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Full text of "Memorie della Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna."

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MEMORIE 

DELLA 

ACCADEMIA  DELLE  SCIENZE 

DELL*  ISTITUTO  DI  BOLOGNA 

! 

SERIE  SECONDA 


TOMO  I. 


BOLOGXA 


TIPOGRAFIA  GAMBERINI  E PARMEGGIANI 

«se* 

Mo*Bot  ardem 


DELLA  LEGGE 

ONDE 

UN  ELLISSOIDE  ETEROGENEO 

PROPAGA 

LA  SUA  ATTRAZIONE  DA  PONTO  A PONTO 

wmmi 

DEL 

PROF.  DOMENICO  CHELINI 

( Letta  nella  Sessione  del  21  Febbraio  1861.  ) 

Quando  io  considero  le  nuove  regioni  che  le  scienze 
matematiche  si  vanno  aprendo  per  ogni  verso,  massime 
nella  parte  speculativa,  quando  vedo  ai  teoremi  succeder 
sempre  nuovi  teoremi.,  e il  loro  rivestirsi  di  nuovi  simboli, 
e il  loro  trasformarsi  e il  dividersi  in  gruppi  innumerevo- 
li , quasi  cicladi  moltiplicantisi  ad  ogni  tratto  sopra  un 
oceano  interminato;  io  non  posso  a meno  di  non  ripetere 
a me  stesso  ciò  che  il  primo  Compilatore  degli  Annali 
delle  matematiche  pure  ed  applicate,  il  dotto  e savio  Ger- 
gonne,  confidava  ai  suoi  lettori  sino  dal  1826  ( Annales  de 
mathématiques , torri . XVI.  pag.  314):  » Al  punto  in  che 
siamo  arrivati  oggi,  noi  abbiamo  assai  meno  bisogno  di 
crear  nuove  teoriche,  che  di  ridurre  ai  loro  minimi  ter- 
mini, se  è lecito  di  cosi  parlare,  le  teoriche  di  già  cono- 
sciute; principalmente  ove  riflettasi  che,  in  ogni  cosa, 
ciò  che  avvi  di  più  semplice  e di  più  generale  è d’  ordi- 
nario quello  che  riluce  per  ultimo , e svelasi  al  pensiero  ri- 
cercante la  verità  in  amichevole  accordo  col  bello  e col 
buono  ». 


4 


Domenico  Chelini 


Qualunque  giudizio  vogliasi  portare  di  cotesta  sentenza  , 
è certo  che.,  quanto  a me,  sentomi  inclinato  a seguirla  per 
quel  poco  che  valgono  le  tenui  forze  dei  mio  ingegno.  E 
siccome  altra  volta  mi  foste  cortesi  d’  incoraggiamento  nel- 
T accogliere  la  mia  Memoria  sulla  Rotazione  de5  corpi  li- 
beri, così  spero,  o Accademici  prestantissimi,  che  con  ugual 
favore  vi  degnerete  di  ricevere  quella  che  oggi  vi  offro 
sull’  attrazione  degli  Ellissoidi. 

Per  comprendere  la  natura  della  quistione  che  son  per 
trattare , mettiamoci  dinanzi  alla  mente  un  Ellissoide  etero- 
geneo, intendendo  sotto  questo  nome  un  corpo  terminato 
da  una  superficie  ellissoidale,  in  cui  la  densità  varii  da 
strato  a strato  secondo  una  legge  qualsivoglia , essendo  cia- 
scuno strato  compreso  tra  due  superficie  concentriche  , 
simili  all’  esterna  e similmente  disposte.  Dato  che  le  par- 
ticelle materiali  si  attraggano  in  ragion  diretta  delle  masse 
ed  inversa  del  quadrato  della  distanza , con  qual  legge  si 
propagherà  nello  spazio  da  punto  a punto  1’  attrazione  che 
esce  dalla  materia  di  siffatto  Ellissoide  ? Le  attrazioni  par- 
ziali che  partono  dalle  infinite  particelle  del  corpo , imbat- 
tendosi in  un  punto  materiale  e tirandolo  a sè  come  per 
altrettante  fila  invisibili,  debbono  certamente  comporsi  in 
una  forza  unica  ; ma  per  qual  formola  si  esprimerà  la  gran- 
dezza e la  direzione  di  tal  forza  unica  , qualunque  sia  la 
posizione  del  punto  attratto  nello  spazio? 

Questo  problema,  che  si  fece  incontro  ai  geometri  allor- 
ché vollero  applicare  il  principio  newtoniano  della  gravi- 
tazione universale  ai  movimenti  de5  corpi  celesti  ed  alla 
figura  della  terra,  sulle  prime  non  si  lasciò  risolvere  che 
nei  casi  più  ristretti,  aprendosi  solo  parzialmente  , ma  sem- 
pre un  pòco  più,  a Newton,  a Maclaurin,  a D5 Alembert, 
a Lagrange.  Finalmente  cadde  il  velo  tenace,  e compar- 
vero le  soluzioni  generali,  delle  quali  altre  sono  dirette  ed 
altre  indirette . 

Le  più  notabili  delle  soluzioni  dirette  si  debbono  a Le- 
gendre,  a Laplace  e a Poisson.  Legendre,  che  ha  il  merito 
di  aver  primo  risoluto  V arduo  problema  in  tutta  la  sua 
generalità,  ci  conduce  alla  meta  desiderata  per  attraverso 


Di  un  Ellissoide  eterogeneo 


5 


una  selva  tutta  irta  di  calcoli  spinosi,  nè  contento  alF  a- 
nalisi  chiama  in  aiuto,  ove  occorra,  la  geometria.  La  so- 
luzione di  Laplace,  fondata  sull’  impiego  delle  serie,  non 
pare  del  tutto  soddisfacente  , sebbene  riposi  (come  nota  il 
Sig.  Ghasles)  sopra  considerazioni  analitiche  profonde,  di 
cui  V autore  ha  fatto  un  grand’  uso  nella  sua  Meccanica 
celeste.  Più  perfetta  e completa  è senza  dubbio  la  soluzio- 
ne di  Poisson , se  non  che  ridonda  essa  pure  di  calcoli  la- 
boriosi. Così  nessuna  di  queste  soluzioni  dirette  riguardasi 
come  acconcia  ad  entrare  nell’  insegnamento. 

Ad  eludere  le  difficoltà  e le  lunghezze  delle  soluzioni 
dirette,  sono  rivolte  le  soluzioni  indirette,  delle  quali  la 
prima  si  deve  ad  Ivory , e le  altre  più  lodate  a Gauss , ad 
Olindo  Rodrigues , ed  al  Sig.  Chasles.  Tutte  queste  solu- 
zioni sono  pregevolissime  non  solo  per  la  loro  eleganza  e 
brevità,  ma  eziandio  per  la  luce  nuova  di  che  rischiarano 
qualche  angolo  speciale  della  quistione  ; se  non  che , oltre 
all’  essere  indirette,  lasciano  nel  fondo  alcun  che  d’  incom- 
pleto, non  svelando  tutte  le  intime  e segrete  attinenze 
delle  Varie  parti  del  problema. 

Ciò  adunque  che  rimane  ancora  a desiderare  in  questo 
argomento , si  è una  soluzione  diretta  che  per  la  sua  chia- 
rezza e spontaneità  riesca  di  un  uso  pratico  nell’insegna- 
mento. E questa  si  è la  soluzione  che  ho  cercato,  e che 
ho  qualche  fiducia  di  aver  conseguito.  Imperocché  niente 
in  essa  ritrovi  di  sottile  e di  tortuoso;  non  altre  integra- 
zioni che  quelle  che  raccogli  dai.  primi  principii  del  cal- 
colo differenziale,  non  altri  calcoli  che  quelli  che  servono 
a determinare  gli  assi  principali  nelle  superficie  di  secon- 
d’  ordine,  calcoli  tutti  simmetrici  ed  intuitivi,  siccome  de- 
rivanti da  un  metodo  uniforme  che  si  applica  eziandio  al 
caso  degli  assi  obliqui.  Oltre  a ciò,  nell’  atto  che  vai  allo 
scopo  per  la  via  diritta,  ti  si  fanno  innanzi  quasi  da  sè 
medesime  le  immagini  geometriche  che  rischiarano  ogni 
punto  del  problema  ; come  i coni  attrattivi  di  Legendre , 
le  superficie  di  livello  del  Sig.  Chasles , ed  il  teorema  di 
Maclaurin  sugli  Ellissoidi  confocali.  Da  ultimo , esposte  in 
brevi  termini  le  soluzioni  indirette , ricerco , seguendo  un 


Domenico  Ghelini 


metodo  desunto  parte  da  Gauss  e parte  da  Olindo  Rodri- 
ques,  il  potenziale  di  uno  strato  ellittico  eterogeneo,  ed 
ottengo  una  forinola  nuova,  per  la  quale  si  scioglie  una 
difficoltà  notabile  (sebbene  non  ancora  avvertita)  che  s’in- 
contra allorché  il  potenziale  di  uno  strato  ellittico  infini- 
tamente sottile , preso  rispetto  ad  un  punto  interno , ti 
comparisce  dover  esser  uguale  al  potenziale  relativo  ad  un 
punto  preso  alla  superficie  dello  strato,  e però  idoneo  a 
somministrare  il  valor  dell’  attrazione  in  quest’  ultimo  punto. 

PRELIMINARI. 

Potenziale  e superficie  di  livello . Espressione  (in  coordinate 
polari)  dell’  attrazione  e del  potenziale  di  un  corpo 
qualsivoglia , rispetto  ad  un  punto  dato. 

1.  Si  tratti  di  determinare  1’  attrazione  che  un  dato  cor- 
po E esercita  in  un  punto  qualsivoglia  di  coordinate  ret- 
tangole a , p , y , nella  supposizione  che  la  forza  attrattiva 
di  due  elementi  materiali  sia  nella  ragion  diretta  della  lor 
massa,  ed  inversa  del  quadrato  della  loro  distanza. 

Sia  dm  la  massa  di  una  molecola  del  corpo  E situata 
nel  punto  (x,  y,  z) , e sia  r la  distanza  che  corre  dal 
punto  (a,  pv  r,)  al  punto  a;  y z.  Sarà 

f = (*  — aY  -Mr  — PY  -4-  {z  — y)\ 


/ ± = 

x — a 

= — cos  (xr) 

da 

r 

dr 

y—$ 

= — cos  (yr) 

dp  = 

dr 

z — y 

\ dy  \ 

==  — cos  ( zr ). 

Di  un  Ellisoide  eterogeneo 


7 


L’  attrazione  della  molecola  dm  agirà  nel  punto  a /?  y 
colla  intensità  s — y la  quale,  stimata  secondo  l’asse  x, 
diviene 

dm  dm  dr  d dm 

T C0S  = — T5"'  la.~  da'  T; 

Le  componenti  dell*  attrazione  parallele  ai  tre  assi 

rettangolari  x s y , z , saranno  adunque 


La  quantità 


cioè,  la  somma  delle  molecole  di  un  corpo  divise  rispetti- 
vamente per  la  loro  distanza  da  un  punto  dato  a(3y , si  chia- 
ma il  potenziale  del  corpo  rispetto  al  punto  dato.  In  questa 
somma  le  distanze  r si  debbono  prender  tutte  collo  stesso 
segno. 

Dato  il  potenziale  V di  un  corpo  rispetto  al  punto  afly , 
1*  attrazione  del  corpo  in  questo  punto  risulterà  dalle  tre 


dV  . 


,dm  dV  dm 

t-cos(yr),~=*T 


M , 


ed  avrà  una  direzione  perpendicolare  all’  elemento  di  su- 
perficie, dato  nel  punto  apy  dall’  equazion  differenziale 


dy  ==  0. 


Domenico  Chelini 


La  superficie  rappresentata  dall’  equazione 
V — costante 

sarà  per  conseguenza  ( secondo  la  denominazione  introdotta 
dal  Sig.  Ghasles)  una  superficie  di  livello.  Imperocché  Su- 
perficie di  livello,  rispetto  ad  una  forza  la  cui  azione  si 
propaghi  per  ogn 9 intorno , è una  superficie  che  taglia  dap- 
pertutto ad  angolo  retto  le  direzioni  di  questa  forza . 

2.  L5  espressione , in  coordinate  polari 

r cos  0 r sen  0 cos  o , r sen  0 sen  o , 

sì  dell’  attrazione  e sì  del  potenziale  della  molecola  dm , 
si  ottiene  considerando  il  punto  afly  come  il  vertice  di 
una  piramide  che  s’  interna  per  entro  al  corpo  E , seguen- 
do la  direzione  del  raggio  mobile  r > ed  aprendosi  coll3  an- 
golo solido  infinitesimo 

da  = sen  d dd  do  s 

dove  da  dinota  un  elemento  della  superficie  sferica  avente 
il  centro  nel  punto  a(ly  ed  il  raggio  = 1. 

Questa  piramide  , quando  il  raggio  r diviene  r H-  dr  , cre- 
sce della  quantità  r2  dr  da , che  si  potrà  riguardare  come 
il  volume  della  molecola  dm.  Si  avrà  quindi 

dm  = qr*  dr  da  ; 

intendendo  per  q la  densità,  che  in  generale  può  variare  da 
punto  a punto  del  corpo.  Segue  di  qui  che  P attrazione 
della  molecola  dm  si  estende  al  punto  apy  colla  intensità 


dm 


e col  potenziale 

dm 


qdr  sen  d dd  da  , 


Di  un  Ellissoide  eterogeneo 


9 


N.  B.  I priricipii  esposti  si  applicano  eziandio  al  caso  più 
generale,  che  1*  attrazione  di  due  elementi  materiali  sia  pro- 
porzionale ad  una  funzion  qualunque  della  loro  distanza  r. 
Così , se  questa  funzione  si  dinota  per  f (r) , e per  f (r) 
la  sua  funzion  primitiva , 1’  attrazione  della  molecola  dm 
nel  punto  afiy,  = f (r).  dm , avrà  per  componente  secondo 
F asse  x 

dm  f'(r).  fa  = dm.  ±.f\r). 

Onde  generalmente  si  fa  palese  che,  dato  il  potenziale 
di  un  corpo 

2 dm  f(r) , 

F attrazione  del  corpo  in  un  punto  qualsivoglia  a(ìy  sarà 
hi  risultante  delle  tre 

dV  dV  dV 

da  9 d$  dy  * 

la  cui  direzione  è perpendicolare  alla  superficie  di  livello 
V = costante . 


In  ciò  che  segue,  quando  si  parla  di  attrazione,  s’  in- 
tende sempre  che  operi  secondo  la  legge  newtoniana. 


t.  i*  2 


10  Domenico  Chelini 

CAPO  I. 

GENERALITÀ  RIGUARDANTI  l’  ATTRAZIONE  DI  UN  ELLISSOIDE. 


Art.  l.°  forinole  differenziali  relative  alV  attrazione  ed  al 
potenziale  di  uno  strato  ellittico . 


3.  Se  nell5  equazione 


si  fa  crescere  la  quantità  A per  gradi  uguali  dh,  VLdh,  3dk  etc. 
da  A0  fino  ad  k = hx>  1’  equazione  rappresenterà  una  serie 
di  superficie  ellissoidali , simili  e similmente  disposte , che 
divideranno  lo  spazio  finito  compreso  tra  le  due  superficie 
estreme  h% , hx , in  un’  infinità  di  strati  ellittici  infinitesimi , 
simili  tra  loro,  e tutti  aventi  in  comune  gli  assi  principali 
Ox,  Oy  3 Oz  intorno  al  centro  0. 

Un  Ellissoide  E si  dirà  eterogeneo  quando  è composto 
di  una  serie  di  strati  concentrici  dE , ne’  quali  la  densi- 
tà q può  variare  dall’  uno  all’  altro,  essendo  ciascuno  strato 
compreso  tra  due  superficie  simili  all’  esterna  e similmente 
disposte.  Secondochè  poi  l’ ultimo  strato  interno  riducesi  o 
no  ad  un  punto , 1’  ellissoide  si  dirà  pieno  o vuoto. 

4.  Per  trovare  le  formole  differenziali  relative  all’  attra- 
zione ed  al  potenziale  di  uno  strato  ellittico  dE  , convien 
cominciare  dal  cercare  1’  espressione  del  raggio  r che  dal 
punto  afty  va  colla  direzione  Imn  * ad  incontrare  lo  stra- 
to dE  in  un  punto  qualsivoglia  xyz.  Per  ciò  basta  nella  (i) 
sostituire 


x = a -+-  Ir , / = /?-+-  mr  , z = y h-  nr , 


* Per  l,  m,  n,  s’intendono  i coseni  degli  angoli  che  il  raggio  r fa 
co’ tre  assi  Ox , Oy , Oz. 


Di  un  Ellissoide  eterogeneo 


1 


e la  (1)  si  muterà  nella  seguente 


(2)  Pr2  h-  2 Rr  = S , donde  Pr 

le  cui  radici  sono 

__  -fi-H/(fi2H-PS)  - fi 


fi  = :ì=/(fi2-HPS), 

/(fi2 -4- PS) 


posto 


/a  mi? 


A5- + V 


L’  equazione  (2)  differenziata,  considerando  r ed  A come 
sole  variabili , darà 


( Pr  -h  fi  ) = / 


e quindi 

(3) 


/(ìPh-PS) 


denotando  dr  ciascuno  de*  due  segmenti  uguali,  intercetti 
sul  raggio  r dallo  strato  dE . 

Ora  la  piramide  che , col  vertice  fisso  nel  punto  a(ty  ed 
aperta  coll’  angolo  solido 


segue  la  direzione  del  raggio  r,  intercetterà  sopra  lo  stra- 
to dE  due  particelle  le  cui  masse  dmì  , dm2  saranno 

dmi  = qfdrdo , dm s = qPdrda , 


12 


Domenico  Ghelini 


e per  conseguenza  le  loro  attrazioni  espresse  da 


—f  ss  qdrda 


qhdh  sen  0 dd  do 
[/(R2  H-  PS)  ’ 


agiranno  con  eguale  intensità  nel  punto  a&y. 

Da  questa  proposizione  nascono  conseguenze  diverse , se- 
condochè  il  punto  attratto  a@y  è dentro  o fuori  dello  stra- 
to dE. 

l.°  Se  il  punto  a(fy  trovasi  per  éntro  al  vuoto  dello  stra- 


to dE  , le  due  attrazioni  — 


essendo  ivi  uguali  ed 


opposte,  si  distruggono;  ond5  è che,  regnando  la  legge 
delV  attrazione  in  ragion  inversa  del  quadrato  dèlia  distan- 
za s un  ellissoide  vuoto  non  esercita  alcurC  azione  sui  punti 
posti  nel  vano  interno.  E ne  conseguita , che  V azione  di  un 
ellissoide  sopra  un  punto  della  sua  massa  dee  ridursi  a 
quella  che  vi  è trasmessa  dalla  parte  di  questa  massa , cné 
è terminata  dalla  superficie  ellittica  passante  per  questo 
punto  e simile  alla  superficie  esterna  del  corpo. 

Inoltre  i raggi  r%  avendo  direzione  opposta  e però 
segni  contrari , il  potenziale  delle  due  particelle  dmx , dm 2 3 
rispetto  al  punto  afìy  , sarà 

dm  dm  2 qh  dh  da 

~ ~ — = *(*!  - fii)  àrda  = - ; 

e per  conseguenza  il  potenziale  interno  del  corpo  E avrà 
per  espressione 

Tr  v dm  qh  dh  sen  6 dd  do 


e questo  potenziale  dovrà  conservarsi  costante  per  ogni  punto 
del  vano  interno  di  dE,  essendovi  nulla  V attrazione  dello 
stesso  strato. 


Di  un  Ellissoide  eterogeneo 


13 


2.°  Se  il  punto  a(ìy  trovasi  fuori,  od  anche  alla  superficie 
esterna  dello  strato  dE  , le  due  attrazioni  uguali  — ^ , 

siccome  agenti  per  lo  stesso  verso  secondo  il  raggio  r,  si 
compongono  nell’  attrazione  unica 

/ x 2 qh  dh  sen  0 dS  do 

(r)  _ + PS)  ' 


Inoltre  i raggi  rt , r2  avendo  la  medesima  direzione,  il 
potenziale  delle  due  particelle  dmt , dm2 , rispetto  al  pun- 
to sarà 


dm^  


f (V 


r2)  drda  = 


— 2 qh  dh  R da 
P j/  (R2  h-  PS)  ; 


e per  conseguenza  il  potenziale  esterno  del  corpo  E avrà 
per  espressione 

__  „ dm  ^ qh  dh  R sen  6 dO  do 

V = 2 — = — 22  . 

Pl/(R2+  PS) 


E qui  si  avverta  che,  per  le  direzioni  Imn  che  verifica- 
no V equazione 


+ = 0 , 


il  raggio  r ( acquistando  valori  uguali  rt  = r2 , e però  riu- 
nendo in  un  solo  i due  punti  che  aveva  in  comune  collo 
strato  dE  ) giacerà  sulla  superficie  conica , che  dal  vertice 
apy  stendesi  ad  abbracciare  lo  strato  dE. 

Art.  2.°  Indicazione  del  metodo  più  diretto  per  determinare 
la  legge  onde  un  Ellissoide  eterogeneo  irradia  al  di  fuori 
la  sua  forza  attrattiva. 

5.  Per  comporre  in  una  sola  forza  i raggi  attrattivi  ( r) 
che,  emanando  in  numero  infinito  da  dE , concorrono  tut- 
ti a far  sentire  la  loro  intensità  nel  punto  esterno  a/9y, 


14 


Domenico  Ghelini 


giova  dividere  in  istrati  il  cono  di  questi  raggi,  mediante 
una  serie  indefinita  di  superficie  coniche  così  tra  loro  col- 
legate, che  abbiano  in  comune  gli  assi  principali  colla  su- 
perficie del  cono  circoscritto  al  velo  ellittico  dE.  L’  equa- 
zione di  una  qualunque  di  queste  superficie  si  ottiene 
assoggettando  la  direzione  Imn  del  raggio  r a variare  in 
modo  che  la  quantità  R 2 h-  PS  si  conservi  uguale  ad  una 
costante  A2,  la  quale  prenderà  un  valore  diverso  nel  pas- 
sare dall’  una  all’  altra  di  quelle  superficie  coniche.  In- 
fatti, essendo  l2  -i-  m2  -+-  n2  = 1 , se  nel  polinomio 


R2  + PS-  K*  (P  -h  m2  -+-  n2) 
omogeneo  rispetto  ad  l,  m,  n<>  si  sostituisce 


e poi  si  fa  eguale  a zero  il  risultato  , si  avrà , tra  le  coor- 
dinate correnti  xf , yx , zt , l’equazione  di  un  cono  (A) , 
nel  quale  (come  tra  poco  sarà  dimostrato)  le  direzioni  de- 
gli assi  principali  sono  affatto  indipendenti  dal  valore  di  K. 

Riferiamo  a questi  assi  principali  ( che  denoteremo  per 
MI,  Miq , MI)  le  coordinate  polari 

r cos  d , r sen  6 cos  a , r sen  0 sen  a , 

e supponiamo  che  M%  sia  l’asse  interno  del  cono  (K).  Ogni 
piano  che  passa  per  Mi  inciderà  in  esso  cono  di  secondo 
grado  un  angolo  che  sarà  dimezzato  da  MI,  e i due  raggi 
attrattivi  (r)  che  da  dE  vanno  al  vertice  M (apy)  secondo 
i lati  di  quest’  angolo,  siccome  traenti  con  eguale  inten- 
sità, avranno  per  risultante  una  forza  diretta  secondo 
ed  espressa  da 

/ dh  sen  0 dO  da  Qqh  dh  d(sen 2 0)da 

' ) --'r-mnt-  cos  V — . 


Di  un  Ellissoide  eterogeneo 


15 


Suppongasi  ora  che  la  costante  K varii  da  K = 0 per 
gradi  uguali  dK , e si  concepiscano  le  superficie  coniche 
che,  a partire  dalla  circoscritta  a dE > si  vanno  continua^ 
mente  restringendo  , finché  1’  ultima  si  chiude  affatto  sul- 
Y asse  M%.  Queste  superficie  coniche  divideranno  il  velo 
ellittico  dE  in  tanti  anelli  infinitesimali,  di  cui  le  attra- 
zioni parziali  (A),  affluendo  al  punto  afiy  pe’  canali  formati 
da  esse  superficie,  si  comporranno  in  una  forza  unica  di- 
retta secondo  Mf;.  Così  è reso  manifesto  che  : 

Dato  uno  strato  ellittico  infinitamente  sottile  , ed  un  punto 
fuori  di  esso , V attrazione  dello  strato  sul  punto  è diretta 
secondo  V asse  interno  della  superficie  conica,  circoscritta 
allo  \ strato  ed  avente  il  vertice  nel  punto  dato. 

Quando' si  saranno  trovate  le  formole  relative  agli  assi 
principali  de’  coni  (K) , la  risoluzion  del  nostro  problema 
si  ridurrà  ad  integrare  1’  espressione  dell’  attrazione  elemen- 
tare (A).  Per  una  prima  integrazione  si  avrà  V attrazion 
degli  anelli  intercetti  sopra  dE  da  due  superficie  coniche 
successive  (K),  (K  dK)\  per  una  seconda  intégrazione 
si  avrà  quella  dì  tutti  gli  anelli  componenti  lo  strato  dE  ; 
infine  per  una  terza  integrazione  eseguita  rispetto  a tre 
assi  fissi  Ox , Oy , Óz , conosceremo  in  intensità  e in  di - 
rezione  l’attrazione  esterna  dell’  ellissoide  eterogeneo  E,  sia 
vuoto  , sia  pieno. 

6.  A render  chiaro,  per  via  d’  esempio,  il  metodo  ac- 
cennato, applichiamolo  dapprima  ad  una  sfera  omogenea. 
In  questo  caso  è per  sé  manifesto , che  le  superficie  ( K ) 
debbono  esser  tutte  di  coni  retti  circolari,  e che  P asse 
interno  M%  comune  a tali  coni,  è la  retta  che  dal  verti- 
ce M,  od  afiy,  va  al  centro  O della  sfera.  Quindi  se  la  di- 
rezione Imn  del  raggio  r,  lato  del  cono  ( K ),  devia  dal- 
1’  asse  interno  per  Y angolo  6 , la  quantità 

K*  = I?  -+-  PS 

dovrà  ridursi  ad  una  funzione  della  sola  variabile  0.  Ed  in- 
fatti per  lo  strato  sferico  dE  essendo  a = b = c,  e per 
conseguenza 


i6 


Domenico  Ghelini 


( la  -+-  m$  -f-  ny  ) , 


[S=  — (a?  h2  — a* — (l*  — y4). 


se  si  chiama  D il  valore  assoluto  della  retta  che  dal  cen- 
tro O va  al  punto  apy,  in  senso  contrario  di  M% , sarà 


quindi 


PS  = -4  (a*  h2  — Z>2) . 


£*==  — ( a2h2  — D2  seri 2 


Da  questo  valore  di  s’  inferisce  che  a 


sera  0 = 0 j 


flA  corrisponde 


Poste  queste  relazioni  tra  JST  e 0,  1’  attrazione  elemen- 
tare (A)  (n.°  5)  diviene 


La  quale  espressione , integrata  successivamente  da  a = 0 
ad  Q = jtje  da  K=  — fino  ad  JT  = 0,  somministra 


\1 


Di  un 


Ellissoide 


ETEROGENEO 


Se  ora  si  vuole  P attrazione  di  uno  strato  sferico  finito, 
compreso  tra  due  sfere  concentriche  di  raggi  ah0 , a\  , e 
di  una  densità  costante  = q , basta  integrare  P espressio- 
ne precedente  da  h = hQ  ad  h = ht , e si  avrà 


^ dm  A a3  /7a  M 

2^=3,tDi9Ìh‘-h')=W 


dinotando  per  M la  massa  dello  strato  sferico.  Di  qui  il 
teorema  di  Newton  : 

Un  corpo  sferico , sia  vuoto , sia  pieno , irradia  all  ester- 
no la  sua  forza  attrattiva  a quel  modo  che  farebbe  se  la 
sua  massa,  ristretta  in  un  semplice  punto  , risiedesse  tutta 
nel  centro . 

Il  potenziale  esterna  (n.°  A)  dello  stesso  corpo  sferico 
avrà  per  espressione 


y v qh  dh  d(  sen 2 0)  do  Q v qa 4 h dh  dK  do 

. — jj  ’ 

la  quale,  integrata  tra  gli  stessi  limiti  che  la  precedente, 
somministra 


3 D 


R I 

D’ 


vale  a dire:  Il  potenziale  esterno  di  un  corpo  sferico , sia 
vuoto , sia  pieno , è lo  stesso  che  se  la  massa  del  corpo 
fosse  tutta  ristretta  nel  suo  centro . 

Il  potenziale  interno  Vi  sarà  espresso  da 

V.  = — 2 a2  2 qh  dh  d(cos  6)  do , 

che,  integrando  da  o = 0 ad  o = 2n,  e da  0 = 0 a 0=£;r, 
si  muta  in 


V{  = 2 n a*  q{h\  — h\), 

vale  a dire-:  Il  potenziale  di  una  sfera  vuota  si  mantiene 
costante  per  qualsivoglia  punto  situato  nel  vuoto  di  essa . 


18 


Domenico  Cheuni 

% 

CAPO  II. 


APPLICAZIONE  DEL  METODO  AD  UN  ELLISSOIDE  ETEROGENEO 


Art.  l.°  Assi  principali  de 3 coni  (K) , e superficie  di  livello 
nelV  attrazione  esterna  dello  strato  ellittico  dE. 

7.  Bisogna  innanzi  tutto  trovare  le  forinole  relative  agli 
assi  principali  M% , Mq  3 Mt  dei  coni  (lf). 

Denotiamo  per  U ciò  che  diviene  il  polinomio 

PS  -4-  R2  — K1  ( Z2  -4-  nP  -4-  n') 

quando  si  suppone  che  la  direzione  Iran  sia  quella  di  uno 
qualunque  di  tali  assi  * ; e poniamo 


Sarà 

U = LI  Mm  Nn. 

Le  direzioni  principali  Imn  potendo  esser  definite  : quelle 
a cui  corrisponde  il  minimo  éd  il  massimo  valore  di  U 3 si  do- 
vranno ricavare  dalle  due  equazioni 

Ldl  Mdm  -4-  Ndn  = 0 , 

Idi  -4-  mdm  -4-  ndn  — 0. 


determinare  gli  assi  principali  de’ coni  (.£),  seguo  il  metodo  che 
già  ho  dato  per  gli  assi  principali  d’ inerzia  negli  Elementi  di  Meccanica  razio- 
nale , e che  si  adatta  in  generale  alle  superficie  di  secondo  grado  anche  quando 
sono  niente  ad  assi  obliquangoli. 


Di  un  Ellisoide  eterogeneo 


Se  dalla  seconda  moltiplicata  pel  fattore-  indeterminato  u 
si  sottrae  la  prima,  e si  fanno  eguali  a zero  i coefficienti 
totali  di  di , dm,  dn9  conforme  al  metodo  de’  massimi  e 
de’  minimi,  nascono  le 

(a)  ul — um  — M = 0 ^ un  — N=  0, 

che  moltiplicate  rispettivamente  per  m , n e sommate 
danno 

u = LI  -+-  Mm  -+■  Nn. 

Questo  risultato  significa  che  la  incognita  u rappresenta 
il  valore  di  U corrispondente  ad  una  qualunque  delle  dire- 
zioni principali  Imn. 

L’  equazioni  (a)  9 ove  ad  L > M 3 N si  sostituiscano  i 
loro  valori,  diventano 


Sostituendo  questi  valori  di  l,  m , n,  nelle 


20 


Domenico  Chelini 


nascono  le  seguenti 


delle  quali  1’  ultima,  a causa  di 


equivale  alla 


che  colle  sue  radici  reali  manifesta  i tre  valori  di  p corri- 
spondenti ad  un  dato  valore  di  h. 

8.  Supponiamo  che  p rappresenti  uno  qualunque  di  que- 
sti valori,  e fatto  per  abbreviare 


(p)  = 


, / 

■p  b%— p 


<?— p 


-h\ 


poniamo  attenzione  alle  primarie  conseguenze  che  scaturi- 
scono dalle  tre  equazioni  (c),  (d)  > ( e ). 
l.°  Se  nella  identità 


(*’  - c*)  (a1- p)  ■+■  (c1-  a2)  (*2-  p)  -+-  (a1  — ^)  (S-p)  = 0, 


sostituiamo,  mediante  le  (c). 


a — p: 


P 


Rp_  y 
S fi 9 


Di  un  Ellissoide  eterogeneo 


21 


otteniamo 

(**  - *’)  7 - («*  - '«*)  £ H-  (a*  ^ — 0 , 

forinola  che  , essendo  indipendente  dalle  variazioni  di  p e 
di  A,  fa  palese  che  gli  assi  principali  de’  singoli  coni  (K) 
corrispondenti  ai  diversi  valori  di  h,  si  trovano  tutti  ap- 
plicati sulla  superficie  del  cono  fisso 

(4*  - c’)  “ -+-  (cs  - a5)  £ -+-  («*  - fe1)  ^ = o. 

2.°  Il  piano  che  tocca  la  superficie  (p)  = 0 nel  pun- 
to afiy,  essendo 


la  perpendicolare  p che  dal  centro  O della  superficie  cade 
sul  detto  piano , sarà 

' - * [(?y  ~ fey  T 1 

donde  , a causa  della  ( d ) , 

_ ,*Rp  . e rp_p_ 

P = h ~s  T”**- 


I coseni  degli  angoli  che  la  normale  /?  fa  cogli  assi 
Ox  , Oy  , Oz  della  superficie  (/)),  saranno 


(xp)  = 


a Rp  a p 
2 — p S a2 — p h*  9 


K 


fi  Rp  _ fi  P 

M^pZTp-S-ìi^p-h' 


7 P 

— p'h'  ’■ 


22 


Domenico  Ghelini 


i quali  rappresentano  pure,  in  virtù  delle  (c),  la  direzione 
dell’  asse  principale  del  cono  ( K ),  relativo  al  dato  valore 
di  p,  radice  della  (e). 

3.°  Se  dalla  superficie  (p)  = 0 si  vuol  passare  alla  super- 
ficie simile  infinitamente  vicina , basta  far  variare  in  (p)  = 0 
il  punto  apy  ed  insieme  la  quantità  h>  e si  avrà 


7d7 


= hdh. 


Di  qui  apparisce  che,  nel  punto  a&y  , la  distanza  nor- 
male dp  tra  le  due  superficie  simili  si  esprime  per  * 

, 7 17  dh  dp  dh 

dp  = h dh.  — = — p , donde  — = 

& h p h 

4L°  Quando  nella  (e),  rimanendo  fìsso  il  punto  a(ìy , va- 
ria la  quantità  h,  dovrà  variare  in  corrispondenza  il  para- 


metro p , e dalla  (e) 
rapporto 


avrà  tra  le  variazioni  dh  e dp  il 


donde 


dp  = %h  dh.  J - V % , 


dh=&%  = — dp. 


5.°  Se  le  quantità  a , h , c siano  disposte  secondo  la  gra- 
dazione c<b<Ca,  le  radici  della  (e),  che  dinoteremo 
per  pt  , p2 , p3  in  ordine  crescente , daranno  luogo  alla 
gradazione 

Pt  <c  <Pt  < b < p3  < a. 

Quindi  delle  tre  superficie  confocali 

(f>2)=  0,  (p3)  = 0 


Queste  forinole  acquistano  un’  evidenza  immediata  per  chi  voglia  usare  il 
principio  della  retta  risultante  che  ho  esposto  nell’Appendice  alla  Mecc.  razionale. 


Di  un  Ellissoide  eterogeneo 


23 


la  prima  rappresenterà  un  ellissoide , la  seconda  un  iper- 
boloide ad  una  falda,  e la  terza  un  iperboloide  a due 
falde.  E se  si  chiamano  px  , p2 , p3  le  perpendicolari  calate 
dal  comun  centro  sopra  i loro  piani  tangenti  nel  medesi- 
mo punto,  i tre  coseni  cos(ptp2),  cos(p2pd),  c&s(pzpt)9 
riuscendo  proporzionali  alle  tre  differenze 

(fi,)  - W.  w -w.  (PÒ  - (p,) 

le  quali  son  nulle,  fanno  manifesto  che  le  tre  superfi- 
cie (px) , (p2)  , (p3)  si  tagliano  dappertutto  ad  angolo  retto, 
o come  suol  dirsi,  sono  superficie  ortogonali. 

6.°  Il  primo  membro  della  (e)  , ossia  della 


ridotto  allo  stesso  denominatore , dee  considerarsi  come  iden- 
tico al  seguente  prodotto 

(P  — P,)(P  — pMPjz. 

(p  - a*)(p  - b')(p  - c5)  ' 

E siccome  la  quantità  S è ciò  in  cui  si  converte  il  pri- 
mo membro  della  (e),  per  p = 0 , così  avremo 

5 = (^)  P,  Pi  Ps’  <i«nde  Pi  p3  Pì  = s 

Inoltre , se  la  identità 

F f L*_ht(P—  PtVfi  — P*)(P  — P») 

p—a*  p—b 2 p—  c*  (p—a,)(p  — bt)(p  — c,\ 

si  differenzia  rispetto  a p,  coll’ intendimento  di  fare  nell’  ul- 
timo risultato  p = px  (e  però  tralasciando  di  differenziare 
i termini  che  debbono  annullarsi),  si  ottiene  subito 


24 


Domenico  Chelini 


,2  (P,—Pl)(Pt  —Pi) 

(p-JHp-b'Hp-c3)' 


Di  crui,  essendo  cotesto  trinomio  = — »,  si  ricava 

Pt 

(P,~  Pi)  ( Pi—  Pi)  ~~~p  ^Pt~  aì^Pi  ~ b'^Pi  — C^' 

7.°  Secondochè  il  punto  apy  si  trova  sulla  superficie 
esterna 


dello  strato  ellittico  dE s o dentro,  o fuori,  è manifesto 
che  nell’  ellissoide 


che  passa  pel  punto  a(ìy , la  quantità  px  dee  risultare  od 
eguale  a zero,  o positiva,  o negativa. 

Nel  caso  che  ora  consideriamo,  il  punto  a(ly  essendo 
esterno  a dE s le  tre  radici  dell’  equazione  (e)  le  indiche- 
remo per  — P*  Pi*  G indicheremo  per  p , pi9  p%  le 
perpendicolari  calate  dal  centro  O sulle  corrispondenti  su- 
perficie confocali;  ed  infine  faremo 

A*  = a2  -f-  p , #2  = b2  -+-  p , C2  = c1  p. 

Ciò  posto,  le  diverse  relazioni  or  trovate  si  scriveranno 
come  segue 


Di  un  Ellissoide  eterogeneo 


dh  = -~dp, 

S ih 

p 


dh  h*  . 

--p-L=-^dp, 


abct'  PP'^ 

h* 


2p 

=-S^V, 


(p-*-p,)(p  + P,)  = p 

8. °  Notiamo  infine  che  la  direzione  Imn  data  dall*  equa- 
zioni 

z . p a , v p 3 d y 

cos(Xp)  = -.-,  coste)  coste)  = r.-L, 

essendo  comune  all*  asse  interno  M%  del  cono  (K)  ed  alla 
retta  p (2.°),  che  nel  punto  a$y  è perpendicolare  all9  El- 
lissoide 

± + z!  ±_  _ A> 

A*  H*  C*~ 

confocale  alla  superficie  esterna  di  dE , possiamo  stabilire 
col  Sig.  Chasles  che  : 

Nell’  attrazione  esterna  di  uno  strato  ellittico  infinitamente 
sottile , le  superficie  di  livello  sono  confocali  ad  esso  strato. 

Art.  2.°  Formole  generali  rappresentanti  la  legge  onde  un 
Ellissoide  eterogeneo  propaga  la  sua  attrazione 
da  punto  a punto. 

9.  Siano  u,  ux , u2  i valori  che  nella  (b) , ossia  nella  (n.  7) 

P 

corrispondono  alle  radici  — p,  px  , p2  dell9  equazione  (e). 
É noto  che  T equazione  del  cono  (K)  riferita  ai  suoi  tre 
assi  principali  Mt , My  9 sarà 

4*  + ut  ?*-+-  u~  £2  = 0, 


26 


Domenico  Ghelini 


e per  conseguenza,  sostituendo  ad  u,  uA , u2  i loro  valori 
corrispondenti  a — p,  P\  » P2  » 


Questo  cono  (#)  che  per  /£=  0 è circoscritto  a dE , per 


si  chiuderà  interamente  e si  confonderà  col  suo  asse  MI;. 
Se  nella  (K)  sostituiamo 

% = r cosd>  y = r sera#  0 , £ = r sen  0 seno. 


si  avrà , dividendo  per  r*  e ponendo  in  evidenza  sertO^ 


e quindi 


Ritenendo  costante  Y angolo  o (onde  il  piano  mobile  r 
*devia  dal  piano  fisso  My)  9 è manifesto  che  l’aper- 

tura del  cono  (2£)  varia  col  solo  angolo  0 = (|r).  Diffe- 
renziamo V equazion  precedente  , ossia  la 


venendo  rappresentato  dall’  equazione 


K*  t serSO 

s p~  pp.pi 


Di  un  Ellissoide  eterogeneo 


27 


rispetto  a 0 e a K ; otterremo» 

' abc\ * KdK 


d (sette)  = — 2 


N2  cos'a  ' 


Tm 


ponendo  per  abbreviare 

(P  ■+■  Pi)P,>  Nì=  (P-+-P,)P,’ 

donde  (n.  8,  7.°): 

MN  — j ABC  i/p^Pi  ■ 


Si  avrà  quindi 

/ abc  \ 

d ( serfd  ) do  ==  — 2 y~jp~  j 


jM  v 
dì—  tana] 
abc  \2  KdK  \N  / 


/M  v* 

\Ntana) 


Ciò  posto,  l’espressione  dell’attrazione  (n.  5) 
2 qh  dh  d(  serfO  ) do 


(A)  = 


si  trasformerà  in 


(ab c\2  qh  dh  dK 


,/M  \ 

ì(Ntanl 


la  quale  integrata  da  o = 0 fino  ad  a = n essendo 

iM  \ 


Domenico  Chelini 


tabc\*qhdhdK 

~ 71 VT7  MN  ’ 

forinola  esprimente  1’  attrazione  che  viene  al  punto  apy  da- 
gli anelli  intercetti  sopra  dE  dai  due  coni  successivi  (JT), 
(K-t-dK)- 

Integrando  di  nuovo  da 


[/pi  Pi  «no  a K — 0 , 


conseguiremo  l’attrazione  esterna  dello  strato  ellittico  dE 
espressa  sotto  le  forme 


abc  qdh  abc  abc  qh2dp 

-p-  = 


ABCr.  h ' ABC 
10.  .N.  B.  Dalle  tre  relazioni 
A>-EP  = a>-b\ 


&—C2 


Ai  D2  ■+■  /T2  ^ ’ 


rendesi  manifesto  che  : Una  superficie  ellissoidale 


è pienamente  determinata  dalla  doppia  condizione  di  do- 
vere appartenere  ad  un  dato  sistema  di  superficie  confocali , 
e di  dover  passare  per  un  punto  dato  apy. 

Di  qui  s’inferisce  che,  se  si  dinota  per  dEt  ciò  che  di- 
venta lo  strato  dE  quando  ad  a,  b , c si  sostituisce  a^  bx>  ci 
sotto  la  condizione  che  sia 

< — b\  — a2  — b\  h\  — c]  — b2  — c2, 


Di  un  Ellisoide  eterogeneo 


29 


le  attrazioni  di  dE  e di  dEx  nel  punto  apy  saranno  espres- 
se similmente  per 


?i  dp  »• 


le  quali  espressioni , paragonate  tra  loro , fanno  aperto  che  : 

Se  due  strati  ellittici  dE , dEt  concentrici  ed  omogenei 
sono  confocali  , le  loro  attrazioni  esterne  avranno . in  comu- 
ne le  superficie  di  livello  ; e le  intensità  delle  loro  attrazioni 
in  un  punto  qualsivoglia  staranno  tra  loro  nel  rapporto  delle 
masse  de 3 due  strati. 

Diciamo  , per  abbreviare , che  due  strati  ellittici  dE,  dEx 
sono  confocali * quando  l’uno  essendo  compreso  tra  due 
superficie  ellissoidali  simili  e similmente  disposte  intorno 
al  centro  comune , anche  P altro  strato  si  trova  compreso 
tra  due  altre  superficie  simili  tra  loro,  e di  più  rispetti- 
vamente confocali  alle  prime. 

11.  L’ attrazione  dello  strato  ellittico  dE  nei  punto 
essendo  perpendicolare  in  questo  punto  alla  superficie 


se  vogliasi  decomporre  in  tre  forze  dX , dY , dZ  paral- 
lele agli  assi  principali  dello  strato  dE , basterà  moltipli- 
carne il  valore 

abc  qtf  dp 
~ 71  ABC 


rispettivamente  per 


30 


Domenico  Ghelini 


Ciò  posto , per  mezzo  di  semplici  quadrature  possiamo 
passare  dall’  attrazione  delio  strato  elementare  dE  all5  at- 
trazione di  uno  strato  finito  E compreso  tra  due  superficie 
concentriche  di  semi-assi  («Ao9  bfy 0,  c^0),  ? bhx,  c\)- 

Infatti  siano  p0 , pt  i valori  di  p che  nell5  equazione 


corrispondono  ai  valori  kQ , di  h , e dove  è a notare  che 
all5  ineguaglianza 

K < K 9 corrisponde  p0  > p,  . 

L5  attrazione  esterna  del  corpo  E sarà  la  risultante  del- 
le tre 


nelle  quali  la  densità  q può  essere  una  funzione  qualunque 
di  h , ossia  del  trinomio 

A*  & 

12.  Affine  di  render  più  semplici  l5  espressioni  di  X , Y , Z} 
mutiamo  la  variabile  indipendente  p,  e poniamo 

p — a2tan2<p  ; sarà  A = [/(a2  ■+■  a2  tan2(p)  = 

cos<p 


donde 


cos$=--. 


Di  un  Ellissoide  eterogeneo 


31 


Se  ora  prendiamo  per  nuova  variabile  indipendente 
u — cos<p  = — , 

le  quantità  tan(p,  p saranno  espresse  in  funzione  della 
nuova  variabile  u per  mezzo  delle  forinole 


tan2(p  : 


1,  p = W-2  - t),  4 = - 2 a2 


e quanto  alle  A,  B,  C,  se  supposta  la  gradazione  a > b > c , 
si  fa 


e quindi 

&c  /'“i  qifdu 

— Kan  -~a  / : — . -> 

a J ( 1 _ A2  «2)4(1  — A'* w2)4 


qifdu 


Y (i  _ AV)S(1  — A'V)S  ' 

bc  ' pifdu 

Z = 4 yjr  -r  / ; ; ? 

(1  — **H*)*(1  — A'V)1 

sponde 
qifdu 


dove  z/0,  sono  i valori  di  u corrispondenti  a p0 , p, 
Finalmente  se  si  pone 


w:— ?/: 


(I  — A*  «*)*(!  — A'2u2)4 


32 


Domenico  Chelini 


le  forinole  che  precedono,  rivestono  la  forma  semplicissima 

X — a.  (lY‘  , 


Nel  caso  di  una  sfera  omogenea  ( <7  = i)  riuscendo 
ah.  ah» 


(Ah)ì 


a = h = c , 0 — /l  = X , ux  = 

(Àh)t  = (Ah)Q  ==  D , 
e quindi  da  u = w0  fino  ad  u = ut 

sarà 

- “ M r_  1 ^ ' 7_1 

D ‘ ET  - ~ D D*’  DB* 

13.  Quando  il  corpo  ellittico  è pieno  , ed  il  punto  at- 
tratto a($y  è sulla  superficie  del  corpo 


i limiti  tra  cui  variano  le  quantità  si  corrispondono  per  or- 
dine coi  valori 

= 1 , ( pt  = 0,  / <pt  ss  0, 


p0  = c°  ; \ ; 1^=0; 

e 1 attrazione  dell’intero  ellissoide  nel  punto  a@y  della  sua 


Di  un  Ellissoide  eterogeneo 


33 


superficie  avrà  per  componenti 


a)  Si  osservi  che  queste  forinole  restano  inalterate  se  in 
luogo  di  a>  b3  c mettiamo  a(ì  d) , b(  1 -+-  #),  c(l  -+-  #), 
dinotando  per  d un  numero  positivo.  Ora  per  questa  so- 
stituzione il  corpo  si  troverà  aumentato  di  uno  strato  com- 
preso tra  la  sua  superficie  primitiva  ed  una  nuova  super- 
ficie concentrica  e simile  alla  prima  ; e poiché  le  compo- 
nenti Ys  Z non  cangiano,  bisogna  conchiudere  che 
questo  strato  aggiunto  non  ha  veruna  azione  sul  punto  in- 
terno apy  , come  già  si  era  trovato  in  principio.  Per  con- 
seguenza, le  attrazioni  (X>  Y,  Z) , (X'y  Y\  Z')  che  un 
ellissoide  pieno  esercita  sopra  due  punti  diversi  a(}y,  a!$y’ 
della  sua  massa , stimate  secondo  uno  qualunque  de*  tre  assi 
principali  del  corpo  , sono  proporzionali  alle  coordinate  omo- 
loghe de’  due  punti , vale  a dire  si  ha  : 


X a Y 0 Z y 
Xr~~àr’ 


5 


34 


Domenico  Ghelini 


CAPO  III. 

SOLUZIONI  INDIRETTE  DEL  PROBLEMA  RELATIVO  ALL*  ATTRAZIONE 
DI  UN  ELLISSOIDE. 


I principii  generali  già  dichiarati  permettono  di  presen- 
tare sotto  una  forma  lucida  e breve  le  soluzioni  indirette 
de5  Sigg.  Ivory , Chasles , Gauss , O.  Rodrigues.  E tanto  più 
sembrami  utile  di  aggiungere  queste  soluzioni , in  quanto  che 
mi  offrono  l’occasione  di  sciogliere  una  difficoltà,  o para- 
dosso , che  s’ incontra  in  una  delle  medesime , e ciò  col 
sussidio  di  una  nuova  formola  rappresentante  il  potenziale 
di  uno  strato  ellittico  eterogeneo. 

Art.  l.°  Soluzione  indiretta  et  Ivory, 

14.  I punti  (x,  y,  z) , (xt , yiS  zt)  di  due  sistemi  es- 
sendo ad  uno  ad  uno  corrispondenti  tra  loro  mediante  Y e- 
quazioni 


ed  essendo  di  più 

a\  - a*  = - = c\  - c\ 

sotto  qual  forma  dovranno  esser  configurati  i due  sistemi, 
acciocché  la  distanza  tra  un  punto  arbitrario  M(a  p ,y) 
dell’  uno  ed  un  punto  arbitrario  Nt  ( at , fit,  yt)  deli’  altro 


Di  un  Ellissoide  eterogeneo  35 

riesca  sempre  uguale  alla  distanza  de*  punti  corrispondenti 


A ciò  richiedesi  che  i due.  sistemi  di  punti  appartenga- 
no alle  superficie  di  due  Ellissoidi  confocali  E , È : 


(1) 


h\ 


Infatti  non  può  ridursi  ad  un’  identità  1’  equazione 

MN‘  — MJt*  = 0 , 

equivalente  alla 

(a,-ay  ( 

IV  at  a ! 

b b4\* 


Ir,  — y? 


)'  u 


-i<H) 


qualunque  siano  i valori  delle  coordinate  arbitrarie  (a,  y), 

K ? 7t)?  salvochè  non  si  verifichino  le  relazioni  (1)  tra 

i punti  ajìy , 

Ne  segue  che , ritenuti  fermi  sopra  i due  ellissoidi  E , Ei 
i punti  corrispondenti  M,  Mt , tutti  i raggi  MNX  che,  u- 
scendo  dal  primo  punto  M,  vanno  a terminare  alla  super- 
ficie del  secondo  ellissoide  Et , saranno  eguali  ai  raggi  cor - 
spondenti  MtN  che,  partendo  dal  secondo  punto  fisso  Mt, 
vanno  a terminare  alla  superficie  del  primo  ellissoide. 

Trovata  questa  proprietà  de’  punti  corrispondenti  in  due 
ellissoidi  confocali,  il  Sig.  Ivory  si  avvide,  nel  1809,  che 
si  poteva  adoperarla  per  ricondurre  il  problema  dell9  attra- 
zione di  un  corpo  ellittico  sopra  un  punto  esterno,  a quello 


36 


Domenico  Cheuni 


dell*  attrazione  sopra  un  punto  interno.,  già  risoluto  da 
Lagrange.  A questo  fine  scoprì  un  nuovo  teorema  pel  quale 
dall’  un  caso  si  passa  all*  altro.  Eccone  la  dimostrazione. 

Consideriamo  1*  integrale 

che  esprime  la;  componente  X dell’  attrazione  di  un  ellis- 
soide E sopra  un  punto  qualsivoglia  y{  5 ed  eseguiamo 
l’integrazione  rispetto  ad  x lunghesso  il  filo  prismatico  di 
sezione  = dydz  e parallelo  ad  Ox.  Se  notiamo  per  rx  , r2 
le  distanze  tra  il  punto  ax  @x  yt  e le  estremità  del  suddetto 
filo  sopra  1’  ellissoide , si  otterrà 


Ora  supponiamo  che  il  punto  OLxfixyx  sia  esterno  all’  el- 
lissoide E.  Un  secondo  ellissoide  Ex confocale  al  primo  , 

aj2—  a 2 = bx  — V1  ==  cx  — c2  =|)t, 


e la  cui  superfìcie  passi  pel  punto  at  @x  y{ , eserciterà  nel 

punto  interno  lax  — , A — , y — ) che  sopra  1’  ellissoide  E 
\ a4  b4  c4  f 


a2  b 2 


hx\ 


corrisponde  al  punto  at  fix  yx,  un’  attrazione  di  cui  la  com- 
ponente Xx  sarà 

x'  = Wfqdydz(\-7} 

poiché  all’elemento  dydz  preso  in  E corrisponde  in  Ex 

F elemento  11  dydz  > e si  suppone  che  la  densità  q sia 
bc 

la  stessa  ne’  punti  corrispondenti. 


Di  un  Ellissoide  eterogeneo  3^ 

Dal  paragone  delle  due  attrazioni  X 3 Xt  si  conchiude 

X_  Jhc 
Xx  “ bxcx  5 

vale  a dire  : Le  attrazioni  che  due  ellissoidi  confocali  eser- 
citano à vicenda  in  due  punti  corrispondenti  delle  loro  su- 
perficie , stimate  parallelamente  ad  uno  de 9 loro  diametri 
principali 3 stanno  tra  loro  come  i prodotti  rispettivi  degli 
altri  due  diametri . 

Si  ottiene  poi  l’attrazione  X3  osservando  che  il  punto 
— , 0t  ~ , yx  — ^ si  trova  nell’  interno  dell’  ellissoide  Ex 

(i  due  ellissoidi  E3  Ex  si  suppongono  pierii ),  e che  in 
questo  caso  si  ha  (n.°  13,  a3  e n.°  11) 


dunque 


<ldP 
AZBC  ’ 


ed  in  questo  modo,  pel  teorema  d9  Ivory,  il  caso  dell’at- 
trazione relativa  ad  un  punto  esterno  è ricondotta  al  paso 
riguardante  un  punto  interno. 

N.  B.  Ciò  che  renderà  memorabile  il  teorema  d’ Ivory 
si  è,  che  esso  sussiste  qualunque  sia  la  legge  dell’  attra- 
zione in  funzion  della  distanza  r.  Infatti  la  dimostrazion 
precedente  si  applica  in  modo  analogo  al  caso  generale , 
come  già  fu  osservato  da  Poisson. 

Così  per  due  sfere  omogenee,  concentriche  e di  rag- 
gi a3  ax , avremo  (qualunque  sia  la  legge  dell’attrazione 
in  funzion  della  distanza) 

X a* 


38 


Domenico  Chelini 


Questa  formola  che  esprime  il  rapporto  delle  attrazioni 
che  le  due  sfere  piene  a,  at  esercitano  a vicenda  sui  pun- 
ti a@y , OLtptyt  delle  loro  superficie,  dà  origine  ad  una  pro- 
posizione importante. 

Suppongasi  che  uno  strato  sferico  non  eserciti  azione  al- 
cuna sopra  un  punto  interno,  e che  ciò  siasi  dimostrato 
coll’  esperienza.  L’attrazione  Xt  della  sfera  piena  at  sul 
punto  interno  a(ly , dovrà  ridursi  all’attrazione  esercitatavi 
dalla  minore  sfera  a la  cui  superficie  passa  pel  detto  punto. 
Quindi  de’  due  prodotti  eguali 

X.  a?  = Xx.  a\ 

il  secondo,  e però  anche  il  primo,  dovrà  conservarsi  co- 
stante allorché  cresce  o diminuisce  la  distanza  ax  del  pun- 
to ^iyiv  vale  a dire,  1’  attrazione  X della  minore  sfera  a 
sopra  un  punto  esterno  , dee  esercitarsi  in  ragion  in- 

versa del  quadrato  della  distanza  ax  da  questo  punto , qua- 
lunque sia  la  piccolezza  di  essa  sfera.  Da  ciò  s’  inferisce 
che  : La  $ola  legge  di  attrazione  per  la  quale  uno  strato 
sferico  non  esercita  azione  alcuna  sui  punti  del  suo  interno , 
è quella  della  ragion  inversa  del  quadrato  della  distanza . 

Art.  2.°  Soluzione  indiretta  del  Sig.  Chasles. 

15.  I punti  (a,  y) , — , 0 — , y siano  fissi  e 

corrispondenti  sopra  le  due  superficie  confocali 

**  , r'  , lì  x<ì  . y2  *2  __  ,2 

B2  c* ~ j ;?  P h} 

A*  — a*  = B2  — b*  = C2  — c3  = P) 

e di  più  esterne  in  due  strati  ellittici  dS  y dE  infinitamente 
sottili,  de  quali  il  primo  racchiuda  in  seno  il  secondo. 


Di  un  Ellissoide  eterogeneo 


I potenziali  di  questi  strati  dS  > dE 


(F)=2— , V = 2 — 


presi  rispetto  a que’  due  punti  fissi,  saranno  legati  tra  loro 
dalP  equazione 


v=^k^v)- 


Imperocché  tra  le  molecole  corrispondenti  dM , dm,  e 
tra  le  loro  distanze  R,  r ai  due  punti  nominati  si  hanno 
le  relazioni  costanti 


dm  = ———  dM,  R = 
ABC 


Ora  osserviamo  che  il  potenziale  (F)  dello  strato  dS , 
essendo  riferito  ad  un  punto  situato  nel  suo  interno  ove 
r attrazione  è nulla , dee  conservarsi  costante  qualunque  sia 
la  posizione  di  questo  punto  (n.°  h.  l.°).  Conseguentemente 
anche  il  potenziale  V dello  strato  dE  rispetto  ad  un  punto 
esterno  a$y , preso  ad  arbitrio  sulla  superficie  di  dS , si 
conserva  costante.  E ciò  vuol  dire  che:  Nelt  attrazione 
esterna  di  uno  strato  ellittico  infinitamente  sottile , le  super- 
ficie dì  livello  sono  tutte  confocali  a quella  dello  strato .. 

Per  un  altro  strato  ellittico  dEx  di  semi-assi  ( at , bt , cf  ) h, 
e situato  esso  pure  nel  seno  dello  strato  confocale  dS , il 
potenziale  Vt  rispetto  al  punto  a$y  sarà  egualmente 


(*) 


Se  dalle  due  equazioni  (a)  e (b)  si  elimina  ( V)  si  ottiene 


40 


Domenico  Cheuni 


vale  a dire:  I potenziali  di  due  strati  ellittici  e confo- 
cali dE , dEx  , rispetto  ad  un  medesimo  punto  esterno  afiy, 
sono  proporzionali  alle  loro  masse. 

Siano  F , Fx  le  intensità  delle  attrazioni  de?  due  stra- 
ti dE -,  dEx  sui  punto  a$y.  Queste  forze  staranno  tra  loro 
nel  rapporto  costante  in  cui  vediamo  essere  le  loro  com- 
/ dV  abc  dV  \ 

ponenti  ’ etc>  f on<*e  sara 


axbxcx  * 

Suppongasi  ora  che  lo  strato  dEx  si  confonda  con  dS , 
o che  si  abbia  ax  = A,  bx=Bv  cx  = C.  In  questo  caso 
la  forza  Fx  esprimerà  F attrazione  che  lo  strato  dS  esercita 
sopra  il  punto  apy  della  sua  superficie  esterna , e che  per 
mezzo  di  una  facile  costruzione  geometrica  si  trova 

Fx  ==  4 nqdp , 

essendo  dp  la  grossezza  dello  strato  dS  nel  punto  a(ìy.  Si 
avrà  dunque  per  1’  attrazione  esterna  di  uno  strato  ellit- 
tico dE 

„ * abc 

F = in qdp  s 

ABC 

donde  le  formole  per  un  ellissoide  qualsivoglia. 

Questa  soluzione  del  Sig.  Chasles  è senza  dubbio  la  più 
semplice  ed  elegante  delle  soluzioni  indirette. 

N.  B.  Nella  fatta  supposizione  di  ax  = A,  bx  = B,  cx  = C? 
la  (c)  diviene 


abc 

ABC 


V , 


questa  paragonata  colla  (a)  conduce  alla  relazione 

(V)  = vt%  . 


Di  un  Ellissoide  eterogeneo 


41 


la  quale  significa  che:  Se  uno  strato  ellittico  è infinita- 
mente sottile , il  suo  potenziale  interno  ( F)  è uguale  al 
potenziale  riguardante  un  punto  qualsivoglia  della  sua  su- 
perficie. Ciò  posto , si  può  dimandare  : In  qual  modo  il 
potenziale  interno  , che  è costante  , ossia  indipendente  affatto 
dal  punto  interno  a cui  si  riferisce,  potrà  dare  la  forinola 
che  rappresenta  V attrazione  alla  superficie?  Questa  difficoltà 
sarà  risoluta  in  appresso  quando  avremo  trovato  1*  espres- 
sion  generale  del  potenziale  esterno  ed  interno  di  un  ellis- 
soide vuoto. 

Art.  3.°  Soluzione  indiretta , desunta  da  quelle  di  Gauss 
e di  O.  Rodrigues  *. 

16.  Quando  i punti  (x , y,  z) , , £)  di  due  si- 

stemi si  corrispondono  per  F equazioni 


le  particelle  dv  =z  dxdydz , dvt  = dfcdrjdt,  di  volumi  corri- 
spondenti saranno  legate  dalia  relazione 

dv  = ABC.  dvx  , 

e per  conseguenza  un  volume  di  qualsivoglia  figura  preso 
nel  secondo  sistema,  ove  si  moltiplichi  per  ABC,  darà  il 
valore  del  volume  corrispondente  del  primo  sistema. 

Per  esempio , consideriamo  un  ellissoide  e la  sfera  corri- 
spondente 

<*>  = 

e riportiamo  la  sfera  alle  coordinate  polari 

| =z  h cosd  , y = h senO  cos<p  , t = h send  senfp. 


* Mi  sono  giovato  per  questa  soluzione  delle  Memorie  del  Sig.  Cayley  inse- 
rite nel  Quarterly  Journal  of  pure  and  applied  Mathematics. 


42 


Domenico  Chelini 


da  = send  dd  d(p  , 

siccome  alla  particella  = h2dh  da  della  sfera  corrisponde 
nell’ellissoide  la  particella  ABCl?dhda 3 così  alla  pira- 
mide = -J-  h?  da  delia  sfera  corrisponderà  nell’  ellissoide 
un’  altra  piramide  che  si  potrà  esprimere  in  due  modi 
diversi,  cioè  per  \ ABCÌ?  da , e per  £ pdS  , intendendo 
per  dS  P elemento  di  superficie  che  sull’  ellissoide  serve 
di  base  alla  piramide , e per  p la  perpendicolare  condotta 
dal  centro  sul  piano  tangente  in  dS.  Si  avrà  pertanto 
ABC  W da  = pdS  ,*  e quindi 

. * P^S 

ABC  A3 


essendo 


ed  xyz  il  punto  dove  risiede  dS. 
Di  più  , supposto 


A2  — a2  = B2  — b2  = C%  — c2  = p , 

donde 


AdA  = BdB  = CdC  = \ dp, 

se  1’  equazione  ( h ) si  differenzia  rispetto  a p ed  al  pun- 
to xyz  [passando  così  dalla  superficie  (A,  B , C)  alla  su- 
perficie confocale  infinitamente  vicina  (A  -+■  dA , B dB  , 
C -+-  dC)]  si  troverà 

xdx  ydy  zdz  _ tx 2 y2  z2\ 

A2  B2  B*  * &)dp’ 

e la  distanza  dp  tra  le  due  superficie  nel  punto  xy  z sa- 
rà ( n.°  8 ) 


43 


Di  un  Ellissoide  eterogeneo 


Si  avrà  dunque 
(a) 


dp  dS 
2 ABC'  h * 


A queste  forinole  si  dee  aggiungere  ciò  che  costituisce 
il  perno  dell’  attuale  soluzione , ed  è un  teorema  celebre 
di  Gauss , il  quale  diviene  quasi  evidente  per  sè  medesimo 
ove  sia  enunciato  nel  modo  seguente  : 

Se  una  superficie  chiusa  S si  prò jetta  sulla  superficie  di 
una  sfera  di  raggio  = 1 per  mezzo  di  rette  concorrenti  al 
centro  M di  essa  sfera , la  projezione  sarà  uguale  alla  in- 
tera superficie  hit  della  sfera , od  alla  metà  2 it , ovvero  u- 
guale  a zero , secondochè  il  centro  M della  sfera  si  trova 
o dentro  la  superficie  chiusa  S,  o sopra , o fuori . 

Sia  p una  retta  normale  all’  elemento  dS  „ e diretta  dal 
di  fuori  al  di  dentro  della  superficie  S ; r la  retta  che 
da  dS  va  al  centro  M della  sfera  di  raggio  = r.  La  proje- 
zione di  dS  sulla  superficie  di  questa  sfera  sarà  = dS  cos(rp), 
e per  conseguenza  la  projezione  di  dS  sulla  sfera  concen- 
trica di  ràggio  = 1 , sarà 

dS  cos(  rp)  , 

Quindi  la  projezione  della  intera  superficie  S sopra  que- 
st’ ultima  sfera,  avrà  per  espressione 

dS  cos(rp) 

2 1 » 


il  cui  valore  risulterà 

hit,  2 n,  0 


secondochè  il  punto  M è dentro  la  superficie  S,  o sopra , 
o fuori. 

Facendo  uso  di  questi  principii,  le  formóle  date  da  Gauss 
e da  O.  Rodrigues  riguardano  il  potenziale  e l’  attrazione 
di  un  ellissoide  pieno  ed  omogeneo.  Giova  stabilirle  nel  caso 
più  generale  di  un  ellissoide  vuoto  ed  eterogeneo. 


u 


Domenico  Chelini 


17.  Sia  pertanto  un  ellissoide  E diviso  in  istrati  simili  dE 
dalle  superficie  rappresentate  dall’  equazione 


(h) 


facendovi  variare  h per  gradi  uguali  dh  da  h = 0 ad  h = hy, 
e la  densità  q da  uno  strato  ali’  altro.  Posto  che  i punti 
si  corrispondano  per  la  legge 


c. 


una  molecola  dm  del  corpo  E si  potrà  esprimere  per 
dm  ss  ABC  qtf  dh  do , 

- ed  il  potenziale  V di  E,  rispetto  al  punto  dato  M ( apy  ) , per 
qìd  dh  do 


= abc: 


donde 


V v qtfdh  do 5 
ABC  = *~r  ' 


Ora  fatto 

J2  = a2  p , B2  = b2+p,  C2  = c2  -f-  p , 

V 

cerchiamo  qual  variazione  subisce  la  funzione  allorché 

la  quantità  p diviene  p -+•  dp , vale  a dire  quando  dal- 
1’  ellissoide  di  semi-assi  (A , B , C)hy  si  passa  all’  ellissoide 
copfocale  di  semi-assi  ( A -+-  dA , B h-  dB,  C -+-  ÒC)h. 


Otterremo  primieramente 


qì ì2  dh  do 


ìr> 


Di  un  Ellisoide  eterogeneo 


45 


ove  la  variazione  dr  del  raggio  r ( se  si  costruisce  q s*  im- 
magina la  figura)  si  vedrà  essere 

dr  = — dp  cos(  rp  ) . 


(Si  è preso  il  segno  ( — 1)  perchè  la  perpendicolare  p 
neir  ellissoide  E è diretta  dal  di  dentro  al  di  fuori). 
Laonde  essendosi  trovato  superiormente 


dS 

2ABC  h 3 


risulta 


gP  fdScos(rp) 

•2ABCJ  q dhJ  C 


ABC  2ABC 

In  quest’espressione  l’ultimo  integrale  (A) , dovendosi 
estendere  ad  una  qualunque  delle  superficie  (h)  che  di- 
vidono E in  istrati  simili , sarà  = 0 quando  il  punto  attrat- 
to M è fuori  di  E , onde  avremo 


vale  a dire  : Finché  il  punto  attratto  afty  rimane  fuori  del- 
V 

T ellissoide  attraente,  il  rapporto  s*  mantiene  costan- 

te nel  passare  da  un  ellissoide  ad  un  altro  confocale.  Quindi  : 
Se  due  ellissoidi  (A  B , C)A  , (Ax,  Bx,  Ct  3)h , eia - 
senno  formato  di  strati  simili  tra  loro  e corrispondenti  a 
quelli  deW  altro , sono  confocali , i loro  potenziali  V>  V% , e 
però  anche  le  loro  attrazioni , staranno  tra  loro  nel  rapporto 
V V 

de 9 loro  volumi . cioè  — — — - = . 

ABC  AxBtBx 

Ma  quando  il  punto  attratto  afiy  è dentro  al  corpo  cir- 
coscritto dall’  ellissoide 


se  si  determina  il  valore  di  per  mezzo  dell*  equazione 


(A). 


Bì  C1 


= h‘ 


egrale  J- 


dS  cos(rp) 


sarà  = 0 per  gli  strati  ellittici  ( dh ) 

compresi  da  h = 0 ad  k = \ , e sarà  = — kit  per  gli 
strati  (dh)  compresi  da  h=.\  ad  h = hr  Avremo  quindi 


2ndp 

ABC 


fi'  qh  ' 


Questa  formola  ci  dà  primieramente  il  potenziale  per  un 
punto  interno  apy  di  un  Ellissoide  pieno.  Infatti  integrando 
V uno  e F altro  membro  rispetto  a p,  da  p = 0 fino  a p =oo, 
risulta 

-r  = ?*<»). 

ahc  d o \aBCJ  h / 


Nel  secondo  integrale , siccome  subordinato  al  primo , si 
è sostituito  al  limite  inferiore  hQ  il  limite  h , variabile  con  p 
in  virtù  dell9  equazione 


onde  h diviene  = 0 per  p = co,  e tocca  il  suo  valor  mas- 
simo hx  per  p = 0 , cioè  per  la  superfìcie  circoscrivente  il 
corpo,,  rappresentata  dall5  equazione 


Di  un  Ellissoide  eterogeneo 


47 


La  formola  Vi  sussiste  per  tutte  le  posizioni  che  il  punto 
attratto  afiy  può  prendere,  sia  all*  interno,  sia  alla  super- 
ficie dell’  ellissoide  attraente. 

Per  un  altro  ellissoide  pieno , circoscritto  dalla  superficie 


\ < A2, 


il  potenziale  V!  rispetto  allo  stesso  punto  interno  apy  sarà 


V!  = %abcnf'(J^fjqhdh). 

La  differenza  de’  due  potenziali  Vi  3 rappresenta  evi- 
dentemente il  potenziale  ( V)i  dell*  ellissoide  vuoto , com- 
preso tra  le  due  superficie  simili  (A)t,  (A)2.  Ora 

essendo  equivalenti  le  operazioni  indicate  dai  simboli 


Si  ha  pertanto 

(n<=Mcxft^f\hdh; 


onde  : Il  potenziale  di  un  ellissoide  vuoto  è costante  rispetto 
ad  ogni  punto  situato  nel  vuoto. 

Nel  caso  di  una  sfera  omogenea,  ponendo  (n.°  12) 


48 


Domenico  Ghelini 


risulta 

/i  Qdu  rhi 

/ qh  dh  = 2 a2n  q(  h*  — h*  ) . 

a J *i 

Dal  potenziale  relativo  ad  un  punto  interno  si  passa  a 
quello  relativo  ad  jm  punto  esterno,  paragonando  i poten- 
ziali Ve,  Vx  di  due  ellissoidi  pieni  ( a , b , c3)ht , (at)  ct)ht 
e confocali , e supponendo  che  il  punto  ajìy  si  trovi  sulla 
superficie  dell’  ellissoide  maggiore  (#t,  , ct)Ar  In  tale 

ipotesi  sarà 

— Si  dtx-  = ri  f®—  f'  qh  dh) 
abc  a\b\c\  J $ \ J h ì ■ 

avendosi  nelle  superficie  esterne  de’  due  ellissoidi  confo- 
cali le  relazioni 

V - a2  = V -£2=  ct2.-  c2  = /V 
Essendo  inoltre 

X9  - «I2  = K - K = cx  - ^,2  = 

e quindi 

^ = ^2  — b*  = cÉ2  — c2  = e h-  />, * 

si  vede  che  quest’  ultime  relazioni , posto 

p = 6 -+-  pt , 

si  confondono  colle  relazioni  già  considerate 

A2  — «2  = fi2  — b*  = C2  — c2  = p , 
e che  per  coseguenza  si  ha 

dp 


rj?L.%r  , 

J,  J e,  ABC 

poiché  a 0 = 0^  corrisponde  p = pr 


Di  un  Ellissoide  eterogeneo 


49 

Dunque  : Il  potenziale  V9  di  un  ellissoide  pieno 9 preso 
rispetto  ad  un  punto  esterno  a$y , è 

Jc»4 

essendo  pt  la  radice  positiva  dell’  equazione 


Per  un  altro  ellissoide  pieno  (A)2  simile  al  preceden- 
te (h)t , il  potenziale  VJ  rispetto  allo  stesso  punto  ester- 
no a(ty  sarà 

V;  = 2abc*f’  * qh  dh)  . 

essendo  p2  la  radice  positiva  dell’  equazione 

a ■+■  P 2 h ■+•  P%  c +P*  \Pt>  Pi  - 

La  differenza  de’  due  potenziali  Vt } V*  rappresenta  evi- 
dentemente il  potenziale  ( V)9  dell*  ellissoide  vuoto  com- 
preso fra  le  due  superficie  simili  (h){ , (h)2.  Ora 

V; -V.  = Zabcnf^  **  dh) 

+ 2abcnf’7Bcf^hdh 

a causa  dell’  equivalenza  simbolica 

/;=/>/;•  r=r  < 

r.  i.  7 

Mn.Br  '«rden. 


50 


Domenico  Ghelini 


Si  ottiene  così  la  seguente  formola  generale , a mia  no- 
tizia, nuova  del  potenziale  esterno  di  un  ellissoide  ete- 
rogeneo 

In  questa  forinola  è da  notare  che , mentre  il  secondo 
termine  è costante,  il  primo  termine  varia  col  punto  a@y. 

Infatti  nell’  integrale  J*  qhdh , essendo  il  limite  inferiore  h 

variabile  con  p,  si  dovrà  sostituire  ad  h (eseguita  la  inte- 
grazione) il  suo  valore  desunto  dall’  equazione 


valore  che  varia  col  punto  apy. 

Corollarii. 


l.°  Quando  l’attrazione  di 
mezzo  delle  componenti 


d(V) 


un  ellissoide  si  determina  per 

<l(  V)  z = d{  V) 


dy 


nel  differenziare  la  funzione  ( V)  in  quella  parte  che  varia' 
col  punto  a(iy , convien  avvertire  che  si  ha 

d fk  2 ^ = ~ 1Mh  = - q H-  ~ + 

e ciò  a causa  deli’  equivalenza  simbolica 

<r:=c,rr:=-fr 


Di  un  Ellissoide  eterogeneo 


51 


Così  abbiamo  dalla  (V)e 

d(V)  fP\  qdp 

da  J pi  A BC 

2.°  Se  lo  strato  ellittico  è infinitamente  sottile , e se  di 
più  il  punto  attratto  a(Iy  trovasi  nella  superficie  esterna 
dello  strato 


talché  risultino  quantità  infinitesime  le  differenze  h 2 — h 3 
h2  — ht , e p2  = 0 , pt  = dp  3 il  potenziale  dello  strato 
diviene 


ed  offre  questa  importante  singolarità,  che  il  primo  ter- 
mine (le  cui  derivate  prese  rispetto  al  punto,  afiy  danno 
le  componenti  dell’  attrazione  in  questo  punto)  è un  infi- 
nitesimo di  secondi  ordine  relativamente  al  secondo  termine 
che  è costante.  Per  questa  singolarità  si  spiega  in  qual 
modo  il  potenziale  interno  di  uno  strato  ellittico  infinita- 
mente sottile  può  ritenersi  uguale  ai  potenziale  relativo  ad 
un  punto  della  superficie,  senza  poter  somministrare  V at- 
trazione dello  strato  in  questo  punto  (n.°  15). 

3.°  In  prova  dell’  esattezza  del  potenziale  ( V)e , suppon- 
gasi che  l’ellissoide  si  riduca  ad  una  sfera  omogenea.  Facendo 
D 

a = b = c,  A = B = C=~, 
h 


sarà 


dp  = 2 Ad  A = 


/:  tófe/M/r  (*/•)• 


52 


Domenico  Chelini 


e i due  termini  di  ( V)e  si  mutano  ne’  seguenti 

qWK— h')  = "jj  <! (K  — — i (Ài  — 

^ 1iHK-K)  = ^hAK-K), 


di  cui  la  somma  è 


COME  OGGI 


ii  umili  tiiiMiuniui 

SIANSI  FATTE  PIÙ  COMUNI. 

CONSIDERAZIONI  STORICHE  E MEDICHE 

DEL 

PROF.  ALFONSO  CORRADI. 

(Memoria  letta  nella  Sessione  3 Gennaio  1861). 


T Je  mie  indagini  sulle  cause  dell’  odierna  diminuzione 
della  podagra  furono  sì  benevolmente  accolte  (1) , che  ani- 
mo mi  venne  di  proseguire  nell’  intrapreso  studio  r il  qua- 
le , come  naturale  complemento  , voleva  ricercassi , se  , pres- 
so che  scomparso  quel  morbo , qualch’  altro  fatto  si  fosse 
per  avventura  più  frequente  o comune.  Lo  che  essendo , 
investigar  doveva , se  1’  un  male  crescesse  perciò  stesso  che 
l’altro  venia  meno,  ovvero  se  niuna  ragione  il  diminuir 
di  questo  e 1’  aumentar  di  quello  collegasse. 

Dell’  importanza  di  tale  quesito,  come  di  per  sè  medesima 
manifesta , taccio  : piuttosto  dirò  che  per  maggior  chiarezza 
divido  il  lavoro  in  due  parti.  Nella  prima  mostro  che  di- 
minuita la  gotta,  altra  malattia  è smisuratamente  cresciu- 
ta ; nella  seconda  che  questi  avvenimenti  non  sono  disgiun- 
ti , ma  connessi , giacché  ad  entrambi  la  causa  è comune. 


(I)  Mem.  dell’ Accad.  delle  Scien.  di  Bologna  X 460  — V.  Archives  gé- 
nér.  de  Médec.  Novembre  1860  — Dublin  quarterly  Journ.  of  medie.  Science 
Novemb.  1860  — Giorn.  Veneto  di  Scien.  mediche  XVI  690  — Filiatre  Se- 
bezio  Dicembre  1860  etc. 


54 


Alfonso  Corradi 


PARTE  PRIMA 


§ 1.  Che  oggi  la  scrofola  e la  tubercolosi  , cón  le  mol- 
teplici e varie  loro  manifestazioni  siano  frequentissime , anzi 
formino  malattia  popolare , niun  dubbio  ; ogn’  ordine  di 
gente , ogn’  età , mostrando  soffrirne  benché  in  cielo  ed  in 
luoghi  diversissimi. 

Che  quelle  poi , ad  onta  delle  contrarie  apparenze , siano 
affezioni  o modi  dello  stesso  generale  stato  patologico,  lo  fan- 
no credere  la  comunione  delle  cause,  il  mutuo  avvicendarsi, 
le  strette  associazioni,  V uniformità  nei  procedimenti  e nelle 
risultanze.  E siffatta  credenza,  quando  questo  lavoro  ad  al- 
tro non  mirasse,  potrebbe  essere  corroborata  da  buon  nu- 
mero d5  argomenti  : nulla  di  meno  anche  abbracciando  1’  op- 
posta , nel  caso  nostro  non  viene  differenza.  Imperocché 
volendo  provare  la  molta  frequenza  della  tubercolosi , dessa 
apparirà  comunissima  eziandio  se  la  si  consideri  malattia 
distinta  dalla  scrofola:  anzi  ella  è tanto  diffusa  che,  per 
sé  sola,  mostra  d’essere  malattia  popolare.  Che  poi  ciò 
sia  nuovo  avvenimento , od  almeno  di  fresca  data , provanlo 
il  generale  accordo  de’  medici  in  affermare  ora  più  comuni 
che  per  lo  passato  le  affezioni  scrofolotubercolari.  Provanlo 
ancora  altri  fatti  e ragioni , su  cui  più  avanti  avverrà  di 
discorrere.  Ma  poiché  la  dimostrazione  più  calzante  ed  evi- 
dente di  tale  accrescimento  quella  sarebbe  che  data  fosse 
dal  confronto  delle  statistiche  di  diversi  tempi,  comincierò 
dall  esaminare  le  più  accurate:  però  vedremo  eh’  elleno  non 
recano  luce , nè  persuadano , quanto  pare  dovessero. 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari 


55 


§ 2.  In  Inghilterra  muojono  annualmente,  termine  me- 
dio, per  malattie  tubercolari  (scrofola,  tabe  mesenterica, 
tisi,  idrocefalo)  67,000  individui;  che  è quanto  dire  ogni 
10  minuti  muore  un  inglese  per  consunzione  (1);  e,  non 
volendo  far  calcolo  che  della  sola  tisi  o tubercolosi  polmo- 
nare, i morti  sarebbero  51,490  (2).  E per  lo  stesso  morbo, 
e nello  stesso  tempo , soccombono  in  Londra  più  di  7,000 
abitanti  (3)  , ed  in  Parigi  oltre  4,000  (4).  Niun’  altra  ma- 
lattia miete  tante  vittime  ; e solamente  il  cholera  poteva 
nel  1849  togliere  da  Londra  un  numero  di  viventi  doppio 
di  quello  che  suole  la  tisi;  a petto  della  quale  la  pneu- 
monite , la  febbre  tifoidea , e P apoplessia , benché  micidia- 
li , sono  quasi  pèr  un  terzo  ed  un  sesto  più  miti  (5).  Nella 


(1)  Ad.  1851  — 64,075  m.  per  affezioni  tubercolari 

1852  — 66,163  „ 

1853  — 70,615  „  *  * 

1854  — 67,145  „ 

* Seventeenth  annual  Report  òf  thè  Registrar-General.  London  1866  Ap- 
pend.  p.  67. 

N.  B.  Le  opere  segnate  con  * sono  quelle  che  V A.  ha  potuto  direttamente 
consultare. 

(2)  An.  1851  morti  per  tisi  in  Inghilterra  49,166 

1852  „ 60,594 

1853  „ 54,918 

1854  „ 51,284. 

(Ibid.) 

(3)  An.  1851  morti  per  tisi  in  Londra  7,027 

1852  „ 6,935 

1863  „ 7,502 

1854  „ 7,107 

* Weekly  Returns  of  births  and  deaths  in  London  in  thè  Year  1857.  Lon- 
don 1858  p.  Vili. 

(4)  An.  1850  morti  per  tisi  in  Parigi  3,727 

1851  „ 4,148 

1852  „ 4,092 

1853  „ 4,761 

* Trébuchet , Statisi,  des  décès  dans  la  ville  de  Paris  : In.  Ann.  d’  Hyg. 
pubi.  XLV1II  139,  L 345;  S.  2.a  VII  14,  IX  251. 

(5)  Morti  per  pneumonite  in  Londra  termine  medio  2,501  An.  1851-1854 

„ tifo  e febbre  tifoidea  „ 2,457 

„ apoplessia  „ 1,263 

” tisi  „ 7,142 

Sevent.  Ann.  Report.  1.  c. 


56 


Alfonso  Corradi 


stessa  Parigi  queste  malattie  emulano  bensì  la  tisichezza , 
ma  non  la  pareggiano  ne’  danni  (1)  ; in  Ispagna  ed  in  Por- 
togallo (2) , nel  Belgio,  in  Germania  ed  in  America  accade 
altrettanto  (3).  Fu  calcolato  che,  sopra  100  mila  abitanti , 


(1)  Morii  per  pneumonite  in  Parigi  termine  medio  2,501  An.  1850-53. 

c „ ^ febbre  tifoidea  ,,  1,571 

„ apoplessia  „ 1,001 

„ tisi  „ 4,182. 

Trébuchet.  1.  c.  — Nel  triennio  1855-57  11  numero  delle  morti  fu  in  Francia, 
termine  medio,  877,936:  le  cause  più  frequenti  di  morte  sono  le  malattie  degli 
organi  respiratorii  (26,  47  per  100)  e quelle  de’  digerenti  (19,  10)  j però  la 
malattia  più  micidiale  è la  tisi  polmonare,  uccidendo  essa  annualmente,  se  i 
calcoli  sono  esalti,  90  mila  persone;  le  vittime  invece  della  pneumonite  non 
sarebbero  che  55  mila.  L’ anzidetto  triennio  non  fu  afflitto , come  l’ anno  1854, 
dal  cholera  o da  altre  grave  epidemia.  * Du  monvement  de  la  population  en 
France.  In:  Gaz.  Hebdomad.  de  Médec.  A.  1862  N*  8. 

(2)  Hoffmann , Specimen  geographico-medicum  de  Europa  australi.  Lugdun. 
Batav.  1838  p.  23. 

(3)  Nel  1854-55  rè  Monaco  di  Baviera  morirono  3,826  individui , de'  qnali 
per  consunzione  568 

tubercolosi  517 
idrope  359 


tifo 


281 


cholera  266 
apoplessia  177 

Martin,  Die  Bewegung  des  Bevolk  Miinchens  im  Jahre  1854-55  In:  Bayer 
ami.  Intellig.  Blatt  1856  p.  129. 

Nel  Belgio  durante  il  quinquennio  1851-55  morirono 
per  tisi  polmonare  79,944 

apoplessia , congestione 
e rammollimento 


19,906 

febbre  tifoide  19,420 

penumonile  19,194 

Mortalità  generale,  non  compresi  i nati  morti,  506,985. 

* Ano.  d’  Hyg.  pubi.  S.  2.*  IX  206. 

A New  York  nel  1856  contaronsi  21  , 263  morti,  così  distribuite: 
Consunzione  polmonare  2,432 
Febbri  di  varie  specie  2,020 
Infiammazioni  1,878 

Convulsioni  1,489 

Marasmo  1,422 

Idropisia  1,135  etc. 

California,  State  medie.  Journ.  1857  I 398. 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari  57 

ne  muojono  in  Londra  323  di  tisi , 382  in  Parigi , 296  in 
Berlino,  291  in  Torino,  357  in  Filadelfia  (1).  A Wùrzburg 
(Baviera)  avvengono  annualmente  175  morti  per  tuberco- 
losi , oltre  gli  altri  di  tisi  (141.7);  mentre  che  sommate 
assieme  le  morti,  avvenute  nel  quadriennio  1852-55,  per 
bronchite  e pneumonite  infantile  ( compresa  la  pertosse  ) , 
per  bronchite  e pneumonite  senile , e pleuropneumonite , 
risulta  P annuo  termine  medio  106,  9 (2).  Quasi  il  terzo 
de9  morti  nel  grand’  Ospitale  di  Vienna  nel  decennio  1846-55 
lo  fu  per  tubercolosi  (3).  E dove  la  somma  dei  mancati  per 
consunzione  de’  polmoni  non  è la  suprema,  è però  fra  le 
maggiori , unicamente  cedendo  a quella  delle  malattie  acute 
largamente  comprese  : così  in  Genova  alle  sole  infiamma- 
zioni dell’  apparato  digerente  (m.  597  di  cui  per  gastroen- 
terite 565  ) , ed  a quelle  acute  dell’  apparato  respiratorio 
( m.  380  ) , la  tisi  è nei  danni  inferiore  (4). 

Ma  dubitar  si  potrebbe  che,  come  un  tempo  ovunque 
vedovasi  la  putridità  e lo  scorbuto  (5) , oggi  si  facesse  en- 
trare per  ogni  dove  la  tubercolosi , e da  lei  ricevesser  nome 
molte  ed  assai  diverse  malattie.  Però  siffatto  errore  nella 
diagnosi  nè  facilmente , nè  di  frequente  dee  accadere , av- 
vegnaché la  tubercolosi  è tale  malanno  che  il  più  delle 
volte  ai  meno  veggenti  è manifesto  ; e nel  caso  nostro  non 
si  tratta  di  tubercolosi  incipiente,  dove  pure  i dubbi  son 
molti,  ma  conclamata  e tanto  da  arrecar  la  morte;  avver- 
tiamo inoltre  che  sulle  tabelle  mortuarie  ha  posto  ancora 


(1)  Ziemsessen,  Ùber  die  geograpb.  Verbreitung  der  Pneumonie  ( Monatsblat 
fiir  med.  Statistik  1857  N.  7 p.  46). 

(2)  Virchow,  Beitrage  zur  Statistik.  der  Stadt.  Wurzburg  (Verhandl.  der 
Wtìrzb.  phys.  med.  Gasellseh.  X Heft.  49). 

(3)  GB  accolti  nello  spedale  nel  predetto  tempo  furono  223,328  : il  totale 
de' morti  ascese  a 30,499;  quelli  per  tubercolosi  a 9,097  cioè  29.  8 OjO.*  Haller, 
Die  Volkskrank.  in  ihrer  Abhangigkeit  von  den  Witterungs-Verhaltnissen.  In  : 
Denkschrif.  der  k.  Akad.  der  Wissens  eh.  von  Wien  XVIII.  14. 

(4)  * Du  Jardin , Statistica  necrol.  di  Genova  nell’  anno  1 856  ( Liguria  medica 
Genova  An.  II.  385  ). 

(5)  Et  sane  nisi  hoc  concedamus,  Scorbnti  nomen,  nt  hodie  fit,  in  immen- 
sum  crescet , et  omnem  fere  morborum  numerum  absolvet.  * Sydenham , Obs. 
med.  Sect.  VI.  C.  V. 


T.  I. 


58 


Alfonso  Corradi 


la  classe  delle  malattie  croniche  dell5  apparato  respiratorio, 
sia  sotto  il  nome  di  bronchite  che  di  catarro  polmonare. 
Il  numero  di  coloro  che  per  esse  soccombono  non  è pic- 
colo certamente  ; ma  io  credo  ciò  avvenga  perchè  vi  si  in- 
tromettono casi  di  vera  tisi,  non  essendo  ancora  affatto 
sbandita  P.  opinione  che  la  tubercolosi  polmonare  sia  lenta 
tlogosi  ; e più  facilmente  occorrendo  di  confondere  la  tisi- 
chezza con  la  bronchite  cronica,  di  quello  che  questa  con 
quella.  D5  altra  parte  male  si  comprende  come  tante  mi- 
gliaja  d’  uomini  possano  per  sola  infiammazione  de5  bronchi 
venir  a morte  (1).  Maggior  forza  avrebbe  l5  obbiezione  che 
non  ogni  tisi  è della  medesima  natura , e che  la  tabe  pol- 
monare si  forma  per  assai  diverse  ragioni  : il  Desayvre  p.  e. 
ha  mostrato  come  facile  sia  confondere  la  malattia  degli  ar- 
rotini ( tisi  polmonare  calcolosa  ) con  la  tisi  polmonare  tu- 
bercolare , giunte  che  siano  al  loro  terzo  stadio  (2)  ; e Giu- 
seppe Frank  riguardando  P etisia,  prima  che  giunga  al  gra- 
do estremo , non  una  sola  e medesima  malattia , ma  un 
concorso  di  malattie  (le  quali  convengono  in  ciò  solo  che 
presto  o tardi  più  o meno  distrùggono  il  polmone  ) , distin- 
gue la  tisi  scrofolosa , P artrìtica  3 la  carcinomatosa , P emor- 
roidale, la  scorbutica  , la  sifilitica , la  metastatica  e quella  pro- 
dotta da  vomica.  Tali  partizioni , se  valgono  ad  agevolare  lo 
studio  clinico  , non  sempre  reggono  sotto  il  rispetto  noso- 
logico  ; ed  i moderni  patologi  hanno  mostrato  come  quelle 
non  siano  il  più  delle  volte  che  forme  della  stessa  malat- 
tia , effetti  del  medesimo  processo  morboso  ; il  quale  se  ta- 
lora , com’  ogn5  altro , assume  particolari  caratteri  non  perde 
la  natura  propria.  Con  questo  non  intendo  confondere  tisi 


(1)  On  voit  quelle  différence  et  quelle  analogie  la  maladie  des  aiguiseurs 
offre  avec  la  phthisie  pulmonaire  tuberculeuse.  Ce  qui  eo  fait  la  différence  es- 
sentielle , c’  est  l’ absence  de  diathèse  ; dans  la  première  et  la  deuxième  période 
nous  trouvons  une  grande  dissemblance  entre  ces  deux  affections,  mais  à la 
troisième  les  symptómes  offrent  la  plus  grande  similitude  ; et  pour  un  médecin 
non  habitué  à observer  les  aiguiseurs,  ily  aurait  très-facilement  matière  à confusion. 

* Etudes  sur  les  maladies  des  ouvriers  de  la  manufacture  d’  armes  de  Chà- 
telleraut.  In:  Ami.  d’Hyg.  pubi.  S.  2.a  V 322. 

(2) *  * Trat.  di  Medie,  prat.  univers.  Milano  1847  II  P.  IL  263. 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari  59 

e tubercolosi , sicché  F uno  sia  sinonimo  dell’  altro  ; dico 
soltanto  che  per  la  massima  parte  le  consunzioni  polmonari 
hanno  per  carattere  anatomico  il  tubercolo  , e che  la  for- 
mazione di  questo  ne’  polmoni , e le  sue  evoluzioni  cam- 
minano di  pari  passo  con  le  varie  fasi  di  quelle.  La  distin- 
zione fra  tisi:  e tubercolosi  polmonare  è stata  dal  Virchow 
calorosamente  sostenuta  ; ed  egli  è d9 avviso  che  molte  le- 
sioni del  polmone  siano  risultati  di  pneumonite  cronica, 
anzi  che  di  natura  tubercolare  (1).  Ma  per  quanto  si  restrin- 
ga il  campo  della  tubercolosi,  esso  rimane  sempre  vastis- 
simo , tanto  che  il  genere  tisi  che  lo  comprende , può , per 
una  non  nuova  sineddoche , appellarsi  ancora  tubercolosi  : 
e per  la  stessa  ragione  dicendo  tisi  e tubercolosi,  intendiamo 
di  quella  de9  polmoni  perché  la  più  frequente  ; quantunque  il 
tubercolo  si  formi  ancora  in  altri  organi , ed  il  fomite  della 
tabe  o consunzione  possa  essere  in  qualunque  parte  del  cor- 
po (2).  E volendo  pur  concedere,  che  sotto  il  titolo  di  tisi 
polmonare  stiano  malattie  che  meglio  andrebbero  altrove;  bi- 
sogna altresì  per  ragion  di  giustizia  ammettere , che  in  altre 
classi  vadan  disperse  cose  che  alla  tisi  appartengono.  Io  Fio 
annunziato  il  sospetto  che  la  somma  de9  mancati  per  catarro 
polmonare  siasi  ingrossata  a spesa  di  quella  della  tisi  ; ma 
v9  ha  ancóra  la  sezione  delle  morti  per  emorragia , la  quale 
non  è tanto  piccola , giacché  in  Inghilterra  in  un  quadriennio 
(1851-54.)  toglieva  5,527  individui,  ed  in  Londra  817: 
or  bene  delle  emorragie  (non  considerate  le  traumatiche 
propriamente  dette  ) qual9  è la  più  frequente , se  non  quella 
de9  polmoni  ; e fra  le  cause  di  queste , quale  più  del  tuber- 
colo comune  ? La  classe  pure  tanto  poco  definita  del  Ma- 
rasmo  e dell9  Atrofia  dev9  essere  per  molta  parte  composta 


(1)  Ueber  die  Verschiedenh.  von  Phthise  und  Tuberknlose  (Wttrzb.  Ver- 
handl.  HI  98). 

(2)  Phthisis  aitò  rov  e<pOLveiv  derivatimi  vocabnìum , apud  graecos  quan- 

doque  corroptionem , saepius  tamen  eonsumptionem  et  decrementum  significai 

Phthisis  est  consumptio  universi  corporis  habitus  per  tabem  purulentam  : veruna 
talis  consumptio  posset  oriri  a quocumqne  fomite  purulento , in  diversis  corpo- 
ris locis  haerente.  * Fan  Swieten,  Comment.  ia  Boerhaave  Aphor.  § 1196. 


60 


Alfonso  Corradi 


dalla  scrofola  e dalla  tubercolosi  : e questa  qualità  di  morte 
sulle  tabelle  inglesi  tiene  un  numero  sempre  più  alto  (1). 
Che  altrettanto  sia  della  classe  Convulsioni  è assai  proba- 
bile ; quanti  bambini  didatti  non  periscono  per  tubercolosi 
delle  meningi  o dell’  encefalo  sotto  la  forma  d’  eclam- 
psia (2)?  Ed  un  tisico  se  per  qualche  intercorrente  malat- 
tia venga  a soccombere , non  sarà  più  annoverato  fra  i 
tisici  , ma  aumenterà  il  novero  dei  periti  per  pneumonite, 
per  bronchite  capillare , meningite , diarrea  ecc.  nuova  prova 
del  quant’  arduo  sia , se  non  impossibile , formare  esatte 
tavole  mortuarie;  perciocché  altr’  è riguardare  le  malattie 
sotto  il  rispetto  nosologico , altro  sotto  il  riosografìco  (3). 

§ 3.  Per  il  sin  qui  detto  puossi  con  sicurezza  affermare 
che  presentemente  la  tisi  polmonare  nella  zona  temperata 
è il  morbo  che  miete  maggior  numero  di  vittime  ; in  al- 
cuni luoghi  più  delle  stesse  malattie  acute,  tranne  delle 
epidemiche,  ovunque  poi  delle  lente  o croniche.  E dalla 
frequenza  della  tubercolosi  polmonare  si  può  legittimamente 
argomentare  1’  estensione  delle  altre  malattie  affini  ò membri 
della  stessa  famiglia  : e veramente  con  ciò  altro  non  si  fa  che 
indurre  cosa  sia  il  genere  da  quel  eh’  è la  specie.  Ma  tanta 
strage  è forse  d’  oggi  soltanto  ? Onde  debitamente  rispondere 
a cotest’  inchiesta,  converrebbe  avere  il  novero  de’  morti  per 
tisi  in  varie  epoche , e confrontarlo  con  quello  della  con- 
temporanea popolazione  ed  intera  mortalità  : ma  come  fare 
se c un  tempo  ogni  tumore  del  collo,  delle  ascelle  e degl’  in- 
guini avea  nome  di  struma  o di  scrofola  ; e se  fra  le  con- 
sunzioni polmonari  confondevansi  le  malattie  che,  lungamente 
durando , i corpi  smagrivano  (4)  ? Quest’  errore  fe’  credere 


(1)  Nel  Quadriennio  1851-54  le  morti  per  atrofia  furono  in  Inghilterra  52,735: 
in  Londra  514  nel  1843,  e 2,008  nel  1857  , quantunque  questa  classe  sia 
stata  ultimamente  in  altre  suddivisa. 

(2)  In  Inghilterra  la  media  annua  delle  morti  per  convulsioni  tocca  quasi  le 
25  mila;  di  cui  2 mila  accadono  nella  metropoli. 

~(3)  Su  quest' argomento  delle  statistiche  mediche,  leggansi  le  Osservazioni 
che , fra  gli  altri , n'  ha  fatto  P illustre  Bufalini  nel  Voi.  I.  P.  II.  p.  307 
delle  sue  Opere. 

(4)  Durch  das  Wort  Struma  nicht  verleiten  Iassen  darf,bloss  an  deu  Kropf 
zu  denken , sondern  dass  unter  dieser  Benennung  so  wie  unter  Ecrouelles  , Kings 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari  61 

in  Inghilterra  la  tisi  dominasse  più  del  vero  (1)  ; e poiché 
tale  malattia  non  fu  sempre  egualmente  considerata,  noi 
non  possiamo  approfittare  delle  tavole  mortuarie  che  colà 
fin  dal  1592  vennero  instituite  (2).  E se  colle  moderne  con- 
frontassimo le  antiche,  senz’  altra  avvertenza  o lume  di  cri- 
tica , giungeremmo  a risultati  che  apertamente  contraddico- 
no a quanto  la  storia  e P osservazione  presente  ci  obbli- 
gano a credere  : così  male  ci  persuaderemo  che  la  mortalità 
per  tisi , rispetto  alla  generale , fosse  in  Londra  nel  de- 
cennio 1750-59  del  21  per  100,  e soltanto  dell’  11,  79 
nell’  altro  1848-57  ; mentre  che  in  Parigi  è appunto  il  con- 
trario, cioè  aumento  e non  diminuzione.  Le  molte  divisioni 
e suddivisioni  delle  cause  di  morte  fanno  apparire  le  sin- 
gole malattie,  relativamente  all’  intera  mortalità,  ed  alla 
popolazione , minori  di  quello  che  siano  di  fatto  ; e mentre 
sulle  liste  mortuarie  le  successioni  della  tubercolosi  avranno 
larga  parte,  questa,  senz’  esserlo,  si  mostrerà  diminuita;  e 
1’  inganno  viene  dai  numeri  convalidato , in  causa  dei  prin- 
cipii  stessi  che  regolano  la  loro  distribuzione.  Non  c’  illu- 
diamo , ripeto , sull’  utilità  che  trarre  possiamo  da  questi 
censimenti  ; imperocché  quand’  anche  essi  dicano  il  vero , 
il  dicon  in  modo  sì  generico  e lato  , che  delle  minuzie  e 
dei  particolari  nulla  ci  è dato  sapere  : e può  altresì  acca- 
cadere  che,  volendone  maggiori  notizie,  siamo  tratti  in  in- 
ganno ; avvegnacchè  se  la  statistica  medica  non  ha  gli  eni- 
gmi degli  oracoli , neppure  i suoi  responsi  sono  sì  chiari 
da  rimuovere  qualunque  timore  d’  equivoco.  Così  male  giu- 


Evil , und  Scrofulae  sowohl  die  eigentliche  Scrofelkrankheit , als  auch  die 
verscbiedenartigsten  Anschwelluogen  am  Halse  verstanden  worden  sindi  * Chou - 
lani  L. , Die  Heilung  der  Scrofeln  durch  Ktfnigshand.  Dresden  1834  p.  17. 

