudeli per venire a capo di vincere il
nemico. Dio dev' essere molto misericordioso
verso di noi uomini di guerra, che facciamo
tanti mali ! »
Neir anno precedente 1' assedio, Brandano
aveva detto a certi contadini che facevano le
fosse da grano: « Allargatele bene, e fatele
cupe, perché vi hanno da zeppare i morti con
le stanghe » .
Or non gli restava che piangere sopra la
sua profezia.
242
BRAXDAXO IL PAZZO DI CRISTO
La morte colse Braiidauo, profeta di ven-
dette celesti, in mezzo all' esercizio della più
alta carità, risparmiandogli di assistere a la ca-
duta della patria, de la quale era stato un
simbolo vivo di amore e di fede. Egli si spe-
gneva il 14 maggio 1554.
Siena capitolava nelP aprilo del 1555.
243
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mDlCE DELLE ILLUSTRAZIONI
Paa
©•
1. Cristo fra le due Marie. (Sodoma) ... IX
2. Matrimonio di S. Francesco con la Povertà (Sas-
setta) ........ XII
3. Siena (Stampa del sec. XVI) . . . . 1
4. Monteaperto ........ 7
5. Madonna. (Duccio di Buoninsegna) ... 29
6. La Scuola ne 1' Ospedale. (Domenico di Bartolo) . 49
7. Lo sposalizio delle fanciulle. (Domenico di Bar-
tolo) 51
8. S. Galgano. (Urbano da Cortona?). ... 59
9. Avanzi del tempio dell' Abbazia di S. Galgano . 61
10. Monteoliveto 63
11. Il Convento di Lecceto. (stampa del sec. XVII) . 67
12. Affresco nel convento di Lecceto. (Paolo di Neri) . 69
13. Altro affresco nel convento di Lecceto (Paolo di
Neri) 71
14. Giovanni Colombini. (Sano di Pietro) . . . 101
15. Busto di Urbano V 103
16. S. Caterina (Sodoma) 130
17. Ultime esortazioni di S. Caterina agli amici (Lo-
renzo da Sanseverino) ...... 140
18. S. Bernardino (Sano di Pietro) . . . .148
19. Busto di S. Bernardino (Ignoto, sec. XV) . . 150
245
INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI
Pag,
20. S. Bernarilino che predica su la Piazza di S.
Francesco in Siena. (Sano di Pietro). . .174
21. Bernardino Ochino ...... 180
22. S. Giovanni (Giacomo Cozzarelli) .... 184
23. Amore fatto prigione dalle Vergini (Girolamo di
Benvenuto) . . . . . . .186
24. Ritratto di Fausto Sociuo • . . . . 212
25. Busto presunto di Brandano (Ignoto Autore) . 217
26. Ritratto di Brandano (Anselmo Garosi) . . . 220
27. Ritratto di Don Diego di Mendoza (Tiziano) . . 230
24G
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INDICE DELLE PEESONE
Agazzari Filippo B. 66 e seg.
Agnolo di Tura, 30, 102.
Agostino (Santo) 67, 89.
Alba (duca di), 235.
Alberto da Sarteauo, 154.
Alberto (marchese di Brandebur-
go) 232.
Albizzeschi (S. Bernardino) 148
e seg.
Albuiuazar, 14.
Aldobrandino (conte), 9.
Aldobrandino da Siena (medico)
12, 13.
Aleandro Girolamo 195.
Alighieri Dante, 11, 13, 14, 22,
23, 26, 38, 40, 75.
Ammauuati Iacopo, 161.
Apollinaire Guillaume, 169.
Ancaiano 24.
Ancarano Pietro 14.
Angiolieri Cecco, 27, 77, 78.
Ansano (Santo) 57, 67.
Antonio (S. eremita) 111.
Antonio da Barga (cronista) 62.
Antonio da Rimini, 154.
Antonio da Vercelli, 154.
Aretino Pietro 155, 190.
Arnolfo di Cambio, 27.
Arrigo VII (imperatore), 62.
Badia Tommaso, 195.
Balzetti Baudino, 90.
Banchi Luciano, 56, 178.
Bandinelli (Alessandro III; 29, 81.
Barbaro Ermolao, 160.
Barbaro Francesco, 156, 160, 161.
Bardi Angelo, 229.
Bargagli Petrucci Fabio, 17.
Bargagli Scipione, 51.
Barna, gesuato, 123.
Barnaba (S. Padre), 89.
Bassi Matteo, 187.
Bartolo, 24.
Bartolomeo da Cuneo, cappucci-
no, 206.
Bartolomeo della Verna, 33.
Bartoli Adolfo, 113, 129.
Bayle, 216.
Bellay (card, de) 165.
