MEMORIE
DELLA
ACCADEMIA DELLE SCIENZE
DELL* ISTITUTO DI BOLOGNA
!
SERIE SECONDA
TOMO I.
BOLOGXA
TIPOGRAFIA GAMBERINI E PARMEGGIANI
«se*
Mo*Bot ardem
DELLA LEGGE
ONDE
UN ELLISSOIDE ETEROGENEO
PROPAGA
LA SUA ATTRAZIONE DA PONTO A PONTO
wmmi
DEL
PROF. DOMENICO CHELINI
( Letta nella Sessione del 21 Febbraio 1861. )
Quando io considero le nuove regioni che le scienze
matematiche si vanno aprendo per ogni verso, massime
nella parte speculativa, quando vedo ai teoremi succeder
sempre nuovi teoremi., e il loro rivestirsi di nuovi simboli,
e il loro trasformarsi e il dividersi in gruppi innumerevo-
li , quasi cicladi moltiplicantisi ad ogni tratto sopra un
oceano interminato; io non posso a meno di non ripetere
a me stesso ciò che il primo Compilatore degli Annali
delle matematiche pure ed applicate, il dotto e savio Ger-
gonne, confidava ai suoi lettori sino dal 1826 ( Annales de
mathématiques , torri . XVI. pag. 314): » Al punto in che
siamo arrivati oggi, noi abbiamo assai meno bisogno di
crear nuove teoriche, che di ridurre ai loro minimi ter-
mini, se è lecito di cosi parlare, le teoriche di già cono-
sciute; principalmente ove riflettasi che, in ogni cosa,
ciò che avvi di più semplice e di più generale è d’ ordi-
nario quello che riluce per ultimo , e svelasi al pensiero ri-
cercante la verità in amichevole accordo col bello e col
buono ».
4
Domenico Chelini
Qualunque giudizio vogliasi portare di cotesta sentenza ,
è certo che., quanto a me, sentomi inclinato a seguirla per
quel poco che valgono le tenui forze dei mio ingegno. E
siccome altra volta mi foste cortesi d’ incoraggiamento nel-
T accogliere la mia Memoria sulla Rotazione de5 corpi li-
beri, così spero, o Accademici prestantissimi, che con ugual
favore vi degnerete di ricevere quella che oggi vi offro
sull’ attrazione degli Ellissoidi.
Per comprendere la natura della quistione che son per
trattare , mettiamoci dinanzi alla mente un Ellissoide etero-
geneo, intendendo sotto questo nome un corpo terminato
da una superficie ellissoidale, in cui la densità varii da
strato a strato secondo una legge qualsivoglia , essendo cia-
scuno strato compreso tra due superficie concentriche ,
simili all’ esterna e similmente disposte. Dato che le par-
ticelle materiali si attraggano in ragion diretta delle masse
ed inversa del quadrato della distanza , con qual legge si
propagherà nello spazio da punto a punto 1’ attrazione che
esce dalla materia di siffatto Ellissoide ? Le attrazioni par-
ziali che partono dalle infinite particelle del corpo , imbat-
tendosi in un punto materiale e tirandolo a sè come per
altrettante fila invisibili, debbono certamente comporsi in
una forza unica ; ma per qual formola si esprimerà la gran-
dezza e la direzione di tal forza unica , qualunque sia la
posizione del punto attratto nello spazio?
Questo problema, che si fece incontro ai geometri allor-
ché vollero applicare il principio newtoniano della gravi-
tazione universale ai movimenti de5 corpi celesti ed alla
figura della terra, sulle prime non si lasciò risolvere che
nei casi più ristretti, aprendosi solo parzialmente , ma sem-
pre un pòco più, a Newton, a Maclaurin, a D5 Alembert,
a Lagrange. Finalmente cadde il velo tenace, e compar-
vero le soluzioni generali, delle quali altre sono dirette ed
altre indirette .
Le più notabili delle soluzioni dirette si debbono a Le-
gendre, a Laplace e a Poisson. Legendre, che ha il merito
di aver primo risoluto V arduo problema in tutta la sua
generalità, ci conduce alla meta desiderata per attraverso
Di un Ellissoide eterogeneo
5
una selva tutta irta di calcoli spinosi, nè contento alF a-
nalisi chiama in aiuto, ove occorra, la geometria. La so-
luzione di Laplace, fondata sull’ impiego delle serie, non
pare del tutto soddisfacente , sebbene riposi (come nota il
Sig. Ghasles) sopra considerazioni analitiche profonde, di
cui V autore ha fatto un grand’ uso nella sua Meccanica
celeste. Più perfetta e completa è senza dubbio la soluzio-
ne di Poisson , se non che ridonda essa pure di calcoli la-
boriosi. Così nessuna di queste soluzioni dirette riguardasi
come acconcia ad entrare nell’ insegnamento.
Ad eludere le difficoltà e le lunghezze delle soluzioni
dirette, sono rivolte le soluzioni indirette, delle quali la
prima si deve ad Ivory , e le altre più lodate a Gauss , ad
Olindo Rodrigues , ed al Sig. Chasles. Tutte queste solu-
zioni sono pregevolissime non solo per la loro eleganza e
brevità, ma eziandio per la luce nuova di che rischiarano
qualche angolo speciale della quistione ; se non che , oltre
all’ essere indirette, lasciano nel fondo alcun che d’ incom-
pleto, non svelando tutte le intime e segrete attinenze
delle Varie parti del problema.
Ciò adunque che rimane ancora a desiderare in questo
argomento , si è una soluzione diretta che per la sua chia-
rezza e spontaneità riesca di un uso pratico nell’insegna-
mento. E questa si è la soluzione che ho cercato, e che
ho qualche fiducia di aver conseguito. Imperocché niente
in essa ritrovi di sottile e di tortuoso; non altre integra-
zioni che quelle che raccogli dai. primi principii del cal-
colo differenziale, non altri calcoli che quelli che servono
a determinare gli assi principali nelle superficie di secon-
d’ ordine, calcoli tutti simmetrici ed intuitivi, siccome de-
rivanti da un metodo uniforme che si applica eziandio al
caso degli assi obliqui. Oltre a ciò, nell’ atto che vai allo
scopo per la via diritta, ti si fanno innanzi quasi da sè
medesime le immagini geometriche che rischiarano ogni
punto del problema ; come i coni attrattivi di Legendre ,
le superficie di livello del Sig. Chasles , ed il teorema di
Maclaurin sugli Ellissoidi confocali. Da ultimo , esposte in
brevi termini le soluzioni indirette , ricerco , seguendo un
Domenico Ghelini
metodo desunto parte da Gauss e parte da Olindo Rodri-
ques, il potenziale di uno strato ellittico eterogeneo, ed
ottengo una forinola nuova, per la quale si scioglie una
difficoltà notabile (sebbene non ancora avvertita) che s’in-
contra allorché il potenziale di uno strato ellittico infini-
tamente sottile , preso rispetto ad un punto interno , ti
comparisce dover esser uguale al potenziale relativo ad un
punto preso alla superficie dello strato, e però idoneo a
somministrare il valor dell’ attrazione in quest’ ultimo punto.
PRELIMINARI.
Potenziale e superficie di livello . Espressione (in coordinate
polari) dell’ attrazione e del potenziale di un corpo
qualsivoglia , rispetto ad un punto dato.
1. Si tratti di determinare 1’ attrazione che un dato cor-
po E esercita in un punto qualsivoglia di coordinate ret-
tangole a , p , y , nella supposizione che la forza attrattiva
di due elementi materiali sia nella ragion diretta della lor
massa, ed inversa del quadrato della loro distanza.
Sia dm la massa di una molecola del corpo E situata
nel punto (x, y, z) , e sia r la distanza che corre dal
punto (a, pv r,) al punto a; y z. Sarà
f = (* — aY -Mr — PY -4- {z — y)\
/ ± =
x — a
= — cos (xr)
da
r
dr
y—$
= — cos (yr)
dp =
dr
z — y
\ dy \
== — cos ( zr ).
Di un Ellisoide eterogeneo
7
L’ attrazione della molecola dm agirà nel punto a /? y
colla intensità s — y la quale, stimata secondo l’asse x,
diviene
dm dm dr d dm
T C0S = — T5"' la.~ da' T;
Le componenti dell* attrazione parallele ai tre assi
rettangolari x s y , z , saranno adunque
La quantità
cioè, la somma delle molecole di un corpo divise rispetti-
vamente per la loro distanza da un punto dato a(3y , si chia-
ma il potenziale del corpo rispetto al punto dato. In questa
somma le distanze r si debbono prender tutte collo stesso
segno.
Dato il potenziale V di un corpo rispetto al punto afly ,
1* attrazione del corpo in questo punto risulterà dalle tre
dV .
,dm dV dm
t-cos(yr),~=*T
M ,
ed avrà una direzione perpendicolare all’ elemento di su-
perficie, dato nel punto apy dall’ equazion differenziale
dy == 0.
Domenico Chelini
La superficie rappresentata dall’ equazione
V — costante
sarà per conseguenza ( secondo la denominazione introdotta
dal Sig. Ghasles) una superficie di livello. Imperocché Su-
perficie di livello, rispetto ad una forza la cui azione si
propaghi per ogn 9 intorno , è una superficie che taglia dap-
pertutto ad angolo retto le direzioni di questa forza .
2. L5 espressione , in coordinate polari
r cos 0 r sen 0 cos o , r sen 0 sen o ,
sì dell’ attrazione e sì del potenziale della molecola dm ,
si ottiene considerando il punto afly come il vertice di
una piramide che s’ interna per entro al corpo E , seguen-
do la direzione del raggio mobile r > ed aprendosi coll3 an-
golo solido infinitesimo
da = sen d dd do s
dove da dinota un elemento della superficie sferica avente
il centro nel punto a(ly ed il raggio = 1.
Questa piramide , quando il raggio r diviene r H- dr , cre-
sce della quantità r2 dr da , che si potrà riguardare come
il volume della molecola dm. Si avrà quindi
dm = qr* dr da ;
intendendo per q la densità, che in generale può variare da
punto a punto del corpo. Segue di qui che P attrazione
della molecola dm si estende al punto apy colla intensità
dm
e col potenziale
dm
qdr sen d dd da ,
Di un Ellissoide eterogeneo
9
N. B. I priricipii esposti si applicano eziandio al caso più
generale, che 1* attrazione di due elementi materiali sia pro-
porzionale ad una funzion qualunque della loro distanza r.
Così , se questa funzione si dinota per f (r) , e per f (r)
la sua funzion primitiva , 1’ attrazione della molecola dm
nel punto afiy, = f (r). dm , avrà per componente secondo
F asse x
dm f'(r). fa = dm. ±.f\r).
Onde generalmente si fa palese che, dato il potenziale
di un corpo
2 dm f(r) ,
F attrazione del corpo in un punto qualsivoglia a(ìy sarà
hi risultante delle tre
dV dV dV
da 9 d$ dy *
la cui direzione è perpendicolare alla superficie di livello
V = costante .
In ciò che segue, quando si parla di attrazione, s’ in-
tende sempre che operi secondo la legge newtoniana.
t. i* 2
10 Domenico Chelini
CAPO I.
GENERALITÀ RIGUARDANTI l’ ATTRAZIONE DI UN ELLISSOIDE.
Art. l.° forinole differenziali relative alV attrazione ed al
potenziale di uno strato ellittico .
3. Se nell5 equazione
si fa crescere la quantità A per gradi uguali dh, VLdh, 3dk etc.
da A0 fino ad k = hx> 1’ equazione rappresenterà una serie
di superficie ellissoidali , simili e similmente disposte , che
divideranno lo spazio finito compreso tra le due superficie
estreme h% , hx , in un’ infinità di strati ellittici infinitesimi ,
simili tra loro, e tutti aventi in comune gli assi principali
Ox, Oy 3 Oz intorno al centro 0.
Un Ellissoide E si dirà eterogeneo quando è composto
di una serie di strati concentrici dE , ne’ quali la densi-
tà q può variare dall’ uno all’ altro, essendo ciascuno strato
compreso tra due superficie simili all’ esterna e similmente
disposte. Secondochè poi l’ ultimo strato interno riducesi o
no ad un punto , 1’ ellissoide si dirà pieno o vuoto.
4. Per trovare le formole differenziali relative all’ attra-
zione ed al potenziale di uno strato ellittico dE , convien
cominciare dal cercare 1’ espressione del raggio r che dal
punto afty va colla direzione Imn * ad incontrare lo stra-
to dE in un punto qualsivoglia xyz. Per ciò basta nella (i)
sostituire
x = a -+- Ir , / = /?-+- mr , z = y h- nr ,
* Per l, m, n, s’intendono i coseni degli angoli che il raggio r fa
co’ tre assi Ox , Oy , Oz.
Di un Ellissoide eterogeneo
1
e la (1) si muterà nella seguente
(2) Pr2 h- 2 Rr = S , donde Pr
le cui radici sono
__ -fi-H/(fi2H-PS) - fi
fi = :ì=/(fi2-HPS),
/(fi2 -4- PS)
posto
/a mi?
A5- + V
L’ equazione (2) differenziata, considerando r ed A come
sole variabili , darà
( Pr -h fi ) = /
e quindi
(3)
/(ìPh-PS)
denotando dr ciascuno de* due segmenti uguali, intercetti
sul raggio r dallo strato dE .
Ora la piramide che , col vertice fisso nel punto a(ty ed
aperta coll’ angolo solido
segue la direzione del raggio r, intercetterà sopra lo stra-
to dE due particelle le cui masse dmì , dm2 saranno
dmi = qfdrdo , dm s = qPdrda ,
12
Domenico Ghelini
e per conseguenza le loro attrazioni espresse da
—f ss qdrda
qhdh sen 0 dd do
[/(R2 H- PS) ’
agiranno con eguale intensità nel punto a&y.
Da questa proposizione nascono conseguenze diverse , se-
condochè il punto attratto a@y è dentro o fuori dello stra-
to dE.
l.° Se il punto a(fy trovasi per éntro al vuoto dello stra-
to dE , le due attrazioni —
essendo ivi uguali ed
opposte, si distruggono; ond5 è che, regnando la legge
delV attrazione in ragion inversa del quadrato dèlia distan-
za s un ellissoide vuoto non esercita alcurC azione sui punti
posti nel vano interno. E ne conseguita , che V azione di un
ellissoide sopra un punto della sua massa dee ridursi a
quella che vi è trasmessa dalla parte di questa massa , cné
è terminata dalla superficie ellittica passante per questo
punto e simile alla superficie esterna del corpo.
Inoltre i raggi r% avendo direzione opposta e però
segni contrari , il potenziale delle due particelle dmx , dm 2 3
rispetto al punto afìy , sarà
dm dm 2 qh dh da
~ ~ — = *(*! - fii) àrda = - ;
e per conseguenza il potenziale interno del corpo E avrà
per espressione
Tr v dm qh dh sen 6 dd do
e questo potenziale dovrà conservarsi costante per ogni punto
del vano interno di dE, essendovi nulla V attrazione dello
stesso strato.
Di un Ellissoide eterogeneo
13
2.° Se il punto a(ìy trovasi fuori, od anche alla superficie
esterna dello strato dE , le due attrazioni uguali — ^ ,
siccome agenti per lo stesso verso secondo il raggio r, si
compongono nell’ attrazione unica
/ x 2 qh dh sen 0 dS do
(r) _ + PS) '
Inoltre i raggi rt , r2 avendo la medesima direzione, il
potenziale delle due particelle dmt , dm2 , rispetto al pun-
to sarà
dm^
f (V
r2) drda =
— 2 qh dh R da
P j/ (R2 h- PS) ;
e per conseguenza il potenziale esterno del corpo E avrà
per espressione
__ „ dm ^ qh dh R sen 6 dO do
V = 2 — = — 22 .
Pl/(R2+ PS)
E qui si avverta che, per le direzioni Imn che verifica-
no V equazione
+ = 0 ,
il raggio r ( acquistando valori uguali rt = r2 , e però riu-
nendo in un solo i due punti che aveva in comune collo
strato dE ) giacerà sulla superficie conica , che dal vertice
apy stendesi ad abbracciare lo strato dE.
Art. 2.° Indicazione del metodo più diretto per determinare
la legge onde un Ellissoide eterogeneo irradia al di fuori
la sua forza attrattiva.
5. Per comporre in una sola forza i raggi attrattivi ( r)
che, emanando in numero infinito da dE , concorrono tut-
ti a far sentire la loro intensità nel punto esterno a/9y,
14
Domenico Ghelini
giova dividere in istrati il cono di questi raggi, mediante
una serie indefinita di superficie coniche così tra loro col-
legate, che abbiano in comune gli assi principali colla su-
perficie del cono circoscritto al velo ellittico dE. L’ equa-
zione di una qualunque di queste superficie si ottiene
assoggettando la direzione Imn del raggio r a variare in
modo che la quantità R 2 h- PS si conservi uguale ad una
costante A2, la quale prenderà un valore diverso nel pas-
sare dall’ una all’ altra di quelle superficie coniche. In-
fatti, essendo l2 -i- m2 -+- n2 = 1 , se nel polinomio
R2 + PS- K* (P -h m2 -+- n2)
omogeneo rispetto ad l, m, n<> si sostituisce
e poi si fa eguale a zero il risultato , si avrà , tra le coor-
dinate correnti xf , yx , zt , l’equazione di un cono (A) ,
nel quale (come tra poco sarà dimostrato) le direzioni de-
gli assi principali sono affatto indipendenti dal valore di K.
Riferiamo a questi assi principali ( che denoteremo per
MI, Miq , MI) le coordinate polari
r cos d , r sen 6 cos a , r sen 0 sen a ,
e supponiamo che M% sia l’asse interno del cono (K). Ogni
piano che passa per Mi inciderà in esso cono di secondo
grado un angolo che sarà dimezzato da MI, e i due raggi
attrattivi (r) che da dE vanno al vertice M (apy) secondo
i lati di quest’ angolo, siccome traenti con eguale inten-
sità, avranno per risultante una forza diretta secondo
ed espressa da
/ dh sen 0 dO da Qqh dh d(sen 2 0)da
' ) --'r-mnt- cos V — .
Di un Ellissoide eterogeneo
15
Suppongasi ora che la costante K varii da K = 0 per
gradi uguali dK , e si concepiscano le superficie coniche
che, a partire dalla circoscritta a dE > si vanno continua^
mente restringendo , finché 1’ ultima si chiude affatto sul-
Y asse M%. Queste superficie coniche divideranno il velo
ellittico dE in tanti anelli infinitesimali, di cui le attra-
zioni parziali (A), affluendo al punto afiy pe’ canali formati
da esse superficie, si comporranno in una forza unica di-
retta secondo Mf;. Così è reso manifesto che :
Dato uno strato ellittico infinitamente sottile , ed un punto
fuori di esso , V attrazione dello strato sul punto è diretta
secondo V asse interno della superficie conica, circoscritta
allo \ strato ed avente il vertice nel punto dato.
Quando' si saranno trovate le formole relative agli assi
principali de’ coni (K) , la risoluzion del nostro problema
si ridurrà ad integrare 1’ espressione dell’ attrazione elemen-
tare (A). Per una prima integrazione si avrà V attrazion
degli anelli intercetti sopra dE da due superficie coniche
successive (K), (K dK)\ per una seconda intégrazione
si avrà quella dì tutti gli anelli componenti lo strato dE ;
infine per una terza integrazione eseguita rispetto a tre
assi fissi Ox , Oy , Óz , conosceremo in intensità e in di -
rezione l’attrazione esterna dell’ ellissoide eterogeneo E, sia
vuoto , sia pieno.
6. A render chiaro, per via d’ esempio, il metodo ac-
cennato, applichiamolo dapprima ad una sfera omogenea.
In questo caso è per sé manifesto , che le superficie ( K )
debbono esser tutte di coni retti circolari, e che P asse
interno M% comune a tali coni, è la retta che dal verti-
ce M, od afiy, va al centro O della sfera. Quindi se la di-
rezione Imn del raggio r, lato del cono ( K ), devia dal-
1’ asse interno per Y angolo 6 , la quantità
K* = I? -+- PS
dovrà ridursi ad una funzione della sola variabile 0. Ed in-
fatti per lo strato sferico dE essendo a = b = c, e per
conseguenza
i6
Domenico Ghelini
( la -+- m$ -f- ny ) ,
[S= — (a? h2 — a* — (l* — y4).
se si chiama D il valore assoluto della retta che dal cen-
tro O va al punto apy, in senso contrario di M% , sarà
quindi
PS = -4 (a* h2 — Z>2) .
£*== — ( a2h2 — D2 seri 2
Da questo valore di s’ inferisce che a
sera 0 = 0 j
flA corrisponde
Poste queste relazioni tra JST e 0, 1’ attrazione elemen-
tare (A) (n.° 5) diviene
La quale espressione , integrata successivamente da a = 0
ad Q = jtje da K= — fino ad JT = 0, somministra
\1
Di un
Ellissoide
ETEROGENEO
Se ora si vuole P attrazione di uno strato sferico finito,
compreso tra due sfere concentriche di raggi ah0 , a\ , e
di una densità costante = q , basta integrare P espressio-
ne precedente da h = hQ ad h = ht , e si avrà
^ dm A a3 /7a M
2^=3,tDi9Ìh‘-h')=W
dinotando per M la massa dello strato sferico. Di qui il
teorema di Newton :
Un corpo sferico , sia vuoto , sia pieno , irradia all ester-
no la sua forza attrattiva a quel modo che farebbe se la
sua massa, ristretta in un semplice punto , risiedesse tutta
nel centro .
Il potenziale esterna (n.° A) dello stesso corpo sferico
avrà per espressione
y v qh dh d( sen 2 0) do Q v qa 4 h dh dK do
. — jj ’
la quale, integrata tra gli stessi limiti che la precedente,
somministra
3 D
R I
D’
vale a dire: Il potenziale esterno di un corpo sferico , sia
vuoto , sia pieno , è lo stesso che se la massa del corpo
fosse tutta ristretta nel suo centro .
Il potenziale interno Vi sarà espresso da
V. = — 2 a2 2 qh dh d(cos 6) do ,
che, integrando da o = 0 ad o = 2n, e da 0 = 0 a 0=£;r,
si muta in
V{ = 2 n a* q{h\ — h\),
vale a dire-: Il potenziale di una sfera vuota si mantiene
costante per qualsivoglia punto situato nel vuoto di essa .
18
Domenico Cheuni
%
CAPO II.
APPLICAZIONE DEL METODO AD UN ELLISSOIDE ETEROGENEO
Art. l.° Assi principali de 3 coni (K) , e superficie di livello
nelV attrazione esterna dello strato ellittico dE.
7. Bisogna innanzi tutto trovare le forinole relative agli
assi principali M% , Mq 3 Mt dei coni (lf).
Denotiamo per U ciò che diviene il polinomio
PS -4- R2 — K1 ( Z2 -4- nP -4- n')
quando si suppone che la direzione Iran sia quella di uno
qualunque di tali assi * ; e poniamo
Sarà
U = LI Mm Nn.
Le direzioni principali Imn potendo esser definite : quelle
a cui corrisponde il minimo éd il massimo valore di U 3 si do-
vranno ricavare dalle due equazioni
Ldl Mdm -4- Ndn = 0 ,
Idi -4- mdm -4- ndn — 0.
determinare gli assi principali de’ coni (.£), seguo il metodo che
già ho dato per gli assi principali d’ inerzia negli Elementi di Meccanica razio-
nale , e che si adatta in generale alle superficie di secondo grado anche quando
sono niente ad assi obliquangoli.
Di un Ellisoide eterogeneo
Se dalla seconda moltiplicata pel fattore- indeterminato u
si sottrae la prima, e si fanno eguali a zero i coefficienti
totali di di , dm, dn9 conforme al metodo de’ massimi e
de’ minimi, nascono le
(a) ul — um — M = 0 ^ un — N= 0,
che moltiplicate rispettivamente per m , n e sommate
danno
u = LI -+- Mm -+■ Nn.
Questo risultato significa che la incognita u rappresenta
il valore di U corrispondente ad una qualunque delle dire-
zioni principali Imn.
L’ equazioni (a) 9 ove ad L > M 3 N si sostituiscano i
loro valori, diventano
Sostituendo questi valori di l, m , n, nelle
20
Domenico Chelini
nascono le seguenti
delle quali 1’ ultima, a causa di
equivale alla
che colle sue radici reali manifesta i tre valori di p corri-
spondenti ad un dato valore di h.
8. Supponiamo che p rappresenti uno qualunque di que-
sti valori, e fatto per abbreviare
(p) =
, /
■p b%— p
<?— p
-h\
poniamo attenzione alle primarie conseguenze che scaturi-
scono dalle tre equazioni (c), (d) > ( e ).
l.° Se nella identità
(*’ - c*) (a1- p) ■+■ (c1- a2) (*2- p) -+- (a1 — ^) (S-p) = 0,
sostituiamo, mediante le (c).
a — p:
P
Rp_ y
S fi 9
Di un Ellissoide eterogeneo
21
otteniamo
(** - *’) 7 - («* - '«*) £ H- (a* ^ — 0 ,
forinola che , essendo indipendente dalle variazioni di p e
di A, fa palese che gli assi principali de’ singoli coni (K)
corrispondenti ai diversi valori di h, si trovano tutti ap-
plicati sulla superficie del cono fisso
(4* - c’) “ -+- (cs - a5) £ -+- («* - fe1) ^ = o.
2.° Il piano che tocca la superficie (p) = 0 nel pun-
to afiy, essendo
la perpendicolare p che dal centro O della superficie cade
sul detto piano , sarà
' - * [(?y ~ fey T 1
donde , a causa della ( d ) ,
_ ,*Rp . e rp_p_
P = h ~s T”**-
I coseni degli angoli che la normale /? fa cogli assi
Ox , Oy , Oz della superficie (/)), saranno
(xp) =
a Rp a p
2 — p S a2 — p h* 9
K
fi Rp _ fi P
M^pZTp-S-ìi^p-h'
7 P
— p'h' ’■
22
Domenico Ghelini
i quali rappresentano pure, in virtù delle (c), la direzione
dell’ asse principale del cono ( K ), relativo al dato valore
di p, radice della (e).
3.° Se dalla superficie (p) = 0 si vuol passare alla super-
ficie simile infinitamente vicina , basta far variare in (p) = 0
il punto apy ed insieme la quantità h> e si avrà
7d7
= hdh.
Di qui apparisce che, nel punto a&y , la distanza nor-
male dp tra le due superficie simili si esprime per *
, 7 17 dh dp dh
dp = h dh. — = — p , donde — =
& h p h
4L° Quando nella (e), rimanendo fìsso il punto a(ìy , va-
ria la quantità h, dovrà variare in corrispondenza il para-
metro p , e dalla (e)
rapporto
avrà tra le variazioni dh e dp il
donde
dp = %h dh. J - V % ,
dh=&% = — dp.
5.° Se le quantità a , h , c siano disposte secondo la gra-
dazione c<b<Ca, le radici della (e), che dinoteremo
per pt , p2 , p3 in ordine crescente , daranno luogo alla
gradazione
Pt <c <Pt < b < p3 < a.
Quindi delle tre superficie confocali
(f>2)= 0, (p3) = 0
Queste forinole acquistano un’ evidenza immediata per chi voglia usare il
principio della retta risultante che ho esposto nell’Appendice alla Mecc. razionale.
Di un Ellissoide eterogeneo
23
la prima rappresenterà un ellissoide , la seconda un iper-
boloide ad una falda, e la terza un iperboloide a due
falde. E se si chiamano px , p2 , p3 le perpendicolari calate
dal comun centro sopra i loro piani tangenti nel medesi-
mo punto, i tre coseni cos(ptp2), cos(p2pd), c&s(pzpt)9
riuscendo proporzionali alle tre differenze
(fi,) - W. w -w. (PÒ - (p,)
le quali son nulle, fanno manifesto che le tre superfi-
cie (px) , (p2) , (p3) si tagliano dappertutto ad angolo retto,
o come suol dirsi, sono superficie ortogonali.
6.° Il primo membro della (e) , ossia della
ridotto allo stesso denominatore , dee considerarsi come iden-
tico al seguente prodotto
(P — P,)(P — pMPjz.
(p - a*)(p - b')(p - c5) '
E siccome la quantità S è ciò in cui si converte il pri-
mo membro della (e), per p = 0 , così avremo
5 = (^) P, Pi Ps’ <i«nde Pi p3 Pì = s
Inoltre , se la identità
F f L*_ht(P— PtVfi — P*)(P — P»)
p—a* p—b 2 p— c* (p—a,)(p — bt)(p — c,\
si differenzia rispetto a p, coll’ intendimento di fare nell’ ul-
timo risultato p = px (e però tralasciando di differenziare
i termini che debbono annullarsi), si ottiene subito
24
Domenico Chelini
,2 (P,—Pl)(Pt —Pi)
(p-JHp-b'Hp-c3)'
Di crui, essendo cotesto trinomio = — », si ricava
Pt
(P,~ Pi) ( Pi— Pi) ~~~p ^Pt~ aì^Pi ~ b'^Pi — C^'
7.° Secondochè il punto apy si trova sulla superficie
esterna
dello strato ellittico dE s o dentro, o fuori, è manifesto
che nell’ ellissoide
che passa pel punto a(ìy , la quantità px dee risultare od
eguale a zero, o positiva, o negativa.
Nel caso che ora consideriamo, il punto a(ly essendo
esterno a dE s le tre radici dell’ equazione (e) le indiche-
remo per — P* Pi* G indicheremo per p , pi9 p% le
perpendicolari calate dal centro O sulle corrispondenti su-
perficie confocali; ed infine faremo
A* = a2 -f- p , #2 = b2 -+- p , C2 = c1 p.
Ciò posto, le diverse relazioni or trovate si scriveranno
come segue
Di un Ellissoide eterogeneo
dh = -~dp,
S ih
p
dh h* .
--p-L=-^dp,
abct' PP'^
h*
2p
=-S^V,
(p-*-p,)(p + P,) = p
8. ° Notiamo infine che la direzione Imn data dall* equa-
zioni
z . p a , v p 3 d y
cos(Xp) = -.-, coste) coste) = r.-L,
essendo comune all* asse interno M% del cono (K) ed alla
retta p (2.°), che nel punto a$y è perpendicolare all9 El-
lissoide
± + z! ±_ _ A>
A* H* C*~
confocale alla superficie esterna di dE , possiamo stabilire
col Sig. Chasles che :
Nell’ attrazione esterna di uno strato ellittico infinitamente
sottile , le superficie di livello sono confocali ad esso strato.
Art. 2.° Formole generali rappresentanti la legge onde un
Ellissoide eterogeneo propaga la sua attrazione
da punto a punto.
9. Siano u, ux , u2 i valori che nella (b) , ossia nella (n. 7)
P
corrispondono alle radici — p, px , p2 dell9 equazione (e).
É noto che T equazione del cono (K) riferita ai suoi tre
assi principali Mt , My 9 sarà
4* + ut ?*-+- u~ £2 = 0,
26
Domenico Ghelini
e per conseguenza, sostituendo ad u, uA , u2 i loro valori
corrispondenti a — p, P\ » P2 »
Questo cono (#) che per /£= 0 è circoscritto a dE , per
si chiuderà interamente e si confonderà col suo asse MI;.
Se nella (K) sostituiamo
% = r cosd> y = r sera# 0 , £ = r sen 0 seno.
si avrà , dividendo per r* e ponendo in evidenza sertO^
e quindi
Ritenendo costante Y angolo o (onde il piano mobile r
*devia dal piano fisso My) 9 è manifesto che l’aper-
tura del cono (2£) varia col solo angolo 0 = (|r). Diffe-
renziamo V equazion precedente , ossia la
venendo rappresentato dall’ equazione
K* t serSO
s p~ pp.pi
Di un Ellissoide eterogeneo
27
rispetto a 0 e a K ; otterremo»
' abc\ * KdK
d (sette) = — 2
N2 cos'a '
Tm
ponendo per abbreviare
(P ■+■ Pi)P,> Nì= (P-+-P,)P,’
donde (n. 8, 7.°):
MN — j ABC i/p^Pi ■
Si avrà quindi
/ abc \
d ( serfd ) do == — 2 y~jp~ j
jM v
dì— tana]
abc \2 KdK \N /
/M v*
\Ntana)
Ciò posto, l’espressione dell’attrazione (n. 5)
2 qh dh d( serfO ) do
(A) =
si trasformerà in
(ab c\2 qh dh dK
,/M \
ì(Ntanl
la quale integrata da o = 0 fino ad a = n essendo
iM \
Domenico Chelini
tabc\*qhdhdK
~ 71 VT7 MN ’
forinola esprimente 1’ attrazione che viene al punto apy da-
gli anelli intercetti sopra dE dai due coni successivi (JT),
(K-t-dK)-
Integrando di nuovo da
[/pi Pi «no a K — 0 ,
conseguiremo l’attrazione esterna dello strato ellittico dE
espressa sotto le forme
abc qdh abc abc qh2dp
-p- =
ABCr. h ' ABC
10. .N. B. Dalle tre relazioni
A>-EP = a>-b\
&—C2
Ai D2 ■+■ /T2 ^ ’
rendesi manifesto che : Una superficie ellissoidale
è pienamente determinata dalla doppia condizione di do-
vere appartenere ad un dato sistema di superficie confocali ,
e di dover passare per un punto dato apy.
Di qui s’inferisce che, se si dinota per dEt ciò che di-
venta lo strato dE quando ad a, b , c si sostituisce a^ bx> ci
sotto la condizione che sia
< — b\ — a2 — b\ h\ — c] — b2 — c2,
Di un Ellisoide eterogeneo
29
le attrazioni di dE e di dEx nel punto apy saranno espres-
se similmente per
?i dp »•
le quali espressioni , paragonate tra loro , fanno aperto che :
Se due strati ellittici dE , dEt concentrici ed omogenei
sono confocali , le loro attrazioni esterne avranno . in comu-
ne le superficie di livello ; e le intensità delle loro attrazioni
in un punto qualsivoglia staranno tra loro nel rapporto delle
masse de 3 due strati.
Diciamo , per abbreviare , che due strati ellittici dE, dEx
sono confocali * quando l’uno essendo compreso tra due
superficie ellissoidali simili e similmente disposte intorno
al centro comune , anche P altro strato si trova compreso
tra due altre superficie simili tra loro, e di più rispetti-
vamente confocali alle prime.
11. L’ attrazione dello strato ellittico dE nei punto
essendo perpendicolare in questo punto alla superficie
se vogliasi decomporre in tre forze dX , dY , dZ paral-
lele agli assi principali dello strato dE , basterà moltipli-
carne il valore
abc qtf dp
~ 71 ABC
rispettivamente per
30
Domenico Ghelini
Ciò posto , per mezzo di semplici quadrature possiamo
passare dall’ attrazione delio strato elementare dE all5 at-
trazione di uno strato finito E compreso tra due superficie
concentriche di semi-assi («Ao9 bfy 0, c^0), ? bhx, c\)-
Infatti siano p0 , pt i valori di p che nell5 equazione
corrispondono ai valori kQ , di h , e dove è a notare che
all5 ineguaglianza
K < K 9 corrisponde p0 > p, .
L5 attrazione esterna del corpo E sarà la risultante del-
le tre
nelle quali la densità q può essere una funzione qualunque
di h , ossia del trinomio
A* &
12. Affine di render più semplici l5 espressioni di X , Y , Z}
mutiamo la variabile indipendente p, e poniamo
p — a2tan2<p ; sarà A = [/(a2 ■+■ a2 tan2(p) =
cos<p
donde
cos$=--.
Di un Ellissoide eterogeneo
31
Se ora prendiamo per nuova variabile indipendente
u — cos<p = — ,
le quantità tan(p, p saranno espresse in funzione della
nuova variabile u per mezzo delle forinole
tan2(p :
1, p = W-2 - t), 4 = - 2 a2
e quanto alle A, B, C, se supposta la gradazione a > b > c ,
si fa
e quindi
&c /'“i qifdu
— Kan -~a / : — . ->
a J ( 1 _ A2 «2)4(1 — A'* w2)4
qifdu
Y (i _ AV)S(1 — A'V)S '
bc ' pifdu
Z = 4 yjr -r / ; ; ?
(1 — **H*)*(1 — A'V)1
sponde
qifdu
dove z/0, sono i valori di u corrispondenti a p0 , p,
Finalmente se si pone
w:— ?/:
(I — A* «*)*(! — A'2u2)4
32
Domenico Chelini
le forinole che precedono, rivestono la forma semplicissima
X — a. (lY‘ ,
Nel caso di una sfera omogenea ( <7 = i) riuscendo
ah. ah»
(Ah)ì
a = h = c , 0 — /l = X , ux =
(Àh)t = (Ah)Q == D ,
e quindi da u = w0 fino ad u = ut
sarà
- “ M r_ 1 ^ ' 7_1
D ‘ ET - ~ D D*’ DB*
13. Quando il corpo ellittico è pieno , ed il punto at-
tratto a($y è sulla superficie del corpo
i limiti tra cui variano le quantità si corrispondono per or-
dine coi valori
= 1 , ( pt = 0, / <pt ss 0,
p0 = c° ; \ ; 1^=0;
e 1 attrazione dell’intero ellissoide nel punto a@y della sua
Di un Ellissoide eterogeneo
33
superficie avrà per componenti
a) Si osservi che queste forinole restano inalterate se in
luogo di a> b3 c mettiamo a(ì d) , b( 1 -+- #), c(l -+- #),
dinotando per d un numero positivo. Ora per questa so-
stituzione il corpo si troverà aumentato di uno strato com-
preso tra la sua superficie primitiva ed una nuova super-
ficie concentrica e simile alla prima ; e poiché le compo-
nenti Ys Z non cangiano, bisogna conchiudere che
questo strato aggiunto non ha veruna azione sul punto in-
terno apy , come già si era trovato in principio. Per con-
seguenza, le attrazioni (X> Y, Z) , (X'y Y\ Z') che un
ellissoide pieno esercita sopra due punti diversi a(}y, a!$y’
della sua massa , stimate secondo uno qualunque de* tre assi
principali del corpo , sono proporzionali alle coordinate omo-
loghe de’ due punti , vale a dire si ha :
X a Y 0 Z y
Xr~~àr’
5
34
Domenico Ghelini
CAPO III.
SOLUZIONI INDIRETTE DEL PROBLEMA RELATIVO ALL* ATTRAZIONE
DI UN ELLISSOIDE.
I principii generali già dichiarati permettono di presen-
tare sotto una forma lucida e breve le soluzioni indirette
de5 Sigg. Ivory , Chasles , Gauss , O. Rodrigues. E tanto più
sembrami utile di aggiungere queste soluzioni , in quanto che
mi offrono l’occasione di sciogliere una difficoltà, o para-
dosso , che s’ incontra in una delle medesime , e ciò col
sussidio di una nuova formola rappresentante il potenziale
di uno strato ellittico eterogeneo.
Art. l.° Soluzione indiretta et Ivory,
14. I punti (x, y, z) , (xt , yiS zt) di due sistemi es-
sendo ad uno ad uno corrispondenti tra loro mediante Y e-
quazioni
ed essendo di più
a\ - a* = - = c\ - c\
sotto qual forma dovranno esser configurati i due sistemi,
acciocché la distanza tra un punto arbitrario M(a p ,y)
dell’ uno ed un punto arbitrario Nt ( at , fit, yt) deli’ altro
Di un Ellissoide eterogeneo 35
riesca sempre uguale alla distanza de* punti corrispondenti
A ciò richiedesi che i due. sistemi di punti appartenga-
no alle superficie di due Ellissoidi confocali E , È :
(1)
h\
Infatti non può ridursi ad un’ identità 1’ equazione
MN‘ — MJt* = 0 ,
equivalente alla
(a,-ay (
IV at a !
b b4\*
Ir, — y?
)' u
-i<H)
qualunque siano i valori delle coordinate arbitrarie (a, y),
K ? 7t)? salvochè non si verifichino le relazioni (1) tra
i punti ajìy ,
Ne segue che , ritenuti fermi sopra i due ellissoidi E , Ei
i punti corrispondenti M, Mt , tutti i raggi MNX che, u-
scendo dal primo punto M, vanno a terminare alla super-
ficie del secondo ellissoide Et , saranno eguali ai raggi cor -
spondenti MtN che, partendo dal secondo punto fisso Mt,
vanno a terminare alla superficie del primo ellissoide.
Trovata questa proprietà de’ punti corrispondenti in due
ellissoidi confocali, il Sig. Ivory si avvide, nel 1809, che
si poteva adoperarla per ricondurre il problema dell9 attra-
zione di un corpo ellittico sopra un punto esterno, a quello
36
Domenico Cheuni
dell* attrazione sopra un punto interno., già risoluto da
Lagrange. A questo fine scoprì un nuovo teorema pel quale
dall’ un caso si passa all* altro. Eccone la dimostrazione.
Consideriamo 1* integrale
che esprime la; componente X dell’ attrazione di un ellis-
soide E sopra un punto qualsivoglia y{ 5 ed eseguiamo
l’integrazione rispetto ad x lunghesso il filo prismatico di
sezione = dydz e parallelo ad Ox. Se notiamo per rx , r2
le distanze tra il punto ax @x yt e le estremità del suddetto
filo sopra 1’ ellissoide , si otterrà
Ora supponiamo che il punto OLxfixyx sia esterno all’ el-
lissoide E. Un secondo ellissoide Ex confocale al primo ,
aj2— a 2 = bx — V1 == cx — c2 =|)t,
e la cui superfìcie passi pel punto at @x y{ , eserciterà nel
punto interno lax — , A — , y — ) che sopra 1’ ellissoide E
\ a4 b4 c4 f
a2 b 2
hx\
corrisponde al punto at fix yx, un’ attrazione di cui la com-
ponente Xx sarà
x' = Wfqdydz(\-7}
poiché all’elemento dydz preso in E corrisponde in Ex
F elemento 11 dydz > e si suppone che la densità q sia
bc
la stessa ne’ punti corrispondenti.
Di un Ellissoide eterogeneo 3^
Dal paragone delle due attrazioni X 3 Xt si conchiude
X_ Jhc
Xx “ bxcx 5
vale a dire : Le attrazioni che due ellissoidi confocali eser-
citano à vicenda in due punti corrispondenti delle loro su-
perficie , stimate parallelamente ad uno de 9 loro diametri
principali 3 stanno tra loro come i prodotti rispettivi degli
altri due diametri .
Si ottiene poi l’attrazione X3 osservando che il punto
— , 0t ~ , yx — ^ si trova nell’ interno dell’ ellissoide Ex
(i due ellissoidi E3 Ex si suppongono pierii ), e che in
questo caso si ha (n.° 13, a3 e n.° 11)
dunque
<ldP
AZBC ’
ed in questo modo, pel teorema d9 Ivory, il caso dell’at-
trazione relativa ad un punto esterno è ricondotta al paso
riguardante un punto interno.
N. B. Ciò che renderà memorabile il teorema d’ Ivory
si è, che esso sussiste qualunque sia la legge dell’ attra-
zione in funzion della distanza r. Infatti la dimostrazion
precedente si applica in modo analogo al caso generale ,
come già fu osservato da Poisson.
Così per due sfere omogenee, concentriche e di rag-
gi a3 ax , avremo (qualunque sia la legge dell’attrazione
in funzion della distanza)
X a*
38
Domenico Chelini
Questa formola che esprime il rapporto delle attrazioni
che le due sfere piene a, at esercitano a vicenda sui pun-
ti a@y , OLtptyt delle loro superficie, dà origine ad una pro-
posizione importante.
Suppongasi che uno strato sferico non eserciti azione al-
cuna sopra un punto interno, e che ciò siasi dimostrato
coll’ esperienza. L’attrazione Xt della sfera piena at sul
punto interno a(ly , dovrà ridursi all’attrazione esercitatavi
dalla minore sfera a la cui superficie passa pel detto punto.
Quindi de’ due prodotti eguali
X. a? = Xx. a\
il secondo, e però anche il primo, dovrà conservarsi co-
stante allorché cresce o diminuisce la distanza ax del pun-
to ^iyiv vale a dire, 1’ attrazione X della minore sfera a
sopra un punto esterno , dee esercitarsi in ragion in-
versa del quadrato della distanza ax da questo punto , qua-
lunque sia la piccolezza di essa sfera. Da ciò s’ inferisce
che : La $ola legge di attrazione per la quale uno strato
sferico non esercita azione alcuna sui punti del suo interno ,
è quella della ragion inversa del quadrato della distanza .
Art. 2.° Soluzione indiretta del Sig. Chasles.
15. I punti (a, y) , — , 0 — , y siano fissi e
corrispondenti sopra le due superficie confocali
** , r' , lì x<ì . y2 *2 __ ,2
B2 c* ~ j ;? P h}
A* — a* = B2 — b* = C2 — c3 = P)
e di più esterne in due strati ellittici dS y dE infinitamente
sottili, de quali il primo racchiuda in seno il secondo.
Di un Ellissoide eterogeneo
I potenziali di questi strati dS > dE
(F)=2— , V = 2 —
presi rispetto a que’ due punti fissi, saranno legati tra loro
dalP equazione
v=^k^v)-
Imperocché tra le molecole corrispondenti dM , dm, e
tra le loro distanze R, r ai due punti nominati si hanno
le relazioni costanti
dm = ——— dM, R =
ABC
Ora osserviamo che il potenziale (F) dello strato dS ,
essendo riferito ad un punto situato nel suo interno ove
r attrazione è nulla , dee conservarsi costante qualunque sia
la posizione di questo punto (n.° h. l.°). Conseguentemente
anche il potenziale V dello strato dE rispetto ad un punto
esterno a$y , preso ad arbitrio sulla superficie di dS , si
conserva costante. E ciò vuol dire che: Nelt attrazione
esterna di uno strato ellittico infinitamente sottile , le super-
ficie dì livello sono tutte confocali a quella dello strato ..
Per un altro strato ellittico dEx di semi-assi ( at , bt , cf ) h,
e situato esso pure nel seno dello strato confocale dS , il
potenziale Vt rispetto al punto a$y sarà egualmente
(*)
Se dalle due equazioni (a) e (b) si elimina ( V) si ottiene
40
Domenico Cheuni
vale a dire: I potenziali di due strati ellittici e confo-
cali dE , dEx , rispetto ad un medesimo punto esterno afiy,
sono proporzionali alle loro masse.
Siano F , Fx le intensità delle attrazioni de? due stra-
ti dE -, dEx sui punto a$y. Queste forze staranno tra loro
nel rapporto costante in cui vediamo essere le loro com-
/ dV abc dV \
ponenti ’ etc> f on<*e sara
axbxcx *
Suppongasi ora che lo strato dEx si confonda con dS ,
o che si abbia ax = A, bx=Bv cx = C. In questo caso
la forza Fx esprimerà F attrazione che lo strato dS esercita
sopra il punto apy della sua superficie esterna , e che per
mezzo di una facile costruzione geometrica si trova
Fx == 4 nqdp ,
essendo dp la grossezza dello strato dS nel punto a(ìy. Si
avrà dunque per 1’ attrazione esterna di uno strato ellit-
tico dE
„ * abc
F = in qdp s
ABC
donde le formole per un ellissoide qualsivoglia.
Questa soluzione del Sig. Chasles è senza dubbio la più
semplice ed elegante delle soluzioni indirette.
N. B. Nella fatta supposizione di ax = A, bx = B, cx = C?
la (c) diviene
abc
ABC
V ,
questa paragonata colla (a) conduce alla relazione
(V) = vt% .
Di un Ellissoide eterogeneo
41
la quale significa che: Se uno strato ellittico è infinita-
mente sottile , il suo potenziale interno ( F) è uguale al
potenziale riguardante un punto qualsivoglia della sua su-
perficie. Ciò posto , si può dimandare : In qual modo il
potenziale interno , che è costante , ossia indipendente affatto
dal punto interno a cui si riferisce, potrà dare la forinola
che rappresenta V attrazione alla superficie? Questa difficoltà
sarà risoluta in appresso quando avremo trovato 1* espres-
sion generale del potenziale esterno ed interno di un ellis-
soide vuoto.
Art. 3.° Soluzione indiretta , desunta da quelle di Gauss
e di O. Rodrigues *.
16. Quando i punti (x , y, z) , , £) di due si-
stemi si corrispondono per F equazioni
le particelle dv =z dxdydz , dvt = dfcdrjdt, di volumi corri-
spondenti saranno legate dalia relazione
dv = ABC. dvx ,
e per conseguenza un volume di qualsivoglia figura preso
nel secondo sistema, ove si moltiplichi per ABC, darà il
valore del volume corrispondente del primo sistema.
Per esempio , consideriamo un ellissoide e la sfera corri-
spondente
<*> =
e riportiamo la sfera alle coordinate polari
| =z h cosd , y = h senO cos<p , t = h send senfp.
* Mi sono giovato per questa soluzione delle Memorie del Sig. Cayley inse-
rite nel Quarterly Journal of pure and applied Mathematics.
42
Domenico Chelini
da = send dd d(p ,
siccome alla particella = h2dh da della sfera corrisponde
nell’ellissoide la particella ABCl?dhda 3 così alla pira-
mide = -J- h? da delia sfera corrisponderà nell’ ellissoide
un’ altra piramide che si potrà esprimere in due modi
diversi, cioè per \ ABCÌ? da , e per £ pdS , intendendo
per dS P elemento di superficie che sull’ ellissoide serve
di base alla piramide , e per p la perpendicolare condotta
dal centro sul piano tangente in dS. Si avrà pertanto
ABC W da = pdS ,* e quindi
. * P^S
ABC A3
essendo
ed xyz il punto dove risiede dS.
Di più , supposto
A2 — a2 = B2 — b2 = C% — c2 = p ,
donde
AdA = BdB = CdC = \ dp,
se 1’ equazione ( h ) si differenzia rispetto a p ed al pun-
to xyz [passando così dalla superficie (A, B , C) alla su-
perficie confocale infinitamente vicina (A -+■ dA , B dB ,
C -+- dC)] si troverà
xdx ydy zdz _ tx 2 y2 z2\
A2 B2 B* * &)dp’
e la distanza dp tra le due superficie nel punto xy z sa-
rà ( n.° 8 )
43
Di un Ellissoide eterogeneo
Si avrà dunque
(a)
dp dS
2 ABC' h *
A queste forinole si dee aggiungere ciò che costituisce
il perno dell’ attuale soluzione , ed è un teorema celebre
di Gauss , il quale diviene quasi evidente per sè medesimo
ove sia enunciato nel modo seguente :
Se una superficie chiusa S si prò jetta sulla superficie di
una sfera di raggio = 1 per mezzo di rette concorrenti al
centro M di essa sfera , la projezione sarà uguale alla in-
tera superficie hit della sfera , od alla metà 2 it , ovvero u-
guale a zero , secondochè il centro M della sfera si trova
o dentro la superficie chiusa S, o sopra , o fuori .
Sia p una retta normale all’ elemento dS „ e diretta dal
di fuori al di dentro della superficie S ; r la retta che
da dS va al centro M della sfera di raggio = r. La proje-
zione di dS sulla superficie di questa sfera sarà = dS cos(rp),
e per conseguenza la projezione di dS sulla sfera concen-
trica di ràggio = 1 , sarà
dS cos( rp) ,
Quindi la projezione della intera superficie S sopra que-
st’ ultima sfera, avrà per espressione
dS cos(rp)
2 1 »
il cui valore risulterà
hit, 2 n, 0
secondochè il punto M è dentro la superficie S, o sopra ,
o fuori.
Facendo uso di questi principii, le formóle date da Gauss
e da O. Rodrigues riguardano il potenziale e l’ attrazione
di un ellissoide pieno ed omogeneo. Giova stabilirle nel caso
più generale di un ellissoide vuoto ed eterogeneo.
u
Domenico Chelini
17. Sia pertanto un ellissoide E diviso in istrati simili dE
dalle superficie rappresentate dall’ equazione
(h)
facendovi variare h per gradi uguali dh da h = 0 ad h = hy,
e la densità q da uno strato ali’ altro. Posto che i punti
si corrispondano per la legge
c.
una molecola dm del corpo E si potrà esprimere per
dm ss ABC qtf dh do ,
- ed il potenziale V di E, rispetto al punto dato M ( apy ) , per
qìd dh do
= abc:
donde
V v qtfdh do 5
ABC = *~r '
Ora fatto
J2 = a2 p , B2 = b2+p, C2 = c2 -f- p ,
V
cerchiamo qual variazione subisce la funzione allorché
la quantità p diviene p -+• dp , vale a dire quando dal-
1’ ellissoide di semi-assi (A , B , C)hy si passa all’ ellissoide
copfocale di semi-assi ( A -+- dA , B h- dB, C -+- ÒC)h.
Otterremo primieramente
qì ì2 dh do
ìr>
Di un Ellisoide eterogeneo
45
ove la variazione dr del raggio r ( se si costruisce q s* im-
magina la figura) si vedrà essere
dr = — dp cos( rp ) .
(Si è preso il segno ( — 1) perchè la perpendicolare p
neir ellissoide E è diretta dal di dentro al di fuori).
Laonde essendosi trovato superiormente
dS
2ABC h 3
risulta
gP fdScos(rp)
•2ABCJ q dhJ C
ABC 2ABC
In quest’espressione l’ultimo integrale (A) , dovendosi
estendere ad una qualunque delle superficie (h) che di-
vidono E in istrati simili , sarà = 0 quando il punto attrat-
to M è fuori di E , onde avremo
vale a dire : Finché il punto attratto afty rimane fuori del-
V
T ellissoide attraente, il rapporto s* mantiene costan-
te nel passare da un ellissoide ad un altro confocale. Quindi :
Se due ellissoidi (A B , C)A , (Ax, Bx, Ct 3)h , eia -
senno formato di strati simili tra loro e corrispondenti a
quelli deW altro , sono confocali , i loro potenziali V> V% , e
però anche le loro attrazioni , staranno tra loro nel rapporto
V V
de 9 loro volumi . cioè — — — - = .
ABC AxBtBx
Ma quando il punto attratto afiy è dentro al corpo cir-
coscritto dall’ ellissoide
se si determina il valore di per mezzo dell* equazione
(A).
Bì C1
= h‘
egrale J-
dS cos(rp)
sarà = 0 per gli strati ellittici ( dh )
compresi da h = 0 ad k = \ , e sarà = — kit per gli
strati (dh) compresi da h=.\ ad h = hr Avremo quindi
2ndp
ABC
fi' qh '
Questa formola ci dà primieramente il potenziale per un
punto interno apy di un Ellissoide pieno. Infatti integrando
V uno e F altro membro rispetto a p, da p = 0 fino a p =oo,
risulta
-r = ?*<»).
ahc d o \aBCJ h /
Nel secondo integrale , siccome subordinato al primo , si
è sostituito al limite inferiore hQ il limite h , variabile con p
in virtù dell9 equazione
onde h diviene = 0 per p = co, e tocca il suo valor mas-
simo hx per p = 0 , cioè per la superfìcie circoscrivente il
corpo,, rappresentata dall5 equazione
Di un Ellissoide eterogeneo
47
La formola Vi sussiste per tutte le posizioni che il punto
attratto afiy può prendere, sia all* interno, sia alla super-
ficie dell’ ellissoide attraente.
Per un altro ellissoide pieno , circoscritto dalla superficie
\ < A2,
il potenziale V! rispetto allo stesso punto interno apy sarà
V! = %abcnf'(J^fjqhdh).
La differenza de’ due potenziali Vi 3 rappresenta evi-
dentemente il potenziale ( V)i dell* ellissoide vuoto , com-
preso tra le due superficie simili (A)t, (A)2. Ora
essendo equivalenti le operazioni indicate dai simboli
Si ha pertanto
(n<=Mcxft^f\hdh;
onde : Il potenziale di un ellissoide vuoto è costante rispetto
ad ogni punto situato nel vuoto.
Nel caso di una sfera omogenea, ponendo (n.° 12)
48
Domenico Ghelini
risulta
/i Qdu rhi
/ qh dh = 2 a2n q( h* — h* ) .
a J *i
Dal potenziale relativo ad un punto interno si passa a
quello relativo ad jm punto esterno, paragonando i poten-
ziali Ve, Vx di due ellissoidi pieni ( a , b , c3)ht , (at) ct)ht
e confocali , e supponendo che il punto ajìy si trovi sulla
superficie dell’ ellissoide maggiore (#t, , ct)Ar In tale
ipotesi sarà
— Si dtx- = ri f®— f' qh dh)
abc a\b\c\ J $ \ J h ì ■
avendosi nelle superficie esterne de’ due ellissoidi confo-
cali le relazioni
V - a2 = V -£2= ct2.- c2 = /V
Essendo inoltre
X9 - «I2 = K - K = cx - ^,2 =
e quindi
^ = ^2 — b* = cÉ2 — c2 = e h- />, *
si vede che quest’ ultime relazioni , posto
p = 6 -+- pt ,
si confondono colle relazioni già considerate
A2 — «2 = fi2 — b* = C2 — c2 = p ,
e che per coseguenza si ha
dp
rj?L.%r ,
J, J e, ABC
poiché a 0 = 0^ corrisponde p = pr
Di un Ellissoide eterogeneo
49
Dunque : Il potenziale V9 di un ellissoide pieno 9 preso
rispetto ad un punto esterno a$y , è
Jc»4
essendo pt la radice positiva dell’ equazione
Per un altro ellissoide pieno (A)2 simile al preceden-
te (h)t , il potenziale VJ rispetto allo stesso punto ester-
no a(ty sarà
V; = 2abc*f’ * qh dh) .
essendo p2 la radice positiva dell’ equazione
a ■+■ P 2 h ■+• P% c +P* \Pt> Pi -
La differenza de’ due potenziali Vt } V* rappresenta evi-
dentemente il potenziale ( V)9 dell* ellissoide vuoto com-
preso fra le due superficie simili (h){ , (h)2. Ora
V; -V. = Zabcnf^ ** dh)
+ 2abcnf’7Bcf^hdh
a causa dell’ equivalenza simbolica
/;=/>/;• r=r <
r. i. 7
Mn.Br '«rden.
50
Domenico Ghelini
Si ottiene così la seguente formola generale , a mia no-
tizia, nuova del potenziale esterno di un ellissoide ete-
rogeneo
In questa forinola è da notare che , mentre il secondo
termine è costante, il primo termine varia col punto a@y.
Infatti nell’ integrale J* qhdh , essendo il limite inferiore h
variabile con p, si dovrà sostituire ad h (eseguita la inte-
grazione) il suo valore desunto dall’ equazione
valore che varia col punto apy.
Corollarii.
l.° Quando l’attrazione di
mezzo delle componenti
d(V)
un ellissoide si determina per
<l( V) z = d{ V)
dy
nel differenziare la funzione ( V) in quella parte che varia'
col punto a(iy , convien avvertire che si ha
d fk 2 ^ = ~ 1Mh = - q H- ~ +
e ciò a causa deli’ equivalenza simbolica
<r:=c,rr:=-fr
Di un Ellissoide eterogeneo
51
Così abbiamo dalla (V)e
d(V) fP\ qdp
da J pi A BC
2.° Se lo strato ellittico è infinitamente sottile , e se di
più il punto attratto a(Iy trovasi nella superficie esterna
dello strato
talché risultino quantità infinitesime le differenze h 2 — h 3
h2 — ht , e p2 = 0 , pt = dp 3 il potenziale dello strato
diviene
ed offre questa importante singolarità, che il primo ter-
mine (le cui derivate prese rispetto al punto, afiy danno
le componenti dell’ attrazione in questo punto) è un infi-
nitesimo di secondi ordine relativamente al secondo termine
che è costante. Per questa singolarità si spiega in qual
modo il potenziale interno di uno strato ellittico infinita-
mente sottile può ritenersi uguale ai potenziale relativo ad
un punto della superficie, senza poter somministrare V at-
trazione dello strato in questo punto (n.° 15).
3.° In prova dell’ esattezza del potenziale ( V)e , suppon-
gasi che l’ellissoide si riduca ad una sfera omogenea. Facendo
D
a = b = c, A = B = C=~,
h
sarà
dp = 2 Ad A =
/: tófe/M/r (*/•)•
52
Domenico Chelini
e i due termini di ( V)e si mutano ne’ seguenti
qWK— h') = "jj <! (K — — i (Ài —
^ 1iHK-K) = ^hAK-K),
di cui la somma è
COME OGGI
ii umili tiiiMiuniui
SIANSI FATTE PIÙ COMUNI.
CONSIDERAZIONI STORICHE E MEDICHE
DEL
PROF. ALFONSO CORRADI.
(Memoria letta nella Sessione 3 Gennaio 1861).
T Je mie indagini sulle cause dell’ odierna diminuzione
della podagra furono sì benevolmente accolte (1) , che ani-
mo mi venne di proseguire nell’ intrapreso studio r il qua-
le , come naturale complemento , voleva ricercassi , se , pres-
so che scomparso quel morbo , qualch’ altro fatto si fosse
per avventura più frequente o comune. Lo che essendo ,
investigar doveva , se 1’ un male crescesse perciò stesso che
l’altro venia meno, ovvero se niuna ragione il diminuir
di questo e 1’ aumentar di quello collegasse.
Dell’ importanza di tale quesito, come di per sè medesima
manifesta , taccio : piuttosto dirò che per maggior chiarezza
divido il lavoro in due parti. Nella prima mostro che di-
minuita la gotta, altra malattia è smisuratamente cresciu-
ta ; nella seconda che questi avvenimenti non sono disgiun-
ti , ma connessi , giacché ad entrambi la causa è comune.
(I) Mem. dell’ Accad. delle Scien. di Bologna X 460 — V. Archives gé-
nér. de Médec. Novembre 1860 — Dublin quarterly Journ. of medie. Science
Novemb. 1860 — Giorn. Veneto di Scien. mediche XVI 690 — Filiatre Se-
bezio Dicembre 1860 etc.
54
Alfonso Corradi
PARTE PRIMA
§ 1. Che oggi la scrofola e la tubercolosi , cón le mol-
teplici e varie loro manifestazioni siano frequentissime , anzi
formino malattia popolare , niun dubbio ; ogn’ ordine di
gente , ogn’ età , mostrando soffrirne benché in cielo ed in
luoghi diversissimi.
Che quelle poi , ad onta delle contrarie apparenze , siano
affezioni o modi dello stesso generale stato patologico, lo fan-
no credere la comunione delle cause, il mutuo avvicendarsi,
le strette associazioni, V uniformità nei procedimenti e nelle
risultanze. E siffatta credenza, quando questo lavoro ad al-
tro non mirasse, potrebbe essere corroborata da buon nu-
mero d5 argomenti : nulla di meno anche abbracciando 1’ op-
posta , nel caso nostro non viene differenza. Imperocché
volendo provare la molta frequenza della tubercolosi , dessa
apparirà comunissima eziandio se la si consideri malattia
distinta dalla scrofola: anzi ella è tanto diffusa che, per
sé sola, mostra d’essere malattia popolare. Che poi ciò
sia nuovo avvenimento , od almeno di fresca data , provanlo
il generale accordo de’ medici in affermare ora più comuni
che per lo passato le affezioni scrofolotubercolari. Provanlo
ancora altri fatti e ragioni , su cui più avanti avverrà di
discorrere. Ma poiché la dimostrazione più calzante ed evi-
dente di tale accrescimento quella sarebbe che data fosse
dal confronto delle statistiche di diversi tempi, comincierò
dall esaminare le più accurate: però vedremo eh’ elleno non
recano luce , nè persuadano , quanto pare dovessero.
Delle affezioni Scrofolotubercolari
55
§ 2. In Inghilterra muojono annualmente, termine me-
dio, per malattie tubercolari (scrofola, tabe mesenterica,
tisi, idrocefalo) 67,000 individui; che è quanto dire ogni
10 minuti muore un inglese per consunzione (1); e, non
volendo far calcolo che della sola tisi o tubercolosi polmo-
nare, i morti sarebbero 51,490 (2). E per lo stesso morbo,
e nello stesso tempo , soccombono in Londra più di 7,000
abitanti (3) , ed in Parigi oltre 4,000 (4). Niun’ altra ma-
lattia miete tante vittime ; e solamente il cholera poteva
nel 1849 togliere da Londra un numero di viventi doppio
di quello che suole la tisi; a petto della quale la pneu-
monite , la febbre tifoidea , e P apoplessia , benché micidia-
li , sono quasi pèr un terzo ed un sesto più miti (5). Nella
(1) Ad. 1851 — 64,075 m. per affezioni tubercolari
1852 — 66,163 „
1853 — 70,615 „ * *
1854 — 67,145 „
* Seventeenth annual Report òf thè Registrar-General. London 1866 Ap-
pend. p. 67.
N. B. Le opere segnate con * sono quelle che V A. ha potuto direttamente
consultare.
(2) An. 1851 morti per tisi in Inghilterra 49,166
1852 „ 60,594
1853 „ 54,918
1854 „ 51,284.
(Ibid.)
(3) An. 1851 morti per tisi in Londra 7,027
1852 „ 6,935
1863 „ 7,502
1854 „ 7,107
* Weekly Returns of births and deaths in London in thè Year 1857. Lon-
don 1858 p. Vili.
(4) An. 1850 morti per tisi in Parigi 3,727
1851 „ 4,148
1852 „ 4,092
1853 „ 4,761
* Trébuchet , Statisi, des décès dans la ville de Paris : In. Ann. d’ Hyg.
pubi. XLV1II 139, L 345; S. 2.a VII 14, IX 251.
(5) Morti per pneumonite in Londra termine medio 2,501 An. 1851-1854
„ tifo e febbre tifoidea „ 2,457
„ apoplessia „ 1,263
” tisi „ 7,142
Sevent. Ann. Report. 1. c.
56
Alfonso Corradi
stessa Parigi queste malattie emulano bensì la tisichezza ,
ma non la pareggiano ne’ danni (1) ; in Ispagna ed in Por-
togallo (2) , nel Belgio, in Germania ed in America accade
altrettanto (3). Fu calcolato che, sopra 100 mila abitanti ,
(1) Morii per pneumonite in Parigi termine medio 2,501 An. 1850-53.
c „ ^ febbre tifoidea ,, 1,571
„ apoplessia „ 1,001
„ tisi „ 4,182.
Trébuchet. 1. c. — Nel triennio 1855-57 11 numero delle morti fu in Francia,
termine medio, 877,936: le cause più frequenti di morte sono le malattie degli
organi respiratorii (26, 47 per 100) e quelle de’ digerenti (19, 10) j però la
malattia più micidiale è la tisi polmonare, uccidendo essa annualmente, se i
calcoli sono esalti, 90 mila persone; le vittime invece della pneumonite non
sarebbero che 55 mila. L’ anzidetto triennio non fu afflitto , come l’ anno 1854,
dal cholera o da altre grave epidemia. * Du monvement de la population en
France. In: Gaz. Hebdomad. de Médec. A. 1862 N* 8.
(2) Hoffmann , Specimen geographico-medicum de Europa australi. Lugdun.
Batav. 1838 p. 23.
(3) Nel 1854-55 rè Monaco di Baviera morirono 3,826 individui , de' qnali
per consunzione 568
tubercolosi 517
idrope 359
tifo
281
cholera 266
apoplessia 177
Martin, Die Bewegung des Bevolk Miinchens im Jahre 1854-55 In: Bayer
ami. Intellig. Blatt 1856 p. 129.
Nel Belgio durante il quinquennio 1851-55 morirono
per tisi polmonare 79,944
apoplessia , congestione
e rammollimento
19,906
febbre tifoide 19,420
penumonile 19,194
Mortalità generale, non compresi i nati morti, 506,985.
* Ano. d’ Hyg. pubi. S. 2.* IX 206.
A New York nel 1856 contaronsi 21 , 263 morti, così distribuite:
Consunzione polmonare 2,432
Febbri di varie specie 2,020
Infiammazioni 1,878
Convulsioni 1,489
Marasmo 1,422
Idropisia 1,135 etc.
California, State medie. Journ. 1857 I 398.
Delle affezioni Scrofolotubercolari 57
ne muojono in Londra 323 di tisi , 382 in Parigi , 296 in
Berlino, 291 in Torino, 357 in Filadelfia (1). A Wùrzburg
(Baviera) avvengono annualmente 175 morti per tuberco-
losi , oltre gli altri di tisi (141.7); mentre che sommate
assieme le morti, avvenute nel quadriennio 1852-55, per
bronchite e pneumonite infantile ( compresa la pertosse ) ,
per bronchite e pneumonite senile , e pleuropneumonite ,
risulta P annuo termine medio 106, 9 (2). Quasi il terzo
de9 morti nel grand’ Ospitale di Vienna nel decennio 1846-55
lo fu per tubercolosi (3). E dove la somma dei mancati per
consunzione de’ polmoni non è la suprema, è però fra le
maggiori , unicamente cedendo a quella delle malattie acute
largamente comprese : così in Genova alle sole infiamma-
zioni dell’ apparato digerente (m. 597 di cui per gastroen-
terite 565 ) , ed a quelle acute dell’ apparato respiratorio
( m. 380 ) , la tisi è nei danni inferiore (4).
Ma dubitar si potrebbe che, come un tempo ovunque
vedovasi la putridità e lo scorbuto (5) , oggi si facesse en-
trare per ogni dove la tubercolosi , e da lei ricevesser nome
molte ed assai diverse malattie. Però siffatto errore nella
diagnosi nè facilmente , nè di frequente dee accadere , av-
vegnaché la tubercolosi è tale malanno che il più delle
volte ai meno veggenti è manifesto ; e nel caso nostro non
si tratta di tubercolosi incipiente, dove pure i dubbi son
molti, ma conclamata e tanto da arrecar la morte; avver-
tiamo inoltre che sulle tabelle mortuarie ha posto ancora
(1) Ziemsessen, Ùber die geograpb. Verbreitung der Pneumonie ( Monatsblat
fiir med. Statistik 1857 N. 7 p. 46).
(2) Virchow, Beitrage zur Statistik. der Stadt. Wurzburg (Verhandl. der
Wtìrzb. phys. med. Gasellseh. X Heft. 49).
(3) GB accolti nello spedale nel predetto tempo furono 223,328 : il totale
de' morti ascese a 30,499; quelli per tubercolosi a 9,097 cioè 29. 8 OjO.* Haller,
Die Volkskrank. in ihrer Abhangigkeit von den Witterungs-Verhaltnissen. In :
Denkschrif. der k. Akad. der Wissens eh. von Wien XVIII. 14.
(4) * Du Jardin , Statistica necrol. di Genova nell’ anno 1 856 ( Liguria medica
Genova An. II. 385 ).
(5) Et sane nisi hoc concedamus, Scorbnti nomen, nt hodie fit, in immen-
sum crescet , et omnem fere morborum numerum absolvet. * Sydenham , Obs.
med. Sect. VI. C. V.
T. I.
58
Alfonso Corradi
la classe delle malattie croniche dell5 apparato respiratorio,
sia sotto il nome di bronchite che di catarro polmonare.
Il numero di coloro che per esse soccombono non è pic-
colo certamente ; ma io credo ciò avvenga perchè vi si in-
tromettono casi di vera tisi, non essendo ancora affatto
sbandita P. opinione che la tubercolosi polmonare sia lenta
tlogosi ; e più facilmente occorrendo di confondere la tisi-
chezza con la bronchite cronica, di quello che questa con
quella. D5 altra parte male si comprende come tante mi-
gliaja d’ uomini possano per sola infiammazione de5 bronchi
venir a morte (1). Maggior forza avrebbe l5 obbiezione che
non ogni tisi è della medesima natura , e che la tabe pol-
monare si forma per assai diverse ragioni : il Desayvre p. e.
ha mostrato come facile sia confondere la malattia degli ar-
rotini ( tisi polmonare calcolosa ) con la tisi polmonare tu-
bercolare , giunte che siano al loro terzo stadio (2) ; e Giu-
seppe Frank riguardando P etisia, prima che giunga al gra-
do estremo , non una sola e medesima malattia , ma un
concorso di malattie (le quali convengono in ciò solo che
presto o tardi più o meno distrùggono il polmone ) , distin-
gue la tisi scrofolosa , P artrìtica 3 la carcinomatosa , P emor-
roidale, la scorbutica , la sifilitica , la metastatica e quella pro-
dotta da vomica. Tali partizioni , se valgono ad agevolare lo
studio clinico , non sempre reggono sotto il rispetto noso-
logico ; ed i moderni patologi hanno mostrato come quelle
non siano il più delle volte che forme della stessa malat-
tia , effetti del medesimo processo morboso ; il quale se ta-
lora , com’ ogn5 altro , assume particolari caratteri non perde
la natura propria. Con questo non intendo confondere tisi
(1) On voit quelle différence et quelle analogie la maladie des aiguiseurs
offre avec la phthisie pulmonaire tuberculeuse. Ce qui eo fait la différence es-
sentielle , c’ est l’ absence de diathèse ; dans la première et la deuxième période
nous trouvons une grande dissemblance entre ces deux affections, mais à la
troisième les symptómes offrent la plus grande similitude ; et pour un médecin
non habitué à observer les aiguiseurs, ily aurait très-facilement matière à confusion.
* Etudes sur les maladies des ouvriers de la manufacture d’ armes de Chà-
telleraut. In: Ami. d’Hyg. pubi. S. 2.a V 322.
(2) * * Trat. di Medie, prat. univers. Milano 1847 II P. IL 263.
Delle affezioni Scrofolotubercolari 59
e tubercolosi , sicché F uno sia sinonimo dell’ altro ; dico
soltanto che per la massima parte le consunzioni polmonari
hanno per carattere anatomico il tubercolo , e che la for-
mazione di questo ne’ polmoni , e le sue evoluzioni cam-
minano di pari passo con le varie fasi di quelle. La distin-
zione fra tisi: e tubercolosi polmonare è stata dal Virchow
calorosamente sostenuta ; ed egli è d9 avviso che molte le-
sioni del polmone siano risultati di pneumonite cronica,
anzi che di natura tubercolare (1). Ma per quanto si restrin-
ga il campo della tubercolosi, esso rimane sempre vastis-
simo , tanto che il genere tisi che lo comprende , può , per
una non nuova sineddoche , appellarsi ancora tubercolosi :
e per la stessa ragione dicendo tisi e tubercolosi, intendiamo
di quella de9 polmoni perché la più frequente ; quantunque il
tubercolo si formi ancora in altri organi , ed il fomite della
tabe o consunzione possa essere in qualunque parte del cor-
po (2). E volendo pur concedere, che sotto il titolo di tisi
polmonare stiano malattie che meglio andrebbero altrove; bi-
sogna altresì per ragion di giustizia ammettere , che in altre
classi vadan disperse cose che alla tisi appartengono. Io Fio
annunziato il sospetto che la somma de9 mancati per catarro
polmonare siasi ingrossata a spesa di quella della tisi ; ma
v9 ha ancóra la sezione delle morti per emorragia , la quale
non è tanto piccola , giacché in Inghilterra in un quadriennio
(1851-54.) toglieva 5,527 individui, ed in Londra 817:
or bene delle emorragie (non considerate le traumatiche
propriamente dette ) qual9 è la più frequente , se non quella
de9 polmoni ; e fra le cause di queste , quale più del tuber-
colo comune ? La classe pure tanto poco definita del Ma-
rasmo e dell9 Atrofia dev9 essere per molta parte composta
(1) Ueber die Verschiedenh. von Phthise und Tuberknlose (Wttrzb. Ver-
handl. HI 98).
(2) Phthisis aitò rov e<pOLveiv derivatimi vocabnìum , apud graecos quan-
doque corroptionem , saepius tamen eonsumptionem et decrementum significai
Phthisis est consumptio universi corporis habitus per tabem purulentam : veruna
talis consumptio posset oriri a quocumqne fomite purulento , in diversis corpo-
ris locis haerente. * Fan Swieten, Comment. ia Boerhaave Aphor. § 1196.
60
Alfonso Corradi
dalla scrofola e dalla tubercolosi : e questa qualità di morte
sulle tabelle inglesi tiene un numero sempre più alto (1).
Che altrettanto sia della classe Convulsioni è assai proba-
bile ; quanti bambini didatti non periscono per tubercolosi
delle meningi o dell’ encefalo sotto la forma d’ eclam-
psia (2)? Ed un tisico se per qualche intercorrente malat-
tia venga a soccombere , non sarà più annoverato fra i
tisici , ma aumenterà il novero dei periti per pneumonite,
per bronchite capillare , meningite , diarrea ecc. nuova prova
del quant’ arduo sia , se non impossibile , formare esatte
tavole mortuarie; perciocché altr’ è riguardare le malattie
sotto il rispetto nosologico , altro sotto il riosografìco (3).
§ 3. Per il sin qui detto puossi con sicurezza affermare
che presentemente la tisi polmonare nella zona temperata
è il morbo che miete maggior numero di vittime ; in al-
cuni luoghi più delle stesse malattie acute, tranne delle
epidemiche, ovunque poi delle lente o croniche. E dalla
frequenza della tubercolosi polmonare si può legittimamente
argomentare 1’ estensione delle altre malattie affini ò membri
della stessa famiglia : e veramente con ciò altro non si fa che
indurre cosa sia il genere da quel eh’ è la specie. Ma tanta
strage è forse d’ oggi soltanto ? Onde debitamente rispondere
a cotest’ inchiesta, converrebbe avere il novero de’ morti per
tisi in varie epoche , e confrontarlo con quello della con-
temporanea popolazione ed intera mortalità : ma come fare
se c un tempo ogni tumore del collo, delle ascelle e degl’ in-
guini avea nome di struma o di scrofola ; e se fra le con-
sunzioni polmonari confondevansi le malattie che, lungamente
durando , i corpi smagrivano (4) ? Quest’ errore fe’ credere
(1) Nel Quadriennio 1851-54 le morti per atrofia furono in Inghilterra 52,735:
in Londra 514 nel 1843, e 2,008 nel 1857 , quantunque questa classe sia
stata ultimamente in altre suddivisa.
(2) In Inghilterra la media annua delle morti per convulsioni tocca quasi le
25 mila; di cui 2 mila accadono nella metropoli.
~(3) Su quest' argomento delle statistiche mediche, leggansi le Osservazioni
che , fra gli altri , n' ha fatto P illustre Bufalini nel Voi. I. P. II. p. 307
delle sue Opere.
(4) Durch das Wort Struma nicht verleiten Iassen darf,bloss an deu Kropf
zu denken , sondern dass unter dieser Benennung so wie unter Ecrouelles , Kings
Delle affezioni Scrofolotubercolari 61
in Inghilterra la tisi dominasse più del vero (1) ; e poiché
tale malattia non fu sempre egualmente considerata, noi
non possiamo approfittare delle tavole mortuarie che colà
fin dal 1592 vennero instituite (2). E se colle moderne con-
frontassimo le antiche, senz’ altra avvertenza o lume di cri-
tica , giungeremmo a risultati che apertamente contraddico-
no a quanto la storia e P osservazione presente ci obbli-
gano a credere : così male ci persuaderemo che la mortalità
per tisi , rispetto alla generale , fosse in Londra nel de-
cennio 1750-59 del 21 per 100, e soltanto dell’ 11, 79
nell’ altro 1848-57 ; mentre che in Parigi è appunto il con-
trario, cioè aumento e non diminuzione. Le molte divisioni
e suddivisioni delle cause di morte fanno apparire le sin-
gole malattie, relativamente all’ intera mortalità, ed alla
popolazione , minori di quello che siano di fatto ; e mentre
sulle liste mortuarie le successioni della tubercolosi avranno
larga parte, questa, senz’ esserlo, si mostrerà diminuita; e
1’ inganno viene dai numeri convalidato , in causa dei prin-
cipii stessi che regolano la loro distribuzione. Non c’ illu-
diamo , ripeto , sull’ utilità che trarre possiamo da questi
censimenti ; imperocché quand’ anche essi dicano il vero ,
il dicon in modo sì generico e lato , che delle minuzie e
dei particolari nulla ci è dato sapere : e può altresì acca-
cadere che, volendone maggiori notizie, siamo tratti in in-
ganno ; avvegnacchè se la statistica medica non ha gli eni-
gmi degli oracoli , neppure i suoi responsi sono sì chiari
da rimuovere qualunque timore d’ equivoco. Così male giu-
Evil , und Scrofulae sowohl die eigentliche Scrofelkrankheit , als auch die
verscbiedenartigsten Anschwelluogen am Halse verstanden worden sindi * Chou -
lani L. , Die Heilung der Scrofeln durch Ktfnigshand. Dresden 1834 p. 17.
(1) !am informed that thè article of consumptions includes generally all tho-
se who die of any lingering diseases , and are much emacia ted ; by which thè
iist ist wastly enlarged beyond what it ought to be , to thè reproach of our
country ; Foreigners imagintng that his disease is much more frequent amongst
us, ihat it is in reality ( Fothergill , Remarks on thè cure of consumptions).
(2) La serie continuata di questi registri comincia nel 1603 , e nel 1629
ne fu pubblicato il primo resoconto. Fra le curiosità nosografiche è da porre la
classe di morti prodotte da colpo di pianeta ( Planet-Struck ) , che in quelle
tabelle nel 1600 comprendeva ancora otto casi.
62
Alfonso Corradi
dicherebbe chi credesse diminuita 1’ idropisia nella Metro-
poli inglese, trovando scritto che nel 1843 morirono per
essa 1777 individui, e soltanto 728 nel 1757: tale muta-
mento non da altro dipende che dall’ aver avuto i medici
riguardo piuttosto che all’ idrope, alla causa che la produ-
ce ; dall’ aver quindi ripartito in più classi ciò che prima
era in una sola raccolto ; appunto il contrario di quanto si
faceva un tempo per la consunzione , della quale minima- „
mente si cercavano le molte e diverse ragioni.
Non potendo quindi per le cose dette far molto calcolo
delle antiche statistiche, e paragonarle colle moderne, do-
vrem contentarci di queste , e limitare i nostri confronti a
breve spazio di tempo. Però , stando ai calcoli dell’ Heber-
den , nel principio del secolo scorso annualmente manca-
vano per etisia in Londra 3000 abitanti, 4000 alla metà
e 5000 alla fine sopra eguale mortalità generale (1) ; il
Woolcombe anche più precisamente determina quest’ au-
mento, concludendo che 1* assoluta e relativa mortalità in
causa di consunzione nel secolo scorso sempre più è cré-
sciuta (2): incremento acconsentito nel 1815 dal Rus-
. (1) L’ Heberden pe’ suoi calcoli prendeva dai Registri mortuarii di Londra
la media di 10 anni sì nel princìpio, che nel mezzo ed alla fine del secolo,
evitando però gli anni di grandi epidemie , e limitandosi a quelli in cui il totale
de' morti era presso che uguale, cioè circa 21,000. * Bibl. Britan. 1810
XL1V 353 nota.
(2) The absolute and relative mortality from consumption has been regularly
increasing during thè last century. * Woolcombe W. , Remarks on thè frequen-
cy and fatality of differeot diseases , particularly on thè progressive increase
of consumption; with observations on thè influence of thè seasons on mortality.
London 1808 p. 53. (libro piuttosto raro).
I computi del Woolconbe appaiono nella seguente tabella :
^ r **
r—
Media annua
! Mortaliii tota).
| per consunzione
1650-1656
17,642
2,520
80,438
1 a 4 6
1696-1700
17,044
3,408
100,028 !
I a 5 8
1746-1752
30,842
4,406
168,276
1 a 5 4
1763-1767
21,563
4,312
119,024
1 a 5 5
1790-1799
50,480
5,048
196,705
1 a 3 8
Delle affezioni Scrofolotubercolari
so (1), e due anni dopo dal Tullidge (2). Ma molto prima
il Paitoni nel suo * Parere sulla natura della tisichezza av-
vertiva che il mal del tisico s’ era fatto così ordinario e
continuo da essere nella linea de* 2 3 4 5 6 7 cronici il più frequente
e fatale , quando ne’ tempi andati non v’ aveano documenti
che fosse sì universale (3). Didatti Tommaso Rangone di
Ravenna , detto il Filologo , e Professore a Padova nella se-
conda metà del secolo XVI , descrivendo le malattie croni-
che ed acute, alle quali i Veneziani erano allora soggetti ,
fa menzione delle pleuritidi , de’ reumi , delle febbri perio-
diche , e di tant’ altri mali , e fino ancora delle morti im-
provvise, ma nulla parla de’ tisici (4). Il Testi più tardi
difende 1’ aria delle lagune , non dall’ accusa di cagionare
la tisi , ma le febbri e 1’ ipocondria (5) ; egli celebra la ro-
bustezza e longevità degli abitanti di quelle , aggiungendo
ai propri gli elogi d’ Amato Lusitano (6) , e del Bacone (7).
Baccio archiatro di Sisto V, parlando de’ morbi a’ suoi tempi
più frequenti , annovera la scabie , 1’ impetigine , la lepra
e la podagra , ma non già la tabe polmonare (8) : Lancisi
trovava nel popolo romano il genus hominum che formò le
legioni domatrici del mondo ; e le malattie de’ patrizii era-
nq P ipocondria , P apoplessia , ed il languore delle forze ,
non per malignità di cielo, ma per intemperanza di co-
ll) Sulla quistione perchè la lisi polmonare è divenuta cosi frequente a’ no-
stri giorni, e quali sarebbero i mezzi di garantirsene. Catania 8.°
(2) Inquiry in to thè nature of pulmonary consumption . and of thè causes
which bave contributed to its increase. London 8.°
(3) p. IX. Venezia 1772.
(4) De vita Venetorum comoda Consilia. Venet. 1558.
(5) * Disinganni ovvero ragioni fisiche fondate su l’autorità ed esperienza che
provano 1’ aria di Venezia iutieramente salubre. Colonia 1694. — Fra le altre
cose narra il Testi d’ un cittadino veneziano morto sugli 80 anni lasciando
gravida la moglie, e d' un altro che, nuovamente ammogliatosi a 76 anni^
ebbe più figli, i due ultimi ad 81 ed 83 anni (p. 106)! A p. 105 poi mo-
stra che Y aria di Venezia è migliore di quella d’ Inghilterra , e che i Vene-
ziani vivono più degl' Inglesi.
(6) * Cent. III. Cur. 13 Schol.
(7) * Hist. Vitae et Mortis. Amstelod. 1663 p. 69.
$)* De thermis. Lib. VII Cap. XIII.
64
Alfonso Corradi
stumi (1). Nei Bandi poi del Cardinal Carafa è notato che,
un ottant’ anni addietro , la tisi nelle provincie ferraresi
era rarissima, e solo perchè « anche il remoto rischio della
vita d1 2 3 * 5 un uomo merita i più gelosi e pressanti pensieri di
chi governa » P Editto su i mobili , e le stanze di quelli
che muoiono infetti di etisia veniva pubblicato (2). E questo
stesso orrore del contagio tisico , e gli ordinamenti dei Prov-
veditori alla Sanità della Repubblica Veneta, e d5 altri go-
verni onde schivarlo, provano, a mio avviso, che in quel
tempo la tisi si fosse allargata , e tanto da incutere quei
gravissimi timori. Nè dicasi che ciò fosse opera soltanto dello
spaventato protomedico Paitoni , imperocché quanto que’ ma-
gistrati prescrivevano, era tale che unicamente la comune
tema poteva a’ governanti suggerire ed al popolo far tollera-
re (3). D5 altra parte vecchia era V opinione che la tisi fosse
contagiosa, e dagli stessi medici Veneti e dal Fracastoro sovra
tutti professata (4); ed un governo , quale la Repubblica di S.
Marco , alle contumacie ed agli espurghi abituato , e buono
a farsi ubbidire , non avrebbe tralasciato que5 provvedimenti
se prima creduti li avesse necessarii. Presso che uguali cau-
tele il Magistrato di Sanità di Firenze già da qualch5 anno
(1754) ebbe ordinato, benché il Collegio medico poco
credesse al contagio tisico : ciò che prova la paura popolare
aver prevalso al giudizio de5 periti ; e poiché niente era stato
(1) * De nativis Rom. coeli qualitativa Cap. XVII.
(2) Bando delPll Febbraio 1783, confermato nel Cap. LXH dei Bandi gene-
rali n.° CCCX * Bosi , Lezioni di Medicina teorico-pratica. Ferrara 1859 p. 340.
(3) Sotto pene rigorosissime veniva ordinato , che , seguita la morte d5 un
tisico, dovessero prontamente i Medici, e Parrochi, e gli altri acquali spetta,
portar alla Magistratura V esatta e fedele relazione del male , e minacciare dei
castighi corrispondenti i proprietarii della roba , che la vendessero, come pure
gli ebrei , rigattieri , ed altri che la comprassero , quando prima non fosse stata
spurgata e renduta libera dalla giustizia * Editto del 9 Dicembre 1772 V. Pai-
toni , Op. c. p. XXXIV.
(4} La credenza che la tisi fosse contagiosa trovasi in Aristotile, * Ses. VII.
Probi. 4; ed in Galeno * De differ. febr. L. i. C. hi. ; Fracastoro poi non
solo temeva che le vesti de' tisici dopo due anni fossero capaci d’ attaccare il
male, ma ancora le muraglie fra le quali essi vissero, ed i Ietti su cui peri-
rono * De morb. contag. L. h C. ìx.
Delle affezioni Scrofolotubercolari
65
stabilito innanzi in proposito , dee credersi qualche cosa di
straordinario fosse allora avvenuto ,. che alla nuova legge
dava appunto origine (1). A Napoli invece medici e popolo
credettero la tisi contagiosa ; nulladimeno Giuseppe Mosca ,
scrivendo nella prima metà dello scorso secolo de* morbi na-
politani , parla dell’ etisia senza farla credere nè oltremodo
comune, nè contagiosa (2). Ma il Ruberti nel 1782 espone
ai governanti che il male della tisi polmonare allora era
divenuto quasi generale , e che tuttodì si vedeva cagionare
la morte di tanti cittadini e la distruzione di numerose fa-
miglie per la poca cautela che si usava (3). Da ciò pure
noi possiamo arguire essersi F etisia in que9 tempi fatta
più frequente , ma non tanto quant’ oggi ; avvegnacchè gli
espurghi e le quarantene soltanto si eseguiscono quando la
malattia abbia breve corso, ovvero sia scarsa; non già se
continua e frequentissima : chi riputerebbe che presente-
mente in Inghilterra , in Francia , e presso noi pure far si
potesse quanto a Venezia , in Toscana ed in Napoli si pre-
scriveva ? Finché i lebbrosi non furon molti , poteva il sa-
cerdote cantar loro le preci de5 morti, ed il giudice spo-
gliarli d9 ogni civica prerogativa ; ma quando crebbero a dis-
misura , quando poterono collegarsi e formar congiure, le
condizioni loro non furono più le medesime : sotto la cappa
di S. Lazzaro impune andava il mendico, ed i miseUaria
servivano di ricovero e di bordello. E se i pronostici del
Ballonio , di vedere piena di tisici Parigi , sonosi in parte
avverati ; ciò non avvenne per opera del contagio , cui egli
tanto paventava, e neppure per mutamento di cielo (4);
bensì per altre più intime ragioni delle quali occorrerà dire
in appresso. Merita altresì sia avvertito che nei Consulti o
nelle mediche Istituzioni de9 tempi passati le malattie scro-
folose e tubercolari non hanno il posto d9 oggidì ; cioè di
(1) * Discorsi toscani di Antonio Cocchi. Firenze 1762 li. Disc. IX. 170 e 178.
(2) * Dell' aria e dei morbi dall’ aria dipendenti. Napoli 1747 Dissert. V.
P. I 266.
f3)* De Renzi , Stor. della Medie. V. 611.
(4)* Consi I. med. L. I n. XXII.
66
Alfonso Corradi
loro non è il frequente discorso o 1’ assiduo studio che noi
ne facciamo : segno dell5 esser quelle allora meno moleste ;
la medicina occupandosi particolarmente de’ morbi che più
sono infesti e cercando soddisfare ai presenti bisogni. Gli
Arabisti invece di continuo discorrevano della lebbra, ed
i seicentisti della peste e delle affezioni scorbutiche.
Qualora poi consultiamo le moderne statistiche , indizii
pure troviamo di questo proseguito aumento. In Parigi nel
quadriennio 1835-38 perirono annualmente per tisi (rispetto
alla mortalità generale) 109 su mille, e 136 nell’altro
quadriennio 1850-53 : però in Londra furono i morti 151
nella stessa proporzione di mille dal 1843 al 1846, e 120
dal 1854 al 1857 (1). La qual differenza in meno non è
forse reale diminuzione , avvegnaché le morti per bronchiti
crebbero d’ assai, e mentre in quel primo periodo si raggua-
gliavano a 35 su mille, nell’ ultimo erano 81. Questo fatto
non è sfuggito al Farr, il quale osserva che se nel 1847
perirono in Inghilterra per tisi polmonare 53,317 persone
e 51,284 nel 1854 (benché la popolazione fosse in questo
tempo cresciuta di quasi un milione e mezzo), anche le
morti per bronchiti di 16,499 crebbero a 20,062 (2). Inol-
tre nel 1854 il cholera tolse colà di vita 20,097 individui
ed altrettanti la diarrea , e presso che egual numero sì la
febbre tifoidea che la scarlattina ; cause tutte che valgono
a turbare il corso ordinario delle malattie , e le mutue loro
relazioni (3). Male dunque avviserebbe chi da questi nu-
meri trarre volesse la tisi avere diminuito in Inghilterra :
e poiché i presenti suoi registri mortuarii non sono ripar-
titi come per lo passato , essi non potranno dirci, se ve-
ramente quel fausto mutamento sia avvenuto , che fra al-
quanti anni, purché in questo tempo non subiscano altre
(1) In questo calcolo non sono entrate le 10 mila morti prodotte dal cho-
lera nel 1854.
(2) * Letter to thè Registrar General on thè Causes of Death in England
( Seventeenth Report etc. App. p. 70).
(3) Trascurando soltanto le morti per cholera, i decessi per tisi nel 1854
sarebbero stati 122 su mille, e 126 nel 1847.
Delle affezioni Scrofolotuberolari 67
variazioni. Ma supposto ancora che colà la tubercolosi sia
realmente diminuita , sarebbe sempre avvenimento parziale ,
giacché appo noi ed altrove , la quotidiana osservazione dà ,
pur troppo , la dolorosa prova del contrario.
Che se la maggior o minore frequenza d’ una malattia in
certo momento, o presso alcun popolo, mal può in genere de-
dursi dai numeri di pochi anni di non sempre conforme osser-
vazione ; P error sarebbe maggiore se la malattia non solo
fosse popolare, ma di quelle che, diversamente dalle co-
muni ed acute epidemie , lente si formano e tarde progre-
discono. E poiché in esse P uno stadio dall’ altro per tem-
po e per forma sono assai disgiunti , crederebbersi morbi
differenti le svariate manifestazioni del morbo medesimo :
ovvero de’ suoi primordii , còme di cosa vaga e non bene
distinta, non è tenuto il debito conto.
§ 4. Noi però , non tanto in forza dei numeri, quanto per
gli altri esposti argomenti , possiamo affermare : oggi la scro-
fola e la tubercolosi dominare come malattie popolari (1) ; ed
altresì essere negli uomini massima disposizione ad ammalare
in tale guisa. Le quali malattie , avend’ ora P ampio dominio
che già ebbero la lebbra, la gotta , lo scorbuto ecc. fanno che
le altre diminuiscano di frequenza b vestano insoliti ca-
ratteri. Siffatta mutazione, direbbesi di dinastia patologica,
non fu nè violenta , nè repentina : a poco a poco i corpi
s’ acconciarono a soffrire il nuovo dominio ; e mentre P un
morbo declinava P altro progrediva, sicché il terreno non
fu vinto d’ un tratto ma a palmo a palmo guadagnato. Però
di cotali fatti come assegnare la prima origine? Noi non
ce ne accorgiamo allorché stan per sorgere , sì occultamente
si formano , ma quando son già cresciuti e tanto , che non di
pórvi riparo , sibbene di piangere solo ci resta : e questi
lamenti si fecero sentire nella metà circa della scorso se-
colo , quando appunto altra malattia scemava ; e gli uo-
mini in nuovi governi , in nuove costumanze ed in nuovo
(1) Questo pure dice 1’ Hecker nella Rede zur Feier des 43 Stiftungstages
des Kgl. med. chir. Friedrich Wilhelm Instiluts Berlin 1837 8.°, tradotta in
italiano nel * Memoriale della Medie, eontemp. Venezia 1838 Voi. f,
Alfonso Corradi
modo di vivere erano allevati. Concludo quindi con le pa-
role d’ esimio medico , della cui amicizia io m’ onoro ,
del Prof. Luigi Bosi : « Per le malattie tubercolari , sopra-
tutto del petto , hassi la maggiore mortalità : e non in Fer-
rara soltanto si è verificata questa cagione della maggiore
mortalità , ma da un settant’ anni , sopra vastissime esten-
sioni, come ne fanno testimonianza moltissime Opere Ita-
liane, Francesi, Inglesi ed Alemanne, da Salvadori a Pa-
rola, da Bayle a Laennec a Lugol, da Ciarde e Carswel
a Philipps , da Hufeland a Giuseppe Frank. Di sortechè sta
ora mai per esser conclusa la questione del deterioramento
della salute in alcune località dal padre al figlio, men-
tre in altre scorgesi cresciuta la vita media dell’ uomo.
E fra noi certo come in altre città e regioni, tale deterio-
ramento è pur troppo maggiore e progressivo. I Medici hanno
frequente opportunità per paragonare lo stato di salute , il
grado di organica resistenza, la vitalità delle ultime gene-
razioni colle antecedenti ; per queste non valgono i registri
almeno colle formole e colle consuetudini da tempo qui
in uso (1) ».
Ed eccomi giunto alla seconda Parte del mio discorso, dove
debbo cercare quali siano le cause che fanno oggidì più
frequenti le malattie scrofolotubercolari.
(1) Op. t. p. 666.
Delle affezioni scrofolotubercolari
PARTE SECONDA
§ 1 . La tisi è morbo antichissimo , e di lei e della scro-
fola fanno menzione le prime memorie della Medicina. Nel
Codice di Manù sono notate la tisichezza e le glandole,
come malattie che dai padri alla prole trapassano (1) : Ip-
pocrate già annunziava a che conduca lo sputo di sangue (2) ;
e Plutarco ricorda che ai figli dei tabidi prescrivevasi di
tenere i piedi nell* acqua , mentre il cadavere del padre ar-
deva sul rogo , onde sfuggire P eredità della tabe (3) ; e
Ghoulant ha mostrato che il toccare che facevano i Re d’ In-
ghilterra e di Francia le strume onde guarirle , era antica
usanza de’ principi di Scandinavia , di cui serbasi memoria
fin dal principio del secolo XI (4). Ma se in ogni tempo
troviamo descritta la tisi; e se, per quanto almeno può
giudicarsi dalla storia , ella fu sempre , segno è che mai ne
venne meno la causa : però se dessa non fu mai com’ oggi
sì frequente , non dee credersi ciò sia per continuata tras-
(1) Al L. IH. § 6 e 7 è detto che il Devideja volendosi maritare non iscelga
la sua sposa in famiglia malsana, come dire affetta da vizio emorroidario , da
tisichezza, da dispepsia, da lebbra bianca, da elefantiasi etc. ancorché questa
famiglia fosse d’ alto lignaggio ed estremamente ricca. * Pueeinotti , Storia della
Medicina 1. 44.
(2) * Aphor. Sect. VII. 15 e 16. , -
(3) * Plutarchi , De his qui sero a Numine puniuntur. Venet. 1571 p. 22 col. 2.
(4) Op. c.
70
Alfonso Corradi
missione ereditaria, o per contagio. E per vero 1’ osser-
vazione e F esperimento tolgono ogni sospetto di contagio,
di virus o miasma scrofoloso (1). Niun dubbio che la scro-
fola e la tubercolosi non passino dai parenti ne5 figliuoli :
però F eredità non è unica causa di questi mali , i quali
possano eziandio essere acquisiti; ed il Lugol negandolo,
s5 oppose a ciò che i fatti indubbiamente affermano (2). Con
la sola eredità non ispiegasi perchè oggi soltanto quelle
vecchie malattie siano divenute tanto frequenti : d’ altra
parte le generazioni in tanti secoli dovrebbero essere già
spente o tutte guaste. Nè si dica , che i frequenti mescola-
menti con genti diverse hanno ciò impedito ; avvegnacchè la
diversità di razza , come superiormente venne mostrato , non
preserva dal male. Inoltre se la sola trasmissione per ere-
dità fosse causa dell5 indicata frequenza , non potremmo
darci ragione della rapida diffusione della scrofola e della
tisi presso alcuni popoli nel giro di pochi anni ; mentre
da noi non giunsero a tanto che dopo lunghissimo tempo.
Forza è adunque ammettere che per altra causa tali malat-
tie sian ora tanto comuni : e se questa causa era anche
per lo addietro , essa allora non offendeva che pochi o pa-
recchi individui, ed appariva sporadica , mentr5 adesso do-
mina su5 popoli ed è epidemica. Imperocché non vi sono
soltanto epidemie acute ; ma taluna malattia , benché lenta
o cronica, può al pari di quelle apparire popolare ; e la sto-
ria insegna che ne5 diversi tempi regnarono fra i popoli
diverse di codeste malattie. Delle quali però la durata mai
non è breve, siccome quella che più spesso per lustri e
secoli , che per mesi va computata.
(1) Philipps , Op. c. 144. — V. più sopra Parte I. § 3.
Nulladimeno il vivere intimamente co’ tisici può riescire dannoso, perchè
eglino sono malati, ed il contatto dei malsani torna sempre funesto V. * Del
Chiappa , Discorso sulla comunicazione vitale che ha luogo per il contatto fra
due individui (Brugnatelli , Giorn. dì Fis. e Chim. Pavia 1813 VI 181-200),
ed il curioso opuscolo « * Della salutare ispirazione. Ragionamento filosofico
critico sulla trasfusione degli aliti umani per soccorso della salute. Nizza (Na-
/L*L8*8 .8'° * fecondo il Melzi Gaetano Ancora è l’autore di questo libercolo.
(2) Philipps , Op. c. 101. * Lehert , Traité prat. des malad. scroful. et
luoercul. Paris 1849 p. 68. Secondo Bufalini per eredità si trasmette la diatesi
albuminosa fonte della scrofola , ma non le malattie scrofolose propriamente dette
Delle affezioni Scrofolotubercolari 71
Occorre quindi indagare donde proceda tal fatto; donde
venga cioè che le malattie scrofolotubercolari da sporadiche
siansi mutate in popolari od epidemiche. La quale ricerca
non include la determinazione della natura propria della
tubercolosi ; ma soltanto delle condizioni opportune alla loro
origine e maggior diffusione. Se queste stiano nel clima o
nella natura del suolo , ovvero in particolari usanze , e nel
comuh modo di vivere, a parte a parte vediamo.
§ 2. Onde potere ragionevolmente incolpare il clima od
il terreno della maggior frequenza della tubercolosi , fareb-
be mestieri addurre di loro tali mutamenti che, almeno
rispetto al tempo ed all9 estensione, fossero con quel fatto
concordi. Ma le parziali mutazioni che potessero essere av-
venute nelle meteore o nel suolo ( e che ne siano avvenute
non negasi ) , come varrebbero a dar ragione del , quasi
per ogni dove , incremento della scrofola e della tubercolosi ?
Ed invero elleno trovansi in Isvezia , in Russia e nella Si-
beria , siccome in Italia , in Ispagna , in Abissinia , e nelle
Indie , che è quanto dire in regioni fredde temperate e cal-
de : e se sotto i tropici ed il polo sono meno frequenti , e
mancan eziandio ; quest’ è effetto non tanto del clima ,
quanto d’ altre cagioni di cui in seguito sarà detto (1). « Con-
siderando, scrive Giuseppe Frank, che la tisi scrofolosa
domina quasi con egual forza a Napoli, a Vienna, a Pari-
gi , a Londra ed a Pietroburgo , e che nelle provincie d’ Ita-
lia , di Germania , della Francia , dell’ Inghilterra e della
Russia è molto più rara ; mi è giuoco forza conchiudere che
il clima nella genesi di questa malattia ha una parte molto
minore di quella di altre circostanze particolari alle grandi
città (2) ». Nelle pianure lombarde , nelle tedesche e nel-
P Olanda; egualmente che negli altopiani della Castiglia ,
sui gioghi delle Alpi , sulle Ande del Perù e nelle gole del-
V Himalaya diffusa è la scrofola e la tubercolosi (3). Affermò
72
Alfonso Corradi
r Escherich la scrofola non propagarsi che nei terreni di
vecchia formazione , i terziarii ed i più recenti andandone
immuni (1) : ma come sostener questo , se nei terreni d’ al-
luvione , nei vulcanici, nei granitici, nei calcari ecc. en-
demica ci si offre la scrofolosi? (2). Egualménte P umidità
del suolo non può per sè sola esser causa di tisi , se per
essa si muore , nè in poco numero , nei luoghi più asciutti
ed aprichi : i poggi ed i colli pisani , celebrati , dal Savi
per aria salubre, son pieni di scrofolosi, e la scrofola si-
gnoreggia sulle aride spiaggie del mar ligustico (3). Si cre-
dette ancora che la temperatura presso che sempre uguale
premunisse dai tubercoli , ma fu > errore ; ed il Louis lo
ha mostrato coll’ esempio delle truppe inglesi , che tante ne
periscono per tisi alle Bermudi nell’ Oceano atlantico, dove
P aria è costantemente tepida , quanto al Ganadà clima fred-
dissimo ed oltremodo variabile (4).
Alla qualità calcare delle acque potabili furono eziandio at-
tribuite la scrofola e la tubercolosi. Al Puccinotti piacque as-
sai quest’ opinione , e nel difenderla mostrò il consueto inge-
gno : nulladimeno sovr1 2 3 4 5 ogni terreno scrofola , e tubercolosi
s’ annidano e si mantengono. L’ illustre patologo poi accorta-
mente vedeva come tai morbi s’ attengono allo stato di ci-
viltà de’ popoli, di guisa che, conforme la cura che questi
avevano delle acque e degli acquedotti , queglino o cresce-
vano o diminuivano (5). Dunque non nell’ aria , nel suolo
e nelle acque sta la causa del predominio della scrofola e
della tubercolosi : ed a tale conclusione potevamo pur giun-
gere direttamente riflettendo che in alcuni luoghi dove non
erano , penetrarono queste malattie ; e che oggi , quasi ovun-
que , son più frequenti che per lo passato : le quali cose
(1) AHgem. Zeit. ftìr Chir. und Heilk. 1843 N. 30 e seg.
(2) Hirsch, Op. c. 505.
(3) * Speranza j Sull’ eziologia e cura della scrofola (Ann. uni?, di Medie.
CLV 491 ) * Lugoly Kech. et observ. sur les causes des malad. scroful. Paris
1844 p. 298-300.
(4) Louis ? Kech. sor la phthisie. II Ed. Paris 1843 p. 592.
(6)* Della Rachtide e della Scrofola Lez. Vili.
Delle affezioni Scrofolotubercolari 73
come sarebbero avvenute se il cielo ed il suolo non si sono
mutati , nè il potrebbero così durevolmente e tanto , quanto
que’ diversi fatti richiedono ? Come Almenar nel cinquecen-
to (1), incolperemo forse 1’ aria, se Tahiti tanto si dolse per la
sifilide , ignota prima che vi giungessero straniere navi (2) ?
Ma dai viaggiatori sappiamo le malattie scrofolose non aver
allignato nell’ Australia, che quando gl’ indigeni col com-
mercio degli Europei mutaron foggia di vivere (3) : in Al-
geri la tisi va progredendo fra gli Arabi e gl’ Israeliti , fra
i Turchi ed i Negri (il che mostra nuovamente come la
diversità di razza non preservi dal male ) , a mano a mano che
i precetti della Bibbia o le leggi del Corano , tanto acconcie a
quelle genti e a que’ paesi , sono dimenticate , per godere
di civiltà che non può esser intieramente la loro (4). E pu-
re, dirà taluno, Celso mandava i tisici a respirare aere mi-
gliore in Alessandria , nè quello si è mutato ed è sempre
benefico. Ma il clima , rispondo , non ha virtù di pre-
servare dalla tisi , se , coms esso esige , non vi si viva :
in cielo sereno , in aria pura , in colli ameni , in tepida
stagione sarà la consunzione più mite che in plaga nebbiosa,
in umida valle, in gelido sito; nondimeno può essere an-
cora il contrario , quando i buoni effetti del clima vengon
contrastati o tolti da una maniera di vita poco o punto a
quello conveniente (5).
§ 3. Anche il Bosi , studiando V eziologia di questo ma-
lore, la cercava altrove che nel clima: c< le modificazioni, ei
(1) 11 medico Spaglinolo Almenar spiegava per mezzo detla corruzione dd-
P aria , la formazione della sifilide negli ecclesiastici ( * De morbo gallico. In :
Luisini , Collectio 1. 361).
(2) Forster , Observ. faites pendant le second Voyage de M. Cook dans PEmi-
sphère austral. Paris 1778, V 403.
(3) Strzelecki , Physic. descript, of. New-South-Wales and Van Diemens
Land. London 1844. — Power, Sketches of New-Zealand. London 1844. —
Thomson, On thè peculiarities of thè New-Zealanders (Brit. and foreign med.
chir. Review. 1854 and 1855).
(4) * Pietra Santa, lnfluence dii Cliraat d’ Alger sur la Phthisie (Gaz. med.
de Paris 1860 p. 584).
(5) É stato osservato dall’ Haller che quando molto freddo è P inverno , mag-
gior numero di tisici muore in quelP anno ; ed il contrario se tale stagione sia
t. i. 10
74
Alfonso Corradi
dice, impresse sul corpo umano, per cui questo rimane at-
teggiato alle diatesi che sono il fondamento della rachitide ,
della scrofola e della tubercolosi , debbono essere generate
da cause , che hanno una diretta connessione o coi primi
momenti dell’ essere nostro vitale , o colle azioni principali
della vita automatica , debbono essere generate da cause ,
che hanno tanto potere o da rendere trasmissibili le dia-
tesi stesse , o da ledere immediatamente e durevolmente i
processi dell* 1 2 * * 5 organica assimilazione (1) ». L5 esimio clinico
ha ottimamente circoscritto il campo delle nostre indagini ;
non potendo un morbo , il più delle volte gentilizio ed
atto a formare cachessia, esser prodotto che da cause le
quali durevolmente e gravemente offendano i processi assi-
milativi. La qual5 etiologia è ammessa eziandio da coloro
che , niegando le malattie umorali e le primitive discrasie ,
fanno la scrofola e la tubercolosi morbi locali, e derivano
il tubercolo non da un deposito o da un trasudamento , ma
dall5 esuberante ed imperfetta produzione delle cellule (2).
« Essi sono i cibi malsani insufficienti od esclusivamente
vegetabili , che o non somministrando elementi in copia o
disordinando a principio le funzioni dell5 apparato chilo-
pojetico , hanno per legittima conseguenza la preparazione
di un materiale nutritivo incongruo , fonte d5 irritazione
del sistema glandulare ; ella è l5 aria umida e fredda
e cioè sono sempre cause le quali hanno primitivamente
relativamente mite: così nel rigidissimo 1847 morirono 1316 tubercolosi,, e nel
presso che tepido 1849 soltanto 665. Nulladimeno merita d' essere notato che
il tempo in cui maggiormente vengon meno i tisici , non è V inverno , bensì
la primavera; e che V autunno è assai loro propizio. (Op. c. 14). Lo stesso
afferma Bruckner ne' suoi <? Materialien zu einer statistisch begrundenten Pro-
gnose der Lebensdauer bei Habitus apopleticus und phthisicus. In : Monatsblatt f.
med. Statisi, u. offentl. Gesundheitspflege 1860 N. 3 ». A. Venezia invece non
tanto la primavera quanto P inverno a questi malati è nemicisimo.
(1) Op. c. p. 359.
(2) * Virchow , Die Cellularpathologie Berlin 1859 p. 427 (2a. ediz). — Schrò-
der Fan der Kolk, Over den oorsproong von tubereula pulmonum ( ISederL .
Lancet 1852 ). — Smith, Lectures on certaìns views on thè nature and treatment
of phthisis (Brit. med. Journ. 1867) etc.
75
Delle affezioni Scrofolotubekcolari
alterate le attitudini fisiologiche degli organi solidi, quelle
che conseguentemente indussero la manifesta discrasia san-
guigna (1) ». Ma poiché le diverse dottrine sulla natura
e sede primitiva della scrofola e della tubercolosi sono
concordi nell’ assegnarne le cause, esamini altri quale di
quelle dottrine sia la vera : imperocché noi non potremmo
rivolgere le nostre considerazioni oltre P etiologia , senza
soverchiamente allontanare lo scopo del presente lavoro.
Però siffatta causa ond’ essere adeguata all* effetto , oltre
aver forza di mutare P intima costituzione de’ corpi , dee
aver operato , nel tempo che il male apparve maggiore. Di
più niun ordine di gente e niun paese a questo sottraen-
dosi , quella non può esser propria di un luogo, ma deve
comprendere intere regioni , abbracciare P intero popolo.
Poste tali avvertenze il cerchio de’ nostri studii vieppiù va
restringendosi ; nulladimeno gravi difficoltà ancora riman-
gono a superare : e queste tenterò d’ appianare , osservando
se i costumi e le condizioni del popolo , ovvero il suo modo
di vivere cambiarono ; e se in questo mutamento si celi la
ragione dell’ odierno aumento delle affezioni scrofolotuber-
colari ; ragione indarno altrove cercata.
§ 4 . Fuvvi taluno , ed in quest’ Accademia ancora , che
di quell’ aumento incolpò la corruzione de’ costumi e la
propagazione della sifilide (2) : P Alibert ne formava ezian-
dio la genealogia (3), non riflettendo che i figli di padre
guasto dalla sifilide , come possono soggiacere alla scrofola ,
possono altresì scansarla (4) ; che i rimedii tanto efficaci
contro quella , a nulla valgono e sono dannosi in questa ,
(Ì) Ann. imiv. di Medie. CLXXIV 150.
(2) II Prof. Canora — ■ Boerhaave inclinava a considerare cause delle rachitide
la malattia venerea (*Aphor. de cognosc. et curand. morbis § 1482): ma il
dotto suo Commentatore ben’ avverte che i morbi impuri ed i profluvii seminali
possono così infiacchire i corpi « ut effoetam ferme genituram impendant miseris
procreandis liberi» ... sed nullo modo certum est , quod et inde pendeat origo
rachitidis ».
(3) Monogr. des dermatoses p. 615.
(4) * Baudelocque, Études sur les causes de la malad. scrophul. Paris 1834 p. 51.
76
Alfonso Corradi
talmente che Cullerier ebbe a dire che la complicazione
della sifilide con la scrofola riesciva funesta anche perciò
che F una si giova del mercurio , e l* 2 3 4 5 6 altra il5 ha danno.
Inoltre v5 hanno luoghi in cui rare sono le affezioni vene-
ree , frequenti invece le scrofolose (1) ; e se Moris , Wilson
e Petit ascrivono alla diffusione della sifilide F aumento
della scrofola in Sardegna (2) , in Otahiti (3) , in Abissi-
nia (4-) ; non calcolarono questi autori che quando la sifi-
lide entrò fra que5 popoli o quando vi si rese più comune ,
non entrò sola , ma accompagnata da nuovi costumi > da un
modo di vivere presso che interamente nuovo. E poi gli
avi nostri furono sì illibati? Taccio de5 Greci e de5 Romani
che offrivano incenso alla prostituzione (5) : guardiamo a
tempi meno remoti : la depravazione non era somma nel
medio evo , non giunse al colmo nel cinquecento ? Scrittori
e documenti d5 ogni guisa ne danno prova : F impudicizia
andava a fronte alta (6), e ne5 luoghi più sacri poneva
fi) Kortum. Comment. de vitio scrophul. I 193. — Lebert , Op. c. 88.
(2) V. Lamarmora. Voyage en Sardaigne.
(3) Edimb. med. and surg. Jcurn. II 285.
(4) Lefebure , Petit et Dillon , Voy. en Àbyssinie Paris 1845.
(6) Della prostituzione è fatta menzione ancora nel libro della * Genesi
(C XXXVIII), nel * Deuteronomio (C. XXIII 18)ecc. Su quest’argomento
leggasi 1’ eruditissimo lavoro di Giulio Rosenbaum « * Geschichte der Lustseu-
che I Theil : Die Lustseuche in Alterthume. Halle 1839. 8.° ».
(6) Giacomo Vitriaco fa di Parigi tale pittura che ad altre città assai bene
attagliatasi. « Simplieem fornicationem nullum peccatum (i Parigini ) reputabant.
Meretrices publicae ubique per vicos et plateas civitatis passim ad lupanaria sua cle-
ricos transeuntes quasi per violen tiara pertrahebant. Quod si forte ingredi recusa-
rent, confeslim eos sodomitas post ipsos conclamantes dicebant. Hlud enira foedum
et abominabile vitium adeo civitatem, quasi lepra incurabilis et venenum insa-
nabile, occupaverat, quod honorificum reputabant , si quis publice teneret unam
vel phires coucubinas. In una autem et eadem domo scholae erant superius,
prostibula inferius (* Hist. occident. Cap. VII). V. ancora * Aìvari Pelagii ,
De planctu Ecclesiae L. II XXVII. 64 v. Venet. 1660. Quanto poi quell' ab-
bominevole vizio fosse comune anche fra noi, l’attesta Marino Sanato nella
sua * Cronaca Veneta (Muratori R. I. S. XXIV 12): ci dice che la Francia
vi s' intrigasse di poi che ’I Re Carlo mise il piede in Italia ; ma le riferite
parole del Vitriaco indubbiamente provano come colà fosse antica la brutta col-
pa. Dante mettea in compagnia di Brunetto Latini , cherci e letterati grandi ,
Delle affezioni Scrofolotubercolari
77
stanza (1); le meretrici riboccavano (2) ; in Roma aveano cor-
teo {3) ; Venezia ne contava più che undici mila (4) ; Lucca
e di gran fama, (^Inferno C. XV v. 106 e 107); e Virgilio diceva che a lui ,
Dante , se il fuoco non 1' avesse impedito , stava andar incontro ai pazienti , ed
esser loro cortese ; tanto queglino erano personaggi ragguardevoli ( Inf. C. XVI
v. 13 e 16). Che poi siffatto peccato regnasse veramente in Firenze potrebbero
farne fede le curiose parole d* un nostro Cronista : « dictum fuit communiter
per omnes, quod hoc (cioè l’allagamento di Firenze, per la piena dell’ Arno
nel 1333) fuit judicium Dei propter magna peccata Florentinorum, et maxi-
me propler horrendum et ineffabile peccatimi sodomiticum , quod fortiter regnat
in eis (*de Griffonibus Matthaei , Memor. hist. Rer. bononiens. In: Muratori
Rer. it. Scr. XVIII 160). # , .
(1) * Carpzoviij Pract. Crimin. P. II. Quaest. LXX n. 6jjb 10 4anp-
pae Henr. Corri., De inceri, et vanit. scientiar. Hagan. »3l C. LXIll.
* Rock, Observ. sur P origine de la maladie vénérienne ( Mem. de 1 Institut
uation. Scien. mor. et polit. An. XI, IV 324). Ma più che altre son gravi
queste parole Mareschallus Domini Papae tributum capiebat a meretncibus
et lenonibus earumdem. Quod emendari in Concilio Viennensi petebat Guillelmus
Durandi, cujus haec sunt verba ex tractatu de modo celebrandi Concila gene-
rali parte 2 tit. 1 0. « Et insuper quod prostibula publica non teneantur pro-
pe Ecclesias, in Romana curia prope palatium Domini Papae, et nec alibi
prope domos Praelatorum. Et ne Mareschallus Domini Papae , et consimiles alr-
quid recipiant a meretricibus et lenonibus earumdem ». (* Baluzius, Vitae raparu
Avenon. Paris 1693 I. 810). •
(2) A me non dà il cuore di registrare le moderne p^. . * Perc“e
^^en^Lndo , Sette libri de’ Cataloghi. Vinegia 1562. p. 23 e 43).
(3) Se quanto dice 1’ Infessura nel suo Diano può sembrare sospetto , come
d’ uomo non veritiero e parziale (* Eccardi , Corpus Hist. med. aevi II 1997);
non potrà dirsi Io stesso della seguente testimonianza : In hac etiam urbe ( Ro-
ma) meretrices ut matronae, incedunt per urbem, seu mula vehunlur: quas
assectantur de media die nobiles familiares Cardinalium cleneique ( * Consil. de-
lect. Cardinal, de emend. Ecclesia. In: Crabbe , Concil. omn. Colon. Agnp.
1SL’ austero8 Pio V avendo voluto bandire da Roma le meretrici , tutta la città
fu in subuglio : il Papa dovette cedere a tanta pressura e stabilire luoghi ap-
positi per quelle peccatrici; giacché, come scrive l’Ambasciatore veneto liepolo
(Dispaccio dei 9 Nov. 1566 ), se tutte fossero state espulse, partite sarebbero
da quella città più di ventimila persone ; e ì pubblicani « erano 'fai j inten-
dere4 che sarebbe tornata loro una perdita nei dazn di venti mila Anali, , di cui
avrebbero preteso essere redintegrati (* Mulinelli, Stona arcana e aneddotica
d (4 f* Filini] Mem. storiche III , 263 — * garzoni, ^ !“w
Venezia 1585 , p. 609. — * Montaigne , Jonrn. du Voyage. Rome 1774 , II, 9.
78
Alfonso Corradi
le favoriva (1) : e P Aretino poteva pretendere ai maggiori
onori. Le lettere , le arti abbellivano le oscenità; e le vi-
vande apparivano sulla mensa nelle foggio più turpi (2).
Le leggi (3) , e la stessa nostra scienza si facevano com-
plici del mal costume (4): le teoriche de1 2 3 * 5 6 * * 9 medici arabi,
che molti mali dalla ritenzione dello sperma derivavano , la
libidine scusavano o rendevano onesta (5) ; ed insieme in-
stituivano una maniera di cura che a que’ tempi soltanto
parve non sozza (6). Berengario da Carpi, Nicolò Massa, e
Capivaccio pingui guadagni facevano curando impuri ma-
lori (6). Il Vescovo Torrella pubblicava in Roma consigli
(1) * Cantù, Otaria degl’ Italiani , V. 520.
(2) * Campegiu^ De re cibaria. Liigd. 1560. L. Vili C. VII 402. — Que-
sto ci rammenta i MvAAo/ che i Siracusani facevano col sesamo e col miele
nella festa delle Tesmofori (* Athenaei , Deipnosoph. L. XIV C. 14, 647).
(25.) Leggasi in Paolo Diacono come veniva punita 1’ adultera ( * Hist. mi-
sceli. L. XIII Cap. 2 ) , in Guido da Cauliaco come giudicavasi dell' impoten-
za virile ( * Chirur. magna Traci. VI De passionibus virgae ) , e nelle * Leges
Wcdlicae ( p. 85 ) il giuramento a cui la donna , che querelavasi per violen-
za fattale, era obbligata a prestare.
(3) * Savonarolae, Praet. major. Traci. VI. C. XX Rub. 34 — * Valesti
de Tharanta, Pract. Lugd. 1500. L. VII C. 7 cclxvii b. — * Montagnanae
Barthol , Pro ili. et rever. Episcopo et Ungariae Vicerege de Morbo gallico
Consilium (Luisini, Collectio lì 693). A Papa Bonifazio IX i medici prescri-
fice santamente sprezzato, eleggendo piuttosto pudice mori di quello che m-
pudice vivere (* 5. Antonini, Historiar. P. III. Tit. XXII. C. Ili § 3). Que-
sta maniera di cura non era allora infrequente : veniva anche proposta nella
dissenteria inveterata ( Triller , Progr. de sordidis et lascivis remediis antidy-
sentericis vitandis. — * Amatus Lusitanus , Cent. II. Cur. 47).
{4) Retentio spermatis in muliere saevioria induit accidentia, ut suffocatio-
nem et ideo spermatica materia superaddita corrumpitur et in naturam ve-
neri transit (Savonarola, Op. c. Traci. VI. C. XX Rubr. 34).
(5) * Arnaldi Villanovani , Breviar. L. III. C. IX Op. omn. Basii. 1585 —
Savonarola, Op. c. Traci. VI C. XXI Rub. 21.
(6) * Luisini , Collectio. Epist. nuncup. — « Nec vos laborum ac diligentiae
poeniteat, in malo hoc frequenti et peraeque lucrosissimo: dixerim quippe citra
jactantiam , me a galiicae luis curatione ultra octodecim millia coronatorum lu-
cralura esse ( * Capivacae , Med. pract. L. V. C. XII De Lue venerea ) ». Di
Berengario da Carpi e delle sue cure in Roma, parla Benvenuto Cellini nella
Vita propria (Ediz. de' Classici di Milano II 37): e quella era città da fare
buoni guadagni, giacché sul finire del secolo XVI, là non era altra pratica
più frequente in chirurgia « che la molta copia di persone, quali attaccano
Delle affezioni Scrofolotubercolari
79
contro la Pudendagra (1) ; il medico Seitz ad una badessa
dedicava il modo di guarire il mal franzese (2) ; e nel Pa-
lazzo del Cardinale Wolsey v* era anche la Domus meretri -
cum (3). Il Tomitano non chiama il mal venereo francese,
spagnuolo od italiano , ma infezione comune , perchè jam
orbem totum pervagarit , e metà degli uomini n’ erano in-
fermi (4). Titolo di nobiltà era P averne più volte pati-
to (5) ; e per coprire la vergognosa alopecia le parrucche
ed il mento sbarbato venner di moda (6). In que* secoli vi-
dersi i martiri d’ amore (7) ; Bernabò Visconti trasportava
in Milano gli harem de’ desposti d’ Oriente (8) ; ed in Roma,
plaudente Leone X, la Calandra rappresentavasi (9). E poi-
ché i vizii e le virtù private de’ principi presto si muta-
no in vizii e virtù pubbliche , la corruzione fu generale.