(1)  !am  informed  that  thè  article  of  consumptions  includes  generally  all  tho- 
se  who  die  of  any  lingering  diseases , and  are  much  emacia  ted  ; by  which  thè 
iist  ist  wastly  enlarged  beyond  what  it  ought  to  be , to  thè  reproach  of  our 
country  ; Foreigners  imagintng  that  his  disease  is  much  more  frequent  amongst 
us,  ihat  it  is  in  reality  ( Fothergill , Remarks  on  thè  cure  of  consumptions). 

(2)  La  serie  continuata  di  questi  registri  comincia  nel  1603 , e nel  1629 
ne  fu  pubblicato  il  primo  resoconto.  Fra  le  curiosità  nosografiche  è da  porre  la 
classe  di  morti  prodotte  da  colpo  di  pianeta  ( Planet-Struck  ) , che  in  quelle 
tabelle  nel  1600  comprendeva  ancora  otto  casi. 


62 


Alfonso  Corradi 


dicherebbe  chi  credesse  diminuita  1’  idropisia  nella  Metro- 
poli inglese,  trovando  scritto  che  nel  1843  morirono  per 
essa  1777  individui,  e soltanto  728  nel  1757:  tale  muta- 
mento non  da  altro  dipende  che  dall’  aver  avuto  i medici 
riguardo  piuttosto  che  all’  idrope,  alla  causa  che  la  produ- 
ce ; dall’  aver  quindi  ripartito  in  più  classi  ciò  che  prima 
era  in  una  sola  raccolto  ; appunto  il  contrario  di  quanto  si 
faceva  un  tempo  per  la  consunzione , della  quale  minima-  „ 
mente  si  cercavano  le  molte  e diverse  ragioni. 

Non  potendo  quindi  per  le  cose  dette  far  molto  calcolo 
delle  antiche  statistiche,  e paragonarle  colle  moderne,  do- 
vrem  contentarci  di  queste , e limitare  i nostri  confronti  a 
breve  spazio  di  tempo.  Però  , stando  ai  calcoli  dell’  Heber- 
den , nel  principio  del  secolo  scorso  annualmente  manca- 
vano per  etisia  in  Londra  3000  abitanti,  4000  alla  metà 
e 5000  alla  fine  sopra  eguale  mortalità  generale  (1)  ; il 
Woolcombe  anche  più  precisamente  determina  quest’  au- 
mento, concludendo  che  1*  assoluta  e relativa  mortalità  in 
causa  di  consunzione  nel  secolo  scorso  sempre  più  è cré- 
sciuta (2):  incremento  acconsentito  nel  1815  dal  Rus- 


. (1)  L’  Heberden  pe’  suoi  calcoli  prendeva  dai  Registri  mortuarii  di  Londra 

la  media  di  10  anni  sì  nel  princìpio,  che  nel  mezzo  ed  alla  fine  del  secolo, 

evitando  però  gli  anni  di  grandi  epidemie  , e limitandosi  a quelli  in  cui  il  totale 
de'  morti  era  presso  che  uguale,  cioè  circa  21,000.  * Bibl.  Britan.  1810 
XL1V  353  nota. 

(2)  The  absolute  and  relative  mortality  from  consumption  has  been  regularly 
increasing  during  thè  last  century.  * Woolcombe  W. , Remarks  on  thè  frequen- 
cy  and  fatality  of  differeot  diseases , particularly  on  thè  progressive  increase 

of  consumption;  with  observations  on  thè  influence  of  thè  seasons  on  mortality. 

London  1808  p.  53.  (libro  piuttosto  raro). 

I computi  del  Woolconbe  appaiono  nella  seguente  tabella  : 


^ r ** 
r— 

Media  annua 

! Mortaliii  tota). 

| per  consunzione 

1650-1656 

17,642 

2,520 

80,438 

1 a 4 6 

1696-1700 

17,044 

3,408 

100,028  ! 

I a 5 8 

1746-1752 

30,842 

4,406 

168,276 

1 a 5 4 

1763-1767 

21,563 

4,312 

119,024 

1 a 5 5 

1790-1799 

50,480 

5,048 

196,705 

1 a 3 8 

Delle  affezioni  Scrofolotubercolari 


so  (1),  e due  anni  dopo  dal  Tullidge  (2).  Ma  molto  prima 
il  Paitoni  nel  suo  * Parere  sulla  natura  della  tisichezza  av- 
vertiva che  il  mal  del  tisico  s’  era  fatto  così  ordinario  e 
continuo  da  essere  nella  linea  de* 2 3 4 5 6 7  cronici  il  più  frequente 
e fatale , quando  ne’  tempi  andati  non  v’  aveano  documenti 
che  fosse  sì  universale  (3).  Didatti  Tommaso  Rangone  di 
Ravenna , detto  il  Filologo  , e Professore  a Padova  nella  se- 
conda metà  del  secolo  XVI  , descrivendo  le  malattie  croni- 
che ed  acute,  alle  quali  i Veneziani  erano  allora  soggetti , 
fa  menzione  delle  pleuritidi , de’  reumi , delle  febbri  perio- 
diche , e di  tant’  altri  mali , e fino  ancora  delle  morti  im- 
provvise, ma  nulla  parla  de’  tisici  (4).  Il  Testi  più  tardi 
difende  1’  aria  delle  lagune , non  dall’  accusa  di  cagionare 
la  tisi , ma  le  febbri  e 1’  ipocondria  (5)  ; egli  celebra  la  ro- 
bustezza e longevità  degli  abitanti  di  quelle , aggiungendo 
ai  propri  gli  elogi  d’  Amato  Lusitano  (6) , e del  Bacone  (7). 
Baccio  archiatro  di  Sisto  V,  parlando  de’  morbi  a’  suoi  tempi 
più  frequenti , annovera  la  scabie , 1’  impetigine , la  lepra 
e la  podagra , ma  non  già  la  tabe  polmonare  (8)  : Lancisi 
trovava  nel  popolo  romano  il  genus  hominum  che  formò  le 
legioni  domatrici  del  mondo  ; e le  malattie  de’  patrizii  era- 
nq  P ipocondria , P apoplessia  , ed  il  languore  delle  forze , 
non  per  malignità  di  cielo,  ma  per  intemperanza  di  co- 


ll) Sulla  quistione  perchè  la  lisi  polmonare  è divenuta  cosi  frequente  a’  no- 
stri giorni,  e quali  sarebbero  i mezzi  di  garantirsene.  Catania  8.° 

(2)  Inquiry  in  to  thè  nature  of  pulmonary  consumption . and  of  thè  causes 
which  bave  contributed  to  its  increase.  London  8.° 

(3)  p.  IX.  Venezia  1772. 

(4)  De  vita  Venetorum  comoda  Consilia.  Venet.  1558. 

(5) *  Disinganni  ovvero  ragioni  fisiche  fondate  su  l’autorità  ed  esperienza  che 
provano  1’  aria  di  Venezia  iutieramente  salubre.  Colonia  1694.  — Fra  le  altre 
cose  narra  il  Testi  d’  un  cittadino  veneziano  morto  sugli  80  anni  lasciando 
gravida  la  moglie,  e d'  un  altro  che,  nuovamente  ammogliatosi  a 76  anni^ 
ebbe  più  figli,  i due  ultimi  ad  81  ed  83  anni  (p.  106)!  A p.  105  poi  mo- 
stra che  Y aria  di  Venezia  è migliore  di  quella  d’ Inghilterra , e che  i Vene- 
ziani vivono  più  degl'  Inglesi. 

(6) *  Cent.  III.  Cur.  13  Schol. 

(7) *  Hist.  Vitae  et  Mortis.  Amstelod.  1663  p.  69. 

$)*  De  thermis.  Lib.  VII  Cap.  XIII. 


64 


Alfonso  Corradi 


stumi  (1).  Nei  Bandi  poi  del  Cardinal  Carafa  è notato  che, 
un  ottant’  anni  addietro , la  tisi  nelle  provincie  ferraresi 
era  rarissima,  e solo  perchè  « anche  il  remoto  rischio  della 
vita  d1 2 3 * 5  un  uomo  merita  i più  gelosi  e pressanti  pensieri  di 
chi  governa  » P Editto  su  i mobili , e le  stanze  di  quelli 
che  muoiono  infetti  di  etisia  veniva  pubblicato  (2).  E questo 
stesso  orrore  del  contagio  tisico , e gli  ordinamenti  dei  Prov- 
veditori alla  Sanità  della  Repubblica  Veneta,  e d5  altri  go- 
verni onde  schivarlo,  provano,  a mio  avviso,  che  in  quel 
tempo  la  tisi  si  fosse  allargata , e tanto  da  incutere  quei 
gravissimi  timori.  Nè  dicasi  che  ciò  fosse  opera  soltanto  dello 
spaventato  protomedico  Paitoni  , imperocché  quanto  que’  ma- 
gistrati prescrivevano,  era  tale  che  unicamente  la  comune 
tema  poteva  a’  governanti  suggerire  ed  al  popolo  far  tollera- 
re (3).  D5  altra  parte  vecchia  era  V opinione  che  la  tisi  fosse 
contagiosa,  e dagli  stessi  medici  Veneti  e dal  Fracastoro  sovra 
tutti  professata  (4);  ed  un  governo  , quale  la  Repubblica  di  S. 
Marco , alle  contumacie  ed  agli  espurghi  abituato , e buono 
a farsi  ubbidire , non  avrebbe  tralasciato  que5  provvedimenti 
se  prima  creduti  li  avesse  necessarii.  Presso  che  uguali  cau- 
tele il  Magistrato  di  Sanità  di  Firenze  già  da  qualch5  anno 
(1754)  ebbe  ordinato,  benché  il  Collegio  medico  poco 
credesse  al  contagio  tisico  : ciò  che  prova  la  paura  popolare 
aver  prevalso  al  giudizio  de5  periti  ; e poiché  niente  era  stato 


(1) *  De  nativis  Rom.  coeli  qualitativa  Cap.  XVII. 

(2)  Bando  delPll  Febbraio  1783,  confermato  nel  Cap.  LXH  dei  Bandi  gene- 
rali n.°  CCCX  * Bosi , Lezioni  di  Medicina  teorico-pratica.  Ferrara  1859  p.  340. 

(3)  Sotto  pene  rigorosissime  veniva  ordinato , che , seguita  la  morte  d5  un 
tisico,  dovessero  prontamente  i Medici,  e Parrochi,  e gli  altri  acquali  spetta, 
portar  alla  Magistratura  V esatta  e fedele  relazione  del  male , e minacciare  dei 
castighi  corrispondenti  i proprietarii  della  roba , che  la  vendessero,  come  pure 
gli  ebrei , rigattieri , ed  altri  che  la  comprassero  , quando  prima  non  fosse  stata 
spurgata  e renduta  libera  dalla  giustizia  * Editto  del  9 Dicembre  1772  V.  Pai- 
toni , Op.  c.  p.  XXXIV. 

(4}  La  credenza  che  la  tisi  fosse  contagiosa  trovasi  in  Aristotile,  * Ses.  VII. 

Probi.  4;  ed  in  Galeno  * De  differ.  febr.  L.  i.  C.  hi.  ; Fracastoro  poi  non 
solo  temeva  che  le  vesti  de'  tisici  dopo  due  anni  fossero  capaci  d’  attaccare  il 
male,  ma  ancora  le  muraglie  fra  le  quali  essi  vissero,  ed  i Ietti  su  cui  peri- 
rono * De  morb.  contag.  L.  h C.  ìx. 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari 


65 


stabilito  innanzi  in  proposito , dee  credersi  qualche  cosa  di 
straordinario  fosse  allora  avvenuto ,.  che  alla  nuova  legge 
dava  appunto  origine  (1).  A Napoli  invece  medici  e popolo 
credettero  la  tisi  contagiosa  ; nulladimeno  Giuseppe  Mosca , 
scrivendo  nella  prima  metà  dello  scorso  secolo  de*  morbi  na- 
politani , parla  dell’  etisia  senza  farla  credere  nè  oltremodo 
comune,  nè  contagiosa  (2).  Ma  il  Ruberti  nel  1782  espone 
ai  governanti  che  il  male  della  tisi  polmonare  allora  era 
divenuto  quasi  generale , e che  tuttodì  si  vedeva  cagionare 
la  morte  di  tanti  cittadini  e la  distruzione  di  numerose  fa- 
miglie per  la  poca  cautela  che  si  usava  (3).  Da  ciò  pure 
noi  possiamo  arguire  essersi  F etisia  in  que9  tempi  fatta 
più  frequente , ma  non  tanto  quant’  oggi  ; avvegnacchè  gli 
espurghi  e le  quarantene  soltanto  si  eseguiscono  quando  la 
malattia  abbia  breve  corso,  ovvero  sia  scarsa;  non  già  se 
continua  e frequentissima  : chi  riputerebbe  che  presente- 
mente  in  Inghilterra , in  Francia , e presso  noi  pure  far  si 
potesse  quanto  a Venezia , in  Toscana  ed  in  Napoli  si  pre- 
scriveva ? Finché  i lebbrosi  non  furon  molti , poteva  il  sa- 
cerdote cantar  loro  le  preci  de5  morti,  ed  il  giudice  spo- 
gliarli d9  ogni  civica  prerogativa  ; ma  quando  crebbero  a dis- 
misura , quando  poterono  collegarsi  e formar  congiure,  le 
condizioni  loro  non  furono  più  le  medesime  : sotto  la  cappa 
di  S.  Lazzaro  impune  andava  il  mendico,  ed  i miseUaria 
servivano  di  ricovero  e di  bordello.  E se  i pronostici  del 
Ballonio , di  vedere  piena  di  tisici  Parigi , sonosi  in  parte 
avverati  ; ciò  non  avvenne  per  opera  del  contagio , cui  egli 
tanto  paventava,  e neppure  per  mutamento  di  cielo  (4); 
bensì  per  altre  più  intime  ragioni  delle  quali  occorrerà  dire 
in  appresso.  Merita  altresì  sia  avvertito  che  nei  Consulti  o 
nelle  mediche  Istituzioni  de9  tempi  passati  le  malattie  scro- 
folose e tubercolari  non  hanno  il  posto  d9  oggidì  ; cioè  di 


(1) *  Discorsi  toscani  di  Antonio  Cocchi.  Firenze  1762  li.  Disc.  IX.  170  e 178. 

(2) *  Dell' aria  e dei  morbi  dall’ aria  dipendenti.  Napoli  1747  Dissert.  V. 
P.  I 266. 

f3)*  De  Renzi , Stor.  della  Medie.  V.  611. 

(4)*  Consi I.  med.  L.  I n.  XXII. 


66 


Alfonso  Corradi 


loro  non  è il  frequente  discorso  o 1’  assiduo  studio  che  noi 
ne  facciamo  : segno  dell5  esser  quelle  allora  meno  moleste  ; 
la  medicina  occupandosi  particolarmente  de’  morbi  che  più 
sono  infesti e cercando  soddisfare  ai  presenti  bisogni.  Gli 
Arabisti  invece  di  continuo  discorrevano  della  lebbra,  ed 
i seicentisti  della  peste  e delle  affezioni  scorbutiche. 

Qualora  poi  consultiamo  le  moderne  statistiche , indizii 
pure  troviamo  di  questo  proseguito  aumento.  In  Parigi  nel 
quadriennio  1835-38  perirono  annualmente  per  tisi  (rispetto 
alla  mortalità  generale)  109  su  mille,  e 136  nell’altro 
quadriennio  1850-53  : però  in  Londra  furono  i morti  151 
nella  stessa  proporzione  di  mille  dal  1843  al  1846,  e 120 
dal  1854  al  1857  (1).  La  qual  differenza  in  meno  non  è 
forse  reale  diminuzione , avvegnaché  le  morti  per  bronchiti 
crebbero  d’  assai,  e mentre  in  quel  primo  periodo  si  raggua- 
gliavano a 35  su  mille,  nell’  ultimo  erano  81.  Questo  fatto 
non  è sfuggito  al  Farr,  il  quale  osserva  che  se  nel  1847 
perirono  in  Inghilterra  per  tisi  polmonare  53,317  persone 
e 51,284  nel  1854  (benché  la  popolazione  fosse  in  questo 
tempo  cresciuta  di  quasi  un  milione  e mezzo),  anche  le 
morti  per  bronchiti  di  16,499  crebbero  a 20,062  (2).  Inol- 
tre nel  1854  il  cholera  tolse  colà  di  vita  20,097  individui 
ed  altrettanti  la  diarrea , e presso  che  egual  numero  sì  la 
febbre  tifoidea  che  la  scarlattina  ; cause  tutte  che  valgono 
a turbare  il  corso  ordinario  delle  malattie , e le  mutue  loro 
relazioni  (3).  Male  dunque  avviserebbe  chi  da  questi  nu- 
meri trarre  volesse  la  tisi  avere  diminuito  in  Inghilterra  : 
e poiché  i presenti  suoi  registri  mortuarii  non  sono  ripar- 
titi come  per  lo  passato  , essi  non  potranno  dirci,  se  ve- 
ramente quel  fausto  mutamento  sia  avvenuto , che  fra  al- 
quanti anni,  purché  in  questo  tempo  non  subiscano  altre 


(1)  In  questo  calcolo  non  sono  entrate  le  10  mila  morti  prodotte  dal  cho- 
lera nel  1854. 

(2) *  Letter  to  thè  Registrar  General  on  thè  Causes  of  Death  in  England 
( Seventeenth  Report  etc.  App.  p.  70). 

(3)  Trascurando  soltanto  le  morti  per  cholera,  i decessi  per  tisi  nel  1854 
sarebbero  stati  122  su  mille,  e 126  nel  1847. 


Delle  affezioni  Scrofolotuberolari  67 

variazioni.  Ma  supposto  ancora  che  colà  la  tubercolosi  sia 
realmente  diminuita , sarebbe  sempre  avvenimento  parziale , 
giacché  appo  noi  ed  altrove , la  quotidiana  osservazione  dà , 
pur  troppo , la  dolorosa  prova  del  contrario. 

Che  se  la  maggior  o minore  frequenza  d’  una  malattia  in 
certo  momento,  o presso  alcun  popolo,  mal  può  in  genere  de- 
dursi dai  numeri  di  pochi  anni  di  non  sempre  conforme  osser- 
vazione ; P error  sarebbe  maggiore  se  la  malattia  non  solo 
fosse  popolare,  ma  di  quelle  che,  diversamente  dalle  co- 
muni ed  acute  epidemie , lente  si  formano  e tarde  progre- 
discono. E poiché  in  esse  P uno  stadio  dall’  altro  per  tem- 
po e per  forma  sono  assai  disgiunti , crederebbersi  morbi 
differenti  le  svariate  manifestazioni  del  morbo  medesimo  : 
ovvero  de’  suoi  primordii , còme  di  cosa  vaga  e non  bene 
distinta,  non  è tenuto  il  debito  conto. 

§ 4.  Noi  però , non  tanto  in  forza  dei  numeri,  quanto  per 
gli  altri  esposti  argomenti , possiamo  affermare  : oggi  la  scro- 
fola e la  tubercolosi  dominare  come  malattie  popolari  (1)  ; ed 
altresì  essere  negli  uomini  massima  disposizione  ad  ammalare 
in  tale  guisa.  Le  quali  malattie , avend’  ora  P ampio  dominio 
che  già  ebbero  la  lebbra,  la  gotta , lo  scorbuto  ecc.  fanno  che 
le  altre  diminuiscano  di  frequenza  b vestano  insoliti  ca- 
ratteri. Siffatta  mutazione,  direbbesi  di  dinastia  patologica, 
non  fu  nè  violenta , nè  repentina  : a poco  a poco  i corpi 
s’  acconciarono  a soffrire  il  nuovo  dominio  ; e mentre  P un 
morbo  declinava  P altro  progrediva,  sicché  il  terreno  non 
fu  vinto  d’  un  tratto  ma  a palmo  a palmo  guadagnato.  Però 
di  cotali  fatti  come  assegnare  la  prima  origine?  Noi  non 
ce  ne  accorgiamo  allorché  stan  per  sorgere , sì  occultamente 
si  formano , ma  quando  son  già  cresciuti  e tanto , che  non  di 
pórvi  riparo , sibbene  di  piangere  solo  ci  resta  : e questi 
lamenti  si  fecero  sentire  nella  metà  circa  della  scorso  se- 
colo , quando  appunto  altra  malattia  scemava  ; e gli  uo- 
mini in  nuovi  governi , in  nuove  costumanze  ed  in  nuovo 


(1)  Questo  pure  dice  1’  Hecker  nella  Rede  zur  Feier  des  43  Stiftungstages 
des  Kgl.  med.  chir.  Friedrich  Wilhelm  Instiluts  Berlin  1837  8.°,  tradotta  in 
italiano  nel  * Memoriale  della  Medie,  eontemp.  Venezia  1838  Voi.  f, 


Alfonso  Corradi 


modo  di  vivere  erano  allevati.  Concludo  quindi  con  le  pa- 
role d’  esimio  medico , della  cui  amicizia  io  m’  onoro , 
del  Prof.  Luigi  Bosi  : « Per  le  malattie  tubercolari , sopra- 
tutto del  petto , hassi  la  maggiore  mortalità  : e non  in  Fer- 
rara soltanto  si  è verificata  questa  cagione  della  maggiore 
mortalità , ma  da  un  settant’  anni , sopra  vastissime  esten- 
sioni, come  ne  fanno  testimonianza  moltissime  Opere  Ita- 
liane, Francesi,  Inglesi  ed  Alemanne,  da  Salvadori  a Pa- 
rola, da  Bayle  a Laennec  a Lugol,  da  Ciarde  e Carswel 
a Philipps , da  Hufeland  a Giuseppe  Frank.  Di  sortechè  sta 
ora  mai  per  esser  conclusa  la  questione  del  deterioramento 
della  salute  in  alcune  località  dal  padre  al  figlio,  men- 
tre in  altre  scorgesi  cresciuta  la  vita  media  dell’  uomo. 
E fra  noi  certo  come  in  altre  città  e regioni,  tale  deterio- 
ramento è pur  troppo  maggiore  e progressivo.  I Medici  hanno 
frequente  opportunità  per  paragonare  lo  stato  di  salute , il 
grado  di  organica  resistenza,  la  vitalità  delle  ultime  gene- 
razioni colle  antecedenti  ; per  queste  non  valgono  i registri 
almeno  colle  formole  e colle  consuetudini  da  tempo  qui 
in  uso  (1)  ». 

Ed  eccomi  giunto  alla  seconda  Parte  del  mio  discorso,  dove 
debbo  cercare  quali  siano  le  cause  che  fanno  oggidì  più 
frequenti  le  malattie  scrofolotubercolari. 


(1)  Op.  t.  p.  666. 


Delle  affezioni  scrofolotubercolari 


PARTE  SECONDA 


§ 1 . La  tisi  è morbo  antichissimo , e di  lei  e della  scro- 
fola fanno  menzione  le  prime  memorie  della  Medicina.  Nel 
Codice  di  Manù  sono  notate  la  tisichezza  e le  glandole, 
come  malattie  che  dai  padri  alla  prole  trapassano  (1)  : Ip- 
pocrate  già  annunziava  a che  conduca  lo  sputo  di  sangue  (2)  ; 
e Plutarco  ricorda  che  ai  figli  dei  tabidi  prescrivevasi  di 
tenere  i piedi  nell*  acqua , mentre  il  cadavere  del  padre  ar- 
deva sul  rogo , onde  sfuggire  P eredità  della  tabe  (3)  ; e 
Ghoulant  ha  mostrato  che  il  toccare  che  facevano  i Re  d’ In- 
ghilterra e di  Francia  le  strume  onde  guarirle , era  antica 
usanza  de’  principi  di  Scandinavia , di  cui  serbasi  memoria 
fin  dal  principio  del  secolo  XI  (4).  Ma  se  in  ogni  tempo 
troviamo  descritta  la  tisi;  e se,  per  quanto  almeno  può 
giudicarsi  dalla  storia , ella  fu  sempre , segno  è che  mai  ne 
venne  meno  la  causa  : però  se  dessa  non  fu  mai  com’  oggi 
sì  frequente , non  dee  credersi  ciò  sia  per  continuata  tras- 


(1)  Al  L.  IH.  § 6 e 7 è detto  che  il  Devideja  volendosi  maritare  non  iscelga 
la  sua  sposa  in  famiglia  malsana,  come  dire  affetta  da  vizio  emorroidario , da 
tisichezza,  da  dispepsia,  da  lebbra  bianca,  da  elefantiasi  etc.  ancorché  questa 
famiglia  fosse  d’  alto  lignaggio  ed  estremamente  ricca.  * Pueeinotti , Storia  della 
Medicina  1.  44. 

(2) *  Aphor.  Sect.  VII.  15  e 16.  , - 

(3) *  Plutarchi , De  his  qui  sero  a Numine  puniuntur.  Venet.  1571  p.  22  col.  2. 

(4)  Op.  c. 


70 


Alfonso  Corradi 


missione  ereditaria,  o per  contagio.  E per  vero  1’  osser- 
vazione e F esperimento  tolgono  ogni  sospetto  di  contagio, 
di  virus  o miasma  scrofoloso  (1).  Niun  dubbio  che  la  scro- 
fola e la  tubercolosi  non  passino  dai  parenti  ne5  figliuoli  : 
però  F eredità  non  è unica  causa  di  questi  mali , i quali 
possano  eziandio  essere  acquisiti;  ed  il  Lugol  negandolo, 
s5  oppose  a ciò  che  i fatti  indubbiamente  affermano  (2).  Con 
la  sola  eredità  non  ispiegasi  perchè  oggi  soltanto  quelle 
vecchie  malattie  siano  divenute  tanto  frequenti  : d’  altra 
parte  le  generazioni  in  tanti  secoli  dovrebbero  essere  già 
spente  o tutte  guaste.  Nè  si  dica , che  i frequenti  mescola- 
menti  con  genti  diverse  hanno  ciò  impedito  ; avvegnacchè  la 
diversità  di  razza , come  superiormente  venne  mostrato , non 
preserva  dal  male.  Inoltre  se  la  sola  trasmissione  per  ere- 
dità fosse  causa  dell5  indicata  frequenza , non  potremmo 
darci  ragione  della  rapida  diffusione  della  scrofola  e della 
tisi  presso  alcuni  popoli  nel  giro  di  pochi  anni  ; mentre 
da  noi  non  giunsero  a tanto  che  dopo  lunghissimo  tempo. 
Forza  è adunque  ammettere  che  per  altra  causa  tali  malat- 
tie sian  ora  tanto  comuni  : e se  questa  causa  era  anche 
per  lo  addietro , essa  allora  non  offendeva  che  pochi  o pa- 
recchi individui,  ed  appariva  sporadica , mentr5  adesso  do- 
mina su5  popoli  ed  è epidemica.  Imperocché  non  vi  sono 
soltanto  epidemie  acute  ; ma  taluna  malattia , benché  lenta 
o cronica,  può  al  pari  di  quelle  apparire  popolare  ; e la  sto- 
ria insegna  che  ne5  diversi  tempi  regnarono  fra  i popoli 
diverse  di  codeste  malattie.  Delle  quali  però  la  durata  mai 
non  è breve,  siccome  quella  che  più  spesso  per  lustri  e 
secoli , che  per  mesi  va  computata. 


(1)  Philipps , Op.  c.  144.  — V.  più  sopra  Parte  I.  § 3. 

Nulladimeno  il  vivere  intimamente  co’  tisici  può  riescire  dannoso,  perchè 

eglino  sono  malati,  ed  il  contatto  dei  malsani  torna  sempre  funesto  V.  * Del 
Chiappa , Discorso  sulla  comunicazione  vitale  che  ha  luogo  per  il  contatto  fra 
due  individui  (Brugnatelli , Giorn.  dì  Fis.  e Chim.  Pavia  1813  VI  181-200), 
ed  il  curioso  opuscolo  « * Della  salutare  ispirazione.  Ragionamento  filosofico 
critico  sulla  trasfusione  degli  aliti  umani  per  soccorso  della  salute.  Nizza  (Na- 
/L*L8*8  .8'°  * fecondo  il  Melzi  Gaetano  Ancora  è l’autore  di  questo  libercolo. 

(2)  Philipps , Op.  c.  101.  * Lehert , Traité  prat.  des  malad.  scroful.  et 
luoercul.  Paris  1849  p.  68.  Secondo  Bufalini  per  eredità  si  trasmette  la  diatesi 
albuminosa  fonte  della  scrofola , ma  non  le  malattie  scrofolose  propriamente  dette 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari  71 

Occorre  quindi  indagare  donde  proceda  tal  fatto;  donde 
venga  cioè  che  le  malattie  scrofolotubercolari  da  sporadiche 
siansi  mutate  in  popolari  od  epidemiche.  La  quale  ricerca 
non  include  la  determinazione  della  natura  propria  della 
tubercolosi  ; ma  soltanto  delle  condizioni  opportune  alla  loro 
origine  e maggior  diffusione.  Se  queste  stiano  nel  clima  o 
nella  natura  del  suolo , ovvero  in  particolari  usanze , e nel 
comuh  modo  di  vivere,  a parte  a parte  vediamo. 

§ 2.  Onde  potere  ragionevolmente  incolpare  il  clima  od 
il  terreno  della  maggior  frequenza  della  tubercolosi , fareb- 
be mestieri  addurre  di  loro  tali  mutamenti  che,  almeno 
rispetto  al  tempo  ed  all9  estensione,  fossero  con  quel  fatto 
concordi.  Ma  le  parziali  mutazioni  che  potessero  essere  av- 
venute nelle  meteore  o nel  suolo  ( e che  ne  siano  avvenute 
non  negasi  ) , come  varrebbero  a dar  ragione  del , quasi 
per  ogni  dove  , incremento  della  scrofola  e della  tubercolosi  ? 
Ed  invero  elleno  trovansi  in  Isvezia , in  Russia  e nella  Si- 
beria , siccome  in  Italia , in  Ispagna , in  Abissinia , e nelle 
Indie , che  è quanto  dire  in  regioni  fredde  temperate  e cal- 
de : e se  sotto  i tropici  ed  il  polo  sono  meno  frequenti , e 
mancan  eziandio  ; quest’  è effetto  non  tanto  del  clima , 
quanto  d’  altre  cagioni  di  cui  in  seguito  sarà  detto  (1).  « Con- 
siderando, scrive  Giuseppe  Frank,  che  la  tisi  scrofolosa 
domina  quasi  con  egual  forza  a Napoli,  a Vienna,  a Pari- 
gi , a Londra  ed  a Pietroburgo , e che  nelle  provincie  d’ Ita- 
lia , di  Germania , della  Francia , dell’  Inghilterra  e della 
Russia  è molto  più  rara  ; mi  è giuoco  forza  conchiudere  che 
il  clima  nella  genesi  di  questa  malattia  ha  una  parte  molto 
minore  di  quella  di  altre  circostanze  particolari  alle  grandi 
città  (2)  ».  Nelle  pianure  lombarde , nelle  tedesche  e nel- 
P Olanda;  egualmente  che  negli  altopiani  della  Castiglia , 
sui  gioghi  delle  Alpi , sulle  Ande  del  Perù  e nelle  gole  del- 
V Himalaya  diffusa  è la  scrofola  e la  tubercolosi  (3).  Affermò 


72 


Alfonso  Corradi 


r Escherich  la  scrofola  non  propagarsi  che  nei  terreni  di 
vecchia  formazione , i terziarii  ed  i più  recenti  andandone 
immuni  (1)  : ma  come  sostener  questo  , se  nei  terreni  d’ al- 
luvione , nei  vulcanici,  nei  granitici,  nei  calcari  ecc.  en- 
demica ci  si  offre  la  scrofolosi?  (2).  Egualménte  P umidità 
del  suolo  non  può  per  sè  sola  esser  causa  di  tisi , se  per 
essa  si  muore , nè  in  poco  numero , nei  luoghi  più  asciutti 
ed  aprichi  : i poggi  ed  i colli  pisani , celebrati , dal  Savi 
per  aria  salubre,  son  pieni  di  scrofolosi,  e la  scrofola  si- 
gnoreggia sulle  aride  spiaggie  del  mar  ligustico  (3).  Si  cre- 
dette ancora  che  la  temperatura  presso  che  sempre  uguale 
premunisse  dai  tubercoli , ma  fu  > errore  ; ed  il  Louis  lo 
ha  mostrato  coll’  esempio  delle  truppe  inglesi , che  tante  ne 
periscono  per  tisi  alle  Bermudi  nell’  Oceano  atlantico,  dove 
P aria  è costantemente  tepida , quanto  al  Ganadà  clima  fred- 
dissimo ed  oltremodo  variabile  (4). 

Alla  qualità  calcare  delle  acque  potabili  furono  eziandio  at- 
tribuite la  scrofola  e la  tubercolosi.  Al  Puccinotti  piacque  as- 
sai quest’  opinione , e nel  difenderla  mostrò  il  consueto  inge- 
gno : nulladimeno  sovr1 2 3 4 5  ogni  terreno  scrofola , e tubercolosi 
s’ annidano  e si  mantengono.  L’  illustre  patologo  poi  accorta- 
mente  vedeva  come  tai  morbi  s’  attengono  allo  stato  di  ci- 
viltà de’  popoli,  di  guisa  che,  conforme  la  cura  che  questi 
avevano  delle  acque  e degli  acquedotti , queglino  o cresce- 
vano o diminuivano  (5).  Dunque  non  nell’  aria , nel  suolo 
e nelle  acque  sta  la  causa  del  predominio  della  scrofola  e 
della  tubercolosi  : ed  a tale  conclusione  potevamo  pur  giun- 
gere direttamente  riflettendo  che  in  alcuni  luoghi  dove  non 
erano , penetrarono  queste  malattie  ; e che  oggi  , quasi  ovun- 
que , son  più  frequenti  che  per  lo  passato  : le  quali  cose 


(1)  AHgem.  Zeit.  ftìr  Chir.  und  Heilk.  1843  N.  30  e seg. 

(2)  Hirsch,  Op.  c.  505. 

(3) *  Speranza j Sull’  eziologia  e cura  della  scrofola  (Ann.  uni?,  di  Medie. 
CLV  491  ) * Lugoly  Kech.  et  observ.  sur  les  causes  des  malad.  scroful.  Paris 
1844  p.  298-300. 

(4)  Louis  ? Kech.  sor  la  phthisie.  II  Ed.  Paris  1843  p.  592. 

(6)*  Della  Rachtide  e della  Scrofola  Lez.  Vili. 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari  73 

come  sarebbero  avvenute  se  il  cielo  ed  il  suolo  non  si  sono 
mutati , nè  il  potrebbero  così  durevolmente  e tanto , quanto 
que’  diversi  fatti  richiedono  ? Come  Almenar  nel  cinquecen- 
to (1),  incolperemo  forse  1’  aria,  se  Tahiti  tanto  si  dolse  per  la 
sifilide , ignota  prima  che  vi  giungessero  straniere  navi  (2)  ? 
Ma  dai  viaggiatori  sappiamo  le  malattie  scrofolose  non  aver 
allignato  nell’  Australia,  che  quando  gl’  indigeni  col  com- 
mercio degli  Europei  mutaron  foggia  di  vivere  (3)  : in  Al- 
geri la  tisi  va  progredendo  fra  gli  Arabi  e gl’  Israeliti , fra 
i Turchi  ed  i Negri  (il  che  mostra  nuovamente  come  la 
diversità  di  razza  non  preservi  dal  male  ) , a mano  a mano  che 
i precetti  della  Bibbia  o le  leggi  del  Corano , tanto  acconcie  a 
quelle  genti  e a que’  paesi , sono  dimenticate , per  godere 
di  civiltà  che  non  può  esser  intieramente  la  loro  (4).  E pu- 
re, dirà  taluno,  Celso  mandava  i tisici  a respirare  aere  mi- 
gliore in  Alessandria , nè  quello  si  è mutato  ed  è sempre 
benefico.  Ma  il  clima , rispondo , non  ha  virtù  di  pre- 
servare dalla  tisi , se , coms  esso  esige , non  vi  si  viva  : 
in  cielo  sereno , in  aria  pura , in  colli  ameni , in  tepida 
stagione  sarà  la  consunzione  più  mite  che  in  plaga  nebbiosa, 
in  umida  valle,  in  gelido  sito;  nondimeno  può  essere  an- 
cora il  contrario , quando  i buoni  effetti  del  clima  vengon 
contrastati  o tolti  da  una  maniera  di  vita  poco  o punto  a 
quello  conveniente  (5). 

§ 3.  Anche  il  Bosi , studiando  V eziologia  di  questo  ma- 
lore, la  cercava  altrove  che  nel  clima:  c<  le  modificazioni,  ei 


(1)  11  medico  Spaglinolo  Almenar  spiegava  per  mezzo  detla  corruzione  dd- 
P aria , la  formazione  della  sifilide  negli  ecclesiastici  ( * De  morbo  gallico.  In  : 
Luisini , Collectio  1.  361). 

(2)  Forster , Observ.  faites  pendant  le  second  Voyage  de  M.  Cook  dans  PEmi- 
sphère  austral.  Paris  1778,  V 403. 

(3)  Strzelecki , Physic.  descript,  of.  New-South-Wales  and  Van  Diemens 
Land.  London  1844.  — Power,  Sketches  of  New-Zealand.  London  1844.  — 
Thomson,  On  thè  peculiarities  of  thè  New-Zealanders  (Brit.  and  foreign  med. 
chir.  Review.  1854  and  1855). 

(4) *  Pietra  Santa,  lnfluence  dii  Cliraat  d’ Alger  sur  la  Phthisie  (Gaz.  med. 
de  Paris  1860  p.  584). 

(5)  É stato  osservato  dall’  Haller  che  quando  molto  freddo  è P inverno , mag- 
gior numero  di  tisici  muore  in  quelP  anno  ; ed  il  contrario  se  tale  stagione  sia 

t.  i.  10 


74 


Alfonso  Corradi 


dice,  impresse  sul  corpo  umano,  per  cui  questo  rimane  at- 
teggiato alle  diatesi  che  sono  il  fondamento  della  rachitide , 
della  scrofola  e della  tubercolosi , debbono  essere  generate 
da  cause , che  hanno  una  diretta  connessione  o coi  primi 
momenti  dell’  essere  nostro  vitale , o colle  azioni  principali 
della  vita  automatica , debbono  essere  generate  da  cause , 
che  hanno  tanto  potere  o da  rendere  trasmissibili  le  dia- 
tesi stesse , o da  ledere  immediatamente  e durevolmente  i 
processi  dell* 1 2 * * 5  organica  assimilazione  (1)  ».  L5  esimio  clinico 
ha  ottimamente  circoscritto  il  campo  delle  nostre  indagini  ; 
non  potendo  un  morbo , il  più  delle  volte  gentilizio  ed 
atto  a formare  cachessia,  esser  prodotto  che  da  cause  le 
quali  durevolmente  e gravemente  offendano  i processi  assi- 
milativi. La  qual5  etiologia  è ammessa  eziandio  da  coloro 
che , niegando  le  malattie  umorali  e le  primitive  discrasie , 
fanno  la  scrofola  e la  tubercolosi  morbi  locali,  e derivano 
il  tubercolo  non  da  un  deposito  o da  un  trasudamento , ma 
dall5  esuberante  ed  imperfetta  produzione  delle  cellule  (2). 
« Essi  sono  i cibi  malsani  insufficienti  od  esclusivamente 
vegetabili , che  o non  somministrando  elementi  in  copia  o 
disordinando  a principio  le  funzioni  dell5  apparato  chilo- 
pojetico , hanno  per  legittima  conseguenza  la  preparazione 
di  un  materiale  nutritivo  incongruo , fonte  d5  irritazione 

del  sistema  glandulare  ; ella  è l5  aria  umida  e fredda 

e cioè  sono  sempre  cause  le  quali  hanno  primitivamente 


relativamente  mite:  così  nel  rigidissimo  1847  morirono  1316  tubercolosi,,  e nel 
presso  che  tepido  1849  soltanto  665.  Nulladimeno  merita  d'  essere  notato  che 
il  tempo  in  cui  maggiormente  vengon  meno  i tisici , non  è V inverno , bensì 
la  primavera;  e che  V autunno  è assai  loro  propizio.  (Op.  c.  14).  Lo  stesso 
afferma  Bruckner  ne'  suoi  <?  Materialien  zu  einer  statistisch  begrundenten  Pro- 
gnose  der  Lebensdauer  bei  Habitus  apopleticus  und  phthisicus.  In  : Monatsblatt  f. 
med.  Statisi,  u.  offentl.  Gesundheitspflege  1860  N.  3 ».  A.  Venezia  invece  non 
tanto  la  primavera  quanto  P inverno  a questi  malati  è nemicisimo. 

(1)  Op.  c.  p.  359. 

(2) *  Virchow , Die  Cellularpathologie  Berlin  1859  p.  427  (2a.  ediz).  — Schrò- 

der  Fan  der  Kolk,  Over  den  oorsproong  von  tubereula  pulmonum  ( ISederL  . 

Lancet  1852  ).  — Smith,  Lectures  on  certaìns  views  on  thè  nature  and  treatment 

of  phthisis  (Brit.  med.  Journ.  1867)  etc. 


75 


Delle  affezioni  Scrofolotubekcolari 

alterate  le  attitudini  fisiologiche  degli  organi  solidi,  quelle 
che  conseguentemente  indussero  la  manifesta  discrasia  san- 
guigna (1)  ».  Ma  poiché  le  diverse  dottrine  sulla  natura 
e sede  primitiva  della  scrofola  e della  tubercolosi  sono 
concordi  nell’  assegnarne  le  cause,  esamini  altri  quale  di 
quelle  dottrine  sia  la  vera  : imperocché  noi  non  potremmo 
rivolgere  le  nostre  considerazioni  oltre  P etiologia , senza 
soverchiamente  allontanare  lo  scopo  del  presente  lavoro. 

Però  siffatta  causa  ond’  essere  adeguata  all*  effetto , oltre 
aver  forza  di  mutare  P intima  costituzione  de’  corpi , dee 
aver  operato , nel  tempo  che  il  male  apparve  maggiore.  Di 
più  niun  ordine  di  gente  e niun  paese  a questo  sottraen- 
dosi , quella  non  può  esser  propria  di  un  luogo,  ma  deve 
comprendere  intere  regioni , abbracciare  P intero  popolo. 
Poste  tali  avvertenze  il  cerchio  de’  nostri  studii  vieppiù  va 
restringendosi  ; nulladimeno  gravi  difficoltà  ancora  riman- 
gono a superare  : e queste  tenterò  d’  appianare , osservando 
se  i costumi  e le  condizioni  del  popolo , ovvero  il  suo  modo 
di  vivere  cambiarono  ; e se  in  questo  mutamento  si  celi  la 
ragione  dell’  odierno  aumento  delle  affezioni  scrofolotuber- 
colari  ; ragione  indarno  altrove  cercata. 

§ 4 . Fuvvi  taluno , ed  in  quest’  Accademia  ancora , che 
di  quell’  aumento  incolpò  la  corruzione  de’  costumi  e la 
propagazione  della  sifilide  (2)  : P Alibert  ne  formava  ezian- 
dio la  genealogia  (3),  non  riflettendo  che  i figli  di  padre 
guasto  dalla  sifilide , come  possono  soggiacere  alla  scrofola , 
possono  altresì  scansarla  (4)  ; che  i rimedii  tanto  efficaci 
contro  quella  , a nulla  valgono  e sono  dannosi  in  questa  , 


(Ì)  Ann.  imiv.  di  Medie.  CLXXIV  150. 

(2)  II  Prof.  Canora  — ■ Boerhaave  inclinava  a considerare  cause  delle  rachitide 
la  malattia  venerea  (*Aphor.  de  cognosc.  et  curand.  morbis  § 1482):  ma  il 
dotto  suo  Commentatore  ben’  avverte  che  i morbi  impuri  ed  i profluvii  seminali 
possono  così  infiacchire  i corpi  « ut  effoetam  ferme  genituram  impendant  miseris 
procreandis  liberi» ...  sed  nullo  modo  certum  est , quod  et  inde  pendeat  origo 
rachitidis  ». 

(3)  Monogr.  des  dermatoses  p.  615. 

(4) *  Baudelocque,  Études  sur  les  causes  de  la  malad.  scrophul.  Paris  1834  p.  51. 


76 


Alfonso  Corradi 


talmente  che  Cullerier  ebbe  a dire  che  la  complicazione 
della  sifilide  con  la  scrofola  riesciva  funesta  anche  perciò 
che  F una  si  giova  del  mercurio , e l* 2 3 4 5 6  altra  il5  ha  danno. 
Inoltre  v5  hanno  luoghi  in  cui  rare  sono  le  affezioni  vene- 
ree , frequenti  invece  le  scrofolose  (1)  ; e se  Moris , Wilson 
e Petit  ascrivono  alla  diffusione  della  sifilide  F aumento 
della  scrofola  in  Sardegna  (2) , in  Otahiti  (3) , in  Abissi- 
nia  (4-)  ; non  calcolarono  questi  autori  che  quando  la  sifi- 
lide entrò  fra  que5  popoli  o quando  vi  si  rese  più  comune , 
non  entrò  sola , ma  accompagnata  da  nuovi  costumi  > da  un 
modo  di  vivere  presso  che  interamente  nuovo.  E poi  gli 
avi  nostri  furono  sì  illibati?  Taccio  de5  Greci  e de5  Romani 
che  offrivano  incenso  alla  prostituzione  (5)  : guardiamo  a 
tempi  meno  remoti  : la  depravazione  non  era  somma  nel 
medio  evo , non  giunse  al  colmo  nel  cinquecento  ? Scrittori 
e documenti  d5  ogni  guisa  ne  danno  prova  : F impudicizia 
andava  a fronte  alta  (6),  e ne5  luoghi  più  sacri  poneva 


fi)  Kortum.  Comment.  de  vitio  scrophul.  I 193.  — Lebert  , Op.  c.  88. 

(2)  V.  Lamarmora.  Voyage  en  Sardaigne. 

(3)  Edimb.  med.  and  surg.  Jcurn.  II  285. 

(4)  Lefebure , Petit  et  Dillon , Voy.  en  Àbyssinie  Paris  1845. 

(6)  Della  prostituzione  è fatta  menzione  ancora  nel  libro  della  * Genesi 
(C  XXXVIII),  nel  * Deuteronomio  (C.  XXIII  18)ecc.  Su  quest’argomento 
leggasi  1’  eruditissimo  lavoro  di  Giulio  Rosenbaum  « * Geschichte  der  Lustseu- 
che  I Theil  : Die  Lustseuche  in  Alterthume.  Halle  1839.  8.°  ». 

(6)  Giacomo  Vitriaco  fa  di  Parigi  tale  pittura  che  ad  altre  città  assai  bene 
attagliatasi.  « Simplieem  fornicationem  nullum  peccatum  (i  Parigini ) reputabant. 
Meretrices  publicae  ubique  per  vicos  et  plateas  civitatis  passim  ad  lupanaria  sua  cle- 
ricos  transeuntes  quasi  per  violen tiara  pertrahebant.  Quod  si  forte  ingredi  recusa- 
rent,  confeslim  eos  sodomitas  post  ipsos  conclamantes  dicebant.  Hlud  enira  foedum 
et  abominabile  vitium  adeo  civitatem,  quasi  lepra  incurabilis  et  venenum  insa- 
nabile, occupaverat,  quod  honorificum  reputabant , si  quis  publice  teneret  unam 
vel  phires  coucubinas.  In  una  autem  et  eadem  domo  scholae  erant  superius, 
prostibula  inferius  (*  Hist.  occident.  Cap.  VII).  V.  ancora  * Aìvari  Pelagii , 
De  planctu  Ecclesiae  L.  II  XXVII.  64  v.  Venet.  1660.  Quanto  poi  quell'  ab- 
bominevole  vizio  fosse  comune  anche  fra  noi,  l’attesta  Marino  Sanato  nella 
sua  * Cronaca  Veneta  (Muratori  R.  I.  S.  XXIV  12):  ci  dice  che  la  Francia 
vi  s' intrigasse  di  poi  che  ’I  Re  Carlo  mise  il  piede  in  Italia  ; ma  le  riferite 
parole  del  Vitriaco  indubbiamente  provano  come  colà  fosse  antica  la  brutta  col- 
pa. Dante  mettea  in  compagnia  di  Brunetto  Latini , cherci  e letterati  grandi , 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari 


77 


stanza  (1);  le  meretrici  riboccavano  (2)  ; in  Roma  aveano  cor- 
teo {3)  ; Venezia  ne  contava  più  che  undici  mila  (4)  ; Lucca 


e di  gran  fama,  (^Inferno  C.  XV  v.  106  e 107);  e Virgilio  diceva  che  a lui , 
Dante , se  il  fuoco  non  1'  avesse  impedito , stava  andar  incontro  ai  pazienti , ed 
esser  loro  cortese  ; tanto  queglino  erano  personaggi  ragguardevoli  ( Inf.  C.  XVI 
v.  13  e 16).  Che  poi  siffatto  peccato  regnasse  veramente  in  Firenze  potrebbero 
farne  fede  le  curiose  parole  d*  un  nostro  Cronista  : « dictum  fuit  communiter 
per  omnes,  quod  hoc  (cioè  l’allagamento  di  Firenze,  per  la  piena  dell’ Arno 
nel  1333)  fuit  judicium  Dei  propter  magna  peccata  Florentinorum,  et  maxi- 
me propler  horrendum  et  ineffabile  peccatimi  sodomiticum , quod  fortiter  regnat 
in  eis  (*de  Griffonibus  Matthaei , Memor.  hist.  Rer.  bononiens.  In:  Muratori 
Rer.  it.  Scr.  XVIII  160).  # , . 

(1) *  Carpzoviij  Pract.  Crimin.  P.  II.  Quaest.  LXX  n.  6jjb  10  4anp- 
pae  Henr.  Corri.,  De  inceri,  et  vanit.  scientiar.  Hagan.  »3l  C.  LXIll. 

* Rock,  Observ.  sur  P origine  de  la  maladie  vénérienne  ( Mem.  de  1 Institut 
uation.  Scien.  mor.  et  polit.  An.  XI,  IV  324).  Ma  più  che  altre  son  gravi 

queste  parole Mareschallus  Domini  Papae  tributum  capiebat  a meretncibus 

et  lenonibus  earumdem.  Quod  emendari  in  Concilio  Viennensi  petebat  Guillelmus 
Durandi,  cujus  haec  sunt  verba  ex  tractatu  de  modo  celebrandi  Concila  gene- 
rali parte  2 tit.  1 0.  « Et  insuper  quod  prostibula  publica  non  teneantur  pro- 
pe  Ecclesias,  in  Romana  curia  prope  palatium  Domini  Papae,  et  nec  alibi 
prope  domos  Praelatorum.  Et  ne  Mareschallus  Domini  Papae , et  consimiles  alr- 
quid  recipiant  a meretricibus  et  lenonibus  earumdem  ».  (*  Baluzius,  Vitae  raparu 
Avenon.  Paris  1693  I.  810).  • 

(2)  A me  non  dà  il  cuore  di  registrare  le  moderne  p^. . * Perc“e 

^^en^Lndo , Sette  libri  de’ Cataloghi.  Vinegia  1562.  p.  23  e 43). 

(3)  Se  quanto  dice  1’  Infessura  nel  suo  Diano  può  sembrare  sospetto , come 
d’  uomo  non  veritiero  e parziale  (*  Eccardi , Corpus  Hist.  med.  aevi  II  1997); 
non  potrà  dirsi  Io  stesso  della  seguente  testimonianza  : In  hac  etiam  urbe  ( Ro- 
ma) meretrices  ut  matronae,  incedunt  per  urbem,  seu  mula  vehunlur:  quas 
assectantur  de  media  die  nobiles  familiares  Cardinalium  cleneique  ( * Consil.  de- 
lect.  Cardinal,  de  emend.  Ecclesia.  In:  Crabbe , Concil.  omn.  Colon.  Agnp. 

1SL’ austero8  Pio  V avendo  voluto  bandire  da  Roma  le  meretrici , tutta  la  città 
fu  in  subuglio  : il  Papa  dovette  cedere  a tanta  pressura  e stabilire  luoghi  ap- 
positi per  quelle  peccatrici;  giacché,  come  scrive  l’Ambasciatore  veneto  liepolo 
(Dispaccio  dei  9 Nov.  1566  ),  se  tutte  fossero  state  espulse,  partite  sarebbero 
da  quella  città  più  di  ventimila  persone ; e ì pubblicani  « erano 'fai  j inten- 
dere4 che  sarebbe  tornata  loro  una  perdita  nei  dazn  di  venti  mila  Anali, , di  cui 
avrebbero  preteso  essere  redintegrati  (*  Mulinelli,  Stona  arcana  e aneddotica 

d (4 f*  Filini]  Mem.  storiche  III , 263  — * garzoni,  ^ !“w 

Venezia  1585  , p.  609.  — * Montaigne , Jonrn.  du  Voyage.  Rome  1774 , II,  9. 


78 


Alfonso  Corradi 


le  favoriva  (1)  : e P Aretino  poteva  pretendere  ai  maggiori 
onori.  Le  lettere , le  arti  abbellivano  le  oscenità;  e le  vi- 
vande apparivano  sulla  mensa  nelle  foggio  più  turpi  (2). 
Le  leggi  (3) , e la  stessa  nostra  scienza  si  facevano  com- 
plici del  mal  costume  (4):  le  teoriche  de1 2 3 * 5 6 * * 9  medici  arabi, 
che  molti  mali  dalla  ritenzione  dello  sperma  derivavano , la 
libidine  scusavano  o rendevano  onesta  (5)  ; ed  insieme  in- 
stituivano  una  maniera  di  cura  che  a que’  tempi  soltanto 
parve  non  sozza  (6).  Berengario  da  Carpi,  Nicolò  Massa,  e 
Capivaccio  pingui  guadagni  facevano  curando  impuri  ma- 
lori (6).  Il  Vescovo  Torrella  pubblicava  in  Roma  consigli 


(1) *  Cantù,  Otaria  degl’  Italiani , V.  520. 

(2) *  Campegiu^  De  re  cibaria.  Liigd.  1560.  L.  Vili  C.  VII  402.  — Que- 
sto ci  rammenta  i MvAAo/ che  i Siracusani  facevano  col  sesamo  e col  miele 
nella  festa  delle  Tesmofori  (*  Athenaei , Deipnosoph.  L.  XIV  C.  14,  647). 

(25.)  Leggasi  in  Paolo  Diacono  come  veniva  punita  1’  adultera  ( * Hist.  mi- 
sceli. L.  XIII  Cap.  2 ) , in  Guido  da  Cauliaco  come  giudicavasi  dell'  impoten- 
za virile  ( * Chirur.  magna  Traci.  VI  De  passionibus  virgae  ) , e nelle  * Leges 
Wcdlicae  ( p.  85  ) il  giuramento  a cui  la  donna , che  querelavasi  per  violen- 
za fattale,  era  obbligata  a prestare. 

(3) *  Savonarolae,  Praet.  major.  Traci.  VI.  C.  XX  Rub.  34  — * Valesti 
de  Tharanta,  Pract.  Lugd.  1500.  L.  VII  C.  7 cclxvii  b.  — * Montagnanae 
Barthol , Pro  ili.  et  rever.  Episcopo  et  Ungariae  Vicerege  de  Morbo  gallico 
Consilium  (Luisini,  Collectio  lì  693).  A Papa  Bonifazio  IX  i medici  prescri- 

fice  santamente  sprezzato,  eleggendo  piuttosto  pudice  mori  di  quello  che  m- 
pudice  vivere  (*  5.  Antonini,  Historiar.  P.  III.  Tit.  XXII.  C.  Ili  § 3).  Que- 
sta maniera  di  cura  non  era  allora  infrequente  : veniva  anche  proposta  nella 
dissenteria  inveterata  ( Triller , Progr.  de  sordidis  et  lascivis  remediis  antidy- 
sentericis  vitandis.  — * Amatus  Lusitanus , Cent.  II.  Cur.  47). 

{4)  Retentio  spermatis  in  muliere  saevioria  induit  accidentia,  ut  suffocatio- 
nem et  ideo  spermatica  materia  superaddita  corrumpitur  et  in  naturam  ve- 

neri transit  (Savonarola,  Op.  c.  Traci.  VI.  C.  XX  Rubr.  34). 

(5) *  Arnaldi  Villanovani , Breviar.  L.  III.  C.  IX  Op.  omn.  Basii.  1585  — 
Savonarola,  Op.  c.  Traci.  VI  C.  XXI  Rub.  21. 

(6) *  Luisini , Collectio.  Epist.  nuncup.  — « Nec  vos  laborum  ac  diligentiae 
poeniteat,  in  malo  hoc  frequenti  et  peraeque  lucrosissimo:  dixerim  quippe  citra 
jactantiam , me  a galiicae  luis  curatione  ultra  octodecim  millia  coronatorum  lu- 

cralura  esse  ( * Capivacae , Med.  pract.  L.  V.  C.  XII  De  Lue  venerea  ) ».  Di 
Berengario  da  Carpi  e delle  sue  cure  in  Roma,  parla  Benvenuto  Cellini  nella 

Vita  propria  (Ediz.  de' Classici  di  Milano  II  37):  e quella  era  città  da  fare 
buoni  guadagni,  giacché  sul  finire  del  secolo  XVI,  là  non  era  altra  pratica 

più  frequente  in  chirurgia  « che  la  molta  copia  di  persone,  quali  attaccano 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari 


79 


contro  la  Pudendagra  (1)  ; il  medico  Seitz  ad  una  badessa 
dedicava  il  modo  di  guarire  il  mal  franzese  (2)  ; e nel  Pa- 
lazzo del  Cardinale  Wolsey  v*  era  anche  la  Domus  meretri - 
cum  (3).  Il  Tomitano  non  chiama  il  mal  venereo  francese, 
spagnuolo  od  italiano , ma  infezione  comune , perchè  jam 
orbem  totum  pervagarit , e metà  degli  uomini  n’  erano  in- 
fermi (4).  Titolo  di  nobiltà  era  P averne  più  volte  pati- 
to (5)  ; e per  coprire  la  vergognosa  alopecia  le  parrucche 
ed  il  mento  sbarbato  venner  di  moda  (6).  In  que*  secoli  vi- 
dersi  i martiri  d’  amore  (7)  ; Bernabò  Visconti  trasportava 
in  Milano  gli  harem  de’  desposti  d’  Oriente  (8)  ; ed  in  Roma, 
plaudente  Leone  X,  la  Calandra  rappresentavasi  (9).  E poi- 
ché i vizii  e le  virtù  private  de’  principi  presto  si  muta- 
no in  vizii  e virtù  pubbliche , la  corruzione  fu  generale. 


-T 


tardi  ; e questo  avviene  principalmente  per  il  contagio  lussurioso  quale  si  fa  con 
meretrici , delle  quali  in  Roma  è grandissima  copia  » ( Tagliaferri  Pompilio , Trat- 
tato chirurgico  del  Tarolo.  MSS.  cartaceo  in  A.°  di  carte  233  che  conservasi 
nella  Biblioteca  di  Parma.  V.  * Pezzana , Aggiunte  all’ Affò  VI.  P.  li  691). 
Le  non  migliori  condizioni  di  Napoli  sono  ricordate  da  Marc’  Aurelio  Seve- 
rino nel  suo  libro:  * De  recondita  abscessuum  natura  (Francof.  1643  p.  396). 

(1)  Tract.  cum  consiliis  contra  pudendagram  seu  morbum  gailicum.  Ro- 
mae  1497  4.° 

(2) *  Haeser , Gesch.  der  epidem.  Krankh.  Jena  1869,  p.  214. 

Stuart , Tableau  des  progrès  de  la  Societé  en  Europe.  Paris  1789  II  192. 

stato  però  detto  che  anticamente  la  parola  meretrices  suonasse  Io  stesso 
che  lotrices  ; sicché  quel  Domus  merelricum  sarebbe  stata  P officina  delle  lavan- 
daie del  Cardinale  Ministro;  il  quale  però  fu  dai  Lordi  accusato  d'aver  par- 
lato alP  orecchio  del  Re,  bench’  ei  sapesse  d’  essere  infetto  di  lue  celtica  (*  Nu- 
me, Histor.  of.  England.  Basii.  1789,  V.  406). 

(4)  Luisini,  Op.  c.  II  1023,  I 140.  . 

(6)  Ibid.  II  1108  — Chi  degli  studenti  di  Padova  voleva  serbarsi  casto 
era  dai  compagni  beffato , e dichiarato  indegno  d’  essere  tra  loro  annoverato 
(*  Tomitanus,  De  morbo  gallico.  In:  Luisini  Coll.  Il  1026). 

(6)  Haeser,  Op.  c. 

(7) *  Anquetil,  Hist.  de  France.  Paris  1817,  III  406.  An.  1320. 

(8)  Hebb’  egli  (Bernabò  Visconti)  trentasei  figliuoli  vivi  lutti  in  un  tempo, 

e diciotto  femine  gravide  ad  un  tratto,  fra  li  quali  figliuoli  h ebbe  da  Regina 
sua  moglie  cinque  figliuoli  maschi  e dieci  femine  (*  Morigia , Nobiltà  di 
Milano  1693,  L.  VI  304).  , ..  , 

(9)  Qual  fosse  la  condizione  del  teatro  d’  allora  assai  bene  lo  dice  il  biral- 
di  (*  De  Poetar.  Hist.  Diai . VIIL  Op.  omo.  Basii.  1680  lì  318). 


Alfonso  Corradi 


Disse  taluno , che  Enrico  IV  di  Francia  eroe  sarebbe  sta- 
to, se  eunuco  (1)  : ma  noi  per  avere  grandi  uomini , non 
vediamo  il  bisogno  di  far  capponi  (2).  La  libidine  poi  per 
isfogarsi  non  ha  d’  uopo  del  boudoir  o delle  civili  raffina- 
tezze (3)  : la  vovooq  SyAeia  i barbari  Sciti  colpiva  (4).  Che 
più?  Il  Dott.  Nefìtel  dimorando  nelle  steppe  trovava  fre- 
quentissime le  affezioni  sifilitiche  fra  i Kirghisi  ; ignote 
malattie  invece  la  scrofola,  la  tubercolosi  e la  rachitide  (5). 
I Nipoti  adunque  non  sono  peggiori  degli  Avi  ; e se  non 
migliore , neppure  più  laido  divenne  il  costume  nostro.  Ed 
a chi  pur  sostener  volesse  che  nói  soffriamo  per  li  peccati 
de1 2 3 4 5 6  padri  nostri , chieder  potremmo  perchè  sì  tardi  giunse 
il  castigo , e perchè  soltanto  sopra  di  noi  s’  accumularono 
i funesti  effetti  de’  vizii  di  quasi  quattro  secoli , volendo 
pure  accordare  a que’  mali  la  più  recente  origine?  Pochi 
anni  bastarono  acciochè  la  scrofola  e la  tubercolosi  s*  al- 
largassero in  luoghi  dove  nè  esse  nè  la  sifìlide  erano  note, 
e senza  che  corrotta  civiltà  i corpi  avesse  indebolito. 

Noi  portiamo , è vero , la  pena  de’  nostri  e degli  altrui 
errori  ; ma  eglino  sono  d’  altra  natura. 

§ 5.  Come  il  Lugol  P eredità,  considerò  il  Baudelocque 
1’  aria  impura  precipua , se  non  unica , causa  della  scrofola 
e della  tubercolosi.  Quest’  opinione  fu  da  molti  abbracciata, 
e gagliardamente  "sostenuta  da  coloro  specialmente,  che  pon- 


(1) *  Bayle,  Dictionnaire  — Henri  IV. 

(2)  Quanti  eroi  non  sarebbero  stati  nell’  Impero  Bisantino , se  buono  fosse 
il  ragionamento  di  Bayle  ! Quand9  entrò  in  Costantinopoli  l9  Imperatore  Giulia- 
no « le  nombre  des  eunuques  (scrive  Gibbon  sulla  fede  di  Libanio  * Htst. 
de  la  décad.  de  V Emp.  Rom.  Ch.  XXII.  Paris  1819  IV  328.)  ne  pouvait 
se  comparer  qu9  à celili  des  insectes  dans  un  jour  d9  été.  » 

(3)  Leggansi  su  questo  proposito  gli  strani  racconti  che  fa  il  viaggiatore 
fiorentino  Cadetti  dei  popoli  di  Siam  e del  Pegù,  negli  ultimi  anni  del  secolo 
decimòsesto  ( * Ragionamenti  sopra  le  cose  da  lui  ( Cadetti)  vedute  ne'  suoi 
viaggi.  Firenze  1701  p.  149,  200). 

(4)  Veggansi  le  dotte  dissertazioni  dell9  Heyne  (*  De  maribus  inter  Scythas 
morbo  effeminatis  et  de  hermaphroditis  Floridae.  In  Comment.  Soc.  Gotting. 

1778  I 28),  di  Stark  (De  vovao  Grifata  apud  Herodotum  ProlHsio  Jenae 
1827  4.*},  e particolarmente  I’Op.  c.  del  Rosenbaum. 

(6)  Beobacht.  aus  den  Kirgisen  Steppen  (Wttrzb.  medie.  Zeitschr.  1860  I 61). 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari 


gono  que’  mali  in  un  vizio  del  sangue.  Ma  da  tal  causa  può 
forse  derivare  P odierno  loro  incremento  ? Parmi  che  no  ; im- 
perocché assai  prima  che  questo  fosse , la  supposta  causa  già 
era,  ed  in  grado  maggiore  d’  oggi.  Le  case  del  povero  non 
eran  migliori  una  volta  ; anguste  le  strade , tortuose  e scarse 
di  luce  ; non  lastricate  , immonde  per  fango  e pattume  ; veri 
sterquilinii , fomiti  di  fetide  esalazioni  (1)  : alcuni  quartieri 
ancora  ci  mostrano  quali  fossero  le  vecchie  città,  quali  le 
abitazioni  private  che , quando  non  palazzi , quasi  tutte 
erano  abituri.  Ai  pubblici  edifizii , ed  alla  fabbrica  del  duo- 
mo erano  le  cure  de’  cittadini,  e gl’ingegni  dell’  arte  con- 
sacrati. Niun  dubbio  che  le  condizioni  delle  città , la  sa- 
lubrità delle  vie  e delle  case  non  siano  generalmente , e là 
dove  pure  que’ mali  predominano,  di  presente  migliori  (2). 
Opificii  e manifatture , commercii  e fondachi  furon  sempre  : 
nei  secoli  scorsi  fuvvi  tale  sfarzo , tale  magnificenza  nelle 
vesti  e negli  ornamenti , da  parer  meschine  le  pompe  nostre. 
Le  arti  della  seta  e della  lana  o nacquero  o prosperarono 
fra  noi:  i telai  di  Modena  e di  Padova  fornivano  al  fasto 


(1)  Filippo  Augusto  fece  selciare  le  strade  di  Parigi  onde  togliere  alla  città 

il  vecchio  nome  : lutea  ( Lutecia  ) enim  a loti  fattore  prius  dieta  fuerat.  * Rigor - 
dus , De  gestis  Phìlippi  Augusti.  In:  Duchesne , Hist.  Frane.  Script.  V 16). 
Però  anche  nel  bel  mezzo  del  secolo  XVII  alla  metropoli  francese  non  discon- 
veniva l’antica  denominazione  (*  De  la  Marre , Traité  de  Police  I 660). 
Milano  fu  fatto  lastricare  dal  Duca  Galeazzo  Maria  Sforza  nel  1470  (*  Mo- 
rigia , La  Nobiltà  di  Milano  L.  VI  p.  309) , e Roma  da  Sisto  IV.  — Ai 
tempi  del  Petrarca  grugnivano  i porci  per  le  strade  di  Padova  (*  De  Reb. 
senil.  Epist.  L.  XIV  n.  t ) ; vagavano  per  Firenze  { * Sacchetti  Fr.  , Novelle 
N.  LXXV_,  CX,  CXCV1I  ) , ed  in  Venezia  funne  fatto  divieto  nel  1409  in  causa 
dei  danni  tam  contro  pueros  quam  in  stratis  et  fondamenti  propter  suum  ru- 
mare (*  Gallicciolli , Delle  Mera,  venete  I 230)  — A Londra  le  case  per  la 
maggior  parte  erano  tali , da  far  credere  che  chi  le  abitava  nemico  fosse  della  luce 
e dell’  aria  ( * État  présent  de  la  Grande  Bretagne.  À la  Haye  1728  I 156  ): 
come  poi  ne  fossero  le  strade  Io  ha  detto  Erasmo , od  almeno  una  lettera  a lui 
attribuita  (Epist.  378).  — l giovani  poi  nelle  scuole , i fedeli  nelle  chiese  non 
s’  assidevano  ne’  banchi , ma  sdrajavansi  sullo  strato  coperto  di  paglia  ( Saxnt- 
foix.  Essai  hist.  sur  Paris.  Londres  1766  P.  I 124).  ....  . . . 

(2)  La  Società  Hastings  per  il  miglioramento  delle  abitazioni  degli  artigiani 
ha  fatto  buona  prova  in  Inghilterra , per  quel  che  ne  dice  il  Signor  Daremberg 
nel  * Journ.  des  Débats  19  Gen.  1861. 


82 


Alfonso  Corradi 


romano  i panni  più  morbidi,  ed  i più  suntuosi  tappeti  (1); 
e fu  tempo  ancora  che  la  dama , dond’  ora  ci  cala  la  moda, 
dinanzi  allo  specchio  di  Murano  de’  nostri  veli  s1 2 3 4 5 * * *  adorna- 
va (2).  Raduni  d’  uomini  non  mancarono , vuoi  nelle  scuo- 
le , nei  templi , nelle  carceri , negli  ospizii  od  in  altri  al- 
berghi (8)  ; e quest’  erano  larghe  fonti  di  corruzione  nel- 
F aria.  La  quale  aumentava  ancora  per  gli  effluvii  che  dai 
corpi , per  cagione  del  sudiciume  e della  qualità  de’  cibi 
sorgevano  (4);  nè  ciò  soltanto  fra  genti  rozze  ed  in  tempi 
selvatici  ; ma  presso  i popoli  più  culti , e nel  fulgore  delle 
civiltà  antica.  I poeti  giocosi  ed  i satirici  frequentemente 


(1)  Fannucci,  Storia  dei  tre  popoli  marittimi  dell9  Italia  L.  i C.  i. 

(2)  Jacopo  Filiasi,  in  appendice  al  Voi.  VII  delle  sue  Memorie  storiche, 
ha  scritto  un  « Saggio  sull5  antico  commercio , sull5  arte  e sulla  marina  dei 
Veneziani  »;  dove,  con  molt5  erudizione  e scelti  documenti,  mostra  quanto 
1’  uno  e le  altre  fossero  appo  questi  floridi  e grandi.  — Benedetto  Dei , difendendo 
la  mercatura  de5  Fiorentini  contro  le  ingiurie  sparse  da  alcuni  mercatanti  vene- 
ziani , dà  altresì  a vedere  quanto  le  arti  ed  i traffichi  fossero  avanti  in  Fioren- 
za (V.  * Della  Decima  de5  Fiorentini  11  235-247  ).  Però  in  quella  difesa  la 
rivalità  giunge  al  livore,  e spesso  fa  i giudizii  o ciechi  od  ingiusti:  tal- 
mente che  i mali  e le  sconfitte,  che  la  Signoria  di  Venezia  allora  soffriva 
per  mano  del  Turco  ( mentre  pur  erano  sventura  di  tutta  Italia  , anzi  dell5  in- 
tiera Cristianità  ) , i mercanti  toscani  rallegravano. 

(3)  Leggasi  ciò  che  dice  Erasmo  delle  stufe  o terme  pubbliche , tanto  co- 
muni nel  Medio  Evo  ed  anche  nel  Cinquecento  specialmente  ne5  paesi  freddi 
nel  dialogo  Diversoria  (*  Op.  omn.  Lugd.  Batav.  1703  I 717). 

(4)  1 Romani  facevano  moli'  uso  dell5  aglio  : « Atavi  nostri  cum  allium  ac 
caepe  eorum  verba  olerent,  tamen  optime  animati  erant  ( Varr.  apud  Non.  3. 
67)  » : e pei  soldati  era  cibo  sì  comune,  che  a coloro  i quali , mentre  ama- 
vano gli  agi  e la  quiete , pur  volevano  prender  le  armi , dicevasi  — Allia  ne  co- 

medas.  — La  credenza  poi  che  questa  pianta  calda  avesse  a correggere  gli 

effetti  dell5  aria  cattiva , rendevane  l5  uso  vieppiù  volgare  : Virgilio  perciò  rac- 
comandava I5  aglio  ai  mietitori 

Testylis  et  rapido  fessis  messoribus  aestu 

Alba , serpillumque , herbas  contundit  olentes  (*  Buco!.  Eclog.  Il  10). 

Altre  virtù  dell’aglio  sono  ricordate  da  Dioscoride,  Plinio  etc.  V.  * Lenz , 
Botanik  der  alten  Griechen  und  Ròmer.  Gotha  1859  p.  294  — Ai  Cavalieri 
della  Banda  o fascia  rossa.  Alfonso  Re  di  Spagna  proibì  nel  1312  di  mangiar 
aglio  o cipolla,  a meno  che  non  preferissero  stare  otto  giorni  lontani  dalla 
Corte  o dai  compagni  (*  fameierus,  De  osculo.  In:  Thesaur.  Antiq.  Sa- 
crar. XXX  1206). 


Delle  affezioni  Scrofolotvbercolari 


83 


toccano  dell’  odore  di  Lecco  che  i Romani  tramandavano  (1). 
E per  vero  l’uso  universale  della  lana,  il  sudore,  di  cui 
di  continuo  doveano  essere  intrisi  in  mezzo  ai  non  interrotti 
esercizii  ginnastici,  e soprattutto  il  costume  d’  impiastric- 
ciarsi d’  olio , bastano  per  far  credere  che  generalmente  que- 
gli uomini  spandessero  non  molto  grato  odore.  Il  quale  po- 
teva bensì  essere  per  le  bevande  e per  i bagni  diminuito , 
ma  non  tolto  del  tutto;  tanto  più  che  le  vesti  stesse  per 
le  anzidette  cagioni  contrarre  doveano  disgustoso  sentore.  Ma 
che  dire , quando  udiamo  V epicureo  Orazio  ( dopo  aver  in- 
vitato a mondissima  cena  Torquato  uomo  consolare , e dopo 
avergli  nominati  gli  altri  convitati  tutte  persone  di  conto 
ed  amici  comuni  ) ricordare  : che  quando  a tavola  si  sta 
troppo  stretti , 1’  odor  di  capra  incommoda  assai  ? 

....  locus  est  pluribus  umbris. 

Sed  nimis  arcta  premunt  olidae  convivia  caprae  (2). 

Forza  è convenire , dirò  col  Martorelli , che  tale  avver- 
timento non  allora , come  sarebbe  al  presente , tornasse  in- 
giurioso ; e che  a que’  tempi  anche  fra  le  persone  più  colte 
fòsse  assai  comune  queP  pu^zo , da  Catullo  chiamato  crude - 


E per  quanto  i danni  d’  impura  atmosfera  fossero  allora 
scemati  dalle  abitudini  meno  sedentarie  del  popolo , e dal 
far  esso  della  piazza  e della  strada  quasi  la  naturale  di- 
mora ; pure  non  potevano  mancare , se  Baudelocque , per 
amore  alla  sua  opinione,  affermava  poche  ore  bastare,  ac- 
ciochè  I*  aria  viziata  riesca  causa  di  scrofola  e di  tuberco- 


li) * Orazio  Sat.  2 L.  I;  Sai.  4 L.  I;  Od.  12  Epodo.  — * Marziale 
Epigr.  59  L.  XII  ; 48  L.  IX.  — * Catullo  Carm.  69  e 71.  — * Galeno  Com- 
ment.  IV  n.  9 al  lib-  Vi  de’  Morbi  volgari  d’ Ippocrate. 

(2)  Epist.  5 L.  I.  FF 

(3)  Carm.  69.  — Sì  spiacevole  effluvio  non  potev’  essere  palliato  che  con  gli 
odori:  quindi  la  loro  profusione,  e 1’  uso  delle  ghirlande  ed  unguentine’  con- 
viti romani  ( * Lanzoni  G. , Dell’  uso  delle  ghirlande  e degli  unguenti  ne*  con- 
viti degli  antichi.  Ferrara  1698  12.°  — * Martorelli , Degli  odori.  In  : Dissert. 
Accad.  archeol.  romana  I.  P.  1 433). 


- (3). 


84 


Alfonso  Corradi 


losi  (1).  Anche  a que’  di  lo  stare  in  aere  guasto  fu  senza 
dubbio  motivo  di  malattie  ; ma  queste  non  furono  scrofola 
o tisi , od  almeno  non  lo  furono  quant5  oggi  : la  qual  cosa 
prova  che  1’  aria  corrotta  per  sè  stessa  non  è atta  a viziare 
il  sangue  o la  nutrizione  in  modo  determinato  e speciale  : 
e come  per  lo  passato  concorreva  a generale  lo  scorbuto, 
adesso  può  dar  luogo  alla  scrofola  ed  alla  tubercolosi;  ap- 
punto perchè  opera  sovra  corpi  non  più  a quello,  ma  a 
questi  morbi  inclinati.  Nè  veramente  mancano  pur  oggi 
luoghi  d5  aria  infetta  che  poco  o nulla  soffrono  del  comun 
male  ; mentre  ad  altri  la  salubrità  del  cielo  non  è sufficiente 
schermo  (2) . La  Commissione  regia  di  Londra , che  ha  at- 
tribuita la  molta  frequenza  della  tubercolosi  negli  eserciti 
alla  corruzione  dell5  aria  negli  alloggiamenti , ha  allegato 
principalmente  il  fatto  che  i cipayes  dell5  India , i quali 
non  istanrio  chiusi,  non  soccombono  quanto  gli  altri  armati. 
Ma  il  Laveran  Capo  Medico  dell5  ospitale  militare  di  Val-de 
Gràce  , obbietta  aver  egli  veduto  in  Affrica  i soldati  indi- 
geni , benché  vivano  come  i cypayes  indiani , morire  più 
spesso  tisici  che  i commilitoni  francesi.  La  consunzione 
polmonare  poi  è micidialissima  nelle  milizie  a Taiti  e nelle 
isole  Sandwich , quantunque  elleno  neudayessero  colà  andare 
immuni,  secondo  1’  avviso  della  predetta  d&Ià- 

qui  si  fermano  le  obbiezioni  : gli  zappatori-pompieri , uo- 
mini piccoli,  robusti,  abituati  alle  fatiche,  ammalano  me- 
no delle  guardie  di  Parigi  di  tubercolosi  ; quantunque 
quelli  vivano  in  mezzo  all5  aria  guasta  de5  teatri  e degli 
alloggiamenti,  e questi  se  ne  stiano  sulla  strada,  mal- 
trattati dal  freddo , dalle  pioggie  e dal  vento.  Lo  stes- 
so Laveran  ha  trovato  che  dieci  volte  in  dodici,  cioè 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari  85 

dal  1834  al  1858,  il  maggior  numero  de’ morti  per  tuber- 
colosi cade  in  anni , in  cui  la  febbre  tifoide  è stata  pochis- 
simo letale  : nondimeno  la  folla  degli  uomini  e quindi  1*  a- 
ria  impura , hanno  senza  dubbio  molta  parte  nel  produrre , 
più  che  altra  malattia,  le  febbri  castrensi  ed  il  tifo  (1).  E 
certamente  che  della  minor  frequenza  delle  epidemie,  e della 
quasi  cessazione  della  peste  bubonica  in  Europa,  danno 
ragione , per^  alcun  lato  almeno , la  migliorata  pubblica  igie- 
ne , 1*  accresciuta  nettezza  de’  luoghi  e delle  persone , in 
breve  F aria  meno  impura. 

La  dottrina  poi  del  Baudelocque  fu  già  sostenuta  da  un 
nostro  italiano  alla  fine  del  secolo  scorso,  secondo  le  dot- 
trine chimiche  e fisiologiche  d’  allora.  Credo  bene  rife- 
rire queste  parole  del  Valatelli  : cc  ....  io  spero  che  non 
sembrerà  irragionevole  F asserzione  che  le  frequenti  malattie 
di  petto  croniche , alle  quali  soggiaciono  li  Veneti , possano 
dipendere  da  un  lentore  cagionato  dal  flogisto , che  libera- 
mente non  si  esala  da’  polmoni  nell’  aria  viziata  de’  ridotti, 
dei  cafre,  dei  teatri,  ne’  quali  tutti  li  giorni,  particolar- 
mente F inverno,  si  respira  un’  aria  delle  più  malsa- 
ne ..  . (2).  » Ma  F Esquimale  nell’  immonda  sua  capanna, 
il  Tartaro  che  non  muta  panni , il  Samojedo  che  si  puri- 
fica stando  nel _ filmo  (3),  sfuggono  alla  tabe,  dà  cui  non 
campa  F Olandese  di  proverbiale  nettezza. 

§ 6.  Il  malcostume  e F aria  corrotta  non  possono  dunque 
considerarsi  cause  dell’  aumento  della  malattia  scrofolotuber- 
colare:  e per  vero  (non  guardando  se  abbiano  natura  a lei 
conforme)  elleno  non  sono  universali  quanto  F effetto,  e 
più  poderose  furono  quando  questo  anco  non  era.  Ma  poiché 
tali  affezioni  si  attengono  a condizioni  intime  dell’  organi- 


ti)* Recherches  statistiques  sur  les  cause»  de  la  raortalité  de  P armée  serrant 
à P intérieur.  In.  Ann.  d’Hyg.  pubi.  1860  XIII  283 , 285,  286.  — L’  anno 
in  cui  più  furono  i morti  per  tubercolosi  fra  la  soldateria  francese  fu  il  1847  , 
in  cui  lo  scorbuto  dominò  epidemicamente. 

(2) *  Dissert.  sopra  1’  aerografia  di  Venezia.  Venezia  1788  p.  52. 

(3) *  P alias,  Voyages.  Paris  1793  IV  95.  — I votacessi  poi  godono  in 
generale  buona  salute , e per  solito  non  soffrono  che  della  malattia  d’  occhi , 
nota  col  nome  di  mitte. 


Alfonso  Corradi 


smo,  e l’organismo  è quale  ci  nutriamo;  vediamo  se  nel 
vitto  popolare  fosse  avvenuto  alcun  grave  mutamento  ; che 
dell’  anzidetto  fatto  ragionevolmente  possa  incolparsi. 

E qui  riccamente  può  affermarsi  il  vitto  nostro  non  es- 
ser più  1’  antico.  Da  oltre  un  secolo  tanta  mutazione  è ac- 
caduta ; nè  ora  ripeterò  quanto  in  prova  ampiamente  n’  ad- 
dussi nell’  altra  mia  Dissertazione  : rammento  però  che  d’  uso 
comune  sono  le  patate , il  riso , il  grano  turco  ; che  da  non 
molto  tempo  vengono  estesamente  queste  piante  fra  noi 
coltivate  (1)  : nè  proporzionata  all’  aumento  della  popola- 
zione è eziandio  la  produzione  del  frumento , in  posto  del 
quale  coltivansi  altre  piante  meno  nutrienti,  sostituendo 
così  nel  comune  alimento  la  fecola  al  glutine , una  sostan- 
za amilacea  ad  un’  azotata  ; , cambio  certamente  non  fortu- 
nato. Inoltre  senza  fare  1’  apologia  del  secol  nostro , e sen- 
z’  ombra  alcuna  d’  esagerazione  può  affermarsi  noi  più  sobrii 
o meno  intemperanti  esser  de’  maggiori  nostri  ; i quali , può 
dirsi,  mangiavano  e bevevano  ciò  che  noi  ora  spendiamo  in 
addobbi  ed  in  ornamenti.  La  quale  temperanza  più  spesso 
è necessità  che  virtù  ; avvegnacchè  nelle  grandi  città  il  caro 
delle  grascie , le  nuove  costumanze , e tutti  gli  accessorii 
della  moderna  civiltà  fanno  che  il  guadagno  sia  general- 
mente inferiore  al  bisogno  ; nè  per  supjpjix^ 
espeditmtr^e^^  virrrT:  ia^Brama  di  nuove  vesti 

fa  tollerare  non  divoti  digiuni,  ed  il  vacuo  stomaco  s?  ac- 
cheta dandogli  fumo.  Il  villano  per  avidità  di  lucro,  per 
isperanza  d’  agi  s’  inurba;  ma  ciò  che  non  seppe  trovare 
ne’  campi , ben  di  rado  avrà  nella  Capitale , la  quale  assai 
caro  fa  pagare  agli  avventizi!  il  loro  ingresso  (2). 


(1)  Nella  * Coltivazione  Toscana  etc.  (Venezia  1625  4.°)  del  Monaco 
Vallombrosano  Vitale  Magazzini  si  legge  al  mese  di  Marzo  p.  21  questo  ri- 
cordo <c  Si  piantano  in  buon  terreno  fresco  e umido  le  patate,  portate  nuova- 
mente qua  di  Spagna  dai  RR.  PP.  Carmelitani  Scalzi , come  si  piantano  gli 
vuovoli  di  Canne  ».  Il  viaggiatore  Cadetti  (Op.  c.  p.  62)  parla  delle  patate 
come  di  cosa  da  lui  osservata  sulle  coste  del  Perù  ed  a noi  sconosciuta. 

(2)  La  febbre  tifoidea,  ad  esempio,  mena  in  Parigi  grande  strage  fra.i 
campagnuoli  di  fresco  divenuti  cittadini  (*  Griselle , Patol.  med.  I 51  ). 


Delle  affezioni  scrofolotubercolari  87 

A corpi  sottili  e mal  nutriti  gli  esercizii  ginnastici  parvero 
rozzi  e feroci,  ed  uomini  abborrenti  dal  moto  il  vitto  car- 
neo non  più  gustarono  : e così  reciprocamente  le  due  cause 
s5  avvaloravano.  L’ Irlandese  sta  contento  delle  patate  che  gli 
risparmiano  le  braccia , e gli  procurano  momentanea  abbon- 
danza; poco  importandogli  che  la  malattia  lo  logori,  e la 
fame  lentamente  F uccida  (1).  A ciascuno  è noto  quanto  sia 
stato  detto  della  virtù  degli  alimenti  nel  formar  F indole 
ed  il  temperamento  dell’  individuo  e de9  popoli  : non  man- 
carono le  esagerazioni , nè  chi  ci  facesse  credere  F Indiano 
timida  fanciulla  : ma  sallo  Inghilterra , sanlo  Cawnpore  e 
Delhi  se  coraggio  e ferocia  star  possono  ancora  in  chi  si 
nutre  per  solito  di  riso  e di  banane.  Nulladimeno  può  af- 
fermarsi , che  un  popolo  nutrendosi  di  patate , non  vince- 
rà, caeteris  parìbus , un  altro  che  viva  di  frumento  e di 
carne  (2).  E noi  dell’  uno  e dell’  altro  abbiamo  bisogno;  di 


11)  Secondo  Macculloch  (Dictionnary  of  Commerce)  le  patate  in  Irlanda 
formerebbero  i 4J&  dell'  alimento  popolare.  Kilgour  attribuisce  i mali  di 
quell’  infelice  paese  alle  patate , non  per  altro  che  per  esser  causa  di  ozio 
e di  pigrizia!  « The  peasantry  of  Ireland  are  a lazy,  idle,  slothful  race,  be- 
cause  thè  favourite  potatoe  is  thè  most  certain  crop,  and  cultivated  with  thè 
Ieast  labour  of  any.  This  is  thè  potatoe  teory  for  thè  evils  of  Ireland  ) On  thè 
ordinary  agents  of  life  p.  256  ).  » Ma  il  tralignamento  de’  popoli  ha  più  profonde 
radici  : se  l’ Irlandese  ed  il  selvaggio  della  Nuova  Zelanda  vendon  i porci  per 
bere  1’  acquavita  anziché  mangiarne  la  carne , è ciò  forse  conseguenza  del  col- 
tivare le  patate;  ovvero  piuttosto  e questo  e quello  sono  effetti  di  morale  de- 
pravazione? Il  Cattaneo  ha,  sotto  il  rispetto  economico,  assai  bene  discorso  dei 
danni  che  derivano  dal  fare  le  patate  fondamento  della  cibaria  del  popolo. 
Parlandogli  dello  stato  dell' Irlanda  nel  1844,  quasi  presago  di  quel  che 
doyea  avvenire  tre  anni  dopo , osservava  che  : « Quattro  o cinque  pesi  di  pa- 
tate nutrono  appena  come  uno  di  frumento  ; epperò  il  trasporto  d’  una  me- 
desima somma  d’  alimenti  costa  4 e 5 volte  tanto;  e un  viaggio  non  lungo  ne 
duplica  o ne  triplica  il  tenue  prezzo.  Laonde  mentre  il  valore  del  frumento 
rare  volte,  anche  nella  scarsezza,  tocca  il  doppio,  la  patata  sale  rapidamente 
al  quadruplo , e perfino  al  sestuplo  ; e dall’  esuberanza  e dal  disprezzo  in  po- 
chi mesi  balza  alla  ricerca  e alla  carestia  (*Mem.  d’ Econom.  pubbl.  Mila- 
no 1860  I.  155).  J „ . , _ . ,. 

(2)  Il  nostro  Torquato  Tasso  prevenendo  1’  autore  deir  Esprit  des  Lois  di- 
scorre , ma  senza  trasmodare , della  diversità  degli  animi  e delle  menti  secondo 
la  qualità  del  sito:  piacerai  riportarne  un  brano,  cc  Egli  non  è dubbio  che  cia- 
scun paese,  secondo  che  più,  o meno  all’uno  degli  estremi  del  nostro  emi- 


Alfonso  Corradi 


grave  danno  c’  è P esserne  privi  ; nè  il  Conte  Berchtold  ebbe 
torto  di  chiedere  quali  mutamenti  corporei  e morali  fossero 
avvenuti  negli  uomini , poiché  lasciarono  i cereali  e la  bir- 
ra, per  cibarsi  di  patate  e berne  Y acquavita  (1).  Nella  città 
il  vitto  animale  pare  sia  tanto  più  necessario  quanto  mag- 
giori sono,  rispetto  alla  campagna,  le  cause  d’  affievolimen- 
to , è le  opportunità  ad  ammalare.  Il  Legoyt  poi  ha  mo- 
strato come  contribuisca  il  caro  de’  viveri , e del  frumento 
soprattutto,  nel  diminuire  il  numero  delle  nascite  e nel- 
P accrescere  le  morti  (2)  : il  Dupectiaux , discorrendo!  della 
miseria  nelle  Fiandre , fa  notare  che  la  carne  non  fa  quasi 
parte  del  vitto  dell’ operajo  e dell’  agricoltore,  mentre  la 
patata  v’  entra  per  più  del  quarto  (3).  Intanto  tragrande 
fu  il  numero  dei  ripulsi  nelle  descrizioni  del  1844 , 45  e 46 
si  per  difetto  di  statura , che  per  infermità  od  altri  vizii 
del  corpo  ; ed  in  alcune  provincie  della  Fiandra  occidentale 
la  cosa  andò  sì  oltre  T ohe  -d*  ogni~einqv*e  descritti  uno  venne 
rifiutato  (4)  ! Parimente  dei  7 milioni  di  giovani  chiamati 
in  25  anni  (181G-1840)  sotto  le  bandiere  francesi,  quasi 
il  quinto  fu  dichiarato  inetto  ai  militari  servigii  ; nè , P aver 
diminuito  la  misura  della  statura  tolse  che  nel  1840  il 
numero  degli  omessi  fosse  doppio  che  nel  1816  (5);  e la 


sperio  si  va  avvicinando,  o al  Polo,  o all’  Equinottiale , più  ancora,  o meno 
produce  gli  huomini  atti  alle  speculationi , e alle  ationi  civili,  e militari:  per- 
chè gli  huomini  che  nascono  ne’  paesi , che  soggiacciono  al  Mezzo  giorno , se 
bene  vagliono  d*  ingegno , havendo  poca  quantità  di  sangue , sono  timidi  e de- 
boli, e inetti  alli  pericoli,  e alle  fatiche  della  guerra;  dico  naturalmente  per- 
chè so  ben  io , quanto  possa  la  disciplina , e che , in  virtù  di  lei , ovunque 
nasce  huomo,  nasce  soldato  {*  Lettera  del  Signor  Torquato  Tasso  nella  quale 
paragona  l’Italia  alla  Francia.  Mantova  1681  p.  7). 

(1)  Die  Kartoffeln,  deren  Geschichte,  Charakteristik,  Ntìtzlichkeit , Schad- 
lichkeit,  Kultur,  Krankheiten.  Prag  1842  p.  388. 

(2) *  Ann.  univ.  di  Statistica.  Milano  1867  XVI  244. 

(3) *  Ména,  couron.  de  1’  Acad.  R.  du  Belgique  IV  62  Edit.  8.° 

(4)  Dupectiaux  Op.  c.  p.  34. 

(5)  Quando  il  Boudin  dice  che  « sur  1000  jeunes  gens  àgés  de  vingt  ans 
accomplis,  on  ne  compterait  en  France  pas  méme  une  exemption  pour  cause  de 
phthisié  (Op.  c-  II  669)  » sono  costretto  a credere  che  nella  sezione  Usi  non 
entrino  che  quelli  in  cui  la  malattia  è già  conclamata;  e che  negli  altri,  dov'  essa 
è in  minor  grado , o non  è punto  avvertita , ovvero  P esenzione  avviene  per 
altro  titolo , per  il  generico , ad  esempio , di  debolezza. 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari 


statura , secondo  che  ha  cercato  di  provare  Villermé , è 
proporzionata  allo  stato  di  prosperità  de5  popoli  (1).  E quan- 
do fosse  vero  che  col  volger  de9  secoli  non  per  caso,  ma 
di  necessità , la  vegetazione  d9  un  paese , non  più  bastando 
le  consuete  rotazioni , debba  mutare  e far  posto  a nuo- 
va (2)  ; grandi  cambiamenti  avvenir  debbono  eziandio  negli 
animali  e nell9  uomo.  Gonciossiachè  le  piante , secondo  loro 
natura , mutano  le  condizioni  dell9  aria  e del  suolo  su  cui 
crescono , porgono  nuovi  alimenti , attraggono  nuovi  ani- 
mali , suscitano  arti  e maniere  diverse  di  coltivazione.  Cer- 
tamente lo  studio  dell9  uomo  e delle  sue  malattie,  sovrat- 
tutto  epidemiche , dee  comprendere  ancora  la  storia  del- 
l9  agricoltura  e dell9  industria  de9  popoli  : ma  sin  qui  poco 
conto  se  n9  è fatto , e quasi  non  si  vide  che  i campi  nostri 
spogliavansi  dell9  orzo,  e del  frumento  antico  s9  impoveri- 
vano , per  dar  luogo  alle  produzioni  del  nuovo  mondo  : 
eppure  le  nuove  biade  i corpi  mutavano  ! 

§ 7.  Nè  per  altra  guisa  le  condizioni  propizie  alla  gene- 
razione della  scrofola  e della  tubercolosi  formavansi  : a mio 
avviso  elleno  fontalmente  derivano  dall9  odierno  vitto  sover- 
chiamente feculento.  La  mancanza  altresì  di  esercizii  ginna- 
stici, Paria  impura  ed  ogn9  altra  causa  insalubre,  viziando 
il  sangue,  corrompendo  la  nutrizione,  le  fomentano;  i matri- 
monii  le  trasmettono.  Adottando  quest9  etiologia , non  miro 
che  a dare  ragione  dell9  odierna  loro  maggior  frequenza,  cioè 
della  maggior  disposizione  che  ora  i corpi  mostrano  a questi 
mali.  Esistendo  siffatta  disposizione , l9  azione  di  cause  che 
sempre  furono  e sempre  operarono , è assai  più  sentita  o ma- 
lefica ; quelle  stesse  cause  che , con  altre  condizioni  organi- 
che, avrebbero  suscitato  altra  malattia,  con  Panzidetta  di- 
spiegano la  scrofola  e la  tubercolosi.  Se  non  m9  inganno,  P ac- 
cennata mutazione  di  regime  spiega,  perchè  generale,  Puni- 


ti)* De  la  taille  de  V homme  en  France  ( Ann.  d’  Hyg.  pubi.  I 390  ). 

(2)  Il  Conte  di  Villeneuve  trova  che  nella  Provenza  la  coltivazione  introdotta 
dai  Greci  600  anni  prima  dell’era  nostra,  non  può  più  essere  continuata;  il 
fico  e 1’  olivo  non  porgono  più  buoni  fratti;  la  vite  ancora  dà  segno  di  finire 
( Statist.  des  Bouehes  du  Rhòne  111  76,  432,  446  etc.). 


90 


Alfonso  Corradi 


versalità  del  fatto  ; perche  s’  attiene  alle  funzioni  più  intime 
dell5  organismo  , i mutamenti  in  questo  avvenuti.  Spiega  an- 
cora perchè  maggiore  sia  il  male  fra  i poveri  e nelle  grandi 
città;  perchè  in  queste  ed  in  quelli  mai  sia  mancato.  Inoltre 
le  nuove  abitudini  manifestavansi , quando  la  nuova  causa 
ebbe  operato  : dunque  i due  fatti  si  collegano  per  ragione 
di  tempo,  di  spazio  e di  qualità  : ma  come  stanno  fra  loro? 
Forse  come  causa  ed  effetto  ? 

Gli  addotti  argomenti  lo  fanno  credere , éd  altri  ancora 
lo  confermano.  La  vera  diatesi  scrofolosa , per  il  Bufalini , 
è una  semplice  diatesi  albuminosa,  la  quale  è formata  prin- 
cipalmente dai  cibi  abbondanti  di  parti  feculente  , gommose  , 
zuccherine  e grasse , come  appunto  sono  moltissimi  vege- 
tabili (1).  Sovrabbondanza  di  acqua  e di  albumina  trovavi 
Ancell  nel  sangue  si  de5  tisici  che , salvo  le  differenze  di 
grado , nei  predisposti  alla  tisi  (2) . La  materia  tubercolare 
contiene  tant5  albumina  e grasso  che  ad  alcuni  chimici  (Bre- 
dow)  parve  albuminato  di  potassa;  e recentemente  dall5  En- 


fi)* Instit.  di  Patol.  analit.  Opere  IV  299. 

(2)  Ancell  riguarda  la  tubercolosi  malattia  propria  o consunzione  del  sangue , 
il  quale  sarebbe  così  come  indica  il  seguente  prospetto , tratto  dal  suo  Treatise  on 
Tubercolosi*  stampato  a Londra  nel  1 852. 

Cornusc.  rossi  / Globulina  / 

Ematina  1 manchevoli 

Ferro  \ 

Acqua  sovrabbondante 

Albumina  sovrabbondante,  forse  di  viziata 
natura  ? 

Fibrina  piuttosto  accresciuta  che  diminuita 
e di  viziata  natura. 

Estrattivi  ? 

Grasso?  Probabilmente  scarso 
Materia  colorante  modificata 
Sali  alcalini  scarsi? 

Calce  in  eccesso? 

Gas. 

Ma  di  queste  analisi,  conoscendo  quanto  imperfetta  sia  tuttora  P ematologia, 
non  dovremo  fare  illimitata  stima. 


11  sangue  t 
tubercolosi  di- 
fetta di  proprie- 
tà vitali;  la  na- 
tura essenziale 
del  difetto  è sco- 
nosciuta. 


Corpus,  bian. 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari 


gel  il  tubercolo  fu  definito  « detritus  grassoso  di  trasuda- 
mento plastico  (1)  ».  La  quale  esuberanza  d’  albumina  ( che 
troviamo  eziandio  nei  temperamenti  detti  albuminosi  oggi 
cotanto  generali)  non  solo  della  scrofola,  ma,  secondo  C.  F, 
Fuchs , sarebbe  propria  di  un  gruppo  di  malattie  affini  da  lui 
dette  leucomacritiche  (2) , perciocché  tutte  formano  depositi , 
in  cui  la  sostanza  albuminosa  è massima  o prepondera  (3). 
Ma  non  potendo  per  la  qualità  stessa  di  questo  lavoro , ad- 
dentrarci nell’  esame  dell’ essere  proprio  della  scrofola;  nep- 
pure cercheremo  se  le  alleanze  ed  i vincoli  di  famiglia , che 
1’  anzidetto  Autore  trova  fra  quelle  diverse  malattie , siano 
naturali  ; e tanto  meno  criticheremo  la  nuova  denominazione , 
ed  altre  sue  opinioni  (4).  Nulladimeno  non  debbo  preter- 


(1)  Das  Tuberkuloswerdeu  ist  als  eine  Fettmeta  morphose,  in  fettiger  De- 
tritus eines  plastischeu  Exsudats  zu  definiren  ( Ueber  Tuberkel.  In  : Vierteljahrs- 
schr.  fiir  die  prakt.  Heilk.  I B.  1855). 

(2) *  Queste  sarebbero  le  malattie  leucomacritiche  del  Fuchs;  Scrofola,  Ence- 
falite infantile.  Tubercolo , Cancro , Àlburoinuria , Angina  membranacea  ( Croup- 

. Difterite)  Tifo  addominale.  Malattie  ematoseptiche  invece  sono:  lo  Scorbuto, 
il  Morbus  maculosus  Werlhoffl,  la  Febbre  putrida,  la  Peste  Orientale. .(  Die  epi- 
demischen  Krankheiten  in  Europa  in  ihrem  Zusammenhange  mit  den  Erschei- 
ntmgen  des  Erdmagnetismus  Weimar  -4-860-pr-  — — 

(3)  JVVgfìl^evea  già  notato  la  grande  somiglianza  anatomica  od  etologica  fra 
i depositi  deHaMÌcrotoia  e quem  nei  intrq^Tlnar.-pathol.  Paris  1847  p.  250); 
le  granulazioni  molecolari  del  cancro,  nascevano,  a suo  avviso , da  un  citobla- 
stema  sopraccarico  di  sostanza  grassa , per  modificazione  speciale  della  proteina 
( Ibid.  p-  273):  e certamente  che  in  istato  di  malattia  facile  è la  metamorfosi 
den’  albumina  in  grasso  ( Vedi  : Schultze  De  adipis  genesi  pathol.  Gryphisw. 
1852.  Diss.  inaug.).  Ma  la  dottrina  del  Vogel  ha  perduto  assai  di  credito  da 
che  la  Patologia  cellulare  è entrata  nelle  scuole  : quindi  la  materia  tifica , scro- 
folosa , tubercolare  etc.  non  è un  deposito , ma  un  vero  prodotto  dell’  attività 
cellulare,  cioè  la  proliferazione  delle  cellule  che  per  una  condizione  irritativa 
succede  negli  organi  cellulosi  e nei  corpuscoli  del  connettivo. 

