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Full text of "Mitteilungen des Deutschen Archaeologischen Instituts, Romische Abteilung. Bullettino dell'Istituto archeologico germanico, Sezione romana"

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THE  J.  PAUL  GETTY  MUSEUM  LIBRARY 


MITTHEILUNGEN 

DES    KAISERLICH     DEUTSCHEN 

AßCHAEOLOGISCHEN  INSTITUTS 

ROEMISCIIE    ABTHEILÜNG 
Band    VI. 


BULLETTINO 

DELL'IMPEBIALE 

ISTITÜTO  AßCIIEOLOGICO  GEßMANICO 

SEZIONE   ROMANA 
Vol.  vi. 


ROM 

VEKLAG  VON  LOESCHEß  &  C.*^ 

1891 


STORIA  DELLA  COLLEZIONE  CAPITOLTNA  DI  ANTICHITA 
TINO  ALL'INAUGURAZIONE  DEL  MÜSEO  (1734). 

(Tav.  I,  II,  III). 


Esaminando  poco  fa  un  taccuino  romauo  del  pittore  olaudese 
Mai-tiüo  da  Heemskerck,  ora  possediito  dal  Gabiuetto  delle  stampe 
del  ß.  Museo  di  Beiiino  ('),  m'imbattei  in  alcuni  abbozzi  di  anti- 
chitä  capitoline  che  m'indiissero  a  stiidiare  le  origini  della  col- 
lezione  capitolina  di  monumeuti  antichi  (-).  Siccome  il  soggioriio 
triennale  nell'eterna  citfcä  dell' Heemskerck  cadde  incirca  nf^gli 
anni  1533  a  1536,  prima  che  11  niiovo  progetto  della  piazza  ca- 
pitolina, ideato  dal  Biionarroti,  fosse  messo  in  esecuzione,  cosi  quegli 
abbozzi  occupano  im  posto  importante  nella  serie  delle  vedute  di 
qnella  piazza  come  le  piü  antiche,  essendoche  tiitte  le  altre  mö- 
strano    la    statiia    di    Marco    Aiirelio    giä    al    posto    assegnatole 


(')  Xe  pubblichero  fra  poco  un  iiiclice  particolareggiato  ueWJahrbuch  des 
archäol.  laatituts.  [Finita  questa  memoria,  venne  alla  Uice  un  nuovo  volume 
di  disegni  delFHeemskerck  contenente  alcune  nuove  vedute  del  Campido,slio, 
due  delle  quali  servono  a  cliiarire  certi  dubbi.  Ne  daro  conto  fra  poco  nella 
Zeitschrift  für  die  bildende  Kunst,  periodico  diretto  da  C.  von  Lützow]. 

C)  Cf.  Justi  Im  neuen  Reich  1871,  II  p.  121  seggr-  WinckeJmann  II,  1 
p.  140  segg.  Miuitz  Les  arts  ä  la  coiir  des  papes  III  p.  169  segg.  Bev. 
arch.  1882,  I  p.  24  segg.  Lanciani  Archivio  d.  Soc.  rom.  di  storia  patria 
VI,  1883,  p.  237  segg. 


4  MICHAELIS 

nel  1538,  e  quasi  tutte  giä  esibiscono  lo  scalone  del  palazzo   se- 
natorio,  finito  circa  il  1550  (3). 

Del  qiiattro  abbozzi  imo  (fol.  11)  e  giä  stato  pubblicato  ed 
illustrato  dal  eh.  Huelsen  nel  Biillettino  comunale  1888  tav.  9. 
La  guglia  capitolina  e  la  palma,  che  ue  formano  rornamento  piü 
cospicuo  C),  ricorrono  sopra  il  foglio  61,  il  qiiale  a  mio  parere  e 
il  piü  iraportante ;  viene  riprodotto  in  facsimile  siiUa  taA'ola  IL  Lo 
spettatore  si  trova  nella  loggia  inferiore  del  palazzo  dei  conser- 
Tatori.  guardando  siilla  piazza.  Dietro  due  delle  colonne,  siilla 
piazza  stessa,  si  mirauo  i  due  fiumi  colossali  trasportati  piü  tardi 


fä)    Le    Vedute    piü  importanti    venute    a  mia   cognizione    sono   le    se- 

guenti : 

A.  Abbozzo  cleirH  e  e  m  s  k  e  r  c  k  f.  61,  riprodotto  sulla  nostra  tavola  II. 

[1533-1535  J. 

[A*.  Abbozzo  del  medesimo,  vol.  II  f.  72,  riprodotto  fig.  2  sulla  p.  llj. 

[A**.  Abbozzo  del  medesimo,  vol.  II  f.  92,  da  riprodursi  nella 
Zeitschr.  f.  hild.  Kunst.']. 

B.  Rame  di  G  i  r  o  1.  C  o  c  k  Operum  antiquonmi  Romanorum  ...  reli- 
quiae,  1562,  riprodotto  nel  Bull,  comun.  1882  tav.  15  con  dotta  spiegazione 
del  prof.  Cam.  Ee,  p.  94-129.  [Circa  1549  ?]. 

C.  Planta  prospetticadi  Borna,  una  parte  della  quäle  fu  ripro- 
dotta  dal  Letarouilly  Les  edißces  de  Rome  p.  720  dell'edizione  di  Brusselle. 
[1555]. 

Z).  Incisione  in  legno  presso  Gamucci  Antidiitä  di  Eoma,  1565, 
p.  18.  1569,  p.  17.  1588,  p.  22.  [1-565]. 

^.  Rame  anonimo  presso  Lafreri  Speciilum  Rom.  magnificentiae, 
riprodotto  dal  Letarouilly  p.  721,  in  facsimile  dal  Müntz  Antiquites  de  la  ville 
de  Rome,  1886,  p.  152  =  Rev.  arch.  1886,  I  tav.  5.  Cf.  de  Rossi  Bull, 
comun.  1887  p.  61  segg.  [Veduta  contemporanea  con  D.]. 

F.  Legno  fatto  per  Girol.  Francini,  ripetuto  per  es.  presso  Mar- 
liani  V.  R.  tojmgraphia,  1588,  p.  15.  Fulvio  Antichitä,  1588,  p.  35.  Roma 
Sacra  ant.  e  mod.,  1687,  II  p.  162.  [1588]. 

G-  Rarae  di  G  i  o.  M  a  g  g  i  o  nella  pubblicazione  di  Andrea  della  Vac- 
caria,  Ornamenti  di  fabriche  ...  di  Roma,  con  le  dichiar.  fatte  da  Gio. 
Rossi.  [1600]. 

JI.  Veduta  Iudicata  dal  Letarouilly  p.  722,  non  veduta  da  me.  [1600]. 
Pare  sia  simile  a  quella  i>r.  Jac.  Crulli  de  Marcucci  Grandezze  di 
Roma,  1625,  p.  27. 

{*)  Cf.  inoltre  Bull,  comun.  1882  p.  112  (Re).  1887  p.  62  (de  Rossi).  Bull, 
deirisl.  1888  p.  264  (Michaelis).  L'obelisco  apparisce  anche  presso  Heemskerck 
vol.  II  f.  12.  16.  72,  l'obelisco  e  la  palma  ivi  f.  50.  92. 


LA.   COLLEZIONE   CA.PITOLINA    DI    ANTICHITA  5 

al  palazzo  senatorio  (^).  Questo  palazzo  e  indicato  nel  fondo  cou 
pochi  tratti  leggieri,  i  qiiali  diventano  piü  chiari  confrontandoli 
con  la  veduta  del  Cock  (B)  e  coi  disegni  Ä*  ed  Ä*"^.  Mentre  a 
sinistra  sembra  accenuato  iin  muro  rozzo  ad  eccezione  di  qualche 
insegna  gentilizia  C'),  la  metä  destra  esibisce  un  doppio  colon- 
nato  0  sia  loggiato,  l'uno  sovrapposto  all'altro.  Quello  inferiore  e 
accessibile  merce  uno  scalone  o  sia  cordonata,  di  ciii  sono  visi- 
bili  solo  due  capi,  mentre  il  disegno  B  mostra  che  ve  ne  erano 
tre.  11  parapetto  della  scala  sitiiata  verso  Araceli  ad  una  certa 
altezza    si  dilata    in  ima  larga    base,  portante  il  frammento  ben 


(•')  Questi  due  fiumi  e  la  testa  colossale  (v.  piü  sotto)  formano  Toggetto 
principale  del  f.  45''  deirHeeraskerck,  nel  quäle  pero  il  palazzo  de'  conserva- 


Fig.  1. 

tori  e  appena  indicato ;  nel  fondo  si  scorgono  il  Panteon  ed  il  Castello 
S.  Angelo,  messivi  con  una  libertä  artistica,  che  ricorre  anche  in  altri  abbozzi 
del  niedesimo  pittore. 

(6)  Cf.  la  descrizione  del  Fichard  {Frankfurt isches  Archiv  pubbl.  da 
Fichard  III,  1815,  p.  27), che  appartiene  al  1536:  Praetorls  Palatiam  nihil 
quod  ego  viderim  vel  ex  aliis  audiverim  memorahile  continet.  ...  Et  intm 
et  foris  vetustate  tantuni  veterique  Romano  nomine  conspicuum  est.  Ascea- 
ditur  intus  clivo  continuo  mulis  potius  quam  hominihus  facto.  Foris  parietes 
superiorum  praetorum  insigniis  oppleti  sun".  Cf.  Re  nel  Bull,  comun.  1889 
p.  181-184. 


ß  MICHAELIS 

cöDOSciiito  del  leoue  die  sbrana  iin  cavallo,  gruppo  soverchia- 
meute  lodato  da  Michelangelo,  come  ce  ne  fanno  testimonianza 
TAldi-oandi  ed  il  Boissard  (').  E  appunto  questo  gruppo  che  da 
im  Interesse  speciale  all'abbozzo  dell'Heemskerck,  fatto  del  resto 
pur  troppo  alla  sfuggita;  ricorre  peraltro  quel  gruppo  sugli  ab- 
bozzi  A*  ed  Ä**. 

I,  —  I  pRiMORDi.  Il  gruppo  del  LEONE  (Tav.  1). 

DUE    CIPPI    SEPOLCRALL 

L'asserzione,  spesse  volte  ripetuta,  che  quel  gruppo  del 
leone  sia  stato  trovato  sotto  Paolo  III  (1534-1549)  nella  Marana 
della  Caffarella  (l'antico  Almone)  fuori  porta  San  Paolo,  e  basata 
sopra  la  testimonianza  di  Yincenzo  Kossi  serbataci  dal  suo  disce- 
polo  Flaminio  Vacca  uelle  sue  Notizie  dettate  nel  1594  (n.  71)  (^). 
Perö  e  un  fatto  deguo  di  attenzione  che,  quanto  all'autoritä, 
esiste  la  piii  grande  ditferenza  fra  quelle  notizie  di  cui  il  Vacca 
stesso,  da  testimone  oculare,  si  fa  garante  («  me  ricordo  "),  e 
quelle  da  lui  riferite  sull'altrui  autoritä  (u  me  ricordo,  sentii 
dire  ",  e  sim.)-  Quelle  in  genere  meritano  fede,  ma  queste  so- 
gliono  contenere  dicerie  false  e  male  inte.^e,  o  sorte  da  coughiet- 
ture  erronee.  Per  non  allontanarmi  dal  Campidogiio,  rammento 
come  appartenenti  a  quest'ultimo  genere  le  tradizioni  n.  3  che 
l'Ercole  di  bronzo  e  la  lupa  siano  stati  scoperti  sul  foro  presso 
l'arco  di  Severo  ;  n.  18  che  la  statua  di  Marco  Aurelio  sia  stata 

(")  Aldrovandi  Statue,  1556,  p.  270.  Boissard  Topofji.  I  p.  47.  II  frain- 
raento  venne  pubblicato  dal  Cavalieri  Ant.  statuarum  V.  R.  IIb.  I  (pubbl. 
fra  1566  e  1570)  tav.  50  {=  Ant.  stat.  l.  I.  II,  1585,  tav.  79);  con  ristauri 
arbitrari  dal  Lafreri  (rame  di  P.  P.  Palumbo  di  Novara,  1578) ;  con  i  ri- 
stauri moderni  da  Montagnani-Mirabili  Raccolta  tav.  118.  Eigbetti  tav.  153. 

(«)  Vacca  Notizie  d'anticbitä  n.  71  ed.  Schreiber  (n.  70  ed.  Fea) :  «  Me 
ricordo,  sentii  dire  a  Messer  Vincenzo  Rossi,  mio  niaestro,  che  il  cavallo  e 
leone  che  stä  in  Campidogiio  —  dicono  Thistorie  de'  Tivolesi  —  al  tempo  di 
Paulo  terzo,  ritrovandosi  esser  luaestro  di  strada  Latino  luvenale,  cjuale  era 
molto  curioso  deiranticbita,  ritrovö  il  detto  turso  di  cavallo  e  leone  in  quel- 
l'acqua  dove  stä  un  inidinii,  fuor  di  porta  San  Paolo,  quäle  stä  a  inezza  strada 
per  andare  a  detta  chiesa  di  San  Paolo,  e  lo  condusse  in  Campidogiio  ;  pern 
non  si  meravigli  se  la  pelle  del  marmo  e  mangiata  dall'acqna  ;  opera  eccel- 
lente  di  mano  dottissima  ". 


LA    COLLEZIONE    CAPITOLINA    DI    ANTICHITA  I 

tvovata  iu  uua  vigna  presso  il  Laterano;  ii.  72  che  la  tosta 
colossale  e  la  mano  di  bronzo  siano  comparse  fra  il  Coliseo  e  la 
Meta  sudante.  Dell'istesso  genere  si  e  anche  l'asserzione  del  Kossi 
intorno  al  gruppo  del  leone  e  cavallo.  Imperocche,  come  giä  hunno 
fatto  osservare  tanto  il  Gregorovius,  qiianto  l'eruditissimo  Müntz  ("), 
a  questo  gruppo  si  riferisce  la  stanza  64  delle  «  Antiquarie  prospet- 
tiche  romane  "  del  «  Prospettivo  Milanese  dipintore  " ,  ripubblicate 
di  recente  dal  Govi  ("') : 

Po  sulle  scale  della  gran  giusticia 
Uli  tozze  cl'un  caval  preso  nel  venire 
d'un  leon  chinho  da  lui  leticia. 

Essende  questo  cosidetto  poema  scritto  incirca  il  1500,  ne  risulta 
che  quel  gnippo  fin  d'allora,  come  neirabbozzo  delF  Heemskerck, 
si  trovava  sulle  scale  del  palatium  Capitolii  o  sia  iMlatium  iiisti- 
iiae  (^^^  ^^ß^  ^ui  salone  il  senatore  soleva  sedere  a  scranna,  mas- 
simamente  nelle  cause  criminali.  Anzi,  se  non  m'  inganno,  possiamo 
rintracciare  il  leone  nel  medesimo  luugo  almeno  da  un  secolo  e 
mezzo  prima. 

I  fjraclus  quihus  ascencUtur  in  aedificium  Capitolii,  ristaurati 
anziehe  costruiti  nel  1348  (^-),  avevano  grande  importanza  nella  vita 
pubblica  del  popolo  romauo,  specialmente  quando  si  trattava  della 
punizione  dei  malfattori.  Ora  giä  lo  statuto  della  cittä  di  Roma 
del  1363  la  menzione  del  leo  marmoris  existem  in  scalis  Ca- 
pitolii ('^),  ne  vi  e  dubbio  che  sia  appunto  questo  leone  quello  di 
cui  si  fa  menzione  in  certi  avvenimenti  piü  memorandi  della  vita 
di  Cola  di  Rienzo,  descritti  con  forza  veramente  drammatica 
nella  vita  di  lui  da  un  anonimo  contemporaneo.  Cosi  circa  il  1347 
il  nobile    Martino  Stefaneschi    di  Porto    «  fu  fatto    inginocchiare 

C)  Gregorovius  Geschichte  d.  Stadt  Rom  VIP  p.  554.  Müntz  Les  arts  III 
p.  169.  Rev.  arch.  1882,  I  p.  26. 

(10)  Atti  dell'Accademia  dei  Lincei  1875-76  p.  39  segg. 

(")  Palatium  iustitiae:  Boissard  I  p.  46.  II  Govi  (p.  61)  sbaglia  inter- 
]iretando  le  scale  della  giustizia  per  la  salita  a  Monte  caprino  quäl  luogo  delle 
esecuzioni  criminali. 

(>-)  Cf.  Ee  Bull,  comun.  1882  p.  100  segg.  Le  scale  si  riconoscono  nella 
tela  mantovana  pubblicata  dal  de  Eossi  Plante  di  Roma. 

(lä)  Statuti  della  cittä  di  Eoma  ed.  Cam.  Ee  II  cap.  120.  Cf.  Bull, 
coinun.  1882  p.  101. 


3  MICHAELIS 

ue  le  Scale  canto    lo    Hone  iiel    loco  iisato.    La  odio  la 
seiitenza  di  sua  morte  « ,  per  essere  poi  appiccato  nel   «  piano  di 
Campidoglio » ,  cioe  siil  raonte  Tarpeo  o  sia  Caprino  ('■•).  Poi  nel 
mese  di   agosto  del  1354,   >^  condotto   fra  Moreale  ne  le  scale  al 
lione,  stava  inginoccliiato  dinauti  a  madonna  santa  Maria...  odiva 
la  sentenza  »  ('^);  ed  ancora;  poche  settimane  piü  tardi,  il  tribuno 
stesso.    ^  preso  per  le  braccia,  liberamente  fu  addotto  per  tiitte  le 
Scale  senza  oftesa  fin  al  loco  del  lione,  dove    li  altri   la  sentenza 
odono.   Dove  esso  sentenziato  li  altri  avea,  lä  fn  addotto  «  ("')• 
E  manifesto,  dal  tenore  di  questi  passi,  che  il   «  loco  del  lione  '■ 
era  il  luogo  consueto,  in  cui  si  pronunziavano  le  sentenze  di  morte, 
e    segnatamente   il   primo    passo   sembra    dimostrare    che    questa 
usanza  riraonta  a  tempi  molto  anteriori  all'epoca  di  Cola  e  dello 
statnto.  Si  potrebbe  fino  arrischiare  la  congettura,  che  (.[uelYojms 
marmoreum  aggiunto  dai  senatori  al  palazzo  capitolino  nel  1800, 
in  connessione    con  l'erezione    della  loggia  (e  forse  delle  scale?), 
non  fosse  altro  che  il  gruppo  del  leone  ('').  In  ogni  caso  e  notevole 
che  allora  si  fosse  prescelta    una    scnltura  antica  per  tale  scopo, 
come   nel   piü  remoto    raedio   evo,    almeno   sin   dal   secolo   nono, 
le  sentenze   erano   pronunziate  e  i  condannati    ginstiziati   iii   pa- 
latio  Laterciiiensi  ad  locum  uhi  dicitur  a  liqm  ovvero  ad  liqmm 

{'*)  Vila  di  Cola  di  Rienzo  ed.  Zef.  Re  I  c.  11.  Cf.  Bull.  com.  1.  cit. 
p.  114.  124.  Fieliard  1.  cit.  p.  30. 

('=)  Ivi  II  c.  22.  Intoriio  all' imiTiagine  della  Madonna  ante  furchas  et 
locum  iustitie  cf.  Re  Bull,  comun.  1.  cit.  p.  110.  Müntz  Les  arts  III  p.  150 
«  la  gluriosa  N.  D.  V.  M.  che  stao  in  capo  le  scale  de  Campitoglio  ". 

(•«)  Vita  di  Cola  II  c.  16.  Gregorovius  VP  p.  3.51.  356,  sulle  orme  del 
Papencordt  Cola  di  Rienzo  p.  293.  304,  riferi  il  «  hiogo  del  lione  "  alla  gabbia 
del  leone  vivente  mantenuto  allora  dal  comune  in  non  sn  quäl  luogo  del  Cam- 
pidoglio (cf.  Statuti  III  c.  80).  Questa  opinione  fu  giustamente  rigettata  dal 
Re  1.  cit.  p.  103,  e  giä  prima  tanto  il  Cancellieri  (Mercato  p.  7)  quanto  il 
Bulwer  nel  suo  romanzo  Cola  di  Rienzi  1.  X  [Hon  of  baudt),  il  Letarouilly 
]).  719  {Hon  de  porphyre  ^rjyptien),  e  l'esattissimo  Reumont  Gesch.  d.  Stadt 
Rom  II  p.  ÜtlO  {Marmorlöwe)  aveano  giudicato  piü  giustamente.  II  prof.  Re 
fl.  cit.  p.  105)  volle  riconoscere  quel  leone  famoso  nel  «  bei  leone  di  paragone 
.scnza  testa  "  mentovato  dairAldrovandi  p.  270,  ma  i  versi  del  Prospettivo  ed 
il  disegno  delFHeemskerck  parlano  in  favore  del  gruppo  di  marmo. 

(•')  Forcella  Iscr.  d.  chiese  I  n.  5.  Dal  sommo  De  Rossi  (Bull.  com.  1882 
p.  138)  l'iscrizione  viene  riferita  piuttosto  alla  loggia  {lovium)  e  agli  altri  lavori 
eseguiti  circa  quel  tempo. 


LA    COLLE/.IONE    CAPITOLINA    DI    ANTICMITA  \) 

oppure  «  avanti  ail'opera  de  metallo  "  ("^),  e  nel  966  fu  appeso  im 
prefetto  di  Roma  ante  caballum  CoiisUmtlni  ('■-)•  Non  poteva  eleg- 
gersi  liiogo  piü  appropriato  a  tale  scopo,  che  quel  posto  elevato  a 
metä  delle  scale  del  palazzo,  visibile  da  tiitta  la  piazza  capitolina ; 
ue  saprei  dire  se  sia  troppo  ricercata  la  spiegazione  del  leone  che 
shrana  la  siia  vittima  per  sirabolo  della  giustizia  vendicatrice  {-^),  iii 
contrasto  con  quella  pittiira  collocata  in  ingressu  secundae  i^ortae 
Ca-pitolii,  in  ciii  un  leone  che  qnetaraente  rigiiarda  im  cane  pro- 
strato  ai  siioi  piedi  serviva  ad  ammonire  i  senatori  che  la  clemenza 
e  la  placidezza  sono  indispeiisal)ili  ad  im  giudice  giiisto  (-').  In 
un'opera  poi  di  marmo,  esposta  alla  pioggia  per  tanti  secoli,  non  piiö 
far  maraviglia  se,  come  rileva  il  Vacca,  k  la  pelle  del  marmo  e  man- 
giata  dall'acqua  " .  Finalmente  il  nome  popolare  del  griippo  tra- 
mandatoci  dallo  stesso  Vacca,  «  l'historie  de'  Tivolesi  ",  pare  non 
si  presti  a  spiegazione  piü  semplice  che  quella  di  riferirlo  a 
quelle  ripetute  guerre  accanite  fra  i  Romani  ed  i  Tivolesi,  fi- 
nite  con  la  conquista  di  Tivoli,  accaduta  circa  la  metä  del  secolo 
decimoterzo,  cioe  uu  mezzo  secolo  prima  dell'  epoca  sopraccen- 
nata  (--). 

Se  la  congettura  qui  esposta  colpisce  nel  segno,  1'  ^  opera  ec- 
cellente  di  mano  dottissima  »,  oltre  al  pregio  artistico,  acquista 
im  considerevole  Interesse  storico.  Dall'una  parte  associandosi,  come 
dissi,  a  quei  monumenti  per  cosi  dire  giuridici  del  Laterano  me- 
dievale,  dall'altra  parte  si  mette  accauto  a  quei  monumenti  pub- 
blici  del  Quirinale  —  i  due  cavalli,  i  due  fiumi,  le  statue  di 
Costantino  —  che  ivi  per  tutti  i  secoli  di  mezzo  avevano  conser- 
vato  la  memoria  dell'antichitä.  E  vero  che  almeno  verso  la  fine 
del    secolo    decimoquarto    il  significato    crimiuale  del  gruppo  del 

('«)  Stevenson  Ann.  dell' Inst.  1877  p.  379. 

(")  Fea  Storia  deirarte  III  p.  412.  Cancellieri  Storia  dei  possessi  p.  197. 
Stevenson  1.  eit.  p.  373. 

(-")  II  Ke  1.  cit.  p.  102  vorrebbe  ravvisare  il  leone  come  insegna  guelfa. 
Starebbe  bene  questa  spiegazione  se  fosse  un  leone  solo,  ma  poco  si  adatta 
ad  una  tale  insegna  il  gruppo  del  leone  rapace. 

('-')  Forcella  I  n.  6.  Re  1.  cit  p.  104.  Lanciani  Arcli.  d.  Soc.  roni.  di  storia 
patria  VI  p.  470.  Hülsen  Bull.  dell'Inst.  1889  p.  76. 

(")  II  testo  della  Kaccolta  di  Montagnani-Mirabili  II  p.  03  allude  ad 
un'altra  spiegazione,  cioi"  ad  un'alleguria  della  viltoria  roniaiia  sopra  Car- 
tagine. 


10  MICHAELIS 

leooe  era  aiYatto  dimenticato,  ma  ciö  facilraente  si  spiega  dalla 
divei-sitä  dei  terapi,  dello  stato  politico  e  dei  costiimi  pubblici.  Forse 
anche  quella  denomiiiazione  volgare  delle  «  historie  de'  Tivolesi » 
aveva  coatribuito  ad  oscurare  il  significato  originale  dei  gruppo. 
II  posto  perö  suUe  scale  dei  palazzo  gli  rimase  fino  alla  sistema- 
zione  della  piazza  sotto  Paolo  III. 

Due  altri  iiionumenti  antichi  trovavansi  esposti  dinnanzi  al 
palazzo  capitolino  all'epoca  di  Cola  di  Rienzi,  e  probabilmen- 
te  alquanto  prima,  aneh'essi  nou  taiito  come  testimonianze  del- 
Tantichitä  classica,  quauto  per  servire  all'uso  della  vita  coti- 
diana.  Yoglio  parlare  dei  due  grandi  cippi  sepolcrali  di 
Agrippina  Maggiore,  moglie  di  Germanico,  e  dei  sno  figlio  mag- 
giore  Nerone  Cesare  {-■').  Ambedue  qiiesti  personaggi  essendo  morti 
nell'esilio,  le  loro  ceneri  erano  state  deposte  posteriormente  da  Cali- 
gula  nel  mausoleo  comiine  della  famiglia  di  Aiigiisto;  onde,  per  iina 
strana  coiiicidenza,  appimto  questi  due  cippi  furono  prescelti  ad  essere 
trasportati  sul  Campidoglio  per  servire,  durante  il  medio  evo,  come 
mism-e  pubbliche  di  grano  e  di  sale.  II  carattere  paleografieo  delle 
iscrizioni,  rvgitella  de  grano  e  de  calce,  addita  il  secolo  deci- 
moterzo  (-'),  probabilmente  l'epoca  dei  trasporto  dalla  "  Lausta  ^ ; 
la  quäle  origine  e  attestata  espressamente  dalla  cosidetta  collezione 
d'iscrizioni  signoriliana,  che  loro  assegna  quel  posto  dinnanzi  al  pa- 
lazzo capitolino.  E  beuinteso  che  il  collocamento  dei  due  cippi  e  di 
alcune  altre  misure  (-'')  sopra  quella  piazza  stava  in  relazione  con 
il  mercato  che  iyi  aveva  luogo  durante  tutto  il  medio  evo  fino  alla 


(")  C.  I.  L.  VI,  886.  887.  Boissard  III,  96.  98.  P.  S.  Bartoli  Aiit. 
Sepolcri  tav.  72  B.  Cf.  Gatti  Mostra  d.  cittä  di  Borna  alla  esposizione  di  To- 
rino,  1884,  p.  94  segg.  Nerone  Cesare  dalla  tradizioue  volgare  fu  scambiato  col- 
riinperatore  Nerone,  cf.  Nie.  Muffel  (1452)  in  questo  Bull.  1888  p.  275  n.  30 
{vor  dem  Capitolium,  cioä  il  palatium  Capitolii). 

{•*)  Forcella  I  n.  1.30,  cf.  Boissard  1.  cit.  SulFepoca  v.  la  memoria  dei 
Wickboff  nelle  J/ittheilunfjen  des  Lutituta  für  oesterreicli.  Geschichtsf.  X, 
1889,  p.  247. 

(^^)  I  quattro  «  cogni  ",  misure  di  vino,  di  grano  (scuorzo)  e  di  oglio 
(Forcella  I  n.  7-10),  si  conservano  ora  in  una  delle  stanze  dei  palazzo  de' cnn- 
.servatori.  II  eh.  Hülsen  mi  avverte  ehe  i  due  cogni  di  vino  e  di  oglio  por- 
tavano  le  armi  dei  Caetani,  cioe  di  papa  Bonifazio  VIII  (1295-1303  ;  cf.  Gatti 
1.  cit.),  e  che  probabilmente  tutte  queste  misure  furono  erette  sul  Campidoglio 
nel  medesimo  tempo. 


LA    COLLEZIONE    CAPITOLINA    DI    ANTICHITA 


11 


fine  del  secolo  decimoquinto.  Piü  tardi  qiiei  monumenti  furono  tra- 
sportati  nel  palazzo  de'conservatori,  ove  la  lapida  di  Agrippina  an- 
ch'oggi  si  conserva,  mentre  quella  di  Nerone,  veduta  nel  medesimo 
luogo  ancora  dall'Aldrovandi  e  dal  Boissard  (-'''),  sin  da  piü  di  tre 
secoli  andö  pörduta. 

IT.    La    COLLEZIONE    DI    SiSTO   IV. 

Circa  im  secolo  depo   l'epoca   di   Cola  sorse   accauto   al    pa- 
lazzo  capitolino   qiiello   de'  conservatori,  nobile   edifizio    eretto  da 


'       I 


ö — 


Fio:.  2. 


Nicolö  V,  quäle  ce  lo  mostrano,    con   poche  variazioni,  le   vediite 
B  DE,  Q  segnatamente  A* .   L'ornamento   piü  insigne   n'era  una 


(2")  Aldrovandi  p.  270.  Boissard  1.  cit. 


12  MICHAELIS 

locro-ia  0  sia  arcata  che  si  stendeva  limgo  tiitto  il  pianterreuo  (2"),  dalla 
quäle  la  porta  principale  condiiceva  al  cortile  del  palazzo,  aucli'esso 
circondato  di  colonnato.  Nel  piaao  siiperiore  danno  neirocchio  le  due 
loo-o-ie  atyli  ansfoli  della  facciata,  l'una  delle  qiiali,  visibile  anche 
in  C,  si  apriva  verso  la  cordonata  attiiale,  dominando  tutto  il 
campo  marzo  coii  la  cittä  medievale.  Neirultima  arcata  verso  il 
palazzo  senatorio  spiccava  iina  testa  colossale,  secondo  alcuni  autori 
moderni  ("-*)  posta  in  questo  luogo  giä  dallo  stesso  Nicolö  V.  Nou 
so  perö  sopra  qiiale  autoritä  sia  fondata  tale  opinione,  anzi,  sic- 
come  e  certo  che  la  testa  proveniva  dal  Laterano,  cosi  sembra  piii 
probabile  che  questo  trasporto  abbia  avuto  luogo  insieme  con  quello 
di  altre  antichitä  lateranensi. 

II  15  decembre  1471,  poclii  mesi  dopo  il  suo  avvenimeuto 
al  soglio  pontificio,  Sisto  IV  die  principio  alla  collezione  capito- 
lina  di  antichitä  merce  una  douazione  ^  monumeuti  di  bronzo. 
Aeneas  iiisignes  statuas,  irrücae  excelleatiae  virtiitisque  momi- 
mentum,  Romano  populo,  unde  exorte  fitere,  restituendas  con- 
donandasriue  censidt:  cosi  dice  la  dedica  (-''),  prestando  omag- 
gio  al  popolo  roraano,  il  Campidoglio  del  quäle  come  nei  .tempi  an- 
tichi  doveva  riempirsi  di  monuraenti  di  bronzo.  II  nuovo  palazzo 
dei  conservatori  fu  destinato  per  riceverli.  II  monumento  piü  im- 
portante  senz'altro  era  quella  lupa  lateranense,  che  soleva  chia- 
marsi  mater  Romanorum  (^'O-  G^iä  un  mese  prima  della  donazione, 
il  13  novembre  1471.  erano  stati  assegnati  cento  fiorini  d'oro  ai 
conservatori  per  la  fabrica  loci  in  quo  staiuenda  est  a^md  eorum 
palatium  luppa  enea,  e  per  qualche  altro  abbellimento  del  pa- 
lazzo (3').  La  lupa  fu  collocata  all'ingresso  in  considerevole  al- 
tezza :  eminet  ante  fores  prirnoque  in  limine  portae^  dice  Andrea 


(")  Lovium  palatii  residentiae  conservatorum  :  Statuti  dei  mercanti  di 
Koma  ed.  Gatti  p.  170.  174.  177. 

(-*)  Platner  Beschr.  d.  St.  Rom  III,  l  p.  109.  Braun  Ruinen  u.  Museen 
)).  119.  Eeumont  Gesch.  III,  2  p.  397.  Justi  Im  neuen  Reich  1871,  II  p.  123. 

(")  Forcella  I  n.  16. 

('»)  Stevenson  1.  cit.  p.  379.  Cf.  Stef.  Infessura  ed.  Tommasini  tav.  3, 
che  mostra  locum  uhi  dicitur  a  lupa  (indicatomi  dal  eh.  Hülsen).  Lascio  da 
banda  i  dubbi,  al  niio  parere  non  abbastanza  fondati,  che  da  parte  autorevole 
.si  !>ono  soUevati  contro  Torigine  antica  della  lupa. 

(*•)  Milntz  Les  arts  III  p.  170  n.  1. 


LA    COLI.EZIONE   CAPITOI.INA    DI    ANTICHITA  13 

Fulvio  (1513),  oppure  pro  aedibus  coiiservatorim  (l'istesso  nel 
1527),  in  frontisincio  ipsarum  aeclium  (Marliani  e  Fichard)  {^-)\ 
ora  il  disegno  A*  mostra  evidentemente  quäle  sia  stato  il  posto 
cospicuo  assegnato  alla  lupa  (3^').  Pare  che  Dell'istesso  tempo,  o 
poco  dopo,  si  sia  aggiimto  im  supplemento  alla  liipa  per  faiia  ve- 
rameiite  apparire  da  mater  Romatiorim.  Imperocclie  mentre  nelle 
menzioni  piü  antiche,  riferibili  al  Laterano,  sempre  si  paiia  della 
lupa  sola,  ora  accedono  i  gemelli.  11  Prospettivo  (1500)  tace  affatto 
della  lupa,  ma  di  giä  l'Albertiüi  (1509)  fa  menzione  della  lupa 
aenea  cum  Remo  et  Romulo;  e  similmonte  il  Fulvio  (1513  e  1527) 
e  di  ambasciatori  veneti  nel  1523.  I  gemelli  ristaurati  che  oggidi 
ligurano  sotto  Tanimale,  sogliono  ascriversi  a  Guglielmo  della  Porta, 
il  quäle  si  domiciliö  in  Roma  nel  1537.  Siccome  la  pubblicazione 
piü  antica,  quella  del  Marliani,  fatta  sette  anni  piü  tardi  (■^■*),  esi- 
bi:ce  giä  esattamente  i  medesimi  bambini,  cosi  se  non  puö  dirsi  im- 
possibile  che  questi  siano  stati  fatti  nel  frattempo  e  posti  in  luogo 
di  un  ristauro  anteriore,  pure  non  e  molto  probabile,  stanteche 
il  milanese  Marliani  non  avrebbe  passato  sotto  silenzio  l'opera 
di  Guglielmo  suo  compatriota.  Laonde  vorrei  pregare  quegli  esperti, 
che  sono  in  grado  di  esaminare  l'originale,  di  stabilire  se  per 
avventura  i  gemelli  siano  quegli  stessi  fatti  fra  il  1471  e  1509, 
cosicche   non    avrebbero   mai    cambiato    il    loro    onorevole    posto. 


(3»)  Per  brevitä  compoiigo  un  elenco  degli  autori  precipui  consultati  in 
questo  lavoro.  Prospettivo  milanese,  1500  (cf.  nota  10).  —  A  1  b  e  r  t  i  n  i 
Opusöulwn  de  mimhUihus  V.R.,  1510.  —  Fulvio  Antiquaria  Vrbis,  1513 
(cf.  Rev.  arch.  1882,  I  p.  28) ;  Autiquitates  Vrbis,  1527.  —  Ambascia- 
tori V  e  n  e  t  i  del  1523,  pr.  Alberi  Eelazioni,  ser.  II,  vol.  III  p.  114  segg.  — 
Marliani  Ant.  Romae  topogr.,  1534  (1588);  edizione  interamente  rivista, 
1544.  —  Fichard,  1536  (cf.  nota  6).  —  Fauno  Delle  antichitä  di  R., 
1548  (1553);  De  antiqu'itt.  V.  R.,  1549.  —  Aldrovandi  Statue  (scritto 
nel  1550),  pr.  Mauro  Le  antichitä,  1556  (1558. 1560. 1562).  —  L  a  fr  e  r  i  Spe- 
ciiliirii  Rom.  magnif.,  con  ante  diverse.  —  Boissard  (dimorö  in  Roma 
15bö-<ol)  Romanae  V.  topogr.,  1597  (1627).  —  Or  a  ra  u  c  c  i  Deirantichita 
di  R.,  1565  (1569). 

(33)  Nel  cortile  del  palazzo  Valle  una  lupa  di  porfido  (Cavalieri  I.  II 
tav.  84)  era  coUocata  similmente  in  alto  sopra  la  Venere  ed  il  Ganimede,  che 
stanno  ora  in  Firenze  (Aldrovandi  p.  214). 

(3*)  Marliani  1544  p.  27.  Presso  Lafreri  havvi  una  stampa  culla  data 
del  1552. 


14  MICHAELIS 

Giudicaudo   da   ima  fotografia,    lo  stile  dei    fanciulli   uon  sembra 
opporvisi  (^s). 

AI  pari  della  lupa  due  altre  opere  di  bronzo  provennero  dal- 
Tantico  palazzo  pontiticio  al  Laterauo,  l'anzidetta  testa  colos- 
sale  di  Domiziano  (allora  creduta  o  di  Commodo  ovvero  di  Ne- 
roue,  e  raessa  in  relazione  col  colosso  di  questo  imperatore),  ed 
una  mano  con  un  globo,  la  cosidetta  jm/Zö^  Sansonis,  essen- 
doche  nel  medio  evo  vi  si  erano  ravvisati  fi-ammenti  di  una  statiia 
di  Sansone  (^^O-  Essi  trovarono  il  loro  posto  sotto  il  portico  del 
palazzo,  la  testa  in  quelUarcata  summentovata,  sopra  alta  base  (^"), 
ove  diventö  come  iin  connotato  del  Campidoglio  premiclielan- 
gelesco,  mentre  la  raano  colla  palla  si  riveriva  come  un  simbolo 
dell'impero  del  mondo.  Del  che  si  ha  una  prova  evidentissima 
neH'essere  state  adoperate  la  lupa  e  la  mano  con  la  palla  per 
Ornamente  dell'ingresso  di  quel  soutuoso  teatro,  che  nel  1513  fu 
costruito  sul  Campidoglio  in  onore  di  Giuliano  de'Medici,  fratello 
del  papa  (^-).  Cosi  la  lupa,  la  testa  e  la  mano  con  k  palla,  nella 
loro  importanza  per  cosi  dire  storico-politica,  si  associano  al  gruppo 
del  leone  ;  questi  monumenti,  tutti  esposti  alle  scoperto,  formano 
la  Serie  di  monumenti  capitolini  di  carattere  pubblico. 

Inoltre  fecero  parte  del  douo  originale  due  celebri  statue  di 
bronzo,  lo  spinario  ed  il  camillo,  nel  quäle  allora  si  prefe- 
riva  di  ravvisare  una  zingara,  «  di  magior  varizia  Che  non  son 
quelle  che  fec'  el  Verocchio  "   (3") ;  imperocche  ogni  dubbio  se  il 

(■'5J  Ora  vedo  con  soddisfazione  che  la  medesima  opinione  fu  giä  proposta 
da  un  giudice  tanto  competente  quäl  e  il  mio  collega  Janitschek  Ee]iertO}\ 
für  Kvastwissenschaft  V  p.  263  u.  12.  E  chiaro  che  la  congettura  dello 
Stevenson  (Ann.  1877  p.  380j,  avere  cioe  Taddeo  Landiiii,  l'autore  della  fontana 
delle  tartarughe  (1585),  fuso  i  gemelli  modellati  da  Guglielmo  della  Porta,  non 
puö  essere  giusta. 

(^"5)  Stevenson  1.  cit.  p.  381. 

(•'"j  La  prima  menzinne  e  quella  di  Fra  Giocondo  (C.  I.  L  VI,  1275  in 
Capitolio  reti'o  Caput  aereum),  circa  il  1484,  in  ogni  caso  prima  del  1489  (v. 
Mommscn  ivi  III  p.  XXVII.  De  Kossi  Iiucr.  Christ.  II,  1  p.  396) ;  cf.  Manuzio  : 
in  angulo  panetis  aedium  conseruatorum  in  exteriori  porticu  contra  occiput 
capitis  colossi  aenei.  Pubblicata  pr.  Francini  Icones  d  16  (Roma  ant.  1687 
p.  11.3).  Montagnani  tav.  128. 

(■■"*)  Cf.  la  descrizione  estrattane  dall' Janitschek  1.  cit.  Un'altra  descri- 
zione  si  ha  presso  Fulvio  Aatiquarla   Vrbis  fol.  D  IV  ed  E  I. 

(■'«)  Prospettivo  st.  63. 


LA    COI.LEZIONE    CAPITOMNA    DI    ANTICHITA  15 

camillo  e  la  zingara  siano  la  medesima  statua  viene  dissipato  dalle 
descrizioni  del  Faiino  e  deH'Aldi-ovandi  (^'^).  II  plnrale  aeneas 
insigiies  statuas  nell'  iscrizione  di  Sisto,  nou  sarebbe  abbastanza 
giiistificato,  se  ambediie  queste  statue  uon  avessero  fatto  parte 
di  qiiel  dono  del  1471,  ma  ci  maiica  ima  notizia  precisa,  se 
aiich'esse  siano  di  provenienza  lateraiiense,  o  donde  siano  state 
tolte.  L'osservaziona  del  Cicognara  C')  che  Filippo  Briinellesco, 
circa  il  1400,  mise  a  profitto  la  movenza  dello  spinario  nel  ri- 
lievo  del  sacritizio  d'Isacco,  aembra  provare  che  la  statua  fosse 
fin  d'allora  conosciiita.  Di  piü  l'eccellente  stato  di  conserv^azione, 
del  quäle  godono  ambedue  quei  bronzi,  seconda  l'opinione  di 
coloro  che  li  annoverano  fra  le  opere  dell'arte  antica  non  mai 
sparite,  neppure  nei  tempi  di  mezzo,  e  forse  per  esser  stati  sotto 
la  protezione  di  qualclie  luogo  santo.  Fa  specie  perö  che  non  vi  sia 
nemmeno  Torobra  di  qualche  tradizione  sia  documentata  sia  mirabi- 
liana  relativa  a  queste  statue,  che  pure  sembra  non  potesse  man- 
care  in  opere  tanto  caratteristiche  e  parlanti;  giacche  i  volgari 
racconti  intorno  a  «  Marzo  della  spina  "  {^-)  od  al  «  fedele  "  sem- 
brano  essere  inveuzioni  relativamente  moderne,  non  trovandosene, 
per  quanto  mi  sappia,  traccia  veruna  presso  gli  autori  del  Cinque- 
cento 0  prima.  Ambedue  le  statue  non  presero  il  loro  posto  sul  Cam- 
pidoglio  nel  portico  insieme  coi  monumenti  storici,  ma  giä  il 
ProspettiYo  (st.  62)  le  vide  in  una  delle  camere  di  sopra,  ove  sono 
sempre  rimaste. 

Da  un'altra  parte  un  aumento  importante  venne  alla  col- 
lezione  capitolina  merce  la  statua  di  Ercole  di  bronzo  dorato, 
la  quäle  sotto  Sisto  IV  —  dell'anno  preciso  pare  non  si  abbia  no- 
tizia accertata  —  fu  scoperta  nella  demolizione  dell'Ara  massima 


0»)  Faunol553f.  39«.  Aldrovancli  p.  274.  Cf.  Müntz  Les  arts  III  p.  171. 
Kekule   Ueber  die  Bronzestatue  des  sog.  Idolino  p.  16. 

(*')  Cicognara  Storia  d.  scultura  II  p.  87.  Öi  sä  perü  che  Brunellesco 
andu  a  Roma  solamente  dopo  aver  fatto  quel  rilievo.  Potrebbe  dai"si  che  ne  avesse 
conosciuto  un'altra  copia,  sia  statuaria,  sia  in  rilievo  (conf.  Arcli.  Zeit.  1877, 
tav.  12,  2). 

(*-)  Questa  espressione  si  trova  presso  il  Prospeltivo  st.  62,  eneum  Marlii 
pastoris  simulacrum  in  un' iscrizione  del  1609  (Forcella  I  n.  111).  Le  sollte 
storielle  si  vedano  p.  es.  presso  Pinaroli  Antich.  di  Borna,  1713, 1  p.  69  e  nel 
testo  del  Pdghetti  a  tav.  207. 


16  MICHAELIS 

vicino  al  Circo  massimo  (-'S).  L'iscrizione  dedicatoria  (aella  quäle 
il  papa  e  nominato  non  come  donatore  ma  soltanto  per  indicare  la 
data,  mentre  i  conservatori  figurano  da  possessori  ipso  iure)  ci  e 
conseiTata  dairAlbertini  (f.  86^)  in  iina  copia  un  poco  sconetta : 
S'jxto  IUI  poiil.  max.  regmnte  aeneiim  Ilerculis  simulachritm 
atirea  mala  secundum  uiueate  ('-•)  tropeum  ünixira  rjerentis  in 
ihUms  Ilerculis  Viel,  fori  hoar.  effossuni  consermtores  iii  mo- 
mimeiitum  gloriae  Romanae  heic  locandmn  curarwit.  La  statua 
fu  coUocata  nel  cortile  del  palazzo  a  destra,  come  lo  descrive 
Fiilvio  (1513) :  limina  prir/ia  imteiil  ciistode  sub  Herctde  tufa, 
Äe/ieus  ad  dextram  qui  marmore  prominet  alt  o,  Ciäus  clava 
canes  olfatit  territat  omnes  {^^);  anche  piü  tardi  {Antiqiät.,  1527, 
f.  XXI)  egli  si  vale  deH'espressione  idtra  Urnen  stanti  a  dextris 
siirgit  simulacrum.  Questa  descrizione  riceve  piena  liice  dal  di- 
segno  dell'Heemskerck  (f.  53'')  qui  riprodotto,  che  mostra  la  statua 
alzata  secondo  il  gusto  di  quei  tempi  sopra  alta  base  quadrata  a 
guisa  di  torre.  La  mazza  e  sorretta  da  un  pezzo  sottoposto.  Nel- 
r  intorno  si  scorgouo  sparsi  i  framraenti  di  un  colosso  di  marmo, 
del  quäle  ragioneremo  subito.  Con  questo  disegno  va  d'accordo  la 
descrizione  contemporanea  del  Fichard  (1536)  {^^'). 

Senza  dubbio  giä  di  buona  ora  alcuni  altri  monumenti  antichi 

(■*ä)  De  Rossi  Mon.  Ann.  e  Bull.  d.  Inst.  185-i  p.  28  segg.  La  data  vol- 
gare  del  1471  sembra  e.s.sere  priva  di  fondamento  ;  forse  deve  la  sua  origine 
airiscrizione  summentovata  che  si  riferisce  alla  fondazione  del  museo.  II  eh. 
Hülsen  fa  osservare  che  nel  codice  Eediano  scritto  nel  147-i  Tiscrizione  C.  I. 
L.  VI,  312  postea,  sed  eadem  manu  addita  est. 

(**)  Le  parole  corrotte  pare  ricevino  luce  da  im  passo  di  A.  Fulvio 
{AntiquitA.XXl)  che  evidentemente  ha  attinto  alFistesso  originale:  sinistra 
vero  aurea  Hesperidum  mcda  teneas,  quae  in  prima  sustulit  inventa  (1.  iu- 
venta).  Si  legga  dunque  o  aurea  mala  Hesperidum,  iuvente  tropeum,  oppure 
aurea  mala,  sublatum  in  luveata  tropeum. 

(■'^)  Allusione  ad  un  passo  di  Solino  I,  11  p.  8  Mommsen. 

(*6)  P.  28  dopo  la  menzione  deirErcole:  Noii  procul  inde  fragmeatatim, 
iacent  et  crura  et  pes  aüerius  cuiusdam  marmorei  colossi.  Ungues  pedis  spi- 
thama  mea  fere  sunt  latiores.  Caput  eiusdem  ingens  alteroque  aeneo  longe 
maius  in  media  area  iacet.  E  strano  che  la  testa  giacente  sul  suolo  nel- 
l'abbozzo  delFHeemskerck  rassoniigli  i)iuttosto  ad  una  testa  di  bronzo,  e 
segnatamente  fa  specie  quel  buco  quadrato  presso  l'orecchio  ;  il  Petersen  pero 
mi  scrive  che  un  tal  buco  in  fatti  si  trova  nel  luogo  segnato  della  gran  testa 
di  marmo,  onde  risulta  l'esattezza  dell'  Heemskerck. 


LA    COLLEZIONE    CAPITOLINA    DI    ANTICIIITA 


17 


sono  stati  trasportati  siü  Campidoglio,  come  p.  es.  le  lapidi  votive 
ad  Ercole  Invitto  ritrovate  auch' esse  presse  l'Ara  massima,  le 


r 


Fio-.  3. 


quali  ricevettero  il  loro  posto  nel  portico  dei  couservatori  accanto 
ai  cippi  di  Agrippina  e  di  Nerone  (^"),  nonche  la  gran  base  dei 


{*')  C.  I.  L.  VI,  312-318.  De  Rossi  1.  cit.  p.  30.  I  due  cippi  vengonu 
menzionati  come  esistenti  in  qucsto  luogo  per  la  prima  volta  da  Fra  Giocondo 
(c.  1484-89).  I  conservatori  delle  epoche  piü  recenti  si  sono  mostrati  poco  degni 
dei  loro  bei  nome  riguardo  queste  lapidi,  stanteche  una  sola  (312)  e  sempre 
rimasta  nel  Campidoglio,  due  (313.  31G)  dopo  varie  vicende  vi  sono  tornate. 
di  una  (315)  e  stata  cancellata  l'iscrizione,  una  (314)  ando  perduta  nel 
secolo  XV,  due  altre  (317.  318)  sin  dal  secolo  XVII.  (Comunicazione  dei 
eh.  Hülsen). 

2 


]3  MICHAELIS 

vi  CO  mag  is  tri  collocata  vicino  alla  testa  di  bronzo  (■^^).  Quauto 
sia  stata  potente  Tattrattiva  esereitata  da  questo  primo  ricettacolo 
pubblico  di  antichi  mouumenti  in  Roma,  lo  mostra  il  fatto  ben 
conosciiito  che  nell'aprile  del  1485  il  famoso  corpo  di  giovinetta 
scoperto  alla  via  Appia.  per  ordine  dei  conservatori  fu  trasportato 
nel  cortile  del  loro  palazzo,  vicino  alla  cisterna  (-"'),  per  essere  ivi 
esposto  ed  ammirato  cogli  altri  avanzi  deU'anticliitä,  finche  Inno- 
cenzo  Till  clandestinamente  fece  togliere  di  mezzo  qiiel  pericoloso 
spettro  pagano;  il  sarcofago  di  raarmo  rimase  nel  cortile  {^'^).  Ivi 
liirouo  depositati  sotto  Innocenzo  qiiella  testa  e  qualche  membro 
diun  colosso  di  marmo,  ritrovati  vicino  al  cosidetto  Tem- 
plum  Pacis  {^^),  e  vi  rimasero  sparsi  sul  suolo  per  im  mezzo  se- 

(^«)  C.  I.  L.  VI,  975.  Cf.  Albertini  f.  37«  in  porticu  aedium  conserva- 
torum  Vrbis  non  longe  a  2Wrta  palatii  Senatoris.  —  Debbo  alla  gentilezza  del 
sig.  Hülsen  il  segnente  elenco  di  lapidi  capitoline  di  qualche  impoiianza,  con 
aggiunta  delFepoca  quando  prima  appariscono  nelle  raccolte  epigi'afiche  ;  quelle 
che  sin  dal  1600  incirca  non  si  mentovano  piix  come  esistenti  sul  Campidoglio, 
sono  segnate  coll'asterisco.  1440  ?,  alraeno  sin  dal  1470  :  C.  L  L.  VI,  391*  base 
di  Yespasiano.  Prima  del  1460  :  975  base  dei  vicomagistri.  [Troppo  tardi  vengo 
avvertito  dal  eh.  Hülsen,  che  questa  base,  veduta  giä  da  Ciriaco,  che  morl 
nel  1459,  si  ü-ovava  sul  Campidoglio  giä  prima  del  1471,  laonde  il  suo  posto 
sarebbe  stato  piuttosto  fra  i  monumenti  primordiali,  trattati  nel  capitolo  ante- 
oedente].  Circa  il  1490  :  1275.  1892*.  Nel  1546  :  1303  e  1304*  avanzi  del  fomix 
Fabianus.  3492«*  indice  delle  legioni.  Circa  il  1550 :  372*  mouumento  dei 
comuni  lici.  128  (piü  tardi  in  Verona).  Nel  1551  :  897  e  898  iscr.  di  C.  e  L. 
Cesari  (non  piü  vedute  sin  dal  1666).  Nel  1558  :  155*.  157*.  162*  iscr.  dei 
magistri  fontium.  Circa  il  1570:  998*  iscr.  di  T.  Elio  Cesare.  Circa  il  1590: 
954  iscr.  di  Nerva  (tolta  ad  uso  moderno  nel  1676,  ritrovata  nel  1836,  cf.  Bull, 
comun.  1886  p.  92  n.  1130).  Cf.  inoltre  le  iscrizioni  sepolcrali  20501.  20600. 
21732.  21980.  23600. 

(*9)  Infessura  pr.  Muratori  rer.  Ital.  scriptt.  III,  2  p.  1192  iuxta  cisternam 
in  reclaustro  eiusdem  palatii  ...  Et  pilus  marmoreus,  uH  fuerat  reperta, 
remissus  est  in  reclaustro  dominorum  comervatorum.  Sulla  cisterna  cf.  Fichard 
p.  28  E  regione  Herculis  cisterna  antiqua  videtur,  nunc  tarnen  satis  splen- 
dide restituta  cum  hoc  versiculo :  Vas  tili  condidimus,  pluvia  tu,  Juppiter, 
imple  (Forcella  I  n.  38) ;  cf.  Lanciani  Arch.  d.  Soc.  rom.  di  storia  patria 
VI  p.  240. 

(50)  Dope  tanti  altri  v.  le  memorie  del  Thode  e  dell' Hülsen  nelle 
Mittheilungen  des  Instituts  f.  oesterreich.  Geschichtsforschung  IV -p.  75  segg. 
433  segg.  Janitschek  Courrirr  de  Vart  1883  p.  312.  L'art  XXXV,  1883,  p.  1. 

(«•)  V.  l'iscrizione  presse  Albertini  f.  86».  Forcella  I  n.  127.  132.  La 
testa  e  pubblicata  pr.  Francini  Icones  e  3  (Roma  ant.  1687  p.  109)  e  Monta- 


LA   COLLEZIONE    CAPITOLINA    DI    ANTICHITA  19 

colo.  Cosi  furoüo  vediiti  dai  relatori  sin  dal  Prospettivo,  che  vanta 
la  testa  essere  «  di  tal  bontä  quäl  Lionardo  nostro  "  (^-),  fino 
al  Fichard,  e  disegnati  daU'Heemskerck,  fincbe  fürono  collocati 
lungo  le  pareti  del  cortile.  E  mentre  la  tradizione  popolare  bat- 
tezzava  anche  questa  testa  col  nome  di  Commodo,  i  dotti  antiqiiavi 
attribuirono  gli  avanzi  siiddetti  a  quel  colosso  di  Apollo  che  Lucullo 
aveva  fatto  venire  da  Apollonia  nel  Pento  per  collocarlo  siil  Cam- 
pidoglio.  Pur  troppo  perö  sappiamo  che  quest'opera  di  Calamide 
non  era  di  marmo,  ma  di  bronzo  (''^). 

III.    AUMENTI    DELLA    COLLEZIONE    TINO    AL    1538. 

Tale  era  lo  stato  della  coUezione  capitolina  sul  principio  del 
secolo  XVI,  come  apprendiamo  da  tre  descrizioni  successive,  le 
stanze  del  Prospettivo  (c.  1500),  l'opuscolo  dell'Albertini  (1509), 
e  X Aatiquaria  Urbis  del  Fulvio  (1513);  le  quali  descrizioni  ben- 
che  tiitte  stiano  d'accordo  nei  punti  essenziali,  pure  le  due  ultime 
oftrono  ciascuna  qualche  particolaritä. 

L'Albertini  (f.  61'^)  aggiunge  alla  testa  ed  alla  mano  di  bronzo 
eziandio  im  piede,  di  cui  fanno  menzione  anche  il  Fulvio  [An- 
tiqnit.  f.  XXI)  e  l'Aldrovandi  (p.  273);  esso,  se  non  m'ingauno,  si 
trova  aucora  nella  coUezione  capitolina  de'bronzi,  ne  deve  confon- 
dersi  col  piede  trovato  piü  tardi  presso  la  piramide  di  Gestio  (5^). 


gnani  tav.  129.  Un'enumerazione  piü  particolareggiata  dei  frammenti  havvi  presso 
Aldrovandi  p.  272.  L'Albertini  f.  21''  parla  di  statue  di  imperatori,  quorimi 
capita  integra  et  fragmenta  reliqua  corporum  erui  ex  suhterranea  testudine 
(delle  Terme  Diocieziaiie)  vidimus  et  partim  in  Capitolium  delata,  partim 
Florentiam  'Hiissa.  Forse  hanno  da'cercarsi  fra  gli  « infiniti  altri  fragmenti » 
dall'Aldrovandi  veduti  in  quel  cortile. 

(^^)  E  strano  che  il  Prospettivo  separi  i  menibri  del  colosso  di  marmo 
(«  l'ungia  del  pie  qual'e  piü  picinina  E  qiianto  le  mie  branclia-  longa  spande  " 
st.  Ol)  dal  «  col "  (cu,  secondo  il  Govi)  "  pien  di  come  »  (st.  67).  La  testa  di 
bronzo  «  busciata  nel  ventre  »  da  lui  si  ascrive  a  «  Cesare  o  Octaviano  ",  e  la 
mano  viene  comparata  con  quella  del  Dio  padre  di  bronzo  nel  coro  del  duomo 
di  Milano  (st.  65  e  66). 

(^^'j  Plinio  34,  39. 

(ä")  Cf.  Bull.  d.  Ist.  1873  p.  8.  II  piede  destro  e  lungo  1  m.  ;  il  Petersen 
pensa  che  e  troppo  piccolo  per  appartenere  alla  testa  ed  alla  mano  colossali. 
Sul  piede  trovato  presso  la  piramide  di  Gestio  v.  la  nota  175. 


20  MICHAELIS 

Inoltre  TAlbertini  fa  menzione  di  alia  quampliira  Ro.  moiiimenta 
cum  duabus  pideherrimis  tabulis  lueentibas  mirae  imlchritudinis 
et  artificii.  Sarebbe  cosa  disperata  il  voler  rintracciare  qiiesti  ri- 
lievi,  se  non  ci  venissero  in  aiuto  due  altre  notizie,  venendo  de- 
scritto  l'iino  dal  Marliani  (1544  p.  27)  sotto  il  portico  del  cortile 
come  terivplum  in  marmore  iiicisum,  signis  'peiyalchre  exornatiim, 
ambediie  dal  diligentissimo  Aldrovandi  (p.  271) :  «  Entrando  nella 
casa  de'Coiiservatovi  si  trova  sotto  al  portico  che  e  da  man  dritta, 
ima  tavola  di  marmo  attaccata  al  muro  con  bellissime  figure  iscol- 
pite ;  nel  cui  mezzo  e  come  ima  porta,  pm'e  di  marmo,  che  pare 
che  s'apra.  Vi  e  ancho  un'altra  tavola  marmorea,  che  ha  in  se  scol- 
pite  genti  e  cavalli,  che  pare  che  combattono  ".  Ambedue  questi 
rilievi  erano  facciate  di  sarcofagi.  La  prima  si  trova  ancora 
in  una  delle  stanze  superiori  del  palazzo;  nel  bei  mezzo  si  vede 
im  tempietto  colla  porta  riccamente  scolpita  e  semiaperta,  circon- 
dato  dai  geni  delle  quattro  stagioni  {^•').  L'altro  sarcofago 
rappresentava  Achille  e  Pentesilea  in  mezzo  a  combattimenti  di 
Amazzoni ;  disegnato  piü  volte,  e  nel  1559  inciso  in  dae  grandi 
fogli  da  Xicolao  Beatricetto,  passö  dopo  nella  villa  Pamfili,  nel 
cui  casino  anch'oggi  si  mira  (^*'). 

Qiiegli  alia  quamplura  Ro.  monimenta  deH'Albertiui  saranno 
senz'altro  identici  cogli  alia  plura  marmorea  signa  circiimquaque 
iii  iiiferiori  parle  palatii  huius  posita^  sed  qiiae  iii  tanta  copia, 
noii  curaiitur,  come  si  esprime  il  Fichard.  Che  la  parola  signa 
anche  qui,  come  altrove,  abbia  il  significato  di  rilievi,  lo  mostra 
l'aggiunta  parietibus  inclusa  del  Marliani  (^").  Anche  di  questi 
rilievi  pare  si  possano  rintracciare  alcuni  con  1' aiuto  di  alcuni 
disegni  del  Cinquecento,  quantunque  di  una  data  piü  recente,  i 
quali  raffigurando  o  frammenti  o  marmi  piuttosto  guasti,  si  capisce 


(■'•'^)  ßesckr.  d.  St.  Rom  III,  l  p.  119.  ün  disegno  se  iie  trova  nel  codice 
Pighiano  f.  245,  n.  190  Jahn,  segnato  "  in  CapitoUo  in  area  palatii  conser- 
vatorurn  xirhis  ». 

(»«)  Robert  Ant.  Sarkophag-Beliefs  II  t&v.  dl  n.  89,  p.  109.  L'ubicazione 
riferibile  al  Campidoglio  si  trova  tanto  sul  rame  del  Beatricetto,  ripetuto  nello 
Speculvrn  di  Lafreri,  quanto  in  un  disegno  della  collezione  Dal  Pozzo,  appar- 
tenente  alia  fine  del  XVI  od  al  principio  del  XVII  secolo  (Robert  p.  XII).  II 
casino  Pamfili  fu  eretto  nel  164-i. 

(»')  Fichard  p.  29.  Marliani  1534  f.  30". 


LA    COLLEZIONE    CAPITOLINA    DI    ANTICHITA  21 

perche  i  descrittori  della  collozione  capitolina  non  ne  abbiano  fatto 
menzione  speciale.  "Non  ha  giiari  abbiaino  imparato  dal  tacciüno 
dello  sciiltore  remese  Pierre  Jacques,  eseguito  negli  anni  1572-77, 
che  c'erano  i^  in  Campidoglio  «  tre  frammenti  di  rilievi,  raffigu- 
ranti  Timo  il  froutone  del  tempio  capitolino,  il  secondo 
im  e  s  t  i  s  p  i  z  i  0  ,  il  terzo  ima  parte  di  un  s  a  c  r  i  f  i  z  i  o  d  i  t  o  r  o. 
II  frontone  era  anche  stato  disegnato  circa  yenti  anni  prima  dal 
Pisfhio;  il  noto  codice  orsiniauo  della  Vaticana  ha  inoltre  mo- 
Strato  che  desso  faceva  parte  di  im  rilievo  piü  grande  raffignrante 
un  gruppo  di  persona  togate  dinnanzi  al  tempio  capitolino  indicato 
merce  le  tre  porte  ed  il  suo  frontone  {^^).  Ora  a  questi  disegni  parigino, 
berlinese  e  romano  deve  aggiungersi  un  nuovo  disegno  nel  cosidetto 
codice  berlinese,  contenente  una  raccolta  di  disegni  di  vari  artisti 
del  Cinquecento  (''^),  essendoche  il  foglio  25  esibisce  le  «  Vestigie 
Dimo  Antico  fragjmento  di  Marmo  di  Mezzo  rilieuo  Dun  sacrifitio 
In  campidoglio  nel  cortile  de  Conseruadori  ».  Ne  diamo  il  facsi- 

(^8)  Cf.  Auclollent  Melanges  (VArcheol.  et  (Vhist.  1889  p.  120.  tav.  2. 
Geffroy  ivi  1890  p.  194.  Hülsen  Bullett.  1889  p.  251.  I  frammenti  in  quistione 
sono  i  seguenti : 

a)  II  solo  frontispizio  nel  codice  di  Coburgo  [1550-55]  f.  156 
n.  37  Matz,  pubbl.  Arch.  Zeit.  1872  tav.  1.  Saglio  Dict.  des  Antiq.  I,  2 
p.  904  n.  1151. 

b)  II  solo  frontispizio  disegnato  nel  1576  «in  Campidoglio"  da 
Pierre  Jacques,  pubbl.  Melanges  1889  tav.  2. 

c)  La  p  a  r  t  e  d  e  s  t  r  a  nel  codice  ursiniano  della  Vaticana  3439  f.  83, 
pubbl.  in  facsimile  Bullett.  1889  p.  251  ;  meno  fedelmente  il  frontone  solo 
presso  Piranesi  Magnif.  ed  archit.  de'  Ptomani  p.  198.  Müller-Wieseler  Denk- 
mäler  IP.  2,  13. 

d)  La,  m  e  t  ä  inferiore  della  parte  d  e  s  t  r  a  ,  con  molti  ri- 
stauri,  ora  nel  Louvre  n.  41,  pubbl.  Bouillon  III,  bas-rel.  tav.  29.  Clarac  II, 
.151,  300. 

e)  La  parte  s  i  n  i  s  t  r  a  ,  disegnata  da  P.  Jacques  [1576]  nel  «  cam- 
pidoglio ",  pubbl.  Melanges  1890  p.  197. 

/■)  La  medesima  parte  s  i  n  i  s  t  r  a  ,  ristaurata,  ora  nel  Louvre  n.  439, 
pubbl.  Winckelmann  Mon.  Ined.  tav.  183.  Bouillon  1.  cit.  tav.  27.  Clarac  II, 
195,  311. 

(5»)  Cf.  Schreiber  negli  Ilistor.  Aufsätze  E.  Curtius  gewidmet,  1884, 
p.  101.  Eobert  Sark.-RelAl  p.  XI  n.  5.  Der  Pasiphae-Sarkophag,  1890,  p.  8. 
II  nostro  disegno,  al  pari  di  non  poclii  altri  di  quel  codice,  nii  e  apparso  ante- 
riore a  Girolamo  Ferrari  (che  dimoro  in  Eoma  sotto  Gregorio  XIII,  1572-85), 
il  cui  nome  e  scritto  sul  rovescio  del  foglio  91,  eseguito  in  stile  assai  diverso. 


22  MICHAELIS 

inile  siilla  tavola  III.  Basta  im  colpo  d'occhio  per  convincersi  che 
l'estispizio  ed  il  tempio  col  suo  griippo  sono  due  parti  strettamente 
coerenti  di  una  sola  composizione,  la  quäle,  sebbene  evidentemeute 
giä  allora  rotta  iu  due  pezzi,  pure  era  rimasta  unita  quando  la 
lastra  si  incaströ  nel  uiuro  di  quel  cortile.  E  ugualmente  chiaro 
che  si  tratta  di  un  sacritizio  solenne  Offerte  da  personaggi  per  lo 
piü  imberbi  (forse  dell'epoca  di  Traiano  (^•'"))  dinnanzi  al  tempio  di 
Giove  capitolino  —  rappresentanza  ottimamente  adattata  al  moderno 
palazzo  capitolino  de'  conservatori,  costruito  appie  di  quel  tempio, 
e  che  pel  suo  carattere  storico  si  accorda  benissimo  coi  rilievi  di 
Marco  Aurelio,  di  cui  tosto  si  farä  menzione.  La  rottura  perö  del 
gran  rilievo  ne  cagionö  piü  tardi  la  dispersione,  allorquaudo  si  levö 
da  quel  muro  capitolino.  I  due  gruppi  inferiori,  ristaurati  e  sup- 
pliti  alla  meglio,  cioe  assai  male,  furono  incastrati  in  guisa  di 
riscontri  nella  facciata  Orientale  del  casino  di  villa  Borghese,  edifi- 
cato  circa  il  1615  (ß^);  11  frontone  del  tempio,  che  si  opponeva  alVuso 
dei  due  rilievi  come  riscontri,  fu  tolto.  e  cosi  andö  perduto,  mentre 
quei  due  rilievi  borghesiani,  sul  principio  del  nostro  secolo,  mi- 
grarono  a  Parigi,  senza  che  piü  si  conoscesse  come  fossero  con- 
nessi  in  origine  ('''). 

(55«)  Xel  disegno  e  si  trova  lo  slrano  deltaglio  deiriscrizioiie  J/.  llipius) 
Orestes  scolpita  sopra  una  (Teile  unghie  del  toro.  Se  questa  iscrizione  e  con- 
temporaiiea  al  rilievo  stesso,  questo,  vista  la  maiicanza  delle  barbe,  appartiene 
al  tempo  di  Traiano.  E  vero  peru  che  lo  stile  del  rilievo  accenna  piiüt' sto  al 
principio  deH'iinpero. 

(«0)  Manilli  Villa  Borghese  [1650]  p.  46.  IMontelatici  Villa  Borghese 
[1700]  p.  171.  Cf.  Hülsen  Bull.  1889  p.  250. 

("')  L'esirema  cortesia  del  sig.  A.  Heron  de  Villefosse  mi  meüe  in  grado 
di  dare  un'indicazione  dei  ristauri  un  poco  piü  esatta  di  quella  presso  Clarac. 
Nel  frammento  d,  il  cui  angolo  inferiore  sinisiro  era  rotto  (ovvero  e  di  ristauro 
moderno  ?),  sono  moderni :  tutta  restremitä  sinistra  coll'ara,  due  colonne,  la 
metä  sinistra  del  primo  personaggio  ;  inoltre  la  faccia  di  questo  ;  la  testa, 
Tavanibraccio  destro  e  la  mano  sinistra  della  seconda  figura  ;  il  naso  della  per- 
sona coWapex  ;  la  testa  e  l'avanibraccio  destro  della  quarta  persona ;  il  naso 
della  persona  in  fondo  ;  la  testa  ed  ambedue  gli  avambracci  del  personaggio 
piü  a  destra  ;  l'orlo  destro  del  rilievo  e'la  piü  gran  parte  deirejjistilio  del  tem- 
pio. —  II  frammento  /  e  rotto  in  due  pezzi.  Sono  moderni :  l'angolo  destro 
superiore  c  tutta  la  parte  di  sopra  fino  alle  teste  dei  personaggi ;  Tavambrac- 
cio  della  terza  figura  ;  il  taglio  dell'ascia,  la  mano  destra  e  l'asta  dell'ascia 
della  figura  quarta ;  testa  e  collo  di  quella  in  fondo  ;  te.sta  e  braccio  sinistro 


LA    COLLEZIONE    CAl'ITOMNA   DI    ANTICHITA  23 

Anclie  il  terzo  rilievo  iudicatoci  come  capitolino  da  Pierre 
Jacques  e  passato  per  le  stesse  fasi  (^'-).  Presenta  anch'esso  im 
sacrificio  di  toro,  ma  non  ha  mai  apparteauto  al  mede- 
simo  monumento  con  quello  anzimentovato,  essendoche  ne  differisce, 
secoüdo  le  indicazioni  dovute  alla  gentilezza  del  sig.  A.  Heron  de 
Villefosse,  tanto  per  il  rilievo  niolto  piü  alto,  qiianto  per  Tinferio- 
ritä  dello  stile,  le  teste  barbate  e  coronate,  ed  altri  dettagli.  Pierre 
Jacques  perö  non  ha  disegnato  tutto  il  rilievo,  ma  soltanto  il  fram- 
mento  piü  a  destra,  del  quäle  l'angolo  destro  inferiore  esseudosi 
staccato  piü  tardi,  un  ristauro  moderuo  e  venuto  a  rimpiazzarlo. 
A  sinistra  la  composizione  viene  supplita  da  quattro  altri  fram- 
menti  minori,  contenenti  un  altro  toro,  cinque  uomini,  e  nel  fcndo 
l'indicazione  di  un  edifizio  a  colonne.  E  chiaro  che  tutto  il  rilievo 
originariamente  faceva  parte  di  una  composizione  piü  grande,  la 
cui  parte  destra  e  perduta.  Nel  medesimo  stato  nel  quäle  oggi  si 
trova  nel  museo  del  Louvre,  il  rilievo  occupö  un  giorno  il  centro 
di  quella  stessa  serie  di  rilievi  nella  villa  Borghese,  le  cui  estre- 
mitä  erano  occupate  dai  due  rilievi  anzidescritti  (''3). 

Mi  si  permetta  di  aggiungere  qui  un  altro  monumento  dise- 
gnato "  In  Campidoglio  »  da  un  artista  incirca  del  1600  C^^).  Ed 
e  queir  ara  rotonda,  che  ora  porta  la  statua  di  Esculapio  nel 
Salone  del  Museo  ;  in  essa  si  raffigura  ancora  un  sacrifizio,  al  quäle 
assistono  sei  figure,  con  particolari  poco  cbiari  {^'^).  II  tempo  preciso, 


clelF"  aruspice  »;  il  niuso  del  toro;  la  testa,  la  parte  destra  del  petto,  ed  il 
braccio  destro  del  personaggio  piü  a  sinistra  ;  vari  dettagli  di  miiiur  conto  ; 
l'orlo  sinistro  della  lastra.  —  I  ristauri  sono  eseguiti  parte  in  marrao,  parte 
in  gesso.  Le  teste  antiche  non  portano  corone.  —  II  sig.  de  Villefosse  indica 
anche  il  frammento  n.  519  (Bouillon  1.  cit.  tav.  28,  2.  Clarac  II,  222,  317) 
corae  di  stile  similissimo,  se  non  superiore  ;  le  diniensioni  ed  il  niarmo  stanno 
d'accordo  con  d  e  /. 

C'-)  P.  Jacques :  3/elanges  1890  p.  199.  II  rilievo  completo  :  Louvre 
n.  724.  Bouillon  III,  bas-rel  tav.  28,  1.  Clarac  II,  218,  310.  I  ristauri  com- 
prendono  cinque  teste  (i  due  vittimari,  i  due  personaggi  stanti  fra  loro,  ed  il 
camillo  piü  a  sinistra),  le  braccia  del  vittimario  in  mezzo  colle  parti  adiacenti, 
l'angolo  destro  inferiore  coll'ara,  e  certi  particolari. 

(")  Manilli  1.  cit.  p.  4(3.  Montelatici  1.  cit.  p.  172. 

v")  Codice  della  collezione  Dal  Pozzo  inWindsorX  (XVIII)  fol.  8  (sul- 
l'epoca  cf.  Pobert  Sark.-Eel.  II  p.  XII)  =  ivi  II,  20. 

(")  Foggini  Mus.  Capitol.  IV,  59. 


24  MICHAELIS 

quauilo  qiiesto  monumento  sia  passato  nel  Campidoglio,  non  mi  e 
conosciiito  :  le  descrizioni  pare  non  ne  facciano  meüzioue. 

Ai  monumenti  mentovati  daH'Albertini  ed  agli  altri  monu- 
meüti  indicati,  come  pare,  da  lui  e  dal  Fichard,  il  Fulvio  (f.  E  II ) 
aoro-iuuofe  due  Sfincri  di  marmo  sciiro,  giacenti  a  sinistra,  al  pie 
della  scala  per  cui  si  saliva  al  piano  siiperiore.  Le  ritroveremo 
piü  tardi. 

Tiitti  qiiesti  marmi  non  si  sa  esattamente  se  appartenessero  giä 
alla  collezione  del  Quattrocento,  o  se  siano  stati  aggiunti  nel  primo 
decennio  del  secolo  decimosesto ;  anzi  i  monumenti,  di  cui  or  ora  ho 
trattato,  p  o  s  s  o  n  o  essere  entrati  nella  collezione  capitolina  anche 
piü  tardi.  In  ogni  caso  Tesigiiitä  dell'aumento  piiö  fare  specie 
ripensando  allo  stiipendo  slancio  che  nell'istessa  epoca  in  Roma 
preudevano  le  collezioni  dei  dilettanti  privati,  fra  i  quali  pri- 
meggiava  Andrea  della  Valle,  e  segnatamente  Ginlio  II  con  la 
collezione  inaugurata  nel  Belyedere  vaticano  C^*^).  Questo  mnseo 
pontificio  perö  aveva  im  carattere  totalmente  diverso  da  quello  della 
collezione  comunale.  Nel  Vaticano"  si  radunavano  soltanto  statiie  di 
marmo,  il  fondo  della  collezione  capitolina  era  formato  di  brouzi ; 
ivi  si  ammiravano  statue  d'una  conservazione  quasi  perfetta,  qui 
frammenti  e  rilievi  erano  frammischiati  alle  statue;  nel  giardino 
del  Belvedere  regnava  esclusivamente  il  punto  di  vista  artistico  e 
fece  del  cortile  delle  statue  il  luogo  ove  convenivano  gli  artisti 
e  gli  amatori  delle  belle  arti,  in  vece  nella  scelta  delle  antichitü 
capitolina  1' Interesse  storico  congiunto  con  i  monumenti  preva- 
leva,  se  non  esclusivamente,  pure  in  primo  luogo.  Tale  fu  anche 
il  dono  col  quäle  Leone  X  nel  1515  arricchi  il  museo  capitolino, 
facendo  trasportare  tre  rilievi  dalla  vicina  chiesa  di  S.  Martina 
sul  foro  iii  hunc  p.ihUcum  locum,  come  si  dice  nell'iscrizione  de- 
dicatoria  finora  non  riconosciuta  come  tale  C^").  I  tre  ben  conosciuti 
rilievi,  rappresentanti  Marco  Aurelio  nel  campo   di  battaglia,  nel 


('"')  Cf.  la  mia  memoria  sulla  storia  della  collezione  vaticana  del  Belve- 
dere neWJah'buch  cl.  arch.  List.  1890  p.  5  e  seg. 

("')  Forcella  I  n.  39  :  Leoni.-<  X  pont.max.  gra.prestita  ....  an.  M.D.XV 
ex  divi  Martini  ([.  dive  Martine)  templo  in  hunc  puh.  locum  ...  Marcus  Aure- 
lius  Severus  triumphator\i\  Romanorum  imperator{i\.'L'' eAiioxe  pensö  ad  una 
statua  0  busto  di  Alessandro  Severo. 


LA    COLLEZIONE   CAPITOI.INA    DI    ANTICIUTA  23 

carro  trionfale,  e  sacriticante  dinnanzi  al  tempio  capitolino  {^'^), 
furono  incastrati  uella  parete  sinistra  scoverta  del  cortile,  insierae 
con  qiieiriscrizione  raentovata  espressamente  dal  Fichard  (''•').  L'Al- 
bertiiii  (f.  27'^  ed  il  Fulvio  (f.  0  III'')  avevano  ancora  veduto 
quel  Venerabile  secretarium  semtiis  ornato  di  qiiesti  marmorei 
vidtus  et  imniKt  triumphi;  d'allora  in  poi  si  trovano  regolarmente 
nelle  descrizioni  del  palazzo  dei  conservatori.  I  conservatori,  en.i^- 
gendo  .ima  statua  al  papa,  fecero  inoltre  ripulire  e  riordiuare  le 
altre  scultiire  giiaste  e  coperte  di  sudiciurae  ("^'). 

Non  molto  piü  tardi  sembra  che  il  moate  Cavallo  sia  stato 
messo  iu  contribiizione  per  cedere,  al  pari  del  Laterauo,  al  Cam- 
pidoglio  la  parte  trasportabile  delle  sue  antichitä.  Sin  dai  tempi 
di  roezzo  agli  angoli  deiriuforme  base  laterizia  dei  due  colossi  si 
trovavano  «  alcune  statue  di  Costantino  »  (delle  quali  ragioneremo 
piü  tardi),  ed  inoltre  due  grandi  statue  giacenti,  conosciute  sotto  la 
strana  denominazione  di  Saturno  e  Bacco  ('').  Si  era  riconosciuto 
di  buon'ora  che  rappresentassero  due  fiumi,  ma  rimaneva  in- 
deciso  quali  nomi  speciali  loro  convenissero.  Fulvio,  che  nel  1513 
li  descrive  come  esistenti  sul  Quirinale  (f.  G  IV'^),  li  chiamö  allora 
Acheloo  ed  Istro,  in  quorum  manibus  ple)io  stat  coina  cornu; 
quattordici  anni  piü  tardi  non  li  mentova  piü  in  quel  luogo 
(f.  XXII P'^''),  ma  dinnanzi  al  portico  del  palazzo  de'  conservatori 
ritrova  due  fiumi  da  lui  chiamati  Nilo  e  Tigri  {Antiquit.  f.  XXI); 
da  altri  furono  proposti  anche  i  nomi  di  Aniene  e  Nare.  11  cam- 

C'j  P.  S.  Bartoli  Admiranda'  tav.  32.  34.  35.=  tav.  7-9.  Eossini  Archi 
trionfali  tav.  49,  2-4.  Eighetti  tav.  165.  167.  168.  II  immero  ternario  risuHa 
dairAldrovaiidi  p..271.  Sul  quarto  rilievo  cf.  la  nota  149. 

("9)  Fichard  p.  28  :  F  regione  IlercuUs  (che  stava  a  destra)  cisterna 
ctntiqua  videtur  ...  Post  eam  cisternam  tnsun,tur  marmore.a  signa  parietibm 
inclusa  . . .  suhlata  ex  aede  S.  Martinae ,  ut  ibidem  habet  in- 
s  c  r  ip  t  i  0. 

C")  Forcella  In.  41  :  Leoni  X  p.m. ...  staliiam  erigendam  et  hasce  vetu- 
state  coUapsas  coenoque  oblitas  tergendas  ordincq.  locandas  curarimt  ...idib. 
sept.  an.  humane  sal.  MDXXI. 

(")  Cf.  Bull.  1888  p.  271  n.  42.  La  pianta  schedeliana  e  la  tela  mantovana 
presse  De  Eossi  Piante  tav.  5  e  12,  nonche  la  veduta  del  1490  riprodotta  dal 
Lippmann  Jahrb.  d.preuss.  Kunstsamml.  V  p.  17  mostrano  Tuno  dei  "  giganti  ", 
ed  uno  si  deve  anche  riconoscere  nel  "  Marfurio  di  chavagli  «  del  codice  esco- 
rialense  f.  46  (Müntz  Les  antiquites  p.  IGlj.  —  Mori  I  Piazza  11.  12.  Mon- 
tagnani  5.  6.  Eighetti  360.  361.  Clarac  I\^  748,  1810.  749,  1819. 


26  MICHAELIS 

biamento  dei  nomi  sarä  stato  il  motivo  perche  Fiüvio  non  ricono- 
scesse  l'ideutitä  di  questi  fiumi  con  qiielli  gia  di  Monte  Cavallo, 
identitä  snpposta  priraa  dal  Maiiiani  (1544  p.  88).  Bastano  le 
cornucopie  per  dimostrare  la  giustezza  di  siffatta  congettura,  e 
basta  la  Sfinge  sotto  il  gomito  manco  dell'uno  per  stabilire  che 
rappresenta  il  Nilo.  Anche  il  nome  del  Tigri  per  l'altro  e  ab- 
bastanza  accertato.  Imperocche  Fulvio  con  certezza  qiialifica  per 
tigre  l'auimale  nn  po'  dauneggiato,  sul  quäle  si  appoggia  il  fiume ; 
gli  aderisce  il  Marliani.  segiüto  dal  Fichard ;  anche  l'esatto  Al- 
drovandi.  il  futiiro  natiiralista,  riconosce  la  tigre  (p.  269),  ed  ii 
disegno  deU'Heemskerck  (f.  45),  riprodotto  alla  nota  5,  mostra 
almeno  che  la  belva  e  di  razza  felina,  e  che  mancavano  i  gemelli ; 
Antonio  Agostino  fa  menzione  della  tigre,  di  ciii  da  fino  nn'in- 
cisione  colla  testa  ;  finalmente  il  rame  del  Cavalieri  (L  II,  69) 
parla  direttamente  (ioVY aatiqua  statua  Tygridis  fluvü  mannorea, 
quam  recentiores  statimrii  Tiberi  accomodarunt  ("-).  Le  diie 
statue  colossali,  lunghe  circa  m.  4,50,  poste  immediatamente  sul 
siiolo,  sembravano  custodire  l'ingresso  del  palazzo,  verso  il  quäle 
i  loro  sguardi  erano  rivolti.  Gli  ambasciatori  veneti  del  1523  non 
ne  fanno  ancora  menzione,  ma  ciö  e  di  poca  importanza  visto  la 
descrizione  molto  superficiale  che  danno  del  Campidoglio,  fino  a 
scambiare  il  palazzo  del  senatore  con  quello  dei  conservatori.  11 
silenzio  del  Fulvio  sul  trasporto  delle  statue  dal  Quirinale  sembra 
piuttosto  accennare  che  questo  trasporto  fosse  avvenuto  molto  tempo 
prima  del  1527. 

Le  Antiquitates  del  Fulvio  (1527),  la  prima  edizione  del 
Marliani  (1534),  che  ne  dipende  in  gran  parte,  Titinerario  del 
Fichard  (1536)  basato  sopra  il  libro  del  Marliani,  ed  il  tac- 
cuino  deU'Heemskerck  (1533-36),  souo  le  fonti  principali  per 
questi  decennii  che  precedono  la  trasformazione  del  Campidoglio 
eseguita  sul  disegno  di  Michelangelo.  Tranne  i  rilievi  di  S.  Mar- 
tina ed  i  fiumi,  e  forse  anche  quelle  rappresentazioni  di  sacrifizi,  le 
aggiunte  non  erano  di  gran  conto.  Nelle  sale  superiori  erano  disposte 
in  nicchie    alcune  statue  o  Statuette    di   divinitä,    di  uomiui  e  di 


(")  Questa  tavola  si  trova  giä  nelTedizione  del  solo  libro  primo  pubbli- 
cata  fra  15G6  e  1570.  Cf.  piü  sotto.  Agostino  dial.  d.  iiiedaglie  1.  III  verso 
la  fine  (p.  107  deired.  di  Koma,  1025). 


LA    COLl.EZIONE    CAPITOMNA    DI    ANTICHITA  27 

femmioe,  per  lo  piü  mutilate,  fra  le  quali  spiccava  come  bellis- 
sima  Ulla  statua  di  Pane,  di  marmo,  come  pare,  legato  colle 
mani  dietro  ad  im  tronco  (^'^).  Oltre  alle  antichitä  del  palazzo  dei 
coiiservatori,  il  Fichard  (p.  31)  fa  menzione  del  piccolo  obelisco 
mezzo  moderno  vicino  alle  scale  lateral!  che  conducevano  ad  Ara- 
celi.  e  della  palma  neH'orto  vicino,  alludendo  aH'opinione  volgave 
che  nella  palla  della  guglia  siano  deposte  le  ceiieri  di  Augusto  ("^). 
Nemmeno  sono  sfiiggiti  aU'attenzione  del  giovane  giureconsulto 
oltremontano  gli  otto  rilievi  di  sarcofaghi  iiicastrati  nel  miiro  ac- 
canto  allo  scalone  di  Araceli  ("^). 

IV.    Dall'erezione  della.  statua  DI  Marco  Aurelio 

FINÜ  ALLA  MORTE  DEL  BUONARROTI  (1538-1564). 

L'amio  1538  fa  epoca  nella  storia  moderna  del  Campidogiio, 
in  qiianto  che  col  trasporto  della  statua  equestre  di  Marco  Au- 
relio dalla  piazza  del  Laterano  sull'area  capitolina  questa  rice- 
vette  un  centro  fisso.  E  una  supposizione  arbitraria  che  siffatto 
trasporto,  col  quäle  lo  sgorabro  del  Laterano,  cominciato  da  Sisto  IV, 
fii  condotto  a  termine,  sia  connesso  con  i  preparativi  fatti  per  fe- 
steggiare  l'arrivo  dell'imperatore  Carlo  V  nell'Aprile  del  1536. 
La  processione  imperiale  neppure  passö  per  la  piazza  capito- 
lina, ma  dall'arco  di  Settimio  Severe  si  portö  al  palazzo  di 
S.  Marco  per  la  salita  di  Marforio  ("'').    In  fatti    aucora    nell'au- 

(")  Fulvio  f.  XXI  aliae  nonmllae  marmoreae  statuae  Jiaud  magnac, 
verum  mutilatae,  suis  loculis  collocatae.  Marliani  f.  30''  quaedam  aUa  deorum 
srnw/acra.  Fichard  p.  29  vflriae  marmoreae  et  viriles  et  muliehres  statuae... 
per  suos  loculos  disposita  vetera  deorum  hominumque  simulacra.  Cf.  Aldro- 
vandi  p.  275  seg.  II  «  Satiro  "  con  piedi  di  capro  vien  chiaiuato  di  bronzo  dal 
Marliani  e  dal  Gamucci  p.  17,  piü  correttamente  senz'altro  di  niarnio  dal 
Fichard  e  dall'Aldrovandi  p.  274  ;  nell'edizione  del  Marliani  del  1544  p.  27 
si  tace  del  materiale.  Dopo  essere  scomparso  per  un  secolo,  riapparisce  nel  Sei- 
cento  presso  Evelyn  Z)irtn/ 7  Nov.  1644  (J/arsifls  boiind  to  a  trce).  Non  saprei 
dire  dove  si  abbia  da  cercare. 

('*)  Cf.  sopra  la  nota  4. 

(")  Aldrovandi  p.  276.  Boissard  I  p.  46.  Dessau  Sitzungsher.  d.  preuss. 
Äkad.  1883  p.  1089-1093. 

('«)  Cancellieri  Storia  dei  possessi  p.  99.  Podestä  Arch.  d.  See.  rom.  di 

storia  pairia  I  p.  328. 


28  MICHAELIS 

tiinno  (li  queH'anno  il  Fichard  (p.  63)  vide  la  statua  neirantico 
suo  posto,  ove  pure  l'Heemskerck  la  disegnö  (").  Anzi  riscrizione 
dedicatoria  di  Paolo  III  del  1538  {~^)  fa  mostra  di  ima  tendenza 
bimile  a  quella  di  Sisto  IV,  dicendo  della  statua  che  il  pontetice, 
ut  memoriae  ojHimi princijus  consuleret  patriaeque  clecora 
atque  ornamenta  restitueret^  ex  humüiori  loco  in  aream 
CapitoUiiam  tranüulit. 

E  Doto  che  il  disegno  del  nuovo  Campidoglio  fu  ideato  da  Mi- 
chelangelo, il  quäle  sin  da  quattro  anui  avea  fissato  definitiva- 
inente  la  sua  dimora  in  Koma.  I  due  palazzi  giä  esistenti  doveano 
essere  totalmeute  riformati,  e  si  deve  aggiungere  un  terzo  palazzo 
da  costruirsi  sotto  la  cima  di  Araceli,  dirimpetto  a  quello  dei  con- 
servatori;  erano  inoltre  progettate  tre  comode  salite,  due  ai  lati 
del  palazzo  senatorio  dalla  parte  del  foro,  la  terza  verso  il  Campo 
Marzo  (j'^).  Eretta  perö  la  statua  equestre  nel  mezzo  dell'area,  non 
si  mise  mano  subito,  ma  soltanto  dopo  alcuni  anni,  al  palazzo 
principale,  la  cui  facciata  doveva  essere  rifatta  di  travertino  ed 
ornata  di  una  grande  scalinata  a  due  braccia.  Laonde  bisognava 
tor  via  le  antiche  scale  col  gruppo  del  leone,  il  quäle  fu  posto 
sull'area  capitolina,  dalla  parte  di  Araceli  i^^^).  Ivi  fu  veduto   uel 

(")  Fol.  71  pubbl.  da  J.  Sprin.a^er  nei  Ges.  Studien,  zur  Kunstgesch.  für 
A.  Springer  j).  228.  Sülle  vieencle  della  statua  prima  del  suo  trasporto  ha 
trattato  recentemente  il  De  Rossi  Bull,  comun.  1886  p.  348  segg. 

('*)  ForcelLi  I  n.  44.  Sulla  base  v.  11  racconto  del  Vacca  n.  18.  II  tra- 
sporto della  statua  ebbe  luogo  il  24  di  marzo:  cf.  Lanciani  nelFArch.  d.  Soc. 
rem.  di  storia  patria  VI,  1883,  p.  239. 

('")  Vasari  VII  p.  222  ed.  Milanesi.  Cf.  la  nota  106.  Tratterü  del  disegno 
del  Buouarroti  nella  Zeitschrift  für  bildende  Kunst,  aggiungendo  una  sceka 
di  Vedute  irnportanti. 

["")  II  rame  del  Cock(/?),  pubblicato  nel  1-562  ma  preso  probabilmente 
da  un  disegno  alquanto  anteriore,  mostra  il  palazzo  diviso  perpendicolar- 
mente  in  due  metä  uguali,  la  destra  mostrando  lo  stato  anteriore,  la  sinistra 
una  forma  simile  ma  non  identica  a  quella  ideata  da  Michelangelo.  Siccome 
la  ricostruzione  del  palazzo  difficilmente  si  sarä  eseguita  in  questa  guisa,  e  la 
veduta  della  parte  destra  diiferisce  molto  da  una  veduta  della  loggia  disegnata 
dair  Heemskerck  (/!**),  cosi  la  veduta  parmi  non  possa  mostrare  un  certo 
moniento  della  ricostruzione,  ma  sembi'a  essere  prettamente  ideale,  fatta  per 
mettere  a  confronto  i  due  aspetti  successivi  della  facciata  ;  opinione  che  esporrij 
piii  estesamente  nella  Zeitschr.  f.  bild.  Kunst.  Si  vede  perche  in  non  possa  ac- 
consentire  alle  esposizioni  del  eh.  Re  (Bull,  comun.  1882  p.  100  e  126  segg.),  ne 


LA    COLLEZIONE    CAl'lTOLINA    DI    ANTICHIT.V  29 

1550  dall'Aldrovandi  (p.  270)  e  disegnato  nel  15()5  dal  Gamucci 
(vediita  Z»),  mentre  le  altre  veduto  contemporaneo  Vommettono. 
La  costmzione  dello  scaloiie  perö,  per  la  decorazioue  del  quäle  il 
Buonarroti  dicesi  avere  progettato  una  statua  colossale  di  Giove 
nella  grau  nicchia  centrale,  con  diie  grandi  fiiimi  ai  lati,  pare 
facesse  lenti  progressi.  I  biograii  del  gran  Fiorentino,  antichi 
6  moderni,  tacciono  siüla  data  precisa.  Secondo  una  notizia  finora 
inosservata,  ma  degna  di  fede  (>'*<),  la  ricostruzione  del  palazzo  sa- 
rebbe stata  incominciata  nel  1546.  Lucio  Fauno,  nella  prima  edi- 
zione  delle  sue  «  Auticliitä  della  cittä  di  Roma  » ,  pubblicata  nel 
1548  (^-),  conosce  i  due  fiumi  ancora  dinnanzi  al  palazzo  de'  con- 
servatori  (f.  38*),  mentre  l'Aldrovandi,  che  scrisse  nel  1550  (s^), 
li  vide  di  giä  "  a  pie  del  palagio  del  Campidoglio  ^ ,  cioe  del  se- 
natore  (p.  269).  Bisogna  dunque  che  nel  frattempo  abbiano  cam- 
biato  il  loro  posto,  e  che  nello  stesso  tempo  sia  anche  stata  scritta 
la  notizia  interessante  che  si  trova  nella  seconda  edizione  del- 
Topuscolo  del  Fulvio,  pubblicata  nel  1553:  dopo  aver  ripetuto  dal- 
r  edizione  anteriore,  la  descrizioue  dei  fiumi  nel  loro  posto  dinnanzi 
al  palazzo  de'  conservatori,  egli  aggiunge  in  giiisa  di  postilla:  «  Ma 


credere  che  lo  scalone  abbia  in  parte  esistito  giä  molto  prima  di  Michelangelo, 
mentre  manca  affatto  nei  disegni  dell'  Heemskerck,  e  presso  Vasari  forma  parte 
essenziale  del  nuovo  progetto  michelangelesco.  Sbaglia  11  Re  anche  nel  pren- 
dere  per  un  ingresso  a  pian  terreno  il  nicchione  delle  scale  di  Michelangelo. 
Visto  lo  stato  imperfetto  di  questo  scalone,  crederei  che  il  disegno  originale 
fosse  fatto  circa  il  1549.  (Le  ben  note  vedute  di  Roma  del  Cook,  Pmecipua 
aliquot  Rom.  antiquitatis  ruinarum  monumenta,  furono  pubblicate  nel  1551 

in  Anversa). 

(81)  M.  üb.  Bicci,  Notizia  d.  famiglia  Boccapaduli,  Roma  1762,  p.  131, 
attesta  secondo  un  libro  manoscritto  di  Prospero  Boccapaduli,  allora  soprinten- 
dente  delle  fabbriche  capitoline,  la  fabbrica  dei  due  palazzi,  finita  nel  1568, 
avere  durato  ventidue  anni. 

(82)  II  privilegio  pontificio  di  Paolo  III  h  senza  data,  quello  veneto, 
segnato  il  30  di  luglio  1548,  vale  tanto  per  Pedizione  italiana  del  1548  quanto 
per  la  traduzione  latina,  stampata    nel  1549.    L'edizione    del  1553  ha  poche 

aggiunte. 

(83j  V.  la  mia  esposizione  nellVlrc/i.  Zeitung  1876  p.  159  seg.  Aggiungo 
che  a  p.  292  si  parla  della  «  felice  memoria  del  Reverendiss.  Cardinale  Ridolfi  », 
il  quäle  mori  nel  gennaio  del  1550.  Non  h  dunque  necessario  di  fissare  Pepoca 
«  sul  finire  0  poco  dopo  111549»,  come  si  e  fatto  nei  Docum.  ined.  per 
servire  alla  storia  dei  musei  ital.  I  p.  IV. 


30  MICHAELIS 

hoggi  ameüdiie  questi  simulacri  si  tolgono  da  questo  luogo,  per  ri- 
podi  davanti  al  palagio  del  Campidoglio,  e  ne  hanno  giä  tolto  via 
uuo  '  (f.  38'')-  Ne  risulta  che  lo  scalone  fii  finito  e  la  decorazione 
messa  al  posto  circa  il  1549. 

Nel  corso  di  qiieste  operazioni  il  palazzo  dei  conservatori  non 
solo  perdette  i  suoi  tiiimi  ciistodi,  ma  subi  anche  altri  cambiamenti 
connessi  con  1'  imminente  ricostruzione  della  facciata.  Giä  prima 
dei  fiumi  la  lupa  si  era  ritirata  dal  siio  posto  scoverto  sopra  il 
portico,  per  domiciliarsi  nel  piauo  snperiore  del  palazzo.  Ivi  fu  ve- 
duta  nel  1544  dal  Marliani  (che  ne  pubblicö  il  primo  disegno, 
p.  27)  iii  ■porticu,  inieriori  proi^e  aulam,  nel  1550  dall'Aldro- 
vandi  (p.  275)  in  qiiella  «  loggia  coverta  che  riguarda  sopra  la 
cittä  plana  " ,  riconoscibile  nelle  vediite  Ä^  C  B  E,  localitä  di- 
stinta  e  cospicua.  Mentre  poi  la  testa  colossale  di  bronzo,  senza 
la  quäle  appena  poteva  idearsi  Taspetto  del  Campidoglio,  rimase 
soletta  nel  portico  di  sotto,  i  suoi  compagni  minori,  piede,  mano, 
palla,  furono  ugualmente  trasportati  nel  piano  superiore,  ove  giä 
l'Aldrovandi  li  ritrovö  (p.  272).  Ma  con  questo  trasporto  in- 
cominciö  il  dissipamento  :  alla  mano  ed  al  globo,  probabilmente 
a  cagione  del  loro  significato  simbolico,  fu  assegnato  un  posto 
d'onore  nella  sala  grande,  accanto  ad  nna  statua  di  Leone  X  eretta 
nel  1521  ed  al  palco  dal  quäle  solevano  proclamarsi  i  cittadini 
nuovamente  eletti,  laddove  il  piede  fu  alloggiato  «  in  un  altro 
luogo  del  palagio  ".  Anche  l'Ercole  di  bronzo  scese  dalla  sua  torre 
nel  cortile  del  palazzo  (la  cui  diftormitä  e  sconvenevolezza  dove- 
vano  spiccare  vieppiii  pel  confronto  della  bella  base  bassa  sotto- 
posta  da  Michelangelo  al  Marco  Aurelio)  e  fu  collocato  sopra  la  base 
dedicata  ad  Ercole  Vittore  (^'*)  in  una  camera  contigua  al  salone, 
accanto  alla  statua  anzidetta  di  Pane.  Le  Sfingi  a  pie  delle  scale, 
giä  mentovate  dal  Fulvio,  non  vi  compariscono  piü.  L'una  di  esse 
sembra  essersi  associata  fuori  al  gruppo  del  leone,  ove  Aldrovandi 
(p.  270),  oltre  ad  un  leone  senza  testa,  annovera  una  Sfinge  con 
caratteri  geroglitici  nella  base,  ambedue  sculture  di  paragone  (^^) ; 
Taltra  Sfinge,  dello  stesso  materiale,  si  era  fermata  nel  cortile  del 
palazzo  (p.  272)  per  far  compagnia  ad  un  cinocefalo,  pur  di   pa- 

(")  C.  I.  L.  VI,  328.  Mus.  Cap.  IV,  Gl.  Aldrovandi  p.  273. 
(«=)  Boissard  III,  100. 


LA   COLLEZIONE    CAPITOLINA    DI    ANTICHITA  öl 

ragone,  il  quäle ,  conservato  sin  ab  antico  presse  Santo  Ste- 
fano del  Cacco,  si  distinse  per  i  nomi  degli  artisti  Fidia  ed  Am- 
monio  {^'').  Finalmente  le  tre  statue  di  Costantino,  vedute  ancora 
dal  Fichard  (p.  41),  avevano  seguito  Tesempio  dei  diie  liumi  e  tro- 
vato  im  posto  provvisorio  suUe  scale  conducenti  dall'area  capito- 
lina  a  S.  Maria  di  Araceli  {^').  Li  tiitte  e  tre  fiirono  vedute  dal 
Marliani  (1544  p.  27),  mentre  l'Aldrovandi  (1550  p.  268)  ed  il 
Fauno  (1553  f.  39),  al  pari  delle  vedute  DE,  non  ve  ne  cono- 
scono  piü  che  due,  la  terza  essende  frattanto  passata  siille  scale 
opposte  che  conducono  alla  rupe  tarpea.  Circa  dieci  anni  piü  tardi 
robelisco  lasciö  il  suo  bei  posto  accanto  alla  palma,  essendo  ca- 
duto  e  giacendo  sul  suolo  al  disopra  di  quelle  statue  (^^). 

Questa  era  la  trasformazione  in  cui  trovavasi  il  Campidoglio  al- 
lorqiiando  l'Aldrovandi  ne  dettö  la  sua  descrizione  (p.  268-276), 
la  piü  particolareggiata  e  la  piü  sistematica  di  tutte.  Ne  ho  fatto 
largo  uso  in  quel  che  precede ;  basta  rilevare  alcuni  altri  marmi  da 
lui  mentovati  nel  palazzo  de'  conservatori.  Nel  cortile  vi  era  iin  co- 
sidetto  Apollo,  ignudo,  con  im  cane  senza  testa  accanto  (^^),  ed  ima 
tt  donna  in  pie  vestita» ;  ma  d'importanza  siiperiore  ad  ogni  altro  pezzo 
erano  i  frammenti  dei  cosidetti  fasti  capitolini,  scoperti  nel- 

(*'')  Loewy  Inschr.  griech.  Bildhauer  n.  382.  La  statua  era  gik  conosciuta 
ai  tempi  di  Cola  ;  uii  disegno  se  ne  trova  nel  codice  pighiano  f.  26  n.  25  Jahn. 
SuUe  scoperte  avvenute  nelVIseum  Campense  cf.  Lanciani  Bull,  comun.  1883 
p.  35  segg. 

(*')  Biondo  {Rom.  instaur.  11,10)  ne  conobbe  quattro  ;  tre  vengono  nomi- 
nati  dal  Fulvio  {Antiquaria  f.  G  IV''.  Antiquit.  f.  22,  bis).  Vacca  n.  10  parla 
di  due  Costantini  da  Paolo  III  trasportati  in  Campidoglio,  quelli  cioe  posti 
verso  Araceli.  Si  sa  che  si  tratta  di  Costantino  Magno  e  di  Costantino  Cesare, 
suo  figlio,  V.  CLL.  VI,  1149.  1150.  Cavalieri  I.  II,  78.  Mori  I  Piazza  7.  8. 
Clarac  V,  980,  2526.  2527. 

(*")  Mauro  Antich.  di  Roma,  1556,  p.  8  trovö  robelisco  ancora  nel  suo 
posto,  ma  il  Boissard,  che  dimorava  in  Roma  dal  1555  al  1561,  dice  I  p.  46 
super  caemiterio  iacet  obeliscus  Aegyptius  hieroglyphis  insignitus.  Si 
capisee  perchfe  piü  tardi  fu  ceduto  a  Ciriaco  Mattei. 

(»9)  Sara  r"Endimione»  Mori  I,  Atrio  2.  Montagnani  12.  Righetti  108. 
Clarac  IV,  580,  1250A.,  benche  il  Righetti  lo  dica  tanto  trovato  nella  villa 
Palombara,  quanto  proveniente  dalla  scala  di  Bramante  nel  Vaticano,  due  asser- 
zioni  contraddittorie  che  si  annullano  fra  loro.  La  data  della  pubblicazione  del 
Mori  (1806)  dimostra  che  e  uguahnente  falsa  l'a^serzione  del  catalogo  ufficiale, 
la  statua  essere  stata  trovata  nel  1812  nella  via  Merulana. 


32  MICHAELIS 

Tagosto  del  1546,  e  poco  dopo  donati  al  popolo  romano  dal  cardinale 
Alessandro  Farnese,  che  pj-ima  li  ayeva  deposti  iiella  sua  Farne- 
sina.  Ormai  riordinati  per  le  eure  di  Gentile  Delfini,  Bartolommeo 
j\Iarliani,  Tommaso  de'  Cavalieri  ed  altri,  essi  fiirono  incastrati 
in  una  specie  di  facciata  fatta  secondo  un  disegno  di  Michelan- 
gelo stesso,  che  trovö  uu  nobile  posto  iu  capo  al  cortile  (""). 
Ne]  piano  siiperiore  l'Aldrovandi  vide  nna  statua  maschile  con  im 
martello  in  mano,  senza  testa,  nonche  diverse  statiie,  Statuette 
(fra  loro  una  di  Bacco  giovine)  e  torsi  di  poco  Interesse  {^^), 
qualche  busto  (p.  es.  di  Adriane),  e  finalmente  nella  loggia 
della  lupa  una  statua  di  donua  mezzo  ignuda  ed  un  altro  sci- 
miotto  di  paragone.  Fa  specie  che  l'Aldrovandi  tralascia  una 
grandiosa  statua  quasi  colossale  di  Minerva,  imitazione  della 
Parthenos  di  Fidia,  la  quäle  sotto  Paolo  IIl  era  stata  scoperta 
fra  certe  rovine  antiche  della  cittä  e  trasportata  sul  Campidoglio  ('^-). 
Fra  tante  altre  statue  di  minor  conto  questa  avrebbe  meritato  di 
essere  rilevata,  e  di  fatti,  come  vedremo,  era  riserbata  ad  onori 
speciali.  Forse  si  sottrasse  agii  sguardi  deU'Aldrovandi  per  trovarsi 
nascosta  in  qualche  localitä  non  accessibile  al  pubblico. 

Dopo  la  raorte  di  Paolo  III  (1549)  la  nuova  sistemazione 
del  Campidoglio ,  ch'egli  aveva  ideato  o  promosso ,  procedette 
a  passo  lento.  Se  quei  graziosi  portici  in  cima  alle  due  scale 
che  dall'area  capitolina  conducono  ad  Araceli  ed  alla  rupe  tar- 
pea,  con  ragione  si  attribuiscouo  al  Vignola,  essi  farono  co- 
struiti  sotto  Giulio  III,  essendoche  quell' architetto  venn-e  a  Roma 
nel  1550,  e  la  veduta  C,  fatta  nel  1555,  ne  presenta  giä  uno. 
E  di  fatti  gli  archi  dei  portici  esibiscono  le  armi  di  quel  poutetice. 

('•"')  C.  1.  L.  I  p.  415.  I  ed.  2  p.  3  segg.  In,  area  palatii  Capitolini  con- 
servatorum  urbis  (Marliani /«sii,  1549,  p.  6) ;  «  attaccata  al  muro  in  capo  del 
cortiglio  "  (Aldrovandi  p.  271).  Cf.  Fauiio  De  antiquitatihus  urh.  R.,  1549, 
nella  prefazione. 

C"j  Eighetti  tav.  228.  231.  244.  255  pubblica  tre  putti  rappresentanti 
le  stagioni  ed  una  «  Polinnia  "  assisa,  tutte  Statuette  conservate  dinanzi  alla 
cappella,  e  a  tav.  230  una  statuetta  di  «  Giunone  n  sedente,  nella  stanza  di 
udienza.  Potrebbe  darsi  che  fra  esse  si  trovino  alcune  di  quelle  Statuette  men- 
tovate  dall'Aldrovandi ;  forse  anche  il  "  Bacco  giovane  »  si  ha  da  cercare  fra 
quei  putti. 

(»^)  Forcella  I  n.  43.  Cavalieri  III.  IV,  3G.  Mus.  Capit.  III,  10.  Mori  I, 
Atrio  21.  Montagnani  16.  Clarac  III,  461,  858. 


LA    COLLEZIONE   CAPITOIJNA    DI    ANTICHITA  33 

Qiiella  medesima  veduta  perö  rende  evidente  lo  stato  imperfetto  in 
ciii  allora  si  trovava  il  progetto  del  Buonarroti.  Dalla  parte 
del  Oampo  Marzo  e  della  piazza  di  Araceli  l'area  niancava  di 
liinite  certO.  La  facciata  del  palazzo  grande  era  appena  comin- 
ciata  al  di  lä  della  grande  scala.  Qui,  come  nelle  vedute  di 
poco  posteriori  DKF  (''^^),  le  tinestre  del  piano  principale  sono 
di  proporzioni  piuttosto  meschine,  ed  invece  di  quei  pilastri  maestri 
ideati  dal  Buonarroti  che  oggi  scompartouo  tutta  la  facciata, 
v'era  iin  balcone  lungo  il  piano  superiore  fra  le  due  torri  an- 
golari.  Anche  il  palazzo  de'  conservatori  serbö  in  genere  l'aspetto 
originale,  quantunque  nel  1555  la  cura  della  fabbrica  dei  due 
palazzi  fosse  stata  commessa  dal  S.  P.  Q.  K.  a  persona  di  grande 
energia  quäle  era  Prospero  Boccapaduli  (•^'').  Poco  depo,  sotto 
Pio  IV  (1559-1566),  nna  parte  non  esigua  del  disegno  di  Miche- 
langelo fu  eseguita,  costruendo  dalla  parte  della  piazza  di  Ara- 
celi la  gran  cordonata,  a  pie  della  quäle  furono  collocati  quei 
due  bellissimi  leoni  di  basalte,  di  antica  sciütura  egizia,  che  fino 
allora  erano  stati  posti  davanti  la  chiesa  di  S.  Stefano  del  Cacco, 
successore  dell'antica  dea  Iside  (''^).  In  connessione  con  questa  si- 
stemazione  della  salita  l'area  capitolina  fu  chiusa  merce  iina  ba- 
laustrata,  che  vediamo  giä  finita  in  D  (1565),  ove  dietro  ad  essa 
giacciono  sul  suolo  i  due  Dioscuri  e  frammenti  dei  loro  cavalli,  non 
ancora  ristaurati.  Scoperti  al  tempo  di  quei  pontefice  nel  Ghetto, 
quando  vi  si  eresse  la  sinagoga,  furono  messi  al  loro  posto 
quasi  venti  anni  piü  tardi  ('J*"').  Finalmente  pare  cada  in  qiiesto 
tempo  la  trasforinazione  del  Tigri  sotto  le  scale  del  palazzo 
senatorio  in  im  Tevere,  merce  il  cambiamento  della  tigre  in  ima 
lupa  informe  e  Vaggiunta  dei  due  gemelli.  Imperocche  mentre  an- 
cora il  Gamucci  (1565)  descrive  la  belva  quäl  tigre,  il  Vasari 
(1568)  parla  del  Tevere,  e,  come  esposi  di  sopra  (p.  26),  la  prima 
edizione  del  Cavalieri,  pubblicata  circa  il  medesimo  tempo,  men- 

("■■')  De  Rossi  Bull,  comun.  1887  p.  63  fa  menzione  di  un  siinile  disegno 
nel  Codice  vaticano  8257. 

n  Bicci  1.  cit.  (n.  81)  p.  114. 

C^)  Flain.  Vacca  n.  27,  ove  parla  da  testimonio  oculare. 

("")  Vacca  n.  52,  parlando  ancora  da  testimonio  oculare.  L'iscrizione  For- 
cella I  n.  78  li  fa  scoperti  ruderihus  ia  theatro  Pompei  egestis.  II  ristauro 
si  fece  nel  1583,  v.  la  nota  134. 


34  MICHAELIS 

ziona  il  cambiamento  come  accaduto  di  receute.  II  desiderio  ben 
naturale  di  possedere  appunto  in  qiiesto  luogo  iin'immagiue  del 
patrio  fiume.  e  l'esempio  dei  famosi  diie  finmi  compagni  del  Bel- 
vedere,  ayranno  cagionato  quell' operazione,  tanto  piü  che  i  dauni 
sotferti  dalle  due  statue  rendevauo  necessario  un  ristauro,  e  che  la 
testa  della  tigre  non  era  perfettamente  couservata. 

Ancbe  la  coUezione  del  palazzo  dei  conservatori  si  arricchi 
al  tempo  di  Pio  IV  di  qualche  bella  scultura,  sebbene  la  solle- 
citudine  del  papa  stesso  era  diretta  piuttosto  A'erso  il  casino  Pio 
e  il  teatro  del  Belvedere  (■'')•  Cosi  serbaudo  per  il  Vaticano  la 
celebre  statua  di  Elio  Aristide,  scoperta  in  quei  giorni  in  alcune 
rovine,  si  conteutö  di  regalare  al  Campidoglio  un'altra  statua  di 
uomo  assiso,  arbitrariamente  chiamato  Aristide  Suiirueo,  aggiuu- 
gendovi  l'iscrizione  dedicatoria  eins  qiii  urbem  civUateraque  Ro- 
maiiam  liiculenta  orafione  laudavit  {^^). 

Da  altre  parti  il  museo  capitolino  ebbe  a  vantaggiarsi  di  alcuni 
monumenti  di  Interesse  storico.  Fin  dal  tempo  di  Giulio  III  era 
passato  nel  museo  il  cosidetto  Curzio.  rilievo  di  arte  rozza, 
che  fu  dissotterrato  nel  1553  presso  la  colonna  di  Foca,  nel  sup- 
posto  luogo  del  lacus  Ciirtius  {^^).  Quindi  nel  1564  quel  gran 
Mecenate  che  era  il  cardinale  Kodolfo  Pio  di  Carpi,  regalö  al  po- 
polo  uno  dei  piü  famosi  monumenti  della  sua  collezione,  il  busto 
tanto  caratteristico  di  bronzo  che  si  orede  un  ritratto  di  L. 
Giunio  Bruto  ("'").  Poco  dopo  dalla  casa  del  vescovo  di  Melfi. 
Alessandro  Rufini,  passarono  sul  Campidoglio  le  due  statue  semico- 
lossali  di  Giulio  Cesare  e  di  Augusto  per  occuparvi  il  posto 
mantenuto  fino  ad  oggi  C'^^).  In  quei  medesimi  auui  la  celebre  base 

(*')  V.  Jahrb.  d.  arcli.  Inst.  1890  p.  39  e  segg. 

(98)  Forcella  I  n.  52.  Pdghetti  146.  Clarac  Y,  897,  2285B. 

(9»)  Vacca  11.  2.  C.  I.  L.  VI,  1468.  Jordan  weW Hermes  YII,  264.  Epliem. 
epi.gr.  III.  277.  Pighio  giä  nel  1554  conobbe  il  inonumento  trasportato  nel 
Campidoglio  e  ne  da  il  primo  disegno  (f.  160  n.  45  Jahn;  manca  nel  cod. 
Coburg.).  Caval.  III.  I\',  5.  Boissard  III,  101.  Suirautenticitä  furono  emessi 
dei  dubbi  dall' Heibig  Bull.  1869  p.  35.  N.  rhein.  Mus.  XXIV  p.  478. 

(•»")  Forcella  I  n.  54.  Visconti  Iconorjr.  rom.  I  tav.  2.  Eighetti  tav.  248. 
Bouillon  ]\fus.  IL,  bustes  tav.  8.  Bernoulli  röm.  Ikonogr.  I  p.  20.  Cf.  Aldro- 
vandi  p.  209. 

{"")  Forcella  I  n.  56.  57.  Cavalieri  I.  II,  71.  72.  Vaccaria  51.  60. 
PeiTier  10.  11.  Maffei  15.  16.    Montacrnani  116.  117.    Pishetti  tav.  151.  152. 


LA    COLLEZIONE    C.VPITOLINA    DI    ANTICHITA  35 

coU'iscrizione  relativa  alla  vittoria  navale  cli  Diiillio,  scoperta  siil 
Foro  nel  15G5,  venne  ad  arriccliire  la  collezione  capitolina;  siilla 
base  fu  imposto  un  modello  della  giä  colonna  ro  st  rata  ("^-). 
Non  fa  mestieri  rilevare  che  questi  quatti-o  moniimenti  convenivano 
a  maraviglia  al  carattere  storico-politico  di  tutta  la  collezione. 

V.   iL  DONO  DI  Pio  V  (1566). 

II  17  di  febbraio  15G4  mori  Michelansrelo.  La  sua  moi'te  sem- 
bra  fosse  ritenuta  come  una  seria  ammonizione  di  non  lasciar 
impei'fetto  il  testamento  capitolino  del  grau  maestro.  E  vero  che 
giä  nel  1563  Tarchitetto  Guidetti  «  si  era  preso  di  eseguire  li 
ordini  di  Michelangelo  nella  fabbrica  di  Campidoglio  "  (^'^'^),  masin 
da  quell'anno  1564  l'anzidetto  Prospero  Boccapaduli,  colla  coo- 
perazione  di  Tommaso  de'  Cavalieri,  intimo  amico  del  grande  de- 
fonto,  rivolse  interamente  l'animo  suo  a  quella  fabbrica  C^^"^).  Qnanto 
al  palazzo  de'  conservatori,  si  trattö  di  preferenza  della  nuova  fac- 
ciata,  per  i  travertini  della  quäle  il  Coliseo,  come  al  solito,  pare 
abbia  servito  di  cava  ("*•'')•  Allorqnando  il  Vasari  stava  pre- 
parando  la  seconda  edizione  delle  sue  Vite,  era  giä  costruita  una 
parte  della  facciata  ("^'^) ;  in  quell'istesso  anno  1568,  in  cui  quel 
libro  fu  pubblicato,   i-  condotta  questa  fabbrica  al  termine  in  quanto 


Chirac  V,  912A,  2331A.  912B,  2303.,  v.  Bernoulli  1.  cit.  I  p.  155  no.  2.  Cf. 
Aklrovandi  p.  186.  La  congettura  proposta  dal  Maffei  (nella  Raccolta  di  statue 
p.  ll'),»la  statua  di  Cesare  essere  stata  trovata  siü  Foro  di  Cesare,  s'intende  che 
non  ha  nessun  valore.  Un  disogno  dell'Augusto  havvi  nel  codice  berlinense 
f.  69. 

e»-^)  CLL.  I,  195.  VI,  1300.  Eame  di  Ant.  Lafreri  del  1575.  Andr.  d. 
Vaccaria  Ornamenti  di  fabriche,  1600,  tav.  24.  Righ.  156. 

(los)  Notizia  del  Boccapaduli  presse  Bicci  1.  cit.  (n.  81)  p.  132  n.  a. 

('"*)  Bicci  1.  cit.  p.  114  e  segg.  129  e  segg.  Vasari  da  l'onore  a  Tommaso 
solo.  Faccio  osservare  che  il  palazzo  senatorio  serbo  ancora  la  sna  facciata 
quäle  venne  descritta  a  p.  33,  cf.  sotto  p.  48. 

('«5)  Bicci  p.  132. 

{">"]  Vasari  VII  p.  222  ed.  Milanesi.  (L'edizione  del  1550  p.  987  non  fa 
che  una  generale  menzione  del  disegno  del  Campidoglio).  NeH'anno  seguente, 
1569,  fu  edita  da  Stefano  du  Perac  la  grande  veduta  iscritta  Capitolii  scio- 
graphia  ex  ipso  exemplari  Michaelis  Angeli  Bonaroti  accurate  delineata  et 
in  lucem  aedita  (nello  Speculum  del  Lafreri). 


36  MICHAELIS 

a  quello  che  si  appartiene  al  prospetto  e  alla  forma  di  fuori,  si 
posero  ai  due  lati  della  porta  principale  del  palazzo  de'  conser- 
vatori  due  iscrizioni  " ,  l'una  delle  quali  vauto  maiorum  prae- 
staiitiam  imitata  dai  moderni  nel  ricostniire  il  Campidoglio.  mentre 
nell'altra  S.  P.  Q.  R.  Gaintolium  praeciime  lovi  olim.  commeuda- 
tum  nunc  deo  vero,  cunctorum  bonorum  auctori,  lern  Cliristo  cum 
saluie  communi  swß'plex  tuendum  tradit  ('°"). 

Lo  ötile  finora  insolito  di  quest' ultima  iscrizione  evidentemente 
risente  del  nuovo  spirito  invalso  sotto  Pio  Y.  Per  purgare  il 
palazzo  apostolico  degli  idoli  pagani,  buona  parte  dei  quali  vi 
aveva  introdotta  il  suo  predecessore,  lo  zelante  pontefice,  uu  mese 
dope  il  suo  ayvenimento  al  trono,  l'll  di  febbraio  1^66,  aveva 
fatto  dono  al  popolo  romano  di  non  meno  di  146  marmi  autichi, 
che  decoravano  tanto  il  teatro  eretto  nel  gran  cortile  vaticano  e 
la  vicina  scala  del  Bramante,  quanto  «  la  palazzina  "  (Casino  Pio) 
nonche  la  cosidetta  stanza  della  monizione  nel  palazzo  papa- 
le  C^^).  Cosi  impoverendo  il  Vaticano,  ove  le  celebri  statue  del 
cortile  di  Belvedere  poco  prima  erano  state  nascoste  nelle  loro 
nicchie  dietro  battenti  di  legno,  il  Campidoglio  semb.ava  desti- 
nato  ad  occuparne  il  posto,  ed  il  palazzo  dei  conservatori  stava 
per  trasformarsi  in  un  gran  museo  di  arte  antica,  a  danno,  e  vero, 
del  tradizionale  carattere  storico  della  collezione.  Tuttavia  quella 
donazione  non  venne  a  pieno  effetto,  anzi  fini  in  maniera  un  po' 
meschina.  Siccome  spesso  si  park  della  donazione  di  papa  Pio  V 
come  effettuata  nella  sua  totalitä,  cosi  m'  ingegnerö  di  chiarire 
particolarmente  un  punto  che  e  di  non  lieve  Interesse  per  la  storia 
della  collezione  capitolina,  valendomi  tanto  dell' «  Inventario  delle 
figure  donate  da  N.  S.  Pio  Y  al  Popolo  Romano  " ,  fatto  dal  piü  volte 
lodato  Prospero  Boccapaduli  ('*^'j),  quanto  di  due  iscrizioni  capitoline 
0  poste  nei  primi  tre  trimestri  del  1566,  o  riferibili  ad  essi,  prima  cioe 
che  cessasse  la  vacanza  del  Senatorato  (P  ottobre  di  quell'anno)  {^^^). 

(■»')  Bicci  1.  cit.  Forcella  I  n.  64.  65. 

("«)  Cf.  Jahrbuch  d.  arch.  Inst.  1890  p.  42  segg. 

("'*)  Pubblicata  dal  Bicci  1.  cit.  p.  115  segg.,  riprodotta  in  maniera  piü 
coraoda  neir/e/ir^Mc/i  1.  cit.  p.  60  segg.  con  nuraerazione  continua,  della  quäle 
mi  varr^j  anche  qui. 

("")  Foreella  I  n.  61.  62.  Cf.  Crescimbeni  Istoria  d.  basil.  di  S.  M.  in 
Cosmedin  VI,  9  no.  XX.  Forcella  n.  63. 


LA    COLLEZIONE    CAPITOLIXA    DI    ANTICIIITA  37 

Fatto  rinventario  TU  di  febbraio  e  supplito  il  27  del  me- 
desimo  mese,  il  giorno  segiiente  una  schiera  di  facchini  venne  a 
trasportare  al  Cainpidoglio  trenta  marmi,  dieci  dei  quali,  senz'al- 
tro  i  piü  iraportanti,  avevauo  servito  alla  decorazione  della  scala, 
mentre  iino  era  stato  in  iin  giardino  siiperiore,  il  resto,  fra  busti 
e  Statuette,  in  quella  stanza  del  palazzo ;  tanto  il  teatro  quanto  il 
casino  rimasero  intatti.  Essendo  questi  30  pezzi  segnati  nell'inven- 
tario,  se  ne  possono  riconoscere  con  certezza  od  almeno  con  grande 
probabilitä  i  seguenti  (i") : 

46?  Genio,  p(almi)  9  |.  Vaccar.  27  {Genii  simulacrum  in  Capitolio). 

47.  Musa,  p.  9.  Vaccar.  34  (Ji/u^a  repraesentans  commediam  in  Co- 
■pitoJio).  Montagnani  124*.  Eiglietti  210  fanfiteatro  ossia  scala;).  Clarac  III, 
511,  1034. 

49.  Fortuna  senza  testa,  a  seclere.  Righ.  241  (Belvedere).  Clar.  III 
438  H,  827  C. 

59.  Tiitela,  con  un  putto  senza  testa  (Agrippina  con  Nerone).  Ei- 
glietti 185  (cortile  di  Belvedere).  Clar.  V,  940  A,  2391  A. 

61.  Puttini  quattro  con  urne  in  spalla.  Uno  di  essi:  Righ.  286. 

72?  Fiume  a  giacere  (portato  da  4  facchini).  Clar.  IV,  749,  1821 A  (p.  4, 
2|  0.).  Cf.  n.  70. 

73.  Vecchia.  Mont.  62*.  Clar.  IV,  780,  1947. 

130?  Testa  di  Claudio.  Mus.  Cap.  II,   13. 

131?  Testa  di  Cesare.  Mus.  Cap.  II,  1.  Righ.  32. 

132?  Testa  di  Macrino.  Mus.  Cap.  II,  61.  Righ.  224. 

133?  Testa  di  Antonin o    Pio.  Mus.  Cap.  II,  37.  Righ.  157. 

134?  Testa  di  Faustina.  Mus.  Cap.  II,  38.  Righ.  157. 

137?  Testa  di  Tiberio.  Mus.  Cap.  II,  6.  Righ.  32. 

139?  Testa  di  Alessandro.  Righ.  7?(ii2). 

A  questo  dono  si  riferisce  l'una  delle  iscrizioni  (n.  62),  nella 
quäle  il  magistrato    (dei    conservatori)  ed  il  popolo   esprimono  la 

("')  Compilando  questi  indici  mi  sono  per  lo  piü  contentato  di  indicare, 
oltre  alle  tavole  del  Clarac,  solo  quelle  pubblicazioni,  che  danno  una  notizia 
sulla  provenienza.  Sono  desse  di  preferenza  la  «  Raccolta  "  edita  dal  M  o  n  t  a- 
g  n  a  n  i-Mirabili  (l'asterisco  accenna  che  la  statua  viene  iudicata  espressa- 
niente  ccme  "  collocata  dai  conservatori",  cioö  prima  della  fondazione  del 
Museo  capitolino)  e  la  «  Descrizione  del  Campidoglio  "  di  R  i  g  h  e  1 1  i  (le 
parole  aggiunte  in  parentesi  si  riferiscono  a  quella  parte  del  Vaticano  ende 
la  statua  dicesi  esser  tolta).  Non  tutte  le  identificazioni  sono  di  ugual  certezza 
(vi  si  riferiscono  i  segni  di  interrogazione  aggiunti  ai  numeri) ;  in  parte  ci  gio- 
vano  le  misure,  nonostante  V  inesattezza  di  molte  di  esse. 

C'-^)  Restano  i  n.  55.  62.  71.  77,  le  teste  128.  129.  1.35.  136.  138,  e 
140-143. 


38  MICHAELIS 

loro  gratitiidine  verso  il  pontefice  a  cagione  delle  trenta  statu3 
donate.  Sorge  ora  la  quistione,  se  l'altra  iscrizione  (n.  61),  secondo 
la  quäle  senatus  poimlasque  Romamis  staiitas  mannoreas  Pli  V 
pont.  max.  dorn  e  Vaticam  in  Capitolium  traiislatas....  hie  po- 
suitQ^^),  se  questa  iscuizione  si  riferisca  alle  stesse  trenta  statue 
oYvero  ad  un  niiovo  douo.  Giacche  e  iin  fatto  incontestabile  che 
nella  coUezione  capitolina  si  trovano  non  poche  sciilture  vaticane, 
segnatamente  di  quelle  che  ornavano  il  teatro.  Eccone  releuco: 

I.  Teatro. 

1.  Pudicizia,  p.  10.  Cavalieri  I.  II,  15  (Piidicicia  ibidem,  cioe  in 
(Pontificis  viridario).  Montagnani  39*.  Eigheüi  252  (Belvedere).  Clarac  IV, 
7  65,  1883. 

3?  Cerere,  con  spighe  in  mano,  a  seclere.  Mont.  104  ovvero  105 
Clar.  III,  438  B,  786  G). 

4?  Figura    p all i ata,  p.  8  |.  «  Mario  '»  Mont.  72.  Clar.  V,  902,  2304 

(p.  8,  5). 

5?  Fortuna.  Caval.  LH  13  {Fortuna  in  virid.  Vat).  Ovvero  Mori  I 
Atrio  1  (Abbondanza\  Mont.  9.  Clarac  III,  451,  823  A. 

6.  Cibele,  a  sedere.  Mont.  131*.  Clar.  III,  396  B,  664  F. 

8?  15?  19?  Securitä,  a  sedere.  "  Agrippina  »  Mont.  57*.  Clar.  V, 
982,  2368. 

9?  Salute,  p.  7.  «  Iside  «  Mont.  102*  (p.  5,  1).  Chir.  V,  992,  2275 
(p.  5,  2).  Ovvero  Franzini,  Icones  statuarum  f .  a  9  {in  theatro  Pontißcis  pal- 
latii),  con  un  boccale  nella  mano. 

10.  Inimortalitä,  p.  8  |.  Mont.  25*.  Righ.  256  (anfiteatio).  Mori  I 
Atrio  27  (coH'iscrizione  IMMORT ALITAS).  Clar.  IV,  767,  1894.  Pare  sia  iden- 
tica  con  Caval.  I.  II,  77  u  Ceres  in  Capitolio  ;». 

12.  Urania,  p.  9  |.  Vaccar.  83  {in  Capitolio).  Mont.  125*.  Eigh.  209 
(Belvedere).  Clar  III,  538^0,  1019  C. 

14.  Giove  col  folgere,  p.  10.  Caval.  I.  II  76  {in  Capitolio).  Mori  I  Atrio 
29.  Mont.  21*.  Clar.  III,  400,  676. 

16.  Giunone  sospite  ,  p.  9  §.  Mont.  40*.  Bigli.  163  (anfiteatro).  Mus. 
Cap.  III,  5  e  Mori  I  Scala  2  (coli' iscr.  IVXO  LANVMVINA).  Clar.  III,  418, 
732(1 14). 

('")  Questa  iscrizione  pare  sia  posteriore  dell'altra,  perche  non  vi  si 
parla  piü  di  magistratus  populmque,  ma  di  senatus  populusque  Rornanus, 
benche  i  conservatori  di  quelFanno  siano  nominati ;  sarä  slata  posta  dopo  il 
1  di  ottobre. 

("*)  S'intende  che  nulla  si  sa  di  certo  sulla  provenienza  di  questa  statua, 
e  che  la  comune  asserzione,  essere  stata  essa  disseppellita  a  Civitä  Lavigna,  al 
])ari  di  tanti  altri  esemiä  simili,  e  fondata  solamente  sul  significato  della  statua. 


LA   COLLEZIONE    CAIMTOLINA    DI    ANTICHITA 

1* 


39 


17.  Aiigerona,  n  sedere,  col  dito  alla  bocca.  Moiit.  130*.  Olar.  III, 
538  C,  1088  A. 

18.  Apollo,  p.  7  f.  Eigh.  101  (anfiteatroV  Clar.  III,  486  B,  954  F. 
23?  Console  togato,  p.  8  l-  "  Console  creduto  comuneinente  Virgilio  « 

Mont.  133*  (p.  9,  4).  Kigli.  246   (corte  di  Belvedere)-    Clar.  V,    907,    2278  C 

(p.  12,  6  i). 

26?  Testa  di  leroue.  M.  Cap.  I,  33. 

27?  Testa  di  Ariadna.  Righ.  7? 

28?  Testa  di  Piatone.  M.  Cap.  I,  22. 

29.  Testa  di  Gabrielle   Faeruo.  Righ.  107. 

81?  Testa  di  Diogene.  M.  Cap.  I,  27.  Righ.  55. 

82.  Diana,  p.  12.  Mori  I  Atrio  26*  (p.  111).  Mont.  20*  (p.  13,6). 
Clar.  IV,  571,  1221  (p.  11,5  |). 

33?  Figura  togata,  p.  8  |.  «  Cicerone  "  Righ.  242  (Belvedere).  Mont. 
134 -(p.  9,6).  Clar.  V,  907,  2306  A  (p.  0,4). 

36.  Polifemo  con  una  figura  a'  pie  senza  testa.  Mont.  23*.  Righ.  98 
(anfiteatro  ossia  scala).  Clar.  V,  835,  2091. 

IL  Scala. 

40?  Testa  di  Adriano.  Mus.  Cap.  I,  33. 

41?  Testa  di  Faustina.  Mus.  Cap.  I,  39. 

42?  Testa  di  Faustina.  Righ.  215. 

51?  Pudicizia,  p.  8.  Mont.  66  (p.  8).  Clar.  IV,  765,  1884  =  V,  965, 
2483  (p.  8,1). 

52.  Traiano  con  suo  petto.  Righ.  218. 

53  ovvero  57.  C  er  er  e,  p.  8  l  Righ.  208  (scala).  Clar.  V,  976,  2533  (p.  9). 

54.  Augusto,  a  sedere.  Mont.  99*.  Clar.  V,  912  B,  2334. 

56.  Antonin 0   Pio  con  suo  petto.  Righ.  218. 

60.  Bacco  ignudo  colla  lince  a'  pie.  Mont.  100*.  Righ.  69  (scala). 
Clar.  IV,  682,  1596. 

68?  Mercurio  colla  borsa  in  mano.  Clar.  IV,  658,  1527  A. 

III.  Palazzina. 

86?  Dirce  colla  colomba  o  Venera  (sopra  la  porta).  Mont.  110  (p.  7,4). 
Clar.  V,  877,  2235  (p.  4,1  |)  (H'^). 

92?  107?  109?  115?  Mnemo sine.  Cod.  Berol.  f.  GQ^  (nel  boschetto). 
Mori  I  Cortile  6  (p.  10).  Clar.  V,  976,  2532  (p.  8,7  |).  —  La  figura  compa- 
gna:  Mori  ib.  5  (p.  10).  Clar.  ib.  2531   (p.  8,8  i). 

113.  Giunone  Placida.  Cod.  Berol.  f.  66Mcoiriscr.  IVXOXI  PLA- 
CIDAE,  nel  boschetto).  Caval.  I,  II,  8  {in  viridario  Vaticano).  Mont.  60  «  Cle- 


(^'^)  Intorno  a  questa  "  Dercie  mutata  in  colomba»,  nonche  ai  n.  60 
e  68  e  diversi  altri  marmi  della  Palazzina,  che  Pio  IV  aveva  comprati  dal 
inaestro  Niccolo  Longhi  da  Vigiü,  milanese,  v.  Bertolotti  Artisti  lomb.  a 
Roma  I  p.  171  (cf.  p.  147.  149.  170). 


40  MICHAELIS 

menza  "  (trovata  suirAventino,  cioe  nel  creduto  tempio  di  Clemenza).  Clar.  III, 
423,  749  (116). 

124?  Antonio  oratore.  «  L.  Antonio  ?»  Clar.  V,  922,  2346. 

125?  Arianna.  Baccante  Uigh.  239  (gran  Corte  di  Belvedere).  Fer- 
ner 73.  Clar.  IV,  694  B,  1656  C. 

Pilo  ben  darsi  che  aleimi  altri  marmi  capitolini,  segnata- 
mente  busti,  si  naseondauo  sotto  le  denominazioni  piir  troppo  va- 
ghe  deirinyentario  ("'). 

Qiiando  ebbe  luogo  qiiesta  grau  migrazione  di  statiie  dal  Va- 
ticano  al  Campidoglio?  Sotto  Pio  Y?  A  quanto  credo,  rimico 
argomento  che  potrebbe  addursi  in  favore  di  questa  supposizione 
viene  offerto  dal  fatto  che  l'^i  Immortalitä  "  u.  10  ed  il  Giove  n.  14 
erano  giä  nel  Campidoglio.  qiiando  la  prima  edizione  dei  libri  I  e 
II  delle  ÄiUiquae  siatuae  del  Cavalieri  fii  pubblicata,  ciö  che  av- 
venne  incirca  fra  gli  anni  1572  e  1578  ("^),  e  che  iigualmeute 
1'- Urania"  n.  12  si  trovava  ia  Capitolio  nel  1584,  anno  in  cui 
Lorenzo  della  Vaccaria  diede  alla  liice  le  siie  Äiitiquarum  statiia- 
rum  icoiies.  E  diinque  evidente  che  queste  tre  statiie,  tutte  apparte- 
nenti  alla  decorazione  del  teatro,  sono  entrate  nel  Campidoglio  o 
sotto  Pio  V  ovvero  sotto  Gregorio  XIII.  Dall'altra  parte  e  non 
meno  certo  che  non  tutti  i  marmi  compresi  nelVinventario  furono 
realmente  cediiti  'al  Campidoglio  sotto  Pio  V.  In  primo  luogo  e 
di  qualche  importauza  che  l'iscrizione  seconda  non  coutiene  una  di- 
chiarazione  di  ringraziamenti  diretti  al  donatore,  ma  attesta  sol- 
tanto  che  le  statue  donate  siano   «^  quivi  collocate  "  ;  anzi,  se  que- 

('"■')  Ho  conimesso,  come  dimostra  il  codice  berlinense,  uno  sbaglio 
\\e\V Jahrbuch  1890  p.  62  e  66,  annoverando  questa  statua,  e  forse  anche  le 
due  precedenti,  fra  quelle  mandate  a  Firenze  nel  1569. 

("')  Restano  i  n.  7.  11.  20.  21.  22.  24.  25.  30.  35.  37  dal  teatro,  38. 
39.  43.  45.  48.  50.  58.  63-67.  69.  70.  74  dalla  scala,  83-85.  87.  88.  96.  101. 
102.  112.  117-119.  123.  126.  127  dalla  Falazzina.  —  La  « /wZm  G.  Petronii 
uxor  in  viridario  Pontißcis  r,  pr.  Caval.  L  II,  1 1  potrebbe  essere  identica  coUa 
statua  Moril  Cortile  4.  Eighetti  291.  Clar.  V,  976,  2534.  Si  confrontino  inoltre 
le  statue  Caval.  I.  II,  7.  10.  17.  18  « in  Vaticano  viridario  »  e  Franzini  a  4 
u  Mnemosine  in  virid.  Pon.^,  a  7  «m  theatro  PontifirAs  pallatii^. 

('■»)  Cf.  Jahrbuch  1890  p.  45  n.  174.  Le  anticbitä  vaticane  (tav.  1-18) 
che  erano  mancate  neU'edizione  originale  del  libro  I  potevano  appena  essere 
di.segnat«i  prima  della  morte  di  Pio  V,  1572  (v.  1.  cit.  p.  41).  DalFaltra  parte 
il  Cardinal  di  Trento,  Luigi  Madrucci,  al  quäle  il  libro  e  dedicato,  lasciö  Eoma 
nel  1578. 


LA    COLLEZIONE    CAPITOLINA    DI    ANTICHITÄ  41 

sto  hic  si  riferisce  non  al  Campidoglio  in  genere  ma,  come  pare, 
ad  una  certa  sala,  appena  basterebbe  una  sola  localitä  per  rinchiii- 
dere  tutti  qaei  marmi.  Poi  una  parte  non  esigua  dei  monumenti 
donati,  secondo  l'inyentario,  al  popolo  romano  o  rimase  nel  Vati- 
cano  0  fu  regalata  piü  tardi  ad  altri  dall'istesso  Pontefice.  Questo 
era  il  caso  di  26  marmi  della  palazzina  donati  nel  1569  a  Fran- 
cesco de'  Medici,  principe  di  Firenze  (''■').  Kimasero  nel  Vaticano 
le  celebri  statue  di  S.  Ippolito  e  di  Aristide  Smimeo  (n.  2  e  13), 
donate  alla  biblioteca,  quella  dal  card.  Marcello  Corvino  (1551), 
qnesta  da  Pio  IV,  le  quali  avevano  servito  temporaneamente  a 
decorare  il  teatro  ('-").  ßimasero  anclie  al  loro  posto  originale  nella 
peschiera  della  palazzina  le  cinque  donne  sedenti  n,  78-82  ('-').  II 
Pighio  poi  nel  1574  trovö  il  teatro*  ancora  ornato  di  molte  statue 
di  marmo(^--);  lo  scultore  remese  Pierre  Jacques  disegnö  nel  Va- 
ticano, fra  il  1572  e  76,  il  rilievo  dello  «  Zeto  ed  Anfione  «,  n.  34 
dell'inventario  ('-•*);  il  Cavalieri,  fra  il  1572  e  1578,  pubblicö  do- 
dici  statue  come  esistenti  in  Vaticano  viridario,  alcune  delle  quali 
appaiono  piü  tardi  nella  collezione  capitolina  ('-•^);  il  Contarino, 
nel  1575,  descrivendo  il  palazzo  de'  conservatori,  non  fa  menzione 
di  quelle  statue  ('-5).  Anzi  fino  nel  1589,  quando  la  piü  gran  parte 
delle  statue  era  giä  trasportata  al  Campidoglio,  le  Icoaes  statua- 
rum  antiquarum  edite  dal  Fraucini  esibiscono  ancora  alcune  sta- 

("")  /ö/irZ>.  1.  cit.  p.  43.  65.  Anclie  il  cardinale  di  Augusta  ne  aveva  rice- 
vuti,  V.  le  lettere  di  Alessandro  de'  Medici  ivi  stampate. 

('^'0  Jah-h.  1.  cit.  p.  41.  67. 

(••^')  N.  78  Fe  de,  a  sedere.  Cod.  Berol.  f.  77''  {Fides,  nel  boschetto). — 
N.  79  C  i  b  e  1  e  ,  a  sedere.  Cod.  Berol  f.  55  {Bea  Cyhele  nel  bosco  Di  belue- 
dere).  Caval.  I,  12.  —  K  80  Pudicizia,  a  sedere.  Cod.  Berol.  f.  66«  (nel 
boscho).  Caval.  I.  II,  9.  —  N.  81  G  i  o  v  e  n  t  ü  ,  a  sedere.  Cod.  Berol.  f.  77 
{luventas  nel  boschetto).  Caval.  I.  II,  14.  —  N.  82  Flora,  a  sedere.  Caval. 
I.  II,  16.  —  Inoltre  c'e  nel  Cod.  Berol.  f.  77  una  Fides  assisa,  «  nel  boschetto  ". 
Rassomiglia  alla  «  Giulia  Pia  »  Righ.  81,  tranne  che  non  e  velata.  —  Cf.  inoltre 
le  notizie  di  Cassiano  dal  Pozzo  pubblicate  dal  Schreiber  Ber.  d.  sächs.  Ges. 
1885  p,  30  n.  24.  33  n.  41.  35  n.  48. 

(122)  piorhius  Hercules  Prodicius,  km.  1587,  p.  390. 

('•")  Melanges  d'arch.  et  d'hist.  1890  p-  200. 

C^-')  Caval.' I.  II,  17.  18;  nel  Campidoglio  tav.  8  (n.  113).  13  (n.  5)? 
11  (cf.  nota  103)?  15  (n.  1). 

('")  Contarino  L'antiquitä  di  Eoma,  Yen.  1575,  p.  100.  E  vero  che 
dipende  massimaraente  dall'Aldrovandi. 


42  MICHAELIS 

tue  esistenti  iii  theatro  jmllatii  pontißcis  ('^ß);  e  vero  che  le  iii- 
cisioni  iu  leguo  di  questo  libro  possono  essere  state  fatte  alcuoi 
anni  prima.  ' 

Considerati  questi  argomenti,  pare  il  piü  ragionevole  di  cre- 
dere  accaduto  lo  sgombro  del  Yaticauo,  almeno  quello  del  teatro, 
fra  il  1572  incirca  ed  il  1584,  cioe  nel  tempo  di  Gregorio  XIII 
(1572-1585),  sotto  il  qiuile,  corae  vedremo,  anclie  altri  migliora- 
menti  del  Campidoglio  ebbero  luogo  ('-").  Se  ijou  ci  si  opponessero 
•  Corte  date,  saremmo  piü  disposti  ad  ascrivere  tiitta  Toperazioiie  a 
Sisto  V.  il  quäle  si  sa  che  volse  il  pensiero  a  cacciare  dil  pa- 
lazzo  papale  fino  le  statue  del  cortile  di  Belvedere  {^-^):,  fu  egli 
che,  nel  1588,  fece  demolire  la  scala  di  Bramante  per  editicarvi 
la  nuova  sala  della  biblioteea*  nella  quäle  le  statue  di  S.  Ippo- 
lito  e  di  Aristide  ottennero  uu  posto  d'onore.  E  di  fatti  pare 
probabile  che,  sgombrato  il  teatro  sotto  papa  Gregorio,  la  scala 
seguisse  sotto  Sisto,  cou  profitto,  e  vero,  molto  minore  del  Campi- 
doglio. Giacche  questo  con  certezza  non  ne  ebbe  che  tre  statue, 
VAugusto  assiso  n.  54,  la  Cerere  n.  53  ed  il  Bacco  n.  (30 ;  par- 
lando  delle  due  ultime  suUe  quali  il  Righetti  (non  so  sopra  quäle 
autoritä)  fa  espressamente  osservare  che,  demolita  la  scala,  furcno 
donate  da  Sisto  V  al  popolo  romano.  La  piü  gran  parte  delle  sta- 
tue che  ornavano  la  scala  non  si  sä  che  cosa  siano  divenute  ('-*);  il 
summentovato  rilievo  di  Zeto  ed  Anfione  sembra  esser  passato  a  Sci- 
pione  Catfarelli,  piü  tardi  chiamato  il  cardinal  Borghese,  che  se 
ne  servi  nella  decorazione  della  facciata  principale  del  casino  di 
Villa  Borghese  C^"). 

0^«)  Cf.  n.  9  e  nota  117. 

('^")  Sulla  base  della  Baceante  Righ.  239,  che  abbiamo  proposto  di  Iden- 
tificare  col  n.  125  deirinveiitario  e  che  in  ogni  caso  giä  era  nel  V'aticano,  si 
trovano  i  nomi  dei  conservatori  del  1584  (Forcella  I  n.  83).  Se  la  base  appar- 
liene  alla  statua,  questo  potrebbe  supporsi  l'anno  della  gran  donazione  ;  vi 
sembra  perö  opporsi  la  pubblicazione  del  Vaccario  che  data  del  medesimo  anno 
e  che  giä  conosce  1'  Urania  nel  Campidoglio. 

('=")  Nolizia  di  Graziano  nella  vita  Sixti  V  ipsius  manu  emendata 
presso  Ranke  Gesch.  d.  röm.  Päpste  P  p.  312. 

('")  Delle  statue  n.  -U  e  45  havvi  nn  ricordo  in  \\n  rame  col  mono- 
gramma  >^B  ,  raffigurante  il  torniamento  del  1565  nel  «  Teatro  di  Palazzo  " 
(pr.  Lairerij.  Non  corrispondono  a  veruna  statua  a  me  conosciuta. 

(■'"J  «Quadro    con    tre   figure,  Teti  [cioe  Zeto]  e  Amfione».    Melanges 


LA    C'iI.LF./.lONK    CAPITOMNA    IJI    ANTICIUTA  43 

VI.  GlI  ULTIMI  DECENNI  DEL  SECOLO  XVI. 

Mentre  dall'Albertini  fino  all'Aldrovandi  una  serie  quasi  conti- 
nua  di  descrizioni,  piü  o  meno  particolareggiate,  ci  permette  di  seguire 
passo  a  passo  lo  sviluppo  della  coUezione  capitolina,  la  mancanza 
di  tali  guide  sin  dalla  meta  del  secolo  fa  nascere  delle  incertezze 
al  pari  di  quella  poc'anzi  discussa  e  tante  alti'e.  Par3  che  nem- 
meno  la  piibblicazione  deH'itinerario  di  Nicola  Audebert  di  Or- 
leans, il  quäle  viaggiö  in  Italia  nc«gli  anni  1574-78,  servirä  ad 
empiere  questa  lacuna,  conciossiache,  per  quanto  mi  si  scrive  da 
Londra,  esso  non  contiene  una  descrizione  speciale  de!  Campi- 
doglio  (131). 

Nel  1579  il  palazzo  senatorio  caugiö  grandemente  d'aspetto, 
rimpiazzando  Gregorio  XIII  la  semplice  torre  medievale  col  nuovo 
campanile,  il  quäle,  benche  in  genere  corrisponda  al  disegno 
del  Buonarroti,  pure  mostra  l'unica  grande  apertura,  progettata 
da  lui,  cambiata  in  due  piani  come  ora  si  vedouo  C^-).  Forse 
stavano  in  connessione  con  questa  intrapresa  alcune  operazio- 
ni  riferibili  al  riordinameuto  dell'area  capitolina.  Cosi  quella 
grande  nicchia  sotto  la  scala  del  palazzo,  fra  i  due  fiumi,  pare 
abbia  riceviito  come  decorazioue,  invece  del  Giove  Yoluto  dal 
Michelangelo,  quella  semi-colossale  Minerva  fidiaea,  scoperta  giä 
sotto    Paolo  III  ('33),    In   capo    alla   cordonata   i    due  Dioscuri,  i 


(Varch.  et  (Vhist.  1890  p.  200.  E  il  ben  conosciuto  rilievo  Borgliese,  ora  nel 
Louvre,  rappresentante  Orfeo  ed  Euridice  (Bouillon  II  basr.  1.  Clar.  II,  116, 
205),  le  cui  iscrizioni  latine  esistevano  dimque  fin  d'allora.  Cf.  Manilli  Villa 
Borgh.  p.  31.  Montelatici  Villa  Borgh.  p.  140.  Robert,  Pasiphae-Sark.  p.  12. 

('31)  Mus.  Brit.  MS.  Lansdowne  n.  720.  J.  P.  Eichter  nel  Repertor.  f. 
Kunstioiss.  III  p.  288.  Müntz  Les  antiquites  p.  72.  P.  de  Nolhac  Rev.  arch. 
1887  II  p.  315.  Debbo  la  notizia  summentovata  alla  gentilezza  del  eh.  E.  M. 
Thompson,  direttore  del  Museo  Britannico.  Anche  le  notizie  estratte  dal  eh. 
Lanciani  dal  cod.  barberin.  XXX,  89  (Arch.  d.  Soc.  rom.  di  storia  patria  VI, 
1883}  contengono  nulla  di  nuovo. 

(13-)  Le  vedute  FG  mostrano  la  torre  attuale  ;  sul  disegno  del  Buonar- 
roti V.  la  nota  106.  Non  so  se  Giacomo  della  Porta  sia  stato  Tarchitetto,  v. 
Baglione  Vite  de'  pittori  p.  77  e  seg. 

("3)  Forcella  I  n.  71  S.  P.  Q.  R.  Signum  Mineroae  de  parietinis  urhis 
erutum  et  in  Capitolium  Paulo  III  Pon.  Max.  translatum    (cf.  la  nota  92) 


44  MICHAELIS 

favolosi  uiinzi  della  vittoria  regillense,  ristaiirati  poco  felicemente 
dopo  venti  anni  d'aspettativa  dal  Valsoldo,  furoDO  drizzati  nel  1583 
da  Giacomo  della  Porta  suUe  loro  basi,  poste  non  attraverso,  come 
nel  disegno  di  Michelangelo,  ma  nella  direzione  della  salita  C^'*). 
L'anno  segiiente  nn  posto  Aicino  sulla  balaustrata  si  assagnö  ad 
ima  Colon  na  migliaria,  ritrovata  come  si  dice  al  primo  mi- 
glio  della  via  Appia,  che  ricevette  per  base  ima  lapida  onoraria  giä 
posta  ad  Adriauo  (^=^''');  e  per  compiere  quella  decorazione  della 
balaustrata,  seguirono  nel  1590,  SLvtl  V  auctoritate,  i  belli  trofei 
creduti  di  Mario,  i  qnali,  collocati  nel  castello  dell'acqiia  Marcia  vi- 
cino  a  S.  Eusebio,  erano  stati  imo  de'  monumenti  celebrati  nelle 
tradizioni  dei  tempi  bassi  C^'^').  Ora  dunqiie  anche  il  colle  esqui- 
lino  dovette  spogliarsi  dei  siioi  monumenti  per  ornare  la  facciata 
del  Campidoglio.  Lo  stesso  pontefice  fece  fare  la  fontana  colla  gran 
couca  dinnanzi  alla  scala  del  palazzo    senatorio,    conduceudovi  in 


in  illustr  ior  e  are  ae  lo  c  o  (cf.  la  nota  157)  Gregono  XII  [  Pont. 
Max.  posuit  ac  restituit.  Franzini  f.  e  8  dice  Minervae  sißnum  in  a  er  e  a 
Capitol,  mentre  le  alfre  statue  capitnline  si  dicono  collocate  in  Capitolio  o 
sia  in  pallatio  Capitolino.  La  veduta  F  (1588)  mostra  il  nicchione  ornato  di 
una  statua,  mentre  in  DE  esso  e  ancora  vuoto,  e  Vasari  (1568)  parla  ancora 
del  Giove. 

('")  Forcella  In  78  ;  cf.  la  nota  96.  Baglione  1.  cit.  p.  78.  Mori  I 
Piazza  3.  4.  Righ.  388.  389.  Clar.  V,  812,  2044.  2045.  —  Non  so  a  quäl  ristauro 
spetti  riscrizione  Forcella  n.  105. 

C^^)  C.  I.  L.  X,  6812.  6813  e  VI,  967«.  Forcella  I  n.  81.  82.  Eame  di 
Nicülao  van  Aelst  (pr.  Lafreri).  Vaccar.  Ornamenti  (1600)  tav.  23  («hoggi  posa 
sulle  Scale  del  Campidoglio  jj).  Mori  I  Piazza  2.  Righ.  390.  Che  la  colonna  sia 
btata  scoperta  sulla  via  Appia  presse  la  porta  S.  Sehastiano,  viene  asserito  non 
]trima  del  secolo  XVII  estr.,  vale  a  dire  dalla  iscrizione  de'  conservatori,  dal 
Fabretti  (de  aquis.  1680  c.  48),  dall'Olstenio  (oetus pictura  Nympheum  referens 
p.  8  =  Graev.  thesaur.  IV  p.  1805).  II  Dessau  {Bull.  delVIst.  1882  p.  121  sgg.) 
quindi  ritiene  per  vera  la  notizia  del  Vacca  n.  67,  (col  quäle  concorda  il  con- 
temporaneo  Ligorio)  la  colonna  essere  stata  trovata  «  in  opera  "  alle  radici  del 
Tarpeo  verso  il  tealro  di  Marcello.  Se  questa  poi  sia  identica  coll'esemplare 
copiato  sin  dal  Quattrocento  nella  casa  Massimi.  poi  nel  giardino  di  Angelo 
Colocci,  e  difficile  a  decidere.  V.  Mommsen  C.  I.  L.  X  add.  p.  991. 

(»««)  Forcella  I  n.  90  {illustri  loco  statuenda).  Cf.  Bull.  d.  Ist.  1888 
p.  266  n.  27.  1889  p.  230.  Due  rami  nella  raccolta  del  Lafreri,  Caval.  I.  II, 
99.  100  e  Vaccar.  3.  4  danno  i  trofei  come  ancora  esistenti  in  via  Exqui- 
Vna  (cf.  Ponato  Roma  p.  205  ed.  Amst.  1695) ;  nel  Campidoglio  :  Mori  I 
Piazza  5.  6.  Righ.  387. 


LA   COLLEZIONE   CAPITOLINA    DI    ANTICHITA  45 

abbondanza  l'acqiia  Feiice  da  liii  riallacciata  nel  1587  ('^'').  Fii  an- 
cora  Giacomo  della  Porta  qiiello  che  condusse  qiiesti  lavori,  mentre 
disgraziatamente  nella  medesima  epoca  Giacomo  del  Diica,  allora 
architetto  del  popolo  lomano,  rifacendo  il  soffitto  della  gran  sala 
de'  conservatori,  ebbe  il  cattivo  giisto  di  guastav  la  facciata  di 
Michelangelo  coiriiitrodurvi  quella  grando  finestra  di  bizzarra  in- 
veuzione  C-^^).  Fa  poi  parte  del  riordinamento  di  tutta  la  piazza 
anche  la  rimozione  da]  suolo,  ove  giaceva  da  alcuni  decennii,  della 
gugiia  di  Araceli,  che  nel  1582  dal  comune  fu  vendiita  a  Ciriaco 
Mattei  per  coUocarla  nel  prato  della  sua  nuova  villa  celimon- 
tana  ('^")-  Nell'istesso  anno  nella  via  della  rupe  tarpea,  nuovamente 
oostruita,  si  aperse  una  titrada  diretta  dalla  Consolazione  al  Monte 
Caprino  (i^"). 