-T
tardi ; e questo avviene principalmente per il contagio lussurioso quale si fa con
meretrici , delle quali in Roma è grandissima copia » ( Tagliaferri Pompilio , Trat-
tato chirurgico del Tarolo. MSS. cartaceo in A.° di carte 233 che conservasi
nella Biblioteca di Parma. V. * Pezzana , Aggiunte all’ Affò VI. P. li 691).
Le non migliori condizioni di Napoli sono ricordate da Marc’ Aurelio Seve-
rino nel suo libro: * De recondita abscessuum natura (Francof. 1643 p. 396).
(1) Tract. cum consiliis contra pudendagram seu morbum gailicum. Ro-
mae 1497 4.°
(2) * Haeser , Gesch. der epidem. Krankh. Jena 1869, p. 214.
Stuart , Tableau des progrès de la Societé en Europe. Paris 1789 II 192.
stato però detto che anticamente la parola meretrices suonasse Io stesso
che lotrices ; sicché quel Domus merelricum sarebbe stata P officina delle lavan-
daie del Cardinale Ministro; il quale però fu dai Lordi accusato d'aver par-
lato alP orecchio del Re, bench’ ei sapesse d’ essere infetto di lue celtica (* Nu-
me, Histor. of. England. Basii. 1789, V. 406).
(4) Luisini, Op. c. II 1023, I 140. .
(6) Ibid. II 1108 — Chi degli studenti di Padova voleva serbarsi casto
era dai compagni beffato , e dichiarato indegno d’ essere tra loro annoverato
(* Tomitanus, De morbo gallico. In: Luisini Coll. Il 1026).
(6) Haeser, Op. c.
(7) * Anquetil, Hist. de France. Paris 1817, III 406. An. 1320.
(8) Hebb’ egli (Bernabò Visconti) trentasei figliuoli vivi lutti in un tempo,
e diciotto femine gravide ad un tratto, fra li quali figliuoli h ebbe da Regina
sua moglie cinque figliuoli maschi e dieci femine (* Morigia , Nobiltà di
Milano 1693, L. VI 304). , .. ,
(9) Qual fosse la condizione del teatro d’ allora assai bene lo dice il biral-
di (* De Poetar. Hist. Diai . VIIL Op. omo. Basii. 1680 lì 318).
Alfonso Corradi
Disse taluno , che Enrico IV di Francia eroe sarebbe sta-
to, se eunuco (1) : ma noi per avere grandi uomini , non
vediamo il bisogno di far capponi (2). La libidine poi per
isfogarsi non ha d’ uopo del boudoir o delle civili raffina-
tezze (3) : la vovooq SyAeia i barbari Sciti colpiva (4). Che
più? Il Dott. Nefìtel dimorando nelle steppe trovava fre-
quentissime le affezioni sifilitiche fra i Kirghisi ; ignote
malattie invece la scrofola, la tubercolosi e la rachitide (5).
I Nipoti adunque non sono peggiori degli Avi ; e se non
migliore , neppure più laido divenne il costume nostro. Ed
a chi pur sostener volesse che nói soffriamo per li peccati
de1 2 3 4 5 6 padri nostri , chieder potremmo perchè sì tardi giunse
il castigo , e perchè soltanto sopra di noi s’ accumularono
i funesti effetti de’ vizii di quasi quattro secoli , volendo
pure accordare a que’ mali la più recente origine? Pochi
anni bastarono acciochè la scrofola e la tubercolosi s* al-
largassero in luoghi dove nè esse nè la sifìlide erano note,
e senza che corrotta civiltà i corpi avesse indebolito.
Noi portiamo , è vero , la pena de’ nostri e degli altrui
errori ; ma eglino sono d’ altra natura.
§ 5. Come il Lugol P eredità, considerò il Baudelocque
1’ aria impura precipua , se non unica , causa della scrofola
e della tubercolosi. Quest’ opinione fu da molti abbracciata,
e gagliardamente "sostenuta da coloro specialmente, che pon-
(1) * Bayle, Dictionnaire — Henri IV.
(2) Quanti eroi non sarebbero stati nell’ Impero Bisantino , se buono fosse
il ragionamento di Bayle ! Quand9 entrò in Costantinopoli l9 Imperatore Giulia-
no « le nombre des eunuques (scrive Gibbon sulla fede di Libanio * Htst.
de la décad. de V Emp. Rom. Ch. XXII. Paris 1819 IV 328.) ne pouvait
se comparer qu9 à celili des insectes dans un jour d9 été. »
(3) Leggansi su questo proposito gli strani racconti che fa il viaggiatore
fiorentino Cadetti dei popoli di Siam e del Pegù, negli ultimi anni del secolo
decimòsesto ( * Ragionamenti sopra le cose da lui ( Cadetti) vedute ne' suoi
viaggi. Firenze 1701 p. 149, 200).
(4) Veggansi le dotte dissertazioni dell9 Heyne (* De maribus inter Scythas
morbo effeminatis et de hermaphroditis Floridae. In Comment. Soc. Gotting.
1778 I 28), di Stark (De vovao Grifata apud Herodotum ProlHsio Jenae
1827 4.*}, e particolarmente I’Op. c. del Rosenbaum.
(6) Beobacht. aus den Kirgisen Steppen (Wttrzb. medie. Zeitschr. 1860 I 61).
Delle affezioni Scrofolotubercolari
gono que’ mali in un vizio del sangue. Ma da tal causa può
forse derivare P odierno loro incremento ? Parmi che no ; im-
perocché assai prima che questo fosse , la supposta causa già
era, ed in grado maggiore d’ oggi. Le case del povero non
eran migliori una volta ; anguste le strade , tortuose e scarse
di luce ; non lastricate , immonde per fango e pattume ; veri
sterquilinii , fomiti di fetide esalazioni (1) : alcuni quartieri
ancora ci mostrano quali fossero le vecchie città, quali le
abitazioni private che , quando non palazzi , quasi tutte
erano abituri. Ai pubblici edifizii , ed alla fabbrica del duo-
mo erano le cure de’ cittadini, e gl’ingegni dell’ arte con-
sacrati. Niun dubbio che le condizioni delle città , la sa-
lubrità delle vie e delle case non siano generalmente , e là
dove pure que’ mali predominano, di presente migliori (2).
Opificii e manifatture , commercii e fondachi furon sempre :
nei secoli scorsi fuvvi tale sfarzo , tale magnificenza nelle
vesti e negli ornamenti , da parer meschine le pompe nostre.
Le arti della seta e della lana o nacquero o prosperarono
fra noi: i telai di Modena e di Padova fornivano al fasto
(1) Filippo Augusto fece selciare le strade di Parigi onde togliere alla città
il vecchio nome : lutea ( Lutecia ) enim a loti fattore prius dieta fuerat. * Rigor -
dus , De gestis Phìlippi Augusti. In: Duchesne , Hist. Frane. Script. V 16).
Però anche nel bel mezzo del secolo XVII alla metropoli francese non discon-
veniva l’antica denominazione (* De la Marre , Traité de Police I 660).
Milano fu fatto lastricare dal Duca Galeazzo Maria Sforza nel 1470 (* Mo-
rigia , La Nobiltà di Milano L. VI p. 309) , e Roma da Sisto IV. — Ai
tempi del Petrarca grugnivano i porci per le strade di Padova (* De Reb.
senil. Epist. L. XIV n. t ) ; vagavano per Firenze { * Sacchetti Fr. , Novelle
N. LXXV_, CX, CXCV1I ) , ed in Venezia funne fatto divieto nel 1409 in causa
dei danni tam contro pueros quam in stratis et fondamenti propter suum ru-
mare (* Gallicciolli , Delle Mera, venete I 230) — A Londra le case per la
maggior parte erano tali , da far credere che chi le abitava nemico fosse della luce
e dell’ aria ( * État présent de la Grande Bretagne. À la Haye 1728 I 156 ):
come poi ne fossero le strade Io ha detto Erasmo , od almeno una lettera a lui
attribuita (Epist. 378). — l giovani poi nelle scuole , i fedeli nelle chiese non
s’ assidevano ne’ banchi , ma sdrajavansi sullo strato coperto di paglia ( Saxnt-
foix. Essai hist. sur Paris. Londres 1766 P. I 124). .... . . .
(2) La Società Hastings per il miglioramento delle abitazioni degli artigiani
ha fatto buona prova in Inghilterra , per quel che ne dice il Signor Daremberg
nel * Journ. des Débats 19 Gen. 1861.
82
Alfonso Corradi
romano i panni più morbidi, ed i più suntuosi tappeti (1);
e fu tempo ancora che la dama , dond’ ora ci cala la moda,
dinanzi allo specchio di Murano de’ nostri veli s1 2 3 4 5 * * * adorna-
va (2). Raduni d’ uomini non mancarono , vuoi nelle scuo-
le , nei templi , nelle carceri , negli ospizii od in altri al-
berghi (8) ; e quest’ erano larghe fonti di corruzione nel-
F aria. La quale aumentava ancora per gli effluvii che dai
corpi , per cagione del sudiciume e della qualità de’ cibi
sorgevano (4); nè ciò soltanto fra genti rozze ed in tempi
selvatici ; ma presso i popoli più culti , e nel fulgore delle
civiltà antica. I poeti giocosi ed i satirici frequentemente
(1) Fannucci, Storia dei tre popoli marittimi dell9 Italia L. i C. i.
(2) Jacopo Filiasi, in appendice al Voi. VII delle sue Memorie storiche,
ha scritto un « Saggio sull5 antico commercio , sull5 arte e sulla marina dei
Veneziani »; dove, con molt5 erudizione e scelti documenti, mostra quanto
1’ uno e le altre fossero appo questi floridi e grandi. — Benedetto Dei , difendendo
la mercatura de5 Fiorentini contro le ingiurie sparse da alcuni mercatanti vene-
ziani , dà altresì a vedere quanto le arti ed i traffichi fossero avanti in Fioren-
za (V. * Della Decima de5 Fiorentini 11 235-247 ). Però in quella difesa la
rivalità giunge al livore, e spesso fa i giudizii o ciechi od ingiusti: tal-
mente che i mali e le sconfitte, che la Signoria di Venezia allora soffriva
per mano del Turco ( mentre pur erano sventura di tutta Italia , anzi dell5 in-
tiera Cristianità ) , i mercanti toscani rallegravano.
(3) Leggasi ciò che dice Erasmo delle stufe o terme pubbliche , tanto co-
muni nel Medio Evo ed anche nel Cinquecento specialmente ne5 paesi freddi
nel dialogo Diversoria (* Op. omn. Lugd. Batav. 1703 I 717).
(4) 1 Romani facevano moli' uso dell5 aglio : « Atavi nostri cum allium ac
caepe eorum verba olerent, tamen optime animati erant ( Varr. apud Non. 3.
67) » : e pei soldati era cibo sì comune, che a coloro i quali , mentre ama-
vano gli agi e la quiete , pur volevano prender le armi , dicevasi — Allia ne co-
medas. — La credenza poi che questa pianta calda avesse a correggere gli
effetti dell5 aria cattiva , rendevane l5 uso vieppiù volgare : Virgilio perciò rac-
comandava I5 aglio ai mietitori
Testylis et rapido fessis messoribus aestu
Alba , serpillumque , herbas contundit olentes (* Buco!. Eclog. Il 10).
Altre virtù dell’aglio sono ricordate da Dioscoride, Plinio etc. V. * Lenz ,
Botanik der alten Griechen und Ròmer. Gotha 1859 p. 294 — Ai Cavalieri
della Banda o fascia rossa. Alfonso Re di Spagna proibì nel 1312 di mangiar
aglio o cipolla, a meno che non preferissero stare otto giorni lontani dalla
Corte o dai compagni (* fameierus, De osculo. In: Thesaur. Antiq. Sa-
crar. XXX 1206).
Delle affezioni Scrofolotvbercolari
83
toccano dell’ odore di Lecco che i Romani tramandavano (1).
E per vero l’uso universale della lana, il sudore, di cui
di continuo doveano essere intrisi in mezzo ai non interrotti
esercizii ginnastici, e soprattutto il costume d’ impiastric-
ciarsi d’ olio , bastano per far credere che generalmente que-
gli uomini spandessero non molto grato odore. Il quale po-
teva bensì essere per le bevande e per i bagni diminuito ,
ma non tolto del tutto; tanto più che le vesti stesse per
le anzidette cagioni contrarre doveano disgustoso sentore. Ma
che dire , quando udiamo V epicureo Orazio ( dopo aver in-
vitato a mondissima cena Torquato uomo consolare , e dopo
avergli nominati gli altri convitati tutte persone di conto
ed amici comuni ) ricordare : che quando a tavola si sta
troppo stretti , 1’ odor di capra incommoda assai ?
.... locus est pluribus umbris.
Sed nimis arcta premunt olidae convivia caprae (2).
Forza è convenire , dirò col Martorelli , che tale avver-
timento non allora , come sarebbe al presente , tornasse in-
giurioso ; e che a que’ tempi anche fra le persone più colte
fòsse assai comune queP pu^zo , da Catullo chiamato crude -
E per quanto i danni d’ impura atmosfera fossero allora
scemati dalle abitudini meno sedentarie del popolo , e dal
far esso della piazza e della strada quasi la naturale di-
mora ; pure non potevano mancare , se Baudelocque , per
amore alla sua opinione, affermava poche ore bastare, ac-
ciochè I* aria viziata riesca causa di scrofola e di tuberco-
li) * Orazio Sat. 2 L. I; Sai. 4 L. I; Od. 12 Epodo. — * Marziale
Epigr. 59 L. XII ; 48 L. IX. — * Catullo Carm. 69 e 71. — * Galeno Com-
ment. IV n. 9 al lib- Vi de’ Morbi volgari d’ Ippocrate.
(2) Epist. 5 L. I. FF
(3) Carm. 69. — Sì spiacevole effluvio non potev’ essere palliato che con gli
odori: quindi la loro profusione, e 1’ uso delle ghirlande ed unguentine’ con-
viti romani ( * Lanzoni G. , Dell’ uso delle ghirlande e degli unguenti ne* con-
viti degli antichi. Ferrara 1698 12.° — * Martorelli , Degli odori. In : Dissert.
Accad. archeol. romana I. P. 1 433).
- (3).
84
Alfonso Corradi
losi (1). Anche a que’ di lo stare in aere guasto fu senza
dubbio motivo di malattie ; ma queste non furono scrofola
o tisi , od almeno non lo furono quant5 oggi : la qual cosa
prova che 1’ aria corrotta per sè stessa non è atta a viziare
il sangue o la nutrizione in modo determinato e speciale :
e come per lo passato concorreva a generale lo scorbuto,
adesso può dar luogo alla scrofola ed alla tubercolosi; ap-
punto perchè opera sovra corpi non più a quello, ma a
questi morbi inclinati. Nè veramente mancano pur oggi
luoghi d5 aria infetta che poco o nulla soffrono del comun
male ; mentre ad altri la salubrità del cielo non è sufficiente
schermo (2) . La Commissione regia di Londra , che ha at-
tribuita la molta frequenza della tubercolosi negli eserciti
alla corruzione dell5 aria negli alloggiamenti , ha allegato
principalmente il fatto che i cipayes dell5 India , i quali
non istanrio chiusi, non soccombono quanto gli altri armati.
Ma il Laveran Capo Medico dell5 ospitale militare di Val-de
Gràce , obbietta aver egli veduto in Affrica i soldati indi-
geni , benché vivano come i cypayes indiani , morire più
spesso tisici che i commilitoni francesi. La consunzione
polmonare poi è micidialissima nelle milizie a Taiti e nelle
isole Sandwich , quantunque elleno neudayessero colà andare
immuni, secondo 1’ avviso della predetta d&Ià-
qui si fermano le obbiezioni : gli zappatori-pompieri , uo-
mini piccoli, robusti, abituati alle fatiche, ammalano me-
no delle guardie di Parigi di tubercolosi ; quantunque
quelli vivano in mezzo all5 aria guasta de5 teatri e degli
alloggiamenti, e questi se ne stiano sulla strada, mal-
trattati dal freddo , dalle pioggie e dal vento. Lo stes-
so Laveran ha trovato che dieci volte in dodici, cioè
Delle affezioni Scrofolotubercolari 85
dal 1834 al 1858, il maggior numero de’ morti per tuber-
colosi cade in anni , in cui la febbre tifoide è stata pochis-
simo letale : nondimeno la folla degli uomini e quindi 1* a-
ria impura , hanno senza dubbio molta parte nel produrre ,
più che altra malattia, le febbri castrensi ed il tifo (1). E
certamente che della minor frequenza delle epidemie, e della
quasi cessazione della peste bubonica in Europa, danno
ragione , per^ alcun lato almeno , la migliorata pubblica igie-
ne , 1* accresciuta nettezza de’ luoghi e delle persone , in
breve F aria meno impura.
La dottrina poi del Baudelocque fu già sostenuta da un
nostro italiano alla fine del secolo scorso, secondo le dot-
trine chimiche e fisiologiche d’ allora. Credo bene rife-
rire queste parole del Valatelli : cc .... io spero che non
sembrerà irragionevole F asserzione che le frequenti malattie
di petto croniche , alle quali soggiaciono li Veneti , possano
dipendere da un lentore cagionato dal flogisto , che libera-
mente non si esala da’ polmoni nell’ aria viziata de’ ridotti,
dei cafre, dei teatri, ne’ quali tutti li giorni, particolar-
mente F inverno, si respira un’ aria delle più malsa-
ne .. . (2). » Ma F Esquimale nell’ immonda sua capanna,
il Tartaro che non muta panni , il Samojedo che si puri-
fica stando nel _ filmo (3), sfuggono alla tabe, dà cui non
campa F Olandese di proverbiale nettezza.
§ 6. Il malcostume e F aria corrotta non possono dunque
considerarsi cause dell’ aumento della malattia scrofolotuber-
colare: e per vero (non guardando se abbiano natura a lei
conforme) elleno non sono universali quanto F effetto, e
più poderose furono quando questo anco non era. Ma poiché
tali affezioni si attengono a condizioni intime dell’ organi-
ti)* Recherches statistiques sur les cause» de la raortalité de P armée serrant
à P intérieur. In. Ann. d’Hyg. pubi. 1860 XIII 283 , 285, 286. — L’ anno
in cui più furono i morti per tubercolosi fra la soldateria francese fu il 1847 ,
in cui lo scorbuto dominò epidemicamente.
(2) * Dissert. sopra 1’ aerografia di Venezia. Venezia 1788 p. 52.
(3) * P alias, Voyages. Paris 1793 IV 95. — I votacessi poi godono in
generale buona salute , e per solito non soffrono che della malattia d’ occhi ,
nota col nome di mitte.
Alfonso Corradi
smo, e l’organismo è quale ci nutriamo; vediamo se nel
vitto popolare fosse avvenuto alcun grave mutamento ; che
dell’ anzidetto fatto ragionevolmente possa incolparsi.
E qui riccamente può affermarsi il vitto nostro non es-
ser più 1’ antico. Da oltre un secolo tanta mutazione è ac-
caduta ; nè ora ripeterò quanto in prova ampiamente n’ ad-
dussi nell’ altra mia Dissertazione : rammento però che d’ uso
comune sono le patate , il riso , il grano turco ; che da non
molto tempo vengono estesamente queste piante fra noi
coltivate (1) : nè proporzionata all’ aumento della popola-
zione è eziandio la produzione del frumento , in posto del
quale coltivansi altre piante meno nutrienti, sostituendo
così nel comune alimento la fecola al glutine , una sostan-
za amilacea ad un’ azotata ; , cambio certamente non fortu-
nato. Inoltre senza fare 1’ apologia del secol nostro , e sen-
z’ ombra alcuna d’ esagerazione può affermarsi noi più sobrii
o meno intemperanti esser de’ maggiori nostri ; i quali , può
dirsi, mangiavano e bevevano ciò che noi ora spendiamo in
addobbi ed in ornamenti. La quale temperanza più spesso
è necessità che virtù ; avvegnacchè nelle grandi città il caro
delle grascie , le nuove costumanze , e tutti gli accessorii
della moderna civiltà fanno che il guadagno sia general-
mente inferiore al bisogno ; nè per supjpjix^
espeditmtr^e^^ virrrT: ia^Brama di nuove vesti
fa tollerare non divoti digiuni, ed il vacuo stomaco s? ac-
cheta dandogli fumo. Il villano per avidità di lucro, per
isperanza d’ agi s’ inurba; ma ciò che non seppe trovare
ne’ campi , ben di rado avrà nella Capitale , la quale assai
caro fa pagare agli avventizi! il loro ingresso (2).
(1) Nella * Coltivazione Toscana etc. (Venezia 1625 4.°) del Monaco
Vallombrosano Vitale Magazzini si legge al mese di Marzo p. 21 questo ri-
cordo <c Si piantano in buon terreno fresco e umido le patate, portate nuova-
mente qua di Spagna dai RR. PP. Carmelitani Scalzi , come si piantano gli
vuovoli di Canne ». Il viaggiatore Cadetti (Op. c. p. 62) parla delle patate
come di cosa da lui osservata sulle coste del Perù ed a noi sconosciuta.
(2) La febbre tifoidea, ad esempio, mena in Parigi grande strage fra.i
campagnuoli di fresco divenuti cittadini (* Griselle , Patol. med. I 51 ).
Delle affezioni scrofolotubercolari 87
A corpi sottili e mal nutriti gli esercizii ginnastici parvero
rozzi e feroci, ed uomini abborrenti dal moto il vitto car-
neo non più gustarono : e così reciprocamente le due cause
s5 avvaloravano. L’ Irlandese sta contento delle patate che gli
risparmiano le braccia , e gli procurano momentanea abbon-
danza; poco importandogli che la malattia lo logori, e la
fame lentamente F uccida (1). A ciascuno è noto quanto sia
stato detto della virtù degli alimenti nel formar F indole
ed il temperamento dell’ individuo e de9 popoli : non man-
carono le esagerazioni , nè chi ci facesse credere F Indiano
timida fanciulla : ma sallo Inghilterra , sanlo Cawnpore e
Delhi se coraggio e ferocia star possono ancora in chi si
nutre per solito di riso e di banane. Nulladimeno può af-
fermarsi , che un popolo nutrendosi di patate , non vince-
rà, caeteris parìbus , un altro che viva di frumento e di
carne (2). E noi dell’ uno e dell’ altro abbiamo bisogno; di
11) Secondo Macculloch (Dictionnary of Commerce) le patate in Irlanda
formerebbero i 4J& dell' alimento popolare. Kilgour attribuisce i mali di
quell’ infelice paese alle patate , non per altro che per esser causa di ozio
e di pigrizia! « The peasantry of Ireland are a lazy, idle, slothful race, be-
cause thè favourite potatoe is thè most certain crop, and cultivated with thè
Ieast labour of any. This is thè potatoe teory for thè evils of Ireland ) On thè
ordinary agents of life p. 256 ). » Ma il tralignamento de’ popoli ha più profonde
radici : se l’ Irlandese ed il selvaggio della Nuova Zelanda vendon i porci per
bere 1’ acquavita anziché mangiarne la carne , è ciò forse conseguenza del col-
tivare le patate; ovvero piuttosto e questo e quello sono effetti di morale de-
pravazione? Il Cattaneo ha, sotto il rispetto economico, assai bene discorso dei
danni che derivano dal fare le patate fondamento della cibaria del popolo.
Parlandogli dello stato dell' Irlanda nel 1844, quasi presago di quel che
doyea avvenire tre anni dopo , osservava che : « Quattro o cinque pesi di pa-
tate nutrono appena come uno di frumento ; epperò il trasporto d’ una me-
desima somma d’ alimenti costa 4 e 5 volte tanto; e un viaggio non lungo ne
duplica o ne triplica il tenue prezzo. Laonde mentre il valore del frumento
rare volte, anche nella scarsezza, tocca il doppio, la patata sale rapidamente
al quadruplo , e perfino al sestuplo ; e dall’ esuberanza e dal disprezzo in po-
chi mesi balza alla ricerca e alla carestia (*Mem. d’ Econom. pubbl. Mila-
no 1860 I. 155). J „ . , _ . ,.
(2) Il nostro Torquato Tasso prevenendo 1’ autore deir Esprit des Lois di-
scorre , ma senza trasmodare , della diversità degli animi e delle menti secondo
la qualità del sito: piacerai riportarne un brano, cc Egli non è dubbio che cia-
scun paese, secondo che più, o meno all’uno degli estremi del nostro emi-
Alfonso Corradi
grave danno c’ è P esserne privi ; nè il Conte Berchtold ebbe
torto di chiedere quali mutamenti corporei e morali fossero
avvenuti negli uomini , poiché lasciarono i cereali e la bir-
ra, per cibarsi di patate e berne Y acquavita (1). Nella città
il vitto animale pare sia tanto più necessario quanto mag-
giori sono, rispetto alla campagna, le cause d’ affievolimen-
to , è le opportunità ad ammalare. Il Legoyt poi ha mo-
strato come contribuisca il caro de’ viveri , e del frumento
soprattutto, nel diminuire il numero delle nascite e nel-
P accrescere le morti (2) : il Dupectiaux , discorrendo! della
miseria nelle Fiandre , fa notare che la carne non fa quasi
parte del vitto dell’ operajo e dell’ agricoltore, mentre la
patata v’ entra per più del quarto (3). Intanto tragrande
fu il numero dei ripulsi nelle descrizioni del 1844 , 45 e 46
si per difetto di statura , che per infermità od altri vizii
del corpo ; ed in alcune provincie della Fiandra occidentale
la cosa andò sì oltre T ohe -d* ogni~einqv*e descritti uno venne
rifiutato (4) ! Parimente dei 7 milioni di giovani chiamati
in 25 anni (181G-1840) sotto le bandiere francesi, quasi
il quinto fu dichiarato inetto ai militari servigii ; nè , P aver
diminuito la misura della statura tolse che nel 1840 il
numero degli omessi fosse doppio che nel 1816 (5); e la
sperio si va avvicinando, o al Polo, o all’ Equinottiale , più ancora, o meno
produce gli huomini atti alle speculationi , e alle ationi civili, e militari: per-
chè gli huomini che nascono ne’ paesi , che soggiacciono al Mezzo giorno , se
bene vagliono d* ingegno , havendo poca quantità di sangue , sono timidi e de-
boli, e inetti alli pericoli, e alle fatiche della guerra; dico naturalmente per-
chè so ben io , quanto possa la disciplina , e che , in virtù di lei , ovunque
nasce huomo, nasce soldato {* Lettera del Signor Torquato Tasso nella quale
paragona l’Italia alla Francia. Mantova 1681 p. 7).
(1) Die Kartoffeln, deren Geschichte, Charakteristik, Ntìtzlichkeit , Schad-
lichkeit, Kultur, Krankheiten. Prag 1842 p. 388.
(2) * Ann. univ. di Statistica. Milano 1867 XVI 244.
(3) * Ména, couron. de 1’ Acad. R. du Belgique IV 62 Edit. 8.°
(4) Dupectiaux Op. c. p. 34.
(5) Quando il Boudin dice che « sur 1000 jeunes gens àgés de vingt ans
accomplis, on ne compterait en France pas méme une exemption pour cause de
phthisié (Op. c- II 669) » sono costretto a credere che nella sezione Usi non
entrino che quelli in cui la malattia è già conclamata; e che negli altri, dov' essa
è in minor grado , o non è punto avvertita , ovvero P esenzione avviene per
altro titolo , per il generico , ad esempio , di debolezza.
Delle affezioni Scrofolotubercolari
statura , secondo che ha cercato di provare Villermé , è
proporzionata allo stato di prosperità de5 popoli (1). E quan-
do fosse vero che col volger de9 secoli non per caso, ma
di necessità , la vegetazione d9 un paese , non più bastando
le consuete rotazioni , debba mutare e far posto a nuo-
va (2) ; grandi cambiamenti avvenir debbono eziandio negli
animali e nell9 uomo. Gonciossiachè le piante , secondo loro
natura , mutano le condizioni dell9 aria e del suolo su cui
crescono , porgono nuovi alimenti , attraggono nuovi ani-
mali , suscitano arti e maniere diverse di coltivazione. Cer-
tamente lo studio dell9 uomo e delle sue malattie, sovrat-
tutto epidemiche , dee comprendere ancora la storia del-
l9 agricoltura e dell9 industria de9 popoli : ma sin qui poco
conto se n9 è fatto , e quasi non si vide che i campi nostri
spogliavansi dell9 orzo, e del frumento antico s9 impoveri-
vano , per dar luogo alle produzioni del nuovo mondo :
eppure le nuove biade i corpi mutavano !
§ 7. Nè per altra guisa le condizioni propizie alla gene-
razione della scrofola e della tubercolosi formavansi : a mio
avviso elleno fontalmente derivano dall9 odierno vitto sover-
chiamente feculento. La mancanza altresì di esercizii ginna-
stici, Paria impura ed ogn9 altra causa insalubre, viziando
il sangue, corrompendo la nutrizione, le fomentano; i matri-
monii le trasmettono. Adottando quest9 etiologia , non miro
che a dare ragione dell9 odierna loro maggior frequenza, cioè
della maggior disposizione che ora i corpi mostrano a questi
mali. Esistendo siffatta disposizione , l9 azione di cause che
sempre furono e sempre operarono , è assai più sentita o ma-
lefica ; quelle stesse cause che , con altre condizioni organi-
che, avrebbero suscitato altra malattia, con Panzidetta di-
spiegano la scrofola e la tubercolosi. Se non m9 inganno, P ac-
cennata mutazione di regime spiega, perchè generale, Puni-
ti)* De la taille de V homme en France ( Ann. d’ Hyg. pubi. I 390 ).
(2) Il Conte di Villeneuve trova che nella Provenza la coltivazione introdotta
dai Greci 600 anni prima dell’era nostra, non può più essere continuata; il
fico e 1’ olivo non porgono più buoni fratti; la vite ancora dà segno di finire
( Statist. des Bouehes du Rhòne 111 76, 432, 446 etc.).
90
Alfonso Corradi
versalità del fatto ; perche s’ attiene alle funzioni più intime
dell5 organismo , i mutamenti in questo avvenuti. Spiega an-
cora perchè maggiore sia il male fra i poveri e nelle grandi
città; perchè in queste ed in quelli mai sia mancato. Inoltre
le nuove abitudini manifestavansi , quando la nuova causa
ebbe operato : dunque i due fatti si collegano per ragione
di tempo, di spazio e di qualità : ma come stanno fra loro?
Forse come causa ed effetto ?
Gli addotti argomenti lo fanno credere , éd altri ancora
lo confermano. La vera diatesi scrofolosa , per il Bufalini ,
è una semplice diatesi albuminosa, la quale è formata prin-
cipalmente dai cibi abbondanti di parti feculente , gommose ,
zuccherine e grasse , come appunto sono moltissimi vege-
tabili (1). Sovrabbondanza di acqua e di albumina trovavi
Ancell nel sangue si de5 tisici che , salvo le differenze di
grado , nei predisposti alla tisi (2) . La materia tubercolare
contiene tant5 albumina e grasso che ad alcuni chimici (Bre-
dow) parve albuminato di potassa; e recentemente dall5 En-
fi)* Instit. di Patol. analit. Opere IV 299.
(2) Ancell riguarda la tubercolosi malattia propria o consunzione del sangue ,
il quale sarebbe così come indica il seguente prospetto , tratto dal suo Treatise on
Tubercolosi* stampato a Londra nel 1 852.
Cornusc. rossi / Globulina /
Ematina 1 manchevoli
Ferro \
Acqua sovrabbondante
Albumina sovrabbondante, forse di viziata
natura ?
Fibrina piuttosto accresciuta che diminuita
e di viziata natura.
Estrattivi ?
Grasso? Probabilmente scarso
Materia colorante modificata
Sali alcalini scarsi?
Calce in eccesso?
Gas.
Ma di queste analisi, conoscendo quanto imperfetta sia tuttora P ematologia,
non dovremo fare illimitata stima.
11 sangue t
tubercolosi di-
fetta di proprie-
tà vitali; la na-
tura essenziale
del difetto è sco-
nosciuta.
Corpus, bian.
Delle affezioni Scrofolotubercolari
gel il tubercolo fu definito « detritus grassoso di trasuda-
mento plastico (1) ». La quale esuberanza d’ albumina ( che
troviamo eziandio nei temperamenti detti albuminosi oggi
cotanto generali) non solo della scrofola, ma, secondo C. F,
Fuchs , sarebbe propria di un gruppo di malattie affini da lui
dette leucomacritiche (2) , perciocché tutte formano depositi ,
in cui la sostanza albuminosa è massima o prepondera (3).
Ma non potendo per la qualità stessa di questo lavoro , ad-
dentrarci nell’ esame dell’ essere proprio della scrofola; nep-
pure cercheremo se le alleanze ed i vincoli di famiglia , che
1’ anzidetto Autore trova fra quelle diverse malattie , siano
naturali ; e tanto meno criticheremo la nuova denominazione ,
ed altre sue opinioni (4). Nulladimeno non debbo preter-
(1) Das Tuberkuloswerdeu ist als eine Fettmeta morphose, in fettiger De-
tritus eines plastischeu Exsudats zu definiren ( Ueber Tuberkel. In : Vierteljahrs-
schr. fiir die prakt. Heilk. I B. 1855).
(2) * Queste sarebbero le malattie leucomacritiche del Fuchs; Scrofola, Ence-
falite infantile. Tubercolo , Cancro , Àlburoinuria , Angina membranacea ( Croup-
. Difterite) Tifo addominale. Malattie ematoseptiche invece sono: lo Scorbuto,
il Morbus maculosus Werlhoffl, la Febbre putrida, la Peste Orientale. .( Die epi-
demischen Krankheiten in Europa in ihrem Zusammenhange mit den Erschei-
ntmgen des Erdmagnetismus Weimar -4-860-pr- — —
(3) JVVgfìl^evea già notato la grande somiglianza anatomica od etologica fra
i depositi deHaMÌcrotoia e quem nei intrq^Tlnar.-pathol. Paris 1847 p. 250);
le granulazioni molecolari del cancro, nascevano, a suo avviso , da un citobla-
stema sopraccarico di sostanza grassa , per modificazione speciale della proteina
( Ibid. p- 273): e certamente che in istato di malattia facile è la metamorfosi
den’ albumina in grasso ( Vedi : Schultze De adipis genesi pathol. Gryphisw.
1852. Diss. inaug.). Ma la dottrina del Vogel ha perduto assai di credito da
che la Patologia cellulare è entrata nelle scuole : quindi la materia tifica , scro-
folosa , tubercolare etc. non è un deposito , ma un vero prodotto dell’ attività
cellulare, cioè la proliferazione delle cellule che per una condizione irritativa
succede negli organi cellulosi e nei corpuscoli del connettivo.
(4) Le oscillazioni dell’ ago magnetico corrispondono a mutamenti di clima ,
e di generali stati patologici. La declinazione occidentale dell’ ago magnetico,
secondo Fuchs, corrisponde col dominio delle malattie leucomacritiche; k de-
clinazione orientale invece colle malattie ematoseptiche ; nel primo caso prevale
il clima marino, nel secondo il terrestre. La declinazione occidentale mette
nello spirito umano la spontaneità : la recettività invece la declinazione orientale.
La riforma luterana accadde quando, diminuendo la costituzione ematoseptica ,
ebbe principio il clima marino e la costituzione leucomacritica !!
92
Alfonso Corradi
mettere che piuttosto che mutuamente respingersi , come
taluno ha voluto , la scrofola , il cancro ed il processo tifico
possono trovarsi insieme o successivamente sopra il mede-
simo individuo (1). Altri pure travide cotali affinità , nè le
tacque (2). Del tifo poi, della tubercolosi e del cancro gli
stati mortuarii segnano grave e progressivo aumento (3).
Come poi lo stato eP ipotrofia favorisca la generazione della
scrofola, della tubercolosi e delle malattie congeneri , il Bu-
falini lo ha bene dichiarato (4).
(1) * Ernst, Biicke in das Gebiete der Tubercolosi ( Denkschrift. der med.
chir. Gesellsch. des Cantons Ztirich. Ztìrich 1860 p. 93 ) — É vero che can-
cro e tubercolosi di rado trovansi insieme : ma ciò non deve tosto far crederle
malattie antagonistiche. Lawrence osserva in proposito che gli afflitti da cancro
spesso denunciano casi di morte per consunzione nella loro famiglia: p. e. fra
61 malati di cancro, 14 avvertirono ehe il padre o la madre od un fratello
erano morti tisici. Crede quindi il Lawrenee vi sia qualche connessione fra
queste due malattie , ed una sia come supplemento all* altra. ( Associat. med.
Journ. Oct. 1866).
(2) Bufalini pènsa « che il mistero della diatesi o discrasia cancerosa si ri-
solva in quello medesimo della diatesi scrofolosa, addimostrandosi veramente
così le malattie cancerose,, come le scrofolose , coesistenti mai sempre con una-
più o meno forte ridondanza dell* albumina nella composizione organica, e con
una preponderanza pur anche nell* albumina medesima nei locali prodotti mor-
bo** I[inii8,6 LXu0 slesso ^ufaiini n°a f
almeno negli ammalati da lui osservati era vi afcun^che di essa ( * Sull' eziolo-
gia della Glucosuria. In: Mem. della Soc. Ital. XXV P. I p. 1 93 ).
(3) Vedi la Parte I. — Nel 1868 nell’ Ospedale generale di Vienna furon
fatte 1232 notomie : videsi che i guasti più frequenti eran quelli fatti dalla
tubercolosi, dal tifo e dal carcinoma ( Tuberc. 276 — Tifo 165 Car-
chi. 112). Invece non contaronsi che 81 morti di pneumonite ( Aerztl. Berichte
aus dem aligera. Krankenhause in Wien vom J. 1868. Wien 1859 ). — Per le
ricerche di Rigoni-Stern risulta la quantità proporzionale delle morti per ma-
lattia cancerosa in Verona essere aumentata dal 1760 ai nostri giorni: la pro-
gressione sarebbe stata costante se malattie epidemiche nel 1800 e nel 1836
non avessero cagionata insolita e tragrande mortalità. ( * Nota sulle ricerche del
Doti. Tanchon intorno la frequenza del cancro. In: Ann. univ. di Medie.
CX 480). Il Doti. Tanchon avvertiva P aumento dei cancri , e lo trovava re-
^tivo alla civiltà dei paesi e delle persone (Ibid. 226) : secondo poi Wilkinson
Mog la metà circa delle donne, e Pollava parte degli uomini, che muojono
Veru\\44 pnni’.sono magagnai* dì cancro (London medie. Gazette A. 1845 ).
( ) Ammette cioè che fatto allora manchevole il processo d ' ossigenazione ,
S( Op^e D*l V 1 25^ albuminoso’ doode Poi !a Produzione di quelle malattie.
Delle affezioni Scrofolotubercolari 93
Ma lasciando queste considerazioni che sviar ci potreb-
bero dall5 argomento nostro , dirò che gli effetti di nutri-
mento poco sostanzioso e scarsamente carneo li vediamo nei
prodotti stessi del morbo scrofoloso ; e per verità noi siamo
quali ci nutriamo ; sicché la sapienza antica pose l5 anima
nel sangue. Il quale non si convertirà in carne, non farà
polpa nervea, nè muscoli gagliardi se il cibo non gliene
porga adeguata sostanza. La natura nostra vuole alimenti
azotati ; la quota , secondo il clima e speciali circostanze ,
ne sarà maggiore o minore , però mancare a lungo senza dan-
no non potrà mai (1). E quando i corpi ridotti siano nelle
condizioni che agevolano la formazione delle malattie scrofolo-
tubercolari , queste non sono già necessariamente ; ma a loro
avvi soltanto disposizione. E la disposizione a malattia non
è malattia , bensì modo di essere o proprietà dell5 organi-
smo vivente, che s5 accorda con la salute. Vero è che la
disposizione a particolare malattia è deviazione dal perfet-
tissimo stato di salute ; ma godendo questa di certa lar-
ghezza , avviene che l5 una e l5 altra possono essere ad un
tempo: così le varie condizioni del temperamento, sesso,
età ecc. mentre porgono attitudine a diversamente amma-
lare , non sono elleno stesse malattia o cominciamento di
essa. D5 altra parte il sola essere in vita inchiude la di-
sposizione generica ad ammalare. Però è d5 uopo avvertire
come talora il morbo tanto lentamente si generi , che fra
la disposizione ed il di lui principio non appare distinzione ;
là disposizione può dirsi essere allora il primo passo d5 e-
voluzione patologica , di cui poscia la malattia , nella piena
sua forma, segna il grado maggiore (2). E tale malattia sorge
(Ì) Bouchardat così conchiude il recente suo lavoro intorno 1’ etiologia e pro-
filassi della tubercolosi polmonare « Les conditions d’ àge étant favorables ,
la continuité dans la perte des aliments , de la calorification . la continuité de
leur insuffisance eu égard à la temperature extérieure et aux besoins de l’orga-
nisation, la continuité mème de leur dépense insuffisante, conduisent à la tu-
berculisation pulmonaire. (* Gazette méd. de Paris 1861 p. 472).
(2) V. il IV àforismo dell’ Hecker nella * Gesch. der neuer. Heilk. Berlin.
183 9 p. 608. La' disposizione morbosa e la malattia, è ben fatto avvertire,
sono sempre individuali : divengono generali o popolari sol perchè le cause del-
94
Alfonso "Corradi
dal seno della corrispondente disposizione per opera di cause
che dicono occasionali , e tanto meglio quanto queste sono
più poderose, o quella maggiore. E la disposizione come
aumenta per proseguimento delle cause proprie , e , fuori
di queste, per influsso di eredità; può dileguarsi o dimi-
nuire per modificazioni avvenute nella complessione de-
gl* individui.
Così profondamente mutati i corpi , se in loro altri morbi
si mostrano , vi appariranno con insoliti caratteri ; e Puc-
cinotti ha molto studiato « F influenza modificatrice della
scrofola e della, diatesi scrofolosa sopra altre malattie ». Le
epidemie esantematiche ne* fanciulli son’ oggi, ei dice ,
più rare o piu miti; il vajuolo negli scrofolosi subisce
modificazioni , che somigliano moltissimo a quelle che in
lui induce la stessa vaccina ; la quale non moltiplica già
la scrofola, ma piuttosto è da essa degenerata in modo da
rendere inefficace un buon terzo de’ suoi effetti. Le infiam-
mazioni per lo stesso motivo sono meno violente e frequen-
temente spurie : le febbri sinoche facilmente volgono in
febbri tifoidee con dotinenterite : e le affezioni reumatiche
son fatte più gravi. Il fondo scrofoloso è matrice principa-
le di molti di que’ morbi organici , che specialmente sotto
sembianza di tumori in varie parti del corpo si manifesta-
no ; scrofola , scirro e carcinoma facilmente fra loro s’ as-
sociano e si combinano. Assaissime malattie delle ossa mo-
strano il genio scrofolare; fra le cause predisponenti più
frequenti delle diverse specie di vesania , trovasi oggi la
scrofola ; non di rado le affezioni convulsive si vincono ,
non con. la cura antispasmodica , ma combattendo diretta-
mente questo fondo scrofoloso (1). Quindi il men rapido
corso e la meno facile risoluzione dei processi morbosi , e
la poca tolleranza dei salassi che i moderni clinici avver-
tono nella stessa pneumonite, che suolsi riguardare proto-
tipo delle infiammazioni (2). Perciò instituendo oggi ordi-
l’uDa e dell’altra non su di un individuo, ma sui moltissimi (popolo) fanno
sentire la propria azione.
(1) Op. c. Lez. VI.
(2) Dal 1817 in poi, nota Bufaiini, la costituzione infiammatoria nelle ma-
Delle affezioni Scrofolotubercolari 95
ni monastici, non sarebbe d’ uopo prescrivere le periodi-
che minuzioni (1): nè più vediamo, come un tempo T Ar-
chiatro papale Raimondo de Vinario, la necessità di salas-
sare i cherici più abbondantemente de’ laici (2).
lattie dod fu mai più domìoaute ; osservossi anni si ed anni no quando in
alcuni quando in altri luoghi d* Europa ben difficilmente estesa e perseverante
( Op. c. IV 452 ). — La quale diminuzione delle malattie infiammatorie pare
appoggi , e reciprocamente sia appoggiata dalle osservazioni di Brtickner , che
cioè le malattie infiammatorie di petto escludono dal medesimo luogo la tisi
(Op. c.).
(1) * Nova Gollectio Statut. ordinis Cartus. Parisiis 1582. De Minutionibus.
— Nelle costituzioni antiche di quasi tutti gli Ordini Regolari vi sono apposta
de’ Capitoli sovra le periodiche cavale di sangue : i Monaci Bianchi della Con-
gregàzione dì Padova venivano salassati cinque volte all’anno (*Ann. Camai-
dul. V! 437). — Queste costituzioni furono scritte nel secolo XII o nel susse-
-guente).
(2) * » Qui sacerdotiorum et eultus divini praetextu genio plus satis indulgent,
et obsequuntur ac , Christum speciosis titulis ementientes, Epicurum imitantur ».
* V. De Peste libri tres. Opera Jacobi Delechampii Doctoris Medici Cadomensis
in lucem diti. Lugduni 1552 L. Ili p. 166. — Il Vinario fu contemporaneo
di Guido da Cauliaco ed Archiatro di Clemente VI : il cognome di Chalin gli
é stato erroneamente attribuito dallo Schenchio, dal Mangeto e da altri: il
Marini lo chiama Raimondo Rainaldo de Varsio o de Vinario (* Degli Ar-
chiatri Pontificii I. 65 ). — Il novelliere di Certaldo fin da’ suoi tempi rim-
brottava a’ frati la lauta vita e la podagra; più tardi altro bellumore di quella
e di questa egualmente motteggiavali :
Chi vuol saper della Gotta il casato,
Guardi eh’ elP è sorella dell' amore
D" ozio , di vino , e di lascivie nato :
Non si potrebbe darvi hora il migliore
Esempio, che di qualche Generale,
Di qualche Abate, over qualche Priore
Ch’ attendendo alla cura corporale
Han fatto una Bacchea d’ ogni badia
Cioè fan d’ ogni tempo Carnovale,
E stando come polli nella stia
Si vivono a piè pari spensierati,
Ond’ han le Gotte quasi tuttavia ;
Non toccan queste a i poveri altri frati
Che son trattati per un' ordinario ,
E digiunano i dì non comandati.
1’ ha uno spirito divino
Vannole molto a sangue Frati e Preti,
Ma non già qualche rozzo contadino.
(* Mattio Francesi j Capitolo in lode delle Gotte, In: Berni, Opere bur-
lesche Usecht ( sic ) al Reno lib. II p. 82 , 85 ).
Alfonso Corradi
Ma come in Europa , anche nelle più calde regioni , gli
scarsi cibi animali od i poco azotati preparan la scrofola,
e la lugubre sua coorte. Nell5 Arabia e nell’ Egitto videla
Pruner (1) ; Scherzer fra gli Ottentotti (2) ; Gutzlaff nella
China (3) : nella Nuova Zelanda non apparve che dopo
l9 introduzione delle patate e del mais nella comune ciba-
ria (4) ; Szokalski assicura la coltivazione delle patate ave-
re diminuito in Polonia la plica, ed aumentata invece la
scròfola, di guisa che dir potrebbesi questa aver preso il
posto di quella (5). Il difetto di nutrimento animale , ed
insieme il dominio della scrofola e della tubercolosi , fu
avvertito da Balardini nella Valtellina, da Comolli nel Co-
masco, da Hildebrand in Pavia, e dal Tassani nel Cremo-
nese (6). Altrettanto videro Coley nel Belgio (7) , Lorinser
nella Slesia superiore (8), Nicolai nella Westfalia (9), Ettmul-
ler in Sassonia (10) , Philipps in Inghilterra ed in Irlan-
da (11), Huss nella Svezia (12) , e molti altri che pure po-
trei citare, se le predette testimonianze non reputassi suf-
ficienti : aggiungasi che difetto d’ alimento animale , è ezian-
dio il troppo sollecito Spoppamento o P artificiale nutrizione
(1) Die Krankh. des Orients. Erlangen 1846.
(2) Zeitschr. Wien. Aerzte 1868 N. 10. — Black , Remarks on thè disea-
ses taking place at Nort-Victoria South Africa (* Edinb. med. surg. Journ.
1863 LXXIX 263).
(3) Journ. of thè R. Society 1837 N. VII p. 165 — Notasi che la Chi-
na fu celebrata come libera dalla Gotta (* Le Corate , Nouveaux raém. sur
P état présent de la Chine. Paris 1701 I 369).
(4) Stoainson, Climate of New Zealand. London 1840 p. 63. — Dieffen-
bach, Travels in New-Zealand. London 1843 li 20. — Meyer-Ahrem, Die
Krankh. der Neuseelanders (Deut. Klinik. J. 1668 N 49, 51 : J. 1859 N 2,4).
(6) Der Weichselzopf (Archiv. f. physiol. Heilk. IV 374).
(6) Op. c.
(7) Remarks on thè climate and princ. diseases in Beigium. Bruxelles 1862.
(8) Pr. med. Vers. Zeit 1833 N. 12.
(9) Rust, Magaz. XXIX 97.
(10) * Grundziige zu einer medie. Topogr. des Gerichtbezirkés Oberwiesenthal
in Sachsen ( Clarus und Radius, Beitrage zor prakt. Heilk. I 606,611 ).
(11) Op. c. p. 184.
(12) Om Sverges Endemiska Sjukdomar. Slockholm. La scrofola è conside-
rata come conseguenza dell’ introdotta colliyaziòne delle patate.
Delle affezioni Scrofolotubercolari
con pappe a quella tenera età non appropriate. La qual
costumanza è pur troppo comune in que’ luoghi in cui la
donna cessa d’ esser madre per essere artiere, e trova che
più le frutta lo stare nell’ opifìcio , che casalinga a nutri-
re la prole (1) : calcolo inumano, spesso però delle con-
dizioni della società nostra lagrimevole conseguenza !
D’ altra parte vediamo che dove la scrofola manca od è
rara assai , il nutrimento animale è abbondante ; quest’ è
il caso delle isole Fàroer (2) , dell’ Islanda (3) , e d’ altri
luoghi (4) : e se in Inghilterra in questi ultimi anni è
realmente diminuita la tisi , tale benefìzio deve ascriversi
per molta parte ai miglioramenti recati alla comune ciba-
ria. De Massy per verità avendo testé studiata 1’ annona
di Parigi e di Londra, trovava essere in questa il vitto,
ogni cosa compresa , più sustanzioso e corroborante che in
quella ; perciocché se circa eguale quantità di pane consu-
masi nell* una e nell’ altra città , in Londra però molta
farina è adoperata eziandio in diverse maniere nella cucina
domestica; inoltre nella metropoli inglese il consumo della
carne è del 20 per 1 00 maggiore che a Parigi , e quel-
lo del pesce è il doppio ; senza che tale scarsezza possa
essere compensata dalla maggior copia di burro, di latte,
di pollame e di frutta che i Parigini consumano (5).
(1) Philipp , Op. c. 162.
(2) ManicuSj Bibl. for Laeger 1824 IV 16-40. — Panum, lbid 1847
(3) Schleisner , Island undersOgt. Kiobenb. 1849.
(4) V. Lacordaire , la: Trav. de la Soc. med. de Dison 1834-37 p. 128.
Rohret, In: Oest. med. Jahrb. 1846 III 363. — Hemer , Esquisse de la
Topogr. mèdie, de Rive de Gier (Gaz. med. de Lyon 1869 p. 609) ecc.
(6)* Des objets de consommaiion à Londres et à Paris, au point de vue
commercial et adminìstrarif. In: Ann. d’ Hyg. pubi. 1862 XVII 317-379.
— Dureau de la Malie avendo confrontato la quantità di farina che consuma-
vasi in Italia al tempo d’ Augusto, e 1’ altra ora consumata in Francia, trovava
grandi differenze. Così mentre il cittadino di Roma consumava libbre 2, 21 di
frumento al giorno , P abitante di Parigi non ne consuma che 0,93 ; e se al
campagnuolo romano erano necessarie 3 libbre, al francese non ne occorrono
che 1,70. La quale sproporzione il Dureau de la Malie vuole spiegare per la
cattiva od imperfetta maniera con cui allora macinavasi il grano, e sen ridu-
ceva in pane la farina (* Econom. polit. des Romaius. Paris 1840 I 277,
98
Alfonso Corradi
In prova poi che nelle regioni polari mancano la scro-
fola e la tubercolosi , perchè il nutrimento è tutt’ altro
che scarso od erbaceo, giova rammentare quanto il Dottor
Hayes, chirurgo nel naviglio spedito per la seconda volta
dagli Stati Uniti al polo artico , ha scritto degli Esquima-
li. Tollerano essi il più rigido freddo, e si conservano sa-
ni e gagliardi mercè la natura del loro alimento, tutto di
sostanze animali. Dodici o quindici libbre di carne cruda
d’ orso o di vitello marino, di cui il buon terzo è grasso ,
suol essere il pasto quotidiano , che poi l5 olio gelato di
balena loro fa più ghiotto. Intanto fra quelle genti non
si sa cosa sia la tubercolosi. Ed anche gli uomini di
nostra razza debbono colà vivere in sì fatta guisa ; e più
vi si conformano meglio tollerano il freddo (1). E la buo-
na prova di quest5 alimento parrebbe afforzare F opinio-
ne di certo Signor Baude , che il miglior modo di ripa-
rare all5 accasciata generazione quello sia di moltiplicare
il pesce, siccome carne che di fosforo è ricchissima (2).
Ma §e il fosforo fosse davvero il grande rimedio , chi più
aitanti e nerboruti di noi, i quali con tanta dovizie di
zolfanelli , può dirsi inspiriamo tuttodì effiuvii fosforici ?
Se poi i Negri ne5 paesi temperati cadono facilmente
nella etisìa (3) , forse n5 è motivo il non acconciarsi essi
281). Ma queste ragioni non parranno sufficienti, quando s’avverta che mulini
ad acqua erano presso che in tutta Italia anche prima dell’ Impero , e che il
prodotto del grano trasformato in pane superava del quarto , del terzo ed an-
che della metà, quando poca crusca se ne levava , il peso del grano medesimo.
( Dezobry , Rome au siàcle d’ Auguste. Paris 1846 Lettre LXXXVI). Chi
poi, come il pistore romano, sapeva fabbricare il siligino , il picentino , e d as-
sai altre qualità di pane, non può credersi fosse nel panificio sì poco esperto.
(1) Amer. Journ. of Med. Science Jul. 1859, e * Ann. d' Hygiène pubi.
1861 XV. 218. — Nota l’ Hayes che la carne cruda e fresca è ottimo ri-
medio nello scorbuto; gli Esquimali che ne mangiano, non soffrono di questa
t douces. In: Revue des Deux Mondes 1861
Delle affezioni Scrofolotubercolari
tosto ad un regime troppo discosto dal natio , ma che nul-
ladimeno il nuovo clima esige. Se nelle calde regioni tisi
e scrofola non sono frequenti quanto altrove , egli è per-
chè colà si vive qualmente bisogna, od almeno non così
diversamente come fra noi: un cibo poco animale senza
danno può esservi tollerato , ciò permettendo le condizioni
del clima ; però una quota di sostanze azotate è necessa-
ria, ed il torla , siccome abbiamo mostrato, è condurre od
accrescere quelle malattie (1).
§ 8. Ma poiché desse malattie scrofolotubercolari si sono
fatte volgari, quando il vitto comune è addivenuto scarsa-
mente azotato ; qual’ altro morbo dominava allorché il cibo
popolare peccava ( quasi fosse della natura umana V andar
errando dall’ uno all’ altro estremo ) per 1’ opposto vizio ?
Dominava cotale malattia, la quale può dirsi oggi spenta,
tant’ è rara : era la gotta in cui , la soperchiale materia
azotata introdotta co’ cibi , sotto forma d’ acido urico e
d’ urati in varie guise si deposita (2). Nè regnando la
* (1) li bisogno di mangiar carne onde mantenersi vigorosi, è sì prepotente
negli abitanti della Nuova Caledonia (isola dell’Oceano pacifico, nella regione
de’ tropici) che per averne si battono. Rochas, chirurgo di marineria, dopo
tale racconto, aggiunge che il pastore che insegnasse a quel popolo come ben
condurre un armento, farebbe opera più utile ed umana, di qualsiasi predica-
tore o moralista ( * Anlhropologie de la Nouvelle Calédome. In: Gaz. méd.
de Paris 1860 p. 190. . . .
(2) Gallier Boissière fa osservare « C’ est toujours parce que 1 on introduit
dans l’ organisme ime quantité trop grande d’ alimenls , relativement à la dépense
qu’ on peut en faire par le travail musculaire , qu’ il se produit dans le sang
une proportion trop considérable d’ acide urique , lequel , n’ en étant pas éli-
miné y devient la cause matérielle des divers désordres organiques et function-
nels constilulifs de la goulle (* De la Genite, de sa natone, de ses causes,
et de son traitement préservatif, palliatif, et curatif. Paris 1860 p. 59). li
poiché gli alimenti azotati , continua il Boissière nell’ accurato ed erudito suo
lavoro , meno degli altri hanno affinità per V ossigeno , se malamente si compia
la combustione nel sangue, le sostanze albuminoidi sovrattuto saranno imperfet-
tamente ossidate: quindi la trasformazione loro in urea (H4C Az U ) piu o
meno impedita, e V aumento proporzionato dell’acido urico, composto più scar-
so d’ ossigeno (C‘° H8 Az8 0* ). — L’efficacia degli alimenti nel detenni-
nare la proporzione dell’ acido urico espulso per mezzo dell orina , è stata
dimostrata da Lehmann e da Bence Jones, comecché dalle loro
deduca che per gli alimenti presi varia meno la quantità dell acido urico che quella
100
Alfonso Corradi
gotta , regnava sola : le erano compagne tutte quelle ma-
lattie che con 1’ elemento reumatico facilmente si associa-
no (1) : appunto come alla tubercolosi fanno corteo assag-
gimi morbi che della natura della scrofola partecipano. E fra
scrofola e gotta v’ ha antagonismo , o per meglio dire le
condizioni che favoriscono la produzione dell’ una sono con-
trarie a quelle dell’ altra : il Gairdner recentemente ha pu-
re discorso di tal fatto (2) ; il quale era ben previdihile
con tanta disparità di cause: nè so comprendere come il
Canstatt possa sostenere , 1’ una malattia tramutarsi nel-
F altra , sicché il fanciullo scrofoloso invecchiando djver-
delP urea. (* Fallarli , Rivista intorno all’acido urico ed agli urati. Lo Spe-
rimentale 1859 IV 50 e 129). — Il Gairdner considera la natura propria
della gotta « an increased pressure of thè blood from its accumulation in thè
great veins, and an altered state of that fluid, of wich an increase of fibrine
are thè most remarkable circumstances leading to thè perversion of thè nutrient
principles of thè blood, and thè formation of sugar and urie acid instead of
urea ». E ciò in conseguenza di troppa nutrizione, di difettiva respirazione,
di manchevole innervazione , e delle più o meno diminuite escrezioni del fega-
to, dei reni e della cute (*On Gout. London 1854 p. 238).
(1) Tali le affezioni calcolose: la diatesi urica dalla scuola bufaliniana è ri-
guardata elemento morboso, o crotopatia semplice, cui si collegano i calcoli,
il reuma, e la gotta ( Fallarli , Op. c.). Con la reumatosi, secondo altri, si
congiungerebbe altresì lo scorbuto: anzi Hecker vede nel sudor inglese « die
hochste Ausbildung des rheumatischen Fiebers », e considera il Morbus cardia-
ca* una cardite in corpo scorbutico (Op. c. p. 610).
(2) ... I have ever observed thè gouty to have a singular immunity from
other constitutional diseases (such as tubercle, cancer and scrofula), and to
scrofola ) , and to such a degree as to justify thè vulgar observation , thas thè
gout prevents them ( Op. c. p. 152). — Neppure farà meraviglia che Gio-
vanni Strambio mai trovasse nei pellagrosi nè V affezione gottosa, nè la li-
tiasi, nè le incrostazioni delle arterie o delle valvule cardiache (* Ann. univ.
di Medie. CXVII 565 ) ; quando si rifletta alle affinità della gotta e della li-
tiasi, alle cause di questa e della pellagra — Hewier (Op. c.) nota che a
Rive de Gier tutti consumano molta carne. ( 45 Kilos all' anno per ciascheduno);
e quindi che la scrofola e la tubercolosi son rare ; frequenti invece V endocardi-
te , la pericardite , il reumatismo e la gotta. — Negli ultimi anni del secolo
s*°” h vedova deI Pretendente ed amica di Vittorio Alfieri, la Contessa
, AIW, trovava m Inghiltrrra « quantité de gens estropiés de cette maladie
(gotta), que j atìnbue beaucoup à leur intempérance (* Saint-René Taillandier .
La Connesse d Mbany. In: Revue des Deux Mondes 1861 XXXI 597).
Delle affezioni Scrofolotubercolari
101
rebbe gottoso , e la gotta del padre cangerebbesi in iscro
fola nel figlio (1). Tale mutamento può bensì avvenire,
ma perciò è necessario mutinsi eziandio le cause, non
potendo considerarsi la scrofola e la podagra forme dello
stesso processo patologico : e perchè amendue tengono ra-
dice in un vizio di nutrizione, sono trasmissibili per ere-
dità , hanno molteplici maniere di manifestarsi , e difficil-
mente guariscono , non ne consegue siano una sola e me-
desima cosa.
Le affezioni calcolose invece , con la gotta tanto stret-
tamente congiunte, al pari di questa diminuivano; e quel
che Camper osservava in Olanda fin dal secolo scorso esser
avvenuto (2) , vedevasi in Inghilterra ed in altri luoghi
ancora (3). Intanto secondo il Verdeil il vitto di sola car-
ne aumenta notabilmente nel sangue la quantità dell’ aci-
do fosforico combinato con un alcali, e fa scomparire i
carbonati; al contrario il vitto vegetabile accresce molto
la quantità di questi, e diminuisce quella de1 2 * * 5 fosfati (4).
I quali, oltre entrare a formare il tessuto dell’ ossa, man-
terrebbero altresì , conforme ne pensa moderno autore , V ir-
ritabilità dei muscoli, ed in questo modo servirebbero alla
nutrizione; di guisa che il difetto di essi negli alimenti
(1) * Die Krankh. des hohern Alters. Erlangeo 1839 I 238.
(2) * Réponse à la question proposée eo 1783 per la Société Batave. Oeu-
vres II 424.
(8)* Yelloly , Remarks on thè tendeacy to calcoious diseases ( Philos. Tran-
saat. 1829 P. 1 65-81) — Al tempo di Luigi XI il mal della pietra era as-
sai comune in Francia, per quanto almeno è narrato nel * Supplemento alle
Memorie di Comines (Bruxelles 1713 p. 46), e nella * Storia d’Inghilterra
di Henry ( Trad. france. V 414), r— Montaigne, calcoloso, nel * Diario
del suo viaggio in Italia (II 97) meravigtiavasi che Papa Gregorio XIII non
patisse ad ottani’ anni di podagra © di renella ; tanto più che in Roma ab-
bondavano questi mali, siccome appare dalla questione mossa da Baldo Baldi
fiorentino nella « Disquisitio jalrophysica ad textum XXIII libri Hippoeratis
de Aere, Aquis et locis. Romae 1637 4.° ». — Finalmente Lister notava che
di 100 persone una appena era libera della renella (Novae esercitai, et de-
script. fermar, et fontium Angliae. Exercit. altera Lond. 1684 4.° V. Hai-
fer, BiM. med. pract. Ili 291).
(4)* Polli Ann. di Chim. applicata alla Medie. 1850 Sem. 1 p. 64
102
Alfonso Corradi
può produrre estenuazione e morte , e F insufficienza le
malattie linfatiche (1).
Diminuiva dunque la gotta , e la scrofola e la tubercolosi
apparivano più frequenti : una malattia si sostituiva all* al-
tra; malattie opposte, perchè effetti di opposte cause (2).
In questo cambio abbiam noi guadagnato ? Se , ommettendo
ogn’ altra considerazione , della gotta furon fatti elogi , e
fortunati si dissero i gottosi ; mentre che per la tisi non
suonarono che nenié ed elegie , parrebbe che no. E vero
eh’ altri fu di contrario avviso , confrontando il mal di
pietra con la consunzione de’ polmoni (3) : nondimeno deh !
vi fossero anche pel tubercolo il litotomo ed il litotritore ,
che meglio ci gioverebbero dell’ elicina o dell’ acqua in
polvere. Ma forse può dirsi, eziandio rispetto alle malattie,
che mal si disputa intorno ài gusti.
Se nuova disposizione morbosa s’ è formata , non perciò le
malattie che procedevano dall’ antica debbono non più veder-
si; esse possono sussistere egualmente; ma saranno tanto più
rare, quanto maggiore è nei corpi l’attitudine ad altri mor-
bi (4) . E nel continuò lamento di mali de’ nervi , e di turba-
menti nervósi , io non so se v’ abbia parte ancora il modo at-
tuale di nutrizione: ma sapendo di quali materiali si com-
(1) * Mouriès, Ufficio del fosfato calcico nella nutrizione In: Polli, Ann. c.
XVlll 107.
(2) Camper vedendo che mentre le malattie calcolose diminuivano, aumentava
la consunzione polmonare; attribuì 1* uno e 1’ altro avvenimento alla nuova
usanza del bere thè e caffè : nous avons dono changé V hémorrhagie et la phthi-
sie conir e la pierre dam la vessie. (Op. c. p. 430 ). In prova di che egli
adduce il Bill of Mortality of Chester del Dott. Haigarth ; dal quale si cava
come, mentre le morti per tisi in quella città erano negli anni 1772, 73 e
74 il 6° od il 5° dell’ intera mortalità , una sola persona ogn’ anno perisse
di calcolo vescicale (* Philos. Transact. LXIV p. 77, LXV 89, LXV1II
P. i 148). Dell’ opinione enologica del Camper avverrà di dire alcuna cosa più
innanzi : intanto parmi bene avvertire, com’ ei s’accorgesse dello infiacchire del
popolo cibandosi presso che di sole patate ; e come la rachitide non fosse pro-
dotta dalle malattie veneree e dal bere thè o caffè.
(3) Camper, Op. c. p. 415.
(4) Dice il Virchow « je ausgesprochener irgend eine besondere Djathese in
Korper ist, um so weniger und seltener die Neigung zur Entwickelung einer
neuen Diathese sich vorzufinden pflegt (Spez. Pathol. und Therap 1 347) ».
Delle affezioni Scrofolotubercolari 103
ponga il cervello, e quanto valgano i digiuni nel procac-
ciare le estasi e le fantasime, non parrà strano del tutto
che gli antichi credessero non soggiacere il podagroso a
convulsioni (1) , e che alcun moderno fra pazzia e tisi
scorga qualche legame (2). Certo è che amendue le ma-
lattie (neurocinesi e scrofolotubercólosi ) son oggi di tutte le
più volgari e diffuse. Però se ora nuovi sono gli alimenti,
nuove abitudini v’ hanno ancora : direbhesi che , come i
corpi , gli animi mutarono. Non sosterremo che le passate
e le odierne costumanze siano unicamente prodotte dalla
diversità de’ cibi, non essendo di coloro che, ad esempio,
il coraggio ripongono non nella natura o nell’ educazione
dell’ uomo , ma nel bicchiere di vino eh’ esso beve : nul-
ladimeno non può negarsi che questa causa a quell’ effetto
non abbia contribuito ; ed il savio medico meglio d’ ogn’ al-
tro conosce quanto lo spirito ed il corpo siano collegati,
e come reciprocamente le qualità proprie si comunichino.
Fu tempo in cui i giovani ogni dì erano avvezzati al
cavalcare , alla lotta , alla scherma , al tirar d’ arco , alla
palla , al corso ed al nuoto , ciascuno secondo la particolar
inclinazione ed il tenore di vita , che in appresso avrebbe
condotto (3). La principale e vera professione del corti-
giano stimavasi quella dell’ arme, nella quale quanto più
riesci va eccellente* tanto più era degno di lode (4). Le
frequenti guerre , il continuo battagliare , le cittadinesche
(1) * Amati Lusitani, Curat. medie. Cent. V Cur. 29. — * De Liberatis,
Podagra Politica. Noribergae 1659 p. 7.
(2) Schroder van der Kolk , Over den oorsprong tubercula pulmonnm ( Ne-
derl. Lancet 1852 Jnly p. I).
(3) * Rosmini, Idea dell’ ottimo precettore nella vita e disciplina di Vittorino
da Feltre. Bassano 1801 p. 83. — Se Vittorino schiaffeggiava pubblicamente Carlo
Gonzaga perchè, non riuscendogli il giuoco della palla, profferiva parole poco
riverenti contro i Santi (Ibid. p. 150 }j il DeICno in Francia nel seicento
« dans sa première enfance, était fouetlé par ses femmes, et nourrices; plus
tard son gouverneur lui donnait des ferules , et si durement qu’ une fois il
crnt avoir le bras cassé. V. * Michelet , J. Louvois et Saìnt-Cyr. In : Revue des
Deux Mondes 1861 XXXIII 551.
(4) * Castiglione, 11 Cortigiano L. i § 17.
104
Alfonso Corradi
discordie facevano quegli esercizii comuni e graditi (1) : i
fanciulli di buon’ ora vi si addestravano ; i loro giuochi
convertivano in combattimenti , dovendo più tardi nella
giostra mostrare alla dama il proprio amore, in duello te-
stimoniare la propria innocenza, e stare pronti a parar le
insidie ed a far vendetta (2). Ottimo tirocinio era la cac-
cia; e spesso la mano che regger dovea il pastorale im-
pugnava il làico o brandiva la spada (3). Gente che caval-
cava da mane a sera (4), che vestiva di ferro e nella for-
za vedeva il diritto, costumi aveva aspri e maneschi (5).
Papa Giulio bastonava il Vescovo che a Michelangelo avea
(1) Giovanni Borbone faceva bandire: Ini andar a battersi in Inghilterra con
sedici cavalieri onde fuggir 1’ ozio e meritare la grazia della dama cui serviva
{* Voltaire , Essai snr les moeurs III 92. Ediz. 1785). — Al duello pare fu
lasciato il decidere se in Ispagna si dovesse conservare V antica liturgia moza-
rabica, ovvero adottar* la romana (* Fléchier, Hist. du Cardinal Ximenes.
Paris 1693 L. I 141).
(2) Il giuoco dei pugni fu nel secolo XII raccomandato in Gubbio da S.
Ubaldo Vescovo di quella città, ma per fine santissimo; cioè ad impedire Io
spargimento di sangue cittadino , per le fazioni ond’ era divisa P Italia in quei
tempi; cercando di dare sfogo in tal modo alla insana rabbia de1 2 3 4 5 * * * 9 partiti (Re-
j posati, Vita di S. Ubaldo. Loreto 1760 p. 130-36).
(3) * Capimi. Caroli Magni An. 769 III, An. 802 XIX. — Bernabò Vis-
conti manteneva dieci mila cani (1!) per la caccia ( Morigia Op. c. 313 ):
ad ogni cittadino poi ricco del valsente di 500 lire, toccava prendersi una
di quelle bestie e mantenerla; sotto pena di 10 fiorini d’oro ogni mese se da
quest’ angaria si fosse sottratto ( * Affò Stoj-ia della Città di Parma , continuata
da A. Pezzana 1 81. — * Giulini , Mem. di Milano Contin. Il 161 ). — I Ba-
roni scozzesi erano per legge obbligati quattro volle all’ anno alla caccia del
lupo ( Henry Op. c. V. 562).
(4) Torquato Tasso avvertiva che i nobili della gioventù Francese in univer-
sale avevano le gambe assai sottili rispetto al rimanente del corpo ; e ciò non
per qualità del Cielo , ma per la maniera dell’ esercizio ; perciocché cavalcando
quasi continuamente, esercitavano poco le parti inferiori « sì che la Natura
non vi trasmette molto di nutrimento , attendendo ad ingagliardire quelle parti ,
che sono da movimenti frequentissimi affaticati Lettera cit. p. 12 .
(5) I costumi rozzi e maneschi degli studenti tedeschi d' una volta sono stati
descritti da Oskar Dolch (* Gesch. des Deutschen Studenthums. Leipzig 8.°).
Nè migliori erano quelli de’ nostri: il Domenicano Labat anche nel secolo scorso
ne faceva brutto giudizio. II tesoro della Cappella del SS. Rosario in S. Do-
menico Bologna dev’ essere , ei dice, ben custodito, essendo che questa città
è piena «c d’ Ecoliers alerles et ingénieux, qui sont sans cèsse aux expédiens
pour trouver de quoi fournir à lèur liberlinage (* Voyages en Bspagne et en
Italie. Paris 1730 II 248).
Delle affezioni Scrofolotubercolari 105
detto villania (1) : a Benvenuto Cellini fanciullo , il padre dà
una ceffata per ricordargli che la salamandra (ed un errore in-
segnava) vive nelle fiamme più vigorose (2) : le dispute teolo-
giche spesso concludevansi colle pugna , e con argomenti più
che scritturali (3) . Di tanta fierezza partecipava pure la me-
dicina : colle catene e colle verghe curavansi i maniaci (4) ;
mezzo d’ ingrassare erano le Battiture (5) ; Elideo Padova-
no onde sollecitare P eruzione del vaiuolo non temeva di
sferzare con P ortica i teneri Bambini (6) ; nei Bagni mon-
davasi la cute scarificandola (7) : medicazione adattata a
tempi cui non era in orrore per curiosità di sapere lo spa-
li)* Vasari, Vita di Michelangelo — Firenze 1856 XII 186. L’ improvvi-
satore Giovanni Gazoldo , pe’ suoi ridicoli versi , fa spesso dal Pontefice Leo-
ne X condannato ad essere solennemente battuto (* Tiraboschi , Storia della
Lelter. ital VII 1371).
(2) Vita di Benvenuto Cellini. Ediz. c. p. 10.
(3) Certo frate di S. Francesco sdegnato che nn Maestro di Teologia predi-
casse contro P immacolata concezione della B. V. , a questo modo , e davanti
all' uditorio , pose fine alla controversia in altra guisa che il P. Passaglia
« Apprehendens ipsum revolvit super genua sua; erat enira valde fortis. Ele-
vatis itaque pannis^ quia ille Magister contra Sanctum Dei Tabernaculum locu-
tus fuerat, cepit cura palmis percutere super quadrata tabernacula quae erant
nuda: non enim habebat femoralia vel anliphonara, et quia ipse infamare vo-
Iuerat beatam Virginem , allegando forsitan Aristotilem in libro Priorum : iste
praedicator confutava legendo in libro suo Posteriorum ; de hoc autem omnes
qui aderant gaudebant. Tunc exclamavit quaedam devota mulier dicens, Domi-
ne praedicator; detis ei alias quatuor palmatas prò me, et alia post modum
dixit, detis etiam ei quatuor; sicque multae aliae rogabant, ita quod si illa-
rum petitionibus satisfacere voluisset , per totum diem aliud facere non potuis-
set ». Questo lepido racconto leggesi nel * Manale eximii Viri Bernardini de
Busti ordinis Seraphici Francisci. Serm. Vili de Conceptiane. — Il Du-Cange
avverte che P Anthiphona è una specie di brache, et ut apertine dicam , ag-
giunge P annotatore Carpentier , braccarum pars anterior , onde jocose Antiphona
nuncupata , quam nostri Brayette {brachetta) vocant.
(4) Valesco di Taranta p. e. proponeva di medicare i pazzi per amore in
una maniera che senza fallo non ha ombra di cura morale « Si jnvenis est,
flagelletur culus ejus cum verberibus, et si non sistit ponatnr in fondo tnrris
cura pane et aqua, donec veniam a sua insania petat, e teneatur in disci-
plina (* Philonii L. I C. XI).
(5) * Mercuridis, Gymnast. L. IV C. IX.
(6) Meibomius , De flagror. uso in re venerea. Lugd. Batav. 1643 4.°
(7) * Zappert, Ueber das Badewsen (Archiv far Kunde Osterr. Geschichts-
Quellen XXI 127) * Baccius, De thermis L. VII C. XVI.
T. I. H
106
Alfonso Corradt
rare uomini vivi (1) ; a gente che il giudice interrogava
co’ tormenti , e che espiavano i peccati flagellandosi. Quel-
le membra che stavano per essere colle torture dislocate
s’ atteggiavano a danza nella piazza come nel tempio (2) :
i Padri congregati a Trento non seppero onorare di me-
glio il figlio di Carlo V che offerendogli un hallo ; diver-
timento dal censore Fra Paolo non biasimato (3) : nelle
feste date da Trivulzìo in Milano a Luigi XII i Cardinali
non temettero di nuocere alla dignità loro danzandovi (4) :
V austero Savonarola , mentre faceva il Cristo Re di Fi-
renze , con somma letizia vedeva non solo i fanciulli e le
donne , ma ancora gli uomini gravi , saltare e cantare cò-
me David innanzi all’ arca ; ed i suoi frati , senza cappa
con una ghirlanda in capo , fare un ballo tondo grande
quanto la piazza di S. Marco (5).
» Alii, Lyde, nunc sunt mores (6) »
(1) Salimbene de’ Frati Minori narra che Federico 11 Imperatore volendo pur
meglio conoscere l’opera della digestione, diè a mangiare largamente a due
uomini, 1 uno de’ quali mandò poscia a caccia e P altro a dormire: alla sera
felli sventrare dinanzi a sè; ed i medici, che pur eran presenti, dichiararono
aver meglio digerito colui che del sonno avea goduto. ( * Chronica. In : Monum.
hist. Parm. p. 169). — Luigi XI di Francia concesse (tanto eragli caro che
le scienze progredissero ) ai chirurgi di tagliare vivo un arciero dannato a mor-
*e» ondte conoscessero come la pietra si formi nella vescica ( Supplem. aux
Mem. de M. de Comines I. c.).
(2) * Bava, Dei progressi e vicende dell’ arte della danza o ballo. In: Mem.
dell Accad. di Torino 1811. XIX 166. — Il costume di ballare nelle chiese
e nelle funzioni religiose fu in alcuni luoghi conservato fino alla metà del se-
colo scorso (* Journ. des Savans 1860 p. 533) benché più volte censurato
nei Goncihi {*Fleury, Hist. Eccles. L. xxxiv § 56), e dai Padri (* 5. Ba-
stiti, Homi!. XIV. Op. om. Parisiis 1722 li 123) Dei Danzatori, specie di
setta religiosa del trecento, è fatta larga menzione dal Baluze Op. c. I 483.
(3) Pallavtcino , Stor. del Concilio di Trento L. XI C VI
(4) Anquitil Op. c. VI 124 — Nel 1376 ballarono in* Westminster i pre-
pJÈ£ ass,steltero all’incoronazione di Ricardo H d’Inghilterra (* Rymer ,
federa, conventiones etc. Londini 1709 VII 160).
lofi fiur*®naccA* , Vita del P. F. Girolamo Savonarola. Lucca 1761 p. 120
126.
(6)* * Plauti, Bacchides III 3.
Delle affezioni Scrofolotubercolari
107
e questi in accordo stanno , anche quando non ne siano
1’ effetto, con le nuove condizioni de’ corpi. Ma procuria-
mo di rafforzare la tesi nostra con altri argomenti ; ciò'
che verrà fatto andando incontro alle obbiezioni , e risol-
vendole.
§ 9. Prima di tutto può dirsi che con le sovr’ esposte
ragioni non sempre concordano i fatti, anzi che questi a
quelle s’ oppongono. Contro tale accusa , valga il riflettere ,
che le condizioni organiche , donde i morbi hanno origi-
ne , non si formano d’ un tratto , nè , tolta la causa , tosto
scompajono. Può quindi accadere che alcun popolo sano si
mostri di scrofola o di tubercolosi quando male si nutre ,
od invece affatto il contrario ; in ambedue i casi però fa
d’ uopo attendere al tempo in cui la causa cessò ovvero
ebbe principio. Siffatte apparenti contraddizioni possono al-
tresì dipendere dagl’ influssi benefici o malefici dell’ eredi-
tà e delle altre cose non naturali; talmente che la dispo-
sizione o diatesi, benché grave, viene elisa, ovvero più
sollecitamente nel morbo trabocca, nella stessa guisa che
in fiera epidemia di vajuolo , la subita vaccinazione non è
sufficiente presidio. Queste considerazioni valgono altresì a
sciorre V opposizione che nelle città muojono più tisici che
nella . campagna , benché 1’ alimento animale sia egualmente
scarso , e forse più scarseggi all’ agricoltore che al cittadi-
no (1) : imperciocché la dimora urbana , oltre V anzidetta
cagione, altre ancora racchiude, e maggiormente quanto
più gente vi si accalca , che la malattia fanno più sollecita
o grave. Tutte le quali cause d’ insalubrità furono pure
raccòlte sotto la generale denominazione di malaria urba-
(1) Secondo il Boudin (Op. c. II 640) fra la mortalità per tisi nel con-
tado e nelle grandi città avrebbesi questo divario:
sopra 1000 abitanti
108
Alfonso Corradi
na (1). Se poi sembrasse che ne’ passati secoli ( come in quel-
li che per le guerre e la mala coltivazione , e le poche o
triste provvidenze annonarie le carestie eran più gravi e
frequenti ) esser dovessero più che ora comuni la scro-
fola e la tubercolosi ; faremo notare la molta differenza
che passa fra la momentanea scarsezza o privazione di ci-
bo, e la continuata insufficienza o sconveniente natura del
medesimo. Un popolo affamato , se non direttamente dalla
fame , dal tifo o da altro morbo pestilente è decimato ; ed
il flagello non lungamente dura ; un popolo invece , cui
per solito il vitto è inferiore al bisogno, o non pienamen-
te ripara , non cade in morbi violenti od acuti , bensì in
tardi e diuturni. Aggiungasi che nel primo caso la cau-
sa è sì possente che altre può dirsi non operino punto ,
ed appajono i soli effetti dell’astinenza o della febbre;
nel secondo al contrario , per la lentezza della causa , agli
effetti del magro alimento congiungonsi gli altri che dalle
insolite azioni , e dalle nuove consuetudini , in cui frattan-
to il popolo si piega , derivano. Di guisa che abbiamo in
ultimo non le conseguenze d’ unica cagione , ma il risul-
tamento od effetto composto di parecchie. Male pure giu-
di cherebbesi dell’ estensione della scrofola per lo addietro ,
misurandola dal numero di coloro che correvano ai monarchi
d’ Inghilterra o di Francia per esserne toccati e guariti :
perciocché allora , siccome già fu avvertito , il nome di stru-
ma o di scrofola qualsiasi enfiato del collo comprendeva;
nè tutti gli accorsi erano inalati , ma s’ infingevano onde
(!) Quatto più la città è popolata e tatto più dannosa è la malttrin la Ànala
Delle affezioni Scrofolotubercolari 109
avere pure la moneta o medaglia che al tocco andava uni-
ta (1).
Altri all’ incontro accordando il fatto dell’ aumento della
scrofola e della tubercolosi, dar ne vorrebbero spiegazione
dalla nostra diversa. E fuvvi per vero chi disse : esiste fra
tisi e febbri intermittenti tale opposizione , che 1* una non
può essere dove le altre sono ; e siccome le febbri perio-
diche per lo asciugamento di paludi , per 1’ inalveamento
dì acque e la migliorata agricoltura necessariamente sono
diminuite , questa diminuzione , e non altra , è la causa
dell’ attuale incremento delle affezioni scrofolose. Ma tale
antagonismo , benché da parecchi autori con molto ingegno
difeso , è più presto chimera che realtà (2). La geografia
medica mostra che le due malattie possono trovarsi assie-
me e sussistere liberamente , cioè senz’ essere 1’ una al-
F altra soggetta (3) ; mostra ancora che in alcuni luoghi ,
come nelle isole Fàroer e nell’ Islanda , amendue possono
mancare ad un tempo (4). Nè solo in uno stesso luogo ,
(1) Al tempo della Regioa Elisabetta il numero di coloro che presentaronsi
per esser toccati crebbe tanto che niun altro espediente parve migliore che di-
minuire il valore della medaglia commemorativa che regalavasi. Di oro, che
era, Carlo I la fece d’argento. Nel 1714 per P ultima volta fu fatto in
Inghilterra dalla Regina Anna questa funzione. Barrigton osserva in proposito
che piuttosto per avere la moneta, che per isperanza di guarigione supplicavasi
la grazia sovrana. Giacomo I avea già con editto comandato niuno si presentasse
al regai toccamento , senza dianzi testimoniare quell’ essere la prima volta.
(2) Il Welles molto prima del Boudin avea sostenuto 1’ antagonismo fra la
tisi e le febbri intermittenti ( Observ. on pulmon. Consumpt. and intermit. Fever
as diseases opposed to each olher. In : Transact. of a Soc, for thè improv. of
med. Knowledge. Lond. 1812 HI 471). Il Boudin poi per antagonismo pato-
logico intende « le principe en vertu duqnel une diathèse , ou un état mor-
bide confère à I’ organisme une immunité plus ou moins prononeée cootre cer-
taines manifestations palhologiques ».
(3) Nel Ferrarese p. e. regnano endemiche le febbri intermittenti, e nulla-
dimeno frequente è la tisi e la scrofola (* Bosi e Gambari , Osservaz. intorno
all’ antagonismo tra le febbri periodiche , la scrofola e la tisi. In : Giorn. per
servire ai progressi della Patol. e della Terap. Venezia 1847 XII 277 ). Al-
trettanto accade in Civitavecchia (* Jacquot , Lettres med. sur 1’ Italie. Paris
1857 p. 280). — Anche Briickner Op. c. nega siavi antagonismo fra febbri
intermittenti e tisi: anzi i tisici peggiorerebbero ne' luoghi paludosi.
(4) Quest’ osservasi io tutta la zona polare ( Muhry Op. c. p. 98 ).
110
Alfonso Corradi
ma sullo stesso individuo, la tubercolosi e le febbri inter-
mittenti si manifestano ; del che il Yirchow reca prezioso
esempio , tanto più meraviglioso che le due malattie pro-
cedevano a modo d’ epidemia (1). E se nella maremma ed
in terre di mal’ aria la scrofola e la tisi non abbonda-
no ; anzi che da mutua ripulsione , da altre cause tal fatto
può dipendere : nè quelle soltanto scarse v’ appariranno ;
avvegnacchè dov’ una malattia è endemica o predomina ,
le altre tutte necessariamente debbono esservi minori. Ma
di quest’ obbiezione non più ; d’ altra parliamo.
Poiché videsi non nascere minotauri , nè l’ uomo divenire
maggiormente bestia , inoculandogli umori belluini (2) , altri
guai si pronosticarono : la linfa vaccinica venne accusata
d’ aver tralignata la specie nostra tanto nel fisico che nel
morale (3) ; d’ aver aumentata la tisi e le febbri tifoidi (4),
ed accorciata la vita dell’ età adulta (5). Medici e non Medici
scatenaronsi contro la pratica salutare, la quale fu detta vene-
ficio s profanazione (6): la bacchettoneria entrò nella lizza
con la solita foga e le consuete armi ; fra tanti nemici non
mancarono donne (7) , benché a loro , più che a noi ^ Jenner
dovess’ esser caro; Ed è strano davvero, che mentre caldeg-
gìavasi l’ innesto dell’ icore sifilitico, la vaccinazione fosse si
aspramente combattuta! Nè qui io ne assumerò la difesa ;
altri già la fecero, ed assai bene 1’ amico mio Prof. Enrico
(t)* Canstat? s. Jahresb. 1852 IV 327.
(2) Questi timori ebbero veramente il Moseley Treatise on tbe lues boriila
or cowpox. London 1805. (Y. Baron , The life of Edward Jenner. London
1839 I 353) e l’Herz, Ueber die Rrutalimpfung. Berlin 1801.
(3) Verdé-D elide , De la degénérescence phys. et morale de 1’ espèce hum.
determinée par le vaccin. Paris 1855,
(4) Bayard, Influence de la vaccine sur la population ou de la gastro-en-
térite varioleuse avant et depuis la vaccine. Paris 1855.
(5) Carnot , Essai de mortai, comparée avant et depuis l’ introd. de la vac-
cine en France.
(6) Nittinger , Die 50 jahrige Impfvergiftung des Wurtem. Volkes. Stuttg.
1852. — Die Impfung ein Missbraucb. Stuttg. 1853. — * Das falsctie Dogma
von der Impfung und seine Ruckwirktmg auf Wissensch. u. Staat. Munchen
1857 8 mit Taf.
(7) Wahl Charlotte, Die Kubpochenimpfung vor dem Tribunal der Zahlen
Delle affezioni Scrofolotubercolari 111
Haeser di Greifswald (1). Nulladimeno , avendo riguardo
all’ argomento nostro , domanderemo , come la vaccinazione
possa accrescere la scrofola e la tubercolosi : non si dirà
per fatto dell’ innesto , ripetuti esperimenti avendo pro-
vato che quelle in tal modo non si propagano. Forse sop-
primendo il vajuolo , come antagonista della scrofola?
Quando ciò fosse, converrebbe credere il vajuolo conse-
guenza di cause opposte a quelle che ingenerano la scro-
fola ; o stando agli effetti soltanto , questa dovrebb’ esser
eccessiva dove quello manca. Ma il vajuolo non è opera del
clima e delle consuetudini dei popoli ; ei propagasi per opera
specialmente del contagio ; nè prima eh’ esso divenisse tanto
comune fra noi o giungesse nuovo ad altre genti , la scro-
fola e la tubercolosi infierivano. Il Dott. Laveran ha notato
che fra gli eserciti in alcuni anni il maggior numero di
morti per tubercolosi è accaduto regnando epidemicamente
il vajuolo (2) : ed altresì osserviamo comunissimo in Inghil-
terra il morbo scrofoloso ne’ fanciulli del popolo , a cui
poco garba la vaccinaziohe (3). Non mancano eziandio casi
in cui questa riesce salutare , ed in quelle malattie appunto
di cui si volle causa : nè ciò avviene , a mio credere , che
in forza del generale perturbamento che pur nell’ organismo
dee suscitare una materia capace di preservarlo per lunghi
anni da fierissimo malore. Ma sì fatta mutazione come in-
direttamente reca salute può altresì esser fonte di malattia,
0 svolgerò gli occulti germi della scrofola e della tuberco-
losi : e poiché queste sono le malattie costituzionali più
comuni , elleno , anzi che altre , verranno promosse. Ciò che
però in questo caso fa 1’ innesto vaccinico , altrettanto far
potrebbero, e veramente lo fanno , febbri di Jfòrme diverse,
od altre cause di minor polso. Posto questo , che dire degli
argomenti numerici addotti dal Rilliet e dal Barthez? Se fra
1 fanciulli" vaccinati v’ ha maggior numero di tubercolosi
(1) * Die Vaccination und ìhre neusten Gegoer Berlin 1854 — * Die jiin-
gste Angriffe auf die Vaccination (Gttschen’s Deutschen Klinik J. 1866.
(2) Op. c. 283.
(3) Haeser Op. c. p. 6.
112
Alfonso Corradi
che fra quelli che non lo sono , non ne inferiremo la vac-
cinazione favorire la formazione dei tubercoli , ed il vajuolo
contrariarla (1). Avvertasi inoltre che qualsiasi mezzo pro-
filattico se toglie una causa di morte, accresce ancora la
probabilità di soccombere per altre ; così i mille bambini
vaccinati sul nascere , e che scampano dal vajuolo , non ac-
crescono di mille P intera popolazione che per breve tem-
po ; avvegnacchè a tre mesi , a sei, ad un anno ecc. correran-
no i pericoli d9 altre malattie (2) : necessariamente dunque
s’ aumentano le morti nelle età successive a quella che
venne risparmiata. Ma questo spostamento è sempre pro-
ficuo; e nel caso nostro, ommesse altre considerazioni, alla
calamità di violenta epidemia si sostituiscono i danni remoti,
meglio evitabili delle comuni malattie. L9 innesto vaccinico
può quindi , sotto certo aspetto , considerarsi come causa
indiretta d9 incremento delle affezioni scrofolo tubercolari :
delle quali però nè anche per questo dir si deve illusoria la
cresciuta frequenza ; conciossiachè per la stessa ragione che
aumentano le cifre dei morti per tisi , aumentar dovrebbero
eziandio quelle per altre malattie quando di tal fatto non
fossevi più particolare motivo. E coloro a cui piace attri-
buire l9 odierno aumento della scrofola alla preservazione
del vajuolo ( come a quel mezzo che porta maggior numero
di bambini nelle età più adulte), dovrebbero altresì riflet-
tere , che P estensione d9 un morbo popolare non si misura
soltanto dagli effetti suoi diretti , ma altresi dai mutamenti
e dalle attitudini speciali che ingenera nei corpi , e dal
carattere proprio che comunica ai vari modi d9 infermare :
le quali cose ho io superiormente dichiarate
§ 10. Quanta parte poi abbia nell9 anzidetto fatto la con-
suetudine di fumare tabacco , io non saprei ben determinare.
(1)* Traité elio, et prat. des malad. des Eofants III 399.
J^) * Qnaod on lit ou qu’ od entend dire qu5 en conservaci la vie à c
mine personnes , la vaccine a ajouté cent mille àmes à nètre population ,
peut sourire de V erreur et néanmoins applaudir à la découverte ( Say. /.
Lours complet d’ Econom. polii. IV. 385).
Delle affezioni Scrofolotubekcolari
113
Conringio fin dal seicento avvertiva che per di lei colpa gli
uomini più non avevano l’ alta statura degli antichi Germa-
ni (1) ; Brodie ci svela /che se oggi T erede di Solimano
anzi che far tremare F Europa , ne sta in balia , il perchè
n’ è la pipa che quegli sempre tiene fra i denti (2). Ma le
cause del decadimento de’ popoli non si compendiano nel
cigarro, o nel ballare in tondo, come voleva Samuele
Wolf (3) : F impero Romano rovinava senza che il W alzen
o la Nicoziana F avesser corrotto. Gravi danni dall’ abuso
di quest’ erba possono certamente derivare , sopra tutto se il
corpo sia per F età o per altri guai meschino : tuttavia al
caso nostro guardando , la tisi è tanto frequente , se non
maggiore, nelle donne -che negli uomini; nulladimeno quel-
F è usanza quasi affatto virile. Nè chi lavora il tabacco,
od in varii modi lo prepara, mostra di soffrire più degli
altri operai di consunzione polmonare , anzi ne starebbero
meglio secondo che attestano parecchi medici (4) ; non per
un singoiar privilegio , ma piuttosto in grazia del maggiore
stipendio. La qual cosa mostra come giudicando della sa-
lute e de’ morbi degli artefici , oltre la natura del lavoro,
fa d’ uopo eziandio considerare le condizioni nelle quali vie-
ne eseguito ; ed uno 6tesso mestiere , sol perchè diversa-
mente lucroso , può riescire non egualmente insalubre. Il
Dott. Neufville p. e. , medico a- Francoforte sul Meno, esa-
minando qual parte abbiano le diverse professioni nel di-
sporre alla tisi , ha trovato il maggior numero de’ morti
per tubercolosi (circa 2/5 su 100 che vivi esercitarono
lo stesso mestiere ) fra sartori , calzolai e falegnami ; il mi-
nore (1/10 su 100) fra’ macellai (5); a Milano invece i cal-
(1) * De habitus corpor. Germanie, antiqui et novi causis. Helmestad. 1666
p. 18. il fiutare tabacco in Italia avea già formato consuetudine alla metà
del seicento. V. Sinetii Bassipani , Ephemeris anni 1660 p. 32.
(2) Rev. Britan. 1860 N. 9. , J „ .
(3) Beweis dass Walzen eine Hauptquelle der Schwache des Korpers nnd
des Geistes unserer Generation sey. Halle 1797 8.°
(4) * Siméon , De la sauté des ouyriers employés dans les manut. du tabac
(Ann. d’Hyg. pubi. XXXIV 300). „ 1(
(6) Lebensdauer und Todesursachne der BevOlkerung Frankfurts. Frakf. a-
M. 1866 p. 92.
t. i. 15 ?M
114
Alfonso Corradi
zolai non soccombono per tisi , tenuta la stessa ragione ,
nemmeno per un quinto (1) : a Gopenaga gli artigiani che
maggiormente soccombono alla tisi sono i falegnami , i sar-
tori , i legatori , i tornitori , i fabbricatori di latta ( le morti
oltrepassano il 40 per 100); e quelli che meno ne soffro-
no (le morti non giungendo al 20 per 100) sono i for-
nai ed ì conciapelli (2). Ma in questi ragguagli non è te-
nuto conto del numero totale degl9 individui che vivono
della medesima professione o mestiere : la qual cosa è pur
necessario sapere onde ben conoscere come queglino siano
diversamente disposti ad ammalare. Quanto poi sia malage-
vole determinare cotali disposizioni , bene si scorge dal-
F elenco stesso datoci dal Lombard delle condizioni che
spingono i corpi più presto nella tisi , ovvero ne li trat-
tengono : ed elleno sono molte e diverse ; nè le benefiche
o le malefiche vanno sempre con le consimili ; anzi più
spesso alle contrarie s’ accompagnano di modo che per sì
varie combinazioni mal si discerne quale sia la parte - di
ciascuna causa nell9 effetto che è datò osservare (3). Nep-
pure la media durata della vita è ovunque eguale per co-
loro che esercitano la stessa arte o mestiere : confrontando
le tavole del Casper e le altre raccolte da Husemann , tro-
vasi che gli ecclesiastici , i mercanti , gl9 impiegati , i con-
tadini f gli avvocati , gli artisti , i medici vivon meno tem-
po nel Massachusetts che in Prussia (4).
(1) * Sanseverino, Studi sulle note mortuarie dell’Ufficio municipale di Sa-
niti di Milano degli anni 1852 al 1856 (Ann. univ. di Statisi. XVII 144).
(2) * Hannover , Maladies des artisan* d’ après les relevés des Hopitaux ci-
vils de Copenhangue (Ann. d’Hyg. pubi 1862 XVII 311).
(3) Le cicostanze che accrescono la lisi sono : la miseria , la vita sedentaria,
il poco moto, le posture che tengono il corpo incurvato, l’aria guasta delle
officine , l’ inspirare certi vapori minerali o vegetali , ovvero polviscolo , lanugine
e filamenti. Invece preservano dalla malattia ; 1’ agiatezza , il moto , il vivere
all’ aperto , il regolato esercizio di tutte le parti del corpo , il respirare vapori
acquosi , od effluvii di natura organica * Lombard. De l’ influence des pro-
fessions sur la phthisie pulmonaire. In: Ann. d’Hyg. pubi. XI 62).
(4) Husemann , Sterbeziffer, Durchschnittsalter und miniere Lebensdauer in
den vereinigtea Staaten ( Montasblatt. f. med. Stat. N. 1 ).
Delle affezioni Scrofolotubercolari 115
Abbiamo veduto come Camper s’ accòrgesse che mentre
ne’ Paesi Bassi diminuivano le affezioni calcolose , P emottisi
e la tisi crescevano di numero : P una e P altra cosa attri-
buiva egli alla nuova usanza di bere thè e caffè invece
della birra (1). Anche Percival all*- abuso del thè dava col-
pa dello indebolimento delle costituzioni , della minor vio-
lenza delle infiammazioni , e della poca tolleranza che per
le sottrazioni di sangue presentemente s’ osserva (2). Ma
contro quest’ etiologia tosto s’ affaccia P obbiezione che au-
mento di scrofola e tubercolosi , aftievolimento de’ corpi
sono in luoghi dove tali droghe poco o punto sono in uso,
od almeno non tanto quanto sarebbe mestieri perchè ragio-
nevolmente in loro veder si potesse la causa di quelle scia-
gure. Anzi oggi disposti siamo a credere che il caffè valga
piuttosto che a produrre , a metter freno a siffatti mali : se
pure non se ne esagerano le virtù, come per lo addietro se
ne esagerarono i danni! Il caffè per sè stesso non è alimento,
non contenendo che per 1/35 sostanze capaci di nutrire ;
perù ^ssn ha il potere di tardare le metamorfosi organiche ,
talmente che le parti non più ha»no^-sì sollecito bisogno
di ristorarsi con nuova sostanza: quindi se non ci nutre,
il caffè torrebbe che ci snutrissimo. E per vero Bòcker ha
sperimentato la quantità d’ urea , d’ acido urico e fosforico
espulsa con P urina in coloro che s’ astengono dal caffè es-
sere maggiore che negli altri , i quali di sorbirne hanno la
consuetudine (3). La qual cosa serve a spiegare la sobrietà
degli Arabi , le astinenze delle carovane , e di altre popola-
zioni che largo uso fanno dell’ aromatica bevanda. Ed il
Gasparrin dell’ anzidetta prerogativa è sì persuaso , che ,
solo tenendo conto dell’ uso quotidiano del caffè, vuol dare
a sè stesso ragione del perdurare che fa in gravissime fa-
tiche il minatore belga; quantunque in presso che P inte-
ra settimana il vitto suo sia, rispettò a facoltà nutritive,
(1) V. sopra P. Il § 8.°
(2) Essay med. philos. In: Bibliot. Britan. 1808 XXXVII 198.
(3) Beitrage zur Heilknnde I 188 e seg.
116
Alfonso Corradi
inferiore all’ altro de’ più austeri ordini monastici, come i
Trappisti , e di molti prigionieri; e tanto più inferiore, che
senza confronto maggiore è per quelli il lavoro ed il con-
sumo di forza (1). Altri tacciò d’ esorbitanza tali novelle (2) ;
ma il Gàsparrin nuovamente rincalzò l9 efficacia del caffè nel
render meno urgente la necessità del rinutrimento (3). Lo
Schutze recentemente ha tenuto lo stesso avviso ; ed ha
détto che il tifo per penuria nella Slesia superiore non si
sarebbe tanto allargato , se quella gente anzi che d’ acqua-
vita , avesse fatt’ uso di caffè (4): Lehmann fa altresi
notale, come segno di provvidenza, questa preziosa droga
essere stata introdotta in Europa nello stesso tempo che vi
vennero le patate , ed il di lei consumo aver aumentato
quanto più le patate stesse entravano a far parte del cibo
del popolo. Che se poi si confronti dove maggiormente si
consumi caffè e thè , trovasi che quello è più usato dalle
genti che scarsamente si nutrono ; questo invece da coloro
soprattutto che godono di sufficiente ed anche di esuberante
nutrizione (5). La salutare azione del caffè è stata pure speri-
mentata dal soldato, sì per reggere più lungamente alla fatica
del marciare , che per meglio resistere alle malattie (6).
(1) * Note sur le régime alimentaire des mineurs belges ( Comptes Rendus
de l’Acad. des Sciences 1850 XXX 400 e 401).
(2) Gharpentier { Ibid. 826 ).
(3) Ibid. XXXI 26.
(4) Kaffee , Thee u. Chocolade als Nahrungsmittel u. in sanitatspoliz. Hin-
sicht {Casper’9,\ ierteljahrschr. f. gericht. u. affienii. Med. XVIII 2 H. ). —
Anche il thè avrebbe azione eguale al caffè , se non che maggiormente egli stimola
il sistema nervoso soprattutto cerebrale. Gasparrìn crede che pure i bulbi aglia-
cei ritardino le scomposizioni organiche ; il precetto quindi di Virgilio , più ad-'
dietro accennato P. Il § 5\ avrebbe ragione scientifica. L’acqua ed il sale
godrebbero invece opposta azione, solleciterebbero cioè le trasformazioni orga-
niche per quello che n* hanno detto Io stesso Bocker e Barrai ( * Polli , Ann.
di Clini. 1850 X 60).
(5) Polli Op. c. XVII 204. — In fatto- consumasi in maggior quantità
il thè a Londra , ed il caffè a Parigi : ma più sopra abbiamo veduto come l’ an-
nona sia più sostanziosa in Inghilterra che in Francia ( P. Il § 7 ).
(6) * Chevallier , Du Café (Ann. d’ Hyg. pubi. 1862 XVII 60: Lettera di
Larreyf. >r? V. anche * Piccardi , Il Caffè : racconto storico medico. Na-
poli 1845 8?' :•'*
Delle affezioni Scrofolotubercolari 117
Ma di ciò basta: ayvegnacchè della funzione di nutrizione
molto ancora ignoriamo , e più ancora delle facoltà de’ sin-
goli alimenti. La dietetica quindi è presso che tutta in mano
dell’ empirismo , e lo stomaco sin qui è il migliore de’ chi-
mici , ed il più sagace fisiologo (1). Magendie ha giustamente
fatto notare che quantunque le sostanze le quali conten-
gono poco azoto , o non ne contengono punto , non siano nu-
trienti, pure dalla sola quantità di esso non puossi ben
argomentare 1’ assoluta potenza nutritiva di un alimento (2) :
se altrimenti fosse , perchè talun animale è erbivoro e l’ al-
tro è carnivoro , e perchè noi non ci cibiamo di fieno che
pur contiene azoto , anzi gli stessi elementi proteici ? La
nutrizione è affare più complicato di quel che paja ; e l’a-
limento necessariamente dev’ esser composto e vario se-
condo la diversità degli organismi e le molteplici perdite
cui deve riparare.
(1) Gl' Irlandesi nutrendosi di sole patate ne consumavano 6 Kilogr. 30 al
giorno, cioè 24 grani, d’azoto. Di tanto dovea sopraccaricarsi lo stomaco per
trovarvi la quantità di sostanze albuminoidi necessarie a sostenere la vita.
Quando venner meno le patate il Governo trasse mollo mais dall* America ,
e gl1 2 * * * * * * 9 Irlandesi adulti consumavano di questo grano ridotto in farina 1 Kil. 34
al giorno , cioè 22 gram. d9 azoto. Per questo cambiamento di cibo lagnava nsi
gl9 Irlandesi di certa sensazione di vacuo nello stomaco , prodotta dal non es-
sere più gli organi della digestione cotanto dilatati come prima dalle patate.
Ma tosto che vi si fu abituato, il popolo non più lagnossi d9 alcuna molestia ,
e preferiva il mais dicendo sentirsi più vigoroso che quando nutrivasi di patate
(Rev. Britan. 1848 Gen. p. 77).
(2) Compì, rendus XXX 402. — Abbadie assicura che in Abissioia la car-
ne magra o grassa ma cruda non nutre quanto in Europa, e meglio ripara le
forze dell9 uomo se seccata al sole : più poi che la carne a ciò valgono le fa-
rine. Parimente i Mussulmani tollerano meno il digiuno de9 Cristiani , benché
quelli bevano caffè, e questi, per iscrupolo religioso, se ne astengano (Ibid.
XXX 750 ). — Poste per vere le quali cose, maggiormente si scorge la diffi-
coltà di determinare l’azione nutritiva degli alimenti, imperocché parrebbe che
dessi ne9 loro effetti variassero secondo il clima. Però oltre V influsso di questo
debbono avervi parte altre circostanze tutte proprie degli organismi , e che l9 Ab-
badie non ha avvertito. Quanto diverse non sono p. e. le consuetudini , e quin-
di ancora la costituzione , de9 due popoli, di cui si confronta la diversa pazienza
nel digiuno? Onde poi rigorosamente dedurre che il caffè in Abissinia non ha
quella virtù, che ora in Europa gli si vuol concedere, sarebbe stato mestieri spe-
rimentare se colà il Cristiano , usando di quella droga , maggiormente ovvero
meno di ciò che suole, perdurare potesse nell' astinenza.
Alfonso Corradi
§ 11. Assegnata per tal modo e difesa la causa della mol-
t’ estensione della scrofola e della tubercolosi , parmi avere
ancora risposto al quesito « perchè diminuita la podagra
siansi fatte più comuni le malattie scrofolotubercolari ». E
qui cade opportuno ripetere eh5 io non riguardo P avvenuto
mutamento nella dieta, la sovrabbondanza cioè del vitto
vegetale a fronte dell’ animale (1), quale causa diretta ed
immediata della scrofola e della tubercolosi, sibbene fonte
delle condizioni organiche favorevoli alla produzione delle
medesime; che è quanto dire, i corpi con quel nuovo modo
di vivere hanno acquistato attitudine ad ammalare piutto-
sto in quella che in altra guisa. Questo concetto etiologico
non esclùde P azione di tant’ altre cause invocate dai pa-
tologi ; elleno pure operano , ma P opera loro è ausiliaria , è
non varrebbe o sarebbe insufficiente se gli organismi in al-
tra guisa fossero preparati e disposti. Il Parola ha scritto :
« Indipendentemente dalle circostanze , ove la tubercolosi
è favorita da qualche tendenza o disposizione originale ....
tutte le cause sì fisiche che morali valevoli a modificare pro-
fondamente P ematosi , possono col lungo loro agire in-
durre nell’organismo quella modificazione donde ne de-
riva la predisposizione tubercolare ; ond’ è che la tisi acqui-
li) Cade opportuno rammentare quanto Blane diceva nelle * Ricerche sopra
le cause ed i rimedi della passata e della presente scarsezza (A. 1799-1800):
« E noto che nei secoli decimoterzo e decimoquarto un dato peso di grani si
vendeva ad un prezzo maggiore, che egual peso di cibo animale. In un pe-
riodo ancor più recente , una libbra di farina d’ avena veniva considerata nelle
montagne di Scozia come equivalente ad una libbra di manzo. Ai giorni nostri
accade intieramente 1’ opposto ; la ragione ne è senza dubbio , che la pastori-
zia non richiedendo che scarsi talenti , e poca fatica , è 1’ occupazione favorita
de tempi rozzi, mentre l’agricoltura, esigendo gran diligenza e perizia, fio-
risce soltanto ne’ secoli di civilizzazione e d’ industria. Possiamo da ciò infe-
rire che il rapporto della quantità de’ grani a quella del cibo animale era in
quei secoli molto minore che ai nostri tempi ... È quindi manifesto che prima
del secolo decimottavo il cibo animale formava la maggior parte del sostenta-
mento degli operai (Trad. ital. Pisa 1818 p. 8 e 12). » Non solo, aggiun-
giamo noi, è ora diminuito il consumo generale delle carni, ma altre biade,
meno ricche di sostanza nutriente, hanno preso per molta parte il posto del
frumento^ della segale , dell’ orzo , del miglio., del panico , che , circa un se-
colo fa, formavano ancora la quota massima del popolare alimento.
Delle affezioni Scrofolotubercolari 1 1 9
sita è di tutte le età, non conoscendo altro limite che il
tempo , la dilazione delle cause ed influenze antigieniche
sotto le quali essa si sviluppa, e non essendovi individuo
per quanto robùsto si voglia supporre , che sotto la protratta
influenza di dette cause non possa col tempo divenire ti-
sico (1) >,.
Ma cause antigieniche, fisiche e morali, non mancarono
per lo passato; anzi molte di esse furono più gravi e
generali , senza che la scrofola e la tubercolosi fossero
quant’ oggi. Inoltre queste , come le altre malattie , non
possono essere generate indifferentemente da tutte le cause
d’ insalubrità , perciocché fra le cagioni morbifere ed i con-
seguenti stati patologici v’ ha certa attenenza ; anzi in for-
za di alcune particolari condizioni morbose F organismo è al-
lontanato o fatto immune da altre. Così F idroemia non con-
sente , o malamente consente , che infiammazione si formi.
La causa poi qui assegnata è di tale natura che , ope-
rando , non va sola , cioè se da prima è semplice , prose-
guendo diviene composta, e siccome assai dawicino riguarda
la vita delle nazioni , e le condizioni sociali profondamente
rimuta, così, posta quella, altre pure sono tratte in azione.
Quindi essa non limita i suoi effetti a’ soli cangiamenti
diretti dell’ organismo ; ma va più oltre , e produce nel po-
polo nuovi bisogni , e nuove costumanze ; le quali a loro
volta possono divenire causa d’ infermità. Coltivando p. e.
le patate in luogo del frumento e dell’orzo, l’abitante
de’ paesi settentrionali non berrà più la birra ma F acqua-
vita cotanto perniciosa (2) ; adottando coltivazione che poca
o niuna cura richiede, il lavoro de’ campi non più sosterrà
F agricoltore , che nella città andrà in busca di lavoro ,
è serrandosi negli opificii respirerà aria impura : il vitto
vegetale scemando la vigoria delle membra svoglierà il po-
li )* Della Tubercolosi. Torino 1849 p. 453.
2) È stato notato che la mancanza di vino fa consumare maggiore quantità
di pane (* Ann. unir. di Stalist. 1867 XVI 248). Il qual fallo confermereb-
be P opinione di parecchi chimici e fisiologi che come P acqua accelera le tra-
sformazioni organiche , ed aumenta le perdite del corpo; il vino invece, in di-
screta dose , quelle rallenti , e queste per conseguenza ancora diminuisca.
120
Alfonso Corradi
polo dagli esercizii ginnastici , e care gli faranno opposte
consuetudini ; le inclinazioni dell’ animo si conformeranno
alle nuove condizioni del corpo, e questo ritrarrà quel-
le : leggi e governò saranno infine quali il nuovo stato esi-
ge. La storia poi insegna come veramente i popoli prendon
sembianze dalle dominanti malattie , cioè acconciano il pen-
siero e le opere loro alla natura di coteste ; ned io ho tra-
lasciato di darne più sopra alcun esempio.
Ecco come una serie di cause morbifere incatena le
proprie azioni , e forma effetto composto. Però a chi tutta-
via chiedesse se Y insufficienza del vitto animale valga da
sè sola ad ingenerare ne5 popoli la malattia scrofolotuberco-
lare , diremmo: se mai può rispondersi a così fatto quesito,
avvegnacchè non sia dato osservare quella causa sì solitaria
nell’ operare , che le ultime conseguenze a lei unicamente
possano attribuirsi, altrettanto sicuramente è lecito affer-
mare ella sola potere star a capo di tale serie causale, sic-
come potenza da cui gli altri momenti fluiscono; e per
vero posta quella qualità di vitto, e non altre cause, per
prima, nasce la sequela di azioni e di effetti per la quale
T anzidetto morbo o si forma, o s’ allarga diventando po-
polare. Altri però nell* insufficiente nutrizione plastica ha
veduto la causa della pellagra : ma se il frumentone produ-
ce la pellagra, non la produce soltanto perchè contenga
poche sostanze proteiche , ma , probabilmente , perchè tal-
volta è pravo oltr’ essere insufficiente alimento. In ogni modo
la scarsezza della sostanza animale od azotata nell’ annona ,
se entra nell’ etiologia e della scrofola e della pellagra , in
questa non sarà come in quella, vuoi pel grado o per le
diverse congiunzioni ; talmente che di causa prima diviene
seconda , e di prevalente subordinata. Nella miseria delle
genti pellagrose, ben nota il Dott. Goletti, deve acchiu-
dersi un elemento speciale e che non si verifica nelle altre
miserie , e nel quale deve consistere la causa precipua del
morbo (1).
(1)* La Pellagra. Padova 1861 p. 16. (Nota estratta dai Raccoglitore della
Società d* Incoraggiamento per la Provincia di Padova An. IX ). — Giova al-
tresì notare che il Gai-biglietti ed altri hanno grandemente dubitato di antago-
nismo tra la pellagra e la scrofola (* Giorn. delle Scien. med. Torino XXVIII 3).
Delle affezioni Scrofolotubercolari 121
Finalmente se a qualcuno paresse vedere in co tali serie
causali , cause predisponenti e cause occasionali , conforme-
mente alla vecchia distinzione scolastica , non bene giudi-
cherebbe; avvegnacchè in quella composizione le cause han-
no certo legame, s’ altro non fosse 1’ ordinata successione,
e quasi necessario sviluppo da una suprema ed originale :
il tubercolo poi ed i prodotti della scrofola sono conseguen-
ze di processo morboso del tutto proprio , e. nel quale le
anzidette cagioni non hanno parte che apparecchiando le
più acconcie condizioni , ed iniziando i primi passi dell’ evo-
luzione patologica. Ma questo menerebbe a dire della causa
prossima o natura propria della scrofola e della tubercolo-
si ; della quale , perchè fuori dal cerchio delle presenti in-
dagini, fu già detto non dover noi parlare.
§ 12. E così ha termine il mio assunto : ed a chi ricer-
casse se riparo siavi al male che ci affligge , direi : sublata
causa , tollitur effectus. Trattandosi di togliere ereditate di-
sposizioni, di rimutare gli organismi, i miglioramenti non
possono essere subitanei : fa d’ uopo che una generazione
non peggiori, onde Y altre successivamente migliorino; e
nella stessa guisa che noi scontiamo gli errori degli avi , i
nipoti godranno del nostro ravvedimento. Come poi ciò
possa farsi , tocca ad altri indagare ; avvegnacchè il rimedio
non stia nelle mani , nè in facoltà de’ medici. Però s’ io
dicessi fa d’ uopo tornare in qualche cosa al vitto antico ,
non vorrei eh’ altri intendesse il ritorno in pieno Medio
Evo , tentando ridar vita a ciò che irreparabilmente è morto.
Io amo troppo la Civiltà per vagheggiare la barbarie, e
niuno di noi anteporrebbe essere d’ altri tempi che di que-
sti : gli spasimati de’secoli feudali quando tornassero a godersi
quelle torture, que’ roghi, que’ duelli, que’ veleni, e tutte
le altre infamie d’ allora , certamente che nel grande ardore
si raffredderebbero. È antico vezzo rimpiagnere il passato , il
presente parendoci peggiore perchè n’ abbiamo lo sperimén-
to ; e più facilmente crediamo sia stata 1* età dell’ oro di quel-
lo che sia per venire. Siamo giusti: noi abbiamo e beni e
mali ; ad alcuni di questi , perchè quasi proprii della na-
tura umana , rassegniamoci senz’ avere il farnetico di torli ;
T. I. 16
122
Alfonso Corradi
altri il possiamo, purché non li esageriamo tanto da Cre-
derli insuperabili , nè diciamo perduta 1* opera di combat-
terli /per dar aspetto di prudenza all’ infingardaggine, ed
onesto rendere il far nulla. La Civiltà può ben accordarsi
con altra maniera di vivere , nè dessa è frutto soltanto della
nostra : in Roma ed in Grecia le arti belle , la poesia e la
piu squisita eleganza , siccome le scieilze più severe , creb-
bero e prosperarono meravigliosamente ; tanto che alcuna
giunse a tal apice , che non pur di toccarlo ma d’ andarvi
pressa fu poscia interdetto. E ciò con costumi diversi da-
gli odierni , anzi con quelli stessi che ci mancano, e che
vorremmo in parte rinnovati. Che se gravi colpe pesano
sovra que’ secoli , il nostro non è il migliore : 1’ economia
pubblica s’ è sottratta dall’ igiene; laddove che il lavoro , la
produzione ed il consumo debbono essere tali ed in tali misu-
re contenersi , che P individuo conservandosi fisicamente pro-
speri , e moralmente migliori. Ma oggi è vezzo rimpiccolire
la scienza ; e la medicina , scienza eminentemente civile ,
tutta si caccia fra i cadaveri sotto pretesto di farla esatta:
però di cotest’ ostracismo converrà lungamente piangere ;
ogni legge di necessità essendo viziosa quando non abbia
fondamento nella natura degl’individui e de’ popoli , nella
cognizione delle loro forze e delle loro attitudini. In tempi
che diciamo* barbari , il fondatore di ordini monastici avea
riguardo alla qualità dell’ uomo , ed il rigore delle regole ac-
comodava secondo la necessità de’ luoghi (1). La più larga
ospitalità , la carità più fervorosa sollevava i mali dalla mi-
seria inseparabili ; e moltiplicandosi , la beneficenza vestiva
le più svariate forme: che se teneva alcun che di stra-
li) Così Suipizio Severo discorrendo del modo di vivere de' monaci d’ Orien-
te, saviamente fa riflettere che quello non può esser ripetuto ne’ nostri climi,
perciocché se « Edac.tas in Graecis gula est, in Gallis natura (* De virtut.
Monachor. Di al. I Cap. IV) ». Egualmente non tutti i monaci erano sottopo-
sti a, periodici salassi di cui si è detto in una delle antecedenti note (P. Il
S 9), ma quelli soltanto che il Superiore credeva n’avessero bisogno: «Cura
^ar^tmSw fcaei)p;ior io Capitu,0j qui debeant’ vei qoi non de“
Delle affezioni Scrofolotubercolari
23
no (1) , colpa era dell5 età in cui sorgeva ; la quale ri-
traeva dell5 eroica, e sapeva accoppiare i vizii più nefandi
alle maggiori virtù. Ma noi oggi ancora da un popolo che
dicesi civile udiamo dire la schiavitù essere istituzione mo-
rale ed umana j il fondamento più saldo della libertà, ed
inestimabile benefizio sì per il servo che per il padrone (2) :
quindi i premii a chi uccida i difensori della razza negra,
e perfino le domande d5 esserne il carnefice (3). Pochi anni
or sono , quando l5 Europa era in perfetta pace e della fe-
licità universale tutti s5 occupavano , vedevamo un popolo
morire di fame , e non meno di 4 al minuto n5 erano le
vittime (4)! Che se, onde sfuggire le carestie, moltepli-
ci colture sono necessarie , facciamo che le accessorie o suc-
cedanee non superino le principali od almeno non ne siano
per natura gran fatto lontane ; il buon nutrimento fa l5 uomo
robusto, e la gagliardìa del popolo costituisce la prosperità
delle nazioni. Alla quale ha pur contribuito per larga parte
co’ suoi consigli la Medicina , co5 suoi provvedimenti l5 Igie-
ne pubblica : sicché d5 ascoltarle chi farà rifiuto ? Gli anti-
chi legislatori , ond5 avere vigorosa popolazione , non rifug-
girono dàlie misure più severe , dalle crudeli ancora (5).
(1) Singolari sono gli Statuti dati da Gio. Simone di Champigny Vescovo
di Parigi alle Filles pénitentes instituite nel 1497, e di cui parla Saintfoix
^ (2)* /Jcc/msIdc P esclavage aux Etats-Unis (Revue des Deux Mondes 1861
XXXI 120- „ , „
(3) Ibid. p. 153. Anche una donna area domandato d essere il boja dello
sventurato John Brown. . .
(4) Nel 1847 in Irlanda morirono di fame e tifo circa 2 milioni d indivi-
dui in 12 mesi, e cioè più di 4 al minuto. « Nous nous souvenons d’avoir
visite Dublin à celle époque : ce n’ était qu5 un grand hòpital et un grand ci-
mitière. Et encore nos expressions sont elles un peu ambitieuses, car les pe-
stiferés mouraient dans la rue et dans le ruisseau , à la porte des hópitaox en-
combrés , et on les enterrait qnand on pouvait et corame on pouvait. Il faudrait
rappeler le siège de Jérusaìem pour donner ime idée des ravages que ni la
famine daus cette malheurense population (* John Letturine , Jonrn. des ue-
bats 27 Juil. 1853). .
(5) Gli antichi scozzesi eviravano gl5 infermi d’ epilessia , di marna od altro
malore che facilmente si trasmette alla prole ; le donne infette di lebbra o d5 al-
tra contagione segregavano dagli uomini: e se alcuna di queste diveniva ma-
dre, viva ed incinta la seppellivano (* Boethii , Scotdr. Hist. Paris. 1574 1 12).
Alfonso Corradi
124
Il Marx di Gottinga ha sostenuto la tesi che crescendo
la civiltà le malattie diminuiscono , e eh’ oggi elleno sono
veramente in minor numero (1). Non arduo in genere era
darne le prove ; non così rispetto alla scrofola ed alla tuber-
colosi, le quali anzi trovano la ragione principale di loro
esistenza nel nostro modo di vivere. Ma nulla ci stringe
a credere che questo non possa mutare, e congiungere ai
progressi d’ adulta civiltà i benefizii di più giovine ; ram-
mentiamoci che lo stato trae la sua forza non dal numero
degli uomini , ma da ciò eh9 eglino sanno operare ; nulla
importa che aumentino i figli , se poco o male debbono vi-
vere ; e quando il corpo è debile e malsano , neppur la
mente vale a concepire cose nobili e grandi. Rammentia-
moci che se i popoli possono per un momento inebbriarsi
di qualche Idea , di essa non si pascono e alla fine de’ conti
gridano come i loro padri : Panem et Cìrcenses.
Ma io non chiedo che indulgenza : possa il buon volere
e la diligenza mostrata in questa non breve fatica , per al-
cuna parte procacciarmela !
(1)* Ueber die Abnahine der Krank. durch die Zunahme der Civilisat. (Ab-
haodl. der k, Gesellsch. der Wissenscb. zn Gottingen II 72).
25
SOMMARIO
Ragione e partizione del lavoro Pag. 53
PARTE I.
§ 1. La scrofola e la tubercolosi son oggi malattie popolari . . » 54
§ % Prove numeriche della molta estensione della tuWcolosi,
e della grande mortalità eh’ essa cagiona » 55
§ 3. Dagli stati mortuarii , perchè non sempre formati con eli
stessi principii , male può dedursi che le malattie scrofolo-
tubercolari siano ora in aumento. Altri argomenti però lo
fanno credere 60
§ 4. Parere conforme d’ altri Autori . . / » 67
PARTE 11.
§ 1. La tisi e la scrofola sono morbi antichissimi: ma di spora-
dici son divenuti come epidemici . . • •
§ 2. Se di ciò se ne possano incolpare le mutazioni del clima , cioè
dell’ aria , del suolo e delle acque .