(4)  Le  oscillazioni  dell’  ago  magnetico  corrispondono  a mutamenti  di  clima , 
e di  generali  stati  patologici.  La  declinazione  occidentale  dell’  ago  magnetico, 
secondo  Fuchs,  corrisponde  col  dominio  delle  malattie  leucomacritiche;  k de- 
clinazione orientale  invece  colle  malattie  ematoseptiche  ; nel  primo  caso  prevale 
il  clima  marino,  nel  secondo  il  terrestre.  La  declinazione  occidentale  mette 
nello  spirito  umano  la  spontaneità  : la  recettività  invece  la  declinazione  orientale. 
La  riforma  luterana  accadde  quando,  diminuendo  la  costituzione  ematoseptica , 
ebbe  principio  il  clima  marino  e la  costituzione  leucomacritica  !! 


92 


Alfonso  Corradi 


mettere  che  piuttosto  che  mutuamente  respingersi , come 
taluno  ha  voluto , la  scrofola , il  cancro  ed  il  processo  tifico 
possono  trovarsi  insieme  o successivamente  sopra  il  mede- 
simo individuo  (1).  Altri  pure  travide  cotali  affinità , nè  le 
tacque  (2).  Del  tifo  poi,  della  tubercolosi  e del  cancro  gli 
stati  mortuarii  segnano  grave  e progressivo  aumento  (3). 
Come  poi  lo  stato  eP ipotrofia  favorisca  la  generazione  della 
scrofola,  della  tubercolosi  e delle  malattie  congeneri , il  Bu- 
falini  lo  ha  bene  dichiarato  (4). 


(1) *  Ernst,  Biicke  in  das  Gebiete  der  Tubercolosi  ( Denkschrift.  der  med. 
chir.  Gesellsch.  des  Cantons  Ztirich.  Ztìrich  1860  p.  93  ) — É vero  che  can- 
cro e tubercolosi  di  rado  trovansi  insieme  : ma  ciò  non  deve  tosto  far  crederle 
malattie  antagonistiche.  Lawrence  osserva  in  proposito  che  gli  afflitti  da  cancro 
spesso  denunciano  casi  di  morte  per  consunzione  nella  loro  famiglia:  p.  e.  fra 
61  malati  di  cancro,  14  avvertirono  ehe  il  padre  o la  madre  od  un  fratello 
erano  morti  tisici.  Crede  quindi  il  Lawrenee  vi  sia  qualche  connessione  fra 
queste  due  malattie  , ed  una  sia  come  supplemento  all*  altra.  ( Associat.  med. 
Journ.  Oct.  1866). 

(2)  Bufalini  pènsa  « che  il  mistero  della  diatesi  o discrasia  cancerosa  si  ri- 

solva in  quello  medesimo  della  diatesi  scrofolosa,  addimostrandosi  veramente 
così  le  malattie  cancerose,,  come  le  scrofolose , coesistenti  mai  sempre  con  una- 
più  o meno  forte  ridondanza  dell*  albumina  nella  composizione  organica,  e con 
una  preponderanza  pur  anche  nell*  albumina  medesima  nei  locali  prodotti  mor- 
bo** I[inii8,6  LXu0  slesso  ^ufaiini  n°a  f 

almeno  negli  ammalati  da  lui  osservati  era  vi  afcun^che  di  essa  ( * Sull'  eziolo- 
gia della  Glucosuria.  In:  Mem.  della  Soc.  Ital.  XXV  P.  I p.  1 93 ). 

(3)  Vedi  la  Parte  I.  — Nel  1868  nell’  Ospedale  generale  di  Vienna  furon 

fatte  1232  notomie  : videsi  che  i guasti  più  frequenti  eran  quelli  fatti  dalla 
tubercolosi,  dal  tifo  e dal  carcinoma  ( Tuberc.  276  — Tifo  165  Car- 

chi. 112).  Invece  non  contaronsi  che  81  morti  di  pneumonite  ( Aerztl.  Berichte 
aus  dem  aligera.  Krankenhause  in  Wien  vom  J.  1868.  Wien  1859  ).  — Per  le 
ricerche  di  Rigoni-Stern  risulta  la  quantità  proporzionale  delle  morti  per  ma- 
lattia cancerosa  in  Verona  essere  aumentata  dal  1760  ai  nostri  giorni:  la  pro- 
gressione sarebbe  stata  costante  se  malattie  epidemiche  nel  1800  e nel  1836 
non  avessero  cagionata  insolita  e tragrande  mortalità.  ( * Nota  sulle  ricerche  del 
Doti.  Tanchon  intorno  la  frequenza  del  cancro.  In:  Ann.  univ.  di  Medie. 
CX  480).  Il  Doti.  Tanchon  avvertiva  P aumento  dei  cancri , e lo  trovava  re- 
^tivo  alla  civiltà  dei  paesi  e delle  persone  (Ibid.  226)  : secondo  poi  Wilkinson 
Mog  la  metà  circa  delle  donne,  e Pollava  parte  degli  uomini,  che  muojono 
Veru\\44  pnni’.sono  magagnai*  dì  cancro  (London  medie.  Gazette  A.  1845  ). 

( ) Ammette  cioè  che  fatto  allora  manchevole  il  processo  d ' ossigenazione , 
S( Op^e D*l V 1 25^  albuminoso’  doode  Poi  !a  Produzione  di  quelle  malattie. 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari  93 

Ma  lasciando  queste  considerazioni  che  sviar  ci  potreb- 
bero dall5  argomento  nostro , dirò  che  gli  effetti  di  nutri- 
mento poco  sostanzioso  e scarsamente  carneo  li  vediamo  nei 
prodotti  stessi  del  morbo  scrofoloso  ; e per  verità  noi  siamo 
quali  ci  nutriamo  ; sicché  la  sapienza  antica  pose  l5  anima 
nel  sangue.  Il  quale  non  si  convertirà  in  carne,  non  farà 
polpa  nervea,  nè  muscoli  gagliardi  se  il  cibo  non  gliene 
porga  adeguata  sostanza.  La  natura  nostra  vuole  alimenti 
azotati  ; la  quota , secondo  il  clima  e speciali  circostanze , 
ne  sarà  maggiore  o minore , però  mancare  a lungo  senza  dan- 
no non  potrà  mai  (1).  E quando  i corpi  ridotti  siano  nelle 
condizioni  che  agevolano  la  formazione  delle  malattie  scrofolo- 
tubercolari , queste  non  sono  già  necessariamente  ; ma  a loro 
avvi  soltanto  disposizione.  E la  disposizione  a malattia  non 
è malattia , bensì  modo  di  essere  o proprietà  dell5  organi- 
smo vivente,  che  s5  accorda  con  la  salute.  Vero  è che  la 
disposizione  a particolare  malattia  è deviazione  dal  perfet- 
tissimo stato  di  salute  ; ma  godendo  questa  di  certa  lar- 
ghezza , avviene  che  l5  una  e l5  altra  possono  essere  ad  un 
tempo:  così  le  varie  condizioni  del  temperamento,  sesso, 
età  ecc.  mentre  porgono  attitudine  a diversamente  amma- 
lare , non  sono  elleno  stesse  malattia  o cominciamento  di 
essa.  D5  altra  parte  il  sola  essere  in  vita  inchiude  la  di- 
sposizione generica  ad  ammalare.  Però  è d5  uopo  avvertire 
come  talora  il  morbo  tanto  lentamente  si  generi , che  fra 
la  disposizione  ed  il  di  lui  principio  non  appare  distinzione  ; 
là  disposizione  può  dirsi  essere  allora  il  primo  passo  d5  e- 
voluzione  patologica , di  cui  poscia  la  malattia , nella  piena 
sua  forma,  segna  il  grado  maggiore  (2).  E tale  malattia  sorge 


(Ì)  Bouchardat  così  conchiude  il  recente  suo  lavoro  intorno  1’  etiologia  e pro- 
filassi della  tubercolosi  polmonare  « Les  conditions  d’  àge  étant  favorables , 
la  continuité  dans  la  perte  des  aliments , de  la  calorification . la  continuité  de 
leur  insuffisance  eu  égard  à la  temperature  extérieure  et  aux  besoins  de  l’orga- 
nisation,  la  continuité  mème  de  leur  dépense  insuffisante,  conduisent  à la  tu- 
berculisation  pulmonaire.  (*  Gazette  méd.  de  Paris  1861  p.  472). 

(2)  V.  il  IV  àforismo  dell’  Hecker  nella  * Gesch.  der  neuer.  Heilk.  Berlin. 
183  9 p.  608.  La' disposizione  morbosa  e la  malattia,  è ben  fatto  avvertire, 
sono  sempre  individuali  : divengono  generali  o popolari  sol  perchè  le  cause  del- 


94 


Alfonso  "Corradi 


dal  seno  della  corrispondente  disposizione  per  opera  di  cause 
che  dicono  occasionali , e tanto  meglio  quanto  queste  sono 
più  poderose,  o quella  maggiore.  E la  disposizione  come 
aumenta  per  proseguimento  delle  cause  proprie  , e , fuori 
di  queste,  per  influsso  di  eredità;  può  dileguarsi  o dimi- 
nuire per  modificazioni  avvenute  nella  complessione  de- 
gl* individui. 

Così  profondamente  mutati  i corpi , se  in  loro  altri  morbi 
si  mostrano , vi  appariranno  con  insoliti  caratteri  ; e Puc- 
cinotti  ha  molto  studiato  « F influenza  modificatrice  della 
scrofola  e della,  diatesi  scrofolosa  sopra  altre  malattie  ».  Le 
epidemie  esantematiche  ne*  fanciulli  son’  oggi,  ei  dice , 
più  rare  o piu  miti;  il  vajuolo  negli  scrofolosi  subisce 
modificazioni , che  somigliano  moltissimo  a quelle  che  in 
lui  induce  la  stessa  vaccina  ; la  quale  non  moltiplica  già 
la  scrofola,  ma  piuttosto  è da  essa  degenerata  in  modo  da 
rendere  inefficace  un  buon  terzo  de’  suoi  effetti.  Le  infiam- 
mazioni per  lo  stesso  motivo  sono  meno  violente  e frequen- 
temente spurie  : le  febbri  sinoche  facilmente  volgono  in 
febbri  tifoidee  con  dotinenterite  : e le  affezioni  reumatiche 
son  fatte  più  gravi.  Il  fondo  scrofoloso  è matrice  principa- 
le di  molti  di  que’  morbi  organici , che  specialmente  sotto 
sembianza  di  tumori  in  varie  parti  del  corpo  si  manifesta- 
no ; scrofola , scirro  e carcinoma  facilmente  fra  loro  s’  as- 
sociano e si  combinano.  Assaissime  malattie  delle  ossa  mo- 
strano il  genio  scrofolare;  fra  le  cause  predisponenti  più 
frequenti  delle  diverse  specie  di  vesania , trovasi  oggi  la 
scrofola  ; non  di  rado  le  affezioni  convulsive  si  vincono , 
non  con.  la  cura  antispasmodica , ma  combattendo  diretta- 
mente  questo  fondo  scrofoloso  (1).  Quindi  il  men  rapido 
corso  e la  meno  facile  risoluzione  dei  processi  morbosi , e 
la  poca  tolleranza  dei  salassi  che  i moderni  clinici  avver- 
tono nella  stessa  pneumonite,  che  suolsi  riguardare  proto- 
tipo delle  infiammazioni  (2).  Perciò  instituendo  oggi  ordi- 

l’uDa  e dell’altra  non  su  di  un  individuo,  ma  sui  moltissimi  (popolo)  fanno 
sentire  la  propria  azione. 

(1)  Op.  c.  Lez.  VI. 

(2)  Dal  1817  in  poi,  nota  Bufaiini,  la  costituzione  infiammatoria  nelle  ma- 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari  95 

ni  monastici,  non  sarebbe  d’  uopo  prescrivere  le  periodi- 
che minuzioni  (1):  nè  più  vediamo,  come  un  tempo  T Ar- 
chiatro papale  Raimondo  de  Vinario,  la  necessità  di  salas- 
sare i cherici  più  abbondantemente  de’  laici  (2). 


lattie  dod  fu  mai  più  domìoaute  ; osservossi  anni  si  ed  anni  no quando  in 
alcuni  quando  in  altri  luoghi  d*  Europa  ben  difficilmente  estesa  e perseverante 
( Op.  c.  IV  452  ).  — La  quale  diminuzione  delle  malattie  infiammatorie  pare 
appoggi , e reciprocamente  sia  appoggiata  dalle  osservazioni  di  Brtickner , che 
cioè  le  malattie  infiammatorie  di  petto  escludono  dal  medesimo  luogo  la  tisi 
(Op.  c.). 

(1) *  Nova  Gollectio  Statut.  ordinis  Cartus.  Parisiis  1582.  De  Minutionibus. 
— Nelle  costituzioni  antiche  di  quasi  tutti  gli  Ordini  Regolari  vi  sono  apposta 
de’  Capitoli  sovra  le  periodiche  cavale  di  sangue  : i Monaci  Bianchi  della  Con- 
gregàzione  dì  Padova  venivano  salassati  cinque  volte  all’anno  (*Ann.  Camai- 
dul.  V!  437).  — Queste  costituzioni  furono  scritte  nel  secolo  XII  o nel  susse- 
-guente). 

(2) *  » Qui  sacerdotiorum  et  eultus  divini  praetextu  genio  plus  satis  indulgent, 
et  obsequuntur  ac , Christum  speciosis  titulis  ementientes,  Epicurum  imitantur  ». 
* V.  De  Peste  libri  tres.  Opera  Jacobi  Delechampii  Doctoris  Medici  Cadomensis 
in  lucem  diti.  Lugduni  1552  L.  Ili  p.  166.  — Il  Vinario  fu  contemporaneo 
di  Guido  da  Cauliaco  ed  Archiatro  di  Clemente  VI  : il  cognome  di  Chalin  gli 
é stato  erroneamente  attribuito  dallo  Schenchio,  dal  Mangeto  e da  altri:  il 
Marini  lo  chiama  Raimondo  Rainaldo  de  Varsio  o de  Vinario  (*  Degli  Ar- 
chiatri Pontificii  I.  65  ).  — Il  novelliere  di  Certaldo  fin  da’  suoi  tempi  rim- 
brottava a’ frati  la  lauta  vita  e la  podagra;  più  tardi  altro  bellumore  di  quella 
e di  questa  egualmente  motteggiavali  : 

Chi  vuol  saper  della  Gotta  il  casato, 

Guardi  eh’  elP  è sorella  dell'  amore 
D"  ozio , di  vino , e di  lascivie  nato  : 

Non  si  potrebbe  darvi  hora  il  migliore 
Esempio,  che  di  qualche  Generale, 

Di  qualche  Abate,  over  qualche  Priore 
Ch’  attendendo  alla  cura  corporale 
Han  fatto  una  Bacchea  d’  ogni  badia 
Cioè  fan  d’ ogni  tempo  Carnovale, 

E stando  come  polli  nella  stia 
Si  vivono  a piè  pari  spensierati, 

Ond’  han  le  Gotte  quasi  tuttavia  ; 

Non  toccan  queste  a i poveri  altri  frati 
Che  son  trattati  per  un'  ordinario , 

E digiunano  i dì  non  comandati. 

1’  ha  uno  spirito  divino 

Vannole  molto  a sangue  Frati  e Preti, 

Ma  non  già  qualche  rozzo  contadino. 

(*  Mattio  Francesi j Capitolo  in  lode  delle  Gotte,  In:  Berni,  Opere  bur- 
lesche Usecht  ( sic  ) al  Reno  lib.  II  p.  82 , 85  ). 


Alfonso  Corradi 


Ma  come  in  Europa , anche  nelle  più  calde  regioni , gli 
scarsi  cibi  animali  od  i poco  azotati  preparan  la  scrofola, 
e la  lugubre  sua  coorte.  Nell5  Arabia  e nell’  Egitto  videla 
Pruner  (1)  ; Scherzer  fra  gli  Ottentotti  (2)  ; Gutzlaff  nella 
China  (3)  : nella  Nuova  Zelanda  non  apparve  che  dopo 
l9  introduzione  delle  patate  e del  mais  nella  comune  ciba- 
ria (4)  ; Szokalski  assicura  la  coltivazione  delle  patate  ave- 
re diminuito  in  Polonia  la  plica,  ed  aumentata  invece  la 
scròfola,  di  guisa  che  dir  potrebbesi  questa  aver  preso  il 
posto  di  quella  (5).  Il  difetto  di  nutrimento  animale  , ed 
insieme  il  dominio  della  scrofola  e della  tubercolosi , fu 
avvertito  da  Balardini  nella  Valtellina,  da  Comolli  nel  Co- 
masco, da  Hildebrand  in  Pavia,  e dal  Tassani  nel  Cremo- 
nese (6).  Altrettanto  videro  Coley  nel  Belgio  (7) , Lorinser 
nella  Slesia  superiore  (8),  Nicolai  nella  Westfalia  (9),  Ettmul- 
ler  in  Sassonia  (10)  , Philipps  in  Inghilterra  ed  in  Irlan- 
da (11),  Huss  nella  Svezia  (12)  , e molti  altri  che  pure  po- 
trei citare,  se  le  predette  testimonianze  non  reputassi  suf- 
ficienti : aggiungasi  che  difetto  d’  alimento  animale , è ezian- 
dio il  troppo  sollecito  Spoppamento  o P artificiale  nutrizione 


(1)  Die  Krankh.  des  Orients.  Erlangen  1846. 

(2)  Zeitschr.  Wien.  Aerzte  1868  N.  10.  — Black , Remarks  on  thè  disea- 
ses  taking  place  at  Nort-Victoria  South  Africa  (*  Edinb.  med.  surg.  Journ. 
1863  LXXIX  263). 

(3)  Journ.  of  thè  R.  Society  1837  N.  VII  p.  165  — Notasi  che  la  Chi- 
na fu  celebrata  come  libera  dalla  Gotta  (*  Le  Corate , Nouveaux  raém.  sur 
P état  présent  de  la  Chine.  Paris  1701  I 369). 

(4)  Stoainson,  Climate  of  New  Zealand.  London  1840  p.  63.  — Dieffen- 
bach,  Travels  in  New-Zealand.  London  1843  li  20.  — Meyer-Ahrem,  Die 
Krankh.  der  Neuseelanders  (Deut.  Klinik.  J.  1668  N 49,  51  : J.  1859  N 2,4). 

(6)  Der  Weichselzopf  (Archiv.  f.  physiol.  Heilk.  IV  374). 

(6)  Op.  c. 

(7)  Remarks  on  thè  climate  and  princ.  diseases  in  Beigium.  Bruxelles  1862. 

(8)  Pr.  med.  Vers.  Zeit  1833  N.  12. 

(9)  Rust,  Magaz.  XXIX  97. 

(10) *  Grundziige  zu  einer  medie.  Topogr.  des  Gerichtbezirkés  Oberwiesenthal 
in  Sachsen  ( Clarus  und  Radius,  Beitrage  zor  prakt.  Heilk.  I 606,611  ). 

(11)  Op.  c.  p.  184. 

(12)  Om  Sverges  Endemiska  Sjukdomar.  Slockholm.  La  scrofola  è conside- 
rata come  conseguenza  dell’  introdotta  colliyaziòne  delle  patate. 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari 


con  pappe  a quella  tenera  età  non  appropriate.  La  qual 
costumanza  è pur  troppo  comune  in  que’  luoghi  in  cui  la 
donna  cessa  d’  esser  madre  per  essere  artiere,  e trova  che 
più  le  frutta  lo  stare  nell’  opifìcio , che  casalinga  a nutri- 
re la  prole  (1)  : calcolo  inumano,  spesso  però  delle  con- 
dizioni della  società  nostra  lagrimevole  conseguenza  ! 

D’  altra  parte  vediamo  che  dove  la  scrofola  manca  od  è 
rara  assai , il  nutrimento  animale  è abbondante  ; quest’  è 
il  caso  delle  isole  Fàroer  (2) , dell’  Islanda  (3) , e d’  altri 
luoghi  (4)  : e se  in  Inghilterra  in  questi  ultimi  anni  è 
realmente  diminuita  la  tisi , tale  benefìzio  deve  ascriversi 
per  molta  parte  ai  miglioramenti  recati  alla  comune  ciba- 
ria. De  Massy  per  verità  avendo  testé  studiata  1’  annona 
di  Parigi  e di  Londra,  trovava  essere  in  questa  il  vitto, 
ogni  cosa  compresa , più  sustanzioso  e corroborante  che  in 
quella  ; perciocché  se  circa  eguale  quantità  di  pane  consu- 
masi nell*  una  e nell’  altra  città , in  Londra  però  molta 
farina  è adoperata  eziandio  in  diverse  maniere  nella  cucina 
domestica;  inoltre  nella  metropoli  inglese  il  consumo  della 
carne  è del  20  per  1 00  maggiore  che  a Parigi , e quel- 
lo del  pesce  è il  doppio  ; senza  che  tale  scarsezza  possa 
essere  compensata  dalla  maggior  copia  di  burro,  di  latte, 
di  pollame  e di  frutta  che  i Parigini  consumano  (5). 


(1)  Philipp , Op.  c.  162. 

(2)  ManicuSj  Bibl.  for  Laeger  1824  IV  16-40.  — Panum,  lbid  1847 

(3)  Schleisner , Island  undersOgt.  Kiobenb.  1849. 

(4)  V.  Lacordaire , la:  Trav.  de  la  Soc.  med.  de  Dison  1834-37  p.  128. 
Rohret,  In:  Oest.  med.  Jahrb.  1846  III  363.  — Hemer , Esquisse  de  la 
Topogr.  mèdie,  de  Rive  de  Gier  (Gaz.  med.  de  Lyon  1869  p.  609)  ecc. 

(6)*  Des  objets  de  consommaiion  à Londres  et  à Paris,  au  point  de  vue 
commercial  et  adminìstrarif.  In:  Ann.  d’ Hyg.  pubi.  1862  XVII  317-379. 
— Dureau  de  la  Malie  avendo  confrontato  la  quantità  di  farina  che  consuma- 
vasi  in  Italia  al  tempo  d’ Augusto,  e 1’  altra  ora  consumata  in  Francia,  trovava 
grandi  differenze.  Così  mentre  il  cittadino  di  Roma  consumava  libbre  2,  21  di 
frumento  al  giorno  , P abitante  di  Parigi  non  ne  consuma  che  0,93  ; e se  al 
campagnuolo  romano  erano  necessarie  3 libbre,  al  francese  non  ne  occorrono 
che  1,70.  La  quale  sproporzione  il  Dureau  de  la  Malie  vuole  spiegare  per  la 
cattiva  od  imperfetta  maniera  con  cui  allora  macinavasi  il  grano,  e sen  ridu- 
ceva in  pane  la  farina  (*  Econom.  polit.  des  Romaius.  Paris  1840  I 277, 


98 


Alfonso  Corradi 


In  prova  poi  che  nelle  regioni  polari  mancano  la  scro- 
fola e la  tubercolosi , perchè  il  nutrimento  è tutt’  altro 
che  scarso  od  erbaceo,  giova  rammentare  quanto  il  Dottor 
Hayes,  chirurgo  nel  naviglio  spedito  per  la  seconda  volta 
dagli  Stati  Uniti  al  polo  artico , ha  scritto  degli  Esquima- 
li.  Tollerano  essi  il  più  rigido  freddo,  e si  conservano  sa- 
ni e gagliardi  mercè  la  natura  del  loro  alimento,  tutto  di 
sostanze  animali.  Dodici  o quindici  libbre  di  carne  cruda 
d’  orso  o di  vitello  marino,  di  cui  il  buon  terzo  è grasso , 
suol  essere  il  pasto  quotidiano  , che  poi  l5  olio  gelato  di 
balena  loro  fa  più  ghiotto.  Intanto  fra  quelle  genti  non 
si  sa  cosa  sia  la  tubercolosi.  Ed  anche  gli  uomini  di 
nostra  razza  debbono  colà  vivere  in  sì  fatta  guisa  ; e più 
vi  si  conformano  meglio  tollerano  il  freddo  (1).  E la  buo- 
na prova  di  quest5  alimento  parrebbe  afforzare  F opinio- 
ne di  certo  Signor  Baude , che  il  miglior  modo  di  ripa- 
rare all5  accasciata  generazione  quello  sia  di  moltiplicare 
il  pesce,  siccome  carne  che  di  fosforo  è ricchissima  (2). 
Ma  §e  il  fosforo  fosse  davvero  il  grande  rimedio , chi  più 
aitanti  e nerboruti  di  noi,  i quali  con  tanta  dovizie  di 
zolfanelli , può  dirsi  inspiriamo  tuttodì  effiuvii  fosforici  ? 

Se  poi  i Negri  ne5  paesi  temperati  cadono  facilmente 
nella  etisìa  (3) , forse  n5  è motivo  il  non  acconciarsi  essi 


281).  Ma  queste  ragioni  non  parranno  sufficienti,  quando  s’avverta  che  mulini 
ad  acqua  erano  presso  che  in  tutta  Italia  anche  prima  dell’  Impero , e che  il 
prodotto  del  grano  trasformato  in  pane  superava  del  quarto , del  terzo  ed  an- 
che della  metà,  quando  poca  crusca  se  ne  levava , il  peso  del  grano  medesimo. 
( Dezobry , Rome  au  siàcle  d’ Auguste.  Paris  1846  Lettre  LXXXVI).  Chi 
poi,  come  il  pistore  romano,  sapeva  fabbricare  il  siligino , il  picentino , e d as- 
sai altre  qualità  di  pane,  non  può  credersi  fosse  nel  panificio  sì  poco  esperto. 

(1)  Amer.  Journ.  of  Med.  Science  Jul.  1859,  e * Ann.  d'  Hygiène  pubi. 
1861  XV.  218.  — Nota  l’ Hayes  che  la  carne  cruda  e fresca  è ottimo  ri- 
medio nello  scorbuto;  gli  Esquimali  che  ne  mangiano,  non  soffrono  di  questa 


t douces.  In:  Revue  des  Deux  Mondes  1861 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari 


tosto  ad  un  regime  troppo  discosto  dal  natio , ma  che  nul- 
ladimeno  il  nuovo  clima  esige.  Se  nelle  calde  regioni  tisi 
e scrofola  non  sono  frequenti  quanto  altrove , egli  è per- 
chè colà  si  vive  qualmente  bisogna,  od  almeno  non  così 
diversamente  come  fra  noi:  un  cibo  poco  animale  senza 
danno  può  esservi  tollerato , ciò  permettendo  le  condizioni 
del  clima  ; però  una  quota  di  sostanze  azotate  è necessa- 
ria, ed  il  torla , siccome  abbiamo  mostrato,  è condurre  od 
accrescere  quelle  malattie  (1). 

§ 8.  Ma  poiché  desse  malattie  scrofolotubercolari  si  sono 
fatte  volgari,  quando  il  vitto  comune  è addivenuto  scarsa- 
mente azotato  ; qual’  altro  morbo  dominava  allorché  il  cibo 
popolare  peccava  ( quasi  fosse  della  natura  umana  V andar 
errando  dall’  uno  all’  altro  estremo  ) per  1’  opposto  vizio  ? 
Dominava  cotale  malattia,  la  quale  può  dirsi  oggi  spenta, 
tant’  è rara  : era  la  gotta  in  cui , la  soperchiale  materia 
azotata  introdotta  co’  cibi , sotto  forma  d’  acido  urico  e 
d’  urati  in  varie  guise  si  deposita  (2).  Nè  regnando  la 


* (1)  li  bisogno  di  mangiar  carne  onde  mantenersi  vigorosi,  è sì  prepotente 

negli  abitanti  della  Nuova  Caledonia  (isola  dell’Oceano  pacifico,  nella  regione 
de’ tropici)  che  per  averne  si  battono.  Rochas,  chirurgo  di  marineria,  dopo 
tale  racconto,  aggiunge  che  il  pastore  che  insegnasse  a quel  popolo  come  ben 
condurre  un  armento,  farebbe  opera  più  utile  ed  umana,  di  qualsiasi  predica- 
tore o moralista  ( * Anlhropologie  de  la  Nouvelle  Calédome.  In:  Gaz.  méd. 
de  Paris  1860  p.  190.  . . . 

(2)  Gallier  Boissière  fa  osservare  « C’  est  toujours  parce  que  1 on  introduit 
dans  l’  organisme  ime  quantité  trop  grande  d’  alimenls , relativement  à la  dépense 
qu’  on  peut  en  faire  par  le  travail  musculaire , qu’  il  se  produit  dans  le  sang 
une  proportion  trop  considérable  d’  acide  urique , lequel , n’  en  étant  pas  éli- 
miné  y devient  la  cause  matérielle  des  divers  désordres  organiques  et  function- 
nels  constilulifs  de  la  goulle  (*  De  la  Genite,  de  sa  natone,  de  ses  causes, 
et  de  son  traitement  préservatif,  palliatif,  et  curatif.  Paris  1860  p.  59).  li 
poiché  gli  alimenti  azotati , continua  il  Boissière  nell’  accurato  ed  erudito  suo 
lavoro , meno  degli  altri  hanno  affinità  per  V ossigeno , se  malamente  si  compia 
la  combustione  nel  sangue,  le  sostanze  albuminoidi  sovrattuto  saranno  imperfet- 
tamente ossidate:  quindi  la  trasformazione  loro  in  urea  (H4C  Az  U ) piu  o 
meno  impedita,  e V aumento  proporzionato  dell’acido  urico,  composto  più  scar- 
so  d’  ossigeno  (C‘°  H8  Az8  0*  ).  — L’efficacia  degli  alimenti  nel  detenni- 
nare  la  proporzione  dell’  acido  urico  espulso  per  mezzo  dell  orina , è stata 
dimostrata  da  Lehmann  e da  Bence  Jones,  comecché  dalle  loro 
deduca  che  per  gli  alimenti  presi  varia  meno  la  quantità  dell  acido  urico  che  quella 


100 


Alfonso  Corradi 


gotta , regnava  sola  : le  erano  compagne  tutte  quelle  ma- 
lattie che  con  1’  elemento  reumatico  facilmente  si  associa- 
no (1)  : appunto  come  alla  tubercolosi  fanno  corteo  assag- 
gimi morbi  che  della  natura  della  scrofola  partecipano.  E fra 
scrofola  e gotta  v’  ha  antagonismo , o per  meglio  dire  le 
condizioni  che  favoriscono  la  produzione  dell’  una  sono  con- 
trarie a quelle  dell’  altra  : il  Gairdner  recentemente  ha  pu- 
re discorso  di  tal  fatto  (2)  ; il  quale  era  ben  previdihile 
con  tanta  disparità  di  cause:  nè  so  comprendere  come  il 
Canstatt  possa  sostenere , 1’  una  malattia  tramutarsi  nel- 
F altra , sicché  il  fanciullo  scrofoloso  invecchiando  djver- 


delP  urea.  (*  Fallarli , Rivista  intorno  all’acido  urico  ed  agli  urati.  Lo  Spe- 
rimentale 1859  IV  50  e 129).  — Il  Gairdner  considera  la  natura  propria 
della  gotta  « an  increased  pressure  of  thè  blood  from  its  accumulation  in  thè 
great  veins,  and  an  altered  state  of  that  fluid,  of  wich  an  increase  of  fibrine 
are  thè  most  remarkable  circumstances  leading  to  thè  perversion  of  thè  nutrient 
principles  of  thè  blood,  and  thè  formation  of  sugar  and  urie  acid  instead  of 
urea  ».  E ciò  in  conseguenza  di  troppa  nutrizione,  di  difettiva  respirazione, 
di  manchevole  innervazione , e delle  più  o meno  diminuite  escrezioni  del  fega- 
to, dei  reni  e della  cute  (*On  Gout.  London  1854  p.  238). 

(1)  Tali  le  affezioni  calcolose:  la  diatesi  urica  dalla  scuola  bufaliniana  è ri- 
guardata elemento  morboso,  o crotopatia  semplice,  cui  si  collegano  i calcoli, 
il  reuma,  e la  gotta  ( Fallarli , Op.  c.).  Con  la  reumatosi,  secondo  altri,  si 
congiungerebbe  altresì  lo  scorbuto:  anzi  Hecker  vede  nel  sudor  inglese  « die 
hochste  Ausbildung  des  rheumatischen  Fiebers  »,  e considera  il  Morbus  cardia- 
ca* una  cardite  in  corpo  scorbutico  (Op.  c.  p.  610). 

(2)  ...  I have  ever  observed  thè  gouty  to  have  a singular  immunity  from 

other  constitutional  diseases  (such  as  tubercle,  cancer  and  scrofula),  and  to 

scrofola  ) , and  to  such  a degree  as  to  justify  thè  vulgar  observation , thas  thè 
gout  prevents  them  ( Op.  c.  p.  152).  — Neppure  farà  meraviglia  che  Gio- 
vanni Strambio  mai  trovasse  nei  pellagrosi  nè  V affezione  gottosa,  nè  la  li- 
tiasi, nè  le  incrostazioni  delle  arterie  o delle  valvule  cardiache  (*  Ann.  univ. 
di  Medie.  CXVII  565  ) ; quando  si  rifletta  alle  affinità  della  gotta  e della  li- 
tiasi, alle  cause  di  questa  e della  pellagra  — Hewier  (Op.  c.)  nota  che  a 

Rive  de  Gier  tutti  consumano  molta  carne.  ( 45  Kilos  all'  anno  per  ciascheduno); 
e quindi  che  la  scrofola  e la  tubercolosi  son  rare  ; frequenti  invece  V endocardi- 
te , la  pericardite , il  reumatismo  e la  gotta.  — Negli  ultimi  anni  del  secolo 
s*°” h vedova  deI  Pretendente  ed  amica  di  Vittorio  Alfieri,  la  Contessa 
, AIW,  trovava  m Inghiltrrra  « quantité  de  gens  estropiés  de  cette  maladie 
(gotta),  que  j atìnbue  beaucoup  à leur  intempérance  (*  Saint-René  Taillandier  . 
La  Connesse  d Mbany.  In:  Revue  des  Deux  Mondes  1861  XXXI  597). 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari 


101 


rebbe  gottoso , e la  gotta  del  padre  cangerebbesi  in  iscro 
fola  nel  figlio  (1).  Tale  mutamento  può  bensì  avvenire, 
ma  perciò  è necessario  mutinsi  eziandio  le  cause,  non 
potendo  considerarsi  la  scrofola  e la  podagra  forme  dello 
stesso  processo  patologico  : e perchè  amendue  tengono  ra- 
dice in  un  vizio  di  nutrizione,  sono  trasmissibili  per  ere- 
dità , hanno  molteplici  maniere  di  manifestarsi , e difficil- 
mente guariscono , non  ne  consegue  siano  una  sola  e me- 
desima cosa. 

Le  affezioni  calcolose  invece , con  la  gotta  tanto  stret- 
tamente congiunte,  al  pari  di  questa  diminuivano;  e quel 
che  Camper  osservava  in  Olanda  fin  dal  secolo  scorso  esser 
avvenuto  (2)  , vedevasi  in  Inghilterra  ed  in  altri  luoghi 
ancora  (3).  Intanto  secondo  il  Verdeil  il  vitto  di  sola  car- 
ne aumenta  notabilmente  nel  sangue  la  quantità  dell’  aci- 
do fosforico  combinato  con  un  alcali,  e fa  scomparire  i 
carbonati;  al  contrario  il  vitto  vegetabile  accresce  molto 
la  quantità  di  questi,  e diminuisce  quella  de1 2 * * 5  fosfati  (4). 
I quali,  oltre  entrare  a formare  il  tessuto  dell’  ossa,  man- 
terrebbero altresì  , conforme  ne  pensa  moderno  autore  , V ir- 
ritabilità dei  muscoli,  ed  in  questo  modo  servirebbero  alla 
nutrizione;  di  guisa  che  il  difetto  di  essi  negli  alimenti 


(1) *  Die  Krankh.  des  hohern  Alters.  Erlangeo  1839  I 238. 

(2) *  Réponse  à la  question  proposée  eo  1783  per  la  Société  Batave.  Oeu- 
vres  II  424. 

(8)*  Yelloly , Remarks  on  thè  tendeacy  to  calcoious  diseases  ( Philos.  Tran- 
saat.  1829  P.  1 65-81)  — Al  tempo  di  Luigi  XI  il  mal  della  pietra  era  as- 
sai comune  in  Francia,  per  quanto  almeno  è narrato  nel  * Supplemento  alle 
Memorie  di  Comines  (Bruxelles  1713  p.  46),  e nella  * Storia  d’Inghilterra 
di  Henry  ( Trad.  france.  V 414),  r—  Montaigne,  calcoloso,  nel  * Diario 
del  suo  viaggio  in  Italia  (II  97)  meravigtiavasi  che  Papa  Gregorio  XIII  non 
patisse  ad  ottani’  anni  di  podagra  © di  renella  ; tanto  più  che  in  Roma  ab- 
bondavano questi  mali,  siccome  appare  dalla  questione  mossa  da  Baldo  Baldi 
fiorentino  nella  « Disquisitio  jalrophysica  ad  textum  XXIII  libri  Hippoeratis 
de  Aere,  Aquis  et  locis.  Romae  1637  4.°  ».  — Finalmente  Lister  notava  che 
di  100  persone  una  appena  era  libera  della  renella  (Novae  esercitai,  et  de- 

script. fermar,  et  fontium  Angliae.  Exercit.  altera  Lond.  1684  4.°  V.  Hai- 
fer,  BiM.  med.  pract.  Ili  291). 

(4)*  Polli  Ann.  di  Chim.  applicata  alla  Medie.  1850  Sem.  1 p.  64 


102 


Alfonso  Corradi 


può  produrre  estenuazione  e morte  , e F insufficienza  le 
malattie  linfatiche  (1). 

Diminuiva  dunque  la  gotta , e la  scrofola  e la  tubercolosi 
apparivano  più  frequenti  : una  malattia  si  sostituiva  all*  al- 
tra; malattie  opposte,  perchè  effetti  di  opposte  cause  (2). 
In  questo  cambio  abbiam  noi  guadagnato  ? Se , ommettendo 
ogn’  altra  considerazione , della  gotta  furon  fatti  elogi , e 
fortunati  si  dissero  i gottosi  ; mentre  che  per  la  tisi  non 
suonarono  che  nenié  ed  elegie , parrebbe  che  no.  E vero 
eh’  altri  fu  di  contrario  avviso , confrontando  il  mal  di 
pietra  con  la  consunzione  de’  polmoni  (3)  : nondimeno  deh  ! 
vi  fossero  anche  pel  tubercolo  il  litotomo  ed  il  litotritore , 
che  meglio  ci  gioverebbero  dell’  elicina  o dell’  acqua  in 
polvere.  Ma  forse  può  dirsi,  eziandio  rispetto  alle  malattie, 
che  mal  si  disputa  intorno  ài  gusti. 

Se  nuova  disposizione  morbosa  s’  è formata , non  perciò  le 
malattie  che  procedevano  dall’ antica  debbono  non  più  veder- 
si; esse  possono  sussistere  egualmente;  ma  saranno  tanto  più 
rare, quanto  maggiore  è nei  corpi  l’attitudine  ad  altri  mor- 
bi (4) . E nel  continuò  lamento  di  mali  de’  nervi , e di  turba- 
menti nervósi , io  non  so  se  v’  abbia  parte  ancora  il  modo  at- 
tuale di  nutrizione:  ma  sapendo  di  quali  materiali  si  com- 


(1) *  Mouriès,  Ufficio  del  fosfato  calcico  nella  nutrizione  In:  Polli,  Ann.  c. 
XVlll  107. 

(2)  Camper  vedendo  che  mentre  le  malattie  calcolose  diminuivano,  aumentava 
la  consunzione  polmonare;  attribuì  1*  uno  e 1’  altro  avvenimento  alla  nuova 
usanza  del  bere  thè  e caffè  : nous  avons  dono  changé  V hémorrhagie  et  la  phthi- 
sie  conir  e la  pierre  dam  la  vessie.  (Op.  c.  p.  430  ).  In  prova  di  che  egli 
adduce  il  Bill  of  Mortality  of  Chester  del  Dott.  Haigarth  ; dal  quale  si  cava 
come,  mentre  le  morti  per  tisi  in  quella  città  erano  negli  anni  1772,  73  e 
74  il  6°  od  il  5°  dell’  intera  mortalità , una  sola  persona  ogn’  anno  perisse 
di  calcolo  vescicale  (*  Philos.  Transact.  LXIV  p.  77,  LXV  89,  LXV1II 
P.  i 148).  Dell’ opinione  enologica  del  Camper  avverrà  di  dire  alcuna  cosa  più 
innanzi  : intanto  parmi  bene  avvertire,  com’  ei  s’accorgesse  dello  infiacchire  del 
popolo  cibandosi  presso  che  di  sole  patate  ; e come  la  rachitide  non  fosse  pro- 
dotta dalle  malattie  veneree  e dal  bere  thè  o caffè. 

(3)  Camper,  Op.  c.  p.  415. 

(4)  Dice  il  Virchow  « je  ausgesprochener  irgend  eine  besondere  Djathese  in 
Korper  ist,  um  so  weniger  und  seltener  die  Neigung  zur  Entwickelung  einer 
neuen  Diathese  sich  vorzufinden  pflegt  (Spez.  Pathol.  und  Therap  1 347)  ». 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari  103 

ponga  il  cervello,  e quanto  valgano  i digiuni  nel  procac- 
ciare le  estasi  e le  fantasime,  non  parrà  strano  del  tutto 
che  gli  antichi  credessero  non  soggiacere  il  podagroso  a 
convulsioni  (1) , e che  alcun  moderno  fra  pazzia  e tisi 
scorga  qualche  legame  (2).  Certo  è che  amendue  le  ma- 
lattie (neurocinesi  e scrofolotubercólosi ) son  oggi  di  tutte  le 
più  volgari  e diffuse.  Però  se  ora  nuovi  sono  gli  alimenti, 
nuove  abitudini  v’  hanno  ancora  : direbhesi  che , come  i 
corpi , gli  animi  mutarono.  Non  sosterremo  che  le  passate 
e le  odierne  costumanze  siano  unicamente  prodotte  dalla 
diversità  de’  cibi,  non  essendo  di  coloro  che,  ad  esempio, 
il  coraggio  ripongono  non  nella  natura  o nell’  educazione 
dell’  uomo , ma  nel  bicchiere  di  vino  eh’  esso  beve  : nul- 
ladimeno  non  può  negarsi  che  questa  causa  a quell’  effetto 
non  abbia  contribuito  ; ed  il  savio  medico  meglio  d’  ogn’  al- 
tro conosce  quanto  lo  spirito  ed  il  corpo  siano  collegati, 
e come  reciprocamente  le  qualità  proprie  si  comunichino. 

Fu  tempo  in  cui  i giovani  ogni  dì  erano  avvezzati  al 
cavalcare , alla  lotta , alla  scherma , al  tirar  d’  arco , alla 
palla , al  corso  ed  al  nuoto , ciascuno  secondo  la  particolar 
inclinazione  ed  il  tenore  di  vita , che  in  appresso  avrebbe 
condotto  (3).  La  principale  e vera  professione  del  corti- 
giano stimavasi  quella  dell’  arme,  nella  quale  quanto  più 
riesci  va  eccellente*  tanto  più  era  degno  di  lode  (4).  Le 
frequenti  guerre , il  continuo  battagliare , le  cittadinesche 


(1) *  Amati  Lusitani,  Curat.  medie.  Cent.  V Cur.  29.  — * De  Liberatis, 
Podagra  Politica.  Noribergae  1659  p.  7. 

(2)  Schroder  van  der  Kolk , Over  den  oorsprong  tubercula  pulmonnm  ( Ne- 
derl.  Lancet  1852  Jnly  p.  I). 

(3) *  Rosmini,  Idea  dell’ ottimo  precettore  nella  vita  e disciplina  di  Vittorino 
da  Feltre.  Bassano  1801  p.  83.  — Se  Vittorino  schiaffeggiava  pubblicamente  Carlo 
Gonzaga  perchè,  non  riuscendogli  il  giuoco  della  palla,  profferiva  parole  poco 
riverenti  contro  i Santi  (Ibid.  p.  150  }j  il  DeICno  in  Francia  nel  seicento 
« dans  sa  première  enfance,  était  fouetlé  par  ses  femmes,  et  nourrices;  plus 
tard  son  gouverneur  lui  donnait  des  ferules , et  si  durement  qu’  une  fois  il 
crnt  avoir  le  bras  cassé.  V.  * Michelet , J.  Louvois  et  Saìnt-Cyr.  In  : Revue  des 
Deux  Mondes  1861  XXXIII  551. 

(4) *  Castiglione,  11  Cortigiano  L.  i § 17. 


104 


Alfonso  Corradi 


discordie  facevano  quegli  esercizii  comuni  e graditi  (1)  : i 
fanciulli  di  buon’  ora  vi  si  addestravano  ; i loro  giuochi 
convertivano  in  combattimenti , dovendo  più  tardi  nella 
giostra  mostrare  alla  dama  il  proprio  amore,  in  duello  te- 
stimoniare la  propria  innocenza,  e stare  pronti  a parar  le 
insidie  ed  a far  vendetta  (2).  Ottimo  tirocinio  era  la  cac- 
cia; e spesso  la  mano  che  regger  dovea  il  pastorale  im- 
pugnava il  làico  o brandiva  la  spada  (3).  Gente  che  caval- 
cava da  mane  a sera  (4),  che  vestiva  di  ferro  e nella  for- 
za vedeva  il  diritto,  costumi  aveva  aspri  e maneschi  (5). 
Papa  Giulio  bastonava  il  Vescovo  che  a Michelangelo  avea 


(1)  Giovanni  Borbone  faceva  bandire:  Ini  andar  a battersi  in  Inghilterra  con 
sedici  cavalieri  onde  fuggir  1’  ozio  e meritare  la  grazia  della  dama  cui  serviva 
{*  Voltaire , Essai  snr  les  moeurs  III  92.  Ediz.  1785). — Al  duello  pare  fu 
lasciato  il  decidere  se  in  Ispagna  si  dovesse  conservare  V antica  liturgia  moza- 
rabica,  ovvero  adottar*  la  romana  (*  Fléchier,  Hist.  du  Cardinal  Ximenes. 
Paris  1693  L.  I 141). 

(2)  Il  giuoco  dei  pugni  fu  nel  secolo  XII  raccomandato  in  Gubbio  da  S. 
Ubaldo  Vescovo  di  quella  città,  ma  per  fine  santissimo;  cioè  ad  impedire  Io 
spargimento  di  sangue  cittadino , per  le  fazioni  ond’  era  divisa  P Italia  in  quei 
tempi;  cercando  di  dare  sfogo  in  tal  modo  alla  insana  rabbia  de1 2 3 4 5 * * * 9  partiti  (Re- 
j posati,  Vita  di  S.  Ubaldo.  Loreto  1760  p.  130-36). 

(3) *  Capimi.  Caroli  Magni  An.  769  III,  An.  802  XIX.  — Bernabò  Vis- 
conti manteneva  dieci  mila  cani  (1!)  per  la  caccia  ( Morigia  Op.  c.  313  ): 
ad  ogni  cittadino  poi  ricco  del  valsente  di  500  lire,  toccava  prendersi  una 
di  quelle  bestie  e mantenerla;  sotto  pena  di  10  fiorini  d’oro  ogni  mese  se  da 
quest’  angaria  si  fosse  sottratto  ( * Affò  Stoj-ia  della  Città  di  Parma , continuata 
da  A.  Pezzana  1 81.  — * Giulini , Mem.  di  Milano  Contin.  Il  161  ).  — I Ba- 
roni scozzesi  erano  per  legge  obbligati  quattro  volle  all’  anno  alla  caccia  del 
lupo  ( Henry  Op.  c.  V.  562). 

(4)  Torquato  Tasso  avvertiva  che  i nobili  della  gioventù  Francese  in  univer- 
sale avevano  le  gambe  assai  sottili  rispetto  al  rimanente  del  corpo  ; e ciò  non 
per  qualità  del  Cielo , ma  per  la  maniera  dell’  esercizio  ; perciocché  cavalcando 
quasi  continuamente,  esercitavano  poco  le  parti  inferiori  « sì  che  la  Natura 
non  vi  trasmette  molto  di  nutrimento , attendendo  ad  ingagliardire  quelle  parti , 
che  sono  da  movimenti  frequentissimi  affaticati  Lettera  cit.  p.  12  . 

(5)  I costumi  rozzi  e maneschi  degli  studenti  tedeschi  d'  una  volta  sono  stati 
descritti  da  Oskar  Dolch  (*  Gesch.  des  Deutschen  Studenthums.  Leipzig  8.°). 
Nè  migliori  erano  quelli  de’  nostri:  il  Domenicano  Labat  anche  nel  secolo  scorso 

ne  faceva  brutto  giudizio.  II  tesoro  della  Cappella  del  SS.  Rosario  in  S.  Do- 

menico Bologna  dev’  essere , ei  dice,  ben  custodito,  essendo  che  questa  città 

è piena  «c  d’  Ecoliers  alerles  et  ingénieux,  qui  sont  sans  cèsse  aux  expédiens 
pour  trouver  de  quoi  fournir  à lèur  liberlinage  (*  Voyages  en  Bspagne  et  en 

Italie.  Paris  1730  II  248). 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari  105 

detto  villania  (1)  : a Benvenuto  Cellini  fanciullo , il  padre  dà 
una  ceffata  per  ricordargli  che  la  salamandra  (ed  un  errore  in- 
segnava) vive  nelle  fiamme  più  vigorose  (2)  : le  dispute  teolo- 
giche spesso  concludevansi  colle  pugna , e con  argomenti  più 
che  scritturali  (3) . Di  tanta  fierezza  partecipava  pure  la  me- 
dicina : colle  catene  e colle  verghe  curavansi  i maniaci  (4)  ; 
mezzo  d’  ingrassare  erano  le  Battiture  (5)  ; Elideo  Padova- 
no onde  sollecitare  P eruzione  del  vaiuolo  non  temeva  di 
sferzare  con  P ortica  i teneri  Bambini  (6)  ; nei  Bagni  mon- 
davasi  la  cute  scarificandola  (7)  : medicazione  adattata  a 
tempi  cui  non  era  in  orrore  per  curiosità  di  sapere  lo  spa- 


li)* Vasari,  Vita  di  Michelangelo  — Firenze  1856  XII  186.  L’ improvvi- 
satore Giovanni  Gazoldo , pe’ suoi  ridicoli  versi , fa  spesso  dal  Pontefice  Leo- 
ne X condannato  ad  essere  solennemente  battuto  (*  Tiraboschi , Storia  della 
Lelter.  ital  VII  1371). 

(2)  Vita  di  Benvenuto  Cellini.  Ediz.  c.  p.  10. 

(3)  Certo  frate  di  S.  Francesco  sdegnato  che  nn  Maestro  di  Teologia  predi- 
casse contro  P immacolata  concezione  della  B.  V. , a questo  modo , e davanti 
all'  uditorio , pose  fine  alla  controversia  in  altra  guisa  che  il  P.  Passaglia 
« Apprehendens  ipsum  revolvit  super  genua  sua;  erat  enira  valde  fortis.  Ele- 
vatis  itaque  pannis^  quia  ille  Magister  contra  Sanctum  Dei  Tabernaculum  locu- 
tus  fuerat,  cepit  cura  palmis  percutere  super  quadrata  tabernacula  quae  erant 
nuda:  non  enim  habebat  femoralia  vel  anliphonara,  et  quia  ipse  infamare  vo- 
Iuerat  beatam  Virginem , allegando  forsitan  Aristotilem  in  libro  Priorum  : iste 
praedicator  confutava  legendo  in  libro  suo  Posteriorum  ; de  hoc  autem  omnes 
qui  aderant  gaudebant.  Tunc  exclamavit  quaedam  devota  mulier  dicens,  Domi- 
ne praedicator;  detis  ei  alias  quatuor  palmatas  prò  me,  et  alia  post  modum 
dixit,  detis  etiam  ei  quatuor;  sicque  multae  aliae  rogabant,  ita  quod  si  illa- 
rum  petitionibus  satisfacere  voluisset , per  totum  diem  aliud  facere  non  potuis- 
set  ».  Questo  lepido  racconto  leggesi  nel  * Manale  eximii  Viri  Bernardini  de 
Busti  ordinis  Seraphici  Francisci.  Serm.  Vili  de  Conceptiane.  — Il  Du-Cange 
avverte  che  P Anthiphona  è una  specie  di  brache,  et  ut  apertine  dicam , ag- 
giunge P annotatore  Carpentier , braccarum  pars  anterior , onde  jocose  Antiphona 
nuncupata , quam  nostri  Brayette  {brachetta)  vocant. 

(4)  Valesco  di  Taranta  p.  e.  proponeva  di  medicare  i pazzi  per  amore  in 
una  maniera  che  senza  fallo  non  ha  ombra  di  cura  morale  « Si  jnvenis  est, 
flagelletur  culus  ejus  cum  verberibus,  et  si  non  sistit  ponatnr  in  fondo  tnrris 
cura  pane  et  aqua,  donec  veniam  a sua  insania  petat,  e teneatur  in  disci- 
plina (*  Philonii  L.  I C.  XI). 

(5) *  Mercuridis,  Gymnast.  L.  IV  C.  IX. 

(6)  Meibomius , De  flagror.  uso  in  re  venerea.  Lugd.  Batav.  1643  4.° 

(7) *  Zappert,  Ueber  das  Badewsen  (Archiv  far  Kunde  Osterr.  Geschichts- 
Quellen  XXI  127)  * Baccius,  De  thermis  L.  VII  C.  XVI. 

T.  I.  H 


106 


Alfonso  Corradt 


rare  uomini  vivi  (1)  ; a gente  che  il  giudice  interrogava 
co’  tormenti , e che  espiavano  i peccati  flagellandosi.  Quel- 
le membra  che  stavano  per  essere  colle  torture  dislocate 
s’  atteggiavano  a danza  nella  piazza  come  nel  tempio  (2)  : 
i Padri  congregati  a Trento  non  seppero  onorare  di  me- 
glio il  figlio  di  Carlo  V che  offerendogli  un  hallo  ; diver- 
timento dal  censore  Fra  Paolo  non  biasimato  (3)  : nelle 
feste  date  da  Trivulzìo  in  Milano  a Luigi  XII  i Cardinali 
non  temettero  di  nuocere  alla  dignità  loro  danzandovi  (4)  : 
V austero  Savonarola , mentre  faceva  il  Cristo  Re  di  Fi- 
renze , con  somma  letizia  vedeva  non  solo  i fanciulli  e le 
donne , ma  ancora  gli  uomini  gravi , saltare  e cantare  cò- 
me David  innanzi  all’  arca  ; ed  i suoi  frati , senza  cappa 
con  una  ghirlanda  in  capo , fare  un  ballo  tondo  grande 
quanto  la  piazza  di  S.  Marco  (5). 

» Alii,  Lyde,  nunc  sunt  mores  (6)  » 


(1)  Salimbene  de’ Frati  Minori  narra  che  Federico  11  Imperatore  volendo  pur 
meglio  conoscere  l’opera  della  digestione,  diè  a mangiare  largamente  a due 
uomini,  1 uno  de’ quali  mandò  poscia  a caccia  e P altro  a dormire:  alla  sera 
felli  sventrare  dinanzi  a sè;  ed  i medici,  che  pur  eran  presenti,  dichiararono 
aver  meglio  digerito  colui  che  del  sonno  avea  goduto.  ( * Chronica.  In  : Monum. 
hist.  Parm.  p.  169).  — Luigi  XI  di  Francia  concesse  (tanto  eragli  caro  che 
le  scienze  progredissero  ) ai  chirurgi  di  tagliare  vivo  un  arciero  dannato  a mor- 

*e»  ondte  conoscessero  come  la  pietra  si  formi  nella  vescica  ( Supplem.  aux 
Mem.  de  M.  de  Comines  I.  c.). 

(2) *  Bava,  Dei  progressi  e vicende  dell’  arte  della  danza  o ballo.  In:  Mem. 
dell  Accad.  di  Torino  1811.  XIX  166.  — Il  costume  di  ballare  nelle  chiese 
e nelle  funzioni  religiose  fu  in  alcuni  luoghi  conservato  fino  alla  metà  del  se- 
colo scorso  (*  Journ.  des  Savans  1860  p.  533)  benché  più  volte  censurato 
nei  Goncihi  {*Fleury,  Hist.  Eccles.  L.  xxxiv  § 56),  e dai  Padri  (*  5.  Ba- 
stiti, Homi!.  XIV.  Op.  om.  Parisiis  1722  li  123)  Dei  Danzatori,  specie  di 
setta  religiosa  del  trecento,  è fatta  larga  menzione  dal  Baluze  Op.  c.  I 483. 

(3)  Pallavtcino , Stor.  del  Concilio  di  Trento  L.  XI  C VI 

(4)  Anquitil  Op.  c.  VI  124  — Nel  1376  ballarono  in*  Westminster  i pre- 
pJÈ£  ass,steltero  all’incoronazione  di  Ricardo  H d’Inghilterra  (*  Rymer , 
federa,  conventiones  etc.  Londini  1709  VII  160). 

lofi  fiur*®naccA* , Vita  del  P.  F.  Girolamo  Savonarola.  Lucca  1761  p.  120 


126. 

(6)* *  Plauti,  Bacchides  III  3. 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari 


107 


e questi  in  accordo  stanno , anche  quando  non  ne  siano 
1’  effetto,  con  le  nuove  condizioni  de’  corpi.  Ma  procuria- 
mo di  rafforzare  la  tesi  nostra  con  altri  argomenti  ; ciò' 
che  verrà  fatto  andando  incontro  alle  obbiezioni , e risol- 
vendole. 

§ 9.  Prima  di  tutto  può  dirsi  che  con  le  sovr’  esposte 
ragioni  non  sempre  concordano  i fatti,  anzi  che  questi  a 
quelle  s’  oppongono.  Contro  tale  accusa , valga  il  riflettere , 
che  le  condizioni  organiche , donde  i morbi  hanno  origi- 
ne , non  si  formano  d’  un  tratto , nè , tolta  la  causa , tosto 
scompajono.  Può  quindi  accadere  che  alcun  popolo  sano  si 
mostri  di  scrofola  o di  tubercolosi  quando  male  si  nutre , 
od  invece  affatto  il  contrario  ; in  ambedue  i casi  però  fa 
d’  uopo  attendere  al  tempo  in  cui  la  causa  cessò  ovvero 
ebbe  principio.  Siffatte  apparenti  contraddizioni  possono  al- 
tresì dipendere  dagl’  influssi  benefici  o malefici  dell’  eredi- 
tà e delle  altre  cose  non  naturali;  talmente  che  la  dispo- 
sizione o diatesi,  benché  grave,  viene  elisa,  ovvero  più 
sollecitamente  nel  morbo  trabocca,  nella  stessa  guisa  che 
in  fiera  epidemia  di  vajuolo , la  subita  vaccinazione  non  è 
sufficiente  presidio.  Queste  considerazioni  valgono  altresì  a 
sciorre  V opposizione  che  nelle  città  muojono  più  tisici  che 
nella  . campagna , benché  1’  alimento  animale  sia  egualmente 
scarso , e forse  più  scarseggi  all’  agricoltore  che  al  cittadi- 
no (1)  : imperciocché  la  dimora  urbana , oltre  V anzidetta 
cagione,  altre  ancora  racchiude,  e maggiormente  quanto 
più  gente  vi  si  accalca , che  la  malattia  fanno  più  sollecita 
o grave.  Tutte  le  quali  cause  d’  insalubrità  furono  pure 
raccòlte  sotto  la  generale  denominazione  di  malaria  urba- 


(1)  Secondo  il  Boudin  (Op.  c.  II  640)  fra  la  mortalità  per  tisi  nel  con- 
tado e nelle  grandi  città  avrebbesi  questo  divario: 


sopra  1000  abitanti 


108 


Alfonso  Corradi 


na  (1).  Se  poi  sembrasse  che  ne’  passati  secoli  ( come  in  quel- 
li che  per  le  guerre  e la  mala  coltivazione , e le  poche  o 
triste  provvidenze  annonarie  le  carestie  eran  più  gravi  e 
frequenti  ) esser  dovessero  più  che  ora  comuni  la  scro- 
fola e la  tubercolosi  ; faremo  notare  la  molta  differenza 
che  passa  fra  la  momentanea  scarsezza  o privazione  di  ci- 
bo, e la  continuata  insufficienza  o sconveniente  natura  del 
medesimo.  Un  popolo  affamato , se  non  direttamente  dalla 
fame , dal  tifo  o da  altro  morbo  pestilente  è decimato  ; ed 
il  flagello  non  lungamente  dura  ; un  popolo  invece , cui 
per  solito  il  vitto  è inferiore  al  bisogno,  o non  pienamen- 
te ripara , non  cade  in  morbi  violenti  od  acuti , bensì  in 
tardi  e diuturni.  Aggiungasi  che  nel  primo  caso  la  cau- 
sa è sì  possente  che  altre  può  dirsi  non  operino  punto , 
ed  appajono  i soli  effetti  dell’astinenza  o della  febbre; 
nel  secondo  al  contrario , per  la  lentezza  della  causa , agli 
effetti  del  magro  alimento  congiungonsi  gli  altri  che  dalle 
insolite  azioni , e dalle  nuove  consuetudini , in  cui  frattan- 
to il  popolo  si  piega , derivano.  Di  guisa  che  abbiamo  in 
ultimo  non  le  conseguenze  d’  unica  cagione , ma  il  risul- 
tamento  od  effetto  composto  di  parecchie.  Male  pure  giu- 
di cherebbesi  dell’  estensione  della  scrofola  per  lo  addietro , 
misurandola  dal  numero  di  coloro  che  correvano  ai  monarchi 
d’  Inghilterra  o di  Francia  per  esserne  toccati  e guariti  : 
perciocché  allora , siccome  già  fu  avvertito , il  nome  di  stru- 
ma  o di  scrofola  qualsiasi  enfiato  del  collo  comprendeva; 
nè  tutti  gli  accorsi  erano  inalati , ma  s’  infingevano  onde 


(!)  Quatto  più  la  città  è popolata  e tatto  più  dannosa  è la  malttrin  la  Ànala 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari  109 

avere  pure  la  moneta  o medaglia  che  al  tocco  andava  uni- 
ta (1). 

Altri  all’  incontro  accordando  il  fatto  dell’  aumento  della 
scrofola  e della  tubercolosi,  dar  ne  vorrebbero  spiegazione 
dalla  nostra  diversa.  E fuvvi  per  vero  chi  disse  : esiste  fra 
tisi  e febbri  intermittenti  tale  opposizione , che  1*  una  non 
può  essere  dove  le  altre  sono  ; e siccome  le  febbri  perio- 
diche per  lo  asciugamento  di  paludi , per  1’  inalveamento 
dì  acque  e la  migliorata  agricoltura  necessariamente  sono 
diminuite , questa  diminuzione , e non  altra , è la  causa 
dell’  attuale  incremento  delle  affezioni  scrofolose.  Ma  tale 
antagonismo , benché  da  parecchi  autori  con  molto  ingegno 
difeso , è più  presto  chimera  che  realtà  (2).  La  geografia 
medica  mostra  che  le  due  malattie  possono  trovarsi  assie- 
me e sussistere  liberamente , cioè  senz’  essere  1’  una  al- 
F altra  soggetta  (3)  ; mostra  ancora  che  in  alcuni  luoghi , 
come  nelle  isole  Fàroer  e nell’  Islanda  , amendue  possono 
mancare  ad  un  tempo  (4).  Nè  solo  in  uno  stesso  luogo , 


(1)  Al  tempo  della  Regioa  Elisabetta  il  numero  di  coloro  che  presentaronsi 
per  esser  toccati  crebbe  tanto  che  niun  altro  espediente  parve  migliore  che  di- 
minuire il  valore  della  medaglia  commemorativa  che  regalavasi.  Di  oro,  che 
era,  Carlo  I la  fece  d’argento.  Nel  1714  per  P ultima  volta  fu  fatto  in 
Inghilterra  dalla  Regina  Anna  questa  funzione.  Barrigton  osserva  in  proposito 
che  piuttosto  per  avere  la  moneta,  che  per  isperanza  di  guarigione  supplicavasi 
la  grazia  sovrana.  Giacomo  I avea  già  con  editto  comandato  niuno  si  presentasse 
al  regai  toccamento , senza  dianzi  testimoniare  quell’  essere  la  prima  volta. 

(2)  Il  Welles  molto  prima  del  Boudin  avea  sostenuto  1’  antagonismo  fra  la 
tisi  e le  febbri  intermittenti  ( Observ.  on  pulmon.  Consumpt.  and  intermit.  Fever 
as  diseases  opposed  to  each  olher.  In  : Transact.  of  a Soc,  for  thè  improv.  of 
med.  Knowledge.  Lond.  1812  HI  471).  Il  Boudin  poi  per  antagonismo  pato- 
logico intende  « le  principe  en  vertu  duqnel  une  diathèse , ou  un  état  mor- 
bide confère  à I’  organisme  une  immunité  plus  ou  moins  prononeée  cootre  cer- 
taines  manifestations  palhologiques  ». 

(3)  Nel  Ferrarese  p.  e.  regnano  endemiche  le  febbri  intermittenti,  e nulla- 
dimeno  frequente  è la  tisi  e la  scrofola  (*  Bosi  e Gambari  , Osservaz.  intorno 
all’  antagonismo  tra  le  febbri  periodiche , la  scrofola  e la  tisi.  In  : Giorn.  per 
servire  ai  progressi  della  Patol.  e della  Terap.  Venezia  1847  XII  277  ).  Al- 
trettanto accade  in  Civitavecchia  (*  Jacquot , Lettres  med.  sur  1’ Italie.  Paris 
1857  p.  280).  — Anche  Briickner  Op.  c.  nega  siavi  antagonismo  fra  febbri 
intermittenti  e tisi:  anzi  i tisici  peggiorerebbero  ne' luoghi  paludosi. 

(4)  Quest’  osservasi  io  tutta  la  zona  polare  ( Muhry  Op.  c.  p.  98  ). 


110 


Alfonso  Corradi 


ma  sullo  stesso  individuo,  la  tubercolosi  e le  febbri  inter- 
mittenti si  manifestano  ; del  che  il  Yirchow  reca  prezioso 
esempio , tanto  più  meraviglioso  che  le  due  malattie  pro- 
cedevano a modo  d’  epidemia  (1).  E se  nella  maremma  ed 
in  terre  di  mal’ aria  la  scrofola  e la  tisi  non  abbonda- 
no ; anzi  che  da  mutua  ripulsione , da  altre  cause  tal  fatto 
può  dipendere  : nè  quelle  soltanto  scarse  v’  appariranno  ; 
avvegnacchè  dov’  una  malattia  è endemica  o predomina , 
le  altre  tutte  necessariamente  debbono  esservi  minori.  Ma 
di  quest’  obbiezione  non  più  ; d’  altra  parliamo. 

Poiché  videsi  non  nascere  minotauri , nè  l’  uomo  divenire 
maggiormente  bestia , inoculandogli  umori  belluini  (2) , altri 
guai  si  pronosticarono  : la  linfa  vaccinica  venne  accusata 
d’  aver  tralignata  la  specie  nostra  tanto  nel  fisico  che  nel 
morale  (3)  ; d’  aver  aumentata  la  tisi  e le  febbri  tifoidi  (4), 
ed  accorciata  la  vita  dell’ età  adulta  (5).  Medici  e non  Medici 
scatenaronsi  contro  la  pratica  salutare,  la  quale  fu  detta  vene- 
ficio s profanazione  (6):  la  bacchettoneria  entrò  nella  lizza 
con  la  solita  foga  e le  consuete  armi  ; fra  tanti  nemici  non 
mancarono  donne  (7)  , benché  a loro  , più  che  a noi  ^ Jenner 
dovess’  esser  caro;  Ed  è strano  davvero,  che  mentre  caldeg- 
gìavasi  l’ innesto  dell’  icore  sifilitico,  la  vaccinazione  fosse  si 
aspramente  combattuta!  Nè  qui  io  ne  assumerò  la  difesa  ; 
altri  già  la  fecero,  ed  assai  bene  1’  amico  mio  Prof.  Enrico 


(t)*  Canstat?  s.  Jahresb.  1852  IV  327. 

(2)  Questi  timori  ebbero  veramente  il  Moseley  Treatise  on  tbe  lues  boriila 
or  cowpox.  London  1805.  (Y.  Baron , The  life  of  Edward  Jenner.  London 
1839  I 353)  e l’Herz,  Ueber  die  Rrutalimpfung.  Berlin  1801. 

(3)  Verdé-D elide , De  la  degénérescence  phys.  et  morale  de  1’  espèce  hum. 
determinée  par  le  vaccin.  Paris  1855, 

(4)  Bayard,  Influence  de  la  vaccine  sur  la  population  ou  de  la  gastro-en- 
térite  varioleuse  avant  et  depuis  la  vaccine.  Paris  1855. 

(5)  Carnot , Essai  de  mortai,  comparée  avant  et  depuis  l’ introd.  de  la  vac- 
cine en  France. 

(6)  Nittinger , Die  50  jahrige  Impfvergiftung  des  Wurtem.  Volkes.  Stuttg. 
1852.  — Die  Impfung  ein  Missbraucb.  Stuttg.  1853.  — * Das  falsctie  Dogma 
von  der  Impfung  und  seine  Ruckwirktmg  auf  Wissensch.  u.  Staat.  Munchen 
1857  8 mit  Taf. 

(7)  Wahl  Charlotte,  Die  Kubpochenimpfung  vor  dem  Tribunal  der  Zahlen 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari  111 

Haeser  di  Greifswald  (1).  Nulladimeno  , avendo  riguardo 
all’  argomento  nostro , domanderemo  , come  la  vaccinazione 
possa  accrescere  la  scrofola  e la  tubercolosi  : non  si  dirà 
per  fatto  dell’  innesto , ripetuti  esperimenti  avendo  pro- 
vato che  quelle  in  tal  modo  non  si  propagano.  Forse  sop- 
primendo il  vajuolo , come  antagonista  della  scrofola? 

Quando  ciò  fosse,  converrebbe  credere  il  vajuolo  conse- 
guenza di  cause  opposte  a quelle  che  ingenerano  la  scro- 
fola ; o stando  agli  effetti  soltanto , questa  dovrebb’  esser 
eccessiva  dove  quello  manca.  Ma  il  vajuolo  non  è opera  del 
clima  e delle  consuetudini  dei  popoli  ; ei  propagasi  per  opera 
specialmente  del  contagio  ; nè  prima  eh’  esso  divenisse  tanto 
comune  fra  noi  o giungesse  nuovo  ad  altre  genti , la  scro- 
fola e la  tubercolosi  infierivano.  Il  Dott.  Laveran  ha  notato 
che  fra  gli  eserciti  in  alcuni  anni  il  maggior  numero  di 
morti  per  tubercolosi  è accaduto  regnando  epidemicamente 
il  vajuolo  (2)  : ed  altresì  osserviamo  comunissimo  in  Inghil- 
terra il  morbo  scrofoloso  ne’  fanciulli  del  popolo , a cui 
poco  garba  la  vaccinaziohe  (3).  Non  mancano  eziandio  casi 
in  cui  questa  riesce  salutare , ed  in  quelle  malattie  appunto 
di  cui  si  volle  causa  : nè  ciò  avviene , a mio  credere , che 
in  forza  del  generale  perturbamento  che  pur  nell’  organismo 
dee  suscitare  una  materia  capace  di  preservarlo  per  lunghi 
anni  da  fierissimo  malore.  Ma  sì  fatta  mutazione  come  in- 
direttamente reca  salute  può  altresì  esser  fonte  di  malattia, 

0 svolgerò  gli  occulti  germi  della  scrofola  e della  tuberco- 
losi : e poiché  queste  sono  le  malattie  costituzionali  più 
comuni , elleno  , anzi  che  altre  , verranno  promosse.  Ciò  che 
però  in  questo  caso  fa  1’  innesto  vaccinico , altrettanto  far 
potrebbero,  e veramente  lo  fanno , febbri  di  Jfòrme  diverse, 
od  altre  cause  di  minor  polso.  Posto  questo , che  dire  degli 
argomenti  numerici  addotti  dal  Rilliet  e dal  Barthez?  Se  fra 

1 fanciulli"  vaccinati  v’  ha  maggior  numero  di  tubercolosi 


(1) *  Die  Vaccination  und  ìhre  neusten  Gegoer  Berlin  1854  — * Die  jiin- 
gste  Angriffe  auf  die  Vaccination  (Gttschen’s  Deutschen  Klinik  J.  1866. 

(2)  Op.  c.  283. 

(3)  Haeser  Op.  c.  p.  6. 


112 


Alfonso  Corradi 


che  fra  quelli  che  non  lo  sono , non  ne  inferiremo  la  vac- 
cinazione favorire  la  formazione  dei  tubercoli , ed  il  vajuolo 
contrariarla  (1).  Avvertasi  inoltre  che  qualsiasi  mezzo  pro- 
filattico se  toglie  una  causa  di  morte,  accresce  ancora  la 
probabilità  di  soccombere  per  altre  ; così  i mille  bambini 
vaccinati  sul  nascere , e che  scampano  dal  vajuolo , non  ac- 
crescono di  mille  P intera  popolazione  che  per  breve  tem- 
po ; avvegnacchè  a tre  mesi , a sei,  ad  un  anno  ecc.  correran- 
no i pericoli  d9  altre  malattie  (2)  : necessariamente  dunque 
s’  aumentano  le  morti  nelle  età  successive  a quella  che 
venne  risparmiata.  Ma  questo  spostamento  è sempre  pro- 
ficuo; e nel  caso  nostro,  ommesse  altre  considerazioni,  alla 
calamità  di  violenta  epidemia  si  sostituiscono  i danni  remoti, 
meglio  evitabili  delle  comuni  malattie.  L9  innesto  vaccinico 
può  quindi , sotto  certo  aspetto , considerarsi  come  causa 
indiretta  d9  incremento  delle  affezioni  scrofolo tubercolari  : 
delle  quali  però  nè  anche  per  questo  dir  si  deve  illusoria  la 
cresciuta  frequenza  ; conciossiachè  per  la  stessa  ragione  che 
aumentano  le  cifre  dei  morti  per  tisi , aumentar  dovrebbero 
eziandio  quelle  per  altre  malattie  quando  di  tal  fatto  non 
fossevi  più  particolare  motivo.  E coloro  a cui  piace  attri- 
buire l9  odierno  aumento  della  scrofola  alla  preservazione 
del  vajuolo  ( come  a quel  mezzo  che  porta  maggior  numero 
di  bambini  nelle  età  più  adulte),  dovrebbero  altresì  riflet- 
tere , che  P estensione  d9  un  morbo  popolare  non  si  misura 
soltanto  dagli  effetti  suoi  diretti , ma  altresi  dai  mutamenti 
e dalle  attitudini  speciali  che  ingenera  nei  corpi , e dal 
carattere  proprio  che  comunica  ai  vari  modi  d9  infermare  : 
le  quali  cose  ho  io  superiormente  dichiarate 

§ 10.  Quanta  parte  poi  abbia  nell9  anzidetto  fatto  la  con- 
suetudine di  fumare  tabacco , io  non  saprei  ben  determinare. 


(1)*  Traité  elio,  et  prat.  des  malad.  des  Eofants  III  399. 

J^)  * Qnaod  on  lit  ou  qu’  od  entend  dire  qu5  en  conservaci  la  vie  à c 
mine  personnes , la  vaccine  a ajouté  cent  mille  àmes  à nètre  population , 
peut  sourire  de  V erreur  et  néanmoins  applaudir  à la  découverte  ( Say.  /. 
Lours  complet  d’ Econom.  polii.  IV.  385). 


Delle  affezioni  Scrofolotubekcolari 


113 


Conringio  fin  dal  seicento  avvertiva  che  per  di  lei  colpa  gli 
uomini  più  non  avevano  l’ alta  statura  degli  antichi  Germa- 
ni (1)  ; Brodie  ci  svela /che  se  oggi  T erede  di  Solimano 
anzi  che  far  tremare  F Europa , ne  sta  in  balia , il  perchè 
n’ è la  pipa  che  quegli  sempre  tiene  fra  i denti  (2).  Ma  le 
cause  del  decadimento  de’  popoli  non  si  compendiano  nel 
cigarro,  o nel  ballare  in  tondo,  come  voleva  Samuele 
Wolf  (3)  : F impero  Romano  rovinava  senza  che  il  W alzen 
o la  Nicoziana  F avesser  corrotto.  Gravi  danni  dall’  abuso 
di  quest’  erba  possono  certamente  derivare , sopra  tutto  se  il 
corpo  sia  per  F età  o per  altri  guai  meschino  : tuttavia  al 
caso  nostro  guardando , la  tisi  è tanto  frequente , se  non 
maggiore,  nelle  donne -che  negli  uomini;  nulladimeno  quel- 
F è usanza  quasi  affatto  virile.  Nè  chi  lavora  il  tabacco, 
od  in  varii  modi  lo  prepara,  mostra  di  soffrire  più  degli 
altri  operai  di  consunzione  polmonare , anzi  ne  starebbero 
meglio  secondo  che  attestano  parecchi  medici  (4)  ; non  per 
un  singoiar  privilegio , ma  piuttosto  in  grazia  del  maggiore 
stipendio.  La  qual  cosa  mostra  come  giudicando  della  sa- 
lute e de’  morbi  degli  artefici  , oltre  la  natura  del  lavoro, 
fa  d’  uopo  eziandio  considerare  le  condizioni  nelle  quali  vie- 
ne eseguito  ; ed  uno  6tesso  mestiere , sol  perchè  diversa- 
mente  lucroso , può  riescire  non  egualmente  insalubre.  Il 
Dott.  Neufville  p.  e. , medico  a-  Francoforte  sul  Meno,  esa- 
minando qual  parte  abbiano  le  diverse  professioni  nel  di- 
sporre alla  tisi , ha  trovato  il  maggior  numero  de’  morti 
per  tubercolosi  (circa  2/5  su  100  che  vivi  esercitarono 
lo  stesso  mestiere  ) fra  sartori , calzolai  e falegnami  ; il  mi- 
nore (1/10  su  100)  fra’  macellai  (5);  a Milano  invece  i cal- 


(1) *  De  habitus  corpor.  Germanie,  antiqui  et  novi  causis.  Helmestad.  1666 

p.  18.  il  fiutare  tabacco  in  Italia  avea  già  formato  consuetudine  alla  metà 

del  seicento.  V.  Sinetii  Bassipani , Ephemeris  anni  1660  p.  32. 

(2)  Rev.  Britan.  1860  N.  9.  , J „ . 

(3)  Beweis  dass  Walzen  eine  Hauptquelle  der  Schwache  des  Korpers  nnd 
des  Geistes  unserer  Generation  sey.  Halle  1797  8.° 

(4) *  Siméon , De  la  sauté  des  ouyriers  employés  dans  les  manut.  du  tabac 

(Ann.  d’Hyg.  pubi.  XXXIV  300).  „ 1( 

(6)  Lebensdauer  und  Todesursachne  der  BevOlkerung  Frankfurts.  Frakf.  a- 
M.  1866  p.  92. 

t.  i.  15  ?M 


114 


Alfonso  Corradi 


zolai  non  soccombono  per  tisi , tenuta  la  stessa  ragione , 
nemmeno  per  un  quinto  (1)  : a Gopenaga  gli  artigiani  che 
maggiormente  soccombono  alla  tisi  sono  i falegnami , i sar- 
tori , i legatori , i tornitori , i fabbricatori  di  latta  ( le  morti 
oltrepassano  il  40  per  100);  e quelli  che  meno  ne  soffro- 
no (le  morti  non  giungendo  al  20  per  100)  sono  i for- 
nai ed  ì conciapelli  (2).  Ma  in  questi  ragguagli  non  è te- 
nuto conto  del  numero  totale  degl9  individui  che  vivono 
della  medesima  professione  o mestiere  : la  qual  cosa  è pur 
necessario  sapere  onde  ben  conoscere  come  queglino  siano 
diversamente  disposti  ad  ammalare.  Quanto  poi  sia  malage- 
vole determinare  cotali  disposizioni , bene  si  scorge  dal- 
F elenco  stesso  datoci  dal  Lombard  delle  condizioni  che 
spingono  i corpi  più  presto  nella  tisi , ovvero  ne  li  trat- 
tengono : ed  elleno  sono  molte  e diverse  ; nè  le  benefiche 
o le  malefiche  vanno  sempre  con  le  consimili  ; anzi  più 
spesso  alle  contrarie  s’  accompagnano  di  modo  che  per  sì 
varie  combinazioni  mal  si  discerne  quale  sia  la  parte  - di 
ciascuna  causa  nell9  effetto  che  è datò  osservare  (3).  Nep- 
pure la  media  durata  della  vita  è ovunque  eguale  per  co- 
loro che  esercitano  la  stessa  arte  o mestiere  : confrontando 
le  tavole  del  Casper  e le  altre  raccolte  da  Husemann , tro- 
vasi che  gli  ecclesiastici , i mercanti , gl9  impiegati , i con- 
tadini f gli  avvocati , gli  artisti , i medici  vivon  meno  tem- 
po nel  Massachusetts  che  in  Prussia  (4). 


(1) *  Sanseverino,  Studi  sulle  note  mortuarie  dell’Ufficio  municipale  di  Sa- 
niti di  Milano  degli  anni  1852  al  1856  (Ann.  univ.  di  Statisi.  XVII  144). 

(2) *  Hannover , Maladies  des  artisan*  d’  après  les  relevés  des  Hopitaux  ci- 
vils  de  Copenhangue  (Ann.  d’Hyg.  pubi  1862  XVII  311). 

(3)  Le  cicostanze  che  accrescono  la  lisi  sono  : la  miseria , la  vita  sedentaria, 
il  poco  moto,  le  posture  che  tengono  il  corpo  incurvato,  l’aria  guasta  delle 
officine , l’ inspirare  certi  vapori  minerali  o vegetali , ovvero  polviscolo , lanugine 
e filamenti.  Invece  preservano  dalla  malattia  ; 1’  agiatezza , il  moto , il  vivere 
all’  aperto  , il  regolato  esercizio  di  tutte  le  parti  del  corpo , il  respirare  vapori 
acquosi , od  effluvii  di  natura  organica  * Lombard.  De  l’ influence  des  pro- 
fessions  sur  la  phthisie  pulmonaire.  In:  Ann.  d’Hyg.  pubi.  XI  62). 

(4)  Husemann , Sterbeziffer,  Durchschnittsalter  und  miniere  Lebensdauer  in 
den  vereinigtea  Staaten  ( Montasblatt.  f.  med.  Stat.  N.  1 ). 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari  115 

Abbiamo  veduto  come  Camper  s’  accòrgesse  che  mentre 
ne’  Paesi  Bassi  diminuivano  le  affezioni  calcolose , P emottisi 
e la  tisi  crescevano  di  numero  : P una  e P altra  cosa  attri- 
buiva egli  alla  nuova  usanza  di  bere  thè  e caffè  invece 
della  birra  (1).  Anche  Percival  all*-  abuso  del  thè  dava  col- 
pa dello  indebolimento  delle  costituzioni , della  minor  vio- 
lenza delle  infiammazioni , e della  poca  tolleranza  che  per 
le  sottrazioni  di  sangue  presentemente  s’  osserva  (2).  Ma 
contro  quest’  etiologia  tosto  s’  affaccia  P obbiezione  che  au- 
mento di  scrofola  e tubercolosi , aftievolimento  de’  corpi 
sono  in  luoghi  dove  tali  droghe  poco  o punto  sono  in  uso, 
od  almeno  non  tanto  quanto  sarebbe  mestieri  perchè  ragio- 
nevolmente in  loro  veder  si  potesse  la  causa  di  quelle  scia- 
gure. Anzi  oggi  disposti  siamo  a credere  che  il  caffè  valga 
piuttosto  che  a produrre , a metter  freno  a siffatti  mali  : se 
pure  non  se  ne  esagerano  le  virtù,  come  per  lo  addietro  se 
ne  esagerarono  i danni!  Il  caffè  per  sè  stesso  non  è alimento, 
non  contenendo  che  per  1/35  sostanze  capaci  di  nutrire  ; 
perù  ^ssn  ha  il  potere  di  tardare  le  metamorfosi  organiche , 
talmente  che  le  parti  non  più  ha»no^-sì  sollecito  bisogno 
di  ristorarsi  con  nuova  sostanza:  quindi  se  non  ci  nutre, 
il  caffè  torrebbe  che  ci  snutrissimo.  E per  vero  Bòcker  ha 
sperimentato  la  quantità  d’  urea , d’  acido  urico  e fosforico 
espulsa  con  P urina  in  coloro  che  s’  astengono  dal  caffè  es- 
sere maggiore  che  negli  altri , i quali  di  sorbirne  hanno  la 
consuetudine  (3).  La  qual  cosa  serve  a spiegare  la  sobrietà 
degli  Arabi , le  astinenze  delle  carovane , e di  altre  popola- 
zioni che  largo  uso  fanno  dell’  aromatica  bevanda.  Ed  il 
Gasparrin  dell’  anzidetta  prerogativa  è sì  persuaso , che , 
solo  tenendo  conto  dell’  uso  quotidiano  del  caffè,  vuol  dare 
a sè  stesso  ragione  del  perdurare  che  fa  in  gravissime  fa- 
tiche il  minatore  belga;  quantunque  in  presso  che  P inte- 
ra settimana  il  vitto  suo  sia,  rispettò  a facoltà  nutritive, 


(1)  V.  sopra  P.  Il  § 8.° 

(2)  Essay  med.  philos.  In:  Bibliot.  Britan.  1808  XXXVII  198. 

(3)  Beitrage  zur  Heilknnde  I 188  e seg. 


116 


Alfonso  Corradi 


inferiore  all’  altro  de’  più  austeri  ordini  monastici,  come  i 
Trappisti , e di  molti  prigionieri;  e tanto  più  inferiore,  che 
senza  confronto  maggiore  è per  quelli  il  lavoro  ed  il  con- 
sumo di  forza  (1).  Altri  tacciò  d’  esorbitanza  tali  novelle  (2)  ; 
ma  il  Gàsparrin  nuovamente  rincalzò  l9  efficacia  del  caffè  nel 
render  meno  urgente  la  necessità  del  rinutrimento  (3).  Lo 
Schutze  recentemente  ha  tenuto  lo  stesso  avviso  ; ed  ha 
détto  che  il  tifo  per  penuria  nella  Slesia  superiore  non  si 
sarebbe  tanto  allargato , se  quella  gente  anzi  che  d’  acqua- 
vita , avesse  fatt’  uso  di  caffè  (4):  Lehmann  fa  altresi 
notale,  come  segno  di  provvidenza,  questa  preziosa  droga 
essere  stata  introdotta  in  Europa  nello  stesso  tempo  che  vi 
vennero  le  patate , ed  il  di  lei  consumo  aver  aumentato 
quanto  più  le  patate  stesse  entravano  a far  parte  del  cibo 
del  popolo.  Che  se  poi  si  confronti  dove  maggiormente  si 
consumi  caffè  e thè  , trovasi  che  quello  è più  usato  dalle 
genti  che  scarsamente  si  nutrono  ; questo  invece  da  coloro 
soprattutto  che  godono  di  sufficiente  ed  anche  di  esuberante 
nutrizione  (5).  La  salutare  azione  del  caffè  è stata  pure  speri- 
mentata dal  soldato,  sì  per  reggere  più  lungamente  alla  fatica 
del  marciare , che  per  meglio  resistere  alle  malattie  (6). 


(1) *  Note  sur  le  régime  alimentaire  des  mineurs  belges  ( Comptes  Rendus 
de  l’Acad.  des  Sciences  1850  XXX  400  e 401). 

(2)  Gharpentier  { Ibid.  826  ). 

(3)  Ibid.  XXXI  26. 

(4)  Kaffee , Thee  u.  Chocolade  als  Nahrungsmittel  u.  in  sanitatspoliz.  Hin- 
sicht  {Casper’9,\ ierteljahrschr.  f.  gericht.  u.  affienii.  Med.  XVIII  2 H.  ).  — 
Anche  il  thè  avrebbe  azione  eguale  al  caffè , se  non  che  maggiormente  egli  stimola 
il  sistema  nervoso  soprattutto  cerebrale.  Gasparrìn  crede  che  pure  i bulbi  aglia- 
cei ritardino  le  scomposizioni  organiche  ; il  precetto  quindi  di  Virgilio , più  ad-' 
dietro  accennato  P.  Il  § 5\  avrebbe  ragione  scientifica.  L’acqua  ed  il  sale 
godrebbero  invece  opposta  azione,  solleciterebbero  cioè  le  trasformazioni  orga- 
niche per  quello  che  n*  hanno  detto  Io  stesso  Bocker  e Barrai  ( * Polli , Ann. 
di  Clini.  1850  X 60). 

(5)  Polli  Op.  c.  XVII  204.  — In  fatto-  consumasi  in  maggior  quantità 
il  thè  a Londra , ed  il  caffè  a Parigi  : ma  più  sopra  abbiamo  veduto  come  l’ an- 
nona sia  più  sostanziosa  in  Inghilterra  che  in  Francia  ( P.  Il  § 7 ). 

(6) *  Chevallier , Du  Café  (Ann.  d’ Hyg.  pubi.  1862  XVII  60:  Lettera  di 

Larreyf.  >r?  V.  anche  * Piccardi , Il  Caffè  : racconto  storico  medico.  Na- 
poli 1845  8?'  :•'* 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari  117 

Ma  di  ciò  basta:  ayvegnacchè  della  funzione  di  nutrizione 
molto  ancora  ignoriamo , e più  ancora  delle  facoltà  de’  sin- 
goli alimenti.  La  dietetica  quindi  è presso  che  tutta  in  mano 
dell’  empirismo , e lo  stomaco  sin  qui  è il  migliore  de’  chi- 
mici , ed  il  più  sagace  fisiologo  (1).  Magendie  ha  giustamente 
fatto  notare  che  quantunque  le  sostanze  le  quali  conten- 
gono poco  azoto  , o non  ne  contengono  punto , non  siano  nu- 
trienti, pure  dalla  sola  quantità  di  esso  non  puossi  ben 
argomentare  1’  assoluta  potenza  nutritiva  di  un  alimento  (2)  : 
se  altrimenti  fosse , perchè  talun  animale  è erbivoro  e l’ al- 
tro è carnivoro , e perchè  noi  non  ci  cibiamo  di  fieno  che 
pur  contiene  azoto , anzi  gli  stessi  elementi  proteici  ? La 
nutrizione  è affare  più  complicato  di  quel  che  paja ; e l’a- 
limento necessariamente  dev’  esser  composto  e vario  se- 
condo la  diversità  degli  organismi  e le  molteplici  perdite 
cui  deve  riparare. 


(1)  Gl'  Irlandesi  nutrendosi  di  sole  patate  ne  consumavano  6 Kilogr.  30  al 
giorno,  cioè  24  grani,  d’azoto.  Di  tanto  dovea  sopraccaricarsi  lo  stomaco  per 
trovarvi  la  quantità  di  sostanze  albuminoidi  necessarie  a sostenere  la  vita. 
Quando  venner  meno  le  patate  il  Governo  trasse  mollo  mais  dall*  America , 
e gl1 2 * * * * * * 9  Irlandesi  adulti  consumavano  di  questo  grano  ridotto  in  farina  1 Kil.  34 
al  giorno , cioè  22  gram.  d9  azoto.  Per  questo  cambiamento  di  cibo  lagnava nsi 
gl9  Irlandesi  di  certa  sensazione  di  vacuo  nello  stomaco , prodotta  dal  non  es- 
sere più  gli  organi  della  digestione  cotanto  dilatati  come  prima  dalle  patate. 
Ma  tosto  che  vi  si  fu  abituato,  il  popolo  non  più  lagnossi  d9  alcuna  molestia , 
e preferiva  il  mais  dicendo  sentirsi  più  vigoroso  che  quando  nutrivasi  di  patate 
(Rev.  Britan.  1848  Gen.  p.  77). 

(2)  Compì,  rendus  XXX  402.  — Abbadie  assicura  che  in  Abissioia  la  car- 

ne magra  o grassa  ma  cruda  non  nutre  quanto  in  Europa,  e meglio  ripara  le 

forze  dell9  uomo  se  seccata  al  sole  : più  poi  che  la  carne  a ciò  valgono  le  fa- 

rine. Parimente  i Mussulmani  tollerano  meno  il  digiuno  de9  Cristiani , benché 
quelli  bevano  caffè,  e questi,  per  iscrupolo  religioso,  se  ne  astengano  (Ibid. 
XXX  750  ).  — Poste  per  vere  le  quali  cose,  maggiormente  si  scorge  la  diffi- 

coltà di  determinare  l’azione  nutritiva  degli  alimenti,  imperocché  parrebbe  che 
dessi  ne9  loro  effetti  variassero  secondo  il  clima.  Però  oltre  V influsso  di  questo 
debbono  avervi  parte  altre  circostanze  tutte  proprie  degli  organismi , e che  l9  Ab- 
badie non  ha  avvertito.  Quanto  diverse  non  sono  p.  e.  le  consuetudini , e quin- 
di ancora  la  costituzione , de9 due  popoli,  di  cui  si  confronta  la  diversa  pazienza 

nel  digiuno?  Onde  poi  rigorosamente  dedurre  che  il  caffè  in  Abissinia  non  ha 
quella  virtù,  che  ora  in  Europa  gli  si  vuol  concedere,  sarebbe  stato  mestieri  spe- 

rimentare se  colà  il  Cristiano , usando  di  quella  droga  , maggiormente  ovvero 

meno  di  ciò  che  suole,  perdurare  potesse  nell'  astinenza. 


Alfonso  Corradi 


§ 11.  Assegnata  per  tal  modo  e difesa  la  causa  della  mol- 
t’  estensione  della  scrofola  e della  tubercolosi , parmi  avere 
ancora  risposto  al  quesito  « perchè  diminuita  la  podagra 
siansi  fatte  più  comuni  le  malattie  scrofolotubercolari  ».  E 
qui  cade  opportuno  ripetere  eh5  io  non  riguardo  P avvenuto 
mutamento  nella  dieta,  la  sovrabbondanza  cioè  del  vitto 
vegetale  a fronte  dell’  animale  (1),  quale  causa  diretta  ed 
immediata  della  scrofola  e della  tubercolosi,  sibbene  fonte 
delle  condizioni  organiche  favorevoli  alla  produzione  delle 
medesime;  che  è quanto  dire,  i corpi  con  quel  nuovo  modo 
di  vivere  hanno  acquistato  attitudine  ad  ammalare  piutto- 
sto in  quella  che  in  altra  guisa.  Questo  concetto  etiologico 
non  esclùde  P azione  di  tant’  altre  cause  invocate  dai  pa- 
tologi ; elleno  pure  operano , ma  P opera  loro  è ausiliaria , è 
non  varrebbe  o sarebbe  insufficiente  se  gli  organismi  in  al- 
tra guisa  fossero  preparati  e disposti.  Il  Parola  ha  scritto  : 
« Indipendentemente  dalle  circostanze , ove  la  tubercolosi 
è favorita  da  qualche  tendenza  o disposizione  originale  .... 
tutte  le  cause  sì  fisiche  che  morali  valevoli  a modificare  pro- 
fondamente P ematosi , possono  col  lungo  loro  agire  in- 
durre nell’organismo  quella  modificazione  donde  ne  de- 
riva la  predisposizione  tubercolare  ; ond’  è che  la  tisi  acqui- 


li) Cade  opportuno  rammentare  quanto  Blane  diceva  nelle  * Ricerche  sopra 
le  cause  ed  i rimedi  della  passata  e della  presente  scarsezza  (A.  1799-1800): 
« E noto  che  nei  secoli  decimoterzo  e decimoquarto  un  dato  peso  di  grani  si 
vendeva  ad  un  prezzo  maggiore,  che  egual  peso  di  cibo  animale.  In  un  pe- 
riodo ancor  più  recente , una  libbra  di  farina  d’  avena  veniva  considerata  nelle 
montagne  di  Scozia  come  equivalente  ad  una  libbra  di  manzo.  Ai  giorni  nostri 
accade  intieramente  1’  opposto  ; la  ragione  ne  è senza  dubbio , che  la  pastori- 
zia non  richiedendo  che  scarsi  talenti , e poca  fatica , è 1’  occupazione  favorita 
de  tempi  rozzi,  mentre  l’agricoltura,  esigendo  gran  diligenza  e perizia,  fio- 
risce soltanto  ne’  secoli  di  civilizzazione  e d’  industria.  Possiamo  da  ciò  infe- 
rire che  il  rapporto  della  quantità  de’ grani  a quella  del  cibo  animale  era  in 
quei  secoli  molto  minore  che  ai  nostri  tempi ...  È quindi  manifesto  che  prima 
del  secolo  decimottavo  il  cibo  animale  formava  la  maggior  parte  del  sostenta- 
mento degli  operai  (Trad.  ital.  Pisa  1818  p.  8 e 12).  » Non  solo,  aggiun- 
giamo noi,  è ora  diminuito  il  consumo  generale  delle  carni,  ma  altre  biade, 
meno  ricche  di  sostanza  nutriente,  hanno  preso  per  molta  parte  il  posto  del 
frumento^  della  segale , dell’  orzo , del  miglio.,  del  panico , che , circa  un  se- 
colo fa,  formavano  ancora  la  quota  massima  del  popolare  alimento. 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari  1 1 9 

sita  è di  tutte  le  età,  non  conoscendo  altro  limite  che  il 
tempo , la  dilazione  delle  cause  ed  influenze  antigieniche 
sotto  le  quali  essa  si  sviluppa,  e non  essendovi  individuo 
per  quanto  robùsto  si  voglia  supporre , che  sotto  la  protratta 
influenza  di  dette  cause  non  possa  col  tempo  divenire  ti- 
sico  (1)  >,. 

Ma  cause  antigieniche,  fisiche  e morali,  non  mancarono 
per  lo  passato;  anzi  molte  di  esse  furono  più  gravi  e 
generali , senza  che  la  scrofola  e la  tubercolosi  fossero 
quant’  oggi.  Inoltre  queste , come  le  altre  malattie , non 
possono  essere  generate  indifferentemente  da  tutte  le  cause 
d’  insalubrità , perciocché  fra  le  cagioni  morbifere  ed  i con- 
seguenti stati  patologici  v’  ha  certa  attenenza  ; anzi  in  for- 
za di  alcune  particolari  condizioni  morbose  F organismo  è al- 
lontanato o fatto  immune  da  altre.  Così  F idroemia  non  con- 
sente , o malamente  consente , che  infiammazione  si  formi. 

La  causa  poi  qui  assegnata  è di  tale  natura  che , ope- 
rando , non  va  sola , cioè  se  da  prima  è semplice , prose- 
guendo diviene  composta,  e siccome  assai  dawicino  riguarda 
la  vita  delle  nazioni , e le  condizioni  sociali  profondamente 
rimuta,  così,  posta  quella,  altre  pure  sono  tratte  in  azione. 
Quindi  essa  non  limita  i suoi  effetti  a’  soli  cangiamenti 
diretti  dell’  organismo  ; ma  va  più  oltre , e produce  nel  po- 
polo nuovi  bisogni , e nuove  costumanze  ; le  quali  a loro 
volta  possono  divenire  causa  d’  infermità.  Coltivando  p.  e. 
le  patate  in  luogo  del  frumento  e dell’orzo,  l’abitante 
de’  paesi  settentrionali  non  berrà  più  la  birra  ma  F acqua- 
vita  cotanto  perniciosa  (2)  ; adottando  coltivazione  che  poca 
o niuna  cura  richiede,  il  lavoro  de’  campi  non  più  sosterrà 
F agricoltore , che  nella  città  andrà  in  busca  di  lavoro , 
è serrandosi  negli  opificii  respirerà  aria  impura  : il  vitto 
vegetale  scemando  la  vigoria  delle  membra  svoglierà  il  po- 


li )*  Della  Tubercolosi.  Torino  1849  p.  453. 

2)  È stato  notato  che  la  mancanza  di  vino  fa  consumare  maggiore  quantità 
di  pane  (*  Ann.  unir.  di  Stalist.  1867  XVI  248).  Il  qual  fallo  confermereb- 
be P opinione  di  parecchi  chimici  e fisiologi  che  come  P acqua  accelera  le  tra- 
sformazioni organiche , ed  aumenta  le  perdite  del  corpo;  il  vino  invece,  in  di- 
screta dose , quelle  rallenti , e queste  per  conseguenza  ancora  diminuisca. 


120 


Alfonso  Corradi 


polo  dagli  esercizii  ginnastici , e care  gli  faranno  opposte 
consuetudini  ; le  inclinazioni  dell’  animo  si  conformeranno 
alle  nuove  condizioni  del  corpo,  e questo  ritrarrà  quel- 
le : leggi  e governò  saranno  infine  quali  il  nuovo  stato  esi- 
ge. La  storia  poi  insegna  come  veramente  i popoli  prendon 
sembianze  dalle  dominanti  malattie  , cioè  acconciano  il  pen- 
siero e le  opere  loro  alla  natura  di  coteste  ; ned  io  ho  tra- 
lasciato di  darne  più  sopra  alcun  esempio. 

Ecco  come  una  serie  di  cause  morbifere  incatena  le 
proprie  azioni , e forma  effetto  composto.  Però  a chi  tutta- 
via chiedesse  se  Y insufficienza  del  vitto  animale  valga  da 
sè  sola  ad  ingenerare  ne5  popoli  la  malattia  scrofolotuberco- 
lare , diremmo:  se  mai  può  rispondersi  a così  fatto  quesito, 
avvegnacchè  non  sia  dato  osservare  quella  causa  sì  solitaria 
nell’  operare , che  le  ultime  conseguenze  a lei  unicamente 
possano  attribuirsi,  altrettanto  sicuramente  è lecito  affer- 
mare ella  sola  potere  star  a capo  di  tale  serie  causale,  sic- 
come potenza  da  cui  gli  altri  momenti  fluiscono;  e per 
vero  posta  quella  qualità  di  vitto,  e non  altre  cause,  per 
prima,  nasce  la  sequela  di  azioni  e di  effetti  per  la  quale 
T anzidetto  morbo  o si  forma,  o s’  allarga  diventando  po- 
polare. Altri  però  nell*  insufficiente  nutrizione  plastica  ha 
veduto  la  causa  della  pellagra  : ma  se  il  frumentone  produ- 
ce la  pellagra,  non  la  produce  soltanto  perchè  contenga 
poche  sostanze  proteiche , ma , probabilmente , perchè  tal- 
volta è pravo  oltr’  essere  insufficiente  alimento.  In  ogni  modo 
la  scarsezza  della  sostanza  animale  od  azotata  nell’  annona , 
se  entra  nell’  etiologia  e della  scrofola  e della  pellagra , in 
questa  non  sarà  come  in  quella,  vuoi  pel  grado  o per  le 
diverse  congiunzioni  ; talmente  che  di  causa  prima  diviene 
seconda , e di  prevalente  subordinata.  Nella  miseria  delle 
genti  pellagrose,  ben  nota  il  Dott.  Goletti,  deve  acchiu- 
dersi un  elemento  speciale  e che  non  si  verifica  nelle  altre 
miserie , e nel  quale  deve  consistere  la  causa  precipua  del 
morbo  (1). 