Altri  cambiamenti  rigiiardavano  la  collezione  del  palazzo  dei 
conservatori.  Corrispondeva  aftatto  al  carattere  di  essa  il  dono 
fabtole  nel  1576  dal  papa  Gregorio,  giä  rinomato  giureconsulto. 
della  celebre  lex  regia  di  Vespasiano,  conservata  sino  dai  tempi 
di  Cola  nella  basilica  lateranense  (•^').  Tutti  i  bronzi,  dal  dono  dei 
quali  un  secolo  fa  il  museo  aveva  preso  la  sua  origine,  ora  fiu'ono 
riuniti  in  una  sola  stanza  nuovamente  addobbata,  e  l'Ercole  ebbe 
una  nuova  base  piii  bella  (1578)  ('''-);  onore  che  otto  anni  piü 
tardi  sembra  esser  toccato  anche  alla  veuerabile  lupa  C"*^).  In 
questo  anno  1586  anche  i  fasti  giä  donati  dal  cardinale  Ales- 
sandro  Farnese  (p.  32)  ricevettero  un  posto  piü  deceute  nella 
stanza  superiore  che  da  essi  prese  il  norae  ('^^).  I  monumenti  sto- 

(*")  Baglione  Vite  de'  pittori  p  34.  35.  78.  Una  fcmtana  di  dimensioni 
minori  si  trova  giä  nel  progetto  di  Michelangelo  (v.  la  nuta  106). 

("«)  Baglione  1.  cit.  p.  78  e  52. 

('5")  Ee  Bull,  comun.  1882  p.  112.  Barne  di  Nie.  van  Aelst  del  1589 
(pr.  Lafreri).  Vaccar.  Ornamenti  tav.  8.  Falda  Giardini  di  Roma  tav.  17.  Cf. 
le  note  4  e  88. 

(i4oj   \i-cii_  (j    goc.  rem.  di  storia  patria  VI  p.  451. 

('^')  Forcella  I  n.  72.   C.  I.  L.  VI,  930. 

("^)  Forcella  I  n.  70  {coactis  in  unum  aeneis  monumentis).  C.  I.  L.  VI, 
328.  Questo  nuovo  collocamento  delF  Ercole  ebbe  luogo  quando  Nicola  Audebert 
(v.  la  nota  131)  stava  a  Roma,  giacche  in  mia  lettera,  che  si  irova  alla  fine 
del  suo  itinerario,  egli  scrive  che  l'Ercole  est  encor  la  par  terre  couche 
jusques  ä  ce  que  une  sale  soit  achevee,  au  bout  de  laquelic  Ion  le  mettra. 

(•")  Forcella  I  n.  87. 

('")  Forcella  I  n.  88. 


46  MICHAELIS 

rici  si  arncohirono  di  alcimi  busti  colossali  di  imperatori  (1583) 
e  di  im  busto  di  Scipione  Africano  (1592)  C^^).  ^[  im  Interesse 
auche  mao-giore  fii  creduta  la  statiia  colossale  di  paragone,  trovata 
poco  prima  suirAventino  e  comprata  per  1000  ducati  dal  monsignor 
Massimi.  nella  quäle  allora  si  ravvisava  l'eroe  Aventino, 
tiglio  di  Ercöle  di  stirpe  latina,  in  etä  fauciullesca  ('-"').  Forse  so- 
praggiimsero  in  qiiest'epoca,  o  poco  prima,  eziandio  due  pezzi  di 
fregio  ornato  di  oggetti  navali,  che  giä  avevano  deco- 
rato  la  basilica  di  San  Lorenzo  ia  afjro  Veraao  ('''").  Nel  1590 
poi  il  palazzo  pote  vantarsi  di  un'accessione  bella  ed  importante, 
coUocandosi  nel  prospetto  del  cortile  lo  stupendo  sarcofago  sco- 
perto  poco  prima  al  Monte  del  Grano,  siü  copercbio  del  quole  si 
credeva  riconoscere  le  figm-e  di  Alessandro  Severo  e  di 
Giiilia  Mammea,  mentre  i  rilievi  fiirono  riferiti  al  ratto  delle 
Sabine:  rappresentanze  che  doyevano  esser  riputate  assai  conve- 
nevoli  a  quel  luogo  {^^^). 

Poirebba  darsi  che  questo  nuovo  ornamento  conferito  al  cor- 
tile fosse  stato  cagione  di  im  altro  cambiamento.  Imperocche  quasi 
nello  istesso  tempo,  pochi  anni  prima  del  1594  al  dir  del  Vacca, 
un  li  pezzo  d'historia  "  fu  tolto  dalla  piazza  Sciarra,  ove  era  stato 
«  sopra  a  terra  in  opera  " ,  e  murato  «  nel  piano  delle  scale  che 
saliscono  sü  la  scala  di  Campidoglio  ".  Bene  a  ragione  si  e  rico- 
nosciuto  in  qiiesta  scultura  quel  rilievo  in  ciii  la  Yirtii  (cosid. 
Roma)  porge  il  globo  a  Marco  Aurelio  (}^'^)\  il  quäle  trovan- 


C^äj  Forcella  I  n.  77  (Traiano  ed  Antonino  Pio.  Righ.  218).  79.  94  (Righ. 
258.  Visconti  iconogr.  vom.  I  tav.  3,  1-3.  p.  76  Mil.  Bernoulli  röm.  Ikonogr. 
1  tav.  3). 

C«)  Forcella  I  n.  92.  Vacca  n.  91.  Caval.  III.  IV,  40.  Maffei  19.  Mus. 
Cap.  III,  26.  Righ.  59.  Clarac  V,  781,  1956. 

('*')  Heemskerck  (f.  21.  53)  li  disegno  a  S.  Lorenzo.  Nella  raccolta  del 
Lafreri  havvene  un  rame,  Claudii  Duchetti  formis  (cioe  fra  1578  e  1590),  che 
conosce  il  fregio  hodie  in  Capitolio  intra  Ccnservatorum  palatium.  Mus. 
Capit.  IV,  34.  Righ.  336.  337. 

("*)  Forcella  I  n.  91.  Vacca  n.  36  ("in  inezzo  del  cortile")-  Robert 
Sarkophag- Reliefs  II  tav.  14.  15.  p.  35.  II  disegno  piii  antico  se  ne  trova  nel 
codice  di  Wind.sor  XII  (XVIII)  f.  83  «  Campidoglio  «  —  85. 

C")  Vacca  n.  28.  P.  S.  Bartoli  Admir.' Z^--^""  Q.  Rossini  Archi  49,  1. 
Righ.  164.  Cf.  Shakspere  Wood  Bull.  d.  Inst.  1873  p.  6.  Lanciani  Bull, 
comun.  1878  p.  16.  Petersen  Bull.  d.  Ist.  1S90  p.  75. 


LA    COLI.EZIONE    CAIMT'iMNA    DI    ANTICHITA  '  47 

dosi  in  qiiel  pianerottolo  me.-^so  accanto  ai  tre  rilievi  siniili  prove- 
nienti  da  S.  Martina,  facilmente  ci  fa  nascere  la  congetUira  che  anche 
questi  rilievi  allora  abbiauo  cambiato  il  loro  posto  nel  cortile  con 
qiiello  sul  pianerottolo.  Ne  parra  inverosimile  che  in  questa  occa- 
sione  anche  qiiel  rilievo  simile,  di  ciii  ragionammo  piii  sopra  (p,  21), 
sia  passato,  direttamente  ovvero  indirettaraente,  nel  possesso  di 
Scipione  Caffarelli,  al  pari  del  rilievo  vaticano  di  Zeto  (p.  42) 
e  forse  di  certe  lapidi  ('^ü«);  e  che  11  sarcofago  dalle  Stagioni  sia 
migrato  dal  cortile  nella  camera  della  lupa  ('■^'*).  Finalmente  in 
quell'occasione  sai'ä  stata  collocata  nel  ripiano  una  statua  togata  di 
Adriano,  trovata  vicino  a  S.  Stefano  rotondo  e  comprata  dal 
popolo  romano  (>'•'). 

Oltre  ai  monumenti  per  cosi  dire  storici  finora  annoverati, 
ricordiaraoci  di  quel  grande  incremento  di  statiie  vaticane  toccate 
in  Sorte  al  Campidoglio,  come  abbiamo  esposto  piü  sopra,  sotto 
Gregorio  XIII  e  sotto  Sisto  V  (1588),  per  il  qnale,  considerando 
la  soverchia  quantitä  di  scnlture  di  im  Interesse  prettamente  arti- 
stico,  la  -collezione  capitolina  corse  pericolo  di  perdere  il  sno  carat- 
tere  originario.  Ne  mancavano  alcime  altre  statue  di  simile  carat- 
tere,  come  p.  es.  la  statuetta  dinn  pescatorello  sedente, 
trovata  nella  valle  vaticana  (••^-'),  im  cosidetto  Marte  ed  iin  Sa- 
tiro('''^),  dei  quali  almeno  non  trovo  fatta  menzione  anteriormente, 
e  che  non  posso  nemmeno  dire  dove  siano  rimasti,  a  meno  che  i  due 


('■*'")  V.  Telenco  delle  lapidi  seguate  di  uii  asterisco  nella  n.  48,  che  non 
vengono  piü  menzionate  sin  dal  1600  incirca,  senza  perö  che  si  possa  dire  con 
certezza,  dove  siano  passate.  Come  mi  avverte  il  ch  Hülsen,  il  rilievo  di  Milra, 
mentovato  dal  Vacca  (n.  19)  e  pubblicato  dal  Franzini  e  da  altri  sotto  il  nome 
di  «  Agricoltura  ",  fu  trasportato  nel  1606  dal  spclaeum  Capitolinum  suUa 
piazza,  per  essere  piü  tardi  donato  ai  Borghese. 

('50)  V.  la  nota  130. 

('ä')  Vacca  n.  88  "  hora  stä  in  opera  alle  scale  al  primo  piano  per  andare 
sopra  la  sala  del  Conseglio  publico".  Mus.  Cap.  III,  55.  Mori  I  Atrio  30. 
Montagn.  22.  Eigh.  116.  Clarac  V,  945,  2422. 

{'^^]  Eame  del  1567  presso  Lafreri  coH'iscrizione  Pueri  piscantis  e  Pario 
marmore  ...  simularhrum  Romae  in  valle  Vaticana  inveiitum.  Vaccar.  (1581) 
tav.  39  {in  CapitoUo).  Caval.  III.  IV,  60  [Repert.  in   Vatic). 

('5^j  Caval.  III.  IV,  32.  84.  Col  Marte  puo  paragonarsi  quelle  pubblicato 
dal  Paciaudi  Mon.  Pelop.  I  frontisp. ;  il  Satiro  potrebbe  essere  un  Bacco  mal 
ristaurato. 


48  MICHAELIS 

Ultimi  non  siano  montati   ad   ornare   il   tetto   di   iino  dei  palazzi 
capitoliui. 

Nel  1592  demente  YIII,  della  famiglia  Aldobrandina,  sali 
alla  sede  apostolica,  annoverando  le  opere  del  qiiale  il  Baglione 
vauta  che  «  fii  sotto  lui  abbellita  la  facciata  di  mezzo  del  palazzo 
di  Campidoglio,  dove  sono  le  scale,  ed  e  tutta  adorna  ^  C^^).  Quäle 
sia  stato  questo  abbellimento,  lo  dimostra  un  confronto  delle  due 
Vedute  F  e  G,  cou  cui  si  prova  ad  evidenza,  che  fra  gli  anni  1588  e 
.1600  fu  iutrodotto  un  cambiamento  totale  nell'aspetto  della  fac- 
ciata. Fu  dunque  demente  YIII  che,  coll'opera  del  giovane 
architetto  Girolamo  Rainaldi  {^''■'),  condusse  a  termino  il  progetto 
di  Michelangelo,  allargando  le  finestre  meschine  del  primo  piano 
(disgraziatameute  quelle  del  piano  superiore  non  furono  eseguite 
conforme  al  progetto),  rimovendo  il  balcone  del  piano  superiore, 
introducendo  i  pilastroni  che  abbracciano  i  due  piani,  mettendo  il 
cornicione  in  luogo  dei  merli  medievali,  coronando  l'edifizio  della 
balaustrata  ornata  di  statue,  insomma  assicurando  all'edifizio  quel 
carattere  di  semplice  grandezza  cli^  corrisponde  all'inge'gno  del 
gran  Fiorentino.  E  invero  ben  meritato  11  posto  cospicuo  assegnato 
airiscrizione  che  fu  posta  nel  1598  al  disopra  della  porta  prin- 
cipale  per  celebrare  i  molteplici  meriti  di  demente  ('^fi).  A 
quell" abbellimento  si  deve  anche  il  fatto  che  nel  1593  il  posto 
centrale  fra  i  due  fiumi,  sin  dal  tempo  di  Gregorio  XIII  occupato 
dalla  Minerva  colossale,  fu  dato  ad  una  statua  sedente  di  portido, 
la  quäle,  beuche  rappreseutasse  senz'altro  una  Minerva,  fu  battez- 
zata  sul  nome  di  Roma,  ed  essendo  troppo  piccola  per  quella 
gran  nicchia,  fu  collocata  sopra  un  cumulo  di  spoglie  militari, 
onde  fu  chiamata  volgarmente  la  Roma  trionfante  C^"). 

{''*)  Vite  de'pittori,  Napoli  1733,  p.  58.  Cf.  Donato  Borna  IV  c.  11 
(ed.  Amst.  1695,  p.  338)  Clemens  dealbalam  senatoriae  domus  frontem  antis 
capituUsque  Corinthiis  et  suprema  coro/ia  slgnisque  superpositis  ornavit. 

(•")  Passeri  Vite  de' pittori,  Roma  1772,  p.  272. 

('«")  Forcella  I  n.  101. 

(•")  Forcella  I  n.  96  (m  area  Capitolina  ad  fontem)  S.  P.  Q.  R.  Vrlis 
Romae  simulacrum  publica  pecunia  redemptum  in  Capitolium  transtuUt.  atq. 
loco  illus'.riore  collocatum  ecc.  Qui  non  si  dice  niente  dell'essere  trovata  la 
statua  nel  tempio  dorico  di  Cori,  opinione  volgarmente  adottata  dai  moderni 
(p.  es.  Nibby  Analisi  della  carta  I,  512.  Platner  Beschr.  d.  St.  Born  III,  1, 
104  ecc).  E  evidentemente  falsa  l'asserzione  del  Montagnani  I,  11,  essere  stata 


LA   COLLEZIONE    CAP:T0LIN.V    DI    ANTICIKTA  49 

Un'altra  opera  di  Clemeute  VIII  viene  iudicata  dal  Baglione 
con  queste  parole:  «  E  fece  fare  i  fondamenti  per  l'altra  parte 
del  palazzo  verso  Araceli,  e  ne  fu  Tarchitetto  Girolarao  Einaldi 
[rhzi  Raiualdi]  Romano,  e  lo  voleva  edificare  conforiiie  a  quelle 
che  rincontro  si  vede  di  Michelagnolo  Buonarroti,  in  qiiel  sito 
dov'e  posta  la  fontana  di  Marforio  con  belli  adornamenti  fatti  da 
Giacorao  della  Porta  " ,  Le  vedute  U  E  niostrauo  in  quel  luogo  un 
muro  piiittosto  alto  con  iina  nicchia  nel  mezzo,  in  cui  vedesi 
ima  base;  in  D  il  gruppo  del  leone  sta  snl  suolo,  vicino 
alla  nicchia.  Facilmente  dunqiie  si  capisce  perche  qiiesto  grnppo 
fosse  allora  (1594)  tolto  da  quel  posto  e  trasportato  nel  palazzo 
dei  conservatori  (^^''^),  ove  l'anno  seguente  una  statua  di  Costan- 
tino,  senz'altro  quella  delle  scale  conducenti  a  Monte  Caprino. 
venne  a  tenergli  compagnia  C^-^).  Perö  della  «  fabbrica  nuova  del 
popolo  romano  "  allora  non  si  gettavano  che  i  soll  fondamenti,  e  fu 
eseguito  soltanto,  ancora  secondo  il  disegno  di  Giacorao  della  Porta, 
im  arco  ornato  di  appropriata  architettura,  per  servire  di  fondo 
ad  una  nuova  fontana,  anch'essa  nutrita  dalVacqua  Felice.  Questa 
indicazione  del  futuro  palazzo  fu  finita  nel  1595.  (i*^'^),  e  ne  formo 


scoperta  la  statua  sotto  Iiinocenzo  X  in  una  camera  riccamente  ornata  delle 
Terme  di  Tito  ;  forse  havvi  una  confusione  colla  celebre  pittura  di  Roma  tro- 
vata  nel  1755  in  circostanze  simili  {Arch.  Zeit  1885  p.  24).  —  La  «Roma" 
e  pubblicata  pr.  Perrier  55.  Mori  I  Piazza  10.  Montagn.  4.  Righ.  387. 
Clarac  IV,  768,  1904. 

('58)  Forcella  I  n.  100  in  ]ialatio  Conservatorum  ad  leonem  eqiium  dila- 
niantem.  Allora  sarä  fatto  il  ristauro  da  taluni  erroneamente  attribuito  a 
Michelangelo.  —  Non  so  a  quäle  statua  si  riferisca  V  iscrizione  n.  98,  anch'essa 
colla  data  del  1594. 

('■59)  Forcella  I  n.  102.  Siccome  il  eh.  De  Rossi  (Bull,  comun.  1887 
p.  63)  ha  dimostrato  che  Tuna  statua  di  Costantino  Auguste  sia  rimasta  al 
posto  originale  fino  alFanno  1644  (Porcella  I  n.  915)  —  ne  fu  tolta  nel  1653  — , 
la  sopradetta  iscrizione  si  riferirä  a  quella  terza  statua  di  Costantino  che  circa 
50  anni  prima  era  stata  trasportata  sulle  scale  di  Monte  Caprino  (v.  p.  31). 
II  7  novembre  di  quel  medesimo  anno  1644  Evelyn  vide  nel  cortile  del  palazzo 
de'  conservatori  the  statue  of  Constcuitine  o/i  a  fountaine  {Diary  sotto  quella 
data),  ed  il  Pinarolo,  L'antichitä  di  Roma,  1713,  p.  50  e  57,  fa  menzione  tanto 
dei  due  Costantini  alla  balaustrata  quanto  delFuno  nel  palazzo  de'  conservatori. 

('«")  Questo  monumento  e  pubblicato  pr.  Vaccar.  Ornamenti  tav.  15,  e 
serve  di  frontispizio  al  volume  secondo  delle  Lisiij/iiores  staluarum  urbis 
Rornae  icones  di  G.  D.  de  Rubels,  1645,    coli' iscrizione    spartita    sopra    due 

4 


50  MICHAELIS 

il  piü  cöspicuo  oroamento  im'altra  di  quelle  statue  intimamente 
concfiimta  colla  storia  medievale  di  Roma,  il  cosidetto  Marforio. 
Dopo  aver  giaciiito  per  tanti  secoli  vicino  al  foro  ed  all'arco  di  Setti- 
mio  Severo,  la  statiia  era  destinata  ad  oniare  la  foütana  di  piazza 
Xavona,  ma  a  metä  della  via  fu  rivoltata  e  portata  in  Campidoglio, 
<•  dove  ogtri  —  dice  il  Yacca  nel  novembre  del  1594  —  la  fanuo 
servire  per  fiume  alla  fönte  sopra  la  piazza  "  ("■').  Aldissopra  del 
Marforio,  dinnanzi  ad  im  tondo  o  sia  medaglione,  fu  posta  quella 
testa  colossale  di  marmo  comunemente  attribuita  a  Commodo, 
da  altri  aH'Apolliue  luculliano,  che  sin  da  un  secolo  giaceva  nel 
cortile  del  palazzo  de' conservatori  (^^'2).  II  suo  compagno,  lagran 
testa  di  bronzo,  sembra  aver  cambiato  circa  l'istesso  tempo 
il  suo  posto  tradizionale  sotto  il  portico  esteriore  di  quel  palazzo 
cou  un  posto  piü  protetto  nel  cortile,  forse  in  connessione  con 
quel  riordinamento  del  cortile  stesso,  di  cui  parlammo  poc'anzi 
(p.  46)  (^''3).  Ed  in  una  delle  stanze  superiori  fu  collocato  un  busto 
curioso,  creduto  di  L.  Cornelio  pretore  (^*'^),  il  quäle  essendo 
stato  trovato  poco  prima  a  Tivoli  assieme  con  ima  tavola  di  bronzo 
conteuente  una  iscrizione  di  Interesse  storico,  e  poco  dopo  capitato 
uelle  mani  di  Fulvio  Orsini,  questi  legö  nel  1600  ambedue 
quei  monumenti  al  popolo  romano.  Ma  una  cattiva  sorte  toc- 
cö  a  cotal  legato.  Poicbe  cioe   la   tavola  non   fu   mai   consegnata 


tavole  Clementis  VIII  ^oo.max.  fontem  aquae  Faelicis  e  publice  comoditate 
3IDLXXXXV.  E  evidente  che  la  seconda  iscrizione  e  un  estratto  di  quella 
pr.  Forcella  I  n.  103.  —  Una  veduta  della  fabbrica  quäle  era  nel  1600,  esiste 
nel  ranie  ff,  nonclie  presso  Marcucci  (nota  3).  Del  resto  cf.  Donati  Borna  IV 
c.  11  (Amst.  1695,  p.  338)  vix  paululum  extare  a  solo  coei^rant  (aedes),  cum 
ab  opere  cessatum  est. 

(»«!)  Yacca  n.  70.  —  Mus.  Cap.  III,  1.  Mori  I  Cortile  1.  Montagn.  7. 
Righ.  41.  Clarac  IV,  745,  1801. 

{"■-)  Vaccar.  Ornamenti  (1600)  tav.  15.  Evelyn  1.  cit.  (1644).  Roma 
anlica,  1668  p.  552.  1087  p.  109. 

(■")  Presso  Franzini  (1589)  d  16  (Roma  ant.  1663  p.  556.  1687  p.  113) 
la  testa  si  trova  a,\icora.  in  aerea  CapitoUna ,  alla  traslocazione  spetta  l'iscri- 
zione  senza  data  pr.  Forcella  In.  106  (aerei  colossi  fragmentum  ...  antiquae 
Romanorum  magni/icentiae  indagatoribus  restitutum),  veduta  dal  Valesio 
(m.  1676)  in  quel  cortile  sotto  la  testa. 

/")  Gallaeus  Illustrium  imagines  tav.  48.  Visconti  iconogr.  rom.  I 
av.  4,  6. 


LA    COLLEZIONE   CAPITOLINA    DI    ANTICHITA  51 

ai  conservatori,  anzi  piü  tardi  la  troviamo  nel  possesso  dei  Barbe- 
rini,  quindi  fin  dal  1790  se  ne  perdette  ogni  traccia;  il  biisto  per- 
Yenue  bensi  al  Campidoglio  ed  ebbe  il  suo  posto  nella  camera 
contigiia  alla  cappella,  ma  claudestinamente  scomparse  sul  priii- 
cipio  del  secolo  scorso,  e  cadde,  circa  il  1716,  nelle  mani  dell'ar- 
chitetto  inglese  Giiglielmo  Keiit,  agente  di  Tommaso  Coke,  l'edi- 
tore  ^^\Y  PJlruria  rcjalls  del  Dempster.  Coke  (piü  tardi  Lord  Lei- 
cester),  comprato  il  biisto,  lo  trasportö  nel  suo  palazzo  di  Holkham 
Hall,  ove  scomparse  di  nuovo  e  non  fii  scoperto  e  riconoscinto  che 
poclii  auni  fa,  mentre  nel  Campidoglio  il  posto  vacante  sembra 
essere  stato  riempito  temporaneamente  con  uu  altro  busto  qiialifi- 
cato  come  L.  Coruelio  pretore,  ora  scomparso  anch'esso  ('ß^). 

VII.  Il  PAL/izzo  de"  Conservatori  ed  il  nuovo  palazzo. 

II  secolo  decimosettimo  fii  altrettanto  infruttuoso  riguardo 
l'ingraudimento  della  collezione  capitolina,  quanto  il  precedente 
ne  era  stato  fecondo.  Ne  qiiesto  puö  recar  maraviglia  qiiando  si 
pensi  alla  limga  serie  di  ricclii  miisei  privati  formati  dai  nipoti 
ed  altri  parenti  dei  pontefici,  dagli  Aldobrandini,  Borghese,  Lu- 
dovisi,  Barberini,  Pamfili  ecc,  e  da  tanti  altri  insigni  personaggi. 
Gli  interessi  privati  fiirono  d' iuciampo  allo  sviluppo  della  col- 
lezione pubblica.  Cosi  avvenne  che  per  quasi  un  mezzo  secolo 
non  si  tratta  che  di  traslocazioni  di  statne  ovvero  di  nuove 
basi  e  simili  bagattelle,  che  perö  non  di  rado  vengono  celebrate 
nello  Stile  pomposo  ed  insipido  del  secolo;  il  quarto  decennio, 
tempo  di  Urbano  VIII,  fu  ricco  a  preferenza  di  tali  prodezze  ('^e). 
E  cosa    rara  che   in   quell' epoca    di    ristagno    un    rilievo    nuova- 


(i«s)  Cf.  C.  I.  L.  XIV,  3584.  Michaelis  Anc.  Marlies  in  Great  Britain 
p.  58.  318  e  XXIII.  Eossini  Mercurio  errante  (1739)  p.  13. 

(>«")  Vedi  p.  es.  Forcella  I  n.  125.  127.  130.  Nuove  basi  si  preparavano 
p.  es.  per  lo  spinario  1609  (Forc.  n.  111)  ed  il  Camillo  1641  (n.  140),  per  i 
frammenti  del  colosso  di  marmo  nel  cortile  1635  e  1636  (n.  127.  132),  per  il 
creduto  Cicerone  1635  (n.  128),  il  Mario  1653  (n.  151),  il  Polifemo  chiamato 
Pan  1636  (n.  131),  per  tre  statue  sedenti  1639  (n.  135  ;  Righ.  231.  232.  241  ?), 
per  due  Muse  (n.  12  e  47  deH'inventario  del  Boccapaduli,  Eigh.  209.  210)  che 
furono  collocate  alle  scale  1639  (n.  138).  II  cippo  di  Agrippina  fu  pulito  1635 
0  16.36  (n.  130). 


52  MICHAELIS 

mente  dissotterrato  ("^')'  oppiire  qualche  busto  d'imperatore  C^^) 
veno-a  ad  arricchire  la  coUezione.  In  quäl  maniera  le  statue  e 
le  teste,  segnatamente  quelle  di  provenieuza  vaticaua,  siauo  state 
disposte  allora  uel  cortile,  nelle  gallerie  e  uelle  diverse  stanze 
del  piano  superiore.  ce  lo  mostra  la  descrizione  piuttosto  particola- 
reggiata  dell'inglese  John  Evelyn,  che  visitö  il  Campidoglio  il  7 
di^novembre  del  1644  (le^). 

Due  mesi  prima  Innocenzo  X  di  casa  Pamfili  era  stato  eletto 
papa.  Uno  dei  primi  fatti  del  suo  reguo  fu  la  risoluzione  di  rias- 
sumere  quella  «  fabbrica  nuova  »  principiata  un  mezzo  secolo  fa 
da  demente  YIII,  risoluzione  accolta  con  tanta  soddisfazione  dai 
conservatori,  che  giä  in  quell'istesso  anno  eressero  al  papa  una 
statua,  mettendo  provvisoriamente  il  ritratto  di  Innocenzo  sulla 
statua  di  Paolo  IV,  giä  rovesciata  e  decapitata  dal  popolo  furi- 
bondo  C''^).  Senza  spendere  un  quattiino  dell'erario  pontificio,  anzi 
levando  le  provvisioni  e  gli  emolumenti  a  diversi  offlziali,  fece  co- 
struire  dal  summentovato  architetto  Girolamo  Rainaldi,  allora  ot- 
tuagenario,  il  nuovo  palazzo,  che  era  quasi  linito  nel  marzo  del 
1650,  quando  il  papa  per  la  prima  volta  lo  visitö,  e  fu  condotto 
a  termine  nel  1654  o  poco  dopo  ('-'').  Nell'anno  precedente  i  due 
Costantini  erano  scesi  dalle  scale  laterali  di  Araceli  per  pren- 
dere  un  posto  piü  onorevole  accanto  ai  trofei  di  Mario  sulla  gran 

0*")  Forcella  I  n.  124.  Non  saprei  dire  di  quäl  rilievo  si  tratti. 

(i68j  Forcella  I  u.  136:  busti  di  Agrippina  e  di  M.  Aurelio  nella  staiiza 
della  lupa. 

("")  Evelyn  Diary  sotto  quella  data. 

('"")  Ameyden  presso  Justi  Velazquez  II  p.  194  n.  3.  Forcella  I  n.  142 
colla  doppia  data  del  1644  e  del  1649,  anno  nel  quäle  probabilmente  la  sta- 
tua del  Bernini  venne  a  rimpiazzare  quella  provvisoria.  Sulla  rivoluzione 
del  1559  si  veda  il  raeconto  del  Boissard  I  p.  48. 

0")  Cancellieri  Mercato  p.  53  n.  1.  Passeri  Vite  de'  pittori  p.  272.  For- 
cella I  n.  152.  Justi  1.  cit.  L'anno  seguente  mcrirono  si  il  papa  e  si  Tarchi- 
tetto.  Xella  descrizione  del  Museo  Capitolino,  pubblicata  nel  1750,  a  p.  22  si 
fa  menzione  di  « una  grande  iscrizione  fatta  dal  Popolo  Romano  ad  Ales- 
sandro  VII  per  aver'esso  terminata  sopra  il  disegno  giä  fatto  da  MichePAngiolo 
la  fabbrica  di  questa  parte  del  Campidoglio  " .  L'  iscrizione  che  allora  si  trovö 
nella  stanza  del  vaso  (ora  del  Gallo  morente)  non  fu  conosciuta  dal  Forcella,  ne 
si  h  potuta  ritrovare  dal  Petersen.  Pare  dunque,  che  il  papa  Innocenzo  abbia 
lasciato  al  suo  successore  tanto  a  fare  che  a  questo  se  ne  potesse  dare 
Ponore. 


LA   COLLEZIONE    CAPITOI.INA    DI    ANTICHITA  53 

balaustrata  dell'area  capitoliua  ('"-).  Cosi  la  piazza  poteva  sem- 
brare  delinitivamente  terminata,  ne  riinase  altro  che  riempire  il 
Duovo  palazzo  di  monumenti  degoi  di  esso  Q''^). 

Non  mancavano  aifatto  nuovi  acqiiisti.  La  demolizione  del 
cosidetto  arco  di  Por togall o,  nel  1662,  arricchi  la  nuova  fab- 
brica  di  diie  splendidi  rilievi,  che  trovavano  il  loro  posto  siiUe  scale 
del  palazzo  ('"^).  L'anno  seguente,  avendo  papa  Alessandro  YII  poco 
prima  fatto  ristaurare  la  piramide  di  Gestio,  due  piedistalli 
cou  iscrizioni,  giä  collocati  dinuanzi  alla  facciata,  ed  im  piede  di 
brouzo  impiombato  in  imo  di  essi,  fiirono  deposti  nel  corridoio  in- 
feriore C'^).  AI  tempo  del  medesimo  papa  (1655-67)  un  altro  scavo 

(1")  Forcella  I  n.  150.  Cf.  la  nota  159.  Circa  questo  tempo  il  sarcofago 
mentovato  nella  nota  56  sarä  stato  tolto  dal  Campidoglio  e  trasportato  alla 
villa  Pamfili. 

(1")  Nel  1655  la  facciata  laterale  del  palazzo  senatorio  contigua  alla 
salita  di  Marforio  fu  adoruata  con  cpella  composizione  bizarra  di  frammenti 
antichi  che  anch'oggi  vi  si  vede,  dono  del  cavaliere  Franc.  Gualdo  di  Päraini. 
Ne  debbo  una  notizia  piü  precisa  ad  una  lettera  del  fu  Urlichs  del  1887,  gen- 
tilmente  messa  a  mia  disposizione  dal  suo  figlio,  il  sig.  dott.  H.  L.  Ürlichs. 
In  cima  vi  si  trova  collocato  un  cosidetto  busto  di  Scipione  (Matz-Duhn  n.  3613); 
al  disotto  in  tre  quadri,  posti  l'uno  accanto  alFaltro,  una  testa  delFAfrica 
(n.  3624),  una  Pallade  di  stile  pseudarcaico  (n.  3641),  una  testa  feraminile 
coperta  di  cuffia  reticolare,  forse  il  frammento  di  un  rilievo  sepolcrale  attico 
(n.  4038) ;  al  disotto  della  Pallade  una  testa  in  rilievo  di  arte  assiria  (n.  4001). 
Le  tre  iscrizioni  che  si  trovano  ai  due  lati  della  testa  assiria  ed  al  disotto  di 
tutta  la  composizione,  si  vedano  presso  Forcella  I,  154. 

("•')  Yengono  giä  mentovati  al  nuovo  posto  nella  "Nota  delli  musei, 
librerie  ecc.  diKoma",  Roma  1664  (appendice  alla  «  Relatione  della  Corte  di 
Roma"  di  Girol.  Lunadoro),  p.  15,  e  nella  prima  edizione  delle  Admiranda 
di  Pietro  Sante  Bartoli,  pubblicata  prima  del  1667,  tav.  36.  37.  Cf.  Mori  I 
Scala  3.  4.  Righ.  169.  170.  L'iscrizione  Forcella  I  n.  181  farebbe  supporre  che 
i  rilievi  fin  dal  1684  siano  stati  trasportati  al  loro  posto  attuale  .nel  piano 
superiore  del  palazzo  de'  conservatori,  ma  il  trasporto  non  ebbe  luogo  prima 
del  nostro  secolo.  —  L'asserzione  del  Righetti,  che  i  due  rilievi  con  le  Vittorie 
(Righ.  266.  267)  provengano  dal  medesimo  arco,  non  puu  essere  esatta,  giaccbe 
le  immagini  delParco  (p.  es.  pr.  Donato  Roma,  1695,  p.  243)  dimostrano  che 
non  vi  erano  tali  rilievi. 

('")  p.  s.  Bartoli  Sepolcri  tav.  63.  C.  I.  L.  VI,  1375.  Rossini  Mercurio 
errante,  6.  ed.,  1739,  p.  15.  L'iscrizione  Forcella  I  n.  178,  riferibile  al  testa- 
mento  di  Cestio,  fa  supporre  che  quegli  avanzi  entrassero  nel  museo  non  prima 
del  1681  (cf.  ivi  n.  198).  üggi  il  piede  non  si  trova  piü  nelle  collezioni 
capitoliiie. 


04  MICHAELIS 

esegiiito  siilla  piazza  di  Pietra  diede  quattro  piedistalli  or- 
nati  di  figure  di  pro vincie  ('"'').  Mentre  due  ne  migrarono 
nel  palazzo  Cliigi  (Odescalchi),  gli  altri  due  furono  donati  al  Cam- 
pidoglio.  ma  stranamente,  invece  di  essere  lasciati  assieme,  furono 
distribuiti  fra  i  due  palazzi :  l'uno  si  coUocö  nel  cortile  del  palazzo 
dei  couservatori  (1672)  per  servire  tosto  di  base  alla  gran  testa 
di  marmo  (ormai  detta  di  Domiziano),  che  era  stata  tolta  dal  suo 
posto  sopra  il  Marforio  (1679)  ('");  l'altro  venne  a  teuer  compa- 
guia,  nel  nuovo  palazzo,  ai  due  piedistalli  cristiani.  La  provincia 
rappresentata  sopra  di  questo  fu  eliiamata  imperii  Romani  pro- 
oineia  Vngariae  ('"^),  seu'z'altro  con  rapporto  alla  guerra  pericolosa 
che  appunto  in  quegli  anui  (1679)  si  combatteva  fra  l'Ungheria 
alleata  con  i  Turchi  e  Timperatore,  e  che  poco  depo  condusse  al- 
l'assedio  di  Vienna. 

E  ben  chiaro  che  questi  pochi  monumenti  non  potevano  ba- 
stare  per  dare  al  nuovo  palazzo  udo  splendore  simile  a  quello  del 
vecchio.  Laonde  si  capisce  che  a  poco  a  poco  il  palazzo  de'  couser- 
vatori, il  quäle  sin  dalle  donazioui  dei  marmi  vaticani  a  ra- 
gione  poteva  sembrare  straricco  di  sculture,  ebbe  a  cedere  alla 
nuova  fabbrica  un  poco  della  sua  soprabbondanza.  Anzi  sareb- 
be stato  da  desiderare  che  una  successiva  partizioue  avesse  ri- 
serbato  od  assegnato  al  palazzo  de'  couservatori  tutti  i  monu- 
menti di  carattere  storico,  e  stabileudo  nel  nuovo  palazzo  un 
museo  di  opere  d'arte,  nel  quäle  sarebbero  ancora  state  riunite 
tutte  le  statue  del  teatro  vaticano.  üisgraziatamente  un  tale  pro- 
getto  non  entrö  nelle  idee  dei  couservatori  di  quell' epoca,  che  non 
miravano  che  a  riempire  in  qualche  maniera  con  decorazioni  con- 
facenti  i  vuoti  troppo  sensibili  del  nuovo  palazzo;  e  cosi  nacque 
quell'infelice  confusione  di  sistemi  che  si  fa  risentire  tino  ad  og- 
gidi.  La   K  Nota  delli  musei  r^   del  1664  {^'''^)  annovera  nel  nuovo 


(!'«)  P.  S.  Bartüli  pr.  Fea  Miscell.  I  p.  242.  256.  Cf.  Lanciani  Bull, 
comun.  1878  p.  21  e  seg.  Matz-Duhn  n.  3623. 

('")  Canina  Elruria  maritt.  tav.  3,  8.  Forcella  I  n.  167.  La  testa  sarä 
tornata  al  palazzo  de'  conservatori  neH'occasione  di  un  ristauro  della  fontana 
del  Marforio  eseguito  nel  1679  (Forc.  n.  174). 

('•")  Forcella  I  ii.  173.  Mori  I  Atrio  16.  Eigli.  113.  Canina  1.  cit. 
tav.  3,  9.  —  Cf.  Albi-ri  Relazioni  IV  p.  285.  Forcella  n.  180. 

(•'«)  Cf.  la  nota  174. 


LA    C0LLE7I0NE    CAPITOIJNA    DI    ANTICHITA  55 

palazzo  non  solaraente  qnel  ßoimuig  di  «  Aventino  «  e  la  creduta 
Agrippina  sedente  con  Nerone  fanciullo  C^"),  ma  anche  uii  moim- 
niento  storico-politico  per  eccellenza,  quäle  era  la  legge  regia.  Ab- 
biaiiio  poi  dalle  iscrizioni,  che  nel  1680  la  Giiinoue  Laniivina  e 
la  Piidicizia  furono  collocate  nelle  scale,  nel  1081  TAbbondauza  e 
rimmortalita  nel  piano  inferiore,  nel  1687  il  Giove  col  folgore  e 
l'Adriano  togato  nel  corridoio  di  sotto,  nel  1717  il  Bacco  e  1" Apollo 
nella  gran  sala("^').  Le  descrizioni  quasi  conformi  del  Rossini  (1693), 
del  Pinarolo  (1703),  del  Keyssler  (1730)  ('^-),  mostrano  che  anche 
molte  altre  statue  erano  passate  dal  palazzo  de'  conservatori  alle 
stanze  del  piano  superiore  del  nuovo  palazzo,  p.  es.  il  Polifemo 
( «  Pan  " )  e  1' Augusto  sedente  ( «  Marcello  " ),  la  Minerva  ed  una 
Diana,  la  vecchierella,  ora  alzata  al  rango  di  iina  «  Sibilla  che 
stä  in  atto  di  contemplar  gli  astri  ",  il  Mario,  il  Costantino  ed 
alcnne  altre  statue  {'^^'^). 

Prima  di  lasciare  il  secolo  XVII,  voglio  brevemente  mento- 
vare  che  la  costruzione  della  salita  presso  la  via  delle  tre  pile, 
diede  occasione  nel  1692  ad  una  collocazione  piü  degna  della  co- 
lonna  migliaria,  alla  quäle  si  diede  una  compagna  moderna  con 
palla  dorata,  in  cui  si  credevano  deposte  le  ceneri  di  Traiauo  ('^^). 

(^^ö)  Righ.  59.  185. 

("•)  Forcella  I  n.  176.  179.  182.  211.  219.  Righ.  163.  252;  208  (241? 
Mont.  9?).  250  ;  42.  116  ;  m.  191.  Altre  basi  furono  collocate  nel  1695  e  1698 
(Forcella  I  n.  197.  199),  senza  che  io  possa  dire,  a  che  statue  spettino. 

(18-)  II  u  Mercurio  errante  "  di  P.  R  o  s  s  i  n  i  da  Pcsaro,  pubblicato 
prima  in  1693  e  spesse  volte  ripetuto,  e  stato  un  po  dilatato  nelle  "  Antichitä 
di  Roma  «  di  Giac.  P  i  n  a  r  o  1  o  milanese  (1703,  3a  ed.  1713) ;  ambedue  i  libri 
hanno  servito  di  base  al  Keyssler,  che  visitö  Roma  nel  1730  {Fortsetzung 
neuerer  Reisen,  Hannover  1740). 

("3)  Eigh.  189.  57  ;  Mont.  IG.  20  ;  Righ.  18.  22.  Inoltre  vengono  nomi- 
nate  due  statue  di  Flora,  una  di  Plotina,  una  di  Adone. 

("*)  Porcella  I  n.  190.  192.  193.  (A  questa  nuova  collocazione  spetta  la 
notizia  del  Revillas  C. /.  Z.  VI,  967«.  X,  6812,  la  quäle  pero,  come  mi  scrive 
il  eh.  Hülsen,  quanto  alla  data,  non  e  assolutamente  certa).  Sarebbe  raai  la 
palla  della  seconda  colonna  quella  che  giä  era  congiunta  colla  mano  del  gran 
colosso  di  bronzo  (v.  p.  14.  30),  la  quäle  palla  non  si  trova  piii  nel  palazzo 
de'  conservatori  ?  II  Petersen  mi  scrive  che  di  fatti  al  disotto  di  quella  palla 
si  vede  un  gran  buco,  simile  a  quello  che  si  trova  nella  palma  della  mano. 
Sino  dal  1848  il  migliario  moderno  cedette  il  posto  ad  uno  antico,  il  settimo 
della  via  Appia,  che  dal  palazzo  Giustiniani  vi  fu  trasportato.  —  Nun  so  a  quäle 
ristauro  si  riferisca  Forcella  I  n.  172  (1679). 


56  MICHAELIS 

Forse  nella  medesima  occasione  fu  coUocata  alla  sinistra  della 
cordonata  la  metä  inferiore  di  ima  statua  muliebre  di  porüdo, 
pregiata  per  la  maestria  del  panneggiamento.  e  spiegata  im  po' 
arbitrariamente  sia  per  uua  Minerva  sia  per  una  Roma  C^'). 
L'altra  salita,  che  dal  foro  conduceva  alla  via  del  Campidogliö,  non 
fu  fatta  che  nel  1709  {^^^),  e  cosi.  dopo  iin  secolo  e  mezzo,  anche 
r  ultima  parte  del  progetto  di  Michelangelo  veune  eseguita. 

E  uno  dei  titoli  d'onore    della    casa    Albani  di    avere,  dopo 
lunga  sospensione,  risuscitato  il    gusto    dell' antichitä  e  di  averlo 
messo  a  profitto  delle  collezioni  vaticana  e  capitolina.  Per  tacere 
di  alcune  accessioni  minori.  come  quella  di  cinque  biisti  rari  e  di 
rara  conservazione  ritrovati  nel  ITOl  presso  Civitä  Lavigna.  nella 
supposta  Villa  di  Antonino  Pio  ('^"),  un  bellissimo  acquisto  fu  fatto 
nel  1720  dal  papa  demente  XI.    comprando    il    rimanente  delle 
scultiire  della  casa  e  del    giardiuo    Cesi    in  Borgo.   la    piü   gran 
parte  delle    quali.    im    secolo    fa.    era   passata   nella   villa  Ludo- 
yisi  (1^^).    In    fondo  al    cortile   dei  conservatori    fu   costruito   uu 
portico,  nel  ciii  mezzo  la  Eoma   trionfante,  assisa  sopra  base 
ornata   di   una  provincia  (-  Dacia-)  (^^^),  ed  accanto  a  lei    due 
rebarbari    prigionieri ,    di   marmo    bigio  (^^^),    fm-ono    dispo&ti 
con  lo  stesso  ordine   da   essi   temito  nel    giardino    Cesi   sino  dai 
giorni   del   cardinale   Federigo.    fratello    del   primo    fondatore    di 
quel  rinomato  autiquario  ('■").  Questo  gruppo,  caro  a  tutti  i  visi- 
er*) Mori  I  Piazza  2.    La   prima  menzione  ne  trovo  fatta  dal  Keyssler 
p.  61.  Cf.  Winckelmann  Gesch.  d.  Kunst  2,  4,  12.  10,  2,  29  colle    note    del 
Meyer.  Sin  dal  1818  e  stata  trasportata  neU'atrio  del  iluseo, 

(186)  Forcella  I  n.  211. 

(18")  Ficoroni  Vestigia  I  p.  55.  Fea  Miscell.  I  p.  120  u.  6.  Mus.  Cap. 
n,  37  ?  40.  41.  44.  48.  71.  Eigh.  157.  159.  162.  180.  215.  Due  busti  di  Sci- 
pione  e  di  «  Ulpio  Traiano  console  »  furono  donati  dal  papa  nel  1705,  v.  For- 
cella In.  205  Rossini  Merc.  err.  (1739j  p.  12.  [Venutil  Koma  mod.,  1741, 
p.  9.  Cf.  inolü-e  Forc.  n.  171.  175.  204.  206.  208-10. 

('««)  Schreiber   Villa  Ludovisi  p.  7. 

(»')  Caval.  I.  n,  19.  Vaccar.  68.  Mont.  119.  Righ.  154.  Clarac  IV,  770  E, 
1903  A.  Una  veduta  di  tutto  il  portico  vedi  pr.  Montfaucon  Antiq.  expl, 
Suppl.  I,  72.  Forcella  I  n.  220. 

("»)  Caval.  I.  n,  20.  21.  Vaccar.  71.  72.  Mont.  120.  121.  Eigh.  155.  184. 
Clarac  V,  852,  2161D.  E.  Cf.  Braschi  de  tribus  Statuts  in  Capitolio  erectis 
a.  MDCCXX.  Roma  1724. 

(•^')  Aldrovandi  p.  127.  Eame  di  Ant.  Lafreri,  1549.  La  disposizione  ori- 


LA    COLLEZIONE    CAPITOI.INA    DI    ANTK HITÄ  57 

tatori  di  Roma,  e  da  Domenico  de'  Kossi  scelto  per  ornare  il  frou- 
tispizio  della  siia  n  Kaccolta  di  statue  ",  ora  fatto  anclie  piü  si- 
gnificativo  per  il  nuovo  posto  assegnatogli  nella  casa  del  popolo 
romauo,  ricevette  im  Supplemente  esotico  nelle  due  statue  di  To- 
lommeo  Filadelfo  ed  Arsinoe  sotto  le  sembiauze  di  divinitä 
egizie,  statiie  di  granito  rosso  scoperte  nel  1714  nella  villa  Te- 
rospi,  siü  luogo  degli  antichi  orti  sallustiani  ('■'-).  II  cosidetto  sar- 
cofago  diAlessandro  Severo,  dovendo  cedere  il  posto  a  quel 
gruppo,  passö  nel  palazzo  dirimpetto  per  ornarne  l'atrio,  ed  anclie  ivi 
gli  furono  date  come  compagne  due  statue  egizie  della  mede- 
sima  provenienza,  l'una  delle  quali,  di  gi-anito  nero,  raffigurante  la 
madre  di  Sesostri  (Ramse  III),  rimonta  all'epoca  piü  splendida 
dell'arte  tebana  ('^3).  Ma  il  nuovo  palazzo  anche  in  altra  maniera 
approtittossi  dell'acquisto  cesiano,  in  quanto  che  si  amccM  della 
nobile  n  Giunone  »,  allora  detta  Amazzone,  la  quäle  nel  cor- 
tile  della  casa  Cesi  aveva  occupato  il  posto  centrale  ('^^),  di  un 
busto  dl  Soerate  C'J^),  e,  se  mal  non  m'appongo,  della  Baccante 
collo   scabillo  (^^*5)  e  della  Diana  succinta  (''•").  Cosi  il  papa 


ginale,  quäle  era  al  tempo  del  vecchio  cardinale  Paolo  Emilio,  si  vcde  in  un 
disegno  delFHeemskerck  f.  25. 

('»^)  Mus.  Cap.  III,  86.  Mont.  122.  123.  Righ.  238.  Clarac  Y,  985,  2560. 
Cf.  Schreiber  Villa  Ludovisi  p.  18  {e  f  sono  identici  con  c  d).  Ficoroni  pr. 
Fea  Miscell.  I  p.  124  n.  15. 

['''■')  Museo  Capitolino  (descrizione),  1750,  p.  9.  10.  Mus.  Cap.  III,  76.  77. 
Mont.  10.  24.  Righ.  97.  115.  Clarac  V,  984A,  2547.  2561. 

('»*)  Aldrovandi  p.  123.  Caval.  I.  II,  24.  Maffei  129.  Mus.  Cap.  IH,  8. 
Mont.  74.  Righ.  5.  Braun  Atlas  z.  Kunstmyth.  27. 

C«5)  Mus.  Cap.  I,  14  ?  Righ.  23. 

(•»«)  Mus.  Cap.  III,  36.  Mori  I  Atrio  10  e  Mont.  14  ("  collocatavi  da'  Con- 
servatori  del  P.  R.  n).  Righ.  30.  Clarac  IV,  697,  1642.  La  provenienza  dalla 
collezione  Cesi  sembra  risultare  dall'apparente  identitä  coUa  Semele  in  aedibus 
Caesiis  pr.  Caval.  I.  II,  26  («Poniona»  Aldrovandi  p.  135?).  Un  disegno  se 
ne  ha  presso  Heemskerck  f.  33,  inciso  a  rovescio  dall' Episcopius  paradigm. 
graph.  tav.  36. 

('«')  Mus.  Cap.  III,  72.  Mori  I  Atrio  25  (da  Tivoli).  Mout.  19.  Righ.  254. 
Clarac  IV,  572,  1224.  La  statua,  oppure  un'altra  del  tutto  siniile,  fu  disegnala 
nella  collezione  Cesi  da  P.  Jacques,  v.  Melanges  d'arch.  1890  tav.  4  p.  183. 
Aldrovandi  p.  130?  E  vero  che  nella  base  della  statua  capitolina  si  legge  muni- 
ficentia  Benedicti  XIV,  1753.  —  Non  so  di  quäle  statua  di  Giovo  acquistata 
da  demente  XI  parli  il  Justi   JVinckelmann  II,   1  p.  298. 


58  MICHAELIS 

aveva  assegnato  a  ciascmia  delle  diie  coUezioni  la  parte  del- 
Tacquisto  piü  appropriata  al  siio  carattere  speciale ;  ed  e  degno  di 
osseiTazione  come,  a  misiira  che  crescevano  i  meriti  dei  donatori, 
diventavano  piü  scarse  e  piii  semplici  le  iscrizioni  commemorative. 

Nel  deceniiio  che  passa  fra  la  morte  di  demente  XI  e  l'av- 
venimento  di  demente  XII,  conforme  agli  interessi  di  papa  Be- 
nedetto  XIII,  subentrö  una  pausa.  Giacche  poco  vuol  dire  che  nel 
1727  i  conservatori  comprarono  dal  uoto  antiquario  Francesco  Fi- 
coroni  un  vasetto  di  bronzo  foggiato  in  guisa  di  im  busto  di 
Iside,  scoperto  negli  orti  salhistiani  ('^^),  nonche  due  anatre  di 
bronzo  ad  uso  di  fönte,  trovate  snl  raonte  Celio,  le  quali  essende 
battezzate  per  oche  dovevano  servire  a  peii)etuare  la  memoria 
delle  famose  oche  che  giä  salvarono  il  Campidoglio,  e  diedero  il 
nome  di  «  stanza  delle  oche  "  a  quella  stanza  dove  allora  il  ma- 
gistrato  dava  iidienza  C^-^). 

La  brama  di  demente  XI  di  assicurare  a  Roma  il  possesso 
delle  piü  belle  scultm-e  antiche  avidamente  desiderate  da  ric- 
chi  forest] eri,  si  ridestö  con  vigore  in  demente  XII,  di  casa 
Corsini,  oppure  nel  siio  nipote,  il  cardinal  Neri  Corsini.  II  ristauro 
dell'arco  di  Costantino  ordinato  dal  papa  circa  111731  arricchi  la 
collezione  di  mi  frammento  di  uno  dei  barbari  prigionieri(-o^^). 
Molto  piü  importante  fu  l'acquisto  della  copiosa  raccolta  di 
busti  di  imperatori  e  di  «  filosofi  ",  tiitti  battezzati  con  mirabile 
fiducia,  che  il  piü  zelante  raccoglitore  di  antichitä,  il  giovane  car- 
dinale  Alessandro  Albani,  costretto  da  ima  delle  siie  strettezze  eco- 
nomiche,  vendette  al  papa  per  66,000  scndi  (-"0-  E  noto  che  qnesta 
raccolta  forma  il  nucleo  dell'incomparabile  collezione  capitolina  di 
busti.  Due  preziose  colonne  di  verde  antico,  tratte  fiiori  dall'in- 
terno  dei  tabulario  capitolino  e  collocate  nella  stanza  de'capitani  {-^-), 
nonche  le  187  iscrizioni  dei  cosidetto  colombario  dei  liberti 
di   Li  via,    scoperto   nel  1726,   che    vennero  a  decorare   la  gal- 

(>"«)  Forcella  I  n.  223.  Ficoroni  Vestigia  I  p.  48. 

(>**)  Ficoruni  1.  cit.  Kej'ssler  II  p.  75. 

(2«»)  Forcella  In.  233.  Moril  Atrio  17.  Intr.rno  al  tempo  cf.  ivi  n.  231. 
Valesio  pr.  Schreiber  Berichte  d.  sächs.  Ges.  1885  p.  9  n.  15. 

(201)  [Venuti]  Roma  mod.,  1741,  p.  9.  Un  encomio  poetico  v.  presso  Justi 
Winckelmann  II,  1  p.  303. 

i:"^)  Forcella  I  n.  224  (1727). 


LA    COI.LEZIONE    CAPITOLINA    DI    ANTICHITÄ  59 

leria  del  niiovo  palazzo  {~^^),  e  finalmente  la  1)ella  statiia  di  A  n  - 
tinoo  ritrovata  nella  villa  adriana  (2'^'*),  formavano  imo  splendido 
coroUario  dei  biisti,  offerto  in  dono  dal  cardinale,  il  quäle  aüche 
piü  tardi,  a  varie  riprese,  si  conduceva  ora  da  liberale  fautore  ora 
da  abile  provveditore  del  museo  (-'^^).  Un  altro  benefattore  fn  il 
vecchio  cardiuale  Pietro  Ottoboni,  dal  quäle  provenivano,  parte  in 
dono  parte  per  via  di  acquisto,  quattro  statue  pregevoli,  la  Diana 
In  elf  er  a  e  la  douna  mezzo  ignuda  chiamata  o  Marciana  o 
Plotina  0  Giulia  di  Tito  (^'^ß),  la  cosidetta  Igia  di  stile  greco  e 
la  vecchierella  ubbriaca  che  abbraccia  la  sua  anfora  (-'^"). 
Questi  eseinpi  bastino  per  mostrare  con  quäle  lena  demente  XII 
adoperö  i  primi  anni  del  suo  regno  per  raccogliere  i  materiali 
del  suo  Museo,  il  quäle,  assegnando  al  nuovo  palazzo  la  sua  de- 
stinazione  definitiva,  fu  inaugurato  nel  1734  (^o^).  Sotto    l'intelli- 


C'"^)  G.  I.  L.  VI,  2  p.  877.  Gori  monum.  libert.  Lioiae  p.  XX.  Ghezzi 
Camere  sepolcrali  tav.  10.  Arroge  il  calendario  di  Porto  d'Anzio  C.  I.  L.  I 
p.  327.  Cf.  Ficoroni  pr.  Fea  Miscell.  I  p.  133. 

(2«*)  Mus.  Cap.  III,  56.  Mori  II  Ercole  4.  Mont.  44.  Eigli.  3.  Clarac  V, 

947,  2426. 

(«»ä)  Albani  regalo  al  Museo  il  cacciatore  (Rigli.  62).  nonche  i  busti  di 
Teone  smirneo  (Visconti  iconogr.  cjr.  I,  19)  e  di  Pitodoride  (Eigh.  127).  Inoltre 
provengono  da  lui  p.  es.  il  gruppo  di  Amore  e  Psiche  (Kigh.  253),  un  Apollo 
(u  Tolommeo  "  Righ.  194),  un  altro  Apollo  (Mont.  17),  una  Minerva  (Righ.  43), 
una  Giunone  (?  Righ.  21),  una  Diana  (Mont.  77),  un  satiro  (Righ.  53  ?),  Terma 
di  Omero  (Righ.  15),  un  busto  di  Settimio  Severo  (Righ.  224),  il  pozzo  colle 
dodici  divinitä  (Righ.  74),  il  rilievo  di  Callimaco  (M.  Cap.  IV,  43),  il  rilievo 
di  Epitincano  (Righ.  147,  cf.  Maffei  Racc.  p.  170),  il  sarcofago  delle  Muse 
(Righ.  77.  91,  cf.  Ficoroni  pr.  Fea  Mise.  I  p.  175  n.  118);  secondo  il  Justi 
Whickelmann  II,  1  p.  303  anche  le  statue  di  Giove  e  di  Esculapio  di  marmo 
nero,  trovate  nel  1718  in  Porto  d'Anzo  (M.  Cap.  III,  3.  28),  nonche  l'Adrian 
in  sembianza  di  Marte,  trovato  a  Ceprano  (Righ.  46,  v.  Im  neuen  Reich  1871, 

II  p.  131). 

(206)  Mus.  Cap.  III,  18,  Mont.  98.  Righ.  177.  Clarac  IV,  562,  1204.  — 
Mus.  Cap.  III,  54.  Mont.  95.  Righ.  175.  Queste  due  statue  furono  trovate  fuori 
della  porta  capena  e  donate  dal  cardinale  (Forcella  I  n.  228.  Rossini  p.  17. 
Ficoroni  pr.  Fea  Miscell.  p.  170  n.  110),  ma  non  si  sa  quando  ;  Ottoboni  mori 

nel  1740. 

(^0-)  Mus.  Cap.  III,  29.  Mont.  83.  Righ.  52.  Clarac  IV,  555,  1177.  — 
Maffei  Racc.  103.  Mus.  Cap.  III,  37.  Mori  II  Ercole  8.  Mont.  47.  Righ.  54 
La  statua  era  stata  prima  nel  palazzo  Verospi. 

(208)  Forcella  I  n.  234.  Neil'  istesso  anno  i  conservatori  gli  posero  V  iscri- 


0 


tjO  MICHAELIS 

gente  soprintendenza  del  marchese  Alessandro  Capponi  nou  poche 
delle  statue  tiuora  lasciate  nel  palazzo  de'  conservatori  vennero  a 
riunirsi  con  le  autiche  compagne  e  con  moltissimi  nuovi  moniimeiiti, 
oud"e  che  il  Museo  capitolino,  continuato  poi  da  Benedetto  XIV 
e  demente  XIII,  divenne  il  primo  museo  piibblico  di  Roma  ed 
ima  delle  glorie  deH'eterna  cittä,  che  non  fu  totalmente  ecclissata 
nemmeno  dal  Museo  Pio  Clementino. 

E  qui  si  chiude  questa  memoria,  la  quäle  —  beuche  con- 
sultando  gli  originali  e  tauti  sussidi  impossibili  ad  ottenersi  fuori 
di  Roma,  di  molte  cose  poträ  essere  aumeutata,  di  alcuue  forse 
corretta  —  poträ  almeuo  pretendere  il  modesto  merito  di  avere 
attinto,  per  quanto  mi  fu  dato,  alle  sorgenti  piü  pure,  di  aver  messo 
qua  e  lä  risultati  certi  ed  autentici  in  luogo  di  tradizioni  A'aghe 
e  di  supposizioni  arbitrarie,  e  di  aver  cercato  di  ordinäre  un  rac- 
conto  continuato  invece  di  notizie  sparse  ed  isolate. 


Strassburcj, 


o 


A.  Michaelis 


zione  n.  235,  nella  quäle,  fra  altri  meriti,  si  fa  menzione  dei  vetera  srgna  multo 
aere  comparata  in  Capitolium  invecta. 


LA   COLLEZIOXE    CAPITOLINA    DI    ANTICHITA  61 


I.  SINOSSI  CRONOLOGICA 

1150  Prima  menzione  certa  del  palazzo  capitolino. 

Secolo  XIII.  Cippi  di  Agrippina  e  di  Nerone  iisati  coine  misure  pubbliche. 

1299  Palatium  novum  CapitoUi.  Costruzione  della  loggia  (lovium). 

1300  Opus  marmoreum  aggiunto  al  palazzo  (gruppo  del  leone?). 
1347-1354    Sentenze  di  morte   pronuiiziate  nel  luogo   usato,  «  nelle   scale   al 

leone  ". 
1348  Ristauro  delle  scale  del  palazzo. 
1363  Leo  marmoris  sulle  scale  meiitovato  nello  statuto. 
1447-1455  Nicoiao  V.  Costruzione  del  palazzo  de' conservatori  (PC). 
1471  Sisto  IV  (della  Rovere).  Fondazione  della  collezione  dei  bronzi  nel  PC. 
1471-1484  Ercole  dell'Ara  massima  collocato  nel  PC. 
1484-1492    Innocenzo   VIII   (Cibo).   Frammenti    di    un    colosso  di  marmo 

ritrovati  presse  il  tempio  della  Pace,  coli,  nel  PC. 
1485  Corpo  di  giovinetfa  antica  esposto  nel  PC. 
0.  1500  (Stanze  del  Prospettivo  milanese.) 

—  Rilievi  di  niarmo,  sareofaghi  ecc.  nel  PC. 
1503-1513  Giulio  II  (della  Rovere). 

1509  (Albertini,  Opusculum  de  mirabilibus   V.  R.) 

1513-1521  Leone  X  (Medici). 

1513  Costruzione  di  un  teatro  sull'area  capitolina. 

1513  (Andr.  Fulvio,  Antiquaria    Vrbis.) 

1513-1527  Nilo  e  Tigri  dal  Monte  Cavallo  trasportati  al  PC. 

1515  Tre  rilievi  da  S.  Martina  trasportati  nel  PC. 

1521  Riordinamento  delle  sculture  nel  PC, 

—  Statua  di  Pane  nel  PC. 

1523  (Ambasciatori  veneti  in  Roma.) 

1527  (Andr.  Fulvio,  Antiquitates   Vrbis.) 

1533-1536  (Soggiorno  dell'Ueemskerck  in  Roma.) 

1534-1549  Paolo  III  (Farnese).  Statua  della  Minerva  nel  PC. 

1534  (Marliani,   Topograpliia,  ed.  I.) 

1536  (Soggiorno  del  Fichard  in  Roma.) 

1538  Erezione  della  statua  di  Marco  Aurelio  sull'area  capitolina. 

—  Sgombero    del   piano   inferiore   del  PC,  trasporto    della   lupa  e  di  altri 
bronzi  al  piano  superiore ;  marmi  diversi. 

1536-1544    Tre  Costantini   trasp.    dal    Monte  Cavallo    sulle    scale    laterali  di 

Araceli. 
1544  (Marliani,  Topograpliia,  ed.  II.) 

1544-1548  Uno  de'  Costantini  trasp.  sulle  scale  di  rupe  tarpea. 
1546  Priucipio    della   ricostruzione    del    palazzo    capitolino,    con    disegno    di 

Michelangelo. 


g2  MICHAELIS 

1547-1555  (Soggiorno  del  Pighio  in  Roma.) 

1548  (Faiino,  Antich.  di  Koma,  ed.  I.) 

c.  1548  Fasti  capitolini  donati  da  Aless.  Farnese,  coli,  nel  cortile  del  PC. 

c.  1549  Compimento  delle  scale  del  palazzo;  traslocazione  dei  due  fiumi. 

1550-1555    Giulio  III  (del  Monte).  Portici  del  Yignola.  Eilievo  dal  Curzio 

nel  PC. 
1550  (Aldrovandi  detta  le  sue  statue,  pubbl.  nel  1556.) 
1553  (Fauno,  Antich.  di  Roma,  ed.  II.) 

1555  Prospero  Boccapaduli  curatore  della  fabbrica  capitolina. 
1556-1561  L'obeliscü  di  Araceli  cade   sul   suolo.    (Soggiorno  del   Boissard  in 

Roma.) 
1559-1566  Pio  IV  (Medici).  Cordonata,  leoni  egizi   trasp.  da  S.  Stefano  del 

Cacco,  balaustrata,  torsi  dei  Dioscuri  ritrovati  nel  Ghetto. 
1564  Morte  di  Michelangelo.  Proseguimento  della  fabbrica  capitolina. 

1564  Testa  di  Bruto  donata  da  Rod.  Pio  da  Carpi  al  PC. 

1565  Statue  di  Cesare  e  di  Augusto,  giä  Rufini,  coli,  nel  PC. 
1565  Iscrizione  della  colonna  rostrata,  trov.  e  trasp.  nel  PC. 

1565  (Gamucci,  Deirantichitä  di  Roma.) 
1565-1568  Trasformazione  del  Tigri  in  un  Tevere. 

1566  Pio  V  (Ghislieri).  Dono  di  30  statue  vaticane  al  PC. 
1566-1570  (Cavalieri,  Statuae,  libro  I.) 

1568  La  fabbrica  capitolina  terminata,  il  PC.  rinnovato. 

1572-1585    Gregorio    XIII    (Buoncompagni).    Trasporto   delle    statue    del 

teatro  vaticano  al  PC. 
1572-1578  (Cavalieri,  antiq.  stat.  1.  I  e  II,  ed.  I.) 
1572-1576  (Soggiorno  in  Roma  di  Pierre  Jacques,  scultore  remese.) 

1574  (Secondo  soggiorno  in  Roma  di  Pighio.) 
1574-1578  (Viaggio  d'Italia  di  Nicola  Audebert  di  Orleans.) 

1575  (Contarino,  L'antiquitä  di  Roma.) 

1576  Legge  regia  dal  Laterano  trasp.  nel  PC. 

1578  Riordinamento  della  collezione  dei  bronzi. 
1578-1590  Rilievi  da  S.  Lorenzo  fuori  le  mura  trasp.  nel  PC. 

1579  Nuova  torre  campanaria. 

—       Statua  di  Minerva  collocata  sotto  le  scale  del  palazzo. 

1582  Obelisco  capitolino  ceduto  a  Cir.  Mattei.  Via  della  rupe  tarpea. 

1583  Dioscuri  eretti    in  capo    alla    cordonata.   Busti   colossali   di   Traiano   e 
di  Antonino  Pio  nel  PC. 

1584  Colonna  migliaria  eretta  sulla  balaustrata. 

1584  (Lor.  d.  Vaccaria,  antiq.  stat.  icones.) 
1585-1590  Sisto  V  (Peretti  di  Montalto.) 

1585  (Cavalieri,  antiq.  stat.  1.  I  e  II,  ed.  IL) 

1586  Fasti  capitolini  coli,  nella  stanza  dei  fasti. 
1587?  Fontana  sotto  le  scale  del  palazzo. 

1588  Statue  trasp.  dalla  scala  di  Bramante  nel  Vaticano  al  PC. 

1589  (Franzini,  icones  stat.  a7itiq.) 


LA    COIXEZIONE   CAPITOLINA    DI    ANTICIUTA  63 

1590  Trofei  di  Mario  dairEsquilino  irasp.  siilla  balaustrata  dell'area  cap. 

1590  Sarcofago  di  Alessandro  Severo  trov.  e  trasp.  nel  PC. 

—  Rilievo  di  piazza  Sciarra  trasp.  nel  PC.  Riordinamenfo  dei  rilievi.  Tra- 
slocazione  della  testa  di  bronzo  nel  cortile  del  PC. 

—  Statua  di  Adriano  trov.  e  trasp.  nel  PC. 

1591  Statua  di  Ercole  fanciiillo  («  Aventino  ")  coli,  nel  PC. 

1592  BiLsto  di  Scipione  coli,  nel  PC. 
1592-1605  Innocenzo  X  (Aldobrandini.) 
1592-1598  Facciata  del  palazzo  terminata. 

1593  Roma  trionfante  coli,  sotto  le  scale  del  palazzo. 

1594  (Cavalieri,  antiq.  stat.  1.  III  e  IV.) 

1594  Gruppo  del  leone  trasp.  dall'area  nel  PC. 

1595  Costantino  trasp.  dalle  scale  tarpee  nel  PC. 

1595  Fontana  del  Marforio.  Fondamenti  del  «  Nuovo  Palazzo  ". 

1600  Testa  di  L.  Cornelio  pretore  legata  da  Fulvio  Orsini. 

1609-1653  Nuove  basi  delle  sculture  nel  PC. 

1623-1644  Urbano  VIII  (Barberini).  Rilievo  nel  PC. 

1639  Busti  di  Agrippina  e  di  M.  Aurelio  nel  PC. 

1644  (Visita  nel  Campidoglio  di  J.  Evelyn.) 

1644-1655  Innocenzo  X  (Pamfili).  Costruzione  del  Nuovo  Palazzo  (NP.) 

1653  Due  Costantlni  trasp.  dalle  scale  di  Araceli  sulla  balaustrata. 

1655-1667  Alessandro  VII  (Chigi).  Scavo  a  piazza  di  Pietra. 

—  Traslocazioni  di  sculture  dal  PC.  al  NP. 
1662  Rilievi  dell'arco  di  Portogallo  trasp.  nel  NP. 

1663?  1681?  Avanzi  della  piramide  di  Cestio  trasp.  nel  NP. 
1672  Provincia  di  piazza  di  Pietra  coli,  nel  PC. 
1676-1689  Innocenzo  XI  (Odescalchi.) 
1679  «  Ungaria  n  di  piazza  di  Pietra  coli,  nel  NP. 
1681-1717  Sgombero  successivo  de!  PC.  in  pro  del  NP. 

1692  Salita  dalla  via  delle  tre  pile.  Migliario  moderno. 

1693  (Rossini,  Mercurio  errante  d.  grandezze  di  Roma.) 
1700-1721  demente  XI  (Albani.) 

1701  Busti  trovati  pr.  Civitä  Lavigna  e  trasp.  nel  NP. 

1703  (Pinarolo,  Antichitä  di  Roma.) 

1705  Busti  di  Scipione  e  di  Traiano  nel  PC. 

1709  Salita  dal  foro. 

1714  Statue  egizie  trov.  in  Villa  Verospi. 

1720  Statue  del   giardino   Cesi   e   di   Villa   Verospi  coli,   nel  PC.  e  nel  NP. 

Costruzione  del  portico  nel  cortile  de!  PC. 
1727  Piccoli  bronzi  acquistati  dal  Ficoroni  per  il  PC 
1729-1730  (Soggiorno  in  Roma  del  Keyssler). 
1730-1740  Clemente  XII  (Corsini.) 
1731  Frammento  delFarco  di  Costantino  coli,  nel  NP. 

—  Acquisto  dei  busti  di  Aless.  Albani  e  di  altri  marmi. 

—  Statue  donate  od  acquistate  da  Pietro  Ottoboni. 
1734  Inaugurazione  del  Museo  capitolino. 


64 


MICHAELIS 


II.  IXDICE  DEI  MONUMEXTI  SECOXDO  IL  LOEO  POSTO  ATTUALE 


Castore  e  Polluce  p.  33.  43 
Troffei  di  Mario  p.  44. 
Costantini  p.  25.  31.  49.  52 
Colonna  migliaria  p.  44.  55. 
Detta,  moclerna  p.  55. 

P  a  1  a  z  z  0 
Framraenti  diversi  n.  173. 

Palazzo    dei 
Bronzi.  Ercole  p.  15.  30.  45. 
Spinario  p.  14.  n.  166. 
Camillo  p.  14.  n.  16«. 
Lupa  p.  8.  12.  14.  30.  45. 
Testa  di  Bruto  p.  34. 

n      Cülossale     (Domiziano  ?) 
p.  14.  30.  45. 
Mano  e  palla  p.  11.  30.  n.  184. 
Piede  p.  10.  30. 
Piede  d.  sepolcro  di  Gestio  p.  53. 
2  anatre  (oche)  p.  58. 
Vaso  p.  58. 
Statue.  Angerona  p.  39,  17. 
Augusto  p.  34. 
Baccante  p.  40,  125.  n.  127. 
Cerere  (Abbondanza)  p.  37,  49. 
Cesare  p.  34. 
Cibele  p.  38,  6. 
Cicerone  p.  39,  33  n.  166. 
Leone,    gruppo  del,  p.  6  e 

28.  49^ 
Re  barbari  p.  56. 
Eoma  Cesi  p.  56. 


Piazza  capitolina. 

3.  Marco  Aurelio  p.  9.  27. 

Pioma  trionfante  p.  48. 
55.  Kilo  p.  25.  29. 

Ti^ri  (Tevere)  p.  26.  29.  33. 


del    S  e  n  a  t  0  r  e . 


conservatori. 

Talia  p.  37,  47.  n.  166. 

Urania  p.  38,  12.  n.  166. 

Virgilio  p.  39,  23. 

Frammenti  di  colosso  p.  16. n. 166. 
Teste.  T.  colossale  (Uomiziano?)  p.  18. 
50.  n.  166.  177. 

Arianna  p.  39,  27. 

Faerno  p.    39,  29   (protomoteca) 

Scipione  n.   187. 

Traiano  console  n.  187. 
Piilievi.  3  rilievi  di  S.  Martina  p.  24.  47. 

1  rilievo  di  Piazza  di  Sciarra  p.46. 

2  rilievi    deH'arco   di  Portogallo 
p.  53. 

Provincia  di  piazza  di  Pietra  p.  54. 
Dacia  Cesi  p.  56. 
Cnrzio  p.  34. 

Sareofago  d.  stagioni  p.  20.  47, 
Miscellanea.  Colonna  rostrata  p.  35. 
Cogni  n.  25. 
Cippo  di  Agrippina  p.  10  n.  166 

n       dei  vicomagistri  p.  17. 
Fasti  p.  31.  45. 


seg. 


Mu  s  e  0. 


Cortile.  1.  :Marforio  p.  50. 

2.  3.  Leoni  egizi  p.  83. 
Atrio.  1.  Endiraione  p.  31. 

4.  Minerva  p.  32.  43.  48.  55. 
8.  Donna  velata  n.  117. 
Base  di  Cestio  p.  53. 
10.  Baccante  p.  57. 
12.  Donna  p.  39,  92. 
21.  Frammento  di  barbaro  p.  58. 


22.  Do!:na  p.  39,  92. 
25.  «  Cerere  «  p.  39,  53. 
Base  di  Cestio  p.  53. 

30.  «  Abbondanza  "  p.  55. 

31.  «  Immortalitä  "  p.  38, 10.  55. 

35.  Polifemo  p.  39,  36.  55.  n.l66. 

36.  Adriano  togato  p.  47.  55. 

37.  Frammento  di  porfido  p.  55. 
41.  Giove  p.  38,  14.  55. 


LA    C0L1>E7.I0NE    CAPITOLINA    DI    ANTTCHITA 


65 


42.  Mercurio  p.  39,  CS. 

45.  Puttino  con  vaso  p.  37,  61.' 
47.  Diana  in  Inn.i^a  veste  p.  39, 

32.  55. 
52.  Diana  succinta  p.  57. 
Stanza  d.  sarcofago.  Sarcofago  di  Ales- 

saudro  Severo  p.  46.  57. 
Scala.  u  Pudicizia  "  p.  38,  1.  55. 

Giunone  lanuvina  p.  38,  16.  55. 
Galleria.  Iscr.  d.  columb.  di  Livia  p.  58. 
8.  Vecchia  ubbriaca  p.  59. 
19.  Piatone  p.  39,  28. 
22?  Arianna  p.  39,  27. 
24?  Tiberio  p.  37,  137.    . 
30?  Traiano  n.  145. 

Pozzo  n.  205. 
36?  Adriano  p    39,  40. 
38.  Bacco  p.  39,  60.  55. 
40.  "  Musa  "  p.  38,  3. 
44.  "  Augusto  "  p.  39,  54.  55. 

46.  Diana  Lucifera  p.  59. 
Nilo  p.  37,  72. 

54.  Matrona  p.  59. 

56.  «  Agrippina    con    Nerone  " 

p.  87,  59.  55. 
58.   "  Aristide  smirneo  "  p.  34. 
60.  Satire  n.  205. 
62?  Settimio  Severo  n.  205. 
63.  Marco  Aurelio  n.  187. 
Gab.  d.  Venere.  2.    Amore    e    Psiclie 

n.  205. 
Stanza  d.  imperatori  cf.  p.  58. 
L  Cesare  p.  37,  131. 
4?  Tiberio  p.  37,  137. 
10?  Agrippina  n.  168. 
12.  Claudio  p.  37,  130. 
27?  Traiano  p.  46,  126. 
31  ?  Adriano  p.  39,  40. 
35?  Antonino    Pio    p.    37,   133. 

n.  145. 
36?  Faustina    p.    37,    134.    39, 

41.  42. 

37.  Marco  Aurelio  n.  187. 

38.  Marco  Aurelio  n.  187. 
39?  Faustina  v.  no.  36. 


40.  Annio  Vero  n.  187. 
55?  Macrino  p.  37,  132. 
84.  u  Agrippina  "  p.  38,  8. 
88.  90.  91.   Sarcofago    d.    Muse 

n.  205. 
93.  Rilievo  di  Epitincano  n.  205. 
Stanza  d.  filosofi  cf.  p.  58. 
1-6.  Socrate  p.  57. 
17.  lerone  p.  39,  26. 
20?  M.  Aurelio  n.  168. 

21.  Diogene  p.  39,  31. 
25.  Teone  smirneo  n.  205. 
46.  Omero  n.  205. 

49.  Scipione  p.  46. 

65.  Pitodoride  n.  205. 

99.  100.  102.  104.  105.  107.  Fre- 

gio  navale  p.  46. 
110.  Rilievo  di  Callimaco  n.  205. 
Salone  l.  Giove  n.  205. 

3.  Ercole  fanciullo  p.  46.  55. 
5.  Esculapio  n.  205. 

Base  con  sacrifizio  p.  23. 

8.  Minerva  n.  205. 

9.  Traiano  p    39,  52. 
11.  Giunone  n.  205. 

13.  Marte  n.  205. 

14.  "Mario  »  p.  38,4.55.  n.l66. 

15.  Matrona  p.  39,  51. 

22.  Vecchia  p.  37,  73.  55. 

24.  «  luno  placida  "  p.  39,  113. 

25.  Antonino  Pio  p.  39,  56. 

26.  Diana  n.  205. 

27.  Cacciatore  n.  205. 

29.  "  Igia  "  p.  59. 

30.  Apollo  n.  205. 

31.  Apollo  n.  v'05. 

49.  50.  Due  Vittorie  n.  174. 
53?  Satiro  n.  205. 
74?  Marco  Aurelio  n.  168. 
Stanza  del  Fauno.  Legge  regia p.  45. 55. 
Stanza  del  gladiatore.  2.   «  Giunone  n 
p.  57. 
3.  «  Alessandro  "  p.  37,  139. 
9.  Fanciulla  c.  colomba  p.  39,  86. 
12.  Antiuoo  p.  59. 


6C 


MICHAELIS,     LA    COLLEZIONE    CAPITOLINA    DI    ANTICHITA 

in    altre    collezioni, 


JI  0  n  u  111  e  n  t  i    g'xh    c  a  p  i  t  o  1  i  n  i ,    o  r  a 
Vaticano,  Museo  egizio.  4  statue  p.  ö7. 

Ciiiocefalo  di  Fidia  e  Ammonio  p.  30. 

?  Altro  ciiiocefalo  p.  31. 

?  Due  sfingi  p.  24.  30. 

?  Leone  senza  testa  p.  30. 

Casino  Pio.  5  statue  muliebri  n.  121. 
Villa  Matt  ei.  Obelisco  p.  4.  27.  31.  4-5. 
A'illa  Paiiifili.  Sarcofagu  d.  Aniazzoni  p.  20. 
l'arigi,  Louvre.  Salle  grecque  n.  2105.  Orfeo  ed  Euridice  p.  42.  43 

SaUe  de  Meccne  n.  2186.  Estispizio  p.  21. 

Salle  de  Septime  Severe  n.  2296.  Tempio  di  Giove  p.  21. 

Detta  n.  2303.  Sacrifizio  di  toro  p.  21. 
Holkham  Hall  n.  53.  L.  Cornelio  pretore  p.  50. 

M  0  n  u  m  e  n  t  i    o  r  a    s  p  a  r  i  t  i    o  v  v  e  r  o    n  a  s  c  o  s  t  i . 
Bacco  giovine  p.  32  Iside  p.  38,  9. 

Cippo  di  Xerone  Cesare  p.  10.  Marte  p.  47. 

Fortuna  p.  38,  5.  Pane  p.  27. 

Frontone  del  tempio  capitoüno  p.  21.        Pescatorello  p.  47. 
Genio  n.  46.  Satire  p.  47. 


MISCELLANEA  POMPEIANA 


A.  NUOVE  OSSERVAZIONI  SULLA  BASILICA  DI  POMPEI 

1. 

Nell'annata  1888  di  qnesto  Bullettino  fu  pubblicato  a  pag.  47 
seo-o-.  uno  studio  di  P.  Wolters  sul  calcidico  della  basilica  di 
Pompei,  nel  quäle  l'altezza  della  facciata  del  medesimo  fu  calco- 
lata,  in  base  ad  un  esatto  esame  degli  avanzi,  a  otto  strati  di 
massi  di  tufo  e  a  circa  m.  5  di  altezza.  lo  stesso,  presente  a  Pompei 
mentre  il  sig.  Wolters,  nell'estate  1887,  faceva  le  sue  ricerche, 
era  convinto  della  giustezza  di  siffatto  risultato,  come  dissi  1.  c. 
pag.  46  nota  61.  Perö,  tornato  a  studiar  nuovamente  questa  parte 
dell'edifizio  nell'estate  1889,  mi  accorsi  di  qualche  particolare, 
sfuggito  a  noi  ambedue  in  quel  primo  esame,  e  venni  ad  un  risul- 
tato diverso,  il  quäle  poi  si  verificö  perfettamente  assicurato. 

Mi  accorsi  cioe  che  nel  pilastro  angolare  NE,  raffigurato  1.  c. 
pag.  52  (la  pianta  pag.  51,  VI)  i  due  massi  /;  e  c,  dei  quali  c 
sta  capovolto,  erano  stati  posti  anticamente  uno  accanto  all'altro: 
ciö  risultava  in  modo  indubitabile  dalle  tracce  di  chiodi  di  ferro 
infissi  uellä  coramessura.  I  due  massi  uniti  doveano  aver  formato 
Tino  Strato  completo  d'uno  dei  due  pilastri  II  e  V  (1.  c.  p.  51) 
della  facciata,  e  precisamente  del  pilastro  V:  le  due  pietre  sono 
larghe  m.  0,845  e  0,865,  il  pilastro  largo  1,71,  con  una  linea 
sgraffiata  nella  superficie  a  m.  0,845  daU'estremitä  N.  Doveano 
dunque  essere  collocate  immediatamente  sulla  parte  superstite  di 
quel  pilastro.  Ne  parlai  all'amico  pro  f.  Sogliano,  il  quäle,  convin- 
tosi  della  giustezza  della  mia  osservazione,  fece  rimetterle  al  loro 
posto  originario,  ed  in  fatto  anche  i  due  incavi  degli  stipiti  com- 
baciarono  in  modo  da  togliere  ogni  dubbio  se  mai  ve  ne  fosse  stato. 
Ora  queste    due  pietre  contengono   gli  incavi  per  le  travi  di 


(jg  A.   MAU 

legno  che  traversavano  gli  ingressi  e  nelle  qiiali  erano  immesse 
le  travi  verticali  contro  ciii  battevano  le  porte  (1.  c.  pag.  56.  60 ; 
cf.  46),  ed  e  restituito  in  tal  modo  il  pilastro  V  fino  all'al- 
tezza  di  questa  specie  di  architrave.  Quest'iiltiaio  stava  a  m.  2,36 
dalla  soglia,  mentre  le  pietre  arrivano  fiuo  a  2,61.  Lo  strato  se- 
guente  doveva  consistere  in  nna  sola  pietra  (1.  c.  p.  '58);  quindi 
niüla  osta  a  credere,  anzi  e  probabilissimo,  che  seguisse  lo  strato 
coi  capitelli,  vale  a  dire  Tultimo,  composto  di  due  pietre  (1.  c). 
Di  quest'nltimo  le  pietre  conservate  (1.  c.  p.  54)  sono  alte  0,54; 
a  qiiello  sottoposto  corrisponde  nel  miiro  N  ima  pietra  alta  0,69; 
la  parte  ora  ricomposta  del  pilastro  e  alta  2,61,  e  otteuiamo  cosi 
im'  altezza  di  m.  3,84.  II  miiro  N  e  alto  fino  alla  pietra  sud- 
detta  3,28 :  aggiungendo  i  m.  0,54  delle  pietre  coi  capitelli  arri- 
viamo  a  3,82.  Ora,  siccome  le  colonne  del  foro  sono  alte  circa  3,80, 
uon  si  piiö  dubitare  che  non  fossero  uguali  in  altezza  ai  pikbtri 
della  facciata  del  calcidico  :  risultato  assai  gradito,  coi  qiiale  spa- 
risce  una  difticoltä  incontrata  dalla  restituzione  del  Wolters  (p.  60). 
Se  il  calcidico  era  coperto  nel  modo  da  me  supposto  (1.  c.  p.  40  sg.), 
il  tetto  doveva  avere  una  pendenza  piii  forte,  di  circa  27  gradi, 
ma  non  impossibile. 

2. 

Abbiamo  creduto  finora  che  i  capitelli  ed  altri  frammenti  di 
colonne  in  tufo,  avanzi  d' iin  ordine  siiperiore  e  tanto  importauti 
per  la  restituzione  dell'edifizio,  fossero  del  tntto  uguali  a  quelli 
del  tribunale.  Fui  avvertito  dall'egregio  capo  d'opera  degli  scavi, 
sig.  Alfonso  d'Avila,  che  ciö  non  e  esatto  per  i  capitelli,  e  che  i  capi- 
telli del  tribunale  si  distinguono  dagli  altri  per  im  piccoloparticolare, 
una  foglia  cioe  sottoposta  a  ciascuna  delle  volute,  e  inoltre  per  unapic- 
cola  differenza  d' altezza.  E  veniamo  a  sapere  in  questo  modo,  che  dei 
18  capitelli  di  colonne  libere  17  appartengono  alVordine  superiore 
del  vano  principale,  uno  solo  (nel  9.  intercolunnio  a  d.),  del  qualo 
non  si  puö  dire  con  certezza  se  sia  d'una  colonna  libera,  al  tribu- 
nale. Invece  i  cinque  capitelli  di  mezze  colonne  provengono  tutti 
dal  tribunale:  per  l'ordine  superiore  l'esistenza  di  mezze  colonne 
e  attestata  soltanto  dalle  tre  basi,  che  debbono  appartenervi,  es- 
sendo  rimaste  al  posto  quelle  del  tribunale.  Proviene  anche  dal 
tribunale  il  capitello  d'un  quarto  di  colonna  che  sta  nell'angolo  NO. 


MISCELLA.NEA   POMPEIANA  69 

Mi  valsi  (1.  c.  pag.  26  con  la  nota  41)  del  gran  numero  delle 
colonne  libere,  per  combattere  la  restitiizione  del  Lange,  nella 
qiiale,  levando  alcune  siipposte  a  torto,  non  ne  trovano  posto  che  14: 
e  chiaro  che  questo  mio  argomento  riceve  ora  forza  ancor  maggiore. 


Per  la  restitiizione  della  basilica  sono  della  piü  grande  impor- 
tanza  i  frammenti  di  certi  trequarti  di  colonne  di  tufo,  e  si  puö  dire 
che  il  giudizio  su  di  essi  e  siil  posto  che  occupavano  e  decisivo 
per  l'intera  questione.  Supponendoli  congiimti  col  miiro  nel  modo 
indicato  nella  figiira  Bull.  1888  p.  24,  li  collocai  nella  parte  supe- 
riore  dei  muri  lunghi,  mentre  K.  Lange,  credendo  che  non  potes- 
sero  appartenere  ad  un  muro  piü  grosso  del  loro  collo  (circa  m.  0,30), 
li  mette  in  un  muro  sorretto  dalle  grandi  colonne.  Ora  un  esame 
piü  accurato  dei  capitelli  conferma  che  realmente  dovevano  esser 
congiunti  col  muro  nel  modo  da  me  supposto;  la  distanza  fra  la 
colonna  e  l'angolo  del  muro  poteva  essere  minore  ancora  di  quanto 
sembra  nel  disegno.  E  chiaro  che  in  questo  modo  il  fusto  e  le 
parti  inferiori  del  capitello  dovevano  staccarsi  nettamente  dal  muro, 
mentre  le  parti  superiori  del  capitello  potevano,  per  la  loro  mag- 
giore sporgenza,  incontrarsi  e  confondersi  col  mm-o,  nel  quäl  caso 
non  v'  era  bisogno  che  da  questo  lato  fossero  eseguiti  i  particolari. 
E  ciö  appunto  si  verifica  nei  capitelli  superstiti.  Soltanto  l'astra- 
galo  e  eseguito  fin  nell'angolo  rientrante;  immediatamente  sopra 
di  esso,  e  iino  in  su,  un  tratto  di  m.  0,15  della  circonferenza  e 
lavorato  rozzamente  soltanto  e  evidentemente  destinato  a  non  es- 
sere veduto;  l'abaco  poi  non  ha  la  sua  forma  completa,  ma  e  spun- 
tato  l'angolo  rivolto  al  muro,  ciö  che  vuol  dire  che  non  stava 
libero  ma  si  confondeva  col  muro  stesso.  Nella  figura  qui  appresso 


A.    MAU 


disef^nata  la  liuea  piü  interna  indica  l'astragalo,  la  seconda  la  cir- 
conferenza  poco  piü  in  alto;  segue  il  margiue  supeiiore  del  capi- 
tello  e  l'abaco:  per  tutto  son  tratteggiate  le  parti  lavorate  in  modo 
da  non  dover  restar  libere.  E  chiaro  diinqiie  che  i  trequarti  di  co- 
lonne  non  potevano  soltanto,  ma  dovevano  far  parte  d'iin  miiro  assai 
piü  grosso  del  loro  collo. 

4. 

Che  la  basilica  fosse  costruita  prima  dell'occnpazione  romana, 
lo  prova  abbastanza  il  noto  graffito  dell'anno  78  a.  C.  {C.  1.  L. 
IV,  1842).  Ciö  non  ostante  vale  la  pena  di  rilevare  im  fatto  del 
quäle  nessuno  finora,  per  qiianto  io  sappia,  ha  parlato,  che  cioe 
in  vari  pnnti  deirinterno,  caduto  Vintonaco,  compariscono  segni 
dipinti  con  color  rosso  sul  muro,  e  fra  essi  lettere  osche.  Cosi  sul 
muro  d.  fra  la  seconda  e  la  terza  mezza  colonna  si  vede  il  disegno 
seguente : 


Le  lettere  H  51  sono  alte  0,045.  La  verticale  a  d.  indica  la  mezza  co- 
lonna, l'orizzontale  a  piedi  il  pavimento;  tutto  il  resto  e  dipinto 
d'un  colore  rosso-scm-o.  Delle  tre  linee  orizzontali  Tultima,  am.  1,0, 
corrisponde  press'  a  poco  all'altezza  dello  zoccolo  compresa  la  fa- 
scia  gialla  onde  e  terminato;  le  altre  due,  con  la  verticale  che 
le  congiimge,  non  hanno  corrispondenza  con  la  decorazione:  po- 
trebbero  credersi  indicazioni  d'una  decorazione  anteriore.  Non  saprei 
neanche  spiegare  le  due  linee  oblique. 

Poco  distante  di  lä,  sullo  stesso  muro  d.,  si  legge,  alta  m.  0,07, 
la  lettera  3. 


MISCELLANKA    POMPEIANA  71 

Sulla  facciata  della  sostriizione  del  tribunale  si  distingiie,  fra 
tracce  inintelligibili,  ima  linea  verticale  sotto  l'asse  d'ogniina  delle 
colonne,  e  sotto  il  secondo  intercoliiunio  da  d.  qiiesti  segni :  o  S ; 
la  lettera  51  e  alta  m.  0,065. 


B.  LE  QUATTRO  PITTÜRE  PUBBLICATE 
BULL.  1890  P.  263  SEGG.  N.  5-8. 

Sülle  qiiatti-0  pittuve  siiddette  non  sarä  forse  iniitile  aggiun- 
gere  le  osservazioni  seguenti. 

Delle  rappresentanze   della  caduta  di  Icaro  ha  trattato  este- 
samente  C.  Robert,  Arch.  Ztg.  1877,  ed  ha  esposto  come  esse  si 
dividoDO   in    due  classi,   di  cui  ima,    rappresentata   allora  da  una 
sola  pittura   (1.  c.  tav.  2  n.  1 ;    Heibig  1210)   mostia   la   caduta 
stessa,  l'altra  (1.  c.  tav.  2  n.  2 ;  Heibig  1209,  Sogliano  523;  ag- 
giungi    ora    Sogliano    524)   un    momento   posteriore,   quando   cioe 
Icaro  giace  suUa  spiaggia,    guardato  pietosamente  da  persone  del 
paese  e  divinitä  locali,  e  Dedalo  viene  a  cercarlo.  L'opinione  del 
Robert,  che  quesf  ultima  composizione  sia  1' originale,  e  l'altra  una 
trasformazione   di  esso,    non   viene  certo   contradetta    dalla   nuova 
pittura,  la  quäle   con  le  figure   disposte   verticalmente   una  sopra 
l'altra  non  e  come  composizione  troppo  felice  e  non  fa  affatto  l'im- 
pressione   di  una  composizione   originaria.   Inoltre  in  favore  della 
tesi  del  Robert  si  puö  fare  la  considerazione  seguente.  Rappresen- 
tandosi  Icaro   giacente   sulla   spiaggia,  tutte  le  figure  del  quadro 
stanno  in  relazione  con  lui :  Dedalo  lo  cerca,  le  persone  del  paese 
e  le  divinitä  locali  lo  guardano  con  compassione ;  e  non  si  puö  dubi- 
tare  che  in  un  originale  di  esecuzione  piü  perfetta  tutte  le  üsio- 
nomie  non  mostrassero  un'  espressione  interessante  ed  in  relazione 
col  soggetto  del  quadro.  Rappresentandosi  invece  la  caduta  stessa, 
tutto  ciö  che  prima  era  ben  collegato  si  scioglie ;  le  singole  figure 
non  stanno  piü  in  relazione  fra  loro :  Icaro  casca ;  ma  Dedalo  pro- 
segue  tranquillamente  il  suo  cammino,   le  persone  del  paese  e  le 
divinitä  locali   non  si  accorgono   ancora   di  quanto  accade,  e  cosi 
le  fisionomie    non  potevano   mostrare   altra  espressione  che  quella 
deirinditferenza.  La  trasformazione  dunque  fu  fatta  grossolanamente 
e  con  assai  poco  intendimeuto :  sembrava  a  qualcuno  che  l'effetto 


,j2  A.    MAU,    MISCELLANEA   POMPEIANA 

sarebbe  maggiore   rappresentando   la   catastiofe  stessa,  ma  non  si 
accorse  che^^cosi  si  guastavano  i  veri  pregi  dell'opera. 

Nella  pittiira  di  Atena  e  Marsia  (p.  267)  mi  sembra  quasi 
certo  che  Tuomo  col  petaso  non  sia  un  viandante  quahinqiie.  ma 
appunto  Marsia :  altrimenti  non  si  spiegherebbe  la  raossa  alqiianto 
violenta  tanto  della  testa  che  del  braccio  d. ;  egli  con  la  d.  stringe 
le  tibie  or  ora  raccolte  avanti  al  petto,  e  rivolge  la  testa  con  nn  certo 
spavento  verso  la  dea  irata;  Ed  essendo  cosi,  e  assai  probabile 
che  anche  luomo  siiUa  nipe  a  sin.  non  sia  altro  che  Marsia,  che 
siionando  la  siringe  s'avvicina  al  liiogo  ove  sta  seduta  Atena.  Disceso 
egli  si  fermerä  per  sentire  il  suono,  vedrä  la  dea  gettar  le  tibie 
e  le  raccoglierä.  In  questo  modo  il  qiiadro,  che  riunisce  tre  mo- 
menti  del  fatto  rappresentato,  e  per  la  questione  sulle  descrizioni 
dei  Filostrati  assai  piü  importante  del  qnadro  Heibig  252,  che 
mostra   Artemide   sorpresa   da  Atteone,    e   Atteone  aggredito  dai 

suoi  cani. 

I  quattro  qnadri  furono  riimiti  in  ima  camera  e  messi  a  ri- 
scontro  fra  loro  non  per  qiialche  relazione  intrinseca  fra  i  loro  sog- 
getti,  ma  uuicamente  per  la  somiglianza  del  tutto  esterna  delle 
composizioni.  E  evidente  la  corrispondenza  fra  il  quadro  di  Icaro 
e  quello  di  Marsia:  ivi  il  mare  preceduto  dalla  spiaggia.  qiü  la 
pianura  preceduta  dal  riiscello,  che  nell'insieme  della  composizione 
fa  quasi  il  medesimo  effetto ;  qui  come  lä  a  d.  e  a  sin.  rupi  sor- 
montate  da  alberi  e  tigure ;  editizi  nello  sfondo  e  le  figure  disposte 
verticalmente  una  sopra  Taltra.  E  cosi  nei  quadri  del  sacello  e 
delle  Esperidi  il  centro  e  occiipato  dall'albero,  intorno  al  quäle 
s'aggruppano  ivi  le  due  immagini  delle  divinitä  ed  i  tre  cacciatori, 
qui  Ercole  e  le  tre  Esperidi. 

A.  Mau. 


JAHRESBERICHT 

UEBER  NEUE  FUNDE  UND  FORSCHUNGEN 

ZUR  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM 

1889-1890. 


Der  vorliegende  zweite  Jahresbericht  folgt  in  allgemeinen  den  Prinzipien, 
welche  in  der  Einleitung  zum  ersten  (Mitteilungen  1889  S.  227-291  ;  ich  citire 
ihn  abgekürzt  als  TJB  1889)  auseinandergesetzt  sind:  nur  dass  in  der  topo- 
graphischen Rundschau  die  Abschnitte  Esquilin-Quirinal-Marsfeld  in  einer 
anderen,  wie  mir  scheint  natürlicheren,  Reihenfolge  aufgeführt  werden.  Er 
urafasst  die  Zeit  von  April  1889  bis  Dezember  1890.  Auf  Publikationen,  welche 
das  Datum  1891  tragen  und  mir  während  des  Druckes  zugekommen  sind, 
bin  ich  (mit  einer  S.  127  motivirten  Ausnahme)  nicht  ausführlicher  einge- 
gangen, um  das  Erscheinen  des  Berichtes  nicht  noch  weiter  zu  verzögern.  In 
der  Folge  wii'd  es  hotfentlich  möglich  sein,  denselben  mit  den  Kalenderjahren 
gleichen  Schritt  halten  zu  lassen.  Für  mannigfaches  Entgegenkommen  bin 
ich  der  Direzione  generale  degli  scavi  und  der  Commissione  archcologica  co- 
munale  verbunden:  namentlich  den  Herren  Fiorelli  Gatti  Lanciani  Marchetti 
auch  an  dieser  Stelle  meinen  Dank  auszusprechen  ist  mir  eine  angenehme 
Pflicht.  —  Hr.  Architekt  F.  0.  Schulze  hat  auch  diesmal  durch  Aufnahmen, 
Zeichnungen  und  mannigfache  Unterstützung  meine  Arbeit  in  dankenswerter 
Weise  gefördert. 

I.  Quellen  der  römischen  Topographie. 
a)  Antike. 

Die  im  Jahre  1888  gefundenen  Fragmente  der  form  a  Ur  h  i  s 
Romae  (vgl.  TJB  1889  S.  228),  zur  Zeit  in  den  kapitolinischen  Magazinen, 
harren  immer  noch  der  Publikation.  Dagegen  kann  ich.  mit  freundlicher 
Erlaubnis  der  Direz'wne  generale  degli  scavi,  von  dem  1889  am  Faustinatempel 
gefundenen,  wie  auch  von  dem  bereits  Notizie  degli  scavi  1884  S.  423 
skizzirten  P'ragment  genaue  Zeichnungen  in  dem  von  Jordan  gewählten  Redu- 
ctionsverhältnis  (1  :  4)  geben. 


74 


CH.    HLELSEN 


Die  Dicke  beider  Platten  beträgt  0,08  m.  Die  erste  scheint  allseitig 
gebrochen;  die  zweite  hat  unten  antiken  Kand  und,  etwa  in  der  Höhe  der  drei 
runden  Bauwerke,  ein  Klammerloch.  —  Die  Dimension  der  drei  dargestellten 


Kreise  (correspondirend  einem  wahren  Durchmesser  von  4-6-4  m.)  spricht  gegen 
die  von  mir  a.  a.  0.  geäusserte  Vermutung,  es  seien  tres  arae  gemeint. 
Wahrscheinlicher  sind  drei  lacus. 


JAHRESBERICHT    UEBER   TOPOGRAPHIE    DER   STAUT    ROM  75 

lieber  die  0  r  i  e  n  t  i  r  u  n  <;•  des  Stadtplans  liat  0.  Eichter  auf 
der  Philologenversaminhing  zu  Görlitz  (Verhandl.  S.  336j  t^esproclieii,  und 
nachzuweisen  g-esuclit,  dass  der  Stadtplan  nach  dem  alten  Stadüempluni 
orieutirt  gewesen  sei.  Das  letztere,  aus  der  Beschreibung  des  palaliiiischen 
Pomeriums  bei  Tacitus  {ann.  12,  24)  zu  reconstruiren,  sei  ein  nach  S.  0. 
orientirtes  Quadrat  gewesen.  Ein  Beweis  für  die  Richtigkeit  sei,  dass  der 
Schnittpunkt  des  Cardo  und  Decumauus,  der  Mundus  "  an  die  sicher  über- 
lieferte Stelle  auf  der  Area  Apolliiüs  (Villa  Mills)  »  falle.  —  Wenn  letztere 
Ansetzung,  wie  ich  in  diesen  Mitteilungen  1890  S.  76.  77  kurz  darzuthun 
versucht  habe,  irrig  isc,  verliert  R.'s  Hypothese  eine  wesentliche  Stütze  (^). 

Dass  die  in  der  sogenannten  Appendix  Prohi  (vgl.  darüber  G.  Paris 
Melanges  Renier  S.  304-309)  vorkommenden  Strassennamen  nicht  nach 
Rom,  sondern  nach  Karthago  gehören,  hat  G.  B.  de  Rossi  {bull,  romun.  1890 
p.  360  362)  bewiesen.  Interessant  ist  besonders,  dass  dadurch  die  Existenz 
eines  Septizoniums  auch  in  der  Hauptstadt  Africas  bezeugt  wird. 

Auf  die  Erwähnung  der  Curia  Julia  und  des  Capitols  in  den  von 
Cichorius  (Sitzungsber.  der  Berliner  Akademie  1889  S.  953-981)  publizierten 
Urkunden  aus  dem  Asklepiostempel  von  Mytilene  hat  De  Rossi  {lull.  com.  1889 
S.  278-280)  hingewiesen. 

Den  Text  des  Cur  iosum  nach  der  in  den  Über  poUpticus  Benedicti  ca- 
nonici (vgl.  darüber  Jordan  Topogr.  II  S.  359)  aufgenommenen  Recension  ist 
herausgegeben  von  P.  Fabre  {travaux  et  m^moires  des  facultes  de  Lille, 
t.  I  n.  3  1889.  36  SS.  2  Tff.).  Der  Herausg.  legt  ein  Mscr.  der  Capitular- 
bibliothek  von  Cambrai  (n.  512  saec.  XII  ex.)  zu  Grunde,  welches  eine  dem 
Vat.  1984  nahestehende  Textform  repraesentirt,  aber  wegen  der  starken  Cor- 
ruptelen  (so  am  Schluss  der  Regionen  statt  vicomagistros  stets  vicos  magnos 
oder  ähnlich ;  statt  continet  pedes  öfters  conturipodes  u.  dgl.)  für  die  Kritik 
wertlos  ist  (-). 


(')  In  der  mir  soeben  zugehenden  Abhandlung  '  die  älteste  Wohnstätte 
des  römischen  Volkes  '  (Beilage  zum  I.  Jahresbericht  des  Kgl.  Gymnasiums 
zu  Schöneberg-  Berlin  W.  1891)  hat  Richter  seine  Vermutung  weiter  ausge- 
führt und  begründet.  Eine  eingehendere  Besprechung  muss  dem  nächsten  TJB 
vorbehalten  bleiben;  für  jetzt  bemerke  ich  nur,  dass  R.'s  Ansetzung  des 
mundus  desshalb  positiv  unmöglich  ist.  weil  die  (auf  seinem  Plane  genau 
bezeichnete)  Stelle  nicht  auf  einen  freien  Platz,  die  '  area  ApoWnis  \  sondern 
in  den  Bereich  der  domus  Augustana  hineinfällt :  was  auch  R.  nicht  entgangen 
sein  würde,  wenn  er  statt  des  an  dieser  Stelle  unvollständigen  Planes  von 
Middleton  die  besseren  Aufnahmen  von  Thon  oder  Deglane  zu  Grunde  gelegt 

hätte.  . 

(2)  Desselben  Vf.  Aufsatz  le  polyptijque  du  chanoine  Benoit  ä  la  Valli- 
cellane  (cod.  F.  73)  in  den  Melanges  de  Vecole  fran^se  de  Rome  1890 
S.  384-388  enthält  nichts  für  antike  Topographie. 


76  CH.    HUELSEN 

b)  Mittelalter. 

E.  MoNACi,  il  lihei-  ystoriarum  Romanarum.  Prime  ricerche  (Archivio  della 
societä  romana  di  storia  patria.  1889  S.  127-108). 

Ein  Codex  (saec.  XIII  ex.)  der  Stadibiblioihek  zu  Hamburg  enthält,  unter  obi- 
gem Titel,  eine  Chronik  von  der  "Weltschöpfung  bis  auf  den  Kaiser  Julian.  Es 
ist  die  italiiin'sche  Uebersetzung  einer  um  1150  geschriebenen  lateinischen  Com- 
pilation  (Original  erhalten  im  cod.  Laurentian.  Struzzian.  85).  deren  Quellen  Isi- 
dor,  Dares,  Orosius,  Solinus  und  Paulus  Diaconus  sind.  Von  den  Mirabilia  findet 
sich,  trotzdem  römisch-topographische  Notizen  nicht  selten  sind,  keine  Spur. 
Die  Uebersetzung  ist  in  Eom,  um  die  Mitte  des  12.  Jahrb.  angefertigt  (i).  Dass 
der  Schreiber  des  Codex  römische  Monumente  vor  Augen  hatte,  beweisen  die 
Illustrationen.  So  ist  die  Vignette  come  Ghdio  Cesare  retornao  a  Roma  con 
victoria  eine  Wiedergabe  des  Innenreliefs  vom  Titusbogen.  Merkwürdig  ist 
der  Stadtplan  in  Form  eines  Löwen  {Roma  formam  leonis  habet,  quia  ceteris 
hestiis  praeest.  Honor.  Scholast.  de  imagine  mundi  I,  28),  f.  107'  der 
Handschrift,  reproduziert  bei  Monaci  S.  165.  Eine  vollständige  Publikation 
durch  die  Societä  romana  di  storia  patria  steht  in  Aussicht. 

Die  von  De  Rossi  im  Archivio  della  societä  romana  di  storia  patria  1889 
S.  199-213  publizierte  Arretiner  Urkunde  v.  J.  1051  ist  unten  S.  113  besprochen. 

Ein  schönes  Exemplar  der  (ioldbulle  Friedrich  Barbarossa's  mit  der 
Stadtansicht  'und  Inschrift  AVREA  .  ROMA  ist  abgebildet  bei  A.  v.  Sallet, 
Zeitschr.  für  Numismatik  1890  S.  256. 

Ueber  die  Untersuchungen  von  Duchesne  und  C.  Re  betreffend  das 
Fortleben  der  antiken  Regionen  im  Mittelalter  vgl.  S.  84. 

c)  Eenaissance. 

Leo  Battista  Albertis  Descriptio  urbis  Romae  (über  die  zu  vgl.  De  Rossi, 
piante  icnografiche  e  prospettive  p.  181)  ist  neu  herausgegeben  von  Gir.  Man- 
cini  in  Leonis  Baptistae  Alberti  opera  inedita  et  pauca  si'paratim  impressa 
(Florenz  1890)  p.  36-46.  Ausser  dem  von  De  Rossi  benutzten  cod.  Marcian. 
Ital.  XI,  167  sind  noch  herangezogen  Ambros.  0, 80  sup.  und  Chigian.  M, 
VII,  149. 

Ueber  den  bereits  TJB  1889  S.  230  besprochenen  cod.  Escorial.  —  11,  7 
vgl.  unten  den  Abschnitt  Castel  S.  Angelo. 

D.  Gnoi.i's  kurze  Notiz  lavori  di  topograßa  romana  intrapresi  da  Raf- 
faele  {Archivio  storico  delVArte  II,  1889,  S.  251)  erinnert  an  ein  1524  in  Rom 

(')  Dass  ausser  den  genannten  Quellen  aucli  qualche  sloriella  attinta 
dal  popolo  sei,  meint  Monaci  a.  a  0.  8.  137;  aber  von  den  beiden,  die  er 
anführt,  ist  die  zweite  (Numa  Pompilius  und  Jup])iter  Elicins)  direkt  aus  Ovid 
fast.  III.  33!»  ff,  die  erste  durch  iry:end  welche  .Mittelglieder  aus  Diodor  4,22 
oder  Aelian  vur.  hist.  1,  8  abgeleitet. 


JAHRESBEIUiHT    VEBER   TOHCGRAPHIE    DER   STADT    ROM  77 

gedrucktes  Gediclit  des  Caius  Silvjinus  Germanicus  {in  statuam  Lconis  X. 
pon.t.  opt.  max.  syloa),  in  welchem  die  Sorge  Leos  X  für  die  Alterlluiiner 
gerülimt  wird.  Doch  ist  a.  a.  0.  (die  letzten  fünf  von  den  13  bei  Gnoli 
abgedruckten  Versen  lauten  :  Ut  saltem  veteris  veatigia  ccrta  fnjurae  Nota 
forent,  reserare  latentia  iussit  [Subject  ist :  Leo^  ab  imo  Fundamenta  solo 
et  fictis  mandare  tabellis,.  Sed  tanti  artißcem  monumenti  in  limine  primo 
Sustulit,  ac  claris  mors  ohstitit  invida  coeptis)  von  Eafliiel  nicht  ausdrücklich 
die  Kede. 

A.  Venturi  giebt  {Archivio  storico  delVarte  III,  1890,  S.  106-206)  unter 
dem  Titel:  ricerche  di  antichitä  per  Monte  Giordano,  Monte  Cavallo  e  Tivoli 
nel  secolo  XVI,  aus  Papieren  des  Archivs  zu  Modena  zahlreiche  Rechnungs- 
anweisungen für  Ankauf  und  Transport  von  Antiken,  die  vom  Cardinal  Hippo- 
lyt  V.  Este  ausgegraben  oder  erworben  wurden.  Für  die  Geschichte  der 
römischen  Sammlungen  im  16.  Jahrb.  von  hohem  Interesse,  bieten  diese 
Notizen  wenig  eigentlich  topographisches  (s.  unten  S.  106.  109.  120). 

Im  zweiten  Teile  des  LI.  Bandes  der  Londoner  Archaeologia  S.  489-508 
veröffentlicht  I.  H.  Middleton  unter  dem  Titel  Ancient  Rome,  ms.  7iotes  hy 
PiKRO  LiGORio,  made  heticeen  c.  1550  and  157 ü  A.  D-  eine  Inhaltsübersicht 
über  den  Ligorius  Bodleianus  (i).  Eine  Anzahl  von  Zeichnungen  werden  in  stark 
verkleinerten  aber  guten  Facsimiles  wiedergegeben  :  ein  merkwürdiger  Ter- 
rassenbau unter  Trinitä  dei  M^nti ;  die  Curie  (S.  Adriano) ;  sog.  templum  Divi 
Augusti  unterhalb  des  Palatin ;  templum  Sacrae  Urhis  ;  S.  Stefano  rotondo; 
Basilica  des  Constantin ;  Tempel  der  Faustina;  i^  Foro  vecchio  ^^  unterhalb 
des  Palatin;  Piscina  der  Aqua  Claudia ;  sog.  botte  di  Termini;  ein  castellum 
aquarum  an  der. Via  Labicana ;  Grab  an  der  Via  Labicana ;  Villa  an  der  Via 
Cassia;  Grab  der  Caecilia  Metella.     Ueber   die   folgenden  Blätter  des  Codex 

(1)  Der  Codex  enthält  zu  Anfang  einen  Brief  des  L.  an  Ercole  Basso 
von  Ferrara  mit  dem  Datum  14.  Mai  1585,  dessen  sich  Middleton  (,wie  auch 
Henzen  C.  I.  L.  VI  p.  LI)  zur  Bestimmung  des  Todesjahres  L.'s  bedient.  Es  ist 
curios,  dass  der  magnus  fallaciarum  opifex  et  parens  sogar  hinsichtlich  dieses 
Datums  die  späteren  Forscher  in  die  Irre  geführt  hat;  denn  dafür  dass  er 
Anfang  1585  nicht  mehr  lebte,  giebt  es  ein  bisher  übersehenes  aber  unan- 
fechtbares Zeugnis.  In  einer  Depesche  nämlich  des  tuskanischen  Agenten 
Ürazio  Urbani  d.d.  Ferrara  16  gennaio  1583  (nach  moderner  Zählung  =  1584), 
ist  die  Rede  von  den  figliuole  di  M.  Pirro  Ligorio  anti([uario,  il  quäle 
e  pocho  che  mori,  havendo  lassato  la  moglie,  che  P  non  ferrarese  ma 
Romana,  donna  di  buona  vita,  e  simihnente  malte  ßgliole  con  pochissima 
facoltä  di  recapitarle.  Dadurch  wird  die  Angabe  Borsetti's  [hist.  gymi. 
Ferrar.  2,  193)  dass  L.  im  October  1583  gestorben  sei,  bestätigt.  Die 
anijeführte  Stelle,  deren  Nachweis  ich  Herrn  A.  Fabretti  in  Turin  verdanke, 
steht  unter  den  Dokumenten  über  den  parentado  fra  la  pnncipessa  Eleonora 
de  Medici  e  il  principe  don  Vincenzio  Gonzaga,  im  fünften  Bande  der  von 
Orlando  und  Baccini  herausgegebenen  Bihliotechina  grassoccia  (Florenz  1887 
S.  59)  —  wohin  der  iranze  Handel  auch  gehört.  Zu  was  für  einem  Experiment 
die  Töchter  des  jüngst  verstorbenen  Ligorio  verwandt  werden  sollten,  mag  wen 
es  interessiit  a.  a.  0.  nachlesen. 


78  fH.    IUEI.SEN 

(138-161),  welche  Grundrisse  von  Gräbern    in    der  Campagna  enthalten,  wird 
nur  summarisch  referirt ;  gerade  diese  Serie  wäre  für  die  Kritik  des  Ligorius, 
für    die   verschiedenen  Rezensionen    seiner  Werke,    für    die  Frage    nach    den 
Quellen  des  Vat.  3439  von  besonderem  Interesse.     Der  Text  registriert  noch 
eine  ganze  Anzahl  von  nicht  facsimilirten  Zeichnungen.  —  Einzelnes  bedarf 
der  Berichtigung;    dass  Ligorio    die  Ruine    des   sogenannten  Templum  Divi 
Augusti    am  Abhang    des    Palatin    noch   vollständiger,   namentlich    mit    den 
korinthischen  Säulen    samt  Gebälk    im  Inneren    der  Cella    (vgl.  über    solche 
Ligorianische  Zuthaten  TJB   1889  S.  273)  gesehen  habe,  wird  widerlegt  nicht 
nur  durch    andere  treuere  Zeichnungen  der  Renaissance  (z.  B.  Bald.  Peruzzi 
UflF.  593),    sondern   auch   durch   die  1884    aufgedeckten    Reste    der    aus    dem 
8.  Jhdt.    stammenden    Kirche    S.  Silvestro    in    lacu,    deren   Einnistung    erst 
möglich  war,  nachdem  die  Ruine  im  wesentlichen  so  reduziert  war,  wie  wir  sie 
heute  sehen.     AVas  Ligorio  zugethan  hat,  besonders    die    ganze  Nordfassade, 
stammt  aus  seiner  Phantasie,  und  die  Skizze    ist  keinesweges  of  very  great 
value.  —  S.  496  heisst  es  "  fol.  1 7v.  has  a  -plan  of  a  circular  Corinthian  temple 
on  the  Palatine  hill,  which  Ligorio  mentions  as  existing  ««  dietro  la  casa 
clei  Cesarini  ri'n  —  hehind  the  jialace  of  the  Caesars  ri.  Dieser  Tempel  wird 
dann  in  Verbindung  gebracht  mit  dem  angeblichen  Tempel  der  Vesta  auf  dem 
Palatin  (Lanciani  hidl.  comun.  1883  tav.Wll;  vgl.  meine  Gegenbemerkung 
Mitteil.    1889    S.    185)  ,    während    natürlich    der    kleine    Rundtempel    neben 
S.  Nicolo  a'  Cesarini  im  Marsfelde  gemeint  ist.—  S.  501  wird  zu  dem  Grundriss 
des  «  Foro  Vecchio  »  und  der  '  Curia  vetera  '  bemerkt:  it  is  difßcidt  to  under- 
stand,  irhere  the  exact  site  of  this  building  can  have  heen.  Ein  Blick  auf  Li- 
gorios  grosse  E/ßgies  Urbis  Romae  (M.  Tramezino,  1553)  zeigt,  dass  ex  Forum 
Romuli  den  Ruinencomplex  zwischen  Sacra  Via  und  Palatin,  östlich  vom  Titus- 
bogen  nennt,  und  dass  er  dorthin  auch  den  Vicus  Curiarum  verlegt.  —  Der 
Herausgeber  meint,  dass  das  Manuscript  has  never  been  carefully  examined  by 
any  Student  of  Roman  Archaeology,   scheint  sich  aber  um  seine  Vorgänger 
wenig  gekümmert  zu  haben.    Dass  z.  B.  die  angebliche  Bleiröhre  (S.  503)  ex 
auctoritate  Imp.  Caes.  Traian.  u.  s.  w.  gefälscht  ist  nach  dem  Tibercippus  VI, 
1239,  hätte  er  aus  Lanciani,  le  acque  p.  292  n.  17  ersehen  können.    Auch  die 
Notiz   C  I.  L.  VI  p.  LH  scheint  ihm  unbekannt  geblieben  zu  sein. 

Schon  im  vorigen  Berichte  hätte  erwähnt  werden  sollen  die  von  G.  Fuma- 
galli  [Archivio  storico  delVarte  1888  p.  143)  gegebene  Notiz  über  die  erste 
Ausgabe  '-on  A.  Labaccos  libro  appartenente  aWarrhitettura,  welche  das 
Datum  1552  trägt.  Das  einzige  bekannte  Exemplar  ist  jüngst  von  der  Biblio- 
teca  Vittorio-Emanuele  erworben.  Die  Abweichungen  von  der  bisher  als  ersten 
geltenden  Ausgabe  von  1558  sind  unbedeutend. 

P.  Jessen,  Zeichuungen  römischer  Ruinen   in    der  Bibliothek    des  K.  Kunst 
gewerbemuseums  zu  Berlin.  (Aus  der  Anomia;  Archaeologische  Beiträge, 
Carl  Robert  dargebracht.  Berlin  1890  S.  114-123^ 
giebt  ein  Verzeichniss  der  aus  Destailleurs  Sammlung  nach  Berlin  gekommenen 
Zeichnungen  (insgesammt  120  BU.)  eines  französischen  Architekten,  welcher 


JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  79 

bald  nach  1547  die  römischen  Ruinen  sehr  gewissenhaft  studiert  und  auf- 
genommen hat.  Besonders  wichtig  sind  die  auf  die  Thermen  bezüglichen 
Grundrisse  und  Sclmitto  :  10  BU.  für  die  Th.  des  Caracalla,  13  des  Diocletian, 
2  (besonders  wichtige;  vgl.  meine  Bemerkung  in  diesen  i\ritteilungen  188!> 
S.  78.  79)  für  die  des  Titus  ;  aber  auch  Tempel,  Triumphbögen,  (jlrabdenlvmale 
fehlen  nicht. 

Das  TJB  1889  S.  250  erwähnte  Skizzenbuch  eines  etwas  späteren  franzö- 
sischen Künstlers  beschreibt  A.  Geffroy  {Valbum  de  Pierre  Jacques  de  Reims: 
Melanges  de  VEcole  fran^aise  de  Rome  X,  1890,  S.  150-215;  vgl.  auch  Jien- 
diconti  dei  Lincei  1891  S.  69-71).  Den  Inhalt  desselben  (96  Bll.  8)  bilden 
überwiegend  Skulpturen,  der  Wert  für  unsere  Kenntniss  der  römische u  An- 
tikensammlungen im  16.  Jahrhundert  ist  gross  ;  topographisch  interessantes 
fehlt  fast  ganz.  Doch  verdienen  die  Zeichnungen  der  monumentalen  Reliefs, 
welche  der  Künstler  im  Conservatorenpalast  sah  (S.  192  ff.)  und  die  grosscntheils 
im  17.  Jahrhundert  zerstreut  oder  zerstört  sind,  erwähnt  zu  werden.  Sie 
stammen  vielleicht  zum  grossen  Teil  von  den  Funden  auf  Piazza  di  Sciarra 
(1562).  Eine  Untersuchung  über  diese  interressante  Gruppe,  zu  welcher  u.  A. 
die  Zeichnungen  des  Panvinius  im  Tat.  3439  wichtiges  Material  liefern,  würde 
sich  verlohnen. 

Für  die  zuerst  von  Müntz  in  der  Bevue  archeologique  1886  heraus- 
gegebene Beschreibung  R  o  m '  s  aus  cod.  Lansdowne  720  ist  es  P.  de 
Nolhac  gelungen,  den  Verfasser  nachzuweisen.  Es  ist  Nicolas  Audebert  von 
Orleans,  der  in  den  Jahren  1574-1578  Italien  bereiste.  (De  Eossi  bull, 
comun.  1889  S.  365). 

IL  Darstellende  Werke. 
Stadt-  und  Baugeschichte  im  Allgemeinen. 

Julius  Centerwall,  Romas  Ruinar.  Vandringar  inom  den  eviga  stadens 
murar.  Stockholm  1889.  252  SS.  mit  5  Vollbildern,  23  Figuren  im  Text 
und  4  Plänen, 
enthält,  nach  zwei  einleitenden  Kapiteln  (I  die  Ruinen  ;  die  Ausgrabungen  ; 
das  Baumaterial  —  II  Roms  Hügel  und  Thäler;  älteste  Stadt;  Servianische  Mauer 
und  Thore;  Pomerium;  Kloaken;  Servianische  Stadteinteilung;  Strassen  und 
Gassen  in  der  ältesten  Zeit)  eine  knappe  und  klar  geordnete  Periegese  der  alten 
Stadt  (III  Palatin  —  IV  Velia;  Culosseun);  Caelius,  Aventin  und  Umgebungen  — 
V  Circus  mafimus;  Forum  Boarium,  Velabrum  ;  —  VI  Forum  Roraanum,  Sacra 
via  ;  Kaiserfora  —  VII  Kapitol  —  VIII  Marsfeld;  Quirinal  ;  Viminal  ;  Esqnilin  , 
Trastevere).  Hauptquellen  sind  Jordan,  Richter,  Middleton  und  Lanciani's  (dem 
das  Werk  gewidmet  ist)  frühere  Arbeiten  (desselben  Aiicient  Rome  in  the  light 
of  modern  discoveries  ist  dem  Verfasser  erst  nach  Abschluss  seines  Buches 
zu  Händen   gekommen).     Die  Illustrationen  stammen  meist  aus  Middleton. 


80  ^"H.    HIEI.SEN 

0.  GiLHERT,  Geschichte  und  Topographie  der  Stadt  Rom  im  Altertum.  Dritte 

Abteilung.  Leipzig  1890.  IV  und  479  SS.  8. 
Der  Verfasser  behandelt  in  diesem  Bande,  nachdem  er  in  zwei  vorhergehenden 
sehr  gelehrte  und  detaillirte,  aber  recht  hypothetische  Constructionen  älterer 
und  ältester  Stadtformen  gegeben  hatte,  die  Topographie  und  Geschichte  Roms 
von  der  Vertreibung  der  Tarquinier  bis  zum  Ende  des  Kaiserreiches.  Der  Band 
hat  sechs  Kapitel :  IX  die  Entwickelung  im  Allgemeinen  ;  X  die  Sakralbauten  ; 
XI  die  Anlagen  politischen  Charakters;  XII  die  Verkehrsanlagen;  XIII  die 
Anstalten  für  die  Bedürfnisse  des  Lebens;  XIV  Einzelperiegese;  ein  "  Schluss» 
handelt  über  «  Verfall  und  Wiederaufdeckung  der  antiken  Stadt  ". 

Das  am  besten  gelungene  Kapitel  scheint  mir  das  zehnte,  in  welchem 
das  allraählige  Anwachsen  der  fremden  Kulte  dargelegt  wird,  die  in  re- 
publikanischer Zeit  extra  pomerium,  besonders  im  Marsfelde,  angesiedelt 
wurden,  bis  die  Kaiserzeit,  mit  diesem  Prinzip  brechend,  auch  ihnen  Ein- 
gang iiitra  pomerium  verstattete.  Die  folgenden  Abschnitte  leiden  darunter, 
dass  mehrfach  zusammengehöriges  auseinandergerissen  wird  —  so  wird  das 
Coniitium  im  X.,  das  Forum  im  XII.  Kapitel  besprochen  —  und  dass  manche 
Gegenstände  unter  Rubriken  gebracht  sind ,  wo  man  sie  zunächst  nicht 
sucht  —  so  stellen  z.  B.  die  Obelisken  und  Colosse  unter  den  «  Anlagen 
politischen  Charakters  » ;  ebenda ,  statt  unter  XIII ,  die  Feuerwehr ;  das 
Macellum  wird  unter  den  Verkehrsanlagen  behandelt,  die  Horrea  unter  deij 
u  Anstalten  für  die  Bedürfnisse  des  Lebens  ".  Aber  dem  hilft  zum  Teil 
der  XIV.  Abschnitt  «  Einzelperiegese  »,  zum  Teil  der  sorgfältig  gearbeitete 
Index  ab. 

Das  Material  hat  der  Verfasser  mit  grossem  Fleisse  zusammengebracht, 
die  Citate  aus  Notizie  degli  scavi  und  Bullettino  comunale  bilden  einen  metho- 
dischen Generalindex  zu  diesen  Publicationen  :  für  den  Benutzer  freilich,  dem 
beide  Zeitschriften,  und  dazu  detaillirte  Pläne  des  neuen  Rom  nicht  stets  zur 
Hand  sind,  wäre  weniger  oft  mehr  gewesen.  Da  eine  Recension  des  G. 'sehen 
Buches  nicht  in  den  Rahmen  dieses  Jahresberichtes  fällt,  gehe  ich  auf 
Einzelnheiten  nicht  ein.  Nur  eine  allgemeine  Bemerkung  möchte  ich  hinzu- 
fügen :  sie  betrifft  die  Benutzung  der  Inschriften.  Der  Verfasser  hat  sich  nicht 
darauf  beschränkt,  das  Corpus  und  die  dasselbe  ergänzenden  neueren  Publi- 
kationen zu  excerpieren,  sondern  auch  die  älteren  Sammlungen,  Gruter  Mura- 
tori  u.  s.  w.  herangezogen  —  nicht  zum  Vorteil  seiner  Arbeit,  denn  was  er 
daraus  beibringt,    pflegen    Dubletten  oder  Falsa  zu   sein  (i).     Aber  auch  wd 


(1)  Z.  B.  am  Ende  der  Anm.  auf  S.  342  wo  der  Vf.  —  cui  bono?  —  seine 
Collectaneen  über  scholae  mitteilt,  heist  es  «  Vgl.  auch  Grut.  169,5  schola-, 
170,  7,  auditorium;  172,  7  schoht;  314  schola  paeanistarum  n.  Von  diesen 
vier  Inschriften  sind  die  erste  und  zweite  schnn  wenige  Zeilen  vorher  mit  ihrer 
Corpusnummer  TVI,  1936  und  1017)  citirt ;  die  dritte  gehört  nach  Praeneste 
(XIV,  2924).  die  vierte  ist  Gruters  lateinische  Uebersetzung  von  C.  I.  Gr.  5913 
=  Kaibel  Imcr.  Ital.  1102,  wo  im  Urtext  olxoi:  steht.  —  Aehnlich  S.  295  Anm 
über  die  balnea  «  mehr  oder  weniger  zweifelhaft  erscheint  lavacra  Metelli 
Grut.  111,  7;  lavacrurn  180,  8;  balneae  181,  3;  316,  1  ».  Ein  Zweifel  wäre 


JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  81 

sichere  Texte  vorliegen,  finden  sich  bedenkliche  Lese-  und  Interpretations- 
fehler (^) ;  die  topo,f,'rap]iischen  Schlüsse,  welche  er  aus  den  im  Curpus  gege- 
benen Fund-  und  Aufbewahrungsnotizen  zieht,  sind  manchmal  verfehlt  {^}. 
Kurz  der  Benutzer  muss  gewarnt  werden,  dem  epigraphi.schen  .Material  bei 
G.  —  und  es  nimmt  bei  ihm  einen  breiten  Raum  ein  —  ohne  Nachprüfung 
der  Quelle  zu  trauen. 


berechtigt  nur  für  die  zweite:  LAVACRVM  AGRIPPINAE  (Gilbert  citirt  sie 
noch  einmal  S.  300  Anm.  3  als  unecht  auf  die  Autorität  Jordans,  der  sie  Bull. 
deWIstit.  1873  p.  30  und  Forma  Urbis  p.  42  als  Fälschung  des  16.  Jhdts. 
darzustellen  gesucht,  aber  den  ältesten  Zeugen,  den  sehr  zuverlässigen  Andr. 
Fulvius,  Ayitiq.  f.  21'  ed.  1527,  übersehen  hat;  ich  halte  sie  für  echt);  die 
erste  ist  eine  Boissard'sche  Fälschung  (VI,  8131*),  die  dritte  sicher  echt, 
auch  wenige  Zeilen  vorher  als  C.  I.  VI,  1744  citirt;  die  vierte  wieder  Gru- 
tersche  Uebersetzung ,  deren  Original  C.  I.  Gr.  5907  =  Kaibel  Imcr. 
lud.  1055  ganz  klar  von  den  Trajansthermen  spricht.  Fälschungen  albern- 
ster Art  figurieren  teils  ohne  Bedenken,  z.  B.  S.  283  Anm.  die  Gutenste- 
niana  Grut.  93,  1  =  C.  /.  L.  VI,  3259*,  teils  mit  der  schüchternen  Einfüh- 
rung i<  wenn  die  Inschrift  acht  ist  "  ;  so  S.  445  Anm.  1  Grut.  39,  5,  der 
hübsche  Ligorianische  lapis  auspicalis.  C.  I.  L.  VI,  701*.  An  anderen  Stellen 
sucht  der  Verfasser  verdächtigte  Inschriften  zu  retten,  so  C.  I.  L.  VI,  667* 
S.  91  Anm.  2.  Machtsyirüche,  wie  S.  417  Anm. :  «  wenn  diese  Inschr.  im  Corpus 
unter  den  falsae  3297* aufgeführt  wird,  so  ist  das  willkürlich;  es  liegt  durchaus 
kein  Grund  vor  die  Inschrift  zu  verdächtigen  »  womit  die  ausführliche  und 
vorsichtige  Auseinandersetzung  Henzens  a.  a.  0.  einfach  ignoriert  Avird,  sollte 
Vf.  lieber  unterlassen  ;  er  kann  nicht  erwarten  dass  sie  auf  Sachverständige 
Eindruck  machen. 

{})  Die  Inschriften  der  Bleiröhren,  mit  ihren  nicht  immer  leicht  auf- 
zulösenden Genitiven  sind  dem  Vf.  mehrmals  verhängnissvoll  geworden.  Dass 
(S.  421  Anm.  3)  ein  Rous  Hilario  und  Rous  Auctus  (statt  Roius)  und 
andrerseits  (S.  444  Anm.)  ein  M.  Valerius  Bradua  Mauricius  (statt  Mauricus) 
erscheint,  sind  Kleinigkeiten;  bedenklicher  ist  schon  die  Inschrift  (S.  366 
Anm.  2)  eines  '  M.  Manifesti  Caeciliani '  (statt  M.  Mari  Festi  Caec.) ;  und  gar  : 
«Bleiröhren  nennen  das  Haus  des  Amethyst.us  Drusus  Caesar  ^^  (S.374 
Anm.  5)  —  «  eine  andere  Inschrift  nennt  zunächst  dem  Ponte  Rotte  das  Haus 
des  Elus  Antoniniis ,Pius  (des  Kaisers?)  jYot.  1887,  17  «  (S.  448  Anm.  1) — 
Das  macht  G.  aus'  den  Inschriften  AMETHYST!  DRVSI  CAESARIS  und 
?c;2iiJY/;^iELl.  ANTONINI.  PlI  !!  —  Auf  gleicher  Stufe  steht  die  Erläuterung  zu 
Lanc.  130:  SOCIORVM  PVBLICI  |  XXV.VENALIVM  «  eine  Gesellschaft,  die 
sich  als  socil  XXV  venales  bezeichnet!)  (S.  366  Anm.  2).  —  Aus  Steinin- 
Schriften  notire  ich  :  ein  locus  Caprari  et  Gattules,  d.  h.  Grab  des  C.  und 
der  G.,  figurirt  unter  den  Zeugnissen  für  den  locus  Capreae  (S.  377  Anm.  3) ; 
aus  der  Inschrift  (C.  /.  L.  VI,  8719)  Ascani,  Philoxeni  Tl.  Claudi  Cae- 
sar{is)  Augusti  servi  vic(ari),  arcari,  schafft  sich  G.  einen  vicus  arcarius 
(S.  54  Anm.  1)  u.  s.  w. 

(')  Auf  S.  114/15  Anm.  3  zählt  G.  die  Heiligthümer  und  Altäre  des 
Mithras  auf.  Unter  diesen  figurieren  :  «  vor  Porta  Flaminia  C.  VI,  723.  724  " 
(nämlich  in  Villa  (jiustiniani,  deren  Steine  bekanntlich  von  hundert  verschie- 
denen Oi'ten  zusammengebracht  waren)  —  "  in  aedibus  Massaliorum  (lies  Maf- 
faeiorum)  VI,  746  »  (das  ist  Pal.  Maifei  im  Marsfeld,  der  im  16.  Jhdt.  gleichfalls 
eine  grosse  Inschriftensammlung  enthielt)  —  «  an  der  zum  Ponte  S.  Angelo 
führenden  Strasse  VI,  747  "  (nämlich  im  Pal.  Capponi,  dessen  Besitzer  im  vo- 
rigen Jahrhunderte  Steine  sammelte).  Diese  Proben  mögen  genügen,  um  obige 
Ausstellungen  zu  begründen;  sie  zu  vermehren  VÄge  Material  genug  vor. 


82  <"H.    HUEI.SEN 

Guida  di  Roma  e  suoi  dintorni,  ossia  Jtinerario  del  Nibby.  Undicesiwa 
edizione  a  cura  del  Prof.  Filippo  Porena.  Borna,  Loescher  1891. 
491  SS.  8. 
ist  nicht,  wie  die  vorletzte  1877  erschienene  Auflage,  nur  eine  Ueberarbeitung 
des  Nibby'schen  Itinerars,  sondern  ein  völlig  neues  Buch.  Der  Verfasser  hat 
sich  Mühe  gegeben,  die  Resultate  der  topographischen  Forschung  auch  der 
letzton  Jahre  zu  venverlhcn.  Mancherlei  veraltetes  ist  freilich  stehen  geblieben, 
z.  B.  verleitet  die  Beschreibung  S.  453  dazu,  die  Arvaltafeln  noch  in  alcmie 
rimesse  della  c.asa  della  vigna  Ceccarelli  zu  suchen.  Die  Pläne  gehen  zurück 
besonders  auf  Middleton  und  Richter;  ein  Stadtplan  ist  nicht  beigegeben. 

Besonders    möchte    ich    hier   noch    aufmerksam   machen    auf  zwei    mit 
einander  in  Verbindung  stehende  Publikationen  : 
Rom  mit  dem  Triumphzuge  des  Kaisers  Constantin  im  Jahre  312.  Rundgemälde 

von  Prof.  I.  BüHLM.vNN  und  Alex.  Wagner.  1  Bl.  Photogr.  quer-  fol. 
Rom  mit  dem  Trium]ihzuge  des  Kaisers  Constantin  im  Jahre  312,  beschrieben 

von  Franz  von  Reber.  München  1890.  1 60  SS.  8,  mit  Orientirungstafel, 

Skizze  des  Panoramas  und  23  Textillustrationen. 
Das  Bühlmann-  Wagnersche  Panorama  ist  nicht  nur  künstlerisch,  sondern  auch 
—  und  dies  verdient  gegenüber  ähnlichen  neuerlich  produzierten  Decorations- 
stücken hervorgehoben  zu  werden  —  wissenschaftlich  eine  bedeutende  Leistung. 
Für  die  Veranschaulichung  des  Centrums  der  Stadt  —  Capitol,  Forum  Romanum, 
Kaiserfora,  Marsfeld  —  giebt  es  z.  Z.  nichts  besseres.  Der  photographischen 
Ausgabe  ist  z.  B.  für  Zwecke  des  Unterrichts  eine  recht  weite  Verbreitung  zu 
wünschen.  Das  Textbuch  F.  v.  Reber's  orientirt  geschickt  und  verständlich 
über  die  Hauptsachen  —  denn  fast  alle  bedeutenden  Ruinen  Roms  befinden 
sich  im  Sehfeld  des  Kapitols  —  der  römischen  Topogi'aphie.  Die  Textillustra- 
tionen, Grundrisse  und  Durchschnitte,  sind  sachkundig  ausgewählt  (besonders 
dankenswerth  die  Reproductionen  der  Dutertschen  Studien  über  den  Palatin). 
Ueber  Einzelheiten  (wie  den  in  der  Einleitung  begegnenden  lapsus  memoriae, 
Augustus  habe  «  im  Monumentum  Ancyranum  ri  gesagt,  dass  er  Rom  als 
Ziegelstadt  überkommen,  als  Marmorstadt  hinterlassen  habe),  braucht  hier 
nicht  gerechtet  zu  werden. 

Lage   Boden   Klima. 

Wenn  auch  eine  Verzeichnung  der  Arbeiten,  welche  geographische  und 
physikalische  Verhältnisse  Roms  und  Latiums,  ohne  spezielle  Beziehung  auf 
das  Alterthum,  behandeln,  nicht  im  Rahmen  dieses  Berichtes  liegi,  so  verdient 
doch  eine  neueste  officielle  Publication  auch  die  Aufmerksamkeit  der  antiken 
Topographen ;  ich  meine  die 

Carla  geologica  della  Campagna  Romana  con  le  regioni  limitrofe,  puhblicata 
per  cura   del  R.  Ußcio  geologico.    Roma  1889.  7  Bll.  gr.  fol.  1  Hft. 
Text  22  SS.  8. 
Diese    ist    nach   Aufnahmen    der   Ingenieure   Zezi    und  Cortese  (1879-82)  im 
Massstabe  1:100  000  unter  Zugrundelegung  der  Generalstabskarte  hergestellt 


JAHRESBERICHT    UEBER   TOPOGRAPHIE   DER   STADT    ROM  83 

Sechs  Blätter  entsprechen  den  Nr.  142-144.  149-150.  158  derselben,  ein  sie- 
bentes bringt  sesloni  geologiche,  von  denen  sich  aber  keine  auf  das  Stadt- 
terrain selbst  bezieht. 

Stadt-   und   B augeschichte   im   Allgemeinen. 

Zu  den  A  r  g  e  e  r  n  sind  zu  verzeichnen  die  Bcnicrkuniren  von  Diels, 
Sibyllinische  Blätter  (Berlin  1890.  S.  43.  41),  von  denen  für  das  topographische 
Detail  allerdings  nur  in  Betracht  kommt  das  Festhalten  an  der  Zahl  der  27 
(nicht  24)  Kapellen.  Im  übrigen  erklärt  sich  der  Verf.  von  Studenmnds 
Parstellung  nicht  überzeugt. 

Die  Abhandlung  von  J.  Kui-akowjski  :  zur  Frage  nach  den  Anfängen 
Eoms  (russisch)  Kiew  1888.  155  SS.  8.  ist  mir  nur  aus  der  Besprechung  von 
H.  Haupt  in  der  Berl.  philol.  AVochenschrift  1891  S.  127/28  bekannt  ge- 
worden. Der  Verfasser  behandelt  danach  die  Möglichkeit  der  Entstehung  Borns 
aus  Vereinigung  von  Sondergemeinden;  die  Ausdehnung  der  ältesten  palatinis- 
chen  Stadt;  Aboriginer  und  Sabiner;  Ivoms  Beziehungen  zu  den  Etruskern. — 
Vgl.  noch  unten.  S.  lOö. 

E.  Lanciani  ricerche  sulle  regioni  XIV  urb eine  {bull  comun.  1890  S.  115-137 

Tf.  IX.  X) 
beabsichtigt,  die  Grenzen  der  14  augustischen  Regionen  genau  zu  fi.xiren, 
namentlich  auch  mit  dem  praktischen  Zwecke,  der  N'erwaltung  der  Aus- 
grabungen für  Einordnung  der  neuen  Funde  eine  feste  Norm  zu  bieten. 
Dass  diese  Linien  vielfach  convenlionell  sein  müssen,  wird  zugegeben;  und 
dem  praktischen  Zwecke  des  Aufsatzes  entspricht  es ,  wenn  ohne  einge- 
hende Discussion  im  wesentlichen  dogmatisch  vorgetragen  wird.  IMo  bri- 
gegebene  Karte  enthält  nur  die  Hauptlinien  der  antiken  Stadt :  Hügel , 
servianische  und  aurelianische  Maner,  Hauptstrassen  ;  da  der  Text  und  die 
Grenzbeschr(!ibung  am  Schluss  des  Aufsatzes  häufig  auch  auf  die  moderne 
Nomencliitur  Bezug  nehmen,  sieht  sich  der  Leser  genötigt,  stets  mit  zwei 
Karten  zu  opcriren.  Die  Beigabe  eines  vergleichenden  Planes  der  altm  und 
neuen  Stadt,  wie  in  Richters  Toixigraphie,  wenn  auch  nur  in  den  Hauptlinien, 
wäre  sehr  erwünscht  gewesen.  Auch  im  P'inzelnen  bleibt  an  der  (irenz- 
beschreibung    manches    unklar  (i).     Von    Interesse    sind    mehrere   Exkurse : 


(1)  Wenn  man  z.  B.  sich  die  Grenzlinie  der  vierten  Begion  nach 
den  Angaben  S.  13C  auf  einen  modernen  Plan  aufzutragen  versucht,  so 
scheint  es,  dass  die  Begion  in  zwei  ganz  getrennte  Stücke  zerfällt,  di<'  am 
Schnittpunkte  der  via  de'  Neofiti  und  Via  S.  Maria  de  MontiWwy  einzige 
Berührung  haben.  Das  ^ann  L.  nicht  gemeint  haben  :  die  von  ihm  beab- 
sichtigte Grenze  wird  vielmehr  an  dieser  Stelle  von  Piazza  dellu  Madonna 
de'  Monti  nach  Vicolo  del  Peraicone  herüber  dem  Esquilinabhang  folgen 
sollen.  —  In  der  Grenzbeschreibung  der  VI.  Region,  ebenda,  ist  für  Puvta 
PJsquilina  zu  lesen   Viminale. 


84  CH.    HUELSEN 

1)  über  die  Grundsätze  der  Augustischen  Eegionsteilung.  Nach  L.  die  war 
Grundlinie  eine  von  Südosten  (')  (Via  Appia-Circus  Maximus),  um  dun  Westab- 
hang des  Palatin.  den  Ostabhang  des  Capitols  he'-um  nach  Norden  (Via  Lata- 
Flaminia)  laufende  Linie  :  die  Servianische  Mauer  und  die  grossen  nach  ihren 
Thoren  laufenden  Strassen  geben  die  weiteren  Teilungslinien  (2)  und  man 
erhielt,  ausser,  dem  Palatin  als  Centralregion,  auf  dem  linken  Ufer  6  Ee- 
gionen  innerhalb,  6  ausserhalb  der  Mauer.  Die  Zählung  beginnt  an  der 
Normale  im  Süden  (Porta  Capena)  und  kehrt  zu  ihr  zurück.  Den  einzelnen 
Regionen  bestrebt  man  sich  möglichst  gleiche  Umfange  (12270  F.  im  Durch- 
schnitt) zu  geben,  was  besonders  an  den  7  Regionen  innerhalb  der  servianischen 
Mauer  (die  äusseren  scheinen  in  späterer  Zeit  erhebliche  Veränderungen  er- 
litten zu  haben)  nachgewiesen  wird  :  über  Bevölkerungsdichtigkeit  und  Rang 
der  verschiedenen  Quartiere  versucht  L.  aus  den  statistischen  Zahlen  der 
Regionsbeschreibung  Resultate  zu  gemnnen.  —  2)  Ueber  die  Regionsbe- 
schreibungen wird  behauptet,  dass  sie  in  noch  viel  weiterem  Umfange,  als  man 
bisher  annahm,  Strassen-  und  Platznamen  enthielten.  So  seien  die  curiae 
veteres  in  der  zehnten  Region  nur  Andeutung  für  den  vicus  curiarum,  die 
Namen  Janiculum  und  Vaticanum  in  der  vierzehnten  dessgleichen  für  einen 
vicus  Janiculensis  und  vicus  Vaticanus.  In  der  Ausdehnung  des  an  sich 
gewiss  beachtenswerten  Princips  dürfte  L.  doch  wohl  etwas  zu  weit  gegangen 
sein :  so  enthält  z.  B.  sein  Verzeichniss  für  die  erste  Region  elf  Namen,  während 
die  constantinische  Regionsbeschreibung  für  dieselbe  angibt :  vici  X.  Nimmt 
man  auch  an,  dass  von  jenen  11  die  n.  4.  6.  8  {area  Apollinis  et  Splenis 
—  area  pannaria  —  area  Carruces)  abzuziehen  seien,  so  bliebe  immer  noch 
das  singulare  Factum,  dass  gerade  in  dieser  Region  die  Beschreibung  die 
Strassennamen  mit  fast  absoluter  Vollständigkeit  erhalten  hätte. 

Die  Aufsätze  von  Camillo  Ee  :  le  regioni  di  Roma  nel  medio  evo  [studj 
e  documenti  di  storiu  e  diritto  X,  1889  S.  349-382)  untl  L.  Duchesne: 
les  r^gions  de  Fome  au  moye/i-dge  {Melanges  de  Vecole  franraise  1890 
S.  126-149) 

müssen  hier  erwähnt  werden,  weil  sie  auch  die  Frage  nach  dem  Fortleben  der 
augustischen  Regionen  im  MA.  in  Betracht  ziehen.  Beide  Gelehrte  gelangen 
zu  gerade  entgegengesetzten  Resultaten :  während  Re  die  augustische  und  die 
kirchliche  Regionsteilung  des  Mittelalters  für  im  wesentlichen  congruent  hält 
und  somit  den  modernen  rioni  eine  Existenz  von  19  Jahrhunderten  zuschreiben 
will,  besteht  Duchesne  auf  seiner  schon  früher  {Revue  des  questions  histo- 
riques  1878)  gegen  Jordan  verfochtenen  These :  die  antike  Einteilung  in 
14  Regionen  verschwindet  mit  den  gotischen  Kriegen   des  VI.  Jahrhunderts, 


(>)  Die  Wahl  dieser  Normale  wird  empfohlen  schon  durch  die  auf  der 
gleichen  Linie  beruhende  Orientirung  der  forma   Urhis. 

(2)  Dass  die  Bedeutung  der  Hauptstrassen  als  Regionsgrenzen  schon  in 
Richters  Topograjdiieen  (bei  Baumeister,  Denkmäler,  und  I.  Müller,'  Handbuch) 
dargelegt  worden  ist,  hätte  erwähnt  werden  sollen. 


JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  85 

das  Anknüpfen  der  mittelalterlichen  Einteilung  ist   nur   scheinbar.     Die  Be- 
weisführung Duchesne's  scheint  mir  überzeugend  (i). 

Für  die  Verwaltung  der  Stadt  im  3.  Jhdt.  ist  von  Interesse  eine 
Insclirift  von  Pratica,  welche  nacli  der  im  C  I.  L.  XIV,  2078  adoptirten 
Lesart  einen  consularis  sacrae  urbis  regionis  IUI,  cur[ator)  Laurcntium  Lavi- 
natium  nannte.  Der  Stein  ist  in  diesen  Zeilen  sehr  beschädigt,  und  Dessau 
zweifelte,  ob  statt  regionis  IUI  nicht  zu  lesen  sei  regionis  II  et.  Diese 
Verniuthung  wird  bestätigt  durch  eine  von  De  Rossi  im  Vatikanischem  Archive 
{misc.  nella  sala  cli  studio  vol.  341  f.  190)  aufgefundene,  gleich  nach  der  Aus- 
grabung des  Steines  (1718)  genommene  Abschrift  {Bull,  comun.  1890  S.  285-288). 
Der  Name  des  Beamten,  dem  die  Basis  geweiht  war,  ist  nur  fragmentarisch 
erhalten.  De  Eossi  vermutet  Än[tonio  Äntid]  Lupo  und  bringt  ihn  in  Verbin- 
dung mit  dem  bekannten  Manne  aus  Commodianischer  Zeit  (C.  /.  L.  VI,  1343). 

M.  BoRGATTi,  le  mura  cli  Roma  {conferenza  letta  ai  sigg.  ufficiali  del 
3.  reggimento  genio,  distaccamento  di  Roma,  nei  giorni  21  e  22  fehbraio 
delVanno  1890).  Rivista  d'artiglieria  e  genio  1890  vol.  11.  81  SS.  8. 
6  Tf. 
skizzirt  die  Geschichte  der  Befestigungen  Roms  von  den  ältesten  Zeiten  bis 
auf  die  Gegenwart  Die  das  Altertum  betreffenden  Kapitel  [Roma  quadrata 
S.  4-12 ;  cinta  dei  re  o  di  Servio  Tullio  S.  1.3-33 ;  cinta  di  Aureliano 
S.  33-49)  fussen  hauptsächlich  auf  Nibby,  Piale,  Lanciani,  Parker  und  einem 
Aufsatz  von  Baratieri  [Nuova  Antologia  3  s.  vol.  8).  Jordan  und  Richter  citirt 
der  Verfasser  zwar,  hat  sie  aber  nicht  gründlich  benutzt,  er  hätte  sonst  z.  B. 
die  Aufnahme  der  alten  palatinischen  Befestigung  {Annali  delVIstit.  1884 
p.  189-204  ;  Jilonumenti  vol.  XII  tav.  VIII  A)  nicht  übersehen  können.  Bei  der 
Bestimmung  des  Vortrags  wird  man  keine  wesentliche  Bereicherung  unserer 
Kenntnisse  erwarten  :  erwähnenswert  ist  die  durch  Zeichnungen  (Tf.  III 
fig.  8-14)  erläuterte  Klassifikation  der  Aurelianischen  Befestigung  S.  67.  68  : 
1)  isolirte  Mauer,  ohne  Wehrgang,  mit  wenigen  Schiessscharten  (so  zwischen 
Tiber  und  P.  del  Popolo  ;  südlich  von  den  Castra  praetoria ;  zwischen  Porta 
Ostiensis  und  Tiber) ;  —  2)  Futtermauer  mit  Brustwehr,  so  am  Abhang  des 
Pincio;  —  3)  häufigster  Typus:  Mauer  mit  gewölbtem  Wehrgang  im  Inneren. 
Von  den  beigegebenen  Tafeln  ist  I  Stadtplan  (1:10000)  mit  Einzeichnung 
sämtlicher  Mauerringe;  II-V  Durchschnitte  und  Ansichten  der  antiken  Mauern, 
VI  desgl.  der  Befestigungen  Sangallo's. 

H.    Strack,    Baudenkmäler    des    alten   Rom.     Berlin    1890.  20    Tif.   fol.   20 

SS.  Text 
giebt,    nach    sehr    wolgelungenen    photographischen    Originalaufnahmen,    in 
historischer    Anordnung    folgende    Monumente:    1.2   Forum,    3-6    Pantheon, 

(2)  Vgl.  nach  L.  Calisse,  arch.  della  soc.  Romana  di  sioria  patria  1890 
S.  262-264;  I.  Guidi  bull,  comun.  1890  S.  154-156;  1891  S.  38. 


86  CH.    HLELSEN 

7  Augustusforum ,  8  Castortempel ,  0-11  Colosseum ,  12.  13  Titusbogen, 
14  Forum  Boarium.  15  Traiansforum,  16  Faustinatempel,  17  Tempel  auf 
Piazza  di  Pietra,  18  Säule  des  Marc  Aurel,  19  Gallienusbogen,  20  Constantins- 
bogen.  Da  die  Vorführung  von  relativ  wohl  erhaltenen  architektonisch 
wirkenden  Bauten  den  speziellen  Zweck  des  Werkes  bildet,  erklärt  sich  das 
ijänzliche  Fehlen  z.  B.  der  Thermen  und  der  Palatinischen  Ruinen.  Doch 
verdienten,  wie  auch  0.  Richter  (Berl.  philol.  Wochenschrift  1890  S.  1598) 
hervorhebt,  bei  einer  Erweiterung  des  Werkes  namentlich  Marcellustlioater 
und  Porta  Maggiore  Aufnahme.  Der  Text  könnte  neuere  architektonische 
Litteratur,  namentlich  wichtige  Einzelpublikationen  in  ausgedehnterem  Masse 
berücksichtigen ;  die  Anführungen  beschränken  sich  meist  auf  Desgodetz,  Pi- 
ranesi,  Valadier,  «  Lampue  fragm.  d'archit.  »  (?  verbirgt  sich  unter  diesem 
mir  unauffindbaren  Titel  das  Werk  von  Ch.  Moreau,  frar/ments  et  Orna- 
ments cVarchitecture  dessines  a  Rome  d'aprl'S  Vantique,  1802?)  und  nament- 
lich Canina.  Es  befremdet  z.  B.  dass  Dutert,  le  forum  Romain  nirgends  ge- 
nannt wird. 

Die  Aufsätze  von  Aitchison  im  Builder  vol.  LYI-LVIII  (n.  2415.  2416  the 
roman  Thermae ;  n.  2452-2457  Roman  architecture)  genügt  es  hier  kurz  zu 
erwähnen ;  hervorgegangen  aus  Royal  Academy  lectures  bringen  sie  nichts 
selbständiges  neues. 

0,  Richter,  Cloaca  Maxima  in  Rom.    (Alte  Denkmäler,  herausg.  vom  K.  D. 

Archäologischen  Institut  Bd.  I.  Tf.  37). 
R.  Laxciani,  la  cloaca  massima  (Bull,  comun.  1890  S.  95-102,  Tf.  VII.  Vni). 

Richters  Arbeit  ist  grundlegend  für  unsere  Kenntnis  der  Cloake  im 
Ganzen.  Sie  fusst  hauptsächlich  auf  den  Aufnahmen  des  Hrn.  Pietro  Narducci, 
Chefingenieurs  der  römischen  Canalisation  (vgl.  TJB.  1889  S.  236).  Die  von 
P.  Graef  gezeichnete  Tafel  giebt  einen  Plan  (1:1800)  des  Laufes  der  Cloaca, 
einschliesslich  der  erst  1889  entdeckten  oberen  Teile  beim  Augustusforum  ; 
den  Längsschnitt  in  der  Abwickelung  (gleichfalls  1:1800,  Höhen  1:900)  und  19 
einzelne  Längs-  und  Querschnitte  (1:200).  Fünf  Figuren  im  Text  erläutern 
die  Mündung  in  den  Tiber,  nach  Aufnahmen  und  Messungen  von  E.  Fürstenau. 