§ 3. La cercata cagione trovasi altrove che nel clima : caratteri
eh’ essa deve avere onde corrisponda all’ indicato avvenimento .
§ 4. Di tale congruenza manca la sifilide
§ 5. Ed egualmente V aria impura
§ 6. Si dimostra come il vitto comune sia oggi diverso dal passato,
e quali altre mutazioni siano susseguite nella vita de’ popoli .
§ 7. In che modo 1’ accennata mutazione di vitto dia ragione
dell’ aumento della scrofola e dèlia tubercolosi .....
§ 8. Qual altro morbo regnasse quando non così frequenti erano
la scrofola e la tubercolosi: e dell’ antagonismo di queste
rispetto alla gotta. Costumi ed inclinazioni diverse nei po-
poli corrispondentemente alle dominanti malattie . . . •
§ 9. Si risolvono alcune obbiezioni : 1’ innesto della linfa vacci-
nica non va incolpato dell’ accrescimento delle affezioni scro-
folotubercolari • ■ * *
§ 10. Neppure sen può accusare il fumare tabacco ed altre no-
velle consuetudini • •
§ 11. Il vitto soverchiamente vegetale o troppo poco animale
non è causa diretta della scrofola e della tubercolosi, ben-
sì delle condizioni organiche favorevoli alla produzione
delle medesime: posta quella, sono tratte in azione altre
cause morbifere; sicché composto è 1’ effetto come compo-
sta è la causa *
12. Come in alcun modo riparare al grave danno: necessi-
tà d’ accordare 1’ Economia pubblica coll' Igiene : la vera
civiltà deve porgere le condizioni per il lìbero e ben accor-
dato esercizio d’ ogni umana facoltà
69
71
73
75
80
85
DEI PREPARATI PIÙ INTERESSANTI
D’ANATOMIA PATOLOGICA
ESISTENTI NEL GABINETTO
D’ ANATOMIA COMPARATA
DELLA REGIA UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
wmmi il .
DEL
PROF» CAV. ANTONIO ALESSANDRINI
CAPITOLO II.
Sistema osseo-cartilagineo colle sue pertinenze > cioè tessuti
fibrosi elastici , legamenti e capsule sinovìali.
Articolo II. Esostosi.
T ’
.Li argomento che nell’ anno accademico ultimo decorso
impresi a trattare spettante ai preparati di anatomia pato-
logica conservati in questo gabinetto di anatomia compa-
rata, riferivasi al sistema osseo, alludendo a quella ma-
lattia gravissima conosciuta comunemente sotto il nome di
osteosarcoma (V. Tomo XI. pag. 157). Altro morbo dello
stesso sistema , non meno grave , frequente e pericoloso
quello si è che viziando in modo diverso le ossa , e pro-
ducendo sulle medesime parziali escrescenze e tumori , tal-
volta di straordinaria mole e complicatissima struttura , porta
il nome di esostosi.
Fra i più interessanti e notabili di siffatti tumori par-
mi meritar possano un primo posto le così dette esostosi
128
Antonio Alessandrini
eburnee , che pongon sede entro la cavità cefalica della te-
sta , e che per la loro mole , la forma e la durezza voglionsi
anche al presente da taluno denominare cervelli petrificati
od ossificati. -
Un bellissimo esemplare di questa qualità di esostosi
possedè il museo contraddistinto dal n. 407 del catalogo
generale , e che si vede delineato in due diversi aspetti
nelle Fig. 1. e 2. della Tav. 1. Conservavasi questo in ad-
dietro fra le curiosità del gabinetto di storia naturale pri-
ma che avesse luogo la fondazione di quello di anatomia
comparata , e Monsignor Camillo Ranzani , in allora fami-
gerato professore di Storia naturale nella nostra Università ,
ne fece cambio cpn altri oggetti , più direttamente spettanti
alla zoologia, col Professore di anatomia comparata e vete-
rinaria Dott. Gaetano Gandolfi. Nei cataloghi di quei tempi
P esostosi era pure segnata eoi nome di cervello bovino pe-
trificato , senza verun altro cenno che si riferisse alla di
lei vera .natura e provenienza.
Nello scorrere le opere del Vallisn ieri, tanto ricche di
interessantissime osservazioni spettanti alla storia ed all9 ana-
tomia degli animali , ho trovato copiose ed importanti no-
tizie intorno a queste ossee produzioni. Nel Tomo I. pag. 89
(ediz. di Venezia del 1733 Tom. 3 in fol. ) sono inse-
rite le = Considerazioni ed esperienze intorno al creduto
cervello di bue impietrito , vivente ancor l9 animale , pre-
sentato dal Sig. Duverney all9 Accademia R. di Parigi =
Al qual proposito il Vallisnieri viene a parlare delle osser-
vazioni analoghe istituite in vari paesi ed in diversi tem-
pi , e ricorda anche il preparato che si conserva in Bolo-
gna nei termini seguenti.
« In Bologna nella Galleria dell9 Aldrovandi il dottissimo
» Sig. Brunelli mi fece osservare il quarto di questi men-
* titi cervelli » ; e nella spiegazione delle figure il Valli-
snieri ripete « Cervello impietrito (Tav. 13.a) che si trova
» nel Museo Aldrovandi di Bologna donatogli dal famoso
» Malpighi. Il Sig. Vittorio Francesco Stancari Segretario
» dell9 Accademia filosofica di Bologna è stato quello che
» m9 ha favorito con questa spiegazione » e cita le lettere
segnate nella figura.
Descriz. dei preparati d’ Anat. Patol. ec. 129
Consultando io a questo proposito le opere del Malpighi
trovo che in due luoghi si fa menzione di questi modi di pre-
tesa degenerazione del cervello. Nelle Epìstolae anatomicae ,
che fanno seguito al tomo II delle Opera omnia edizione
di Londra del 1686 , in quella che tratta De cerebri cortice
alla pag. 78 si leggono le seguenti parole « Huic invento
( della struttura glandolare della sostanza cinerea ) praelusisse
videtur Joannes Pseil apud Fran : Kentmann , lapidis ob-
servatione in cerebro reperti, qui mori fructus instar mi-
nimis subrotundis veluti acinis , cinerei coloris , conglobatus
erat : hunc probabile est ex petrificato cortice excitatum
fuisse , et naturalem ejusdem glandularum retinuisse figu-
ram ». Nel volume poi delle Opera posthuma , Venetiis
1698 pag . 48 sta scritto = Ita in osse petrificato, quod
dono dedi Museo Celeberrimi Ulissis Aldrovandi praeter
exarata filamenta (fili nervei che partono, secondo il Mal-
pighi , dalla sostanza corticale ) sanguineum rete deprehen-
ditur elegantissimum = Pare veramente che con quest’ ul-
tima frase il Malpighi alluda all’ esostosi della quale ora
ragiono , e si noti bene che 1’ Illustre Scrittore non deno-
mina la morbosa produzione un cervello petrificato , ma
bensì osso petrificato , per la durezza sua superiore a quel-
la delle ossa naturali anche le più dure.
La tavola tredicebiiiia che va unita alla citata lettera del
Vallisnieri rappresenta con due figure un tale oggetto in
dimensioni alquanto minori del naturale : la figura prima
lo dimostra intero per la faccia meno regolare ; la seconda
ne fa vedere la faccia della sezione o spaccatura, giacché
questo corpo durissimo non apparisce diviso colla sega ,
ma bensì per colpo di pesante martello , che ne disperse
delle scheggie in guisa che le due metà non si combaciano
esattamente. La seconda figura del Vallisnieri fa vedere una
delle faccie della sezione , e questa figura , anche più evi-
dentemente della prima , dimostra 1’ identità del pezzo con
quello posseduto dal gabinetto , giacché il dotto Autore ,
onde ben convincere il Lettore non trattarsi certamente di
un cervello , nella tavola che segue dà le figure di un vero
cervello di bue sì intero che diviso verticalmente pel cen-
130
Antonio Alessandrini
tro in direzione del diametro maggiore , nè vi è parte ve-
runa che offra la più lontana somiglianza coll’ ossea produ-
zione morbosa.
Esposta in breve la storia dell’ interessante pezzo pato-
logico , verrò ora a descriverlo nello stato in cui presen-
temente si trova, avendolo rappresentato in due diversi
aspetti nelle figure prima e seconda della prima tavola.
Àbbenchè, come dissi, l’esostosi non sia nella totale
sua integrità , tuttavia arriva al peso non piccolo di libbre
due oncie dieci e un quarto della libbra mercantile bolo-
gnese, pari circa ad un Chilogrammo. Addotte ed insieme
unite le due metà con cera molle , se ne dimostra nella
figura prima la regione assai convessa e piuttosto regolare,
nella quale appena , e più verso il contorno , a sinistra
dell’Osservatore (a, a. Fig. 1. Tav. 1.), si vedono dei
solchi e delle piccole prominenze del tutto irregolari che ,
per Osservatori poco attenti e prevenuti , possono esser
state rassomigliate alle circonvoluzioni intestinuliformi del
vero cervello. Pochi di questi solchi o depressioni (b , b, b.
Fig. cit. ) veder si possono anche nel lato destro della an-
zidetta faccia convessa dell’ ossea produzione , ben lontani
però del!’ imitare le intercapedini cerebrali , che quivi anzi
sono tanto più evidènti nel vero cervello del bue. La faccia
opposta a quella che si dimostra nella citata figura prima
è molto più irregolare, e continua quasi direi le irregola-
rità (as a) che ho notato nella stessa figura al lato sinistro.
In una delle faccie laterali dell’ esostosi , e sarebbe sem-
pre la sinistra, vi si vede uno spazio triangolare quasi equi-
latero, avendo ciascun lato 1’ estensione di quaranta milli-
metri, a superficie regolare levigata, spazio che con tutta
probabilità segna la parte per la quale 1’ escrescenza mor-
bosa aderiva alla tavola vitrea del cranio , e dalla quale
fu staccata , non per opera della sega , ma con colpo di
martello , come lo prova a sufficienza la forma e qualità
di questa superfìcie.
La seconda figura di questa prima tavola dimostra una
delle fàccie risultanti dalla spaccatura del pezzo. Questa
superficie è di colore uniformemente bianco-gialliccio, e
Descriz. dei preparati d’ Anat. Patol. ec. 131
quindi del tutto analogo a quello dell’ esterior superfìcie
del pezzo , giacché la larga striscia segnata con mezza tinta
plumbea (a, a. Fig. 2. Tav. l.),non vuole già esprimere
una variazione di colore , ma soltanto un cambiamento di
livello nel piano della sezione , formatosi nell’ atto della
irregolare e violenta rottura. Ma ciò che interessa maggior-
mente in questa figura sono i solchi irregolari e le fossette
segnate colle lettere bb , cc , esprimendo essi senza dubbio
la posizione e V andamento di copiosi, vasi, di qualità di-
versa , scorrenti non solo sulla superficie , ma altresi nei
recessi più profondi di questo corpo solidissimo. Per tal
modo , ed abbenchè si tratti di sostanza conservata da quasi
due secoli, sottoposta lungamente e ripetutamente a lenta
macerazione, pur tuttavia offre ancor manifeste le traccie
dei tessuti molli , massime vascolari , che in ogni direzione
la percorrevano finché formava parte di corpo vivente, ed
insieme a questo rigogliosamente vegetava , per cui in tal
modo ha spiegazione altresì la frase del Malpighi , il quale
nell5 accennare a questa singolare produzione , che potè
esaminare del tutto recente , termina col dire che sulla me-
desima = sanguineum rete deprehenditur elegantissimum = .
Oltreccbè dunque i narrati argomenti provano evidente-
mente la natura di questa morbosa produzione spettante a
materia ossea, se ne ha conferma altresi dalle osservazioni
microscopiche. Raschiata in forma di sottil polviscolo, dal
lato della sezione, piccolissima porzione della grossa eso-
stosi eburnea , della quale presentemente mi occupo , e sot-
toposto il polviscolo al microscopio all’ ingrandimento di 148
diametri , questa ossea polve nelle molecole più. trasparenti
mostrava la forma areolare tomentosa, a somiglianza di quella
che è propria dell’ interno delle ossa naturali : in allora se-
parate, mediante la solita raschiatura , minute molecole del-
1’ esterior corteccia di antiche ossa bovine e vedute al mi-
croscopio nel modo or ora descritto apparvero di forma piut-
tosto filamentosa o cilindrica , mentre per la minor durezza
dell’ osso scalfivasi questo a foggia di duro tessuto elasti-
co, rotolandosi le singole molecole sopra se stesse spiral-
mente, come succede delle sostanze cornee di notabile du-
134
Antonio Alessandrini
annonario il Proprietario ha sempre interesse di occultarne
le indisposizioni ed i morbi che precedettero , onde possano
essere smerciate le carni senza difficoltà: e quante volte
nelle malattie lente ed oscure non si attribuisce ad inerzia , a
mal volere quello che da vero stato morboso dipende? Ma
lasciate le supposizioni , e passando alla nuda esposizione
del fatto dirò, che il peso dej5 esostosi è di oncie otto e
mezzo della libbra mercantile bolognese , ossiano circa 250
grammi, abbenchè mutilata e mancante, per quanto appa-
re , di notabile porzione , il che si può facilmente dedurre
dalla irregolarità della frattura.
La Fig. 4. della Tav. 1. rappresenta l5 esostosi di natu-
rai grandezza veduta dalla faccia esterna, o per dir meglio,
dalla faccia non fratturata e più regolare; la qual faccia
certamente non si può paragonare a porzione di cervello
che si fosse , come suol dirsi , ossificata ; avendo tutt5 altra
forma, e quale per lo appunto suole mostrarsi nelle pro-
duzioni morbose che vegetano sulle ossa di maggior consi-
stenza, come lo è infatti la tavola vitrea del cranio , cui
probabilmente aderiva V esostosi che descrivo.
La figura quinta della più volte citata tavola prima mette
in prospetto la faccia irregolare della frattura dell5 esostosi.
Le maggiori asprezze e disuguaglianze occupano la regione
inferiore della figura ; superiormente in , a s esiste un profon-
do infossamento di forma quasi emisferico ( <z, fig. cit. ) ,
ed è principalmente in questo luogo che evidente si mo-
stra il bianco colore , e la durezza che è propria dell5 avorio.
Questa depressione è percorsa da una angusta fenditura
( b , fig- cit. ) prodotta probabilmente dal colpo violento che
mise in pezzi l5 esostosi. Una tale cavità nello stato natu-
rale era certamente occupata da proporzionato nucleo soli-
dissimo della morbosa vegetazione, che andò disperso; il
che si può facilmente argomentare dall5 esistenza di un
nucleo consimile, ma di minor mole, visibile nel destro
lato dell5 osseo tumore , del quale sembra che ne sia stata
asportata porzione. È dunque questa morbosa produzione
composta essenzialmente di due diverse qualità di sostan-
ze , una delle quali candida , durissima , imitante veramente
Descriz. dei preparati d’ Anat. Patol. eg. 135
P avorio , e formante i descritti nuclei , V altra meno dura ,
di color più fosco , e molto analoga alla comune sostan-
za ossea.
Di altre forme di esostosi , che in qualunque regione
dello scheletro possono aver luogo, frequentissimi ne sono
gli esempi nei bruti addomesticati , massime poi nel cavallo ,
e negli arti meglio che nelle altre regioni dello scheletro. Di
tali morbose degenerazioni di tessuto ne va ricchissimo il
Gabinetto , dovrò quindi limitarmi a dire soltanto di quella
specie comunissima , che tanto danno reca al bestiame , e
che per la singolare sua apparenza viene volgarmente de-
nominata dai Yeterinarj fioritura ossea , o vegetazione molle
spugnosa .
La tavola seconda porge un bel esempio di questa forma
di esostosi. Nel luglio del 1834 fu tradotto nel pubblico
abbattitojo della Città un cavallo non più atto al lavoro,
abbeilchè non molto vecchio, essendo estremamente difet-
toso nella destra zampa anteriore. 11 più volte menzionato
Dottor Gio. Battista Gotti, accortosi della singolarità del
caso , fu sollecito di acquistare e conservare Y estremità del
piede , che di già era stato denudato della pelle.
Desiderando io di osservare minutamente, e dietro la
complèta macerazione , lo stato dell’ ossatura , conservando
altresì V insieme dell’ estremità del piede per la sua strana
configurazione , ne feci eseguire il modello in cera dal va-
lente Modellatore dei musei Sig. Cesare Bettini , ed è in-
fatti Y esatta configurazione di questo modello , che si vede
rappresentata nella figura prima della seconda tavola, ri-
dotta alla metà della naturale grandezza, modello che si
conserva nel gabinetto zootomico al N. 3448 , trovandosi le
ossa corrispondenti , del tutto macerate , al N. 5774.
11 metacarpo ( a , Fig. 1. Tav. 2.) conservasi nella na-
turale condizione fin presso la estremità inferiore , quivi
però ad un tratto ingrossa notabilmente ‘( c, Fig. cit. ) ,
spingendo molto all9 indietro il fascio dei tendini dei mu-
scoli flessori delle falangi ( b , b , fig- cit. ). Da questo punto
Y estremità del piede invece di dirigersi al suolo in linea
leggermente obliqua, come naturalmente succede , la prima
Antonio Alessandrini
falange incontra quasi ad angolo retto, d, la corrispon-
dente estremità del metacarpo , poggiando soltanto sulla
faccia anteriore della di lui testa articolare, dal che ne
viene che questa regione corre in linea parallela al suolo.
Affinchè poi la suola, o pianta dello zoccolo, rivolgere si
potesse opportunamente verso il terreno era duopo che an-
che la falange intermedia deviasse del tutto dal naturale
andamento. Ma la posizione precisa delle nominate ossa as-
sai meglio apparirà dalla descrizione delle due figure che
seguono, le quali dimostrano pur anche le voluminose eso-
stosi che in copia sorgono da quasi tutta la superficie
delle ossa stesse.
La figura seconda della seconda tavola mostra infatti le
ossa delle regioni metacarpica e falangea , vedute dal lato
interno. Il metacarpo principale , per ben due terzi della
sua estensione (a, a, Fig. 2. Tav. 2.) , si vede inalterato,
il che si poteva presupporre anche per l’aspetto della stessa
parte allorché era vestita dei tessuti molli , e come lo di-
mostra la figura prima della citata tavola : ma nel terzo
inferiore ( b , ù, Fig. 2. Tav. 2.) l’ossea morbosa vegeta-
zione si fa patentissima , lasciando libero soltanto il picco-
lissimo spazio ( c > fig. cit. ) della faccia articolare metacar-
pico-falangea , ed avvertirò a tal proposito che il più delle
volte questa forma singolare di morbosa ossea vegetazione
si arresta in quei luòghi che si veggono protetti dalle car-
tilagini articolari di incrostamento, come chiaro apparisce
in questa stessa preparazione, o sui quali scorrono robusti
tendini.
Il metacarpo rudimentario , rappresentato in d , in que-
sta stessa figura offre un modo di alterazione affatto ana-
logo a quello del principale ; ed invero per lungo tratto
superiormente ( e e, fig. cit.) non mostra alterazione, la
quale si fa poi evidentissima al livello di quella del meta-
carpo principale , e pare anzi che discenda fino al di là del
■medesimo (f,f, fig. cit.). L’ ultima porzione però dell’ eso-
stosi , Z', separata dalla linea di interrompimento , g, spetta
piuttosto al metacarpo principale, cui fortemente aderisce
e circonda per quasi tutta la faccia posteriore.
Descriz. dei preparati d’ Anat. Patol. ec. 137
Il sessamoideo superiore (i ) si può dire carico nell9 ester-
no delle note escrescenze , le quali , in alto , oltrepassano
a foggia di cresta il corrispondente lembo dell’ osso , lascian-
do al solito del tutto libera la faccia articolare.
La seconda falange {k , Fig. 2 , Tav. 2. ) è sopraccarica di
esostosi , singolarmente nella faccia anteriore , che si ele-
vano molto al dissopra della fossa articolare , lasciando del
tutto libera la testa articolare inferiore, come accade per
Io più.
L’ ultima falange (/, Fig. 2. Tav. 2.) è la meno viziata,
protetta come lo è dallo zoccolo ; soltanto la sua estremità
posteriore, m > presenta qualche traccia di esostosi, come
è poi del tutto esente da simile morbosità il sessamoideo
inferiore , n.
Descritte così le morbosità visibili sull’ esterna superfi-
cie di questa estrema regione del piede ; onde poter meglio
determinare a quanta profondità nella sostanza stessa del-
F osso discendessero le morbose degenerazioni , credetti op-
portuno dividere colla sega pel lungo i singoli pezzi , ed è
questa preparazione che viene rappresentata nella figura
terza di questa seconda tavola. L’ esterno strato solido osseo
del metacarpo principale (a, h, Fig. 3. Tav. 2.) si mostra
nella condizione naturale , il che può dirsi altresì della fi-
nissima sostanza reticolata (c , fig. cit. ) della testa artico-
lare inferiore. Soltanto nel terzo inferiore dell’ osso, dove
esteriormente corrispondono le maggiori vegetazioni , nei due
punti d, e, tanto anteriormente, che posteriormente, la
solida corteccia è attraversata da angustissima rima. Del
resto anche il cavo midollare non s’ allontana dallo stato
naturale. La prima falange (/, fig. cit.) essa pure si può
dire esente nell’ interno da notabili alterazioni; avvi sol-
tanto superiormente, presso la fossetta articolare , un breve
spazio (g, Fig. 3. Tav. 2.) dove la rigogliosa esterna ve-
getazione ha in gran parte distrutto anche F osseo strato
solido esterno. La falange intermedia {h , , fig. cit.) è molto
povera per tutta la sua estensione^ massime poi nel lato
anteriore, della solida esteriore corteccia, che in più punti
si può dire anzi del tutto mancante. La falange ungueale ,
138
Antonio Alessandrini
col corrispondente sessamoideo inferiore sono, come nel-
F esterno , anche nell’ interno , esenti da notabile altera-
zione (i, i, fig. cit.).
In una terza tavola sono pure rappresentati parecchi al-
tri saggi molto importanti di esostosi spugnose, non solo
nel cavallo , ma nel cane altresì ; come pure degli esempi
di esostosi compatte solidissime in parecchi punti di ossa
fratturate.
La figura prima spetta alla regione metacarpico-faiangea
sinistra di cavallo in cui le ossa, massime in prossimità
delle teste articolari , vedonsi sopraccariche delle nominate
esostosi spugnose. Così il metacarpo principale , o medio
(flj b , Fig. 1. Tav. 3), superiormente nella faccia poste-
riore si vede coperto da leggiero strato di fioritura, la quale,
piuttosto che di esostosi , ha V aspetto di carie superficiale
(c, fig. cit. ). Invece copiosissime esostosi spugnose circon-
dano, appena al dissopra della faccia articolare, la inferio-
re estremità dell’osso (b , b' , fig. cit.), rispettando in
parte le superficie munite di cartilagine d’ incrostamento ;
dissi in parte , mentre verso il centro , e lungo la fàccia
posteriore della spina media {e,f9fy fig. cit.), le eso-
stosi , e la carie sono manifestissime , mancando però tali
alterazioni negli spazi \ d , d) occupati dai sessamoidei su-
periori. Anche.il metacarpo rudimentario interno (g, Fig. 1.
Tav. 3.) ha una forma analoga di alterazione , che si esten-
de dall’ estremità superiore dell’ osso fin verso la sua me-
tà, dove anzi intumidisce in una esostosi molto più evi-
dente, distinta nella figura colla lettera (h). L’ estremità
articolare inferiore del più volte nominato metacarpo prin-
pale è rappresentata anche di fronte (i y k) , e quivi si di-
mostra pure come 1’ esostosi e la carie, lasciata libera la
parte protetta dalla cartilagine d’ incrostamento, ne invada
poi fortemente tutto il contorno (l9 /). Questa figura pri-
ma della tavola terza che descrivo dimostra il metacarpo,
e la prima falange veduti dalla faccia posteriore , ma fa duo-
po avvertire , che la profonda degenerazione non era meno
evidente anche nell’ opposta faccia d’ ambedue le ossa , mo-
strandosene però quasi del tutto esente, e di struttura so-
Descriz. dei preparati d’ Anat. Patol. ec. 139
lietissima , P intero corpo del metacarpo. La prima falange
è oltremodo viziata (o 3 p 9 Fig. 1. Tav. 3.) dalla metà del
corpo a tutta 1’ estremità superiore , quando invece la parte
inferiore (p) ne è quasi del tutto libera. Ed è in alto
esuberante in modo la morbosa vegetazione , che , penetrata
nel piano articolare, lo ha scomposto in guisa da lasciare
appena nel centro un leggerissimo indizio di superficie non
distrutta ; il che è reso bene evidente nella sottoposta fi-
gura, ( q ) dello stesso piano superiore della prima falange ,
ed in cui la lettera ( r) segna il limitatissimo spazio non
infestato dal morbo. Non è quindi sempre vero che le car-
tilagini articolari d’ incrostamento bastar possano a mante-
nere illese tali parti, pare che questo avvenga soltanto a
malattia incipiente , e di grado mite. Delle parti adunque
costituenti questa regione metacarpo-falangea , quelle le quali
trovaronsi un poco meno affette dal morbo furono i sessa-
moidei superiori (m, n, Fig. 1. Tav. 3.), che sembra di-
fendessero altresì il corrispondente piano (d3 d , Fig. 1.)
sul quale poggiano nell’ inferiore estremità del metacarpo
principale.
Una prova poi molto più concludente della insufficienza
delle cartilagini d’ incrostamento, per impedire in molti
casi il progredire della degenerazione in discorso , si ha
in altro preparato di osteologia patologica conservato nel
museo al n. 5477 , e rappresentato nella seconda figura di
questa terza tavola, ridotto sempre alla metà della natu-
rale grandezza. La prima falange (a* -Fig. 2. Tav. 3.), in
tutta la sua metà superiore , conserva pienamente 1’ aspetto
e la struttura naturale , ma la morbosa vegetazione , sotto
forma di voluminose esostosi spugnose , si estende sopra
tutta F altra metà , ingrossando molto di più nella faccia
posteriore. La seconda falange, fermamente saldata colla
prima, oltrecchè offre essa pure le solite vegetazioni ( b .
fig. cit. ) , in forza del morboso processo è anche assai dimi-
nuita di mole : corrispondentemente poi al luogo di contatto
(c, fig. cit.) un osseo strato, di pochi millimetri di gros-
sezza , ma solidissimo , serviva a rendere assai ferma una
tale saldatura. Questo pezzo patologico essendo stato tro-
140
Antonio Alessandrini
vato in un vecchio individuo da scarto , tradotto al macello ,
nulla si sa di preciso intorno agli antecedenti.
Un saggio importante di complicazione di esostosi e di
carie esiste da lungo tempo * nel gabinetto sotto il nume-
ro 732 del catalogo generale. Si tratta delle ossa del sini-
stro antibraccio di cavallo , fortemente viziate da esostosi
con carie. La terza figura di questa terza tavola rappresenta
alla metà del vero , e veduto dalla faccia posteriore , P in-
teressante oggetto, nel quale le nominate morbosità sonasi
principalmente dichiarate nell5 ulna. Il radio infatti è ap-
pena alcun poco alterato nella estremità superiore (a, Fig. 3.
Tav. 3.), mentre in tutto il corpo, e nella estremità in-
feriore ( b ) , non si manifesta traccia veruna di malattia ;
l5 ulna invece ( c , d 3 fig. cit. ) è , si può dire , totalmente
degenerata : la parte meno tocca è la testa ( e ) , forse per-
chè protetta dall5 inserzione di robustissimi tendini. L5 estre-
mità inferiore di essa ulna (d, fig. cit.) viene come a per-
dersi , ed a fondersi nell5 ossea sostanza del radio. Nel pun-
to (e) la carie ha corroso a tutta sostanza P osso produ-
cendone la frattura, rimanendo le parti unite solo in al-
cuni punti per irregolare contatto , e piuttosto mediante
gli inviluppi delle parti molli. Il massimo ingrossamento
dell5 ulna corrisponde circa alla metà di sua estensione (/,
Fig. 3. Tav. 3.), nel discendere insensibilmente decresce ,
e nel punto (g) una striscia ossea, produzione pure del-
l5 ulna , si dirige al lato esterno del radio , formando a guisa
di un ponte sotto il quale passavano vasi e nervi diretti
in basso.
Ma non è soltanto nei solipedi , e nei maggiori ruminan-
ti, che incontrare si possono le morbosità ossee descritte.
La quarta figura di questa terza tavola rappresenta , alla
metà del vero , l5 ultima costa spuria sinistra di cervo co-
mune, maschio adulto, perito di morbo acuto nella Villa
suburbana del Sig. Marchese Francesco Sampieri. Verso la
metà della regione ossea di essa costa (a3 Fig. 4. Tav. 3.)
sorge grossa solidissima esostosi, che segna il luogo dove
era accaduta una frattura obbliqua dell5 osso, che sponta-
neamente consolidatasi , i due estremi troncati hanno ser-
vata mirabilmente la direzione naturale.
Descriz. dei preparati d’ Anat. Patol. EC. 141
Ossea degenerazione, in forma di esostosi spugnosa evi-
dentissima, venuta in seguito di frattura, si conserva nel
Museo al N. 5847 , formatasi nella scapula ed omero sini-
stri di giovine cane bracco. Questo animale, come lo notò
l5 egregio Dott. Pompeo Gotti ( troppo presto rapito all’ a-
vanzamento della Scienza , della quale fu vittima ) , que-
sto animale dissi , colpito da violenta percossa di bastone ,
riportò frattura in più sensi nel capo dell’ omero sinistro.
Lasciato per venti giorni senza cura, erasi sviluppata sulla
parte enorme gonfiezza suppurante, percorsa da complicati
seni fistolosi ; esplorati manifestamente appalesavano il gua-
sto esteso sulle ossa costituenti la regione della spalla. De-
bitamente macerate tali ossa manifestarono infatti le, gra-
vissime e profonde degenerazioni che passo a descrivere , e
che per la massima parte sono rappresentate nelle figure
quinta , sesta e settima della tavola terza, v
L’ omero (fig. 5.) si può dire interamente convertito in
esostosi spugnosa , la quale ne aumenta notabilmente il vo-
lume r massime a poca distanza dalla testa , dove forma
quasi due appendici aliformi , distinte nella figura colle let-
tere a, b. Le sole superficie articolari , tanto superiore
che inferiore * sono esenti dalla notata degenerazione. Onde
poi avere si possa una giusta idea del modo singolare di
frattura della testa dell’ omero, la figura sesta (Tav. 3)
la fa vedere di prospetto, e le linee irregolari nere (a,
b, c) dimostrano la direzione delle rotture, per cui a
ragione 1* osso dire si poteva frantumato, essendo le sole
parti molli che impedivano la separazione dei singoli pezzi.
La scapula (Fig. 7. Tav. 3), abbenchè in condizione
molto migliore di quella dell’ omero , tuttavia , principal-
mente nella faccia esterna, mostra traccie bene evidenti
della descritta esostosi, segnate nella figura dalle lette-
re a , b , c.
- Ma un esempio di solidissima esostosi , formatasi attorno
di una frattura , lo offre la preparazione conservata nel Mu-
seo al N. 701 , e che si vede delineata nella figura ottava,
ultima della terza tavola. Si tratta pure delle ossa del destro
antibraccio di cavallo , nelle quali il radio , avendo riportata
Antonio Alessandrini
142
frattura trasversa (e_, Fig. 8. Tav. 3.) alla metà del suo
corpo , gli estremi troncati , senza i soccorsi dell5 arte , eransi
di nuovo insieme riuniti solidamente , quasi in direzione
regolare , mostrando l5 osso appena una leggera inflessione
nel lato anteriore. Questo modo d5 unione era poi reso so-
lidissimo da voluminosa esostosi , od a meglio dire da os-
sea vegetazione , che rendeva il radio nel luogo stesso grosso
più del doppio del naturale. La sezione longitudinale del-
F osso pel centro fa anche meglio vedere V esuberanza di
vegetazione nel luogo affètto , giacché , in corrispondenza
dell5 esteriore vegetazione , si vede estesamente obliterato
da sostanza ossea solidissima l5 intero cavo midollare ( f , g ,
Fig. 8. Tav. 3.) : per soddisfare al quale eccesso di nutri-
zione di questa parte , dirigevansi alla medesima insigni
làsci di parti molli, singolarmente vascolari , e ne rimane
traccia evidente nei fori e canali destinati al loro passag-
gio. La citata figura ottava infatti , presso il centro della
nominata ossea sostanza solidissima (J, g , fig. cit. ) , mostra
un, ampio foro (ù) indubitatamente destinato a questo uso;
potendo discendere le parti molli dall5 esterno a tanta pro-
fondità mediante l5 ampio solco levigato , K ^ che , attraver-
sata la solida corteccia dell5 osso, arriva al foro stesso. Che
se poi si volga lo sguardo all5 esterna faccia dell5 esostosi ,
si vede attraversata , in direzioni diverse , da parecchi altri
fori e canali consimili, che dimostrano l5 esistenza dei co-
piosi vasi destinati ad alimentare e far crescere perenne-
mente la morbosa produzione.
Abbenchè , come dissi fin da principio , frequentissimi
sieno negli animali domestici , e singolarmente nei solipedi ,
gli esempi di morbose degenerazioni del sistema osseo , del
che si ha prova evidente anche nella lunga serie di preparati
di simil genere conservati in questo gabinetto d5 Anatomia
comparata e tra i quali ne presi di iùira parecchi dei più
importanti nelle descrizioni esposte ; credo però opportuno
trattenermi brevemente sopra un recentissimo caso di que-
sto genere, di cui è stato arricchito il Museo, e che co-
stituisce il soggetto delle figure della quarta tavola che
passo a descrivere.
Descriz. dei preparati d’ Anat. Patol. eg. 143
Rappresentano queste le regioni ossee dell* antibraccio e
piede destro di vecchio cavallo , di più che mezzana gran-
dezza , destinato al macello perchè non più atto al tiro del-
la hiroccia , anzi reggentesi malamente sulle quattro zam-
pe , per le enormi gonfiezze esistenti nei punti articolari
delle ultime regioni , massime degli arti anteriori , i prepa-
rati dei quali si conservano ai Numeri 6310 e 6311.
La figura prima (Tav. 4.) dimostra, ridotte alla metà
del vero , le ossa delle due nominate regioni , insieme ap-
plicate nella direzione che serbavano naturalmente , e ve-
dute di sbieco per la faccia anteriore. L’ estremità inferiore
del radio ( a , Fig. 1 Tav. 4 .) si vede estremamente viziata
nella testa articolare ( b 3 b , fig. cit. ) , intorno alla quale
sorgono da ogni lato enormi esostosi spugnose e fogliacee,
massime sulla faccia anteriore dell’ osso. La esuberante ve-
getazione morbosa del radio 3 estesa sulla corrispondente pri-
ma serie delle ossa del carpo, le aveva fuse insieme per
modo da riuscire del tutto impossibile il separamele. Qual-
che oscuro movimento però di estensione e flessione di que-
sto articolo, sulla linea di separazione (c3 c , fig. cit.) tra
il primo ed il secondo ordine delle ossa del carpo , poteva
aver luogo , esistendo nelle faccie articolari corrispondentisi
parecchi spazi levigati , coperti da cartilagine d’ incrostamen-
to, come meglio si dimostrerà nelle figure seconda e terza. La
straordinaria estensione nel suo diametro trasverso ( b s b 3
fig. cit. ) dall’ inferiore estremità del radio è prodotta bensì
per la massima parte dalle notate ossee escrescenze , ma vi
contribuisce ancora la circostanza, rara ad incontrarsi nel
cavallo , del prolungarsi cioè la spina dell’ ulna fino sulla
estremità inferiore del radio, dove anzi, sempre in forza
dell’ esostosi , notabilmente si ingrossa.
Il secondo ordine delle ossa del carpo, in unione alla
corrispondente estremità del metacarpo , costituiscono una
sola massa (d , e,f, g, Fig. 1. Tav. 4.), che compie cosi
la mole enorme della articolazione radio-carpo-metacarpica.
In forza di questa singolarissima complicata alterazione,
le molte ossa che ne formano insieme , ed appartengono
all’ antibraccio, carpo, e metacarpo, confuse e saldate, per
1 u
Antonio Alessandrini
così dire, in un comune impasto, per gli sforzi continui
della muscolatura, tendenti a vincere la immobilità della
parte , prodotto aveano nella regione superióre dell’ ammas-
so, la descritta fenditura (c x c , Fig. 1. Tav. 4.), me-
diante la quale qualche oscuro movimento poteva pure
aver luogo.
Volgendo lo sguardo alle figure seconda e terza (Tav. 4.),
che mettono in prospetto , nella naturale grandezza , le due
estese superficie combaciantisi , si vedono li spazj levigati
{a, b , Fig. 2 ; c , d3 Fig. 3. Tav. 4. ) , i quali , abbenchè con
molta difficoltà per essere il rimanente della superficie aspro
ed irregolare, scorrere potevano gli uni su gli altri negli
accennati molto oscuri movimenti. Ma ritornando alla descri-
zione della prima figura , oltrepassato il limite (f> g) dell’ e-
norme tumore corrispondentemente al metacarpo , sì T osso
principale di questa regione , come i rudimentarj , manten-
gono la naturale condizione per tutto il rimanente di loro
estensione , di guisa che la malattia fa nuova mostra di se
soltanto nelle falangi , ed in grado molto esteso , per cui
ho creduto utile , a compimento della illustrazione di que-
sto preparato, il rappresentare con figure distinte le falangi
stesse, vedute in diversi aspetti. Così la figura 4 (Tav. 4.)
rappresenta dalla faccia anteriore la prima e seconda falan-
ge, fermamente insieme unite dalla morbosa vegetazione.
I due terzi superiori (a, Tav. 4. Fig. 4) della prima fa-
lange, come anche in parte F inferiore estremità (b , fig.
cit.) della seconda, pochissimo si allontanano dalla naturale
condizione ; ma nel luogo d’ unione delle falangi stesse , la
più volte nominata vegetazione morbosa assunto aveva stra-
ordinario sviluppo. A rendere quindi bene evidente un
tanto guasto , ho creduto molto opportuno di rappresentare
nelle figure quarta e quinta (Tav. 4.) le due falangi insie-
me unite , e vedute in aspetto diverso. Nella fig. 4 si mo-
strano per la faccia anteriore : la prima per tutta 1’ esten-
sione dei due terzi superiori ( a , fig. cit.) è interamente
libera dalle esostosi , come lo è altresì in gran parte 1’ in-
feriore estremità della seconda ( b , fig. cit.); ma nella po-
sizione dove le due ossa si uniscono , sì T una che 1’ altra
Descriz. bei preparati d’ Anat. Patol. ec. 145
vedonsi cinte tutto attorno da rilevatissima zona di eso-
stosi (c , dy Fig. 4. Tav. 4.), le quali rendevano bensì
molto difficile , senza però impedirlo del tutto , il movi-
mento di estensione e flessione : ed invero osservando con
attenzione le due figure chiaro appare , che i tendini dei
muscoli estensori delle falangi collocavansi in un solco ( e ,
Fig. 4. Tav. 4) attraversante il centro delle ossee creste,
senza deviare molto dal loro naturale andamento ; e questo
verifìcavasi , anche con maggiore evidenza , riguardo ai ten-
dini dei muscoli flessori , come facilmente si può vedere
nella figura quinta (Tav. 4). Che poi un movimento di-
screto potesse aver luogo tra la prima e seconda falange ,
lo fa vedere altresì lo stato di combaciamentq delle super-
ficie corrispondentisi delle falangi stesse. La figura sesta
( Tav. 4 ) , che rappresenta il lato superiore della seconda
falange, oltrecchè mostra illesa la faccia articolare del cen-
tro, a, sulle copiose vegetazioni laterali sono evidentissime
delle faccette levigate ( b, c , Fig. 6. Tav. 4), prodotte,
a non dubitarne , dal movimento dell’ una sull’ altra.
Ma dalle descritte estese e profonde degenerazioni ossee
era pure gravemente affetta anche la terza falange , os-
sia 1’ osso del piede. Abbenchè quest’ osso non sia stato
rappresentato separatamente dagli altri nella tavola, tutta-
via rilevansi le principali sue alterazioni anche sulla figura
prima di questa quarta tavola. La lettera ( h ) accenna alla
rilevatissima morbosa cresta ossea, che contorna superior-
mente , a breve distanza dalla articolazione , appunto la ter-
za falange, la quale, anche nelle due punte od estremità,
dirette posteriormente (iy Fig. 1. Tav. 4.), è pure coper-
ta delle solite esostosi. Affinchè poi la morbosa vegetazione
ricever potesse in copia proporzionata i materiali idonei
alla sua nutrizione ed aumento perenne , appena al dissotto
dell’ ossea cresta numerosi fori e canali, diretti in ogni
senso , vi lasciavano facilmente penetrare le parti molli ,
massime vascolari : la lettera , k , segna nella citata figura
uno di questi fòri , dei quali numerare se ne possono da
nove a dieci, contando solo i maggiori.
La profonda alterazione dell’estrema falange di quest’ arto,
t. i. 19
146 Antonio Alessandrini
il modo col quale il medesimo poggiava sul suolo, influir
dovevano sinistramente sull’ unghia, o zoccolo che la rive-
ste; egli è perciò che ho creduto utile rappresentarla nella
figura settima ( Tav. 4 ) veduta dal lato interno , alla metà
della naturale grandezza. Ed invero è ben facile dimostrare
come F unghia ripetesse , per cbsì dire , le abnormità tanto
evidenti nell’ osso contenuto. Superiormente ( a , Fig. 7.
Tav. 4.) la protuberanza notevolissima, che cinge la radice
dell’ unghia, conteneva 1’ ampia cresta ossea della base
della falange (h , Fig. 1. Tav. 4.), anzi tutto intero que-
st’ osso. Il solco profondo visibile subito al disotto della
protuberanza ( b , fig. cit. ) segna il limite della vera unghia
o zoccolo , mentre tutto quanto rimane inferiormente al sol-
co \c y d, fig. cit.), non era che morbosa vegetazione di
sostanza cornea , che si sarebbe facilmente asportata , rego-
larizzando il piede , ma che trascurata interamente rendeva
il zoppicamento dell’ animale sempre più mostruoso , giaic*
chè poggiando sul terreno non già coll’ intera faccia piana
o suola dell’ unghia , ma soltanto mediante 1’ estremità
(d, fig. cit.) del morboso allungamento, deviava così sem-
pre di più dal naturale andamento, non solo la serie fa-
langea, ma la regione stessa del metacarpo.
Una singolarità che pure parmi meritevole d’ essere no-
tata risguarda lo stato dei sessamoidei , tanto superiori che
inferiori di quest’ arto. Relativamente ai primi , cioè ai su-
periori , abbenchè 1’ estremità inferiore del metacarpo me-
dio , sulla quale sono situati , sia esente dalle esostosi , co-
me 1’ ho di già dimostrato , ciò non ostante queste piccole
ossa , i sessamoidei , ne mostrano delle traccie evidentissi-
me, sì nella loro cresta saliente , che nel contorno della
faccia articolare , mentre quest’ ultima , non che la maggior
parte della superficie esterna, serbansi illese (a, a, Fig. 8. 9.
Tav. 4.) protette dalla cartilagine d’incrostamento, e dal
passaggio dei tendini dei muscoli flessori delle falangi. Il
sessamoideo inferiore poi (Fig. 10. Tav. 4.), nei contorni
della faccia articolare , non manca delle solite esostosi , di
notabile volume, proporzionatamente alla piccolezza del-
F osso.
Descriz. dei preparati d’ Anat. Patol. eg. 1 47
Alle gravissime morbose degenerazioni descritte in que-
sto destro arto anteriore partecipava in grado identico an-
che il sinistro, che si conserva sotto il numero 6311 ; man-
cando poi queste degenerazioni sì nell’ omero che nella sca-
pula , ed andandone ugualmente esenti gli arti posteriori ed
il rimanente scheletro. Trovo in questo una conferma del-
l5 idea , altra volta espressa da questo luogo , che cioè i
guasti tanto estesi e profondi di certe regioni dello sche-
letro dei mammiferi .addomesticati riferir si debbano , piut-
tostocchè a morbose crasi umorali scrofolose , rachitiche , ve-
neree , a cagioni comuni traumatiche locali , percosse , ca-
dute , stazioni in piedi di troppo prolungate , salite e discese
per angusti irregolari sentieri soverchiamente ripidi , e si-
mili ; per cui facilmente si comprenderà come una più ra-
gionevole igiene , e 1’ ostare con opportuna cura , ed i de-
biti riguardi ai primi passi del male , sarà indubitatamen-
te il miglior metodo da seguirsi , onde conservare lunga-
mente robusti e sani gli animali che sono il miglior ap-
poggio dell’ agricoltura , del commercio , e dell’ agiato vi-
vere delle Nazioni.
Antonio Alessandrini
SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE
TAVOLA 1.
Esempi di esostosi eburnee del cranio bovino.
Fig. 1. La maggiore delle esostosi di questa qualità possedute dal Gabinetto,
veduta dalla faccia convessa più regolare.
а , a. Le irregolarità dell’ esostosi a sinistra male a proposito paragonate alla
circonvoluzioni intestinuliformi del cervello.
б, 6,6. Pochi solchi nella faccia convessa più regolare.
Fig. 2. La predetta esostosi, veduta per una delle faccie della sua divisione.
а, a , a. Striscia di mezza tinta esprimente un cambiamento di livello nel pia-
no della sezione. . . ...
б, 6. Solchi regolari che segnano il passaggio di vasi sanguigni, di calibro
diverso , insinuantisi nella sostanza dell’ esostosi.
c , c. Larghe e profonde incavature destinate all’ uso medesimo.
Fig. 3. La seconda esostosi eburnea bovina, veduta dalla faccia nella quale
esiste il profondo solco che la divide in due masse distinte.
а. Spazio appianato, di forma elittica, di notabile estensione , pel quale è pro-
babile che la morbosa vegetazione si continuasse coll’ ossea più dura so-
stanza del cranio. ...
б, c. Altri due punti molto estesi, ma ugualmente conformati, pei quali sem-
bra pure che 1’ esostosi dovesse aderire alla interna tavola del cranio.
d. Profondo e largo solco che divide l’esostosi in due parti quasi uguali.
Fig. 4. Frammento di altra grossa esostosi della stessa qualità , veduta dalla
faccia esterna.
Fig. 6. L* esostosi predetta veduta per la faccia della frattura, riuscita assai
aspra e disuguale. M
а. Profonda regolare incavatura, la superficie della quale regolare e bianchis-
sima imita più che mai P avorio, avendone anche la durezza.
б. Fenditura irregolare prodotta probabilmente dal violento colpo che mise in
pezzi P esostosi.
TAVOLA 2.
Esempio di esostosi spugnosa.
Fig. 1. La preparazione, tolta solo la pelle.
а, a. Porzione superiore del metacarpo naturale.
б, 6. Fascio dei tendini.
Descriz. dei preparati d* Anat. Patol. ec. 149
c. Ingrossamento inferiore del metacarpo.
d. La prima falange deviata dall’ andamento naturale.
Fig. 2. Le ossa delle regioni metacarpica e falangea , sempre della destra zam-
pa , vedute dal lato interno.
a, a . Porzione del metacarpo principale del tutto illesa.
b, b. La sua estremità inferiore per notabile tratto coperta di grosse esostosi.
c, Piccola porzione della testa articolare inferiore inalterata.
d, Metacarpo rudimentario interno.
e, e. La porzione del medesimo nello stato naturale.
f, f. La di lui estremità inferiore fortemente viziata.
g , Scissura che mette limite tra 1’ esostosi , f, appartenente al metacarpo rudi-
mentario , e la porzione , f', spettante allo stesso metacarpo principale.
h, La prima falange interamente coperta di esostosi , eccettuate le faccie articolari.
». 11 sessamoideo superiore.
k. La seconda falange, od intermedia.
l. L* ultima falange fasciata dallo zoccolo.
m. Leggiera traccia di esostosi nel suo prolungamento posteriore.
n. Il sessamoideo inferiore.
o. L’ unghia o zoccolo che abbraccia 1’ estrema falange, veduta dalla faccia
esterna.
Fig. 3. La stessa preparazione della precedente figura seconda, nella quale si
mostrano i singoli pezzi divisi pel lungo nel centro.
a, b. Il metacarpo medio o principale,
c. La di lui lesta articolare inferiore.
d , e. Due punti nei quali anche la più solida corteccia dell’ osso è attraver-
sata da carie.
e'. Il sessamoideo superiore.
f. La prima falange.
g. Un punto dove 1’ esuberante vegetazione ha consumato anche parte della so-
lida corteccia,
n. La falange intermedia.
»‘. L’ ultima falange.
k. Lo zoccolo veduto nell’ interno.
TAVOLA 3.
Altri Saggi di esostosi spugnose nel cavallo e nel cane; come pure
esempi di fratture senza soccorso dell’ arte consolidate.
Fig. 1. Metacarpo colla prima falange della sinistra zampa di cavallo,
a, by V II metacarpo medio o principale.
c. Erosione di carie nella regione superiore posteriormente.
d. d. Le faccie articolari pei sessamoidei.
e. La spina media interposta.
f9 f. Linea di carie profonda che attraversa il centro della faccia articolare
inferiore di esso metacarpo.
g , h. Il metacarpo rudimentario interno.
i , k. La faccia articolare inferiore del ripetuto metacarpo , veduta di fronte.
150
Antonio Alessandrini
l, l. Erosione di carie che la circonda.
m. Sessamoideo superiore interno,
i». Id. esterno.
o, p. La prima falange.
q. La di lei faccia articolare superiore di prospetto.
r. Piccola porzione di essa faccia non invasa dalla esostosi, e che appariva
tuttora rivestita dalla cartilagine d' incrostamento. ,
Fig. 2. Prima e seconda falange di zampa anteriore di cavallo con esostosi ed
anchilosi.
a. La prima falange.
b. La seconda falange.
c. Il punto dove le falangi sono fermamente insieme saldate.
Fiq. 3. Ulna e radio del sinistro lato di cavallo con grossa esostosi e trattura.
a , b. Il radio. — c , d. L’ ulna. — e. Luogo in cui esiste la frattura.
f! Il punto dove maggiormente prolubera P esostosi.
o. Prolungamento dell’ esostosi dell’ ulna che si fissa sulla faccia posteriore
Fig. 4. L’ultima costa spuria sinistra di cervo. Verso la metà della regione
ossea evvi una grossa esostosi formatasi sul luogo di una frattura.
a. La nominata esostosi. — b. La regione cartilaginea della costa.
Fiq . 5. Omero sinistro di giovine cane bracco con frattura per colpo di bastone.
a, b. Vaste appendici trasverse dell’ esostosi che riveste tutto quanto 1 osso.
Fig. 6. La testa dell’ omero predetto di fronte, e di naturale grandezza,
a, b, c. Traccie della complicata frattura ben manifeste.
Fig. 7. La scapula dell’ arto predetto , di nuovo alla metà del vero,
a, b, c. Le principali vegetazioni delle solite esostosi. . ,
Fig. 8. Ossa dell’ antibraccio del destro lato di cavallo. Il radio fratturato ha
formato robusto callo corroborato da esostosi.
a, b. V ulna. — c, d. Il radio. — e. Luogo della frattura.
f, g. Notabile estensione di consolidamento del cavo midollare dell osso.
h. Foro per l’ingresso dei vasi. — K. Solcatura destinata all’uso medesimo.
Rappresenta l’antibraccio e piede destro di vecchio cavallo affetti
da esostosi con carie ed anchilosi.
Fig. 1. Le nominate regioni dell’arto nella abituale loro posizione, ridotte
alla metà della naturale grandezza.
a. Porzione inferiore del radio, quasi del tutto esente da morbosa alterazione.
5, b. La di lui testa articolare inferiore fortemente viziata.
c, c. Linea di separazione tra il radio ed il carpo. . .
d, e, f , g. Tutta la regione inferiore del carpo, e la corrispondente metà del
metacarpo coperte, ed insieme fuse dalla morbosa enorme vegetazione.
h. La cresta ossea che corona la regione superiore della lerza falange.
». Grossa esostosi sulla punta posteriore della stessa falange.
h. Uno dei fori destinati al passaggio dei "
i nutrizi delle morbose produzioni.
Descriz. dei preparati d’ Anat. Patol. ec. 151
Fig. 2. La faccia articolare dell' estremità inferiore del radio, di naturale
grandezza , cui sta aderente il primo ordine delle ossa del carpo.
a, b. Piccola porzione levigata di questa estesa supeificie, per la quale ese-
guire si poteva qualche legger movimento di estensione e flessione in que-
sta articolazione.
Fig. 3. La faccia articolare tra il primo ed il secondo ordine delle ossa del
carpo, veduta di prospetto, e di naturale grandezza.
a. Profondo solco scavato nell’esostosi corrispondentemente alla regione poste-
riore del carpo, e che serviva al passaggio dei tendini dei muscoli fles-
sori delle falangi.
b, c. La superficie levigata combaciantesi colla consimile a, b, della fig. 2.
Fig. 4. La prima e seconda falange insieme articolate , vedute dalla faccia an-
teriore, e ridotte di nuovo alla metà della naturale grandezza.
a. La prima falange. — b. La seconda.
c , d. Enormi esostosi corrispondenti al punto della vicendevole loro articolazione.
e. Solco abbastanza patente, che attraversa la cintura delle esostosi, e serviva
al passaggio dei tendini dei muscoli estensori delle falangi.
Fig. 5. La stessa preparazione, veduta dalla faccia posteriore.
a. Punto d’ unione delle due falangi esente da alterazione.
b. Faccia articolare per P osso del piede.
Fig. 6. Lato superiore della seconda falange.
a. Faccia articolare. — ò, c. Grosse esostosi che la circondano.
d. Solco attraverso delle medesime, che conteneva i tendini dei flessori delle
falangi.
Fig . 7. Lo zoccolo di questo piede singolare , esso pure profondamente alterato.
a. Rigonfiamento corrispondente alla cresta della falange.
b. Strozzatura insinuantesi sotto il lembo estremo dell’ ossd ^el piede*
c. Enorme vegetazione della sostauza cornea.
d. La base dell’ unghia , che poggiava sul suolo soltanto colla pulita.
Fig. 8. Sessamoideo superiore interno, veduto dalla faccia esterna.
a. Morbosa escrescenza di esostosi, che sorge dal Iato superiore.
Fig. 9. Sessamoideo superiore esterno, veduto dal lato interno.
a. Esostosi voluminosa che sorge da tutta la cresta opposta alla faccia articolare.
Fig. 10. Sessamoideo inferiore veduto dalla faccia interna. Tanto dal suo lem-
bo superiore, che dall’inferiore, sorgono esostosi di volume notabile, in
proporzione della mole dell’ osso.
Meni. Alessandrini. Tav.l. j
Ser. 2 . Tomo I .
Mem; Alessandrini Tav:3.
Ser, 2 ! Tomo I.
Mem! Alessandrini Tav:4.
SULLO
IRRAGGIAMENTO SOLARE
iMDm
DEL
DOTT. GIULIO CASONI
(Letta nella Sessione 23 Maggio 1861 ).
Il primo elemento necessario per caratterizzare conve-
nientemente un clima agricola- è senza dubbio 1’ esatta
conoscenza delle vicende e delle leggi alle quali è soggetta
la temperatura, non tanto perchè è il calore il principale
agente della vegetazione, quanto perchè da esso più o
meno direttamente dipendono tutte quelle meteore che
influiscono sulla vita delle piante. In tre modi principal-
mente le piante risentono azióni calorifiche , e cioè per
mezzo della temperatura dell5 aria in cui vivono, di quel-
la del suolo in cui tengon radice , e di quella del calorico
su esse irraggiato dal sole. Di queste tre azioni principali
che entrano a costituire la temperatura di un clima agri-
cola , la più influente sulla vegetazione è per certo quella
dell5 irraggiamento solare. Alcune esperienze del Conte de
Gasparin fatte a Parigi , a Peissenberg e ad Orange , riferite
nel suo Corso d3 Agricoltura (T. II., l.a Parte. Cap. III.
Sez. 5.a Ediz. 2.a Parigi), lo mettono in evidenza, e ri-
sulta da esse, che le piante in questi tre climi a due ore
dopo mezzodì ricevono dal calore solare un supplemento
alla temperatura atmosferica ( la sola considerata per lo più
154
Giulio Casoni
dagli agronomi) , a Parigi di 5°,00 , a Peissenberg di 7°,12,
ad Orange di 11°, 15.
Di qui si fa chiaro pertanto , che a meglio determinare
il clima per la vegetazione delle piante, fa d’ uopo cono-
scere il medio diurno di questo supplemento di calorico
ed aggiungerlo al medio della temperatura atmosferica. Ciò
venne fatto dall’ illustre agronomo citato pei tre luoghi sud-
detti j e trovò , che P aumento annuo da farsi era di 2°, 9
per Parigi , di 3°, 8 per Peissenberg , e di 5°, 5 per Oran-
ge ; lo che , in rapporto alla temperatura , era come se le
piante di Parigi venissero trasportate ad una latitudine
di 3 gradi più meridionale , quelle di Peissenberg ad una
di 4 , e quelle di Orange ad una di più che 6. Notando
poi che una delle epoche dell’ anno in cui P aumento
da farsi è maggiore , è la estate , che è la stagione nella
quale è grande il numero delle piante in vegetazione, si
vede sempre di più quanta e quale sia 1’ importanza di
ben conoscere e determinare il calore irraggiato dal sole.
E a ben determinarlo per un luogo speciale , non vi ha
che P osservazione , perchè ad eguali latitudini ed altezze
orizzontali del sole , moltissime circostanze locali , inassog-
gettabili alcune a calcolo esatto , possono intervenire a mo-
dificare P intensità del calore medesimo ,, come P altezza
sul livello del mare, lo stato atmosferico, P inclinazione ,
la natura e P esposizione del suolo * i venti , la vicinanza
di mari o di monti , e tante , altre che più o meno vi han-
no influenza. Non potendo determinare se e quanto possano
influire tutte queste cause locali , è necessario ricorrere al-
P osservazione , di ricorrervi nel numero di punti maggiore
possibile e con metodo uniforme , sì che i risultati possa-
no venire fra loro comparati. Non tardarono gli scienziati
a sentirne il bisogno , ed Humboldt fra i primi si fece a
darne eccitamento : le Accademie si sollecitarono a farlo
soggetto di raccomandazione a’ viaggiatori , e se qualche
frutto ne ottennero , cioè che in parecchi osservatori eu-
ropei venisse introdotto un corso regolare ed uniforme di
osservazioni in proposito, pure in questo rapporto rimane
tuttora molto a desiderarsi.
Sull5 Irraggiamento Solare
Penetrato da queste considerazioni, il Chiarissimo Pro-
fessor Lorenzo Respighi , tra i molti ed importanti rami di
osservazione introdotti in questo nostro Osservatorio Astrono-
mico-Meteorologico , pose eziandio questo che deve condurre,
col tempo, ad una conveniente determinazione del calore so-
lare , con quel vantaggio per la pratica agronomia , che
tutti sapranno bene apprezzare. Coll’ incombenza di fare
le osservazioni in discorso e di discuterle , egli mi deferi-
va eziandio 1’ onorevole incarico di darne rapporto a que-
sto illustre Consesso , incarico che io accettai con somma
compiacenza, specialmente perchè mi forniva occasione di
mostrare di fatto la gratitudine che debbo a Voi, Ac-
cademici Prestantissimi , per V insigne onore che nello scorso
anno per solo tratto di vostra singolare benevolenza vi de-
gnaste accordarmi, annoverandomi fra gli alunni di questo
preclaro Instituto , onore del quale cercherò di rendermi
con ogni sforzo il meno possibile indegno , procurando
supplire col buon volere alla mancanza d’ ingegno e di
sapere. .
Alla fine del Giugno 1860 si incominciò a determi-
nare la intensità del calore irraggiato dal sole con un pi-
reliometro diretto di Pouillet, e le osservazioni vennero
fatte ogni giorno in cui lo stato atmosferico trovavasi nelle
circostanze favorevoli a queste ricerche. Ma nell’ Ottobre ,
essendosi la temperatura atmosferica di molto abbassata,
e lo strumento essendo fornito di un termometro, che
indicava soltanto una temperatura superiore a 22 gradi
centesimali , si dovettero interrompere le osservazioni per
aspettare che all’ istrumento istesso venisse adattato un
termometro a graduazione più bassa, acciò potesse servire
eziandio in que’ pochi giorni autunnali ed invernali, i quah
permettono di ottenere con fiducia la cercata misura. L
quantunque il periodo di osservazione sia assai breve ,' pure
sembra opportuno intavolarne ben tosto la discussione e
pubblicarne i primi risultati, sia perchè servono sempre
a stabilire un qualche concetto sintetico del soggetto m
discorso, sia perchè si prestano a dare una approssimata so-
luzione a quelle questioni che non domandano la esattezza
156
Giulio Casoni
maggiore possibile nei dati che valgono a risolverle. In
oggi poi che parecchi osservatori si occupano di questa
maniera di studii ed osservazioni , e si fanno con metodo
abbastanza uniforme , sì che si hanno risultati che sono fra
loro comparabili , facendo ragione alla giusta impazienza
onde gli animi generalmente sono spinti a giungere ben
presto alP acquisto delle cognizioni cercate , è bene che
con sollecitudine i risultati medesimi si diano tosto al pub-
blico , anche perchè fin cP ora ne possa ricavare quel frutto
maggiore possibile di cui sono fecondi.
Il pirelìometro diretto adoperato nelle fatte osservazioni ,
era quale lo descrisse il Pouillet stesso nella sua Memoria
Sul calore solare (Comptes Rendus 1838 T. II. p. 15) ed
anche nel suo Trattato di Fisica Sperimentale Lib. VII. G. I ,
per cui qui non importa notare, se non che il diametro
della superfìcie circolare esposta al calore solare è di un
decimetro; l’altezza interna del recipiente 18 millimetri,
e che nell’ uso dell’ istrumento si sono usate tutte le pre-
cauzioni dall’ Autore stesso suggerite , ed ecco con quale
processo.
Esposto il pireliometro all’ ombra .presso il luogo di os-
servazione (all’ altezza di 1 75 circa dal suolo del ter-
razzo) e diretto verso la parte di cielo piu vicina al sole,
sempre tenendolo agitato acciò il liquido presto si mettesse
ad una temperatura uniforme , si osservava ad ogni minuto
il raffreddamento o riscaldamento che esso subiva : alla fine
del quinto, minuto coperto da un ombrello si poneva al
sole, e al principio del sesto, levato P ombrello e dispo-
stolo immantinenti a ricevere perpendicolari i raggi del
sole , si osservava per cinque minuti P aumento di tempe-
ratura che avveniva ad ogni minuto : poscia , ritirandolo
all’ ombra alla posizione di prima , scorso un minuto , per
altri cinque si notava il raffreddamento che pativa in cia-
scuno di essi. Se si chiama r il raffreddamento o riscalda-
mento totale dei primi cinque minuti, r il raffreddamento
sofferto negli ultimi , g l’innalzamento osservato nei cinque
minuti in cui ricevè i raggi diretti del Sole, la vera ele-
vazione di temperatura t per effetto del calore solare nel
Sull5 Irraggiamento Solare
157
tempo* suddetto, sarà determinata dalla formola
Il valore di t desunto da questa è sufficiente a far co-
noscere 3a quantità relativa di calore solare assorbito : ma
se si volesse determinare la quantità assoluta , che in un
minuto cade sopra un centimetro quadrato , cioè nell’ unità .
di tempo e sull5 unità di superficie , il precedente valore
di t devesi moltiplicare per un coefficiente , il quale viene
determinato nel modo seguente. Sia d il diametro del vaso
in centimetri 3 p il peso espresso in grammi dell5 acqua
contenuta nel recipiente , p il peso del vaso e della parte
di termometro entro esso immersa ridotto ad un calore
specifico uguale all5 unità, è manifesto che la elevazione
di temperatura osservata è l5 effetto prodotto da una quan-
tità di calorico
Hp+p')
« . nd*
la quale cadendo in cinque minuti sopra una superficie -j- ,
ogni unità di superficie durante un minuto riceverà una
quantità di calorico espressa da
* (p-*-p) t
5 nd* '
Determinate le quantità suddette colla maggiore accura-
tezza e precisione possibile , il coefficiente cercato risultò
0,4022.
Prendendo pertanto il medio delle elevazioni di tempe-
ratura osservate al pireliometro presso al mezzodì e date
più innanzi allo Specchio I , e moltiplicandolo per tal coef-
ficiente si trova che nel meriggio sull5 unità di superficie
158
Giulio Casoni
e nell’ unità di tempo cade una quantità di calore espres-
sa da 1°,31 . Del pari coi dati dello specchio V , se fossero
più numerosi , si troverebbe la quantità media di calore
che si riceve ad ogni unità di tempo nelle ore in cui il
sole sta sull* orizzonte.
Sono questi ultimi dati che specialmente interessano al-
F agronomo; ma 3 qui non si possono avere che approssi-
mativi, stante lo scarso numero delle osservazioni. Li ab-
biamo accennati , perchè fin d’ ora si possa formare un
qualche criterio sull’ effetto di cui è capace nel nostro cli-
ma il calore irraggiato del sole. E ciò tanto più perchè
questo calore è molto diverso in luoghi , pei quali la po-
sizione geografica od altri motivi farebbero indurre doves-
s’ essere uguale. Si trova infatti , che di due climi , dei
quali la temperatura media atmosferica sia diversa , quello
in cui quest’ ultima è minore , riceve dal calore solare un
supplemento maggiore ; sicché , riguardo alla vegetazione ,
i due climi stessi potrebbero cionostante essere uguali , od
anche essere più caldo quello in cui la media temperatura
atmosferica è minore. Ma V ufficio della Meteorologia è com-
piuto quando ha somministrato gli elementi dati dall’ os-
servazione : spetta all’ Agronomia il determinare il valore
assoluto del calore solare nei casi particolari , tenendo conto
di tutte le altre circostanze che hanno su ciò influenza ,
come natura del suolo , colore , figura e capacità pel calo-
rico delle piante, ed altre molte che qui non giova menzio-
nare. Pertanto ci occuperemo piuttosto di determinare la
variazione annua e diurna dell’ irraggiamento solare , e la
parte di calore che viene assorbita dall’ atmosfera.
VARIAZIONE ANNUA.
Le osservazioni fatte allo scopo di determinare la varia-
zione annua, si sono fatte sempre circa a mezzodì ^ e solo
in quei giorni nei quali lo stato atmosferico si trovava, al-
meno apparentemente, nelle circostanze favorevoli necessa-
rie a questa specie di ricerche. Si sono rigettate quelle
Sull5 Irraggiamento Sòlare 159
osservazioni , nelle quali l’ anormalità dei risultati era evi-
dente ed assicurava, che nebbie trasparenti ed invisibili
rendevano impura 1* atmosfera e toglievano perciò fiducia
ai risultati medesimi. Per questa ragione, e per l’altra su-
periormente riferita , che cioè il termometro dell’ istrumén-
to dava indicazione soltanto di temperature troppo eleva-
te,^ il numero delle osservazioni in questo riguardo sono
rimaste molto al disotto di quello che si sarebbe deside-
rato, Ciò non ostante si sono poste in ispecchio , mettendo
alla prima colonna la data , alla seconda 1’ ora dell’ osserva-
zione in tempo medio , ed alla terza 1’ elevazione di tem-
peratura osservata durante i cinque minuti in cui si tenne
il pireliometro esposto ai raggi diretti e perpendicolari del
sole dedotta dalla formola (d). Alla quarta colonna si è po-
sta la declinazione del sole , ed alla quinta alcuna indica-
zione sullo stato del cielo , atta a spiegare le lievi anormalità
che si riscontrano in alcune delle elevazioni suddette.
t
160
Giulio Casoni
Essendo insufficiente il numero delle osservazioni , non
estendendosi nemmeno all’intero corso di un anno, nulla può
concludersi da queste sulla variazione annua. Però , la causa
principale di questa variazione essendo 1’ altezza orizzon-
tale del sole , la quale varia nelle epoche dell’ anno colla
sua declinazione , per farsi un’ idea approssimativa della
legge che segue , in Luglio ed Agosto si fecero parecchie
osservazioni ad altezze diverse del sole sull’ orizzonte , le
quali disposte in ordine crescente delle altezze medesime
calcolate colle formole ordinarie, formano lo specchio se-
guente
Osservando questo specchio , si fa palese che le indica-
zioni del pireliometro non sono sempre in accordo colle
corrispondenti altezze verticali del sole , come è facile a
prevedersi d’ altronde, riflettendo allo stato sempre diverso
Dell’ Irraggiamento Solare
161
in cui si trova P atmosfera , non pure in giorni diversi ,
ma eziandio durante un medesimo giorno. Però raggrup-
pando assieme le prime quattro osservazioni , le altre a cin-
que a cinque, e prendendo il medio sia delle altezze ver-
ticali calcolate del sole , sia delle elevazioni di temperatura
osservate , il rapporto delle une e delle altre diviene allora
abbastanza uniforme. Di più , calcolando la grossezza e del-
l5 atmosfera attraversata dai raggi calorifici solari corrispon-
dentemente alle altezze medie del sole mediante la formola
di Laplace
rifrazione
5 8", 3 6 X sen . dist. zenit.
si forma lo specchio seguente :
specchio ili.
Altezza del
Sole
Elevazione di
temperatura
Grossezza
atmosferica
15.#42'
2/ 05
3, 656
29. 42
2, 47
2, 010
37. 55
2, 89
1, 625
45. 12
3, 11
1, 408
51. 50
3, 19
1, 270
53. 29
3, 21
1, 241
63. 33
3, 27
1, 135
Assumendo per esatta la formola di Bouguer, per la
quale P intensità della luce e del calorico , che attraversano
strati diversi dell’ atmosfera , varia come P ordinata di una
logaritmica , le ascisse della quale sono le grossezze e degli
strati medesimi , si avrebbe
(b) t = ap
dove a e p sono due costanti da determinarsi coll’ esperienza.
r ai
162
Giulio Casoni
Il che , ove sia fatto esattamente , rende manifesto , che
ponendo e = 0 , si ha t = a , e sarebbe questa la tempe-
ratura che indicherebbe il pireliometro se venisse traspor-
tato all9 estremità superiore dell5 atmosfera : e se si faces-
se e = 1 , risulterebbe t — ap , e sarebbe questa la tempe-
ratura segnata dallo strumento quando il calore solare aves-
se traversato l5 atmosfera lungo la verticale. In conseguen-
za p esprime il rapporto delle due temperature suddette ,
e quindi 1 — p la parte di calore solare assorbito dall’ a-
tmosfera.
A determinare pertanto le due costanti a e p , nella equa-
zione
lùg t = log a + e log p
si sono posti successivamente per t e per e i valori corri-
spondenti dati dallo Specchio III , e si sono ottenute così
sette equazioni, le quali combinate a due a due sommi-
nistrano ventuno valori per ciascuna costante , il medio dei
quali risulta
p = 0,7872 a = 4,0825.
Sostituendo questi valori nella formola di Bouguer , e po-
nendo per e i valori corrispondenti, si è calcolata la tem-
peratura , la quale si trova in sufficiente accordo colla os-
servata, come può rilevarsi dallo specchio seguente.
SPECCHIO IV.
Altezza del Sole
Grossezza
atmosferica
Elevazione di temperatura
Differenza
osservata
calcolata
15.° 42'
3,656
2, "05
1,°70
— 0,°35
29. 42
2,010
2, 47
2,41
0, 06
37. 55
1,625
2, 89
2, 77
0, 12
45. 12
1,408
3,11
2,91
0, 20
51. 50
1,270
3, 19
3,01
0, 18
53. 29
1,241
3, 21
3, 03
0, 18
63. 33
1,135
3, 27
3, 11
0, 16
Sull5 Irraggiamento Solare 163
Ma assumendo per a e per p i valori medii determinati
come vedremo in appresso, si trova fra la temperatura os-
servata e la calcolata una differenza, che in medio non
tocca il decimo di grado centesimale.
VARIAZIONE DIURNA
Al fine di determinare la variazione diurna, nei giorni
e per l5 intervallo di tempo in cui lo stato atmosferico per-
durò nelle circostanze opportune, si fecero osservazioni di
ora in ora , e rigettando quelle serie sulle quali la irrego-
larità delle temperature , osservate assicurava , che nebbie
trasparenti od invisibili aveano modificato lo stato atmo-
sferico e tolto fiducia ai risultati , si sono trovate le serie
che si sono disposte nello Specchio V qui appresso riferito.
164
Giulio Casoni
Sull9 Irraggiamento Solare
165
I valori di p e di a per ciascun giorno si sono deter-
minati combinando al solito a due a due le equazioni che
si formavano sostituendo nella formola (b) in luogo di t
la elevazione di temperatura osservata , e per e la grossez-
za atmosferica corrispondente , e si sono rifiutati , come ha
fatto anche il Quetelet , i valori trovati dalle combinazioni
delle equazioni in cui t era V elevazione di temperatura
osservata o molto vicino a mezzo giorno , o molto vicino
all’ orizzonte , e ciò perchè sono resi troppo eccezionali i
valori medesimi , avvertendo però che di essi al più se ne
sono rifiutati due in una stessa serie. Prendendo il medio
dei valori trovati per ciascun giorno , si trova che quello
di a varia pochissimo da serie a ’serie , ma non così quello
di p. Infatti per p si è trovato
6 Luglio
26 Luglio
20 Agosto
26 Agosto
27 Agosto
/? = 0,8931
p= 0,6541
p = 0,8714
p = 0,7909
p = 0,8450
Si vede pertanto che a rimane indipendente dallo stato
atmosferico, mentre da esso dipende la p : ed essendo a
la quantità di calore solare incidente nell* atmosfera al suo
limite superiore , il Pouillet la chiama costante solare , in
quanto che rappresenta k costante potenza calorifica del
sole , mentre p la denomina costante atmosferica , dovendo
essa per conseguenza variare allora appunto che varia od
il luogo od il tempo di osservazione , e per ciò stesso lo
stato atmosferico.
Sostituendo nella formola di Bouguer per le due co-
stanti i valori medii trovati per ciascun giorno, e calcolando
le temperature corrispondenti alle diverse ore e grossezze
atmosferiche ^ si ottengono i risultati posti alla terza colon-
na dello Specchio V , dal quale in conseguenza si può ri-
levare la differenza che corre fra k temperatura osservata
e la calcolata.
Ma adottando per a il valore che si deduce dal medio
166
Giulio Casoni
dei corrispondenti a ciascun giorno e del medio trovato
colle sette equazioni fornite dallo Specchio III , che si trova
essere
*== 4,1665
e tenendolo , come dev5 essere , costante per ogni serie di
osservazioni , si è cercato quali sono i valori di p che ma-
glio soddisfano alla forinola che dà la temperatura, e si
è trovato che per la serie dello Specchio III soddisfa
p = 0,7991
e per le serie delle osservazioni orarie nei diversi giorni ,
soddisfano i valori notati^ nella tabella seguente :
6 Luglio
26 Luglio
20 Agosto
26 Agosto
27 Agosto
p = 0,8375
p ss 0,7150
p = 0,7150
p = 0,8325
p = 0,8735
Con tali valori calcolate le temperature, si trovano in
maggiore concordanza colle osservate nelle serie orarie , e
soddisfacentissime poi nelle medie dello Specchio III, co-
me si può rilevare dai quadri seguenti.
Altezza del Sole
Elevazione di temperatura
Differenza
osservata
calcolata
15.°42'
2,°05
1,°83
— 0,°22
29. 42
2, 47
2, 64
h- 0, 17
37. 15
2, 89
2, 90
-t- 0, 01
45. 12
3, 11
3, 04
— 0, 07
51. 50
3, 19
3, 13
— 0, 06
53. 29
3, 21
3, 15
— 0, 06
63. 33
3, 27
3, 23
— 0, 04
Sull’ Irraggiamento Solare
167
SPÈCCHIO VII.
Dopo ciò, egli è manifesto con qual grado di approssi-
mazione può stabilirsi che pel nostro Osservatorio, posto
alla latitudine Nord di 44.° 29'. 54", col piano di osser-
vazione ad un’ altezza circa di 92OT sul livello dell’ Adria-
tico , e di 39** circa sul livello del suolo , il valore della
costante solare sia
/== 4,1656
ed il valore della costante atmosferica , deducendolo dal
medio dei sei qui sopra citati, sia
p = 0,8090
il quale è compreso fra i limiti 0,7150 e 0,8735.
Per chi amasse un qualche confronto fra i valori della
costante atmosferica trovati da alcuni osservatori in luoghi
di latitudine diversa , può farlo sui riferiti nella seguente
tabella.
168
Giulio Casoni
Forbes (in Isvizzera) p = 0,685
Bouguer jp = 0,8123
Quetelet (Brusselle) p = 0,66
Lambert p = 0,5889
Lesile p = 0,7500
Pouillet (Parigi) p = 0,7590
La perdita che patisce il calore solare attraversando Y at-
mosfera lungo la direzione della verticale , essendo espressa
da 1 — p , questa, assumendo per p il valor medio già
determinato più sopra, si trova essere
0,191
da cui risulta che diecinove centesimi , o circa il quinto
del calore irraggiato dal sole non giunge alla superficie
terrestre , ma viene assorbito dall5 atmosfera. La quantità
di questo assorbimento determinata da autorevoli osserva-
tori, si fa nota pei dati qui sottonotati.
Secchi (Roma) 0,272
Forbes (Svizzera) 0,315
Bouguer . . 0,188
Quetelet (Brusselle) 0,34
Leslie 0,250
Pouillet (Parigi) da 0, 21 a 0,27
Come si vede la quantità trovata pel nostro Osservatorio
è fra le inferiori; ma è da considerarsi la rilevante altezza
sul livello del mare alla quale siamo posti , e di più che
le osservazioni furono fatte ad un5 altezza di 39 metri circa
dal suolo, le quali circostanze unite alla purezza della no-
stra atmosfera spiegano l5 inferiorità del valore trovato e
fanno conoscere , come il nostro clima sia per questo rap-
porto assai favorevole alla vegetazione, risentendo più lar-
ga copia dell5 azione del calore solare , che è la principal
cagione di vita nelle piante e di ubertosità nel suolo.
Quando poi queste osservazioni fatte ovunque con me-
todi uniformi , e quindi con risultati comparabili fra loro ,
Sull’Irraggiamento Solare 169
saranno copiose e fatte in molti luoghi a latitudini mol-
to diverse , allora si potrà intraprendere con profitto lo
studio delle leggi secondo le quali alla superficie terrè-
stre varia la intensità del calore irraggiato dal sole al va-
riare della distanza dall5 equatore. È già da un pezzo che
il sig. Danieli pose per dimostrato che « la forza calorifica
» dei raggi diretti del sole diminuisce avvicinandosi al-
» 1’ equatore ». Ma essendosi fondato sopra osservazioni fatte
in circostanze diversissime, e perciò fra loro incomparabi-
li , dava troppa ragione all5 Arago di contraddirlo. Per ora
non si può che presentare i risultati dell5 osservazione , uni-
forme ed esatta, e su questi , quando saranno sufficienti ,
si dovrà fondare questa specie di studii importantissimi
per la Meteorologia e per tutte quelle scienze , che da essa
ritraggono utile sussidio e profittevole vantaggio. I risultati
non sono che i primi dedotti da un breve corso di osser-
vazioni , che come dicemmo fin da principio , si danno al
pubblico per non privarlo di quel frutto di cui sono fe-
condi : non è pertanto a meravigliare se non ci siamo ora
occupati di quelle più minute ricerche utilissime, che han-
no già formato soggetto di studio al Saussure , Melloni , Sec-
chi , Volpicelli ed altri : esse potranno essere prese ad esame
nelle osservazioni posteriori che in seguito regolarmente si
faranno in questo Osservatorio.
T. I.
22
DI ALCUNI PARTICOLARI
INTORNO
LE PARTI GENITALI MULIEBRI
DEL PROF. CAV. LUIGI CALORI
(Letta nella Sessione dei 14 Novembre 1861.)
Nella occasione di un novello caso di duplicità utero-va-
ginale congenita io ho divisato d’ intrattenervi, o Signori ,
intorno a’ vari punti disputabili risguardanti le parti geni-
tali muliebri sì nello stato anormale come nello stato nor-
male ; ed in cosiffatto divisamente son io venuto dietro la
lettura di opere e moderne e antiche, e dietro osservazio-
ni mie proprie. Conciossiachè queste non convenendo colle
sentenze che a quelle consegnarono gli autori loro, hanno
con tutta efficacia operato che io a cotale trattazione mi
determinassi . Molteplici sono le materie che discorrerò ,
non pertanto possono a cinque capi ridursi, e il primo
tratterà dello imene ne’ casi di congenita vagina doppia
completa , il secondo dello imene perpendicolare , il terzo
della genesi delle caruncole mirtiformi , il quarto di quella
delle varie specie di congenita duplicità vaginale ; il quinto
in fine consisterà nel considerare, se veramente 1’ utero bi-
1 oculare e il bicorne tornino per le più volte tanto esiziali
alle gravide, alle partorienti ed alle puerpere. I quali tutti
argomenti sono , com’ è chiaro , più o meno collegati col
caso suddetto, ed io, se non tutti , sì certamente il mag-
172
Luigi Calori
gior, numero ragionerò a mano a mano che nella descrizio-
ne di quello cadrà in accóncio di parlar delle parti sulle
quali essi vertono.
ARTICOLO I.
DelV imene ne9 casi di congenita duplicità completa
della vagina.
Il Chiarissimo Professore Giuseppe Hyrtl in due luoghi
delle sue opere anatomiche parlando dello imene nella du-
plicità congenita della vagina ha sentenziato così = Nella
vagina doppia congenita , sono sue parole , 1’ imene non è
doppio ( come riferisce 1’ Huschke ) , ma difetta in amendue
le vagine (1) = ed altrove = Sotto rapporto forense può
essere necessario sapere che in caso di congenita vagina
doppia manca sempremai 1’ imene (2) = Ei non ci ha
dubbio che questo assoluto sentenziare dell’ Hyrtl non cada
sulla congenita vagina doppia completa ; perocché nella in-
completa, o per dir più esatto quando il setto bipartente
la vagina non ne aggiunga all1 2 3 4 5 adito, ognuno sa che l’ime-
ne, da qualche caso infuori, esiste. Ma avanti lui Gallisen
ed Eisenmann (3), G. F. Meckel (4), 1’ Huschke suddet-
to (5) , Rokitanski (6) ec. avevano posto che nella conge-
nita duplicità completa della vagina non solo ci avesse
(1) Manuale di Anat. umana ec. di^ G. Hyrtl ec. prima traduzione italiana
di Pietro Guarinoni Vienna 1854 pag. 516 (Vedi la nota).
(2) Manuale di Anat. topografica di G. Hyrtl prima traduzione italiana di
F. Roncati Milano 1868 Tom. 1. pag. 95.
(3) Citati da Àlph. Velpeau nel suo Traité compiei de P art des accouche-
mens Bruxelles 1835 pag. 95.
(4) Manuale di Anat. gener. descrit. e patol. del corpo umano ec. versione
di G. B. Caimi con note. Milano 1826 Tom. IV pag. 533.
(5) Encyclopedie anat. Tom. V. Traité de Splanchnologie ec. trad. del’ al-
lemand par A. I. L. Jourdan Paris 1845 pag. 473 (Vedi la nota).
‘(6) Trattato completo di Anat. patologica ec. prima traduzione italiana dei
DD. Richetti e Fano Venezia 1853 Tom. III. pag. 618 — 635 — Anche lo
Scanzoni nel suo recentissimo Traité pratique des maladies des organes sexuels
de la femme ec. traduit de P allemand et annoté sons Ies yeux de P auteur
par les D. H. Doret et A. Socin Paris 1858 pag. 422, ha posta la dupli-
cità dello imene in cotali casi.
Delle parti genitali muliebri 173
V imene, ma che per soprappiù fosse doppio. La questione
non è men bella che importante , ed io mi farò a risolverla
giovato dal novello caso di cotale duplicità superiormente
menzionato.
E innanzi tratto dirò che varie sono le specie di dupli-
cità vaginale congenita , e che a due riduconle gli Autori ,
P una prodotta da un setto perpendicolare medio od obli-
quo a direzione longitudinale , P altra da un setto trasverso ,
cosi che si hanno o due vagine V una a lato dell’ altra , o
due vagine soprapposte (1). Di ambedue le specie terrò
proposito in questa scrittura, massimamente nella trattazione
della loro genesi. Intanto comincerò dal caso pertinente alla
prima specie , il quale complicavasi coll’ essere P utero al-
tresì doppio , o biloculare; complicanza solita ad accompa-
gnare cotale duplicità.
Questo caso mi fu offerto da certa Adelaide Marzigoni
bolognese fanciulla di 13 anni compiuti , ancora impubere ,
ben conformata e robusta , la quale coadiuvava , per quanto
la sua età il comportasse , nel mestiere di lavandai i suoi
genitori non meno sani e robusti di lei. Fino al Novembre
del 1860 non aveva mai sofferte malattie, quando infer-
mava di acuta pericarditide , ed entrava lo spedale della
vita per esserne risanata , ma indarno ; chè P estremo fato
coglievaia nel Gennaio del 1861. La Necroscopia confer-
mava la diagnosi , e in ~inr medesimo discopriva la suddetta
duplicità , la quale venuta a contezza dell’ Illustre Collega
Cav. Prof. F. Rizzoli , ordinava egli che la mi fosse tosto
recata , acciocché là esaminassi.
Non appena P ebbi ricevuta che mio primo pensiere fu
di osservare il pudendo per conoscere quale delle due sur-
riferite opinioni intorno P imene si verificasse. Ma quanta
non fu la mia sorpresa in vedere che nè P assoluta sen-
tenza dell’ Hyrtl , nè le asserzioni degli altri nominati au-
tori si accordavano col fatto che io aveva davanti? Non
(!) Isid. Geoffroy Samt-Hilaire ec. Hist. géner. et partic. des anoraalies de
V organisation etc. Tom. prem. Paris 1832 pag. 552-53.
174
Luigi Calori
mancava F imene , ed essendovi , non era doppio , ma unico
e comune a ciascun orifizio delle vagine , conforme si av-
visa in a Fig. 1. Tav. 1. Era desso circolare od anulare,
e piuttosto robusto^ cosperso di papillette nella faccia ester-
na della sua parte posteriore o più larga , ove sulla linea
media offeriva pure una specie di rafe , particolarità che ho
non di rado veduta anche in imeni di altre zitelle , e spessis-
simo , se non sempre , in quelli de5 feti e delle neonate.
Colla sua parte più stretta o colle sue corna poi attenevasi
alla parete esterna dell’ adito delle due vagine ed ascen-
deva recandosi in avanti, e terminava ai lati della circon-
ferenza inferiore dell5 orifizio dell5 uretra. Sotto questo ori-
fizio cominciava il setto i , che discendeva bipartendo l5 in-
gresso vaginale , e giunto alla faccia interna della parte po-
steriore dell5 imene allargavasi e con lui si univa , precisa-
mente come in quella varietà che appellano imene perpen-
dicolare e che ha valsa all5 imene in genere la denomina-
zione di colonna verginea , varietà indicata da Vaisalva e
descritta da Morgagni, da Smellie e da altri ^ e di cui nel
Museo che ho l5 onore di dirigere , conservo un magnifico
esemplare. Oltre le connessioni col setto , altre pur con-
traevano l5 imene colle pieghe finitime della mucosa della
vagina , che per la maggior parte erano longitudinali e pic-
cole , ed estendevansi sulla faccia interna di lui , nella quale
poco o punto appariva di reticolato. Della sua struttura
non dirò siccome quella che non presentava niente di no-
tabile. -
La narrata osservazione dimostra che nulla di assoluto
può stabilirsi rispetto allo imene ne5 casi di congenita va-
gina doppia completa. Mancherà talvolta l5 imene, ma fare
di questa mancanza una legge, conforme vorrebbero le as-
severazioni dell5 Hyrtl, non può di verun modo concedersi,
ed aggiugnerò che talvolta concedergliela è larga concessio-
ne, sendo che la mancanza dell5 imene è oltre dire raris-
sima , come ne fanno fede le statistiche , e quella special-
mente di Devergie , il quale ha posto l5 imene una volta
sola mancare in 1000 casi. Si avrà talaltra un imene dop-
pio, ma che così debba essere sempre, secondo che le con-
Delle parti genitali muliebri 175
cordi sentenze degli autori succitati farebbonlo presuppor-
re, neppur ciò è ammissibile. In altri casi, come nel ri-
ferito, vi sarà un imene unico comune a ciascun orifizio
vaginale. E poiché è manifesto non amar la natura quel-
P assoluto cui da taluno vorrebbesi astretta, non sarebbe
opinione senza fondamanto il credere che essendovi P ime-
ne possa assumere le svariate forme che. esso presenta nel-
lo stato ordinario o normale della vagina, ed essere non
solo anulare o circolare , ma e quando semicircolare o se-
milunare , quando cribroso , quando imperforato. La bontà
della congettura è così evidente, che nessuno vorrà oppor-
sele. D’ altra parte P imene doppio è come a dire un pas-
saggio all’ imene cribroso , e P imperforato si è veduto
talvolta nella ‘ congenita vagina doppia.
ARTICOLO II.
Dello imene perpendicolare e della formazione
dello imene .
Fra le noverate varietà d’ imene che possono per avven-
tura consociarsi colla congenita vagina doppia completa , io
non ho compresa la perpendicolare siccome quella che s’ im-
medesima , secondochè io avviso , coll’ anomalia di essa va-
gina doppia , e può aversene in conto di un vestigio. E
per verità nell’ esempio addotto (pag. 174) e negli altri de-
scritti dagli autori esisteva un imene membranose, alla cui
faccia interna connettevasi semplicemente la colonna o cor-
done che rendeva doppio P adito vaginale. Non era dunque
P imene che si componesse e conformasse nel detto cordo-
ne , ma questo era una parte avventizia che ad un punto
dello imene aderiva e che aveva attenenze con Ini in gra-
zia solo di tale aderimento. Ma se ciò che ha dato motivo
di stabilire P imene perpendicolare non è pertinenza dello
imene , bensì di altra parte , segue che a questa , e non
a lui debba attribuirsi P anomalia. Osservando il citato
esempio , e consultando le descrizioni che leggonsi di altri
consimili , rilevasi che quel cordone è producimento e con-
176
Luigi Calori
giunzione anomala delle due colonne longitudinali medie
anteriore e posteriore della vagina. Ma queste colonne sono
i principii donde muove il setto che divide la vagina in
due canali, del quale setto il cordone medesimo vuoisi
/come parte anteriore od inferiore considerare. Quindi è che
un imene perpendicolare , tale almeno quale io stesso l’ ho
veduto e trovato descritto dagli autori , non può ammet-
tersi , non essendo parte integrale di lui quella che lo co-
stituisce : onde dovrebbesi levarlo dal novero delle varietà
dello imene, e restituire P anomalia alla parte cui spetta
di proprio , facendone un primo grado della congenita va-
gina doppia per un setto perpendicolare.
Ma qui alcuno potrebbe obbiettare che P imene non è
parte indipendente da quelle colonne , ma una dilatazione
o produzione della loro base , un prolungamento delle loro
pieghe, la piega loro maggiore e più ima; conciossiachè la
base di esse colonne si biforca in due branche o code che
dilatansi e conformami nella duplicatura imenale, donde forse
la forma arcuata o semilunare di lei. Questa opinione che
fu già di alcuni anatomici antichi, secondo che si legge ne-
gli Adversaria di Morgagni (1) e che qualche moderno, Vi-
rey (2) ed Huschke (3) in ispeeie, ha riposta in onore ,
costituisce un5 obbiezione più presto speciosa che vera. E
di fatto le colonne suddette non sempre attingono P imene ,
massimamente l’anteriore, come Morgagni pel primo notò (4))
e altri ed io stesso ho verificato. Vidi una volta questa
colonna anteriore più sviluppata verso P utero che verso
P orifizio vaginale, e avanti di giugnere sotto P apice del
meato orinario, ove suole terminare ed avere la sua base,
dilatarsi e scomparire. La colonna posteriore era debole, e
s’ inseriva nel mezzo della faccia interna dello imene me-
diante una piega che aveva sembianza di frenulo, e che
(1) Adversaria Anatomica IV animad. XXIII.
(2) Journal eomplem. dn Dictionaire des sciènces mèdie. 1821. Tom. IX
Pa^3flb'd — aDCOra ^azelte méd»c* de Paris an. 1840 pag. 400.
(4) Ibid*.
Delle parti genitali muliebri 177
con altre che pur le si inserivano , davale il solito aspetto
reticolato. Le corna dello imene, quantunque gracili, pote-
vansi non pertanto seguire fino ai lati dell* orifizio dell’ u-
retra , e continuavansi più presto colla mucosa del vesti-
bolo che della vagina. In altri casi la colonna posteriore ,
sempre men grande e ragguardevole del? anteriore , è così
poco apparente da appena scernersi ; anzi direi che talvolta
manca, ed in suo luogo trovansi delle pieghe trasverse e
longitudinali molto rilevate che prolungansi sui lati della
parte più larga dello imene ; e sì che questa colonna cor-
risponde alla detta parte più larga. Le colonne poi non
sempre biforcansi , ma non è raro che elle terminino, co-
me molti hanno osservato , in un tubercolo , il quale è sem-
pre meno sviluppato nella posteriore che nella anteriore, ove
talvolta assai lussureggia ed allungasi a somiglianza di grossa
papilla dal cui lato posteriore ho veduto partire un pro-
cesso falcato lungo due centimetri inserito colla sua base
nella colonna medesima. Ma biforcandosi , le branche o code
della biforcazione, se d5 ordinario si continuano coll’ imene,
qualche volta però non si continuano che con pieghe va-
ginali poste subito dietro di lui, e ciò ha luogo massi-
mamente quando la biforcazione si opera molto addietro
verso 1* utero , e si ha 1’ apparenza di molteplici colon-
ne longitudinali medie ; nel quale caso Morgagni pure non
potè seguirle fino allo imene : senza che le branche della
colonna anteriore terminano non di rado all’ orlo inferiore
dell5 orifizio uretrale dilatandosi sotto questo orifizio come in
due caruncole. Ora con tanta varietà di disposizione, con
tanta incostanza della più favorevole a sostegno della ipo-
tesi in esame, chi potrà considerare V imene una dilatazione,
un prolungamento , od un producimento della base bifor-
cata delle colonne longitudinali medie della vagina? Certo
che guardando ben addentro alle cose non può vedersi nella
connessione di queste colonne con lui che una continuità
di parti senza dipendenza di origine dell5 una dalle altre ,
continuità simile a quella che l5 imene stesso ha colla re-
stante mucosa che soppanna la cavità della vagina, simile
a quella che esso ha colla mucosa delle ninfe, del vesti-
178
Luigi Calori
bolo , col tegumento della fossetta navicolare , e della su-
perficie interna delle grandi labbra. Come F imene non di-
rebbesi dilatazione , prolungamento o producimento delle
parti testé divisate per ciò che con esse loro è continuo,
per la medesima ragione non può dirsi che lo sia di quelle
colonne; e che noi pòssa dirsi, lo prova altresì il modo
di sua formazione. Nel feto di poco più di quattro mesi
consiste, secondo Meckel (1), in due rilievi o piegoline
laterali , che dirigonsi dallo indietro in avanti , e sono affat-
to separate sulla linea media lasciando un vano o fessura
tra loro a somiglianza del rudimento imenoide che occorre
nellé femmine di non pochi mammiferi ; vano o fessura di
cui può rimanere un vestigio anche a sviluppo completo
come pur lo dimostra la bella Figura che ne ha data del-
F imene il Santorini (2) e come io stesso ho qualche
volta veduto in zitelle , e spessissimo in feti feminini set-
timestri ed ottimestri, ne’ quali quel vestigio si presenta
sotto forma di una incisura obliqua del detto margine ( Vedi
le Fig. 5-8, Tav. 3.). Cotali rilievi o pieghe hanno da prin-
cipio una uniforme larghezza , ma appresso si vanno via via
allargando di più nella loro parte od estremità posteriore
con cui venute a contatto sulla linea media riunisconsi , e
compongono la parte più larga dello imene; e per riunirsi
sembra che una estremità un po’ all’ altra soprappongasi ,
e nel punto di unione ha luogo la specie di rafe su-
periormente indicata , apparentissima ne’ feti della sud-
detta età* massime nella feccia esterna di essa parte più
larga. Il quale procedimento, quando F imene si prolungasse
dalle colonne longitudinali medie della vagina, dovrebbe
essere inverso , cioè F imene o que’ rilievi o piegoline che
dapprima lo formano, dovrebbero muovere dalla base delle
colonne ed essere fin dalla origine riunite , massime poste-
riormente, servendo di mezzo di unione F estremità infe-
riore o base della colonna posteriore ; in altri termini lo
(1) Op. cit. Tom. cit. pag. 510.
(2) Septemdecim Tabnlae eie. Parmae CD- IDOD- LXXV Tab. XVII.
Delle parti genitali muliebri
179
sviluppo loro non dovrebbe effettuarsi dalla periferia al
centro , ma dal centro alla periferia non altrimenti di quel-
lo delle rughe o pieghe trasverse delle colonne longitudi-
nali medie , le quali pieghe cominciano dai lati di esse
colonne e insiem con altre oblique estendonsi sulla circon-
ferenza interna della vagina. Ma ciò che pone il suggello
che Y imene non procede dalla base biforcata delle colon-
ne, è che esso può esistere abbastanza sviluppato senza
un corrispondente sviluppo delle colonne medesime, anzi
senza che queste appajano , come lo dimostrano le parti
genitali di un feto feminino quadrimestre rappresentate
dalla Fig. 4. Tav. 3. Per le quali tutte cose è più che mai
chiara e provata la vanità della obbiezione surriferita; il
perchè resta fermo quanto stabilii intorno 1* imene perpen-
dicolare , che esso non è varietà dello imene , ma anomalia
delle colonne prefate aggiunta alle ordinarie forme di quello.
ARTICOLO III.
Delle caruncole mirtiformi.
Contemplando la Fig. 1 . Tav. 1 . occorrono subito dietro
le corna dello imene al lato esterno dì ciascuna vagina i
tubercoli o creste d, le quali hanno sembianza di carun-
cole mirtiformi. Cosiffatta particolarità non è solo di questo
caso di congenita vagina doppia, ma altresì di quelli ge-
neralmente in cui la vagina è semplice , essendomisi offerta
tutte le volte che ho avuta occasione di esaminare parti
genitali di donne vergini. Aperte longitudinalmente le due
vagine a lati del setto ^ conforme rappresenta la Fig. 2.
Tav. 2, troviamo che quelle creste d , vengono costituite
da una grossa piega della mucosa vaginale, piega ripiegata
come a ferro da cavallo , che con una estremità congiugnesi
col setto bipartente la vagina , e ne’ casi ordinari colla base
della sua colonna longitudinale media anteriore, e non di
rado con una piega longitudinale laterale , che ho trovata
sviluppatissima ne’ feti settimestri, ottimestri ec., ne’ quali
prolungasi molto in addietro , e rassembra una vera colonna
180
Luigi Calori
laterale , ehe dopo la nascita a mano a mano che progre-
disce r età , si fa più breve e men rilevata ^ e quasi af-
fetto scompare , non lasciando di se che un vestigio rap-
presentato da pieghe , una delle quali sembra essere questa
che descrivo: coll9 altra estremità poi congiugnesi colla faccia
interna della parte anteriore del corrispondente corno dello
imene, connessione frequentissima, ma non costante. Cotale
piega si complica con altre minori che le si aggiungono e
nel concavo e nel convesso de9 suoi margini , ed è più gros-
sa e rilevata e soda e come carnosa nel sommo del suo ar-
co, e con quello più che con altra parte sporge e si mo-
stra a traverso gli orifizi delle vagine. Questa osservazione
a vero dire non nuova , perciocché Schrader e Deidier n9 eb-
bero fatta lungo tempo innanzi una consimile , secondo che
leggesi negli Elementi di Fisiologia di A. Haller (1), pro-
verebbe, che e caruncole mirtiformi ed imene possono esi-
stere ad un tempo, ovvero che esse non tutte vengono
generate dai lembi del rotto imene; e ne gioverebbe in
oltre a spiegare il loro volume generalmente maggiore a
proporzione della picciolezza della parte che è l9 imene,
ma sopratutto il fetto che il più delle volte si verifica, di
essere le caruncole più voluminose ove l9 imene è più stretto
come ai lati della vagina , e meno , ov* è più largo , anzi
nella parte posteriore di rado occorrerne, conforme aveva
già notato lo stesso Haller (2). Veggo bene che ciò con-
traddice l9 opinione dominante la quale pone le caruncole
mirtiformi altro non essere che reliquie dello squarciato
imene , e che questo non ^squarciandosi , ma a poco a poco
consumandosi ed affatto struggendosi , come in certi casi , a
quelle vengano meno gli argomenti per formarsi; concios-
siachè i lembi ne9 quali l9 imene si è dissoluto col rom-
persi , son ellino veramente che perduta , anche in breve ,
ogni traccia di cicatrice , convertonsi in caruncole , le quali
perciò tengono la medesima linea della primitiva inserzione
(1) Liber XXVI II § XXVIII.
(2) Ibid.
Delle parti genitali muliebri
181
dello imene (1). Ma questa opinione non ha mai data sod-
disfacente risposta ai fatti suddivisati che le stanno contro ;
onde 1’ opinione contraria che vuole le caruncole mirtifòrmi
siano organi speciali indipendenti dallo imene , è rimasta più
salda , e vive tuttavia presso alcuni moderni (2) , respin-
gendo vigorosa gli attacchi dell’ avversaria. Troppo lungo
ed anche superfluo sarebbe venirne riferendo a parte a parte
le ragioni , ed internarsi ne9 particolari di una discussio-
ne già da tutti conosciuta per ciò Ghe sì a disteso ne hanno
scritto e moderni ed antichi autori. Non lascierò tuttavia
di toccarne alcuna cosa piuttosto per enumerazione che
per argomentazioni , e dirò che oltre i fatti suddetti ond’ ella
ha fondamento , si è avvantaggiata col dimostrare 1’ insus-
sistenza del pretendere che le caruncole preesistenti nòn
siano già caruncole , ma intumescenze , lussureggiamenti
delle parti finitime , o morbose vegetazioni ( verruche ,
condilomi ec.), non avendone 1’ aspetto nè la struttura;
col dimostrare alla opinion dominante di aver prese per tali
vegetazioni le forme a cresta., a linguette, a tubercoli ro-
tondi o conici, peziolati o non delle caruncole ipertrofiche;
col dimostrare che elle non osservano una linea invariabile
tP inserzione , non essendo raro trovarle appaiate, 1’ una
più esterna , l’ altra più interna ; col dimostrare come le
caruncole preesistenti non sempre scompajano nelle forti
distensioni della vagina, e quando elle si dileguino, ces-
sata la distensione, si rinovellino; e come il numero loro
stia sempre in ragione, inversa del numero de’ parti , ciò
che meglio consente con particolari pieghe della vagina ,
che con lembi cicatrizzati di una parte rotta; e come in
fine la struttura ne sia cellulo-vascolare , e quindi non dis-
simile da quella che si attribuisce alle caruncole definite
per reliquie dello imene. Ma con tutto che questa opinione
(1) Nourelles recberches sur I* hymen et les caroncules hymenoides etc. par
Divilliers (fils.) Paris 1840.
(2) E. A. Lauth Manuel de Panai. Deuxieme edit. Paris 1835 pag. 356.
— Dicesi che Hamilton , Deevees , Blundell etc. sostengano essi altresì V indi-
pendenza delle caruncole dall’ imene.
182
Luigi Calori
abbia cercato di puntellarsi da ogni dove , quando siamo a
dichiarare che cosa avvenga delle lacinie del rotto imene ,
riesce minore di se, e il dire che a poco a poco consu-
mami e vengono meno da non più avvisarsene traccia , non
ha persuaso. Le due opinioni a dir vero sono troppo esclu-
sive. Dalia lettura del paragrafo dell’ Haller sulle caruncole
mirtiformi (1) rilevasi che egli non era alieno dallo ammet-
tere e caruncole da rottura dello imene, e caruncole indi-
pendenti da questa rottura. Fra i moderni Boyer (2), Vel-
peau (3) , Devergie (4) , Fabre (5) seguendo e non citando
T Haller , pongono le due specie di caruncole , ma alquanto
fra loro diversificano nella esposizione e nel numero di esse.
In generale però convengono nello stabilire che le carun-
cole preesistenti giacciano dietro e sopra l’ imene , e non
davanti come credette V Highmoro , e siano formate dalla
base delle colonne longitudinali medie della vagina e dalle
loro pieghe. Alle caruncole poi da rottura dello imene non
fissano certa sede, dal Velpeau in fuori, il quale prenden-
do con Pinneo il quattro pel numero ordinario delle carun-
cole , vuole che i lembi del rotto imene costituiscano sem-
plicemente le caruncole laterali , e che P anteriore e la po-
steriore siano pertinenze della base delle colonne suddet-
te. Egli è molto difficile l’acquetarsi a queste asserzioni. E
innanzi tratto dirò che il voler sottoporre a legge di nu-
mero le caruncole mirtiformi è un aperto contraddire alla
quotidiana esperienza , la quale ne dimostra essere variabi-
lissime sotto questo rispetto , occorrendone ora due , or tre ,
or quattro , quando cinque , quando sei , e talvolta una
sola , sicché non ci è dato di erigere in regola piuttosto
un pari che un caffo di questi numeri. Quello solamente
che può affermarsi , è che fra tutte la caruncole le laterali
(1) Ibid.
(2) Trattato completo di anat. descrittiva ec. tradazione italiana con note
Firenze 1836 Voi. secondo pag. 336.
(3) Trahé compiei de l’art des accouchemens etc. Bruxelles 1835 pag. 79.
(4) Médecine legale Theor. et prat. Tom. prem. Bruxelles 1837 pag. 134.
(5) Biblioth. de méd. pratic. Tom. quinzième Paris 1851. pag. 338.
Delle parti genitali muliebri
sono le più costanti. Ma queste caruncole laterali son’ el-
leno veramente prodotte per intero dai lembi dello imene
dissoluto , e le sole nelle quali essi trasforminsi ? Se noi
riandiamo i fatti suesposti abbiamo onde deciderci ad una
negativa. Vedemmo già che caruncole laterali possono pree-
sistere sotto forma di creste carnose poste subito dietro
le corna dello imene integro; vedemmo che il volume di
esse caruncole era molto maggiore di quello delle corna
medesime; si aggiunga che elle possono essere molteplici
e confluire quasi a dir in un gruppo, come vidi, non è guari,
in una donna trentenne madre di due figli? la quale aveva
sole caruncole laterali , due a destra e tre a sinistra , le
quali ultime erano disposte a modo da descrivere un trian-
golo col vertice allo interno. Tutto ciò ne prova che tali
caruncole non vengono prodotte da que’ lembi , e al più
può concedersi che essi le contribuiscano alcuna parte.
Perchè poi si dovessero ritenere per le sole trasformazioni
de’ lembi medesimi, converrebbe presupporre che T imene
nel rompersi si dividesse sempre per lungo in due metà
laterali, sempre si distaccasse e ritraesse dalla base della
colonna longitudinale media posteriore della vagina,^ sem-
pre recedesse dalla posterior parte del conno , e dell’ orifi-
zio vaginale, e tutto sui lati riducessesi. Al che non può
assentirsi per essere variabilissime le maniere di rottura
dello imene e indeterminato il numero dei lembi ne’ quali
dissolvesi. Quanto alla caruncola mirtiforme anteriore, data
non so con quanta ragione da Riolano per costante, potrà
ben essere , che posto un imene semilunare o semicircolare ,
un imene che non attinga colle sue coma la base della co-
lonna longitudinale media anteriore della vagina, venga
essa caruncola generata tutta intera da questa base. Ma se
F imene è circolare o cribróso, ne’ quali casi suole congiu-
gnersi colla base medesima, io non so con quanta sicurezza
potrà affermarsi, che la detta caruncola è progenie affetto
genuina di lei , quasi che vi fosse una legge che alla base
della colonna anteriore non potesse rimanere appiccato un
lembo del rotto imene. E ciò che dico di questa caruncola,
lo ripeto, ed a più forte ragione, della posteriore , la quale,
184
Luigi Calori
come ognun sa , corrisponde al punto di maggior larghezza
dello imene , il quale punto è di solito connesso colla base
della colonna longitudinale media posteriore della vagina.
Per le quali considerazioni è manifesto che P accoppiare
come ha fatto il Velpeau * le due contradditorie opinioni
suddiscorse non regge o regge solo in piccolissima parte.
Ma quale sarà dunque il concetto che noi dovremo farci
delle caruncole mirtiformip Ei pare che non si possa a
meno di ammettere caruncole mirtiformi preesistenti e in-
dipendenti dallo imene. L5 anteriore ^ p. e., quando ci ab-
bia , sarebbe in molti casi di questo novero: così pure le
laterali ed in generale tutte quelle che sono più interne.
Ei pare ancora che caruncole puramente imenali non esi-
stano , ed a questo opinare mi ha condotto P esame già
fatto della opinione del Velpeau, non che qualche osservazione
antica e qualche mie proprie. Trovo in vari libri citata
una preparazione del Museo anatomico dei Meckel , attri-
buita a Meckel seniore , la quale dimostra uno imene con
parecchi ingrossamenti che aggiungono fin verso al suo mar-
gine libero , fra i quali la membrana dello imene è sotti-
lissima , di modo che essa preparazione farebbe sospettare
1* imene altro non essere che una contestura di caruncole
mirtiformi insieme collegate per membrana, secondo che
Pinneo ed altri antichi ebbero opinato ; opinione cui è sem-
brato aggiustar fede P osservazione di Tolberg asseverante
di avere veduto conformato P imene a somiglianza di ca-
runcola (1). Io non accetto questa opinione già confutata
da lunga pezza ed oggimai abbandonata da tutti, ma non
dubito punto della veracità delle osservazioni che sembre-
rebbero darle fondamento , e non ne dubito , awegnacchè
io stesso sonmi incontrato in qual cosa di simile alla pre-
parazione Meckeliana. Ma quegli ingrossamenti non mi sono
parsi tutti dello imene, bensì anche delle pieghe vagi-
nali che sui lati particolarmente della faccia interna della
sua parte più larga si continuano e la percorrono fino al
(1) Vedi in Devergie e Fabre Op. cit. pag. cit.
Delle parti genitali muliebri
185
margine libero. Queste pieghe che sono come freni dell* ime-
ne, o colonnette vagino-imenali 9 hanno una direzione lon-
gitudinale, e sono molto rilevate, grosse , non confluenti ,
ma distanti fra loro. Variano di numero; non però ho mai
veduto che le fossero più di quattro , e parte sono con-
nesse alle colonne longitudinali medie della vagina, alla
posteriore in ispecie , parte nò. Talvolta la connessione
colle colonne non si avvisa, e sono o tutte pieghe vagi-
nali distinte, o residui delle colonne laterali. Il tessuto cel-
lulare sottomucoso che elle comprendono, avanzando P età
s9 ipértrofizza e vascolarizza vieppiù , donde gli ingrossa-
menti suddetti, e la maggiore carnosità, e robustezza e
durezza dello imene in corrispondenza di essi. Non sempre
però P ipertrofia le incoglie , ma ciò poco cale ; imperocché
P imene è sempre più saldo ove tali pieghe gli si appic-
cano, e quel tessuto sempre più abbondante. Se ne av-
venga la rottura, vi ha tutta la ragione per credere, che
^llaL_pixit^ die negli ingròssamentl treblia eflbumnsi ne—
gli spazi intermedi siccome men forti e resistenti , e i lembi
rimarranno attaccati a quelle pieghe, le quali insiem con
essi daranno opera alla formazione delle caruncole. Lo che
posto non sàrebbonvi più caruncole costituite dai soli lembi
del rotto imene , ma tutte quelle che a tali lembi attribui-
sconsi , sarebbero miste, composte cioè di due parti, di
una propria che io chiamerò fondamentale , le pieghe descrit-
te, e di altra che dirò avventizia , i lembi del rotto ime-
ne/ Quando questa maniera di considerare venisse confer-
mata, agevole sarebbero intendere i fatti recati innanzi
nel principio di questo paragrafo e nel decorso di questa
disquisizione , cioè perchè le caruncole mirtiformi riescano
generalmente sì voluminose a proporzione di quella piccola
parte che è 19‘ imene ; perchè le laterali sogliano essere mag-
giori, e più costanti; perchè di rado ne occorrano posterior-
mente ; perchè in breve , anche dopo pochi giorni , la cica-
trice scompaja da far opera d9 impossibile riuscimento 1
volernela avvisare; perchè elle non tengano sempre ^me-
desimo posto , nè osservino sempre la medesima linea della
primitiva inserzione dello imene ; perchè elle possano di-
t. i. 24
186
Luigi Calori
minuire ed anco scomparire affatto dietro, forti distensioni
ripetute , trovandosi in condizioni non molto dissimili da
quelle delle altre pieghe della vagina ec. Ma io ben veggo
che questa opinione incontrerà i suoi gravi scogli : ma
quale non ne incontrerebbe nello intricatissimo argomento
delle caruncole mirtiformi ? Del resto dietro la considerazio-
ne dei fatti io non avrei saputo escogitarne una migliore ;
nè io la proffero come verità incontestabile , chè non pre-
tendo a tanto , ma come semplice congettura , ricordando
bene quel non faciUìmum de hac re judicium pronunciato
a tale proposito dalla grande autorità dell’ Haller (1).
ARTICOLO IV.
Descrizione delt utero biloculare e della vagina doppia
congenita, e genesi delle varie sue specie.
Ma tornando alla duplicità utero-vaginale congenita , dico
che il setto i Fig. 2. Tav. 2. divide la vagina in due canali,
il destro dei quali è alquanto men largo del sinistro. In
ciascun canale occorrono molte pieghe trasverse arcuate che
recansi ai lati del setto e in parte il percorrono ; pieghe
più ragguardevoli e numerose inferiormente che superior-
mente ove vanno via via diradandosi , e presso ai fornici
affatto dileguansi. Entro ogni fornice sporge la porzione va-
ginale di un collo uterino , per la cui bocca penetrando
non si riesce ad una cavità unica, ma a due uteri com-
pletamente divisi , conciossiachè vi ha il setto perpendico-
lare m , che corre lungo la linea media sino al fondo del-
1’ utero rendendolo biloculare , setto continuo inferiormente
con quello della vagina. I due uteri sono lunghi e foggiati
a somiglianza di canali non molto larghi che corrono pa-
ralleli , ed alquanto più si allargano e sembra alcun poco
divergano in corrispondenza del fondo , ed hanno pareti ab-
bastanza grosse, salvo che internamente, ove la parete è for-
(1) Ibid.
Delle parti genitali muliebri
187
mata dal setto., il quale offre molto minor grossezza di
quelle. Ciascun utero è provvisto di una piega palmata od
albero della vita costeggiarne il setto , ma non ha che una
tromba fallopiana, un ovario solo, solo un legamento rotondo,
e solo un lato. L’ ovariq ritrae alquanto del fetale , ed è
lungo , schiacciato , e somiglia il bacello di una leguminosa ;
non pertanto , aperto come si vede a destra, mostrasi pieno
delle vescichette graafiane o, racchiudenti gli ovuli. Dal
suo ilo poi muovano quattro o cinque canaletti correnti
verso la tromba fra le due lamine del legamento lato, e
riunentisi in uno cui mettono capo altri canaletti ad estre-
mità cieca conformata a vescichetta. Gotali canaletti rap-
presentano F organo di Roseiimuller od un residuo del pa-
rovarium di Kobelt , residuo già formato da altrettanti in te-
stinuli ciechi superstiti de’ corpi di Wolff, al quale organo
voglionsi pur riferire i filamenti s , almeno il più interno ;
perocché il più prossimo alla estremità fimbriata della trom-
ba potrebbe esprimere- il cieeo^fine conformato a vescichetta
del cordone di Muller ; cieco fine che spessissimo permane ,
e si amplia costituendo una idatide appesa per un sottile
peziolo a quella estremità.
Tutto che 1’ utero e la vagina siano doppi, non però
trovansi raddoppiate le arterie vaginali-uterine ; chè una
sola ve ne ha al lato esteriore di amendue, e diramansi tali
arterie come ne’ casi ordinari , e la destra colla sinistra si
anastomizza per rami esilissimi sulla linea media in cor-
rispondenza de’ setti , ne* quali pure alcune loro diramazioni
diffondono , che arterie de’ setti potrebbero appellarsi. La
struttura degli uteri e delle vagine nulla offre di notabile,
ed i setti sono formati dalle mucose applicate 1’ una all’ al-
tra con tessuto cellulare frappostole , ed una piccolissima
quantità del tessuto proprio di quei canali , il quale ancora
non si avvisa verso la parte media dei setti medesimi. Ag-
giugnerò che in corrispondenza di questi setti non appa-
riva di fuori veruno indizio della duplicità interiore massi-
me quanto alla vagina ; imperocché quanto all’ utero , mo-
stravasi alquanto sottile nella parte media del suo fondo,
e piuttosto concavo che convesso , quasi ritenesse alcun
188
Luigi .Calori
die della primitiva conformazione da Meckel attribuitagli,
di essere cioè bicorne. Noterò finalmente che alla descritta
anomalia delia vagina doppia , e dell’ utero biloculare non
acdoppiavasene verun’ altra , e che la pelvi non offeriva al-
cun vizio s ma era normalmente conformata.
La genesi dell’ utero biloculare, non altrimenti di quella
del bicorne e del bipartito si spiega generalmente così. L’ u-
tero primordialmente è formato di due canali disgiunti che
altro non sono che le estremità inferiori delle trombe fal-
lopiane che mettono foce separatamente nel seno uro-ge-
nitale. Queste estremità vanno via via ingrossandosi ed al-
lungandosi, e recansi a laterale contatto, ed unisconsi , e
nel punto di unione ha luogo naturalmente un setto , il
quale a poco a poco scompare , e si forma una cavità ute-
rina unica, e nel medesimo mentre distruggesi pure la por-
zione di seno uro-genitale interposta afle foci delle trombe ,
le quali foci confuse in una costituiscono la bocca dell’ u-
tero (lj^. Se per alcune circostanze questa porzione e quel
setto non iscompajano, si renderà permanente il deffo stato
embrionale trànsitorio , e si avrà 1’ anomalia dell’ utero bi-
loculare , la quale IT perciò collocata fra gli arresti di. svi-
luppo. Per quanto ho potuto argomentare dalla osservazione
di due casi di utero bipartito occorsimi in due novelle spe-
cie di Celosomi Umani , parmi che quelle circostanze ab-
biano ad essere le seguenti : 1 .° » una ritardata unione delle
estremità inferiori delle trombe, 2.° » una maggiore orga-
nizzazione e vascolarizzazione di tali estremità durante il
detto ritardo ; onde poi cessate le cagioni di questo , ed
elle riunendosi , rese abili a resistere alla forza che tende-
rebbe a distruggere la loro parete di contatto e di coalito,
perpetuano il setto ingenerante 1’ anomalia. Le cagioni in
fine del ritardo, secondo che mi hanno appreso que’ Ce-
losomi , potrebbero essere il frapporsi alle trombe una qual-
(1) Encyclopedie Anat. Tom. Vili. Traité du developpement de V homme et
des mammifères etc. par T. L. G. Bischoff. trad. de 1* allem. par A. I. L. Jour-
dan Park 1843 pag. 273-74.
Delle parti genitali muliebri 189
che parte o viscere vicino, il rimanere un po’ più del
consueto i visceri chilo-poetici nella guaina del funicolo
ombellicale , il rimanere più che non suole anteriormente
aperto F anello pelvico, o il ritardarsi d’ alquanto la forma-
zione della sinfisi pubica , V essere un po’ più brevi del-
F ordinario i legamenti rotondi ec. ; cagioni tutte che fat-
tesi permanenti ne’ Gelosomi hanno con tutta efficacia con-
tribuito alla formazione dell’ utero bipartito, e che fugaci
in altri casi debbono potentemente contribuire a quella del
bicorne.
Alla esposta spiegazione delle genesi dell’ utero bilocu-
lare non fa ostacolo la teoria del Rathke , il quale pone
essere nella donna il corpo dell’ utero formato dalla parte
superiore di una particolare prominenza conica che si eleva
dal seno uro-genitale; imperocché egli altresì ammette che
nelle varie forme di utero doppio prevalgano le estremità
inferiori delle trombe , e che quelle da queste dipendano ,
riconoscendo tuttavia che nella composizione dell’ utero par-
tecipano le estremità prefate , come ne dà le più chiare
prove F anatomia comparativa, ed i casi anomali di uteri
biloculari, bicorni e bipartiti suddiscorsi. Resta dunque
senza difficoltà la proposta spiegazione della genesi dell’ u-
tero biloculare , ed ella è universalmente accettata, ma
quel che è più applicata eziandio alla genesi della vagina
doppia congenita; anzi si pensa che i due canali, onde sa-
rebbe primordialmente composta la vagina , siano produzioni
delle estremità inferiori delle trombe. E di questo avviso
si è recentemente mostrato pure lo Scanzoni , il quale dopo
avere parlato dei vari gradi di duplicità vaginale congenita
prodotta da un setto perpendicolare mediò longitudinalmente
diretto, salendone alle cagioni non ha dubitato di affermare
che = Toutes ces difformités ont une origine commune;
elles sont dues a ce que dans le foetus les deux bouts in-
ferieurs des conduits de Miiller ne se reunissent pas , mais
se developpent plus ou moins completement sans se con-
fondre. Lorsque cet arret de developpément s’ etend plus
haut, il existe a cóté de la division du vagin les anoma-
lies de la matrice connues sous les noms d’ uterus bilocu-
190
Luige Calori
laire, bicorne et bipartì (1)=. Isidoro Geoflroy Saint-Hilaire
va anche più oltre ; imperocché colla ipotesi delle due va-
gine primitivamente separate tenderebbe altresì a spiegare
la duplicità operata da un setto trasverso , e consistente
in due vagine soprapposte ; le quali vagine primitivamente
separate = se seraient trouvés au moment de leurs jonction,
superposès V un à 1’ autre , au lieu d’ ótre lateraux; hypo-
thése qui ramènerait le cloisonnement horizontal à un cas
de cloisonnement ordinaire módifié par une anomalie de
position (1) =.
Non potrebbero accogliersi queste spiegazioni senza ur-
tare in iscogli tali da rimanerne rotti. E primamente dirò
che le due estremità inferiori de’ condotti di Muller , ò
future trombe fallopiane non si prolungano entro il seno
uro-genitale a comporre la vagina, ma si arrestano all’utero
che immediatamente formano , o nella cui formazione pàr-
tecipano, e la vagina è produzione immediata del detto
seno, od al più di questo e della porzione .inferiore della
suddetta prominenza contea di Rathke. In secondo luogo
non vi è alcun periodo embrionale in cui il seno uro-ge-
nitale sia a doppio canale in grazia di un setto perpendico-
lare medio, ma costantemente è ad unica cavità ; e dicasi
altrettanto della porzion vaginale della prominenza conica,,
quando faccia parte della composizione delia vagina ; impe-
rocché posto che le trombe prevalgano nella formazione
dell’ utero , non dispiegano la loro prevalenza oltre la por-
zione superiore od uterina della prominenza conica mede-
sima. In tèrzo luògo quando pure ci fosse il setto indicato,
e si avessero primordialmente due canali , o due vagine ,
le reliquie del setto medesimo , le quali corrisponderebbero
alle colonne longitudinali medie anteriore e posteriore della
vagina, dovrebbero essere maggiori e più ragguardevoli quan-
to più giovine fosse il feto , ma accade precisamente il con-
(1) Traité pratique des maladies des organes sexuels de la femme tradnit
de P allemand et annoté sous les yeox de I’ auteur par les DD. H. Doret et
A. Socia Paris 1858 pag. 422.
(2) Op. cit. Tom. cit. pag. 550.
Delle parti genitali muliebri 191
trario; chè quelle colonne sono sviluppatissime ne’ feti set-
timestri, e ottimestri ec. ed appena delineate, o mancano
ne5 quadrimestri e negli embrioni. Contemplando la Fig. 4
Tav. 3 , Figura, che rappresenta le parti genitali di un feto
femininó di circa quattro mesi longitudinalmente aperte
nella regione anteriore, si trova la cavità della vagina n3
senza veruna traccia di setto perpendicolare medio , o di
colonne longitudinali medie , anteriore e posteriore , ma
tutta piana e liscia. Vera cosa è che 1’ utero o ha 1’ aspetto
di unicorne sinistro , essendo la tuba destra p sottilissima
nella sua metà interna, e non chiara la sua foce nell’ utero.