(1)*  La  Pellagra.  Padova  1861  p.  16.  (Nota  estratta  dai  Raccoglitore  della 
Società  d*  Incoraggiamento  per  la  Provincia  di  Padova  An.  IX  ).  — Giova  al- 
tresì notare  che  il  Gai-biglietti  ed  altri  hanno  grandemente  dubitato  di  antago- 
nismo tra  la  pellagra  e la  scrofola  (*  Giorn.  delle  Scien.  med.  Torino  XXVIII  3). 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari  121 

Finalmente  se  a qualcuno  paresse  vedere  in  co  tali  serie 
causali , cause  predisponenti  e cause  occasionali , conforme- 
mente alla  vecchia  distinzione  scolastica , non  bene  giudi- 
cherebbe; avvegnacchè  in  quella  composizione  le  cause  han- 
no certo  legame,  s’  altro  non  fosse  1’  ordinata  successione, 
e quasi  necessario  sviluppo  da  una  suprema  ed  originale  : 
il  tubercolo  poi  ed  i prodotti  della  scrofola  sono  conseguen- 
ze di  processo  morboso  del  tutto  proprio , e.  nel  quale  le 
anzidette  cagioni  non  hanno  parte  che  apparecchiando  le 
più  acconcie  condizioni , ed  iniziando  i primi  passi  dell’  evo- 
luzione patologica.  Ma  questo  menerebbe  a dire  della  causa 
prossima  o natura  propria  della  scrofola  e della  tubercolo- 
si ; della  quale , perchè  fuori  dal  cerchio  delle  presenti  in- 
dagini, fu  già  detto  non  dover  noi  parlare. 

§ 12.  E così  ha  termine  il  mio  assunto  : ed  a chi  ricer- 
casse se  riparo  siavi  al  male  che  ci  affligge , direi  : sublata 
causa , tollitur  effectus.  Trattandosi  di  togliere  ereditate  di- 
sposizioni, di  rimutare  gli  organismi,  i miglioramenti  non 
possono  essere  subitanei  : fa  d’  uopo  che  una  generazione 
non  peggiori,  onde  Y altre  successivamente  migliorino;  e 
nella  stessa  guisa  che  noi  scontiamo  gli  errori  degli  avi , i 
nipoti  godranno  del  nostro  ravvedimento.  Come  poi  ciò 
possa  farsi , tocca  ad  altri  indagare  ; avvegnacchè  il  rimedio 
non  stia  nelle  mani , nè  in  facoltà  de’  medici.  Però  s’  io 
dicessi  fa  d’  uopo  tornare  in  qualche  cosa  al  vitto  antico , 
non  vorrei  eh’  altri  intendesse  il  ritorno  in  pieno  Medio 
Evo , tentando  ridar  vita  a ciò  che  irreparabilmente  è morto. 
Io  amo  troppo  la  Civiltà  per  vagheggiare  la  barbarie,  e 
niuno  di  noi  anteporrebbe  essere  d’  altri  tempi  che  di  que- 
sti : gli  spasimati  de’secoli  feudali  quando  tornassero  a godersi 
quelle  torture,  que’  roghi,  que’  duelli,  que’  veleni,  e tutte 
le  altre  infamie  d’  allora , certamente  che  nel  grande  ardore 
si  raffredderebbero.  È antico  vezzo  rimpiagnere  il  passato , il 
presente  parendoci  peggiore  perchè  n’  abbiamo  lo  sperimén- 
to ; e più  facilmente  crediamo  sia  stata  1*  età  dell’  oro  di  quel- 
lo che  sia  per  venire.  Siamo  giusti:  noi  abbiamo  e beni  e 
mali  ; ad  alcuni  di  questi , perchè  quasi  proprii  della  na- 
tura umana  , rassegniamoci  senz’  avere  il  farnetico  di  torli  ; 

T.  I.  16 


122 


Alfonso  Corradi 


altri  il  possiamo,  purché  non  li  esageriamo  tanto  da  Cre- 
derli insuperabili , nè  diciamo  perduta  1*  opera  di  combat- 
terli /per  dar  aspetto  di  prudenza  all’  infingardaggine,  ed 
onesto  rendere  il  far  nulla.  La  Civiltà  può  ben  accordarsi 
con  altra  maniera  di  vivere , nè  dessa  è frutto  soltanto  della 
nostra  : in  Roma  ed  in  Grecia  le  arti  belle , la  poesia  e la 
piu  squisita  eleganza , siccome  le  scieilze  più  severe , creb- 
bero e prosperarono  meravigliosamente  ; tanto  che  alcuna 
giunse  a tal  apice , che  non  pur  di  toccarlo  ma  d’  andarvi 
pressa  fu  poscia  interdetto.  E ciò  con  costumi  diversi  da- 
gli odierni , anzi  con  quelli  stessi  che  ci  mancano,  e che 
vorremmo  in  parte  rinnovati.  Che  se  gravi  colpe  pesano 
sovra  que’  secoli , il  nostro  non  è il  migliore  : 1’  economia 
pubblica  s’  è sottratta  dall’  igiene;  laddove  che  il  lavoro , la 
produzione  ed  il  consumo  debbono  essere  tali  ed  in  tali  misu- 
re contenersi , che  P individuo  conservandosi  fisicamente  pro- 
speri , e moralmente  migliori.  Ma  oggi  è vezzo  rimpiccolire 
la  scienza  ; e la  medicina , scienza  eminentemente  civile , 
tutta  si  caccia  fra  i cadaveri  sotto  pretesto  di  farla  esatta: 
però  di  cotest’  ostracismo  converrà  lungamente  piangere  ; 
ogni  legge  di  necessità  essendo  viziosa  quando  non  abbia 
fondamento  nella  natura  degl’individui  e de’ popoli , nella 
cognizione  delle  loro  forze  e delle  loro  attitudini.  In  tempi 
che  diciamo*  barbari , il  fondatore  di  ordini  monastici  avea 
riguardo  alla  qualità  dell’  uomo , ed  il  rigore  delle  regole  ac- 
comodava secondo  la  necessità  de’  luoghi  (1).  La  più  larga 
ospitalità , la  carità  più  fervorosa  sollevava  i mali  dalla  mi- 
seria inseparabili  ; e moltiplicandosi , la  beneficenza  vestiva 
le  più  svariate  forme:  che  se  teneva  alcun  che  di  stra- 


li) Così  Suipizio  Severo  discorrendo  del  modo  di  vivere  de' monaci  d’ Orien- 
te, saviamente  fa  riflettere  che  quello  non  può  esser  ripetuto  ne’ nostri  climi, 
perciocché  se  « Edac.tas  in  Graecis  gula  est,  in  Gallis  natura  (*  De  virtut. 
Monachor.  Di  al.  I Cap.  IV)  ».  Egualmente  non  tutti  i monaci  erano  sottopo- 
sti  a,  periodici  salassi  di  cui  si  è detto  in  una  delle  antecedenti  note  (P.  Il 
S 9),  ma  quelli  soltanto  che  il  Superiore  credeva  n’avessero  bisogno:  «Cura 

^ar^tmSw  fcaei)p;ior  io  Capitu,0j  qui  debeant’ vei  qoi  non  de“ 


Delle  affezioni  Scrofolotubercolari 


23 


no  (1) , colpa  era  dell5  età  in  cui  sorgeva  ; la  quale  ri- 
traeva dell5  eroica,  e sapeva  accoppiare  i vizii  più  nefandi 
alle  maggiori  virtù.  Ma  noi  oggi  ancora  da  un  popolo  che 
dicesi  civile  udiamo  dire  la  schiavitù  essere  istituzione  mo- 
rale ed  umana j il  fondamento  più  saldo  della  libertà,  ed 
inestimabile  benefizio  sì  per  il  servo  che  per  il  padrone  (2)  : 
quindi  i premii  a chi  uccida  i difensori  della  razza  negra, 
e perfino  le  domande  d5  esserne  il  carnefice  (3).  Pochi  anni 
or  sono , quando  l5  Europa  era  in  perfetta  pace  e della  fe- 
licità universale  tutti  s5  occupavano , vedevamo  un  popolo 
morire  di  fame , e non  meno  di  4 al  minuto  n5  erano  le 
vittime  (4)!  Che  se,  onde  sfuggire  le  carestie,  moltepli- 
ci colture  sono  necessarie , facciamo  che  le  accessorie  o suc- 
cedanee non  superino  le  principali  od  almeno  non  ne  siano 
per  natura  gran  fatto  lontane  ; il  buon  nutrimento  fa  l5  uomo 
robusto,  e la  gagliardìa  del  popolo  costituisce  la  prosperità 
delle  nazioni.  Alla  quale  ha  pur  contribuito  per  larga  parte 
co’  suoi  consigli  la  Medicina , co5  suoi  provvedimenti  l5  Igie- 
ne pubblica  : sicché  d5  ascoltarle  chi  farà  rifiuto  ? Gli  anti- 
chi legislatori , ond5  avere  vigorosa  popolazione , non  rifug- 
girono dàlie  misure  più  severe , dalle  crudeli  ancora  (5). 

(1)  Singolari  sono  gli  Statuti  dati  da  Gio.  Simone  di  Champigny  Vescovo 
di  Parigi  alle  Filles  pénitentes  instituite  nel  1497,  e di  cui  parla  Saintfoix 

^ (2)*  /Jcc/msIdc  P esclavage  aux  Etats-Unis  (Revue  des  Deux  Mondes  1861 

XXXI  120-  „ , „ 

(3)  Ibid.  p.  153.  Anche  una  donna  area  domandato  d essere  il  boja  dello 

sventurato  John  Brown.  . . 

(4)  Nel  1847  in  Irlanda  morirono  di  fame  e tifo  circa  2 milioni  d indivi- 

dui in  12  mesi,  e cioè  più  di  4 al  minuto.  « Nous  nous  souvenons  d’avoir 
visite  Dublin  à celle  époque  : ce  n’  était  qu5  un  grand  hòpital  et  un  grand  ci- 
mitière.  Et  encore  nos  expressions  sont  elles  un  peu  ambitieuses,  car  les  pe- 
stiferés  mouraient  dans  la  rue  et  dans  le  ruisseau , à la  porte  des  hópitaox  en- 
combrés , et  on  les  enterrait  qnand  on  pouvait  et  corame  on  pouvait.  Il  faudrait 
rappeler  le  siège  de  Jérusaìem  pour  donner  ime  idée  des  ravages  que  ni  la 
famine  daus  cette  malheurense  population  (*  John  Letturine , Jonrn.  des  ue- 
bats  27  Juil.  1853).  . 

(5)  Gli  antichi  scozzesi  eviravano  gl5  infermi  d’  epilessia , di  marna  od  altro 
malore  che  facilmente  si  trasmette  alla  prole  ; le  donne  infette  di  lebbra  o d5  al- 
tra contagione  segregavano  dagli  uomini:  e se  alcuna  di  queste  diveniva  ma- 
dre, viva  ed  incinta  la  seppellivano  (*  Boethii , Scotdr.  Hist.  Paris.  1574  1 12). 


Alfonso  Corradi 


124 

Il  Marx  di  Gottinga  ha  sostenuto  la  tesi  che  crescendo 
la  civiltà  le  malattie  diminuiscono , e eh’  oggi  elleno  sono 
veramente  in  minor  numero  (1).  Non  arduo  in  genere  era 
darne  le  prove  ; non  così  rispetto  alla  scrofola  ed  alla  tuber- 
colosi, le  quali  anzi  trovano  la  ragione  principale  di  loro 
esistenza  nel  nostro  modo  di  vivere.  Ma  nulla  ci  stringe 
a credere  che  questo  non  possa  mutare,  e congiungere  ai 
progressi  d’  adulta  civiltà  i benefizii  di  più  giovine  ; ram- 
mentiamoci che  lo  stato  trae  la  sua  forza  non  dal  numero 
degli  uomini , ma  da  ciò  eh9  eglino  sanno  operare  ; nulla 
importa  che  aumentino  i figli , se  poco  o male  debbono  vi- 
vere ; e quando  il  corpo  è debile  e malsano , neppur  la 
mente  vale  a concepire  cose  nobili  e grandi.  Rammentia- 
moci che  se  i popoli  possono  per  un  momento  inebbriarsi 
di  qualche  Idea  , di  essa  non  si  pascono  e alla  fine  de’  conti 
gridano  come  i loro  padri  : Panem  et  Cìrcenses. 

Ma  io  non  chiedo  che  indulgenza  : possa  il  buon  volere 
e la  diligenza  mostrata  in  questa  non  breve  fatica , per  al- 
cuna parte  procacciarmela  ! 


(1)*  Ueber  die  Abnahine  der  Krank.  durch  die  Zunahme  der  Civilisat.  (Ab- 
haodl.  der  k,  Gesellsch.  der  Wissenscb.  zn  Gottingen  II  72). 


25 


SOMMARIO 


Ragione  e partizione  del  lavoro Pag.  53 

PARTE  I. 

§ 1.  La  scrofola  e la  tubercolosi  son  oggi  malattie  popolari  . . » 54 

§ % Prove  numeriche  della  molta  estensione  della  tuWcolosi, 

e della  grande  mortalità  eh’  essa  cagiona » 55 

§ 3.  Dagli  stati  mortuarii , perchè  non  sempre  formati  con  eli 
stessi  principii , male  può  dedursi  che  le  malattie  scrofolo- 
tubercolari  siano  ora  in  aumento.  Altri  argomenti  però  lo 

fanno  credere 60 

§ 4.  Parere  conforme  d’  altri  Autori  . . / » 67 


PARTE  11. 


§ 1.  La  tisi  e la  scrofola  sono  morbi  antichissimi:  ma  di  spora- 
dici son  divenuti  come  epidemici . . • • 

§ 2.  Se  di  ciò  se  ne  possano  incolpare  le  mutazioni  del  clima , cioè 

dell’  aria , del  suolo  e delle  acque  . 

§ 3.  La  cercata  cagione  trovasi  altrove  che  nel  clima  : caratteri 
eh’  essa  deve  avere  onde  corrisponda  all’  indicato  avvenimento . 

§ 4.  Di  tale  congruenza  manca  la  sifilide 

§ 5.  Ed  egualmente  V aria  impura 

§ 6.  Si  dimostra  come  il  vitto  comune  sia  oggi  diverso  dal  passato, 
e quali  altre  mutazioni  siano  susseguite  nella  vita  de’  popoli  . 
§ 7.  In  che  modo  1’  accennata  mutazione  di  vitto  dia  ragione 
dell’  aumento  della  scrofola  e dèlia  tubercolosi  ..... 

§ 8.  Qual  altro  morbo  regnasse  quando  non  così  frequenti  erano 
la  scrofola  e la  tubercolosi:  e dell’  antagonismo  di  queste 
rispetto  alla  gotta.  Costumi  ed  inclinazioni  diverse  nei  po- 
poli corrispondentemente  alle  dominanti  malattie  . . . • 
§ 9.  Si  risolvono  alcune  obbiezioni  : 1’  innesto  della  linfa  vacci- 
nica non  va  incolpato  dell’  accrescimento  delle  affezioni  scro- 

folotubercolari • ■ * * 

§ 10.  Neppure  sen  può  accusare  il  fumare  tabacco  ed  altre  no- 
velle consuetudini  • • 

§ 11.  Il  vitto  soverchiamente  vegetale  o troppo  poco  animale 
non  è causa  diretta  della  scrofola  e della  tubercolosi,  ben- 
sì delle  condizioni  organiche  favorevoli  alla  produzione 
delle  medesime:  posta  quella,  sono  tratte  in  azione  altre 
cause  morbifere;  sicché  composto  è 1’  effetto  come  compo- 
sta è la  causa  * 

12.  Come  in  alcun  modo  riparare  al  grave  danno:  necessi- 
tà d’  accordare  1’  Economia  pubblica  coll'  Igiene  : la  vera 
civiltà  deve  porgere  le  condizioni  per  il  lìbero  e ben  accor- 
dato esercizio  d’  ogni  umana  facoltà 


69 

71 

73 

75 

80 

85 


DEI  PREPARATI  PIÙ  INTERESSANTI 

D’ANATOMIA  PATOLOGICA 

ESISTENTI  NEL  GABINETTO 

D’  ANATOMIA  COMPARATA 

DELLA  REGIA  UNIVERSITÀ  DI  BOLOGNA 

wmmi  il  . 

DEL 

PROF»  CAV.  ANTONIO  ALESSANDRINI 


CAPITOLO  II. 


Sistema  osseo-cartilagineo  colle  sue  pertinenze  > cioè  tessuti 
fibrosi  elastici  , legamenti  e capsule  sinovìali. 

Articolo  II.  Esostosi. 

T ’ 

.Li  argomento  che  nell’  anno  accademico  ultimo  decorso 
impresi  a trattare  spettante  ai  preparati  di  anatomia  pato- 
logica conservati  in  questo  gabinetto  di  anatomia  compa- 
rata, riferivasi  al  sistema  osseo,  alludendo  a quella  ma- 
lattia gravissima  conosciuta  comunemente  sotto  il  nome  di 
osteosarcoma  (V.  Tomo  XI.  pag.  157).  Altro  morbo  dello 
stesso  sistema , non  meno  grave , frequente  e pericoloso 
quello  si  è che  viziando  in  modo  diverso  le  ossa , e pro- 
ducendo sulle  medesime  parziali  escrescenze  e tumori , tal- 
volta di  straordinaria  mole  e complicatissima  struttura , porta 
il  nome  di  esostosi. 

Fra  i più  interessanti  e notabili  di  siffatti  tumori  par- 
mi  meritar  possano  un  primo  posto  le  così  dette  esostosi 


128 


Antonio  Alessandrini 


eburnee , che  pongon  sede  entro  la  cavità  cefalica  della  te- 
sta , e che  per  la  loro  mole , la  forma  e la  durezza  voglionsi 
anche  al  presente  da  taluno  denominare  cervelli  petrificati 
od  ossificati.  - 

Un  bellissimo  esemplare  di  questa  qualità  di  esostosi 
possedè  il  museo  contraddistinto  dal  n.  407  del  catalogo 
generale , e che  si  vede  delineato  in  due  diversi  aspetti 
nelle  Fig.  1.  e 2.  della  Tav.  1.  Conservavasi  questo  in  ad- 
dietro fra  le  curiosità  del  gabinetto  di  storia  naturale  pri- 
ma che  avesse  luogo  la  fondazione  di  quello  di  anatomia 
comparata , e Monsignor  Camillo  Ranzani , in  allora  fami- 
gerato professore  di  Storia  naturale  nella  nostra  Università , 
ne  fece  cambio  cpn  altri  oggetti , più  direttamente  spettanti 
alla  zoologia,  col  Professore  di  anatomia  comparata  e vete- 
rinaria Dott.  Gaetano  Gandolfi.  Nei  cataloghi  di  quei  tempi 
P esostosi  era  pure  segnata  eoi  nome  di  cervello  bovino  pe- 
trificato , senza  verun  altro  cenno  che  si  riferisse  alla  di 
lei  vera  .natura  e provenienza. 

Nello  scorrere  le  opere  del  Vallisn ieri,  tanto  ricche  di 
interessantissime  osservazioni  spettanti  alla  storia  ed  all9  ana- 
tomia degli  animali , ho  trovato  copiose  ed  importanti  no- 
tizie intorno  a queste  ossee  produzioni.  Nel  Tomo  I.  pag.  89 
(ediz.  di  Venezia  del  1733  Tom.  3 in  fol.  ) sono  inse- 
rite le  = Considerazioni  ed  esperienze  intorno  al  creduto 
cervello  di  bue  impietrito , vivente  ancor  l9  animale , pre- 
sentato dal  Sig.  Duverney  all9  Accademia  R.  di  Parigi  = 
Al  qual  proposito  il  Vallisnieri  viene  a parlare  delle  osser- 
vazioni analoghe  istituite  in  vari  paesi  ed  in  diversi  tem- 
pi , e ricorda  anche  il  preparato  che  si  conserva  in  Bolo- 
gna nei  termini  seguenti. 

« In  Bologna  nella  Galleria  dell9  Aldrovandi  il  dottissimo 
» Sig.  Brunelli  mi  fece  osservare  il  quarto  di  questi  men- 
* titi  cervelli  » ; e nella  spiegazione  delle  figure  il  Valli- 
snieri ripete  « Cervello  impietrito  (Tav.  13.a)  che  si  trova 
» nel  Museo  Aldrovandi  di  Bologna  donatogli  dal  famoso 
» Malpighi.  Il  Sig.  Vittorio  Francesco  Stancari  Segretario 
» dell9  Accademia  filosofica  di  Bologna  è stato  quello  che 
» m9  ha  favorito  con  questa  spiegazione  » e cita  le  lettere 
segnate  nella  figura. 


Descriz.  dei  preparati  d’  Anat.  Patol.  ec.  129 

Consultando  io  a questo  proposito  le  opere  del  Malpighi 
trovo  che  in  due  luoghi  si  fa  menzione  di  questi  modi  di  pre- 
tesa degenerazione  del  cervello.  Nelle  Epìstolae  anatomicae , 
che  fanno  seguito  al  tomo  II  delle  Opera  omnia  edizione 
di  Londra  del  1686  , in  quella  che  tratta  De  cerebri  cortice 
alla  pag.  78  si  leggono  le  seguenti  parole  « Huic  invento 
( della  struttura  glandolare  della  sostanza  cinerea  ) praelusisse 
videtur  Joannes  Pseil  apud  Fran  : Kentmann , lapidis  ob- 
servatione  in  cerebro  reperti,  qui  mori  fructus  instar  mi- 
nimis  subrotundis  veluti  acinis , cinerei  coloris , conglobatus 
erat  : hunc  probabile  est  ex  petrificato  cortice  excitatum 
fuisse , et  naturalem  ejusdem  glandularum  retinuisse  figu- 
ram  ».  Nel  volume  poi  delle  Opera  posthuma , Venetiis 
1698  pag . 48  sta  scritto  = Ita  in  osse  petrificato,  quod 
dono  dedi  Museo  Celeberrimi  Ulissis  Aldrovandi  praeter 
exarata  filamenta  (fili  nervei  che  partono,  secondo  il  Mal- 
pighi , dalla  sostanza  corticale  ) sanguineum  rete  deprehen- 
ditur  elegantissimum  = Pare  veramente  che  con  quest’  ul- 
tima frase  il  Malpighi  alluda  all’  esostosi  della  quale  ora 
ragiono , e si  noti  bene  che  1’  Illustre  Scrittore  non  deno- 
mina la  morbosa  produzione  un  cervello  petrificato , ma 
bensì  osso  petrificato , per  la  durezza  sua  superiore  a quel- 
la delle  ossa  naturali  anche  le  più  dure. 

La  tavola  tredicebiiiia  che  va  unita  alla  citata  lettera  del 
Vallisnieri  rappresenta  con  due  figure  un  tale  oggetto  in 
dimensioni  alquanto  minori  del  naturale  : la  figura  prima 
lo  dimostra  intero  per  la  faccia  meno  regolare  ; la  seconda 
ne  fa  vedere  la  faccia  della  sezione  o spaccatura,  giacché 
questo  corpo  durissimo  non  apparisce  diviso  colla  sega , 
ma  bensì  per  colpo  di  pesante  martello , che  ne  disperse 
delle  scheggie  in  guisa  che  le  due  metà  non  si  combaciano 
esattamente.  La  seconda  figura  del  Vallisnieri  fa  vedere  una 
delle  faccie  della  sezione , e questa  figura , anche  più  evi- 
dentemente della  prima , dimostra  1’  identità  del  pezzo  con 
quello  posseduto  dal  gabinetto , giacché  il  dotto  Autore , 
onde  ben  convincere  il  Lettore  non  trattarsi  certamente  di 
un  cervello  , nella  tavola  che  segue  dà  le  figure  di  un  vero 
cervello  di  bue  sì  intero  che  diviso  verticalmente  pel  cen- 


130 


Antonio  Alessandrini 


tro  in  direzione  del  diametro  maggiore , nè  vi  è parte  ve- 
runa che  offra  la  più  lontana  somiglianza  coll’  ossea  produ- 
zione morbosa. 

Esposta  in  breve  la  storia  dell’  interessante  pezzo  pato- 
logico , verrò  ora  a descriverlo  nello  stato  in  cui  presen- 
temente si  trova,  avendolo  rappresentato  in  due  diversi 
aspetti  nelle  figure  prima  e seconda  della  prima  tavola. 

Àbbenchè,  come  dissi,  l’esostosi  non  sia  nella  totale 
sua  integrità , tuttavia  arriva  al  peso  non  piccolo  di  libbre 
due  oncie  dieci  e un  quarto  della  libbra  mercantile  bolo- 
gnese, pari  circa  ad  un  Chilogrammo.  Addotte  ed  insieme 
unite  le  due  metà  con  cera  molle , se  ne  dimostra  nella 
figura  prima  la  regione  assai  convessa  e piuttosto  regolare, 
nella  quale  appena , e più  verso  il  contorno , a sinistra 
dell’Osservatore  (a,  a.  Fig.  1.  Tav.  1.),  si  vedono  dei 
solchi  e delle  piccole  prominenze  del  tutto  irregolari  che , 
per  Osservatori  poco  attenti  e prevenuti , possono  esser 
state  rassomigliate  alle  circonvoluzioni  intestinuliformi  del 
vero  cervello.  Pochi  di  questi  solchi  o depressioni  (b , b,  b. 
Fig.  cit.  ) veder  si  possono  anche  nel  lato  destro  della  an- 
zidetta  faccia  convessa  dell’  ossea  produzione , ben  lontani 
però  del!’  imitare  le  intercapedini  cerebrali , che  quivi  anzi 
sono  tanto  più  evidènti  nel  vero  cervello  del  bue.  La  faccia 
opposta  a quella  che  si  dimostra  nella  citata  figura  prima 
è molto  più  irregolare,  e continua  quasi  direi  le  irregola- 
rità (as  a)  che  ho  notato  nella  stessa  figura  al  lato  sinistro. 

In  una  delle  faccie  laterali  dell’  esostosi , e sarebbe  sem- 
pre la  sinistra,  vi  si  vede  uno  spazio  triangolare  quasi  equi- 
latero, avendo  ciascun  lato  1’  estensione  di  quaranta  milli- 
metri, a superficie  regolare  levigata,  spazio  che  con  tutta 
probabilità  segna  la  parte  per  la  quale  1’  escrescenza  mor- 
bosa aderiva  alla  tavola  vitrea  del  cranio , e dalla  quale 
fu  staccata , non  per  opera  della  sega , ma  con  colpo  di 
martello , come  lo  prova  a sufficienza  la  forma  e qualità 
di  questa  superfìcie. 

La  seconda  figura  di  questa  prima  tavola  dimostra  una 
delle  fàccie  risultanti  dalla  spaccatura  del  pezzo.  Questa 
superficie  è di  colore  uniformemente  bianco-gialliccio,  e 


Descriz.  dei  preparati  d’ Anat.  Patol.  ec.  131 

quindi  del  tutto  analogo  a quello  dell’  esterior  superfìcie 
del  pezzo , giacché  la  larga  striscia  segnata  con  mezza  tinta 
plumbea  (a,  a.  Fig.  2.  Tav.  l.),non  vuole  già  esprimere 
una  variazione  di  colore , ma  soltanto  un  cambiamento  di 
livello  nel  piano  della  sezione , formatosi  nell’  atto  della 
irregolare  e violenta  rottura.  Ma  ciò  che  interessa  maggior- 
mente in  questa  figura  sono  i solchi  irregolari  e le  fossette 
segnate  colle  lettere  bb , cc , esprimendo  essi  senza  dubbio 
la  posizione  e V andamento  di  copiosi, vasi,  di  qualità  di- 
versa , scorrenti  non  solo  sulla  superficie , ma  altresi  nei 
recessi  più  profondi  di  questo  corpo  solidissimo.  Per  tal 
modo , ed  abbenchè  si  tratti  di  sostanza  conservata  da  quasi 
due  secoli,  sottoposta  lungamente  e ripetutamente  a lenta 
macerazione,  pur  tuttavia  offre  ancor  manifeste  le  traccie 
dei  tessuti  molli , massime  vascolari , che  in  ogni  direzione 
la  percorrevano  finché  formava  parte  di  corpo  vivente,  ed 
insieme  a questo  rigogliosamente  vegetava , per  cui  in  tal 
modo  ha  spiegazione  altresì  la  frase  del  Malpighi , il  quale 
nell5  accennare  a questa  singolare  produzione , che  potè 
esaminare  del  tutto  recente , termina  col  dire  che  sulla  me- 
desima = sanguineum  rete  deprehenditur  elegantissimum  = . 

Oltreccbè  dunque  i narrati  argomenti  provano  evidente- 
mente la  natura  di  questa  morbosa  produzione  spettante  a 
materia  ossea,  se  ne  ha  conferma  altresi  dalle  osservazioni 
microscopiche.  Raschiata  in  forma  di  sottil  polviscolo,  dal 
lato  della  sezione,  piccolissima  porzione  della  grossa  eso- 
stosi eburnea , della  quale  presentemente  mi  occupo  , e sot- 
toposto il  polviscolo  al  microscopio  all’  ingrandimento  di  148 
diametri , questa  ossea  polve  nelle  molecole  più.  trasparenti 
mostrava  la  forma  areolare  tomentosa,  a somiglianza  di  quella 
che  è propria  dell’  interno  delle  ossa  naturali  : in  allora  se- 
parate, mediante  la  solita  raschiatura , minute  molecole  del- 
1’  esterior  corteccia  di  antiche  ossa  bovine  e vedute  al  mi- 
croscopio nel  modo  or  ora  descritto  apparvero  di  forma  piut- 
tosto filamentosa  o cilindrica , mentre  per  la  minor  durezza 
dell’  osso  scalfivasi  questo  a foggia  di  duro  tessuto  elasti- 
co, rotolandosi  le  singole  molecole  sopra  se  stesse  spiral- 
mente, come  succede  delle  sostanze  cornee  di  notabile  du- 


134 


Antonio  Alessandrini 


annonario  il  Proprietario  ha  sempre  interesse  di  occultarne 
le  indisposizioni  ed  i morbi  che  precedettero , onde  possano 
essere  smerciate  le  carni  senza  difficoltà:  e quante  volte 
nelle  malattie  lente  ed  oscure  non  si  attribuisce  ad  inerzia , a 
mal  volere  quello  che  da  vero  stato  morboso  dipende?  Ma 
lasciate  le  supposizioni , e passando  alla  nuda  esposizione 
del  fatto  dirò,  che  il  peso  dej5  esostosi  è di  oncie  otto  e 
mezzo  della  libbra  mercantile  bolognese , ossiano  circa  250 
grammi,  abbenchè  mutilata  e mancante,  per  quanto  appa- 
re , di  notabile  porzione , il  che  si  può  facilmente  dedurre 
dalla  irregolarità  della  frattura. 

La  Fig.  4.  della  Tav.  1.  rappresenta  l5  esostosi  di  natu- 
rai grandezza  veduta  dalla  faccia  esterna,  o per  dir  meglio, 
dalla  faccia  non  fratturata  e più  regolare;  la  qual  faccia 
certamente  non  si  può  paragonare  a porzione  di  cervello 
che  si  fosse , come  suol  dirsi , ossificata  ; avendo  tutt5  altra 
forma,  e quale  per  lo  appunto  suole  mostrarsi  nelle  pro- 
duzioni morbose  che  vegetano  sulle  ossa  di  maggior  consi- 
stenza, come  lo  è infatti  la  tavola  vitrea  del  cranio  , cui 
probabilmente  aderiva  V esostosi  che  descrivo. 

La  figura  quinta  della  più  volte  citata  tavola  prima  mette 
in  prospetto  la  faccia  irregolare  della  frattura  dell5  esostosi. 
Le  maggiori  asprezze  e disuguaglianze  occupano  la  regione 
inferiore  della  figura  ; superiormente  in , a s esiste  un  profon- 
do infossamento  di  forma  quasi  emisferico  ( <z,  fig.  cit.  ) , 
ed  è principalmente  in  questo  luogo  che  evidente  si  mo- 
stra  il  bianco  colore  , e la  durezza  che  è propria  dell5  avorio. 
Questa  depressione  è percorsa  da  una  angusta  fenditura 
( b , fig-  cit.  ) prodotta  probabilmente  dal  colpo  violento  che 
mise  in  pezzi  l5  esostosi.  Una  tale  cavità  nello  stato  natu- 
rale era  certamente  occupata  da  proporzionato  nucleo  soli- 
dissimo della  morbosa  vegetazione,  che  andò  disperso;  il 
che  si  può  facilmente  argomentare  dall5  esistenza  di  un 
nucleo  consimile,  ma  di  minor  mole,  visibile  nel  destro 
lato  dell5  osseo  tumore , del  quale  sembra  che  ne  sia  stata 
asportata  porzione.  È dunque  questa  morbosa  produzione 
composta  essenzialmente  di  due  diverse  qualità  di  sostan- 
ze , una  delle  quali  candida , durissima  , imitante  veramente 


Descriz.  dei  preparati  d’  Anat.  Patol.  eg.  135 


P avorio , e formante  i descritti  nuclei , V altra  meno  dura , 
di  color  più  fosco , e molto  analoga  alla  comune  sostan- 
za ossea. 

Di  altre  forme  di  esostosi , che  in  qualunque  regione 
dello  scheletro  possono  aver  luogo,  frequentissimi  ne  sono 
gli  esempi  nei  bruti  addomesticati , massime  poi  nel  cavallo , 
e negli  arti  meglio  che  nelle  altre  regioni  dello  scheletro.  Di 
tali  morbose  degenerazioni  di  tessuto  ne  va  ricchissimo  il 
Gabinetto , dovrò  quindi  limitarmi  a dire  soltanto  di  quella 
specie  comunissima , che  tanto  danno  reca  al  bestiame , e 
che  per  la  singolare  sua  apparenza  viene  volgarmente  de- 
nominata dai  Yeterinarj  fioritura  ossea , o vegetazione  molle 
spugnosa . 

La  tavola  seconda  porge  un  bel  esempio  di  questa  forma 
di  esostosi.  Nel  luglio  del  1834  fu  tradotto  nel  pubblico 
abbattitojo  della  Città  un  cavallo  non  più  atto  al  lavoro, 
abbeilchè  non  molto  vecchio,  essendo  estremamente  difet- 
toso nella  destra  zampa  anteriore.  11  più  volte  menzionato 
Dottor  Gio.  Battista  Gotti,  accortosi  della  singolarità  del 
caso  , fu  sollecito  di  acquistare  e conservare  Y estremità  del 
piede , che  di  già  era  stato  denudato  della  pelle. 

Desiderando  io  di  osservare  minutamente,  e dietro  la 
complèta  macerazione , lo  stato  dell’  ossatura , conservando 
altresì  V insieme  dell’  estremità  del  piede  per  la  sua  strana 
configurazione , ne  feci  eseguire  il  modello  in  cera  dal  va- 
lente Modellatore  dei  musei  Sig.  Cesare  Bettini , ed  è in- 
fatti Y esatta  configurazione  di  questo  modello , che  si  vede 
rappresentata  nella  figura  prima  della  seconda  tavola,  ri- 
dotta alla  metà  della  naturale  grandezza,  modello  che  si 
conserva  nel  gabinetto  zootomico  al  N.  3448  , trovandosi  le 
ossa  corrispondenti , del  tutto  macerate , al  N.  5774. 

11  metacarpo  ( a , Fig.  1.  Tav.  2.)  conservasi  nella  na- 
turale condizione  fin  presso  la  estremità  inferiore , quivi 
però  ad  un  tratto  ingrossa  notabilmente  ‘(  c,  Fig.  cit.  ) , 
spingendo  molto  all9  indietro  il  fascio  dei  tendini  dei  mu- 
scoli flessori  delle  falangi  ( b , b , fig-  cit.  ).  Da  questo  punto 
Y estremità  del  piede  invece  di  dirigersi  al  suolo  in  linea 
leggermente  obliqua,  come  naturalmente  succede , la  prima 


Antonio  Alessandrini 


falange  incontra  quasi  ad  angolo  retto,  d,  la  corrispon- 
dente estremità  del  metacarpo , poggiando  soltanto  sulla 
faccia  anteriore  della  di  lui  testa  articolare,  dal  che  ne 
viene  che  questa  regione  corre  in  linea  parallela  al  suolo. 
Affinchè  poi  la  suola,  o pianta  dello  zoccolo,  rivolgere  si 
potesse  opportunamente  verso  il  terreno  era  duopo  che  an- 
che la  falange  intermedia  deviasse  del  tutto  dal  naturale 
andamento.  Ma  la  posizione  precisa  delle  nominate  ossa  as- 
sai meglio  apparirà  dalla  descrizione  delle  due  figure  che 
seguono,  le  quali  dimostrano  pur  anche  le  voluminose  eso- 
stosi che  in  copia  sorgono  da  quasi  tutta  la  superficie 
delle  ossa  stesse. 

La  figura  seconda  della  seconda  tavola  mostra  infatti  le 
ossa  delle  regioni  metacarpica  e falangea , vedute  dal  lato 
interno.  Il  metacarpo  principale , per  ben  due  terzi  della 
sua  estensione  (a,  a,  Fig.  2.  Tav.  2.) , si  vede  inalterato, 
il  che  si  poteva  presupporre  anche  per  l’aspetto  della  stessa 
parte  allorché  era  vestita  dei  tessuti  molli , e come  lo  di- 
mostra la  figura  prima  della  citata  tavola  : ma  nel  terzo 
inferiore  ( b , ù,  Fig.  2.  Tav.  2.)  l’ossea  morbosa  vegeta- 
zione si  fa  patentissima , lasciando  libero  soltanto  il  picco- 
lissimo spazio  ( c > fig.  cit.  ) della  faccia  articolare  metacar- 
pico-falangea , ed  avvertirò  a tal  proposito  che  il  più  delle 
volte  questa  forma  singolare  di  morbosa  ossea  vegetazione 
si  arresta  in  quei  luòghi  che  si  veggono  protetti  dalle  car- 
tilagini articolari  di  incrostamento,  come  chiaro  apparisce 
in  questa  stessa  preparazione,  o sui  quali  scorrono  robusti 
tendini. 

Il  metacarpo  rudimentario , rappresentato  in  d , in  que- 
sta stessa  figura  offre  un  modo  di  alterazione  affatto  ana- 
logo a quello  del  principale  ; ed  invero  per  lungo  tratto 
superiormente  ( e e,  fig.  cit.)  non  mostra  alterazione,  la 
quale  si  fa  poi  evidentissima  al  livello  di  quella  del  meta- 
carpo principale , e pare  anzi  che  discenda  fino  al  di  là  del 
■medesimo  (f,f,  fig.  cit.).  L’  ultima  porzione  però  dell’  eso- 
stosi , Z',  separata  dalla  linea  di  interrompimento  , g,  spetta 
piuttosto  al  metacarpo  principale,  cui  fortemente  aderisce 
e circonda  per  quasi  tutta  la  faccia  posteriore. 


Descriz.  dei  preparati  d’ Anat.  Patol.  ec.  137 

Il  sessamoideo  superiore  (i  ) si  può  dire  carico  nell9  ester- 
no delle  note  escrescenze , le  quali , in  alto , oltrepassano 
a foggia  di  cresta  il  corrispondente  lembo  dell’  osso , lascian- 
do al  solito  del  tutto  libera  la  faccia  articolare. 

La  seconda  falange  {k , Fig.  2 , Tav.  2.  ) è sopraccarica  di 
esostosi , singolarmente  nella  faccia  anteriore , che  si  ele- 
vano molto  al  dissopra  della  fossa  articolare , lasciando  del 
tutto  libera  la  testa  articolare  inferiore,  come  accade  per 
Io  più. 

L’  ultima  falange  (/,  Fig.  2.  Tav.  2.)  è la  meno  viziata, 
protetta  come  lo  è dallo  zoccolo  ; soltanto  la  sua  estremità 
posteriore,  m > presenta  qualche  traccia  di  esostosi,  come 
è poi  del  tutto  esente  da  simile  morbosità  il  sessamoideo 
inferiore  , n. 

Descritte  così  le  morbosità  visibili  sull’  esterna  superfi- 
cie di  questa  estrema  regione  del  piede  ; onde  poter  meglio 
determinare  a quanta  profondità  nella  sostanza  stessa  del- 
F osso  discendessero  le  morbose  degenerazioni , credetti  op- 
portuno dividere  colla  sega  pel  lungo  i singoli  pezzi , ed  è 
questa  preparazione  che  viene  rappresentata  nella  figura 
terza  di  questa  seconda  tavola.  L’  esterno  strato  solido  osseo 
del  metacarpo  principale  (a,  h,  Fig.  3.  Tav.  2.)  si  mostra 
nella  condizione  naturale , il  che  può  dirsi  altresì  della  fi- 
nissima sostanza  reticolata  (c , fig.  cit. ) della  testa  artico- 
lare inferiore.  Soltanto  nel  terzo  inferiore  dell’  osso,  dove 
esteriormente  corrispondono  le  maggiori  vegetazioni , nei  due 
punti  d,  e,  tanto  anteriormente,  che  posteriormente,  la 
solida  corteccia  è attraversata  da  angustissima  rima.  Del 
resto  anche  il  cavo  midollare  non  s’  allontana  dallo  stato 
naturale.  La  prima  falange  (/,  fig.  cit.)  essa  pure  si  può 
dire  esente  nell’ interno  da  notabili  alterazioni;  avvi  sol- 
tanto superiormente,  presso  la  fossetta  articolare , un  breve 
spazio  (g,  Fig.  3.  Tav.  2.)  dove  la  rigogliosa  esterna  ve- 
getazione ha  in  gran  parte  distrutto  anche  F osseo  strato 
solido  esterno.  La  falange  intermedia  {h , , fig.  cit.)  è molto 
povera  per  tutta  la  sua  estensione^  massime  poi  nel  lato 
anteriore,  della  solida  esteriore  corteccia,  che  in  più  punti 
si  può  dire  anzi  del  tutto  mancante.  La  falange  ungueale , 


138 


Antonio  Alessandrini 


col  corrispondente  sessamoideo  inferiore  sono,  come  nel- 
F esterno , anche  nell’  interno , esenti  da  notabile  altera- 
zione (i,  i,  fig.  cit.). 

In  una  terza  tavola  sono  pure  rappresentati  parecchi  al- 
tri saggi  molto  importanti  di  esostosi  spugnose,  non  solo 
nel  cavallo , ma  nel  cane  altresì  ; come  pure  degli  esempi 
di  esostosi  compatte  solidissime  in  parecchi  punti  di  ossa 
fratturate. 

La  figura  prima  spetta  alla  regione  metacarpico-faiangea 
sinistra  di  cavallo  in  cui  le  ossa,  massime  in  prossimità 
delle  teste  articolari , vedonsi  sopraccariche  delle  nominate 
esostosi  spugnose.  Così  il  metacarpo  principale  , o medio 
(flj  b , Fig.  1.  Tav.  3),  superiormente  nella  faccia  poste- 
riore si  vede  coperto  da  leggiero  strato  di  fioritura,  la  quale, 
piuttosto  che  di  esostosi , ha  V aspetto  di  carie  superficiale 
(c,  fig.  cit.  ).  Invece  copiosissime  esostosi  spugnose  circon- 
dano, appena  al  dissopra  della  faccia  articolare,  la  inferio- 
re estremità  dell’osso  (b , b' , fig.  cit.),  rispettando  in 
parte  le  superficie  munite  di  cartilagine  d’  incrostamento  ; 
dissi  in  parte , mentre  verso  il  centro , e lungo  la  fàccia 
posteriore  della  spina  media  {e,f9fy  fig.  cit.),  le  eso- 
stosi , e la  carie  sono  manifestissime , mancando  però  tali 
alterazioni  negli  spazi  \ d , d)  occupati  dai  sessamoidei  su- 
periori. Anche.il  metacarpo  rudimentario  interno  (g,  Fig.  1. 
Tav.  3.)  ha  una  forma  analoga  di  alterazione , che  si  esten- 
de dall’  estremità  superiore  dell’  osso  fin  verso  la  sua  me- 
tà, dove  anzi  intumidisce  in  una  esostosi  molto  più  evi- 
dente, distinta  nella  figura  colla  lettera  (h).  L’  estremità 
articolare  inferiore  del  più  volte  nominato  metacarpo  prin- 
pale  è rappresentata  anche  di  fronte  (i y k) , e quivi  si  di- 
mostra pure  come  1’  esostosi  e la  carie,  lasciata  libera  la 
parte  protetta  dalla  cartilagine  d’  incrostamento,  ne  invada 
poi  fortemente  tutto  il  contorno  (l9  /).  Questa  figura  pri- 
ma della  tavola  terza  che  descrivo  dimostra  il  metacarpo, 
e la  prima  falange  veduti  dalla  faccia  posteriore , ma  fa  duo- 
po  avvertire , che  la  profonda  degenerazione  non  era  meno 
evidente  anche  nell’  opposta  faccia  d’  ambedue  le  ossa , mo- 
strandosene però  quasi  del  tutto  esente,  e di  struttura  so- 


Descriz.  dei  preparati  d’ Anat.  Patol.  ec.  139 


lietissima , P intero  corpo  del  metacarpo.  La  prima  falange 
è oltremodo  viziata  (o  3 p 9 Fig.  1.  Tav.  3.)  dalla  metà  del 
corpo  a tutta  1’  estremità  superiore , quando  invece  la  parte 
inferiore  (p)  ne  è quasi  del  tutto  libera.  Ed  è in  alto 
esuberante  in  modo  la  morbosa  vegetazione , che  , penetrata 
nel  piano  articolare,  lo  ha  scomposto  in  guisa  da  lasciare 
appena  nel  centro  un  leggerissimo  indizio  di  superficie  non 
distrutta  ; il  che  è reso  bene  evidente  nella  sottoposta  fi- 
gura, ( q ) dello  stesso  piano  superiore  della  prima  falange , 
ed  in  cui  la  lettera  ( r)  segna  il  limitatissimo  spazio  non 
infestato  dal  morbo.  Non  è quindi  sempre  vero  che  le  car- 
tilagini articolari  d’  incrostamento  bastar  possano  a mante- 
nere illese  tali  parti,  pare  che  questo  avvenga  soltanto  a 
malattia  incipiente , e di  grado  mite.  Delle  parti  adunque 
costituenti  questa  regione  metacarpo-falangea , quelle  le  quali 
trovaronsi  un  poco  meno  affette  dal  morbo  furono  i sessa- 
moidei  superiori  (m,  n,  Fig.  1.  Tav.  3.),  che  sembra  di- 
fendessero altresì  il  corrispondente  piano  (d3  d , Fig.  1.) 
sul  quale  poggiano  nell’  inferiore  estremità  del  metacarpo 
principale. 

Una  prova  poi  molto  più  concludente  della  insufficienza 
delle  cartilagini  d’  incrostamento,  per  impedire  in  molti 
casi  il  progredire  della  degenerazione  in  discorso , si  ha 
in  altro  preparato  di  osteologia  patologica  conservato  nel 
museo  al  n.  5477 , e rappresentato  nella  seconda  figura  di 
questa  terza  tavola,  ridotto  sempre  alla  metà  della  natu- 
rale grandezza.  La  prima  falange  (a* -Fig.  2.  Tav.  3.),  in 
tutta  la  sua  metà  superiore , conserva  pienamente  1’  aspetto 
e la  struttura  naturale , ma  la  morbosa  vegetazione , sotto 
forma  di  voluminose  esostosi  spugnose , si  estende  sopra 
tutta  F altra  metà , ingrossando  molto  di  più  nella  faccia 
posteriore.  La  seconda  falange,  fermamente  saldata  colla 
prima,  oltrecchè  offre  essa  pure  le  solite  vegetazioni  ( b . 
fig.  cit.  ) , in  forza  del  morboso  processo  è anche  assai  dimi- 
nuita di  mole  : corrispondentemente  poi  al  luogo  di  contatto 
(c,  fig.  cit.)  un  osseo  strato,  di  pochi  millimetri  di  gros- 
sezza , ma  solidissimo , serviva  a rendere  assai  ferma  una 
tale  saldatura.  Questo  pezzo  patologico  essendo  stato  tro- 


140 


Antonio  Alessandrini 


vato  in  un  vecchio  individuo  da  scarto , tradotto  al  macello , 
nulla  si  sa  di  preciso  intorno  agli  antecedenti. 

Un  saggio  importante  di  complicazione  di  esostosi  e di 
carie  esiste  da  lungo  tempo  * nel  gabinetto  sotto  il  nume- 
ro 732  del  catalogo  generale.  Si  tratta  delle  ossa  del  sini- 
stro  antibraccio  di  cavallo , fortemente  viziate  da  esostosi 
con  carie.  La  terza  figura  di  questa  terza  tavola  rappresenta 
alla  metà  del  vero , e veduto  dalla  faccia  posteriore , P in- 
teressante oggetto,  nel  quale  le  nominate  morbosità  sonasi 
principalmente  dichiarate  nell5  ulna.  Il  radio  infatti  è ap- 
pena alcun  poco  alterato  nella  estremità  superiore  (a,  Fig.  3. 
Tav.  3.),  mentre  in  tutto  il  corpo,  e nella  estremità  in- 
feriore ( b ) , non  si  manifesta  traccia  veruna  di  malattia  ; 
l5  ulna  invece  ( c , d 3 fig.  cit.  ) è , si  può  dire  , totalmente 
degenerata  : la  parte  meno  tocca  è la  testa  ( e ) , forse  per- 
chè protetta  dall5  inserzione  di  robustissimi  tendini.  L5  estre- 
mità inferiore  di  essa  ulna  (d,  fig.  cit.)  viene  come  a per- 
dersi , ed  a fondersi  nell5  ossea  sostanza  del  radio.  Nel  pun- 
to (e)  la  carie  ha  corroso  a tutta  sostanza  P osso  produ- 
cendone la  frattura,  rimanendo  le  parti  unite  solo  in  al- 
cuni punti  per  irregolare  contatto , e piuttosto  mediante 
gli  inviluppi  delle  parti  molli.  Il  massimo  ingrossamento 
dell5  ulna  corrisponde  circa  alla  metà  di  sua  estensione  (/, 
Fig.  3.  Tav.  3.),  nel  discendere  insensibilmente  decresce , 
e nel  punto  (g)  una  striscia  ossea,  produzione  pure  del- 
l5  ulna , si  dirige  al  lato  esterno  del  radio , formando  a guisa 
di  un  ponte  sotto  il  quale  passavano  vasi  e nervi  diretti 
in  basso. 

Ma  non  è soltanto  nei  solipedi , e nei  maggiori  ruminan- 
ti, che  incontrare  si  possono  le  morbosità  ossee  descritte. 
La  quarta  figura  di  questa  terza  tavola  rappresenta , alla 
metà  del  vero , l5  ultima  costa  spuria  sinistra  di  cervo  co- 
mune, maschio  adulto,  perito  di  morbo  acuto  nella  Villa 
suburbana  del  Sig.  Marchese  Francesco  Sampieri.  Verso  la 
metà  della  regione  ossea  di  essa  costa  (a3  Fig.  4.  Tav.  3.) 
sorge  grossa  solidissima  esostosi,  che  segna  il  luogo  dove 
era  accaduta  una  frattura  obbliqua  dell5  osso,  che  sponta- 
neamente consolidatasi , i due  estremi  troncati  hanno  ser- 
vata  mirabilmente  la  direzione  naturale. 


Descriz.  dei  preparati  d’ Anat.  Patol.  EC.  141 

Ossea  degenerazione,  in  forma  di  esostosi  spugnosa  evi- 
dentissima, venuta  in  seguito  di  frattura,  si  conserva  nel 
Museo  al  N.  5847 , formatasi  nella  scapula  ed  omero  sini- 
stri di  giovine  cane  bracco.  Questo  animale,  come  lo  notò 
l5  egregio  Dott.  Pompeo  Gotti  ( troppo  presto  rapito  all’  a- 
vanzamento  della  Scienza , della  quale  fu  vittima  ) , que- 
sto animale  dissi , colpito  da  violenta  percossa  di  bastone , 
riportò  frattura  in  più  sensi  nel  capo  dell’  omero  sinistro. 
Lasciato  per  venti  giorni  senza  cura,  erasi  sviluppata  sulla 
parte  enorme  gonfiezza  suppurante,  percorsa  da  complicati 
seni  fistolosi  ; esplorati  manifestamente  appalesavano  il  gua- 
sto esteso  sulle  ossa  costituenti  la  regione  della  spalla.  De- 
bitamente macerate  tali  ossa  manifestarono  infatti  le,  gra- 
vissime e profonde  degenerazioni  che  passo  a descrivere , e 
che  per  la  massima  parte  sono  rappresentate  nelle  figure 
quinta , sesta  e settima  della  tavola  terza,  v 

L’  omero  (fig.  5.)  si  può  dire  interamente  convertito  in 
esostosi  spugnosa , la  quale  ne  aumenta  notabilmente  il  vo- 
lume r massime  a poca  distanza  dalla  testa , dove  forma 
quasi  due  appendici  aliformi , distinte  nella  figura  colle  let- 
tere a,  b.  Le  sole  superficie  articolari , tanto  superiore 
che  inferiore  * sono  esenti  dalla  notata  degenerazione.  Onde 
poi  avere  si  possa  una  giusta  idea  del  modo  singolare  di 
frattura  della  testa  dell’  omero,  la  figura  sesta  (Tav.  3) 
la  fa  vedere  di  prospetto,  e le  linee  irregolari  nere  (a, 
b,  c)  dimostrano  la  direzione  delle  rotture,  per  cui  a 
ragione  1*  osso  dire  si  poteva  frantumato,  essendo  le  sole 
parti  molli  che  impedivano  la  separazione  dei  singoli  pezzi. 

La  scapula  (Fig.  7.  Tav.  3),  abbenchè  in  condizione 
molto  migliore  di  quella  dell’  omero , tuttavia , principal- 
mente nella  faccia  esterna,  mostra  traccie  bene  evidenti 
della  descritta  esostosi,  segnate  nella  figura  dalle  lette- 
re a , b , c. 

- Ma  un  esempio  di  solidissima  esostosi , formatasi  attorno 
di  una  frattura , lo  offre  la  preparazione  conservata  nel  Mu- 
seo al  N.  701  , e che  si  vede  delineata  nella  figura  ottava, 
ultima  della  terza  tavola.  Si  tratta  pure  delle  ossa  del  destro 
antibraccio  di  cavallo , nelle  quali  il  radio , avendo  riportata 


Antonio  Alessandrini 


142 

frattura  trasversa  (e_,  Fig.  8.  Tav.  3.)  alla  metà  del  suo 
corpo , gli  estremi  troncati , senza  i soccorsi  dell5  arte , eransi 
di  nuovo  insieme  riuniti  solidamente , quasi  in  direzione 
regolare , mostrando  l5  osso  appena  una  leggera  inflessione 
nel  lato  anteriore.  Questo  modo  d5  unione  era  poi  reso  so- 
lidissimo da  voluminosa  esostosi , od  a meglio  dire  da  os- 
sea vegetazione , che  rendeva  il  radio  nel  luogo  stesso  grosso 
più  del  doppio  del  naturale.  La  sezione  longitudinale  del- 
F osso  pel  centro  fa  anche  meglio  vedere  V esuberanza  di 
vegetazione  nel  luogo  affètto , giacché , in  corrispondenza 
dell5  esteriore  vegetazione , si  vede  estesamente  obliterato 
da  sostanza  ossea  solidissima  l5  intero  cavo  midollare  ( f , g , 
Fig.  8.  Tav.  3.)  : per  soddisfare  al  quale  eccesso  di  nutri- 
zione di  questa  parte , dirigevansi  alla  medesima  insigni 
làsci  di  parti  molli,  singolarmente  vascolari , e ne  rimane 
traccia  evidente  nei  fori  e canali  destinati  al  loro  passag- 
gio. La  citata  figura  ottava  infatti , presso  il  centro  della 
nominata  ossea  sostanza  solidissima  (J,  g , fig.  cit.  ) , mostra 
un,  ampio  foro  (ù)  indubitatamente  destinato  a questo  uso; 
potendo  discendere  le  parti  molli  dall5  esterno  a tanta  pro- 
fondità mediante  l5  ampio  solco  levigato , K ^ che , attraver- 
sata la  solida  corteccia  dell5  osso,  arriva  al  foro  stesso.  Che 
se  poi  si  volga  lo  sguardo  all5  esterna  faccia  dell5  esostosi , 
si  vede  attraversata , in  direzioni  diverse , da  parecchi  altri 
fori  e canali  consimili,  che  dimostrano  l5  esistenza  dei  co- 
piosi vasi  destinati  ad  alimentare  e far  crescere  perenne- 
mente  la  morbosa  produzione. 

Abbenchè , come  dissi  fin  da  principio , frequentissimi 
sieno  negli  animali  domestici , e singolarmente  nei  solipedi , 
gli  esempi  di  morbose  degenerazioni  del  sistema  osseo , del 
che  si  ha  prova  evidente  anche  nella  lunga  serie  di  preparati 
di  simil  genere  conservati  in  questo  gabinetto  d5  Anatomia 
comparata  e tra  i quali  ne  presi  di  iùira  parecchi  dei  più 
importanti  nelle  descrizioni  esposte  ; credo  però  opportuno 
trattenermi  brevemente  sopra  un  recentissimo  caso  di  que- 
sto genere,  di  cui  è stato  arricchito  il  Museo,  e che  co- 
stituisce il  soggetto  delle  figure  della  quarta  tavola  che 
passo  a descrivere. 


Descriz.  dei  preparati  d’ Anat.  Patol.  eg.  143 


Rappresentano  queste  le  regioni  ossee  dell*  antibraccio  e 
piede  destro  di  vecchio  cavallo , di  più  che  mezzana  gran- 
dezza , destinato  al  macello  perchè  non  più  atto  al  tiro  del- 
la hiroccia , anzi  reggentesi  malamente  sulle  quattro  zam- 
pe , per  le  enormi  gonfiezze  esistenti  nei  punti  articolari 
delle  ultime  regioni , massime  degli  arti  anteriori , i prepa- 
rati dei  quali  si  conservano  ai  Numeri  6310  e 6311. 

La  figura  prima  (Tav.  4.)  dimostra,  ridotte  alla  metà 
del  vero , le  ossa  delle  due  nominate  regioni , insieme  ap- 
plicate nella  direzione  che  serbavano  naturalmente , e ve- 
dute di  sbieco  per  la  faccia  anteriore.  L’  estremità  inferiore 
del  radio  ( a , Fig.  1 Tav.  4 .)  si  vede  estremamente  viziata 
nella  testa  articolare  ( b 3 b , fig.  cit.  ) , intorno  alla  quale 
sorgono  da  ogni  lato  enormi  esostosi  spugnose  e fogliacee, 
massime  sulla  faccia  anteriore  dell’  osso.  La  esuberante  ve- 
getazione morbosa  del  radio  3 estesa  sulla  corrispondente  pri- 
ma serie  delle  ossa  del  carpo,  le  aveva  fuse  insieme  per 
modo  da  riuscire  del  tutto  impossibile  il  separamele.  Qual- 
che oscuro  movimento  però  di  estensione  e flessione  di  que- 
sto articolo,  sulla  linea  di  separazione  (c3  c , fig.  cit.)  tra 
il  primo  ed  il  secondo  ordine  delle  ossa  del  carpo , poteva 
aver  luogo , esistendo  nelle  faccie  articolari  corrispondentisi 
parecchi  spazi  levigati , coperti  da  cartilagine  d’ incrostamen- 
to, come  meglio  si  dimostrerà  nelle  figure  seconda  e terza.  La 
straordinaria  estensione  nel  suo  diametro  trasverso  ( b s b 3 
fig.  cit.  ) dall’  inferiore  estremità  del  radio  è prodotta  bensì 
per  la  massima  parte  dalle  notate  ossee  escrescenze , ma  vi 
contribuisce  ancora  la  circostanza,  rara  ad  incontrarsi  nel 
cavallo , del  prolungarsi  cioè  la  spina  dell’  ulna  fino  sulla 
estremità  inferiore  del  radio,  dove  anzi,  sempre  in  forza 
dell’  esostosi , notabilmente  si  ingrossa. 

Il  secondo  ordine  delle  ossa  del  carpo,  in  unione  alla 
corrispondente  estremità  del  metacarpo , costituiscono  una 
sola  massa  (d , e,f,  g,  Fig.  1.  Tav.  4.),  che  compie  cosi 
la  mole  enorme  della  articolazione  radio-carpo-metacarpica. 

In  forza  di  questa  singolarissima  complicata  alterazione, 
le  molte  ossa  che  ne  formano  insieme , ed  appartengono 
all’  antibraccio,  carpo,  e metacarpo,  confuse  e saldate,  per 


1 u 


Antonio  Alessandrini 


così  dire,  in  un  comune  impasto,  per  gli  sforzi  continui 
della  muscolatura,  tendenti  a vincere  la  immobilità  della 
parte , prodotto  aveano  nella  regione  superióre  dell’  ammas- 
so, la  descritta  fenditura  (c x c , Fig.  1.  Tav.  4.),  me- 
diante la  quale  qualche  oscuro  movimento  poteva  pure 
aver  luogo. 

Volgendo  lo  sguardo  alle  figure  seconda  e terza  (Tav.  4.), 
che  mettono  in  prospetto , nella  naturale  grandezza , le  due 
estese  superficie  combaciantisi , si  vedono  li  spazj  levigati 
{a,  b , Fig.  2 ; c , d3  Fig.  3.  Tav.  4.  ) , i quali , abbenchè  con 
molta  difficoltà  per  essere  il  rimanente  della  superficie  aspro 
ed  irregolare,  scorrere  potevano  gli  uni  su  gli  altri  negli 
accennati  molto  oscuri  movimenti.  Ma  ritornando  alla  descri- 
zione della  prima  figura , oltrepassato  il  limite  (f>  g)  dell’  e- 
norme  tumore  corrispondentemente  al  metacarpo , sì  T osso 
principale  di  questa  regione , come  i rudimentarj , manten- 
gono la  naturale  condizione  per  tutto  il  rimanente  di  loro 
estensione , di  guisa  che  la  malattia  fa  nuova  mostra  di  se 
soltanto  nelle  falangi , ed  in  grado  molto  esteso , per  cui 
ho  creduto  utile , a compimento  della  illustrazione  di  que- 
sto preparato,  il  rappresentare  con  figure  distinte  le  falangi 
stesse,  vedute  in  diversi  aspetti.  Così  la  figura  4 (Tav.  4.) 
rappresenta  dalla  faccia  anteriore  la  prima  e seconda  falan- 
ge, fermamente  insieme  unite  dalla  morbosa  vegetazione. 
I due  terzi  superiori  (a,  Tav.  4.  Fig.  4)  della  prima  fa- 
lange, come  anche  in  parte  F inferiore  estremità  (b  , fig. 
cit.)  della  seconda,  pochissimo  si  allontanano  dalla  naturale 
condizione  ; ma  nel  luogo  d’ unione  delle  falangi  stesse , la 
più  volte  nominata  vegetazione  morbosa  assunto  aveva  stra- 
ordinario sviluppo.  A rendere  quindi  bene  evidente  un 
tanto  guasto , ho  creduto  molto  opportuno  di  rappresentare 
nelle  figure  quarta  e quinta  (Tav.  4.)  le  due  falangi  insie- 
me unite , e vedute  in  aspetto  diverso.  Nella  fig.  4 si  mo- 
strano per  la  faccia  anteriore  : la  prima  per  tutta  1’  esten- 
sione dei  due  terzi  superiori  ( a , fig.  cit.)  è interamente 
libera  dalle  esostosi , come  lo  è altresì  in  gran  parte  1’  in- 
feriore estremità  della  seconda  ( b , fig.  cit.);  ma  nella  po- 
sizione dove  le  due  ossa  si  uniscono , sì  T una  che  1’  altra 


Descriz.  bei  preparati  d’  Anat.  Patol.  ec.  145 


vedonsi  cinte  tutto  attorno  da  rilevatissima  zona  di  eso- 
stosi (c , dy  Fig.  4.  Tav.  4.),  le  quali  rendevano  bensì 
molto  difficile , senza  però  impedirlo  del  tutto , il  movi- 
mento di  estensione  e flessione  : ed  invero  osservando  con 
attenzione  le  due  figure  chiaro  appare , che  i tendini  dei 
muscoli  estensori  delle  falangi  collocavansi  in  un  solco  ( e , 
Fig.  4.  Tav.  4)  attraversante  il  centro  delle  ossee  creste, 
senza  deviare  molto  dal  loro  naturale  andamento  ; e questo 
verifìcavasi , anche  con  maggiore  evidenza , riguardo  ai  ten- 
dini dei  muscoli  flessori , come  facilmente  si  può  vedere 
nella  figura  quinta  (Tav.  4).  Che  poi  un  movimento  di- 
screto potesse  aver  luogo  tra  la  prima  e seconda  falange  , 
lo  fa  vedere  altresì  lo  stato  di  combaciamentq  delle  super- 
ficie corrispondentisi  delle  falangi  stesse.  La  figura  sesta 
( Tav.  4 ) , che  rappresenta  il  lato  superiore  della  seconda 
falange,  oltrecchè  mostra  illesa  la  faccia  articolare  del  cen- 
tro, a,  sulle  copiose  vegetazioni  laterali  sono  evidentissime 
delle  faccette  levigate  ( b,  c , Fig.  6.  Tav.  4),  prodotte, 
a non  dubitarne , dal  movimento  dell’  una  sull’  altra. 

Ma  dalle  descritte  estese  e profonde  degenerazioni  ossee 
era  pure  gravemente  affetta  anche  la  terza  falange , os- 
sia 1’  osso  del  piede.  Abbenchè  quest’  osso  non  sia  stato 
rappresentato  separatamente  dagli  altri  nella  tavola,  tutta- 
via rilevansi  le  principali  sue  alterazioni  anche  sulla  figura 
prima  di  questa  quarta  tavola.  La  lettera  ( h ) accenna  alla 
rilevatissima  morbosa  cresta  ossea,  che  contorna  superior- 
mente , a breve  distanza  dalla  articolazione , appunto  la  ter- 
za falange,  la  quale,  anche  nelle  due  punte  od  estremità, 
dirette  posteriormente  (iy  Fig.  1.  Tav.  4.),  è pure  coper- 
ta delle  solite  esostosi.  Affinchè  poi  la  morbosa  vegetazione 
ricever  potesse  in  copia  proporzionata  i materiali  idonei 
alla  sua  nutrizione  ed  aumento  perenne , appena  al  dissotto 
dell’  ossea  cresta  numerosi  fori  e canali,  diretti  in  ogni 
senso , vi  lasciavano  facilmente  penetrare  le  parti  molli , 
massime  vascolari  : la  lettera , k , segna  nella  citata  figura 
uno  di  questi  fòri , dei  quali  numerare  se  ne  possono  da 
nove  a dieci,  contando  solo  i maggiori. 

La  profonda  alterazione  dell’estrema  falange  di  quest’  arto, 
t.  i.  19 


146  Antonio  Alessandrini 

il  modo  col  quale  il  medesimo  poggiava  sul  suolo,  influir 
dovevano  sinistramente  sull’ unghia,  o zoccolo  che  la  rive- 
ste; egli  è perciò  che  ho  creduto  utile  rappresentarla  nella 
figura  settima  ( Tav.  4 ) veduta  dal  lato  interno , alla  metà 
della  naturale  grandezza.  Ed  invero  è ben  facile  dimostrare 
come  F unghia  ripetesse  , per  cbsì  dire , le  abnormità  tanto 
evidenti  nell’  osso  contenuto.  Superiormente  ( a , Fig.  7. 
Tav.  4.)  la  protuberanza  notevolissima,  che  cinge  la  radice 
dell’  unghia,  conteneva  1’  ampia  cresta  ossea  della  base 
della  falange  (h , Fig.  1.  Tav.  4.),  anzi  tutto  intero  que- 
st’ osso.  Il  solco  profondo  visibile  subito  al  disotto  della 
protuberanza  ( b , fig.  cit.  ) segna  il  limite  della  vera  unghia 
o zoccolo , mentre  tutto  quanto  rimane  inferiormente  al  sol- 
co \c  y d,  fig.  cit.),  non  era  che  morbosa  vegetazione  di 
sostanza  cornea , che  si  sarebbe  facilmente  asportata , rego- 
larizzando il  piede , ma  che  trascurata  interamente  rendeva 
il  zoppicamento  dell’  animale  sempre  più  mostruoso , giaic* 
chè  poggiando  sul  terreno  non  già  coll’  intera  faccia  piana 
o suola  dell’  unghia , ma  soltanto  mediante  1’  estremità 
(d,  fig.  cit.)  del  morboso  allungamento,  deviava  così  sem- 
pre di  più  dal  naturale  andamento,  non  solo  la  serie  fa- 
langea,  ma  la  regione  stessa  del  metacarpo. 

Una  singolarità  che  pure  parmi  meritevole  d’  essere  no- 
tata risguarda  lo  stato  dei  sessamoidei , tanto  superiori  che 
inferiori  di  quest’  arto.  Relativamente  ai  primi , cioè  ai  su- 
periori , abbenchè  1’  estremità  inferiore  del  metacarpo  me- 
dio , sulla  quale  sono  situati , sia  esente  dalle  esostosi , co- 
me 1’  ho  di  già  dimostrato , ciò  non  ostante  queste  piccole 
ossa , i sessamoidei , ne  mostrano  delle  traccie  evidentissi- 
me, sì  nella  loro  cresta  saliente  , che  nel  contorno  della 
faccia  articolare , mentre  quest’  ultima , non  che  la  maggior 
parte  della  superficie  esterna,  serbansi  illese  (a,  a,  Fig.  8.  9. 
Tav.  4.)  protette  dalla  cartilagine  d’incrostamento,  e dal 
passaggio  dei  tendini  dei  muscoli  flessori  delle  falangi.  Il 
sessamoideo  inferiore  poi  (Fig.  10.  Tav.  4.),  nei  contorni 
della  faccia  articolare , non  manca  delle  solite  esostosi , di 
notabile  volume,  proporzionatamente  alla  piccolezza  del- 
F osso. 


Descriz.  dei  preparati  d’  Anat.  Patol.  eg.  1 47 

Alle  gravissime  morbose  degenerazioni  descritte  in  que- 
sto destro  arto  anteriore  partecipava  in  grado  identico  an- 
che il  sinistro,  che  si  conserva  sotto  il  numero  6311  ; man- 
cando poi  queste  degenerazioni  sì  nell’  omero  che  nella  sca- 
pula , ed  andandone  ugualmente  esenti  gli  arti  posteriori  ed 
il  rimanente  scheletro.  Trovo  in  questo  una  conferma  del- 
l5  idea , altra  volta  espressa  da  questo  luogo , che  cioè  i 
guasti  tanto  estesi  e profondi  di  certe  regioni  dello  sche- 
letro dei  mammiferi  .addomesticati  riferir  si  debbano , piut- 
tostocchè  a morbose  crasi  umorali  scrofolose , rachitiche , ve- 
neree , a cagioni  comuni  traumatiche  locali , percosse , ca- 
dute , stazioni  in  piedi  di  troppo  prolungate , salite  e discese 
per  angusti  irregolari  sentieri  soverchiamente  ripidi , e si- 
mili ; per  cui  facilmente  si  comprenderà  come  una  più  ra- 
gionevole igiene , e 1’  ostare  con  opportuna  cura , ed  i de- 
biti riguardi  ai  primi  passi  del  male , sarà  indubitatamen- 
te il  miglior  metodo  da  seguirsi , onde  conservare  lunga- 
mente robusti  e sani  gli  animali  che  sono  il  miglior  ap- 
poggio dell’  agricoltura , del  commercio , e dell’  agiato  vi- 
vere delle  Nazioni. 


Antonio  Alessandrini 


SPIEGAZIONE  DELLE  TAVOLE 


TAVOLA  1. 


Esempi  di  esostosi  eburnee  del  cranio  bovino. 

Fig.  1.  La  maggiore  delle  esostosi  di  questa  qualità  possedute  dal  Gabinetto, 
veduta  dalla  faccia  convessa  più  regolare. 

а , a.  Le  irregolarità  dell’  esostosi  a sinistra  male  a proposito  paragonate  alla 

circonvoluzioni  intestinuliformi  del  cervello. 

б, 6,6.  Pochi  solchi  nella  faccia  convessa  più  regolare. 

Fig.  2.  La  predetta  esostosi,  veduta  per  una  delle  faccie  della  sua  divisione. 

а,  a , a.  Striscia  di  mezza  tinta  esprimente  un  cambiamento  di  livello  nel  pia- 

no della  sezione.  . . ... 

б,  6.  Solchi  regolari  che  segnano  il  passaggio  di  vasi  sanguigni,  di  calibro 

diverso , insinuantisi  nella  sostanza  dell’  esostosi. 

c , c.  Larghe  e profonde  incavature  destinate  all’  uso  medesimo. 

Fig.  3.  La  seconda  esostosi  eburnea  bovina,  veduta  dalla  faccia  nella  quale 
esiste  il  profondo  solco  che  la  divide  in  due  masse  distinte. 

а.  Spazio  appianato,  di  forma  elittica,  di  notabile  estensione , pel  quale  è pro- 

babile che  la  morbosa  vegetazione  si  continuasse  coll’  ossea  più  dura  so- 
stanza del  cranio.  ... 

б,  c.  Altri  due  punti  molto  estesi,  ma  ugualmente  conformati,  pei  quali  sem- 

bra pure  che  1’  esostosi  dovesse  aderire  alla  interna  tavola  del  cranio. 

d.  Profondo  e largo  solco  che  divide  l’esostosi  in  due  parti  quasi  uguali. 

Fig.  4.  Frammento  di  altra  grossa  esostosi  della  stessa  qualità , veduta  dalla 

faccia  esterna. 

Fig.  6.  L* esostosi  predetta  veduta  per  la  faccia  della  frattura,  riuscita  assai 
aspra  e disuguale.  M 

а.  Profonda  regolare  incavatura,  la  superficie  della  quale  regolare  e bianchis- 

sima imita  più  che  mai  P avorio,  avendone  anche  la  durezza. 

б.  Fenditura  irregolare  prodotta  probabilmente  dal  violento  colpo  che  mise  in 

pezzi  P esostosi. 

TAVOLA  2. 

Esempio  di  esostosi  spugnosa. 

Fig.  1.  La  preparazione,  tolta  solo  la  pelle. 

а,  a.  Porzione  superiore  del  metacarpo  naturale. 

б,  6.  Fascio  dei  tendini. 


Descriz.  dei  preparati  d*  Anat.  Patol.  ec.  149 

c.  Ingrossamento  inferiore  del  metacarpo. 

d.  La  prima  falange  deviata  dall’  andamento  naturale. 

Fig.  2.  Le  ossa  delle  regioni  metacarpica  e falangea , sempre  della  destra  zam- 
pa , vedute  dal  lato  interno. 

a,  a . Porzione  del  metacarpo  principale  del  tutto  illesa. 

b,  b.  La  sua  estremità  inferiore  per  notabile  tratto  coperta  di  grosse  esostosi. 

c,  Piccola  porzione  della  testa  articolare  inferiore  inalterata. 

d,  Metacarpo  rudimentario  interno. 

e,  e.  La  porzione  del  medesimo  nello  stato  naturale. 

f,  f.  La  di  lui  estremità  inferiore  fortemente  viziata. 

g , Scissura  che  mette  limite  tra  1’  esostosi , f,  appartenente  al  metacarpo  rudi- 

mentario , e la  porzione , f',  spettante  allo  stesso  metacarpo  principale. 

h,  La  prima  falange  interamente  coperta  di  esostosi , eccettuate  le  faccie  articolari. 
».  11  sessamoideo  superiore. 

k.  La  seconda  falange,  od  intermedia. 

l.  L*  ultima  falange  fasciata  dallo  zoccolo. 

m.  Leggiera  traccia  di  esostosi  nel  suo  prolungamento  posteriore. 

n.  Il  sessamoideo  inferiore. 

o.  L’ unghia  o zoccolo  che  abbraccia  1’  estrema  falange,  veduta  dalla  faccia 

esterna. 

Fig.  3.  La  stessa  preparazione  della  precedente  figura  seconda,  nella  quale  si 
mostrano  i singoli  pezzi  divisi  pel  lungo  nel  centro. 
a,  b.  Il  metacarpo  medio  o principale, 
c.  La  di  lui  lesta  articolare  inferiore. 

d , e.  Due  punti  nei  quali  anche  la  più  solida  corteccia  dell’  osso  è attraver- 
sata da  carie. 

e'.  Il  sessamoideo  superiore. 

f.  La  prima  falange. 

g.  Un  punto  dove  1’  esuberante  vegetazione  ha  consumato  anche  parte  della  so- 

lida corteccia, 
n.  La  falange  intermedia. 

»‘.  L’  ultima  falange. 

k.  Lo  zoccolo  veduto  nell’  interno. 

TAVOLA  3. 

Altri  Saggi  di  esostosi  spugnose  nel  cavallo  e nel  cane;  come  pure 
esempi  di  fratture  senza  soccorso  dell’  arte  consolidate. 

Fig.  1.  Metacarpo  colla  prima  falange  della  sinistra  zampa  di  cavallo, 
a,  by  V II  metacarpo  medio  o principale. 

c.  Erosione  di  carie  nella  regione  superiore  posteriormente. 

d.  d.  Le  faccie  articolari  pei  sessamoidei. 

e.  La  spina  media  interposta. 

f9  f.  Linea  di  carie  profonda  che  attraversa  il  centro  della  faccia  articolare 
inferiore  di  esso  metacarpo. 
g , h.  Il  metacarpo  rudimentario  interno. 

i , k.  La  faccia  articolare  inferiore  del  ripetuto  metacarpo , veduta  di  fronte. 


150 


Antonio  Alessandrini 


l,  l.  Erosione  di  carie  che  la  circonda. 

m.  Sessamoideo  superiore  interno, 
i».  Id.  esterno. 

o,  p.  La  prima  falange. 

q.  La  di  lei  faccia  articolare  superiore  di  prospetto. 

r.  Piccola  porzione  di  essa  faccia  non  invasa  dalla  esostosi,  e che  appariva 

tuttora  rivestita  dalla  cartilagine  d' incrostamento.  , 

Fig.  2.  Prima  e seconda  falange  di  zampa  anteriore  di  cavallo  con  esostosi  ed 
anchilosi. 

a.  La  prima  falange. 

b.  La  seconda  falange. 

c.  Il  punto  dove  le  falangi  sono  fermamente  insieme  saldate. 

Fiq.  3.  Ulna  e radio  del  sinistro  lato  di  cavallo  con  grossa  esostosi  e trattura. 
a , b.  Il  radio.  — c , d.  L’  ulna.  — e.  Luogo  in  cui  esiste  la  frattura. 
f! Il  punto  dove  maggiormente  prolubera  P esostosi. 

o.  Prolungamento  dell’  esostosi  dell’  ulna  che  si  fissa  sulla  faccia  posteriore 


Fig.  4.  L’ultima  costa  spuria  sinistra  di  cervo.  Verso  la  metà  della  regione 
ossea  evvi  una  grossa  esostosi  formatasi  sul  luogo  di  una  frattura. 
a.  La  nominata  esostosi.  — b.  La  regione  cartilaginea  della  costa. 

Fiq . 5.  Omero  sinistro  di  giovine  cane  bracco  con  frattura  per  colpo  di  bastone. 
a,  b.  Vaste  appendici  trasverse  dell’  esostosi  che  riveste  tutto  quanto  1 osso. 
Fig.  6.  La  testa  dell’ omero  predetto  di  fronte,  e di  naturale  grandezza, 
a,  b,  c.  Traccie  della  complicata  frattura  ben  manifeste. 

Fig.  7.  La  scapula  dell’  arto  predetto  , di  nuovo  alla  metà  del  vero, 
a,  b,  c.  Le  principali  vegetazioni  delle  solite  esostosi.  . , 

Fig.  8.  Ossa  dell’  antibraccio  del  destro  lato  di  cavallo.  Il  radio  fratturato  ha 
formato  robusto  callo  corroborato  da  esostosi. 
a,  b.  V ulna.  — c,  d.  Il  radio.  — e.  Luogo  della  frattura. 
f,  g.  Notabile  estensione  di  consolidamento  del  cavo  midollare  dell  osso. 
h.  Foro  per  l’ingresso  dei  vasi.  — K.  Solcatura  destinata  all’uso  medesimo. 


Rappresenta  l’antibraccio  e piede  destro  di  vecchio  cavallo  affetti 
da  esostosi  con  carie  ed  anchilosi. 

Fig.  1.  Le  nominate  regioni  dell’arto  nella  abituale  loro  posizione,  ridotte 
alla  metà  della  naturale  grandezza. 

a.  Porzione  inferiore  del  radio,  quasi  del  tutto  esente  da  morbosa  alterazione. 
5,  b.  La  di  lui  testa  articolare  inferiore  fortemente  viziata. 

c,  c.  Linea  di  separazione  tra  il  radio  ed  il  carpo.  . . 

d,  e,  f , g.  Tutta  la  regione  inferiore  del  carpo,  e la  corrispondente  metà  del 

metacarpo  coperte,  ed  insieme  fuse  dalla  morbosa  enorme  vegetazione. 
h.  La  cresta  ossea  che  corona  la  regione  superiore  della  lerza  falange. 

».  Grossa  esostosi  sulla  punta  posteriore  della  stessa  falange. 
h.  Uno  dei  fori  destinati  al  passaggio  dei  " 


i nutrizi  delle  morbose  produzioni. 


Descriz.  dei  preparati  d’  Anat.  Patol.  ec.  151 


Fig.  2.  La  faccia  articolare  dell'  estremità  inferiore  del  radio,  di  naturale 
grandezza , cui  sta  aderente  il  primo  ordine  delle  ossa  del  carpo. 
a,  b.  Piccola  porzione  levigata  di  questa  estesa  supeificie,  per  la  quale  ese- 
guire si  poteva  qualche  legger  movimento  di  estensione  e flessione  in  que- 
sta articolazione. 

Fig.  3.  La  faccia  articolare  tra  il  primo  ed  il  secondo  ordine  delle  ossa  del 
carpo,  veduta  di  prospetto,  e di  naturale  grandezza. 

a.  Profondo  solco  scavato  nell’esostosi  corrispondentemente  alla  regione  poste- 

riore del  carpo,  e che  serviva  al  passaggio  dei  tendini  dei  muscoli  fles- 
sori delle  falangi. 

b,  c.  La  superficie  levigata  combaciantesi  colla  consimile  a,  b,  della  fig.  2. 
Fig.  4.  La  prima  e seconda  falange  insieme  articolate , vedute  dalla  faccia  an- 
teriore, e ridotte  di  nuovo  alla  metà  della  naturale  grandezza. 

a.  La  prima  falange.  — b.  La  seconda. 

c , d.  Enormi  esostosi  corrispondenti  al  punto  della  vicendevole  loro  articolazione. 
e.  Solco  abbastanza  patente,  che  attraversa  la  cintura  delle  esostosi,  e serviva 

al  passaggio  dei  tendini  dei  muscoli  estensori  delle  falangi. 

Fig.  5.  La  stessa  preparazione,  veduta  dalla  faccia  posteriore. 

a.  Punto  d’  unione  delle  due  falangi  esente  da  alterazione. 

b.  Faccia  articolare  per  P osso  del  piede. 

Fig.  6.  Lato  superiore  della  seconda  falange. 

a.  Faccia  articolare.  — ò,  c.  Grosse  esostosi  che  la  circondano. 

d.  Solco  attraverso  delle  medesime,  che  conteneva  i tendini  dei  flessori  delle 

falangi. 

Fig . 7.  Lo  zoccolo  di  questo  piede  singolare , esso  pure  profondamente  alterato. 

a.  Rigonfiamento  corrispondente  alla  cresta  della  falange. 

b.  Strozzatura  insinuantesi  sotto  il  lembo  estremo  dell’ ossd  ^el  piede* 

c.  Enorme  vegetazione  della  sostauza  cornea. 

d.  La  base  dell’  unghia  , che  poggiava  sul  suolo  soltanto  colla  pulita. 

Fig.  8.  Sessamoideo  superiore  interno,  veduto  dalla  faccia  esterna. 

a.  Morbosa  escrescenza  di  esostosi,  che  sorge  dal  Iato  superiore. 

Fig.  9.  Sessamoideo  superiore  esterno,  veduto  dal  lato  interno. 
a.  Esostosi  voluminosa  che  sorge  da  tutta  la  cresta  opposta  alla  faccia  articolare. 
Fig.  10.  Sessamoideo  inferiore  veduto  dalla  faccia  interna.  Tanto  dal  suo  lem- 
bo superiore,  che  dall’inferiore,  sorgono  esostosi  di  volume  notabile,  in 
proporzione  della  mole  dell’  osso. 


Meni.  Alessandrini. Tav.l.  j 


Ser.  2 . Tomo  I . 


Mem;  Alessandrini  Tav:3. 


Ser,  2 ! Tomo  I. 


Mem!  Alessandrini  Tav:4. 


SULLO 

IRRAGGIAMENTO  SOLARE 

iMDm 

DEL 

DOTT.  GIULIO  CASONI 

(Letta  nella  Sessione  23  Maggio  1861  ). 


Il  primo  elemento  necessario  per  caratterizzare  conve- 
nientemente un  clima  agricola-  è senza  dubbio  1’  esatta 
conoscenza  delle  vicende  e delle  leggi  alle  quali  è soggetta 
la  temperatura,  non  tanto  perchè  è il  calore  il  principale 
agente  della  vegetazione,  quanto  perchè  da  esso  più  o 
meno  direttamente  dipendono  tutte  quelle  meteore  che 
influiscono  sulla  vita  delle  piante.  In  tre  modi  principal- 
mente le  piante  risentono  azióni  calorifiche , e cioè  per 
mezzo  della  temperatura  dell5  aria  in  cui  vivono,  di  quel- 
la del  suolo  in  cui  tengon  radice , e di  quella  del  calorico 
su  esse  irraggiato  dal  sole.  Di  queste  tre  azioni  principali 
che  entrano  a costituire  la  temperatura  di  un  clima  agri- 
cola , la  più  influente  sulla  vegetazione  è per  certo  quella 
dell5  irraggiamento  solare.  Alcune  esperienze  del  Conte  de 
Gasparin  fatte  a Parigi , a Peissenberg  e ad  Orange , riferite 
nel  suo  Corso  d3  Agricoltura  (T.  II.,  l.a  Parte.  Cap.  III. 
Sez.  5.a  Ediz.  2.a  Parigi),  lo  mettono  in  evidenza,  e ri- 
sulta da  esse,  che  le  piante  in  questi  tre  climi  a due  ore 
dopo  mezzodì  ricevono  dal  calore  solare  un  supplemento 
alla  temperatura  atmosferica  ( la  sola  considerata  per  lo  più 


154 


Giulio  Casoni 


dagli  agronomi) , a Parigi  di  5°,00 , a Peissenberg  di  7°,12, 
ad  Orange  di  11°,  15. 

Di  qui  si  fa  chiaro  pertanto , che  a meglio  determinare 
il  clima  per  la  vegetazione  delle  piante,  fa  d’  uopo  cono- 
scere il  medio  diurno  di  questo  supplemento  di  calorico 
ed  aggiungerlo  al  medio  della  temperatura  atmosferica.  Ciò 
venne  fatto  dall’  illustre  agronomo  citato  pei  tre  luoghi  sud- 
detti j e trovò  , che  P aumento  annuo  da  farsi  era  di  2°, 9 
per  Parigi , di  3°, 8 per  Peissenberg , e di  5°, 5 per  Oran- 
ge ; lo  che , in  rapporto  alla  temperatura , era  come  se  le 
piante  di  Parigi  venissero  trasportate  ad  una  latitudine 
di  3 gradi  più  meridionale , quelle  di  Peissenberg  ad  una 
di  4 , e quelle  di  Orange  ad  una  di  più  che  6.  Notando 
poi  che  una  delle  epoche  dell’  anno  in  cui  P aumento 
da  farsi  è maggiore , è la  estate , che  è la  stagione  nella 
quale  è grande  il  numero  delle  piante  in  vegetazione,  si 
vede  sempre  di  più  quanta  e quale  sia  1’  importanza  di 
ben  conoscere  e determinare  il  calore  irraggiato  dal  sole. 

E a ben  determinarlo  per  un  luogo  speciale , non  vi  ha 
che  P osservazione , perchè  ad  eguali  latitudini  ed  altezze 
orizzontali  del  sole , moltissime  circostanze  locali , inassog- 
gettabili alcune  a calcolo  esatto , possono  intervenire  a mo- 
dificare P intensità  del  calore  medesimo ,,  come  P altezza 
sul  livello  del  mare,  lo  stato  atmosferico,  P inclinazione , 
la  natura  e P esposizione  del  suolo  * i venti , la  vicinanza 
di  mari  o di  monti , e tante  , altre  che  più  o meno  vi  han- 
no influenza.  Non  potendo  determinare  se  e quanto  possano 
influire  tutte  queste  cause  locali , è necessario  ricorrere  al- 
P osservazione , di  ricorrervi  nel  numero  di  punti  maggiore 
possibile  e con  metodo  uniforme , sì  che  i risultati  possa- 
no venire  fra  loro  comparati.  Non  tardarono  gli  scienziati 
a sentirne  il  bisogno , ed  Humboldt  fra  i primi  si  fece  a 
darne  eccitamento  : le  Accademie  si  sollecitarono  a farlo 
soggetto  di  raccomandazione  a’  viaggiatori , e se  qualche 
frutto  ne  ottennero , cioè  che  in  parecchi  osservatori  eu- 
ropei venisse  introdotto  un  corso  regolare  ed  uniforme  di 
osservazioni  in  proposito,  pure  in  questo  rapporto  rimane 
tuttora  molto  a desiderarsi. 


Sull5  Irraggiamento  Solare 


Penetrato  da  queste  considerazioni,  il  Chiarissimo  Pro- 
fessor Lorenzo  Respighi , tra  i molti  ed  importanti  rami  di 
osservazione  introdotti  in  questo  nostro  Osservatorio  Astrono- 
mico-Meteorologico , pose  eziandio  questo  che  deve  condurre, 
col  tempo,  ad  una  conveniente  determinazione  del  calore  so- 
lare , con  quel  vantaggio  per  la  pratica  agronomia  , che 
tutti  sapranno  bene  apprezzare.  Coll’  incombenza  di  fare 
le  osservazioni  in  discorso  e di  discuterle , egli  mi  deferi- 
va eziandio  1’  onorevole  incarico  di  darne  rapporto  a que- 
sto illustre  Consesso , incarico  che  io  accettai  con  somma 
compiacenza,  specialmente  perchè  mi  forniva  occasione  di 
mostrare  di  fatto  la  gratitudine  che  debbo  a Voi,  Ac- 
cademici Prestantissimi , per  V insigne  onore  che  nello  scorso 
anno  per  solo  tratto  di  vostra  singolare  benevolenza  vi  de- 
gnaste accordarmi,  annoverandomi  fra  gli  alunni  di  questo 
preclaro  Instituto , onore  del  quale  cercherò  di  rendermi 
con  ogni  sforzo  il  meno  possibile  indegno , procurando 
supplire  col  buon  volere  alla  mancanza  d’  ingegno  e di 
sapere.  . 

Alla  fine  del  Giugno  1860  si  incominciò  a determi- 
nare la  intensità  del  calore  irraggiato  dal  sole  con  un  pi- 
reliometro  diretto  di  Pouillet,  e le  osservazioni  vennero 
fatte  ogni  giorno  in  cui  lo  stato  atmosferico  trovavasi  nelle 
circostanze  favorevoli  a queste  ricerche.  Ma  nell’ Ottobre , 
essendosi  la  temperatura  atmosferica  di  molto  abbassata, 
e lo  strumento  essendo  fornito  di  un  termometro,  che 
indicava  soltanto  una  temperatura  superiore  a 22  gradi 
centesimali  , si  dovettero  interrompere  le  osservazioni  per 
aspettare  che  all’  istrumento  istesso  venisse  adattato  un 
termometro  a graduazione  più  bassa,  acciò  potesse  servire 
eziandio  in  que’  pochi  giorni  autunnali  ed  invernali,  i quah 
permettono  di  ottenere  con  fiducia  la  cercata  misura.  L 
quantunque  il  periodo  di  osservazione  sia  assai  breve ,'  pure 
sembra  opportuno  intavolarne  ben  tosto  la  discussione  e 
pubblicarne  i primi  risultati,  sia  perchè  servono  sempre 
a stabilire  un  qualche  concetto  sintetico  del  soggetto  m 

discorso,  sia  perchè  si  prestano  a dare  una  approssimata  so- 
luzione a quelle  questioni  che  non  domandano  la  esattezza 


156 


Giulio  Casoni 


maggiore  possibile  nei  dati  che  valgono  a risolverle.  In 
oggi  poi  che  parecchi  osservatori  si  occupano  di  questa 
maniera  di  studii  ed  osservazioni  , e si  fanno  con  metodo 
abbastanza  uniforme , sì  che  si  hanno  risultati  che  sono  fra 
loro  comparabili , facendo  ragione  alla  giusta  impazienza 
onde  gli  animi  generalmente  sono  spinti  a giungere  ben 
presto  alP  acquisto  delle  cognizioni  cercate , è bene  che 
con  sollecitudine  i risultati  medesimi  si  diano  tosto  al  pub- 
blico , anche  perchè  fin  cP  ora  ne  possa  ricavare  quel  frutto 
maggiore  possibile  di  cui  sono  fecondi. 

Il  pirelìometro  diretto  adoperato  nelle  fatte  osservazioni , 
era  quale  lo  descrisse  il  Pouillet  stesso  nella  sua  Memoria 
Sul  calore  solare  (Comptes  Rendus  1838  T.  II.  p.  15)  ed 
anche  nel  suo  Trattato  di  Fisica  Sperimentale  Lib.  VII.  G.  I , 
per  cui  qui  non  importa  notare,  se  non  che  il  diametro 
della  superfìcie  circolare  esposta  al  calore  solare  è di  un 
decimetro;  l’altezza  interna  del  recipiente  18  millimetri, 
e che  nell’  uso  dell’  istrumento  si  sono  usate  tutte  le  pre- 
cauzioni dall’  Autore  stesso  suggerite , ed  ecco  con  quale 
processo. 

Esposto  il  pireliometro  all’  ombra  .presso  il  luogo  di  os- 
servazione (all’  altezza  di  1 75  circa  dal  suolo  del  ter- 
razzo) e diretto  verso  la  parte  di  cielo  piu  vicina  al  sole, 
sempre  tenendolo  agitato  acciò  il  liquido  presto  si  mettesse 
ad  una  temperatura  uniforme , si  osservava  ad  ogni  minuto 
il  raffreddamento  o riscaldamento  che  esso  subiva  : alla  fine 
del  quinto,  minuto  coperto  da  un  ombrello  si  poneva  al 
sole,  e al  principio  del  sesto,  levato  P ombrello  e dispo- 
stolo immantinenti  a ricevere  perpendicolari  i raggi  del 
sole , si  osservava  per  cinque  minuti  P aumento  di  tempe- 
ratura che  avveniva  ad  ogni  minuto  : poscia , ritirandolo 
all’  ombra  alla  posizione  di  prima , scorso  un  minuto , per 
altri  cinque  si  notava  il  raffreddamento  che  pativa  in  cia- 
scuno di  essi.  Se  si  chiama  r il  raffreddamento  o riscalda- 
mento totale  dei  primi  cinque  minuti,  r il  raffreddamento 
sofferto  negli  ultimi , g l’innalzamento  osservato  nei  cinque 
minuti  in  cui  ricevè  i raggi  diretti  del  Sole,  la  vera  ele- 
vazione di  temperatura  t per  effetto  del  calore  solare  nel 


Sull5  Irraggiamento  Solare 


157 


tempo*  suddetto,  sarà  determinata  dalla  formola 


Il  valore  di  t desunto  da  questa  è sufficiente  a far  co- 
noscere 3a  quantità  relativa  di  calore  solare  assorbito  : ma 
se  si  volesse  determinare  la  quantità  assoluta , che  in  un 
minuto  cade  sopra  un  centimetro  quadrato  , cioè  nell’  unità  . 
di  tempo  e sull5  unità  di  superficie , il  precedente  valore 
di  t devesi  moltiplicare  per  un  coefficiente , il  quale  viene 
determinato  nel  modo  seguente.  Sia  d il  diametro  del  vaso 
in  centimetri  3 p il  peso  espresso  in  grammi  dell5  acqua 
contenuta  nel  recipiente , p il  peso  del  vaso  e della  parte 
di  termometro  entro  esso  immersa  ridotto  ad  un  calore 
specifico  uguale  all5  unità,  è manifesto  che  la  elevazione 
di  temperatura  osservata  è l5  effetto  prodotto  da  una  quan- 
tità di  calorico 

Hp+p') 

« . nd* 

la  quale  cadendo  in  cinque  minuti  sopra  una  superficie  -j- , 

ogni  unità  di  superficie  durante  un  minuto  riceverà  una 
quantità  di  calorico  espressa  da 

* (p-*-p)  t 

5 nd*  ' 

Determinate  le  quantità  suddette  colla  maggiore  accura- 
tezza e precisione  possibile , il  coefficiente  cercato  risultò 

0,4022. 

Prendendo  pertanto  il  medio  delle  elevazioni  di  tempe- 
ratura osservate  al  pireliometro  presso  al  mezzodì  e date 
più  innanzi  allo  Specchio  I , e moltiplicandolo  per  tal  coef- 
ficiente si  trova  che  nel  meriggio  sull5  unità  di  superficie 


158 


Giulio  Casoni 


e nell’  unità  di  tempo  cade  una  quantità  di  calore  espres- 
sa da  1°,31 . Del  pari  coi  dati  dello  specchio  V , se  fossero 
più  numerosi , si  troverebbe  la  quantità  media  di  calore 
che  si  riceve  ad  ogni  unità  di  tempo  nelle  ore  in  cui  il 
sole  sta  sull*  orizzonte. 

Sono  questi  ultimi  dati  che  specialmente  interessano  al- 
F agronomo;  ma 3 qui  non  si  possono  avere  che  approssi- 
mativi, stante  lo  scarso  numero  delle  osservazioni.  Li  ab- 
biamo accennati , perchè  fin  d’  ora  si  possa  formare  un 
qualche  criterio  sull’  effetto  di  cui  è capace  nel  nostro  cli- 
ma il  calore  irraggiato  del  sole.  E ciò  tanto  più  perchè 
questo  calore  è molto  diverso  in  luoghi , pei  quali  la  po- 
sizione geografica  od  altri  motivi  farebbero  indurre  doves- 
s’  essere  uguale.  Si  trova  infatti , che  di  due  climi , dei 
quali  la  temperatura  media  atmosferica  sia  diversa , quello 
in  cui  quest’  ultima  è minore , riceve  dal  calore  solare  un 
supplemento  maggiore  ; sicché , riguardo  alla  vegetazione , 
i due  climi  stessi  potrebbero  cionostante  essere  uguali , od 
anche  essere  più  caldo  quello  in  cui  la  media  temperatura 
atmosferica  è minore.  Ma  V ufficio  della  Meteorologia  è com- 
piuto quando  ha  somministrato  gli  elementi  dati  dall’  os- 
servazione : spetta  all’  Agronomia  il  determinare  il  valore 
assoluto  del  calore  solare  nei  casi  particolari , tenendo  conto 
di  tutte  le  altre  circostanze  che  hanno  su  ciò  influenza , 
come  natura  del  suolo , colore , figura  e capacità  pel  calo- 
rico delle  piante,  ed  altre  molte  che  qui  non  giova  menzio- 
nare. Pertanto  ci  occuperemo  piuttosto  di  determinare  la 
variazione  annua  e diurna  dell’  irraggiamento  solare , e la 
parte  di  calore  che  viene  assorbita  dall’  atmosfera. 

VARIAZIONE  ANNUA. 

Le  osservazioni  fatte  allo  scopo  di  determinare  la  varia- 
zione annua,  si  sono  fatte  sempre  circa  a mezzodì ^ e solo 
in  quei  giorni  nei  quali  lo  stato  atmosferico  si  trovava,  al- 
meno apparentemente,  nelle  circostanze  favorevoli  necessa- 
rie a questa  specie  di  ricerche.  Si  sono  rigettate  quelle 


Sull5  Irraggiamento  Sòlare  159 

osservazioni , nelle  quali  l’ anormalità  dei  risultati  era  evi- 
dente ed  assicurava,  che  nebbie  trasparenti  ed  invisibili 
rendevano  impura  1*  atmosfera  e toglievano  perciò  fiducia 
ai  risultati  medesimi.  Per  questa  ragione,  e per  l’altra  su- 
periormente riferita , che  cioè  il  termometro  dell’  istrumén- 
to  dava  indicazione  soltanto  di  temperature  troppo  eleva- 
te,^ il  numero  delle  osservazioni  in  questo  riguardo  sono 
rimaste  molto  al  disotto  di  quello  che  si  sarebbe  deside- 
rato, Ciò  non  ostante  si  sono  poste  in  ispecchio , mettendo 
alla  prima  colonna  la  data , alla  seconda  1’  ora  dell’  osserva- 
zione in  tempo  medio , ed  alla  terza  1’  elevazione  di  tem- 
peratura osservata  durante  i cinque  minuti  in  cui  si  tenne 
il  pireliometro  esposto  ai  raggi  diretti  e perpendicolari  del 
sole  dedotta  dalla  formola  (d).  Alla  quarta  colonna  si  è po- 
sta la  declinazione  del  sole , ed  alla  quinta  alcuna  indica- 
zione sullo  stato  del  cielo , atta  a spiegare  le  lievi  anormalità 
che  si  riscontrano  in  alcune  delle  elevazioni  suddette. 


t 


160 


Giulio  Casoni 


Essendo  insufficiente  il  numero  delle  osservazioni , non 
estendendosi  nemmeno  all’intero  corso  di  un  anno,  nulla  può 
concludersi  da  queste  sulla  variazione  annua.  Però  , la  causa 
principale  di  questa  variazione  essendo  1’  altezza  orizzon- 
tale del  sole , la  quale  varia  nelle  epoche  dell’  anno  colla 
sua  declinazione , per  farsi  un’  idea  approssimativa  della 
legge  che  segue , in  Luglio  ed  Agosto  si  fecero  parecchie 
osservazioni  ad  altezze  diverse  del  sole  sull’  orizzonte , le 
quali  disposte  in  ordine  crescente  delle  altezze  medesime 
calcolate  colle  formole  ordinarie,  formano  lo  specchio  se- 
guente 


Osservando  questo  specchio , si  fa  palese  che  le  indica- 
zioni del  pireliometro  non  sono  sempre  in  accordo  colle 
corrispondenti  altezze  verticali  del  sole , come  è facile  a 
prevedersi  d’  altronde,  riflettendo  allo  stato  sempre  diverso 


Dell’  Irraggiamento  Solare 


161 


in  cui  si  trova  P atmosfera , non  pure  in  giorni  diversi , 
ma  eziandio  durante  un  medesimo  giorno.  Però  raggrup- 
pando assieme  le  prime  quattro  osservazioni , le  altre  a cin- 
que a cinque,  e prendendo  il  medio  sia  delle  altezze  ver- 
ticali calcolate  del  sole , sia  delle  elevazioni  di  temperatura 
osservate , il  rapporto  delle  une  e delle  altre  diviene  allora 
abbastanza  uniforme.  Di  più , calcolando  la  grossezza  e del- 
l5  atmosfera  attraversata  dai  raggi  calorifici  solari  corrispon- 
dentemente alle  altezze  medie  del  sole  mediante  la  formola 
di  Laplace 

rifrazione 

5 8", 3 6 X sen . dist.  zenit. 
si  forma  lo  specchio  seguente  : 


specchio  ili. 