Vom  Gesammtlaufe  der  Cloake  giebt  die  Tafel  zum  ersten  Mal  ein  über- 
sichtliches Bild.  Die  mannichfachen  Windungen  und  Ausbeugungen,  welche 
in  demselben  sofort  auff'allen,  erklären  sich  zum  Teil  durch  Rücksicht  auf 
darüber  liegende  resp.  später  darüber  errichtete  Bauten  (so  die  gleich  zu 
erwähnende  Ausbiegung  beim  Nervaforum ;  ähnlich  wohl  die  südl.  der  Basilica 
Julia  und  unter  Via  dei  Fienili).  Andere  aber,  und  gerade  die  bedeutendsten 
Abweichungen  von  der  Geraden,  scheinen  mir  am  besten  erklärbar  durch  eine 
Erwägung,  welche  gleichzeitig  ein  interessantes  Licht  auf  die  Geschichte  des 
Baues  wirft.  Die  Linie  des  Laufes  entspricht  so  sehr  dem  Charakter  eines 
natürlichen  Wasserlaufes  in  der  Campagna,  dass  wir  vermuthlich  in  der  Cloaca 
Maxima  einen  allmählich  canalisirten  Bach  zu  erkennen  haben,  der  bei  S.  Gior- 


JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM 


87 


.<,no  in  Velabro  in  die  Marrana  mündete.  Die  Entwickelung  wird  eine  ähnliche 
gewesen  sein,  wie  sie  für  den  athenischen  Eridanus  kürzlich  Dürpfeld  (Athen. 
Mitheil.  1888  S.  213-220)  schlagend  nachgewiesen  hat:  Befestigung  der  Ufer, 
teilweise  Ueberbrückung,  vollständige  Eindeckung,  Quaderbau  mit  Wölbung. 
JDie  Cloaca  Maxima  ist  dabei  auf  viel  bescheidenere  Breiten  reducirt  (2-.3,  nur 
an  der  Mündung  in  die  Marrana  4  in.)  als  die  athenische,  4,20  m.  breite  Anlage. 
Lanciani  beschäftigt  sich  ausschliesslich  mit  dem  1889  entdeckten,  zur 
Entwässerung  des  Forum  Augusti,  der  Subura  und  des  Esquilin  dienenden  oberen 
Teile,  von  welchem  ein  Plan,  ein  Längsschnitt  in  der  Abwickelung  (1:600),  ferner 
4  Uetailschnitte  (1:150)  gegeben  werden.  —  Der  Text  beschreibt  das  Bauwerk, 
gleichfalls  nach  Mitteilungen  von  Narducci.  Der  Construction  nach  unter- 
scheiden sich  in  diesem  Teile  zwei  Strecken  :  vom  Comitium  (S.  Adriano)  bis 
zur  Via  Alessandrina  sind  die  Seitenwände  aus  (Quadern  von  pietra  Gtthina, 
die  Wölbung  eine  Halbkreistonne  aus  Ziegeln  (i).  Von  der  via  Alessandrina 
dagegen  bis  zum  Augustusforum  besteht  der  ganze  Bau  aus  Quadern,  ohne 
Mörtel.  Lanciani  bemerkt  treffend," dass  die  Ausbiegung  zwischen  V.  Alessan- 


^^^ 


drina  und  V.  Tor  de'  Conti  nur  erklärlich  ist  (vgl.  Figur)  durch  die  Rücksicht 
auf  den  Minervatempel  auf  dem  Forum  des  Nerva.  Diese  Strecke  kann  also  nicht 
älter  sein  als  das  Jahr  90  n.  Chr.,  was  um  so  mehr  hervorgehoben  zu  werden 
verdient,  als  gerade  hier  die  Construction  einen  viel  altertümlicheren  Ein- 
druck macht,  als  in  dem  Tract  abwärts  nach  dem  Forum  zu.  —  Ungelöst  bleibt 


(1)  An  einzelnen  Stellen  sind  auch  die  Seitenwände  mit  Ziegelwerk  ausge- 
flickt;  darin  Stempel  ^  ",.)  vE^if/  (Marini  13-59=  C.  I.  L  XV,  152^,  Anf.  des 
2.  Jahrh.  n.  Chr.). 


88  CH.    HUELSEN 

die  Frage,  wie  die  Entwässerung  der  Zaiserfora  {F.  Julium,  Augusti,  Traiani) 
an  die  Cloaca  Maxima  angeschlossen  war  :  rechtsseitig  münden  in  die  Cloake 
nur  Seitenstränge  von  kleinen  Dimensionen.  Miigliclierweise  findet  dieser 
auffallende  Umstand  seine  Erklärung  darin,  dass  die  Einmündungen  der  von  den 
Kaiserfora  kommenden  Seitenstränge  in  einer  Tiefe  liegen,  bis  zu  welcher  die 
jetzigen  Nachforschungen  nicht  gedrungen  sind  (i).  —  Ueber  Argiletum  s.  u. 
S.  101. 

0.  Richter,   die    moderne  Zerstörung  TJoms.     (Verhandlungen    der   Görlitzer 

Philologenversammlung  S.  17-30). 
Fil.  PoRENA,  deWattuale  rinnovamento  ediUzio  cli  Roma  in  relazione  colle 

sue  passate  trasformazioni  {Bidlet'mo  della  socield  geograßca  Italiana, 

ser.  III  vol.  2  fasc.  6,  S.  442-467) 
behandeln  die  viel  besprochene  bauliche  Umwandlung  der  Stadt  in  den  letzten 
zwanzig  Jahren,  beide  in  massvoll  apologetischem  Sinn.  Porena  skizzirt  die 
Stadtentwickelung  von  der  ältesten  Zeit  bis  auf  unsere  Tage,  und  hebt  dabei 
hervor,  wie  jede  einzelne  Phase  aus  der  (oft  ganz  rücksichtslosen)  Zerstörung 
der  früheren  hervorgegangen  sei ;  Piichter  betont  den  reichen  Ertrag  an  topo- 
graphischer Belehrung  und  künstlerischen  Funden,  welche  wir  der  gesteigerten 
Bauthätigkeit  der  letzten  20  Jahre  verdanken. 

H.  I^Iacmillan,  Roman  Mosaics,  or  studies  in  Rome  and  its  neighbourhood. 

London  1888 
mag  hier  nur  erwähnt  werden,  weil  es  sich  in  Bibliographien  ohne  den 
Xebentitel  genannt  findet,  und  also  jemand  darin  etwas  über  römische  Mo- 
saiken zu  finden  erwarten  könnte.  Es  ist  aber  eine  gerin gwerthige  Sammlung 
von  populären  historisch-antiquarischen  Aufsätzen.  (Vgl.  die  Besprechung  von 
0.  Richter,  Berliner  Philol.  Wochenschrift  1890  S.  440-442). 

III.  Topographische  Eunüschau. 
Forum   Komanum. 

F.  M.  KiGHOLS,  a  revised  history  of  the  column  of  Phocas.  (Archaeologia 
vol.  LH,  London  1890).  12  SS.  4.  (vgl.  auch  tramactions  of  the  En- 
glish-American  Archaeological  Society  1889  S.  174-178). 
führt  die  bereits  TJB  1889  S.  242  besprochene  Hypothese  (die  Fokassäule  sei 
ein  Werk  des  4.  Jahrhunderts,  später  durch  Zusatz  der  Stufenpyramide, 
Padirung   der   u:  sprünglichen   und  Einmeisselung   einer  neuen   Inschrift  für 


(1)  L'alveo  (della  cloaca  Massima)  ?  stato  spurgato  dal  cav.  Narducci 
soltanto  sino  alla  imposfa  della  volta,  sagt  Lanciani  S.  98.  Demnach  ist  die 
Darstellung  der  unteren  Steinlagen  auf  Narducci's  Längsschnitten  meist  sche- 
matisch, die  Höhe  und  das  BasaltpHaster  der  Sohle  nur  durch  gelegentliche 
tasü  ermittelt. 


JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM 


89 


Fokas  umgemodelt)  weiter  aus  (').  Ich  bin  von  der  Eichtigkeit  derselben 
ebensowenig  überzeugt,  wie  früher.  Eine  definitive  Widerlegung  könnte  nur 
durch  Ausgrabungen  am  Mauerkern  gegeben  werden,  auf  welche  für  jetzt  hat 
verzichtet  werden  müssen.  Einstweilen  mögen  folgende  Gegengründe  kurz 
angedeutet  werden:  1)  Architektonisch  wäre  das  "  Theodosius- »  Monument, 
wie  es  nach  Nichols  reconstruirt  werden  muss,  eine  emjjfindliche  Unform  :  auf 
einer  quadratischen  Backsteinbasis  ein  hohes  Postament,  auf  diesem  die  Säule 
(vgl.  nebenstehende    Skizze).     Eine   solche  Anordnung   dürfte    bei    römischen 


Ehrensäulen  beispiellos  sein.  Die  Backsteinbasen  an  der  Südstrasse  trugen 
direkt  die  Säulen :  und  nicht  anders  die  auf  den  Reliefs  des  Constantinsbogen 
und  sonst  abgebildeten  ähnlichen  Monumente.  —  2)  Epigraphisch.  Wäre  eine 
ältere  Monumentalinschrift  spurlos  getilgt,  so  müsste  man  erwarten,  dass  die 
Schriftfläche  gegen  die  ursprüngliche  zurückträte  (2) :  was  am  Auflager  des 
Gesimses  zu  constatiren  sein  müsste.  Aber  nicht  nur  ist  an  dieser  Stelle  kein 
Zurücktreten  der  angeblich  radirten  Fläche  zu  constatiren,  sondern  für  das 
gerade  Gegentheil  sprechen  die  noch  wohl  erkennbaren  Aufschnürungslinien 
■  auf  den  Fundamentblöcken,  welche  zeigen,  dass  auch  die  untere  Blockschicht 
noch  ihre  ursprüngliche  Lage  und  Dimension  hat.  Auffällig  wäre  ferner,  dass 
die  «  Theodosius-  "  Inschrift  weder  dem  Forum,  noch  der  sacra  via,  noch  den 

(1)  Nach  eigenen  Messungen  giebt  N.  einen  Aufriss  der  Stufenpyramide 
und  Basis,  S.  6  ;  wo  derselbe  von  der  schönen  Valadier'schen  Aufnahme  (die 
wiederum  —  vgl.  TJB  1889  a.  a.  0.  —  nicht  benutzt  ist)  abweicht,  entscheidet  die 
Revision  des  Originals  zu  Gunsten  der  letzteren.  So  z.  B.  ist  die  unterste  Stufe 
nicht  ^\eic\i.  den  höheren  profilirt.  sondern  ein  einfacher  rechteckiger  Block  ; 
die  Zahl  der  Stufen  wird  von  V.  richtiger  auf  13  statt  auf  12  berechnet,  u.  A. 

(,2)  Nichols  sagt  (S.  7) :  the  original  plane  surface  . . .  is  not  venj  much 
loivered  by  the  erasure,  ivhich  does  not  extend  over  the  upper  pari,  nor  as 
far  as  the  coniers  of  the  pedestal.  It  folloios  that  the  earlier  inscnption 
. . .  was  cut  in  very  shalloic  letters.  Immerhin  müsste  man  sich  die  Oberfläche 
merklich  concav  vorstellen  ;  was  nicht  der  Fall  ist. 


90  CH.  ÜL'ELSEN 

Btrstra  zngETvenflet  gewesen  wäre,  sondern  gerade  der  vierten,  am  wenigsten 
bedeutenden  Seite  (die  Curia,  von  der  Nichols  S.  7  spricht,  liegt  zu  weit 
entfernt).  —  Den  allgemeinen  lanistgeschiclitlichen  Erwägungen  (S.  9.  10), 
namentlich  der  Vergleichung  mit  dem  Stilicho-Monumente  [Eph.  epigr.  IV 
n.  849),  kann  ich  keine  erhebliche  Bedeutung  beilegen.  Gewiss  hat  es  schon 
Anfang  des  V.  Jhdts  unter  den  Monumenten  des  Forums  Flick-  und  Pfuschar- 
beiten gegeben ;  aber  wesshalb  soll  die  Entwickelung  für  alle  späteren  Jahr- 
hunderte stetig  abwärts  gegangen  sein  ?  Den  Baumeistern  von  S.  Lorenzo 
(590  gladios  hostiles  intcr  et  iras  erbaut !)  und  S.  Agnese  fuori  (630)  wird 
auch  technisch  die  Errichtung  einer  Fokassäule  keine  Schwierigkeiten  ge- 
macht haben. 

Ueber  die  Inschrift  der  Columna  ro  st  rata  hat  Wölfflin  (Sitzungs- 
ber.  der  philos.-philologischen  Classe  der  Münchener  Akademie  1890  S.  293-321) 
gehandelt.  Er  kommt"  zu  dem  Resultat:  Die  Inschrift  ist  Copie  eines  älteren 
Originals,  gemacht  in  den  letzten  Jahren  des  Augustus  oder  den  ersten  des  Ti- 
berius;  die  Sprache,  abgesehen  von  der  inconsequenten  Orthographie,  Latein 
aus  der  Zeit  des  ersten  punischen  Krieges,  nicht  der  ersten  Kaiserzeit ;  der  Inhalt 
als  historisches  Zeugnis  für  das  Jahr  260  v.  Chr.  zu  betrachten.  Seine  auf 
eingehender  Analyse  des  Wortschatzes  und  der  Wortfügung  beruhende  Beweis- 
führung ist  fast  durchweg  überzeugend.  Wenn  der  Vf.  S.  294  im  Hinblick 
darauf,  dass  die  Inschrift  an  der  Basis  eine  Statue  angebracht  gewesen  zu 
sein  scheint,  ein  Zeugnis  dafür  vermisst,  dass  auf  oder  neben  der  columna 
rostrata  ein  Standbild  des  Duilius  sich  befunden  habe,  so  tritt  hier  vielleicht 
das  neu  zusammengefundene  Duilius-Elogium  vom  Augustusforum  (Mitteil. 
1890  S  306),  welches  von  einer  statua  spricht,  ergänzend  hinzu. 

De  Eossi,  la  domus  Octavii  presso  la  via  sacra  sul  Palatmo  {Bull,  comun. 

l;?89  S.  351-355) 
erörtert  die  schon  von  Jordan  (Top.  I,  2  S.  2S6  Anm.  116)  behandelte  Stelle 
aus  Sallusts  Historien,  setzt  das  Haus  des  Octavius  zwischen  Palatin  und  sacra 
via  an,  und  erklärt  die  bisherigen  Versuche,  die  letzte  Zeile  des  genannten 
Fragments  zu  ergänzen  {in  [propu]gnaculum  perve[nit]  —  in[genti  pu]gna 
cli]v[i]um  perve[;nit]  —  in  [ipsum  vestib]2dum  perve[nit])  für  unwahrscheinlich, 
ohne  die  von  ihm  selbst  neu  vorgeschlagene  Lesung  in  [interiora  aecr\ium 
per  ve[ßtihulum  pervenit]  für  sehr  überzeugend  zu  halten. 

G.  ToMASSETTi,  la  epigrafe  del  tempio  dei  Castori  {Bull,  comun.  1890  S.  209- 

219) 
behandelt  eine  Inschriften-Ergänzung,  che  puö  essere  piacevole  a  chi  si  diletta 
di  simili  curiositd,  und  kann  nur  von  diesem  Standpunkt  aus  beurteilt  werden. 
Der  Vf.  beschäftigt  sich  mit  dem  Bruchstück  einer  Monumentalinschrift 


xro 


welches  beim  Castorterapel  gefunden  ist,  und  dessen  schon  Jordan  —  dichia- 
rando  alla  sfuggita  la  inutilitä    di    una   relativa   discussiojie  —  in    seiner 


JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  91 

Topographie  (I,  2  S.  372  Anm.)  "•eclenkt.  Tomassetti  ergänzt  es,  mit  Beziehung 
auf  Sueton.  Tib.  20  und  Dio  45,  17  zu  folgender  fünfzeiliger  Inschrift  : 

Polluci  e]t .  C[astori 

[Ti.  Julius  Aug.f.divi  n  .  Caesar  Claudianus  Germ. 

pont .  cos .  ii .  imp  .  ü  .  trih  .  pot .  vii 

et  Nero  Claudius  Ti  .f.  Drusus  Germ  .  Augur  .  cos  .  imp  . 

d  .  d  .  de  manubiis  .] 

Die  Frage,  wie  eine  solche  Inschrift  am  Tempel  angebracht  gewesen  sein 
soll,  scheint  sich  der  Vf.  gar  nicht  vorgelegt  zu  haben  :  das  obige  Bruchstück 
hat  Buchstabenhöhe  von  50  cm.,  für  die  folgenden  Zeilen  nimmt  Vf.  32  cm. 
an  (S.  218).  Der  Architrav  des  Castortempels  hat  1.08  m,,  Fries  1.03  ra. 
Höhe  ;  selbst  angenommen,  dass  beide  in  einer  für  gute  Zeit  ungewöhnlichen 
Weise  zum  Inschriftralimen  zusammengezogen  gewesen  sein  sollten,  würde 
kein  Platz  für  eine  solche  fünfzeilige  Inschrift  sein.  Ich  bin  hinsichtlich  des 
Fragments  durchaus  Jordans  Meinung. 

F.  M.  NicHOLS,  the  remains  of  the  arch   of  Aur/iistus  in  the  roman  Forum 
{transact.  of  the  BrÜ.  and  Americ.  archaeol.  Society  1889  S.  178-181). 
referiert  über  Richters  Entdeckung  (TJB  1889  S.  243-244). 

0.  Marucchi,  alcune  ulteriori  osservazioni  sulla  Regia  del  ponteßcc  massimo 

e  sulVatrio  di  Vesta.  Rom  1890.  28  SS.  4. 
ist  ein  bereits  am  28.  April  1887  in  der  Accademia  pontificia  di  archeologia 
gehaltener,  aber  erst  jetzt  gedruckter  Vortrag.  Nach  einem  kurzen  Ueberblick 
über  die  Geschichte  der  genannten  Baulichkeiten  (S.  3-6)  behandelt  Vf. 
mehrere  topographische  Einzelfragen  :  1)  Gang  der  älteren  sacra  via.  Dieselbe 
soll  von  der  Velia  herab  direkt  zum  Castortempel  geführt,  also  Regia  und 
Vestabezirk  getrennt  haben.  Die  angeführten  Gründe  überzeugen  nicht.  2)  Aus- 
dehnung der  Regia.  Diese  habe  sich  bis  zur  Rückseite  des  Caesartempels 
ausgedehnt,  wie  die  Jordanschen  Ausgrabungen  (Mitt.  1886  S.  99  tf.)  gezeigt 
hätten:  der  Severischen  Restauration  gehörten  an  quei  muri  di  opera  laterizia 
che  si  trovano  aderenti  alla  parte  posteriore  di  quel  tempio  medesimo.  Teils 
missverständlich,  teils  durch  die  gleich  zu  erwähnenden  neuen  Ausgrabungen 
widerlegt.  3)  Wichtigkeit  des  1882  gefundenen  Stadtplanfragments  für  Fixirung 
der  Grenzen  des  '  locus  Vestae  \  4)  der  Penus  Vestae.  Vf.  wiederholt  seine 
frühere  Hypothese,  dass  der  Penus  im  Vestalen hause  gelegen  habe  und  in 
dem  achteckigen  Mittelbau  im  Säulenhofe  zu  erkennen  sei.  Wenn  Festus  sage 
,penus  erat  locus  intimus  in  aede  Vestae'  so  sei  in  aec/ö  nicht  buchstäblich 
zu  verstehen  ;  man  sage  ja  auch  modern  '  in  S.  Pietro  '  per  indicare  un  luogo 
qualunque  degli  edifizj  annessi  ed  appartenenti  alla  basilica  Vaticana. 
Demnach  müsste  es  Vf.  correct  finden,  wenn  man  Michelangelos  Weltgericht 
nennt  in  S.  Pietro,  statt  in  der  Cappella  Sistina  —  die  ja  auch  ein  Cultgebäude 
nud  mit  der  Basilica  durch  Mauern  verbunden  ist. 


92  CH.    HUELSEN 

Mein  Aufsatz:  Die  Kegia  (Jahrbuch  des  Instituts  1889  S.  228-253) 
giobt  zunächst  eine  Uebersicht  über  die  zwischen  Castor-  und  Faustinentempel 
seit  dem  16.  Jhdt.  gemachten  Ausgrabungen,  unter  Heranziehung  auch  un- 
gedruckten Materials ;  sodann  einen  Bericht  über  die  mit  Bewilligung  der 
Birezione  geiierale  degli  scavi  im  December  1888  und  Januar  1889  auf 
der  Stätte  der  Regia  angestellte  Ausgrabung,  welcher  durch  einen  Plan  und 
Detailzeichnungen  vor  F.  0.  Schulze  erläutert  wird ;  endlich  einen  Recon- 
structionsversuch  desjenigen  Teiles  des  Gebäudes  (es  ist  der  dem  Vestatempel 
benachbarte),  an  welchem  die  Blöcke  der  Fasti  consulares  und  triumphales 
angebracht  waren.  Dieser  Versuch  unterscheidet  sich  von  dem  Nicholsschen 
dadurch,  dass  er  die  Triumphalparastaten  wieder,  wie  es  Henzen  gethan,  zu 
Seiten  der  dritten  und  vierten  Consulartafel  annimmt,  während  die  erste 
und  zweite  Consulartafel,  nicht  von  Parastaten  flankirt,  auf  die  Westwand  des 
Gebäudes  kommen.  Die  Notwendigkeit  dieser  Aei  derung  ergiebt  sich  aus  dem 
erst  kürzlich  wieder  aufgefundenen  Anfangsstück  des  ersten  Parastaten  mit 
dem  Romulustriumph,  dessen  Capitell  einer  Ecke  des  Gebäudes  angehört 
haben  muss. 

Sal.  Rein.vch,    Varc   de  Titus   et    les   d('2J0uilles   du   temple   de  Jerusalem. 

Paris  1890.  31  SS.  1  Tf. 
ursprünglich  Vortrag  (in  der  Socieie  des  Studes  Julves)  über  die  Eroberung 
Jerusalems  durch  Titus,  die  Tempelschätze  und  ihre  Schicksale,  giebt  u.  A. 
auch    eine    detaillirte  Beschreibung   der  Reliefs    des  Titusbogens,  ohne   neue 
eigene  Forschung  (vgl.  0.  Richter,  Berl.  philol.  Wochenschrift  1890  S.  1564). 

Die  im  cod.  Hamburgens.  des  Über  ystoriarum  Romanarum  enthaltene 
Zeichnung  des  einen  Innenreliefs  des  Titusbogens  ist  oben  (S.  76)  erwähnt. 

G.  Bergsoe,    Vamphithöatre    des  Flaviens.     Paris    und    Poitiers,  Oudin.    o. 

J.  63  SS.  16. 
wird  zwar  in  Bibliographien  über  römische  Stadtgeschichte  citirt,  ist  aber  ein 
Phantasiestück,    das    nicht   unter   die  Topographie,  sondern    unter  die  si  dis 
placet  schöne  Litteratur  gehört. 

Jordan  hat  in  Bursians  Jahresber.  1879  S.  415  sehr  bestimmt  die 
Behauptung  ausgesprochen,  dass  man  «  zum  Constantinsbogen  Avie 
ursprünglich  zum  Severusbogen  auf  Stufen  hinaufgestiegen  »  sei :  Narduccis 
Angabe  {fognatura  di  Roma  Tf.  13),  dass  das  Pflaster  der  «  Via  Trionfale 
dl  Costantino  "  in  einer  Höhe  von  18,63  m.  ü.  M.  constatirt  sei  (modernes 
Niveau  im  mittleren  Durchgang  des  Bogens  m.  21,52),  schien  eine  annähernde 
Schätzung  (mindestens  5  Stufen,  dann  geneigte  Pflasterstrasse)  zu  gestatten. 
Um  zu  gesicherten  Resultaten  zu  gelangen,  unternahm  ich  im  April  1890  in 
einem  der  Seitendurchgänge  mit  Bewilligung  der  D>rczwnc  generale  degli 
scavi  eine  Nachgrabung,  deren  Ergebniss  der  obigen  Ansicht  nicht  günstig 
ist.    Von   Stufen  fand  sich  keine   S])ur;  dagegen    er.  0,80  m.   unter   Terrain 


JAHRESBERICHT    UEBER   TOPOGRAPHIE   DER   STADT    ROM 


93 


ein  Travertinfundament,  über  welchem  eine  einzige  Marmorstufe  gelegen  hat, 
wie  die  leicht  erkenntliche  Abarbeitung  in  den  correspondirenden  Blöcken  der 
Seitenpfeiler  unzweifelhaft  macht.     Ausserhalb   des    Durchganges   fand   sich 


A 


T 


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ein  wohl  noch  an  seiner  Stelle  liegender  Pflasterstein  von  Basalt ;  davor  ein 
0,41  m.  breiter  "Abzugscanal  in  Ziegelmauerwerk  aus  später,  aber  wohl  noch 
antiker  Zeit. 


E.  Petersen,    i    rilievi    tondi    delVarco    di  Costantino    (Mittheilungen  des 

röm.  Inst.  1889  S.  314-339) 
analysirt  zunächst  eingehend  die  von  älteren  Bauten  genommenen  Architektur- 
stücke des  Constantinsbogens.  Dass  dieselben,  wie  man  gewöhnlich  annimmt, 
sämtlich  von  einem  Bogen  des  Trajan  stammen,  ist  nicht  richtig.  Auch  von  den 
sicher  trajanischen  haben  die  grossen,  jetzt  rechts  und  links  im  Hauptdurch- 
gang und  an  der  oberen  Attika  angebrachten  Kampf-  und  Einzugsreliefs  wegen 
ihrer  Dimensionen  —  er.  20  m.  ununterbrochenes.  Relief  —  schwerlich  einem 
Bogen  angehört.  Die  Gesimsstücke  zeigen  ferner,  dass  das  ursprüngliche 
Monument  keine  vorgelegten  Säulen  hatte,  über  welchen  sich  das  Gesims 
verkröpfen  musste.  Sicher  nicht  in  die  Epoche  Trajans,  sondern  in  die  der  An- 
tonine gehören  die  grossen  jetzt  zum  Schmuck  der  Attika  verwendeten  Reliefs: 
AUocution,  Pompa,  Opfer  etc.  lieber  die  Rundreliefs  wird  nachgewiesen,  dass 
sie  ursprünglich  auf  mehreren  Fassaden  eines  Monuments,  wahrscheinlich 
eines  ßogens,  angeordnet  waren. 


94 


CH.    HUELSEX 


Kaiser  fora. 

Die  Ausgrabung  des    Augustusforams,   über    welche  TJB  1889 
S.  247-249  referirt  wurde,  ist  zu  einem  yorläufigen  Stillstand  gekommen,  eine 


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Fortsetzung  nur  möglich,  wenn   der  Häuserblock   zwischen  Via  Bonella  und 
Via  Alessandrina  expropriirt  und  niedergelegt  sein  wird:  wozu  fürs  erste  keine 


JAHRESBERICHT  üEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM 


95 


Aussicht  vorhanden  ist.  lieber  die  gewonnenen  Eesultate  wird  daher  eine 
vorläufige  Uebersicht,  welche  der  definitiven,  von  zuständiger  Seite  zu  erwar- 
tenden Aufnahme  nicht  vorgreifen  soll,  am  Platze  sein  ('). 

Die  Grenzen  der  Gesammtanlage  und  der  Grundriss  der  grossen  südlichen 
Exedra  (s.  beigefügte  Skizze)  waren  durch  die  über  der  Erde  hervorragenden 
Mauerreste  so  weit  bekannt,  dass  die  weitere  Freilegung  hier  wesentliches  nicht 
hinzufügen  konnte.  Von  Wichtigkeit  aber  ist  die  Konstatirung  einer  Pfeilerbasis 
in   der   Sehne    der  Halbkreismauer.     Auf   einer  0,16  m.    liobou    Plinthe    von 


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1,45X1,32  m.  setzt  die  Basis  eines  rechteckigen  Pfeilers  von  1,25X0,995  ni. 
an,  dem  sich  eine  Halbsäule  verlegt.  Die  Stellung  der  Basis  im  Verhältniss 
zu  dem  Peperinkern  der  Um_fassungsnianer  lässt  vor  letzterem  genügend  Platz 
für  einen  vorgelegten  Marmorsockel  (m.  0,55). 


(')  die  TJB  1889  a.  a.  0.  citierten  Berichte  über  einzelne  Xeuiunde  sind 
fortgesetzt  von  Gatti,  Notizie  degli  scavi  1890  S.  317-320;  Bull,  comun.  1890 
S.  251-259. 


96 


CH.   HUELSEN 


Obwohl  durch  die  neuen  Ausgrabungen  nur  ein  Pfeiler  freigelegt  ist, 
lässt  sich  doch  über  die  Ordnung,  zu  der  er  gehörte,  Sicheres  feststellen  aus 
der  von  Borsari  (Atti  deWAccad.  dei  Lincei  vol.  XIII  Tf.  III)  herausgegebenen 
Zeichnung  des  Antonio  da  Sangallo  (Florenz,   Uffizien  790).  Anfangs  des  IG. 


Jahrhunderts  wurden  Ausgrabungen  sowohl  in  der  südlichen,  wie  in  der  nörd- 
lichen Exedra  unter  dem  Kloster  der  Annuiiziata  gemacht:  damals  fand  sich 


JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM 


97 


ein  ganz  ähnlicher  Pfeiler  (i)  aber  nicht,  wie  der  neuentdeckte,  zunächst  dem 
Ende  der  Rundmauer,  sondern  correspondirend  der  Ecke  der  grossen  Mittel- 
nische, resp.  dem  Durchgaugsportal  nach  dem  Traiansfuruni.    Sangallu  notirt 


neben  dem  Pfeiler:  questo  pilastro  o  vistu  in  opera  canalato,  ed  e  in  quesio 
locho  cli  marmo  cipollino  {^) ;  ferner  zeichnet  er  zwischen  dem  rechten  Mit- 


(1)  Dies  ergiebt  sich  aus  den  Zeichnuntren  Sangallo's  (ausser  790  auch  1139; 
Borsari  a.  a.  0.  Tf.  I)    und   Peruzzi's  (Uff.  676  ;  Borsari  Tf.  II). 

(2)  Dass    hierzu    die    neuerdings   gefundenen    Cipollinfragmente    {Bull. 


98    .  CH.    HUELSEN 

telpfeiler  (A  auf  unserer  Skizze)  und  der  Ecke  der  Halbrundniaucr  den  An- 
fanty  einer  Säulenreihe,  mit  der  Bemerkung:  qui  erano  colonne  dl  mistio, 
non  so  quante,  se  ne  cavö  dm  col  ditto  pilastro  pure  canalaü.  Schäfte  von 
Marmo  africano  sind  aucli  bei  den  neuen  Ausgrabungen  zu  Tage  gekommen, 
unter  diesen  einer  (Dm.  des  erhaltenen  Stückes  m.  0,80,  ganzer  unterer  Dm. 
vielleicht  0,89  =  3  F.)  wohl  noch  nahe  seiner  alten  Stelle  am  Boden  liegend. 
Da  die  Stellung  der  Säulen  naturgemäss  den  Teilungen  des  erhaltenen  Fuss- 
bodens  entsprochen  haben  wird,  erhalten  wir  zwischen  den  Pfeilern  Platz  für 
je  zwei  Säulen.  Die  Exedra  war  sonach  weder,  wie  meistens  angenommen 
wurde,  nach  dem  Forum  in  ihrer  ganzen  Breite  offen,  noch  durch  eine  Por- 
tikus aus  zwei  Säulenreihen  abgeschnitten  :  wir  haben  statt  dessen  eine  ein- 
fache Pfeiler-  und  Säulenreihe  mit  darüberliegendem  Gebälk  (i),  deren  Höhe 
sich  annähernd  auf  9  V2  m-  berechnen  lässt.  Wozu  soll  dieses  eigenthümliche 
Arrangement  gedient  haben  ?  Zur  Beantwortung  dieser  Frage  müssen  wir  die 
Dekoration  der  grossen  Halbrundmauer  ins  Auge  fassen. 

Der  erhaltene  Teil  (s.  Skizze  S.  96)  zerfällt  in  drei  Zonen  («).  Zu  unterst 
in  einer  Höhe  von  2,40  m.  (4  in  den  Höhen  differierende  Quaderlagen  von  0,62 
-H0,62-H0,59-i-0,56  m.)  über  dem  Pflaster,  rechteckige  Kischen  von  6  Quadern 
Höhe  fcr.  3,30  m.),  1,50  Breite,  0,63  Tiefe,  dann  eine  15  Quadern  (er.  8^2  m.) 
hohe,  durch  keine  Kischendekoration  (^)  unterbrochene  Wandfläche,  über  der  ein 
Travertinband  resp.  Profil  durchgehl;  unmittelbar  über  dieser,  also  er.  15  m. 
über  dem  Pflaster,  eine  zweite  Eeihe  Mschen,  üie  bei  gleichen  Breiten  eine  Höhe 
von  4  Quadern  (er.  2,25  m.)  habeo;  darüber  dieselben  Travertinimposten  wie 
bei  der  unteren  Reihe ;  von  der  Nische  bis  zum  Abschlussgesims  dann  noch  9 
Quaderlagen.  Ueber  dem  Abschlussgesims  stehen  seitlich  resp.  an  der  Hinter- 
front des  Mars  Ultor  noch  8  weitere  Schichten  aui,  die  ein  einfacher  Tra- 
vertinstein  deckt.  Dass  in  der  unteren  Kischenreihe  die  Statuen  der  be- 
rühmten Feldherrn  der  Pepublik  Aufstellung  gefunden  haben,  darf  als  sicher 
betrachtet  werden.  Von  den  Statuen  selbst,  (welche  nach  Cassius  Dio  55,  10 


comun.  1890  S.  252)  s-ehört  hätten,  scheint  durch  die  Maasse  ausgeschlossen. 
Der  Durchmesser  der  Halbsäule  ist  m.  1,055,  während  die  Säulenbruchstücke 
(deren  Kanneluren  übrigens  durch  flache  Stäbe  ausgefüllt  sind)  auf  einen  Dm.- 
von  1.60  schliessen  lassen. 

(1)  Die  isolierte  Stellung  der  Pfeiler-  und  Säulenreihe  erscheint  auffällig; 
aber  das  Eingreifen  eines  Gebälkes  in  die  Peperinwand  ist  nicht  zu  consta- 
liren  Auf  eine  vermutungsweise  Wiederherstellung  der  Unterwand  (bei  der  die 
Ecklösuns  besondere  Schwierigkeiten  bereiten  würde)  haben  wir  für  jetzt  ver- 
zichtet :  Aufklärung  könnte  vielleicht  die  Fortsetzung  der  Ausgrabungen  brin- 
gen. —  Im  spätesten  Altertum  oder  frühen  M.  A.  wurden  die  Intercohimnien 
durch  eine  Mauer  geschlossen.  Borsari  a.  a.  0.  S.  7 

(2)  Ich  bemerke,  dass  die  Angaben  von  Palladio,  Labacco  und  Canina 
über  Zahl  der  Schichten  und  Höhenlage  der  Nischen  unzuverlässig  sind. 

(:<J  Die  Oefi"nung  über  der  ersten  Nische  links  ist  neueren  Ursprungs. 


JAHRESBERICHT   UEBER   TOPOGRAPHIE   DER   STADT    ROM  99 

ehern  (i)  waren)  ist  nicht  der  gerin<?ste  Rest  zu  Tage  gekommen:  nicht  unwichtig 
dagegen  sind,  auch  für  die  architektonische  Rekonstruktion,  die  unter  diesen 
Statuen  angehracliten  Elireninschriften  (elogia),  auf  welclie  (unter  teilweiser 
Berichtigung  des  TJB  1889  S.  248  gesagten)  desshalb  näher  eingegangen  wer- 
den niuss  (2). 

Es  ist  eine  schöne  Beobachtung  Bormann's  {Bull,  comun.  1889  S.  481), 
dass  diese  Inschriften  regelmässig  in  zwei  Teile  zerfallen :  Name  und  cursus 
honorum  auf  der  Pliuthe  der  Statue,  die  res  gestae  auf  geränderten  Tafeln 
unter  der  Nische  (3).  Die  Plinthen  der  Statuen,  deren  Dimensionen  sich  aus  den 
hesterhaltenen  (Sulla  und  ein  Claudius,  vielleicht  Pulcher;  TJB  1889  S.  248, 
Mitteilungen  1890  S.  311)  genau  constatiren  lassen  (0,39  hoch,  0,87  breit 
0,59  tief)  boten  auf  der  (von  einem  0,05  breiten  Rande  eingerahmten)  Vorder- 
fläche Platz  für  drei  Schriftzeilen.  Reichten  diese  für  den  cursus  honorum 
iiiclit  aus,  wie  das  z.  B.  bei  Marius  der  Fall  war,  so  setzte  man  den  Schluss 


(1)  Das  Fragment  einer  Panzerstatne,  erhalten  von  den  Hüften  bis  zum 
Halsansatz  (Torsolänge  1,22  m.)  welches  Bull,  comun.  1890  Tf.  XIV  abge- 
b)ildet  ist,  kann  demnach  nichts  mit  den  Triumphalstatuen  zu  thun  haben. 

(2)  Bestimmt  sind  bisher  folgende  Elogien : 

1)  Ap.  Claudius  Caecus;  vgl.  TJB  1889  S.248  und  diese  Mitteilungen  1890  S.312. 

2)  C.  Duilius ;  Mitteilungen  1890  S.  305  ff. 

3)  Q.  Fabius  Maximus;  Bormann  Bull,  comun.  1889  S.  481. 

4)  L.  Cornelius  Scipio  Asiaticus  ;  Gatti  Bull,  comun.  1890  S.  257. 

5)  Q.  Caecilius  Metellus  Numidicus ;  Mommsen  Mitteil.  1891  S.  151. 

6)  C.  Marius  ;   C.  I.  L.  VI,  1315  ;  vgl.  Mitteilungen  1890  S.  308. 
•    7)  L.  Cornelius  Sulla  Felis  ;  TJB  1889  S.  248. 

Von  diesen  sind  in  Arretiner  Copien  erhalten  1,  3  und  G;  aus  der  Arretiner  Serie 
kennen  wir  weiter  folgende,  von  deren  römischen  Originalen  Fragmente  bisher 
nicht  u'efunden  sind  : 

8)  M.Valerius  Poplicola       CLL.  XI,  1826. 

9)  L.  Aemilius  Paullus  1829. 

10)  Ti.  Sempronius  Gracchus  1830. 

11)  L.  Licinius  Lucullus  1832. 

Hinzu  treten  die  der  Mythenzeit  angehörenden  aus  Pompeji  (Aeneas  und  _Eo- 
mulus)  und  Lavinium  (Lavinia  und  Silvius  Aeneas).  Dagegen  ist  auszuscheiden 
das  im  vorigen  Bericht  (S.  248,  vgl.  Bull,  comun.  1890  S.  102)  erwähnte  des 
C.  Claudius' Pulcher  (C  /.  L.  VI,  1285).  Ich  habe  inzwischen  den  Stein  zu 
revidiren  Gelegenheit  gehabt ;  die  Buchstaben  sind  elegant,  aber  klein,  so 
dass  das  Stück  mit  den  Originalen  vom  Augustusforum  nichts  zu  thun  gehabt 
liaben  kann.  Ueberhaupt  ist  mir  die  von  Lanciani  versuchte  Zuweisung  der 
Inschriften  welche  am  Schluss  den  Collegen  des  Dargestellten  nennen  [cos. 
cum  ,  pr.  cum )  wieder  sehr  zweifelhaft  geworden.  Weder  die  Arre- 
tiner, noch  die  sicheren  römischen  Exemplare  haben  diese  Formel ;  und  das 
von  Lanciani  augezogene  bauliche  Argument  (vgl.  TJB  1889  S.  248)  erledigt 
sich  nach  dem  oben  Gesagten  von  selbst. 

(3)  Von  den  Fragmenten  des  Duilius-Elogiums  haben  die  aus  der  Mitte 
der  Tafel  0,03,  die  vom  Rande  0,05  m.  Stärke.  Die  Platte  war  also  auf  der 
Vorderseite  concav,  der  Rundung  der  Exedra  angemessen,  während  die  glatte 
Eückseite  in  die  Peperinwand  eingelassen  war. 


IQQ  CH.    HIELSEN 

der  Aemterreihe  auf  die  Tafel  (i).  Für  die  Dimension  der  Tafeln  giebt  uns  das 
Elogium  des  Ap.  Claudius  Caecus  die  Hohe  mit  er.  0,80,  das  des  Duilius  die 
Breite,  mit  etwa  2  m. :  die  Inschrift  des  Ap.  Claudius  hatte  bei  einer 
Buchstabenhöhe  von  0,075-0,085  m.  sechs  (2),  die  des  Duilius  bei  einer 
Buchstabenhühe  von  0,05-0,055  m.    acht   Zeilen  (3). 

Die  Elogientafeln  sind  so  breit,  dass  sie,  über  die  Breite  der  Nischen 
beiderseitig  hinausgreifend,  kaum  1  m.  Raum  zwischen  einander  lassen.  Es 
ist  demnach  unmöglich,  für  jede  Nische  eine  besondere  umrahmende  Ar- 
chitektur mit  eigenem  Gebälk  oder  vorgelegten  Vollsäulen  (')  anzunehmen  : 
vielmehr  dürfte  die  "Wand  als  ein  Ganzes  dekorirt  gewesen  sein:  über  die  Art 
der  Dekoration  lässt  sich  bis  jetzt  nichts  bestimmtes  sagen  (S).  Schwierig- 
keiten macht  der  obere  Abschluss  der  Nischenzone  :  an  ein  stark  vorsprin- 
gendes Gesims,  welches  sicher  in  den  Mauerkern  eingebunden  gewesen  wäre, 
ist  nicht  zu  denken.  Dass  auch  die  obere  Nischenreihe  Triumphalstatuen 
enthalten  habe,  ist  mir  unwahrscheinlich  ;  die  Basisinschriften  und  Elegien 
würden  bei  einer  Höhe  von  er.  15  m.  über  dem  Pflaster  nicht  mehr  der  be- 
kannten Forderung  genügt  haben,  ut  de  piano  recte  legi  possent.  Eher  mag 
man  sich  also  die  oberen  Nischen  mit  Trophäen  oder  dgl.  ausgefüllt  denken. 
Wesshalb  blieb  nun  die  ]\Iittelzone  der  Wand  glatt,  oder  nur  durch  Pilastertei- 
lungen  gegliedert?  Vielleicht  erklärt  die  Rücksicht  auf  einen  praktischen 
Zweck  dieses,  und  zugleich  die  Existenz  der  Pfeilerreihe. 


(1)  Hiernach  ist  an  Bormanns  und  Lancianis  Restitutionen  einiges  zu 
ändern.  Vgl.  Mitteilungen  1890  S.  302  ff". 

(2)  Sieben  Zeilen  von  je  0,055  m.  Höhe  hat  das  noch  nicht  mit  Sicherheit 
ergänzte,  vielleicht  auf  A.  Postumius,  den  Sieger  am  See  Regillus  zu  be- 
ziehende Fragment  (Gesamthöhe  0,63  m.)  Bull.  com.  1890  S.  257,  welches  links 
Rand  hat  und  vor  dessen  erster  Zeile  nichts  vorhergegangen  zu  sein  scheint. 

(3)  Die  Grössenverhältnisse  bei  dem  Elogium  des  Marius,  welches  nicht 
weniger  als  16  Zeilen  hat,  müssen  auffallen;  ich  halte  es  für  möglich,  dass 
hier  in  der  That  die  beiden  Hälften  des  Elogiums  (welches  dann  unter  einer 
der  Nischen  in  den  geraden  Wänden  zu  stehen  käme)  nebeneinander,  sei  es  in 
zwei  Tafeln  mit  besonderer  Einrahmung,  sei  es  auf  derselben  Tafel  in  zwei 
Columnen  geschrieben  waren.  Dann  repräsentirt  das  Neapolitaner  Fragment 
(Höhe  m.  0,65  ;  der  Rand  fehlt)  die  erste,  das  römische  die  zweite  Coluinne. 

(4)  Dass  Sangallo  a.  a.  0.  der  Mauer  Vollsäulen  vorlegt,  ist  kein  Gegen- 
grund :  schon  die  falsche  Anzahl  der  ganz  flüchtig  angegebenen  Nischen  be- 
weist, dass  er  hier  Dinge  zeichnet  die  er  gesehen  zu  haben  nicht  einmal  bean- 
sprucht. Canina  stellt  zwischen  die  Nischen  Vollsäulcn  von  er.  0.90  m.  Durch- 
messer, deren  Dimensionen  die  Anbringung  der  Elugien  unmöglich  machen. 

(^)  Möglich  wäre  eine  Dekoration  mit  vor  die  Wand  gelegten  Halbsäu- 
len: auch  sind  in  den  neuesten  Ausgrabungen  bemerkenswert  viele  Halbsäu- 
lenschäfte  aus  Giallo  antico  und  entsprechende  Kapitale  aus  weissem  Marmor 
gefunden.  Ob  diese  in  der  That  ihren  Platz  hier  hatten,  inüsste  sich  durch 
Untersuchung  der  Fundamente  ergeben.  Dass  die  untere  Zone  der  Wand  einen 
Marmorbelag  hatte,  ist  schon  wegen  der  P^logientafehi  sicher.  In  den  oberen 
Zonen,  deren  Gesimse  von  Travertin  sind,  wird  man  sich  statt  dessen  mit 
Stuckirung  begnügt  haben. 


JAHRESrsERICIIT    UEIiER   TOI'OGRAl'HIE    DER   STADT    ROM  101 

Die  Verwendung  des  Forums  zu  Gerichlsverliandlngen  ist  bekannt  genug  ; 
wenn  der  Kaiser  in  foro  Augusti  zu  Gericht  sitzen  wollte,  war  die  grosse 
südliche  Exedra  gewiss  ein  geeignetes  Lokal.  Schwerlich  wird  man  sich  da 
immer  von  der  Gunst  des  Wetters  abhängig  gemacht  haben,  vielmehr  ist  die 
Möglichkeit  einer  zeitweiligen  Ueberdeckung  gewiss  vorauszusetzen.  Ein  Ve- 
larium  konnte  wohl  am  Gebälk  der  einzelnen  Pfeilerreihe  einerseits  befestigt 
werden  :  die  corresi>ondirenden  Stützpunkte  mussten  dann  in  der  Mittelzone 
angebracht  werden,  so  dass  diese  einfacher,  ohne  Nischen-  und  Statuenschmuck, 
gehalten  werden  musste. 

Was  die  Zahl  der  von  Augustus  einer  Statue  gewürdigten  Feldherrn 
betrifft,  so  geben  auch  die  neuen  Ausgrabungen  dafür  keine  sicheren  Eesultate. 
Jede  der  Esedren  enthielt  2X7,  also  beide  zusammen  28  Nischen  (ausschliess- 
lich der  grossen  Mittelnische) ;  dazu  kamen  in  der  Rückwand  des  Forums, 
nördlich  und  südlich  vom  Mars  Ultor,  noch  je  4  :  insgesammt  also  36.  Wie 
viele  noch  in  dem  westlichen  Teile  des  Forums  in  utraque  poriicu  aufgestellt 
waren,  lässt  sich  bei  der  Ungewissheit,  Avelche  über  die  bauliche  Einrichtung 
jenes  Teiles  noch  besteht,  auch  nicht  einmal  vermuten  {}). 

Ueber  das  Argiletum,  die  grosse  vom  Forum  nach  den  primae  fauces 
der  Subura  führende  Strasse,  deren  erste  Strecke  {imum  Argiletum)  von 
Domitian  und  Nerva  zu  dem  Prachtbau  des  Forum  transitorium  umgewandelt 
wurde,  handelt  Lanciani  Bull,  comun.  1890  S.  98-102.  Der  untere  Lauf  muss 
mit  der  jüngst  constatirten  Cloaca  Maxima  (s.  o.  S.  88)  correspondirt  haben; 
weiter  hügelwärts  entsprach  sie  etwa  den  modernen  Strassen  Via  dei  Monti 
und  Via  Leonina. 

Im  Gebiete  des  Nervaforums  fand  man  den  Unterarm  einer  Colossal- 
statue  mit  Schwert  in  der  Hand  {Notizie  1889  S.  337  ;  BuU.  comun.  1889 
S.  401):  das  Material  ist  griechischer  Marmor,  die  Arbeit  elegant,  dem  bekannten 
'  Mars'  des  Kapitolinischen  Museums,  der,  wie  Lanciani  (Vaula  e  gli  uffizi  del 
Senato  romano  S.  23)  nachgewiesen  hat,  gleichfalls  vom  Nervaforum  stammt, 
durchaus  entsprechend.  Bei  anderen  Funden,  die  besonders  bei  Fortsetzung 
der  Via  Cavour  gemacht  sind,  bleibt  es  streitig  ob  sie  dem  Nervaforum  oder 
dem  angrenzenden  Platze  des  Templum  Paris  zuzuweisen  sind :  so  das  Bruch- 
stück einer  Monumentalinschrift  in  Bronzebuchstaben,  wahrscheinlich  auf 
Trajan  bezüglich  {Notisie  1889  S.  186;  Bull,  comun.  1889  S.  206);  Fragment 


(1)  Es  verdient  hervorgehoben  zu  werden  ,  dass  die  sämtlichen  hier 
gefeierten  Männer  in  dem  Buche  de  viris  illustribus  wiederkehren,  ja  dass  die 
Auswahl  der  aus  ihrem  Leben  hervorgehobenen  Facta  und  selbst  der  Ausdruck 
merkwürdige  Berührungen  zeigt.  Wenn  man  auch  nicht,  wie  s.  Z.  Borghesi 
versuchte,  die  Augustischen  Elogia  schlechthin  als  Hauptquelle  des  Buches 
de  viris  illustribus  annehmen  kann,  so  dürfte  doch  die  Serie  der  augustischen 
viri  illustres  der  des  Geschichtsbuches  (mit  den  selbstverständlichen  Ausnah- 
men, wie  c.  42.  54.  71.  76)  sehr  nahe  stehen. 


102  CH.    HLELSEN 

eines  grossen  Marniorfricses,  sitzende  männliche  Figur  (]\Iars  ?)  mit  Chlamys 
[Notizie  1890  S.  239:  Bull,  comun.  1890  S.  226);  Granitsäulen  (er.  0,90  m. 
Durchm.)  und  zahlreiche  andere  Architekturstücke  (A'ioii^je  1889  S.  400;  1890 
S.  151;  Bull,  comun.  1889  S.  487).  Das  Pflaster  eines  der  Fora,  aus  grossen 
Travertinblöcken  mit  eingehaiiener  Eegenrinne,  wurde  in  einer  Tiefe  von  7  m. 
unter  dem  modernen  Strassenplanum  constatirt  (Notizie  a.  a.  0.;  Bull.  com. 
a.  a.  0.). 

L.  DüCHESNE,  le  forum  de  Newa  et  ses  environs  [notes  sur  la  topographie 
de  Borne  au  moyen-äge  n.  IV;  Melanges  de  VEcole  Fran^aise  de  Borne 
1889  S.  346-355). 
beschäftig-t  sich  mit  den  auch  von  Jordan  Top.  II.  S.  473  ff  behandelten 
Stücken  der  Prozessionsordnung  des  Kanonikus  Benedict  (um  1150),  welche  die 
Kaiserfora  betreifen.  Im  Gegensatz  zu  Jordan  {})  greift  er  zurück  auf  die  (schon 
von  Bunsen  Beschr.  Borns  3,  2,  184  behauptete)  Identificirung  des  «  Forum ' 
Traiani  »  mit  dem  wahren  Nervaforum  und  gelangt  zu  folgenden  Gleichungen  : 

Forum  Caesaris  =  Forum  Bomanum 

Forum  Nervae  =  F.  August i  (u.  Julium) 

Arcus  Aureae  =  Durchgangsbogen  auf  der  N.  Seite  des  Nerva- 

forums 
Arcus    Nerviae    (wofür    D. 

Minervae  lesen  wöchte)      =  Bogen  zwischen  Caesar -u.  Faustinatempel  (2) 
Templum  Nerviae  [Minervae)  =  Faustinatempel 
Templum  Jani  =  T.  Divi  Juli 

Arcus  Nervae  =  T.  Jani 


In  der  Hauptsache  stimme  ich  D.  zu  (3),  der  namentlich  durch  die  mit  Hülfe 
des  Turiner  Kirchenverzeichnisses    (welches    J.   übersehen   hatte)    gewonnene 


(1)  Mehrfach  sucht  D.  (S.  347  not.  3  ;  S.  349.  350)  eine  angebliche  Behaup- 
tung Jordans  lächerlich  zu  machen,  dass  die  sacra  via  im  12'*^"  Jhdt.  bei  S.  Lo- 
renzo  in  Miranda  gesperrt  gewesen  sei  par  Vcboulement  d\m  edifice  ontique :  ein 
accident  banal,  das  ein  Dutzend  Arbeiter  in  einigen  Stunden  bereitigt  hätten ! 
Das  hat  J.  gar  nicht  behauptet:  seiner  Ansicht  nach  war  die  sacra  via  ge- 
sperrt durch  Befestigungen  der  Frangipani.  welche  sich  vom  Titus-  bis  zum 
Fabierbogen  hinzogen  (Top.  II  S.  476).  Die  Existenz  mittelalterlicher  Befe- 
stigungen an  dieser  Stelle  ist  durch  lilterarische  Zeugnisse,  durch  alte  Veduten 
(z.  B.  die  gleich  zu  citirende  Escorial-Zeichnung),  und  den  Ausgrabungsbefund 
V.  J.  1872  (Eosa  relazione  S.  58)  gesichert. 

(2)  Dass  dieser  Bogen  etwas  zu  tliun  haben  könnte  mit  dem  auf  der 
Escorialzeichnung  (TJB  1889  S.  237)  dargestellten  vor  S.  Lorenzo  in  Miranda 
ist  mir  nicht  sicher,  da  mir  der  antike  Ursprung  dieses  letzteren  nach  wie  vor 
zweifelhaft  ist. 

(3)  Dasselbe  thut  auch  Lanciani  in  seinem  Aufsatz  :  V  itinerario  di  Bene- 


JAHRESBERICHT    UEBER   TOPOGRAPHIE   DER   STADT    ROM 


103 


Ansetzung-  des  Arcus  Aureae  in  diese  schwierige  Stelle  Licht  gebracht  hat. 
Zweifelhaft  bleibt  die  Gleichsetzung  des  arcus  triumphalis  inter  templiün 
fatale  et  templum  Concordide  mit  dem  Severusbogen,  welcher  wohl  schon  zur 
Zeit  Benedicts  durch  dieselben  Anbauten  gesperrt  gewesen  sein  dürfte,  die  in 
der  bekannten  Bulle  Innoccnz  III  v.  J.  1199  {^)  aufgezählt  werden;  und  Jordan 
wird  mit  grösserem  Recht  (S.  414.  457.  475)  an  einen  Bogen  über  dem  sog. 
Clivus  Argentarius  gedacht  haben.  --  Den  Arcus  Nervae  hält  D.  für  den  Janus, 
dessen  Eeste  er  (mit  Bezug  auf  Lanciani,  Atti  clelVAcc.  clei  Lincei,  3.  ser. 
tom.  XI)  als  bei  S.  Adriano  noch  im  16'^"  Jhdt.  existirend  voraussetzt.  Dass 
das  von  Lanciani  a.  a.  0.  besprochene  Gebäude  mit  dem  Janus  nichts  zu  thun 
hat,  habe  ich  Annali  delVIst.  1884  S.  323  (vgl.  TJB  1889  S.  242)  nachge- 
wiesen. Ich  halte  den  Arcus  Nervae  eher  für  einen  der  Durckgangsbögen 
in  der  südlichen  Abschlussmauer  des  Nervaforums,  etwa  in  der  Gegend  von 
V.  della  Salara  vecchia. 

Kapitol. 

Zu  den  TJB  1889  S.  252-254  besprochenen  Weiliinschriften  an  den 
Juppiter  Capitolinus  kommen  zwei  Fragmente,  Avelche,  obwohl  vielleicht  seit 
mehreren  Jahrhunderten  in  einem  Privathause  (vicolo  Orbitelli  N.  7.  8) 
eingemauert,  doch  der  Aufmerksamkeit  aller  Epigraphiker  entgangen  waren. 
Nach  einer  Mitteilung  des  Hrn.  L.  Nardoni  veröffentlicht  sie  Gatti  {Notizie 
1890  S.  185.  186;  Bull,  comun.  1890  S.  174-176): 


IW  M  A  X  O  Y      X/W 
i  ] 

X  V  M  I         •       CA^ ' 
CI V  S  Q_V  E     •     SV 


\    V    JYl     /    / 

/   /  1 

:^ 

O  C  I  V  S  Q_V  E 

OLINO 

ET- 

RO 

Die  Buchstaben  sind  gut,  dem  Schriftcharakter  der  letzten  republikanischen 
Zeit  entsprechend;  die  Punkte  viereckig,  wie  in  dem  Fragment  vom  Quirinal 
TJB  1889  S.  276.     Offenbar   haben  wir  es  mit  zwei  Exemplaren   einer  und 


detto  canonico  (Jlfon.  dei  Lincei  vol.  1  punt.  3,  1891),  dessen  Erscheinungs- 
termin bereits  über  die  für  diese  Berichte  gesteckte  Zeitgrenze  hinausgreift. 

(1)  Dieselbe  nimmt  ja  für  die  Beschreibung  der  der  Kirche  selbst  nächst- 
liegenden Baulichkeiten  Bezug  auf  ein  dem  Benedictus  ungefähr  gleichzeitiges 
Document:  sicut  in  in.strumento  locationis  factae  a  bonae  memonae  Gregorio 
eiusdem  ecclesiae  diacono  cardinali  plenius  continetur.  Damit  gemeint  ist 
Gregorius  Tarquinius,  Cardinal  unter  Calixt  IL,  genannt  zwischen  1123  und 
1143  (Ciacconius  vitae  Card.  1,952;  Cristofori  stör,  dei  cardinali  1,231). 


104  CH.    HUELSEN 

derselben  Inschrift  zu  thun,  für  welche  Mommsen  a.  a.  0.  folgende,  zum  gros- 
sen Teil  natürlich  hypothetische  Ergänzung  giebt : 

Ja  Kcmerw)üo)  xc'i   Pomri  St']uov  av\ufi('c/ov  /«[(?'? 

vTio  ö'ijuov  ....  uned'ö'^^t] 

reverentiae  summae  et  amoris  rnajxnmi  causa 

populus amicus  sjociusque  su[is 

legibus  receptis  declit  lovi  Capitjolino  et  RoSjnae 

Dass  der  lateinische  Text  nicht  au  erster  Stelle  steht,  ist  auffällig. 

F.  M.  NicHOLS,  a  small  excavation  on  the  Capitollne  hill  {transactions  of 

the  British  and  American  archaeol.  society  1889  S.  181-182). 
berichtet  über  den  Fund  einer  Peperinmauer    beim    Ausgraben    eines  Kanals 
in  Via  del  Campidoglio  an  der  Südseite  des  Tabulariums,  am  G'*^"  April  1888. 

Die  Fortsetzung  der  Arbeiten  für  das  Victor-Emanuel-Monument  auf  der 
Höhe  von  Araceli  hat,  ausser  allerlei  Privatbauten  (iVojJisie  1889  S.  160.  186; 
Bull,  comun.  1889  S.  206),  nicht  unbeträchtliche  Reste  der  alten  Befesti- 
gungen zu  Tage  gefördert.  Lanciani,  welcher  dieselben  (N'otizie  1889  S.  361; 
1890  S.  215)  beschreibt,  hebt  die  Uebereinstimmung  dieser  mit  den  Stücken 
der  Servianischen  Mauer  in  Material,  Construction,  Steinmetzzeichen  (i)  her- 
vor. Gleichartig  seien  die  Mauerreste  in  via  delle  tre  File ;  bei  Pal.  Caffarelli; 
unter  der  N.  Ecke  des  Klosters  Araceli  (?  vgl.  TJB  1889  S.  254);  —  verschieden 
die  an  der  SO.  Seite  des  Hügels  [via  deWarco  di  Settimio). 

Am  Fusse  des  Capitols  haben  die  Arbeiten  für  dasselbe  Monument  (bei 
der  Kirche  der  Beata  Pdta,  nicht  S.  Brigida,  wie  Notizie  1889  S.  160  gedruckt 
ist;  vgl.  Bull,  comun.  1889  S.  206)  Eeste  von  Privathäusern,  welche  nach 
der  den  Nordrand  des  Hügels  begleitenden  antiken  Strasse  orientirt  waren, 
blosgelegt.  In  Via  Marforio  ist  der  längst  bekannte  Gusswerkkern  eines  Grab- 
mals (von  den  älteren  Topographen  für  die  von  Sueton  Tiber.  1  genannte  sepul- 
tura  gentis  Claudiae  suh  Capitolio  erklärt)  ganz  frei  gelegt:  unter  dem  mo- 
dernen Terrain  fand  sich  die  wohlerhaltene  Quaderbekleidung  (Läufer  und 
Binder,  Schichtenhöhe  0,59  m.);  von  der  Inschrift  leider  nur  ein  N,  von  der 
Marmorverkleidung  einige  Platten  mit  Versatzmarken:  im  ,  vi  {Notizie  1889 
S.  225;  Bull,  comun.  1889  S.  437). 

Palatin. 

Ausgrabungen  sind  auf  dem  Palatin  auch  in  diesem  Jahre  nicht  gemacht 
worden:  über  die  in  den  TJB  1889  S.  258  erwähnten  zwischen  Via  dei  Cerchi 
und  Vicolo  di  S.  Gregorio  trage  ich   nach,   dass   dort    einige,   der   mittleren 

(1)  Es    finden    sich,    immer    auf   den  Kopfseiten  der  Binderblöcke:    I^; 
m  (zweimal);  TI'  (zweimal);  Höhe  40  cm.  Zeichnung  lYotizie  1890  S.  215. 


JAHRKSBERICllT    UEBER   TOPOGRAPHIE    DER   STADT    ROM 


105 


Kaiserzeit  angehörige,  Privatbauteu  zwischen  der  Rückwand  des  Septizoniums 
und  den  Tabernen  an  der  den  Circus  Maxinius  östlich  begleitenden  Strasse 
anfgedeckt  sind,  von  denen  ich  durch  gütiges  Entgegenkommen  der  Diresione 
generale  degli  scavi  einen  Grundriss,  zur  Ergänzung  des  von  mir  im  46. 
Berliner  Winkelmannsprogramm  S.  31  gegebenen  Planes  mitteilen  kann. 


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1-4 

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Ueber  den  Namen  Septizonium  handelt  W.  Schmitz  in  Wülfflins 
Archiv  für  latein.  Lexikographie  Bd.  VII  S.  272.  In  den  Tironischen  Noten 
findet  sich  Septizonium  S.  159,  2  zusammengestellt  mit  zona,  zonula  und 
anderen  Noten  zur  Bezeichnung  von  Kleidungsstücken;  die  Bestandteile  des 
tachygraphischen  Notenbildes  schliessen  etymologischen  Zusammenhang  mit 
saepire,  saeptwin  aus,  und  bestätigen  die  numerale  Bedeutung  der  ersten  Silben. 
Septizonium  in  astronomischen  Sinne  findet  sich  in  Commodians  Instit.  I,  7. 
wo  es  "  die  sieben  kreisförmigen  Planetenbahnen  bedeutet,  von  denen  Saturn 
die  höchste,  der  Mond  die  niedrigste,  uns  nächste  beschrieb  ".  —  Ueber  ein 
Septizonium  in  Carthago  s.  o.  S.  75. 

Die  Transactions  of  the  British  and  American  archaeological  Society 
of  Borne,  vol.  I  n.  6  enthalten  S.  209-212  ein  Referat  über  einen  Vortrag, 
welchen  Lanciani  am  5.  April  1890  über   den   Palast   des   Augustus   in 


106  CH.    HUELSEN 

Villa  Mills  an  Ort  und  Stelle  gehalten  h  it.  Die  Ubicatioii  der  Roma  quadrata 
in  Villa  Mills  bezweifelt  er  nicht  und  teilt  mit  dass,  ?;•/((?/?  the  nuns  icere  digging 
fandations  for  a  new  wing  to  their  convent,  the  workmen  came  upon  just 
such  a  Square  altnr  ot  table   (wie  man  sich  den  mv.ndus  vorzustellen  habe). 

Meine,  in  den  Institutssitzuns^en  vom  14.  u.  21.  März  1890  gegebenen 
Ausführungen  suchen  dagegen  nachzuweisen,  dass  der  Apollotempel  die 
Höhe  von  S.  Sebastiane  eingenommen,  der  mundus  auf  der  area  Palatina,  in  der 
Nähe  der  gewöhnlich  Juppitcr  Stator  genannten  Ruine,  zu  suchen  sei.  Das 
Terrain  der  Villa  Mills  ist  m.  Er.  überwiegend  von  der  domus  Augustana  ein- 
genommen gewesen,  für  deren  Ausdehnung  nördl.  vom  Stadium  ein  unedirter 
Plan  aus  den  Turiner  Papieren  Pirro  Ligorios  von  Wichtigkeit  ist  (Mittei- 
lungen 1890  S.  76.  77). 

In  den  Pechnungen  des  Card.  Ippolito  d'Este  (s.  o.  S.  77)  finden  sich 
verzeichnet  (Venturi  S.  203)  1569,  20  lugJio:  A  m.  Gio.  Maria  da  Modena 
cavator  scudi  sei  moneta,  a  lul  contati,  quall  S.  S.  Ill'ji^  gll  presta,  e  si 
contentä  trovando  qualche  cosa  nella  cava.  che  detto  Gio.  Maria  cava  nel 
Palaszo  Magglore;  und  (a.  a.  0.  S.  204)  1570,  11  giugno:  a  spesa  di  statue 
sc.  dm  moneta  haiocchi  cinquantasei  pagati  a  mastro  Giovanni  della  Pieve 
di  Polinego,  per  opere  sedeci  con  uno  suo  compagno  anno  datto  alla  cava 
del  Palazso  Maggiore,  dove  fa  lavorare  S.  S.  III'^.  Interessanter  ist  eine 
zwischen  diesen  beiden  stehende  Notiz,  1570  5.  marzo:  a  spesa  di  statue  scudi 
Si'ttantacinque  moneta,  pagati  a  m.  Francesco  Rancone  et  m.  Leonardo  Sor- 
mano  per  il  pregio  di  una  statua  naturale  di  unn  Mazzona  che  ha  venduto 
a  S.  S.  Ill'lü:.  Dies  ist  zweifellos  eine  der  berühmten  Danaiden  aus  dem 
Torhofe  des  palatinischen  Apollotempels  (vgl.  TJB  1889  S.  257.  258);  der 
hohe  dafür  gezahlte  Preis  zeugt  für  die  Schätzung  des  Kunstwerks.  Es 
wäre  wünschenswert,  den  Verbleib  des  Marmors  nachweisen  zu  können. 

J.  KuLAKOwsKi  in  der  oben  (S.  83)  erwähnten,  mir  im  Original  nicht 
zugänglichen  Abhandlung  erhebt  "  in  einem  Anhange  Widerspruch  gegen  die 
Annahme  des  hohen  Alters  der  von  Lanciani,  Jordan  u.  A.  als  vorservianisch 
bazeichneten  Ueberreste  der  Befestigung  des  Palatiums,  der  Romulus-Mauer, 
und  weist  dieselben  auf  Grund  seiner  eigenen,  an  Ort  und  Stelle  gemachten 
Beobachtungen  einer  verhältnissmässig  späten  Periode  zu  "  (H.  Haupt,  Berl. 
]diilöl.  Wochenschrift  1801  Sp.  128). 

Die   südlichen   Stadtteile 

bieten  auch  in  diesem  Jahre  kaum  einen  erwähnenswerten  Fund.  Unterhalb 
des  Monte  Testaccio  ist  beim  Bau  des  neuen  Schlachthauses  ein  Gebäude 
aufgedeckt,  in  dessen  einem  Piaume  sich  ein  antikes  Marraorlager  (Säulen- 
schäfte, Basen,  Kapitelle)  fand  {Notizie  degli  scavi  1890  S.  855  ;  vgl.  Lan- 
ciani Bull,  comun.  1891  S.  28fF.):  ähnliche  Funde  sind  bekanntlich  auf  dem 
ganzen  linken  Ufer,  von  den  Mauern  bis  zum  Aventin,  in  den  verschiedensten 
Zeiten  gemacht  worden. 


JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM         ]07 

Die  Localität  des  statio  annonac  Urbis  war  von  De  l'ossi  schon 
früher  {Annali  delVhtituto  1885  S.  223-234)  unter  dem  Aventin.  hei  S.  Maria 
in  Cosmedin  nacho-owiesen  worden.  Er  trä<i:t  jetzt  {Bull,  comun.  1889  S.  358) 
einige  Zeugnisse  dafür  nach :  Basis  des  Julius  Vehilius  Gratus  Julianus  praef. 
annonae  189  p.  C,  im  Tiber  beim  Aventin  gefunden  (Barnabei  Notizie  degll 
scavi  1887  S.  537  ff);  Blei  derselben  Provenienz  eines  mensor  cid.  nn.  Aug. 
et  actarius  {Notizie  1887  S.  241;  Bull,  comun.  1887  S.  235);  Angaben  über 
die  grosse  Ueberschwenimung  von  589  p.  C.,  welche  auch  die  horrea  der 
römischen  Kirche  schädigte  (Gregor.  Turon.  hlst.  Franc.  X,  1  ;  lib.  ponfÄfic. 
vita  Sahiniani  c.  1  ed  Duchesne  Ip.  315;  Gregorius  M.  ep.  12,  34).  lieber 
andere  unter  dum  praefectus  annonae  stehende  Anlagen  s.  S.  112  u.  148. 

An  der  Mündung  der  Cloaca  maxima  sind,  o  m.  unter  modernem  Ter- 
rain, zwei  mit  der  Kloake  parallel  laufende  TufFmauern  ausgegraben  {Notizie 

1889  S.  241).  —  Gelegentlich  der  unten  (S.  113)  zu  erwähnenden  Funde 
auf  dem  Esquilin  erinnert  Lanciaui  {Notizie  1890  S.  213)  daran,  dass  die 
ganze  Zone  des  Forum  Boarium  zwei  Bauschichten  übereinander  aufweise: 
die  Häuser  aus  republikanischer  Zeit,  deren  Zerstörung  besonders  dem  foedum 
incendium  des  Jahres  540/214  (Livius  24,  47)  zuzuschreiben  sei,  und  die  der 
kaiserlichen  Epoche,  mit  um  30°  verschiedener,  auf  die  Quaibauten  Rücksicht 
nehmender  Orientirung. 

Caelius. 

Antikes  Haus  unter  S.  Giovanni  e  Paolo.  Mehrere  bereits 
TJB  1889  S.  261.  262  kurz  angezeigte  Funde  sind  inzwischen  ausführlicher 
besprochen  resp.  publiziert  worden :  über  das  Zimmer  mit  Genien  auf  weissem 
Grunde  vgl.  Kirsch,  Rom.  Quartalschrift  1889  S.  72.  391 ;  P.  Germano  ebenda 

1890  S.  377-380  und  Notizie  degli  scavi  1890  S.  79.  Die  merkwürdige  Dar- 
stellung der  Enthauptung  der  beiden  Märtyrer  ist  besprochen  und  abgebildet 
bei  Le  Blant,  Revue  archeologique  1889,  I.  S.  154. 

Die  Fortsetzung  der  Ausgrabung  hat  sich  erstreckt  auf  die  unter  der  Apsis 
der  Kirche  gelegenen  Räume;  mehrere  Zimmer  haben  Wände  von  Reticulat  mit 
durchbindenden  Ziegelschichten  und  Ziegelecken:  diese  auch  an  der  S.  W.- 
Ecke der  Aussenmauer  der  Kirche  noch  deutlich  za  erkennende  Bauweise  lässt 
auf  Erbauung  nicht  nach  der  2.  Hälfte  des  2.  Jhdts  n.  Chr.  schliessen  (P. 
Germano  Notizie  1890  S.  150).  —  Während  diese  Räume  mit  dem  Zimmer 
des  Genienfrieses  {b  auf  dem  Plan  TJB  1889  S.  261)  in  gleichem  Niveau  liegen, 
ist  unter  dem  r.  SeitenschilF  der  Kirche,  ein  Stockwerk  tiefer,  eine  Badeanlage 
(Zimmer  —  auf  dem  Plan  a.  a.  0.  rechts  über  dem  Raum  a  erkenntlich  — 
mit  susjyensurae  und  Tubulatur  in  den  Wänden,  lahrum  aus  Terracotta;  da- 
ranstossend  ein  Hemicyclium,  eingenommen  durch  eine  grosse  Wanne)  aufge- 
deckt worden  (Kirsch  a.  a.  0.  S.  71 ;  P.  Germano  Notizie  1890  S.  79.  151). 
Auf  die  mannigfachen  Funde  aus  christlicher  Zeit  (ausser  den  angeführten 
Stellen  vgl.  De  Rossi  Bull,  di  archeologia  cristianaY,  1,  1  S.  29-47  und  die 


108  CH.    HUELSEN 

Literaturübersicht  im  American  Journal  of  Archaeology  1890  S.  261  Aum.) 
kann  liier  nicht  eingegangen  werden. 

Ueber  das  Gesamtergebnis  der  Ausgrabungen  hat  dann  neuestens  P.  Ger- 
MANO  zu  berichten  begonnen  {the  house  of  the  martyrs  John  and  Paul  recently 
discovered  on  the  Coelian  kill;  American  Journal  of  archaeology  1890  S.  261- 
285).  Das  bisher  erschienene  (i)  behandelt  the  monuments  of  the  Coelian; 
surroundings  of  the  house  of  SS.  John  and  Paul;  history  of  SS.  John  and 
Paul  as  connected  IV ith  the  house  on  the  Coelian:  plan  of  the  house:  section 
and  structure  of  the  huilding.  Ein  Plan,  welcher  in  mehrfarbigem  Druck  die 
verschiedenen  Bauschichten  erkennen  lässt,  ist  beigegeben  (Tf.  XVI);  ferner 
(Tf.  XVII)  ein  Aufriss  der  Fassade  nach  Via  SS.  Giovanni  e  Paolo  zu,  wo  die 
antike  "Wand  bis  zum  dritten  Stock  erhalten  ist;  ebenfalls  Tf.  XVII:  eine 
Ansicht  der  Quaderbögen  (sog.  '  Vivarium  '  oder  '  Curia  Hostilia '),  Autotypie 
nach  Zeichnung.  Der  Text  gelangt  noch  nicht  zu  einer  Beschreibung  der 
einzelnen  Piäume:  der  Versuch  die  Gesamtanlage  unter  das  Schema  des 
pompejanischen  Atrienhauses  zu  bringen,  und  Vestibulum,  Atrium,  Tablinum 
u.  s.  w.  zu  erkennen,  ist  m.  Er.  verfehlt ;  vielmehr  interessirt  die  Anlage  gerade 
desshalb,  weil  sie  uns  ein  vornehmes  Haus  der  späteren  Kaiserzeit,  dessen 
Grundriss  den  Typen  der  severianischen  Forma  Urhis  entspricht,  vor  Augen 
stellt.  Constructiv  interessant  ist,  dass  die  Fenster  der  oberen  Stockwerke 
unter  den  scheitrechten  Ziegelbögen  noch  wohlerhaltene  starke  Holzbretter 
als  Oberschwelle  haben  (a.  a.  0.  S.  281). 

Innerhalb  des  Hauses,  aber  verbaut,  fand  man  das  Fragment  eines 
marmornen  Epistyls  mit  folgender  Inschrift  in  grossen  Buchstaben  aus  guter 
Zeit: 

/«ribvs-avgvstIs 

L  •  SENTIVS  •  ZENO 

J 

(unpubliziert,  meine  Abschrift),  welche  ein  gewisses  topographisches  Interesse 
hat,  insofern  die  Existenz  einer  Larenkapelle,  des  Vicus  trium  ararum,  in 
nächster  Nähe  (Piazza  di  S.  Gregorio)  durch  die  Funde  von  1665  bezeugt  ist 
(C.  /.  Z.  VI,  453). 

Die  Constatirung  des  Pflasters  einer  antiken  Strasse,  4  m.  unter  jetzigem 
Terrain,  zwischen  dem  südlichen  Gitter  des  Orto  Botanico  und  der  Kirche 
S.  Gregorio,  verzeichnen  die  Notizie  1890  S.  183. 

Ueber  den  unweit  der  Kirche  S.  Stefano  Eotondo  gelegenen  Palast 
derValerii  Poplicolae  (des  4.  Jhdt.  n.  Chr.)  hatte  De  Rossi,  studj  e  docu- 
menti  1886  S.  235  ff.  gehandelt:  ein  interessantes  auf  Valerius  Pinianus,  Sohn 


(1)  Die  Fortsetzung  ist  nach  der  Ankündigung  im  Schlusshefte  des  Jahr- 
gangs 1890  er.>t  im  nächsten  zu  erwarten. 


JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM 


109 


des  Valerius  Severus  {praef.  urbi  386)  bezügliches  Document  trägt  er  jetzt 
{Bull.  com.  1890  »S.  288-291)  nach.  In  den  Analecta  Bollandiana  tom.  VIII 
(1889)  S.  16  tf.  sind  aus  einem  Codex  von  Chartres  die  Acten  des  Pinianus 
und  der  Melania  zum  erstenmal  vollständig  herausgegeben.  Es  heisst  darin : 
domurn  quam  in  urbe  Borna  hahehant,  venumdare  volentes,  ad  tarn  magnuni 
et  mirabile  opus  decedere  nemo  ausus  fuit.  Bald  darauf  aber,  nämlich  bei 
der  Einnahme  Roms  durch  Alarich,  domus  ab  hostium  parte  dissipata,  pro 
nihilo  venumdata  est  quasi  incensa. 

Cave  a  S.  Stefano  Rotondo  für  den  Cardinal  Hippolyt  v.  Este 
finden  sich  erwähnt  in  den  von  Venturi,  Archivio  storico  delVArte  1890 
herausgegebenen  Rechnungen  (S.  199  d.  d.  22  Januar  9.  16  März  1561). 

lieber  einen  merkwürdigen  Fund  im  Gebiet  der  ehemaligen  Villa  Casali 
(jetzt  Militärhospital)  berichten  Gatti,  Notizie  1889  S.  398-400;  1890  S.  79. 
113;   C.  L.  Visconti   bull,   comun.  1889   S.   483;   1890   8.  18-2-5.  78.     Beim 


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Krankenpavillon  n.  16,  zwischen  der  rechten  Abteilung  der  neuen  Gebäude  und 
Via  S.  Stefano  Rotondo,  wurde  eine  Treppe  mit  11  zum  Teil  zerstörten 
Marmorstufen  gefunden,  welche  in  einen  3  m.  unter  modernen  Terrain  gelegenen 
Raum  mit  Wänden  aus  mittelmässigem  Ziegelwerk  führte.  Der  Fussboden  des 
Gemaches  enthielt  ein  schwarz-weisscs  Mosaik  {Bull,  comun.  1890  Tf.  T.  II): 
um  ein  von  einer  Lanze  durchbohrtes  Auge  ('),  über  dem  eine  Eule  sitzt,  sind 


(1)  Dass  dies  und  nicht  ein  Kranz,  wie  die  Herausgeber  annelimen,  zu 
verstehen  ist,  -weist  mir  Petersen  durch  Vergleichung  der  von  0.  Jahn,  über 
den  Aberglauben  des  bösen  Blicks  (Sitzungsberichte  der  sächs.  Gesellschaft 
1855)  Tf.  III  zusammengestellten  Monumente  nach. 


110  CH.    HUELSEX 

neun  z.  Teil  nicht  sicher  zu  deutende  Thiere  gruppirt :  Schlange,  Hirsch , 
Löwe,  Stier,  Skorpion,  Löwin  (?),  Steinbock,  Taube  (?),  Eabe;  darüber,  in 
einer  tabella  ansata,  die  Inschrift  intrant'bus  hie  deos  \  propitios  et  basili- 
c[ae\  I  Hilariaaae.  Die  Stellung  und  Richtung  der  Buchstaben  zeigt  an,  dass 
(i&s  intrare  dem  nächsten  Räume  gilt,  der  erste  also  zu  der  hasilica  Hi- 
lar  iana  nur  den  Vorraum  bildete.  lieber  Bestimmung  und  Gründer  des  San- 
ctuariums  gab  die  Inschrift  einer  noch  an  ihrer  alten  Stelle,  an  den  linken 
Pfosten  der  Thür  gelehnt  gefundeneu  Marmorbasis  (1,24  hoch,  0,95  breit, 
0,55  tief)  Auskunft.  Dieselbe  lautet : 

ivs/-poblicio-hilaro 
margarItario 
collegivm    dendrophorvm 

MATRIS    DEVM    M  •  I  •  ET  •  ATtIs 
5  Q_yiNQ_-  P  •  P  •  Q_yOD    CVMVLATA 

OMnI  •  ERGA  •   SE  •   BENIGNITATE 
MERVISSET    CVI    ST  AT  VA    AB   eIs 
DECRETA        PONERETVR 

(Meine  Abschrift  des  jetzt  im  Magazin  der  Commissione  arclieologica  conm- 
nale  auf  dem  Caelius  befindlichen  Steines;  die  apices  Z.  2.  5.  6  sind  schwach 
angegeben,  aber  sicher).  Dass  der  Geehrte  identisch  ist  mit  dem  C.  I.  L. 
VI,  641  genannten  haben  die  Herausgeber  bemerkt.  Von  der  Statue  ist  nur 
der  Kopf  gefunden  (publiziert  Bull,  comun.  1890  Tf.  T.  II;  gute  Arbeit  des 
2.  Jhdts,  wozu  der  Schriftcharakter  der  Inschrift  stimmt).  Ausserdem  fand 
man  in  diesem  Vorraum  eine  hübsche  Bruunenstatue  (jugendlicher  SatjT  auf 
Schlauch,  abgebildet  Bull,  comun.  a.  a.  0.) ;  in  der  linken  Ecke  des  Zimmers 
befand  sich  ein  Brunnen  oder  Abflusskanal,  dessen  Verwendung  bei  den  hei- 
ligen Handlungen  des  mj'steriösen  Cultus  möglich  ist.  Rechts  in  der  Thür 
correspondirend  mit  der  Basis  des  Poblicius  Hilarus,  stand  auf  einem  kleinen 
Ziegelpfeiler  ein  Wasserbecken  aus  nero  antico  (Dm.  0,.37  m.).  Die  Thür- 
schwelle,  ein  Marmorblock  von  1,70X'^',4,  hat  flach  eingegraben  zwei  Paar  Fuss- 
sohlen,  die  einen  nach  aussen,  die  andern  nach  innen  gerichtet,  sicher  mit 
Beziehung  auf  ütcs  und  reditua.  Ob  man  in  das  das  Cultlokal  selbst  direkt 
aus  dem  Eingangsraum  gelangte,  bleibt  ungewiss:  die  Ausgrabungsberichte 
bezeichnen  den  anstossenden  Raum  (7,30X3,50  m.),  der  mit  ordinärem  schwarz- 
weissem  Mosaik  gepflastert  war  und  in  der  Mitte  ein  0,70  m.  tiefes  Bassin  hatte, 
als  «  vielleicht  unbedeckt.  »  Jedenfalls  ist  es  unmöglich,  sich  von  der  archi- 
tektonischen Anordnung  der  eigentlichen  «  Basilica  "  eine  Vorstellung  zu 
machen. 


JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM         111 

Esqiiiliii. 

Archaische  ( j  r  ä  b  e  r  auf  Piazza  Yittorio  Emanuele  mit  ilirem 
(wenig  wertvollen)  Inhalt  an  Hausgeräten  und  Schmuck  sind  beschrieben 
Notizie  1890  S.  318;  Bull  comim.  1S90  S.  334. 

C.  L.  Visconti,  un'anticliiasima  pittiira  clelle  tom.be  Esqiiiline  {Bull,  comun. 

1889  S.  840-350  Tf.  XI.  XII) 
A'eröifentlicht  einen  schon  vor  Jahren  gemachten  und  bisher  nur  vorläufig 
angekündigten  interessanten  Fund :  ein  Wandgemälde,  welches  in  drei  Streifen 
darstellt:  1)  im  obersten  Stadt,  von  Mauer  mit  Zinnen  umgeben,  vor  den  Mauern 
zwei  Männer,  der  eine  mit  Helm  und  Beinschienen,  der  andere  (nur  z.  Teil 
erhalten)  in  paludamentum,  und  mit  Speer  in  der  Eechten:  bezeichnet  als 
///NIV-S-  und  FA/// ;  2)  dieselben  beiden  Personen,  der  jüngere  unbewaffnet,  der 
ältere  wiederum  in  paludamentum  mit  Speer  in  der  Hand,  mit  vollständiger 
erhaltenem  Namen  Q_- i'abio  (der  ältere)  und  m-1'an  (der  jüngere);  hinter 
dem  ersteren  eine  Schaar  Bewaffneter  in  kurzer  Tunica,  hinter  dem  letzteren 
ein  tubicen;  3)  Kampfscene,  in  welcher  als  Hauj^tperson  wiederum  M.  Fannius 
kenntlich  ist.  —  Der  Herausgeber  setzt  die  Malereien  in  die  Mitte  des 
5.  Jhdts.  d.  St.,  und  hält  es  für  möglich,  dass  sie  Nachbildungen  der  Wand- 
gemälde des  Fabius  Pictor  im  Salus-Tempel,  Darstellung  von  Ereignissen 
aus  dem  zweiten  Samniterkriege  seien.  —  Ich  kann  mich  nicht  entschliessen 
den  Bildern  ein  so  hohes  Alter  zuzuschreiben.  Dass  ein  Fannius  Hauptperson 
darin  ist,  springt  in  die  Augen ;  dieses  Geschlecht  wird  in  Rom  genannt  zuerst 
gegen  Ende  des  6.  Jhdts.  (i)  und  ist  früher  schwerlich  von  Bedeutung  gewesen. 
Mit  einem  Q.  Fabius  zusammen  finden  wir  in  der  litterarischen  Ueberlieferung 
nur  einen  Fannius  erwähnt:  den  Schwager  des  C.  Laelius,  welcher  unter 
dem  Commando  des  Q.  Fabius  Servilianus  sich  im  spanischen  Kriege  gegen 
Viriathus  612  d.  St.  auszeichnete.  Dieser  heisst  freilich  C.  Fannius  J/.  f.,  was 
die  Identification  unmöglich  macht:  im  übrigen  würden  der  Charakter  der 
Schrift  (-)  wie  die  Wortfurmen  sehr  wohl  zu  dieser  Epoche  stimmen.  Man 
könnte  vermuten,  dass  C.  Fannius  einen  Bruder  Marcus  gehabt  habe,  welcher 
sich  in  denselben  Kämpfen  ausgezeichnet  und  den  Heldentod  gefunden  habe  — 
womit  man  aber  vom  Gebiete  der  Topographie  in  das  des  historischen  Romans 
geräth. 


(1)  Haackh  bei  Pauly  R.  Enc.  III  S.  420  if.       " 

{-)  Der  Herausg.  legt  besonderen  Wert  auf  die  Form  V  für  F  und  sagt 
(S.  342  Anm.  1):  questa  forma  ...  ?  rarissima  e  comparisce  ora  forse  per 
la  prima  volta  in  iscrizione  romana.  Fssa  ricorre  nella  JiotaMedum  del 
museo  Kircheriano  (C.  I.  L.  I  n.  51).  Aber  diese  gewöhnliche  Cursivform 
des  F  findet  sich  in  Steininschriften  nicht  nur  häufig  in  der  re])ublikanischen 
Epoche  (vgl.  das  Grab  derFurii  in  Tusculum,  6'. /.  i.!  XIV,  2700-2706)  sondern 
vereinzelt  noch  in  der  frühen  Kaiserzeit  (Hnebner  Ex.  scripturae  epigr.  S.  LVII; 
wo  hinzuzufügen  z.  B.   C.  L  L.  \l,  6495.  18653). 


112  CH.    HLELSEN 

Am  südlichen  Ende  der  ^'ia  Merulana,  gegenüber  dem  neuen  Kloster 
S.  Antonio  sind  die  Beste  eines  Privatliauses  (desselben  aus  dem  der  Bull, 
comun.  1889  Tf.  VII  publicirte  schöne  Augustuskopf  stammt)  durchsucht  wor- 
den. Keiche  Funde  an  bronzenem  Hausgerät  (z.  B.  scliöne  Lampe  in  Form 
eines  Schiffes,  lang  0,31  m.,  breit  0,11,  Gewicht  3,1  Kg.)  sind  zu  Tage  ge- 
kommen [Notizie  1889  S.  270.  271 ;  1890  S.  354 ;  Bull,  comun.  1889  S.  403-406; 
1890  S.  338.  339). 

De  Rossi,   il   forum   Tauri    nella    regione    esquilina.    (Bull,    comun.    1890 

S.  280-283). 

In  einer  jüngst  von  den  Bollandisten  [Catalogus  codicum,  hogiographi- 
corum  latinorum  .  . .  l/i/d.  Parisiens.,  Brüssel  1889,  T.  I.  S.  520-523)  veröffent- 
lichten Eecension  der  Passio  SS.  Faust i  et  Pigmenh  heisst  es,  der  Leichnam 
der  hl.  Bibiana  habe  zwei  Tage  in  foro  Tauri  gelegen,  und  sei  dann  begraben 
worden  iuxta  palatium  Liciniani.  De  Eossi  verknüpft  dieses  Zeugniss  mit 
den  schon  bekannten  über  regio  caput  Tauri  (Jordan  Top.  2,  319;  Duchesne 
lib.pontif.l  ^.\21),porta  Taurina  =  p.  S.Lorenzo  (Urlichs  cod.  topogr.  115. 
127.135.141.150)  und  vermuthet,  dass  ein  Mitglied  der  Familie  der  Statilii 
Tauri,  deren  grosse  Besitzungen  auf  dem  Esquilin  in  der  Gegend  von  S.  Bi- 
biana inschriftlich  bezeugt  sind  (i),  dort  einen  öffentlichen  Platz  gegründet 
habe,  der  dann  von  dem  conditor  fori  den  Namen  behielt. 

Eine  vor  Porta  S.  Lorenzo  in  der  ehemaligen,  jetzt  zum  cimitero  di 
Gampo  Verano  gezogenen  Vigna  Torlonia  gefundene  Inschrift  {Notizie  1890 
S.  355;  Bull.  com.  1890  S.  335)  mag  erwähnt  werden,  weil  sie  einen  für  die 
römische  Topographie  neuen  Namen  bringt.  Es  ist  die  Eede  von  einem 
Monument,  das  eine  Statilia  Euhodia  sich  und  den  Ihrigen  errichtet  hatte: 
hoc  moni[men]tum  sive  sepulchrum  quod  est  via  Tihurtina  clivo  Bassilli 
parte  laeva,  quod  est  conclusum  in  fr{onte)  a  maceria  Caes\i'\ae  Paulinae. 
Der  clivus  Bassilli  muss  eine  von  der  Via  Tihurtina  nördlich  abführende 
Seitenstrasse  gewesen  sein. 

Einen  Beweis  dafür,  dass  das  macelluni  Liviae  mit  seinen  Depen- 
denzen  unter  der  Jurisdiction  des  praefectus  annonae  gestanden  habe,  findet 
De  Rossi  {Bull,  comun.  1889  S.  360)  in  dem  1886  bei  S.  Bibiana  ausgegrabenen 
Steine  (von  250  n.  Chr.)  Notizie  1886  S.  417  =  Bull.  com.  1886  S.  370,  dessen 
Schluss  lautet 

caeciNA  •  LARGO  •  PRAEF  •  Minouae 

et   T  •  FVVIO  •  MAGNIANO  •  V    .... 


(1)  Cippus  der  liorti  Tauriani  gefunden  zwischen  S.  Eusebio  und  porta 
S.Lorenzo,  Bull,  comun.  IST -i  S.  57;  1875  S.  153;  Columbarium  der  Statuier 
C.  I.  L.  VI  S.  994-1012. 


JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM         113 

De  ßossi,  atto  dl  donazione  dl  fondi  urbani  alla  chiesa  dl  San  Donato  in 
Arezzo  rogato  in  Roma  Vanno  1051  {Arch.  dclla  Socicul  Romana  di 
storia  patria  XII,  1889  S.  199-213) 
veröffentlicht  eine  Pergamenturkunde  aus  dem  Capitulararchiv  in  Arezzo,  laut, 
welcher  der  genannten  Arretiner  Kirche  vnn  einem  Stephanus  iudex  dativus  uml 
seiner  Gemahlin  Tedm-anda,  ausser  mehreren  Grundslücken  ausserhalb  Roms, 
zum  Geschenke  gemacht  werden  domus  quae  fult  de  Amico  episcopo,et  domus 
qui  fuit  de  Azzoyrasso  cum  introitu  et  exoitu  earum,  atque  alia  domus  quae 
faxt  de  Apa,  qui  est  posita  in  virf/aria  cum  ortuo  post  se  et  corte  ante  sc,  omnes 
vero  destructe  posite  Rome  regione  ....  (')  in  loco  qui  vocatur  Superage 
non  longe  a  Sancta  Maria  Maiore.  Das  Wort  Superagius  als  Beiname  von 
S.  Maria  Maggiore  war  bekannt:  Du  Gange  hatte  es  für  eine  hybride, 
griechisch-lateinische  Bildung  =  i';Tep«;'io?,  sanctissimus  erklärt;  De  Rossi 
schon  früher  {Musaici  delle  chiese  di  Roma  fasc.  II;  piante  icnografiche  S.  13) 
mit  dem  agger  Servii  in  Verbindung  gebracht.  Die  Richtigkeit  dieser  Er- 
klärung wird  nunmehr  bestätigt :  und  dass  wir  es  mit  einem  antiken  Strassen- 
namen  zu  thun  haben,  beweist  der  Herausgeber  durch  Heranziehung  von  VitaEla- 
gabali  SO:  celebravit  item  tale  convivium,  ut  apud  amicos  singulos  singuli 
missus  appararentur,  cum  alter  maneret  in  Capitolio,  alter  in  Palatio,  alter 
super  a  g  g  er  e  m ,  alter  in  Caelio,  alter  trans  Tiherim  u.  s.  w.  — 
Hinsichtlich  der  Ausdehnung  des  Namens  verdient  noch  angeführt  zu  werden 
die  Stelle  des  Andreas  Fulvius  (antiq.  1.  IL  f.  2P''  ed.  1527) :  Turris  Maece- 
natis  . . .  in  altissimo  Esquiliarum  et  totius  urhis  monte  iuxta  thermas  Dio- 
cletianas  (das  ist  der  neuerdings  abgetragene  Monte  della  Giustizia) :  qui  hodie 
vocatur  ab  incolis  mons  superaggere  (vgl.  auch  Bufalini's  Plan).  Der  in  der 
Regionsbeschreibung  genannte  Campus  Viminalis  subaggere  {^)  lag  dem  ent- 
sprechend zwischen  Porta  Viminalis  und  Castra  Praetoria  (Richter  Topogr. 
S.  180). 

Zwischen  Via  dell'  Olmata  und  Via  Paolina,  westl.  S.  Maria  Maggiore, 
sind  bei  Fundamentirungsarbeiten  unter  den  Bauten  der  Kaiserzeit  (m.  3,80 
unter  dem  modernen  Niveau)  Mauern  aus  viel  älterer  Epoche  (Tuffquadern 
ohne  ]\[örtel)  entdeckt.  Lanciani,  der  diese  Funde  Notizie  1890  S.  213-214 
bespricht,  fügt  hinzu,  dass  ein  ähnlicher  Bauzustand  in  der  ganzen  Zone 
zwischen  Via  delle  sette  sale,  Merulana,  S.  Maria  Maggiore,  piazza  S.  Pietro 
in  Vincoli  zu  constatiren  sei:  es  mache  den  Eindruck,  als  ob  ein  stark  angebautes 
Quartier  etwa   im   6.  Jhdt.  der  Stadt   durch  Brand   zerstört,   dann  Ende   der 


Q)  Die  Regionsnummer  ist  unausgefüllt  gelassen;  De  Rossi  weist  nach, 
dass  dasselbe  auch  in  einem  gleichzeitigen  Documente  vorkommt,  und  erörtert 
die  Bedeutung  dieser  für  die  Periode  des  üeberganges  aus  der  antiken  in 
die  mittelalterliche  Regionsteilung  charakteristischen  Auslassung. 

('-)  Mir  ist  diese  Zusammenfassung  wahrscheinlicher  als  die  von  Marini 
(dem  De  Rossi  S.  207  folgt)  vorgeschlagene  Trennung:  Campus  Viminalis; 
Subager,  wonach  letzterer,  ein  besonderer  Strasscnname  wäre. 

8 


114  CH.    HIELTEN 

Eepublik  oder  Anfang  der  Kaiserzeit  neu  aufgebaut  worden  sei,  wobei  jedoch 
die  Strassenzüge  und  die  Häuserorientirung  keine  wesentliche  Veränderung 
erlitten. 

Zu  dem  grossen  Funde  von  Votivterrakotten  vom  Tempel  der  Minerva 
Medica  (TJB  1889  S.  278)  gehört  vielleicht  noch  ein  schön  modellirter  Frauen- 
(Venus  ?)  köpf,  beschrieben  Xotide  1890  S.  239 ;  Bull,  comun.  1 890  S.  227. 

G.  Bossi,  di  im  tempio  di  Ercole  Tutano  o  Redicolo  suUa  via  Appia. 
Roma  1890.  14  SS.  4  (besonders  abgedruckt  aus  des  Vf.  Monographie  In 
guerra  Annibalica  in  Itaha  da  Canne  al  Metauro ;  Studj  e  documenti 
di  storia  e  diritto  vol.  XI  S.  C7-97). 
sucht  den  von  Livius  26,10  erwähnten  Herculestempel,  den  man  bisher  vor 
Porta  Collina  verlegte,  zu  identifizieren  mit  d.  m  an  der  Via  Appia  gelegenen 
Heiligtum  des  Dens  Eediculus,  der  kein  anderer  sein  soll,  als  Hercules 
Tutanus.  Dazu  muss  freilich  die  Liviusstelle:  [Hannibal)  cum  dtiobus  milibus 
equitum  ad  p  ort  am  Colli  nam  usqiie  ad  Herculis  templum  est  progressus 
umgedeutet  werden  im  Sinne  der  alten  Lesart  a  porta  C.  usque  ad  H.  t.; 
aus  dem  Piecognoscirungsritt  von  Ponte  Nomentano  bis  Porta  Salara  wird  ein 
Zug  um  die  halbe  Stadt  (mehr  als  8  km.),  bei  dem  das  inter  portas  Esquilinam 
et  Collinam  (also  etwa  zwischen  Castro  Pretorio  und  S.  Lorenzo  fuori) 
aufgeschlagene  Lager  der  Piömer  gerade  in  der  Flanke  bleibt.  Die  topogra- 
phische Unmöglichkeit  dieser  Auffiissung  der  von  Livius  ausführlich  erzählten 
Vorgänge  springt  in  die  Augen.  Dass  die  Lage  des  Herculestempels  ad  portam 
Collinam  ungewiss,  und  die  Inschrift  Bull.  delVIstit.  1878  S.  102  =  Eph. 
epigr.  IV,  734  bei  der  Unsicherheit  der  Provenienzangaben  für  Ubication  des 
Tempels  nicht  zu  verwenden  ist,  gebe  ich  Bossi  zu. 

Bei  den  Arbeiten  für  den  Abzugskanal  der  neuen  Via  Cavour  unter  dem 
muraglione  di  S.  Francesco  di  Paola  wurden  Reste  von  Privatgebäuden  in 
wohlerhaltenem  Ziegelwerk  entdeckt.  In  der  SW.  Wand  eines  Zimmers  stand 
in  einer  Nische  noch  an  der  antiken  Stelle  eine  kleine  Marmorherme  des  Silvan 
auf  Marmorbasis  mit  der  Inschrift  silv|ano  [000  {Notizie  1889  S.  186; 
Bull,  comun.  1889  S.  207).  Ob  die  letzte  Zeile  den  Namen  des  Dedicanten, 
oder  ein  Epitheton  des  Silvan  —  d{eo)  o[bsequenti)  oder  dgl.  —  enthält,  bleibt 
unsicher.  —  In  derselben  Gegend  (unter  casa  Desideri,  Ecke  von  via  Cavour 
und  der  verlängerten  \'ia  de'  Serpenti)  ist  7  m.  unter  modernem  Terrain  das 
Lava-  und  Travertinpflaster  einer  antiken  nach  dem  Forum  zu  laufenden  Strasse 
gefunden  [Notizie  1890  S.  8;  Bull  comun.  1890  S.  10).  —  Dass  via  del- 
TAgnello  und  Via  del  Colosseo  der  Richtung  einer  antiken  Strasse  folgen, 
haben  mehrere  Funde  von  Pflasterung  gezeigt  {Xotizie  1889  S.  221.  222,  1890 
S.  152;  Bull,  comun.  1889  S.  371,  1890  S.  138). 


JAHRESRERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM 


115 


Q  u  i  r  i  D  a  1. 

D  i  0  cl  e  t  i  a  n  s  t  li  er  m  0  n.  Die  schon  TJB  1889  S.  277  erwähnte 
Aufdeckung  und  Demolirung  einer  der  runden  Exedren  in  der  südlichen 
Umfassungsmauer,  unter  dem  ehemaligen  Pal.  Massimi,  ist  fortgesetzt  (iVö- 
tizie  1889  S.  361  ;    Bull,  comim.  1889    S.  479).     Ziegel    mit    den    Stempeln 


RSP|OFBOC|Si;       RSP|OFDOM|SIi;       RSP|OF-DOM|SIII 

sind  gefunden.  Vor  der  entgegengesetzten  (nördlichen)  Umfassungsmauer  fand 
man  bei  Bauten  im  Garten  des  Ospizio  dei  Sordo-muti,  östl.  hinter  dem  Fon- 
tanone  delVAcqua  Feiice  ein  er.  50  m.  langes  Stück,  sowie  die  der  Eotunde 
S.  Bernardo  zunächst  liegende  Exedra  —  übrigens  auch  dies  schon  auf  Nollis 
Plan  verzeichnet.  Bei  dieser  Gelegenheit  kam  wiederum  ein  kleines  Fragment 
der  Dedicationsin Schrift  der  Thermen  (C. /.  i>.  VI,  1130)  zu  Tage: 

dd.  nn.  Diocletianus  et  Maximianus  ...  thermas  ... 
•pro  T  A7iti    operis    magnitudine    omni  cuUu 
?EKF  E  das   romanis   suis    dedicaverunt 

Lanciani  {Notizie  1890  S.  185)  nimmt  an,  dass  dies  Exemplar  über  einem 
Seiteneingang  der  Thermen  gestanden  habe,  und  dass  auf  diesen  Seiteneingang 
eine  unter  Casa  Cugnoni  gefundene,  6  m.  breite  basaltgepflasterte  Strasse, 
rechtwinklig  vom  Vicus  portae  CoUinae  abzweigend,  zuführte.  Eine  andere, 
der  Nordmauer  der  Thermen  (in  8,30  m.  Abstand)  parallel  laufende  Strasse 
(2,50  m.  breit,  1,20  m.  unter  Terrain),  ist  die  Verlängerung  der  schon  früher 
(in  Via  Pastrengo  und  unter  dem  Finanzministerium)  constatirten.  —  Ausser 
den  Thermenresten  fanden  sich  bei  derselben  Gelegenheit  ältere  Privatbauten: 
in  Fundamente  verbaut  eine  dünne  Travertinplatte  (0,35  X '^•40),  welche  fol- 
gende Inschriften  mit  deutlichen  Pesten  der  rothen  Bemalung  trägt : 


b  Eückseite 

; 

EX • AVCTOR 

itate 

TI  •  CLAVDl    •    C 

aesaris 

A  V  G    •    GERM 

anici 

PONTIF     •         J^ 

V  ax 

CN-SENTIVS-SATVl 

minus  cos 

REFICIEND   •     CV 

r  avit 

a  Vorderseite : 

m.     WesSALLA-MESSAL 
l.   lentulVS-VLAN\.-IAAK.T 

OS 

ex     S.     C-R-REFIC-CVR 


{Notizie  1890  S.  214 ;  der  Stein,  jetzt  im  Museum  der  Diocletiansthermen. 
von  mir  revidirt).  Auf  der  Vorderseite  ist  der  von  den  Autoren  bald  Mes- 
salla,  bald  Messallinus  genannte  Consul  d.  J.  751  zu  verstehen;  interessant  ist 
die  Bestätigung,  dass  er  wirklich  beide  Cognomina  gleichzeitig  offiziell  geführt 
hat.  Der  b,  5  genannte  ist  der  Consul  41  p.  C. 

Im  Gebiet  der  Castra  Praetoria  fand  man,  beim  Bau  einer  neuen 
Eeitbahn,  links  vom  Haupteingang,  1,40  unter  modernem  Terrain,  ein  Mosaik 


116  CH.   HUELSEN 

in  schwarz  und  weiss  (3,60X2  m.)  einen  Panther  zwischen  zwei  Biindigern 
darstellend  {Notizie  1889  S.  22-1):  darüber  die  Inschrift 

EX  •  VICEN   •  F  •  L  •  VELT 
V 

Die  Lesung  (von  mir  im  Museum  der  Diocletiansthermen  revidirfi  ist  sicher  (}) : 
ex  vicen.  f.  l.  vel  tu;  eine  Deutung  weiss  ich  nicht.  Die  Inschrift  ist  vollstän- 
dig, die  Darstellung  nur  Theil  eines  grösseren  Ganzen;  von  der  Arabes- 
keneinfassung nur  rechts  und  oben  wenig  erhalten. 

Die  Fortsetzung  der  Arbeiten  für  das  neue  Policlinico  ausserhalb  der 
Mauern,  östlich  der  Castra  praetoria  (vgl.  TJB.  1889  S.  277)  hat  bedeutende 
Eeste  nicht  zu  Tage  gefördert.  Man  fand  unter  anderem  450  m.  vor  den 
Mauern  ein  bedeutendes  Stück  von  dem  Pflaster  der  aus  Porta  Chiusa  heraus- 
führenden Strasse.  Der  Zug  dieser,  von  Via  Quattro  Fontane  ausgehenden 
Strasse  lässt  sich  nunmehr  auf  er.  1,5  km.  Länge  verfolgen.  An  ihr  lagen 
wohlerhaltene  Eeste  eines  grossen  und  eleganten  Privathauses ;  Bleiröhren 
trugen  den  Namen  eines  L.  Statins  Aquila  [Notizie  clegli  scavi  1889  S.  339. 
366.  403  ;  1890  S.  9.  186  ;  Bull,  comun.  1889  S.  480.  488  ;  1890  S.  25). 

Bei  Verlängerung  der  Via  Montebello  wurde  unweit  der  N.  W.  Ecke  der 
Castra  praetoria  eine  rechtwinklig  zur  modernen  Strasse  laufende  antike 
constatirt  [Noti^zie  1889  S.  401 ;  Bull,  comun.  1889  S.  488). 

lieber  den  Fund  der  ara  incendii  Neroniani  {Notizie  1890 
S.  159.  160  ;  einige  unbedeutende  Nachträge  ebenda  1890  S.  31)  war  schon  TJB 
1889- S.  275  kurz  berichtet:  Lancianis  ausführliche  und  eingehende  Publica- 
tion  [Bull,  comun.  1889  S.  331-339  mit  Tf.  X ;  S.  379-391)  an  Ort  und  Stelle 
nachzuprüfen  wurde  mir  durch  die  Amministrazione  della  R.  Casa  gestattet, 
wonach  hier  einige  Details  berichtigt  oder  ergänzt  werden. 

Das  Pflaster  der  Alta  semüa  liegt  an  der  in  Betracht  kommenden  Stelle 
(vgl.  die  Planskizze  S.  121)  1,83  m.  unter  dem  der  modernen  Via  Venti  Set- 
tembre.  Drei  Stufen,  0,50  bis  0,30  hoch  (jetzt  unsichtbar,  weil  in  die  Front- 
mauer des  modernen  Hauses  verbaut)  führen  herab  zu  einem  mit  Travertin- 
platten  (Breite  meist  0,59,  Länge  bis  2,25  m.)  gepflasterten  Platze.  Der  Platz 
wird  eingefriedigt  durch  Travertincippen  von  1,40  (incl.  des  0,29  hohen 
abgestumpften  Kegels)  Höhe,  0,80  X  0>55  Grundfläche:  zwei  davon  sind 
noch  vollständig,  der  dritte  zum  Teil  erhalten ;  der  Abstand  im  Lichten  ist  je 
2,50  m.  Löcher,  welche  zur  Befestigung  eines  Gitters  zwischen  ihnen  gedient 
haben  könnten,  sind  nicht  vorhanden.  In  einem  Abstände  von  2,75  m.  von 
diesen  cip'pi  erhebt  sich  ein  Unterbau  von  zwei  Travertinstufen  (je  0,24  hoch,  die 
untere  0,40,  die  obere  0,80  breit)  und  darauf  der  Kern  eines  grossen  Altarbaus 
(3,25  X  6,25  m.  bei  1,26  m.  Höhe  über   dem   Unterbau)   aus   mächtigen  Tra- 

(')  Ein  ©  über  dem  Rücken  des  Panthers  ist  nicht  Buchstabe. 


JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM         117 

vertinblöcken.  Die  oberste  Blockschicht  zeigt  das  Auflager  für  das  Marmor- 
gesims, von  dein  ein  abgekröpftes  Eckstück  gefunden  ist ;  da  auch  von  dem 
unteren  an  den  Ecken  gleichfalls    abgekröpften    Ablauf  mehrere    Stücke  an 


'^  i''  ^  |5  ^1^  f- 


ihrer  alten  Stelle  erhalten  sind  (S.  Figur  S.  118),  können  wir  die  Architektur 
des  (natürlich  gänzlich  mit  Marmor  verkleideten)  Altars  in  seinen  Hauptzügen 
(bis  auf  die  pulvini)  vollständig  herstellen.  An  der  südlichen  Schmalseite  ist  der 


118  CH.    HUELSEN 

untere  Ablauf  unterbrochen  durch  eine  genau  in  der  Mitte  liegende  Marmorstufe 
von  0.90X0  46  cm.  (i);  ob  die  in  der  Mitte   der  westlichen  Langseite     wahr- 


.■"7» 


ITT 


(1)  Auf  dieser  Stufe  findet  sich  eine  Spieltafel  mit  eingetieften  Löchern 
(Bruzza  Annali  1877  tav.  d'agg.  FG  n.  26;  Elter  Bidl.  delVIst.  1884  p.  71): 


Eine  zweite  in  der  Nähe  gefundene  trug  die  Inschrift; 


REGOR 
REGES 
V     GOR 

////     G  E  S 


REGES 
PER 

/      /OR 

/      /       / 


(Not.  1889  S.  160,  wo  ein  ähnliches  Exemplar  aus  Villa  Casali,  Bull  comun. 
1886  S.  93  erwähnt  wird;  ein  drittes  Fragment  Notizie  1890  S.  283). 


JAHRESBERICHT  ÜEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM         119 

iiehmbaro  Abarbeituntf  für  Vork'i;'iiii^-  einer  äliiiliclieii  Stufe  <;-e(lieiit  luit,  iiiuss 
dahingestellt  bleiben.  —  Westlich  vom  Altar  fand  man,  wie  Lanciani  {Notizie 
1889  S.  16'^)  angiebt  avaazi  come  di  una  casctta  di  custodia  con  pareti 
di  mediocre  cortina:  ich  habe  diese  Reste  nicht  mehr  g-esehen. 

Lancianis  überzeu<jende  Conibination  mit  der  um  1640  beim  Bau  der 
Kirche  S.  Andrea  gefundenen  Inschrift  C.  I.  L.  VI,  826  (')  ist  bereits  TJB 
1889  a.  a.  0.  erwähnt  worden.  Wir  haben  demnach  den  .\ltar,  an  welchem  das 
Opfer  incendiorum  arcendorum  causa  an  jedem  23'^"  August  gebracht  werden 
sollte;  von  der  etwas  hijhe.r  östlich  gelegenen  Area  mit  ihrer  Einfriedigung 
haben  die  neuen  Ausgrabungen  nichts  zu  Tage  gefördert. 

Aus  Lancianis  reichhaltigem  Oommentar,  welcher,  über  den  Fund  selbst 
weit  hinausgreifend,  die  ganze  Topographie  dieser  Gegend  behandelt,  sind 
folgende  Resultate  hervorzuheben:  1)  für  den  Quirinustempel,  welcher 
gewöhnlich  "  bei  S.  Andrea"  ;  «  unweit  S.  Vitale  "  (Richter  S.  181)  angesetzt 
wird  (2j,  muss  sowohl  des  neuen  Fundes  wegen,  als  auch  wegen  anderer  sicher 
in  diese  Gegend  zu  setzenden  Monumente  (Lanciani  S.  336-339.  389-391)  ein 
anderer  Platz  gesucht  werden.  Entscheidend  für  seine  wahre  Lage  sind  die 
beiden  Inschriften  C.  I.  L.  VI,  475  und  565,  welchp  in  hortis  ponti/lciis  Qu't- 
rinalibus  (bei  Anlage  des  grossen  Gartens  unter  Urban  VIII,  er.  1626),  wahr- 
scheinlich unweit  der  Stelle  wo  die  Topographen  des  16.  Jhdts.  den  "  Mons 
Apollinis  et  Clatrae  »  angeben,  gefunden  sind.  Soweit  wird  man  Lanciani 
unbedingt  zustimmen  müssen  :  bedenklich  ist  mir  seine  weitere  Vermutung, 
der  Tempel  sei  dorischer  Ordnung  gewesen,  da  Gio.  Alberti  di  Borgo  S.  Se- 
polcro  ein  schönes  dorisches  Capitell  gezeichnet  habe  ncl  giardino  del  cav{a- 
liere)  di  Ferara.  II  giardino,  sagt  Lanciani,  e  quello,  nel  sito  del  quäle  Gre- 
jjorio  XIII  pose  le  fondamenta  del  palazzo  Quirinale;  la  prescnza  in  esso 
di  un  capitello  dorico  di  fino  intaglio  .  . .  parmi  non  possa  essere  e/fetto  del 
casö.  Aber  die  Beischrift  ist  vielmehr  aufzulösen  Cardinale  di  Ferrara,  und 
wer  sich  erinnert,  aus  wie  verschiedenen  Gegenden  Hippolyt  II  von  Este 
(t  1572)  Antiquitäten  zum  Schmucke    seiner  Villa   auf  dem  Quirinal   zusam- 


(1)  Ilaec  area  intra  hanc  definitionem  cipporum  clausa  verihus,  et  ara 
quae  est  inferius  dedicata  est  ab  Imp.  Caesare  Domitiano  Aug.  Germanico, 
ex  voto  suscepto,  quod  diu  erat  neglectum  nee  redditum,  incendiorum  arcen- 
dorum causa,  quando  urhs  per  novem  dies  arsit  Neronianis  temporihus  u. 
s.  w.  Von  diesen  cippi  sagt  ein  Augenzeuge  der  Ausgrabung,  Lucas  Holste- 
nius  (t  1661;  der  undatirte  Brief  ist,  wie  aus  den  Eingangsworten  erhellt, 
er.  15  Jahre  nach  der  Ausgrabung  geschrieben),  ausdrücklich  :  utroque  latere 
bina  foramina  et  veruum  sive  virgarwn  ferrearum  vestigia^  plumbo  circum- 
fusa  sercabant,  quibus  olim  inter  se  coniuncti  aream  interiorem  ita  clause- 
rant,  ne  aditus  vulgo  patcrct  (in  der  epistula  ad  Francisciim_  Card.  Barberi- 
nium,  gedruckt  hinter  Gl.  Menetriers  symbolica  Dianae  Ephesiae  statua,  Rom 
1688,  p.  6);  was  bei  den  neu  gefundenen  nicht  der  Fall  i^t ;  s.  o.  S.  116. 

(2)  Die  Besprechung  des  Aufsatzes  von  Wissowa:  '  der  Tempel  der  Quirinus 
in  Rom'  (Hermes  XXVII,  1891,  S.  137-U4).  der  mich  namentlicli  in  der  Aus- 
führung über  die  Porta  Quirinalis  völlig  überzeugt  hat,  muss  dem  nächsten 
Bericht  vorbehalten  bleiben. 


120  CH.    HTELSEN 

menbringen  Hess  (^),  wird  den  Schluss  nicht  melir  zwingend  finden.  —  Auf 
dem  Terrain,  wo  man  bisher  den  Quirinustempel  suchte,  sind  nun  zu  placiren 
2)  der  Palast  der  Pomponii.  Die  Patronatstafel  für  T.  Pomponius 
B-issus  V.  J.  101  n.  Chr.  {C  I.  L.  VI,  1492)  ist  gefunden  in  vinea  card.  Sado- 
leti,  deinde  Uberti  Ubaldini ;  und  das  Haus  des  T.  Pomponius  Atücus  wird 
von  Cicero  dem  Ouirinus  -  und  Salus  -  Tempel  benachbart  genannt  (2).  Die 
Grenzen  der  Vigna  Sadoleto  werden  A-on  Lanciani  (S.  385-387)  nach  einem 
Schenkungsdocument  {Archivio  degli  scrittori  della  R.  Curia,  Istrom.  vol.  58 
fol.  61)  d.  d.  18.  Oct.  1547  genau  bestimmt :  sie  muss  fast  das  ganze  Terrain 
zwischen  dem  neuen  Kriegsministerium,  Via  Venti  Settembre,  S.  Andrea  und 
der  (ehemaligen)  Via  S.  Vitale  (Vicus  longm)  eingenomnu-n  haben.  In  diesem 
Gebiet  lag  3)  noch  die  d  omus  g  ent  i  s  Fla  v  i  a  e.  L.  discutiert  S.  388- 
384  die  Ansetzung  derselben  und  meint  '  ogni  incerlezza  sarebhe  toJta  dal 
ritrovamento  delV  iscrizione  inter  •  Dvos  |  parietes  |  ambitvs  privat  | 
FLAVi  •  SABiNi  (Grut.  200,  8),  se  di  esso  fossero  a  noi  noti  i  particolari.  ^ 
Die  gewünschte  Notiz  findet  sich,  wie  ich  den  Scheden  des  CIL  entnehme, 
bei  Pierius  Valerianus  (m  Aen.  I  p.  8  ed.  Rom  1521) :  proccimh  hisce  diehus 
Jacohus  Sadoletus  Carpentoracteash  cpiscopus  in  hortis  suis  in  Quirinali 
effodit;  ähnlich  sagt  B.  Marliani,  Topogr.  ed.  1534  (3)  f.  121':  Alta  Semita  a 
thermis  Constantini  ad  portatn  Viminalem  per  Quirinalis  dorsum  erat  pro- 
ducta, cuius  vestigia  (erat  3nini  ex  quadrato  lapide  strata),  miper  in  vinea 
Sadoleti  vidimus  ipsi:  in  eademque  ad  Malum  Punicum  fuisse  doynum  Flavi 
Sahini  . . .  ex  Tihurtino  lapide  ihi  effosso  didicimus  (folgt  die  Inschrift).  Da 
nun  das  Terrain  unter  dem  Kriegsministerium  von  Privatpalästen  {domus  Va- 
lerii  Vegeti;  domus  Nummiorum;  vgl.  Capannari  Bull,  comun.  1885  S.  11 
ff.  u.  Tf.  I.  II))  eingenommen  war,  so  wird  der  später  zum  Heroon  der  gens 
Flavia  umgewandelte  Palast  in  der  Nähe  der  Quattro  Fontane  zu  suchen  sein. 
Dass  Domitian  gerade  in  der  Nachbarschaft  seines  Palastes  einen  Altar,  an  wel- 
chem jährlich  incendiorum  arcendorum  causa  geopfert  werden  sollte,  gegründet 
hat,  ist  sehr  passend.  —  4)  Ein  anderes  viel  besprochenes  Privalhaus  auf  dem 


(1)  Die  urkundlichen  Belege  jetzt  in  Venturis  oben  S.  77  angeführtem 
Aufsatz.  Daselbst  S.  199  unter  d.  22'«"  März  1561  Zahlungsanweisung  an 
einen  Giov.  Maria,  cavatore,  per  avere  cavcdo  travertini  nella  via  nuova  di 
Monte  Cavallo  inanzi  alla  casa  di   Valerie  doli. 

(2)  Lanciani  findet  eine  Schwierigkeit  darin  dass  die  domus  Pomponii 
bereits  figuriere  auf  dem  Plan  Bufalinis  von  1551,  während  der  Insehriftenfuud 
erst  im  November  1558  gemacht  sei.  Aber  das  Jahr  1551  auf  B.'s  Plan  be- 
zeichnet (was,  gewöhnlich  übersehen  wird)  vielleicht  den  Abschluss  der  Ver- 
messung, keinesweges  den  der  Veröffentlichung.  Die  Tafeln  enthalten  Nach- 
träge bis  10  .Jahre  später;  vom  16.  November  1560  datiert  sind  die  Zuschriften 
an  die  Conservatoren  von  Rom  und  an  den  Card.  Borromeo  auf  dem  Exemplar 
der  Barberina  (Bl.  C.  D).  Vgl.  den  inhaltreichea  Aufsatz  von  Gio.  Beltrani, 
Leonardo  Bufalini  e  la  sua  pianta  di  Roma  [Rivista  Furopea  Florenz  1880). 

(3)  In  der  zweiten  Auflage  (1514)  p.  89  ist  anstatt  der  modernen  Ortsangabe 
in  vinea  Sudoleti  die  antikere,  aber  weniger  klare  '  ad  malum  Punicum  ' 
getreten,  ülK'rhaupt  der  ganze  Passus  stark  gekürzt. 


JAHRESBERICHT    UEBER   TOPOGRAPHIE    DER   STADT    RO.M 


121 


Quirinal  ist  das  des  Martialis.  Ich  stimme  Lanciani  (S.  381-383)  darin  bei, 
dass  wir  über  eine  semplice  ajiprossimazione  nicht  hinauskommen  werden;  kann 
ihm  aber  nicht  in  der  Vermutung  folgen,  dass  der  Dichter  möglicherweise  in 


^"y^^^c^t'     *yi^^^/:^x<?^yvcv6€y 


oder  bei  dem  Palaste  seines  vornehmen  Landsmannes  und  Namensverwandten  Q. 
Valerius  Yegetus,  consul  suffectus  91  n.  Chr,  gewolmt  habe.  Durch  Martials 
eigene  Angaben  ist  gesichert,  dass  seine  Wohnung  dem  Quirinus-  (i)  und  dem 
Floratempel  nahe  lag  (-).  Die  beiden  Sfrassennamen  ad  pirum  {^)  und  ad pilam 


(1)  X,  S8,  10:  vicinosque  tihi,  sancte  Quirine,  lares;  XI,  1,  9:  vicini 
pete  porticum  Quirini. 

(2)  V,  22,  4  :  qua  videt  antiquum  rustica  Flora  Jovem.  —  VI,  27,  1  : 
Bis  vicine  Nejios  —  ?mm  tu  quoqiio  jiroxima  Florae  incolis.  Diese  vier 
Stellen  sind  aus  der  späteren  Zeit  des  Dichters  (Buch  Vund  VI  publiziert  89-98). 

(■^)  I,  117,  7;  wenn  dieser  Name  überhaupt  dieselbe  Lokalität  bezeichnet 
wie  die  eben  citierten.  Martial  wohnte  i.  J.  85  86  noch  zur  Miethe,  und  man 
konnte  von  seiner  Wohnung  aus  die  Vipsmiiae  launis,  die  Baunipflanzungen 
der  Porticus  Agrippae  in  der  VII.  Region  sehen.  Dass  '  ein  Ort  ad  pirum  auf 
dem  Quirinal '  in  einer  Bulle  Innocenz  III  vorkomme,  wie  .Jordan  an  mehreren 
Stellen  (Archaeol.  Zeitung  1871  S.  71;  Topogr.  L  1.  S.  72  Anm.  57;  bei 
Friedländer  Martial  a.  a.  0.)  behauptet  hat,  ist  unrichtig;  die  domus  in  re- 
gione  piri  welche  in  jener  Bulle  (abgedr.  bei  Jordan  Top.  IL  S.  668.  669)  auf- 
gezählt werden,  stehen  zwisclien  lauter  beim  Forum  und  Capitol  belegenen 
'Grundstücken;  vom  Quirinal  ist  mit  keinem  Worte  die  Rede. 


122  CH.    HUELSEN 

Tiburtitiam  (V,  22,  3),  \yelclie  er  in  Verbindung  damit  nennt,  lehren  topogra- 
phisch nichts.  Ueber  den  Floratempel  wisstn  wir  aus  \'arro.  dass  von  ihm 
eine  Strasse  nach  dem  höher  gelegenen  Copitoliwn  vetus  führte  (i) ;  aus  der 
gleich  anzuführenden  Viü-uvstelle,  dass  er  nicht  weit  vom  Quirinustempel  lag. 
Wir  gewinnen  daher  für  ihn  einen  Platz  in  der  Tiefe,  etwa  zwischen  Via 
Easella  und  Via  del  Tritone :  und  ebenda  muss  Martial  gewohnt  haben.  — 
5)  Damit  connex  ist  denn  auch  die  noch  problematischere  Ansetzung  der 
M  i  n  i  u  m  -  F  a  b  r  i  k  e  n  ,  welche  nur  von  Viiruv  VII,  9,  4  erwähnt  werden  : 
ofßcinae  mhiii  'per  puhlicanos  Romae  curanlur ;  sunt  autern  inter  aedem 
Florae  et  Quirini.  Die  xVstygraphen  des  16.  Jhdts.,  auch  z.B.  der  Plan  ßufa- 
lini's,  setzen  sie  in  die  Nähe  der  Quattro  fontane  ;  Lanciani  ist  geneigt,  dem 
zuzustimmen  und  die  molte  fabbriche  povere,  che  piuttosto  tenevano  di  stufe 
plebee,  welche  Flaminio  Vacca  (mem.  37)  in  dieser  Gegend  erwähnt,  damit  in 
Verbindung  zu  bringen.  Bestätigt  sich  das  eben  über  den  Floratempel  gesagte, 
so  sind  sie  vielmehr  am  Nordabhange,  bei  Via  Rasella,  zu  suchen. 

Bei  Anlage  des  neuen  öffentlichen  Gartens,  zwischen  dem  Pal.  deH'Ammi- 
nistrazione  della  E.  Casa  und  Via  della  Consulta  sind  ausser  allerlei  Mauer- 
trümmern von  geringem  Interesse  [Nothie  1889  S.  360.  1890  S.  8.  82  ;  Bull, 
comun.  1889  S.  479)  Reste  einer  antiken  Strasse  constatirt,  deren  Pflaster 
nicht  weniger  als  18  m.  unter  dem  modernen  Niveau  lag  {A^otisie  1890  S.  9; 
Bull,  comun.  1890  S.  11).  Von  Wichtigkeit  aber  für  die  gesammte  Topogra- 
phie des  Quirinal  ist  ein,  unter  dem  ehemaligen  Monastero  delle  Sajjramentate 
gefundenes  Fragment  einer  Travertinplatte  (von  mir  in  der  Institutssitzung 
vom  20.  Februar  1891  besprochen)  mit  folgendem  Inschriftrest: 


(Gatti  Notizie  1890  S.  82;  Bull.  comuJi.  1890  S.  73;  das  Original,  jetzt  im 
Magazzino  della  commissione  comunale  auf  dem  Caelius,  von  mir  revidirt). 
Der  letzte  Buchstabe  der  vierten  Zeile  scheint  mir  —  wie  auch  dem  Herausgeber 
Gatti  —  zweifellos  R  (2).  Daraus  folgt  die  Ergänzung  [//]/  vir  r{ei)  lp{ublicae) 


(1)  L.  L.  V,  32  p.  158:  cl'ivus  proximus  a  Flora  susiis  versus  Capito- 
lium  vetus.  Die  Lage  des  C.  vetus  bei  Palazzo  Barberini  ist  durch  inschriftliche 
Funde  gesichert;  vgl.  TJB.  1889  S.  278. 

(2)  Von  dem  vSchwanze  ist  zwar  nichts  mehr  erhalten,  jedoch  die  obere 
Rundung  vollständig  geschlossen,  während  das  P  in  dieser  Schrift  noch 
merklich  offen  ist. 


JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM         123 

c{onstituendae)~\  uiul,  unter  Berücksichtifjfunp:  der  Grössenverhältnisse,  etwa 
folgende  Wiederherstellung  der  ganzen  Inschrift  (i) : 

M.  Ag[;rippa  L.  f. 
aed\^.  iussu 

Imp.  Cae[saris  Divi  f. 

ii\i.  vir.  r.  [p.  c.  aediculam  ? 

viyÄ  Salu\tnris  reßc.  cur  ? 

Die  Stellen  über  den  S  a  1  u  s  -  T  e  m  p  e  1  (Becker  To])Ographie  S.  578.  579) 
beweisen,  dass  in  seiner  Nähe  der  Tempel  des  Quirinus  ur.d  das  Haus  des 
Pomponius  Atticus  lagen  :  beide,  wie  oben  auseinandergesetzt,  bekannter  Lage. 
Ferner  lag  der  Tempel  nahe  an  der  servianischen  Mauer,  deren  eines  Thor 
sich  nach  ihm  benannte.  Wir  werden  mithin  die  aedes  Salaiis  mit  Wahr- 
scheinlichkeit unter  dem  westlichen  Haupttract  des  Quirinalpalastes  zu  suchen 
haben,  und  in  dem  vicus  Salutaris  (oder  Salutis)  eine  von  dort  nach  dem 
Thal  zwischen  Quirinal  und  Viminal,  etwa  parallel  der  modernen  Via  della 
Consulta,  hinab  führende  Strasse  sehen.  Ist  dies  richtig,  so  ergeben  sich 
daraus  weitere  Folgerungen  für  die  Benennung  der  servianischen  Thore  auf 
dem  Quirinal.  Dass  nach  dem  Marsfelde  zu  eine  Strasse,  etwa  entsprechend 
der  modernen  Via  della  Dataria ,  hinabstieg,  ist  bekannt ;  das  Grab  der 
Sempronier  (vgl.  TJB  1889  S.  275)  giebt  dafür  ein  monumentales  Zeugnis. 
Die  Nachbarschaft  des  Salus  -  Tera])els  lässt  für  das  sich  hier  öffnende  Thor, 
welches  etwa  bei  dem  grossen  Eundturm  der  Quirinalfassade  gelegen  haben 
mag,  keinen  anderen  Namen  zu  als  Porta  Salutaris  (2).  Dadurch  wird  es 
unmöglich,  ein  zweites  Thor,  die  porta  Sanqualis,  da  zu  suchen,  wo  ich  sie 
TJB  1889  S.  274  angesetzt  habe,  nämlich  nördlich  von  dem  seiner  Lage  nach 
bekannten  (TJB  a.  o.  0.)  Tempel  des  Deus  Fidius.  Vielmehr  wird  sie  südlich 
von  demselben  gelegen  haben,  wo  man  bis  jetzt  gewöhnlich  die  Fontinalis 
ansetzt  {^).  Die  weiteren  Consequenzen  zu  ziehen  ist  im  Eahmen  dieses  Be- 
richtes unmöglich  ;  ich  hoife  es  an  anderer  Stelle  thun  zu  können. 


'o' 


C  0 1 1  i  s   h  0  r  1 0  r  11  m. 

Bei  Bauarbeiten  im  neuen  Quartier  Ludovisi  fand  man  eine  kleine  Mar- 
morbasis (0,23X0,0-15  m.)  welche  in  kleinen  eleganten  Buchstaben  die  Inschrift 

(1)  Gardthausen  (Rhein.  Museum  1890  S.  619-621)  hat  die  topographische 
Beziehung  von  Z.  5  richtig  erkannt :  seine  Ergänzung :  J/.  Ac[^ilius  M.  f. 
Canin.']  aed.  [cur.  ex  iussu]  Imp.  Cacsaris  locum  dedit ;  I][  vir.  f[agi 
sanq.  ?  et  mag.  vi}ci  Salu\taris  fac.  curaverunt]  ist  aber  unmöglich,  sowohl 
weil,  wie  bemerkt,  Z.  4  am  Ende  nicht  P  steht,  als  auch  wegen  der  sonst  nicht 
nachzuweisenden  Duumvirn  eines  pagus,  während  als  Vorsteher  der  stadt- 
röraischen  pagi  sonst  nur  magistri  vorkommen. 

(-}  Auf  diese  Ansetzung  kommt  auch,  aus  anderen  Gründen,  Wissowa  am 
Schluss  des  oben  (S.  119)  angeführten  Aufsatzes. 

(3)  Sie  mit  dem  Bogen  im  Pal.  Antonelli  zu  identifizieren,  fällt  mir  na- 
türlich nicht  ein;  was  ich  hervorhebe,  da  die  Skizze  S.  121  iiTe  führen  könnte. 


124  CH.    HUELSEN 

laco  •  PKAEF  •  viG  •  xTTT  irä,2rt.  Es  ist  der  bekannte  praefectus  vic/ilum  des 
Tiberius  :  da  die  Zahl  XIII  sich .  weder  auf  Iteration  des  Amtes  beziehen,  noch 
Ordnunffsziffer  des  Laco  in  der  Reihe  der  Praefecten  sein  kann,  vermutet 
der  Herauscreber  Gaiti  [Xotizie  1889  S.  105;  BuU.comun.  1889  S.  151-153), 
dass  Laco  in  den  sämtlichen  14  Excubitorien  der  Vigiles  Statuetten  (einer 
Gottheit  oder  des  Kaisers)  dediziert  habe,  von  denen  die  erhaltene  die  vor- 
letzte wäre. 

In  Via  Yeneto,  gegenüber  von  Porta  Pinciana.  fand  man,  0,40  m.  unier 
dem  jetzigen  Terrain,  das  Pflaster  einer  antiken,  der  modernen  parallel  lau- 
fenden Strasse  ;  ebenda,  in  bedeutender  Tiefe  (er.  9  m.)  eine  in  den  Hügeltuff 
sehr  sorgfältig  eingeschnittene  Kammer,  2,10  m.  im  Quadrat,  2,80  m.  hoch. 
Ein  (nicht  ausgegrabener)  unterirdischer  Gang  führte  von  der  einen  Seite  in 
der  Richtung  auf  Porta  Pinciana  ;  die  drei  anderen  Seiten  hatten  jede  eine 
rechtwinkelig  abgeschlossene  Halbrundnische,  und  darin  "  una  specie  cli  vasca 
0  pozzetto  ",  0,65  m.  tief  (Notisie  1890  S.  285  ;  Bull,  comun  1890  S.  299.  300). 
Vielleicht  haben  wir  es  mit  der  Stätte  eines  Geheimkultus  zu  thun,  wie  das 
sicher  ist  für  die  1885  gleichfalls  im  Quartier  Ludovisi  (via  Flavia)  entdeckten 
Anlagen  {Bull,  comun.  1885  S.  131  ff). 

Die  Nekropole  vor  Porta  Pinciana  und  Porta  Salaria  hat  auch  in  diesem 
Jahre  fortgefahren,  unbedeutende  Grabschriften  zu  liefern  (Notizie  1890' 
S.  286-288;  Bull,  comun.  1890  S.  301):  einiges  Interesse  gewährt  das  wohl 
noch  aus  republikanischer  Zeit  stammende  Grab  eines  Q-  Terentilius  Q.  f.  Cam. 
Rufus  (zwischen  Porta  Salara  und  dem  ersten  Thurm  der  Aureliansmauer,  30  m. 
vor  der  letzteren),  weil  es  den  Lauf  der  antiken  Via  Salaria,  an  deren  linken 
Seite  es  lag,  mit  bestimmen  hilft.  Dieselbe  lief  etwas  westlich  der  modernen 
Strasse  {Notizie  1890  S.  218.  241  ;  Bull,  comun.  1890  S.  247). 

Das   Marsfeld. 

Die  siebente  Region,  zwischen  den  Hügeln  und  der  Via  lata,  hat 
auch  im  verflossenen  Jahre  fast  keine  nennenswerten  Funde  geliefert.  In  Via 
Poli  ist  eine  der  neuen  Via  del  Tritone  parallel  (also  rechtwinkelig  zur  Via 
Lata)  laufende  Strasse  constatirt.  Gatti  {Bull,  comun.  1890  S.  296)  stellt  durch 
Hinweis  auf  früher  in  der  Nähe  gemachte  Funde  fest,  dass  sie  durch  den 
bekannten  Claudiusbogen  der  Aqua  Virgo  {C.  I.  L.  VI,  1243),  dann  aufwärts 
im  Thale  zwischen  Pincio  und  Quirinal  gegangen  sei,  um  schliesslich  in  die 
Salaria  zu  münden.  Interessant  ist,  dass  drei  verschiedene  Pflasterungen  über- 
einander (er.  4,  5  und  6  m.  unter  jetzigem  Niveau)  gefunden  sind. 

O.Marl-cchi  il  cimitero  e  la  hasilica  dl  S.  Valentino  e  r/uida  archeologica 

della  via  Flaminia.  Rom  1890.  8.  140  SS.  4  Tff. 
enthält    im    Einleitungskapitel    eine    kurze    üebersicht  (S.  5-15)   der    haupt- 
sächlichsten ]\l'iiuuüente  zu  beiden  Seiten  der  Via  Flaminia,  vom  Kapitol  bis 


JAHRESBERICHT  HEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM         125 

Ponte  Molle.     Vertrautheit    mit  dein  modernen  Stande  der  Forschungen  war 
hei  dem  Vf.  vorauszusetzen,  Neues  hat  er  nicht  bieten  wollen. 

Pantheon  und  U  m  g  e  g  e  n  d.  Eine  zweite  Arbeit  Marucchis,  i 
leoni  del  re  Nektancbo  {/lull,  comun.  1890  S.  307-325)  kommt  hier  in 
Betracht,  weil  am  Schluss  auch  die  Frage  erörtert  wird,  ob  die  beiden  berühm- 
ten Basaltlüwen,  welche  unter  Eugen  IV  und  Clemens  VII  in  d^T  \'orhalle  des 
Pantheon  gefunden  wurden,  dann  seit  Sixtus  V  die  Fontana  dell'acqua  Feiice 
zierten,  und  jetzt  im  ägyptischen  Museum  des  Vaticans  sind  (i),  in  römischer 
Zeit  zum  Schmuck  des  Iseum  im  Marsfelde  gehört  haben.  Der  Vf.  entscheidet 
sich  negativ,  weil  nach  dem  Berichte  Flaminio  Vaccas  die  beiden  Löwen  durch 
eine  wirkliche  Ausgrabung,  also  an  ihrer  antiken  Stelle  zu  Tage  gekommen 
seien.  Dass  man  im  frühen  Mittelalter  sich  die  Mühe  gegeben  habe,  die  Front 
des  Pantheons  mit  Kunstwerken  aus  benachbarten  Gebäuden  zu  schmücken, 
sei  unwahrscheinlich.  —  Aber  aus  dem  Iseum  herbeigeschleppt  ist  doch  das  in 
der  Vorhalle  des  Pantheon  ausgegrabene  Bruchstück  eines  Gebälks  mit  Sper- 
bern, Löwen  u.  s.  w.  (C.  L.  Visconti  Bull,  comun.  1876  S.  80  Tf.  14.  15;  Lanciani 
Bull,  comun.  1883  S.  49  ff )  ;  und  von  Ausschmückung  mit  noch  gewichtigeren 
Spolien  benachbarter  Tempel  bieten  ein  sicheres  Beispiel  die  zwei  Provinztigu- 
ren  vom  Tempel  auf  Piazza  di  Pietra,  welche  jetzt  in  Pal.  Odescalchi  stehen, 
und  unter  Alexander  VII  in  der  Vorhalle  des  Pantheon  ausgegraben  sind  (2). 

An  der  Ostseite  der  Kirche  S.  Andrea  della  Valle  (über  Funde  an  der 
entgegengesetzten  Seite  der  Kirche  vgl.  TJB  1889  S.  265),  fand  man  antike, 

(1)  Die  Zuteilung  der  Inschrift  an  Nektanebus  I  oder  II  war  bisher 
streitig.    Marucchi  entscheidet  für  den  zweiten,  362-3-tO  v.  Chr.  regierenden. 

(2)  Bartoli    mem.  78    bei   Fea  Miscell.  1,-242:    Alessandro   VII 

facendo  gittare  via  alcune  case  che  ingombravano  [il  portico  della  Rotonda), 
fu  trovato  ne'  fianchl  del  portico,  quäl  chiudevano  tra  ima  colonna  e  Valtra, 
delle  medesime  figure,  ovvero  provincie,  che  poi  furono  le  piü  conservate, 
messe  alle  scale  dal  card.  suo  nipote  u.  s.  w.  (vgl.  auch  mem.  115  ebda. 
S.  255).  Lud.  Demontiosius,  Gallus  Romae  hospes  (1585;  cap.  de  Pantheo) 
spricht  öfter  und  ausführlich  von  diesen  Fiijuren,  die  er  für  caryatides  hält. 
(So  p.  2:  Julius  Jacoboiiius  ..  ostendit  mihi  qunttuor  capita  mulierum  in 
fronte  porticus  ad  dextram  humeris  tenus  supra  terram  extantia,  ex  totidem 
tabulis  marmoreis  excalpta,  sed  asser ebat  se  vidisse  mulierum  formas  in- 
tegras,  egesta  quondam  inde  terra,  qua  nunc  obrutae  latent).  Eine  von  diesen 
bildet  er  dann  p.  13  ab  :  es  scheint  die  eine  jetzt  im  Pal.  Odescalchi  befindliche 
(Canina  Etrur.  mar  it.  I,  3,  11)  zu  sein.  Auch  auf  einer  die  Vorhalle  des 
Pantheon  darstellenden  Zeichnung  Pirro  Ligorio's  (Taurin.  vol.  13  f.  70;  der 
Text  besagt :  Vi  pose  intra  li  intercolumnii  anchora  Agrippa  le  cariatide 
sculpite  di  marmo,  di  Scopa  dice  Plinio,  delle  quali  in  quella  parte  se- 
gnata  MAI  havemo  accennato,  dove  anchora  a  dl  nostri  si  veggono  sotter- 
rate, perche  d'esse  figure  erano  chiusi  tutti  gli  intercolunni,  cccetti  gli  tre 
spatii  di  mezzo  della  montata,  ch'erano  aperti,  et  d'esse  cariatidi  si  vedono 
i  vestiggi  nel  ßancho  del  portico  signato  T)  sind  diese  Figuren  mit  dem 
charakteristischen  oberen  Profil  deutlich  zu  erkennen.  Hätte  Lanciani  auch 
die  Zeugnisse  des  Demontiosius  und  Ligorio  gekannt,  so  würde  er  vielleicht 
nicht  {Bull,  comun.  1878  S.  22.  23)  die  Angabe  ßartolis  bezweifelt  haben. 


126  CH.   HUELSEX 

in    der   Richtung  NS  laufende  Mauer,    Reste    eines    mit   Travertin   belegten 
Platzes  und  eines  Marmorpflasters  [Notizie  1889  S.  362). 

Südlicher  Teil.  Theater  u.  s.  w.  Zwischen  der  neuen  Via  Are- 
nula  und  Piazza  Cenci  sind  Reste  eines  grossen  monumentalen  Gebäudes,  dem 
Anschein  nach  aus  republikanischer  Zeit,  aufgedeckt.  Ausser  der  TJB  1889 
S.  267  erwähnten,  mit  Via  Arenula  parallelen  Mauer  ist  7  m.  unter  dem 
modernen  Niveau  eine  darauf  rechtwinkelige,  aus  grossen  Tuffquadern  mit 
einem  Bekrünungsgesims  von  Travertin,  constatirt.  Ihr  Lauf  ist  10°^  weit  frei- 
gelegt :  am  östlichen  Ende  zeigt  das  umlaufende  Bekrönungsgesims,  dass  die 
Anlage  hier  ihren  Abschluss  fand.  Vor  der  Mauer  (südlich  nach  dem  Flusse  zu) 
in  einem  Abstände  von  12  m.  fand  man  eine  Reihe  von  Travertinsäulen,  von 
denen  noch  sechs  (unt.  Dm.  m.  0,90,  oberer  0,65  ;  Höhe  :  je  vier  Trommeln 
zu  0,85  m.;  Abstand  2,25  m.)  an  ihrer  Stelle  waren.  [Notizie  1889  S.  240,  241  ; 
Bull.  com.  1889  S.  366).  Dass  wir  uns  hier  im  Gebiete  der  Anlagen  des  Cor- 
nelius Baibus  (Theater,  Portikus)  befinden,  ist  bekannt  (i). 

Gelegentlich  derselben  Arbeiten  wurden  gefunden :  Marmoral+ar  mit 
Weihinschrift  J/.  Lurius  Germics  \  aram  [restitucrunt]  \  lovi  optimo  maxumo] 
ob  suam  suorumqiie  salu[l;em]  :  das  restituerunt  Z.  2  ist  späterer  Zusatz 
{Notizie  1889  S.  273 ;  Bull,  comun.  1889  S.  440);  ferner  (Notizie  1889  S.  361) 
Ziegel  mit  cvspi  de  (Marini  785  =  C  I.  L.  XV,  970)  und  L.  Bruttidi  Au- 
gustalis  opus  doliar  (Marini  650  =  C.  L  L.  XV  377  h). 

Die  auf  Piazza  del  Pianto  gefundenen,  W-0  orientirten  Reste  antiker  Pri- 
vatgebäude [Notizie  1889  S.  362  ;  Bull  comun.  1889  S.  478)  sind  unbedeutend. 

Beim  Bau  einer  Cloake  von  Piazza  del  Pianto  nach  der  Porticus  Octaviae 
fand  man,  südöstl.  von  Via  della  Reginella,  6,78  m.  von  der  Ecke  dieser 
Strasse,  eine  Granitsäule  von  0,66  m.  Durchmesser  auf  attischer  Basis,  die  auf 
einem  Travertinblock  ruht  (3,10  ra.  unter  modernem  Terrain).  Standspuren 
von  ähnlichen  Säulen  (Basen,  Peperinblöcke)  wurden  an  weiteren  vier  Stellen 
entdeckt,  und  dadurch  der  Axenabstand  der  Säulen  mit  m.  3,40  constatii-t.  Gatti 
[Notizie  1890  S.  31;  bull,  comun.  1890  S.  06-68)  hält  die  Zugehörigkeit  zur 
porticus  Philippi  für  ausgeschlossen  [perche  un  frammento  della  pianta  mar- 
morea  Capitoli^ia  e  la  base  di  una  delle  Muse  prese  in  Ambracia,  C.  I.  L. 
VI,  1307  ...  dimostrano  che  il  portico  di  Filippo  ...  si  estendeva  poco  oltre  la 
via  di  S.Ambrogio  e  non  poteva  giungere  fino  alVodierna  via  dclla  Reginella), 
und  schreibt  sie  daher  den  Porticus  Maximae  des  Gratian  Valentinian  und 
Theodosius  zu.  Mir  scheint  erstere  Möglichkeit  nicht  so  abzuweisen  :  die  Musen- 
basis kann  sehr  wohl  in  der  Osthalle  der  Porticus  Philippi  gestanden  haben ; 
die  Westhalle  dehnt  Canina  vielleicht  ganz  richtig  bis  Via  della  Reginella  aus. 

(1)  Eine  die  neuen  Funde  mit  älteren  verknüpfende  Behandlung  verspricht 
Lanciani,  Vitinerario  di  Einsiedeln  e  Vordine  di  Benedelto  Canonico,  Mon. 
dei  Lincei  1,  3  (1891)  S.  522. 


JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM 


127 


N  ü  r  d  1  i  c  ]i  e  r  T  e  i  1.  Bereits  TJB  1889  S.  263  wnrae  vorläufig  hinge- 
wiesen auf  merkwürdige  Funde  unweit  der  Chiesa  nuova.  Obwohl  die  da- 
mals angekündigte  Publication  erst  im  J.  1891  erfolgt  ist,  halte  ich  es  für 
angemessen,  sie  schon  diesmal  ausführlicher  zu  besprechen,  da  sie  durch  die 
Conibinirung  mit  anderen  hochwichtigen  Funden  —  die  freilich  auch  noch  der 
Publikation  harren   —  ein  besonderes  Interesse  gewinnt. 

Im  Winter  1886/87  und  im  Frühjahr  1887  wurden  bei  Gelegenheit  des 
Baues  der  Hauptcloake  für  den  neuen  Corso  Vittorio  Emanuele,  bei  der 
Piazza  Cesarini,  Peste  eines  monumentalen  Gebäudes  aufgedeckt.  Lanciani, 
welchem  eigene  Beobachtungen  P^nde  1887  und  1888  Gelegenheit  gaben  die  in 
den  Notizie  degli  scavi  1887  S.  180  und  im  Bull,  comun.  1887  S.  276.  277 
publizierten  Notizen  zu  berichtigen  und  zu  vervollständigen,  hat  seiner  Mono- 
graphie Vltuierario  dl  EinsiecleJn  e  Vordine  di  Benedetto  Canonico  {Monu- 
menti  antichi  puhbl.  per  ciira  della  R.  Accademia  dei  Lincei.  Vol.  I. 
pmit.  3.  1891)  einen  Exkurs  über  diese  Entdeckungen  eingereiht  (S.  540-548), 
dessen  Hauptresultate  die  folgenden  sind. 

Den  Mittelpunkt    der  Anlagen    bildete    eine  Ära    von    grossartigen  Di- 
mensionen :   von    den  pulvini    sind    zwei    aneinander    anschliessende  Blöcke 


(Länge  2,50  m.)  erhalten  :  da  die  Mitte  durch  ein  Mäanderband  charakterisirt 
ist,  lässt  sich  die  Gesammtlänge  auf  3,40  m.  berechnen.  Die  Ära  ruhte  auf 
einem  Unterbau  von  (mindestens)  drei  Stufen  ;  an  ihrer  Rückseite  erhob  sich 


128  CH.    HL'ELSEN 

eine  grosse  Abschlussmauer  aus  Tuff  mit  Belag  von  Travortinquadern  :  der 
Platz  vor  und  neben  dem  Altar  war  mit  einer  dreifachen  Mauer  aus  Peperin- 
quadt'rn  umeeben.  Von  diesem  dreifachen  Mauerring  ist  bei  der  beschränkton 
Breite  des  Kanals  natürlich  nur  ein  kleiner  Theil  zu  Tage  gekommen  :  zufällijif 
befinden  sich  in  ihm  gerade  die  Eingangsthüren,  von  deren  Marmordekoratiou 
wenigstens  Bruchstücke  erhalten  sind.  Die  Pegeln  der  Symmetrie  und  die 
Vergleichung  mit  ähnlichen  Anlagen  (Ustrinum  der  Antonine  auf  Monte 
Citorio  ;  f.  U.  P.  fr.  173^  veranlasst  Lanciani  zu  der  S.  127  wiedergegebenen 
Pekonstruktion.  Die  Oberschwelle  der  ersten  Thür  wurde  noch  in  aitu  gefunden, 
5  m.  unter  dem  modernen  Strassenplanum:  bis  zum  antiken  Niveau  herabzugehen 
war  mit  Pücksicht  auf  die  Zwecke  der  modernen  Canalisation  unthunlich. 
Erkennbar  aber  war,  dass  die  ganze  Anlage  auf  einem  äusserst  sumpfigen 
Grunde,  vermittelst  einer  starken  Unterlage  von  calcestruzso  errichtet  war. 
Zur  Abführung  des  Wassers  diente  ein  breiter  (m.  3,50)  und  tiefer  (m.  1,20) 
Kanal  (Euripus),  dessen  wohlerhaltener  Travertinbord  und  Cementbettung 
beschrieben  sind  Bull,  comuii.  1886  S.  282,  östl.  von  der  rückwärtigen  Ab- 
schlussraauer  des  Altarbezirks  (Aufnahme  bei  Lanciani  a.  a.  0.  Tf.  III). 

Monumentale  Altäre  von  diesen  Dimensionen  sind  im  Marsfelde  natürlich 
selten  gewesen :  da  die  Ära  Pacis  ihrer  Lage  nach  genau  bekannt,  die  Ära 
Martis  so  weit  zu  fixiren  ist,  dass  ihre  Identification  mit  dieser  vollständig 
ausgeschlossen  bleibt,  so  fiel  Lanciani's  Vermutung,  der  ich  mich  vollständig 
anschliesse  (^),  auf  die  berühmte  Ära  Ditis  et  Proserpinae  in  Terento.  Genannt 
wird  dieselbe  besonders  (vgl.  Becker,  Topogr.  S.  628.  629)  wegen  der  Feier 
der  ludi  saeculares.  Nun  sind  in  geringer  Entfernung,  beim  Fundamentiren 
eines  Hauses  in  via  Civitavecchia,  die  umfangreichen  Fragmente  des  commen- 
tariuni  der  quinclecimviri  sac.ris  faciundis  über  die  Ausrichtung  der  Spiele 
unter  Augustus  747  d.  St.  und  unter  Severus  204  n.  Chr.  gefunden  worden 
(Not.  1890  S.  285);  zwei  andere  Bruchstücke,  deren  eines  mit  einem  der  jüngst 
gefundenen  genau  zusammenpasst,  tauchen  im  16.  Jhdt.  im  Palazzo  Ceuli  in 
via  Giulia  auf  (C.  /.  L.  VI,  877  a.  h)  :  zweifellos  war  der  ursprüngliche  Platz 
der  Inschriften  bei  dem  beschriebenen  Altar,  der  von  beiden  Punkten  etwa  gleich 
weit  entfernt  liegt.  Gesichert  wird  durch  den  neuen  Fund  die  Lokalität  des  vie'.- 
bestrittenen  Terentum,  welches  von  einigen  (besonders  den  älteren  Topo- 
graphen, Donati  Martinelli  Nardini)  bei  S.  Lucia  della  Tinta,  von  anderen 
(Becker)  beim  Mausoleum  des  Augustus  oder  (Urlichs)  beim  Forum  Boarium 
gesucht  wurde.  Die  Vertreter  der  beiden  letzten  Ansichten  beziehen  sich  auf 
die  Stelle  des  Zosimus  2,  3,  wo  das  sibyllinische  Orakel  die  Pömer  auffordert 

'önnri  axEivöxccxop 

aus  der  sie  folgern,  das  T.  habe   "  an  der  schmälsten  Stelle  des  Marsfeldes  y> 
gelegen.     Dass  diese  auf  der  Verbindung  von  areiföiuroy    mit    nedlov  beru- 

(1)  vgl.  meine  bei  Lanciani  a.  a.  0.  S.  546  abgedruckte  Mitteilung. 


JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM         129 

hende  Erklärung  unzutreffend,  vielnielir  das  Adjectivum,  wie  es  Prcller , 
Regionen  S.  241  (und  schon  vor  ihm  der  alte  I.  M.  Gesner,  de  annis  ludisque 
saecularihus  veterum  Romanorum,  Vimar.  1717  S.  34)  gethan  hat.  zu  JhJ'w» 
zu  ziehen  ist,  unterliegt  nunmehr  keinem  Zweifel  mehr.  Die  Erzählungen  bei 
Ovid  (Fasti  1,  501)  und  Valerius  Maximus  2,  4,  5  treten  erst  jetzt  ins  rechte 
Licht. 


Wenig  nördlich,  vor  dem  Hause  vicolo  del  Pavone  n.  296,  fand  sich, 
4,50  m.  unter  dem  tStrassen])flaster  ein  Raum  mit  schwarz  und  weissem 
Mosaikpflaster,  dessen  vollständige  Aufdeckung  nicht  möglich  war  [Notizie 
1889  S.  339  ;  Bull,  comuii.  1889  S.  441). 

Nach  Demolirung  des  ehemaligen  teatro  Apollo  hei  Ponte  S.  Angelo 
wurden  unter  dessen  Fundamenten  grossartige  antike  Constructionen  aus  Tuff 
und  Peperin  freigelegt,  welche  sich  bis  in  den  Fluss  hineinzogen  :  zahlreiche 
Marmorreste,  kannellirte  Säulenschäfte,  Kapitelle  u.  dgl.  sind  gefunden  {No- 
tizie 1890  S.  153)  (1). 

Etwas  weiter  flussaufwärts,  bei  Via  Monte  Brianzo,  fand  man  folgende 
Weihinschrift:  Mercurio  \  Aeterno  deo,  Io\vi  \  I]unoni  Regin(ae)  Minler- 
vae I  So]ll  Lunae  Apol[lini  \  Dia]nae  Fortun\oe  p.  r.  \  . .  ^nae  Opi  Isi  Pi[e- 

tati  I ]    Fatiis  (sie)  D[ivinis  \  quod  bo^num   [faustum  \  fe]lixque  [siet]  \ 

Imp.  Caesari  Augus[to  tutelae]  \  eins  senatus  populiq\ue  Romani']  \  et  gen- 
tibus  nöno  . .  . .  \  iniroeunte  felic[iter']  \  C.  Caesare  L.  Pau\llo  cos]  j  L.  Lu- 
cretius  L.  l.  Zethus  \  iiissu  lovis  arani  Auguüarn  |  posuit.  Neben  das  letzte 
Wort  ist  mit  späten  schlechten  Buchstaben  geschrieben  :  (links)  Salvs 
SEMONIA  (r.)  POPVLI  VICTORIA  [Notisie  1890  S.  388.  389).  Da  das  Konsulat 
das  des  Jahres  754  ist,  ergänzt  Moramsen  Z.  12  nono  anno,  mit  Hinweis 
auf  die  746  47  erfolgte  Neuordnung  der  Stadt  durch  Augustus,  Gründung  der 
Larencapellen  u.  s.  w.  Zu  einer  Kultstätte  der  vicomagistri  könnte  auch  diese 
Inschrift  gehört  haben  (-). 

Zwischen  via  Ripetta  und  dem  Fluss,  beim  sog.  Ferro  di  cavallo,  fand 
man  Bleiröhren  mit  der  Inschrift  aviani  vindiciani  |  v  •  c  ;  es  ist  der 
C.  I.  L.  X,  1863.  6312.  6313  genannt  consularis  Campaniae,  der  vielleicht 
mit  dem  Proconsiü  von  Africa  380.  381  identisch  ist. 


(1)  Der  interessante  Fund  ist  eingehend  besprochen  in  D.  Marchetti's 
Aufsatz :  'di  un  antico  molo  per  lo  sharco  dei  marmi  riconosciuto  sulla  rwa 
sinistra  del  Tevere,  Bull,  comun.  1891  S.  45-60  nebst  Tf.  III.  IV. 

(2)  Dass  unter  dem  Mercurius  aeternus,  der  vor  den  kapitolinischen 
Gottheiten  genannt  wird,  sich  der  Kaiser  verbirgt,  ist  eine  Illustration  zu 
Horaz  I,  2,  41  :  sive  mutalus  iuvenem  figura  ales  in  terns  imitaris,  almae 
filius   Maiae   patiens   vocari    Caesar  is    ultor. 


130 


CH.   HUELSEN 


Der   Tiber   ii  n  d  d  i  e  Brücken. 

Die  fleissige  Zusammeustellimg  von  L.  Cantarelli :  la  serie  dei  cura- 
tores  Tiheris  {Bull,  comiin.  1889  S.  185-205)  giebt,  als  Einleitung  zu 
der  Eeihe  der  (30)  bekannten  Curatoren  einige  allgemeinere  Bemerkungen 
(Ursprung  der  cum  Tiheris,  Vereinigung  mit  der  cura  cloacarum,  Zahl  der 
Beamten,  niederes  Dienstpersonal).    Hinsichtlich  des    Topographischen  ist  zu 


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JAHRESBERICHT  HEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM         131 

erwähnen,  dass  C.  die  von  Momrasen  {Staatsrecht  2^  S.  1017)  behauptete  Tei- 
luni:,^  diT  Aufsicht  über  die  beiden  Flussufer,  so  dass  i.  J.  78  n.  Chr.  Calpe- 
tanus  Rantius  Quirinalis  das  linke,  Dillius  Aponianus  das  rechte  Ufer  ter- 
minirt  habe,  bestreitet,  weil  der  letztere  als  praetorius  nicht  mit  seinem  con- 
sularischen  Collegen  gleichen  Rang  gehabt  haben  könne:  perö  nel  caso,  che 
ad  alcuni  lavori  speciali  fosse  stato  preposto  un  curatore  inferiore,  nei  cippi 
era  inscritto  non  il  vorne  clel  curatore  primaria,  ma  bensl  quello  del  cura- 
tore che  a  cotesti  lavori  speciali  sopraintendeva. 