Ma la Fig. 3, che dimostra una consimile sezione della va-
gina e dell’ utero di un embrione di dieci settimane , ne
toglie d’ ogni dubitazione , e di più ne fa palese non avere
1’ utero o la forma bicorne , ed essere uniloculare , come è
proprio alla donna. Se si confrontino le parti genitali delinea-
te in queste due^ figure con quelle della Fig. 5 appartenenti
ad un feto femininó settimestre , ed egualmente aperte , si
vede tutto cambiato ; imperocché oltre le innumerevoli rughe
della mucosa vaginale sorgono le colonne longitudinali medie
o, /, e di più le colonne laterali g , h, limitate però solo alla
metà inferiore della vagina. Queste tutte colonne sono ol-
tramodo rilevate, e rassembrano cunei o piramidi triango-
lari , sporgenti entro la cavità vaginale , cui occupano quasi
per intero, e convertono in due fessure oblique decussan-
tisi a similitudine delle due aste della lettera X, e poco
manca che gli apici delle piramidi non si tocchino. Cotale
disposizione vien messa in chiara luce tosto chef facciasi
una sezione perpendicolare trasversa sulla metà inferiore
della vagina : sezione rappresentata dalla Fig. 6 , dalla qua-
le pur rilevasi che alla composizione delle colonne contri-
buisce alcuna cosa il tessuto proprio della vagina , e che
per lo gran sporgere delle colonne laterali la vagina stessa
ha ivi presa una forma che si accosta alla quadrata. La con-
siderazione di questa figura fa nascere il sospetto , che lus-
sureggiando un po’ più dell’ ordinario le colonne, possano
giugnere a toccarsi, e che nel punto di contatto possa
risvegliarsi un processo adesivo, onde formerebbonsi dei
192
Luigi Calorf
setti che dividerebbero il canal della vagina in varie dire-
zioni. Questa congettura viene convertita in fatto della os-
servazione istituita sulle parti genitali di un feto feminino
ottimestre rappresentate aperte, secondo il solito, dalla
Fig. 8, ove le colonne laterali g, h, si sono riunite sulla
linea media ed hanno formato il setto trasverso l> che di-
vide la metà inferiore della vagina in due canali soprapposti.
In corrispondenza del setto veggonsi nella faccia esterna
posteriore della vagina le due doccie longitudinali t, u
Fig. 7, ed il forte rilievo longitudinal medio v, non che
una certa forma sigmoide di tutto il canale vaginal uterino,
la quale, anteriormente poco o punto apparisce. Come le
colonne laterali hanno potuto riunirsi , e produrrò 1’ àno-
malia della vagina doppia per un setto trasverso , non vi
ha ragione in contrario , che le colonne longitudinali medie
anteriore e posteriore non, possano del pari riunirsi , e co-
stituire la vagina doppia per un setto perpendicolare me-
dio longitudinalmente diretto , ovvero che la colonna longi-
tudinale media anteriore nón possa riunirsi con una delle
laterali ed ingenerare la vagina doppia per un setto Obli-
quo. Questa genesi dellè tre divisate specie di duplicità
vaginale congenita sembrami non men facile che naturale,
nè ha d’ uopo di supposizioni gratuite , di prolungamenti
cioè delle estremità inferiori delle trombe fallopiane, o di
canali non comprovati dalla organogenesi , nè di forzate
anomalie di posizione dei medesimi , allora quando trovansi
nelle condizioni più favorevoli alla loro unione. L’ unica
supposizione che ella fa , è un minimo di maggior lunghez-
za delle colonne , e di un processo adesivo risvegliatosi rie!
punto di loro contatto. Ma la storia delle anomalie della
organizzazione è sì piena di questi lussureggianjenti e coa-
liti di parti, che nessuno non vorrà non menarmi buona
questa supposizione, molto piu che ella è già un fatto ri-
guardo la vagina doppia per un setto trasverso. Onde io
concludo che qualunque sia la specie di duplicità vaginale
congenita , non ha mai il significato di un arresto di svi-
luppo, come si va ripetendo ^ ma di un eccesso, e di una
coalizione di parti eh’ esser dovrebbero normalmente dis-
Delle parti genitali muliebri
193
giunte , associata nel caso che ha dato motivo a questa
scrittura, ad una forma embrionale transitoria alquanto mo-
dificata dell5 utero resasi permanente , o secondo la teoria
del Rathke , ad una prevalenza delle trombe fallopiane nel-
la composizione dell’ utero.
ARTICOLO V.
Intorno alla opinione che vuole V utero biloculare ed il
bicorne tornino per lo più esiziali alle pregnanti ,
partorienti , e puerpere .
Alcuno per avventura si aspetterà che io , giunto a que-
sto termine del mio dire, discenda, come naturalmente
trattovi , a parlare di un argomento in istrette attenenze col
ragionato , cioè della superfetazione ; ma la è questa una
materia sì trita e sì spesso rinnovata e quistionata dopo
le descrizioni dei molti casi che pur possiede la scienza,
di utero biloculare e di. utero bicorne, e già dai più riso-
luta in favore della possibile evenienza del fenomeno , che
sarebbe un portar nottole ad Atene il volernela nuovamente
discorrere. Più fruttuoso sarebbe il discutere,, se le donne
ad utero biloculare o bicorne vadano sì di frequente sog-
gette, secondo che vogliono il Meckel ed il Carus, a gravis-
simi sconcerti da pericolarne la vita e morirne lungo la gra-
vidanza, o nel parto, od in puerperio; conciossiachè elli ab-
biano cotali anomalie uterine siccome cagioni di viziosa incli-
nazione, di rottura di utero, di mortali emorragie , di sgrar
vio stentato e talvolta impossibile senza gli ajuti dell’ arte,
ed in onta anche a questi , di puerperale , e così va discor-
rendo. Ma la è questa una materia che oltrecchè avrebbe
d5 uopo di molte osservazioni nuove , richiederebbe per
giunta altri omeri che i miei. Contuttociò gioverà toccarne
alcun che per invogliare i tocologisti a farne soggetto ^ di
seri studi allo intendimento di comprovare o abbattere 1 o-
pinione di quegli illustri Alemanni, o dato che nessuno
de’ due fini a pieno raggiugnessesi , di vedere fin dove
fosse ella da accogliersi o da rifiutarsi.
194
Luigi Calori
Dico intanto che gli argomenti che la favoreggiano , sono
innanzi tratto già il risultato statistico de5 casi fino allora
conosciuti di utero biloculare o di bicorne in donne quando
pregnanti , quando partorienti , quando puerpere , il maggior
numero delle quali versando in queste condizioni perì in gra-
zia degli accidenti suddivisati , ed appresso le ragioni di que-
sti accidenti, le quali, ripongonsi sopratutto nello stato del
pregnante degli uteri; e primamente in ciò che ad esso essen-
do affidato tutto 1’ incarico della gravidanza manca la suffi-
ciente quantità di sostanza uterina richiesta all’ uopo ; onde
nel dilatarsi soprammodo si assottiglia e può rompersi; con-
tingenza che si è pure avverata ne’ primi tempi della gesta-
zione ; secondamente negli ostacoli che ne’ casi di utero
specialmente biloculare oppone 1’ utero non pregnante al
regolare progressivo augumento del pregnante , sendo che
quello non cresce che a certo grado sproporzionato al mag-
giore incremento cui 1’ altro deve aggiugnere ; terzamente
nella divergenza dell’ utero pregnante dall’ asse del corpo
e della pelvi., la-r]^ sembrerebbe a prima
giunta dovesse essere più ragguardevole nel corno gravido
dell’ utero bicorne, che nell’ utero gravido del biloculare ,
ma è precisamente il contrario; chè questo a mano a mano
che progredisce la gravidanza , si fa vieppiù divergente , men-
tre quello si va via via accostando al suddetto asse , e meno
quindi diverge. In tutti i casi però 1’ utero od il corno
gestante cade sul canale della vagina sotto un angolo ottu-
so ; lo che torna di grave danno lungo il parto ; concios-
siachè le contrazioni uterine non assecondano più 1’ asse
pelvico , ma aberrando da questo asse ed incrociandolo di-
rigonsi contro la parete della pelvi opposta al fondo del-
1’ utero inclinato ; inclinazione giovata tuttavia dall’ utero
o dal corno uterino non pieno , siccome quello che nell’ atto
del parto urta contro la parete pelvica del suo lato e par-
ticolarmente contro la linea innominata; in quarto luogo
nel mancare alla partoriente il potere del fondo uterino
tanto efficace ad operare colle sue contrazioni 1’ espulsione
del feto , massimamente ne’ casi di utero bicorne nei quali
non ci ha nè punto nè poco di cotal fondo ; finalmente
Delle parti genitali muliebri
195
nella difficoltà , cui 1’ utero che fu pregno , ha , dopo il
parto , di svuotarsi del sangue , sendo che ne5 casi ordinari
questo svuotamento si effettua mediante due apparecchi
vascolari destro e sinistro , mentre ne’ casi di utero bilo-
culare o di bicorne non si opera che per un apparecchio
vascolare solo , quello cioè che appartiene all’ utero o cor-
no uterino che sgravossi del feto: donde una ragione po-
tentissima della frequenza delle infauste terminazióni del
puerperio.
Questi argomenti che io ho presi dall’ eccellente Anatomia
patologica del Rokitanski (1) , posto vero il dato statistico
surriferito , sono senza fallo di non picciol momento , per-
chè pochi per avventura^ saranno che non siano per ac-
coglierli con fiducia ; ed iò~ltmga pezza sonmi acquetato
ad essi. Ma dappoiché ho avuta occasioìie^Ji vedere due uteri
biloculari ed uno bicorne in donne che avevano sorpassata
P età critica, ed erano morte di malattie comuni, donne
che in gioventù avevano più volte felicemente portato è
partorito ^ e nulla avevano sofferto di grave ne’ puerperi 3
me ne è sorto nell’ animo un qualche dubbio. Questi tre ute-
ri furono trovati casualmente ; chè nessuno nelle gravidanze
e ne’ parti di quelle donne ebbe a sospettare dell’ anomalia,
e chi sa quanti altri consimili passano inosservati , essen-
do l’utero bilocularè ed il bicorne anomalie certo non rare. I
due uteri biloculari non offrivano allo esterno niente di no-
tabile, ed erano divisi da un setto membranàceo, ed uno
aveva le due cavità uterine eguali ; 1’ altro la destra un
po’ più piccola della sinistra. Le altre pareti delle dette ca-
vità erano grosse come normalmente, nè punto nè poco
deficienti di sostanza uterina ; ed una iniezione di acqua
ragia colorata, e di cera spinta ne’ vasi sanguiferi di un
utero riuscì, massime per le vene, a quelli dell’ altro. L’u-
tero bicorne poi presentava le sue corna non molto diver-
genti , nè tali che facessero , come talvolta si osserva ,
un angolo retto coll’ asse del corpo cui univansi , ma ave-
fi) Tom. III. pag. 639-40-41 Venezia 1863.
196
Luigi Calori
vano modica obliquità od inclinazione laterale, ed erano
bene sviluppate ed a robuste e musculose pareti. Anche
qui F iniezione medesima fatta pei vasi uterini di un lato
penetrava in quelli dell’ altro lato , e dimostrava come i
vasi di un corno si anastomizzassero coi vasi dell9 altro
cojmo al di sotto della unione di amendue. Non si vuol
tralasciare che in tutte e tre queste donne la pelvi non
presentava vizi di conformazione vuoi connati vuoi avventizi.
Consultando i libri di Anatomia patologica e di Ostetricia ,
non che i trattati sulla superfetazione leggonsi altri esem-
pi simili. Onde parmi non si possa a meno di pensare che
affinchè la gravidanza , il parto o il puerperio riescano ai
funesti fini superiormente divisati, siano richieste altre cir-
costanze fiior quelle di essere F utero bicorne o biloculare;
e già Rokitanski in riferendo gli argomenti suesposti ha
notato che essi hanno maggior valore , quando quel degli
uteri in cui si fa la gestazione , è rudimentario , o mal
formato e povero di sostanza uterina: lo che secondo mé,
vorrebbe dire non essere tanto F ùtero bicorne o F utero
biloculare per se, quanto F imperfetto sviluppo ed incre-
mento dell’ utero che è, o fu pregno, la cagione di que’ fini
funesti. Ed è molto verosimile che la cosa debba essere
così; imperocché non saprebbesi intendere onde fosse che
nelle femmine de’ mammiferi, le quali hanno generalmente
l’utero bicorne, cotali infausti e venimenti sono soprammodo
rari , e lasciando da banda quelle ad utero fornito di corna
meno divergenti (cavalla, asina, vacca, pecora ec.) , e rag-
guardando alle altre le cui corna uterine sì divergono da
descrivere quasi un angolo retto coll’ asse del corpo , F esito
della gravidanza e del parto non è punto diverso. La fem-
mina della talpa europea è di questo novero , ed io ne ho
sezionate parecchie gravide, una delle quali merita qui par-
ticolare menzione. Portava essa nel corno uterino destro un
feto ben sviluppato e conformato, lungo poco più di un
pollice, il quale feto giaceva quasi orizzontalmente all’ asse
del corpo , come il corno che contenevalo , ed aveva volta
verso F unione di esso corno col corno uterino sinistro la
sua testa. In corrispondenza del feto era quel corno molto
Delle parti genitali muliebri
197
dilatato ed aveva pareti sì sottili da lasciarne trasparire la
voluminosa placenta che a prima vista sembrava sangue
effuso , che coprisse tutto il dorso e la testa del feto me-
desimo. Il detto corno gestante poi dall’ anzidetta unione
fino al notato dilatamento, ciò che misurava quattro in
cinque linee di distanza, offriva una grossezza, o capacità
ben di poco maggiore, confrontata con quella dell’altro
corno, e il tutto insieme rendeva V aspetto di una gravidanza
tubaria. Certa cosa è , che a mano a mano che si appressa il
tempo del partorire , quel corno cambierà posizione , e si
drizzerà , acciocché il partorire abbia effetto. Lo che tutta-
via non toglie, che il corno gravido, agevolandolo quella
sua quasi orizzontale giacitura , dovesse di frequente met-
tersi e conservarsi in tale inclinazione che il parto ne fosse
impedito. Senza che la grande sottigliezza cui soggiaciono
le pareti del corno che la pregnezza va via via dilatando,
dovrebbe pur esporle a facili rotture , e quando queste non
accadessero , dovrebbe pure equivalere ad insufficienza di so-
stanza uterina; donde un novello impedimento al parto.
Ma da questi tutti disastri scampano certo le talpe femi-
nine, e la loro prole; chè le talpe sono assai moltiplicate,
e di vantaggio moltiplicano appo noi , quantunque non so-
gliano portare che un feto per volta ; e ben lo sanno i nostri
agricoltori , i quali sono obbligati a tendere più e più volte
F anno loro lacciuoli per prenderle ed ucciderle , a fin di
allontanare od alleviare i danni che dai viaggi sotterranei di
esse riceverebbero le piantagioni ed i seminati. Non mi è
noto ne’ mammiferi verun esempio di utero biloculare simile
a quello che talvolta incontriamo nella donna. I marsupiali
per avventura il presenterebbero, ma accoppiato, secondo
che rilevasi dalle figure di R. Owen , alla forma bicorne ,
e V embrione svolgerebbesi nelle corna. Forse le femmine
di qualche sdentato, che, giusta le osservazioni di Baer e
di Rapp , hanno due bocche uterine, potrebbero porger-
ne V esempio? Ma comunque sia, noi sappiamo che m que-
sti animali la vita della madre e del feto, o la conserva-
zion della specie è pienamente al sicuro. Il setto dell’ ute-
«p biloculare 4ella donna suol essere membranaceo, e dee
198
Luigi Calori
quindi lasciarsi facilmente distendere ampliandosi P utero
che è pregno, e la distensione si effettuerà naturalmente
contro P altro utero che non racchiude che una caduca , e
si effettuerà a spese della cavità di questo ; al che se
si aggiunga che questo utero cresce pure a ragguardevole
ampliamento , come fa notare Cassan , è chiaro che P utero
medesimo si presterà esso altresì colla sua cavità alla ge-
stazione. Il setto potrà anche rompersi , e P utero diven-
tare semplice; nè credo che alcuno possa avere difficoltà
ad ammettere cotale rottura , sendo che è stato allegato su-
periormente che P utero gestante dovendosi ampliare , e non
avendo sufficiente quantità di sostanza uterina a ciò , si
rompe , talvolta anche ne’ primi mesi della gravidanza , ca-
gionando una emorragia interna, come nelle gravidanze tu-
barie. Con più ragione dunque potrà sostenersi si possa
rompere il setto, siccome quello che forma la parete più
povera di sostanza uterina , anzi è per le più volte mem-
branaceo. E non manca un qualche esempio v ben compro-
vato di rottura di cosiffatti setti a vero dire non uterini ,
ma vaginali , ed uno ne adduce il Burns osservato in una
donna che aveva la vagina doppia per un setto verticale
medio longitudinalmente diretto , il quale ruppesi nell’ atto
del parto , e così venne meno quella duplicità. Finalmente
non mi cape nel pensiero che solo i vasi sanguiferi dell’u-
tero che fu gravido o si è sgravato, valgano a scaricarlo
del sangue superfluo , e che ciò debba essere cagione di
mal esito del puerperio : imperocché chiunque abbia osser-
vati uteri gravidi di mammiferi , avrà veduto che non solo
si ampliano i vasi pertinenti al corno pregno , ma altresì
quelli del corno non pregno , e che i vasi di amendue si
anastomizzano largamente fra loro. E nella donna ad utero
biloculare o bicorne dev’ essere altrettanto , persuadendolo
le tre osservazioni surriferite , e 1’ augumento che tuttavia
prende 1’ utero che non è gravido, sicché al predetto sca-
rico del sangue si hanno anche a prestare i vasi di questo.
Nè veggo che ciò possa contraddirsi, siccome cosa per se
evidentissima, essendo legge che in una rete vascolare, quan-
do il sangue patisca remora in una parte di lei , 1’ altra sup-
plisca. Ma posto pure che i vasi dell’ utero che non fu
pregno , non aiutassero P evacuazione del sangue da quello
che lo fu, rimarrebbe sempre a capacitarne, perchè nelle
femmine de’ mamiferi le quali versano nelle medesime con-
dizioni delle donne ad utero bicorne o hiloculare , non si
abbiano dopo il parto , generalmente parlando , i funesti ef-
fetti che suppongonsi nel puerperio di queste. Con le quali
tutte considerazioni non voglio però si creda aver io avuto
P intendimento di confutare P opinione del Meckel e del
Carus , cui sembra aderisca ancora il Rokitanski ; cbè altro
non ho avuto nell’ animo se non se di volgere P attenzio-
ne specialmente degli ostetrici su questo importantissimo
particolare , e d’ invitarli , siccome ne hanno la maggiore
opportunità, a rinnovarne la statistica, massime su casi no-
velli ben particolareggiati sì quanto a loro stessi , sì quanto
alle circostanze estrinseche onde potessero essere accompa-
gnati, acciò, lo ripeto, venga posto in chiaro, se veramente
P anomalia dell’ utero hiloculare o del bicorne nella donna
sia per se produttrice di que’ grandi disastri lungo la gra-
vidanza, od il parto, o nel puerperio; oppure se la produ-
zione loro venga giovata , od anche affatto operata da altre
condizioni vuoi del tutto estranee , vuoi connesse o conve-
nienti coll’ anomalia medesima.
200
Luigi Calori
SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE
TAVOLA 1.
Fig. 1. Rappresenta le parti genitali esterne di una fanciulla di 13 anni com-
piuti, prossima alla pubertà, nelle quali apparisce, nel mezzo dell’orifi-
zio vaginale un setto perpendicolare che lo rende doppio. Le grandi lab-
bra e le ninfe sono state divaricate per mettere in chiara vista il setto
medesimo non che la detta duplicità di orifizio , ed altresì 1’ imene, che
è unico e comune a tutti e due gli osculi vaginali. Grandezza naturale,
TAVOLA 2.
Fig. 2. Le parti genitali della suddetta fanciulla tratte fuori di sito , ed aperte
nella regione anteriore mediante due tagli longitudinali a lati del setto
vaginale, e prolungati a lati di altro setto che pur divide la cavità del-
l’utero in due. Veggonsi le ovaja tratte inferiormente ed in avanti, e l’o-
vario destro è stato aperto, e mostra ben sviluppate le vescichette del
Graaf. Grandezza naturale.
TAVOLA 3.
Fig. 3. Parti genitali interne di un embrione feminino di 1 0 settimane , nelle
quali V utero e la vagina sono state aperte longitudinalmente nella regione
anteriore. L’utero non è bicorne, e ciò sembrerebbe contraddire l’as-
serzione del Meckel e del Muller che pongono aver l’ utero forma bicorne
fino al terzo mese.
Fig . 4. Parli genitali di un feto qnadrimestre feminino con V utero e la va-
gina longitudinalmente aperte nella regione anteriore. L’ utero ha aspetto
di unicorne sinistro.
Fig. 5. Parti genitali di un feto settimestre feminino con vagina ed utero
longitudinalmente aperto nella regione anteriore.
Fig. 6. Sezione perpendicolare trasversa del terzo inferiore della vagina di un
feto settimestre fatta per dimostrare la disposizione ed i rapporti delle
quattro colonne di pieghe.
Fig . 7. Parti genitali fuori dì sito appartenenti ad un feto feminino ottime-
stre vedute dalla faccia posteriore , nella quale occorre alla metà inferiore
circa della vagina un rilievo rotondeggiante medio longitudinalmente diretto ,
distinto mediante due solchi longitudinali che gli corrono ai lati e corri-
spondono ad un setto trasverso, che divide internamente la detta metà
di vagina in due canali soprapposti.
Meni: Ser i!* Tom I.
Mem. Calori Tav.I.
IùL F.** Camm .
WS
Meni. Ser. II! Tomo I
Mem. Calori Tav H.
Mem: Ser.II! Tomo I.
Metri: Calori Tav Ili.
Delle parti genitali muliebri
201
Fig. 8. Le parti genitali dimostrate nella figura precedente, aperte con un ta-
glio longitudinale medio della vagina e dell’ utero nella regione anteriore
per mettere in vista il setto trasverso dividente il canal vaginale in due
soprapposti , anteriore e posteriore.
Le figure di questa tavola sono tutte grandi al vero.
Nelle figure di tutte e tre le tavole le medesime lettere indicano i medesimi
oggetti :
a , imene mostrante nel mezzo della sua faccia esterna una specie di rafe lon-
gitudinale, e nelle Fig. 4, 5, 8 Tav. 3 una incisura più o meno pro-
fonda nel margine libero, la quale indica la primitiva divisione di esso
imene in due metà laterali, destra e sinistra.
b , frenulo anomalo osservato nelle parli genitali ritratte dalla Fig. 5. Tav. 3,
pel quale frenulo l’ imene congiungevasi colla ninfa lussureggiante c.
d , caruncole mirtiformi laterali esistenti in un coll’ imene.
e, f9 colonne longitudinali medie, anteriore e posteriore della vagina n.
g ^ h , colonne laterali della vagina.
% 9 setto perpendicolare medio della vagina Fig. 2. Tav. 2.
l , setto trasverso della vagina Fig. 8. Tav. 3.
m, setto perpendicolare medio dell’ utero Fig. 2.
o, utero.
p , trombe fallopiane.
q , ovario.
r, vescichetta graaffiane Fig. 2. Tav. 2.
s , appendici , o porzioni libere dell’ organo di Rosenmtiller o residuo del pa-
rovarium di Kobelt. Forse la più esterna delle dette appendici corrispon-
de alla cieca estremità del condotto o cordone , che voglia dirsi , di Muller ?
t9 u, due solchi longitudinali della metà inferiore della faccia posteriore della
vagina n, limitanti il rilievo longitudinale medio v Fig. 7 Tav. 3 , il
quale rilievo corrisponde nella Fig. 8 Tav. 3 al canal vaginale posteriore
separato dall’ anteriore mediante il setto l, formato dalla unione delle co-
lonne laterali g 9 h.
x 9 legamento rotondo dell’ utero.
y 9 legamento lato.
CORRIGE
b
ERRATA
Tav. 3. Fig. 5. f
26
DEI
VASI CAPILLARI SANGUIFERI
DELLA PORZIONE DECIDUA
DEL TRALCIO OMBELICALE NEL FETO DE’ MAMMIFERI DOMESTICI
E DELLE LORO ANASTOMOSI
COI CAPILLARI DELLA PORZIO! PERMANENTE NEI FETI
SOPRATTUTTO
CAVALLINI E VACCINI
DEL PROF. CAV. LUIGI CALORI
{ Letta nella Sessione dei 14 Novembre 1861. )
Il tessuto areolare della gelatina di Wharton ha formato
un soggetto di molte ricerche presso i moderni istologisti.
Gli anatomici antichi 1’ ebbero per una sostanza semifluida
gelatinosa donde il nome impostogli di gelatina. Appresso
Uttini, (1) e più tardi Fohmann (2) lo significarono come
una congerie di linfatici. Ultimamente il Virchow (3) 1’ ha con
più ragione collocato fra le varietà del tessuto connet-
tivo chiamandolo con Bordeu tessuto connettivo mucoso,
e 1’ ha paragonato al sottocutaneo fetale cui è continuo ,
compenetrato da un umore filante simile a muco (mucina)
(1) G. Uttini. Dei vasi linfatici della placenta. Mem. dell" Istituto italiano
Tom. 1. Parte seconda Bologna 1806. pag. 209.
2) Fobmann. Mémoire sur les Communications des vaisseaux lymphatiques
avec les veines et sur les vaisseaux absorbents da placenta et da cordon om-
bilical. Liége 1832. pag. 24.
(3) R. Virchow. Pathologie cellulaire etc. Pans 1861 pag. 82-83 ec.
204
Luigi Calori
nel quale sono sospesi de’ globuli , e sprovvisto intera-
mente di vasi sanguiferi. Conciossiachè i vasi ombelicali
lunghesso il tralcio per confessione di tutti gli anatomici
non danno rami, nè sono i vasi nutrizi del tralcio; mede-
simo, ma appartengono alla placenta, per forma cne esso
tralcio, o meglio le parti che la sua porzione decidua com-
pongono, di vasi nutrizi affatto mancano, e solo ne hanno
i tessuti della permanente estesa un centimetro circa oltre
P ombelico, i quali jieevonli da quelli delle pareti dello
addome. Spiega poi la nutrizione del tessuto della gelatina
di Wharton non che degli altri della porzione decidua del
tralcio ricorrendo al suo sistema di cellule stelliformi o fu-
siformi , le fibre delle quali si anastomizzano insieme , e
compongono una rete tutta continua ; e tali fibre ha egli
per canali, entro i quali circolano i succhi nutrizi che in
quelli penetrano per imbibizione o endosmosi. Ma donde
provengano cotali succhi , non sa ben dire , e menziona tre
ipotesi , una che elli derivino dal liquore dell’ amnio ; altra
che trapelino dalle pareti de’ vasi ombelicali; una terza
infine che procedano dai vasi della porzione permanente
del tralcio. Questa ultima ipotesi sembrerebbe avere più
verosimiglianza, e potrebbe accoppiarsi con una quarta,
cioè dire cbe que’ tessuti potrebbero per avventura derivare
anco succhi nutrizi dai vasi diramati nella placenta, sendo
che il tessuto della gelatina di Wharton non è solo conti-
nuo col tessuto connettivo sottocutaneo dell’ addome, con
quello del peritoneo , e delle aponeurosi della linea alba ,
ma altresì col tessuto avvolgente e collegante i vasi sangui-
feri che diffondonsi ne’ cotiledoni di quella. Comunque sia
però, è chiaro, dice il Virchow, che una grande quantità
di tessuti è dilungata dai vasi e dalla superficie, e non
pertanto essi vivono e si nutrono senza essere attraversati
da capillari , senza una speciale circolazione.
Il fin qui detto applicato al tralcio ombelicale del feto
umano non sembra incontrare difficoltà ; almeno le iniezioni
più felici eseguite con sostanze sottilissime non hanno nè
a me nè ad altri valso lo scorgere minimi vasi e capillari
nella porzione decidua di quello; onde nel descrivere i grossi
Dei vasi capillari ombelicali ec. 205
tronchi che la percorrono, si è, come già notai innanzi , af-
fermato da tntti , non mettere ellirio rami diramati nella
detta porzione. Ma le nostre nozioni anatomiche e fisiolo-
giche sogliono per le più volte riuscir monche , se non le
soccorili ed illustri 1* Anatomia* comparativa ; e meco stesso
sonmi mai sempre maravigliato, come nelle grandi opere
che pur possediamo , di Anatomia e di Fisiologia , i loro
Autori che tanto fruttuosamente giovaronsi in presso che
tutti i punti più difficili e controvertibili della gran face
di quell’ anatomia , 1’ abbiano posta in non cale trattando
de’ vasi ombelicali nella porzione decidua del tralcio. E la
mia maraviglia moveva da queste ragioni ; Y una che nel tral-
cio del feto de’ mammiferi domestici persiste a lungo , e tut-
tavia pervio il canale della vescica allantoidea o 1’ uraco, il
quale essendo , non altrimenti che la mentovata vescica e 1’ o-
rinaria cui è intermedio, parte dei foglio mucoso o vegetativo
del blastoderma , doveva di necessità essere vascolare ; l’ altra
che i vasi ombelicali , che da qui innanzi chiamerò mae-
stri, avendo grosse e robuste pareti provvedute di una
inoltrtu d ine dì fibre muscolari organiche , non potevàmi ca-
pire nell’ animo eh’ essi mancassero di vasa vasorum ; 1’ ul-
tima che sembravami di avere già scorto attraverso la guai-
na della porzione decidua del tralcio de’ vasi minutissimi
diffusi per la guaina medesima.
Con tali idee mi accinsi , due anni or sono , a praticare
sottili iniezioni ne’ vasi ombelicali maestri di feti special-
mente cavallini , pecorini e vaccini - de’ quali ultimi ho
avuto grande dovizia nell’ Ottobre p. p. per cura dell’ ec-
cellente clinico veterinario di questa Università Sig. Dot-
tor Gotti , e le mie previsioni si sono avverate. E di fatto
le arterie ombelicali maèstre via facendo dispensano rami
a tutto il sistema allantoideo , ciò è a dire alla vescica
urinaria , all’ uraco . ed al sacco dell’ allantoide ; ma tutti
i ramuscelli ne’ quali diVidonsi i detti rami , non appar-
tengono a questo sistema ; chè moltissimi , restringendo il
discorso alla porzione decidua del tralcio , spargonsi nel tes-
suto della gelatina di Wharton , e sopra i tronchi ombeli-
cali maestri, costituendone i vasa vasorum (Vedi Fig. 1.
206
Luigi Calori
Tav. 1.) e mediante una forte pressione sul liquido iniet-
tato eh5 elli contenevano , mi è venuto fatto di seguirne
alcuno de5 tènuissimi più che capillari nell’ amnio della
guaina di essa porzione di tralcio (1). I minimi rami si ana-
stomizz'ano tutti insieme e compongono una fina rete con-
tinua con quella dell’ uraco o canale allantoideo ; dalla quale
rete muoiono i capillari e da questi le radici venose pur
in rete non dissimile composte, dònd’ escono per fine in
ramuscelli che mettono foce nel tronco , o ne’ tronchi ve-
nosi ombelicali maestri sendo che ne’ mammiferi non è
raro vi abbiano due vene ombelicali, che poi entro 1’ ad-
dome in un tronco comune riunisconsi ; e i ruminanti ne
porgono esempio. Cotale rete si mette in chiara vista apren-
do per lo lungo la guaina della porzione decidua del tral-
cio., e levando i vasi ombelicali maestri. Allora, distesa la
guaina , apparisce quella rete giacere , come in proprio letto ,
nel tessuto della gelatina di Wharton , lo che dimostra so-
pratutto la Fig. 3. Tav. 2. Giova notare, che per ottenere
una iniezione sì minuta quaF è la rappresentata dalla citata
figura , copia il piu che si è potuto , fedele della prepara-
zione che conservo nel Museo alle mie cure affidato, è ne-
cessaria una sì grande pressione sul liquido che si injetta,
quanta non crederebbesi mai i vasi sanguiferi fossero pos-
sevoli a sostenere, ed i più acconci a ciò sono i vasi om-
belicali di feti vaccini e soprattutto cavallini, siccome quelli
che hanno pareti molto robuste e resistenti. Aggiugnerò
tuttavia, che i feti non debbono oltrepassare la metà della
gravidanza , essere cioè di quattro o al più cinque mesi ; im-
perocché ne’ più provetti i vasi restringono il loro lume,
e sembra i capillari si obliterino. Sarebbe mai che nella
porzione decidua del tralcio de’ teneri embrioni umani ci
potessero essere degli esilissimi ramuscelli arteriosi e veno-
si, de’ capillari ombelicali, che dippoi scomparissero ne’ feti
(1) Che l’ amnio ne' mammiferi possegga vasi sanguiferi , 1’ hanno già dimo-
strato Emmert ed àlessandrini , i quali dicono essere tali vasi propagini di quelli
della membrana media o endocorion di Dutrochet.
Dèi vasi capillari ombelicali ec. 207
ancor che giovani? Io non pretendo di voler vedere vasi
ove per avventura non sono. Ho tentate iniezioni ne’ vasi
ombelicali maestri di embrioni di 8 a 12 settimane, nè
mai mi è riuscito conseguirne tale finezza da poter venire
a capo di alcuna cosa. La più leggiere forza di pressione
produce .subito rotture e stravasi del liquido che si inietta,
sicché di poi nulla può scernersi di chiaro. Aperti per lo
lungo i tronchi ombelicali maestri non mostrano quelle
stigmate che dinotano metter eliino rami. Onde che, quando
pure non ci abbiano piccoli vasi e capillari nella porzione
decidua del tralcio ombelicale del feto umano , certa cosa
è , che la migliore ipotesi per intendere il nudrimento del
tessuto della gelatina di Wharton e delle altre parti di detta
porzione decidua , sarà la canalizzazione de’ succhi nutri-
zi nel sistema cellulare indicato dal Virchow , e la circo-
lazione loro per esso ; e quando capillari ci fossero , sareb-
bevi sempre una sostanza o tessuto extravascolare in cui gli
umori nutrizi dovrebbono diffondersi per una circolazione
paragonabile alla cellulare delle piante, siccome già dietro
le osservazioni del Malpighi e quelle dell’ Albino contrarie
a quanto pretendeva il Ruischio, avevano pei tessuti in ge-
nere gli anatomici ed i fisiologi da lungo tempo escogitato.
A complemento dello esposto intorno ai vasi de’ tessuti
componenti la porzione decidua del tralcio ombelicale , ag-
giugnerò le osservazioni microscopiche latte su quello spe-
cialmente della gelatina di Wharton in un embrione vac-
cino di circa due mesi ed in un feto cavallino quinqueme-
stre. Nel primo il detto tessuto consta delle cellule indi-
cate da Virchow ( Fig.. 2. Tav. 1 . ) e da fibre connettive
tenerissime e scarse, ed è attraversato dal capillare b. Nel se-
condo s’ awisan pure de’ capillari c. c. Fig. A Tav. 2 , ma il
tessuto connettivo assume nuove qualità , siccome quello
che si sclerotizza e indura , anzi trasformasi se non tutto ,
sì certamente per la maggior parte in elastico , o se ciò
non vuoisi, si commescola con un tessuto che coll’ elastico
ha tutta la somiglianza , e che tanto prevale da nascondere
il tessuto connettivo cui si è consociato. Le sue fibre sono
molto più grosse di quelle del tessuto connettivo , ed a
Luigi Calori
contorni oltramodo manifesti , e duri ; sono ramificate , e coi
rami e diramazioni loro si anastomizzano insieme e com-
pongono una complicatissima e fittissima rete, che tanto
più apparisce , quanto più son elleno distratte o divaricate.
L’acido acetico e la soluzione di potassa caustica, due
sostanze che riescono efficacissime a' distruggere il tessuto
connettivo , non le alterano , ma viemeglio discopronle in
grazia forse della scomparsa di quell’ alquanto tessuto con-
nettivo che le accompagna. I quali tutti caratteri apparten-
gono senza fallo al tessuto elastico. Ma da ciò potrebbe al-
cuno per avventura pigliare argomento per negare che co-
tale tessuto sia quello della gelatina di Wharton , imper-
ciocché non ne ha le qualità. Ed io risponderò che desso
ne tiene il medesimo posto ; che desso avvolge i vasi om-
belicali maestri ed il canale allantoideo , costituendo a quelli
la tonaca esteriore, e passando dagli uni agli altri sotto
foggia di un tessuto areolare molto resistente insieme col-
legali e tien riuniti in un fascio ; che desso fa aderire que-
sto fascio alla interna superficie dell’ amnio ; che desso ,
quando i detti vasi verso il sacco allantoideo tendono a sle-
garsi fra loro e si scostano, si conforma in una tela bella-
mente reticolata e rada, ma non pertanto robustissima, che
prosegue , quantunque men strettamente , a riunirli , e che
presta sostegno ai vasi ombelicali secondari che dai mae-
stri procedono, e si conforma altresì in filamenti che a si-
militudine di freni recansi dai prefati vasi alla faccia in-
terna estroflessa dell’ amnio , ed al corio ; che desso final-
mente si conglutina colle aponeurosi della linea alba da
parerne come una continuazione. Le quali tutte qualità
ed uffici ripetono esattamente quelli del tessuto della ge-
latina Whartoniana. Non importa poi che questo sia piutto-
sto tessuto connettivo od elastico , essendo provato potersi
il connettivo in elastico trasmutarsi. Ad ultimo non farà
ostacolo la grande vascolarità addimostratane mediante le
injezioni , conciossiachè anche nel legamento cervicale dei
feti cavallini (legamento che nessuno dubiterà sia di tes-
suto elastico ) occorre molta vascolarità visibile tuttavia sen-
za injezioni ; di che fanno ampia fede i preparati che con-
servo nel Museo che ho 1’ onore di dirigere.
Dei vasi capillari ombelicali ec. 209
Ne9 feti vaccini ho osservato che fra le diramazioni dei
rami delle arterie ombelicali alla porzione permanente del-
T allantoide, alcune spargonsi nel tessuto connettivo sotto-
sieroso del peritoneo e nelle pareti dell’ addome ; partico-
larità che pur mi è occorsa, benché molto meno chiara-
mente , ne9 feti degli altri mammiferi. Jn oltre là dove le
due vene ombelicali confluiscono, penetrate nell9 addome ,
nella vena ombelicale comune , ho veduto mettere altresì
foce due rami venosi cospicui pertinenti alle dette pareti ,
i quali pure ricevono dei vasa vasorum provenienti dalla
vena ombelicale comune e dalle arterie ombelicali; vasa
vasorum anastomizzati con quelli de9 medesimi tronchi om-
belicali percorrenti la porzione decidua del tralcio (Fig. 1.
Tav. 1 . ) Burow ha fatta una osservazione consimile nel
feto umano , ed ha descritti e figurati negli archivi di Mùl-
ler 1838 Tav. 1. due rami che méttono in comunicazione
la vena ombelicale prossima ad entrar nell’ addome colle
vene epigastriche , e che avanti di aprirsi nella ombelicale
medesima riunisconsi in un tronco impari che ingrossa per
altro ramo pur impari che ascende lungo la faccia poste-
riore della vescica orinaria , ed ha sue radici ne9 plessi ute-
rino é spermatico. Gotale disposizione è stata data per co-
stante , ma non la è , e diversifica alquanto dalla osservata
nel ruminante suddetto ; imperocché i due rami non riuni-
sconsi in un tronco impari, nè hanno comunicazione coi
plessi mentovati , ma coi vasa vasorum de9 tronchi ombe-
licali , come è stato detto , e colle vene vicine delle pareti
dello addome.
Ma una osservazione ben più importante mi è sortito di
fare prima in un feto cavallino di poco più di quattro mesi,
poscia in un vaccino alquanto più avanzato, ed è che la
descritta rete vascolare della porzione decidua a, bs Fig. 3
Tav. 2 del tralcio è continua colla fina rete pur vascolare
della porzione permanente a , c} rete che appartiene ai rami
delle arterie e vene epigastriche sparsi per le pareti addo-
minali presso l9 ombelico. Ond’ è chiaro che la comunica-
zione non è semplicemente venosa, ma ancora arteriosa.
Comunicazione cosiffatta poi viene mòno ne9 feti più avan-
T. I. ^
zati , ne’ quali pur vedemmo assottigliarsi e rendersi più
difficilmente permeabili i rami vascolari della porzione de-
cidua del tralcio , e massimamente la finissima rete ed i
capillari , che a5 suoi tessuti appartengono.
La riferita osservazione è in pieno accordo coll’ antico
asserto non so se d’ Ippocrate o di Polibo ; che incerto è
a quale dei due debba attribuirsi il libro = De natura
pueri =: ? asserto già confermato dai moderni embriologisii ,
che gli inviluppi del feto muovono dal feto stesso. E già
sappiamo per ciò che ne scrisse fin dal 1819 il mio Illustre
Predecessore e maestro Prof. Francesco Mondini (1) di sem-
pre cara ed onorata rimembranza appo noi tutti , che P am-
nio è una continuazione e produzione della cute , e non
della cuticola, come il Velpeau (2), ed a quanto pare an-
che E. E. Weber (3) sostengono tuttavia; essendo che
V amnio è formato e ben sviluppato quando la cuticola non
P è ancora, e le macerazioni addimostrano ^ eh’ ella s’ arre-
sta alla porzione permanente del tralcio, e P epitelio po-
liedrico onde copresi P amnio negli ultimi mesi della gra-
vidanza, non è continuo, ma semplicemente contiguo a quel-
la, e presso a poco nelle medesime convenienze che pas-
sano tra P epitelio dello stomaco e P epitelio dell’ esofago.
In fine la differenza di struttura è argomento inconcluden-
tissimo ; che altre parti pur si trovano nelle medesime con-
dizioni senza che possa inferirsene non essere P una conti-
nuazione dell’ altra, e la cornea lucida rispetto alla sclero-
tica è in questo caso ; ed egualmente la membrana anista
soppannante P interno de’ condotti escretori rispetto alle mu-
cose , delle quali , secondo Henle , sarebbe come a dire il
fondamento. E a tale proposito aggiugnerò che in un anen-
cefalo con spina bifida vidi la cute ai bordi dall’ apertura
Dei VASI CAPILLARI OMBELICALI EC. 211
cranio-vertebrale soprammodo attenuarsi e cambiar natura
convertendosi in una Sottilissima membrana semplicemente
cellulare ben distinta dall’ epidermide , la quale membrana
estendevasi a coprire i rudimenti che esistevano dell’ asse
cerebro-spinale, ed era senza fallo la cute stessa così tra-
sformata, o più esattamente non mutata da quel che era
primordialmente. Dal che tutto si vuol concludere P amnio
altro non essere che la cute allo stato primitivo , quando
essa cute è formata di sole cellule. Io non dirò qui come
il corio secondario o permanente sia di pari guisa produzione
della lamina sierosa del blastoderma dalla quale origina al-
tresì P amnio : noterò solo che non fa parte della guaina
del tralcio , nè è connesso colle aponeurosi de’ muscoli ad-
dominali, come gli antichi, e Mondini , Flourens (1), Bur-
dach ec. (2) hanno posto ; chè quello che essi hanno preso
pel corio del tralcio è il tessuto della gelatina di Whar-
ton, che, aperta e distesa la guaina, assume un’ apparenza
membraniforme. Ad ultimo si è già detto superiormente
come questo tessuto è in continuità col tessuto connettivo
dello addome del feto.
Per le quali tutte cose panni si possa stabilire
1. ° Che non è vero come fatto o proposizione generale
che le arterie e la vena o vene ombelicali maestre lungo
la porzione decidua del tralcio ombelicale non diano rami ;
che per incontrario ne mettono in buon numero , i quali
diramansi sull’ uraco od il canale del sacco allantoideo , e
per quella porzione.
2. ° Che non è vero similmente come fatto o proposizio-
ne generale che non vi abbiano capillari sanguiferi che
proveggano alla nutrizione de’ vasi ombelicali maestri rac-
chiusi nell’ anzidetta porzione di tralcio , avendo co tali vasi
i loro vasa vasorum che originano da loro stessi.
3. ° Che non è vero pur come fatto o proposizione gene-
rale che il tessuto della gelatina di Wharton vada senza vasi
(1) Cours sur la géneration Paris 1836 pag. 429.
(2) Burdach. Physiologie eie. Tom. HI. pag. 646-47 Paris 1838.
212
Luigi Calori
sanguiferi ; che per contrario paragonato al tessuto connet-
tivo del corpo non è solo attraversato da vasi , ma riesce
vascolosissimo siccome quello che porge direi quasi un letto
alla rete vascolare minutissima della porzione decidua del
tralcio medesimo , dalla qual rete muovono i capillari per-
tinenti ad esso tessuto.
4. ° Che alle tre conclusioni prefate fa eccezione la por-
zione decidua del tralcio ombelicale del feto umano, qua-
lora però fine injezioni felicemente riuscite sui vasi ombe-
licali del tralcio de’ teneri embrioni non potessero condur-
re a conclusione contraria , ovvero ad una modificazione ,
potendo benissimo avvenire ciò che ha luogo nella cornea
lucida , nella posterior regione della cristalloide , nelle car-
tilagini costali ec. che nel feto hanno vasi, i quali poi nei
fanciulli e sopratutto negli adulti non più ci appariscono
per finissime che siano le iniezioni che si adoperano per
discoprirli.
5. ° Che la rete vascolare sanguifera della porzione deci-
dua del tralcio è continua nel feto de’ mammiferi , sì cer-
tamente dell’ equino , e del vaccino con quella della por-
zione permanente , o delle pareti dello addome : ciò che con-
sente coll’ essere gli inviluppi fetali producimenti del feto.
6. ° In fine che tale continuità va via via venendo meno
e scompare a mano a mano che il feto cresce e si accosta
al suo termine , e scema ancora la vascolarità della porzione
decidua del tralcio, od almeno sen rende difficilissimo, se non
impossibile, il replemento de’ capillari mediante le injezio-
ni , di modo che qui pure si verifica quanto occorre negli
altri tessuti , i quali invecchiando rendonsi ne’ loro mini-
mi vasi molto meno permeabili, anzi quasi impermeabili
ai liquidi che debbono percorrerli.
I.Xalori Jralcio ombellkafe.Tav. I
LitFfCaswfa
Mem.Ser.IPTom.I
L Calori .Tralcio ombelicale Tav.IL
C. Beffai lece dal vffirt in pitìra
I it.PC*
SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE
TAVOLA 1.
Fig. 1. Tralcio ombelicale di un feto vaccino d’intorno a cinque mesi. La
guaina ombelicale è aperta per lo lungo, e spiegata e distesa lateralmente.
I vasi ombelicali sono injettati.
a, b> porzione permanente del tralcio ombelicale.
a, c, porzione decidua del medesimo.
d, porzione di parete addominale.
e , pelle.
fj muscoli addominali.
g j, linea alba.
h , amnio.
i, tessuto in parte disteso, in parte lacero della gelatina di Wharton.
l, canale allantoideo.
m, n, arterie ombelicali maestre.
0 3 uno de’ ramuscelli di dette arterie diramati siccome vasa vasorum su di
esse, sulle vene maestre, sul canale allantoideo, e pel tessuto della ge-
latina di Wharton.
p3 q, vene ombelicali maestre.
r , una delle venuzze, che nelle vene maestre mettono foce.
s, vena ombelicale comune.
1 Uj due vene procedenti dalle pareti addominali , ed inosculate uella vena pre-
cedentemente notala.
v s x 3 vasi del tessuto della gelatina di Wharton , che in x si veggono ana-
stomizzati con quelli dalla porzione permanente del tralcio.
Fiq. 2. Tessuto della gelatina di Wharton veduto al microscopio sotto un m-
’ grandimento di 300 diametri. Embrione vaccino di due mesi.
a, a, a, a, cellule e fibre del detto tessuto.
b, capillare onde il medesimo tessuto è attraversato.
TAVOLA 2.
214
Luigi Calori
dj porzione di parete addominale.
e y pelle.
f , muscoli addominali.
g3 linea alba.
h9 amnio.
iy tessuto della gelatina di Wharton,, nel quale apparisce una minutissima rete
di minimi vasi sanguiferi , i cui tronchi procedono dai vasi ombelicali mae-
stri qui levati.
ly porzione del canale dell* allantoide , od uraco aperto.
ni; Uy prolungamenti del tessuto della gelatina di Wharton che insinuavansi tra
i vasi ombelicali maestri.
0, vasi epigastrici.
py anastomosi dei vasi della porzione decidua del traleio con quelli della per-
manente.
Fig. 4. Tessuto della gelatina di Wharton di un feto cavallino un po' più
avanzato del precedente, il quale tessuto è veduto al microscopio sotto
un ingrandimento di 300 diametri.
a, il detto tessuto le cui fibre offrono tutte le apparenze delle elastiche.
b, un piccolo vase sanguifero, donde procedono i capillari c.
MISCELLANEA BOTANICA XXIII.
DEL CAV\L. COMMENO.
PROFESSORE ANTONIO BERTOLONI (*)
Una delle droghe rammentate sino dai tempi più re-
moti è il Cinnamomo ; ma assai tardi si potè sapere, da
qual pianta si ritraesse, e comechè i mercatanti navigatori
per ingordigia di lucro spacciarono per Cinnamomo droghe
d’ altra sorta, tardi eziandio si potè sceverare il vero Cin-
namomo da quella confusione di cose. Pertanto giova risa-
lire alle prime notizie, che se ne ebbero, con che ci fa-
remo strada a ritrovare il rimanente.
I primi , che parlarono del Cinnamomo furono Mosè ,
ed Erodoto. Abbiamo dall’Esodo (1), che il Signore ordi-
nò a Mosè di prendere Mirra scelta. Cinnamomo, Cala-
mo , e Gasia , di mescolare queste droghe coli’ olio per
fare 1’ olio santo, col quale doveva consacrare il taberna-
colo del testamento , 1’ arca , le mense coi vasi , il cande-
labro , gli utensili , gli altari dei profumi , e dell’ olocau-
sto , e tutta quanta la suppelettile appartenente al culto
divino , e parimente doveva ungerne Aronne , e i figli di
lui , affinchè fossero consacrati sacerdoti , vietò poi ai pro-
fani di fare quest’ olio santo , e di somministrarlo ad altri
sotto la pena dell’ esterminio. Tanta importanza posta in
quest’ olio ricadeva negli ingredienti di esso , e per ciò
anche nel Cinnamomo; ma quale era il suo pregio pas-
colare ? Ciò fu dichiarato da altri luoghi delle Divine Scnt-
(*) Questa Miscellanea fu letta nell’ adunanza tenuta
V anno 1861.
(1) Exod. cap. 30. vers. 22. 23.
li 7 di Novembre del-
216
Antonio Berto loni
ture. Nel libro dei Proverbii (1) la meretrice volendo ade-
scare colle delizie degli odori il giovanetto , al quale a-
gognava, gli dice: « Adspersi cubile meum myrrha, et
aloe, et cinnamomo ». Il pastorello de’ Sacri Cantici vo-
lendo esaltare le prerogative della sua diletta pastorella le
dice: « Emissiones -fcuae paradisus malorum punicorum
» Cypri cum Nardo, Nardus et Crocus, Fistula et Cinna-
» momum » (2). Nell’ Ecclesiastico la Sapienza per mostra-
re gli alti suoi pregi così si esprime : « Sicut Cinnamomum
» et balsamum aromatizans odorem dedi: quasi myrrha ele-
» età dedi suavitatem odoris » (3). Era dunque il fragrante,
e delizioso aroma, che rendeva insigne il Cinnamomo.
Ma donde si potè avere in que’ primi tempi contezza
di esso? Dall’ Egitto: e dall’ Egitto 1’ ebbe Mosè. Ritro-
vato bambinello in una cesta sulle sponde del Nilo , ove
per diporto passeggiava la figlia di Faraone , costei ne fu
così commossa , che immantinente volle , che gli fosse pro-
curata una balia , la quale lo allevasse , e seguitò poi a
prender cura della sua educazione , di tale che cresciuto
in età riuscì sapientissimo di quanto si conosceva in Egit-
to : (( Eruditus est omni scientia /Egyptiorum » (4).
Erodoto il più antico storico tra i Greci , e il più vicino
a Mosè stette lunga pezza nell’ Egitto, e imparò da quei
sacerdoti tutto lo scibile degli Egiziani. Adunque nella sua
storia narrò così del Cinnamomo : « Cinnamomum aut ubi
» nascatur , aut quae terra nutriat illud Arabes nequeunt
» dicere , nisi quod probabili ratione utentes quidam nar-
» rent id gigrn in iis regionibus , ubi Bacchus educatus
» est » (5). Bacco per quello, che ne dicono i Mitologi,
se non fu educato , almeno fu nell’ India orientale (6) ;
(1) Proverò . cap. 7. vers. !7.
(2) Cant. Cantic. cap. 4. r. 13. 14.
(3) Eccles. cap. 24. vers. 20.
(4) Ad. Apost. cap. 7. vers. 22.
(6) Herodotus. Hist. Amstelodami Sumptibus Petri Schoutenii 1763. lib. 3.
pag . 263.
(6) Veggasi il Dizionario di ogni Mitologia, e Antichità , Milano 1819.
tom. /. p. 268. , e 269.
Miscellanea botanica
217
ove appunto fu scoperto il Cinnamomo : e in che consisteva
il primo Cinnamomo, che gli indigeni di quell’ India fecero
conoscere ? Nelle festuche di nidi , che uccelli assai grandi
facevano in rupi inaccessibili. Que’ nidi talora cadevano per
il peso delle carni , che gli uccelli vi portavano per nutrire
i loro figli , dal che gli abitanti impararono a porre in
quelle vicinanze pezzi di carne di buoi, di asini, o di al-
tri animali, acciocché gli uccelli li trasportassero più age-
volmente nei nidi , e questi in maggior copia cadessero , op-
pure li facevano cadere colle balestre. Tanto grande era il pre-
gio , che mettevano in que’ nidi fragranti di soave aroma ,
e che ben presto portarono in commercio! Nel qual fatto
nulla è di inverosimile, sebbene Plinio ne facesse rimpro-
vero ad Erodoto come di cosa favolosa : « Ginnamomum et
» casias fabulosa narravit antiquitas , princepsve Herodotus
» avium nidis , et privatim Phoenicis ... ex inviis rupibus ,
» arboribusque decuti » (1) , mentre erano ben più favolose
le cose del Cinnamomo narrate dallo stesso Plinio.
Questo primo Cinnanomo in festuche era portato a 01-
muz isola dèi mare Persiano ne’ tempi antichi fiorentissima
per il suo commercio , e là era venduto ai navigatori Fe-
nicii , che lo recavano nell’ Egitto , e nella Siria , e gli
davano il nome di Kinnamón: « Festucas, quas nos a Phoe-
» nicibus edocti vocamus Cinnamomum » (2) , e questo era
il Cinnamomo di Mosè , e dei Libri Sacri. Diffatti il Winer
nel suo Lessico Ebraico, e Caldaico biblico deriva il vo-
cabolo Ebraico Kinnamón dalla radice Ken nido, e dalla
voce Arabica Kaminà fu grato. È ben vero, che il Gesenio
più tardi dichiarò nel suo Lexicon manuale Hebraicum , et
Chaldaicum , che questo Kinnamón dei Libri protocanonici
veniva dal radicale Kannà erexit, erectum statuii, Canna,
Arundo , come se avesse voluto significare una vera Canna^
e probabilmente egli interpretò così avendo in vista il Cin-
(!) C Plinti Secondi Nat. hist. ex editione Paoli Manulii , Vmetiis 1559.
lib. 12. cap. 19.
(2) fferod. edit. citata p. 252.
t. i. 28
218
Antonio Bertoloni
namomo in cannelle , che di poi si introdusse in Europa ,
ma evidentemente errò, perchè, come già dissi, Erodoto
manifestò, che i navigatori Fenici! si valsero del vocabolo
Kinnamón per esprimere le festuche dei nidi di uccelli,
in secondo luogo poi perchè , se all5 Arundo , o danna con-
viene l5 erectum statuit per essere alta, robusta, distinta,
e fortificata da nodi frequenti guarniti di foglia larga , e
lunga,, ciò non si trova nel Cinnamomo del commercio , il
quale è fatto di cannelle lunghe , tenui , liscie , senza nodi ,
e senza foglie, o rimasugli di foglie.
Dopo Erodoto Aristotile disse qualche cosa del Cinnamo-
mo nella sua storia naturale (1) , cioè che nell5 Arabia si
dava il nome di Cinnamomo ad un uccello, che portava
le festuche per farne i nidi in alti alberi , e che gli abitanti
del luogo facevano cadere que5 nidi colle balestre ; ma se
parlava con giustezza de5 nidi fatti di festuche, e del
modo , col quale si facevano cadere , passava poi nel favo-
loso supponendo , che il Cinnamomo si trovasse nell5 Ara-
bia , e che esistesse l5 uccello di nome Cinnamomo , del
quale nessun autore ha mai parlato nè prima, nè dopo di
lui, dal che è evidente, che esso non aveva esatte notizie
intorno al Cinnamomo.
Nè fu più fortunato di lui il suo discepolo Teoffasto, il
quale erroneamente ripetè , che il Cinnamomo nasceva nel-
1 Arabia , e riferendosi ai detti menzogneri , e strampalati
dei navigatori commercianti, che portavano a vendere droghe
sotto il nome di Cinnamomo , ne descriveva la pianta colle
loro parole , sebbene mostrasse di non prestarvi fede : « De
» Cinnamomo , et Gasia narrant Fruticem esse utrumque non
» amplum , sed magnitudine Amerimnae , verum permultis
j» surculosisque tamis constare .... Cum itaque virgas se-
» cant , longitudine binum digitorum , aut paulo ampliore
» abscindere, recentique bovis corio eas insuere. Tum ex
» eo lignis putrescentibus vermiculos nasci, qui lignum
(tMrùi. Dehist. animai, pars quinta Venetin, Ad signum Seminanti* 1572.
[P* io. p. o34.
Miscellanea botanica xxiii.
219
» erodant, corticem vero nullatenus tangant ob amaritudi-
» nem acrimoniamque odoris » (1). Chi non vede, chequi
si parla di un Salcio di numerosi vimini , e di scorza amara ?
Chi non conosce a colpo d’ occhio la favola dei vermini ,
che corrodono il legno imputridito, e lasciano intatta la
corteccia? Lo stesso Teofrasto la confessa favola per altre
supposte particolarità. « Haec piane fabula est » (2). Ma di
queste cose ne saremo meglio chiariti , quando parlerò del-
P albero del Cinnamomo , e frattanto conchiuderemo , che
nemmeno Teofrasto ebbe contezza del Cinnamomo.
Frattanto la celebrità del Cinnamomo si era molto este-
sa , e grandi erano le domande , che se ne facevano ; per
lo che i mercatanti navigatori avidi di lucro per soddisfare
alle ricerche introdussero nel commercio più sorte di droghe ,
che spacciavano sotto lo stesso nome di Cinnamomo , e gli
Olmuzesi con vocabolo Persiano le dicevano Darchìni 3 che
vuol dire legno dei Chini , e siccome poi ne erano evidenti
le differenze , coprivano la frode col dire , che quelle dro-
ghe si alteravano nel loro lungo viaggio , il quale durava
cinque anni, che dipendevano altresì dalla diversità del
luogo , e del clima , dove nascevano gli alberi , dai quali
si ritraevano, e in fine dal sito diverso , dove le corteccie
si tagliavano.
Pervenuto questo miscuglio di droghe nella Grecia, gli
studiosi de’ medicinali sì fecero a studiarle , e Dioscoride
vi distinse cinque specie di Cinnamomi. La prima, che
dice la migliore, era di colore nero, liscia, di rami sottili,
e con nodi frequenti. La seconda di odore prossimo alla
Ruta. La terza di gusto acuto , e mordente , e di un certo
calore alquanto salso , e tra nodo , e nodo liscia , e ben
polita. La quanta bianca, fungosa , tumida, di vii prezzo,
e che spirava odore dì Cassia. Le quinta feriva il naso col
(1) Theophr. Ere s. De hist. plant. cum Bodaeo a Stapel etc. Amstelodami.
Apud Henricum Laurentium 1644. lib. 9. cap. 6. p. 963. {err. typogr.
p. 985.) , et p. 984.
(2) Theophr. I. e. p . 984.
220
Antonio Bertoloni
suo odore, era. rossiccia, al toccare dura, non molto ner-
vosa,. e di grossa radice (1). Quando descriverò il Cinna-
momo di Ceylan , vedremo, che esso non combina con ve-
runa delle specie indicate da Dioscoride , ed il Mattinoli
suo commentatore confessa, che non potè mai trovare il
vero Cinnamomo nè in Venezia, nè in Napoli, nè in altre
città dell’ Italia per quante diligenti ricerche ne facesse a’
mercatanti , che ogni anno navigavano alla volta di Ales-
sandria , e nemmeno potè averne notizia da coloro , che a
suoi tempi andavano di Portogallo all9 India , nè potè tro-
varla nelle drogherie particolari de’ gran Principi ; donde
conchiuse che il Cinnamomo a noi mancava (2).
Ora passerò dagli Autori Greci ai Latini. Plinio si af-
faccia pel primo. Già vi dissi , che esso ebbe torto di rim-
proverare i nidi di Festuche di Cinnamomo -ad Erodoto. Peg-
gio poi disse , che gli uccelli, che facevano que’ nidi , era-
no la Fenice. Erodoto nelle sue Storie non parlò mai del-
1’ imaginaria Fenice , la cui fàvola fu narrata da Plinio ,
che pure la sospettò favola: « Haud scio an fabulose » (3),
e se aggiunse, che il Senatore Manilio nell’ anno 215 in-
trodusse in Roma la Fenice, e che Cornelio Valeriano assi-
curava , che essa si trovava nell’ Egitto , confessa poi « Quod
» actis testatum est, sed quam falsum esset, nemo dubi-
taret » (4). A questa favola ne aggiunse di maggiori, cioè
che nel mare meridionale dell’ India si sentiva da lontano
1’ odore del Cinnamomo trasportato dai venti , di guisa che
la flotta d’ Alessandro magno da questo odore conobbe la
situazione dell’ Arabia , di più che il Cinnamomo nasceva
nell’Etiopia confinante coi Trogloditi , e che i mercatanti
navigatori lo trasportavano di là in bastimenti non retti da
timone, nè spinti da vele, e da remi, ma che si move-
vano da per se. Ebbe però 1’ avvedutezza di credere anche
(1) Diosc. Della Mat. med . coi commenti del Matthioli Venetia 1585 ap-
presso Felice Val grimo lib. 1. cap. 13 p. 49.
(2) Matth. Comment. a Diosc . ediz. cit. tom. 1. p. 53-55.
(3) C. Plinii Secundi Nat. hist. edit. Manutii 1559. p. 244.
(4) Plin. I . c.
Miscellanea botanica xxiii. 221
queste cose false: « Omnia' falsa » (1). Così avesse creduto
false anche quelle riguardanti la pianta del Cinnamomo ,
e della Casia., le quali erano una ripetizione dei detti di
Teofrasto. Adunque nemmeno Plinio conobbe il Cinnamo-
mo, e più dei precedenti scrittori lo ingarbugliò di false
dicerie.
Porrò in secondo luogo Galeno tra gli scrittori Latini ,
tuttocchè oriundo di Pergamo , perchè abitò in Roma , dove
era Medico , e Preparatore dei medicinali per gli Imperatori
Antonino , Commodo , e Severo. Narra esso , che al tempo
di Adriano fu portata dal paese dei Barbari una cassa lun-
ga quattro cubiti , e mezzo , dentro la quale era un albero
intero di Cinnamomo della prima specie. Per verità con-
vien dire , che fosse un arbusto , e non un albero , come
è il vero Cinnamomo , il quale non si portò mai in giro
sotto forma d’ albero, ma prima si ebbe sotto forma di fe-
stuche, e poi di cannoncelli. Inoltre parlò di altri Cinna-
momi portati al tempo di Antonino, i quali si conservava-
no dentro scatole di legno, ed erano di diversa lunghezza ,
il maggiore de’ quali non eccedeva il mezzo palmo Roma-
no , avevano rami laterali sottili , e taluno mostrava la for-
ma dell9 Elleboro , o Damasonio di Creta (2). Tutte cose
non convenienti al Cinnamomo ; perciò nemmeno Galeno
lo conobbe , e si illuse con altre droghe falsamente spac-
ciate per Cinnamomo.
Gli Autori Arabi Avicenna (3) , e Mesue (4) sono nella
stessa categoria di Dioscoride , e di Galeno. Essi ammet-
terono più droghe sotto il medesimo nome Dar-dsini , Dar-
sini , Dar seni , e come si ha nel Corano Dar-dsini , e Thar -
àsini , sebbene questo non fosse il nome Arabico genuino ,
(1) Plin. edit. cit. p. 324.
(2) Galeni Librorum Quinta Classi* , sexta editto. Venetm apud Juntas 1586.
De antidotis libro primo cap. 13 p. 105 versa.
(3) Avicenna. Canon Medicin ae. Lovanii Typis ac sumptibus Hieronymi Nem-
paei 1658. tom. 1. in titolo capitis quarti libr. 2. cap. 2. p. 102.
(4) Mesue De re Medica. Parisiis , Apud Egidium Gorbinum 1561 p. 193.
194. in Interpretalione vocum.
222
Antonio Bertoloni
il quale è Aldharini 3 e que’ nomi erano presi della lin-
gua Persiana , e significavano legno dei Chini , come ho già
detto. Nessuna delle loro specie apparteneva al Cinnamomo
di Ceylan , dal che è chiaro , che non Io conobbero.
Era riservato ai tempi a noi più vicini di acquistare
questa piena conoscenza , e di sceverarla dalle menzogne ,
che ho accennate.. Poiché Yasco di Gama per il primo su-
però col suo navile il Capo di Buona Speranza , e pervenne
all5 India orientale, aprì la strada diretta di quel ricco com-
mercio ai Portoghesi. Il Re di Portogallo divenne padrone
non solo delle coste del Mozambico nell’ Affrica Austro-orien-
tale,, ma ancora di quelle dell’ India orientale, e delle isole
vicine, e vi pose Governatori. Era medico del Viceré del-
P. India il Dottore Garcia di Orta , detto ancora Garzia de
Órta. Questi si accinse a studiare le droghe Indiane , e le
descrisse in una sua opera in forma di dialogo , e in lingua
Portoghese, stampata a Goa. Carlo Clusio ne fece un com-
pendio , e lo inseri nel suo libro Exoticorum (1) sotto il ti-
tolo di Aromatum et Simplicium aliquot Medicamentorum
apud Indos nascentium Hi sto ri a , che Cristoforo Piantina
aveva già impressa co’ suoi tipi. in Anversa (2).
In questo compendio del Garcia il Clusio pose la seguente
descrizione dell’ Albero del Cinnamomo. È della grandezza
dell’ olivo , sebbene ve ne siano di minori. Le sue foglie
hanno il colore di quelle del Lauro, e la forma di quelle
del Cedro. Ciò , che si dice cannella , è la parte interna
della corteccia; gli indigeni la separano dalla parte esterna,
la tagliano a striscie , che distendono in terra al sole, ove si
avvolgono a guisa di tubo della grossezza di un dito , e
prendono la forma di una cannuccia, donde venne loro il
nome Portaghese di Cannella; accartocciate sembrano la scor-
ti) Caroli Clusii Àtrebatis. Exoticorum libri decerti. Ex officina Plantiniana
Raphelengii 1605 p. 145.
(2) Aromatum et Simplicium aliquot Medicamentorum apud Indos nascentium
Historia etc. Antuerpiae , Ex officina Christophori Plautini CIO- IO. LXXIIII.
Miscellanea botanica xxiìi. 223
za di un ramo intero , ma non ne Sono che una parte.
Questi tagli non si fanno che ogni tre anni , acciocché la
ferita si possa rimarginare. I pezzi esposti al sole acquistano
il colore roseo, o vinoso-cinereo , io lo direi piuttosto colore
di vino bianco carico , per verità non abbiamo un termine
proprio per esprimerlo , e noi Italiani lo diciamo Color di
cannella. Il sapore , e F odore di questa droga è gratamente
aromatico, e nulla ha in se di disgustoso tenendola anché
lunga pezza in bocca. Il Garcia poi ci avvisa , che F albero ,
dal quale si ritrae , è esclusivamente indigeno dell’ isola
di Geylan (1) , ed è di questo Cinnamomo, che io ho inteso
fin qui di parlare. Nessuna figura ne diede il Garcia, ma
il Clusio nella sua nota aggiunta alla storia della pianta (2)
pose quella di un pezzo di ramo , che spogliato in parte
dello strato corticale esterno mostra la cannella sottopósta.
Il Piantina ripetè questa figura nella sua edizione (3) , e
vi aggiunse una foglia, che appartiene al Caryophyllus aro -
maticus , forse è quella foglia data a non so chi da Giovanni
Plaga Medico, e Professore Valentino nella Spagna, come
si dice nell’Aggiunta appresso il Piantina.
Cristoforo Acosta fu nelle Indie orientali, ove conobbe
il Garcia , e di là venuto in Italia ne trasportò F Opera
sulle Droghe dell’ India nel nostro volgare (A) corredandola
di figure , e per ciò anche di quella del Cinnamomo del
Ceylan , la quale è stata adottata da tutti i Sistematici.
Aggiunse anche qualche altra particolarità, cioè che que-
st’ albero era della grandezza di quello dell’ Arancio ; quin-
di non è meraviglia , se già aveva detto , che se ne tro-
vavano alberi maggiori , e minori , come nell’ Italia scher-
zano gli Aranci coltivati. Nella Sicilia , a Napoli , a Massa
di Carrara se ne veggono di mole insigne ; a Massa la piaz-
224
Antonio Bertoloni
za pubblica è contornata di doppio filare di simili alberi;
ma gli aranci, che ne1 2 3 4 5 6 luoghi più freddi si tengono in va-
si , rimangono frutici , quantunque producano fiori , e frutti
copiosi, come i grandi alberi.
Ora vengo alle vicende del Cinnamomo portato a Olmuz.
Garcia secondo la versione del Clusio dice, che ve lo por-
tavano Sinenses , e Sina (1) , e P Acosta li dice i Chini (2).
Non bisogna confondere questi Sinenses, e Chini coi Chinesi.
I Chini sono gli abitanti della Cochinchina , malamente
confusa talora colla China (3) , ciò si sa dai moderni Geo-
grafi (4). Nella China propriamente detta non nasce il Cin-
namomo, nè i Chinesi coi loro deboli navigli , o giunche , che
adoperano anche al giorno d’ oggi , avrebbero potuto affron-
tare cosi vasto mare per ig&arsi a Ceylan a comprarvi il
Cinnamomo , e di là trasportarlo a Olmuz nel mare della
P ersia. 1 Chini' come più destri , e possessori di migliori
navigli poterono più agevolmente fare questa navigazione.
Voglio credere però essere cosa esagerata , e forse favolosa ,
che al dire di Garcia si trovò negli Annali di Olmuz es-
sere colà entrate in una sola notte quattrocento grosse navi
dei Chini, ed in una sol volta essersene perdute più di
duecento nelle secche di Chalao (5).
E qui non posso a meno di parlare di un altro Cinna-
momo , cioè di quello della Cochinchina , di Giava , e del
Malabaif. Del primo ne tratta il Loureirò nella Flora Co-
chinchinensis (6) come di albero indigeno degli alti monti
della Cochinchina, e dice di esso: « Rami crassissimi dant
» vile Cinnamamum , quod plerumque abjicitur . . . tenuior
» cortex e supremis ramis avulsus Zeylanico crassitie aequa-
(1) Clus Exot. p 168. 169.
(2) Acost. Tratt. p. 6. 7. 8.
(3) Acost . Tratt. p. 8
(4) Nuov. Atlant. Geograf. univers. Milano 1820. p. 26.
(6) In Clus Exot. p. 169. Acost. Trai. p. 7.
(6) Flora Cochinckinensis sistens plantas in Regno Cochinchina nascentes etc.
labore oc audio Joannis de Loureiro cum notis Ludovici WiUdenowii , Serotini ,
tmpensts Haude et Spener 1793. tom. 1. p. 305.
Miscellanea botanica xxiii.
225
» lis , odore et sapore acerrimus non magni aestimatnr . . .
» At mediorum ramorum cortex , lineam fere crassus , opti-
» mura et pretiosum praebet Ginnamomum , quo utuntur in
» medicina, et multo altiori pretio venditur, quam Zeyla-
)> nicum » (1) , dalle quali cose facilmente si capisce , che
» esso parla di un Cinnamomo diverso dal Zeylanese , sebbe-
ne gli attribuisca il nome datogli da Linneo, ed il sinonimo,
e la figura dèi Burmanno nel Thesaur. Zeil. citata da Linneo ,
della qual figura però non si mostra contento. Io inclino a
credere , che il Cinnamomo del Loureiro sia piuttosto il Lau-
rus Cassia L. , quando non sia il Cinnamomum Malabathrum
del Nees (2). Riguardo poi al Cinnamomo di Giava, e del Ma-
labar il Garcia sulla fede dei venditori , più che sulla sua per-
suasione, riteneva, che fosse identico con quello di Cey-
lan (2), diceva però che 1’ albero era minore, e che dalla
sua corteccia se ne ritraeva una Cannella più grossa , meno
aromatica , e di prezzo assai inferiore , giacché cento libbre
di Cannella di Ceylan sì vendevano dieci zecchini , mentre
quattrocento libbre di quella di Giava, e del Malabar si
vendevano un zecchino (4). Ora è indubitato, che questa
appartiene ad una specie diversa, come vedremo nella sua
sinonimia. Le Cannelle , che ne vengono in commercio , sono
grosse, e lunghe anche due piedi, e più, e solo si spez-
zano per venderle al minuto , la loro lamina è più crassa ,
di colore rossiccio, di odore non il più grato, di sapore
aromatico pungente , da principio piacevole sufficientemente
al palato , ma che in ultimo diventa disgustoso. Nelle dro-
gherie, e farmacie questo Cinnamomo porta il nome di
Cannella grossa , o di Cannellino di Goa. Lo stesso Garcia
seppe dai Medici Arabi, Turchi, e Corazzani , che questa
Cannella grossa si chiamava Cassia legnosa , e pareva , che
il nome di Cassia le fosse venuto dai mercatanti Greci,
226
Antonio Betoloni
che andavano a comprarla in Alessandria d’ Egitto. Gli 01-
muzzesi , che colà la portavano , le davano il nome di Cais
manis , ed i Greci mutavano il Cais in Cassia. (1). Da ciò
venne che Linneo le diede il nome di Laurus Cassia. Può
darsi, che tra le droghe , che gli Olmuzzesi con vocabolo
Persiano chiamavano D ar chini , e portavano a vendere ad
Alessandria , e che i Medici Arabi chiamarono presso a poco
collo stesso nome , fosse la Cassia legnosa , Laurus Cassia L. ;
ma la cosa non è certa.
Più sopra toccai della lunghezza del viaggio , che i na-
vigatori mercatanti adducevano per paliare la diversità delle
droghe , che sotto lo stesso nome di Cinnamomo portavano
a vendere. Secondo i loro detti questo viàggio durava cin-
que anni , e certamente vi voleva un lungo tempo per an-
dare dalla Cochinchina, e dalle isole delMndia a Olmuz ,
tanto più che i bastimenti allora adoperati non avevano la
robustezza dei moderni , e I’ arte del navigare non era cosi
bene conosciuta come oggi , e ben si può dire , che la loro
navigazione consisteva piuttosto nel costeggiare il conti-
nente vicino , che nell5 affrontare V alto mare. Tuttavia se si
considera , che le flotte di Salomone movendo dal fondo
del seno Elanitico per andare a Ophir impiegavano tre
anni fra P andata, e il ritorno, e che i naviganti di Ophir
per portare i tributi al Re di Persia in fondo al seno Per-
sico impiegavano essi pure tre anni per V andata, e per il
ritorno (2) , parmi , che quel viaggio di cinque anni fosse
esagerato.
Mi resta ad esporre i nomi , ed i sinonimi adoperati dai
Botanici per distinguere le due specie anzidette. Linneo,
quel sommo , che seppe affrontare la natura tutta , e ridurla
a sistema , dall5 esame de5 fiori , e de5 fratti di esse trovò ,
che appartenevano ad uno stesso genere, che egli intitolò
Laurus , ma più di recente il Nees ab Esenbeck fece rivi-
(t) Acost. Tratt. p. 8. e 9.
t>. ?i/ruc* Voya9' 9<aiiee tom' P‘ 300‘ 306* Herod- Hist- ìib- 3* P- 252‘
Miscellanea botanica xiii.
227
vere il genere Cinnamomum già iniziato dal Burmanno , e
le trasportò ad esso. Ecco pertanto questa sinonimia comin-
ciando dal Cinnamomo di Ceylan.
1. Laurus Cinnamomum Linn. Sp . pi. edit. 1 . p. 369., et
ed 2, p. 528., et FI. Zeyl. p. 145.
Cinnamomum zeylanicum Nees. Dietrich. Syn . plani . sect. 2
p. 1334 n. 8. a.
Canella Gare . in Clus. Exot. p. 168.
Cannella Acost. Tratt. p. 1. e seg. fig. p. 2.
Cinnamomum sive Canella Zeilanica C. B . P. p. 408.
Cassia Cinnamomea. Cinnamomum sive Canella Zeylanica
Herm. Hort. Acad. Lugd. Batav. Catal. p. 129.
G. Cinamomea sive Cinamomum Herm. I. c. p. 656.
(err. typogr. p. 665.) fig.
Cinnamomum foliis latis , ovatis, frugiferum Burm. The -
saur. Zeyl. p. 62. tab. 27.
Ital. Cannella fina. Cannella Regina.
Arò. Habitat in insula Ceylan.
2. Laurus Cassia Linn. Sp. pi. ed. 1. p. 369, et ed 2.
p. 528., et Fi. Zeyl. p. 146.
Cinnamomum aromaticum Nees. Dietrich. Syn. pi. sect .
poster, p. 1334. n. 9.
Carua Hort. Malab. tom. 1. p. 107 tab. 57.
Cassia lignea Gare, in Clus Exot. p. 169.
Canella ignobilior Gare, in Clus. I. c. p. 169. et 170.
Cannella grossa. Cassia lignea Acost. Tratt. p. 7.
Cinnamomum siva Canella Malabarica et Javanensis C. B P.
p. 409.
Cinnamomum perpetuo florens , folio tenuiore , acuto Burm.
Thes Zeyl. p. 63. tab. 28.
Ital. Cannella grossa. Cannellino di Goa .
Àrb. Habitat in Giava , et Malabaria , forte etiam in Co-
cbinchina.
Per maggiore distinzione di questa specie Arnoldo Syen in
una sua nota al Hortus Malabaricus (1) dice : » Arbor
(1) Hort. Mairi- I- !>• H°-
228
Antonio Bertoloni
» hic descriptus Ganelia est Malabarica , Lusitanis Ca-
» nella del Matto: quae Ceylonensi omnibus sbis parti-
» bus longe est ignobilior , et idcirco longe minori in
» pretio habita , » lo che coincide con quanto ne aveva
già annunziato il Garcia.
E qui pongo fine al mio discorso, il quale di quanto stu-
dio mi sia costato per decifrare la storia dei due Cinna-
momi , non è che il dica. Passo ora alla seconda parte
di questa Miscellanea, ove pongo la descrizione , e le
figure di cinque nove specie , vi aggiungo la figura della
Trigonella Pes avium , che sin ad ora non si aveva, ed
espongo in ultimo un carattere intorno alla Saxi fraga flo-
r aleuta da me conosciuto più di recente.
CLASSIS DIOECIA. ORDO MONADELPHIA.
Ord. Nat. Coniferae Juss.
1 . Juniperus indica : arborescens ; fòliis inferioribus longio-
ribus , e basi late ovata lanceolati , semipatulis , supe-
rioribus ovatis , imbricatis , decussatis , aeutisque omnibus
Tab. 1. 4
J. Sabina L. Hook, et Thoms . PI. sicc*
Arb. Habui ex India orientali in Sithiem in regione subal-
pina ad altitudinem decem-quindecin millium ped um ab
Hookero filio , et a Thomsonio.
Arbor valde ramosa , et ramulosa, corticc rufò-fusco, ramis,
ramulisque alternis. Folia coriacea, dura, opposita , de-
cussata, sessilia, basi amplexicaulia , viridia , nitidul a ,
inferiora longiora, e lata basi lanceolata, semipatula, su-
periora arcte imbricata, brevia, late ovata, utraque acu-
ta, et in dorso medio subuniglandulosa , gianduia parva.
Bacca ovalis , duplo grandior, quam in Junipero Sabina
L., sicca fosca, rugosa, nitida. Odor plantae leviter in-
gratus. Glaucedo nulla.
Juniperus Sabina L. pianta Europaea, et etiam in editis
Italiae obvia, facile distinguitur glaucescentia , odore foe-
tido gravi, foliis minoribus , decurrentibus , bacca mi-
nore , globosa , vel subglobosa.
Miscellanea : Botanica xxiii.
229
Explicatio tabulae primae .
Fig. a. Pianta in statu naturali.
b. Pars rami aucta, ostendens folia latiora, seinipatula.
c. Bacca parum aucta.
2. Taxus orientalis: foliis distichis , longis , anguste linea-
ribus ) acutis , rigide mucronulatis , margine exquisite
revolutis Tab . 2.
T. baccata Hook . fili , et Thoms. PI. sicc *
Arbor. Habui ex India orientali in Stim occid. in regione
temperata ad altitudinem octo millium pedum.
Caulis alterne ramosus. Folia approximata, disticha , pa-
tula , anguste linearia , circiter pollicem longa , acuta , ri-
gide mueronulata , margine exquisite revoluta , brevissi-
me , et latiuscule petiolata , saturate viridia , subtus pai-
lentia. Odor plantae siccae ingratus , satis intensus.
Taxus baccata L. frequens in sylvis montanis editis Italiae
differt foliis brevioribus , et latioribus , margine planis ,
aut vix revolutis.
Explicatio Tabula secundae .
Fig. a. Pianta in statu naturali.
b. Folium multo auctum , ostendens marginem exqui-
site revolutum.
3. Ephedha macrocephala : caule striato, scabrido ; ramis ver-
ticillatis , oppositisve ; amentis masculis crassis , sessili-
bus , glomeratis , femineis paucis , fasciculatis , breviter
pedunculatis , oblongis Tab. 3.
E. vulgaris var. Helv etica Hook. fil. et Thoms. Plant sicc.
Frut. Habui ex India orientali in Tibet in regione alpina
ad altitudinem septem-quatuordecini millium pedum.
Caulis crassus , teres * striatus , scabridus , viridis , articu-
latus , in articuiis verticillate , aut opposite ramosus. Sti-
pula in articuiis tubulosa , apice opposite bidentata , al-
bida, senio basi, et apice ferruginea, demum dentibus
230
Antonio Bertoloni
obliteratis veluti truncata. Flores dioici. Amenta mascu-
le sita in articulis ramorum superiorum , plura simul glo-
merata, crassa, sessilia , composita amentulis minoribus.
Amentula pariter sessilia , brevissima , circumdata squamis
duonmi-quatuor ordinum , valde approximatis , imbricatis ,
decussatis, ovatis, concavis , rnembranaceis , aetate fer-
rugineis , margine angusto , albido > superioribus majori-
bus. Stamen unicum in quovis amentulo, monadelplium,
scilicet inferne simplex , et convolutum in stipite m corri -
munem , apice solutum in filamenta quinque-septem , bre-
via , cum anthera terminali ovata , albida , biloculari , lo-
culis apice poro transverso dehiscentibus. Amenta feminea
fasciculata, pauca, pariter sita in articulis ramorum, ob-
longa , breviter pedunculata. Eorum squamae ut in amen-
tulis masculis , sed distinctiores , aetate fuscae , late al-
bido-marginatae. Pistilla in quovis amentulo gemina. Ova-
ria terminata stilo longo , flexuoso. Nuces duae , oblon-
gae , dorso convexae , in facie interna planae , arcte ap-
proximatae.
Explìcatio Tabulae tertiae.
Fig. a. Exhibens piantami masculam in statu naturali.
b. Pars caulium ostendens stipulas juniores.
c. Gongeries flomm masculorum in amento primario,
microscopio aucta , squamis interpositis.
d . Flos masculus seorsim exhibitus , et attctus , prae-
ditus stamine inferne monadelpho , superne in fi-
lamenta antherifera soluto.
e. Pianta feminea in statu naturali.
f Nuces geminae arcte conniventes , et auctae , squa-
mis obvallatae.
CLASSIS CRYPTOGAMIA. ORD. HEPATICAE WILLD.
4. Jungermannia bipinnata : ramis breviter ramulosis , uni-
formibus , distichis ; foliis subcordato-ovatis , lateve rotun-
datis , obtusis , acutisve, distichis, integris, arctissime im-
bricatìs Tab. 4.
Miscellanea botanica
231
Perenti. Forte ex insula Ceylan , nam reperta in pugillo
plantarum cum Lauro Cinnamomo L.
Rami erecti , sesquipollicares , bipinnati , forma lanceolata ,
pinnis , pinnulisque approximatis , alternis , brevibus ,
uniformibus , distichis , supremis decrescentibus. Folia
disticba y arctissime imbricata , racbidem occultantia ,
lata, subcordato-ovata , aut rotondata, obtusa, vel acu-
ta, et breviter apiculata, integerrima, in sicco fiavida.
Deest fructificatio in meo exemplari.
Pugillus plantarum, de quo supra, repertus fuit in navi
a piratis capta in mari Hispanico , et cum mercibus Gen-
imam delata , ubi pugillus iste in manus Eq. Ippoliti
Durazzo pervenit, qui, cum anno 1812. Genuae essem ,
dono mihi benevole dedit.
Explicatio tabulae quartae.
Fig. a. Pianta in stato naturali.
b . Pianta microscopio aucta.
c. Folium microscopio Schiekeano amplissime auctum,
et cellulis fenestratum.
5u Jungermannia amentacea: ramis pinnatis , foliisque di-
stichis , oblongis , superne argutissime , exquisiteque den-
tati , amentis foliaceis , subterminalibus Tab. 5.
Perenn . Reperta cum praecedente.
Caulis primarius prostratus , fuscus , sursum ramosus. Rami
remoti , erecti , inferne simplices , superne distiche pinna-
ti , pinnis longiusculis , rachide rufescente. Folia appro-
ximata , sed distincta, disticha, oblonga , decurrentia , in
margine externo involuta, superne exquisite , et argu-
tissime dentata, e viridi pallentia. Ex uno, alterove
folio prope apicem rami , vel ex ipso apice rami pro-
dit amentum foliaceum , acutum , tres-quatuor lineas km-
gum , tectum foliis parvis , ovatis , acutis , distichis ; rium
sit primordium fructificationis , aut rudimentum elonga-
tionis futurae , dicere nequeo.
232
Antonio Bertoloni
Explicatio tabulae quintae.
Fig. a . Pianta in statu naturali.
b. Ramus cum foliis microscopio auctus.
c. Folium microscopio Schiekeano yalde auctum, et cel-
lulis fenestratum.
CLASSIS DECANDRIA. ORD. DIGYNIA.
Ord. nat. Saxifragaceae De Cand .
6. Saxifraga florulenta Morett. Bert. Misceli, bot. 21./?. 14.
n. 2. tab . 2.
In descriptione , et figura hujus speciei ? quas dedi in Mise,
bot. 21. dixi , et exhibui petala alba, quia ita erant
in meis exemplaribus siccis , sed in figura de vivo pietà,
et nuperrime ad me missa a Gl. Barla petala exhibentur
rosea , inferne , vel etiam superne pallidiora, quae res
descriptioni nostrae addenda; an constans , an lusus?
CLASSIS DIADELPHIA. ORD. DECANDRIA.
Ord. Nat. Papilionaceae Linn.
T. Trigonella Pes avium Tab. 6.
T. Pes avium Bert. FI. Ital. 8. p. 247. ri. 2.
Haec species hactenus parum nota Botànicis , et nulla fi-
gura sancita. Haec figura primum nunc in lucem prodit,
ut species magìs innotescat.
Mem.Ser.II‘Tom.1.
Bwtoloni.Miscel.Hllt .Tav. I.
Mem.&ff ffTom.1.
&& 9^ eii.
Mem.Tom.XII.
Bertoloni MisceLXXlII.TaT.lII.
Mem.Ser.ir.Toinl.
Bertolom. Miscel.B(l)[.Tav J
. 4
Casano
Mem.Ser.r.TomL
Bertoloni lisceLDOIl.TaylI.
litli* Caia
DI l)M
STRAORDINARIA DILATAZIONE
DELLE VIE BILIARI
PER ESTERNA COMPRESSIONE
DEL CONDOTTO COLEDOCO
mnmu
DEL DOTT. CARLO SO VERINI
( Letta nella Sessione 23 Maggio 1861 ).
P
-Li Anatomia patologica sempre ferace di utili insegna-
menti diventa pel Clinico della massima utilità , allorquando
per lei sola viene in chiaro di alterazioni , le quali durante
la vita non potè esattamente determinare. Di che porge
novella prova il caso morboso che siamo per narrare.
Il 22 Agosto dello scorso 1860 entrò dozzinante in que-
sto nostro Spedale Maggiore il Sartore Francesco Braglia
d’ anni 60, alto della persona, di gracile corporatura e di
costituzione lassa. Nato egli in Reggio di questa nostra
Emilia da sani e robusti parenti , e preservato tosto dal-
1* arabo esantema colP opportuno innesto del vaccino , passò
P infanzia immune da qualsiasi malattia. Nella successiva
puerizia andò soggetto a tubercoli ossei nel metacarpo del-
P indice destro, de’ quali dopo lunghi patimenti e molte
cure finalmente guari , non senza però il reliquato di grossa
e profonda cicatrice , che il tempo valse a diminuire , a
cancellare giammai.
In seguito alla morte del padre sventuratamente avve-
nuta dopo grave caduta, potè il Braglia nella tenera età
234
Carlo Soverini
<T anni 6 essere accolto nel patrio Orfanotrofio de’ Mendi-
canti ^ dove , godendo sempre buona salute , rimase fino
al 21. anno. Uscito da quel Pio Luogo, nel quale appre-
so aveva V arte del Sarto , si recò immediatamente in questa
nostra Città, nella quale, essendosi appostato come lavo-
rante in una delle Sartorie di maggior grido , prese stabile
domicilio. Dedito ognora al lavoro e perciò lontano da qua-
lunque viziosa abitudine godè mai sempre di perfetta sa-
lute fino agli anni 55, nella quale età fu preso da gra-
vissima febbre tifoidea che lo mise in pericolo di perdere
la vita. Superata però dopo tre mesi di decubito l’ accen-
nata malattia, non ricuperò perciò la pristina integrità di
salute. Perocché non di rado ebbe a dolersi di una inso-
lita prostrazione di forze, di molestia alle emorroidi e so-
vente ancora di tosse. Questo stato di mal ferma salute si
rese anche più penoso pel Braglia , quando tre anni ap-
presso (58. di età) nel raccogliere da terra una forbice
incontrò un dolore muscolare ai lombi che V obbligò al letto
per venti giorni , e del quale pure , in onta alla cura ado-
peiata, ebbe a risentirsi di tratto in tratto in appresso.
Così malaticcio era giunto quest’ uomo al 60.° anno di
sua età allorché nello scorso marzo (1860) il dolore emor-
roidale e quello dei lombi di intermittenti si fecero conti-
nui e ribelli affatto ai rimedi di cui era solito giovarsi ;
nè passò guari ,che gli sopravenne il color giallo itterico
prima agli occhi e poscia alla pelle. Allora soltanto chia-
mato il Medico si diede a tutt’ uomo a seguirne i consigli
per cinque non interrotti mesi , ma tutto ciò senza van-
taggio alcuno , stantechè il male lentamente sì ma di con-
tinuo progrediva : onde perduta la speranza di riaversi colle
cure prodigategli in casa propria, sL determinò di esperi-
mentare quelle dell’ Ospedale, dove, come di sopra è detto,
venne trasportato il 22 dello scorso Agosto.
In questo stesso giorno visitato da noi per la prima volta,
riscontrammo in lui le seguenti particolarità sintomatiche:
giallore itterico intensissimo dell’ albuginea e di tutta quan-
ta la pelle , sensibile dimagramento , polsi pieni e rari ,
calore cutaneo pressoché normale. Fisionomia sofferente,
Dilatazione delle vie biliari ec. 235
sensi interni ed esterni nella loro totale integrità. Normale
la voce ed il respiro , anoressia , stitichezza di ventre , ma-
terie fecali biancastre; urine non scarse, ma dense e di
un colore verde cupo tendente al nero.
La percussione e F ascoltazione praticate nel petto, che
ci si offriva simmetrico e ben conformato, ci rassicurarono
che i visceri ed i vasi sanguiferi principali quivi racchiusi
non s’ allontanavano dalla normalità.
Nell’ addome si scorgeva colla semplice ispezione una ri-
levante tumidezza che occupava principalmente F ipocon-
drio destro ,, la regione epicolica di questo medesimo lato
e F epigastrio. Questa tumidezza, che per quanto asseriva
F infermo, si era formata a poco a poco e che contava la
data di oltre quattro mesi , teneva in tensione più o meno
la parete delle ora accennate regioni e massime quella del
destro ipocondrio ; era dura e resistente ma non dolente al
tatto ; e presentava una non interrotta superficie liscia e
convessa da destra a sinistra., eccettuatane la porzione in-
feriore situata nella regione epicolica destra, la quale era
più sporgente del rimanente. Questi risultamenti dell’ ispe-
zione e della palpazione venivano con più accuratezza con-
fermati dalla percussione mediata. Per la quale determinata
la precisa circonferenza della tumidezza mediante lince d’ in-
chiostro segnate sulla pelle , chiara ed evidente ne risulta-
va la naturale figura del fegato , ingrandito però ed ingros-
sato molto più dell’ ordinario. Imperocché per F una parte
il suono ottuso ed epatico che si otteneva coll’ anzidetto
mezzo diagnostico , si faceva sentire dalla sesta costa vera
fino ad un dito trasverso distante dalla cresta iliaca destra ;
e per F altra dall’ ipocondrio destro via via continuava a
dar segni di se fino alla metà circa dell’ ipocondrio sinistro.
Per le quali cose tutte eravamo ragionevolmente condotti
a concludere che la itterizia del nostro infermo era sinto-
matica e dipendente da una malattia cronica del fegato,
per la quale questo viscere subito aveva un rilevante au-
mento di volume.
Assoggettato pertanto F infermo ad una tenue dieta, e
premessa una deplezione sanguigna dai vasi emorroidari,
236
Carlo Soverini
10 sottoponemmo all5 uso dei deostruenti e purgativi unita-
mente ad una bibita emolliente e diuretica , non che ad
un decotto amaro di marubio. Continuata per 7 giorni que-
sta cura V ammalato si trovava migliorato , quando la sera
del 28 Agosto venne preso da cardialgia, cui tenne dietro
11 vomito emettendo dalla bocca la scarsa zuppa testé in-
gerita. Sospesi perciò i rimedi fin allora adoperati, e se-
data la cardialgia ed il vomito con una mistura col lauda-
no, si credè opportuno di ricorrere in seguito (29 Agosto)
all’uso di polveri di magnesia ed ossido di bismuth. Nel
quinto giorno di questo nuovo trattamento curativo (2 Sett.)
accusando 1’ infermo un certo peso al capo, ed avendo il
polso nuovamente pieno e resistente , gli si sottrassero sei
oncie di sangue dal braccio , il cui siero si mostrò di co-
lor verde cupo e come di bottiglia , ed iL crassamento , ne-
rissimo e pultaceo , offrì una lieve cotenna di color giallo
verdastro. Il vantaggio però di questa sottrazione sanguigna
fù di breve durata. Imperocché non più tardi dei dì sus-
seguente (3 Settembre) dopo essere apparse alla cute del
collo , del petto , dell5 addome e delle estremità , numerose
macchiette di color rosso violaceo analoghe a quelle della
Porpora emorragica, il malato venne assalito da forte ac-
cesso febbrile preceduto da intenso freddo, finito il quale
accesso , si fece comatoso , e trascorse 7 ore in tale stato ,
cessò di vivere (4- Settembre ora l.a ant. ).
La necróscopia eseguita 30 ore dopo la morte fece ve-
dere le seguenti cose. Cute di intenso color giallo itterico
colle numerose macchiette di color rosso violaceo apparse il
giorno innanzi la morte dell5 infermo (Tav. 1 ? a, a3 a, a3 a).
Massa cerebrale e suoi involucri di colore più o meno gial-
lastro: i vasi della pia madre injettatissimi di sangue, ver-
samento sieroso nella cavità dell5 aracnoide. — Membrane e
visceri del petto partecipanti più o meno al color giallo itte-
rico. Polmone destro aderente colla feccia anteriore del
suo lobo inferiore alla corrispondente parete toracica me-
diante robusta e larga briglia (c) : parte inferiore di que-
sto stesso lobo enfisematica per un piccolo tratto (e) :
grossi bronchi di questo polmone contenenti un po’ di li-
Dilatazione delle vie biliari ec.
237
quido spumoso di color giallo. Polmone sinistro sano. Umo-
re del pericardio abbondante e di color giallo carico : tes-
suto muscolare del cuore di color rosso dilavato e tendente
al giallognolo : cavità destre di questo viscere lievemente
dilatate e piene di sangue nerissimo e pultaceo. — Fegato
(Tav. l.a h. Tav. 2.a) di volume pressoché doppio dell* or-
dinario , di color verde cupo , di consistenza naturale con
solcature nella sua faccia convessa (Tav. l.a 1. 2. 3.), ca-
gionate dalla pressione delle corrispondenti costole : condotto
coledoco compresso esteriormente alla parte superiore della
sua metà inferiore (Tav. 2.a /) da una piccola gianduia linfa-
tica ingrossatasi come una coccola d9 ulivo (Tav. 2.a &.) in
modo che era totalmente impedito V afflusso della bile nel
duodeno : porzione del coledoco inferiore alla parte com-
pressa (m) vuota di bile e sboccante separatamente nel duo-
deno al disotto dell’ apertura del condotto Wirsungiano (4) :
pozione del coledoco superiore all’ anzidetta parte compres-
sa (rc) enormemente dilatata , avendo un diametro di 3 cen-
timetri , e piena zeppa di bile densa di color verde scuro :
condotto epatico ( o ) e sue due principali branche (p, q) del
diametro pure di 3 centimetri ed ugualmente piene di bile
densa: vasi biliari dentro il fegato (ry s y t, u) in proporzione
più dilatati dei sopradetti condotti e ripieni come quelli della
stessa qualità di bile : condotto cistico (1) breve e del diame-
tro di una penna da scrivere ; cistifellea (2) di volume qua-
druplo dell9 ordinario , esternamente di color rosso paonazzo
in molti punti specialmente verso il collo , di pareti grosse
due volte più del normale, dimostrante quindi i caratteri
anatomici della lenta flogosi di cui era affetta e contenente
una copiosa quantità di bile densissima e di color verde
cupo tendente al nero da cui rimaneva distesa. Stomaco
(Tav. l.a h) di color giallo-verde, spinto dal volume del
fegato nella regione ombelicale e nell9 ipocondrio sinistro ,
contratto nel senso del diametro trasversale massime alla
metà circa della sua lunghezza e contenente delle sem-
plici mucosità di colore giallognolo: duodeno vuoto affatto
di bile : digiuno ed ileo di colore verdastro distesi legger-
mente da gas : intestino crasso parimenti di colore ver-
238
Carlo Soverini
dastro contenente materie stercoracee di colore biancastro:
milza spinta totalmente contro la parete posteriore dell’ ipo-
condrio sinistro , di colore nerastro , di volume e consistenza
normale. Il resto dei visceri dell’ addome , fatta eccezione al
rispettivo colore che più o meno era giallo o tendente al
giallastro, si trovava in istato normale. Si notò infine che
la musculatura esterna era di un color rosso dilavato e ten-
dente al giallognolo , e che il color giallo itterico colpiva
ancora la parte spugnosa e midollare delle ossa , rispettando-
ne P°i |?arte corticale, che conservava il color suo naturale.
Fin qui della necroscopia ; dalla quale facilmente si rile-
va che i fenomeni morbosi presentatici dall’infermo nella
sua ultima malattia e le corrispondenti alterazioni patologi-
che rinvenute nel cadavere di lui movevano tutte dalla com-
pressione subita dal coledoco per 1’ ingrossamento glandulare
di sopra accennato. Per essa compressione, la ritenzione com-
pleta della bile e 1’ enorme dilatazione delle vie escretorie
della medesima superiormente alla parte compressa ; per essa
la permanente intensa itterizia e la lenta flogosi della cistifel-
lea ; per essa ancora (come vedremo più sotto) la congestione
sanguigna della pia meninge e il versamento sieroso dell’ a-
racnoide; per essa infine la morte dell’ infermo.
Che quella compressione infatti fosse valevole a chiudere
in quel tratto il condotto coledoco e produrre una completa
ritenzione della bile nell’ apparecchio escretore della mede-
sima superiormente alla parte compressa, lo dimostrano evi-
dentemente : 1 .° 1’ impossibilità di superare quella chiusura
colle semplici, avvegnaché non lievi, reiterate pressioni
appositamente praticate sulla cistifellea e sui principali con-
dotti escretori enormemente dilatati e pieni zeppi di bile ,
di guisa tale che ci fu d’ uopo aprirci prima la strada me-
diante uno specillo metallico, onde poi ottenere che col-
I’ aiuto delle suddette pressioni 1’ umore ritenuto stillasse
goccia goccia nel duodeno. 2.° La mancanza assoluta del-
1 umore biliare nel tubo gastro-enterico. 3.° Lo scolora-
mento e indurimento delle materie stercoracee e la diffi-
colta somma di emetterle dal corpo patita dall’ infermo
pel non breve spazio di oltre quattro mesi : imperocché la
Dilatazione delle vie biliari ec. 239
bile per tal modo ritenuta non passando più nell’ intestino
non potea altrimenti nè mescolarsi alle parti inassimilabili
del chilo contribuendo così al colore e consistenza normale
delle feccie , nè tampoco eccitare colla sua presenza le con-
trazioni delle fibre muscolari dell’ intestino, affinchè fossero
espulse dal corpo ad opportuni e normali intervalli.
Provata pertanto come quella specie di chiusura del co-
ledoco fosse valevole a produrre una completa ritenzione
della bile, la prima ed immediata conseguenza di questa
ritenzione essere doveva necessariamente la dilatazione delle
vie biliari superiori alla parte compressa. Il che fermato, ecco
come può intendersi il processo seguito dalla natura in que-
sta morbosa operazione. Separata la bile dal fegato e giunta
pér le vie escretorie fino alla metà circa del coledoco , quivi
per la compressione patita da questo canale non potendo
più oltre progredire ha dovuto retrocedere ed entrare nella
cistifellea che a poco a poco ha riempito. Poscia seguitando
il riflusso della bile ognor separata dal fegato, questa ha di-
latato dapprima la porzione del coledoco superiore alla parte
compressa, indi il condotto epatico e sue esterne dirama-
zioni e contemporaneamente la vescichetta del fiele. In
seguito gli effetti del riflusso biliare facendosi sentire nelle
diramazioni del condotto epatico situate entro il fegato, que-
ste pure si sono successivamente dilatate fino alle ultime
loro radici.
Se non che la bile dopo essersi accumulata nella cistifel-
lea e nei proprii condotti escretori distendendoli e dilatan-
doli smisuratamente non poteva a meno col suo lungo ri-
stagno in questi canali e specialmente nei così detti pori
biliari , di non opporsi all’ opera secretoria del fegato , sic-
come non poteva a meno di non venire assorbita dai vasi
a tal fine destinati : cosicché tra per 1’ una che per 1 al-
tra ragione conseguitarne doveva una alterazione del san-
gue sia pei principii elementari della bile non separata e
perciò in esso trattenuti , sia per i non pochi principii im-
mediati e più manifestamente i coloranti della bile stagnante
assorbiti e nei vasi sanguiferi trasportati, i quali ultimi
principii mescolati al sangue circolando per ogni dove in-
240
Carlo Soverini
sieme con lui dovevano far mostra di se tingendo più o
meno dei colori della bile i solidi e gli umori tutti del
corpo. Di qui il color giallo intenso dell5 albuginea , della
pelle e degli altri tessuti bianchi , eccettuata soltanto la
parte corticale delle ossa che come dicemmo conservò il
color suo naturale ; di qui la diversa gradazione di colore ,
dal giallo arancio cioè fino al verde più carico, e per
fino al così detto verde bottiglia osservato nei diversi
visceri ed in tutti i prodotti di secrezione, sierosità, muco,
scialiva , urina ; di qui il color rosso dilavato e tendente
al giallo dei muscoli , ed il color verde cupo e come di
bottiglia dello siero del sangue estratto durante la vita dei-
infermo ; di qui insomma l5 intero apparato sintomatologico
della più intensa itterizia generale , la quale per la irremo-
vibilità della causa da cui prendeva le mosse si doveva
mostrare come di fatto si mostrò perennemente progressiva
e ribelle a qualunque rimedio.
Oltre le conseguenze fin qui discorse dipendenti dall5 ac-
cumulamento della bile nelle proprie vie escretorie , altro
effetto patologico derivante dalla stessa causa, ma partico-
lare alla cistifellea ebbe ad osservarsi nel nostro caso ; e que-
sto fu la lenta colecistite , caratterizzata e dal notabile in-
grossamento e dal colore rosso paonazzo delle pareti di quel
serbatoio. E che questo processo patologico si limitasse alla
cistifellea se ne ha una probabile ragione nelle qualità assai
più irritanti della bile cistica in confronto della epatica,
siccome ebbe a dimostrare fra gli altri F illustre Blainville
con appositi esperimenti. Laonde come nei condotti escretori
gli effètti locali della lunga ritenzione biliare si limitarono
alla distensione e all’ enorme dilatazione , nella cistifellea
invece per le qualità assai più irritanti della sua bile si
risvegliò di più una flogosi lenta che produsse l5 ingrossa-
mento e arrossamento paonazzo delle sue pareti.
Ma quale sarà stata la causa della morte del nostro in-
fermo? Alcuni Autori, seguendo la dottrina fisiologica che
ammette la bile essere necessaria alla formazione del chilo ,
avvisano che in quegli individui , ne’ quali per qualsivoglia
cagione è interrotta la escrezione biliare, la morte soprav-
Dilatazione delle vie biliari ec. 24-1
venga pel disturbo delle funzioni digestive e specialmente
per la sospesa od impedita formazione del chilo. Senonchè
V anzidetta dottrina viene decisamente contraddetta da non
pochi esperimenti fatti sugli animali vivi da uomini insigni
e degni della maggiore fiducia. E di vero il Magendie pra-
ticò la legatura del dutto coledoco sopra animali adulti , e
in due casi in cui gli animali stessi sopravvissero alle con-
seguenze dell’ operazione potè assicurarsi essere continuata la
funzione della digestione , essersi formato del vero chilo bian-
co (1). L’ Illustre nostro Fisiologo Gav. Prof. Marco Paolini ripe-
tè il medesimo esperimento nel 1836 sui cani, e nel 1839 sui
giovani gatti , ed ebbe campo di convincersi che la chilifica-
zrone, lungi dal soffrire sconcerti per la mancanza della bile
nel duodeno, si continuava invece nella totale sua integrità
e nel modo il più lodevole. Imperocché uno dei gattini che
servi all’ esperimento, riavutosi dai patimenti sofferti perla
operazione , e tornato vispo e gaio siccome era prima fù da
lui tenuto in vita per 38 giorni , nel qual tempo si man-
tenne benissimo in salute, e al momento in cui fù ucciso
mediante la puntura del midollo allungato, era cresciuto,
ben nutrito anzi ingrassato ; quantunque P afflusso della
bile all’ intestino si mantenesse tuttavia impedito siccome
venne provato dall’ apertura del cadavere praticata dall’ e-
spertissima mano del Chiar. Prof. Cav. Ant. Alessandrini
di cui ora deploriamo 1’ irreparabile perdita. Soltanto il
prelodato Cav. Prof. Paolini osservò tanto in questo che negli
altri animali su cui fece 1’ esperimento e che sopravissero
più o meno di tempo all’ operazione, una difficoltà nell’ e-
spellare le feccie , che erano dure e di un colore diverso
dall’ ordinario; la quale differenza di colorito, notata an-
che dal Magendie ne’ suoi esperimenti , dipendeva appunto
dal mancare in quegli escrementi la bile siccome 1’ analisi
chimica appositamente istituita dal vaiente Operatore Si-
gnor Dott. Paolo Muratori ebbe chiaramente a dimostrare (2).
(t) Précis elementaire de Physiologie Bruxelles 1834.
(2) Ricerche Fisiologiche sul Fegato — Dissertazione del Dottor Marco Pao-
lini— Memorie della Società Medico-Chirurgica di Bologna — Bologna 1844.
Voi. II. pag. 397. e seguenti.
Carlo Soverini
242
Questi risultamenti ottenuti dalle vivi-sezioni ricevono
una piena conferma dall5 osservazione del caso patologico
da noi esposto. Imperocché nei nostro infermo si videro le
funzioni digestive continuare abbastanza speditamente per
sei non interrotti mesi dopo che apparvero gl5 indizi che
il passaggio della bile nel tubo intestinale era stato inter-
rotto; e soltanto si osservò una certa difficoltà nell5 e-
mettere le feccie , le quali poi erano dure e grigiastre, di
un colore quindi molto diverso dall5 ordinario.
Che se nel progresso del morbo anzi sul finire del me-
desimo si manifestò nel Braglia un certo dimagramento,
un tale fenomeno è piuttosto a ritenersi quale effetto delle
diverse affezioni morbose risvegliate direttamente nell5 or-
ganismo dalla prolungata ritenzione della bile nei proprii
condotti escretori, anziché il prodotto della impedita for-
mazione del chilo per l5 assenza della bile stessa nell5 in-
testino; nella quale ultima supposizione la morte dell’in-
fermo in luogo di protrarsi alla fine di sei mesi sarebbe
sopravvenuta in fra breve spazio essendo quell5 umore al
sostentamento biella vita di primaria ed essenziale necessità
Laonde 1 osservazione del caso da noi riferito contraddi-
cendo la sentenza di que5 fisiologi che tengono la bile es-
sere di assoluta necessità alla formazione del chilo, smen-
tisce per conseguenza ancora l5 opinione di que5 patologi,
che nell5 impedita o sospesa formazione di quell5 umore,
derivante dall5 assenza della bile nell5 intestino , ripongono
la causa prossima della morte che sopravviene agli indivi-
dui affetti da completa ritenzione della bile nei proprii
condotti escretori ; la qual causa perciò vuoisi ricercare
altrove.
Riferendo 1 andamento della malattia e la cura adope-
rata negli ultimi giorni della vita dell’ infermo, dicemmo
che il sangue estratto dalla vena del braccio presentò un
crassamento nerissimo e pultaceo, ed uno siero di color
verde cupo e come di bottiglia; dicemmo che apparvero alla
cute numerose macchiette di color rosso paonazzo analoghe
a quelle della Porpora emorragica; dicemmo infine che P in-
fermo fu assalito da forte accesso febbrile preceduto da
Dilatazione delle vie biliari ec. 243
intenso freddo. Questi fenomeni morbosi che non Sfuggi-
rono all’ illustre Rokitansky lo condussero a dare la vera
spiegazione della morte che sopravviene a coloro che sono
affetti da ritenzione della bile nei proprii condotti escre-
tori. = Un tale stato morboso, egli dice, uccide sempre
» con fenomeni intensi di inquinamento bilioso della massa
» sanguigna , con affezione cerebrale da questo prodotta ,
» e spesso accompagnata da stravenamenti sull’ aracnoi-
» dea .... (1).
Ora 1’ affezione cerebrale accompagnata da stravenamenti
sull’ aracnoidea , di cui parla il prelodato autore , si veri-
ficò appunto nel caso nostro , mentre il turgore dei vasi
della pia meninge ed il versamento sieroso fra le lamine
dell’ aracnoide rinvenuti nel cadavere del nostro infermo ,
e che ci diedero ragione dello stato comatoso che precedè
immediatamente la morte di lui , a niun’ altra causa po-
teva riferirsi fuorichè all’ inquinamento bilioso della massa
sanguigna , o più chiaramente a quella manifesta discrasia ,
che appariva nel sangue e che ragionevolmente si può at-
tribuire ai principii alcalini della bile mescolati con esso.
Egli è adunque nell’ affezione cerebrale di sopra accen-
nata, proveniente da inquinamento bilioso della massa san-
guigna , che riponiamo la causa prossima della morte del
nostro infermo; il che stabilito, a noi pare che si possa ren-
dere ragione della cessazione della vita di lui nel modo
seguente.
Per la compressione esteriore patita dal coledoco in cau-.
sa dell’ ingrossamento glandulare , essendosi intercettata la
escrezione della bile , questa ha dovuto raccogliersi ed ac-
cumularsi , man mano che veniva separata dal fegato , nei
proprii condotti escretori situati al disopra della parte del
coledoco compressa , i quali condotti perciò si sono distesi
e a poco a poco dilatati smisuratamente : quando i condotti
stessi hanno raggiunto 1’ enorme grado di distensione e di
(I) Rokitansky — Trattato completo di Anat. Patol. prima trad. italiana
per cura dei Dott. Richetti e Fano. — Venezia, Tom. 3. p. 402.
2U
CaRlo So verinÌ
dilatazione in che furono trovati, allora i prineipii imme-
diati o costituenti della bile in essi ritenuta , sono stati
in maggior copia assorbiti e trasportati nel circolo sangui-
gno , cf onde la grave discrasia dell’ umore riparatore ; per
la quale stremata la forza vitale dei nervi e perciò quella
dei vasi sanguiferi, si è dato luogo e all* ingorgo della
pia meninge e al versamento sieroso dell’ aracnoide , dal
che la compressione del cervello e la morte infine del-
P infermo.
Per le quali cose si può concludere che, se glandule lin-
fatiche in maggiore o minor numero , ingrossate anche enor-
memente, poterono , col restare per molti anni nel cor-
po del paziente, suscitare, molti e svariati mali senza to-
gliergli la vita ; una gianduia sola , ingrossata si ma non di
più di una coccola d’ ulivo , può all’ incontro condurre nel
breve giro di pochi mesi ad una certa ed irreparabile mor-
te, siccome evidentemente lo dimostra il fatto da noi ora
narrato.
9 .Narrami dis. da] vero e in pietra.
Lit. Pancaldi
\IcmL. Tmu. I. Sorie 21
C.Soverini. Dilatazione delie
vie biliari. Tav. IL
t). Nannini ifrs.dal ver® e m pietra.
Lit Paitcaldi .
Dilatazione delle vie biliari
245
SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE
TAVOLA l.a
Le cavità del petto e dell’ addome aperte anteriormente coi rispettivi visceri
nella posizione in cui furono rinvenuti alta dissezione del cadavere. Quindi ,
oltre i novelli rapporti acquistati dal Fegato e dalla Cistifellea aumentati
grandemente di volume , si vedono a colpo d5 occhio gli spostamenti ed
altre patologiche alterazioni subite da taluni dei visceri contenuti nelle me-
desime cavità. La figura rappresentata in questa tavola misura la metà
della grandezza naturale.
a , a, a, a, a, macchiette di color rosso-paonazzo, analoghe a quelle della
Porpora emorragica, apparse nella cute il giorno innanzi la morte dell* in-
fermo.
b , polmone destro.
c , robusta e larga briglia di data antica colla quale il lobo inferiore di questo
polmone aderiva alla corrispondente parete toracica.
d , margine anteriore della base dell’ anzidetto polmone rivolto in alto.
e, piccolo tratto della parte inferiore dello stesso polmone affetto da enfisema.
f, polmone sinistro sano.
g , pericardio.
h , fegato di volume pressoché doppio dell5 ordinario con solcature ( 1. 2. 3. )
cagionate dalla pressione delle corrispondenti costole.
i , cistifellea di volume quadruplo dell5 ordinario.
k, stomaco spinto dal fegato nell5 ipocondrio sinistro e nella regione ombelicale ,
contratto nel senso del diametro trasversale, massime alla metà circa del-
la sua lunghezza.
l, grande Omento.
m , ansa dell5 intestino tenue aderente al colon discendente spostato mediante
un5 appendice epiploica trasformatasi in una specie di linguetta membranosa
alquanto robusta.
TAVOLA 2.a
11 Fegato morboso rappresentato dalla sua faccia inferiore o concava in un col
Duodeno ed il Pancreas veduti dalla loro faccia posteriore. 11 Duodeno è porta-
to in alto ed è tagliato ed aperto a modo da lasciar vedere il corso del
condotto coledoco fino al suo sbocco , non che la glandola linfatica ingros-
sata da cui era rimasto compresso il coledoco stesso. Le vie biliari prin-
cipali, tanto dentro che fuori del Fegato situate, sono state longitudinal-
mente tagliate ed aperte , onde meglio osservarne la rispettiva straordinaria
dilatazione. Gli oggetti disegnati in questa tavola sono di grandezza
246
Carlo Soverini
margine ottuso
del Fegato.
Porta.
, lato destro
, idem sinistro
, lobulo Spigeliano
legamento ombelicale.
, vena Cava ascendente.
) della '
, gianduia linfatica sottoperitoneale ingrossata,
parte del coledoco che rimaneva compressa dalla gianduia k.
porzione del coledoco inferiore alla parte compressa e sboccante separata-
mente nel duodeno al disotto dell’ apertura del condotto Wirsungiano.
, porzione del coledoci superiore alla parte compressa ^ la quale è enor-
memente dilatata.
/condotto epatico straordinariamente dilatato ed unentesi al condotto cistico 1.
, q, due branche principali del condotto epatico pure dilatatissime.
» s , t , u, tronchi principali dei vasi biliari dentro il fegato che in propor-
zione sono più dilatati degli ora accennati condotti.
, x, z } piccoli rami dei vasi biliari non aperti, che per essere dilatati e ripieni
ancora di bile , sporgono in fuori.
, condotto cistico breve e del diametro di una penna da scrivere.
, cistifellea di volume quadruplo dell’ ordinario , di pareti grosse due volte
papilla dello sbocco del condotto Wirsungiano.
faccia posteriore del Pancreas,
tronco dell’ arteria Splenica.
, idem della vena omologa.
, principio dell’ arteria Celiaca tagliata.
, idem dell’ arteria Mesenterica superiore tagliata.
STUDI
STRATIGRAFICI E PALEONTOLOGICI
SULL’ INFRALIAS
NELLE MONTAGNE DEL GOLFO DELLA SPEZIA
mmm
DEL
PROF. GIOVANNI CAPELLINI
(Letta nella Sessione dei 16 Gennaio 1862).
INTRODUZIONE
Il Golfo della Spezia in ogni epoca, perlustrato dai cul-
tori delle scienze fisiche e naturali attirò più particolar-
mente F attenzione dei geologi e dei paleontologi dopo le
prime scoperte di Cordier e Guidoni e dopo le interessanti
pubblicazioni dei signori Savi, Pareto, La-Bèche ed altri
che avrò occasione di ricordare allorché si tratterà di rias-
sumere le varie opinioni intorno alla cronologia delle di-
verse formazioni che in quelle montagne si incontrano.
Con quanto ardore dal 1828 fino ad oggi i più distinti
geologi italiani e stranieri si affaccendassero per decifrare la
geologia delle montagne della Spezia, da taluno giudicate
indecifrabili , chiaramente resulta dalla Nota dei principali
lavori pubblicati a questo proposito e troppo lungo sarebbe
anche il ricordare appena i nomi di tante celebrità euro-
pee che . si recarono sul posto e si occuparono dello stesso
0 argomento , benché poco o nulla abbiano, pubblicato delle
loro osservazioni.
248
Giovanni Capellini
I fossili piuttosto abbondanti per i quali certe località
del Golfo furono tanto sovente menzionate dopo le sco-
perte di Guidoni , avrebbero dovuto servire a toglier di
mezzo ogni quistione , ma razzolati in varie epoche e spes-
so caduti in mano di persone guidate da idee preconcette ,
furono diversamente interpretati. Della serie di strati ric-
chissimi in Ammoniti ed altri fossili piritizzati mi riservo
a trattare più minutamente in altro lavoro , per ora ho di
mira principalmente il calcare nero ed i suoi fossili , poi-
ché mi interessa di dimostrare il posto che esso occupa
realmente e fissare così la cronologia di quelle montagne
che il La-Béche ed altri avevano chiamate la chiave della
geologìa toscana e che è sperabile la diventino effettivamen-
te, quando se ne conosceranno i pochi e non complicati
congegni.
Nel 1854 la privata mia collezione di fossili dei dintorni
della Spezia contava già un numero discreto di esemplari
unici o abbastanza rari e da quell’ epoca in poi continuai
a raccogliere e ad osservare, persuadendomi ogni dì più
che moltissimo era ancora il da farsi e che sarebbe stato
imprudente il pronunziare troppo presto un giudizio. In-
fatti quasi ogni anno , quasi in ogni escursione starei per
dire , mi venia fatto di osservar nuovi strati fossiliferi , ri-
conoscerne la loro continuità , scoprirvi esemplari di specie
nuove o meglio conservati di quelli già conosciuti , il che
mentre da un lato era incoraggiamento a proseguire , d5 al-
tronde mi convinceva che in geologia non si può mai dire :
ho finito !
Se mi fossi lasciato guidare illimitatamente da questa im-
portantissima verità , nemmen oggi avrei incominciato a
parlar della Spezia, perchè essendomene occupato a prefe-
renza di altre località sento che non potrò mai dire d’ aver
completamente finito ; ma di tal guisa dovrei troppo tar-
dare a render patrimonio della scienza le osservazioni in-
torno alle quali d’ altronde non mi resta alcun dubbio e
forse rischierei di vedere le stesse cose più prontamente
pubblicate da chi più tardi andasse a verificarle.
opo aver reso conto perchè fino ad oggi ritardassi la
Stùdi sull’ Infralì as eo.
249
pubblicazione di osservazioni che potei completare già da
qualche tempo e perchè mi sia deciso a non attendere più
lungamente nella speranza di poter quanto prima presentare
altro lavoro a complemento di questo* e corredato dei ne-
cessari disegni che si stan preparando , sento il dovere di
rivolgere una parola di ringraziamento a tutti coloro che
già si compiacquero mettere a mia disposizione quanto ave-
vano di fossili della Spezia nelle private loro collezioni ed
in quelle dei pubblici Musei affidati alla loro direzione. Con
tali mezzi già ho potuto tracciare un esteso catalogo che
serve di corredo a questa memoria e che si può riguardare
come il Prodromo della Paleontologia dell’ Infralias dei Monti
della Spezia.
Giovanni Capellini
NOTA
principali lav
ria del Cale
Fossilifero delle montagne della Spezia.
CORDILI! , Statistique minéralogique du départeraent des Apennins
( Journal des mines, Aout 1811 ).
1828 GUIDONI G. Osservazioni geognostiche e mineralogiche sopra i
monti che circondano il Golfo della Spezia ( qiornale ligu-
stico y Anno 11° 1828 ).
1820 SAVI PAOLO » Osservazioni geognostiche sul Campigliese, Lettera
al Sig. G. Guidoni, ( Nuovo giornale dei Letterati N.° A3
Pisa 1829 ).
1830 GUIDONI G. Sui fossili recentemente scoperti nelle montagne del
Golfo della Spezia, Lettera al Prof. Savi (Ntiovo giornale dei
Letterati , Tom. XXI, Pisa 1830 ).
— ~ SAVI PAOLO» Catalogo ragionato di una collezione geognostica
contenente le roccie più caratteristiche della formazione del
macigno della Toscana, quelle di trabocco, cioè dolomitiche,
porfiritiche e granitiche , le quali hanno disordinata la stra-
tificazione delle prime e quelle alterate dal contatto delle
traboccate, ( Nuovo giornale dei Letterati , Tom. XX, Pisa
1830 ).
1832 Lettera al Sig. G. Guidoni di Massa, concernente os-
servazioni geognostiche sui terreni antichi toscani ecc. (iVwo-
vo giornale dei Letterati , N.° 63 Tom. XXIV. Pisa 29 giu-
gno 1832 ).
— PARETO L. e GUIDONI G. Sulle montagne del Golfo della Spezia
e sopra le Alpi Apuane. Lettera ai Direttori , della biblioteca
italiana , Genova , luglio 1832.
1833 DE LA BÈGHE, Mémoire sur les environs de la Spezia, ( Mòrti.
de la Soc. géol. de France , Voi. I. pag. 23 ).
— Geologica! manual ( third edition , pag. 330, London 1833).
SAVI PAOLO» Tagli geologici delle Alpi Apuane e del Monte Pi-
sano e cenno sull’ Isola d’ Elba, ( Nuovo qiornale dei Let-
terati Tom. XXVII. Pisa 1833 ). -
1837-39 Memorie per servire allo studio della carta fisica
della Toscana. ( Pisa 1837-39 ).
1839 H0FF9ANN FR. Gesammelt auf einer Reise durch Italien und
Sicihen in den Jahren 1830 bis 1832. Berlin 1832.
Studi sull9. Infralias ec.
251
184 2 SISMONDA A* Osservazioni geologiche sulle Alpi marittime e sugli
Apennini liguri. ( Memorie dell * Accad. delle Scienze di fo-
rino, Serie 2a Tom. IV. 1842 ).
1843 SAVI PAOLO» Sopra i carboni fossili delle Maremme toscane.
Pisa 1843.
1844-45 COQIIAND’ Sur leste rrains stratifiés de la Toscane. ( Bull. Soc.
geol . de France, 2« Sèrie, Tom. II. 1844-45 ).
1845 DELANOLE » Note sur le calcaire dolomitique des environs de la
Spezia. ( Bull, de la Soc. qèol de France , 2e Sèrie , Tom. HI.
pag. 42 , 1845 ).
PILLA L* Saggio comparativo dei terreni che compongono il suolo
d' Italia. Pisa 1845.
1847 — - Notice sur le calcaire rouge ammonitifére de T Italie.