Belcari Feo, 95, 100.
Bembo Pietro, 190.
Bendidio Filippo, 160.
Benedetto di Pace notaio, 128.
Benincasa Caterina, 56, 130 e seg.
247
INDICE DELLE PERSONE
Benincasa di Laterina (Potestà)
22, 23, 65.
Berenson Bernhard, 184.
Bernabeo Senese, 156.
Bernardo (San), 59.
Bernardo d' Asti, 189.
Bertrando del Poggetto (cardi-
nale), 63.
Bettini (b. Antonio) 112.
Benvenuto da Imola, 39.
Benvoglienti Achille, 211.
Bianco da Siena, XI, 99.
Biliatto, gesuato, 120.
Biliotti Rosso (orafe), 21.
Bindi Agostino 219.
Blake William 97.
Boccaccio Giovanni 23, 114.
Boccia, gesuato, 123.
Bolsec Girolamo, 192.
Bonatti Guido, 14, 86.
Bonetti Luca, 52.
Borghesi Camillo, 219.
Boverio, 192.
Brandano 217, e seg.
Bullinger, 208.
Buonarroti Michelangiolo, 155,
180.
Buoninsegni GiovanBattÌ8ta,219.
Buti, 23.
Cacciaconti Jacomo, 8.
CaiFarini, amico di S. Caterina,
140.
Calvino, 192, 198, 206, 207, 214.
Camerini, 129,
Camerino (duchessa di) 205.
Canestrelli Antonio, 59.
Canigiani Barduccio, amico di
S. Caterina, 140.
Cantù, 200.
Capecelatro Card. 138.
Capocchio, 14.
Cappone Antonio, 194.
Caraffa Giampietiio, 194, 202, 204.
Carducci, 75. 158.
Carlo IV (imperatore) 101.
Carlo V., 155, 181, 192, 196,
197, 200, 217, 231.
Carli (storico), 115.
Caro Annibale, 191.
Garosi Anselmo, 221, 226.
Garosi Bartol. (vedi Brandano)
221.
Carpellini, 71.
Cartesio, 216.
Cecco d'Ascoli, 14.
Celestino III, 43.
Gelsi Mino, 211.
Cesari, 129.
Cherubino frate, 157.
Ciani Giovacchino, 114.
Cieco di Gambassi, 183.
Gino da Pistoia, 14.
Cittadini Celso, 38.
Clemente VII, 182, 188, 217.
Clemente Alessandrino, 89.
Gluny (abate di) 23.
Cóla Leonardo, 67.
Colombini Biagia, 104, 115.
Colombini Giovanni, 56, 94 e seg.
Colonna Vittoria, 181, 187, 190,
193, 203, 210.
Contarini (card.) 154, 189, 194.
Cornia (Ascanio della) 239.
Corradino, 4.
Cortese Gregorio, 195.
Cozzarelli Giacomo, 183.
Cristoforo (San) 28. .
Cybo Caterina, 189.
Dalle Celle Giovanni, 140.
Dei Andrea (cronista) 35.
Delicado Francisco, 169.-
Della Robbia Andrea, 150.
248
INDICE DELLE PERSOXE
Della Robbia Luca, 150.
Domeiiico, teologo, 125.
Dotti Niccolò, 157.
Duccio di Buouinsegaa, 29, 30.
Dyonisio (frate) 33.
Edoardo VI, re d' Inghilterra,
207.
Egidio (frate) 153.
Eleonora d'Aragona, 80.
Elia (frate) 183.
Enrico VI, 3.
Erasmo (da Rotterdam) 207, 210.
Ercole (duca di Ferrara) 192.
Eusebio da Cesarea, 89.
Fainotto, 24.
Farnese Alessandro (card.) 201.
Fausti Livia, 232, 233.
Fazio Bartolomeo, 161.
Federico Barbarossa, 29.
Federico II, (imperatore), 26.
Federico III, (imperatore), 80.
Fedeli (fra' Mariano), 227.
Ferreri (S. Vincenzo) 150, 170.
Folgore da S. Gimignano, 24, 27.
Foresi Paola di Ghino, 95, 113,
115.
Forte guerri Laudomia, 232, 233.
Francesca romana (Santa) 65.
Francesco d' Assisi, 5, 25. 67.
Francesco di Landò, notaro, 115.
Francesco (?) (fondatore di Mon-
teoliveto) 62.
Fregoso Federico, 195.
Froben, 207.
Galgano (San) 58.
Galileo, 15.
Gamba B. 129.
Garbo (Dino del) 14.
Gentile Giovanni Valentino, 214.
Gherardini Ranuccio (orafo) 21.
Ghiberti Lorenzo, 30.
Ghino di Tacco, 22, 23, 24.