Altezza  del 
Sole 

Elevazione  di 
temperatura 

Grossezza 

atmosferica 

15.#42' 

2/  05 

3,  656 

29.  42 

2,  47 

2,  010 

37.  55 

2,  89 

1,  625 

45.  12 

3,  11 

1,  408 

51.  50 

3,  19 

1,  270 

53.  29 

3,  21 

1,  241 

63.  33 

3,  27 

1,  135 

Assumendo  per  esatta  la  formola  di  Bouguer,  per  la 
quale  P intensità  della  luce  e del  calorico , che  attraversano 
strati  diversi  dell’  atmosfera , varia  come  P ordinata  di  una 
logaritmica , le  ascisse  della  quale  sono  le  grossezze  e degli 
strati  medesimi , si  avrebbe 

(b)  t = ap 

dove  a e p sono  due  costanti  da  determinarsi  coll’  esperienza. 

r ai 


162 


Giulio  Casoni 


Il  che , ove  sia  fatto  esattamente , rende  manifesto , che 
ponendo  e = 0 , si  ha  t = a , e sarebbe  questa  la  tempe- 
ratura che  indicherebbe  il  pireliometro  se  venisse  traspor- 
tato all9  estremità  superiore  dell5  atmosfera  : e se  si  faces- 
se e = 1 , risulterebbe  t — ap , e sarebbe  questa  la  tempe- 
ratura segnata  dallo  strumento  quando  il  calore  solare  aves- 
se traversato  l5  atmosfera  lungo  la  verticale.  In  conseguen- 
za p esprime  il  rapporto  delle  due  temperature  suddette , 
e quindi  1 — p la  parte  di  calore  solare  assorbito  dall’  a- 
tmosfera. 

A determinare  pertanto  le  due  costanti  a e p , nella  equa- 
zione 

lùg  t = log  a + e log  p 

si  sono  posti  successivamente  per  t e per  e i valori  corri- 
spondenti dati  dallo  Specchio  III , e si  sono  ottenute  così 
sette  equazioni,  le  quali  combinate  a due  a due  sommi- 
nistrano ventuno  valori  per  ciascuna  costante , il  medio  dei 
quali  risulta 

p = 0,7872  a = 4,0825. 

Sostituendo  questi  valori  nella  formola  di  Bouguer , e po- 
nendo per  e i valori  corrispondenti,  si  è calcolata  la  tem- 
peratura , la  quale  si  trova  in  sufficiente  accordo  colla  os- 
servata, come  può  rilevarsi  dallo  specchio  seguente. 


SPECCHIO  IV. 


Altezza  del  Sole 

Grossezza 

atmosferica 

Elevazione  di  temperatura 

Differenza 

osservata 

calcolata 

15.°  42' 

3,656 

2, "05 

1,°70 

— 0,°35 

29.  42 

2,010 

2,  47 

2,41 

0,  06 

37.  55 

1,625 

2,  89 

2,  77 

0,  12 

45.  12 

1,408 

3,11 

2,91 

0,  20 

51.  50 

1,270 

3, 19 

3,01 

0,  18 

53.  29 

1,241 

3,  21 

3,  03 

0,  18 

63.  33 

1,135 

3,  27 

3,  11 

0,  16 

Sull5  Irraggiamento  Solare  163 

Ma  assumendo  per  a e per  p i valori  medii  determinati 
come  vedremo  in  appresso,  si  trova  fra  la  temperatura  os- 
servata e la  calcolata  una  differenza,  che  in  medio  non 
tocca  il  decimo  di  grado  centesimale. 

VARIAZIONE  DIURNA 

Al  fine  di  determinare  la  variazione  diurna,  nei  giorni 
e per  l5  intervallo  di  tempo  in  cui  lo  stato  atmosferico  per- 
durò nelle  circostanze  opportune,  si  fecero  osservazioni  di 
ora  in  ora , e rigettando  quelle  serie  sulle  quali  la  irrego- 
larità delle  temperature  , osservate  assicurava , che  nebbie 
trasparenti  od  invisibili  aveano  modificato  lo  stato  atmo- 
sferico e tolto  fiducia  ai  risultati , si  sono  trovate  le  serie 
che  si  sono  disposte  nello  Specchio  V qui  appresso  riferito. 


164 


Giulio  Casoni 


Sull9  Irraggiamento  Solare 


165 


I valori  di  p e di  a per  ciascun  giorno  si  sono  deter- 
minati combinando  al  solito  a due  a due  le  equazioni  che 
si  formavano  sostituendo  nella  formola  (b)  in  luogo  di  t 
la  elevazione  di  temperatura  osservata , e per  e la  grossez- 
za atmosferica  corrispondente , e si  sono  rifiutati , come  ha 
fatto  anche  il  Quetelet , i valori  trovati  dalle  combinazioni 
delle  equazioni  in  cui  t era  V elevazione  di  temperatura 
osservata  o molto  vicino  a mezzo  giorno , o molto  vicino 
all’  orizzonte , e ciò  perchè  sono  resi  troppo  eccezionali  i 
valori  medesimi , avvertendo  però  che  di  essi  al  più  se  ne 
sono  rifiutati  due  in  una  stessa  serie.  Prendendo  il  medio 
dei  valori  trovati  per  ciascun  giorno , si  trova  che  quello 
di  a varia  pochissimo  da  serie  a ’serie , ma  non  così  quello 
di  p.  Infatti  per  p si  è trovato 


6 Luglio 
26  Luglio 
20  Agosto 

26  Agosto 

27  Agosto 


/?  = 0,8931 
p=  0,6541 
p = 0,8714 
p = 0,7909 
p = 0,8450 


Si  vede  pertanto  che  a rimane  indipendente  dallo  stato 
atmosferico,  mentre  da  esso  dipende  la  p : ed  essendo  a 
la  quantità  di  calore  solare  incidente  nell*  atmosfera  al  suo 
limite  superiore , il  Pouillet  la  chiama  costante  solare , in 
quanto  che  rappresenta  k costante  potenza  calorifica  del 
sole , mentre  p la  denomina  costante  atmosferica , dovendo 
essa  per  conseguenza  variare  allora  appunto  che  varia  od 
il  luogo  od  il  tempo  di  osservazione , e per  ciò  stesso  lo 
stato  atmosferico. 

Sostituendo  nella  formola  di  Bouguer  per  le  due  co- 
stanti i valori  medii  trovati  per  ciascun  giorno,  e calcolando 
le  temperature  corrispondenti  alle  diverse  ore  e grossezze 
atmosferiche  ^ si  ottengono  i risultati  posti  alla  terza  colon- 
na dello  Specchio  V , dal  quale  in  conseguenza  si  può  ri- 
levare la  differenza  che  corre  fra  k temperatura  osservata 
e la  calcolata. 

Ma  adottando  per  a il  valore  che  si  deduce  dal  medio 


166 


Giulio  Casoni 


dei  corrispondenti  a ciascun  giorno  e del  medio  trovato 
colle  sette  equazioni  fornite  dallo  Specchio  III , che  si  trova 
essere 

*==  4,1665 

e tenendolo , come  dev5  essere , costante  per  ogni  serie  di 
osservazioni , si  è cercato  quali  sono  i valori  di  p che  ma- 
glio soddisfano  alla  forinola  che  dà  la  temperatura,  e si 
è trovato  che  per  la  serie  dello  Specchio  III  soddisfa 

p = 0,7991 

e per  le  serie  delle  osservazioni  orarie  nei  diversi  giorni , 
soddisfano  i valori  notati^  nella  tabella  seguente  : 


6 Luglio 
26  Luglio 
20  Agosto 

26  Agosto 

27  Agosto 


p = 0,8375 
p ss  0,7150 
p = 0,7150 
p = 0,8325 
p = 0,8735 


Con  tali  valori  calcolate  le  temperature,  si  trovano  in 
maggiore  concordanza  colle  osservate  nelle  serie  orarie , e 
soddisfacentissime  poi  nelle  medie  dello  Specchio  III,  co- 
me si  può  rilevare  dai  quadri  seguenti. 


Altezza  del  Sole 

Elevazione  di  temperatura 

Differenza 

osservata 

calcolata 

15.°42' 

2,°05 

1,°83 

— 0,°22 

29.  42 

2,  47 

2,  64 

h-  0,  17 

37.  15 

2,  89 

2,  90 

-t-  0,  01 

45.  12 

3,  11 

3,  04 

— 0,  07 

51.  50 

3,  19 

3,  13 

— 0,  06 

53.  29 

3,  21 

3,  15 

— 0,  06 

63.  33 

3,  27 

3,  23 

— 0,  04 

Sull’  Irraggiamento  Solare 


167 


SPÈCCHIO  VII. 


Dopo  ciò,  egli  è manifesto  con  qual  grado  di  approssi- 
mazione può  stabilirsi  che  pel  nostro  Osservatorio,  posto 
alla  latitudine  Nord  di  44.°  29'.  54",  col  piano  di  osser- 
vazione ad  un’  altezza  circa  di  92OT  sul  livello  dell’  Adria- 
tico , e di  39**  circa  sul  livello  del  suolo , il  valore  della 
costante  solare  sia 

/==  4,1656 

ed  il  valore  della  costante  atmosferica , deducendolo  dal 
medio  dei  sei  qui  sopra  citati,  sia 

p = 0,8090 

il  quale  è compreso  fra  i limiti  0,7150  e 0,8735. 

Per  chi  amasse  un  qualche  confronto  fra  i valori  della 
costante  atmosferica  trovati  da  alcuni  osservatori  in  luoghi 
di  latitudine  diversa , può  farlo  sui  riferiti  nella  seguente 
tabella. 


168 


Giulio  Casoni 


Forbes  (in  Isvizzera) p = 0,685 

Bouguer jp  = 0,8123 

Quetelet  (Brusselle) p = 0,66 

Lambert p = 0,5889 

Lesile  p = 0,7500 

Pouillet  (Parigi) p = 0,7590 


La  perdita  che  patisce  il  calore  solare  attraversando  Y at- 
mosfera lungo  la  direzione  della  verticale , essendo  espressa 
da  1 — p , questa,  assumendo  per  p il  valor  medio  già 
determinato  più  sopra,  si  trova  essere 

0,191 

da  cui  risulta  che  diecinove  centesimi , o circa  il  quinto 
del  calore  irraggiato  dal  sole  non  giunge  alla  superficie 
terrestre , ma  viene  assorbito  dall5  atmosfera.  La  quantità 
di  questo  assorbimento  determinata  da  autorevoli  osserva- 
tori, si  fa  nota  pei  dati  qui  sottonotati. 

Secchi  (Roma)  0,272 

Forbes  (Svizzera) 0,315 

Bouguer . . 0,188 

Quetelet  (Brusselle) 0,34 

Leslie 0,250 

Pouillet  (Parigi) da  0,  21  a 0,27 

Come  si  vede  la  quantità  trovata  pel  nostro  Osservatorio 
è fra  le  inferiori;  ma  è da  considerarsi  la  rilevante  altezza 
sul  livello  del  mare  alla  quale  siamo  posti , e di  più  che 
le  osservazioni  furono  fatte  ad  un5  altezza  di  39  metri  circa 
dal  suolo,  le  quali  circostanze  unite  alla  purezza  della  no- 
stra atmosfera  spiegano  l5  inferiorità  del  valore  trovato  e 
fanno  conoscere , come  il  nostro  clima  sia  per  questo  rap- 
porto assai  favorevole  alla  vegetazione,  risentendo  più  lar- 
ga copia  dell5  azione  del  calore  solare , che  è la  principal 
cagione  di  vita  nelle  piante  e di  ubertosità  nel  suolo. 

Quando  poi  queste  osservazioni  fatte  ovunque  con  me- 
todi uniformi , e quindi  con  risultati  comparabili  fra  loro , 


Sull’Irraggiamento  Solare  169 

saranno  copiose  e fatte  in  molti  luoghi  a latitudini  mol- 
to diverse , allora  si  potrà  intraprendere  con  profitto  lo 
studio  delle  leggi  secondo  le  quali  alla  superficie  terrè- 
stre varia  la  intensità  del  calore  irraggiato  dal  sole  al  va- 
riare della  distanza  dall5  equatore.  È già  da  un  pezzo  che 
il  sig.  Danieli  pose  per  dimostrato  che  « la  forza  calorifica 
» dei  raggi  diretti  del  sole  diminuisce  avvicinandosi  al- 
» 1’  equatore  ».  Ma  essendosi  fondato  sopra  osservazioni  fatte 
in  circostanze  diversissime,  e perciò  fra  loro  incomparabi- 
li , dava  troppa  ragione  all5  Arago  di  contraddirlo.  Per  ora 
non  si  può  che  presentare  i risultati  dell5  osservazione  , uni- 
forme ed  esatta,  e su  questi , quando  saranno  sufficienti , 
si  dovrà  fondare  questa  specie  di  studii  importantissimi 
per  la  Meteorologia  e per  tutte  quelle  scienze , che  da  essa 
ritraggono  utile  sussidio  e profittevole  vantaggio.  I risultati 
non  sono  che  i primi  dedotti  da  un  breve  corso  di  osser- 
vazioni , che  come  dicemmo  fin  da  principio , si  danno  al 
pubblico  per  non  privarlo  di  quel  frutto  di  cui  sono  fe- 
condi : non  è pertanto  a meravigliare  se  non  ci  siamo  ora 
occupati  di  quelle  più  minute  ricerche  utilissime,  che  han- 
no già  formato  soggetto  di  studio  al  Saussure , Melloni , Sec- 
chi , Volpicelli  ed  altri  : esse  potranno  essere  prese  ad  esame 
nelle  osservazioni  posteriori  che  in  seguito  regolarmente  si 
faranno  in  questo  Osservatorio. 


T.  I. 


22 


DI  ALCUNI  PARTICOLARI 


INTORNO 

LE  PARTI  GENITALI  MULIEBRI 


DEL  PROF.  CAV.  LUIGI  CALORI 

(Letta  nella  Sessione  dei  14  Novembre  1861.) 


Nella  occasione  di  un  novello  caso  di  duplicità  utero-va- 
ginale congenita  io  ho  divisato  d’  intrattenervi,  o Signori , 
intorno  a’  vari  punti  disputabili  risguardanti  le  parti  geni- 
tali muliebri  sì  nello  stato  anormale  come  nello  stato  nor- 
male ; ed  in  cosiffatto  divisamente  son  io  venuto  dietro  la 
lettura  di  opere  e moderne  e antiche,  e dietro  osservazio- 
ni mie  proprie.  Conciossiachè  queste  non  convenendo  colle 
sentenze  che  a quelle  consegnarono  gli  autori  loro,  hanno 
con  tutta  efficacia  operato  che  io  a cotale  trattazione  mi 
determinassi . Molteplici  sono  le  materie  che  discorrerò , 
non  pertanto  possono  a cinque  capi  ridursi,  e il  primo 
tratterà  dello  imene  ne’  casi  di  congenita  vagina  doppia 
completa , il  secondo  dello  imene  perpendicolare , il  terzo 
della  genesi  delle  caruncole  mirtiformi , il  quarto  di  quella 
delle  varie  specie  di  congenita  duplicità  vaginale  ; il  quinto 
in  fine  consisterà  nel  considerare,  se  veramente  1’  utero  bi- 
1 oculare  e il  bicorne  tornino  per  le  più  volte  tanto  esiziali 
alle  gravide,  alle  partorienti  ed  alle  puerpere.  I quali  tutti 
argomenti  sono , com’  è chiaro , più  o meno  collegati  col 
caso  suddetto,  ed  io,  se  non  tutti , sì  certamente  il  mag- 


172 


Luigi  Calori 


gior,  numero  ragionerò  a mano  a mano  che  nella  descrizio- 
ne di  quello  cadrà  in  accóncio  di  parlar  delle  parti  sulle 
quali  essi  vertono. 

ARTICOLO  I. 

DelV  imene  ne9  casi  di  congenita  duplicità  completa 
della  vagina. 

Il  Chiarissimo  Professore  Giuseppe  Hyrtl  in  due  luoghi 
delle  sue  opere  anatomiche  parlando  dello  imene  nella  du- 
plicità congenita  della  vagina  ha  sentenziato  così  = Nella 
vagina  doppia  congenita  , sono  sue  parole , 1’  imene  non  è 
doppio  ( come  riferisce  1’  Huschke  ) , ma  difetta  in  amendue 
le  vagine  (1)  = ed  altrove  = Sotto  rapporto  forense  può 
essere  necessario  sapere  che  in  caso  di  congenita  vagina 
doppia  manca  sempremai  1’  imene  (2)  = Ei  non  ci  ha 
dubbio  che  questo  assoluto  sentenziare  dell’  Hyrtl  non  cada 
sulla  congenita  vagina  doppia  completa  ; perocché  nella  in- 
completa, o per  dir  più  esatto  quando  il  setto  bipartente 
la  vagina  non  ne  aggiunga  all1 2 3 4 5  adito,  ognuno  sa  che  l’ime- 
ne, da  qualche  caso  infuori,  esiste.  Ma  avanti  lui  Gallisen 
ed  Eisenmann  (3),  G.  F.  Meckel  (4),  1’  Huschke  suddet- 
to (5)  , Rokitanski  (6)  ec.  avevano  posto  che  nella  conge- 
nita duplicità  completa  della  vagina  non  solo  ci  avesse 


(1)  Manuale  di  Anat.  umana  ec.  di^  G.  Hyrtl  ec.  prima  traduzione  italiana 
di  Pietro  Guarinoni  Vienna  1854  pag.  516  (Vedi  la  nota). 

(2)  Manuale  di  Anat.  topografica  di  G.  Hyrtl  prima  traduzione  italiana  di 
F.  Roncati  Milano  1868  Tom.  1.  pag.  95. 

(3)  Citati  da  Àlph.  Velpeau  nel  suo  Traité  compiei  de  P art  des  accouche- 
mens  Bruxelles  1835  pag.  95. 

(4)  Manuale  di  Anat.  gener.  descrit.  e patol.  del  corpo  umano  ec.  versione 
di  G.  B.  Caimi  con  note.  Milano  1826  Tom.  IV  pag.  533. 

(5)  Encyclopedie  anat.  Tom.  V.  Traité  de  Splanchnologie  ec.  trad.  del’ al- 
lemand  par  A.  I.  L.  Jourdan  Paris  1845  pag.  473  (Vedi  la  nota). 

‘(6)  Trattato  completo  di  Anat.  patologica  ec.  prima  traduzione  italiana  dei 
DD.  Richetti  e Fano  Venezia  1853  Tom.  III.  pag.  618  — 635  — Anche  lo 
Scanzoni  nel  suo  recentissimo  Traité  pratique  des  maladies  des  organes  sexuels 
de  la  femme  ec.  traduit  de  P allemand  et  annoté  sons  Ies  yeux  de  P auteur 
par  les  D.  H.  Doret  et  A.  Socin  Paris  1858  pag.  422,  ha  posta  la  dupli- 
cità dello  imene  in  cotali  casi. 


Delle  parti  genitali  muliebri  173 

V imene,  ma  che  per  soprappiù  fosse  doppio.  La  questione 
non  è men  bella  che  importante  , ed  io  mi  farò  a risolverla 
giovato  dal  novello  caso  di  cotale  duplicità  superiormente 
menzionato. 

E innanzi  tratto  dirò  che  varie  sono  le  specie  di  dupli- 
cità vaginale  congenita , e che  a due  riduconle  gli  Autori , 
P una  prodotta  da  un  setto  perpendicolare  medio  od  obli- 
quo a direzione  longitudinale , P altra  da  un  setto  trasverso , 
cosi  che  si  hanno  o due  vagine  V una  a lato  dell’  altra , o 
due  vagine  soprapposte  (1).  Di  ambedue  le  specie  terrò 
proposito  in  questa  scrittura,  massimamente  nella  trattazione 
della  loro  genesi.  Intanto  comincerò  dal  caso  pertinente  alla 
prima  specie , il  quale  complicavasi  coll’  essere  P utero  al- 
tresì doppio  , o biloculare;  complicanza  solita  ad  accompa- 
gnare cotale  duplicità. 

Questo  caso  mi  fu  offerto  da  certa  Adelaide  Marzigoni 
bolognese  fanciulla  di  13  anni  compiuti , ancora  impubere , 
ben  conformata  e robusta , la  quale  coadiuvava , per  quanto 
la  sua  età  il  comportasse , nel  mestiere  di  lavandai  i suoi 
genitori  non  meno  sani  e robusti  di  lei.  Fino  al  Novembre 
del  1860  non  aveva  mai  sofferte  malattie,  quando  infer- 
mava di  acuta  pericarditide , ed  entrava  lo  spedale  della 
vita  per  esserne  risanata , ma  indarno  ; chè  P estremo  fato 
coglievaia  nel  Gennaio  del  1861.  La  Necroscopia  confer- 
mava la  diagnosi  , e in  ~inr medesimo  discopriva  la  suddetta 
duplicità , la  quale  venuta  a contezza  dell’  Illustre  Collega 
Cav.  Prof.  F.  Rizzoli , ordinava  egli  che  la  mi  fosse  tosto 
recata , acciocché  là  esaminassi. 

Non  appena  P ebbi  ricevuta  che  mio  primo  pensiere  fu 
di  osservare  il  pudendo  per  conoscere  quale  delle  due  sur- 
riferite opinioni  intorno  P imene  si  verificasse.  Ma  quanta 
non  fu  la  mia  sorpresa  in  vedere  che  nè  P assoluta  sen- 
tenza dell’  Hyrtl , nè  le  asserzioni  degli  altri  nominati  au- 
tori si  accordavano  col  fatto  che  io  aveva  davanti?  Non 


(!)  Isid.  Geoffroy  Samt-Hilaire  ec.  Hist.  géner.  et  partic.  des  anoraalies  de 
V organisation  etc.  Tom.  prem.  Paris  1832  pag.  552-53. 


174 


Luigi  Calori 


mancava  F imene , ed  essendovi , non  era  doppio , ma  unico 
e comune  a ciascun  orifizio  delle  vagine , conforme  si  av- 
visa in  a Fig.  1.  Tav.  1.  Era  desso  circolare  od  anulare, 
e piuttosto  robusto^  cosperso  di  papillette  nella  faccia  ester- 
na della  sua  parte  posteriore  o più  larga , ove  sulla  linea 
media  offeriva  pure  una  specie  di  rafe , particolarità  che  ho 
non  di  rado  veduta  anche  in  imeni  di  altre  zitelle , e spessis- 
simo , se  non  sempre , in  quelli  de5  feti  e delle  neonate. 
Colla  sua  parte  più  stretta  o colle  sue  corna  poi  attenevasi 
alla  parete  esterna  dell’  adito  delle  due  vagine  ed  ascen- 
deva recandosi  in  avanti,  e terminava  ai  lati  della  circon- 
ferenza inferiore  dell5  orifizio  dell5  uretra.  Sotto  questo  ori- 
fizio cominciava  il  setto  i , che  discendeva  bipartendo  l5  in- 
gresso vaginale , e giunto  alla  faccia  interna  della  parte  po- 
steriore dell5  imene  allargavasi  e con  lui  si  univa  , precisa- 
mente  come  in  quella  varietà  che  appellano  imene  perpen- 
dicolare e che  ha  valsa  all5  imene  in  genere  la  denomina- 
zione di  colonna  verginea , varietà  indicata  da  Vaisalva  e 
descritta  da  Morgagni,  da  Smellie  e da  altri ^ e di  cui  nel 
Museo  che  ho  l5  onore  di  dirigere , conservo  un  magnifico 
esemplare.  Oltre  le  connessioni  col  setto , altre  pur  con- 
traevano l5  imene  colle  pieghe  finitime  della  mucosa  della 
vagina , che  per  la  maggior  parte  erano  longitudinali  e pic- 
cole , ed  estendevansi  sulla  faccia  interna  di  lui , nella  quale 
poco  o punto  appariva  di  reticolato.  Della  sua  struttura 
non  dirò  siccome  quella  che  non  presentava  niente  di  no- 
tabile. - 

La  narrata  osservazione  dimostra  che  nulla  di  assoluto 
può  stabilirsi  rispetto  allo  imene  ne5  casi  di  congenita  va- 
gina doppia  completa.  Mancherà  talvolta  l5  imene,  ma  fare 
di  questa  mancanza  una  legge,  conforme  vorrebbero  le  as- 
severazioni dell5  Hyrtl,  non  può  di  verun  modo  concedersi, 
ed  aggiugnerò  che  talvolta  concedergliela  è larga  concessio- 
ne, sendo  che  la  mancanza  dell5  imene  è oltre  dire  raris- 
sima , come  ne  fanno  fede  le  statistiche , e quella  special- 
mente  di  Devergie , il  quale  ha  posto  l5  imene  una  volta 
sola  mancare  in  1000  casi.  Si  avrà  talaltra  un  imene  dop- 
pio, ma  che  così  debba  essere  sempre,  secondo  che  le  con- 


Delle  parti  genitali  muliebri  175 

cordi  sentenze  degli  autori  succitati  farebbonlo  presuppor- 
re, neppur  ciò  è ammissibile.  In  altri  casi,  come  nel  ri- 
ferito, vi  sarà  un  imene  unico  comune  a ciascun  orifizio 
vaginale.  E poiché  è manifesto  non  amar  la  natura  quel- 
P assoluto  cui  da  taluno  vorrebbesi  astretta,  non  sarebbe 
opinione  senza  fondamanto  il  credere  che  essendovi  P ime- 
ne possa  assumere  le  svariate  forme  che. esso  presenta  nel- 
lo stato  ordinario  o normale  della  vagina,  ed  essere  non 
solo  anulare  o circolare , ma  e quando  semicircolare  o se- 
milunare , quando  cribroso , quando  imperforato.  La  bontà 
della  congettura  è così  evidente,  che  nessuno  vorrà  oppor- 
sele. D’  altra  parte  P imene  doppio  è come  a dire  un  pas- 
saggio all’  imene  cribroso , e P imperforato  si  è veduto 
talvolta  nella ‘ congenita  vagina  doppia. 

ARTICOLO  II. 

Dello  imene  perpendicolare  e della  formazione 
dello  imene . 

Fra  le  noverate  varietà  d’  imene  che  possono  per  avven- 
tura consociarsi  colla  congenita  vagina  doppia  completa , io 
non  ho  compresa  la  perpendicolare  siccome  quella  che  s’ im- 
medesima , secondochè  io  avviso , coll’  anomalia  di  essa  va- 
gina doppia , e può  aversene  in  conto  di  un  vestigio.  E 
per  verità  nell’  esempio  addotto  (pag.  174)  e negli  altri  de- 
scritti dagli  autori  esisteva  un  imene  membranose,  alla  cui 
faccia  interna  connettevasi  semplicemente  la  colonna  o cor- 
done che  rendeva  doppio  P adito  vaginale.  Non  era  dunque 
P imene  che  si  componesse  e conformasse  nel  detto  cordo- 
ne , ma  questo  era  una  parte  avventizia  che  ad  un  punto 
dello  imene  aderiva  e che  aveva  attenenze  con  Ini  in  gra- 
zia solo  di  tale  aderimento.  Ma  se  ciò  che  ha  dato  motivo 
di  stabilire  P imene  perpendicolare  non  è pertinenza  dello 
imene , bensì  di  altra  parte , segue  che  a questa , e non 
a lui  debba  attribuirsi  P anomalia.  Osservando  il  citato 
esempio , e consultando  le  descrizioni  che  leggonsi  di  altri 
consimili , rilevasi  che  quel  cordone  è producimento  e con- 


176 


Luigi  Calori 


giunzione  anomala  delle  due  colonne  longitudinali  medie 
anteriore  e posteriore  della  vagina.  Ma  queste  colonne  sono 
i principii  donde  muove  il  setto  che  divide  la  vagina  in 
due  canali,  del  quale  setto  il  cordone  medesimo  vuoisi 
/come  parte  anteriore  od  inferiore  considerare.  Quindi  è che 
un  imene  perpendicolare , tale  almeno  quale  io  stesso  l’ ho 
veduto  e trovato  descritto  dagli  autori , non  può  ammet- 
tersi , non  essendo  parte  integrale  di  lui  quella  che  lo  co- 
stituisce : onde  dovrebbesi  levarlo  dal  novero  delle  varietà 
dello  imene,  e restituire  P anomalia  alla  parte  cui  spetta 
di  proprio  , facendone  un  primo  grado  della  congenita  va- 
gina doppia  per  un  setto  perpendicolare. 

Ma  qui  alcuno  potrebbe  obbiettare  che  P imene  non  è 
parte  indipendente  da  quelle  colonne , ma  una  dilatazione 
o produzione  della  loro  base , un  prolungamento  delle  loro 
pieghe,  la  piega  loro  maggiore  e più  ima;  conciossiachè  la 
base  di  esse  colonne  si  biforca  in  due  branche  o code  che 
dilatansi  e conformami  nella  duplicatura  imenale,  donde  forse 
la  forma  arcuata  o semilunare  di  lei.  Questa  opinione  che 
fu  già  di  alcuni  anatomici  antichi,  secondo  che  si  legge  ne- 
gli Adversaria  di  Morgagni  (1)  e che  qualche  moderno,  Vi- 
rey  (2)  ed  Huschke  (3)  in  ispeeie,  ha  riposta  in  onore  , 
costituisce  un5  obbiezione  più  presto  speciosa  che  vera.  E 
di  fatto  le  colonne  suddette  non  sempre  attingono  P imene , 
massimamente  l’anteriore,  come  Morgagni  pel  primo  notò  (4)) 
e altri  ed  io  stesso  ho  verificato.  Vidi  una  volta  questa 
colonna  anteriore  più  sviluppata  verso  P utero  che  verso 
P orifizio  vaginale,  e avanti  di  giugnere  sotto  P apice  del 
meato  orinario,  ove  suole  terminare  ed  avere  la  sua  base, 
dilatarsi  e scomparire.  La  colonna  posteriore  era  debole,  e 
s’  inseriva  nel  mezzo  della  faccia  interna  dello  imene  me- 
diante una  piega  che  aveva  sembianza  di  frenulo,  e che 


(1)  Adversaria  Anatomica  IV  animad.  XXIII. 

(2)  Journal  eomplem.  dn  Dictionaire  des  sciènces  mèdie.  1821.  Tom.  IX 

Pa^3flb'd — aDCOra  ^azelte  méd»c*  de  Paris  an.  1840  pag.  400. 

(4)  Ibid*. 


Delle  parti  genitali  muliebri  177 

con  altre  che  pur  le  si  inserivano , davale  il  solito  aspetto 
reticolato.  Le  corna  dello  imene,  quantunque  gracili,  pote- 
vansi  non  pertanto  seguire  fino  ai  lati  dell*  orifizio  dell’  u- 
retra , e continuavansi  più  presto  colla  mucosa  del  vesti- 
bolo che  della  vagina.  In  altri  casi  la  colonna  posteriore , 
sempre  men  grande  e ragguardevole  del?  anteriore , è così 
poco  apparente  da  appena  scernersi  ; anzi  direi  che  talvolta 
manca,  ed  in  suo  luogo  trovansi  delle  pieghe  trasverse  e 
longitudinali  molto  rilevate  che  prolungansi  sui  lati  della 
parte  più  larga  dello  imene  ; e sì  che  questa  colonna  cor- 
risponde alla  detta  parte  più  larga.  Le  colonne  poi  non 
sempre  biforcansi , ma  non  è raro  che  elle  terminino,  co- 
me molti  hanno  osservato , in  un  tubercolo , il  quale  è sem- 
pre meno  sviluppato  nella  posteriore  che  nella  anteriore,  ove 
talvolta  assai  lussureggia  ed  allungasi  a somiglianza  di  grossa 
papilla  dal  cui  lato  posteriore  ho  veduto  partire  un  pro- 
cesso falcato  lungo  due  centimetri  inserito  colla  sua  base 
nella  colonna  medesima.  Ma  biforcandosi , le  branche  o code 
della  biforcazione,  se  d5  ordinario  si  continuano  coll’  imene, 
qualche  volta  però  non  si  continuano  che  con  pieghe  va- 
ginali poste  subito  dietro  di  lui,  e ciò  ha  luogo  massi- 
mamente quando  la  biforcazione  si  opera  molto  addietro 
verso  1*  utero , e si  ha  1’  apparenza  di  molteplici  colon- 
ne longitudinali  medie  ; nel  quale  caso  Morgagni  pure  non 
potè  seguirle  fino  allo  imene  : senza  che  le  branche  della 
colonna  anteriore  terminano  non  di  rado  all’  orlo  inferiore 
dell5  orifizio  uretrale  dilatandosi  sotto  questo  orifizio  come  in 
due  caruncole.  Ora  con  tanta  varietà  di  disposizione,  con 
tanta  incostanza  della  più  favorevole  a sostegno  della  ipo- 
tesi in  esame,  chi  potrà  considerare  V imene  una  dilatazione, 
un  prolungamento , od  un  producimento  della  base  bifor- 
cata delle  colonne  longitudinali  medie  della  vagina?  Certo 
che  guardando  ben  addentro  alle  cose  non  può  vedersi  nella 
connessione  di  queste  colonne  con  lui  che  una  continuità 
di  parti  senza  dipendenza  di  origine  dell5  una  dalle  altre , 
continuità  simile  a quella  che  l5  imene  stesso  ha  colla  re- 
stante mucosa  che  soppanna  la  cavità  della  vagina,  simile 
a quella  che  esso  ha  colla  mucosa  delle  ninfe,  del  vesti- 


178 


Luigi  Calori 


bolo , col  tegumento  della  fossetta  navicolare , e della  su- 
perficie interna  delle  grandi  labbra.  Come  F imene  non  di- 
rebbesi  dilatazione , prolungamento  o producimento  delle 
parti  testé  divisate  per  ciò  che  con  esse  loro  è continuo, 
per  la  medesima  ragione  non  può  dirsi  che  lo  sia  di  quelle 
colonne;  e che  noi  pòssa  dirsi,  lo  prova  altresì  il  modo 
di  sua  formazione.  Nel  feto  di  poco  più  di  quattro  mesi 
consiste,  secondo  Meckel  (1),  in  due  rilievi  o piegoline 
laterali , che  dirigonsi  dallo  indietro  in  avanti , e sono  affat- 
to separate  sulla  linea  media  lasciando  un  vano  o fessura 
tra  loro  a somiglianza  del  rudimento  imenoide  che  occorre 
nellé  femmine  di  non  pochi  mammiferi  ; vano  o fessura  di 
cui  può  rimanere  un  vestigio  anche  a sviluppo  completo 
come  pur  lo  dimostra  la  bella  Figura  che  ne  ha  data  del- 
F imene  il  Santorini  (2)  e come  io  stesso  ho  qualche 
volta  veduto  in  zitelle , e spessissimo  in  feti  feminini  set- 
timestri  ed  ottimestri,  ne’  quali  quel  vestigio  si  presenta 
sotto  forma  di  una  incisura  obliqua  del  detto  margine  ( Vedi 
le  Fig.  5-8,  Tav.  3.).  Cotali  rilievi  o pieghe  hanno  da  prin- 
cipio una  uniforme  larghezza , ma  appresso  si  vanno  via  via 
allargando  di  più  nella  loro  parte  od  estremità  posteriore 
con  cui  venute  a contatto  sulla  linea  media  riunisconsi , e 
compongono  la  parte  più  larga  dello  imene;  e per  riunirsi 
sembra  che  una  estremità  un  po’  all’  altra  soprappongasi , 
e nel  punto  di  unione  ha  luogo  la  specie  di  rafe  su- 
periormente indicata , apparentissima  ne’  feti  della  sud- 
detta età*  massime  nella  feccia  esterna  di  essa  parte  più 
larga.  Il  quale  procedimento,  quando  F imene  si  prolungasse 
dalle  colonne  longitudinali  medie  della  vagina,  dovrebbe 
essere  inverso , cioè  F imene  o que’  rilievi  o piegoline  che 
dapprima  lo  formano,  dovrebbero  muovere  dalla  base  delle 
colonne  ed  essere  fin  dalla  origine  riunite , massime  poste- 
riormente, servendo  di  mezzo  di  unione  F estremità  infe- 
riore o base  della  colonna  posteriore  ; in  altri  termini  lo 


(1)  Op.  cit.  Tom.  cit.  pag.  510. 

(2)  Septemdecim  Tabnlae  eie.  Parmae  CD-  IDOD-  LXXV  Tab.  XVII. 


Delle  parti  genitali  muliebri 


179 


sviluppo  loro  non  dovrebbe  effettuarsi  dalla  periferia  al 
centro , ma  dal  centro  alla  periferia  non  altrimenti  di  quel- 
lo delle  rughe  o pieghe  trasverse  delle  colonne  longitudi- 
nali medie , le  quali  pieghe  cominciano  dai  lati  di  esse 
colonne  e insiem  con  altre  oblique  estendonsi  sulla  circon- 
ferenza interna  della  vagina.  Ma  ciò  che  pone  il  suggello 
che  Y imene  non  procede  dalla  base  biforcata  delle  colon- 
ne, è che  esso  può  esistere  abbastanza  sviluppato  senza 
un  corrispondente  sviluppo  delle  colonne  medesime,  anzi 
senza  che  queste  appajano , come  lo  dimostrano  le  parti 
genitali  di  un  feto  feminino  quadrimestre  rappresentate 
dalla  Fig.  4.  Tav.  3.  Per  le  quali  tutte  cose  è più  che  mai 
chiara  e provata  la  vanità  della  obbiezione  surriferita;  il 
perchè  resta  fermo  quanto  stabilii  intorno  1*  imene  perpen- 
dicolare , che  esso  non  è varietà  dello  imene , ma  anomalia 
delle  colonne  prefate  aggiunta  alle  ordinarie  forme  di  quello. 

ARTICOLO  III. 

Delle  caruncole  mirtiformi. 

Contemplando  la  Fig.  1 . Tav.  1 . occorrono  subito  dietro 
le  corna  dello  imene  al  lato  esterno  dì  ciascuna  vagina  i 
tubercoli  o creste  d,  le  quali  hanno  sembianza  di  carun- 
cole mirtiformi.  Cosiffatta  particolarità  non  è solo  di  questo 
caso  di  congenita  vagina  doppia,  ma  altresì  di  quelli  ge- 
neralmente in  cui  la  vagina  è semplice , essendomisi  offerta 
tutte  le  volte  che  ho  avuta  occasione  di  esaminare  parti 
genitali  di  donne  vergini.  Aperte  longitudinalmente  le  due 
vagine  a lati  del  setto  ^ conforme  rappresenta  la  Fig.  2. 
Tav.  2,  troviamo  che  quelle  creste  d , vengono  costituite 
da  una  grossa  piega  della  mucosa  vaginale,  piega  ripiegata 
come  a ferro  da  cavallo , che  con  una  estremità  congiugnesi 
col  setto  bipartente  la  vagina , e ne’  casi  ordinari  colla  base 
della  sua  colonna  longitudinale  media  anteriore,  e non  di 
rado  con  una  piega  longitudinale  laterale , che  ho  trovata 
sviluppatissima  ne’  feti  settimestri,  ottimestri  ec.,  ne’  quali 
prolungasi  molto  in  addietro , e rassembra  una  vera  colonna 


180 


Luigi  Calori 


laterale , ehe  dopo  la  nascita  a mano  a mano  che  progre- 
disce r età , si  fa  più  breve  e men  rilevata  ^ e quasi  af- 
fetto scompare , non  lasciando  di  se  che  un  vestigio  rap- 
presentato da  pieghe , una  delle  quali  sembra  essere  questa 
che  descrivo:  coll9  altra  estremità  poi  congiugnesi  colla  faccia 
interna  della  parte  anteriore  del  corrispondente  corno  dello 
imene,  connessione  frequentissima,  ma  non  costante.  Cotale 
piega  si  complica  con  altre  minori  che  le  si  aggiungono  e 
nel  concavo  e nel  convesso  de9  suoi  margini , ed  è più  gros- 
sa e rilevata  e soda  e come  carnosa  nel  sommo  del  suo  ar- 
co, e con  quello  più  che  con  altra  parte  sporge  e si  mo- 
stra a traverso  gli  orifizi  delle  vagine.  Questa  osservazione 
a vero  dire  non  nuova , perciocché  Schrader  e Deidier  n9  eb- 
bero fatta  lungo  tempo  innanzi  una  consimile , secondo  che 
leggesi  negli  Elementi  di  Fisiologia  di  A.  Haller  (1),  pro- 
verebbe, che  e caruncole  mirtiformi  ed  imene  possono  esi- 
stere ad  un  tempo,  ovvero  che  esse  non  tutte  vengono 
generate  dai  lembi  del  rotto  imene;  e ne  gioverebbe  in 
oltre  a spiegare  il  loro  volume  generalmente  maggiore  a 
proporzione  della  picciolezza  della  parte  che  è l9  imene, 
ma  sopratutto  il  fetto  che  il  più  delle  volte  si  verifica,  di 
essere  le  caruncole  più  voluminose  ove  l9  imene  è più  stretto 
come  ai  lati  della  vagina , e meno , ov*  è più  largo , anzi 
nella  parte  posteriore  di  rado  occorrerne,  conforme  aveva 
già  notato  lo  stesso  Haller  (2).  Veggo  bene  che  ciò  con- 
traddice l9  opinione  dominante  la  quale  pone  le  caruncole 
mirtiformi  altro  non  essere  che  reliquie  dello  squarciato 
imene , e che  questo  non  ^squarciandosi , ma  a poco  a poco 
consumandosi  ed  affatto  struggendosi , come  in  certi  casi , a 
quelle  vengano  meno  gli  argomenti  per  formarsi;  concios- 
siachè  i lembi  ne9  quali  l9  imene  si  è dissoluto  col  rom- 
persi , son  ellino  veramente  che  perduta , anche  in  breve , 
ogni  traccia  di  cicatrice , convertonsi  in  caruncole , le  quali 
perciò  tengono  la  medesima  linea  della  primitiva  inserzione 


(1)  Liber  XXVI II  § XXVIII. 

(2)  Ibid. 


Delle  parti  genitali  muliebri 


181 


dello  imene  (1).  Ma  questa  opinione  non  ha  mai  data  sod- 
disfacente risposta  ai  fatti  suddivisati  che  le  stanno  contro  ; 
onde  1’  opinione  contraria  che  vuole  le  caruncole  mirtifòrmi 
siano  organi  speciali  indipendenti  dallo  imene , è rimasta  più 
salda , e vive  tuttavia  presso  alcuni  moderni  (2) , respin- 
gendo vigorosa  gli  attacchi  dell’  avversaria.  Troppo  lungo 
ed  anche  superfluo  sarebbe  venirne  riferendo  a parte  a parte 
le  ragioni , ed  internarsi  ne9  particolari  di  una  discussio- 
ne già  da  tutti  conosciuta  per  ciò  Ghe  sì  a disteso  ne  hanno 
scritto  e moderni  ed  antichi  autori.  Non  lascierò  tuttavia 
di  toccarne  alcuna  cosa  piuttosto  per  enumerazione  che 
per  argomentazioni , e dirò  che  oltre  i fatti  suddetti  ond’  ella 
ha  fondamento , si  è avvantaggiata  col  dimostrare  1’  insus- 
sistenza del  pretendere  che  le  caruncole  preesistenti  nòn 
siano  già  caruncole , ma  intumescenze , lussureggiamenti 
delle  parti  finitime , o morbose  vegetazioni  ( verruche , 
condilomi  ec.),  non  avendone  1’  aspetto  nè  la  struttura; 
col  dimostrare  alla  opinion  dominante  di  aver  prese  per  tali 
vegetazioni  le  forme  a cresta.,  a linguette,  a tubercoli  ro- 
tondi o conici,  peziolati  o non  delle  caruncole  ipertrofiche; 
col  dimostrare  che  elle  non  osservano  una  linea  invariabile 
tP  inserzione  , non  essendo  raro  trovarle  appaiate,  1’  una 
più  esterna , l’ altra  più  interna  ; col  dimostrare  come  le 
caruncole  preesistenti  non  sempre  scompajano  nelle  forti 
distensioni  della  vagina,  e quando  elle  si  dileguino,  ces- 
sata la  distensione,  si  rinovellino;  e come  il  numero  loro 
stia  sempre  in  ragione,  inversa  del  numero  de’  parti , ciò 
che  meglio  consente  con  particolari  pieghe  della  vagina , 
che  con  lembi  cicatrizzati  di  una  parte  rotta;  e come  in 
fine  la  struttura  ne  sia  cellulo-vascolare , e quindi  non  dis- 
simile da  quella  che  si  attribuisce  alle  caruncole  definite 
per  reliquie  dello  imene.  Ma  con  tutto  che  questa  opinione 


(1)  Nourelles  recberches  sur  I*  hymen  et  les  caroncules  hymenoides  etc.  par 
Divilliers  (fils.)  Paris  1840. 

(2)  E.  A.  Lauth  Manuel  de  Panai.  Deuxieme  edit.  Paris  1835  pag.  356. 
— Dicesi  che  Hamilton , Deevees , Blundell  etc.  sostengano  essi  altresì  V indi- 
pendenza  delle  caruncole  dall’  imene. 


182 


Luigi  Calori 


abbia  cercato  di  puntellarsi  da  ogni  dove , quando  siamo  a 
dichiarare  che  cosa  avvenga  delle  lacinie  del  rotto  imene , 
riesce  minore  di  se,  e il  dire  che  a poco  a poco  consu- 
mami e vengono  meno  da  non  più  avvisarsene  traccia  , non 
ha  persuaso.  Le  due  opinioni  a dir  vero  sono  troppo  esclu- 
sive. Dalia  lettura  del  paragrafo  dell’  Haller  sulle  caruncole 
mirtiformi  (1)  rilevasi  che  egli  non  era  alieno  dallo  ammet- 
tere e caruncole  da  rottura  dello  imene,  e caruncole  indi- 
pendenti  da  questa  rottura.  Fra  i moderni  Boyer  (2),  Vel- 
peau  (3) , Devergie  (4)  , Fabre  (5)  seguendo  e non  citando 
T Haller , pongono  le  due  specie  di  caruncole , ma  alquanto 
fra  loro  diversificano  nella  esposizione  e nel  numero  di  esse. 
In  generale  però  convengono  nello  stabilire  che  le  carun- 
cole preesistenti  giacciano  dietro  e sopra  l’ imene , e non 
davanti  come  credette  V Highmoro , e siano  formate  dalla 
base  delle  colonne  longitudinali  medie  della  vagina  e dalle 
loro  pieghe.  Alle  caruncole  poi  da  rottura  dello  imene  non 
fissano  certa  sede,  dal  Velpeau  in  fuori,  il  quale  prenden- 
do con  Pinneo  il  quattro  pel  numero  ordinario  delle  carun- 
cole , vuole  che  i lembi  del  rotto  imene  costituiscano  sem- 
plicemente le  caruncole  laterali , e che  P anteriore  e la  po- 
steriore siano  pertinenze  della  base  delle  colonne  suddet- 
te. Egli  è molto  difficile  l’acquetarsi  a queste  asserzioni.  E 
innanzi  tratto  dirò  che  il  voler  sottoporre  a legge  di  nu- 
mero le  caruncole  mirtiformi  è un  aperto  contraddire  alla 
quotidiana  esperienza , la  quale  ne  dimostra  essere  variabi- 
lissime sotto  questo  rispetto  , occorrendone  ora  due  , or  tre  , 
or  quattro , quando  cinque , quando  sei , e talvolta  una 
sola , sicché  non  ci  è dato  di  erigere  in  regola  piuttosto 
un  pari  che  un  caffo  di  questi  numeri.  Quello  solamente 
che  può  affermarsi , è che  fra  tutte  la  caruncole  le  laterali 


(1)  Ibid. 

(2)  Trattato  completo  di  anat.  descrittiva  ec.  tradazione  italiana  con  note 
Firenze  1836  Voi.  secondo  pag.  336. 

(3)  Trahé  compiei  de  l’art  des  accouchemens  etc.  Bruxelles  1835  pag.  79. 

(4)  Médecine  legale  Theor.  et  prat.  Tom.  prem.  Bruxelles  1837  pag.  134. 

(5)  Biblioth.  de  méd.  pratic.  Tom.  quinzième  Paris  1851.  pag.  338. 


Delle  parti  genitali  muliebri 


sono  le  più  costanti.  Ma  queste  caruncole  laterali  son’  el- 
leno veramente  prodotte  per  intero  dai  lembi  dello  imene 
dissoluto  , e le  sole  nelle  quali  essi  trasforminsi  ? Se  noi 
riandiamo  i fatti  suesposti  abbiamo  onde  deciderci  ad  una 
negativa.  Vedemmo  già  che  caruncole  laterali  possono  pree- 
sistere sotto  forma  di  creste  carnose  poste  subito  dietro 
le  corna  dello  imene  integro;  vedemmo  che  il  volume  di 
esse  caruncole  era  molto  maggiore  di  quello  delle  corna 
medesime;  si  aggiunga  che  elle  possono  essere  molteplici 
e confluire  quasi  a dir  in  un  gruppo,  come  vidi,  non  è guari, 
in  una  donna  trentenne  madre  di  due  figli?  la  quale  aveva 
sole  caruncole  laterali , due  a destra  e tre  a sinistra , le 
quali  ultime  erano  disposte  a modo  da  descrivere  un  trian- 
golo col  vertice  allo  interno.  Tutto  ciò  ne  prova  che  tali 
caruncole  non  vengono  prodotte  da  que’  lembi , e al  più 
può  concedersi  che  essi  le  contribuiscano  alcuna  parte. 
Perchè  poi  si  dovessero  ritenere  per  le  sole  trasformazioni 
de’  lembi  medesimi,  converrebbe  presupporre  che T imene 
nel  rompersi  si  dividesse  sempre  per  lungo  in  due  metà 
laterali,  sempre  si  distaccasse  e ritraesse  dalla  base  della 
colonna  longitudinale  media  posteriore  della  vagina,^  sem- 
pre recedesse  dalla  posterior  parte  del  conno , e dell’  orifi- 
zio vaginale,  e tutto  sui  lati  riducessesi.  Al  che  non  può 
assentirsi  per  essere  variabilissime  le  maniere  di  rottura 
dello  imene  e indeterminato  il  numero  dei  lembi  ne’  quali 
dissolvesi.  Quanto  alla  caruncola  mirtiforme  anteriore,  data 
non  so  con  quanta  ragione  da  Riolano  per  costante,  potrà 
ben  essere , che  posto  un  imene  semilunare  o semicircolare , 
un  imene  che  non  attinga  colle  sue  coma  la  base  della  co- 
lonna longitudinale  media  anteriore  della  vagina,  venga 
essa  caruncola  generata  tutta  intera  da  questa  base.  Ma  se 
F imene  è circolare  o cribróso,  ne’  quali  casi  suole  congiu- 
gnersi colla  base  medesima,  io  non  so  con  quanta  sicurezza 
potrà  affermarsi,  che  la  detta  caruncola  è progenie  affetto 
genuina  di  lei , quasi  che  vi  fosse  una  legge  che  alla  base 
della  colonna  anteriore  non  potesse  rimanere  appiccato  un 
lembo  del  rotto  imene.  E ciò  che  dico  di  questa  caruncola, 
lo  ripeto,  ed  a più  forte  ragione,  della  posteriore , la  quale, 


184 


Luigi  Calori 


come  ognun  sa  , corrisponde  al  punto  di  maggior  larghezza 
dello  imene , il  quale  punto  è di  solito  connesso  colla  base 
della  colonna  longitudinale  media  posteriore  della  vagina. 
Per  le  quali  considerazioni  è manifesto  che  P accoppiare 
come  ha  fatto  il  Velpeau  * le  due  contradditorie  opinioni 
suddiscorse  non  regge  o regge  solo  in  piccolissima  parte. 
Ma  quale  sarà  dunque  il  concetto  che  noi  dovremo  farci 
delle  caruncole  mirtiformip  Ei  pare  che  non  si  possa  a 
meno  di  ammettere  caruncole  mirtiformi  preesistenti  e in- 
dipendenti dallo  imene.  L5  anteriore ^ p.  e.,  quando  ci  ab- 
bia , sarebbe  in  molti  casi  di  questo  novero:  così  pure  le 
laterali  ed  in  generale  tutte  quelle  che  sono  più  interne. 
Ei  pare  ancora  che  caruncole  puramente  imenali  non  esi- 
stano , ed  a questo  opinare  mi  ha  condotto  P esame  già 
fatto  della  opinione  del  Velpeau,  non  che  qualche  osservazione 
antica  e qualche  mie  proprie.  Trovo  in  vari  libri  citata 
una  preparazione  del  Museo  anatomico  dei  Meckel , attri- 
buita a Meckel  seniore , la  quale  dimostra  uno  imene  con 
parecchi  ingrossamenti  che  aggiungono  fin  verso  al  suo  mar- 
gine libero , fra  i quali  la  membrana  dello  imene  è sotti- 
lissima , di  modo  che  essa  preparazione  farebbe  sospettare 
1*  imene  altro  non  essere  che  una  contestura  di  caruncole 
mirtiformi  insieme  collegate  per  membrana,  secondo  che 
Pinneo  ed  altri  antichi  ebbero  opinato  ; opinione  cui  è sem- 
brato aggiustar  fede  P osservazione  di  Tolberg  asseverante 
di  avere  veduto  conformato  P imene  a somiglianza  di  ca- 
runcola (1).  Io  non  accetto  questa  opinione  già  confutata 
da  lunga  pezza  ed  oggimai  abbandonata  da  tutti,  ma  non 
dubito  punto  della  veracità  delle  osservazioni  che  sembre- 
rebbero darle  fondamento , e non  ne  dubito , awegnacchè 
io  stesso  sonmi  incontrato  in  qual  cosa  di  simile  alla  pre- 
parazione Meckeliana.  Ma  quegli  ingrossamenti  non  mi  sono 
parsi  tutti  dello  imene,  bensì  anche  delle  pieghe  vagi- 
nali che  sui  lati  particolarmente  della  faccia  interna  della 
sua  parte  più  larga  si  continuano  e la  percorrono  fino  al 


(1)  Vedi  in  Devergie  e Fabre  Op.  cit.  pag.  cit. 


Delle  parti  genitali  muliebri 


185 


margine  libero.  Queste  pieghe  che  sono  come  freni  dell*  ime- 
ne, o colonnette  vagino-imenali  9 hanno  una  direzione  lon- 
gitudinale, e sono  molto  rilevate,  grosse , non  confluenti  , 
ma  distanti  fra  loro.  Variano  di  numero;  non  però  ho  mai 
veduto  che  le  fossero  più  di  quattro , e parte  sono  con- 
nesse alle  colonne  longitudinali  medie  della  vagina,  alla 
posteriore  in  ispecie , parte  nò.  Talvolta  la  connessione 
colle  colonne  non  si  avvisa,  e sono  o tutte  pieghe  vagi- 
nali distinte,  o residui  delle  colonne  laterali.  Il  tessuto  cel- 
lulare sottomucoso  che  elle  comprendono,  avanzando  P età 
s9  ipértrofizza  e vascolarizza  vieppiù , donde  gli  ingrossa- 
menti suddetti,  e la  maggiore  carnosità,  e robustezza  e 
durezza  dello  imene  in  corrispondenza  di  essi.  Non  sempre 
però  P ipertrofia  le  incoglie , ma  ciò  poco  cale  ; imperocché 
P imene  è sempre  più  saldo  ove  tali  pieghe  gli  si  appic- 
cano, e quel  tessuto  sempre  più  abbondante.  Se  ne  av- 
venga la  rottura,  vi  ha  tutta  la  ragione  per  credere,  che 
^llaL_pixit^  die  negli  ingròssamentl  treblia  eflbumnsi  ne— 
gli  spazi  intermedi  siccome  men  forti  e resistenti , e i lembi 
rimarranno  attaccati  a quelle  pieghe,  le  quali  insiem  con 
essi  daranno  opera  alla  formazione  delle  caruncole.  Lo  che 
posto  non  sàrebbonvi  più  caruncole  costituite  dai  soli  lembi 
del  rotto  imene , ma  tutte  quelle  che  a tali  lembi  attribui- 
sconsi , sarebbero  miste,  composte  cioè  di  due  parti,  di 
una  propria  che  io  chiamerò  fondamentale , le  pieghe  descrit- 
te, e di  altra  che  dirò  avventizia , i lembi  del  rotto  ime- 
ne/ Quando  questa  maniera  di  considerare  venisse  confer- 
mata, agevole  sarebbero  intendere  i fatti  recati  innanzi 
nel  principio  di  questo  paragrafo  e nel  decorso  di  questa 
disquisizione , cioè  perchè  le  caruncole  mirtiformi  riescano 
generalmente  sì  voluminose  a proporzione  di  quella  piccola 
parte  che  è 19‘  imene  ; perchè  le  laterali  sogliano  essere  mag- 
giori, e più  costanti;  perchè  di  rado  ne  occorrano  posterior- 
mente ; perchè  in  breve , anche  dopo  pochi  giorni , la  cica- 
trice scompaja  da  far  opera  d9  impossibile  riuscimento  1 
volernela  avvisare;  perchè  elle  non  tengano  sempre  ^me- 
desimo posto , nè  osservino  sempre  la  medesima  linea  della 
primitiva  inserzione  dello  imene  ; perchè  elle  possano  di- 
t.  i.  24 


186 


Luigi  Calori 


minuire  ed  anco  scomparire  affatto  dietro,  forti  distensioni 
ripetute , trovandosi  in  condizioni  non  molto  dissimili  da 
quelle  delle  altre  pieghe  della  vagina  ec.  Ma  io  ben  veggo 
che  questa  opinione  incontrerà  i suoi  gravi  scogli  : ma 
quale  non  ne  incontrerebbe  nello  intricatissimo  argomento 
delle  caruncole  mirtiformi  ? Del  resto  dietro  la  considerazio- 
ne dei  fatti  io  non  avrei  saputo  escogitarne  una  migliore  ; 
nè  io  la  proffero  come  verità  incontestabile , chè  non  pre- 
tendo a tanto , ma  come  semplice  congettura , ricordando 
bene  quel  non  faciUìmum  de  hac  re  judicium  pronunciato 
a tale  proposito  dalla  grande  autorità  dell’  Haller  (1). 

ARTICOLO  IV. 

Descrizione  delt  utero  biloculare  e della  vagina  doppia 
congenita,  e genesi  delle  varie  sue  specie. 

Ma  tornando  alla  duplicità  utero-vaginale  congenita , dico 
che  il  setto  i Fig.  2.  Tav.  2.  divide  la  vagina  in  due  canali, 
il  destro  dei  quali  è alquanto  men  largo  del  sinistro.  In 
ciascun  canale  occorrono  molte  pieghe  trasverse  arcuate  che 
recansi  ai  lati  del  setto  e in  parte  il  percorrono  ; pieghe 
più  ragguardevoli  e numerose  inferiormente  che  superior- 
mente ove  vanno  via  via  diradandosi , e presso  ai  fornici 
affatto  dileguansi.  Entro  ogni  fornice  sporge  la  porzione  va- 
ginale di  un  collo  uterino  , per  la  cui  bocca  penetrando 
non  si  riesce  ad  una  cavità  unica,  ma  a due  uteri  com- 
pletamente divisi , conciossiachè  vi  ha  il  setto  perpendico- 
lare m , che  corre  lungo  la  linea  media  sino  al  fondo  del- 
1’  utero  rendendolo  biloculare , setto  continuo  inferiormente 
con  quello  della  vagina.  I due  uteri  sono  lunghi  e foggiati 
a somiglianza  di  canali  non  molto  larghi  che  corrono  pa- 
ralleli , ed  alquanto  più  si  allargano  e sembra  alcun  poco 
divergano  in  corrispondenza  del  fondo , ed  hanno  pareti  ab- 
bastanza grosse,  salvo  che  internamente,  ove  la  parete  è for- 


(1)  Ibid. 


Delle  parti  genitali  muliebri 


187 


mata  dal  setto.,  il  quale  offre  molto  minor  grossezza  di 
quelle.  Ciascun  utero  è provvisto  di  una  piega  palmata  od 
albero  della  vita  costeggiarne  il  setto , ma  non  ha  che  una 
tromba  fallopiana,  un  ovario  solo,  solo  un  legamento  rotondo, 
e solo  un  lato.  L’  ovariq  ritrae  alquanto  del  fetale , ed  è 
lungo , schiacciato , e somiglia  il  bacello  di  una  leguminosa  ; 
non  pertanto , aperto  come  si  vede  a destra,  mostrasi  pieno 
delle  vescichette  graafiane  o,  racchiudenti  gli  ovuli.  Dal 
suo  ilo  poi  muovano  quattro  o cinque  canaletti  correnti 
verso  la  tromba  fra  le  due  lamine  del  legamento  lato,  e 
riunentisi  in  uno  cui  mettono  capo  altri  canaletti  ad  estre- 
mità cieca  conformata  a vescichetta.  Gotali  canaletti  rap- 
presentano F organo  di  Roseiimuller  od  un  residuo  del  pa- 
rovarium  di  Kobelt , residuo  già  formato  da  altrettanti  in  te- 
stinuli ciechi  superstiti  de’  corpi  di  Wolff,  al  quale  organo 
voglionsi  pur  riferire  i filamenti  s , almeno  il  più  interno  ; 
perocché  il  più  prossimo  alla  estremità  fimbriata  della  trom- 
ba potrebbe  esprimere-  il  cieeo^fine  conformato  a vescichetta 
del  cordone  di  Muller  ; cieco  fine  che  spessissimo  permane , 
e si  amplia  costituendo  una  idatide  appesa  per  un  sottile 

peziolo  a quella  estremità.  

Tutto  che  1’  utero  e la  vagina  siano  doppi,  non  però 
trovansi  raddoppiate  le  arterie  vaginali-uterine  ; chè  una 
sola  ve  ne  ha  al  lato  esteriore  di  amendue,  e diramansi  tali 
arterie  come  ne’  casi  ordinari , e la  destra  colla  sinistra  si 
anastomizza  per  rami  esilissimi  sulla  linea  media  in  cor- 
rispondenza de’  setti  , ne*  quali  pure  alcune  loro  diramazioni 
diffondono , che  arterie  de’  setti  potrebbero  appellarsi.  La 
struttura  degli  uteri  e delle  vagine  nulla  offre  di  notabile, 
ed  i setti  sono  formati  dalle  mucose  applicate  1’  una  all’ al- 
tra con  tessuto  cellulare  frappostole , ed  una  piccolissima 
quantità  del  tessuto  proprio  di  quei  canali , il  quale  ancora 
non  si  avvisa  verso  la  parte  media  dei  setti  medesimi.  Ag- 
giugnerò  che  in  corrispondenza  di  questi  setti  non  appa- 
riva di  fuori  veruno  indizio  della  duplicità  interiore  massi- 
me quanto  alla  vagina  ; imperocché  quanto  all’  utero , mo- 
stravasi  alquanto  sottile  nella  parte  media  del  suo  fondo, 
e piuttosto  concavo  che  convesso , quasi  ritenesse  alcun 


188 


Luigi  .Calori 


die  della  primitiva  conformazione  da  Meckel  attribuitagli, 
di  essere  cioè  bicorne.  Noterò  finalmente  che  alla  descritta 
anomalia  delia  vagina  doppia , e dell’  utero  biloculare  non 
acdoppiavasene  verun’  altra , e che  la  pelvi  non  offeriva  al- 
cun vizio  s ma  era  normalmente  conformata. 

La  genesi  dell’  utero  biloculare,  non  altrimenti  di  quella 
del  bicorne  e del  bipartito  si  spiega  generalmente  così.  L’  u- 
tero  primordialmente  è formato  di  due  canali  disgiunti  che 
altro  non  sono  che  le  estremità  inferiori  delle  trombe  fal- 
lopiane che  mettono  foce  separatamente  nel  seno  uro-ge- 
nitale. Queste  estremità  vanno  via  via  ingrossandosi  ed  al- 
lungandosi, e recansi  a laterale  contatto,  ed  unisconsi , e 
nel  punto  di  unione  ha  luogo  naturalmente  un  setto , il 
quale  a poco  a poco  scompare , e si  forma  una  cavità  ute- 
rina unica,  e nel  medesimo  mentre  distruggesi  pure  la  por- 
zione di  seno  uro-genitale  interposta  afle  foci  delle  trombe , 
le  quali  foci  confuse  in  una  costituiscono  la  bocca  dell’  u- 
tero  (lj^.  Se  per  alcune  circostanze  questa  porzione  e quel 
setto  non  iscompajano,  si  renderà  permanente  il  deffo  stato 
embrionale  trànsitorio , e si  avrà  1’  anomalia  dell’  utero  bi- 
loculare , la  quale  IT  perciò  collocata  fra  gli  arresti  di.  svi- 
luppo. Per  quanto  ho  potuto  argomentare  dalla  osservazione 
di  due  casi  di  utero  bipartito  occorsimi  in  due  novelle  spe- 
cie di  Celosomi  Umani , parmi  che  quelle  circostanze  ab- 
biano ad  essere  le  seguenti  : 1 .°  » una  ritardata  unione  delle 
estremità  inferiori  delle  trombe,  2.°  » una  maggiore  orga- 
nizzazione e vascolarizzazione  di  tali  estremità  durante  il 
detto  ritardo  ; onde  poi  cessate  le  cagioni  di  questo  , ed 
elle  riunendosi , rese  abili  a resistere  alla  forza  che  tende- 
rebbe a distruggere  la  loro  parete  di  contatto  e di  coalito, 
perpetuano  il  setto  ingenerante  1’  anomalia.  Le  cagioni  in 
fine  del  ritardo,  secondo  che  mi  hanno  appreso  que’  Ce- 
losomi , potrebbero  essere  il  frapporsi  alle  trombe  una  qual- 


(1)  Encyclopedie  Anat.  Tom.  Vili.  Traité  du  developpement  de  V homme  et 
des  mammifères  etc.  par  T.  L.  G.  Bischoff.  trad.  de  1*  allem.  par  A.  I.  L.  Jour- 
dan  Park  1843  pag.  273-74. 


Delle  parti  genitali  muliebri  189 

che  parte  o viscere  vicino,  il  rimanere  un  po’  più  del 
consueto  i visceri  chilo-poetici  nella  guaina  del  funicolo 
ombellicale , il  rimanere  più  che  non  suole  anteriormente 
aperto  F anello  pelvico,  o il  ritardarsi  d’  alquanto  la  forma- 
zione della  sinfisi  pubica , V essere  un  po’  più  brevi  del- 
F ordinario  i legamenti  rotondi  ec.  ; cagioni  tutte  che  fat- 
tesi permanenti  ne’  Gelosomi  hanno  con  tutta  efficacia  con- 
tribuito alla  formazione  dell’  utero  bipartito,  e che  fugaci 
in  altri  casi  debbono  potentemente  contribuire  a quella  del 
bicorne. 

Alla  esposta  spiegazione  delle  genesi  dell’  utero  bilocu- 
lare  non  fa  ostacolo  la  teoria  del  Rathke , il  quale  pone 
essere  nella  donna  il  corpo  dell’  utero  formato  dalla  parte 
superiore  di  una  particolare  prominenza  conica  che  si  eleva 
dal  seno  uro-genitale;  imperocché  egli  altresì  ammette  che 
nelle  varie  forme  di  utero  doppio  prevalgano  le  estremità 
inferiori  delle  trombe , e che  quelle  da  queste  dipendano , 
riconoscendo  tuttavia  che  nella  composizione  dell’  utero  par- 
tecipano le  estremità  prefate , come  ne  dà  le  più  chiare 
prove  F anatomia  comparativa,  ed  i casi  anomali  di  uteri 
biloculari,  bicorni  e bipartiti  suddiscorsi.  Resta  dunque 
senza  difficoltà  la  proposta  spiegazione  della  genesi  dell’  u- 
tero  biloculare , ed  ella  è universalmente  accettata,  ma 
quel  che  è più  applicata  eziandio  alla  genesi  della  vagina 
doppia  congenita;  anzi  si  pensa  che  i due  canali,  onde  sa- 
rebbe primordialmente  composta  la  vagina , siano  produzioni 
delle  estremità  inferiori  delle  trombe.  E di  questo  avviso 
si  è recentemente  mostrato  pure  lo  Scanzoni , il  quale  dopo 
avere  parlato  dei  vari  gradi  di  duplicità  vaginale  congenita 
prodotta  da  un  setto  perpendicolare  mediò  longitudinalmente 
diretto,  salendone  alle  cagioni  non  ha  dubitato  di  affermare 
che  = Toutes  ces  difformités  ont  une  origine  commune; 
elles  sont  dues  a ce  que  dans  le  foetus  les  deux  bouts  in- 
ferieurs  des  conduits  de  Miiller  ne  se  reunissent  pas , mais 
se  developpent  plus  ou  moins  completement  sans  se  con- 
fondre.  Lorsque  cet  arret  de  developpément  s’  etend  plus 
haut,  il  existe  a cóté  de  la  division  du  vagin  les  anoma- 
lies  de  la  matrice  connues  sous  les  noms  d’  uterus  bilocu- 


190 


Luige  Calori 


laire,  bicorne  et  bipartì  (1)=.  Isidoro  Geoflroy  Saint-Hilaire 
va  anche  più  oltre  ; imperocché  colla  ipotesi  delle  due  va- 
gine primitivamente  separate  tenderebbe  altresì  a spiegare 
la  duplicità  operata  da  un  setto  trasverso , e consistente 
in  due  vagine  soprapposte  ; le  quali  vagine  primitivamente 
separate  = se  seraient  trouvés  au  moment  de  leurs  jonction, 
superposès  V un  à 1’  autre , au  lieu  d’  ótre  lateraux;  hypo- 
thése  qui  ramènerait  le  cloisonnement  horizontal  à un  cas 
de  cloisonnement  ordinaire  módifié  par  une  anomalie  de 
position  (1)  =. 

Non  potrebbero  accogliersi  queste  spiegazioni  senza  ur- 
tare in  iscogli  tali  da  rimanerne  rotti.  E primamente  dirò 
che  le  due  estremità  inferiori  de’  condotti  di  Muller  , ò 
future  trombe  fallopiane  non  si  prolungano  entro  il  seno 
uro-genitale  a comporre  la  vagina,  ma  si  arrestano  all’utero 
che  immediatamente  formano , o nella  cui  formazione  pàr- 
tecipano,  e la  vagina  è produzione  immediata  del  detto 
seno,  od  al  più  di  questo  e della  porzione  .inferiore  della 
suddetta  prominenza  contea  di  Rathke.  In  secondo  luogo 
non  vi  è alcun  periodo  embrionale  in  cui  il  seno  uro-ge- 
nitale sia  a doppio  canale  in  grazia  di  un  setto  perpendico- 
lare medio,  ma  costantemente  è ad  unica  cavità  ; e dicasi 
altrettanto  della  porzion  vaginale  della  prominenza  conica,, 
quando  faccia  parte  della  composizione  delia  vagina  ; impe- 
rocché posto  che  le  trombe  prevalgano  nella  formazione 
dell’  utero , non  dispiegano  la  loro  prevalenza  oltre  la  por- 
zione superiore  od  uterina  della  prominenza  conica  mede- 
sima. In  tèrzo  luògo  quando  pure  ci  fosse  il  setto  indicato, 
e si  avessero  primordialmente  due  canali , o due  vagine , 
le  reliquie  del  setto  medesimo , le  quali  corrisponderebbero 
alle  colonne  longitudinali  medie  anteriore  e posteriore  della 
vagina,  dovrebbero  essere  maggiori  e più  ragguardevoli  quan- 
to più  giovine  fosse  il  feto , ma  accade  precisamente  il  con- 


(1)  Traité  pratique  des  maladies  des  organes  sexuels  de  la  femme  tradnit 
de  P allemand  et  annoté  sous  les  yeox  de  I’  auteur  par  les  DD.  H.  Doret  et 
A.  Socia  Paris  1858  pag.  422. 

(2)  Op.  cit.  Tom.  cit.  pag.  550. 


Delle  parti  genitali  muliebri  191 

trario;  chè  quelle  colonne  sono  sviluppatissime  ne’ feti  set- 
timestri,  e ottimestri  ec.  ed  appena  delineate,  o mancano 
ne5  quadrimestri  e negli  embrioni.  Contemplando  la  Fig.  4 
Tav.  3 , Figura,  che  rappresenta  le  parti  genitali  di  un  feto 
femininó  di  circa  quattro  mesi  longitudinalmente  aperte 
nella  regione  anteriore,  si  trova  la  cavità  della  vagina  n3 
senza  veruna  traccia  di  setto  perpendicolare  medio , o di 
colonne  longitudinali  medie , anteriore  e posteriore , ma 
tutta  piana  e liscia.  Vera  cosa  è che  1’  utero  o ha  1’  aspetto 
di  unicorne  sinistro , essendo  la  tuba  destra  p sottilissima 
nella  sua  metà  interna,  e non  chiara  la  sua  foce  nell’  utero. 
Ma  la  Fig.  3,  che  dimostra  una  consimile  sezione  della  va- 
gina e dell’  utero  di  un  embrione  di  dieci  settimane , ne 
toglie  d’  ogni  dubitazione , e di  più  ne  fa  palese  non  avere 
1’  utero  o la  forma  bicorne , ed  essere  uniloculare , come  è 
proprio  alla  donna.  Se  si  confrontino  le  parti  genitali  delinea- 
te in  queste  due^  figure  con  quelle  della  Fig.  5 appartenenti 
ad  un  feto  femininó  settimestre , ed  egualmente  aperte , si 
vede  tutto  cambiato  ; imperocché  oltre  le  innumerevoli  rughe 
della  mucosa  vaginale  sorgono  le  colonne  longitudinali  medie 
o,  /,  e di  più  le  colonne  laterali  g , h,  limitate  però  solo  alla 
metà  inferiore  della  vagina.  Queste  tutte  colonne  sono  ol- 
tramodo  rilevate,  e rassembrano  cunei  o piramidi  triango- 
lari , sporgenti  entro  la  cavità  vaginale , cui  occupano  quasi 
per  intero,  e convertono  in  due  fessure  oblique  decussan- 
tisi  a similitudine  delle  due  aste  della  lettera  X,  e poco 
manca  che  gli  apici  delle  piramidi  non  si  tocchino.  Cotale 
disposizione  vien  messa  in  chiara  luce  tosto  chef  facciasi 
una  sezione  perpendicolare  trasversa  sulla  metà  inferiore 
della  vagina  : sezione  rappresentata  dalla  Fig.  6 , dalla  qua- 
le pur  rilevasi  che  alla  composizione  delle  colonne  contri- 
buisce alcuna  cosa  il  tessuto  proprio  della  vagina , e che 
per  lo  gran  sporgere  delle  colonne  laterali  la  vagina  stessa 
ha  ivi  presa  una  forma  che  si  accosta  alla  quadrata.  La  con- 
siderazione di  questa  figura  fa  nascere  il  sospetto , che  lus- 
sureggiando un  po’  più  dell’  ordinario  le  colonne,  possano 
giugnere  a toccarsi,  e che  nel  punto  di  contatto  possa 
risvegliarsi  un  processo  adesivo,  onde  formerebbonsi  dei 


192 


Luigi  Calorf 


setti  che  dividerebbero  il  canal  della  vagina  in  varie  dire- 
zioni. Questa  congettura  viene  convertita  in  fatto  della  os- 
servazione istituita  sulle  parti  genitali  di  un  feto  feminino 
ottimestre  rappresentate  aperte,  secondo  il  solito,  dalla 
Fig.  8,  ove  le  colonne  laterali  g,  h,  si  sono  riunite  sulla 
linea  media  ed  hanno  formato  il  setto  trasverso  l>  che  di- 
vide la  metà  inferiore  della  vagina  in  due  canali  soprapposti. 
In  corrispondenza  del  setto  veggonsi  nella  faccia  esterna 
posteriore  della  vagina  le  due  doccie  longitudinali  t,  u 
Fig.  7,  ed  il  forte  rilievo  longitudinal  medio  v,  non  che 
una  certa  forma  sigmoide  di  tutto  il  canale  vaginal  uterino, 
la  quale,  anteriormente  poco  o punto  apparisce.  Come  le 
colonne  laterali  hanno  potuto  riunirsi , e produrrò  1’  àno- 
malia  della  vagina  doppia  per  un  setto  trasverso , non  vi 
ha  ragione  in  contrario , che  le  colonne  longitudinali  medie 
anteriore  e posteriore  non,  possano  del  pari  riunirsi , e co- 
stituire la  vagina  doppia  per  un  setto  perpendicolare  me- 
dio longitudinalmente  diretto , ovvero  che  la  colonna  longi- 
tudinale media  anteriore  nón  possa  riunirsi  con  una  delle 
laterali  ed  ingenerare  la  vagina  doppia  per  un  setto  Obli- 
quo. Questa  genesi  dellè  tre  divisate  specie  di  duplicità 
vaginale  congenita  sembrami  non  men  facile  che  naturale, 
nè  ha  d’  uopo  di  supposizioni  gratuite , di  prolungamenti 
cioè  delle  estremità  inferiori  delle  trombe  fallopiane,  o di 
canali  non  comprovati  dalla  organogenesi , nè  di  forzate 
anomalie  di  posizione  dei  medesimi , allora  quando  trovansi 
nelle  condizioni  più  favorevoli  alla  loro  unione.  L’  unica 
supposizione  che  ella  fa , è un  minimo  di  maggior  lunghez- 
za delle  colonne , e di  un  processo  adesivo  risvegliatosi  rie! 
punto  di  loro  contatto.  Ma  la  storia  delle  anomalie  della 
organizzazione  è sì  piena  di  questi  lussureggianjenti  e coa- 
liti di  parti,  che  nessuno  non  vorrà  non  menarmi  buona 
questa  supposizione,  molto  piu  che  ella  è già  un  fatto  ri- 
guardo la  vagina  doppia  per  un  setto  trasverso.  Onde  io 
concludo  che  qualunque  sia  la  specie  di  duplicità  vaginale 
congenita , non  ha  mai  il  significato  di  un  arresto  di  svi- 
luppo, come  si  va  ripetendo ^ ma  di  un  eccesso,  e di  una 
coalizione  di  parti  eh’  esser  dovrebbero  normalmente  dis- 


Delle  parti  genitali  muliebri 


193 


giunte , associata  nel  caso  che  ha  dato  motivo  a questa 
scrittura,  ad  una  forma  embrionale  transitoria  alquanto  mo- 
dificata dell5  utero  resasi  permanente , o secondo  la  teoria 
del  Rathke , ad  una  prevalenza  delle  trombe  fallopiane  nel- 
la composizione  dell’  utero. 

ARTICOLO  V. 

Intorno  alla  opinione  che  vuole  V utero  biloculare  ed  il 
bicorne  tornino  per  lo  più  esiziali  alle  pregnanti , 
partorienti , e puerpere . 

Alcuno  per  avventura  si  aspetterà  che  io , giunto  a que- 
sto termine  del  mio  dire,  discenda,  come  naturalmente 
trattovi , a parlare  di  un  argomento  in  istrette  attenenze  col 
ragionato , cioè  della  superfetazione  ; ma  la  è questa  una 
materia  sì  trita  e sì  spesso  rinnovata  e quistionata  dopo 
le  descrizioni  dei  molti  casi  che  pur  possiede  la  scienza, 
di  utero  biloculare  e di.  utero  bicorne,  e già  dai  più  riso- 
luta in  favore  della  possibile  evenienza  del  fenomeno , che 
sarebbe  un  portar  nottole  ad  Atene  il  volernela  nuovamente 
discorrere.  Più  fruttuoso  sarebbe  il  discutere,,  se  le  donne 
ad  utero  biloculare  o bicorne  vadano  sì  di  frequente  sog- 
gette, secondo  che  vogliono  il  Meckel  ed  il  Carus,  a gravis- 
simi sconcerti  da  pericolarne  la  vita  e morirne  lungo  la  gra- 
vidanza, o nel  parto,  od  in  puerperio;  conciossiachè  elli  ab- 
biano cotali  anomalie  uterine  siccome  cagioni  di  viziosa  incli- 
nazione, di  rottura  di  utero,  di  mortali  emorragie , di  sgrar 
vio  stentato  e talvolta  impossibile  senza  gli  ajuti  dell’ arte, 
ed  in  onta  anche  a questi , di  puerperale , e così  va  discor- 
rendo. Ma  la  è questa  una  materia  che  oltrecchè  avrebbe 
d5  uopo  di  molte  osservazioni  nuove  , richiederebbe  per 
giunta  altri  omeri  che  i miei.  Contuttociò  gioverà  toccarne 
alcun  che  per  invogliare  i tocologisti  a farne  soggetto  ^ di 
seri  studi  allo  intendimento  di  comprovare  o abbattere  1 o- 
pinione  di  quegli  illustri  Alemanni,  o dato  che  nessuno 
de’  due  fini  a pieno  raggiugnessesi , di  vedere  fin  dove 
fosse  ella  da  accogliersi  o da  rifiutarsi. 


194 


Luigi  Calori 


Dico  intanto  che  gli  argomenti  che  la  favoreggiano , sono 
innanzi  tratto  già  il  risultato  statistico  de5  casi  fino  allora 
conosciuti  di  utero  biloculare  o di  bicorne  in  donne  quando 
pregnanti , quando  partorienti , quando  puerpere  , il  maggior 
numero  delle  quali  versando  in  queste  condizioni  perì  in  gra- 
zia degli  accidenti  suddivisati , ed  appresso  le  ragioni  di  que- 
sti accidenti,  le  quali,  ripongonsi  sopratutto  nello  stato  del 
pregnante  degli  uteri;  e primamente  in  ciò  che  ad  esso  essen- 
do affidato  tutto  1’  incarico  della  gravidanza  manca  la  suffi- 
ciente quantità  di  sostanza  uterina  richiesta  all’  uopo  ; onde 
nel  dilatarsi  soprammodo  si  assottiglia  e può  rompersi;  con- 
tingenza che  si  è pure  avverata  ne’  primi  tempi  della  gesta- 
zione ; secondamente  negli  ostacoli  che  ne’  casi  di  utero 
specialmente  biloculare  oppone  1’  utero  non  pregnante  al 
regolare  progressivo  augumento  del  pregnante , sendo  che 
quello  non  cresce  che  a certo  grado  sproporzionato  al  mag- 
giore incremento  cui  1’  altro  deve  aggiugnere  ; terzamente 
nella  divergenza  dell’  utero  pregnante  dall’  asse  del  corpo 
e della  pelvi.,  la-r]^  sembrerebbe  a prima 

giunta  dovesse  essere  più  ragguardevole  nel  corno  gravido 
dell’  utero  bicorne,  che  nell’  utero  gravido  del  biloculare , 
ma  è precisamente  il  contrario;  chè  questo  a mano  a mano 
che  progredisce  la  gravidanza , si  fa  vieppiù  divergente , men- 
tre quello  si  va  via  via  accostando  al  suddetto  asse , e meno 
quindi  diverge.  In  tutti  i casi  però  1’  utero  od  il  corno 
gestante  cade  sul  canale  della  vagina  sotto  un  angolo  ottu- 
so ; lo  che  torna  di  grave  danno  lungo  il  parto  ; concios- 
siachè  le  contrazioni  uterine  non  assecondano  più  1’  asse 
pelvico , ma  aberrando  da  questo  asse  ed  incrociandolo  di- 
rigonsi  contro  la  parete  della  pelvi  opposta  al  fondo  del- 
1’  utero  inclinato  ; inclinazione  giovata  tuttavia  dall’  utero 
o dal  corno  uterino  non  pieno , siccome  quello  che  nell’  atto 
del  parto  urta  contro  la  parete  pelvica  del  suo  lato  e par- 
ticolarmente contro  la  linea  innominata;  in  quarto  luogo 
nel  mancare  alla  partoriente  il  potere  del  fondo  uterino 
tanto  efficace  ad  operare  colle  sue  contrazioni  1’  espulsione 
del  feto , massimamente  ne’  casi  di  utero  bicorne  nei  quali 
non  ci  ha  nè  punto  nè  poco  di  cotal  fondo  ; finalmente 


Delle  parti  genitali  muliebri 


195 


nella  difficoltà , cui  1’  utero  che  fu  pregno , ha , dopo  il 
parto , di  svuotarsi  del  sangue , sendo  che  ne5  casi  ordinari 
questo  svuotamento  si  effettua  mediante  due  apparecchi 
vascolari  destro  e sinistro , mentre  ne’  casi  di  utero  bilo- 
culare  o di  bicorne  non  si  opera  che  per  un  apparecchio 
vascolare  solo , quello  cioè  che  appartiene  all’  utero  o cor- 
no uterino  che  sgravossi  del  feto:  donde  una  ragione  po- 
tentissima della  frequenza  delle  infauste  terminazióni  del 
puerperio. 

Questi  argomenti  che  io  ho  presi  dall’  eccellente  Anatomia 
patologica  del  Rokitanski  (1) , posto  vero  il  dato  statistico 
surriferito , sono  senza  fallo  di  non  picciol  momento  , per- 
chè pochi  per  avventura^  saranno  che  non  siano  per  ac- 
coglierli con  fiducia  ; ed  iò~ltmga  pezza  sonmi  acquetato 
ad  essi.  Ma  dappoiché  ho  avuta  occasioìie^Ji  vedere  due  uteri 
biloculari  ed  uno  bicorne  in  donne  che  avevano  sorpassata 
P età  critica,  ed  erano  morte  di  malattie  comuni,  donne 
che  in  gioventù  avevano  più  volte  felicemente  portato  è 
partorito  ^ e nulla  avevano  sofferto  di  grave  ne’  puerperi  3 
me  ne  è sorto  nell’  animo  un  qualche  dubbio.  Questi  tre  ute- 
ri furono  trovati  casualmente  ; chè  nessuno  nelle  gravidanze 
e ne’  parti  di  quelle  donne  ebbe  a sospettare  dell’  anomalia, 
e chi  sa  quanti  altri  consimili  passano  inosservati , essen- 
do l’utero  bilocularè  ed  il  bicorne  anomalie  certo  non  rare.  I 
due  uteri  biloculari  non  offrivano  allo  esterno  niente  di  no- 
tabile, ed  erano  divisi  da  un  setto  membranàceo,  ed  uno 
aveva  le  due  cavità  uterine  eguali  ; 1’  altro  la  destra  un 
po’  più  piccola  della  sinistra.  Le  altre  pareti  delle  dette  ca- 
vità erano  grosse  come  normalmente,  nè  punto  nè  poco 
deficienti  di  sostanza  uterina  ; ed  una  iniezione  di  acqua 
ragia  colorata,  e di  cera  spinta  ne’  vasi  sanguiferi  di  un 
utero  riuscì,  massime  per  le  vene,  a quelli  dell’  altro.  L’u- 
tero bicorne  poi  presentava  le  sue  corna  non  molto  diver- 
genti , nè  tali  che  facessero , come  talvolta  si  osserva , 
un  angolo  retto  coll’  asse  del  corpo  cui  univansi , ma  ave- 


fi)  Tom.  III.  pag.  639-40-41  Venezia  1863. 


196 


Luigi  Calori 


vano  modica  obliquità  od  inclinazione  laterale,  ed  erano 
bene  sviluppate  ed  a robuste  e musculose  pareti.  Anche 
qui  F iniezione  medesima  fatta  pei  vasi  uterini  di  un  lato 
penetrava  in  quelli  dell’  altro  lato , e dimostrava  come  i 
vasi  di  un  corno  si  anastomizzassero  coi  vasi  dell9  altro 
cojmo  al  di  sotto  della  unione  di  amendue.  Non  si  vuol 
tralasciare  che  in  tutte  e tre  queste  donne  la  pelvi  non 
presentava  vizi  di  conformazione  vuoi  connati  vuoi  avventizi. 
Consultando  i libri  di  Anatomia  patologica  e di  Ostetricia , 
non  che  i trattati  sulla  superfetazione  leggonsi  altri  esem- 
pi simili.  Onde  parmi  non  si  possa  a meno  di  pensare  che 
affinchè  la  gravidanza , il  parto  o il  puerperio  riescano  ai 
funesti  fini  superiormente  divisati,  siano  richieste  altre  cir- 
costanze fiior  quelle  di  essere  F utero  bicorne  o biloculare; 
e già  Rokitanski  in  riferendo  gli  argomenti  suesposti  ha 
notato  che  essi  hanno  maggior  valore , quando  quel  degli 
uteri  in  cui  si  fa  la  gestazione , è rudimentario , o mal 
formato  e povero  di  sostanza  uterina:  lo  che  secondo  mé, 
vorrebbe  dire  non  essere  tanto  F ùtero  bicorne  o F utero 
biloculare  per  se,  quanto  F imperfetto  sviluppo  ed  incre- 
mento dell’  utero  che  è,  o fu  pregno,  la  cagione  di  que’  fini 
funesti.  Ed  è molto  verosimile  che  la  cosa  debba  essere 
così;  imperocché  non  saprebbesi  intendere  onde  fosse  che 
nelle  femmine  de’  mammiferi,  le  quali  hanno  generalmente 
l’utero  bicorne,  cotali  infausti  e venimenti  sono  soprammodo 
rari , e lasciando  da  banda  quelle  ad  utero  fornito  di  corna 
meno  divergenti  (cavalla,  asina,  vacca,  pecora  ec.) , e rag- 
guardando  alle  altre  le  cui  corna  uterine  sì  divergono  da 
descrivere  quasi  un  angolo  retto  coll’  asse  del  corpo , F esito 
della  gravidanza  e del  parto  non  è punto  diverso.  La  fem- 
mina della  talpa  europea  è di  questo  novero , ed  io  ne  ho 
sezionate  parecchie  gravide,  una  delle  quali  merita  qui  par- 
ticolare menzione.  Portava  essa  nel  corno  uterino  destro  un 
feto  ben  sviluppato  e conformato,  lungo  poco  più  di  un 
pollice,  il  quale  feto  giaceva  quasi  orizzontalmente  all’  asse 
del  corpo , come  il  corno  che  contenevalo , ed  aveva  volta 
verso  F unione  di  esso  corno  col  corno  uterino  sinistro  la 
sua  testa.  In  corrispondenza  del  feto  era  quel  corno  molto 


Delle  parti  genitali  muliebri 


197 


dilatato  ed  aveva  pareti  sì  sottili  da  lasciarne  trasparire  la 
voluminosa  placenta  che  a prima  vista  sembrava  sangue 
effuso  , che  coprisse  tutto  il  dorso  e la  testa  del  feto  me- 
desimo. Il  detto  corno  gestante  poi  dall’  anzidetta  unione 
fino  al  notato  dilatamento,  ciò  che  misurava  quattro  in 
cinque  linee  di  distanza,  offriva  una  grossezza,  o capacità 
ben  di  poco  maggiore,  confrontata  con  quella  dell’altro 
corno,  e il  tutto  insieme  rendeva  V aspetto  di  una  gravidanza 
tubaria.  Certa  cosa  è , che  a mano  a mano  che  si  appressa  il 
tempo  del  partorire , quel  corno  cambierà  posizione , e si 
drizzerà , acciocché  il  partorire  abbia  effetto.  Lo  che  tutta- 
via non  toglie,  che  il  corno  gravido,  agevolandolo  quella 
sua  quasi  orizzontale  giacitura , dovesse  di  frequente  met- 
tersi e conservarsi  in  tale  inclinazione  che  il  parto  ne  fosse 
impedito.  Senza  che  la  grande  sottigliezza  cui  soggiaciono 
le  pareti  del  corno  che  la  pregnezza  va  via  via  dilatando, 
dovrebbe  pur  esporle  a facili  rotture , e quando  queste  non 
accadessero , dovrebbe  pure  equivalere  ad  insufficienza  di  so- 
stanza uterina;  donde  un  novello  impedimento  al  parto. 
Ma  da  questi  tutti  disastri  scampano  certo  le  talpe  femi- 
nine,  e la  loro  prole;  chè  le  talpe  sono  assai  moltiplicate, 
e di  vantaggio  moltiplicano  appo  noi , quantunque  non  so- 
gliano  portare  che  un  feto  per  volta  ; e ben  lo  sanno  i nostri 
agricoltori , i quali  sono  obbligati  a tendere  più  e più  volte 
F anno  loro  lacciuoli  per  prenderle  ed  ucciderle , a fin  di 
allontanare  od  alleviare  i danni  che  dai  viaggi  sotterranei  di 
esse  riceverebbero  le  piantagioni  ed  i seminati.  Non  mi  è 
noto  ne’  mammiferi  verun  esempio  di  utero  biloculare  simile 
a quello  che  talvolta  incontriamo  nella  donna.  I marsupiali 
per  avventura  il  presenterebbero,  ma  accoppiato,  secondo 
che  rilevasi  dalle  figure  di  R.  Owen , alla  forma  bicorne , 
e V embrione  svolgerebbesi  nelle  corna.  Forse  le  femmine 
di  qualche  sdentato,  che,  giusta  le  osservazioni  di  Baer  e 
di  Rapp , hanno  due  bocche  uterine,  potrebbero  porger- 
ne V esempio?  Ma  comunque  sia,  noi  sappiamo  che  m que- 
sti animali  la  vita  della  madre  e del  feto,  o la  conserva- 
zion  della  specie  è pienamente  al  sicuro.  Il  setto  dell’  ute- 
«p  biloculare  4ella  donna  suol  essere  membranaceo,  e dee 


198 


Luigi  Calori 


quindi  lasciarsi  facilmente  distendere  ampliandosi  P utero 
che  è pregno,  e la  distensione  si  effettuerà  naturalmente 
contro  P altro  utero  che  non  racchiude  che  una  caduca , e 
si  effettuerà  a spese  della  cavità  di  questo  ; al  che  se 
si  aggiunga  che  questo  utero  cresce  pure  a ragguardevole 
ampliamento , come  fa  notare  Cassan , è chiaro  che  P utero 
medesimo  si  presterà  esso  altresì  colla  sua  cavità  alla  ge- 
stazione. Il  setto  potrà  anche  rompersi , e P utero  diven- 
tare semplice;  nè  credo  che  alcuno  possa  avere  difficoltà 
ad  ammettere  cotale  rottura , sendo  che  è stato  allegato  su- 
periormente che  P utero  gestante  dovendosi  ampliare , e non 
avendo  sufficiente  quantità  di  sostanza  uterina  a ciò , si 
rompe , talvolta  anche  ne’  primi  mesi  della  gravidanza , ca- 
gionando una  emorragia  interna,  come  nelle  gravidanze  tu- 
barie. Con  più  ragione  dunque  potrà  sostenersi  si  possa 
rompere  il  setto,  siccome  quello  che  forma  la  parete  più 
povera  di  sostanza  uterina , anzi  è per  le  più  volte  mem- 
branaceo. E non  manca  un  qualche  esempio v ben  compro- 
vato di  rottura  di  cosiffatti  setti  a vero  dire  non  uterini  , 
ma  vaginali , ed  uno  ne  adduce  il  Burns  osservato  in  una 
donna  che  aveva  la  vagina  doppia  per  un  setto  verticale 
medio  longitudinalmente  diretto , il  quale  ruppesi  nell’  atto 
del  parto , e così  venne  meno  quella  duplicità.  Finalmente 
non  mi  cape  nel  pensiero  che  solo  i vasi  sanguiferi  dell’u- 
tero che  fu  gravido  o si  è sgravato,  valgano  a scaricarlo 
del  sangue  superfluo , e che  ciò  debba  essere  cagione  di 
mal  esito  del  puerperio  : imperocché  chiunque  abbia  osser- 
vati uteri  gravidi  di  mammiferi , avrà  veduto  che  non  solo 
si  ampliano  i vasi  pertinenti  al  corno  pregno , ma  altresì 
quelli  del  corno  non  pregno , e che  i vasi  di  amendue  si 
anastomizzano  largamente  fra  loro.  E nella  donna  ad  utero 
biloculare  o bicorne  dev’  essere  altrettanto , persuadendolo 
le  tre  osservazioni  surriferite , e 1’  augumento  che  tuttavia 
prende  1’  utero  che  non  è gravido,  sicché  al  predetto  sca- 
rico del  sangue  si  hanno  anche  a prestare  i vasi  di  questo. 
Nè  veggo  che  ciò  possa  contraddirsi,  siccome  cosa  per  se 
evidentissima,  essendo  legge  che  in  una  rete  vascolare,  quan- 
do il  sangue  patisca  remora  in  una  parte  di  lei , 1’  altra  sup- 


plisca.  Ma  posto  pure  che  i vasi  dell’  utero  che  non  fu 
pregno , non  aiutassero  P evacuazione  del  sangue  da  quello 
che  lo  fu,  rimarrebbe  sempre  a capacitarne,  perchè  nelle 
femmine  de’  mamiferi  le  quali  versano  nelle  medesime  con- 
dizioni delle  donne  ad  utero  bicorne  o hiloculare , non  si 
abbiano  dopo  il  parto , generalmente  parlando , i funesti  ef- 
fetti che  suppongonsi  nel  puerperio  di  queste.  Con  le  quali 
tutte  considerazioni  non  voglio  però  si  creda  aver  io  avuto 
P intendimento  di  confutare  P opinione  del  Meckel  e del 
Carus , cui  sembra  aderisca  ancora  il  Rokitanski  ; cbè  altro 
non  ho  avuto  nell’  animo  se  non  se  di  volgere  P attenzio- 
ne specialmente  degli  ostetrici  su  questo  importantissimo 
particolare , e d’  invitarli , siccome  ne  hanno  la  maggiore 
opportunità,  a rinnovarne  la  statistica,  massime  su  casi  no- 
velli ben  particolareggiati  sì  quanto  a loro  stessi , sì  quanto 
alle  circostanze  estrinseche  onde  potessero  essere  accompa- 
gnati, acciò,  lo  ripeto,  venga  posto  in  chiaro,  se  veramente 
P anomalia  dell’  utero  hiloculare  o del  bicorne  nella  donna 
sia  per  se  produttrice  di  que’  grandi  disastri  lungo  la  gra- 
vidanza, od  il  parto,  o nel  puerperio;  oppure  se  la  produ- 
zione loro  venga  giovata , od  anche  affatto  operata  da  altre 
condizioni  vuoi  del  tutto  estranee , vuoi  connesse  o conve- 
nienti coll’  anomalia  medesima. 


200 


Luigi  Calori 


SPIEGAZIONE  DELLE  TAVOLE 


TAVOLA  1. 

Fig.  1.  Rappresenta  le  parti  genitali  esterne  di  una  fanciulla  di  13  anni  com- 
piuti, prossima  alla  pubertà,  nelle  quali  apparisce,  nel  mezzo  dell’orifi- 
zio vaginale  un  setto  perpendicolare  che  lo  rende  doppio.  Le  grandi  lab- 
bra e le  ninfe  sono  state  divaricate  per  mettere  in  chiara  vista  il  setto 
medesimo  non  che  la  detta  duplicità  di  orifizio  , ed  altresì  1’  imene,  che 
è unico  e comune  a tutti  e due  gli  osculi  vaginali.  Grandezza  naturale, 

TAVOLA  2. 

Fig.  2.  Le  parti  genitali  della  suddetta  fanciulla  tratte  fuori  di  sito , ed  aperte 
nella  regione  anteriore  mediante  due  tagli  longitudinali  a lati  del  setto 
vaginale,  e prolungati  a lati  di  altro  setto  che  pur  divide  la  cavità  del- 
l’utero in  due.  Veggonsi  le  ovaja  tratte  inferiormente  ed  in  avanti,  e l’o- 
vario destro  è stato  aperto,  e mostra  ben  sviluppate  le  vescichette  del 
Graaf.  Grandezza  naturale. 

TAVOLA  3. 

Fig.  3.  Parti  genitali  interne  di  un  embrione  feminino  di  1 0 settimane , nelle 
quali  V utero  e la  vagina  sono  state  aperte  longitudinalmente  nella  regione 
anteriore.  L’utero  non  è bicorne,  e ciò  sembrerebbe  contraddire  l’as- 
serzione del  Meckel  e del  Muller  che  pongono  aver  l’ utero  forma  bicorne 
fino  al  terzo  mese. 

Fig . 4.  Parli  genitali  di  un  feto  qnadrimestre  feminino  con  V utero  e la  va- 
gina longitudinalmente  aperte  nella  regione  anteriore.  L’  utero  ha  aspetto 
di  unicorne  sinistro. 

Fig.  5.  Parti  genitali  di  un  feto  settimestre  feminino  con  vagina  ed  utero 
longitudinalmente  aperto  nella  regione  anteriore. 

Fig.  6.  Sezione  perpendicolare  trasversa  del  terzo  inferiore  della  vagina  di  un 
feto  settimestre  fatta  per  dimostrare  la  disposizione  ed  i rapporti  delle 
quattro  colonne  di  pieghe. 

Fig . 7.  Parti  genitali  fuori  dì  sito  appartenenti  ad  un  feto  feminino  ottime- 
stre  vedute  dalla  faccia  posteriore , nella  quale  occorre  alla  metà  inferiore 
circa  della  vagina  un  rilievo  rotondeggiante  medio  longitudinalmente  diretto  , 
distinto  mediante  due  solchi  longitudinali  che  gli  corrono  ai  lati  e corri- 
spondono ad  un  setto  trasverso,  che  divide  internamente  la  detta  metà 
di  vagina  in  due  canali  soprapposti. 


Meni:  Ser  i!*  Tom  I. 


Mem.  Calori  Tav.I. 


IùL  F.**  Camm . 


WS 


Meni.  Ser.  II!  Tomo  I 


Mem.  Calori  Tav  H. 


Mem:  Ser.II!  Tomo  I. 


Metri:  Calori  Tav  Ili. 


Delle  parti  genitali  muliebri 


201 


Fig.  8.  Le  parti  genitali  dimostrate  nella  figura  precedente,  aperte  con  un  ta- 
glio longitudinale  medio  della  vagina  e dell’  utero  nella  regione  anteriore 
per  mettere  in  vista  il  setto  trasverso  dividente  il  canal  vaginale  in  due 
soprapposti , anteriore  e posteriore. 