Ueber  die  Termination  des  rechten  T  i  beruf  er  s  verdanken  wir 
den  Arbeiten  für  den  neuen  Quai  zwischen  Ponte  Umberto  und  Ponte  Mar- 
gherita wichtige  Aufschlüsse.  D.  Marchetti,  welcher  darüber  in  den  Notizie 
1890  (S.  82-88.  187.  322-823.  389-391)  berichtet  hat,  bereitet  eine  ausführliche 
Arbeit  über  dies  Thema  vor;  zur  vorläufigen  Orientirung  möge  folgendes 
dienen    (vgl.  die  Planskizzen  S.  130  und  133). 

Nicht  weniger  als  dreizehn  (i)  beschriebene  Cippi  sind  im  Laufe  des 
Jahres  1890  an  ihrer  alten  Stelle  gefunden  worden.  Alle  sind  aus  Travertiu 
und  haben  die  übliche  Form  eines  Parallelepi])eds  (Höhe  im  Ganzen  2-2.50  m., 
davon  über  den  Erde  er.  1-1.20  in.;  Breite  0,70,  Dicke  0,30-0,40  m.)  mit  halb- 
kreisförmigem oberen  Abschluss.  Der  Inschrift  nach  gehören  11  der  Termi- 
nation des  Augustus,  747  d.  St.,  zwei  der  des  Trajan,  101  n.  Chr.  an. 

Die  augustischen  Cippen  tragen  auf  der  Vorderseite  die  bekannte  In- 
schrift (C.  /.  L.  VI,  1230):  Imp.  Caesar  Divi  f.  |  Augustus  \  pontifex  maxi- 
mus  I  tribunicia  potest.  XVII  \  ex  s.  c.  terminovit;  die  teils  gleichfalls  auf 
der  Vorderseite  {VS),  teils  auf  der  rechten  (r.  N.)  oder  linken  (/.  N.)  Neben- 
seite, einige  Male  auch  auf  der  Eückseite  {RS)  stehenden  Massangaben  sind: 

Cippus  a  [Xot.  S.  187)   VS:  r  •  r  •  prox  ■  cipp  •  ped  •  ccvi 

RS :    R  •  R  •  PROXIMVS  •  CIPPVS  •  PED  •  CCV 

h  (S.  84)  r.N:  r  •  r  •  prox  •  cipp  -  ped  •  xxiv 

C  (S.  85)    VS:  R  •  R  •  PROX- ciPP  •  ped  •  XLi 

^.  .V;    R-  R-  PROX-  CIPP  ■  P 
ED  •  XXIV 

d  (S.  84)     VS:  R  •  R- PROX  -  CIPP  -  ped  •  XVI 

e  (S.  84)    7?.S';  R  -  R- PROX  •  CIPP  -  ped  •  XV 

f  (S.  83)     F,S'.-  R- R- PROX- CIPP  •  ped  •  XXS 

l.N:  R- R- PROX- CIPP  •  ped  • 

XXV 

g  (S.  85)  r.N:  R  ■  R  •  prox  -  cipp  ■  p  -  xv 

(1)  Ich  lasse  dabei  die  fünf  inschriftlosen  (au  der  S.  130  mit  ?/  bezeichneten 
Stelle),  welche  Marchetti  als  no.  1-5  zählt,  ausser  Betracht,  da  sie  nach  seiner 
ausdrücklichen  Angabe  zwar  in  der  Uferlinie  stehen,  ab.  r  mit  der  Termination 
als  solcher  nichts  zu  thun  haben.  Sie  unterscheiden  sich  auch  äusst-rlich  von 
den  anderen  durch  die  tiefen  Löcher  in  den  Seiten,  welche  zur  Anbringung 
eines  Gitters  dienten. 


132  CH.    HL'ELSEN 

Cippus  h    (Not.  S.  85)    VS:  r  •  r- prox  •  cipp  •  ped  •  cxLviiis 

Z.iY;    R  •  R  •  PROX  •  ClPP  •  PED  •  XV 
i  (S.    322)    F^";    R'R-  PROXIMVS-CIPPVS  ■  PED -XXXUI 

JiS:   R  •  R  •  PROX  •  CIPPVS  •  PED  •  CLXVl 
k  (S.    323)     r-S";    R- R-  PROX- CIPPVS- PED- CCXIX 

l  (S.   390)     P^6';    R- R- PROX- CIPP-  PED- CCXIX 

BS:   R  -  R  ■  TROX  -  CIPP  -  PED  -  CLXI 

Die  beiden  Cippen  der  Trajanischen  Termination  sind  sehr  zerstört;  der 
besser  erhaltene  (m ;  Notlzie  S.  84)  hat  [ex  auctoritate  |  Imp.  Caesaris  Divi 
Nervae  fili  Nervae  \  Traiani  Aug.  Germanici  \  p]onti[/icis  maccimi  trib.  \ 
potest]  V.  COS.  IUI.  p.  [p  I  Ti]  Julius  Ferox  cur.  alvei  Te?]  1  riparum  Ti- 
heris  et  cloacar.  \  terminavit  ripam.;  der  andere  (a.  a.  0.  S.  187)  beginnt  mit 
.  . .  lius  Ferox.  Die  Distanzangaben,  bei  beiden  auf  der  Vorderseite,  sind  : 

m'.  R  •  R-  PRO//;/|  CIPP  -  P  -  XXXXIIII  * 

n:  R-  R- PROXIm]  CIPP  •  P -xvs 

Die  Höhenlage  der  Cippi  variirt  unbedeutend;  die  augustischen  haben 
(im  Scheitel)  eine  Meereshöhe  von  10,50  (,vier  Expl.)  bis  12,50;  von  den  tra- 
janischen wird  n  auf  13,50,  der  unbeschriebene  x  {Notisie  1890  S.  390)  auf 
12,94  angegeben,  bei  m  fehlt  die  Höhenquote. 

Die  Eeihe  der  augustischen  Cippen  giebt  uns  zum  ersten  mal  Gewissheit 
über  das  bei  der  Termination  befolgte  System.  Die  Steinsetzung  begann  fluss- 
abwärts;  mit  dem  proximus  cippus  ist  der  jedesmal  aufwärts  nächste  ge- 
meint (i);  die  Richtung  der  Schriftzeile  auf  der  Vorderseite  entspricht  der 
gerade  flussaufwärts  laufenden  Grenzlinie.  Dementsprechend  verweist  eine 
Ano-abe  auf  der  Eückseite  auf  den  nächsten  Cippus  flussabwärts,  dessen  Di- 
stanz  man  freilich  nicht  in   allen  Fällen    anzugeben   nötig   fand  f^)  Wo   die 

(1)  Dies  hat  Marchetti  a.  a.  0.  S.  88  richtig  erkannt:  seine  weiteren 
Ansetzungen  aber  sind  verfehlt,  zum  Teil  schon  weil  seine  Angaben  über  die 

■  Stellung  der  Inschriften  auf  den  Xebenseiten  —  er  giebt  alle  unterschiedslos 
sul  fianco  destro  —  irrig  sind.  Ich  habe  die  jetzt  in  den  Diokletiansthermen 
aufbewahrten  Originale  revidiert. 

(2)  Gegen  Marchettis  Annahme  (S.  87),  dass  diese  Schreibweise  auf  einen 
Cippus  rückwärtig  und  parallel  vom  ersten  verweise,  sprechen  u.  A.  die  beiden 
Steine  a  und  i,  auf  deren  Rückseiten  Distanzen  von  205  und  166  Fuss  ange- 
geben sind  —  Ausbiegungen  landeinwärts  welche  die  Uferlinie  unmöglich  ma- 
chen konnte.  Nicht  dagegen  angeführt  werden  kann  das  Paar  d-e; 


AX 


XVI 


denn  da  beide  an  einem  stum]»fen  Winkel  der  Grenzlinie  stehen,  so  muss 
natürlich  die  Verbindungslinie  der  inneren  Ecken  proportionirt  kürzer  sein,  als 
die  der  äusseren. 


JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM         133 

Grenzlinie  einen  Winkel  macht,  weisen  Distanzangaben  auf  der  rechten  Ne- 
benseite nach  dem  nächsten  Cippus  aufwärts,  solche  auf  der  linken  abwärts  — 
beides  gleichfalls  in  der  Schriftrichtung  (').  Das  ganze  System  erklärt  sich  am 
einfachsten  durch  die  folgende,  unter  Zugrundelegung  des  von  Marchetti  {No- 
tizie  1890  S.  83)  gegebenen  Planes  ausgeführte  Skizze,  auf  welcher  für  die 
interessanteste  Reihe  (bei  Casa  Antaldi  und  Menotti)  Stellung  der  Inschriften 
und  Distanzziifern  angegeben  sind  {^).  Die  Entfernung  des  östlichsten  Cippus 


-^Ke^^     (^u.cc<yyrvcLOCC^- 


>  -r-. 


f  :;■'     Pcxiv,,, 


^*     6;o5    ^'.^ 


i 


AX'  c(  ' 


""■■-%'a 


dieser  Gruppe  {a\  von  dem  nächsten  augustischen  flussabwärts  ik)  beträgt  etwa 
144  m ;  das  ist  er.  20  m.  mehr  als  die  beiden  indizierten  Entfernungen  (205 -|- 219 
=  424  F.  =  121  m.).  Es  fehlt  also  dazwischen  nicht  nur  ein  Cippus,  sondern 


(')  Auf  der  Skizze  ist  die  Richtung  der  Schrift  auf  den  linken  Nebenseiten 
{c  f  h)  verkehrt  angegeben;  die  Correctur  selbstverständlich. 

{-)  Marchetti  giebt  an,  dass  nur  bei  drei  Paaren   sich  der  Abstand  auf 
den  Centimenter  habe  messen  lassen,  nämlich 

h-c:    wirkliche  Distanz  m.  7,06;  angegeben  p.  XXIV  =  m.  7,11 
g-h:  wirkliche  Distanz  m.  4,37;  angegeben  p.  X\''  =  m.  4,44. 
d-e  :  wirkliche  Distanz  m.  4,75;  angegeben  p.  XVI  ^m.  4,74  (s.  o.). 
Einige  untergelaufene  Irrtümer  werden  durch  die  Schwierigkeit  der  Aufnahme 
mitten   unter  den   modernen  Regulicrungsarbeiten   entschuldigt.     So  sind  auf 
Marcheltis  Plan  a.  a.  0.  Stein  d  und  e  in  eine  Linie  gestellt  mit  h  (wodurch 
die  Grenzlinie    eine    höchst    anflfällige    Ausbiegung    bekommt),   während    die 
Distanzzitferu  auf  c  und  f  deutlich  zeigen,  dass  sie  mit  c  zu  rangiren  waren. 
Auch    haben  wir    für    die   Entfernuni,^  f-ij  m.  6,05    (statt  er.  12  m. ,  wie  der 
Plan  Notizie  1890  S.  83  giebt)  angesetzt. 


134  CH.    HUELSEN 

zwei.  Ihre  vermutlichen  Stellen  haben  wir  auf  dem  Plane  S.  130  mit  ;;  und  t 
bezeichnet ;  die  Massangaben  müssten  etwa  gewesen  sein  : 

t  VS :  r  .r  .  prox  .  cipp  .  ped  .  CCV 

HS:  r  .  r  .prox  .  cipp  .  ped  .  LX 

z  VS:  r  .r  .prox  .cifip  .ped  .LX 

RS:  r  .  r  .prox  .cipp  .  ped  .  CCXIX 

Die  sämtlichen  bisher  verzeichneten  Cippen  gehören  bereits  bekannten 
Termiuationen  au:  eine  ganz  neue  wird  uns  verbürgt  durch  einen  auf  dem 
linken  Ufer  unweit  via  Giulia,  zwischen  vicolo  del  Cefalo  und  der  Kirche 
S.  Anna  dei  Bresciani  gefundenen  Stein.  Derselbe,  ein  Travertinblok  von  der 
üblichen  Form  (1,95  hoch,  1,00  breit,  0,-10  dick)  trägt  die  Inschrift:  [/?«;?. 
Caesar  T.  Aelius  Hadr]ianus  A?i[tonimis]  \  Aug.  Pitts  Potifex  (so)  Maxim.] 
trib.  pot.  XXIIIL  imp.  IL  cos  ULI  p.  p.  [A'].  Platorio  Nepotc  \  Calpur- 
niano  curat.  \  alvei  Tiber is  et  ripar.  et  cloucar.  \  urhis  terminos  vetmt. 
dilapsos  I  exaltavit  et  restit  rect.  rigore  \  proximo  cippo  p.  .  posi- 

tos  ex  auto\ritate  (so)  Lmp.  Caes.  Divi  Nervae  ß.  Nervae  \  Traiani  Aug. 
Germ,  po/it.  niax.  trib.  |  potest.  V  cos.  LIIL  p.  p.  curatore  |  alvei  Tiberis 
et  ripar.  et  cloacar  |  Julio  Feroce.  Das  angegebene  Eegierungsjahr  ist  161 
n.  Chr.,  in  welchem  Antoninus  Pius  am  7.  März  starb.  Gatti  [Xotizie  1890 
S.  355;  Bull.comun.  1890  S.  326-331J  bemerkt  mit  Eecht,  dass  die  Wieder- 
herstellung der  Grenzsteine  von  M.  Aurelius  und  L.  Verus  unter  Leitung  des- 
selben Beamten  fortgesetzt  sei.  Die  beiden  von  dieser  Fortsetzung  bisher 
bekannten  Steine  (C.  /.  L.  VI,  1241  a-b),  haben  gleichfalls  die  Eigentüm- 
lichkeit, das  die  Distanzziffer  nicht  ausgefüllt  ist.  Die  Auflösung  der  Siglen 
R.  R.  wird,  statt  r{ecta)  r{egione)  wie  mau  bisher  las,  durch  den  neuen  Cip- 
pus  in  r^ecto)  r{igore)  gegeben. 

Theod.  Kummer,  De  urbis  Romae  pontibus  antiquis.  Wissenschaftliche  Bei- 
lage zum  Programm  des  Realgymnasiums  zu  Schalke.  1889.  40  SS.  4. 
giebt  eine  mit  dem  bekaunten  Material  operierende,  fleissige  und  verständige 
Uebersicht  über   die   Brückenfrage.    Die   Resultate  decken  sich  fast  ganz  (') 

(1)  Nur  dass  K.  den  pons  Sublicius  mit  Becker  und  Urlichs  nicht  neben 
dem  Aemilius  am  Forum  Boarium,  sondern  er.  200  m.  weiter  südlich  bei  Porta 
Trigemina  ansetzt:  dazu  veranlas.seu  ihn  vornehmlich  ((uae  de  pagi  Aventi- 
nensis  ßnibus  Tiberim  versus  magis  magisque  prolatis  0.  Gilhertus  egrcgie 
scripsit.  Mir  erscheinen  diese  Ausführungen  G.'s  ebenso  wenig  förderlich  wie 
seine  von  aller  räumlichen  Möglichkeit  abstrahirenden  Constructionen  der  Ur- 
gemeinden  Roms.  "  Das  volle  Verständnis  (sagt  Gilbert  Topogr.  2,  183)  für  die 
Lage  ^c^pons  Sublicius  erhält  man  erst,  wenn  man  ihn  als  ursprünglich  von  der 
Aventingemeinde  angelegt  auffasst  ".  Wem  es  also  (wie  dem  Ref.)  nicht  gegeben 
ist,  sich  eine  "  Gemeinde  "  vorzustellen,  welche  ihren  Hauptsitz  auf  der  Osthöhe 
des  Aventin  (S.  Balbina)  hat,  von  da  aus  "  durch  den  .--südlichen  Theil  des  Mur- 
ciathales  (ganze  500  m.  weit!)  vordringend  »  auf  fremde  Ansiedler  stösst,  und 
dort  eine  feste  Brücke  über  den  Fluss  schlägt  (was  die  "  Palatingemeinde  n, 


JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM 


135 


mit  denen  Kichters  (Topographie  S,  53.  54).  Die  Hypothesen  Mayerhöfers  über 
den  dreigeteilten  Pons  Aemilius  erfahren  eine  verdiente  Zurückweisung:  Momm- 
sens  Vermutungen  über  den  Pons  Lepidi  (i)  =  lapideus  =  Fabriciiis,  wie 
über  die  Lage  des  pons  SuhUcius  werden  mit  denselben  Argumenten  wie  bei 
Kichter,  bekämpft.  Neue  Resulhite  enthält  die  Abhandlung  nicht :  von  der  im 
J.  1887  erfolgten  Entdeckung  des  Pons  Agrippae  hat  der  Vf.  noch  keine 
Kenntniss  gehabt. 


Als  Nachtrag  zu  dem  was  TJß  1889  S.  285.  286  über  den  Pons  yU/rip- 
pae  gesagt  ist  diene  die  folgende  Skizze,  welche  ich  Hrn.  Marchelti  verdanke. 


.  (-i4.«o) 

-"/'/r^'/'/'<\ 


2^-4-77.00.  _^ 


zu  welcher  die  unmittelbar  am  Tiber  bei  den  Altären  des  Herkules,  des 
Euander,  und  des  Jupiter  sitzenden  Ansiedler  gehören,  sich  ruhig  gefallen 
lässt)  —  muss  auf  dieses  volle  Verständnis  verzichten.  Mir  genügt  Richters 
ausgezeichnet  klare  Darlegung  (Befestigung  des  Janiculum  S.  20.  21),  in  der 
nur  die  Bedeutung  der  Appianstelle  BC.  1,58  noch  schärfer  hätte  betont  werden 
können;  wenn  ein  am  pons  Sitblicius  zur  Sicherung  des  Flussübergangs  auf- 
gestelltes ztXog  auch  den  p.  Aemilius  mit  schützen  könnte,  mussten  beide 
unmittelbar  benachbart  sein. 

(1)  Bei  Besprechung  der  Inschriften  des  Pons  Fabricius  folgt  K.  (S.  20)  den 
Ausführungen  Mominsens  {G.  I.  L.  I  p.  559),  wo  es  heisst:  inscriptionis  (Ritschi 
PLM.  LXXXVII  D  p.  76)  .  .  .   partem  priorem    a  Brunnio   telescopii  ope 


136  CH.    HUELSEN 

Auf  dem  linken  Ufer  constatirte  man  beim  Durchlegen  des  grossen  Abzugska- 
nals hinter  der  neuen  Quaimauer  die  Ausdehnung  des  östlichen  Brückenpfeilers, 
von  dem  drei  Lagen  Travertinquadern  noch  m  situ  waren,  und  die  Distanz 
von  denselben  bis  zum  antiken  Flussufer  =  12  m.  20. 

Das    rechte    Tiberufer, 

L.  Borsari:  notc  topografiche  relative  alla  regione  transtiberina  (Bull, 
comun.  1890,  S.  3-9)  beschäftigt  sich  zunächst  mit  den  Grenzen  der  Eegion. 
Nach  ihm  war  die  Moles  Hadriani  noch  in  die  vierzehnte  Eegion  einge- 
schlossen, wie  das  MansoJeum  Augusti  in  die  neunte,  das  tempbim  gentis  Fla- 
viae  in  die  sechste,  aber  die  Grenze  schnitt  umittelhar  in  ihrer  Nähe  ab.  Die 
Prati  diCastello  lagen,  wie  die  neuesten  Gräberfunde  (S.  TJB.  1889  S.  287.288); 
beweisen,  ausserhalb  der  Stadt.  —  Andere  Bemerkungen  B's  zu  einzelnen  Mo- 
numenten sind  S.  145.  150  erwähnt. 

Prati  di  Castello.  In  der  Linie  der  Ostfront  des  neuen  Justizpa- 
lastes,  20  m.  von  S.  0.  Ecke,  wurden  im  November  1889  zwei  Sarko]»hage, 
9,28  m.  unter  modernem,  er.  5  m.  unter  antikem  Niveau  ausgegraben  (Gatti 
Notizie  degli  scavi  1879  S.  364,  365;  Bull  comun.  1889  S.  477,  478).  Der 
eine  (beschrieben  von  C.  L.  Visconti  Bull,  comun.  1889  S.  445\  mit  dem  Bilde 
der  Verstorbenen  und  weinlesenden  Eroten  geschmückt,  zeichnet  sich  durch 
reichliche  und  sehr  wohl  erhaltene  Vergoldung  aus  (jetzt  im  kapitolinischen 
Museum).  Zum  Deckel  des  andern  ganz  schmucklosen  i'st  verwandt  das  Frag- 
ment einer  Monumentalinschrift  in  sehr  schönen  Buchstaben  : 


IMP-CAESARI 
TRIBVNIC-  PO 

p  RO  VI^ 


diui  f.  augusto  pont .  max 
lest ....  imp  .  . .  cos  .... 
cia  .... 


examinatam  repertam  esse  noviciam,  scilicet  saeculo  fortasse  decimo  quinlo 
restitutam.  Diese  Unächterklärung  ist  von  Jordan  (Top.  I,  1  S.  418  Anm.  32) 
gebilligt  und  im  C.  I.  L.  VI  n.  1305  nicht  genügend  eingeschränkt.  Ich  will 
also  nicht  unterlassen  ausdrücklich  zu  erklären,  dass  eine  wiederholte  sorgfäl- 
tige Prüfung  der  Inschriften  (wie  sie  jetzt  von  der  Treppe  des  neuen  Quais 
am  linken  Ufer  bequem  anzustellen  ist)  mich  von  der  Grundlosigkeit  die.ser 
Verurteilung  überzeugt  hat.  Wären  die  Schriftformen  so  wie  sie  das  Facsimile 
bei  Eitschl  zeigt,  so  gäben  sie  zu  Bedenken  Anlass;  aber  das  Facsimile  bei 
Piranesi  ist  wieder  einmal  treuer  als  das  bei  Eitschl,  namentlich  hat  das  R 
in  dem  für  modern  gehaltenen  Teil  des  Namens  F.^BRICIVS  nicht  die  sehr 
verdächtige  Form  E,  mit  gebogener  Endlinie  sondern  die  reguläre  R.  Ferner: 
die  von  B.  angezweifelten  Buchstaben  stehen  nicht  etwa  in  Rasur,  sondern 
die  Schriftfläche  ist  genau  in  der  Höhe  der  daneben  liegenden  unbezweifelt 
antiken  Zeile.  Sollen  also  die  Buchstaben  modern  sein,  so  müssen  es  auch  die 
Quadern  sein.  Eine  Auswechselung  der  Kopfsteine  des  Bogens  bedeutet  aber 
einen  vollständigen  Neubau  der  Brücke;  und  von  einem  solchen  sollten  wir 
nichts  wissen,  wenn  er  unter  Eugen  IV  (1431-1447)  stattgefunden  halte?  Für 
mittelalterlifh  restituirt  wird  aber  niemand,  auch  nach  E.'s  Facsimile,  die 
Buchstaben  halten. 


JAHKESHERtCHT    i:EHKR   TOPOGRAPHIE    DER   STADT    ROM  137 

Die  Sarkophage    dürften,    gleich    den    in  der  Nähe    gefundenen  der  Creperei 
(TJB  1889  S.  288)  dem  III.  Jhdt.  n.  Chr.  angehören. 

An  der  Ostseite  dos  Platzes,  der  den  neuen  Justizpalast  umgieht,  an  der 
Ecke  des  Lungo  Tevere  Prati  (gegenüber  Casa  Santini  s.  Plan  S.  133),  kam 
ein  Marmorblock  (Dicke  1,  35),  der  seinem  Schnitt  nach  zur  rechten  Hälfte 
eines  BogL-ns  von  circa  2  m.  Radius  gehört  haben  muss,  zu  Tage  {Notizie 
1890  S.  323).  Die  Flächen  sind,  mit  Ausnahme  der  rechten  oberen,  wohl 
erhalten,  von  dem  links  j^nschliessenden  Block  fand  man  nur  ein  kleines  Frag- 
ment, beide  zusammen  ergeben  die  In.schrift 


^/mater  •  ^CYUboniae 
C  A  E  S  aris 


Die  hier  zum  ersten  Male  genannte  Mutter  der  Scribonia  könnte  Tochter  des 
Münzmeisters  L.  Sentius  C.  f.  Saturninus  aus  sullanischer  Zeit  (Eckhel  V, 
305  ;  C.  I.  L.  I,  409)  sein. 

Wenig  bedeutend  sind  die  sonstigen  Funde  beim  neuen  Ponte  Umberto 
(Mauer  aus  Tuffquadern ;  Platz  mit  Pflaster  aus  dem  gleichen  Material ;  Frag- 
ment einer  Monumentalinschrift  mit  Bronzebuchstaben),  wie  auch  zwischen 
Ponte  Umberto  und  Ponte  S.  Angelo  (Ziegelmauer  aus  später  Zeit ;  Notizie 
1890  S.  323.  324). 

Mariano  Borgatti   Cmtel  S.  Angelo    in   Roma.  Storia  e  descrizione  (S.  A. 

aus  der  Rivista  dl  artiglieria  e  di  genio  1889).  215  SS.  8.  34  Tff. 

Der  Vf.,  Capitän  in  Geniecorps,  hat  als  Commandant  der  Engelsburg 
Geschichte  und  Bauzustand  des  Denkmals  mit  lebhaftem  Interesse  untersucht. 
Der  Schwerpunkt  seiner  Arbeit  liegt  in  der  descrizione :  die  storia  tritt  trotz 
schätzenswerter  Beiträge  des  verstorbenen  Capannari,  dagegen  zurück  (i).  Die 


Q)  Die  geringe  Berücksichtigung  deutscher  Arbeiten  hat  B.'s  Werke  an 
nicht  wenigen  Stellen  geschadet.  So  figurirt  z.  B.  (S.  12  u.  öfter)  die  angeb- 
liche Beschreibung  der  Engelsburg  aus  einer  Predigt  des  hl.  Leo,  welche 
bei  Petrus  Mallius  erhalten  sein  soll,  als  historisches  Dokument  aus  dem  5. 
Jhdt.,  wälirend  Jordan  (Topogr.  2,  426-428)  überzeugend  nachgewiesen  hat, 
dass  wir  es  mit  einem  wertlosen  Excerpte  aus  den  Mirabilien  zu  thun  haben. 
Bei  Besprechunii:  der  Inschriften  durfte  C.  I.  L.  VI,  984-995  mit  Henzens 
Ammerkung  nicht  fehlen.  Hät1e  B.  ferner  die  Beschreibung  Roms  berücksichtigt, 
so  hätte  er  über  die  von  Bavari  1825  gemachten  Nachforschungen  (deren  Re- 


138 


CH.    HLELSEN 


■^ 


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vT 


JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM         139 

hauptsächlichen  Kesultate  seiner,  häufig  durch  Ausgrabungen  unterstützten 
Untersuchung  sind  folgende:  lieber  einem  quadratischen  Sockel  erliob  sich  ein 
einziges  cylindrisclies  Hauptgeschoss,  welches  die  Grabkammer  enthielt,  und 
durch  eine  hohe  Basis  mit  Kolossalstatue  (Quadriga?)  gekrönt  wurde.  Die 
bisher  allgemein  herrschende  Annahme,  dass  über  dem  erhaltenen  Kundbau 
ein  zweiter  ähnlicher  von  etwas  geringerem  Durchmesser  sich  erhoben  habe, 
widerspricht  dem  thatsächlichen  Befund  (').  Für  die  Decoration  des  Cy- 
linders  nimmt  B.  statt  einer  umlaufenden  Säulenhalle  eine  einfache  Quader- 
teilung mit  Gliederung  durch  Wandpilaster  an.  Den  in  der  (Jeschichte  der 
Gotenbelagerung  genannten  Statuen  weist  er  über  dem  Hauptgesims,  entspre- 
chend den  Wandpi lästern,  ihren  Platz  zu. 

Die  nebenstehende  Skizze  folgt  im  wesentlichen  den  von  Borgatti  fest- 
gestellten Grundzügen:  einige  Nachträge  gebe  ich,  wie  sie  mir  gerade  zur 
Hand  sind,  ohne  eine  erschöpfende  Behandlung,  die  in  den  Grenzen  dieses 
Berichtes  unmöglich  ist,  zu  versuchen. 

Der  quadratische  Unterbau,  derjenige  Teil  der  Monuments,  über  dessen 
architektonische  Ausgestaltung  wir  durch  die  Zeichnungen  des  15'«"  und  16*«" 
Jhdts.  am  besten  unterrichtet  sind,  hätte  wohl  eine  etwas  genauere  Dar- 
stellung verdient,  als  sie  in  dem  kleinem  Aufriss  Tf.  6  gegeben  wird,  um  so 
mehr  da,  was  Canina  darüber  bietet  durchans  phantastisch  ist,  und  Piranesi  ihn 
ganz  vernachlässigt. 


sultate  Bd.  2,  1  S.  111-420  und  Bilderheft  I  Tf.  11  verwertet  sind)  besseres 
geben  können  als  die  dürftige  Notiz  aus  Nibby  R.  A.  2,  517.  Auch  die  fleissigen 
Zusammenstellungen  des  P.  Guglielmotti  [storia  delle  fortificazioni  neJhi 
spiaggia  Romana,  Eom  1879  S.  93-136)  werden  durch  B.  nicht  entbehrlich 
gemacht. 

(')  Die  entscheidenden  Gründe  gegen  diese  Annahme  sind:  erstens  ist 
es  unglaublich,  dass  von  einem  Gebäude  das  nicht,  wie  Colosseum,  Thermen 
u.  s.  w.  als  Steinbruch,  sondern  vom  frühen  Mittelalter  an  als  Festung  ge- 
dient hat,  schon  im  7.  Jhdt.  ein  Drittel  verschwunden  gewesen  sei.  Um 
diese  Zeit  aber  wurde  die  kleine  Kirche  S.  Angeli  inter  7iubes  bereits  in 
Höhe  des  bei  Canina  zweiten  Stockwerkes  errichtet.  Zweitens:  Prokop  sagt 
von  dem  Grabmal,  es  habe  die  Stadtmauern  '>  an  Höhe  überragt".  Dieser 
Ausdruck  ist  ganz  unpassend,  wenn  man  ein  Denkmal  voraussetzt,  welches, 
wie  das  Canina'sche,  über  viermal  so  hoch  ist  wie  die  Aureliansmauer;  ver- 
ständig, wenn  es  sich  um  eine  massige  Höhendifterenz  handle.  Drittens  habe 
die  spiralförmige  Rampe  keine  Fortsetzung  gegenüber  dem  Eingange  zur  Grab- 
kammer des  Hadrian.  Letzteres  widerspricht  allerdings  Bavaris  ausdrücklicher 
Angabe  (Beschr.  Roms  2,  1  S.  419),  er  habe  den  Mauerbogen  an  der  fraglichen 
Stelle  [x  auf  Borgattis  Plan  Tf.  5)  öffnen  lassen,  und  sei  dadurch  in  eine 
Fortsetzung  des  unteren  Ganges  gekommen,  von  welcher  sehr  bald  links  ein 
anderer,  parallel  mit  dem  in  die  untere  Grabkammer  führenden,  abzweigte.  Es 
ist  auffallend,  dass  nach  Borgattis  Rekonstruktion  die  Plattform  in  antiker  Zeit 
überhaupt  gänzlich  unzugänglich  gewesen  sein  müsste:  und  er  selbst  giebt 
zu,  dass  das  letzte  Wort  in  dieser  Frage  noch  nicht  gesprochen  sei  (S.  200 
not.  J.). 


140  CH.    HCELSEN 

Zu  Gebote  stehen  uns,  ausser  der  unter  reproduzierten  Escorialzeichnuncr 
welche  trotz  ihres  kleinen  Maasstabes  wegen  der  scharfen  und  treuen  Wie- 
dergabe des  Details  wertvoll  ist,  folgende  Blätter  (*). 

Giuliano  da  Sangallo  cod.  Barb.  49,  33  f.  37' :    di   castello   santtangiolo  dl 
Roma.  Profil  des  Sockels  bis  zum  Fries. 

—  —     —     f.  38 :  chornicione  di  chasUelo  Santtanfi'iolo  in  Roma. 
Antonio  da  Sangallo  il  giov.  *  UfBzien  911 :  di  castello  santo  angiolo,  dello 

anticho.  Sockelprofil,  bis  zu  den  *  bugne  piane  \ 

—  —     —     Uffizien  1181  :  desgleichen. 

Gobbo  da  Sangallo  *  Uff.  1708:  il  hasamento  anticho  di  castello. 
Jac.  Sansovino  Uff.  4330  :  *  Profil  des  Sockels  bis  zum  Gesims;  4330':  Gesims 
und  *  Kapitell. 

Den  zuverlässigsten  Eindruck  machen  die  Aufnahmen  Sansovinos  (geraessen 
nach  einem  braccio  zu  20  soldi),  welche  wir  daher  im  wesentlichen  der  bei- 
stehenden Skizze  zu  Grunde  gelegt  haben  (2).  Zur  Controle  dient  die  gleichfalls 
mit  zahlreichen  Maassen  (braccio  zu  60  minuti)  versehene  Zeichnung  Giuliano 
da  Sangallos,  von  der  die  übrigen  (Antonio  und  Gobbo)  vielleicht  nicht 
unabhängig  sind.  Auf  eine  Diskussion  der  einzelnen  Abweichungen  kann 
hier  nicht  eingegangen  werden. 

Auffallen  wird  an  unserer  Rekonstruktion  die  geringe  Höhe  des  Bukra- 
nieufrieses,  nur  0,60  m.  (3) ;  nicht  minder  die  eigentümlich  gedrückten  Verhält- 
nisse des  Pilasterkapitells,  welches  über  einem  Eierstab  Piankenmotive,  an  den 
Ecken  durch  Akanthusblätter  gestützte  Voluten  hat.  Im  wesentlichen  stimmt 
mit  der  Skizze  Sansovinos  ein  von  Piranesi  («??f;c/uM  vol.  IV  tav.  XVII  flg.  19) 
gezeichnetes  Kapitell  einer  doppelten  Pilasterstellung  (Ganz-  und  links  an- 
sclüiessend  Halbpilaster)  überein  (gefunden  bei  Bauarbeiten  im  Castell  im 
vorigen  Jhdt.),  die  mit  zur  äusseren  Dekoration  gehört  zu  haben  scheint  und 
dann  analog  dem  Vortreten  der  Eckpilasters  sich  unschwer  als  Flankirung  des 
Haupteinganges  einfügt. 

(1)  Mit  *  bezeichne  ich  die  von  Borgatti  benutzten  und  auf  seiner  Tf.  9 
reproduzierten  Zeichnungen  :  seine  Wiedergabe  ist  jedoch,  namentlich  hin- 
sichtlich der  Maasse.  weder  vollständig  noch  genau.  Von  den  Grundrissen, 
welche,  mit  Rücksicht  auf  die  Befestigungsarbeiten  entworfen,  den  antiken 
Kern  meist  in  sehr  kleinem  Maassstabe  wiedergeben  (eine  Ausnahme  macht 
Salv.  Peruzzi  Uff.  646,  reproduziert  bei  Bortjatti  a.  a.  0)  sehe  ich  hier  ab  ; 
über  diese  vgl.  Guglielmotti  a.a.O.  S.  101-104.  125-129. 

(2)  Eine  genaue  Copie  diesem  wichtigen  Blattes  verdanke  ich  der  stets 
bereitwilligen  Liebenswürdigkeit  des  Hrn.  Conservators  N.  Ferri  in  Florenz. 

(3)  Dieses  Maass  wird  verbürgt  durch  die  wiederholte  Ancrabe  Giulianos 
(•  br.  1°  il  fregio  '  f.  38  ;  '  minuti  GO  '  f.  37')  und  Sansovinos  (f.  4330' :  '  [re- 
gio dita  j?iV  -t-  l  I ;  wozu  stimmt,  dass  auf  der  Vorderseite  die  Distanz  von 
]\ritte  zu  Mitte  der  Bukranien  mit  br.  1  d.  14  angegeben  ist).  Das  bei  Bor- 
gatti Tf.  7  fig.  9  gezeichnete  Stück  kann,  wenn  der  Maassstab  mit  den  übrigen 
auf  derselben  Tafel  identisch  ist  (der  Text  klärt  darüber  nicht  auf)  nicht 
dazu  gehören,  weil  es  bedeutend  grösser  ist. 


JAHRESBERICHT    IJEBER   TOPOGRAPHIE    DER   STADT    ROM 


111 


4m — r- 


lOrt), 


142  CH.     HUET.SKX 

Wichtig  für  die  Architektur  des  Easameiits  sind  auch  die  orossen  Ta 
fein  mit  den  C.rabschriften  der  kaiserlichen  Familie.  Eorgatti  hat  ihnen  zwar 
im  Allgemeinen  den  richtigen  Platz  im  i^ockel  angewiesen,  sich  aber  auf  eine 
speziellere  Untersuchung  nicht  eingelassen.  Ich  gebe  die  Anordnung,  welche 
mir  durch  die  Zeugnisse  der  alten  Inschriftensammler  gesichert  scheint: 


a. 
h. 
c. 
d. 
e. 

f- 
fl- 
h. 

t. 
k. 
l. 


Eingang 

m 

l 

k 

b 

r 

d 

e 

f 

n 

h 

i 

1 

Iiischr.  des  Hadrian  und  der  Sabina,  gesetzt  139,   C.  I.  Z/.  VI, 

Antoniüus  Pius,  f  1*^1 

Faustina  f  141 

M.  Aurelius  Fulvus  j  Kinder  des  Pius,  vor  seinem  Ee 

]\I.  Galerius  Aurelius  Antoninus  >  gierungsantritt  gestorben,  spä 

.       ,.     y.    vn  \  ter  im  Hadrianeum  beigesetzt 

Aurelia  radilla  /  ° 

T.  Aurelius  Antoninus  )  ^.^^^^^  ^^^  ^    ^^^^^^  ^^^^^^^  ^^,^^^^ 

T.  Aelius  Aurehus         }  147^  gestorben  vor  161 

Domitia  Faustina  ; 

L.  Aelius  Caesar  f  138 

L.  YrTus  t  169 


m.  Commodus  f  192 

Leider  besitzen  wir  von  keiner  der  Inschrifttafeln,  welche  Gregor  XIII  im 
Jahre  1572  zur  Decoration  seiner  Capelle  in  S.  Peter  verwenden  Hess,  genaue 
Breitenraasse  (2) ;  es  Hesse  sich  sonst  leicht  zur  Evidenz  bringen  ob  (was  mir 
wahrscheinlich  ist)  der  Autor  der  sylloge  Einsidlensis  (3)  die  Serie  der  Grab- 


(1)  Die  Stellung  der  grossen  "Weihinschrift  an  Hadrian  und  die  Diva  Sa- 
bina  («)  über  dem  Haupteingang  bezeugen  Signorili  und  Poggio;  der  beiden 
Inschriften  des  Verus  und  Commodus  (/  m)  Haks  von  der  antiken  Eingangs- 
thür,  nahe  der  W.  -  Ecke  des  Gebäudes,  bei  der  mittelalterlichen  j)orta  di 
bronzo  oder  Collhia  (über  diese  vgl.  Borgatti  S.  97),  Signorili  und  Gamucci 
(s.  S.  143  Anm.  1).  Der  Seite  rechts  vom  Eingang  weist  Cyriacus  Anconita- 
nus  die  Inschrift  des  Antoninus  Pius  {b)  zu;  dieselbe  samt  den  Grabschriften 
der  jung  verstorbenen  Kinder  des  Pius  und  des  M.  Aurel  giebt  der  Anonymus 
Einsidlensis  '  ah  altera  parte  jportae  '. 

(2)  Das  Höhenmass  lässt  sich  aus  dem  Gesamtbilde  des  Sockels  ent- 
nehmen mit  er.  2  m. ;  dass  die  Breite  eine  sehr  viel  bedeutendere,  vielleicht 
die  doppelte,  war.  wird  wahrscheinlich  durch  die  Disposition  der  Zeilen,  soweit 
dieselbe  nachweisbar  ist  (C.  I.  L.  n.  986.  991). 

(3j  die  tojiographische  Scheidung  zwischen  der  von  de  Eossi  gesonderten 
pars  prima  und  secunda  der  Sylloge  ist  bemerkenswert.  Während  der  Ver- 
fasser der  ersten  nur  die  an  der  öffentlichen  Strasse  nach  S.  Peter  liegenden 


JAHRESBERICHT    UEBER   TOPOGRAPHIE    DER   STADT    ROM  143 

Schriften  rechts  vom  Eingange  noch  vollständig  sah.  Jedenfalls  war  der  ur- 
sprünglich für  Anbringung  der  Epitaphien  vorgesehene  Raum  im  J.  192  schon 
occupirt,  da  die  Inschrift  des  Comniodus  (jn)  zwischen  dem  Bukranicnfries 
und  der  mit  grössern  Lettern  geschriebenen  des  L.  Verus  (/)  in  kleinerer 
Schrift  eingehauen  war  (').  Auf  der  westlichen  Hälfte  zu  placiren  sind  ferner 
noch  Annius  Verus  (f  16ß),  die  jüngere  Faustina  (t  175),  Marc  Aurel  (f  180);  die 
drei  dann  noch  disponiblen  Plätze  würden  durch  die  Namen  der  übrigen  jung 
verstorbenen  Kinder  des  M.  Aurel  leicht  ausgefüllt.  —  Für  die  Bauglieder 
unterhalb  der  Inschrift  ist  Sansovinos  Zeichnung  die  allein  massgebende,  da 
die  Sangallo  (wie  z.  B.  Gobbo  1708  ausdrücklich  angiebt)  hier  die  Maasso 
nicht  vollständig  genommen  haben.  Sansovino  scheint  aucji  hier  bis  zum  un- 
teren Abschluss  des  antiken  Baus  gekommen  zu  sein  :  ein  Tiefergehen  ist 
sowohl  durch  die  Höhenverhältnisse  des  Pons  Aelius  als  auch  die  (bei  Pira- 
nesi  ant.  IV  Tf.  X,  sowie  im  Bilderheft  zur  Beschreibung  Eoins  gezeichne- 
ten) Entwässerungsanlagen  ausgeschlossen. 

Der  auf  dem  Sockelgeschoss  aufsetzende  Rundbau  musstc,  als  einfach 
klarer  Ausdruck  der  ganzen  Bangedankens,  als  Fassung  der  in  die  Höhe  ge- 
legten kaiserlichen  Grabkammer,  auch  als  Hauptstück  des  Monuments  betont 
sein.  Mit  ihm  schliesst  denn  auch  folgerichtig  der  Aufbau  ab  —  eine  weitere 
Entwickelung  durch  einen  zweiten  ähnlichen  Rundbau  liegt  gar  nicht  im 
Sinne  des  Ganzen,  das  keiner  Weiterführung  bedurfte.  Nur  die  Grabstätte 
selbst,  das  Centrum  des  Mittelgeschosses,  klingt  noch  in  der  Krönung  aus  als 
Basis  der  Statue  (oder  Quadriga).  Dieser  krönenden  Basis  haben  wir  nicht, 
wie  Borgatti,  quadratische  Form  gegeben,  vielmehr  im  Hinblick  auf  ähnliche 
Monumente  (z.  B.  Casal  Rotondo,  Grab  des  Cotta:  Canina  Via  Appia'tav. 
XXXVII)  sie  gleichfalls  cylindrisch  gestaltet.  Da  die  Reste  zur  Entscheidung 
dieser  Frage  keinen  Anhalt  geben  {-),  darf  wohl  darauf  hingewiesen  werden, 
dass  eine  derartige  Lösung  allen  Architekten,  die  seit  dem  IS**^"  Jhdt.  ideelle 
Rekonstruktionen  der  Moles  Hadriani  gegeben  haben,  geboten  erschien. 

Was    der    Monographie    B.'s    noch    einen    besonderen    Werth    verleiht, 
ist  das  reiche   Illustrationsmaterial.    Mit  rühmenswerter   Sorgfalt   hat  er  ge- 


{k.  l.  m.)  abschrieb,  hat  der  zweite  seine  Aufmerksamkeit  auch  den  schwerer 
zugänglichen  rechts  vom  antiken  Eingang  —  unter  denen  d-i  nur  durch  ihn 
erhalten  sind  —  zugewandt. 

(1)  Gamucci  1.  IV  f.  181'  ed.  1588:  dove  si  uede  la  Jettera  A  (das  ist 
etwa  in  der  Mitte  der  West  hälfte,  halbwegs  zwischen  dem  Eingang  und  der 
Bastion  S.  Matteo),  si  mostra  un'anlica  pariete  di  marmo,  nella  quäle  si  uede 
un  gran  pezzo  di  frecjio  con  le  teste  di.  hue,  et  festoni  col  suo  architrave, 
et  di  sotto  sono  hugne  pinne,  neue  quali  si  leggono  le  infrascritte  lettere 
(folgt  m) ;  et  sotto  cd  soprascritto  ve  ne  e  wi'aliro  in  lettere  piii  grosse,  che 
dice  (folgt  /). 

(2)  Dass  alles  war  oberhalb  der  Grabkammer  existirt,  aus  der  Zeit  Be- 
nedikt IX  und  seiner  Nachfolger  stammt,  sagt  Borgatti  ausdrücklich  S.  185. 


144 


CM.    HUELSEN 


JAHRESBERICHT    UEBER   TOPOGRAPHIE    DER   STADT    ROM  115 

gen  20,  zum  Teil  noch  unbekcanntc  und  wichtige  Einzelansichten  des  Castel 
S.  Angelo  auf  Fresken,  Kupferstichen,  Handzeichnungen,  Reliefs  zusammen- 
gebracht —  von  kleineren  Darstellungen  auf  Stadtplänen,  Münzen  u.  dgl.  ab- 
gesehen :  der  architektonischen  Aufnahmen  wurde  bereits  gedacht.  Eine  B.  un- 
bekannt gebliebene  Zeichnung  aus   dem    Cod.  Escorial.  4  H,  7  ist  beistehend 

nach  einer  von  Hrn.  Dr.  J.  Ficker  aufgenommenen  Photographie  reproducirt. 
Eine  Yergleichung  derselben  mit  Borgattis  Tf.  11,  auf  welcher  die  schöne 
Zeichnung  Giuliano  da  Sangallu's  (cod.  Barb.  49,  33  f.  35)  reproduziert  ist, 
lässt  eine  Uebereinstinimung  zwischen  beiden  erkennen,  welche  kein  Zufall 
sein  kann  —  erstreckt  sie  sich  doch  bis  auf  die  Details  der  Staffage.  Es  ist 
mir  daher  nicht  unwahrscheinlich,  das  der  cod.  Escorialensis  dem  Sangallo 
angehört,  und  zu  der  grossen  Prachthandschrift  der  Barberina  in  einem  ähnli- 
chen Verhältnis  steht,  wie  die  Sieneser  Skizzenbücher. 

Auf  das  reiche  Material,  welche  Borgatti  über  die  Geschichte  der  En- 
gelsburg im  Mittelalter  und  der  jN'euzeit  beibringt,  muss  ich  mir  versagen 
einzugehen.  Die  oben  gemachten  Ausstellungen  können  das  Gesamturteil  nicht 
beeinträchtigen,  dass  wir  es  mit  einer  höchst  schätzenswerten  Bereicherung 
der  topographischen  Litteratur  zu  thun  haben,  welche  einem  der  bedeutend- 
sten Monumente  des  alten  Eom  eine  sachkundige  Behandlung  widmet,  Avie 
sie  allen  zu  wünschen,  bisher  aber  leider  nur  wenigen  zu  Teil  geworden  ist  (*). 

Bei  der  Anlage  des  Hauptstranges  der  neuen  Canalisatiou  auf  dem  rechten 
Tiberufer  wurde  im  December  1889  auf  Piazza  S.  Crisogono,  ziemlich  in  der 
Axe  der  Via  Lungaretta,  ein  Bauwerk  aufgedeckt,  welches  zuerst  von  Gatti 
Notizie  degli  scavi  1889  S.  862;  Bull,  comun.  1889  S.  476.  477)  kurz,  dann 
von  Marchetti  {Notizie  1889  S.  363.  364;  Bull,  comun.  1890  S.  57-65)  aus- 
führlicher beschrieben  ist  (vgl.  noch  Borsari,  Bull,  comun.  1890  S.  6-8  und 
Centralblatt  der  Bauverwaltung  1890  S.  28).  Nach  den  zu  Marchettis  Aufsatz 
im  Bull,  comun.  gegebenen  Tafeln  (V.  VI)  sind  die  folgenden  Figuren  her- 
gestellt. 

Die  Beste  bestehen  aus  Quaderbogen  von  er.  2,95  (=10  F.  r.)  Durch- 
messer; ein  solcher  ist  ganz,  ein  zweiter  zur  grösseren  Hälfte  aufgedeckt  worden. 
Beide  ruhen  auf  einem  Pfeiler  von  er.  2,40  (==  8  F.  r.)  Dicke.  Das  Material 
ist  Tuff,  die  Quadern  sind  ohne  Mörtel  sehr  exakt  gefügt.  Die  Bogen  trugen 
eine  Fahrbahn  von  er.  5,90  m.  (=  20  F.  r.)  Breite.  Den  Abschluss  und  die 
Krönung  bildete  eine  (an  der  Xord  -  resp.  Südseite  etwas  verschieden  gestaltete), 


(1)  Borgattis  Monographie  ist  anerkennend  besi^rochen  worden  von  L. 
Borsari,  Bull,  comun.  1890  S.  5  und  0.  Richter,  Centralblatt  der  Bauverwal- 
tung 1890  S.  295-297.  Desselben  Vf.  Progetto  cli  sistcmazioae  clei  dintorni 
cli  Castel  S.  Angelo  (Rom,  Voghera  1890)  erörtert  die  Frage  nach  mögli'chster 
Schonung  der  Bauten  der  Sangallo.  —  Die  von  Lanciani  in  der  Akademie  der 
Lincei  {Rendiconti  1890,  vol.  2  S.  383,  Sitzung  vom  21.  Dezbr.)  vorgelegte  Mo- 
nographie von  F.  Cerasoli  ist  noch  nicht  publiziert. 

10 


146 


CH.   HUELSEN 


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JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM         147 

über  die  Pfeiler  ein  wenig  vorkragende  Schicht  von  Peperinquadern  (').  Das 
Niveau  dieser  Fahrbahn  lag  4  m.  uuler  dem  Pflaster  der  jetzigen  Via  Lun- 
garetta  (in  13,50  Meereshöhe),  wogegen  die  Fundamente  der  Pfeiler  bis  10,3 
unter  das  moderne  Pflaster  (7,  2  ü.  M.)  gehen  und  damit  nur  noch  er.  2  m. 
über  dem  mittleren  Tiberspiegcl  sind.  —  Das  nahe  Excubitorium  der  siebenten 
Cohorte  der  Vigiles  liegt  etwa  8  m.  unter  dem  modernen  Pflaster  (9  m.  ü  M.). 

Die  Bestimmung  des  Bauwerks  konnte,  wie  von  den  Beschreibern  so- 
fort richtig  bemerkt  wurde,  keine  andere  sein,  als  die:  eine  grosse  Strasse  (2), 
welche  im  Zuge  der  modernen  Lungarina  und  Lungaretta  vom  Pons  Aemilius 
(P.  Kotto)  westlich  lief,  über  einen  Thaleinschnitt  zu  führen,  und  den  vom 
Janiculum  herabkommenden  Wassern  einen  Durchlass  zum  Tiber  zu  gewähren. 
Die  Richtung  dieser  Strasse  setzt,  wie  ein  Blick  auf  die  Karte  zeigt,  die  Existenz 
des  Pons  Aemilius  voraus;  und  damit  gewinnen  wir  sowohl  einen  Anhaltspunkt 
für  die  Erbauungszeit  des  Viadukts  —  etwa  Mitte  des  7.  Jhdts.  d.  St.  --  wie 
für  seine  Bestimmung.  Ueberzeugend  hat  Kicliter  (Befestigung  des  Janiculum 
S.  19  ff.)  auseinandergesetzt,  dass  die  Vollendung  der  ganz  steinernen  Brücke 
neben  dem  alten,  stets  leicht  zu  unterbrechenden  Po?is  Sublicius  einen  sichernden 
Brückenkopf  auf  dem  rechten  Ufer  unerlässlich  machte,  daher  «  auf  dem  Ja- 
niculum an  Stelle  der  dürftigen  Schanzen,  die  bestimmt  waren,  während  der 
Centuriatcomitien  den  wachehaltenden  Teil  der  Bürgerschaft  aufzunehmen, 
eine  starke  Festung  trat  ».  Auf  eine  gute  Verbindung  zwischen  dem  Pons  Ae- 
milius und  dem  Fort  auf  der  Höhe  musste  man  Bedacht  nehmen :  die  Verlän- 
gerung des  Viadukts  trifft  gerade  auf  die  Stelle  (am  Südende  des  Vicolo  del 
Mattonatu),  wo  der  Aufstieg  zum  Janiculum  beginnt  (3).  Vermutlich  also  stellt 
derselbe  den  Rest  einer  befestigten  Kunststrasse  dar,  welche  besonders  an  den 
wichtigen  Uebergangspunkten  über  Wasserläufe  durch  Quadermauern,  viel- 
leicht mit  Wehrgang,  geschützt  war. 

Später  hat  sich  dann  der  Boden  allmählich  aufgehöht;  die  Ableitung 
der  Wasser  vom  Janiculum  ist  vollkommener  geregelt  worden;  der  Viaduct 
verlor  seine  Wichtigkeit  als  Durchlass.  Neubauten  aus  der  früheren  Kaiser- 
zeit (Eeiiculat  mit  Ziegelecken,  doch  ohne  durchbindende  Ziegelschichten,  auch 
reine  Ziegelmauern)  lehnen  sich  unmittelbar  an  ihn  an:  die  Fussböden  der- 
selben liegen  annähernd  in  der  Höhe  des  Bogenansatzes  (er.  11-12  m.  ü.  M.). 


(1)  die  oberen  Schichten  des  Bauwerks  habe  ich  nicht  mehr  in  situ 
gesehen;  das  Ganze  hat  bei  Durchlegung  des  modernen  Cloakenstranges  ab- 
gerissen werden  müssen.  Die  Durchschnitte  (neben 'dem  Durchschnitt  der  Aus- 
grabung) beruhen  auf  Marchetti's  sozione  trasversale. 

(2)  Diese  Strasse  ist  vermutungsweise,  aber  gewiss  zutreffend,  angege- 
ben auf  Richters  Plan  (Topographie  Roms.  Nördlingen  1889). 

(3)  dies  hat  Marchetti  a.  a.  0.  S.  63-65  zum  Teil  richtig  auseinander 
gesetzt;  seine  Vermutung,  dass  der  Viaduct  mit  dem  andamoito  del  lato  set- 
tentrionale  delle  fortificazione  serviane  (deren  Nichtexistenz  auf  dem  rechten 
Ufer  m.  Er.  Richter  schlagend  bewiesen  hat)  kann  ich  ebenso  wenig  teilen 
wie  die  Ansicht,  dass  ein  gewölbter  zweistöckiger  Gang  auf  der  ganzen  Strecke 
(er.  800  m.  Länge)  bestanden  habe. 


148  CH.   HUELSEN 

Eine  grosse  Ziegelmauer  auf  Travertinfundament  ist  fast  30  m.  weit,  bis  ge- 
genüber dem  Glockenturm  von  S.  Crisogono,  verfolgt  worden:  dort  öffnet  sich 
eine  Thür  (1,10  m.  breit)  ziemlich  genau  in  der  Richtung  auf  das  Excubitorium 
der  Vigiles. 

Die  sonstigen  in  der  Nähe  gemachten  Funde  (Strassenpflaster  unter  Via 
Lungaretta,  Notizie  1889  S.  225;  Strassenpflaster  und  Privathäuser  in  Via 
Mazzamurelli  Notizie  1890  S.  31.  32;  Bull,  comun.  1890  S.  68)  sind  unbe- 
deutend. 

Dass  die  horrea  der  statio  anno  na  e  sich  auch  auf  das  rechte  Ti- 
berufer, gegenüber  dem  Aventin,  erstreckten,  weist  de  Piossi  Bull,  comun.  1889 
S.  359  nach.  Wichtig  dafür  ist,  ausser  den  Piuinenfunden,  die  1886  bei  S. 
Maria  in  Cappella  ausgegrabene  Basis  des  praefectus  annonae  L.  Aurelius 
Avianius  Symmachus,  Vaters  des  Redners,  auf  deren  einer  Seite  eine  navis  an- 
nonaria  abgebildet  ist  [Notizie  1887  S.  362;  Bull,  comun.  1887  S.  16.  17). 

Qr.  G.VTTi   della  mica   aurea   nel    Trastevere  {Bull,   comunale.   1889    S. 

392-399). 
behandelt  eine  bei  S.  Cosimato  gefundene  chrislliche   Grabschrift  (vgl.  auch 
Notizie  1889  S.  242) 


FELES    ET    VICTORINA    "^  I  V  E 

SE    BIBI    FECERNT    MICA^REA  DEP) 

SITA  IN  FACE  MESE  AVGVSTO  /  / 


Er  liest:  Fellix}  et  Victorina  \_s]ive se  {v)i(v)i  fecer[u]nt  (in)  Mica 

aurea;  dcp[o]sita  in  pace  mese  Augusto  und  stellt  sorgfältig  die  antiken  und 
mittelalterlichen,  namentlich  an  die  Kirchen  S.  Cosimato  und  S.  Giovanni  della 
Malva  sich  knüpfenden  Zeugnisse  für  den  Namen  Mica  aurea  zusammen. 
Mir  scheint,  trotz  des  Zusammenstimmens  mit  dem  Fundort,  die  locale  Erklä- 
rung des  Micaurea  nicht  sicher:  ich  möchte  es  lieber  für  einen  Personen- 
namen halten,  und  lesen:  Fel{ix)  et  Victorina  eiu\_s]  se  {v)i{v)i  fecer\u\iit ; 
Micaurea  deposita  u.  s.  w.  (').  Interessant  für  den  Zustand  Roms  in  der  Zeit 
seines  tiefsten  Verfalls  ist  die  Constatirung  eines  Begräbnissplatzes  aus  dem 
6"^"  nachchristlichen  Jhdt.  innerhalb  der  Mauern :  ein  ähnlicher  war  bisher  nur 
auf  dem  Esquilin  bei  S.  Eusebio  bekannt  (de  Rossi  R.  S.  III  S.  557 ;  Inscr. 
Christ.  I  S.  508.  511). 


(1)  Gatti  selbst  hat  auf  diese  Möglichkeit  S.  392  Anm.  1  hingewiesen. 
Mica  aurea  als  Thiername  ist  bekannt. 


JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM 


149 


Bei  Anlage  der  neuen  Bahnstation  im  Trastevere,  reclits  von  der  via  Por- 
tuensis  sind  Reste  antiker  Gebäude  (lietikulatmauern,  Travertin  -  und  Peperin- 
säulen,  Brunnen  aus  Quadermauerwerk)  gefunden  {Notizie  1889  S.  192.  193). 
Von  mehr  Interesse  ist  ein  ebenda  (1120  m.  vor  Porta  Portese)  ausgegrabenes 
kleines  Sanctuarium,  über  welches  Marchetti  {Notizie  1889  S.  '^43-245)  be- 
richtet. Dasselbe  besteht  aus  einer  oblongen,  in  den  Tuff  gehauenen   Nische 


S'r'L     %•'• 


mit  Dekoration  in  rotem  Stuck.  Im  Giebelfelde,  gleichfalls  aus  dem  Tuff  aus- 
gehauen, eine  Keule  zwischen  zwei  scyphi,  darunter  die  Inschrift  L.  Domitius 
Permissus  fecit.  Vor  der  Nische  ein  Opfertisch  mit  zwei  Stufen  in  Ziegel- 
werk; davor  zwei  kleine  Altäre  (hoch  0,75,  Grundfl.  0,50X0,50  m.)  mit  der  iden- 


150        CH.  HUELSEX,   JAHRESBERICHT  UEBER  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM 

tischen  Inschrift  Imperio  |  Ilerculi  sacru  \  L.  Domitius  \  Feimissus.  Zwei  Sta- 
tuen aus  Tuff,  Herkules  einmal  als  Victor  (ähnlich  wie  auf  dem  einen  Euud- 
relief  des  Konstantinbogens),  einmal  beim  Mahle  gelagert  (i),  sowie  zahlreiche 
Weihgaben  (verzeichnet    von  Marchetti  a.  a.  0.  S.  245)  sind  gefunden.  Unter 


alliHnililliUiiiiiiiii;iliii;lli7iT.!rli»,'!illllllllHrfmfe 


den  sonstigen  an  derselben  Stelle  gefundenen  Objecten  verdienen  sieben  rö- 
mische Porträtbüsten  (jetzt  in  den  Diocletiansthermen)  etwa  aus  dem  2'^"  Jhdt.. 
von  mittelmässiger  Arbeit  aber  seltener  Erhaltung,  erwähnt  zu  werden. 


Korn,  April  1891. 


Ch.  Huelsen. 


(1)  Borsari  Bull,  comun.  1890  S.  9  erinnert  an  den  aus    der  Ecgions- 
beschreibung  bekannnten  Hercules  cubans  in  Trastevere. 


SITZ  UNGSPßOTOCOLLE 


9.  Januar:  Petersen  beldagt  den  Verlust,  welchen  die  Ar- 
chaeologie  und  das  Institut  durch  den  Tod  Heinrich  Sciiliemanns 
erlitten  und  giebt  dabei  der  Hoffnuag  Ausdruck,  dass  wenigstens 
die  von  dem  Verstorbenen  unternommene  Erforschung  von  Troja 
noch  in  seinem  Namen  und  Sinn  möge  zu  Ende  geführt  werden.  — 
Bru-no  Sauer  weist  in  einer  Statue  des  Lateranischen  Museums 
(Benndorf  und  Schöne  n.  6)  die  Copie  einer  friedlichen  Athena  des 
Pheidias  (Lemnia?)  nach.  —  Mau  über  vier  pompejanische  Wand- 
gemälde. (Vergl  oben  S.  71).  —  Huelsen  zu  den  Elogia  vom  fo- 
7'um  Äugusti. 

Hülsen  :  Un  frammuiüo  rilrovato  sul  Foro  di  Augusto  e  pubblicato 
Notizie  degli  scavi  1889  p.  3t  ==  ßulL  comuii.  1889  p.  79,  1890  p.  258: 


fa  riconosciuto  dal  eh.  Mommsen  per  un  avanzo  delLi  iscrizione  onoraria  di 
Q.  Cecilio  Metello  Numidico,  console  109  a.  C.  La  seconda  riga  e  da  supplirsi 
ce^isor  L.  Eq[iiitium  censu  prohibuit.  Cf.  auct.de  vir.illustr.  c.  62:  censor 
[L.  E]quitium,  qui  se  Tiberii  Gracchi  filium  mentiehatur,  in  censum  non 
recepit.  I  codici  del  Über  de  vir  ill.  erroneamente  preseiilano  Quinctium  in- 
vece  di  L.  Fquitium:  la  forma  corretta  del  nome  viene  sostenuta  da  Valerio 
Massimo  3,  2,  18.  3,  8,  6.  II  prenome  Lucius  manca  nei  codici  Valeriani, 
ma  e  servato  nei  passi  corrispoudenti  dell'epitome  di  Giulio  Paride. 

23.  Januar:  Prof.  Tocilesco  aus  Bukarest:  das  Trajanische 
Siegesmonument  von  Adamklissi. 

Tocilesco  :  Premessa  una  descrizione  della  Dobrogia,  disse  che  il  piü 
notevole  monuinento  di  quella  regione  e  la  gran  torre  di  Adam-Klissi  che 
sorge  isolata  in  un  punto  dominante  la  pianura  a  20  eh.  dal  Danubio  (Rassova) 


152  SlTZr.NGSPRöTOCOLLE 

a  50  dal  Mar  Nero  (Jlano'ülia)  a  40  dalla  ferrovia  IModgidie.  La  torre  tcrmina 
a  cono.  ai  piedi  grandi  blocchi  di  jtietra,  altorno  una  grande  scala  circolare. 

Un  tempo  piü  alto,  conia  ora  20  m.  di  altezza  e  25  a  27  di  diaraetro. 
I  turchi  la  chiamano  cumbett  (tumalus)  e  Adam-Klissi  '  chiesa  deH'uomo '. 

Questo  nome  deriva  forse  da  alcnne  statue  che  si  conservano  sulla  torre. 
Del  resto  intorno  ad  cssa  s'intrecciano   curiose  tradizioni  e  sirane  leggende. 

Dopo  aver  accennato  agl'illustratori  o  commentatori  di  questo  raonu- 
mento,  non  sempre  esatti,  il  conferenziere  accenna  alle  indagini  da  lui  fatte 
dopochö  la  Dobrogia  passö  alla  Komania  e  presenta  in  un  acquerello  del  sig. 
G.  Niemann  di  Yienna  la  ricostruzione  di  Adam-Klissi,  una  specie  di  niau- 
soleo  d'Adriano  a  Roma,  sormontato  da  un  gigantesco  trofeo. 

In  seguito  ad  una  esatta  descrizione  del  monumento,  delle  figure  e  bas- 
sorilievi,  il  Tocilesco  toeco  del  carattere  del  monumento,  destinato,  come  la 
Colonna  Traiana  a  Roma,  a  perpetuare  la  memoria  di  Traiano  tra  quei  ])opoli 
debellati:  ricordano  infatti  i  trofei  gli  episodi  principali  della  guerra  Dacica: 
il  ritratto  di  Traiano  si  ravvisa  in  diverse  sculture. 

Quasi  tutte  le  parti  del  trofeo  che  si  elevava  a  5,40   dal   centro   dell 
torre  furono  trasportate  a  Bucarest. 

L'architettura  e  degna  di  Eoma  antica,  piuttosto  grossolane  le  fignre, 
ma  ciö  non  toglie  sia  stata  costruita  sotto  Traiano,  essendo  noto  che  tra  i 
raonumenti  della  capitale  e  quelli  delle  provincie  vi  era  grande  differenza 

La  data  della  costruzione  di  Adam-Klissi  vien  determinata  fra  il  108 
e  109  d.  C.  per  mezzo  dell'epigrafe,  ricostituita  dal  Tocilesco  nel  modo 
seguente : 

Tvy  0  e  s  i  a  e  vltor 
ijm[p.  c  a  e  s  AK  Dwi 
14  E Vv^\  e  fr  ?j~^rc\'A— 
tra^\^  AN  V  s  aufj.  germ- 
dncicu] s  ?^o n  t.  m  a x. 
tr  i  h.  jj  0  t  e  S(~? 
im p.  ui    cos     \^  •  P  P 

x'  I  V 

\\V 

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6.  Februar:  Laxciani  über  eine  antike  Stadt  auf  dem  Monte 
S.  Ano^elo  bei  Tivoli.  —  Petersen  erklärt  das  im  Bullet,  comim. 
1887  Taf.  XV.  XVI  abgebildete  Monument  der  Sammlung  Ludo- 
visi-Boncompagni  für  die  Lehne  eines  Thrones  der  Aphrodite.  Vgl. 
Heft  4.  —  Dazu  bemerkt  Lanciani,  dass  das  Werk,  so  viel  er 
wisse,  im  Bereich  des  Heiligthumes  der  Venus  hortonim  Sallu,- 
siianorum  gefunden  sei. 


SITZUNGSPROTOCOLLE  153 

Lanciani:  La  vetta  dol  Monte  S.  Angelo  era  fiiiora  di  dillicile  accesso 
e  perciö  non  fu  mai  prima  studiata  esattamente.  Ora  peru  diradate  le  foreste 
che  la  rivestivaiio,  vi  si  possono  riconoscere  fortificazioin  poligonali  com  par- 
ticolari  interessanti,  anche  pel  modo  di  costruire  muraglioni  sostenenti  11  re- 
cinto  di  un  tempio,  strade  selciate,  ecc. 

II  riferente  ritunne  per  certo  essere  questi  gli  avaiizi  deirantica  citta 
di  Aefulae,  nota  sopratutto  daU'ode  3,  29  di  Orazio.  II  tempio  sarebbe  quelle 
della  Bona  Dea,  menzionato  in  una  iscrizione  scoperta  nel  secolo  XVI  nel 
territorio  di  S.  Gregorio,  nei  prcssi  di  Monte  S.  Angelo  {Mons  Aeßianus). 

20.  Februar:  Mau  über  das  Resultat  der  von  v.  Duhn  und 
Genossen  im  griechischen  Tempel  von  Pompeji  veranstalteten  Gra- 
bung. —  HuELSEN  über  eine  auf  dem  Qiiirinal  unweit  der  'Con- 
sulta  gefundene  Inschrift  (s.  o.  S.  122). 

6.  März :  Sauer  über  einen  archaischen  Kopf  des  Braccio 
Nuovo.  —  Mau  über  eine  Gladiatoreninschrift  von  Pompeji.  — 
Petersen  über  Marmorbetten.  Vgl.  Heft  3. 

Sauer  :  Nella  bella  testa  del  Braccio  Nuovo,  pubblicata  nelle  Bonner 
Studien  sulle  tavv.  VIII  sg.  si  trovano  traccie  piü  o  meno  distinte  di  attri- 
buti  che  sporgevano  in  ambedue  i  lati  sopra  la  supcrficie  del  teschio.  Gli 
avanzi  superiori  giustamente  spiegati  dal  Winter  appartengono  a  corna,  quegli 
inferiori  ad  orecchie  animalesche.  Si  tratta  dunque  d'un  essere  misto  fra  uomo 
e  ruminante,  e  precisamente,  essendo  le  orecchie  strette  assai  e  alzate  iusü, 
fra  uomo  e  cervo,  vale  a  diri  di  Atteone  a  metä  trasformato,  che  sta  difen- 
dendosi  coutro  i  suoi  cani  furibondi.  Fra  le  rappresentanze  analoghe  la  piii 
importante  e  quella  d'un  vaso  del  museo  di  Londra  {Cutal.  of  the  vases  etc. 
II  n.  1677.  Panofka,  Gab.  Pourtalcs  tav.  21),  dalla  quäle  qui  si  riproduce  la 


testa  dell'eroe.  E  ben  conosciuto  che  lo  stesso  soggelto  e  rapprescntato  in 
un  gruppo  di  marmo  del  musco  di  Londra,  il  cui  niotivo  e  desunto  dal  ce- 
lebre  satiro  di  Mirone.  Ci  vorrebbe  un  accurato  esanie  di  questo  nionumento 
per  risolvere  la  quistione  che  sorge  immediatamente,  se  cioe  la  testa  vaticaua 
appartenesse  ad  una  replica  del  meJesimo.  Intanto  giova  liberare  questa  testa 
interessante  del  nome  d'Iacco  impostolc  troppo  precipitosamente. 


154  SITZUNGSPROTOCOLLE 

Petersen  :  Avendo  potuto  csaminare  Toriginale  in  riguardo  airosser- 
vazione  fatta  dal  sig.  Sauer,  ne  deve  conferinare  la  giustezza  quanto  alle  orec- 
chie  auimalosche,  mentre  la  posizioue  molto  laterale  delle  conia  gli  lascia 
qnalche  dubbio  se  siano  state  cerviue. 

Mau  :  Le  iscrlzioni  ascritte  ai  disegni  di  due  gladiatori  sono  pubbli- 
cate  Bull.  1890  p.  32: 

1,  Q_  PTRONIVS  •  M 

°    TAVS    XXX III 

2,  SIIVIIRVS-V 

l.  IB   XXXXXV 

cioe : '  Q.  Petronius  Octavus,  XXXIII  (pugnarum),  m(issus).   Severus  libfer- 

tus)  LV  (pugnarum),  v(icit).   Che   il   significato   della  iiota  lib  xxxxxv  sia 

questo,  non  lib{eratus)  quinquagesima  qiünta  (piigna),  fu  dimostrato  da  P.  J. 

Meier  De  gladiatura  roniana  pag.  48  not.  2;  ai  suoi  argomenti  si  pu«'»  aggiun- 

gere  quanto  segue.  La  nota  in  discorso  non  indica  l'esito  del  combattimento 

a  cui  si  riferisce  Tiscr.,  dacche  piü  volte  si  trova  unita  con  Taltra  P[eriU); 

indica  invece  lo  stato  del  gladiatore  al  tempo    del   combattimento    ed   c   de- 

sunta  dall'annunzio  [libellus)  che   simili  iscrr.   riproducono.    Ora   siccome  al 

publice  premeva  di  sapere  se  il  gladiatore  appartenesse  o  no  alla  classe  pre- 

ferita  dei  liberti  (Petron.  45)  e  di  conoscere  il  numero  dei  combattimenti  da 

lui   sostenuti;    era   logico    dunque    di   aggiungere   nelPännunzio    quest'ultimo 

numero,  non  quello  piü  ristretto  dei  combattimenti  anteriori  alla  sua  libera- 

zione.  La  nota  LIB  poi  si  trova  aggiunta  esclusivamente  a  nomi  servili,  mai 

a  nomi  che  esprimono  la  condizione  libera  {Q.   Clcppius,   C.  I.  L.  IV  465)  o 

libertina  {M.  Antonius  Exochus,  C.  L  L.  VI  10194)  mentre  in  questi  ultimi 

massimamente  si  aspetterebbe.  E  chiaro  dunque  che  alcuni  liberti,  seguitando 

a  combattere,  seguitavano  anche  a  chiamarsi  col  loro  nome  servile ;  e  a  questi 

nomi  fu  aggiunta  la  nota  LIB,  mentre    sarebbe    stato    inutile    agginngerla  ai 

tre  nomi,  come  nel  caso  nostro  a  quelli    di   Q.    Petronius   Octavus.    Siccome 

fra  i  gladiatori    vi    erano  -  lo  dimostrano    i   nomi  (C.  /.  L.  IX  465)  -  servi, 

liberti  e  ingenui,  cosi  bisogna  amraettere  che  Petronio  (45),  quando  distingue 

soltanto  familia  lanisticia  e  liberti,  comprende  sotto  quest'ultimo  nome  anche 

quegli  ingenui  che  non  vivevano  rinchiusi  nel  ludu-i,  ma  combattevano  volon- 

tariamente.  Per  alcuni   gladiatori   la   condizione   libora,   benchö    si    chiamino 

con  nomi  servili,  risulta  dall'essere  essi  stati  sepolti  dalle  mogli,  con  le  quali 

debbono  essere  stati  congiunti    durante    il   tempo    del   loro    servizio:    cosi   il 

secutor  Urbicus  (C.  /.  L.  V  5933)  morto  a  22  anni   dopo    13  combattimenti 

c  7  anni  di  matrimonio ;    il   reziario  lantinus    (1.  c.  4506)   morto  a  24  anni, 

dopo  5  combattimenti  e  5  anni  di  matrimonio ;   il  procurator  luvenis,  sepolto 

dalla  moglie  Purricina  a  21  anni,  dopo  5  combattimenti  e  dopo  essere  stato 

in  ludo  4  anni.  Anche  Q.  Ducenius  Optatus  (XII  5836),  sepolto  dalla  moglie 

dopo  soll  3  comb:ittimenti  non  puo  cr.dersi  veterar.o  ma  ghidiatore  attivo  di 


SITZUNGSPROTOCOLLE 


155 


condiziono  libera.  l'cr  questi  dunque  pare  che  vi  fosse   il  modo    di   prender 
parte  agli  esercizi  {in  ludo)  senza  esservi  rinchiusi. 

20.  März:  Lanciani  über  die  Topographie  des  collis  horto- 
rum  (y.  Bull,  comiin.  1891  p.  132-155).  —  Petersen  über  die 
'  Medusa  '  Ludovisi.  —  Derselbe  über  eine  griechische  Bronze- 
figur. Vgl.  Heft  2. 

Lanciani  :  II  Monte  Pincio,  detto  collis  hortorum  dalle  nnmerose 
ville  di  famiglie  nobili  romane,  —  p.  es.  gli  horti  Domitiorum,  horti  Lucul- 
lani  e  nell'epoca  bassa  quelli  di  Petronio  Probo  ed  Anicia  Faltonia,  ultima 
discendente  forse  della  gente  Pincia,  il  cui  nome  h  rimasto  alla  collina  fino 
ai  giorni  nostri,  —  ö  ricco  di  avanzi  di  costnizioni  antiche.  Dope  avere  an- 
noverato  quegli  ancora  esistenti,  il  riferente  ragionö  di  due  monumenti  di- 
strutti  nell'epoca  del  risorgimento :  del  cosi  detto  templwn  Solis,  sotto  il 
«  Belvedere  "  della  villa  Medici,  edifizio  forse  destinato  ad  uso  di  ninfeo  o 
castello  dell'acqua  Vergine;  e  di  un  grandiose  emiciclo  con  terrazze  e  sca- 
linate  discendenti  all'antico  Campo  Marzio;  esso  stava  quasi  sul  posto  della 
moderna  gradinata  della  Trinitä  dei  Monti,  ma  fu  distrutto  circa  il  1550, 
quando  si  costrui  il  raonastero  della  Trinitä  e  la  Villa  Medici.  Oltre  al  pic- 
colo  schizzo  dato  dal  Bufalini  se  ne  hanno  soltanto  due  piante  nelle  opere  di 
Pirro  Ligorio :  una  piü  piccola  nel  codice  Bodleiano  testö  pubblicata  dal  Mid- 
dleton  {Archaeolorjia  LI  p.  497),  ed  un'allra  molto  dettagliata,  scoperta  dal 
dott.  Hülsen  neH'archivio  di  Torino.  II  riferente  presentö  una  copia  di  quest'ul- 
tima  {Bull,  comun.  1.  c.  1891  tav.  V.  VI),  ed  accennö  agli  avanzi  tuttora  esi- 
stenti  sotto  il  monastero  della  Trinitä  dei  Monti,  che  confermano  in  parte  le 
indicazioni  del  Ligorio. 

Pare  che  questi  edifizi  abbiano  appartenuto,  nei  priuü  secoli  deH'era  no- 
stra,  alla  nobile  faniiglia  degli  AciJii  Glahriones,  la  quäle  possedette  inoltre, 
fuori  delle  mura,  grandi  terreni  ridotti  a  ville  e  giardini,  corrispondenti  in 
parte  alla  moderna  villa  Borghese  ed  estesi  fino  alla  via  Salaria. 

3.  April :  Petersen  legt  das  Supplement  der  Monumenti  ine- 
diti  vor.  —  v.  Sybel  über  die  Entwickelungsgeschichte  einer 
bestimmten  Haarbildung  männlicher  Gestalten  in  der  griechischen 
Plastik.  S.  Mittheill.  Heft  2.  —  Mau  über  eine  Tafel  in  Niccolini 
Le  case  e  i  monime/ili  di  Pompei.  —  Huelsen  über  das  Denkmal 
des  Chaeremon  von  Nysa  (Vgl.  Athenische  Mittheilungen  1891 
S.  95-106). 

Mau  :  Nell'opera  Niccolini  Le  case  e  i  Monumenti  di  Pompei  la  tavola 
Suppl.  38  riproduce  una  parete  del  primo  stile,  la  stessa  che  insieme  con  un'al- 
tra  (della  casa  di  Sallustio)  e  rappresentata  sulla  tav.  II  dell'opera  del  rif.  sulle 
decorazioni  murali  di  Pompei.  Perö  sulla  tavola  del  Niccolini  i  pilastri  sono 


156  SITZUNGSPROTOrOLLK 

neri  invece  di  bianchi,  nero  anche  lo  zoccolo  invece  di  imitare  alabastro.  Che 
sulle  pareti  del  primo  stile  le  parti  architettoiiiche  (pilastri  ecc.)  fossero  neri, 
non  bianchi,  fu  un'upinione  erronea  delFarchitetto  Sikkard,  tratto  in  errore 
da  certe  macchie  prodotte  da  polvere,  crittogami  ecc.  e  somiglianti  a  quelle 
tracce  che  rimangono  su  pareti  nere  quando  il  colore,  come  spesso  succede, 
e  svanito.  II  Sikkard  credeva  pure  che  le  imitazioni  di  marmi  screziati  fossero 
scmpre  dovuti  a  ristauri  posteriori.  In  questo  senso  egli  aveva  fatto  il  dise- 
gno  per  la  tavola  suddetta  deiropera  del  rif.  Pare  che  questo  disegno,  rifiu- 
tato  dal  rif.,  sia  stato  acquistato  dal  Niccolini  ed  abbia  servito  di  base  a 
quella  sua  tavola,  suUa  quäle  perö  e  aggiunta  arbilrariamente  la  cornice  so- 
vrapposta  in  modo  impossibile  ai  pilastri.  II  rif.  si  e  convinto,  con  un  esame 
accurato,  non  essere  sostenibile  in  alcun  modo  la  suddetta  opinione  del  Sikkard. 

17  April:  festliche  Sitzung  zum  Gedächtniss  der  Gründung 
Roms :  Pigorini  über  die  ältesten  Ansiedelungen  der  Italiker  und 
ihre  Analogien  mit  der  Roma  qiiadrata.  —  Mau  :  über  ein  Bild- 
niss  der  jüngeren  Agrippina.  —  Petersen  über  ein  colossales  ar- 
chaisches Cultbild  der  thronenden  Aphrodite.  Vgl.  Heft  4. 

Pigorini  :  parlo  delle  piü  antiche  stazioni  degli  Italici,  provando  che 
consisto'no  nelle  abitazioni  lacustri  del  Veneto  e  nelle  terremare  del  Manto. 
vano  e  dell'Emilia.  Fu  soltanto  al  cominciare  della  prima  etä  del  ferro  che 
gl'Italici  passarono  l'Aiipennino,  in  due  divcrsi  rami,  uno  dei  quali  giunse  nel 
Lazio.  Nelle  cittä  che  vennero  via  via  edificando  a  sud  dell'Appennino,  con- 
servarono  taluni  essenziali  caratteri  delle  terremare,  e  cio  spiega  perchö  la 
prima  Eoma  fosse  quadrilatera  e  orientata,  e  perchfe  la  cittä,  Serviana  fosse 
cinta  dall'aggere  e  circondata  dalla  fossa.  Le  terremare  disegnano  in  pianta 
un  trapezio,  e  hanno  un  ponte  di  legno  ai  capi  del  decumano :  queste  parti- 
colaritä  ci  fanno  comprendere  la  ragione  del  ponte  suhlicio,  di  legno  e  senza 
chiodi,  religiosamente  mantenuto  in  Eoma  dai  Pontefici,  e  lasciano  credere 
che  i  «  prisci  Latini  «  fondassero  la  Roma  quadrata  sul  Palatino  perchö  esso 
appunto  presentava  la  figara  di  trapezio. 

Mau  :  parlo  di  un  busto  di  marmo  del  Museo  Nazionale  di  Napoli,  del 
quäle  furono  distribuite  riproduzioni  in  zincotipia.  Che  questo  busto  rappre- 
senta  Agrippina  minore,  la  madre  di  Nerone,  della  quäle  finora  non  si  cono- 
sceva  nessun  ritratto  autentico,  il  rif.  lo  dimostro  col  confronto  delle  monete 
insignite  della  testa  di  lei.  Espose  anche,  come  il  busto  di  Napoli  corrisponde 
bene  a  quanto  sappiamo  sul  carattere  di  Agrippina  e  deve  riputarsi  un  ri- 
tratto assai  buono,  che  senza  abbondare  in  particolari  rende  egregiamente  i 
tratti  essenziali  nei  quali  si  rivela  Findole  della  persona  rappresentata. 


I  FASTI  DEI  .S'^A'  PRTMI  AB  ÄERARIO 


La  facciata  dell'erario  portava,  fin  daH'auiio  781  della  cittä 
av.  Cr,  28  i  fasti  del  collegio  ^Qsex  j)rimi,  i  quali  come  e  noto 
erano  i  capi  degii  apparitori  pubblici  destinati  al  servizio  del  tesoro 
e  dell'arcliivio  di  Koma.  Abbiamo  avanzi  e  del  senatiisconsulto 
deH'anDO  suddetto  e  della  lista  degli  impiegati,  ed  e  degno  di  osser- 
vazione,  che  tiitti  i  frantumi  qni  radunati  sodo  iisciti  piü  o  meno 
nelle  vicinaiize  dell'erario,  dunque  sul  sito,  cioe,  il  primo  fram- 
mento  del  seDatusconsulto  uei  fondameuti  di  una  casa  privata  in 
via  di  Monte  Capriuo,  il  secondo  a  piedi  del  tempio  di  Saturno; 
de'  fasti  la  parte  inferiore  (della  superiore  scavata  fin  dal  se- 
colo  XVI  non  si  indica  la  provenienza)  negli  istessi  scavi  iii  capite 
fori  Romaiü,  siccome  accenna  il  chmo  Lanciani  BuUett.  comim. 
1888  p.  224.  II  solo  frammento  terzo  e  stato  ritrovato  verso  la 
Cecilia  Metella. 

Del  senatusconsiilto  riraangono  i  due  frammenti  che  seguono, 
il  primo  stampato  nel  C.  VI,  10621,  il  secondo  edito  dal  Lanciani 
nel  Bull,  comim.  1888  p.  228;  il  merito  di  averli  sagacemente 
ricongiunti  spetta  al  nostro  Dessau.  Sono  conservati  ambedue  nel 
nuovo  museo  delle  Terme  Diocleziane:  la  lunghezza  del  primo 
frammento  e  di  cm.  12,  quella  del  secondo  cm.  18,  l'altezza  cm.  19, 


DECRETVM^  JETAERARIO      PRA  Elr:> 

Sei   Q_yiT  de   leI  1/,//o  l  seitivs  cos  aa  ve  si  ex      s^c 

7  •  I  •  T  V  L  E  R  I  Y  /eFERENT   •   CENS  •  I  •  S  •  F  •  CCCCV 

'L  •  A  E   L  I  y  /X   ■    P    R    I    M        •  C 


\ut  ad  aerarium  noraina  eorum  qui  secundum  Id 

decretum   [creati  erunt,  eius  annl  co{n]s{ulibus)  et  prcijetioribus)    aerario 

\praescr\iptis  publice  proponantur,  itemque  ibidem  proponatiir 

sei  quit  de  Ie\gendis  scribis  quaestoriis  Cn.  Pis]o  L.  Sentius  cos.  a{lter)  {ambo)ve, 

\si  ei\s  videbitur,  dum  ne  quid 
{contra)  l{eges)  tuleria[t  alive  qui  magistratus  deind]e  ferent.  Censu{erc).  In 

I  sjenatu)  f(uerunt)  CCCCV.  . . . 

11 


158  TH.    MOMMSE.N 

I  consoli  sono  quei  del  731,  anno  in  cui  rammiuisti-azione  dcl- 
Terario  fii  trasferita  nelle  competenze  pretorie  in  questa  guisa, 
che  fra  le  i)roviiiciae  distribuite  per  sortizione  anniiaimente  ai 
pretori,  entrano  le  due  per  il  reggimento  del  tesoro  piibblico,  aiimen- 
tandosi  nel  medesimo  tempo  il  numero  de'  pretori  da  otto  a  dieci. 
iMa  il  decreto.  per  cui  si  operö  questo  importante  cambiamento 
amministrativo,  se  pure  si  fece  pel  senato  e  non  per  legge  comi- 
ziale,  probabilmente  non  e  quell'  istesso  di  cui  ci  rimane  la  parte 
estrema;  anzi  pare  che  questo  abbia  segnito  quello  ed  abbia  re- 
golato,  dopo  la  rautazione  dei  capi,  pure  l'organizzazione  de'  subal- 
terni.  Negli  avanzi  che  abbiamo  si  dispone,  a  mio  avviso,  soltanto 
suUa  pubblicazione  futui-a  de'capi  annuali  di  essi.  Appoggiasi,  come 
si  vede,  la  mia  restituzione  sulla  lista  che  segne,  combinando  que- 
sta con  la  sottoscrizione  L.  Aelhi{ß\ \ße\cc 2rnm{us)  c\jirato- 

rum ]  0,  se  vi  furono  uominate  piii  persone,  se,x  prfm{i)  c\j(- 

ratorum  . . .]  la  quäle  rende  probabile  che  il  senatusconsulto  che 
precede  si  occupava  specialmente  co'  subalterni. 

Sülle  particolaritä  poco  trovo  di  osservare.  Le  frasi  e  le  sigle 
sono  le  solite,  eccettuata  forse  la  nota  r  •  l  •  =  contra  leges  altrove 
ne'  documenti  pubblici  finora  non  osservata  in  questa  combiuazione, 
quantunque  la  seconda  vi  si  trova  spesso  in  frasi  simili,  come  per 
es.  H-L-  =  hac  lege,  e  la  prima,  assai  frequente  nelle  note 
della  letteratura  proprio  giuridica  (Gaius  ed.-facsimile  Studemund 
p.  260),  sui  marmi  in  questo  valore  finora  non  si  e  incontrata  fuori 
le  parole  contrascriptor  (C.  111,  4024.  4716.  5121.  5123.  5691. 
V,  5080)  e  coiiimretiarius  (C.  VI,  631).  Che  questa  sigla,  come 
l'altra  simile  di  ceiituria  e  centurio  non  e  altro  che  la  lettera  c 
voltata  a  sinistra.  comuuque  posteriormente  piü  frequente  prende 
la  figura  7,  l'ho  dimostrato  altrove  (Hermes  2,  119).  —  La  for- 
mola  [dum  ne  quid']  contra  leges  iulerint  e  equivalente  alla  piü 
antica  ü  quid  ins  non  esset  rogarier,  eius  lege  nihihim  rogatum 
sul  cui  valore  ho  ragionato  Staatsrecht  3  p.  335. 

Dei  tre  frammenti  del  latercolo  i  due  primi  sono  stati  stam- 
pati  C.  VI,  1496  e  Bullett.  com.  1883  p.  226,  il  terzo  C.  VI,  1495. 
I  due  primi,  i  quali  doversi  combinare  insieme,  osservai  giä  quando 
l'amico  Lanciani  volle  comunicarmi  per  lettera  il  frammento  infe- 
riore (alto  cm.  35.  lungo  29),  congiunti  ci  presentano  questi  avanzi : 


I    FAST!    DEI    SEX    VRIMl    AB    AERARIO 

CO  5i 


159 


o 


C5 


C/5 

o 

U 

y 

u 

Z 

z  o 

1—1      CO 

u 

H    1 

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O 

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I— I 


lO 


eä 


SS 


o 


160 


TH.     MOMMSEN 


/f  V  D  £~r^ 

t.  caes.  diui  uespasia  /-j  i  •  f  •  a  v  g  • 

I  I  I  I  I  I  I  I  I 


10 


NE-L-POMPVSIO-METTIO 
Ao  •  PRAEF-AER  •  SAT-ANN  •  TTn 
CVR 
,/lONIO-M-F  •  PRISCO 

i/(etvrio-t-f-Flacco 

/V^>yiO  •  CN  •  F  •  MAXIMO 

l.  flavio  si7>JA  cos 

asinio  pollione  mIerrvcoso  ///j 

CO 

praef.  aer.  sat.  ann\^^ 


i.  80 


a.  81 


VengODO  riferiti  per  ogni  anno  tre  coppie  di  magistrati  od  impiegati. 

1)  I  diie  cousoli  nel  caso  sesto,  scritti  negli  anni  12-16.  18-20 
in  iina  riga  sola,  in  due  negli  anni  80-81.  Siccome  i  qiiestori  cam- 
biavano,  almeno  nell'epoca  repnbblicana,  il  5  dicembre  ed  anche 
i  subalterni  loro  entravano  allora  in  carica  nel  medesimo  giorno 
{Staatsrecht  1,  606),  merita  di  essere  osservato,  che  il  nostro  later- 
colo  mette  dappertutto  i  consoli  del  primo  semestre.  Se  qiiesto 
giorno  d'entrata  abbia  durato  pure  all'epoca  imperiale,  non  lo  sap- 
piamo ;  dal  nostro  latercolo  non  poträ  dedursi  il  contrario  pei  que- 
stori,  stanteche  allora  a  questi  era  stata  tolta  la  cura  dell'erario  ed 
i  pretori  che  l'amministravano,  entraodo  in  carica  il  primo  gennaio, 
certamente  in  questo  giorno  pure  cambiavano  i  subalterni. 

2)  Gli  amministratori  dell'erario  scritti  pure  nel  caso  sesto.  De- 
gli  anni  13-16  si  e  salyata  l'indicazione  della  dignitä,  che  fu  jjr(r/e- 
toribus),  ne  altra  sarä  stata  quella  ascritta  negli  anni  18-20.  Che 
furono  due,  e  evidente  nell'anno  20,  dove  occupano  due  righe,  negli 
altri  anni  si  contentavano  di  una  sola,  ma  dovette  perciö  ammet- 
tersi  alla  volta  una  breviazione  irregolare  del  cognome  (/  //;c  a.  14, 
pRoc-  a.  16).  Essere  questi  magistrati  i  praetores  aerarü  di  quel- 
l'epoca  lo  sappiamo  da  lungo  tempo  ammaestrati  dal  Borghesi  a 
proposito  della  notissima  iscrizione  Casinate  C.  X,  5182  del  C.  Um- 
midio  Quadrato,  ove  fra  gli  altri  onori  e  chiamato  pr.  aer.,  iscri- 


I    FASTI    DKI    SEX    riUMl    AH    AERARIO  16l 

zione  oggi  da  confrontarsi  coii  il  C.  Ummidio  Qiiadr[ato]  registrato 
qiii  sotto  l'anno  18.  —  Dopo  che  Nerone  nell'a.  56  aveva  data 
ramministrazione  dell'erario  di  Saturno  a  diie  prefetti  nominati 
dair  imperatore  per  un  tempo  non  limitato  legalmente,  pel  solito 
triennale,  incontriamo  questi  magistrati  coH'aggiunta  dell'anno 
corrente  della  loro  araministrazione  in  qiiesta  giiisa  per  Tauno  80 : 
....  ne,  L.   Pompiisio    Meitio  .  . .  m  frae^fectü)    aer{arii)   Sa- 

t{ur)ii)  aiiii{o)  IUI  e  per  l'anno  81 : co, \^praef{e- 

ct/s)  aer{arii)  Sal{uriii)  aii]n{o)  IL  II  numero  essendo  di  lezione 
certa,  dovremo  ammettere,  che  i  prefetti  numeravano  gli  anni  del 
loro  impiego  non  dal  giorno  deH'entrata  nella  carica,  ma  dalle  aa- 
lende del  gennaio  e  cosi  essendo  stati  nominati  nel  corso  dell'anno  80, 
abbiano  cominciato  l'anno  secondo  al  primo  gennaio  seguente. 

3)  In  terzo  luogo  seguono  i  nomi  dei  sex  primi,  scritti  nel 
caso  pdmo,  chiamati  perö  non  con  questo  nome,  ma  detti  cur{a- 
tores).  Questa  intestazione  scritta  in  lettere  maggiori  sopra  i  nomi 
nel  bei  mezzo,  si  e  salvata  solo  nell'a.  80,  indicata  perö  anche 
negli  altri  dallo  spazio  rimasto  vuoto  fra  i  nomi  de'  pretori  e 
quelli  dei  sex  iirimi.   Che    anche   qnesto    nome    convenga  ai  sex 

iwimi,  lo  confermano   due    titoli    Epli.  ep.  IV,  53 : scriba 

quaest]orms  sex  primiis  curatorum  e  C.  VI,  1820  M.  Natronio 
C.  f.  Pitj).  Rustico  scr.  q.  sex  primo  cur.,  honor.  functo ;  anzi 
ora  vediamo  che  legalmente  si  chiamavano  non  sex  primU  ma 
piuttosto  ciiratores.  Veramente  dei  nostri  frammenti  nessuno  ha 
serbato  i  nomi  interi,  ne  si  ritrovano  piii  di  tre  nomi  per  anno; 
ma  che  furono  originariamente  sei,  chiaramente  lo  mostra  la  di- 
sposizione  dei  due  prirai  frammenti;  non  si  arriverä  a  dare  al 
cvR.  la  posizione  richiesta,  se  non  ammettendo  che  i  nomi  qui  fm-ono 
scritti  in  due  colonne,  corae  si  fa  pure  per  i  consoli  ed  i  pretori. 
Una  volta  sola  nell'a.  18  la  prima  colonna  mostra  quattro  nomi,  sia 
che  per  qualsiasi  ragione  nella  secouda  non  ne  furono  scritti  che 
due,  sia  che  per  un  caso  eccezionale  fossero  allora  in  carica  sette 
capi  dell'uffizio;  simili  irregolaritä,  cagionate  forse  dalla  morte  o 
dalla  rinunzia  di  qualche  individuo,  non  di  rado  s'  incontrano  in  tali 
cataloghi,  come  sono  per  esempio  gli  Antiatini  C.  X,  6637.  6638 
e  il  Lunese  C.  XI,  1356.  Ma  al  contrario  negli  anni  80.  81  non 
Yi  e  posto  che  per  tre  soll  nomi ;  dovremo  perciö  supporre,  che  quando 
si  sostitui   alla   pretura    annua   la  prefettura   generalmente  trien- 


621  TU.  MOMMSEN,    I    FASTI    DEI    SEX    PRIMI    AH    AERARIO 

nale,  pure  il  sexprimato  da  anniio  divenne  biennale,  uscendo  ed 
entrando  ogni  anno  la  metä  degli  impiegati.  Che  il  sexprimato  non 
sia  stato  pei^petiio,  dal  nostro  latercolo  si  rileva  chiaramente ;  ar- 
roge  che  abbiamo  im  esempio  perö  unico,  e  perciö  prima  da  me 
non  accettato  senza  qnalche  dubbio  {Staatsrecht  1,  342  not.  2)  del- 
riterazione  nella  Tibnrtina  C.  XIV.  3674:  T.  Sabidio  T.  f.  Pal. 
Mao:imo  scribae  q.  sex.  prim.  bis.  II  rango  fra  essi  pure  venne 
in  considerazione,  attestandolo  diie  titoli,  imo  ostiense  C.-XIV,  17 
dl  un  scr.  q.  VI  'primiis  princeps,  l'altro  iirbano  C.  VI,  1805  di 
im  scr.  q.  priticeps. 

Fra  le  due  colonne  del  frammento  maggiore  che  avanzano 
mancano  solo  le  due  ultime  righe  dell'a.  16,  occupando  tutto  l'an- 
110  17,  se  regolare,  righe  sei.  Dunque  le  colonne  non  erano  molto 
piü  alte  di  ciö  che  ne  resta,  ma  senza  meno  precedevano  e  seguita- 
vano  altre.  Se  la  lista  dei  sex  primi  cominciava  coli' anno  u.  c.  731, 
com'e  probabile,  contenendo  ogui  colonna  fra  quattro  o  cinque  anni, 
la  nostra  prima  anticamente  forse  era  la  nona.  Se  sia  possibile  o  no 
di  trovare  un  posto  per  questi  documenti  nell'architettura  del- 
l'erario  e  degli  edifizi  ad  esso  appartenenti,  lo  decideranno  i  topo- 
grafi  valenti;  a  me  basta  di  averne  indicato  la  natura. 

Th.  Mommsen. 


PRAEFECTUS  EQUITATÜS. 


Nel  primo  voliime  di  qiiesto  BullettiDo,  p.  258,  il  eh.  Mommsen 
ha  pubblicato  iioa  ischzione  frammentata,  ritrovata  ad  Olimpia,  la 
quäle  si  riferirebbe  ad  Aulo  Didio  Gallo,  uoto  cwrator  aquarum 
sotto  Claudio.  Perö  i  supplementi  ivi  proposti  non  appagarono  lo 
stesso  Mommsen,  ed  egli  nella  ristampa  deiriscrizione  nel  C.  I.  L. 
(III  Swppl.,  n.  7247),  ha  nuovamente  esposto  le  ragioni  che  s'op- 
pongono  alla  sua  reintegrazione.  Quindi  mi  sembra  peraiesso  il 
tentativo  di  risolverne  in  altro  modo  le  difficoltä. 

Presento  iunanzitutto  un  facsimile  deH'iscrizione  dovuto  alla 
gentilezza  del  eh.  Purgold. 


Nel  1°  verso  si  deve  supplire  il  paitieipio,  dal  quäle  dipende 
l'ablativo   triumphalihus    ornamentis ;   ma   che   vocabolo  fosse,  e 


164  A.    V.    DOMASZEWSKI 

come  poi  debbano  essere  restitiiite  le  4  lettere  mancanti  dopo  il 
verbo.  non  si  piiö  definire,  poiche  la  formola  solita :  ornatus  a 
senatu  aiictore  imperatoris  (0,  qui  evidentemente  non  fu  adottata. 

La  restituzione  della  epigrafe  dipenderä  dalla  giusta  interpre- 
tazione  delle  ultime  diie  righe.  In  fine  del  3"  verso  rimane  il  posto 
per  tre  lettere  non  supplite,  ed  ivi  si  deve  restitiiire  cos  (-),  al 
termine  del  cursus  honorum  ;  gli  altri  diie  gradi  obbligatori  della 
carriera  senatoria,  cioe  la  pretura  e  la  questura,  erano  indicati  nel- 
rultimo  verso,  l'iscrizione  regolandosi  secondo  l'ordine  del  tempo. 

La  giusta  inteii)retazione  e  restituzione  del  5^*  e  6°  verso  e  sug- 
gerita  dall' epigrafe  dei  due  Doraizt  di  Foligno  (Wilmanns,  Exem- 
pla  inscript.  latin.,  n.  1148-1149).  Questi  Domizi,  come  pretori, 
tönuero  ciascuno  la  carica  di  praefectus  aiixiliorvAn  omiiium  ad- 
versus  Germanos ;  anche  nella  iscrizione  nostra  e  inteso  un  comaudo 
simile  straordinario  siüla  cavalleria,  e  durante  per  tutta  la  cam- 
pagna;  e  chiaro  poi  che  i  due  versi  5''  et"  6°  ne  abbiano  indicato 
l'occasione. 

Per  la  riga  sesta  sono  probabi]i:-simi  i  Supplement!  pjr{aetor), 
quaest{or)  [impe']ratoris :  il  sovrano,  il  cui  nome  e  soppresso  a 
bella  posta,  per  ragioni  cronologiche  non  puö  essere  altro  che  Cali- 
gola  (^).  II  comaudo  straordinario  quindi  si  riferirä  alla  guerra 
britannica  di  Claudio,  di  modo  che  avremo  a  chiamarlo  pr\jLefe- 
ctu]s  eqiätat{us)  [hello  \  Brüa)iiuco~\. 

Segue  la  legatio  Moesica,  dopo  l'anno  43.  La  sola  data  cro- 
nologica  che  abbiamo  per  codesta  carica,  cioe  il  passo  di  Tacito 
(Äd/iales  12,  15),  vi  coiucide,  poiche,  se  Tacito  tra  gli  avveui- 
menti  dell'anno  49  registra  :  «  AI  MithrUlates  Bosporanus  amis- 
sis  opibus  vaguSj  postqitam  Didium,  diicem  Romaiioriim,  roburque 
exercitus  abisse  cogaoverat  " ,  la  legazione  di  Didio  non  puö  cre- 
dersi  di  molto  anteriore  all'anno  49  (^);  e  certamente  Didio  Gallo 


(ij  Mommsen,  Staatsrecht  1^,  p;ig.  466. 

(2)  Si  osservi  che  un  T  di  questo  verso  corrisponde  ad  uii  M  del  pre- 
cedente,  il  quäle  avea  una  lettera  di  meno. 

(^)  Un  esenipio  di  simile  soppressione,  ma  relative  all'  imperatore  Do- 
uiiziano,  mi  venne  suggcrito  dal  eh.  Bi/rniann. 

(^)  In  ogni  caso  prima  dell'anno  47 ;  poiche  da  quell'anno  in  poi  e 
crmservata  la  storia  di  Tacito,  senza  ch'egli  in  seguito  faccia  menzione  dci 
combattimenti  contm  Mitridate. 


l-KAKKi:CTUS    EQlITATLiS  1G5 

gOYernö  la  Mesia  coiiie  consolare,  poiche  il  governo  di  quella  pro- 
vincia,  dopo  il  43  d.  C,  fu  affidato  di  iiiiovo  a  consolari  ('). 

Se  non  che,  ad  iioa  determinazione  cronologica  aftatto  dilfe- 
rente  ci  condurrebbe  la  data  della  cura  aquarum  di  A.  Didio 
Gallo.  Siamo  cioe  in  grado  di  supplire  cou  certezza  il  testo  di 
Prontino  (Z>ö  aqiiü^  §  102),  alla  scorta  degli  Atti  dei  fratelli  Ar- 
vali dell'anno  38  d.  C.  (-).  ne  si  puö  piü  diibitare,  che  Gallo  non  sia 
btato  curator  aqitarum  durante  il  decennio  38-49,  e  certameute 
anche  consolare,  essendo  stato  capo  del  collegio  (•^). 

Inoltre,  siccome  sino  all'anno  33  governava  la  Mesia  Latinio 
Pandusa,  in  qualitä  di  pretore,  e  nel  testo  integro  di  Tacito  con- 
cernente  gli  anni  33-37  la  uarrazione  della  sconfitta  di  Mitridate, 
a  ciii  egli  allude  nel  passo  12,  15,  non  si  trova,  il  nostro  Didio 
dovrebbe  aver  governato  la  Mesia  alla  line  dell'anno  37,  e  quindi  in 
qualitä  di  pretore  (') ;  avrebbe  poi  ottenuto  il  consolato,  e  subito  dopo 
la  cura  aquarum.  Ora,  una  carriera  cosi  aifrettata  non  sembra 
ammissibile  nemmeno  sotto  Caligola,  e  il  conferimento  della  cura 
aquarum  ad  un  magistrato  divenuto  console  soltanto  in  quello  stesso 
anno,  e  inconciliabile  con  quanto  noi  ormai  sappiamo  della  rag- 
guardevole  condizione  di  questi  magistrati  {'>). 

Aggiungiamo  che  la  cura  aquarum  non  occorre  neU'iscrizione, 
ne  vi  puö  essere  inserita  per  mezzo  di  alcun  supplemento :  quindi 
mi  sembra  fuor  di  dubbio.  che  il  governatore  Didio  di  Tacito  sia 
per  l'appunto  identico  col  Didio  del  nostro  titolo,  ma  ditferente  dal 
curator  aquarum;  questi  invece,  che  fu  anche  legato  in  Bretagna 
nell'anno  52  (''),  sarä  stato  il  padre  dell'A.  Didio  dell'iscrizione  ('). 

(1)  Cfr.  Rhein.  Mus.  XLV,  pag.  1,  e  segg.  II  proposto  proconsolato  della 
Sicilia  non  deve  trarre  in  errore,  essendo  senza  dubbio  consolare  la  carica  pre- 
cedente;  non  di  rado  pero  aecade,  cbe  due  cariche  della  stessa  natura  si  tro- 
vino  unite,  come,  p.  es.,  neiriscrizione  di  Cornuto  Tertullo.  Cfr.  Waddington, 
Fastes,  pag.  188. 

(2)  Henzeu,  Acta  Arvalium,  p.  XV.  n.  2. 

(3)  Mommsen,  Staatsrecht,  IP,  pag.  1046. 

{*)  Legato  consolare  della  Mesia  e  della  Macedonia  nun  puö  essere  stato, 
poiche  sappiamo  che  di  questa  carica  era  invece  rivestito  Menimio  Eegolo. 

{^)  Mommsen,  Staatsrecht,  IP,  pag.  10i9. 

(,ö)  Infatti  allora  era  molto  iiioltrato  nella  vecchiczza  (Tacito,  Ann.  12,  40). 

C)  Assolutamente  certo  non  e  il  cognome,  quantunque  si  debba  presup- 
porre,  naturalmente,  il  cognome  uguale. 


16t)  A.    V.    DOMASZEWSRI 

E  siccome  A.  Didio  ftglio,  anche  come  governatore  della 
Mesia,  sconfisse  e  fugo  iin  re,  poteva  appiioto  in  quelle  battaglie 
essersi  acquistato  gli  oriiameata  triumphalia.  Ma  poiche  non  siamo 
in  grado  di  giudicare  deU'importanza  de'  suoi  fatti  d'arme,  cosi 
mi  pai'e  piii  opportuno  di  attri])uire  codesta  distinzioue  al  trionfo 
britaniiico  di  Claudio. 

Svetonio  narra  nella  Vita  di  Claudio  (cap.  17):  «  Ciirrimi 
eins  Messaliiia  axor  carpeiito  secuta  est ;  seciiti  et  triumphalia 
ornamenta  eodem  hello  adepti,  sed  ceteri  pedihus  et  in  prae- 
texla,  Crassus  Frugi  equo  phalerato,  et  in  veste  palmata,  qitod 
eiim  honorem  iteraverat  ».  Erano  dunque  gli  oriiameiita  trium- 
phalia conferiti,  contro  ogni  pubblico  diritto,  ad  un  numero  abba- 
stanza  grande  di  ufficiali  d'ordine  senatoiio.  Allora  tale  distinzioue 
non  e  piü  adatta  a  compensare  il  trionfo,  che  11  comandante  in  capo, 
durante  l'Impero,  non  poteva  piii  celebrare,  non  combattendo  suis 
ausjjiciis ;  e  gli  oniamenta  triumphalia  invece  sono  ridotti  ad 
una  semplice  decorazione  militare. 

Ora  questo  fatto  doveva  esse:e  posto  in  rilievo,  anche  riguardo 
al  modo  del  conferimento ;  e  mi  sembra  doversi  supplire  nel  P  verso 
[ornl^atus  \_dono~\ :  espressione  che  si  presenta  di  tanto  piü  op- 
portuna,  in  quanto  e  l'imperatore  in  persona  che  celebra  il  trionfo, 
e  quindi  sta  in  lui  l'aggiudicare  liberamente  ai  suoi  ufficiali  i  se- 
condi  onori  della  vittoria. 

Dunque  l'iscrizione  dovrebbe  essere  reintegrata  cosi : 

Ä{ulus)  Didius  [_Galhts  ornlfitus  [doiio   Ti{berii)~\ 
Claudi  Caes\_aris~\  Aug{usti)   Ger[mani-'] 
ci  triumphal[ibus  o~\rnameii\Jis,  co{ti)s{ul),^ 
\jcv  vir]  s{acri$)  [{aciundis),  proco{ii)s{ul) ....  e  et  Sicilia[e,  leg{a- 

tus)  Äug{usti)] 
\^pr{o)  pr(aetore)  Moe~\siae,  p}\cie[ectii\s  equitat{us)  \J)ello'] 
\ ßritamiico,  pr{aetor),  quaest{or)  impe^ratoris 

La  notizia  piü  importante  che  deduciamo  dal  titolo  sopra- 
scritto  e  l'impiego  di  grandi  corpi  di  cavalleria,  sotto  un  solo 
comandante  in  tempo  di  guerra ;  impiego,  che  pure  si  riconosce 
dall'ordine  di  marcia  (')  e  quindi  dalla  disposizione  degli  accampa- 

(1)  Cf.  Josci.lins.  hell  Tad.  3,  0,  2. 


I'UAEKECTUS  EQUITATUS  107 

meuti  (').  Anclie  in  tempo  di  pace  le  ale  stanno,  non  giä  sot^o  il 
comaudo  dei  legati  legionari,  come  le  coorti  degli  aiisiliari,  distri- 
buiti  nelle  singole  legioni,  ma  direttamente,  a  qiiel  che  pare,  sotto  il 
comando  del  governatore  della  provincia  (-).  Cosi  pure  una  notevole 
differenza  neU'ordinameuto  risulta  dalla  differente  sode  di  sruarni- 
gione  delle  ale  e  delle  coorti.  Infatti,  siil  Reno  e  nella  Dacia,  mentre 
le  coorti  e  le  «  vexillationes  »  delle  legioni  s'  incontrano  imme- 
diatamente  alla  frontiera,  invece  i  reggimenti  di  cavalleria  si  tro- 
vauo  piü  oltre,  neirinterno  della  provincia  (•'). 

A.    V.    DOMASZEWSKI. 


(1)  Cfr.  la  mia  edizione  di  Igino,  pag.  57. 

(2)  Marquiirdt,  Staatsverw.,  I,  p.  302. 

(3)  Codesta  questioiie,  molto  importante  per  rordinainento    della    difesa 
dei  confini,  richiederebbe  una  disamina  piü  profunda. 


IL  PORTICO  DEL  FORO  DI  POMPEI. 


L'antico  portico  dcl  foro  di  Pompei,  di  tufo  rivestito  di  stucco, 
di  Stile  greco  (dorico),  di  costruzione  imperfetta,  con  rarchitrave 
sorretto  da  panconi  di  legno  ('),  era  stato  edificato  dal  questore 
Vibio  Popidio,  figlio  di  Epidio  (-).  La  lingua  latina  deH'iscrizione 
accenna  agli  ultimi  tempi  deiraiitonomia,  e  la  carica  di  questore 
esclude  l'epoca  roraana. 

E  noto  che  in  epoca  posteriore  fii  in  gran  parte  rimpiazzato, 
0  doveva  esserlo  probabilmente  tutto,  da  un  portico  in  quella  pie- 
tra  calcare  che  a  Napoli  si  chiama  travertino,  di  forme  piii  pe- 
santi  e  poco  belle,  ma  di  costruzione  piii  solida  e  perfetta,  con  la 
trabeazione  composta  a  volta  plana  (3).  Suirintero  lato  ovest  fu 
demolito  l'antico  portico  —  riconoscibile  ancora  dalle  basi  rimaste 
ai  posto  —  e  costruito,  o  cominciato  a  costruire  quello  nuovo.  Sul 
lato  sud,  e  su  quella  parte  del  lato  est  che  sta  a  sud  della  strada 
detta  ^  dell'Abbondanza  »  rimase  il  portico  antico.  Sul  rimanente 
del  lato  est  non  ve  n'e  traccia  ;  se  niai  vi  fu,  spari  a  causa  delle 
costruzioni  dell' epoca  imperiale ;  un  portico  analogo  a  quello  piü 
recente  del  lato  ovest,  ma  di  forme  non  identiche,  o  vi  esisteva, 
0  vi  si  stava  costruendo,  suH'estremitä  sud  di  quel  tratto,  avanti 
all'edifizio  di  Eumachia. 

Gli  scrittori  che  trattarono  delle  antichitä  pompeiane  nuUa 
sanno  dirci  di  ben  preciso  ed  assicurato  sull' epoca  del  nuovo  portico. 
II  Fiorelli  (^)  crede  che  la  sua  costruzione  fosse  cominciata  ai  tempi 


(1)  Overbeck-Mau,  Pompeji"^  p.  64  sesrg.,  513  segg. 

(2)  G.  I.  L.  X,  794. 

(3)  Overbeck-Mau,  Pompeji  ^  p.  515. 
(<)  Descrizione  di  Pnmpei  p.  252  seg. 


IL    I'ORTICO    DEL    KORO    DI     l'OMl'KI 


109 


di  Cesare  Aiigusto,  e  che,  quando  fu  sepolta  Pompei,  iioii  fosse  ter- 
minato  neanche  sul  lato  ovest.  Invece  il  Nissen  (*)  ascrive  il  portico 
niiovo,  tanto  sul  lato  ovest  quanto  avanti  all'editizio  di  Eiimachia, 
agli  Ultimi  tempi  di  Pompei,  depo  il  teiremoto  dell'anno  63  d.  C; 
e  cosi  per  molto  tempo  ho  creduto  anch'io  (-).  Sempre  perö  mi 
face  meraviglia  che  i  Pompeiani  depo  il  disastro  deiranno  HS 
avessero  intrapreso  una  costruzioiie  tanto  costosa.  lufatti,  ristu- 
diando  la  questione,  venni  ad  un  risultato  diverso,  molto  preciso 
e  perfettamente  assicurato. 

Prima  di  tutto  e  chiaro,  che  nell'anno  79  o  non  era  in  piedi, 
0  in  piccola  parte  soltanto.  Altrimenti  cioe  i  massi  avrebbero  do- 
vuto  trovarsi  sul  posto  stesso  del  portico,  completi,  ma  in  grau 
parte  spezzati.  Invece  si  trovarono  dispersi  per  l'area  del  foro,  ed 
era  chiaro  che  li,  ove  stavano,  non  potevano  esser  caduti  (•').  Fn- 
rono  trovati  assai  incompleti :  il  portico  ovest  era  lungo  m.  139, 
ma  dell'architrave  col  fregio  esistono  soll  m.  76,08,  del  corni- 
cione  m.  80,86  (•^);  e  anche  delle  colonne  manca  molto.  Le  la- 
cune  deH'architrave  avanti  all'edifizio  di  Eumachia  si  riconoscono 
anche  dalla  iscrizione  (S) ;  ivi  delle  colonne  e  del  cornicione  assai 
poco  e  rimasto.  Finalmente  i  massi  non  si  trovarono  spezzati,  ma  in 
generale  abbastanza  ben  conservati  {^). 

II  soffitto  fra  i  due  piani  del  portico  era  o  doveva  essere 
sorretto  da  travi  imm.esse  ad  una  estremitä  in  incavi  praticati 
nei    massi    della    trabeazione,    dall'  altra    nei    muri   degii   ediflzii 


(1)  Pompejamschc  Studien  p.  288,  213  segg. 

(2)  Overbeck-Mau,  Pompeji'^  p.  73. 

(3)  Cosi  fu  detto  a  Sclioene  e  Nissen  {Pomp.  Stud.  p.  313)  dal  vecchio 
custode  Salvatore,  e  lo  confermano  le  prime  vedute  del  foro  :  Cook,  Delinea- 
tions  of  Pompeji  tav.  16;  Mazois,  III  tav.  29,  ove  i  massi  della  h-abeazione 
stanno  disposti  sul  foro,  e  precisamente  quelli  con  l'iscrizione  d'Eumachia, 
riconoscibili  dall'incavo  in  uuo  di  essi,  presso  la  base  di  Sallustio. 

(4)  Deirarchitravc  in  opera  avanti  alla  basilica  circa  m.  4,75,  sul  foro 
66,28;  nella  cosi  detta  poecile  5,05;  del  cornicione  in  opera  circa  m.  3,70; 
sul  foro  69,75;  nella  poecile  4,06;  nolla  casa  VIIl,  3,31  m.  3,35. 

e)  C.  I.  L.  X,  811. 

(ß)  Perciö  Chi  volesse  credere  che  le  parti  niancanti  siano  state  portate 
via  facendo  antiche  o  moderne  escavazioni,  dovrebbe  supporre  che  i  con- 
tadini,  cercando  pietre  per  le  loro  costruzioni,  abbiano  preso  tutti  i  frammenti, 
e  lasciato  sul  posto  i  pezzi  sani,  cio  che  non  ö  affatto  credibile. 


170  A.    MAU 

adiacenti.  Ora  suirestrcmitä  nord,  qiiesti  edifizii,  il  creduto  car- 
cere  e  la  latrina,  appartengono.  a  sfiiidicarne  dal  modo  di  costniire, 
aU'iiltima  epoca  di  Pompei,  e  sono  conservati  fino  all'altezza  di 
quelle  travi.  E  siccome  ivi  non  se  ne  vede  traccia  alcuna,  cosi  e 
chiaro  che  negli  ultimi  tempi  quel  soffitto  non  vi  era. 

Fiirono  trovati  tre  rocchi  di  colonno  non  finiti;  dunque  nel- 
lanno  79  neanche  tutte  le  colonne  erano  in  opera. 

Soltanto  una  piccola  parte  dev'essere  stata  collocata,  qiiella 
eioe  presso  l'anfrolo  sud  ovest  del  foro  ;  ciö  risulta  dagli  Atti  degli 
scavi.  Lo  scavo  della  basilica  fn  cominciato,  tin  dal  maggio  1813, 
dal  lato  sud.  Sgombrata  internamente  si  pote  uscire  dal  suo  ingresso 
priucipale  verso  est,  e  fu  allora  (7  nov.  1813)  che  s'incontrö  il  por- 
tico  di  cui  ci  occupiamo.  Di  fatto  si  legge  sotto  l'll  nov  :  «  Si  e  la- 
u  vorato  ....  alla  basilica,  disterrandosi  il  portico  che  restava  avanti 

-  alla  medesima,  formato  doidine  dorico,    e    su    due    colonne    di 

-  questo  restano  ancora  i  capitelli.  Si  e  trovato  in    tale    sito    un 

-  pezzo  d'intavolamento  dello  stesso  ordine,  cioe  l'arcotrave,  fregio, 

-  e  cornice  d'un  sol  pezzo  di  palmi  13  di   lunghezza,    che    spero 

-  poter  fare  ricoUocare  sulle  medesime  colonne  '•.  E  sotto  il  14  nov.: 
»^  .  .  .  Si  comincia  a  vedere  che  queste  (le    colonne)    posavano    su 

-  d'una  soglia  della  stessa  pietra,  che    formava    anche    scalino.  e 

-  pare  che  in  continuazione  ve  ne  sieno  degli  altri » ,  Dunque  quel 
pezzo  d'intavolamento  non  stava  per  terra,  giacche  soltanto  tre 
giorni  dopo  si  giunse  al  gradino  di  travertino,  ma  in  uno  strato 
piü  alto,  ciö  che  e  in  perfetta  regola  se  nel  79  stava  in  opera.  E 
certo  cioe  ('),  che  in  quell'anno  il  terremoto  avvenne  dopo  cessata 
la  pioggia  dei  lapilli  e  cominciata  quella  della  cenere,  dimodocche 
i  pezzi  caduti  dovevano  stare  sopra  il  lapillo. 

Ma  ciö  non  vale  che  per  Testremitä  meridionale,  per  tutto  il 
resto  del  portico  rimane  fernio,  che  nel  79  non  era  in  piedi. 

D'altra  parte  perö  e  chiaro  che  a  quel  tempo  non  si  faceva 
0  preparava  la  costruzione  originaria,  ma  si  trattava  di  una  rico- 
struzione,  di  quello  che  gik  era  stato  in  opera. 

Fra  i  massi  deH'architrave  col  fregio  e  conservato  quello  che 
stava  aU'estremitä  nord,  riconoscibile  dalla  faccia  laterale  destra 
verticale,  mentre  gli  altri  le  hanno  ambedue  oblique  per  essere  con- 

(i)  Bull.  1888  p.  121. 


M.    POUTK'O    UKI,    KORO    DI    DOMI'KI  171 

giunti  a  volta  piaiia.  In  esso,  ed  in  alcuni  altri,  special mente  in 
(lue,  che  gli  stanno  vicino  presso  restremitä  nord,  ed  e  probabile 
perciö  che  fossero  trovati  in  quella  vicinanza,  i  summentovati  in- 
cavi  per  le  travi  del  soffitto  evidentemente  non  sono  termiiiati, 
raentve  lo  sono  iiegli  altri  (').  Ne  risulta  che  il  lavoro  procedette 
da  sud  a  nord,  e  che  qiieirestremitä  era  l'ultima  ad  essere  terminata. 
l]  per  consegiienza,  se  era  fatto  Tultimo  masso,  doveva  essor  fatta 
prima  tiitta  la  serie  delFarchitrave,  e  a  piü  forte  ragione  anche 
le  colonne.  E  siccome  tanto  di  quello  qiianto  di  queste  manca  una 
gran  parte,  cosi  fra  la  fabricazione  di  questi  membri  e  la  distrii- 
zione  di  Pompei  dev'esser  passato  qualche  tempo  e  avvenuto  qual- 
che  fatto  che  poteva  cagionarne  la  sparizione ;  e  questo  fatto  non 
pote  essere  altro  che  il  terremoto  dell'anno  63.  Fii  diinque  esso  che 
interruppe  la  costruzione  incominciata  prima  di  quel  tempo.  II 
posto  fu  sgombrato  dai  frantumi,  fiirono  disposte  siiH'area  del  foro 
soltanto  le  parti  meglio  conservate  e  che  dovevano  essere  utilizzate 
nella  ricostruzione. 

Qui  perö  mi  si  potrebbe  opporre  che  le  parti  ora  maucanti 
possano  essere  state  tolte  mediante  scavi  piü  o  meno  moderni,  dai 
contadini  cioe  che  se  ne  sarebbero  serviti  per  le  loro  costruzioni, 
uel  quäl  caso  sarebbe  ammissibile  l'ipotesi,  che  si  trattasse  della 
prima  costruzione  del  portico,  e  che  l'intera  serie  dell'architrave 
sia  stata  preparata  e  disposta  sul  foro  per  essere  poi  messa  in 
opera.  Certo  non  e  probabile  ne  che  tutti  quei  massi  si  dispones- 
sero  sul  foro  invece  di  metterli  in  opera  successivamente  come 
andavano  terminandosi,  ne  che  i  contadini,  una  volta  cominciato  uno 
scavo  simile,  avrebbero  lasciato  sul  posto  tanta  quantitä  di  ma- 
teriale.  Tuttavia  perö  una  tale  ipotesi  non  puö  essere  esclusa  come 
impossibile.  Per  aver  dunque  certezza  nella  questione  che  qui  ci 
occupa,  bisogna    esaminare  i  massi    stessi,  e  vedere  se  presentino 


(')  Quel  masso  che  formava  restremitä  ha  un  solo  incavo,  il  quäle  con 
una  parte  stava  iiel  masso  seguente,  adesso  il  6°,  che  ha  un'altro  incavo  an- 
ch'esso  imperfettamente  lavorato.  Nel  10°  Tincavo  medio  e  appena  comin- 
ciato, gli  altri  due,  specialmente  quello  a  sud.  non  finiti.  In  tutti  i  massi 
che  ora  stanno  nella  parte  nord,  fiuo  al  13",  gli  incavi  sono  la  maggior  parte 
meno  ben  lavorati  :  in  parte  non  haniio  profonditä  hastante  ;  in  quasi  tutti 
gli  angoli  e  gli  spigoli  sono  poco  lavorati. 


172  A.    MAU 

0  no  de^li  indizii  di  essere  stati  mai  adoperati.  In  fatto  tali  indizii 
non  mancano. 

I  massi  sono  in  generale  ben  couservati ;  non  sono  perö  in- 
tatti,  ma  la  raaggior  parte  hanno  sotTerto  qualche  danno.  Alcuni 
sono  danneggiati  non  poco,  alcuni,  pochi  (nella  ^  jioecile  •"),  pertino 
totalraente  spezzati,  ciö  che  non  si  spiegherebbe,  se  non  fossero  stati 
mai  in  opera.  Ad  un  masso  dell'architrave,  fortemente  danueggiato 
dal  lato  di  dietro,  si  e  cominciato  a  togliere,  dal  lato  anteriore,  il 
suo  protilo.  E  similmente  vi  e  im  rocchio  di  colonna  (nella  « j/?oe- 
cUe  •")  che  si  era  cominciato  a  ridurre  ad  im  diametro  minore- 
Evidentemente  ambedue  erano  divenuti  inservibili  alla  loro  an- 
tica  destinazione,  seuza  dubbio  per  il  terreraoto  dell'auno  63.  A 
un  masso  del  cornicione,  presso  Tangolo  nord  della  strada  della  Ma- 
rina, manca  la  parte  posteriore,  e  accanto  alla  rottiira  vedesi  in 
ciascuna  delle  facce  laterali  un  biico  per  una  spranga  di  ferro,  che 
doveva  teuere  unite  le  due  parti,  con  avanzi  di  calce  (come  pare) 
ma  senza  traccia  di  ferro.  Dal  quäle  fatto  pare  che  s'abbia  a  de- 
durre  che  in  una  parte  del  portico,  presso  l'estremitä  sud,  il  ri- 
stauro  dopo  il  63  fosse  progredito  fino  a  rimettere  in  opera  i  massi 
del  cornicione.  Ma  tali  conclusioni  debbono  accogliersi  con  molta 
cautela  :  potrebbe  darsi  anche  che  si  trattasse  di  qualche  danno 
casuale  avvenuto  durante  la  prima  costruzione,  prima  del  63. 

I  giä  menzionati  incavi  per  le  travi  del  soffitto  stauno  con 
la  loro  metä  inferiore  nei  massi  deH'architrave  col  fregio,  con 
quella  superiore  nel  cornicione.  Slccome  stanno  a  distanze  atfatto 
disuguali  ed  arbitrarie  (0,22-0,35,  qualche  volta  fino  a  0,39),  cosi 
e  chiaro  che  quelli  deH'architrave,  se  fossero  stati  fatti  mentre  i 
suoi  massi  stavano  isolati  per  terra,  starebbero  ognuno  entro  uno 
stesso  di  questi  massi.  Invece  se,  quando  si  fecero,  l'architrave  era 
in  opera,  allora  non  vi  era  difficoltä  di  trattarlo  come  una  sola 
massa  e  far  gli  incavi  anche  nelle  commessure.  Ora  -quest'ultimo 
e  stato  fatto  in  non  pochi  casi.  Sono  specialmente  persuasivi  alcuni 
esempi,  ove  un  incavo  sta  quasi  tutto  entro  una  stessa  pietia,  e 
bastava  farlo  un  poco  piu  da  una  parte  per  farvelo  entrare  tutto. 
Ed  in  piü  casi  bastava  far  le  distanze  uguali,  per  restar  entro  la 
pietra.  Gli  incavi  dunque,  che  in  tutte  le  pietre  dell'architrave  o 
sono  fatti  o  incominciati,  dimostrano  che  l'intero  ai'chitrave  era 
una  volta  in  opera. 


IL    l'ORTH'O    DEL    KORO    DI    POMHEI  173 

Non  si  puö  trarre  ima  conclusione  analoga  dalla  loro  esistenza 
in  tutti  i  raassi  del  cornicione  (').  Qiianto  era  facile  e  commodo 
di  farli  neH'architrave  mentre  stava  in  opera  (prima  perö  che  vi 
si  mettessero  sopra  altri  massi),  altrettanto  ciö  era  difficile  ed  in- 
commodo  nel  cornicione,  ove  si  sarebbe  dovuto  lavorare  dai  basso 
in  alto.  Qui  il  piii  naturale  e  semplice  era  di  farli  mentre  i  massi 
stayauo  capovolti  per  terra,  prendendo  le  misure  di  quelli  che 
prima  erano  stati  fatti  ueU'architrave.  E  che  cosi  fu  fatto,  lo  si 
puö  provare  direttamente.  Avanti  alla  basilica  cioe  la  Direzione 
degli  Scavi  ha  fatto  rimettere  in  opera  due  colonne  con  la  rela- 
tiva  trabeazione.  Gli  incavi  dell'architrave  e  quelli  del  cornicione 
si  corrispondono,  e  siccome  non  stanno  a  distanze  uguali,  cosi  ciö 
non  puö  dipendere  dal  caso,  ma  prova  che  questi  massi  furono 
fatti  gli  uni  per  gli  altri.  Qui  dunque  l'incavo,  se  fosse  stato  fatto 
mentre  ambedue  le  pietre  stavano  al  posto,  dovrebb'essere  in  am- 
bedue  di  profonditä  iiguale  (orizzontalmente),  e  siccome  ciö  non 
si  verifica,  cosi  e  chiaro  che  fu  fatto  mentre  erano  separate,  prima 
cioe  che  il  cornicione  si  mettesse  in  opera.  II  che  si  deduce  anche 
dai  tratti  di  scalpello  visibili  negli  incavi  stessi. 

Non  solamente  dunque  gli  incavi  del  cornicione  non  provano 
che  esso  fu  in  opera,  ma  quelli  non  finiti  in  alcuni  fra  i  massi 
dell'architrave  dimostrano  che  sopra  questi,  vale  a  dire  suU'estre- 
mitä  nord,  non  erano  ancora  collocati  quelli  del  cornicione. 

D'altra  parte  perö  e  piü  che  probabile  che  i  massi  superstiti 
del  cornicione  fossero  una  volta  la  maggior  parte  in  opera.  Giä  per 
se  stesso  non  e  probabile  che  si  sia  voluto  preparare  tutta  o  quasi 
tutta  la  Serie,  senza  metterla  al  posto.  E  poi  vi  sono  anche  in- 
dizii  positivi. 

Non  puö  esservi  dubbio  riguardo  il  portico  avanti  all'ediflzio 
d'Eumachia,  ove  nei  massi  del  cornicione  rimangono  indubitabili 
avanzi  dei  ferri  coi  quali  erano  uniti  fra  loro.  Tali  ferri  non  fu- 
rono adoperati  sul  lato  ovest  del  foro  ;  ma  vi  si  trovauo  tracce 
sicure  di  un  altro  mezzo  di  congiunzione.  Nelle  costruzioni  in  tufo 
dell'epoca  sannitica  quasi  regolarmente  un  incavo  verticale  e  stato 

(1;  In  generale  nel  cornicione  gli  incavi  sono  finiti.  Soltanto  nel  10" 
masso  hanno  poca  profoncTitä :  sono  jirofondi  m.  0,12,  ma  soltanto  per  m.  0,08 
combacerebbero  con  quelli  deirarchitrave. 

12 


174  A.    MAU 

fatto  nella  commessura  stessa  parte  nell'una  parte  nell'altra  pietra, 
ed  e  riempito  di  cemento  (')•  Niilla  di  simile  osservai  finora  in 
altre  costruzioni  dell'epoca  romana ;  qui  perö,  nei  massi  del  cor- 
nicione,  vi  sono  indubitabilmeiite  incavi  simili.  La  congiunzione  e 
fatta  in  modo  meno  perfetto  che  nelle  costruzioni  autiche :  gl i  in- 
cavi sono  di  poca  profondita  (m.  0,06-0,10)  e  poco  s'inoltrano 
nelle  due  pietre ;  sono  larghi  circa  m.  0,015  in  ogni  pietra, 
lunglii  (nella  direzione  della  commessura)  0,05,  o  poco  piü  grandi. 
Se  ne  vede  uno  in  quel  gran  pezzo  d'architrave  composto  di  piü 
parti,  che  sta  avanti  alla  basilica,  ed  e  perfettamente  chiaro  che 
ivi  fu  fatto  dopo  la  congiunzione  delle  due  pietre.  E  lo  stesso 
deve  supporsi  per  il  cornicione  :  sarebbe  stato  privo  di  senso  il 
far  questi  incavi  prima  che  le  pietre  stessero  unite,  e  debbono 
perciö  considerarsi  come  una  prova  che  quei  massi  non  siano 
stati  tutti  in  opera  ove  oggi  si  trovano. 

I  massi  del  cornicione  sono  in  diversi  stadii  di  lavorazione. 
In  alcuni  (specialmente  verso  sud,  ma  anche  in  quello  che  ora 
sta  all'estremitä  nord)  la  superficie  e  piuttosto  plana  ed  i  posti 
delle  colonue  dell'ordine  superiore  sono  perfettamente  preparati ; 
vale  a  dire  quella  parte  e  ben  lisciata,  nel  centro  evvi  un  buco 
quadrangolare  per  un  perno,  e  quattro  punti  della  periferia  sono 
segnati  con  lineette  incise  che  prolungate  s'incontrerebbero  nel 
centro  ed  in  alcuni  casi  sono  traversati,  a  guisa  di  croce,  da  altre 
lineette  che  sono  parti  della  periferia  stessa.  Risulta  da  questi 
segni  un  diametro  della  base  di  m.  0,56.  II  buco  quadrato  ha  un 
colore  brunastro,  che  in  un  caso  s'estende  suU'intero  posto  della  co- 
lonna  e  sembra  l'avanzo  di  una  massa  (cemento?)  servita  per  fer- 
mare  il  perno  e  far  piü  uguale  ancora  quella  parte  della  super- 
ficie ;  mi  e  sembrato  perfino  di  constatare  avanzi  di  stucco.  Pare 
certo  che  questi  massi  non  fossero  soltanto  in  opera,  ma  che  vi 
fossero  collocate  sopra  anche  le  colonne  superiori  —  delle  quali 
vi  sono  numerosi  avanzi  —  o  almeno  le  loro  basi.  Le  colonne  do- 
vevano  essere  48  ;  per  18  il  posto  e  preparato  nel  modo  suddetto. 

Altri  ve  ne  sono  nei  quali  sul  posto  della  colonna   superiore 


(1)  Cf.  Lange,  Haus  und  Halle  p.  357,  nota,  che  da  le  inisure  (0,13  X  0,05) 
per  il  parapetto  nel  piano  superiore  del  tribunale  della  basilica.  Wolters,  Bull. 
1888  p.  53. 


IL    I'ORTICO   DEL   FORO    DI    POMPEI  175 

la  superficie  e  meuo  perfettamento  lisciata,  e  la  periferia  e  Iudi- 
cata con  piccoli  incavi,  ma  manca  il  buco  per  il  perno,  altri, 
ne'  quali  appena  si  e  cominciato  a  lisciare  im  poco  il  posto  della 
colonna.  Anclie  questi  credo  che  fossero  in  opera ;  giacclie  allora 
coü  molto  piü  facilitä,  sicurezza  e  precisione  poteva  stabilirsi  il 
posto  della  colonna,  e  appunto  perciö  non  e  credibile  clie  ciö  si 
sia  voluto  fai"  prima.  Alcuni  tinalmente  lianno  la  superticie  total- 
mente  rozza  ;  ma  anche  fra  questi  quelli  che  hanuo  le  facce  late- 
rali  lavorate  puö  credersi  che  fossero  al  posto  e  che  ivi  dovesse 
terminarsi  il  layoro  della  superflcie. 

Pochi  soltanto  ve  ne  sono  dei  qnali  si  puö  dire  che  non  fu- 
rono  mai  in  opera.  Se  a  ragione  abbiamo  supposto  che  gli  incavi 
per  le  travi  del  soffitto  si  facessero  nei  massi  del  cornicione  mentre 
stavano  capovolti  per  terra,  allora  uno  (il  X  da  nord),  nel  quäle 
sittatti  incavi  non  sono  terminati,  non  puö  essere  mai  stato  al  suo 
posto.  In  due  (il  VI  e  l'XI)  la  faccia  laterale  nord  e  lavorata  in 
maniera  che  cosi  certamente  non  poteva  restare,  mentre  quella 
meridionale  e  piü  lavorata,  benche  tutt'altro  che  perfetta.  Non  e 
forse  casuale,  che  in  ambedue  la  faccia  nord  e  la  piü  rozza :  siccome 
il  lavoro  procedeva  da  sud  a  nord,  cosi  e  possibile  che  ognun  masso, 
prima  di  metterlo  al  posto  fosse  tinito  dal  lato  sud,  mentre  la 
faccia  setteutrionale  si  finiva  sul  posto.  Ambedue  questi  massi 
dunque  non  furono  in  opera ;  tutt'al  piü  uno  fra  essi  (l'XI)  po- 
trebb'essere  stato  l'ultimo  della  serie. 

Le  colonne  dell'ordine  superiore  si  trovano  in  numero  consi- 
derevole  nella  « poecile  "  (')  Vi  si  distinguono  due  specie  di  ca- 
pitelli  minori,  tutti  ionici  a  quattro  facce.  Gli  uni  lianno  l'abaco 
centinato  (0,52-0,58  in  ogni  lato),  il  diametro  superiore  di  m.  0,34; 
di  due  che  ho  potuto  esaminare,  l'uno  aveva  disotto  un  buco  qua- 
drangolare  per  un  perno,  l'altro  no ;  ve  ne  sono  18,  fra  cui  alcuni 
non  finiti.  Gli  altri  hanno  l'abaco  rettilineo  (0,40  in  ogni  lato), 
il  diametro  superiore  di  m.  0,325.  Gli  ovoli  vi  sono  soltanto  in 
un  lato  e  nella  metä  contigua  dei  lati  adiacenti.  Ed  anche  le  vo- 
lute  soltanto  in  questo  stesso  lato  sono  del  tutto  lavorate,  negli 
altri  abbozzati  soltanto.  Sono  in  numero  di  tre. 

Anche  di  basi  ed  imiscapi  vi  sono  due  specie.   Negli    uni  il 

(1)  Cf.  Nissen,  Pompcj.  Studien  p.  314. 


176  A.    MAU,   IL   PORTICO   DEL    FORO   DI    POMPEI 

fusto  alla  base  ed  ancora  all'altezza  di  m.  1,0  ha  il  diametro  di 
m.  0.41  :  ve  ne  sono  12  esemplari  certi.  Negli  altri  il  diametro 
alla  base  e  ancora  a  m.  1,23  d'altezza,  e  di  m.  0,36  ;  ve  ne  sono 
quattro. 

Finalmente  vi  sono  circa  12  rocchi  medii,  che  tutti  sembrano 
appartenere  alla  specie  maggiore.  Ne  di  qiiesta  ne  dell'altra  puö  sta- 
bilirsi  l'altezza. 

Ora,  siccome  dell'ordine  inferiore  vi  sono  due  specie  di  co- 
lonne  :  quelle  del  lato  ovest  piü  grosse  ed  in  numero  maggiore, 
quelle  del  calcidico  d'Eumachia  piü  sottili  ed  in  numero  minore, 
cosi  possiamo  ritener  per  certo  che  anche  nell'ordine  superiore  le 
almeno  18  colonne  dal  diametro  maggiore  appartenessero  o  fossero 
destinate  al  lato  ovest. 

Per  il  portico  sul  lato  ovest  del  foro  abbiamo  duuque  stabi- 
lito,  e  credo  con  sicurezza  bastante,  che  prima  del  63  si  cominciö 
a  costruirlo  in  travertino,  che  quando  sopravenne  il  terremoto  di 
quell'anno,  stavano  in  piedi  le  colonne,  tutto  l'architrave,  e  gran 
parte  del  cornicione,  che  perö  di  quest'ultimo  mancava  ancora,  e 
si  stava  lavorando,  una  parte  all'estremitä  nord.  Intanto  perö  si  era 
cominciato  a  collocare  sulle  parti  finite,  le  colonne  superiori  delle 
quali  alcune  si  stavano  lavorando. 

Dopo  il  terremoto  furono  allontanati  i  frantumi  ed  i  massi 
ancora  servibili  disposti  suU'area  del  foro.  Nel  79  i  lavori  per  la  rico- 
struzione  erano  cominciati ;  non  erano  ancora  in  piedi  le  colonne, 
di  cui  alcune  si  stavano  lavorando. 

Deve  restar  indeciso  (ved.  sopra  p.  172)  se  forse  in  qualche 
piccola  parte  si  fosse  arrivati  non  soltanto  a  rimettere  in  piedi  le 
colonne  ma  anche  a  collocarvi  soprä  trabeazione- 

Dimostrerö  in  altra  occasione  come  l'architrave  del  calcidico 
d'Eumachia,  costruito  probabilmente  ai  tempi  di  Tiberio,  avesse 
all'estremitä  sud  un  pezzo  d'attacco,  dovesse  cioe  esser  continuato  con 
un  portico  come  quello  del  lato  ovest  del  foro.  Pare  certo  dunque  che 
a  quel  tempo  la  costruzione  di  quest'ultimo  giä  fosse  cominciata. 

A.  Mau. 


DAS   «TELEPHOSr,- RELIEF  DER  VILLA  BORGHESE. 


Das  in  Rede  stehende  Relief  (J)  gehört  zu  den  meist  behandel- 
ten Stücken  unseres  Denkmälervorrathes.  Die  erste  Erwähuuno-  des- 
selben  linde  ich  bei  Paciaudi  Mon.  Peloponnesiaca  1761,  Tom.  I 
p.  236  Anm.  1 :  Anaglyphum  marmoreum,  quod  cniiio  superiore 
(also  1760)  inter  lacum  Regilliim  et  Lahicum  eruderatum  fuü, 
nunc  autem  in  Villa  Burgheüa,  qiiae  Pinciana  dicitur,  adserva- 
tur.  IM...  Auge  videtur  Telephum  recem  naium  amanter  contem- 
plari,  versarique  in  acerbissima  sollicitudine,  quod  ut  mae  filiique 
vitae  consulat,  illum  cervae  lactandum  relinquere  debeat  {^). 

Das  Relief  blieb  an  seinem  ursprünglichen  Aufbewahrungsorte 
bis  heutzutage,  wo  es  in  eine  Wand  eingemauert  und  daher  auf 
seine  Rückseite  hin  nicht  zu  prüfen  ist.  Es  ist  mehrfach  gebro- 
chen und,  wie  es  scheint,  auch  etwas  überarbeitet.  Ergänzt  sind 
bloss  die  Nasen  der  beiden  Frauen,  ein  Stück  im  1.  Oberschenkel 
der  stehenden  Frau  (?),  die  Schnauze  des  Thieres  unter  dem  Stuhle, 
einer  Hirschkuh  oder  eines  Rehes,  die  beiden  freigearbeiteten 
Stuhlbeine,  Theile  der  architektonischen  Umrahmung,  welch  letz- 
tere aber  sicher  antik  ist,  und  vielleicht   ein    kleines    dreieckisres 

o 

(1)  Abgeb.  bei  Winckelniann,  Mon.  ined.  I,  71  (S.  96 ff);  Visconti,  JJo7i. 
scelti  Borgh.  II,  9  (Taf.  XXXIII  der  MaiLänder  Ausgabe^  ;  Nibby,  Jfon. 
scelti  della  V.  Borghese,  Taf.  18,  beide  Male  mit  dem  Text  Winckelmanns; 
Annali  delV Instituto  1830,  tav.  d'agg.  G.  (S.  154  ff.  Panofka\ 

(2)  Paciaudi  scheint  den  lago  di  Cas+iglione  für  den  Eegilhis  zu  halten : 
denn  zwischen  diesem  und  Colonna  (Labicum)  liegt  Pantano,  welches  Visconti 
Op.  Var.  1 140  Anm.  2  mit  Berufung  auf  Paciaudi  als  Fundort  nennt,  nachdem 
er  im  Text  einfach  das  territorio  Regillense  angegeben  hat.  Ebendahin  reicht 
aber  auch  der  Borghesische  Besitz  Torre  Nuova  (Casale  und  Chiesa,  vgl.  Ge- 
neralstabskarte fol.149,  IV,  SE  und  150, 1,  SO;  Nibby,  Afialisi  stör.  top.  antiqua- 
ria  della  carta  de'  dintornl  di  Roma  III 238),  welches  Nibby,  Itinerario  di  Roma 
I*  341  und  Bunsen  -  Platner  Beschr.  der  Stadt  Rom  III  3  als  Fundort  anfüliren. 


178  K-    WEISSHAEIPL 

Stück  des  ReliefgrunJes  1.  von  der  sitzenden  Frau,  in  Schulterhöhe 
derselben.  Zwei  stark  erhöhte  Stellen  auf  der  Stirne  des  Thieres,  die 
sich  uneben  und  rauh  anfühlen,  könnten  Reste  eines  Geweihes  sein. 
Die  Darstellung  ist  scheinbar  sehr  einfach :  Zwei  Frauen  ma- 
chen sich  unter  dem  Schatten  einer  breitästigen  Platane  mit  einem 
Wickelkinde  zu  schaffen.  Die  Frau  links  sitzt  auf  einem   lehnen- 
losen, mit  einem  Kissen  bedeckten  Stuhle,  unter  welchem  ein  Reh 
oder  Hirschkalb  liegt.  Die  mit  Sandalen  bekleideten  Füsse  ruhen 
auf  einem  Schemel.  Es  ist  eine  jungfräuliche  Gestalt  in  gegürtetem 
Peplos   mit   Apoptygma  und  Himation,  das  in  anmuthiger  Weise 
um  den  Unterkörper  geworfen  ist.  Im  Haar  trägt  sie  eine   Binde. 
Mit  beiden  Händen  fasst  sie  unten  ein  Wickelkind  an,  das  ihr  eine 
zweite   Frau,   die   rechts  von  ihr  steht,  auf  den  Schoss    hält.   Im 
Gegensatz  zu  jener  ist  diese  eine    mütterliche   Gestalt;   sie  trägt 
hochgegürteten  ionischen  Aermelchiton  und  Himation,  an  den  Füs- 
sen Sandalen,  im  Haare  ebenfalls   eine    Binde.    Man   kann   zwei- 
felhaft   sein,    ob    die    sitzende    Frau    das  Kind   übernimmt    oder 
übergibt.  Doch  wird  man,  angesichts  der  Art  und  Weise  wie   sie 
es  anfasst,  und  wie  ihr  Blick  auf  dasselbe  gerichtet  ist,  während 
die  stehende  geradeaus  auf  ihr  Gegenüber  sieht,    entschieden    die 
erstere  Auffassung  bevorzugen.  Dargestellt  ist  also  die  üebergabe 
eines  Kindes  von  einer  Mutter  an   eine  Jungfrau,    welch   letztere 
durch  ihr  Sitzen  als  Hauptperson  gekennzeichnet  ist  und  ausserdem 
auch  durch  die  Hirschkuh  noch  näher  charakterisiert  werden  soll. 
Die  ganze  Scene  spielt  sich  im  Freien  ab. 

Dies  zeigen  uns  die  Abbildungen,  und  dies  bildete  auch 
die  Grundlage  für  die  zahlreichen  Erklärungsversuche,  die  das 
Bildwerk  erfahren  het.  Bereits  Paciaudi  a.  a.  0.  brachte  es  mit 
der  Telephos-Sage  in  Verbindung.  Desgleichen  Winckelmann  und 
im  Anschluss  an  ihn  Nibby,  Visconti  a.  a.  0.  und  die  Heraus- 
geber von  Viscontis  Mon.  scelti:  Auge,  die  sitzende  Frau,  über- 
gibt den  jungen  Telephos,  den  sie  heimlich  geboren,  einer  Die- 
nerin zur  Aussetzung.  Die  Platane  weist  auf  den  Wald  hin 
wo  das  geschehen,  die  Hirschkuh  auf  die  Art  seiner  Ernährung. 
Aber  bereits  Panofka  hat  darauf  hingewiesen,  dass  die  Hirsch- 
kuh unbedingt  zur  sitzenden  Frau  und  nicht  zu  dem  Knäbchen 
gehöre.  Wir  würden,  falls  die  Winckelmann'sche  Erklärung  zu- 
träfe, das  Thier  vielmehr  rechts  bei  der  stehenden  Figur  erwarten. 


DAS  «  TELEPHOS  "  -  RELIEK  DER  VILLA  BORGHESE  179 

Zudem  übergibt,  wie  schon  gesagt,  die  Frau  rechts  das  Kind; 
auch  macht  dieselbe  durchaus  nicht  den  Eindruck  einer  Dienerin, 
und  endlich  ist  es  schwer  begreiflich,  wie  ein  Künstler  drei  zeitlich 
und  theilweise  auch  örtlich  verschiedene  Momente,  die  Ueberofabo 
des  Kindes,  die  Aussetzung  im  Walde  und  die  Ernährung  durch 
die  Hirschkuh,  so  wie  es  hier  geschehen  wäre,  in  ein  einziges 
Käthselbild  zusammengedrängt  hätte.  Von  der  Erklärung  Panofkas 
a.  a.  0. :  «  Helene  cowluite  jmr  Leda  vers  Nemesis  «  genügt 
wohl  die  blosse  Erwähnung,  um  sie  als  hinfällig  erscheinen  zu 
lassen.  Welcker  in  0.  Müllers  Handbuch  greift  wieder  auf  die 
Deutung  Winckelmanns  zurück,  nur  mit  dem  Unterschiede  dass 
er  annimmt,  eine  Dienerin  lege  das  eingewickelte  Kind  der  Auge 
auf  den  Schoss.  Und  gewiss  verträgt  sich  diese  Erklärung  besser 
mit  dem  Bilde  als  die  Winckelmannsche.  Aber  die  Bedenken  be- 
treffs der  Hirschkuh  und  der  Dienerin  bleiben  auch  hier  bestehen. 
So  verzichtet  denn  Schreiber  Arch.  Zeit.  1880  S.  155  Anm.  49  auf 
jede  Deutung  und  begnügt  sich  damit,  das  Bild  in  eine  Reihe  zu 
stellen  mit  Darstellungen,  welche  ihren  Stoff  aus  Gebuitslegenden 
der  Götter  schöpfen.  Diesen  mythologischen  Deutungen  gegenüber 
hatte  bereits  Michaelis  Arch.  Zeit.  1871.  S.  138  Amn.  4  unser 
Relief  als  römische  Nachahmung  eines  griechischen  Grabreliefs 
erklärt,  und  ich  selbst  habe  in  den  Abhandl.  des  arch.  ep.  Seminars 
der  Univ.  Wien  VII  (1889)  S.  87,  14,  ohne  Michaelis'  Notiz  zu 
kennen,  diese  Auffassung  vertreten.  Hiebei  wären  jedoch  Hirsch 
und  Baum,  vor  allem  aber  die  Form  der  Platte  höchst  auffällig. 
C.  Pilling  endlich,  der  in  seiner  Dissertation  Qiiomodo  Telepki 
fabulam  et  scriptores  et  artifices  veteres  tractaverint  Halle  1886 
S.  81  f.  das  Relief  behandelt  hat,  ist  zu  dem  Schlüsse  gekom- 
men :  "  Videtu?"  7m/ü  probabile  mit  vitae  coiidlanae  scaenam 
repraesentatam  esse  statuere  aiit,  si  ad  scaenam  mythologicam 
simulaerum  referamiis,  Telephiim  a  matre  nutritum  cogaoscere  " . 
Die  ganze  Frage  Avird  dadurch  entschieden,  dass,  wie  ich  bei 
meiner  Anwesenheit  in  Rom  vor  dem  Originale  constatieren  konnte, 
über  dem  Chiton  der  sitzenden  Frau  von  der  r.  Schulter  gegen 
die  1.  Seite  herab  ein  schmales  Band  läuft,  das  nicht  anders  denn 
als  Köcherband  zu  erklären  ist.  Vom  Köcher  ist  nichts  zu  sehen, 
mag  nun  derselbe  mit  jenem  kleinen  Stück  des  Reliefgrundes 
verloren    gegangen,    oder   überhaupt   niemals   vorhanden  gewesen 


180  R-    WEISSHÄEUPL 

sein ;  vgl.  z.  B.  das  Artemisidol  auf  dem  Arapbion-Zethos  =  Re- 
lief Spada  Schreiber  Hell.  Rel.  I,  Taf.  V.  In  der  sitzenden  Frau 
haben  wir  somit  sicher  Artemis  zu  erkennen.  Wie  sehr  hiezu  die 
jungfräuliche  Erscheinung.  Hirschkuh  und  Platane  stimmt,  ist  auf 
den  ersten  Blick  klar.  Als  xovQoro/xjog  vertraut  ihr  die  Mutter 
ihr  neugeborenes  Kind  an.  Ist  nun  diese  eine  Göttin  oder  Halb- 
göttin, oder  eine  gewöhnliche  Sterbliche? 

Dem  Charakter  der  Artemis  entspräche  beides,  aber  ich  kenne 
keinen  Mythos,  in  welchem  Artemis  als  xovooTQÖqoc  aufträte. 
Hingegen  werden  Menschenkinder  nicht  selten  ihrem  Schutze 
anheimcregeben  :  ich  erinnere  nur  an  die  Tithenidien,  an  welchen 
die  spartanischen  Knäbchen  von  ihren  Ammen  in  das  Heiligthum 
der  Artemis  Korythalia  getragen  wurden  (Athen.  IV  139b);  an  den 
Tempel  der  Artemis  Paidotrophos  in  Korone  und  an  Diod.  Y  73, 
wo  es  von  der  Artemis,  der  Ellsi^viag  aws^yog,  heisst,  sie  habe 
erfunden  rrji'  xwv  vrjTCto)i'  ^eoarcsiav,  xal  TQocpdg  rirdg  aQfio'Covffag 
TT,  (fVGsi  TMV  ßgecföftv,  cc(f  -qg  alviag  xal  xovQOiQocfor  avTtjv  ovo- 
(xd^eG^ai  (1).  Es  ist  begreiflich,  dass  Artemis  als  Kurotrophos 
auch  Weihgeschenke  erhielt,  welche  in  der  Regel  entweder  ein 
ilibbild  des  empfohlenen  Kindes  oder  den  Act  der  Empfehlung 
selber  dargestellt  haben  werden.  Arista  weiht  das  Bild  ihres  Kindes 
in  den  Tempel  der  aithopischen  Artemis  (-),  desgleichen  die  Kre- 
terin Kleio  die  Abbilder  ihrer  beiden  Mädchen  Aristodike  und 
Ameino  in  ein  Heiligthum  ihrer  heimatlichen  Kurotrophos  (-). 
Unter  den  erhaltenen  Reliefs  hat  die  grösste  Verwandtschaft  mit  un- 
serem Bilde  eine  kleine  Platte  des  Münchener  Antiquariuras,  welche 
nach  Welcker,  dem  Benndorf  beistimmt,  die  üebergabe  des  Kindes 
an  Dionysos  darstellt  ('*). 

(1)  Mehr  dieser  Art  bei  Preller-Eobert,  Griech.  Myth.  S.  319  f.,  Eosclier, 
Lex.  S.  569  f. 

(2)  Anth.  Pal.  VI  269  'S2g  lancpov^;  über  obigen  Beinamen  der  Artemis 
Brauronia  vgl.  Preller-Piobert  a.  a.  0.  S.  313  A.  1,  Koscher,  Lex.  S.  573. 

(3)  Anth.  Pal.  VI  356  ll^yx^äroys ;  Kleio  ist  bezeichnenderweise  eine 
Kreterin ;  vgl.  die  oben  angeführte  Stelle  aus  Diodor.  Zur  ganzen  Klasse 
solcher  Votive  vgl.  Benndorf  Vasenb.  S.  56  f.,  Furtwängler,  Samml.  Sabouroff 
zu  Taf.  XXXV,  Eeisch.  Griech  Weihgcschenke  S.  9. 

(*)  Christ-Lauth  Führer  durch  das  K.  Antiquarium  in  München  S.  19,  344 ; 
abgeb.  Mon.  dell'Inst.  III,  39,  Welcker  A.  D.  Y,  Taf.  IX,  S.  172  ff;  vgl. 
Benndorf  a.  a.  0, 


DAS    «  TEI.EPHOS  "   -    RELIEF    DER   VILLA    BORGHESE  181 

Dieser  Auffassung  aber  scheinen  gewichtige  Gründe  entge- 
genzustellen. Die  architektonische  Form  der  Platte  ist  für  ein 
Votivrelief  wohl  unerhört.  Sie  weist  vielmehr  auf  decorative  Verwen- 
dung zum  Schmucke  einer  in  Felder  gegliederten  Wand  hin.  Und 
hiezu  kommt  die  Entstehungszeit  des  Werkes :  Die  harte  trockene 
Arbeit  und  vor  allem  der  breite  gegliederte  Eahmen  (')  führen  iu 
die  römische  Kaiserzeit.  Diese  Schwierigkeiten  verschwinden  aber, 
sobald  wir  uns  das  Belief  in  Anlehnung  an  ein  Votivrelief  früherer 
Zeit  entstanden  denken.  Die  Berechtigung  zu  solcher  Annahme 
geben  unter  anderem  die  Ikarios-Reliefs,  Copion  ursprünglicher  Vo- 
tive,  wie  mir  nach  den  Ausführungen  von  Reisch  ("-)  und  Hauser  {^) 
nicht  zweifelhaft  ist.  Für  die  Entstehungszeit  dieses  Originals  scheint 
mir  die  Figur  der  Artemis  einen  ziemlich  sicheren  Anhaltspunkt  zu 
gewähren.  Wie  sie  mit  etwas  zurückgeneigtem  Oberkörper,  weit 
vorgehendem  rechten  und  rückgestelltem  linken  Beine  und  dem 
unter  seinem  Ueberwurfe  tief  gegürteten  Peplos  in  voller  Ruhe  und 
Würde  da  sitzt,  weiss  ich  zu  ihr  keine  bessere  Parallele  als  die 
Göttinnnen  des  Parthenon-  und  des  Theseionfrieses  oder  Frauen- 
gestalten von  Grabreliefs  wie  Conze,  Die  attischen  Grabreliefs 
Taf.  XXIII,  5,  XXIV,  XXV,  und  von  Votivreliefs  wie  Schöne  Griech. 
Reliefs  Taf.  VIII  50,  IX  52.  Die  Form  des  Stuhles  ist  anf  Mo- 
numenten jener  Zeit  nicht  selten;  auch  auf  dem  Parthenonfries 
kommt  sie  ja  in  ganz  ähnlicher  Weise  vor.  Für  die  Gruppierung 
der  beidem  weiblichen  Figuren  und  die  dargestellte  Handlung, 
die  üebergabe  eines  Wickelkindes  von  Seiten  einer  Frau  an  eine 
andere  boten  sich  dem  Künstler  gewiss  Parallelen  genug  auf  atti- 
schen Grabstelen  ('*). 