Giberti Giovau Matteo, 189, 195,
202, 205.
Gigli S. 131, 137.
Ginepro (frate) 153.
Giordano (conte), 9.
Giorgio (sauto), 9, 11.
Giovanni XXII, (Papa) 63.
Giovan Battista vescovo di Acer-
ra, 206.
Giovanni d' Ambrogio, Gesuato,
117.
Giovanni da Negroponte, 70.
Giovanni da Prato (frate) 159.
Giovanni da Salerno, 161.
Giovanni di Paolo (Pittore) 19.
Giovanni Pisano, 27.
Girolamo (San), 57.
Girolamo di Benvenuto, 185.
Giulio III, 236.
Giustiniani Leonardo, 155.
Giusto (Priore di M. Oliveto) 64.
Gonzaga Ercole, 195.
Gonzaga Giulia, 189.
Gregorio IX, (Papa) 18.
Griffolino, 14.
Grottanelli, 144.
Gualanti Raniero, 194.
Gualtieri Ventura, 6.
Guarino da Verona, 155.
Guidini, 131, 140.
Hispano Pietro (Papa Giovanni
XXI), 13.
Hutten, 207.
Ildebrandini Griftolino, 21.
Ilicino Bernardo, 80.
Innocenzo VI, Pa2)a, 113.
Ireneo, 89.
249
INDICE DELLE PERSONE
Jacopone da Todi, 99.
James William, 135.
Kant, 216.
Landovzy, 12.
Landucci, 224.
Laynez (gesuita) 199.
Lazzaretti Davide, 218.
Leonardo da Vinci, 155.
Leone X, 208.
Leone (frate) 153.
Lingeo Giacomo, 205.
Lionello d' Este, 155.
Lippi (b. Franco) 151, 222.
Lisini Alessandro, 33.
Lombardelli Gregario, 52.
Lorenzetti Ambrogio, 29, 67.
Lotti Ottaviano, 195.
Luca d'Olanda, 210.
Lucio III (papa) 59.
Lucari Buonaguida, 7, 8.
Ludovico da Fossombrone, 189.
Luigi (Santo, re di Francia) 12.
Lusini, 32, 183.
Lutero, 197, 198. '
Macbiavelli Niccolò, 158, 210.
Macoui, amico di S.Caterina, 140.
Malavolfci (famiglia) 73.
Manfredo (frate) 170.
Manetti Giannozzo, 155.
Marcello Benedetto, IX.
Marco d'Arezzo, Gesuato, 124.
Marco Evangelista, 111.
Marescotti lacomo, 30.
Margherita di Navarra, 192.
Maria Egiziaca (Santa) 103.
Mariano da Quinzano (cappuc-
cino) 205.
Marot, 192.
Martino V, 174.
Martino (santo) 9.
Martire Pietro, 195, 203, 207.
Masaccio, 102.
Masseo (frate) 35.
Matteo di Giovanni, 52, 184.
Maurizio (duca di Sassonia) 232.
Mazzini, 207.
Medici (Lorenzo dei) 183.
Melantone, 206, 214.
Menabuoi Cristiana, 33.
Mendoza (don Diego) 209, 229,
230.
Menghi (Ristoro di Giunta) 43.
Michele (San) 58.
Minuccio, Gesuato, 118.
Monica (santa) 67.
Montanini Gerì, 33.
Montanini Cuccio, 33.
Montine (di Biagio) 165, 233,
235, 241.
Mordente Giovanni, 14.
Morigi Paolo, 111.
Morone, capitano, 231.
Muciatti (famiglia) 30.
Muzio Gerolamo, 206.
Nardusa, 109, 110.
Neri (S. Filippo), 154.
Neri di Donato, 102.
Neroccio, 184.
Newton, 15.
Nigi di Doccio, amico di S. Ca-
terina, 140.
Niccoli messer, Gesuato 117.
Niccolò III d'Este, 158.
Niccolò Pisano, 27.
Nogarola Isotta, 160.
Ochino Bernardino, 180 e seg.
Odorighi Ugolino (orafo), 21.
Orcagna, 75.
Orsini card. Latino, 112.
250
INDICE DELLE PERSONE
Pace di Valentino (orafo), 21.
Pagliaresi, amico ili S. Cateri-
na 140, 144.
Paleario Aouio, 192, 199.
Pannouio Giovanni, 156.
Panonnita, 159.
Paolo III, 192.
Paolo III, 206.
Paolo IV, 235.
Paolo (S. apostolo), 163.
Paolo (S. eremita) 111
Paolo di Neri (pittore) 67.
Pardi, 5, 129.
Pascal, 170.
Patrizi (B. Antonio) 222.
Patrizi (Patrizio di Francesco,
beato) 61.