Le  figure  di  questa  tavola  sono  tutte  grandi  al  vero. 

Nelle  figure  di  tutte  e tre  le  tavole  le  medesime  lettere  indicano  i medesimi 
oggetti  : 

a , imene  mostrante  nel  mezzo  della  sua  faccia  esterna  una  specie  di  rafe  lon- 

gitudinale, e nelle  Fig.  4,  5,  8 Tav.  3 una  incisura  più  o meno  pro- 
fonda nel  margine  libero,  la  quale  indica  la  primitiva  divisione  di  esso 
imene  in  due  metà  laterali,  destra  e sinistra. 

b , frenulo  anomalo  osservato  nelle  parli  genitali  ritratte  dalla  Fig.  5.  Tav.  3, 

pel  quale  frenulo  l’ imene  congiungevasi  colla  ninfa  lussureggiante  c. 
d , caruncole  mirtiformi  laterali  esistenti  in  un  coll’  imene. 

e,  f9  colonne  longitudinali  medie,  anteriore  e posteriore  della  vagina  n. 
g ^ h , colonne  laterali  della  vagina. 

% 9 setto  perpendicolare  medio  della  vagina  Fig.  2.  Tav.  2. 

l , setto  trasverso  della  vagina  Fig.  8.  Tav.  3. 

m,  setto  perpendicolare  medio  dell’  utero  Fig.  2. 
o,  utero. 

p , trombe  fallopiane. 
q , ovario. 

r,  vescichetta  graaffiane  Fig.  2.  Tav.  2. 

s , appendici , o porzioni  libere  dell’  organo  di  Rosenmtiller  o residuo  del  pa- 

rovarium  di  Kobelt.  Forse  la  più  esterna  delle  dette  appendici  corrispon- 
de alla  cieca  estremità  del  condotto  o cordone , che  voglia  dirsi , di  Muller  ? 
t9  u,  due  solchi  longitudinali  della  metà  inferiore  della  faccia  posteriore  della 
vagina  n,  limitanti  il  rilievo  longitudinale  medio  v Fig.  7 Tav.  3 , il 
quale  rilievo  corrisponde  nella  Fig.  8 Tav.  3 al  canal  vaginale  posteriore 
separato  dall’  anteriore  mediante  il  setto  l,  formato  dalla  unione  delle  co- 
lonne laterali  g 9 h. 
x 9 legamento  rotondo  dell’  utero. 
y 9 legamento  lato. 


CORRIGE 

b 


ERRATA 

Tav.  3.  Fig.  5.  f 


26 


DEI 


VASI  CAPILLARI  SANGUIFERI 

DELLA  PORZIONE  DECIDUA 
DEL  TRALCIO  OMBELICALE  NEL  FETO  DE’  MAMMIFERI  DOMESTICI 
E DELLE  LORO  ANASTOMOSI 

COI  CAPILLARI  DELLA  PORZIO!  PERMANENTE  NEI  FETI 

SOPRATTUTTO 

CAVALLINI  E VACCINI 


DEL  PROF.  CAV.  LUIGI  CALORI 

{ Letta  nella  Sessione  dei  14  Novembre  1861.  ) 

Il  tessuto  areolare  della  gelatina  di  Wharton  ha  formato 
un  soggetto  di  molte  ricerche  presso  i moderni  istologisti. 
Gli  anatomici  antichi  1’  ebbero  per  una  sostanza  semifluida 
gelatinosa  donde  il  nome  impostogli  di  gelatina.  Appresso 
Uttini,  (1)  e più  tardi  Fohmann  (2)  lo  significarono  come 
una  congerie  di  linfatici.  Ultimamente  il  Virchow  (3)  1’  ha  con 
più  ragione  collocato  fra  le  varietà  del  tessuto  connet- 
tivo chiamandolo  con  Bordeu  tessuto  connettivo  mucoso, 
e 1’  ha  paragonato  al  sottocutaneo  fetale  cui  è continuo , 
compenetrato  da  un  umore  filante  simile  a muco  (mucina) 


(1)  G.  Uttini.  Dei  vasi  linfatici  della  placenta.  Mem.  dell"  Istituto  italiano 
Tom.  1.  Parte  seconda  Bologna  1806.  pag.  209. 

2)  Fobmann.  Mémoire  sur  les  Communications  des  vaisseaux  lymphatiques 
avec  les  veines  et  sur  les  vaisseaux  absorbents  da  placenta  et  da  cordon  om- 
bilical.  Liége  1832.  pag.  24. 

(3)  R.  Virchow.  Pathologie  cellulaire  etc.  Pans  1861  pag.  82-83  ec. 


204 


Luigi  Calori 


nel  quale  sono  sospesi  de’  globuli , e sprovvisto  intera- 
mente di  vasi  sanguiferi.  Conciossiachè  i vasi  ombelicali 
lunghesso  il  tralcio  per  confessione  di  tutti  gli  anatomici 
non  danno  rami,  nè  sono  i vasi  nutrizi  del  tralcio;  mede- 
simo, ma  appartengono  alla  placenta,  per  forma  cne  esso 
tralcio,  o meglio  le  parti  che  la  sua  porzione  decidua  com- 
pongono, di  vasi  nutrizi  affatto  mancano,  e solo  ne  hanno 
i tessuti  della  permanente  estesa  un  centimetro  circa  oltre 
P ombelico,  i quali  jieevonli  da  quelli  delle  pareti  dello 
addome.  Spiega  poi  la  nutrizione  del  tessuto  della  gelatina 
di  Wharton  non  che  degli  altri  della  porzione  decidua  del 
tralcio  ricorrendo  al  suo  sistema  di  cellule  stelliformi  o fu- 
siformi , le  fibre  delle  quali  si  anastomizzano  insieme , e 
compongono  una  rete  tutta  continua  ; e tali  fibre  ha  egli 
per  canali,  entro  i quali  circolano  i succhi  nutrizi  che  in 
quelli  penetrano  per  imbibizione  o endosmosi.  Ma  donde 
provengano  cotali  succhi , non  sa  ben  dire , e menziona  tre 
ipotesi , una  che  elli  derivino  dal  liquore  dell’  amnio  ; altra 
che  trapelino  dalle  pareti  de’ vasi  ombelicali;  una  terza 
infine  che  procedano  dai  vasi  della  porzione  permanente 
del  tralcio.  Questa  ultima  ipotesi  sembrerebbe  avere  più 
verosimiglianza,  e potrebbe  accoppiarsi  con  una  quarta, 
cioè  dire  cbe  que’  tessuti  potrebbero  per  avventura  derivare 
anco  succhi  nutrizi  dai  vasi  diramati  nella  placenta,  sendo 
che  il  tessuto  della  gelatina  di  Wharton  non  è solo  conti- 
nuo col  tessuto  connettivo  sottocutaneo  dell’  addome,  con 
quello  del  peritoneo  , e delle  aponeurosi  della  linea  alba , 
ma  altresì  col  tessuto  avvolgente  e collegante  i vasi  sangui- 
feri che  diffondonsi  ne’  cotiledoni  di  quella.  Comunque  sia 
però,  è chiaro,  dice  il  Virchow,  che  una  grande  quantità 
di  tessuti  è dilungata  dai  vasi  e dalla  superficie,  e non 
pertanto  essi  vivono  e si  nutrono  senza  essere  attraversati 
da  capillari , senza  una  speciale  circolazione. 

Il  fin  qui  detto  applicato  al  tralcio  ombelicale  del  feto 
umano  non  sembra  incontrare  difficoltà  ; almeno  le  iniezioni 
più  felici  eseguite  con  sostanze  sottilissime  non  hanno  nè 
a me  nè  ad  altri  valso  lo  scorgere  minimi  vasi  e capillari 
nella  porzione  decidua  di  quello;  onde  nel  descrivere  i grossi 


Dei  vasi  capillari  ombelicali  ec.  205 

tronchi  che  la  percorrono,  si  è,  come  già  notai  innanzi , af- 
fermato da  tntti , non  mettere  ellirio  rami  diramati  nella 
detta  porzione.  Ma  le  nostre  nozioni  anatomiche  e fisiolo- 
giche sogliono  per  le  più  volte  riuscir  monche , se  non  le 
soccorili  ed  illustri  1*  Anatomia*  comparativa  ; e meco  stesso 
sonmi  mai  sempre  maravigliato,  come  nelle  grandi  opere 
che  pur  possediamo , di  Anatomia  e di  Fisiologia , i loro 
Autori  che  tanto  fruttuosamente  giovaronsi  in  presso  che 
tutti  i punti  più  difficili  e controvertibili  della  gran  face 
di  quell’  anatomia , 1’  abbiano  posta  in  non  cale  trattando 
de’  vasi  ombelicali  nella  porzione  decidua  del  tralcio.  E la 
mia  maraviglia  moveva  da  queste  ragioni  ; Y una  che  nel  tral- 
cio del  feto  de’  mammiferi  domestici  persiste  a lungo  , e tut- 
tavia pervio  il  canale  della  vescica  allantoidea  o 1’  uraco,  il 
quale  essendo , non  altrimenti  che  la  mentovata  vescica  e 1’  o- 
rinaria  cui  è intermedio,  parte  dei  foglio  mucoso  o vegetativo 
del  blastoderma , doveva  di  necessità  essere  vascolare  ; l’ altra 
che  i vasi  ombelicali , che  da  qui  innanzi  chiamerò  mae- 
stri, avendo  grosse  e robuste  pareti  provvedute  di  una 
inoltrtu d ine  dì  fibre  muscolari  organiche , non  potevàmi  ca- 
pire nell’  animo  eh’  essi  mancassero  di  vasa  vasorum  ; 1’  ul- 
tima che  sembravami  di  avere  già  scorto  attraverso  la  guai- 
na della  porzione  decidua  del  tralcio  de’ vasi  minutissimi 
diffusi  per  la  guaina  medesima. 

Con  tali  idee  mi  accinsi , due  anni  or  sono , a praticare 
sottili  iniezioni  ne’  vasi  ombelicali  maestri  di  feti  special- 
mente  cavallini , pecorini  e vaccini  - de’  quali  ultimi  ho 
avuto  grande  dovizia  nell’  Ottobre  p.  p.  per  cura  dell’  ec- 
cellente clinico  veterinario  di  questa  Università  Sig.  Dot- 
tor Gotti , e le  mie  previsioni  si  sono  avverate.  E di  fatto 
le  arterie  ombelicali  maèstre  via  facendo  dispensano  rami 
a tutto  il  sistema  allantoideo , ciò  è a dire  alla  vescica 
urinaria , all’  uraco  . ed  al  sacco  dell’  allantoide  ; ma  tutti 
i ramuscelli  ne’  quali  diVidonsi  i detti  rami , non  appar- 
tengono a questo  sistema  ; chè  moltissimi , restringendo  il 
discorso  alla  porzione  decidua  del  tralcio , spargonsi  nel  tes- 
suto della  gelatina  di  Wharton , e sopra  i tronchi  ombeli- 
cali maestri,  costituendone  i vasa  vasorum  (Vedi  Fig.  1. 


206 


Luigi  Calori 


Tav.  1.)  e mediante  una  forte  pressione  sul  liquido  iniet- 
tato eh5  elli  contenevano , mi  è venuto  fatto  di  seguirne 
alcuno  de5  tènuissimi  più  che  capillari  nell’  amnio  della 
guaina  di  essa  porzione  di  tralcio  (1).  I minimi  rami  si  ana- 
stomizz'ano  tutti  insieme  e compongono  una  fina  rete  con- 
tinua con  quella  dell’  uraco  o canale  allantoideo  ; dalla  quale 
rete  muoiono  i capillari  e da  questi  le  radici  venose  pur 
in  rete  non  dissimile  composte,  dònd’  escono  per  fine  in 
ramuscelli  che  mettono  foce  nel  tronco , o ne’  tronchi  ve- 
nosi ombelicali  maestri  sendo  che  ne’  mammiferi  non  è 
raro  vi  abbiano  due  vene  ombelicali,  che  poi  entro  1’  ad- 
dome in  un  tronco  comune  riunisconsi  ; e i ruminanti  ne 
porgono  esempio.  Cotale  rete  si  mette  in  chiara  vista  apren- 
do per  lo  lungo  la  guaina  della  porzione  decidua  del  tral- 
cio., e levando  i vasi  ombelicali  maestri.  Allora,  distesa  la 
guaina , apparisce  quella  rete  giacere , come  in  proprio  letto , 
nel  tessuto  della  gelatina  di  Wharton , lo  che  dimostra  so- 
pratutto la  Fig.  3.  Tav.  2.  Giova  notare,  che  per  ottenere 
una  iniezione  sì  minuta  quaF  è la  rappresentata  dalla  citata 
figura , copia  il  piu  che  si  è potuto , fedele  della  prepara- 
zione che  conservo  nel  Museo  alle  mie  cure  affidato,  è ne- 
cessaria una  sì  grande  pressione  sul  liquido  che  si  injetta, 
quanta  non  crederebbesi  mai  i vasi  sanguiferi  fossero  pos- 
sevoli  a sostenere,  ed  i più  acconci  a ciò  sono  i vasi  om- 
belicali di  feti  vaccini  e soprattutto  cavallini,  siccome  quelli 
che  hanno  pareti  molto  robuste  e resistenti.  Aggiugnerò 
tuttavia,  che  i feti  non  debbono  oltrepassare  la  metà  della 
gravidanza , essere  cioè  di  quattro  o al  più  cinque  mesi  ; im- 
perocché ne’  più  provetti  i vasi  restringono  il  loro  lume, 
e sembra  i capillari  si  obliterino.  Sarebbe  mai  che  nella 
porzione  decidua  del  tralcio  de’  teneri  embrioni  umani  ci 
potessero  essere  degli  esilissimi  ramuscelli  arteriosi  e veno- 
si, de’  capillari  ombelicali,  che  dippoi  scomparissero  ne’  feti 


(1)  Che  l’  amnio  ne'  mammiferi  possegga  vasi  sanguiferi , 1’  hanno  già  dimo- 
strato Emmert  ed  àlessandrini , i quali  dicono  essere  tali  vasi  propagini  di  quelli 
della  membrana  media  o endocorion  di  Dutrochet. 


Dèi  vasi  capillari  ombelicali  ec.  207 

ancor  che  giovani?  Io  non  pretendo  di  voler  vedere  vasi 
ove  per  avventura  non  sono.  Ho  tentate  iniezioni  ne’  vasi 
ombelicali  maestri  di  embrioni  di  8 a 12  settimane,  nè 
mai  mi  è riuscito  conseguirne  tale  finezza  da  poter  venire 
a capo  di  alcuna  cosa.  La  più  leggiere  forza  di  pressione 
produce  .subito  rotture  e stravasi  del  liquido  che  si  inietta, 
sicché  di  poi  nulla  può  scernersi  di  chiaro.  Aperti  per  lo 
lungo  i tronchi  ombelicali  maestri  non  mostrano  quelle 
stigmate  che  dinotano  metter  eliino  rami.  Onde  che,  quando 
pure  non  ci  abbiano  piccoli  vasi  e capillari  nella  porzione 
decidua  del  tralcio  ombelicale  del  feto  umano , certa  cosa 
è , che  la  migliore  ipotesi  per  intendere  il  nudrimento  del 
tessuto  della  gelatina  di  Wharton  e delle  altre  parti  di  detta 
porzione  decidua , sarà  la  canalizzazione  de’  succhi  nutri- 
zi  nel  sistema  cellulare  indicato  dal  Virchow , e la  circo- 
lazione loro  per  esso  ; e quando  capillari  ci  fossero , sareb- 
bevi  sempre  una  sostanza  o tessuto  extravascolare  in  cui  gli 
umori  nutrizi  dovrebbono  diffondersi  per  una  circolazione 
paragonabile  alla  cellulare  delle  piante,  siccome  già  dietro 
le  osservazioni  del  Malpighi  e quelle  dell’  Albino  contrarie 
a quanto  pretendeva  il  Ruischio,  avevano  pei  tessuti  in  ge- 
nere gli  anatomici  ed  i fisiologi  da  lungo  tempo  escogitato. 

A complemento  dello  esposto  intorno  ai  vasi  de’  tessuti 
componenti  la  porzione  decidua  del  tralcio  ombelicale , ag- 
giugnerò  le  osservazioni  microscopiche  latte  su  quello  spe- 
cialmente della  gelatina  di  Wharton  in  un  embrione  vac- 
cino di  circa  due  mesi  ed  in  un  feto  cavallino  quinqueme- 
stre. Nel  primo  il  detto  tessuto  consta  delle  cellule  indi- 
cate da  Virchow  ( Fig..  2.  Tav.  1 . ) e da  fibre  connettive 
tenerissime  e scarse,  ed  è attraversato  dal  capillare  b.  Nel  se- 
condo s’  awisan  pure  de’  capillari  c.  c.  Fig.  A Tav.  2 , ma  il 
tessuto  connettivo  assume  nuove  qualità , siccome  quello 
che  si  sclerotizza  e indura , anzi  trasformasi  se  non  tutto , 
sì  certamente  per  la  maggior  parte  in  elastico , o se  ciò 
non  vuoisi,  si  commescola  con  un  tessuto  che  coll’  elastico 
ha  tutta  la  somiglianza , e che  tanto  prevale  da  nascondere 
il  tessuto  connettivo  cui  si  è consociato.  Le  sue  fibre  sono 
molto  più  grosse  di  quelle  del  tessuto  connettivo , ed  a 


Luigi  Calori 


contorni  oltramodo  manifesti , e duri  ; sono  ramificate , e coi 
rami  e diramazioni  loro  si  anastomizzano  insieme  e com- 
pongono una  complicatissima  e fittissima  rete,  che  tanto 
più  apparisce , quanto  più  son  elleno  distratte  o divaricate. 
L’acido  acetico  e la  soluzione  di  potassa  caustica,  due 
sostanze  che  riescono  efficacissime  a'  distruggere  il  tessuto 
connettivo , non  le  alterano , ma  viemeglio  discopronle  in 
grazia  forse  della  scomparsa  di  quell’  alquanto  tessuto  con- 
nettivo che  le  accompagna.  I quali  tutti  caratteri  apparten- 
gono senza  fallo  al  tessuto  elastico.  Ma  da  ciò  potrebbe  al- 
cuno per  avventura  pigliare  argomento  per  negare  che  co- 
tale tessuto  sia  quello  della  gelatina  di  Wharton , imper- 
ciocché non  ne  ha  le  qualità.  Ed  io  risponderò  che  desso 
ne  tiene  il  medesimo  posto  ; che  desso  avvolge  i vasi  om- 
belicali maestri  ed  il  canale  allantoideo  , costituendo  a quelli 
la  tonaca  esteriore,  e passando  dagli  uni  agli  altri  sotto 
foggia  di  un  tessuto  areolare  molto  resistente  insieme  col- 
legali e tien  riuniti  in  un  fascio  ; che  desso  fa  aderire  que- 
sto fascio  alla  interna  superficie  dell’  amnio  ; che  desso  , 
quando  i detti  vasi  verso  il  sacco  allantoideo  tendono  a sle- 
garsi fra  loro  e si  scostano,  si  conforma  in  una  tela  bella- 
mente reticolata  e rada,  ma  non  pertanto  robustissima,  che 
prosegue , quantunque  men  strettamente , a riunirli , e che 
presta  sostegno  ai  vasi  ombelicali  secondari  che  dai  mae- 
stri procedono,  e si  conforma  altresì  in  filamenti  che  a si- 
militudine di  freni  recansi  dai  prefati  vasi  alla  faccia  in- 
terna estroflessa  dell’  amnio , ed  al  corio  ; che  desso  final- 
mente si  conglutina  colle  aponeurosi  della  linea  alba  da 
parerne  come  una  continuazione.  Le  quali  tutte  qualità 
ed  uffici  ripetono  esattamente  quelli  del  tessuto  della  ge- 
latina Whartoniana.  Non  importa  poi  che  questo  sia  piutto- 
sto tessuto  connettivo  od  elastico , essendo  provato  potersi 
il  connettivo  in  elastico  trasmutarsi.  Ad  ultimo  non  farà 
ostacolo  la  grande  vascolarità  addimostratane  mediante  le 
injezioni , conciossiachè  anche  nel  legamento  cervicale  dei 
feti  cavallini  (legamento  che  nessuno  dubiterà  sia  di  tes- 
suto elastico  ) occorre  molta  vascolarità  visibile  tuttavia  sen- 
za injezioni  ; di  che  fanno  ampia  fede  i preparati  che  con- 
servo nel  Museo  che  ho  1’  onore  di  dirigere. 


Dei  vasi  capillari  ombelicali  ec.  209 

Ne9  feti  vaccini  ho  osservato  che  fra  le  diramazioni  dei 
rami  delle  arterie  ombelicali  alla  porzione  permanente  del- 
T allantoide,  alcune  spargonsi  nel  tessuto  connettivo  sotto- 
sieroso del  peritoneo  e nelle  pareti  dell’  addome  ; partico- 
larità che  pur  mi  è occorsa,  benché  molto  meno  chiara- 
mente , ne9  feti  degli  altri  mammiferi.  Jn  oltre  là  dove  le 
due  vene  ombelicali  confluiscono,  penetrate  nell9  addome , 
nella  vena  ombelicale  comune  , ho  veduto  mettere  altresì 
foce  due  rami  venosi  cospicui  pertinenti  alle  dette  pareti , 
i quali  pure  ricevono  dei  vasa  vasorum  provenienti  dalla 
vena  ombelicale  comune  e dalle  arterie  ombelicali;  vasa 
vasorum  anastomizzati  con  quelli  de9  medesimi  tronchi  om- 
belicali percorrenti  la  porzione  decidua  del  tralcio  (Fig.  1. 
Tav.  1 . ) Burow  ha  fatta  una  osservazione  consimile  nel 
feto  umano , ed  ha  descritti  e figurati  negli  archivi  di  Mùl- 
ler  1838  Tav.  1.  due  rami  che  méttono  in  comunicazione 
la  vena  ombelicale  prossima  ad  entrar  nell’  addome  colle 
vene  epigastriche , e che  avanti  di  aprirsi  nella  ombelicale 
medesima  riunisconsi  in  un  tronco  impari  che  ingrossa  per 
altro  ramo  pur  impari  che  ascende  lungo  la  faccia  poste- 
riore della  vescica  orinaria , ed  ha  sue  radici  ne9  plessi  ute- 
rino é spermatico.  Gotale  disposizione  è stata  data  per  co- 
stante , ma  non  la  è , e diversifica  alquanto  dalla  osservata 
nel  ruminante  suddetto  ; imperocché  i due  rami  non  riuni- 
sconsi in  un  tronco  impari,  nè  hanno  comunicazione  coi 
plessi  mentovati , ma  coi  vasa  vasorum  de9  tronchi  ombe- 
licali , come  è stato  detto , e colle  vene  vicine  delle  pareti 
dello  addome. 

Ma  una  osservazione  ben  più  importante  mi  è sortito  di 
fare  prima  in  un  feto  cavallino  di  poco  più  di  quattro  mesi, 
poscia  in  un  vaccino  alquanto  più  avanzato,  ed  è che  la 
descritta  rete  vascolare  della  porzione  decidua  a,  bs  Fig.  3 
Tav.  2 del  tralcio  è continua  colla  fina  rete  pur  vascolare 
della  porzione  permanente  a , c}  rete  che  appartiene  ai  rami 
delle  arterie  e vene  epigastriche  sparsi  per  le  pareti  addo- 
minali presso  l9  ombelico.  Ond’  è chiaro  che  la  comunica- 
zione non  è semplicemente  venosa,  ma  ancora  arteriosa. 
Comunicazione  cosiffatta  poi  viene  mòno  ne9  feti  più  avan- 

T.  I.  ^ 


zati , ne’  quali  pur  vedemmo  assottigliarsi  e rendersi  più 
difficilmente  permeabili  i rami  vascolari  della  porzione  de- 
cidua del  tralcio , e massimamente  la  finissima  rete  ed  i 
capillari , che  a5  suoi  tessuti  appartengono. 

La  riferita  osservazione  è in  pieno  accordo  coll’  antico 
asserto  non  so  se  d’  Ippocrate  o di  Polibo  ; che  incerto  è 
a quale  dei  due  debba  attribuirsi  il  libro  = De  natura 
pueri  =:  ? asserto  già  confermato  dai  moderni  embriologisii , 
che  gli  inviluppi  del  feto  muovono  dal  feto  stesso.  E già 
sappiamo  per  ciò  che  ne  scrisse  fin  dal  1819  il  mio  Illustre 
Predecessore  e maestro  Prof.  Francesco  Mondini  (1)  di  sem- 
pre cara  ed  onorata  rimembranza  appo  noi  tutti , che  P am- 
nio è una  continuazione  e produzione  della  cute , e non 
della  cuticola,  come  il  Velpeau  (2),  ed  a quanto  pare  an- 
che E.  E.  Weber  (3)  sostengono  tuttavia;  essendo  che 
V amnio  è formato  e ben  sviluppato  quando  la  cuticola  non 
P è ancora,  e le  macerazioni  addimostrano ^ eh’  ella  s’  arre- 
sta alla  porzione  permanente  del  tralcio,  e P epitelio  po- 
liedrico onde  copresi  P amnio  negli  ultimi  mesi  della  gra- 
vidanza, non  è continuo,  ma  semplicemente  contiguo  a quel- 
la, e presso  a poco  nelle  medesime  convenienze  che  pas- 
sano tra  P epitelio  dello  stomaco  e P epitelio  dell’  esofago. 
In  fine  la  differenza  di  struttura  è argomento  inconcluden- 
tissimo ; che  altre  parti  pur  si  trovano  nelle  medesime  con- 
dizioni senza  che  possa  inferirsene  non  essere  P una  conti- 
nuazione dell’ altra,  e la  cornea  lucida  rispetto  alla  sclero- 
tica è in  questo  caso  ; ed  egualmente  la  membrana  anista 
soppannante  P interno  de’  condotti  escretori  rispetto  alle  mu- 
cose , delle  quali , secondo  Henle , sarebbe  come  a dire  il 
fondamento.  E a tale  proposito  aggiugnerò  che  in  un  anen- 
cefalo  con  spina  bifida  vidi  la  cute  ai  bordi  dall’  apertura 


Dei  VASI  CAPILLARI  OMBELICALI  EC.  211 

cranio-vertebrale  soprammodo  attenuarsi  e cambiar  natura 
convertendosi  in  una  Sottilissima  membrana  semplicemente 
cellulare  ben  distinta  dall’  epidermide , la  quale  membrana 
estendevasi  a coprire  i rudimenti  che  esistevano  dell’  asse 
cerebro-spinale,  ed  era  senza  fallo  la  cute  stessa  così  tra- 
sformata, o più  esattamente  non  mutata  da  quel  che  era 
primordialmente.  Dal  che  tutto  si  vuol  concludere  P amnio 
altro  non  essere  che  la  cute  allo  stato  primitivo , quando 
essa  cute  è formata  di  sole  cellule.  Io  non  dirò  qui  come 
il  corio  secondario  o permanente  sia  di  pari  guisa  produzione 
della  lamina  sierosa  del  blastoderma  dalla  quale  origina  al- 
tresì P amnio  : noterò  solo  che  non  fa  parte  della  guaina 
del  tralcio , nè  è connesso  colle  aponeurosi  de’ muscoli  ad- 
dominali, come  gli  antichi,  e Mondini , Flourens  (1),  Bur- 
dach  ec.  (2)  hanno  posto  ; chè  quello  che  essi  hanno  preso 
pel  corio  del  tralcio  è il  tessuto  della  gelatina  di  Whar- 
ton,  che,  aperta  e distesa  la  guaina,  assume  un’  apparenza 
membraniforme.  Ad  ultimo  si  è già  detto  superiormente 
come  questo  tessuto  è in  continuità  col  tessuto  connettivo 
dello  addome  del  feto. 

Per  le  quali  tutte  cose  panni  si  possa  stabilire 

1. °  Che  non  è vero  come  fatto  o proposizione  generale 
che  le  arterie  e la  vena  o vene  ombelicali  maestre  lungo 
la  porzione  decidua  del  tralcio  ombelicale  non  diano  rami  ; 
che  per  incontrario  ne  mettono  in  buon  numero , i quali 
diramansi  sull’  uraco  od  il  canale  del  sacco  allantoideo , e 
per  quella  porzione. 

2. °  Che  non  è vero  similmente  come  fatto  o proposizio- 
ne generale  che  non  vi  abbiano  capillari  sanguiferi  che 
proveggano  alla  nutrizione  de’  vasi  ombelicali  maestri  rac- 
chiusi nell’  anzidetta  porzione  di  tralcio , avendo  co  tali  vasi 
i loro  vasa  vasorum  che  originano  da  loro  stessi. 

3. °  Che  non  è vero  pur  come  fatto  o proposizione  gene- 
rale che  il  tessuto  della  gelatina  di  Wharton  vada  senza  vasi 


(1)  Cours  sur  la  géneration  Paris  1836  pag.  429. 

(2)  Burdach.  Physiologie  eie.  Tom.  HI.  pag.  646-47  Paris  1838. 


212 


Luigi  Calori 


sanguiferi  ; che  per  contrario  paragonato  al  tessuto  connet- 
tivo del  corpo  non  è solo  attraversato  da  vasi , ma  riesce 
vascolosissimo  siccome  quello  che  porge  direi  quasi  un  letto 
alla  rete  vascolare  minutissima  della  porzione  decidua  del 
tralcio  medesimo , dalla  qual  rete  muovono  i capillari  per- 
tinenti ad  esso  tessuto. 

4. °  Che  alle  tre  conclusioni  prefate  fa  eccezione  la  por- 
zione decidua  del  tralcio  ombelicale  del  feto  umano,  qua- 
lora però  fine  injezioni  felicemente  riuscite  sui  vasi  ombe- 
licali del  tralcio  de’  teneri  embrioni  non  potessero  condur- 
re a conclusione  contraria , ovvero  ad  una  modificazione , 
potendo  benissimo  avvenire  ciò  che  ha  luogo  nella  cornea 
lucida , nella  posterior  regione  della  cristalloide , nelle  car- 
tilagini costali  ec.  che  nel  feto  hanno  vasi,  i quali  poi  nei 
fanciulli  e sopratutto  negli  adulti  non  più  ci  appariscono 
per  finissime  che  siano  le  iniezioni  che  si  adoperano  per 
discoprirli. 

5. °  Che  la  rete  vascolare  sanguifera  della  porzione  deci- 
dua del  tralcio  è continua  nel  feto  de’  mammiferi , sì  cer- 
tamente dell’  equino , e del  vaccino  con  quella  della  por- 
zione permanente , o delle  pareti  dello  addome  : ciò  che  con- 
sente coll’  essere  gli  inviluppi  fetali  producimenti  del  feto. 

6. °  In  fine  che  tale  continuità  va  via  via  venendo  meno 
e scompare  a mano  a mano  che  il  feto  cresce  e si  accosta 
al  suo  termine , e scema  ancora  la  vascolarità  della  porzione 
decidua  del  tralcio,  od  almeno  sen  rende  difficilissimo,  se  non 
impossibile,  il  replemento  de’  capillari  mediante  le  injezio- 
ni , di  modo  che  qui  pure  si  verifica  quanto  occorre  negli 
altri  tessuti , i quali  invecchiando  rendonsi  ne’  loro  mini- 
mi vasi  molto  meno  permeabili,  anzi  quasi  impermeabili 
ai  liquidi  che  debbono  percorrerli. 


I.Xalori  Jralcio  ombellkafe.Tav.  I 


LitFfCaswfa 


Mem.Ser.IPTom.I 


L Calori  .Tralcio  ombelicale  Tav.IL 


C.  Beffai  lece  dal  vffirt  in  pitìra 


I it.PC* 


SPIEGAZIONE  DELLE  TAVOLE 


TAVOLA  1. 

Fig.  1.  Tralcio  ombelicale  di  un  feto  vaccino  d’intorno  a cinque  mesi.  La 
guaina  ombelicale  è aperta  per  lo  lungo,  e spiegata  e distesa  lateralmente. 

I vasi  ombelicali  sono  injettati. 
a,  b>  porzione  permanente  del  tralcio  ombelicale. 
a,  c,  porzione  decidua  del  medesimo. 

d,  porzione  di  parete  addominale. 

e , pelle. 

fj  muscoli  addominali. 
g j,  linea  alba. 

h , amnio. 

i,  tessuto  in  parte  disteso,  in  parte  lacero  della  gelatina  di  Wharton. 

l,  canale  allantoideo. 

m,  n,  arterie  ombelicali  maestre. 

0 3 uno  de’  ramuscelli  di  dette  arterie  diramati  siccome  vasa  vasorum  su  di 

esse,  sulle  vene  maestre,  sul  canale  allantoideo,  e pel  tessuto  della  ge- 
latina di  Wharton. 
p3  q,  vene  ombelicali  maestre. 

r , una  delle  venuzze,  che  nelle  vene  maestre  mettono  foce. 

s,  vena  ombelicale  comune. 

1 Uj  due  vene  procedenti  dalle  pareti  addominali , ed  inosculate  uella  vena  pre- 

cedentemente notala. 

v s x 3 vasi  del  tessuto  della  gelatina  di  Wharton , che  in  x si  veggono  ana- 
stomizzati  con  quelli  dalla  porzione  permanente  del  tralcio. 

Fiq.  2.  Tessuto  della  gelatina  di  Wharton  veduto  al  microscopio  sotto  un  m- 
’ grandimento  di  300  diametri.  Embrione  vaccino  di  due  mesi. 

a,  a,  a,  a,  cellule  e fibre  del  detto  tessuto. 

b,  capillare  onde  il  medesimo  tessuto  è attraversato. 


TAVOLA  2. 


214 


Luigi  Calori 


dj  porzione  di  parete  addominale. 

e y pelle. 

f , muscoli  addominali. 

g3  linea  alba. 

h9  amnio. 

iy  tessuto  della  gelatina  di  Wharton,,  nel  quale  apparisce  una  minutissima  rete 
di  minimi  vasi  sanguiferi , i cui  tronchi  procedono  dai  vasi  ombelicali  mae- 
stri qui  levati. 

ly  porzione  del  canale  dell*  allantoide , od  uraco  aperto. 

ni;  Uy  prolungamenti  del  tessuto  della  gelatina  di  Wharton  che  insinuavansi  tra 
i vasi  ombelicali  maestri. 

0,  vasi  epigastrici. 

py  anastomosi  dei  vasi  della  porzione  decidua  del  traleio  con  quelli  della  per- 
manente. 

Fig.  4.  Tessuto  della  gelatina  di  Wharton  di  un  feto  cavallino  un  po'  più 
avanzato  del  precedente,  il  quale  tessuto  è veduto  al  microscopio  sotto 
un  ingrandimento  di  300  diametri. 

a,  il  detto  tessuto  le  cui  fibre  offrono  tutte  le  apparenze  delle  elastiche. 

b,  un  piccolo  vase  sanguifero,  donde  procedono  i capillari  c. 


MISCELLANEA  BOTANICA  XXIII. 


DEL  CAV\L.  COMMENO. 

PROFESSORE  ANTONIO  BERTOLONI  (*) 


Una  delle  droghe  rammentate  sino  dai  tempi  più  re- 
moti è il  Cinnamomo  ; ma  assai  tardi  si  potè  sapere,  da 
qual  pianta  si  ritraesse,  e comechè  i mercatanti  navigatori 
per  ingordigia  di  lucro  spacciarono  per  Cinnamomo  droghe 
d’  altra  sorta,  tardi  eziandio  si  potè  sceverare  il  vero  Cin- 
namomo da  quella  confusione  di  cose.  Pertanto  giova  risa- 
lire alle  prime  notizie,  che  se  ne  ebbero,  con  che  ci  fa- 
remo strada  a ritrovare  il  rimanente. 

I primi , che  parlarono  del  Cinnamomo  furono  Mosè , 
ed  Erodoto.  Abbiamo  dall’Esodo  (1),  che  il  Signore  ordi- 
nò a Mosè  di  prendere  Mirra  scelta.  Cinnamomo,  Cala- 
mo , e Gasia , di  mescolare  queste  droghe  coli’  olio  per 
fare  1’  olio  santo,  col  quale  doveva  consacrare  il  taberna- 
colo del  testamento , 1’  arca , le  mense  coi  vasi , il  cande- 
labro , gli  utensili , gli  altari  dei  profumi , e dell’  olocau- 
sto , e tutta  quanta  la  suppelettile  appartenente  al  culto 
divino  , e parimente  doveva  ungerne  Aronne , e i figli  di 
lui , affinchè  fossero  consacrati  sacerdoti , vietò  poi  ai  pro- 
fani di  fare  quest’  olio  santo  , e di  somministrarlo  ad  altri 
sotto  la  pena  dell’  esterminio.  Tanta  importanza  posta  in 
quest’  olio  ricadeva  negli  ingredienti  di  esso , e per  ciò 
anche  nel  Cinnamomo;  ma  quale  era  il  suo  pregio  pas- 
colare ? Ciò  fu  dichiarato  da  altri  luoghi  delle  Divine  Scnt- 


(*)  Questa  Miscellanea  fu  letta  nell’  adunanza  tenuta 
V anno  1861. 

(1)  Exod.  cap.  30.  vers.  22.  23. 


li  7 di  Novembre  del- 


216 


Antonio  Berto loni 


ture.  Nel  libro  dei  Proverbii  (1)  la  meretrice  volendo  ade- 
scare colle  delizie  degli  odori  il  giovanetto , al  quale  a- 
gognava,  gli  dice:  « Adspersi  cubile  meum  myrrha,  et 
aloe,  et  cinnamomo  ».  Il  pastorello  de’  Sacri  Cantici  vo- 
lendo esaltare  le  prerogative  della  sua  diletta  pastorella  le 

dice:  « Emissiones -fcuae  paradisus  malorum  punicorum 

» Cypri  cum  Nardo,  Nardus  et  Crocus,  Fistula  et  Cinna- 
» momum  » (2).  Nell’  Ecclesiastico  la  Sapienza  per  mostra- 
re gli  alti  suoi  pregi  così  si  esprime  : « Sicut  Cinnamomum 
» et  balsamum  aromatizans  odorem  dedi:  quasi  myrrha  ele- 
» età  dedi  suavitatem  odoris  » (3).  Era  dunque  il  fragrante, 
e delizioso  aroma,  che  rendeva  insigne  il  Cinnamomo. 

Ma  donde  si  potè  avere  in  que’  primi  tempi  contezza 
di  esso?  Dall’  Egitto:  e dall’  Egitto  1’  ebbe  Mosè.  Ritro- 
vato bambinello  in  una  cesta  sulle  sponde  del  Nilo , ove 
per  diporto  passeggiava  la  figlia  di  Faraone , costei  ne  fu 
così  commossa , che  immantinente  volle , che  gli  fosse  pro- 
curata una  balia , la  quale  lo  allevasse , e seguitò  poi  a 
prender  cura  della  sua  educazione , di  tale  che  cresciuto 
in  età  riuscì  sapientissimo  di  quanto  si  conosceva  in  Egit- 
to : ((  Eruditus  est  omni  scientia  /Egyptiorum  » (4). 

Erodoto  il  più  antico  storico  tra  i Greci , e il  più  vicino 
a Mosè  stette  lunga  pezza  nell’  Egitto,  e imparò  da  quei 
sacerdoti  tutto  lo  scibile  degli  Egiziani.  Adunque  nella  sua 
storia  narrò  così  del  Cinnamomo  : « Cinnamomum  aut  ubi 
» nascatur , aut  quae  terra  nutriat  illud  Arabes  nequeunt 
» dicere , nisi  quod  probabili  ratione  utentes  quidam  nar- 
» rent  id  gigrn  in  iis  regionibus  , ubi  Bacchus  educatus 
» est  » (5).  Bacco  per  quello,  che  ne  dicono  i Mitologi, 
se  non  fu  educato , almeno  fu  nell’  India  orientale  (6)  ; 


(1)  Proverò . cap.  7.  vers.  !7. 

(2)  Cant.  Cantic.  cap.  4.  r.  13.  14. 

(3)  Eccles.  cap.  24.  vers.  20. 

(4)  Ad.  Apost.  cap.  7.  vers.  22. 

(6)  Herodotus.  Hist.  Amstelodami  Sumptibus  Petri  Schoutenii  1763.  lib.  3. 
pag . 263. 

(6)  Veggasi  il  Dizionario  di  ogni  Mitologia,  e Antichità , Milano  1819. 
tom.  /.  p.  268. , e 269. 


Miscellanea  botanica 


217 


ove  appunto  fu  scoperto  il  Cinnamomo  : e in  che  consisteva 
il  primo  Cinnamomo,  che  gli  indigeni  di  quell’  India  fecero 
conoscere  ? Nelle  festuche  di  nidi , che  uccelli  assai  grandi 
facevano  in  rupi  inaccessibili.  Que’  nidi  talora  cadevano  per 
il  peso  delle  carni , che  gli  uccelli  vi  portavano  per  nutrire 
i loro  figli , dal  che  gli  abitanti  impararono  a porre  in 
quelle  vicinanze  pezzi  di  carne  di  buoi,  di  asini,  o di  al- 
tri animali,  acciocché  gli  uccelli  li  trasportassero  più  age- 
volmente nei  nidi , e questi  in  maggior  copia  cadessero , op- 
pure li  facevano  cadere  colle  balestre.  Tanto  grande  era  il  pre- 
gio , che  mettevano  in  que’  nidi  fragranti  di  soave  aroma , 
e che  ben  presto  portarono  in  commercio!  Nel  qual  fatto 
nulla  è di  inverosimile,  sebbene  Plinio  ne  facesse  rimpro- 
vero ad  Erodoto  come  di  cosa  favolosa  : « Ginnamomum  et 
» casias  fabulosa  narravit  antiquitas , princepsve  Herodotus 
» avium  nidis , et  privatim  Phoenicis  ...  ex  inviis  rupibus , 
» arboribusque  decuti  » (1)  , mentre  erano  ben  più  favolose 
le  cose  del  Cinnamomo  narrate  dallo  stesso  Plinio. 

Questo  primo  Cinnanomo  in  festuche  era  portato  a 01- 
muz  isola  dèi  mare  Persiano  ne’  tempi  antichi  fiorentissima 
per  il  suo  commercio  , e là  era  venduto  ai  navigatori  Fe- 
nicii , che  lo  recavano  nell’  Egitto , e nella  Siria , e gli 
davano  il  nome  di  Kinnamón:  « Festucas,  quas  nos  a Phoe- 
» nicibus  edocti  vocamus  Cinnamomum  » (2)  , e questo  era 
il  Cinnamomo  di  Mosè , e dei  Libri  Sacri.  Diffatti  il  Winer 
nel  suo  Lessico  Ebraico,  e Caldaico  biblico  deriva  il  vo- 
cabolo Ebraico  Kinnamón  dalla  radice  Ken  nido,  e dalla 
voce  Arabica  Kaminà  fu  grato.  È ben  vero,  che  il  Gesenio 
più  tardi  dichiarò  nel  suo  Lexicon  manuale  Hebraicum  , et 
Chaldaicum , che  questo  Kinnamón  dei  Libri  protocanonici 
veniva  dal  radicale  Kannà  erexit,  erectum  statuii,  Canna, 
Arundo  , come  se  avesse  voluto  significare  una  vera  Canna^ 
e probabilmente  egli  interpretò  così  avendo  in  vista  il  Cin- 


(!)  C Plinti  Secondi  Nat.  hist.  ex  editione  Paoli  Manulii , Vmetiis  1559. 
lib.  12.  cap.  19. 

(2)  fferod.  edit.  citata  p.  252. 

t.  i.  28 


218 


Antonio  Bertoloni 


namomo  in  cannelle , che  di  poi  si  introdusse  in  Europa  , 
ma  evidentemente  errò,  perchè,  come  già  dissi,  Erodoto 
manifestò,  che  i navigatori  Fenici!  si  valsero  del  vocabolo 
Kinnamón  per  esprimere  le  festuche  dei  nidi  di  uccelli, 
in  secondo  luogo  poi  perchè , se  all5  Arundo , o danna  con- 
viene l5  erectum  statuit  per  essere  alta,  robusta,  distinta, 
e fortificata  da  nodi  frequenti  guarniti  di  foglia  larga , e 
lunga,,  ciò  non  si  trova  nel  Cinnamomo  del  commercio , il 
quale  è fatto  di  cannelle  lunghe  , tenui , liscie , senza  nodi , 
e senza  foglie,  o rimasugli  di  foglie. 

Dopo  Erodoto  Aristotile  disse  qualche  cosa  del  Cinnamo- 
mo nella  sua  storia  naturale  (1) , cioè  che  nell5  Arabia  si 
dava  il  nome  di  Cinnamomo  ad  un  uccello,  che  portava 
le  festuche  per  farne  i nidi  in  alti  alberi , e che  gli  abitanti 
del  luogo  facevano  cadere  que5  nidi  colle  balestre  ; ma  se 
parlava  con  giustezza  de5  nidi  fatti  di  festuche,  e del 
modo , col  quale  si  facevano  cadere , passava  poi  nel  favo- 
loso supponendo , che  il  Cinnamomo  si  trovasse  nell5  Ara- 
bia , e che  esistesse  l5  uccello  di  nome  Cinnamomo , del 
quale  nessun  autore  ha  mai  parlato  nè  prima,  nè  dopo  di 
lui,  dal  che  è evidente,  che  esso  non  aveva  esatte  notizie 
intorno  al  Cinnamomo. 

Nè  fu  più  fortunato  di  lui  il  suo  discepolo  Teoffasto,  il 
quale  erroneamente  ripetè , che  il  Cinnamomo  nasceva  nel- 
1 Arabia , e riferendosi  ai  detti  menzogneri , e strampalati 
dei  navigatori  commercianti,  che  portavano  a vendere  droghe 
sotto  il  nome  di  Cinnamomo , ne  descriveva  la  pianta  colle 
loro  parole , sebbene  mostrasse  di  non  prestarvi  fede  : « De 
» Cinnamomo , et  Gasia  narrant  Fruticem  esse  utrumque  non 
» amplum  , sed  magnitudine  Amerimnae , verum  permultis 
j»  surculosisque  tamis  constare ....  Cum  itaque  virgas  se- 
» cant , longitudine  binum  digitorum , aut  paulo  ampliore 
» abscindere,  recentique  bovis  corio  eas  insuere.  Tum  ex 
» eo  lignis  putrescentibus  vermiculos  nasci,  qui  lignum 


(tMrùi.  Dehist.  animai,  pars  quinta  Venetin,  Ad  signum  Seminanti*  1572. 
[P*  io.  p.  o34. 


Miscellanea  botanica  xxiii. 


219 


» erodant,  corticem  vero  nullatenus  tangant  ob  amaritudi- 
» nem  acrimoniamque  odoris  » (1).  Chi  non  vede,  chequi 
si  parla  di  un  Salcio  di  numerosi  vimini , e di  scorza  amara  ? 
Chi  non  conosce  a colpo  d’  occhio  la  favola  dei  vermini , 
che  corrodono  il  legno  imputridito,  e lasciano  intatta  la 
corteccia?  Lo  stesso  Teofrasto  la  confessa  favola  per  altre 
supposte  particolarità.  « Haec  piane  fabula  est  » (2).  Ma  di 
queste  cose  ne  saremo  meglio  chiariti , quando  parlerò  del- 
P albero  del  Cinnamomo , e frattanto  conchiuderemo , che 
nemmeno  Teofrasto  ebbe  contezza  del  Cinnamomo. 

Frattanto  la  celebrità  del  Cinnamomo  si  era  molto  este- 
sa , e grandi  erano  le  domande , che  se  ne  facevano  ; per 
lo  che  i mercatanti  navigatori  avidi  di  lucro  per  soddisfare 
alle  ricerche  introdussero  nel  commercio  più  sorte  di  droghe , 
che  spacciavano  sotto  lo  stesso  nome  di  Cinnamomo , e gli 
Olmuzesi  con  vocabolo  Persiano  le  dicevano  Darchìni  3 che 
vuol  dire  legno  dei  Chini , e siccome  poi  ne  erano  evidenti 
le  differenze , coprivano  la  frode  col  dire , che  quelle  dro- 
ghe si  alteravano  nel  loro  lungo  viaggio , il  quale  durava 
cinque  anni,  che  dipendevano  altresì  dalla  diversità  del 
luogo , e del  clima , dove  nascevano  gli  alberi , dai  quali 
si  ritraevano,  e in  fine  dal  sito  diverso , dove  le  corteccie 
si  tagliavano. 

Pervenuto  questo  miscuglio  di  droghe  nella  Grecia,  gli 
studiosi  de’  medicinali  sì  fecero  a studiarle , e Dioscoride 
vi  distinse  cinque  specie  di  Cinnamomi.  La  prima,  che 
dice  la  migliore,  era  di  colore  nero,  liscia,  di  rami  sottili, 
e con  nodi  frequenti.  La  seconda  di  odore  prossimo  alla 
Ruta.  La  terza  di  gusto  acuto , e mordente , e di  un  certo 
calore  alquanto  salso , e tra  nodo , e nodo  liscia , e ben 
polita.  La  quanta  bianca,  fungosa , tumida,  di  vii  prezzo, 
e che  spirava  odore  dì  Cassia.  Le  quinta  feriva  il  naso  col 


(1)  Theophr.  Ere s.  De  hist.  plant.  cum  Bodaeo  a Stapel  etc.  Amstelodami. 
Apud  Henricum  Laurentium  1644.  lib.  9.  cap.  6.  p.  963.  {err.  typogr. 
p.  985.)  , et  p.  984. 

(2)  Theophr.  I.  e.  p . 984. 


220 


Antonio  Bertoloni 


suo  odore,  era.  rossiccia,  al  toccare  dura,  non  molto  ner- 
vosa,. e di  grossa  radice  (1).  Quando  descriverò  il  Cinna- 
momo di  Ceylan , vedremo,  che  esso  non  combina  con  ve- 
runa delle  specie  indicate  da  Dioscoride , ed  il  Mattinoli 
suo  commentatore  confessa,  che  non  potè  mai  trovare  il 
vero  Cinnamomo  nè  in  Venezia,  nè  in  Napoli,  nè  in  altre 
città  dell’  Italia  per  quante  diligenti  ricerche  ne  facesse  a’ 
mercatanti  , che  ogni  anno  navigavano  alla  volta  di  Ales- 
sandria , e nemmeno  potè  averne  notizia  da  coloro , che  a 
suoi  tempi  andavano  di  Portogallo  all9  India , nè  potè  tro- 
varla nelle  drogherie  particolari  de’  gran  Principi  ; donde 
conchiuse  che  il  Cinnamomo  a noi  mancava  (2). 

Ora  passerò  dagli  Autori  Greci  ai  Latini.  Plinio  si  af- 
faccia pel  primo.  Già  vi  dissi , che  esso  ebbe  torto  di  rim- 
proverare i nidi  di  Festuche  di  Cinnamomo -ad  Erodoto.  Peg- 
gio poi  disse , che  gli  uccelli,  che  facevano  que’ nidi , era- 
no la  Fenice.  Erodoto  nelle  sue  Storie  non  parlò  mai  del- 
1’  imaginaria  Fenice , la  cui  fàvola  fu  narrata  da  Plinio , 
che  pure  la  sospettò  favola:  « Haud  scio  an  fabulose  » (3), 
e se  aggiunse,  che  il  Senatore  Manilio  nell’  anno  215  in- 
trodusse in  Roma  la  Fenice,  e che  Cornelio  Valeriano  assi- 
curava , che  essa  si  trovava  nell’  Egitto , confessa  poi  « Quod 
» actis  testatum  est,  sed  quam  falsum  esset,  nemo  dubi- 
taret  » (4).  A questa  favola  ne  aggiunse  di  maggiori,  cioè 
che  nel  mare  meridionale  dell’  India  si  sentiva  da  lontano 
1’  odore  del  Cinnamomo  trasportato  dai  venti , di  guisa  che 
la  flotta  d’  Alessandro  magno  da  questo  odore  conobbe  la 
situazione  dell’  Arabia , di  più  che  il  Cinnamomo  nasceva 
nell’Etiopia  confinante  coi  Trogloditi , e che  i mercatanti 
navigatori  lo  trasportavano  di  là  in  bastimenti  non  retti  da 
timone,  nè  spinti  da  vele,  e da  remi,  ma  che  si  move- 
vano da  per  se.  Ebbe  però  1’  avvedutezza  di  credere  anche 


(1)  Diosc.  Della  Mat.  med . coi  commenti  del  Matthioli  Venetia  1585  ap- 
presso Felice  Val  grimo  lib.  1.  cap.  13  p.  49. 

(2)  Matth.  Comment.  a Diosc . ediz.  cit.  tom.  1.  p.  53-55. 

(3)  C.  Plinii  Secundi  Nat.  hist.  edit.  Manutii  1559.  p.  244. 

(4)  Plin.  I . c. 


Miscellanea  botanica  xxiii.  221 

queste  cose  false:  « Omnia'  falsa  » (1).  Così  avesse  creduto 
false  anche  quelle  riguardanti  la  pianta  del  Cinnamomo , 
e della  Casia.,  le  quali  erano  una  ripetizione  dei  detti  di 
Teofrasto.  Adunque  nemmeno  Plinio  conobbe  il  Cinnamo- 
mo, e più  dei  precedenti  scrittori  lo  ingarbugliò  di  false 
dicerie. 

Porrò  in  secondo  luogo  Galeno  tra  gli  scrittori  Latini , 
tuttocchè  oriundo  di  Pergamo , perchè  abitò  in  Roma , dove 
era  Medico , e Preparatore  dei  medicinali  per  gli  Imperatori 
Antonino , Commodo , e Severo.  Narra  esso , che  al  tempo 
di  Adriano  fu  portata  dal  paese  dei  Barbari  una  cassa  lun- 
ga quattro  cubiti , e mezzo , dentro  la  quale  era  un  albero 
intero  di  Cinnamomo  della  prima  specie.  Per  verità  con- 
vien  dire , che  fosse  un  arbusto , e non  un  albero , come 
è il  vero  Cinnamomo , il  quale  non  si  portò  mai  in  giro 
sotto  forma  d’  albero,  ma  prima  si  ebbe  sotto  forma  di  fe- 
stuche, e poi  di  cannoncelli.  Inoltre  parlò  di  altri  Cinna- 
momi portati  al  tempo  di  Antonino,  i quali  si  conservava- 
no dentro  scatole  di  legno,  ed  erano  di  diversa  lunghezza , 
il  maggiore  de’  quali  non  eccedeva  il  mezzo  palmo  Roma- 
no , avevano  rami  laterali  sottili , e taluno  mostrava  la  for- 
ma dell9  Elleboro , o Damasonio  di  Creta  (2).  Tutte  cose 
non  convenienti  al  Cinnamomo  ; perciò  nemmeno  Galeno 
lo  conobbe , e si  illuse  con  altre  droghe  falsamente  spac- 
ciate per  Cinnamomo. 

Gli  Autori  Arabi  Avicenna  (3)  , e Mesue  (4)  sono  nella 
stessa  categoria  di  Dioscoride , e di  Galeno.  Essi  ammet- 
terono  più  droghe  sotto  il  medesimo  nome  Dar-dsini , Dar- 
sini , Dar  seni , e come  si  ha  nel  Corano  Dar-dsini , e Thar - 
àsini , sebbene  questo  non  fosse  il  nome  Arabico  genuino , 


(1)  Plin.  edit.  cit.  p.  324. 

(2)  Galeni  Librorum  Quinta  Classi* , sexta  editto.  Venetm  apud  Juntas  1586. 
De  antidotis  libro  primo  cap.  13  p.  105  versa. 

(3)  Avicenna.  Canon  Medicin  ae.  Lovanii  Typis  ac  sumptibus  Hieronymi  Nem- 
paei  1658.  tom.  1.  in  titolo  capitis  quarti  libr.  2.  cap.  2.  p.  102. 

(4)  Mesue  De  re  Medica.  Parisiis , Apud  Egidium  Gorbinum  1561  p.  193. 
194.  in  Interpretalione  vocum. 


222 


Antonio  Bertoloni 


il  quale  è Aldharini  3 e que’  nomi  erano  presi  della  lin- 
gua Persiana , e significavano  legno  dei  Chini , come  ho  già 
detto.  Nessuna  delle  loro  specie  apparteneva  al  Cinnamomo 
di  Ceylan , dal  che  è chiaro , che  non  Io  conobbero. 

Era  riservato  ai  tempi  a noi  più  vicini  di  acquistare 
questa  piena  conoscenza , e di  sceverarla  dalle  menzogne , 
che  ho  accennate..  Poiché  Yasco  di  Gama  per  il  primo  su- 
però col  suo  navile  il  Capo  di  Buona  Speranza  , e pervenne 
all5  India  orientale,  aprì  la  strada  diretta  di  quel  ricco  com- 
mercio ai  Portoghesi.  Il  Re  di  Portogallo  divenne  padrone 
non  solo  delle  coste  del  Mozambico  nell’  Affrica  Austro-orien- 
tale,, ma  ancora  di  quelle  dell’  India  orientale,  e delle  isole 
vicine,  e vi  pose  Governatori.  Era  medico  del  Viceré  del- 
P.  India  il  Dottore  Garcia  di  Orta , detto  ancora  Garzia  de 
Órta.  Questi  si  accinse  a studiare  le  droghe  Indiane , e le 
descrisse  in  una  sua  opera  in  forma  di  dialogo , e in  lingua 
Portoghese,  stampata  a Goa.  Carlo  Clusio  ne  fece  un  com- 
pendio , e lo  inseri  nel  suo  libro  Exoticorum  (1)  sotto  il  ti- 
tolo di  Aromatum  et  Simplicium  aliquot  Medicamentorum 
apud  Indos  nascentium  Hi  sto  ri  a , che  Cristoforo  Piantina 
aveva  già  impressa  co’  suoi  tipi.  in  Anversa  (2). 

In  questo  compendio  del  Garcia  il  Clusio  pose  la  seguente 
descrizione  dell’  Albero  del  Cinnamomo.  È della  grandezza 
dell’  olivo , sebbene  ve  ne  siano  di  minori.  Le  sue  foglie 
hanno  il  colore  di  quelle  del  Lauro,  e la  forma  di  quelle 
del  Cedro.  Ciò , che  si  dice  cannella , è la  parte  interna 
della  corteccia;  gli  indigeni  la  separano  dalla  parte  esterna, 
la  tagliano  a striscie , che  distendono  in  terra  al  sole,  ove  si 
avvolgono  a guisa  di  tubo  della  grossezza  di  un  dito , e 
prendono  la  forma  di  una  cannuccia,  donde  venne  loro  il 
nome  Portaghese  di  Cannella;  accartocciate  sembrano  la  scor- 


ti) Caroli  Clusii  Àtrebatis.  Exoticorum  libri  decerti.  Ex  officina  Plantiniana 
Raphelengii  1605  p.  145. 

(2)  Aromatum  et  Simplicium  aliquot  Medicamentorum  apud  Indos  nascentium 
Historia  etc.  Antuerpiae , Ex  officina  Christophori  Plautini  CIO-  IO.  LXXIIII. 


Miscellanea  botanica  xxiìi.  223 

za  di  un  ramo  intero , ma  non  ne  Sono  che  una  parte. 
Questi  tagli  non  si  fanno  che  ogni  tre  anni , acciocché  la 
ferita  si  possa  rimarginare.  I pezzi  esposti  al  sole  acquistano 
il  colore  roseo,  o vinoso-cinereo , io  lo  direi  piuttosto  colore 
di  vino  bianco  carico , per  verità  non  abbiamo  un  termine 
proprio  per  esprimerlo , e noi  Italiani  lo  diciamo  Color  di 
cannella.  Il  sapore , e F odore  di  questa  droga  è gratamente 
aromatico,  e nulla  ha  in  se  di  disgustoso  tenendola  anché 
lunga  pezza  in  bocca.  Il  Garcia  poi  ci  avvisa , che  F albero , 
dal  quale  si  ritrae , è esclusivamente  indigeno  dell’  isola 
di  Geylan  (1) , ed  è di  questo  Cinnamomo,  che  io  ho  inteso 
fin  qui  di  parlare.  Nessuna  figura  ne  diede  il  Garcia,  ma 
il  Clusio  nella  sua  nota  aggiunta  alla  storia  della  pianta  (2) 
pose  quella  di  un  pezzo  di  ramo  , che  spogliato  in  parte 
dello  strato  corticale  esterno  mostra  la  cannella  sottopósta. 
Il  Piantina  ripetè  questa  figura  nella  sua  edizione  (3) , e 
vi  aggiunse  una  foglia,  che  appartiene  al  Caryophyllus  aro - 
maticus , forse  è quella  foglia  data  a non  so  chi  da  Giovanni 
Plaga  Medico,  e Professore  Valentino  nella  Spagna,  come 
si  dice  nell’Aggiunta  appresso  il  Piantina. 

Cristoforo  Acosta  fu  nelle  Indie  orientali,  ove  conobbe 
il  Garcia , e di  là  venuto  in  Italia  ne  trasportò  F Opera 
sulle  Droghe  dell’  India  nel  nostro  volgare  (A)  corredandola 
di  figure , e per  ciò  anche  di  quella  del  Cinnamomo  del 
Ceylan , la  quale  è stata  adottata  da  tutti  i Sistematici. 
Aggiunse  anche  qualche  altra  particolarità,  cioè  che  que- 
st’ albero  era  della  grandezza  di  quello  dell’  Arancio  ; quin- 
di non  è meraviglia , se  già  aveva  detto , che  se  ne  tro- 
vavano alberi  maggiori , e minori , come  nell’  Italia  scher- 
zano gli  Aranci  coltivati.  Nella  Sicilia , a Napoli , a Massa 
di  Carrara  se  ne  veggono  di  mole  insigne  ; a Massa  la  piaz- 


224 


Antonio  Bertoloni 


za  pubblica  è contornata  di  doppio  filare  di  simili  alberi; 
ma  gli  aranci,  che  ne1 2 3 4 5 6  luoghi  più  freddi  si  tengono  in  va- 
si , rimangono  frutici , quantunque  producano  fiori , e frutti 
copiosi,  come  i grandi  alberi. 

Ora  vengo  alle  vicende  del  Cinnamomo  portato  a Olmuz. 
Garcia  secondo  la  versione  del  Clusio  dice,  che  ve  lo  por- 
tavano Sinenses , e Sina  (1)  , e P Acosta  li  dice  i Chini  (2). 
Non  bisogna  confondere  questi  Sinenses,  e Chini  coi  Chinesi. 

I Chini  sono  gli  abitanti  della  Cochinchina , malamente 
confusa  talora  colla  China  (3) , ciò  si  sa  dai  moderni  Geo- 
grafi (4).  Nella  China  propriamente  detta  non  nasce  il  Cin- 
namomo, nè  i Chinesi  coi  loro  deboli  navigli  , o giunche  , che 
adoperano  anche  al  giorno  d’  oggi , avrebbero  potuto  affron- 
tare cosi  vasto  mare  per  ig&arsi  a Ceylan  a comprarvi  il 

Cinnamomo , e di  là  trasportarlo  a Olmuz  nel  mare  della 

P ersia.  1 Chini'  come  più  destri , e possessori  di  migliori 

navigli  poterono  più  agevolmente  fare  questa  navigazione. 

Voglio  credere  però  essere  cosa  esagerata , e forse  favolosa , 
che  al  dire  di  Garcia  si  trovò  negli  Annali  di  Olmuz  es- 
sere colà  entrate  in  una  sola  notte  quattrocento  grosse  navi 
dei  Chini,  ed  in  una  sol  volta  essersene  perdute  più  di 
duecento  nelle  secche  di  Chalao  (5). 

E qui  non  posso  a meno  di  parlare  di  un  altro  Cinna- 
momo , cioè  di  quello  della  Cochinchina , di  Giava , e del 
Malabaif.  Del  primo  ne  tratta  il  Loureirò  nella  Flora  Co- 
chinchinensis  (6)  come  di  albero  indigeno  degli  alti  monti 
della  Cochinchina,  e dice  di  esso:  « Rami  crassissimi  dant 
» vile  Cinnamamum , quod  plerumque  abjicitur  . . . tenuior 
» cortex  e supremis  ramis  avulsus  Zeylanico  crassitie  aequa- 


(1)  Clus  Exot.  p 168.  169. 

(2)  Acost.  Tratt.  p.  6.  7.  8. 

(3)  Acost . Tratt.  p.  8 

(4)  Nuov.  Atlant.  Geograf.  univers.  Milano  1820.  p.  26. 

(6)  In  Clus  Exot.  p.  169.  Acost.  Trai.  p.  7. 

(6)  Flora  Cochinckinensis  sistens  plantas  in  Regno  Cochinchina  nascentes  etc. 
labore  oc  audio  Joannis  de  Loureiro  cum  notis  Ludovici  WiUdenowii , Serotini , 
tmpensts  Haude  et  Spener  1793.  tom.  1.  p.  305. 


Miscellanea  botanica  xxiii. 


225 


» lis , odore  et  sapore  acerrimus  non  magni  aestimatnr  . . . 
» At  mediorum  ramorum  cortex , lineam  fere  crassus , opti- 
» mura  et  pretiosum  praebet  Ginnamomum , quo  utuntur  in 
» medicina,  et  multo  altiori  pretio  venditur,  quam  Zeyla- 
)>  nicum  » (1) , dalle  quali  cose  facilmente  si  capisce , che 
» esso  parla  di  un  Cinnamomo  diverso  dal  Zeylanese , sebbe- 
ne gli  attribuisca  il  nome  datogli  da  Linneo,  ed  il  sinonimo, 
e la  figura  dèi  Burmanno  nel  Thesaur.  Zeil.  citata  da  Linneo , 
della  qual  figura  però  non  si  mostra  contento.  Io  inclino  a 
credere , che  il  Cinnamomo  del  Loureiro  sia  piuttosto  il  Lau- 
rus  Cassia  L. , quando  non  sia  il  Cinnamomum  Malabathrum 
del  Nees  (2).  Riguardo  poi  al  Cinnamomo  di  Giava,  e del  Ma- 
labar  il  Garcia  sulla  fede  dei  venditori , più  che  sulla  sua  per- 
suasione, riteneva,  che  fosse  identico  con  quello  di  Cey- 
lan  (2),  diceva  però  che  1’  albero  era  minore,  e che  dalla 
sua  corteccia  se  ne  ritraeva  una  Cannella  più  grossa , meno 
aromatica , e di  prezzo  assai  inferiore , giacché  cento  libbre 
di  Cannella  di  Ceylan  sì  vendevano  dieci  zecchini , mentre 
quattrocento  libbre  di  quella  di  Giava,  e del  Malabar  si 
vendevano  un  zecchino  (4).  Ora  è indubitato,  che  questa 
appartiene  ad  una  specie  diversa,  come  vedremo  nella  sua 
sinonimia.  Le  Cannelle , che  ne  vengono  in  commercio , sono 
grosse,  e lunghe  anche  due  piedi,  e più,  e solo  si  spez- 
zano per  venderle  al  minuto  , la  loro  lamina  è più  crassa , 
di  colore  rossiccio,  di  odore  non  il  più  grato,  di  sapore 
aromatico  pungente , da  principio  piacevole  sufficientemente 
al  palato , ma  che  in  ultimo  diventa  disgustoso.  Nelle  dro- 
gherie, e farmacie  questo  Cinnamomo  porta  il  nome  di 
Cannella  grossa , o di  Cannellino  di  Goa.  Lo  stesso  Garcia 
seppe  dai  Medici  Arabi,  Turchi,  e Corazzani , che  questa 
Cannella  grossa  si  chiamava  Cassia  legnosa , e pareva , che 
il  nome  di  Cassia  le  fosse  venuto  dai  mercatanti  Greci, 


226 


Antonio  Betoloni 


che  andavano  a comprarla  in  Alessandria  d’  Egitto.  Gli  01- 
muzzesi , che  colà  la  portavano , le  davano  il  nome  di  Cais 
manis , ed  i Greci  mutavano  il  Cais  in  Cassia.  (1).  Da  ciò 
venne  che  Linneo  le  diede  il  nome  di  Laurus  Cassia.  Può 
darsi,  che  tra  le  droghe , che  gli  Olmuzzesi  con  vocabolo 
Persiano  chiamavano  D ar chini , e portavano  a vendere  ad 
Alessandria , e che  i Medici  Arabi  chiamarono  presso  a poco 
collo  stesso  nome  , fosse  la  Cassia  legnosa , Laurus  Cassia  L.  ; 
ma  la  cosa  non  è certa. 

Più  sopra  toccai  della  lunghezza  del  viaggio , che  i na- 
vigatori mercatanti  adducevano  per  paliare  la  diversità  delle 
droghe , che  sotto  lo  stesso  nome  di  Cinnamomo  portavano 
a vendere.  Secondo  i loro  detti  questo  viàggio  durava  cin- 
que anni , e certamente  vi  voleva  un  lungo  tempo  per  an- 
dare dalla  Cochinchina,  e dalle  isole  delMndia  a Olmuz  , 
tanto  più  che  i bastimenti  allora  adoperati  non  avevano  la 
robustezza  dei  moderni , e I’  arte  del  navigare  non  era  cosi 
bene  conosciuta  come  oggi , e ben  si  può  dire , che  la  loro 
navigazione  consisteva  piuttosto  nel  costeggiare  il  conti- 
nente vicino , che  nell5  affrontare  V alto  mare.  Tuttavia  se  si 
considera , che  le  flotte  di  Salomone  movendo  dal  fondo 
del  seno  Elanitico  per  andare  a Ophir  impiegavano  tre 
anni  fra  P andata,  e il  ritorno,  e che  i naviganti  di  Ophir 
per  portare  i tributi  al  Re  di  Persia  in  fondo  al  seno  Per- 
sico impiegavano  essi  pure  tre  anni  per  V andata,  e per  il 
ritorno  (2) , parmi , che  quel  viaggio  di  cinque  anni  fosse 
esagerato. 

Mi  resta  ad  esporre  i nomi , ed  i sinonimi  adoperati  dai 
Botanici  per  distinguere  le  due  specie  anzidette.  Linneo, 
quel  sommo , che  seppe  affrontare  la  natura  tutta , e ridurla 
a sistema , dall5  esame  de5  fiori , e de5  fratti  di  esse  trovò , 
che  appartenevano  ad  uno  stesso  genere,  che  egli  intitolò 
Laurus , ma  più  di  recente  il  Nees  ab  Esenbeck  fece  rivi- 


(t)  Acost.  Tratt.  p.  8.  e 9. 

t>.  ?i/ruc*  Voya9'  9<aiiee  tom'  P‘  300‘  306*  Herod-  Hist-  ìib-  3*  P-  252‘ 


Miscellanea  botanica  xiii. 


227 


vere  il  genere  Cinnamomum  già  iniziato  dal  Burmanno , e 
le  trasportò  ad  esso.  Ecco  pertanto  questa  sinonimia  comin- 
ciando dal  Cinnamomo  di  Ceylan. 

1.  Laurus  Cinnamomum  Linn.  Sp . pi.  edit.  1 . p.  369.,  et 
ed  2,  p.  528.,  et  FI.  Zeyl.  p.  145. 

Cinnamomum  zeylanicum  Nees.  Dietrich.  Syn . plani . sect.  2 
p.  1334  n.  8.  a. 

Canella  Gare . in  Clus.  Exot.  p.  168. 

Cannella  Acost.  Tratt.  p.  1.  e seg.  fig.  p.  2. 
Cinnamomum  sive  Canella  Zeilanica  C.  B . P.  p.  408. 
Cassia  Cinnamomea.  Cinnamomum  sive  Canella  Zeylanica 
Herm.  Hort.  Acad.  Lugd.  Batav.  Catal.  p.  129. 

G.  Cinamomea  sive  Cinamomum  Herm.  I.  c.  p.  656. 
(err.  typogr.  p.  665.)  fig. 

Cinnamomum  foliis  latis , ovatis,  frugiferum  Burm.  The - 
saur.  Zeyl.  p.  62.  tab.  27. 

Ital.  Cannella  fina.  Cannella  Regina. 

Arò.  Habitat  in  insula  Ceylan. 

2.  Laurus  Cassia  Linn.  Sp.  pi.  ed.  1.  p.  369,  et  ed  2. 
p.  528.,  et  Fi.  Zeyl.  p.  146. 

Cinnamomum  aromaticum  Nees.  Dietrich.  Syn.  pi.  sect . 
poster,  p.  1334.  n.  9. 

Carua  Hort.  Malab.  tom.  1.  p.  107  tab.  57. 

Cassia  lignea  Gare,  in  Clus  Exot.  p.  169. 

Canella  ignobilior  Gare,  in  Clus.  I.  c.  p.  169.  et  170. 
Cannella  grossa.  Cassia  lignea  Acost.  Tratt.  p.  7. 
Cinnamomum  siva  Canella  Malabarica  et  Javanensis  C.  B P. 
p.  409. 

Cinnamomum  perpetuo  florens , folio  tenuiore , acuto  Burm. 

Thes  Zeyl.  p.  63.  tab.  28. 

Ital.  Cannella  grossa.  Cannellino  di  Goa . 

Àrb.  Habitat  in  Giava , et  Malabaria , forte  etiam  in  Co- 
cbinchina. 

Per  maggiore  distinzione  di  questa  specie  Arnoldo  Syen  in 
una  sua  nota  al  Hortus  Malabaricus  (1)  dice  : » Arbor 


(1)  Hort.  Mairi-  I-  !>•  H°- 


228 


Antonio  Bertoloni 


» hic  descriptus  Ganelia  est  Malabarica , Lusitanis  Ca- 
» nella  del  Matto:  quae  Ceylonensi  omnibus  sbis  parti- 
» bus  longe  est  ignobilior , et  idcirco  longe  minori  in 
» pretio  habita , » lo  che  coincide  con  quanto  ne  aveva 
già  annunziato  il  Garcia. 

E qui  pongo  fine  al  mio  discorso,  il  quale  di  quanto  stu- 
dio mi  sia  costato  per  decifrare  la  storia  dei  due  Cinna- 
momi , non  è che  il  dica.  Passo  ora  alla  seconda  parte 
di  questa  Miscellanea,  ove  pongo  la  descrizione , e le 
figure  di  cinque  nove  specie , vi  aggiungo  la  figura  della 
Trigonella  Pes  avium , che  sin  ad  ora  non  si  aveva,  ed 
espongo  in  ultimo  un  carattere  intorno  alla  Saxi fraga  flo- 
r aleuta  da  me  conosciuto  più  di  recente. 

CLASSIS  DIOECIA.  ORDO  MONADELPHIA. 

Ord.  Nat.  Coniferae  Juss. 

1 . Juniperus  indica  : arborescens  ; fòliis  inferioribus  longio- 
ribus , e basi  late  ovata  lanceolati , semipatulis , supe- 
rioribus  ovatis , imbricatis  , decussatis  , aeutisque  omnibus 
Tab.  1.  4 

J.  Sabina  L.  Hook,  et  Thoms . PI.  sicc* 

Arb.  Habui  ex  India  orientali  in  Sithiem  in  regione  subal- 
pina ad  altitudinem  decem-quindecin  millium  ped  um  ab 
Hookero  filio  , et  a Thomsonio. 

Arbor  valde  ramosa  , et  ramulosa,  corticc  rufò-fusco,  ramis, 
ramulisque  alternis.  Folia  coriacea,  dura,  opposita , de- 
cussata, sessilia,  basi  amplexicaulia , viridia  , nitidul a , 
inferiora  longiora,  e lata  basi  lanceolata,  semipatula,  su- 
periora arcte  imbricata,  brevia,  late  ovata,  utraque  acu- 
ta, et  in  dorso  medio  subuniglandulosa , gianduia  parva. 
Bacca  ovalis , duplo  grandior,  quam  in  Junipero  Sabina 
L.,  sicca  fosca,  rugosa,  nitida.  Odor  plantae  leviter  in- 
gratus.  Glaucedo  nulla. 

Juniperus  Sabina  L.  pianta  Europaea,  et  etiam  in  editis 
Italiae  obvia,  facile  distinguitur  glaucescentia , odore  foe- 
tido  gravi,  foliis  minoribus , decurrentibus , bacca  mi- 
nore  , globosa , vel  subglobosa. 


Miscellanea  : Botanica  xxiii. 


229 


Explicatio  tabulae  primae . 

Fig.  a.  Pianta  in  statu  naturali. 

b.  Pars  rami  aucta,  ostendens  folia  latiora,  seinipatula. 

c.  Bacca  parum  aucta. 

2.  Taxus  orientalis:  foliis  distichis  , longis , anguste  linea- 
ribus  ) acutis , rigide  mucronulatis , margine  exquisite 
revolutis  Tab . 2. 

T.  baccata  Hook . fili , et  Thoms.  PI.  sicc  * 

Arbor.  Habui  ex  India  orientali  in  Stim  occid.  in  regione 
temperata  ad  altitudinem  octo  millium  pedum. 

Caulis  alterne  ramosus.  Folia  approximata,  disticha , pa- 
tula  , anguste  linearia  , circiter  pollicem  longa  , acuta , ri- 
gide mueronulata , margine  exquisite  revoluta , brevissi- 
me , et  latiuscule  petiolata , saturate  viridia , subtus  pai- 
lentia.  Odor  plantae  siccae  ingratus , satis  intensus. 

Taxus  baccata  L.  frequens  in  sylvis  montanis  editis  Italiae 
differt  foliis  brevioribus , et  latioribus , margine  planis , 
aut  vix  revolutis. 

Explicatio  Tabula  secundae . 

Fig.  a.  Pianta  in  statu  naturali. 

b.  Folium  multo  auctum  , ostendens  marginem  exqui- 
site revolutum. 

3.  Ephedha  macrocephala : caule  striato,  scabrido  ; ramis  ver- 
ticillatis  , oppositisve  ; amentis  masculis  crassis , sessili- 
bus  , glomeratis , femineis  paucis  , fasciculatis , breviter 
pedunculatis , oblongis  Tab.  3. 

E.  vulgaris  var.  Helv etica  Hook.  fil.  et  Thoms.  Plant  sicc. 

Frut.  Habui  ex  India  orientali  in  Tibet  in  regione  alpina 
ad  altitudinem  septem-quatuordecini  millium  pedum. 

Caulis  crassus  , teres  * striatus , scabridus  , viridis  , articu- 
latus , in  articuiis  verticillate , aut  opposite  ramosus.  Sti- 
pula  in  articuiis  tubulosa , apice  opposite  bidentata , al- 
bida,  senio  basi,  et  apice  ferruginea,  demum  dentibus 


230 


Antonio  Bertoloni 


obliteratis  veluti  truncata.  Flores  dioici.  Amenta  mascu- 
le  sita  in  articulis  ramorum  superiorum , plura  simul  glo- 
merata,  crassa,  sessilia , composita  amentulis  minoribus. 
Amentula  pariter  sessilia , brevissima , circumdata  squamis 
duonmi-quatuor  ordinum  , valde  approximatis , imbricatis , 
decussatis,  ovatis,  concavis , rnembranaceis , aetate  fer- 
rugineis , margine  angusto  , albido  > superioribus  majori- 
bus.  Stamen  unicum  in  quovis  amentulo,  monadelplium, 
scilicet  inferne  simplex , et  convolutum  in  stipite  m corri  - 
munem , apice  solutum  in  filamenta  quinque-septem , bre- 
via  , cum  anthera  terminali  ovata  , albida  , biloculari  , lo- 
culis  apice  poro  transverso  dehiscentibus.  Amenta  feminea 
fasciculata,  pauca,  pariter  sita  in  articulis  ramorum,  ob- 
longa , breviter  pedunculata.  Eorum  squamae  ut  in  amen- 
tulis masculis , sed  distinctiores , aetate  fuscae , late  al- 
bido-marginatae.  Pistilla  in  quovis  amentulo  gemina.  Ova- 
ria  terminata  stilo  longo , flexuoso.  Nuces  duae , oblon- 
gae , dorso  convexae , in  facie  interna  planae , arcte  ap- 
proximatae. 

Explìcatio  Tabulae  tertiae. 

Fig.  a.  Exhibens  piantami  masculam  in  statu  naturali. 

b.  Pars  caulium  ostendens  stipulas  juniores. 

c.  Gongeries  flomm  masculorum  in  amento  primario, 

microscopio  aucta , squamis  interpositis. 

d . Flos  masculus  seorsim  exhibitus , et  attctus  , prae- 

ditus  stamine  inferne  monadelpho , superne  in  fi- 
lamenta antherifera  soluto. 

e.  Pianta  feminea  in  statu  naturali. 

f Nuces  geminae  arcte  conniventes , et  auctae , squa- 
mis obvallatae. 

CLASSIS  CRYPTOGAMIA.  ORD.  HEPATICAE  WILLD. 

4.  Jungermannia  bipinnata  : ramis  breviter  ramulosis , uni- 
formibus  , distichis  ; foliis  subcordato-ovatis  , lateve  rotun- 
datis , obtusis , acutisve,  distichis,  integris,  arctissime  im- 
bricatìs  Tab.  4. 


Miscellanea  botanica 


231 


Perenti.  Forte  ex  insula  Ceylan , nam  reperta  in  pugillo 
plantarum  cum  Lauro  Cinnamomo  L. 

Rami  erecti , sesquipollicares , bipinnati , forma  lanceolata  , 
pinnis  , pinnulisque  approximatis  , alternis , brevibus , 
uniformibus , distichis , supremis  decrescentibus.  Folia 
disticba  y arctissime  imbricata , racbidem  occultantia , 
lata,  subcordato-ovata , aut  rotondata,  obtusa,  vel  acu- 
ta, et  breviter  apiculata,  integerrima,  in  sicco  fiavida. 
Deest  fructificatio  in  meo  exemplari. 

Pugillus  plantarum,  de  quo  supra,  repertus  fuit  in  navi 
a piratis  capta  in  mari  Hispanico , et  cum  mercibus  Gen- 
imam  delata , ubi  pugillus  iste  in  manus  Eq.  Ippoliti 
Durazzo  pervenit,  qui,  cum  anno  1812.  Genuae  essem , 
dono  mihi  benevole  dedit. 

Explicatio  tabulae  quartae. 

Fig.  a.  Pianta  in  stato  naturali. 

b . Pianta  microscopio  aucta. 

c.  Folium  microscopio  Schiekeano  amplissime  auctum, 

et  cellulis  fenestratum. 

5u  Jungermannia  amentacea:  ramis  pinnatis , foliisque  di- 
stichis , oblongis , superne  argutissime , exquisiteque  den- 
tati , amentis  foliaceis  , subterminalibus  Tab.  5. 

Perenn . Reperta  cum  praecedente. 

Caulis  primarius  prostratus , fuscus  , sursum  ramosus.  Rami 
remoti , erecti , inferne  simplices  , superne  distiche  pinna- 
ti , pinnis  longiusculis , rachide  rufescente.  Folia  appro- 
ximata , sed  distincta,  disticha,  oblonga , decurrentia , in 
margine  externo  involuta,  superne  exquisite , et  argu- 
tissime dentata,  e viridi  pallentia.  Ex  uno,  alterove 
folio  prope  apicem  rami , vel  ex  ipso  apice  rami  pro- 
dit  amentum  foliaceum , acutum  , tres-quatuor  lineas  km- 
gum  , tectum  foliis  parvis , ovatis , acutis  , distichis  ; rium 
sit  primordium  fructificationis , aut  rudimentum  elonga- 
tionis  futurae , dicere  nequeo. 


232 


Antonio  Bertoloni 


Explicatio  tabulae  quintae. 

Fig.  a . Pianta  in  statu  naturali. 

b.  Ramus  cum  foliis  microscopio  auctus. 

c.  Folium  microscopio  Schiekeano  yalde  auctum,  et  cel- 

lulis  fenestratum. 

CLASSIS  DECANDRIA.  ORD.  DIGYNIA. 

Ord.  nat.  Saxifragaceae  De  Cand . 

6.  Saxifraga  florulenta  Morett.  Bert.  Misceli,  bot.  21./?.  14. 

n.  2.  tab . 2. 

In  descriptione , et  figura  hujus  speciei  ? quas  dedi  in  Mise, 
bot.  21.  dixi , et  exhibui  petala  alba,  quia  ita  erant 
in  meis  exemplaribus  siccis , sed  in  figura  de  vivo  pietà, 
et  nuperrime  ad  me  missa  a Gl.  Barla  petala  exhibentur 
rosea , inferne , vel  etiam  superne  pallidiora,  quae  res 
descriptioni  nostrae  addenda;  an  constans , an  lusus? 

CLASSIS  DIADELPHIA.  ORD.  DECANDRIA. 

Ord.  Nat.  Papilionaceae  Linn. 

T.  Trigonella  Pes  avium  Tab.  6. 

T.  Pes  avium  Bert.  FI.  Ital.  8.  p.  247.  ri.  2. 

Haec  species  hactenus  parum  nota  Botànicis , et  nulla  fi- 
gura sancita.  Haec  figura  primum  nunc  in  lucem  prodit, 
ut  species  magìs  innotescat. 


Mem.Ser.II‘Tom.1. 


Bwtoloni.Miscel.Hllt  .Tav.  I. 


Mem.&ff  ffTom.1. 


&&  9^  eii. 


Mem.Tom.XII. 


Bertoloni  MisceLXXlII.TaT.lII. 


Mem.Ser.ir.Toinl. 


Bertolom.  Miscel.B(l)[.Tav  J 


. 4 


Casano 


Mem.Ser.r.TomL 


Bertoloni  lisceLDOIl.TaylI. 


litli*  Caia 


DI  l)M 

STRAORDINARIA  DILATAZIONE 


DELLE  VIE  BILIARI 

PER  ESTERNA  COMPRESSIONE 

DEL  CONDOTTO  COLEDOCO 

mnmu 

DEL  DOTT.  CARLO  SO  VERINI 

( Letta  nella  Sessione  23  Maggio  1861  ). 

P 

-Li  Anatomia  patologica  sempre  ferace  di  utili  insegna- 
menti  diventa  pel  Clinico  della  massima  utilità , allorquando 
per  lei  sola  viene  in  chiaro  di  alterazioni , le  quali  durante 
la  vita  non  potè  esattamente  determinare.  Di  che  porge 
novella  prova  il  caso  morboso  che  siamo  per  narrare. 

Il  22  Agosto  dello  scorso  1860  entrò  dozzinante  in  que- 
sto nostro  Spedale  Maggiore  il  Sartore  Francesco  Braglia 
d’  anni  60,  alto  della  persona,  di  gracile  corporatura  e di 
costituzione  lassa.  Nato  egli  in  Reggio  di  questa  nostra 
Emilia  da  sani  e robusti  parenti , e preservato  tosto  dal- 
1*  arabo  esantema  colP  opportuno  innesto  del  vaccino , passò 
P infanzia  immune  da  qualsiasi  malattia.  Nella  successiva 
puerizia  andò  soggetto  a tubercoli  ossei  nel  metacarpo  del- 
P indice  destro,  de’  quali  dopo  lunghi  patimenti  e molte 
cure  finalmente  guari , non  senza  però  il  reliquato  di  grossa 
e profonda  cicatrice , che  il  tempo  valse  a diminuire , a 
cancellare  giammai. 

In  seguito  alla  morte  del  padre  sventuratamente  avve- 
nuta dopo  grave  caduta,  potè  il  Braglia  nella  tenera  età 


234 


Carlo  Soverini 


<T  anni  6 essere  accolto  nel  patrio  Orfanotrofio  de’  Mendi- 
canti ^ dove , godendo  sempre  buona  salute , rimase  fino 
al  21.  anno.  Uscito  da  quel  Pio  Luogo,  nel  quale  appre- 
so aveva  V arte  del  Sarto , si  recò  immediatamente  in  questa 
nostra  Città,  nella  quale,  essendosi  appostato  come  lavo- 
rante in  una  delle  Sartorie  di  maggior  grido , prese  stabile 
domicilio.  Dedito  ognora  al  lavoro  e perciò  lontano  da  qua- 
lunque viziosa  abitudine  godè  mai  sempre  di  perfetta  sa- 
lute fino  agli  anni  55,  nella  quale  età  fu  preso  da  gra- 
vissima febbre  tifoidea  che  lo  mise  in  pericolo  di  perdere 
la  vita.  Superata  però  dopo  tre  mesi  di  decubito  l’ accen- 
nata malattia,  non  ricuperò  perciò  la  pristina  integrità  di 
salute.  Perocché  non  di  rado  ebbe  a dolersi  di  una  inso- 
lita prostrazione  di  forze,  di  molestia  alle  emorroidi  e so- 
vente ancora  di  tosse.  Questo  stato  di  mal  ferma  salute  si 
rese  anche  più  penoso  pel  Braglia , quando  tre  anni  ap- 
presso (58.  di  età)  nel  raccogliere  da  terra  una  forbice 
incontrò  un  dolore  muscolare  ai  lombi  che  V obbligò  al  letto 
per  venti  giorni  , e del  quale  pure , in  onta  alla  cura  ado- 
peiata,  ebbe  a risentirsi  di  tratto  in  tratto  in  appresso. 

Così  malaticcio  era  giunto  quest’  uomo  al  60.°  anno  di 
sua  età  allorché  nello  scorso  marzo  (1860)  il  dolore  emor- 
roidale e quello  dei  lombi  di  intermittenti  si  fecero  conti- 
nui e ribelli  affatto  ai  rimedi  di  cui  era  solito  giovarsi  ; 
nè  passò  guari  ,che  gli  sopravenne  il  color  giallo  itterico 
prima  agli  occhi  e poscia  alla  pelle.  Allora  soltanto  chia- 
mato il  Medico  si  diede  a tutt’  uomo  a seguirne  i consigli 
per  cinque  non  interrotti  mesi , ma  tutto  ciò  senza  van- 
taggio alcuno , stantechè  il  male  lentamente  sì  ma  di  con- 
tinuo progrediva  : onde  perduta  la  speranza  di  riaversi  colle 
cure  prodigategli  in  casa  propria,  sL  determinò  di  esperi- 
mentare  quelle  dell’  Ospedale,  dove,  come  di  sopra  è detto, 
venne  trasportato  il  22  dello  scorso  Agosto. 

In  questo  stesso  giorno  visitato  da  noi  per  la  prima  volta, 
riscontrammo  in  lui  le  seguenti  particolarità  sintomatiche: 
giallore  itterico  intensissimo  dell’  albuginea  e di  tutta  quan- 
ta la  pelle , sensibile  dimagramento , polsi  pieni  e rari , 
calore  cutaneo  pressoché  normale.  Fisionomia  sofferente, 


Dilatazione  delle  vie  biliari  ec.  235 

sensi  interni  ed  esterni  nella  loro  totale  integrità.  Normale 
la  voce  ed  il  respiro  , anoressia , stitichezza  di  ventre , ma- 
terie fecali  biancastre;  urine  non  scarse,  ma  dense  e di 
un  colore  verde  cupo  tendente  al  nero. 

La  percussione  e F ascoltazione  praticate  nel  petto,  che 
ci  si  offriva  simmetrico  e ben  conformato,  ci  rassicurarono 
che  i visceri  ed  i vasi  sanguiferi  principali  quivi  racchiusi 
non  s’  allontanavano  dalla  normalità. 

Nell’  addome  si  scorgeva  colla  semplice  ispezione  una  ri- 
levante tumidezza  che  occupava  principalmente  F ipocon- 
drio destro ,,  la  regione  epicolica  di  questo  medesimo  lato 
e F epigastrio.  Questa  tumidezza,  che  per  quanto  asseriva 
F infermo,  si  era  formata  a poco  a poco  e che  contava  la 
data  di  oltre  quattro  mesi , teneva  in  tensione  più  o meno 
la  parete  delle  ora  accennate  regioni  e massime  quella  del 
destro  ipocondrio  ; era  dura  e resistente  ma  non  dolente  al 
tatto  ; e presentava  una  non  interrotta  superficie  liscia  e 
convessa  da  destra  a sinistra.,  eccettuatane  la  porzione  in- 
feriore situata  nella  regione  epicolica  destra,  la  quale  era 
più  sporgente  del  rimanente.  Questi  risultamenti  dell’  ispe- 
zione e della  palpazione  venivano  con  più  accuratezza  con- 
fermati dalla  percussione  mediata.  Per  la  quale  determinata 
la  precisa  circonferenza  della  tumidezza  mediante  lince  d’ in- 
chiostro segnate  sulla  pelle , chiara  ed  evidente  ne  risulta- 
va la  naturale  figura  del  fegato , ingrandito  però  ed  ingros- 
sato molto  più  dell’  ordinario.  Imperocché  per  F una  parte 
il  suono  ottuso  ed  epatico  che  si  otteneva  coll’  anzidetto 
mezzo  diagnostico  , si  faceva  sentire  dalla  sesta  costa  vera 
fino  ad  un  dito  trasverso  distante  dalla  cresta  iliaca  destra  ; 
e per  F altra  dall’  ipocondrio  destro  via  via  continuava  a 
dar  segni  di  se  fino  alla  metà  circa  dell’  ipocondrio  sinistro. 
Per  le  quali  cose  tutte  eravamo  ragionevolmente  condotti 
a concludere  che  la  itterizia  del  nostro  infermo  era  sinto- 
matica e dipendente  da  una  malattia  cronica  del  fegato, 
per  la  quale  questo  viscere  subito  aveva  un  rilevante  au- 
mento di  volume. 

Assoggettato  pertanto  F infermo  ad  una  tenue  dieta,  e 
premessa  una  deplezione  sanguigna  dai  vasi  emorroidari, 


236 


Carlo  Soverini 


10  sottoponemmo  all5  uso  dei  deostruenti  e purgativi  unita- 
mente ad  una  bibita  emolliente  e diuretica , non  che  ad 
un  decotto  amaro  di  marubio.  Continuata  per  7 giorni  que- 
sta cura  V ammalato  si  trovava  migliorato  , quando  la  sera 
del  28  Agosto  venne  preso  da  cardialgia,  cui  tenne  dietro 

11  vomito  emettendo  dalla  bocca  la  scarsa  zuppa  testé  in- 
gerita. Sospesi  perciò  i rimedi  fin  allora  adoperati,  e se- 
data la  cardialgia  ed  il  vomito  con  una  mistura  col  lauda- 
no, si  credè  opportuno  di  ricorrere  in  seguito  (29  Agosto) 
all’uso  di  polveri  di  magnesia  ed  ossido  di  bismuth.  Nel 
quinto  giorno  di  questo  nuovo  trattamento  curativo  (2  Sett.) 
accusando  1’  infermo  un  certo  peso  al  capo,  ed  avendo  il 
polso  nuovamente  pieno  e resistente , gli  si  sottrassero  sei 
oncie  di  sangue  dal  braccio , il  cui  siero  si  mostrò  di  co- 
lor verde  cupo  e come  di  bottiglia , ed  iL crassamento , ne- 
rissimo e pultaceo  , offrì  una  lieve  cotenna  di  color  giallo 
verdastro.  Il  vantaggio  però  di  questa  sottrazione  sanguigna 
fù  di  breve  durata.  Imperocché  non  più  tardi  dei  dì  sus- 
seguente (3  Settembre)  dopo  essere  apparse  alla  cute  del 
collo , del  petto , dell5  addome  e delle  estremità , numerose 
macchiette  di  color  rosso  violaceo  analoghe  a quelle  della 
Porpora  emorragica,  il  malato  venne  assalito  da  forte  ac- 
cesso febbrile  preceduto  da  intenso  freddo,  finito  il  quale 
accesso , si  fece  comatoso , e trascorse  7 ore  in  tale  stato , 
cessò  di  vivere  (4-  Settembre  ora  l.a  ant.  ). 

La  necróscopia  eseguita  30  ore  dopo  la  morte  fece  ve- 
dere le  seguenti  cose.  Cute  di  intenso  color  giallo  itterico 
colle  numerose  macchiette  di  color  rosso  violaceo  apparse  il 
giorno  innanzi  la  morte  dell5  infermo  (Tav.  1 ? a,  a3  a,  a3  a). 
Massa  cerebrale  e suoi  involucri  di  colore  più  o meno  gial- 
lastro: i vasi  della  pia  madre  injettatissimi  di  sangue,  ver- 
samento sieroso  nella  cavità  dell5  aracnoide.  — Membrane  e 
visceri  del  petto  partecipanti  più  o meno  al  color  giallo  itte- 
rico. Polmone  destro  aderente  colla  feccia  anteriore  del 
suo  lobo  inferiore  alla  corrispondente  parete  toracica  me- 
diante robusta  e larga  briglia  (c)  : parte  inferiore  di  que- 
sto stesso  lobo  enfisematica  per  un  piccolo  tratto  (e)  : 
grossi  bronchi  di  questo  polmone  contenenti  un  po’ di  li- 


Dilatazione  delle  vie  biliari  ec. 


237 


quido  spumoso  di  color  giallo.  Polmone  sinistro  sano.  Umo- 
re del  pericardio  abbondante  e di  color  giallo  carico  : tes- 
suto muscolare  del  cuore  di  color  rosso  dilavato  e tendente 
al  giallognolo  : cavità  destre  di  questo  viscere  lievemente 
dilatate  e piene  di  sangue  nerissimo  e pultaceo.  — Fegato 
(Tav.  l.a  h.  Tav.  2.a)  di  volume  pressoché  doppio  dell*  or- 
dinario , di  color  verde  cupo , di  consistenza  naturale  con 
solcature  nella  sua  faccia  convessa  (Tav.  l.a  1.  2.  3.),  ca- 
gionate dalla  pressione  delle  corrispondenti  costole  : condotto 
coledoco  compresso  esteriormente  alla  parte  superiore  della 
sua  metà  inferiore  (Tav.  2.a  /)  da  una  piccola  gianduia  linfa- 
tica ingrossatasi  come  una  coccola  d9  ulivo  (Tav.  2.a  &.)  in 
modo  che  era  totalmente  impedito  V afflusso  della  bile  nel 
duodeno  : porzione  del  coledoco  inferiore  alla  parte  com- 
pressa (m)  vuota  di  bile  e sboccante  separatamente  nel  duo- 
deno al  disotto  dell’  apertura  del  condotto  Wirsungiano  (4)  : 
pozione  del  coledoco  superiore  all’  anzidetta  parte  compres- 
sa (rc)  enormemente  dilatata , avendo  un  diametro  di  3 cen- 
timetri , e piena  zeppa  di  bile  densa  di  color  verde  scuro  : 
condotto  epatico  ( o ) e sue  due  principali  branche  (p,  q)  del 
diametro  pure  di  3 centimetri  ed  ugualmente  piene  di  bile 
densa:  vasi  biliari  dentro  il  fegato  (ry  s y t,  u)  in  proporzione 
più  dilatati  dei  sopradetti  condotti  e ripieni  come  quelli  della 
stessa  qualità  di  bile  : condotto  cistico  (1)  breve  e del  diame- 
tro di  una  penna  da  scrivere  ; cistifellea  (2)  di  volume  qua- 
druplo dell9  ordinario  , esternamente  di  color  rosso  paonazzo 
in  molti  punti  specialmente  verso  il  collo , di  pareti  grosse 
due  volte  più  del  normale,  dimostrante  quindi  i caratteri 
anatomici  della  lenta  flogosi  di  cui  era  affetta  e contenente 
una  copiosa  quantità  di  bile  densissima  e di  color  verde 
cupo  tendente  al  nero  da  cui  rimaneva  distesa.  Stomaco 
(Tav.  l.a  h)  di  color  giallo-verde,  spinto  dal  volume  del 
fegato  nella  regione  ombelicale  e nell9  ipocondrio  sinistro , 
contratto  nel  senso  del  diametro  trasversale  massime  alla 
metà  circa  della  sua  lunghezza  e contenente  delle  sem- 
plici mucosità  di  colore  giallognolo:  duodeno  vuoto  affatto 
di  bile  : digiuno  ed  ileo  di  colore  verdastro  distesi  legger- 
mente da  gas  : intestino  crasso  parimenti  di  colore  ver- 


238 


Carlo  Soverini 


dastro  contenente  materie  stercoracee  di  colore  biancastro: 
milza  spinta  totalmente  contro  la  parete  posteriore  dell’  ipo- 
condrio sinistro , di  colore  nerastro , di  volume  e consistenza 
normale.  Il  resto  dei  visceri  dell’  addome , fatta  eccezione  al 
rispettivo  colore  che  più  o meno  era  giallo  o tendente  al 
giallastro,  si  trovava  in  istato  normale.  Si  notò  infine  che 
la  musculatura  esterna  era  di  un  color  rosso  dilavato  e ten- 
dente al  giallognolo , e che  il  color  giallo  itterico  colpiva 
ancora  la  parte  spugnosa  e midollare  delle  ossa , rispettando- 
ne  P°i  |?arte  corticale,  che  conservava  il  color  suo  naturale. 

Fin  qui  della  necroscopia  ; dalla  quale  facilmente  si  rile- 
va che  i fenomeni  morbosi  presentatici  dall’infermo  nella 
sua  ultima  malattia  e le  corrispondenti  alterazioni  patologi- 
che rinvenute  nel  cadavere  di  lui  movevano  tutte  dalla  com- 
pressione subita  dal  coledoco  per  1’  ingrossamento  glandulare 
di  sopra  accennato.  Per  essa  compressione,  la  ritenzione  com- 
pleta della  bile  e 1’  enorme  dilatazione  delle  vie  escretorie 
della  medesima  superiormente  alla  parte  compressa  ; per  essa 
la  permanente  intensa  itterizia  e la  lenta  flogosi  della  cistifel- 
lea ; per  essa  ancora  (come  vedremo  più  sotto)  la  congestione 
sanguigna  della  pia  meninge  e il  versamento  sieroso  dell’  a- 
racnoide;  per  essa  infine  la  morte  dell’  infermo. 

Che  quella  compressione  infatti  fosse  valevole  a chiudere 
in  quel  tratto  il  condotto  coledoco  e produrre  una  completa 
ritenzione  della  bile  nell’  apparecchio  escretore  della  mede- 
sima superiormente  alla  parte  compressa,  lo  dimostrano  evi- 
dentemente : 1 .°  1’  impossibilità  di  superare  quella  chiusura 
colle  semplici,  avvegnaché  non  lievi,  reiterate  pressioni 
appositamente  praticate  sulla  cistifellea  e sui  principali  con- 
dotti escretori  enormemente  dilatati  e pieni  zeppi  di  bile  , 
di  guisa  tale  che  ci  fu  d’  uopo  aprirci  prima  la  strada  me- 
diante uno  specillo  metallico,  onde  poi  ottenere  che  col- 
I’  aiuto  delle  suddette  pressioni  1’  umore  ritenuto  stillasse 
goccia  goccia  nel  duodeno.  2.°  La  mancanza  assoluta  del- 
1 umore  biliare  nel  tubo  gastro-enterico.  3.°  Lo  scolora- 
mento e indurimento  delle  materie  stercoracee  e la  diffi- 
colta somma  di  emetterle  dal  corpo  patita  dall’  infermo 
pel  non  breve  spazio  di  oltre  quattro  mesi  : imperocché  la 


Dilatazione  delle  vie  biliari  ec.  239 

bile  per  tal  modo  ritenuta  non  passando  più  nell’  intestino 
non  potea  altrimenti  nè  mescolarsi  alle  parti  inassimilabili 
del  chilo  contribuendo  così  al  colore  e consistenza  normale 
delle  feccie , nè  tampoco  eccitare  colla  sua  presenza  le  con- 
trazioni delle  fibre  muscolari  dell’  intestino,  affinchè  fossero 
espulse  dal  corpo  ad  opportuni  e normali  intervalli. 