( Bull, de la Soc. géol de France, 2« Sèrie, Tom. IX. 1847).
COLLEGNO» Elementi di geologia pratica e teorica. Torino 1847.
1848? PARETO L. Della posizione delle roccie jpirogene ed eruttive dei
periodi terziario, quaternario ed attuale in Italia. Genova
tipogr. Sordo-Muti.
1850 fflLRCHISON S- R- Formazioni giurassiche nel Golfo della Spezia,
nelle adiacenti montagne delle Alpi Apuane , nei Monti Pisa-
ni ecc. ( Memorie sulla struttura geologica delle Alpi , degli
Apennini e dei Carpazi ; Traduz. dei Prof. Savi e Meneghi-
ni, Firenze 1850 ).
1851 SAVI e MENEGHINI» Considerazioni sulla geologia stratigrafica
della Toscana. Firenze 1851.
COLLEGNO’ Nota sui terreni dei contorni della Spezia ( Memorie
della B. Accad. delle Scienze di Torino, Serie 2a Tom. XII.
1852 ).
1853 MENEGHINI * Nuovi fossili toscani (Annali dell ' Università Tosca-
na , Tom. HI. )
1856 COCCHI J- Description des roches ignées et sedimentaires de la
Toscane , suivie d’ un catalogue détaillé de ces roches dans
leur ordre de succeSsion géologique. ( Bull, de la Soc. géol.
de France 2* Serie Tom. XIII. , Fevrier 1856 ).
MENEGHINI» Lettera al DoU. J. Cocchi (V. Cocchi Description ecc.).
1857 D’ARCHIAC’ Histoire des progrés de la géologie de 1854-1856,
Paris 1857. Tom. 7e Formation jurassique 2* partie Tom. 5«
formation crétacée 2* partie.
— — COQLAND’ Traité des roches. Paris 1857 pag. 177.
1860 CAPELLINI» Sulla presenza del ferro oolitico nelle montagne del
Golfo della Spezia, Genova 1860.
252
Giovanni Capellini
CENNI TOPOGRAFICI
Sai dintorni del Golfo e specialmente sulle località interessanti
pei Fossili del Calcare Nero.
ÌV 11’ esposizione dei fatti che più tardi dovranno servire
di base alle conclusioni scientifiche, credo bene far prece-
dere un rapido cenno topografico intorno a quelle località
che avrò più sovente occasione di ricordare e sulle quali
furono specialmente dirette le mie ricerche.
La Spezia situata a 2° 8' di longitudine orientale dal-
F Osservatorio di Torino e a 44° di latitudine trovasi
in fondo al golfo di questo nome , allineato da NO a SE ,
aperto in quest’ ultima direzione, lungo circa Kii. otto
e con una larghezza media di Kil. quattro. Montagne in
gran parte calcaree ne formano le due sponde occidentale
ed orientale e con le numerose loro frastagliature danno
luogo, specialmente nel lato occidentale, ad altrettanti se-
ni o piccoli porti.
Terreni riferibili all’ eocene ed al cretaceo , costituiscono
per intero i monti e le colline per le quali il golfo è di-
feso dal lato di settentrione e con le loro diramazioni col-
legandosi alle catene laterali poc’ anzi accennate , scendono
dolcemente fino al mare presso della città stessa che si può
dire addossata in parte ad una di tali diramazioni.
Le montagne calcaree del lato occidentale si abbassano
e si restringono verso P estremità loro meridionale ove ter-
minano attualmente con la punta di S. Pietro a Portove-
nere, mentre per soli metri 120 sono divise dall’isola
Palmaria che* ne è la continuazione e questa per breve tratto
disgiunta dal Tiro e dal Tiretto isolette minori a mezzo-
giorno della Palmaria , umili ma interessantissime dal punto
di vista geologico e paleontologico. Normalmente poi alla
direzione loro sono le ricordate montagne divise da piccole
Studi sull’ Infralì as ec.
253
valli solcate per lo più da qualche torrente, ed è nell’ in-
terno od alla foce di esse che trovansi altrettanti graziosi
paesi , diversi per 1’ aspetto loro in generale non solo , ma
eziandio per il dialetto e i costumi degli abitanti. Nel lato
orientale finalmente, la formazione calcarea in relazione con
terreni più antichi forma quasi un elissoide il cui asse mag-
giore trovasi nella direzione del golfo che ne bagna il contor-
no occidentale e meridionale ; ad oriente è limitata dal fiume
Magra e a settentrione i terreni più antichi si trovano in
parte a contatto dell’ eocene e del cretaceo ed in parte sono
attorniati dalle paludi dette Stagnoni.
Il geologo che si propone di acquistare qualche nozione
sulla geologia dei dintorni della Spezia , d’ ordinario inco-
mincia col fare una corsa in battello fino a Portovenere, e
scendendo a Grotta Arpaja vi trova anche oggi numerosi
fossili trascurati o non visti da coloro che lo precedettero
nelle stesse ricerche (1).
Quei fossili appajono alla superficie del calcare nero
stato lungamente esposto all’ azione delle onde e degli a-
genti atmosferici. Le stratificazioni calcaree rotte in for-
me bizzarre rendono tanto sublime quella località, spe-
cialmente allorché infuria il libeccio ; 1’ onda s’ innalza spu-
meggiante formando uno stupendo contrasto con la tinta
nerissima delle roccie contro le quali s’ infrange, e mentre
inorridisce il curioso al primo affacciarsi a contemplar quella
scena dall’ apertura per la quale da S. Pietro si scende alla
grotta , se il sole si mostra a quando a quando fra lè nubi
e l’ ora è propizia, sulla porzione vaporosa dell’ onda che
si elevò fino all’ altezza alla quale trovasi lo spettatore ,
veggonsi rapidamente apparire i colori i più vaghi dell’ iride.
Se io spettacolo che ci presenta in quell’ istante la Grot-
ta Arpaja è imponente, non è quello il momento in cui
è dato al naturalista di studiarne la storia; bensi appena
cessata la bufferà potrà perlustrare tranquillamente ogni
scoglio, con grande probabilità di trovare allora ciò che non
fu precedentemente osservato.
(1) V. Tav. 2. Fig. 4.
254
Giovanni Capellini
La natura durante la burrasca fa ciò che in piccolo noi
ripetiamo nei nostri gabinetti , lava e spoglia quei calcari
della parte marnosa superficiale ^ ed i fossili più minuti si
scorgono allora distintamente , per cui più d’ una volta io
stesso* stetti impaziente aspettando la calma con la speran-
za di fruttuose ricerche. Altre località di facile accesso e
perciò state frequentemente esaminate sono le ricordate
vicine isole Palmaria, Tiro, Tiretto ove ritrovasi la con-
tinuazione della serie delle roccie che si hanno a Grotta
Arpaja. I fossili ivi sono ancor più abbondanti, e chi potè
approfittare di una calma quale si richiede per approdare
specialmente alle due ultime , avrà raccolto in brev’ ora
quanto a Grotta Arpaia oggi sarebbe difficile sperare in
lunghe settimane di lavori e ricerche.
Da questa parte estrema della catena occidentale , se ci
dirigiamo verso settentrione , in qualunque punto noi fac-
ciamo una sezione normale alla sua direzione principale ,
ossia da N.E a S.O ritroviamo facibnente la continuazione
esattissima di quanto si è potuto studiare nelle ricordate
località , se non che i fossili diventano meno frequenti per
essere meno estese le porzioni degli strati fossiliferi denu-
date , trovandosi invece inclusi fra altri strati non fossili*
feri che li accompagnano.
La punta del Pescino , la Castellana , Goregna hanno an*
eh’ esse da gran tempo fornito il loro contingente per la
paleontologia del calcare nero, e nelle rimanenti montagne
ancora piu al nord si possono sempre ritrovare , se non
fossili ben conservati , almeno tali resti da poter stabilire
la continuità delle diverse stratificazioni.
Studi sull’ Infbalias ec. 255
STRATIGRAFIA
Delle montagne della catena occidentale.
Dopo avere citato le più importanti località pei fossili
del piano infraliassico nel lato occidentale del Golfo ed ac-
cennata la continuità di quella formazione lungo tutta la
catena montuosa dello stesso lato , esaminiamo come di que-
sti dati giovaronsi i geologi per fissare la cronologia del
calcare nero, il quale potendosi considerare come 1* elemento
principale, fu dai geologi prescelto a denotare tutta la serie
che ad esso collegasi.
I geologi prendendo le tnosse dall’ estremità della ca-
tena occidentale, ed ammettendo come normale il relativo
ordine di sovrapposizione dei calcari e schisti delle isole
Tiretto , Tiro , Palmaria , viddero gli strati di calcare nero
che inclinati appena di 20° verso oriente al Tiretto , van-
no rialzandosi mano mano che si avanza verso la porzione
settentrionale della catena, e dopo aver quasi raggiunto la
verticale nella montagna di Goregna , veggonsi già a Parodi
piegati in senso inverso. Questo latto abbastanza sensibile
e facile a verificarsi per la prima parte non lo era però
egualmente per 1’ ultima, poiché si trattava di esaminare
se le porzioni di strati le quali viste da chi trovasi in un
battello in mezzo al golfo appaiono soltanto come strati il
cui lembo si ripiega in senso inverso a quello della incli-
nazione loro, non accennavano invece ad una generale in-
clinazione degli strati in direzione assolutamente opposta a
quella trovata all’ estremità meridionale della catena. Intan-
to ritenendo inutile di arrampicarsi fino sulla vetta di Paro-
di o del Bermego (1) , parecchi geologi se ne tornarono per-
suasi che 1’ ordine naturale relativo di sovrapposizione fosse
(1) La sommità del monte Parodi presenta due punte, quella al N. è
ra. 672, 91 sul livello del mare, quella al S. m. 624.
256
Giovanni Capellini
quale si osserva alla Palmaria, alla Castellana, a Coregna, e
nei loro gabinetti forzarono i fossili raccolti a venire in ap-
poggio delle loro vedute, anziché esaminarli ( come dee far-
si ) senza idee preconcette e vedere se la paleontologia e la
stratigrafia s’ accordavano, come deve essere allorché le Os-
servazioni sono esatte. Per tal modo il calcare nero fossili-
fero giudicato come superiore a tutta la formazione fossilifera
della catena occidentale, fu dai vari geologi riferito a tut-
te le divisioni che si contano dal Lias inferiore risalendo
fino al neocomiano inclusive col cui nome fu da ultimo
battezzato dietro P esame di un discreto numero di fossili.
Due soli osservatori accordandosi con coloro che giudica-
vano il calcare nero come liassico, sostennero dippiù che
nella catena occidentale del golfo era avvenuto un rovescia-
mento e che il calcare nero ricopriva una gran serie di
strati tutti comparativamente molto più recenti di esso.
I due geologi ai quali faccio allusione furono Pilla e
Murchison , e posso assicurare che solamente dopo aver com-
piuto i miei studi stratigrafici , trovai non essere il primo
a verificare un fatto che per se basta a cambiare comple-
tamente quanto è stato scritto dai più intorno alla località
della quale ci occupiamo.
Pilla e Murchison dopo avere studiato i terreni giu-
rassici della Lombardia e delle Alpi, avevano riscontrato
tale analogia fra questi e quelli della Spezia, che non tro-
vando corrispondenza nell’ ordine stratigrafico , indovinaro-
no ciò che finalmente sono in grado di accertare dopo lunghe
e penose ricerche.
Facendo una sezione nella porzione più settentrionale
della catena p. e. dalla punta di Manarola per il monte
Bermego e da questo punto fino alla strada regia in vici-
nanza di S. Benedetto , trascurando le suddivisioni che ap-
pariranno meglio in altra sezione paralella a questa e che
esamineremo fra poco , noi troviamo :
A partire dal mare fino al punto culminante della ca-
tena, macigno argilloso con alcune sue varietà che citere-
ma 111 seguito. Fino a quell’ altezza che si può calcolare
circa 0 m. sul livello del mare si cammina sempre sul
Studi sull’ Infralias ec.
257
macigno perchè I* inclinazione generale di tutti gli strati è ver-
so S.O ove s’immergono ed il macigno e la roccia più giovane
che s’ incontra ; ma proseguendo verso N.E. si scende sul-
le testate delle roccie che seguono inferiormente e si avanza
sempre verso la porzione più antica. Alle roccie riconoscibili
come spettanti al macigno e quindi eoceniche succedono
infatti degli schisti varicolori ed un calcarè grigio chiaro con
selce ma finora senza fossili , calcare che ci riesce difficile
il decidere se s’ abbia a considerare come cretaceo ovvero
come giurassico superiore. In seguito s’ incontra la potente
massa di schisti a Posidonomya Bronni , poscia la serie dei
calcari e schisti con ammoniti ed altri fossili piritizzati
( per la maggior parte liassici ) che con le loro testate co-
stituiscono la parte occidentale della vetta del monte Ber-
mego , mentre 1’ orientale risulta da quel calcare dolorhitico
il quale esaminato in piccola area presenta i caratteri di
roccia eruttiva per essere tutto sconvolto e modificato (1).
In realtà egli è distintamente stratificato e con le testate
delle stratificazioni forma in parte il pendio orientale del
Bermego, e poco prima di arrivare ad un piccolo gruppo di
case detto Pozzo , si trova adagiato sulla continuazione della
serie fossilifera di Tiro, Palmaria, Grotta Arpaia; quindi
inferiormente a questa gli schisti a Bactryllium , e finalmente
una dolomia cavernosa fiella quale trovansi porzioni corri-
spondenti in tutte quelle località del golfo ove il solleva-
mento è stato abbastanza grande per mettere a giorno questa
roccia , la più antica di quante se ne osservano nella ca-
tena occidentale , ma che doveva essere più recente ancora
del cretaceo inferiore se realmente le relazioni stratigrafiche
del calcare nero, ab origine fossero state quali le vediamo og-
gi all’ estremità della catena stessa.
Continuando verso oriente si trova che il terreno eoce-
nico in serie discordante viene ad appoggiarsi contro il
(1) Nel calcare dolomitico ( dolomia superiore ) di monte Parodi vi sono fi-
loni di galena argentifera: ne fu tentata in diverse epoche la coltivazione al
luogo detto Cava dell’ Oro, ma infruttuosamente.
T. 1. 1 * 03
258
Giovanni Capellini
calcare cavernoso o dolomia inferiore dei monti della Spezia ,
e la faglia perla quale ciò accade, col suo prolungamento
dà origine al golfo e lung’ essa si hanno una quantità di
sprugole o Katavotra e di sorgenti, delle quali è splendido
esempio la Polla che sgorga dal fondo del mare dirimpetto
al forte S. Michele presso Cadmiare.
Da quanto si è osservato risulta, che nei monti Parodi
e Bermego, come pure negli altri ancora più a settentrione,
non si ha già un lembo rovesciato in senso inverso all’ in-
clinazione generale , bensi tutta quanta la massa stratificata
concordante e con inclinazione opposta diametralmenté a
quella delle stratificazioni stesse nelle isole e nelle mon-
tagne all’ estremità occidentale del golfo.
In breve si vedrà quante buone ragioni si abbiano per
sostenere che la serie cronologica è completamente invertita
al sud e non già al nord , ma quand’ anche fossero mancati
in appoggio altri studi stratigrafici e la testimonianza dei
fossili numerosi e non equivoci, si poteva sempre chiedere
se constatata questa diversa direzione nella inclinazione ai
due estremi della catena , fosse da riguardarsi in posto la
porzione più esigua e supporre rovesciata la serie ove la
base della catena * montuosa anche limitata dalla collina di
S. Benedetto avrebbe sempre una larghezza di metri 5500
circa : e ciò ammesso come rendersi conto della serie eoce-
nica concordante come si è visto ?Xa faglia che si osserva
nel lato occidentale del Muzzerone e della Castellana non
si continua là ove il terreno del macigno ha sostenuto le
sottoposte formazioni le quali tendevano a rovesciarsi dopo
che sollevate per un movimento da oriente verso occiden-
te avevano raggiunta la verticale. Il suo prolungamento
dovette supporsi da coloro che considerarono la formazione
del macigno trovarsi a contatto con quanto giudicavano più
antico del calcare nero fossilifero e del calcare e schisti con
ammoniti e fossili piritizzati.
La montagna di Coregna per la sua vicinanza alla Spe-
zia, per la facilità che offre lo studio delle relazioni stra-
tigrafiche delle varie roccie che ben denudate si presentano
risalendo i due canali per i quali è separata dal monte di
Studi sull9 Infralias ec.
259
S. Croce al nord e dalla Castellana al sud, èd oltre a
ciò per le ricchezze paleontologiche fornite in ogni tempo,
fu scelta dai più dei geologi come uno dei punti della ca-
tena occidentale attraverso il quale fosse interessante fare
una sezione geologica.
La-Béhe, Coquand , Pilla, Murchison, Savi, Meneghini,
in epoche diverse e con diverse vedute pubblicarono ripe-
tutamente tale sezione ed alcune delle ultime scoperte pa-
leontologiche necessitarono il Prof. Meneghini ad immagi-
nare quella che fu pubblicata in una memoria del Prof. Coc-
chi (1) ; quindi se ho creduto bastasse il ricordare a grandi
tratti ciò che si osserva nella sezione per monte Bermego
sarò più minuzioso per ciò che riguarda Coregna , corredan-
do la descrizione con disegno di taglio geologico affinchè
se non altro si possa stabilire un confronto fra questo e
quelli anteriormente pubblicati dai sopra ricordati geologi.
Per amore del vero piacemi però di aggiungere che parten-
do dal principio che le relazioni stratigrafìche fossero vera-
mente quali appaiono nelle isole tante volte citate e nella
stessa Coregna, allorché incominciava ad occuparmi di quel-
le località ammisi io pure teoricamente T esistenza della
faglia che in seguito non mi riesciva mai di verificare, e
tenni per lungo tempo fra i miei cartolari P abbozzo di
una sezione di Coregna che più o meno per le grandi di-
visioni s’ accordava con quella pubblicata nelle Considera-
zioni sulla geologìa toscana dei Prof. Savi e Meneghini.
Dopo scrupolosi studi stratigrafici non potendo accettare
ciò che teoricamente veniva ammesso dal Prof. Meneghini
nel taglio sopra citato , venni in grande sospetto che il non
accordo della paleontologia con la stratigrafia per il monte
Coregna dipendesse da cattiva interpretazione dei fatti.
Spogliatomi d’ ogni idea preconcetta , libero da spirito di
parte , incominciai nuovi studi dal vero e raccolsi quanti
(1) Cocchi J. Description des roches ignées et sédimentaires de la Toscane ec.
Bnll. Soc. géol. de France 2.e Sèrie T. XIII. février 1856.
2W
Giovanni Capellini
fossili potei incontrare , proponendomi di studiarli in se-
guito, quasi ignorassi, la loro provenienza e quindi i rap-
porti con la stratigrafia , sempre sperando che la stratigrafia
e la paleontologia dovessero accordarsi, quando avessi colto
sul segno.
Una sezione condotta dal mare in corrispondenza dello
scoglio ferrato e che passi per il monte di Campiglia , il
monte del Paradiso , la cima di Coregna e scenda fino al
golfo presso la cappella della Madonna del Porto , ci pre-
senta la seguente successione di strati. ( Tav. la fig. la.)
l.° Macigno argilloso giallognolo facilmente disgregabile,
con grandi amigdale di macigno compatto paragonabile alla
pietra serena dei toscani. Queste amigdale scoperte dàlia
denudazione e talvolta scavate espressamente, forniscono le
lastre che si lavorano a Marola ed alla Spezia , servono ai
selciati di questa città e si spediscono per lo stesso uso
fino a Genova. Gli strati di macigno poco fra loro distinti
inclinano rapidamente a S.O e formano tutto il pendio oc-
cidentale dei monti che da Campiglia si estendono fino al
Mesco presso Monterosso nelle cinque terre.
Inferiormente il macigno ricordato diventa grossolano , i
suor elementi raggiungono perfino cinque millimetri di dia-
metro e costituiscono la varietà detta pietra cicerchina la
quale alla sua volta fa più in basso graduato passaggio ad
una puddinga o macigno puddingoide, se così si preferisce
chiamarlo. Nel macigno puddingoide noi troviamo perfino
ciottoli del diametro di due centimetri ad un decimetro ,
per cui sarebbe facile di stabilire quali roccie fornirono gli
elementi ónde risulta il macigno di quella località. Finóra
non mi sono occupato di uno studio speciale di tali ele-
menti, ma posso dire che prevalentemente sono le rocciè
che incontriamo nel gruppo del Verrucano ; Coquand riferi-
sce avervi trovato anche frammenti di granito e questo sarà
interessante a verificarsi.
Le due varietà di macigno ultimamente ricordate pre-
sentano le stratificazioni quasi verticali come si può vedere
nella figura citata nella quale le altezze essendo nella scala
stessa delle lunghezze, è facile rendersi conto come in prò-
Studi sull5 Infralì as ec.
porzione della base sia grandissima 1’ elevazione della catena
montuosa in corrispondenza della sezione (1).
2. ° Schisti galestrini rosso-vinati e verdastri , che si ri-
ducono facilmente in scheggie a spigoli acuti; la loro po-
tenza varia nei diversi punti ove si esaminano , stanno im-
mediatamente al disotto del macigno, e per molto tempo i
geologi che si occuparono delle montagne della Spezia,
stettero in forse se dovevansi considerare in rapporto col
macigno ovvero come inferiori a tutta la serie giurassica
che riguardarono come discordante con la formazione eoce-
nica per la faglia accennata dal Collegno prima che da altri.
Questi schisti offrono pochissima resistenza all5 azione degli
agenti atmosferici e quindi per la loro profonda denudazio-
ne ha origine un solco il quale segna la direzione delle testate
delle loro stratificazioni e fu in generale creduto accennasse
alla faglia , la quale per altro teoricamente per il più dei
geologi che la ammisero non corrisponderebbe esattamente
a quel limite : dissi teoricamente perchè della concordanza
di tutte, le altre roccie che andremo ora esaminando, non
vi è modo di dubitare stando a quel che si vede anche a
Goregna, soltanto si trova come sottoposto ciò che, a Paro-
di e meglio al Bermego veaesi sopra e nella vera sua ori-
ginaria posizione,
3. ° Calcare alberese impuro, venato, che fa passaggio ad
altra forma litologica la quale si potrebbe dire benissimo
un calcare maiolica per la grandissima analogia che presen-
ta con -quello dei monti oltre Serchio presso Pisa e la maiolica
dei geologi lombardi. In connessione col calcare alberese
ora ricordato s5 incontrano diaspri argillosi frammentar] o
ftaniti come alcuni li hanno in parte chiamati; altra volta
li ho detti diaspri manganesiferi perchè nella Liguria sono
sempre accompagnati da giacimenti più o meno importanti
di quel minerale. Dubito che queste due forme litologiche
si possano riferire al cretaceo, ma non ho dati sufficienti per
asserirlo positivamente.
262
Giovanni Capellini
4-.° Schisti che chiamerò varicolori perchè realmente
presentano alternanze di tinte svariatissime ; con molta pro-
babilità si possono riferire ai veri schisti varicolori del giu-
rassico superiore dei Monti Pisani.
5. ° Schisto argilloso verdognolo compatto , indurato ,
( Novaculite ) con noccioli silicei e amigdale di calcare
marnoso dello stesso colore. Alcune varietà di questo schi-
sto nel canale di Gampiglia sono ricercate per farne pietre
da rasoi che si spediscono fino in America , si lavorano a
Marola, Gadimare e Fezzano, ed il commercio si fa dai ma-
rinai di quei paesi medesimi ; lungo il rimanente della
catena montuosa presenta notevoli modificazioni e forse una
di queste è il calcare grigio verdastro con straterelli di
selce che s’ incontra lungo il sentiero che guida dalla Gor-
vara a monte Malpertuso.
6. ° Dallo schisto precedente si fa in alcuni punti passag-
gio insensibile ad una potente massa di schisti che diremo
a Posidonomya, atteso la quantità veramente straordinaria di
impronte di quel fossile. Lionati nel Monticello o monte del
Paradiso di Coregna, talora leggermente verdastri in alcuni
punti, a Parodi ci si presentano di colov rosso-vinato da poter-
li confondere con ^erte varietà di schisti galestrini, quando
mancassero le impronte di Posidonomya che li caratterizzano.
7 . ° Calcare rosso ammonitifero dei geologi toscani, ma
che realmente è un calcare compatto il quale varia di tin-
ta dal rosso fino al giallo sudicio ed al grigio , d’ ordinario
in strati piuttosto sottili.
8. ° Schisti lionati con impronte di Ammoniti , intercala-
ti fra strati di calcare grigio con ammoniti ed altri fossili
piritizzati ; inferiormente mancano gli schisti con impronte
e continua una alternanza di calcare e schisti ad ammoni-
ti piritizzate.
9. ° Schisti calcarei nerastri analoghi alle ardesie per il
modo di dividersi; trovansi anche alla Palmaria ove si os-
servano nel lato occidentale in posizione più decisamente
invertita e quasi al livello del mare : vi si incontrano co-
piosi avanzi di belemniti.
10. Potente massa di calcare dolomitico, il quale mentre
Studi sull’ Infralì as ec.
263
ha T aspetto di roccia eruttiva se si esamina in piccolo
spazio ( come già si è detto ) , non è nè questo nè una
diga metamorfica che interessi soltanto porzione di strati.
Il calcare dolomitico al quale accenniamo a guisa di tutte le
altre roccie citate è in strati distintissimi come si può
meglio verificare all’ isola Palmaria. L’ alternanza di strati
molto dolomitici con altri che lo sono meno ( alcuni dei quali
candidi ed altri perfettamente scuri come nella più volte ri-
cordata isola Palmaria ed a S. Pietro ) , mi fa sospettare che
tale modificazione avvenisse mentre quel calcare si deponeva,
ed il carbonato di magnesia si depositasse contemporanea-
mente al carbonato calcare ; è indubitabile però che in e-
poca molto posteriore abbia subite nuove modificazioni e
sia stato potentemente corroso, per cause alle quali ho fatto
allusione brevemente in altro lavoro e che non ho qui im
tenzione di svolgere maggiormente (1).
1 1 . ° Al limite del calcare dolomitico col calcare nero fos-
silifero sta il celebre marmo portoro incluso fra i due ul-
timi strati del calcare dolomitico stesso, mentre alcuni
spacchi originatisi pure in quest’ ultimo hanno dato ricetto
alla formazione dei marmi brecciati scavati in prossimità di
Coregna propriamente detta.
Riguardo al marmo portoro ho avuto occasione di fare
alcune osservazioni per le quali ho potuto rendermi conto
del suo modo di formazione , ed è parlando dell’ isola Tiro
che mi riservo ad esporle (2). .
12. ° Seguono i calcari e schisti calcarei e marnosi fossilife-
ri, quel gruppo che fu indicato complessivamente col nome di
calcare nero fossilifero dei monti della Spezia, comprendendo
sotto tale denominazione tuttoquanto stava al disopra e
per me inferiormente al calcare dolomitico ora citato. Sic-
([) Per il cale, dolom. V. Delanoue. Bull. Soc. gioì, de France 2e. Sèrie
T. III. pag. 42. Paris. 1845. Capellini — Sulla presenza del ferro oolttico
nelle montagne della Spezia. Genova 1860.
(21 A Coregna si può calcolare a circa 2
dolomitico con marmo portoro associalo.
metri la potenza del calcare
Giovanni Capellini
come questi calcari e schisti benché perfettamente caratte-
rizzati dai fossili , anche a Goregna, non sono quivi svi-
luppati altrettanto che al Tiro , basti F averli indicati per
far conoscere il posto relativo che occupano e per stabilire
una distinzione fra gli strati ricchi di fossili e quelli ove
non si incontra quasi traccia di resti organici ; riservando-
cene F esame quando si parlerà della sezione dell’ isola Tiro
ove questa serie si presenta con tale sviluppo che d’ ora in
poi la distinguerò col nome di serie fossilifera deir isola Tiro.
13. Fra la serie fossilifera del Tiro e cèrti calcari più o
meno dolomitici e senza fossili, stanno gli schisti a Bactryl-
lium e quelli a Myacìtes faba e Plicatula Mortilieti che posso-
no servire come orizzonte geologico al pari di altri strati fos-
siliferi nelle montagne del golfo, perchè senza interruzione
si seguono lungo tutta la catena occidentale e nella orien-
tale ancora , occupando il posto relativo che loro era stato
già assegnato in altre località ove prima assai che alla Spe-
zia quelle minutissime impronte erano state scoperte e
studiate.
Nella sezione attraverso il monte di Coregna non è dato
vedere la continuazione della serie inferiormente a quanto
abbiamo accennato , ma questa si trova ben sviluppata nel-
1 altro lato del golfo, e si vedrà quando nella sezione per
Capo Corvo si continuerà a discendere nella serie delle va-
rie formazioni passando rapidamente in rivista le roccie del
Verrucano e ciò che trovasi interposto fra il Verrucano pro-
priamente detto e F Infralias ; frattanto esamineremo di quali
eementi stratigrafìci si componga la serie fossilifera del
Tiro che si può dire rappresentare la parte più interes-
sante del piano geologico a cui si riferisce.
Sull’ estremità N.O . dell’isola Tiro il calcare dolomitico
costituisce una scogliera biancheggiante nella quale a gran
stento si possono ritrovare le antiche linee di stratificazione
se si esamina dal lato che guarda il bacino del golfo, men-
re nel lato occidentale tagliato a picco , quelle linee si
veggono distintissime.
Questi strati calcarei dolomitici con una inclinazione ap-
pena di 18 a 20° vengono ad immergersi a S.E. a cir-
Stupì sull’ Infralias ec.
265
ca 250 metri dall’ estremità N.O., a piccola distanza dalla
grotta scavata dalle onde sotto le rovine dell’ antico mo-
nastero (1).
Il marmo portoro per esser quivi invertito V ordine pri-
mitivo della serie, come già fu indicato, occupa la parte
superiore di questi calcari dolomitici coi quali anzi devesi
riguardare come intimamente connesso, essendo intercalato
fra due strati di calcare dolomitico più o meno biancastri
e cristallini al pari di quelli che vi fan seguito , e mentre
esaminato in altri punti della catena ove è più frequente,
difficilmente si riesce a rendersi conto del modo con cui
si costituiva , al Tiro invece svela benissimo la sua origine.
Nel 1860 nel lato orientale dell’ isola fu aperta una cava
nello strato di marmo portoro pochi metri sopra il livello
del mare ove si immerge col rimanente dei calcari dolomi-
tici sopra accennati* Avendo esaminato quello strato mar-
moreo non solo avanti ma altresì durante 1’ escavazione ,
ricercando attentamente la porzione stata per lungo tem-
po esposta all’ azione delle onde , potei accertarmi anche
della vera spiegazione dell’ origine di quel marmo rinoma-
tissimo (2). Il Portoro deve il suo nome a Portovenere ove
furono aperte le prime cave e benché alcuni pretendano
che dapprima si scavasse nel lato orientale del golfo segna-
tamente allorché Luni era tanto ricordata anche per i suoi
marmi , certo è che quando il marmo nero venato di giallo
cominciò ad essere in pregio , fu subito conosciuto sotto il
nome dì Portovenere poscia per brevità mutato in Portoro.
Le venature e macchie giallo-dorate che si presentano so-
pra un fondo grigio o nerastro sono in generale meno dure
266
Giovanni Capellini
e si può facilmente indovinarne 1’. origine marnosa-ferrugi-
nosa, ed al Tiro in quelle porzioni di strati che sono a por-
tata delle onde si vede che la sostanza marnosa in sottili
foglietti si intercala fra strati calcarei più o meno spessi e
che le macchie sono il prodotto dell’ accumulamento della
sostanza marnosa operato dalla pressione e forse in rela-
zione con ineguaglianze della superficie degli strati calca-
rei sui quali si depositava.
Queste vene sono perfettamente paralelle alla direzione
delle altre linee dì stratificazione del calcare dolomitico 6
solamente per opera della pressione e del metamorfismo i
foglietti marnosi si sono saldati con gli strati calcarei , si sono
indurati ed hanno formato un sol tutto come si può veri-
ficare al Tiro , ove partendo da una porzione di strato in
cui la marna è stata esportata perchè non abbastanza in-
durata ^ veggonsi gli strati calearei che conservano ancora il
loro posto relativo; poco oltre vi troviamo altresì la marna
e più avanti vediamo avvenuta la completa saldatura ed
abbiamo il vero portoro (1). Studiato a Coregna ed altrove
si osserva che lo stesso gruppo di strati a quando a quando
si converte in vero portoro e talvolta gli strati calcarei e
marnosi che lo compongono si presentano distinti anziché
saldati fra loro. La gran serie di calcare e schisti fossili-
feri si trova in contatto con lo strato di calcare dolomitico
che al Tiro ricopre il portoro e che originariamente invece
ricopriva la serie medesima , ed intraprendendone 1* esame
da questo limite attualmente inferiore e dirigendoci verso
la porzione apparentemente più giovane , si ha invece V or-
dine della vera successione cronologica di quelle roccie dal-
1 alto in basso. La serie che sto per descrivere si osserva
(1) Dietro una nota favoritami dal Sig. Agostino Falconi, il numero delle
cave di portoro state aperte nelle montagne del golfo ascenderebbe a 30, di-
stribuite come segue:
Monte Castellana . 6.
» Coregna . . 3.
» S. Croce . . 3.
Tiro 1 .
Palmaria .... 5.
Valle di Portovenere 2.
« delle Grazie 10.
Studi sull’ Infraliàs ec.
267
presso le rovine del monastero e precisamente ove già si
è studiato il marmo portoro. Atteso la difficoltà di rappre-
sentare tutte le piccole divisioni in un disegno anche in
scala abbastanza grande, ho pensato indicare la serie com-
plessivamente col N.° 12 nel taglio del Tiro Tav. 1 fig. 2
e descriverne poi dettagliatamente i principali gruppi con
la relativa loro potenza.
Partendo adunque da quell5 ultimo strato di calcare do-
lomitico già tante volte ricordato , facilmente si possono
distinguere :
1. ° Strati di calcare leggermente dolomitico e po-
chissimo fossiliferi . 0, 96
2. ° Strato marnoso giallastro con impronte di Avi-
cula e Pecten cui succedono sottili strati di cal- %
care nero a superficie corrosa e con numerosi re-
sti di Arca e polipai 0,58
Questi strati s5 incontrano coi medesimi caratteri
anche al Tiretto , località più interessante ancora
del Tiro per la quantità di fossili che vi sono
stati raccolti,
3. ° Riunione di 18 sottili strati calcarei intercalati
con marna giallo-rossastra ; lo spessore di questi
strati varia da due ad otto centimetri , conten-
gono gli stessi fossili del N° 2 ma in minor co-
pia. I due strati che stanno al limite del N° 4.
hanno m. 0, 21 di spessore e contengono modelli
di piccole fucoidi delle quali parleremo in se-
guito m. 1, 27
4. ° Strati analoghi ai precedenti ma pochissimo fos-
siliferi 0, 48
5. ° Calcare con pettini e molti resti di plicatula in-
tusstriata . . 0, 66
6. ° Sottilissimi strati calcarei spesso saldati insieme
e coi medesimi fossili del N° 5 0, 34
7. ° Quattro strati calcarei che amerei chiamare strati
m. 4, 29
Giovanni Capellini
Riporto m. 4, 29
a piccole fucoidi per essere completamente rico-
perti da quei modelli che credo doversi riferire
a fucoidi. Vi si trovano molti pettini ed una quan-
tità di modelli di bivalvi ( mactra securiformis P)
oltre le Avicule , Arche ed i polipai abbastanza
frequenti. Questo gruppo è senza dubbio il più
fossilifero di tutta la serie e forma un orizzonte
interessante e facile a ritrovarsi a Grotta Arpaja
e lungo tutta la catena occidentale del golfo . 0* 33
8. ° Strati di calcare compatto alternanti con calcari
schistosi in lamine sottilissime le quali talvolta si
saldano insieme ; la frattura normale alle stratifica-
zioni dopo essere stata esposta all’ azione degli
agenti atmosferici ricorda esattamente il margine
di un libro non raffilato 0, 92
Al Tiretto negli strati corrispondenti ve n’ ha una
porzione che si sfalda facilmente ; il prof. Pilla
nel 184*5 ed in seguito io pure nel 1857 vi tro-
vammo ciascuno un mal Conservato ittiolite. L’ e-
semplare del prof. Pilla si può vedere nel R. Mu-
seo di Pisa e P altro fa parte della mia collezione
paleontologica dei dintorni della Spezia.
9. ° Scbisti e calcare con venature di spato calcare. 5, 70
Gli strati calcarei non hanno più di un decimetro
di grossezza e sono rotti e fratturati normalmente
ai piani di stratificazione ; gli schisti marnosi coi
quali sono intercalati variano di colore dal giallo
al lionato , al pavonazzo-rossastro.
10. ° Gruppo analogo al precedente se si considera li-
tologicamente. Gli strati calcarei predominano sui
schistosi, se ne veggono parecchi saldati fra loro
e lo strato che termina questa serie misura da
solo trenta centimetri di spessore 5, 80
1 1 . ° Strati calcarei di otto , dieci e venti centimetri
di spessore , saldati fra loro in guisa da poterli
considerare come due soli banchi 1, 10
m. 18, 14
Studi sull’ Infralì as ec. 269
Riporto m. 18,, li
12. ° Calcare lumachella con Plicatula intusstriata ,
potenza variabile fra dieci e quattordici centimetri.
Questo strato come lo accenna la prima denomi-
nazione resulta quasi esclusivamente dall’ impasto
di valve di plicatula, vi si trovano però associa-
te benché raramente altre specie, ed in un fram-
mento proveniente da Grotta Arpaia notai alcuni
esemplari di Rhynconella. Interessante per i fossili
dai quali resulta , forma un buonissimo orizzonte
geologico che facilmente si ritrova lungo tutta la
catena occidentale del golfo, costantemente coi
medesimi caratteri litologici e paleontologici ed
anche con la stessa potenza approssimativa. . . 0, 14
Si può studiare meglio che altrove all’ isola Tiro
presso le rovine del monastero dalla parte per la
quale si scende alla grotta già ricordata , all’ isola
Palmaria specialmente sopra la Grotta dei colombi
ne furono cavati dei pezzi che si lavorarono come
marmo.
13. ° Uno strato di calcare a lamine esilissime sal-
date fra loro e della grossezza complessiva di otto
centimetri, si interpone fra lo strato a plicatule
ed i banchi di calcare 0, 08
14. ° I banchi calcarei della potenza complessiva di
metri due circa, nelle porzioni state lungamente
esposte all’ azione degli agenti atmosferici sono
ricoperti da modelli di grandi fucoidi i cui rami
hanno da sei fino a dieci millimetri di diametro.
Anche questi strati si possono considerare come
un orizzonte facile a riconoscersi mercè il fossile
tanto appariscente che lo caratterizza .... % QQ
Totale . . . m. 20, 36
Nei tagli naturali del Tiro e delle varie montagne della
catena occidentale , si possono vedere altri banchi calcarei
i quali sono stati grandemente sconvolti e ripiegati in
270
Giovanni Capellini
guisa da simulare una potenza complessiva che realmente
non hanno. Schisti più o meno marnosi sono intercalati fra
questi calcari, ed in essi troviamo poi i Bactryllium , la P/i-
catula Mortilieti e la Myacìtes faba , fossili che in gran co-
pia si possono raccogliere meglio che altrove al Pescino ,
alla Castellana , a Goregna e Parodi nella catena occiden-
tale ; a monte Murlo , alla Rocchetta , alla Bandita nella
orientale. Questi calcari che quantunque più antichi rico-
prono la serie fossilifera che abbiamo or ora esaminata,
sono facilmente riconoscibili per la quantità di ossido di
ferro che li tinge in rossastro, specialmente in corrispon-
denza delle numerose fratture che li attraversano , ed il
loro passaggio dalla forma decisamente stratificata a quella
di calcare cavernoso con aspetto di roccia eruttiva, in molti
luoghi vedesi esser graduato ed insensibile. Per completare
quanto merita di essere osservato all* isola Tiro , aggiungerò
che una faglia con piccolo spostamento attraversa quell’ isola
nella direzione di N.O S.E approssimativamente (V. Tav. 1.
Fig. 2a c.) I banchi 8 e 9 facilmente attaccati dagli agenti
atmosferici e minati dalle onde, là ove trovansi a portata
delle medesime sono scavati ed esportati poco a poco, dando
luogo a grotte il cui piano è costituito ordinariamente da-
gli strati a piccole fucoidi , mentre la volta resulta dallo
strato a grandi fucoidi accennato al N° 14.
La grotta al dissotto delle rovine del monastero e V al-
tra sotto il Faro dalla parte che guarda il Tiretto (Tav. 1.
Fig. 2a b .) sono nelle condizioni che abbiano accennate ;
la fortissima inclinazione degli strati rende difficile 1’ ac-
cesso per via di terra, all’ ultima particolarmente. Studiata
l’intera serie fossilifera dell’isola Tiro, prima di abbandonare
P estremità occidentale del golfo è duopo intrattenersi al-
cuni istanti sul Tiretto, piccolissima isola per pochi metri
divisa dal Tiro, cui si ritiene fosse collegata in tempi
abbastanza recenti mediante una serie di scogli che costi-
tuivano come un ponte naturale, per il quale si poteva
senza battello trasportarsi dal Tiro al Tiretto , ove sono gli
avanzi di piccolo romitorio , dipendenza del monastero del
Tiro di cui citaronsi le rovine. Oggi non è possibile passare
Studi sull9 Infralias ec. 271
al Tiretto senza giovarsi d’ una barca, benché molti di quelli
scogli tuttora sussistano, e quando si ricerca come dovette
originarsi il canale che divide le due isole , ne troviamo la
causa in uno spacco normale alla direzione della catena
montuosa della quale fan parte, ingrandito posteriormente
per F azione delle onde che minarono ed esportarono quella
porzione di roccie le quali, mal ferme per altre fratture
secondarie , non poterono resistere bastantemente al logorio
ed all’ urto violento delle onde che da lunga serie di se-
coli cospirano a distruggere completamente quei brani di
montagne, già tanto sconvolti fino dalla prima loro emer-
sione; in piccola scala avvenne per il Tiretto rispetto al
Tiro quel che dovette accadere in maggiori proporzioni per
il Tiro riguardo alla Palmaria.
La superficie del Tiretto, nel lato che è più prossimo
al Tiro , resulta di strati di calcare fossilifero e facil-
mente si riconosce doverli riferire al gruppo indicato al
N° 7 nella serie del Tiro sopra descritta. Questi strati da
tanto tempo battuti dal mare, presentano una superficie
eminentemente corrosa e vedesi che le parti le meno at-
taccate furon quelle ove si trovano i fossili, ordinaria-
mente convertiti in spato calcare. Con questa norma esa-
minando le asperità che ne resultarono, si riesce a sco-
prire bellissimi esemplari di Pecten 3 Avicula> Arca , piccoli
gasteropodi , frammenti di echinodermi e numerosi resti di
polipai. Ordinariamente molti Chthamalus e litorine ( litori -
na coerulescens ) ricoprono le porzioni ove i fossili sono in
maggior copia, almeno al dì d’oggi, e mentre talvolta
hanno contribuito ad isolare qualche fossile interessante
mediante le erosioni che quelli animali producono ove si
fissano, tal altra e più spesso si trova che esemplari in-
teressantissimi furono completamente sciupati. Il Tiretto
forse più che qualunque altra località ha fornito esemplari
per la paleontologia del terreno di cui ci occupiamo e per
la maggior parte si ricavarono dai banchi dei quali tenni
parola. Fra questi banchi e quelli segnati al Tiro col N° 8
vi ha uno strato di calcare di soli quattro centimetri di
grossezza , tutto diviso in piccole masse romboidali le quali
272
Giovanni Capellini
si possono rompere e scindere in altre più piccole ancora,
ma sempre con la stessa forma approssimativa.
Le masse maggiori sono collegate fra loro da sottili
setti di spato calcare, e questi setti determinano sulla su-
perficie denudata del calcare altrettante linee rilevate che
si incrociano ed offrono F aspetto di una superficie tes-
sellata e corrosa: in questo strato ho raccolto un esemplare
di Hypodiadema.
Uno straterello di marna paonazzo scura, ricca di im-
pronte di Pecten , Avìcula , Plicatula e della potenza di due
a quattro centimetri, trovasi fra lo strato calcareo prece-
dente ed un banco di calcare della potenza di trenta cen-
timetri cui succedono calcari schistosi a lamine sottilissi-
me, nei quali si trovarono gli ittioliti già sopra accennati.
Coi calcari schistosi termina ciò che su quello scoglio
ancora sussiste di tutta la gran serie fossilifera del Tiro ,
e tosto siamo indotti a ricorrere alla denudazione onde
renderci conto di quella mancanza. Intanto ad oriente del
Tiretto si vede uno scoglio il quale al pari dell’ isola pre-
senta il lato occidentale tagliato a picco, mentre gli strati
vanno ad immergersi in direzione opposta e con una incli-
nazione eguale a quella degli strati del Tiretto. Altri due
scogli minori sono accodati a quel primo come si può me-
glio vedere dal taglio geologico il quale è quasi un esatto
disegno di ciò che si vede in natura. (Y. la Tav. 1. Fig. 3a ).
Lo scoglio principale che abbiamo or ora descritto porta
il nome di Scoglio grosso , fig. cit. b , gli altri due sono
chiamati F uno Scoglio di mezzo (c) per la sua posizione
e T altro Scoglio lungo per la forma (d).
Si può dapprima sospettare che la rottura del lato occi-
dentale dello Scoglio grosso corrispondente per la direzione
alla faglia accennata al Tiro, sia accompagnata da sposta-
mento e quindi ripeta in miniatura le vicende del Tiretto ;
ma allorché il desiderio di conoscerne esattamente F al-
tezza ed i caratteri paleontologici spinge ad arrampicarsi a
perlustrare quel masso, non si tarda a riscontrarvi la con-
tinuazione della serie trovata interrotta sul Tiretto , e ri-
portando quegli strati al loro posto nella serie stessa si ri-
Stuoi sull9 Infralì as ec.
273
conosce , che fra gli strati dello Scoglio grosso al livello del
mare nel lato occidentale tagliato a picco ed i più super-
ficiali che si incontrano al Tiretto nel lato che guarda
lo scoglio, vi è una lacuna più o meno corrispondente al-
T interruzione reale fra esso ed il Tiretto ( V. Tav. 1 .
Fig. 3° ). Agevol cosa è il rendersi conto di questo fatto
dopo tante minute circostanze verificate al Tiro e sulle
quali non abbiamo mancato di intrattenerci ; or ecco una
spiegazione abbastanza probabile. La porzione di strati cor-
rispondente a quella nella quale le onde scavarono la grotta
Arpaia (V. Tav. 2. Fig. 4a) e le due grotte dell9 isola Tiro,
fu anche al Tiretto ( che prima dovea formare un sol tutto
con lo Scoglio grosso) battuta in breccia dalle onde in due
opposte direzioni come avvenne ed avviene tuttora al Tiro.
Due gallerie venivano di tal guisa lentamente scavate
r una all9 incontro dell9 altra, ed arrivate al loro termine
per qualche tempo il canale che ne resultò dovette essere
ricoperto dalla porzione degli strati superiori dello Scoglio
grosso per mezzo dei quali continuava ad essere in comu-
nicazione col Tiretto. Finalmente questi strati già rotti
e mai fermi per la continuazione della faglia osservata al
Tiro, crollarono; i loro resti furono in parte ridotti dalle
onde e portati altrove, parte pescati anche in tempi re-
centissimi fornirono materiali di costruzione per le fabbri-
che della Spezia , prima che si aprissero le cave di Acqua-
santa, Gaporacca, Coregna, Fabiano. Il Tiretto poi non cessò
di essere battuto dalle onde, le quali fin dove arrivarono
esportarono tuttaquanta la massa degli strati marnosi e
schistosi, logorando profondamente i grossi banchi di cal-
care fossilifero e calcare dolomitico.
Questa ipotesi per rendersi conto della esportazione della
porzione di strati calcarei e schistosi per opera della denuda-
zione, si cambia in certezza quando si riflette che la fronte
dello scoglio grosso, ossia il lato che guarda il Tiretto, ha
appena quindici metri di lunghezza e quindi 1’ escavazione
delle gallerie non dovette essere che di soli otto metri circa
per parte onde giungere ai resultamenti testé accennati.
Oltre tutte queste località che nel lato occidentale del
t. i. 35
274 Giovanni Capellini
golfo presentano maggiore interesse per gli studi stratigra-
fici sul calcare nero fossilifero, altre ve ne hanno merite-
voli d’ esser visitate per i fossili della stessa formazione, e
sono F isola Palmaria presso le cave di portoro , la punta
del Pescino , la Castellana specialmente presso le cave Fal-
coni e Samengo, monte Coregna nel lato che guarda la
valle dell’ Acqua santa. Riguardo al Pescino ho qualche so-
spetto che quei strati fossiliferi siano alquanto più antichi
degli altri della serie del Tiro dei quali ci siamo tanto in-
teressati. Alcuni di quei calcari che ho appena ricordati e
riesce difficilissimo esaminare minuziosamente, e che fu-
rono poco predati dagli agenti atmosferici ( specialmente
dall’ azione combinata dell’ acqua piovana e marina) credo
debbano corrispondere agli strati di calcare lumachella il
quale alla punta del Pescino è corroso dal mare e abbonda
principalmente di piccoli gasteropodi. Gli schisti marnosi
a Bactryllium e quelli a Myacìtes faba devono con questi tro-
varsi principalmente in rapporto. Questo fatto mi interessa-
va notare affinchè non nascesse confusione in cose che
vanno distinte , e per mostrare di non essere troppo lungi
dal vero con quella mia supposizione, citerò d’ aver già
trovato presso la Madonna dell 0 Acquasanta, strati assolu-
tamente riferibili a quelli del Pescino, benché ivi i resti
organici siano indecifrabili, almeno nella porzione finora e-
saminata.
Anche la forma litologica è in parte un poco diversa
poiché in quel calcare non sono rarissimi i grani di quar-
zo ; la posizione che occupano i calcari per tal guisa rife-
riti a quelli del Pescino, sarebbe in rapporto con gli schi-
sti marnosi a Bactryllium e Plicatula Mortìlleti , e torne-
rebbe ciò che ammetto per le isole Palmaria e Tiro.
Studi sull* Infralias ec.
STRATIGRAFIA
della catena orientale, specialmente di
Esaurito quanto poteva diffonder luce sulla stratigrafia
del calcare nero nel lato occidentale del golfo , trasportia-
moci ora a studiarla nella catena orientale , e precisamente
a Capo Corvo ove si ha la migliore e direi anche la sola
sezione interessante attraverso ad essa.
Dopo le cose dette superiormente riguardo al solleva-
mento della catena occidentale ed alla faglia nel cui pro-
lungamento ha origine il golfo, pochi cenni basteranno a
far comprendere come col movimento medesimo e con la
stessa direzione emergessero i monti che costituiscono la ca-
tena orientale. Il movimento fu qui pure di innalzamento
per il lato orientale e di abbassamento per V occidentale ,
gli strati immergendo verso il golfo, in generale raggiunsero
fortissima inclinazione per la quale agevolmente venne a
sfaldarsi e fu esportata gran parte del materiale che origi-
nariamente rivestiva il lato occidentale di quelle montagne.
Prima però di considerare quali altri movimenti abbia su-
biti questa località onde costituirsi come oggi noi la tro-
viamo , esamineremo ciò che si osserva nel taglio condotto
dalla punta del Corvo alla Bianca, e di là alla Batteria di
S. Croce di Magra posta alla foce del fiume di questo nome.
Partendo dalla porzione immediatamente bagnata dalle
acque del golfo e nel tempo stesso la più giovane di tutta la
serie che andremo analizzando , si trova : (V. Tav. 2. F*g- •)
1 .° Calcare dolomitico ( Dolomia superiore ) corrisponden-
te a quello che nel lato occidentale abbiamo visto connes-
so col marmo portoro ed in relazione col calcare nero fos-
silifero. Presso la punta del Corvo esiste uno scoghoa
fior d’ acqua da antica data denominato il porfido in con-
seguenza della sua durezza. Questo scoglio difficile ad essere
esaminato, perchè in quella località ben di rado il mare è
perfettamente tranquillo , continuò ad essere creduto d una
276
Giovanni Capellini
importanza maggiore di quella che ha realmente per chi
potè avvicinarlo , staccarne delle porzioni , esaminarle ed
accertarsi non essere altro che un masso di calcare dolomi-
tico di color carnicino e durissimo, come lo sono certi massi
che si possono vedere meglio che altrove a Coregna. Mur-
chison stesso ( ingannato da un barchettaiolo notissimo alla
Spezia per le storielle e racconti esagerati che si compiace
vendere a buon mercato a tutti coloro che serve col suo
battello) scrive essergli stato indicato un masso di porfido
che emerge pochissimo e che non potè avvicinare per il
cattivo tempo (1). Dietro questo supposto }1’ illustre geo-
logo cercò di accordare i fenomeni di metamorfismo di
quella parte delle montagne del golfo con la vicinanza di
roccie eruttive.
2.° Schisti marnosi pavonazzi è calcare nero fossilifero.
Nell’ottobre dello scorso anno 1861 perlustrando nuova-
mente Capo Corvo per ripetere la sezione geologica e ve-
rificare quanto aveva osservato fino dall’anno 1856 , arrivato
in prossimità del posto che teoricamente giudicava dover es- .
sere occupato dalla serie dei calcari e schisti fossiliferi studia-
ti nel lato occidentale, prima ancora di approdare, e ridire il
potrebbe chi gentilmente mi accompagnava (2)^ precisai uno
strato che supponeva dovesse essere fossilifero. Fra questo
strato denudato per una lunghezza di parecchi metri ed
altro strato calcareo che lo precede nella serie dall’ alto in
basso, trovasi intercalato uno schisto marnoso pavonazzo il
quale ha circa trenta centimetri di spessore. Appena adoc-
chiato quello schisto vi trovai strettissima analogia con altro
che si osserva in vicinanza del Pescino lungo la scorciatoia
per la quale si va al paese delle Grazie, e poiché anche per
il posto che occupa mi pareva si dovesse con quello ac-
cordare, mi indussi a sperar bene. In fatti la superficie del
calcare denudato dallo schisto marnoso pavonazzo era tutta-
(1) Murchison. S. R. I . Sulla struttura geologica delle Alpi, degli Apennini
e C^ZI ( Traduzione dei Prof. Savi e Meueghini pag. 186. Firenze 1850).
\À) 1 11 5>»g. Carlo Chiocca di Sarzana mi fu compagno in questa ed altre
escursioni nei dintorni della Spezia.
Studi sull’ Infhalias ec. 277
quanta coperta di valve e di esemplari completi di cardite
ed astarti , oltre parecchie nucule ed acteonine ( Orthosto-
ma) ; diverse rilegature di candido spato calcare formavano
sulla superficie stessa linee più o meno sporgenti , per le
quali è facile rendersi conto delle vicende subite da quel
calcare prima della completa sua solidificazione e prima
ancora che lo strato marnoso venisse su di esso a deposi-
tarsi. L’ esemplare di questo strato che fa parte della mia
collezione , offre 1’ esempio .di tutto quanto ne ho detto
in proposito e nella stessa raccolta si possono vedere pa-
recchi saggi dello schisto marnoso pavonazzo il quale in-
clude bellissimi esemplari di piccole nucule, mitili. Or-
to stomi ec. Questi fossili sono convertiti in calcare nero
e fanno grazioso contrasto con la tinta violacea della roccia
che li include e dalla quale si possono fàcilmente liberare
onde meglio studiarli per ogni lato. Inferiormente allo stra-
to a cardite trovansi alcuni banchi con grandi fucoidi come
abbiamo osservato al Tiro e come si riscontra allo Scoglio
grosso, poscia una serie numerosa di sottili strati di calca-
re nero che chiamerò calcare fettucciato poiché atteso le
rilegature analoghe a quelle dello strato a cardite , ma an-
che più numerose, tali strati osservati in qualsiasi dire-
zione ci si presentano listati di bianco.
3.° Alla serie dei calcari neri fossiliferi succede inferior-
mente una dolomia cavernosa ferruginosa, la stessa che
abbiamo già ricordata a Parodi e altrove sia che si ponga
mente ai caratteri litologici come anche per la posizione
stratigrafica. A Capo Corvo questa dolomia è anche più
rubiginosa di quel che non sia nelle località poc’ anzi ac-
cennate e ricorda una dolomia delle Alpi la quale si può
vedere recandosi da Modane a Bardonnèche per il Col
de la Roue, nello stesso orizzonte geologico di quella dei
dintorni della Spezia e dell’ altra già segnalata dai geologi
lombardi sotto il nome di dolomia media (1).
278
Giovanni Capellini
4. ° La dolomia citata non è molto potente e passa ad
una breccia che resulta dall’ impasto di calcare cavernoso
e schisti del verrucano , breccia la quale meglio che altrove
si può studiare nelle vicinanze di Lerici e S. Terenzo ove
si mostra sviluppatissima e sempre sottostante al vero cal-
care cavernoso che si riscontra anche più addentro nel golfo
p. e. a è. Bartolommeo , presso il paese di Pitelli ed in vir
cinanza del Mulinello ove sono le polle erroneamente cre-
dute solfuree , mentre quelle . acque contengono solamente
traccie di cloruro di sodio e carbonato calcare ; quest’ ul-
timo si deposita sul fondo del laghetto , riveste copiosamen-
te le Chare che vi prosperano , e costituisce quella forma
litologica di calcare la quale porta il nome di tufo od an-
che os teocolla, e non è rara in vicinanza dei calcari caver-
nosi là dove le acque sgorgano attraverso ad essi.
5. ° Quarzite grandemente sviluppata verso il nord della
catena orientale. Nelle vicinanze di Pitelli costituisce da
sola quei monti di forma tondeggiante e di mediocre eleva-
zione sui quali vegetano tanto prosperamente i pini e sono
conosciuti sotto i nomi di Bosche e Boschetti , le prime in
continuazione col monte di Pitelli propriamente detto ; i
secondi separati da essi mercè le paludi dette Stagnoni
formano come un’ isoletta alla quale da un lato si addossa
il terreno eocenico con F intermezzo di alcuni di quei dias-
pri manganesiferi e schisti varicolori che abbiamo visti
nella sezione di Coregna. Questa quarzite non è altro che
una puddinga quarzosa a elementi finissimi e quindi passa
alla forma litologica che or ora accenneremo, ed al pari di
essa è Caratterizzata dalla presenza di quarzo roseo. La
frattura prismatica romboidale, frequente nella quarzite che
chiamerò del Mulinello per essere ivi meglio che altrove
sviluppata e ben caratterizzata , fa sì che la denudazione
agisca sensibilmente ^ulle montagne che ne resultano, le
quali si presentano tutte profondamente lacerate e con balze
a pareti quasi verticali per centinaia di metri di altezza.
La quarzite del Mulinello ha il suo rappresentante nelle
Alpi, nelle medesime relazioni stratigrafìche di Capo Corvo ,
con la sola differenza che fra essa ed il calcare cavernoso
sta il gesso che manca in quest’ ultima località.
Stùdi sull* Infralias eg.
279
Nelle Alpi, la quarzite è ordinariamente bianco sudi-
cia , spesso variegata come appunto a Capo Corvo ed al Muli-
nello , e poiché quella è riferita al Trias inferiore , basando-
mi sulla perfetta loro analogia non sarei alieno dal fare al-
trettanto per queste dei monti della Spezia almeno in via
provvisoria , ritenendovi come associata P anagenite che segue
( N° 6) , la quale considero soltanto come una varietà litolo-
gica. Le quarziti ricordate stanno all’ anagenite, come il ma-
cigno propriamente detto sta alla pietra cicerchina od al
macigno puddingoide.
6. ° Anagenite con quarzo roseo o puddinga quarzosa del
verrucano. In banchi perfettamente concordanti con quanto
la precede e con le roccie che seguitano , si può vedere
dalle vicinanze della Bianca fino all’ Ameglia sempre coi
medesimi rapporti stratigrafici , osservando però che in quel-
la direzione scema la sua potenza e non riapparisce al di-
sotto delle quarziti dei dintorni di Pitelli. Presso la Bianca
ove questa roccia è bersagliata dalle onde, si disaggrega e se
ne originarono parecchie grotte, come si può vedere nella
Tav. 2. Fig. 6a destinata anche a far conoscere i ripiega-
menti dei numerosi e. relativamente sottili suoi strati.
7. ° Schisto compatto, violaceo scuro, che diventa a quan-
do a quando arenaceo e si potrebbe allora confondere con
certe varietà di arenarie argillose.
8. ° Schisto compatto cloritico che si fa rimarcare anche
a qualche distanza, ed ha una potenza variabile da due a
cinque metri.
9. ° Puddinga calcarea a cemento schistoso talcoso. I grandi
ciottoli di forma amigdaloide sono di calcare carnicino op-
pure ceroide , ma vi sono poi commisti ciottoli e grossi
grani di quarzo roseo, e questo forse impedisce di lavorarla
come marmo , difficoltà resa maggiore dalla natura del ce-
mento. Questo cemento come già si disse è schistoso talco-
so, la tinta predominante è il violaceo, ma talora vi si
unisce anche il verde. Il talco rende rasata la superficie del
cemento, il quale talvolta predomina in modo da far si che
la roccia in alcuni punti malamente si distingua da quella
accennata al N° 7.
Gìovanni Capellini
10. ° Calcare bigio assai chiaro. Esistono dei massi, taglia-
ti fin da quando si tentò di attivarne 1’ escavazione.
11. ° Calcare bianco saccaroide a grana finissima e frat-
tura schistosa. Si osservano su questi banchi parecchie inie-
zioni ferree già ricordate dal Prof. Savi, il quale ne citò
altresì nel calcare delle Alpi Apuane e specialmente alla
Tambura ed a Stazzema ove hanno ricevuto il nome di
zucchì dal bronzo. (1)
A queste iniezioni ferree il Prof. Savi attribuisce il me-
tamorfismo del calcare in marmo saccaroide, e sono con es-
so perfettamente d’ accordo che se non furono P unica cau-
sa di quel fenomeno, v9 ebbero però parte grandissima.
Queste masse nel calcare saccaroide della Bianca sono
convertite, in ocra gialla e quindi facilmente riconoscibili ;
del marmo se ne tentò l9 escavazione ma fu abbandonata
perchè trovato poco tenace.
12. ° Una potente massa schistosa trovasi inferiormente al
calcare saccaroide, e gli strati contorti e sconvolti mentre
sono concordanti con tutta la serie precedentemente descrit-
ta si piegano in arco, ed alla batteria di S. Croce hanno
una inclinazione opposta. È però da .avvertire che questa
arcuazione decisa si verifica soltanto per la porzione loro
più profonda , poiché una parte degli strati superiori fu
esportata dalla denudazione , e questa diversifica un poco
dall9 altra quanto ai caratteri litologici , poiché in basso in
generale ha l9 aspetto di schisto noduloso in conseguenza
dei ciottoli quarzosi che vi sono inclusi. Immediatamente al
disotto della batteria i ciottoli sono talmente abbondanti che
quasi si direbbe una puddinga a cemento schistoso , quando
non si vedessero mancare di tratto in tratto. La roccia del-
la quale ci occupiamo, la più antica che si conosca nei
dintorni della Spezia , è d9 un colore grigio verdastro , at-
traversata da filoncelli di ferro micaceo che in molti punti
è convertito in ocra, come si può verificare presso la fonte
Studi sull* Infralias ec.
281
al disotto delle rovine del monastero di S. Croce del Corvo.
Oltre i veri filoncini come abbiamo indicato , le pareti delle
fratture normali alla direzione dei piani di stratificazione di
quella massa schistosa , sono d’ ordinario tappezzati dalle
lamelle del detto ferro micaceo , nel modo stesso che si ve-
rifica per il ferro speculare nelle fenditure di alcune lave
del Vesuvio.
Nell’ esame del taglio geologico di Capo Corvo abbiamo
visto che il calcare dolomitico corrispondente a quello della
catena occidentale e riferibile alla dolomia superiore dei
geologi lombardi, forma il termine più recente di quanto
vi Si incontra ; ma se ci avanziamo verso il nord e condu-
ciamo una sezione ideale dalle vicinanze di Telaro nel
golfo , fino in prossimità dell’ Ameglia in Val di Magra,
non troveremo uno sviluppo di roccie antichissime come al
Capo Corvo essendone 1’ anagenite il termine inferiore ,
bensì nelle vicinanze di Telaro si potrà verificare tal fatto
che vale a spiegarci come quella catena montuosa non si
elevasse tutta d’ un tratto.
Infatti addossato e concordante col calcare dolomitico , si
riscontra un lembo limitatissimo di quel calcare che si disse
assomigliare alla majolica, e con esso alcuni diaspri identici
agli altri già esaminati nella sezione di monte Coregna.
Quando vogliamo renderci conto dell’ hiatus che passa fra
queste roccie ed il calcare dolomitico sul quale riposano,
come pure della loro limitata estensione entro le piccole
anse della catena montuosa e ad un livello di non molto
superiore a quello del mare attuale , bisogna ammettere :
Che la catena orientale del golfo si sollevasse (come forse
le Alpi Apuane) prima che si depositassero i calcari e sehi-
sti ammonitiferi che abbiamo osservati nel lato occidentale.
Mantenutisi ad una certa elevazione durante tutto il pe-
riodo liassico , quei monti che in forma di isole erano ba-
gnati all’ intorno dal mare giurassico, si abbassarono alquanto
allorché incominciavano a deporsi le roccie argillose e cal-
caree, sulla cronologia delle quali non siamo ancora troppo
sicuri , ma i cui limiti sono ristretti fra lo schisto a pos-
sidonomya e gli schisti galestrini assolutamente eocenici.
282
Giovanni Capellini
Riguardo alla serie di roccie di Capo Corvo comprese nel
taglio dal N° 5 fino al 13 ed indicate altra volta comples-
sivamente col nome di Verrucano, non potendo fin d5 ora
entrare in minute discussioni , non ometterò di accennare
che accordandomi in parte con le viste del marchese Pareto
ritengo come triassico tuttociò che sta compreso fra gli schi-
sti che ho detti paleozoici, in basso , e P infralias superior-
mente ; ulteriori studi ci permetteranno di stabilire nuove
analogie e quindi chiarire o modificare questa maniera di
vedere.
Compiuta rapidamente P enumerazione delle principali
forme litologiche nello scopo di far precisamente conoscere
il posto relativo che occupa nelle due catene montuose del
golfo il calcare nero fossilifero e gli schisti che lo accom-
pagnano ; prima di concludere definitivamente che esso deb-
ba riportarsi al piano geologico al quale P abbiamo antici-
patamente riferito, credo interessante di tracciare un cata-
logo dei fossili, che dissi dover pure servire come prodromo
del lavoro paleontologico che sto preparando a complemento
degli studi sull’ Infralias della Spezia (1).
(1) Vedi anche il quadro posto in fine ( Limiti e divisioni ece. p
Studi sull* Infralias ec.
CATALOGO
del fossili del calcare nero e svilisti associati delle montagne
del golfo della Spezia, e delle vicine isole Palmaria,
Tiro, Tiretto (1).
VERTEBRATI
ITTIOLITI
Genere DIPTERUS , Sedg. et Murch.
«. Diptero» macrolepidotus , Agass.
Jkgasm i», Poiss.foss. Tom. II. pag. 112. PI. 2. a fig. 1-5.
pula. . Saggio comparativo dei terreni che compongono
il suolo d' Italia. Pisa 1845. pag. 73.
§avi e Meneghini , Considerazioni sulla geologia tosca-
na. Firenze 1850. Nota alla pag. 95.
MOLLUSCHI
CEFAL0P0DI
Genere AMMONITES , Bruguière.
2. Ammonite» nanus? Mart.
Martin paleontologie stratigraphique de V Infra-lias du dé-
partement de la Cóie-d? Or. pag. 69. PI. I- Fig. 3-5.
Esemplare del Museo di Pisa, nel calcare di Grotta Arpa.a.
284 Giovanni Capellini
GASTEROPODI
Genere PURPURINA , Lycett 1847.
3. Purpurina «pediensis , Gap.
Graziosissima specie scoperta nel calcare bigio del Pesci-
no, trovasi associata ad una quantità di chemnitzie ( Ch.
lessoniana).
Sui calcari e schisti fossiliferi del Pescino sorgeva un
forte, minato dagli Inglesi la sera del 5 Aprile 1814.
Genere NERITOPSIS , Gkateloup.
A. Meritopsis tuba., Schaf.
Stoppai». Fossiles de V Azzarola pag. 38. PI. 2. Fig. 1--5.
Syn. N. varicosa ? Morris et Lycett. Moli, from thè gr. Oolite
pag. 106. pi. 13. fig. 5. Nel 1858 aveva meco in Parigi
un esemplare di questa specie, e mi ricorderò sempre che
avendolo fatto vedere al Sig. Hebert mi disse immediata-
mente : c’ est jurassique , e mi fece osservare un esemplare
di N. varicosa col quale il fossile della Spezia mostravasi
identico.
5. leritopsis Pareti!, Cap.
Assomiglia alla N. Cottaldina d’ Orb. Paléont. frane, terr .
jurassiques , Voi. II. pag. 227. pi. 401. fig. 11-13.
Esemplare un poco deformato ma benissimo determina-
bile. La N+ exigua , Terq. della quale P autore non aven-
do altro che un piccolo e mal conservato esemplare non
potè dare una completa descrizione , credo sia un giovane
della N. Paretìì ; infatti in questa specie vi sono bellissi-
me coste trasverse ingraticolate da grosse linee longitudina-
li. Terquem parla di solchi , ciò avuto riguardo alla piccio-
lezza dell’ esemplare da esso esaminato, nel quale sono più
sensibili i solchi di quello che le linee che li determinano.
285
Stubx sull’ Jnfralias vEG.
6. Meriéopsis bombieciana , Cap.
Presenta profondi e larghi solchi longitudinali con linee
trasversali che terminano in piccoli tubercoli nelle coste che
dividono i solchi. Trovasi nel calcare del Pescino unitamen-
te alla Chemnitzia lessoniana ed al Cerithium sociale. De-
dicata al mio collega Bombicci prof, di mineralogia.
Genere CHEMNITZIA, D. Orbigny.
9. Chemnitzia usta , Terq. Sp.
Terquem. Paléontologie de V étage infericur de la forma-
tion liasique de la provìnce de Luxembourg et Hettange.
Mém. soc. géol. de France 2‘ Sèrie T. 5‘ 2* partie. pag.
256; pi. XIV. fig. 11. Paris 1855. Terquem riunisce i
due generi Chemnitzia e Melania e poscia adotta il secon-
do ; per le specie marine ho creduto dover preferire il gen.
Chemnitzia.
8. Chemnitzia abbreviata, Terq. sp.
Terquem. Mem. cit. pag. 255: pi. XIV. fig. 12.
». Chemnitzia turbinata, Terq. sp.
Terquem. Mem. cit. pag. 2557 pi. XIV. fig. li.
Esemplare del Museo di Pisa.
Località is. Tiro.
IO. Chemnitzia unicingulata . Terq. sp.
Terquem. Mem. cit. pag. 256; pi. XIV. fig. 10. .
II. Chemnitzia incerta , Cap.
Affine alla Ch. abbreviata , Terq.
1*. Chemnitzia Cordieri , Cap.
Corrisponde al Cerithium sp. Meneghini Considerazioni
ecc. pag. 88. N° 10.
Ésemplare del Museo di Pisa.
Località Grotta Arpaia.
286 Giovanni Capellini
13. Chemniizia acutispirata , Gap.
Syn. Cerithium aciculoìdes , Mgh?
§avi e Meneghini. Op. cit. pag. 88. N° 9. Alcune la-
stre di calcare nero del Tiro che per F aspetto ricordano
il calcare nero di Caprona , contengono numerosi esemplari
di questo minutissimo fossile , del quale avendone alcuni
che permettono di studiarne l5 apertura buccale credo se
ne debba fare una specie del gen. Chemnitzìa .
14. Chemniizia. lessoniana , Gap.
Per la forma delle coste assomiglia al turbo costellatus ,
Terq. ma ne differisce completamente per tutti gli altri
caratteri; lunghezza 2-8mm; trovasi in copia nel calcare
del Pescino e F ho dedicata al mio amico prof. Lessona il
quale nel 1860 mi accompagnava in una escursione a Por-
tovenere ed al Pescino ove allora ne scoprii esemplari be-
nissimo conservati.
Genere CERITHIUM , Adanson.
15. Cerithium semel e , Mart.
Martin. Paléontologie stratigraphique de V Infra-lias du
département de la Cóte-dC Or. Mém soc. géol. de France
2e Serie T. VII. pag. 75; pi. II. fìg. 8-10 Paris 1860.
1©. Cerithium llenrici , Mart.
Martin. Mem. cit. pag. 76; pi. II. fìg. 17-18.
1®. Cerithium rotundatum , Terq.
Terquem. Mem . cit. p. 278 ; pi. XVII. fìg. 8.
18. Cerithium grattini , Terq.
Terquem. Mem. cit. pag. 277 ; pi. XVII. fìg. 6.
Studi sull5 Infralias ec. 287
19. Ceriihium Meneghini! . Cap.
Per molti caratteri s’ accorda con la descrizione del Ce-
rithium sp. Savi e Meneghini, op. cit. pag. 89 N° 1 1 .
I due esemplari che trovansi nella mia collezione proven-
gono entrambi dalla Castellana. Dedicato al mio amico Prof.
Meneghini dell’ Università di Pisa.
20. Cerithium sociale , Cap.
Piccolo cerizio che per la sua forma ricorda le Rissoe.
S’ accorda col C. pupa , Mart. per la forma e per le di-
mensioni , ma ne differisce per essere privo delle piccole
linee longitudinali. Al Tiro ed al Tiretto si trova dissemi-
nato in copia alla superfìcie di certi calcari marnosi che
sono in contatto con lo schisto marnoso pavonazzo. Non si
incontrano mai esemplari solitari.
Genere TURRITELLA , Lamarck
21. Turriiella Bunkeri , Terq.
'I'erq tieni. Mem. cit. pag. 252» pi. XIV. fìg. 5. Dun-
ker Palceontographica N° 1. pag. 109, pi. 13. fig. 5-7.
22. Turriiella Zenkeni , Terq.
Terquem. Mem. cit . pag. 253 pi. XIV. fig. 6.
Syn. Melania Zenkenì. Dunker Palaeontographica N° 1.
pi. 18, fig. 1-3.
23. XurriteUa deshayesea, Terq.
Terquem. Mem. cit. pag. 253. pi. XIV. fig. 7.
24. Turriiella bicarinata. Cap.
Credo che la T. Humberti , Mart. sia un giovane della
mia T. bicarìnata ; sono incerto sulla presenza degli orna-
menti nel mio esemplare.
Giovanni Capellini
25. TurrUella somervilliana , Cap.
Per gli ornamenti assomiglia alla T. Dunkeri , ma ha un
numero molto maggiore di linee longitudinali ed un ango-
lo apiciale. diverso. Dedicata a Maria Somerville autrice
della geografia fisica e di altri interessanti lavori di scienze
naturali.
Possa questo mio piccolo tributo d5 ossequio per quella
illustre donna, esserle pegno dell5 infinita stima ed ami-
cizia che ad essa mi vincola.
2G. rr urritell a lunensii , Cap.
Per la forma ricorda la T. bicarinata , ma oltre le due
carene che la distinguono ha poi numerose linee che la
cingono longitudinalmente , come si osserva nella T. so-
mervilliana.
Genere TURBO, Linneo.
2*9. Turbo subpyramidalis , cT Orb.
©’ Orbignv. Paléontologie francaise , terrains jurassiques
T. IL pag. 353, pi. 334. fig. 15-18.
Nel calcare del Pescino.
Genere PHASIANELLA, Lamarck.
28. Phasianella nana, Terq.
Terquem. Mem. cit. pag. 267. pi. XVI. fig. 3.
29. Phasianella. Guidoni . Cap.
Specie umbilicata, con ornamenti. Frequente alP isola
Tira, ne posseggo esemplari completamente isolati dalla
Studi sull5 Infralias ec. 289
Genere ORTHOSTOMA, Deshayes 184-2.
Syn. ACTEONINA, D’Orbigny 1847.
30. Orihostoma Savii . Cap.
Per la forma assomiglia all5 A. esìnensis , Stopp. e per gli
ornamenti ricorda la Chemnitzìa infiala d5 Orb. terr. crei.
Questa specie trovasi abbondantissima alla Bianca nel
lato orientale del golfo, ove l’ho scoperta nell’ottobre 1861;
1’ ho trovata pure a monte Murlo, all5 isola Tiro ed alla
Castellana.
Dedicata al mio amico prof. Savi cui si devono osservazioni
interessantissime sui dintorni della Spezia, sulle Alpi Apuane
e sulla Toscana.
31. Orthostoma triticum , Terq.
Terquem. Mem. cit. pag. 261. pi. XV. fig. 5.
Esemplare del Museo di Pisa.
Località Grotta Arpaja.
ACEFALI
Genere CORBULA , Bruguière.
33. C orbili a imperfecta . Cap.
Il solo esemplare che ne posseggo mi permette di di-
stinguere questa specie dalla C. Ludovicoe , Terq. alla quale
assomiglia un poco per la forma e per le dimensioni.
Genere ANATINA Lamarck.
33. Allattila prseeursor , Quenst. sp.
Oppel o. Sue#», ùber die muthm. ^Equivalente der Kos -
snerschichten in Schwaben .. p. 12. taf. 1. fig. 5.
t. i. 37
290
Giovanni Capellini
Genere PHOLADOMYA , G. Sowerby.
34. Pholadomya §p.
Esemplare del Museo di Pisa.
Località Grotta Arpaia.
Genere MYAGITES (Schlotheim) Bronn.
35. MyaeHes faba , Wink.
Winkler. Die schichten der Avicula contorta . pag. 19.
taf. II. fig. 6. b.
In grande abbondanza negli strati schistosi lionati i
quali al Pescii*o ed altrove accompagnano gli strati mar-
nosi a Bactryllium.
Genere MAGTRA , Linneo.
36. Mactra securiformis ? D. Orb.
Syn Donax securiformis , Dunker Palceontographica ,
Voi. I. p. 38. pi. 6. fig. 12-14. Stoppa ni Fossiles de V Az-
zarola pi. 4. fig. 1-2.
Genere AST ARTE , Sowerby 1816.
33. A star te «iugulata , Terq.
Terquem. Mem. cìt. pag. 294 pi. XX fig. 6.
Comune nello strato a Cardite della Bianca, e frequente
nello schisto rosso pavonazzo della stessa località.
38. Astarte Cocchi! , Mgh.
Meneghini. Nuovi fossili ecc. pag. 33.
39. Astarte Pillse , Cap.
Per il numero delle coste , per il margine e per altre
caratteristiche, non differisce dall’ A. irregularis Terq. dalla
Studi sull5 Infralias ec.
291
quale credo si debba distinguere per la forma meno trian-
golare. L5 A. Guidonii j Mgh. Savi e Meneghini. Op. cit.
pag. 89 N° 12, se non è la stessa deve essere certamen-
te una sp. affine , ma se 1* esemplare della collezione di
Pisa per la forma si avvicina all5 A. nurmsmalis , non sareb-
be identico con quelli dell5 A. Pilla .
Tributo d5 ossequio alla memoria del prof. Pilla che a-
veva indovinato il rovesciamento della serie nel lato oc-
cidentale del golfo, e quindi l5 antichità dei fossili di Grotta
Arpaia , Portovenere ecc.
Genere CARDINIA, Agassiz.
40. Cardinia reputarli ^ Tcrq.
Terqucm • Meni .cit. pag. 297 pi. XX. fig. 2.
§yn, Cyrerle (Unio) concinna, Sowerby, minerai conchology
Voi. III. pag. 43. pi. 223. Hoffmann. Reise durcli Ita-
lien pag. 294. 11.
N. B. Non intendo di identificare la C. concinna con la
C. regularis , ma credo che la Cardinia trovata da Hoffmann
al Tiro fosse un esemplare della C. regularis , Terq. L5 e-
sempiare della mia collezione è incompleto , ma sono ben
conservati anche gli ornamenti.
41. Cardinia trigona . d’ Orb?
Martin Mera . cit. pi. III. fig. 14-16.
42. Cardinia angolata, Cap.
Per la forma del contorno assomiglia alla C. trigona
d5 Orb. ma ne differisce per essere le sue valve angolose
posteriormente, come d5 ordinario si osserva nel genere
Myophoria.
43. Cardinia stoppaniana, Cap.
Simile alla Saxicava rotundata. Terquem. Op. cit. pi.
XVIII. fig. 8.
Trovasi a Grotta Arpaja ed al Tiretto.
292
Giovanni Capellini
Genere MYOCONCHA. J. Sòwerby.
M. Myoconcha psilonoti , Quenst.
Quenstedt. F)er fura pag. 48 tab. 4. fig. 15.
Esemplare del Museo di Torino*
Località Tiretto ?
Genere CARDITA , Bruguière
415. Cardiia munita . Stopp.
Stoppami. Fossiles de V Azzarola pag. 56. pi. 6. fig.
11-18. La specie più abbondante nel calcare della Bianca,
quella che si può dire incrostare uno strato di calcare lu-
machella formato in gran parte coi gusci di cardite. Credo
non sia che una varietà della C. austriaca .
46. C ardita austriaca , Hauer sp.
Stoppani. Qp. cìt. pag. 35 pi. 6. fig. 1-10.
Syn. Cardita crenata, Merian.
Trovasi nello strato a cardite della Bianca, a monte Mur-
lo, al Tiro e negli schisti calcarei scuri del Pescino e di mon-
te Parodi, in prossimità degli schisti marnosi a Bactryllium.
49. Cardita tetragona , Terq ?
Terquem. Mem. cit . pag. 301 pi. XX. fig. 9.
Riferisco dubitativamente a questa specie due esemplari
di cardita raccolti al Tiretto, e che altra volta aveva rav-
vicinati alla C. trapezoidalis , Desh.
Genere LUCINA, Bruguière.
48. Lucina civatensis , Stopp.
Stoppami. Fossiles des schistes noires ( Infra-lias ) pi. 20.
fig. 18-19.
Esemplari dei Musei di Torino e Pisa provenienti dal
Tiretto.
È la Lucina sp. citata nelle Considerazioni sulla geologia
toscana pag. 90. N° 19.
Studi; sull5 Infkalias ec.
293
Cenere CORBIS , Cuvìer.
49. Corbis depressa , Roemer sp.
Hoemer. Oolith. pag. 110. pi. 7. fìg. 12.
Stoppini. Op. cit. pag. 51. pi. 5. fig.' 12-16.
Genere CARDIUM , Linneo.
50. Cardium Regazzonii , Stopp.
stoppa»!. Op. cit. pag. 47. pi. 4. fig. 16-17.
Genere MYOPHORIA, Bronn. 1830.
5fl. Myophoria levigata , Bromi sp.
§yUi Lyrodon Icevigatum , Goldfuss. Petrefacta Germania
pag. 197 Tab.. GXXXV. fig. 12.
Genere CUGULLìEA, Lamarck.
52. Cuculleca acuta , Mgh. sp.
Terquem. Mem. cit . pag. 308. pi. XXI. fig. 3.
Meneghini. Nuovi fossili toscani pag. 34. Pisa 1853.
Il lavoro del Prof. Meneghini essendo anteriore a quello di
Terquem , credo di dover preferire il nome specifico pro-
posto dal Prof, di Pisa per questo fossile della Spezia che
penso si debba identificare con la C. hettangiensis , Terq.
53. Cuculiala Murckisoni , Cap.
Savi e Meneghini. Op. cit . pag. 89. N° 14.
Meneghini. Nuovi fossili ecc. Arca Carteroni cP Orb. ?
Per la forma s5 avvicina all5 A. similis T Terq. dalla quale
differisce per il lato buccale più corto, l’area legamentare
molto più larga , la carena del lato anale più sentita e per
altre caratteristiche. Distinta col nome dell5 illustre geologo
Giovanni Capellini
inglese Murchison che tanto si interessò per la geologia
italiana, e fu il primo ad appoggiare le osservazioni del
Prof. Pilla intorno al calcare nero dei monti della Spezia.
Questa specie è frequente al Tiretto.
54. Cuculi se a castellanensis , Cap.
Assomiglia un poco alla C. Murchisoni, ma è relativamen-
te molto più corta ed è minore la sproporzione fra il lato
buccale e P anale. Un esemplare al Tiro e parecchi nel cal-
care della Castellana.
Genere NUCULA , Lamarck.
55. Mucula subovalii , Goldf.
Goldfuss. d/7, cit. pag. 154. tab. CXXY. fig. 4.
§toi>pani. O/?. cit. pag. 61. pi. 7. fìg. 21-22.
56. Mucula. ovali*. Ziethen.»
fwoldfuss. Op. cit. pag. 154. tab. CXXV. fig. 2-3.
59. Mucula strigliata ? Goldf.
Goldfuss. Op • cit. pag. 153 tab. CXXIV. fig. 18.
Genere MYTILUS , Linneo.
58. Mytilus cuneatus . Sow. sp.
Sowerby. Minerai conchology Voi. III. pi. 211 fig. 1*
Slavi e Meneghini. Op. cit. pag. 90. N° 21.
Esemplare del Museo di Pisa.
Credo che ad un esemplare del Mytìlus cuneatus si ri-
ferisca quello citato da Hoffmann fra i fossili di Portovene-
re sotto il nome di Modiola rugosa , Roem ; fra queste due
specie vi è infatti tale analogia che è facile il confonderle.
V. Hoffmann. Op. cit. pag. 294. N° 10.
Studi sull* Infralias ec. 295
Genere LITHODOMUS , Guvier.
59. Liihodomus Meneghino , Cap.
Liéhodomus sp. Savi e Meneghini. Op . cit . pag. 90.
N° 23.
Esemplare del Museo di Pisa.
Località Grotta Arpaja.
60. Liihodomus lyellianus . Cap.
Questa graziosa conchiglia della quale per ora ne posseggo
un solo esemplare, trovasi nello schisto rosso pavonazzo della
Bianca presso Capo Corvo. Assomiglia al M. minimus. Gold-
fuss. Petr. Gerrn . tab. CXXX fig. 7. Syn Mortola . minima
Sowerby. Minerai conchology tab. 210 fig. 5-6. Differisce
per le dimensioni e per 1’ apice sporgente piu anteriormente.
Ha pure qualche somiglianza con la sanguinolaria pygmcea
Mùnster — Goldfuss. Op. cit. tab. CLIX. fig. 20.
Genere AYICULA, Klein.
61. Avieula Deshavesi , Terq.
Terqnem. Mem. cit. pag. 315 pi. XXI fig. 13.
62. Avicola «ovignieri , Terq.
Terquem. Mem. cit. pag. 315 pi. XXI fig. U.
63. Avicola Donkeri, Terq.
Terqoem. Mem. cit. pag. 314 pi. XXI. fig. 12.
64. Avicola Alfredi? Terq.
Terquem. Mem. cit. pag. 315 pi. XXL fig. H
65. Avicola infraliasina . Mari.
Martin. Mem. cit. pag. 88 pi. VI. fig. 9-11.
296
Giovanni Capellini
66* Avicisla Sismondoe, Cap.
Valva sinistra molto più convessa che nell’ A. Desha-
yesi, linee d’accrescimento molto pronunziate, margine
anteriore sinuoso presso P ala cortissima triangolare, ala
posteriore profondamente smarginata e con lungo sperone.
Località Castellana.
Nelle lastre di calcare di spessore diseguale che trovansi
sepolte in una marna pavonazzo scura. Alcune di tali la-
stre hanno una superficie appena di qualche decimetro , al-
tre misurano fino ad otto e nove decimetri quadrati di su-
perficie.
Dedicata al mio amico prof. A. Simonda che molto ^ in-
teressò per la geologia dei dintorni della Spezia.
63. Avicula Meneghini! , Cap.
Valva sinistra completamele liscia^ ala posteriore corta
e leggermente sinuosa. Ricorda un poco la forma dell’ A.
sinemuriensis d’ Orb. Chapuis et Dewalque Descrìptìon des
fossiles des terrains secondaires de la province de Luxem-
bourg. Mém. de P Acad. R. de Belgique T. XXV. pi. XXVI.
fig. 4. Bruxelles 1854.
Syn. A. concinna Mgh ? Meneghini e Savi Op. cit.
pag. 90. N. 24.
68. A vieni a insequiradiaia, Schafh.
8ioppani. Op. cit. pag. 69 pi. 11. fig. 2.
Escher. Geol. Bemerk. pag. 19. pi. 2.
Esemplare del Museo di Pisa.
Località Grotta Arpaja.
Genere PECTEN. O. F. Muller.
66. Pecten S alteri. Mer.
§toppani. Op. dt. pi. 14. fig. 7.
Sy n. P. textorius Scholt? Goldfuss. Op. cit. pag. 45.
tab. LXXXIX fig, 9.
Studi sull’ Infralias ec.
Hoffmann. Op. cit. pag. 293. WerkieseUe petrefakten
Kalkstein der Isola di Tinetto und voti Porto-Venere N.° 5.
*30. Pecten janlriformis , Stopp.
Stoppami. Op. cit. pi. 14. fig. 4-6.
11. Pecten aviculoides ? Stopp.
Stoppami. Op. cit. pi. 14. fig. 7.
Syn. P. ambiguus Munster. Goldfuss. Op. cit. pag. 46.
tab. XG fig. 5.
HofTmamm. Op. cit. pag. 293. N. 5.
La forma delle coste e gli ornamenti sono eguali nella
fig. riportata da Goldfuss e negli esemplari della Spezia.
Hoffmann confonde insieme due specie , quindi è inte-
ressante dar valore piuttosto alle citazioni di Goldfuss ri-
portate dall’ autore stesso.
32. Peetem Sismondse , Gap.
Esemplare del Museo di Torino.
Questa specie è dedicata al Prof. Eugenio Sisinonda che
si compiacue di comunicarmi i fossili della Spezia che si
trovano nelle collezioni del R. Museo di Torino.
Sarà descritto e figurato nella Paleontologia dell’ Infralias
dei monti della Spezia.
Genere LIMA, Bruguière.
313. Lima pumctata . Sow.
Stoppami. Op. cit. pag. 73. pi. 13. 1-6.
•341. Lima nodulosa. Terq.
Terquem. Mem. cit. pag. 322. pi. XXII. fig. 3.
Giovanni Capellini
95. Lima peetinoides , Sow. sp.
§yn. Plagiostoma pectinoides , Sowerby , Miner. conch.
Voi. 2. pag. 28. pi. 114. fig. 4. Negli schisti calcarei del
Pescino unitamente alla cardita austriaca .
99. Lima Azzarolae. Stopp.
Stoppami. Op. cit. pag. 74. pi. 13. fig. 10.
99. Lima praecursor , Quenst.
Winkler. Mem. cit. pag. 8. tav. I. fig. 5.
98. Lima sp.
Affine alla L. Bochardi , Martin. Mem. cit. pag. 89. pi. VI.
fig. 14-15.
Genere SPONDYJLUS, Plinio.
99. ipondylus HofTmanni , Gap.
La descrizione dello spondilo al quale accenna il Prof. Me-
neghini Op. cit. pag. 91. N° 32 j mi par fatta sopra un
esemplare di questa specie. Ha qualche analogia anche con
lo spondylus lìasinus , Terq. che ritengo completamente di-
stinto dalla plicatula intusstriata , Emm.
Genere PLICATULA , Lamarok.
89. Plicatula intusstriata , Emm.
Stoppani. Op. cit. pag. 80. pi. 15. fig. 9-16.
Come già ho accennato altrove , questa specie tanto
abbondante nei calcari schistosi * negli schisti marnosi e nel
calcare nero, costituisce poi quasi da se sola uno strato
di calcare lumachella.
Studi sull5 Infralias ec. 299
81. Plicatula Mortilieti , Stopp.
Negli schisti lionati che accompagnano gli schisti a Ba-
ciryllìum e Myacites fiaba.
Località Castellana , Coregna , Pescino.
BRACHIOPODI
Genere RHYNCONELLA , Fischer.
8*. Klivnconella portuvenerensis , Cap.
S5 accorda con la descrizione data dal Prof. Meneghini
Mem . cit. pag. 91. N° 33. R. sp. per un esemplare pro-
veniente da Grotta Arpaja. Ha qualche rapporto con la R.
fissicostata Suess , tanto per la forma generale quanto per
il numero delle coste. Nella R. fissicostata la depressione
della valva superiore è poco pronunziata.
Questa specie trovasi quasi sempre associata alla P. in-
tusstriata.
83. Kyliuconella Pillae , Mgh.
Savi e Meneghini. Op. cit. pag. 92 N° 34.
Esemplare del Museo di Pisa.
Località Tiretto.
ANELLIDI
Genere SERPULA, Linneo.
84. 8erpula flaccida. Goldf.
{«oldfuss, Petr. Germanio^ pag. 234 tab. LXIX. fìg. 7.
85. Serpula gordialis , Schioth.
(ioldfusi. Op. cit. pag. 234 tab. LXIX. fig. 8.
Anche Hoffmann cita questa specie come da esso trova*
to al Tiretto. V. Hoffmann. Op cit. pag. 294. 15.
300 Giovanni Capellini
86. lierpula Illuni , Goldf.
Cvoldfuss. Op. cit. pag. 234. tab. LXIX. fig. 101
89. §erpula cingulata Mùnster?
Groldfuss. Op. cit . pag. 233. tab. LXIX. fig. 4.
La S. cingulata trovasi al Tiretto nel calcare in cui ss in-
contrano il C. sociale e numerosi frammenti di altri resti
organici fossili che ne rendono scabrosa la superficie.
CROSTACEI
88. Cuocer??
Frammenti di granchio negli schisti marnosi giallastri con
pettini e avicule , all9 isola Tiro.
RAGGIATI
89. Crinoide? ?
Savi e Meneghini. Considerazioni pag. 92. N° 37.
Abbondantissimo nel lato orientale del golfo e special-
mente nei massi che trovansi sotto monte Marcello nel luo-
go detto Marina.
ECHINODERMI
Genere HYPODIADEMA , Desor.
9©. Hypodiadema , sp. ind.
Parecchi frammenti ben riconoscibili , ed un esemplare
deformato nei calcari del Tiretto. Trovansene pure dei fram-
menti nello schisto marnoso giallastro ad avicule del Tiro.
Studi sull* Infralias ec.
301
POLIPAI
Gemere AXOSMILIA.
91. Axosmilia extinctoriam , Ed. et H.
Syn. Caryophyllia extinctorum Mich.
M. Edward et Hai me. A. monograph of. thè british fossil
corals , second part. pag. 128. Miehelin , Icori, pi. 2.
fig. 3 a, 3 b.
Syn. Lunites Guidanti prò parte. V. Savi e Meneghini Op.
cit. pag. 93. N° 42.
92. itxosmilia sp. ind.
Gli esemplari di questa specie presentano il carattere di
piegarsi ad angolo giunti ad un certo grado di sviluppo.
Genere MONTLIVALTIA.
93. Montlivaltia irochoides , Ed. et IL
Edward et Haime, Op. cit. tav. XXVI. fig. 2, 2 a,
3, 3 a, 10. tav. XXVII fig. 2, 2 a, i.
Syn. Lunites Guidonii prò parte.
Genere G Y ATHOPH1LLUM .
94. Cyathophilliim Cocchi! , Stopp.
Stoppami. Sulle condizioni generali degli strati ad Avi -
cula contorta. Atti della Società italiana di Scienze naturali
Voi, III. pag. 149.
Dall’ abilissimo Sig. Potteau al Giardino delle Piante a
Parigi avendo fatto eseguire alcune sezioni dei polipaj so-
praccennati,, non riescii a scoprire della interna loro strut-
tura più di quel che si ricava dagli esemplari preparati
dalla azione lenta degli agenti atmosferici.
302
Giovanni Capellini
FUCOIDI
Genere FUGOIDES.
95. Fueoides Montai^neus , Cap.
Grandi fucoidi che caratterizzano alcuni strati, come è
stato ricordato nella" sez. di Tiro e Tiretto.
Sospetto che a dei frammenti di calcare con questo fos-
sile si riferisca il Brumites sp. Savi e Meneghini , Op. cit.
pag. 93. N° 41.
Dedicata al mio ottimo amico C. Montaigne membro del-
T Istituto di Francia,
90. Fueoides infraliasicus , Cap.
Piccole fucoidi ridotte a frammenti che tappezzano al-
cuni strati calcarei, i più fossiliferi della serie del Tiro. Nel
novembre del 1859 trovandomi nelle montagne del Giura
e visitando la Valle di Tressus presso St. Claude in com-
pagnia del Sig. Benoit, in un terreno riferibile all’ Argo-
viano di Marcou trovai sopra uno strato a spongiari uno
strato marnoso a piccole fucoidi, similissime a queste del
calcare nero alle quali ora accenno. Se quello strato invece
di essere marnoso fosse calcareo, ci riprodurebbe esattamente
in un altro piano giurassico ciò che si osserva nell5 infra-
lias dei dintorni della Spezia. Le fucoidi raccolte presso al
mulino di Pontèt nella valle del Giura poc5 anzi ricordata ,
sono leggermente striate trasversalmente , quelle dei monti
della Spezia o per il diverso stato di conservazione o per al-
tra causa appajono liscie, del resto si potrebbero identificare.
DIATOMEE
Genere BAGTRYLLIUM , Heer.
99. Bactryllium «triolaium , Heer.
Eseher v. d. Linih, Geol. Bemerkungen uber dasn or-
dlische V orarlberg und einige angrenzenden Gegenden. Be-
scheribung der Pflanzen und Insecten von prof \ O. Heer.
Zurich 1853. taf. VI. fig. A 1. - A 14.
Studi sull* Infralias ec. 303
Località Pescino e nel rimanente della catena occidentale
del Golfo.
98. Bactryllium canalieulaium Heer.
fifleer. Op. cit. taf. VI. fig. F 1. - F 12.
Località Monte Murlo nel lato orientale del Golfo negli
schisti calcarei.
99. Dactryllium deplanatum , Heer?
Heer. Op. cit. taf. VI. fig. B 1 - B 4.
Località Monte Rocchetta presso monte Mario, nel calcare
schistoso.
ÌOO. Bactrvllium. sp. ind.
Affine al B. canaliculatum.
Località Pescino , negli schisti marnosi lionati in connes-
sione con gli schisti a Myacites faba della stessa località.
Fino dal 1857 poco dopo aver trovato gli schisti a Mya-
cites faba , mi venne fatto di osservare negli schisti del
Pescino impronte di piccoli corpicciatoli lineari , lunghi da
uno a tre millimetri; poco dopo avendo trovato le stesse
traode di resti organici negli schisti di monte Parodi e
nelle stesse relazioni stratigrafiche del Pescino, sospettai
che qualunque fosse la natura loro potessero servire per
stabilire la continuità degli strati che caratterizzano.
Nel decembre del 1859 trovandomi a Zurigo, osservai
impronte simili in alcuni schisti del Vorarlberg, ed avendone
parlato coi Prof. Heer ed Escher ne ebbi utilissime notizie
in proposito.
Allora conobbi il lavoro del prof. Heer nel quale tali
resti sono descritti , nè mi sorprese il vedere che fino
dal 1832 tali fossili erano stati osservati nelle Alpi Apuane
dai Signori Escher ed Hoffmann. Quando mi occuperò della
descrizione delle varie sp. accennate di questi fossili tanto
singolari, ne dirò più a lungo; intanto giova osservare che
specialmente il B. strìolatum è caratteristico dell infralias
304
Giovanni Capellini
e che per la Spezia i Bactrillj servirono di bandolo per
trovare ordine in quei terreni apparentemente tanto di-
sordinati.
Dopo avere enumerati i resti organici fossili che s’in-
contrano nel calcare nero fossilifero e negli schisti che ne
dipendono nelle montagne della Spezia , prima di presen-
tare un quadro comparativo per conoscere d’ un tratto in
quali altre località si incontri una fauna che abbia con
questa i maggiori rapporti , gioverà riassumere quanto
dall’ esame dei fossili si può dedurre in appoggio degli stu-
di puramente stratigrafici , esposti antecedentemente.
Trascurando i resti di vertebrati trovati al Tiretto, non
tenendo conto degli echinodermi intorno alla cui determi-
nazione specifica ho tuttavia qualche incertezza, e molto
meno valutando i resti di crinoidi pei quali esistono sicu-
ramente maggiori dubbiezze; si trova però che delie 83
specie di molluschi già da noi riconosciute ,42 appartengo-
no a specie già note e spettanti a terreni riferiti all’ In-
fralias. Pecten Falgeri , Lima punctata , Plicatula intusstria-
ta > Cardita austriaca , Cardila munita , Avìcula Deshayesi
sono certamente dra^ le specie accennate le più importanti
e nel tempo stesso quelle che più abbondane-jielle mon-
tagne della Spezia, per cui esse sole basterebbero a con-
fermare quanto ci era stato svelato dalla successione stra-
tigrafica ; ma quando si consulti il quadro comparativo si
troveranno molte altre specie che si ripetono tanto in Lom-
bardia quanto a Hettange , che sono le due località le cui
faune infraliassiche maggiormente assomigliano a quella del
calcare nero della Spezia. Fra gli anellidi sonvi quattro spe-
cie di serpule trovate esse pure anche altrove nel Lias o
nell Infralias ; lo stesso è a dirsi per tre specie di polipaj
dei generi Axosmilìa , Montlivaltia e Cyathophillum e pel-
le diverse specie del genere BactryUium , una delle quali il
B. striolatum , Heer è citato dagli autori come specie caratte-
ristica delle formazioni sincrone del S. Cassiano superiore e
strati di Kòssen, il che in altre parole equivale a dire In-
fr alias. Per tal modo la paleontologia in perfettissimo ac-
cordo con le osservazioni stratigrafiche , non permette di re-
Stupì sull’ Infralì as ec.
305
stare dubbiosi sul vero posto da assegnarsi ad una serie
da tanto tempo controversa, e della quale per il fin qui
detto credo se ne debbano fissare i limiti: superiormente
coi calcari dolomitici che accompagnano il marmo portoro ,
1 quali alla Spezia come in Lombardia ed altrove rappre-
sentano così la porzione superiore e più giovane del piano
infraliassico ; inferiormente poi dietro le analogie trovate
fra le due località or ora accennate, pare non si debba
comprendere nella gran formazione giurassica il calcare ca-
vernoso esaminato a Parodi e che meglio si può studiare
nella catena orientale del golfo.
Mentre però teoricamente sono tracciati di tal guisa
i limiti dell’ Infralias nelle montagne della Spezia, non è
a dissimulare la difficoltà gravissima che si presenta in pra-
tica, nella catena occidentale specialmente, per poter ben
distinguere e nettamente separare la serie del Tiro dal vero
calcare cavernoso , il quale in molti punti fa insensibilmen-
te passaggio ai calcari che vi succedono superiormente.
Se in Lombardia nel calcare cavernoso, o dolomia media,
furono trovati fossili pei quali questa roccia si dovette ri-
ferire al Trias, per ora non siamo stati egualmente fortu-
nati per quel che riguarda il Golfo della Spezia; questo
però non toglie che per i rapporti stratigrafici tale roccia
non s’ abbia a ritenere qui pure come triassica.
T. i.
39
Giovanni Capellini
Un rapido sguardo alle principali memorie sulla stratigrafia
e paleontologia del calcare nero dei monti
della Spezia.
Raggiunta la stessa meta dopo aver preso le mosse da
due vie diverse ma convergenti, affinchè ognuno si abbia
ciò che gli è rigorosamente dovuto, stimo ora necessario
passare rapidamente in rivista alcuni dei lavori di maggior
rilievo nei quali si tratta sopratutto della cronologia del
calcare nero della Spezia, e perciò fare in co m incerò dagli
scritti del Prof. Savi , il quale da antica data si era occu-
pato della geologia di quella località , se si eccettuano le
scarse notizie pubblicate anteriormente da Cordier e da
Guidoni.
I primi lavori sulla Spezia pubblicati dal Savi, sono let-
tere in risposta al Signor Guidoni che nel 1828 perlustran-
do quei terreni ancor vergini vi scopriva fossili abbondan-
tissimi, sulla interpretazione dei quali si trovò raramente
d’ accordo col dottissimo professore cui comunicava le sue
osservazioni. Tali lettere come in parte abbiam visto sono
pregevolissime per le giuste considerazioni onde rendersi
conto dei varj fenomeni che ci si presentano da interpre-
tare studiando quelle montagne, ma per il mio assunto
mi limiterò a ricordare una dotta memoria dello stesso
professore intitolata: Tagli geologici delle Alpi Apuane e
del Monte Pisano e cenno sull Isola d? Elba. (1) 1/ autore
guidato principalmente dagli studi stratigrafici, sembra am-
mettesse allora la quasi immediata sovrapposizione del cal-
care nero di Tiro e Tiretto al terreno del Verrucano , in-
fatti così si legge nella citata memoria.
» La parte inferiore della massa calcarea , quella che
» riposa sui Verrucano, è spesso marnosa e compatta, e
» quando non è stata modificata da cause plutoniche ha
(1) V. Nuovo giornale dei Letterali. Pisa 1833. T. XXVII.
Studi sull’ Infralias ec.
307
» per il solito un color bigio o nerastro ed è caratterizzata
» da numerosi fossili bivalvi da pochi univalvi o da zoofiti.
» I luoghi ove fino ad ora sono stati trovati tali petrefatti
» sono T isola del Tino, Tinetto (1) e Palmaria presso il
» golfo della Spezia, ed in quasi tutti i monti calcarei del
» lato occidentale di questo golfo.
Ora quando il Prof. Savi precisa che sono appunto i cal-
cari e marne riferibili alla serie del Tiro quelli che esso dice
riposare sul Verrucano , mi pare sia perfettamente d’ ac-
cordo con quanto si è verificato dietro i nuovi studi stra-
tigrafici e paleontologici sui calcari delle montagne del
lato occidentale, e dietro le scoperte ne! lato orientale del
golfo j che se non proseguirò più oltre nell’esame della
ricordata memoria, non tralascierò di citare il quadro di
confronto fra la serie generale dei terreni e quella dei ter-
reni propri alla Toscana , (2) nel quale lo stesso autore in
epoca abbastanza recente riteneva pure come giurassico il
calcare nerastro del Golfo della Spezia e quello della Tec-
chia; e quando V autore cita la Spezia e la Tecchia insie-
me, è precisato che esso parla del calcare nero infraliassico
che nelle due località racchiude i medesimi fossili.
Hoffmann nel 1839 pubblicando quanto aveva osservato
durante un viaggio in Italia ed in Sicilia negli anni 1830-32,
cita alcuni fossili da esso raccolti nei monti della Spezia
donati al R. Museo di Mineralogia di Berlino e determi-
nati dal Dott. Emmerich.
Dopo aver descritto diverse specie di ammoniti e due
di alveoli di beleinniti raccolti nella catena occidentale,
parla dei fossili del calcare nero del Tinetto e di Porto-
venere. Nei 16 generi ai quali riferisce i fossili raccolti in
quest’ ultima località , ricorda particolarmente le seguenti
specie tutte liassiche : Terebratula varians Sow ; Pecten vexil -
lum , Schlot , che ho identificato col P. aviculoides Stopp. ;
(1) Si dice comunemente Tino e Tinetto invece di Tiro e Tiretto , ma que-
st' ultima denominazione pare sia da preferirsi.
(2) Savi. Memoria sopra i carboni fossili delle Maremme. Pisa 1843.
Giovanni Capellini
Modiola Milana , Sow. ; Cyrena concinna , Sow.; oltre a que-
ste la Serpula gordialis r Schlot. pure giurassica riscontrata
fra gli esemplari della mia collezione ( raccolti al Tiretto )
prima di conoscere il lavoro di Hoffmann, cioè le determi-
nazioni fatte da Emmerich or sono presso che trent’ anni.
Il Cyathophyllum sp. ind. del Tiretto riportato dall* au-
tore è probabilmente ciò che abbiamo riferito al C. Coc-
cMi , Stopp.
Non saprei indovinare perchè del lavoro di Hoffmann
non siasi tenuto conto da chi scrisse in seguito sulla Spe-
zia , non fu però egualmente dimenticato dal visconte D’ Ar-
dirne nella sua storia dei progressi della geologia, ed aven-
done avuto per tal modo notizia, dopo molte ricerche potei
consultare anche quella memoria quando già il mio lavoro
era compiuto, e vi trovai la conferma degli studi fatti sce-
vro di idee preconcette. (1).
Fino dal 1842 il Prof. Sismonda sosteneva egli pure che
i calcari neri fossiliferi della catena occidentale dei monti
della Spezia fossero da riguardarsi come liassici, e solamen-
te non ne ammise P identità con quelli di Capo Corvo, e
credette che questi e le sottostanti anageniti fossero in
posizione inversa da quella che ebbero originariamente e
dovessero riferirsi all’ Oxfordiano.
Del resto, 1’ egregio professore lietissimo delle recenti
scoperte paleontologiche fatte in quella località , conferma
quanto si è ultimamente osservato.
Si giunge così al 1845, e si hanno i lavori di Pilla il
quale precisa il posto da assegnarsi ai calcari neri dei mon-
ti della Spezia, nè indovina la loro serie invertita i|el
lato occidentale , ed avrebbe dimostrato con fatti quanto as-
seriva in gran parte teoricamente , quando non avesse gio-
vanissimo incontrato la morte nella giornata di Curtatone
combattendo per la libertà della patria.
Nel Saggio comparativo dei terreni che compongono il
suolo d? Italia 3 ove parla del terreno giura-liassico cita i
(t) Hoffmann. Rei$e durch Italien und Sicilien. pag. 293.
Studi sull’ Infrauas
309
fossili trovati da Savi e Guidoni sulla cima del Sagro e del-
la Tambura nelle Alpi Apuane, e li riferisce a quelli che
aveva egli pure osservati a Grotta Arpaja, a Marola, all9 iso-
la Palmaria, al Tiro ed al Tiretto; e dopo avere annunzia*
to che negli schisti bruni del Tiretto aveva trovato un
pesce fossile , soggiunge : « rendomi certo che facendovi ac-
curate ricerche si giungerebbe a ritrarre molti esemplari
di questa sorta. »
L9 autore dimostra in seguito la relativa posizione fra il
calcare nero ed il Verrucano di Capo Corvo, e ritenendo con
De-Buch ed altri, che il calcare rosso ammonitifero tro-
visi nella porzione superiore del terreno giurassico ( appun-
k to come abbiamo veduto essersi verificato dietro i nuo-
vi studi stratigrafici al Bermego ed a Parodi ) suppone un
rovesciamento di strati nel lato occidentale del Golfo onde
ristabilire V ordine naturale di tutta la serie e ne coordina
i vari strati come segue.
Iella catena, occidentale
1 . ° Macigno
2. ° Schisti calcarei rossi
3. ° » gialli a posidonia
4. ° » 9enza fossili
5. ° » ad ammoniti
6. ° » calcareo-marnosi
7. ° Dolomite
8. ° Calcare bruno a bivalvi
IVella catena orientale
Calcare bruno a bivalvi.
Anagenite e schisti del Verrucano.
Dopo ciò insistendo sulla verosomiglianza di questo ro-
vesciamento ed osservando che il golfo è il prodotto di una
faglia , F autore dimostra che stando le cose di tal guisa ,
gli strati giuraliassici della Spezia concorderebbero con quelli
della provincia di Como, e ci potremmo render conto di al-
cuni accidenti particolari che tali strati presentano in qual-
che parte della Toscana.
310
Giovanni Capellini
In un secondo lavoro che ha per titolo : Notice sur le
calcaìre rouge ammonitifère de V Italie (1) , il prof. Pilla
dopo aver combattuto V opinione di Goquand il quale vor-
rebbe far discendere il calcare rosso ammonitifero fino al
lias inferiore, nuovamente insiste sul rovesciamento accen-
nato nella catena occidentale del Golfo, e termina con alcuni
confronti fra le diverse forme litologiche che s’ incontrano
alla Spezia ed in Lombardia, e finalmente stabilisce alcuni
confronti fra i Monti oltre Serchio presso Pisa e quelli della
Spezia, confronti di altissimo interesse specialmente dopo
la scoperta delle ammoniti e schisti a posidonomya , ma che
non starò qui ad analizzare perchè al momento non toccano
al nostro argomento. La relativa posizione dello schisto a ,
posidonomya , del calcare rosso e schisti ad ammoniti quale fu
stabilita dal Pilla non conviene perfettamente con le mie ripe-
tute Osservazioni alla Spezia , nei Monti Pisani ed oltre Ser-
chio, ove nel 1856 aveva la fortuna di scoprire schisti a po-
sidonomya identici a quelli della Spezia ; tranne però questa
differenza le ricordate osservazioni s’accordano per la maggior
parte con quanto riscontrai indipendentemente dagli studi del
Professore più volte citato. Questa maniera di vedere trovò
appoggio presso Sir R. Murchison il quale nella sua Me-
moria sulla struttura geologica delle Alpi degli Apennini e dei
Carpazi 3 riproduceva le idee del Pilla ed un taglio geolo-
gico identico a quello pubblicato dal medesimo cinque anni
prima nel Saggio comparativo poc’ anzi esaminato.
Le Considerazioni sulla geologia toscana dei Prof. Savi e
Meneghini apparvero contemporaneamente alla traduzione
della memoria di Murchison già accennata, ed ivi per la
prima volta il calcare nero fossilifero dei monti della Spe-
zia e quello corrispondente delle Alpi Apuane furono deci-
samente dichiarati cretacei , ammettendo che il calcare nero
delle isole Tiretto , Tiro , Palmaria e dei monti della catena
occidentale fosse al suo posto , e quindi sovraincombente
cronologipamente come lo è apparentemente ai calcari e
schisti con ammoniti della stessa località:
(1) Bufi. Soc. géol. de France. 2« sèrie Voi. IV. 1847.
Studi sull* Infralias ec.
Quando si invocò la paleontologia in appoggio di quella
supposizione, le quarantadue specie di fossili raccolti alla
Spezia e nel calcare della Tecchia non corrisposero , mal-
grado i confronti che se ne fecero con specie appartenenti
al cretaceo inferiore o neocomiano, e si dovette concludere
essere per la massima parte specie nuove. Le erano real-
mente per la massima parte, e pochissime eccettuate le sa-
rebbero anch’ oggi e la fauna di quel calcare avrebbe un
aria di novità, senza le dotte pubblicazioni sui fossili del-
P Azzarola in Lombardia dell’ Ab. Stoppani, quella sul grès
d’ Hettange di M. Terquem , P altra sull’ infra-lias del di-
partimento della Cóte-d\ Or di M. Martin, e tante e tante al-
tre pubblicazioni che per brevità ommetto di ricordare e
nelle quali in questi ultimi anni troviamo descritti e figu-
rati molti di quei fossili che alla Spezia erano stati sco-
perti da Gordier fino dal 1811, e che da Guidoni nel 1828
erano stati, prima che da altri , raccolti e segnalati ai geologi.
Dopo la pubblicazione dei geologi toscani , si ha nel
1851 una Nota sui terreni dei contorni della Spezia , del
Collegno , nella quale P autore rivendica la sua opinione
che i terreni giurassici della Spezia abbiano la più grande
analogia con quelli di Lombardia, e conclude non esser
possibile trovare corrispondenza più perfetta fra i monti
della Spezia e le Alpi lombarde.
Il suo giudizio poi intorno alla pubblicazione dei geolo-
gi toscani mi pare che riassuma tante verità, e risparmi a
me pure di dire tante cose che mi resterebbero ancora per
provare non esser possibile una conciliazione fra quanto si
osserva in natura e le opinioni teoriche emesse in questi
ultimi anni a proposito della Spezia , che non posso a me-
no-di riportarlo per intero.
» Duoimi ( così scrive P autore della Nota ) , duoimi il
» non poter dividere P opinione dei Professori Savi e Me-
» neghini relativamente all’ età del calcare di Portovenere
» che essi vorrebbero riferire al Neocomiano. I caratteri
i» paleontologici di quel calcare non sono gran che diffe-
» renti da quelli dal calcare nero schistoso di Bellagio il
» quale è certamente inferiore al calcare grigio con selce
312
Giovanni Capellini
» ed al calcare rosso ammonitifero dei monti che stanno
» fra il piano d’ Erba e il lago di Como ; e pei caratteri
» geologici la disposizione degli strati dalla foce della Ma-
» gra a Porto Telaro mi pare dimostrare che fra il calcare
» del Capo Corvo e il Verrucano della Tana del Serpente
» non v5 è spazio per gli strati i quali nell’ ipotesi dei Pro-
» fessori di Pisa dovrebbero rappresentare il terreno giu-
» rassico.
» Ora non credo possa nascer dubbio fra V identità
» del calcare del Capo Corvo e di Porto Telaro e quello
» di Portovenere.
A questa protesta dell’ illustre geologo, italiano nessuno
che io mi sappia rese risposta, e nelle pubblicazioni poste-
riori nelle quali si parlò delle montagne della Spezia, il
calcare nero fossilifero continuò ad essere ammesso come
neocomiano, benché come tale non fosse accettato da Pareto,
Sismonda e da altri i quali avendo visitato le Alpi non sa-
pevano misconoscere la grande somiglianza che passa fra
alcuni calcari che ivi si incontrano e quelli che si osserva-
no nei dintorni della Spezia e nelle Alpi Apuane. Non ho
particolarmente passato in rivista i lavori del Pareto , ma
basti il sapere che dal 1829 fino ad oggi ritenendo come
assioma che il calcare nero della Spezia fosse liassico , non
si curò mai di dimostrarlo con lavori speciali, benché ne
facesse parola in vari suoi scritti da me annoverati a prin-
cipio.
Quante volte ebbi occasione di , parlare del calcare nero
della Spezia e dei suoi fossili Con quel distintissimo geolo-
go, cui era lièto di comunicare ogni mia nuova osservazio-
ne o scoperta, altrettante mi affacciava il dubbio che essi
si potessero sortire dal lias come pretendevano altri geolo-
gi, e più vòlte mi assicurò che avendo presentato a De-
Buch un esemplare di Avicula del Tiretto, ne ebbe in ri-
sposta: che quel fossile doveva certamente provenire da
un terreno riferibile al trias, nq a quell’ epoca il dotto
geologo si ingannava, poiché infatti gran parte di ciò che
si considerava allora come triassico, rientra oggi nel piano
infralìassico, come sono sicuro vi debba rientrale il calcare
Studi sull’ Infralias ec.
313
nero di Caprona e di altre località dei Monti Pisani. Fino
dal 1S57 epoca nella quale osservai per la prima volta in
posto quel calcare fossilifero , non poteva rendermi conto
come si volesse distinto da quello del Tiretto e del Tiro
con alcuni strati della cui serie presentasi perfettamente
identico (1).
Dissi che questa rivista sarebbe stata rapida e parmi
di non aver mancato àlla mia promessa , le poche cose riferi-
te parmi che bastino a rendere giustizia ai miei predeces-
sori per quel moltissimo che fecero per la geologia della
Spezia e nel tempo stesso ci mostrano chiaramente che
ogniqualvolta essi studiarono quelle montagne spendendovi
il tempo necessario e non limitando le osservazioni ad un
solo punto , tanto maggiormente si avvicinarono al vero nel
proporre una spiegazione pei fatti osservati.
Conclusione
Senza tentare ancora di decifrare il terreno giuraliassico
dei monti della Spezia , gli studi fatti per stabilire la cro-
nologia del calcare nero fossilifero hanno però dimostrato,
che il gruppo di calcari e schisti con ammoniti ed altri
fossili allo stato di semplici impronte ovvero . convertiti in
limonite deve considerarsi in posizione inversa da quella
che occupa nei monti Castellana e Coregna, affinchè F ordi-
ne di naturale successione di quelli strati fossiliferi torni
a ristabilirsi, come si verifica in quelle parti nelle quali
il rovesciamento della serie non ebbe luogo. Limitandoci
al già noto, il termine superiore di quel terreno che per
ora distinguiamo col nome di giura-liassico è fissato con gli
schisti a Posidonomya Bronni , fossile caratteristico degli schi-
sti di Boll e per il quale ho avuto più volte occasione di
verificare (nelle montagne della Giura ed altrove), che
esso costituisce un prezioso orizzonte , ordinariamente la
parte inferiore del liassico superiore.
(1) V. la Nota in fine.
t. i.
40
314 Giovanni Capellini
Se ad onta che gli schisti a Posidonomya Bronni siano
la roccia più recente di tutta quanta la serie fossilifera dei
monti della Spezia , preferisco per ora di dire terreno giu-
raliassico anziché puramente lias , egli è perchè certi
schisti varicolori e certi calcari i quali finora si mostrano
senza fossili ma stanno superiormente ai fossiliferi , forse'
in seguito si potrebbero riconoscere riferibili al giurassico.
Inferiormente sono gli schisti calcarei grigi a belemniti
che rappresentano il limite del piano liassico , e questi si
possono studiare benissimo nella sezione di Coregna. Riguar-
do alla potente massa dei calcari dolomitici cristallini che
costituiscono quasi 1* asse di tutta la catena occidentale ed
in gran parte il pendio occidentale dei monti calcarei della
catena orientale del Golfo , come pure il marmo portoro in-
timamente connesso coi calcari dolomitici stessi , dietro i
caratteri litologici in mancanza di dati paleontologici, ri-
tengo che alla Spezia facciano parte delF infraliassico come
fu dimostrato per altre località che hanno con questa mol-
tissima analogia. Il calcare nero fossilifero e gli schisti che
ne dipendono, stratigraficamente stanno subito al disotto
della massa di calcari dolomitici ora accennata ; a Coregna,
alla Castellana , al Muzzerone e nelle isole Palmaria , Tiro
e Tiretto P ordine naturale è invertito , i calcari dolomitici
stanno inferiormente. (1)
Gli studi stratigrafìci nella catena orientale mostrarono
la vera posizione del calcare nero fossilifero esser quella os-
servata a Parodi , al Bermego e più al nord ancora nella
catena occidentale; dippiù nel taglio naturale di Capo Corvo
si vede che al disotto del calcare cavernoso il quale nelle
località ora citate serve di base al piano infraliassico , seguo-
no in perfetta concordanza di stratificazione le roccie
distinte col nome di terreno del Verrucano. Fra il calcare
nero fossilifero ed il calcare cavernoso inferiore e roccie del
(I) Può dirsi che le stratificazioni delle quali resulta la catena occidentale
dei monti della Spezia, allorché emersero si foggiarono in elicoide come ap-
punto è indicato dal fin qui esposto.
Studi sull’ Irfralias ec. 315
Verrucano non vi è posto per la serie giuraliassica accen-
nata nel lato occidentale , la quale nella catena orientale
non si riscontra; anche nel caso che una parte dei calcari
e schisti di Fiascarina fossero giurassici , il lias manchereb-
be completamente e vi sarebbe un hiatus fra il giurassico
e Y infraliassico , almeno per quanto credo poterne dire fin
d’ ora. Delle roccie del Verrucano non mi sono partico-
larmente interessato in questa memoria, ho inteso solo di
ricordare quanto si incontra anche nel lato orientale , e ad
altra occasione mi riservo a tentare di stabilire la loro cro-
nologia ; fin d’ oggi però è necessario ripeta ciò che varie
volte ho accennato , cioè che il calcare cavernoso e tanto
più la breccia di schisti di S. Terenzo e forse altre forme
litologiche ad essa inferiori, ed ora comprese nel Verrucano,
si possono senza esitazione riferire al trias come da molto
tempo aveva fatto il marchese L. Pareto.
Il calcare nero fossilifero con gli schisti che lo accompagna-
no , limitato superiormente ed inferiormente come abbiamo
riferito e quindi infraliassico per la sua posizione strati-
grafica, è dimostrato pur tale per i suoi fossili dei quali
molti sono comuni all’ infraliassico delle località le meglio
studiate in Italia, Francia, Belgio ec. (1).
I calcari neri della Bianca presso Capo Corvo identificati
da Pilla , Collegno e da altri con quelli della Castellana
Tiro, Tiretto dietro la sola guida dei caratteri litologici,
oggi sfi riconoscono effettivamente tali per i numerosi resti
fossili che vi si incontrano. La difficoltà di approdare ove
sono i fossili, quando il mare non sia in calma, il che è
ben raro alla estremità orientale del golfo, forse contribuì
a ritardare tanto la scoperta segnatamente dello strato a
Cardite che potei osservare nell’ ottobre dello scorso an-
no 1861. Trovati i fossili alla Bianca^ mi occupai di cer-
carli altrove lungo la catena orientale e ne scoprii a monte
Marcello , monte Murlo , monte Rocchetta ; solamente per
la mancanza di grandi lacerazioni trasversali a quelle mon-
ti) Vedi: Quadro comparativo ecc.
316
Giovanni Capellini
tagne , non è possibile averne in copia come si verifica per
altre località segnatamente nel lato occidentale.
L’ interesse che tutti i geologi mostrarono in ogni tem-
po per quanto si riferisce al golfo della Spezia , la sfiducia
alla quale molti si erano abbandonati credendo che quella
località resterebbe per sempre indecifrabile , mi fa sperare
sia per essere ben accolto questo lavoro nel quale ho
avuto principalmente di mira di far conoscere che la
geologia dei dintorni della Spezia è molto meno intricata
di quel che si credeva finora. Vi sono è vero molte località
ove la successione stratigrafica è meno sconvolta che alla
Spezia , ma ve ne sono moltissime per le quali esistono
difficoltà ancora maggiori; basta infatti internarsi nelle
Alpi per imparare come si presentino i terreni ove sono
avvenuti grandi rovesciamenti e ripiegamenti di masse stra-
tificate.