So  wird  man  kaum  viel  irren,  wenn  man  sich  jenes  Votiv 
etwa  um  die  Wende  des  V.  oder  in  den  ersten  Jahrzehnten  des 
IV.  Jh.  entstanden  denkt.  Der  Baum  freilich  mit  seiner  breit  ange- 
legten und  detailliert  ausgeführten  Krone  ist  dann  Zusatz  einer 
späteren  Hand,  welche  das  Relief  decorativ  umarbeitete;  für  den 
alten  Künstler  war  ja  Artemis  bereits  durch  Köcher  und  Hirschkuh 


(1)  Vgl.  Schreiber  Brunnenreliefs  S.  86  f. 

(2)  Griech.  Weihgeschenke  S.  21  f.  vgl.  auch  S.  140. 

(3)  Die  neuattischen  Reliefs  S.  91  IT.;  148  f,  189  flf. 

(4)  Vgl.  Abh.  d.  archaeol.  epigr.  Sem.  d.  Univ.  Wien  VII  (1889)  S.  84  flf; 


182         WEISSHAEUPL,    DAS    «  TELEPHOS  "  -  RELIEF   DER    VILLA    BORGHESE 

genügend  gekennzeichnet.  Und  eben  jener  zweiten  Hand  müssen 
auch  Details  angehören  wie  die  hohe  Gürtiing  der  stehenden  Frau 
und  das  spielende  Motiv  des  Gewandbausches,  der  zwischen  1.  Arm 
und  Brust  derselben  hervortritt  (').  Ob  diese  Umarbeitung  schon 
in  der  alexandrinischen  Epoche  oder  erst  später  stattgefunden  hat. 
etwa  gar  erst  dem  Yerfertiger  unseres  Reliefs  zuzuschreiben  ist, 
wage  ich  nicht  zu  entscheiden.  Gegen  letzteres  spricht  freilich  die 
Unselbständigkeit  der  späteren  Kunst,  w^ie  sie  durch  die  Arbeit 
Hausers  wieder  so  deutlich  zu  Tage  getreten  ist. 

Wien,  Dezember  1890. 

Weisshaeupl. 


(1)  Vgl.  das  Relief  Clarac  II  PL  202,  261  ;  die  Terracottastatuette  bei 
Furtwängler  Samml.  Sabouroff  Taf.  CII ;  die  Frau  iu  der  Menelaosgruppe  der 
Villa  Ludovisi,  deren  Original  von  Furtwängler  Samml.  Sab.  Einl.  S.  50  wohl 
mit  Eecbt  in  die  Mitte  des  IV  Jh.  gesetzt  wird;  vgl.  auch  Hauser  Neuatt. 
Rel.  S.  187.  In  das  IV  Jhdt.  gehört  auch  das  Original  der  Statue  Clarac  IV 
PI.  632  A,  1422  C,  wo  ein  ähnliches  Motiv  begegnet. 


LO  SCUDO  DI  ACHILLE 

(Tav.  IV,  V,  VI). 


I  due  frammenti  di  due  rappresentanze  Tav.  IV,  V,  VI  dello 
scudo  di  Achille  riprodotti  nelle  nostre  tavole,  furono  scoperti  su- 
bito dopo  la  pubblicazione  delle  Bilderchroniken  di  0.' Jahn-Michae- 
lis (Bonn  1873)  e  si  conservano  presentemente  nel  Miiseo  Capito- 
lino,  stanza  delle  colombe  n.  83  a.  b.  (cf.  Niiova  descrizione  del 
Miiseo  Capitolino  2,  p.  170  sg.).  Sebbene  siauo  di  grande  Interesse 
cosi  per  le  immagini  che  presentano,  come  anche  per  i  versi  di 
Omero  che  le  accompagnano,  sono  tuttavia  passati  quasi  iuosservati. 
Dell'uno  di  essi  non  si  hanno  ne  riproduzioni,  ne  notizie  nei  giornali 
archeologici  Romani ;  l'altro  fu  descritto  e  pubblicato  da  E.  Gar- 
ruccinella  Civiltä  Cattolica  (1882,  469-79),  ma  in  maniera  affatto 
insufficiente,  e  pare  che  detta  pubblicazione  non  sia  uscita  dal 
circolo  di  questo  periodico.  Ciö  spiega  il  fatto  che  sia  sfuggita  all'ac- 
cortezza  del  Kaibel  (cf.  Corp.  inscr.graec.  Italiae  etc.  n.  1285  sg.) 
6  che  il  Robert  lamenti  la  mancanza  di  qiialsiasi  pubblicazione 
in  proposito  (cf.  Homer.  Becher,  p.  67,  not.  10).  Giovera  dunque 
estenderne  la  conoscenza,  ed  io  credo  di  far  cosa  utile  agli  archeo- 
logi,  e  nello  stesso  tempo  ai  filologi  studiosi  di  Omero,  comuuicando 
qui  i  facsimili  fototipici  dei  due  rilievi,  che  si  e  potuto  far  ripro- 
durre,  grazie  alla  ben  nota  gentilezza  della  Direzione  del  Museo 
Capitolino. 

II  fraramento  maggiore  fu  trovato  nell'anno  1882  in  via  Venti 
Settembre  vicino  alla  chiesa  di  S.  Maria  della  Vittoria  fra  rot- 
tami  di  vecchie  mura  e  donato  dal  sig.  ingegnere  Agostino  Cera- 
soli  al  Museo  Capitolino,  dove  fu  collocato  accanto  al  frammento 


184  P-    BIENKONWSKI 

della  tavola  iliaca  Capitolina  (')•  H  cli.  G.  Gatti,  al  quäle  fii  dato 
di  tenerlo  per  qiialche  tempo  presso  di  se  prima  che  fosse  collo- 
cato  nel  iniiseo  e  di  studiarne  le  rappresentanze  e  le  iscrizloni,  ne 
face  per  primo  a  Koma  mia  comunicazioue  scieutitica.  Egli  lo  pre- 
sentö  nella  sessione  di  maggio  a.  1882  alla  poDÜficia  accademia 
romaua  di  arclieologia  e  dopo  averne  accennato  il  grande  valore 
archeologico,  si  limitö  a  fare  sii  di  esso  «  in  attesa,  che  il  mo- 
numento  sia  degnamente  pubblicato  da  qualche  valente  archeo- 
logo  "  soltanto  delle  osseiTazioni  brevi  ma  in  generale  giuste  senza 
estendersi  all'esame  particolareggiato  delle  iscrizioni.  La  comimi- 
cazione  del  Gatti  servi  di  base  alle  notizie,  che  del  rilievo  det- 
tero  il  eh.  H.  Dressel  nella  Deutsche  Litte ratur zeit.  1882,  1062, 
il  eh.  F.  Barnabei  ^'^V^ Academi)  1882,  423  e  458  sg.,  e  im  ano- 
nimo  nelle  Melangen  d'archeologie  II  397-99.  —  Segni  al  Gatti 
il  eh.  K.  Garrucci,  il  quäle,  come  si  disse,  aggiunse  alle  proprie 
meno  giuste  osservazioni  un  disegno  del  rilievo  che,  se  in  certe  parti 
rende  troppo  esattamente  alcuni  gruppi  di  figure,  in  altre  invece  lascia 
molto  a  desiderare.  Infatti  esso  tralascia  a  dirittura  gruppi  di  figure 
e  particolaritä  essenziali,  mentre  per  esempio  i  contorni  di  certi  altri 
gruppi  appaiono  piü  chiari  e  pronunziati  che  uell' originale  stesso : 
inconvenieute  quest'ultimo  proprio  di  qualsiasi  disegno.  Noi  perciö  ab- 
biamo  preferito  di  far  riprodurre  il  rilievo  in  fotografia,  la  quäle, 
oltre  agli  altri  vautaggi,  presenta  anche  quello  di  rendere  esatta- 
mente il  carattere  e  la  tecnica  del  lavoro.  Cercherö  poi  di  eli- 
minare  o  d'attenuare  gli  inconvenienti  proprii  della  fotografia  me- 
diante  una  descrizioue,  quanto  piii  mi  sia  possibile,  esatta  ed  ac- 
curata  dei  soggetti  rappresentati.  —  Le  iscrizioni,  che  dal  Gar- 
rucci furono  in  generale  lette  male,  io  piü  volte  accuratamente  ho 
riveduto  con  la  lente  d'ingrandimento  e  riempiendo  di  gesso  pol- 


Q)  II  Garrucci  scrive  (1.  c.)  quanto  segue  intorno  al  rinvenimento  di  questo 
rilievo:  II  clipeo  di  Achille,  che  e  in  marmo  giallo,  e  stato  trovato  ad  un 
ccnto  passi  della  cliiesa  della  Vittoria,  mentre  il  signor  Luigi  Rinaldi  faceva 
■jperare  una  diversione  dell'acqua  Feiice  fra  rottami  di  vecchie  mura.  Assi- 
steva allo  sterro  il  sig.  ingegnere  Cerasoli,  dal  quäle  noi  l'abbiaino  avnto  a 
Studiare  etc....  II  Gatti  dice  soltanto:  presso  la  piazza  di  Termini,  e  il  Barnabei: 
It  seems  thnt  the  marble  tvas  foimcl  mar  the  Ministry  of  Finance,  in  the 
via  Venu  Settembre,  that  is,in  Ref/ion  VI  of  Ancient  Rome.  JVlien  the  relic  was 
found,  it  formecl  part  of  a  mediaeval  wall 


LO   SCLDO    DI    ACHILLE  185. 

verizzato  i  solclii  delle  lettere ;  i  luoglii  mal  siciiri  fiu-ouo  rivediiti 
dal  prof.  Petersen.  KiprodiuTe  in  extenso  queste  iscrizioni  mi  parve 
inopportimo,  si  perclie,  per  la  mancanza  dei  tipi  adatti,  non  si  «a- 
rebbe  pottito  rendere  per  intero  il  loro  carattere  paleografico,  si 
perche  quest' ultimo  appare  abbastanza  uelle  lettere  della  zona  di 
mezzo  (v.  tav.  IV). 

Per  la  roltura  della  pietra  andö  perduta  quasi  la  metä  del 
rilievo,  il  cui  diametro  e  di  17  Y.i  cm.,  la  maggior  larghezza  di 
13  cm.,  la  maggior  grossezza  di  4  Vs  cm.  Per  il  carattere  generale 
spetta  alla  nota  serie  delle  tavole  iliache,  ma  mentre  quasi  tutti 
gli  altri  rilievi  sono  in  marmo  palombino,  il  nostro  frammento  in- 
vece  e,  come  il  terzo  frammento  parigino,  (cf.  Jahn  Büderchr.  p.  5) 
in  giallo  antico. 

Verso  la  metä  del  nostro  marmo  si  legge  su  di  im  listello, 
che  lo  divide  in  due  parti,  la  iscrizione,  che  serve  di  spiegazione 
e  titolo  al  rilievo  stesso.  Le  lettere  superstiti  sono: 

AZniS  AXIAAH02  GEOAnpf 

L'iscrizione  intera  si  raccoglie  dalle  lettere,  che  poste  in  giuoco 
alfabetico  si  trovano  grafiite  nella  parte  posteriore  del  rilievo  ;  essa 
formava  l'esametro  seguente: 

"AdTilq  'Ay^iAliiog  &€odo'jQrjOg  xctd'' "Oiu^oov 

Queste  parole  di  per  se  manifestauo  che  qiii  e  figurato  lo  scudo 
di  Achille  secondoche  lo  ha  descritto  Omero,  e  che  autore  della 
ricostruzione  fu  Teodoro. 

II  rilievo  capitolino  ha  naturalmente  la  forma  di  uno  scudo 
rotondo  colla  faccia  anteriore  leggermente  convessa  e  la  posteriore 
plana.  La  faccia  anteriore  ha  due  parti,  quella  di  mezzo  e  principale, 
che  e  convessa  e  coperta  dalle  rappresentanze,  di  cui  parla  Omero, 
e  l'estremo  lembo,  che  e  piano  ma  alquanto  inchinato.  L'artefice 
si  e  servito  di  questo  per  iscrivervi  sopra  in  minutissimi,  ma  ni- 
tidi  caratteri,  i  versi  di  Omero  che  si  riferiscono  al  soggetto,  cioe 
i  vs.  483-608  del  lib.  XVIII  dell'Iliade.  Erano  distribuiti  in 
10  colonne  da  10  a  15  versi  ciascuna,  cinque  sulla  meta  sinistra, 
cinque  sulla  destra,    separate  le   due   meta  mediante  due  rappre- 


186  P.    BIENKOWSKI 

sentanze  scolpite,  i  cui  avanzi  si  vedouo  negli  angoli  del  frani- 
mento  rimasto  e  che  penetrano  im  poco  nella  superficie  convessa 
del  marmo.  La  linea  che  le  congiunge,  forma  Tasse  verticale  del 
rilievo,  il  suo  cardo,  e  corrisponde  con  Tasse  della  figura  lineare 
iucisa  nel  rovescio  della  pietra.  II  deciimanus  e  formato  dalla 
fascia  orizzontale,  che  e  verso  il  lembo  alquanto  ripiegata  alTinsü 
e  che  contiene  Tesametro  riportato  di  sopra;  ond'e  che  la  superticie 
convessa  del  marmo,  ove  si  trovano  le  rappresentanze,  resta  divisa 
in  diie  segmenti,  superiore  e  inferiore.  Ma  il  decumanus  non  taglia 
il  cardo  esattamente  nel  mezzo  ne  ad  angolo  retto,  ma  un  poco 
piii  in  SU  e  ohliquamente  da  sinistra  a  destra ;  perciö  il  segmento 
superiore,  quäle  e  attualmente,  e  piü  piccolo  dell'inferiore. 

Fra  il  lembo  estremo  dello  scudo  e  la  sua  superficie  convessa 
corre  tutto  intorno  una  piccola  striscia  incisa  con  poca  cura,  che 
naturalmente  non  si  vede  sulla  fotografia;  essa  forma  per  cosi  dire 
il  punto  di  passaggio  tra  Tuna  e  Taltra  parte.  Su  di  essa  si  Te- 
dono, fra  ^e  due  rappresentanze  delTorlo,  sei  sporgenze  quadrango- 
lari,  in  due  delle  quali  credo  riconoscere  i  contorni  di  certe  figure 
di  animali ;  ciö  che  esse  siguificano  dirö  piü  tardi  dopo  spiegate 
le  rappresentanze  della  parte  convessa  dello  scudo. 

Prima  di  venire  alTesame  particolareggiato  di  queste  rappre- 
sentanze, devesi  notare,  che  della  maggior  parte  delle  figure  di  cui 
esse  si  compongono,  possono  appena  distinguersi  i  contorni  piü 
generali.  Tatteggiamento,  la  mossa  ecc.  rimanendo  indistinte  mol- 
tissime  altre  particolaritä.  Questo  stato  di  cose  si  spiega  in  parte 
per  la  natura  del  materiale,  che  oppose  grandi  difficoltä  allo  scal- 
pello,  in  parte  per  essere  il  nostro  rilievo,  com'io  peuso,  un  lavoro 
incompleto  [?  P.] ;  Tartefice  ha  prima  eseguito  in  fretta  il  diseguo 
di  tutte  le  rappresentanze  con  Tunico  scopo  d'assicurarsi  la  com- 
posizione ;  vi  aggiunse  poi  le  iscrizioni,  ma  trascurö  di  eseguire  le 
altre  particolaritä  del  lavoro.  Del  resto  bisogna  notare,  che  il  no- 
stro marmo  e  alquanto  danneggiato  per  essere  stato  adoperato  come 
materiale  da  costruzione. 

Devesi  inoltre  badare  alla  inconseguente  disuguaglianza  delle 
singole  figure  ed  alla  diversa  e  sproporzionata  loro  collocazione. 
Infatti  s'incontrauo  frequentemente  figure  tre  e  quattro  volte  piü 
grandi  della  media  proporzionale ;  inoltre  nel  segmento  superiore 
stanno  esse  perpendicolarmente  sul  decumano,  nelT inferiore  invece, 


LO   SCUDO    DI    ACHILLE  187 

specialmente  quelle  coUocate  aH'esterno,  sono  piegate  alquanto  verso 
il  centro. 

Venendo  ora  a  descrivere  la  metä  supeiiore  dello  scudo  co- 
minceremo  dalle  scene,  le  quali  son  perfettamente  cooservate  e 
si  possono  spiegare  con  sicurezza.  Innaiizi  tutto  si  vede  al  disopra 
della  fascia  orizzontale  di  mezzo  la  cittä  tiitta  circoüdata  di  mui-a 
con  torri,  la  quäle  riempie  la  parte  maggiore  dello  spazio  ora  con- 
servato  del  segmento  superiore  del  disco.  Essa  e  rappreseutata  in 
prospettiva  conie  tutte  le  fabbriche  dello  scudo  e  delle  altre  ta- 
vole  iliache.  Sul  davauti  sta  la  porfca  fatta  ad  arco ;  le  torri  sono 
di  due  piaui  indicati  da  due  finestre  in  ciascuno,  le  mura  sono  mer- 
late.  Dentro  le  mura  della  cittä,  nella  sua  metä  superiore  vedesi 
sopra  un  basamento  a  gradinata  un  cortile,  cinto  da  tre  parti  da 
un  portico,  che  sul  davanti  rimane  aperto  —  il  foro,  Vccyooä  di 
Omero.  I  portici  sono  coperti  da  un  tetto  a  schiena  d'asino  e  cinti 
soltanto  all'esterno  da  uua  semplice  tila  di  colonne;  a  destra  ed 
a  sinistra  stanno  le  porticelle  d'ingresso. 

Dentro  il  foro  si  vedono  due  gruppi  di  persone,  uno  piü  in 
alto,  l'altro  piü  in  basso. 

II  gruppo  superiore  Consta  di  tre  uomini  vestiti,  due  dei  quali 
posti  di  riscontro  l'uno  all'altro  sono  seduti;  il  terzo  che  sta  nel 
fondo  e  in  parte  sparisce  dietro  ai  suoi  com'pagni,  si  presenta  forse 
di  faccia  e  appoggia  la  sinistra  sul  bastone.  L'uomo  seduto  a  si- 
nistra s'inchina  alquanto  verso  destra  e  tiene  con  ambedue  le 
mani  un  volume  aperto;  la  sua  gamba  sinistra  e  messa  avanti, 
la  destra  alquanto  ritirata  in  dietro ;  l'uomo,  che  siede  a  destra, 
sembra  inchinarsi  verso  la  sinistra.  Evidentemente  e  rappreseu- 
tata una  scena  di  giudizio. 

II  gruppo  inferiore  e  ancora  meno  visibile;  auch'esso  Consta 
di  tre  uomini  in  piedi,  tra  i  quali  pare  giaccia  un  cadavere  in 
terra.  Abbastauza  chiaro  e  il  movimento  dell'uomo  a  destra.  Egli 
—  se  si  vegga  di  faccia  o  da  tergo,  non  oso  decidere  —  fa  un 
gran  passo  verso  destra  e  solleva  ambedue  le  braccia  come  in  atto 
di  parlare  calorosamente.  Separato  da  lui  per  mezzo  del  cadavere  sta 
un  secondo  uomo  rivolto  verso  destra,  il  quäle  sembra  posare  una 
gamba  molto  in  alto  sopra  un  rialzo  indistinto  e  appoggiare  una  mano 
sopra  un'asta  o  bastone.  Dietro  di  lui  apparisce  di  faccia  la  metä  su- 
periore del  corpo  di  un  terzo  uomo,  che  colla  gamba  destra  fa  un 


18y  P.    BlENKOWSKl 

gran  passo  verso  la  sinistra  e  appoggia  ü  braccio  destro  proba- 
bilmente  siiUa  coscia.  Giudicando  dal  carattere  generale  della  scena 
vi  si  riconosce  iina  contesa  sorta  nel  foro  tra  due  cittadini  intorno 
airuomo,  di  ciii  si  vede  il  cadavere. 

Non  c'e  bisogno  di  dimostrare,  che  iu  queste  due  rappresen- 
tanze  sono  illiistrati  i  A^ersi  497-509;  nella  sceua  inferiore  e  effi- 
giato  il  momento: 

dvo  ^'{cydQsg  iyeixsoy  elyEXct  Tioivfjg 

arÖQog    (Inofp&ifi^fov    etc 

ed  ivi  il  ^rjf-iog,  di  cui  paria  Omero,  e  rappresentato  da  iin  uomo 
isolato,  che  sta  aspettando;  nella  sceua  superiore  e  il  giudizio, 
che  fanno  i  seniori  sedenti  nel  sacro  reciuto: 

.  .  .  .  Ol  &s  ysQovreg 
euer'  ini  ^earoTai  )ü9-oig  isQio  iv'i  xiiy.ho  etc 

Le  particolaritä,  come  il  popolo,  gli  araldi,  i  testimoni  sono 
naturalmente  omessi  per  la  ristrettezza  dello  spazio ;  all'  incontro 
il  Yolume  che  troviamo  nelle  mani  di  uu  giudice,  sebbene  non 
menzionato  da  Omero,  si  spiega  col  lingiiaggio  particolare  dell'arte. 
Lo  stesso  motivo  incontriamo  nella  scena  di  un  giudizio  figurata 
nella  pittura  parietaria"  pubblicata  nella  tav.  XLV,  zona  seconda 
dei  Monumenti  dell'Instit.  vol.  XI,  appartenente  al  fregio  della 
casa  antica  scoperta  nel  giardino  della  Farnesina,  (cf.  Hülsen, 
Annali  1882,  309-314). 

AI  di  sotto  del  foro  ma  pure  neH'interno  della  cittä  si  vede 
espressa  una  pompa  nuziale  rivolta  a  destra.  Piü  in  dietro  a  si- 
nistra quattro  persone  in  posizione  tranquilla  in  piedi,  a  quel  che 
pare,  formano  un  gruppo.  Di  esse,  quella  che  e  la  prima,  e  pre- 
ceduta  da  un  citaredo  involto  nel  suo  lungo  vestimento,  il  quäle 
suona  una  grande  cetra;  davanti  a  hü  cammina  un'auleta  con  tibie 
doppie,  poi  una  persona  vestita  di  un  liingo  abito,  probabilmente 
una  donna,  che  pare  rivolgersi  in  dietro,  ed  alla  testa  una  flgura 
in  atto  di  ballare  come  baccante  col  capo  gettato  in  dietro,  coUa 
gamba  destra  sollevata  pure  in  dietro  e  colle  mani  alzate  come 
SB  sonasse  il  tympadon.  Sul  dinanzi  rasente  alle  mura  della  cittä 
credo  liconoscere  i  contorni  di  una  figiu'a  seduta  verso  sinistra  e 
dietro  di  essa  il  busto  di  una  donzella  che  sta  osservaudo  la  pro- 


LO   SCUDO    DI    ACIIII.I.E  189 

cessioue.  E  fiior  di  dubbio  che  con  questa  rappresentanza  si  illu- 
strauo  i  versi  di  Omero  491  sgg. : 

eV  Trj  /usf  ()((  yüuoi  x'taai'  sti.rcniy(a  xe,  etc 


Tra  le  processioni  nnziali  rappresentate  negli  altri  monumenti 
antichi  rispondono  di  piü  alla  nostra  scena  gli  accompagnamenti 
dei  cosi  detti  lutrofori  attici  {\.  Arch.  Zeitung  40,  tav.  5,  cf. 
p.  132  Herzog).  Come  e  noto  vi  e  espresso  il  momento  quaiido  la 
sposa  viene  condotta  allo  sposo  per  essere  poi  da  liii  e  dalle  siie 
compagne  menata  con  liaccole  e  canti  alla  siia  nuova  abitazione. 
Le  persone  che  prendono  parte  alla  «cena,  accoppiate  a  due  a  diie 
e  poste  le  une  incontro  le  altre,  stanno  in  posizione  tranquilla,  ap- 
punto  come  le  iiltime  qiiattro  figure  a  sinistra  nel  nostro  rilievo. 
Mancano  perö  il  siionatore  di  flauto,  il  citaredo  e  le  figure  danzanti 
che  troviamo  qiü.  Evidentemente  tali  figure  furono  prese  ad  impre- 
stito  dalle  processioni  di  satiri  e  baccanti,  che  tante  volte  sono 
rappresentate  sui  rilievi  attici  recenti;  sarebbe  dunque  superfluo 
citare  analogie  in  proposito. 

Nel  segmento  inferiore  dello  scudo,  di  cui  resta  una  parte  mag- 
giore  meglio  conservata,  salta  prima  di  tutto  agli  occhi  un  recinto 
quadrangolare,  che  si  trova  circa  nel  mezzo ;  e  questo  la  dXunj  di 
Omero,  come  vedremo  fra  breve.  Tutt'intorno  sono  figurate  le  altre 
scene  che  si  riferiscono  alla  vita  rustica,  in  generale  ben  conser- 
vate  e  in  maniera  chiara  eseguite. 

AI  disotto  del  recinto  vediamo  tre  aratori,  due  dei  quali  molto 
piegati  verso  sinistra  guidano  successivamente  coppie  di  buoi  ag- 
giogati  all'aratro,  teneudo  le  mani  all'altezza  della  stiva ;  i  parti- 
colari  dell'aggiogamento  e  dell'aratro  non  sono  visibili.  Ma  sol- 
tanto  le  due  prime  paia  di  buoi  stanno  lavorando,  il  terzo,  cioe 
l'ultimo  a  destra,  s'arresta  e  l'aratore  rivolto  verso  destra  appressa 
colla  mano  destra  alla  bocca  un  vaso  da  bere  portogli  da  una  per- 
sona volta  verso  sinistra,  che  si  vede  presse  la  frattura  della  pietra. 
E  chiaro,  che  qui  e  effigiata  la  sceua  di  agricoltura  o  della  pri- 
mavera,  che  Omero  descrive  nei  v.  541-49. 

La  rappreseutazione  di  raccolta  occupa  lo  spazio  a  sinistra 
del  recinto  quadrangolare.  Essa  Consta  di  quattro  gruppi  che  espri- 
mono  quattro  diversi  momenti  della  raccolta :  {a)  l'atto  del  mietere, 

13 


]00  P-    BIENKOWSKI 

(b)  il  formare  dei  manipoli,  (c)  il  caricar  questi  sul  carro,  (d)  il 
preparare  del  pranzo  pei  miotitori. 

II  primo  gruppo  (a)  si  trova  subito  accanto  alla  scena  della 
primavera  e  si  estende  in  direzione  verticale  aH'insü.  Vediamo 
prima  di  tutto  un  piccolo  spazio  vuoto,  che  forma  il  limite  di 
ambedue  le  scene ;  seguono  cinque  o  sei  persone  accoppiate  a  due 
a  due  in  gruppi  posti  uno  sopra  l'altro.  Esse  si  fanno  rispettiva- 
mente  riscontro,  mettendo  innanzi  una  gamba  e  piegandosi  verso 
terra;  il  mietitore  a  destra  del  gruppo  superiore  tiene  una  falce 
nella  destra.  Piü  in  basso  si  scorgono  soltauto  i  contorni  molto 
vaghi  della  figura  a  destra,  che  e  rivolta  verso  sinistra  in  atto 
piuttosto  di  sedere  che  d'inchinarsi;  a  sinistra  di  essa  si  trova 
forse  una  quarta  figura  dai  contorni  molto  indistinti,  che  s'ingi- 
nocchia  o  s'accoscia. 

Accanto  a  questa  prima  verso  sinistra  si  estende  la  seconda 
scena  (b)  composta  di  cinque  persone  in  fila.  Due  di  esse,  che  sono 
le  prime  a  destra,  vanno  verso  sinistra  e  pare  che  portino  qualche 
cosa  sulle  spalle;  la  terza  si  china  in  terra  verso  destra,  con  le 
mani  in  giü;  la  quarta  e  molto  piegata  a  sinistra  ed  ha  da  fare 
sul  terreno;  1' ultima  va  piegata  in  avanti  verso  destra  in  su  e 
sembra  che  porti  un  carico ;  una  grande  sporgenza  del  rilievo  sopra 
il  suo  dorso  riman  dubbia,  per  un  covone  e  troppo  grande. 

Sotto  il  listello  orizzontale,  che  porta  l'iscrizione,  e  scolpita 
la  terza  rappresentazione  (c),  la  quäle  figura  il  caricar  dei  mani- 
poli sul  carro  e  aderisce  alla  scena  giä  descritta. 

Vi  scorgiamo  un  carro  a  due  ruote  piene  tirato  a  sinistra  da 
due  buoi  e  colmo  (di  spighe).  Davanti  ad  esso  sta  un  uomo  rivolto 
a  destra  in  atto  di  porgere,  con  una  pertica,  un  manipolo  (?)  di 
grano  mietuto  ad  un'altra  persona  che  sta  probabilmente  inginoc- 
chiata  sul  carro  e  che  per  ricevere  il  manipolo  s'inchina  molto 
verso  sinistra. 

La  scena  prossima  (d)  ha  luogo  a  destra  del  carro  sotto  un 
albero,  di  cui  apparisce  soltanto  la  chioma,  probabilmente  un  pino. 
Ad  essa  e  appeso  a  sinistra  un  oggetto  di  cui  sta  occupandosi 
un  uomo  rivolto  verso  destra.  A  destra  dell' albero  cioe  subito  sopra 
all'angolo  superiore  sinistro  del  recinto,  di  cui  abbiamo  giä,  par- 
kte, siede  su  di  una  rupe  una  douna  velata  inchinandosi  verso 
sinistra,  come  se  fosse  in  atto  di  ricevere  qualche  oggetto.  AI  di 


LO   SCUDO   DI    ACHILLE  191 

sotto  si  scorge  la  metä  superiore  del  corpo  di  una  donna  che  nella 
posizione  di  una  canefora  porta  sul  capo  ima  cesta  somigliante  ad 
im  piatto  e  la  regge  coUe  mani.  Piü  in  basso  presso  al  reciuto 
si  vede  fino  al  ginocchio  uu'altra  donna  nella  stessa  attitudine 
della  precedente,  la  quäle  dirige  i  passi  verso  sinistra. 

Non  fa  bisogno  dimostrare  che  queste  quattro  rappresentanze 
rispondono  ai  versi  di  Omero  550-552  «,  553  b,  554  sgg.  c, 
558  sgg.  d. 

Certamente  il  grano  e  le  biade  non  sono  espressi,  il  numero 
dei  mietitori  non  combina,  anche  altri  dettagli  non  sono  fedel- 
mente  riprodotti,  ma  in  generale  la  descrizione  di  Omero  viene 
eccellentemente  illustrata.  Perciö  dovremmo  maravigliarci,  se  fosse 
omesso  il  re,  che  nella  descrizione  omerica  stassi  sul  campo,  lieto 
del  frutto  che  vede  raccolto  (v.  556-7).  Ma  se  la  nostra  suppo- 
sizione  e  giusta,  che  cioe  una  delle  figure  appartenenti  al  primo 
gruppo  dei  mietitori  non  stia  inchinata,  ma  piuttosto  assisa,  po- 
tremmo  in  essa  ricouoscere  il  re,  che  siede  aspettando  la  raccolta. 
Anche  questa  diflferenza  si  spiegherebbe  col  diverso  linguaggio 
dell'arte  e  troverebbe  analogie  negli  esempi  ricordati  di  sopra. 

Non  conviene  separarci  da  queste  scene  senza  aver  conosciuto 
altre  rappresentanze  consimili,  che  si  trovano  nei  monumenti  an- 
tichi.  Dobbiamo  anzitutto  osservare  due  tazze  a  figure  nere,  delle 
quali  l'una  con  la  iscrizione  dell'artefice  Nicostene  proviene  da 
Vulci  ed  ora  si  trova  nel  museo  di  Berlino,  l'altra  dal  museo 
Campana  e  passata  al  Louvre  (ripr,  Ber.  d.  Sachs.  Ges.  d.  Wiss. 
1867,  tav.  I  1.  2,  cf.  p.  76  sg.  (Jahn),  Baumeister  Denkm.  I, 
tav.  I  12^  a,b.  13  a,b).  Sulla  tazza  del  museo  di  Berlino  vediamo, 
come  sul  nostro  rilievo,  tre  uomini  l'uno  dietro  l'altro,  che  guidano 
l'aratro  tenendone  con  la  sinistra  la  stiva,  mentre  nella  destra  agitano 
un  lungo  bastone,  col  quäle  stimolano  i  buoi.  Sulla  tazza  del  Louvre 
sono  figurati  due  aratri  tirati  l'uno  da  un  pajo  di  buoi,  l'altro 
da  un  pajo  di  muli.  L'una  e  l'altra  rappresentanza  finisce  con  un 
uomo  avvolto  nel  suo  pallio  in  cui  si  deve  riconoscere  il  custode 
0  il  padrone  del  podere. 

Tra  i  monumenti  i-omani  un  ottimo  riscontro  col  nostro  ri- 
lievo e  dato  da  una  rappresentanza  che  si  trova  su  di  un  sarco- 
fago  romano  del  museo  lateranense  (cfr.  Benndorf  e  Schöne,  Bildw. 
d.  tat.  Mus.  nr.  488,  ripr.  Garrucci  Mus.  Lat.  tav.  32,  anche  Arch. 


192  V-   BIENKOWSKI 

Zeit.  1861,  tay.  148,  cf.  p.  1  (Jahn).  In  esso,  com'e  noto,  sono 
rappresentati  lavori  campestri  e  la  fabbrieazione  del  pane.  L'ar- 
tefice  espresse  in  primo  liiogo  il  contadino,  che  in  modo  simile 
come  sul  nostro  rilievo  dirige  con  lo  stimolo  i  buoi  e  preme  con  la 
sinistra  la  stiva  Q). 

Nella  terza  scena  sono  figuratiimietitori,  due  de'quali  attendono 
tuttavia  al  dnro  travaglio  stringendo  i  manipoli  delle  spighe  e 
mietendo  con  la  falce  come  siülo  scudo ;  il  terzo  deposta  la  falce 
in  terra  e  appoggiandovi  una  mano  tiene  con  l'altra  davanti  alla 
bocca  una  tazza ;  a  destra  si  vede  un  iiomo,  probabilmente  il  pa- 
drone,  che  sembra  star  lä  per  porgere  da  bere  ai  mietitori,  tosto 
che  siano  giunti  al  termine  del  fondo  da  mietere  e  stiano  per 
Yoltarsi  a  cominciare  il  lavoro  su  di  un  nuovo  solco.  Quest'ultimo 
particolare  concorda  piü  specialmente  con  la  scena  di  agricoltura 
figurata  sullo  scudo  di  Achille. 

II  gruppo  degli  operai  che  stringono  e  portano  via  i  manipoli 
ha  molta  aualogia  con  la  rappresentanza  che  si  trova  sul  lato  destro 
del  sarcofago  di  Giuuio  Basso  (Bottari  Scult.  e  pitt.  I  praef.  p.  1 
vign. ;  cf.  p.  49  sg).  Vi  si  yeggono  tre  genii  alati,  che  stanno 
occupati  iutorno  alla  messe.  II  primo  e  in  atto  di  tagliare  il  grano 
con  la  falce,  l'altro  accumula  il  grano  giä  tagliato,  e  il  terzo  final- 
mente  lo  trasporta  all'aja  per  batterlo  con  un  bastone,  che  tiene 
nella  sinistra. 

Alla  scena  in  cui  e  rappresentato  il  caricare  delle  biade  sul 
carro  non  so  addurre  alcuna  stretta  analogia ;  ma  il  momento  che 
segue  immediatamente  e  figurato  sul  sarcofago  lateranense  giä  ac- 
cennato  in  modo  molto  somigliante  alla  nostra  rappresentanza. 
Infatti  nella  quarta  scena  si  vede  un  caiTO  ricolmo  di  grano, 
che  lentamente  s'avvia  condotto  da  un  villano  e  seguito  da  un 
altro.  II  carro  qui  figurato  ha,  come  sul  nostro  marmo,  soltanto 
due  ruote  senza  raggi,  cosi  dette  «  tympana  ^,  che  riscontreremo 
anche  nell'altro  frammento  dello  scudo  di  Achille. 

Ma  proseguiamo  la  spiegazione  del  nostro  rilievo.  Sopra  il 
recinto  quadrato  e  un  campo  (/o(>oc)  con  una  rappresentanza  chia- 


(1)  Altri  monumenti  con  rappresentanza  deiraratura  furono  testö  messi 
in  confronto  da  H.  Scliaaf hausen  nel  Jahrb.  d.  Vereins  von  Alter thumsfr. 
im  Rheinl.  1890,  60  sg. 


LO    SCL'DO    UI    ACHII-LE  193 

rissima;  vi  vediamo  nove  figure  cho  tenendosi  per  le  mani  menano 
in  cerchio,  a  qiianto  puö  immaginarsi,  verso  destra  iin'allegra 
daiiza  (cf.  Benndorf.  Ueher  das  Älter  des  Troiaspieles,  Berr. 
d.  Wiener  Äkad.  d.  Wlss.  CXXIII.  Band,  UI  Ablh.).  Non  si 
distingiiono  bene  le  douzelle  dai  giovaiietti;  nel  mezzo  sembra  potersi 
scorgere  la  testa  di  una  figura,  che  rappresenta  probabilmentc 
un  suonatore  ovvero  uno  dei  xvßiacr^ifjQeg  menzionati  da  Omero. 
11  gruppo  dei  danzatori  non  e  completo  a  destra ;  presso  la  frattura 
del  marmo  vedesi  nn  piede  della  decima  figura.  E  evidente,  che 
si  debba  riconoscere  qui  il  primo  Schema  di  danza  descritto  da  Omero 
nei  versi  598  sgg.,  599  sgg.  e  604  sgg. 

Per  quest'iiltimo  particolare  si  potrebbe  benissimo  paragonare 
con  la  nostra  rappresentanza  una  delle  pitture  del  colombario  nella 
Villa  Pamfili  {Abh.  d.  bayr.  Akad.  d.  Wiss.  Cl.  l.^.Nlll  Abth. 
II,  tav.  II  5,  cf.  p.  23  (Jahn).  Vi  si  vede  nel  mezzo  im  suo- 
natore e  due  giovani,  che  ballano  con  entusiasmo,  probabilmente 
i  xvßian^riiQec  ed  attorno  ad  essi  sono  iiomini  e  donne  che,  come 
appare  dai  loro  atteggiamenti ,  prendono  parte  viva  a  questa 
azione. 

II  recinto  quadrangolare,  che,  come  si  e  veduto,  e  circondato 
da  rappresentanze  deU'aratm-a,  della  raccolta  e  del  ballo,  e  figurato 
in  prospettiva,  come  dimostra  la  sua  restremazione  in  su.  Esso 
sembra  sia  in  parte  chiuso  da  un  terrapieno,  in  parte,  e  propria- 
mente  nel  lato  inferiore  e  nn  poco  anche  nel  lato  destro  e  sini- 
stro,  da  un  vivo  canneto  o  da  im"incannucciata.  AI  suo  lato  supe- 
riore  si  vede  una  casetta  con  suo  fastigio,  che  e,  a  qiianto  pare, 
scolpita  in  prospettiva  ed  ha  nella  facciata  angusta  una  porticella. 
La  parte  inferiore  del  campo  chiuso  e  cosi  danneggiata,  che  non 
si  puö  piü  distinguere  ciö  che  vi  era  rappresentato.  Si  veggono 
li  attorno  traccie  di  figure,  alcune  delle  quali  s'inchinano  a  pren- 
dere  qualche  cosa,  altre  pure  afferrano  qualche  cosa  rivolte  l'una 
all'altra ;  ma  nessun  gruppo  si  puö  spiegare  con  sicurezza. 

Nell'angolo  superiore  a  sinistra  sembra  essere  stato  abbozzato 
un  oggetto  architettonico,  forse  una  vasca  quadrangolare.  Questo 
particolare  come  l'esistenza  del  recinto  col  suo  unico  ingresso  ri- 
cordano  i  versi  di  Omero  (561  sg.).  Quindi  pare  verisimile,  che 
qui  fosse  espressa  la  vendemmia.  Rispetto  alla  forma  della  vasca 
che  riceve  l'uva  da  spremersi  si  puo  confrontare  il  torchio  di  Hivan 


194  P.    BIENKOWSKI 

in  Lycia  figiirato  in  Petersen  ii.  v.  Lnschau,  Reisen  in  Lykien  II 
p.  27  (Benndorf)  (cf.  Blümner,    Technologie  I  p.  336  sg). 

Nel  medesimo  nesso,  che  qiii,  e  rappreseutata  la  vendemmia 
anche  suUa  grande  tavola  con  rilievi  molto  danneggiati,  che  sta 
adesso  nella  Loggia  scoperta  del  Museo  Pio-Clementino  Beschr. 
Roms  II  2,  p.  197,  24,  Ärch.  Zeit  1861  tav.  CXLVIII  2, 
cf.  p.  154  (Jahn).  Quivi  si  vede  im  uorao  che  spezza  le  zolle, 
mentre  un  altro  di  fronte  a  lui  e  occupato  a  potare  una  vite ; 
quindi  seguono  dne  figiire,  di  cni  l'una  inchinata  taglia  il  grano, 
l'altra  guida  l'aratio  tirato  da  diie  buoi.  II  gruppo  seguente  si 
riferisce  alla  vita  pastorizia.  Anche  sul  nostro  rilievo  dovremmo 
aspettarci  fuori  del  recinto,  a  destra  la  rappresentazione  della 
quarta  scena  carapestre,  che  Omero  descrive  nei  vv.  573-589,  cioe 
le  mandre  di  buoi  e  di  pecore  menate  alla  pastura  (l'a/i'A/;  e 
il  rofiög). 

Abbiamo  vednto  finora,  che  l'artefice  del  nostro  rilievo  ebbe 
cura  di  seguire  con  esattezza  la  descrizione  di  Omero  in  tutte  le 
particolaritä,  nella  serie  delle  scene,  nei  motivi,  nelle  situazioni. 
Le  discrepauze  che  trovammo,  sono  isolate  e  insigniücanti  e  si 
possono  tutte  spiegare  o  col  diverso  linguaggio  dell'arte  e  della 
poesia  ovvero  con  la  natura  del  lavoro  e  la  ristrettezza  dello  spazio. 
Quindi  e  tanto  piü  strano  il  vedere  a  destra  del  recinto  presso 
la  frattura  del  marmo  una  figura,  che  col  piede  sinistro  fa  un  gran 
passo  verso  destra  e  che,  a  quanto  si  puö  giudicare  dall'elmo  e 
dall'asta  impugnata  in  atto  di  offesa,  sembra  un  guerriero  che  fa 
parte  di  un  esei'cito  assediante  la  cittä  menzionata  da  Omero 
(cf.  V.  509  sg.).  A  destra  di  lui  e  rimasto  un  piede  di  un'altra  figura 
che  nel  resto  andö  perduta.  AI  disotto  dei  piedi  del  primo  guer- 
riero si  scorge  un  oggetto  affatto  irriconoscibile,  forse  il  fondo  del 
marmo  non   abbozzato. 

Chi  non  yolesse  credere,  che  qui  fosse  rappresentata  la  cittä 
assediata,  potrebbe  almeno  per  ultima  ipotesi  immaginare,  che 
tale  figura  invece  di  un  guerriero  significhi  il  pastore  armato,  che 
difende  la  sua  mandra  contro  i  leoni  (cf.  v.  583  sg.).  Perö  questa 
supposizione  diviene  impossibile  tosto  che  si  badi  alle  figure  ri- 
raaste  nel  segmento  superiore  dello  scudo  presso  la  frattura  del 
marmo.  Quasi  nel  mezzo  di  esso,  a  destra  delle  mura  della  cittä 
vediamo  una  mandra  che  Consta  di  quattro  animali  appena  abboz- 


LO   SrUDO   DI    ACHILLE  195 

zati  UDO  sopra  l'altro.  II  piii  basso  con  conia  pare  uii  inontone, 
gli  altri  non  si  possono  determinare. 

Pill  in  alto  vediamo  an  iiomo  igniido  che  corre  verso  dcstra. 
II  siio  capo,  la  parte  anteriore  del  corpo,  la  gamba  sinistra  e  il 
gomito  sinistro  andarono  perduti ;  dietro  il  dorso  e  davanti  alla 
gamba  destra  gli  svolazza  la  clamide,  Sopra  di  esso  si  scorgono 
sul  terreno,  caratterizzato  come  rupe,  due  iioraini ;  il  primo  visto 
di  faccia  fa  im  gran  passo  coUa  gamba  sinistra  verso  destra  e 
impiigna  con  ambedue  le  mani  l'asta  nello  stesso  modo  che  il 
guerriero  del  segmento  inferiore;  ha  una  corta  veste  svolazzante 
e  probabilmente  anche  calzoni,  ha  quindi  l'aspetto  d'im  pastorc. 
Dietro  a  lui  e  in  parte  coperto  da  lui  sta  nn  altro  iiomo  vestito 
nella  stessa  maniera,  con  la  destra  gamba  avanzata  verso  sin.  e  con 
la  mano  destra  alzata  in  atto  di  lanciare  un'asta  o  una  pertica. 

AI  disotto  di  essi  corrono  due  cani  verso  des.  La  parte  po- 
steriore del  terzo  cane  pare  visibile  al  disotto  dell'asta,  che  tiene 
il  primo  pastore.  La  mandra,  i  cani,  come  pure  l'abito  degli  uo- 
mini  non  lasciano  quasi  alcim  dubbio,  che  qui  sia  figurata  la  scena 
descritta  da  Omero  nei  vv.  573-586,  specialmente  583  sgg. 

Cosi  la  quarta  scena  che  si  riferisce  alla  vita  rustica,  fii 
trasferita  dal  segmento  inferiore  del  disco  al  superiore. 

Rimane,  che  diciamo  ancora  di  un  gruppo  che  sta  immedia- 
tamente  sopra  il  listello  di  mezzo  con  la  iscrizione  presso  la  rottura 
del  marmo.  Vi  e  un  uomo  che  allunga  il  passo  verso  destra  ;  se 
egli  rivolga  allo  spettatore  il  dorso  o  la  faccia,  non  e  chiaro.  Nella 
mano  protesa  tiene  im  oggetto  rotondo  indistinto,  non  so  se  imo 
scudo;  l'altra  mano  sembra  tirata  in  dietro.  Davanti  a  lui  pare 
che  s'inginocchi  verso  sinistra  un  uomo,  che  si  appoggia  con  am- 
bedue le  mani  sul  terreno.  II  suo  capo  e  forse  inchinato  in  atto 
di  abbandono;  il  berretto,  che  ha  distinti  contorni  d'iin  berretto 
frigio,  e  caduto  sul  suo  occipite.  Se  ne  abbiamo  giustamente  ri- 
conosciuto  il  berretto,  si  dovrebbe  forse  in  questo  gruppo  ravvisare 
un  avanzo  della  insidia  (/i-öxoc)  descritta  da  Omero  nei  vv.  520-29. 
In  questo  caso  la  mandra  rappresentata  di  sopra  potrebbe  appar- 
tenere  tanto  alla  scena  pastorizia  quanto  al  loxoc. 

Comunque  sia,  questo  e  fuor  di  dubbio  che  il  gruppo  ora 
descritto  doveva  appartenere  alla  serie  delle  rappresentanze,  che 
si  riferivano  alla  cittä  in  istato  di  guerra  (vv.  509-540).  Ma  qiie- 


\ 


196  P-   BIENKOWSKI 

sta  non  ce  la  possiamo  immaginare  altrove  che  siü  lato  destro  del 
segmento  superiore,  simmetricamente  opposta  alla  cittä  in  istato 
di  pace,  che  e  conservata.  Questa  disposizione  e  provata  dalla  di- 
stribuzione  dei  rilievi  rimasti,  che  chiaramente  —  per  cosi  dire  — 
trovauo  il  loro  pimto  di  appoggio  suUe  rappresentanze  che  nel  clipeo 
omerico  sono  contenute  entro  limiti  di  precisa  forma  architettonica. 
Quelle  di  tal  fatta  sono  nel  medesimo  in  numero  di  tre :  la  cittä 
in  pace,  la  cittä  in  guerra  e  1'«/«/;.  Yedendo  dunque  la  prima 
figurata  nel  segmento  superiore  a  sinistra,  la  terza  quasi  nel  mezzo 
del  segmento  inferiore,  e  pienamente  presumibile,  che  nel  segmento 
superiore  a  destra  fosse  espressa  appunto  la  cittä  guerreggiata. 
Cosi  cotesti  tre  recinti  formavano  come  un  triangolo,  intorno  al 
quäle  s'aggruppavano  tutte  le  altre  rappresentanze. 

A  questa  opiuione  sembra  opporsi  la  circostanza  che  il  guer- 
riero  rimasto  presso  la  fiattura  del  segmento  inferiore  debba  pure 
appartenere  al  complesso  delle  scene  della  cittä  in  guerra,  essendo 
altrimenti  in  sommo  grado  improbabile,  che  la  pugna.  che  si  fa 
intorno  ad  essa,  s'estendesse  dal  segmento  superiore  all"  inferiore 
senza  riguardo  al  listello  orizzontale  che  li  separa.  Dinanzi  a  questa 
difficoltä  confesso  francamente  di  non  poter  dare  una  spiegazione 
soddisfaceute,  quindi  non  mi  abbandouo  ad  ipotesi  mal  fondate. 

In  ogni  caso  parmi  che  delle  combinazioni  precedenti  risulti, 
che  il  nostro  artista  abbia  conosciuto  soltanto  il 
contenuto  dello  scudo  omerico  senza  indovinare  la 
composizioue  dei  soggetti  e  quindi  nel  farne  la  ri- 
costruzione  si  sia  contentato  di  far  spiccare  i  punti 
che  a  Uli  pareyano  piü  salienti,  subordinando  ai 
medesimi  tutta  la  composizione . 

In  quest'opinioue  ci  coufermiamo  considerando  le  rappresen- 
tanze descritte  da  Omero,  che  di  certo  non  erano  scolpite  suUa 
superficie  convessa  del  nostro  scudo;  cioe  le  figure  dell'Oceano, 
del  mare,  del  cielo,  della  terra  e  delle  costellazioni. 

L'orlo  stesso  del  rilievo  potrebbe  significare  il  fiume  Oceano, 
che  nel  clipeo  omerico  scorreva  presso  al  cerchio  estremo  (y.  607-8): 
säbbene  il  tiume  non  e  affatto  espresso  artisticamente.  Nemmeno 
il  mare  e  rappresentato.  II  cielo  e  indicato  con  due  rappresen- 
tanze, che  si  trovano  sul  lembo  del  clipeo  e  che  abbiamo  giä  di 
sopra  accennate  ma  non   ancora  spiegate.  II   quadretto  superiore, 


LO   SCUDO   DI    ACHILLE  107 

quasi  a  metä  conservato,  rappresenta  una  qiiadriga  volta  a  destra 
e  guidata  da  ima  tigiira  involta  in  una  veste  svolazzante  e  coro- 
nata  di  raggi ;  e  quindi  il  Sole,  che  dalla  direzione  del  carro,  en- 
traute  ancbe  un  po'  sulla  superficie  convessa  dello  scudo  si  deduce 
sia  espresso  al  tramonto.  Dalla  parte  opposta  verso  sinistra  e  rap- 
presentata  la  Lima  sorgente  nella  qiiadriga ;  presso  di  essa  si  scorge 
un'altra  ligura,  forse  l'aiiriga. 

Ma  se  queste  due  ultime  rappresentanze  stanno  in  esatta 
corrispondenza  colle  parole  di  Omero,  la  cosa  non  va  cosi  ri- 
spetto  a  T((   T^iQfa  TTcii'va  rd  tovqccvoq  sGi^ydronai  etc. 

Invece  delle  costellazioni  indicate  da  Omero  Tartista  evideu- 
temente  ha  voliito  figurare  intorno  allo  scudo  i  dodici  animali 
dello  zodiaco.  Perche  quelle  sei  prominenze  quadrangolari  ricor- 
date  di  sopra,  che  si  trovano  fra  l'orb  e  la  superficie  convessa 
dello  scudo,  non  avrebbero  ragione  di  essere  se  non  servissero  alla 
rappresentanza  dello  zodiaco.  Nei  due  rettangoli  superiori  mi  pare 
siano  abbozzati  il  capricorno  e  lo  scorpione. 

Fiualmente  e  da  osservare,  che  l'artefice  del  nostro  rilievo 
non  ha  ideato  la  terra  come  un  globo,  posta  col  mare  e  col  cielo 
in  mezzo  allo  scudo,  si  bene  come  un  planisfero,  come  il  campo 
feopra  cui  distribuisce  i  soggetti  partitamente  descritti  da  Omero. 
Nel  che  si  trova  con  lui  d'accordo  anche  Filostrato  il  giovane. 
che  nella  descrizione  della  pittura  riproducente  il  clipeo  omerico 
di  Achille  {Imag.  10,  p.  125  ed.  Welcker)  iuterpretö  il  concetto 
di  Omero  nella  stessa  maniera. 

Giä  quest'ultima  particolaritä  dimostra  chiaramente,  che  l'ar- 
tefice del  nostro  rilievo  condivide  idee  speciali  dell'epoca  greco- 
romana,  cosa  che  diviene  anche  piü  manifesta  confiontando  le  altre 
antiche  riproduzioni  dello  scudo. 

II  riscontro  piü  stretto  e  dato  dal  frammento  cosi  detto  Sar- 
tiano  delle  tavole  iliache  (Jahn,  Bilderchroii.  tav.  II  B.  cf.  p.  20). 
Nel  mezzo  di  esso  si  vedono  le  tracce  della  cittä  circondata  dalle 
miira,  piü  alto  e  figiirato  un  gran  clipeo  rotondo  sostenuto  con 
ambedue  le  mani  da  una  donna  probabilmeute  Tetide.  Disgrazia- 
tamente  ne  rimane  soltanto  una  metä.  Nel  centro  di  esso  si  vede 
una  gran  testa  di  Gorgoue  come  per  solito  s'incontra  in  questo 
luogo  negli  scudi  greci.  Intorno  a  questa  testa  sono  poco  chiaramente 
figurate  le  diverse  scene  che  Omero  immaginö  scolpite  da  Vulcano 


198  P.    BIENKOWSKI 

sullo  scudo  di  Achille.  Si  distiagaono  quattro  segmenti  che  si 
presentano  non  giä  in  cerchi  concentrici  ma  in  fasce  orizzontali 
appunto  come  per  solito  sulle  tavole  iliache.  Le  rappresentanze  non 
sono  piü  riconoscibili ;  si  scorgono  edifizi  e  figure;  il  segmento 
superiore  somiglia  ad  im  paese  montuoso  ma  uiente  piü.  11  mar- 
gine  dello  scudo  e  ornato  da  uno  zodiaco.  Queste  particolaritä, 
bastano  per  stabilire  che  anche  qiii  non  si  tratta  di  ima  ricostru- 
zione  dello  scudo  di  Achille  nel  seuso  dell'arte  dell'etä  omerica, 
ma,  come  pel  nostro  rilievo,  di  una  riproduzione  affatto  libera  ed 
esteriore  deU'argomento. 

Allo  stesso  risultato  ci  fa  anivare  11  confronto  di  una  pittura 
pompeiana  (Fiorelli,  giorn.  d.  scavi  di  Pomp.  1862  tav.  6  p.  13, 
Kiessling  Bull.  1862  p.  97,  Heibig  Wamlgem.  p.  289,  1316). 
Ivi  e  Vulcano  nella  sua  officina  ove  in  fondo  lavoraao  i  Ciclopi; 
esso  e  in  piedi  innanzi  a  Tetide  assisa,  alla  quäle  mostra  lo  scudo 
di  Achille  poggiato  sovra  l'incudine.  Accanto  alla  dea  sta  seduta 
una  figura  muliebre  alata  che  con  una  verga  le  addita  le  mera- 
viglie  dello  scudo  medesimo.  Questo  e,  come  il  nostro  rilievo,  cir- 
condato  a  guisa  di  corona  coi  segni  dello  zodiaco.  In  mezzo  vi  sono 
artificiosamente  dipinti  due  serpenti  ovvero  dragoni  che  si  attor- 
cigliano  e  due  cani,  quindi  le  costellazioni  non  indicate  nella  de- 
scrizione  omerica,  ma  ben  notegiä  dai  tempi  piü  antichi  (cf.  Jahn 
1.  c).  Lo  stesso  argomento  ma  senza  Ciclopi  e  con  alquante  va- 
rietä  e  pure  effigiato  in  altro-  dipinto  pompeiauo,  che  tinora  non 
e  accuratamente  pubblicato  (Mus.  Borb.  X  18,  Heibig  1.  c.  p.  289, 
1317).  Ivi  e  nella  mano  della  donna  alata  una  trombetta  invece 
della  verga  e  lo  scudo  mostra  due  serpenti  iutrecciati.  Ommettiamo 
altri  monumenti,  dove  lo  scudo  di  Achille  e  privo  di  ogni  rappre- 
sentanza  o  ha  un  semplice  segno  figurato.  Sicco me  pure  troppo  do- 
vremmo  dilungarci  se  volessimo  dimostrare  con  altri  monumenti 
quanto  Tornamento  dello  zodiaco  fosse  comune  e  caratteristico  negli 
scudi  dell'epoca  greco-romana,  ci  contentiamo  quindi  di  rimandare  il 
lettore  alla  raccolta  fattane  da  0.  Jahn  in  BUderchron.  p.  20  sg. 

Prima  di  parlare  della  faccia  posteriore  del  nostro  rilievo 
conviene  dire  poche  parole  sull" altro  frammento  di  scudo  raffigurato 
sulla  nostra  tavola  VI.  Esso  e  in  palombino  e  proviene  da  scavi  ro- 
mani  ma  da  luogo  incerto.  Fu  donato  al  Comune  dal  comm.  Ca- 
stellani  nel  1874  (cf.  Bullett.  della  comm.  arch.  comunal.  1874, 


LO   SCUDO   DI    ACHILLE  1?9 

elenco),  sembi-a  perö  non  sia  stato  esposto  prima  deH'aDno  1882, 
perche  ne  il  Gatti  ne  il  Garrucci  ne  hanno  fatto  menzione.  Dimen- 
sioni:  m.  0,13  X  0,10. 

Le  rappresentanze  sono  anclie  qui  divise  in  diie  piani  e  fra 
l'uno  e  l'altro  corre  una  fascia  relativamente  stretta  senza  iscri- 
zione.  Nel  piano  superiore  vediamo  sul  listello,  che  serve  in  qual- 
che  modo  come  sostruzione,  le  mura  della  cittä  con  sei  torri. 

Le  mura  sono  munite  di  basamenti,  cornicioni  e  merli,  le 
torri  sono  di  due  piani  con  diie  finestre  nel  pianterreno  e  secondo 
piano,  con  una  nel  prirao.  Quattro  torri  sono  rotonde,  due  di  mezzo 
fra  le  quali  e  un'alta  porta,  quadrata 

Nel  piano  inferiore  si  vede  il  residuo  della  stessa  scena  agri- 
cola,  che  pure  sul  framraento  maggiore  occorre  nello  stesso  luogo, 
cioe  un  carro  tirato  da  due  buoi  davanti  ad  una  edicola.  11 
carro  ha  due  ruote  piene  {tympand)  e  la  cassa  Consta  di  quattro 
pali  verticali  e  due  traversali  ed  ha  un  fondo  solido,  e  quindi  un 
jüaustrum.  Esso  e  effigiato  un  po'  in  prospettiva,  vedendosi  una 
parte  della  parete  posteriore.  E  ricolmo  di  covoni  e  sopra  vi  stanno 
in  ginocchio  due  figure,  inchinate  molto  verso  destra,  che  caricano 
il  frumento  che  un  uomo  a  destra  va  loro  porgendo.  Innanzi  ai 
buoi  aggiogati  e  in  piedi  rivolto  verso  destra  un  uomo  vestito  con 
corta  tuuica  a  maniche  e  con  calzoni,  che  si  accinge  a  giiidare  il 
carro  tenendo  le  mani  all'altezza  del  timone;  ai  suoi  piedi  e  un 
cane.  A  sinistra  e  rappresentata  in  prospettiva  una  edicola  ^acra 
con  tetto  a  schiena  d'asino  e  con  alta  porta  quadrangolare.  La 
cornice  frontale  e  ornata  di  dentelli ;  il  frontone  di  una  ghirlanda. 

A  destra  di  questa  scena  si  vede  la  cima  di  un  albero,  pro- 
babilmente  una  quercia.  Ad  esso  e  appeso  un  gran  pezzo  di  carne, 
che  due  uomini  vestiti  con  tunica  succinta  stanno  tagliando  in 
quarti,  Piü  in  alto  quasi  sospeso  nell'aria  si  scorge  il  corpo  e  la 
gamba  destra  d'un  uomo  vestito  di  clamide  svolazzaute;  presso 
la  frattura  del  marmo  apparisce  un  piede  di  un'altra  tigura. 

E  fuor  di  dubbio,  che  la  prima  scena  apparteneva  alla  rap- 
presentanza  della  raccolta,  l'altra  alla  ciclica  danza.  E  quindi  molto 
probabile,  che  la  disposizione  di  questo  esemplare  sia  stata  uguale 
0  almeno  simile  a  quella  del  frammento  descritto  in  primo  luogo. 
Certo  tutto  lo  scudo  era  molto  piü  grande  e  l'esecuzione  molto 
migliore,  favorita  anche  dal  materiale  piü  tenero  e  tino. 


200  P.    BIENKOWSKI 

Nel  rovescio  di  amhedue  ie  lastre,  cioe  siilla  siiperficie  plana 
di  esse,  e  incisa  iina  figiira  lineare,  la  cni  forma  sul  framniento 
maggiore  si  puo  ricostrnire,  ma  non  giä  sul  frammento  minore.  E 
questo  un  castello  merlato  o  pinttosto  un'ara  con  basamento  a  due 
gradini  e  con  due  acroteri,  che  si  congiungono  nel  mezzo.  Era 
divisa  in  614  piccoli  quadretti  o  cassette  ognuno  dei  quali  por- 
tava  una  lettera.  Ora  v'e  sul  raarmo  una  lacuna  per  rottura  a 
sinistra  e  le  lettere  nei  quadretti  non  sono  tutte  leggibili.  Con 
tutto  ciö  e  fuor  di  dubbio  che  questo  sia  un  semplice  giuoeo 
alfabetico  (v.  tav.  V). 

Sul  frammento  minore  erano  soltanto,  come  credo,  29  lettere 
che  formavano  secondo  il  mio  supplemento  la  leggenda:  {lianlg) 
"AyiXXaiog,   GfoSowr^og  i]  T[exvrj). 

Le  lettere  del  frammento  maggiore  sono  31  e  formano  le  pa- 
role:  liamg  liyiXÄr^og  &€o6a)or^og  xn^^'^'Oi^irjQov.  Le  quali  lettere  sono 
disposte  in  modo  che  danno  sempre  le  indicate  parole  leggendo  in 
varie  direzioui,  a  destra  a  sinistra,  di  su  e  di  giü,  parte  in  linea 
verticale,  parte  orizzontale ;  purche  si  prenda  per  punto  di  par- 
tenza  A,  che  si  trova  nel  centro  della  figura  ed  e  come  la  chiave  del- 
reniuima.  Questa  leggenda  ci  permette  di  supplire  con  tutta  certezza 
l'iscrizione  incisa  nell'altro  lato  della  pietra  ed  ora  in  parte  monca. 

Un  notevolissimo  confronto  a  questo  giuoeo  di  lettere  e  di 
parole  si  ha  nel  frammento  di  tavola  iliaca,  giä  a  Verona  ed  ora 
a  Parigi  (Jahn  Bilderchron.  tav.  III  c'.  c-).  Quivi  nella  parte 
anteriore  sono  figurate  alcune  scene  deU'Iliade  coU'indicazione 
^Ihcig  '0{urjo<)v);  la  fac^ia  posteriore  ha  una  serie  di  piccoli  qua- 
drati  somiglianti  a  scacchiera  ognuno  dei  quali  coUa  propria  let- 
tera, donde  si  raccoglie  intera  l'iscrizione  Qeodwqr^og  /)[;]  vtyrr^  ripe- 
tuta  piü  volte  in  varii  sensi.  Coll'aiuto  di  questa  leggenda  e  stato 
sagacemente  supplito  dal  Lehrs  il  distichon,  che  si  legge  nella 
tavola  iliaca  Q^od^Mosiov  nads  rä^tv  "^Of^u'jQov  etc. 

Un  altro  esempio  di  simile  giuoeo  alfabetico  dell'anno  324 
d.  Cr.  si  ha,  come  fe'  notare  il  de  Rossi  (oss.  a  Gatti  1.  c),  in 
due  quadrati  di  lettere  in  musaico  nel  pavimento  della  basilica 
di  Orleansville  nella  Mauritania  Cesariense  (C.  I.  L.  VIII  9710, 
9711),  dove  si  leggono,  partendo  dal  centro  e  percorrendo  in  qua- 
lunque  senso  le  linee.  le  medesime  epigrafi  {S)aiicta  eclesia  e 
{M)arinus  sacerdos. 


LO   SCUÜO    DI    ACHILLE  201 

L'iscrizjone  che  si  trova  al  disotto  della  pi-edetta  ara  in  ca- 
ratteri  assai  piü  grandi  supplita,  come  si  vede  a  tav,  V,  contiene 
iin  altro  giiioco  alfabetico,  leggendosi  da  sinistra  a  destra  come 
da  destra  a  sinistra  uQeicc  UqsI:  antislita  antisiiti,  secondo  la  re- 
gola  prescritta  sulla  tavola  presse  lahn-Michaelis  tav.  ITI  c.  2. 

Quanto  all'artista  Teodoro  basti  rimandare  il  lettore  a  cid 
che  ne  hanno  detto  Brunn  (Gr.  Küiistlergesch.  II  255  sg.),  Mi- 
chaelis {Büderchr.  91  sg.)  e  Loewy  {Inschriften  rjriech.  Bildh. 
p.  300). 

Ma  la  opinione  loro,  che  Teodoro  fosse  pinttosto  un  gramma- 
tico  che  suggeri  l'ordine  delle  rappresentanze,  devesi  secondo  che 
io  penso  col  Robert  {Hom.  Becher  p.  67,  a  10),  correggere  in 
questo  senso,  che  egli  sia  stato  realmente  un  artefice,  scultore  o 
pittore  e  che  alle  sue  opere  original!  si  riferiscono,  piü  o  meno 
direttamente,  le  tavole  iliache  che  portano  11  suo  nome,  o  quelle 
che  ne  sono  semplici  copie.  Perche  noi  non  abbiamo  alcuna  ra- 
gione  sufficiente  per  restare  nell'opinione,  che  tutta  la  serie  delle 
croniche  figurate  greche  provenga  da  un  unico  artista.  E  non  e 
inutile  rammen tarsi,  che  finora  apparvero  col  nome  di  Teodoro  sol- 
tanto  rilievi  con  rappresentanze,  che  si  riferiscono  alle  favole  troiane. 
La  maniera  artistica  quasi  identica,  con  cui  generalmente  sono 
condotte  tutte  le  altre  croniche,  deve  ripetere  la  sua  origine  piut- 
tosto  dallo  studio  di  un  medesimo  indirizzo  artistico  che  non  dalla 
identitä  dell'  artista.  Dalla  diversa  grandezza  dei  frammenti  del 
clipeo  di  Achille  consegue,  che  l'originale  di  Teodoro  poteva  es- 
sere  ancora  piii  grande. 

Finalmente  ecco  una  conclusione,  che  si  deduce  dai  minutissimi 
caratteri  con  cui  sono  incisi  i  versi  di  Omero.  Come  si  disse,  essi 
sono  illegibili  ad  occhio  nudo.  Ora  se  iscrizioni  per  sollte  piü  net- 
tamente  e  in  maggiori  proporzioni  incise,  che  si  trovano  suUe  altre 
tavole,  non  escludono  la  possibilitä,  che  esse  fossero  destinate  a 
render  piü  facile  ai  giovinetti  l'intelligenza  delle  plastiche  rappre- 
sentazioni  cavate  da  Omero,  e  evidente  che  noi  dobbiamo  guar- 
darci  dal  giungere  ad  una  simile  conclusione  relativameute  al  nostro 
rilievo.  A  mio  avviso  tutto  questo  genere  di  piccole  sculture  e  nato 
dalle  scherzose  esercitazioni  artistico-letterarie  dell'epoca  ellenistica 
e  greco-romana  per  quel  capriccioso  gusto  che  dovette  esserle  par- 
ticolare  di  riprodurre  tutta  la  serie  delle   favole    trojane  e  simili 


202  P.    BIENKOWSKI 

sopra  ristrettissimo  spazio  e  in  lavori  accessibili  a  qualsiasi  prezzo, 
senza  perciö  prefiggersi  lo  scopo  di  un  determinato  risultato  pra- 
tico.  Cosi  le  cosi  dette  croniche  figurate  furono  giä  neirantichitä 
stessa  semplici  rilievi  da  gabinetto  e  dovettero  soltanto  alla  loro 
originalitä  e  al  loro  costo  moderato,  se  fiiroDO  particolarmente 
prodilette  e  divulgate  nell'epoca  greco-romana. 

Delle  dieci  colonne,  in  cni  era  distribuito  primitivamente  il 
passo  relativo  al  carme  omerico  sono  rimaste  soltanto  le  cinque 
della  metä  destra  e  parte  della  sesta,  la  prima  delle  quali  contiene 
soll  dieci  versi  (483-492),  la  seconda  ne  conta  dodici  (493-504), 
la  terza  qiiindici  (505-519),  la  quarta  tredici  (533-545),  la  sesta 
non  piü  di  dodici  (546-557).  Soltanto  la  piima,  seconda  e  qiiinta 
colonna  sono  intere,  la  terza  e  qiiarta  sono  manche,  percbe  l'orlo 
della  pietra  e  stato  danneggiato  in  diie  luoghi  (').  Perciö  andö 
perdiita  la  fine  di  molti  versi  nella  terza  colonna  e  il  principio 
di  molti  altri  nella  quarta,  nonche  in  questa  dne  versi  interi ; 
inoltre  esistono  lacune  nel  mezzo  dei  versi,  segnatamente  nella 
terza  colonna.  Della  colonna  sesta  rimangono  soltanto  frammenti 
di  versi  che  non  ne  offrono  nemmeno  la  metä. 

Le  colonne  si  seguono  le  une  accanto  alle  altre ;  i  versi  sono 
posti  esattamente  gli  imi  sotto  gli  altri  e  sono  scritti  con  lettere 
piccolissime  quasi  invisibili  all'occhio  nudo,  ma  tuttayia  incise  con 
gran  cura.  Le  linee  dei  versi  sono  diritte  e  parallele,  le  une  alle 
altre  come  se  fossero  scritte  realmente  sopra  linee,  delle  quali  io 
perö  non  ho  potuto  scoprir  piü  traccia  alcuna.  Accenti,  segni  di- 
visori  di  interpunzione,  spirito  debole  non  appariscono  punto;  lo 
spirito  grave  invece  colla  forma  piü  receute  {')  si  trova  soltanto 
nel  principio  di  tre  versi  (547,  548,  551),  e  una  volta  nel  mezzo 
dei  verso  (554)  (cf.  Kühner,  G?\   Grammaf.  I^  p.  318). 

Confrontata  con  il  testo  commune  di  Omero,  qual'e  dato  nella 
edizione  critica  di  Nauck,  troviamo  nel  nostro  nuovo  testo  le  se- 
guenti  varianti: 

(1)  Garrucci  nella  sua  copia  da  per  intere  le  colonne  terza  e  quarta : 
ma  la  rottura  e  certamente  antica  e  il  clisegno  di  Garrucci  la  riproduce  giä 
esattamente.  Circostanza  questa  che  puu  darci  un'idea  della  giustezza  delle 
osservazioni  sue  e  tenerci  per  iscusati  se  noi  neu  facciamo  conto  della  sua 
copia,  la  quäle  dei  resto  non  conosce  lezioni  diverse  dal  testo  commune  di 
Omero. 


LO   SCUDO   Dt    ACHII.LE  203 

V.  483  eiiixevymariOi^x  etc.  485  iiota,  sopra  il  secondo  o 
486  in  ovQccvog  e  forse  posto  un  accento  presso  a  poco  della 
forma  o,  o}Qiu)vog,  488  xairoiuyQioncc,  491  rry,  [leQQa,  ikunivai, 
492  vi\aqm,  493  (na  AS/////"^S  dviisvcaoi;  ecc,  496  iGTaiisrai 
correzione  da  larafisioi,  nqoIfvQoiaiv ,  EKAZTl  legatura  del  T 
col  H,  497  kaoidiv  ayoQYj ,  vixog,  498  OQoyQi,  tvixtor,  fiv//a, 
499  d7To(p0^if.ievov,  500  rh^i.iomi(fQav(Txo)i\  501  öeuöOi^i',  U^^^ 
{=rz  nia()),  505  riSQuffolHI,  506  imaiöeneix,  dixa^o/^,  bOl  tf^ifjiea- 
ootai,  508  zroJojHfj',  tv/ro«  e  andato  perduto  in  una  grande  lacuna 
con  tiitta  la  parte  destra  della  terza  colonna  e  con  la  parte  sini- 
stra  della  quarta.  Un'  altra  piü  piccola  lacuna  ha  divorato  gran 
parte  dei  versi  ügg.  509  övoaiqatona . . , ,  510  revxQtai,  ac/iüi . . . 

511  navrf/d 512  xz-»;ö'/////j',    sTTYjQar  .  .  .  .  ,  513    oid //////// 

ovTO,  vnod  .  .  .  .  ,  514  rix  ....  oixs  (fiXai  xai  vr^ 515  qv  . .  .  . 

(xsTidavega ,    516    ui  .  .  .  .  )-g    xai    na  .  .  .  .  ,    517    a 

aTutjg  .  .  ,  518  x  .  .  .  .  £(tivo)  .  .  .  ,  519  «  .  .  .  .  oreg,  520  o^KJcpiCii', 
521  .  .  .  >/)'  Tiavieaßi  ßgoroiai,  522  ....  sroi.,  523  ....  onoi,  524 
,  , .  sÄixag^  525  ....  ro^rjfg^  526  .  .  .  ror^Cav,  527  ....  emrcc,  528 
perduto,  529  ....  c  (finale),  531  sgg.  perduti,  534  evxsir^aiv, 
537  aiXxe,  538  t[.iadexc'C[.icfo)(.ioi(Xida(fCi)fioi(Jidaqoriov,  539  o)Q7t€g, 
540  TsaXhiXon> ,  xata%ed-vr:0Tag ,  541  vr^ov,  ^44  otSOUOKhE- 
ITPE-i-AS  (xotato  ecc.  ,•  545  ro(///////EniTvXEPSI  ecc. .  .  .  ;  546 
doaxsvav)]QETii .  .  .  .  ,  essendo  perduta  la  maggior  parte  destra 
della  sesta  colonna,   547  leiieroiveioioßa  .  .  .  .  ,  548  r;   öenflaiveT 

549    xQvauinsQto .....    550    conservato    soltanto   sridsir, 

551    t](XMro^i,  .  .  .  .  ,    552    dgayiiccra 553    aXXaöa^ia  .  .  .  .  , 

554  TQig  i(tva  . .  .  ,  555  naideg  . . . . ,   556  aünsQ 557  cx/^  .... 

Queste  numerose  varianti  si  possono  spiegare  o  per  partico- 
laritä  ortografiche  o  grammaticali  o  per  semplici  errori.  Ma  per 
un  miglior  riscontro  di  esse  bisogna  ran\mentarci,  che  oltre  i  co- 
dici,  dei  quali  il  piü  antico  non  va  oltre  il  secolo  decimo,  abbiamo 
anche  alcuni  papiri,  dove  si  trovano  almeno  in  parte  i  medesimi 
versi  o  i  loro  frammenti,  cosi  nel  papiro  del  secondo  secolo  a.  Cr. 
trovato  da  Battisier  nella  necropoli  di  Tebe  in  Egitto  conservato 
adesso  nel  Museo  di  Parigi  e  pubblicato  da  de  Longperier  (öe^^^yres 
II  343)  leggiamo  anche  i  frammenti  dei  y.  475-499,  518-535, 
544-561;  pol  in  un  papiro  della  medesima  eta  di  A.  C.  Harris 
i  vv.  311-617,  dei  quali  perö   soltanto  i  due   primi   e  i  due  ul- 


204  P-    BIENKOWSKl 

timi  sono  stati  letti  e  piibblicati  neW'Arch.  Zeit.  1849,  p,  93  ; 
in  Uli  paliasesto  siriaco  di  Cureton  (London  1851)  del  sec.  VI- 
VII  di  Cr.  anche  10  versi  della  descrizione  dello  scudo,  cioe  488- 
492.  Finalmente  ulteriore  riscontro  e  dato  dai  28  versi  dell'Odis- 
sea,  i  frammenti  dei  qiiali  si  trovano  iscritti  siii  cosi  detti  Ho- 
men><che  Becher  (cf.  Robert  p.  8-20  sg.),  e  dagli  otto  versi  del- 
riliade  A,  che  si  leggono  sul  terzo  frammento  parigino  delle  tavole 
iliacbe  (0.  Jahn  Büderchr.  tav.  IV  E,  cf.  p.  62). 

Fra  le  particolaritä  ortografiche  vanno  notate  /^  in  luogo 
di  ei  nel  sostantivo  v)/)v  541,  nell'aggettivo  Oi-odo)Qt^uc  nel  ro- 
vescio  dei  rilievi ;  t  per  ei  in  tiqsu  485,  ilamvca  491,  n- 497, 
vixog  497,  OQWQi  498,  erixeor  498,  ttiuq  (^=7tioi<q)  501,  tccro  509, 
Tfcx(oc)  514,  envcu  527,  t\iu  538,  yoiditj  549,  o'^i(ac)  551,  rgig 
554,  Tutti  questi  particolari  si  spiegano  con  lo  jotacismo,  che  co- 
minciö  a  diffondersi  giä  negli  Ultimi  secoli  a.  Cr.  e  che  si  trova 
piü  0  meno  in  tutti  i  papiri  conservati  dall'epoca  greco-romana 
(cf.  La  Roche  ffom.  Textkritik  435  e  154;  Zeitschr.  f.  d.  österr. 
Gymn.  1866,  p.  91  sg.).  Specialmente  leggiamo  vixog  497  anche 
nel  papiro  Battisier  (Longperier  Oeuvres  II  343),  ndvd^iai  482 
nel  palinsesto  di  Cureton  (cf.  Bekker  Hom.  Blätter  p.  116,  La  Roche 
Rom.  Textkrit.  p.  455),  oiqr^  e  vrjcfosXTroa  616  nel  papiro  di 
Harris  (cf.  La  Roche  Hom.  Textkr.  p.  446).  Sülle  ^^  coppe  ome- 
riche  »  non  si  trova  ancora  esempio  di  jotacismo ;  all'  incontro  e 
raolto  frequente  sulle  tavole  iliacbe,  segnatamente  vedi  nel  terzo 
frammento  parigino  ovhiiTiovds  A  425  (cf.  Michaelis  Bilderchr^ 
p.  78). 

Assai  raramente  si  ha  sul  nostro  marmo  o  invece  or.ro  508. 
xaTaTs&rrjoTaQ  540.  Piü  spesso  troviamo  questo  cambiamento  nei 
varsi  di  A  nel  terzo  frammento  parigino;  cf.  oxvnoQuiai  421,  Jo- 
d'exaTii  425. 

II  jota  muto  e  omesso  ordinariamente  nel  nostro  marmo,  come 
nel  frammento  parigino  e  nelle  altre  tavole  iliacbe  (cf,  Michaelis 
Bilderchr  p.  78,  Küher  (rr.  Gr.  P,  183);  e  rimasto  soltanto  nel 
dativo  del  singulare  avrr^i  542.  Questa  inconseguenza  nella  omis- 
sione  dell'  i  muto  si  puö  giä  osservare  nei  versi  delle  coppe  «  ome- 
riche  »   (cf.  Robert  Ilom.  Beck.  p.  10  e  13). 

L'assimilazione  delle  consonanti  e  ommessa  in  fV/fn^ö'/v  534; 
contro  l'uso   commune  (cf.  Kühner  Gr.   Grammat.  V  291 ;  Gom- 


LO   SCUDO    DI    ACHILLE  205 

perz  Ber.  d.  Wien.  Äkad.  Bd.  88,  87)  e  seguita  in  fju  iisv  483, 
}isQ  Qa  491,  f(.i  luGöoiat  507. 

II  j'  paragogicon  e  posto  davanti  al  digamma  sparito  (cf.  Kühner 
Gr.  Gr.  P  87):  nQod-vQoiaiv  txaaxt]  496,  aqiaiv  eixs  520;  aH'iii- 
contro  manca  nella  fine  del  verso  e  della  proposizione  alla  vocale 
finale:  ßQorotai  fj//  aga  521-522. 

L'elisione  dentro  i  versi  (cf.  La  Roche  //.  T.  396,  Kühner 
Gr.  Gr.  I^  232)  e  espressa  in  diKfxa  6t  teffO^rjv  501 ;  rs  ccXXriXwv. 

I  particolari  gramraaticali  appariscono  nelle  forme  ÜQton'oc 
486,  S2Qio)va  488  per  Siagionog  e  SiaQim'a  di  Naiick,  ma  concor- 
demente con  tutti  i  manoscritti  e  con  Choerob.  in  Theodos.  p.  281, 
1  :  t6  "ÜQioiv  uraXoyuyieQov  sCti  avffitXXon'  t6  i,  wg  TtuQ'  EvQim'di^ 
—  o  yaQ  TioirjTrjg  sitrsirsv  avzo  (cf.  Ebeling  Leoj.  Hom.  s.  v., 
Kühner  Gr.  Gr.  I^  309,  9);  nella  forma  rj(f{'d-rjv)  517  invece  di 
i:'a-9-rji\  ma  in  concordanza  col  codice  D  e  con  Odiss.  X  191,  dove 
varii  libri  leggono  fhrca,  Zenodoto  rycrr«;,  Aristarco  rjaro  (?)  (cf. 
Kühner,  p.  500;  Ebeling  Le^.  Hom.  s.  v. ;  Ludwich,  Odjss.  (1891), 
ann.  crit.);  nella  forma  eiXxs  537  invece  di  sXxs  come  slavrjxsi 
nel  papiro  Battisier  per  iarrjxsi  di  Aristarco,  il  quäle  ommetteva 
Taumraento  secondo  il  Didym.  J  213  e'iXxev  '^Agiaraoiog  "laxcög 
xal  at  nXeiovg  (cf.  La  Roche  H.  T.  238,  Ebeling  Lex.  Hom.  s.  v. 
Kühner  90  s.  v.  iXsTy).  Rarissima,  ma  corretta  e  la  forma  dell'adiet- 
tivo  'Axi'XXeiog  {dank)  sul  rovescio  del  frammento  minore.  Ste- 
fano nel  Tesauro  ne  cita  soltanto  un  esempio  da  Tzetzes  Anecd. 
gr.  (ed.  Matranga)  18,  597:  Trjr  "AxfXXsiov  dam'da  (ma  cf.  Küh- 
ner Gr.  Gr.  V'  p.  450). 

Sbagli  dello  scarpellino  nel  nostro  marmo  non  sono  rari  e 
hanno  tutti  analog! e  negli  sbagli  di  altri  frammenti  omerici  no- 
minati  di  sopra.  Infatti  notiamo  l'ommissione  delle  singole  lettere 
vvii(f>a  392,  niaQ  501  invece  di  TviQCiQ  (lo  stesso  sbaglio  si  trova 
nel  nostro  verso  citato  da  Apoll.  Sof.  93,  2).  Per  sbaglio  una  let- 
tera  e  posta  invece  di  altra  in  {iia)Ti  515  invece  di  /tfr«.  Su- 
perflua  e  la  lettera  q  in  mcfQavüxm'  500,  revxgeai  blO ;  due  let- 
tere sono  intercalate  contro  l'esametro  e  il  senso  in  xaiToiMqiwnc 
488  invece  di  xal  t'Qqkovu  o  xal  o'^Qiona,  che  hanno  altri  codici. 

Tutta  una  serie  di  errori  si  trova  nel  verso  538,  dove  leg- 
giamo  ei[^iadexcif-i(fo)[.iotai  Jacfojfxoiai  öacporiov.  Qui  abbiamo  P 
una   dittografia,    2°   nn   omoiarcton,  3°   o   in  (foviov  invece  di  w, 

14 


206  P'    BIENKOWSKI 

4»  10   neir  istessa   parola   invece   di   (o  (cf.  Madvig  Ado.  crit.  I 
p.  34 ;  40  sg. ;  Iw.  Müller  Ilandb.  f.  Idass.  A  W.  I,  229  sg.). 

Siccome  in  varii  altri  pimti  delle  iscrizioni  ci  sono  correzioni 
ed  emendamenti  (cf.  v.  488,  496,  544),  e  possibile,  anzi  proba- 
bile,  che  gli  error!  di  questo  luogo  non  provengono  direttameDte 
dalla  incapacitä  dell'artista,  ma  esistessero  giä  nell'esemplare,  che 
esrli  aveva  dinanzi. 

Come  sbaglio  si  deve  considerare  anche  la  lezione  del  v.  544 
OIAOnOA'l-EITPE-i^ASIKOIATO  ecc.  Lo  scalpellino  scrivendo  la 
parola  onors  scrisse  per  isbaglio  rultima  sillaba  AH  come  se  pre- 
cedesse  EOEI ;  ma  accortosi  del  suo  errore  lo  corresse  in  tal  modo 
che  aggiunse  alle  lettere  giä  incise  le  proprie  lettere  o  piuttosto 
le  aste  orizzontali  della  sillaba,  che  avrebbe  doYuto  scrivere,  for- 
mando  cosi  ima  specie  di  sigla  che  non  ha  nessim  senso.  Inoltre 
tralasciö  tre  lettere  nella  parola  seguente  arQexpctvrsq. 

Nel  V.  554,  essendo  rimasto  soltanto  il  priucipio  rgiGiaxa  la 
natura  della  Variante  e  incerta.  ün  errore  sarebbe  tauto  meno  strauo 
in  qiianto  il  verso  554  e  parimente  corrotto  in  molti  codici. 

Un  cambio  di  sinonimi  ha  avuto  luogo  nel  v.  483 :  t&rix 
invece  di  srsvf,  v.  539  waneg  invece  di  wö'rf. 

AI  V.  515  arsQag  parimente  si  trova  nel  codice  D,  e  qui  e 
manifesto  che  1' errore,  nato  dalla  doppia  natura,  e  preposizionale 
e  avverbiale  di  iiexa,  e  piü  antico  del  marmo  perche  in  questo 
H£vä  e  corrotto  in  iisxi. 

Un  altro  mutamento  di  data  antica  e  la  lezione  ßqoroiai  521 
in  luogo  di  ßoroiaiv,  che  tutti  i  codici  hanno  concordemente, 
come  si  conosce  da  una  notizia  finora  iuintellegibile  di  Didymos  la 
quäle  si  trova  nei  scholii  del  codice  Veneto  B  (e  del  codice  Town- 
leyano)  siccome  nell'apografo  Vittoriano  (raccolti  da  Ludwich  Ari- 
starclu  Textkritik  p.  436).  Vi  leggiamo:  ßoroiai  6^  yQanrsov, 
oÜ-ev  xal  ßorrJQsg  xcd  ßorärrj,  e  finora  non  si  sapeva,  contro  quäle 
Variante  la  notizia  di  Didymos  si  rivolgesse. 

Finalmente  e  da  notare,  che  il  nostro  marmo  presenta  la  le- 
zione unoffdiixivov  nel  v.  499,  accettata  da  Aristarco  e  data 
tutti  i  codici;  dnonTansrov  che  approvö  il  Nauck,  proviene  da 
Zenodoto  (cf.  Lehrs,  Arist.   Textkritik  p.  435). 

In  somma  il  nostro  marmo  sebbene  debba  considerarsi  come 
uno  dei  codici  piü  antichi  di  Omero,  non  presenta  alcuna  Variante 


LO   SCUDO    DI    ACHILLE  207 

X)iü  importante  e  raccomandabile  al  testo  di  Omero,  essendo  in 
generale  d'accordo  con  la  cosi  detta  vulgata,  in  alcuni  luoghi  se- 
gnatamente  col  codice  D  (cf.  vv.  507,  517,  553,  554),  e  prove- 
nendo  da  un  esemplare  corrotto.  Kispetto  ai  particolari  ortografici 
s'avvicina  di  piü  alle  altre  tavole  iliache  (cf.  Michaelis  Düderchr. 
p.  79),  con  cui  lo  congiungono  anclie  i  particolari  paleografici, 
specialmente  il  carattere  quasi  corsivo  delle  lettere  iinciali  nei 
versi  di  Omero.  Per  quest' ultimo  rapporto  l'affinitä,  sua  con  esse 
e  cosi  grande  da  dover  ritenere  che  anch'esso  provenga  dall'epoca 
medesima  cioe  dal  primo  o  secondo  secolo  d.  Cr.  E  infatti  questa 
conclusione  viene  corroborata  se  esamiaiamo  il  carattere  delle  iscri- 
zioni  ben  chiare  e  distinte  tracciate  sotto  l'ara  e  sul  listello  oriz- 
zontale  del  rilievo.  Le  singole  lettere  hanno  la  forma  piü  lunga 
che  larga,  il  riccio  della  lettera  P  e  quadrato,  e  l'asta  trasversa 
deir  A  e  angolare  —  quest'  ultimo  particolare  apparisce  giä  nelle 
iscrizioni  del  terzo  secolo  a.  Cr.  Parimenti  la  sigla  che  si  scorge 
nel  V.  496  EKASH,  e  indizio  di  epoca  tarda  (cf.  v.  544). 

P.    BlENKOWSKI. 


DELLE  TAYOLE  LüSORIE  ROMANE 


La  mia  raccolta  di  tavole  lusorie  romane,  inserita  nei  Bon- 
ner Studien  (^),  era  nella  sostanza  compilata,  prima  ch'io  cono- 
scessi  ritalia  e^.Roma.  In  questa  cittä  specialmente,  luogo  prin- 
cipale  del  ritrovamento  di  dette  tavole,  io  fui  in  grado  di  com- 
pletarne  e  condurne  a  termine  la  raccolta.  Ne  Terificai  io  stesso  la 
lezione  di  un  buon  numero:  di  alcune  inedite  o  finora  poco  conosciute 
parlai  all'Istituto  archeologico,  nella  seduta  del  7  marzo  1890. 
E  sono  grato  che  siano  state  poste  a  mia  disposizione  per  codeste 
aggiunte  le  Schede  del  Co)jms.  Ho  preposto  alcune  aggiunte  e 
correzioni  alle  tavole  lusorie  giä  pubblicate. 

Nota  ai  nn.  1-12.  I  versi  dei  diiodecim  sapientes  si  trovano 
conservati  in  non  pochi  manoscritti.  La  grafia  e  la  serie  (iei  nomi 
e  spesso  differente ;  perö  i  manoscritti  piü  recenti  hanno  ben  poco 
valore.  II  Codex  Palatimis  (487,  sec.  IX-X)  presenta  le  varianti 
Äsclepiades  (perö  nell'iscrizione  f.  37  il  genitivo  Äsclepiadii),  Eu,- 
stediuSj  Pompeianus.  In  luogo  di  Maximimis  si  trova  in  altri 
manoscritti  Maximianiis  e  Maximus,  e  invece  di  Vomanius  anche 
Nomanius. 

AI  n.  13.  Ciö  che  rimane  di  questa  tavola,  ch'era  un  tempo 
presse  il  march.  Capponi,  si  trova  ora  nella  galleria  lapidaria  del 
Yaticano.  Resta  soltanto 


SEMPEV' 
.TABVLA) 


II  Marini  vide  ancora  integra  la  prima  linea. 

(1)  Bonner  Studien:  Aufsätze  aus  der  Altertumsicissenschaft  Reinhard 
KekuU  geiüidmet  von  seinen  Schülern  (Berlino,  1890,  pag.  323  e  sgg.). 


DELLE  TAVOLE  LUSORIE  ROMANE  209 

AI  n.  18.  Della  prima  linea  Johannes  Schmidt  non  vide  piü 
lettera.  Dal  calco  si  riconosce  come  fine  del  secondo  verso  L^  come 
fine  del  terzo  PI)),  che  puö  essere  stato  PA,  data  la  imperfezione 
delle  lettere. 

AI  n.  19.  L'  Henzen  trascrisse  la  tavola  nel  palazzo  Kinuc- 
cini,  a  Firenze,  nel  modo  seguente: 

IVdQVS  V^_y  STVPl'^ 
MERALA     ®      CANTA^ 
AVCEPS  f     ^  ACPTAT 

La  copia  del  Giorgi  (Sched.  Casanat.  XYI),  che  vide  questa  tavola 
nel  1746,  in  Roma,  «  appresso  il  sig.  Cantoni  ",  ha  nel  primo 
verso  SIVPIE.  Era  conosciiita  anche  al  Bruzza,  che  spiega  stiipie 
con  stupide  (V.  Bull.  dell'Inst.,  1871,  pag.  69).  Dallo  stesso  mo- 
dello  ripete  il  frammento  sotto  registrato  al  n.  54,  di  cui  sarebbe 
stato  impossibile  il  supplemento  senza  l'aiuto  di  questa  iscrizione. 
AI  n.  21.  Anche  questa  tavola  si  trova  nel  palazzo  Rinuc- 
cini  a  Firenze.  II  verso  3,  secondo  la  copia  dello  Henzen,  da  me 
riveduta,  si  legge: 

NABIGE    SEELIX 

L'E  stain  luogo  di  F,  per  errore  del  lapicida,  come  avviene  spesso. 
Giorgi  (Sched.  Casanat.  XVI)  aveva  letto: 

NABICE    SFELIX 

Quindi  vengono  ommesse  le  forme  nabiee  e  feelix  (cfi*.  Bonner 
Studien,  pag.  227). 

AI  n.  22.  La  tavola  si  trova  nel  Vaticano  (Galleria  lapida- 
ria).  La  copia  del  Lupi  fu  ripetuta  dal  Bruzza  presse  F.  X.  Kraus, 
Realencyklopädie  der  christlichen  Älter thilmer^  II,  pag.  773. 

AI  n.  25.  Ora  sta  nella  Galleria  lapidaria.  Ciö  che  ancora  ne 
rimane,  si  legge,  secondo  la  mia  copia: 


A     [^  LVDI 
S      (^  VI  CT/ 


210  MAX    IHM 

La  copia  del  Bruzza.  nelle  schede  del  Corpus  offre  la  lezione 

al  verso  2^: 

L  V  D  E  R.  L"  N  E  S  C  i  S 

AI  11.  28.  Ora  e  nel  Museo  delle  Terme  diocleziane.  iu  Roma 


AI  11.  29.  LEVADE  nel  1°  verso  c'e  anchenella  copia  del  de 
Rossi  (Scheda  del  Corßm). 

AI  n.  31.  La  tavola  e  integi-a:  i  segni  delle  due  prime  linee 
constano  di  circoletti.  II  de  Rossi  ne  eurö  una  copia  pel  Corpus. 

AI  n.  34.  Secondo  la  ripetuta  indicazione  dei  manoscritti, 
l'iscrizione  si  trovava  ante  valvas  ecclesiae  S.  Änastasiae.  Cfr. 
p.  e.,  Cittadini  {Codex  Yaticams  5253.  f.  183').  Detlefsen  tra- 
scrisse  ciö  che  ne  resta  come  segne: 


VINCJ 

1/, 

GAV 

^iiin 

I  f  I 

i 

////o 
c\a 

I  due  priiiii  versi  ritornano  iu  ordiue  inverso  al  u.  69.  La  tavola 
lusoria  ricordata  nella  nota.  che  fu  pubblicata  dal  Bruzza  negli 
Annali  delllnst.,  1877,  tav.  FG,  n.  29.  si  trova  sul  Foro,  scolpita 
nel  selciato  della  Basilica  Giulia.  cfr.  lo  Jordan,  Ephemer is  epi- 
graphica  III,  pag.  279;  cfr.  inoltre  il  u.  69. 

AI  n.  38.  Si  confronti  il  frammento  n.  72,  pubblicato  piü 
sotto.  Per  il  primo  verso  io  proporrei,  malgrado  la  disposizione 
alquanto  studiata  delle  parole,  VICTOR  o  TABVLA. 

AI  n.  39.  La  tavola  dal  Museo  Kireheriano  passö  a  quello 
delle  Terme  diocleziane,  dove  io  la  copiai.  La  seconda  parola  del 
primo  verso  e  quasi  interamente  consunta  e  svanita.  Lo  Henzen 
lesse  PLENVS.  il  Mau  AVREVS ;  entrambi  videro  la  tavola  ancora 


DELLE  TAVOLE  LUSORIE  ROMANE  211 

nel  Museo  Kircheriano.  11  Dressel  intine  opiua  che  pote  esservi 
stato  scolpito  Mari/iVS.  Circus  plemis  e  la  formola  piü  in  uso. 
Nel  terzo  verso  tanto  Dressel  quanto  io  potemmo  ancora  ricono- 
scere  prima  di  CIVIVM  l'asta  destra  di  un'A,  divieiie  quindi 
sempre  piii  verosimile  il  supplemento  GAVDIA  dello  Henzen. 

AI  n.  40.  Nel  verso  3°,  secondo  la  copia  del  Gatti,  ciirata 
pel  Corpus,  la  prima  parola  si  legge  6'VGENI.  Per  la  parola 
mannus  cfr.  SINNATVM  di  uiia  iscrizione  sepolcrale  cristiana, 
presse  de  Kossi,  Koma  sotterr.  11,  pag.  282 ;  Schiichardt,  ViUgär- 
lateui,  I,  pag.  115. 

AI  n.  44.  II  Mnratori  493,  4,  che  attinge  dal  Boldetti,  legge 
al  verso  3'\  MVMVRTV  che  e  certamente  erroneo.  Aiiche  il  Bruzza 
prende  fdoro  per  filontm  (Bull.  dell'Instit.,  1871,  pag.  69). 

AI  n,  48,  DeH'iscrizione  si  e  discusso  piü  volto.  Cfr.  p.  es., 
Poinssot,  Comptes  reiulus  de  VAcad.  des  iiiscript.  4^  serie,  vol.  XII, 
1885,  pag.  92.  Si  provarono  a  illiistrarla  anche  alcuni  etimologisti. 
Cosi  il  Breal  tentö  di  spiegare  l'aggiimta  sluuso  con  «  dans  le 
coin  ^  (da  sinus  e  -rsim!)\  Revue  archeol.  1888,  II,  pag.  243 
(Armellini,  Cronachetta,  1888,  pag.  185). 

AI  n.  51.  La  forma  graüca  Sthefamis  si  trova  anche  altre 
volte.  P.  es.   C.  L  L.  XI,  2583  (epigrafe  cristiana  dell'anno  455). 

Seguono  le  iscrizioni  da  aggiungere  a   quelle  giii  pubblicate. 
N.  52.  NeUa  Galleria  lapidaria  del  Vaticano: 

VINCER  v_y  EFAT  VS 
SENSVS  O  DOC  VIT 
T  A  B  V  L  A  r~^  L  V  D  E  R  E 

Per  il  concetto  «  l'ingegno  ti  ha  insegnato  a  giuocare,  il  tue  de- 
stino  a  vincere  »;  cfr.  anche  il  n.  15  {tesseUa-studium)  e  16. 

N.  53.  «  Ajmd  archiepiscopum  Petrensem  »  Marini,  Sched. 
vatic.  —  Ora  nella  Galleria  lapidaria: 


ITABUI^A  V^_^  DOCTIS" 


212  MAX    IHM 

Del  secondo  verso  il  Marini  pote  ancora  vedere: 

N.  54.  E  un  frammento  del  Museo  delle  Terme  diocleziane, 
scolpito  sopra  im  gradino  che  serviva  giä  di  sedile: 


turdus  yj 
merula  O 
auceps    '^ 


,STVPY^ 
CANTA^ 
C  A  P  ?At 


Cfr.  n.  19.  Osserva  la  forma  cappit^  uel  n.  19  [_ca]ptat. 

N.  55.  Nella  chiesa  di  s.  Cecilia  in  Trastevere.  Aldus,  Codex 
vatican.  5241,  p.  224;  Cittadini,  Cod.  vatic.  5253,  pag.  183': 
Giorgi,   Sched.  casanat.  XVI: 

VICTVS  u  SVrgas 
LVDERE  O  NEscis 
DALVSO  ^^r-\_  Kllocu 

Copia  e  supplementi  sono  del  de  Kossi,  cfr.  n.  31. 

N.  56.  Trovato  presse    la    via  Appia   «  presso  Tor  Carbone  " 
L.  Visconti,  Giornale  arcadico,  1856,  CXLIV,  pag.  53,  n.  81. 

I D  I  O  T  A     O     L  E  V  A  T  E 
DALVSO     O     RILOCV 


Questa  la  copia  del  Visconti,  a  cni  attinge  il  Garrucci,  Disserta- 
zioni  archeologiche  di  vario  argomento  (Roma  1864)  I,  pag.  23. 
J]gli  completa  l'ultimo  verso  con  REDeas  domum^,  ma  non  e 
verosimile.  Piuttosto  con  Dressel  potrebbe  snpplirsi  iin  SEMPER : 
la  sola  difficoltä  sta  nel  trovare  una  sesta  parola  che  si  adatti  al 
senso.  Deve  ben  esservi  stato  il  solito  IVDEKe  nescis.  Pars  che  la 
tavola  sia  andata  ora  perduta.  II  Visconti  la  lesse  presso  Gio.  Batt. 
Guidi,  dove  appunto  la  copiö  nell'anno  1864  il  Forcella;  passö 
poi  nel  Museo  Kircheriano  dove  il  Mau  e  lo  Henzen  la  trascris- 
sero.  I  tre  ultimi  perö  non  distinsero  piü  nulla  del  terzo  verso. 


DKI.LE    TAVOI.E    LUSORIE   ROMANE  213 

N.  57.  Trovata  presso  la  via  Clodia  «  lu  uu  frainmento  di 
lastra  marmorea  vidi  queste  poche  parole  tronche  » : 

da  licsO '"■ — "^  RlLOcu 
lud  er  E  (^  NESCKs 
vicius_^,~^     RECERe 

E.  GaiTiicci,  Dissertazioni  archeologiche,  I,  pag.  23. 

Se  la  copia  e  esatta,  recere  deve  spiegarsi  come  forma  dia- 
lettale.  II  Garnicci  cita  a  conferma  la  forma  epigrafica  RORMITIO. 
Nei  manoscritti  si  trova  spesso  R  per  D,  cfr.  Schuchardt,  Vulgär- 
latein, I,  pag.  141  e  III,  pag.  37-73.  Per  la  parte  epigratica  si 
piiö  citare  FERELEZ  presso  Mommsen,  Inscr.  regni  Neapol.  n.  6700, 
e  IRVS  presso  de  Kossi,  Inscr.  Christ.  I,  n.  48,  per  tacere  d'altii 
esempi  incerti. 

N.  58.   «  Nella  chiesa  di  s.  Giacomo  a  piazza  Navona  ": 

i  di  0  t  a  r  e  c  e  de 

LVDERE    ©    NESCIS 
DALVSO    n    RILOCV 

Copia  del  Bruzza. 

N.  59.  Albano  Laziale.  Lanciani,  Notizie    degli  scavi,  1889, 
pag.  227: 

ludEKE    O    ^■^scis 
i  d  i  Ol  Kp^r  e  cede 

N.  60.  Frammento  appartenente  alla  catacomba  di  Domitilla 
(Scheda  anonima  del  Corpus): 

4 

LWidere    nescis 
DA\luso    ri  locu 

N.''61.  «  Apud  discalceatos  Teresiatiae  familiae  patres  » 
Migliore,  Codex  vatican.  9143.  —  «  In  viridario  Musei  Vati- 
cani  »   Marini: 


214  *i-^^  i^^i 

BlCTus         leba   te 


[dalvsO,  4    ri  locu 
.NIAMA    fi'^ 


II  Marini  nou  distinse  piü  il  1"  verso;    nel  2°  il  Migliore  legge 
DALVCO  Q^,  cosi  pure  A.    S.  Mazzocchi,   Sched.  neapol 

N.  62.  «  In  Noto  presso  il  barone  di  Fargione,  mandatagli  da 
ßoma  ed  estratta  da  cimitero  ".  Marini. 

S 
VICTVS  RECEDE 

Codesta  e  una  delle  molte  iscrizioni,  che  da  Koma  fiirono  traspor- 
tate  in  Sicilia.  Cfr.   C.  I.  L.  X,  1088*,  420. 

N.  63.  II  de  Rossi  copiö  ^  in  horreis  bibliothecae  Vati- 
canae  e  coemeterio  b.  Satiirnini  sab  vinea  Gangalandia  «  il 
frammento : 


BICTVS  '^^^RECHDE 


N.  64.  Treveri,  "  Spieltafel  aus  iveissem  Marmor,  0,42  breit, 
0,39  hoch^.  F.  X.  Kraus,  Jahrbücher  des  Vereins  von  Alter- 
thims freunden  im  Rheinlande  68,  pag.  52. 


LVDERE 
ET  DARE 


Mancano  maggiori  particolari. 

N.  65.    Nel   pavimento  di   s.  Maria  in  Castello    a  Corneto. 
De  Rossi,  Bull,  di  archeol.  crist.  1875,  pag.  87 : 


LVDERe 


N.  (^Q.  Roma,  via  Flaminia.  Notizie  degli  scavi,  1888,  pag.502, 
n.  159;  Bull.  comm.  archeol.,  1888,  pag.  474: 


/  y  D  E '  re  nescis 


DELLE   TAVOLE   LUSORIE   ROMANE  215 

N.  67.  «  Li  kort.  Moiiast.  Petri  in  Vinc.  Lüteris  sequions 
aevi  atque  ad  cas  qaibiis  Christianorum  inscriptiones  conslaiit 
'proxime  accedentibus  ».  Codex  Cfiigianus,  J.  VI.  205,  f.  90. 


a 


VDACE    A   LVSORE 

^DERE  M   NESCIT 

VOCA  REQVIRG 


AI  verso  3°,  la  prima  parola  e  tbrse  [_re]voea^  da  ciü  dipende 
come  oggetto  Y aiidace{m)  lusore{m)  del  P  verso.  11  verso  2°  sa- 
rebbe parentetico. 

N.  68.  K  In  Thermis  Antoninianis.  Litter ae  inscalptae  ia- 
(jenti  tabidae  marmoreae  in  pavimento  olim  sed  adeo  detritae, 
lU  divinari  potius  quam  legi  jiolaerint.  Super  ipsas  litteras  ab 
alia  manu  ingens  phallus  inscalptus  est  ^ : 

LVDERE  —  NES  CIS 
PE  RD  IS  n  PLORAS 
VINCIS         GAVDES 

Copiata  dal  de  Kossi.  Cfr.  n.  34  e  il  supplemeuto. 

N.  69.  Koma,  al  Foro,  sopra  nn  gradino  della  basilica  Giulia : 


E  FEDER 


I  suppleraenti  sono  dati  dal  n.  34 :  vincis  gaudes  \  perdis  ploras 
E  FEDER  clamas. 

N.  70.  "  Romae  reperi  scriptum  epigramma  istud  in  qua- 
dam  petra  noviter  inventa  su  b  terra  et  ad  alia  jam  opera  de 
stinata.  Quod  quia  vidi  in  brevi  periturum  de  marmore,  iudi- 
cavi  non  pereundum  de  carta-«.  Jiicundiis,  Cod.  vatic.  3616; 
Gruter,  pag.  928,  11  (ex  Mazocbio): 

CRESCOPER- CREPAS 
GAVDEOPER- PLORAS 
INVEDE  •        MORERE 


21G 


MAX    IHM 


L'iscrizione  si  trova  piü  volte  ricordata  nei  manoscritti.  Nel  codice 
Barberiniano  XXX,  136  vi  e  a  f.  86  un  «^  Discorso  sopra  TepitafiBo 
trovato  a  Marino  nel  Latio  "  della  penna  del  Torrigio.  Egli  e  di  av- 
viso  che  si  tratti  nella  nostra  tavola  lusoria  di  un'epigrafe  sepolcrale. 
II  PER  ripetuto  piiö  indicare,  come  giä  il  de  Kossi  ha  osservato 
nelle  schade  del  Corpus,  lo  scioglimento  di  im  monogramma,  di 
cui  trattö  il  Bruzza  (Annali  dell'Inst.  1877,  pag.  58),  che  si  presenta 
sotto  diverse  forme  (Feie  simili).  Questo  disegno  serve,  p.  es., 
come  ornamento  della  tavola  lusoria  n.  34  (Cfr.  Boiiuer  Studien 
pag.  230)  ;  in  un'altra  tavola  (n.  76)  per  indicare  i  campi  per  il 
giiioco.  Quanto  alla  giusta  interpretazione,  i  dotti  non  vedono  an- 
cora  chiaro.  Di  recente  Charles  Robert  nelle  Melanges  d'archeo- 
logie  et  d'histoire  {Ecoie  frangaise  de  Rome)  1877,  pag.  42, 
44  sgg.  ha  scritto  in  proposito  [^  Je  crois  que  la  sigle  i  arap- 
port  au'x  r6comp)enses  en  argent,  ou  praemia  " ). 

N.  71.  Roma,  via  Latina.  R.  Garrucci,  Dissert.  archeol.  I, 
pag.  24  (Cfr.  Bull.  dell'Inst.,  1857,  pag.  182;  1859,  pag.  99; 
Fortunati,  Relaz.  p.  3): 


oooooo      j     oooooo 

LATINA     ©     GAVDES 
oooooo     i~i     oooooo 


N.  72.  Catacombe  di  Callisto: 


luderjE, 
vict(oK   p 
sempeR    cz) 


Copia  del  Bruzza.  Cfr,  n.  38  e  11  supplemento. 

N.  73.   Dalle   catacombe  di   Callisto,   oggi  nella  Galleria  la- 
pidaria : 


IVA 
CASTOR 


VV  V  V  VA 
S  I  R  I  C  E' 
(POLLVX     ///®^o^o/ 


DELLE  TAVOLE  LUSORIE  ROMANE  217 

Un  nesso  logico  nelle  parole  non  si   deve  ricercare.  Nel  primo  e 
terzo   verso  a  destra  vi  sono   dei   segni   spociali,  per  marcare  gli 

spazi.  Nel  primo  verso  a  sinistra  VAL II  Mm-atori  diede  in  luce 

questa  tavola,  con  l'iscrizione  mutila  (1850,  2);  piü  completa  la 
pubblicö  il  Passionei  133,  44. 

IST.  74.  Roma,  nel  Museo  lateranense.  Amati,   Codex  vatican. 
9758,  f.  2. 


SIC 


(^PALER~^—  TAN  EV(3 
QICPAQ  O  SLVDE  Q 
6Qj6VOS^ — ^TVS-IS(3 

Cosi  nella  copia  del  Dressel,  che  concorda  con  qiiella  doll'Amati. 
Nel  verso  3°  si  e  corretto  il  segno  O  m  Ci  che  doveva  stare 
avanti  lo  S.  E  difficile  ricavarne  un  concetto  logico:  si  puö  al 
verso  1°  pensare,  come  il  Dressel,  a  Palerlf\ane  {Daleriane,  Va- 
Uriaiie).  Nella  seconda  linea  si  discerne  lüde:  la  parola  prece- 
dente  forse  doveva  cssere  vi{)i)cas  (?).  II  Bruzza  pare  accenni  a 
questa  tavola,  quanto  nel  Bull,  della  commiss.  arch.  1877,  pag.  88 
parla  del  nome  di  un  Valerianus  che  occorre  in  una  tavola 
lusoria. 

N.  75.  Roma,  Campo  Verano  (?) : 


0® 


Tratte  dagli  Atti  della  commissione  archeologica   municipale 
(18  aprile  1873).  Si  legge:  Sadaeas. 
N.  76.  Roma,  nel  Tabularium: 


Copia  dello  Henzen.  Cfr.  n.  70  con  la  nota. 

Quest'ultima  tavola  ci  indica  in  certo  quäl  modo  il  passaggio 
alla  Serie  abbastanza  numerosa  di  quelle  tavole  liisorie,  i  cui  campi 


218  -^'-^^    '"^' 

per  il  giuoco  sono  rappresenlati,  non  piii  da  lettere,  ma  da  segni  a 
Capriccio.  Codeste  iscrizioni  hanno  del  resto  ben  poco  di  notevole; 
qiialche  cenuo   in   proposito    e    btato    dato    nei    Bonner    Studien 

pag.  225  (')• 

Merita  che  sia  sottratto  aH'obblio  im  fraramento  publ)licato  nei 
<.  Saggi  di  dissertazioni  accademiehe  piibblicamente  lette  nella  no- 
bile accaderaia  etrusca  dell'antichissima  cittä  di  Cortona  »  (II, 
1738,  pag    117): 

A  A  A  A  A  A    (7^    A  A  A  A  A  A 

Oodesto  framniento  serviva  da  coperchio  ad  un  sepolcro  nelle  cata- 
combe  di  Callisto.  Non  lo  cito  perche  esso  abbia  in  se  una  spe- 
ciale importanza,  ma  per  la  singolare  interpretazione  che  da  l'edi- 
tore  di  codesta  iscrizione  *•  enigmatica  ^ .  I  dodici  A  sono  per  lui 
i  dodici  Apostoli ;  il  disegno  nei  mezzo  rappresenta  una  porta  mal 
riuscita,  oppure  le  due  lettere  simboliche,  in  veritb  mal  riuscite 
anch'esse  A  ed  n. 

Conchiudo  con  qualche  parola  ijitorno  ai  frammenti  di  tavole 
lusorie  di  carattere  e  di  fede  dubbia.  Fra  le  Schede  del  Bruzza  si 
trovö  l'iscrizione: 


cioe:  Sabhatie  bincas.  Deve  essere  stata  scoperta  presso  la  villa 
Aldobrandini.  II  Bruzza  vi  riconobbe  il  frammento  di  una  tavola 
lusoria  appartenente  al  nostro  genere  di  iscrizioni  {-).  Se  non  che 
tali  auguri  di  vittoria  possono  anche  non  appartenere  alle  tavole 
lusorie.  (Cfr.  Victor  vincas,  n.  21 ;  Eugeni  vincas,  n.  40  ;  Vale- 
rianevincas{?)  n.  74),  poiche  si  trovano  anche  su  altri  oggetti. 
II  De  Waal  nella  sua  ^  Roemische  Quarlalschrift  für  christ- 
liche Alterthumskunde  ^ ,  I,  1887,  pag.  209  parla  ^di  uu  cliiodo 
di  bronzo    «   der  ivohl  als   Talisman  für  einen    Soldaten   oder 

(1)  Nella  nota  13  la  citazione  presa  dal  de  Rossi,  Roma  sotterr.,  va 
torretta  in  tav.  XXIV,  16.  Gli  spazi  pel  giuoco  sono  fissati  da  cerchietti,  fra 
lu  linee  vi  e  inserita  una  iscrizione  sepolcrale  cristiana.  In  un  frammento  delle 
Tenne  diocleziane  i  canipi  sono  indicati  con  piccoli  quadrati. 

(2)  Bull,  della  comm.  arclieol.  com.  1878,  pag.  88. 


DELLE   TAVOLE   LUSORIE   ROMANE  219 

Wettfahrer  des  Ctrcus  diente^.  E   lungo   cm.  10,   porta   da  un 
lato  l'iscrizione: 

BASILECE  VINCAS 

Gli  altri  lati  mostrano  coiue  ornaraento  dei  segni  particolari,  stel- 
lette,  crocette,  im  ramo  di  palma,  un  cavallo  e  simili. 

Parimenti  incerta  e   la   peitineuza   al   nostro   genere   lusorio 
del  frammento : 

öEIA  PVER 

■H  O 

LEBA  TEV 

L'apografo  si  trova  nei  manoscritti  Parigini  del  Seguier ;  quantun- 
que  non  vi  sia  indicato  il  luogo  di  ritrovamento,  l'origine  romana  e 
molto  probabile.  La  fräse  leba  te  non  offre  indicazioni  sufficienti. 
üna  falsificazione  od  uno  scherzo  pare  infine  l'iscrizione  di 
Forum  Semproni,  presso  Passionei,  Iscrizioni  antiche  p.  17G,  1  (i), 
che,  secondo  la  copia  del  Bormann,  si  legge: 

VICTVSL  -  EBATEL 
VDEREN  -  OSCISD 
ALVSOR  -  ILOCVI 

11  modello  e  ormai  abbastanza  conosciuto.  Nel  primo  verso  avreb- 
bero  doviito  radiäre  un  segno,  perche  la  tavola  servisse  al  giuoco. 
üna  certa  quäl  reminiscenza  del  giuoco  c'e  anche  in  due  versi, 
che  stanno  scolpiti  su  iu  frammento  di  marmo;  sono  di  Roma  e 
contengono  l'incitamento  alquanto  millantatorio :  i-  Ecce  circus, 
Eusebi!  obserba  te  ne  2:)erdas  "  (-). 

Non  voglio  passar  sotto  silenzio  un  mosaico,  su  cui  volse  la 
mia  attenzione  il  prof.  Johannes  Schmidt.  Fu  trovato  a  Tebessa, 
trascritto  e  trattafo  piü  volte  in  diverso  modo  (^).  Pare  che  abbia 
servito  a  qualche  giuoco ;  si  discernono  tuttora  quattro  campi  qua- 
drati,  nei  quali  sono  rappresentate  varie  figure  d'animali;   inoltre 

(1)  Donde  Donati,  Suppl.  ad  Mur.  Thes.  inscript.,  pag.  430,  14. 

(2)  Notizie  degli  scavi,  1889,  pag.  241.  lo  vidi  il  frammento  nclle  Terme 
diocieziane. 

(3)  P.  es.  dal  de  Villefosse,  Becueil  de  Constantine  XXIV,  1886-1887, 
pag.  240  sgg.  pl.  III,  e  Revue  de  VAfrique  fran{:aise  VI,  1887,  388  ff.  pl.  III. 


220  MAX   IHM,   DELLE   TAVOLE   LUSORIE   ROMANE 

una  siiperficie  plana  piü  estesa,  cou  figure  e  scrittiire  d'ogni  sorta 
(p.  es.:  una  nave  con  la  scritta  FORTVNA  REDVX).  Lo  stato 
imperfetto  di  conservazioue  non  permette  conclusione  veruna  circa 
il  genere  del  giuoco.  Poiche  i  Komani,  tanto  abili  nei  giiiocM  su 
tavola  e  in  quello  di  dadi,  ne  dovevano  conoscere  altre  serie  e 
aYeyano  cura  di  alternarli.  E  che  i  cristiani  romani  siano  rimasti 
fedeli  al  costume  dei  loro  antenati  pagani,  non  ci  mancano  indizi  ('). 
II  Sodalicium  degli  artifices  artes  tessellariae  lusoriae  curava 
che  le  tavole  da  giuoco  e  i  dadi  non  mancassaro  (-).  II  popolo  si 
contentava  di  disegnare  e  incidere  a  graffito  le  figure  necessarie 
sul  selciato,  sui  gradini,  sulle  lastre  di  pietra,  di  cui  non  v'era 
mai  peniu-ia  uell'antica  Koma.  II  Foro  ne  e  un  esempio  eloquente. 
La  maggior  parte  delle  figure  quivi  scolpite  si  riferisce  al  giuoco 
della  tavoletta  (tavola  e  mulino),  ora  nel  modo  piü  semplice,  per 
cui  ogni  giuocatore  aveva  a  sua  disposizione  tre  gettoni;  ora  nel 
modo  piü  completo,  a  modo  nostro.  Altre  figm'e  invece  ci  sono  in- 
teramente  enigmatiche  (•^),  e  ci  resta  ben  poca  speranza  di  ad- 
dentrarci  ancor  molto  nella  conoscenza  della  ars  lusoria  romana 
e  nelle  sue  diverse  forme. 

Koma.  Max  Ihm. 

(1)  Harnack,  Der pseudocyprianische  Tractat  tde  aleatoribusn  p.  37  e  sg. 

(2)  C.  I.  L.  VI,  9927  (dalle  catacombe  di  Cyriaca). 

(3)  Qualche  cenno  in  proposito  fu  dato  da  me  nei  Bonner  Studien, 
p.  225,  not.  13.  La  tavola  pubblicata  nelle  Notizie  degli  scavi,  1885,  p.  341 
(Bull,  della  comm.  arcbeol.,  1886,  p.  93): 

REGOR  REGES 

REGES  P      E      R 

VGOREGOR 
E    G    E    S  TER 

avrä  pure  relazioue  a  qualche  giuoco.  Se  ne  trovano  molti  esemplari  simili 
(p.  es.  Notizie  degli  scavi  1889,  p.  160):  uno  e  murato  nel  cortile  del  Museo 
Torlonia.  Nemmeno  dalle  rappresentanze  figurate  c'^  da  ricavare  qualche 
profitto.  A  quelle  ricordate  nei  Bonner  Studien,  p.  229,  nota  25  si  devono 
aggiungere  alcune  altre:  Un  gruppo  in  terracotta  Arcaeol.  Zeitg.  1863, 
tav.  173,  1.  Baumeister,  Denkmäler  des  Mass.  Altherthums,  I,  p.  354.  Una 
scena  lusoria  su  una  gemma:  Bull,  archeol.  napol.  N.  S.,  I,  8,  5;  su  alcune 
lapidi  a  Torino:  Heydemann,  Mittheil.  aus.  den  Antik,  in  Ober-und  Mitteli- 
talien, p.  36  fCfr.  p.  19)  e  Dütschke,  Antike  Bildwerke  in  Oberitalien.  IV. 
n.  23.  31.  43.  (C.  /.  L.  V,  7510). 


DI  UN  NÜOVO  GKÜPPO  DI  TOMBE 

RINVENUTO 

NELLA   NECROPOLI  ITALICA  DI  ALLUMIERE 


Tra  le  piü    note  necropoli    italiche    attinenti  alla  prima  eta 
del  ferro,  che  da  vario  terapo  richiamano  l'attenzione  degli  archeo- 
logi,  devesi  omiai  annoverare  ancor  quella  di  Alliimiere.  Di  questa 
necropoli  parlai  giä  piü  volte  nella  Corrispondenza  Arch.  di  cotesto 
Imperiale  Istitiito  ('),  accenuando  al  ritrovamento  di  tombe  diver- 
samente  composte;  ora  nella  rozza  iirna  di  tiifo;  ora  tra   lastroni 
di    roccia    calcarea  a  guisa  di    cassettone;  ora    escavate  a  pozzo; 
spesso  tra  loro  prorpiscue  e  saltuariamente  disposte  a  seconda  tanti 
gruppi  piü  0  meno  rayvicinati.  Fu  pertanto  che  in  iina  raia    mo- 
uografia  da  pareechi  anni  edita  (-),  allusi  alla  giacitura  di  piccoli 
griippi  di  tombe,  o  sepolcreti  isolati,  che  limgo  ima   stessa  zona, 
pareano  apparteuere  ad  altrettanti  periodi  di  tiimulazione.  Senon- 
che  oggi,  dopo   iilteriori  e  miüteplici  scoperte,  da   che  rinvenni  i 
primi  indizi  di  quelle  sepolture,  con    piena  siciirezza  posso  retti- 
ficando  asserire,  trattarsi  invece  di  una  sola  e  vasta  necropoli,  che 
per  gran  tempo  attiva,  rimase  in  alcuni  punti  frastagliata  e  inter- 
rotta  nella  sua  contigiiitä  di  estensione  dagli  affioramenti  di  com- 
patte  roccie  trachitiche,  le  quali  non  ovunque   permisero  lo  scavo 
del  terreno. 

Data  ora  siffatta  accidentalitä  di  suolo,  e  considerata  in  quei 
dintorni  la  costante  permanenza  di  numerosa  popolazione,  non  pn5 


0)  Bullettino,  Noverabre  1883,  pag.  209;  Maggio  1884,  pag.  110;  Otto- 
bre 1884,  pag.  189. 

(2)  Klitsche  de  la  Orange,  Intorno  ad  alcuiii  sepolcreti  arcaici  rinvenuti 
nei  monti  dellc  Alluiniere.  Eoraa  1879.  Tip.  Artero. 

15 


222  B.    A.    DI    KLITSCHE    DE    I.A   ORANGE 

öorprendere  la  protratta  esteiisione  di  codesta  zona  ciraiteriale,  che 
a  partire  dal  Poggio  della  Pozza,  a  Nord-ovest  dell'abitato 
di  Allumiere,  in  diiezione  quasi  rettilinea  da  Sud  a  Nord,  sebbene  sii 
limitata  larghezza,  si  disteiide  sino  alla  valle  del  Campaccio, 
per  un  percorso  di  circa  1600  metri  (').  Non  esito  pertanto  a  con- 
siderare  come  appartenente  alla  stessa  necropoli,  un  nuovo  gruppo 
di  tombe,  che  di  poco  divergendo  a  Nord-ovest  sopra  la  valle  anzi- 
detta,  fu  non  ha  guari  rinvenuto  nei  dintorni  del  sito  in  vocabolo 
Forchetta  di  Palano  (2),  in  occasione  di  lavori  di  condottura 
presso  l'antico  acquedotto  Trajano  (^). 

Generalmente  conforinate  a  cassettone,  e  poste  in  uno  strato 
argilloso  alquanto  iuclinato  sotto  l'orizzontale,  tali  tombe  peraltro 
erano  rimaste  schiacciate  dalla  pressione  del  terreno.  Ciö  non 
ostante,  dai  numerosi  frammenti  fittili  che  ne  uscirono,  facilmente 
riconoscevasi  il  solito  tipo  di  vasi  ossuari  nerastri,  terminati  a 
tronco  di  cono,  spesso  graffiti  a  disegno  geometrico,  e  per  quanto 
sembra  tutti  esclusivamente  coperti  da  ciotola  rovesciata.  Ed  in- 
vero  tra  i  molti  rottami,  non  un  sol  frammento  apparve  in 
qiiesta  localitä,  che  paresse  indicare  a  foggia  di  coperchio  conico. 

Simile  circostanza  molto  probabilmente  accenna  ad  un'epoca 
piii  inoltrata,  che  non  le  tombe  della  Pozza  alla  origine  Sud  della 
necropoli,  ove  rinvenni  promiscuamente  giacenti  vasi  ossuari  chiusi 
da  ciotola  ed  altri  con  coperchio  conico  sporgente  sugli  orli  del 
vaso:  non  dubbia  reminiscenza  cotesta,  del  tetto  sovrapposto  alla 
urna-capanna.  Per  sicuro  poi,  qui  presso  la  Forchetta  di  Palano 


(1)  Furono  giä  da  me  particolarmente  descritte  le  diverse  sepolture  rin- 
venute  lungo  cotesta  zona.  Notevolissime  tra  queste,  sono  le  tombe  nel  doliuni 
scoperte  presso  la  miniera  Provvidenza  {Mütheilungen  1 886.  pag.  158.  —  Notizie 
degli  scavi  1886  pag.  156).  Le  quali  tombe  per  sicuro  appartenevano  a  piü 
avanzato  periodo  ed  a  seppellimento,  per  effetto  del  quäle  erano  state  mano- 
messe  parecchie  tumulazioni  ncll'  urna  tufacea,  giacenti  in  uno  strato  sottoposto. 

Sono  alti-esi  notevoli  presso  la  via  Farnesiana,  sopra  l'eremo  della  Tri- 
uitä,  alcuni  pozzi  funebri  di  tipo  identico  a  quelli  di  Marzabotto,  escavati 
nella  roccia  a  guisa  di  un  doppio  tronco  di  cono  raccordato  sulle  grandi 
basi    (Notizie  degli  scavi  1883,  pag.  46). 

(2)  Forchetta;  ossia  inforcatura  o  piccola  gola  di  monti. 

(3)  E  questo  il  grandiose  acquedotto  romano,che  giä  provvide  di  acqua 
la  primitiva  Centumcellae  e  che  attiugendo  dai  monti  delle  Allumiere,  alimenta 
tuttora  Todierna  Civitavecchia. 


TOMBE    DI    ALLUMIERE 


223 


—  a  giudicar  sempre  dai  frammenti  di  quelle  stoviglie  —  tutto 
addiraostra  iin'  arte  ceramlca  piü  che  altrove  progredita,  sia  nella 
manipolazione  delle  argille;  sia  nel  lavoro  del  tornio  a  mano ;  sia 
nella  impressione  dei  graffiti;  come  nella  cottura  e  nell'abbruna- 
raento  dei  vasi.  Dovettero  iuoltre  abbondare  in  alcune  tombe  i 
piccoli  vaselli  accessori,  le  ciii  foggie  varianti  ormai  dalla  consueta 
e  ripetuta  forma  del  guttiis,  della  cotyle  e  dell'aryballos, 
preliidiano  a  nuovi  tipi.  Nuovissime  sono  infatti  le  forme  che  qui 
appresso  riproduco  di  diie  tiguline,  le  quali  sole  men  danneggiate 
uscite  da  coteste  tombe.  conservansi  ora  nella  mia  collezione  ar- 
cheologica  di  AUumiere. 


Tali  foggie,  certamente,  non  sono  piü  quelle  di  vasi  e  vaselli 
che  assai  verosimilmente  servirono  anche  ad  uso  domestico.  La 
figulina  n.  1,  del  tutto  plana  in  superficie,  salvo  un  leggero  orlo 
rilevato  all'  ingiro,  sorretta,  come  vedesi,  da  quattro  piedi,  potrebbe 
forse  porgere  il  tipo  del  letto  o  della  mensa.  La  tazzetta  n.  2, 
parimenti  su  quattro  piedi,  e  una  stoviglia  di  mero  uso  ornamen- 
tale, che  per  la  prima  volta  comparsa  tra  queste  tombe  combuste, 
qui  nel  territorio  di  AUumiere  trova  soltanto  riscontro  in  una 
tazza  elegantissima  trovata  nelle  tombe  inumate  di  Poggio-Ümbri- 
colo  (1).  Altro  dato  cotesto  che  avvalora  il  supposto  di  piü  avan- 
zato  periodo  di  tumulazione. 

Non  doveano  del  resto  le  sepolture  presse  la  Forchetta  di 
Palano  difettare  di  quegli  oggetti  metallici,  che  mai  sempre  si 
rinvengono  nelle  piü  cospicue  tombe.  Ma  tali  oggetti,  come  dalle 
traccie  di  ossido  di  rame,  tuttora  apparenti  su  diversi  frammenti 
fittili,  in  suolo  estremamente  umido,  erano  rimasti  disfotti  per 
completa  ossidazione.  Fii    purtuttavia  ritrovata  intatta  una  fibula 


(1)  Intorno  ad  alcuni  sepolcreti  arcaici  rinvemiti  nei  monti  dclle    AUu- 
miere (pag.  7  fig.  8). 


224  B.    A.   DI    KLITSCHE    DE    I.A    GHANGE 

di  bronzo  con  appendice  a  spirale  che    pure    conservo  nella 
mia  coUezione,  e  della  quäle  qui  sotto  inserisco  Telegante  tipo. 

Usci  pure  dallo  stesso  gruppo  di  tombe  un  dischetto  ferreo 
quanto  mai  ossidato,  sieche  riconoscibile  appena.  Potrebbesi  per- 
tanto  dalla  comparsa  del  fen-o  dedurre  altra  prova  all'asserto  di 
men  remota  epoca.  Ma  lasciando  da  parte  qualsiasi  altro  confronto, 


e  Tolendosi  ora  circa  la  sola  arte  cerauiica  stabilire  una  compara- 
zione  tra  i  sepolcri  della  Pozza  e  questi  ultimi  rinveuuti,  non 
dubbiamente  nel  sito  della  Pozza  appariscono  tutti  i  caratteri  di 
maggiore  arcaismo.  Non  sembra  quindi  improbabile,  che  a  par- 
tire  dalla  origine  Sud  della  necropoli,  le  succes^ive  tumulazioni 
man  mauo  e  saltuariamente  si  estendessero  verso  Nord,  sino  alla 
valle  del  Campaccio  e  suoi  dintorni.  DoA'-ette  peraltro  decorrere 
intanto  lunghissimo  giro  di  anni,  onde  scomparsi  in  superficie  di 
suolo  gli  indizi  delle  primitive  sepolture,  in  alcuni  punti  furono 
queste  manomesse  per  effetto  di  ulteriore  seppellimento  (')• 

Riconosciuto  adunque  trattarsi  di  vasta  necropoli,  .sempre  at- 
tiva  per  non  breve  lasso  di  tempo,  interessa  l'indagare  ove  stan- 
ziassero  quelle  antichissime  genti  che  quivi  seppellirono  i  loro 
defunti.  A  prescindere  dalle  tombe  inumate  di  Poggio-Ümbricolo, 
che  per  sicuro,  almeno  in  quanto  al  sepolcreto  da  me  rinvenuto  (-) 
appartengono  ad  una  etä  meno  arcaica,  diversi  gruppi  di  tombe 
del  tipo  di  Yillanova,  furono  anche  altrove  nei  monti  delle  AUu- 
miere  constatati.  Cosi  presso  la  valle  della  Bandita;  presse  11 
Monte  Elceto  e  presso  il  predio  di  Cibona,  i  rottami  di  urne  tu- 
facee.  ed  i  frammenti  dei  soliti  vasi  nerastri  a  giaffito  geometrico, 
rivelarono   l'esistenza  di   altrettanti  sepolcreti   italici  anticamente 

(1)  Veggasi  la  nota  p.  222  n.  1. 

(2)  Notizie  degli  scavi  1881,  pag.  245;  Bull.  d.  Ist.  1883,  pag.  211. 


TOMHi:    III    AI.I.r.MIERE  225 

devastati.  Occorre  quindi  rituiiore,  che  popolatissime  fossero  state 
le  odierne  altiiie  di  AUumiere  porduraiite  la  prima  eth  del  ferro, 
e  che  probabilniente  non  meno  popolate  fossero  anche  le  contigue 
promineuze  Tolfetane,  tra  le  quali  altresi, nel  sito  detto  Coste  di  Ma- 
rano,  apparvero  tombe  e  reliqiiie  di  contemporanee  tumiilazioni  ('). 

Sembra  peraltro,  che  questi  sepolcreti,  piccoli  ed  isolati,  di- 
pendessero  da  piccolissimi  ed  appartati  abituri;  mentre  la  zona 
cimiteriale  che  si  estende  tra  i  colli  della  Pozza  e  la  valle  del 
Campaccio,  dovtva  dipendere  da  piü  popoloso  e  cospicuo  centro  di 
abitazioiii.  E  queste  abitazioni  secondo  ormai  iiiiiltiplici  indizi, 
erano  situate  iu  vetta  e  siii  fianchi  della  vicina  prominenza  di 
Monte-Kovello:  localitA  che  giä  parlando  di  im  ripostiglio  di 
bronzi  arcaici  trovato  iu  qiiei  dintorni  fu  da  me  altrevolte  iudicata 
quäle  vetustissimo  ceutro  abitato  ('-), 

Nou  piio  d'altroude  cadere  dubbio  alcuuo,  che  su  cotesta 
altura.  la  quäle  pochissirao  deviando  verso  Sud,  sorge  quasi  inter- 
media tra  la  valle  del  Campaccio  e  le  colline  della  Pozza,  stessero 
le  primitive  abitazioni  di  coloro,  che  morti  giacquero  poi  limgo  la 
sottoposta  Azalie  e  siü  declivi  dei  limitrofi  versanti.  Prova  irrecu- 
sabile  del  fatto,  sono  le  traccie  evidentissime  di  lavoro  umano, 
per  effetto  del  quäle  questo  monte,  in  origine  conformato  anch'esso 
come  gli  altri  circostanti  rilievi  trachitici  a  guisa  di  cupola,  fu 
poscia  dalla  man  dell'uomo  tagliato  in  modo  si  dal  lato  di  levante 
da  formare  tre  larghi  scaglioni  sovrapposti.  A  questo  dato,  altra 
testimonianza  locale  vi  si  aggiunge  inoltre,  dalla  giacitura  di  iin 
erto  Strato  di  congerie,  frammiste  di  carboni;  ossa  di  pecore  e 
cinghiali  e  vasellame  frammentario ;  materiali  tutti  sicuramente 
provenienti  da  rifiuti  di  pasto  e  dal  gettito  a  valle  di  detriti  e 
spurghi  di  focolari,  dalle  abitazioni  poste  verso  l'alto  del   monte. 

Tra  brave  mi    riserbo  poi  illustrare  in  questo    BuUettino    il 
tipo  di  alcune   stoviglie  di   apparente  iiso   domestico,    ricostituite 
sui  frammenti  raccolti  tra  quelle  congerie. 
AUumiere,  Giugno  1891. 

B"®.  A.  DI  Klitsche  de  la  Grange. 

(1)  Notizie  degli  scavi  1886,  pag.  157;  Jl/itth.  1886,  pag.  158. 

(2j  BuUettino  Ottobre  1885,  pag.  207;  Notizie  degli  scavi  1886,  pag.  450. 


FUNDE. 


Dieser  erste  Bericht  über  archaeologische  Funde  und  Neuig- 
keiten in  Italien  kann  sich  kaum  enthalten  auch  von  zwei  neuen 
Sammlungen  zu  sprechen,  welche  in  Rom  entstanden  sind,  eigent- 
lich zwei  Abtheilnngen  eines  einzigen  Museo  Nazionale.  Yon  diesen 
wurde  das  Museum  der  Villa  di  Papa  Giulio,  aussen  vor 
Porta  del  Popolo  bestimmt,  die  vor-  und  ausserrömischen  Funde 
aufzunehmen,  wie  das  andre  der  Terme  Diocleziane  die  rö- 
mischen Denkmäler  (i).  Mit  ersterem  soll  dieser  Bericht  beginnen, 
mit  letzterem  schliessen. 

Das  Museum  der  Villa  Giulia,  von  Anbeginn  der  Gegen- 
stand besondrer  Sorge  von  F.  Barnabei  und  des  rührigen  Eifers 
des  Conte  Ad.  Cozza,  ist  gebildet  aus  den  Funden,  welche  seit  1886 
bei  und  in  Civita-Castellana,  dem  alten  Falerii,  gemacht  sind  (-). 
Wie  aber  bald  auch  Gräberfunde  von  Palestrina  in  dieser  Samm- 
luncy  Platz  finden  sollen,  so  haben  bereits  solche  eines  viel  ver- 
sprechenden  Platzes,  Marsciano  {Rendiconti  1891  S.  597),  zwischen 
Soracte  und  Sutri  gelegen,  unter  dem  Faliskischen  Aufnahme  ge- 
funden. Die  Ausbeute  der  verschiedenen  Nekropolen,  welche,  wie  mau 

(1)  S.  Napoleone  Bertoglio-Pisani,  Un  nuovo  ed  un  vecchio  Museo. 
Milano  1891,  zum  guten  Theil  genommen  aus  der  interessanten  Darstellung 
der  seit  den  siebziger  Jahren  auf  die  Organisation  der  gesammten  Archaeo- 
logie  gerichteten  Bestrebungen  der  italienischen  Regierung,  von  Brizio  in 
der  Nuova  Antologia  1889  S.409  ff.:  //  nuovo  museo  nazionale  delle  anti- 
chitä  di  Roma. 

(2)  Vgl.  Notizie  1877  S.  170,  262,  307.  Eine  kurze  Uebersicht  der 
Sammlung  gab  Q.Denmsiva.  Journal  of  the  British  and  American  Archaeo- 
logical  Society  of  Borne  I  S.  150.  Brizio  a.  a.  0.  Ueberall  berücksichtigt 
ist  die  Sammlung  schon  in  dem  überaus  fleissigen  Buch  von  Stephane  Gsell. 
Fouilles  dans  la  Necropole  de  Vulci,  Paris  1891. 


KUNDE  227 

auf  dem  Plane  der  Notide  1887  Taf.  II  sehen  mag,  die  Stadt  im 
^V^esten,  Norden  mid  Nordosten  unijraben,  /.  Th.  aber  aiidi  ältere 
Niedorlassungen  in  der  Nähe  hatten,  ninimt,  historiscli  geordnet, 
drei  Säle  im  Oberstock  ein.  Meistens  ist  der  Inhalt  der  einzelnen 
fJräber  für  sich  gelegt;  ein  riesiger  Gesammtplan  nnd  otliche 
Specialpläne  werden  die  Lage  eines  jeden  (irabes  erkennen  lassen. 
In  solcher  Anordnung  wird  die  Sammlung  eine  vorzügliche  Stätte 
für  die  schwierige  Erforschung  der  italischen  Ciiltiir-  und  Kunst- 
geschichte sein. 

In  jedem  der  drei  Säle  sehen  wir  den  Wettbewerb  der  hei- 
mischen mit  der  fremden  Arbeit  in  andrer  Weise  sich  darstellen  : 
im  ersten  Saal  die  heimische  im  Aufschwung  begriffen,  im  zweiten 
durch  die  fremde  völlig  zurückgedrängt,  um  im  dritten  auf  einer 
überraschend  hohen  Stufe  der  Vollendung  und  durchaus  vorherr- 
schend zu  erscheinen. 

Im  I.  Saal  sind  ein  par  gehöhlte  Baumstämme  die  einzigen, 
primitiven  Zeugen  der  Leichenbestattung  ;  von  den  Aschengefässen 
aber  keines  von  ausgesprochenem  'Villanovatypus';  auch  wne^  a  ca- 
panna  fehlen,  aber  die  steinernen  Kisten  in  welchen  öfters  das 
thönerne  Ossuar  geborgen  war,  sind  von  entschiedener  Hüttenform, 
sowohl  bei  rundem  als  bei  quadratem  Grundriss,  besonders  in  der 
Dachbildung,  die  selbst  in  einem  zierlichen  Bronzekasten  von  Mar- 
sciano  in  den  Sattelhölzern  des  Daches  mit  Gabelung  über  dem  First 
unmittelbar  an  jene  Hütten  erinnert,  während  liier  der  längliclie 
Grundriss  und  die  vier  Füsse  an  den  Ecken  mit  dem  Bronzekasten 
von  Vetulonia  {Notüie  1887  Taf  XVllI)  und  den,  diesem  auch 
in  der  Ornamentik  verwandten,  Thonkästen  von  Kreta  {Mommenti 
aal.  der  Lincei  1  S.  208  Taf.  I)  übereinkommen. 

Was  an  Glasperlen,  Bernstci]i,  feiner  Gold-  und  Silberarbeit 
im  I.  Saal  zu  sehen  ist,  auch  ein  par  aegj-ptische  Figürchen,  wird 
leicht  als  fremder  Import  erkannt ;  das  Bronzegeräth  dürfte  schwerer 
zu  bestimmen  sein ;  die  Thonwaare  ist  zu  maimigfaltig,  nm  einem 
Orte  auch  in  längerer  Periode  zu  entstammen,  hat  aber  vorwiegend 
den  Charakter  nachgeahmter  AVaare.  Griechisches  :  kleine  proto- 
korinthische  Salbgefässe,  eine  sfg.  Schale  mit  Augen,  ist  rar. 

Dass  man  die  grosse  Masse  gleichartiger  Grabausrüstung  re- 
poniert hat,  wird  man  von  einer  Seite  billigen  ;  andrerseits  aber 
wäre  es  gut,  in  nicht  zu  übersehender  AVeise   das  Massen  verhält- 


228  E.    PETERSEX 

niss  des  Ausgestellteü  zu  dem  thatsächlich  Gefundenen   dem   Be- 
sucher gegenwärtig  zu  halten. 

Im  IL  Saal  werden  die  Blicke  dagegen  am  meisten  durch  die 
crdechischen  ThoDgefässe  mit  schwarzen  und  rothen  Figuren  ange- 
zogen  ;  darunter  ohne  Zweifel  auch  solche  aus  dem  griechischen 
Mutterland,  spec.  Athen,  wie  der  Astragalos  des  Syriskos,  eine 
Schale  des  Hierou,  wohl  auch  die  von  Brizio  glücklich  gedeutete 
Tereusvase.  Für  die  meisten  dürfte  andere  griechische  Heimath 
anzunehmen,  und  zur  Bestimmung  vor  allem  ein  wunderbare  noch 
archaische  Kentaurenvase  wichtig  sein,  die  durch  ergreifend  wahre 
Darstellung  von  Todesschmerz  und  schier  malerische  Verwendung 
des  verdünnten  Firnisses  einzig  dasteht,  mit  deren  Kentaurenköpfen 
aber  mancher  Satvrkopf  auf  späteren  Gefässen  desselben  Saales 
in  innerem  Zusammenhang  steht. 

Während  der  Inhalt  des  II.  Saales  der  Hauptsache  nach  dem 
5.  und  4.  Jahrhundert  angehört,  muss  derjenige  des  III.  etwa  das 
letzte  Jahrhundert  von  Falerii  d.i.  bis  240  darstellen,  und  wie 
dort  neben  reichem  Import  die  verschwindende  locale  Nacheiferung 
befremdete,  so  hier  umgekehrt  der  geringe  Umfang  des  Imports, 
an  dessen  Nachbildung  man  sich  schulte.  Gewiss  fehlen  Gefässe 
campanischer  Fabrik — und  aus  dieser  stammten  jedenfalls  die 
Vorbilder— nicht,  aber  die  besten  welche  m.  E.  localer  Fabrik  sind, 
gehen  darüber  weit  hinaus,  ohne  doch  auch  wieder  im  IL  Saale 
etwa  ihre  Vorbilder  zu  haben.'  Freilich  sind  auch  die  heimischen 
von  dieser  Güte  nicht  zahlreich :  die  fabrikartige  Arbeit  der  meisten 
bekimdet  sich  schon  in  der  Häufigkeit  von  Gefässpaaren,  je  zwei 
ganz  iibereinstimmender  Gefässe  (i).  Doch  fehlt  es  daz  i  nicht  an 
griechischem  Beispiel.  Nachbarlichen  Fundorts  ist  ja  das  Schalen- 
paar mit  der  Gigantomachie  von  Aristophanes  und  Erginos  in 
Corneto.  (A'gl.  Klein,  Vasen  mit  Meistersignaturen-  S.  185,  2f.). 

Nicht  durch  den  Reiz,  sich  so  unmittelbar  als  Glieder  einer 
historischen  Entwicklung  darzustellen,  aber  durch  künstlerische 
Ausführung  und  Kostbarkeit  fesseln  eine  Anzahl  in  einem  vierten 
Gemach  aufbewahrte  Grabfunde  von  Todi  (s.  Notizie  1886  S.  357; 
Rendiconti  1891  S.  328). 

(1)  Vgl.  die  in  diesen  Mittheilungen  1887  Taf.  X  (mit  S.  232)  abge- 
bildete Amphora  und  Brizio  a.  a.  0.  S.  440. 


FUNDE  229 

Dagegen  gehören  durchaus  der  im  III.  Saal  vertretenen  Pe- 
riode und  Kunstrichtung  die  architektonischen  und  figürlichen 
Terracotten  an,  welche  hauptsächlich  von  zwei  Tempeln  von  Fa- 
lerii  herstammen,  an  den  'Celle'  und  ' Scasato'  benannten  Oert- 
lichkeiteu  (s.  Nolüie  1887  S.  92  und  414).  In  einem  Saal  zu 
ebener  Erde  hat  man  die  zahlreichen  Fragmente  der  Verkleidunjjs- 
und  Bekrönungsstücke  in  grossem  Umfang  zusammengesetzt,  und 
im  Hofe  zur  Eechten  sich  sogar  gestattet,  den  ungefähr  der  näm- 
lichen Zeit  angehörigen  Tempel  von  Alatri,  über  welchen  in  diesen 
Mittheilungen  1889  S.  12(3  von  Winnefeld  berichtet  und  dabei  auf 
einen  zweiten  noch  zu  hoffenden  Theil  von  Cozza  verwiesen  wurde, 
in  Originalgrösse  nachzubilden,  und  namentlich  auch  das  Gebälk 
und  die  ganze  im  ursprünglichen  Farbenschmuck  prangende  Thon- 
verkleidung  herzustellen,  eine  spätere  und  üppige  Weiterbildung 
des  von  Dörpfeld  und  Freunden  für  das  6.  Jahrhundert  Nachge- 
wiesenen. 

Die  Reste  von  Thonfiguren  der  Giebel  sind  meist  in  einem 
fünften  Raum  des  Oberstocks  ausgestellt.  Ohne  Zweifel  sind  die 
flott  und  wirkungsvoll  und  doch  zugleich  mit  beträchtlicher  Fein- 
heit modellierten  und  völlig  bemalten  Figuren,  die  männlichen  und 
weiblichen  ungefähr  wie  in  pompejanischen  Wandgemälden  in  der 
Färbung  unterschieden,  dem  meisten  im  III.  Saal  Enthaltenen 
überlegen,  ohne  darum  Arbeiten  griechischer  Hand  sein  zu  müssen. 

Vetulonia.  Ob  freilich  die  besonders  durch  Falchi's  ver- 
dienstliche Nachforschungen  bekannt  gewordene  Nekropolis  bei  Co- 
lonna  diesem  gehöre,  wird  bestritten  ('),  macht  auch  im  Grunde 
für  die  Beurtheilung  der  Funde  wenig  oder  nichts  aus.  üeber  die 
früheren  Funde  berichtete  Falchi  Nolme  1882  S.  251  (daselbst 
sind  seine  Schriften  über  Vetulonia  citiert) ;  1885  S.  98  ;  1887 
S.  472.    Ueber  spätere  Grabungen   liegt   nur  erst   die    vorläufige 

(1)  Dafür  ist  wiederholt  eben  Falchi  eingetreten;  dagegen  erst  Malfatti 
und  neuerdings  Dotto  de  Dauli  in  zwei  Schriften,  1.  Un  decreto  shajjliato 
non  corrispondendo  Colonna  dl  Maremma  al  s'ito  dl  Vetulonia,  1890  (das 
35.  Capitel  eines  Buches  über  Vetulonia,  dessen  Inhaltsangabe  der  zweiten 
beigegeben  ist) ;  2.  Vetulonia  non  fu  a  Colonna  di  Maremma,  1891.  Der 
Streit  dreht  sich  hauptsächlich  um  die  Urkunde  eines  Tausches  zwischen 
zwei  benachbarten  Abteien  aus  dem  J.  1181  —  eine  andre  aus  dem  J.  1774, 
wo  unter  den  zu  Massa  marittiina  gehörigen  Orten  Vantica   Vetulonia  detta 


230  E.    PETERSEN 

Notiz  1890  S.  60  vor;  die  diesjährigen  fand  ich  am  8.  Juni  be- 
reits geschlossen  ;  die  Ausbeute  war  in  Colonna  oder  Grosseto  nicht 
mehr,  in  Florenz  dann  noch  nicht.  Ich  kann  also  nur  berichten, 
Avie  ich  das  jüngst  aufgedeckte,  allerdings  merkwürdige  Grab  ge- 
funden habe.  Es  ist  die  cucimella  della  Petriera,  auf  dem  Plan 
der  NotUie  1885  Taf.  XII  mit  A  bezeichnet,  in  die  Falchi  schon 
damals  (vgl.  S.  401)  eingedrungen  war. 


1 


Der  Tumulus  liegt  auf  dem  hier  c.  80  Schritt  breiten  und 
wohl  durch  Abgrabung  des  zur  Aufschüttung  nöthigen  Materials 
erst  so  eben  gewordenen  Rücken  der  von  Colonna  zum  Padule  aus- 


ü  Castiglione  figuriert,  scheint  mir  keine  Ueberlief  e  r  ung  zu  geben  — 
wobei  das  eine  Tauschobjekt  der  locus  in  quo  fuit  ecclesia  S.  Martini 
super  podium  de  Vetulonia  genannt  und  ringsum  genau  abgegrenzt  wird. 
Die  dabei  aufgeführten  Ortsnamen  glaubte  Falchi  um  Colonna  herum  nach- 
weisen zu  binnen.  Dotto  de  Dauli  macht  dagegen  gegründete  Einwendungen, 
aber  sein  Versuch  einige  dieser  Namen  bei  Poggio  dl  Castiglione  nachzu- 
weisen scheint  mir  mit  der  von  Ost  über  Nord  oder  Süd  herumgeführten 
Keihenfolge  unvereinbar. 


FUNDE  2ol 

laufenden  Bergwurzel.  Der  noch  c.  13  Meter  lange  Zugang  liegt 
nicht  in  der  Axe  des  Rückens,  noch  ihm  parallel,  sondern  gieng 
mehr  westlich  gegen  den  Höhenrand  aus.  Da  er,  unten  l.lO  M. 
breit,  nach  oben  sich  etwas  verengt,  mag  eine  1.90  M.  lange  1.10  M. 
breite  Platte,  welche  im  Gange  liegt,  zu  seiner  Bedeckung  gedient 
haben.  Dieser  Zugang  mit  den  beiden  vor  der  Hauptkammer  lie- 
genden Nebenkammern,  die  linke  jetzt  wenig  kenntlich,  beide  in 
der  beistehenden  Planskizze,  im  Maasstabe  von  1  :  100,  zu  kurz 
angegeben,  sind,  wie  mir  schien,  von  gleicher  Construction,  wie  die 
Hauptkammer  in  ihrem  oberen  Theil.  Dieser  etwa  6  M.  im  Quadrat 
messende  Raum,  dessen  vordere  1.  Ecke  bei  Falchi's  erster  Grabung 
zerstört  wurde,  ist  nämlich  in  seinem  oberen  Theil  aus  schwärz- 
lichem Kalkstein,  'mezzo  ferrone',  aufgebaut,  aus  Platten,  an  denen 
weder  die  Lager-  noch  die  Frontflächen  regelrecht  behauen  sind, 
üeber  der  fünften  Schicht  beginnen  die  bis  dahin  senki-echten 
Wände,  namentlich  in  den  Ecken,  einwärts  vorzukragen,  anfangs 
weniger,  bald  mehr,  so  dass  mit  der  16.  Schicht — ich  schätzte  die 
Höhe  der  einzelnen  Schichten,  wohl  zu  niedrig,  auf  10  bis  15  cm — 
bereits  einen  Kreis  bildet.  Der  oberste  Theil  fehlt  und  war  wohl 
schon  vor  1885  eingestürzt. 

Anders  der  untere  Theil.  Hier  sind  die  Wände  der  quadraten 
Kammer,  wo  man  sie  wegen  der  Ausfüllung  sehen  kann,  d.  i. 
grade  vor  und  links  bei  dem  Einbruch,  bis  oben  hinauf  senkrecht, 
aus  regelrechten  Quadern  von  granllo  Sassofortiiio  aufgebaut,  glatt, 
mit  gutem  Fiigenschluss.  Im  Mittelpunkt  steht  ein  von  0.90  M. 
zu  0.80  M.  Seitenlänge  des  Querschnitts  sich  verjüngender  Pfeiler 
aus  gleichem  Material,  die  11  Schichten,  je  aus  einem  Stein,  zu- 
sammen 2.90  M.  hoch.  Dieser  Pfeiler  kann  keinen  andern  Zweck 
gehabt  haben  als  der  eine  in  der  grotta  del  Tifone  von  Corneto, 
die  zAvei  und  mehr  von  andren  Grabkammern,  ob  auch  diese  alle 
in  Kammern,  die  nicht  aufgebaut,  sondern  in  den  Tuff  eingear- 
beitet waren,  nämlich  die  Decke  zu  tragen,  und  da  die  vor- 
beschriebene Beschaffenheit  der  Wände  kaum  bis  zur  ünterliäche 
der  obersten  Pfeilerschicht  reicht,  wäre  die  Decke,  wie  anderswo 
nach  den  Seiten  etwas  abfallend  gewesen.  Doch  habe  ich  von  der 
Decke  keine  Spur  gesehen.  Zwischen  der  guten  Quaderwand  der 
unteren  und  der  anders  construierten  Wand  der  oberen  Abtheilung 
liegt  eine  von  beiden  deutlich  verschiedene,  c.  1  M.  dicke  Schicht 


232  E.   PETERSEN 

aus  wechselnden  Lagen  von  Erde  und  scliwarzem  Kalkstein,  von 
gleicher  Art  wie  sie  die  untere  Kammer  innen  rings  an  den 
Wänden,  ausser,  wie  schon  gesagt,  grade  dem  Eingange  gegenüber 
und  links  beim  Einbruch,  bis  etwa  zur  Pfeilerhöhe  ausfüllen.  Nui- 
um  diesen  Pfeiler  herum  ist  der  Raum  frei,  und  hier  sieht  man 
die  wohl  geglätteten  aber  von  starkem  Druck  vielfach  gebrocheneu 
Fussbodenplatten  mit  zwei,  noch  zu  erwähnenden  kreisrunden 
Einzapfungen.  Diesen  freien  Eaum  muss  sich  Falchi,  oder  frühere 
Besucher  des  Grabes  geschaffen  haben  ;  die  Ausfüllung  der  unteren 
Kammer  scheint  dagegen  von  den  Erbauern  der  oberen  Abtheilung 
herzurühren.  Auffallend  bleibt,  dass  die  Wände  dieser  letzteren, 
trotz  der  Zwischenschicht,  genau  über  denen  der  unteren  Abtheilung 
stehn.  Ob  oben  auf  der  Ausfüllung  noch  etwas  vom  Fussboden  der 
oberen  Kammer  sichtbar  ist,  kann  ich  nicht  sagen,  da  ich  mir  nicht 
getraute,  hinaufzusteigen,  obgleich  daselbst  augenscheinlich  Stücke 
der  von  Falchi  a.a.O.  noch  als  ganz  beschriebenen  Bank  lagen, 
und  die  er  in  der  That,  bei  seinem  ersten  Eindringen,  in  der  oberen 
Kammer  gesehen  haben  muss,  da  sein  cimicolo  nur  in  dieser 
denkbar  ist. 