Provata  pertanto  come  quella  specie  di  chiusura  del  co- 
ledoco fosse  valevole  a produrre  una  completa  ritenzione 
della  bile,  la  prima  ed  immediata  conseguenza  di  questa 
ritenzione  essere  doveva  necessariamente  la  dilatazione  delle 
vie  biliari  superiori  alla  parte  compressa.  Il  che  fermato,  ecco 
come  può  intendersi  il  processo  seguito  dalla  natura  in  que- 
sta morbosa  operazione.  Separata  la  bile  dal  fegato  e giunta 
pér  le  vie  escretorie  fino  alla  metà  circa  del  coledoco , quivi 
per  la  compressione  patita  da  questo  canale  non  potendo 
più  oltre  progredire  ha  dovuto  retrocedere  ed  entrare  nella 
cistifellea  che  a poco  a poco  ha  riempito.  Poscia  seguitando 
il  riflusso  della  bile  ognor  separata  dal  fegato,  questa  ha  di- 
latato dapprima  la  porzione  del  coledoco  superiore  alla  parte 
compressa,  indi  il  condotto  epatico  e sue  esterne  dirama- 
zioni e contemporaneamente  la  vescichetta  del  fiele.  In 
seguito  gli  effetti  del  riflusso  biliare  facendosi  sentire  nelle 
diramazioni  del  condotto  epatico  situate  entro  il  fegato,  que- 
ste pure  si  sono  successivamente  dilatate  fino  alle  ultime 
loro  radici. 

Se  non  che  la  bile  dopo  essersi  accumulata  nella  cistifel- 
lea e nei  proprii  condotti  escretori  distendendoli  e dilatan- 
doli smisuratamente  non  poteva  a meno  col  suo  lungo  ri- 
stagno in  questi  canali  e specialmente  nei  così  detti  pori 
biliari , di  non  opporsi  all’  opera  secretoria  del  fegato , sic- 
come non  poteva  a meno  di  non  venire  assorbita  dai  vasi 
a tal  fine  destinati  : cosicché  tra  per  1’  una  che  per  1 al- 
tra ragione  conseguitarne  doveva  una  alterazione  del  san- 
gue sia  pei  principii  elementari  della  bile  non  separata  e 
perciò  in  esso  trattenuti , sia  per  i non  pochi  principii  im- 
mediati e più  manifestamente  i coloranti  della  bile  stagnante 
assorbiti  e nei  vasi  sanguiferi  trasportati,  i quali  ultimi 
principii  mescolati  al  sangue  circolando  per  ogni  dove  in- 


240 


Carlo  Soverini 


sieme  con  lui  dovevano  far  mostra  di  se  tingendo  più  o 
meno  dei  colori  della  bile  i solidi  e gli  umori  tutti  del 
corpo.  Di  qui  il  color  giallo  intenso  dell5  albuginea , della 
pelle  e degli  altri  tessuti  bianchi , eccettuata  soltanto  la 
parte  corticale  delle  ossa  che  come  dicemmo  conservò  il 
color  suo  naturale  ; di  qui  la  diversa  gradazione  di  colore , 
dal  giallo  arancio  cioè  fino  al  verde  più  carico,  e per 
fino  al  così  detto  verde  bottiglia  osservato  nei  diversi 
visceri  ed  in  tutti  i prodotti  di  secrezione,  sierosità,  muco, 
scialiva , urina  ; di  qui  il  color  rosso  dilavato  e tendente 
al  giallo  dei  muscoli , ed  il  color  verde  cupo  e come  di 
bottiglia  dello  siero  del  sangue  estratto  durante  la  vita  dei- 
infermo ; di  qui  insomma  l5  intero  apparato  sintomatologico 
della  più  intensa  itterizia  generale , la  quale  per  la  irremo- 
vibilità  della  causa  da  cui  prendeva  le  mosse  si  doveva 
mostrare  come  di  fatto  si  mostrò  perennemente  progressiva 
e ribelle  a qualunque  rimedio. 

Oltre  le  conseguenze  fin  qui  discorse  dipendenti  dall5  ac- 
cumulamento della  bile  nelle  proprie  vie  escretorie , altro 
effetto  patologico  derivante  dalla  stessa  causa,  ma  partico- 
lare alla  cistifellea  ebbe  ad  osservarsi  nel  nostro  caso  ; e que- 
sto fu  la  lenta  colecistite , caratterizzata  e dal  notabile  in- 
grossamento e dal  colore  rosso  paonazzo  delle  pareti  di  quel 
serbatoio.  E che  questo  processo  patologico  si  limitasse  alla 
cistifellea  se  ne  ha  una  probabile  ragione  nelle  qualità  assai 
più  irritanti  della  bile  cistica  in  confronto  della  epatica, 
siccome  ebbe  a dimostrare  fra  gli  altri  F illustre  Blainville 
con  appositi  esperimenti.  Laonde  come  nei  condotti  escretori 
gli  effètti  locali  della  lunga  ritenzione  biliare  si  limitarono 
alla  distensione  e all’  enorme  dilatazione , nella  cistifellea 
invece  per  le  qualità  assai  più  irritanti  della  sua  bile  si 
risvegliò  di  più  una  flogosi  lenta  che  produsse  l5  ingrossa- 
mento e arrossamento  paonazzo  delle  sue  pareti. 

Ma  quale  sarà  stata  la  causa  della  morte  del  nostro  in- 
fermo? Alcuni  Autori,  seguendo  la  dottrina  fisiologica  che 
ammette  la  bile  essere  necessaria  alla  formazione  del  chilo , 
avvisano  che  in  quegli  individui , ne’  quali  per  qualsivoglia 
cagione  è interrotta  la  escrezione  biliare,  la  morte  soprav- 


Dilatazione  delle  vie  biliari  ec.  24-1 

venga  pel  disturbo  delle  funzioni  digestive  e specialmente 
per  la  sospesa  od  impedita  formazione  del  chilo.  Senonchè 
V anzidetta  dottrina  viene  decisamente  contraddetta  da  non 
pochi  esperimenti  fatti  sugli  animali  vivi  da  uomini  insigni 
e degni  della  maggiore  fiducia.  E di  vero  il  Magendie  pra- 
ticò la  legatura  del  dutto  coledoco  sopra  animali  adulti , e 
in  due  casi  in  cui  gli  animali  stessi  sopravvissero  alle  con- 
seguenze dell’  operazione  potè  assicurarsi  essere  continuata  la 
funzione  della  digestione , essersi  formato  del  vero  chilo  bian- 
co (1).  L’ Illustre  nostro  Fisiologo  Gav.  Prof.  Marco  Paolini  ripe- 
tè il  medesimo  esperimento  nel  1836  sui  cani,  e nel  1839  sui 
giovani  gatti , ed  ebbe  campo  di  convincersi  che  la  chilifica- 
zrone,  lungi  dal  soffrire  sconcerti  per  la  mancanza  della  bile 
nel  duodeno,  si  continuava  invece  nella  totale  sua  integrità 
e nel  modo  il  più  lodevole.  Imperocché  uno  dei  gattini  che 
servi  all’ esperimento,  riavutosi  dai  patimenti  sofferti  perla 
operazione  , e tornato  vispo  e gaio  siccome  era  prima  fù  da 
lui  tenuto  in  vita  per  38  giorni , nel  qual  tempo  si  man- 
tenne benissimo  in  salute,  e al  momento  in  cui  fù  ucciso 
mediante  la  puntura  del  midollo  allungato,  era  cresciuto, 
ben  nutrito  anzi  ingrassato  ; quantunque  P afflusso  della 
bile  all’ intestino  si  mantenesse  tuttavia  impedito  siccome 
venne  provato  dall’  apertura  del  cadavere  praticata  dall’  e- 
spertissima  mano  del  Chiar.  Prof.  Cav.  Ant.  Alessandrini 
di  cui  ora  deploriamo  1’  irreparabile  perdita.  Soltanto  il 
prelodato  Cav.  Prof.  Paolini  osservò  tanto  in  questo  che  negli 
altri  animali  su  cui  fece  1’ esperimento  e che  sopravissero 
più  o meno  di  tempo  all’  operazione,  una  difficoltà  nell’  e- 
spellare  le  feccie , che  erano  dure  e di  un  colore  diverso 
dall’  ordinario;  la  quale  differenza  di  colorito,  notata  an- 
che dal  Magendie  ne’  suoi  esperimenti , dipendeva  appunto 
dal  mancare  in  quegli  escrementi  la  bile  siccome  1’  analisi 
chimica  appositamente  istituita  dal  vaiente  Operatore  Si- 
gnor Dott.  Paolo  Muratori  ebbe  chiaramente  a dimostrare  (2). 

(t)  Précis  elementaire  de  Physiologie  Bruxelles  1834. 

(2)  Ricerche  Fisiologiche  sul  Fegato  — Dissertazione  del  Dottor  Marco  Pao- 
lini— Memorie  della  Società  Medico-Chirurgica  di  Bologna  — Bologna  1844. 
Voi.  II.  pag.  397.  e seguenti. 


Carlo  Soverini 


242 

Questi  risultamenti  ottenuti  dalle  vivi-sezioni  ricevono 
una  piena  conferma  dall5  osservazione  del  caso  patologico 
da  noi  esposto.  Imperocché  nei  nostro  infermo  si  videro  le 
funzioni  digestive  continuare  abbastanza  speditamente  per 
sei  non  interrotti  mesi  dopo  che  apparvero  gl5  indizi  che 
il  passaggio  della  bile  nel  tubo  intestinale  era  stato  inter- 
rotto; e soltanto  si  osservò  una  certa  difficoltà  nell5  e- 
mettere  le  feccie  , le  quali  poi  erano  dure  e grigiastre,  di 
un  colore  quindi  molto  diverso  dall5  ordinario. 

Che  se  nel  progresso  del  morbo  anzi  sul  finire  del  me- 
desimo si  manifestò  nel  Braglia  un  certo  dimagramento, 
un  tale  fenomeno  è piuttosto  a ritenersi  quale  effetto  delle 
diverse  affezioni  morbose  risvegliate  direttamente  nell5  or- 
ganismo dalla  prolungata  ritenzione  della  bile  nei  proprii 
condotti  escretori,  anziché  il  prodotto  della  impedita  for- 
mazione del  chilo  per  l5  assenza  della  bile  stessa  nell5  in- 
testino; nella  quale  ultima  supposizione  la  morte  dell’in- 
fermo in  luogo  di  protrarsi  alla  fine  di  sei  mesi  sarebbe 
sopravvenuta  in  fra  breve  spazio  essendo  quell5  umore  al 
sostentamento  biella  vita  di  primaria  ed  essenziale  necessità 

Laonde  1 osservazione  del  caso  da  noi  riferito  contraddi- 
cendo la  sentenza  di  que5  fisiologi  che  tengono  la  bile  es- 
sere di  assoluta  necessità  alla  formazione  del  chilo,  smen- 
tisce per  conseguenza  ancora  l5  opinione  di  que5  patologi, 
che  nell5  impedita  o sospesa  formazione  di  quell5  umore, 
derivante  dall5  assenza  della  bile  nell5  intestino , ripongono 
la  causa  prossima  della  morte  che  sopravviene  agli  indivi- 
dui affetti  da  completa  ritenzione  della  bile  nei  proprii 
condotti  escretori  ; la  qual  causa  perciò  vuoisi  ricercare 
altrove. 

Riferendo  1 andamento  della  malattia  e la  cura  adope- 
rata negli  ultimi  giorni  della  vita  dell’  infermo,  dicemmo 
che  il  sangue  estratto  dalla  vena  del  braccio  presentò  un 
crassamento  nerissimo  e pultaceo,  ed  uno  siero  di  color 
verde  cupo  e come  di  bottiglia;  dicemmo  che  apparvero  alla 
cute  numerose  macchiette  di  color  rosso  paonazzo  analoghe 
a quelle  della  Porpora  emorragica;  dicemmo  infine  che  P in- 
fermo fu  assalito  da  forte  accesso  febbrile  preceduto  da 


Dilatazione  delle  vie  biliari  ec.  243 

intenso  freddo.  Questi  fenomeni  morbosi  che  non  Sfuggi- 
rono all’  illustre  Rokitansky  lo  condussero  a dare  la  vera 
spiegazione  della  morte  che  sopravviene  a coloro  che  sono 
affetti  da  ritenzione  della  bile  nei  proprii  condotti  escre- 
tori. = Un  tale  stato  morboso,  egli  dice,  uccide  sempre 
» con  fenomeni  intensi  di  inquinamento  bilioso  della  massa 
» sanguigna , con  affezione  cerebrale  da  questo  prodotta , 
» e spesso  accompagnata  da  stravenamenti  sull’  aracnoi- 
» dea ....  (1). 

Ora  1’  affezione  cerebrale  accompagnata  da  stravenamenti 
sull’  aracnoidea , di  cui  parla  il  prelodato  autore , si  veri- 
ficò appunto  nel  caso  nostro , mentre  il  turgore  dei  vasi 
della  pia  meninge  ed  il  versamento  sieroso  fra  le  lamine 
dell’  aracnoide  rinvenuti  nel  cadavere  del  nostro  infermo , 
e che  ci  diedero  ragione  dello  stato  comatoso  che  precedè 
immediatamente  la  morte  di  lui , a niun’  altra  causa  po- 
teva riferirsi  fuorichè  all’  inquinamento  bilioso  della  massa 
sanguigna , o più  chiaramente  a quella  manifesta  discrasia , 
che  appariva  nel  sangue  e che  ragionevolmente  si  può  at- 
tribuire ai  principii  alcalini  della  bile  mescolati  con  esso. 

Egli  è adunque  nell’  affezione  cerebrale  di  sopra  accen- 
nata, proveniente  da  inquinamento  bilioso  della  massa  san- 
guigna , che  riponiamo  la  causa  prossima  della  morte  del 
nostro  infermo;  il  che  stabilito,  a noi  pare  che  si  possa  ren- 
dere ragione  della  cessazione  della  vita  di  lui  nel  modo 
seguente. 

Per  la  compressione  esteriore  patita  dal  coledoco  in  cau-. 
sa  dell’  ingrossamento  glandulare , essendosi  intercettata  la 
escrezione  della  bile , questa  ha  dovuto  raccogliersi  ed  ac- 
cumularsi , man  mano  che  veniva  separata  dal  fegato , nei 
proprii  condotti  escretori  situati  al  disopra  della  parte  del 
coledoco  compressa , i quali  condotti  perciò  si  sono  distesi 
e a poco  a poco  dilatati  smisuratamente  : quando  i condotti 
stessi  hanno  raggiunto  1’  enorme  grado  di  distensione  e di 


(I)  Rokitansky  — Trattato  completo  di  Anat.  Patol.  prima  trad.  italiana 
per  cura  dei  Dott.  Richetti  e Fano.  — Venezia,  Tom.  3.  p.  402. 


2U 


CaRlo  So verinÌ 


dilatazione  in  che  furono  trovati,  allora  i prineipii  imme- 
diati o costituenti  della  bile  in  essi  ritenuta , sono  stati 
in  maggior  copia  assorbiti  e trasportati  nel  circolo  sangui- 
gno , cf  onde  la  grave  discrasia  dell’  umore  riparatore  ; per 
la  quale  stremata  la  forza  vitale  dei  nervi  e perciò  quella 
dei  vasi  sanguiferi,  si  è dato  luogo  e all*  ingorgo  della 
pia  meninge  e al  versamento  sieroso  dell’  aracnoide , dal 
che  la  compressione  del  cervello  e la  morte  infine  del- 
P infermo. 

Per  le  quali  cose  si  può  concludere  che,  se  glandule  lin- 
fatiche in  maggiore  o minor  numero , ingrossate  anche  enor- 
memente, poterono  , col  restare  per  molti  anni  nel  cor- 
po del  paziente,  suscitare,  molti  e svariati  mali  senza  to- 
gliergli la  vita  ; una  gianduia  sola , ingrossata  si  ma  non  di 
più  di  una  coccola  d’  ulivo , può  all’  incontro  condurre  nel 
breve  giro  di  pochi  mesi  ad  una  certa  ed  irreparabile  mor- 
te, siccome  evidentemente  lo  dimostra  il  fatto  da  noi  ora 
narrato. 


9 .Narrami  dis.  da]  vero  e in  pietra. 


Lit.  Pancaldi 


\IcmL.  Tmu.  I.  Sorie  21 


C.Soverini.  Dilatazione  delie 
vie  biliari.  Tav.  IL 


t).  Nannini  ifrs.dal  ver®  e m pietra. 


Lit  Paitcaldi . 


Dilatazione  delle  vie  biliari 


245 


SPIEGAZIONE  DELLE  TAVOLE 


TAVOLA  l.a 

Le  cavità  del  petto  e dell’  addome  aperte  anteriormente  coi  rispettivi  visceri 
nella  posizione  in  cui  furono  rinvenuti  alta  dissezione  del  cadavere.  Quindi , 
oltre  i novelli  rapporti  acquistati  dal  Fegato  e dalla  Cistifellea  aumentati 
grandemente  di  volume , si  vedono  a colpo  d5  occhio  gli  spostamenti  ed 
altre  patologiche  alterazioni  subite  da  taluni  dei  visceri  contenuti  nelle  me- 
desime cavità.  La  figura  rappresentata  in  questa  tavola  misura  la  metà 
della  grandezza  naturale. 

a , a,  a,  a,  a,  macchiette  di  color  rosso-paonazzo,  analoghe  a quelle  della 

Porpora  emorragica,  apparse  nella  cute  il  giorno  innanzi  la  morte  dell*  in- 
fermo. 

b , polmone  destro. 

c , robusta  e larga  briglia  di  data  antica  colla  quale  il  lobo  inferiore  di  questo 

polmone  aderiva  alla  corrispondente  parete  toracica. 

d , margine  anteriore  della  base  dell’  anzidetto  polmone  rivolto  in  alto. 

e,  piccolo  tratto  della  parte  inferiore  dello  stesso  polmone  affetto  da  enfisema. 

f,  polmone  sinistro  sano. 

g , pericardio. 

h , fegato  di  volume  pressoché  doppio  dell5  ordinario  con  solcature  ( 1.  2.  3.  ) 

cagionate  dalla  pressione  delle  corrispondenti  costole. 

i , cistifellea  di  volume  quadruplo  dell5  ordinario. 

k,  stomaco  spinto  dal  fegato  nell5  ipocondrio  sinistro  e nella  regione  ombelicale  , 

contratto  nel  senso  del  diametro  trasversale,  massime  alla  metà  circa  del- 
la sua  lunghezza. 

l,  grande  Omento. 

m , ansa  dell5  intestino  tenue  aderente  al  colon  discendente  spostato  mediante 

un5  appendice  epiploica  trasformatasi  in  una  specie  di  linguetta  membranosa 
alquanto  robusta. 

TAVOLA  2.a 

11  Fegato  morboso  rappresentato  dalla  sua  faccia  inferiore  o concava  in  un  col 
Duodeno  ed  il  Pancreas  veduti  dalla  loro  faccia  posteriore.  11  Duodeno  è porta- 
to in  alto  ed  è tagliato  ed  aperto  a modo  da  lasciar  vedere  il  corso  del 
condotto  coledoco  fino  al  suo  sbocco , non  che  la  glandola  linfatica  ingros- 
sata da  cui  era  rimasto  compresso  il  coledoco  stesso.  Le  vie  biliari  prin- 
cipali, tanto  dentro  che  fuori  del  Fegato  situate,  sono  state  longitudinal- 
mente tagliate  ed  aperte , onde  meglio  osservarne  la  rispettiva  straordinaria 
dilatazione.  Gli  oggetti  disegnati  in  questa  tavola  sono  di  grandezza 


246 


Carlo  Soverini 


margine  ottuso 


del  Fegato. 


Porta. 


, lato  destro 
, idem  sinistro 
, lobulo  Spigeliano 
legamento  ombelicale. 

, vena  Cava  ascendente. 

) della  ' 

, gianduia  linfatica  sottoperitoneale  ingrossata, 
parte  del  coledoco  che  rimaneva  compressa  dalla  gianduia  k. 
porzione  del  coledoco  inferiore  alla  parte  compressa  e sboccante  separata- 
mente  nel  duodeno  al  disotto  dell’  apertura  del  condotto  Wirsungiano. 

, porzione  del  coledoci  superiore  alla  parte  compressa  ^ la  quale  è enor- 
memente dilatata. 

/condotto  epatico  straordinariamente  dilatato  ed  unentesi  al  condotto  cistico  1. 
, q,  due  branche  principali  del  condotto  epatico  pure  dilatatissime. 

» s , t , u,  tronchi  principali  dei  vasi  biliari  dentro  il  fegato  che  in  propor- 
zione sono  più  dilatati  degli  ora  accennati  condotti. 

, x,  z } piccoli  rami  dei  vasi  biliari  non  aperti,  che  per  essere  dilatati  e ripieni 
ancora  di  bile , sporgono  in  fuori. 

, condotto  cistico  breve  e del  diametro  di  una  penna  da  scrivere. 

, cistifellea  di  volume  quadruplo  dell’  ordinario , di  pareti  grosse  due  volte 


papilla  dello  sbocco  del  condotto  Wirsungiano. 
faccia  posteriore  del  Pancreas, 
tronco  dell’  arteria  Splenica. 

, idem  della  vena  omologa. 

, principio  dell’  arteria  Celiaca  tagliata. 

, idem  dell’  arteria  Mesenterica  superiore  tagliata. 


STUDI 


STRATIGRAFICI  E PALEONTOLOGICI 

SULL’  INFRALIAS 
NELLE  MONTAGNE  DEL  GOLFO  DELLA  SPEZIA 

mmm 

DEL 

PROF.  GIOVANNI  CAPELLINI 

(Letta  nella  Sessione  dei  16  Gennaio  1862). 


INTRODUZIONE 

Il  Golfo  della  Spezia  in  ogni  epoca,  perlustrato  dai  cul- 
tori delle  scienze  fisiche  e naturali  attirò  più  particolar- 
mente F attenzione  dei  geologi  e dei  paleontologi  dopo  le 
prime  scoperte  di  Cordier  e Guidoni  e dopo  le  interessanti 
pubblicazioni  dei  signori  Savi,  Pareto,  La-Bèche  ed  altri 
che  avrò  occasione  di  ricordare  allorché  si  tratterà  di  rias- 
sumere le  varie  opinioni  intorno  alla  cronologia  delle  di- 
verse formazioni  che  in  quelle  montagne  si  incontrano. 

Con  quanto  ardore  dal  1828  fino  ad  oggi  i più  distinti 
geologi  italiani  e stranieri  si  affaccendassero  per  decifrare  la 
geologia  delle  montagne  della  Spezia,  da  taluno  giudicate 
indecifrabili , chiaramente  resulta  dalla  Nota  dei  principali 
lavori  pubblicati  a questo  proposito  e troppo  lungo  sarebbe 
anche  il  ricordare  appena  i nomi  di  tante  celebrità  euro- 
pee che . si  recarono  sul  posto  e si  occuparono  dello  stesso 
0 argomento , benché  poco  o nulla  abbiano,  pubblicato  delle 

loro  osservazioni. 


248 


Giovanni  Capellini 


I fossili  piuttosto  abbondanti  per  i quali  certe  località 
del  Golfo  furono  tanto  sovente  menzionate  dopo  le  sco- 
perte di  Guidoni  , avrebbero  dovuto  servire  a toglier  di 
mezzo  ogni  quistione , ma  razzolati  in  varie  epoche  e spes- 
so caduti  in  mano  di  persone  guidate  da  idee  preconcette , 
furono  diversamente  interpretati.  Della  serie  di  strati  ric- 
chissimi in  Ammoniti  ed  altri  fossili  piritizzati  mi  riservo 
a trattare  più  minutamente  in  altro  lavoro , per  ora  ho  di 
mira  principalmente  il  calcare  nero  ed  i suoi  fossili , poi- 
ché mi  interessa  di  dimostrare  il  posto  che  esso  occupa 
realmente  e fissare  così  la  cronologia  di  quelle  montagne 
che  il  La-Béche  ed  altri  avevano  chiamate  la  chiave  della 
geologìa  toscana  e che  è sperabile  la  diventino  effettivamen- 
te, quando  se  ne  conosceranno  i pochi  e non  complicati 
congegni. 

Nel  1854  la  privata  mia  collezione  di  fossili  dei  dintorni 
della  Spezia  contava  già  un  numero  discreto  di  esemplari 
unici  o abbastanza  rari  e da  quell’  epoca  in  poi  continuai 
a raccogliere  e ad  osservare,  persuadendomi  ogni  dì  più 
che  moltissimo  era  ancora  il  da  farsi  e che  sarebbe  stato 
imprudente  il  pronunziare  troppo  presto  un  giudizio.  In- 
fatti quasi  ogni  anno , quasi  in  ogni  escursione  starei  per 
dire , mi  venia  fatto  di  osservar  nuovi  strati  fossiliferi , ri- 
conoscerne la  loro  continuità , scoprirvi  esemplari  di  specie 
nuove  o meglio  conservati  di  quelli  già  conosciuti , il  che 
mentre  da  un  lato  era  incoraggiamento  a proseguire , d5  al- 
tronde mi  convinceva  che  in  geologia  non  si  può  mai  dire  : 
ho  finito  ! 

Se  mi  fossi  lasciato  guidare  illimitatamente  da  questa  im- 
portantissima verità , nemmen  oggi  avrei  incominciato  a 
parlar  della  Spezia,  perchè  essendomene  occupato  a prefe- 
renza di  altre  località  sento  che  non  potrò  mai  dire  d’ aver 
completamente  finito  ; ma  di  tal  guisa  dovrei  troppo  tar- 
dare a render  patrimonio  della  scienza  le  osservazioni  in- 
torno alle  quali  d’  altronde  non  mi  resta  alcun  dubbio  e 
forse  rischierei  di  vedere  le  stesse  cose  più  prontamente 
pubblicate  da  chi  più  tardi  andasse  a verificarle. 

opo  aver  reso  conto  perchè  fino  ad  oggi  ritardassi  la 


Stùdi  sull’  Infralì as  eo. 


249 


pubblicazione  di  osservazioni  che  potei  completare  già  da 
qualche  tempo  e perchè  mi  sia  deciso  a non  attendere  più 
lungamente  nella  speranza  di  poter  quanto  prima  presentare 
altro  lavoro  a complemento  di  questo*  e corredato  dei  ne- 
cessari disegni  che  si  stan  preparando , sento  il  dovere  di 
rivolgere  una  parola  di  ringraziamento  a tutti  coloro  che 
già  si  compiacquero  mettere  a mia  disposizione  quanto  ave- 
vano di  fossili  della  Spezia  nelle  private  loro  collezioni  ed 
in  quelle  dei  pubblici  Musei  affidati  alla  loro  direzione.  Con 
tali  mezzi  già  ho  potuto  tracciare  un  esteso  catalogo  che 
serve  di  corredo  a questa  memoria  e che  si  può  riguardare 
come  il  Prodromo  della  Paleontologia  dell’  Infralias  dei  Monti 
della  Spezia. 


Giovanni  Capellini 


NOTA 


principali  lav 


ria  del  Cale 


Fossilifero  delle  montagne  della  Spezia. 


CORDILI! , Statistique  minéralogique  du  départeraent  des  Apennins 
( Journal  des  mines,  Aout  1811  ). 

1828  GUIDONI  G.  Osservazioni  geognostiche  e mineralogiche  sopra  i 
monti  che  circondano  il  Golfo  della  Spezia  ( qiornale  ligu- 
stico y Anno  11°  1828  ). 

1820  SAVI  PAOLO  » Osservazioni  geognostiche  sul  Campigliese,  Lettera 
al  Sig.  G.  Guidoni,  ( Nuovo  giornale  dei  Letterati  N.°  A3 
Pisa  1829  ). 

1830  GUIDONI  G.  Sui  fossili  recentemente  scoperti  nelle  montagne  del 
Golfo  della  Spezia,  Lettera  al  Prof.  Savi  (Ntiovo  giornale  dei 
Letterati , Tom.  XXI,  Pisa  1830  ). 

— ~ SAVI  PAOLO»  Catalogo  ragionato  di  una  collezione  geognostica 
contenente  le  roccie  più  caratteristiche  della  formazione  del 
macigno  della  Toscana,  quelle  di  trabocco,  cioè  dolomitiche, 
porfiritiche  e granitiche , le  quali  hanno  disordinata  la  stra- 
tificazione delle  prime  e quelle  alterate  dal  contatto  delle 
traboccate,  ( Nuovo  giornale  dei  Letterati , Tom.  XX,  Pisa 
1830  ). 

1832  Lettera  al  Sig.  G.  Guidoni  di  Massa,  concernente  os- 

servazioni geognostiche  sui  terreni  antichi  toscani  ecc.  (iVwo- 
vo  giornale  dei  Letterati , N.°  63  Tom.  XXIV.  Pisa  29  giu- 
gno 1832  ). 

— PARETO  L.  e GUIDONI  G.  Sulle  montagne  del  Golfo  della  Spezia 

e sopra  le  Alpi  Apuane.  Lettera  ai  Direttori , della  biblioteca 
italiana  , Genova , luglio  1832. 

1833  DE  LA  BÈGHE,  Mémoire  sur  les  environs  de  la  Spezia,  ( Mòrti. 

de  la  Soc.  géol.  de  France , Voi.  I.  pag.  23  ). 

—  Geologica!  manual  ( third  edition , pag.  330,  London  1833). 

SAVI  PAOLO»  Tagli  geologici  delle  Alpi  Apuane  e del  Monte  Pi- 
sano e cenno  sull’  Isola  d’  Elba,  ( Nuovo  qiornale  dei  Let- 
terati Tom.  XXVII.  Pisa  1833  ).  - 

1837-39  Memorie  per  servire  allo  studio  della  carta  fisica 

della  Toscana.  ( Pisa  1837-39  ). 

1839  H0FF9ANN  FR.  Gesammelt  auf  einer  Reise  durch  Italien  und 
Sicihen  in  den  Jahren  1830  bis  1832.  Berlin  1832. 


Studi  sull9.  Infralias  ec. 


251 


184 2 SISMONDA  A*  Osservazioni  geologiche  sulle  Alpi  marittime  e sugli 

Apennini  liguri.  ( Memorie  dell * Accad.  delle  Scienze  di  fo- 
rino, Serie  2a  Tom.  IV.  1842  ). 

1843  SAVI  PAOLO»  Sopra  i carboni  fossili  delle  Maremme  toscane. 

Pisa  1843. 

1844-45  COQIIAND’  Sur  leste  rrains  stratifiés  de  la  Toscane.  ( Bull.  Soc. 

geol . de  France,  2«  Sèrie,  Tom.  II.  1844-45  ). 

1845  DELANOLE  » Note  sur  le  calcaire  dolomitique  des  environs  de  la 
Spezia.  ( Bull,  de  la  Soc.  qèol  de  France , 2e  Sèrie , Tom.  HI. 
pag.  42 , 1845  ). 

PILLA  L*  Saggio  comparativo  dei  terreni  che  compongono  il  suolo 

d'  Italia.  Pisa  1845. 

1847  — - Notice  sur  le  calcaire  rouge  ammonitifére  de  T Italie. 

( Bull,  de  la  Soc.  géol  de  France,  2«  Sèrie,  Tom.  IX.  1847). 

COLLEGNO»  Elementi  di  geologia  pratica  e teorica.  Torino  1847. 

1848?  PARETO  L.  Della  posizione  delle  roccie  jpirogene  ed  eruttive  dei 
periodi  terziario,  quaternario  ed  attuale  in  Italia.  Genova 
tipogr.  Sordo-Muti. 

1850  fflLRCHISON  S-  R-  Formazioni  giurassiche  nel  Golfo  della  Spezia, 

nelle  adiacenti  montagne  delle  Alpi  Apuane , nei  Monti  Pisa- 
ni ecc.  ( Memorie  sulla  struttura  geologica  delle  Alpi , degli 
Apennini  e dei  Carpazi  ; Traduz.  dei  Prof.  Savi  e Meneghi- 
ni, Firenze  1850  ). 

1851  SAVI  e MENEGHINI»  Considerazioni  sulla  geologia  stratigrafica 

della  Toscana.  Firenze  1851. 

COLLEGNO’  Nota  sui  terreni  dei  contorni  della  Spezia  ( Memorie 

della  B.  Accad.  delle  Scienze  di  Torino,  Serie  2a  Tom.  XII. 
1852  ). 

1853  MENEGHINI  * Nuovi  fossili  toscani  (Annali  dell ' Università  Tosca- 
na , Tom.  HI.  ) 

1856  COCCHI  J-  Description  des  roches  ignées  et  sedimentaires  de  la 

Toscane , suivie  d’  un  catalogue  détaillé  de  ces  roches  dans 
leur  ordre  de  succeSsion  géologique.  ( Bull,  de  la  Soc.  géol. 
de  France  2*  Serie  Tom.  XIII. , Fevrier  1856  ). 

MENEGHINI»  Lettera  al  DoU.  J.  Cocchi  (V.  Cocchi  Description  ecc.). 

1857  D’ARCHIAC’  Histoire  des  progrés  de  la  géologie  de  1854-1856, 

Paris  1857.  Tom.  7e  Formation  jurassique  2*  partie  Tom.  5« 
formation  crétacée  2*  partie. 

— — COQLAND’  Traité  des  roches.  Paris  1857  pag.  177. 

1860  CAPELLINI»  Sulla  presenza  del  ferro  oolitico  nelle  montagne  del 
Golfo  della  Spezia,  Genova  1860. 


252 


Giovanni  Capellini 

CENNI  TOPOGRAFICI 


Sai  dintorni  del  Golfo  e specialmente  sulle  località  interessanti 
pei  Fossili  del  Calcare  Nero. 


ÌV 11’  esposizione  dei  fatti  che  più  tardi  dovranno  servire 
di  base  alle  conclusioni  scientifiche,  credo  bene  far  prece- 
dere un  rapido  cenno  topografico  intorno  a quelle  località 
che  avrò  più  sovente  occasione  di  ricordare  e sulle  quali 
furono  specialmente  dirette  le  mie  ricerche. 

La  Spezia  situata  a 2°  8'  di  longitudine  orientale  dal- 
F Osservatorio  di  Torino  e a 44°  di  latitudine  trovasi 
in  fondo  al  golfo  di  questo  nome , allineato  da  NO  a SE , 
aperto  in  quest’  ultima  direzione,  lungo  circa  Kii.  otto 
e con  una  larghezza  media  di  Kil.  quattro.  Montagne  in 
gran  parte  calcaree  ne  formano  le  due  sponde  occidentale 
ed  orientale  e con  le  numerose  loro  frastagliature  danno 
luogo,  specialmente  nel  lato  occidentale,  ad  altrettanti  se- 
ni o piccoli  porti. 

Terreni  riferibili  all’  eocene  ed  al  cretaceo  , costituiscono 
per  intero  i monti  e le  colline  per  le  quali  il  golfo  è di- 
feso dal  lato  di  settentrione  e con  le  loro  diramazioni  col- 
legandosi alle  catene  laterali  poc’  anzi  accennate , scendono 
dolcemente  fino  al  mare  presso  della  città  stessa  che  si  può 
dire  addossata  in  parte  ad  una  di  tali  diramazioni. 

Le  montagne  calcaree  del  lato  occidentale  si  abbassano 
e si  restringono  verso  P estremità  loro  meridionale  ove  ter- 
minano attualmente  con  la  punta  di  S.  Pietro  a Portove- 
nere,  mentre  per  soli  metri  120  sono  divise  dall’isola 
Palmaria  che*  ne  è la  continuazione  e questa  per  breve  tratto 
disgiunta  dal  Tiro  e dal  Tiretto  isolette  minori  a mezzo- 
giorno della  Palmaria , umili  ma  interessantissime  dal  punto 
di  vista  geologico  e paleontologico.  Normalmente  poi  alla 
direzione  loro  sono  le  ricordate  montagne  divise  da  piccole 


Studi  sull’  Infralì  as  ec. 


253 


valli  solcate  per  lo  più  da  qualche  torrente,  ed  è nell’  in- 
terno od  alla  foce  di  esse  che  trovansi  altrettanti  graziosi 
paesi , diversi  per  1’  aspetto  loro  in  generale  non  solo , ma 
eziandio  per  il  dialetto  e i costumi  degli  abitanti.  Nel  lato 
orientale  finalmente,  la  formazione  calcarea  in  relazione  con 
terreni  più  antichi  forma  quasi  un  elissoide  il  cui  asse  mag- 
giore trovasi  nella  direzione  del  golfo  che  ne  bagna  il  contor- 
no occidentale  e meridionale  ; ad  oriente  è limitata  dal  fiume 
Magra  e a settentrione  i terreni  più  antichi  si  trovano  in 
parte  a contatto  dell’  eocene  e del  cretaceo  ed  in  parte  sono 
attorniati  dalle  paludi  dette  Stagnoni. 

Il  geologo  che  si  propone  di  acquistare  qualche  nozione 
sulla  geologia  dei  dintorni  della  Spezia , d’  ordinario  inco- 
mincia col  fare  una  corsa  in  battello  fino  a Portovenere,  e 
scendendo  a Grotta  Arpaja  vi  trova  anche  oggi  numerosi 
fossili  trascurati  o non  visti  da  coloro  che  lo  precedettero 
nelle  stesse  ricerche  (1). 

Quei  fossili  appajono  alla  superficie  del  calcare  nero 
stato  lungamente  esposto  all’  azione  delle  onde  e degli  a- 
genti  atmosferici.  Le  stratificazioni  calcaree  rotte  in  for- 
me bizzarre  rendono  tanto  sublime  quella  località,  spe- 
cialmente allorché  infuria  il  libeccio  ; 1’  onda  s’  innalza  spu- 
meggiante formando  uno  stupendo  contrasto  con  la  tinta 
nerissima  delle  roccie  contro  le  quali  s’  infrange,  e mentre 
inorridisce  il  curioso  al  primo  affacciarsi  a contemplar  quella 
scena  dall’  apertura  per  la  quale  da  S.  Pietro  si  scende  alla 
grotta , se  il  sole  si  mostra  a quando  a quando  fra  lè  nubi 
e l’  ora  è propizia,  sulla  porzione  vaporosa  dell’  onda  che 
si  elevò  fino  all’  altezza  alla  quale  trovasi  lo  spettatore , 
veggonsi  rapidamente  apparire  i colori  i più  vaghi  dell’  iride. 

Se  io  spettacolo  che  ci  presenta  in  quell’  istante  la  Grot- 
ta Arpaja  è imponente,  non  è quello  il  momento  in  cui 
è dato  al  naturalista  di  studiarne  la  storia;  bensi  appena 
cessata  la  bufferà  potrà  perlustrare  tranquillamente  ogni 
scoglio,  con  grande  probabilità  di  trovare  allora  ciò  che  non 
fu  precedentemente  osservato. 


(1)  V.  Tav.  2.  Fig.  4. 


254 


Giovanni  Capellini 


La  natura  durante  la  burrasca  fa  ciò  che  in  piccolo  noi 
ripetiamo  nei  nostri  gabinetti , lava  e spoglia  quei  calcari 
della  parte  marnosa  superficiale  ^ ed  i fossili  più  minuti  si 
scorgono  allora  distintamente , per  cui  più  d’  una  volta  io 
stesso*  stetti  impaziente  aspettando  la  calma  con  la  speran- 
za di  fruttuose  ricerche.  Altre  località  di  facile  accesso  e 
perciò  state  frequentemente  esaminate  sono  le  ricordate 
vicine  isole  Palmaria,  Tiro,  Tiretto  ove  ritrovasi  la  con- 
tinuazione della  serie  delle  roccie  che  si  hanno  a Grotta 
Arpaja.  I fossili  ivi  sono  ancor  più  abbondanti,  e chi  potè 
approfittare  di  una  calma  quale  si  richiede  per  approdare 
specialmente  alle  due  ultime , avrà  raccolto  in  brev’  ora 
quanto  a Grotta  Arpaia  oggi  sarebbe  difficile  sperare  in 
lunghe  settimane  di  lavori  e ricerche. 

Da  questa  parte  estrema  della  catena  occidentale  , se  ci 
dirigiamo  verso  settentrione , in  qualunque  punto  noi  fac- 
ciamo una  sezione  normale  alla  sua  direzione  principale , 
ossia  da  N.E  a S.O  ritroviamo  facibnente  la  continuazione 
esattissima  di  quanto  si  è potuto  studiare  nelle  ricordate 
località , se  non  che  i fossili  diventano  meno  frequenti  per 
essere  meno  estese  le  porzioni  degli  strati  fossiliferi  denu- 
date , trovandosi  invece  inclusi  fra  altri  strati  non  fossili* 
feri  che  li  accompagnano. 

La  punta  del  Pescino , la  Castellana , Goregna  hanno  an* 
eh’  esse  da  gran  tempo  fornito  il  loro  contingente  per  la 
paleontologia  del  calcare  nero,  e nelle  rimanenti  montagne 
ancora  piu  al  nord  si  possono  sempre  ritrovare , se  non 
fossili  ben  conservati , almeno  tali  resti  da  poter  stabilire 
la  continuità  delle  diverse  stratificazioni. 


Studi  sull’  Infbalias  ec.  255 

STRATIGRAFIA 

Delle  montagne  della  catena  occidentale. 


Dopo  avere  citato  le  più  importanti  località  pei  fossili 
del  piano  infraliassico  nel  lato  occidentale  del  Golfo  ed  ac- 
cennata la  continuità  di  quella  formazione  lungo  tutta  la 
catena  montuosa  dello  stesso  lato , esaminiamo  come  di  que- 
sti dati  giovaronsi  i geologi  per  fissare  la  cronologia  del 
calcare  nero,  il  quale  potendosi  considerare  come  1*  elemento 
principale,  fu  dai  geologi  prescelto  a denotare  tutta  la  serie 
che  ad  esso  collegasi. 

I geologi  prendendo  le  tnosse  dall’  estremità  della  ca- 
tena occidentale,  ed  ammettendo  come  normale  il  relativo 
ordine  di  sovrapposizione  dei  calcari  e schisti  delle  isole 
Tiretto , Tiro , Palmaria , viddero  gli  strati  di  calcare  nero 
che  inclinati  appena  di  20°  verso  oriente  al  Tiretto , van- 
no rialzandosi  mano  mano  che  si  avanza  verso  la  porzione 
settentrionale  della  catena,  e dopo  aver  quasi  raggiunto  la 
verticale  nella  montagna  di  Goregna , veggonsi  già  a Parodi 
piegati  in  senso  inverso.  Questo  latto  abbastanza  sensibile 
e facile  a verificarsi  per  la  prima  parte  non  lo  era  però 
egualmente  per  1’  ultima,  poiché  si  trattava  di  esaminare 
se  le  porzioni  di  strati  le  quali  viste  da  chi  trovasi  in  un 
battello  in  mezzo  al  golfo  appaiono  soltanto  come  strati  il 
cui  lembo  si  ripiega  in  senso  inverso  a quello  della  incli- 
nazione loro,  non  accennavano  invece  ad  una  generale  in- 
clinazione degli  strati  in  direzione  assolutamente  opposta  a 
quella  trovata  all’  estremità  meridionale  della  catena.  Intan- 
to ritenendo  inutile  di  arrampicarsi  fino  sulla  vetta  di  Paro- 
di o del  Bermego  (1) , parecchi  geologi  se  ne  tornarono  per- 
suasi che  1’  ordine  naturale  relativo  di  sovrapposizione  fosse 


(1)  La  sommità  del  monte  Parodi  presenta  due  punte,  quella  al  N.  è 
ra.  672,  91  sul  livello  del  mare,  quella  al  S.  m.  624. 


256 


Giovanni  Capellini 


quale  si  osserva  alla  Palmaria,  alla  Castellana,  a Coregna,  e 
nei  loro  gabinetti  forzarono  i fossili  raccolti  a venire  in  ap- 
poggio delle  loro  vedute,  anziché  esaminarli  ( come  dee  far- 
si ) senza  idee  preconcette  e vedere  se  la  paleontologia  e la 
stratigrafia  s’ accordavano,  come  deve  essere  allorché  le  Os- 
servazioni sono  esatte.  Per  tal  modo  il  calcare  nero  fossili- 
fero giudicato  come  superiore  a tutta  la  formazione  fossilifera 
della  catena  occidentale,  fu  dai  vari  geologi  riferito  a tut- 
te le  divisioni  che  si  contano  dal  Lias  inferiore  risalendo 
fino  al  neocomiano  inclusive  col  cui  nome  fu  da  ultimo 
battezzato  dietro  P esame  di  un  discreto  numero  di  fossili. 
Due  soli  osservatori  accordandosi  con  coloro  che  giudica- 
vano il  calcare  nero  come  liassico,  sostennero  dippiù  che 
nella  catena  occidentale  del  golfo  era  avvenuto  un  rovescia- 
mento e che  il  calcare  nero  ricopriva  una  gran  serie  di 
strati  tutti  comparativamente  molto  più  recenti  di  esso. 

I due  geologi  ai  quali  faccio  allusione  furono  Pilla  e 
Murchison , e posso  assicurare  che  solamente  dopo  aver  com- 
piuto i miei  studi  stratigrafici , trovai  non  essere  il  primo 
a verificare  un  fatto  che  per  se  basta  a cambiare  comple- 
tamente quanto  è stato  scritto  dai  più  intorno  alla  località 
della  quale  ci  occupiamo. 

Pilla  e Murchison  dopo  avere  studiato  i terreni  giu- 
rassici della  Lombardia  e delle  Alpi,  avevano  riscontrato 
tale  analogia  fra  questi  e quelli  della  Spezia,  che  non  tro- 
vando corrispondenza  nell’  ordine  stratigrafico , indovinaro- 
no ciò  che  finalmente  sono  in  grado  di  accertare  dopo  lunghe 
e penose  ricerche. 

Facendo  una  sezione  nella  porzione  più  settentrionale 
della  catena  p.  e.  dalla  punta  di  Manarola  per  il  monte 
Bermego  e da  questo  punto  fino  alla  strada  regia  in  vici- 
nanza di  S.  Benedetto , trascurando  le  suddivisioni  che  ap- 
pariranno meglio  in  altra  sezione  paralella  a questa  e che 
esamineremo  fra  poco , noi  troviamo  : 

A partire  dal  mare  fino  al  punto  culminante  della  ca- 
tena, macigno  argilloso  con  alcune  sue  varietà  che  citere- 
ma  111  seguito.  Fino  a quell’  altezza  che  si  può  calcolare 
circa  0 m.  sul  livello  del  mare  si  cammina  sempre  sul 


Studi  sull’  Infralias  ec. 


257 


macigno  perchè  I* inclinazione  generale  di  tutti  gli  strati  è ver- 
so S.O  ove  s’immergono  ed  il  macigno  e la  roccia  più  giovane 
che  s’  incontra  ; ma  proseguendo  verso  N.E.  si  scende  sul- 
le testate  delle  roccie  che  seguono  inferiormente  e si  avanza 
sempre  verso  la  porzione  più  antica.  Alle  roccie  riconoscibili 
come  spettanti  al  macigno  e quindi  eoceniche  succedono 
infatti  degli  schisti  varicolori  ed  un  calcarè  grigio  chiaro  con 
selce  ma  finora  senza  fossili , calcare  che  ci  riesce  difficile 
il  decidere  se  s’  abbia  a considerare  come  cretaceo  ovvero 
come  giurassico  superiore.  In  seguito  s’  incontra  la  potente 
massa  di  schisti  a Posidonomya  Bronni , poscia  la  serie  dei 
calcari  e schisti  con  ammoniti  ed  altri  fossili  piritizzati 
( per  la  maggior  parte  liassici  ) che  con  le  loro  testate  co- 
stituiscono la  parte  occidentale  della  vetta  del  monte  Ber- 
mego , mentre  1’  orientale  risulta  da  quel  calcare  dolorhitico 
il  quale  esaminato  in  piccola  area  presenta  i caratteri  di 
roccia  eruttiva  per  essere  tutto  sconvolto  e modificato  (1). 
In  realtà  egli  è distintamente  stratificato  e con  le  testate 
delle  stratificazioni  forma  in  parte  il  pendio  orientale  del 
Bermego,  e poco  prima  di  arrivare  ad  un  piccolo  gruppo  di 
case  detto  Pozzo , si  trova  adagiato  sulla  continuazione  della 
serie  fossilifera  di  Tiro,  Palmaria,  Grotta  Arpaia;  quindi 
inferiormente  a questa  gli  schisti  a Bactryllium , e finalmente 
una  dolomia  cavernosa  fiella  quale  trovansi  porzioni  corri- 
spondenti in  tutte  quelle  località  del  golfo  ove  il  solleva- 
mento è stato  abbastanza  grande  per  mettere  a giorno  questa 
roccia , la  più  antica  di  quante  se  ne  osservano  nella  ca- 
tena occidentale , ma  che  doveva  essere  più  recente  ancora 
del  cretaceo  inferiore  se  realmente  le  relazioni  stratigrafiche 
del  calcare  nero,  ab  origine  fossero  state  quali  le  vediamo  og- 
gi all’  estremità  della  catena  stessa. 

Continuando  verso  oriente  si  trova  che  il  terreno  eoce- 
nico in  serie  discordante  viene  ad  appoggiarsi  contro  il 


(1)  Nel  calcare  dolomitico  ( dolomia  superiore  ) di  monte  Parodi  vi  sono  fi- 

loni di  galena  argentifera:  ne  fu  tentata  in  diverse  epoche  la  coltivazione  al 
luogo  detto  Cava  dell’  Oro,  ma  infruttuosamente. 

T.  1. 1 *  03 


258 


Giovanni  Capellini 


calcare  cavernoso  o dolomia  inferiore  dei  monti  della  Spezia , 
e la  faglia  perla  quale  ciò  accade,  col  suo  prolungamento 
dà  origine  al  golfo  e lung’  essa  si  hanno  una  quantità  di 
sprugole  o Katavotra  e di  sorgenti,  delle  quali  è splendido 
esempio  la  Polla  che  sgorga  dal  fondo  del  mare  dirimpetto 
al  forte  S.  Michele  presso  Cadmiare. 

Da  quanto  si  è osservato  risulta,  che  nei  monti  Parodi 
e Bermego,  come  pure  negli  altri  ancora  più  a settentrione, 
non  si  ha  già  un  lembo  rovesciato  in  senso  inverso  all’  in- 
clinazione generale , bensi  tutta  quanta  la  massa  stratificata 
concordante  e con  inclinazione  opposta  diametralmenté  a 
quella  delle  stratificazioni  stesse  nelle  isole  e nelle  mon- 
tagne all’  estremità  occidentale  del  golfo. 

In  breve  si  vedrà  quante  buone  ragioni  si  abbiano  per 
sostenere  che  la  serie  cronologica  è completamente  invertita 
al  sud  e non  già  al  nord , ma  quand’  anche  fossero  mancati 
in  appoggio  altri  studi  stratigrafici  e la  testimonianza  dei 
fossili  numerosi  e non  equivoci,  si  poteva  sempre  chiedere 
se  constatata  questa  diversa  direzione  nella  inclinazione  ai 
due  estremi  della  catena , fosse  da  riguardarsi  in  posto  la 
porzione  più  esigua  e supporre  rovesciata  la  serie  ove  la 
base  della  catena  * montuosa  anche  limitata  dalla  collina  di 
S.  Benedetto  avrebbe  sempre  una  larghezza  di  metri  5500 
circa  : e ciò  ammesso  come  rendersi  conto  della  serie  eoce- 
nica concordante  come  si  è visto  ?Xa  faglia  che  si  osserva 
nel  lato  occidentale  del  Muzzerone  e della  Castellana  non 
si  continua  là  ove  il  terreno  del  macigno  ha  sostenuto  le 
sottoposte  formazioni  le  quali  tendevano  a rovesciarsi  dopo 
che  sollevate  per  un  movimento  da  oriente  verso  occiden- 
te avevano  raggiunta  la  verticale.  Il  suo  prolungamento 
dovette  supporsi  da  coloro  che  considerarono  la  formazione 
del  macigno  trovarsi  a contatto  con  quanto  giudicavano  più 
antico  del  calcare  nero  fossilifero  e del  calcare  e schisti  con 
ammoniti  e fossili  piritizzati. 

La  montagna  di  Coregna  per  la  sua  vicinanza  alla  Spe- 
zia, per  la  facilità  che  offre  lo  studio  delle  relazioni  stra- 
tigrafiche delle  varie  roccie  che  ben  denudate  si  presentano 
risalendo  i due  canali  per  i quali  è separata  dal  monte  di 


Studi  sull9  Infralias  ec. 


259 


S.  Croce  al  nord  e dalla  Castellana  al  sud,  èd  oltre  a 
ciò  per  le  ricchezze  paleontologiche  fornite  in  ogni  tempo, 
fu  scelta  dai  più  dei  geologi  come  uno  dei  punti  della  ca- 
tena occidentale  attraverso  il  quale  fosse  interessante  fare 
una  sezione  geologica. 

La-Béhe,  Coquand , Pilla,  Murchison,  Savi,  Meneghini, 
in  epoche  diverse  e con  diverse  vedute  pubblicarono  ripe- 
tutamente tale  sezione  ed  alcune  delle  ultime  scoperte  pa- 
leontologiche necessitarono  il  Prof.  Meneghini  ad  immagi- 
nare quella  che  fu  pubblicata  in  una  memoria  del  Prof.  Coc- 
chi (1)  ; quindi  se  ho  creduto  bastasse  il  ricordare  a grandi 
tratti  ciò  che  si  osserva  nella  sezione  per  monte  Bermego 
sarò  più  minuzioso  per  ciò  che  riguarda  Coregna , corredan- 
do la  descrizione  con  disegno  di  taglio  geologico  affinchè 
se  non  altro  si  possa  stabilire  un  confronto  fra  questo  e 
quelli  anteriormente  pubblicati  dai  sopra  ricordati  geologi. 
Per  amore  del  vero  piacemi  però  di  aggiungere  che  parten- 
do dal  principio  che  le  relazioni  stratigrafìche  fossero  vera- 
mente quali  appaiono  nelle  isole  tante  volte  citate  e nella 
stessa  Coregna,  allorché  incominciava  ad  occuparmi  di  quel- 
le località  ammisi  io  pure  teoricamente  T esistenza  della 
faglia  che  in  seguito  non  mi  riesciva  mai  di  verificare,  e 
tenni  per  lungo  tempo  fra  i miei  cartolari  P abbozzo  di 
una  sezione  di  Coregna  che  più  o meno  per  le  grandi  di- 
visioni s’  accordava  con  quella  pubblicata  nelle  Considera- 
zioni sulla  geologìa  toscana  dei  Prof.  Savi  e Meneghini. 

Dopo  scrupolosi  studi  stratigrafici  non  potendo  accettare 
ciò  che  teoricamente  veniva  ammesso  dal  Prof.  Meneghini 
nel  taglio  sopra  citato , venni  in  grande  sospetto  che  il  non 
accordo  della  paleontologia  con  la  stratigrafia  per  il  monte 
Coregna  dipendesse  da  cattiva  interpretazione  dei  fatti. 
Spogliatomi  d’  ogni  idea  preconcetta , libero  da  spirito  di 
parte , incominciai  nuovi  studi  dal  vero  e raccolsi  quanti 


(1)  Cocchi  J.  Description  des  roches  ignées  et  sédimentaires  de  la  Toscane  ec. 
Bnll.  Soc.  géol.  de  France  2.e  Sèrie  T.  XIII.  février  1856. 


2W 


Giovanni  Capellini 


fossili  potei  incontrare , proponendomi  di  studiarli  in  se- 
guito, quasi  ignorassi,  la  loro  provenienza  e quindi  i rap- 
porti con  la  stratigrafia , sempre  sperando  che  la  stratigrafia 
e la  paleontologia  dovessero  accordarsi,  quando  avessi  colto 
sul  segno. 

Una  sezione  condotta  dal  mare  in  corrispondenza  dello 
scoglio  ferrato  e che  passi  per  il  monte  di  Campiglia , il 
monte  del  Paradiso , la  cima  di  Coregna  e scenda  fino  al 
golfo  presso  la  cappella  della  Madonna  del  Porto , ci  pre- 
senta la  seguente  successione  di  strati.  ( Tav.  la  fig.  la.) 

l.°  Macigno  argilloso  giallognolo  facilmente  disgregabile, 
con  grandi  amigdale  di  macigno  compatto  paragonabile  alla 
pietra  serena  dei  toscani.  Queste  amigdale  scoperte  dàlia 
denudazione  e talvolta  scavate  espressamente,  forniscono  le 
lastre  che  si  lavorano  a Marola  ed  alla  Spezia , servono  ai 
selciati  di  questa  città  e si  spediscono  per  lo  stesso  uso 
fino  a Genova.  Gli  strati  di  macigno  poco  fra  loro  distinti 
inclinano  rapidamente  a S.O  e formano  tutto  il  pendio  oc- 
cidentale dei  monti  che  da  Campiglia  si  estendono  fino  al 
Mesco  presso  Monterosso  nelle  cinque  terre. 

Inferiormente  il  macigno  ricordato  diventa  grossolano  , i 
suor  elementi  raggiungono  perfino  cinque  millimetri  di  dia- 
metro e costituiscono  la  varietà  detta  pietra  cicerchina  la 
quale  alla  sua  volta  fa  più  in  basso  graduato  passaggio  ad 
una  puddinga  o macigno  puddingoide,  se  così  si  preferisce 
chiamarlo.  Nel  macigno  puddingoide  noi  troviamo  perfino 
ciottoli  del  diametro  di  due  centimetri  ad  un  decimetro , 
per  cui  sarebbe  facile  di  stabilire  quali  roccie  fornirono  gli 
elementi  ónde  risulta  il  macigno  di  quella  località.  Finóra 
non  mi  sono  occupato  di  uno  studio  speciale  di  tali  ele- 
menti, ma  posso  dire  che  prevalentemente  sono  le  rocciè 
che  incontriamo  nel  gruppo  del  Verrucano  ; Coquand  riferi- 
sce avervi  trovato  anche  frammenti  di  granito  e questo  sarà 
interessante  a verificarsi. 

Le  due  varietà  di  macigno  ultimamente  ricordate  pre- 
sentano le  stratificazioni  quasi  verticali  come  si  può  vedere 
nella  figura  citata  nella  quale  le  altezze  essendo  nella  scala 
stessa  delle  lunghezze,  è facile  rendersi  conto  come  in  prò- 


Studi  sull5  Infralì as  ec. 


porzione  della  base  sia  grandissima  1’  elevazione  della  catena 
montuosa  in  corrispondenza  della  sezione  (1). 

2. °  Schisti  galestrini  rosso-vinati  e verdastri , che  si  ri- 
ducono facilmente  in  scheggie  a spigoli  acuti;  la  loro  po- 
tenza varia  nei  diversi  punti  ove  si  esaminano , stanno  im- 
mediatamente al  disotto  del  macigno,  e per  molto  tempo  i 
geologi  che  si  occuparono  delle  montagne  della  Spezia, 
stettero  in  forse  se  dovevansi  considerare  in  rapporto  col 
macigno  ovvero  come  inferiori  a tutta  la  serie  giurassica 
che  riguardarono  come  discordante  con  la  formazione  eoce- 
nica per  la  faglia  accennata  dal  Collegno  prima  che  da  altri. 

Questi  schisti  offrono  pochissima  resistenza  all5  azione  degli 
agenti  atmosferici  e quindi  per  la  loro  profonda  denudazio- 
ne ha  origine  un  solco  il  quale  segna  la  direzione  delle  testate 
delle  loro  stratificazioni  e fu  in  generale  creduto  accennasse 
alla  faglia , la  quale  per  altro  teoricamente  per  il  più  dei 
geologi  che  la  ammisero  non  corrisponderebbe  esattamente 
a quel  limite  : dissi  teoricamente  perchè  della  concordanza 
di  tutte,  le  altre  roccie  che  andremo  ora  esaminando,  non 
vi  è modo  di  dubitare  stando  a quel  che  si  vede  anche  a 
Goregna,  soltanto  si  trova  come  sottoposto  ciò  che,  a Paro- 
di e meglio  al  Bermego  veaesi  sopra  e nella  vera  sua  ori- 
ginaria posizione, 

3. °  Calcare  alberese  impuro,  venato,  che  fa  passaggio  ad 
altra  forma  litologica  la  quale  si  potrebbe  dire  benissimo 
un  calcare  maiolica  per  la  grandissima  analogia  che  presen- 
ta con -quello  dei  monti  oltre  Serchio  presso  Pisa  e la  maiolica 
dei  geologi  lombardi.  In  connessione  col  calcare  alberese 
ora  ricordato  s5  incontrano  diaspri  argillosi  frammentar]  o 
ftaniti  come  alcuni  li  hanno  in  parte  chiamati;  altra  volta 
li  ho  detti  diaspri  manganesiferi  perchè  nella  Liguria  sono 
sempre  accompagnati  da  giacimenti  più  o meno  importanti 
di  quel  minerale.  Dubito  che  queste  due  forme  litologiche 
si  possano  riferire  al  cretaceo,  ma  non  ho  dati  sufficienti  per 
asserirlo  positivamente. 


262 


Giovanni  Capellini 


4-.°  Schisti  che  chiamerò  varicolori  perchè  realmente 
presentano  alternanze  di  tinte  svariatissime  ; con  molta  pro- 
babilità si  possono  riferire  ai  veri  schisti  varicolori  del  giu- 
rassico superiore  dei  Monti  Pisani. 

5. °  Schisto  argilloso  verdognolo  compatto  , indurato  , 
( Novaculite  ) con  noccioli  silicei  e amigdale  di  calcare 
marnoso  dello  stesso  colore.  Alcune  varietà  di  questo  schi- 
sto nel  canale  di  Gampiglia  sono  ricercate  per  farne  pietre 
da  rasoi  che  si  spediscono  fino  in  America , si  lavorano  a 
Marola,  Gadimare  e Fezzano,  ed  il  commercio  si  fa  dai  ma- 
rinai di  quei  paesi  medesimi  ; lungo  il  rimanente  della 
catena  montuosa  presenta  notevoli  modificazioni  e forse  una 
di  queste  è il  calcare  grigio  verdastro  con  straterelli  di 
selce  che  s’  incontra  lungo  il  sentiero  che  guida  dalla  Gor- 
vara  a monte  Malpertuso. 

6. °  Dallo  schisto  precedente  si  fa  in  alcuni  punti  passag- 
gio insensibile  ad  una  potente  massa  di  schisti  che  diremo 
a Posidonomya,  atteso  la  quantità  veramente  straordinaria  di 
impronte  di  quel  fossile.  Lionati  nel  Monticello  o monte  del 
Paradiso  di  Coregna,  talora  leggermente  verdastri  in  alcuni 
punti,  a Parodi  ci  si  presentano  di  colov  rosso-vinato  da  poter- 
li confondere  con  ^erte  varietà  di  schisti  galestrini,  quando 
mancassero  le  impronte  di  Posidonomya  che  li  caratterizzano. 

7 . °  Calcare  rosso  ammonitifero  dei  geologi  toscani,  ma 
che  realmente  è un  calcare  compatto  il  quale  varia  di  tin- 
ta dal  rosso  fino  al  giallo  sudicio  ed  al  grigio , d’  ordinario 
in  strati  piuttosto  sottili. 

8. °  Schisti  lionati  con  impronte  di  Ammoniti , intercala- 
ti fra  strati  di  calcare  grigio  con  ammoniti  ed  altri  fossili 
piritizzati  ; inferiormente  mancano  gli  schisti  con  impronte 
e continua  una  alternanza  di  calcare  e schisti  ad  ammoni- 
ti piritizzate. 

9. °  Schisti  calcarei  nerastri  analoghi  alle  ardesie  per  il 
modo  di  dividersi;  trovansi  anche  alla  Palmaria  ove  si  os- 
servano nel  lato  occidentale  in  posizione  più  decisamente 
invertita  e quasi  al  livello  del  mare  : vi  si  incontrano  co- 
piosi avanzi  di  belemniti. 

10.  Potente  massa  di  calcare  dolomitico,  il  quale  mentre 


Studi  sull’  Infralì as  ec. 


263 


ha  T aspetto  di  roccia  eruttiva  se  si  esamina  in  piccolo 
spazio  ( come  già  si  è detto  ) , non  è nè  questo  nè  una 
diga  metamorfica  che  interessi  soltanto  porzione  di  strati. 
Il  calcare  dolomitico  al  quale  accenniamo  a guisa  di  tutte  le 
altre  roccie  citate  è in  strati  distintissimi  come  si  può 
meglio  verificare  all’  isola  Palmaria.  L’  alternanza  di  strati 
molto  dolomitici  con  altri  che  lo  sono  meno  ( alcuni  dei  quali 
candidi  ed  altri  perfettamente  scuri  come  nella  più  volte  ri- 
cordata isola  Palmaria  ed  a S.  Pietro  ) , mi  fa  sospettare  che 
tale  modificazione  avvenisse  mentre  quel  calcare  si  deponeva, 
ed  il  carbonato  di  magnesia  si  depositasse  contemporanea- 
mente al  carbonato  calcare  ; è indubitabile  però  che  in  e- 
poca  molto  posteriore  abbia  subite  nuove  modificazioni  e 
sia  stato  potentemente  corroso,  per  cause  alle  quali  ho  fatto 
allusione  brevemente  in  altro  lavoro  e che  non  ho  qui  im 
tenzione  di  svolgere  maggiormente  (1). 

1 1 . °  Al  limite  del  calcare  dolomitico  col  calcare  nero  fos- 
silifero sta  il  celebre  marmo  portoro  incluso  fra  i due  ul- 
timi strati  del  calcare  dolomitico  stesso,  mentre  alcuni 
spacchi  originatisi  pure  in  quest’  ultimo  hanno  dato  ricetto 
alla  formazione  dei  marmi  brecciati  scavati  in  prossimità  di 
Coregna  propriamente  detta. 

Riguardo  al  marmo  portoro  ho  avuto  occasione  di  fare 
alcune  osservazioni  per  le  quali  ho  potuto  rendermi  conto 
del  suo  modo  di  formazione , ed  è parlando  dell’  isola  Tiro 
che  mi  riservo  ad  esporle  (2).  . 

12. °  Seguono  i calcari  e schisti  calcarei  e marnosi  fossilife- 
ri, quel  gruppo  che  fu  indicato  complessivamente  col  nome  di 
calcare  nero  fossilifero  dei  monti  della  Spezia,  comprendendo 
sotto  tale  denominazione  tuttoquanto  stava  al  disopra  e 
per  me  inferiormente  al  calcare  dolomitico  ora  citato.  Sic- 


([)  Per  il  cale,  dolom.  V.  Delanoue.  Bull.  Soc.  gioì,  de  France  2e.  Sèrie 
T.  III.  pag.  42.  Paris.  1845.  Capellini  — Sulla  presenza  del  ferro  oolttico 
nelle  montagne  della  Spezia.  Genova  1860. 

(21  A Coregna  si  può  calcolare  a circa  2 
dolomitico  con  marmo  portoro  associalo. 


metri  la  potenza  del  calcare 


Giovanni  Capellini 


come  questi  calcari  e schisti  benché  perfettamente  caratte- 
rizzati dai  fossili  , anche  a Goregna,  non  sono  quivi  svi- 
luppati altrettanto  che  al  Tiro , basti  F averli  indicati  per 
far  conoscere  il  posto  relativo  che  occupano  e per  stabilire 
una  distinzione  fra  gli  strati  ricchi  di  fossili  e quelli  ove 
non  si  incontra  quasi  traccia  di  resti  organici  ; riservando- 
cene F esame  quando  si  parlerà  della  sezione  dell’  isola  Tiro 
ove  questa  serie  si  presenta  con  tale  sviluppo  che  d’  ora  in 
poi  la  distinguerò  col  nome  di  serie  fossilifera  deir  isola  Tiro. 

13.  Fra  la  serie  fossilifera  del  Tiro  e cèrti  calcari  più  o 
meno  dolomitici  e senza  fossili,  stanno  gli  schisti  a Bactryl- 
lium  e quelli  a Myacìtes  faba  e Plicatula  Mortilieti  che  posso- 
no servire  come  orizzonte  geologico  al  pari  di  altri  strati  fos- 
siliferi nelle  montagne  del  golfo,  perchè  senza  interruzione 
si  seguono  lungo  tutta  la  catena  occidentale  e nella  orien- 
tale ancora , occupando  il  posto  relativo  che  loro  era  stato 
già  assegnato  in  altre  località  ove  prima  assai  che  alla  Spe- 
zia quelle  minutissime  impronte  erano  state  scoperte  e 
studiate. 

Nella  sezione  attraverso  il  monte  di  Coregna  non  è dato 
vedere  la  continuazione  della  serie  inferiormente  a quanto 
abbiamo  accennato , ma  questa  si  trova  ben  sviluppata  nel- 
1 altro  lato  del  golfo,  e si  vedrà  quando  nella  sezione  per 
Capo  Corvo  si  continuerà  a discendere  nella  serie  delle  va- 
rie formazioni  passando  rapidamente  in  rivista  le  roccie  del 
Verrucano  e ciò  che  trovasi  interposto  fra  il  Verrucano  pro- 
priamente detto  e F Infralias  ; frattanto  esamineremo  di  quali 
eementi  stratigrafìci  si  componga  la  serie  fossilifera  del 
Tiro  che  si  può  dire  rappresentare  la  parte  più  interes- 
sante del  piano  geologico  a cui  si  riferisce. 

Sull’  estremità  N.O . dell’isola  Tiro  il  calcare  dolomitico 
costituisce  una  scogliera  biancheggiante  nella  quale  a gran 
stento  si  possono  ritrovare  le  antiche  linee  di  stratificazione 
se  si  esamina  dal  lato  che  guarda  il  bacino  del  golfo,  men- 
re  nel  lato  occidentale  tagliato  a picco , quelle  linee  si 
veggono  distintissime. 

Questi  strati  calcarei  dolomitici  con  una  inclinazione  ap- 
pena di  18  a 20°  vengono  ad  immergersi  a S.E.  a cir- 


Stupì  sull’  Infralias  ec. 


265 


ca  250  metri  dall’  estremità  N.O.,  a piccola  distanza  dalla 
grotta  scavata  dalle  onde  sotto  le  rovine  dell’  antico  mo- 
nastero (1). 

Il  marmo  portoro  per  esser  quivi  invertito  V ordine  pri- 
mitivo della  serie,  come  già  fu  indicato,  occupa  la  parte 
superiore  di  questi  calcari  dolomitici  coi  quali  anzi  devesi 
riguardare  come  intimamente  connesso,  essendo  intercalato 
fra  due  strati  di  calcare  dolomitico  più  o meno  biancastri 
e cristallini  al  pari  di  quelli  che  vi  fan  seguito , e mentre 
esaminato  in  altri  punti  della  catena  ove  è più  frequente, 
difficilmente  si  riesce  a rendersi  conto  del  modo  con  cui 
si  costituiva , al  Tiro  invece  svela  benissimo  la  sua  origine. 

Nel  1860  nel  lato  orientale  dell’  isola  fu  aperta  una  cava 
nello  strato  di  marmo  portoro  pochi  metri  sopra  il  livello 
del  mare  ove  si  immerge  col  rimanente  dei  calcari  dolomi- 
tici sopra  accennati*  Avendo  esaminato  quello  strato  mar- 
moreo non  solo  avanti  ma  altresì  durante  1’  escavazione , 
ricercando  attentamente  la  porzione  stata  per  lungo  tem- 
po esposta  all’  azione  delle  onde , potei  accertarmi  anche 
della  vera  spiegazione  dell’  origine  di  quel  marmo  rinoma- 
tissimo (2).  Il  Portoro  deve  il  suo  nome  a Portovenere  ove 
furono  aperte  le  prime  cave  e benché  alcuni  pretendano 
che  dapprima  si  scavasse  nel  lato  orientale  del  golfo  segna- 
tamente allorché  Luni  era  tanto  ricordata  anche  per  i suoi 
marmi , certo  è che  quando  il  marmo  nero  venato  di  giallo 
cominciò  ad  essere  in  pregio , fu  subito  conosciuto  sotto  il 
nome  dì  Portovenere  poscia  per  brevità  mutato  in  Portoro. 
Le  venature  e macchie  giallo-dorate  che  si  presentano  so- 
pra un  fondo  grigio  o nerastro  sono  in  generale  meno  dure 


266 


Giovanni  Capellini 


e si  può  facilmente  indovinarne  1’. origine  marnosa-ferrugi- 
nosa,  ed  al  Tiro  in  quelle  porzioni  di  strati  che  sono  a por- 
tata delle  onde  si  vede  che  la  sostanza  marnosa  in  sottili 
foglietti  si  intercala  fra  strati  calcarei  più  o meno  spessi  e 
che  le  macchie  sono  il  prodotto  dell’  accumulamento  della 
sostanza  marnosa  operato  dalla  pressione  e forse  in  rela- 
zione con  ineguaglianze  della  superficie  degli  strati  calca- 
rei sui  quali  si  depositava. 

Queste  vene  sono  perfettamente  paralelle  alla  direzione 
delle  altre  linee  dì  stratificazione  del  calcare  dolomitico  6 
solamente  per  opera  della  pressione  e del  metamorfismo  i 
foglietti  marnosi  si  sono  saldati  con  gli  strati  calcarei , si  sono 
indurati  ed  hanno  formato  un  sol  tutto  come  si  può  veri- 
ficare al  Tiro , ove  partendo  da  una  porzione  di  strato  in 
cui  la  marna  è stata  esportata  perchè  non  abbastanza  in- 
durata ^ veggonsi  gli  strati  calearei  che  conservano  ancora  il 
loro  posto  relativo;  poco  oltre  vi  troviamo  altresì  la  marna 
e più  avanti  vediamo  avvenuta  la  completa  saldatura  ed 
abbiamo  il  vero  portoro  (1).  Studiato  a Coregna  ed  altrove 
si  osserva  che  lo  stesso  gruppo  di  strati  a quando  a quando 
si  converte  in  vero  portoro  e talvolta  gli  strati  calcarei  e 
marnosi  che  lo  compongono  si  presentano  distinti  anziché 
saldati  fra  loro.  La  gran  serie  di  calcare  e schisti  fossili- 
feri si  trova  in  contatto  con  lo  strato  di  calcare  dolomitico 
che  al  Tiro  ricopre  il  portoro  e che  originariamente  invece 
ricopriva  la  serie  medesima , ed  intraprendendone  1*  esame 
da  questo  limite  attualmente  inferiore  e dirigendoci  verso 
la  porzione  apparentemente  più  giovane , si  ha  invece  V or- 
dine della  vera  successione  cronologica  di  quelle  roccie  dal- 
1 alto  in  basso.  La  serie  che  sto  per  descrivere  si  osserva 


(1)  Dietro  una  nota  favoritami  dal  Sig.  Agostino  Falconi,  il  numero  delle 
cave  di  portoro  state  aperte  nelle  montagne  del  golfo  ascenderebbe  a 30,  di- 
stribuite come  segue: 

Monte  Castellana  . 6. 

» Coregna  . . 3. 

» S.  Croce  . . 3. 


Tiro 1 . 

Palmaria  ....  5. 
Valle  di  Portovenere  2. 
« delle  Grazie  10. 


Studi  sull’  Infraliàs  ec. 


267 


presso  le  rovine  del  monastero  e precisamente  ove  già  si 
è studiato  il  marmo  portoro.  Atteso  la  difficoltà  di  rappre- 
sentare tutte  le  piccole  divisioni  in  un  disegno  anche  in 
scala  abbastanza  grande,  ho  pensato  indicare  la  serie  com- 
plessivamente col  N.°  12  nel  taglio  del  Tiro  Tav.  1 fig.  2 
e descriverne  poi  dettagliatamente  i principali  gruppi  con 
la  relativa  loro  potenza. 

Partendo  adunque  da  quell5  ultimo  strato  di  calcare  do- 
lomitico già  tante  volte  ricordato , facilmente  si  possono 
distinguere  : 


1. °  Strati  di  calcare  leggermente  dolomitico  e po- 

chissimo fossiliferi . 0,  96 

2. °  Strato  marnoso  giallastro  con  impronte  di  Avi- 

cula  e Pecten  cui  succedono  sottili  strati  di  cal-  % 

care  nero  a superficie  corrosa  e con  numerosi  re- 
sti di  Arca  e polipai 0,58 

Questi  strati  s5  incontrano  coi  medesimi  caratteri 
anche  al  Tiretto , località  più  interessante  ancora 
del  Tiro  per  la  quantità  di  fossili  che  vi  sono 
stati  raccolti, 

3. °  Riunione  di  18  sottili  strati  calcarei  intercalati 

con  marna  giallo-rossastra  ; lo  spessore  di  questi 
strati  varia  da  due  ad  otto  centimetri , conten- 
gono gli  stessi  fossili  del  N°  2 ma  in  minor  co- 
pia. I due  strati  che  stanno  al  limite  del  N°  4. 
hanno  m.  0,  21  di  spessore  e contengono  modelli 
di  piccole  fucoidi  delle  quali  parleremo  in  se- 
guito   m.  1,  27 

4. °  Strati  analoghi  ai  precedenti  ma  pochissimo  fos- 
siliferi   0,  48 

5. °  Calcare  con  pettini  e molti  resti  di plicatula  in- 

tusstriata . . 0,  66 

6. °  Sottilissimi  strati  calcarei  spesso  saldati  insieme 

e coi  medesimi  fossili  del  N°  5 0,  34 

7. °  Quattro  strati  calcarei  che  amerei  chiamare  strati 


m.  4,  29 


Giovanni  Capellini 


Riporto  m.  4,  29 

a piccole  fucoidi  per  essere  completamente  rico- 
perti da  quei  modelli  che  credo  doversi  riferire 
a fucoidi.  Vi  si  trovano  molti  pettini  ed  una  quan- 
tità di  modelli  di  bivalvi  ( mactra  securiformis  P) 
oltre  le  Avicule , Arche  ed  i polipai  abbastanza 
frequenti.  Questo  gruppo  è senza  dubbio  il  più 
fossilifero  di  tutta  la  serie  e forma  un  orizzonte 
interessante  e facile  a ritrovarsi  a Grotta  Arpaja 
e lungo  tutta  la  catena  occidentale  del  golfo  . 0*  33 

8. °  Strati  di  calcare  compatto  alternanti  con  calcari 
schistosi  in  lamine  sottilissime  le  quali  talvolta  si 
saldano  insieme  ; la  frattura  normale  alle  stratifica- 
zioni dopo  essere  stata  esposta  all’  azione  degli 
agenti  atmosferici  ricorda  esattamente  il  margine 

di  un  libro  non  raffilato 0,  92 

Al  Tiretto  negli  strati  corrispondenti  ve  n’  ha  una 
porzione  che  si  sfalda  facilmente  ; il  prof.  Pilla 
nel  184*5  ed  in  seguito  io  pure  nel  1857  vi  tro- 
vammo ciascuno  un  mal  Conservato  ittiolite.  L’  e- 
semplare  del  prof.  Pilla  si  può  vedere  nel  R.  Mu- 
seo di  Pisa  e P altro  fa  parte  della  mia  collezione 
paleontologica  dei  dintorni  della  Spezia. 

9. °  Scbisti  e calcare  con  venature  di  spato  calcare.  5,  70 
Gli  strati  calcarei  non  hanno  più  di  un  decimetro 

di  grossezza  e sono  rotti  e fratturati  normalmente 
ai  piani  di  stratificazione  ; gli  schisti  marnosi  coi 
quali  sono  intercalati  variano  di  colore  dal  giallo 
al  lionato  , al  pavonazzo-rossastro. 

10. °  Gruppo  analogo  al  precedente  se  si  considera  li- 
tologicamente. Gli  strati  calcarei  predominano  sui 
schistosi,  se  ne  veggono  parecchi  saldati  fra  loro 
e lo  strato  che  termina  questa  serie  misura  da 

solo  trenta  centimetri  di  spessore 5,  80 

1 1 . °  Strati  calcarei  di  otto , dieci  e venti  centimetri 

di  spessore , saldati  fra  loro  in  guisa  da  poterli 
considerare  come  due  soli  banchi 1,  10 


m.  18,  14 


Studi  sull’ Infralì as  ec.  269 

Riporto  m.  18,,  li 

12. °  Calcare  lumachella  con  Plicatula  intusstriata , 
potenza  variabile  fra  dieci  e quattordici  centimetri. 

Questo  strato  come  lo  accenna  la  prima  denomi- 
nazione resulta  quasi  esclusivamente  dall’  impasto 
di  valve  di  plicatula,  vi  si  trovano  però  associa- 
te benché  raramente  altre  specie,  ed  in  un  fram- 
mento proveniente  da  Grotta  Arpaia  notai  alcuni 
esemplari  di  Rhynconella.  Interessante  per  i fossili 
dai  quali  resulta  , forma  un  buonissimo  orizzonte 
geologico  che  facilmente  si  ritrova  lungo  tutta  la 
catena  occidentale  del  golfo,  costantemente  coi 
medesimi  caratteri  litologici  e paleontologici  ed 
anche  con  la  stessa  potenza  approssimativa.  . . 0,  14 

Si  può  studiare  meglio  che  altrove  all’  isola  Tiro 
presso  le  rovine  del  monastero  dalla  parte  per  la 
quale  si  scende  alla  grotta  già  ricordata , all’  isola 
Palmaria  specialmente  sopra  la  Grotta  dei  colombi 
ne  furono  cavati  dei  pezzi  che  si  lavorarono  come 
marmo. 

13. °  Uno  strato  di  calcare  a lamine  esilissime  sal- 
date fra  loro  e della  grossezza  complessiva  di  otto 
centimetri,  si  interpone  fra  lo  strato  a plicatule 

ed  i banchi  di  calcare 0,  08 

14. °  I banchi  calcarei  della  potenza  complessiva  di 
metri  due  circa,  nelle  porzioni  state  lungamente 
esposte  all’  azione  degli  agenti  atmosferici  sono 
ricoperti  da  modelli  di  grandi  fucoidi  i cui  rami 
hanno  da  sei  fino  a dieci  millimetri  di  diametro. 

Anche  questi  strati  si  possono  considerare  come 
un  orizzonte  facile  a riconoscersi  mercè  il  fossile 
tanto  appariscente  che  lo  caratterizza  ....  % QQ 

Totale  . . . m.  20,  36 


Nei  tagli  naturali  del  Tiro  e delle  varie  montagne  della 
catena  occidentale , si  possono  vedere  altri  banchi  calcarei 
i quali  sono  stati  grandemente  sconvolti  e ripiegati  in 


270 


Giovanni  Capellini 


guisa  da  simulare  una  potenza  complessiva  che  realmente 
non  hanno.  Schisti  più  o meno  marnosi  sono  intercalati  fra 
questi  calcari,  ed  in  essi  troviamo  poi  i Bactryllium , la  P/i- 
catula  Mortilieti  e la  Myacìtes  faba , fossili  che  in  gran  co- 
pia si  possono  raccogliere  meglio  che  altrove  al  Pescino , 
alla  Castellana , a Goregna  e Parodi  nella  catena  occiden- 
tale ; a monte  Murlo , alla  Rocchetta , alla  Bandita  nella 
orientale.  Questi  calcari  che  quantunque  più  antichi  rico- 
prono la  serie  fossilifera  che  abbiamo  or  ora  esaminata, 
sono  facilmente  riconoscibili  per  la  quantità  di  ossido  di 
ferro  che  li  tinge  in  rossastro,  specialmente  in  corrispon- 
denza delle  numerose  fratture  che  li  attraversano , ed  il 
loro  passaggio  dalla  forma  decisamente  stratificata  a quella 
di  calcare  cavernoso  con  aspetto  di  roccia  eruttiva,  in  molti 
luoghi  vedesi  esser  graduato  ed  insensibile.  Per  completare 
quanto  merita  di  essere  osservato  all*  isola  Tiro , aggiungerò 
che  una  faglia  con  piccolo  spostamento  attraversa  quell’  isola 
nella  direzione  di  N.O  S.E  approssimativamente  (V.  Tav.  1. 
Fig.  2a  c.)  I banchi  8 e 9 facilmente  attaccati  dagli  agenti 
atmosferici  e minati  dalle  onde,  là  ove  trovansi  a portata 
delle  medesime  sono  scavati  ed  esportati  poco  a poco,  dando 
luogo  a grotte  il  cui  piano  è costituito  ordinariamente  da- 
gli strati  a piccole  fucoidi , mentre  la  volta  resulta  dallo 
strato  a grandi  fucoidi  accennato  al  N°  14. 

La  grotta  al  dissotto  delle  rovine  del  monastero  e V al- 
tra sotto  il  Faro  dalla  parte  che  guarda  il  Tiretto  (Tav.  1. 
Fig.  2a  b .)  sono  nelle  condizioni  che  abbiano  accennate  ; 
la  fortissima  inclinazione  degli  strati  rende  difficile  1’  ac- 
cesso per  via  di  terra,  all’  ultima  particolarmente.  Studiata 
l’intera  serie  fossilifera  dell’isola  Tiro,  prima  di  abbandonare 
P estremità  occidentale  del  golfo  è duopo  intrattenersi  al- 
cuni istanti  sul  Tiretto,  piccolissima  isola  per  pochi  metri 
divisa  dal  Tiro,  cui  si  ritiene  fosse  collegata  in  tempi 
abbastanza  recenti  mediante  una  serie  di  scogli  che  costi- 
tuivano come  un  ponte  naturale,  per  il  quale  si  poteva 
senza  battello  trasportarsi  dal  Tiro  al  Tiretto , ove  sono  gli 
avanzi  di  piccolo  romitorio , dipendenza  del  monastero  del 
Tiro  di  cui  citaronsi  le  rovine.  Oggi  non  è possibile  passare 


Studi  sull9  Infralias  ec.  271 

al  Tiretto  senza  giovarsi  d’ una  barca,  benché  molti  di  quelli 
scogli  tuttora  sussistano,  e quando  si  ricerca  come  dovette 
originarsi  il  canale  che  divide  le  due  isole , ne  troviamo  la 
causa  in  uno  spacco  normale  alla  direzione  della  catena 
montuosa  della  quale  fan  parte,  ingrandito  posteriormente 
per  F azione  delle  onde  che  minarono  ed  esportarono  quella 
porzione  di  roccie  le  quali,  mal  ferme  per  altre  fratture 
secondarie , non  poterono  resistere  bastantemente  al  logorio 
ed  all’  urto  violento  delle  onde  che  da  lunga  serie  di  se- 
coli cospirano  a distruggere  completamente  quei  brani  di 
montagne,  già  tanto  sconvolti  fino  dalla  prima  loro  emer- 
sione; in  piccola  scala  avvenne  per  il  Tiretto  rispetto  al 
Tiro  quel  che  dovette  accadere  in  maggiori  proporzioni  per 
il  Tiro  riguardo  alla  Palmaria. 

La  superficie  del  Tiretto,  nel  lato  che  è più  prossimo 
al  Tiro , resulta  di  strati  di  calcare  fossilifero  e facil- 
mente si  riconosce  doverli  riferire  al  gruppo  indicato  al 
N°  7 nella  serie  del  Tiro  sopra  descritta.  Questi  strati  da 
tanto  tempo  battuti  dal  mare,  presentano  una  superficie 
eminentemente  corrosa  e vedesi  che  le  parti  le  meno  at- 
taccate furon  quelle  ove  si  trovano  i fossili,  ordinaria- 
mente convertiti  in  spato  calcare.  Con  questa  norma  esa- 
minando le  asperità  che  ne  resultarono,  si  riesce  a sco- 
prire bellissimi  esemplari  di  Pecten  3 Avicula>  Arca  , piccoli 
gasteropodi , frammenti  di  echinodermi  e numerosi  resti  di 
polipai.  Ordinariamente  molti  Chthamalus  e litorine  ( litori - 
na  coerulescens  ) ricoprono  le  porzioni  ove  i fossili  sono  in 
maggior  copia,  almeno  al  dì  d’oggi,  e mentre  talvolta 
hanno  contribuito  ad  isolare  qualche  fossile  interessante 
mediante  le  erosioni  che  quelli  animali  producono  ove  si 
fissano,  tal  altra  e più  spesso  si  trova  che  esemplari  in- 
teressantissimi furono  completamente  sciupati.  Il  Tiretto 
forse  più  che  qualunque  altra  località  ha  fornito  esemplari 
per  la  paleontologia  del  terreno  di  cui  ci  occupiamo  e per 
la  maggior  parte  si  ricavarono  dai  banchi  dei  quali  tenni 
parola.  Fra  questi  banchi  e quelli  segnati  al  Tiro  col  N°  8 
vi  ha  uno  strato  di  calcare  di  soli  quattro  centimetri  di 
grossezza , tutto  diviso  in  piccole  masse  romboidali  le  quali 


272 


Giovanni  Capellini 


si  possono  rompere  e scindere  in  altre  più  piccole  ancora, 
ma  sempre  con  la  stessa  forma  approssimativa. 

Le  masse  maggiori  sono  collegate  fra  loro  da  sottili 
setti  di  spato  calcare,  e questi  setti  determinano  sulla  su- 
perficie denudata  del  calcare  altrettante  linee  rilevate  che 
si  incrociano  ed  offrono  F aspetto  di  una  superficie  tes- 
sellata e corrosa:  in  questo  strato  ho  raccolto  un  esemplare 
di  Hypodiadema. 

Uno  straterello  di  marna  paonazzo  scura,  ricca  di  im- 
pronte di  Pecten , Avìcula , Plicatula  e della  potenza  di  due 
a quattro  centimetri,  trovasi  fra  lo  strato  calcareo  prece- 
dente ed  un  banco  di  calcare  della  potenza  di  trenta  cen- 
timetri cui  succedono  calcari  schistosi  a lamine  sottilissi- 
me, nei  quali  si  trovarono  gli  ittioliti  già  sopra  accennati. 

Coi  calcari  schistosi  termina  ciò  che  su  quello  scoglio 
ancora  sussiste  di  tutta  la  gran  serie  fossilifera  del  Tiro  , 
e tosto  siamo  indotti  a ricorrere  alla  denudazione  onde 
renderci  conto  di  quella  mancanza.  Intanto  ad  oriente  del 
Tiretto  si  vede  uno  scoglio  il  quale  al  pari  dell’  isola  pre- 
senta il  lato  occidentale  tagliato  a picco,  mentre  gli  strati 
vanno  ad  immergersi  in  direzione  opposta  e con  una  incli- 
nazione eguale  a quella  degli  strati  del  Tiretto.  Altri  due 
scogli  minori  sono  accodati  a quel  primo  come  si  può  me- 
glio vedere  dal  taglio  geologico  il  quale  è quasi  un  esatto 
disegno  di  ciò  che  si  vede  in  natura.  (Y.  la  Tav.  1.  Fig.  3a  ). 

Lo  scoglio  principale  che  abbiamo  or  ora  descritto  porta 
il  nome  di  Scoglio  grosso , fig.  cit.  b , gli  altri  due  sono 
chiamati  F uno  Scoglio  di  mezzo  (c)  per  la  sua  posizione 
e T altro  Scoglio  lungo  per  la  forma  (d). 

Si  può  dapprima  sospettare  che  la  rottura  del  lato  occi- 
dentale dello  Scoglio  grosso  corrispondente  per  la  direzione 
alla  faglia  accennata  al  Tiro,  sia  accompagnata  da  sposta- 
mento e quindi  ripeta  in  miniatura  le  vicende  del  Tiretto  ; 
ma  allorché  il  desiderio  di  conoscerne  esattamente  F al- 
tezza ed  i caratteri  paleontologici  spinge  ad  arrampicarsi  a 
perlustrare  quel  masso,  non  si  tarda  a riscontrarvi  la  con- 
tinuazione della  serie  trovata  interrotta  sul  Tiretto , e ri- 
portando quegli  strati  al  loro  posto  nella  serie  stessa  si  ri- 


Stuoi  sull9  Infralì as  ec. 


273 


conosce  , che  fra  gli  strati  dello  Scoglio  grosso  al  livello  del 
mare  nel  lato  occidentale  tagliato  a picco  ed  i più  super- 
ficiali che  si  incontrano  al  Tiretto  nel  lato  che  guarda 
lo  scoglio,  vi  è una  lacuna  più  o meno  corrispondente  al- 
T interruzione  reale  fra  esso  ed  il  Tiretto  ( V.  Tav.  1 . 
Fig.  3°  ).  Agevol  cosa  è il  rendersi  conto  di  questo  fatto 
dopo  tante  minute  circostanze  verificate  al  Tiro  e sulle 
quali  non  abbiamo  mancato  di  intrattenerci  ; or  ecco  una 
spiegazione  abbastanza  probabile.  La  porzione  di  strati  cor- 
rispondente a quella  nella  quale  le  onde  scavarono  la  grotta 
Arpaia  (V.  Tav.  2.  Fig.  4a)  e le  due  grotte  dell9  isola  Tiro, 
fu  anche  al  Tiretto  ( che  prima  dovea  formare  un  sol  tutto 
con  lo  Scoglio  grosso)  battuta  in  breccia  dalle  onde  in  due 
opposte  direzioni  come  avvenne  ed  avviene  tuttora  al  Tiro. 

Due  gallerie  venivano  di  tal  guisa  lentamente  scavate 
r una  all9  incontro  dell9  altra,  ed  arrivate  al  loro  termine 
per  qualche  tempo  il  canale  che  ne  resultò  dovette  essere 
ricoperto  dalla  porzione  degli  strati  superiori  dello  Scoglio 
grosso  per  mezzo  dei  quali  continuava  ad  essere  in  comu- 
nicazione col  Tiretto.  Finalmente  questi  strati  già  rotti 
e mai  fermi  per  la  continuazione  della  faglia  osservata  al 
Tiro,  crollarono;  i loro  resti  furono  in  parte  ridotti  dalle 
onde  e portati  altrove,  parte  pescati  anche  in  tempi  re- 
centissimi fornirono  materiali  di  costruzione  per  le  fabbri- 
che della  Spezia , prima  che  si  aprissero  le  cave  di  Acqua- 
santa, Gaporacca,  Coregna,  Fabiano.  Il  Tiretto  poi  non  cessò 
di  essere  battuto  dalle  onde,  le  quali  fin  dove  arrivarono 
esportarono  tuttaquanta  la  massa  degli  strati  marnosi  e 
schistosi,  logorando  profondamente  i grossi  banchi  di  cal- 
care fossilifero  e calcare  dolomitico. 

Questa  ipotesi  per  rendersi  conto  della  esportazione  della 
porzione  di  strati  calcarei  e schistosi  per  opera  della  denuda- 
zione, si  cambia  in  certezza  quando  si  riflette  che  la  fronte 
dello  scoglio  grosso,  ossia  il  lato  che  guarda  il  Tiretto,  ha 
appena  quindici  metri  di  lunghezza  e quindi  1’  escavazione 
delle  gallerie  non  dovette  essere  che  di  soli  otto  metri  circa 
per  parte  onde  giungere  ai  resultamenti  testé  accennati. 

Oltre  tutte  queste  località  che  nel  lato  occidentale  del 
t.  i.  35 


274  Giovanni  Capellini 

golfo  presentano  maggiore  interesse  per  gli  studi  stratigra- 
fici sul  calcare  nero  fossilifero,  altre  ve  ne  hanno  merite- 
voli d’  esser  visitate  per  i fossili  della  stessa  formazione,  e 
sono  F isola  Palmaria  presso  le  cave  di  portoro , la  punta 
del  Pescino , la  Castellana  specialmente  presso  le  cave  Fal- 
coni e Samengo,  monte  Coregna  nel  lato  che  guarda  la 
valle  dell’  Acqua  santa.  Riguardo  al  Pescino  ho  qualche  so- 
spetto che  quei  strati  fossiliferi  siano  alquanto  più  antichi 
degli  altri  della  serie  del  Tiro  dei  quali  ci  siamo  tanto  in- 
teressati. Alcuni  di  quei  calcari  che  ho  appena  ricordati  e 
riesce  difficilissimo  esaminare  minuziosamente,  e che  fu- 
rono poco  predati  dagli  agenti  atmosferici  ( specialmente 
dall’  azione  combinata  dell’  acqua  piovana  e marina)  credo 
debbano  corrispondere  agli  strati  di  calcare  lumachella  il 
quale  alla  punta  del  Pescino  è corroso  dal  mare  e abbonda 
principalmente  di  piccoli  gasteropodi.  Gli  schisti  marnosi 
a Bactryllium  e quelli  a Myacìtes  faba  devono  con  questi  tro- 
varsi principalmente  in  rapporto.  Questo  fatto  mi  interessa- 
va notare  affinchè  non  nascesse  confusione  in  cose  che 
vanno  distinte , e per  mostrare  di  non  essere  troppo  lungi 
dal  vero  con  quella  mia  supposizione,  citerò  d’  aver  già 
trovato  presso  la  Madonna  dell 0 Acquasanta,  strati  assolu- 
tamente riferibili  a quelli  del  Pescino,  benché  ivi  i resti 
organici  siano  indecifrabili,  almeno  nella  porzione  finora  e- 
saminata. 

Anche  la  forma  litologica  è in  parte  un  poco  diversa 
poiché  in  quel  calcare  non  sono  rarissimi  i grani  di  quar- 
zo ; la  posizione  che  occupano  i calcari  per  tal  guisa  rife- 
riti a quelli  del  Pescino,  sarebbe  in  rapporto  con  gli  schi- 
sti marnosi  a Bactryllium  e Plicatula  Mortìlleti , e torne- 
rebbe ciò  che  ammetto  per  le  isole  Palmaria  e Tiro. 


Studi  sull*  Infralias  ec. 

STRATIGRAFIA 

della  catena  orientale,  specialmente  di 


Esaurito  quanto  poteva  diffonder  luce  sulla  stratigrafia 
del  calcare  nero  nel  lato  occidentale  del  golfo , trasportia- 
moci ora  a studiarla  nella  catena  orientale , e precisamente 
a Capo  Corvo  ove  si  ha  la  migliore  e direi  anche  la  sola 
sezione  interessante  attraverso  ad  essa. 

Dopo  le  cose  dette  superiormente  riguardo  al  solleva- 
mento della  catena  occidentale  ed  alla  faglia  nel  cui  pro- 
lungamento ha  origine  il  golfo,  pochi  cenni  basteranno  a 
far  comprendere  come  col  movimento  medesimo  e con  la 
stessa  direzione  emergessero  i monti  che  costituiscono  la  ca- 
tena orientale.  Il  movimento  fu  qui  pure  di  innalzamento 
per  il  lato  orientale  e di  abbassamento  per  V occidentale , 
gli  strati  immergendo  verso  il  golfo,  in  generale  raggiunsero 
fortissima  inclinazione  per  la  quale  agevolmente  venne  a 
sfaldarsi  e fu  esportata  gran  parte  del  materiale  che  origi- 
nariamente rivestiva  il  lato  occidentale  di  quelle  montagne. 
Prima  però  di  considerare  quali  altri  movimenti  abbia  su- 
biti questa  località  onde  costituirsi  come  oggi  noi  la  tro- 
viamo , esamineremo  ciò  che  si  osserva  nel  taglio  condotto 
dalla  punta  del  Corvo  alla  Bianca,  e di  là  alla  Batteria  di 
S.  Croce  di  Magra  posta  alla  foce  del  fiume  di  questo  nome. 

Partendo  dalla  porzione  immediatamente  bagnata  dalle 
acque  del  golfo  e nel  tempo  stesso  la  più  giovane  di  tutta  la 
serie  che  andremo  analizzando , si  trova  : (V.  Tav.  2.  F*g- •) 

1 .°  Calcare  dolomitico  ( Dolomia  superiore  ) corrisponden- 
te a quello  che  nel  lato  occidentale  abbiamo  visto  connes- 
so col  marmo  portoro  ed  in  relazione  col  calcare  nero  fos- 
silifero.  Presso  la  punta  del  Corvo  esiste  uno  scoghoa 
fior  d’  acqua  da  antica  data  denominato  il  porfido  in  con- 
seguenza della  sua  durezza.  Questo  scoglio  difficile  ad  essere 
esaminato,  perchè  in  quella  località  ben  di  rado  il  mare  è 
perfettamente  tranquillo , continuò  ad  essere  creduto  d una 


276 


Giovanni  Capellini 


importanza  maggiore  di  quella  che  ha  realmente  per  chi 
potè  avvicinarlo , staccarne  delle  porzioni , esaminarle  ed 
accertarsi  non  essere  altro  che  un  masso  di  calcare  dolomi- 
tico di  color  carnicino  e durissimo,  come  lo  sono  certi  massi 
che  si  possono  vedere  meglio  che  altrove  a Coregna.  Mur- 
chison  stesso  ( ingannato  da  un  barchettaiolo  notissimo  alla 
Spezia  per  le  storielle  e racconti  esagerati  che  si  compiace 
vendere  a buon  mercato  a tutti  coloro  che  serve  col  suo 
battello)  scrive  essergli  stato  indicato  un  masso  di  porfido 
che  emerge  pochissimo  e che  non  potè  avvicinare  per  il 
cattivo  tempo  (1).  Dietro  questo  supposto  }1’  illustre  geo- 
logo cercò  di  accordare  i fenomeni  di  metamorfismo  di 
quella  parte  delle  montagne  del  golfo  con  la  vicinanza  di 
roccie  eruttive. 

2.°  Schisti  marnosi  pavonazzi  è calcare  nero  fossilifero. 
Nell’ottobre  dello  scorso  anno  1861  perlustrando  nuova- 
mente Capo  Corvo  per  ripetere  la  sezione  geologica  e ve- 
rificare quanto  aveva  osservato  fino  dall’anno  1856  , arrivato 
in  prossimità  del  posto  che  teoricamente  giudicava  dover  es-  . 
sere  occupato  dalla  serie  dei  calcari  e schisti  fossiliferi  studia- 
ti nel  lato  occidentale,  prima  ancora  di  approdare,  e ridire  il 
potrebbe  chi  gentilmente  mi  accompagnava  (2)^  precisai  uno 
strato  che  supponeva  dovesse  essere  fossilifero.  Fra  questo 
strato  denudato  per  una  lunghezza  di  parecchi  metri  ed 
altro  strato  calcareo  che  lo  precede  nella  serie  dall’  alto  in 
basso,  trovasi  intercalato  uno  schisto  marnoso  pavonazzo  il 
quale  ha  circa  trenta  centimetri  di  spessore.  Appena  adoc- 
chiato quello  schisto  vi  trovai  strettissima  analogia  con  altro 
che  si  osserva  in  vicinanza  del  Pescino  lungo  la  scorciatoia 
per  la  quale  si  va  al  paese  delle  Grazie,  e poiché  anche  per 
il  posto  che  occupa  mi  pareva  si  dovesse  con  quello  ac- 
cordare, mi  indussi  a sperar  bene.  In  fatti  la  superficie  del 
calcare  denudato  dallo  schisto  marnoso  pavonazzo  era  tutta- 


(1)  Murchison.  S.  R.  I . Sulla  struttura  geologica  delle  Alpi,  degli  Apennini 
e C^ZI  ( Traduzione  dei  Prof.  Savi  e Meueghini  pag.  186.  Firenze  1850). 