Fissato una volta un primo punto di partenza , dietro
F esatta conoscenza del medesimo, fatti sicuri di poterci ad
esso affidare, speriamo siano per dileguarsi le gravi diffi-
coltà dalle quali si credeva avvolta la geologia dei dintorni
della Spezia e di una parte della Toscana.
QUADRO COMPARATIVO
delle principali località ove m* incontrano specie di molluschi comuni all’ Infralias dei monti della Spezia.
Specie riscontrate nei monti del Golfo della
Spezia e nelle vicine isole Palmaria ,
Tiro , Tiretto.
Ammonites nanus? Mart. . . .
Purpurina spediensis, n. sp. . .
Neritopsis tuba, Schafh. ... .
N. Paretii, n. sp. . . .
N. bombicciana, n. sp. .
Chemnitzia usta, Terq. sp. . . .
Ch. abbreviata, Terq. sp.
Ch. turbinata, Terq. sp. .
Ch. unicingulata, Terq. sp.
Ch. incerta, n. sp. . . .
Ch. Cordieri, n. sp. . .
Ch. acutispirata, n. sp. .
Ch. lessoniana, n. sp. . .
Cerithium semele , Mart. . . .
C. Henrici , Mart. . . .
C. rotundatum, Terq. . .
C. gratum , Terq. . . .
C. Meneghini, n. sp. . .
C. sociale, n. sp. . .
Turritella Dunkeri, Terq.?. . .
T. Zenkeni , Terq. . . .
T. deshayesea, Terq. . .
T. bicarinata, n. sp. . .
T. somervilliana , n. sp. .
Turbo subpyramidalis , d’ Orb.
Phasianella nana, Terq. . .
Ph. Guidonii , n. sp. .
Orthostoma Savii, n. sp. . .
Or. tri ti cura , Terq. .
Corbula imperfecta, n. sp. . .
Anatina prsecursor, Quenst. sp.
Pholadomva sp. . . . : .
Myacites faba, Wink. . . .
Mactra securiformis, d’ Orb? .
Astarte cingulata, Terq. . .
Cocchii , Mgh. . . .
Pili®, n. sp
d'(
angulata, -
t : 1:
6 I
I 1 3
Specie riscontrate nei monti del Golfo della
Spezia e nelle vicine isole Palmaria ,
Tiro, Tiretto.
Cardinia stoppaniana , n. sp. .
Myoconcha psilonoti , Quenst. .
Cardita munita, Stopp. . . .
C. austriaca , Hauer sp. .
C. tetragona , Terq. . .
Lucina civatensis, Stopp. . .
Corbis depressa, Romer sp. .
Cardium Regazzonii , Stopp. .
Myophoria l®vigata, Brom. sp.
Cucull®a acuta, Mgh. sp. . .
C. Murchisonii , n. sp. .
C. castellanensis , n. sp.
Nucula subovalis, Gold. . . .
N. ovalis, Ziethen. . . .
N. strigilata, Gold. . . .
Mytilus cuneatus, Sow. sp. .
Lithodomus lyellianus n. sp. .
L. Meneghini , n. sp.
Avicula Deshayesi , Terq. . .
A. Buvignieri , Terq. . .
A. Dunkeri , Terq
A. Alfredi , Terq. ? . . .
A. infraliasica , Mart. . .
A. Sismond®, n. sp. . .
A. Meneghinii , n. sp. . .
A. in®quiradiata , Schafh.
Pecten Falgeri, Mer
P. janiriformis, Stopp.
P. aviculoides, Stopp?. .
P. Sismond®, n. sp. . .
Lima punctata , Sów
L. Azzarol® , Stopp
L. nodulosa, Terq? .*■ . .
L. pr®cursor, Quenst. . .
L. pectinoides , Sow. sp.
sp.
Plicatula ìntusstriata , Emm.
P. Mortilieti , Stopp. .
Rhynconella PilTfe , Mgh. .
R. portuvenerensis,
lì
Totale | 17 | 23 | 7 6 7 | 1 5
LIMITI E DIVISIONI DEL PIANO INFRALIASSICO
secondo diversi autori in Italia, Francia, Belgio , Inghilterra.
Martin
Geologi Inglesi.
(Diff. Opere.)
Escher
(Geol. Bemerk.)
(p2d:ii)
■ss::
«,.A9
Caie, à G. arqoées
Cale, à Gryphées j
Cd. à G. arcuata e A.
Buklandi.
Starhemberg-Gres
tener-Schichten.
Formazione di saltrio
PIANO INFRALIASSICO
I
d' GBettan^tt °de Vu-
JB1Ì2SSA5
Zone à Amm. Marea-
norbis e A. Johnstoni.
Dachsteinkalk.
Kalk mit Megalodon
scutatus Schaf.
1
Czleare dolomitico o i
ssrssi'.B?
»
^Calcatre greso-Mwmv-
I
\
d»S!eLumaTheÌlMU ^
Bone-bed di Axmoutb,
Aust-clròT, Watchet, Wain-
Kossener-Schichten.
Oberes.
Depolito dell’Aztarola e
banco madreporico.
S
ssks**
ta, Arkoses.
Groppo delle lnmackelle
e degli scisti neri marnosi.
.aastas
pi
TRI AS SUPERIORE
Marnes irisées.
— —
Keuper-New Red Mari.
Dolomite.
Hallstatter-Schichten
(Èsino Kalk).
Raibler-Schichten e S.
Cassianer - Scbichten ( di
Lombarda!. )
Hauptdolomit.
Petref. ron Esino.
Kenper ( Letten-kohle.
Boote Mergel.)
'ZZSZiX..
Z5rw&?~*
Calcare cavernoso
Studi sull’ Infralias ec.
NOTA
317
Per tuttoquanto riguarda la Spezia , considerando il lavoro del Dot-
tor Cocchi (Description des roches ignées et sedimentaires de la Tosca-
ne) pubblicato nel 1856, come un riassunto di ciò che già era stato svolto
nelle Considerazioni sulla geologia toscana, credetti non doverne fare
una rivista particolare. Informalo però che il Prof. Cocchi oggi disdice
quanto altra volta sostenne in quella sua memoria , mi trovo nella ne-
cessità di rilevare che il calcare nero dei monti della Spezia dal mede-
simo veniva riferito al neocomiano e ne parla al C. VII. Terrain cretacé
inferieur. Alla stessa epoca riporta il calcare cavernoso del quale appena
è fatto cenno in quello stesso capitolo, e finalmente tutta la serie di roc-
cie comprese nel gruppo del Verruca no le considera come parte del
paleozoico, ed in termini abbastanza ambigui dice che a Capo Corvo nella
porzione superiore del Verrucano tutt’ al più vi potrebbe essere qualche
cosa riferibile al Permiano. Del resto nel catalogo delle roccie stratificate
e non^stratificate della Toscana, col quale termina la memoria del pro-
fessor Cocchi , ogni ambiguità è tolta , e come troviamo il calcare nero
fossilifero ed i calcari dolomitici dei monti della Spezia classati nel cre-
taceo inferiore, così senza che una sola roccia di quella località sia ri-
ferita al Trias , si trovano nel piano superiore del paleozoico ( ossia nel
terreno carbonifero) la quarzite di Capo Corvo, la stessa che nel mio ta-
glio è indicata col nome. di Quarzite del Mulinello di Pitelli, ed al paleo-
zoico inferiore sono riportati gli schisti arenacei metamorfici che stanno
fra P Anaeenite N.° 6 e la Puddinga N.° 9,
Quando poi volessi ammettere che V autore della memoria avesse visi-
tato Capo Corvo, non potrei davvero spiegarmi come abbia potuto rife-
rire al Lias inferiore il marmo bianco che nel taglio Tav. II. fig. 5a sta
immediatamente sopra i veri schisti paleozoici.
Tutta questa storia avrei ben volentieri trascurata , se nel tempo stesso
che a me rton consta avere il prof. Cocchi con lavori posteriori disdette
le opinioni èsposte nellavortr accennato , d’ altra parte non fossi stato
assicurato eh’ egli asserisce aver da gran tempo distinto il Trias ed altre
formazioni nel Verrucano di Capo Corvo,
errori correzioni
pag. 248 lin. 23-24 riconoscerne riconoscere
. 250 * 27 Direttori, della biblioteca . Direi lori della biblioteca
» 258 » 3 e Jung' essa e lungh’ essa
> 259 » 6 La-Béhe La-Bèche
■ 277 » 31 Bardonnéche Bardonnècbe
» 280 >4 Si osservano sn questi. . . Si osservano in questi
> 297 » 18 si compiacue ........ si compiacque
« 302 > 30-31 dasn òrdlische da » nordliche
> 302 » 31-32 Beseheribung Beschreibung
* 3|3 * 28 ginra-liassico ginraliassico
318
Giovanni Capellini
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
TAV. I. — F1G. la
Taglio della, montagna di Coregna.
nella «scala di I — 25000.
a. Scoglio ferrato.
b. Costa sopra Campiglia.
c. Monacello.
d. Punta di Coregna.
e. Madonna del Porto.
TAV. I. — FIG. 2a
Taglio attraverso 1’ isola Tiro ,
nella scala di 1—5000. ^
a. Faro — l’altezza del cordone a metà della torre del medesimo è di m. 107,97
b. Grotta al disotto del Faro.
c. Faglia.
TAV. 1. — FIG. 3a
Taglio del Tiretto,
nella scala di 1 — 1250.
a. Isola Tiretto.
b. Scoglio grosso.
c. Scoglio di mezzo.
d. Scoglio lungo.
TAV. II. — FIG. 4a
Or otta Arpaja.
a. Grotta.
b. Apertura per discendere alla grotta dalla parte di terra.
ce. Faglie.
d. Castello e chiesa di Portovenere.
TAV. II. — FIG. 6a
Taglio di Capo Corvo, dalla punta del Corvo
alla batteria di Si. Croce.
a. Semaforo.
b. Batteria di S. Croce.
TAV. II. — FIG. 6a
Si t rati contorti di anagenite con grotte scavate
inferiormente.
Grotte.
3 O
» M «S ty* rt«u;«;
3 IH * caicM*
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5. Capellini li»
Mera . sull InJralias Capellini Tav 1
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i i J 1 1 i a 1 1 ■ ■ a.a
Mem Ser.Oomo I.
lem. sull Iufralias Capellini Tav II
Xdt F" Casanova
IN CHE MODO
LE DIATESI 0 DISPOSIZIONI MORBOSE
NE’ POPOLI SI MUTINO
E COME ENTRINO
NELLA FORMAZIONE DEI SISTEMI MEDICI.
DEL PROF. ALFONSO CORRADI
( Letta nella Sessione 6 Febbraio 1862 ).
I. J_ emporti mutantur et nos mutamur in illis. In questo
vecchio adagio può dirsi abbia fondamento la Patologia sto-
rica , la quale considera le vicissitudini dei morbi nel vol-
ger dei tempi, ed indaga le ragioni dei loro mutamenti.
Già Plinio il Naturalista avea avvertito .malattie in prima
ignote essere apparse in Europa , mentre che altre erano
spente ed altre duravano ancora (1) : ed in secoli meno re-
moti ^ e presso che sotto gli occhi nostri , fu dato veder
sorgere nuovi morbi , e cessare gli antichi , incrudelire 1
miti , gl’ immansueti placarsi , perder di dominio gli epide-
mici , acquistarne gli sporadici. Le quali cose avvengono ap-
punto perchè nell’ uomo, od in ciò che a lui sta attorno ac-
cadono mutamenti , nuove condizioni si formano per cui le
attitudini patologiche di prima cessano o si mutano. E per
vero la malattia altro non essendo che un modo di essere
(1) Hist. nat. XXVI 1. 6.
320
Alfonso Corradi
dell’ organismo nostro, deve dagli stati diversi di questo trar-
re peculiari sembianze : diffatti le infermità dell’ infanzia non
son quelle della vecchiaja , nè V uomo de’ tropici ammala
istessamente del settentrionale. Se il corpo nostro non passas-
se per alcuna età, se il clima, preso nel più largo significato,
fosse ovunque uniforme, e per ogni dove ugualmente si vi-
vesse , le stesse malattie non prenderebbero mai qualità od
aspetti diversi , e la Geografia medica non avrebbe ragione di
essere: del pari se questo stato di cose fosse sempre esistito,
ovvero se 1’ uomo rimanesse costantemente uguale in qualsia-
si tempo e luogo , neppure della Patologia storica avremmo
d’ uopo ; avvegnacchè non può esservi storia per ciò che
non ha vicende nè si muove. Ma la supposizione è sì lon-
tana dal vero da essere assurda. E nemmeno sarebbe giusto
immaginare noi tanto mutabili, che qualsiasi cambiamento
di ciò fra cui viviamo valesse a condurci in nuovi stati. Que-
sta dottrina di esagerata soggezione dell’ uomo alle cose
esteriori non ha tenuto conto della potenza , che lui avviva ,
e per la quale sè /medesimo conserva e gli altri esseri a
proprio vantaggio trasforma : acconsentiamo che ciascun pae-
se, secondo che più o meno all’ uno degli estremi del no-
stro emisfero si va avvicinando , o al Polo , o all’ Equino-
ziale, più ancora, o meno produce gli uomini atti alle spe-
culazioni , ed alle azioni civili e militari ; ma naturalmente
' diremo col Poeta delle Crociate ) , perchè so ben io quanto
possa la disciplina , e che in virtù di lei9 ovunque nasce
huomo , nasce soldato : onde in queste stesse Provincie au-
strali sono stati buonissimi soldati , come i Carthaginesi (1)-
Le mutazioni organiche dei viventi furono dai Filosofi
della Natura ben conosciute ; ma subordinando essi tutte
le cose a leggi determinate , e trovando in tutto età o sta-
dii di germogliamento , di formazione e di fioritura (2) ;
(1) Lettera del Signor Torquato Tasso nella quale paragona V Italia alla
Francia. Mantova 1581 p. 7.
(2) Quitzmann , Von den mediz. Systemen und ihrer geschicht. Entwicklung.
Munchen 1837. 8.°
Delle diatesi o disposiz. morbose ec.
321
anche la patologia assoggettarono a tal ordine, e le epide-
mie divennero segni di progressivo sviluppo fisico della spe-
cie umana (1). Questo voler assegnar termini alla Natura,
e metter noi e le cose nostre in cima alla parabola del
progresso, donde poi le età venture dovranno discendere,
ho io censurato nel Preliminare alla Storia dei Morbi po-
polari in Italia, come mostra di superbia, maggiormente
meschina trovandosi fra le nazioni più colte come fra le
più selvatiche , ne’ secoli meglio educati e ne’ più rozzi (2).
Se il progresso è indefinito perchè porre la stagione dei
frutti? Caduti i frutti la pianta marcisce, ed allora che
avverrà dell’ uomo ? Se poi son veri i ricorsi storici del
Vico , avremmo non un progresso continuato , ma avvicen-
damenti di grandezza e di miseria, di potenza e di debo-
lezza. Ad ogni modo con queste idee s’ introduceva nello
studio della storia medica lo stato morboso come elemento
intrinseco della medesima.
II. Ma le variazioni di questo stato morboso furono at-
tribuite al successivo predominio de’ principali organi , ap-
parecchi o sistemi. La malattia , questa trista ed insieme su-
blime sorte delV uomo giusta il religioso Henschel , cominciò
dalla pelle limite terreno del corpo nostro , quindi trascorse
negli apparati di nutrizione , poscia nel sistema linfatico , nel
venoso , nell’ arterioso per poi finalmente metter sede in
quello de’ nervi : il quale sistema sovrastando ad ogn’ altra
struttura organica, forma il maggiore sviluppo fisico della
specie nostra ; sviluppo a cui oggi noi siamo pervenuti. Cor-
rispondentemente a questi varii stati, la malattia assume
caratteri speciali, e si formano le diverse diatesi o dispo-
sizioni morbose (3). E tale ultimo concetto è pur vero: io
stesso con altri lavori , benignamente accolti (4) , l’ ho pro-
li) Rosenbaum , Die Epide mieti als Beweise einer fortscbreitenden physischen
Entwickelung der Menschlieit betrachtet. (Cìarus und Radius, Beitr. zur prakt.
(2) Ann. univ. di Medie. CLXXVI. Aprile 1861.
(3) Henschel A. W. , Ueber di aligera. Krankheitsanlage in der raenschl.
Natur und ihre hohere Nolhwendigkeit ( Clarus und Radius 0. c. I 18. 21).
(4) Della odierna diminuzione della Podagra e delle sue cause. — Come
T. t. 41
322
Alfonso Corradi
pugnato. Però non posso menar buone le ragioni che si
danno di quel succedersi di stati organici e patologici ; non
mi pare cioè che il predominio dell’ uno sull’ altro organo,
apparecchio o sistema si debba riferire all’ intrinseco svilup-
po fisico della specie umana , senza che le condizioni este-
riori v* abbiano parte alcuna. E per vero siffatta dottrina ha
il vizio, ripeto, di riguardar noi d’ oggi come il punto più
elevato della gran curva che segna il cammino d’ ogni esi-
stenza , lasciando il precipitarne ai nepoti , senza speranza
di risalire alla passata grandezza : persuasione che forse aver
poteano Roma ed Atene ne’ più bei giorni di loro poten-
za , non noi cui la storia ha mostrato le glorie e le
sventure de9 popoli. D’ altronde se si continui ad ammet-
tere il progresso organico, dove mai porrà stanza la malattia
che già ora ha percorso ogni parte del corpo , dalle più este-
riori alle più profonde ? Gi figureremo noi una generazione
d’ uomini conforme ai sogni di Condorcet (1) ? La natura
nostra può migliorare , e noi tutti ci sforziamo di pervenire
alla perfezione (2) ; ma quest’ attitudine , come- tutte le
forze naturali , deve aver limiti, che, quantunque non pos-
sano da noi essere determinati , non vanno per conto al-
cuno negati. Le malattie poi sono secondo 1* ordine di na-
tura , e le ragioni di esse trovansi nolle condizioni dell’ u-
niverso e dentro noi medesimi. Inoltre se T accennata evo-
luzione della razza umana si compiesse per fatto proprio
da ogn’ altro distinto , e fosse il risultato di funzione inti-
ma della specie stessa , le diverse sue fasi od età serbar
oggi le affezioni scrofolotubercolari siansi fatte più comuni ( Mem. dell* Ac-
cad. dell’ Istituto di Bologna Voi. X e 1 della seconda serie).
(1) La perfectibiiité de 1’ homme est indéfinie . . . il doit arriver un temps où
la mori ne serait plus que I’ effet ou d’ accidents extraordinaires , ou de la de-
struction de plus en plus lente des forces vitales . , . sans doule 1’ homme ne
deviendra pas immortel ; mais la distance entre le moment où il commence à vi-
vre et i’ époque commune où naturellement, sans maladie, sans accident il éprou-
ve la difficulté d’ ètre ne peut-elle s’ accroltre sans cesse ? ( Tableau des pro-
grès de 1’ esprit humain X Epoque — Oemr. compì. Vili 373).
(2) . . , . ad summam virtutem, ad stimma atque in omni genere perfecta
omnes pervenire conantur (Cicero).
Delle diatesi o disposiz. morbose ec.
323
dovrebbero fra loro certa proporzione , nè 1* una avere ri-
spettivamente alle altre eccessiva brevità o lunghezza : però
il bisogno di accordare in qualche guisa la teorica col latto
fe’ il primo stadio , quello che comprende i mali cutanei ,
smisuratamente ampio comprendendo tutta P antichità ; anzi
ei lo dovrebbe essere assai più , volendo abbracciare la leb*
bra del medioevo. E come nell’ individuo più non riappajono
le prerogative dell’ età trascorsa, così le malattie delle mol-
titudini dovrebbero far sempre riscontro agli stadii della vita
di queste , e cioè le malattie che diconsi proprie ad esem-
pio dell’ infanzia, veder non dovremmo (siccome accade ve-
dere e più innanzi sarà dimostrato) quando il popolo anzi
che putto è già uscito dagli efèbi ed ornai s1 * * * 5 attempa. Fi-
nalmente se le anzidette successioni morbose fossero con-
seguenza di fatale sviluppo organico , in qualsiasi luogo e
con qualsiasi civiltà oggi sarebbero predominanti le stes-
se malattie : la qual cosa dall5 osservazione è contraddet-
ta ; e della contraddizione non altra buona ragione dai so-
stenitori di quest5 ipotesi potrebbe addursi, che la na-
tura differente degli uomini, o V apparizione de5 popoli
sulla terra in momenti diversi. E così onde dar forza ad
una supposizione altre se ne fabbricano non meno fiacche
od avventate ; imperocché l5 unità della specie nostra , se non
la sua derivazione da unica coppia di genitori , è opinione
da sì validi argomenti appoggiata , che neppur sembra le-
cito dubitarne (1). Ed ammessa la moltiplicità delle crea-
zioni nuove difficoltà insorgono ; cioè se fra i popoli d5 og-
gi sianvene de5 vecchi e de5 giovani , ed essendocene , noi
(1) V unità della umana specie non inchiude 1’ unità della sua origine , che
cioè tutti gli uomini siano proceduti da una sola coppia di genitori originaria-
mente creati in un punto solo della terra. Conviene anzi mantenere divise in-
teramente le due questioni, per non accomunare all’ una ed all’ altra i dubbi
che potrebbero accogliersi in una soltanto. L’ unità della specie è costituita dalla
unità sostanziale della sua vita , che si esprime nella medesimezza delle qualità
essenziali e distintive di tutti i suoi individui ; e può esistere egualmente anche
se quell5 unica vita diffondendosi sopra la terra abbia originata in una e in al-
tra parte di questa a tempi diversi delle razze differenti, appropriate ai luoghi
in cui hanno originato ; ma appartenenti tutte ad una medesima specie ( Bomc-
à. Sommario di Fisiologia p. 572).
324
Alfonso Corradi
che giungemmo ai maggior grado di sviluppo, per ciò che
soggiaciamo al predominio del sistema nervoso, saremmo
più antichi de’ Chinesi p. e. ? E se questi lo fossero invece
più di noi , di che razza di mali darebbero mai esempio ? (1)
Dond’ è che certe malattie a popoli decrepiti ed a po-
poli infanti sono comuni , e dagli uni agli altri trapassa-
no? Quando poi si dicesse le vecchie popolazioni essere
già spente, e le odierne tutte egualmente giovani, allora
s’ affaccierebbe di bel nuovo P obbiezione del non essere
le malattie uniformi ne’ varii luoghi e fra le varie genti.
Dunque le mutazioni di diatesi od i diversi stati mor-
bosi che nella specie nostra succedettero , mentre indub-
biamente derivarono da diverse condizioni de’ corpi; queste
non ponno attribuirsi ad un’ astratta evoluzione della spe-
cie stessa , ad altrettanti stadii eh’ ella , fuori d’ ogn’ altra
legge , segnerebbe sui suo cammino. Non è quindi il latto
eh’ io contrasti , bensì , e più sopra n’ esposi le ragioni ,
le cause addotte del medesimo. La qual cosa dimostra co-:
me il raccogliere i fatti sia benissimo la prima e nec essaria
condizione d’ ogni dottrina ; ma cho a formar questa con-
viene altresì ragionar su di quelli con una filosofia , la quale
colle soverchie sue astrazioni non ci dilunghi dall’ esperien-
za, e fra le chimere infine ci travolga. Ond’ egli è vero
che ancora co’ fotti alla mano, possiamo trovarci in un mondo
d’ idee affatto diverse da quelle che rappresentano i fatti
medesimi. Ma malamente soddisfarei all’ obbligo mio , se ,
dimenticando la parte più ardua d’ ogni trattazione, ali’ op-
pugnata spiegazione alcun’ altra non m’ ingegnassi sostitui-
re: me fortunato se quella trovassi che alla verità è conforme!
(I) I Chinesi che quasi mai si lavano, mangiano riso e pesce salato, sof-
frono di lebbra, di scrofola, di tubercolosi, di febbri intermittenti. Antiche
sono fra loro le affezioni sifilitiche, ed antieo pure 1’ uso di curarle col mer-
curio. Invece vanno immuni dalia gotta (Gutzlaff , The medie, art amongst thè
Chinese In: Journ. of thè R. Asiatic Society 1836 N. VII p. 165 — Wilson,
Medie. Notes on China. Lond. 1845 — Fortune , Wanderings in thè norlhern
provioces of China. Lond. 1846 — Le Corate, N. Mém. sur V état pré-
seot de la Chine. Paris 1701 I. 369). Ma queste son tutte malattie che pro-
vengono dalla maniera di vivere, dalla qualità de' cibi, dalle condizioni del
snolo, piuttosto che da giovinezza o vecchiaia di popolo.
Delle diatesi o disposiz. morbose ec. 325
HI. L’ uomo, come il parto più nobile della creazione,
più di qualsiasi altro essere ha libertà e vita propria ; nul-
ladimeno esso fa parte dell’ universo , ed è animale civile
e di compagnia sì per bisogno che per naturale inclinazio-
ne : laonde egli è in continuo commercio con la terra e
col cielo , da cui trae elementi indispensabili alla sua esi-
stenza, e con gli altri uomini e viventi insieme ai quali
pur conduce la vita. La quale perciò partecipar deve delle
qualità stesse delle cose , eh’ entrano a far parte de5 suoi
organi , o lei muovono ad azione. Verità ben sentita da’ poeti
quando favoleggiarono che nell’ infanzia gli Achilli ed i Rug-
gieri di midolla di leone o d’ altri animali feroci si cibas-
sero ; ben sentita dal Tasso , quando , non poetando , disap-
prova che in alcune parti di Francia si nutrano i bambini
di latte di vacca , però che , ei dice , il bue è animale ser-
vile , e tollerante , non solo delle fatiche , ma delle percosse
eziandio,, ed il nutrimento che in quella età si riceve, im-
prime un non so che della sua qualità ne’ corpi , e negli
animi ancora teneri de’ fanciulli (1).
Nella stessa guisa che si mutano le attitudini fisiologiche,
nuove disposizioni morbose si preparano : conciossiachè l’ ar-
monia onde son rette le cose create non è si perfetta ed
immutabile da impedire qualsiasi turbamento ; tanto più che
quelle non hanno confusa esistenza, ma ciascuna P ha distinta
e con intendimenti proprii. La quale libertà quanto meglio
spiccata porgerà più facili occasioni a dipartirsi dall’ ordine
dell’ universo ; e siccome fra tutte le creature 1’ uomo è la
meno soggetta e la più fornita di proprietà individuali, in
lui le disposizioni alle malattie, e le malattie stesse, sa-
ranno più frequenti (2). Quindi nell’ essenza della vita si
racchiude la nativa e generica propensione ad ammalare;
(1) 0. c. p. 27. — Anche Didone , delusa nel suo amore, contro lo spietato
Principe trojano furiosa inveisce co’ notissimi versi:
.... duris genuit te caulibus horrens
Cancasus, Hyrcanaeque admorunt ubera tigres.
(Aeneid. L. IV). . ...
(2) Corpora, quo magis individua snnt ac perfecliora, eo majore eliam vi,
et insita quidem ac peculiari, renituntur in omne id, quod servando corpon
326
Alfonso Corradi
per le condizioni poi speciali degl’ individui , e per le azioni
delle cose esteriori cotale propensione è determinata e fatta
particolare. La salute godendo di certa larghezza può ac-
comodarsi con que’ nuovi stati del corpo, ne’ quali le varie
disposizioni morbose consistono : ma giunge momento in cui,
.per F azione di alcuna causa eccitatrice, ovvero perchè
sempre più gli organi tralignano , F anzidetto accordo vien
meno e la malattia propriamente detta si forma. 11 qual tra-
passo talvolta è còsi improvviso e manifesto che sen può
determinare il cominciamento ; tal altra invece così lento
ed occulto da parere la malattia nuli’ altro che il prosegui-
mento della medesima disposizione (1). Ma le condizioni
organiche, donde poi provengono le particolari attitudini
alle malattie , come possono metter profonde radici ne’ corpi
sicché colla generazione si trasmettono , possono altresì ve-
nir contrariate ed anche tolte sia che ci trasportiamo sotto
altro cielo , od in genere conduciamo vita diversa di prima.
E quando tali benefici influssi non durino o non operino
tanto quanto fia mestieri , acciocché F organismo pienamente
si spogli delle avite predisposizioni , queste di bel nuovo ,
data opportuna occasione , riappariranno : e per vero talora
s’ osservano ne’ nipoti le malattie od inclinazioni degli avi :
Fit quoque ut interdum similes existere avorum
Possint, et referant proavorum saepe figuras (2).
Ciò eh’ è dell’ individuo è delle moltitùdini ancora, le
quali quando inclinano ad alcuni morbi , quando invece ne
vanne» immuni. E queste inclinazioni o ripugnanze non vor
glion già dire la malattia esser cosa distinta dall’ organismo
individuo aut specie» contrarium est. Unde nulli minerarum sunt morbi, paucis-
simi herbarum , pauciores vermium et insectorum , panilo plures piscium , plu-
rimi vero mammalium et hominum ( Sprengel , Pathol. generai. L. i. C. i. § M*
(1) Della disposizione a malattia non dobbiamo avere sì esagerato concetto
da credere eh* essa preceda qualsiasi malattia ; molte accadono , p. e. le frat-
ture, le lussazioni, senza che dessa punto sia; ed altre volte ancora taluna
malattia , la quale per consueto sorge da una disposizione , si forma unicamente
per l’ insolita e prepotente azione di cause morbifere siano elleno a noi intrin-
seche ovvero esteriori.
(2) Lucret.
Delle diatesi o disposiz. morbose ec. 327
nostro ( di cui veramente non è che un modo , e tanto della
costituzione di ognuno partecipe, che può dirsi una stessa in-
fermità avere aspetti differenti quanti sono gl’ individui che
la soffrono); bensì voglion dire condizioni corporee diverse
dar luogo a diverse manifestazioni morbose. Siffatti muta-
menti se nelle moltitudini appariscono , n’ è ragione che le
moltitudini per gl’ individui si formano ; niuna buona prova
essendovi , siccome ho mostrato , che le succedentisi gene-
razioni abbiano in loro evoluzione conforme a quella che
in ciascuno di noi gli anni arrecano : perciò le diatesi o
gli stati morbosi che hanno dominato ne’ varii tempi nei
popoli, mentre hanno ragione in particolari condizioni dei
corpi , debbon esser originate da cause che su questi corpi
più o meno direttamente e lungamente abbiano operato.
IV. Molto a lungo si è quistionato intorno alle muta-
zioni del clima: secondo alcuni mai ve ne furono, secon-
do altri furono e gravi e frequentissime. Sentenze amendue
erronee , avvegnacchè le meteore cambiano ; ma nelle pre-
senti condizioni del globo , que’ loro turbamenti non pos-
sono avere tant’ estensione nè tanta durata , quanta sareb-
be d’ uopo , onde spiegare le successioni morbose ne’ po-
poli. Le quali può dirsi avvennero sotto gli occhi nostri,
si la storia ce ne lasciò vivo ricordo, senza che possiamo
congiungerle a raffreddamento od a maggior caldezza del-
P aria , a soverchia umidità o secchezza , a sfolgorar di
astri od a commozioni del suolo : non perchè fra questi
avvenimenti e gli altri trovar non si potesse relazione
di tempo; ma come le vicende meteorologiche sono ra-
pide e frequenti, altrettanto tarde e poco comuni sono le
mutazioni delle diatesi ne’ corpi nostri. Delle quali cose
distesamente discorsi studiando le cause che diminuirono la
podagra, e le altre che accrescono le affezioni scrofolo-
tuber colali. Quindi a questi due lavori rinvio il lettore onde
schivare le ripetizioni (1) : il poco che qui n’ ho detto sia
come il corollario dal molto che aggiunger , anzi , nel caso
(1) Mem. dell’ Accad. delle Scienze di Bologna. 1. c.
Alfonso Corradi
mio , ridire potrei. Nè vanno taciuti i recentissimi infrut-
tuosi tentativi per mostrare la connessione delle malattie
epidemiche colle manifestazioni del magnetismo terrestre.
Gaspare Federico Fuchs s5 è audacemente accinto a provare
che alle secolari deviazioni dell5 ago calamitato , il quale
misura l5 apparente forza magnetica della terra , corrispon-
dono non solo le grandi costituzioni morbose dell5 Europa
ed i mutamenti di clima, ma altresì particolari disposizioni
della mente e dell5 animo nostro. Così là declinazione oc-
cidentale della bussola ha riscontro col dominio delle malat-
tie, dallo stesso Fuchs dette leucomacrìtiche ; F orientale in-
vece colle malattie ematoseptiche: nel primo caso prevale
il clima marino , nei secondo il terrestre , la declinazione
occidentale mette nello spirito umano la spontaneità ; la re-
cettività invece la declinazione orientale. La riforma lute-
rana accadde , quando diminuendo la costituzione emato-
septica, ebbe principio il clima marino e la costituzione
leucomaeritica (1).
Nè soltanto bisogna andar cauti nel collegare le muta-
zioni di clima con altri avvenimenti, ma altresì nel far
giudizio delle mutazioni stesse. Così in un paese possono
non più prosperare le vecchie colture senza che i venti
soffino j o le pioggie cadano e le stagioni si succedano di-
versamente di prima : tal fatto può dipendere da altre ca-
gioni; p. e. dall5 essere esauriti nel terreno i principii or-
ganici e minerali a tali piante necessarii ; ovvero dal pro-
gressivo affievolì mento di queste soprattutto se a que5 luo-
ghi straniere. Gli scrittori delle cose agricole hanno molte
testimonianze di simili avvenimenti (2) , i quali sofio para-
(1) Le malattie che il Fuchs chiama leucomacritiche sono: la Scrofola, l’En-
cefalite infantile, il Tubercolo , il Cancro , FA Ibnminuria P Angina membranacea
(Croup, Difterite ), il Tifo addominale. Malattie ematoseptiche diconsi Io Scor-
buto, il Morbus maculosus Werlhofii, la Febbre putrida, la Peste orientale
( Fuchs C. F. Die epidem. Krankh. in Europa in ihrem Zusaimnenhange mit
den Erschein. des Erdmagnet. , den VorgaDgen in der Atmosphare und der Ge-
schichte der Kulturvolker dieses Erdtheiles. Weimar 1860 8.°). — Fuchs si
crede primo in questa strada : ma per non dir d’ altri , prima di lui e nella
stessa Germania Lodovico Buzorini fin dal 1841 pubblicava « Luftelectricitat ,
Erdmagnetismus , und KrankheitsconstHution. ».
(2) Beusinger Ch. Fr. Rech. de Pathol. comparée. Cassel 1863 1 488.
Delle diatesi o disposiz. morbose ec. 329
gonabili al tralignameli to delle razze animali , ed al venir
meno delle schiatte , quando nuove alleanze non le rinsagui-
nino , senza che le vicende del clima v1 2 * * 5 abbiano parte. Fi-
nalmente queglino che considerano le vicissitudini morbose
dell5 uomo com’ evoluzione della specie , ricusar debbono
ogn5 efficacia al clima nel poccacciarle colle sue variazioni :
e questo per la ragione che il concetto di evoluzione inclu-
de pur l5 altro di regolarità , cioè di ordinata successione
dì atti , la quale nelle vicende meteorologiche non appare :
non già eh5 io creda questa serie di avvenimenti si sottrag-
ga alla legge che regola tutte le cose in natura ; ma tal
ordine non corrisponde all5 azidetto sviluppo , sicché fra loro
non può ammettersi il vincolo che dev5 essere fra due fatti,
quando 1’ uno sia conseguenza dell5 altro. Jacopo Penada
volle provare che non solo nelle meteorologiche vicende,
ma bensì ancora nelle vere epidemiche malattie può reg-
gere il calcolo d5 approssimazione dedotto dal famoso ciclo
del Saros ; che è quanto dire in capo alle 223 lunazio-
ni , ossia ogni 18 anni, ripetesi il medesimo stato meteo-
rologico e patologico (1). Ma certamente noi non osservia-
mo questa corrispondenza e ordinato ritorno anche per quei
morbi popolari , che più degli altri vuoisi s5 attengano allo
stato del cielo : così nel secolo scorso contansi , secondo
Gluge, 12 epidemie d5 influenza, e 16 secondo Hirsch ,
senza che appaja il ciclo assegnato dal Penada, o P altro
dei 20 anni posto dal Most (2). Che poi le costituzioni me-
teorologiche si ripetano con alcun periodo , a noi poco im-
pòrta determinare , da che fra loro e le epidemie non v5 ha
connessione : nuli adimeno di ciò pure grandemente può du-
bitarsi esaminando i lavori che intorno al nostro ed agli
altri climi sono stati fatti.
(1) Pubblicò il Penada la sua Memoria medico-meteorologica in Padova
nel 1808; poscia tornò sopra il medesimo argomento altre due volte (V. il
Giorn. dell5 ital. Letter. Padova XXII 162-173, e S. ir. X 119-123). — Pe-
nada erroneamente conta 224 lunazioni.
(2) Gluge Gottlieb , Die Influenza oder Grippe nach den Quellen historisch-
pathologisch dargestellt. Minden 1837 p. 27 — Hirsch August , Handb. der
histor. geograph. Palhol. Erlangen 1860 p. 278 — Most, Influenza Europaea.
Hamburg 1820 8.°
42
330
Alfonso Corradi
V. Non avendo trovato nelle mutazioni del cielo e della
terra le cagioni del vario modo, d’ infermare de’ popoli ,
altro non resta che ricercarle nella civiltà de’ medesimi , che
è quanto dire nella loro maniera di vivere.
Già il filosofo Seneca avea detto tam nullo aegrotamus
genere quam vivìmus (1) » : sentenza che sempre aver do-
vrebbero in mente coloro che studiano le successioni mor-
bose de’ popoli : in lei , come in forinola , io compendio le
opinioni che professo intorno la patologia. E dicendo noi
ammalare conforme viviamo, dev’ intendersi questo vivere
nel più largo significato , cioè la pratica d’ ogni nostra
facoltà. Argomento amplissimo e meritevole del maggiore
studio, comprendendo le più ardue quistioni dell’antropo-
logia , ed insieme le contingenze della vita reale ; talmente
che ponendo 1’ anzidetto concetto come cardine della pa-
tologia storica, le si dà fondamento sicuro. Forse a coloro
che amano , com’ eglino dicono , trarre le speculazioni d’ as-
sai in alto , parrà che questi principii , siccome non scen-
dono dalle nebulose , siano troppo modesti , e la scienza
facciano piccina. Lungi nondimeno siffatta tema : avvegnac-
chè quella non acquista grandezza perchè la si tiene fra le
astrattezze , nella stessa guisa che 1’ oscurità non fa nè bello
nè sublime il linguaggio. Tant’ è che fu tempo , se pur noi
sia tuttora , in cui solamente il trascendere od il delirare
reputossi sapienza , come la gonfiezza e le iperboli del sei-
cento gustaronsi per magniloquenza : si stranamente talvol-
ta si giudica intorno alla bellezza e bontà delle cose ! Ma
1’ uomo è più incomprensibile ancora : egli è sì grande
e si misero che in lui ebber martiri la verità e 1’ errore,
la giustizia e la follìa. Intanto a provare la bontà del men-
tovato principio , io non so miglior espediente di quello che
porlo a riscontra coi fatti.
Le condizioni civili d’ un popolo non essendo sempre
le medesime , non in egual modo adoprerà egli le facoltà
proprie : quelle saranno più attive che ai bisogni ed alle
(1) Ep. XCV S 20.
Delle diatesi o disposiz. morbose ec.
inclinazioni presenti soddisfanno , e più validi gli organi di
cui maggiore è 1’ ufficio. Ma quest’ azione soverchiando di-
viene causa di disposizione morbosa; e perchè nelle mol-
titudini per solito sono comuni il pensiero, e le opere e
le condizioni di vita, anche le malattie si fanno generali,
e la diatesi dell’ individuo diventa diatesi popolare , appa-
rendo così affezione della specie. Il che però non vuol dire
che tutti gl’ individui debbono necessariamente subirla:
non la subiranno coloro che , in maniera diversa da quella
richiesta per la produzione della diatesi stessa e della ma-
lattia , sen vivono , od hanno ingenite altre attitudini. Per
tal modo si concilia la fermezza del principio colla varietà
de’ fatti: ciocché far non potrebbesi ammettendo quello
sviluppo intrinseco della specie nostra di cui sopra è stato
discorso , od accordando al clima ed alle altre circostanze
sì sconfinata potenza , per modo che 1’ uomo nulla possa
operare di proprio moto. Nell’ uno e nell altro caso , ben
s’ intende , non arriveremo a spiegare come taluno valga
a sottrarsi al dominante influsso , apparendo eccezione alla
regola generale. Inoltre mutandosi le attitudini fisiologiche
e patologiche non offendesi 1’ essenza nostra, la quale è
ovunque e fondamentalmente la medesima , soltanto sen
variano i modi: per tal guisa formansi le razze della spe-
cie umana, e da queste sorgono le nazioni ed i popoli. I
quali non percorrono tutti in egual misura gli stadii diversi
della civiltà; ma in forza delle condizioni diverse del cie-
lo , del sito , e d’ altre ragioni , che qui non è luogo d’ an-
noverare , svariatamente le attività loro manifestano. Laon-
de fra 1’ un popolo la civiltà è precocemente matura, fra
gli altri in lunga infanzia persevera; ed anche egualmente
adulta ha sembianze diverse : così la civiltà greca e romana
salì tant’ alto che , sotto alcuni rispetti , non ancora fu rag-
giunta ; e nulladimeno ben si distingue dalla nostra. La ci-
viltà è simile a pianta che in certo terreno cresce arbusto,
ed in altri erba rimane ; che in aere tepido di molte fronde
s’ adorna , e di frutti saporiti è feconda ; laddove in fredda
od arida spiaggia squallida isterilisce: gl’ innesti poi e le
altre cure dell’ agricoltore le aggiungono nuove qualità , o
332
Alfonso Corradi
le natie migliorano. Anzi questi artificii valgono cotanto da
vincere le maggiori difficoltà del cielo e del suolo; e sono
altresì indispensabili , avvegnacchè senza di loro, ad onta
della piu benefica natura , le scienze , le arti e P industria
rimangono meschine , ed anche perdono la grandezza di
prima. Così i luoghi in cui ebbe sede la prisca civiltà,
son oggi deserti , o nell’ abbiezione dell’ ignoranza e del
servaggio.
Non potendo mettere a confronto ciascun momento della
vita de’ popoli , con gli altri della storia de’ morbi , a ge-
nerali considerazioni staremo fermi , sufficienti però a far
fede della verità dell’ esposta tesi.
VI. Henschel ed altri avvisano le infermità nell’ uomo
aver cominciato dalla pelle , che degli organi è il più este-
riore, e citano la Bibbia ed altri documenti per attestare
1’ antichità della lebbra e de’ vizii cutanei. Ma se questi
unicamente derivassero dallo stato d’ infanzia della specie
nostra, perchè Lucrezio dice non trovarsi I’ elefantiasi che
in Egitto (1) ; perchè Plutarco afferma niuno degli antichi
medici averne fatto menzione (2) P Era forse più giovine
d’ Atene e di Roma il medio evo, in cui tanti furono i
lazzaretti quante le città (3) ? Ma la lebbra è malattia che
più s’ attiene allo stato del viver civile , che alla qualità
del cielo o del suolo. Le cause che un tempo la produs-
sero tuttavia la mantengono, e nell’ età di mezzo perchè
più poderose le assicurarono quel dominio che nè prima
nè poscia ebbe mai sì ampio. Però vediamo un momento
quali fossero le condizioni di que’ tempi.
(1) Est Elephas morbus, qui propter {lumina Nili
Gignilur Aegypto in medio, neque praeterea usquam. ( De Rer. natura L.
VI. v. 111*2).
(2) Neminem veterum medicorum de eo ( morbo elephantiasi ) mentionem ta-
cere, cura quidem in res minutas, riles, et obscuras dispulalionem insumere
non posthabuissent ( Sympos. Vili Q. 9) — Diximus elephantiasin ante Pom-
peii Magni aetatem non accidisse in Italia ( Plinti Hist. nat. XXVI 1 ).
(3) In Italia vix olla erat civitas, quae non aliquera locum leprosis destina-
tolo haberet. ( Muratori , Antiq. ital. Med. aevi 1 97). '
Delle diatesi o disposiz. morbose ec. 333
Dalle spiaggie della Scandinavia , dalle pianure della Sar-*
mazia , oggi pure nido di lebbrosi , sbucavan fuori barbare
genti , cui sete di bottino e di vendetta traeva fin nel cuore
del prostrato impero : erano i Germani che immondi vivea»
no fra il bestiame (1) ; erano i Longobardi dalla sordidezza
corrosi. IL continuo battagliare, le niune leggi o il disprez-
zo delle poche , 1* indole de’ conquistatori , popoli nomadi
e feroci , in misero stato ponevano 1’ agricoltura , che , onde
prosperare , vuole civiltà e pace : 1’ abbondanza de’ pascoli ,
le selve sterminate favorivano invece la pastorizia (2). Man-
cando i foraggi nell’ inverno, gli animali venivano uccisi
e conservati ; quindi nel vitto più erano le carni salate che le
biade e gli ortaggi , sicché facilmente gli umori stempravan-
si (3) . Le vesti di lana e le pelliccie , e per tanti armenti e
con le continue caccie fatte comuni , la cute mordicavano e
le escrezioni trattenevano (4). I porci che impuni sotto sacro
nome per le città vagavano (5) , e le strade che inseliciate
(1) In omni domo nudi ac sordidi, in hos artus,in haec corpora , quae mi-
ramur excrescunt, inter eadera pecora, in eadem humo degunt, donec aetas
separet ingenuos , virtus agnoscat (Taciti, De situ, morib. Germaniae $ 20).
(2) Quante e com’ estese fossero le selve in Francia ne’ tempi antichi , e
quante belve ed animali selvatici v’ avessero covaccio può leggersi in un’ eru-
dita dissertazione di Alfredo Maury pubblicata nel T. IV. Mèra, presentés à
Y Acad. des Inscript. et Belles Lettres. E ciò che era della Francia era pure
delle altre parti d’ Europa.
(3) On ne manquait point (in Inghilterra) de mets succulens et délicats.
Les végétaux ou légumes n’ étaient pas si abondans ; et comme il n’ y avait
pas généralement de marchés établis, les particuliers tuaieut des boeufs, et
nourrissaient leur famille de viande salée depuis la Saint-Michel jusqu’ à la
Pentecòte (Henry, Hist. d’ Anglet. VI 673).
(4) Giova ricordare che pur d’ estate usavaosi abiti impellicciati ( Cibrario ,
Econ. polii, del Medio Evo. Torino 1861 II. 84). — La caccia, oltre servire
d’ addestramento alla guerra, era piuttosto che divertimento necessità onde di-
fendere gli armenti e gli uomini dalla rapacità de’ lupi e d’ altre fiere , che
talora non solo per le campagne scorazzavano , ma anche i casali e le città as-
salivano. Così i Baroni scozzesi erano obbligati a cacciare , insieme a’ loro vas-
salli, il lupo quattro volte l’anno (Henry, Op. c. V. 662).
(6) Giulini crede che P Hospitalis S. Nazarii Porcorum di Milano fosse
così chiamato perchè sostentavasi in parte col profitto dei porci che nudrivansi
ad onore di S. Antonio ( Mera, della Città è Campagna di Milano Vili 233).
334
Alfonso Corradi
erano acquitrini , 1’ aria d’ ogni lezzo empivano (1). I ba-
gni divenuti stufe, anzi che imbrigliare, aumentavano il
male ; il quale poi con le guerre , i pellegrinaggi , le cro-
ciate e la più sfrenata libidine per ogni dove dilatavasi (2).
Nè il contagio siccome altri morbi , veniva meno che in-
vecchiando (3) ; o , per meglio dire , quando mutati costu-
mi , dimesse alcune opinioni , quella ad esempio che san-
tità losse il sudiciume (4) , il viver popolare venne miglio-
rato. L’ Haeser chiama la lebbra figlia della miseria , della
sporcizia e del mal costume (5) ; complesso di circostanze
che , per essere della lebbra se non la cagion propria , cer-
tamente poderosissimo fautore , trovasi più o meno , presso
I porci continuarono a vagare per le strade di Milano fino alla metà del se-
colo XVI {Morigia, Hist. dell’antichità di Milano, Venezia 1592 p. 212);
essendone già stato protettore Filippo Maria Visconti, quel Duca che accomu-
nava il delitto di ribellione del padre ai figliuoli ed ai parenti, e, quantunque
innocenti, atrocemente punivali ( Morbio , Storia de’ Municipi Italiani Voi. VII.
Codice Visconte o Sforzesco Dipi. LX1).
(1) Da quel che erano le strade di Parigi nel secolo XVII , secondo le de-
scrive La Marre (Traité de Police I 560), agevolmente ci possiamo figurare
come elleno fossero nelle altre città ed in tèmpi più remoti. —
(2) Quanto comune fosse l’uso de’ bagni sudatorii o stufe nel medio evo,
specialmente fra i popoli settentrionali, pienamente P ha mostrato lo Zappert
nell’ Archivi fur Kunde Osterreichischer Geschichts-Quellen XXI 122. Questa
passione pel bagno caldo aveanla ereditata dagli antenati, gli antichi Germani
{ Tacit ., De morib. Gerraan. C. 22). Come poi per questo mezzo le malattie
si propagassero, ben si conobbe quando maggiormente infierivano i mali venerei
<c Thermae publicae nunc frigent ubique. Scabies enim nova docuit nos absti-
nere ( Erasmi , Colloquia. Diversoria. Op. omn. Lugd. Batav. 1702 1 717 o).
(3) Qnaevis autem contagio quantum magis abest a principio et prima ori-
gine, tanto siccior fit et terrestrior ( Fracastoro , De morb. contag. L. n C. 12).
(4) I Santi Padri vedendo quanto i pubblici bagni servissero a corrompere i
costumi e ad incitare l’impudicizia (e perciò basta leggere S. Clemente Ales-
sandrino — Paedagog. L. m C. v, e S. Cipriano — De disciplina et habilu
Virgin. Op. omn. Paris 1666 p. 167), procuravano di svogliarne i iedeii,
e quantunque dicessero che il calore del corpo col freddo de’ digiuni smorza-
vasi, non vietavano però il bagno quando la malattia od altra necessità coman-
davaio. Ma il consiglio da alcuni fu inteso a modo che credettero m?gÌ!° av"
vicinarsi alla santità non lavandosi (V. Hugonis Menardi , Concordia Kegu-
lar. 11. 657): e fu giudicato non fare profonda penitenza il peccatore che
s’ asteneva dai bagni , nè lasciava crescere capelli ed unghie ( Morirli , He 0 "
nitentia L. vii C. xvii n. 5).
(5) Lehrb. der Gesch. der Medie. Jena 1859 II 90.
Delle diatesi o disposiz. morbose ec. 335
que’ popoli che di tale schifezza sono ancora maculati (1).
Ma P abitante del Kamtschatka o del celeste Impero è forse
il parvolo della specie nostra? La gran madre Terra soltanto
fra’ ghiacci del polo serba giovinezza , sicché colà ancora
star debbano le malattie che si dicono de’ primi tempi?
Gli uomini che la lebbra consumava , la peste bubonica
altresì affliggeva ; appunto perchè V una e 1’ altra lue mer-
cè le stesse condizioni si propagano. Tanta connessione poi
v’ ha fra derma e linfatici che agevolmente gli stati mor-
bosi da quello a questi trapassano e comuni divengono ; non
eh’ io voglia , ciò dicendo , forzare le analogie o comunanze
fra le anzidette due malattie ; ma soltanto accennare ad al-
cune ragioni intrinseche ed estrinseche , onde pur meglio
intendere la tremenda diffusione della lebbra e della peste in
Europa, e quindi la presso che intera loro scomparsa da que-
sti luoghi. Amendue hanno la stessa patria, e se non ap-
parvero nel medesimo tempo ( giacché pare fuori di dubbio
che soltanto quasi- alla metà del VI secolo la peste egizia-
na giungesse fra noi ) ; certo è che questa menò le mag-
giori stragi quando più diffusa era la lebbra (2).
Non dunque novella età in cui entrassero i corpi nostri ,
bensì lo stato di civiltà e le condizioni de’ tempi furon causa,
almeno principale, della tragrande diffusione della lebbra
e delle peste bubonica ; con altri costumi con altra maniera
di vivere quelle diminuirono e quasi fra noi interamente
si spensero. Nè dir potrebbesi la lebbra qui essere oltrè-
modo antica , avvegnacchè , come già è stato notato , la
sua apparizione fra i Romani ed i Greci , se fede prestar
vogliamo a chi n’ ha serbato memoria , fu quando e que-
sti e quelli avevano trapassato 1’ età della selce o della
(1) Hirsch , Hisl. geograph. Palhol. Erlangen 1860 I. 328 — Inosemzoff,
Beschreib. des io Kamtschatka herrsch. Aussatzes (Medie. Zeit. Russi. 1844N. 6).
(2) . . . . um das Jahr 1300 di Hohe seiner Herrschaft (la Lebbra) er-
reicht, um alsdaun wieder abzunehmen und um den Schluss des secbszehnten
Jahrhunderts ans der Reihe der chronischen Volkseuchen von Mitteleuropa fast
spurlos verschwioden ( Haeser , Op. c. 76 ). — Ora il secolo XI V conta le terri-
bili pesti del 1316, 1348, 1363, 1381 , 1400 senza dire delle minori.
Alfonso Corradi
pietra, e che oggi riguardasi come la prima della vita
de’ popoli. Qual fosse la patologia di sì prisca età chi
mai con sicurezza saprebbe dirlo? Marcello de Serres , e
prima ancora Walther annunziarono d’ avere trovato nelle
ossa fossili di cavalli e di orsi insegni di esostosi, di
periostosi, e d’ altri malanni; lo che indicherebbe gli ani-
mali d’ allora non solo non essere più fortunati de’ nostri,
ma soggiacere agli stessi mali (1). Senza attribuire soverchio
valore a quest’ osservazione , egli è certo , guardando la
cosa più largamente , che coloro che con tanta speditezza
misurano gli anni di quel magno ente cui dicono Umanità ,
e così ricisamente ne definiscono le fasi e gli svolgimenti,
non poco trovar si debbono intricati in accordare il sistema
che impone alle malattie tempi prefissi d’ esistenza, ed il
fatto che mostra ( siccome è proprio della lebbra ) le mede-
sime malattie ricorrere anche fuori degli anzidetti tempi,
cioè apparire, dileguarsi ed apparire di nuovo. Non così
nella dottrina qui difesa : quel che nell’ altra , ossia nell’ av-
versa, sarebbe aberrazione, in questa è regola; imperoc-
ché il vivere de’ popoli non è sempre il medesimo, anzi
necessariamente esso muta , se è legge imperscrutabile le
cose quando giunte siano al sommo , e di giungervi con ogni
sforzo intendono , più o meno precipitosamente ne di-
scendano.
VII. Le stesse riflessioni valgono per le malattie che hanno
sede od offendono principalmente gli organi che alla nutri-
zione inservono; e le quali, al dire de’ precitati autori,
sarebbero prerogativa della seconda età degli uomini. Ma
piuttosto che in una sola, noi vedremo queste malattie in
diverse età o momenti della vita de’ popoli ; ogni volta in-
somma che le qualità dei cibi o la maniera di vivere pon-
gono le necessarie condizioni ond’ elleno largamente si ma-
nifestino. E per vero quando mai dominò la podagra ? Già
il dissi nel lavoro a tale argomento particolarmente consa-
crato (2) : quando più opipare erano le mense , e più car-
(1) Biblioih. univers. de Genève 1860 Vili 72.
(2) Della odierna diminuzione della podagra ecc.
Delle diatesi o disposiz. morbose ec.
337
neo il vitto. Le cene che nella Roma imperiale a medio
die ad medium noctem protraevansi F alimentavano ; come
F alimentavano la rozza crapula del medio evo , e la raffi-
nata ghiottoneria del cinquecento. Se il vuotare lo stomaco
per mangiare era pel patrizio romano buona creanza (1);
anche il Rè Teodoberto per rinnovare F appetito si giova-
va dell* aloe ; nè egli avea maggior rispetto a’ suoi corti-
giani (2) , di quello che Marc’ Antonio al Senato (3). Giove-
nale credeva F ingordigia ed il banchettare romano non po-
tesser più accrescersi , tanto eran cresciuti (4): ma le men-
se saliari non mancarono anche ne’ secoli posteriori (5);
e come furonvi le leggi di Siila , di Lepido e di Anzio
Restio , i nostri municipi i con le leggi suntuarie il numero
delle imbandigioni e la spesa dei conviti regolavano : ma sì
quelle che queste se non aumentarono il male , certamente
non valsero a correggerlo (6). Sapeva anche il volgo che
i digiuni assai , le vivande grosse e poche ed il vivere so-
briamente fan gli uomini magri e sottili ed il più sani ,
e se pure infermi ne fanno, non almeno di gotte gl’ in-
fermano : ne sapeva quindi la medicina ; e nulladimeno lo
(1) Cicero ad Atticum XIII 62; Orat. prò Rege Dejotaro $7. — Sueton.
in Vitellio § 13.
(2) Fuit autem in cibis valde vorax; sed quae sumebat, quo celerius ad
manducatidum coramoveretur , sumpto aloe velociter digerebat, sed et strepitus
ventris absque ulla auditorum reverentia in publìco emittebat ( Gregorii Episcopi
Turon . , Historiae Francor. L. in C. 36).
(3) Tn istis faucibus, sciama il grand' Oratore , istis lateribus, ista gladia-
toria tolius corporis firmitate, tantum vini in Hippiae nuptiis exauseras, ut
tibi necesse esset in populi Romani conspectu vomere postridie ? (Philipp. Il § 26).
(4) Nil erit ulterius, quod nostris moribus addat
Posteritas : eadem cupient, facientqne mioores.
Omne in praecipiti vitium stetit.
(Salir. I. v. 147).
(5) . . . C’ élait alors la coutume che* les grands ( Inglesi ) de fa ire quatre
repas par jour. . . . On chauffait le via et on le mèlait avec des épiceries
(Henry, Op. c. V 569).
(6) Un decreto del 16 marzo 1643 della magistratura municipale di Padova
prescrive le quantità e qualità delle mense, che si doveano mutare nei banchetti
per nozze, come per ogni altra causa, e nelle cene. Sette mutamenti erano
concessi così nei pranzi come nelle cene! (Archiv. Stor. ital. 1862 XV 148).
t. i. 43
Alfonso Corradi
stesso popolo le solennità religiose , le pubbliche e dome-
stiche letizie celebrava con sontuosi banchetti , o nel mi-
glior modo mangiando e bevendo : il numero , la grandezza
e la qualità delle vivande come mostrano quanto fosse la
devozione e 1* allegria de* 2 3 4 5 commensali , danno altresì misura
della potenza digerente degli stomachi d’ allora (1). 1 nipoti
di coloro che tripudiarono ne’ saturnali , o gavazzarono ne’
sanguinosi conviti votati alle divinità dell5 Olimpo Scandi-
navo , le sacre feste solennizzavano colmando le tazze (2) ,
assistevano alle messe ghiottone (3) , ed il patrocinio di S.
Martino invocavano gozzovigliando (4). Pur coi conviti e
colle agapi celebraronsi i funerali : il costume pagano durò
assai tempo nella nuova Chiesa , la quale se non con grande
fatica giunse ad estirparlo (5). E sì egli era radicato che
gli ordini religiosi più austeri, nel giorno in cui sepellivano
un confratello, s5 allargavano nel mangiare quanto loro era
(t) Venendo a Milano la Sposa di Re Carlo d’ Angiò « Francesco Turiano
fece la corte sua ne! pallagio del nuovo Broletto, et vi furono arrostiti due
buoi pieni di porci, et moltoni, et vi erano molte altre bandigioni. In modo
che vi mangiarono da 3 mila persone » ( Corio Bernardino , Hist. di Milano
Venezia 1554 P. n. 128) — Nel convito fatto a Londra nel 1243 pel ma-
trimonio di Riccardo Conte di Cornovaglia colla figlia di Raimondo Conte di
Provenza « in coquinali ministerio plura quam triginta millia ferculorum pran-
dentibus parabantur » {Math. Paris Hist. Lendini 1686. p. 536) — Final-
mente la Cronaca di W. Thorn ha serbato memoria del gigantesco convito dato
da Rodolfo Abate di S. Agostino quando fu insediato a Cantorbery : vi mangia-
ptòr col loio*)1*' C 3 mUa fur°n°'Ie vivande! ( Twysden , Hist. anglic. Seri-
(2) ... in Kalendariis quibusdam Tlunicis festi dièr cornubus ( quibus Bar-
bari poculorum vice communius utebantur) uti symposiorum indicibus notaren-
tur ( lndiculus Supertitionum. In: Concioni , Leges Barbar. Ili 82)
(3) Episcopi Lincoln. Commissarii monitio contra celebrantes Glòton messae
A TE*) feStl?a ,bUS B‘ ( Wilckin’ ConciI- Mago. Britan III 389
(4) En Allemagne, Saint Martin était le patron de la bonne chère, et une
*°ju;ef d® chants populaires lui élaient consacrés. pendant le moyen àge (Du
Meni, Poesies populaires latmes. Paris 1843 p. 170) — Costadoni D. An-
selmo Camaldolese , Ragion, sopra P origine della festevole ricreazione nella gior-
d »Ddlcl del raese d* Novembre detta di S. Martino (Caloqerà, N.
Raccol. d’ Opuscoli XX 147). \ v
(5) Muratori , Anecdota Graeca. Patavii 1709 p. 245-253.
Delle diatesi o disposiz. morbose ec.
339
concesso nei giorni di maggior gaudio (1). In tutti questi
tempi la gotta era frequente e pervicace tanto , che obbro-
rio dicevanla della medicina: non potendola guarire, se ne
faceva 1’ elogio. L’ antichità ebbe la Dea Podagra , ed i no
stri padri supplicavano S. Maro Vescovo di Treveri , e S
Giuliano Alessandrino (2). Finalmente se la legge di Dio
cleziano dispensava dagl’ impieghi e dagli ufficii personali
chi dalla podagra era gravemente cruciato (3) ; ai frati got-
tosi le costituzioni monastiche accordavano privilegii e in
dulgenze (4).
La podagra è malattia assai antica ; le più vetuste me-
morie storiche la ricordano : la si trova in Roma repubbli-
cana ed imperiale, nell’ età di mezzo ed in quella del ri-
sorgimento : col secolo scorso declina ed oggi è presso che
sconosciuta, tant’ è rara, non solo appo noi ma presso tutte
le genti. Laonde non può concedersi all’ Hecker che come
morbo popolare la gotta non abbia durato se non dal se-
condo secolo avanti Y Era nostra al sesto secolo da questa.
Nondimeno un tal limite era come a lui imposto dalla sua
dottrina della successione delle diatesi ; 1’ incalzava la leb-
bra , il sorger della quale ei faceva toccare colla cessazione
della gotta (5). L’ Hecker ammettendo che una sola malat-
tia , anche fra le lente o croniche , possa dominare popolar-
mente in un dato tempo , fu costretto a fare delle malattie
stesse quello strazio , che Procuste agl’ insidiati viandanti ;
quindi egli è in parte corso ne’ medesimi errori degli altri ,
che il mutarsi de’ morbi dissero effetto di mutamenti d età
nella specie umana. Quantunque non professasse siffatta opi-
(1) Statata antiqua ordiois cartusiensis. Basii. 1510 P. ii C, 14 Ber-
nardi Ordo Cluniac. P. i C. xxv; S. Wilehelmi Constit. Hirsaug. L. ii C. lxxi
In: Vetus Disciplina monastica p. 199 et 567. .
(2) Acla Sanelor. Die XVI Januarii. — Bonucci Anton Marta, Istoria del
glorióso martire S. Giuliano Alessandrino Avvocalo de’ Podagrosi. Roma 171 1 8.°
(3) Lex II e III C. Qui morbo se excusant.
(4) Vetus disciplina monastica p. 413.
(5) Rede zur Feier des 43 Stiftungstages des Kgl. med. cliir. tnednch-
Wilhelm-Instituts. Berlin 1837 8.°
340
Alfonso Corradi
mone , T illustre Professore di Berlino considerava non per-
tanto la malattia troppo astrattamente, e slegata dallo stato
del vivere civile, per dare a questo giusto valore, ed am-
mettere che un morbo può proseguire o tante volte ripe-
tersi , quanto durano o si rinnovano le cause che ne favo-
reggiano P esistenza. Inoltre due o più morbi possono lar-
gamente regnare ad un tempo , quando eglino non siano
del tutto contrarii , o come suol dirsi, antagonisti ; cioè onde
svolgersi non richieggano che i corpi siano in Opposte con-
dizioni. Qui non è luogo d5 indagare le comunanze eh5 es-
ser possono fra gotta , lebbra e scorbuto : certa cosa è la
prima di tali malattie essersi associata alle altre due , od
almeno non aver cessato di essere , anche in ampia misura ,
quando queste furono. Nulladimeno non va ommesso , e ciò
torna a conforto del modo nostro di considerare le vicende
de’ morbi , la podagra non aver sempre con egual intensità
tenuto il suo dominio.
Quando il copioso e calefaciente nutrimento, di cui abbiam
detto , smaltivasi da gente che vestiva di ferro , cavalcava
da mane a sera, e di continuo battagliava; che giuocando
addestravasi a percuotere ; ed a cui la caccia era necessità :
quando uomini mondani ed uomini di chiesa costumi avea-
no fieri e maneschi (1); sollazza vansi danzando (2), e dan-
ti) Nel XI ed anche nel XII secolo le ragioni de’ Monaci erano sostenute
col duello {M abillon, Acta Sanctor. Ord. S. Benedicti Saec. IV Pars. II. 395 ) :
gli Arcivescovi di Colonia e di Magonza, onde por citare un esempio, condu-
cevano l'esercito di Federico Barbarossa, e battevano i Romani a Monte-
porzio presso Tuscolo nel Maggio del 1157.
(2) Sunt nonnullae ecclesiae in quibus usitatum est ( nel Decembre ), ut vel
etiam Episcopi , vel Archiepiscopi in coenobiis cum suis ludant subditis , ita ut
etiam sese ad lusum pilae demittant. Atque haec quidem libertas ideo dieta est
Decembrica . ... ( Beleth Joh. , Divinor officior. ac eorumdem rationum bre-
vi* explicalio C. cxx). — Noi semo ora per carnevale, nel qual tempo è le-
cito ai religiosi di rallegrarsi , e i frati tra loro fanno al pallone , recitano com-
medie, e travestiti suonano, ballano e cantano, e alle monache ancora non si
disdice nei rappresentare le feste, questi giorni vestirsi da nomini colle berrette
di velluto in testa , colle calze chiuse in gamba , e colla spada al fianco ( Graz-
zini y Cene. Introduzione ).
Delle diatesi o disposiz. morbose ec. 34-1
zando altresì oravano (1), la gotta dovea necessariamente
essere contrariata. Ma quando dirozzati i costumi, ingenti-
liti gli animi, e fatto men aspro il vivere, i corpi illan-
guidivano nell’ ozio ; quando 1’ opulenza delle mense cresce-
va anzi che scemare, e peregrine droghe e nuovi intingoli
la svogliata gola stuzzicavano , la podagra era doppiamente
fomentata. Tanto avveniva in Grecia ed in Roma come gli
ozii e le pompe tornaron, più care del viver libero ; altret-
tanto in Italia e nell’ Europa tutta allorché la cavalleria
più non armeggiava che cogl’ inchini nelle corti, e le fie-
rezze municipali sciogli evansi negli epitalami d’ Arcadia.
Gosì i lamenti di Cicerone e di Seneca (2) nel seicento
venivano ripetuti (3) : e nel giudicare delle cause della po-
dagra vecchi e recenti autori , medici e non medici mostra-
rono singolare accordo ; 1’ attribuirono ad un vitto soverchia-
mente sostanzioso , i cui tristi effetti , se dal muoversi e dal-
P affaticarsi erano moderati , per le contrarie abitudini peg-
gioravano.
Dai pigri costumi fatto pigro il ventre, il copioso ali-
mento mal digerivasi : ne’ corpi fòrmavasi quello stato spe-
ciale che nelle scuole ha nome di prevalente renosità , nel
quale, insieme agli attributi de’ temperamenti detti venosi,
mostransi lese le funzioni dello stomaco , degl’ intestini e
del fegato. Viziata per tal modo la fabbricazione del san-
(1) Ferie Deo, pueri, laudem, pia solvite vola ,
El pariter castis date carmina festa choreis.
( s . Paulini Nolani, De S. Felice Natal. Carm. III. Op. omn. Veron. 1736
p. 385 — S. Clem. Alexandr. , Stromat. L. vii Oxon. 1715 li 854).
(2) Tascul. Disput. L. II C. 19: Epist. XCV § 20.
(3) Girolamo Gabucini nel Commentario de Podagra , che dedicava al Senato
e Popolo bolognese, annovera (p. 13 Venet. 1569) i podagrosi piò illustri di
que’ tempi e cioè: Manardo, Giulio III, Pio IV, Carlo V, Massimiliano II,
i Cardinali Lorenzo Campeggi, Rodolfo Pio, Pietro Bembo e Bertani, Gio-
vanni Casa Arcivescovo di Benevento, Gio. Battista Doria Rettore della Repu-
blica di Bologna, Guidobaldo Principe d’ Urbino, Francesco Maria Rovere sno
nipote ; ed aggiunge « innumeriqne fere alii heroes hoc malum sensere ».
L’ Olivetano Lancellotti , mentre consente che a’ suoi tempi moltissimi fossero
i podagrosi, mostra che altrettanto fu per lo passato (L’ Hoggidì. Venezia 1658
Disinganno XXXI).
342
Alfonso Corradi
gue, molta è la disposizione alla diatesi dissolutiva ed
alla scorbutica (1) ; ed appunto ne’ passati secoli frequen-
tissime furono le affezioni tifiche e scorbutiche (2). Cade
poi acconcio notare che lo scorbuto apparve epidemico quan-
do la smania dello scuoprire nuovi mondi spinse arditi noc-
chieri in mari sconosciuti , e 1’ igiene navale non ancora
era nata. Ne’ paesi boreali , dove più che in altri luoghi
tal morbo fu comune , assai tardi gli ortaggi vennero col-
tivati (3) , e cibo comune erano le carni salate (4) . All’ an-
tichità non era ignoto , sebbene sotto altro nome , lo scor-
buto; la descrizione dell’ eu ieòg aìpaxit^Q o volvolo san-
guigno ha con lui tale rassomiglianza che forza è dire col
Gruner : nisi scorbutum nostrum ad vivum exprimat , - quid
tandem alìud piane non video (5). Ma delle malattie che
dell’ anzidetto stato di prevalente venosità pajono maggior-
mente proprie , i medici greci e romani lasciarono più am-
pia. memoria : tali sono le varie specie d’ itterizia e di idro-
pe , il malus corporis habitus , 1’ ascite , la timpanite, 1’ ana-
sarca o leucoflegmazia ; ed altresì le varici del ventre e la
pletora venosa. Male comunissimo era la passione cardia-
ca ; ed anche i non medici , tant’ era popolare , suggerivano
i mezzi ed il metodo di curarla (6) : ma i cardiaci non
tanto nel cuore quanto nello stomaco soffrivano « Cardia-
corum morbo unicam spem in vinum esse certum est ». Dice-
vansene cause, fra le molte supposte , anche le indigestioni, la
crapula, il bagno ed il vomito dopo aver mangiato. Non
potendo spingerci più innanzi nello studio di questa miste-
(1) Bosi L., Lezioni di Medie, teorico-pratica) Ferrara 1859 Lez. XXVII e
XXVIII — Bufaliniy Instit. di Patol. Ili 73.
(2) Ciò però non deve far credere Io scorbuto allora tanto diffuso , e di lui
sì inquinati i corpi che ogni morbo n’ avesse la macchia ; quest’ esagerazione ,
fu già dal Sydenham (Observ. med. Sect. vi C t) ed ora dall’ Hirsch com-
battuta (Op. c. I 531).
(3) Hallam , L’Europa nel Medio Evo. Trad. ital. Lugano 1832 V. 135.
(4) Henry Op. c.
(5) Morbor. Anliquit. Vratislaviae 1774 p. 137.
(6) Plin. Hist. Nat. I. XX11I C. 25.
Delle diatesi o disposiz. morbose ec. 343
riosa malattia, termineremo col dire che, secondo Galeno,
la pletora venosa n’ era la principale causa predisponente (1).
Vili. Finalmente s’ oggi tanto comuni sono le malattie
de’ nervi , se i segni di esaltato sentimento ovunque si mo-
strano , se , venia al barbaro vocabolo , generale è il nervo-
sismo , non cerchiamone la causa nel supremo sviluppo dei
corpi nostri ; specie di vecchiaja a cui da gran pezza sa-
remmo giunti noi poveri mirmidoni , se , due mila anni or
sono , il sommo poeta della Natura delle cose con lugubri
versi avvisava
Jamque adeo affecta ’st aetas , effoetaque tellus
Vix animalia parva creat, quae cuncta creavit
Saecla , deditque fèrarum ingentia corpora partu (2).
Spauracchio che poco* dopo 1’ empirico Columella dissipa-
va (3) , e nondimeno ricomparso quante volte il finimondo
fu creduto vicino. Ma come vedemmo le altre diatesi pro-
cedere da speciali condizioni organiche , formatesi per le
cambiate maniere di vivere , egualmente questa di neurosi
è conseguenza delle opinioni, de’ costumi, del vitto nostro;
in una parola è figlia di quella civiltà nella quale viviamo.
Nè qui rammenterò tutte le cause che concorrono a fare
soverchiamente eccitabile il sentimento , onde poi 1’ odierna
società irrequieti ha i nervi, sdilinquisce e convulsivamente
si agita : di codesti , siccome di fatti presenti , a ciascuno è
dato fare giudizio; veramente chi potrebbe dimenticare la
(1) Il Doli. Landsberg di Breslavia ha fatto, non è mollo, accurato esame
del Morbo cardiaco: dopo aver criticato le opinioni di Huxham , di Reiske, di
Hecker, di Seidlitz (che riguardavanlo qual febbre nervosa colliquatiya, feb-
bre etica cardite in corpo scorbutico ) , dichiara , il predetto Morbo cardiaco
non essere che uno stato d’ anemia , e quindi più spesso sintonia e successio-
ne d’ altre specie morbose , di quello che affezione idiopatica e malattia distinta
(Janus 11 106). S’accorda poi con Galeno dicendo « Die Anaemie beruht
auf einer krankhaften Venositat ».
(2) Lucretii, De Nat. Rer L. n v. 11 So-
fà) Non igitur faligatione , quemadmodum plurimi crediderunt , nec senio , sed
nostra scilicet inertia minus benigna nobis arva respondent , licei enira majorem
fructum percipere, si frequenti et tempestiva et modica stercoratiooe terra re-
foveatur (De Re rustica L. ii. C. i).
Ui
Alfonso Corradi
febbre di novità che le moltitudini sommuove, P incontenta-
bilità negli agi , le voglie smodate , le menti ambiziose ,
gl’ instabili reggimenti ? Snervata educazione , donnesche e
infingarde costumanze , congegni meccanici in posto degl5 in-
dividui, i corpi fanno fiacchi e poco gagliardi; sicché le
opere mal rispondono ai baldanzosi desiderii , ed alle ven-
tose parole. I sogni d5 un mondo chimerico svaporando in
faccia alla realtà, continui fanno i disinganni e tediosa la
vita , appena può dirsi è cominciata (1). E nemmeno vo5 ta-
cere di certa cagione che , quantunque non molto ponde-
rata, parmi abbia parte in formare P anzidetto stato gene-
rale di neurosi : dessa è la qualità della comune cibaria ,
soverchiamente feculenta , e , per ciò che vorrebbe il clima
e le condizioni nostre , troppo scarsa di materie azotate , e
soprattutto di carni rosse. Imperocché niun cibo vale a sti-
molare e nutrire come le carni degli animali a sangue cal-
do ; o, per meglio dire , niun5 altra cosa maggiormente di
questa rinvigorisce le forze muscolari, dal ristoro delle quali
principalmente argomentiamo le qualità nutribili degli ali-
menti. Invece le funzioni de5 sensi per il vitto erbaceo ed
albuminoso non indeboliscono gran fatto , talmente che na-
sce giustamente il sospetto alle une esser buon nutrimento
ciò che alle altre è insufficiente riparo (2). Quanto poi
cotale maniera di alimento contribuisca al producimento e
diffusione delle affezioni scrofolotubercolari sonmi ingegnato
mostrarlo in altro de5 mentovati lavori. Certo è che queste
e le nervose sono le malattie oggi predominanti : il trovarle
associate , è cosa comunissima (3). Forse che ciò è semplice
conseguenza dell5 essere scrofola e nevropatia egualmente
frequenti , ovvero anche di secreti legami e di proprietà ad
entrambe comuni? Ogni dubbio sarebbe dileguato se ascol-
tar volessimo certo riputato medico di Francia : « I pazzi ,
(1) In 25,760 suicidii, notati in Francia dal 1835 al 1844, 192 furono
commessi da fanciulli che ancora non avean toccato i 16 anni; e cioè 1 in 134
ovvero 19 l’anno ( Max Durand-Fardel , Etude sur le suicide chez les enfants.
In: Ann. med. psychol. 1855 I 61 ).
(2) Bufcdini , Gp. c. p. 305.
(3) dosi Lr, Op. c. p. 701.
Delle diatesi o disposiz. morbose ec. 34-5
gl’ idioti , li scrofolosi ed i rachitici per la comune loro
origine , per certi caratteri fisici e morali debbono riguar-
darsi come membri della stessa famiglia, rami diversi del
medesimo tronco (1) ». Checché ne sia, tutti sanno che
quando mal nutrito o scarso di sangue è il corpo, e per-
ciò fievoli le forze muscolari , i sensi sono assai presti e
vivaci , anzi negli ufficii loro di meravigliosa efficacia , ben-
ché poscia non molto vi durino. Già anticamente era stato
notato i gottosi non patir convulsioni (2) , nè questo parrà
affetto strano , pensando che i corpi ben pasciuti non pren-
don diletto ai voli della fantasia, e tanto meno si solle-
vano ne* rapimenti e nelle estasi. L’ antagonismo poi fra
gotta e scrofola è stato da mer in debito luogo, sufficien-
temente dichiarato (3).
Le quali cose non voglion dire ne’ passati secoli , in cui
più sostanzioso era il vitto , e men riposati costumi , le molti-
tudini mai essere state come affascinate da alcune idee , e
conformemente ad esse aver operato : negarlo sarebbe igno-
ranza o follia ; e tant9 è la potenza de’ principii eh’ eglino si
svolgono e fecondano anche ne’ tempi che men pajori loro
propizii. Nulladimeno piacemi notare la differenza fra ciò che
diremo epidemie psichiche d9 una volta e le presenti ; dif-
ferenza che sembrami derivare dallo stato diverso de9 popoli
che quelle soffrono. E per verità mentre noi silenziosi evo-
chiamo gli spiriti , ne numeriamo i battiti , ed aspettiamo
che le tavole si muovano ; i millenarii nel X secolo s9 av-
viavano alla Palestina quasi a sollecitare il tremendo giu-
dizio (4) : nel XIII secolo migliaja di fanciulli abbandonate le
madri, prendevan, gridando Dio lo vuole, la croce (5): quindi
(1) Moreau de Tours , La psychologie morbide dans ses rapports aree la
philosophie de 1’ histoire , ou de l’ influence des nevropathies sor le dynamisme
intellectnel (Ano. med. psychol. 1860 VI 166).
(2) Amati Lusitani, Cu rat. medie. Cent. V. Cor. 29 — De Liberati $, Po-
dagra Politica. Norimbergae 1659 p. 7.
(3) Come le affezioni scrofololubercolari sìansi oggi fatte più comuni y 8.
(4) Mosheim , Hist. Ecclesiast. Yverdun 1776 n 307.
(6) Becker , Kinderfahrten. Ein hist. pathol. Skizze. Berlin 1845 8.° —
Haeser Op. c. 176 — Ruggiero Bacone ne incolpa i malefizii astrologici dei
Tartari e de’ Saraceni (Opus majus. Venet. 1750 p. 189).
T. I. ^
346
Alfonso Corradi
apparivano i flagellanti e i danzatori (1). Specie d1 * * * 5 insania
che ben s’ accordava con que5 corpi di ferro ; maniera di
culto che la fierezza degli animi esprimeva; imperocché le
credenze religiose elleno pure fanno parte della vita de’ po-
poli, e ne sono una delle tante manifestazioni.
Qui giunti epiloghiamo: l.° Le diatesi dominanti non
sono sempre le medesime , ovvero le malattie o disposizioni
morbose nel volger de* secoli si mutano.
2. ° Questi mutamenti non offendono la natura propria
deli5 uomo che è immutabile , ma ne variano soltanto i modi.
3. ° Le diatesi sono stati organici, sono effetti non d’in-
timo e fatale svolgimento della .specie umana, bensì di con-
dizioni individuali risultanti da peculiare maniera di vive-
re, e come questa varie e mutabili.
4. ° Questa maniera di vivere essendo generale, la dia-
tesi dell5 individuo diventa diatesi della moltitudine o po-
polarè , e ciò tanto più facilmente che gli stati organici ,
in cui hanno ragione le diatesi stesse, per eredità si tra-
smettono.
5. ° Due ed anche più diatesi, quando non siano in an-
tagonismo, possono insieme sussistere.
6. ° Le diatesi possono riguardarsi come altrettante mani-
festazioni della vita e civiltà de5 popoli.
IX. Se dal fin qui detto è dato travedere come la malat-
tia possa entrare quale elemento formativo ne5 sistemi me-
dici ; or toccami mostrare che dessa realmente vi prende
parte. Ma innanzi di recarne le prove tratte dalla Storia
medica , sembrami opportuno addurre alcune considerazioni ,
onde meglio disporre la mente ad accogliere quella sentenza ,
e ad acquietarvisi , siccome suole , allora che di alcuna verità
faccia acquisto.
(1) j Becker, Die Tanzvuth. Berlin 1832 8.° — Intorno la setta dei Dan-
zatori V. Balu ziu s , Pontif. Avenion I 485. — Forstenau nella sua opera
« Die chrisllichen Geisslergesellschaften (Halle 1828 8.°) » quantunque erudi-
tissima, non parla dei Flagellanti rossi . GPinstituì S. Filippo Benizzi, rappattu-
mate le civili discordie in Pisloja ; e vestilli di cappe rosse acciocché gli occhi
rammentassero loro continuamente il sangue sparso di innocenti [Gianii, An-
nal. Ord. Servor. Cent, i L. iv C. ▼).
Delle diatesi o disposiz. morbose ec. 34-7
Per quanto connesse siano le scienze fra loro, per
quanto dipendenti dal comun modo d’ intendere le cose ,
esse contemplano oggetti cotanto diversi da poter assume-
re particolare carattere e godere vita propria: appunto
come le nazioni che, quantunque uscite dalla medesima
razza, hanno sembianze e linguaggio diversi. Inoltre le
scienze seconde si collegano alla scienza prima , alla filoso-
fia , con cert’ ordine ; e nella stessa guisa che nel viver ci-
vile, v’ ha in loro la gerarchia, la quale non può distruggersi,
ed i cui membri , se 1’ uno mette nell’ altro , non però si
confondono. Può quindi una scienza assumere nella parte
sua speculativa nuova direzione , e cambiare insieme le opi-
nioni e le pratiche che ne discendono, senza che pari mu-
tamento sia avvenuto in ogni ramo del sapere : ecco come
una scienza od arte può solitaria progredire quando le al-
tre stanno ferme o per via contraria camminano : in certi
momenti soltanto è dato 1’ impulso che tutte commuove ,
e quest’ è opera piuttosto che d’ un sol uoitìo, di parecchi;
anzi frutto delle fatiche di molte generazioni , del tempo
e d’ un cumulo di favorevoli circostanze. Nella formazione
quindi d’ ogni sistema , nell’ ordinamento di qualsiasi scien-
za debbon concorrere più fattori o coefficienti che dir si vo-
gliano , diversi essendo gli oggetti che le scienze stesse
contemplano , e diversi i loro fini : può dirsi lo sviluppo
delle singole dottrine essere un fatto complesso, mosso da
parecchi impulsi , alcuni de’ quali sono esteriori alle mede-
sime , altri intrinseci ; questi sorgono dal seno stesso della
scienza , quelli si trovano nella cooperazione di tutti gli
elementi che la civiltà contemporanea costituiscono; tutti
poi assumono certo generale carattere e speciale inflessione
dalla dominante filosofia o da quella almeno che alla loro
sintesi ha presieduto (1) : e ciò fa che una scienza risponda
(1) Quindi Vittorio Cousiu ha potuto dire: conosciuti gli elementi esterni
d* un secolo , può eziandio conoscersi quale ne sia stata la filosofia ; ovvero ,
e meglio ancora , saputa la filosofia d’ un’ epoca possiamo determinare il ca-
rattere di tutti gli elementi esterni dell’ epoca stessa ( Introduction à P Hist. de
la philosophie. Paris 1861 p. 62 e 64).
348
Alfonso Corradi
all’ indole de’ tempi, ovvero se ne scosti e la contrari.
Il non tener conto di tutti questi momenti è causa che
la storia del cammino di qualsiasi ramo del sapere riesca
parziale ed imperfetta; il Saucerotte (1) e T Henschel (2) ad
ad esempio , per parlare di medicina , non avendo conside-
rato nell’ evoluzione di questa che elementi estrinseci ( anzi
F uno unicamente il filosofico e F altro il religioso ) , d’ al-
cuni avvenimenti soltanto poterono dar ragione. Bello ed
assai utile lavoro sarebbe mostrare quanti e quali coefficienti
abbiano operato nella formazione delle varie dottrine medi-
che : vedrebbesi che a pienamente intenderli d’ uopo è an-
dar oltre la comune chiostra della scienza , ed investigar le
condizioni non solo de’ tempi in cui i sistemi stessi fiorisco-
no , ma altresi quelle de’ passati ; imperocché egli non sono
già altrettante Minerve che nascano armate, ma frutto o di
verità o di errori il cui seme , assai di sovente , da lunga
pezza fu gettato. In breve, F illustrazione d’ un sistema scien-
tifico , particolarmente se medico , è 1’ esposizione ancora
delio stato fisico, morale e civile del popolo fra cui esso ha
origine. Ma questo tema è sì vasto che nonqmò contenersi
ne’ confini assai angusti segnati al mio lavoro ; di modo
che è forza non mi discosti dal primo assunto , e mi con-
tenti mostrare che veramente la malattia concorre a formare
i sistemi medici. La quale dimostrazione è non poco im-
portante^ la malattia essendo elemento interiore , e così in-
trinseco della scieiizar-iiostrà , che dall’ oggetto stesso di lei
scaturisce; e tanto più questa dimostrazione diviene im-
portante, che dell’ anzidetto elemento poca o niuna stima
sin qui s’ è fetta. E "giacché F esistenza de’ principii non
è palese , od almeno non ha per noi valore , che dagli ef-
fetti che ne derivano , da questi indurre si possono quelli ;
e nel caso nostro dalla diversità della pratica , argomente-
remo le dottrine che in tempi diversi hanno dominato la
(1) Kev. med. Janv. 1846.
(2) Ueber deu Charakter der Medizin bei den aeltesten Volkern. Breslau
1836 8.°
Delle diatesi o disposiz. morbose ec. 349
medicina : e di ciò la ragione è le opere nostre sempre
ubbidire a concetti razionali , e la scienza e F arte mutua-
mente sostenersi , ed insieme cospirare.
X. A purgar il corpo, e ad evacuare gli umori inten-
deva principalmente la medicina de5 Greci e de5 Romani ,
anzi ogni più antica medicina. Gli emetici formano distinto
capitolo nell5 Ayur Veda di Susruta ; il salasso ed i catar-
tici sono i principali rimedi d5 Ippocrate (1) ; F elleboro
valeva presso che una panacea nelle mani degli antichi medi-
ci (2); ed il vomito era espediente che alla golosità degli
ottimati e de5 plebei grandemente giovava (3) : come facil-
mente muoverlo, come regolarlo e contenerlo da Celso con
bellissime parole ci è esposto. Il vomitare oltr5 essere rime-
dio era anche consuetudine : coloro che praticavanla doveano
seguire alcuni precetti sì dispetto ai cibi ed al bere , che
al passeggiare , al bagnarsi ed all5 ugnersi. Lo stesso Aulo
Cornelio biasima il vomito se quotidiano , lo consiglia per
due giorni ogni mese , lo prescrive a chi abbia gli occhi
cisposi, abbondante lo sputo, amara la bocca, o sia per mutar
paese (4). Le malattie dello stomaco e degl5 intestini sono
diffusamente trattate dai medici dell5 antichità ; i vizii de-
gli umori e le lesioni degli organi che più direttamente
servono all5 opera della nutrizione sono riguardate come la
radice od il fomite di presso che ogn5 altro morbo. Per la
scuola ippocratica che è mai il processo morboso? Una di-
fi) Dierbach, Die Arzneimittellehre des Hippoerates. Heidelberg. 1824 8.°
— Raudnitz , Materia medica Hippocratis. Dresd. 1843 8.° — « Dejectionem
autem antiqui variìs medicamentis, crebraque ahi ductione in omnibus fere mor-
bis moliebantur (Celsi, De Medie. L. ii C. xii De Dejeetione).
(2) Schulze Jo. Henr. Diss. hist. med. de helleborismo veterum. Hall. 1717 4.°
(3) La purgagione per mezzo del vomito era usata ancjie dagli Egizii: Erodoto
ne fa menzione. — A votare lo stomaco noi avremmo imparato ( secondo coloro
che ci fanno discepoli de’ bruti ) dal cane , siccome ad aprirci la vena dall’ ip-
popotamo ( Plinti , Hist. natur. L. yih C. 26. L. xxix C. 14): ma il ventre
ripieno non ha d’ uopo d’ esempio per recere. Così Mosè al suo popolo , avi-
do di mangiar carne dice, ch’ei ne mangerà per un mese intiero, finché gli
esca per le nari, e l’abbia in abbominio (Num. XI 20).
(4) Celsi, Op. c. L. I C. 3. De vomitu.
350
Alfonso Corradi
gestione. Quali vocaboli esprimono le varie fasi del processo
medesimo? Gli stessi che convengono alle funzioni digesti-
ve. Ma la famosa teorica della cozione sarebbe anche più
vecchia di dieci secoli , e pensiero degli Orientali anzi che
de’ Greci (1). Comunque sia, questa dottrina non discorda
certamente col carattere degli uomini e de’ tempi d’ allora:
sovvenganci gli eroi d’ Omero , le loro sacre . ecatombe , ed
anche il buon' appetito con cui a queste era posto fine.
Gli arabisti ed i medici galenici con que’ sciloppi e lat-
tovari non altro guardavano che a depurare e correggere
gli umori, imaginando nell’ interno de’ corpi quelle mede-
sime impurità che sulla pelle e fuori d’ ogn’ intorno vede-
vano. Quindi con la più scrupolosa attenzione osservavansi
gli espurghi del ventre ; le qualità dell’ orina formavano la
parte più preziosa della semejotica ; dal solo segno traevasi
la diagnosi : nè i boriosi dottori di Salerno e di Mompelieri
s’ offendevano d’ esser chiamati fisici delle orine ; anzi il giu-
dicar queste era di loro ufficio sì proprio, che niun altro
sei dovea arrogare (2). Il vajuolo ed il morbillo facevansi na-
scere dall’ impuro sangue mestruo che , nella gravidanza
trattenuto , serviva a nutrire il feto (3); laonde quelle era-
no malattie purgatorie a cui pochissimi sfuggivano (4) : i
maggiori guai dalla ritenzione del liquore prolifico deriva-
vano (5) ; la Venere diveniva necessaria ond’ evacuare le
(1) La cozione digestiva è espressa dalla parola sanskrita pacti , la di cui
radicale è pac che significa cuocere, donde mutata la gutturale in labiale i
Greci fecero pessó peptos, e noi pepasmo , pepsia, pepsina (V. Bopp , Glos-
sa ri uni. 2.a Ediz. Berolini 1847 , alla radicale Pac. — Pucinotli, Stor. della
Medicina I 50 ).
(2) 11 Doti. G. G. Alvisi nelle Considerazioni documentale sull9 arte medica
e sul personale sanitario di Venezia dal X al XV secolo (Giorn. Veneto di
Scien. med. A. 1858 XI 463-500), dà l’estratto del giuramento che ogni
medico, chirurgo e farmacista prestar dovea al magistrato della Giustizia;
fra le altre cose è detto : « Nullus apothecarius audeat medicare neque urinam
indicare ». — La Novella CLXY1I di Franco Sacchetti merita d* esser letta
a proposito di uroscopia e di uromanzia.
(3) Avenzoar. V. Gruner , De variolis et morbillis fragraenta Medicor. Ara-
bistar. Jenae 1790.
(4) Valescus de Taranta, Gruner Op. c. p. 42.
(5) Coitus habet necessitatem in expulsionem superfluitatis tertiae digestivae ,
Delle diatesi o disposi^, morbose ec.
351
superfluità e conservarsi sani (1). Come v’ era un* 1 2 3 4 5 6 7 indica-
zione generale nella cura ( correggere gli umori ) , v’ era
altresì un rimedio cattolico > cioè i purganti ed i minorati-
vi : e que’ medici sapevano sì bene conciliare le golose
voglie de’ loro clienti co’ bisogni della malattia , che inven-
tarono non le chicche, ma i capponi purgativi (2). A questi
patti o transazioni era pur forza venire : trattavasi d’ uo-
mini che mentre affermavano conoscere le cause de’ loro
mali , questi piuttosto soffrivano , che quelle , benché il
potessero , rimuovere. Così , ed è un medico che parla ,
dopo averci detto che i sollazzi amorosi procacciano le do-
glie articolari , conchiude c< melius est per decennium vitam
abbreviare, quam esse tanlae dulcedinis inexpertem (3).
Nè F anzidetto purgare toglieva il salasso ; anzi assai è
di frequente tagliavasi la vena , ovvero la cute con le cop-
pe scarificavasi. Per siffatte operazioni il Regimen Sanitatis
indicava i tempi e le ore più propizie : senza grave necessità
di notte non si doveano praticare ; sul declinare della luna
salassavansi i vecchi, nel novilunio i giovani (4). A perio-
diche missioni di sangue religiosi e laici , uomini e bestie ,
erano sottoposti (5): cacciar due libbre di sangue parve
giusta misura (6) ; ed in ogni malattia , solita od epidemica ,
era consuetudine incominciare la cura flebotomando (7). Co-
loro stessi che tanta profusione biasimavano , trovavano poi
quare competit in sanitatis regimine In actu vera coitus nullo modo reti-
neatur sperma , quia hoc pevducit ad destructionem unius testiculorum ( Arnaldi
Villanovani , De Reg. Sanitat. C. vi. Op. omn. Basii. 1585 p. 692).
(1) Retentio spermatis in muliere saeviora inducit accidentia, ut suffocalio-
nem et ideo spermatica materia superaddita corrumpitur , et in naturam
veneni transit. (Savonarola, Pract. major. Tract. vi C. xx Rubr. 34.).
(2) Guainerii Ant. , Practica. De Passionib. Stomachi C. li.
(3) Guainerii, Op. e. De Aegritudin. Junctor. C. n.
(4) Arnaldi Villanovani, Op. p. 667.
(5) Di queste asserzioni non do qui le testimonianze, doveudo tornar sopra
siffatto argomento io altro lavoro, « Storia del Salasso nel Medio Evo » che
non molto tarderà a venire alla luce. .
(6) De Vinario, De Peste L. hi. Lugd. 1552 p. 167 (Ed. Delechamp).
(7) Wieri Joh. , Observ. L. ii. De pestil. et epid. tussi.
352 ©ELLE DIATESI O DISPOS1Z. MORBOSE EC.
pretesto per iscusarla negli stessi morbi pestilenziali (1):
Botallo a’ suoi tempi non fu smodato quanto pare a’ dì no-
stri ; egli ebbe seguaci moltissimi (2) , tanto più che quel
sanguinare non era nuovo (3). Taccio di altre pratiche che
mostrano come la medicina partecipasse della fierezza degli
uomini , cui ella intendeva soccorrere ; dirò soltanto che
colle catene e colle verghe curavansi i maniaci (4) , e che
mezzo d’ingrassare erano le battiture (5). E poteva mai es-
sere altrimenti la medicina in tempi in cui fin ne’ fanciul-
leschi sollazzi , tant’ eran truci , pregustavansi , dirò così ,
i tormenti delle gabbie de’ Torriani , dei forni di Monza ,
delle quaresime de’ Visconti (6) ?
XI. Le anzidette ed altre maniere di medicazioni che
non son le nostre , o dalle nostre si scostano , oltre conve-
nire alla tempra degli animi e de’ corpi d’ allora , alla qua-
lità delle dominanti malattie erano altresì proporzionate ,
e da loro per molta parte richieste; di guisa che prescri-
vendole non tanto alla scuola quanto alla natura obbedivasi.
Che anzi le teoriche ed i sistemi acconciavansi con quegli
stati morbosi ; cioè anche la malattia era di loro parte od
(1) 11 Vinario {Op. c. p. 180 ), che fu contemporaneo di Guido da Cau-
jiaco ed Archiatro di tre Papi in Avignone, mentre crede generalmente nocivo
il salasso nella peste ^ lo commenda però ne’ cherici che vita lauta ed epicu-
rea conducevano.
(2) Mazzuchelli , ScriU. ital. — Botallo.
(3) 1 medici Spagnuoli erano larghi salassato», può credersi che Botallo
sia stato mosso dal loro esempio (Cratonis, Epist. L. ii Francof 1671 p. 243).
(4) Celso avea detto che 1’ audacia d’ alcuni pazzi : « coercenda est : sicut in
his fit, in quibus continendis plagae quoque adhibenlur (Op. c. L. ni C. 18):
Valesco di Taranto proponeva di curare il pazzo per amore colle busse, coi
digiuni e colle catene (Philonii L. i. C. 11).
(5) Mercuriali s, Gymnast. L. iv C. 9.
(6) A Galeazzo 1 toccò" fare sperimento delle orride carceri da lui costrutte ,
siccome Napoleone della Torre ebbe la morte in quella gabbia di ferro in cui ,
a guisa di fiere , faceva serrare i suoi nemici. Galeazzo II or mntilando il con-
dannato, ora interrompendone il martorio prolungava il supplizio fino ai 40
giorni; e ciò era la Quaresima: il fratello Bernabò per non esser da meno
inventò la Graticola ardente; la vittima era chiusa in una grata a modo di
botte, che con un manubrio girava sopra lento fuoco. II pronipote di questi
Visconti , Gio. Maria , faceva divorare uomini da mastini affamali.
Delle diatesi o disposiz. morbose eg. 353
elemento ; ed ella v’ entrava non dopo lunghe meditazioni
ma come secretamente , adottata per quell’ istinto o senti-
mento che occultamente alla verità ci trae. Ecco nuovo
motivo per ispiegare il lungo regno dell’ umorismo ; il quale
non fu sempre usurpazione, mentre che, almeno a tal grado,
lo sarebbe oggi in cui non sono quelle putrescenze o quelle
morti nere, in cui le stesse malattie hanno sede più ri-
stretta, corso più lento o natura meno maligna. E le dot-
trine umorali , meglio che in altro tempo non ci sembran
vicine al vero , quando qualche epidemia od altro malore
ci riconduce a quelle triste rimembranze? Il linguaggio di
noi medici, allorché pochi anni or sono la tremenda peste
del Gange afflisse le contrade nostre , non ritornò per mol-
tissimo simile all’ antico?
Il solidismo d’ Asclepiade e de’ Metodici venne in bore
declinando la Repubblica , e mutati essendo ne’ Romani
per fasto ed opulenza animi e costumi. Le blandizie del
medico di Bitinia dovean essere assai care a gente che
Arcagato il Carnefice avea spaventato : non erano più gli
uomini che i patrii campi o difendevano o coltivavano ; ma
altri che con Orazio avrebber cantato il viver giocondo,
con Catullo i Giovenzi e le Lesbie basiando (1). Se il pre-
cetto di medicare jucunde non era nuovo ; non prima però
avea formato 1’ impresa d’ una scuola (2) : e benché non
(1) . . . . sine amore, ioeisque
Nil est iucundum: vivas in amore, ioeisque.
Yive. . . . ( Horat. , Epist. L. i n. 6 ad Numicium ).
Interea, dum fata sinunt, iungamus amores;
Jam veoiet tenebris mors adoperta caput (Tibulli L. i. Eleg. 1 v. 69).
Intorno alle parole basium , bastare, e basiator V. il Carm. V ed il XLVIII
di Catullo, gli Epigr. 69 (L. XII) e 98 (L. XI) di Marziale ecc.
(2) Nel libro ippocratico de Acutorum viclu manifestamente trovasi la cele-
bre formola Àsclepiadea tufo, cito et jucunde. « Quae recte procedunt opera,
ea quoque singula recte tacere oportet; quae celeritatem postulant ea quoque
celeriter ; et quae pure, pure; et quae citra dolorem administrari desiderant,
ea quammaxime sine dolore tacere. » ( § 7 nell’ ed. d’ Ippocrate e di Galeno
del Charterio, e 2 nell’altra di Littré).
T. I.
45
354
Alfonso Corradi
sempre gradevoli fossero le cure Asclepiadee gl’ infermi
ebbero allora inusati lenimenti (1) : le molli fregagioni as-
sopivano il dolore, ed i letti pensili con piacevole movi-
mento addormentavano. La materia medica , che nelle mani
di Catone può dirsi non contenesse se non il cavolo ed il
vino , più tardi diveniva mostruosa per la copia e la stra-
nezza delle sostanze a cui qualche virtù sanatrice attribui-
vasi (2) : nelle varie confezioni volevansi la raffinatezza e
le delicature alle quali gli Apicii aveano assuefatte le gole
romane ; e schifiltoso , chi prima spirava V aglio e la ci-
polla (3) , i farmaci inghiottiva sol quando fossero dolciume :
Leniat ut fauces medicus , quas aspera vexat
Assidue tussis, Parthenopaee , tibi ;
Mella dari , nucleosque jubet , dulcesque placentas.
Et quidquid pueros non sinit esse truces (4).
Tale divenne la medicina ; i destini suoi seguirono la
fortuna e le inclinazioni mutate del popolo sovrano : cotanto
era scaduta la pubblica salute ed i corpi de* 1 2 3 4 5 giovani sì fiacchi
ed abbiosciati « ut nihil mors mutatura videatur (5) » ! E qui
potrei istituire , se già non mi dovessi affrettare a por fine
al discorso , un curioso parallelo fra la medicina d’ allora è
Ceiso avea già notato Asclepiade nulla aver trovato « quod non a vetustis-
simo authore Hippocrate paucis verbis comprebensum sii. » (Celsi, Op. c.
L. ii C. 14).
(1) Convellendas etiam vires aegri putavit ( Asclepiades ) , luce, vigilia, siti
ingenti ; sic ut ne os quidem primis diebus elui sineret. Quo magis falluntiir ,
qui per omnia jucundam ejus disciplinam esse concipiunt. Etenim ulterionbus
quidem diebus cubanttó etiam luxuriae subscripsit , primis vero tortoris vicem ex-
hibuit ( Cebi , Op. c. L. Ili C. 4 ).
(2) 1 10 libri di Galeno intitolati He pi ZvvSteaeos Gappaxav tov xara rojcovè,
ben danno a conoscere come caduta fosse in basso la medicina : le panacee , le
teriache, i roalagmi e le varie composizioni stercoracee aveano fatto dimenti-
care F igiene , facendo credere onnipotente F arte.
(3) «Atavi nostri cum allium ac caepe eorum verba olerent, tamen optime
animati erant ». (Varr. apud Non. 3. 07 ).
(4) Martiri. , Epigr. L. xi n. 86.
(5) Columel. , De Re rustica Praef.
Delle diatesi o disposiz. morbose ec.
355
P odierna, T una e P altra compiacendosi de’ medesimi
principii ed usando degli stessi mezzi. Quest uniformità
poi trovandosi eziandio in argomenti che non sono neces-
saria conseguenza della natura del sistema ( p. e. il frequente
uso de’ sonniferi e de’ calmanti), fa mestieri, non poten-
dola attribuire a semplice accidente, derivarne la ragione
dalla maniera di vita de’ popoli d’ allora e d’ oggi , e dal
grado di loro civiltà. Così quando considerassimo le circo-
stanze in mezzo alle quali sono sorte le due dottrine me-
diche di Temisone e di Brown (le cui affinità sono sì conte
che neppur è d’uopo farne cenno), noi troveremmo sin-
golari rapporti , non soltanto rispetto alia qualità della do-
minante filosofia, ma altresì allo stato morale e fisico dei
popoli. Basti il dire, Roma essere ai tempi di Cesare e dei
Triumviri ; ove al Dittatore e Pontefice Massimo il poeta
scagliar poteva P apostrofe cinaede Romole (1) : Francia poi ,
e presso che Europa tutta , vivevan guardando alle turpitudi-
ni in Corte del Reggente, pensando cogli Enciclopedisti ed ai
motteggi degli spiriti forti plaudendo. Giovanni Brown pei
costumi fu senza dubbio conforme al secolo : e ad uomini
svigoriti di mente e di corpo non poteva non riescir caris-
simo un sistema che , lusinghiero per le facili spiegazioni ,.
ovunque scorgeva debolezza, e la vita considerava al tutto
dipendente dagli stimoli. Ed affé che tale soggezione dovea
esser sentita quando , con universale terrore, il viver od il
morire stava in balìa anzi che della Natura, di alcuni uo-
mini; e la tirannide, benché senza porpora e diadema, i
furori e gli eccidii neroniani rinnovava!
Ma più particolarmente guardando alla civiltà nostra, la
troviamo di tale sorta, che > come ho già detto, fa i ner-
vi più di qualsiasi altro organo o sistema d’ organi at-
tuosi ; donde poi la particolare eccitabilità e disposizio-
(1) Catul. Carm. XXIX. — Che Catullo alludesse a G. Cesare è probabi-
le; che vi potesse alludere, potevalo benissimo, Svetonio apertamente avendoci
detto quali fossero i costumi del sommo Capitano (in Jul. $ 49 e 52 ) , che fa pur
detto, senza dubbio per iperbole, il marito di tutte le mogli , e la moglie di
tutti i mariti.
356
Alfonso Corradi
ne morbosa; a vincere la quale i farmaci nostri sono par-
ticolarmente rivolti, sicché del dolore pare non piu vo-
gliasi che lo spauracchio. Questa diatesi dominante non
solamente dà segno di sua esistenza in medicina , sug-
gerendo nuovi rimedii o variando gli antichi, ma eziandio
perciò che riguarda i principii supremi o direttivi della
scienza : quindi F origine e la formazione della malattia
trovansi nel disordine delle potenze nervose , siano i nervi
gli eccitatori o soltanto i moderatori delle attività vitali ,
sia il sistema nervoso il rettore dell1 2 3 4 5 organismo, ovvero il
vincolo fra le varie e distinte parti del medesimo (1). Al
Giacomini parve aver afforzato la così detta dottrina me-
dica italiana , facendola scaturire dal sistema ganglionare ;
altri riputaronsi benemeriti del genere umano spacciando
estratti o tinture onde rinvigorire gli accasciati nervi. E
questo concetto di universale dominazione della facoltà
di sentire è oggi tanto accetto, che anche i non medi-
ci fangli buon viso : Rosmini , F altissimo filosofo , avea
supposto inerente il sentimento ad ogni elemento della ma-
teria (2) ; ed avvisava formarsi la malattia perchè una forza
incongrua al sentimento ed all5 istinto vitale , sovra lui
operando ne turba le condizioni normali (3). Finalmente è
pure stato testé sostenuto la potenza con la quale certi
uomini singolari dominano le moltitudini , e le volgono a
loro arbitrio, nuli5 altro essere che un modo di neurosi. (4).
Così oggi accadeva quel che in altri tempi è avvenuto ,
e cioè le malattie popolari o le dominanti disposizioni mor-
bose concorsero a formare la scienza, e a darle ordinamento.
Tanto appunto volev5 io dimostrare , nè l5 assentirvi , cre-
do, sia duro, riflettendo come veramente ogni nostra fat-
tura partecipi delle qualità delle cose in mezzo alle quali
(1) Spiess , Die pathol. Physiol. und Herr Prof. Rud. Virchow. Frankf. a
M. 1858 p. 22.
(2) Psicol. § 602.
(3) Psicol. P. ii L. ▼ C. xii Art. ii.
(4) Moreau de Tours, Op. c. — V. la critica che di questo libro ha fatto
il Flourens nel Jonrn. des Savans 1860 p. 393 e 171.
Delle diatesi o disposiz. morbose ec. 35 7
essa si forma o si compie , e che lo scribo in aere romano
del Baglivi (1) , è avvertimento, purché inteso colla debita
ampiezza, da aversi sempre presente da qualsiasi autore, co-
me da chiunque voglia su le altrui opere dare sentenza.
XII. Ciò posto , anche più agevolmente si comprendono
non solo le congruenze della medicina con la natura de* luo-
ghi e colla fortuna de* popoli ; ma altresì i motivi delle
sue vicissitudini , e le ragioni di essere dei vari sistemi nelle
varie epoche della medesima. Nulladimeno se questi furono
d9 alcuna utilità, perchè confacenti ai bisogni de9 tempi in cui
sorsero , non devesi , per soverchia brama dell9 ottimo , oc-
cultarne gli errori. Anzi que9 sistemi che meglio pajono cor-
rispondere in certi momenti alle esigenze degli uomini e
della scienza, hanno assai volte il grave vizio di riguar-
dare costante ed essenziale , ciò che altro non è se non
transitorio ed accidentale : quindi le esagerazioni dell9 umo-
rismo e del solidismo , la sterminata potenza delle dottrine
neurologiche. Or bene perchè tal organo o tal apparato or-
ganico più spesso e più facilmente degli altri ammala , non
è motivo per cercare in esso soltanto le ragioni della sa-
lute e della malattia : cotal fatto non isvela l9 essere pro-
prio di queste , ma soltanto le modificazioni , o gli stati
diversi eh9 elleno possono assumere; conciossia che la vita
è nell9 intero organismo , e tutte le membra ne sono fra
loro collegate , siccome le funzioni mutuamente s9 ajutano ,
e tutte stanno a guarentigia di ciascuna; dando mirabile
esempio di quella profonda e vasta armonia che Pitagora
disse moderatrice e sovrana dell9 universo (2). La natura poi
dell9 uomo è sempre la medesima : soltanto nel corso dei
secoli le molteplici sue facoltà possono variamente svol-
li) 11 Puccinotti p. e. ha mostrato come la natura delle malattie endemiche
in Roma , abbia contribuito a formare tanto la teorica quanto la pratica d’Ascle-
piade (Stor. della Medie. 1 604).
(2) Qui cadono acconcie le belle parole di Torquato Tasso, esimio filosofo
quanto sommo poeta: « in ogni ordine vi è una comunanza, e quasi una con-
giunzione , la quale dipende dall’ unità nella moltitudine , ed ogni moltitudine
▼i si riduce all’unità. » (La Molza, ovvero dell’Amore — Dialogo).
358
Alfonso Corradi
gersi , costituendo caratteri e gradi diversi di civiltà. Ed
un sistema antropologico , e quindi medico , onde possa
dirsi completo , fa d’ uopo riguardi quella costanza e quella
variabilità, mostri la perpetuità delle leggi non escludere
la diversità nelle manifestazioni ; talmente che ei medesimo
rimanendo saldo si modifichi , e modificandosi non si di-
strugga.
Ma P intelletto nostro più presto vede P ideale dell’ ot-
timo , di quello che possa raggiungerlo ; e tant’ è la sua
imperfezione, che sempre accade trovar giuste le parole del
Poeta :
« Video meliora, proboque , deteriora sequor ».
Quest’ avvertenza valgami ad ottenere dal lettore di-
screto giudizio.
Delle diatesi o disposiz. morbose ec. 359
SOMMARIO
i. Ragione di essere della Patologia storica: modo di conside-
2. Le mutazioni di diatesi, od i diversi stati morbosi che in noi
succedettero, non sono manifestazioni delle varie età del-
T umana specie ...» 321
3. Come le anzidette diatesi si formino e nell’ individuo e nelle
moltitudini » 325
4. Se di ciò possan essere causa le variazioni del clima ...» 327
5. Queste cause vanno cercate nella civiltà e maniera diversa di
vivere de’ popoli » 330
6. Lo si dimostra con gli esempi della lebbra e della peste bu-
bonica » 332
7. Con gli altri della gotta, delle affezioni scorbutiche . ...» 336
8. delle neuropatie , della scrofola e tubercolosi. —
Varietà delle epidemie psichiche. — Epilogo .... » 343
9. Come la malattia entri a formare i sistemi medici .... » 346
10. La medicina e le dottrine mediche sono in armonia, cogli stati
morbosi predominanti ; se n’ hanno le prove considerando
la medicina degli antichi , e quella dell’ età di mezzo . » 349
11. Altrettanto risulta guardando alla presente: rapporti fra questa
e quella de’ Romani negli ultimi anni della Repubblica, e
sotto i primi Imperatori . »-352
12. Importanza delle precedenti considerazioni per lo studio della
Storia della medicina , e la miglior intelligenza de’ suoi
sistemi » 357
DEI MOTI GEOMETRICI E LORO LEGGI
NELLO SPOSTAMENTO
DI UNA FIGURA DI FORMA IN VARI ARILE
nmm
DEL
PROF. DOMENICO CHELINI
(Letta nella Sessione del 13 Marzo 1862).
Come nella parte elementare della geometria per effet-
tuare la sovrapposizione delle figure s’ impiega il moto, ora
di traslazione , -ora di rotazione s ed ora misto , così nella
parte analitica parrebbe naturale che si dovessero ricercare
e mettere in aperto le leggi che presiedono ai detti moti ,
siccome quelli che sono di natura meramente geometrica ;
o si compiano essi successivamente , o contemporaneamente.
Eppure queste leggi , che formano il vero anello di unione
tra la geometria e la meccanica ; che hanno applicazioni
estese e svariate nell’ una e nell’ altra scienza ( come ap-
parisce dalle opere dei Sigg. Chasles , Poinsot , Gaetano
Giorgini, O. Rodrigues , Mobius); che scaturiscono quasi
spontanee , chi vi ponga mente , dalle formole date nel
secolo scorso dal grande Eulero (*) ; queste leggi, dico,
sì semplici , sì belle , sì utili a conoscersi , sebbene in parte
(*) Formulae generales prò translatione quacumque corporum rigidorum ( Nuo-
vi Commeotarii dell’ Acc. di Pietroburgo, anno 1775, 1776).
t. i. 46
362
Domenico Chelini
siano passate sotto il nome improprio di Cinematica per
entro alla Meccanica , tuttavia non si vedono ancord discen-
dere, per quanto è a mia notizia, nella sede loro propria,
assegnata dalla stessa loro indole tutta geometrica, voglio
dire negli Elementi della geometria analitica.
Quindi ho creduto che si farebbe opera di non dubbio
giovamento lo stringere in una teoria affatto elementare
le leggi de9 moti geometrici, massime rispetto a ciò che
hanno di più vantaggioso per le applicazioni , e di più ac-
concio a renderne lo studio piano e gradito. E questo è
V oggetto della presente Memoria , che io divido in due
parti, Funa geometrica, e l’altra analitica. Nella parte
geometrica , le leggi de’ moti successivi , tanto di trasla-
zione quanto di rotazione, ho procurato che divengano chiare
e visibili al lume di un solo principio, ed inoltre le ho rese
alquanto più complete in alcuni punti , per es. in ciò che ri-
guarda i rapporti di equivalenza tra un moto elicoidale ed un
sistema di due rotazioni successive intorno ad assi non situati
in un medesimo piano. Nella parte analitica , valendomi del
princìpio della retta e dell’ area risultante , offro nuove ed
assai facili dimostrazioni delle formole di Eulero , di Mon-
ge , di Olindo Rodrigues ; stabilisco le relazioni fondamen-
tali di omografia e di polarità , che nascono dal considerare
la coesistenza di due figure uguali in luoghi diversi ; in-
fine applico le formole di Eulero a vincolare tra loro i
punti omologhi delle figure direttamente ed inversamente
simili , e poste come si voglia nello spazio le une rispetto
alle altre.
Mi sia infine pérmesso di aggiungere che questa teoria
elementare erasi da me composta da parecchi anni per uso
proprio , e che ora , qua e là ritoccata , può servire di
utile introduzione allo studio delle nuove ed estese ricerche
del Sig. Chasles sullo stesso argomento. Si veda la Memo-
ria di quest’ illustre geometra intitolata : Propriétés 3 dans
V espace , d’ une figure de forme invariable. (Comptes ren-
dus de 1’ Ac. des Sciences, tomes LI et LUI, années 1860
et 1861 ).
Leggi de* moti geometrici
PRELIMINARI
363
De’ moti di traslazione e di rotazione.
Il passaggio di una figura da un luogo ad un altro può
sempre effettuarsi, come verrà dimostrato in appresso, o
per un semplice moto di traslazione, o per un semplice
moto di rotazione , o per un moto composto di questi due.
I moti di traslazione e di rotazione dovendosi quindi ri-
guardare come gli elementi di ogni movimento , convien
cominciare dal ben definirne i concetti.
I. De’ moti di traslazione.
J. Un punto M si dice che subisce una traslazione rap-
presentata da una retta OD, quando esso punto descrive
una linea parallela ed uguale alla retta OD e dello stes-
so senso.
2. Se , nello spostarsi di una figura F, tre punti A, B, C,
vertici di un triangolo , subiscono una eguale trdslazione
rappresentata da una retta OD, ogni altro punto M della
figura subirà un ’ egual traslazione MM' = OD.
Dim. Dal punto M e parallelamente ad OD s’ immagini
condotta la linea MP che incontri in P il piano determi-
nato dai tre punti A, B, C (fig. 1). Eseguita la trasla-
zione OD da questi tre punti della figura F, siano A', B',
C, P, M' le nuove posizioni prese dai punti A , B , C,
P , M della stessa figura. Per le note proprietà delle pa-
rallele, al piano ABC riuscirà certamente parallelo il pia-
no A B C', nel quale il triangolo A'P'B' rappresenta la nuo-
va posizione presa dal triangolo APB. Ne conseguita che
nel quadrilatero APP'A ', essendo eguali e paralleli i lati
opposti AP, A'P', sono pure uguali e paralleli gli altri
due lati opposti AÀ , PP' . Si ha perciò, qualunque sia la
lunghezza di OD:
PP’ = AA’ = OD,
donde segue che la retta PM è ita trascorrendo lungo sè
Domenico CheliNi
stessa. Ciò posto , il cammino rettilineo PM' componendosi
tanto delle due parti PP' , PrMr, quanto delle due PM ,
MM' , rende evidente 1* uguaglianza
PM rH MM = PP' -4- PM',
e di qui , a causa di PM = P'M', si conchiude
MM' = PP' = OD.
3. Si dice che una figura F subisce una traslazione rap-
presentata da una retta OD , allorché ciascun punto della
figura descrive una linea parallela ed uguale alla retta OD
e del medesimo senso. Per questa definizione si fa mani-
festo che , quando una figura dee subire più traslazioni
successive OA , AB , BC , GD :
1° La figura, in tutta la successione di questi moti, è
parallela a sè stessa ed a ciò che era nella posizione iniziale ;
2° Il moto totale della figura è rappresentato dalla linea
poligona descritta da uno qualunque de5 suoi punti ;
3a Comunque varii V ordine onde si succedono le date
traslazioni (OA, AB, BC , CD ), la posizione finale della
figura è sempre la medesima , ed è la posizione a cui mena
la via diritta OD, che rappresenta la retta risultante delle
date traslazioni ;
4° Il moto di traslazione di una figura può avvenire,
non solamente secondo una linea poligona, ma eziandio
secondo una linea curva , potendosi riguardare la curva co-
me una linea poligona di lati infinitesimi.
4. Per la chiarézza delle dimostrazioni che verranno,
le posizioni diverse F± , F2, Fz etc. di una stessa figura F
si debbono immaginare come altrettante figure distìnte e
coìncìdibìli. Nelle figure coincidigli si dicono omologhe quel-
le parti che nella sovrapposizione si confondono in una sola.
(*) In questa Memoria suppongo che si abbia presente ciò che nell’ Appen-
dice agli Elementi di Meco, razionale ho esposto intorno ai principi! fonda-
mentali delle Matematiche.
Leggi de’ moti geometrici
365
Siccome una figura è fissata nello spazio da tre de9 suoi
punti non posti in linea retta, così è manifesto che : Date
due figure coincidibili F, se tre punti A, B, C del -
V una , vertici di t un triangolo , vengono a coincidere coi
punti omologhi A, B! , C dell altra , le due figure si con-
fonderanno insieme in una sola .
5. Similmente, due figure essendo dette simmetriche tra
loro quando si possono cosi disporre intorno ad un piano
che i loro punti (chiamati simmetrici od omologhi) si tro-
vino due a due situati ad egual distanza dal piano e sopra
una retta perpendicolare allo stesso piano , è manifesto che :
Date due figure simmetriche > se siano così disposte intorno
ad un piano che tre punii A, B , C dell’ una , vertici di
un triangolo , si trovino in simmetria co’ tre punti omolo-
ghi A y B'y C dell’ altra , le due figure saranno per intero
disposte simmetricamente intorno al piano .
6. Allorché una figura F è passata da un luogo in un
altro per un movimento qualunque , la retta MM che uni-
sce le posizioni iniziale e finale di un punto M di F, si
dirà traslazione relativa a questo punto , e se si considera
come congiungenté i punti omologhi M , M' di due figure
coincidibili , si dirà corda.
II. DE’ MOTI DI ROTAZIONE.
7. Quando una figura di forma invariabile si rivolge in-
torno ad un asse immobile Oz , ogni punto M della figura
si muove sulla periferia di un circolo che ha il centro sul-
F asse ; e due punti qualunque A ? B della figura , situati
su questa periferia , descriveranno contemporaneamente ar-
chi uguali AA, BE'. Imperocché se l9 arco AB > dopo una
rotazione qualsivoglia, prende la posizione AB! , sarà cer-
tamente AB = AB' . Ma
AB^AA + AB, AB' == AB -+- BB\
donde, togliendo A'B , risulta A A = BB' .
Da ciò s9 inferisce che i piani della figura che passano
366
Domenico Ghelini
per F asse Oz , deviano tutti con angolo eguale dalle loro
- posizioni iniziali. Quest’ angolo eguale misura F ampiezza
della rotazione , e la rappresenta.
8. Senza alterare la posizione finale di una figura -F, si
può ad una rotazione 0 sostituire una rotazione contra-
ria = — — 0 ) = — 360° -+- 6 ; come si fa chiaro dal
considerare il risultato di queste due rotazioni. Quindi nella
composizione delle rotazioni , F ampiezza di ciascuna rota-
zione parziale si può suppor minore di due angoli retti.
9. L’asse di rotazione, a partire da uno O de’ suoi
punti preso per origine , si divide in due assi parziali , op-
posti nella direzione . La rotazione non può effettuarsi dalla
destra alla sinistra di uno di questi assi parziali riguardato
come un Osservatore coi piedi nelV origine O > senza che si
effettui dalla sinistra alla destra dell’ altro asse parziale.
L’ asse di rotazione sarà determinato , quanto al verso della
direzione, da questa convenzione , che la rotazione avven-
ga dalla destra alla sinistra di esso asse.
10. Un sistema di traslazioni e rotazioni si dirà equiva-
lente ad un altro sistema , quando si per F uno che per
F altro sistema la figura passa egualmente da una posizione
data ad un’altra pur data. Una rotazione unica equivalente
ad un sistema di rotazioni , si dirà la rotazione risultante
delle date rotazioni, le quali ne saranno le componenti .
La sostituzione di un sistema di moti ad un altro equi-
valente > costituisce un principio che si può adoperare con
vantaggio a scoprire e a dimostrare le leggi de’ moti geo-
metrici.
N. B. Un asse , quale Oz } sarà accennato con due lette-
re, F una grande indicante F origine, e F altra piccola in-
dicante la direzione. Così i due assi Oz , Mz sono paralleli -,
colle orìgini ne’ punti O , M.
11. Teorema. Una rotazione 0 intorno ad un asse Oz si
può trasportare intorno ad un altro asse qualsivoglia Mz, pa-
rallelo al primo , purché si aggiunga una traslazione MM
uguale alla corda deU arco che un punto M del nuòvo
asse , supposto mobile colla figura , avrebbe descritto intor-
no al primo. E questa traslazione ha per misura il doppio
prodotto che si ottiene moltiplicando la distanza OM de’ due
assi pel seno della semirotàzione ( fig. 2 ) :
MM' = 20Msen1 0.
Dim. Supposti in O ed in M due assi paralleli Oz , Mz ,
e perpendicolari alla retta OM , la rotazione 0 della figu-
ra F intorno ad Oz porti il punto M in Mr . La nuo-
va posizione F della figura F sarà determinata dall’ as-
se Oz e dalla retta OM' . Si tratta ora di vedere che la
figura F si sarebbe fermata in questa medesima posizione F ,
se avesse subito dapprima la rotazione 0 intorno all9 asse* Mz ,
e poi la traslazione == MM' . A questo fine si osservi che,
in virtù defila rotazione 0 intorno ad Mz passando il pun-
to O in O', la figura F si ferma nella posizione determi-
nata dall’ asse Mz e dalla retta O'M ; e che poscia, in
virtù della traslazione MM' tornando il punto Or in O ,
la figura F si ferma nella posizione determinata da OM‘ e
da Oz, cioè nella posizione medesima che aveva preso per
la semplice rotazione 0 intorno ad Oz.