In  etruskischen  Grabkammern  wurden  ja  nicht  blos  wirkliche 
Betten  von  Holz  und  Metall  wie  im  Grabe  ßegulini  Galassi  und 
massiv  aus  dem  Tuff  geschnittene  Bänke  verwandt,  sondern  auch, 
zwischen  beiden  gewissermaassen  die  Mitte  haltend,  solche  die  aus 
Steinplatten  zusammengefügt  waren.  Zu  ähnlichen  Steinbetteii 
müssen  auch  die,  wie  schon  bemerkt  wurde,  im  Pflaster  der  un- 
teren Kammer  noch  haftenden  genau  eingefügten  Zapfen  gehört 
haben.  Sie  haben  9  cm.  im  Durchmesser,  sind  aber  dicht  über 
dem  Fussboden  abgebrochen.  Entsprechende  Zapfen  müssen  in  dem 
jetzt  noch  verdeckten  Theile  des  Plattenfussbodens  zu  finden  sein. 
Es  ist  also  absolut  nothwendig,  die  noch  vorhandene  Ausfüllung 
der  unteren  Kammer  zu  beseitigen,  aber  unter  genauer  Beobachtung 
1.  etwa  oben  darauf  vorhandener  Beste  des  Fussbodens  der  oberen 
Kammer,  2.  etwaiger  Einbindungen  in  der  Mittelschicht  zwischen 
den  Wänden  der  oberen  und  der  unteren  Kammer ;  3.  aller  in 
dieser  Ausfüllung  etwa  steckenden  Theile;  4.  des  darunter  liegenden 
Fussbodens.  Dass  unter  der  unteren  Kammer  noch  eine  dritte 
mangelhaft  ausgefüllte  sich  befände,  kann  aus  dem  Durchbruch 
der  Fussbodenplatten  kaum  geschlossen  werden. 


FUNDE  233 

Während  man  also  hier  nicht  genug  gethan  hat,  ist  man  in 
der  Ahräumung  des  den  Steinbau  des  Grabes  und  besonders  die 
oberen  sich  verengenden  Steinringe  scliützenden  Erd-  und  Stein- 
mantels ohne  Noth  und  Zweck  zu  weit  gegangen.  Unbegreiflicli 
ei'scheint  freilich  auch  die  Art,  wie  man  das  erste  Mal  in  das  Grab 
eindrang.  Was  man  jetzt  weiss,  dass  nämlich  der  übliche  Zugang 
des  Grabes  an  dessen  Südseite  gegen  die  Stadt  hin  liegt,  das 
musste  man  damals  voraussetzen.  Hätte  man  also  einen  Quer- 
graben möglichst  nah  an  dem  Kern  des  Tumulus  gezogen,  so  wäre 
der  Zugang  gefunden  und  durch  ihn,  oder  einen  bereits  vorhandenen 
Einbruch,  einzudringen  möglich  gewesen,  ohne  die  in  den  Notüie 
angegebene  Zerstörung  anzurichten. 

Die  eingangs  bemerkte  Ebenheit  des  Bodens  um  den  Tumulus 
dürfte  von  dessen  Erbauung  herrühren,  indem  man  hier  das  zur 
Aufschüttung  nöthige  Material  abhob,  damit  an  sich  schon  dem 
Tumulus  grössere  Höhe  verleihend. 

Von  dem  busto  acefalo  con  torques  habe  ich  nichts  am  Orte 
gesehen. 

In  Bologna  wurden  wieder  mehrfach  römisches  Strassen- 
pflaster,  Mosaiken  u.  s.  w.  in  oberen,  Gräber  in  unteren  Schichten 
gefunden.  War  die  italische  Nekropolis  bisher  nur  im  Osten,  Süden 
und  Westen  der  alten  Felsina  nachgewiesen,  .so  sind  neuerdings 
(iVö^(fj'/e  1890  S.  234)  auch  Theile  der  nördlichen  aufgedeckt.  Aus 
den  oberen  Schichten  sind  Bleisärge  bemerkenswerth  an  deren 
Langseiten  oben  je  vier,  wie  an  den  Schmalseiten  je  zwei  Eisen- 
nägel 15  cm.  weit  nach  aussen  vorragen,  bis  an  die  umgebenden 
kleinen  Ziegelwände  reichend.  Obgleich  in  diesen  Zwischenräumen 
nichts  von  verkohltem  Holze  gefunden  wurde,  können  doch  die  Nägel 
kaum  anders  als  zur  Befestigung  von  irgendwelcher  Verkleidung 
gedient  haben. 

Ein  par  merkwürdige  alterthümliche  Stelen  {RemUconti  1891 
S.  328)  werden  E.  Brizio,  —  der  mit  liebenswürdiger  Bereitwilligkeit 
auch  die  noch  in  den  Magazinen  verwahrten  Dinge  sehen  liess — 
Veranlassung  geben,  die  interessante  Entwickelungsgeschichte  der 
italischen  Grabstele  in  den  Monumenti  antichi  der  Lincei  zu 
beleuchten. 

Ebenda  (I  S.  250)  hat  derselbe  Gelehrte  kürzlich  zusammen- 
fassend über  die  Ausgrabungen  in  Marzabotto  berichtet,  (im  Anhang 


234  E.    PETERSEN 

die  Aiifzeiclinuugen  über  diejeuigen  von  1867  bis  1873)  und  dabei 
aufs  neue  dargethan,  dass  dort  die  Reste  einer  etruskischen  Stadt- 
anlage gefunden  sind,  mit  Mauern  und  Thoreu,  mit  einer  Gruppe 
von  Heiligthümern  auf  einer  Anhöhe  im  Norden,  mit  gepflasterten 
und  canalisierten  Strassen,  mit  Häusern  von  regelmässiger  Anlage, 
in  der  wenigstens  das  Atrium  kenntlich  zu  sein  pflegt,  endlich  mit 
Nekropolen  an  den  Ausgängen  der  Stadt,  einer  jüngeren  keltischen 
im  Norden,  während  unter  dem  Stadtboden  an  verschiedenen  Stelleu 
Hüttenanlagen  constatiert  sind,  doch  mit  Resten  einer  nicht  we- 
sentlich verschiedenen  Cultur.  Ein  aus  Tuftquadern  gebauter  Ab- 
führungscanal  (s.  Reiidiconti  1891  S.  72)  auf  der  Nordseite  mit 
starkem  Gefälle,  ist,  kaum  gefunden,  schon  zerstört. 

Auf  Taf.  IX,  19  ist  ein  rothfig.  Schalenfragment  älteren 
Fundes  publiciert :  Aphrodite  wie  öfter  kauernd,  zwischen  dem 
niedrigen  Rande  eines  Brunnens  und  einem  Luterion  auf  hohem 
Fuss,  in  welchem  Eros  steht,  aus  dem  Becken  die  Göttin  begies- 
send,  mit  demselben  Eimer,  der  an  einem  über  ein  Rad  laufenden 
Seile  ihm,  das  Wasser  aus  den  Brunnen  heraufzuziehn  und  in  das 
Luterion  auszugiessen  gedient  hatte.  (Vgl.  das  Vasen fragment  in 
Stephanis  Compte-rendu  für  1873.  T.  III,  6). 

In  An  CO  na  konnte  ich  durch  Ciavarinis  Gefälligkeit  die 
Grabfunde  von  Numana  (s.  Rendiconti  1891  S.  446)  sehen,  auf- 
fällig durch  das  Beieinander  von  scheinbar  sehr  alten  Vasen  (Typus 
Villanova)  mit  localen  Nachbildungen  rothfigur.  die  nicht  älter  sein 
können  als  das  3.  Jahrhundert ;  neben  denen  auch  importierte 
ältere  rothfigm'ige  und  flüchtig  gemalte  schwarzfigurige  vorkom- 
men, diese  auffallend  häufig,  was  Ciavarini  und  Brizio  nicht  ent- 
gangen war,  schon  im  Alterthum  genietet.  Während  diese  also 
zur  Zeit  der  Beisetzung  schon  alter  Besitz  sein  mochten,  schienen 
mir  die  Villanovavasen  durch  höhere  Henkel  und  elegantere  Aus- 
führung des  Profils,  von  den  alterthümlichen  Vertretern  jenes  Typus 
verschieden,  ein  längeres  Fortleben  desselben  zu  bezeugen. 

Etwa  20  Minuten  südlich  von  Sassoferrato  war  bei  einem 
für  eine  neue  Bahnlinie  gemachten  Terraindurchschnitt  von  dem- 
selben Ciavarini  {Notisie  1890  S.  346)  das  durch  den  Flussnamen 
Sentino  und  Inschriften  schon  ungefähr  fixierte  Sentiuum  entdeckt. 
An  dem  einen  wie  am  andern  Ende  geht  der  Einschnitt  durch 
eine  geböschte  —  oder  sind  es  Abrutschungen  ?  —  Steinmauer  aus 


FUNDE  235 

Fündlingcn,  welche  einen  Terrassenrand  krönt,  den  man  nach  beiden 
Seiten  hin  verfolgen  kann,  nicht  ohne  stellenweise  auch  dieselben 
Steine  aus  dem  Erdreich  hervorblicken  zu  sehen.  Vielleicht  reichte 
die  Befestigung  von  einem  Bachbett  zum  andern.  Auch  die  längs 
dem  Durchschnitt  blossgelegten  Fussböden,  Canüle,  Ziegel  und 
andern  Baustücke,  dazu  eine  Menge  kleiner,  an  sich  unbedeutender 
Fundstücke  und  Fragmente  von  Stein  oder  Metall  welche  in  die 
mittelalterliche  Burg  von  Sassoferrato  gebracht  sind  und  mir  dort 
von  Herrn  Cecchetelli  gezeigt  wurden,  bezeugen  eine  antike  bis  in 
die  Kaiserzeit  dauernde  Ortschaft. 

In  Spoleto  hatte  Sordini,  vor  seiner  Versetzung  nach 
Florenz,  an  der  Hand  einer  Peruzzischen  Zeichnung  {Rendiconti 
1891  S.  222)  das  antike  Theater  aufgespürt.  Unter  den  Funda- 
menten des  Palazzo  i^rovinciale  am  Westabhang  der  Stadt  gelegen, 
sind  die  bis  jetzt  kenntlichen  Theile  nur  mühsarh  bei  Lampenlicht 
zugänglich,  und  hätte  ich  sie  ohne  das  liebenswürdige  Entgegen- 
kommen des  Kegierungsingenieurs  Herrn  Stocchi  unmöglich 
besichtigen  können.  Es  ist  ein  Theil  der  überwölbten  Gänge  unter 
der  cavea,  nämlich  ein  kreistheilförmiger  (Radius  auf  c.  37  m  be- 
rechnet, wie  ich  aus  den  freundlich  mir  gezeigten  Aufnahmen  ersah) 
nebst  geringen  Spuren  von  zwei  grösseren  Kreisen  (Radius  c.  42 
und  57  m).  Jener  endet  rechts  (von  der  cavea  aus  gesehen)  in  einem 
mit  zwei  Halbsäulen  besetzten  Ausgang  dicht  hinter  einem  radial 
nach  innen,  und  dicht  vor  einem  radial  nach  aussen  abgehenden 
Vomitorium  :  man  kann  also  hier  der  rechten  Parodos  nicht  fern 
sein.  [In  dem  so  eben  eingehenden  Februarheft  der  Notüie  legt 
Sordini  S.  50  den  Sachverhalt  vor,  mit  der  Zeichnung  Peruzzis 
und  einem  Situationsplan  ;  weist  auch  aus  Briefen  des  ausgehenden 
17.  Jahrhunderts  damalige  Funde  bunter  Marmorarten  auf  der 
Stelle  des  Theaters  nach.]  Wäre  dies  mit  geringem  Aufwand  zu 
constatieren,  so  gewänne  man  wenigstens  einigen  Anhalt  für  die 
locale  Fixierung  des  Theaters  :  eine  weitergehende  Nachforschung 
würde  schwerlich  einen  dem  erforderlichen  Aufwand  entsprechenden 
Gewinn  bringen. 

Aus  Imola  meldeten  die  Rendiconti  1891  S.  445  einen 
Fund  von  'Campanaschen'  Terracotten  aus  dem  8  Kilom.  entfernten 
Pediano.  Es  sind  vier  Arten  vertreten,  drei  nur  in  einzelnen  Bruch- 
stücken, die  vierte  in  zwei  zusammenpassenden  ganzen  Platten,  und 


236  E.    PETERSEX 

diese  wie  das  andre  Haiiptstück  mit  deutlichen  Anzeichen  ihrer 
baulichen  Verwendung.  Graf  Scarabelli,  der  den  Fremden  mit  un- 
gemeiner Liebenswürdigkeit  aufnahm  und  ihm  den  Inhalt  des  kleinen 
Museums  zeigte,  gewährte  auch  die  Photographien  derselben. 

1.  zwei  Traufrinnenplatten  (')  je  0.48  m  lang,  0.288  hoch  : 
tuskische  Säulen  mit  zweierlei  Palmetten  wechselnd  in  den  Inter- 
columnien  ;  das  Gebälk  mit  Perl-  und  Eierstab  ;  unter  den  Säulen- 
basen kein  Sockel  sondern  ein  glatter  Streif,  der  vermuthlich  von 
einem  übergreifenden  Theil  des  Gesimses  gedeckt  werden  sollte, 
zumal  sonst  keine  Vorkehrungen  zur  Befestigung  ausser  einem 
Gusskanal  in  den  Seitenflächen  vorhanden  waren. 

2.  Friesplatte  von  der  Fronte ;  ganze  Breite  auch  auf  0.48  m, 
offenbar  eine  Flachziegelbreite,  berechnet  wie  1  ;  die  Höhe  etwas 
grösser  (0.33  m),  hinten  mitten  das  Ende  eines  Deckziegels  noch 
vorhanden.  Die  Darstellung :  zwei  knieend  Trauben  in  Körbe 
pflückende  SatA^rn,  ist  völlig  übereinstimmend  mit  einer  Platte  des 
Britischen  Museums  Combe  p.  67  (n.  28,  69,  Campana  XXXIX 
abweichend),  wo  man  über  die  Tektonik  nichts  erfährt. 

3.  das  linke  Ende  von  Combe  n.  11  (Campana  LXXIV  ab- 
weichend) ;  ganze  Länge  wieder  auf  0.48  m  zu  berechnen  nach 
der  des  erhaltenen  Theils  von  0.22. 

4.  rechte  obere  Ecke  einer  Verkleidungsplatte  mit  Nagel- 
löchern :  Palmetten  mit  Herzblatt  (eines  0.14  breit)  zwischen 
Rundstäben. 

Unvollständige  Ziegelstempel  desselben  Fundorts  mit  ONI  •  ßt 
imd  '^SONI  •  A  sind  offenbar  mit  dem  aus  Picenum  (C  /.  L. 
IX,  6078,  85)  und  Istrien  {C.  I.  L.  V,  8110,  81)  bekannten 
A  •  FAESONI  •  ßi    identisch.  Pediano  bildet  ein  Mittelglied. 

Unmittelbar  vor  meiner  Ankunft  waren  in  Imola  selbst  zwei 
kleine  Skelette  gefunden,  aus  Kupfer,  in  allen  Theilen  sehr  zier- 
lich ausgeführt ;  das  eine  3,  das  andre  4  cm.  lang.  Obgleich  nicht 
mit  beweglichen  Gliedern  wie  das  silberne  des  Trimalc'jio  und 
ein  entsprechendes  von  Pompei  (s.  Ersilia  Caetani-Lovatelli,  Tha- 
natos  S.  38)  werden  sie  doch,  wie  Graf  Scarabelli  meinte,  wohl 
ähnlichem  Zweck  gedient  haben. 

(^)  Ganz  ähnliche  Traufrinnenplatten  finden  sich  in  Rom  im  Thermen- 
museum (nicht  ausgestellt)  und  wiederum  fast  mit  demselben  Ornament,  auch 
mit  halben  Palmetten  beiderseits  endend,  eine  Thonurne  ebenda. 


KUNDE  237 

Ueber  die  Funde  von  Verona  liegen  schon  mehrere  Berichte 
vor  von  L.  A.  Milani,  Le  rccenti  scoperte  di  antlchitä  in  Ve- 
roiia,  Verona  1891,  von  Ghirardini  in  der  Niiova  Antologia  1891 
XXXIl  S.  GG7,  endlich  von  Orsi,  Notkie  1801  S.  3.  Vielleicht 
wird  der  erste  von  diesen,  weil  minder  verbreitet,  und  mit  einigen 
nunmehr  nöthigen  Zusätzen  im  nächsten  Heft  dieser  Mittheilungen 
wiederholt  werden  dürfen. 

Endlich  das  Museum  dellQ  Termc  Diocleziane  in  liom. 
Schon  jetzt  über  bedeutende  Räume  verfügend,  nämlich  über  den 
von  Michel  Angolo  angelegten  c.  10000  Quadratmeter  umfassenden 
Klosterhof  mit  100  m  langer  Säulenhalle  auf  jeder  Seite  und  ent- 
sprechendem, wenigstens  als  Depot  dienendem  Oberraum,  sowie  einem 
halben  Dutzend  Gemächern  im  Oberstock,  wird  es  unschwer  noch 
weit  mehr  Käumlichkeiten  in  seinen  Bereich  ziehen  können. 

Hier  sind  eine  Menge  Funde  der  letzten  Jahrzehnte,  aber  aucli 
ältere  Bestände  z.  B.  des  Kircheriano,  untergebracht,  so  die  Fresken 
(unten)  und  Stucke  (oben)  des  römischen  Hauses  bei  der  Farnesina 
(jene  in  den  Moiiumenti  ined.  d.  Lisi.  XI  Taf.  44-48,  XII  Taf.  17-34, 
diese  im  Supjjlemento  Taf.  32-36  herausgegeben) ; 

dazu  die  ebenda  im  Grabe  des  Sulpicius  Platorinus  {Notüie 
1880  S.  127  ff.)  gemachten  Funde  (oben) ; 

die  sämmtlichen  von  de  Ruggiero  Catalocjo  del  Maseo  Kir- 
cheriano S.  265  ff.  beschriebenen  Mosaiken  und  dazu  ein  neu  ge- 
fundenes [Nolisie  1889  S.  224) ; 

die  Fresken  vom  Esquilin,  Roms  Anfänge  darstellend  (Brizio, 
Pitture  e  sepolcri  scoperti  sidt  Esquilino  Taf.  II ;  Mon.  ined.  d. 
Inü.  X  T.  LX,  LX^) ; 

ferner  das  meiste  von  Matz-Duhn,  Antike  Bildwerke  in  Rom, 
III  S.  325,  im  Museo  des  Palatin  Verzeichnete  (')  ; 

ein  Theil  der  im  Atrium  Vestae  gefundenen  Porträtköpfe  ; 

die  sieben   Hermenporträts   von   Via  Portese    {Notisle   1889 

(1)  In  den  Terme  habe  ich  gefunden  228,  303,  319,  355,  536,  583,  ab- 
gebildet Notisie  1879  T.  I  2,  717,  851,  981,  1190,  1581,  1623,  1770,  1829-31 
(2043  ff.),  2205,  3557,  3571-3573,  3G36,  3731,  534,  547  (1046  wird  voraus- 
sichtlich hingeschafft  weil  eine  zwar  weder  besonders  gut  ausgeführte  noch 
erhaltene  Copie  eines  attischen  Originals  (Hermes  ?)  kurz  vor  Praxiteles), 
ferner  3730,  341,  1676  Replik  des  Meleagros,  wie  1677  (?)  des  Hermes 
im  Belvedere. 

16 


238  E.    PETERSEX 

S.  246),  WO  indes  nicht  bemerkt  ist,  dass  vier  von  ihnen  deutlich 
über  der  Tunica  die  zur  Ausrüstung  des  auriga  gehörige  Riemen- 
uraschnürung  (s.  Baumeisters  Denkm.  S.  2092 ;  Schreibers  Bilder- 
atlas XXXI,  7,  XXVIII,  2)  sehen  lassen,  so  dass  wahrscheinlich 
alle  Cirkusfahrer  jugendlichen  Alters  darstellen  ; 

die  Bronzen  von  Via  Nazionale  (Antike  Denkmäler  I  T.  4 
und  5),  der  sitzende  F  a  u  s  t  k  ä  m  p  f  e  r  und  der  S  t  e  h  e  n  d  e,  seiner 
Stellung  und  des  Mangels  jeglichen  Abzeichens  wegen  schwerlich 
ein  Fürst — wie  er  neuerdings  wieder  Alexander  Bala  sein  sollte — 
fc^ondern  wegen  der  athletischen  Formen  und  des  athletischen  Schema 
(vgl.  Müller- Wieseler,  Denkmäler  II,  LH  653^)  ein  Athlet; 

gleichfalls  von  Bronze  der  Dionysos  {Notüie  1885  S.  342 
abgebildet  bei  Lanciani,  Aneient  Borne  zu  S.  308  vordem  Titel, 
und  S.  303  die  andern  beiden) :  die  Stücke  von  mindestens  zwei 
colossalen  vergoldeten  Kaiser-(?)bildern  ;  ein  Kopf  des  Tibe- 
rius  (?);  Not.  1884  S.  309 ;  die  von  Ersilia  Caetani-Lovatelli  in 
den  Monmnenti  antichi  der  Lincei  I  und  Miscellanea  archeologica 
S.  135  herausgegebene  Votivhand,  alles  aus  dem  Tiberbett ; 

von   Marmorsculptureu    daselbst   sei    noch   namhaft  gemacht 
der  Hermaphrodit  Costanzi  {Mon.  inecl.  d.i.  XI  T.  43);  die 
Knabenstatue  von  Subiaco  (Antike  Denkmäler  I  T.  56)  mit  welcher 
nach  Zusammentügung  der   erhaltenen  Theile   noch   niemand,  na- 
mentlich Künstler  nicht,  die  im  Ton  des  Marmors  mehr  als  in  der 
Arbeit  übereinstimmende  1.  Hand  von  ebenda   (s.  a.  a.  0.  S.  46) 
zu  verbinden  möglich   fand.    Denn  vom   Bruch   des   direkt   dahin 
gerichteten  1.  Oberarms  bis  zu  dem  puntello   auf  dem  Knie  sind 
nur  35  cm.   Abstand ,   während   der    entsprechende    Theil   des   r. 
Oberarms  allein  über  21  cm.  misst,  so  dass  also  das  Handgelenk 
mit  seinem  puntello  mindestens  6  cm.  über  den  Puntellobruch  auf 
dem  1.  Knie  hinausfallen  würde ;  der  Dionysos  aus  Villa  Adriana 
{Mon.  ined.  d.  I.  XI  T.  LI,  LI^),  welchen  Michaelis  Äamli  1883 
S.  136,  durch  einen  Ausdruck  der  Notüie  irregeführt  für  nur  der 
r.  Hand  verlustig  hielt,  mit  ihm  dann  auch  AVolters  Gipsabgüsse 
u.  526,  während   thatsächlich   vom   Stamm   nur   der  oberste,  mit 
dem  Bein  sich  berührende  Theil  antik  ist,  der  Best  mit  dem  Basis- 
stück bis  an  den  r.  Fuss  von  Gips,  ebenso  der  r.  Theil  der  Basis 
mit  dem   1.  Fuss    und    Unterschenkel    bis    l'ast   zur   Kniescheibe, 
endlich  auch  ein  Theil  der  Finger  der  Linken.  Und  zwar  ist  das 


i'iNOE  239 

1.  Bein,  wie  man  au  dem  Kontur  der  Kniebeuge  sieht,  falsch  er- 
gänzt; es  hatte  nicht  Polykletische  Schrittstellung,  sondern  stand 
etwa  wie  das  1.  Bein  des  Idolino,  womit  die  Beziehung  zu  Polyklet 
noch  erheblich  geringer  wird. 

In  Kürze  hebe  ich  aus  der  Masse  unbedeutender  neuer  Dinge 
ein  par  hervor  : 

eine  Replik  von  Hausers  (Die  neu-attischen  Reliefs)  Typus  33, 
also  vielleicht  des  Chiaramontischen  Reliefs  (Hauser  S.  44,  60) ; 

einen  recht  guten  Kopf  des  'Ares  Borghese'  ; 

einen  Torso,  der  eine  neue  Replik  des  Eros  von  Centocelle 
scheint ; 

eine  noch  etwas  archaische  Athena  aus  dem  Tiber  {Not.  1886 
S.  123)  mit  geschuppter  Aegis,  die  auf  der  r.  Schulter  geknüpft 
schräg  nach  der  linken  Seite  hinabgeht;  die  Linke  mochte  den 
Helm  halten,  die  Rechte  auf  dem  abgesetzten  Schild  sich  stützen ; 

von  einer  Statuette  aus  dunklem  Marmor  der  Torso  eines 
AVeibes  von  vollen  Formen,  in  reicher  Bekleidung,  auf  einem  ei- 
genthümlichen,  hinten  gerundeten,  vorn  graden  Sitz,  auf  den  sie 
die  Linke  stützt,  während  die  Rechte,  im  Ellbogen  auf  den  Schenkel 
gestützt,  das  Himation  über  die  Schulter  vorzog ; 

unlängst  an  der  Grenze  sequestriert  (Sciarra  ?),  obgleich  noch 
in  der  Kiste  steckend,  doch  kenntlich  als  Wiederholung  des  von 
R.  V.  Schneider  Antike  Bronzen  (Jahrb.  d.  Samml.  des  All.  Kaiser- 
hauses XII)  S.  77  ff.  behandelten  Typus  imd  zwar  in  der  S.  78,  1 
zu  Ende  angeführten  Modification,  mit  Füllhorn  im  1.  Arm,  zwischen 
dessen  Früchten  oben  eine  dreikantige  Spitze  hervorsticht.  Doch 
ist  trotz  eines  puntello  an  der  r.  Hüfte  das  Steuer  an  ihrer  r.  Seite 
fraglich,  da  vielmehr  um  die  Armbeuge,  zwar  noch  nicht  genügend 
zu  sehen,  ein  Reifen  oder  eine  Schlange  sich  legt.  Ausserdem  aber 
sitzt  an  ihrer  1.  Seite  ein  nacktes  Knäblein  (üntertheil  allein 
erhalten),  welches  die  gekreuzten  Beine  auf  eine  geringe  Erhebung 
setzt  und  in  der  Linken  drei  Mohnküpfe  hält.  In  noch  engerer 
Beziehung  als  zu  jenem  Artemistypus  steht  dieses  Bild  also  zu 
der  Statue  von  Beirut,  welche  Dümmler  in  den  Athen.  Mitthei- 
lungen 1885  Taf.  I  S.  27  bekannt  machte,  und  bei  welcher  wir 
wohl  das  geneigte  Haupt  des  Knaben  jetzt  besser  verstehn. 

Ein  colossales  Relief  im  Hof,  welches  eine  im  Aehrenfeld 
gelagerte  Erdgöttin  darstallt,  sollte  nach  der  Richtung  der  Aehren 


2-10  '  E.    PETERSEN,    FL'NDE 

und  den  tektonischen  Merkmalen  des  Blocks  nicht  diagonal  sondern 
mit  wagrechten  Langseiten  aufgestellt  werden. 

Endlich  hat  man  aus  vernachlässigtem  Bestände  ein  Fragment 
hervorgezogen,  welches  den  oberen  Theil  eines  Frauentorso  mit 
entblösster  1.  Brust  und  einer  tragenden  Männerhand  in  ihrer  1.  Seite 
darstellend,  leicht  als  Rest  einer  reichlich  lebensgrossen  Darstellung 
des  Koraraubes  nach  dem  Sarkophagt^pus  Overbeck  Atlas  der 
Kunst-Mythol.  T.  XXII,  2  erkannt  wird.— 

Wer  in  den  römischen  Sammlungen  eine  unerschöpfliche 
Quelle  nicht  allein  archaeologischen  Studiums  sondern  allgemeiner 
Bildung  sieht,  der  wird  mit  lebhaftem  Danke  den  allgemeinen 
Fortschritt  erkennen.  Aber  auch  eine  Klage  muss  hier  zum  Schluss 
laut  werden,  in  der  Hoffnung,  dass  sie  nicht  bloss  von  deutschen 
Lesern  vernommen  werde.  Sie  betrifft  die  Erschwerung,  welche 
man  der  zum  Besten  kimstschaffender  wie  kunstforschender  Arbeit 
so  wünschenswerthen  Verbreitung  von  guten  Abgüssen  in  den  Weg 
legt.  Die  Directoren  der  päbstlichen,  königlichen,  städtischen 
Sammlungen  scheinen  sich  geeinigt  zu  haben,  wenn  überhaupt, 
nicht  mehr  die  'gute'  Gipsform  sondern  nur  die  Thonform  zu  ge- 
statten, und  den  ersten  Ausguss  derselben  zurückzubehalten,  um 
von  ihm  eine  neue  Form  zur  Schaffung  fernerer  Abgüsse  zu  neh- 
men, da  jene  Thonform  ausser  dem  ersten  nur  noch  einen  oder 
zwei  Ausgüsse  hergiebt.  Das  geschieht  angeblich  der  Schonung  der 
Originale  wegen.  Aber  selbst  ein  Italiener  wird  kaum  behaupten 
wollen,  dass  der  allgemeine  Kespekt  vor  den  Resten  des  Alterthums 
und  die  specielle  Fürsorge  für  die  in  den  Museen  aufgehobenen  in 
Italien  grösser  sei  als  in  London,  Paris,  Berlin,  München,  Peters- 
burg. Was  man  an  diesen  Orten  mit  der  gewissenhaftesten  Be- 
hütung der  Antiken  verträglich  hält,  wird  man  hoffentlich  auch  in 
Italien  nicht  auf  die  Dauer  verbieten. 

E.  Petersen. 


ZUR  SKOPASFKAGE. 


Bei  der  Arbeit  am  «•  Katalog  der  Sculptiireii  zu  Athen  "  fiel 
mir  auf,  dass  der  grossen  Zahl  von  Ephebeuköpfen  mit  iji  <lie  Stirn 
fallendem  Haar  nur  ein  Minderteil  solcher  mit  «  aufstehendem 
Stirnhaar  ^  gegenübersteht.  In  der  Meinung,  dass  diese  Köpfe  in  die- 
ser Eigenthümlichkeit  ein  stilkritisch  zu  verwerthendes  Kennzeichen 
besässen,  reihte  ich  sie  der  systematischen  Einleitung  Seite  XVIII 
ein.  Das  ganze  Material,  wozu  ausser  den  Ephebeuköpfen  auch 
die  analogen  Satyr  -  u.  s.  w.  -  köpfe  und  eine  Anzahl  Porträts  ge- 
hören, konnte  weder  dort  noch  kann  es  hier  schon  in  erschöpfender 
Sammlung  und  Verarbeitung  vorgelegt  werden.  Die  erste  Stelle 
unter  jenen  athenischen  Denkmälern  nimmt  das  nie  genug  zu  be- 
wundernde, am  Ilissos  gefundene  Grabrelief  Sybel  57  ein,  publiciert 
Rev.  a?''ch.  1875  I  pl.  14,  Äiiaali  1876  II,  Weltgesch.  der  Kunst 
Seite  251  Fig.  204.  Dort  kam  ich  gelegentlich  des  «  Meleager  '• 
und  des  Ilissosreliefs  auf  das  emporstehende  Stirnhaar  zurück. 
Nachdem  Brizio  gemäss  dem  damaligen  Stande  der  Wissenschaft, 
wo  der  Besitz  des  Apoxvomenos  dazu  verleitete,  in  allen  schlanken 
Gestalten  des  späteren  vierten  Jahrhunderts  Lysippischen  Einfluss 
zu  vermutheri,  das  Ilissosrelief  aus  der  Mischung  peloponnesischen 
und  attischen  Stiles  erklärt  hatte,  so  ward  danach  der  neugefun- 
dene Hermes  tFrsache,  bei  jedem  schönen  Marmor  dieses  Jahrhun- 
derts, auch  bei  den  zwei  genannten,  an  Praxiteles  zu  denken.  Dem 
gegenüber  machte  ich  auf  Unpraxitelisches  wie  gewisse  Härten  (') 
und  besonders  die  Eigenheit  des  emporstehenden  Stirnhaares  auf- 
merksam, verglich  auch,  unter  Anziehung  der  im  Katalog  zusam- 
mengestellten Beispiele,    die   in   dem   fraglichen  Punkte   überein- 

(1  Die  am  Iliss-osrelief  stärker  als  am  Meleager  auftretenden  Schneidungeii 
schienen  dem  sanften  Linienfluss  der  beglaubigt  Praxitelischen  Werke  (Hermes, 
Knidia,  Sauroktonos)  zu  widersprechen.  Um  die  dort  zu  Grund  gelegte  Vor- 
stellung von  P  r  a  X  i  t  e  1  i  s  c  h  e  in  L'  li  }•  t  h  ni  u  s  durch  Gegensätze  deutlicher  zu 


242  L.    VON    SYBEL 

stimmenden  Tegeaten.  Das  Problem  zu  erörtern  war  zumal  bei 
der  nicht  ungegründeteu  Zurückhaltung,  welcher  weniger  Treu's 
Analyse  der  Tegeaten  als  seine  stilgeschichtliche  These  begegnete, 
der  Grundriss  nicht  der  Ort. 

Inzwischen  hat  Petersen's  Entdeckung  des  Meleagerkopfs  Medici 
und  Botho  Graefs  Artikel  über  die  Hermen  des  bekränzten  jugendli- 
chen Herakles  (Rom.  Mitth.  1889),  das  Material  so  bedeutend 
erweitert,  dass  jedenfalls  anzuerkennen  ist,  ein  bisher  unbeachteter 
Stil  sei  in  Hauptpunkten  erkannt  worden.  Von  den  beiden  in  der 
Weltgeschichte  dem  Praxiteles  abgesprochenen  und  hinsichtlich  der 
Haartracht  mit  den  Tegeaten  verglichenen  Werken  hat  sich  der 
Meleager  als  der  Skopasischen  Richtung  angehörig  erkennen  lassen. 
(Da  er  mit  dem  angedeuteten  Unpraxitelischen  eine  ziemlich  Praxi- 
telische  Ponderation  verbindet,  so  mag  er  einem  zwischen  Skopas 
und  Praxiteles  vermittelnden  Künstler  verdankt  werden).   Das  Ilis- 


machen,  so  bekenne  ich,  den  Apollon  mit  auf  dem  Scheitel  ruhender  Rechten 
(Hauptexemplare  im  Museo  Capitolino,  Zimmer  des  Galliers,  mit  Greif,  und 
Uffizien,  Dütschke  n.  106,  mit  ergänzten  Extremitäten)  nicht  mit  Furtwängler 
und  Overbeck  auf  Praxiteles  zurückführen  zu  können.  Bei  aller  im  Körperbau 
hen'ortretenden  Verwandtschaft  mit  dem  Hermes  zu  Olympia  ist  die  Haltung 
doch  grundverschieden,  strenger,  das  Spielbein  tritt  mehr  vor,  der  Oberkörper 
mehr  zurück;  ebenso  bei  dem  in  gleichem  Schema  componirten  und  in  glei- 
chem Stil  gearbeiteten  Bacchus  (das  Exemplar  des  Mus.  Chiaramonti  fügt  als 
Stütze  einem  jungen  Satyr  bei).  Aehnlich,  nur  energischer,  setzt  der  Skopa- 
siche  Herakles  den  Spielfuss  vor.  Dagegen  stimme  ich  Overbeck  bei,  wenn 
er  den  jüngeren  Typus  des  stehend  ruhenden  Apoll  (im  Exemplar  des  Mus. 
Capit,  Salone,  stützt  er  sich  auf  den  Dreifuss)  mit  seiner  überweichen  Car- 
nation  (man  denkt  unwillkürlich  an  das  Symplegma  nobile)  in  die  zweite  Hälfte 
des  vierten  Jahrhunderts  setzt;  auch  ihm  steht  ein  stilistischer  Bruder  zur 
Seite,  der  grosse  Bacchus  Boncompagni-Ludovisi.  Demnach  möchte  ich  das 
erstgenannte  Statuenpaar  vor,  das  zweite  nach  Praxiteles  setzen, jenes  einem 
Künstler  der  Generation  des  Skopas  und  des  älteren  Kephisodot,  des  Schöpfers 
der  Eirene,  zuschreiben,  dieses  dagegen  den  Sühnen  des  Praxiteles  oder  einem 
ihrer  Coetanen.  Beiläufig  bemerkt,  scheint  die  Neapler  Replik  des  jüngeren 
Apollotypus  mit  ihrem  Material,  grünem  Basalt,  auf  Bronzeoriginal  zu  deuten, 
gerade  wie  bei  manchen  anderen  Arbeiten  aus  ähnlichem  Material  dessen 
Wahl  (wo  nicht  andere  Bestimmungsgründe  nachweisbar  sind,  was  beim 
Nil  und  a.  zutrifft)  sich  ebenso  erklärt,  z.  B.  beim  jungen  Herakles  aus  Pro- 
birstein  im  Capitol.  Museum,  der  Knabenstatue  des  Museo  delle  Terme,  dem 
Satyrfragmente  Boncompagni-Ludovisi,  dem  Athletentorso  der  üflizien,  dem 
Knabenkopf  in  Bologna, 


ZUR   SKOPASFRAGE  243 

sosrelief  aber  habe  ich  neuerdinfjs,  in  einem  vorigen  Sommer  ge- 
schriebenen und  im  laufenden  Jahrgang  von  Lützow's  Zeitschrift 
erscheinenden  Referat  über  die  neuere  Skopasforschung  dem  gleichen 
Kunstkreise  zugetheilt,  weil  sein  Ephebenkopf  wichtige  Merkmale 
dieses  Stiles  an  sich  trägt:  nicht  nur  die  freie  Stirn  mit  dem 
emporstehenden  Haar,  sondern  auch  den  quadraten  Kopfbau  (nu.- 
das  Gesicht,  speciell  die  Stirn,  ist  etwas  höher)  auch  die  grossen 
Augen,  den  Skopasischen  Blick.  Auch  den  alten  Vater  darf 
man  nicht  übersehen,  wie  er  mit  herabgezogenen  Brauen  den 
Schmerz  gleichsam  niederzwingt,  den  Jungen  auf  der  Stufe,  nicht 
schlafend,  sondern  traurig,  den  Jagdhund,  wie  er  mit  verdunkeltem 
Aug  (vergleiche  den  tegeatischen  Eber)  die  Spur  seines  Herrn  zu 
suchen  scheint.  Auch  die  kleinen  Stilmale  fehlen  nicht,  der  ver- 
tiefte innere  Augenwinkel,  die  sich  wellende  und  über  das  Lid 
hängende  Augenhöhlenhaut,  der  Nasenwangenwinkel,  der  zwar  nicht 
o.Tene  aber  ausdrucksvolle  Mund,  die  unpraxitelische  Ohrform,  da.s 
angewachsene  Ohrläppchen.  Der  Körper  ist  nach  Natur  geformt, 
nicht  nach  der  idealen,  wie  bei  Praxiteles,  sondern  nach  der  ze- 
Avöhnlichen.  Indem  nun  ein  Grabrelief  als  athenischer  Vertreter 
des  Skopasischen  Stiles  neben  den  Kopf  vom  Südabhang  der  Akro- 
polis  Syb.  2907  trat,  so  schien  die  neuerlich  geringer  geachtete 
kunstgeschichtliche  Bedeutung  des  «  Skopas  in  Athen  "  wieder 
zu  wachsen;  die  Frage  drängte  sich  auf,  ob  der  Schwerpunkt  dieses 
Stiles  nicht  doch  in  Athen  zu  suchen  sei,  und  ob  es  für  den  jungen 
Skopas,  welcher  früher  allgemein  der  attischen  Schule  zugezählt 
wurde,  denn  ganz  unmöglich  war,  diejenigen  Elemente  seines  Stiles 
wegen  deren  die  neuere  Forschung  ihn  den  Peloponnesiern  anschlies- 
sen  will,  an  attischen  Werken  des  Vorjahrhunderts  zu  finden,  die- 
selbe Frage  welche  auch  Farnell  im  Jour/i.  of  hell.  sind.  VII 
aufwarf. 

Dafür  dass  der  Skopasische  Stil  als  eine  Unterart  des  attischen 
zu  betrachten  sei,  scheint  nun  auch  das  bisher  von  Treu  und  Graef 
wohl  bemerkte,  doch  nicht  voll  gewürdigte  Element  der  freien 
Stirn  mit  aufstehendem  Haar  ins  Gewicht  zu  fallen.  Denn  es 
scheint  möglich  seinen  zeitlichen  und  örtlichen  Ursprung  genauer 
festzulegen.  Kürzlich  hat  Sittl  in  seinen  AVürzburger  Antiken 
S.  16,  unter  Bezugnahme  auf  die  oben  erwähnten  athenischen  Köpfe, 
gemeint,  es  scheine  in  Athen  eine  Zeit  gegeben  zu  haben,  wo  die 


244  I-    VON    SYBEL 

in  Rede  stehende  Frisur  für  interessant  galt ;  so  stellten  sich  die 
Griechen  den  Achill  vor,  vermiithen  aber  diii-fcen  wir,  dass  Alexan- 
ders Vorbild  eingewirkt  habe.  Nun  aber  fehlt  es  nicht  an  älteren 
Beispielen  solcher  Ephebenköpfe,  welche  bis  in  die  Uebergangszeit 
aus    dem    fünften    in    das    vierte  Jahrhundert  und  in  das  erstere 
selbst    zurückreichen,    sodass,    wenn    überhaupt    ein    historischer 
Zusammenhang    zwischen    beiden    Erscheinungen  anzuneliraen  ist, 
umgekehrt  die    Ephebenköpfe,    iii  genere.   als   die  bescheideneren 
Vorläufer  der    «  Löwenmähne  «   Alexanders   anzusehen    sind.    Um 
einige  Eeliefs,  deren  Einzelnheiten  zu  verwittert  sind,  um  sie  ohne 
wiederholte  Untersuchung  verwerthen  zu  können,  vorläufig  zu  über- 
gehen, sei  beispielsweise  die  Berliner  Stele  Samml.   Saburotf.  Taf.  5 
genannt,  ferner  von  Statuen  der  sog.  stehende  oder,  wie  ich  lieber 
sage,  ^  antretende  Diskobol «  der  Sala  della  Biga,  und  der  «  Salber " 
in  München  und  Dresden,  dem  sich  noch  diese  oder  jene  verwandte 
Statue  anreihen  Hesse,  z.  B.  der  mit  Vase  in  den  Händen  ergänzte 
Ephebe  (eher  Diskobol)  der  Ufiizien,  Dütschke   n.  72,   Inv.  1890 
n.  3598,  Photographie  im  Handel.  Die    Stele    Saburoff   soll    aus 
Megara  stammen  ;  Furtwängler    erklärt  den  Stil  für  attisch  (spe- 
ciell  myronisch,  doch  widerspricht  dem  das  in  die    Stirn  fallende 
Haar  des  Diskobol  Massimi,  vgl.    die    mechanische    Reproduction 
in  der  Weltgeschichte  Fig.  119).  Der   «antretende  Diskobol«   gilt 
seit  Kekules  Behandlung  für  attisch ;  attisch  ist  auch  der  «  Salber  " : 
Brunn  erklärt  ihn  für  m3Tonisch,  Kekule  für  ein  Werk  aus  Myrons 
Schule.  Demnach  ergeben  die  Denkmäler  den  Satz,  dass  das  «  auf- 
stehende Stirnhaar  «   an  attischen   Werken    des    späteren    fünften 
Jahrhunderts  zuerst  erscheint.  Die  verschiedene  künstlerische  Be- 
deutunor  des  fallenden  und  des  aufgerichteten  Stirnhaars  ist  klar: 
die  wohlfrisierten,  in  der  Mitte  gescheitelten  Epheben  von  der  Art 
des  Doryphoros  sind  Typen    einer    wohlerzogenen,  eher    aristokra- 
tischen, wenn  man  will  conservativen   Jugend,    während    die    mit 
emporstehendem  Haar  und  dadurch  freier  Stirn  auch  einen  freiem 
Ausdruck  haben,  der  je  nach  dem  besondern  Falle  bald  ein  ideales 
Streben,  bald  ein  ungezügeltes  Wesen  verkünden  kann.  Der  Kopf 
des  Museo  Chiaramonti  welchen  Heibig  Mon.  8,  25  Ann.  1866,  288 
veröffentlichte   und  als   «  Alkibiades  «     zu   bestätigen    unternahm, 
verbindet  mit  der  freien  Stirn  und  dem  aufstrebenden  Haar    eine 
gewisse  Breite  des  Gesichtes,  eine  Modellirung  der  Stirn  und  aus- 


ZUR   SKOPASFRAGE  245 

driicksvolle  Bildung  der  Aiigenpartie  (die  Haut  beginnt  sich  zu 
sacken)  und  des  Mundes,  welche,  nur  weiter  entwickelt,  in  der 
gleichen  Verbindung  für  die  jetzt  Skopas  zugeschriebenen  Werke 
charakteristisch  ist.  Wenn  der  Ursprung  der  uns  beschäftigenden 
Haartracht  überhaupt  bei  einer  historischen  Persönliclikeit  zu  su- 
chen wäre,  so  müsste  man  ihn  also  nicht  erst  bei  Alexander,  son- 
derji  —  die  Richtigkeit  jener  Bildtaufe  vorausgesetzt  —  bei  dem 
athenischen  Princeps  iuventutis,  bei  Alkibiades  suchen  ('). 

Diese  freie  Stirn  gieng  im  vierten  Jahrliundert  von  den  Ephe- 
benköpfen  auf  Herakles  über  und  wurde  für  ihn  typisch,  denselben 
Herakles,  welchen  im  gleichen  Jahrhundert  die  Radikalen  und 
Kosmopoliten,  die  Kyniker,  zu  ihrem  Schutzpatron  erwählten  {-). 
Antisthenes  selbst  trug,  nach  Ausweis  der  vatikanischen  Inschrift- 
herme, Löwenmähne. 

Es  ist  ohne  weiteres  klar  und  wird  durch  die  Monumente 
bestätigt,  ein  wie  brauchbares  Element  die  Schöpfer  des  pathe- 
tischen Stils  in  der  besprochenen  Tracht  vorfanden.  Die  Wiege  des 
pathetischen  Stils  selbst  findet  auch  Treu  in  Athen  ;  den  weiten 
Abstand  der  Skopasischen  Köpfe  von  den  Polykletischen,  wie  er 
vorzugsweise  im  Pathos  der  ersteren  greifbar  ist,  erklärt  er  aus 
einer  Einwirkung  der  attischen  Kunst  auf  Skopas.  Dann  aber 
müssen  wir  sagen,  dass  er  wol  den  Knochenbau  in  Sikyon  lernte, 
aber  den  besseren  und  wichtigern  Theil  seines  Stiles  von  Athen 
empfieng.  Wenn  aber  Skopas  doch  wieder  als  der  Schöpfer  des 
pathetischen  Stiles  gelten  soll,  erweist  er  sich  damit  nicht  als 
Attiker?  Wir  müssten  denn  sagen,  von  Geburt  weder  Athener 
noch  Peloponnesier,  sondern  Parier,  stand  er  ausser  und  über  den 
beiden  Schulen,  deren  Vorzüge  er  in  sich  vereinigte  als  schlechthin 
hellenischer  Künstler. 

L.  V.  Sybel. 


(')  Sollte  Helbigs  Argumentation  sich  bestätigen,  so  inüsste  angenommen 
werden,  dass  der  spätere  Bildhauer  des  der  vatikanischen  Inschriftherme  auf- 
gesetzten Kopfes  die  Feinheit  seiner  Vorlage  nicht  verstand  oder  nicht  wie- 
derzugeben wusste. 

(2)  Damit  ist  natürlich  nicht  gesagt,  Herakles  sei  nun  ausschliessliches 
Eigenthum  der  Kyniker  geworden.  Die  inschriftlich  vorkommende  Anrufung 
des  Herakles  gegen  den  Demos  könnte  übrigens  ganz  wohl  auch  von  einem 
Kyniker  ausgesprochen  werden. 


FEDRA. 


Nel  voliime  precedente,  alla  tav.  n.  2,  fii  pubblicato  dal 
sig.  Bruno  Sauer  un  affresco  ch'egli  interpretö  per  Fedra  (pag.  17 
e  sgg.).  La  donna,  in  preda  alla  passione  amorosa,  sta  seduta  in 
un'arapia  camera,  iu  atteggiamento  d'  inquieto  abbandono  con  lo 
sguardo  fisso  nello  spazio  ;  dietro  a  lei  sta  presso  il  sedile  la  nu- 
trice,  con  un  dittico  spiegato  nella  mano  sinistra  e  con  uno  stilo 
nella  destra ;  «  essa  parla,  o  ha  parlato,  e  aspetta  risposta  " .  Alla 
destra  di  questo  gruppo  si  vede  una  ancella  che  porta  un  paniere. 
Dalla  riproduzione  eliotipica  non  si  puö  discernere  tutto  ciö  che 
il  Sauer  indica  nella  sua  descrizione  ;  sembra  giusta  la  sua  inter- 
prefcazione  per  Fedra,  giä  proposta  dal  Sogliano,  ma  vengono  meno 
le  conclusioni  a  cui  egli  giunge.  Egli  sostiene  che  la  rappresen- 
tanza  pompeiana  ci  offra  una  scena  interamente  nuova,  in  cui  figuri 
non  la  Fedra  tormentata  dall'intima  passione  amorosa,  raa  bensi 
una  scena  posteriore,  nella  quäle  la  nutrice,  rapito  alla  padrona  il 
segreto,  pensi  al  modo  di  venirle  in  aiuto. 

In  conseguenza  di  ciö  non  si  potrebbero  piü  considerare,  come 
io  feci,  le  rappresentanze  della  Fedra  malata  d'amore  come  copie 
0  imitazioni  piü  o  meno  alterate  di  un  unico  e  stesso  archetipo, 
ma  si  dovrebbero  ammettere  due  scene  fra  loro  distinte :  la  Fedra 
innamorata  e  la  Fedra  della  rappresentanza  pompeiana.  Per  questa 
avrebbe  servito  da  modello  un  celebre  dipinto,  per  quella  il  teatro, 
non  esclusa  perö  la  supposizioue  che  qualehe  pittura  murale  abbia 
servito  di  transizione  dall'una  all'altra. 

In  queste  due  classi,  secondo  il  Sauer,  si  dovrebbero  dividere 
i  sarcofaghi  superstiti  che  contengono  quelle  rappresentanze.  Io  perö 
rimando  il  lettore  alla  spiegazioiie  che  diedi  nella  Archäologische 
Zeitmo  (1883,  pag.  119  e  sgg.). 


A.    KALKMANN,    l'EDRA  247 

Non  e  qui  la  questioiie  quäle  significato  possa,  coü  qiialche 
probalitii,  attiibuirsi  ad  iina  rappresentanza,  ma  di  riconoscere  iu 
quanto  iina  rappresentanza  aH'altra  rassomigli.  Puö  darsi  che  in 
alcuni  sarcofaghi  Fedra  abbia  l'appareiiza  quasi  le  fosse  giä  stato 
rapito  il  segreto,  ma  noi  vediamo  ripetersi  appunto  la  rappre- 
sentanza di  Fedra  stessa  sino  ai  miniiti  particolari,  in  modo  del 
tutto  analogo  sui  vari  sarcofaghi ;  e  se  Yogliamo  ammettere  l'esi- 
st.enza  di  piü  originali,  bisogna  conchiudere  che  si  rassomigliano 
in  tutto  fra  loro, 

Si  dev^e  pertanto  partire  dall'esarae  dei  sarcofaghi  di  Girgenti 
e  di  Pietroburgo  ;  entrambi  otTrono  dai  quattro  lati  le  medesime 
scene  in  modo  del  tutto  analogo ;  entrambi  ci  rappresentano  Fedra 
circondata  da  molte  ancelle:  con  tutto  ciö  il  Sauer  fa  giä  qui 
una  distinzione. 

II  sarcofago  di  Girgenti,  sostiene  il  Sauer,  deve  risentire  nella 
sua  rappresentanza  l'influenza  del  teatro  ;  quello  di  Pietroburgo 
invece  deve  appartenere  ad  una  serie  di  rappresentanze,  di  cui  il 
prototipo  fu  un'insigne  pittura.  Ora,  solo  ragioni  molto  gravi  po- 
trebbero  giustificare  questa  strana  conclusione.  Ma  quali  sono  queste 
ragioni  ?  In  entrambi  i  sarcofaghi  vediamo  la  nutrice  dietro  Fedra 
malata  d'amore.  Su  quello  di  Girgenti  ella  solleva  con  una  mano 
il  velo  alla  padrona,  mentre  alza  l'altra  come  per  incoraggiare  e 
consigliare:  sul  sarcofago  di   Pietroburgo  invece    la  nutrice  volge 

10  sguardo  innanzi  a  se  e  alza  ambe  le  braccia,  di  cui  il  destro 
e  mouco.  —  Siccome  la  nutrice  e  rappresentata  spesso  in  atto  di 
gesticolare,  io  supposi  ch'ella  anche  qui  gesticolasse  (pag.  125-71). 

11  Sauer  invece  le  attribuisce  nella  mano  destra  un  dittico,  contro 
la  tradizione  di  tutti  gli  aitri  sarcofaghi,  nei  quali  il  dittico  in  tale 
scena  non  appare. 

Se  il  sarcofago  di  Pietroburgo  deve  far  capo  ad  una  serie 
di  tipi  diversi  da  quelli  del  sarcofago  di  Girgenti,  vi  devono  es- 
sere  ben  altre  ragioni.  Sauer  trova  entrambi  i  gruppi  di  rappre- 
sentanze in  realtä  differentl  fra  loro,  per  la  forma  e  per  lo  stile, 
in  quel  che  coucerne  la  partecipazione  delle  ancelle  alle  softe- 
renze  della  padrona.  Esse,  mentre  mostrano  di  preuder  parte  viva 
nella  scena  del  mal  d'amore,  nell'altra  scena  invece  sembra  che 
siano  del  tutto  inditferenti.  Sauer  inoltre,  dietro  il  modello  della 
rappresentanza  pompeiana,   ascriverebbe   all'  originale  una  sola  an- 


248  A.    KALKMANN 

cella,  oltre  la  nutrice ;  cosicclie  quasi  tutti  i  sarcofaglii  in  cui  e 
rappresentata  un'ancella  sola  conYerrebbero  al  gruppo  pompeiano. 

A  dire  il  vero.  con  ima  sola  ancella  e  molto  difficile  espri- 
mere  la  partecipazione  del  segiiito  all'azione  del  protagonista ; 
inolt;e,  per  la  classiticazione  dei  tipi  dei  sarcofaglii  uon  influisce 
affatto  il  numero  delle  parti  secondarie  che  circondano  11  prota- 
gonista, poiche  lo  scalpellino  deve  regolarsi  secondo  lo  spazio  che 
gli  e  concesso.  Se  non  che,  appunto  nel  sarcofago  di  Pietroburgo 
appaiono  cinque  ancelle,  quattro  delle  quali  11  Sauer  e  obbligato 
a  dichiarare  «  figure  di  ripiego  -.  Eppiu'e  due  di  qneste,  man- 
chevoli  nelk  parte  superiore  della  persona,  stanno  raggruppate  in 
grazioso  atteggiamento  di  fronte  a  Fedi-a ;  e  si  completano  quindi 
benissimo  con  istrumenti  musicali,  come  dimostrai,  dietro  l'ana- 
losfia  di  un  frammento  di  bassorilievo  del  Louvre.  D'altra  parte, 
pure  nel  sarcofago  di  Girgenti  due  ancelle,  dinanzi  a  Fedra,  sono 
rappresentate  con  istrumenti  musicali. 

In  ogni  caso,  non  si  puö  assolutamente  smembrare,  a  Capric- 
cio, l'accurata  e  perfetta  rappresentanza  del  sarcofago  di  Pietro- 
burgo, che  s'accorda  tanto  con  la  composizione  poetica,  quanto  con 
la  rappresentanza  del  sarcofago  girgentino;  ue  si  deve  abbassarla  al 
livello  di  quelle  rappresentanze  ridotte  per  mancanza  di  spazio. 
Finalmente  la  rappresentanza  del  mal  d'amore  e  in  intima  rela- 
zione  con  quella  della  scena  in  cui  Fedra  e  persuasa  dalla  nutrice, 
e  poiche,  come  dimostrai  con  questa  probabilmente  ci  riconduce  ad 
un  medesimo  originale ;  cosi  questa  circostanza  sola  deve  escludere 
la  supposizione  d'originali  diversi. 

E  molto  verosimile  che  un  poeta  alessandrino  fingesse  Fedra 
che  affida  il  suo  segreto  amoroso  ad  una  lettera  (').  Nella  scena 
ove  la  nutrice  fa  la  sua  proposta,  la  lettera  era  il  mezzo  artistico 
piü  semplice  per  informare  lo  spettatore  dei  precedenti  dell'azione, 
e  questa  lettera  deve  appartenere  anche  all'originale  della  scena 
stessa  (^).  Fra  quello  ch'era  giä  avvenuto  non  destava  Interesse  che 
la  malata  d'amore;  essa  era  un  personaggio  famoso  e  riusciva  un 
ottimo  prototipo  di  altre  figure  analoghe  (■').  Chi  non  conosceva  la 


(1)  Cf.  De  Ilippoh/tis  Euripideis,  pag.  99  e  sejjg. 

(2)  Vedi  Archäologische  Zeitung  1883,  pag.  128. 

(3)  Cf.:  De  Hippolytis  Eurip,  pag.  122. 


FEDKA  240 

rea  passionc  di  Fedra,  e  chi  uon  si  interessava  piü  alla  rappre- 
sentanza  di  questa  che  alla  banale  con-ispoudeiiza  amorosa?  Di 
fatto  fra  le  rappresentanze  dei  sarcofaghi  raeglio  conosciuti,  la  let- 
tera  non  appare  che  in  qiiella  della  scena  della  proposta,  e  manca 
anche  lä  dove  la  malata  d'amore  e  raflfigiirata  sola,  come,  p.  es., 
nel  bei  rilievo  del  Disco  di  Ei-colano  ('). 

Anche  ad  im  ecfrasta  di  epoca  cosi  tarda  quäle  e  Cliorikios. 
a  cui  non  si  possono  negare  rerainiscenze  di  rappresentanze  di 
quadri,  interessa  sopra  ogni  altra  cosa  la  malata  d'amore:  Eros, 
che  pure  accenna  alla  lettera,  e  una  reminiscenza  poetica  che  paro 
aggiunta  solo  per  poter  collegare  convenientemente  questa  scena  bon 
la  seguente,  nella  quäle  la  lettera  sarä  consegnata,  perche  ne  la 
nutrice,  ne  Fedra  stessa  tengono  una  lettera  nelle  mani. 

Come  unica  rappresentanza  dunque  del  dittico,  che  la  nutrice 
porge  alla  padrona  per  scrivere,  rimane  la  figurata  di  Pompei  pub- 
blicata  dal  Sauer.  Fedra  sta  seduta  in  una  posa  dolorosa  e  inquieta, 
con  lo  sguardo  fisso  nel  vuoto  ;  la  piccola  nutrice  si  stringe  dietro 
ad  essa,  vicino  al  sedile  ;  un'ancella  dall'altra  parte  porta  un  qual- 
che  trastuUo.  Ecco  la  solita  scena  della  malattia  d'amore,  quäle  noi 
vediamo  nei  tempi  posteriori,  ridotta  al  nudo  schema.  La  lettera 
e  un  mezzo  artistico  arbitrario,  per  richiamarci  vivamente  alla  me- 
moria la  persona  amata,  mancando  la  scena  della  proposta  da  parte 
della  nutrice. 

Mentre  quest'ultima  scena  sul  suolo  italico  ci  appare  in  una 
maniera  nuova  (2),  lo  stesso  non  si  puö  dire  della  famosa  rappre- 
sentanza di  Fedra,  che  non  vi  accolse  alcun  nuovo  e  proprio  con- 
cetto,  ne  subi  alcuno  sviluppo  ulteriore.  Perciö  la  nuova  rappre- 
sentanza figm-ata  di  Pompei  e  di  niuna  importanza  per  la  questione 
degli  origiuali  delle  rappresentanze  di  Ippolito. 

A.  Kalkmann. 


{})  La  interpretazione  della  rappresentanza  vascolare  di  Benndorf 
{Gr.  u.  Sicil.  Vasenbilder,  45)  per  Fedra  afflitta  ö  arrischiata,  poiche  Fedra 
non  vi  appare  neirabbigliamento  e  nelPatteggiamento  abituale,  ne  d'altra 
parte  e  sufficientemente  caratterizzata  per  nutrice  una  delle  due  donne  che 
circondano  Fedra. 

(2)  L.  c.  pag.  131  e  sgg. 


ÜEBER  DIE  ABFASSUNGSZEIT  DER  STATUE  ANTICHE 
DES  ULISSE  ALDROVANDI. 


Michaelis  hat  in  der  Archaeologischen  Zeitung  Jhrg.  34  (1876) 
S.  150  tt'.  (')  den  Nachweis  geführt,  dass  das  merkwürdige  Büchlein 
des  Bologneser  Naturforschers,  das   zuerst    155(3    in    Venedig    als 
Anhang  von  Mauro  Le  antichitä  de  la  cittä  di  Roma  erschienen 
ist,    bereits    1550  von    dem  Verfasser    geschrieben    sei.  Denn  ei- 
nerseits führt  auf  diese  Zeit,  was  Fantuzzi  in  den  Memorie  della 
vita  di  Ulisse  Aldrovandi,  Bologna  1774,  erzählt,  andrerseits  ist 
in  dem,  aus  dem  Kloster  der  H.  Ulrich  und  Afra  zu  Augsburg  stam- 
menden, nunmehr  in  München  befindlichen  Exemplare  der  Ausgabe 
von  1558  von  einem  Zeitgenossen  unter    anderen    eine  Randglosse 
zu  S.  117  beigefügt,  laut   welcher   die   von   Aldrovandi  im   giar- 
dino  del  Belvedere  beschriebene  Statue  der  Cleopatra  bereits  1550 
von  dort  versetzt  worden  sei.  Demnach  müsste  Aldrovandi   schon 
vor  dieser  Umstellung  seine  Aufzeichnung  gemacht  haben.  Es  ist 
mir  gelungen,  die  urkundliche  Bestätigung  für   die  von  Michaelis 
ermittelte  Abfassungszeit  des  Buches   beizubringen  sowie  dieselbe 
noch  etwas  genauer  bestimmen  zu  können,  und  zwar   durch   Nie- 
manden andern  als  den  Verfasser  selbst.  Die  Bibliothek  der  Uni- 
versität Bologna  birgt  nämlich  das  Handexemplar  des  Aldrovandi ; 
es  ist  die  Ausgabe  von  1556.  Darin  hat  Aldroandi  selbst  vorn  auf 
dem  Titelblatte  die  geläufige  Formel  «  f  Ulissis  Adrouandi  et  ami- 
corum  "  eingetragen,  und  auf  S.  316  unmittelbar  nach  der  Angabe  der 
Buchhändlerfirma  «   "  In  Venetia  etc.  M.D.LVI  «  hinzugeschrieben: 
i;  Totum  perlegi  et  extraxi  miUta,    Ulisses  \  Aldrouandus  auctor 

(1)  Andere  weniger  bestimmende  Umstände,  welche  auf  dieses  .Tahr  hin- 
denten,  siehe  bei  Michaelis,  Arch.  Zeitsf.  Jhrg.38  (1880)  S.  12  und  Anmer- 
kung 6.  Vgl.  zuletzt  seine  Bemerkungen  im  Arch.  Jahrb.  V,  (1890)  S.  36 
und  au  anderen  Stellen. 


H.    L.    URLICHS.    DIE   STATUE   ANTICHE   DES'  ULISSE   ALDROVANDI  251 

huius  libri  \  quem  scripsl  cum.  lubilei  iii  \  principio  dum  essem 
Rome  I  15 50  in  coronatione  lulj  3^  ».  Die  Lesuug  wird  Herrn 
Professor  Michaelis  verdankt.  Welcher  Art  jene  Auszüge  waren,  auf 
die  Aldi'ovandi  durch  die  Worte  «  extraxi  multa  "  hinweist  wird 
sich  vielleicht  ermitteln  lassen,  wenn  eine  Durchsicht  des  hand- 
schriftlichen Nachlasses  von  Aldrovandi  bewerkstelligt  ist.  In  dem 
Bologneser  Handexemplare  selbst  findet  sich  fast  ausschliesslich  bei 
der  Erwähnung  von  Tieren  ein  Merkzeichen  mit  Tinte,  und  auch  ein 
handschriftlicher  Index  findet  sich  am  Schlüsse  vor.  Einige  jener 
Zeichen  scheinen  bestimmt  von  dem  Verfasser  selbst  herzurühren. 

Eine  weitere  Bestätigung  für  das  Jahr  1550  als  Abfassungszeit 
der  Statue  anttche  bietet  gleichfalls  Aldrovandi  selbst  in  einem 
Briefe,  wovon  eine  Abschrift  in  der  Bologneser  Bibliothek  (Aldrov. 
Miscell.  III,  N.  21)  sich  befindet.  Die  Kenntniss  von  demselben  und 
eine  Copie  wird  gleichfalls  Herrn  Professor  Michaelis  verdankt. 

Dieser  Brief  ist  am  1  Februar  1576  von  A.  aus  Bologna  nach 
Rom  an  seinen  Bruder  Monsignor  Teseo  Aldrovandi  gerichtet.  Er 
spricht  darin  seine  Freude  aus,  dass  der  Papst  Gregor  XIII,  be- 
kanntlich ein  Bolognese  Buoncompagni,  den  Bolognesen  einen  Ablass 
als  Jubiläumsgabe  bewilligt  habe,  und  sein  Bedauern,  im  verflos- 
senen Jubiläumsjahr  nicht  haben  nach  Rom  kommen  zu  können 
und  (p.  428^)  noii  poter  visitar  tanti  luochi,  si  come  feei  l'anno 
del  1550  nel  tempo  della  felice  memoria  dt  Julio  terzo  Papa, 
dove  con  mio  gran  giisto  spirituale  visitai  tutti  quei  liiochi 
memorabili  d'infinita  santitä  et  religio^  ripieni  pitt,  et  piü  volte; 
et  per  potere  insiememente  pascere  l'ingegno  mio  della  graadesza 
de'  trionfanti  Romanik  mi  deliherai  di  scrivere  et  raccogliere, 
come  in  un  Theatro,  tutte  le  statue  antiche  de  vari  marmi  pe- 
regrini  scolpite,  et  intagliate  da  scultori  preclarissimi,  et  de 
tutti  ne  composi  una  compendiosa  historia^  non  lasciando  alcuna 
statua,  che  in  quell' Alma  cittä  di  Roma  si  ritrovava,  che  da 
me  non  fasse  diligentemente  delineata,  et  descritta.  Et  questo 
libro,  quäl  per  mio  diporto  et  passatempo  havevo  composto,  lo 
donai  a  Mr.  Giordano  Ziletti,  che  per  far  benefieio  a  quelli, 
che  desiderano  di  vedere  et  conoscere  le  belle,  et  antiche  Statue 
de  Romani,  lo  fece  stampare  in   Venetia. 

Heinrich  Ludwig  Urliciis. 


Es  wurden  zum  21.  April  d.  J.  ernannt 
zum  Ehrenmitorlied  des  Instituts 


o 


S.  Hoheit  Bernhard  Erbprinz  von  Sachsen-Meiningen. 
zu  Ordentlichen   Mitgliedern  : 

Herr  Dr.  Alfred  Brückner  in  Berlin. 
»      Professor  J.  J.  Bernoulli  in  Basel. 
»      Barclay  V.  Head  in  London 
y>      F.  C.  Penrose  in  London. 
"      Professor  Ludwig  von  Sybel  in  Marburg. 
"  "         Georg  Wissowa  in  Marburg. 

zu  Correspondirenden  Mitgliedern  : 

Herr  Dr.  Christian  Belger  in  Berlin. 

"  Alfons  von  Branteghem  in  Brüssel. 
»      Dr.  F.  Hiller  von  Gärtringen  in  Berlin. 
r>      Dr.  Alfred  Gercke  in  Göttingen. 
fl      Dr.  K.  Heberdey  in  Wien. 
»      Franc.  Morlicchio  in  Scafati. 

"  Walter  C.  Perry  in  London, 

s  Arthur  H.  Smith  in  London. 

»  SoLAiNi  in  Volterra. 

"  Th.  Sophulis  in  Athen. 

«  I.  N.  SvoRONos  in  Athen. 

"  Cesare  Kuga  in  Bologna. 

»  Professor  Michael  Waltrowitz  in  Belgrad. 
»  »         Hermann  Skorpil  in  Sofia. 

»  »         Karl  Skorpil  in  Kustschuck. 

»  "         Julius  Lange  in  Kopenhagen. 

«  »         A.  L.  Frottingham  in  Princeton,  U.  S.  A. 

«  Baron  Karl  von  Hauser  in  Klagenfurt. 

^  Dr.  Salomon  Frankfurter  in  Wien. 

•^  Professor  Louis  Audiat  in  Saintes  (Frankreich). 

"  Friedrich  Baraibar  in  Vitoria  (Spanien). 

»  Manuel  Gomez  Moreno  in  Granada  (Spanien). 

^  Dr.  A.  Wilhelm  in  Wien. 


ARCHAISCHES  THOXRELIEF 
DER   SAMMLUNG   SANTANGELO 


Das  beistehend  uacli  meiner  Skizze  in  zwei  Dritteln  der  na- 
tiU-lichen  Grösse  (')  abgebildete  Relief  verbirgt  sich  unter  den 
Lampen  der  Sammlung  Santangelo   und   scheint   bisher   ganz  un- 


(1)  Höhe  17  cm. 


17 


•25-i  F-    STIDMCZKA 

beachtet  geblieben  zu  sein.  Es  ist  ein  oben  und  unten  abgebro- 
chener Pinax  aus  hellrotem  feinem  Thon,  jetzt  mit  weisslichem  Sinter 
überzogen,  unter  dem  ich  zweifelnd  einen  gelblichen  Ueberzug, 
aber  keine  Farbspuren  zu  bemerken  vermochte.  In  flachem  Re- 
lief (0  ist  eine  ruhig  stehende  Frauengestalt  mit  eng  gegürtetem 
langem  Gewände  zu  erkennen,  deren  fehlender  Oberkörper  in  Vor- 
deransicht stand,  wie  die  herabhängenden  Arme  erkennen  lassen  ; 
das  Ganze  ist  nach  dem  Vorbilde  der  Frauen  im  Mittelstreifen 
des  Gewandes  zu  reconstruieren.  Die  Rechte  scheint,  obwohl  gleich 
der  Linken  -völlig  offen,  ein  kleines  stäbchenförmiges  Attribut  zu 
führen,  welches  ich  nicht  zu  deuten  weiss;  einem  Pfeil,  an  den 
man  am  ehesten  denken  könnte,  würde  wohl  der  Bogen  in  der 
anderen  Hand  entsprechen.  Dass  die  Gestalt  die  Göttin  dar- 
stellt, welcher  der  Pinax  geweiht  war,  ist  mit  grosser  Wahrschein- 
lichkeit aus  dem  reichen  Schmucke  des  Gewandes  zu  entnehmen, 
welcher  den  panathenäischen  Peplos  und  ähnliche  Cultusgewänder 
in's  Gedächtniss  ruft. 

Das  Gewand  ist  mit  einer  dünnen  Relieflinie  und  einer  sie 
aussen  begleitenden  Buckelreihe  nmrissen  und,  soweit  erhalten,  durch 
vier  einfache  Flechtbänder  in  drei  breite  Streifen  geteilt;  ob  ein 
vierter  unten  weggebrochen  ist,  oder  ob  dem  unteren  Flechtbande 
der  Gewandsaum  folgte,  ist  bei  der  Unsicherheit  der  Proportionen 
in  der  ältesten  Kunst  kaum  zu  sagen.  Das  schmale  Segment  über 
dem  obersten  Flechtbande  füllen  senkrechte  Relieflinien,  in  denen 
ich,  obwohl  sie  vom  Gürtel  durch  jenen  Doppelumriss  des  ganzen 
Gewandes  getrennt  sind,  Gürtelfransen  erkenne,  wie  sie,  in  Ueber- 
einstimmung  mit  Homers  ^bjrrj  Sxcctov  -Ovaüvoiq  doaovla,  der 
Bronzepanze:  aus  Olympia  darstellt  (-),  und  wie  sie  sich,  zu  Schellen 
umgebildet,  an  dem  Silbergürtel  von  Polis  tis  Chrysoku  auf  Cy- 
pern  gefunden  haben  (3).  Mit  dem  letzteren  stimmt  der  hier  dar- 
gestellte Gürtel  noch  darin  überein,  dass  der  Gurt  selbst  in  eine 
Reihe  von  Gliedern  zerlegt  ist. 

Die  drei  breiten  Streifen  des  Gewandes  füllen  bildliche  Dar- 
stellunffen.    In   den   beiien    unteren    sehen    wir    Reigentänze   von 


'o^ 


(1)  Von  16  mm    Dicke  entfallen  6  auf  die  Relieferhebunsr. 
•  n  Olympia  IV  Tf.  59  S.  155  ff.  Furtwilngler,  vgl.  Beiträge    z.  Gesch. 
d    altgr.  Tracht  S.   121,  Heibig,  Hom.  Epos=  S.  207  flf. 

(3)  Jahrbuch  d    Inst.  II  1887  Tf.  8,  S.  86  ff.  Düramler. 


ARCHAISCHES   THONRELIEF   DER   SAMMLING   SANTANGELO  255 

Frauen  und  Jünglingen,  zusammengesetzt  aus  genau  gleichen,  also 
wohl  nach  Art  der  red  wäre,  aus  Stempeln  geprägten  Figuren. 
Die  Männer  sind  eher  kurz  als  gar  nicht  bekleidet,  die  Gewänder 
der  Frauen  zeigen  noch  mehr  oder  weniger  deutliche  Spuren  eines 
ßautenmusters  aus  dünnen  lielieflinien.  Diese  Darstellungen  ent- 
sprechen sehr  wohl  einem  Cultusgewande.  So  zeigt  auf  einer 
streng  rotfigurigen  Scherbe  der  Akropolis  (')  das  Kleid  des  von 
Kassandra  umfassten  Palladioiis,  wahrscheinlich  nach  dem  Vor- 
bilde des  panathenäischen  Peplos,  Friese  von  hintereinanderher 
eilenden  Männern  und  Frauen,  von  denen  besonders  die  letzteren, 
trotz  der  Heftigkeit  ihrer  Bewegung  (-),  doch  einen  Chortanz  vor- 
stellen können.  Tänzerinnen  erscheinen  auch  auf  dem  Gewände 
der  Athena  einer  späten  panathenäischen  Amphora  (^). 

Wie  am  panathenäischen  Peplos  neben  solchen  Cultushand- 
lungen  die  Gigantomachie  als  Hauptbild  stand,  so  nimmt  auf 
unserem  Kelief  eine  Kampfdarstellung  die  oberste  Stelle  ein  : 
die  bekannte  Gruppe  des  einen  Gefallenen  aus  dem  Getümmel 
tragenden  Mannes,  Avelche  auf  den  Henkeln  der  Klitiasvase  und 
sonst  (^)  die  Namen  Aias  und  Achilleus  erhält.  Es  ist  diess 
meines  Wissens  der  älteste  Versuch,  diesen  Gegenstand  darzustellen, 
und  dem  entsprechend  auch  der  unbeholfenste.  Der  Mann  ist  im 
Wesentlichen  dem  Reigentänze  entnommen,  noch  nicht  knieend  dar- 
gestellt. Er  hat  die  Leiche  über  Nacken  und  Schultern  gehängt, 
wie  die  Kriophoren  und  Moschophoren  ihre  Thiere  ;  aber  es  gelingt 
noch  nicht,  wie  auf  dem  einen  Henkel  der  Klitiasvase,  diesem 
Motive  gerecht  zu  werden.  Die  Hände  des  Trägers,  welche  fest 
zugreifen  müssten,  werden,  weit  ausgebreitet,  an  Rücken  und  Hüfte 
der  Leiche  kaum  sichtbar.  Die  beiden  Körperhälften  der  letzteren, 
welche,  anstatt  schlaff  herabzuhängen,  der  Raumfüllung  wegen  etwa 
in  einem  gleichschenkligen  Dreieck  auseinandergehen,   sind  durch 


(1)  y.cfr,u.  uQx.  1885  Tf.  5,  3,  erVlärt  ebenda  1886  S.131  f.,  yi.  Mayer, 
Tit.  u.  Gig.  S.  272. 

(2)  Vgl.  die  wilden  Reigen  des  Reliefs  von  Milet  (Brunn,  Denkni.   gr.- 
röm.  Sculptur  Nr.  1016)  oder  der  sfg.  Schale  Mon.  d.  Inst.  XI  Tf.  41,  3. 

(3)  JiJon.  d.  Inst.  X  Tf.  48  c,  Amiali  \%11  S.  328  (de  Witte),  Urlichs, 
Beitr.  zur  gr.  Kunstgesch.  S.  50,  'i:(fy,n.  1886  S.  1322. 

(■*)  z.  B.   auf  der   Kleinmeisterschale    Overbeck,  Gallerie    Tf.    23,    61, 
S.  546  ff. 


256  !•"•    STID-MCZKA 

ein  wiirstartiges  Zwischenstück  ganz  äusserlich  verbunden.  Die 
Beine  der  Leiche  schreiten  fast  wie  die  des  Lebenden,  die  herab- 
hängenden Arme  vertragen  sich  schlecht  mit  der  Vorderansicht 
des  Knrapfes.  Des  gegebenen  Kaumes  wegen  fehlt  dem  Lebenden 
der  Helm,  während  er  der  Leiche  nicht  vom  Haupte  fallen  will. 
Km-z  es  ist  ein  misslungener  Versuch,  aus  den  vorhandenen  pri- 
mitiven Typen  die  Ausdrucksformen  für  eine  schwierige  Hand- 
lungsgruppe zu  gewinnen. 

Schon  dieser  Vergleich  l)estiramt  einigermaassen  die  kunst- 
treschichtliche  Stellung  des  merkwürdigen  Bildwerks  :  es  gehört 
ohne  Frage  den  Anfängen  des  griechischen  Kuustimports  in  Italien 
an.  Denn  dass  es  dort,  wahrscheinlich  in  Grossgriechenland,  ge- 
funden ist,  macht  die  Zugehörigkeit  zur  Sammlung  Santangelo  auch 
ohne  Provenienzangabe  wahrscheinlich  (').  Der  Stil  ist  älter  als 
die  entwickelte  orientalisiereude  Decoration  der  korinthischen  und 
verwandter  Gefässe.  Das  zeigt  schon  das  Fehlen  der  Tierstreifen 
und  Blumenornamente,  welche  in  den  ähnlich  angeordneten  Ge- 
wänderdecoratiouen  der  Klitias-  und  Sophilos-Vase  vorherrschen. 
Nur  das  Flechtband  ist  ein  orientalisches  Motiv,  aber  in  dieser 
einfachsten  Form  schon  sehr  früh  übernommen.  Dem  entsprechend 
gehören  die  bildlichen  Darstellungen,  besonders  die  Reigen,  einer 
Kunstweise  an,  welche  noch  deutlich  an  die  geometrische  anknüpft. 
Hierin  schliesst  sich  unser  Eelief  im  Allgemeinen  derjenigen 
Denkmälerklasse  an,  an  die  seine  Technik  erinnert,  den  gepressten 
roten  Thonvasen  und  -platten  aus  Italien  und  Hellas  (2).  Ich  hebe 
den  Thonziegel  aus  Mykenai  hervor,  der  die  rroTria  ■O-r^QMr  in  ähn- 
lichem Typus  zeigt  (•^).  Eng  zusammen  gehören  mit  diesem  Bild- 
werke die  Berliner  Goldreliefs  aus  Korinth,  deren  Herkunft  leider 
nicht  festgestellt   ist  (4).  Wir  sehen  hier  im  Allgemeinen  dasselbe 

(')  Dass  eine  solche  nicht  vorhanden  ist,  hat  mir  Herr  Professor  So- 
gliano  gefällig  mitgeteilt. 

(2)  Vgl.  zuletzt  Pottier  Bull  corr.  hell.  1888  XII  S.  491  ff.  und  J/o«. 
ffr.  de  Vassoc.  etc.  Heft  14-16  S.  43  ff. 

(3)  Arch.  Ztg.  1866  Tf.  A,  1. 

(-*)  Arch.  Ztg.  1884  Tf.  8,  bes.  Fig.  2  u.  6,  S.  106  ff.  Furtwängler.  Im 
Jahrb.  II  S.  21  hat  Dümmler  diese  Reliefs  mit  den  protokorinthischen  Vasen 
zusammengestellt  und  diese  wieder,  mit  Eelbig,  für  chalkidisoh  erklärt.  Für 
die  Herkunft  der  Reliefs  ist  die  von  Furtwängler  hervorgehobene  Form  des 
Wagenbords  Fig.  4   zu    beachten,    welche,    der   korinthisch-attischen    Kunst 


ARCHAISCHES    THONRELIEK    DER   SAMMLUNG   SANTANGELO  257 

Vorherrschen  der  menschlichen  Gestalten  vor  dem  Ornamente,  dar- 
unter aber  nocli  weniu:  Mythisches,  im  Besonderen  ähnliche  schrei- 
tende  Männerreihen  nnd  Frauenchöre.  Die  Weiberkleidung  ist 
gleichartig  bis  auf  die  rliombische  Musterung  des  Bockes.  Doch 
sind  die  Goldreliefs  älter ;  es  fehlt  das  Flechtband,  und  die  Cora- 
position  ist  noch  lockerer,  eine  Gruppe  Avie  die  des  Leichenträgers 
noch  kaum  denkbar;  die  Figuren  sind  noch  schlanker,  der  Kopf, 
dem  flacheren  Relief  gemäss,  auch  bei  Vorderansicht  des  Leibes 
ins  Profil  gerückt.  In  dieser  Hinsicht  entsprechen  die  Frauen  un- 
seres Reigens  schon  mehr  den  goldenen  Artemisfigürchen  von 
Kameiros  (')  und  dem  dädalischen  Statuentypus  der  Nikandre. 

Der  Bronzepanzer  von  Olympia,  der  schon  für  den  Frauen- 
gürtel heranzuziehen  Avar,  bietet  auch  andere  Berührungspunkte, 
darunter  die  einzige  mir  bekannt  gewordene  Analogie  für  eine 
hervorstechende  stilistische  Eigenheit  des  Thonreliefs.  Die  Perlen- 
schnur, welche  den  Hauptumriss  des  Götterbildes  umsäumt,  erinnert 
in  ihrer  Wirkung  ganz  an  die  Bogenzackenlinie,  die  in  gleicher 
Verwendung  auf  dem  Panzer  und  den  mit  ihm  stilistisch  zu- 
sammengehörenden Gravierungen  erscheint  (-).  Doch  wird  daraus 
kein  engerer  Zusammenhang  zu  erschliessen  sein,  da  diese  Art  der 
Gravierung  sich  unmittelbar  aus  dem  schon  in  der  geometrischen 
Kunst  üblichen  Doppelumriss  (■^)  entwickeln  konnte  —  So  fehlt 
es  auch  hier,  wie  bei  den  meisten  verglichenen  Bildwerken,  bisher 
an  Mitteln  zu  genauerer  kunstgeschichtlicher  Bestimmung,  welche 
nur  von  neuen  Funden  zu  erhoffen  ist. 

Gerasdorf  bei  Wiener  Neustadt. 

August  1891.  Franz  Stüdniczka. 


fremd,  auf  ionischen  Vasen  (wie  Gerhard  A.  V.  III  Tf.  194,  Micali,  Mon.  ined. 
Tf.  36,  2),  auf  den  Strausseneiern  von  Vulci  (Perrot,  ffist.  de  Vart,  III 
S.  856 -ff.  vgl.  Jahrb.  II  S.  632=  Böhlau  und  S.  91  Dümmler),  endlich  auf 
etruskischen  Bildwerken  (wie  den  Reliefs  Micali  a.  0.  Tf.  24  oder  Bull.  corr. 
hell.  1888  S.  507)  üblich  i.st,  freilich;  soviel  ich  sehe,  immer  in  Verbindung 
mit  mehr  als  vierspeichigem  Rad  (vgl.  Jahrb.  V  S.  147).  Für  diese  Dinge 
wäre  eine  sicher  chalkidische  Wagendarstellung  in  Seitenansicht  von  grosser 
Bedeutung. 

(1)  Salzmann,  Camiros  Tf.  1. 

(2)  Olympia    IV    Tf.  37,  719;    60,    982   b. ;   58,   980;    59;    vgl.   Furt- 
wiüigler  S.  157. 

(3)  z.  B.  Annali  1:80  Tf.  G. 


lUHLIOGiUFIA  POMPETANA 

(Vedi    .]fittheilun(jen   1889   ]).  292  s.irff.)- 


II  teinpio  uel  foro  triiiu^-dlaro  di  Poiup(3i.  Moiiioriti,  di  An- 
tonio SoGLiANO.  Estr.  (Uli  Moiuiiiioiiti  iinticlii  |>iil)l)licati 
]»or  cum  (](!lla,  \i.  Accadoiuia  doi  Lincoi,  vol.  I  puut.  2. 
1S!)().   lloiua  PStJO. 

iJer  griechische  Tempel  in  Pompeji  von  F.  von  Duun  und 
li.  .Iacoi'.i.  Nebst  einem  Anhaufj :  üehcr  Schornsleinan- 
kujen  und  eine  BadeeinrichUing  im  Frauenbad  der 
Slabianer  Thermen  in  Pompeji.  Zur  Erinnerung,  an 
die  Studienreise  badischer  Gymnasiallehrer  nach  Ita- 
lien im  Frühjahr  /ScSf/.  Herausgegeben,  mit  Unter- 
stiUsung  des  grosshersoglich  badischen  Ministeriums 
für  Justiz,  C'ultus  und  Unterricht.  Mit  neun  Uthogra- 
phirten  Tafeln  und  drei  Photoünkographieen.  Heidel- 
berg. Carl    Winter  s   Universitätsbuchhandlung  1800. 

I  sigij^.  profcssori  von  Domaszcwsky,  von  Diiliii  o  Zangoiiieister, 
quando  nulla  priinavora  dcl  1880  focero  cou  iiiia  couiitiva  di  pro- 
fcssori dei  Licei  dcl  graiiducato  di  Baden  im  viaggio  d'istruzione 
per  ritalia,  ottonuero  dalla  Direziono  degli  Scavi  il  perinesso  di 
faro  dgI  ]»iii  antico  fra  gli  edili/ii  di  Pompci.  il  distrutto  teinpio 
dorico  sul  u  foro  triangolare  " ,  niio  sc-avo,  alla  cui  dire/iono  ])rese 
parte  auche  l'architetto  sig.  L.  Jacobi,  od  i  cni  rosultati  sono  esposti 
nella  seconda  delle  mcniorie  sopracilate.  In  uirappcndice  il  sig.  Ja- 
cobi si  occupa  dei  condotti  per  il  fnnio  e  di  nii  certo  particolare 
di(AValveiis  dei  caldario  delle  doiine  nclle  tormo  stabiane. 


A.    MAI,    lilliMOGRAKIA    I'OMI'EIANA  259 

Partiti  i  dotti  tedeschi  lo  .scavo  fii  coinpletato  ed  ampliato 
per  cura  dc41a  Direzione;  c  suUo  scavo  cosi  coinpletato  riferisce  il 
prof.  Sogliano  nella  prima  dello  soprascritte  inemorie. 

Le  diie  pubblicazioni  si  conipletaiio  a  vicenda.  Qiiella  dei 
sigg.  von  Duliri  o  Jacobi,  spleudidameute  stampata  e  corredata  di 
belle  tavole,  e  püi  dettagliata  ed  anche  piii  conifdeta  riguardo  ai 
vari  oggetti  trovati  nel  terreno,  riprodotti,  in  gran  parte  a  colori, 
snlle  tavole V-VlII  ed  illustrati  coii  dotte  osservazioni.  Invece  sulla 
forma  deU'edifizio,  sulle  sue  fondazioni,  sulle  parti  antiche  e  mo- 
derne, da  migliori  informazioni  la  memoria  del  Sogliano  e  la  pianta 
aggiuntavi,  fatte  in  base  ad  iino  scavo  piü  completo. 

II  risultato  principale  e  una  rettifica  della  pianta  della  cella. 
Poco  monta  che  siano  state  vedute  le  fondamenta  del  muro  sin.  (S) 
al  posto  ove  per  ragione  di  simmetria  dovevano  supporsi  (Overbeck  '' 
p.  87).  Inaspettato  invece  fu  il  ritrovamento  delle  fondamenta  del 
muro  di  fondo  non  sotto  il  muro  visibile  sopra  terra  ma  piii  indietro. 
Sul  lato  anteriore  poi  si  constatarono  le  fondamenta  di  due  ante 
con  le  quali  i  muri  laterali  si  prohmgavano  avanti  alla  soglia  del 
pronao,  con  uno  sporto  laterale  di  circa  m.  0,40.  La  facciata  di 
queste  ante,  a  m.  5,85  dal  margine  anteriore  dello  stereobate,  viene 
a  corrispondere  esattamente  con  l'asse  della  terza  colonna  laterale, 
mentre  la  faccia  posteriore  del  muro  di  fondo  stava  col  suo  lato 
esterno  a  circa  m.  0,50  dietro  l'asse  deU'antepeniiltima  colonna. 

II  prof.  Sogliano  inclina  a  supporre  una  corrispondenza  simile 
fra  cella  e  colonne  anche  sui  lati  corti :  sei  colonne  con  im  inter- 
colunuio  medio  uguale  all'intiera  larghezza  della  cella.  Egli  non 
disconosce,  ma  non  apprezza  ab])astanza,  rai  pare,  le  difficoltä  di 
un  intercolunnio  di  almeno  m.  4,80  (se  cioe  le  facce  laterali  delle 
ante  prolungate  toccavano  le  periferie  delle  colonne,  non  i  centri) 
mentre  gli  altri  sarebbero  di  m.  1,25,  poco  piü  di  uu  diametro. 
La  trabeazione  delle  colonne  era  senz'alcun  dubbio  di  pietra  di 
Sarno  o  di  tufo  (travi  di  legno  potevano  congiungerla  con  la  cella): 
cosi  soltanto  si  spiega  la  strettezza  degli  intercolunni  sui  lati  lunghi, 
Sarebbero  dunque  stati  di  pietra  gli  altri  architravi,  di  legno  quelli 
medii  dei  lati  corti,  ciö  che  e  poco  probabile.  Del  resto,  siccome 
la  faccia  del  muro  di  fondo  ne  corrisponde  con  l'asse  delle  colonne, 
ne  con  la  loro  periferia,  a  guisa  di  tangente,  cosi  mi  sembra  certo 
trattarsi  di  una  coincidenza  casuale,  non  di  una  corrispondenza  in- 


260  A.    MAU 

tenzionata.  Ammettendo  dimqne  per  i  lati  corti  sei  colonne  senza 
corrispoudenza  con  la  cella  —  l'unica  soluzione  che  non  offra  diffi- 
coltä  alcima,  —  si  ottiene  lo  Schema  deirantichissimo  tempio  C  di 
Seliimnte :  corrispondenza  soltanto  della  facciata  con  diie  colonne 
dei  lati  lunghi.  mentre  in  genere  a  Selinunte  la  noncorrispon- 
denza  e  propria  dei  templi  piü  antichi  (Benndorf  Metopen  v.  Se- 
lin.  p.  21). 

La  pianta  dei  Sogliano  distingue  nello  stereobate  le  parti  an- 
tiche  ed  i  ristauri  moderni:  si  la  lunghezza  che  la  larghezza  do- 
yevano  essere  quasi  esattamente  quali  ora  si  vedono :  la  lunghezza, 
di  m.  27,185  (sul  lato  d.)  rimane  di  m.  0,31  sotto  cento  piedi 
di  0.275. 

Quel  basamento  tondo  rimasto  in  piedi  nella  cella  si  e  chiarito 
che  vien  sorretto  da  un  masso  quadrangolare,  il  cui  lato  sin.  coincide 
con  l'asse  dei  tempio.  Tanto  questa  coincidenza  che  la  soliditä  della 
fondazione  vietano  di  pensare  alla  meschina  ricostruzione  dei  tempi 
posteriori :  evidentemente  accanto  a  quel  masso  ve  ne  stava  un  altro, 
tolto  poi  dopo  la  distruzione  dei  tempio.  Quanto  perö  alla  base 
stessa,  tonda  e  rastremata,  senza  modanatura  di  sorta,  e  difficile 
non  crederla  ridotta  da  un  tamburo  d'una  colonna  dei  tempio 
stesso,  posto  li  dopo  la  distruzione.  Siccome  poi  quella  fondazione 
quadrilunga  sta  piü  vicina  all'ingresso  che  al  fondo  della  cella, 
cosi  abbiamo  a  scegliere  fra  due  ipotesi:  o  vi  stava  non  l'imma- 
gine  della  divinitä,  bensi  un  altare  (o  mensa  che  fosse)  posto  avanti 
ad  essa,  oppure  quel  masso  e  Tavanzo  d'una  fondazione  quadrata 
composta  di  quattro  massi  simili,  la  quäle  poteva  sorreggere  una 
grande  immagine  di  divinitä  seduta  (^). 

Quelli  poi  che  sulle  rovine  stabilirono  un  modestissimo  san- 
tuario,  collocarono  quel  rocchio  di  colonna  —  sia  che  servisse  da 
base  sia  da  altare  —  sul  masso  rimasto  nel  suolo,  poco  curandosi 
della  posizione  non  simmetrica. 

Furono  trovati  pochi  frammenti  di  terrecotte  architettoniche 
(Von  Duhn  e  Jacobi  tav.  VI.  VII),  fra  cui  uno  dei  quäle  par  certo 
appartenesse  alla  medesima  slma  di  cui  fece  parte  l'arcaica  testa 
di  leone,  e  che  conferma  in  tal  modo  la  congettura  con  la  quäle 

(^)  Quest'ultiraa  idea  mi  fu  suggerita  dal  dott.  Sauer,  quando  neH'estate 
1891  visitaramo  queste  rovine. 


HIIiLIOGKAl-'IA    I'OMPEIANA  26t 

il  Fiorelli  aveva  attribuita  quella  testa  al  tempio  in  discorso.  Di 
altri  frammenti  i  sigg.  Von  Duhii  o  Jaeobi  rilevano  la  grandis- 
sima  somiglianza  con  terrecotta  di  Siraciisa  e  Gela  (riprodotte 
tav.  VII  flg.  3.  4)  che  secondo  loro  stanno  in  strettissima  rela- 
zione  cou  quelle  del  (hesauros  de'  Geloi  in  Olimpia  (Dörpfeld  ecc. 
Die  Venoendung  von  Terrakotten  etc.  p.  11),  il  qnale,  nelle  sue 
parti  piii  antiche,  rimonta  al  VI  secolo.  Cosi  anche  la  testa  di 
leone  essi  (p.  16)  la  ritengono  piü  arcaica  di  vari  moniimenti  ana- 
loghi  appartenenti  alla  metä  del  V  secolo.  Se  nondimeno  credono 
possibile  ascriverla  al  V  e  anche  al  IV  secolo,  e  vedono  puuti  di 
contatto  fra  essa  e  quella  del  tempio  d' Apollo  (Von  Rohden  tav.  II), 
non  posso  seguirli,  e  confesso  che  quei  punti  di  contatto  con  mi 
riesce  afterraiii. 

Fra  i  piccoli  oggetti  meritano  menzione  i  seguenti. 

1.  Appie  di  quella  specie  di  base  o  basso  miiro  che  sta  ac- 
cauto  al  muro  d.  e  parallelo  ad  esso,  si  raccolsero  tre  frammenti 
delle  gambe  d"nn  cervo  in  terracotta,  di  grandezza  piü  che  natu- 
rale, giudicati  arcaici  dal  Milani  (Sogliano  p.  lO).  Gli  autori  di 
ambedue  le  memorie  sono  propensi  a  credere  quel  cervo  collocato 
anticamente  suUa  base  stessa,  come  arma  parlante  della  divinitä 
(Apollo?  Artemide?  Ercole?)  venerata  nel  tempio.  In  fatto,  non 
trattandosi  d"un  frammento  isolato  ma  di  tre  pezzi,  e  siccome  un 
cervo  cosi  grande  non  vi  era  certo  che  in  un  sol  luogo  e  con  un 
siguißcato  speciale,  cosi  la  congettura  non  maiica  di  probabilitä; 
cf.  anche  la  pittura  Heibig  252,  che  mostra  nn  cervo  sopra  una 
base  accanto  ad  un  tempietto, 

2.  Piü  centinaia  di  piccolissimi  vasetti  di  creta  grezza,  dichia- 
rati  non  seuza  probabilitä  per  lucernine  dai  sigg.  Von  Duhn  e  Ja- 
eobi (p.  13),  trovati  a  poca  profonditä,  la  maggior  parte  nella  cella, 
altri  sotto  l'ambulacro,  alcuni  appie  del  lato  S  dello  stereobate. 

3.  Parecchi  frammenti  di  vasi  dipinti  di  fabbrica  locale,  del 
genere  in  uso  nella  Campania  fin  dal  IV  secolo;  nessun  frammento 
piü  antico. 

Varie  qnestioui  riguardanti  il  tempio  furono  toccate  dagli  au- 
tori delle  due  memorie. 

II  von  Duhn  propende  a  riteuerlo  meno  antico  di  quanto  ge- 
neralmente  si  crede.  Nei  templi  dell'epoca  arcaica,  dice  egli.  ne  la 
cella  ha  tanta  larghezza  in  proporzione  della  lunghezza,  ne  e  tanto 


262  A.    MAU 

profondo  rambiilacro.  E  siccome  il  non  essersi  trovato  alcim  fram- 
mento  di  vaso  che  acciisi  im'epoca  anteriore  al  priiicipio  de]  IV  se- 
colo,  e  per  lui  un  indizio  crouologico.  cosi  vorrebbe  credere  il  tempio 
costrutto  nel  IV  o  V  secolo.  Qiianto  al  carattere  assai  piü  arcaico 
delle  terrecotte  architettouiche,  compresa  la  testa  di  leone,  e  la 
somiglianza  del  capitello  con  quelli  dei  templi  piü  antichi  di  Pesto 
e  di  Seliuunte,  non  posteriori  di  certo  al  VI  secolo :  fra  i  barbari. 
dice  egli,  e  senza  contatto  coi  centri  della  coltura  greca  le  forme 
arcaiche,  iina  volta  ricevute,  potevano  conservarsi  piü  a  lungo.  A 
me  sembra  che  qiiest' ultima  considerazione  sia  fuori  di  luogo  trat- 
tandosi  d'im  porto  di  mare  vicinissimo  a  tioreuti  colonie  greche, 
fra  una  popolazione  assai  accessibile  alla  coltura  greca.  Un  tale 
ragionamento  sarebbe  buono  per  spiegare  in  certo  modo,  se  indizii 
sicuri  ci  conducessero  ad  im'epoca  relativamente  tarda,  l'uso  di 
forme  arcaiche,  non  perö  per  stabilire,  nella  mancanza  di  altri 
argomenti,  la  data  della  costruzioue.  11  carattere  decisamente  ar- 
caico delle  terrecotte,  ed  in  ispecie  della  testa  di  leone ;  la  forma 
del  capitello,  che  e  quella  dei  piü  antichi  templi  di  Pesto  e  di  Se- 
linunte;  le  18  scanalature  invece  dei  20  del  canone  dorico;  le  co- 
loune  corrispondenti  agli  angoli  della  cella  soltanto  nelle  estremitä 
auteriori  dei  lati  luughi:  tutto  ciö  ci  conduce  nel  VI  secolo. 
Che  la  maggior  larghezza  in  proporzione  della  lunghezza  non  sia 
un  buon'indizio  cronologico,  lo  ammette  anche  il  von  Duhn;  in 
fatto  Chi  vorrebbe  sostenere  che  nei  tempi  antichi  ogni  tempio  avesse 
tutti  quei  compresi  che  si  osservano  in  Selinunte?  E  sopprimendo 
p.  es.  nel  tempio  D  di  Selinunte  la  parte  media,  il  thesauros,  il 
rimanente  avrebbe  press'a  poco  le  proporzioni  del  tempio  pom- 
peiano,  anzi  la  larghezza  sarebbe  maggiore.  La  proporzione  poi 
fra  la  profonditä  degli  ambulacri  laterali  e  la  larghezza  della  cella 
e  press'a  poco  quella  del  tempio  F  di  Selinunte,  che  si  ascrive 
al  sesto  secolo,  Ne  attribuirei  importanza  alcuna  al  ritrovamento 
di  frammenti  di  vasi  non  anteriori  al  IV  secolo.  Furono  trovati,  a 
quanto  mi  si  dice,  nell'ambulacro,  la  maggior  parte  ad  una  pro- 
fonditä non  minore  di  m.  0,40  (V.  Duhn  p.  12),  vale  a  dire  sotto 
il  paviraento  (ancora  ben  riconoscibile),  il  quäle,  per  conseguenza, 
dev'essere  posteriore  ai  piü  recenti  fra  quei  cocci,  e  deve  aver  rim- 
piazzato  un  pavimeuto  piü  antico ;  e  soltanto  in  occasione  di  questo 
rinnovamento  i  cocci  potevano  venire  in  quei  posto;  uulla  dunque 


BiBLIOGRAFIA   POMPEIANA  263 

di  piü  naturale  che  l'assenza  di  frammenti  piii  antichi.  Tiitt'al  piü 
in  favore  d'ima  data  piü  recente  si  potrebbe  far  valere  l'assenza  di 
altri  edifizii  egualraente  antichi  (mancano  i  mezzi  per  stabilire  Tetä 
del  muro  di  cinta);  nia  sarebbe  pericoloso  il  dare  ad  argomenti 
simili  la  prevalenza  su  qiielli  derivanti  daH'esame  del  monumento 
stesso.  La  cittä  che  noi  vediamo,  con  la  sua  rete  stradale  tauto 
regolare,  fu  senza  dubbio  foudata  secondo  im  piano  prestabilito.  Ma 
clii  ci  assiciira  che  prima  di  tale  fondazione  il  liiogo  fosse  disa- 
bitato,  che  non  vi  fosse  in  fine  una  cittä  piü  antica,  della  quäle 
il  tempio  potrebb'essere  l'unico  avanzo? 

A  quäle  divinitä  era  consacrato  il  tempio  ?  Forse  Apollo  (So- 
gliano  p.  198.  Von  Duhn  p.  28) ;  il  quäle  e  additato  dai  frammenti 
del  cervo  e  da  una  statuetta  raccolta  appie  del  muro  di  sostegno  S. 
Si  avverta  perö  che  tutto  ciö  si  spiega  egualmeute  se  il  tempio 
era  sacro  ad  Artemide.  Del  resto,  per  quanto  siano  deboli  gli  in- 
dizii,  nessun  altro  nome  puö  dirsi  con  qualche  ombra  di  fondamento. 

Quando  fu  distrutto  il  tempio?  Ambedue  gli  autori,  supponen- 
dolo  di  Apollo,  mettono  in  relazioue  il  suo  abaudono  con  la  costru- 
zione  dello  splendido  santuario  del  medesimo  dio  accanto  al  foro, 
costruito  neU'epoca  «del  tufo  ".  Qui  si  tratta  di  una  ipotesi  fon- 
data  :-opra  un'altra,  vale  a  dire  di  cosa  assai  incerta.  Del  resto 
appena  vi  e  qualche  indizio  sul  tempo  della  distruzione.  Credetti 
una  volta  (Overbeck  ^  p.  86)  di  averne  trovato  uno,  che  cioe  il  pa- 
vimento  del  santuario  stabilito  sulle  rovine  presupponesse  un  into- 
naco  delle  pareti  in  parte  distrutto,  e  non  fosse  per  couseguenza 
il  primo  pavimento  di  quel  santuario;  ma  si  e  chiarito  non  trat- 
tarsi  che  di  avanzi  d'intonaco  aderenti  alle  pietre  adoperate  per  la 
costruzione.  Cosi  soltanto  lo  stato  assai  logoro  del  pavimento  ac- 
cenna  ad  un  tempo  non  prossimo  alla  catastrofe  finale.  Uu  altro 
indizio  lo  credono  di  aver  trovato,  con  im  ragionamento  molto  sot- 
tile,  i  sigg.  Von  Duhn  e  Jacobi.  Dalla  poca  conservazione  delle 
fondamenta  sul  lato  S,  dalla  pendenza,  certo  non  originaria,  del 
terreno  su  quel  lato,  essi  concludono  che  la  rovina  fosse  cagionata 
da  un  cedimento  del  terreno  verso  S,  non  avendo  bastato  al  suo 
ufficio  il  muro  di  sostegno  del  foro  triangolare,  meutre  il  tempio 
(cosi  credono)  non  fu  fondato  suUa  roccia  viva.  E  siccome  in  fatto 
sul  quel  tratto  del  muro  di  sostegno  che  corrisponde  al  tempio,  gli 
antichi  massi  di  pietra  calcare  si  vedono  rimpiazzati  con  im'opera 


264  A.    MAU 

incerta  in  lava,  simile  a  quella  delle  parti  piü  recenti  del  miiro 
Ji  cinta.  cosi  credono  il  tempio  caduto  prima  di  quel  rist-auro  del 
rauro  di  cinta,  che  fii  fatto  in  opus  incertum,  probabilineute  poco 
prima  della  guerra  sociale  (0 verbeck  ^  p.  43).  Ma  lo  stilobate  e 
fondato  sulla  roccia,  sul  lato  d.  a  m.  2,04,  sul  lato  sin.  a  2,50 
sotto  il  pavimento  del  tempio.  Tale  fondamento  manca  in  qualche 
parte,  ma  in  nessim  punto  fu  ti'ovato  spostato;  ed  ove  manca,  tale 
mancanza  coincide  quasi  sempre  con  qnella  dei  gradi  onde  era  pre- 
ceduto  (Sogliano  p.  194):  vale  a  dire  che  le  parti  mancanti  furono 
tolte  e  adoperate  ad  altri  iisi  dopo  la  distruzione.  Contradice  poi 
alla  suddetta  ipotesi  l'integritä  degli  strati  di  terreno  che  interce- 
douo  fra  la  Ibudazione  e  il  mm*o  di  sostegno:  appie  della  parte 
antica  dell'infimo  gradino  del  lato  S  fu  trovata  terra  rimescolata 
tino  a  m.  0,90,  quindi  terra  vergine  compatta  fiuo  a  m.  2,50,  vale 
a  dire  fin  sulla  roccia  vulcanica.  Debbo  questi  particolari  all'ami- 
cizia  del  prof.  Sogliano  e  dell'ing.  Cozzi,  i  quali,  per  chiarire  ap- 
punto  l'ipotesi  in  discorso  fecero  tre  saggi  ßu  sulla  roccia:  imo 
sul  lato  N  presso  quella  colonna  che  era  la  quarta  a  coutar  dal- 
Tangolo  NO,  uno  quasi  incontro  sul  lato  S,  il  terzo  suUo  stesso 
lato  S  piü  verso  E,  ove  l'infimo  gradino  e  antico.  —  Rimane  dunque 
incerta  la  data  della  distruzione. 

Che  dopo  la  distruzione  fosse  costruito  sul  posto  della  cella  un 
modestissimo  sacello.  lo  osservö  il  Mazois  (IV  p.  28)  il  quäle  anzi 
disse  che  a  piü  riprese  fossero  fatti  tali  costruzioni ;  lo  riaffermai 
io  (Overbeck  ^  p.  85)  e  lo  riconoscono  i  sigg.  Von  Duhn  e  Jacobi 
(p.  19)  raentre  il  prof.  Sogliano  (p.  1(3)  ne  dubita  e  crede  d'origine 
moderna  tutti  que'  muri  che  non  stanno  sopra  le  fondamenta  del- 
l'antica  cella ;  in  fatto  essi  non  discendono  in  alcun  punto  piü  di 
m.  0,40  sotto  il  pavimento  del  tempio  (Von  Duhn  p.  20).  e  per 
la  maggior  parte  delle  pietre  visibili  sul  lato  sin.  e  chiaro  che  non 
hanno  mai  formato  un  vero  muro,  ma  furono  messe  li,  senza  dubbio 
in  tempi  moderni,  per  segnarne  la  direzione.  Perö  un  uomo  come 
Francesco  La  Vega  avrebbe  egli  fatto  segnare  i  lati  posteriore  e 
sinistro  non  simmetrici  a  quegli  anteriore  e  destro,  se  non  ne  avesse 
trovato  qualche  indizio?  mentre  tutto  si  spiega,  se  egli  trovö  press'a 
poco  nello  stato  attuale  le  parti  composte  di  pietre  piü  grosse,  il 
muro  posteriore  cioe  con  l'angolo  a  sin.  Ne  io  avrei  alfermato 
l'esistenza  del  santuario  ricostruito  in  tempi  antichi,  se  non  avessi 


HIHI.IOGK.VKIA    l'OMI'KIANA  265 

osservato  avanzi  di  uu  paviinento  in  signi/ium,  adereiite  alla  base 
summenziouata  (p.  2i)0)  che  sembra  fatta  da  im  rocchio  di  colonua, 
e  all'angolo  SO  (Sogliano  p.  192.  Von  Duhu  e  Jacobi  p.  7),  poste- 
riore dunqiie  alla  distnizione  od  alla  ricostnizione.  II  prof.  Sogliauo 
crede  moderne  qiiel  pavimento,  e  afterma  essere  stato  trovato  sotto 
di  esso  im  compatto  strato  di  cenere.  Non  so  se  quest'ultimo  sia 
identico  con  lo  strato  di  cemento  grigio,  alto  m.  0,14,  osservato 
dai  sigg.  Von  Duhn  e  Jacobi :  in  ogui  modo  e  atlatto  incredibile, 
e  sarebbe  senza  esenipio,  im  pavimento  del  tutto  simile  al  sigmiium 
antico,  fatto  fare  dal  La  Vega  a  cielo  aperto,  in  im  recinto  da  lui 
arbitrariamente  ricostruito.  Per  me  non  v'ha  dubbio  che  quel  pa- 
vimento non  sia  antico  e  appartenga  al  sacello  ricostruito  in  im 
tempo  non  troppo  vicino  airultima  catastrofe.  L'assenza  di  solide 
fondamenta  me  la  spiego  cosi,  che  la  ricostnizione  dovesse  essere 
fin  da  principio  attatto  provisoria,  che  si  avesse  cioe  l'intenzione 
di  rimpiazzarla  quanto  prima  con  una  costruzione  piü  solida. 

Potrebbe  darsi  anche  che  la  ricostnizione  non  consistesse  che 
in  un  basso  recinto,  senza  tetto.  E  ciö  forse  trova  im'analogia  in 
im  avanzo  d'edifizio  dietro  la  basilica.  Se  ne  parlerä  forse  meglio 
fra  qualche  anno,  quando,  progrediti  gli  scavi  fino  a  quel  puntö, 
sal'ä  sgombrato  dalle  masse  che  ancora  lo  cuoprono  in  parte.  Os- 
servo  intanto  trattarsi  d'uu  grande  e  solidissimo  stereobate  di  02nis 
incertum,  largo  quasi  m.  11,  senza  il  rivestimeuto  (gradini?)  di 
pietre  quadre,  lungo  almeno  20  m,,  del  quäle  e  stato  tolto  antica- 
mente  l'angolo  SO ;  e  sormontato  da  un  recinto  largo  circa  m.  8  (la 
limghezza  non  e  riconoscibile)  aperto  verso  S  in  tutta  la  sua  larghezza 
e  munito  d'ima  soglia  di  « travertino  ".  II  miu-o  del  recinto,  grosso 
fra  40  e  50  cm.,  e  bassissimo  (meuo  di  80  cm.  sopra  la  soglia)  e 
coperto  sulla  superficie  d'uno  strato  di  sigmimm  (conservato  in  im 
punto  del  lato  d.  e  in  un  altro  del  lato  sin.),  ciö  che  sembra  pro- 
vare  non  trattarsi  degli  avanzi  di  un  miiro  piü  alto,  ma  appunto 
d'im  basso  recinto  che  forse  segnava  il  posto  d'uu  tempio  da  co- 
strim-si.  Aggiungo  la  pianta  per  quanto  e  visil)ile  ed  il  profilo  dei 
lati  anteriore  e  sin.  quali  si  vedono  nel  taglio  SO.  Nel  taglio  del 
lato  0  fi^  e  terra  vergine,  b  riempimento  anteriore,  c  riempimento 
posteriore  alla  costruzione. 

Tornando  al  tempio  del  foro  triangolare  osservo  ancora  che  a 
torto  i  sigg.  Von  Duhn  e  Jacobi  (p.  20 ;  tav.  IV)  ascrivono  alla  rico- 


266 


A.    MAU 


struzione  il  fondameuto  della  soglia  fra  cella  e  pronao.  La  cella 
non  fii,  corne  essi  credono,  allungata  nella  ricostnizione,  ma  la  siia 
porta.  con  la  soglia,  stava  lin  da  piincipio  non  nel  vano  dell'iu- 
gresso.  ma  avanti  ad  essi ;  ciö  che  si  veritica  anclie  in  altri  esempi, 
fra  cui  il  piii  notevole  e  il  tempio  di  Giove  siil  foro  di  Pompei. 
liesta  a  dir  poche  parole  intorno  all'appendice  deH'architetto 
Jacobi  siii  condotti  pel  fiimo  e  sopra  im  particolare  nelle  terme 
stabiane. 


oMM1»!1|I1- 


,1    ,2    .3     A   if 


.^ 


E  chiaro  che  nelle  stufe  de'  bagni  antichi  l'aria  rinchiiisa  dietro 
le  tegole  mammate  o  nei  tiibi  delle  pareti  doveva  avere  imo  sfogo 
per  dare  aria  al  fiioco.  Ne  constatai  l'esistenza  nei  caldarii  delle 
case  «  di  Giuseppe  II  »  e  «  del  Fauno  »  (Bull.  1887  p.  134).  Ora 
il  sig.  Jacobi  ha  osservato  che  due  di  tali  aperture  vi  sono  nella 
lunetta  0  del  caldario   delle   donne  nelle  terme  stabiane,  mentre 


niHI.IOGR.VKIA    POMPEIANA  267 

gli  e  sfugcfita  la  loro  esisteiiza  neiradiacente  tepidario  e  nel  tepi- 
dario  degli  iioiniui. 

Nel  caldario  degli  iiomini  si  osservano  nel  muro  della  schola 
labri  diie  tiibi  che  comiuciaudo  aH'altezza  del  paviinento  condu- 
cono  in  sn,  e  debbono,  per  quanto  io  vedo,  aver  servito  al  mede- 
simo  scopo  fin  dal  tempo  quando  il  caldario  si  scaldava  soltanto 
per  mezzo  del  pavimento  sospeso,  senza  pareti  vuote  (cf.  Mau  Pompej. 
lieilr.  p.  187). 

Descrissi  a  pag.  230  del  Poinpeji  (ed.  4)  di  Overbeck  un  sin- 
gulare apparecchio  per  tener  calda  l'acqua  nelValveo  del  caldario 
delle  doune.  Sbagliai  perö  (e  me  ne  souo  accorto  da  vario  tempo) 
credendo  che  quello  speco.  nel  qiiale  entrava  l'acqua  per  stare  a 
contatto  col  fuoco,  avesse  soltanto  il  fondo  di  metallo  e  fosse  del 
resto  murato.  Invece  ha  tutte  le  sue  pareti  di  bronzo  ed  e  una 
specie  di  caldaia.  Ciö  e  giustamente  rilevato  dal  Jacobi ;  egli  ag- 
giunge  (ciö  che  mi  era  sfuggito)  che  il  fatto  stesso  fu  avvertito 
dal  Michaelis  Ar  eh.  Zeit.  1859  p.  32,  il  quäle  perö  non  riconobbe 
lo  scopo  deU'apparecehio.  II  fondo  della  caldaia  sta  a  m.  0,17  sotto 
il  livello  del  fondo  <)i€\S^alveu8\  l'autore  spiega  tale  diiferenza  con 
l'intenzione  di  far  restare  qualche  acqua  nella  caldaia  quando  si 
vuotava  Valveus,  per  nou  farla  danneggiare  dal  fuoco  rimasto  ac- 
ceso.  Ma  siccome  senz'alcuu  dubbio  quando  il  fuoco  era  acceso  la 
yasca  era  piena,  cosi  non  si  comprende  bene  una  precauzione  per 
un  caso  che  difiicilmente  poteva  avverarsi.  Forse  con  la  diiferenza 
di  livello  si  voleva  ottenere  che  l'acqua  riscaldata  nella  caldaia  si 
mescolasse  meglio  con  quella  piii  tiepida  deWcäveus.  L'autore  da 
sulla  tav.  IX  accurati  disegni  äeWalveus  e  della  caldaia. 

L' apparecchio  in  discoiso  non  e,  come  sembra  credere  l'autore, 
un  fatto  isolato.  Nel  caldario  degli  uomini  la  parte  relativa  non  e 
conservata;  ma  nell'istessa  maniera  l'acqua  doveva  mantenersi  calda 
nelle  terme  «  centrali "  (Bull.  1877  p.  220)  ed  in  quelle  ultima- 
mente  scoperte  (Bull.  1888  p.  203).  Non  e  poi  che  un  malinteso 
quando  egli  crede  che  nelle  tbrnie  Stabiane  manchino  le  tre  caldaie 
descritte  da  Vitruvio:  da  esse  l'acqua  entrava  neU'alveo,  e  scolava  ' 
continuamente  nella  stessa  misura ;  la  caldaia  descritta  dall'autore 
non  serviva  che  per  mantenerne  la  temperatura. 


2G8  A.    MAL- 

Statua  di  3Iareello  uipote  di  Aiigusto.  Memoria  letta  all'Ac- 
cademia  di  arclieoloo-ia  Lettere  e  Belle  arti  uella  tornata 
del  15  duguo  1890  dal  socio  strauiero  Augusto  Mau.  Na- 
poli  1890  (Estr.  dal  vol.  XY  —  uou  ancora  piibWicato  — 
degli  Atti  della  R.  Accadeinia  di  Archeologia  Lettere 
e  Belle  arti). 

Ho  cercato  di  mostrare  in  qiiesta  memoria  che  la  statua  vi- 
rile trovata  iiel  macello  ("  Pantheon  ")  di  Pompei  e  creduta  comu- 
nemente  Dni^o  giimiore  (BernoiiUi  Ikonograi^hie  II,  1,  tav.  VIII) 
rappresenta,  secoudo  tiitte  le  probabilitä,  Marcello,  nipote  dAugusto. 
II  costmne  eroico  indica  uu  principe  imperiale,  il  quäle  perö  non 
ha  affatto  il  tipo  della  famiglia  Claudia.  Non  va  d'accordo  in  ispecie 
coi  ritratti  di  Druso  giuniore,  che  per  mezzo  delle  monete  possono 
veriücarsi ;  non  pu6  credersi  neanche  uno  dei  tigli  maggiori  di  Ger- 
manico,  essendo  troppo  diverso  il  tipo  da  quelle  ahbastaüza  cono- 
sciuto  di  Caligola  ed  Agrippina  minore,  mentre  tutti  gli  altri 
Claudii  sono  esclusi  sia  per  i  loro  ritratti  conosciuti  sia  per  altre 
circostanze.  Non  puö  neanche  rappresentare  uno  de'  tigli  dAgrippa  — 
G.  e  L.  Cesare  e  Agrippa  Postume  —  sia  per  quanto  risulta  dalle 
loro  monete  che  per  la  loro  somiglianza,  presumibile  in  se  stessa 
e  attestata  da  Macrobio  II,  5,  col  padre,  tinalmente  per  quanto 
sappiamo  dei  loro  caratteri.  Non  rimane  dunque  che  appunto  Mar- 
cello, il  quäle  era  patrono  di  Pompei  ed  aveva  una  statua  auche 
sul  foro  triangolare  (C. /.  L.  X  882).  E  trattarsi  di  una  persona 
che  avesse  una  relazione  speciale  cou  Pompei,  lo  rende  probabile 
un  busto  in  bronzo  del  museo  di  Napoli  (inv.  5584),  che  rappre- 
senta la  stessa  persona  con  forme  macilenti  che  convengono  1)ene 
a  Marcello,  il  quäle,  appena  adulto,  cadde  nella  malattia  che  lo 
condusse  o  morte.  Le  tracce  poi  di  una  corona  di  metallo  imposta 
alla  statua  iu  discorso  ricordano  la  corona  d'oro  con  la  quäle  Au- 
gusto onorö  la  memoria  del  nipote  (Dione  Cassio  43,  30,  5.  6). — 
II  macello  di  Pompei  sembra,  nella  sua  forma  attuale,  posteriore 
alla  morte  di  Marcello,  ma  e  stato  ricostruito  sul  posto  d'un  edi- 
fizio  simile;  e  credibile  che  la  statua.  collocata  prima  in  quest'edi- 
fizio  piü  antico,  fosse  accolta  poi  in  quelle  ricostruito.  II  mio 
risultato  fu  messe  in  dubbio  da 


BIBLIOGRAKIA    POMPEIANA  269 

L.  A.  MiLANi,  Le  receuti   scoperte  cli  aiiticliita  iu  Verona. 
Verona  1891   (v.  piii  sotto). 

L'autore  crede  che  la  statiia  pompeiana  rappresenti  la  stessa 
persona  di  iina  bella  testa  trovata  a  Verona  e  uella  quäle  egli 
ravvisa  Druso  mat^giore.  Nou  e  questo  il  luogo  per  discutere  il  ri- 
tratto  di  Druso :  mi  liniito  a  dire  che  non  sono  persuaso.  Ma 
quanto  all'identitä  dei  due  ritratti,  ognuna  delle  due  teste  presenta 
im  tipo  estremamente  individuale,  con  tratti  certo  uon  inventati  — 
p.  es.  la  forma  singolare  delle  orecchie  nella  statua  pompeiana  — 
e  nel  tempo  stesso  dilleriscono  talmente  fra  loro,  auche  uell'espres- 
sioue,  tiera  ed  energica  nell'una,  fiacca  e  malinconica  uell'altra, 
che  nonostante  ima  lontana  somiglianza  nel  profilo  mi  pai-e  impos- 
sibile  che  possano  rappresentare  una  stessa  persona. 
Sara  conti iiuato. 

A.  Mau. 


18 


GRIECHISCHE  BRONZE 

(Taf.  VII). 


Auf  Tafel  YII  ist  in  drei  Ansichten  ein  Bronzefigürchen 
abgebildet,  welche  Jos.  Kopf  in  Rom  erworben  und  mir  sowohl 
in  einer  Institutssitzung  vorzulegen,  als  auch  hier  zu  publicieren 
freundlichst  erlaubt  hat.  Nach  Aussage  des  Händlers  stammt  dasselbe 
aus  Unteritalien.  Von  dem  dicken  Kalk-  und  Oxyd-überzug  hat 
Professor  Kopf  selbst  die  Bronze  sorgfältig  gereinigt,  und  dieselbe, 
da  immer  wieder  '  bösartige  grüne  Flecken  '  sich  zeigten,  mit 
Silberlösung  leicht  überzogen,  durch  welche  wohl  die  Farbe  aber 
nicht  die  Formen  verändert  wurden. 

Von  der  Sohle  bis  zum  Scheitel  106  mm.  hoch,  war  die  Figur 
früher  mit  einem  kleinen  Nagel  durch  jeden  Fuss  auf  einer  andern 
Basis  als  die  jetzige  befestigt,  ein  Verfahren,  das  den  Verlust  des 
1.  Crossen  und  zweiten  Zehs  mit  dem  Ballen  und  vielleicht  auch 
durch  Hämmern  eine  Abplattung  der  Zehen  des  r.  Fiisses  zur  Folge 
hatte.  Beide  Nägel  reichen  aber  gegenwärtig  nicht  mehr  unter  die 
Sohle  hinab  und  berühren  die  jetzige  moderne  Bronzebasis  nicht, 
an  welcher  die  Figur  vielmehr  durch  Löthung  unter  den  Fersen 
haltet.  Ausser  den  unten  zu  erwähnenden  Ansatzspuren,  hat  die 
Bronze  eine  Menge  ganz  kleiner  Schäden  der  Oberfläche,  meist  wohl 
von  der  Oxydation,  ein  Theil  vielleicht  Gussfehler,  wenige  auch  von 
Bestossung.  herrührend :  der  Gesammteindruck  wird  dadurch  wenig 
beeinträchtigt. 

Die  Ausführung  des  Werkes  ist  nicht  von  äusserster  Fein- 
heit :  speciell  von  Nachciselierung  vermag  ich  ausser  am  Haar  und 
vielleicht  an  Augen  und  Fingern  keine  Spuren  zu  sehen.  Die  ganze 
Anlage  aber,  sowohl  der  eigenartigen  Körperhaltung  als  auch  der 
einzelnen   Gliedmaassen   ist  von   bewundrungswürdiger    Wahrheit 


E.    PETERSEN.    GRIECHISCHE   BRONZE  271 

und  Lebendigkeit,  wie  sie  nur  von  griechischer  Künstlerhand 
herrühren  kann,  und  in  dieser  liebensAvürdigen  Einfalt  und  schlich- 
ten Natürlichkeit  wohl  auch  von  einem  Griechen  nur  in  den 
Zeiten  der  noch  nicht  völlig  frei  gewordenen  Kunst.  Diese  bezeugt 
sich  greifbar  in  dem  gerundeten,  zur  Stirn  stark  abfallenden 
Hinterkopf,  in  der  gradlinig  gegen  den  Abschnitt  hinab  geführten 
Zeichnung  des  knappgehaltenen  Haares,  in  der  einfachen  Linie  mit 
welcher  dieser  Abschnitt  sich  um  Stirn  und  Wangen  herumzieht, 
in  den  scharfkantig  und  in  hohem  Bogen  in  den  Nasenrücken 
übergeführten  Brauen,  in  Form  und  Lage  des  Auges,  welches  in 
der  Seitenansicht  nur  um  ein  Geringes  verkürzt  erscheint.  Für  die 
Bildung  der  Stirn  mit  der  Umrahmung  durch  das  Haar,  die 
Profillinie  bis  zu  der,  nur  etwas  bestossenen,  Nasenspitze,  ganz 
besonders  aber  für  die  Bildung  der  Augen  mitsammt  der  Einfassung 
der  Lider  wüsste  ich  nichts  Ähnlicheres  als  den  Kopf  des  ApoUon 
im  Westgiebel  des  olympischen  Tempels,  (s.  Archaeol.  Zeitung  1883 
Taf.  14),  bei  welchem  dagegen  der  Hinterkopf  minder  hoch,  das 
Untergesicht  minder  zurückweichend  ist.  Der  Mund  hat  in  der 
vortretenden  Oberlippe  einen  knabenhaften  Zug  bewahrt,  obgleich 
das  Schamhaar  nicht  fehlt,  auch  dieses  nach  oben  in  der  archaischen 
Form  des  stumpfwinkligen  Dreiecks.  Zu  den  Resten  alterthümlicher 
Bildung  rechne  ich  auch  die  überkräftigen  Schultern. 
Ein  stämmiger  Bursche 

STon'  l'(Xo)g  fxxcddex  Yj   tmaxaiSexa  (Athen.  I,  15«) 

hat  sich  nackt  auf  beide  Püsse  gestellt;  um  möglichst  sicheren 
Stand  zu  haben,  ein  wenig  sperrbeinig  und  etwas  auswärts  die 
Füsse.  Augenscheinlich  gilt  es  einem  starken  Druck  von  oben 
Widerstand  zu  leisten,  eine  Last  ohne  Wanken  zu  tragen :  Darum 
stützt  er  die  Hände  oberhalb  der  Kniee  auf.  In  Fol^e  dessen 
drängen  sich  die  Schultern  hervor,  und  sinkt  zwischen  ihnen  Hals 
und  Kopf  ein.  Die  rechte  und  linke  Körperhälfte  entsprechen  sich 
jedoch  keineswegs,  wie  es  auf  den  ersten  Blick  scheint,  völlig 
genau.  Vielmehr  sind  kleine  wohl  durchgeführte  Abweichungen 
vorhanden,  welche,  beabsichtigt  oder  nicht,  den  Eindruck  freier 
Natürlichkeit  verstärken  und  unsere  Bewunderung  des  kleinen 
Werkes  steigern.  Der  1.  Fuss  steht  nämlich  nicht  allein  ein  klein 


272  E.    PETERSEN 

.wenig  mehi'  auswäi'ts,  sondern  auch  ein  wenig  zurück.  In  Folge 
dessen  steht  auch  das  linke  Knie  ein  wenig  tiefer  als  das  rechte. 
Man  könnte  meinen,  dass  demzufolge  die  linke  Hand  ihre  Stütze 
etwas  höher  hinauf  suchen  müsste:  ganz  im  Gegentheil  hält  sie 
sich  merklich  näher  am  Knie;  mag  dies  auf  Berechnung  —  wie 
z.  B.  dass  die  Hand  durch  die  tiefere  Lage  des  Knies  etwas  herab- 
Sferutscht  sei  —  beruhen  oder  nicht. 

So  steht  der  Junge  da,  seine  Zeit  ruhig  aushaltend,  mit  etwas 
einfältigem  Gesichtsausdruck,  weder  geistig  irgend  wie  gespannt, 
noch  körperlich  zu  irgend  welcher  Bewegung  überzugehn  bereit. 
Diese  hinlänglich  deutliche  Abwesenheit  jeder  geistigen  Spannung 
nun  verbietet,  ihn  zu  aufmerksamer  Betrachtung  irgend  eines 
Gegenstandes  oder  Vorgangs  so  hingestellt  zu  denken,  wie  es  sonst 
wohl,  ich  weiss  freilich  nicht,  ob  anders  als  bei  Satyrn  vorkommt. 
Auf  einer  kleinen  Schale  der  Bruschischen  Sammlung  in  Corneto 
z.  B.  ist  einmal  innen,  einmal  aussen  ein  alter  Satyr  in  solcher 
Stellung  nach  links  dargestellt,  eine  Fran  betrachtend;  und  noch 
etwas  drastischer  gestaltet  ist  das  Motiv  bei  einem  kahlköpfigen 
Satyr  an  einem  Trinkhorn  bei  Stackeiberg.  Gräber  der  Hellenen 
Taf.  XXV  (vgl.  Conze  in  der  Zeitschrift  für  bildende  Kunst  111 
S.  164),  welcher  mit  gespannter  Aufmerksamkeit  der  Prüfung  eines 
Weingefässes  zuschaut.  Bei  der  Bronzefigur,  würde  man  ja  auch 
den  Geofenstand  der  Aufmerksamkeit  ebensowenig  vermissen  wie 
voraussetzen  wollen. 

Ohne  Zweifel  ist  der  Barsch  vielmehr  in  irgend  einem  Knaben- 
oder Jugendspiel  der  Palaestra  begriffen,  und  mancher  wird  an 
das  '  Bockspringen  '  denken,  wie  man  es  heutzutage  in  Italien  so 
Sfut  wie  in  Deutschland  ausüben  sieht,  und  wie  man  es  im  Alterthum 
auch  ohne  ausdrückliches  Zeugniss  (s.  Grasberger  Erziehung  und 
Unterricht  I.  S.  126)  voraussetzen  darf.  Indessen  wird  auch  wer  dies 
Spiel  nicht  aus  eigener  Erfahrung  kennt  alsbald  zwei  Einwendungen 
machen  oder  anerkennen.  Um  dem  mehr  diagonalen  als  verticalen 
Druck  des  Hinübersspringenden  Stand  zu  halten,  stellt  der  '  Bock  ' 
den  einen  Fuss  weiter  voraus.  Noch  nothwendiger  aber  ist  es,  um 
dem  Springenden  ein  Hinderniss,  und  sich  einen  empfindlichen 
Stoss  zu  ersparen,  das  der  '  Bock  '  seinen  Kopf  möglichst  vorneige. 
Die  einleuchtende  Lösung  giebt  ein  kürzlich  im  Joitrjial  of  hellenic 
studies  1890  T.  XII  mit  S.  279  veröffentlichtes  Bild  von   einem 


GRIECHtSCHE    BRONZE  273 

Krater  von  Altamura  welches  liierneben  zu  wiederholen  die  Ge- 
fälligkeit der  englischen  Herausgeber  uns  verstattet.  Hier  sehen 
wir  einer  Satyrfamilie  gegenüber  zwei  glatzköpfige  Satyrn  nach 
links   in   der    nämlichen   Haltung  wie   unsere   Bronze   stehn,  von 

denen  jeder  einen  gleichal- 
trigen Seh  warmgenossen  als 
Reiter  auf  seinem  Rücken 
trägt. 

In  der  That  zeigt  un- . 
sere  Bronzefigur  auf  beiden 
Schulterblättern  Spuren  ei- 
nes andern  Körpers ,  der 
hier  einst  aufsass.  Deutli- 
cher auf  dem  rechten  als 
auf  dem  linken  Schulter- 
blatt, ist  die  Ansatz-  oder 
Bruch-Fläche  etwa  10  mm. 
lang  und  2  mm.  breit  und 
verläuft  von  der  Schulter 
schräg  abwärts  gegen  das 
Rückgrat,  völlig  entspre- 
chend der  Lage  der  Ober- 
schenkel jener  zwei  reiten- 
den Satyrn,  deren  Beine  ja 
keineswegs  den  Ohren  ihrer 
Träger  nahe  über  deren 
Schultern  nach  vorn  hängen. 
Dazu  kommt,  dass  der  Rüc- 
ken unserer  Bronzefigur  , 
etwas  oberhalb  der  Mitte 
zwischen  Kreuz  und  Nacken 
eine  Einsenkung  zeigt,  wel- 
che am  einfachsten  durch 
den  Druck  einer  Last  sich 
erklärt.  Alles,  auch  noch 
weiterhin  zu  erwälmende 
Umstände  erklären  sich  un- 
ter der  Voraussetzung  eines 


274  E.    PETERSEN 

wie  die  Satyrn  des  Kraters  auf  seinem  Spielgenossen  aufsitzenden 
Jungen,  und  da  ein  solcher  ohne  Zweifel  besonders  gegossen  sein 
musste,  um  aufgelöthet  zu  werden,  würde  auch  der  geringe  Umfang 
der  Ansatzspur  sich  erklären.  Nur  dass  diese  auf  beiden  Schultern 
fast  weniger  wie  eine  Löthungstelle,  denn  wie  der  Abbruch  eines 
Körpertheils  aussieht,  was  doch  nothwendig  falscher  Schein  ist. 

Die  Gruppe,  von  der  uns  in  der  Kopfscheu  Figur  nur  ein  Theil 
geblieben  ist,  stellt  also  ohne  Zweifel  ein  Knabenspiel  dar  —  auch 
die  ovTiSicvol  ac'cTVQoi  sind  ja  nur  alte  Knaben — ,  und  zwar  handelt 
es  sich  augenscheinlich  nicht  um  die  einfachste  Art.  solches  Spieles, 
wobei  ein  Knabe  auf  den  Schultern  des  andern  wie  auf  einem 
Reitthier  sich  herumtragen  lässt,  denn  unser  Träger  steht  ja  still, 
offenbar,  um  dem  Getragenen  die  Möglichkeit  zu  irgend  einem 
Vornehmen  zu  gewähren. 

Unsere  antiken  Zeugnisse  (')  lehren  uns  nun  zweierlei  Art  des 
auf  dem  Rücken  Tragens  kennen,  die  eine  f  r  xotvIi]  geheissen  oder 
^(fedoi^Lir  und  effsÖQKfaog,  die  andre  iTTiraffzl  xcc^C^eir ,  oder 
iTTTtäda  (auch  Kvßr^aird'u?),  beide  nicht  sehr  scharf  geschieden, 
vielmehr  sogar  —  offenbar  ungenau  —  als  dieselbe  Sache,  nur 
verschieden  benannt,  hingestellt.  Bei  jenem  bietet  der  Träger  in 
den  rückwärts  verschränkten  hohlen  —  daher  der  Name  ey  xorvli]  — 
Händen  dem  andern  eine  Stütze,  in  welche  dieser  das  Knie 
steumiend  sich  hinaufschwingt,  um  oben  auch  wohl  eine  mehr 
sitzende  Haltung  einzunehmen,  mit  einer  oder  beiden  Händen  auf 
die  Schultern  seines  Trägers  bequem  sich  stützend.  Diese  Art  steht 
auch  Mädchen  wohl  an.  Die  andeu  Art,  wobei  der  Getragene  rittlings 
auf  des  Trägers  Rücken  sitzt,  ist,  von  bakchischer  Unsitte  abgesehn, 
wo  erwachsene  Frauen  also  auf  alten  Sat^'rn  reiten,  nur  für  Knaben 
üblich.  Beide  haben  aber  das  gemein,  dass  sie  sowohl  für  sich  selbst 
schon  als  Spiel  ausgeübt  werden,  als  auch  nur  einen  Theil  eines 
andern  Spieles  ausmachen.  Als  Spiel  für  sich  sehen  wir  das  iTTTcaari 
kleinen  Knaben  von  grösseren,  namentlich  im  bakchischen  Kreise 
bereitet;  ebenso  das  weit  graziösere,  er  xorvhj  in  Terracotten, 
überall  wo  ein  Mädchen  oder  Eros,  sich  ruhig  einhertragen  lässt. 

Q-)  Ueber  ir  xoTv'/.t]  und  icpeäQiafiog  bei  Pollux  9,  119.  122,  Atheiiaeus  XI 
S.  479«,  Hesychius,  Eustathius  zu  IL  5,  306  S.  550,  3  und  22,  494,  S.  1282, 
54;  über  imruaiL  bei  Hesychius,  Pollux  9,  119  s.  bei  Grasberger  a.  a.  0. 1  S. 
106;  109,  160;Eobert,  Arch.  Zeit.  1879  S.  78,  Anzeiger  1889  S.  59. 


GRIECHISCHE    BRONZE  275 

ohne  dass  noch  an  ein  weiteres  Thun  des  einen  oder  anderen  Theiles 
zu  denken  wäre. 

Als  Schlussact  eines  andern  Spieles  wird  uns  besonders  deutlich 
61'  y.nrvh^  von  Grammatikern  beschrieben,  und  genau  übereinstim- 
mend (')  anschaulich  gemacht  in  einem  Vasenbilde,  Arch.  Zeitung 
1879  Taf  5  mit  S.  79,  Baumeister,  Denkm.  S.  781 ;  besser  als  auf 
einem  früher  bekannten  schwarztiguren  Momim.  ined.  d.  last.  I 
Taf  XLVII  b,  wo  zwei  Träger  und  zwei  Getragene  sind,  aber  dem 
Träger  nicht  durch  Zuhalten  der  Augen  die  Aufgabe  erschwert  wird, 
und  auch  der  wesentlichste  Zug  nicht  wie  in  jenem  rothßgurigen 
Bilde  zum  Ausdruck  kommt :  dass  nämlich  der  Träger  im  vorauf- 
gehendea  Spiel  des  Zielwerfens  unterlegen  ist,  und  nun  dem  Sieger 
frohndet,  bis  er  sich  durch  glückliches  Finden  des  Zieles  im  Blinden 
gelöst  hat  (-).  Dass  in  diesem  Spiele  der  Sieger  auch  rittlings  von 
dem  Besiegten  getragen  sei,  ist  nicht  bezeugt,  ausser  etwa  dadurch, 
dass  Pollux  9.  11(3  für  jenes  Tragen  mit  geschlossenen  Augen  beide 
Namen :  h-  xorvXi-  und  irrTrädu,  angiebt. 

Dass  aber  grade  in  letzter  Art  sich  der  Uebermuth  des  Siegers 
kundgiebt,  zeigt  uns  das  Horazische  (Epod.  17,  75)  vectabor 
Immer is  tum  ego  immicis  eques  und  die  Scene  der  Plautinischen 
Asinaria  3,  3,  169,  wo  der  Herr  seinen  übermüthigen  Sklaven 
auf  den  Kücken  nehmen  muss.  Und  wenn  bei  einem  Spiel,  dem 
Anwerfen  des  Balls,  o  ]tttJ'  IjTtmiibvoq  brog  exaXeTro  xcd  ttccv  e'rcoui 
t6  TiQOQTayß-bV,  6  Jt  vixon-  ßaiJiXsv^  rs  rjV  xcd  STTStaTTei'  (Pollux 
9,  106),  so  ist  doch  wohl  das  Nächstliegende,  dass  der  '  König " 
den  '  Esel '  zum  Reiten  benützt. 

Mit  dem  Balbspiel  verbindet  sich  nun  aber  auch  sonst  noch 
ev  xovvli]  wie  iTTTcaati,  und  im  Ballspiel  findet  denn  auch  unsere 
Bronze  ihre  Erklärung. 

In    Terracottagruppen  (•') ,    welche    einen    Knaben    oder    ein 

(1)  Die  einzige  nicht  zu  verkennende  Abweichung  ist,  dass  nicht  ein  Knie 
in  beiden  verschränkten  sondern  in  jader  Hand  Händen,  besonders  gehalten  ein 
Knie  ruht,  so  wie  öfters  ein  Knie  des  alten  Anchises  in  einer  Hand  des  Aineias, 
der  in  der  andern  seine  Wafen  trägt.  Vgl.  z.  B.  Ifuulez  C'hoix  pl.  XV  f. 

(2)  Dass  die  Dar.stellung,  sich  auf  dasselbe  Spiel  bezieht,  ist  doch 
unmöglich  zu  leugnt-n,  wie  Dilthey  Arch.  Zeit.  1873  S.  74,  9  und  Robert  a. 
a.  0.  S.  81  thun.  Der  ö'ioQog  steht  aufgerichtet,  der  6Vo?  trägt  seinen  ßreai?.€i'g,  von 
den  unverdeckten  Augen  abgesehen,  abenso  Avie  dort,  auch  grad  auf  den  (fiooog  zu. 

(3)  z.B.  Heuzey,  Les  figurines  etc.  pl.  33;  Rayet,  Monuments  de  fart 
ant.  vol.  II.  Kekule,  Die  antiken  Terracotteu  II  Taf.  XLVI. 


276  E.    PETERSEN 

Mädchen  f^f  xotvIij  von  einem  anderen  getragen  darstellen,  erscheint 
der  Getragene  nicht  immer,  wie  vorher  gesagt  wurde,  in  ruhigem 
Genuss  seines  Triumphes ;  sondern  einmal  die  Rechte  hoch  erhebend, 
und  dass  es  ausholend  zum  Wurfe  geschieht,  lässt  ein  andres 
Exemplar  vermuthen,  wo  der  Getragene  einen  purpurnen  (s.  Ana- 
kreon,  fr.  14B)  Ball,  wie  Heuzey  S.  20  gewiss  richtig  gesehen  hat, 
zwar  noch  ruhig  in  der  Hand  hält,  aber  doch  wohl  nur,  um  ihn 
bald  zu  werfen.  Da  die  Trägerin  dabei  jedesmal  lebhaft  vorschreitet, 
kann  es  sich  nur  darum  handeln,  dass  mit  dem  Balle  einer  getroffen 
werde,  der  dann  vermuthlich  die  Rolle  des  Trägers  übernehmen 
rauss.  Ein  unteritalisches  Vasenbild  (  Vases  Lamherg  I.  XL VII) 
rückt  eine  solche  Gruppe  von  Eros  auf  eines  Mädchens  Rücken  in 
die  Schaar  der  Spielgenossen  ein ;  aber  nicht  nur  ist  das  f  »•  xon'//; 
(durch  Restauration?)  entstellt,  sondern  es  fehlt  dem  Eros  auch 
sowohl  der  Ball  als  eine  bezeichnende  Haltung,  so  dass  das  Laufen 
der  Trägerin  keinen  Sinn  zu  haben  scheint.  Dass  die  Gruppe 
gleichwohl  ins  Ballspiel  gehört,  machen  die  umgebenden  Figuren, 
drei  Mädchen  und  ein  Eros  klar,  die  allesammt  mit  Bällen  spielen, 
nur  jeder  für  sich ;  eine  spielt  Fangeball,  zwei  andre  augenscheinlich 
die  von  Pollui  9,  105  beschriebene  üttöqqu^ic,  das  Niederschlagen 
des  vom  Boden  emporspringenden  Balls,  wobei  die  Zahl  der  Sprünge 
gezählt  wurde  ebenso  wie  beim  Anwerfen,  doch  gewiss  zu  dem 
gleichen  Zweck,  um  durch  grössere  und  geringere  Zahl  Sieger  und 
Besiegte,  ßuaütvg  und  oroc  zu  bestimmen;  was  bei  ihnen  folgen 
wird,  das  zeigt  also  veilleicht  jene  Gruppe,  in  welcher  jetzt  Eros 
das  Siegerrecht  der  vorausgegangenen  ccTroQQa'Sig  übt.  Jedenfalls 
können  diese  laufenden  Trägerinnen  des  Ballwerfens  nicht  zur 
Erklärung  unserer  Bronze  dienen. 

Ein  andres  Ballspiel  ist,  wie  Robert  a.  a.  0.  erkannte,  auf 
einer  feinen  attischen  Scherbe  dargestellt,  welche  von  Benndorf, 
Griech.  u.  Sicil.  Vasenbilder  Taf.  XXXVII,  5  abgebildet  ist.  Der 
Kranz  darüber  zeigt  durch  die  Richtung  der  Blätter,  dass  der 
Ballwerfer  mit  seinem  Gegenüber  die  Mitte  der  Composition 
bildete;  ausser  den  zwei  weiteren  Mitspielern  links  und  rechts 
waren  vielleicht  nie  mehr  dargestellt.  Weiss  und  Thonroth  scheint 
hier  nicht  zur  Unterscheidung  der  Geschlechter  zu  dienen,  und  kein 
Grund,  den  Träger  des  Ballwerfers  für  ein  Mädchen  zu  halten ;  ist 
doch  auch  grade  der  Rest  seines  Gesichts  thonroth.  Robert  hat 
die  Situation  völlig  richtig  durch  Vergleichung  eines  noch  heut  im 


GRIECHISCHE    BRONZE  277 

nördlichen  Griechenland  üblicheu  Ballspiels  erläutert.  Es  ist  das 
von  den  Alten  ifuivivStc  genann:e,  von  dem  wir  nicht  blos  die 
Erklärungen  der  Grammatiker  (Pollux  9,  105,  Etymol.  Mag.,  Suid. 
Phot.  s.  V.  (fi-tric;  Eustath  Schol.  Od.  5,  115,  Hesychius  s.  v. 
i(ferivda,  vgl.  Grasberger  a.  a.  0.  S.  90)  haben,  sondern  auch 
von  Antiphanes  bei  Athen.  1,  15«  eine  originale  anschauliche 
Schilderung  der  lebliaften  Action  des  letzten  Siegers,  dessen,  der 
den  Ball  hat  und  werfen  soll,  aber  so  zu  Averfen  sucht,  dass  von 
den  rings  zum  Fangen  bereiten  Spielgenossen  keiner  oder  nur  ein 
Begünstigter  ihn  fängt.  Denn  wer  ihn  fängt  ist  König,  und  der 
gewesene  König  muss  sich  vermuthlieb  ihm  als  Esel  bequemen. 
Dass  der  Sieger  den  Rücken  eines  andern  besteige,  um  nun  sei- 
nerseits den  Ball  zu  werfen,  wird  nicht  ausdrücklich  gesagt,  und 
auf  einem  von  Gerhard  Mysterienbilder  Taf.  XI  =  EUle  ceram. 
IV,  75  abgebildeten  apulischen  Vasenbild  scheint  Eros  stehend 
mit  zwei  Frauen  (faivivöa  zu  spielen.  Aber  wo  der  Wetteifer  so 
angeregt  Avird,  wie  uns  Antiplianes  zeigt,  kann  die  Auszeichnung 
des  Siegers  nicht  gefehlt  haben,  und  auf  dem  Benndorfschen 
Vasenbilde  sitzt  er  —  die  Kleinheit  des  Knaben  ist  schwerlich  etwas 
andres  als  ungeschickte  AVahrung  des  '  Isokephalismus  '  —  that- 
sächlich  auf  dem  Rücken  seines  oroc.  Bevor  noch  die  Frage  auf- 
zuwerfeu,  welcher  Art  hier  das  Aufsitzen  gewesen,  ist  ein  Wort 
über  das  nothwendiger  oder  natürlicher  AVeise  verschiedene  Ver- 
halten des  Trägers  zu  sagen,  je  nachdem  der  Getragene,  wie  bei 
ipaivh'da,  bis  zum  letzten  Augenblick  Freiheit,  nach  jeder  beliebigen 
Seite  zu  werfen,  haben  musste,  oder,  wie  dort  gemeint  schien,  den 
Ersten  Besten  zu  treffen  suchte.  In  diesem  Fall  könnte  der  Träger 
durch  Nachlaufen  helfen,  im  andern  hätte  er  dadurch  jenem  die 
Bewegungsfreiheit  beschränkt;  er  musste  vielmehr,  der  rasch  nach 
entgegengesetzten  Seiten  hin  sich  wendenden  Bewegung  seines 
Reiters  wegen,  selbst  unerschütterlich  stehn. 

Vielleicht  könnte  man  auch  die  Art  des  Aufsitzens  schon  a 
priori  für  des  qunirda-  Spiel  bestimmen,  in  dem  man  sagte,  dass 
die  Bewegungsfreiheit  beim  iTtnaari  grösser  sein  muss  als  bei 
€v  xovvXrj.  Fragen  wir  aber  lieber,  welche  von  beiden  Arten  ist 
thatsächlich  auf  der  Vase  zu  erkennen?  Beachtet  man,  dass  die 
Kopfhöhe  des  Trägers  im  Verhältniss  zu  derjenigen  des  nächsten 
Knaben  rechts,  der  doch  auch  so  lebhaft  ausschreiten  muss  wie 
gewöhnlich  die  ^y  xorvli^  Tragenden,  erheblich  tiefer  ist,  so  wird 


278  E.  PETERSEN,  GRIECHISCHE  BRONZE 

man  zugeben,  dass  jener  Träger  kaum  anders  gestanden  haben 
kann  als  unsere  Bronze,  und  man  wird  es  ganz  unmöglich  linden, 
dass  der  Getragene  bei  seinen  so  viel  kleineren  Proportionen  f-^r 
xoTvXt.  aufeehockt  habe.  Bei  letzterer  Art  dürfte  es  auch  nicht  so 
leicht  möglich  sein,  und  jedesfalls  kommt  es.  so  viel  ich  sehe,  nicht 
vor,  sich  mit  Hand  und  Arm,  so  wie  es  der  oben  Sitzende  im 
Vasenbild  thut,  auf  den  Kopf  des  Trägers  zu  stützen,  zugleich  an 
den  Hinterkopf  desselben  sich  anlehnend.  Genau  an  den  entspre- 
chenden Stellen,  dem  Hinterkopf  und  auf  dem  Vorderkopf  zeigt 
nun  unsere  Bronzefigur  Ansatztlächen,  während  dazwischen,  oben 
am  Hinterkopf,  das  ciselierte  Haar  wohl  erhalten  ist,  nebenbei 
bemerkt,  ein  weiterer  Beweis,  dass  die  Figur  für  sich  ausgeführt 
war,  bevor  sie  mit  der  andern  verbunden  wurde.  So  ergänzen  sich 
die  Bronze  und  das  Vasenbild  gegenseitig,  jene  den  Träger  voll- 
ständig darstellend,  dieses  den  Getragenen  zu  einem  Theile ;  und  für 
das  beiden  Fehlende  tritt  der  Krater  von  Altamura  nun  noch  um 
so  beweiskräftiger  ein,  als  es  sich  auch  hier  ja  offenbar  um  Ballspiel 
handelt,  wie  der  Herausgeber  A.  H.  Smith  S.  279  f.  wohl  bemerkt 
hat,  an  den  ^'<fi-d Qiai.uk  des  PoUux  erinnernd.  Die  Sache  hat  sich 
nur  umgekehrt:  der  Ball  ist  in  der  Hand  des  Stehenden,  der  mit 
gekreuzten  Beinen,  den  Stock  unter  die  Achsel  gestemmt,  im  Mantel 
gemächlich  dasteht  und,  ohne  jede  Spur  von  Spieleifer,  den  Ball 
hinzuwerfen  bereit  scheint;  die  Reiter  dagegen,  zwei  statt  eines, 
h.lten  die  Hände  zum  Fangen  bereit.  Die  Verdoppelung  kann  durch 
die  gleiche  Doppelzahl  der  ^'(fed'QiCorTeg  jener  unklaren  schwarz- 
figuren  Darstellung  des  Diorosspiels  (oben  S.  275)  nicht  erklärt 
werden.  Das  (/«n7'j'()'«-Spiel,  regelrecht  gespielt,  ergiebt  keine 
Situation  wie  die  auf  dem  Krater  dargestellte :  ich  glaube  also,  dass 
eben  die  Verkehrtheit  der  dummen  Satjrn-und  namentlich  die 
zwei  oroi  lassen  ja  an  Dummdreistigkeit,  wie  es  scheint,  nichts 
zu  wünschen  übrig  —  das  ist  was  der  Vasenmaler  darstellen,  womit 
er  eine  komische  Wirkung  erzielen  wollte. 

Anders  als  jener  Satyr  mit  dem  Ball,  aber  freilich  nicht  in 
einer  unmittelbar  durch  das  Spiel  gegebenen  Haltung,  steht  die 
nach  Zeit  und  Stil  der  Kopfscheu  verwandte  argivische  Bronze  da, 
in  welcher  Furtwängler  (50.  Winckelmannsprogramm  der  B.'rl. 
Arch.  Gesellsch.  S.  133)  einen  Sieger  im  Ballspiel  sehen  möchte. 

Petersen. 


UN  RITKATTO  DEL  RE  PIRRO  D' EPIRO 
(Tav.  VIII). 


Oo-o-i  che  il  Brunn  e  1' Arndt  hanno  il  merito  di  aver  reso 
attualitä  Viconogi-atia,  merce  la  niiova  intmpresa  di  Bruckmann, 
mi  sembra  nou  dovere  riserbarmi  piü  im  contrihuto  che  sono 
in  grado  di  dare.  Si  piiö  cioe  dimostrare,  che  l'erma  (3150  del 
Museo  Nazionale  di  Napoli,  riprodotto  di  faccia  e  di  profilo  siüla 
tav.  VIII  e  da  dietro  p.  280,  rappresenta  il  re  Piiro  d'Epiro. 

II  husto  in  marmo  trovato  il  15  ottobre  1757  ad  Ercolano 
nella  villa  dei  papiri  ('),  per  eccezione,  restö  senza  nome.  E  pure 
vi  sono  bastanti  segni  che,  da  lungo  tempo,  l'avrebberö  potuto 
far  riconoscere.  Vi  e  rappresentato  im  uomo  ancora  giovane,  con  linea- 
menti  irregolari,  ma  pieni  di  carattere,  i  ein  capelli  contornano  la 
fi-onte  come  nel  ritratto  di  Alessandro.  Ha  un  elmo  raacedonico 
con  guanciali  fermati  da  piccole  correggie  che  dal  mento  vanno 
alla  nuca.  Süll' elmo  posa  una  Corona  di  foglie  di  qiiercia.  Sulla 
nuca,  sotto  l'orlo  deU'elrao,  vien  fuori  il  cappio  di  im  diadema  reale. 
II  diadema  indica  il  re,  l'elmo  (-)  accenna  ad  im  capitano  e  la 
Corona  di  foglie  di  quercia  fa  ponsare  all'Epiro. 

Veramente  sarebbe  con  ciö  giä  finita  la  qiiestioue,  giacche  non 
si  puö  capire  quäle  altro  re  d'Epiro  avrebbe  avuto  diritto  di  essere 
ammesso  in  una  raccolta  di  capitani  daU'ercolancse  amatore  del- 
l'arte  (^).  Se  perö  si  vuol  ancor  piii  davvicino  stiidiare  questa  spie- 
gazione,  la  prova  non  puö  che  trarne  vantaggio. 

(i)  Comparetti  c  de  i'otra,  La  villa  dei  papiri,  t.  XX,  5.  p.  275. 

(«)  Veramente  secondo  Plutarco  XI,  9.  Pirro  portava  un  elmo  con  ci- 
miero  e  corne  di  capra  prima  che  fosse  perö  re  di  Macedonia- 

(3)  Fuori  delle  piccole  teste  di  bronzo  trovate  presse  la  biblioteca,  i 
busti  si  son  potuto  sinora  assesjnare  soltanto  a  capitani:  Archidamo,  Seleuco. 
Demetrio,  Filetero ;  anclie  gli  altri  re  difficilmente  saranno  stati  indicati  altri- 


280 


j.  six 


La  cosa  piü  importante  e  la  Corona  di  foglie  di  quercia,  poiche 
si  piiö  diraostrare  che  questa,  merce  Pirro,  divenne  d'uso  gene- 
rale. In  origine  appartiene  al  Giove  di  Dodona  e  al  paese  d'Epiro. 
Giä  suUe  monete  di  xilessandro,  figlio  di  Neottolemo,  Giove  porta 


la  Corona  di  foglie  di  quercia  (')  e  i    Macedoni,    che  nell'accam- 
pamento  avanti  a  Beroia  si  vogliono  iinire   a  Pirro,    si  ornano  di 


inenti  che  come  capitani,  quäle  e  anche  la  testa  giovanissima  coperta  d'elmo. 
Tra  i  ritratti  romani  vi  sono  pure  clue  teste  coperte  d'elmo  e  un'altra,  il  cosi 
detto  Scipione,  fa  peiisare  ad  imprese  guerresche. 
(1)  Head,  Historia  nummorum,  p.  272. 


TN    RITRATTO    DEL    RE    PIRRO   d'ePIRO  281 

foglie  di  qucrcia  come  vedono  fare  gli  Epiroti  (').  Ma  la  Corona 
Don  acquista  una  importaiiza  propria,  che  quaiido  nel  278  Cataiiia 
incorona  Pirro  con  una  Corona  d'oro  ('-),  giacche  dopo  non  solo 
Nike  porta  trofeo  e  Corona  di  foglie  di  quercia  nelle  monete  d'oro 
coniato  da  Pirro  a  Siraciisa  (•'),  ma  anclie  una  moneta  di  bronzo 
di  Siracusa  ha  una  liaccola  in  una  Corona  di  foglie  di  quercia  {*). 

Cosi  anzitutto  tale  Corona  appare  isolata  (''),  quindi  s'incontra 
ancora  su  bronzi  di  Pirro  dove  circonda  spiga,  fulniine  ('')  o 
elmo  (").  Piü  tardi  si  trova  sulle  monete  della  repubblica  d'Epiro 
(288-1(38)  quasi  come  attributo  stabile  (^),  ma  in  quel  tempo  si 
vede  anche  altrove. 

Da  quanto  s'e  detto  risulta  che  Pirro  altamente  pregiava  la 
Corona  di  Catania,  perö  non  che  la  portasse  sulFelmo.  Che  peraltro 
egli  solesse  portare  suU'elmo  una  corona,  lo  si  ricava  dalla  notizia 
di  Plutarco,  quando  narra  la  sua  morte  in  Argo  ('0,  che  egli  cioe 
per  rendersi  meno  facilmente  riconoscibile  si  tolse  dall'elmo  la 
Corona.  Certameute  Plutarco  non  dice  di  quäle  specie  questa  corona 
sia  stata,  ma  da  quanto  si  e  detto  non  si  puö  pensare  che  ad 
una  Corona  di  foglie  di  quercia. 