Pecci (storico) 88, 219.
Pépin, 12.
Pepone (maestro), 14.
Petrarca, 15.
Petroni Pietro, 13, 113.
Petroni Riccardo, card. 114.
Petrucci Aurelia, 232.
Petrucci Paudolfo, 182.
Piacente Nuccio, 27.
Piccolomiui (Ambrogio di Mino,
beato) 61.
Piccolomini Fausta, 232, 233.
Piccolomini Paolo, 200.
Piccolomini Silvia, 233.
Pier Pettinagno, 26, 40, 41, 54.
Pinturicchio, 80.
Pio da Carpi, 154.
Pisanello, 161.
Politi Tommaso, 290.
Polito Ambrogio Catarino, 208.
Polo (card. Reginaldo) 154, 195,
Porto Francesco, 192.
Puccio Antonio (card.) 204.
Quinza Francesco, 219,
Rallaello, 181.
Rapisardi, 75.
Renan, Ernesto, 216.
Renata (duchessa di Ferrara)
192.
Ricci Arturo, 78.
Riparata (santa) 10.
Roberto (San), 60.
Roberto da Lecce, 154.
Rosmini Carlo, 158.
Rossi (13. Pietro dei) 222.
Rosso di Bartolomeo (maestro)
27.
Sacchetti Franco, 70.
Sadoleto (cardinale) 154, 191,
194.
Salimbene (fra') 13.
Salimbene Salimbeni, 7.
Salimbeni (famiglia) 37.
Salimbeni Niccolò, 24.
Salvaui (famiglia) 37.
Salvani Provenzano, 9, 17, 38,
39.
Sano di Pietro, 28, 100, 149, 184.
Sansedoni Ambrogio, 18, 20.
Sapia (Saracini ?) 39.
Saracini Onorata, 79.
Sassetta, XII, 92, 184.
Savoia (Beatrice di) 12.
Savonarola Girol. 93, 209.
Schweizer Josef, 208.
Serapione abbate. 111.
Sforza Francesco, 112.
Signorelli, 65.
Silvestro da Siena, 154.
Simone di Martino, 28.
Slyck Gaspare, 212.
Socini Fausto, 212.
Socini Lelio, 212.
Socini Mariano, 213.
Sodoma IX, XV, 28, 65, 196.
251
INDICE DELLE PERSONE
Sorore, (beato) 43 e seg.
Sozzini Alessandro. 230, 231, 235.
Spina Bartolomeo, 210.
Spinello Aretino, 29.
Spinoza, 216.
Stefano di Giordano, 27.
Strauss, 216.
Strozzi Piero, 234.
Strozzi Vespasiano, 161.
Taddeo di Bartolo, 28, 48.
Tancredi (B. Felice dei) 223.
Tantucci, 113, 223.
Tarlati (vescovo) 63.
Tebaldo (maestro) 14.
Teresa S. 139.
Terenziano Giulio, 201.
Termes (Signore di) 233.
Thackeray, 173.
Tingoccio, 24.
Tolomei Cavolino, 39, 62.
Tolomei (famiglia) 37.
Tolomei (Giovan Battista, bea-
to) 62.
Tolomei Giovanni (b. Bernardo)
61, 65.
Tolomei Meo, 40, 62.
Tolomei Nera (beata), 62.
Tolomei Pia, 22.
Tolstoi, 62, 216.
Tommaseo, 143.
Tommasi (storico) 61, 86, 97, 107.
Tommasini Bernardino ( vedi
Ochino).
Tommasini Domenico, 181.
Tornaquinci (messer) 10.
Traversar! Ambrogio, 155.
Tura Bernardini (orafo) 21.
liberti (Farinata degli) 9.
Uberto di Mandello, 16.
Ugolino di Mafieo, 60.
Ugurgieri Buonfiglio, 88.
Urbano V. (papa) 100, 120.
Valdès Giovanni, 192.
Vanni Fucci, 21.
Vasari Giorgio, 181.
Vasto (marchese del) 186.
Vecchietta, 28, 185, 212.
Vegio Maffeo, 155.
Ventura (cronista) 10.
Vergnanini Pietro, 192.
Vico Giambattista, 137.
Viene (santo) 9,
Villani Giovanni, 89.
Vincenti Francesco, 96, 106.
Vincenti Nicolao, 114.
Vio (Tommaso de) card. 210.
Vittorino da Feltre, 155.
Vittorio (San) 57.
Zambrini, 72.
Zanganella, 39.
Zdekauer Ludovico, 4, 88.
Zenobi (Santo) 9, 10.
Zuinglio, 208.
252
^u.va ^CO»
PLEASE DO NOT REMOVE
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BX Niisciattelli, Fiero
1548 Mistici senesi
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