Sia m il punto di mezzo della corda MM'. Il triangolo
isoscele MOM‘ somministra
MMJ = 2 MO sen±0 = 2mO tan\0.
Corollario 1° Una rotazione 0 , seguita da una trasla-
zione MM' perpendicolare all’ asse Mz di rotazione , equivale
ad una semplice rotazione , uguale alla data ; intorno ad un
asse Oz parallelo al primo. Quest’ asse si determina colla
seguente costruzione. Presa per base la retta MM 1 che rap-
presenta la traslazione, dalla parte verso cui dee farsi la
rotazione , ed in un piano perpendicolare all9 asse Mz> si
costruisca un triangolo isoscele MOM' di cui 1’ angolo al
vertice sia eguale alla rotazione 0. Il luogo dell’ asse cer-
cato sarà fissato da questo vertice O, ossia dal punto ove
termina 1’ altezza mO di esso triangolo , essendo
MM'
36&
Domenico Chelini
2° Qualunque sia V ordine onde si succedono i due moti
di rotazione 0 e di traslazione MM‘, lo spostamento della
figura riesce il medesimo. Solo convien avvertire che , ove
si voglia eseguire prima la traslazione MM‘ e poi la rota-
zione 0, il triangolo isoscele M‘OM che serve a determi-
nare F asse Oz della rotazione unica, dovrà costruirsi so-
pra M\M dalla parte opposta a quella in cui dee farsi la
rotazione intorno all9 asse M‘z. Che se , invece di succedersi
F Uno all5 altro , i due moti rettilineo e rotatorio si effet-
tuassero simultaneamente , è chiaro che la posizione finale
della figura sarà "sempre la medesima.
Secondochè l5 asse di rotazione è perpendicolare , obliquo ,
o parallelo alla direzione della traslazione , i due moti ret-
tilineo e rotatorio si diranno rettangolari , obliqui , o paralleli.
3° In generale: Due moti di specie diversa , rotatorio e
rettilineo > quando sono rettangolari equivalgono ad una sem-
plice rotazione 3 di cui si sa costruire V asse e V ampiezza.
4° Quando una figura rota intorno ad un asse fisso Oz,
in ogni punto M della figura si compie ad ogn5 istante una
egual rotazione , oltre al moto di traslazion circolare.
5° Allorché un punto qualsivoglia M dello spazio si sup-
pone connesso con una figura mobile F così che ne segua
ad uno ad uno tutti gli spostamenti successivi, si dovrà
riguardare come cognita la retta MM‘ che va dalla posi-
zione iniziale del punto M alla sua ultima e finale posizio-
ne. Ciò posto : Date più rotazioni successive , si potranno
trasportar tutte parallelamente a se stesse in un medesimo
punto M dello spazio per ivi comporle in una semplice ro-
tazione risultante , è poscia aggiungere la traslazione MM
relativa al punto M .
Le rotazioni parallele , cioè le rotazioni che si fanno in-
torno ad assi paralleli , si riducono evidentemente alle ro-
tazioni di una figura piana , mobile sopra un piano perpen-
dicolare a tali assi.
Leggi de* moti geometrici
369
PARTE GEOMETRICA.
LEGGI PER GLI SPOSTAMENTI SUCCESSIVI DI UNA FIGURA.
§ 1° Degli spostamenti di una figura piana nel suo piano.
12. Teorema. Quando una figura piana dee passare da un
luogo F ad un altro luogo qualsivoglia F‘, trascorrendo nel
suo piano senza punto ribaltare 3 il passaggio può sempre
effettuarsi per una semplice rotazione intorno ad un punto
fisso chiamato centro di rotazione o punto centrale.
Dim. Cominciamo dall’ osservare che quando la figura F
è mobile intorno ad un punto fisso O , il suo passaggio
in F* si effettua necessariamente per una semplice rotazio-
ne intorno ad O, e la grandezza 6 della rotazione ha per
misura 1’ angolo AOA\ onde una retta qualsivoglia di F ,
passante per O , ha deviato dalla sua posizione iniziale OA
(n° 7). :
Supponiamo ora che la figura F sia interamente libera ,
e che due punti qualunque A } B di F ( trascorsa F in F1 )
siano passati in A‘ } B\ lo dico che questo passaggio di F
in F‘ può eseguirsi per un semplice moto di rotazione in-
torno ad un centro fisso O x il quale si trova là dove s’ in-
tersecano le perpendicolari aO , bO (fig. 3) condotte ri-
spettivamente alle due rette AA‘3 BB‘ dai loro punti di
mezzo a, b. Ed in vero tale passaggio può certamente ef-
fettuarsi facendo subire alla figura F la traslazione AA‘X e
poscia intorno ad A1 ( punto divenuto comune ad F e ad F‘)
una rotazione valevole a far coincidere le due figure in
una sola. E la stessa coincidenza avrà luogo se , invece
della traslazione AA' , si adopera la traslazione BB‘, e po-
scia la rotazione intorno a B\ Ma si è veduto che quando
1’ asse di rotazione è perpendicolare alla linea di traslazione
( e tale è qui 1’ asse di rotazione in A‘ od in B‘ rispetto
alla traslazione AA‘ ovvero BB‘) i due moti rotatorio e
rettilineo equivalgono ad una semplice rotazione il cui cen-
t. i. ^<7
370
Domenico Ghelini
tro dee trovarsi sulla perpendicolare inalzata in mezzo alla
linea di traslazione. Nel caso nostro adunque il centro di
rotazione dee esistere nel punto di concorso delle nominate
perpendicolari aO , bO.
L’ ampiezza 6 della rotazione è data tanto dall’ ango-
lo AOA‘, quanto dall’ angolo con cui la retta A B' devia
dalla retta AB. In generale : Se una figura si sposta trascor-
rendo nel suo piano > tutte le rette della figura nella nuova
posizione deviano con angolo eguale dalle direzioni che ave-
vano nella prima posizione . Ciò si fa chiaro se dal punto
centrale O s’ intendano tirate linee parallele alle rette
date (7).
Se le rette omologhe AB , A‘B‘ fossero parallele , e di
più dirette per lo stesso verso , riuscirebbero parallele ed
uguali le rette AA‘ , BB‘; onde il centro O di rotazione
andrebbe ad una distanza infinita. In questo caso del cen-
tro O all infinito, gli archi circolari descritti dai punti A e B
„ nell’ andare in A* e in B‘ si confonderebbero colle loro
corde AÀ\ BB'; ed il moto di rotazione si trasformerebbe
in un puro mòto di traslazione = AÀ — BB' .
13. Allorché la figura piana dee successivamente passare
per due , tre , quattro etc. posizioni diverse F> Ft y F2 etc.
nel suo piano , il passaggio si potrà sempre effettuare per
mezzo di una , due , tre etc. rotazioni successive intorno ad
altrettanti centri O , Ot > 02 etc. Inoltre è manifesto che ,
date le posizioni F , Ft> F^, Fz etc. che dee prender la
figura, una dopo 1’ altra, anche i centri di rotazione si pos-
sono riguardar come dati sì nel piano immobile od assoluto
ove dee aggirarsi la figura e dove formeranno i vertici di
un poligono fisso s e sì nel piano mobile della figura me-
desima , posta com’ è a principio , dove formeranno i ver-
tici di un altro poligono mobile che avrà in comune col
poligono fisso il primo vertice. Per le rotazioni successive
il poligono mobile applicherà uno dopo 1’ altro i suoi lati
sopra i lati rispettivamente uguali del poligono fisso. Quin-
di : Il moto continuo di una figura sopra un piano fisso , si
può ridurre a quello di una linea curva che va ruzzolando
( senza sdrucciolare ) sopra un 9 altra curva fissa.
Leggi de’ moti geometrici
371
14. Il moto relativo di due curve, P una delle quali
ruzzola sull’ altra supposta fissa , è lo stesso di quello che
si avrebbe se, ritenendo fìssa la prima curva, si comuni-
casse alla seconda un moto eguale e contrario a quello che
aveva la prima. Ciò diviene evidente comunicando alle due
curve un moto comune, eguale e contrario a quello della
prima curva. Il moto relativo non sarà alterato ; ed intanto
la prima curva diverrà fissa e la seconda in movimento.
§ *° Leggi per la composizione delle rotazioni successive
in un piano.
15. Problema. Date due rotazioni successive 6,6 ' intor-
no ai centri fissi A , B , trovare il centro C e V ampiez-
za 0 della rotazione risultante .
Soluz. La soluzione si ottiene subito applicando la re-
gola generale ( n° 11, 5° ) , che consiste nel trasportare
tutte le rotazioni successive in un medesimo punto M per
comporle quivi in una sola, e poi aggiungere la traslazio-
ne MM‘ relativa al punto M-
Se le due rotazioni 6 , 6‘ si concepiscono trasportate nel
primo de’ due centri fissi A , B , avremo in A la rotazione
risultante 0 = 6 -+- 6‘, più la traslazione ( n° 11)
AA‘ = 2 AB sen i 6‘.
Questi due moti , rotatorio e rettilineo , siccome rettan-
golari, equivalgono ad una semplice rotazione che ha il
suo centro C sulla perpendicolare aC inalzata in mezzo
alla retta AA‘ , dalla parte in cui dee farsi la rotazione intor-
AA‘
no ad A , ed = — — - = AC cay£0. Da questa formola
2 tani& 2 H
e dalla precedente si ottiene (fig. 4.):
AA' = 2 AC seni e = 2 AB seni 6',
sen ^ 0 sen i 6‘
ÀB~ ~ AC
donde
372
Domenico Chelini
Consideriamo in secondo luogo quel punto B‘ della figu-
ra F, che per la prima rotazione 0 intorno ad A andreb-
be a coincidere con B. La traslazione relativa al punto B‘
sarà BB = %AB sen\0. Se le due rotazioni 0, 6‘ si traspor-
tano in B‘ , avremo in B‘ la rotazione risultante 0=0- h 0',
più la traslazione B‘B. Nel ridurre questi due moti ad una
semplice rotazione intorno al centro C, si troverà col di-
scorso precedente :
B B = 2CB sen^Q = 2 AB sen \ 0,
donde
sen^S sen^O
~AB ~CB~ ‘
Così P applicazion della regola generale ci offre, colla
soluzion geometrica , la soluzione analitica del problema
nelle forinole
a* sen^é sen^O __ sen^0‘
0 = 0 + 0; AB — CB- — AC ,
acconce a determinare numericamente le tre quantità 0 ,
AC, CB.
La costruzione geometrica del punto centrale C può ri-
dursi alla seguente. Immaginiamo due rette mobili intorno
ai due centri fissi A , B , le quali ^ coincidendo dapprima
con AB, siano deviate dalla loro posizione iniziale cogli an-
goli ( — J 0 , * 0‘ ) uguali alle metà delle rotazioni compo-
nenti, eseguendo però la prima rotazione \0 in verso con-
trario a quello che dee avere. Il punto C ove concorreran-
no tali rette sarà il centro della rotazione risultante. |
Questa costruzione del punto C , che segue manifesta
da ciò che si è detto , si può anche dimostrare così. Le
rotazioni 0 , 0‘ siano dello stesso segno, e si avverta che
i punti della figura F sovrapposti ai centri fissi A , B , C,
sono mobili con F. Il punto C di F, a cagion della rota-
zione 6 intorno ad A, passa in un punto C che, intorno
ad AB , è simmetrico còl centro C, e poscia da C torna
a fermarsi nel centro C a cagion della rotazione 0‘ intorno
Leggi, de’ moti geometrici
373
a B. Esiste adunque intorno a C una semplice rotazione
equivalente alle due rotazioni 0, 0‘. Per conoscere quanta
debba esser P ampiezza 0 di questa rotazione , si osservi
che il punto A di F, rimasto immoto nella rotazione 0,
compiendosi la rotazione 0‘ passa in un punto A' che, in-
torno a BC, è simmetrico col centro A. Or questo pas-
saggio di A in A' si effettua pure facendo girare intorno a C
la "figura F per l’angolo ACA' = 0-t-0'. Dunque 0 = 0-+-0 .
Quando è diverso il segno delle due rotazioni 0 , 0 , la
costruzione del punto C si mantiene la medesima . e si ve-
rifica in generale, che degli angoli interni del triangolo ACB
due sono eguali alle due minori delle tre semirotazio-
ni i0, §0, |-0 , essendo la maggiore eguale al supplemento
del terzo angolo.
16. Se 0 = — 0', vale a dire se le due rotazioni sono
eguali e di senso contrario , trasportando da B in A la se-
conda rotazione — 0\ avremo in A una rotazione nulla
( 0 — 0 = 0) e la traslazione
AA‘ = 2ABsen £0.
Si chiama coppia di rotazioni un sistema di due rotazioni
uguali e di senso contrario. Possiamo quindi stabilire che :
Una coppia di rotazioni successive equivale ad una semplice
traslazione rappresentata dalla corda dell3 arco che il primo
de3 due centri di rotazione descriverebbe intorno al secondo,
ed il cui valore si ottiene moltiplicando la distanza de3 due
centri pel seno della sendrotazione.
% 3° Degli spostamenti di una figura nello spazio.
17. Teorema di Eulero. Quando una figura F è mobile
intorno ad un punto fisso O , il suo passaggio da una po-
sizione F ad un3 altra qualsivoglia F‘ si può sempre effet-
tuare per una semplice rotazione intorno ad un certo asse OR
condotto pel punto fisso.
Dim. Sia OAB (fìg. 5) un triangolo qualunque della
figura considerata nella sua prima posizione F, e questo
triangolo si trovi in OA‘B‘, cioè A in A‘ 9 B in B‘, quando
la figura è passata nella seconda posizione F‘.
374
Domenico Chelini
Dai punti di mezzo a, b delle due rette AA' , BB' si
concepiscano condotti due piani perpendicolari rispettiva-
mente alle rette medesime ; e sia OR la retta in cui èssi
vengono a tagliarsi , intersezione che avverrà sempre , tran-
ne il caso in cui i due piani si confondano in un solo.
Ora io dico che l’asse di rotazione è la retta OR, e che,
nel caso di eccezione', è la- retta dove si segano i piani
de’ due triangoli OAB, OA'B'.
A questo fine osserviamo che i due triangoli OAB , OA'B',
ed un punto qualunque R preso sulla retta OR, determi-
nano due piramidi in cui , oltre all’ essere coincidibili le
basi triangolari OAB , OA'B ' , sono eguali gli spigoli late-
rali , cioè RO comune , RA = RA', RB = RB'. Queste
due piramidi ROAB , ROA'B' saranno adunque o coincidi-
bili o simmetriche .
Se sono coincidibili, facendo girare la figura F intorno
ad OR finché il triangolo ROA coincida col triangolo ROA',
è chiaro che questa coincidenza trarrà seco la coincidenza
delle due piramidi, e però quella de’ tre punti O, A, B
della figura F coi tre punti omologhi O , A‘ , B' della figu-
ra F‘, e quindi la coincidenza completa di F con F‘ ( n° 4 ).
Ove riescano simmetriche le due piramidi ROAB , ROA'B',
osserviamo che i vertici omologhi de’ due triangoli ROA ,
ROA ' essendo per costruzione disposti in simmetria intor-
no al piano condotto perpendicolarmente sul mezzo della
retta AA', tutti gli altri punti omologhi delle due pirami-
di , quali B e B', dovranno esser disposti in simmetria in-
torno allo stesso piano (n° 5). In questa ipotesi adunque
i due piani condotti perpendicolarmente in mezzo alle ret-
te A A' , BB' si confonderanno in un sol piano , nel piano
che dimezza 1’ angolo diedro formato dai due piani OAB ,
OA'B'. Preso un punto R sulla retta ove *si segano questi
piani , se si fa girare la figura F intorno ad OR , è chiaro
che quando il punto A cade in A', il punto B cadrà in B‘,
e le due figure F ed F' si confonderanno insieme in una sola.
E adunque provato che , quando una figura è mobile in-
torno ad un punto fisso O , il suo passaggio da una posi-
tura ad un’ altra qualsivoglia si può sempre effettuare per
Leggi de5 moti geomètrici 375
un semplice moto di rotazione intorno ad un asse che passa
pel punto fisso.
L9 ampiezza ed il senso della rotazione si ha nell9 angolo
diedro compreso tra due piani condotti per l9 asse OR e
.per due punti omologhi qualunque A 3 A' ( n° 7 ).
18. Il passaggio di una figura da una posizione F ad
un’ altra qualsivoglia F' dello spazio si può sempre effettua-
re3 in una infinità di maniere diverse , per mezzo di due moti
( successivi o simultanei ) V uno di traslazione e V altro di ro-
tazione. Infatti consideriamo un punto qualunque M della
figura nella prima posizione F, ed il suo punto omologo Mr
nella seconda posizione F ; è chiaro che il passaggio dal-
P una all9 altra posizione si può effettuare mediante la tras-
lazione MM' 9 seguita da quella rotazione intorno ad M'
che è propria a far coincidere F con F . E superiormente
si è avvertito che i due moti possono supporsi successivi
in qual ordine si vuole, ed anche simultanei.
19. Un sistema di due moti obliqui di specie diver-
sa (11, 3°) , rettilineo e rotatorio , si può sempre ridurre
ad un sistema di due moti paralleli 3 rettilineo e rotatorio ;
e le rotazioni, ne9 due sistemi, sono eguali ed intorno ad
assi paralleli. Imperocché , ove il moto di traslazione del
primo sistema s9 intenda decomposto in due , P uno paral-
lelo e P altro perpendicolare all9 asse di rotazione , a que-
st9 ultima traslazione ed alla rotazione ( essendo moti ret-
tangolari ) potremo sostituire una semplice rotazione , eguale
e parallela alla data.
Supponiamo per esempio che lo spostamento di F si possa
ottenere per la rotazione 0 intorno all9 asse Mv ( fig. 5) é
per la traslazione MM' = t . Da M' si abbassi la perpen-
dicolare M'N sopra Mv e si ponga MN = t. Se la trasla-
zione MM ' si decompone nelle due
MN=tcos(vt), NM' = t sen(vt) ,
la prima parallela e la seconda perpendicolare all9 asse Mv ,
i due moti rettangolari di rotazione 0 e di traslazione NM*
equivarranno alla sola rotazione 0 intorno ad un asse Ov 3 che
sappiamo esser dato dalla costruzione seguente ( n° 11, 1°).
376
Domenico Cheeini
Dal mezzo n della retta NM' s’ inalzi sul piano dell5 an-
golo ( vt) la perpendicolare
nO ==
tsen (vt)
2 tan J 0
condotto per O 1’ asse Ov parallelo ad Mv , e preso so-
pra Ov il segmento Ot = MN , i moti obliqui proposti
saranno trasformati ne5 due moti paralleli , di rotazione 0 in-
torno ad Op e di traslazione
Ot = t cos(vt).
Dunque (v) : Ogni spostamento di una figura nello spa-
zio può sempre effettuarsi per un moto elicoidale intorno
ad un asse, cioè per una rotazione intorno ad una retta
connessa colla figura e scorrente sopra sè medesima , alla
guisa di una vite che scorre lunghesso il proprio asse al
girare delle sue spire . L’ asse di questa vite si dice 1’ asse
centrale dello spostamento.
20. Date nello spazio due posizioni della figura F me-
diante due terne di punti omologhi (A, B, C), (A', B', C ),
si cercherà dapprima il passaggio dall’ una all’ altra posi-
zione per un sistema di due moti obliqui , i quali si pos-
sono ottenere tirando da uno de’ punti dati, per es. da A ,
le linee A'Bt , AC% , rispettivamente parallele ed uguali alle
rette AB, AC, e cercando l’asse Av della rotazione 0 ac-
concia a far coincidere insieme i due triangoli A'B^Ct , ABC .
Trovati così i moti obliqui di traslazione A A e di rota-
zione 0 intorno ad A v, si trasformeranno in due moti paral-
leli , cioè in un moto elicoidale intorno all’ asse centrale.
21. Il passaggio dì una retta da una posizione AB ad
un3 altra posizione qualsivoglia AB' si può sempre effettuare (*)
(*) Questo bel teorema è stato messo in rilievo nella sua piena generalità
dal Sig. Chàsles ( Voir Bullettin des Sciences mathématiques de M. de Fèrussac ,
fon». XIV an. 1830). Corollario di esso è l’ analogo teorema relativo allo spo-
stamento di una figura piana nel suo piano.
Leggi de5 moti, geometrici
377
mediante una semplice rotazione intorno all3 asse OR , inter-
sezione de 3 due piani inalzati perpendicolarmente in mezzo
alle corde A A , BB' . Infatti, ove si considerino le due pira-
midi ROAB , ROA‘B‘ in cui per costruzione sono coinci-
dibili le basi OAB , OAB', ed uguali gli spigoli latera-
li RA = RA‘3 RB = RB', la dimostrazione riducesi a quella
che si è fatta pel teorema di Eulero.
22. Di qui si raccoglie che, date due posizioni ABC,
A‘B‘C di una figura nello spazio, si potrà, mediante una
prima rotazione,, condurre il lato AB a confondersi col
lato A B'; ed appresso , per una seconda rotazione intorno
al lato AB', si avrà la coincidenza de’ due triangoli omo-
loghi ABC , ABC', e con questa la coincidenza completa
delle due figure F, F . Dunque
Il passaggio di una figura da un luogo ad un altro dello
spazio si può effettuare , in una infinità di maniere diverse,
per un moto composto di due rotazioni successive. Gli assi in-
torno a cui si fanno le due rotazioni si dicono conjugati per-
chè la posizioni dell’ uno trae seco la posizione dell’ altro.
23. Se una retta sulla quale sono segnati i punti A ? B , C
etc. è trasportata in un altro luogo ove i detti punti abbia-
no le posizioni Ar , B' , C‘ , etc. ; le corde AA' , BB', CO , etc.
avranno i loro punti di mezzo a, b , c, etc . sopra una me-
desima retta ab ; e questa retta ab avrà la doppia proprietà
di avere una direzione che dimezza V angolo formato dalle
direzioni delle due rette AB, AB1 (supponendo che le tre
rette ab , AB , AB' siano condotte a partire da un mede-
simo punto B)9 e di ricevere uri egual projezione da cia-
scuno de3 dve lati opposti A A* e BB‘, AB ed A‘B‘ del qua-
drilatero ( ÀB , AB') (fig. 7).
Dim. Condotta per A la retta A'At parallela ed uguale
a B'B , se sul triangolo A A Ax preso per base si costruisce
un prisma cogli spigoli laterali AB{ , A tB paralleli ed uguali
ad AB', e si dimezzi in ax il lato AAi , si viene a sco-
prire che tra le rette aax , A Ax , B'B , oltre il parallelismo ,
si ha la relazione
aax = \AAx = \B‘B = bB ;
T, I.
48
Domenico Chelini
e che per conseguenza sono parallele ed uguali le rette ab ,
atB. Il che prova che la direzione della retta ab , paral-
lela ed uguale ad atB , dimezza P angolo ABAt , che rap-
presenta quello delle due rette AB , A'Br .
Secondariamente se consideriamo sulle rette AB, A'B‘
due nuovi punti omologhi (*) C , Cl , ed il punto di mezzo c
della corda CC‘, si vede ancora che le due linee ab , ac ,
dovendo entrambe dividere in mezzo P angolo delle dire-
zioni di AB, A'B', saranno segmenti di una stessa retta,
e però i punti a, b , c in linea retta.
Infine se alle rette A'B', BB‘, ab si sostituiscano le li-
nee parallele ed uguali AtB, AtA\ at B , si conchiuderà che
la retta ab riceve un’ egual projezione da ciascuno de’ due
lati opposti del quadrilatero (AB, A‘B‘).
§ 4° Proprietà de* punti, delle rette e de* piani, clie in due
figure uguali si corrispondono a due a due
La figura F compia la rotazione 6 intorno all’ asse cen-
trale Op, e poi la traslazione = t ; e proponiamoci di cer-
care le proprietà più essenziali degli spostamenti de’ punti,
delle rette e de’ piani.
24. Un punto M , situato alla distanza OM == r dall’ asse
centrale Ov ( fig. 8 ) , descrivendo dapprima P arco circo-
lare rO ( di cui la corda è MMt = 2 r sen \ 6 ) e poscia la
retta MxM‘=.z, subirà uno spostamento rettilineo MM‘, ipo-
tenusa di un triangolo MM%M‘ avente per cateti 2 rsen^0,t.
Posto MM‘ = t , avremo quindi
£2 = t2 -+- 4r2 sen2 £ 6, sen(vt) sss 9 cos(vt) = — •
Si vede inoltre che, dovunque si prenda il punto M,
la projezione della sua traiettoria sull’ asse centrale è sem-
(*) Questi punti si debbono immaginare, non essendosi notati nella figura.
Leggi de5 moti geometrici
379
pre uguale alla sola parte del cammino dovuta al moto di
traslazione , la stessa per tutti i punti ed = x ; essendo-
ché V altra parte dovuta al moto di rotazione , benché
variabile da punto a punto , si fa sempre in un piano per-
pendicolare all’ asse centrale. Si noti ancora che de’ punti
della retta MM‘ il più vicino all* asse centrale è il suo
punto di mezzo m, e che la distanza D tra m e P asse
centrale riuscendo = OD ( D è il punto di mezzo di MMt ) è
a ). Gli spostamenti t de’ punti M sono eguali in grandez-
za e in direzione quando i punti M appartengono ad una
medesima linea parallela all’ asse centrale Ov , e variano
solamente quando si passa dall’ una all’ altra delle rette
parallele al detto asse.
b). La traslazione t relativa ad una linea Mv parallela al-
P asse centrale Ov 3 quando è data in direzione , dee riguar-
darsi come data pur anche in grandezza, avendosi t=z — .
m c l or i
Questa linea Mv si ottiene colla costruzione seguente :
Condotto per O un piano T perpendicolare ad Ov , si
prenda sopra Ov un segmento Ox = x , e dal punto x si
tiri la retta xQ parallela alla data direzione di t, fino ad
incontrare in Q il detto piano T. Sarà Qx — t. Se in que-
sto piano , e sopra OQ come base si forma ( dalla parte in
cui dee farsi la rotazione) il triangolo isoscele OQM che
abbia al vertice M P angolo = 0 , la traslazione MM* re-
lativa al punto M sarà = Qx = t, e però la linea Mv sarà
la retta cercata. Di qui si raccoglie :
1° Che i punti omologhi di due figure coincidibili F, F‘
non possono trovarsi in più di due sopra una medesima
linea retta;
2° Che le corde t della stessa direzione hanno tutte i
punti estremi M , M‘ ed il punto di mezzo m sopra tre
rette Mv , M'v , mv parallele all’ asse centrale Ov ;
3° Che in ogni piano della figura F esiste sempre un
donde
Dtan\d = rsen\Q ,
t=zx2-h lD*tan*bd.
cosivi )
Domenico Chelini
punto M, ed uno solo, la cui relativa traslazione MMJ
ha una direzione perpendicolare al piano. Questo punto si
trova là dove il piano incontra quella linea (parallela al-
V asse centrale) la cui traslazione t ha una direzione per-
pendicolare al piano.
c). Una retta p che sia 1* intersezione di due piani omolo-
ghi P , P'y conterrà due punti omologhi M , Ml. Imperoc-
ché alla intersezione p considerata come appartenente al
piano P, corrisponderà nel piano P' una retta p* che incon-
trerà p in qualche punto M4, ed a questo punto M' di p
dovrà corrispondere sopra p (linea omologa di p ) un punto
omologo M. Inoltre la retta p se si considera come appar-
tenente al piano P4, corrisponderà ad un’ altra retta (p ) del
piano Py la quale dovrà passare per M.
25. Una retta MN, che per la rotazione 0 intorno ad
un’ altra retta Ov prende la posizione MfNt y se ha il pun-
to M alla minima distanza OM dall5 asse di rotazione Ov
( così che la retta OM riesca perpendicolare alle due ret-
te Ov, MN), la retta DDi che unisce i punti di mezzo D,DÌ
delle due corde MMt , NNt , avrà il punto D alla minima
distanza OD da ' Ov.
Dim. Condotte per O le linee OL y OL'y 01 rispettiva-
mente parallele alle rette MN , MtNt , DDt (*) (fig. 9),
osserviamo che la retta OM y misurando la più corta distan-
za tra Ov ed MN , sarà perpendicolare al piano (Ov , OL).
Ciò avvertito , immaginiamo che il piano vOL giri insieme
colla retta OM. Quando questo piano sarà nella posizione
media t >01, è chiaro che la retta OM prenderà la dire-
zione OD. Così OD riuscendo perpendicolare al piano vOl,
e però alle due rette Ov , DDt , misurerà la più corta di-
stanza di queste rette.
26. Una retta MN = R, situata alla distanza OM = r
dall5 asse centrale Ov , passa ,, mediante la rotazione 6 , nella
posizione MtNt ; e quindi, subita la traslazione MtM‘ ( fig- 8)
parallela all5 asse centrale, si ferma in M‘NJ = R- Con
(*) Queste rette non segnate nella figura si debbono immaginare.
Leggi de’ moti qeometrici
qual angolo le due rette R> R' desieranno V una dall' altra?
E qual sarà la loro piu corta distanza?
Soluz. Ritenuta la costruzione precedente, si conduca per
un punto 5 di Ov ( fig. 9 ) e perpendicolarmente ad Ov un
piano, il quale incontri ne’ punti L , L * , l le rette OL , OL', 01
parallele alle MN , M'N' , mn (per m, n s’ intendano, i
punti di mezzo delle due corde MM‘, NNl). Le due ret-
te OL , OL1 inclinando sopra Ov con angolo eguale, (vR ),
(vR), i due triangoli LOU LSL‘ saranno isosceli , e V an-
golo LSL‘ sarà = 0. Ciò posto , si deduce da essi triangoli
LI
sen(LOl) =— '
LI LI
tan(LOl)=— = —
cot(vp) = tan (SOI)
E se dal punto O s’ inalza sul piano OLL\ parallelo alle
due rette R, R, la perpendicolare Op = p , sarà
SI SI SL
: OS “ SL\OS *
Queste fbrmole , ove gli angoli s’ indichino per mezzo
delle direzioni che li comprendono si mutano nelle seguenti
sen f (R, R‘) = sen \ 6 sen (?R),
tan%(R,R')=ztan%0 cos(vp),
essendo cot ( vp ) = tan ( RR v ) , dove per RR'
un piano parallelo alle due rette R, R‘.
Si noti che la retta OD che unisce il punto O col mez-
zo D della corda MMt (fig. 8), essendo perpendicolare al
piano SOI , è parallela alla retta LLr ( fig. 9 ), e però la
corda MM \ riesce parallela alla retta SI.
a ). Per avere la minima distanza A che corre tra le due
rette R, R‘, basta projettare la linea MM‘ che ne unisce
i punti omologhi M, M\ sopra Op, asse del piano LOL‘3
\ d tan(?R);
indicato
Domenico Chelini
piano parallelo alle stesse rette R , R‘ ; ed essendo ( fig. 8 )
MM' = ris. ( MMt , MXM ) , MMt = 2 rsen\0, MtM' = r,
la projezione di MM* sopra Op sarà (*)
A = 2 rsen \ 0 sen ( vp) *+• r cos (vp)
2r sen -H t cos \0 tan (vR)
j/( 1 -4- cos 2 \ 0 tar i2 ( pjR )
E la projezione della corda MM‘ ( = t ) sopra la retta 01,
parallela alla retta media mn tra le due MN , M‘N sarà
t cos ( t , mn ) = 2r sen J 6 cos ( vp ) -4- t sen ( t >p)
t ■+• rsen 6 tan (vR)
= /[l +così%0tan2(vR)] *
27. Le formole relative agli angoli che due piani omolo-
ghi P , P fatino tra loro e coll 9 asse centrale , si ottengono
subito dalle precedenti , supponendo che le due rette R,K
siano perpendicolari ai detti piani in due punti omologhi.
La retta Op perpendicolare alle linee OL , OH (parallele
ad R , K ) sarà parallela alla intersezione p de’ due pia-
ni P, P'. Chiamata t la retta che sopra la intersezione p
unisce i due punti omologhi M, M‘ ( n° 23, c), avremo
primieramente
4 D* tan* 10,
coi (vp) — — %D tanlQ’
dove D è la minima distanza tra 1’ asse centrale Ov e l’ in-
tersezione p de’ due piani. Le formole trovate per le ret-
Leggi de’ moti geometrici
383
te R, R' somministrano rispetto ai piani P 3 P'
senì(P,P‘) = sen^O cos{v3P),
tan\{P3 P‘) = tan\0 cos(vp) =
t tan i 0
/(t 2+AD*tan2it
t tan i ( P3 P‘ ) = r tan \0 3
coi ( vp ) r
cot(v3P) =
2D sen^O
§ 5°liegge per la composizione delle rotazioni successive
intorno ad assi della medesima origine.
28. Date due rotazioni successive 0 3 0' di una figura F
intorno agli assi Oc 3 Oc 3 trovare V asse Ov e V ampiez-
za 0 della rotazione risultante (fig. 10).
Soluzione (*). Per Oc e per Oc 3 dalla parte del piano cOc
verso cui dee farsi la seconda rotazione 0\ si conducano
due piani che deviino dal piano cOc cogli angoli i 0 , i 0‘ 3
ed Ov sia loro intersezione. Nell’ angolo triedro Occv che
ne risulta , lo spigolo Ov ed il supplemento cva dell’ an-
golo interno in Ov rappresenteranno Y asse e la metà dell ' am-
piezza 0 della rotazione risultante.
Infatti la retta Ov 3 considerata come appartenente alla
figura F3 prende per la prima rotazione 0 una posizione Ovt
simmetrica con Ov rispetto al piano cOc 3 e per la seconda
rotazione 0 ' torna evidentemente alla sua prima-posizione Ov.
Lo spigolo Ov è dunque V asse della rotazione risultante.
Per trovarne Y ampiezza , osserviamo che la retta Oc di F3
stata immota nella prima rotazione 03 è condotta dalla se-
conda rotazione 0‘ in una posizione Oct simmetrica con Oc
rispetto al piano cOv. Dunque Y angolo cva 3 supplemento
dell5 angolo interno in Ov3 è uguale alla metà dell5 ampiez-
za cercata 0 ( n° 7 ).
(*) 0. Rodbigues. ( De s loti géomètriques qui régissent les déplacements <f un
systeme solide : Journal de Mathématiques , t. V, an. 1840).
384
Domenico Chelini
Intorno ad O come centro s’ intenda descritta una sfe-
ra di raggio = 1 , e sopra di essa sia ccv il triangolo
sfèrico , che co5 suoi lati cc, cv , ve* ed àngoli opposti
( ti — \ 0 \0' , rappresenta il triedro Occv. Per la
risoluzione di questo triangolo sferico :
Date le rotazioni successive 6,0 * intorno agli assi Oc, Oc,
si avrà la rotazione risultante , rispetto alt ampiezza 0 ed
all * asse Ov , dalle formole :
cos^O = cos^O cos^O' — sen. %0 sen^O' cos(cc),
sen (cv) sen (ve) sen (cc)'
sen^O' sen^O sen^O
E dati gli assi Ov , Oc , Oc e V ampiezza 0 della ro-
tazione risultante , si avranno le ampiezze 0 , 6 1 delle rota-
zioni componenti dalle formole :
sen\S
taU * & ~ sen ( cv ) coi (ve') *+■ 'cos(cv)cos J 0 ’
tan%6‘ =
e4q
sen (ve) cot (cv)
(ve) cos ^ 0
Imperocché, essendo consecutivi i quattro elementi %0,
(cv) , (ji — ^ 0 ) , ( ve ) , se loro applichiamo la regola che :
« il prodotto de’ coseni degli elementi medii , lato ed angolo,
è uguale alla differenza de3 loro seni moltiplicati rispettiva-
mente per le cotangenti degli elementi estremi , lato ed an-
golo », si ottiene
cos (cv) cos \ 0 = sen ±Qcot%0 — sen ( cv ) cot ve ) ,
donde la prima di quelle due formole, e per ragion di sim-
metria la seconda.
§ «° Leggi e «“ondisi*
di equivalenza tra i
29. Problema I. Al movimento elicoidale (0, t) intorno
alV asse centrale, sostituire un sistema equivalente di due
rotazioni successive, essendo dato V asse c della prima di esse .
Leggi de’ moti geometrici
385
Soluz. Sia dato nella retta Ac ( fig. 11) il primo c de-
gli assi conjugati (c, c). La costruzione del secondo asse c
e delle ampiezze 8, 8‘ delle corrispondenti rotazioni si farà
manifesta dal discorso che segue. Da A (che si suppone
un punto qualunque dell’ asse dato c) si tiri all* asse cen-
trale la perpendicolare AO. Per la rotazione 0 intorno al-
1’ asse centrale Ov , seguita dalla traslazione t ^ il punto A
della figura F passi dapprima in At e poscia in A, cosi
che sia
AAX ss 2 AO ? 'AtA* ss t.
Il moto elicoidale ( 0 , t ) equivarrà alla rotazione 0 in-
torno alla retta Av , parallela all’ asse centrale Ov , ed alla
traslazione AAr. Si conduca ora per Av un piano Avd che
si stacchi dal piano Ave colla rotazione =t0, e poi nel
punto A si guidi un altro piano perpendicolare ad AA‘. La
intersezione Ac di questo piano con Avd sarà parallela al se-
condo asse incognito c , e negli angoli che nel triedro Avcc
sono adjacenti agli spigoli Ac , Ac, si avranno le metà delle
rotazioni 8, 8‘ da farsi intorno agli assi conjugati (c, c ).
Infatti, ove alla rotazione 0 intorno ad Av s’ intendano
sostituite le rotazioni 8, 8T intorno ad Ac, Ac, il moto
elicoidale ( 0 , t ) sarà risoluto in tre moti , de’ quali i
due ultimi (cioè il rotatorio 8' intorno ad Ac e il rettili-
neo ss AA ) , essendo rettangolari , equivalgono ad una sem-
plice rotazione 8' intorno ad un asse Bc che sappiamo co-
struire (n° 11, 1°).
30. Qui giova osservare :
1° Che, segnati con a, n i punti di mezzo delle ret-
te AA1, AAX , il secondo asse Bc dee trovarsi nel piano
innalzato perpendicolarmente in mezzo alla retta A A (n°ll);
onde se per a si conduce un altro piano perpendicolare al-
l’ asse centrale Ov , la intersezione di questi due piani in-
contrerà in qualche punto B 1’ asse c . Inoltre questa ret-
ta aB essendo perpendicolare alle due (AA, na) od al
piano AAtAr, e però parallela ad nO , incontrerà eziandio
1* asse centrale in qualche punto m.
49
386
E sarà
Domenico Chelini
am = nO = AO cos^O ,
Om = na = J AXA‘ = £ t.
2° Che per la definizione della reto risultante essendo
AB = ris.(AO, Om, mB) ,
^4' = m. ( ^4 , ) = 2m.( ,45 , 5a ),
ed avendosi quanto agli angoli
i0 = ang.(AO, nO) = ang.(AO , aB) ,
^ = ang. (AO , Om ) == ang. ( Om, mB ) ,
se poniamo AA'=zt, ed
f AO = H ,
AB = U, ]
l mB = H! ;
le note proprietà della retta risultante somministrano
U* = H* -+- H'* -+- 2 HH' cos± e-*-$ t*,
AH* serfiS,
'c = tcos(vt) = <lUcosloU).
3° Che quando il punto A dell’ asse c è preso alla mi-
nima distanza dall3 asse centrale , le tre rette AO , mB , AB
(che in questo caso denoteremo per h, h! , u) rappresen-
teranno le più corte distanze dell’ asse centrale agli assi
conjugati c, c, e di questi tra loro. Imperocché quando
la retta AO è perpendicolare al piano vAc , riesciranno com-
plementari gli angoli onde dal piano vAc si passa al pia-
no t )AAi e dal piano t >AAt alla retta AO ; e poiché que-
st’ ultimo angolo è = ( § — i®)? il primo angolo sa-
rà =^0. Da ciò segue che il piano cAv contiene le due
rette AAt , AA‘, e che aB, perpendicolare al piano vAc — (ve )y
è perpendicolare al secondo asse Bc in un col piano ABA •
Di più, gli angoli onde dal piano cAc si passa al pia-
no c A A‘ e dal piano c AA‘ alla retta AB essendo eguali ri-
spettivamente a ±0', (\ic — J0'), la retta AB sarà perpen-
dicolare al piano cAc, e però sarà la più corta distanza
Leggi de9 moti geometrici
de’ due assi conjugati Ac, Bc. Così le rette h=-AO,
U = mB , u = AB misurano le più corte distanze dell’ asse
centrale v agli assi conjugati c , c e di questi tra loro, e
sono rispettivamente perpendicolari alle facce (ve), (cv), (c'c)
del triedro Avcc, e per conseguenza
ang. ( hbl ) = * 0 , ang. ( hu ) = ^ 0, ang.( uK ) = 4 0' ,
ang. ( hv ) = ang. (v K) = £ n.
Quindi dall’ essere
ris. (h, K , — u ) = 0 ,
si raccoglie
«2 = A2 -4- K2 -4- 2 hh‘ 0 -4- | r ,
h = ucos^O — h! cos
h‘ = u cos %0‘ — h cos ^ 0
e ne’ triangoli isosceli AOAt , ABA‘ aventi ai vertici O, B
gli angoli 0 , 0‘, si ha
AAt = 2 h sen J0, AA‘ = 2 u sen 4 0J ;
e nel triangolo AXAA‘ dove 1’ angolo AXAA‘ è ss ang.(vAc')
= ang.(vc^):
_ Visen^e _ , lhìsen^g^ _ 2ufen 1
sen (ve) cos (ve)
donde
, T cot ( ve ) _ T x
h = — - , r = 2 u sen \ 0 sen (ve).
*2sen 2 ©
poiché il triedro Avcc dà sen ( ve') = - sen (cc) ,
sen^sy
avremo pure
sen^B usen^O sen^O' sen (cc) ,
vale a dire (*) : Se si moltiplicano i seni di due semi-rotazioni
(*) Ò. Rodrigues.
Domenico Chelini
conjugate per la distanza declorò assi e pel seno dell’ an-
golo di questi assi , il prodotto si mantiene costante al va-
riare di tali assi, riuscendo sempre = sen ^ 0.
4° Che i due triangoli isosceli , che hanno i vertici nei
punti O , m dell5 asse centrale, e per basi le corde degli
archi descritti dai punti A , B di F per la rotazione 0 in-
torno all5 asse centrale, si conservano simili a sè stessi do-
vunque sia preso il punto A sull5 asse c ; onde
— = — , U2 = ^ (h2 -4- h'2 H- 2M' cos%G) -+- \x2.
h H a
5° Che quando i primi c di più assi conjugati (c, c)
passano per un medesimo punto A , i secondi assi c si
troveranno tutti in un medesimo piano , e nel piano P che
insiste normale in mezzo alla traslazione AA‘ relativa al
punto A; e viceversa , ad ogni retta del piano P, conside-
rata come un secondo asse c , corrisponderà conjugato un
primo asse c che passa per A.
Se si prende per primo asse c la stessa corda AA‘ , il se-
condo asse c avrà una direzione perpendicolare a quella
di c. Laonde : Per ogni punto A dello spazio esiste un si-
stema ( ed un solo ) di assi c , c , conjugati tra loro ad an-
golo retto , e di cui il primo passa per A . Questi assi sono
corde , cioè tali che ciascuno di essi contiene ( siccome è
evidente pensando agli effetti delle due rotazioni) la trasla-
zione relativa ad uno de5 suoi punti. La retta che unisce
i punti medii di queste due corde in c, c , è la più corta
distanza de5 due assi.
6° Quando il punto A si concepisce ad una distanza infi-
nita , la corda AAX diviene infinita e si confonde con AA ,
riuscendo == 0 il rapporto . Quindi allorché i primi di
più assi conjugati sono paralleli , i secondi saranno tutti in
un piano parallelo all5 asse centrale.
31. Problema II. Dato il moto elicoidale (0, t), e dato
nella retta Bc‘ (fig. 12) il secondo c degli assi conjugati
( c , c), la costruzione del primo Ac può ottenersi cosi .
Leggi de’ moti geometrici
Da B (che si suppone un punto qualunque dell’ asse c)
si tiri all’ asse centrale la perpendicolare BO , poi si noti
nella figura F quel punto B' che pel moto elicoidale (O, r)
verrebbe in B, ed infine si costruisca il solito triedro Bvcc
in cui F angolo interno adiacente a Bv sia = ( n — £ 0 ) ,
e sia perpendicolare a BB? lo spigolo Bc.
Questo triedro offrirà nello spigolo Bc la direzione del
primo asse c, e negli angoli adjacenti a Bc, Bc le metà delle
rotazioni 6, 6‘ da farsi intorno agli assi conjugati ( c, c').
Infatti il moto elicoidale (0, r) equivale alla traslazio-
ne B‘B , seguita dalle due rotazioni 0, 0‘ intorno agli
assi Bc, Bc ; ed i primi due moti, siccome rettangolari,
equivalgono ad una semplice rotazione 0 intorno ad un
asse Ac che si sa costruire (n° 11, 2°). Cosi è provato
che : La traslocazione di una figura da un sito ad un altro
qualsivoglia può effettuarsi mediante due rotazioni successive
di cui la seconda debba farsi intorno ad un asse dato.
a) Da questa costruzione apparisce che le forinole relative
al primo c degli assi conjugati ( c , c ) si trasformeranno in
quelle relative al secondo c, solo che si alternino tra loro
le lettere h, 0, c colle lettere corrispondenti h! , 0‘, c.
Così le formole
T =?^Ì£ = /(rs-(-4.A,Wie) =2 u seni 6'
sen(vc) cos(vc)
si mutano nelle
1 = /(t* -+- ih” san'lQ) = 2 usen^O;
sen(cv) cos(cv)
e dal loro paragone si trae
= htan(vc) = h! tan (cv) ==
2 sen \ 0
sen ( cv) sen\ ve)
sen(cc).
32. Quando al moto elicoidale si voglion sostituire due
rotazioni successive , essendo dato F asse di una di esse ,
si offre a risolvere il doppio quesito:
390
Domenico Chelini
1° Date le quantità 0, x 3 c 3 h3 trovare le
quantità c , H , u 3 d3 6';
2° Date le quantità 0 , x 3 c*tis trovare le
quantità c 3 h 3 u 3 03 d' .
Al primo quesito rispondono le formole seguenti che si
traggono da quelle ora dimostrate e dalla considerazione
del triedro Ovcc ( n° 28 ) :
sen (ve) __ cos (ve ) 1
x ~~ 2hsen % O _ kl? ser ? \ O ) ?
K = - — ~Tq cot ( cv ) » u2 ~ h2 -+~ -+- %h1i cos^® -+- — ,
tan%0
tan\$
cos(cc) =
x tan \ 0
cos ( cv ) [x -4- 2 h tan ( cv ) tan J 0 ] ’
senj9ì/(x2-^ Wsen^S)
x cot ( cv) -+- h sen 0
2 h cos (cv) sen £ 0 — x sen (cv) cos ^ 0
/(**+ -Wsen'lB) '
Al secondo quesito rispondono queste medesime formole
col solo alternarvi le lettere c3 h3 0 colle lettere c3 li 3
33. Se gli assi c3 c sono conjugati tra loro ad angolo
retto , sarà cos ( cc ) = 0 , e le formole
cos (cc) = cos ( cv ) cos (ve) — sen ( cv ) sen ( ve) cos * 0 ,
2 sen i 0
h tan (ve) = h! tan (cv) ,
daranno
h
tan ( cv ) tan (ve) =
cosi e
rto’Wcwi9’ hh‘=(i£^)cos^
ed oltre a ciò si ha
Leggi de5 moti geometrici 391
PARTE ANALITICA.
MOTI GEOMETRICI RIFERITI AD ASSI COORDINATI.
§ 1° Relazioni tra due assi paralleli di rotazione , de» quali
sia data la traslazione relativa.
Le corde che uniscono i punti omologhi (A , A‘) , (B, B ),
( C , C‘) etc. di due figure coincidibili F , F‘ , ove riescano
parallele ed uguali, sono comprese tra due linee parallele
all5 asse centrale (23, a).
Le linee parallele all5 asse centrale si diranno assi di ro-
tazione, in quanto che la rotazione si può trasportare dal-
l5 uno all5 altro purché si aggiunga la traslazione relativa
al nuovo asse (11).
34 . L5 asse di rotazione Ov ( fig. 8 ) , a cui è relativa la
traslazione = tQ , abbia la direzione (A, (i, v) (*) rispetto
a tre assi rettangolari Ox , Oy, Oz coordinati in O. Data
la traslazione = t relativa ad un altro asse di rotazione ,
qual sarà il sito di quest’ asse ? Quest5 asse passerà pel pun-
to M di cui le coordinate a, P, y hanno i valori
a = — [*(* — ), — #*(* — *ohl cot\d,
9 =-ì 0-*,), -*-4 (*—*»)'— v 0—0.] coti e>
y=— i (*—*,)» -+•£[** (* — *,). — A (*—*,),] cot^O,
essendo la OM perpendicolare ai due assi paralleli Ov , Mv
(n° 10, N.B).
Dim. Si osservi dapprima che il punto M della figura F ,
assoggettato alla rotazione 6 ed alla traslazione t0 , passa
successivamente ne5 punti Mt , M‘ ; e che , chiamato D il
punto di mezzo di MMt ( fig. 8 ) , si ha
MMX = 2ODtan\0, MtM‘ = tQ , MM‘ = t.
(*) Per direzione (A, p, v) s’intenda la direzione determinata dai coseni
degli angoli che Ov fa cogli assi Ox, Oy , Oz, essendo
A = eos(aro), p = cos(y»), v ss cos{zv).
Domenico Chelini
onde
ed
MMi = ris. (MM‘> M'Mi ) = ris. (t, — t0) ,
OD = %MMt cot^O.
Ciò posto , le coordinate a , @ , y del punto M essendo
sopra Ox , Òy, Oz le projezioni di OM , sarà
a = OMx = ( OD -+- DM)X = (OD -+- tMtM)x ,
« = — *(?— v). ■
ozl
Ora se la retta OD > che è perpendicolare al piano
(MMt , Mv) , si considera come rappresentante in grandez-
za e in asse F area del parallelogrammo che sopra le ret-
te MMt , Mv ha per lati ( t MMt cot ^ 0 , 1 ) , questa ret-
ta OD projettata sopra Ox y Oy, Oz darà
odx = ^ [v (t — (i (t — *0)s] cotte, odv = etc.
dunque
“ = — 4 4 [»(* — f4 (* — *.)«] cOi$0.
Così è dimostrata la prima delle forinole proposte , e per
ragion di simmetria ciascuna delle altre due.
35. L’asse di rotazione Ov sia 1’ asse centrale , e la di-
rezione della corda t = MM‘ sia (/, m , re). Sarà
T y t —
ì (vt) U -+- m(i -+- nv
e le coordinate a, fi, y del punto M diverranno
cot\e
== — 4(i—T)»-
= — 40— *)«■
— (mv — nn)
2 ' cos(vt)
(nÀ — lv)
cotto
cos (vt) '
T cot^O
— ( /u — mA.) f— - .
2 ' cos (vt)
Leggi de5
GEOMETRICI
36. Supposto che Ov sia l5 asse centrale, da quale equa-
zione è rappresentato il piano che contiene le corde t aventi
la direzione ( l , m , n ) ? Dall5 equazione
(mv — np)x -+- (uà — lv)y -+- {lp — mX)z = ~~ cot % 0 »
dove
sen\ vt) __ {mv — np )2 -+- ( ni — Iv )2 -t- ( Ip — mh )2
cos ( vt ) + mp ■+» nv
Dim. Infatti il piano espresso da quest5 equazione con-
tiene le linee MM'> Mv le cui direzioni sono Imn, Apv ;
siccome piano che è perpendicolare alla retta [ = 5erc(p£)]
composta delle tre ( mv — np ) „ ( ni — Iv ) , ( Ip — mv) , e
che di più passa pel punto apy od M , essendo il secondo
membro ciò che diviene il primo quando ad x , y, z si so-
stituiscono i valori dì a, P,-y.
La precedente equazione insegna che : Per un punto xyz
preso ad arbitrio nello spazio passano le direzioni Imn d’ in-
finite corde t (n° 6), tutte comprese sopra un cono di se-
condo grado . Imperocché se le quantità l, m 3n si riguar-
dano come coordinate correnti , ed il punto xyz come dato,
l5 equazione suddetta (omogenea rispetto ad Imn ) rappre-
senta un cono.
§ 8° Foratole rappresentanti il traslocamelo prodotto da una
rotazione e traslazione. Formole speciali per la
trasformazione delle coordinate.
36. Probl. Dato che una figura sia passata da un luo-
go F in un altro luogo qualunque F' , trovare le formole
che rappresentano questo passaggio .
Soluz. 1° Immaginiamo tre assi rettangolari Ox , Oy , Oz
connessi colla figura data F , i quali , nella seconda posi-
zione di F in F' , siano passati in Orxi , Oyx , Ofzt pren-
dendo le direzioni
{l, m, n), (t, m, n ), (7", m , n)
rispetto alla loro prima posizione Óx , Oy , Oz .
t. i. 50
394
Domenico Chelini
Il punto M di F abbia nella prima posizione le coordi-
nate xyz ; passato nella seconda posizione M' avrà , sopra
i secondi assi, le stesse coordinate xyz , ma su i primi
assi avrà nuove coordinate ocyz vincolate alle coordina-
te xyz dalle formole
/ x = tx -4- Ix -+- l'y -+- tz ,
(1) ] y === ty -+- mx -l- my -+- rri’z ,
\ z = tz -+- nx *4- riy -+- ri’z ;
ove tx , ty , tz sono sugli assi in O le coordinate del pun-
to OV ossia le componenti della retta 00' = t che rappre-
senta la traslazione relativa al punto O.
Le coordinate xyz che si contano sugli assi Ox , Oy, Oz
avendo, rispetto agli assi 0'x1 y Oryt , Ozt , le direzioni
Ut', mrrim , miri’, i valori di xyz espressi in funzione
di xyz saranno
x == l(x — tx) H- m(y — ty) n(ri — 4)> etc.
ossia
t cos ( xxt ) -+- Ix H- my nz ,
t cos (ytt) H- tx -t- my -f- riri,
tcos(zxt) -+- Vai -+- rri’y -f- ri9 ri.
2° Consideriamo adesso i due moti di rotazione =z 6 e
di traslazione = t, pe’ quali il punto M passa in M' ; e
cerchiamo di esprimere i valori di xyz in funzione di xyz-
Sia Op (fig. 13) Passe della rotazione 0 ed abbia la di-
rezione A[iv. Dal punto M(xyz ) tiriamo MP perpendico-
lare in P all’ asse Op, e PM passi dopo la rotazione 6
in PMX , ed Mt per la traslazione t trascorra in Mi (xyz)
descrivendo la linea MtM’ == t. Infine dal punto Mt ab'
bassiamo sopra PM la perpendicolare Mtn , ed avvertiamo
Leggi de’ moti geometrici
395
le relazioni ( essendo PMt = PM) :
Pn = PM, cos 0 > nMt = PM. sen 0 3
nM = PM ( 1 — cos6) = PM. 2sen*\Q 9
OP = OMcos ( POM) = Xx -+-
Ciò posto, le coordinate xyz del punto ilf' essendo so-
pra Ox j Oy > Oz le proiezioni di OMr, sarà
x' = OM’x = (OM-h Mn-+-nMt -h
= ir -f- ( M/i -i- nMt )x *4- tx .
Ma
(Mn)msa(MP}m2sen*i$3
ed
( MP )x = ( MO -i- OP )x = — a; -H- /l ( /lir -I- ftjy -t- vz ).
Similmente
( rad#, )x = (fiz — vy) sen 0;
perchè la retta nMt rappresenta in grandezza e in asse
P area del parallelogrammo di cui un lato = 1 è sopra Ov,
e P altro lato è OM ; e si sa che quest’ area ,
= 1. OMsen(oOM) = PM = ,
cade sui piani yz , zx , xy colle projezioni
[iz ' — vy y vx — Xy — (tx.
Dunque la formola
x' = tx -4- x -+- ( Mn -H nMt )x >
fatte le sostituzioni ed applicando il principio di simme-
tria , darà
x=ztx- \-x — 2[x — X(Xx -*-(iy-*~ vz)] sen 2 ± 0 -+* (fiz — vy)send,
y=ty-\-y — 2[y — fJL (Xx -*-(iy- +- vz)] sen2 (vx — Xz)senO>
z—t% -+- z — 2 [z — v (Xy h— fiy «+- vz)] sen 2 ^ 0 •+• (%- — fix)senO;
396
Domenico Chelini
e quindi , sviluppando ed ordinando ,
= /,■+■ [ 1 — 2 (ffc2H-2?2) sen2±6]x
— [ v sen 6 — 2 À(i sen ? J 0 ]/
-H sen 0 H- ZvA, seri 2 J 0 ] z ,
y = ty -+- [ 2? sere 0 -+- 2A^ sere2 J 0] #
(a) ^ -+- [ 1 — 2 ( 2>2 -H A2 ) sere2 £ 0 ]y
— [A sere 0 — 2f«; sere2 J 0] £ ^
= /z — [jUisen 0 — 2vA sen*^ &]x
[A sen 0 -+- 2 fiv set t2 \ 0]y
-+- [1 — 2(A2-+- {i2)sen2±:d]z.
Se ora paragoniamo quest5 equazioni colle (1), si otten-
gono le seguenti formole dovute ad Eulero :
m~v sen 0 -+- 2 Afe seri*1 ì 6,
n = A sere 0 -+- 2ft2> sere2 J 0,
/ = 1 — 2 (fi2 -t- v2) sen2 \ 0, i" = /e sere 0 h- 2i>A se»2 J 0,
(d) { rri= 1 — 2 (#2-t- A2) sere2 J 0^
: 1— 2(A2-Hfe2)sere2§0., re =--f* sere 0-4- 2i>A sere2 £0,»
t — — vsend-*-2A(i sen2%0,
m"~—A$end~*-2(ivsen2%0;
per le quali le direzioni Imn , Irriti , t'rri'n degli assi ret-
tangolari Orxt , Ojt , 0'zt , rispetto agli assi O#* Oy, Oz, sono
espresse in funzione delle quattro quantità 0 , X, (i , v ,
Queste formole, se in esse sostituiamo
/rere2 40
set i2 4 0 = — 2 ■ ■ , sen 6
2 1+^10
e poscia facciamo
a = A /rere ^0^ 6 — /rere J 0,
jRC = 1 -+- re2 -4- £24- c2=1
2 /rere ^ 0
1 -+- /rere2 ^0 *
= v tan%0,
tari1 £ 0,
Leggi de’ moti geometrici
397
si convertono nelle seguenti, trovate con altro metodo da
O. Rodrigues,
/ Kl = — £’ — e*, Km = %ab -+- c), Kn = 2(ca-b),
(fi) Km'=i-i-bì—^-a\ Kn'=ì(bc-+-a), Kl = 2(ab-c),
( fi»''=l-t-cs— a*— b\ Kl"=2(ca + b), Km"=2(bc—a),
per le quali i nove elementi delle tre direzioni Imn , / tri ri ,
t'm'n!' sono espressi razionalmente' in funzione delle sole
quantità a , b , c.
Quando la figura F non subisce che la semplice rotazio-
ne 0 intorno ad Ov , dopo questa rotazione il punto xyz
di F si troverà nel luogo xyz determinato dall* equazioni
/Kx= (1 -ha2 — b2 — c2) x-h%(ab — c)y -h2(ca-hb)z,
(C) | Ky = (1 -+- b2 — c2 — a2) y -4-2 (bc — a) z-*-2(ab -h c)x,
{Kz' = (ì-hc2--a2---b2)z-h2(ca--b)x-h2(bc-ha)y,
le quali hanno applicazioni non meno in Geometria che in
Meccanica (si veda la Nota in fine).
Le formole (A) e (B) sono di grandissima importanza
nella trasformazione delle coordinate. Imperocché quando
si hanno da considerare due sistemi di assi rettangolari
intorno ad una comune origine, ed il moto di rotazione per
cui si passa dall’ un sistema all’ altro , occorre spesso di
dover risolvere il doppio quesito : » Dato il moto di rota-
zione, determinare le direzioni Imn , tmri , t'm'n degli
assi delV un sistema rispetto agli assi delV altro ; e reciproca-
mente : » Date queste direzioni, determinare il moto di ro-
tazione rispetto alla sua ampiezza 6 ed al suo asse hpv. Le
formole (B) risolvono il primo quesito; cerchiamo quelle
che risolvono il secondo.
Dalle formole (J) si ricavano a colpo d’ occhio le seguenti
m“ = 2À sen 0,
n = 2p sen 6, l -h m -h ri* — 1=2 cosd ;
/'== 2v sen 6;
398
Domenico Chelini
le quali determinano pienamente il moto di rotazione e
quanto alla sua ampiezza 0 (che si dee suppor minore di
due retti) e quanto al .suo asse (facendosi note le quan-
tità A, p , v rispetto al valore ed al segno zt 1).
Dalle (A) si ha inoltre
1 — l =2(1 — A*) seri = Z seri (xv) seri^O,
1 — ^' = 2(1 — (i2)sen^d = 2seri(yv)seri6J
1 — ri' — 2(1 — v1) seri% 0 = 2 seri ( zv ) seri \ 0;
ed eziandio
A tan 0 = -
(. Ltan\Oz=z
v tan ^ 0 =
/'-H n
m — V
r
Quando 1’ asse Ov di rotazione è stato determinato ri-
spetto al verso della sua direzione A(iv , sia graficamen-
te (17), sia coll’ uso delle (1), i valori de’ quattro ele-
menti (A , p , v , 6) del moto di rotazione si possono espri-
mer tutti colle sole tre quantità l, rri , ri' , mediante altre
forinole che si ricavano pure dalle (A), e che sono
/ j/(l + / — rri — n") = 2A sen ± 0X
(2). | j/(l -f- rri— ri1— l) = 2yisen%0y
\ /(Ih -ri' — l — m) = 2v sen^O;
t y/(\ -4- l -t- rri ri' ) = 2 cos ^ 0,
\ |/( 3 — l — rri — ri') = 2 sen % 0.
Di questi radicali gli ultimi due si debbono prendere
positivamente; il segno degli altri è quello di A> (A, v.
Leggi de’ moti geometrici
399
èe si dinotano per A, B, C, D i primi quattro radi-
cali , talché si abbia
2A sen %0 ss A , 2p sen ^ 0 = B , 2v sen = C >
D = 2 cos^d = /(4 — J2 — 52- C2),
le (^4) diventano
/=1 — i^-hC2), m = ±(AB+CD), n =%(CA — BD),
m = \ — ± (C2-4-^2)? /*' = ■* (£C-h ,41?), Z' = £(,4£— C£>),
n“=i-i(A2 + B% r ss ^ (CA -+- BD) , m^^BC-AD),
delle quali le sei ultime , sostituiti i valori di ^ i?, C, Z)
in funzione di to'* zi"* sono le formole dette di Monge,
avendole proposte quest’ illustre geometra senza indicare
come vi era pervenuto. La dimostrazione analitica che suol
darsene si deve a Lacroix (Traìté du Calcul différentiel et
intègral^ tom. \ , pag. 533).
Le formole di Monge si possono raccogliere nella terna
seguente di equazioni doppie:
»'±to"=/[(1 q= iy— (m'+ n")2],
l"±n=l/[(ì+m‘y-(n"zLiy].
La prima, per esempio, dà i valori di (m-t-Z), (m — /),
che sommati e sottratti fanno subito conoscere m ed /.Lo
stesso dicasi delle altre due.
§ J° Formole rappresentanti il traslocamene prodotto da tre
rotazioni successive intorno ad assi rettangolari.
37. Problema. Date le rotazioni successive 0, ff, 0n in-
torno a tre assi ortogonali Ox, Oy, Oz , determinare V as-
se Ov e V ampiezza 0 della rotazione risultante, e viceversa.
Soluz. Le operazioni che conducono per via diretta alla
soluzione, consistono evidentemente:
400
Domenico Chelini
1° Nel determinare le direzioni Imn , tmn9 t‘mnn che
le rette della figura F coincidenti cogli assi Ox, Oy, Oz,
prendono al compiersi delle tre rotazioni d, d‘, d“ , e che
nella loro posizione finale indicheremo per Ox , Oy , Oz ;
2° E poscia nel determinare la rotazione unica 0 , che porti
il sistema di assi Ox, Oy, Oz a confondersi col sistema Ox,
Oy , Oz 3 mediante le formole già trovate
4co52J0 = 1 +l + mi+ri',
I2À sen 0 = n — m" ,
%{isenO = V — n,
2vsenO=zm — V.
Per determinare le direzioni Imn , tritìi, l“m“n“ , basta
cercare in quali posizioni dopo le tre rotazioni d, d' , d" si
fermano i tre punti :
Ìx = 1 , / x = 0 ,
z = 0 ; ( z = 0 ;
Applicando le formole (a) del n° 36 , postovi t = 0 ,
e supponendo che la direzione di Ov coincida succes-
sivamente cogli assi Ox 3 Oy, Oz ; si vedrà che dopo la
prima rotazione d, cotesti punti si fermano ne* luoghi
da’ quali , dopo la seconda rotazione d‘, passano ne’ seguenti
cos 0' 3 , x •=. sen 6 sen 0', , x = sen 6' cos 0,
0 , | y = cos 6, J y = — send,
— send'; 3 =» send cosd‘; \ z = cos d cos d
I = cosO' cosd"
m = cos 0 ’ sen 0 "
sen 0 ' ;
(n = — :
Leggi de* moti geometrici 401
per recarsi infine dopo la terza rotazione 0" ne’ punti
f /' = sen 0 sen 0‘ cos 0" — cos 0 sen 0" ,
< m = sen 0 sen 0' sen 0” h- cos 0 cos 0" s
ri = sen 0 cos 0‘ ;
1" = cos 0 sen 0 ' cos 0" -+- sen 0 sen 0" ,
< m" = cos 0 sen 0' sen 0" — sen 0 cos 0 " *
\ ri‘ = cos 0 cos 0' .
E queste sono le direzioni Imn, tmrì , che dopo
le tre rotazioni prenderebbero gli assi Ox 9 Oy 9 Oz se ap-
partenessero alla figura F. Anche queste formole si deb-
bono ad Eulero.
Per determinare 1’ ampiezza 0 della rotazione risultante
delle tre 0 s 0‘9 0“, osserviamo che la formola
4 CO/ *0 = 1 H-Z-4-77Ì-H n ,
sostituiti i valori di ly m, n 9 diviene
cos u cos (7
cos 0' cos 0" -
sen 0 sen 0 ' sen 0 "
?Ì0 cos \ 0r cos ^ 0" ] 2
= 4 [ sen ^ 0 sen \ 0' sen % 0" *
1/ identità de9 secondi membri si fa manifesta ove si at-
tenda alle relazioni simili alle seguenti
cos 0 = — (1 — 2 co/ ^ 0),
sen 0 = 2 sen %0 cos %0 9
s&z2 40=1 — co/ 40.
Concludiamo adunque che la rotazione risultante , quanto
ili’ ampiezza 0 ed all9 asse Op y si ha dall9 equazioni
co$^0 = sen .^0 sen % 0* sen\0u «+- cos%0 cos 40' cos%0"j,
51
T. f.
402
Domenico Chelini
2/1 sen 0 = sen 0 ( cos 0' -+- cos 0" ) — sen 0‘ sen 0“ cos 0 ,
2 ft sen 0 = sen 0' (ì -+-cos0 cos 0 " ) -4- sen 6 sen 0",
2v sen 0 = sen 0" ( cos 0 -+- cos 0') — sen 0 sen 0' cos 0".
Quando è data la rotazione 0 intorno all’ asse Ov 3 e si
vuol decomporre in tre rotazioni successive intorno agli
assi Ox 3 Oy s Oz , le ampiezze 0 0' , 0" di queste rota-
zioni si avranno dalle (n° 36, A)
a n X sen 0-h2 {tv seri 2 ^ 0
ri* 1 — 2 (/12h- ffc2) sen2% 0 ?
sen 0‘ = — n = ft sen 0 — 2^/1 seri 2 i 0 ,
, m v sen 0 -4- 2/L^i sera2 0
tand = 1 =
■ Non so se altri abbia dato queste forinole e le tre pre-
cedenti ; ciò avverto perchè il Sig. O. Rodrigues riguarda
come un’operazione inestricabile ì’ esprimer gli angoli 0s0f J0n
in funzione di 0, (i, v (Journal de Liouville 3 an. 1840,
pag. 413).
§ 4° Forinole di relazione tra i ponti corrispondenti di due
figure coinciditeli e la figura media.
38. Problema. Traslocandosi una figura da F in F , un
suo punto passi dal luogo M od (xyz) al luogo Mr od
( xr = x -4- dx 3 y = y -4- dy 3 z = z dz). Supposto noto
il punto di mezzo m della corda MM' ( fìg. 1 3 ) per le coor-
dinate x,y, z, si domandano i valori delle differenze dx3dy9dz
in funzione di x,, y, z.
Soluz. A ciò rispondono le seguenti formole di O. Ro-
drigues
Ìdx = t,-*- 2 ( bz — cy ) , / tx = tx — ( bt% — c/j, ) ,
£/ = Ty -4- 2 ( ex — raz), dove / tv = ty — ( ctx — at%),
^ = Ts-h2(flY — bx ) , ( ts = t% — ( aty — btx) ?
Leggi de’ moti geometrici
403
t rappresentando la corda il cui punto di mezzo è in O ,
origine degli assi xyz , e t essendo la traslazione OO' rela-
tiva allo stesso punto O.
Dim. Rappresentiamoci alla mente la retta OO', che non
si vede nella fìg. 13, ed i punti di mezzo o , 772 di OO' ,
MtM*. Nel quadrilatero OO'M \M' i due lati OO' , MtM‘
essendo paralleli ed uguali tra loro per costruzione , saran-
no pure paralleli ed uguali i lati OMt , 0‘M‘ ; e la ret-
ta OD che dimezza P angolo delle direzioni delle due rette
omologhe OM , 0‘M' od OMt , sarà parallela ed uguale
ad 0772 3 e però avrà sugli assi coordinati le projezioni
X-“H* z — H-
Si consideri ora il parallelogrammo di cui un lato = 1
sia sopra Ov , e P altro lato sia OD. L5 area di questo pa-
MM
rallelogrammo , che è = PD = — — — ,
moltiplicata per 2 tan\Qs sarà rappresentata in grandezza e
in as$e dalla retta MMr Questa retta avrà quindi per
componenti
2 [ ( z — £ t% ) — v ( y — £ t9)] tan £ 0 , etc. , etc.
^Ne segue che la corda MM‘, contermina alla linea spez-
zata (MMt -+■ sarà composta delle tre
dx = tx -+- 2|> (z — J4) — v (y — ity)]tan±0, etc. ,
le quali formole „ svolte che siano , diventano le (d) .
Sono qui da notare le seguenti cose :
t° Essendo
Om = ris. ( OM , Mm ) = ris. ( OM*, Mlm ),
sarà ,
x = x -t- % dx — x' — \ dx ,
y = x -+- 2 dy = y — \ dy 9
z = z -+* £ dz = z — ^ dz ;
404
Domenico Chelini
e per conseguenza
x = — ^t,+ x — ( bz — cy ) ,
/ = — ì Ty -H y — (ex — az) ,
Z = J Ts -+- z ( <2Y — &x) ;
^=Its + X+ ( &Z CY ) ,
J -|TS + Y+ (ex — «Z ) ,
Z = Ts -+- Z -f- ( &Y £x ) ,
^ — a;, x=J(#-H#'),
dy=/ — y, r =%(y -*-/),
dz-==.z — zs z-^(z^z).
relazioni e per quelle (a) del n° 36 , ove
siano date le quantità di uno de* tre gruppi
xyz, xyz , xyz,
si conosceranno quelle degli altri due, non che i valori
di dx, dy, dz.
2° Dall’ equazioni (£), (c), ( d ) apparisce che i punti
medi xyz delle corde MM\ congiungenti i punti omologhi
delle due figure uguali F, F‘, costituiscono una terza figura
media ( F) , omografica con ciascuna delle date , vale a dire
una figura in tale connessione con ciascuna delle date che
ad ogni punto, ad ogni retta, ad ogni piano di una di
queste corrisponde in essa un punto , una retta, un pia-
no; e viceversa. Onde è, che rispetto a queste figure si
possono subito enunciare tutte le note proprietà delle figu-
re omografiche.
3° Se la traslazione relativa al punto M si projetta sul-
1’ asse Ov di rotazione , si avrà ( 38 ,, d)
A dx -+- fi Òy -+- v àz = Ztm -+- (ity -t- vt% == t cos (vt) = r,
conforme a ciò che si era già avvertito (n° 23).
oltre di essere
id) j
Per queste
Leggi de5 moti geometrici
405
§ 5° Forinole relative alla rotazione intorno all* asse
centrale Ov preso per asse delle z.
39. In questa supposizione le quantità A(iv , ab c che
determinano la direzione dell’ asse centrale , diventano
4 = 0, , a = 0,
£t = 0, | b = 0 , Kz= \ -+- c2.
v = 1 j \ c = tan £ 6 ;
La traslazione t relativa alla origine O delle xyz es-
sendo un segmento dell’ asse centrale , avrà per componenti
tx = 0 , t9 = 0 , ts = t.
E similmente la corda t il cui punto medio è in O, dà
•r* = 0 , Ty = 0 , tx = T.
I due assi Ox 3 Oy , dopo la rotazione 6 intorno all’ asse
centrale Oz , prenderanno le direzioni Im , tiri determinate
dall’ equazioni :
j8T/=1— c% (KV = — 2c,
Km = 2c ; { Km' = l — c2;
funzioni della sola c = /ara ^ 0.
E tra i punti estremi ( iniziale xyz e finale xyz) di una
corda qualsivoglia MMf, ed il suo punto medio xyz, si
avranno le relazioni
Kx = (1 — c2)x— 2cr = tf(x — cy),
Ky = (1 — c*)y -h 2 ex = K (y -+- ex),
zr=z-h-T = zH-%T;
Kx = (1 — c2)x %cy == K (x -f- cy)
Ky = (1 — c2)/ — 2cx = K(y — ex)
z = z — r = z — ^ t ;
406 Domenico Chelini
x — cy — x -4- cy,
y ex — y — ex',
z -t-ir = z' —ir;
e le variazioni delle coordinate xyz saranno
— dx = — (ex ->r- y) — ex — y — — Ky ,
dy = — (cy — x ) = cy x = Kx ,
40. Queste formole manifestano alcune proprietà riguar-
danti le corde MMr ed i piani.
a). Le corde che uniscono i punti corrispondenti xyz , xy'z
delle due posizioni della figura siano parallele al piano
A% -h Bri <X = D >
cioè soddisfacciano alla condizione
Adx H- Bdy -f- Cdz = 0.
Se in quest9 equazione sostituiamo i valori di dx, dy, dz
in funzione de9 punti (xyz, xyz) iniziale e finale delle
corde MMr , avremo i due piani
(Ac-B)x+(Bc + A)y = ^rC,
(Ac + B)x'->-(Bc—A)y'=:—£c %C ,
paralleli all9 asse centrale , vale a dire : Le corde MM' pa-
rallele ad un medesimo piano , tengono le loro estremità so-
pra due piani paralleli all 9 asse centrale.
Segue di qui che : Quando son date tre corde AA' , BB' , CC
non parallela tra loro, si può considerar come data la di-
rezione deW asse centrale. Poiché se da un punto O si ti-
rano parallele ed uguali ad esse corde le linee Oa, Ob , Oc;
Leggi de9 moti geometrici
407
rispetto ai punti a 3 b 3 c possono avvenire due casi : o i
punti a3 b 3 c non riescono in linea retta, ed allora deter-
minano un piano perpendicolare all9 asse centrale (n. 23);
o i punti a 3 b 3 c riescono in linea retta , ed allora i due
piani omologhi ABC 3 A B C’ si segano in una linea paral-
lela all9 asse centrale (*).
b). Un piano qualunque
Ax -+- By h- Cz = D 3
si consideri come il piano medio ( F ) tra le posizioni ini-
ziale e finale F 3 F di un piano che ha effettuato la ro-
tazione 0 intorno all9 asse centrale e la traslazione t. Que-
ste posizioni estreme F ed F del piano di cui si tratta
saranno ( sostituendo i valori di x , y , z in funzione di
xyz , xyz )
( (A -H Bc)x h- (B — Ac)y — KCz = K(D — %xC)
* [ (A-Bc)x-h- (B-+-Ac)y-¥-KCz = K(D + itC).
Sia p V asse del piano medio ( F) , cioè la retta perpen-
dicolare ad esso, è risultante di A 3 B 3 C3 cioè sia
p .= ris. {A 3 B3 C ) = j/ ( A* -+- B? -+- C* j .
e siano pt , p' gli assi de9 piani corrispondenti. Sarà
pt = ris. {A -+- Bc3 B — Ac 3 CK) = Kp,
p' = ris. ( A — Bc 3 B -+- Ac 3 CE ) = Kp.
Dalle quali equazioni apparisce che i tre assi p3 pt 3 p 3
che servono a determinare gli angoli de9 piani corrispon-
denti di (F), F3 F 3 non dipendono dal moto di traslazione r.
Quindi : Allorché un piano passa da una posizione F ad
un 9 altra F per un movimento composto di rotazione e tra-
slazione 3 i punti medi delle corde che uniscono i punti omo-
loghi delle due posizioni estreme del piano 3 sono in un nuovo
piano (F) la cui direzione è indipendente dal moto di tra-
slazione.
(*) Chasles.
Domenico Chelini
Le due posizioni estreme F, F del piano dato sono in-
clinate sul piano medio (F) con angoli uguali (ptp) , (/>//),
essendo
cos(p,p) = ~ (A2- I- B2- t- CÌK)— cos(pp').
Mp
La posizione rispettiva de9 tre piani F, ( F ) , F tra loro
si può rappresentare alla mente nel modo che segue. 11
piano F , che segherà T asse centrale in qualche punto 03
tocchi secondo la retta OA un cono retto , descritto dal
vertice O intorno all9 asse centrale Ov. Immaginiamo che
lo stesso piano F connesso colla retta OA sia portato in
giro , rasente il cono , da questa retta medesima OA la
quale al compiersi della rotazione 6 si trovi nella posizio-
ne OA'. Il piano AOA' sarà il piano medio ( F ) tra F ed F
quando manchi il moto di traslazione.
Infatti chiamata OI la intersezione de9 due piani F ed F 3
è chiaro che la retta OA è il luogo de9 punti di mezzo
delle corde che nel piano AOI terminano alla linea OI ,
e che la retta OAr è il luogo de9 punti di mezzo delle corde
che nel piano IO A' partono dalla linea OI.
Se dopo la rotazione 6 il piano F' subisce la traslazio-
ne t , e nella nuova posizione tagli l9 asse centrale Op nel
punto O' cosi che risulti OO' = r , il piano medio (F)
sarà parallelo allo stato in cui era precedentemente, ma
passerà pel mezzo o della corda 00'. Ciò apparisce anche
dall9 equazioni (/), ponendovi D = 0* cioè ponendo P ori-
gine delle xyz nel punto o.
c) Se la figura F consiste nel piano
Lx -4- My 4- Nz = R ,
l9 equazione del piano medio (F), ossia i valori de9 suoi
coefficienti A 3 B , C , D si avranno dalle relazioni
A-ì-Bc—L , B — Ac — M, CK=N, K(D—ìtC) = R,
e saranno
t 1 2V „ B t
A = -(L-Mc), B= — (M+Lc),C=—D=—+2C‘
§ F«
Leggi de5 moti geometrici
409
oratole di relazione tra un moto elicoidale ed un sistema
41. Dato un moto elicoidale (0, t) ed il primo c di
due assi conjugati di rotazione, in qual sito risiede il se-
condo c ?
Si concepiscano le corde
MM' = ris. ( dx , dy dz )
colle origini M ( xyz ) sul primo asse c , e per i loro punti
di mezzo (xyz) s9 intendano condotti altrettanti piani ad
esse rispettivamente perpendicolari. Tutti questi piani si
segheranno in una medesima linea (n° 21) che sarà eviden-
temente il secondo asse c.
L9 equazion generale di questi piani è
dx. | -+- ày.tj -+- dz.t, = dx.x -4- dy.Y -4- dz. z .
Sostituendo in questa i valori di dx , dy , dz , x , y , z
in funzione di xyz (n° 39), si ottiene
(A) (cx-*-y)Z-t-(cy — x)V — ^t£ = — +
dove
c = tan JT = 1 -+- c2 = — - — — .
2 c<w2^0
L9 equazione (A) essendo di primo grado rispetto alle
coordinate di ciascuno de9 due punti mobili (xyz), (lyt),
rende manifesto che quando il punto xyz (che distinto per a
si dirà polo del piano A) si muove descrivendo una figura
qualsivoglia F , il piano (A), polare del punto a* si moverà
esso pure inviluppando un9 altra figura Ft ; e queste due
figure F, Ft sono polari V una delV altra , vale a dire ad
ogni punto dell9 una corrisponde un piano nell9 altra; e
viceversa. Così, dato il piano
Al -i- -4- (X = D,
52
410
Domenico Chelini
il suo polo si ha dall5 equazioni
K K . . .
fc* “aè z
D
t /Ac —
=“~27V c“
ABC
e però dalle coordinate
t iBc-*-A\ D
r = __ (___),
e queste manifestano che: I piani paralleli (ne5 quali i due
rapporti ^ ~ hanno gli stessi valori ) tengono i loro
poli sopra una linea parallela alV asse centrale Oz.
a). Il punto a od (xyz) si muova descrivendo la superfì-
cie piana
Lx My -4- Nz s= R ;
il piano (A), polare del punto (xyz), la cui equazione si può
mettere sotto la forma
(c? — V)x ■+■ ( et! ■+■ S)r ■+■ — W = ^ T (? — ir) ,
invilupperà il punto fisso (?., r] , C) determinato dall equa-
zioni
A A
c? — ri cri ■+" ? 2c T ___ 2 c T ( C — i T )
e per conseguenza dalle coordinate
* 2c V iV /’ ^ 2c\ N }’ N
Dunque : I piani aventi i loro polì in un piano dato ,
passano tutti per un medesimo punto ; e viceversa : I piani
che passano per un medesimo punto hanno i poli in
un medesimo piano .
Leggi de’ moti geometrici
411
b )* Il punto xyz si muova descrivendo il primo di due
assi conjugati c , c , rappresentato dall’ equazioni
(c) x = lu -+- a , y = mu 0 * z = nu -+- y.
L’ equazione del piano polare di xyz, cioè la
(4 — rt)x-<r(cfl = -^ *(? — £*),
dovendo verificarsi qualunque sia u (come per u=o, u = oo),
si risolverà nelle due
( c/ -f- m)?-+- ( C7W — /)?? = — T.7& ,
zc
e queste esprimono che il secondo c degli assi conjugati
è dato dalla intersezione di due piani aventi i loro poli
sull’ asse c , il primo ad una distanza finita nel punto afty,
ed il secondo ad una distanza infinita, cosi che riesce pa-
rallelo all’ asse centrale. Ne conseguita che : Quando i pri-
mi c di più assi conjugati sono paralleli tra loro (ossia
quando hanno la stessa direzione Imn , ma diverso il pun-
to a(jy ) i secondi assi c sono tutti contenuti in un medesimo
piano parallelo alV asse centrale, e precisamente nel piano
K
(c/-t- m)% -4- (erri — /)? = — — m.
c). Denotiamo per tmn la direzione del secondo asse c.
Siccome dati due piani
ax by cz = d, dx -+- b' y -+- c z = d ,
la loro intersezione ha la direzione della retta composta
delle tre ( he — b'c) , (cd — c a) , ( ab' — db) ; così la
direzione tmn della linea d’ intersezione de’ due piani (c)
si trova essere
lr mi n sen(zc)
l — mc~~ m -+- le 2 c sen(zc)[/K ?
( am — pi)
T
412
Domenico Chelini
dove am — pi = hsen (zc) ; essendo h la minima distanza
tra i due assi Oz , c. La minima distanza H tra Oz e c
si ha dalla formola (n° 31 , a)
H :
2 sen J © tara ( zc )
Se sull’ asse c si cerca il punto ? 3? £ corrispondente
a C = 7 + questo punto sarà
s=S'^i=x<,,'"ie-“",49)’
7ZT ca -+- 0 , T ~ « T
? = — — • — T =~--(aseriìe (tcos^e),
2 c «77Z — 0/ h
c? j. Quando il primo asse c„ passante pel punto «0y colla
direzione Iran , si confonde colla corda
MM' =a= ri$. {da, dp , dy) ,
allora si ha / : m \ n \ \ da : d(t \ dy , e per conseguente
cp — a IC
— 2c
Kx\
l + F +
E la direzione Vrrirì del secondo asse conjugato c si rac-
coglierà dall’ equazioni
2ca-t- (1 — c*)P 2 cP—(
l-c> 2c
T
ossia dalle
V m
» sen 0 — a cos 0 sen i
Leggi de’ moti geometrici 413
e le due direzioni Imn, tiri ri saranno rettangolari tra loro ,
risultando
IV h- miri nri = o ,
conforme a ciò che si è già dichiarato per altra via (n° 30, 5).
Ne segue che : Lo spostamento di un piano nello spazio
può sempre operarsi per mezzo di due rotazioni successive
intorno a due assi rettangolari c , c , il primo de f quali c
è perpendicolare al piano e passa pel suo polo, ed il se-
condo c è contenuto nel piano.
42. Dato il secondo di due assi conjugati c , c, in qual
sito risiede il primo c ? Si concepiscano le corde
MMr = ris. ( 9x , dy > dz ) ,
terminanti ne’ punti xyri del secondo asse c , e dal loro
mezzo xyz s’ intendano condotti altrettanti piani ad esse
perpendicolari. Tutti questi piani si segheranno in una
medesima linea che sarà il primo asse c.
Operando come al n° 41, ed esprimendo le dx,dy,Òz, x^y,z
in funzione di xyz , 1’ equazion generale di tali piani si
trova essere
(B) (ex — y)t -+- (c/ -+- *' )y -t- — i C = r (z — £ % ) ,
ed è quella in cui si converte 1’ equazione ( A ) mutan-
do c , t in — c , — T. Se adunque si fa questo semplice
mutamento nelle forinole che si son trovate supponendo
dato il primo c degli assi conjugati , si avranno le proprietà
e le formole relative al caso in cui è dato il secondo asse c.
Si noti ancora che 1’ equazione ( B) è la medesima equa-
zione (A), ove al punto si è sostituito il punto xyz
ed al punto xyz il punto ???£ ; ossia è la medesima equa-
zione (A) che lega i punti di due figure così, che ad ogni
punto dell 9 una corrisponda un piano nelV altra.
43. Se nell’ equazion generale
dx. % -+- dy.'q -+- dz.t, = dx.x *4- dy. y H- dz. z
414
Domenico Ghelini
che rappresenta i piani perpendicolari, nel loro mezzo, alle
corde MM' > si sostituisce
dx = t x-\- 2 (bz — cy ) ,
si avrà
dy = Ty-+- 2 ( ex — az ) ,
dz = tx h- 2 ( ar — bx ) ,
a(y£ — zi?)
b (z£ — xt)=i
c(xy — y?)
(r — j?) t,
(z — C)t,;
equazione perfettamente simmetrica rispetto ai due sistemi
di coordinate xyz , * e di primo grado rispetto all’ uno
ed all’ altro. Se i punti xyz , £i?£ si riguardano come ap-
partenenti a due figure diverse , queste due figure si dico-
no polari reciproche ; perchè il piano corrispondente ad un
punto dato ad arbitrio , riesce sempre il medesimo piano ,
sia che il punto dato si consideri come appartenente alla
prima figura , sia come appartenente alla seconda. Ciò che
distingue questa polarità reciproca da quella ordinaria re-
lativa alle superficie di secondo grado, consiste nella sin-
golarità, che il polo di un piano è sempre un punto dello
stesso piano.
Dalle proprietà de’ moti successivi di traslazione e di
rotazione si possono dedurre facilmente le proprietà corri-
spondenti de5 moti infinitesimi o simultanei 3 proprietà che
sono anche più semplici delle prime , e dove non ha luogo
che la sola polarità reciproca. Negli elementi di Meccanica
razionale ho dimostrato in un modo diretto le leggi fon-
damentali de’ moti simultanei ; onde qui mi astengo dal
parlarne. Mio scopo principale si è di far discendere nel-
1’ insegnamento queste belle teorie , dove nessuno è an-
dato tanto innanzi quanto il Sig. Chasles,, massime per
ciò che riguarda 1’ omografia e la polarità, principii fe-
condissimi, e sorgenti inesauribili di nuove verità geome-
triche.
Leggi de’ moti geometrici
415
§ 9° Forinole riguardanti la similitudine delle figure, sia
diretta, sia inversa, e clie comprende come caso
particolare 1* eguaglianza e la simmetria.
44. Le forinole che si riferiscono al moto di rotazione di
un sistema di assi coordinati Ox , Oy, Oz, si applicano quasi
spontaneamente a vincolare tra loro i punti omologhi di due
figure simili , qualunque sia la posizione dell5 una rispetto
all5 altra.
La definizione più semplice e completa delle figure si-
mili 3 e che abbraccia sotto di sè le figure uguali e sim-
metriche , parmi essere la seguente : Due figure F, F sono
simili se possono disporsi in modo intorno ad un centro, che ,
tirando da questo centro de’ raggi ai punti delV una , si ot-
tengano i punti omologhi delV altra con variare le lunghez-
ze di siffatti raggi in un rapporto costante , e contando que-
sti raggi ( a partire dal centro ) o nel medesimo verso per
entrambe le figure , od in verso contrario. Nel primo caso
le due figure sono simili direttamente , e nel secondo sono
simili inversamente.
Nella descritta disposizione le due figure possono dirsi
centrate , ed il rapporto costante de’ raggi che dal centro
di similitudine vanno ai punti omologhi si dice rapporto
di similitudine ; essendoché in questo medesimo rapporto
stanno le linee omologhe, sia poligone, sia curve.
Denoteremo per p il rapporto di similitudine. Allorché
questo rapporto riesce = + 1, ovvero = — 1 , le due fi-
gure simili saranno coincidibili o simmetriche.
Vediamo ora come da queste definizioni e dalla conside-
razione del moto di rotazione scaturiscano le formole che
legano i punti omologhi di due figure simili F, F, situate
comunque nello spazio 1’ una rispetto all5 altra. Siano
Ox, Oy, Oz
tre assi rettangolari presi ad arbitrio nella prima figura F, ed
ai, on, ai
gli assi rispettivamente omologhi della figura F, i quali
416
Domenico Chelini
abbiano rispetto ai primi le direzioni
Iran, tiri ri , V'rri'ri'.
Un punto qualunque M' della figura F , sècondochè si
riferisce agli assi Ox 3 Oy 3 Oz , od agli assi O'? j 0\ , O't ,
sia rappresentato da
o da (5, y, t)i
ed il punto O' riferito ai primi assi sia (a 3 fi, y). Le
forinole per la trasformazione delle coordinate danno
x — a = «+* 1 -4- l’X >
y — $ = m£ -+- ni r} -t- *
z — y = ri ri -f- riX •
Nella prima delle due figure simili F, F sia M il punto
cbe corrisponde omologo al punto M' di F , ed abbia le
coordinate (x 3 y, z) rispetto agli assi 0x3 Oy, Oz.
Essendo omologhi i punti O ed O', M ed M', saranno
pure omologhe le rette OM , 0'Mr, e rispettivamente omo-
loghe le loro componenti (x3 y3 z) , (f * £)9 sicc°me
prese sugli assi omologhi (0x3 Oy , Oz) , (O'?., O'?* <7£).
Sarà dunque
OM' _Ì__i. = Ì_==j_
OM x y z p ?
dove p è il dato rapporto di similitudine tra la prima fi-
gura F e la seconda F. Se nell’ equazioni per la trasfor-
mazione delle coordinate si sostituisce
.nascono le seguenti
p ( xf — a ) 5= Ix -+- l ’y -t- l”z 3
p (y — 0 ) = mx-\- rriy-+- rri’z,
p(z — y ) = rca? -+- riy -+- ri' z ,
Leggi de’ moti geometrici
417
le quali (*) esprimono la legge di connessione de’ punti
omologhi xyz , xyz riferiti agli stessi assi Ox , Oy , Oz , e
somministrano la posizione dell’ uno quando è data la po-
zione dell’ altro. Esse inoltre fanno aperta 1* esistenza di
un certo punto unico (x = x , y = y , z = z) , centro
di similitudine , comune alle due figure, e da cui vedute
le due figure offrono all’ occhio la medesima forma. Il si-
to xyz di questo centro si trova risolvendo le tre equazioni
( l — p)x -+- l'y -h l"z = — pa ,
(m — p )y -+- m z -+- mx = — ,
(n" — p )z -+- nx H- ny = — py ,
che danno
( ^ [p2 — (/w'-t-7&")p-i-/]a-+- (m-t-Z'p)/?H- (rc-4-Z"p)y
ÌX~P ( p - 1 ) [p> - ( l -H ni h- - 1 ) p -+- 1 ] 5
(t-+-mp)a
H (p-mp'-O+m -*-n" -l)p+ 1] ’
[p2— (l-*-m')p-hri']Y-i- (r + np)a-¥- (m" -+-n'p)(3
Date due figure simili comunque situate nello spazio,
e trovato il lor centro comune , per questo centro ( a quel
modo che si fa per una figura mobile intorno ad un punto
fisso) si può sempre condurre un asse tale che, per una
semplice rotazione intorno ad esso , 1’ una figura F venga a
centrarsi coll’ altra F . La direzione Apv di quest’ asse, e
P ampiezza 6 della rotazione si determinano per le formole
In — m" = 2À sen 6 ,
/ -+- m -4- n" — 1=2 cosd, j Z" — n = send ,
\ m — V = 2v send.
(*) Nel giornale di Creile , anno 1 836 , il Sig. Jacobi diede senza dimo-
strazione le stesse fórmole.
53
418
Domenico Chelini
È poi evidente che tanto il centro quanto l5 asse di ro-
tazione ed il piano condotto pel centro perpendicolarmente
allo stesso asse , appartengono all9 una e all5 altra delle due
figure simili. Restano così dimostrati i tre teoremi di Eulero
sulle figure simili.
a) Se nelle (1) si fa p = — 1 , otterremo il centro di
due figure simmetriche nel luogo segnato dalle coordinate
* = i |> -+- (P» — yii)tan±0],
7=2 [0-+- (//t — av) tan^d],
* = 4t 7“*“ (a^ — pÀ)taniff\.
h) Si osservi che nelle (1) il denominatore non può an-
nullarsi se non per uno de5 tre seguenti valori
p = 1 , p = cos 6 ± sen 0 j/ — 1 ,
de5 quali il primo corrisponde alle figure coincidihili. Ed
infatti sappiamo che due figure coincidihili, comunque si-
tuate nello spazio , mentre hanno sempre in comune P as-
se centrale, non possono avere in comune alcun punto,
salvo il caso in cui il moto elicoidale si riduca ad un puro
moto di rotazione.
45. Se il centro di similitudine si prende per l’origi-
ne O delle coordinate, P equazioni (p) diventano
px = Ix -h- ly -+- t'z 3
py — mx -f- rriy -4- rri'z,
pz — nx n y -+- n"z ;
e se inoltre P asse Oz si fa coincidere coll5 asse di rotazio-
ne , onde sia
o = A = v = 1 ; o = a = ^c = tan \d; o=-n~ n , rc"= 1 ;
risulterà
t Kl=\ — c\
t Kl' = — 2c j r
| Km — 2 c ;
{ Km =1 — c5 ; (
t =0
Leggi de* moti geometrici
419
e quindi
(p)'
Kpx' = ( i _ <?)x — 2cr,
Kp? = ( 1 — c*)r ■+■ 2 ex; pz' = a.
Equazioni relative alle figu ;
r JSV = — (1 — ca )#-+- 2cjr,
| *>' = — (1— c*)/ — 2cx,
E poiché
dx = oc — x 9
dy—y'—y.
simmetriche , od a p = — 1
1K(x — x) = — 2#-+- 2cjr,
K(/—y) = — 2/ — 2cxj
z — z = — 2z.
# -4- a/
= — 2(# — cy ) ? / /£x == c ( c# -4- / ) ,
Kdy = — 2(jk-HC#), < Kr = c(cy — #),
= — 2z ; V z = o.
Un piano inalzato perpendicolarmente in mezzo alla
corda = ris ( dx , dy, dz ) sarà rappresentato dall’ equazione
dx.% -4- dy.y -4- dz£ == &r.x -4- dy. y ,
equivalente alla
(ar— cy)f ca:)? -4- (1 -4- c4 ) C = o.
Dunque : 7rc figure simmetriche e comunque disposte
nello spazio , i piani condotti perpendicolarmente in mezzo
alle corde che uniscono i punti omologhi, passano tutti pel
centro comune alle due figure.
Domenico Chelini
b). Nella ipotesi che le due figure Fs F' siano disposte
simmetricamente intorno al centro Oj e la figura F inva-
riabilmente connessa con Oz , immaginiamo che 1’ asse Oz
ruoti sopra sè medesimo per 180°, seco traendo in giro la
figura F. Sarà — = 1, e le relazioni de5 punti omologhi xyz,
K
xyz saranno
x =: Xj, y =±= y 9 z — — z ,
vale a dire : Due figure disposte simmetricamente intorno ad
un centro , possono anche disporsi intorno ad un piano ( qua-
le xy) così che i punti omologhi si trovino a due a due
situati ad egual distanza dal piano e sopra una retta per-
pendicolare al medesimo; e viceversa. In tal modo si vede
che dalla definizione delle figure simmetriche data in prin-
cipio di questo § , segue come conseguenza la definizione
ordinaria ; e viceversa.
Leggi de’ moti geometrici
421
NOTA I. Applicazione delle formole di rotazione alla
RICERCA DELL5 ASSE E DEL CENTRO DI EQUILIBRIO.
Problema. Un sistema di forze costanti nella intensità e nella direzione
si stanno continuamente applicate a punti dati di un corpo in movimento. Da
una data posizione , in cui le forze sono in equilibrio ovvero sono equiva-
lenti ad una sola , passando il corpo ad tu*5 altra posizione , si domanda
quali condizioni debbono rimaner soddisfatte perchè le forze nella nuora posi-
zione persistano ad equilibrarsi, ovvero ad equivalere ad una sola forza.
Soluz. 11 moto di traslazione non alterando affatto le mutue relazioni tra
le forze, siccome è per sè evidente, la soluzione si riduce a far vedere ciò
che dee avvenire negli effetti delle azioni delle forze , quando il corpo si muove
per una semplice rotazione.
1° Supponiamo che le forze si equilibrino nella data posizione, e che
P equilibrio riferito a tre assi ortogonali sia espresso dalle sei note equazioni
Rotando il corpo intorno ad un certo asse, le forze (P, Q , R) etc.
restano le stesse per supposizione , ma i loro punti di applicazione xyz si fer-
mano , dopo la rotazione , ne’ luoghi x'y'z' dati dall’ equazioni
Kx' = (i +a*-ò2-c2)*H-2(a6-c)y + 2(ca + ò)*,
Ky1 = ( 1 -+- ò* — c* — a9 )y •+• 2 (òc — a) a 2 (ab -+• c) x ,
^ = (l-t-c2-a2-ft9)z + 2(ca-ò)a:H-2(òc-t-a)y.
Affinchè adunque le forze (P, Q , R), etc. si equilibrino nella seconda
izione del corpo , basterà che sussistano 1’ equazioni
S ( Ry' — Qz' ) = 0 » 2{Pzr -Rx) = o, 2 «?*' - Py' ) = o.
Ora ponendo per abbreviare
2P = o, 2(Py - Qz) = o,
2Q = o, 2(Pz — Rx) = o ,
2P = o; Z{Qx - Py) = o.
ed
(4) = Aa— C{b — B{c ,
(P) = Bb - A{c - CKa,
(C) = Cc -B{a- Afi;
quelle tre equazioni.
aiti i valori di x', y', z', diventano
U)h-6(C)-c(P) = o,
(C) + a(B)-b(A) = o;
422 Domenico Chelini
e queste moltiplicate rispettivamente per (A), (B), (C) e sommate danno
(A)* + (*)» + (C)* = o,
e per conseguenza ( A ) = o , ( fi) = o, ( C) = o , ossia
( Aa — Cfi— Brezzo,
(t) Bb-As-Ciàzze,
* Cc — B{a— Afi-o.
Qui è da notare che supponendosi avvenuta la rotazione del corpo , e però
non eguali a zero tutte e tre le quantità a, b9 c, una di cotest9 equazioni
dev9 esser la conseguenza delle altre due ; e ciò non può accadere , se , elimi-
nate le a, b, c, non resti verificata l’equazione:
ABC - 2 A^Cy - AAf - BB? - CCf = o.
Ove questa condizione resti soddisfatta, le (1) faranno conoscerei rapporti
delie a , b , c , e quindi l9 asse intorno a cui potrà girare il corpo senza che
rimanga turbato l9 equilibrio tra le forze che lo sollecitano. Quest9 asse di ro-
tazione è chiamato asse di eqoilibbio.
2° Supponiamo che le forze sollecitanti il corpo nella prima posizione si
riducano ad una sola forza = ris. (X, Y, Z), applicata al punto apy. Inver-
tendo la direzione di essa nascerà P equilibrio , e perchè quest9 equilibrio non
si turbi per qualsivoglia moto del corpo, è necessario e sufficiente che si an-
nullino le quantità A , B , C , Al9 B{ , Cl9 le quali essendo nel caso attuale
A - %{Qy -h Rz) - Yp — Zy = o , B = etc. ,
Ai = 2 Ry — Z/? = 2 Qz — Yy = o , B{ = etc. ,
sì risolvono nelle seguenti (*j
_ 2P# ___ 2Qx __ 2ft»
P X Y Z’
_ ZPz __ _ SRz
7~~ X *" Y " Z '
Pertanto: Allorché rimangono soddisfatte le sei condizioni contenute in
coteste uguaglianze , se le forze che sollecitano un corpo ne9 medesimi punti ,
mantenendo costante la loro direzione e intensità, si riducono ad una sola per
una data posizione del corpo, si ridurranno egualmente ad una sola per ogni altra
Leggi de’ moti geometrici
423
posizione del corpo., e la direzione di questa forza risultante passerà sempre
per un medesimo punto. A questo punto si è dato il nome di centro delle
forze. V esposto teorema sussiste evidentemente senz’ alcuna condizione per
le forze parallele.
a) . Quando le forze sono rappresentate da rette stabilmente infisse nel cor-
po, la rotazione che trasporta il corpo non può, siccome è evidente, indurre
alcuna alterazione nello stato del corpo. Che se nella nuova posizione del cor-
po si vogliano tornar le forze nella direzione che avevano in principio ^ basterà
(senza spostare i loro punti di applicazione) comunicare alle rette rappresen-
tanti le forze un moto di rotazione precisamente uguale e contrario a quello
effettuato dal corpo ; ed anche ciò è evidente per sè. Quindi : V effetto delle
forze sollecitanti un corpo è il medesimo , sia facendo rotare il corpo intorno
ad un asse e ritenendo costanti « punti di applicazione e le direzioni e inten-
sità delle forze , sia ritenendo fermo il corpo e facendo subire alle singole for-
ze , intorno ai lor punti di applicazione , una rotazione precisamente uguale e
contraria a quella che dovrebbe farsi subire al corpo.
b) . Le forze (P, Q, R) etc. non si equilibrino, e facciasi
X = 2P, S=2Px, T=2Py, 17=2 Pz ,
¥=20, S{=20x, T\ = 2Qy , U{=2Qz ,
Z = 2P; S^=2Rx, Tz=2Ry, U*=2Rz.
Supposto ( X2 ■+• F2 h- Z2 ) > o , tutte le forze ( ritenendo fissi i punti di
applicazione) si stimino parallelamente alla direzione Imn. Se si pone
(2) V=lX + mY + nZ,
il centro afiy di queste forze parallele sarà dato dall’ equazioni
/ Va — IS -+■ mSi ■+■ nS% ,
(3) j Fi? = JP h- mT\ ■+■ nP2 ,
( Vy = lU-b mU{ ■+• nl72 .
rallelamente a cui si stimano le forze date , sopra qual superficie si moverà in
corrispondenza il centro afiy di esse forze parallele ? Sopra una superficie piana.
Infatti risolvendo le tre equazioni (3) rispetto ad l, m9n, e chiamando A
il comun denominatore di queste incognite, ossia il determinante
! S, s4, sa
A = \T, r4 , Ti
I U, Vi , V%9
4-24 Domenico Ghelini
Sostituendo i valori di l, m, n nella ^2) , si
+ e.=A,
V ds dSi dsj
equazione indipendente da l, m, n, e rappresentante il piano sopra cui si va
movendo il centro afiy al variare della direzione Imn.
Quando esiste il centro di equilibrio , allora qualunque sia la direzione Imn
secondo cui si stimano le forze date, 1’ equazioni (3) che si possono scrivere
sotto la forma
« (• - f ) + (“ - !) + nZ (• - y ) = 0 ' e,c-
restando tutte verificate dai valori delle coordinate a, £.* y di esso centro, il
piano de5 centri delle forze parallele ad Imn si ridurrà ad un punto solo , Gioè
al centro di equilibrio (*).
NOTA IL Del centro istantaneo delle accelerazioni
N'EL moto di una figura di forma invariabile.
Dopoché il Sig. Chàsles ebbe mostrato che la teoria del centro istantaneo
di rotazione dava origine ad un metodo semplicissimo per determinare le tan-
genti delle curve non che i loro raggi e centri di curvatura , altri geometri (**)
entrando nella medesima via hanno segnalato, siccome utile allo stesso scopo,
un nuovo punto a cui si è dato il nome di centro istantaneo delle accelerazioni.
Questo nuovo centro, che fin qui si è cercato di porre in luce mediante
costruzioni geometriche, rendesi manifesto starei per dire da sé medesimo a chi
voglia badare alcun poco alle formole generali del moto di una figura di for-
ma invariabile. Ciò è 1’ oggetto di questa breve Nota.
Consideriamo due sistemi di assi rettangolari (0'x'3 O'y' , O'z' ), (0x,0y30z),
de’ quali il primo sia fisso nello spazio , ed il secondo sia fisso nella figura F
e però mobile insieme con F.
11 punto M di F riferito ai primi ed ai secondi assi abbia rispettivamente
per coordinate (x'3 y’9 z'), (x3 y3 z). Se denotiamo per a!, fi' , y' le coor-
dinate del punto 0 riferito agli assi 0x'9 O'y', OV, avremo tra le ar'yV e
le xyz di M le relazioni
/ x' = a' -+• Ix h- my ■+• nz ,
(I) | y'-p + l'x + m'y + n'z,
\ z’ = y' ■+■ l"x ■+• m"y-h n"z ,
dove le Imn , Im'n \ , Vni'vi ' esprimono le direzioni de’ primi assi rispetto ai
secondi.
Leggi de5 moti geometrici
425
Supponiamo adesso che la figura F, o (ciò che torna lo stesso) il si-
stema (OXj Oy9 Oz) si muova secondo una legge qualunque dipendente dal
tempo t. In virtù di questo moto , varieranno di valore le quantità a' fi'/, Imn,
Ì tri ri , t'iri'n", mentre si manterranno costanti le x , y3 z del punto Jf, con-
servandosi esso punto continuamente nella stessa posizione rispetto al siste-
ma ( 0x3 0y3 Oz), Laonde se differenziamo due volte le (I), e denotiamo
per m la velocità del punto M3 e per 1 la sua accelerazione , si conchiuderà che
la velocità w ha per componenti le -f- , ~ espresse dalle formole
dt dt dt
. k ( dx' da4 di dm dn
(tt| (-* = *--** etc-;
cfix' d?y' cPz'
e che l’accelerazione / ha per componenti le , -- espresse
dalle
, . ( dV dV dH d2m d-n
1 ® y 9 e*c* 9
dove le * — 4- 9 sono le componenti dell’accelerazione del punto 0.
dt2 dt2 dt2
Le tre equazioni (/) essendo di primo grado rispetto ad x9 y, z mo-
strano subito che nella figura F esiste ad ogn’ istante del molo (generalmente par-
lando ) un punto speciale M di cui 1’ accelerazione è = o. Questo centro istan-
taneo xyz delle accelerazioni è adunque dato dall’ equazioni
dPx'
di2
Se per l’istante del moto attuale l’origine O del sistema ( 0x,0y,0z )
fosse collocata in cotesto centro , 1’ accelerazione I di qualunque altro punto M
di F sarebbe data dall’ equazioni più semplici
È noto che 1’ accelerazione I si decompone ad ogn' istante in due : nell’ ac-
celerazione centripeta = — ( p è il raggio di curvatura della traiettoria del
P
punto M)9 e nell’ accelerazione tangenziale = -y ; accelerazioni parziali i cui
T. i.
426
Domenico Chelini
valori si hanno dalle forinole
m6 / dx dpy dy /dy d?z dz d2y\2 / dz dìx dx d*z\%
li = \dt Ufi ~ dfi dfi' V3T lfi~ IT 1 fi) + \di dfi li di),
du __ dx d2x dy cPy dz d?z
Uir~irifi+iuifi* di dfi'
Ne segue che : Il luogo de’ punti ov’ è nulla V accelerazione centripeta è
determinato dalle due equazioni
d2x m dx __ d^y m dy _ b dz^
“5^ * "57 “5^ ’ ' “ST ?
e che : Il luogo de ’ punti ov’ è nulla V accelerazione tangenziale è manifestato
dall’ equazione
dx d2x dy d2y dz d2z
n ifi *ir dfi+n"dfi~0'
Quanto al conoscere le derivate prime e seconde delle quantità Vm‘n‘ ,
*'py, basta richiamare che » Il moto di una figura di forma inva-
riabile può aversi come una serie di moti elicoidali infinitesimi intorno ad assi
i quali, succedendosi a distanze infinitesime, danno origine a due superficie
rigate , l’ una fissa nello spazio e V altra mobile colla figura.
Il moto elicoidale di F si faccia attualmente intorno all* asse 06 colle
velocità 6, r di rotazione e traslazione ; e le quantità
J = cos(x'x) , m~co$(x'y) , n = cos(x'z)
si considerino, rispetto ad ( Ox , Oy , Oz) , come le componenti di una ret-
ta = 1 condotta da O parallelamente all* asse fisso O'x'. Ciò posto , la velocità
apparente del punto (l , m, n) riguardato dal sistema mobile (Ox ,Oy , Oz) ri-
sulterà dalle tre
di dm dn
— = mr — nq, * =<*-*, *=*-•*.
dove p, q, r rappresentano sopra Ox, Oy , Oz le componenti di 6. Ne con-
seguita
dH dr dq dm dn
dfi~mli~nlt+rl~qlt’ elC‘
Siano 06, 0{6‘ due assi consecutivi di rotazione, e la loro più corta
distanza sia la linea 004 = da , avente la direzione abc. , ;
Supposto che al cominciar dell’ istante dt i due sistemi (O'x', O'y', 0 z ) ,
(Ox, Oy,Oz) coincidano in un solo coll’origine comune in 0, conveniamo di
toglier I’ apice nelle forinole esprimenti le derivate de’ punti àfi'y, rc'y'z'.
Compiutosi intorno ad 06 il moto elicoidale (6dt, rdt) , e passando a farsi
intorno all’ asse consecutivo 0{6', il punto O di F che era animato dalle
Leggi de’ moti geometrici
427
velocità
da __ p d§ _ q dy _____ r
Jt~r 7’ ~dt~~T 7’ 7t~T 7’
acquisterà nel nuovo istante dt le velocità
. <(•})■ 4 *)• 4*).
(br — cq)daj (cp — ar)d<r , (aq — bp)da ,
e conseguentemente avrà P accelerazione composta delle tre
d2a d ( p \ v da
= 7/ + (ir-e')lT’
da<J d / ? \ , . do-
^ = ^(T7)H-(q,-ar)d7’
*2 * V « y ' * p' *
Rimanendo ancora arbitrarie le direzioni degli assi coordinati, suppongasi
che Oz coincida con OS e che Ox abbia la direzione di 00* = da , essen-
do Oy perpendicolare al piano (zx). In questa supposizione, delle quantità
afìy , abCj Imn, l'm'n V'ml'ri',
e loro derivate, non resteranno (annullandosi le altre) che le seguenti
/ dH _ 2 d?m _ __ dr d?n _ dq
I ~dp-~~6j 77 ~~ li’ dt*~ dt’
\ dPm' _ 2 dV ^ dp d?? _ dr
j ~W~~e’ 7Ì* Ti9 dt*~ dt9
f ( fin " __ dH" __ dq dm" ___ dfp
\7fi~0’ .1? Tif'Tt'9
( d?a _ r dp d2/? __ jr dq ^ da tPy __ dr
( 7? ~77t ’ ~dt ~~ 7 ~dt~~ * ~dt’ dP~~ dt'
428
Domenico Ghelini
Quindi la velocità w e P accelerazione I di un punto qualunque M (xyz)
F si avrà dalle forinole
-r;=-ey> f -Z*=ì*-9ÌX-^ y
ÈL=t
de ~ de y
d? z d?y
a? ~ dT2
dt
allorché si tratti di una figura piana che si muova sul piano xy ,
T = -ey’
eH y,
»‘y
P dt dt 4 dt dt 2 ' y ' dt y '
du__dxfa + ÌL*1 = ed-
dt dt de dt de dt y *
In questo caso adunque il luogo de’ punti ov* è nulla P accelerazione cen-
tripeta sarà il cerchio
. _ 1 da
xì+y*+7n;y=0’
1 d(r
avente sull’ asse Oy il diametro = — — .
6 dt
Ed il luogo de’ punti ov’ è nulla P accelerazion tangenziale sarà il cerchio
2 2 da
** *+■ V2 — d — x = o.
avente sull’ asse Ox il diametro = 0 — - . Questi due circoli sono stati tro-
dO
vati per altra via dal Sig. Bresse; e servono di fondamento alla sua Memoria
sopra P applicazione del centro delle accelerazioni alla ricerca de’ raggi di cur-
vatura ( Journal de V Ècole Polytecnique , an. 1853).
Mem.Ser.il! Tomi.
y.
I A'f
M' — m — jjt
Clieliui— Leggi de Moli geometrici
X-
A
„ ^-v‘
^.X
C. Beffali me -Ili. F” Casanova
Leggi de’ moti geometrici
429
INDICE
Preliminari. De’ moti di traslazione e di rotazione .... pag. 363
PARTE GEOMETRICA
Leggi per gli spostamenti successivi di una flgura.
§ 1° Degli spostamenti di una figura piana nel suo piano ...» 369
§ 2° Leggi per la composizione delle rotazioni successive in un
piano » 371
§ 3° Degli spostamenti di una figura nello spazio » 373
§ 4° Proprietà de’ punti , delle rette e de’ piani che in due figure
uguali si corrispondono a due a due » 378
§ 5° Legge per la composizione delle rotazioni successive intorno
ad assi della medesima origine » 383
§ 6° Leggi e condizioni di equivalenza tra un moto elicoidale ed un
sistema di due rotazioni successive » 384
PARTE ANALITICA
Moti geometrici riferiti ad assi coordinati.
§ 1° Relazioni tra due assi paralleli di rotazione, de’ quali sia data
la traslazione relativa » 391
§ T Formole rappresentanti il traslocamento prodotto da una ro-
tazione e traslazione. Formole speciali per la trasformazione
delle coordinate » 393
§ 3° Formole rappresentanti il traslocamento prodotto da tre rota-
zioni successive intorno ad assi rettangolari » 399
§ 4° Formole di relazione tra i punti corrispondenti di due figure
coincidibili e la figura media » 402
§ 5° Formole relative alla rotazione intorno all* asse centrale preso
per asse delle z » 405
§ 6° Formole di relazione tra un moto elicoidale ed un sistema di
due rotazioni conjugate. Figure polari » 409
§ 7° Formole risguardanti la similitudine delle figure, sia diretta,
sia inversa » 415
Nota I. Applicazione delle formole di rotazione alla ricerca dell’ asse
e del centro di equilibrio » 421
Nota IL Del centro istantaneo delle accelerazioni nel moto di una
figura di forma invariabile » 424
430
Domenico Chelini
ERRATA
Pag. 367, lin. 3. Invece di senati si ponga set
» 373, lin. 11 (salendo). Invece di seno si
» 407, lin. 15. Invece di — KCz si legga
» id. lin. 21 e 22. Si sopprima = Kp.
» 408, lin. 4. Invece di -ì- si legga —
Kp1 PPì
» id. linea ultima. Dopo si ponga ur
%ie.
legga doppio
■+• KCz ;
virgola.
NUOVE RICERCHE
SULL’ ITTIOSI
wmm
DEL
PROF. CAV. MARCO PAOLINI
(Letta nella Sessione del J3 Gennaio 1868).
Nel, andato anno io vi esponeva, o Accademici, alcuni
miei studi anatomico-fisiologici intorno le squame dei pesci.
In oggi avrò l5 onore di intrattenervi intorno altre squame,
le quali non rappresentano già il naturale indumento pro-
prio di una data specie di animali , ma costituiscono invece
una grave , sordida , pertinacissima alterazione della pelle
del, uomo , che rendendola simigliante alla scagliosa dei
pesci, fu dai moderni dermatologi distinta appunto col
nome di Ittiosi. La quale malattia io ho creduto profitte-
vole proponimento di sottoporre ad accurato esame ed a
novelle ricerche per diversi motivi. Primieramente, perchè
essendo tuttora discordi le opinioni degli scrittori intorno
1’ origine e la natura di quelle produzioni cornee , riescono
insufficienti e diffettosi i caratteri anatomico-patologici alle
medesime assegnati. In secondo luogo, perchè nello studio
dei sintomi che accompagnano la predetta infermità non
si è posta fin qui , secondo quanto io ne penso , la debita
attenzione ad una serie speciale di fenomeni procedenti da
uno stato morboso del sistema nerveo-cerebrale , che sembra
in intime attenenze colla lesione della pelle. In terzo luogo
432
Marco Paolini
finalmente, perchè dai salutari effetti ottenuti dalle Terme
Porrettane chiaro ne risulta, essere per lo meno esagerata
la comune sentenza dei pratici, i quali non dubitano di di*
chiarare T Ittiosi , massime congenita , malattia di natura
assolutamente insanabile. La qual cosa non potrà certo non
arrecare lieve conforto a que’ miseri tribolati da un morbo ,
che deturpando Y esterna superficie del corpo nel modo più
schifoso e ributtante , li fa oggetto di ribrezzo ad un tem-
po e di pietà. Per nostra buona ventura desso però non
è molta frequente - ad osservarsi , dappoiché in circa due
mila e cinquecento infermi di croniche malattie cutanee da
me curati nel corso di ventun’ anni colle acque termali di
Porretta, solamente quattro esempi a me se ne sono pre-
sentati , e tutti in individui spettanti al sesso virile. In
tre la malattia era ereditaria e congenita, in uno sempli-
cemente accidentale od acquisita. Per non cadere in super-
flue e noiose ripetizioni * io mi tratterrò specialmente a de-
scrivere la storia di due fratelli , i quali nella maniera più
chiara ed evidente offerivano tutti i caratteri patognomo-
nici deH’ Ittiosi cornea di Alibert o della bruna di Devergie.
Vincenzo e Carlo C. il primo in oggi dell’ età di 26 e
P altro di 21 anni, trassero i natali da sani e morigerati ge-
nitori , di ristrette fortune , alla distanza di tre miglia circa
al Nord da Bologna. Uno Zio materno da parecchi anni de-
funto era anch’ esso affetto da Ittiosi , la quale pare fosse
conseguenza di un esantema febbrile avente la forma di
grosse bolle o vesciche. Racconta la madre che in amendue
i suoi figliuoli nei primi mesi dopo la nascita la pelle di-
visa in laminette estremamente sottili presentavasi sotto
Y aspetto di una sfaldatura quasi farinosa , che ella ritenne
nel primo nato effetto della naturale esfogliazione dell’ epi-
dermide , che suole avvenire in quel periodo della vita. Ma
non tardò guari a venire in chiaro dell’ errore in cui era
caduta. Perciocché a misura ne procedeva lo svolgimento del
bambino, vide 1’ esterna superficie del corpo di lui ricoprirsi
di scaglie di differente grandezza, di colore bigio-carico ,
dure e secche in guisa che purtroppo s’ avverarono i suoi
timori circa Y esistenza di una reale malattia. Per la qual
Nuove ricerche sull’ Ittiosi
433
cosa quando riconobbe nel secondo figliuolo dato alla luce
i soliti segni di quella sfaldatura , V animo suo fu preso
da angoscia e da vivo rammarico non rimanendole più al-
cun dubbio della triste sorte riserbata ad oggetti a lei tanto
cari , che una matrigna natura aveva in sì brutta foggia
deformati. Ricorse all’ illustre Medici , di sempre cara e ve-
nerata rimembranza, per averne i saggi suoi suggerimenti
circa i mezzi terapeutici da tentarsi per conseguirne la
guarigione. Prescrisse egli pertanto 1’ uso delle Terme Por-
rettane da proseguirsi con costanza per parecchi anni , cono-
scendo pienamente le molte difficoltà che s’ incontrano a
debellare una sì fatta infermità , nè lasciò ad un tempo di
far travedere la fiducia che egli avrebbe riposta di salu-
tare rivolgimento in quei profondi mutamenti organico-di-
namici , che nel generale organismo ed in ispecie nei co-
muni integumenti suole indurre il vajuolo arabo, se per
caso eglino ne fossero stati colpiti. E qui innanzi di pro-
cedere oltre cade in acconcio notare , che i due bambini
i andarono appunto soggetti nell’ anno 1845 a tutti i sinto-
mi di un vajuolo molto grave e confluente , per cui si spo-
gliarono interamente delle dure scaglie ond’ erano ricoperti ;
ma in breve di bel nuovo esse tornarono a ripullulare nella
convalescenza colla primitiva intensità. Fallite le speranze
che si erano concepite dall’ illustre fisiologo nel vajuolo ,
rimane ad indicare quali benefizii ricavassero i malati dal-
1’ uso delle sorgenti minerali di Porretta. Il maggiore di
età ossia Vincenzo si recò colà nell’ anno 1842, ed il mi-
nore ossia Carlo nel 1845. In tale circostanza a me si porse
pertanto la favorevole opportunità di farne un accurato esa-
me obbiettivo , il di cui risultato imprendo ora ad esporre
quale ebbi cura di registrare nelle mie annotazioni. Tutti
gl’ integumenti del loro corpo, eccettuati quelli della pal-
ma delle mani , della pianta dei piedi , del dorso del naso
e delle ascelle, erano coperti di scaglie dure, secche, re-
sistenti , di colore bigio-scuro e simigliante a quello del fan-
go nella superficie esterna., e di colore cinereo nell’ inter-
na ; alcune di esse semplici , altre doppie ossia P una in-
castrata nell’ altra, certune aventi un bordo libero semilunare
55
T. I.
434
Marco Paolini
e certe altre una figura quadrilunga , più spesse e grosse
negli arti e nel tronco di quello che nella faccia, e nel
cuojo capelluto. Le dette scaglie poi erano assai aderenti
ad una pelle ruvida , ingrossata , ed in molti luoghi , sicco-
me nelle articolazioni delle membra, interrotta da solchi
o da screpolature. Laonde la ruvidezza della pelle era tale
che , strisciandola colla palma della mano , il tatto ne ave-
va quella spiacevole sensazione, che, al dire di Bateman,
si prova toccando una lima od un pezzo di scabro zigri-
no (1). La quasi totale mancanza di pannicolo adiposo men-
tre rendeva molto appariscente la magrezza loro, faceva
altresì la pelle per modo tale rugosa, raggrinzata, ed avviz-
zita, che le prominenze delle ossa manifestavansi assai spor-
genti , ed il viso in particolare mostrava le impronte carat-
teristiche della vecchiaja. Del rimanente eglino non accu-
savano qualsivoglia sensazione di dolore, di prurito, e di
calore , siccome mancava qualunque segno di infiammazione
della cute. Il ventre inferiore era piuttosto tumido e volu-
minoso , e non di rado pativano disturbi gastrici , i quali
nel fanciullo maggiore di età associavansi talvolta a con-
vulsioni cloniche di breve durata promosse , per quanto ne
asseriva la madre, da verminazione avendo talora evacuato
qualche lombrico. Fin qui la descrizione dell’ apparato fe-
nomenologico dell’ Ittiosi da me osservata corrisponde ap-
pieno con quella che si legge nelle opere di Alibert , di
Bateman , Cazenave e Schedel , Gibert , Devergie , Rayer
e di altri moderni osservatori. Ma niuno prima di me , per
quanto sappia, ha notato negli infermi della predetta der-
matosi fenomeni riferibili se non ad un disordine delle fa-
coltà intellettive certo almeno ad una tardità od ottusità
delle medesime. Imperciocché è unanime sentenza dei prelo-
dati Scrittori, che qualunque sia P estensione della malat-
tia , la quale copre talora quasi tutto il corpo , e qualun-
que ne sia la densità , non induce mai alterazioni rilevanti
(1) Bateman. Compendio pratico delle malattie cutanee ordinate secondo il
sistema nosologico del Doli. Willao. Pavia 1821 Voi. I. pag. 122.