Seuz'altro  sarebbe  giä  da  credere  che  sieno  esistite  imma- 
gini  di  Pirro;  lo  e  perö  anche  aifermato  e  veramente  per  luoghi 
dove  non  poteva  essere  diflficile  di  trovarne  una  copia,  in  Atene("^) 
cioe  e  in  Olimpia  ('0-  Anche  a  Roma  sarä  venuto  certamente  uu 
ritratto  di  Pirro  colla  preda  di  Ambracia  ('-).  Anzitutto  si  pense- 
rebbe  ad  Atene  o  a   Roma,   ma   poiche   l'Archidamo   della   stessa 


(1)  Plutarco,  Pirro  XI,  9. 

(2)  Diodoro  XXII,  pa,i,^  496. 

(3)  Head,  op.  c.  pag.  273. 

(4)  Head,  op.  c.  pag.  161. 

(=)  Nella  testa  Rampini  dubito  se  si  debba  riconoscere  un  Giove  con 
Corona  di  foglie  di  quercia  o  un  Isthmiorike  nella  cui  Corona  le  foglie  sieno 
riuscite  troppo  piccole. 

(<5)  Head,  op.  c.  pag.  274. 

C)  Head,  op.  c.  pag.  2Ö3.    . 

(8)  Head,  op.  c.  pag.  274-5. 

(9,  Pirro,  XXXIV,  1. 

0'')  Pausaiiia,  I,  11,  1. 

('!)  Pausania,  VI,  14,  9. 

(12)  Polibio  XX,  13;  Livio  XXXVIII,  9.  13. 


282  j.  six 

raccolta    proviene    probabilmente   da   Olimpia   ('),    non   e    esclusa 
anche  per  Pirro  qiiesta  provenienza. 

Abbiamo  ancora  uua  terza  ootizia,  die  veramente  viene  messa 
da  parte,  come  io  credo,  senza  ragione.  Plinio  scrive  nella  parte 
dettagliata  del  siio  elenco  di  artisti  (-) : 

Hegiae  Minerva  Pyrrhusque  rex  laudatitr  et  celetisontes 
puerl  ei  Castor  et  Pollux  ante  aedem  Jovis  Toiiantis; 

Ilagesiae  in  Pario  colonia  Hercules. 

Se  si  tiene  presente  come  debba  esser  sorta  questa  notizia 
di  Plinio,  ci  meraviglierä  cosi  poco  che  il  contemporaneo  di 
Kallon  e  Onatas,  di  Kritias  e  Nesiotes  sia  stato  riportato  sotto 
le  due  varianti  del  suo  nome  Hegias  e  Hagesias,  come  che  sotto 
il  solo  nome  di  Hegias  sieno  state  raccolte  opere  dei  tempi  piü 
disparati.  Gli  celetisontes  jmeri  convengono  perfettamente  al  vecchio 
maestro;  oggi  perö  che  conosciamo  accanto  a  lui  anche  un  Hegias 
del  tempo  di  Claudio  non  possiamo  fare  a  meno  di  attribuire  a 
questo  i  Dioscuri  iunanzi  al  tempio  di  Giove  tonante  (■^).  Certa- 
mente  e  stato  utile  il  riimire  le  diverse  notizie  che  si  collegano 
a  un  nome,  ma  non  si  dovrebbe  diraenticare  quante  volte  nell'an- 
tichitä  venga  scritto  un  nome  senza  altre  aggiunte  e  non  si  vorrä 
far  troppo  carico  a  Plinio  se  giä  cgli  ha  commesso  l'errore  che 
altrimenti  avremmo  commesso  noi.  Con  sicurezza  si  ricava  dalla 
notizia  di  prima  soltanto,  che  un  Hegias  ha  fatto  quest'opera,  un 
altro  quell'altra,  e  che  una  di  queste  rappresentava  il  re  Pirro.  Non 
vi  sarebbe  ragione  sufficiente  di  dubitarue. 

Non  e  ora  punto  probabile  che  questo'  re  Pirro  sia  stato  opera 
del  contemporaneo  di  Claudio.  La  cosa  piü  semplice  e  il  credere 
che  questo  nome  non  molto  raro  sia  stato  portato  da  un  artista 
del  tempo   di  Pirro  (^).  Non  abbiamo  mezzi  perö  per  decidere  se 

(1)  Wolters  in  questo  Bullettino  1888  p.  113  seg. 

(2)  Nat.  Eist.  XXXIV,  78. 

(3)  Si  deve  perij  guardarsi  di  volare  identificare  con  questi  i  Dioscuri 
che  oggi  stanno  sulla  scala  del  Campidoglio,  poiche  questi  provengono  dal 
teatro  di  Porapeo  (Michaelis  in  questo  Bullettino  1891,  p.  33). 

{*)  Tanto  inutile  quanto  acuta  e  la  congettura  di  Bursian,  ehe  fa  Pirro 
uno  scultore  ed  Hegias  Hygieia.  Del  resto  conosciamo  un  quarto  artista  di 
nome  Hegias,  cioe  il  pittore  dei  vasi.  Klein,  Meistersignaturen  p.  186.  II 
Weisshäupl  tratta,  neirEphemeris  Archeologica  del  1891,  un  caso  identico, 
parlando  della  vecchia  ubriaca  di  Mirone. 


UN    RITRATTO   DEL    KK    I'IRRO   d'ePIRO  28  3 

egli  abbia  fatto  il  ritratto  di  Atene  o  la  statua  di  Olimpia  o  in- 
vece  im  terzo  lavoro.  Non  e  perö  iinprobabile  che  queH'opera,  la 
cui  fama  arrivö  sino  a  Plinio,  fosse  anche  quella  che  servi  di  mo- 
dello  alla  copia,  nel  quäl  caso  avremmo  una  replica  del  lavoro  di 
Hegias. 

Pei-  tornare  a  quest'opera,  essa  mostra  nel  disegno  e  nel 
concetto  quello  stile  che  deve  il  suo  sviliippo  a  Lisippo,  una  ca- 
ratteristica  che  non  disdegna  di  scendere  alle  particolaritä,  rima- 
nendo  perö  larga  nel  concetto,  un'arte  che  non  cerca  troppo  il  ge- 
nerale, r ideale,  ma  da  l'individuale,  senza  perdersi  nella  riprodu- 
zione  di  dettagli  non  importanti. 

Anche  l'acconciatura  dei  capelli,  che,  come  abbiamo  giä,  osser- 
vato,  ricorda  Alessaadro,  accenna  allo  stesso  periodo.  Questo  ci 
riporta  alla  persona  rappresentata. 

Ho  trascurato  appositaraente  sinora  le  notizie  suU'apparenza 
tisica  di  Pirro,  in  primo  luogo  perche  esse  poco  ci  fanno  sapere,  in 
secondo  luogo  perche  facilmente  si  prestano  a  interpetrazioni  diverse. 
Se  ora  combinano,  tanto  meglio. 

E  benissimo  s'adatta  la  prima  notizia  di  Plutarco('):  'Hv 
Ja  o  JliiQQOc  iji  /(tv  td'ta  rov  TXQoOumov  (foßeQMTeqov  f^'yjoi' 
ij  (fifAvöieQoi'  T()  ßaatXixör,  a  questo  viso,  i  cui  linearaenti  sem- 
brano  indicare  grande  energia  ma  son  contratti  da  nervositä,  come 
non  di  rado  si  vede  in  quelli  che  hanno  i  capelli  rossi. 

Anche  la  seconda  notizia  di  Plutarco  si  puö  usare,  se  a  cor- 
reggerla  non  si  trascura  un  piacevole  aneddoto  di  Luciano. 

Plutarco  scriYe(-):  Kai  yccQ  oipiv  oiorTo  xcu  rüxog  soixtica 
xctt  xivijia  roig  ^AXe'^civÖQOV,  xal  rrjg  (fogäq  ixdvov  xcd  ßCag  naqu 
tovg  dycörag  8V  tovto)  (fxicig  rivag  oqccGdca  xal  [xtiir^f^iaTa,  roh'  ^itr 
aXXwv  ßaailsü)v  iv  nogcfVQaig  xal  6oQV(f(')Qoig  xal  xXi<Sei  tQayrjXov 
xal  TOI  [xsTCov  dialtyea-d-ai,  [lorov  de  Hvqqov  roTg  onloig  xal  talg 
Xeo(fU'  eTiiöeixwiihov  rov  'AXe'§avdQov,  e  cosi  non  esclude  per  Pirro 
la  posizione  obliqua  del  coUo,  ma  gli  attribuisce  anche  una  reale 
somiglianza  con  Alessandro. 

E  vero  perö  che  qni  si  tratta  piü  del  carattere  di  Pirro  che 
della  sua  apparenza,  come  si  puö  vedere  anche  da  un  passo  della 


(1)  Pirro,  III,  6. 

(2)  Pirro,  VIII.  2. 


284  .1.    SIX,    IN    lUTRATTO    DKL    RE    I'IRKO    d'EPIRO 

vita  di  Demetrio  (0  e  da  im  altro  di  Luciano  (-)  il  quäle  dopo 
autopsia  del  ritratto  di  Pirro  conferma  qiianto  grande  sia  stata  la 
ditferenza  tra  Pirro  ed  Alessandi-o.  Ma  iion  posso  tralasciare  di  co- 
piare  il  passe:  xcd  T/igooi'  (fccal  tor  'HrrfiQohtp',  tu  aXXa  d^av- 
accGvov  (<y6oa,  ovroyg  vno  xoXäxon'  inl  tm  ö/ioCro  nort  diacfO^a- 
Qrjvca,  WC  ntaTsveiv  ort  of-iotoc  iqv  \iXe'i((i'So(o  axeiy(o.  xa(  roi.  xo 
xd}\'  novßixon'  tovto,  6ig  dia  naaöjv  ro  Trqccy}.ia  np'  —  ei'Sov  yuQ 
xccl  Ti]v  JJi'QOOv  ttxövcc  —  xal  o[.io)g  ejiänsKSro  fx^f[.iäx^c(i  rov 
\4).e^t'cr6Qov  t)]v  ;iOQ(f)]r...  irrd  yccQ  ovtm  6iexeno  o  IJvoooc  xccl 
rccvra  vTttQ  iavrov  ^rrircHGro,  ovStiq  oüiig  oi'  ^vretC^STO  xca 
^vvtraöyfr  avzoi,  cr/ot  di'j  rig  ev  yiaoiadi]  nQtüßvrtg  ^e'vrj  aihfo 
raXii^tg  elnovGcc  fTiavasr  avzdr  rrjg  xoQv^r^g.  6  i^itr  yctQ  UvQQog 
sniötil^ag  avrf^  dxova  WikinTtov  xcä  Uf-QÖixxov  xcd  ^iXt'SdvÖQOv 
xcd  KaüttvSoov  xal  aXX(j)v  ßaCiXkon'  rjotio  ein  n{,iotog  el'tj,  nüvv 
nsTieiGf^ikvog  €7il  rov  'A?.t^ard'oor  T^^^ir  avTtjr,  rj  Jt  noXvv  '/^qövov 
iniüyovaa^  BarQccyn'ani,  sqrj,  rrp  /laytCgro'  xal  yccQ  i]v  rig  sr  ri]  Aa- 
Qi<y(j}]  BaTQayiiov  iiciyeioog  to   Uvoofo  ofioiog. 

Avremmo  dunque  un  re  che  in  realtä  assomiglia  a  un  cuoco 
di  Larissa.  ma  che  s'immagina  di  avere  grande  soraiglianza  con 
Alessandro.  il  che  era  realmente  uella  sua  natura  e  ue'  suoi  gesti 
ma  non  ne'  suoi  lineamenti.  E  questo  anche  s'adatta  benissimo  ai 
lineamenti  poco  aristocratici  su  cui  posa  la  chioma  d' Alessandro, 
anzi  mi  parrebbe  che  in  un  rapporto  vi  sia  una  certa  somiglianza 
con  Alessandro,  giacche  in  Pirro  come  in  Alessandro  i  muscoli  di 
una  parte  della  testa  e  del  coUo  sembrano  alquanto  contratti.  Non 
tanto  perö  quanto  in  Alessandro,  e  ad  ogni  modo  Pirro  ha  sdegnato, 
di  aumentarne  Telfetto  come  Demetrio  ed  altri,  tenendo  il  capo 
obliquo,  come  d'altra  parte  ha  sdegnato  di  dissimulare  la  reale 
somiglianza  con  portamento  forzato. 

Quello  che  noi  sappiamo  della  forza,  del  coraggio  e  degli  altri 
tratti  caratteristici  di  Pirro  credo  che  molto  beue  si  possa  adat- 
tare  a  questa  immagine,  ma  io  lascio  volentieri  ad  altri  di  dirao- 
strarlo ;  penso  invece  di  aver  fatto  qualcosa  per  lo  studio  dell'uomo. 
avendone  indicato  il  ritratto. 

Amsterdam,  settembre  1891. 

J.  Six. 

(1)  Plutarco,  Demetrio,  XXXXI,  2. 

(2)  Aclvers.  indoct.  21. 


LE  RECENTI  SCOPERTE  DI  ANTICHITA  IN  VERONA 

(Tav.  IX). 


Con  gentile  permesso  del  sig.  L.  A.  Milani  qni  si  ripubblica,  toglicndo 
la  parte  cl'indole  locale,  la  sua  Relazione  sulle  recenti  scoperte  di  antichitä 
in  Verona,  che  egli  il  20  gennaio  delF  anno  oorrente  indirizzo  al  sig.  cav. 
avv.  Allgusto  Caperle,  assessore  dei  lavori  pubblici  in  quella  cittä  con  lo 
scopo  dichiarato  di  promuovere  ulteriori  ricerche  e  scavi  nel  luogo  dove  le 
dette  scoperte  erano  avvenute.  II  desiderio  di  riprodurre  quella  relazione  e 
motivato  dal  fatto  che  essa  fu  stampata  dal  Municipio  di  Verona  in  un  ri- 
stretto  numero  di  esemplari,  per  lo  scopo  locale  anzidetto,  e  quindi  rimase 
fuori  di  commercio,  quasi  ignota  agli  archeologi.  Secondando  poi  il  nostro 
desiderio ,  il  chino  Milani  farä  seguire  una  Aggiunta  divenuta  necessaria 
perle  ulteriori  pubblicazioni  fatte  dal  Ghirardini  nella  Nuova  Antologia  1891 
p.  677-6S8  e    dall'Orsi  nelle  Notizic  dogli  Scavi  1891  p.  5-17. 

La  TJed. 


O 


In  linea  di  fatti,  nel  breve  terapo  che  mi  fii  dato  consacrare 
allo  studio  delle  anticliitii  rinveoute  in  piazza  del  Duorao,  notai 
innanzi  tntto: 

1°  l'iiso  del  marmo  greco  in  varie  statue  (cfr.  l'elenco  dato 
piü  innanzi  p.  290)  ed  in  alcuni  membri  architettonici,  fra  cui 
alcune  cornici,  frammenti  di  colonne  scannellate  ed  un  bei  capitello 
d'ordine  corinzio  (diam.  inf.  mm.  0,55 ;  raggio  0,28). 

2°  Tuso  del  marmo  lunese,  per  risarcimento  di  alcune  statue, 
per  statue  intere,  e  per  membracure  architettoniclie,  fra  cui,  altro 
capitello  d'ordine  corinzio  di  proporzioni  corrispondenti  a  quelle  in 
marmo  greco. 


(1)  Delle  scoperte  deirAnfiteatro  delle    quali   faceva   cenno    nella  parte 
della  relazione  soppressa  diro  in  un  altro  fascicolo  di  questo  BuUettino. 

19 


286  I-    -^-    MILAM 

3°  l'uso  del  manno  locale  veronese  (cengia  bianca  di  Verona), 
per  cornici,  altro  capitello  corinzio  (diam.  0,53)  e  diie  iscrizioni  di 
bei  caratteri  ceut.  7),  la  prima  molto  consunta,  sii  base  dedicata 
adi  Dei  Parenti: 

{Düs)  ?hKE'^{ibus) 
(Co)ELLIVS 
FRONTO 
V-S-L-M  (') 

La  seconda  su  lastra  sepolcrale  frammentaria : 

(Cf<)ESIVS  •  L-  L 

{ffer)OS  SIBI  ET 

(C)AESIAI  •  L-  L 

ORNE 

((7öZ)PVRNIAI 

{') 


Limpiego  prevalente  del  raarmo  greco  pentelico  o  pario  (a  me 
parve  pentelico)  combinato  coU'impiego  piü  scarso  del  marmo  lii- 
nese,  limita  a  primo  tratto  fra  la  nietä  del  sec.  I  a.  C.  ed  i  primi 
anni  dell'era  volgare  l'epoca  probabile  dell'editicio  cui  appartene- 
vano  i  marmi  di  piazza  del  Duomo,  imperocche  e  siillo  scorcio  del 
sec.  I  a.  C.  e  propriamente  sotto  Augusto,  che  l'uso  del  marmo  lii- 
nese  comincia  a  generalizzarsi  (V.  Plinio,  XXXVL  5,  14)  e  la  cosi- 
detta  exploitation  delle  cave  lunesi,  prima  come  materiale  di  costru- 
zione,  poi  come  marmo  statuario,  non  e  anteriore,  per  qiianto  so  e 
posso  vedere,  alla  metä  del  sec.  1  a.  C. 

(1)  Parecchi  altri  sono  i  titoli  veronesi  dedicati  agli  Dei  Parenti.  cfr. 
C.  I.  L.,  \,  1  nn.  3284-3290. 

(2j  Cfr.  riscrizione  veronese  dal  Duumviro  Augustale  L.  Caesio  Nico- 
strato (C.  /.  L.,  Y,  1,  n.  3383)  e  l'altra  iscrizione  veronese  trovata  presse  il 
Duomo  (C.  I.  L.,  Y,  1.  n.  3360)  dedicata  a  Q.  Caesio  signifero  e  M.  Caesio 
veterano  della  Legione  XIII  Gemina.  Parecchie  altre  sono  le  iscrizioni  d'indole 
sepolcrale  rinvenute  in  vari  tempi  nei  pressi  del  Duomo  v.  C  /.  Z..  ^,  1, 
nn.  3334.  3.510,  3536,  3643,  3890,  3542,  3616,  3885,  3893-3895;  Sgulmero, 
ßpigraphica  quaedam,  nn.  2,7 ;  Notizie  degli  Scavi,  1884,  p.  137-403  sg.  231; 
1889  p.  214  seg. 


I-E    RECENTI    SCOPERTE    DI    ANTICHITA    IN    VERONA  287 

L'iiso  del  iTiarmo  liinese,  raro  sotto  Cesare  (cfr.  Cornelio  presse 
riinio  XXXVI,  7),  era  g\k  divenuto  freqiientissimo  sotto  Augusto 
(cfr.  Strabone  V,  1,  5). 

Andrebbero  d'accordo  colla  siiddetta  data :  1°  un  sesterzio  di 
argento  rotto  e  consunto,  rinvenuto  in  piazza  del  Duorao ;  2°  la  bella 
testa  Cesarea  di  marnio  greco  con  barbiila,  olferta  uella  Tavola  an- 
uessa  (v.  tav.  IX  ),  e  stata  erroneamente  attribuita  ad  Eliogabalo. 

I  sesterzi  d'argeiito  non  si  coniarono  piii  e  caddero  in  disuso 
dopo  il  43  a.  C.  (cfr.  Mommsen-Blacas,  Hlstoire  de  la  Monaaie  III, 
pag.  27) ;  la  testa  con  barbula  (v.  la  fotografia,  faccia  e  profilo, 
ueH'anuessa  tavola  IX)  esibisce  i  tratti  non  dubbi  di  imo  dei  Claudi 
(cranio  basso,  fronte  larga  ed  erta,  naso  aquilino,  bocca  fine  ener- 
gicamente  chiusa)  ed  in  particolare,  come  io  giudicai  al  primo  ve- 
derla,  quelli  di  Druso  Seniore,  tiglio  di  Livia,  fratello  di  Tiberio, 
e  padre  di  Claudio  e  di  Gerrnanico. 

Si  confrontino  i  ritratti  di  Nero  Drusus  esibiti  dalle  monete, 
specialmente  d'oro  e  d'argento,  tenendo  conto  insieme  dei  tratti 
fisiouomici  della  madre  Livia,  teste  accertati  dallo  Heibig  (Bull, 
deirist.  1887  tavv.  I  e  II),  e  tenendo  presenti  anche  i  ritratti 
degli  altri  suoi  piü  stretti  congiunti:  Tiberio,  Gerrnanico  e  Claudio. 
Particolarmente  dccisiva  mi  sembra  la  barbula  ('),  offertaci,  pare, 
anche  da  un  ritratto  certo  di  Nero  Druso  in  un  rilievo,  disgra- 
ziatamente  ora  sperso,  trovato  a  Magonza  (Fuchs,  Geschichte  von 
Maiiiz  pag.  76;  cfr.  Bernoulli.  Rom.  Ikon.,  II,  pag.  211),  ed 
io  anzi  opino  che,  a  cagion  di  essa,  in  presenza  del  ritratto  veronese, 
debbasi  rivendicare  a  Druso  Seniore  anche  la  bella  statua  con  testa 
simile,  fornita  di  barbula,  trovata  nel  Macellum  ai  Pompei,  o  teste 
dal  Mau  riforita  a  Marcello,  nipote  di  Augusto  (-). 

(1)  Le  piü  antiche  monete  coii  la  effigie  di  Druso  maggiore  (Cohen, 
2*  ed.  I  p.  221  sgg.)  sono  tutte  del  tempo  di  Claudio,  postume,  ed  onorarie,  ed 
ü  per  ciö  che  manca  costantemente  la  barbula  [cfr.  AggiuntaJ. 

(2)  Vi  Mau,  Lettura  del  15  Giugno  1890  airAccadeniia  di  Archeologia 
di  Napoli,  uscita  in  questi  d\.  Prescindendo  da  qualunquc  altro  argomento, 
per  Marcello,  morto  a  20  anni,  quella  statua  pare  a  me  soverchiamente  virile 
[vedesi  ora  TAggiunta,  dove  modifico  questo  giudizio  e  dichiaro  meglio  anche 
il  seguito  della  presente  nota]. 

Io  Credo  che  si  debba  riconoscere  Nero  Druso  anche  nella  figura  cen- 
trale eroica  del  rilievo  di  IJavenna  (v.  Conze,  die  Familie  des  Aui/ustus  ein 
Relief  in  S.   Vitale,  ecc;  Arch,  Zeit.  1867  p.  110  sgg.;  Bernoulli,  Rom.  Ikon. 


288  I-    A.    MII.ANI 

Yerona  che  al  tempo  di  Augusto  e  Tiberio  aveva  giä  fama 
di  grande  cittä  {Oi'i]qou'  y.cd  avrrj  rröXiq  jitfy«A/.,  Strab.  V.  1,  6), 
detta  da  Marziale  (XIV,  195)  mcKjiia,  e  da  Tacito,  colodiarn  copiis 
validam  (V),  dovea  piü  d'ogni  altra  citta  riconosceuza  a  Nero  Druso 


n,  p.  254  tav.  VI;  fotografia  Alinari  N.  10251).  Nclla  flgura  loricata  ad.  di 
Druso  riconosco  Agrippa  (cosi  interpreto  anche  Conze),  nella  flgura  muliebre 
in  piedi,  Livia,  e  nella  flgura  eroica  a  sinistra  di  Livia,  non  Augusto  come 
opino  Conze,  ma  Tiberio,  fratello  maggiore  di  Druso,  anche  di  statura 
piü  alto  di  lui.  Nella  mezza  flgura  muliebre  a  s.  poteva  esser  rappresen- 
tata  lulia,  identificata  a  Roma,  seduta  accanto  ad  Augusto  come  Livia  nella 
gemma  Augustea.  Aucora  piü  sicara  e  per  nie  la  rappresentazione  di  Nero 
Druso  e  di  tutta  la  famiglia  dei  Claudi  nel  rilievo  deH'flr«  Pacis  Aupustae 
(a.  13-9  a.  Cr.)  edito  dal  Dütschke,  Ueber  ein  röm.  Relief  mit  Darstellung 
der  Familie  des  Augustvs,  Hamburg  1880,  e  da  v.  Duhn,  Mon.  delVIst.,  XI 
tav.  34-35  n.  7  (cfr.  Ann.  1881,  p  320  e  Bernoulli,  o.  c.  II  p.  260).  Un  giorno 
spero  di  poter  dimostrare  agli  occhi  ])iü  increduli  Tinterpretazione  dei  singoli 
personaggi  di  questo  rilievo  essere  probabilnieute  questa:  flg.  muliebre  a  s. 
Antonia  con  a  mano  il  piccolo  Claudio,  (circa  2  anni)  e  con  accanto  Ottavia 
(velata)  sua  madre  :  segue  Nero  Druso  (naso  di  ristauro)  in  costume  greco, 
anzi  da  viandante,  al  cui  pallio  si  attacca  il  maggior  flglio  di  lui  Gennanico 
(6  0  7  anni)  e  sulla  spalla  di  questo  tiene  una  mano  Livia  (velata)  sua  ava 
e  madre  di  Druso  e  Tiberio.  Appresso  e  rappresentata  la  decenne  Livilla,  poi 
Tiberio  (naso  di  restauro)  in  costume  romano.  Fra  Livia  velata  e  Tiberio,  nello 
sfondo,  si  scorge  la  testa  dei  vecchio  Ti.  Claudio  Nero,  padre  di  Druso  e  Ti- 
berio. Lo  sbaglio  precipuo  dell'interpretazione  dei  Dütschke,  alla  quäle  aveva 
portato  io  stesso  un  piccolo  contributo  (vedi  o.  c.  p.  4,  nota  17\,  fu  di  rico- 
noscere  Augusto  nella  flgura,  relativamente  secondaria,  di  Tiberio.  —  Augusto, 
Pontifex  Maximus  dal  12  a.  Cr.  in  poi,  doveva  essere  necessariamente  il  sommo 
Ponteflce  della  pompa  ed  e  pero  rappresentato  come  tale  nel  bei  mezzo  dei 
rilievo  principale  äalVÄra  Pacis  {Mon.  Ist.  XI.  tav.  34,  n.  6),  velato  e  nella 
massima  etä  di  53  o  54  anni,  preceduto  dai  Flamines  e  dai  Salii  (cfr.  Taltro 
rilievo  ivi  n.  5,  il  quäle  deve  attaccare  con  esso,  nonche  il  rioto  rilievo  di 
Pompei,  rappresentante  Augusto  in  atto  di  sacrificare).  Questo  ritratto  di 
Augusto  in  etä  avanzata,  conferma  per  me  Finterpretazione  dei  busto  Vaticano 
N.  280  data  dal  Visconti  (Museo  Pio  Clem.  VI,  40)  e  dal  Braun,  Ruinen  Roms, 
p.  355,  a  torto  messa  in  dubbio  dal  Köhler  {Ann.  Ist.  1863,  p.  437  nota  1) 
e  dal  Bernoulli,  o.  c.  II,  p.  30.  Senza  una  luiiga  esperienza  nuraismatica  ed 
una  critica  accuratissima,  mal  si  puo  giudicare  della  iconografla  particolarmente 
romana,  ed  e  per  questo  che  i  giudizi  di  Bernoulli  e  di  altri  archeologi,  pure 
di  valore,  sono  spesse  volte  erronei  [cfr.  Aggiunta]. 

(1)  Come  mai  Verona  fosse  detta  colonia  da  Tacito,  e  una  questione  ancora 
insoluta  (v.,  Mommsen,  C.  I.  L.,  V,  I  p.  327). 


LE   RECENTt    SCOPERTE    DI    ANTICHITA    IN    VERONA  280 

che  nel  15  a.  C.  all'eU  di  23  anni,  vincitoi'o  dei  Rezii  nel  Tirolo, 
l'aveva  liberata  da  im  grave  ed  imminente  pericolo  (v.  Tode  composta 
in  siio  onore  per  la  circostanza  da  Orazio,  Lib.  IV,  4;  cfr.  anche 
Od.,  IV,  12). 

II  grande  geaio  militare  di  Dniso  rifiilse  anche  piü,  diie  anni 
appresso,  nella  guerra  che  fruttö  a  lui  ed  ai  siioi  discendeuti  il 
titolo  di  Germanico ;  inentre  dall'altro  lato,  tali  e  si  gi-andi  erano 
le  siie  qualitä  civili  {ciüile  iageaiiun,  Tac.  Äiia.  II,  82;  cfr.  gli 
elogi  di  Velleio,  II,  97  e  di  Svetonio,  CUmd.  1),  da  renderlo, 
coine  era  in  fatto,  l'idolo  dei  soldati  e  del  popolo.  Alla  sua  morte, 
awenuta  a  30  anni  (9.  a  C),  lungi  dalla  patria,  sul  Ueno,  per 
ima  fatale  cadiita  da  cavallo,  ebbe  rimpianto  ed  onori  a  l'atto  ecce- 
zionali.  Augusto,  che  lo  vide  nascere  in  sua  casa,  lo  pianse  come 
iin  proprio  tiglio.  In  Italia  e  nella  stessa  Germania  (cfr.  Mommsen, 
Rom.  Gesch.,  V.  p.  27)  ebbe  ceuotafi,  altari,  archi  di  trionfo,  statiie; 
ne  la  sua  grande  popolaritä  venne  meuo  depo  la  sua  morte,  che 
anzi  crebbe  con  la  successione  all'impero  del  fratello  Tiberio,  crebbe 
per  le  vittorie  di  Germanico  suo  figlio,  vittorie  alle  quali  egli  stesso 
aveva  aperto  la  via ;  e  toccö  il  colrao  con  la  successione  dell'altro 
suo  figlio  Claudio,  allorche  divenne  l'illustre  capostipite  della  casa 
imperante  fino  a  Nerone  ('). 

Verona  che  lo  conobbe  da  vicino  nella  guerra  contro  i  Eezii 
dovette  avere  particolarmeute  cara  la  sua  memoria,  ne  potevano 
maneare  in  questa  cittä,  eminentemente  militare,  statue  e  monu- 
menti  in  suo  onore. 

La  menzione  del  suo  nome  nell'epistilio  di  un'  edificio  dedicato 
suUa  sinistra  dell'Adige  presso  il  teatro  : 

TI  •  CLAVDIO  •  DRVSI  •  F 
CAESARI  AVG  •  GERMANICO 

(i)  V.  nota  4.  In  una  moneta  (Cohen  2^  ed.  I  p.  221,  n.  7)  Nero  Draso 
li  detto  SPES  AUGUSTA;  altre  monete  (Cohen,  ivi  n.  1-3)  rappresentano  l'arco 
di  trionfo  tetrastylos  innalzatogli  suUa  via  Appia  (Svet.  Claud.l),  sorniontato 
üalla  sua  statua  equestre  vibraute  Tasta  fra  due  trofei  Germani  (iscr.  DE 
(lERM).  Questo  stesso  arco  ci  e  csibito  piii  in  grande  nei  sesterzi  di  Claudio 
(Cohen,  I  p.  254  n.  47)  [v.  nostra  tav.  IX  ;  cfr.  Aggiunta].  L'arco  cosidetto 
di  Pruso  Con  due  sole  colonne  (distylos)  tutt'ora  conservato  sulla  via  Appia, 
potrehbesi  forse  identificare  con  quello  (DE  BRITANNi.s)  innalzato  a  Claudio 
stesso  e  che    sulle    monete  (Cohen-,  I  p.  252)    appariscc    appunto  distilo. 


290  I-  -^^  >i:i'\^i 

C.  I.  L..  V.  1,  n.  3326,  sembra  stare  in  rapporto  appimto  colla  popo- 
laritä  godiita  da  Druso  in  Verona ;  mentre  dairaltro  lato  i  mariiii 
raccolti  in  piazza  del  Diiomo  attestano  di  per  loro  medesimi  lo 
splendore  di  Verona  al  tempo  di  Druso,  e  piü  genoi-almente  al 
tempo  cui  si  riferiscono  Strabone,  Marziale  e  Tacito  (11.  cc). 

Per  dare  un' idea  di  tali  niarmi  ne  esibisco  l'Elenco  completo, 
corredato  e  segiiito  dalle  osservazioni  da  me  fatte  in  Verona  da- 
vanti  ai  monuraenti  originali. 


Elenco  dei  marmi  trovati  in  piazza  del  Duomo  in    Verona 
fra  Vani^olo  destro  e  la  gradinata  della   Cattedrale.  Luglio-agosto  1890. 


NuineiO 

Marmo 

d'inv. 

10-13 

lunese 

14 

greco 

5  e  m'^ 

lunese 

16 

lunese 

24 

lunese 

Freffi  architettonici  di  rivestimento. 

Stinco  di  gamba  destra,  forse  pertinente  al  torso  N.  38. 

Gamba  framraentata  in  tre  pezzi  congiangibili. 

Parte  di  coscia,  col  pube  nudo. 

Statua  piü  grande  del  vero  (alta  2,10  dalla  base  al 
coUo),  stante,  acefala,  braccia  e  piedi  rotti  e  man- 
canti.  II  Chitone  talare,  cinto  a  mezzo  torso  da 
nastro  con  cappio  mediane,  e  in  parte  coperto 
dair  ampechonion  rilevato  con  belle  pieghe  sul 
braccio.  Tipo  e  forme  giunoniche,  stile  greco,  arte 
romana  dei  primi  anni  dell'era  volgare  o  della  fine 
del  sec.  I  a.  C.  [v.  fotoincisiune  nelle  Notizie  p.  5  ; 
cfr.  Aggiunta]. 
25  bianco  di  Verona    Capitello  di  colonna  d'ordine  corinzio,  ben  conservato 

diam.  inferiore  0,53. 

Capitello  di  colonna  d'ordine  corinzio,  molto  rovinato, 
diam.  inferiore  0,56,  raggio  0,28. 

Base  consunta  dedicata  agli  Dei  Parenti,  vedi  sopra 
pagina  286,  trovata  sei  metri  distante  dal  muro,  in 
cui  si  rinvennero  i  pezzi  plastici. 
Statua  muliebre  al  vero,  in  piedi,  acefala  —  la  testa, 
di  cui  avanza  solo  un  piccolo  pezzo  di  ddlo,  era 
da  innestarsi  —  Vestita  di  chitone  ed  ampio  am- 
pechonion avvolgente  le  spalle  e  rialzato  sulbracci", 
e  atteggiata  un  po'  comc  Poliinuia  ed  un  po'  come 
la  Viciria  di  Ercolano.  Buon  lavoro  ]irovinciale  del 
sec.  I  a.  C.  [cfr.  Aggiunta]. 
Statua  muliebre  sedente  (in  due  pezzi),  al  vero,  replica 
della  statua  del  Museo  Torlonia  (Mon.  Ins.  Vol.  XI 


26 


27 


greco 


veronese 


greco 


37 


Numero 
d'iiiv. 


LE    RKCENTI    SCOPERTK   DI    ANTICHITA    IN    VERONA 

Warnio 


291 


38 


greco 


tav.  XI)  —  Rotti  e  mancanti :  la  testa,  il  braccio  s., 
i  piedi,  gran  parte  della  seggiola,  di  foggia  attica,  e 
la  parte  anteriore  del  cane  molosso  sotto  la  sedia.  — 
II  Chitone  nianicato,  con  tredici  bottoni,  fa  millc 
pieghe  fittc,  profonde  e  ondeggiatc,  come  nella 
statua  Torlonia.  La  trattazione  parvemi  piü  stenta 
e  cruda  clie  in  quella  statua;  ma  forse  imitante 
ancora  piü  scrupolosamente  V  originale  chrysele- 
phantino  ionico-attico  da  cui  ambcdue  dipcndono. 
[cfr.  Aggiiinta]. 

Torso  nudo  virile  al  vero,  con  panneggiato  intorno  alle 
anche,   visibile   posteriormente.   Le  braccia  man- 
canti, erano    ainbedue   abbassate.  Egi'egio  lavoro. 
[v.  fotoincisione    nelle    Notizie    p.    8   e  le  nostre 
neirAggiunta]. 
39     rosso  di  Verona  Frammento  di  fondo  di  vasca  da  bagno,  ornata  ester- 

namente  con  listelli  e  gusci. 

Piede  s.  al  naturale  (larg.  0,11),  poggiato  sulla  punta, 
con  sostegno  sotto  il  tallone;  buon  lavoro. 

Frammento  di  panneggiato. 

Frammento  di  statua. 

Gambe  inferiori  nude,  in  due  pezzi  congiungibili,  ade 
renti   l'una  all'altra   (la  tibia  s.  sopra  la  d.);  ot- 
timo  lavoro. 

Lastra  di  rivestimento,  appartenente  alla  vasca  da  bagno 
rinvenuta  in  via  Garibaldi. 

Tronco  d'albero  (alt  0,69)  con  parte  della  base  (C.  0,06 
di  spobsore)  su  cui  poggiava  la  statua.  In  fondo : 
raezzü  occhio  formato  dalla  corteccia;  verso  il 
centro :  nn  ranio,  sul  taglio  tondo  del  quäle  Tiscri- 
zione  dell'artista: 


40 

41-2 

43 

44  e  65° 


45 


58 


lunese 


greco 


greco 


greco 


srreco 


59  e  60 


lunese 


nPAHITEAHS 
EnOEI 

nella  parte  superiore  rotta:  porzione  del  panneggio 
della  statua,  la  sola  piega  estrema.  Tanto  il  tronco 
d'albero,  come  il  panneggio,  sono  di  scalpello 
buono,  ma  non  particolarmente  fino.  [v.  la  foto- 
incisione nelle  Notizie  p.  11  e  il  nostro  facsimile 
neirAggiunta]. 
Due  frammenti  congiungibili,  esibenti  meta  del  ventre 
e  parte  della  coscia  s.  col  pube,  di  figura  nuda.  — 
II  pelo  trattato  secondo  la  tecnica  del  bronzo. 


292 


L.    A.    MII.ANI 


Kumeio 

Marmo 

d'inv. 

Gl 

lunese 

62 


63 


64 
65«." 


65«^ 

65<* 
65« 


65^ 


6ö 


aa  b 


73 


lunese 


lunese 


lunese 


lunese 

lunese 
lunese 


lunese 


lunese 


OTCCO 


77 

greco 

82 

lunese 

87 

tufo 

87-90 

greco 

91" 

96« 

lunese 

96«' 

lunese 

99 

lunese 

105 

117 

greco 

Plinto  di  symplegma  statuario  (spessore  0,07),  esibente 
porzione  di  uno  zoccolo  da  cavallo  e  le  dita  di 
un  ])iede  virile  posto  dinanzi  (Castore  e  Polluce  (?) 
(largh.  dul  piede  0,10'. 

Plinto  di  statua  (spess.  0,07),  con  sopra  piede  nudo 
di  donna,  coperto  da  panneggiato  e  poggiato  sopra 
la  suola  (spess.  0,013\ 

Plinto  (spess.  0,055-0,060)  con  sopra  piede  s.  virile 
(larg.  0,11).  poggiato  sulla  punta.  —  11  tallone, 
sostenuto  da  zoccolo,  non  puu  appartenere  al  N.  59, 
conie  si  credette,  essendo  di  marmo  diverso. 

Fregi  architettonici  di  rivestimento. 

Frammenti  di  panneggiato : 

a)  frammento,  esibente  parte  di  coscia  nuda  con 

panneggio  cascante  adeso. 

b)  frammento    di   pieghe,  forse  congiungibile  col 

torso  N.  38. 
Zoccolo    di  cavallo    di   proporzioni  maggiori  del  vero 

(cfr.  N.  61). 
Frammento  riunito  al  N.  15. 
Frammento  di  testa  con  capelli  ricciuti  atletici  e  fronte 

tonda,  il  quäle  da  a  vedere  di  avere  appartenuto 

al  ristauro  di  una  statua. 
Frammento  di    spalla,    pertinente  ad  una  statua  anti- 

camente   restaurata,    come   si   rileva   dagli  incavi 

destinati  al  ristauro. 
Frammenti  diversi: 

a)  frammento  con  colonna  spirale  adesa. 

b)  frammenti    di  lacunari   architettonici  d'ordiiie 

corinzio. 
Frammento    di    statua    superiore    al   vero,   esibente  la 

parte   mediana  di    una  figura   panneggiata;    stile 

andante  del  sec.  I. 
Piccolo  frammento  di  statua. 

Capitello  di  ordine  corinzio;  raggio  0,28,  diam.  0,56. 
Capitello  dei  bassi  tempi  d'ordine  corinzio  bastardo. 
Frammenti  di    colonne    scannellate   (corinzie\   misura 

delle  scannellature  m.  0,06. 
Soglia  di  porta  consunta. 
Frammento  di  una  statua  loricata. 
Pezzo  forse  pertinente  alla  medesinia. 
Frammenti  informi. 

Pezzi  di  marmi  informi  di  varie  qualitä. 
Frammenti  di  lastre  marmoree  di  varie  qualitä: 

a)  greco  —  b)  cipollino  —  c)  breccie. 


LE 

Numoro  Jlarmo 

(l'in  V. 


RKCKNTI    SCOI'ERTE    DI    ANTrCIlITA    IN    VERONA  293 


117  greco  Tesüi  di   I>ruso  al  vero.  Soto  il  collo  vedesi  un  buco 

l)er  im  pernio  tli  ferro,  il  quäle  darebbe  a  vedere 
esscre  stata  questa  testa  anticainente  rcstaurata 
e  forse  .applicata  a  torso  iiori  suo.  II  meiito  e  in 
parte  rotto  o  niancante,  le  orecchie  hanno  le  elici 
danneifgiate,  il  naso  e  pure  un  po'  danneggiato. 
Egregio  lavoro  del  sec.  I  a.  C.  |v.  nostra  tav.  IX; 
cfr.  Aggiunta]. 

I  marmi  dclVElcnco  suddetto  piii  interessauti  per  la  stoiia  di 
Verona  sono : 

a)  la  testa  di  Druso  N.  147    di  cid   giä  dicemmo,  offerta 
nell'annessa  tavola 

I>)  il  torso,  serainudo  N.  38 ; 

c)  la  statiia  acefala  di  tipo  Giunonico,  N.  24 ; 

d)  la  statiia  muliebrc  acefala,  N.  3G. 

II  torso  di  marmo  greco  N.  38,  per  Tazione  delle  braccia  abbas- 
sate,  per  il  panneggio,  che  circonda  le  anche,  e  per  lo  stile,  da  a 
vedere  di  avere  apparteniito  ad  ima  statua  eroica  di  principe  od  im- 
peratore  romano,  analoga  al  Druso  o  Marcello  di  Pompei  (vedi  sopra) 
ed  al  Germanico  Lateranese  di  Veio.  Esso  non  attacca  con  la  testa 
di  Druso ;  ma  la  qualita  del  marmo,  insieme  cou  la  peculiare  pa- 
tina  gialla  a  cbiazzc  nere,  e  le  diraensioni,  stanno  cosi  bene  in  rap- 
porto  con  la  detta  testa,  da  non  potersi  quasi  dubitare,  a  mio  credere, 
dell'originale  congiunzioue  dei  due  pezzi  (').  [cfr.  Aggiunta]. 

Alla  statua  eroica  di  Druso  attribuirei  i  panneggiati,  N.  65 '', 
ed  in  ispecie  il  notevole  frammento  65",  esibente  parte  di  coscia 
virile  nuda,  con  pannoggiato  cascante  adeso  (cfr.  il  Druso  di  Pompei). 

La  statua  eroica  di  Druso  ed  i  frammenti  N.  96"'^  riferibili 
ad  un'altra  statua  imperatoria  loricata  (cfr.  il  Britannico  Latera- 
nese ecc),  mi  suggeriscono  poi  l'idea,  clie  anche  la  statua  colos- 
sale   di  tipo  giunonico   N.  24,  possa  appartenere  ad  una  impera- 


(1)  Sotto  la  testa  vedesi  un  piccnlo  furo  rettangolare  con  ossidazione 
gialla,  lasciata  da  un  pernio  di  ferro  usato  in  un  antico  restauro  della  testa 
col  relative  torso.  Nel  torso  il  corrispondente  foro  manca;  peru  manclierebbe 
anche  un  pezzo  del  collo  [cfr.  Aggiuntal. 


29-1  I,.    A.    MIL.VM 

trice  romaua,    forse   alla    stessa   Livia,   madre   di  Driiso  (').  [cfr. 
Aggiunta] . 

Invece,  la  statiia  muliebre  acefala  N.  36,  paragonabile  alla 
Viciria  di  Ercolano,  puö  essere  bene  il  ritratto  di  una  matrona  vero- 
nese,  resasi  benemerita  per  qiialclie  pubblica  elargizione,  come, 
ad  esempio,  la  Gavia  Maxima  delViscrizione  deH'angolo  di  via  Rosa, 
(  C.  I.  L.,  V.  1,  n.  3402),  elargitrice  di  mezzo  milione  di  sesterzi 
per  acqua  potabile  (?)  {in  aqiiam)  [cfr.  Aggiunta]. 

I  marmi  deU'EleDco  degni  di  maggior  considerazione  per  la 
storia  dell'arte  sono: 

a)  tronco  d'albero  col  nome  di  Prassitele,  N.  58. 

b)  la  statiia  sedente,  N.  37. 

II  marmo  del  tronco  d'albero  e  greco  (pario?).  l'iscrizione  di 
buoui  carattari  quadrati.  ionico-attica  nella  forma  (-) ;  ma  mi  bastö 
vedere  la  trattazione  del  panneggio  alla  sommitä  del  tronco,  1' ul- 
timo lembo  d'una  clamide  (3) ,  per  escludere  immediatamönte  la 
mano  del  brande  Prassitele. 

II  grande  Prassitele  difficilmente  avrebbe  omesso  il  patroni- 
mico  A&H!SA102  ed  aiicor  piii  difficilmente  avrebbe  segnato  il 
suo  nome  all'imperfetto  {^). 

II  verbo  ^nohi  {faciebat)  all'imperfetto,  frequente  specialmente 
nel  sec.  I,  ci  riporterebbe  ad  uu  Prassitele  Ateniese  del  tempo 
imperiale  romano,  ma  appunto  il  Prassitele  di  questo  tempo,  che 
conosciamo  da  due  iscrizioni,  firma,  si  puö  dire  eccezionalmente, 
con  l'aoristo  f'-Ton^Cf,  come  il  grande  Prassitele,  e  scrive  con  tutt'al- 
tra  paleogi-afia:  la  bassa  paleografla  corrente  del  sec.  I  a.  C.  (V. 
Loewy,  o.  c.  nn.  318,  319)  (S). 

(')  Si  confronti  la  creduta  Livia  Pompei,  irovata  insieme  con  la  statua 
di  Druso,  e  la  Livia  del  rilievo  di  Ravenna  (Bernoiüli,  o.  c.  II,  tavv.  V  e  VI). 

("^)  La  forma  inösi  per  inoist  si  trova  per  lo  piü  in  artisti  ionici  del 
sec.  III-I  a.  C.  cfr.  Loewy  Inschr.  grlech.  Bilclh.  nn.  212,  21(3,  283,  310, 
323,  374. 

P)  II  piombino  a  goccia  con  cui  termina  conviene  al  tempo  di  Prassitele. 

(*)  Vedansi  le  due  firme  probabili  di  lui,  una  trovafa  a  Leuka  presso 
Te.spie  (Loewy  o.  c,  n.  76)  ed  un'altra  ad  Olbia  del  mar  Nero  (Loewy  o.  c. 
p.  383,  u.  76  a)  in  confronto  con  le  altre  comuni  firme  dei  suoi  contem- 
poranei. 

(^)  Diversa  e  pure  la  paleografla  delPaltro  Prassitele  del  sec.  III-II  a.  Cr. 
cui  si  riferisce  l'iscrizione  di  Pergamo,  Loewy,  o.  c,  n.  154  p.  116. 


LE    RECENTI    SCOPERTE    DI    ANTICHITA    IN    VERONA  295 

La  paleogi-afia  qiiadi-ata  deiriscrizione  veronese,  potendosi  spie- 
gare perfettamente  cou  im  artista  greco  abituato  alle  iscrizioni  qiia- 
drate"  roraane,  ed  avendo  anzi  stvetta  analogia  con  alciine  altre 
iscrizioni  greche  di  celebri  artisti,  lo  qiiali  furono  giudicate  con 
certezza  copie  antiche,  (')  ed  il  tronco  d'albero  essendo  per  se  stesso 
un  motivo  statiiaiio  usato  con  prodilezione  da  Prassitele  e  quasi 
sua  invenzione  (-),  rimango  fermo  noU'opinione  che  il  tronco  ve- 
ronese appartenga  ad  una  copia  di  qualche  celebre  statua  doviita 
od  attribuita  al  grandc  Prassitele  [cfr.  AggiuntaJ. 

Escluso  l'Hermes  di  Olimpia,  perche  ivi  il  panneggio  cade  a 
coprire  quasi  interamente  il  tronco  d'albero,  si  potrebbe  pensare : 
0  all'Eros  di  Parion  {Ärch.  Zeit.,  1885,  p.  90),  che  verosimil- 
raente  ^tava  anch'esso  poggiato  ad  un  tronco  d'albero,  con  il  pan- 
neggio peudente  dal  braccio  sinistro:  o  ad  una  statua  corrispon- 
dente  all'Hypnos  del  Vaticano  (fotogr.  Alinari,  N.  152(n),  anch'essa, 
secondo  me,  di  tipo  Prassitelico ;   o   ad  una  statua   di  Apollo  (?). 

Ad  un  tipo  Prassitelico  di  Eros,  di  Hypnos,  o  di  Apollo  con 
le  gambe  incrociate  (cfr.  l'Apollo  Sauroctono  e  l'Apollo  col  Ciguo. 
ancor  esso  di  tipo  Prassitelico),  farebbero  pensare  i  frammenti 
N.  44  e  65,  esibenti  due  tibie  incrociate. 

Dal  poco  che  ho  detto  sul  tronco  d'albero,  si  vede  quanta 
iiuportanza  esso  ha,  e  quanta  piii  iie  potrebbe  avere,  se,  facendosi 
ulteriori  ricerche  in  piazza  del  Duomo,  si  potesse  scoprire  la  re- 
lativa  statua,  od  almeno  altri  fnimmenti  di  essa. 

Non  meuo  importaute  per  la  storia  dell'arte  e  la  statua  sedente 
N.  37,  replica  della  statua  Torlonia,  edita  nei  Monumenti  del- 
ristituto.  Vol.  XI,  tav.  XI,  e  da  Visconti,  Museo  Torlonia,  N.  (34 
(Catalogo  n.  77). 

(1)  V.  Loewy,  o.  c,  n.  478  e  segg. ;  il  n.  488  esibiscc  il  nome  stesso 
di  Prassitele  sopra  uu  busto  cribico('r'). 

nPAHITEAHC 
EnOIE 

Cfr.  ancheriscr.pressoLoewy.n.  504  eyboyaeyc   ni'AHiTEAOVc- 

(2)  Cfr.  rHermos  cFOIimpia,  TApoUo  Sauroctono,  il  Satiro  in  riposo, 
l'Eros  di  Parion  (?),  il  Satiro  clie  si  versa  da  bore.  Vcdi  il  mio  scrilto  Dio- 
nysos di  Prassitele  nel  Mus.  Ital.  1890,  Vol.  III,  p.  758  segg.,  al  qualc  mi 
riporto  anche  per  la  letteratura  prassitelica. 


296  L.    A.    MILANI 

La  statiia  Toiionia,  mancante  ancli'essa  della  testa  originale, 
e  l'unica  della  classe,  del  resto  poco  numerosa  (in  tiitto  5  statiie) 
(V.  von  Duhn,  Ann.  deU'Ist  1879  pag.  176),  che  presenti,  come 
quella  di  Verona,  il  cane  molosso  sotto  la  sedia.  Di  piü  la  ma- 
niera,  dirö  cosi  ad  intaglio  e  a  sbalzo,  con  ciii  nella  statua  veronese 
soDO  trattate  le  mille  pieghe  del  chitone  ionico,  e  rigorosamente 
corrispondente  con  la  tecnica  chnjselephaiitina,  ciii  il  von  Duhn 
aveva  riportato  l'originale  di  quel  tipo  statuario  ('). 

La  congettura  del  von  Duhn,  che  quella  statua  fosse  iina  copia 
del  ritratto  di  Olimpia.  madre  di  Alessandro  Magno,  eseguita  da 
Leochares  in  oro  ed  avorio  per  il  Philippeion  d'Olimpia  (a.  337-336 
a.  Cr.),  si  dovette  abbandonare  in  seguito  alla  scoperta  del  Phi- 
lippeion e  dei  basamenti  fatti  per  statue  in  piedi,  sii  cui  gli  ori- 
ginali  di  Leochares  sorgevano  {Arcli.  Zeilimg.  1882,  pag.  67) ;  ma 
dinanzi  la  replica  veronese,  il  cane  molosso  sotto  la  sedia  parmi 
guadagnara  il  valore  di  un  vero  attributo,  e  per  nessuua  tigura 
celebre  di  doiina  poteva  esser  cosi  proprio  come  per  la  madre  di 
Alessandro  Magno,  che  fu  regina  per  eccellenza  dei  sempre  Mi  suoi 
Molossi  (ßuaiXk  ron-  MoXoaaMv)  (cfr.  von  Duhn  o.  c.  pag.  196) 
e  sorella  di  Alessandro  il  Molosso,  temuto  conqiüstatore  delVItalia 
raeridionale. 

II  von  Duhn,  a  mio  senso,  tanto  era  nel  vero,  quando  in  tesi 
generale  riferi  alla  seconda  metä  del  sec.  IV  il  prototipo  di  quella 
statua,  e  pensö  a  Leochares,  come  allorche,  cercando  il  suo  nome, 
pensö  ad  Olimpia. 

In  questi  limiti  l'interpretazione  del  von  Duhn,  con  tanta  fretta 
condaunata  da  suoi  critici  (Treu,  Eobert,  Bernoulli)  e  troppo  presto, 
a  mio  avviso,  abbandonata  da  lui  stesso  in  un"  amichevole  lettera 
a  me  diretta,  regge  ancora,  e  molto  potrei  dire  in  suo  favore 
[cfr.  Aggiunta]. 

Qui  accennerö  solamente  a  questo  fatto,  ai  mioi  occhi  stringentis- 
simo,  che,  come  i  ritratti  ufficiali  di  Alessandro  il  Grande  servi- 
rono  di  prototipo  a  tutti  i  dinasti  greci  posteriori  (Diadochi)  e  nel 


(')  L'iutaglio  o  lo  sbalzo  (caelalura)  erano  propri  della  tecnica  chryse- 
lephantina  (oro,  legno  ed  avorio).  Lo  sbalzo  delto  in  greco  sphyrelaton  era 
])roprio  del  metallo;  ma  la  trattazione  del  legno  ed  avorio  (-ntaglio  ^=  caelatura) 
corrispondeva  appunto  alla  trattazione  a  sbalzo,  pure  detta  caelatura. 


I,E    RKCENTI    SCOI>ERTE    VI    ANTICHITA    IN    VERONA  297 

mondo  romano  ad  Aiigusto,  primo  dinasta  romano.  il  qnale  diede 
per  il  primo  alla  siia  eflii,äe  il  valore  politico,  che  ad  essa  aveva 
dato  Alessandro;  cosi  e  bea  naturale,  che  il  ritratto  di  Olimpia, 
la  prima  iraperatrice  e  regiiia  madre  del  mondo  greco,  abbia  servito 
da  prototipo  ai  ritratti  delle  prime  imperatrici  romane  e  segoata- 
meiite  ad  Agrippiua  luniore,  che  fu  la  prima  imperatrice  impo- 
stasi  ufficialmente  come  regina  madre.  Avanti  di  lei  nessima  im- 
peratrice romana  pote  otteuere  da  viva  Foiiore  deiretligie  nella 
monetazione  (V,  Lenormant,  La  Moiiiiale  dans  Uaullquite,  II, 
pag.  39G);  e  qiiiudi  sou  portato  a  credere,  che  si  debba  ettetti- 
vameute  a  lei  la  prima  imitazione  del  tipo  di  Olimpia,  e  che  da 
lei  qiiel  tipo  sia  stato  esteso  a  Livia  (cfr.  la  Livia  Albani  e  la 
celebre  gemraa  Angiistea  di  Vienna)  e  ad  Agrippina  maggiore. 

Trovare  pertaiito  la  testa  alla  statua  sedente  veronese  sarebbe 
risolvere  nna  questione  di  grandissimo  Interesse  generale;  e  giacche 
sappiamo  dove  cercarla,  e  dover  nostro  di  non  lasciare  intentata 
tale  ricerca. 

Come  e  noto,  tutti  i  marmi  antichi  di  piazza  del  Daomo  si 
riuvennero  iisati  per  fondazione  di  un  muro  romano  tardo,  in  linea 
colla  gradinata  del  Duomo,  e  precisamente  nello  spazio  che  inter- 
cede  fra  l'angolo  destro  della  Cattedrale  e  la  gradinata,  per  cui 
praticando  uno  scavo  sotto  la  parte  di  gradinata  non  ancora  toc- 
cata  e  siil  prolungamento  di  qiiel  muro,  &i  avrebbe  ogni  probabilitä 
di  rinvenire  nuovi  frammenti  delle  statue  giä  scoperte. 

lo  consiglierei  inoltre  una  trincea  diagonale  alla  piazza,  par- 
tendo  dall'imboccatura  dello  stradone  Duomo,  all'angolo  sud-ovest 
della  Cattedrale.  Qnesta  trincea  avrebbe  per  iscopo  di  farci  co- 
noscere  meglio  la  natura  archeologica  del  suolo,  e  potrebbe  con- 
durci  a  coUegare  certi  pavimenti  romani  a  musaico,  trovati  pochi 
anni  or  sono  nel  cortile  interno  della  Canonica,  eoi  pavimeuti 
marmorei  ed  a  musaico  rinvenuti  all'imboccatura  dello  stradone 
Duomo. 

Tali  ricerche,  oltrc  coudurci  alla  scoperta  di  altri  proziosi 
ayanzi  di  antichitä,  ci  porterebbero  con  tutta  probabilitä  alla  deter- 
minazione  del  sontuoso  editizio  cui  i  marmi  trovati  servirono  di 
ornamento,  edifizio  certamente  pubblico,  e  sul  quäle  ora  possiamo 
fare  soltanto  delle  congetture. 

La  cougettura  piü  attendibile  che  io  potrei  fare,  concernerebbe 


298  '-  •^-  MU-AM 

le  pubbliclie  Terme  veronesi,  ben  conosciute  per  im  luogo  di  Tacito 
{Eist.  III)  e  pöi'  diie  iscrizioni  rifereutesi  al  loro  ristauro  (6'.  /.  vC., 
V,  1,  nn.  3457,  3342) ;  ma,  uondimeuo,  di  ubicazione  aucora  molto 
incerta. 

E  da  credere  che  Verona,  divisa  anche  anticameiite  dall'Adige, 
avesse  avuto,  come  Pompei,  almeiio  diie  pubblici  stabiliraenti  di 
questa  spöcie.  Giä  vi  accennerebbe  il  particolare  iiome  di  Thennae 
luveiitiame,  dato  ai  bagni  perfeziouati  al  teinpo  di  Commodo  dal 
console  M.  Nonio  Arrio  Muciano,  Quadrumviro  per  le  cose  sacre, 
custode  e  patrono  di  Verona. 

Che  se  nou  vi  ha  dubbio  che  le  Thermae  cui  si  riferisce  riscri- 
zione  N.  3457,  rinvenuta  in  S.  Giovanni  in  Valle,  stavano  da  qiiella 
parte,  alla  sinistra  dell'Adige  (V.  Moscardo,  pag.  88 ;  Venturi,  Com- 
peiidio  ecc.  2*  ed.,  II,  pag.  76),  eno  ancora  si  puö  dubitare  che 
esistessero  alla  destra  dell'Adige  le  Thermae  luvenüanae,  cui  si 
riferisce  l'iscrizione  3342,  rinvemita  nell'anno  1810,  demolendosi 
la  torre  di  Castelvecchio  (Venturi  1.  c). 

Perö,  ne  gli  indizi  di  Terme  notati  presso  la  torre  Gallieuiana 
(Da  Persico,  Descrizione  di  Verona,  I,  pag.  ^^i),  ne  quelli  presso 
Corte  Farina  (Da  Persico,  o.  c.  I,  pag.  250,  nota  33),  sarebbero 
in  ogni  caso  tanto  chiari  e  sicuri,  come  la  vasca  da  bagno  costrutta 
in  muratura,  trovata  dall'ing.  Donatelli  in  via  Garibaldi,  all'im- 
boccatura  di  via  Sole. 

Nella  Planimetria  dell'ing.  Donatelli  sono  iudicati  il  sito,  la 
giacitura,  la  forma  ovale,  e  le  misure  precise  di  questa  vasca,  e 
nella  Kelazione  di  lui  sono  spiegati  gli  interessanti  particolari  di 
costruzione  della  medesiraa. 

Era  rivestita  internamente  di  marmo  greco  (N.'  45  e  117^ 
dell'Elenco  I)  e  tutta  isolata  aU'intorno  con  lacunari  o  cassette  di 
cotto,  siccome  destinata  a  contenere  acqua  calda  per  Tuso  del 
calidarium  {iiaiatio  calida  juscina).  A  circa  6  metri  dalla  detta 
vasca,  in  via  Sole,  a- m.  1,95  di  profonditä,  essendosi  rinvenuto 
un  ricco  pavimento  formato  con  alcune  piastrelle  di  marmo  trian- 
golari  di  varia  qualitä  {opus  alexandrinum)  (punti  C.  B.  della 
Planimetria),  ed  in  Cort'Alta  essendosi  invece  ritrovato  un  buon 
tratto  del  lastrico  della  strada  romana  (V.  la  descrizione  del  Do- 
natelli; cfr.  Aggiunta),  con  l'andamento  corrispondente  all'asse 
di   via  Sole   (m.  1.20    di  profonditä    dal    livello    attuale),  si  de- 


LK    REGENT!    SCOPERTE   DI    ANTICHItA    IN    VERONA  299 

diice  che  le  Terme  si  estendevano  tiitte  dalla  parte  di  stradone 
Duomo.  lufatti  in  via  Garibaldi  e  stradone  Duomo  non  si  trovö 
veriina  traccia  della  strada  romana,  ed  invece  si  riuvenne  im  fram- 
mento  di  fondo  di  altra  vasca  da  bagno  in  niarrao  rosso  veronese, 
simile  a  quelle  personal!  in  uso  ai  di  nostri  (N.  39  dell'  Elenco), 
ed  iin  tiibo  di  piombo  in  posto,  {fislida  aquaria)  nella  direzione 
di  stradone  Duomo. 

A  metä  dello  stradone,  a  circa  m.  50  dalla  vasca  in  muratura, 
si  trovö  il  fondamento  di  un  muro  con  sqiiadre  rivolte  verso  l'Adige, 
il  quäle  fu  dal  Donatelli  giudicato  di  costruzione  medioevale  — 
perclie  «  formato  con  cipttoli,  calce  e  strati  irregolari  di  grandi 
tavoloui  di  cotto,  probabilmente  provenienti  da  antiche  demo- 
lizioni  «. 

Verso  l'imboccatura  dello  stradone  Duomo  si  rinvenue  di  nuovo 
un  pavimento  formato  di  lastrine  triangolari  di  raarmo  greco  (v,  Pla- 
nimetria),  il  quäle  sembrerebbe  stare  in  istretta  relazione  colla 
vasca  da  bagno  di  via  Garibaldi  e  col  pavimento  marmoreo  di  via 
Sole.  Ciö  lascierebbe  supporre  che  le  Terme,  con  la  relativa  Pa- 
lestra,  Sphaerislerion  e  Stadio,  seguendo  la  insenatm'a  dell'Adige, 
si  estendessero  da  via  Garibaldi  tinö  in  piazza  del  Duomo,  com- 
prendendo  forse  anche  la  vicina  Canonica. 

II  muro  creduto  di  costruzione  medioevale  di  stradone  Duomo 
lo  metterei  in  relazione  di  tempo :  I,  con  un  pavimento  di  smalto, 
formato  di  calce  e  detriti  di  cotto  {opus  signiimm),  rinvenuto 
Cent.  40  sopra  il  pavimento  [opus  alexaiidruium)  di  via  Sole, 
(la  strada  romana  era  ad  un  livello  anche  superiore) ;  II,  con  un  altro 
pavimento  a  musaico,  cosidetto  alla  Veneziana  {muslvum  incertiim) 
rinvenuto  all'imboccatura  di  stradone  Duomo,  sopra  quello  mar- 
moreo; III,  coi  pavimenti  a  musaico  scoperti  nel  chiostro  Cauo- 
nicale  (v.  Notizie  degli  Scavi  1884  p.  401;  1885  p.  307;  1886 
p.  213  :  Relazioni  di  Mons.  Vignola). 

II  muro  di  stradone  Duomo  ed  i  pavimenti  sovrapposti  a  quelli 
marmorei  ci  svelano  iuoltre,  che  la  totale  rovina  deH'edificio  piii 
sontuoso  cui  spettano  i  pavimenti  marmorei,  la  vasca  da  bagno  i 
marmi  sculti,  stati  essi  stessi  auticamente  ri^taurati,  e  probabil- 
mente anche  i  marmi  antichi  e  le  magniliche  colonne  scannellate 
di  cui  parla  l'abate  Fontana  in  Da  Persico,  I  p.  42  e  II  p.  313  sg., 
e  da  riferirsi  al  tompo  romano  e  con  probabilitä  al  sec.  III  d.  C.  t 


300  I..    A.    MILANE 

ciö  potendosi  dediirre  da  due  inonete  di  broazo  di  piccolo  modulo, 
del  tempo  di  Gordiano  o  di  Filippo,  veaute  fiiori  uegli  scavi  presso 
al  Duomo  (v.  Elenco  delle  monete  annesso  alla  mia  relazioiie,  nn.  32 
e  34)  e  rese  quasi  irreconoscibili  dalla  combustione  (si  vedano  anche 
le  scorie  raccolte  in  piazza  Duomo,  nn.  110  e  114  dell'Elenco 
suddetto). 

Un"  altra  cougettura  rigiiarderebbe  il  Circo,  e  potrebbe  rica- 
varsi  dagli  stessi  marmi  sculti  raccolti  in  piazza  del  Duomo,  nomi- 
natamente  dalla  statua  di  Olimpia,  replica  di  quella  rinvenuta 
nel  Circo  Massimo  di  Roma^  e  dal  frammento  N.  61,  il  quäle  lascia 
siipporre  di  avere  appartenuto  ad  un  symplegma  dei  Dioscuri. 

I  Dioscuri  erano  le  principali  Deitä  del  Circo,  ed  e  noto  d'al- 
tronde  che  le  spine  del  Circo  si  solevano  ornare  con  obelischi,  co- 
lonne,  statue,  fontane,  altari  e  delubri,  con  rapporto  piii  o  meno 
diretto  colla  loro  originale  destinazione  (cfr.  Ann.  dell'  Ist.  a.  1870 
pag.  248-388)  ('). 

L'ipotesi  relativa  al  Circo  troverebbe  altresi  un  riscontro  nel- 
l'opinione  piii  accreditata  degli  storiografi  veronesi  (Venturi,  Dionisi. 
Pompei),  che  posero  il  Circo  appunto  fra  S.  Anastasia  ed  il  Ve- 
scovado.  Fra  gli  ultimi  il  Pompei,  Studi  suH'Antiteatro  di  Ve- 
rona 1877,  pag.  15,  25)  credette  infatti,  che  il  Circo  incominciasse 
dal  Vescovado  e  terminasse  a  S.  Anastasia,  comprendendo  nel  trac- 
ciato  la  chiesa  di  S.  Felicita,  dove  secondo  notizie  del  Carrobio, 
furono  trovati  alcuni  gradi  di  straordinaria  grandezza  e  muri  di 
forma  elittica. 

La  strada  romana  scoperta  lungo  la  via  Duomo,  insieme  con 
altri  frammenti  di  statue  e  membrature  architettoniche  (Ved.  la 
relazione  che  accompagna  la  Planimetria  del  Donatelli)  e  la  cloaca 
romana  rinvenuta  lungo  la  via  Liceo,  incrociante  coll'antica  via  Po- 
stumia  in  piazza  S.  Anastasia,  non  si  opporrebbero  alla  congettura 
che  il  Circo  occupasse  realmente  lo  spazio  fronteggiante  il  Cam- 
pidoglio  ed  il  Teatro,  fra  S.  Felicita  ed  il  Vescovado.  Bisoguava 
perö  che  il  Circo  scansasse   la  strada  che  conduceva  al  Ponte  ro- 


(1)  La  statua  fli  Olimpia  ricliiamxva  beiie  col  suq  nome  il  Circo,  detto 
per  antonomasia  Olimpico  anche  dai  Rumani  (cfr.  Orazio,  Od.  I,  1,  3),  e  gli 
stessi  ludi  Olimpici  o  Circensi,  non  meno  cari  al  figlio  di  Olimpia,  che  ai 
Romani. 


LB    RECENTiTsCOPERTE    DI    ANTICHITA    IN    VERONA  301 

mano  della  Pietra,  e  che  nel  suo  sviluppo  attravorsasse  la  cloaca, 
forse  di  tempo  tardo  (?)  ,  scoperta  lungo  i  vicoli  Accoliti  e  S.  Fe- 
licita.  Intorno  ai  riuleri  antichi,  rinveniiti  uei  detti  vicoli  ed  in- 
torno  alle  importanti  scoperte  fatte  dal  Donatelli  in  via  Liceo  e 
via  Troba  (strade  romaiie ;  cfr.  Aggiimta),  uoii  lio  suflicienti  dati 
per  entrare  nella  disämina  deH'argomento. 

L'iuvocata  pubblicazione  dei  ricordi  topografici  dell'ing.  Dona- 
telli e  le  ulteriori  ricerche,  serviranno  certainente  a  gettare  luce 
anchc  snlla  questioae  del  Circo ;  io  ho  voluto  accennarvi  solamente 
per  niostrare  rimportauza  che  questi  ricordi  possono  avere,  quando 
sono  fatti  da  im  iiomo  tecnico,  sagace  e  coscienzioso. 


{CoiUiaaa) 

L.    A.    MiLANI. 


20 


FUNDE. 


Nur  ein  par  römische  Skulpturen  seien  diesmal  erwähnt  z.T. 
nicht  ganz  kiu-zlich  gefunden,  wie  Nr.  1  und  2,  aber  erst  jetzt 
aus  dem  Wust  hervorgezogen  ;  1  und  2  im  Thermenmuseum,  3 
im  -Odeo',  4  im  Orto  botanico. 

1.  Statue  des  Apollo  (')  aus  griechischem  Marmor,  die  einzel- 
nen Theile :  Kopf,  Torso,  Beine  mit  Stamm  in  verschiedenem  Er- 
haltuncrszustand  zu  verschiedenen  Zeiten  aus  dem  Tiber  (zwischen 
■ponte  Palatino  und  den  bagni  cli  Donna  Olimpia  nach  Notiüe 
cL  sc.  1891  S.  288)  herausgebaggert,  sind  jetzt  zusammengefügt ; 
auch  den  r.  Arm  wird  man  hoffentlich,  trotz  der  starken  Ver- 
waschung,  welche  der  Oberarmstumpf  mit  dem  grössten  Theil  der 
Vorderseite  auch  von  Kumpf  und  Beinen  erlitten  hat,  noch  anfügen. 
Es  fehlen  die  r.  Hand  mit  einem  Stückchen  des  Armes,  der  grössere 
Theil  des  1.  Armes,  die  Plinthe  mit  dem  unteren  Ende  des  Stammes 
und  der  Unterschenkel,  des  linken  halb,  des  rechten  fast  bis  zum 
Knie.  Die  Statue  schliesst  sich  den  reifarchaischen  nackten  Apollo- 
bildnissen an,  welche  Overbeck  (Kunstmyth.  Bes.  Theil.  V  S.  161  ff.) 
in  Gruppe  1-IV  zusammengestellt  hat  und  ganz  besonders  IV,  4 
einer  Statue  des  Capitolinischen  Museums  (Overb.  Atlas  T.  XX,  22) 
an  der,  nebenbei  bemerkt,  der  Köcher  nicht,  wie  bei  Overbeck 
S.  175^,  und  Heibig,  Führer  N.  500  angegeben  wird,  (die  nuova 
descrisione  del  Miiseo  Cap.  S.  278  bezeichnet  richtig  nur  den  Stamm 
als  neu,  den  Köcher  als  alt  auch  Kekule  Athen.  Älittheill.  1876 
S.  181  und  Benndorf  Annali  1880  S.  199)  modern,  sondern  bis 
auf  ein  kleines  Stück  unten  antik  ist.  Der  Körper  ruhte  auf  dem 

(1)  Der  Kopf  war  in  mangelhaft  gereinigter  Zustand  vor  ein  par  Jahren 
sclion  Kalkmann  einer  Photographie  werth  er-schienen. 


E.    PETERSEN,   FUNDE  303 

liiikeu  Fuss,  wiihreud  der  rechte  mit  gebogenem  Knie  ein  wonig 
vorgesetzt  war,  etwas  weniger  vor  als  beim  Capitolinischen,  aber 
etwas  mehr  zur  Seite,  wohl  wegen  verscliiedenen  Verhaltens  des 
Oberkörpers.  Zwar  der  rechte  Arm  hing  auch  hier  herab,  aber  der 
linke  Oberarm  ist  beträclitlich  mehr  zur  Seite  als  nach  vorn  ge- 
hoben, und  auch  der  Kopf  sehr  ausgesprochen  nach  dieser  Seite 
hin  gewandt  und  geneigt,  mit  feinem  Ausdruck  milder  Freund- 
lichkeit um  Mund  und  Augen.  Allerdings  fehlt  vorn  ein  beträcht- 
liches Stück  des  Halses,  mit  Theilen  der  rings  um  den  Nacken 
auf  die  Schultern  fallenden  und  hier  in  Eingeln  sich  sammelnden 
Locken  (')  (wesentlich  wie  bei  der  Capitolinischen  Statue),  be- 
sonders an  seiner  r.  Seite ;  aber  die  hinten  am  Bruch  zusammen- 
passenden Locken  lassen  neben  der  Gesammtbew^gung  des  Ober- 
körpers keinen  wesentlichen  Zweifel  über  die  Anfügung  des  Kopfes 
und  seine  Haltung.  Es  scheint  unabweislich,  für  die  linke  Hand 
eine  besondere  Handlung  zu  erdenken,  um  so  mehr  als  der  Bogen 
in  der  Reichten  lag.  Denn  etwas  oberhalb  des  r.  Knie,  mehr  nach 
aussen,  findet  sich  ein  Ansatz,  welcher  trotz  aller  Yerwaschenlieit 
hinlänglich  deutlich  das  knaufartig  zurückgebogene  Ende  eines 
Bogens  erkennen  lässt.  Der  Bogen  lag  mit  der  Sehne  nach  rück- 
wärts in  der  Hand,  ohne  den  Arm  Aveiter  oben  zu  berühren.  Der 
Umriss  der  G-estalt  zeigt  edler  Linien,  freier  als  an  der  Capitoli- 
nischen ;  der  Eindruck  grösserer  Schlankheit  beruht  aber  auch  mit 
auf  der  (am  Armstumpf  bis  c.  3  cm.  gehenden)  Verminderung 
des  Körpers  und  auf  dem  zu  kurz  gerathenen  Hals  des  Capitoli- 
nischen, welcher,  ausserdem,  wie  viele  Skulpturen  römischer  Samm- 
lungen, zwar  auch,  aber  nur  an  der  Vorderseite,  eine  starke  Ab- 
glättung der  corrodierten  Oberfläche  erlitten  hat,  durch  w^elche  die 
Formen  des  Gesichtes  in  der  That  beeinträchtigt  sind.  Dem  gegen- 
über hat  der  Kopf  der  andern  Statue,  von  Verletzungen  an  Nasen- 
spitze, Unterlippe  und  Kinn  abgesehen,  seine  ursprünglichen  Formen 
glücklicherweise  besser  bewahrt.  Ueberall  blickt  archaische  Weise 
noch  durch,  besonders  in  den  scharfen  Kanten  von  Brauen  und 
Nase,  und  dem.  noch  etwas   schrägen   Profil   von  Stirn  und  Nase. 


(•)'  Kürzere  Locken   fallen    unterhalb    des    Haarreifens   herab,  die  Stirn 
in  doppelter  Reihe  umrahmend,   drei-    und   vierfacli  übereinander   gegen   die 


o 


Ohren,  die  unbedeckt  bleiben. 


304  E.    PETERSEN 

Der  Umriss  des  Schädels  aber,  von  der  Seite  gesehen  ist  läng- 
licher, oben  flacher,  hinter  gerundeter,  nicht  zum  wenigsten  infolge 
des  tiefer  einschneidenden  Keifens  im  Haar. 

2.  Idealer  Jünglingskopf  aus  (pentel?)  Marmor.  Der  untere 
Theil  der  Nase,  besonder  der  r.  Flügel,  stark  bestossen,  die  Lippen 
weniger,  im  übrigen,  mit  dem  grössten  Theil  des  Halses,  gut  er- 
haltene und  sorgfältig  gearbeitete  Copie  eines  dem  Meleager  Me- 
dici  in  manchen  Stücken  nahestehenden  Originals,  besonders  in  der 
Stirn,  den  (kleineren)  über  der  Stirn  aufsteigenden  (nach  rechts) 
umgebogenen  Löckchen,  dem  Nasenabgang  und  der  Lebhaftigkeit 
in  Auofe  und  Mund.  Durch  Eintiefung  der  inneren  Augenwinkel 
ist  der  Nasenrücken  noch  etwas  mehr  unterhöhlt ;  andrerseits  sind 
die  oberen  Lider  minder  bedeckt,  die  Augäpfel  minder  gewölbt 
und  nicht  emporgekehrt,  die  Mundöffnung  nicht  so  gross.  Am 
Augenfälligsten  ist  das  geringere  Relief  des  Haares  bei  zusammen- 
hängenderer Linienführung  in  seiner  Zeichnung.  Endlich  lässt  der 
vorgestreckte  Hals  mit  gehobenem  Kopf  eine  viel  bestimmter  auf 
ein  Ziel  gerichtete  Bewegung  erkennen.  Kopf  höhe  ('.264  M. 

3.  Im  BiUlett.  comunale  1891  S.  296  wird  der  Torso  einer 
Jünglingsstatuette  vom  Caelius  erwähnt,  von  griechischem  Marmor, 
vom  Halsbruch  bis  unter  das  r.  Knie  0.45'"  messend.  Es  ist  eine 
leidlich  sorgfältige  Copie :  1.  Standbein,  r.  Oberarm  wagerecht 
seitwärts  gehoben,  der  1.  Arm  war  gesenkt,  und  hatte  au  der  L 
Hüfte  eine  starke  Stütze.  An  Hermes  zu  denken  verbieten  die 
hinten  auf  die  Schultern  herabhängenden  lemnisci,  die  vielmehr 
an  eine  Wiederholung  des  so  häufig  (')  dargestellten  sich  mit  der 
Rechten  kränzenden,  in  der  Linken  die-  Palme  haltenden  Athleten 
denken  lassen,  ohne  dass  ich  freilich  ein  imntello  aussen  am  r, 
Oberschenkel  zu  erklären  wüsste. 

4.  Im  Juli-Septemberheft  des  Bulletüm  comunale  (vgl.  No- 
tizie  d.  sc.  1891  S.  286)  ist  eine  Statuenbasis  auf  S.  280  ff. 
beschrieben,  und  auf  Taf.  X,  1  abgebildet,  welche  am  unteren  Ende 
der  via  Cavour  gefunden  ist,  aber,  wie  G.  Gatti  und  C.  L.  Visconti 
vermuthen,  ven  dem,    im    selben   Jahrgang    desselben    Bullettino 

(1)  Vgl.  z.  B.  Ephem.  arcli.  1890  T.  10 ;  Journal  of  kell.  stud.  1890, 
S.  147  (mit  Gewand  auf  der  1.  Scliulter),  Besclireibung  d.  ant.  Skulpt.  Berlin 
Nr.  87G  und  948.  * 


FUNDE  305 

S.  185  ff.  von  S.  Kicci  behandelten  Athletensynodos  herstammen 
dürfte  und  in  der  That  durch  eine  Einarbeitung  mitten  in  der 
Inschrift  von  späterer  anderer  Verwendung  Zeugniss  ablegt.  Interesse 
weckt  die  Basis  durch  die  von  Visconti  richtig  ergänzte  Inschrift 

nYGOKAHC . 

HAGIOC. 
neNTAGAOC. 
7ro]AYKAGITOY  . 

(loytlOY  . 

nur  dass  etwa  zu  fragen,  ob  unten  noch  in  einer  sechsten  Zeile 
tQyor  zuzusetzen  wäre.  Da  die  Basis  ohne  Krönung  bis  einschl. 
der  5.  Zeile  0.77  M.  misst,  mit  freiem  Raum  darunter  wie  oben 
0.85  M.  messen  wüi-de,  hinten  aber,  soviel  ich  sehen  konnte  un- 
vollständig, noch  0.91  M.  hoch  ist,  ist  die  sechste  Zeile  nicht 
ausgeschlossen.  Wichtiger  ist,  dass  wir  hier  eine  Basis,  wenn  nicht 
derselben  Statue  ,  so  einer  Copie  derjenigen  Statue  haben,  deren 
Originalplinthe  in  Olympia  gefunden  wurde  (Arch.  Zeit.  1871)  S.  144; 
Löwy  I.  G.  B.  N.  91),  eine  wie  die  andere  mit  Zapfenlöchern  für 
die  Füsse  eines  Erzbildes,  aber  mit  dem  befremdenden  Unter- 
schied, dass  auf  der  römischen  Basis  der  linke,  auf  der  olympischen 
der  rechte  Fuss  voranstand.  Visconti  meint  also  se  non  variata 
ValtltuiiiM,  era  perö  alteralo  Veiiidührlo  della  figura.  Der  Co- 
pist  wäre  sehr  frei  verfahren  !  Ich  glaube  zu  erkennen,  dass  die 
Basis,  wie  sie  vielleicht  später  noch  einmal,  so  auch  früher 
schon  einmal  anders  verwendet  war.  Zwischen  der  ersten  und 
zweiten,  und  anscheinend  auch  zwischen  der  zweiten  und  dritten 
ist  nämlich  je  eine  Zeile  getilgt,  dann  der  Ausgleichung  wegen 
die  ganze  Inschriftfläche  mit  dem  Zahneisen  übergangen,  nicht 
ohne  dass  die  erste  radierte  Zeile  noch  bis  3  mm.  unter  ihre  Um- 
gebung hinabginge.  Dann  hat  man  auch  die  andern  Seiten  der 
Basis  in  gleicher  Weise  gerauht  und  selbst  die  grosse  obere  Keh- 
lung der  Krönung  etwas  übergangen.  Die  ursprüngliche  Glätte  ist 
eben  unterhalb  der  Krönung  auf  allen  Seiten  wahrzunehmen.  Also 
hat  die  Basis,  ehe  das  Bild  des  Pythokles  darauf  gestellt  ward, 
bereits  eine  andere  Bestinmiung  gehabt,  und  da  die  Fusspuren  zu 
jenem  nicht  passen,   dürfen   wir   sie   dem  früheren  Standbild   zu- 


306  E.    PETERSEN.    FUNDE 

schreiben.  Dies  um  so  mehr,  als  auch  diese  Oberseite  eine  Ueber- 
arbeitung  zeigt,  aber  nicht  eine  gleichmässige  Kaiihimg,  sondern 
eine  ganz  imgleichmässige  Zerhackung,  welche,  bald  tiefer  gehend, 
bald  weniger  tief,  hier  grössere .  da  kleinere  Theile  der  einst 
glatten  Obertiäche  übrig  lässt ;  und  da  kaum'^zu  denken  ist,  dass 
man  eine  glatte  Oberfläche  so  zugerichtet  habe,'  um  die  Füsse  eines 
Erzbildes  unmittelbar  darauf  zu  stellen,  und  den  liest  dem  Auge 
darzubieten,  bleibt  nur  übrig,  dass  die  Zapfenlöcher  der  früheren 
Benützung  angehören,  und  die  Aufhackung  für  einen  Stuckauftrag 
gemacht  wurde.  Dafür  tritt  der  weitere  entscheidende  Umstand  ein, 
dass  die  Oberfläche  0.83X0.83  M.  misst,  während  die  olympische 
Pliuthe  nur  0.49  M.  breit  und  0.57  tief  oder  lang  war,  so  dass 
die  Zapfenlöcher  der  römischen  Basis  zwar  der  Länge  nach  in  den 
Bereich  der  oh^mpischen  Plinthe  fallen  könnten,  der  Breite  nach 
ab*er  jederseits  nur  noch  halb.  Mit  anderen  Worten :  das  Bild 
welches  in  den  Zapfenlöchern  (')  der  römischen  Basis  stand,  war 
erheblich  grösser  als  die  olympische  Statue  des  Pj'thokles,  und  dessen 
römisches  Bild  muss,  da  keine  anderen  Zapfenlöcher  daneben  sind, 
mochte  es  nun  von  Erz  oder  Marmor  sein,  noch  eine  besondere 
Pliuthe  gehabt  haben.  P. 


(')  Das  vordere  ist  in  dem  tiefen  ursprüniilichen  Tlieil  0.10  M.  lang, 
0.06  M  breit,  das  andre  0.08X0.07  M.,  und  beide  stehen  auffallend  "gleich- 
massig  zu  den  Ecken:  0.13  M.  von  der  Seitenkante  ab,  0.20  M.  von  der 
Vorder-  bez.  Hinterkante. 


AGGIÜNTA  ALLA  RELAZIONE 
SÜLLE  RECENTI  SGOPERTE  DI  ANTICHITÄ   IN    VERONA, 

(Ved.  p.  285  e  tav.  IX). 


Nero  Claudio  Druso  nella  statua  frammentaria  veronese  e  in  altri 
inominieutl.  —  I  rilievi  delPara  Pacis  Augiistae.  —  Le  iiio- 
nete  onorarie  di  Druso  maggiore. 

Dopo  i  giudizi  espressi  dal  Ghirardini  nella  Nuova  Anto- 
logia  (1891,  p.  680)  e  daH'Orsi  nelle  Notizie  degli  scavi  (1891, 
p.  14)  intorno  alla  testa  veronese  di  cui  parlai  nella  relazione  qui 
sopra  riprodotta  p.  287,  e  necessario  che  io  aggiunga  alcune  osser- 
vazioni  a  conferma  e  sostegno  della  mia  opinione. 

Gliirardini  ed  Orsi  videro  in  qiiella  testa  im  ritratto  giova- 
nile  di  Augnsto;  ma  l'effigie  di  Aiigusto  e  abbastauza  nota  a  tutti, 
perche  davanti  alla  riproduzione,  faccia  e  pröfilo,  della  testa  vero- 
nese, data  in  fotogratia  nella  mia  relazione  stampata  in  Verona  e 
qui  in  eliotipia  (v.  tav.  IX),  ci  sia  d'uopo  di  spendere  molto  pa- 
role  per  dimostrare  che  tale  testa  non  puö  assohitamente  classiti- 
carsi  fra  i  suoi  ritratti.  Si  osservino  particolarmente :  la  forma 
della  fronte  prominente  al  di  sopra  delle  arcate  sopracigliari,  e  leg- 
germente  retrocedente  sotto  i  capelli,  gli  occhi  profondamente  in- 
cassati,  la  forma  del  naso  aquilino,  i  zigomi  depressi,  le  orecchie 
piantate  sulla  linea  del  labbro  superiore,  le  gote  magre,  la  bocca 
fine  e  stretta,  la  pianta  estesa  della  lanuggine  nascente  intorno  al 
mento  e  sul  labbro  superiore. 

Chi  guardi  al  protilo  non  troverä  la  piü  lontana  somiglianza 
con  i  notissimi  tipi  di  Aiigusto,  i  quali  hanno  la  fronte  quadra, 
alta  e  spaziosa,  gli  occhi  pochissiuio  iucassati,  il  naso  arcuato  {a 

21 


308  L.    A.    MILANI 

summo  eminentiorem  et  ab  imo  deductiorem),  ma  non  propriamente 
aqiiilino  {adioicus)  come  in  Diiiso  e  Tiberio,  i  zigomi  molto  pro- 
minenti,  le  orecchie  alte,  piantate  siüla  linea  del  naso,  le  gote  piene, 
il  mento  tondo,  la  bocca  per  lo  piü  socchiusa,  la  laniiggine  limi- 
tata  suUe  guance  ed  appena  adombrata  siil  labbro  superiore,  come 
puö  vedersi  tanto  nella  eccellentissima  testa  di  Augusto  giovanile 
della  E.  Galleria  di  Firenze  N.  42  (attuale  =  Dütschke  n.  65 
fotog.  Brogi  9207)  ('),  qiianto  neU'altra  testa  della  R.  Galleria 
N.  40  (=  Dütschke  n.  135),  la  quäle  e  di  lipo  piü  adulto  e  ancora 
con  semplici  basette  sulle  guancie.  Che  la  pianta  della  barba  di 
Aiigusto  fosse  diversa  e  assai  piü  scarsa  si  vede  anche  dalle  mo- 
nete  di  lui  che  lo  rappresentano  in  etä  giovanile  ed  iu  liitto  (Ber- 
uoiilli,  I,  tav.  XXXII,  1,  4);  mentre  iu  talune  monete  di  Tiberio 
battute  a  Lione  nel  10  di  C.  (v.  Bernoulli,  tav.  XXXII,  19),  ri- 
scoctriamo  una  disposizione  di  barba  nascente  molto  analoga  a 
quella  della  nostra  testa. 

Guardando  la  nostra  testa  di  faccia  e  superficialmente,  non  con- 
siderando  il  mento  rotto,  e  fermando  l'occhio  sulla  capigliatiira 
e  sulla  forma  generale  del  cranio,  un'aria  di  famiglia  con  Augusto 
puö  invece  ravvisarsi,  ed  io  per  primo  la  riconosco.  Fu  quest'aria 
di  famiglia,  della  quäle  daremo  ragione  piü  innanzi,  che  fece  pen- 
sare  al  von  Duhn  ad  un  ritratto  giovanile  di  Augusto,  e  la  sua 
fuggevole  impressione  ha  troppo  servito  di  fondamento  ai  giudizi 
ulteriori  di  Ghirardini  e  di  Orsi. 

II  von  Duhn,  come  egli  stesso  ebbe  a  dichiararmi,  aveva  ve- 
duto  questa  testa  per  un  momeuto  ed  in  terra,  e  pronunciö  quel  pa- 
rere  sotto  l'impressione  suddetta;  ma,  ultimamente,  avendo  avuto 
occasione  di  osservarla  meglio  insieme  con  me,  conveniva  essere  il 
suo  primo  giudizio  iusostenibile,  e  dava  ragione  al  mio. 

Base  alla  mia  interpretazione  non  fu  giä,  come  credette  l'Orsi 
0.  c.  p.  14,  nota  1,  la  statua  notissima  del  Pantheon  o  del  Macellum 
di  Pompei ;  imperocche  essa,  secondo  il  primo  giudizio  emesso  dal- 
l'Avellino  e  il  comune  consentimento  dei  dotti,  si  era  riferita  a 
Druso  giuniore,  e  non  a  Druso  seniore  (v.  Bernoulli,  o.  c.  I,  p.  171, 
205,  253).  11  Bernoulli,  (1.  c.)  aveva  poi  giustamente  messa  in  dubbio 
quell'opinione;  ed  il  Mau,  per  giunta,  in  un  notevole  e  recentis- 

(ij  Cfr.  Bernoulli,  Rom.  Ikon.  I,  p.  35.  Quivi  nella  nota  1,  e  riportata 
anche  la  giusta  osservazione  del  Bottari  (Mus.  Cap.  II,  p.  9). 


AGGIUNTA   ALLA.   RKLAZIONE   SÜLLE   RECENTI   SCOPERTE   ECC.  309 

simo  scritto,  citato  nella  mia  rolazione  (v.  sopra  pag.  287,  Dota  2), 
aveva,  per  cosi  dire,  tolta  rultima  attendibilitä,  tanto  alla  denomi- 
nazione  di  Druso  minore,  qiianto  a  quella  di  Druso  maggiore. 

Base  alla  mia  interpretazione  furono  imicamente  le  monete 
di  Nero  Claudio  Druso;  iion  perö  quelle  comuni  e  generalmente 
note  ai  numismatici,  bonsi  quelle  assai  rare  d'oro  e  d'argento  che 
citai  di  proposito  nella  relazione,  spiegando  in  esse  anche  l'assenza 
della  barbula  (ved.  nota  1  pag.  287). 

Le  monete  d'oro  e  d'argento  {aiirei,  denari),  siccome  uscite 
dalla  zecca  imperiale  ed  emanazione  della  corte  palatina,  sono 
sempre  piü  accurate  e  fedeli  di  quelle  di  bronzo;  e  trattandosi,  in 
questo  caso,  di  monete  postume,  onorarie,  obbedienti  altresi  a  pro- 
totipi  iconici  aftatto  diversi  (v.  piu  oltre  pag.  322),  tanto  raeglio 
ci  possiamo  spiegare  la  sensibile  differenza  dei  tipi  di  Druso  sen. 
offerti  da  un  lato  dall'oro  e  dall'argento,  e  dall'altro  dal  bronzo 
senatoriale.  Del  resto  anche  nel  bronzo  c'e  da  fare  qualche  ecce- 
zione,  come  ad  esempio  per  il  sesterzio  di  Druso  sen.  scelto  con 
ragione  dal  Visconti,  Icon,  Rom.  I,  tav.  XXI,  n.  5  e  per  un  altro 
simile  sesterzio  esistente  nel  Gabinetto  di  Firenze,  dove  il  naso  e 
pure  aquilino.  Nella  tav.  IX  offro  un  raro  aureo  di  Nero  Claudio 
Druso  di  prima  freschezza  esistente  nel  Medagliere  di  Pirenze, 
affinche  si  possa  mettere  direttamente  in  confronto  col  profilo  della 
testa  veronese;  un  altro  aureo  e  pubblicato  in  eliotipia  dal  Bernoulli 
0.  c.  II,  tav.  XXXIII,  8,  un  altro  da  Imhoof-Blumer,  PorträtkÖ2)fe 
auf  röm.  Münzen  tav.  I,  13.  Una  biiona  incisione  di  altro  aureo  e. 
esibita  da  Visconti,  o.  c.  tav.  XXI,  6,  ed  un'altra  dal  Cohen  P,  220. 

II  confronto  con  1' aureo  fiorentino,  che  e  uno  dei  migliori  coni 
che  si  possano  aveie,  e  soprattutto  riraarchevole,  e  chiunque  abbia 
famigliaritä  con  l'iconografia  romana  non  poträ  disconoscerlo.  La 
linea  craniale  e  la  medesima ;  simile  la  forma  della  fronte,  stretta 
un  po'  sulle  tempie,  prominente  sopra  le  sopraciglia  e  un  po'  retro- 
cedente  nella  parte  superiore;  identico  il  naso  aquilino  caratteri- 
stico  di  Claudio  e  particolarmente  simile  a  quello  di  Tiberio  fra- 
tello  di  Druso  e  di  Livia  loro  madre  (').  Gli  occhi  profoudamente 

(1)  Vedasi  Heibig,  Bull.  Ist.  1887,  tav.  I,  II  e  si  attenda  al  paragone 
di  Druso  sen.  con  l'aquila  legionare  romana  adombrato  da  Orazio  nella  faniosa 
Ode  IV,  4.  Quel  paragmie  io  spiegai  nol  mio  scritto,  Erint-neutica  e  cronologia 
della  priraitiva  monetazione  romana  nella  liivista  Ital.  di  Num.  1891,  p.  68. 


310  L-    A-    MILANI 

incassati,  quindi  particolarmente  caratteristici,  sono  pure  identici; 
simile  e  la  pianta  delle  orecchie,  corrispondente  alla  linea  del  labbro 
superiore,  come  si  nota  nelle  monete  di  broüzo ;  la  bocca  fine,  ener- 
gicaiiiente  chiusa,  anche  identica;  identiche  le  guancie,  non  pienotte, 
come  disse  l'Orsi  1.  c,  ma  anzi  magre  e  depresse,  come  vedesi  nella 
stessa  fototipia,  e  rese  ancora  piü  sentite  e  caratteristiche  dalle 
fosse  oblique  formate  dai  muscoli  del  naso  e  della  bocca.  II  mento 
nella  linea  mandibulare  epureuguale:  difterisce  all'estremitä  perciie 
nella  testa  veronese  e  rotto  e  mancante ;  ma,  guardando  la  piccola 
porzione  di  mento  rimasta  dalla  parte  sinistra,  si  vede  che  aveva 
l'andamento  sporgente  simile  a  quello  delle  monete.  Circa  la  bar- 
bula,  indizio  della  giovanile  etä  in  cui  Druso  maggiore  e  stato  raffi- 
gurato  in  Verona,  cioe  a  23  anni,  dopo  la  vittoria  ßezia,  essa  manca 
nelle  monete  per  la  ragione  accennata  nella  relazione  p.  287  nota  1, 
e  perche  esse  lo  rappresentano  nella  massima  sua  etä,  ossia  trentenne. 
L'acconciatura  ed  il  taglio  de'  capelli  sono  sostanzialmente 
soliti  a  tutti  i  ritratti  del  tempo  augusteo,  anche  non  imperatori 
0  principeschi.  Essi  cuoprono  buona  parte  della  fronte  e  sono  ac- 
ciuffati,  ed  abbondanti  sulla  uuca  e  sul  collo,  secondo  la  propria 
caratteristica  di  Tiberio  (v.  Svetonio,  68 :  capillo  poae  occipitium 
summissiore  ut  cervicem  etiam  obtegeret ;  cfr.  Bernoulli,  II,  p.  140) 
e  secondo  appariscono  anche  nelle  monete  di  Druso  suo  fratello, 
specie  nell'esemplare  offerto  dal  Bernoulli,  II,  tav.  XXXIII,  8, 
Anche  il  collo  deve  supporsi  molto  luugo,  come  in  tutti  i  Claudi, 
se  doveva  attaccare,  come  e  probabile  ed  io  credo  fermamente, 
col  torso  dato  nella  nostra  tavola,  il  quäle  per  tipo,  propor- 
zioni,  lavoro  e  patina  va  insieme  con  la  testa  di  Druso  (ved.  rela- 
zione p.  293,  nota  1)  e  lascia  immaginare  una  statua  eroica  se- 
minuda  simile  a  quella  di  Pompei  ed  al  Germanico  Lateranese. 
Qiianto  alle  orecchie,  che  Orsi  1.  c.  disse  non  corrispondere  al 
ritratto  di  Druso  e  di  altri  membri  della  gens  lulia-Claudia, 
perche  «  non  aperte  e  buttate  in  fuori  " ,  egli,  giudicando  dalla 
fotografia,  non  rillette  che  nella  testa  veronese  gli  elici  appunto 
delle  orecchie  sono  danneggiati  rotti  e  mancanti.  L'elice  destro, 
che  e  meglio  conservato,  sporge  sopra  i  capelli  due  buoni  centi- 
metri  e  non  si  puö  quindi  dire  che  la  forma  dell'orecchie  non 
sia  quella  dei  luli-Claudi.  Del  resto  si  confrontino  le  orecchie  ab- 
bastaiiza  strette  di  Claudio  figlio  di  Druso  nella  testa  di  BraunschAveig 


AGGIUNTA   ALLA   RELAZIONE   SÜLLE    RECENTI    SCOPERTE   ECC.  311 

(BernouUi,  II,  tav.  VIII)  e  lo  orecchie  larghe  e  distaccate  nei  ritratti 
di  Augiisto,  per  i  qiiali,  secondo  Orsi,  dovrcbbero  star  bene.  Piü  im- 
portante  e  caratteristica  per  Druso  o  Tiberio  e,  come  dicemmo,  la 
pianta  bassa  dellc  orecchie,  la  quäle  eorrispondo  perfettamentc  con 
i  tipi  monetari  e  deriva,  insieme  col  naso,  probabilmente  dalla 
madre. 

Dopo  l'analisi  fatta,  chi  specialmente  possa  avere  in  mano, 
non  le  fototipie  delle  monete  citate,  le  qiiali  siibiscono  sempre  dei 
cambiamenti  notevoli  secondo  la  conservazione  e  la  luce  in  cui  le 
monete  vengono  messe,  ma  gli  originali  od  i  calchi,  non  poträ,  credo, 
eleyare  piü  verun  diibbio  intorno  alla  mia  identificazione,  la  quäle 
e  avvalorata  dalla  rassomiglianza  coi  ritratti  di  Livia  e  di  Tiberio 
6  dalla  circostauza,  non  trascurabile,  del  rinvenimento  in  Verona, 
dove  Druso  aveva  motivi  aifatto  speciali  per  esservi  singolarmente 
onorato  ed  individualmente  conosciuto  (ved.  relazione). 

Nella  relazione  (v.  sopra  p.  287)  ho  pure  espresso  Tawiso 
che  in  presenza  del  ritratto  veronese  debbasi  rivendicare  a  Druso 
magg.  la  bella  statua  del  Macellum  di  Pompei  riferita  dal  Mau  a 
Marcello  nipote  di  Augusto,  e  nella  nota  accennai  che  quella  statua 
parevami  soverchiamente  virile  per  un  giovaue  morto  a  yent'anui, 
come  Marcello. 

Nella  citata  Memoria  il  eh.  Mau,  procedendo  per  eliminazione, 
escluse  qnalunque  altro  nome  per  quella  statua  all'infuori  di  Mar- 
cello nipote  di  Augusto  e  patrono  di  Pompei.  II  suo  sistema  ed 
i  suoi  argomenti  mi  persuadevano  ;  ma  siccome  il  ritratto  iconico 
di  Druso  magg.,  prima  della  scoperta  della  testa  veronese,  si  poteva 
dire  ignoto,  ed  il  Mau  aveva  combattuto  specialmente  l'attribuzione 
a  Druso  minore,  ventilando  solo  di  passaggio  l'attribuzione  a 
Druso  magg.  (v.  p.  5  deirestratto),  io  credetti  suscettibili  a  nuova 
disamina  le  sue  conclusioni,  e  mi  parve  di  nuovo  possibile  per 
quella  statua  il  nome  di  Druso  magg.,  tanto  piü  che  le  obbiezioni 
del  Bernoulli  (o.  c.  I,  p.  243)  non  avevano  per  me  valore  funda- 
mentale. Gli  argomenti  recati  dal  Bernoulli  contro  la  denomina- 
zione  di  Druso  sen.  erano  il  naso  arcuato  e  la  forma  del  cranio : 
il  primo  cadeva  col  confronto  delle  monete  d'oro  (v.  sopra)  e 
all'altro  io  aveva  da  contrapporre  la  dubbia  origine  paterna  di 
Druso  (v.  piü  innanzi)  e  la  depressione  della  capigliatura  fatta 
per  dar  posto  alla  corona  di  metallo  (v.  Mau  p.  17),  la   quäle  e 


312  L.    A.    MILANI 

visibile  anche  nella  fotografia  ed  effettivamente  modifica  il  con- 
torno  craniale.  II  Mau,  o.  c,  p.  4,  insiste  particolarmente  sul  tipo 
della  testa,  che  egli  non  crede  corrispondere  in  generale  alle  ca- 
ratteristiche  de'  Claudi,  ma  anzi  tiitto  il  contrario :  "  per  il  cranio 
alto  e  tondo,  per  la  fronte  non  abbastanza  larga  e  retrocedente  nella 
parte  superiore,  per  il  naso  fortemente  arcuato,  per  la  bocca  leg- 
germente  aperta  col  labbro  suporiore  un  po'  rialzato  " .  Trova  inoltre 
che  «  l'espressione  e  quella  di  im  gioYane  di  carattere  semplice, 
bonario,  affabile,  facilmente  impressionabile,  senza  forti  passioni, 
probabilmente  non  capace  di  grandi  sforzi  di  volontä,  di  intelli- 
genza  certo  non  straordinaria » .  Finalmente  non  si  piiö  discouoscere  — 
egli  aggiimge  —  in  questo  viso  iina  certa  malinconia  affatto  estranea 
alla  famiglia  de'  Claudi. 

Senza  poter  consentire  interamente  nella  sua  analisi,  special- 
mente  per  ciö  che  riguarda  la  forma  della  fronte  e  del  naso,  e 
prescindendo  da  ciö  che  ci  puö  essere  di  troppo  subiettivo  nel  suo 
giudizio  suU'espressione  della  testa,  dietro  accurato  e  profondo  esame, 
ora  riconosco  che  la  rassomiglianza  della  testa  veronese  con  quella 
della  statua  di  Pompei  e  piü  apparente   che  reale. 

Contro  il  parere  da  me  emesso  nella  relazione,  e  che  adesso  sono 
indotto  a  correggere,  mi  sembrano  argomenti  decisivi :  la  posizione 
alta  delle  orecchie,  gli  occhi  poco  incassati  e  quasi  superficial! 
come  quelli  di  Augusto,  i  zigorai  prominenti,  la  lamiggine  meno 
avanzata  sulle  guancie  che  nella  testa  veronese,  piü  scarsa  e  cor- 
rispondente  a  quella  di  Augusto,  la  base  del  naso  pure  piü  simile 
a  quella  di  Augusto  che  a  quella  di  Druso  e  Tiberio,  e  la  bocca 
semiaperta.  L'espressione  poi  e  addirittura  molto  diversa  concios- 
siache  nella  testa  veronese  c'e  una  fierezza,  una  energia  ed  una 
intelligenza  cosi  spiccata,  da  sorprendere  chiunque  si  metta  a  con- 
templarla,  segnatamente  nel  profilo.  Chi  fissa  lo  sguardo  su  questa 
testa  rimane  come  sosTgiogato  dal  fascino  della  nobile  e  fiera  di- 
gnitä  del  volto,  il  quäle  ricorda  i  lineamenti  di  Tiberio  e  di  Livia, 
addolciti  perö  da  una  spiritualitä  e  nobiltä  a  loro  estranea. 

Velleio  Patercolo  (II,  97)  e  Valerio  Massimo  (XLIII,  3)  ac- 
cennano  ambidue  alla  singolare  bellezza  del  volto  di  Druso  magg. 
ed  il  primo  testifica  altresi  che  Druso  agguagliava  in  bellezza  il 
fratello  Tiberio,  ciö  che  il  ritratto  veronese  perfettamente  conferma. 
Kelativamente  all'aria  lontana  di  famiglia  che,  come  dissi,  la  no- 


AGGIUNTA   ALLA   RELAZIONE   SÜLLE   RECENTI    SCOPERTE    ECC.  313 

stra  testa  preseuta  con  Augusto,  essa  Don  ci  puö  sorprendere,  trovando 
spiegazioue  piü  che  sufficiente  nella  velazione  amorosa  che  Augusto 
ebbe  con  Livia,  da  lui  tolta  a  Ti.  Claudio  Nerone  e  sposata  tre 
mesi  prima  che  si  fosse  sgravata  di  Druso  magg.,  donde  11  sar- 
castico  proverbio  : 

ToTg  avrv%ov(!i  xal  TQij^itjra  naidia 

ed  11  sospetto  riferito  da  Svetonio,  in  Claud.  1,  che  Druso  fosse 
nato  ex  vitrico  per  aduUerii  consuetudinem  (^). 

Quell'aria  di  famiglia  con  Augusto  aggiunge  Interesse  alla 
testa  veronese,  Taccorauna  un  poco  con  la  testa  della  statua  pom- 
peiana,  ed  e,  se  non  m' inganno  uno  dei  piü  considerevoli  coeffi- 
cienti  per  giustificare  per  essa  la  mia  attribuzione  a  Druso  sen.  e 
per  la  statua  di  Pompei,  l'attribuzione  a  Marcello  nipote  di  Au- 
gusto. La  piü  precisa  conoscenza  che  ora  abbiamo  del  ritratto  di 
Druso  magg.  consoliderebbe  per  tal  modo  la  detta  interpretazione 
del  Mau,  resa  piü  che  mal  probabile  anche  dalla  plausibile  recen- 
tissima  congettura  dello  Heibig  (Mou.  ant.  I,  p,  588)  che  la  statua 
femminile  velata  col  toupet  rinvenuta  insieme  con  il  presunto  Mar- 
cello, sia  il  ritratto  di  Ottavia,  sua  madre. 

Una  volta  stabilito  ed  assodato  che  la  testa  veronese  e  il 
primo  ritratto  iconico  certo,  autentico  ed  individuale  di  Druso  magg., 
va  da  se  che  non  si  possa  oimai  trattare  l'iconografla  dei  Claudi 
senza  far  capo  alla  medesiraa,  e  che  essa  devasi  riguardare  quasi 
la  pietra  di  paragone  per  le  identificazioni  finora  incertissime  degli 
altri  ritratti  di  Druso  sen.  e  del  maggior  suo  figlio  Germanico. 

Dei  ritratti  iconici  che  il  Bernoulli,  o.  c,  II,  p.  213  sgg., 
riferi  a  Druso  sen.,  nessuno  presenta  con  le  monete  d'oro  la  rasso- 
miglianza  decisa  e  spiccata  offerta  dal  nostro  ritratto.  Siccome  poi 
il  Bernoulli  parti  del  concetto  erroneo  che  non  potessero  riferirsi  a 
Druso  magg.  i  ritratti  con  naso  arcuato,  con  cranio  non  identico 
a  quelle  di  Tiberio  e  non  corrispondente  con  lo  monete  di  bronzo 
che  egli  aveva  sott'occhio,  e  naturale  ch'egfli  abbia  eliminato  nella 


(1)  Anche  la  sepoltura  data  a  Druso  nella  tomba  d' Augusto  nel  campo 
Marzio  (v.  Svet.,  Claud.  1)  veniva  a  confermare  il  sospetto  corso  all'atto  della 
nascita. 


314  1-    A-    MIIAM 

sua  classificazione  generale  alcuni  ritratti  forse  meno  incerti  e  piü 
iDdividuali  di  quelli  da  liii  dati  come  probabili.  Sopra  le  statue 
e  le  teste  da  lui  registrate,  io  non  oso  pronuuciare  im  giudizio, 
perche  non  mi  fido  dei  semplici  disegni  o  delle  fotografie,  in  ge- 
nerale esegnite  con  fine  semplicemente  artistico  od  estetico.  Degli 
originali  attribuiti  a  Druso  raagg.,  di  ciii  abbia  abbastanza  fresca 
la  memoria,  nessuno  corrisponde  tanto  fedelmente  al  ritratto  vero- 
nese  da  potersi  ricbiamare  in  diretto  e  sicuro  confronto.  La  diffi- 
coltä  della  identificazione  riesce  maggiore  auche  perclie  assai  spesso 
abbiamo  a  che  fare  con  ritratti  provinciali,  in  cui  la  rassomiglianza 
e  piü  ideale  che  reale  e  perche,  come  si  osserva  nelle  stesse  mo- 
nete  romane  senatoriali,  l'effigie  di  Druso  magg.  morto  in  guerra 
luugi  dalla  patria,  non  era  abbastanza  famigliare  in  Roma  ed  ha 
subito  troppo  presto  gli  etfetti  della  idealizzazione  eroica.  Per  le 
ragioni  addotte  uella  relazione  p.  288  sgg.  e  da  credere  che  il  ritratto 
di  lui  fosse  piü  famigliare  e  notorio  in  Verona  che  nella  stessa 
capitale.  Queste  considerazioni  in  Inducono  a  non  esser  da  un  canto 
troppo  esigente  nella  ricerca  delle  caratteristiche  individuali  di 
Druso  magg.  per  la  classificazione  dei  suoi  ritratti,  ed  a  dare, 
dall'altro  canto,  particolare  importanza  alle  circostanze  di  trova- 
mento,  alla  provenienza  e  all'indole  dei  monumento  iconico. 

Per  le  circostanze  di  trovamento  ed  insieme  per  iina  certa 
quäle  rassomiglianza  col  tipo  di  Druso  magg.  Bernoulli,  o.  c,  II, 
p.  214,  classificö  fra  i  probabili  o  possibili  ritratti  di  Druso  magg. 
la  statua  militari  habitu  di  Oervetri.  fotogr.  Alinari  19865,  Ber- 
noulli, II,  tav.  XIII,  rinveniita  insieme  con  le  statue  dei  suoi  con- 
giunti :  Tiberio,  Claudio  ed  Agrippina.  Anche  lo  Heibig,  teste,  si  pro- 
nunciö  piuttosto  favorevole  alla  denominazione  di  Druso  magg.  {Die 
äffe  etliche  II  Samml.  in  Rom  I,  n.  648);  ma  io  dubiterei  piü  di 
loro  stessi  della  identificazione,  e  sarei  meglio  disposto  a  riconoscere 
in  quella  statua  Germanica  secondo  pensö  Garrucci,  associandola 
con  la  statua  eroica  di  Veio  (Bernoulli  II,  tav.  IX)  e  con  quelle 
di  Gabi  (Bernoulli,  II,  tav.  X).  —  In  tutte  e  tre  queste  statue 
una  certa  rassomiglianza  con  Druso  sen.  mi  pare  indiscutibile ;  non 
tale  perö  da  giustificare  l'identificazione.  Germanico  figlio  maggiore 
di  Druso  si  capisce  che  dovesse  somigliare  al  padre. 

Meno  incerta  che  nelle  statue  crederei  la  identificazione  di 
Di-uso  raagg.  nelle  gemme,  e  fra  queste  darei  come  piü  probabili : 


AGGIUNTA    AM,.V    RELAZIONE   SÜLLE   RECENTI    SCOPERTE   ECC.  315 

a)  Pasta  del  Gabinetto  di  Vieniia,  Sacken  e  Kenner,  p.  414, 
n.  29  ;  Bernonlli,  II,  tav.  XXVI,  5,  p.  50,  con  l'iscr.  dell'artista 
HPO^ILOC  AIOCKOYPIAoy  e  testa  barbiilata  di  protilo,  rinveniita, 
secondo  bi  crede,  a  Magonza  e  comunomente  riferita  ad  Augiisto 
giovane.  I  lineamenti  di  questa  bclla  testa  mi  sembrano  pi-oprio 
qiielli  di  Dniso  magg.  quali  li  abbiamo  analizzati  nella  testa  di 
Verona.  Si  confrontino  particolarmente :  la  barba  nascente  piantata 
precisamente  come  nella  testa  veronese  (a  cagion  della  barba  Ar- 
netli  peusö  ad  Adriano),  gli  occhi  profondamente  incassati,  l'orecchia 
bassa,  il  naso  aquiliuo,  le  fossette  dei  muscoli  del  naso  e  labiali, 
la  fronte  prominente,  la  bocca  ed  il  mento  come  nelle  monete 
d'oro  ecc.  La  somiglianza  coi  ritratti  di  Aiigusto  vediita  dal  Bernonlli, 
certa  somiglianza  con  taluni  tipi  di  Tiberio  (cf.  specialmente  il  cam- 
meo  fiorentino,  Bernonlli,  II  n.  XXVII,  8)  e  la  provenienza  da  Magonza 
avvalorerebbero  a  mio  giudizio  la  identiticazione  con  Druso  niagg. 

b)  Cammeo  de  la  Tm-bie  a  Torino  con  testa  di  faccia, 
Visconti,  Icon.  II,  tav.  XXI,  n.  4,  5  ;  Bernonlli,  11,  tav.  XXVI, 
11,  p.  177.  Dato  come  uno  dei  piü  somigiianti  alle  monete  da 
Visconti,  1.  c.  e  da  Mongez,  e  non  respinto  dallo  stesso  Bernonlli 
p.  216,  il  quäle  vi  riconosce  nna  innegabile  analogia  con  la  statua 
militare  di  Cervetri,  da  lui  riferita  dubitativamente  a  Druso  magg. 
e  da  me  a  Germanico  suo  figlio.  —  Questo  cammeo  ha  qualche  ri- 
scontro  con  quello  esposto  nella  R.  Galleria  degli  üflizi  n.  179  e 
dato  erroneamente  come  di  Traiano.  Nella  stessa  collezione  di  Fi- 
renze  esposta  al  pubblico  riferirei  dubitativamente  a  Druso  magg. 
i  cammei  n.  64  (testa)  e  n.  151,  frammento  con  Druso  (?)  incoro- 
nato  dalla  Vittoria. 

Ancora  meno  incerta  sarebbe,  a  mio  giudizio,  come  giä  espressi 
nella  relazione  a  p.  287,  nota  2,  la  identificazione  di  Druso  magg. 
nella  figura  eroica  a  s.  di  Livia  del  rilievo  di  Ravenna  (Bernonlli, 
II,  tav.  VI,  fotogr.  Alinari  10251)  e  nella  figur.i  in  costume  greco 
del  rilievo  delYara  Pacis  Äugustae,  Mon.  Ist.  XI,  tav.  34-35,  n.  7, 
(cfr.  fotogr.  Brogi  4089). 

Quest' ultimo  rilievo  io  ivi  spiegai  come  il  quadro  dell'intera 
famiglia  de'  Claudi,  e  non  esitai  a  dare  il  nome  a  ciascuna  tigura, 
meno  alla  donna  con  capelli  sciolti  sul  collo  fra  Druso  magg.  e 
Livia,  non  trovando  giustificato  il  nome  di  Julia,  fatto  per  essa  dal 
Dütschke. 


316  L.    A.    MILANI 

Nella  mia  interpretazione    del  detto  rilievo    non  feci    veruna 
menzione  di  Driiso  minore  figlio  di  Tiberio  e  di  Vipsania  Agrip- 
pina.  Questi  personaggi  non  potevano  non  fignrare  uniti  a    quelli 
di  ciii  feci  i  nomi  per  completare  il  quadro  della  faraiglia  Claudia ; 
e  si  possono  infatti  ritrovare  nella  metä  di  rilievo   stato    arbitra- 
riamente  associato  a  quello  che  esibisce,  giusta  la  mia    interpre- 
tazione, Augusto  velato  jjoiitifex  maximiis  della  pompa  v.  Mon. 
Ist.  XI,  tav.  34-35,    n.  6;  fotogr.  Brogi    4088.    Qiiesta   metä  di 
rilievo,  secondo  me,  e  secondo  pensö  anche  von  Diilm.  Ann.  1881, 
p.  318  sg.,  potrebbe  andar  bene  insierae  con  il  rilievo  n.  7,  esi- 
bente   la  famiglia  dei  Claudi  ed  in  posto  parallele  e  simmetrico, 
i  maggiorenti  della  famiglia,  Tiberio  e  Druso.  Dietro  Tiberio  nello 
sfondo  vediamo  da  ima  parte  il  vecchio  Ti.  Claiulio  Nero,  il  quäle 
ricorda  perfettamente  i  tratti  dell'imp.  Claudio  divenuto  calvo  come 
l'avolo  paterno  ;  e  dall'altra  parte  vediamo   una    figura    muliebre 
secondaria  volgente  la  testa,    leggermente    abbassata,  a  d.  Presso 
quest'ultima  figura  si  scorgono  gli   avanzi  di  un'altra  figura   mu- 
liebre   principale,  stata  segata  modernamente,  la   quäle   stava  sul 
davanti  in  posizione  parallela  ad  Antonia.  La  metä  di  rilievo  n.  6, 
arbitrariamente    attaccato  al  presunto    Augusto,  coraincia  appunto 
con  la  mezza  figura  sinistra  di  una  donna,  stata  dal   restauratore 
trasformata  in  uorao  (v.  von  Duhn.  p.  319)  per  completare  la  figura 
di  Augusto.  A  questa  figura  muliebre,  la   quäle    stava    al    primo 
piano  del  rilievo,  si  attacca  un  giovinetto  in  costume  greco  (chitone 
corto,  petaso  di  cuoio,  torques  al  coUo),  il  quäle  lia  la  statura  e 
quindi  l'etä  del  presunto  Germanico  (7  od  8  anni).  Questo  giovi- 
netto potrebbe  esser  bene  Druso  minore,  nato  come  Germanico  il 
15  a.  Gr.,  e  la  figura  a  cui  si  attacca,  segata  a  metä  corpo,  potrebbe 
essere  Vipsania  Agrippina  moglie  di  Tiberio  e  madre  di  lui.  In  tal 
caso  la  figura  verso  cui  quel  ragazzo  imperiale  si  rivolge  s'interpre- 
terebbe  egregiamente  con  lulia,  figlia  di  Augusto,  divenuta  vedova 
di  Agrippa  il  12  a.  Cr.  e  nuova  moglie  imposta  da  Augusto  allo 
stesso  Tiberio  l'a.  IIa.  Cr.,  cioe  due  anni  prima  della  dedica  dell'^rä^ 
Pacis  Äugustae.  La  giovanile  etä  della  donna   velata    e   sacerdo- 
tale    di  questo  frammento  di  rilievo,  le  sue  caratteristiche  fisiono- 
miche,  la  capigliatura    ricciuta,    divisa    sulla   fronte    con    ciocche 
inanellate  pendenti  ai  lati  del  coUo  (cfr.  il  cammeo    con    l'inscr. 
IVLIA,  Bernoulli  11  tav.  XXII,  10),  ed  il    posto  stesso  che    ver- 


AGGIUNTA   AL-LA   RELAZIONE   SÜLLE   RECENTI   SCOPERTE   ECC.  317 

rebbe  ad  occuparo  vicina  alla  madre  di  Druso  minore  (Vipsania) 
e  vicina  a  Tiberio,  mi  fanno  ritenero  probabile  per  tale  tigiira  la 
denominazione  di  lulia.  Qiianto  ai  figli,  aviiti  con  Agrippa,  Caio 
Cesare  (nato  il  20  a.  Cr.),  Lucio  Cesare  (17  a.  Cr.)  ed  Agrippa 
Postumo  (12  a.  Cr.),  aventi  all'epoca  della  dedica  delYara  Pacis 
la  rispettiva  etä  di  iindici,  otto  e  due  anni,  e  possibile  che  essi,  come 
nipoti  di  Aiigusto  e  da  lui  adottati  facessero  seguito  a  lui  nella 
metä  di  rilievo  n.  6  andato  perduto  o  non  scoperto. 

Immediatamoute  di  seguito  alla  presunta  lulia  viene  il  Se- 
nate, i  cui  membri  sono  caratterizzati  indistintamente  dal  ramo- 
scello  di  olivo,  simbolo  di  pace  (non  alloro)  che  recano  ritualmente 
nella  mano  sinistra.  I  due  senatori  piü  prossimi  a  lulia  e  che  fanno 
seguito  immediato  alla  famiglia  Claudia  mostrano  giovanilc  etä  {se- 
7iatores  juniores),  portano  laticlava,  laiirea,  calcei  senatori  e  Yanulus 
senatorias  nell'anulare  sinistro.  La  particolaritä  del  ramoscello  di 
olivo  recato  da  senatori  o  patricu  e  degua  di  nota,  perche  li  dif- 
ferenzia  dai  membri  della  famiglia  imperiale  {domus  diiHiia)  e  dai 
pontifices  senatoriali  mescolati  nella  foUa  dei  senatori  (v.  le  figure 
centrali  velate  nei  rilievi  Mon.  Ist.  XI,  tav.  34-35,  n.  3  e  4). 
La  tigura  principale  del  rilievo  di  villa  Medici  n.  5,  coperta 
^Xa^iex  coronato  d'olivo,  non  e,  come  opino  il  v.  Duhn,  Augusto, 
bensi  certamente  il  Flamen  Cialis.  Qiiesta  carica  non  era  infatti 
coperta  daU'iraperatore;  era  di  nomina  del  Pontefice  Massimo,  e 
sappiamo  da  Svetonio  {Aug.  31)  averla  Augusto  restituita  dopo 
sessantadue  anni  di  vacanza.  II  Flamen  Dlalis,  capo  del  collegio 
dei  Flamines  majores,  aveva  la  prerogativa  d'un  littore,  portava 
la  toga  pretexta,  sedeva  in  Senato  ed  aveva  la  precedenza  del  cor- 
teggio,  come  vigile  supremo  della  nettezza  e  della  puritä  cerimoniale. 
Egli,  nel  detto  rilievo  n.  5  apparisce  dunque  con  la  toga  pretexta 
ed  accompagnato  dal  suo  littore.  Siccome  giunto  al  posto  stabilito, 
si  forma  per  il  primo,  e  rivolgendosi  al  collegio  dei  Flamines  di 
cui  e  capo,  e  quäle  Rex  sacrorum,  aspetta  che  si  avanzi  il  Ponlifex 
maximus,  preceduto  dai  Salii{?)  e  dal  j^ontifex  minor  portatore 
della  dolabra  pontißcalis.  II  Ponlifex  maxmus  e  in  questo  caso, 
come  nell'ara  di  Pompei  (Overbeck-Mau,  Pompeji^  p.  118;  fotogr. 
Sommer  1206)  e  nellara  larale  di  Firenze  (Dütschke,  Änl.  Bildw. 
III,  n.  218),  lo  stesso  imperatore  Augusto,  il  quäle  copri  questa  carica 
nel  12  a.  Cr.  in  seguito  alla  morte  di  Lepido,  assicurandolainperpetuo 


318  I..    A.    WILANI 

per  se  e  per  la  siia  famiglia  (cfr.  Dione,  LIX,  27;  Svet.  31;  Ovid. 
Fast.  III,  415).  Qnanto  all'aspetto  im  po'  vecchio  di  Aiigusto,  siccome 
nell'anno  in  cui  fii  dedicata  Vara  Pacis  {a.  d.  IIT.  kal.  Febr.  745  u. 
c.  =  9  a.  Cr.)  egli  aveva  da  53  a  54  anni,  e  la  siia  salute  si  trovava  giä 
tanto  scossa  da  fargli  desiderare  la  pace  generale,  con  qiiesto  mo- 
numento  solennizzata  e  ad  ogni  costo  da  lui  voluta,  si  capisce 
che  fosse  rappresentato  con  alcime  riiglie.  Del  resto  ha  ancora  tutti 
i  capelli  e  non  e  calvo  come  Ti.  Claudio  Nerone  nel  rilievo  dei 
Claudi.  II  naso  e  di  ristaiiro  e  le  rughe  stesse  furono  ritoccate 
e  quindi  rinforzate  nel  moderuo  ristauro  dei    rilievi. 

Chi  coufronti  il  presente  ritratto  individuale  di  Augusto  con 
quello  dell'ara  larale  della  Galleria  di  Firenze  (Dütschke  n.  218) 
si  persuaderä  facilmente  che  abbiamo  dinanzi  la  medesima  persona.  lo 
poi  credo  che  questo  ritratto  di  Augusto  sia  di  proposito  particolar- 
mente  individuale,  realistico,  affinche  la  sua  lisonomia  potesse  piü  fa- 
cilmente riconoscersi  in  mezzo  a  tante  figure  in  vestito  cerimoniale 
0  sacerdotale.  II  pontifex  minor  con  la  dolabra  ed  i  Salii,  carat- 
terizzati  ^dXY apex  e  dalla  rituale  virga  saliare  ('),  sono  raffigiirati 
di  statura  notevolmente  piü  bassa,  per  far  meglio  risaltare  la  figura 
di  Augusto. 

Questo  ritratto  pontiflcale  di  Augusto  per  me  toglie  finalmente 
ogni  dubbio  e  conferma  quanto  meglio  si  possa  mai  desiderare  l'at- 
tribuzione  ad  Augusto  dei  ritratto  Vaticano  n.  280  (Mus.  Pio  Clem. 
VI,  40 ;  Bernoiüli  II,  p.  30 ;  fotogr.  Brogi  8262).  Visconti,  1.  c. 
e  Braun  {Ruinen  Roms,  p.  355)  non  s'ingannarono  a  vedervi  rap- 
presentato Augusto,  quäl  sacerdote  dei  divo  Giulio,  epperö  cinto  dei 
diadema  col  ritratto  gemmario  di  Giulio  Cesare.  La  Corona  di  foglie 
di  vite  sottoposta  al  diadema,  per  me  allude  chiaramente,  insieme 
col  diadema,  alle  sue  qualitä  di  vtog  Jiörvaog  e  di  JiuSoyoo.  del- 
l'impero  romano.  —  lo  esaminai  l'originale  in  una  recente  visita 
al  Museo  Vaticano  e  confermo  dal  mio  canto  categoricameute  tanto 


(1)  Per  i  Salii  bastavano  le  (lue  figure  con  Vapex  visibili  in  questa 
parte  dei  rilievo,  uno  potendo  rappresentare  il  collegio  Quirinale  (Collini) 
ed  uno  quello  Palatino.  Per  la  rappresentazione  piü  completa  dei  collegio 
dei  Salii  ved.  Schulze,  Alte  Handzeichnvng  eines  Reliefs  mit  Darstellung 
des  Salierumzuges  progr.  Petropol  a.  1873;  Benndorf,  Ann.  Inst.  1869  tav.  E 
(rilievo  d'Anagni).  [V.  peri!)  Monumenti  anticlii  d.  Lincei  I  p.  634,4]. 


AGGIUNTA    ALLA    RELAZIONE   SÜLLE   RECENTI    SCOPERTE   ECC.  319 

la  rassomiglianza  coii  rAugusto  dei  rilievi  dell'^m  Pacis  o  col 
bustiuo  di  Neiiilly-le-Real  nel  Louvre  (Longperier,  Not.  d.  bromes 
N.  640,  fig.  7 ;  Frölmer,  Musees  de  France  tav.  1  e  2 ;  Rayet,  Mon. 
de  l'art,  aiitique,  6;  BernouUi,  II,  p.  38),  esibente  anch'esso  il 
ritratto  realistico  di  Augusto  cinquantenne ;  qiianto  la  identifica- 
zioiie  con  Giiilio  Oesare  nella  gemma  del  diadema,  dove,  a  difetto 
della  conservazioue  del  protilo  facciale,  la  trattazione  dei  capelli 
e  quella  dei  collo  limghissinio,  col  pomo  d'Adamo  molto  pronun- 
ciato,  possono  bastare  ad  assicurarci  che  il  giudizio  di  Visconti  e 
di  Braun  era  giustissimo.  I  dubbi  pertanto  elevati  dal  Beruoulli 
(o.  c.  II,  p.  380  e  p.  65)  e  dallo  Heibig  {Die  öff.  Samml.  in  Rom 
I,  n.  219)  intorno  alla  denominazione  di  questa  testa,  non  sareb- 
bero  oggimai  piü  giustiticati. 

Nella  tav.  IX,  assienie  con  raiireo  di  Umso  magg.,  ho  fatto 
riprodiirre  nno  dei  migliori  coni  che  si  abbiano  del  sesterzia  di 
Claudio  con  l'arco  di  trionfo  Drusiano,  batfcuto  ed  emesso  nel  41 
d.  Cr.  contomporaneameute  con  gli  aurei  e  denari  di  egual  tipo  e 
SU  cui  e  aggiunta  l'iscrizione  dichiarativa :  DE  GERM  o  DE  GER- 
MANIS. 

Non  probabilmente,  come  disse  Cohen  ^  I,  p.  221;  ma  sicu- 
ramente,  per  le  ragioni  d'ordine  generale  svolte  in  altro  mio  scritto 
(v.  Di  alcuni  ripostigli  ecc.  nel  Mus.  Ital.  II,  p.  333,  346  sgg.  )  e  per 
la  data  che  portano  le  monete  di  zecca  urbaua,  palatine  {aurei, 
denari)  e  senatoriali  (sextertii)  recanti  il  nome  NERO  CLAVDIVS 
DPvVSVS  GERMANICVS  IMP  Cohen  ^  I,  p.  220-221,  n.  1-6,  8, 
sono  State  emesse  in  occasioue  deU'elevazione  al  trono  dell'impe- 
ratore  Claudio,  l'a.  41    d.  Cr. 

Esse  celebrano  il  padre  di  lui,  primo  vincitore  dei  Germani 
(GERMANICVS),  ed  hanno  la  stessa  ragione  di  essere  dell'elogio 
di  Druso  magg.  fatto  da  Svetonio  nel  preambolo  alla  vita  del  divo 
Claudio. 

Eccezionalmente  il  gran  bronzo  (Cohen  -,  I,  p.  221,  n.  7), 
battuto  in  Gallia  o  in  Britannia  potrebbe  ritenersi  emesso  da  vivo 
0  subito  dopo  la  morte,  per  riguardo  aU'iscrizione  politicamente 
significativa,  SPES  AVGVSTA  (cfr.  sopra  p.  289  not.  1). 

I  tipi  delle  monete  urbanc  emesse  in  onore  di  Druso  magg. 
si  riducono  a  tre; 


320  L-    A.   MILANI 

a)  Arco  di  trionfo  sormontato  della  statua  equestre  di  Druso 
magg.  fra  due  trofei,  con  l'iscr.  DE  GERM  nell'oro  e  ueU'argento, 
e  seDza  iscrizione  nel  bronzo; 

b)  Vessillo  railitare  decussato  fra  due  sciidi  e  due  trom- 
bette  e  l'iscr.  DE  GERMANIS  (oro  e  argento); 

c)  Statua  civile  sedente  sopra  la  sedia  curule  fra  le  spo- 
glie  germaniche  (corazza,  scudi,  elmo,  lancie,  mazza  gallica(?)) 
contornati  dalla  prima  titulatura  imperiale  di  Claudio  (gran  bronzo). 

L'arco  di  trionfo  del  sesterzio  urbano  di  Claudio  e  degli  aurei 
(cfr.  anche  i  disegni  in  Cohen  ^  I,  p.  220  e  p.  254)  non  puö  es- 
sere  se  non  quelle  decretato  a  Druso  magg.  dal  Senate  ed  innal- 
zatogli  sulla  via  Appia :  mannoreum  arcum  cum  tropaeis  via  Appia 
Svet.   Claiid.  1. 

L'arco  trionfale  che  si  suppose,  e  per  un  moraento  credetti 
anch'io,  essere  stato  innalzato  sul  Reno,  ha  origine  da  un  equivoco 
j-ilevato  dal  BernouUi,  o.  c,  II,  p.  210,  nota  2.  Claudio,  che  si 
tenne  in  dovere  di  far  eseguire  l'arco  trionfale  decretato  a  Ti- 
berio  e  poi  non  piü  eseguito  (y.  Svet.  Claud.  11),  e  ben  naturale, 
che  appena  proclamato  imperatore  volesse  spargere  nel  mondo  la 
conoscenza  dell'arco  trionfale  di  suo  padre,  il  quäle  uei  riguardi 
politici  parlava  altamente  e  splendidamente  in  suo  favore. 

La  statua  equestre  di  Druso  vibrante  l'asta  che  sormonta 
l'arco,  tanto  alludeva  alla  insigne  virtü  militare  del  padre  di  Claudio, 
quanto  alla  fatale  sua  morte  per  una  caduta  da  cavallo  (Tacito,  Ann. 
II,  7).  Nelle  monete  di  oro  e  di  argento  si  diede  di  proposito  piü 
importanza  alla  statua  equestre  ed  ai  trofei  germanici  che  all'ar- 
chitettura  dell'arco,  epperö,  quantunque  di  modulo  tanto  piü  piccolo, 
esse  sono  in  quella  parte  piü  rieche  di  particolari  che  le  dette  monete 
di  bronzo. 

In  esse  Druso  non  e  rappresentato  come  nel  bronzo  quasi 
caracollante  sul  cavallo  e  con  testa  volta  di  faccia,  ma  galoppante 
a  d.  con  la  testa  di  profilo  e  la  lancia  in  resta.  I  trofei  sono  piü 
completi,  con  corazza  ed  elmo  (mancanti  spesso  nel  bronzo);  ed  ai 
piedi  dei  trofei  sono  raffigurati  due  prigionieri  nudi  accovacciati  con  le 
mani  legate  dietro  il  dorso.  I  particolari  architettonici  dell'arco 
sono  invece  trascurati:  domina  suU'attico  soltanto  la  scritta  DE 
GERM  0  DE  GERMANIS,  la  quäle  manca  nel  bronzo  essendosi  ivi 
curata  di  piü  la  parte  architettonica,  cioe  la  forma  dell'attico  ornato 


AGGIUNTA    AI,I,A    REl.AZIONE   SÜLLE   RECENTI    SCOPERTE   ECC.  321 

di  fastigio  e  di  rilievi  (da  iina  parte  patera,  dall'altia  prefericolo) 
e  sostenuto  da  qiiattio  colonne  corinzie. 

Confermata  cosi  la  forma  tetrastila  dell'arco  innalzato  a  Druso 
magg.  in  Roma,  viene  a  cadere  la  possibilitii  che  l'arco  distilo  sulla 
via  Appia,  che  porta  anche  attualmonte  il  nome  di  Druso,  appar- 
tencsse  a  lui  (cfr.  Braun,  Ruinen,  p.  65). 

II  vessillo  rappreseutato  negli  aiirei  e  denari  (Cohen  -,  I, 
p.  221,  n.  5,  4 ;  (imo  riprodotto  da  Visconti,  Icon.  rom.,  tav.  21, 
n.  6),  io  congetturo  essere  quello  che  Aiigusto  avrä  donato  a  Druso 
magg.  per  la  vittoria  germanica. 

La  mia  congettura  muove  da  un  passo  di  Svetonio  relativo 
al  dono  analogo  fatto  da  Augusto  a  M.  Agrippa  {Aug.  25 ;  M. 
Agrippam  in  Sicilia  post  navalem  victoriam  caeruleo  vexillo 
donavit).  L'iscr.  DE  GERMANIS  illustra  egregiamente  il  tipo 
monetario;'  il  quäle  non  rappresenta  un  trofeo  gerraanico,  ma  un 
vessillo  romano,  e  propriamente  il  vessillo  speciftco  della  cavalleria 
romana  decussato  quindi  molto  a  proposito  vittoriosamente  fra  due 
scudi  romani  (scula)  e  due  trombette  romane  [tubae]  (^). 

Circa  la  figura  sedente  in  abito  civile  rappresentata  nel  se- 
sterzio  Cohen  I-,  p.  221  a  7,  io  non  ho  che  da  riportarmi  alla 
interpretazione  giustissima  giä  data  dall'Eckhel,  D.  N.  V.  VI, 
p.  177  e  dal  Visconti,  Icon.  rom.  Essa  non  rappresenta  Claudio 
come  credette  Cohen,  desumendolo  a  torto  dalla  iscrizione  che  la 
contorna,  ma  indubbiamente  la  statua  di  bronzo  civili  habitu  de- 
cretata  inter  alia  complura  dal  Senate  a  Druso  magg.  (v.  Sve- 
tonio 1.  c.  in  confronto  con  Dione  LV.  2).  La  prima  titolatura  im- 
periale di  Claudio  che  contorna  la  detta  figura  sedente  TI  •  CLAV- 
DIVS  •  CAESAR  •  AVG  •  P  •  M  •  TR  ■  P  •  IMP  •  P  •  P  •  determina  infatti  so- 
lamente  la  data  e  la  circostanza  dell'emissione  del  tipo  monetario 
(41  d.  Cr.);  mentre  la  congerie  di  spoglie  gQrm2^mQ]iQ  {manubiae 
germanicae)  in  mezzo  cui  la  ligura  siede,  la   sella  curulis  ed  il 


(1)  Come  il  vessillo  acquisti  sotto  Augusto  il  significato  ed  il  valore 
della  inassima  onoriflceiiza  militare  si  arguisce  dalle  monete  stesse  di  Augusto 
coniate  il  1<3  a.  Cr.  dopo  la  vittoria  Gallica  al  niomento  del  suo  ritorno  in 
patria  ed  esibenti  per  la  priini  volta  Marte  e  la  Vittoria  imiiiiü  di  vessillo, 
Cohen  P,  p.  106,  324;  p.  107,  330. 


322  L-    A.    MILANI 

ramo?cello  d'alloro  (lairrus)  che  tiene  in  mano  determinano  in  modo 
chiarissimo  il  significato  onorario  della  figura  stessa,  avente  altresi 
tutto  il  carattere  di  una  statua  di  bronzo.  —  Questa  moneta  sic- 
come  emessa  in  onore  di  Druso  magg.  porta  al  dritto  e  non  giä 
al  rovescio  la  relativa  iscrizione  dedicatoria  NERO  •  CLAVDIVS  • 
DRVSVS  •  GERMANICVS  •  IMP- ;  la  testa  poi  e  niida,  non  laureata 
come  nelle  monete  imperiali,  perche  desimta  evidentemente  dalla 
statua  civile  rappresentata  nel  rovescio. 

All'artista  monetario  della  zecca  senatoriale,  secondo  ogni 
probabilitä,  ha  serrito  di  base  iconografica  non  Yimago  di  Druso 
conservata  nella  famiglia  dei  Claudi  e  veduta  probabilmente  dal- 
l'artista  della  zecca  palatina,  ma  semplicemente  la  pubblica  statua 
onoraria  e  civile  rappresentata  nella  moneta  stessa.  Cosi  si  spie- 
gherebbe  anche  meglio  la  differenza  notata  di  sopra  fra  i  ritratti 
un  po'  ideali  offerti  dal  bronzo  in  parola  ed  i  ritratti  piii  realistici 
offerti  dalle  monete  d'oro  e  d'argento. 

II  tipo  di  questa  moneta  urbana  senatoriale  e  tanto  piü  in- 
teressante, in  quanto,  come  ha  giä  osservato  lo  Eckhel,  esso  ci  puö 
servire  di  esempio  delle  cosiddette  staticae  sede/ites  civili  habitu^ 
che  anche  Traiano  dedicö  al  proprio  padre,  e  Macrino  avrebbe  vo- 
luto  dedicare  a  Caracalla  suo  predecessore  ed  a  Severo.  (v.  Capi- 
tol.  Macr.). 


IL 


L'iscrizione  di  Prassitele  —  I.e  tre  statue  miiliebri. 
Strada  romana  ia  Verona. 


L'iscrizione  col  nome  di  Prassitele  (n.  28  dell'Elenco),  che  ha 
dato  tanto  da  pensare  e  da  dire  al  Ghira-dini  o.  c.  p.  667-679  ed 
airOrsi  o.e.  p.  11- 13,  dal  primo  ritenuta  non  posteriore  ai  tempi 
alessandrini,  dal  secondo  riferita  piuttosto  si  che  no  al  grande 
Prassitele,  e  da  me  classificata  e  spiegata  come  di  epoca  romana 
(v.  sopra  p.  295),  bastava  che  fosse  esaminata  a  dovere  dal  punto 
di  vista  paleografico  per  rendere  oziose  tutte  le  congetture  che  in- 
torno  ad  essa  si  sono  fatte. 

11  vero  fac-simile    dell' iscrizione    non    e   quello   offerto   nelle 


AGGin.NTA    AI.I.V    RELAZIONE   SUl.LE    RECENTI    SCOPERTE    ECC.  323 

Notizie   p.  11  (cfr.  p.  12  nota  3),  bensi  quello  che  esibianio  nella 
sottoposta  zincotipia. 


^A^^'i  r  ;k  AM  •  ■ 


11 

La  forma  della  E  con  il  trafcto  mediaao  distaccato  dall'asta 
verticale,  la  forma  della  P  leggermente  aperta,  la  H  col  tratto 
mediano  orizzontale  (non  verticale,  come  credette  Orsi,  p.  12 
nota  3)  e  coi  tratti  inferiore  e  superiore  leggermente  a  squadra, 
la  n  uel  primo  rigo  col  tratto  superiore  limitato  dalle  aste  ver- 
ticali,  e  nel  secondo  rigo  col  tratto  orizzontale  esteso  oltre  le  aste 
verticali,  sono  tiitte  forme  paleograficbe,  le  quali  parlano  in  favore 
della  interpretazione  da  nie  data.  Soprattutto  decisiva  e  la  forma 
della  E,  la  qiiale  nell'iscrizione  veronese  ritorna  tre  volte  col  trat- 
tino  mediano  distaccato,  e  che  non  si  riscontra  se  non  sopra  iscri- 
zioni  d'artisti  di  tempo  romano.  Vedasi  presso  Loewy,  Lisc/irif/. 
(Lgriech.  Bildh.  nn.  327,  335,  342,  344,  361  ^,  376«  e  si  com- 
pari  particolarmente  l'iscrizione  delFartista  Antiochos  Athenaios 
nella  Pallade  della  Villa  Ludovisi,  la  quäle,  essendo  di  tipo  qua- 
drato  come  quella  di  Salpione  n.  338  ecc.  (di  tipo  un  po'  analogo 
sono  anche  le  iscrizioni  361/$*  e  335),  presenta  la  E,  la  FI  e  la  H 
proprio  di  forma  identica. 

Per  il  resto  rimando  a  ciö  che  scrissi  nella  relazione  e  che  ora 
col  confronto  paleogratico  piii  accurato  viene  raeglio  a  confermarsi. 

Pin  dal  primo  momento  il  eh.  Loewy,  che  in  fatto  di  iscri- 
zioni di  artisti  e  indiscutibilmente  la  piima  autoritä,  avendo  veduto 
da  me  il  calco  dell'iscrizione  veronese,  convenne  nel  giudizio  che 
io.  per  i  semplici  riguardi  stilistici  e  tecnici  aveva  fatto  sul  tronco 
d'albero  e  suU'iscrizione  in  parola.  Anche  il  Ghirardini  o.  c,  a 
onore  del  vero,  faceva  per  lo  stile  e  la  tecnica  del  tronco  d'albero 
(p.  678)  un'osservazione  analoga  alla  mia,  escludendo  egli  pure  u 
priori  la  mano  del  grande  Prassitele. 

La  statua  giunonica  maggiore  del  vero,  n.  24  deU'Elenco  (vedi 
sopra  p.  290),  di  cui  e  data  una  buona  fotoincisione  nelle  Notizie 
degli  scavi  1891  p.  5,  e  di  tipo  abbastanza  noto  e  diffuso,  perche 
ci  sia  bisogno  d'intrattenersi  a  studiarla  nei  suoi  particolari  e  nella 

22 


324  L-    A.    Mtl. AM 

sua  origine  pure  notoria.  Ho  accennato  nella  relazione  p.  293  alle 
ragioni  per  cui  ho  creduto  di  riferirla  ad  iina  statua  d'iruperatrice 
romana,  e  forse  a  Livia  madre  di  Dniso  e  Tiberio.  A  modo  di 
esempio  citai  in  raffronto  (v.  nota  0)  la  statua  della  creduta  Livia 
di  Pompei  (ora  denominata  Ottavia  :  v.  sopra  p.  318)  e  la  figura 
di  Livia  nel  rilievo  di  Eavenna.  Troppi  altri  sarebbero  gli  esempi 
che  si  potrebbero  citare  di  statue  di  questo  tipo,  riferibili  a  divi- 
nitä  (specie  Hera,  Demetra)  e  ad  imperatrici  divinizzate  sotto 
forma  di  Inno,  Ceres,  Fortuna,  Coucordia,  Pietas,  Salus  ecc. 

Nel  Clarac,  Mmee  de  Sculpture,  gli  esempi  sono  frequentis- 
simi,  e,  per  dire  di  alcuni  piü  strettamente  corrispondenti  alla  statua 
veronese,  basterä  richiamare  le  segiienti  tavole :  431  n.  778 ; 
432  n.  782  (Demetra) ;  422  n.  744  (Flora).  Anche  Mongez,  Icon. 
rom.  tav.  20,  40  offre  una  simile  statua  di  Livia  sotto  le  forme 
di  Giunone.  Nelle  monete  poi  gli  esempi  sono  addirittura  iunume- 
revoli ;  se  non  che  uno  dei  piü  antichi  ed  istruttivi  rimane  sempre  il 
bei  sesterzio  di  Caracalla,  Cohen  I-'  p.  237,  4  (=  Bernoulli,  ta- 
vola  XXXIV,  7)  con  le  tre  sorelle  dell'imperatore,  Agrippina, 
Drusilla  e  Julia,  sotto  le  rispettive  forme  di  Securitas,  Concordia, 
Fortuna,  ed  aventi  tutte  e  tre  la  üola,  la  palla  ed  il  cingulum 
drappeggiati  e  disposti  come  uella  statua  veronese.  E  probabile 
che  questa  statua  fosse  perö  velata  ed  avesse  la  d.  abbassata  in 
atto  di  sacrificare  come  supposero  anche  Ghirardini  (p.  G81)  ed 
Orsi  (p.  7).  Livia,  se  pur  Livia  era,  come  io  inclino  a  credere, 
(che  non  mi  saprei  altrimenti  spiegare  fra  quei  marmi  veronesi  una 
statua  del  culto,  ne  altra  imperatrice  fuori  di  lei,  date  le  sue  pro- 
porzioni  maggiori  del  vero  e  date  le  circostanze  del  rinvenimento), 
sarebbe  stata  rappresentata  in  Verona  piuttosto  sotto  la  piü  ovvia 
forma  di  Pietas  (cfr.  Cohen  I-  p.  170,  1),  cioe  simile  alla  presunta 
Ottavia  di  Pompei  e  alla  cosiddetta  Vestale  (Lucilla  ?)  della  R. 
Galleria  degli  Uflfizi  (Dütschke,  ÄnU  Dildw.  IV  n.  89;  David,  Mus. 
de  Flor.  IV  tav.  XIX),  anziehe  sotto  le  forme  di  Salus  (Cohen  1-'  p.  171, 
5:  capo  scoperto),  di  lustitia  (Cohen  P  p,  171,  4:  capo  diademato), 
e  di  luno  o  Ceres :  scettro  nella   d.  elevata  o  spighe  nella  s. 

Riguardo  allo  stile,  il  Ghirardini  (o.  c.  p.  682),  riferendo 
questa  statua  all'epoca  adrianea,  non  tenne  abbastanza  conto  della 
osservazione  opportunissima  con  cui  chiude  il  suo  articolo  (p.  686-88) : 
cioe  che  trattandosi  di  statue  rinvenute  in  provincia,  bisogna  di- 
stinguere  fra  arte  urbana  ed  arte  provinciale  o  locale.  Questa  statua 


AGGIUNTA    AI.T^.V    RKI.A/.IONK   SII.I.E    REiENTl    SCOl'ERTE   ECC.  325 

di  Verona  iinpone  per  la  niaestä  del  motivo  statuario,  il  qiiale,  se 
non  iisato  al  teinpo  di  Alcamene  (v.  Petersen,  Bnll.  Istit.  18, 
p.  66  segg.),  non  e  certo  posteriore  a  Fidia ;  ma,  studiata  da  vi- 
cino,  si  notano  dei  difetti  anche  notevoli  (p.  es.  la  gamba  destra 
troppo  corta  e  non  organica,  la  massa  inferiore  del  corpo  non  ana- 
loga  e  proporzionata  alla  massa  snperiore),  i  quali  insieme  cou  lo 
stile  e  la  tecnica  del  pannegt,äo  rivelano  la  mano  appiiuto  di  iin 
artefice  locale.  Per  questa  considerazione  e  per  la  osservazione  fatta 
intorno  al  matcriale  marmoreo  impiegato  per  le  scoltiire  veronesi 
plastiche  ed  architettoniche  (y.  sopra  p.  280)  io  non  esitai  a  rife- 
rire  questa  statiia  verso  la  tine  del  secolo  I  av.  C.  o  al  principio 
dell'era  volgare;  e  questo  giudizio  mantengo,  av^egnache  per  questa 
statua  sia  stato  adoperato  il  marmo  lunese  invece  del  marmo  greco. 

L'altra  statua  in  piedi  muliebre  ed  acefala  n.  3(3,  per  la  quäle 
io  richiamai  in  coufronto  l'ovvio  tipo  di  Polimnia,  affine  di  dimo- 
strare  l'anticliita  del  motivo  statuario  (sec.  IV  av.  Cr.)  ('),  e  la 
statua  ercolanese  di  Viciria  (Comparetti  e  de  Petra,  Villa  dei 
Pisoni,  tav.  XIX,  3  fotogr.  Sommer  n.  1579),  in  appoggio  della 
mia  interpretazione  (v.  sopra  p.  294),  fu  dal  Ghirardini  (p.  683) 
e  dairOrsi  (p.  7)  riferita  al  tempo  degli  Antonini.  Io  invece,  per 
le  stesse  considerazioni  fatte  dianzi,  l'ho  ascritta  e  l'ascrivo  all'e- 
poca  augustea,  come  quasi  tutti  gli  altri  marmi  plastici  ed  arcbi- 
tettonici  rinvenuti  in  piazza  del  Duomo.  La  testa  da  innestarsi,  di 
cui  ayanza  solamente  un  pezzetto  di  coUo  di  marmo,  e  greco  simile 
a  quello  dell'intera  statua;  ma  la  tecnica  dell'innesto  mi  sugge- 
risce  tuttayia  la  congettura  che  la  testa  originale  fosse  un'altra,  e 
ferse  tutta  di  un  pezzo  con  la  statua.  Gli  esempi  di  statue  di  questo 
genere  o  tipo,  talora  rappresentanti  in  origine  divinitä  romane,  p.  es. 
Cerere  (v.  Overbeck,  Kuiistmijthol.  II E,  Atlas  tav.  XIX,  12,  p.  465 
n.  18)  e  Pudicizia  (y.  Matz-yon  Duhn,  Aul.  Blldw.  1426  sgg.),  passate 
dall'una  all'altra  destinazione,  essendo  frequenti,  la  mia  supposizione 
che  questa  statua  rappresentasseunamatrona  imperiale  (p.  es.  Antonia. 
moglie  di  Druso,  come  nel  rilievo  dell'ara  Vacis,  dichiarato  di  sopra; 

(1)  Anche  Ghirardini  1.  c.  penso,  come  me,  alle  Muse  ed  in  ispecie  a 
Polimnia;  per  l'epoca  romana  richiamu  pure  opportunamente  rovvio  tipo  della 
Pudicizia.  Orsi  richiamo  anche  lui  la  Viciria  ercolanese,  la  simile  statua  di 
imperatrice  romana  di  Olinipia  (Baumeister,  Denkm.  II  p.  1088)  e  le  nolis- 
sime  figurine  Tanagresi  e  di  Mirina. 


326 


L.    A.    MILANI 


cfr.  anche  le  simili  statue  d'imperatrici  romane  rinvenute  in  Olimpia; 
Baumeister,  Deakm.  II  p.  1088  nn.  1297,  1399),  guadagnerebbe 
maggiore  credibilitä.  —  II  trattamento  delle  pieghe  della  stola  nella 
parte  inferiore  e  cosi  analögo  a  quello  della  statua  sedente  n.  37 
riferibile  ad  Olimpia),  da  lar  peusare  a  prima  giunta  al  medesimo 
periodo  di  tempo  e,  per  poco,  al  medesimo  scalpeUo. 

Intorno  alla  statua  sedente  n.  37,  di  cui  e  data  una  buonis- 
sima  fotoincisione  nelle  Xotizie  degli  scavi  p.  8  e  che  esibiamo 
in  due  aspetti  qui  sotto,  ho  giä  espresso  nella  relazione  le  prin- 
eipali  ragioni  (v.  sopra  p.  295  segg.  e  nota  17),  per  le  quali  io 
confermavo  il  nome  di  Olimpia,  congetturato  dal  von  Duhn  1.  c. 


AGGIUNTA    AI.LA    KEI^AZIONE   SÜLLE   RECENTI    SCOPERTE    ECC.  327 

lo  credevo  clio  il  vou  Diilin  avesse  abbaDdonato  la  detta  sua 
congettura  in  seguito  alle  obbiezioni  mossegli  dal  liohevt{  LH leratur- 
;ieituno  1880  p.  106)  e  dal  Treu  (yl/^A.  Zeil.  1882  p.  07  segg.), 
e  mi  parve  desunieiio  da  una  siia  lettera  a  me  diretta  ;  ma  in  iino 
scambio  d'idee  avvenuto  posteriormente  fra  noi  in  Verona,  egli  mi 
dichiarava  non  averla  per  niente  abbandonata.  Co'si  siamo  in  due 
a  sostenerla.  Dal  inio  canto  dö  all'attributo  del  molosso  ed 
alla  genesi  dello  prime  statuc  d'imperatrici  romane  modellate  sul 
tipo  di  Olimpia  (v.  sopra  p.  290  sgg.)  tale  e  cosi  grande  va- 
lore,  da  non  tener  conto  delle  piccole  obiezioni  del  Robert  e 
del  Treu. 


328  1-    •^-    MIL.VNI 

Von  Diihn  ed  io,  mentre  riconosciamo  la  derivazione  di  qnesto 
motivo  statuario  da  analoghi  tipi  artistici  riferibili  al  secolo  V,  siamo 
d'accordo  nel  credere  che  airapplicazioue  solenne  ed  esemplare  di 
tale  motivo  abbia  dato  occasione  il  ritratto  sedente  della  madi-e  di 
Alessandi-o  il  Grande,  fatto  probabilraente  da  Leochares,  cioe  dal- 
l'autore  appunto  della  statiia  chru^elephcmtina  staute  nel  Philip- 
peion di  Olimpia,  e  diffnso  dalla  siia  sciiola. 