Nuove ricerche sull* Ittiosi
435
nell5 economia, e turbamenti reali nelle funzioni (t), aggiun-
gendo in particolar modo F-Alibert, che nei due famosi
fratelli Lambert, che erano affetti di Ittiosi cornea eredita-
ria e congenita,, e dei quali tornerà in acconcio di discor-
rere altrove, i visceri contenuti nella cavità toracica ed
addominale non erano punto compromessi , siccome del pari
le loro facoltà cerebrali non erano mai state turbate (2). So-
lamente il chiarissimo collega Prof. Gav. P. Gamberini do-
po avere sottoposto ad accurata analisi le attenenze che
passano fra la pellagra e P ittiosi , considerate sotto i loro
rispetti etiologico , semejotico e terapeutico , si fa a dichia-
rare « che i malati d’ ittiosi patiscono grandemente nel
molale , giacché ridotta allo stato corneo ^ 1’ uomo trovasi
degradato ed invilito a modo di riconoscere la morte qua-
si un sollievo ed un ristoro (3) ». Intorno a che io con-
vengo pienamente con lui , che da tali sentimenti di avvi-
limento , di tristezza , ed anche di avversione alla vita sia
compreso 1’ animo di coloro che avendo raggiunta una certa
età sono in caso di valutare sotto ogni riguardo la misera
e deplorabile condizione loro ; ma tali sentimenti non si
provano nella infanzia , poiché attesa la spensieratezza che
accompagna questo periodo della vita , 1’ amor proprio ha
ben poco potere , tanto più che essendo in quei fanciulli
cotnparso il male appena venuti alla luce, avevano contratto
si può dire col medesimo una tal quale abitudine. Oltre
a ciò il gènere di disordine mentale da me osservato non
esprime punto un patimento oggettivo dell’ animo , promosso
cioè e mantenuto dal rimirare il proprio corpo in così sin-
golare modo sfigurato , ma si manifesta invece coll’ indif-
ferenza, coll’ apatia, in una parola con un certo grado di
fatuità. Imperciocché, privi di quella gaiezza e vivacità che
è propria dell’ età puerile , non prendevano alcun diletto
(1) Cazenave e Scbedel. Compendio pratico delle malattie cutanee. Vene-
zia 1834 pag. 290.
(2) Alibert. Compendio teorico-pratico sulle malattie della pelle. Firenze 1820
Tom. 3. pag. 175.
(3) Gamberini. Manuale delle malattie cutanee. Bologna 1856 pag. 289.
436
Marco Paolini
di qualsivoglia giuoco o sollazzo preferendo la solitudine , il
silenzio, e lo stare seduti in causa probabilmente di uno stato
di indebolimento delle forze nerveo-muscolari. Quello poi che
meritava più speciale considerazione , si era il poco sviluppo
della intelligenza, certamente non proporzionato a quello
in generale degli individui della medesima età, di maniera
che non ritraendo alcun frutto dagli studi elementari erano
per la ignoranza loro segnati a dito dai compagni , avvegna-
ché il maestro non facesse grande parsimonia di rimbrocci ,
di sferzate, di digiuni, e di altri non meno duri castighi.
La quale debolezza od ottusità delle facoltà intellettive pro-
cedente per avventura da un ritardato sviluppo degli orga-
ni cerebrali , sembrava assai ragionevole doversi ritenere
quale fenomeno in particolare relazione colla malattia della
pelle. Perciocché a misura che P ittiosi , in forza dei soc-
corsi terapeutici adoperati , e dei salutari rivolgimenti pro-
mossi dalla pubertà , andò gradatamente scemando di esten-
sione e di intensità , anche le facoltà della mente acqui-
starono progressivamente maggiore vigore ed energia con-
seguitandone del pari una più rigogliosa vegetazione di
tutti gli altri sistemi dell’ animale economia. Che se contro
questa opinione piacesse ad alcuno di opporre, potersi ri-
sguardare quel fenomeno psicologico come un fatto dipen-
dente da condizioni individuali , estranee affatto alla cuta-
nea infermità , io aggiungerò , che a confermare i miei giu-
dizi servi di valido appoggio un altro esempio di Ittiosi
generale , parimenti ereditaria e congenita » da me alquanti
anni sono osservato nel ragazzetto Signor Leonida S. di ci-
vile ed agiata famiglia di Bologna. Con ciò sia che fintanto
il morbo durò in lui grave e pertinace , e cioè sino all’ un-
decimo anno non solo, conforme accadde ai fratelli G. ,
fu incapace di apprendere alcun ohe dallo studio , ma di
più quando era forzato ad applicarvisi , provava dolore di
capo , vertigini , offuscamento di vista , e qualche volta mi-
naccia di deliquio. In appresso mercè V uso delle Terme
preaccennate , deterso e libero quasi per intero il tegumento
cutaneo dal rio malore , volse F animo con amore agli studi,
dando indubitati saggi di non comune profitto. Per le quali
Nuove ricerche sull5 Ittiosi
437
cose tutte pare a me avere abbastanza di argomenti per
concludere , essere ordinariamente , od almeno in alcuni casi ,
accompagnata l5 ittiosi da uno stato di incompleto idiotismo
0 di ottusità di intelletto , che può quindi con ragione con-
siderarsi come un fenomeno morboso in intime attenenze
colla medesima. Il quale fatto tornerebbe assai acconcio per
corroborare F opinione di quei clinici , che ponendo mente
ai molti tratti di analogia che ha F ittiosi colla pellagra,
considerarono questa come una semplice varietà dell* altra.
Oltre a ciò dalle cose esposte si ricava eziandio la conve-
nienza , e la ragionevolezza di appellare col nome di ittiosi
la malattia cutanea in discorso , dappoiché non solo per la
sua forma speciale ha attenenza di somiglianza colla pelle
scagliosa dei pesci , ma eziandio perchè rende F uomo per
difetto d’ intelligenza non lontano dalla stupidità che è pro-
pria della predetta generazione di animali.
E seguitando a narrare la storia dei due miei piccoli in-
fermi , dirò in breve che Vincenzo pel corso continuato di
nove e Carlo di sei anni furono assoggettati in ciaschedun
estate all’ uso delle bibite e dei bagni della sorgente da
prima della Puzzola., indi di quella della Porretta Vecchia,
1 quali soli non bastando a rammollire e a distaccare quelle
dure scaglie , sì fortemente aderivano al sottoposto tessuto ,
consigliai di strofinarle con una pezza di tela grossa e ru-
vida inzuppata nelle medesime acque, e ciò ancora non
facendo profitto si ricorse alle fanghiglie , di cui innanzi di
entrare nel bagno coprivasi tutto il corpo fregandolo ezian-
dio rozzamente colle medesime. Così adoperando , con-
seguivasi bensì F intento di rendere F epidermide scevra
affatto delle produzioni cornee, ciò nulla meno non si po-
tevano dire guariti , perchè quella mantenevasi sempre sca-
bra, ruvida, lucida, di colore terreo, notandosi la partico-
larità, a mio avviso assai valutabile, di una generale inie-
zione od iperemia delle vene sotto-cutanee. E di fatti , breve
tempo passato , F eruzione scagliosa comparve nei primi
tre o quattro anni della cura termale, di bel nuovo nella
stessa estensione ed intensità. A poco a poco però perse-
verando nell’ indicato trattamento, ed avendo la cautela
438
Marco Paolini
di ricorrere di tempo in tempo alle lavature fatte con acqua
saponata ed a bagni tepidi generali, la malattia andò gra-
datamente perdendo di sua forza , limitando in amendue la
sua sede nelle braccia e nelle coscie; nel maggiore con
scaglie assai più dure e colorate del fratello minore * in cui
offrono semplicemente le apparenze di una sfaldatura fari-
nosa simigliante alla Pitiriasi bianca. Al quale favorevole
risultamento io credo, siccome di sopra ho accennato , ab^
bia congiuntamente all’ azione dei rimedi contribuito non
poco la comparsa della pubertà, per la quale la vegetazione
dei peli e della barba procedette rigogliosa secondo le leggi
stabilite dalla natura. Ed è cosa non immeritevole di consi-
derazione che la detta infermità ordinariamente si manten-
ga più pertinace nelle membra superiori ed inferiori , che
sono appunto , per comune consenso degli osservatori , le
parti del corpo più specialmente affette nell’ ittiosi parziale
ed acquisita. Parimenti non debbo tacere che nei due fra-
telli C. la secrezione del sudore non si manifestò da pri-
ma che nei tratti di cute rimasti immuni di qualsivoglia
alterazione , e poscia in quelli che per primi avevano ricu-
perato lo stato loro naturale, quali sono la testa ed il collo,
per quanto poi fosse elevata la temperatura dell’ aria ester-
na siccome ancora quella dei bagni praticati. E da ultimo
accennerò un fatto , che vale sempre più a dimostrare come
1’ ittiosi preferisca il sesso forte al debole, e con quanta
facilità si trasmetta di generazione in generazione. Quattro
* sorelle dei due individui, di cui ho ragionato, godono di
perfetta sanità , e la pelle loro liscia , morbida , bianca le
rende insieme ai graziosi tratti della fisonomia giovinette
di non comune avvenenza. La maggiore si maritò sei anni
or sono con giovane sano , robusto, e scevro affatto di qual-
sivoglia anche lontana predisposizione a cutanee infermità ;
ciò nulla meno un figlio da essa dato alla luce , e che
conta cinque anni di vita , è deturpato da ittiosi , la quale
e nella estensione , e nel grado di forza , e nel modo suo
di svolgersi , non differisce da quella da cui erano tribolati
i due zìi materni.
Confrontando la storia che io ho raccontato con quella
Nuove ricerche sull9 Ittiosi
430
delia famiglia Lambert descritta dall9 Alibert, in cui l9 it-
tiosi cornea così detta spinosa , o porco spino , in quanto
che le scaglie sono aguzze e pungenti, si propagò per più
generazioni , riescono rilevanti i rapporti di simiglianza che
passano fra l9 una e l9 altra. Nell9 anno 1803 comparvero,
dice F Alibett , a Parigi due individui , che avevano fondato
una specie di speculazione sulla curiosità pubblica, si an-
nunziarono come fratelli e portavano i nomi di Giovanni,
e Riccardo Lambert. Tutto il corpo di questi individui così
singolari era ricoperto di scaglie , che avevano una appa-
renza ed una consistenza come il corno. Le sole parti che
ne fossero sprovviste erano la faccia , la palma delle mani ,
la pianta dei piedi, il glande, ed un piccolo spazio degli
inguini e delle ascelle. Il padre loro Eduardo Lambert avea
avuto egualmente il genitore e cinque fratelli affetti della
medesima deformità, la quale si propagò sempre in linea
mascolina essendone andate esenti tutte le femmine. Appena
dopo la nascita F ittiosi cornea non era manifesta, cominciò
a svolgersi circa sei settimane dopo e fini di svilupparsi
nello spazio di un anno , progredendo a misura che avan-
zavano in età. Eduardo in seguito di avere incontrato un
vajuolo grave perdette tutte le scaglie , ma appena guarito
non tardarono a rinascere. Del rimanente il generale delle
funzioni dei predetti fratelli Lambert si compiva con ab-
bastanza regolarità. Furono oggetto di accurato studio per
parte dei più dotti medici e naturalisti di Parigi , fra i quali
basta nominare il celebre Geoffroy Saint-Hilaire seniore (1).
Di quali gravi meditazioni sieno fecondi i fatti ragionati
fin qui non havvi alcuno , anche appena iniziato negli stu-
di della medicina, che di leggieri non lo conosca. E di
vero sarebbe opera assai importante primieramente l9 inda-
gare , perchè F ittiosi attacchi a preferenza gli uomini , per-
chè si trasmetta di generazione in generazione, perchè in
fine , essendo talora immuni di qualsivoglia labe cutanea i
genitori , portino i figli con sè i tristi effetti del morbo ,
(1) Alibert. Op. cit. Tom. 3 pag. 173 e seg.
440
Marco Paojlini
onde è affetto lo zio materno. Lasciando ad altri assai più
di me d’ ingegno e di dottrina fornito così ardue investi-
gazioni , rivolgerò in particolare il mio discorso sopra alcune
cose , da altri non ancora notate o non abbastanza chiarite ,
relative alla predetta infermità, vale a dire F intima tessi-
tura e la chimica composizione delle scaglie che ricoprono
la pelle umana, la più probabile etiologia loro, e la spe-
ciale alterazione delle facoltà intellettuali , che va congiunta
od accompagna quell* eruzione.
È noto che il derma ed i suoi vasi costituiscono la sor-
gente degli umori nutritivi dell’ epidermide , in guisa die
questa è dovunque penetrata da una certa copia di plasma
sanguigno , che è in diretta relazione col grado di vasco-
larità del derma , e la grossezza dell* epidermide. Sappiamo
ancora dall* Istologia , che lo strato-esterno e semitrasparente
dell’ epidermide, ossia lo strato corneo , consiste quasi per
tutto in cellule , le quali nelle parti inferiori e medie di
esso censervano ancora una forma abbastanza regolare, e cioè
di poligoni a quattro o cinque o sei lati ed a faccie pia-
ne , mentre negli strati superiori acquistano i loro contorni
forme irregolari, rappresentando altrettante cellule schiac-
ciate , fra loro intimamente aderenti , onde ne risultano le
lamine superficiali dell’ epidermide. Il che fermato , faccia-
moci alquanto a considerare di quali elementi siano com-
poste le scaglie dell’ ittiosi. Secondo le osservazioni micro-
scopiche di Gluge desse sarebbero composte in gran par-
te di cellule epidermidali , contenenti fra loro una massa
amorfa che non si osserva nell’ epidermide normale. Il mag-
gior numero delle medesime sprovviste di nucleo, alcune
bianchicce , e moltissime ricolme di una sostanza bruna o
giallognola , la quale sparì quasi del tutto mediante V acido
acetico. Baerensprung , il quale è dell’ opinione che le squa-
me siano prodotte da un ipertrofia dell’ epidermide , affer-
ma egualmente che queste in prossimità della cute consi-
stono in un sottile strato di pigmento sotto forma di gra-
nellini disposti all’ intorno dei nuclei delle cellule epider-
midali di recente formazione; più in alto la predetta epi-
dermide consisteva in cellule scolorate, le superiori delle
Nuove ricerche sull’ Ittiosi
441
quali mancanti di nucleo essendone poi fornite le inferiori ;
finalmente sulla libera superficie dell’ epidermide osservò
uno strato di cellule piatte colorate in nero, il quale co-
lore non dipendeva da un pigmento granelloso in esse de-
positato , ma consisteva in mucchi oscuri amorfi posti ira
le cellule medesime , i quali si riconobbero essere adipe e
polverio aderenti meccanicamente all’ epidermide screpola-
ta (1). Per quanto io apprezzassi le accennate osservazioni
microscopiche per essere state eseguite da uomini valentis-
simi in sì fatto genere di ricerche, tuttavia non poteva
persuadermi che produzioni cornee così bizzarre , così stra-
ne , vegetanti sopra un’ epidermide così straordinariamente
sfigurata, potessero risultare composte presso a poco degli
stessi elementi istologici o delle stesse cellule , onde consta
1’ epidermide nello stato fisiologico. Desideroso pertanto di
sincerarmi della verità volli sottoporre ad esame alcune
scaglie strappate dalla coscia del maggiore dei due fratel-
li C. prevalendomi del microscopio composto d’ Amici, che
cortesemente pose a mia disposizione 1’ egregio collega Pro-
fessore di Anatomia Patologica Dottor Cesare Taruffi. Al
fine di bene distinguere gli elementi o le parti di cui sono
composte le predette scaglie, è necessario di usare piuttosto
un forte ingrandimento , e di bagnarle con 1’ acido acetico.
Così adoperando , si riconobbe esistere in quelle produzioni
una pianta parassita od un fungo frammisto a molte gra-
nulazioni , ed a globuli di maggior diametro , di figura irre-
golare , alcuni isolati ^ ed altri tra loro aderenti , pieni di
piccoli ammassi di granuli scuri , che si possono , a parer
mio, considerare come altrettante cellule alterate conte-
nenti del pigmento (2). Quel fungo è costituito da molti
filamenti o miceli , di diametro presso a poco eguale , aventi
i contorni scuri ed il centro trasparente, alcuni diritti,
altri flessuosi , parte de’ quali si divide in due rami in
amendue le estremità, e parte in una sola, ma in modo
(1) Simon. Le malattie della pelle ricondotte a’ loro elementi anatomici. Ve-
nezia 1854 pag. 47.
(2) V. Fig. l.a
56
U2
Marco Paolini
dicotomo, incrocicchiandosi per lo più fra loro (1). Uno di
questi tubi o miceli assai più grosso degli altri , avendo
per avventura raggiunto completa maturità, presentava alle
sue estremità due larghe aperture, in una delle quali so-
lamente scorgevansi molte piccole cellule rotonde od ovali ,
trasparenti nel centro , sicché aveano tutte le apparenze di
vere spore (2). Le quali piccole cellule o spore osservavansi
ancora sparse irregolarmente negli spazi , che lasciavano fra
loro i miceli. Le cellule epidermidali scorgevansi in piccolo
numero , e generalmente fra loro aderenti e , come ho det-
to , di figure diverse , e contenenti piccoli ammassi di nere
granulazioni. Ed a ritenere quei tubi quali miceli , e le
piccole cellule quali spore , io fui indotto dal riflettere , che
i predetti elementi microscopici non avevano alcuna rasso-
miglianza od analogia con quelli che compongono il corpo
umano si nello stato fisiologico che patologico. Oltre di che
le descritte produzioni hanno alcune attenenze di somiglian-
za col fungo od Oidium della tigna , e con quello che è
stato osservato nel Cloasma ossia Pityriasis versicolor. Que-
ste osservazioni microscopiche furono più volte ripetute su
parecchi pezzetti di squame diverse , e sempre col medesimo
risultato ; di che possono far ampia fede gli egregi miei
colleghi i Professori Taruffi e Berti, ed il Dottor Trebbi.
Anche il chiarissimo Prof Cav. Sgarzi, il quale, pieno di
amore per la scienza e di benevolenza e cortesia verso i
suoi colleghi , accettò P incarico , che io gli affidava , di
eseguire P analisi chimica qualitativa delle scaglie ittiotiche,
mi confermò in una sua lettera P esattezza delle nostre
osservazioni dichiarando , che avendo sottoposto al micro-
scopio una piccola frazione di quelle produzioni morbose,
vi aveva manifestamente riconosciuta una qualità di cripto- .
gama molto analoga ad un fungo insieme ad alcune cellule
in diversi modi guaste od alterate (3). Laonde del descritto
(U V. Fi g. 2.
(2) V. Fig. 3.
(3) Altro esempio di ittiosi bruna ereditaria e congenita ho osservato nel-
V Aprile del corrente anno in un ragazzetto di sei anni nativo di Baricella,
Nuove ricerche sull’ Ittiosi
443
fungo, del quale non si fa menzione alcuna da Simon nella
importantissima sua opera sulle malattie della pelle , nè da
Robin nel suo classico lavoro sui Parassiti vegetabili , si potreb-
be formare una nuova specie chiamandola Oìdium Ichthyosis.
Nella quale conclusione convenne eziandio 1’ autorevole giu-
dizio dell’ illustre collega Prof, di Botanica Dottor Giusep-
pe Bertoloni , il quale esaminò accuratamente le figure del
fungo disegnate dal valente pittore sig. Minardi. A dissi-
pare però qualunque dubbio intorno alla esistenza di un
Epifito in quella speciale dermatosi , fa di mestieri ripetere
le osservazioni , giacché provando e riprovando si può sol-
tanto raggiugnere lo scopo di discoprire la verità. Quindi
mentre dall’ una parte io mi propongo di fare nuove ricer-
che , ove mi si presenti favorevole circostanza , cosi io mi
rivolgo alla dottrina , allo zèlo , all’ operosità dell’ egregio
Prof, di Clinica delle malattie della pelle, perchè si piac-
cia cooperare colle proprie osservazioni all’ intento me-
desimo (1).
In quanto alla chimica composizione delle squame del-
1’ ittiosi , 1’ Alibert riferisce avere il Buniva osservato , che
la sostanza scagliosa non era altro che gelatina divenuta soli-
da consistente e dura per 1’ unione sua con una certa propor-
zione di fosfato, e di carbonato calcare (2). Secondo Simon,
-abbruciate le squame predette, lasciavano una certa quan-
grossa terra situata nella bassa pianura del Bolognese, nel quale mi si porse
il destro di verificare le particolarità da me indicate negli esposti fatti , e cioè
l.° somma debolezza od ottusità delle facoltà intellettuali, perchè, sebbene
godesse del regolare esercizio del senso dell’ udito e degli organi della loquela,
era appena capace di pronunciare i nomi di babbo e mamma: 2.° derivazione
da genitori scevri di qualsivoglia labe cutanea , mentre due fratelli della ^ madre
erano affetti di ittiosi congenita: 3.° finalmente esistenza nelle squame del fun-
go superiormente descritto.
(1) 11 prelodato Professore Gamberini corrispondendo con diligente solleci-
tudine all’ invito fattogli sottopose ad accurato esame microscopico le squame
di tre infermi di ittiosi, nelle quali confermò pienamente la presenza della cri-
ptogama da me scoperta , che egli piacesi di distinguere col nome di Iclioder-
mofita Paolini. (V. una sua lettera delli 24 aprile 1862 pubblicata nel Vo-
lume XVII Ser. IV del Bullettino delle Scienze Mediche di Bologna).
(2) Alibert. Op. Citat. T. 3. pag. 208.
444
Marco Paolini
tità di cenere fortemente colorata in giallo per la presenza
d’ ossido di ferro , ed in questa cenere erano contenuti in
oltre carbonato e fosfato di calce. Il Marchand avendo esa-
minato un pezzo delle predette squame trovò maggior copia
degli elementi organici di quella esista nell’ epidermide
normale, e verificò egualmente nella cenere fosfato di cal-
ce , ossido di ferro , ed una considerevole quantità d’ acido
silicico (1). Coi quali risultati concordano quasi pienamente
quelli ottenuti dall’ analisi qualitativa che ne ha fatto il
prelodato collega Prof. Sgarzi , il quale nelle produzioni cor-
nee a lui consegnate, ha rinvenuto un elemento organico
probabilmente proteico, giacché abbruciando quella sostan-
za si ebbero segni manifesti della presenza dello zolfo , ed
un elemento minerale risultante da fosfato calcare, e da
protossido di ferro, siccome ricavasi da una sua gentilissi-
ma lettera a me indiritta, che io qui riferisco per intero,
nella quale è descritto il processo chimico da lui seguito
nelle esperienze (2).
(1) Simon. Op. Cit. pag. 49.
(2) „ Io risposta alla dimanda da voi fattami, se nelle poche scaglie invia-
„ temi esista del ferro , dello zolfo , e dei fosfati , ri dirò che , attesa la scarsa
„ quantità loro, fu di mestieri limitarmi ad abbruciarne una parte su di una
„ lamina di platino, ed a trattarne altra parte coll’ acido idroclorico diluito.
„ Nel primo caso vedendola raggrinzarsi, annerire, tramandare un lampo di
,, fiamma , e poscia distruggersi quasi totalmente , lasciando un minimo strato
„ di materia bianca, che resisteva al calor rosso, potei facilmente nella mor-
,, bosa produzione riconoscere esistente ancora la composizione primitiva d' ogni
„ orgauismo nelle due ordinarie qualità di elementi , l’ organico cioè in quello
„ che si era disperso, il minerale in ciò che era residuato. Ed avendo nel-
„ l’ atto della combustione , e dell’ incenerimento avuto cura di soppraporvi
„ una lamina d’argento, dal vederla alquanto imbrunita, sufficiente prova mi
„ risultò ad un tempo, che fra i priucipii che si erano volatilizzati, oltre il
* ,, carbonio mostratosi nell’ annerimento , nella difficoltà con che si disperse ,
„ oltre l’ idrogeno carbonato traveduto nella fiamma comparsa , vi si trovava
„ pure dello zolfo, uno di quelli appunto dei quali si andava in traccia.
„ In seguito tentai sul residuo bianco 1’ azione dell’ acqua distillata , che
„ quasi nulla sembrò disciogliere; quindi non cloruri, non solfati vi potevano
„ essere, bensì dei fosfati, tra i quali più probabilmente quello di calce. Po» 2s-
„ smurarmi di ciò, separato alla meglio colla punta di un temperino tale velo
,, di residuo , ne toccai una parte col nitrato di argento , il quale difatlo vi
„ apportò dell’ingiallimento, che è prova parimenti di fosfati, siccome lo fu
Nuove ricerche sull5 Ittiosi
445
Chiunque si faccia a considerare che nell5 epidermide
nello stato fisiologico , secondo le analisi del Lehmann , al-
tro non si rinviene che una sostanza organica composta di
carbonio, di idrogeno, di azoto, e di ossigeno, e di una
minima proporzione di zolfo, 74 per 100 (1), non potrà
a meno di essere colpito delle speciali qualità che presen-
tano le scaglie dell5 ittiosi , nelle quali siccome nelle ossa
si rinviene un elemento organico analogo all5 osseina, ed
un elemento minerale, composto di ferro, di fosfato calcare,
ed anche di acido silicico. Al che dando la debita atten-
zione , P indumento scaglioso , che è proprio della predetta
dermatosi, si potrebbe sotto il rispetto chimico considerare
molto simigliante ad un dermato-scheletro , quale compete
ai pesci, e ad altre generazioni di animali. Dico sotto il
rispetto chimico, poiché in quanto alla tessitura abbiamo
veduto essere questa di tale natura da differire grandemente
da quella che è propria delle scaglie dei pesci, le quali,
siccome è dimostrato da molte esperienze fatte da me e da
celebri anatomici , sono fornite di una speciale organizza-
zione , e penetrate ne5 loro bulbi da vasi sanguiferi. Le
quali due condizioni mancando assolutamente nelle produ-
„ lo sciogliersi che fece senza effervescenza P altra parte allorché la trattai
„ coll’ acido idroclorico. Di questa solazione dipoi potendone costituire tre suf-
„ Scienti porzioni , su di una sperimentai successivamente P ammoniaca , l5 os-
„ salato d’ ammoniaca , P acetato di soda per ottenere gl’ indizii della calce
„ mediante precipitato di ossalato di calce , che in realtà comparve ; sulla se-
„ conda , per contrassegnarvi P acido fosforico , versai del percloruro di ferro ,
„ che a nessuna reazione visibile diede luogo , ma che però all’ aggiungervi
„ dell’ acetato di potassa , manifestò chiaro il precipitato bianco fioccoso ca-
„ ratteristico del fosfato ferrico, e quindi la prova evidente che trattavasi di
„ fosfato di calce; sulla terza da ultimo tentando il ferricianuro di potassio,
„ e non avendo le traccie di ferro, quali m’ interessava di ottenere , nel dubbio
„ che questo fosse avvenuto in causa dell’ essere passato il ferro nella calcina-
„ zione allo stato di sesquiossìdo , giacché per avventura rimanevami una fra-
„ zione di scaglie morbose non calcinate, volli attaccarla coll’acido idroclorico
„ direttamente , siccome dissi disopra, e nel lìquido ripetere P azione del ferri-
„ cianuro di potassio, il quale poi col coloramento azurro allora prodottovi,
„ non solamente attestò la presenza del ferro, mostrò di più che il ferro es-
„ sere vi doveva al grado di protossido. „
(1) Lehmann. Prècis de Chimie Physiologique animale. Paris 1855 pag. 265.
446
Marco Paolini
zioni ittiotiche , è ragionevole cosa il supporre, che, seb-
bene contengano una certa copia di fosfato calcare allo stato
solido , nulli riescirebbero £U di esse gli effetti della robbia
che per avventura si facesse ingoiare agli infermi , al con-
trario di quanto succede nello scheletro dei mammiferi , e
nel dermato-scheletro dei pesci , che acquistano un colore
roseo.
Non porrei più fine al mio dire se io qui volessi esporre
le diverse opinioni degli scrittori intorno P etiologia del-
P ittiosi , la quale ben a ragione , a parer mio , quando si
manifesta congenita , fu considerata da Isidoro Geoffroy-
Saint-Hilaire , non già come una mostruosità od un vizio
originario o primitivo della pelle , ma come una vera ma-
lattia sopravvenuta durante il periodo della vita entroute-
rina, avendone evidentemente, egli dice, tutti i caratte-
ri (1) . Raccogliendo pertanto in poche parole il molto che
potrebbe ragionarsi intorno simigliante materia , dirò , non
potere io entrare nella sentenza di coloro , i quali avendo
scoperto un epifìto od un fungo in alcune dermatosi , come
nel favo, nell5 erpete tonsurante, e nel cloasma , credono,
che la causa delle medesime, ed il mezzo loro di trasmis-
sione debbano riporsi nello svolgimento , e nel trasporto
delle spore, e ciò per due ragioni; primieramente perchè
le esperienze che si adducono in conferma di quella opi-
nione non sono concludenti, essendo che se croste tolte
dal favo , o dall’ erpete tonsurante applicate sulla cute sana
hanno dato origine alla riproduzione di quei morbi, e de-
gli epifiti loro propri , rimane sempre cosa dubbia , se un
tale effetto sia prodotto esclusivamente dalle spore , oppure
da altra materia contagiosa contenuta nelle croste; secon-
dariamente se quelle spore fossero 1’ unica ed esclusiva ca-
gione di alcuni morbi cutanei , certo che dovrebbero que-
sti essere assai più comuni e frequenti di quello che in
fatto lo sono per 1’ immenso numero di que’ germi o spore ,
(1) I. Geoffroy Saint-ffilaire. Histoire Générale et Particulière des Anomalies.
Bruxelles 1837. Tom. 1. pag. 117.
Nuove ricerche sull* Ittiosi 447
da cui è circondato il corpo dell* uomo. Per lo contrario
considerando le predette cutanee infermità originate da al-
tre cagioni tanto interne, quanto esterne, siccome condi-
zioni favorevoli ad accogliere in sè le spore , e ad agevo-
larne lo svolgimento , se ne ricava un’ opinione , che sem-
bra assai più conforme alla ragione ed alle più ovvie osser-
vazioni. Imperciocché noi vediamo in diverse sostanze or-
ganiche animali , o vegetabili svolgersi varie specie di cri-
ptogame secondo le particolari mutazioni , che per opera
degli agenti esterni e massime del diverso grado di calore ,
e di umidità , le medesime sostanze patiscono ; la qual cosa
induce manifestamente a ritenere, che quelle mutazioni non
sieno già effetto dei funghi in esse sostanze organiche an-
nidanti „ ma questi di quelle. Dietro di che io penso di
non andare lungi dal vero affermando , che ove ulteriori
osservazioni confermassero nelle cornee produzioni dell5 it-
tiosi la presenza dell’ epifìto da me discoperto , non perciò
siavi ragione di riconoscer* in esso la causa produttrice del
morbo, ma unicamente offerire questo il complesso delle
condizioni favorevoli all’ evoluzione della criptogama.
L’ ipotesi pertanto che intorno V etiologia della derma-
tosi in discorso sembra a me godere del maggior grado di
verosimiglianza si è quella del Cazenave, secondo la quale
consisterebbe in un pervertimento della secrezione della
sostanza epidermoidea che è operata dalle reti vascolari del
derma ; onde in questo avrebbe sede la sua primitiva ori-
gine. A favorire il quale pervertimento deve, a parer mio,
prendere una parte non indifferente quello stato di preva-
lente venosità propria comunemente degli individui affetti da
ittiosi ^ la quale in grado assai rilevante apparisce , sicco-
me ho detto fin da principio, nelle vene dei comuni inte-
gumenti. E di vero la verosimiglianza di quella opinione
è fatta manifesta da un attento esame dei caratteri anato-
mico-patologici rischiarati dall’ osservazione microscopica , e
dai risultati della chimica analisi delle squame. Impercioc-
ché queste non rappresentano una semplice ipertrofia del-
P epidermide risultante da accresciuti strati di cellule, ma
un prodotto affatto innormale o patologico composto di spe-
448
Marco Paolini
ciali elementi organici, ed avente una chimica composizio-
ne diversa da quella che compete all* epidermide nello stato
fisiologico. Soprattutto quel vizio di secrezione è grandemente
avvalorato dall’ essersi rinvenuti nelle scaglie principii affatto
estranei alla cuticola , quali sono il ferro , il fosfato calca-
re , e secondo Marchand 1’ acido silicico. Non sembra quin-
di cosa irragionevole il congetturare , che il ferro sia il pro-
dotto di una preternaturale secrezione di ematosina deri-
vante dalla rete vascolare del derma , per la quale potreb-
besi dar ragione di quegli ammassi di granulazioni di pi-
gmento disvelati dal microscopio nelle scaglie , da cui pro-
babilmente procede il colore bigio-scuro delle medesime. In
quanto poi all5 insolita secrezione di fosfato calcare , io non
saprei additarne il vero motivo. Ciò che non ripugna- alla
ragione di sospettare si è, che per la predetta abnorme
secrezione di fosfato ne patisca in ispecial modo il regolare
svolgimento e la naturale composizione del cervello , il quale ,
conforme ricavasi dalle chimiche analisi , contiene costan-
temente una determinata proporzione di fosforo. Il che sup-
posto per vero , non sarebbe molto arduo comprendere per-
chè nell5 ittiosi in causa di un ritardato od imperfetto svi-
luppo degli strumenti materiali delle operazioni dell5 anima,
le facoltà intellettive mostrino indebolimento od ottusità.
Al quale effetto non v5 ha dubbio possa eziandio contri-
buire un disordine più o meno grave dell5 organica assimi-
lazione, favorito in ispecial modo dalla stremata od impe-
dita secrezione del traspirato , del sudore , e della materia
sebacea, che nello stato ordinario del corpo si compie dai
vasi e dalle ghiandole cutanee, dappoiché queste, per le os-
servazioni anatomico-patologiche di Tilesius , Hebra , Rayer ,
ed altri, osservami nella predetta dermatosi più o meno pro-
fondamente alterate (1). Del quale disordine indotto dalle
alterazioni della pelle sull5 universale della macchina , i Pa-
tologi non hanno fatto fin qui quel conto che si meritava.
E oltre tutto ciò deve eziandio porre qualche ostacolo alla
Ser.ll!Tom.I.
Paoliui-1 Itiosi
^-Minardi ine.
Massari et
Nuove ricerche sull’ Ittiosi 449
regolare manifestazione dell’ intelligenza il non lieve aftie-
volimento della sensibilità tattile della superficie del cor-
po cagionato dalle grosse produzioni cornee , ond’ è ve-
stita F epidermide. Imperciocché sebbene il senso del tatto
sia dalla natura affidato nell’ uomo specialmente alle papille
della palma della mano , ed ai suoi muscoli , pel di cui
mezzo noi ci accorgiamo di diverse proprietà dei corpi, ciò
nulla meno a rendere completo o perfetto quel senso si ri-
chiede ancora 1’ integrità del rimanente ambito della pelle ,
essendo cosa già passata in giudicato , abbisognare allo svol-
gimento dell’ intelligenza la perfezione di tutti gli esterni
organi sensori. Per le quali cose parmi lecito conchiudere,
che quella specie di fatuità , la quale talora accompagna
1’ ittiosi congenita, s’ abbia probabilmente a riguardare
quale effetto di un disordine organico-chimico , e di un vi-
zio dinamico o nervoso della cute.
Finalmente 1’ attenta considerazione dei fatti da me di-
scorsi ci porge un salutevole ammaestramento di grande
importanza alla pubblica igiene, voglio dire la necessità
di andare molto cauti nel permettere il matrimonio a colo-
ro, che sono affetti da ittiosi massimamente ereditaria o
congenita , attesa la somma probabilità di trasmettere alla
prole quella sordida infermità.
T. I.
57
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Jìtttmé%ii: ~hfh:R>'
SOPRA
UN FERIMENTO DI CUORE
CON LESIONE D’ AMBO I VENTRICOLI
ANDATO A GUARIGIONE
DEL PROF. GIOVANNI BRUGNOLI
(Letta nella Sessione del 30 Gennaio 1862).
Invitato dal chiarissimo Sig. Presidente ad assumere oggi
1’ onorifico incarico d9 intrattenere quest9 illustre Consesso,
e sebbene mi fosse noto di non potere venire innanzi a Voi ,
Accademici Prestantissimi , con un lavoro che fosse all9 altez-
za della circostanza e rispondesse alle esigenze di questo
luogo , tuttavia non ho saputo rifiutarmivi per avere l9 op-
portunità di ringraziarvi, come ora fo, dell9 onore che mi
avete compartito chiamandomi ad esser parte di questa ce-
lebre Accademia, e per soddisfare al desiderio di un mo-
ribondo collega ed ad una promessa che a Lui ne porsi.
Più e più volte l9 ottimo incomparabile Dott. Ulisse Bre-
ventani già Accademico onorario, (una delle più belle e
care speranze di quest9 Istituto ad un tratto rapitaci da im-
matura morte ) , mi aveva parlato di un tale che da al-
quanti anni riportato aveva per strumento pungente una
ferita sul torace la quale con tutta probabilità, anzi per
certo portò lesione alle parti centrali del sistema circolato-
rio sanguigno ; rammento eziandio che assieme 1* avevamo
452
Giovanni Brugnoli
visitato alla sua abitazione , e dichiarandomi egli questo fatto
meritevole di istoria, aggiungeva che aveva già entro se
stabilito che quando che fosse pervenuto ad intero compi-
mento , doveva formare argomento di una dissertazione
accademica da presentare a questo dotto Consesso in ulte-
riore testimonianza di quell’ alta stima e singolare conside-
razione eh’ Ei vi portava.
Ma questo progetto andò a vuoto. Sui primi giorni del
Decembre 1848, quando chi era il soggetto della istoria be-
nediva alle intelligenti cure ed ai benefici recatigli dall’ il-
lustre Medico che lo aveva salvato , e traeva la vita in
tale salute da bastare a’ suoi bisogni ed anche dirò a’ suoi
desideri , 1’ infelice Breventani soprapreso da emotisi per
tubercoli pulmonali e questa susseguita da cangrena in po-
chi giorni era portato con pianto universale al sepolcro.
Innanzi però che ne colpisse tanta jattura e perfino sul
letto di morte Egli mi parlò nuovamente del ferito di che
vi ho fatto cenno ; mi ripetè quanto in sua mente aveva
predisposto e con calde parole si raccomandò che non la-
sciassi andar perduto per la scienza questo fatto da dirsi
non già raro, ma unico nella storia dei morbi.
Ed io non mancai di tener d’ occhio quell’ uomo e di
dargli medica assistenza fino a che il fatto morboso ebbe
intero compimento, ed oggi che per vojjra benignità mi è
permesso alzare la voce in questo rinomato tempio delle
Scienze Naturali , vengo tosto a sciogliere il voto che aveva
fatto fra me e me, e soddisfare alla volontà dell’ illustre e
da tutti desideratissimo amico. Ed io spero che Voi gen-
tili come siete, mi accorderete un benevolo compatimento
se di meglio non so vestire la narrazione che sono per
farvi , se non saprò aggiungervi importanti considerazioni
nuove e che non abbiate presentite , e se a lungo mi sono
fermato in questo preambolo : in tale speranza però mi raf-
fermano il sapere che vengo a presentarvi la istoria di un
fatto che in qualche parte fu osservato e raccolto da un
vostro ben amato e riputato Collega , per cui direi quasi
che mi sembra di presentarvi un lavoro di lui e eh’ egli
stesso aveva destinato per questa Accademia, infine che
Sopra un ferimento di cuore 4-53
vengo a presentarvi un fatto interessantissimo per le scien-
ze mediche.
L’ istoria che passo a narrarvi 1* ho ricavata da notizie
da me raccolte , da osservazioni fatte e da alcuni appunti
trovati in un foglio rinvenuto fra le carte del Breventani;
non mi fu dato di avere il diario esteso che di questo caso
per certo ei tenne e per questo precipuamente in alcuni
punti lascierà alcun che a desiderare.
Nell’ anno 1834 insorse fra i più rinomati suonatori di
campane di questa città un’ accerrima guerra che si pro-
trasse ancora 1’ anno seguente ; e divisi essi in due fazioni
dalle gare passarono agli insulti, alle offese personali, ai
ferimenti ed agli omicidi ancora. E Pietro Deiucca che fa-
ceva pur ancora il mestiere del calzolaio,, giovane robusto
di 26 anni, molto amico di Bacco e a quanto appare uno
dei più arditi e maneschi, fu ferito una prima volta nel-
1’ agosto del 1834 al capo con uno strumento contundente;
poscia una seconda nell’ anno seguente e nello stesso mese
di Agosto ai 23, riportando altra ferita da strumento pun-
gente al petto per la quale in uno stato gravissimo e che
ispirava non lievi timori per la sua esistenza, fu portato allo
Spedale Maggiore , ed ivi visitato e medicato dal Sig. Dot-
tor Gio. Battista Vaccari , questi rinveniva una ferita alla
parte sinistra del torace e precisamente quattro dita al di-
sopra della mammella , di figura triangolare , lunga un terzo
di pollice, larga costa di coltello, profonda quasi tre pol-
lici, con direzione dall’ alto al basso, con sintomi di pene-
trazione, per cui la giudicava di qualche pericolo. Tutto
questo risulta dalla relazione medico-legale fatta a termini
di Legge al Tribunale Criminale e che trovasi registrata nel
libro delle Relazioni dello Spedale suddetto al Prot. 527 di
detto anno 1835. A questo deve aggiungersi che la ferita
distava poco dello sterno , che da essa uscì poco sangue ,
che corsero voci che lo strumento feritore fosse stata una
chiavarda ben affilata nella punta, infine che questa ferita
guariva in breve per prima intenzione.
Il Deiucca rimaneva però nello Spedale 78 giorni, cioè
fino al dì 9 Novembre in cui , come risulta dal citato libro
454- Giovanni Brugnoli
delle Relazioni giuridiche , esci va dichiarato guarito dal chi-
rurgo curante. Trovo però tiotato negli appunti scritti del
Breventani, che 40 giorni dopo quello della riportata ferita
gli si manifestava un piccolo tumoretto in vicinanza della
mammella sinistra e precisamente al livello ed all5 infuori
del capezzolo; tumoretto sensibilissimo al tatto non solo
ma un semplice e lieve toccamento di esso , asseriva il
malato, che gli apportava ancora grande sconvolgimento
di cuore. È pure notato che poco dopo si manifestarono
forti palpiti del cuore ed un tremore felino. All’ ascolta-
zione si appalesò un soffio fortissimo che si sentiva anche
sotto la clavicola e P ascella sinistra in modo da coprire il
doppio suono del cuore, il quale suono poi si sentiva ab-
bastanza regolare e netto al collo in ispecie a destra, ed
anche allo scrobicolo del cuore e più particolarmente a si-
nistra. Alla regione cardiaca poi vedevasi una doppia pulsa-
zione, P una fra la quinta e la sesta costa e l9 altra fra la
terza e quarta e la quarta e quinta specialmente.
Quantunque allora vigessero pur anco tali disturbi , il
Deiucca , come già dissi , uscì difatti dallo Spedale e tornò
al lavoro di calzolaio ; ma non passarono pochi mesi che
sentendosi venir meno le forze * crescere la difficoltà del
respiro, il battito del cuore fargli si assai molesto , pensò nuo-
vamente di ricorrere allo spedale ; e tanto più sollecitamente
vi ricorse perchè gli si era formato di sotto la clavicola
sinistra un tumore di qualche volume e sul quale non ho
potuto avere più precise e circostanziate notizie. Circa la
metà del marzo del 1836 ei fu accolto in quelle sale me-
diche e per 120 giorni che vi rimase fu sottoposto a di-
verse cure di cui ignoro il genere ed i rimedi che le com-
posero; questo solo è notato di rimarco che nell’ aprile e
specialmente nel giovedì santo egli ebbe una emoptoe di
qualche abbondanza, essendo stato valutato ad una libbra
il sangue emesso ; e di più che dopo P emoptoe fuvvi av-
vallamento e scomparsa del tumore or ora menzionato.
Tornato di nuovo il Deiucca in seno della propria fami-
glia nell5 estate del 1836 si trovò di continuo oppresso dai
gravi disturbi di salute che ho di già descritti , e che s5 erano
Sopra un feriménto di cuore
455
anzi vieppiù aumentati per cui vedevasi incapace di pro-
vedere al sostentamento di se e de’ suoi , e condannato a
condurre pel rimanente de’ suoi giorni una esistenza di con-
tinui dolori e di incessanti pene. Per pur trovare un fine
a’ suoi mali colla mente andava passando in rivista tutto
quanto aveva udito dai medici che nello Spedale fecero il
suo caso oggetto di studio , di spesso fermandosi special -
mente sull’ avviso francamente esternatogli che il suo male
era spacciato e che sola speranza di salvezza poteva aversi
in una dieta severissima, in un indebolimento di forze
condotto all5 estrenuazione e così durato per molti mesi; e
talmente si persuase di conseguire guarigione col progettato
trattamento che fermò di sottorporvisi , ed a se chiamato
l5 illustre Dott. Ulisse Breventani ed apertogli il suo pen-
siero , questi grandemente il confortò in tale determina-
zione, e con quella somma bontà d5 animo che al certo
equiparava le eccellenti doti della mente , accettava di as-
sisterlo , e di regolare e dirigere il trattamento curativo che
volevasi mettere alla prova.
Nell5 autunno 1836 ebbe incominciamento la così detta
cura del Valsalva; e se il curante per rispetto alle abitu-
dini del malato ed al timore che insigni e repentini cam-
biamenti nell5 alimentazione di quell5 organismo apportas-
sero gravi danni , inclinava a procedere lento , il fermo vo-
lere dei malato, la speranza anzi l5 assoluta persuasione
di guarire che questi poneva in quel metodo curativo, lo
spingevano quasi ogni giorni a proseguire nelle restrizioni.
Mancando del Diario di questa cura io non posso segnare
con precisione i gradi della diminuzione nella quantità
dell5 alimento ; so di certa scienza che ben presto il cibo
quotidiano di questo uomo si compose soltanto di poche
once di latte vaccino e che la dieta lattea fu religiosa-
mente tenuta per otto interi mesi.
Oltre la tenuità della dieta , onde depauperare maggior-
mente e scemare di forza l5 organismo, si ricorse, come è
già di prescrizione nella cura valsalviana , alle sottrazioni di
sangue; e da prima si fece il salasso ogni quindici dì e
nella quantità di circa sei once di sangue, si giunse a
456
Giovanni Brugnolj
praticarlo ogni cinque giorni e nella stessa misura. In com-
plesso furono fatti settantadue salassi. A questi mezzi cu-
rativi devonsi aggiungere la stazione permanente in letto,
V immobilità maggiore possibile della persona , la quiete ed
un silenzio assai rigoroso.
Il Deiucca s9 attenne al fatto proposito con una volontà
ferma e costante che non si lasciò smuovere per qualsiasi
evento; e se gli esiti delle cure corrispondessero sempre
alla docilità , all’ abnegazione , ai volontari sacrifici fatti
dal medicato ed alle intelligenti premure del medicante, ben
si potrebbe dire che la guarigione di colui, ritenuta gene-
ralmente impossibile, fu bene meritata. Io stesso da pochi
mesi ammesso allo studio della clinica medica, visitai in
allora il Deiucca in compagnia dell* egregio Breventani che
mi si era fatto amorosissimo e valente maestro di Ascolta-
zione : ed oltre rammentarmi lo stato di somma prostra-
zione in cui si trovava quell9 uomo da non essere capace
di muovere con qualche speditezza gli arti , mi sovvengo
che la faccia di lui viddi pallidissima e quale di cera , ed
un po’ tumida ; la congiuntiva cerulea sulla quale spic-
cava un bel color nero dell9 iride ; ma più di tutto mi
rimase impresso il forte rombo che udii applicando lo ste-
toscopio sui grossi vasi sanguigni del collo e che per la
prima volta mi venne indicato pel rumore del diavolo; an-
che alla regione precordiale vi aveva un soffio assai speciale
da riferirsi in qualche guisa al rumore modulato e musicale.
Risulta palese da questi segni che ho qui enumerati, che
l9 infermo, specialmente in seguito delia cura, era stajto po-
sto in uno stato assai rilevante di cloro-anemia.
A questo punto spinta la cura valsalviana , il Breventani
giudicò essere venuto il momento di far sosta e di ricon-
durre gradatamente quell9 organismo alle condizioni di un
vivere ordinario ed abituale. Quindi si diradarono le cac-
ciate di sangue e nel marzo 1838 si lasciarono affatto, fu
aumentata la quantità giornaliera del latte ; a questo si ag-
giunsero cibi di altra qualità, e prima le fecole, poi il
pane , quindi la carne , ed anche il vino ; allora le forze
grado grado si rianimarono, il malato potè sorgere sul letto.
Sopra un ferimento di cuore 4-57
discenderne, camminare ed in fine uscì di casa come gua-
rito la seconda festa della Pentecoste del 1838, cioè venti
mesi da che diede principio alla cura del Valsava, non ri-
levandosi che un rumore di soffio col primo suono cardia-
co avente sede alla base del cuore e senza propagarsi alle
carotidi ; per cui come dirò più innanzi fu ritenuto che
la lesione siedesse all’ origine dell’ arteria pulmonale.
Il Deiucca libero dagli incomodi di salute e dai mali che
10 rendevano inutile a se ed alla famiglia potè tornare li-
beramente al mestiere del calzolaio e di nuovo godersi la
vita in mezzo ai suoi , ed agli amici ; potè ancora far ri-
torno sui campanili ed avere forza e destrezza molta per
durare lunghe ore, specialmente sulla torre di S. Gatterina
di Saragozza sua parecchia, a manovrare quelle grosse cam-
pane facendo loro percorrere completi giri di rotazione sui
perni infissi nel mozzo e sempre fermandole col bordo in
alto nelle solenni e lunghe suonate, a doppio di cui è sì
esigente e va superba la plebe di quella contrada.
Ad onta delle sostenute fatiche , di alquanti disordini
dietetici, abusando in ispecie di vino, ad onta di patemi
tristi che lo afflissero e più particolarmente la morte di
alcuni figli per vizio scrofoloso e tubercolare, la salute di
lui non fu più mai seriamente alterata; solamente nel 1847
si presentò al Breventani domandando consiglio per una
tosse che da qualche tempo il molestava ; e questi consta-
tato che trattavasi di bronchite , trovò pure segni decisi di
soffio al primo suono 3 sentito in ispecie alla base del cuore.
11 vidde però assai bene nutrito e di un ottimo colorito.
La circostanza che più d’ ogni altro ha sembrato contri-
buire a ridestargli i mali altre volte sofferti fu Y assedio
patito da Bologna nel 1849 ; e sebbene egli e 1’ abitazion
sua fossero illesi dai projettili lanciati sulla città , pure dal
vederseli cadere d’ attorno, talmente ne fu spaventato che
il cuore si mosse disordinatamente, il respiro si rese diffi-
cile , un senso molesto come di una palla di spesso molto
T opprimeva all’ epigastrio , le gambe gli si fecero torpide ,
pesante ed alquanto edematose. Questi mali ebbero delle
tregue e delle esacerbazioni , e così passarono quattro anni
t. i. 58
458
Giovanni Brugnoli
in cui potè attendere a sufficienza a’ suoi lavori ed inte-
ressi. Finalmente dopo una rapida corsa eh’ ei fece essen-
do molto angustiato , talmente si alterarono le funzioni del
circolo sanguigno che vennero in iscena tutte quante le
molestie e le conseguenze del vizio organico strumentale
del cuore e della inceppata circolazione. Dotato come egli
era di robusta costituzione di corpo , lottò validamente , ed
aiutandosi con qualche mezzo terapeutico potè passare un’ al-
tro anno traendo la vita alla meglio ; ma lo stato suo ognor
più peggiorò ed io lo rividdi sui primi del 1855 coi segni
più certi di una ipertrofia di cuore , con soffio assai rile-
vante al primo suono , con edema agli arti inferiori , ed
ingente ipertrofia di fegato. E di più ebbe pur anco a pa-
tire in quel tempo coliche intestinali , qualche enterroragia,
diarrea e vomiti biliosi.
Ad abbreviare la mia narrazione non mi fermerò a de-
scrivere partitamente i mali da lui sofferti nell’ ultima fase
di sua vita. Dirò soltanto in breve eh’ ei desiderò d’es-
sere accolto in uno spedale, ed il distinto clinico cav. prof.
Gio. Battista Comelli che meco fu sempre generoso di be-
nefìzi e di favori , annuendo ad una mia domanda, 1’ accolse
in questa clinica scuola onde non andasse perduta la parte
più importante di una istoria che per certo non ha 1’ eguale
negli annali della scienza.
Questo uomo dimorò quarantadue giorni nella clinica me-
dica, ed ogni più razionale tentativo di cura tornò affatto va-
no. Si rese invece sempre più manifesto che 1’ ipertrofia di
cuore , la tolta relazione fra le parti di questo viscere , in
una parola il vizio strumentale del cuore era giunto a tal
grado da non essere più conciliabile colla vita. Io quindi
non dirò degli aneliti , dell’ edema , e di tutti gli altri
mali che ebbe a sostenere, perchè furono quelli che d’ or-
dinario soffrono i cardio-pazienti; rimarco soltanto la con-
gestione e la consecutiva ipertrofia del fegato, la quale a
vero dire sorpassò i limiti che siamo soliti vedere, impe-
rocché 1’ orlo anteriore di quel viscere poco distava dal-
1* ombellico.
La morte di quest’ uomo accadde il 12 Aprile 1855, cioè
Sopra un ferimento di cuore
459
19 anni, 7 mesi e 19 giorni dopo la riportata ferita. Nel
giorno dopo io stesso feci la sezione di quel cadavere che
la cortesia dell5 egregio clinico aveva messo interamente a
mia disposizione.
Non mi fermerò a descrivere gl* infiltramenti , le raccol-
te di siero nel tessuto sotto-cutaneo, nelle cavità splan-
cniche , nè le varie e marcate iperemie , perchè cose ovvie
e consuete nei morti per vizio organico precordiale. Del-
F ipertrofia di fegato nuli’ altro aggiungerò che è stata una
delle più voluminose eh’ io m’ abbia incontrato. Niun’ altra
cosa che sia meritevole di speciale menzione ebbi a notare
nel dissezionare la cavità addominale e la encefalica: e
quindi la più diligente disamina diressi agli organi del to-
race i quali per Y anamnesi richiamavano tutta quanta 1’ at-
tenzione , ed il cui esame tornava della più alta importanza.
I pulmoni si presentarono assai voluminosi, erano crepi-
tanti al taglio e tranne di qualche porzione congestionata ed
edematosa , ed anche carnificata , non riscontrai nè cicatrici ,
nè aderenze così pronunciate da spiegare la formazione del
tumore sotto-clavicolare , la emoptoe comparsa qualche tem-
po dopo il ferimento. Le arterie pulmonali erano assai
dilatate.
II cuore che qui io vi presento fa parte del Museo di
Anatomia patologica di questa R. Università, esso già fu
veduto ed esaminato nello stesso giorno della sezione ca-
daverica dal eh. clinico cav. prof. G. B. Gomelli, dal eh.
cav. prof. G. B. Fabbri e da quanti in allora frequentavano
la scuola di clinica medica, fu pure osservato da molti
altri dotti medici ed illustri professori di questa Università ,
fra’ quali nominerò i professori Belletti, Versari, Calori,
Medici , ed il clinico chirurgico il comm. prof. Francesco
Rizzoli il quale anzi da questo fatto prese occasione per un
trattenimento nella scuola sulle ferite di questo viscere.
Questo cuore ha per certo le marche della ipertrofia ec-
centrica. In esso come pure nei disegni che sottopongo
alla vostra osservazione scorgerete da prima il pericardio
inspessito e reso aderente all’ esocardo (Fig* 1. a, a) per
numerosi e spessi lacerti membranosi (b , b ,) formati da
460
Giovanni Brugnoli
un esudato di antica pregressa pericardite , passato a tes-
suto organizzato permanente ; in qualche punto ed ove l’ a-
derenza è tutta uniforme fra pericardio ed esocardo , quel
tessuto cellulo-fìbroso si è tramutato in concrezione ossea,
e ne vedete una estesa placca, lunga circa cinque centimetri
larga cent. 1. 50 in corrispondenza dell’ orecchietta de-
stra ( c ) .
Il cuore è lungo cent. 13, largo cent. 16, grosso cent. 10;
il ventricolo destro (J, d.) è ampio, le sue pareti conta-
no cent. 0 , 7 di grossezza, assai ampia si offre F arteria
pulmonale ( i , i ) la quale al dissopra delle valvole semiluna-
ri , conta cent. 1 0 di circonferenza. Portato F esame all’ in-
terno di questo ventricolo, nella parete anteriore s’ incontra
sui lacerti , in prossimità della valvola semilunare anteriore ,
un’ area quadrata di circa tre centimetri lunga, (e, e, e)
di colore bianco-opaco , variegata , formata da un tessuto
alcun po’ rilevato che apertamente si riconosce costituito da
stravenamenti ed infiltramenti , passati ad organizzazione , di
un antico pregresso processo infiammatorio. In quest’ area
e precisamente pochi millimetri innanzi all’ unione della
parete anteriore al setto, si scorge un piccolo cavo (/)
di forma semilunare , lungo un centimetro , nel mezzo del
quale si approfonda fra i tessuti parietali la membrana
dell’ endocardo e quasi a modo di ernia forma una pic-
cola incavatura da toccare il pericardio. Sezionata in que-
sto luogo la parete dal lato esterno e tolta la membrana
del pericardio, si vede manifestamente mancare il tessuto
muscolare in corrispondenza di questo cavo ed essere stato
surrogato da un tessuto di cicatrice. Difatti ivi si scorge
un piccolo spazio paralellogrammo , lungo un centimetro ,
largo circa sei millimetri, ove invece di tessuto muscolare
si trova tessuto inodulare non molto compatto in mezzo al
quale protubera la cavità formata dall’ ernia dell’ endocardo
di sopra accennata. Di più esaminando di contro al lume
la parete in discorso, quello spazio quadrangolare si mostra
alquanto trasparente.
Questo soltanto è per certo sufficiente per attestare che
la ferita fu penetrante nel cuore e che le lesioni descritte
ne dimostrano la completa cicatrizzazione.
Sopra un ferimento di cuore 461
Ma vi ha di più, nello stesso ventricolo e sulla parete
del setto interventricolare e precisamente di contro al de-
scritto incavo (/. ) da dove entrò lo strumento feritore , si
presenta un5 area circolare ( g ) di colore bianco opaco , del
diametro di un centimetro, formata di tessuto cellulo-fìbroso
assai denso e compatto e direi anche calloso , la quale pres-
so P orlò a destra ha un piccolo foro rotondo ( h ) del dia-
metro maggiore di un millimetro , che permette di passare
con uno specillo nel ventricolo sinistro.
Questo sinistro ventricolo poi ha una cavità molto ampia ,
(Fig. 2), è lunga dieci centimetri , ha una circonferenza alla
base di cent. 15; i lacerti muscolari sono assai sviluppati e le
pareti verso la base sono grosse anche più di due centimetri ,
alla punta invece non misurano che 6 ad 8 millimetri. Nella
parete corrispondente al setto e là dove conduce il forelli-
no (fi) veduto nell’ altro ventricolo si trova una cavità ( m , m)
a guisa di un aneurisma delle pareti del cuore. Questa cavità
è di forma ovale, ed è tale da contenere P apice del dito
grosso di una mano ; ha la lunghezza di due centimetri e
mezzo , larga uno e più , profonda nel suo massimo un cen-
timetro e mezzo e col suo fondo corrisponde alla macchia
bianca o area circolare ( c. Fig. 1.) ed al forellino (A) ve-
duti nell’ altro ventricolo.
Portando poi le ispezioni anatomiche alla valvola mitrale
si rileva che nell’ angolo posteriore della mitra, cioè di die-
tro alla linguetta posteriore (n. Fig. 2.) la spaccatura va
fino all’ inserzione di quella colla parete ventricolare , ed i
due lembi od orli sono convertiti in grossi cordoni tendi-
nei (o, o ) i quali sembrano formati da ripiegatura dei
lembi, e più da alcuni fili e tendinetti staccati dai mu-
scoli papillari e con quelli assieme saldati da un esudato
di un pregresso processo infiammatorio. Inoltre fra questi
due lembi e là dove si uniscono, sorge un altro grosso
cordone a guisa di una escrescenza, di forma vermicolare, di
colore bianco-opaco argentino, come i descritti cordoni della
valvola stessa, e che si mostra come quelli formato di un
tessuto cellulo-fìbroso , prodotto di flogosi ; nel restante la
valvola nulla ha di anormale. Al disotto poi di quella prò-
462
Giovanni Brugnoli
minenza vermiforme ( p ) nella parete ventricolare si rin^
viene una fossetta (q) di forma quasi ovale, lunga circa
un centimetro, di colore bianco-opaco e quindi assai dif-
ferente dalle parti vicine dell’ endocardo ; il tessuto che
tappezza questa fossetta è sempre cellulo-fibroso , grosso an-
che più di un millimetro , al dissotto di esso vi hanno gli
strati di sostanza muscolare non alterati.
L’ aorta ha una circonferenza di sei centimetri, è cioè
poco più della metà dell’ arteria pulmonale. Aggiungerò in
fine che vi era qualche placca ateromatosa nell’ orecchiet-
ta sinistra.
Chiunque si faccia a ponderare le circostanze principali
della istoria che ho narrato e si accinga a porle nelle loro
rispettive correlazioni , mi. sembra non possa a meno di non
riconoscere che lo strumento feritore che percosse il De-
iucca sul petto a sinistra in vicinanza dello sterno , si insi-
nuasse nel secondo spazio intercostale., che tenendo una di-
rezione dall’ alto al basso e forse anche dall’ esterno al-
P interno perforasse non solamente il pericardio , ma ezian-
dio trapassasse la parete anteriore del ventricolo destra,
s’ impiantasse nel setto interventricolare , penetrasse nel
ventricolo sinistro e giungesse a ledere perfino la valvola
mitrale e P endocardo ancora che trovasi sulla opposta pa-
rete posterióre del ventricolo stesso di dietro dalla valvola
or or nominata , per cui poco mancò che il cuore non ri-
manesse trapassato da parte a parte. Le marche difatti che
ce ne danno le alterazioni anatomiche mostrano palesemente
mancare il tessuto muscolare in uno spazio quadrangolare
della parete anteriore del ventricolo destro , in un tratto
del setto , ed essere rimpiazzato da tessuto cicatrizio ; di più
se si conduca una linea retta che passi per la cicatrice esi-
stente nella parete anteriore di quel ventricolo , e per quella
del setto e innanzi venga prolungata si arriva a toccare
quel punto dove la valvola mitrale è divisa , dove è ingros-
sata , dove vi ha quella escrescenza vermiforme di tessuto
fibroso , bianco-opaco , quella fossetta e quella macchia su-
periormente descritte. D’ onde risulta che tutte quante le
alterazioni consistenti in un esudato infiammatorio passato
Sopra un ferimento di cuore
463
all* organizzazione e trovate e nell’ uno o nell’ altro ventri-
colo , essendo assai circoscritte e localizzate , essendo su una
stessa linea, mostrano direi con certezza che sono derivate
dalla ferita. Inoltre se si esamini quella valvola non si rin-
viene alterata che solamente nella località descritta, donde
si può ricavare un altro argomento, che la lesione che vi si
osserva non è opera di un processo flogistico da cause co-
muni , da fondo reumatico , imperocché in allora si pre-
senterebbe estesa diffusa a tutta la valvola; ma invece la
lesione essendo bensì assai rilevante ma parziale e limitata
ad una piccola porzione di quella e piuttostochè vederla
continuata sulla valvola, si presenta molto pronunziata nel-
P endocardo corrispondente , mi sembra che faccia invece
conoscere che tutta locale fu la causa del processo flogistico
che produsse quegli esudati che ho descritto, e quindi
che si devono alla ferita che dobbiamo ritenere arrivasse
fìn là.
Ora volendo io in breve soltanto accennare la parte di
fisiologia patologica di questo fatto , dirò sembrarmi che
per la ferita del ventricolo destro avesse luogo una emor-
ragia nel pericardio, la quale non sarà stata per certo in
tanta copia da arrestare i moti del cuore e ridurre que-
st’ uomo morto ictu fulmineo. Non mi fermerò a ricercare
quale fosse la cagione che arrestasse quell’ emorragia, per-
chè non è avvenimento raro che una ferita vera di cuo-
re abbia lasciato sopravivere per qualche tempo P uomo
che la ebbe; sia poi per la contrazione delle libbre mu-
scolari che chiudendo il foro permettono all’ esudato in-
fiammatorio, che ne segue, di agglutinare le parti divi-
se e portarne la stabile chiusura, sia che lo strumento
feritore seco abbia tratto lembi del pericardio i quali rimasti
nel tramite della ferita abbian cooperato a chiuderla. Egli
è certo però che dopo la ferita si suscitò una pericardite
il cui esudato in parte almeno vediamo ora passato all’ orga-
nizzazione e trasformato fino in sostanza ossea. La ferita del
setto interventricolare avrà dato luogo ad una comunica-
zione fra i due ventricoli ed al passaggio del sangue dal-
P uno nell’ altro , e ciò tanto più facilmente sarà avvenuto
464
Giovanni Brugnoli
in quanto che la ferita cadde in quella porzione di setta
ove le libbre muscolari sono rade e lasciano uno spazio
triangolare tendineo ; e dell’ esistita comunicazione mi dà
seguo quella cicatrice assai notevole , quel forellino che tut-
tora rimane ; me ne dà sicurezza la cavità aneurismatica
che si trova nella parete corrispondente, la straordinaria
dilatazione dell’ arteria pulmonale ; e difatti egli è certo che
per essere il ventricolo sinistro superiore per forza al de-
stro , perchè fornito^ di pareti più grosse e robuste , il san*
gue deve essere passato daf sinistro al destro ; e siccome
la massa di sangu# progettata contro 1’ apertura anomala
avrà trovato , nel percorrere il tramite della ferita , maggior
resistenza dal lato dell’ estremità che comunica col ventri-
colo destro , perchè* là appunto y’ era la massa del sangue
compressa le spintavi di contro dalle pareti del ventricolo
pulmonale, là appunto accadeva il contrasto fra 1’ onda san-
guigna spinta dal ventricolo destro e quella del sinistro,
là quindi la maggiore resistenza , per cui la ragione della
dilatazione del tramite della ferita in forma conoide col-
1’ apice dal lato della maggior resistenza, cioè dal lato del
ventricolo destro. Questo ventricolo poi sopracaricato di una
porzione di sangue pervenuta dal sinistro avrà portato la di-
latazione dell’ arteria pulmonale che vediamo essere cosi
notevole.
Nè ad infirmare una tale interpretazione Concorrono a
mio avviso le molte osservazioni anatomico-patologiche di
comunicazione in terventricolare raccolte fin qui, nelle quali
invece vediamo congiunto il restringimento dell’ arteria pul-
monale , e durante la vita dei pazienti vi fu la cianosi , di
che mai ebbe segno il Deiucca ; imperocché basta riflettere
che studi accurati di quella concomitanza delle due alte-
razioni strumentali accennate ,*cioè a dire comunicazione in-
terventricolare e restringimento dell’ arteria pulmonale , han-
no condotto a ritenere che il ristringimento dell’ arteria
pulmonale specialmente congenito sia invece la causa della
comunicazione interventricolare : diflatto in allora il sangue
del Ventricolo destro trovando ostacolo a proseguire per
P arteria pulmonale fa impeto e forza Contro le pareti ven-
Sopra un ferimento di cuore
465
tricolari , ed essendo quelle del setto in uno spazio trian-
golare, come sapete, prive o scarse di fibbre muscolari, quivi
lacera ed erompe nel ventricolo sinistro , ed allora il san-
gue venoso del destro passa nell’ arterioso del sinistro, al-
lora soltanto si osserva la cianosi.
Riandando poi la istoria di questo ferimento ne risulta
che ben pochi ed imperfetti dati si ebbero per farne la
diagnosi, per conoscerne la sede e le intime particolarità.
È notato il tremore fellino, il quale è* sintoma comune a
parecchie lesioni cardiache e di incerta significazione il quale
ora ritengo nel caso in discorso legato alla comunicazione
interventricolare, al commescolamento del sangue arterioso al
venoso.
Questa circostanza organico-strumentale avrà pure contri-
buito nel produrre il fortissimo rumore di soffio che vi aveva
col primo suono; che se tale rumore sistolico ha persistito
fino al termine della vita quando non vi aveva passaggio di
tale quantità di sangue da averne ragione , vi ha un’ altra
circostanza organica che ce lo spiega , e questa si è la rile-
vante dilatazione dell’ arteria pulmonale. Diffatti quel ru-
more sistolico aveva il massimo d’ intensità alla base del
cuore , non si estendeva lungo 1’ aorta e le carotidi come
fa nel restringimento aortico , onde è a ritenere che avesse
sede nell’ arteria pulmonale ; e se si consideri al luogo ove
sul torace fu data la ferita, cioè fra la seconda e terza costa
sinistra presso lo sterno, cresceranno gli argomenti che avran-
no fatto ritenere che la ferita avesse portato lesione al-
1’ arteria pulmonale e si fosse dato luogo ad un aneurisma
di questa. Ed in vero tale era il diagnostico eh’ io ne ave-
va fatto, tale quello pure del Breventani il quale nel suo
Manuale di Ascoltazione (1) dietro una osservazione di Hope,
dietro alcuni argomenti d’ induzione e dietro il caso in di-
scorso che, diceva, ho ora in osservazione ed in cui mi
pare molto probabile vi esista 1’ aneurisma della pulmona-
ìe, si faceva a stabilire i segni indicanti questa rarissima
(1) pag. 261. Prima edizione. Bologna 1838.
T. i.
59
466
Giovanni Brugnoli
alterazione , i quali anche dall’ ulteriore disamina di quel
fatto sono stati pienamente confermati.
Per non abusare della sofferenza Vostra A. P. non mi
fermerò a considerare questa istoria sotto il punto del bril-
lante successo ottenuto per la cura del Valsalva, perchè que-
sta ne conta già molti e sì rilevanti da meravigliare come
così di rado vi si abbia ricorso, e la si vegga da molti
messa in dimenticanza.
Permettetemi però che non tralasci di far cenno dell’ im-
portanza grandissima che ha il fatto narratovi sotto il ri-
spetto medico-forense e in riguardo alla tesi : se le ferite pe-
netranti nel cuore sieno assolutamente insanibili. Voi già
sapete come negli antichi tempi fosse opinione comunemente
accettata e anche da alcuni a’ dì nostri professata , che le
ferite penetranti nel cuore fossero sempre ed assolutamente
mortali ; come alcuni altri e fra gli antichi il Benivieni ,
P Haller e la più parte dei patologi d5 oggidì tenessero in-
vece la sentenza che quantunque i fatti di sopravvivenza
a ferite perforanti di cuore fossero estremamente rari , pure
se ne contavano alcuni, ed in tutte quante le opere che
trattano di quest’ argomento , si citano specialmente i casi
riferiti da Velpeau , Laugier , Latour d’ Auvergne , Faget. ec.
Voi sapete ancora che pochi anni or sono un chiarissi-
mo professore della Toscana , della cui amichevole relazio-
ne grandemente mi compiaccio , 1’ illustre cav. Ferdinando
Zanetti pubblicava un libro intitolato : Studi sopra i feri-
menti di cuore più specialmente pella utilità* della pratica
medico-forense , nel quale svolgendo 1’ argomento sotto molti
e diversi aspetti e nel dare soluzione alla tesi a se stesso
proposta, se cioè tutte le ferite del cuore sieno insanabili e
quali lo sieno , porta un esame critico sopra i casi di narrata
guarigione eh’ ei ritrae da una statistica di 159 fatti che ha
raccolto da opere pubblicate , dall’ esercizio pratico di lui
e di qualche suo amico. E con questo esame egli si fa a
mostrare che i casi narrati da Weber (1), e da Latour
(1) Senac. Trailé de ia structure du Coeur et de ses maladies T. 2. p. 369.
Sopra un ferimento di cuore * 467
d’ Auvergne (1) sono da riferirsi non a ferite vere con di-
scontinuità di tessuti , ma a disgregazioni interfibrillari , a
ferite non penetranti, perchè una palla involta nel peri-
cardio si è insinuata fra le fibbre del setto senza passare
in alcuna cavità ; mostra pure che nel giovane di Fourby (2),
che sopravisse quattro anni , fu notata una cicatrice all* api-
ce del cuore, ma non è indicato se dessa occupasse tutta
quanta la spessezza della parete e attestasse di una fe-
rita penetrante; lo stesso è detto (pag. 113) della ci-
catrice dell5 uomo che sopravisse sei anni di cui ha par-
lato Faget (3), e mostra anco (pag. 113) ch’egli è a
dubitarsi della penetrazione della ferita nel carbonaio che
visse dopo nove anni , narrata dal Velpeau (4) , perchè
quantunque nell’ interno del cuore vi fosse in corrispon-
denza della cicatrice esterna una macchia, un ingrossamento
dell’ endocardo , pure non può essere escluso che la ferita
arrivasse sino a quella membrana senza lederla, cioè non fosse
penetrante e che la flogosi col suo esudato al dissotto del-
1’ endocardo avesse portato quell’ effetto come altri fatti
gli avevano dimostrato. I casi poi riferiti da Akenside , da
Larrey , da Ghastonnet rimangono tanto dubbi da non po-
terli in niun modo considerare. Per cui con molta ragione
concludeva ( p. 191) che se è ammessa come possibile la
guarigione delle vere ferite penetranti in alcuna cavità car-
diaca, i fatti addotti a provarne 1’ effettivo avvenimento e
che si sono basati sopra alcune cicatrici incontrate nel cuore
d’ individui , nei quali in altro tempo fu diagnosticato fe-
rito il detto centro circolatorio , non sono per ora tanti , nè
così limpidi perchè sieno esenti da ogni eccezione.
Ora se si consideri il fatto che ho narrato , se pongasi
mente alle aderenze indicanti la pregressa pericardite, alla
cicatrice con mancanza di fibbre muscolari nella parete an-
(!) Histoire philosophique et médicale des causes essenliels des héraorragies.
T. I. p. 75.
(2) Dictionnaire des études médicales pratiques. Tom. 3.
(3) Idem T. 3.
(4) Traité coroplet d’anatomie chirurgicale. Braxell. 1834 p. 177.
468
Giovanni Brugnoli
tenore del ventricolo destro e del setto , alla cicatrice sulla
valvola mitrale, a quella sulla paréte posteriore del ventri-
coli sinistro ; se pongasi mente che quest’ uomo sopravvis-
se c[uasi venti anni, che ricuperò tanta salute da bastare
a’ suoi bisogni e come dissi a’ suoi desideri per fino , non si
può a meno di venire nella sentenza che desso è il più
importante, il solo caso decisivo fra quelli fin qui citati (t),
che desso senza eccezione prova che effettivamente è possi-
bile ed avvenuta la guarigione di una ferita con vera di-
scontinuità delle fibbre e dei tessuti e penetrante nel cuore.
E qui pongo fine colla speranza che mi condonerete
se fui lungo e minuto nella parte descrittiva del mio di-
scorso , imperocché conoscerete eh’ io non poteva farne a
meno sottoponendo questo fatto morboso alla vostra consi-
derazione al vostro esame , il quale porterà ad esso un va-
lore incalcolabile , 1* assentimento ed il giudizio valevolis-
simo di una delle più celebri Accademie.
(1) la seguito sulla Gazette Médicale <f Orient ho trovato essere stato riferito
dal Dott. Miihlig il fatto di un ferimento di cuore assai importante e in qual-
che punto analogo a quello che è oggetto del presente discorso. » Il ferito quan-
tunque si fosse ristabilito e potesse attendere alla sue ordinarie occupazioni ,
notava fino dall’ epoca del ferimento un rumore di soffio al cuore. All’ autossia
si verificò pressoché in linea retta una cicatrice sul torace, un aneurisma par-
ziale del ventricolo destro, una perdita antica della sostanza del setto; lo sti-
letto penetrava non solamente nel ventricolo destro, ma traversando il setto
entrava nel ventricolo sinistro. Nessun corpo straniero era rimasto nel cuore
a tamponarne la ferita. La morte avvenne dieci anni più tardi per le conse-
guenze di tale ferita o per meglio dire di, endo-pericardite sviluppatasi in se-
guito ad essa ; ma nè 1’ aueurisma del cuore , nè la perforazione del setto con-
tribuirono essenzialmente alla morte. » 11 Dott. Miihlig dopo avere cercato di
spiegare le diverse fasi di quel fatto, termina dicendo essere questo il caso che
abbia offerto il primo esempio autentico di guarigione di aneurisma parziale
falso o traumatico del cuore e lo sostiene combattendo gli argomenti coi quali
altri avevano fino allora preteso di avere fatto consimili osservazioni. ( Veggasi
anche in proposito la Gazzetta Medica Italiana. Lombardia Ser. 4. Tom. 6.
(1861) p. 243).
Brugiioli -Ferimento di cuore
Mem.Ser.il? Tom .1.
C .Minardi dia.
Mem Ser.ffiToml.
Bru^uoli _ Ferimento di cuore
J. JOSEPHI BIANCONI
SPECULA ZOOLOGICA MOZAMBICANA
F ASCICULUS XIII. (*)
De Réptilìbus.
Eumeces afer. — Peters.
(Gatalogus Amphibior. 1854. sp. 33).
Unum individuum quod tantummodo ab Equ. Fornasinio do-
no accepimus , colore bruneo-yiolascente superne, et ad
latera distinguitur ; veruntamen regio haec maculis pluri-
mis albis, quae aliis nigricantibus intercedunt, est va-
riegata. Inferne ex albo flavescens , maculis levissimis
cinereis conspersa.
Ejus cauda prope basim obtruncata fuit, et postea iterum
reproducta ; ex hoc brevissimam , crassam , et conicam
habemus. Pars reparata a cetera corporis parte propter
uniformem colorem brunescentem supra , et bruneo-al-
bescentem subtus distinguitur, praesertim si comparetur
vicinis partibus , quae variegatae sunt albo et cinereo
colore.
Uriechis nigriceps. Peters.
( Catalog. Amphibioi*. spec. 57. — Elapomorphus capen-
sis Smith).
Scuta gasterostegia 108 — urostegia 20.
(*) Senno habitus in convento Academiae die 6 Martii anni 1862.
470
J. J. Bianconi
Lycognathus leucocephalus . Dum.
( Dipsas leucocephala Sebi. )
Ab Ed. Verreaux Parisiis emi anno 1850 parvulum serpen-
tem , cui nomen factum erat Platycephalus annulatus ,
Còte Mosambique. Huic tamen conveniunt characteres
omnes qui Dipsae leucocephalae a Schlegelio assignantur ,
et qui Lycognatho leucoc. a Dumeril traduntur. Item et
Figura a Mikan in — Gonspectu florae et faunae brasi»
liensis — exhibita Fasciculo primo huic respondet. Exem-
plaria omnia quae hucusque ad musaea pervenerunt , cun-
cta e Brasilia educta dicuntur; quo circa ex traditione
praedicta Verreauxii arguendura est speciem hanc Brasi»
barn aeque ac Africana inhabitare, quemadmodum Africam
occidentalem incolunt species aliae e genere Lycognatus.
■ — Dubitative tamen Ophidium hoc inter mosambicana
recenseo.
Color ejus generaliter ex albo luteus. Dorso 38 maculae
rubro-brunneae subquadratae , et transversae pinguntur ;
quarum 26 ad corpus, et 12. ad caudam spectant. La»
tera punctis ejusdem coloris ornantur.
Gasterostegia 237 — Urostegia 72.
PROSYMNA JANII. Nob.
(Reptilia Tab. 1.)
(Genus Prosymna Gray. Catalog of thè specimens of
snakes. Lond. 1849 pag. 90 n. 37).
P. squamis carìnatis s ex albido rufa , corpore rufo senatim
nigro maculato , capite et nucha fasciis transversis nigris
inter se connexis.
Descriptio. Inter caput et corpus nulla distinetio. Corpus
teres vix fusiforme ; a mediana regione ad caudam usque
decrescens. Haec brevis et tenuis, jam ab origine sua
corpore subtilior , in acumen desinit.
Spegimina Zoologica Mosambicana
471
Caput breve et exiguum, antice depressum rotundatum.
Maxilla superior infera productior. Scutum rostrale antice
rotundatum , supra depresso-convexum , subtus plano- in-
cavatura , retrorsum velut in cornua porrigitur sub scuta
nasalia. Scutum praefrontale unicum, transversim exten-
sum inter duo nasalia , secundum longitudinem vero bre-
ve. Frontale posterius vix paulo longius ; transversim
vero latissimum ita ut oculos prope pertingat. Ejus mar-
go posterior undulatus. Scutum nasale unum utrinque
inter rostrale, praefrontale, et frenale situm; attingit
vero et frontale posterius, et labiale primum. Rima a
nari ad medium scuti frenalis porrigitur. Frenale gran-
diusculum. Praeorbitalia duo perexigua. Postorbi talia tria
exigua ; quorum medium tamen majus. Labialia superiora
sex : tertium et quartum oculum attingunt : tria priora
minora sunt, primum vero omnibus minus. — Labialia
infera septem ; quintum majus. Scuta temporalia tria ,
videlicet 1-4-2.
Oculi mediocres, supra juncturam tertii et quarti labialis
sistunt : pupilla rotunda.
Squamae breves rhombeo-exagonae , carinatae : prope caput
laeves. — Quae caudam obtegunt subrotundae, carinà
obtusissimà. Series in corpore 17.
Scuta ventralia 117. Anale divisum.
Scuta subcaudalia 32. duplicia.
Color , in Alcohole , supra subrubens , subtus ex albido lu-
tescens. Fascia nigra trans versa ante oculos , et oculos ipos
attingens, et retro ultra procedens cum magna fascia
occipitali conjungitur ; huic succedit fascia major nucha-
lis. Series duplex macularum sensim in punctos decre-
scentium latera dorsi, per duas e tribus longitudinis
partes, ornant. Series item punctulorum nigrorum latera
percurrunt prima corporis parte. Caudà immaculata.
Differt a Pr. melegride Gray. quae distinguitur squamis
laevibus colore azureo nigrescente oculis juncturae se-
cundi, et tertii scuti labialis superimpositis. Scutis la-
bial. 5. Se. praeorbitalibus unicis, postorbitalib. 1. vel. 2.
Speciem dicavi nomini in scientiarum republica darò Geor-
472
J. J. Bianconi
gii Ian , qui praesertim de Ophiologia summopere est
beriemeritus , propter magnae molis Iconographiam quam
edendam assumpsit , et propter insignem Ophidiorum
collectionem quam mediolanensi Musaeo compara vit. De
me vero benemeritus propter notitias et declarationes
quas mihi benevole communicavi t.
De Piscibus.
Apogon quadrifasciatus ? Cuv. — Val.
Quatuor exemplaria a Mosambico accepta ad hanc specie m
adscribere possumus , quam Peters in suo Catalogo , an-
no 1855 edito, memorat sub numero l.° Attamen di-
screpant characteribus nonnullis, quos hic enumerabo;
et ideo zoologis judicandum dimitto , utrum varietatem,
vel potius speciem statuere valeant.
Pinnarum radii sunt.
D.6+Ì-A2 +'8 — P. 12. V. 1 + 5.
Numero igitur differunt quatenus Dorsalem spectat, si com-
parentur exemplaria nostra cum descriptione a Cuv. Val.
exhibita. Veruntamen icones a White traditae ( Voyage
à la nouvelle Galles du Sud) , et inter illas quae speciem
hanc repraesentant recensitae , numerum praebent , uti vi-
detur , aequalem illi , qui est proprius Speciaei , Apogon
rex mullorum dictae. In hac vero sunt D 6 -+- — A
2 -+- 8 ec. Ideo conjicere datum èst latitudinem quamdam
haberi circa hunc characterem.
In Alcohole servata exemplaria haec colore pinguntur ge-
nerali brunneo , zonis argenteis ab oculìs ad caudam de-
currentibus distincta; cauda vero duabus lineis nìgrican-
tibus ad latera tingi videtur. Argentea alia fascia incom-
pleta est secus pinnas branchiales. Pinnae omnes luteo-
lae , ventralibus demptis quae sunt nigricantes. Corporis
sqperficies ut plurimum mutabilis (cangiante). Ad basim
Pinnae dorsalis duae maculae leves brunneae adsunt , quae
ad latera in utraque parte Pinnae ejusdem protenduntur.
473
Specimina Zoologica Mosambicana
SERRANUS POROSUS. Nob.
( Piscium Tab. 2. fig. 2.)
cute capitis ( operculo dempto) undique porosa , granulato
lineata y ad labia usque protensà. Caudà furcata
D. 9 -4- 10. P. 12. V. 1 + 5. A 3 + 8. C. 17.
Caput acutum declive maxillis subaequalibus. Oris hiatus
parvus minime attingens oculos , qui magni sunt et ca-
pitis profilum tangentes : occipiti magis quam rostro pro-
piores. Nares oculis proximae; harum posterior pervia.
Dentes circa os inaequales ; canini praesertim validi : pa-
latini exigui. Genae, caput supra antice, praeoperculi
et mandibulae squamis carent, et obducuntur cute gra-
noso-nodulosa , et rivulosa poris minimis undique pertusa.
Pars postica ossis maxillaris superioris eadem cute pro-
tegitur. Operculi squamosi, spinae prope laminares , su-
perior perexigua. Praeoperculi margines prope angulum
breviter serrati. Linea lateralis vix conspicua gyro dorsi
parallela ; et ipsi proxima. Pinna caudalis ad basim squa-
mulis plurimis obducta. Squamae omnes corporis majuscu-
lae , seriebus decem et octo longitudinalibus ad summum
dispositae. Dorsalis anterior valde descendens dum ad po-
sticam accedit. Pectoralis oritur in linea quae intercedit
inter primum radium dorsalis, et basim ventralium.
Color piscis in Alcohole servati supra brunneus , inferne di-
lute folvus. Squamae omnes parte centrali obscuriori.
Gula albida. Pars superior capitis , et fascia verticalis in
radice Pinnae caudalis fosca.
Longitudo tota Poli. 4. lin. 3.
Altitudo maxima Poli. 1. lin. 3.
Distantia ab apice rostri ad spinam operculi Poli. 1 lin. 3.
Serranus hic ad primam sectionem Cuvierii (pa g. 211.)
pertinet, videlicet genìs nudis. Ad neminem ex iis a
Petersio descriptis pertinere videtur (Peters catalog 1855.
n.° 15, 17, 18, 19, 20.) propter radiorum numerum
in Dorsali pinna. Propter eamdem causam neque ad eas,
t. i. 60
474
J. J. Bianconi
quas Smith descripsit, et Castelnau (Mémoire sur les
Poissons de Y Afrique australe. Paris 1861.) pertinere
videtur.
SGORPAENA DIEPIPTERA. Nob,
(Piscium Tab. 2.)
Primo intuitu speoiem quam icone expressam tabula 2.fig. 1.
exhibeo , ad scorpaenas non pertinere videretur propter
duos characteres non parvi momenti , scilicet propter Pin-
nam dorsalem divisam in duas partes , anteriorem et po-
steriorem ? et propter defectum ( si reete novi ) appen-
dicularum cutanearum. Nihilominus ad hoc genus adscri-
bendam , potiusquam ad aliud censeo , ex eo quod pro-
cul dubio ex Familia Cephalotes est, in qua nulla alia
descriptio generum quae in ipsa numerantur nostro Pisci
convenit. Et insuper non egemus exemplis Scorpaenarum
in quibus Pinna dorsalis sit non unica: nam species
americana quam Hemitrìpteram Cuvierius dixit , ex divi-
sionibus ejusdem pinnae dixit ; et Sectio est quaedam
generis Scorpaenae in qua dorsalis pinna plus minus in
tres partes distinctam videmus.
Speciem ergo , quam describendam sumo intermedia est in-
ter Scorpaenas cum unica Epipterà , et illas quae sub-
tripteram habent. Gum nomen ex hoc charactere eduxe-
rim , ideo eam Scorp. diepipteram nuncupavi.
Se. pinna dormii duplici , genis squamosis , capite spinuloso,
appendicibus mollibus nullis .
D. 6 -h 10. P. 19. A. 8. V. 5. G. 17.
Corpus compressum , elatum , et gibbosum in regione pri-
mae pinnae dorsalis ; rectilineum ferme in margine ven-
tris. Ejus Longitudo tota quadruplex altitudine maxima.
Caput depressum , ad regionem operculorum valde turgi-
dum. Oculi laterales, mediocres , in altum siti. Margo
Specimina Zoologica Mosambicana 475
superior orbitarum supra capitis verticem extollitur , et
minimis denticulis serratus. Alia consimili crista serrata
ex angulo oculi vix supra naricem posteriorem ad labium
usque protenditur; et duae minores aliae ex labio su-
periore ascendunt circumeuntes tuberculum majusculum
pyramidatum , paulo supra labium situm. Inter oculos
spatium intercedit incavatum ac nudum , quod ad for-
mam canalis complanati extenditur supra oculos , et re-
trorsum usque ad angulum superiorem hiatus branchialis.
Praeoperculum prope integrum ; aculeus vero in media
fàcie ejusdem porrigitur. In operculo spina est lata et
plana quae aliquantulum descendit deorsum ; et huic paulo
supra emergit apex alterius spinae partim squamis sup-
positae.
Maxillae dentibus minimis , et creberrimis lata zona dispo-
siti armatae. In palato quoque sunt dentes minimi.
Squamae magnae transversim rhombeae , margine libero ci-
liatae , corpus tegunt. Aliae minores , et similes genas
et operculum obtegunt.
Pinna dorsalis bipartita. Inter partem anteriorem et posti-
cam spatium intercedit in quo duae squamae sitae sunt.
Ideo duae pinnae sunt, non una. Harum anterior humi-
lis et exilis, sex radiis simplicibus tenuibus flexibilibus
constat, qui gradatim retrorsum decrescunt. Pinnae po-
steriori primus radius simplex tenuis flexibilis , sequen-
tes octo ramosi. Altitudo maxima in posteriori parte est,
et prope altitudinem maximam corporis aequat. — Pinnae
pectorales hanc maximam altitudinem longitudine sua su-
perant, Jatae , apice acutae ; radiis viginti omnibus ra-
mosi , et uno simplici flexuoso tenui.
Ventrales vix ante pectorales nascuntur. Dorsalis anterior
supra pectorales ori tur ; posterioris vero initium est paulo
ante finem pinnarum pectoralium , quando hae contra
corpus longitudinaliter applicitae sunt. Anali demum sub
tertium radium dorsalis exorditur. — Pinna caudali acu-
minata.
Color brunneus ad rubentem-purpureum tendens. Pinnae
nigricantes. Prope basim pinnarum pectoralium macula
nigra sistit.
476
J. J. Bianconi
Mensurae. Longitudo tota poli. 3. lin. 5.
Altitudo maxima lin. 9.
Ab apice rostri ad apicem aculei operculi poli. 1 .
Unum tantum exemplar e Mosambico in Museo nostro
servatur.
Chorinemus aculeatus. V alene.
(Tom. Vili. pag. 384 Bloch n.° 336. fig. l.a)
In suo Catalogo a. 1855 edito sub numeris 78, 79 dar.
Peters duas alias species memorat e mari Mosambicano
expiscatas, nempe Chorinemus 5. P etri et Ck. Moadetta.
Unicum exemplar quod in Museo servatur perdistinctum
mihi videtur ex praedictis duabus speciebus. Melius vero
res innotescet tum cum pars Ichthyologjca itineris Mo-
sambicensis ejudem auctoris in lucem prodierit.
Petroscirtes cynodon . Peters.
(Catal. 1855. n.° 97. — Blennechis Val.)
Unicum individuum hujusce speciei e Mosambico recepi-
mus — Ejus longitudo tota Poli. 3. lin. 4. Altitudo vero
in regione Pinnarum pectoralium Poli. — lin. 7.
Arius venosus. Guv. Val. (T. XV. pag. 69).
Parisiis emi a Verreaux unum exemplar hujus Piscis cum
nota Cote Mozambique - Species haec jam innotuerat in
mari indico vitam degens.
Lutodira Mossambica? Peters.
(Catal. 1855, n.° 161. — Gen. Chanos Val. T. XIX p. 179).
Species haec proxima Lutodirae chanos Ruppelii. (Reise
p. 18 Tab. V. fig. 1. a. b. ) Cum cl. Peters nullos cha-
racteres exhibuerit ad speciem suam delimitandam , ideo
dubitative hanc pono , usque dum ille descriptionem suam
ediderit.
Mem.SeriCTamJ
Biancom.Specnu.Moz.Tav. I
C.Brttnù dis. dal vero ed in pie
M em. S er.IIt Tomi.
Bianconi_Specim.Moz.TavJL
C.Bettmi dis. dii rera ed in pio
Lit.F” Casa™
Specimina Zoologica Mosambicana
De Anelli dibus .
477
Glyceres Bianconi . Peters.
Anellitlem parvulum Ghetopodum hunc Peters mihi dicare
dignatus est. Descriptio ejusdem non adhuc ab eo edita
fuit , quod ego sciam.
De Echinodermis ?
Sipunculus edulis. Cuv.
Ab ipso Peters speciem hanc dono babui ? quam ille inter
arenas littoris mosarnbicani legit.
SI
L’ EQUIVALENTE MECCANICO
DEL CALORE
mmm
DEL
PROF. LORENZO DELLA CASA
(Letta Della Sessione del 24 Aprile 1862).
I fatti , che numerosi e ben accertati sono stati raccolti
e messi in aperto dai fisici nella parte finora decorsa di
questo secolo , hanno dato a conoscere assai molte e sva-
riate loro relazioni ; di forma che , se prima erano slegati
e come affatto indipendenti gli uni dagli altri , si sono di-
poi e sempre meglio potuti riunire in gruppi; i quali se,
per una parte , hanno dato miglior agio per istudiarli , sono
ridondati, per 1’ altra, a maggiore utilità per le applicazioni
che ne sono derivate. Tale è veramente il procedere degli
studi, che riguardano le cose naturali; che mentre una
ben condotta e ponderata analisi ti svela i fenomeni di quel-
le ed i nessi e le leggi di questi , una giudiziosa sintesi
ne fa indi raccolta, li ordina secondo le loro attinenze,
ne forma le teoriche, e queste rivolge inverso all’ unità;
che, sebbene assai malagevole da raggiungere , nulladimeno
la si lascia talvolta scorgere da lungi, e infonde coraggio
ad affrettare verso di essa il passo. Frutto di questi studi
è stata la riunione di tutti i diversi rami dell’ elettricità
dinamica in un tronco solo ; la riunione del magnetismo a
questa medesima elettricità; del calorico raggiante alla luce;
di quello e di questa ai fenomeni dell’ acustica , e via di-
cendo : ondechè , mentre sarebbesi nell’ addietro riputata
ardita , per non dir pazza , l’ idea di chi avesse supposto due
480
Lorenzo Della Casa
suoni potere , anziché un suono più forte , produrre silen-
zio ; due raggi di luce poter esser causa di tenebre ; e due
raggi di calore potere a vicenda " rendere inefficaci le loro
attività ; quell’ idea non pertanto si è avverata , ed il cor-
rispondente fenomeno è divenuto , per così dire , la pietra
di paragone , che delle due ipotesi della emissione e delle
ondulazioni (che si sono contrastate in fisica il dominio ri-
guardi? ai cosi detti imponderabili . e soprattutto riguardo
al calore e alla luce) ha fatto patente, non essere punto
ammissibile la prima, ed accrescersi ognora più la proba-
bilità di conforme al vero riguardo alla seconda.
Un’ altra riunione di fatti , e ben assai singolare , è ora
in via d’ avveramento; se non anzi si vuol convenire nella
sentenza d’ alcuni , che la riguardano anch’ essa come di
già avverata. A tutti è noto, che le azioni meccaniche,
quali sono la compressione , la percussione e lo strofina-
mento, solo che passino in atto; solo, cioè, che si com-
pia il moto ond’ elle si esercitano , danno origine ad uno
sviluppo di calore : di guisa che ne venne il già noto ada-
gio : motus est causa caloris. Quelle azioni pertanto o il
loro moto erano riputate cagioni calorifere: ma, per con-
verso , esso pure il calore ci dà a vedere che può in-
generar movimento, ed anche assai grande ; come soprat-
tutto avviene nelle macchine termodinamiche. Moto e ca-
lore erano quindi riguardati come , a vicenda , causa ed ef-
fetto F uno dell’ altro : se non che poteva^ non essere per
avventura questa reciprocanza di causa e d’ effetto ben com-
prendibile , e sembrare inchiudere in sé una tal quale con-
ti-addizione, da tornare desiderabile che venisse rimossa.
Giuseppe Montgolfìer (uno, cioè, dei due fratelli (1), che
avevano dato -pei primi, nel 5 giugno 1783 ad Annonay
loro patria, lo spettacolo dell’ ascensione nell’ atmosfera
de’ globi ad aria rarefatta, che presero nome da loro e die-
dero origine alla moderna aeronautica) concepì nel 1800
il pensiero, che il moto e il calore non fossero reciproca-
mente causa ed effetto tra loro; ma che a vicenda l’uno si
(t) L’altro, minore d’età e morto nel 1799, avea
nome Stefano.
Sull5 equivalente meccanico del calore 481
convertisse nell’ altro ; e che perciò il venir meno o P estin-
guersi del moto e del calore non fosse un vero annullamen-
to, una vera distruzione (chè nulla si distrugge in natura),
ma una corrispondente trasformazione in calore ed in moto,
equivalendo ognuno di questi sotto la nuova forma a quanto
di già valeva sotto la forma di prima (1).
Questo modo, di considerare le cose riguardo al moto e
al calore richiamò bentosto P attenzione de’ fisici e de’ geo-
metri : degli studi dei quali è frutto una nuova teoria
del calore, che in questi ultimi anni ha fatto grandi pro-
gressi , ha dato e dà tuttora argomento a preziosi scienti-
fici lavori , ed ha ricevuto il nome di teoria meccanica
o dinamica del calore. La quale, mentre ammette che le
molecole de’ corpi sono dotate d’ un moto di vibrazione ,
e che questo moto è calore o , vuoisi dir meglio , ingene-
ra i fenomeni calorifici , riduce questi (anche quando non de-
rivano da vero irraggiamento , ma si producono nell’ interno
de’ corpi) sotto la dipendenza delle ordinarie leggi della mec-
canica, e perciò ne determina gli andamenti e la loro misura.
Il valente fisico inglese Grove non ha circoscritta sola-
mente al moto e al calore P indicata trasformazione ; ma
è andato più oltre; ed ha supposto si estenda a tutte le
forze o potenze naturali , assegnando un’ origine comune
ai fenomeni di moto, di calore, di luce, d’ elettricità, di
magnetismo e di chimica affinità. Secondo lui, ognuna di
queste potenze può trasformarsi in una qualunque delle al-
tre, ed anche in più di esse ad un tempo , a seconda delle
peculiari circostanze de’ corpi sottomessi alla sua azione ;
e nel trasformarvisi , segue mai sempre proporzioni definite
e costanti (2). _
Di questa mutua ed intima relazione di fenomeni, che
sono stati riguardati finora come essenzialmente diversi ,
non mancano gli esempi ; che sono invece assai molti. Così,
se si elettrizza una sostanza qual è , verbigrazia , il solfuro
482
Lohenzo Della Casa
d’ antimonio, diventa magnetico nel momento dell’elettrizza-
zione : diventa indi caldo , se cresce la intensità della forza
elettrica : poi si fa luminoso , se questa cresce ancor più , e
nello stesso tempo si dilata e vi ha produzione di moto : in-
fine si decompone e vi ha produzione di chimica azione.
Così pure , il moto che si consuma nello strofinamento ,
può dare , oltre al calore , dell’ elettricità : questa elettri-
cità può dare del magnetismo , della luce ( quella della
scintilla elettrica ) , e della chimica affinità ; e può dipoi
quel moto venire ripristinato dal calore, cui lo strofina-
mento sviluppa col mezzo, per esempio, d’ una macchina
a vapore.
Così ancora , la scintilla luminosa è prodotta dall’ elet-
tricità : P elettricità dal moto : il moto dal calore applicato
all’ acqua in una macchina a vapore: questo calore dalla
chimica affinità del carbonio coll’ ossigeno dell’ aria; e que-
sto carbonio e quest’ ossigeno da azioni difficili ad Sco-
prirsi , ma di sicura esistenza , nelle quali molto probabil-
mente si rinverrebbero gli effetti combinati e alternativi
della luce , del calore , dell’ affinità chimica , eccetera. Egli
è per siffatta guisa, che allorquando si tenta di ricondur-
re una forza alle forze antecedenti , si arriva ad un’ in-
finità di forme particolari e variabilissime, che la forza ha
prese successivamente ; e progredendo dipoi sino a certo
punto , se ne perde la traccia ; non perchè ivi sia avvenuta
una vera creazione; ma perchè 1’ ultima forma, sino alla
quale si è potuto tener dietro alla forza medesima , si è
risoluta anch’ essa in tante altre , che la loro analisi sfugge
ai nostri sensi ed ai nostri mezzi di prova.
Ma senza qui aggiungere altri esempi di queste trasfor-
mazioni d’ un fenomeno fisico in uno o più altri , sia im-
mediatamente , sia col mezzo di fenomeni intermedii , è
duopo considerare : che , se è giusto il modo di pensare di
Grove, allorquando avvenga che un corpo di certa massa
e velocità incontri ostacoli al suo moto, questo potrà di-
vidersi e mutar forma o carattere , diventando calore , elet-
tricità, o luce e via discorrendo; e quando si potessero
raccorre insieme tutti quanti gli effetti, che la così detta
Sull’ equivalente meccanico del calore 483
forza viva di questo corpo ha prodotto in consumandosi
ed estinguendosi, e si riconvertissero poscia in lavoro ap-
plicato al corpo stesso , questo riacquisterebbe sotto la loro
influenza quella medesima velocità che aveva dapprima.
Il concetto di Grove, preso nelP espressa generalità, è
certamente atto a scuotere fortemente gli animi e a dare
eccitamento ai fisici per ricercarne una dimostrazione diretta
e sperimentale. Sino ad ora però non si è potuto ottener
nulla di preciso riguardo alla determinazione degli equiva-
lenti di potenza : cioè , non si è potuta determinare la quan-
tità d* elettricità che può produrre una data quantità di
calore , la quantità di luce che può produrre una data quan-
tità d5 elettricità , e così di seguito. Oltre a ciò manca ,
nella maggior parte de’ casi , una unità di misura ; e manca
eziandio il modo di poter riprodurre immediatamente uno
di que’ fenomeni col mezzo d’ un altro, in quelle più favo-
voli circostanze che permetterebbero d’ apprezzare la loro
intensità rispettiva e la progressione della loro trasforma-
zione. Stante le quali cose , la dimostrazione del su accen-
nato concetto non solo non è progredita oltre ai primi ru-
dimenti , ma lascia forte a dubitare , se potrà essa mai per-
venire a superare ogni difficoltà ^ ed il così detto principio
delle metamorfosi e conservazione delle potenze naturali usci-
re dai limiti d’ una semplice ipotèsi, entro i quali è ora
ristretto.
Ma se la quistione. presentata sotto questo grandioso e
generale aspetto è avvolta in una grande oscurità, non è
più così quando la si consideri sotto il peculiare aspetto
della conversione del lavoro in calore e reciprocamente :
perchè, in questo caso, si ha tanto P unità di misura del la-
voro quanto quella del calore, ed inoltre è meno malage-
vole d’ instituire esperienze acconce a rendere evidente il
fenomeno in condizioni propizie per una stima diretta e
rigorosa; massime ora, che pei lavori che si vanno facen-
do, còme si è detto di sopra, si sono potuti conoscere
molti fatti ad esso relativi e si sono analizzati con assai
precisione e sagacia.
Consistendo il calore, giusta la teoria dinamica di que-
484
Lorenzo Della Casa
sto , e come fu detto superiormente , in un moto vibratorio
delle molecole materiali de’ corpi , la quantità di esso calore
che viene consumata in un dato fenomeno , può sempre
considerarsi come una somma di forze vive : e quando si
dice che si trasforma in lavoro meccanico e reciprocamen-
te , è come dire che questa somma di forze vive dissemi-
nate fra innumerevoli molecole si trasferisce in un organo
meccanico dandogli un moto corrispondente alla loro tota-
lità o viceversa. La trasformazione adunque , della quale
ora si parla , si riduce al noto teorema delle forze vive :
e necessariamente bisogna che le quantità di lavoro e di
calore che si corrispondono , abbiano tale rapporto fra loro ,
da essere indipendenti dai corpi particolari e dalla natura
de5 fenomeni intermedi , col di cui mezzo la trasformazione
si eseguisce : bisogna , cioè , che per una calorìa consumata
o prodotta si abbia un numero costante di chilogrammetri
prodotti o consumati. Torna poi inutile avvertire che la
caloria è V unita di misura del calore , e il chilogramme-
tro quella del lavoro ; e che la prima è la quantità di ca-
lore necessaria per innalzare da zero ad 1. grado centesi-
male un chilogrammo d’ acqua , e la seconda è il lavoro
che abbisogna per elevare il peso di 1. chilogrammo ad 1.
metro d9 altezza : ma non è da tacere , che è stato dato il
nome d9 equivalente meccanico del calore o d9 equivalente
calorifero al preindicato numero di chilogrammetri. Denota
pertanto quest9 equivalente la quantità di lavoro meccanico
o il numero di chilogrammetri che può produrre una calo-
rìa, od anche (il che torna lo stesso) la quantità di la-
voro che è necessaria per lo sviluppo d9 una unità calori-
fica ; ed alla sua determinazione numerica sono state rivolte
le recenti esperienze de9 fìsici ; e segnatamente quelle di
Guglielmo Thomson (1) e Prescott Joule (2) in Inghilterra;
(1) Philosophical M agazine. 1845 — Transaetions of Edinburg. Voi. XVI
— Annales de Ckimie et de Pkysique. 3.® Sèrie. T. XXXV.
(2) Philosophical Magazine. 3.® Serie. T. XXI11 , XXIV, XXVI, XXVII
and XXXI — Annalen von Woehler and Liebig. 1842, 1843,1845 , 18.4 &
und 1850. — Philosophical Transaetions. 185.4.
di Clausius (1) e Mayer d’ Heilbronn (2) in Germania ; di
Person (3) , di Hirn del Logelbach presso Colmar (4) , di
Segnin seniore (5) , di Regnault (6) e di Carlo Laboulaye (7)
in Francia; come pure di Matteucci (8) in Italia.
Quest’ esperienze sono state eseguite segnatamente sul-
l9 aria, e in generale sui gas, mediante la condensazione o ]a
loro rarefazione; sul vapore acquoso mediante la macchina
a vapore ad espansione e condensazione ; sull’ acqua ed al-
tri liquidi mediante la loro agitazione o il loro passaggio
per augusti tubi ; sopra corpi solidi mediante la loro dilata-
zione o fusione, od anche mediante 1’ attrito o la disgre-
gazione delle loro parti ; e , infine , sopra fili metallici riscal-
dati dalle correnti d’ induzione generate da elettro-calamite
rotanti. Mentre in tutte fu necessario di misurare tanto la
quantità di calore sviluppato o assorbito, quanto la quan-
tità di lavoro corrispondentemente impiegato o prodotto ,
non di rado fu difficile di raggiungere quest’ intento ; e
solo venne raggiunto mediante forte acutezza di mente e
ben molta perizia in simili generi di ricerche. Ciò non
pertanto, dedotto da questi due elementi Y equivalente
meccanico del calore , non solo non si è sempre trovato
espresso dalla medesima cifra; ma le cifre anzi varie, che
si sono ottenute per la sua misura, sono un po’ troppo
discordanti fra loro, da non potere conciliarle insieme ed
inferire da esse un risultato credibilmente esatto, o alme-
no molto prossimo all’ esattezza. Tra esse quella , che è
risultata dalle molte, svariate ed assai bene eseguite espe-
rienze del soprammemorato Joule , viene preferita alle altre
dalla maggior parte dei fisici; e giusta il prof. Turazza che,
486
Lorenzo Della Gasa
nella sua pregevolissima Memoria sulla Teorica dinamica
del calorico (1) , ha preso ad esame le più accurate tra le
anzidette sperienze , vale a dir quelle , che si riferiscono al
calore sviluppato dall’ attrito ed al calore prodotto dalla
condensazione e dalla rarefazione dell’ aria , la preindicata
cifra è 424 : la quale , secondo le cose su dichiarate , vuol
dire , che una calorìa può produrre un lavoro meccanico
di 424 chilogrammetri : ossia , che la quantità di calore ,
capace d’ innalzare d’ un grado centesimale la temperatura
d’ un chilogrammo d’ acqua , produce altrettanto lavoro ,
quanto ne può produrre una forza, che sia atta ad elevare
un peso di 424 chilogrammi ad 1 metro d’ altezza, od un
chilogrammo solo all’ altezza di 424 metri. Questo equiva-
lente è stato dal sopraddetto prof. Turazza denominato P e -
quivalente di Joule « in riconoscenza , com’ egli] si è espres-
so , delle fatiche così lumiuosamente spese da questo abi-
lissimo osservatore ».
Poco diverso dall’ equivalente di Joule è quello trovato
da Hirn studiando gli effetti della macchina a vapore „ il
quale è .espresso da 413 chilogrammetri per calorìa; ma
senza riportare qui ora gli altri equivalenti sino ad oggi
trovati, si vuol solo notare che dall’ equivalente di Joule
si discosta assai molto quello, che Laboulaye ha dedotto
dalle sue sperienze, ed il quale non è che 140; che lo
stesso Laboulaye ritiene preferibile ad ogni altro , e per-
ciò anche a quello di Joule; abbenchè non abbia seguaci,
almeno che io conosca, nella sua opinione.
Quantunque il parere de’ fisici dia sugli altri equivalenti
meccanici del calore la preferenza a quello di Joule , non
è però certo ancora che sia interamente esatto , ben di-
cendo il fìsico Jamin, » il ne faut point considérer cet équi-
valent comme definitif (2) » Il perchè , non può essere cre-
duta opera affatto inutile P avere tentato con qualch’ e-
sperienza, se non vorrà dirsi di conoscere il vero valore
(1) Memorie dell’ 1. R. Istituto Veneto di Scienze , Lettere ed Arti . — Vo-
lume OttaYO, pag. 1.
(2) Cours de Physique. Tome li. p. 439.
Sull’ equivalente meccanico del calore 487
dell’ equivalente calorifico, di vedere almeno se le risul-
tanze ne ridondavano o no favorevoli a quello del più volte
nominato Joule.
Non potendosi da me disporre de5 molti e poderosi mez-
zi , de’ quali avevano potuto disporre , quali più , quali
meno , gli sperimentatori superiormente memorati ; ed aven-
do io esaminato le diverse loro esperienze , mi parve eh’ una
di queste , se l5 avessi alcun poco modificata , mi avrebbe
posto in grado di far per via diversa qualche studio sul-
P equivalente predetto. L’ esperienza , a cui alludo , è una
di quelle di Hirn : il quale per mezzo di essa cercò il ca-
lore proveniente dall’ azione d’ un trapano d’ acciaio impie-
gato a forare una massa metallica, immersa in una ben
nota quantità di acqua, che da quel calore veniva conse-
guentemente riscaldata.
Presa, adunque, ad iscorta una tale esperienza, ho sosti-
tuito all’ acqua il ghiaccio ; ed ho perciò convertito quella
specie di calorimetro ad acqua , adoperato da Hirn , in un
calorimetro o pozzo a ghiaccio. Dico calorimetro o pozzo
a ghiaccio ; perchè mi sono servito tanto d’ un calorimetro
a tre vasi concentrici com’ era quello di Lavoisier e di La-
place , quanto d’ un masso di ghiaccio scavato internamente
come già usavasi dal fisico Black. La qui unita Tavola dà
a vedere la disposizione da me seguita per P esperienza
col pozzo a ghiaccio, rappresentando la Fig. l.a una se-
zione verticale, e la Fig. 2.a P esterno dell9 apparechio che
ho messo in opera.
Sopra un treppiede SS'S", coperto superiormente di pan-
nolano , era sostenuto un masso di ghiaccio
ben solido e puro, entro il quale era stato appositamente
formato un vano , che tutto lo attraversava dall5 alto al
basso, ed era più largo in principio e molto ristretto in
fine. Stava compreso nel vano un cilindro AA A" A" di ferro
dolce o d5 altro metallo da trapanare , che aveva nel mezzo
della base inferiore un prolungamento in forma d5 asta qua-
drata, e poteva girare colla punta terminale B sulla capsu-
la DD\ Aveva, inoltre, verticalmente nel mezzo un ca-
nale cilindrico PO; nella cui sommità s5 introduceva l5 estre-
Lorenzo Della Gasa
mo inferiore P' d’ un trapano PP\ che era infisso al di
sopra in un cilindro CC d’ un ordinario tornio di perfora-
zione , il quale girava molto regolarmente sopra il suo asse ,
e si poteva alzare o abbassare , giusta il bisogno , mediante
il moto d’ un’ apposita vite. Il trapano nella sua parte VV
destinata alla perforazione era d’ acciaio ben temprato ed
aveva una larghezza di 25 millimetri. Girando esso ed ab-
bassandosi, allargava di altrettanti millimetri il canale* del
cilindro metallico ed obbligava questo a mantenersi ver-
ticale. Nel sottostante prolungameuto dell’ anzidetto cilin-
dro, a piccola distanza sotto il masso MM* M" M'" 3 era fis-
sato primieramente un piccolo recipiente emisferico F mu-
nito d’ un tubo di scolo S con chiavetta e con prolunga-
mento fin sopra F apertura d’ un vaso R ; e secondariamente
uno de’ capi d’ una leva orizzontale LL3 che all’ altro capo
aveva attaccato uno spago , orizzontale esso pure , e che di-
poi passava per la gola d’ una girella Q e sosteneva un pe-
so Q. Il vano interno del masso di ghiaccio MM'M"Mr"
si chiudeva superiormente con altri due pezzi di ghiaccio ,
che formavano insieme una specie di turacciolo TT' 3 incli-
nato sul di sopra dal mezzo verso 1’ orlo , e con foro largo
solo quanto bastava per comprendere il trapano PP' senza
punto toccarlo. Tanto poi il trapano , quanto 1’ asta qua-
drata sottostante al cilindro da trapanare , avevano all’ in-
torno , nella loro parte interna al pozzo a ghiaccio , un pic-
colo segmento sferico, vólto colla convessità verso 1 alto,
situato F uno ss in molta prossimità alla base inferiore del
turacciolo TT', e 1’ altro ss pressocchè al termine del vano
del pozzo a ghiaccio ; e 1’ ufficio dei due segmenti era d im-
pedire la piccolissima dispersione di calore , che sarebbesi
potuta fare per gli strettissimi spazi frapposti, per una par-
te , al turacciolo TT' ed al trapano e, per F altra, all asta
quadrata ed al foro pel quale usciva dal fondo del mas-
so MM'M"M'"3 mentre la loro convessità serviva a facili-
tare lo scolo dell’ acqua , se mai ne fosse caduta su di essa
per fusione di ghiaccio soprastante. Nelle figure 1. e 2. EE
rappresenta la base del tornio.
Se invece del masso di ghiaccio s’ immagina un sistema
Sull9 equivalente meccanico del calore 489
di tre vasi concentrici d9 ottone o di latta , che sieno ci-
lindrici in alto e conici in basso : se s9 imagina inoltre ,
che questo sistema abbia come il masso di ghiaccio un per-
tugio inferiore ; che il vaso più interno sia tutto minuta-
mente pertugiato ; che gli spazi compresi tra questo vaso
più interno ed il medio , e tra il vaso medio e l9 esterno
sieno pieni di ghiaccio pesto; che il vaso interno ed il
medio sieno muniti di coperchi forati nel mezzo per dare
passaggio al trapano, e concavi verso l9 alto per contenere
anch9 essi del ghiaccio pesto ; e che il vaso esterno abbia
da un Iato al di sotto un tubo di scolo, si comprenderà,
senza più , come fosse disposta l9 esperienza , quando invece
del pozzo si adoperava il calorimetro a ghiaccio.
Tanto nell9 uno quanto nell9 altro caso , girando il tra-
pano dalla sinistra verso la destra di chi guarda alla figu-
ra , bisognava necessariamente , perchè non facesse girare
nello stesso verso il cilindro metallico AA,A,,A,'r e perciò
anche la leva LLr, regolare per modo il peso Q, da eser-
citare contro di questa uno sforzo eguale e contrario al suo ,
e da produrre per conseguenza l9 equilibrio. Allora il tra-
pano non faceva che perforare il metallo ; e durante la per-
forazione si sviluppava calore -, che innalzava la temperatura
del cilindro metallico perforato. Dopo parrecchie migliaia di
giri si arrestava il moto del trapano, e lasciavasi fermo il
tutto, sino a che la temperatura del cilindro, non meno
che quella del trapano, era tornata a zero gradi, com9 era
prima dell9 incominciamento dell9 esperienza. Stante il raf-
freddamento che in tal modo si produceva, veniva lique-
fatta una parte del ghiaccio interno; e l9 acqua, che deri-
vava da questa liquefazione , discendeva nel piccolo reci-
piente F, e pel tubo I di scolo si raccoglieva nel vaso R.
Pesavasi questo diligentemente insieme coll9 acqua che vi
si era raccolta , ed indiversavasi l9 acqua altrove , procu-
rando che , rimanessero nel vaso tutte le particelle metal-
liche, che, provenute dalla perforazione, erano discese col-
l9 acqua nel vaso medesimo. Pesato di nuovo il vaso dopo-
ché l9 umidità rimastavi si era perfettamente evaporata ,
la differenza dei due pesi esprimeva il peso del ghiaccio
t. i. 62
490
Lorenzo Della Casa
liquefatto. Denotato questo peso con p , il numero delle ca-
lorìe impiegate per la sua liquefazione, e perciò sviluppate
dall’ azione perforante del trapano, era manifestamente e-
spresso da
79,25 p;
mentre il lavoro impiegato nella perforazione, come è ben
chiaro , era rappresentato da
2 nlnp ;
dove l denota la lunghezza della leva Li! , p il peso ne-
cessario per tenerla in equilibrio, ed n il numero totale
dei giri del trapano. Il valore pertanto dell9 equivalente ca-
n 2 nlnp
lorifero era dato da E = — — - .
79,25/?
La difficoltà di poter avere de’ grossi pezzi di ghiaccio
molto compatto e puro , e la difficoltà inoltre di poterlo
scavare interiormente e ridurlo alle condizioni favorevoli
all’ esperienza , non mi hanno consentito di ripetere que-
sta molte volte , e di poter contare sopra più di sei ri-
petizioni , mentre alcune altre non mi hanno potuto in-
spirare intera fiducia. Meno malagevole è stata 1’ esperien-
za col mezzo del calorimetro ; ed io 1’ ho replicata quat-
tordici volte regolarmente : talché , in complesso , ho otte-
nuto venti risultati, i quali sono stati tutti di valore as-
sai prossimi fra loro , e mi hanno così dato maggior indi-
zio per credere di non avere ommesso nulla di quanto esi-
gevasi per 1’ esatta loro determinazione.
Quando, facendosi uso del pozzo a ghiaccio, scolava nel
piccolo recipiente F 1’ acqua del ghiaccio che si fondeva
nella cavità del pozzo medesimo , qualche poco ne scolava
eziandio di quella che si fondeva sulla base esteriore di que-
sto in causa della temperatura dell5 aria ambiente ; che ,
sebbene di poco , era però sempre superiore a quella di
zero gradi. Era indispensabile di porre avvertenza a ciò ,
e l5 avvertenza non fu pretermessa giammai.
Sull’equivalente meccanico del calore 491
Per trovare poi la quantità <T acqua estranea , che s’ era
frammista in fa quella scolata dal pozzo a ghiaccio , si ri-
peteva l5 esperienza nella medesima condizione di tempe-
ratura e per altrettanto tempo, avendo chiuso del tutto il
pertugio inferiore del pozzo e lasciato inoperoso il trapa-
no. 1/ acqua , che in questo caso scendeva nel recipiente F,
non proveniva che dall5 esterno, e poteva ben ragionevol-
mente estimarsi di tanta quantità , di quanta era stata nel-
l5 esperienza antecedente ; co talché era eèsa propriamente la
quantità d5 acqua che ricercavasi. Sottratta dipoi quest5 acqua
da quella della prima esperienza, il residuo dava manifesta-
mente la sola acqua derivata dalla fusione interna, cioè quella
da sostituirsi a p nella formola superiormente esposta.
I venti valori da me ritrovati per l5 equivalente calori-
fero furono compresi fra 414,94 e 419,66; e preso il me-
dio tra tutti , mi è risultato di 417,76 o vogliam dire di 418
chilogrammetri per calorìa.
Paragonato questo mio risultamento con quello di 424 chi-
logrammetri dedotto dall5 esperienze di Joule , si vede che
tanto gli si approssima da potersi riguardar tutti e due co-
me un solo identico equivalente; e, quando si voglia, si
potrà anche dire, che l5 equivalente da me trovato serve di
conferma a quello dell5 inglese sperimentatore , o per lo
meno gli accresce la probabilità d5 esattezza.
Di quanta utilità ridondi il sapere quale sia il valore
dell5 equivalente calorifero , ognuno di leggieri il compren-
de , quando venga considerando , che col solo mezzo del
memorato equivalente si può conoscere il merito assoluto
e relativo de5 vari sistemi finora conosciuti di macchine
termodinamiche : siccome sono le macchine a vapore ; quelle
a vapori tanto combinati quanto rigenerati ; le macchine ad
aria rarefatta ( tra le quali vuoisi annoverare la macchina
d5 Ericsson , già tanto magnificata ; ed ora tanto scaduta di
grido); e quelle, finalmente, a miscugli detonanti; a cui
appartiene la macchina a gas idrogeno carburato ( portato
all5 ignizione dalla scintilla elettrica) ossia a gas d illumi-
nazione di Lenoir , della quale da circa due anni si è non
poco parlato e si parla tuttora. Mediante il solo equivalente
492
Lorenzo Della Casa
calorifero si può, inoltre, aver modo di ben indagare i
veri perfezionamenti, che possono apportarsi agli anzidetti
sistemi di macchine ; avendo già dato a vedere che, tra le
macchine a vapore propriamente dette, quelle ad espan-
sione ed a condensazione sono le più utili , e perciò le pre-
feribili negli usi industriali; ed avendo eziandio lasciato
scorgere , che queste probabilmente non verranno , appunto
sotto P aspetto dell’ utile , giammai posposte a veruna delle
invenzioni moderne. In fine , ben precisato l5 equivalente
meccanico del calore , non si cadrà in errate deduzioni , nè
perciò si crederà a risultamenti chimerici ; dai quali i poco
veggenti assai di leggieri si lasciano trasportare , avveden-
dosi poi troppo tardi della incauta loro credulità e illusione.
Della Casa -Equivalente
meccanico del calore
MenLSer.ir.Toml
INDICE
Domenico Chelini. Della legge onde un Ellissoide ete-
rogeneo propaga la sua attrazione da punto a
punto Pag. 3
Alfonso Corradi. Come oggi le Affezioni Scrofolotu -
bercolari siansi fatte più comuni. Considerazioni
storiche e mediche » 53
Antonio Alessandrini. Descrizione dei preparati piu
interessanti d’ Anatomia Patologica , esistenti nel
Gabinetto d’ Anatomia Comparata della R. Uni-
versità di Bologna; con 4 tav » 127
Giulio Casoni. Sullo irraggiamento solare . . . 11 153
Luigi Calori. Di alcuni particolari intorno le partì
genitali muliebri ; con 3 tav * 171
Luigi Calori. Dei vasi capillari sanguiferi della por-
zione decidua del tralcio ombelicale nel Feto dei
mammiferi domestici, e delle loro anastomosi coi
capillari della porzione permanente nei Feti, so-
prattutto Cavallini e Faccini; con 2 tav. . . » 203
Antonio JBertoloni. Miscellanea Botanica XXIII. ; con
6 tav » 215
Carlo Soverini. Di una straordinaria dilatazione delle
vie Biliari , per esterna compressione del condotto
Coledoco; con 2 tav » 233
Giovanni Capellini. Studi Stratigrafici e Paleontolo-
gici sull Infralias nelle montagne del Golfo della
Spezia; con 2 tav » 247
Alfonso Corradi. In che modo le Diatesi o disposi-
zioni morbose ne’ popoli si mutino , e come en-
trino nella formazione de 9 sistemi medici - • » 319
Domenico Chelini. Dei moti geometrici e loro leggi
nello spostamento di una figura di forma inva-
riàbile ; con 1 tav Pag. 361
Marco Paolini. Nuove ricerche sull Ittiosi ; con 1 tav. » 431
Giovanni Brugnoli. Sopra un ferimento di cuore con
lesione d3 ambo i ventricoli , andato . a guarigio-
ne; con 2 tav » 451
Gian Giuseppe Bianconi. Specimina Zoologica Mosam-
bicana Fase . XIII ; con. 2 tav « 469
Lorenzo Della Gasa. Su V equivalente meccanico del
calore; con 1 tav
479