Se  im  siorno  si  scoprirä  la  testa  delVesemplare   veronese,  la 
que^^tione  poträ  decidersi;  intanto  e  perö  notevole  che  l'esemplare 
veronese  sta  piü  fedele  di  quello  Torlonia  alla  tecnica  chryselephan- 
llna  (v.  p.  296  nota  1)  e  che,  nel  modo  stesso,  come  Tesemplai-e 
Toiionia  decorava  la  spina  del  Circo  di  Massenzio  in  Roma,  cosi 
abbiamo  motivo  di  supporre  che  quello  veronese  decorasse  similmente, 
non  meno  a  proposito,  il  circo  olimpico  veronese  (v.  sopra  p.  390 
nota    1).    La    originale    provenienza  e    l'attuale   ubicazione    della 
simile  terza  statua  col  cane  divnlgata  e  conosciuta  sotto  il  nome 
di   Ti/ro  Ilerculis  uxor  (v.  Ligorio,  Cod.  Taur.  20,  Cavalleriis,  De 
Rubels  ecc.  presso  von  Duhn,  Ann.  1879  p.  194  e  p.  200  nota  27) 
furono  iüvano  ricercate  dal  von  Duhn,  il  quäle  mi  scrive  aver  so- 
lamente  potuto  identificarla  con  quella  giä  esistente  negii  orti  del 
cardinale  di  Ferrara  sul  Quirinale,    cioe  nella  Villa  poi  rimpiaz- 
zata  dal  palazzo  Gregoriauo  (v.  pianta  Bufalini).   E  questa  appunto 
la  statua  mentovata  nell'inventado  del  Fiorelli,  Bocum.  ined.  II. 
p.  157  ed  ivi  cosi  descritta:   «  nel  piano  sopra  detta  scala  e  una 
statua  di  una  regina,  che  siede  sopra  una  sedia  di  marmo,  sott 
la  quäle  e  uno  hello  cane,  e  pare  maggiore  del  naturale  " .  Riguardo 
allo  Stile  ed  alla  tecnica,  giacche  ebbi  di  fresco  occasione  di  studiare 
direttamente  la  statua  Torlonia  (Oatalogo  n.  77)  posso  aggiungere 
che  la  esecuzione  di  gran   lunga  superiore  dell'esemplare  Torlonia 
si  nota  massimamente  osservando  il  partito  di  pieghe  sotto  la  sedia, 
dove  la  statua  non  sofferse  le  intemperie  a  cui  fu  esposta  per  secoli. 
(Cfr.  von  Duhn,  l.  c.  p.  183).  Quel  trattamento  rivela  la  mano  di 
un  artista  di  primo  ordiue,  il  quäle  non  copiö  servilmente  come  quello 
della  statua  veronese  il  modello   d'altra    materia  (metallo,  legno, 
avorio),  ma  esegui  una  libera  e  morbida  traduzione  in  marmo.  II 
molosso  sotto  la  sedia  ha  il  muso  di  ristauro    e  le  orecchie  sem- 
brano  tas^liate  corte  come  si  usa  nei  nostri  cani  bulldog;  nel  tipo 
corrispoude  ai  famosi  caoi  di   guardia  della  Galleria   degii   Uffizi 
(Dütschke,  Aat.  Blldiv.  n.  49,  50,  fotogr.  Brogi  n.  4303)  e  forse 


iO 


lO 


AGGIUNTA    ALLA    RELAZIONE   Sri.I.E   RECENTI    SCOI'ERTE   ECC.  329 

ancora  piü  a  qiiello  accovacciato,  con  orecchie  tagliate  (?),  del  Di- 
pylou,  fotografato  da  Romaidis  n.  55.  —  La  grande  corrosioue  della 
statua  Torlonia  dal  lato  d.  (11  lato  sinistro  e  di  ristaiiro),  rcnde 
irriconoscibili  i  bottoni  del  chitone  ionico,  i  quali  non  ho  cosi  potuto 
iiumeraro.  Nella  statua  veronese,  come  dicenimo,  sono  13,  e  10  De 
annoverai  nella  cosiddetta  Livia  del  Museo  Torlonia  (Catal.  n.  (34). 
Nella  statua  Torlonia  anclie  le  mani  sono  di  ristauro  ;  in  quella 
veronese  la  mano  d.  non  impugna  im  lembo  del  manto,  come  cre- 
dette  Orsi,  ma  e  semplicemente  socclüusa  in  dolce  abbandono. 

Dal  confronto  tinalmente  delle  misure  (per  la  s'atua  Torlonia 
V.  von  Duhn  o.  c.  p.  200  nota  23,  per  la  nostra  v.  Notizie  p.  11, 
quantunque  non  prese  esattamente,  ne  possibili  a  prendersi,  non 
essendo  ancora  la  statua  ristaurata),  si  vede  che,  dal  piü  al  meno, 
le  due  statue  corrispondono  fra  loro  anco  nelle   proporzioni. 

Per  completare  le  notizie  che  abbiamo  dato  sulle  scoperte  di 
antichi  ruderi  e  marmi  sculti  avvenute  in  altri  tempi  presso  la 
Cattedrale  (cfr.  sopra  p.  299)  credo  utile  ed  opportuuo  riportare 
per  intero  il  luogo  del  cinquecentista  Canobio,  citato  dal  Cipolla 
nelle  Notizie  degli  scavi  1884,  p,  409  a  proposito  dei  pavimenti 
a  musaico  di  epoca  tarda  rinvennti  nel  chiostro  canonicale  e  siü 
quali  riferi  esattamente,  come  avvertiamo,  mons.  Vignola  nelle 
stesse  Notizie  1884,  p.  401-408  ed  ulteriormente  nelle  Notizie  1885, 
p.  307  e  1886,  p.  213-18. 

Ms.  della  bibl.  capitolare,  Cod.  DCCLXXXV,  fol.  96 :  «  Al- 
^  cuni  hanno  scritto,  che  in  questo  luogo  (cioe  nel  sito  della  cat- 

-  tedrale)  era  uti    nobilissimo    tempio    dedicato  a  Minerva  e  con 

-  qualche  fondata  conjettura,  imperciocche  quivi  d'ogni  intorno  sisono 

-  ritrovati  molti  grandi  qiiadri  di  marmo  fmissimo,  colonne,  capitelli. 
>'  basi  ed  antichi  e  nobili  frammenti  e  fondamenti  grossissimi ;  di 

-  che  ne  fa  anco  amplissima  fede  i  due  grandi  pezzi  di  colonne 
ti  qiiadre,  o  come  si  dice  pilastri  di  marmo  intagliati  con  mirabile 

-  artifizio,  che  si  veggono  appoggiati  a  questa  Chiesa  del  Domo 
-i  sopra  due  leoni  nell'iiscire  dalla  porta  per  entrare  nella  canonica. 
"  Si  vede  anco  vicino  a  questi  im  sepolcro  grande,  che  ha  il  co- 
u  perto  di  marmo  della  qualitä  delle  colonne  dette,  nel  quäl  si  vede 

-  intagliata  mia  Medusa  antica  ed  altri  intagli  i  quali  sono  quasi 
ü  del  tutto  leccati  « . 

Ivi  il  Cipolla  avverte  che  i  due  pilastri   rabescati  di  esimio 


330  >'•    A.    Mll.A.M 

lavoro,  ai  qiiali  alliide  il  Canobio  fiirouo  trasportati  a  cura  del 
Matfoi  nel  Miiseo  Lapidaiio  (cfr.  Museum  Veronense  p-  CXXXI), 
e  che  i  leoni  st  anno  ora  ai  piedi  della  scala  della  biblioteca  Ca- 
pitolare :  «  I  leoni,  asserisce  il  Cipolla,  sono  opera  tarda  e  si  re- 
putano  quelli  che  sosteuevauo  la  tomba  dell'arcidiacono  Pacifico 
(f  846)''. 

Chiiido  l'aggiunta  Mta  alla  mia  relazioue,  divenuta,  non  per 
mia  colpa,  piii  lunga  fonse  del  bisogno,  con  la  ziucotipia  della 
strada  romaua  scoperta  nel  fare  il  fognone  di  via  Liceo. 


AGGIUNTA    AI.I,A    RELAZIONE    SULI.E    RECENTI    SCOPERTE    ECC.  331 

lo  avrei  desiderato  che  im  pezzo  di  questa  strada  si  trasportasse 
tal  quäle  nel  Museo  civico  di  Verona,  come  io  feci  per  im  tratto  di 
strada  romana  scoperto  or  non  e  iiiolto  in  Firenze  e  trasportato  nel 
Museo  archeologico.  Giacche  questo  trasporto  non  si  e  potuto  ottenere 
mi  pare  tanto  piii  interessante  di  esibire  la  fotogratia  di  im  tratto 
di  questa  strada,  del  resto  molto  simile  ed  analoga  a  quelle  ben 
note  di  Pompei.  Simile  a  questa  era  anclie  la  strada  romana  di  Via 
del  Sole  (v.  sopra  p.  298),  la  quäle  ci  viene  opportunamente  cosi 
descritta  dal  Donatelli  (v.  Notizie  1891  p.  3) :  «  I  massi  di  pietra 
sono  dispoöti  grossolanamente  a  spina  pesce  ed  hanuo  la  larghezza 
media  di  m.  0.40  per  m.  1  e  lo  spessore  di  circa  m.  0.80.  La 
strada  e  siii  bordi  limitata  da  pietre  della  medesima  qualita 
(marmo  veronese  o  pietra  viva)  disposte  in  senso  longitudinale, 
dello  spessore  delle  precedenti,  della  larghezza  di  m.  0.45  e  lun- 
ghezza  variabile  fra  m.  0.80  e  m.  1.50.  Posava  direttamente  in 
terreno  vergine  e  si  vedevano  i  solchi  delle  riiote  dei  veicoli  ". 
I  solchi  lasciati  dal  passaggio  dei  veicoli,  appena  visibili  nella  no- 
stra  zincotipia,  erano  piuttosto  profondi  anche  nella  strada  romana 
di  via  Duomo. 

Firenze,  Novembre  1891. 

LuiGt   A.    MlLANI. 


MISCELLANEA    EPIGRAFICA 


(Continuazione.  V.  Mütheilungen  1890  p.  287-312). 

XL  Bii^loma  militare  scoj^erto  nell'alveo  del  Teuere. 

Nel  maggio  del  1890  fii  estratta  dalValveo  del  Tevere,  presso 
il  ponte  Palatino,  iina  lastrina  di  bronzo  (larga  m.  0,175,  alta 
m.  0,14)  coü  l'epigrafe  segiiente  : 


o  o  o 

HABENT  •  SI  QVl  •  EORVM  •  FEMINAM  •  PEREGRInaM 

DVXERIT  •  DVMTAXAT  •  SINGVLI  •  SINGVLAS  •  QVAS 
PRIMO  •  DVXERINT  •  CVM  •  lIS  •  HABEANT  •  CONVBIVM 
HOC  •  QVOQVE  •  llS  •  TRIBVO  •  VT  ■  QVOS  •  AGROS  •  A  ME 
ACCEPERINT  •  QVASVE  •  RES  •  POSSEDERVNT  •  III  •  K 
«^ANVAR-SEX-MARCIO-PRISCO-CN-PINARIO 
JaEMILIO  •  CICATRICVLA  •  COS  •  SINT  ■  IMMVNES 
l 

V/S  TAI     C-F-    GALERIA-SATVRNINI 
^LVNIA-CHO-n-PR 


o 


Fu  pubblicata  dal  eh.  Barnabei  nei  Momimenti  cmtichi  dell'Ac- 
cademia  dei  Lincei  vol.  I  punt.  2  (1890)  p.429-48G,  secondo  un 
apografo  riveduto  dal  signori  Bormann  e  Gatti. 

Questo  dociimento  viene  ad  accrescere  la  ricca  serie  dei  pri- 


CH.    HÜLSEN      MISCELI.ANK.V   EPIGRAFICA  333 

vilegi  de  iure  civitatis  et  conubii  (') :  e  per  alcuni  particolari 
acquista  iin  pregio  speciale.  La  lastrina  riciiperata  formava  la 
seconda  parte  deirinterno  dol  dociimento.  Sul  rovescio  si  vedono 
nel  mezzo  parallelamente  ai  lati  piü  corti,  duo  listelli,  destiuati 
a  proteggere  i  snggelli  impressi  sui  fili  che  chiudevano  il  dittico 
(im  simile  apparccchio  si  trova  p.  es.  nel  diplonia  di  Weissen- 
burg,  n.  XXII;  cf.  Mommsen,  C.  I.  L.  lll  p.  903);  ma  dei  suggelli 
non  v'e  traccia,  e  ciö  ch'e  molto  piü  singolare  uon  v'e  neppure  dei 
nomi  dei  testimoni.  Non  sono  mai  state  incise  lettere  sul  rovescio 
della  nostra  tavola ;  qiiindi  si  dcve  supporre,  o  che  il  diploma  non 
fosse  mai  ratificato  dai  testimoni,  o  che  i  nomi,  segnati  con  in- 
chiostro,  siano  spariti  senza  lasciare  la  menoma  traccia:  supposi- 
zioni  ambediie  che  non  trovano  riscontro  in  altri  esemplari. 

E  importante  il  passo  sopra  la  immunitä  dei  terreni  assegnati 
ai  soldati  per  beneficio  imperiale.  L'unica  aggiimta  simile  che  si 
trova  nei  diplomi  finora  conosciuti  e  qiiella  sopra  i  milites  castel- 
tani  nel  diploma  LXXII  {Eph.  epigr.  IV  p.  508). 

La  fräse  tronca  nel  principio  non  trova  im  riscontro  esatto 
in  altri  esemplari,  ma  si  puö  supplire  agevolmente;  e  tutto  il  teste 
si  legge  come  segne  :  [jiomina  militum  qui  militaveruat  in  cohor- 
tibus  praetoriis . .. .  subieci:  quibus  fortiter  et  pie  militia  fimctis, 
ius  tribiio  conubii  cum  uxoribus  quas  secum']  habent ;  si  qui  eorum 
feminam  peregrinam  duxerit.,  dumtaxat  singidi  singutas,  qua>^ 
primo  duxerint,  cum  iis  habeant  conubium.  Hoc  quoqiie  iis  tribuo. 
ut  quos  agros  a  me  acceperunt  quasve  r^s  possederunt  III  k{a- 
lendas)  Januar{ias)  Sex.  Marcio  Prisco,  Ca.  Piaario  Aemilio 
Cicatricula  co{/i)s{uiibns),  si/it  immunes. 

.  .  Stati  (?)  C.  f.  Galeria  Saturnini  Clitnia,  cho{rtis)  II 
pr{aetoriae). 

(1)  Alla  lista  cli  77  diplomi  compilata  dal  Mommseu,  Ephemer  in  Fpi- 
graphica  vol.  V  p.  101-104  sono  da  aggiungere,  oltre  ai  tre  stampati  nello 
stesso  volume  p.  6U-G17,  uno  pubblicato  dairHainpel,ii>feAY''.3:e/i;  a  törtenelmi 
tudomdnyok  körehöl  kiadja  a  magyar  tudnmänyos  Akadp-mia  1884,  e  ripe- 
tuto  dal  Mowat,  Revue  archeologique  1891,  I  p.  2IG;  uii  altro  pubblicato 
dal  Tocilescu,  Archaeologisch-epigraphische  Mittheilungen  aus  Oesterreich 
XI  p.  24  ;  un  terzo  trovato  a  Brigetio,  dei  qnalo  ebbi  uiia  copia  per  la  gen- 
tilezza  dei  eh.  Bormaiin.  Quest'ultimo  diploma  porta  la  data  dei  primo  No- 
vembre  149  ed  il  consulato  finora  sconosciuto  di  un  Q.  Passienus  Licinus  e  C. 
Julius  Avitus.  II  numero  dei  diplomi  arriva  cosi  ad  ottantacinque,  mentre  non 


CH.    HÜLSEN 


Circa  il  tempo  in  cui  fii  emanato  il  decreto  relativo  al  co- 
uabium,  la  forma  esteriore  della  tavola  ci  da  iin  terminus  ante 
quera,  ina  molto  vago.  In  essa  cioe  sono  quattro  buchi,  due  dei 
qiiali  (negli  angoli  siiperioii  d.  e  s.)  destinati  agli  anelli  che  le- 
gavano  le  due  parti  del  dittico,  mentre  per  gli  altri  due.  nel  mezzo 
dei  due  lati  piü  luughi,  passava  il  filo  di  ferro  sul  quäle  s'im 
primevano  poi  i  suggelli.  Tale  forma  e  solenne  fino  all'epoca  di 
Antonino  Pio,  mentre  nei  tempi  posteriori  le  tavolette  non  sono  piü 
legate  con  anelli,  ma  soltauto  cliiuse  con  filo  di  ferro  :  e  per  conse- 
guenza  hanno  due  buchi  soltauto  invece  di  quattro  (Mommsen,  1.  c). 

Ma  per  Ventura  la  coppia  dei  consoli,  sebbene  nuova  nei  fasti 
dell'impero,  ci  conduce  a  termini  piü  sicuri.  Ha  ben  esposto  il 
Barnabei,  che  Sesto  Marcio  Prisco  fn  legatus  Augusli  j^ro  praetore 
della  Licia  sotto  Vespasiano  {C.  I.  Gr.  4270.  4271;  Journal  of 
hell.siudies  X  p.  73  n.  25  (');  Le  Bas-Wadd.  III,  1253.  1265 
cf.  Journal  of  hell,  studies  X  p.  82  u.  36)  e  quindi  fra  gli  anni  74, 
quando  questa  provincia  fu  ordinal a  (Marquardt,  Slaatsvenoaltung 
I.  376),  e  79;  e  Cu.  Piuario  Emilio  (^iQ'itnGwhiinlegalus pro 2)raetore 
della  Pannonia  nel  98  (dipl.  XIX  C.  I.  L.  III  p.  862).  Secondo  le 
norme  gerarchiche,  la  legazione  della  Licia  e  inferiore,  quella  della 
Pannonia  invece  superiore  al  consolato  suffetto:  e  dobbiamo  rinchiu- 
dere  la  data  del  documento  fra  gli  anni  74  e  98  dopo  Cr.  II  Mommsen 
(presso  Barnabei  1.  c.  p.  436)  vorrebbe  attribuirla  al  regno  di  Tito, 
perche  il  giorno  30  dicembre,  natale  di  questo  imperatore,  sarebbe 
adattissimo  ad  una  liberalitä  verso  i  pretoriani.  Ammettendo  que- 
sto, la  data  del  diploma  sarebbe  con  assoluta  certezza  fissata  al- 
l'anno  d.  C.  79,  essendo  conosciuti  i  due  consoli  suffetti  del  di- 
cembre 80,  M.  Tittius  Frugi  e  M.  \'inicius  Julianus,  dagli  atti 
degli  Arvali.  Perö,  fra  il  grau  numero  di  diplomi  del  primo  e 
secondo    secolo,    non    v'e    nessuno,    per    quanto    vedo    io,    la    cui 


piü  di  cinquantotto  erauo  conosciuti  nel  1873  quando  fu  edito  il  terzo  volume 
del  Corpus. 

(1)  E  singolare  la  fräse  ov via  in  questa  epigrafe:  TiQFa^erli >"[[>■  ((vtoxqü- 
xnoog  Kidac.Qog  Ovianaacufov  xcd  Tiäi'nou  (cvroyQuröoMi'  uno  T(ßf()iov  Kcda^Qog; 
non  so  se  il  concipiente  greco  abbia  voluto  significare  che  Marcio  Prisco  fossc 
in  altre  sue  cariche  candidatus  di  ])arecchi  imperatori  da  Tiberio  in  poi.  Cer- 
taniente  Prisco  deve  essere  arrivato  alla  legazione  della  Licia  in  etä  avanzata, 
se  aveva  cominciato  la  sua  carriera  giä  prima  del  37. 


MISCELLANEA    EPIGRAI-KA  335 

data   si   connetta   sia  con  il   natale  deirimpevatore,  sia  con  il  na- 
talis  imperii. 

Non  sarä  sgradito  ai  nostri  lettori  vedero  aggiimio  a  qiiesto 
docuniento  di  provvenieuza  urbana  iin  altro  simile  di  provvenienza 
Jion  italica,  il  quäle  fii  pubblicato  poco  fa  in  im  periodico  Qon  ac- 
cessibile  a  tutti  gli  studiosii  deli'antichita  romana.  Nel  Vlcatnik 
hroatsfcoga  arJceolofiickoga  dnütoa  vol.  Xill  (Agram  1891) 
p.  33-40  il  prof.  Brunsmid  du  il  facsimile  del  seguente  diploma 
htrovato  nel  1890  a  Sud  del  villaggio  d' llace,  presso  Sid,  circon- 
dario  di  Sirmio,  e  destinato  al  nniseo  di  Agram.  Esso  e  inciso  in 
due  tavolette  di  bronzo  di  m.  0,14X0,118. 

Esemjüare  eüeriore,  tavola  irrima. 

IMP        CAES        DIVI      HADRIANI      F     DIVI     TRAIANI 
PARTHICI       NEPOS        DIVI     NERVAE     PRONEP   T   AELI 
VS        HADRIANVS       ANTONINVS         AVG  PIVS 

PONT        MAX         TR         POT      XV     IMP      H      COS  fv    P  P 

5    lIS        QVI     MILITAVERVNT         IN     CLASSE         PRAE 
TORIA  RAVENNATE      QVAE      EST     SVB     TVTI 

CANIO  CAPITONE  PRAEF  SEX  ET     VIGINTI 

STIPENDIS        EMERITIS  DIMISSIS 

HONESTA         MISSIONE  QVORVM  NO 

lOMINA  SVBSCRIPTA         SVNT        IPSIS       LI 

BERIS  POSTERISQVE  EORVM  CIVI 

TATEM  ROMANAM  DEDIT  ET      CONVBI 

VM       CVM     VXOORIBVS   QJ/AS  tOvNC  HABV 

I  SSE  NT  CVM       EST     CIVITAS      lls     DATA     AVT 

1>SI    QJ/I  CAELIBES  ESSENT        CVxM     lls    QVAS 

POSTEA  DVXISSENT         DVMTAXAT         SIN 

GVLI     S  I  NC  V  L  A   S  NON  SEPT 

CNOVIO       PRISCO  L     IVLIO     ROMVLOCOS 

EX        ARMOR  C  VST 

20  C       VALERIO       ANNAEI  F  DASTO 

S  C I R  T  EX       DALMAT 

DESCRIPT     ET       RECOGNIT  EX     TABVL       AER 

QJ/AE        FIXA    EST  ROMAE  IN  MVRO     POST 

TEMPL  DIVI       AVG  AD     MINERVAM         0 


336  CH.    HÜI.SEN 

Esemplare  eüeriore,  tavola  secotida. 

M  SERVILI  GETAE 

L  PVLLI  ^  CHRESIMI 

M  SENT  IL  I    .  lASI 

TI  IVLI  FELICIS  ^^ 

.-,    C  IVLI  ^  SILVANI 

L  PVLLI  VELOCIS 

P  OCILI  PRISCI  # 

Esemiüare  inleriore,  tavola  prima. 

IMP  CAES  DIVI  HADRIANI     F      DIVI  TRAIA 

NI     PARTH      N        DIVI        NERVAE     PRON    T     AEL  sie 

LIVS     HADRIANVS  ANTONIN_VS     AVG_PIVS 

P      M  TR       POT     XV  IMP    11      COS     IV       P  P 

5      IS   QVI     MILITAVER    IN    O       CLASSE      PRAETORIA 

RAVENNATE         QJ/AE         EST     SVB    T^^TICANO   CA 
PITONE       PRAEF  XXVI         STIPEND       EMERIT      DI 

MISS     HONEST  MISSION        QJ/OR       NOMIN 

SVBSCRIPT       SVNT       IPSIS       LIBER      POSTERISQ_ 

10  EOR         CIVIT     ROMAN      DEDIT     ET    CONVB  CVM 

VXORIB     QVAS      TVN   O   C     H  AB  VIS  CVM  EST  CIVIT 
IS  DATA     AVT       SI   QVI    CAELIB  ESSEN     CVM    IS 

QVAS       POSTEA  DVXISS        DVMTAXAT  SIN 

GVLl  SINGVLAS  ® 

Esemiüare  inleriure,  tavola  seconda. 

NON  SEPT  ® 

PRISCO     ET  ROMVLO       COS 

© 
EX  GREGALE 

VALERIO      ANNAEI        F  DASTO 

SCIRT         EX    DALM 


SIC 


MISCELLANEA    KPIGRAFICA  337 

Imp{erator)  Caes{ar)  divi  Hadriani  f{ilius)  divi  Traiani  Par- 
thici  nejjos,  divi  Nervae  pronej^ios)  T.  Aelius  (')  Iladrianus 
Antoiiiiius  Aitg{iistiis)  Plus  pont{ifex)  max{imus)  tr{ibii- 
nicid)  pot{eüaie)  XV,  imp{erator)  II,  co{/i)s{ul)  IV,  ]>{aier) 
p{atriae) 

iis  qui  müüaverunt  in  classe  praetoria  Ravennate,  quae  est 
sub  Tuticanio  (-)  Gapilone  praef{ecto),  sex  et  vifjiiiti  sti- 
pendis  emeritis,  dimissis  honesta  missione, 

quonim  nomina  subscripta  sunt,  ipsls  liberis  posterisque  eorum 
civitatem  Romanam  dedit,  et  conubium  cum  uxoribus,  quas 
timc  habuissent  cum  est  civitas  iis  data,  aut  si  qui  cae- 
libes  essent  cum  iis  quas  postea  duxissent,  dumtaxat  sin- 
guli  singulas. 

non.  Sepd.  C.  Novio  Prisco,  L.  lulio  Romulo  (^)  co{n)s{idibus). 

ex  armorum  custode  {^)  C.  Valerio  Annaei  f.  Das\T\Oj  Scir{tom) 
ex  Dalmatiid). 

descript{iim)  et  recognit{um)  ex  tabid(a)  aer{ea),  quae  fixa  est 
Romae  in  muro  post  templ{um)  divi  Aug{iisti)  ad  Minervam. 

(0  Aellius  —  (2)  Tu'Äcano  —  {^)  Prisco  et  Romulo  —  (*)  ex  greqale 
ex.  int. 

II  cognorae  del  soldato,  secondo  il  facsimile  e  la  trascrizione 
del  Brunsmid,  e  Dastus ;  non  dubito  perö  che  questa  forma  sia 
imo  sbaglio  dell'incisore  romano,  il  quäle  avrebbe  alterato  cosi  il 
ben  noto  nome  illirico  di  Dasius  (•).  Ancbe  Amiaeus,  Anneus, 
Annius  sono  forme,  diverse  di  un  medesimo  cognome  illirico,  assi- 
railato  al  ben  noto  gentilizio  romano  (-).  La  tribü  alla  qiiale 
appartenne  Dasius  fii  riconosciuta  dal  Brun.smid  come  identica 
con  gli  2x{QToreg  di  Ptolemeo  (3,  17,  8)  oppiire,  secondo  Plinio 
{3,  143)  Scirtari.  E  da  notare  che  l'esempio  interiore  da  al  di- 
missus  la  qiialitä  di  gregalis  senz'altro,  mentre  nell'esteriore  egli 
viene  detto  piii  esattamente  ex  armorum  custode  (^). 

('J  Ohre  gli   eseinpi  composti  neirindice  del  vol.  III  p.  1090  cf.   Eph. 

epigr.  IV,  903.-  M.  Aurelius  Dasius  mil.  coh.  V  pr 7iat.    Pann.  col. 

Siscia ;  Eph.  epigr.  V  p.  94  Dipl.  LXXIV:  Dasius  Dasentis  f.  Dalmata. 

(2)  V.  C.  I.  L.  III  |).  1089,  ed  il  titolo  urbano  YI,  11175  nel  quäle  sono 
nominati  iin  Aeneas  Anni  ßius  padre,  con  suo  figlio  Annius  Ptcro. 

(3)  Intorno  agli  armorum  custodes  si  veda  Cauer,  Eph.  epigr.  IV  p.  437. 


338 


CH.    HÜLSEN 


Dei  dne  coQSoli,  che  hanno  retti  i  fasci  nel  quinto  niindiuio,  Set- 
tembre-Ottobre,  del  152  d.  C.  Timo,  L.  GiulioRomulo(')  e  aftatto  sco- 
nosciuto;  l'altro,  C.  Xovio  Prisco  (2),  e  menziouato  in  tre  iscrizioni 
poste  ad  Antiochia  di  Pisidia  {CLL.  III 8,6814-6816,  cf.  III,  292) 
in  onore  del  siio  figlio :  C.  Novio  C.  Nävi  Prisci  cos  ei  Flavi- 
tiiae  Meaodorae  fd.  Ser{gia)  Rmtico  Vemd{ei6)  Äproniano;  gli 
Ultimi  due  nomi  ci  fanno  credere  ch'egli  fu  della  parentela  del 
console  del  168  d.  C,  L.  Venuleio  Aproniano.  —  Nuovo  e  anche 
il  nome  del  prefetto  della  classe  Kaveonate,  Tuticanio  Capi- 
tone.  —  Meritano  infine  attenzione  i  nomi  dei  testimoni,  i  quali 
confrontati  con  altri  dello  stesso  tempo  ci  portauo  a  fissare  piü 
esattamente  la  data  di  due  documenti  non  privi  d'interesse.  Nei 
diplomi  del  regno  di  Autonino  Pio  abbiamo  i  nomi  dei  seguenti 
testimoni : 


a.  148  Oct.  9 
(Äer.  «rc/;.  1801,  2 16) 

L.  Fidli   Daphni 
M.  Servili  Getae 
L.  Pulli  Chresimi 
Jlf.  Sentüi  lasi 
Ti.  Juli  Felicis 
C.  Juli  Silvani 
P.  Ocili  Prisci 


a.  149  Nov.  1  (Brigetiu) 

a.  152  Sept.  5  (Ilac) 

.  .  Dec.  25  Dipl.  XLl 

C.  I.  L.  m  p.  883 


J\I.  Servili  Getae 
L.  Pulli  Chresimi 
M.  Sentili  lasi 
Ti.  Jidi  Felicis 
C.  Juli  Silvani 
L.  Pulli   Velocis 
P.  Ocili  Prisci 


a.  154  Nov.  3 

a.  157   De.-.    13. 

Dipl.  XXXIX 

Dipl. XL  (C'./.Z.  III 

C.  I:  L.  111  p.  );81 

p.  882) 

M.  Servili  Getae 

.  .  .  Getae 

L.  Pulli  Chresimi 

.  .  .  Chresimi 

M.  Sentili  lasi 

.  .  .  lasi 

Ti.  Jidi  Felicis 

.  .  .  Felicis 

G.  Juli  Silvani 

.  .  .  Urb. . . 

C.  Pomponi  Statiani 

.  .  .  Statiani 

P.  Ocili  Prisci 

.  .  .  Prisci 

Sono  dunque  identici  i  nomi  per  le  annale  149  e  152,  mentre 
differiscono  nel  148,  e  pure  nel  prossimo  seguente  154.  AI  quadriennio 
150-153  dunque  si  dovrä  ascrivere  anche  il  consolato  segnato  nel 
diploma  XLI :  Marcello  et  Gallo,  il  quäle  e  di  un  ultimo  nuudinio, 
Novembre-Dicembre.  II  secondo  di  questi  consoli  sembra  sia  iden- 
tico  con  quel  ApjJliis  Gcdliis  cos.  designatus  la  cui  senteiitia 
viene  riferita  nel  senatus  consultum  de  Cyzicetiis  (Mommsen, 
Eph.  epigr.  III  p.  156  seg. ;  C.  I.  L.  III  S,  7060),  e  quindi  il  detto 
seaalm  consultum  viene  inchiuso  nei  limiti  degli  anni  150  a  153. 

(1)  ün  M.  Giulio  Romulo,  leg{atus)  pro  pr{aetorc)  h  fra  i  consijrlieri 
dell'imperatore  Othone  nella  tavola  di  Esterzili  CIL.  X,  7852. 

(2)  II  C.  Novius  C.  f.  Priscus  che  fece  un  tempio  (come  sembra)  ad 
Iside  nelFagro  Falerno  {CLL.  X,  4717)  puö  essere  deU'istcssa  famiglia. 


MISCEI.LANEA   EPIGRAFICA 


339 


XII.   Tavola  cU  iw.tronalo. 

I  tre  frammeiiti  di  bronzo  qui  sotto  riuniti  sono  conservati  in 
tre  musei  fra  loro  molto  loiitani :  ma  non  piiö  esservi  dubbio  clie 
venissero  al  gicrno  tiitti  insieme  uelle  vicinauze  di  Koma  nel  prin- 
cipio  del  secolo  passato.  II  pezzo  piü  grande  B  fu  veduto  dal 
Malfei  {Miu.  Veron.  288,  4)  Romae  in  aedibus  marchionis 
Spada;  esso  da  piii  di  sessanta  auni  e  stato  trafugato  di  lä 
dalle  Alpi,  ed  ora  si  trova  nel  museo  di  Cassel  (pnbblicato  molto 
inesattamente  dallo  Stoltz,  Beschreibung  des  Museums  zu  Cassel, 
1832  p.  45).  Qnello  segnato  A  si  trova  nel  museo  pubblico  di 
Bologna,  ove  fu  giä  veduto  dal  Marini  (cod.  Vat.  9128  f.  39; 
C.  I.  L.  XI  n.  712  r/);  il  terzo  C  infine  fu  conservato  verso  la  fine 
del  secolo  scorso  nella  raccolta  Borgia,  ed  ora  e  nel  museo  na- 
zionale  di  Napoli  (Cardiuali,  Iscr.  ant.  ined.  311;  IRN.  6823; 
Fiorelli,  Catal.  n.  436).  Tutti  e  tre  i  frammenti  saranno  pubblicati 
nel  volume  sesto  del  Corinis  Inscriptiomim  Latinarum  n.  29682. 
Dalle  Schede  del  Corpus  desumo  un  calco  del  frammento  Cassel- 
lano  ;  un  calco  del  frammento  Bolognese  mi  fu  favorito  dal  sisf. 
prof.  Brizio;  il  frammento  Napoletano  fu  da  rae  riscontrato  sul- 
l'originale,  col  cortese  aiuto  dell'amico  prof.  Sogliano.  Posso  sta- 
bilirne  la  lezione  come  segue: 


t  •  ivl  •  evtychianvm  •  vi 
hSbere-qvare  SECVND 

FE|AMVS 

ET  O  PTIMA  DIGNITAS  PLACl 

COIWM  •  SVMM  •  PRIVAT      ./ 


B 


GENS    PRO    COMM  •  S  VMM  •  PRI  VATAE  N  EMI  N  EM    NOSTRVM 

ICONSCRIPTI    Q_VIPR0HACADFECTI0NEQ_VAMERG;  ,  IN  u  1  o  ^  - 1  L  L-rvo-s-vTi 

NET  ■  IDEO   PLAGET    CVNCTO     ORDINI     N    T  A  B  V  L  AM ///RONAfVS^X  I  S  T  A  N  T  I  S  S  IMVM  VIRVM  j 

:RRI  DEBERE  •  QVAM  CVM  PROMPTO  ANIMO  SVSCIPERE  DIGNATVS  FVERIT'  UtEM  E  IVS       TAB  V 


VETITIAM  PROCEDAT  •  FIAT   PERROGATIO   ORDINIS  VT  SINGILLATIM 


/ 

SORDO       D       OMN 

CIT  IVLIVM  EVTYCH 


540  CH.    HÜLSEN 

Xella  priuia  riga  del  fVammento  bolognese  la  lezion^  SENA- 
TVS  parve  fuori  diibbio  al  eh.  Brizio,  il  quäle  pure  conferma  che 
nel  principio  del  verso  secondo  vi  e  il  prenome  T{itas)  e  noii 
Tliherim).  Nel  v.  6  il  Marini  aveva  letto  ROMAS  AMI,  il  Bor- 
manu  ROMA  SVMM ;  il  calco  mi  fece  parere  assai  probabile 
la  lezione  sopra  proposta,  mentre  il  tratto  avanti  la  C,  preso  per 
l'asta  della  R  dai  precedenti,  sarä  casuale. 

Xella  prima  riga  del  frammento  napoletano  e  certo  la  parola 
ILLIVS  ;  le  lettere  dimezzate  che  precedono  si  prestano  alle  le- 
zioni  DIOR,  DIVR,  BIOR.  BIVR,  delle  quali  la  prima  e  piü  ve- 
rosimile.  —  Neil' ultima  riga  e  certa  la  parola  PATRONVM,  non- 
che  il  penultimo  eleraento  ch'e  ima  R;  ma  per  quelli  che  stanno. 
framezzo,  e  possono  essere  H  (oppure  LI)  V  (oppure  M)  non  saprei 
proporre  una  spiegazione. 

Kiconosciuta  la  pertinenza  dei  tre  framraenti  ad  im  medesimo 
documeuto,  io  mi  rivolsi  per  avere  maggiori  lumi  al  eh.  Mommsen 
il  quäle  riunendo  i  pezzi  //  e  C  nel  modo  sopra  indicato  pro- 
pose  i  Supplement!  seguenti : 

T.  Julias  Fati/chianus}^ 
agens  iwo  comm{entanis)  summ{arum)  privatae  neminem  nostrum 

[Jätet  quaiitis  beaeficiis  horioraverit  ordinem  nostrum,  opti^ 
mi  conscripti ;  qui  pro  hac  adfectione,  quam  erg[a  nos  impendio- 

r{urn)  illius  sum[_ma  ingens  demonstrat,  dum  advivet,  nobis 

henefacere  non  de'] 
sinet.  Ideo  placet  cuncto  ordini  n{osiro)  tabulam  \jpat']ronci{t'\us 

{ad  prae~\stantissimum  virum\_ per  legatos  ad] 

ferri  debere;  quam  ciwn  prompto  animo  suscipere  dignatus  fuerit, 

\_ad  dignit~\atem  eins  tabu\la  in  domo  eiusposita  nostramque'} 
laetitiam  procedat.  Fiat  perrogatio  ordinis,   ut   singillatim  \jd 

firmemu^ß.  Ordo  d{ixit) :  om\jies  omnes. 

uTutti  e  tre  i  frammenti" ,  aggiunge  l'illustre  maestro,  <;  appar- 
tengono  alla  pjrima  sententia,  la  quäle,  come  generalmente  nell'e- 
poea  bassa,  fa  le  veci  del  decretum :  eertamente  le  espressioni 
nemo  nostrum,  ordo  n{oster),  [conl^feramas  eec.  non  entrano  in 
una  relatio  ;  eredo  che  il  frammento  bolognese  precedesse  agli 
altri,  perche  in  quello  B  e  la  perrogatio,  ehe  doveva  chiudere  la 
'prima  senteatia  •^. 


misceli,am:a  kpigrafic.v  341 

Della  carica  di  agens  irro  comm{e)itarüs)  summarum  pri- 
vatae  non  trovo  altri  esenipii;  si  vecla  Hirschfeld,  VenvaUic/iQS- 
gesch.  I,  44. 

Se  fosse  sicuro  che  il  senatus  nella  riga  prima  del  fram- 
mento  Ä  si  riferisse  alVordo  mimicipale,  fra  i  comiini  vicini  a 
Roma  verrebbero  in  scelta  p.  es.  Aricia,  Lanuviiim,  Tibur,  Tuscu- 
lum,  Veii.  Secoudo  il  carattere  della  scritüira  il  documento  si 
deve  attribuire  al  secolo  torzo  piuttosto  che  al  secondo. 


XIII.  Bulla  dl  im  servo  fitggltioo. 


/  AVK5PRAEIECTr  . 

/OfFrciALlSPRAEFEC 

TfANNONlSFORASMV 
mxIVI  TENEM€ 

.MEADFLOR 

.ADTOSOK 

ES 


La  lastrina  circolare  di  bronzo  riprodotta  qiii  appresso  in  Ya 
della  grandezza  originale,  secondo  uu  calco  dovuto  alla  gentilezza 
del  eh.  Heibig,  si  dice  ritrovata  presse  Velletri,  ed  ora  si  conserva 
in  iina  collezione  privata  a  Parigi.  Essa  ha  quattro  fori,  ciö  che 
mostra  che  non  fii  appesa,  ma  bensi  affissa  con  chiodi.  Fu  presentata 
dal  eh.  Le  Blant  aH'Accademia  di  Parigi  {Revue  critique  1891,  I 
p.  59). 

Sulla  Serie  interessante  di  epigrafi,  scritte  per  la  maggior 
parte  in  piastre  di  bronzo  (alcune  anche  in  collari,  ed  nna  in 
tavoletta  di  avorio),  destinate  a  contrasegnare  i  servi  fnggitivi 
e  reclamare  l'aiuto  di  chiunque  in  essi  s'imbatteva  perche  li  cat- 
turasse  e  riconducesse  al  padrone,  dobbiamo  due  preziose  mono- 
grafie  al  eh.  de  Rossi  {BulL  arch.  crist.  1874  p.  41-67;  Jhdl. 
comiüi.  1887  p.  286-29(3). 

Riesce  nuova  la  fräse  fo'ras  muru{m)  exivi  iuvece  della 
piü  generale  fugi.  Non  crederei  perciö  essere  stato  vietato  ai  servi 


342  CH.    HÜLSEN 

in  generale  di  uscire  fuori  del  recinto  Aureliano,  ma  bensi  questo 
divieto  piiö  avere  esistito  per  quelli  appartenenti  airamministra- 
zione  aononaria.  La  localitä,  strada  o  piazza,  ad  to{n)sores  deve 
essere  sul  Quirinale,  ove  conosciamo  bene  la  posizione  deirautico  e 
celebre  santuario  di  Flora  (v.  Mittheilung eii  1891  p.  121).  Se  in 
queste  vicinauze  si  debba  cercare  qualche  locale  soggetto  alla 
praefectura  annonae  (')  uou  lo  decido.  AI  forum  suarium  presso 
S.  Croce  dei  Lucchesi  non  si  puö  pensare,  prima  perche  la  distanza 
e  abbastanza  grande,  poi  perche  questo  apparteneva  alla  giurisdi- 
zione  del  praefectus  urbis  (Mommsen,  St.  R.  IP  p.  10G8). 

Qiianto  all'epoca  del  niiovo  monumentino,  si  puö  dire,  con  il 
de  Kossi  (1.  c.  p.  60)  che  in  questa  serie  ^  la  paleografia,  Torto- 
gralia,  gl'idiotismi,  la  nomenclatura...  conTengono  tutte  al  secolo 
quarto  » ,  e  mi  sia  lecito  di  aggiungere  poche  parole  intorno  a  quelle 
tre  che  all' illustre  maestro  sembravano  faxe  eccezione  alla  regola. 

Queste  sono  : 

1)  Collare  ora  nel  museo  di  Firenze  (Gori,  /.  E.  I.  69): 
MINERVINVS  •  FVG  •  ITALICI  MIL  •  TESS  •  COH  •  XII  •  VRB  • 
In  questo  io  vedo  una  testimonianza  pregevole  per  l'esistenza  delle 
coorti  urbane  anche  dopo  Costantino,  attestata  oltracciö  dalFu- 
nico  titolo  C.  VI,  1156  posto  a  Fl.  Claudio  Costantino  Cesare 
(317-337). 

2)  Collare  rinvenuto  a  ßoma  nell'auno  1869  (de  Rossi  1.  c. 
p.  45) :  TENEME  FVGI  CONCESSI  SVM  CVIVS  ES  GEMELLIAD 
POLICLIV  (?.  II  de  Rossi  la  spiega :  Tene  nie,  fiigi,  concessi,  sum 
ciiius  est  GemelUa  c{oiicuhiiia)  Policli  v.  [cr\,  e  la  crede  piü  antica 
delle  altre  per  la  latinitä  ottima.  Io  preferirei  di  leggere  :  Tene 
me,  fugi]  Concessi  sum,  cuius  est  GEMELLIAO  Policli  V.\j;~\, 
di  modo  che  nelle  lettere  enimmatiche  GEMELLIA3  si  nasconde- 
rebbe  la  designazione  di  qualche  fondo  o  possesso  Gemellian{o) 
giä  posseduto  da  un  Policles  vir  clarissimus.  Questo  forse  si  de- 
ciderebbe  da  un  ripetuto  esame  dell' originale.  La  nomenclatura 
(5onviene  certamente  all'epoca  dopo  Costantino  :  e  lo  stesso  si  di- 
rebbe  della  paleografia,  perche  secondo  il  de  Rossi  la  G  e  la  L 
hanno  sempre  l'asta  inferiore  obliqua. 

{})  Si  vedano  intorno  a  questa  materia  le  osservazioni  del  de  Rossi, 
Annali  delVIst.  1885  p.  223;  Bull,  comun.  1887  p.  360. 


MISCEI.LANEA    KPIGRAFICA  343 

3)  CoUare  pubblicato  dallo  Spon,  Miscellaaea  erudilae  an- 
tiquitatis  p.  300,  che  l'ebbe  dairavvocato  Francesco  Graverol  di 
Nimes:  TMCLFE  REVME  P  RVBRIO  LAT  DOM  MEO.  Questa 
epigrafe,  l'unica  di  siltatto  genere  che  si  dice  ritrovata  fuori  della 
capitale  e  siioi  contorui,  fii  dallo  Hirschfold  [SUzungsber.  d.  Wiener 
Akademie  der  Wm.  1884  p.  222  sg. ;  CIL.  XII,  244*)  riget- 
tata,  come  altre  iscrizioiii  comunicate  dal  Graverol  con  lo  Spon  e 
col  Fabretti:  e  lo  stesso  de  Rossi  vi  ha  acconsentito  {Bull,  co- 
mun.  1887  p.  265).  II  falsario  prese  il  nome  del  padrone  dal 
titolo  aufidenate  Grut.  952,  11=  CIL.  IX,  2818:  egli  oltre  delle 
epigrafi  pubblicate  dal  Pignoria,  De  servis  (p.  21.  22  ed.  1013) 
deve  aver  avuto  conoscenza  della  bulla  posseduta  dal  Menestrier 
(Doni  inscr.  2,  173) :  tene  me  ne  fugiam  et  revoca  me  in  foro 
Traiani  in  piirpuretica  ad  Pascasiiirn  dominum  meurn,  e  di 
questa  si  e  servito  anche  per  im'altra  sua  falsificazione  ('). 

Queste  osservazioni  non  debbono  servire  ad  altro  se  non  a 
stabilire  vieppiü  il  canone  proposto  dall' illustre  de  Rossi  (1.  cit. 
p.  61)  che  "  volgendo  il  secolo  quinto,  coteste  bulle  letterate  dei 
servi  fuggitivi  sieno  ite  in  disuso ;  e  che  il  loro  periodo  sia  cir- 
fcoscritto  tra  l'etä  di  Costantino  e  quella  incirca  di  Arcadio  e 
d'Onorio  » . 


XIV.  Cippi  terminali  degli  orti  Tiziani  e  Cocceiani. 

II  frammento  seguente,  sebbene  esposto  al  pubblico  giä  da 
molti  anni  e  non  privo  d'  Interesse  per  la  topografia  romaua,  finora 
e  rimasto  inedito.  E  la  parte  superiore  di  uu  cippo  di  travertino, 


(1)  CIL.  XII,  243*;  Spon,  Miscell.  p.  299:  Nemausi  apucl  Graverolium; 
nummus  magni  mocluli  ab  una  parte  caput  Neronis  i^raefert...  aversa  plane 
abrasa  fidt,  ut  litteris  incisis  caelaretur  nomen  c  •  vaIleri  |  abascan  |  ti  '• 
qui  cum  collo  appensam  gestubat,  ut  adhmcta  ipsi  catenula  antiqua  viridi 
aerugine  obducta  non  obscure  indicat.  Con  questa  si  confronti  la  descrizione 
della  bulla  Menestreriana :  nummus  Constantini  Magni  aereus,  qui  in  altera 
facie,  abrasa  ipsius  effigie,  hanc  inscriptionem  habet ;  in  altera  Romulum 
et  Eemiim  cum  Faustido  pastore  sub  ruminali  ficu.  Con  rajjione  lo  Hirscli- 
feld  {Sitzungsber.  p,  225)  chiaraa  le  imposture  del  Graverol  "  limitate  secondo 
la  sua  erudizione  anch'essa  niolto  ristretta». 


344  CH.    HÜLSEN 

giä  nella  collezione  di  Emiliaiio  Sarti,  ed  ora  nel  pianterreno  del 
Museo  Capitolino.  cou  l'epigrafe  incisa  in  lettere  biione  e  profonde : 


A  VIA  •  PVBLIC  a 
ADMACERIElvl 
HORTORVMM-Tin^ 
LONG- P  •  BXXCS 
5  ET   •   A  MACERIE 

-Ho  aTOR  •  COCCFJ^ 

La  lapide  fu  trovata,  secondo  la  testimoiiianza  del  Sarti  e  del 
de  Kossi,  quando  nel  1849  si  costrui  iina  casetta  di  proprietä  co- 
munale  presso  S.  Crisogono.  Questo  perö  non  ei  fa  saper  nuUa 
intorno  al  posto  autico  della  lapide;  giä  per  se  sarebbe  poco  pro- 
babile,  che  grandi  giardini  si  estendessero  fino  a  qiiella  parte  della 
cittä,  e  si  offre  spontaneamente  la  congettura  ch'essa  sia  stata 
trasportata,  nei  tempi  bassi,  dalla  campagna  in  cittä  per  servire 
da  materiale  di  costnizione  (').  Ma  siamo  pure  in  grado  di  definire 
con  ogni  certezza  il  posto  antico  della  lapide,  per  mezzo  di  im'altra 
ritrovata  e  pubblicata  dal  Biondi  (Atti  dell'Accademia  Pontificia  IX, 
1840,  p.  471;  ripetuta  dallo  Henzen,  suppl.  airOrelli  G660): 

PARTES 

IN    TRORSVS    •    AD 

V  I  A  M   •   C  A  M  P   A  N   A     sie 

VERSVS • AD  PROXIM 
5       CIPPVM-PROPRIVS  •  IN 

LOCOPROPRIO  HORTORV    sk 

COCCEIANORVM  •  ONERI 

FERVNDO-VIGILIARIO 

QVOD  •  EST  HORTORVM 
10  TITIANORVM-NONIAE-C-F 
R  •  R  •  L  •  P  •  LVI 


(1)  Un  esempio  notevole   di  una    simile    migrazione    ci    offre    Fepigrafe 
C.  IL.  YI,  10250:  liuic  monimento  iter  aditus  ambitus  dehetur  ex  senten- 


MISCELLANEA    EIMGHAl'KA  345 

La  lapide,  cioe  im  cippo  di  travertino  (alto  in.  1,10,  largo 
m.  0,40  in  circa)  si  rinvenne  « a  diie  miglia  e  piii  iu  lontananza 
dalla  cittä,  oel  Inogo  dov'  e  la  vigna  appellata  delia  Torretta,  la 
quäle  ora  appartiene  alla  ven.  Confraternitä  della  SS.  Trinitä  de 
Pellegriui,  presso  all'altra  vigna  giä  de'  Pescaglia,  ora  de'  Jacobiui" 
(Biondi  1.  c.  p.  467),  ove  giaceva  sotto  il  pelo  deH'acqua,  insieme 
<3on  il  cippo  terminale  del  Tovere  C.  F.  L.  VI,  123,")  h.  L' iscri- 
zione  incisa  sulla  fronte  del  cippo  era  ripetuta  in  caratteri  piii 
piccoli,  sul  lato  destro:  ed  e  opinione  del  Biondi  che  la  fronte 
stasse  rivolta  verso  il  Tevere. 

Sono  assai  complicate  le  formole  giuridiche  della  seconda 
iscrizione,  ue  voglio  entrare  in  questo  argomento  discusso  ampia- 
mente  dal  Biondi,  non  avendo  potuto  riscontrare  il  testo  originale 
e  mi  limito  ad  ima  osservazione  sulle  date  topografiche  (').  Le  due 
lapidi  fissano  dunque  la  situazione  degli  orti  Tiziani  e  Cocceiani 
snlla  riva  destra  del  Tevere,  uel  piano  detto  delle  due  Torri.  Che 
gli  orti  Cocceiani  si  estendessero  fino  al  fiiime,  risulta  dal  sito 
del  cippo  Biondiano ;  il  frammento  Capitolino  c'  insegna  che  ima 
estremitä  degli  orti  Tiziani  fii  distante  dalla  via  jmbblica,  cioe 
Campana  quasi  esattamente  duecento  metri. 

Quanto  ai  possessori  che  diedero  il  nome  ai  sudetti  giardini. 
la  congettura  emessa,  ma  con  forti  dubbi,  dal  Biondi,  trattarsi  di 
proprietä  dell'  imperatore  Tito,  viene  eliminata  dal  frammento  Ca- 


tia  Erotis  Aug{usti)  l(iberti)  iudicis:  a  via  Campana  dextrosus  ecc.  (seguono 
i  limiti  del  monumento.  Questo  cippo  fu  veduto  nel  secolo  XV  da  Pietro  Sabino 
in  *S'.  Chrysogono,  uientre  il  suo  posto  originale  era  certaraente  fuori  della 
porta,  accanto  la  via  Campana. 

(})  II  Biondi  (e  con  lui  il  Preller.  Regionen  p.  07  not.)  legge  cosi : 
Partes  introrsus  ad  viani  Campana{m)  versus,  ad  proxim(um)  cippum,  [locus) 
proprius  in  loco  proprio  hortorti{ni)  Cocceianorum,  oneri  ferundo  vigiliario, 
quod  est  hortorum  Titianorura  Noniae  C.  f.  {subiectae  sunt).  B{ccta)  r{egione) 
l{ongum)  p{edes  quinquaginta  sex),  c  crede  che  Vonus  al  quäle  parimenti 
furono  soggetti  i  giardini  Cocceiani  e  Tiziani  consistesse  nel  mantenimento 
di  una  casa  di  guardia  per  i  vigili  notturni  che  vegliavano  sulla  riva  del 
Tevere.  —  L'amico  Gatti  mi  suggerisce  un'ingegnosa  congettura,  ciob  di  leg- 
gere,  invece  di  proprius,  PED/;iVS,  ossia  ped{es). . .  .  quinque  semis:  cosi 
sarebbero  definite  nell'istesso  cippo  due  distanze. 


346  « "•  HÜLSEN 

pitolino  uel  quäle  invece  abbiamo  un  71/.  Titius  padrone  di  es.si. 
II  M.  Titius  nipote  di  Miinazio  Planco  e  console  nelFanno  31 
a,  C.  pare  sia  escluso  dalla  paleografia  dell' iscrizione,  ma  poträ 
bell  essere  qualche  altro  membro  dell'  istessa  famiglia  agiata.  Che 
gli  orti  Tiziani  nel  secolo  secondo  fossero  passati  nella  proprietä 
della  casa  imperiale,  pare  si  rilevi  da  iina  epigrafe  molto  logora 
posta  ad  im  .  .  .  sto  Ä[urj.  s^ervo  d[ispeii']sa[to]ri  hortor{um) 
Titiamr{um)  {C.  I.  L.  VI,  8675). —  Niilla  si  piiö  dire  intorno  alla 
Nonia  Giai)  f{ilia)  —  cosi  si  deve  leggere,  e  non  cilarimmd) 
f{emina),  per  l'epoca  alla  quäle  appartiene  1' epigrafe  —  mi  basta 
accennare  che  la  iscrizione  citata  dal  Bioudi  p.  509  di  alcuni  liberti 
della  gente  Nouia  sepolti  sulla  via  Portueuse,  ora  si  riconosce  corae 
falsificazione  Ligoriana  (6'.  /.  L.  VI,  5  n.  2447*). 


XV.  Iscridoni  di   Vella. 

II  prof.  0.  Dito  nella  sua  monografia :  Vella,  colonia  Focese, 
contrlbuto  per  la  sioria  della  Magna  Grecia  (Roma,  Loescher  1891), 
pubblica  alcune  epigrafi  da  lui  scoperte.  Di  esse  due  stele  sepol- 
crali  greche  (HHNIoS  TOY  |  AHMHTPIOY;  la  forma  Srivig  = 
Shviq  si  trova  pure  nei  fasti  Tauromenitani,  Kaibel  7.  Gr.  It.  421, 

Iva.  26;  e  EIPHNHI  |  THI  MENE  | )   e  tre    latine  sono    di 

nessuna  importanza.  Merita  invece  considerazione  la  seguente  con- 
servata  '  nel  giardino  del  sig.  Dominicis,  marina  d'Ascea,  dove, 
dicesi,  sia  stata  trasportata  da  Velia  '  (1.  c.  p.  95  n.  21): 


.  .  .  co[K  NELIVS-L-F-ROM-GEMELLVS 
?ä^^Jbis  Qj  hTT- vir  -IVR-DIC-BIS-GYMNAS 
/JaRCHVS  •  TER  •    T  ■  lUl-  I-  D  • 

'  La  punteggiatura  diversa  e  la  scrittura  piü  grande  del  3 
verso  '  osserva  l'editore  '  fan  dubitare  ch'esso  non  sia  stato  aggiunto 
da  altra  mano  '.  Che  Velia  fosse  municipio,  giä  si  sapeva  da  altre 
lapidi  {C.  I.  L.  X.  462.  8342 16):  nuova  riesce  la  carica  di  gymna- 
siarehus,  che  ben  conviene  ad  una  cittä  d'  origine  greca  (v.  Kaibel 
/.  Gr.  lt.  p.  748).  Di  comuni  ascritti  alla  tribü  Romilia,  finora  in 
Italia  si  conoscevano  soltanto  due,  Ateste  e  Sora,  e  fuori  dell'Italia 


MISCELLANKA    EPIGRAFICA  347 

nessuno  (Knbitscliek  imperium  Romamtm  trihutim  discriptiim 
p.  272). 

Un'altra  iscrizione  pubblicata  dal  medesimo  autore  (p.  95-97 
n.  22)  merita  di  essere  segualata  a  solo  scopo  di  ottenerne  im  apo- 
grafo  esatto,  ciö  che  a  me  non  e  stato  possibile. 

In  iina  grande  stele  di  breccia  arenaria  (alta  m.  3,40,  larga  0,84) 
scavata  nel  Ibndo  del  sig.  Battagliesi,  presso  il  rigagnolo  di  cou- 
tiue  col  fondo  del  sig.  Alario  si  trova,  sotto  1'  iraagine  a  rilievo 
di  im  domatore  a  cavallo,  la  seguente  iscrizione  '  in  carattere  orrido, 
roso,  sciancato,  senza  simmetria  ' : 

HIC  lACET  CALLIMORFVS 
FATO  DEPRESSVS  INIQVO  •  ARSTE 
NIMIVM  VALIDE  VELOCIOR  MEM 
BRIS-DENIQVE  VELOCIVS  CARRO 

5  AGRIPP  AE  PAERITVS  •  ET   EGO 

QVI   QVONDAM  FORTIS  DOMINATOR 
EQVORVM  ARTE  MAGIS  ERAS  VETVSTO 
RVM  GENITVI  BEATVS  NON  VT  PRATO  VI 
TAE  TRANSCVRRERE  METAS  NEC  FVGA 

10  NEC  VELOX  ARTIS  AMOR  POTVIT  VS 
VS  •  SED  MEVM  VT  LEGITIS  NEVIVM 
TECVM  LVCANIA  CORPVS 
CVIVS  NEMO  MALVS  VNQVAM  PO 
TVIT    RE  P  R  AENDE  RE    MORES 

15         CVM    CERTIS    M    ARCVS    CENTV 

RIO     TVM     VELIAM TV 

S  V  A  Q_V  E     FECIT     LIBERTO 
B-M-  VIXIT  •   ANNIS  •  XX 


Hlc  iacet  CaUimorfus  fato   depressus  iiüquo 
Arste  nimiiim  valide  velocior  membris^ 
DetwiuG  velocius  carro  Ägrlppae  paeritus. 
Et  ego  qui  quondam  fortis  dominator  equorum 
Arte  magis  eras  vetustoriim  genitui  beatits 
Non  iit  'prato  vitae   transcurrere  metas 
Nee  faga  nee  velox  artis  amor  potuit  tisits 


348  CH.    HÜLSEN 

Sed  meum  iit  iegitis  neviiim  tecum  Lucania  corpus 
Claus  nemo  malus  imquam  poUiit  repraendere  mores. 
Cum  certis  Marcus  centurio  tum  Veliam  tu  siiaque  fecit 
liberto  b.  m.  vixit  anais  XX. 

Sarebbe  incauto  il  voler  emendare  a  congettura  im  teste 
nel  quäle  doii  siamo  abbastaDza  sicuri  quid  peccaverü  scriptor, 
quid  descriptor:  malgrado  1' incredibile  barbarie  che  s' incontra 
spesso  in  epitafii  metrici  della  plebaglia  romaoa,  iie  il  carrus 
Agrippae,  ne  i  nomi  delle  rigbe  15.  16  mi  paiono  bene  descritti. 

{Sara  continuato). 

Ch.  Hülsex. 


DI  UN  ANTICO  TEMPIO  SCOPEKTO  PRESSO  ALATKl 


II  mio  carissimo  amico  dott.  H.  AVinnefeld  pubblico  in  questo 
Biillettino  una  memoria  intorno  alle  antichitä  di  Alatri;  nella  quäle 
si  intrattenne  anche  sopra  la  scoperta  di  un  antico  tempio,  i  cui 
avanzi  erano  stati  rimessi  a  luce  ad  un  chilometro  circa  fuori  l'abi- 
tato,  iiscendo  da  porta  s.  Pietro,  fra  le  due  strade  che  conducono 
a  Guarcino,  nella  proprietä  del  sig.  conte  Stampa. 

In  questo  luogo,  pochi  anni  addietro,  erano  state  iniziate  al- 
cune  esplorazioui  dal  sig.  ing.  Bassel,  che  diede  conto  delle  sue 
indagini  nel  CeatralUaii  der  Bauverwaltung  di  Berlino  (anno 
1886,  p.  197,  207);  e  poiche  nuove  indagini  parevano  necessarie 
per  risolvere  i  non  pochi  dubbi  che  il  lavoro  del  Bassel  lasciava, 
il  Ministero  dell'istruzione,  secondando  i  desideri  espressi  dalla  Di- 
rezione  del  benemerito  Istituto  Archeologico  Germanico,  fece  eseguire 
nuovi  scavi,  invitando  i  membri  dell'Istituto  stesso  ad  assistervi,  ed 
affidando  a  me  il  grato  onore  di  attendervi.  A  uuova  conferma  dei 
buoni  accordi  che  sempre  durarono  tra  noi,  il  eh.  Winnefeld  dando 
alla  luce  il  rapporto  sopra  il  frutto  di  queste  recenti  esplorazioni  (Bull. 
Inst.  1889,  p.  126  sg.)  accennö  al  desiderio  manifestatomi  dalla 
direzione  dell'imperiale  Istituto  germanico,  cioü  che  pubblicassi 
io  medesimo  in  questo  BuUettiuo  gli  studi  da  me  fatti  sopra  le 
terrecotte  ornamentali  di  questo  sacro  editicio. 

Corrispondo  al  gentile  invito  con  animo  riconoscente ;  e  tanto  piu 
volentieri  vi  adempio,  in  quanto  che  le  ultime  ricerche,  con  le  quali 
ebbero  compimento  questi  scavi,  e  gli  studi  suUe  terrecotte  mi  die- 
dero  opportunitä  di  fare  nuove  ed  utili  considerazioni. 


55<i 


A.    COZZA 


Le  conclusioni  alle  quali  tutti  eravamo  concordi  quando  il 
dott.  "Winnefeld  preparö  il  suo  lavoro  i>er  la  stampa,  si  riassumono 
avendo  sotto  gli  occhi  questo  disegno;  in  cui  e  lappresentato  ciö 
che  al  di  fuori  delle  terre  cotte  oraamentali,  ci  si  rivelö  per  mezzo 
dello  scaYO. 


*^-S'> 


Primieramente  fu  dimoätrato  che  le  ipotesi  delling.  Bassel  per 
quanto  si  riferisce  alla  forma  ed  alla  orientazione  del  tenipio  erano 
erronee.  Erano  anche  erronee  per  quanto  riguarda  il  coUocaraento 
delle  terre  cotte  omamentali;  ma  ora  non  e  il  raomento  di  dirne. 

In  secondo  luogo  chiaro  appariva  che  il  tempio  era  di  ordine 
tuscanico,  cioe  formato  di  pronao  e  cella,  Inno  e  Taltra  delle  di- 
mensioni  che  a  quest'ordine  si  attribuiscono  da  Yitruvio,  come  giu- 
stamente  il  AVinnefeld  ha  fatto  osservare.  Ne  e  giä  il  caso  di  ri- 
inanere  anche  nel  lontano  dubhio  intorno  a  ciö.  Perocche  il  limite 
del  muro  posteriore  della  cella  (D)  cade  appunto  nel  sito  ove  erasi 
scoperta  una  pietra  sporgente  dal  pavimento,  pietra  che  faceva 
proprio  parte  di  quel  muro,  come  il  Winnefeld  aveva  sospettato. 
Si  riconobbero  poi  di  questo  muro  anche  le  fondazioni  per  un 
certo  tratto. 

Era  adunque  evidente  che  ci  trovavamo  innanzi  ad  un  tempio 
tuscanico,  di  cui  lo  scavo  ci  aveva  offerto  le  esatte  proporzioni; 
perocche  anche  per  il  resto  i  dati  supposti  ricevono  la  loro  con- 
ferma. 

In  terzo  luogo  appariva  che  il  tempio  sorgeva  immediatamente 
sul  livello  del  suolo,  dal  quäle  le  pareti  si  alzavano  senza  zoccolo. 


DI    UN    ANTICO    TEMPIO    SCOPERTO    PRKSSO    Ar.ATRl  351 

Solo  dalla  parte  del  pronao  il  pavimento  era  un  poco  rilevato, 
essendo  preceduto  da  iiu  basso  gradino.  Appariva  iüoltre  che 
questo  gradino  era  formato  con  uno  stretto  orlo  di  pietre:  e  per 
consegueuza,  essendo  stato  necessario  dare  alle  basi  delle  colonne 
il  sicuro  riposo,  erano  state  queste  collocate  bopra  le  fondamenta, 
rimanendone  poi  mascherata  tutta  quolla  parte  del  plinto  che  ri- 
spondeva  all'altezza  del  gradino  sopra  acceunato. 

Fiualmente,  mentre  mancö  ogni  avauzo  del  materiale  con  ciii 
i  fiisti  delle  colonne  del  pronao  fiirouo  fatte,  si  ebbero  probabili 
indizii  per  giudicare  intorno  alla  forma  del  loro  capitello.  In  iiua 
casa  prossima  al  sito  ove  si  scoprirono  i  resti  del  tempio.  avevamo 
riconosciuto  una  pietra  da  macina,  che  come  giustamente  il  eh. 
prof.  Petersen  suppose  (Bull.  1.  c.  p.  147  fig.  13 «),  doveva  in 
origine  aver  servito  pel  capitello,  e  nella  quäle  i  tagli  e  le  offese 
deriv^anti  dal  uuovo  ufiicio  a  cui  era  stata  adoperata,  non  avevano 
distrutte  le  traccie  della  originaria  destinazione.  Ne  riproduciamo 
qui  il  profilo  esattameute  rilevato  dal  eh.  Winnefeld  sul  cartoncino. 


Ma  rimase  questo  un  sospetto  vago;  ed  in  generale  pareva 
allora  che  non  incoraggiasse  a  ricerche  ulteriori  l'insieme  del  dati 
raccolti,  tutto  portando  a  concludere  trattarsi  di  santuario  piccolo 
e  di  poca  importanza,  alle  cui  piccole  dimensioni  corrispondevano 
il  poco  valore  del  materiale,  la  negligeuza  del  lavoro  nei  dettagli, 
6  le  cattive  fondazioni,  cose  che,  nella  quasi  completa  distruzione 
dell'editicio,  ne  rendevano  assai  difficile  hi  ricostruzione. 


3o2  A.    COZZA 

Se  vi  era  parte  che  avrebbe  potuto  porgere  argomento  allo 
studio  di  una  reintegrazione,  era  soltanto  quella  che  si  riferiva  al 
coronameuto  fittile.  del  quäle  per  corrispondere  alla  squisita  cortesia 
della  Direzione  deU'Istituto  presi  ad  occuparmi. 

Ma  presto  mi  dovei  accorgere  che,  voleudo  riuscire  neU'intento, 
occorreva  per  mezzo  di  nuove  indagini  risolvere  alcuni  dubbi;  e 
con  queste  ultime  ricerche  sul  luogo  dello  scavo  mi  parve  poi  di 
venire  a  nuove  conclusioni  intoruo  alla  forma  ed  alle  vicende  del- 
Tedificio. 

Cio  e  necessario  che  qui  si  dica  brevemente,  anche  perche 
giova  a  preparare  la  risoluzione  della  tesi  intorno  al  coronamento 
fittile  del  sautuario. 

Se  l'edificio  avesse  avuto  la  forma  e  le  misure  che  dai  dati 
raccolti  si  desumevano,  non  poche  difßcoltä  si  presentavano  per  la 
esatta  distribuzione  delle  tegole  ornamentali,  e  della  copertura. 

Eivelavasi  fino  da  principio  quasi  il  bisogno  di  ammettere  che 
tutto  il  corredö  fittile  del  tetto  e  dei  suoi  ornameuti,  corredo  di 
cui  avevamo  raccolto  nou  scarsi  avauzi,  fosse  stato  destinato  ad 
una  fabbrica,  che  avesse  avuta  una  lunghezza  ben  maggiore  di  quella 
che  avevamo  creduto. 

Si  avvalorava  il  dubbio  esaminando  altri  dati,  pei  quali  era 
forza  di  ammettere  che  le  conclusioni  accettate  circa  le  misure  di 
lunghezza  non  potevano  essere  definitive.  Come  mai  infatti  avreb- 
besi  potuto  spiegare  la  prosecuzione  del  muro  laterale  al  di  lä 
del  termiue  segnato  pel  muro  posteriore  della  cella  ?.  Bastava 
questo  solo  a  provare  una  continuazioue  della  fabbrica  nella  parte 
postica  del  santuario. 

Inoltre,  se  il  tempio  fosse  stato  della  forma  e  della  misura 
che  si  credeva,  ed  avesse  avuto  termiue  nella  parte  postica  col 
muro  della  cella,  nella  liuea  ove  erasi  riconosciuta  una  pietra  di 
questo  muro  sporgente  nella  parte  interna  al  di  sopra  del  pavi- 
mento,  come  mai  si  sarebbe  avuto  qui  un'opera  liscia,  senza  ri- 
salto  di  sorta,  in  modo  da  mancarvi  quella  simmetrica  corrispon- 
denza  che  si  sarebbe  aspettata  con  la  base  dell'  anta  nel  lato  me- 
desimo  ?  Ne  vale  il  supporre  che  quivi  il  muro  fosse  stato  distrutto 
in  maniera  da  non  conservare  le  reliquie  o  le  tracce  di  questa  base; 
mentre,  se  in  origine  vi  fosse  stata  messa,  ne  sarebbero  apparsi 
gli  avanzi  almeno  nelle  fondazioni. 


DI    UN    ANTICO   TKMl'IO   SCOPEmO    PRESSO    ALATKI  3o3 

Si  potrebbe  forse  amiiiettere  cbe  la  costruzioue  nella  parte 
opposta  della  cella  avesse  formato  im  opistodomo.  Ma  anche  qiiesta 
conclusione  e  prematura  o  e  vaga;  e  fevmandosi  in  essa,  ci  ri- 
marrebbe  sempre  incerto  il  punto  preciso  in  cui  la  fabbrica  poste- 
riore si  fosse  arrestata;  e  si  rinunzierebbe  ad  altri  dati  che  ci  por- 
tano  a  risolvere  pienamente  11  toma. 

In  una  casa  colonica  prossima  allo  scavo,  in  quella  cioe  ove 
si  era  trovata  la  macina,  che  si  suppose  uno  dei  capitelli,  fu  rin- 
vennta  una  base  di  colonna,  che  finalmente  mi  fece  nascere  il  sospetto 
che  avesse  dovuto  essa  pure  appartenere  al  nostro  edificio.  Non  appar- 
teneva  al  pronao,  perocche  le  due  basi  delle  colonne  del  pronao 
erano  state  giä  scoperte,  la  prima  al  proprio  luogo,  quella  a  destra, 
l'altra  a  breve  distanza  dal  sito  originale.  Della  prima  di  queste, 
che  e  conservatissima,  il  profilo  fu  dato  dal  dott.  Winnefeld  (Bull. 
1.  c.  p.  147  fig.  13). 

Ma  poi,  anche  se  una  di  queste  due  basi  uon  si  fosse  rinve- 
nuta,  non  avremmo  per  questo  dovuto  attribuire  al  pronao  la  nuova 
base,  distingueudosi  essa  dalle  due  prime  per  caratteri  che  meritano 
la  maggiore  considerazione. 

II  suo  plinto  e  assai  piü  basso;  e  bastö  questo  solo  fatto  perche 
in  principio  non  se  ne  facesse  da  noi  alcun  conto,  sembrandoci  che 
quella  base  avesse  dovuto  appartenere  a  qualche  altro  edificio,  che 
in  quelle  vicinanze  fosse  stato  costruito.  Nondimeno  che  questa 
supposizione  fosse  stata  da  noi  troppo  facilmente  accolta,  e  che 
veramente  la  terza  base  avesse  fatta  parte  dell' edificio.  appariva  dalla 
corrispondenza  della  misura  del  suo  diametro  con  quello  delle  basi 
delle  colonne  frontali. 

E  poi  quello  stesso  carattere  che  prima  sembrava  darci  la  prova 
per  escludere  ogni  suo  rapporto  col  nostro  tempio,  pareva  venisse 
a  spandere  una  luce  inaspettata  sopra  le  vicende  del  tempio  stesso. 

Ho  detto  di  sopra  che  la  ragione  principale  per  cui  questa 
terza  base  non  parve  appartenere  al  nostro  edificio,  era  stata  questa, 
che  il  suo  plinto  aveva  minore  altezza  di  quello  delle  altre  due. 
Ma  uon  osservammo  allora  che  questo  plinto,  circolare  come  nelle 
altre  basi,  aveva  il  diametro  medesimo,  e  quel  che  piü  monta,  la 
sna  parte  lavorata  o  sporgente  dal  suolo  era  della  misura  stessa 
della  parte  sporgente  del  plinto  delle  due  colonne  del  pronao  al 
di  sop:a  del  gradino.  Era  quindi  naturale  che,  messa  questa  terza 


354  A..  cozzA 

base  in  opera,  iu  modo  da  posare  sul  piano,  e  non  rimanere  immersa, 
si  trovava  in  perfetta  corrispondenza  planimetrica  colle  altre,  e  cosi 
non  solo  come  le  altre  del  pronao,  ma  anzi,  piii  manifestamente  che 
esse,  appariva  essere  stata  lavorata  pel  nuovo  tempio.  E  dico  piii 
inanifestaraente  per  le  ragioni  seguenti.  che  a  mano  a  mano  mi  si 
rivelavano. 

I  plinti  nelle  basi  delle  due  colonne  del  pronao  erano  lavo- 
rati  in  tutta  la  loro  altezza,  auche  nella  parte  che  rimaneva  ma- 
scherata  dal  gradino.  Ora  nessnn  bisogno  vi  sarehbe  mai  stato 
di  questo  lavoro  di  pulitura  nel  tratto  in  ciü  doveyano  rimanere 
naseosti.  Insomma,  se  quelle  basi  del  prospetto  fossero  state  lavo- 
rate  per  servire  ad  im  editicio  quäle  era  quello,  la  cui  forma  po- 
tevamo  dedurre  dai  resti  rimessi  a  luce,  nessun  bisogno  vi  sarebbe 
mai  stato  di  dare  al  loro  plinto  tutta  quella  altezza. 

Tanto  piü  che,  se  maggiormente  si  riflette,  nessun  valore  puö 
avere  Tipotesi  che  per  dare  alle  due  colonne  del  pronao  il  riposo 
necessario,  se  ne  fossero  collocate  le  basi  sopra  le  fondameuta  della 
fabbrica,  e  non  sul  gradino.  Se  basi  e  gradino  nel  prospetto  del 
tempio  fossero  stati  messi  in  opera  contemporaneamente,  e  mani- 
festo  che  le  cose  si  sarebbero  fatte  in  modo  diverso,  essendo  in- 
concepibile  che  in  uua  fabbrica  originale  si  ricorresse  a  misure 
che  hanno  il  caratfcere  spiccato  di  ricostruzioni  o  di  rattoppi. 

Benche  io  abbia  motivi  per  non  pronunziare  cosi  severo  giudizio 
suU'insieme  dell'opera,  quäle  pei  dati  che  prima  si  ebbero  poteva 
formularsi,  pure  non  Torrei  lasciarmi  cosi  vincere  dall'amore  del 
tema  da  sostenere  che  il  lavoro  di  costruzione  nel  nostro  tempio 
fosse  stato  perfetto  in  ogni  sua  parte.  Tuttavolta,  ammettendo  pm-e 
la  negligenza  che  si  voglia  credere,  resterä  sempre  inconcepibile 
che  nella  fondazione  originale  della  fabbrica  si  pensasse  a  costruire 
un  gradino  con  mezzi  cosi  poveri  e  di  ripiego  come  quelli  che  ci 
si  presentano;  e  vi  si  mettessero  basi  di  colonne  con  plinti  assai 
piü  alti  di  quanto  il  bisogno  portava,  e  lavorati  anche  in  quella 
parte  della  loro  superficie  che  sarebbe  rimasta  nascosta  a  causa 
del  gradino. 

Pill  naturale  invece  e  il  supporre  che  questo  gradino,  anziehe 
all'opera  originale,  appartenesse  ad  un  rifacimento  o  ad  una  modi- 
ücazione  dell'edificio.  Esso  ci  mostra  che  in  im  dato  tempo  il  li- 
vello  del  pavimento  fu  rialzato,  e  rialzato   quanta  e  l'altezza  del 


DI    IN    ANTlCu    TKMl'IO   SCOPERTO    I'RESSO   ALATRI  355 

gradino  inedesimo,  ossia  quanta  e  l'altezza  dc41e  basi  delle  colonue 
del  prouao  che  rima.se  coperta. 

E  poiclie  per  gli  altii  dati,  come  sopra  si  e  detto,  non  si  piio 
ritenere  che  la  fabbrica  di  cui  raccogliemmo  gli  ornati  tittili, 
fosse  stata  della  limgliezza  che  prima  si  supponeva,  e  non  solo  im 
miiro  clie  accenna  al  proluiigamento  deirediticio  al  di  lii  della 
cella,  ma  abbiamo  anclie  ima  l)ase  di  colonna  che  corrispon- 
dente  per  molti  riguardi  alla  prima,  doveva  aver  fatto  parte 
dell'edificio  stesso,  non  pare  ammissibile  che  quando  fu  costruito 
il  gradino,  fo^se  stato  rialzato  soltauto  il  livello  del  pavimento,  e 
lasciato  l'editicio  nello  stato  primitivo;  ma  tutto  porta  a  conchi- 
dere,  che  con  questa  moditicazione  le  misiire  del  terapio  furono  ac- 
cresciute,  ossia  vi  fu  aggiimto  posteriormente  im  portico,  con  due 
colonne  come  1 'anterior!,  e  con  le  basi  di  queste  due  colonne  in 
armonia  col  nuovo  livello  del  pavimento. 

Se  queste  conclusioni  sono  esatte,  vi  sono  due  periodi  ben  di- 
stinti  nella  storia  del  nostro  santuario. 

Originariamente  abbiamo  un  tempio  tuscanico  con  pronao  e 
cella  soltanto.  che  sorgeva  dal  suolo  senza  rialzo  di  sorta,  e  senza 
gradino  alcuno  nella  facciata,  cosi  che  il  pavimento  rimaneva  al 
livello  delle  basi  delle  colonne  del  pronao,  e  dei  plinti  di  queste 
nessuna  parte  restava  immersa  o  mascherata. 

Posteriormente  aggiunto  il  portico  opposto,  avemmo  un  tem- 
pio amfqypostilo  con  elementi  tuscanici,  nella  quäle  moditicazione, 
fu  nella  parte  äntica  dell'edificio  rialzato  il  pavimento  per  tutta 
l'altezza  del  gradino ;  e  nella  parte  nuova  le  basi  delle  nuove  co- 
lonne, lavorate  ad  imitazione  perfetta  delle  prime,  furono  fatte 
con  un  plinto,  non  giä  alto  come  quello  delle  basi  originarie,  ma 
quanto  loro  conveniva  per  rimanere  a  livello  del  plinto  delle  basi 
antiche   sporgenti   fuori   dal  nuovo  pavimento. 

E  poiche  la  reintegrazione  del  coronameuto  fittile  deve  essere 
proporzionata,  non  giä  alla  fabbrica  originale,  ma  all'edificio  modi- 
ficato,  e  mestieri  che  di  questa  moditicazione  sia  data  qui  la  pianta. 


21 


A.    COZZA 


X 


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arxÄ 


]<I    IN    ANTICU    TE.MI'IO    SCOl'ERTO    I'RKSSO    AI.ATKl  3Ö7 

II. 

Ci  si  presentano  cosi  due  dei  dati  principali  pel  nostro  studio ; 
conosciamo  cioe  quäle  sia  stata  la  lun-rhezza,  quäle  la  larghezza 
della  fabbiica,  a  cui  il  eoronamento  fittile  deve  essere  adattato- 

Nondimeno  per  tenere  il  metodo  piü  sicuro,  ed  avere  i  mag- 
giori  sussidi  che  avvalorino  le  iiostre  coiiclusioni.  e  mestieri  ricer- 
cai-e  qualche  altro  dato,  per  cui  ci  si  riveli  nel  modo  piü  esatto 
che  sia  possibile,  quali  fossero  le  misure  e  le  proporzioni  in  quella 
parte  deU'edificio,  ove  tutta  la  compagine  del  tetto  veniva  a  po- 
lare, e  dove,  in  piena  armonia  col  materiale  ligueo,  le  tegole.  gli 
antepagmenti,  le  antefisse,  e  tutto  Tapparato  di  copertura  e  di  eo- 
ronamento tittile  dove  essere  soprapposto. 

Non  e  infatti  sufficiente  avere  innanzi  il  solo  principio  che 
i  muri  laterali  dovevano  sollevarsi  con  lo  spessore  medesimo  che 
apparisce  uella  parte  inferiore  di  essi,  ove  un  piccolo  residuo  della 
costruzione  antica  resistette  alle  ingiurie  del  tempo  e  degli  uomini ; 
ed  in  conseguenza  di  ciö,  dfeterminata  una  probabile  altezza  di 
questi  muri,  adattarci  sopra  l'apparato  ligneo  e  la  copertura  orna- 
mentale. 

Imperocche  con  questa  guida  soltanto  si  trascurerebbero  altri 
elementi  di  importanza  non  lieve,  i  quali  si  risolvono  poi  in  veri 
fattori  del  prodotto  ultimo  che  devesi  ottenere. 

Senza  dire  che  la  questione  delFaltezza  non  e  poi  tale  che 
presciudendo  da  altre  cousiderazioni  si  possa  stabilire;  ne  e  cosi 
secondaria  come  a  prima  vista  potrebbe  credere  chi  considerare 
volesse  in  se  e  per  se  il  tema  del  eoronamento  fittile,  a  cui  i  nostri 
studi  sono  rivolti.  Si  avrebbero  differenze,  lievi  se  vuolsi;  ma 
capaci  di  determinare  una  sproporzione,  che  l'indagine  accurata 
ha  il  dovere  di  evitare.  E  ciö  pel  motivo  che  Tossatura  del  tetto 
non  solo  sopra  i  muri  laterali,  ma  sopra  la  sommitä  dei  capi- 
telli  delle  colonne  trova  il  suo  piano  di  posa;  per  cui  e  mestieri 
indagare  in  quäle  rapporto  fra  loro  questi  due  limiti  ultimi  della 
fabbrica  dovevano  trovarsi. 

Certamente  il  problema  sarebbe  di  per  se  risoluto,  se  le  co- 
lonne fossero  State  di  pietra  o  di  tufo,  e  se  ne  fossero  conservati 
i  rocchi. 


358  •^-  cozzA 

]S'oudimeno  se  esse  fiiröno  di  fabbrica,  come  dobbiamo 'siip- 
porre  argomeutando  dall'assoluta  mancanza  di  ogni  frammento  la- 
pideo  che  ai  fusti  di  tali  colonne  avesse  potuto  appartenere,  non 
dovreramo  perciö  concludere  che  ci  manchi  ogni  indizio  per  sco- 
prire  l'altezza  loro. 

Ad  una  di  esse  appartenne  senza  dubbio  il  capitello.  iu  pietra 
calcare,  di  ciii  in  prossimitä  deH'ara  ove  sorgeva  il  nostro  tempio, 
fu  riconosciuto  iin  frammento,  iisato  come  macina,  secondo  che  ho 
ricordato  in  principio. 

I  niiovi  studi  che  vi  ho  fatto,  se  provano  che  con  questo  mi- 
sero  avanzo  si  poträ  reintegrare  la  forma  originaria  dei  capiteili 
del  nostro  tempio,  portano  ad  esclndere  il  sospetto  che  ad  altro 
tempio  questo  pezzo  architettonico  avesse  appartenuto.  Siamo  fuori 
dell'abitato  antico,  in  ima  contrada  ove  rade  fiirono  le  costruzioni, 
e  dove  le  indagini  nostre  ci  avrebbero  condotto  a  riconoscere  al- 
meno  qualche  segno  di  altro  vetusto  tempio,  se  altro  in  quei  dintorni 
ne  fosse  stato  eretto.  Ma  vi  sono  pure  le  ragioni  di  misure  e  le 
ragioni  stilistiche,  le  quali  servono  di  conferma :  per  cui  restituendo 
al  nostro  avanzo  quanto  venne  a  perdere  per  l'attrito,  e  comple- 
tandone  le  parti,  ne  risulta  un  capitello  molto  singolare,  che  si 
distacca  dal  dorico,  e  dal  tuscanico  come  si  potrebbe  intendere 
da   Vitruvio,    e   di   cui   nelle   costruzioni   dell' Etruria   non  man- 

cano  esempi. 

A  queste  colonne  appartenevano  le  basi  di  calcare,  due  delle 
quali,  quelle  del  pronao,  come  si  e  accennato,  non  solo  ci  si  con- 
servarono  intatte,  ma  quel  che  piü  vale  per  noi,  rimasero  al  loro 
posto,  mostrandoci  quäle  fosse  stato  il  diametro  inferiore  delle 
colonne,  mediante  le  precise  indicazioni  del  piano  su  cui  le  colonne 
venivano  a  posare. 

Questo  diametro  e  di  m.  0,76;  e  se  puö  servirci  di  norma 
il  principio  di  Vitruvio,  dove  tratta  dei  templi  areostili,  alla 
quäle  specie  il  nostro  appartiene,  abbiamo  gli  elementi  che  occor- 
rono  per-  supporre  tutta  l'altezza  delle  colonne,  dicendo  Vitruvio 
che  doveva  questa  essere  uguale  al  diametro  inferiore,  ripetuto 
otto  volte. 

Che  il  risultatö  sia  giusto  sarebbe  confermato  da  un  altro 
precetto  che  pure  si  deduce  da  Vitruvio,  secondo  il  quäle  l'altezza 
delle  colonne  in  un  tempio  (che  per  molti  riguardi  avrebbe  somi- 


DI    rx    ANTICO   TEMPIO   SCOPERTO   PRESSO   AI.ATRI  359 

glianza   col  nostro),    doveva   a  im  dipresso   corrispondere  alla  lar- 
ghezza  dello  spazio  interposto  tra  le  colonne  stesse. 

Nel  qiial  caso  si  ripeterebbe  per  ooi  la  misiira  di  m.  6,80 
che  procedeudo  colFaltro  metodo  ab))iamo  otteuiito. 

Avremmo  pure  da  Vitruvio  le  misure  della  rastreraazioue  delle 
colonne,  la  quäle  dovrebbe  essere  di  un  quarto  del  diametro  infe- 
riore. Questo  ci  viene  a  priori  dimostrato  dalle  proporzioni  stesse 
del  capitello  reintegrato ;  e  con  una  piccola  difterenza  e  provato 
pure  dalla  tangente  formata  dal  prolungamento  del  muro  esterno. 
La  differenza  e  di  soll  cent.  3,  difterenza  che  seguendo  altre  norme 
per  le  costruzioni  di  antichi  edifici,  nasce  a  causa  della  inclinazione 
che  e  data  alle  colonne. 

In  tal  modo  ci  sono  offerti   gli  elementi  necessari  per  deter- 
minare  il  piano  di  posa  della  trabeazione. 

^''^'''^  A.  COZZA 


FUXDE 

(Vgl.  S.  226  und  302), 


Eine  kurze  Uebersiclit  über  weitere  Funde  dieses  Jahres, 
die  meist  auf  den  officiellen  Berichten  der  Notüie  1891  {N)  be- 
ruht, wird  bei  der  Beschaffenheit  des  Materials  wie  auch  der 
Fundorte  besser  sachliche  als  locale  Anordnung  einhalten,  diese 
letztere  aber  durch  ein  nach  den  Regionen  geordnetes  Ortsverzeich- 
niss  am  Schluss  ersetzen. 

Hüttenböden,  foiidi  di  co/panna,  mit  den  Spuren  der  einge- 
rammten Pfähle,  welche  durch  Geflecht  verbunden  die  Wände 
bildeten  und  das  Dach  trugen,  sind  au  mehreren  Stellen  consta- 
tiert,  so  in  Bologna  {N.  S.  19)  unter  Ziegelböden  späterer 
Zeiten;  forner  in  Yhö  (Cremona  N.  S.  44  und  303)  wesentlich 
ähnlich  den  im  Bullett.  di paletnolofjia  XVII  S.  10  beschriebeneu, 
aber  zu  den  palafitte  occideiitali  gehörig,  sowohl  aus  der  späteren 
Stein-  wie  aus  der  Bronzezeit;  etwas  genauer  in  Arcevia  (Ancona, 
N.  S.  241),  wo  derselbe  Boden  einer  älteren  tieferen,  und  einer 
späteren  minder  tiefen  Hütte  gedient  hat,  in  beiden  Lagen  aber 
dieselbe  Cultur  aufweist.  U eher  die  Terremare  von  C  a  s  t  e  1 1  a  z  z  o 
di  Paroletta  wird  Pigorini  in  den  3Iom'.meuti  aiitichi  dol 
Lincei  seine  Untersuchungen  vorlegen;  N.  S.  304  (vgl.  oben  S.  loG) 
deutet  er  die  Hauptpunkte  an:  die  ganze  Niederlassung,  in  Form 
eines  Trapezes  (Ost-  und  Westseite  parallel),  von  30  m.  breitem 
Graben  mit  rinnendem  Wasser  umgeben,  hatte  einen  Flächenraum 
von  18  Hektar.  Eine  Holzbrücke  führte  in  der  Mitte  der  Süd- 
seite über  den  Graben ;  Gräber  liegen  im  Südwesten  und  Westen 
aussen  am  Graben. 


K.    PKTEUSKN,    FINDK  "Cl 

Gräber  der  IJroiizezeit  wurden  g-ei'iiiideii  in  Copezzato 
(Parma,  Itendiconti  S.  345),  in  Castrocaro  bei  Forli  (.V.  S.  147) 
in  Saviguano  sul  Paiiaro,  doch  nur  am  r.  Ufer  des  Flusses 
(.V.  S.  110),  in  Este  bei  S.  Stefano,  worüber  umständlich  be- 
i'ichtefProsdocimi  ^V.  S.  175.  Von  besonderem  Interesse  dünken 
mich  diejenigen  von  S.  Giovanni  in  Persiceto  (24  K. 
nördlich  von  Bologna)  wegen  der  schon  ol)en  S.  283  erwähnten 
jetzt  N.  S.  82  voii  Brizio  kurz  beschriebenen  Stelen  :  eine  mit 
geometrischen,  schwarzgefüllten  Ornamenten,  eine  andre  '  in  Form 
«ines  ^6ccrov\  mit  Kopf  ohne  Arme  -  mich  erinnerte  dieselbe  au 
den  Stein,  welcher  auf  der  rfg.  Vase  (Stephani,  CR.  1873  T.  V) 
als  Deckel  des  Weinfasses  des  Pholos  dient  -  0.98  m.  hoch,  wovon 
0.43  m.  in  der  Erde  zu  stecken  bestimmt  w^aren  (')•  Wenn  da- 
neben eine  dritte,  nur  eingeritzt,  die  Figur  eines  Mannes  mit 
•Schild  und  Speer  zeigt,  so  liegen  offenbar  primitive  Analogien 
sowohl  für  Grabstatuen  als  für  die  das  Mannesbild  in  Relief  oder 
Malerei  tragenden  griechischen  Stelen  vor. 

lieber  die  schon  oben  S.  234  berührte  Nekropolis  von  Nu- 
mana  südöstlich  von  Ancona  und  die  der  gleichen  Cultur  ange- 
höriofe  naheliegende  von  Osimo  ist  N.  S.  115,  149,  193,  282 
berichtet.  Es  sind  nur  Leichengräber,  die  Leichen  sitzend  mit  ange- 
zogenen Knieen,  auch  wohl  gekreuzten  Unterschenkeln  bestattet. 
Unter  den  beigegebenen  Waffen  fallen  Eisenschwerter  von  der  Form 
des  Hcuidschars  auf  (ähnliche  neuerdings  bei  Serra  S.  Qui- 
rico,  am  1.  Ufer  des  Esino  gefunden  N.  S.  300),  von  der  Form 
wie  auf  dem  Vasenbilde  Zannoni,  Scavi  I.  XI  in  Memnons  Hand, 
Oller  bei  dem  Attalischen  Giganten,  darum  nach  Brizio's  Meinung 
harbarisch  nicht  griechisch.  (Ein  Schwert  gleicher  Form  führt 
allerdings  auch  ein  Perser,  Gerhard  A.  V.  T.  CLXVl,  aber  T.  LXIV 
ein  Gott  so  gut  wie  ein  Gigant,  T.  CLXII  Theseus,  CCCIX 
Akamas  u.  s    w.). 

Unerheblich  scheint  die  Ausbeute  der  Nekropolis  von  Nora 
(Pula  südlich  von  Cagliari)  auf  Sardinien,  mehr  phoenizischen 
als  griechischen  Einfluss  bezeugend  N.  S.  299. 

Aus  den  Griechenstädten  (-)   von    Sicilien.  und  Unteri- 

(1)  Vgl.  die  Hennen  älinlicheu  Stelen  bei  Kuldewey.  Xeandria  S.  17. 

(2)  Unerheblich  ist  Oreste  Dito,  Velia,  Koni  1891. 


362  E.    PETERSEN 

talien  verlautet  wenig:  der  Fund  der  ersten  rfg.  Vase  aus  der 
ältesten  Nekropolis  (del  Fnsco)  von  Syrakiis,  einer  '  Kalpis  \ 
nach  Ornamentik  und  Darstellung,  den  von  Kltigmann  Ädaali  1867 
S.  20  aufgezählten  anzureihen,  (eine  zweite  rfg.  Amazonenvase 
nebst  sfg.  Herakles  (!)  und  Minotauros  wird  neuerdings  gemeldet); 
sodann  was  Orsi  N.  S.  61  in  Stilo  (Stilida  des  Itinerarium)  beim 
Leuchtthurm  an  Bauresten  und  Terrakotten  gefunden  hat,  so  zwei 
jener  kleinen  Steinkästen  mit  archaischen  Reliefs,  ein  Deckziegel 
[}]Yeab}v),  auf  dessen  vorderem,  nicht  überhöhtem  Verschluss  ein 
nackter  jugendlicher  Delphinreiter  mit  Schild  in  der  Linken 
(abgeb.  S.  QQ)  dargestellt  ist.  Ein  a(,)h]v  mit  zugleich  —  was 
nicht  so  ungewöhnlich  in  Grossgriechenland  —  plastisch  mid 
farbig  ausgeführten  Ornamenten,  bleibt  mir  trotz  der  (schwerlich 
richtig)  angeführten  Analogien  unverständlich,  namentlich  wegen 
des  Winkels,  in  welchem  Ober-  imd  Vorderfläche  zusammentreffen. 
Sehr  fragwürdig  ist  das  '  dorische  Capitell ',  imd  der  Gedanke  an 
Kaulonia  daselbst  einstweiten  ohne  Halt.  (Aus  Selinus  wird  so  eben 
der  Fund  dreier  neuer  Reliefmetopen  gemeldet,  auf  welchen  mit 
Resten  von  Polychromie  Herakles  und  der  Stier,  Europe's  Entfüh- 
rung, eine  Sphinx  dargestellt  sind.  Sie  gehören,  wie  maa  berichtet, 
zu  keinen  unter  den  bereits  vorhandenen,  stehen  aber  stilistisch 
den  ältesten  nahe). 

Allerdings  nicht  neueste  Funde  aber  die  Summe  langer  und 
mannigfaltiger  Erfahrungen  eines  vielseitig  unterrichteten  Beobach- 
ters sind  vorgelegt  in  der  Topografia  e  storia  di  MetaponLo 
pel  dott.  Michele  Lacava,  Napoli  1891  ('). 

Das  Buch  giebt  zuerst  eine  das  Naturwissenschaftliche  sehr 
berücksichtigende  Beschreibung  der  Flussthäler  des  Bradano  (dazu 
S.  335  die  Beschreibung  einer  Anzahl  hochalter  Befestigungen  : 
Monte  Ir80,  Monte  S.  Angelo,  Torre  d'Äntuono  di  grottole, 
Timmari)^   Basento,    Salandrella    (alte    Burgen    S.  340  flf.),  Agri. 

(1)  Vieles  war  vom  Verf.  schon  in  den  Notizie  berichtet,  einiges  beson- 
ders über  älteste  Ansiedelungen  auch  in  seinen  Antichüä  lucane  da  scavi 
joraticatl  negli  anni  1886,  1889,  Potenza  1890,  zweiter  Titel  del  sito  del- 
Vantica  Siri,  Potenza  1889:  Geschichte  und  Lage  von  Siris  am  r.  Ufer  des 
Sinni,  zetzt  3,  einst  wohl  nur  '/-•  Kilom.  vom  Meere  auf  3  K.  langer,  ','2  K- 
breiter  Erhebung,  ohne  Mauen-este,  ausser  von  Häusern,  aber  mit  vielen 
Thonscherben,  Cisternen,  Pesten  eines  Bades,  Gräbern  wie  die  von  ^letapont. 


FLNDE  363 

Es  folgt  eiüe  in  allgeiiieineii  Zügen  gehaltene  Topographie  von 
Metapout  (Taf.  1).  Sodann  genaueres  über  die  beiden  dorischen 
Tempel  (T.  II-X),  voran  den,  welchen  man  wegen  der  dabei  ge- 
fundenen alterthümlichen  Inschrift  (T.  XIV,  Kaibel  (347)  dem 
Apollon  Lykeios  zuschreibt,  dessen  Fundamente  (T.  II),  wie  mir 
scheint,  für  die  Berechnung  der  (3X11  Säulen  nicht  ausreichen. 
Auch  das  Profil  des  Capitells  auf  T.  IV  ist  nach  meinen  an  Ort 
nnd  Stelle  gemachten  Aufzeichnungen  nicht  genau  wiedergegeben: 
im  unteren  Theile  nicht  gedrückt  und  rundlich  genug,  die  Ringe 
zu  abweichend  von  dem  zweiten  Tempel  und  durch  zu  tiefe 
ünterhöhlung  von  den  Canälen  gesondert ;  icli  habe  mir  speciell 
für  den  äusseren  Ring  ein  vom  untersten  Theile  des  Echinos 
abweichendes  Neigungsprofil  angemerkt.  Die  thönernen  Verklei- 
dungsstücke  Taf  V,  VI,  sind  (vgl.  S.  80  und  115)  nicht  identisch 
mit  denen  bei  Lnynes  Taf  VIII,  der  Maeander  z.  B.  rechts-  statt 
linksläufig;  nnd  auch  zu  den  (T.  VII)  aus  Lnynes  wiederholten 
Antefixen  kommen  andere  auf  T.  IV. 

Der  Grundriss  des  andern  Tempels  {Tavola  de'  Paladini, 
T.  VIII)  ist  dagegen  im  Wesentlichen  gesichert.  Die  NO-Ecke 
des  Hallenfuudaments,  nach  der  Ausgrabung  orten  gelassen,  ge- 
stattet in  der  That  zu  den  stehenden  10  Säulen  der  Nordhalle 
östlich  nur  grade  zwei  weitere  (also  6  X  12)  anzusetzen,  mit  wel- 
chen ein  Pronaos  gleich  dem  Opisthodom  gegeben  ist.  Dass  sodann 
die  zehnte  Säule  gegen  Westen  in  der  That  die  letzte  Avar,  wofür 
L.  S.  84  nur  ein  negatives  Argument  gefunden  hat,  ergiebt  sich 
positiv  daraus,  dass  die  unter  dieser  Säule  liegende  Stylobatplatte 
nicht  Avie  diejenigen,  auf  welchen  die  andern  G  Säulen  dieser 
Reihe  stehen,  sowohl  östlich  Avie  westlich  auf  Anschluss  (an  die 
jetzt  nicht  mehr  vorhandenen  ZAvischenplatten)  gearbeitet  ist  sondern 
nur  auf  der  Ostseite  ;  zweitens  daraus  dass  das  auf  ihr  liegende 
Epistyl  auf  Gehrung  geschnitten  ist  ('). 

S.  91  if.  sind  eine  Anzahl  antiker  Vororte  nachgewiesen, 
und  Beobachtungen  über  die  Constrnction   der  Häuser    aus    cre- 


(1)  Zwei  angeblicli  in  diesem  Tempel  gefundene  Mosaiken  (S.  238 
und  375,  das  eine  abgebildet  bei  R.  Eochette,  Peintures  antiques  in^dites 
Taf.  XII,  S.  395,  427)  welche  noch  von  Lenormant,  la  Grande  GrVce  III  S. 
140    zur    Bestimmung  der   Tempelgottheit   benutzt   sind,   werden   vom    Verf. 


364  E.    PETERSEN 

brannten  oder  ungebrannten  Ziegeln  auf  Quaderfundamenten  (also 
wie  das  Heraion  von  Olympia  ('?),  von  geringer  Höhe,  mit  Scliie- 
bethiiren  gesammelt.  Brunnen  dienten  der  Wasserversorgung, 
meist  c.  3  m.  tief.  0.70  m.  im  Durchmesser,  mit  Thonröhren  aus- 
gesetzt, welche  von  isolirender  Sandschicht  umgeben  und  mit  dia- 
metral einander  gegenüberstehenden  kreisbogenförmigen  (die  Sehne 
unten)  Ausschnitten  versehen  sind.  die.  rückwärts  mit  Platten 
zugesetzt,  ihrer  Form  und  Grösse  wegen  doch  schAverlich  blos  für 
den  Wassereinüuss  gemacht  sind,  sondern  vielmehr  zum  Ein- 
stemmen der  Füsse  beim  Ein-  und  Aussteigen,  ganz  wie  die  theils 
offenen,  theils  verschlossenen  pedarole  der  Brunnencylinder 
vom  Esquilin  {Annall  1880.  S.  300  it\). 

Als  Hafen  hat  der  alten  Stadt  nach  L.  der  Lago  di  Pa- 
lagiiia  gedient,  bei  welchem  eine  kirchenähliche  Ruine  aus  einem 
Tempel'  umgebaut  sein  soll,  ausserdem  auch  die  Mündung  des  Bra- 
dano.  Die  Gräber.  S.  104  (vgl.  S.  326.  329),  meist  in  den  Höhen 
im  Nordwesten  der  Stadt  gefunden,  pflegen  rechteckige  Gruben  zu 
sein,  die  besseren  mit  Steinplatten  ausgesetzt;  wie  ich  1889  eines  vor 
kurzem  ausgegraben,  mit  sorgfältig  gefugten  Platten  fand.  1.  98  m. 
lang,  0.78  m.  breit  und  mindestens  0.50  m.  tief.  S.  110  sodann 
die  Inschriften  (Kaibel  647-652)  und  eine  echte  lateinische  CLL. 
X,  8089;  S.  114  Fundstücke  (vgl.  S.  310  das  Livenlario  della 
raccolta  degli  oggetii  antichi),  voran  ein  Kalksteinrelief  von 
'  Porto ',  jetzt  von  etwas  stumpfen  Formen.  Wie  umstehender,  nach 
meiner  Photographie  angefertigter  Zink  erkennen  lässt,  ist  nicht 
Herakles  oder  Polyphem  dargestellt  sondern  Pan,  bequem  auf  dem 
vortretenden  Felsen  sitzend,  die  von  den  Knieen  abwärts  stark 
verdünnten  und  mit  zottiger  Behaarung  bedeckten  Beine  kreuzend. 
Der  Kopf  ist  oben  spitzig,  ohne  deutliche  Hörner,  nicht  unedler 
Bildung.  Die  Rechte  hält  die  Svrinx  an  den  Mund,  während  die 
Linke  vermuthlich  oben  an  der  rechts  auf  dem  Felsen  aufgestützten 
Keule  Halt  fand,  und  das  grosse  über  den  Felsen  gebreitete  Lö- 
wenfell auch  über  die  linke  Schulter  herabhing.  Unten    vor    dem 


nur  hiiii^iclitlicli  ihrer  Zui^eliürii^keit  zum  Tempel  angezweifelt,  obgleich  sie  mit 
andern  ihres  gleichen  längst  abgethan  sind  von  Engelnunn,  Khein.  Mus.  1874 
S.  57.3,  dem  Schreiber,  die  Wiener  Brunnenreliefs  S.  79,  75  kaum  wider- 
spricht. 


i-TM>i.: 


etwas  aiisgehöhlteu  Felssitz  lacjert  ein  Panther  oder  Hund,  Avährend 
oben  links  eine  Geis  mit  vollem  Enter  den  Kopf  zu  demjenigen 
des  Gottes  hinhält  ('). 


(1)  Pan  in  ffleicher  Kichtung  sitzend,  aber  nienschenbeinig  und  aufrechter 
auf  Münzen  von  Pandosia  {Brit.  .Uns.  Itahj  S.  370),  neben  ihm  ein  Hund  fast 
wie  im  Pelief;  8.  371  Pan  bewehrter  sitzend  mit  zwei  Hunden;  mit  der  Syrinx 
unter  dem  Arm :  Pella,  Macedonia,  S.  03.  vgl.  Delphi,  Central  Greece,  T.  TV,  14  ; 
Arkadien.  Peloponnesus  XXXII,  10  f.  und  XXXV,  10  ff.;  endlich  Messana. 
Imhoof-Blumer,  Mon.  gr.  B.  5,  wu  ein  grosser  Hase  die  Stelle  der  Ziege  in 
unserem  Pelief  einnimmt.  Xaliverwandt  diesem  und  dem  Delphischen  Münz- 
bild ist  ein  0.22  m.  hohes  Tlionrelief  in  Lecce  Pan,  jugendlich  in  Dreivier- 


30t3  E.    PETERSEN 

Ferner  das  im  American  Journal,  1838,  S.  28  abgebildete, 
den  bekannten  Typus  des  taurus  coniupeta  nach  links  (')  darstel- 
lende Bronzeplättclien:  von  Terrakotten  ein  par  jener  Steinkästen 
(s.  S.  128),  eines  mit  zwei  ringenden  Eroten  auf  der  einen  Seite 
(alle  4  Seiten  abgebildet  Ga:.  archcol.  1883,  S.  68);  Fragmente 
von  Keliefs,  ganz  wie  die  von  Wolters,  Arch.  Zeit.  1882,  S.  293 
behandelten  und  Fig.  17  ff.  abgebildeten  aus  Tarent  ('Todtenmahl'), 
endlich  (S.  118  T.  XYI  und  S.  327  auch  Gas.  arch.  a.  a.  0. 
S.  69,  vgl.  S.  7)  ein  par  jener  mit  den  verschiedensten  Symbolen 
dicht  bedeckten  Keliefscheiben.  wie  die  von  Jahn,  Aberglaube,  d. 
bösen  Blicks  T.  Y,  3  abgebildete.  Wichtiger  sind  die  nur  kurz 
erwähnten  '  Metopeufragmente  '  aus  Kalkstein  (Marmor?):  das  von 
Heibig,  Bullett,  1881  S.  202  erwähnte  Bein  eines  lebhaft  schrei- 
tenden Mannes  in  Relief;  ferner  eine  Linke,  wie  mir  schien,  die 
Handhabe  eines  Schildes  fassend;  eine  rechte  Hand  mit  Bohrung 
für  einen  etwa  wie  das  xtiTQov  eines  AVagenlenkers  gehaltenen 
dünnen  Stab.  Der  Stil  dieser  Skulpturen  schien  mir  den  '  Aegineten  ' 
verwandt. 

In  dem  sprossen  der  Geschichte  gewidmeten  Abschnitt  ist 
gewiss  das  dem  Verf.  Eigenthümlichste  in  dem  ersten  Theil  über 
die  pri7ni  abitatori  della  regionc  metapontiaa  e  della  Lucania, 
enthalten:  die  Beschreibung  (vgl.  Notine  1887  S.  332;  1889 
S.  137;  Gas.  archeol.  1883  S.  81)  der  alten  Burgen  mit  cyklo- 
pischen  Mauern  von  Serra  della  Scala,  (nach  L.  Numistron 
bei  Livius  27,  2)  T.  XVIII,  Capo  Coirpola  T.  XIX,  Temim 
Cartaglia,  Castro  Cicurio,  Croccia  Cogaata,  Albano  di  Lucania 
T.  XX,  Baragiaiio),  in  welchen  allen  keine  Münzen  noch  In- 
schriften gefunden  seien,  sondern  nur  Scherben  von  grossen,  nicht 
auf  der   Scheibe  gemachten  Gefässen,   und    deren    Zertörung    von 


telaiisiclit  nach  r..  Kopf  nach  I.,  auf  dein  fellühevcleckten  Felsen  sitzend,  darauf 
die  Rechte  stützend,  wie  die  von  der  Linken  hoch  gefasste  Keule ;  rechts  oben 
neben  ihm  ein  Hund;  das  Ganze  eingerahmt  von  zwei  kahlen  Bäumen,  deren 
Zweige  über  dem  Kopf  des  Gottes  an  einem  Stern  zusammengehen. 

(1)  Heibig,  Bull.  1881  S.  202  beschreibt  offenbar  eben  diesen  ;  durch 
Schreibverschen  ist  aber  ein  Eber  daraus  geworden,  und  Lenormant,  Gaz.  arch. 
S.  67,  verbindet  Eber  und  Stier.  Wie  eine  Copie  im  Gegensinn  nimmt  sich 
ein  plattes  Thonrelief  im  Museum  von  Catanzaro  aus. 


1  TM-K 


367 


Menschenhand  offenbar  sei ;  dazu  eine  Reihe  von  etwas  jüngereu 
wie  Ällamura,  Coiiversado  u.  s.  w. 

In  Cumae  {N.  S.  235)  wurden  drei  Gräber  gefunden,  deren 
eines,  mit  Tuffplatten  ausgesetzt,  innen  bemalte  Wände  hatte.  Eine 
genauere  Beschreibung  verdanke  ich  A.  Mau.  (So  eben  geht  die 
farbige  Piiblication  im  vol.  XYl  derjU  Ätti  d.  R.  Accad.  napol. 
mit  Text  von  ßuggiero  und  Sogliano  ein). 

«  Das  Grab  maass  innen  2.52  X  1.(53  m.  (d.  i.  6  X  4  osk.  Ellen) 
und  war  bis  zu  den  Deckenschrägen  4  Ellen  hoch,  diese  noch  3 
Ellen.  Gemalt  Avar  der  Sockel  rings  roth,  oben  mit  schwarzem  AVel- 
lenbaud  abgeschlossen,  darüber  weiss.  Ein  Bild  auf  solchem 
Grunde  trug  nur  die  Hinterwand,  der  untere  quadrate  Theil  aus 
zwei  nebeneinander  liegenden  Blöcken  gebildet,  der  obere  dreieckige 
aus  zwei  übereinander  liegenden,  von  denen  der  oberste  nach  N. 
S.  235  eine  Sirene,  nach  Mau's  Erkundigung  ein  Gorgoneion  zwi- 
schen zwei  Vögeln  enthielt.  Die  Darstellung  des  unteren  Quadrats 
beschreibt  Mau  folgendermaassen.  Dargestellt  sind  zwei  Figuren  : 
r.  die  Hauptfigur,  Avohl  die  Verstorbene,  sitzend  nach  links  in 
Dreiviertelansicht,  mehr  Profil  als  Face,  hoch  1.37  m.,  trägt  ein 
w^eisses  Kleid  mit  rothen  Saumverzierungen.  Ein  rothes  mantel- 
artiges Gewand  mit  weissem  und  schwarzem  Rande,  auf  der  Brust 
mit  oroldener  Fibula  geheftelt.  fällt  über  Schultern  und  Rücken. 
Durch  den  goldenen,  ziemlich  breiten  Gürtel  gezogen,  fällt  abwärts 
ein  schmales  streifenartiges  Gewandstück,  weiss  mit  rothem  Saum 
und  vielleicht  Futter ;  an  den  Füssen  Sandalen  oder  eine  Art 
Schuhe  mit  einem  Leder  welches  hinten  und  an  den  Seiten  etwas 
in  die  Höhe  reicht  und  vorn  auf  dem  Fuss  zusammengebunden 
ist.  Auf  dem  Kopfe  eine  Art  Hut,  in  Form  eines  abgestumpften 
Kegels,  roth  mit  schwarzem,  weiss  gerändertem  Streifen  in  der  Mitte 
und  etwas  unklarem  rothem  Anhängsel  hinten  unten.  Von  diesem 
Hut  fällt  ein  [weisser  S.]  Schleier  auf  den  Rücken.  An  beiden  Handge- 
lenken goldene  schlangenförmige  Armbänder,  am  Ohr  Ohrgehänge. 
Die  erhobene  Rechte  hält  einen  goldenen  Spiegel ;  der  1.  Arm  ist 
so  gehalten,  als  ob  er  mit  dem  Ellbogen  sich  auf  die  Armlehne 
stützte.  Doch  liegt  diese  Lehne,  ein  in  einen  Knauf  endigender. 
von  goldenem  Greif  gestützter  Stab,  niedriger,  so  dass  nur  die 
Fingerspitzen  sie  leicht  berühren. 

Gegenüber  1.  steht  nach  r.  ganz  im  Profil  eine  kleinere  weib- 


068  r-    PETKRSKN 


liehe  Gestalt,  in  weissem  Kleide  mit  senkrechtem  Raukenstrcif 
vorn  und  Saumornament  unten,  beides  roth.  Ihr  Haar  scheint 
bräunlich,  während  das  wenige  an  der  Schläfe  der  Hauptfigur 
sichtbare  ganz  schwarz  ist.  Sie  hält  in  der  Rechten  am  Leibe  ein 
nur  im  Umriss  gezeichnetes  Alabastron,  auf  der  vorgestreckten 
Linken  einen  Kalathos.  gelb  mit  rothen  und  schwarzen  Ornamenten, 
auf  welchem  zwei  rothe  Granatäpfel  liegen  ;  ebensolche  auch  — 
ich  meine  zwei  —  im  Felde  vor  und  {^)  hinter  der  Hauptfigur.  Die 
Füsse  sind  nicht  recht  sichtbar. 

Die  Malweise  ist  wie  bei  ähnlichen  Malereien  aus  Capua  und 
Paestum  in  den  Museen  von  Neapel  und  Capua,  roher  als  jene 
ersteren.  Die  nackten  Theile  der  Hauptfigur  sind  nicht  oliue 
Sorgfalt,  das  Gesicht  hübsch  und  individuell :  die  bekannte  schwarze 
Umrisszeichnuug  mit  ganz  leichtem  Incarnat.  Die  Gewänder  und 
die  Nebenfigur  sind  von  gröberer  xVusführung "   Soweit  Mau. 

Der  Aufbau,  aus  Tuffplatten,  die  Deckenschrägen  {a  sclUeaa 
oder  a  pacUrjlione),  die  Malerei  auf  weisser  Grundierung.  die  Orna- 
mentik des  Sockels  stimmt  also  mit  dem  Bull.  Nccp.  N.  S.  IL 
S.  178.  beschriebenen  Grabe  von  Cumae  überein.  welches  statt 
der  figürlichen  Darstellung  der  Hinterwand  dagegen  eine  grosse 
Palmette  hat,  diese  aber  wie  jene  auf  griechische  Grabstelen  zu- 
rüchweisend.  Auch  im  figürlichen  Thiel  kommt  das  neue  cuma- 
nische  Grab  dagegen  mit  den  capuanischen,  Dali.  Nap.  N.  S.  IL 
Taf  XI  und  3Ioii.  iiied.  dell'I.  V  T.  LV,  1  und  2  überein,  W(» 
wir  die  stehende  oder  sitzende  {Moa.  iiiecl.  LV,  2)  Figur  mit  oder 
ohne  Dienerin,  die  Besonderheiten  der  Tracht  und  GcAvandorna- 
raentik,  die  Fibula,  ich  denke  auch  den  Kopfschmuck,  die  Attri- 
bute :  Spiegel  und  Korb  (ausserdem  in  Händen  gehalten  die  Rose, 
nicht  Granate)  ferner  die  vor  und  hinter  der  Hauptfigur  hängend 
oder  sonstwie  angebrachten  Granatäpfel  und  Zweige  (auch  Trauben) 
wiederfinden.  Stehen  sich  so  im  ganzen  die  cumanischen  und  ca- 
puanischen Grabgemälde  einerseits,  wie  diejenigen  von  Paestum 
(vgl.  Bull,  nap^ N.  S.  IV  S.  177  Taf.  IV-VII  Annali  1854 
S.  63,  79  und  3fo'n.  ined.  d.  I.  VIII,  T.  XXI,  Ann.  1865  NO 
und  Albanella  Silentina  {Bull.  nap.  N.  S.  III S.  93.  132  T.  X  f.) 
andrerseits  nahe,  so  fehlen  doch  in  der  ersten  Gruppe  keineswegs 

(1)  Diese  nach  ^V.  S.  235  auf  einem  pilastrino. 


Züge,  die  der  zweiten  sich  uähevn  (vgl.  liaUctt.  iL  List.  18(38 
S.  221  ;  1878  S.  20  und  Bull.  ua'p.  II  Taf.  XI,  XIII)  noch  in 
der  zweiten  Anklänge  au  die  erste  Gruppe,  wie  die  Granatäpfel, 
oder  die  Tänzerin  :  Albanella  Taf  X,  zu  vergleiclien  mit  Capua 
Bull.  iiap.  II  T.  XIII.  Ob  die  weibliche  Hauptfigur  unseres 
Grabes  und  der  verwandten  capuanischeu  für  die  Verstorbene  oder 
mit  V.  Dnliu  für  eine  Göttin  zu  halten  sei,  entscheiden  wolil  in 
ersterem  Sinne  Bilder  wie  der  sitzende  ]\Iann  :  Capua  {Bull.  aap. 
II  T.  X  oder  der  Jüngling  zu  Ross  ebda  T.  XI  oder  der  stehende 
Mann  neben  einer  Dienerin  :  ebenda  Taf.  XII [  links  mit  XIV  rechts. 

Obgleich  wesentlich  andrer  Art  reihe  ich  hier  doch  ein  Grab  in 
der  Nähe  von  Bari  {comiiiie  dl  Cef/Ue  del  campo,  localitä  '  La- 
miola  ')  an  '  das  erste  seiner  Art  in  jener  Gegend  ',  von  dem  als 
kürzlich  gefundenem  schon  im  Oktober  1^88  unser  Correspondent 
Herr  Milella  Nachricht  zu  geben  die  Güte  hatte.  Mit  grossen 
Platten  ausgesetzt,  Avar  es  innen  3.10  m.  lang,  1.42  m.  breit  und 
1.28  m.  hoch  bis  zu  den  fünf  in  einen  Falz  gelegten  Steinbalken 
der  wagrechten  Decke  (').  War  diese  roh  gelassen,  so  waren  da- 
gegen die  Wände  geglättet  und  geweisst.  oben  mit  blau-weiss- 
rothem  Streifen  geziert  (-).  Die  Leiche  lag  an  einer  Schmalseite. 
Rings  dicht  unter  der  Decke  waren  Krüge  aufgehängt  an  Nägeln. 
die,  aus  Blech  gerollt,  5-6  cm.  lang  waren,  mit  etwa  ebenso  breitem 
Kopf.  Besser  als  diese  Krüge  waren  die  übrigen  Thongefässe  der 
Grabausstattung,  bis  ül)er  1  Meter  hocli,  mit  Darstellungen  auf 
Gräbercult  bezüglich  :  7  oder  8  Rhyta  mit  Thierkupfen,  Schalen 
mit  und  ohne  Henkel,  ein  c.  0.70  m.  hohes  Gefäss  in  Form  eines 
Frauenkopfes,   ein  Bronzekessel,  ein  Kaudelaberträger. 

Aus  Camsa  ist  etwa  eine  sehr  schadhafte  Spiegelkapsel  zu 
erwähnen,  abgebildet  N.  S.  208,  ein  nacktes  Mädchen  darstellend, 
welches  sich  auf  den  Zehen  hebend  mit  beiden  Armen  den  Hals 
der  Mutter  umfasst,  die  sich  über  sie  beugt,  w;ihrend  von  einer 
rechts  stehenden  männlichen  Figur  nur  die  Beine  mit  Schnürstiefeln 
und  ein  Schaft  übrig  sind,  nach  Jatta  :  Helena's  Rückkehr  von 
Aphidna. 


(^)  Jetzt  zwecklose  Löcher    an  den  Langseiten    für    Querbalken    weisen 
Ulf  ursprünglich  anders  beabsichtigte  Eindeckung. 

(')  Vgl.  d.  Farbstreifen  unter  der  Decke  etruskisclier  Gräber. 


3(0  E.    PETERSEN 

Etrurien  (').  In  Co  meto  sind  eine  Angahl  Gräber  ver- 
schiedener Art  geöffnet,  die  meist  schon  geplündert  waren.  N.  S.  122. 
148.  Man  fand  schwarzfig.  Vasen  (baccliisch,  Athenageburt,  Rev. 
Herakles  und  Leu,  zweimal,  Herakles  und  Amazonen)  in  Gräbern  a 
buco,  rothfigurige  in  solchen  a  camera :  so  von  vier  an  den  Wänden 
eines  solchen  aufgehängten  feinen  Schalen  eine  mit  zwei  Epheben ; 
ferner  einen  Krater  mit  schöner  Darstellung  der  Europa  neben  dem 
über  das  Meer  galoppierenden  Stier,  an  dessen  Hörn  sich  haltend ; 
einen  feinen  archaischen  Skarabaeus  mit  nach  1.  schreitender 
Flügelfrau,  Scepter  oder  Lanze  in  der  vorgehaltenen  Linken. 

Die  spätere  Zeit  etruskischer  Cultur  ist  in  weiteren  Funden 
von  Todi  (.¥.  S.  84,  156,  I^C.  2,  436),  von  und  S.  Maria  di 
Falleri  {N.  S.  48),  Toscanella  {K  S.  249),  Castigliano 
del  Lago  {N.  S.  223),  das  ausser  Gräbern  wenig  vom  alten  Ort 
aufweist,  vertreten.  Hier  sind  es  in  bescheideneren  Gräbern,  loculi 
in  den  senkrechten  Wänden  von  Schachten,  die  bekannten  Urnen 
vonTuff  und  Thou  mit  dem  thebanischen  Brudermord  und  ähnlichen 
Scenen,  oder  runde,  auch  amphoreuförmige  Aschenbehälter  aus 
Kalkstein  mit  dem  Namen  und  der  liegenden  Deckelfigur  des 
Verstorbenen.  Reichere  Beigabe  an  Bronze  und  Goldsfichen  fand 
sich  in  Kammergräbern.  Thon  ante  fixe  mit  der  zwei  Panther 
haltenden  Flügelfrau,  wie  in  Alatri,  Falerii,  sind  (TV.  S.  99)  auch 
in  der  Nähe  von  Aquila  gefunden,  und  bessere  schon  weit  früher, 
jetzt  verloren,  daselbst  beim  alten  Furconium;  solche  mit  bacchi- 
schen  Figuren  bei  Boise  na  {N.  S.  119),  wo  sie  zusammen  mit 
Marmorskulpturfragmenten  :  Bacchus  (?)  einen  Panther  tränkend,  an 
einen  Bacchustempel  denken  Hessen,  lieber  die  architektonischen 
Terracotten  eines  muthmaasslichen  Tempels  von  Pediano  (s.  oben 
S.  235)  berichtet  jetzt  Brizio  iV.  S.  114. 

Derselbe  erkennt  einen  Tempel  auch  in  Resten  eines  Ge- 
bäudes 2  Kil.  SO  von  Imola,  von  8X  14.50  m.  Grundmaass, 
hauptsächlich  wegen  der  runden,  2  m.  im  Durchmesser  habenden 
Basis,  1  m.  von  der  Westwand  (iV.  S.  112). 

Im  Heiligthum  des  Juppiter  Poeninus  auf  dem  Grossen 
S.  Bernhard  Avurde  weiter  gegraben  und  wird   auch   in  diesem 


ö^o' 


(1)  Kosatti  F.,  Cere  e  i  suoi  monumenti  Foligno  1891  ist  nicht  für  Ar 
chaeologen  geschrieben. 


FUNDE  371 

Jahre   noch   die   Untersuchuug   weitergeführt   werden;    man   helft 
namentlich  in  einem  Teich  noch  auf   Münzfunde.    Ein    Plan    des 
Tempelfundaments  iV.S.  76  zeigt  anch  die  Ausdehnung  der  Gra- 
bungen, so  wie  die  verschiedenen  Fundgebiete  an:    in    der   Area 
des  Tempels  nur  Dinge  die   bis   in  Augustus  Zeit  hinaufreichen, 
so  Architekturfragmente,  Ziegel,  mit  z.  Th.    denselben    Stempeln 
wie  in  Aosta,  Votivtäfelchen  hinter  der  Cella,    gallische    Münzen 
(Nachahmungen  massaliotischer)  meist  an  einem  Punkte  im  Norden, 
keine,  wie  man  meint,  älter  als  150  v.  C.  (vgl.  le  monete  galiiche 
del  medarjliere  delVospisio  del  Gran  S.  Bemardo    descritte  da 
F.  V.  Duhn  ed  E.  Ferrero,  bes.  S.  50  ff.).  Ein  par  dürftige  Keste 
weit  älterer  Zeit  sind  die  Fragmente  eines  rasojo  und  einer  Fibel. 
Bei  Nocera    Umbra  auf  Campo  la  Plana,   sind    in    dem 
schmalen  Kaum  zwischen  zwei  in  sehr  spitzem  Winkel  convergie- 
renden  Mauern   in   beträchtlicher  Menge  (an  500)    kleine   simple 
aus  Bronzeblech  geschnittene   Votivbilder    eines    Kriegers    (Mars) 
mit  Helm   und,   für   Einfügung   einer  Lanze,    durchbohrter  fech- 
ten gefunden ;  desgleichen    von    einem  langbekleideten  weiblichen 
Wesen,  ähnlich  den  N.  1878  T.  II,  4-5   abgebildeten,   in    gerin- 
gerer Zahl  {N.  S.  308).  Mitgefundene  Münzen  gehen  vom  V.  bis  IL 
Jahrhundert. 

Auch  eine  Anhäufung  von  Thonköpfen  am  Wege  vom  Kapu- 
ziuerkloster  zum  See  von  Nemi  hält  man  {N.  S.  253)  wohl  mit 
Recht  für  Weihgeschenke;  desgleichen  rohe  Nachbildungen  von 
einzelnen  Körpertheilen,  Arme,  Füsse,  Phallen,  welche  in  Terra- 
cina  \)Q\m  ponle  del  Salvatore  zutage  kamen  (iV.  S.  232). 

Als  in  einen  alten  Tempel  hineingebaut  hat  sich  die  Kathe- 
drale von  Sutri  erwiesen  {N.  S.  26),  an  deren  Mittelschiff  jeder- 
seits  acht  antike  Säulen  mit  attischen  Basen  3.60  m.  von 
einander  stehen. 

Zahlreicher  fast  als  die  Heiligthttmer  sind  die  Therm'en 
von  denen  berichtet  wird,  so  in  Orvieto,  woman  bei  Ausräumung 
weiterer  Gemäclier  der  Anlage,  von  welcher  noch  Kein  Grund- 
riss  gegeben  ist,  unbedeutende  Dinge  zu  finden  fortfährt;  so  in 
Cittaducale  {N.  S.  37)  ein  Laconicum  mit  Wanne  in  der  Mitte 
zwischen  dem  Eingang  und  einer  Nische  im  Hintergrund  im  Osten, 
und  6  Gemächern  hinter  einem  Gang  im  Süden ;  so  4  K.  nördlich 
von  Guarcino  {N.  S.  317)  ein  40  m.  langer,  30  m.  breiter  Bau- 

25 


372  E.  PETERSEX 

mit  7  Käumen,  der  wegen  günstiger  Lage,  Resten  von  Mosaik, 
Wandmalereien  und  Marmorincrustation,  endlich  einer,  wieder  ver- 
lorene, Weihinschrift  an  die  Nymphen  fiU-  ein  Bad  gehalten  wird; 
so  endlich  bei  dem  schon  erwähnten  Campo  la  Plana  {N. 
S.  308)  Keste  eines  caldarium  und  eines  zweiräumigen  Brennofens 
(wie  der  Ann.  1882  ü,  4  abgebildete). 

Die  bedeutendste  Anlage  scheint  diejenige  von  Fiesole,  über 
welche   N.   S.   246   nur   erst   Andeutungen    gemacht   sind.     Eline 
Grundrissskizze  mit   erläuternden    Bemerkungen  verdanke   ich    J. 
Führer.     Danach    sind    es    drei    Haupträume,    welche,    mit    den 
Langseiten  an  einander  liegend,  durch  Thüren  verbunden  sind :  der 
grösste   (I),   dicht  unter   dem  im   Norden   liegenden   Hauptstück 
der   etruskischen  Stadtmauer,  mit  Resten  eines  Marmorfussbodens 
und  marmorner  Wandverkleidung,  hat  einen  kleinen  Vorbau  an  der 
westlichen   Schmalseite ,   während   er  sich   auf  der   gegenüberlie- 
genden gegen  einen  die  ganze  Breite  einnehmenden  Nebenraum  \a 
öffnet.  Da  dieser  0.50  m.  tiefer  als  I,  ja  1.25  unter  den  ihn  umge- 
benden  im   Unterlager   erhaltenen,    an   den   Seiten    abgerundeten 
Stufen   liegt,  werden  wir   darin   das  Kaltwasserbad,  in  I  und  la 
zusammen  das  frigidarivM  sehen  dürfen.  Aus  ihm  geht  es  nach 
Süden  in  den  mittleren  Raum  II,  welcher  0.90  m.  tiefer  ist  als  I, 
und  offenbar  durch   die   eine   ausserhalb   der  Ostmauer   angelegte 
runde  Feuerstelle  geheizt  wurde.     Wieder  0.55  m.  tiefer   ist  der 
anliegende  Raum  III,  von  nahezu  gleichen  Maassen,  nur  dass  an 
der  östlichen  Schmalseite  in  der  ganzen  Breite  ein  1.65  m.  in  der 
anderen  Richtung  messender  Raum  III«  abgenommen  ist.  Dieses 
Bassin  (?)  mit  Resten  von  Marmorverkleidung,  ist,  ebenso  wie  dem 
Anschein   nach   das   Hauptgemach   III,   mit   flachen   Ziegelbögeu 
unterwölbt,  die  hier  0.65  m.,  dort  2  m.  Spannweite  haben  und  von 
kleinen  Ziegelpfeilern  getragen  werden.   Ausserhalb  der  Ostmauer 
wiederum  —  hier  zwei  —  Feuerstellen,    zu   beiden  Seiten   eines 
0.70  m.  breiten  Canals,  welcher,  unter  einem  Bogen  einmündend, 
unter  III  a  und  weiter  unter  III  hinführt,  hier  jetzt   oben  offen- 
liegend. An  der  Südseite  von  III  liegt  eine  Nische  mit  Resten  von 
Marmor-  Verkleidung  und  Fussboden.    Neben  ihr  geht  eine  Thiü- 
in    weitere,    damals   noch   unerforschte    Räume.     Ebenso    ist   die 
Bedeutunor   der  hinter   der  West  wand   von  II   und  III  liegenden 
schmalen  Abtheilungen  noch  nicht  klar. 


FUNDE  o'7;{ 

Das  nach  Norden  höher  werdende  Niveau  der  ßüume  scheint 
dem  vor-efimdoneu  Aiisteigen  des  Terrains  angepasst  aber  zugleich 
lur  die  Weiterleitung  der  Wärme  aus  dem  caldarium  III  in  das 
tepidarium  II  verwerthet  zu  sein. 

Abgesondert  hinter  U,  c.  1  lu.  hölior  als  dieses  liegt  ein  c. 
4X6  m.  messender  Kaum,  wegen  einer  auf  allen  vier  Seiten 
umlaufenden  und  in  eine  viereckige  Vertiefung  geleiteten  Rinne 
wahrscheinlich  die  Latrina.  Der  Hauptzugang  zu  derselben  ^gin- 
nördlich  um  I,  ein  anderer  kam  von  den  Feuerstellen  herauf. 

Ob  eine  runde  überwölbte  Kammer  in  Terra  ein  a  {N.  S.  232) 
mit  7  Nischen,  symmetrisch  zum  Eingang,  und  gleichfalls  gewölbtem 
achteckigem  Umgang,  dessen  Fussboden  1.24  m.  höher  liegt,  einem 
Laderaum  oder  einem  Njmphaeum  angehört  hat,  lasse  ich'  dahin- 
gestellt :  die  daselbst  gefundenen  Skulpturen  :  eine  Nymphe  mit 
Muschel  (wie  Visconti  Plo-Clem.  I,  XXXV),  eine  Venus,  sprechen 
vielleicht  eher  für  das  letztere.  Eine  Keplik  des  '  Praxitelischen  ' 
ausruhenden  Satyrs  kam  an  anderer  Stelle  zum  Vorschein 

An  verschiedenen  Stellen  sind  Mosaiken  gefunden  worden  be- 
merkenswerth  etwa  eines  mit  Meerwesen  in  Bevagua  in  ümbrien 
{N.  S.  288)  und  bei  Oderzo  (S.  143)  ein  polychromes  mit  Jagdscenen- 
1.  Hund  einen  Hasen  jagend,  2.  Frau  Gänse  fütternd,  3.  sechs  Vöc^el 
auf  einer  Leimruthe,  daneben  das  Käuzchen  auf  einem  Strauch. 

Ich  schliesse  mit  einigen  Bemerkungen  zu  dem  hübschen 
Eehef  welches  zwar  schon  1887  gefunden,  aber  erst  jetzt  eben  im 
Bidlett.  comimale  1891  T.  XI  abgebildet  und  von  Th.  Schreiber 
auf  S.  301  ff.  (1)  besprochen  ist.  Die  Erklärung  braucht  nicht  bei 
der  conversaäone  sacra  stehen  zu  bleiben:  es  ist  der  Sieo- 
Apollo ns  über  Marsyas,  und  das  besondere  Interesse  dieser 
Darstellung  besteht  darin,  dass  sie  einerseits  mit  gewissen  Va- 
senbildern  andrerseits  mit  Sarkophagen  sich  berührt.  Der  Silen 
—  und  eben  in  seiner  für  Schreiber  unklaren  Figur  lieo-t  die 
Entscheidung  -  steht  in  tiefer  Niedergeschlagenheit,  wie  'öfters 
(z.  B.  Overbeck  KM.  S.  458  B  5.  10,  Philostratus  d.  J.  2)  neben 
der  Kiefer,  an  welcher  er  bald  seinen  üebermuth  verbüssen  wird. 

0)  Der  ebenda  S.  365  (vgl.  S.  240)  erwähnte  Torso  einer  Hyo-ieiafvon 
den  fechultern  bis  etwa  zur  Mitte  der  Oberschenkel)  hat  beträchtliche  Aehn- 
lickkeit  mit  der  m  diesen  Mitth.  1890  S.  68  erwähnten  '  Hygieia  '  Rospigliosi 


374  E.    PETERSEN 

Auf  einen  schlanken  Pfeiler,  über  welchen  das  dem  Marsvas  öfter 
gegebene  Löwenfell  gehängt  ist,  stützt  er  den  r.  Ellbogen,  und  in 
die  r.  Hand  —  die  grösstentheils  erhalten  und  sogar  auf  der  Ab- 
bildung nicht  ganz  unsichtbar  ist,  den  Kopf  (vgl.  auf  der  Re- 
liefvase Overbeck.  T.  XXV  6,  S.  439,  18  die  Freunde  des  Marsyas 
links  und  rechts  in  ähnlichem  Schema).  Also  nichts  von  einem 
Xi'xyoy;  denn  auch  von  dem  1.  Unterarm  ist  die  Bruchstelle  auf 
dem  Fell  nach  dem  r.  Oberarm  hinauf  gehend  deutlich,  und  es 
ist  nur  ungewiss,  ob  die  Hand  sich  unter  oder  über  den  r. 
Oberarm  legte.  Für  jenes  sprechen  die  Maasse  und  die  Art  des 
Abbruchs,  für  dieses  eigentlich  nur  der  Umstand,  dass  so  das  Fell 
über  den  einen  —  den  rechten  —  Arm  hängen  könnte,  und  dass 
so  auch  ein  links  über  dem  Pfeiler  in  einem  Endstück  erhaltener 
stabähnlicher  Gegenstand,  vielleicht  eine  der  Flöten,  leichter  in 
der  Linken  gehalten  sein  könnte  (vgl.  den  auf  die  untergelegte 
Hand  gestützten  Ellbogen  des  Marsyas  in  den  Vasenbildern  Overbeck 
Taf  XXIV  20  u.  24).  Sichtbar  sind  unten  der  1.  Standfuss  und 
zurückgesetzt  neben  dem  Stamm  der  rechte  (vgl.  die  ganze  Figur 
bei  Overbeck  Taf.  XXV  3  u.  13). 

Gegenüber  ist  Apoll  an  der  Kithar  neben  ihm,  dem  Lorbeer- 
baum mit  Bogen  und  Köcher  (')  hinter  ihm  sicher  kenntlich  (vgl. 
Overbeck  S.  468  B  5  und  10,  S.  448,  2).  Da  die  beiden  Stücke  des 
Reliefs,  jedes  wieder  aus  mehreren  zusammengesetzt,  nirgends  zu- 
sammenpassen, wäre  der  Ausfall  einer  oder  der  andern  Figur  ja 
möglich,  aber  wegen  des  Befundes  des  Erhaltenen,  und  wegen  der 
Composition  und  der  Maasse  (Fussplatte,  lang  0.49  -j-  0.32,  zur 
Höhe  0.53  ungefähr  wie  3:2)  kaum  wahrscheinlich,  um  so  weniger 
als  das  schlanke  Mädchen  mit  doppelt  gegiü'tetem  Chiton  und 
Armbändern  um  die  Oberarme  links  von  Apoll  sicher  Artemis  ist. 
Sie  hat  freilich  kein  Köcherband  um  die  Brust,  und  das  Aufnehmen 
des  kurzen  Chitons  mit  der  Linken  ist  wohl  etwas  ungewöhnlich  (-), 

(^)  Die  Waifen  am  Baume  aufgeliängt  auch  Overbeck  S.  456  A  6,  vgl. 
S.  470  und  auf  dem  Fragment  bei  Gerhard  Ant.  Bildvv.  T.  XCI  mit  Eroten 
als  Apoll  und  Marsyas. 

(2)  Ob  der  Ergäuzer  des  Pariser  Sarkophages  (Overb.  XXV,  7),  gar 
keinen  thatsäclilichen  Anhalt  für  Ergänzung  des  Gewandzipfels  in  ihrer  Hand 
hatte  ?  Nach  Fröhner,  Notice  84  freilich  nicht.  Vgl.  auch  Overbeck  S.  455,  5 
mit  S.  462. 


FUNDE  ^  375 

aber  sie  hat  ja  in  der  Rechten  den  Bogen:  man  kann  den  Bruch 
des  Armes  bis  zur  Thronecke  verfolgen,  und  der  in  einer  Volute 
endende  gekrümmte  Gegenstand  darüber  ist,  wie  man  sich  leicht 
überzeugt,  nicht  ein  rankenartiges  Ornament,  symmetrisch  zu  dem. 
welches  oben  auf  dem  Throne  links  vom  Halse  der  Sitzenden, 
—  aber  eben  nur  da  —  sichtbar  Avird,  sondern  der  Bogen  mit 
gekrümmtem  Ende,  grad  Avie  der  am  Lorbeerbaum  aufgehängte.  Das 
Bohrloch  am  r.  Arm  des  Mädchens  ist  jedorh  nicht  das  entgegen- 
gesetzte P]nde,  sondern  rührt  von  antiker  Ergänzung  her.  Die  r.  Hand 
der  Artemis  stemmt  sich  also,  den  Bogen  etwa  mit  Daumen  and 
Zeigefinger  haltend,  gegen  die  Thronlehnenecke,  deren  Akroterion  (?) 
darüber  hervorzuragen  scheint. 

Mit  Artemis  ist  auch  Leto  gesichert,  deren  Kopf  allem 
Anschein  nach  ihren  Kindern  zugekehrt  war,  während  sie  den  r. 
Unterarm  auf  der  kurzen  höheren  oeitenlehne,  die  man  über  der 
niederen,  hier  wie  auf  der  andern  Seite  voraussetzen  muss,  ruhend 
zu  denken  hat.  Auf  dem  Pfeiler  zwischen  Leto  und  Artemis  scheint 
von  einer  grossen  Vase  noch  der  Fuss  kenntlich.  Leto  ist  wahr- 
scheinlich auch  auf  den  Vasen  O^erbeck  T.  XXV,  5  (stehend), 
XXIV,  20  XXV,  3  (sitzend),  vielleicht  auch  auf  dem  Sarkophag 
S.  455,  A  2.  Weit  ähnlicher  in  der  Gesammterscheinung  ist  der 
Thronenden  unseres  Reliefs  freilich  auf  dem  Sarkophag  von  Sidon 
{Rev.  archeol.  1888  T.  VII  f.)  die  Kybele,  die  aber  als  solche 
charakterisiert  ist.  (Vgl.  auch  das  pompejanische  Wandgemälde 
Mitth.  1890  S.  267). 

Der  phrygisch  gekleidete  Jüngling  ganz  rechts,  beträchtlich 
kleiner  als  Apollon,  ist  natürlich  Olympos.  Sein  Kopf  war  eingesetzt 
und,  nach  dem  glatten  Abschnitt  des  Gewandes  um  das  Halsloch 
zu  schliessen,  entweder  mit  langem  Haar  oder  mit  Tiara  versehen. 
Der  Felsgrund  der  nur  hinter  ihm  c.  5-8  cm.  von  der  Reliefkante 
ab  sich  bis  fast  zur  Höhe  seiner  Schultern  erhebt  und  unten  neben 
dem  1.  Bein  in  der  Abbildung  sichtbar  wird,  hat  nur  den  techni- 
schen Grund  einer  Verstärkung  der  Platte,  um  Olympos  veiter  vor- 
treten lassen  zu  können,  ohne  ihn  doch  völlig  vom  Grunde  zu  lösen. 
Von  einem  Attribut  der  gesenkten  Linken  ist  keine  Spur  vorhanden, 
ebensowenig  wie  von  der  wohl  im  Unterarm  gehobenen  Rechten. 

Ueberraschend  ist  die  Aehnlichkeit  des  Reliefs  mit  dem  Mar- 
svasbilde im  Mosaik  von  Portus  magnus,  Jahi])ucli.  18!>(»  T.  0  und 


376  K.    PETERSEX,    FUNDE 

S.  21(3:  von  den  fünf  Personen  unseres  Reliefs  (auch  Overbeck 
XXIV  19  (20),  21,  25  sind  fimffigurig)  kehren  drei:  Marsyas, 
Apollon.  Olympos,  an  gleichem  Platz  und  mit  weitgehender  Ueber- 
einstimmung  auch  in  der  Haltuug  wieder. 


I.  Latium  Campania: 

Cuma  S.  362. 
Guarcino  S.  366. 
Koma  S.  368. 
Nemi  S.  366. 
Tcrracina  S.  366,  368. 

II.  Apulia: 

Bari  S.  364. 
Canosa  S.  364. 
Metapouto  S.  357. 

III.  Lucania,  Bruttii: 
Stilo  S.  357. 

IV.  Samnium,  Sahina: 
Cittä  Ducale  S.  366. 
Aquila  S.  365. 

V.  Picenum: 

Numana  S.  356. 
Osimo  S.  356. 

VI.  Umbria: 
Arcevia  S.  355. 


Bevagna  S.  368. 
Nocera  S.  366  f. 
SerraS.QuiricoS.356 
Todi  S.  365. 

VII.  Etruria: 
Bolsena  S.  365. 
Castiglione  d.  Lago 

S.  365. 
Corneto  S.  365. 
Fiesole  S.  367. 
S.  Maria   di   Falleri 

S.  365. 
Orvieto  S.  366. 
Sutri  S.  366. 
Toscanella  S.  365. 

VIII.  Cispadana : 
Bologna  S.  355. 
Castellazzo  di  Paro- 

letta  S.  355. 
Castrocaro  S.  356. 


Copezzato  S.  356. 

Imola  S.  365. 

S.  Giorgio   in    Persi- 

ceto  S.  356. 
Savignano    s.  Panaro 

S.  356. 

X.  Venctia  : 

Este  S.  356. 
Oderzo  S.  368. 

XI.  Transpadana: 
Gran    S.    Bernardo 

S.  365. 
Vhö  S.  355. 
Sicilia:  Siracusa  S.  356. 
Sardinia:  Nora  S.  356. 


E.  Petersen. 


SITZÜNGSPEOTOCOLLE. 


11.  Deccmbev:  Festsitzimg  zum  Gedächtnisse  VVinckclmanns : 
G.  B.  De  llossi :  über  einige  römische  Veduten  M.  van  Heemskercks, 
besonders  ein  grosses  von  der  Stelle  des  jetzigen  Palazzo  CaÜarelli 
aus  aufgenommenes  Panorama.  Petersen:  über  eine  Statue  des 
Apollon  (s.  Taf.  X-XII). 

De  RosSI:  ragionü  di  una  veduta  della  cittä  di  Roma  rilevata  dal 
pittore  fiammingo  Marüiio  van  Hecmskerck  iiato  ncl  1498  e  morto  nel  1574), 
il  quäle  ncl  suo  soggiorno  a  Roma  (1.5,32-1536)  pose  molta  attenzione  a  de- 
lineare i  monumenti  anticlii  e  ]e  opere  d'arte  d'ogni  maniera.  II  Musco  dl 
Berlino,  che  giä  possedeva  un  iinportante  taccuiuo,  ha  ora  acquistato  una  se- 
conda  e  piü  preziosa  colleziono. 

Fra  i  disegni  di  questa  primeggia  un  gran  panorama  di  Roma  preso 
dall'altura  sud  del  Campidoglio,  ove  ora  sorge  il  palazzo  Caffarelli.  II  disegno 
originale  e  lungo  piü  d'un  metro  ed  eseguito  con  ininuta  esattezza. 

Vi  si  scorge  l'Aventino  col  castello  dei  Savelli  ed  il  Foro  Boario ;  il 
colle  Palatino  coi  ruderi  del  palazzo  dei  Cesari;  gli  edifizi  Capitolini  nella 
loro  forma  medioevale,  prima  che  fossero  riedificati  col  disegno  di  Michelan- 
gelo; 11  Foro  Romano,  TEsquiüno,  il  Quirinale  coi  ruderi  delle  Terme  di  Tito 
c  di  Costantino,  il  Pantheon,  Castel  S.  Angelo.  Fra  il  folto  delle  chiese,  case 
e  torri  medioevali,  giganteggia  il  palazzo  della  Cancelleria.  Sulla  riva  destra 
si^scorgono  1  muri  merlati  della  cittä  Leonina,  e  gli  arconi  colossali  della 
Basilica  di  S.  Pietro,  allora  in  costruzione. 

II  pregio  speciale  del  disegno  consiste  in  ciö  ch'esso  t'  affatto  indipen- 
dente  dalle  vedute  e  plante  prospettiche  taiito  anteriori  che  posteriori :  esso 
rappresenta  fedelmente,  senza  aggiunte  e  cambiamenti  arbitrarii,  lo  stato  edi- 
lizio  della  Roma  del  1534.  Una  esatta  riproduzione  percio  sarä  pubblicata 
nelle  «  Antike  Denkmäler  »  dell'Istituto. 

(Wörtlich  ist  der  Vortrag  im  Bullettiiio  d.  commiss.  arch. 
comunale  1891  S.  330  ff.  algedruckt,  im  Auszuge  verdeutscht  wird 
er  die  betr.  Tafel  der  Antiken  Denkmäler  begleiten). 

Petersen:  tracciando'con  poche  linee  lo  sviluppo  della  rappresen- 
tazione  statuaria  di  un  giovanc  nudo,  ritto  in  piedi,  sia  Apollo  sia  mortale, 


378  SITZUXGSPROTOCOLLE 

presenta  come  opere  (o  copie  di  esse)  poco  anteriori  o  contemporanee  alla 
prima  etä  di  Fidia :  1.  TApollo  pompeiano  o  mantuano  Overbeck,  Apollo 
tav.  XX  26.  25  ;  2.  il  Cassellano  1.  c.  24  ;  3.  quello  deiroiifalo  ossia  del  teatro 
1.  c.  21 ;  4.  il  capitolino  1.  c.  22.  (Di  questo  il  turcasso  erroneamente  e  dichia- 
rato  moderno  dall'Overbeck  e  dallo  Heibig,  Führer  I  p.  383.  La  nuova  de- 
serizione  del  Museo  Capitolino  1882,  p.  278  parla  soltanto  del  tronco,  il  quäle 
difatto  e  tiitto  moderno).  Mostra  i  quattro  esempi  piü  dififerenti  nella  testa  che 
nel  corpo.  Corae  quinto  aggiunge  la  statua  ricomposta  nel  Museo  delle  Terrae 
(v.  Notizie  1891  p.  288  e  p.  337,  v.  sopra  p.,  302  e  le  nostre  tavole  X,  XI,  XII) 
da  varii  pezzi  estratti  in  tempi  diversi  dall  alveo  del  Tevere,  con  ristauro  della 
gamba  destra  flno  quasi  al  ginocchio  e  della  sinistra  con  la  relativa  parte  del 
tronco  fino  a  0.34  ra.  dal  plinto,  essendo  l'intera  tigura  restaurata  alta  poco 
piü  di  due  meiri.  La  testa  rotta  attaccata  al  resto  del  corpo  per  mezzo  della 
parte  posteriore  del  collo,  sul  davanti  poi  e  al  lato  destro  e  di  restauro,  forsc 
non  del  tutto  giusto.  II  braccio  d.  e  stato  ritrovato  ma  non  rimesso,  causa 
rinuguale  conservazione  delle  parti  contigue.  Era  pendente  e  con  la  mano 
resrgeva  l'arco,  di  cui  una  estremitä  ricurva,  benche  molto  consumata,  ancora 
si  riconosce  sulla  coscia  del  dio.  La  sinistra  invece  doveva  essere  alzata  verso 
la  destra  di  chi  guarda,  ed  il  viso,  inclinandosi  graziosamente  e  con  espres- 
sione  benigna,  prosegue  Tazione  della  mano,  per  la  quäle  azione  Tarco,  contro 
l'uso  quasi  costante,  e  passato  nella  destra. 

Basta  il  confronto  della  figura  sulla  tav.  X  con  la  statua  Capitolina 
presso  Overbeck.  Atlas  Tav.  XX,  22,  e  delle  due  teste  raffigurate  sulla  tavola 
XI  XII  per  convincersi  che  la  statua  tiberina  e  la  capitolina,  ovunque  si  di- 
scostano  dalle  altre  tre  soprädette,  specialmente  nella  conformazione  del  viso 
e  dei  capelli,  vanno  d'accordo  fra  loro;  e  siccome  la  mossa  della  testa  e  del 
braccio  sinistro  differisce  troppo  per  crederle  due  copie  di  un  medesimo  ori- 
ginale, non  resta  altro  che  dedurle  da  due  opere  di  un  medesimo  artista. 
Neirepoca  accusata  dallo  stile  delle  due  statue  non  si  conoscono  autori  di  piü 
d'una  statua  di  Apollo  fuorche  Calamide  e  Mirone  e  Fidia,  dei  quali  il  prirao 
e  il  secondo  vengono  esclusi  per  quanto  e  noto  del  loro  carattere  artistico. 
Eesta  Fidia,  di  cui  un  Apollo  nagi'ömoi  di  bronzo  stava  suH'acropoli  d'Atene. 
Un  altro  faceva  parte  del  gran  gruppo  di  bronzo,  decima  del  bottino  maratenio, 
dedicata  a  Delfi.  Secondo  ce  lo  descrive  Pausania  10,  10,  Milziade  vi  era 
rappresentato  fra  mezzo  di  Atene  e  di  Apollo,  con  cinque  eroi  a  destra  ed 
altri  cinque  a  sinistra  (i);  e  se  Pausania  qui  come  altrove,  p.  e.  nella  descri- 
zione  del  frontone  Orientale  del  tempio  di  Giove  Olimpio,  dalla  tigura  cen- 
trale si  volge  prima  a  destra,  poi  a  sinistra,  Atene  doveva  stare  a  d.,  Apollo 
a  s.  di  Milziade,  e  nell'istesso  modo  a  d.  Eretteo,  Cecrope  —  i  quali  veramente 
sono  piü  strettamente  legati  con  Atene  —  con  altri  tre,  mentre  Egeo  con 
i  quattro  seguenti  stava  dal  lato    di    Apollo.  (Cosi  i  due  primi  eponimi  del- 


(0  Pausania  col  dire  ex  ff«  tmv  tjnwioi'  ecc.  esclude  che  fossero  tutti 
i  dieci  eponimi,  come  pareva  necessario  al  Curtius  ed  a  Sauer,  die  Anfünfje 
der  statuarischen  Gruppe  p.  18,  errore  rifiutato  puraiiche  dalla  perfetta  sim- 
metria  del  gruppo  descritto. 


SITZUNGSPROTOCOLI.E  379 

l'ordine  legittimo,  Erettco  cioö  ed  Egeo  avrebbero  i  posti  princi])ali,  l'uno  ;i 
destra,  l'altro  a  sinistra).  So  poi  piustamente  si  figura  Atene  essere  stata  rap- 
presentata  nellatto  d'incoronare   il  vincitore  di  Maratona,  come  p.  e.  si  vede 
sul  riliuvo   attico   presso  Schöne  Griech.  Relkfs  n.  %  (cf.  75  e  77),  l'Apollo 
tiberino  benissimo    gli  farebbe  da  riscontro  sia  con  altra  Corona  nella  mano 
alzata,  sia  —  perche    la  Corona,   como  ncl  rilievo  Schöne  75  sarebbe  tenuta 
pmttosto  con  la  destra  -  accogliendo    il  protetto  della  sorella  con  la  mano 
messagh  sull'onicro.  (Tale    composizione    dol  gruppo  a  torto   si  e  dclta  dife- 
rente  dalle  altre  di  Fidia   e    sentire    piü  dell'arcaico:  aiizi   rassomigliercbbe 
assai  a  quanto  si  sa  delle  due  che  ornavano  le  basi  della  Partenos  e  del  Giove). 
La  congottura  pcro  dell'esponente    sull'origine  Fidiaca  delle  due  statue 
romane  sarebbe  troppo  ardita  dice  egli  stesso  se  nelle  medesime  nulla  si  scor- 
gesse  di  Fidiaco.  La  posa  simmetrica  almeno  non  contradice,  dacche  una  tale 
con  sorpresa  fu  riconosciuta  perfino  nella  Partenos  e  nel  Giove,  opere  posteriori 
dl  qualche    decennio  al  gruppo  delfico;    con    la  Partenos  poi    le    due  statue 
hanno  comune  il  viso  tondo,  col  Giove  i  ricci  ricadenti  sugli  omeri;  e  rd  tiq^ou 
XKL  t6  nQOicpi'Ai:.?,  tanto  ammirato  nel  Giove    olimpio,    non  so  con    che   altra 
cosa   meglio    si    possa  illustrare  che  con  quella  indescrivibile  espressione  di 
dolcezza  nella  testa  tiberina  riconoscibile  sulla  nostra  tavola  XI  XIL 

La  statua  tiberina  riferita  all'Apollo  del  gruppo  delfico,  la  capitolina 
denverebbe  dal  Pnrnopio,  e  per  conseguenza  anche  questo  dovrebbe  ascri- 
versi^  alla  prima  etä  di  Fidia.  (Pausania  1.  24.  8  lo  dice  consecrato  dagli 
Ateniesi  ort  atfiat  7TUQi'6na}y  ^Xarndynav  xiijv  yijy  clnoTQt'iijsu'  6  &€i)s  elnsf 
ix  ri-i  x'6()ag.  Forse  le  cavalette  dell'oracolo  erano  i  barbari,  come  in  un  verso 
di  Aristofane  Ach.  150). 

Zum  ordentlichen  Mitgliede  wurde  ernannt  Herr  Om.:io  Ma- 
rucchl  in  Rom. 

18  December:  Peter.sen  legt  Ramsays  Illstorical  geofircq)hij 
of  Äsia  minor  und  Königliche  Museen  zu  Berlin.  Beschreibung 
der  antiken  Skulpturen  u.  s.  av.  vor.  Mau  :  Bildnisse  der  Octana" 
Schwester  des  Augustus.  —  Huelsen  .•  die  Lage  und  Denkmäler 
des  Comitium  zur  Zeit  der  Republik. 


Correzioni. 

P.     28  1.  11  1.  dovea  invece  di  deve 
P.     29  1.  17  1.  Fauno        »  Fulvio 

P.     42  1.  19  1.  sulle  due  ultimo  delle 
P.     54  1.    9    1.  cestiani  invece  di  cristiani 

—  1.  23  dele  e 

P.  208  1.  ult.  1.  pag.  223 

P.  210  1.  1  manca:  AI  n.  26 

P.  211  1.  2  Mffr/«VS  invece  di  MrtrwVS 

—  1.  9  1.  Roma  sotterr.  IJI 
P.  219  1.  ult.  1.  sgg.  inv.  di  if. 


INHALT 


P.  BiENKOWSKi,  Lo  sciido  dl  Achüle  (Tav.  IV,  V,  VI)  S.  183-207. 
A.  CozzA,  Di  im  antico  tempio  scoimHo  2^resso  Alatri  S.  344-355. 
A.  V.  DoMASZEWSKi,  Praefectus  equitatus  S.  163-167. 
Ch.  Hüelsen,  Jahresbericht  über  neue  Funde  und  Forschungen 
zur  Topographie  der  Stadt  Rom  S.  73-150. 
»  Miscellanea  epigrafica  S.  332-343. 

M.  Ihm,  Delle  tavole  lusorie  romane  S.  208-220. 

A.  Kalkmann,  Fedra  S.  246-249. 

B.  A.  DI  Klitsche  de  la  Grange,  Di  un  nuovo  gruppo  di  tombe 

rinvenuto  nella  necropoli  di  Allumiere  S.  221-225. 
A.  Mau,  Miscellanea  Pompeiana  S.  73-150. 
•    fl       //  poriico  del  foro  di  Pompei  S.  168-176. 
«       Bibliograßa  pompeiana  S.  258-269. 
A.  Michaelis,  Storia  della  Collesione  Capitolina  di  antichitd  fino 
all'inaugurazione  del  Miiseo  (1734)  (Tav  I,  II,  III)  S.  3-66. 
L.  A.  Milani,  Le  recenli  scoperte  di  antichitd  in  Verona  (Tav.  IX) 
S.  205-301. 
«  Aggiunta  alle  recenti  scoperte  di  antichitd  in  Ve- 

rona S.  307-331. 
Th.  Mommsen,  /  fasti  dei  sex  primi  ab  aerario  S.  157-162. 

E.  Petersen,  Vw«(^ö  S.  226-240,  302-306,  355-371. 

Griechische  Bronze  (Tav.  VII)  S.  270-278. 
J.  Six,  Un  ritralto  del  re  Pirro  d'Epiro  (Tav.  VIII)  S.  279-284. 

F.  Stüdniczka,  ylr(?/m2S^/ies   Thonrelief  der  Sammlung  Santan- 

gelo  S.  254-257. 
L.  V.  Sybel,  Zur  Skopasfrage  S.  241-245. 
H.  L.  V.  ÜRLicHS,  Ueber  die  Alfassungeseit  der  Statue  antiche 

des   Ulisse  Aldrovandi  S.  250-251. 
R.  Weisshaeupl,  Das  «  Telephos  «   Relief  der    Villa  Borghese 

S.  177-182. 
Sitzüngsprotocolle  und  Ernennungen  S.  151-156,  252,  372-375. 


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