\À) 1  11  5>»g.  Carlo  Chiocca  di  Sarzana  mi  fu  compagno  in  questa  ed  altre 
escursioni  nei  dintorni  della  Spezia. 


Studi  sull’  Infhalias  ec.  277 

quanta  coperta  di  valve  e di  esemplari  completi  di  cardite 
ed  astarti , oltre  parecchie  nucule  ed  acteonine  ( Orthosto- 
ma)  ; diverse  rilegature  di  candido  spato  calcare  formavano 
sulla  superficie  stessa  linee  più  o meno  sporgenti , per  le 
quali  è facile  rendersi  conto  delle  vicende  subite  da  quel 
calcare  prima  della  completa  sua  solidificazione  e prima 
ancora  che  lo  strato  marnoso  venisse  su  di  esso  a deposi- 
tarsi. L’  esemplare  di  questo  strato  che  fa  parte  della  mia 
collezione , offre  1’  esempio  .di  tutto  quanto  ne  ho  detto 
in  proposito  e nella  stessa  raccolta  si  possono  vedere  pa- 
recchi saggi  dello  schisto  marnoso  pavonazzo  il  quale  in- 
clude bellissimi  esemplari  di  piccole  nucule,  mitili.  Or- 
to stomi  ec.  Questi  fossili  sono  convertiti  in  calcare  nero 
e fanno  grazioso  contrasto  con  la  tinta  violacea  della  roccia 
che  li  include  e dalla  quale  si  possono  fàcilmente  liberare 
onde  meglio  studiarli  per  ogni  lato.  Inferiormente  allo  stra- 
to a cardite  trovansi  alcuni  banchi  con  grandi  fucoidi  come 
abbiamo  osservato  al  Tiro  e come  si  riscontra  allo  Scoglio 
grosso,  poscia  una  serie  numerosa  di  sottili  strati  di  calca- 
re nero  che  chiamerò  calcare  fettucciato  poiché  atteso  le 
rilegature  analoghe  a quelle  dello  strato  a cardite , ma  an- 
che più  numerose,  tali  strati  osservati  in  qualsiasi  dire- 
zione ci  si  presentano  listati  di  bianco. 

3.°  Alla  serie  dei  calcari  neri  fossiliferi  succede  inferior- 
mente una  dolomia  cavernosa  ferruginosa,  la  stessa  che 
abbiamo  già  ricordata  a Parodi  e altrove  sia  che  si  ponga 
mente  ai  caratteri  litologici  come  anche  per  la  posizione 
stratigrafica.  A Capo  Corvo  questa  dolomia  è anche  più 
rubiginosa  di  quel  che  non  sia  nelle  località  poc’  anzi  ac- 
cennate e ricorda  una  dolomia  delle  Alpi  la  quale  si  può 
vedere  recandosi  da  Modane  a Bardonnèche  per  il  Col 
de  la  Roue,  nello  stesso  orizzonte  geologico  di  quella  dei 
dintorni  della  Spezia  e dell’  altra  già  segnalata  dai  geologi 
lombardi  sotto  il  nome  di  dolomia  media  (1). 


278 


Giovanni  Capellini 


4. °  La  dolomia  citata  non  è molto  potente  e passa  ad 
una  breccia  che  resulta  dall’  impasto  di  calcare  cavernoso 
e schisti  del  verrucano , breccia  la  quale  meglio  che  altrove 
si  può  studiare  nelle  vicinanze  di  Lerici  e S.  Terenzo  ove 
si  mostra  sviluppatissima  e sempre  sottostante  al  vero  cal- 
care cavernoso  che  si  riscontra  anche  più  addentro  nel  golfo 
p.  e.  a è.  Bartolommeo , presso  il  paese  di  Pitelli  ed  in  vir 
cinanza  del  Mulinello  ove  sono  le  polle  erroneamente  cre- 
dute solfuree , mentre  quelle . acque  contengono  solamente 
traccie  di  cloruro  di  sodio  e carbonato  calcare  ; quest’  ul- 
timo si  deposita  sul  fondo  del  laghetto , riveste  copiosamen- 
te le  Chare  che  vi  prosperano , e costituisce  quella  forma 
litologica  di  calcare  la  quale  porta  il  nome  di  tufo  od  an- 
che os teocolla,  e non  è rara  in  vicinanza  dei  calcari  caver- 
nosi là  dove  le  acque  sgorgano  attraverso  ad  essi. 

5. °  Quarzite  grandemente  sviluppata  verso  il  nord  della 
catena  orientale.  Nelle  vicinanze  di  Pitelli  costituisce  da 
sola  quei  monti  di  forma  tondeggiante  e di  mediocre  eleva- 
zione sui  quali  vegetano  tanto  prosperamente  i pini  e sono 
conosciuti  sotto  i nomi  di  Bosche  e Boschetti , le  prime  in 
continuazione  col  monte  di  Pitelli  propriamente  detto  ; i 
secondi  separati  da  essi  mercè  le  paludi  dette  Stagnoni 
formano  come  un’  isoletta  alla  quale  da  un  lato  si  addossa 
il  terreno  eocenico  con  F intermezzo  di  alcuni  di  quei  dias- 
pri manganesiferi  e schisti  varicolori  che  abbiamo  visti 
nella  sezione  di  Coregna.  Questa  quarzite  non  è altro  che 
una  puddinga  quarzosa  a elementi  finissimi  e quindi  passa 
alla  forma  litologica  che  or  ora  accenneremo,  ed  al  pari  di 
essa  è Caratterizzata  dalla  presenza  di  quarzo  roseo.  La 
frattura  prismatica  romboidale,  frequente  nella  quarzite  che 
chiamerò  del  Mulinello  per  essere  ivi  meglio  che  altrove 
sviluppata  e ben  caratterizzata , fa  sì  che  la  denudazione 
agisca  sensibilmente  ^ulle  montagne  che  ne  resultano,  le 
quali  si  presentano  tutte  profondamente  lacerate  e con  balze 
a pareti  quasi  verticali  per  centinaia  di  metri  di  altezza. 

La  quarzite  del  Mulinello  ha  il  suo  rappresentante  nelle 
Alpi,  nelle  medesime  relazioni  stratigrafìche  di  Capo  Corvo , 
con  la  sola  differenza  che  fra  essa  ed  il  calcare  cavernoso 
sta  il  gesso  che  manca  in  quest’  ultima  località. 


Stùdi  sull*  Infralias  eg. 


279 


Nelle  Alpi,  la  quarzite  è ordinariamente  bianco  sudi- 
cia , spesso  variegata  come  appunto  a Capo  Corvo  ed  al  Muli- 
nello , e poiché  quella  è riferita  al  Trias  inferiore  , basando- 
mi sulla  perfetta  loro  analogia  non  sarei  alieno  dal  fare  al- 
trettanto per  queste  dei  monti  della  Spezia  almeno  in  via 
provvisoria , ritenendovi  come  associata  P anagenite  che  segue 
( N°  6) , la  quale  considero  soltanto  come  una  varietà  litolo- 
gica. Le  quarziti  ricordate  stanno  all’  anagenite,  come  il  ma- 
cigno propriamente  detto  sta  alla  pietra  cicerchina  od  al 
macigno  puddingoide. 

6. °  Anagenite  con  quarzo  roseo  o puddinga  quarzosa  del 
verrucano.  In  banchi  perfettamente  concordanti  con  quanto 
la  precede  e con  le  roccie  che  seguitano , si  può  vedere 
dalle  vicinanze  della  Bianca  fino  all’  Ameglia  sempre  coi 
medesimi  rapporti  stratigrafici , osservando  però  che  in  quel- 
la direzione  scema  la  sua  potenza  e non  riapparisce  al  di- 
sotto delle  quarziti  dei  dintorni  di  Pitelli.  Presso  la  Bianca 
ove  questa  roccia  è bersagliata  dalle  onde,  si  disaggrega  e se 
ne  originarono  parecchie  grotte,  come  si  può  vedere  nella 
Tav.  2.  Fig.  6a  destinata  anche  a far  conoscere  i ripiega- 
menti dei  numerosi  e.  relativamente  sottili  suoi  strati. 

7. °  Schisto  compatto,  violaceo  scuro,  che  diventa  a quan- 
do a quando  arenaceo  e si  potrebbe  allora  confondere  con 
certe  varietà  di  arenarie  argillose. 

8. °  Schisto  compatto  cloritico  che  si  fa  rimarcare  anche 
a qualche  distanza,  ed  ha  una  potenza  variabile  da  due  a 
cinque  metri. 

9. °  Puddinga  calcarea  a cemento  schistoso  talcoso.  I grandi 
ciottoli  di  forma  amigdaloide  sono  di  calcare  carnicino  op- 
pure ceroide , ma  vi  sono  poi  commisti  ciottoli  e grossi 
grani  di  quarzo  roseo,  e questo  forse  impedisce  di  lavorarla 
come  marmo , difficoltà  resa  maggiore  dalla  natura  del  ce- 
mento. Questo  cemento  come  già  si  disse  è schistoso  talco- 
so, la  tinta  predominante  è il  violaceo,  ma  talora  vi  si 
unisce  anche  il  verde.  Il  talco  rende  rasata  la  superficie  del 
cemento,  il  quale  talvolta  predomina  in  modo  da  far  si  che 
la  roccia  in  alcuni  punti  malamente  si  distingua  da  quella 
accennata  al  N°  7. 


Gìovanni  Capellini 


10. °  Calcare  bigio  assai  chiaro.  Esistono  dei  massi,  taglia- 
ti fin  da  quando  si  tentò  di  attivarne  1’  escavazione. 

11. °  Calcare  bianco  saccaroide  a grana  finissima  e frat- 
tura schistosa.  Si  osservano  su  questi  banchi  parecchie  inie- 
zioni ferree  già  ricordate  dal  Prof.  Savi,  il  quale  ne  citò 
altresì  nel  calcare  delle  Alpi  Apuane  e specialmente  alla 
Tambura  ed  a Stazzema  ove  hanno  ricevuto  il  nome  di 
zucchì  dal  bronzo.  (1) 

A queste  iniezioni  ferree  il  Prof.  Savi  attribuisce  il  me- 
tamorfismo del  calcare  in  marmo  saccaroide,  e sono  con  es- 
so perfettamente  d’  accordo  che  se  non  furono  P unica  cau- 
sa di  quel  fenomeno,  v9  ebbero  però  parte  grandissima. 

Queste  masse  nel  calcare  saccaroide  della  Bianca  sono 
convertite,  in  ocra  gialla  e quindi  facilmente  riconoscibili  ; 
del  marmo  se  ne  tentò  l9  escavazione  ma  fu  abbandonata 
perchè  trovato  poco  tenace. 

12. °  Una  potente  massa  schistosa  trovasi  inferiormente  al 
calcare  saccaroide,  e gli  strati  contorti  e sconvolti  mentre 
sono  concordanti  con  tutta  la  serie  precedentemente  descrit- 
ta si  piegano  in  arco,  ed  alla  batteria  di  S.  Croce  hanno 
una  inclinazione  opposta.  È però  da  .avvertire  che  questa 
arcuazione  decisa  si  verifica  soltanto  per  la  porzione  loro 
più  profonda , poiché  una  parte  degli  strati  superiori  fu 
esportata  dalla  denudazione , e questa  diversifica  un  poco 
dall9  altra  quanto  ai  caratteri  litologici , poiché  in  basso  in 
generale  ha  l9  aspetto  di  schisto  noduloso  in  conseguenza 
dei  ciottoli  quarzosi  che  vi  sono  inclusi.  Immediatamente  al 
disotto  della  batteria  i ciottoli  sono  talmente  abbondanti  che 
quasi  si  direbbe  una  puddinga  a cemento  schistoso , quando 
non  si  vedessero  mancare  di  tratto  in  tratto.  La  roccia  del- 
la quale  ci  occupiamo,  la  più  antica  che  si  conosca  nei 
dintorni  della  Spezia , è d9  un  colore  grigio  verdastro , at- 
traversata da  filoncelli  di  ferro  micaceo  che  in  molti  punti 
è convertito  in  ocra,  come  si  può  verificare  presso  la  fonte 


Studi  sull*  Infralias  ec. 


281 


al  disotto  delle  rovine  del  monastero  di  S.  Croce  del  Corvo. 
Oltre  i veri  filoncini  come  abbiamo  indicato , le  pareti  delle 
fratture  normali  alla  direzione  dei  piani  di  stratificazione  di 
quella  massa  schistosa , sono  d’  ordinario  tappezzati  dalle 
lamelle  del  detto  ferro  micaceo , nel  modo  stesso  che  si  ve- 
rifica per  il  ferro  speculare  nelle  fenditure  di  alcune  lave 
del  Vesuvio. 

Nell’  esame  del  taglio  geologico  di  Capo  Corvo  abbiamo 
visto  che  il  calcare  dolomitico  corrispondente  a quello  della 
catena  occidentale  e riferibile  alla  dolomia  superiore  dei 
geologi  lombardi,  forma  il  termine  più  recente  di  quanto 
vi  Si  incontra  ; ma  se  ci  avanziamo  verso  il  nord  e condu- 
ciamo una  sezione  ideale  dalle  vicinanze  di  Telaro  nel 
golfo , fino  in  prossimità  dell’  Ameglia  in  Val  di  Magra, 
non  troveremo  uno  sviluppo  di  roccie  antichissime  come  al 
Capo  Corvo  essendone  1’  anagenite  il  termine  inferiore , 
bensì  nelle  vicinanze  di  Telaro  si  potrà  verificare  tal  fatto 
che  vale  a spiegarci  come  quella  catena  montuosa  non  si 
elevasse  tutta  d’  un  tratto. 

Infatti  addossato  e concordante  col  calcare  dolomitico , si 
riscontra  un  lembo  limitatissimo  di  quel  calcare  che  si  disse 
assomigliare  alla  majolica,  e con  esso  alcuni  diaspri  identici 
agli  altri  già  esaminati  nella  sezione  di  monte  Coregna. 
Quando  vogliamo  renderci  conto  dell’  hiatus  che  passa  fra 
queste  roccie  ed  il  calcare  dolomitico  sul  quale  riposano, 
come  pure  della  loro  limitata  estensione  entro  le  piccole 
anse  della  catena  montuosa  e ad  un  livello  di  non  molto 
superiore  a quello  del  mare  attuale , bisogna  ammettere  : 

Che  la  catena  orientale  del  golfo  si  sollevasse  (come  forse 
le  Alpi  Apuane)  prima  che  si  depositassero  i calcari  e sehi- 
sti  ammonitiferi  che  abbiamo  osservati  nel  lato  occidentale. 
Mantenutisi  ad  una  certa  elevazione  durante  tutto  il  pe- 
riodo liassico , quei  monti  che  in  forma  di  isole  erano  ba- 
gnati all’  intorno  dal  mare  giurassico,  si  abbassarono  alquanto 
allorché  incominciavano  a deporsi  le  roccie  argillose  e cal- 
caree, sulla  cronologia  delle  quali  non  siamo  ancora  troppo 
sicuri , ma  i cui  limiti  sono  ristretti  fra  lo  schisto  a pos- 
sidonomya  e gli  schisti  galestrini  assolutamente  eocenici. 


282 


Giovanni  Capellini 


Riguardo  alla  serie  di  roccie  di  Capo  Corvo  comprese  nel 
taglio  dal  N°  5 fino  al  13  ed  indicate  altra  volta  comples- 
sivamente col  nome  di  Verrucano,  non  potendo  fin  d5  ora 
entrare  in  minute  discussioni , non  ometterò  di  accennare 
che  accordandomi  in  parte  con  le  viste  del  marchese  Pareto 
ritengo  come  triassico  tuttociò  che  sta  compreso  fra  gli  schi- 
sti  che  ho  detti  paleozoici,  in  basso , e P infralias  superior- 
mente ; ulteriori  studi  ci  permetteranno  di  stabilire  nuove 
analogie  e quindi  chiarire  o modificare  questa  maniera  di 
vedere. 

Compiuta  rapidamente  P enumerazione  delle  principali 
forme  litologiche  nello  scopo  di  far  precisamente  conoscere 
il  posto  relativo  che  occupa  nelle  due  catene  montuose  del 
golfo  il  calcare  nero  fossilifero  e gli  schisti  che  lo  accom- 
pagnano ; prima  di  concludere  definitivamente  che  esso  deb- 
ba riportarsi  al  piano  geologico  al  quale  P abbiamo  antici- 
patamente riferito,  credo  interessante  di  tracciare  un  cata- 
logo dei  fossili,  che  dissi  dover  pure  servire  come  prodromo 
del  lavoro  paleontologico  che  sto  preparando  a complemento 
degli  studi  sull’  Infralias  della  Spezia  (1). 


(1)  Vedi  anche  il  quadro  posto  in  fine  ( Limiti  e divisioni  ece.  p 


Studi  sull*  Infralias  ec. 


CATALOGO 

del  fossili  del  calcare  nero  e svilisti  associati  delle  montagne 
del  golfo  della  Spezia,  e delle  vicine  isole  Palmaria, 
Tiro,  Tiretto  (1). 


VERTEBRATI 

ITTIOLITI 

Genere  DIPTERUS , Sedg.  et  Murch. 

«.  Diptero»  macrolepidotus , Agass. 

Jkgasm i»,  Poiss.foss.  Tom.  II.  pag.  112.  PI.  2.  a fig.  1-5. 
pula. . Saggio  comparativo  dei  terreni  che  compongono 
il  suolo  d'  Italia.  Pisa  1845.  pag.  73. 

§avi  e Meneghini , Considerazioni  sulla  geologia  tosca- 
na. Firenze  1850.  Nota  alla  pag.  95. 

MOLLUSCHI 

CEFAL0P0DI 

Genere  AMMONITES , Bruguière. 

2.  Ammonite»  nanus?  Mart. 

Martin  paleontologie  stratigraphique  de  V Infra-lias  du  dé- 
partement  de  la  Cóie-d?  Or.  pag.  69.  PI.  I-  Fig.  3-5. 

Esemplare  del  Museo  di  Pisa,  nel  calcare  di  Grotta  Arpa.a. 


284  Giovanni  Capellini 

GASTEROPODI 

Genere  PURPURINA , Lycett  1847. 

3.  Purpurina  «pediensis , Gap. 

Graziosissima  specie  scoperta  nel  calcare  bigio  del  Pesci- 
no,  trovasi  associata  ad  una  quantità  di  chemnitzie  ( Ch. 
lessoniana). 

Sui  calcari  e schisti  fossiliferi  del  Pescino  sorgeva  un 
forte,  minato  dagli  Inglesi  la  sera  del  5 Aprile  1814. 

Genere  NERITOPSIS , Gkateloup. 

A.  Meritopsis  tuba.,  Schaf. 

Stoppai».  Fossiles  de  V Azzarola  pag.  38.  PI.  2.  Fig.  1--5. 
Syn.  N.  varicosa  ? Morris  et  Lycett.  Moli,  from  thè  gr.  Oolite 
pag.  106.  pi.  13.  fig.  5.  Nel  1858  aveva  meco  in  Parigi 
un  esemplare  di  questa  specie,  e mi  ricorderò  sempre  che 
avendolo  fatto  vedere  al  Sig.  Hebert  mi  disse  immediata- 
mente : c’  est  jurassique , e mi  fece  osservare  un  esemplare 
di  N.  varicosa  col  quale  il  fossile  della  Spezia  mostravasi 
identico. 

5.  leritopsis  Pareti!,  Cap. 

Assomiglia  alla  N.  Cottaldina  d’  Orb.  Paléont.  frane,  terr . 
jurassiques , Voi.  II.  pag.  227.  pi.  401.  fig.  11-13. 

Esemplare  un  poco  deformato  ma  benissimo  determina- 
bile. La  N+  exigua , Terq.  della  quale  P autore  non  aven- 
do altro  che  un  piccolo  e mal  conservato  esemplare  non 
potè  dare  una  completa  descrizione , credo  sia  un  giovane 
della  N.  Paretìì  ; infatti  in  questa  specie  vi  sono  bellissi- 
me coste  trasverse  ingraticolate  da  grosse  linee  longitudina- 
li. Terquem  parla  di  solchi , ciò  avuto  riguardo  alla  piccio- 
lezza  dell’  esemplare  da  esso  esaminato,  nel  quale  sono  più 
sensibili  i solchi  di  quello  che  le  linee  che  li  determinano. 


285 


Stubx  sull’  Jnfralias  vEG. 

6.  Meriéopsis  bombieciana  , Cap. 

Presenta  profondi  e larghi  solchi  longitudinali  con  linee 
trasversali  che  terminano  in  piccoli  tubercoli  nelle  coste  che 
dividono  i solchi.  Trovasi  nel  calcare  del  Pescino  unitamen- 
te alla  Chemnitzia  lessoniana  ed  al  Cerithium  sociale.  De- 
dicata al  mio  collega  Bombicci  prof,  di  mineralogia. 

Genere  CHEMNITZIA,  D.  Orbigny. 

9.  Chemnitzia  usta , Terq.  Sp. 

Terquem.  Paléontologie  de  V étage  infericur  de  la  forma- 
tion  liasique  de  la  provìnce  de  Luxembourg  et  Hettange. 

Mém.  soc.  géol.  de  France  2‘  Sèrie  T.  5‘  2*  partie.  pag. 
256;  pi.  XIV.  fig.  11.  Paris  1855.  Terquem  riunisce  i 
due  generi  Chemnitzia  e Melania  e poscia  adotta  il  secon- 
do ; per  le  specie  marine  ho  creduto  dover  preferire  il  gen. 
Chemnitzia. 

8.  Chemnitzia  abbreviata,  Terq.  sp. 

Terquem.  Mem.  cit.  pag.  255:  pi.  XIV.  fig.  12. 

».  Chemnitzia  turbinata,  Terq.  sp. 

Terquem.  Mem.  cit.  pag.  2557  pi.  XIV.  fig.  li. 

Esemplare  del  Museo  di  Pisa. 

Località  is.  Tiro. 

IO.  Chemnitzia  unicingulata . Terq.  sp. 

Terquem.  Mem.  cit.  pag.  256;  pi.  XIV.  fig.  10.  . 

II.  Chemnitzia  incerta , Cap. 

Affine  alla  Ch.  abbreviata , Terq. 

1*.  Chemnitzia  Cordieri , Cap. 

Corrisponde  al  Cerithium  sp.  Meneghini  Considerazioni 
ecc.  pag.  88.  N°  10. 

Ésemplare  del  Museo  di  Pisa. 

Località  Grotta  Arpaia. 


286  Giovanni  Capellini 

13.  Chemniizia  acutispirata , Gap. 

Syn.  Cerithium  aciculoìdes , Mgh? 

§avi  e Meneghini.  Op.  cit.  pag.  88.  N°  9.  Alcune  la- 
stre di  calcare  nero  del  Tiro  che  per  F aspetto  ricordano 
il  calcare  nero  di  Caprona , contengono  numerosi  esemplari 
di  questo  minutissimo  fossile , del  quale  avendone  alcuni 
che  permettono  di  studiarne  l5  apertura  buccale  credo  se 
ne  debba  fare  una  specie  del  gen.  Chemnitzìa . 

14.  Chemniizia.  lessoniana , Gap. 

Per  la  forma  delle  coste  assomiglia  al  turbo  costellatus , 
Terq.  ma  ne  differisce  completamente  per  tutti  gli  altri 
caratteri;  lunghezza  2-8mm;  trovasi  in  copia  nel  calcare 
del  Pescino  e F ho  dedicata  al  mio  amico  prof.  Lessona  il 
quale  nel  1860  mi  accompagnava  in  una  escursione  a Por- 
tovenere  ed  al  Pescino  ove  allora  ne  scoprii  esemplari  be- 
nissimo conservati. 

Genere  CERITHIUM , Adanson. 

15.  Cerithium  semel  e , Mart. 

Martin.  Paléontologie  stratigraphique  de  V Infra-lias  du 
département  de  la  Cóte-dC  Or.  Mém  soc.  géol.  de  France 
2e  Serie  T.  VII.  pag.  75;  pi.  II.  fìg.  8-10  Paris  1860. 

1©.  Cerithium  llenrici , Mart. 

Martin.  Mem.  cit.  pag.  76;  pi.  II.  fìg.  17-18. 

1®.  Cerithium  rotundatum , Terq. 

Terquem.  Mem . cit.  p.  278  ; pi.  XVII.  fìg.  8. 

18.  Cerithium  grattini , Terq. 

Terquem.  Mem.  cit.  pag.  277  ; pi.  XVII.  fìg.  6. 


Studi  sull5  Infralias  ec.  287 

19.  Ceriihium  Meneghini!  . Cap. 

Per  molti  caratteri  s’  accorda  con  la  descrizione  del  Ce- 
rithium  sp.  Savi  e Meneghini,  op.  cit.  pag.  89  N°  1 1 . 

I due  esemplari  che  trovansi  nella  mia  collezione  proven- 
gono entrambi  dalla  Castellana.  Dedicato  al  mio  amico  Prof. 
Meneghini  dell’  Università  di  Pisa. 

20.  Cerithium  sociale , Cap. 

Piccolo  cerizio  che  per  la  sua  forma  ricorda  le  Rissoe. 
S’  accorda  col  C.  pupa , Mart.  per  la  forma  e per  le  di- 
mensioni , ma  ne  differisce  per  essere  privo  delle  piccole 
linee  longitudinali.  Al  Tiro  ed  al  Tiretto  si  trova  dissemi- 
nato in  copia  alla  superfìcie  di  certi  calcari  marnosi  che 
sono  in  contatto  con  lo  schisto  marnoso  pavonazzo.  Non  si 
incontrano  mai  esemplari  solitari. 

Genere  TURRITELLA  , Lamarck 

21.  Turriiella  Bunkeri , Terq. 

'I'erq tieni.  Mem.  cit.  pag.  252»  pi.  XIV.  fìg.  5.  Dun- 
ker  Palceontographica  N°  1.  pag.  109,  pi.  13.  fig.  5-7. 

22.  Turriiella  Zenkeni , Terq. 

Terquem.  Mem.  cit . pag.  253  pi.  XIV.  fig.  6. 

Syn.  Melania  Zenkenì.  Dunker  Palaeontographica  N°  1. 
pi.  18,  fig.  1-3. 

23.  XurriteUa  deshayesea,  Terq. 

Terquem.  Mem.  cit.  pag.  253.  pi.  XIV.  fig.  7. 

24.  Turriiella  bicarinata.  Cap. 

Credo  che  la  T.  Humberti , Mart.  sia  un  giovane  della 
mia  T.  bicarìnata  ; sono  incerto  sulla  presenza  degli  orna- 
menti nel  mio  esemplare. 


Giovanni  Capellini 


25.  TurrUella  somervilliana , Cap. 

Per  gli  ornamenti  assomiglia  alla  T.  Dunkeri , ma  ha  un 
numero  molto  maggiore  di  linee  longitudinali  ed  un  ango- 
lo apiciale.  diverso.  Dedicata  a Maria  Somerville  autrice 
della  geografia  fisica  e di  altri  interessanti  lavori  di  scienze 
naturali. 

Possa  questo  mio  piccolo  tributo  d5  ossequio  per  quella 
illustre  donna,  esserle  pegno  dell5  infinita  stima  ed  ami- 
cizia che  ad  essa  mi  vincola. 

2G.  rr urritell a lunensii  , Cap. 

Per  la  forma  ricorda  la  T.  bicarinata , ma  oltre  le  due 
carene  che  la  distinguono  ha  poi  numerose  linee  che  la 
cingono  longitudinalmente , come  si  osserva  nella  T.  so- 
mervilliana. 

Genere  TURBO,  Linneo. 

2*9.  Turbo  subpyramidalis  , cT  Orb. 

©’  Orbignv.  Paléontologie  francaise , terrains  jurassiques 
T.  IL  pag.  353,  pi.  334.  fig.  15-18. 

Nel  calcare  del  Pescino. 

Genere  PHASIANELLA,  Lamarck. 

28.  Phasianella  nana,  Terq. 

Terquem.  Mem.  cit.  pag.  267.  pi.  XVI.  fig.  3. 

29.  Phasianella.  Guidoni . Cap. 

Specie  umbilicata,  con  ornamenti.  Frequente  alP  isola 
Tira,  ne  posseggo  esemplari  completamente  isolati  dalla 


Studi  sull5  Infralias  ec.  289 

Genere  ORTHOSTOMA,  Deshayes  184-2. 

Syn.  ACTEONINA,  D’Orbigny  1847. 

30.  Orihostoma  Savii . Cap. 

Per  la  forma  assomiglia  all5  A.  esìnensis , Stopp.  e per  gli 
ornamenti  ricorda  la  Chemnitzìa  infiala  d5  Orb.  terr.  crei. 

Questa  specie  trovasi  abbondantissima  alla  Bianca  nel 
lato  orientale  del  golfo,  ove  l’ho  scoperta  nell’ottobre  1861; 
1’  ho  trovata  pure  a monte  Murlo,  all5  isola  Tiro  ed  alla 
Castellana. 

Dedicata  al  mio  amico  prof.  Savi  cui  si  devono  osservazioni 
interessantissime  sui  dintorni  della  Spezia,  sulle  Alpi  Apuane 
e sulla  Toscana. 

31.  Orthostoma  triticum , Terq. 

Terquem.  Mem.  cit.  pag.  261.  pi.  XV.  fig.  5. 

Esemplare  del  Museo  di  Pisa. 

Località  Grotta  Arpaja. 

ACEFALI 

Genere  CORBULA , Bruguière. 

33.  C orbili  a imperfecta . Cap. 

Il  solo  esemplare  che  ne  posseggo  mi  permette  di  di- 
stinguere questa  specie  dalla  C.  Ludovicoe , Terq.  alla  quale 
assomiglia  un  poco  per  la  forma  e per  le  dimensioni. 

Genere  ANATINA  Lamarck. 

33.  Allattila  prseeursor , Quenst.  sp. 

Oppel  o.  Sue#»,  ùber  die  muthm.  ^Equivalente  der  Kos - 
snerschichten  in  Schwaben ..  p.  12.  taf.  1.  fig.  5. 

t.  i.  37 


290 


Giovanni  Capellini 

Genere  PHOLADOMYA  , G.  Sowerby. 


34.  Pholadomya  §p. 

Esemplare  del  Museo  di  Pisa. 

Località  Grotta  Arpaia. 

Genere  MYAGITES  (Schlotheim)  Bronn. 

35.  MyaeHes  faba , Wink. 

Winkler.  Die  schichten  der  Avicula  contorta . pag.  19. 
taf.  II.  fig.  6.  b. 

In  grande  abbondanza  negli  strati  schistosi  lionati  i 
quali  al  Pescii*o  ed  altrove  accompagnano  gli  strati  mar- 
nosi a Bactryllium. 

Genere  MAGTRA , Linneo. 

36.  Mactra  securiformis  ? D.  Orb. 

Syn  Donax  securiformis , Dunker  Palceontographica  , 
Voi.  I.  p.  38.  pi.  6.  fig.  12-14.  Stoppa  ni  Fossiles  de  V Az- 
zarola  pi.  4.  fig.  1-2. 

Genere  AST ARTE , Sowerby  1816. 

33.  A star  te  «iugulata  , Terq. 

Terquem.  Mem.  cìt.  pag.  294  pi.  XX  fig.  6. 

Comune  nello  strato  a Cardite  della  Bianca,  e frequente 
nello  schisto  rosso  pavonazzo  della  stessa  località. 

38.  Astarte  Cocchi! , Mgh. 

Meneghini.  Nuovi  fossili  ecc.  pag.  33. 

39.  Astarte  Pillse , Cap. 

Per  il  numero  delle  coste , per  il  margine  e per  altre 
caratteristiche,  non  differisce  dall’  A.  irregularis  Terq.  dalla 


Studi  sull5  Infralias  ec. 


291 


quale  credo  si  debba  distinguere  per  la  forma  meno  trian- 
golare. L5  A.  Guidonii  j Mgh.  Savi  e Meneghini.  Op.  cit. 
pag.  89  N°  12,  se  non  è la  stessa  deve  essere  certamen- 
te una  sp.  affine , ma  se  1*  esemplare  della  collezione  di 
Pisa  per  la  forma  si  avvicina  all5  A.  nurmsmalis , non  sareb- 
be identico  con  quelli  dell5  A.  Pilla . 

Tributo  d5  ossequio  alla  memoria  del  prof.  Pilla  che  a- 
veva  indovinato  il  rovesciamento  della  serie  nel  lato  oc- 
cidentale del  golfo,  e quindi  l5  antichità  dei  fossili  di  Grotta 
Arpaia , Portovenere  ecc. 

Genere  CARDINIA,  Agassiz. 

40.  Cardinia  reputarli  ^ Tcrq. 

Terqucm  • Meni  .cit.  pag.  297  pi.  XX.  fig.  2. 

§yn,  Cyrerle  (Unio)  concinna,  Sowerby,  minerai  conchology 
Voi.  III.  pag.  43.  pi.  223.  Hoffmann.  Reise  durcli  Ita- 
lien  pag.  294.  11. 

N.  B.  Non  intendo  di  identificare  la  C.  concinna  con  la 
C.  regularis , ma  credo  che  la  Cardinia  trovata  da  Hoffmann 
al  Tiro  fosse  un  esemplare  della  C.  regularis , Terq.  L5  e- 
sempiare  della  mia  collezione  è incompleto , ma  sono  ben 
conservati  anche  gli  ornamenti. 

41.  Cardinia  trigona  . d’  Orb? 

Martin  Mera . cit.  pi.  III.  fig.  14-16. 

42.  Cardinia  angolata,  Cap. 

Per  la  forma  del  contorno  assomiglia  alla  C.  trigona 
d5  Orb.  ma  ne  differisce  per  essere  le  sue  valve  angolose 
posteriormente,  come  d5  ordinario  si  osserva  nel  genere 
Myophoria. 

43.  Cardinia  stoppaniana,  Cap. 

Simile  alla  Saxicava  rotundata.  Terquem.  Op.  cit.  pi. 
XVIII.  fig.  8. 

Trovasi  a Grotta  Arpaja  ed  al  Tiretto. 


292 


Giovanni  Capellini 


Genere  MYOCONCHA.  J.  Sòwerby. 

M.  Myoconcha  psilonoti , Quenst. 

Quenstedt.  F)er  fura  pag.  48  tab.  4.  fig.  15. 

Esemplare  del  Museo  di  Torino* 

Località  Tiretto  ? 

Genere  CARDITA , Bruguière 

415.  Cardiia  munita . Stopp. 

Stoppami.  Fossiles  de  V Azzarola  pag.  56.  pi.  6.  fig. 
11-18.  La  specie  più  abbondante  nel  calcare  della  Bianca, 
quella  che  si  può  dire  incrostare  uno  strato  di  calcare  lu- 
machella  formato  in  gran  parte  coi  gusci  di  cardite.  Credo 
non  sia  che  una  varietà  della  C.  austriaca . 

46.  C ardita  austriaca , Hauer  sp. 

Stoppani.  Qp.  cìt.  pag.  35  pi.  6.  fig.  1-10. 

Syn.  Cardita  crenata,  Merian. 

Trovasi  nello  strato  a cardite  della  Bianca,  a monte  Mur- 
lo,  al  Tiro  e negli  schisti  calcarei  scuri  del  Pescino  e di  mon- 
te Parodi,  in  prossimità  degli  schisti  marnosi  a Bactryllium. 

49.  Cardita  tetragona , Terq  ? 

Terquem.  Mem.  cit . pag.  301  pi.  XX.  fig.  9. 

Riferisco  dubitativamente  a questa  specie  due  esemplari 
di  cardita  raccolti  al  Tiretto,  e che  altra  volta  aveva  rav- 
vicinati alla  C.  trapezoidalis , Desh. 

Genere  LUCINA,  Bruguière. 

48.  Lucina  civatensis , Stopp. 

Stoppami.  Fossiles  des  schistes  noires  ( Infra-lias  ) pi.  20. 
fig.  18-19. 

Esemplari  dei  Musei  di  Torino  e Pisa  provenienti  dal 
Tiretto. 

È la  Lucina  sp.  citata  nelle  Considerazioni  sulla  geologia 
toscana  pag.  90.  N°  19. 


Studi;  sull5  Infkalias  ec. 


293 


Cenere  CORBIS , Cuvìer. 

49.  Corbis  depressa  , Roemer  sp. 

Hoemer.  Oolith.  pag.  110.  pi.  7.  fìg.  12. 

Stoppini.  Op.  cit.  pag.  51.  pi.  5.  fig.'  12-16. 

Genere  CARDIUM , Linneo. 

50.  Cardium  Regazzonii , Stopp. 

stoppa»!.  Op.  cit.  pag.  47.  pi.  4.  fig.  16-17. 

Genere  MYOPHORIA,  Bronn.  1830. 

5fl.  Myophoria  levigata , Bromi  sp. 

§yUi  Lyrodon  Icevigatum , Goldfuss.  Petrefacta  Germania 
pag.  197  Tab..  GXXXV.  fig.  12. 

Genere  CUGULLìEA,  Lamarck. 

52.  Cuculleca  acuta , Mgh.  sp. 

Terquem.  Mem.  cit . pag.  308.  pi.  XXI.  fig.  3. 

Meneghini.  Nuovi  fossili  toscani  pag.  34.  Pisa  1853. 
Il  lavoro  del  Prof.  Meneghini  essendo  anteriore  a quello  di 
Terquem , credo  di  dover  preferire  il  nome  specifico  pro- 
posto dal  Prof,  di  Pisa  per  questo  fossile  della  Spezia  che 
penso  si  debba  identificare  con  la  C.  hettangiensis  , Terq. 

53.  Cuculiala  Murckisoni  , Cap. 

Savi  e Meneghini.  Op.  cit . pag.  89.  N°  14. 

Meneghini.  Nuovi  fossili  ecc.  Arca  Carteroni  cP  Orb.  ? 

Per  la  forma  s5  avvicina  all5  A.  similis  T Terq.  dalla  quale 
differisce  per  il  lato  buccale  più  corto,  l’area  legamentare 
molto  più  larga , la  carena  del  lato  anale  più  sentita  e per 
altre  caratteristiche.  Distinta  col  nome  dell5  illustre  geologo 


Giovanni  Capellini 


inglese  Murchison  che  tanto  si  interessò  per  la  geologia 
italiana,  e fu  il  primo  ad  appoggiare  le  osservazioni  del 
Prof.  Pilla  intorno  al  calcare  nero  dei  monti  della  Spezia. 
Questa  specie  è frequente  al  Tiretto. 

54.  Cuculi  se  a castellanensis , Cap. 

Assomiglia  un  poco  alla  C.  Murchisoni,  ma  è relativamen- 
te molto  più  corta  ed  è minore  la  sproporzione  fra  il  lato 
buccale  e P anale.  Un  esemplare  al  Tiro  e parecchi  nel  cal- 
care della  Castellana. 

Genere  NUCULA  , Lamarck. 

55.  Mucula  subovalii  , Goldf. 

Goldfuss.  d/7,  cit.  pag.  154.  tab.  CXXY.  fig.  4. 

§toi>pani.  O/?.  cit.  pag.  61.  pi.  7.  fìg.  21-22. 

56.  Mucula.  ovali*.  Ziethen.» 

fwoldfuss.  Op.  cit.  pag.  154.  tab.  CXXV.  fig.  2-3. 

59.  Mucula  strigliata  ? Goldf. 

Goldfuss.  Op • cit.  pag.  153  tab.  CXXIV.  fig.  18. 

Genere  MYTILUS  , Linneo. 

58.  Mytilus  cuneatus . Sow.  sp. 

Sowerby.  Minerai  conchology  Voi.  III.  pi.  211  fig.  1* 

Slavi  e Meneghini.  Op.  cit.  pag.  90.  N°  21. 

Esemplare  del  Museo  di  Pisa. 

Credo  che  ad  un  esemplare  del  Mytìlus  cuneatus  si  ri- 
ferisca quello  citato  da  Hoffmann  fra  i fossili  di  Portovene- 
re  sotto  il  nome  di  Modiola  rugosa , Roem  ; fra  queste  due 
specie  vi  è infatti  tale  analogia  che  è facile  il  confonderle. 

V.  Hoffmann.  Op.  cit.  pag.  294.  N°  10. 


Studi  sull*  Infralias  ec.  295 

Genere  LITHODOMUS , Guvier. 

59.  Liihodomus  Meneghino  , Cap. 

Liéhodomus  sp.  Savi  e Meneghini.  Op . cit . pag.  90. 
N°  23. 

Esemplare  del  Museo  di  Pisa. 

Località  Grotta  Arpaja. 

60.  Liihodomus  lyellianus  . Cap. 

Questa  graziosa  conchiglia  della  quale  per  ora  ne  posseggo 
un  solo  esemplare,  trovasi  nello  schisto  rosso  pavonazzo  della 
Bianca  presso  Capo  Corvo.  Assomiglia  al  M.  minimus.  Gold- 
fuss.  Petr.  Gerrn . tab.  CXXX  fig.  7.  Syn  Mortola . minima 
Sowerby.  Minerai  conchology  tab.  210  fig.  5-6.  Differisce 
per  le  dimensioni  e per  1’  apice  sporgente  piu  anteriormente. 
Ha  pure  qualche  somiglianza  con  la  sanguinolaria  pygmcea 
Mùnster  — Goldfuss.  Op.  cit.  tab.  CLIX.  fig.  20. 

Genere  AYICULA,  Klein. 

61.  Avieula  Deshavesi , Terq. 

Terqnem.  Mem.  cit.  pag.  315  pi.  XXI  fig.  13. 

62.  Avicola  «ovignieri , Terq. 

Terquem.  Mem.  cit.  pag.  315  pi.  XXI  fig.  U. 

63.  Avicola  Donkeri,  Terq. 

Terqoem.  Mem.  cit.  pag.  314  pi.  XXI.  fig.  12. 

64.  Avicola  Alfredi?  Terq. 

Terquem.  Mem.  cit.  pag.  315  pi.  XXL  fig.  H 

65.  Avicola  infraliasina . Mari. 

Martin.  Mem.  cit.  pag.  88  pi.  VI.  fig.  9-11. 


296 


Giovanni  Capellini 

66*  Avicisla  Sismondoe,  Cap. 

Valva  sinistra  molto  più  convessa  che  nell’  A.  Desha- 
yesi,  linee  d’accrescimento  molto  pronunziate,  margine 
anteriore  sinuoso  presso  P ala  cortissima  triangolare,  ala 
posteriore  profondamente  smarginata  e con  lungo  sperone. 
Località  Castellana. 

Nelle  lastre  di  calcare  di  spessore  diseguale  che  trovansi 
sepolte  in  una  marna  pavonazzo  scura.  Alcune  di  tali  la- 
stre hanno  una  superficie  appena  di  qualche  decimetro , al- 
tre misurano  fino  ad  otto  e nove  decimetri  quadrati  di  su- 
perficie. 

Dedicata  al  mio  amico  prof.  A.  Simonda  che  molto  ^ in- 
teressò per  la  geologia  dei  dintorni  della  Spezia. 

63.  Avicula  Meneghini! , Cap. 

Valva  sinistra  completamele  liscia^  ala  posteriore  corta 
e leggermente  sinuosa.  Ricorda  un  poco  la  forma  dell’  A. 
sinemuriensis  d’  Orb.  Chapuis  et  Dewalque  Descrìptìon  des 
fossiles  des  terrains  secondaires  de  la  province  de  Luxem- 
bourg.  Mém.  de  P Acad.  R.  de  Belgique  T.  XXV.  pi.  XXVI. 
fig.  4.  Bruxelles  1854. 

Syn.  A.  concinna  Mgh  ? Meneghini  e Savi  Op.  cit. 
pag.  90.  N.  24. 

68.  A vieni  a insequiradiaia,  Schafh. 

8ioppani.  Op.  cit.  pag.  69  pi.  11.  fig.  2. 

Escher.  Geol.  Bemerk.  pag.  19.  pi.  2. 

Esemplare  del  Museo  di  Pisa. 

Località  Grotta  Arpaja. 

Genere  PECTEN.  O.  F.  Muller. 

66.  Pecten  S alteri.  Mer. 

§toppani.  Op.  dt.  pi.  14.  fig.  7. 

Sy n.  P.  textorius  Scholt?  Goldfuss.  Op.  cit.  pag.  45. 
tab.  LXXXIX  fig,  9. 


Studi  sull’  Infralias  ec. 


Hoffmann.  Op.  cit.  pag.  293.  WerkieseUe  petrefakten 
Kalkstein  der  Isola  di  Tinetto  und  voti  Porto-Venere  N.°  5. 

*30.  Pecten  janlriformis , Stopp. 

Stoppami.  Op.  cit.  pi.  14.  fig.  4-6. 

11.  Pecten  aviculoides  ? Stopp. 

Stoppami.  Op.  cit.  pi.  14.  fig.  7. 

Syn.  P.  ambiguus  Munster.  Goldfuss.  Op.  cit.  pag.  46. 
tab.  XG  fig.  5. 

HofTmamm.  Op.  cit.  pag.  293.  N.  5. 

La  forma  delle  coste  e gli  ornamenti  sono  eguali  nella 
fig.  riportata  da  Goldfuss  e negli  esemplari  della  Spezia. 

Hoffmann  confonde  insieme  due  specie , quindi  è inte- 
ressante dar  valore  piuttosto  alle  citazioni  di  Goldfuss  ri- 
portate dall’  autore  stesso. 

32.  Peetem  Sismondse , Gap. 

Esemplare  del  Museo  di  Torino. 

Questa  specie  è dedicata  al  Prof.  Eugenio  Sisinonda  che 
si  compiacue  di  comunicarmi  i fossili  della  Spezia  che  si 
trovano  nelle  collezioni  del  R.  Museo  di  Torino. 

Sarà  descritto  e figurato  nella  Paleontologia  dell’  Infralias 
dei  monti  della  Spezia. 

Genere  LIMA,  Bruguière. 

313.  Lima  pumctata . Sow. 

Stoppami.  Op.  cit.  pag.  73.  pi.  13.  1-6. 

•341.  Lima  nodulosa.  Terq. 

Terquem.  Mem.  cit.  pag.  322.  pi.  XXII.  fig.  3. 


Giovanni  Capellini 


95.  Lima  peetinoides , Sow.  sp. 

§yn.  Plagiostoma  pectinoides , Sowerby , Miner.  conch. 
Voi.  2.  pag.  28.  pi.  114.  fig.  4.  Negli  schisti  calcarei  del 
Pescino  unitamente  alla  cardita  austriaca . 

99.  Lima  Azzarolae.  Stopp. 

Stoppami.  Op.  cit.  pag.  74.  pi.  13.  fig.  10. 

99.  Lima  praecursor  , Quenst. 

Winkler.  Mem.  cit.  pag.  8.  tav.  I.  fig.  5. 

98.  Lima  sp. 

Affine  alla  L.  Bochardi , Martin.  Mem.  cit.  pag.  89.  pi.  VI. 
fig.  14-15. 

Genere  SPONDYJLUS,  Plinio. 

99.  ipondylus  HofTmanni , Gap. 

La  descrizione  dello  spondilo  al  quale  accenna  il  Prof.  Me- 
neghini Op.  cit.  pag.  91.  N°  32  j mi  par  fatta  sopra  un 
esemplare  di  questa  specie.  Ha  qualche  analogia  anche  con 
lo  spondylus  lìasinus , Terq.  che  ritengo  completamente  di- 
stinto dalla  plicatula  intusstriata , Emm. 

Genere  PLICATULA  , Lamarok. 

89.  Plicatula  intusstriata , Emm. 

Stoppani.  Op.  cit.  pag.  80.  pi.  15.  fig.  9-16. 

Come  già  ho  accennato  altrove  , questa  specie  tanto 
abbondante  nei  calcari  schistosi * negli  schisti  marnosi  e nel 
calcare  nero,  costituisce  poi  quasi  da  se  sola  uno  strato 
di  calcare  lumachella. 


Studi  sull5  Infralias  ec.  299 

81.  Plicatula  Mortilieti  , Stopp. 

Negli  schisti  lionati  che  accompagnano  gli  schisti  a Ba- 
ciryllìum  e Myacites  fiaba. 

Località  Castellana , Coregna , Pescino. 

BRACHIOPODI 

Genere  RHYNCONELLA , Fischer. 

8*.  Klivnconella  portuvenerensis , Cap. 

S5  accorda  con  la  descrizione  data  dal  Prof.  Meneghini 
Mem . cit.  pag.  91.  N°  33.  R.  sp.  per  un  esemplare  pro- 
veniente da  Grotta  Arpaja.  Ha  qualche  rapporto  con  la  R. 
fissicostata  Suess , tanto  per  la  forma  generale  quanto  per 
il  numero  delle  coste.  Nella  R.  fissicostata  la  depressione 
della  valva  superiore  è poco  pronunziata. 

Questa  specie  trovasi  quasi  sempre  associata  alla  P.  in- 
tusstriata. 

83.  Kyliuconella  Pillae  , Mgh. 

Savi  e Meneghini.  Op.  cit.  pag.  92  N°  34. 

Esemplare  del  Museo  di  Pisa. 

Località  Tiretto. 

ANELLIDI 

Genere  SERPULA,  Linneo. 

84.  8erpula  flaccida.  Goldf. 

{«oldfuss,  Petr.  Germanio^  pag.  234  tab.  LXIX.  fìg.  7. 

85.  Serpula  gordialis , Schioth. 

(ioldfusi.  Op.  cit.  pag.  234  tab.  LXIX.  fig.  8. 

Anche  Hoffmann  cita  questa  specie  come  da  esso  trova* 
to  al  Tiretto.  V.  Hoffmann.  Op  cit.  pag.  294.  15. 


300  Giovanni  Capellini 

86.  lierpula  Illuni , Goldf. 

Cvoldfuss.  Op.  cit.  pag.  234.  tab.  LXIX.  fig.  101 

89.  §erpula  cingulata  Mùnster? 

Groldfuss.  Op.  cit . pag.  233.  tab.  LXIX.  fig.  4. 

La  S.  cingulata  trovasi  al  Tiretto  nel  calcare  in  cui  ss  in- 
contrano il  C.  sociale  e numerosi  frammenti  di  altri  resti 
organici  fossili  che  ne  rendono  scabrosa  la  superficie. 

CROSTACEI 

88.  Cuocer?? 

Frammenti  di  granchio  negli  schisti  marnosi  giallastri  con 
pettini  e avicule , all9  isola  Tiro. 

RAGGIATI 

89.  Crinoide?  ? 

Savi  e Meneghini.  Considerazioni  pag.  92.  N°  37. 

Abbondantissimo  nel  lato  orientale  del  golfo  e special- 
mente  nei  massi  che  trovansi  sotto  monte  Marcello  nel  luo- 
go detto  Marina. 

ECHINODERMI 

Genere  HYPODIADEMA  , Desor. 

9©.  Hypodiadema , sp.  ind. 

Parecchi  frammenti  ben  riconoscibili , ed  un  esemplare 
deformato  nei  calcari  del  Tiretto.  Trovansene  pure  dei  fram- 
menti nello  schisto  marnoso  giallastro  ad  avicule  del  Tiro. 


Studi  sull*  Infralias  ec. 


301 


POLIPAI 

Gemere  AXOSMILIA. 

91.  Axosmilia  extinctoriam , Ed.  et  H. 

Syn.  Caryophyllia  extinctorum  Mich. 

M.  Edward  et  Hai  me.  A.  monograph  of.  thè  british  fossil 
corals  , second  part.  pag.  128.  Miehelin  , Icori,  pi.  2. 
fig.  3 a,  3 b. 

Syn.  Lunites  Guidanti  prò  parte.  V.  Savi  e Meneghini  Op. 
cit.  pag.  93.  N°  42. 

92.  itxosmilia  sp.  ind. 

Gli  esemplari  di  questa  specie  presentano  il  carattere  di 
piegarsi  ad  angolo  giunti  ad  un  certo  grado  di  sviluppo. 

Genere  MONTLIVALTIA. 

93.  Montlivaltia  irochoides , Ed.  et  IL 

Edward  et  Haime,  Op.  cit.  tav.  XXVI.  fig.  2,  2 a, 
3,  3 a,  10.  tav.  XXVII  fig.  2,  2 a,  i. 

Syn.  Lunites  Guidonii  prò  parte. 

Genere  G Y ATHOPH1LLUM . 

94.  Cyathophilliim  Cocchi! , Stopp. 

Stoppami.  Sulle  condizioni  generali  degli  strati  ad  Avi - 
cula  contorta.  Atti  della  Società  italiana  di  Scienze  naturali 
Voi,  III.  pag.  149. 

Dall’  abilissimo  Sig.  Potteau  al  Giardino  delle  Piante  a 
Parigi  avendo  fatto  eseguire  alcune  sezioni  dei  polipaj  so- 
praccennati,, non  riescii  a scoprire  della  interna  loro  strut- 
tura più  di  quel  che  si  ricava  dagli  esemplari  preparati 
dalla  azione  lenta  degli  agenti  atmosferici. 


302 


Giovanni  Capellini 


FUCOIDI 

Genere  FUGOIDES. 

95.  Fueoides  Montai^neus  , Cap. 

Grandi  fucoidi  che  caratterizzano  alcuni  strati,  come  è 
stato  ricordato  nella"  sez.  di  Tiro  e Tiretto. 

Sospetto  che  a dei  frammenti  di  calcare  con  questo  fos- 
sile si  riferisca  il  Brumites  sp.  Savi  e Meneghini , Op.  cit. 
pag.  93.  N°  41. 

Dedicata  al  mio  ottimo  amico  C.  Montaigne  membro  del- 
T Istituto  di  Francia, 

90.  Fueoides  infraliasicus , Cap. 

Piccole  fucoidi  ridotte  a frammenti  che  tappezzano  al- 
cuni strati  calcarei,  i più  fossiliferi  della  serie  del  Tiro.  Nel 
novembre  del  1859  trovandomi  nelle  montagne  del  Giura 
e visitando  la  Valle  di  Tressus  presso  St.  Claude  in  com- 
pagnia del  Sig.  Benoit,  in  un  terreno  riferibile  all’ Argo- 
viano  di  Marcou  trovai  sopra  uno  strato  a spongiari  uno 
strato  marnoso  a piccole  fucoidi,  similissime  a queste  del 
calcare  nero  alle  quali  ora  accenno.  Se  quello  strato  invece 
di  essere  marnoso  fosse  calcareo,  ci  riprodurebbe  esattamente 
in  un  altro  piano  giurassico  ciò  che  si  osserva  nell5  infra- 
lias  dei  dintorni  della  Spezia.  Le  fucoidi  raccolte  presso  al 
mulino  di  Pontèt  nella  valle  del  Giura  poc5  anzi  ricordata  , 
sono  leggermente  striate  trasversalmente , quelle  dei  monti 
della  Spezia  o per  il  diverso  stato  di  conservazione  o per  al- 
tra causa  appajono  liscie,  del  resto  si  potrebbero  identificare. 

DIATOMEE 

Genere  BAGTRYLLIUM , Heer. 

99.  Bactryllium  «triolaium , Heer. 

Eseher  v.  d.  Linih,  Geol.  Bemerkungen  uber  dasn  or- 
dlische  V orarlberg  und  einige  angrenzenden  Gegenden.  Be- 
scheribung  der  Pflanzen  und  Insecten  von  prof \ O.  Heer. 
Zurich  1853.  taf.  VI.  fig.  A 1.  - A 14. 


Studi  sull*  Infralias  ec.  303 

Località  Pescino  e nel  rimanente  della  catena  occidentale 
del  Golfo. 

98.  Bactryllium  canalieulaium  Heer. 

fifleer.  Op.  cit.  taf.  VI.  fig.  F 1.  - F 12. 

Località  Monte  Murlo  nel  lato  orientale  del  Golfo  negli 
schisti  calcarei. 

99.  Dactryllium  deplanatum , Heer? 

Heer.  Op.  cit.  taf.  VI.  fig.  B 1 - B 4. 

Località  Monte  Rocchetta  presso  monte  Mario,  nel  calcare 
schistoso. 

ÌOO.  Bactrvllium.  sp.  ind. 

Affine  al  B.  canaliculatum. 

Località  Pescino , negli  schisti  marnosi  lionati  in  connes- 
sione con  gli  schisti  a Myacites  faba  della  stessa  località. 

Fino  dal  1857  poco  dopo  aver  trovato  gli  schisti  a Mya- 
cites faba , mi  venne  fatto  di  osservare  negli  schisti  del 
Pescino  impronte  di  piccoli  corpicciatoli  lineari , lunghi  da 
uno  a tre  millimetri;  poco  dopo  avendo  trovato  le  stesse 
traode  di  resti  organici  negli  schisti  di  monte  Parodi  e 
nelle  stesse  relazioni  stratigrafiche  del  Pescino,  sospettai 
che  qualunque  fosse  la  natura  loro  potessero  servire  per 
stabilire  la  continuità  degli  strati  che  caratterizzano. 

Nel  decembre  del  1859  trovandomi  a Zurigo,  osservai 
impronte  simili  in  alcuni  schisti  del  Vorarlberg,  ed  avendone 
parlato  coi  Prof.  Heer  ed  Escher  ne  ebbi  utilissime  notizie 
in  proposito. 

Allora  conobbi  il  lavoro  del  prof.  Heer  nel  quale  tali 
resti  sono  descritti , nè  mi  sorprese  il  vedere  che  fino 
dal  1832  tali  fossili  erano  stati  osservati  nelle  Alpi  Apuane 
dai  Signori  Escher  ed  Hoffmann.  Quando  mi  occuperò  della 
descrizione  delle  varie  sp.  accennate  di  questi  fossili  tanto 
singolari,  ne  dirò  più  a lungo;  intanto  giova  osservare  che 
specialmente  il  B.  strìolatum  è caratteristico  dell  infralias 


304 


Giovanni  Capellini 


e che  per  la  Spezia  i Bactrillj  servirono  di  bandolo  per 
trovare  ordine  in  quei  terreni  apparentemente  tanto  di- 
sordinati. 

Dopo  avere  enumerati  i resti  organici  fossili  che  s’in- 
contrano nel  calcare  nero  fossilifero  e negli  schisti  che  ne 
dipendono  nelle  montagne  della  Spezia , prima  di  presen- 
tare un  quadro  comparativo  per  conoscere  d’ un  tratto  in 
quali  altre  località  si  incontri  una  fauna  che  abbia  con 
questa  i maggiori  rapporti  , gioverà  riassumere  quanto 
dall’  esame  dei  fossili  si  può  dedurre  in  appoggio  degli  stu- 
di puramente  stratigrafici , esposti  antecedentemente. 

Trascurando  i resti  di  vertebrati  trovati  al  Tiretto,  non 
tenendo  conto  degli  echinodermi  intorno  alla  cui  determi- 
nazione specifica  ho  tuttavia  qualche  incertezza,  e molto 
meno  valutando  i resti  di  crinoidi  pei  quali  esistono  sicu- 
ramente maggiori  dubbiezze;  si  trova  però  che  delie  83 
specie  di  molluschi  già  da  noi  riconosciute  ,42  appartengo- 
no a specie  già  note  e spettanti  a terreni  riferiti  all’  In- 
fralias.  Pecten  Falgeri , Lima  punctata , Plicatula  intusstria- 
ta  > Cardita  austriaca , Cardila  munita , Avìcula  Deshayesi 
sono  certamente  dra^  le  specie  accennate  le  più  importanti 
e nel  tempo  stesso  quelle  che  più  abbondane-jielle  mon- 
tagne della  Spezia,  per  cui  esse  sole  basterebbero  a con- 
fermare quanto  ci  era  stato  svelato  dalla  successione  stra- 
tigrafica  ; ma  quando  si  consulti  il  quadro  comparativo  si 
troveranno  molte  altre  specie  che  si  ripetono  tanto  in  Lom- 
bardia quanto  a Hettange , che  sono  le  due  località  le  cui 
faune  infraliassiche  maggiormente  assomigliano  a quella  del 
calcare  nero  della  Spezia.  Fra  gli  anellidi  sonvi  quattro  spe- 
cie di  serpule  trovate  esse  pure  anche  altrove  nel  Lias  o 
nell  Infralias  ; lo  stesso  è a dirsi  per  tre  specie  di  polipaj 
dei  generi  Axosmilìa , Montlivaltia  e Cyathophillum  e pel- 
le diverse  specie  del  genere  BactryUium , una  delle  quali  il 
B.  striolatum , Heer  è citato  dagli  autori  come  specie  caratte- 
ristica delle  formazioni  sincrone  del  S.  Cassiano  superiore  e 
strati  di  Kòssen,  il  che  in  altre  parole  equivale  a dire  In- 
fr alias.  Per  tal  modo  la  paleontologia  in  perfettissimo  ac- 
cordo con  le  osservazioni  stratigrafiche , non  permette  di  re- 


Stupì  sull’  Infralì as  ec. 


305 


stare  dubbiosi  sul  vero  posto  da  assegnarsi  ad  una  serie 
da  tanto  tempo  controversa,  e della  quale  per  il  fin  qui 
detto  credo  se  ne  debbano  fissare  i limiti:  superiormente 
coi  calcari  dolomitici  che  accompagnano  il  marmo  portoro , 
1 quali  alla  Spezia  come  in  Lombardia  ed  altrove  rappre- 
sentano così  la  porzione  superiore  e più  giovane  del  piano 
infraliassico  ; inferiormente  poi  dietro  le  analogie  trovate 
fra  le  due  località  or  ora  accennate,  pare  non  si  debba 
comprendere  nella  gran  formazione  giurassica  il  calcare  ca- 
vernoso esaminato  a Parodi  e che  meglio  si  può  studiare 
nella  catena  orientale  del  golfo. 

Mentre  però  teoricamente  sono  tracciati  di  tal  guisa 
i limiti  dell’ Infralias  nelle  montagne  della  Spezia,  non  è 
a dissimulare  la  difficoltà  gravissima  che  si  presenta  in  pra- 
tica, nella  catena  occidentale  specialmente,  per  poter  ben 
distinguere  e nettamente  separare  la  serie  del  Tiro  dal  vero 
calcare  cavernoso , il  quale  in  molti  punti  fa  insensibilmen- 
te passaggio  ai  calcari  che  vi  succedono  superiormente. 

Se  in  Lombardia  nel  calcare  cavernoso,  o dolomia  media, 
furono  trovati  fossili  pei  quali  questa  roccia  si  dovette  ri- 
ferire al  Trias,  per  ora  non  siamo  stati  egualmente  fortu- 
nati per  quel  che  riguarda  il  Golfo  della  Spezia;  questo 
però  non  toglie  che  per  i rapporti  stratigrafici  tale  roccia 
non  s’  abbia  a ritenere  qui  pure  come  triassica. 


T.  i. 


39 


Giovanni  Capellini 


Un  rapido  sguardo  alle  principali  memorie  sulla  stratigrafia 
e paleontologia  del  calcare  nero  dei  monti 
della  Spezia. 


Raggiunta  la  stessa  meta  dopo  aver  preso  le  mosse  da 
due  vie  diverse  ma  convergenti,  affinchè  ognuno  si  abbia 
ciò  che  gli  è rigorosamente  dovuto,  stimo  ora  necessario 
passare  rapidamente  in  rivista  alcuni  dei  lavori  di  maggior 
rilievo  nei  quali  si  tratta  sopratutto  della  cronologia  del 
calcare  nero  della  Spezia,  e perciò  fare  in  co  m incerò  dagli 
scritti  del  Prof.  Savi , il  quale  da  antica  data  si  era  occu- 
pato della  geologia  di  quella  località  , se  si  eccettuano  le 
scarse  notizie  pubblicate  anteriormente  da  Cordier  e da 
Guidoni. 

I primi  lavori  sulla  Spezia  pubblicati  dal  Savi,  sono  let- 
tere in  risposta  al  Signor  Guidoni  che  nel  1828  perlustran- 
do quei  terreni  ancor  vergini  vi  scopriva  fossili  abbondan- 
tissimi, sulla  interpretazione  dei  quali  si  trovò  raramente 
d’  accordo  col  dottissimo  professore  cui  comunicava  le  sue 
osservazioni.  Tali  lettere  come  in  parte  abbiam  visto  sono 
pregevolissime  per  le  giuste  considerazioni  onde  rendersi 
conto  dei  varj  fenomeni  che  ci  si  presentano  da  interpre- 
tare studiando  quelle  montagne,  ma  per  il  mio  assunto 
mi  limiterò  a ricordare  una  dotta  memoria  dello  stesso 
professore  intitolata:  Tagli  geologici  delle  Alpi  Apuane  e 
del  Monte  Pisano  e cenno  sull  Isola  d?  Elba.  (1)  1/  autore 
guidato  principalmente  dagli  studi  stratigrafici,  sembra  am- 
mettesse allora  la  quasi  immediata  sovrapposizione  del  cal- 
care nero  di  Tiro  e Tiretto  al  terreno  del  Verrucano  , in- 
fatti così  si  legge  nella  citata  memoria. 

» La  parte  inferiore  della  massa  calcarea , quella  che 
» riposa  sui  Verrucano,  è spesso  marnosa  e compatta,  e 
» quando  non  è stata  modificata  da  cause  plutoniche  ha 


(1)  V.  Nuovo  giornale  dei  Letterali.  Pisa  1833.  T.  XXVII. 


Studi  sull’  Infralias  ec. 


307 


» per  il  solito  un  color  bigio  o nerastro  ed  è caratterizzata 
» da  numerosi  fossili  bivalvi  da  pochi  univalvi  o da  zoofiti. 
» I luoghi  ove  fino  ad  ora  sono  stati  trovati  tali  petrefatti 
» sono  T isola  del  Tino,  Tinetto  (1)  e Palmaria  presso  il 
» golfo  della  Spezia,  ed  in  quasi  tutti  i monti  calcarei  del 
» lato  occidentale  di  questo  golfo. 

Ora  quando  il  Prof.  Savi  precisa  che  sono  appunto  i cal- 
cari e marne  riferibili  alla  serie  del  Tiro  quelli  che  esso  dice 
riposare  sul  Verrucano , mi  pare  sia  perfettamente  d’  ac- 
cordo con  quanto  si  è verificato  dietro  i nuovi  studi  stra- 
tigrafici e paleontologici  sui  calcari  delle  montagne  del 
lato  occidentale,  e dietro  le  scoperte  ne!  lato  orientale  del 
golfo  j che  se  non  proseguirò  più  oltre  nell’esame  della 
ricordata  memoria,  non  tralascierò  di  citare  il  quadro  di 
confronto  fra  la  serie  generale  dei  terreni  e quella  dei  ter- 
reni propri  alla  Toscana , (2)  nel  quale  lo  stesso  autore  in 
epoca  abbastanza  recente  riteneva  pure  come  giurassico  il 
calcare  nerastro  del  Golfo  della  Spezia  e quello  della  Tec- 
chia;  e quando  V autore  cita  la  Spezia  e la  Tecchia  insie- 
me, è precisato  che  esso  parla  del  calcare  nero  infraliassico 
che  nelle  due  località  racchiude  i medesimi  fossili. 

Hoffmann  nel  1839  pubblicando  quanto  aveva  osservato 
durante  un  viaggio  in  Italia  ed  in  Sicilia  negli  anni  1830-32, 
cita  alcuni  fossili  da  esso  raccolti  nei  monti  della  Spezia 
donati  al  R.  Museo  di  Mineralogia  di  Berlino  e determi- 
nati dal  Dott.  Emmerich. 

Dopo  aver  descritto  diverse  specie  di  ammoniti  e due 
di  alveoli  di  beleinniti  raccolti  nella  catena  occidentale, 
parla  dei  fossili  del  calcare  nero  del  Tinetto  e di  Porto- 
venere.  Nei  16  generi  ai  quali  riferisce  i fossili  raccolti  in 
quest’  ultima  località , ricorda  particolarmente  le  seguenti 
specie  tutte  liassiche  : Terebratula  varians  Sow  ; Pecten  vexil - 
lum , Schlot , che  ho  identificato  col  P.  aviculoides  Stopp.  ; 


(1)  Si  dice  comunemente  Tino  e Tinetto  invece  di  Tiro  e Tiretto , ma  que- 
st' ultima  denominazione  pare  sia  da  preferirsi. 

(2)  Savi.  Memoria  sopra  i carboni  fossili  delle  Maremme.  Pisa  1843. 


Giovanni  Capellini 


Modiola  Milana , Sow.  ; Cyrena  concinna  , Sow.;  oltre  a que- 
ste la  Serpula  gordialis r Schlot.  pure  giurassica  riscontrata 
fra  gli  esemplari  della  mia  collezione  ( raccolti  al  Tiretto  ) 
prima  di  conoscere  il  lavoro  di  Hoffmann,  cioè  le  determi- 
nazioni fatte  da  Emmerich  or  sono  presso  che  trent’  anni. 
Il  Cyathophyllum  sp.  ind.  del  Tiretto  riportato  dall*  au- 
tore  è probabilmente  ciò  che  abbiamo  riferito  al  C.  Coc- 
cMi , Stopp. 

Non  saprei  indovinare  perchè  del  lavoro  di  Hoffmann 
non  siasi  tenuto  conto  da  chi  scrisse  in  seguito  sulla  Spe- 
zia , non  fu  però  egualmente  dimenticato  dal  visconte  D’  Ar- 
dirne nella  sua  storia  dei  progressi  della  geologia,  ed  aven- 
done avuto  per  tal  modo  notizia,  dopo  molte  ricerche  potei 
consultare  anche  quella  memoria  quando  già  il  mio  lavoro 
era  compiuto,  e vi  trovai  la  conferma  degli  studi  fatti  sce- 
vro di  idee  preconcette.  (1). 

Fino  dal  1842  il  Prof.  Sismonda  sosteneva  egli  pure  che 
i calcari  neri  fossiliferi  della  catena  occidentale  dei  monti 
della  Spezia  fossero  da  riguardarsi  come  liassici,  e solamen- 
te non  ne  ammise  P identità  con  quelli  di  Capo  Corvo,  e 
credette  che  questi  e le  sottostanti  anageniti  fossero  in 
posizione  inversa  da  quella  che  ebbero  originariamente  e 
dovessero  riferirsi  all’  Oxfordiano. 

Del  resto,  1’  egregio  professore  lietissimo  delle  recenti 
scoperte  paleontologiche  fatte  in  quella  località , conferma 
quanto  si  è ultimamente  osservato. 

Si  giunge  così  al  1845,  e si  hanno  i lavori  di  Pilla  il 
quale  precisa  il  posto  da  assegnarsi  ai  calcari  neri  dei  mon- 
ti della  Spezia,  nè  indovina  la  loro  serie  invertita  i|el 
lato  occidentale , ed  avrebbe  dimostrato  con  fatti  quanto  as- 
seriva in  gran  parte  teoricamente , quando  non  avesse  gio- 
vanissimo incontrato  la  morte  nella  giornata  di  Curtatone 
combattendo  per  la  libertà  della  patria. 

Nel  Saggio  comparativo  dei  terreni  che  compongono  il 
suolo  d?  Italia  3 ove  parla  del  terreno  giura-liassico  cita  i 


(t)  Hoffmann.  Rei$e  durch  Italien  und  Sicilien.  pag.  293. 


Studi  sull’  Infrauas 


309 


fossili  trovati  da  Savi  e Guidoni  sulla  cima  del  Sagro  e del- 
la Tambura  nelle  Alpi  Apuane,  e li  riferisce  a quelli  che 
aveva  egli  pure  osservati  a Grotta  Arpaja,  a Marola,  all9  iso- 
la Palmaria,  al  Tiro  ed  al  Tiretto;  e dopo  avere  annunzia* 
to  che  negli  schisti  bruni  del  Tiretto  aveva  trovato  un 
pesce  fossile , soggiunge  : « rendomi  certo  che  facendovi  ac- 
curate ricerche  si  giungerebbe  a ritrarre  molti  esemplari 
di  questa  sorta.  » 

L9  autore  dimostra  in  seguito  la  relativa  posizione  fra  il 
calcare  nero  ed  il  Verrucano  di  Capo  Corvo,  e ritenendo  con 
De-Buch  ed  altri,  che  il  calcare  rosso  ammonitifero  tro- 
visi nella  porzione  superiore  del  terreno  giurassico  ( appun- 
k to  come  abbiamo  veduto  essersi  verificato  dietro  i nuo- 
vi studi  stratigrafici  al  Bermego  ed  a Parodi  ) suppone  un 
rovesciamento  di  strati  nel  lato  occidentale  del  Golfo  onde 
ristabilire  V ordine  naturale  di  tutta  la  serie  e ne  coordina 
i vari  strati  come  segue. 

Iella  catena,  occidentale 

1 . °  Macigno 

2. °  Schisti  calcarei  rossi 

3. °  » gialli  a posidonia 

4. °  » 9enza  fossili 

5. °  » ad  ammoniti 

6. °  » calcareo-marnosi 

7. °  Dolomite 

8. °  Calcare  bruno  a bivalvi 

IVella  catena  orientale 

Calcare  bruno  a bivalvi. 

Anagenite  e schisti  del  Verrucano. 

Dopo  ciò  insistendo  sulla  verosomiglianza  di  questo  ro- 
vesciamento ed  osservando  che  il  golfo  è il  prodotto  di  una 
faglia , F autore  dimostra  che  stando  le  cose  di  tal  guisa , 
gli  strati  giuraliassici  della  Spezia  concorderebbero  con  quelli 
della  provincia  di  Como,  e ci  potremmo  render  conto  di  al- 
cuni accidenti  particolari  che  tali  strati  presentano  in  qual- 
che parte  della  Toscana. 


310 


Giovanni  Capellini 


In  un  secondo  lavoro  che  ha  per  titolo  : Notice  sur  le 
calcaìre  rouge  ammonitifère  de  V Italie  (1) , il  prof.  Pilla 
dopo  aver  combattuto  V opinione  di  Goquand  il  quale  vor- 
rebbe far  discendere  il  calcare  rosso  ammonitifero  fino  al 
lias  inferiore,  nuovamente  insiste  sul  rovesciamento  accen- 
nato nella  catena  occidentale  del  Golfo,  e termina  con  alcuni 
confronti  fra  le  diverse  forme  litologiche  che  s’ incontrano 
alla  Spezia  ed  in  Lombardia,  e finalmente  stabilisce  alcuni 
confronti  fra  i Monti  oltre  Serchio  presso  Pisa  e quelli  della 
Spezia,  confronti  di  altissimo  interesse  specialmente  dopo 
la  scoperta  delle  ammoniti  e schisti  a posidonomya , ma  che 
non  starò  qui  ad  analizzare  perchè  al  momento  non  toccano 
al  nostro  argomento.  La  relativa  posizione  dello  schisto  a , 
posidonomya , del  calcare  rosso  e schisti  ad  ammoniti  quale  fu 
stabilita  dal  Pilla  non  conviene  perfettamente  con  le  mie  ripe- 
tute Osservazioni  alla  Spezia , nei  Monti  Pisani  ed  oltre  Ser- 
chio, ove  nel  1856  aveva  la  fortuna  di  scoprire  schisti  a po- 
sidonomya identici  a quelli  della  Spezia  ; tranne  però  questa 
differenza  le  ricordate  osservazioni  s’accordano  per  la  maggior 
parte  con  quanto  riscontrai  indipendentemente  dagli  studi  del 
Professore  più  volte  citato.  Questa  maniera  di  vedere  trovò 
appoggio  presso  Sir  R.  Murchison  il  quale  nella  sua  Me- 
moria sulla  struttura  geologica  delle  Alpi  degli  Apennini  e dei 
Carpazi  3 riproduceva  le  idee  del  Pilla  ed  un  taglio  geolo- 
gico identico  a quello  pubblicato  dal  medesimo  cinque  anni 
prima  nel  Saggio  comparativo  poc’  anzi  esaminato. 

Le  Considerazioni  sulla  geologia  toscana  dei  Prof.  Savi  e 
Meneghini  apparvero  contemporaneamente  alla  traduzione 
della  memoria  di  Murchison  già  accennata,  ed  ivi  per  la 
prima  volta  il  calcare  nero  fossilifero  dei  monti  della  Spe- 
zia e quello  corrispondente  delle  Alpi  Apuane  furono  deci- 
samente dichiarati  cretacei , ammettendo  che  il  calcare  nero 
delle  isole  Tiretto , Tiro , Palmaria  e dei  monti  della  catena 
occidentale  fosse  al  suo  posto , e quindi  sovraincombente 
cronologipamente  come  lo  è apparentemente  ai  calcari  e 
schisti  con  ammoniti  della  stessa  località: 


(1)  Bufi.  Soc.  géol.  de  France.  2«  sèrie  Voi.  IV.  1847. 


Studi  sull*  Infralias  ec. 


Quando  si  invocò  la  paleontologia  in  appoggio  di  quella 
supposizione,  le  quarantadue  specie  di  fossili  raccolti  alla 
Spezia  e nel  calcare  della  Tecchia  non  corrisposero , mal- 
grado i confronti  che  se  ne  fecero  con  specie  appartenenti 
al  cretaceo  inferiore  o neocomiano,  e si  dovette  concludere 
essere  per  la  massima  parte  specie  nuove.  Le  erano  real- 
mente per  la  massima  parte,  e pochissime  eccettuate  le  sa- 
rebbero anch’  oggi  e la  fauna  di  quel  calcare  avrebbe  un 
aria  di  novità,  senza  le  dotte  pubblicazioni  sui  fossili  del- 
P Azzarola  in  Lombardia  dell’  Ab.  Stoppani,  quella  sul  grès 
d’  Hettange  di  M.  Terquem , P altra  sull’  infra-lias  del  di- 
partimento della  Cóte-d\  Or  di  M.  Martin,  e tante  e tante  al- 
tre pubblicazioni  che  per  brevità  ommetto  di  ricordare  e 
nelle  quali  in  questi  ultimi  anni  troviamo  descritti  e figu- 
rati molti  di  quei  fossili  che  alla  Spezia  erano  stati  sco- 
perti da  Gordier  fino  dal  1811,  e che  da  Guidoni  nel  1828 
erano  stati,  prima  che  da  altri , raccolti  e segnalati  ai  geologi. 

Dopo  la  pubblicazione  dei  geologi  toscani , si  ha  nel 
1851  una  Nota  sui  terreni  dei  contorni  della  Spezia , del 
Collegno , nella  quale  P autore  rivendica  la  sua  opinione 
che  i terreni  giurassici  della  Spezia  abbiano  la  più  grande 
analogia  con  quelli  di  Lombardia,  e conclude  non  esser 
possibile  trovare  corrispondenza  più  perfetta  fra  i monti 
della  Spezia  e le  Alpi  lombarde. 

Il  suo  giudizio  poi  intorno  alla  pubblicazione  dei  geolo- 
gi toscani  mi  pare  che  riassuma  tante  verità,  e risparmi  a 
me  pure  di  dire  tante  cose  che  mi  resterebbero  ancora  per 
provare  non  esser  possibile  una  conciliazione  fra  quanto  si 
osserva  in  natura  e le  opinioni  teoriche  emesse  in  questi 
ultimi  anni  a proposito  della  Spezia , che  non  posso  a me- 
no-di  riportarlo  per  intero. 

» Duoimi  ( così  scrive  P autore  della  Nota  ) , duoimi  il 
» non  poter  dividere  P opinione  dei  Professori  Savi  e Me- 
» neghini  relativamente  all’  età  del  calcare  di  Portovenere 
» che  essi  vorrebbero  riferire  al  Neocomiano.  I caratteri 
i»  paleontologici  di  quel  calcare  non  sono  gran  che  diffe- 
» renti  da  quelli  dal  calcare  nero  schistoso  di  Bellagio  il 
» quale  è certamente  inferiore  al  calcare  grigio  con  selce 


312 


Giovanni  Capellini 


» ed  al  calcare  rosso  ammonitifero  dei  monti  che  stanno 
» fra  il  piano  d’  Erba  e il  lago  di  Como  ; e pei  caratteri 
» geologici  la  disposizione  degli  strati  dalla  foce  della  Ma- 
» gra  a Porto  Telaro  mi  pare  dimostrare  che  fra  il  calcare 
» del  Capo  Corvo  e il  Verrucano  della  Tana  del  Serpente 
» non  v5  è spazio  per  gli  strati  i quali  nell’  ipotesi  dei  Pro- 
» fessori  di  Pisa  dovrebbero  rappresentare  il  terreno  giu- 
» rassico. 

» Ora  non  credo  possa  nascer  dubbio  fra  V identità 
» del  calcare  del  Capo  Corvo  e di  Porto  Telaro  e quello 
» di  Portovenere. 

A questa  protesta  dell’  illustre  geologo,  italiano  nessuno 
che  io  mi  sappia  rese  risposta,  e nelle  pubblicazioni  poste- 
riori nelle  quali  si  parlò  delle  montagne  della  Spezia,  il 
calcare  nero  fossilifero  continuò  ad  essere  ammesso  come 
neocomiano,  benché  come  tale  non  fosse  accettato  da  Pareto, 
Sismonda  e da  altri  i quali  avendo  visitato  le  Alpi  non  sa- 
pevano misconoscere  la  grande  somiglianza  che  passa  fra 
alcuni  calcari  che  ivi  si  incontrano  e quelli  che  si  osserva- 
no nei  dintorni  della  Spezia  e nelle  Alpi  Apuane.  Non  ho 
particolarmente  passato  in  rivista  i lavori  del  Pareto , ma 
basti  il  sapere  che  dal  1829  fino  ad  oggi  ritenendo  come 
assioma  che  il  calcare  nero  della  Spezia  fosse  liassico , non 
si  curò  mai  di  dimostrarlo  con  lavori  speciali,  benché  ne 
facesse  parola  in  vari  suoi  scritti  da  me  annoverati  a prin- 
cipio. 

Quante  volte  ebbi  occasione  di , parlare  del  calcare  nero 
della  Spezia  e dei  suoi  fossili  Con  quel  distintissimo  geolo- 
go, cui  era  lièto  di  comunicare  ogni  mia  nuova  osservazio- 
ne o scoperta,  altrettante  mi  affacciava  il  dubbio  che  essi 
si  potessero  sortire  dal  lias  come  pretendevano  altri  geolo- 
gi,  e più  vòlte  mi  assicurò  che  avendo  presentato  a De- 
Buch  un  esemplare  di  Avicula  del  Tiretto,  ne  ebbe  in  ri- 
sposta: che  quel  fossile  doveva  certamente  provenire  da 
un  terreno  riferibile  al  trias,  nq  a quell’  epoca  il  dotto 
geologo  si  ingannava,  poiché  infatti  gran  parte  di  ciò  che 
si  considerava  allora  come  triassico,  rientra  oggi  nel  piano 
infralìassico,  come  sono  sicuro  vi  debba  rientrale  il  calcare 


Studi  sull’  Infralias  ec. 


313 


nero  di  Caprona  e di  altre  località  dei  Monti  Pisani.  Fino 
dal  1S57  epoca  nella  quale  osservai  per  la  prima  volta  in 
posto  quel  calcare  fossilifero , non  poteva  rendermi  conto 
come  si  volesse  distinto  da  quello  del  Tiretto  e del  Tiro 
con  alcuni  strati  della  cui  serie  presentasi  perfettamente 
identico  (1). 

Dissi  che  questa  rivista  sarebbe  stata  rapida  e parmi 
di  non  aver  mancato  àlla  mia  promessa , le  poche  cose  riferi- 
te parmi  che  bastino  a rendere  giustizia  ai  miei  predeces- 
sori per  quel  moltissimo  che  fecero  per  la  geologia  della 
Spezia  e nel  tempo  stesso  ci  mostrano  chiaramente  che 
ogniqualvolta  essi  studiarono  quelle  montagne  spendendovi 
il  tempo  necessario  e non  limitando  le  osservazioni  ad  un 
solo  punto , tanto  maggiormente  si  avvicinarono  al  vero  nel 
proporre  una  spiegazione  pei  fatti  osservati. 

Conclusione 

Senza  tentare  ancora  di  decifrare  il  terreno  giuraliassico 
dei  monti  della  Spezia , gli  studi  fatti  per  stabilire  la  cro- 
nologia del  calcare  nero  fossilifero  hanno  però  dimostrato, 
che  il  gruppo  di  calcari  e schisti  con  ammoniti  ed  altri 
fossili  allo  stato  di  semplici  impronte  ovvero  . convertiti  in 
limonite  deve  considerarsi  in  posizione  inversa  da  quella 
che  occupa  nei  monti  Castellana  e Coregna,  affinchè  F ordi- 
ne di  naturale  successione  di  quelli  strati  fossiliferi  torni 
a ristabilirsi,  come  si  verifica  in  quelle  parti  nelle  quali 
il  rovesciamento  della  serie  non  ebbe  luogo.  Limitandoci 
al  già  noto,  il  termine  superiore  di  quel  terreno  che  per 
ora  distinguiamo  col  nome  di  giura-liassico  è fissato  con  gli 
schisti  a Posidonomya  Bronni , fossile  caratteristico  degli  schi- 
sti di  Boll  e per  il  quale  ho  avuto  più  volte  occasione  di 
verificare  (nelle  montagne  della  Giura  ed  altrove),  che 
esso  costituisce  un  prezioso  orizzonte , ordinariamente  la 
parte  inferiore  del  liassico  superiore. 


(1)  V.  la  Nota  in  fine. 
t.  i. 


40 


314  Giovanni  Capellini 

Se  ad  onta  che  gli  schisti  a Posidonomya  Bronni  siano 
la  roccia  più  recente  di  tutta  quanta  la  serie  fossilifera  dei 
monti  della  Spezia  , preferisco  per  ora  di  dire  terreno  giu- 
raliassico  anziché  puramente  lias  , egli  è perchè  certi 
schisti  varicolori  e certi  calcari  i quali  finora  si  mostrano 
senza  fossili  ma  stanno  superiormente  ai  fossiliferi , forse' 
in  seguito  si  potrebbero  riconoscere  riferibili  al  giurassico. 

Inferiormente  sono  gli  schisti  calcarei  grigi  a belemniti 
che  rappresentano  il  limite  del  piano  liassico , e questi  si 
possono  studiare  benissimo  nella  sezione  di  Coregna.  Riguar- 
do alla  potente  massa  dei  calcari  dolomitici  cristallini  che 
costituiscono  quasi  1*  asse  di  tutta  la  catena  occidentale  ed 
in  gran  parte  il  pendio  occidentale  dei  monti  calcarei  della 
catena  orientale  del  Golfo , come  pure  il  marmo  portoro  in- 
timamente connesso  coi  calcari  dolomitici  stessi , dietro  i 
caratteri  litologici  in  mancanza  di  dati  paleontologici,  ri- 
tengo che  alla  Spezia  facciano  parte  delF  infraliassico  come 
fu  dimostrato  per  altre  località  che  hanno  con  questa  mol- 
tissima analogia.  Il  calcare  nero  fossilifero  e gli  schisti  che 
ne  dipendono,  stratigraficamente  stanno  subito  al  disotto 
della  massa  di  calcari  dolomitici  ora  accennata  ; a Coregna, 
alla  Castellana , al  Muzzerone  e nelle  isole  Palmaria , Tiro 
e Tiretto  P ordine  naturale  è invertito , i calcari  dolomitici 
stanno  inferiormente.  (1) 

Gli  studi  stratigrafìci  nella  catena  orientale  mostrarono 
la  vera  posizione  del  calcare  nero  fossilifero  esser  quella  os- 
servata a Parodi , al  Bermego  e più  al  nord  ancora  nella 
catena  occidentale;  dippiù  nel  taglio  naturale  di  Capo  Corvo 
si  vede  che  al  disotto  del  calcare  cavernoso  il  quale  nelle 
località  ora  citate  serve  di  base  al  piano  infraliassico , seguo- 
no in  perfetta  concordanza  di  stratificazione  le  roccie 
distinte  col  nome  di  terreno  del  Verrucano.  Fra  il  calcare 
nero  fossilifero  ed  il  calcare  cavernoso  inferiore  e roccie  del 


(I)  Può  dirsi  che  le  stratificazioni  delle  quali  resulta  la  catena  occidentale 
dei  monti  della  Spezia,  allorché  emersero  si  foggiarono  in  elicoide  come  ap- 
punto è indicato  dal  fin  qui  esposto. 


Studi  sull’  Irfralias  ec.  315 

Verrucano  non  vi  è posto  per  la  serie  giuraliassica  accen- 
nata nel  lato  occidentale , la  quale  nella  catena  orientale 
non  si  riscontra;  anche  nel  caso  che  una  parte  dei  calcari 
e schisti  di  Fiascarina  fossero  giurassici , il  lias  manchereb- 
be completamente  e vi  sarebbe  un  hiatus  fra  il  giurassico 
e Y infraliassico , almeno  per  quanto  credo  poterne  dire  fin 
d’  ora.  Delle  roccie  del  Verrucano  non  mi  sono  partico- 
larmente interessato  in  questa  memoria,  ho  inteso  solo  di 
ricordare  quanto  si  incontra  anche  nel  lato  orientale , e ad 
altra  occasione  mi  riservo  a tentare  di  stabilire  la  loro  cro- 
nologia ; fin  d’  oggi  però  è necessario  ripeta  ciò  che  varie 
volte  ho  accennato , cioè  che  il  calcare  cavernoso  e tanto 
più  la  breccia  di  schisti  di  S.  Terenzo  e forse  altre  forme 
litologiche  ad  essa  inferiori,  ed  ora  comprese  nel  Verrucano, 
si  possono  senza  esitazione  riferire  al  trias  come  da  molto 
tempo  aveva  fatto  il  marchese  L.  Pareto. 

Il  calcare  nero  fossilifero  con  gli  schisti  che  lo  accompagna- 
no , limitato  superiormente  ed  inferiormente  come  abbiamo 
riferito  e quindi  infraliassico  per  la  sua  posizione  strati- 
grafica, è dimostrato  pur  tale  per  i suoi  fossili  dei  quali 
molti  sono  comuni  all’  infraliassico  delle  località  le  meglio 
studiate  in  Italia,  Francia,  Belgio  ec.  (1). 

I calcari  neri  della  Bianca  presso  Capo  Corvo  identificati 
da  Pilla , Collegno  e da  altri  con  quelli  della  Castellana 
Tiro,  Tiretto  dietro  la  sola  guida  dei  caratteri  litologici, 
oggi  sfi  riconoscono  effettivamente  tali  per  i numerosi  resti 
fossili  che  vi  si  incontrano.  La  difficoltà  di  approdare  ove 
sono  i fossili,  quando  il  mare  non  sia  in  calma,  il  che  è 
ben  raro  alla  estremità  orientale  del  golfo,  forse  contribuì 
a ritardare  tanto  la  scoperta  segnatamente  dello  strato  a 
Cardite  che  potei  osservare  nell’  ottobre  dello  scorso  an- 
no 1861.  Trovati  i fossili  alla  Bianca^  mi  occupai  di  cer- 
carli altrove  lungo  la  catena  orientale  e ne  scoprii  a monte 
Marcello  , monte  Murlo , monte  Rocchetta  ; solamente  per 
la  mancanza  di  grandi  lacerazioni  trasversali  a quelle  mon- 


ti) Vedi:  Quadro  comparativo  ecc. 


316 


Giovanni  Capellini 


tagne , non  è possibile  averne  in  copia  come  si  verifica  per 
altre  località  segnatamente  nel  lato  occidentale. 

L’  interesse  che  tutti  i geologi  mostrarono  in  ogni  tem- 
po per  quanto  si  riferisce  al  golfo  della  Spezia , la  sfiducia 
alla  quale  molti  si  erano  abbandonati  credendo  che  quella 
località  resterebbe  per  sempre  indecifrabile , mi  fa  sperare 
sia  per  essere  ben  accolto  questo  lavoro  nel  quale  ho 
avuto  principalmente  di  mira  di  far  conoscere  che  la 
geologia  dei  dintorni  della  Spezia  è molto  meno  intricata 
di  quel  che  si  credeva  finora.  Vi  sono  è vero  molte  località 
ove  la  successione  stratigrafica  è meno  sconvolta  che  alla 
Spezia , ma  ve  ne  sono  moltissime  per  le  quali  esistono 
difficoltà  ancora  maggiori;  basta  infatti  internarsi  nelle 
Alpi  per  imparare  come  si  presentino  i terreni  ove  sono 
avvenuti  grandi  rovesciamenti  e ripiegamenti  di  masse  stra- 
tificate. 

Fissato  una  volta  un  primo  punto  di  partenza , dietro 
F esatta  conoscenza  del  medesimo,  fatti  sicuri  di  poterci  ad 
esso  affidare,  speriamo  siano  per  dileguarsi  le  gravi  diffi- 
coltà dalle  quali  si  credeva  avvolta  la  geologia  dei  dintorni 
della  Spezia  e di  una  parte  della  Toscana. 


QUADRO  COMPARATIVO 

delle  principali  località  ove  m*  incontrano  specie  di  molluschi  comuni  all’  Infralias  dei  monti  della  Spezia. 


Specie  riscontrate  nei  monti  del  Golfo  della 
Spezia  e nelle  vicine  isole  Palmaria , 
Tiro , Tiretto. 


Ammonites  nanus?  Mart.  . . . 
Purpurina  spediensis,  n.  sp.  . . 

Neritopsis  tuba,  Schafh. ...  . 
N.  Paretii,  n.  sp.  . . . 

N.  bombicciana,  n.  sp.  . 
Chemnitzia  usta,  Terq.  sp.  . . . 

Ch.  abbreviata,  Terq.  sp. 
Ch.  turbinata,  Terq.  sp.  . 
Ch.  unicingulata,  Terq.  sp. 

Ch.  incerta,  n.  sp.  . . . 

Ch.  Cordieri,  n.  sp.  . . 

Ch.  acutispirata,  n.  sp.  . 

Ch.  lessoniana,  n.  sp.  . . 

Cerithium  semele , Mart.  . . . 
C.  Henrici , Mart.  . . . 

C.  rotundatum,  Terq.  . . 

C.  gratum , Terq.  . . . 

C.  Meneghini,  n.  sp.  . . 

C.  sociale,  n.  sp.  . . 

Turritella  Dunkeri,  Terq.?.  . . 

T.  Zenkeni , Terq.  . . . 
T.  deshayesea,  Terq.  . . 

T.  bicarinata,  n.  sp.  . . 

T.  somervilliana , n.  sp.  . 


Turbo  subpyramidalis , d’  Orb. 
Phasianella  nana,  Terq.  . . 

Ph.  Guidonii , n.  sp.  . 
Orthostoma  Savii,  n.  sp.  . . 

Or.  tri  ti  cura  , Terq.  . 
Corbula  imperfecta,  n.  sp. . . 
Anatina  prsecursor,  Quenst.  sp. 
Pholadomva  sp.  . . . : . 

Myacites  faba,  Wink.  . . . 
Mactra  securiformis,  d’  Orb?  . 
Astarte  cingulata,  Terq.  . . 
Cocchii , Mgh.  . . . 

Pili®,  n.  sp 


d'( 

angulata,  - 


t : 1: 


6 I 


I 1 3 


Specie  riscontrate  nei  monti  del  Golfo  della 
Spezia  e nelle  vicine  isole  Palmaria , 
Tiro,  Tiretto. 


Cardinia  stoppaniana , n.  sp.  . 
Myoconcha  psilonoti , Quenst. . 
Cardita  munita,  Stopp.  . . . 

C.  austriaca , Hauer  sp.  . 

C.  tetragona , Terq.  . . 
Lucina  civatensis,  Stopp.  . . 

Corbis  depressa,  Romer  sp.  . 
Cardium  Regazzonii , Stopp.  . 
Myophoria  l®vigata,  Brom.  sp. 
Cucull®a  acuta,  Mgh.  sp.  . . 

C.  Murchisonii  , n.  sp. . 

C.  castellanensis  , n.  sp. 

Nucula  subovalis,  Gold. . . . 

N.  ovalis,  Ziethen.  . . . 

N.  strigilata,  Gold.  . . . 
Mytilus  cuneatus,  Sow.  sp.  . 
Lithodomus  lyellianus  n.  sp.  . 

L.  Meneghini  , n.  sp. 
Avicula  Deshayesi , Terq.  . . 

A.  Buvignieri , Terq.  . . 

A.  Dunkeri , Terq 

A.  Alfredi , Terq.  ? . . . 

A.  infraliasica , Mart.  . . 

A.  Sismond®,  n.  sp.  . . 

A.  Meneghinii , n.  sp. . . 

A.  in®quiradiata , Schafh. 

Pecten  Falgeri,  Mer 

P.  janiriformis,  Stopp. 

P.  aviculoides,  Stopp?.  . 

P.  Sismond®,  n.  sp.  . . 

Lima  punctata  , Sów 

L.  Azzarol® , Stopp 

L.  nodulosa,  Terq?  .*■  . . 

L.  pr®cursor,  Quenst.  . . 

L.  pectinoides , Sow.  sp. 


sp. 


Plicatula  ìntusstriata , Emm. 

P.  Mortilieti , Stopp.  . 
Rhynconella  PilTfe , Mgh.  . 
R.  portuvenerensis, 


lì 


Totale  | 17  | 23  | 7 6 7 | 1 5 


LIMITI  E DIVISIONI  DEL  PIANO  INFRALIASSICO 


secondo  diversi  autori  in  Italia,  Francia,  Belgio , Inghilterra. 


Martin 

Geologi  Inglesi. 

(Diff.  Opere.) 

Escher 

(Geol.  Bemerk.) 

(p2d:ii) 

■ss:: 

«,.A9 

Caie,  à G.  arqoées 

Cale,  à Gryphées  j 

Cd.  à G.  arcuata  e A. 
Buklandi. 

Starhemberg-Gres 

tener-Schichten. 

Formazione  di  saltrio 

PIANO  INFRALIASSICO 

I 

d'  GBettan^tt  °de  Vu- 

JB1Ì2SSA5 

Zone  à Amm.  Marea- 

norbis  e A.  Johnstoni. 

Dachsteinkalk. 

Kalk  mit  Megalodon 
scutatus  Schaf. 

1 

Czleare  dolomitico  o i 

ssrssi'.B? 

» 

^Calcatre  greso-Mwmv- 

I 

\ 

d»S!eLumaTheÌlMU  ^ 

Bone-bed  di  Axmoutb, 
Aust-clròT,  Watchet,  Wain- 

Kossener-Schichten. 

Oberes. 

Depolito  dell’Aztarola  e 
banco  madreporico. 

S 

ssks** 

ta,  Arkoses. 

Groppo  delle  lnmackelle 
e degli  scisti  neri  marnosi. 

.aastas 

pi 

TRI  AS  SUPERIORE 

Marnes  irisées. 

— — 

Keuper-New  Red  Mari. 

Dolomite. 

Hallstatter-Schichten 
(Èsino  Kalk). 

Raibler-Schichten  e S. 
Cassianer  - Scbichten  ( di 
Lombarda!.  ) 

Hauptdolomit. 

Petref.  ron  Esino. 

Kenper  ( Letten-kohle. 
Boote  Mergel.) 

'ZZSZiX.. 

Z5rw&?~* 

Calcare  cavernoso 

Studi  sull’  Infralias  ec. 

NOTA 


317 


Per  tuttoquanto  riguarda  la  Spezia , considerando  il  lavoro  del  Dot- 
tor Cocchi  (Description  des  roches  ignées  et  sedimentaires  de  la  Tosca- 
ne) pubblicato  nel  1856,  come  un  riassunto  di  ciò  che  già  era  stato  svolto 
nelle  Considerazioni  sulla  geologia  toscana,  credetti  non  doverne  fare 
una  rivista  particolare.  Informalo  però  che  il  Prof.  Cocchi  oggi  disdice 
quanto  altra  volta  sostenne  in  quella  sua  memoria , mi  trovo  nella  ne- 
cessità di  rilevare  che  il  calcare  nero  dei  monti  della  Spezia  dal  mede- 
simo veniva  riferito  al  neocomiano  e ne  parla  al  C.  VII.  Terrain  cretacé 
inferieur.  Alla  stessa  epoca  riporta  il  calcare  cavernoso  del  quale  appena 
è fatto  cenno  in  quello  stesso  capitolo,  e finalmente  tutta  la  serie  di  roc- 
cie  comprese  nel  gruppo  del  Verruca  no  le  considera  come  parte  del 
paleozoico,  ed  in  termini  abbastanza  ambigui  dice  che  a Capo  Corvo  nella 
porzione  superiore  del  Verrucano  tutt’  al  più  vi  potrebbe  essere  qualche 
cosa  riferibile  al  Permiano.  Del  resto  nel  catalogo  delle  roccie  stratificate 
e non^stratificate  della  Toscana,  col  quale  termina  la  memoria  del  pro- 
fessor Cocchi , ogni  ambiguità  è tolta , e come  troviamo  il  calcare  nero 
fossilifero  ed  i calcari  dolomitici  dei  monti  della  Spezia  classati  nel  cre- 
taceo inferiore,  così  senza  che  una  sola  roccia  di  quella  località  sia  ri- 
ferita al  Trias , si  trovano  nel  piano  superiore  del  paleozoico  ( ossia  nel 
terreno  carbonifero)  la  quarzite  di  Capo  Corvo,  la  stessa  che  nel  mio  ta- 
glio è indicata  col  nome. di  Quarzite  del  Mulinello  di  Pitelli,  ed  al  paleo- 
zoico inferiore  sono  riportati  gli  schisti  arenacei  metamorfici  che  stanno 
fra  P Anaeenite  N.°  6 e la  Puddinga  N.°  9, 

Quando  poi  volessi  ammettere  che  V autore  della  memoria  avesse  visi- 
tato Capo  Corvo,  non  potrei  davvero  spiegarmi  come  abbia  potuto  rife- 
rire al  Lias  inferiore  il  marmo  bianco  che  nel  taglio  Tav.  II.  fig.  5a  sta 
immediatamente  sopra  i veri  schisti  paleozoici. 

Tutta  questa  storia  avrei  ben  volentieri  trascurata  , se  nel  tempo  stesso 
che  a me  rton  consta  avere  il  prof.  Cocchi  con  lavori  posteriori  disdette 
le  opinioni  èsposte  nellavortr  accennato , d’  altra  parte  non  fossi  stato 
assicurato  eh’  egli  asserisce  aver  da  gran  tempo  distinto  il  Trias  ed  altre 
formazioni  nel  Verrucano  di  Capo  Corvo, 


errori  correzioni 

pag.  248  lin.  23-24  riconoscerne riconoscere 

. 250  * 27  Direttori,  della  biblioteca  . Direi  lori  della  biblioteca 

» 258  » 3 e Jung' essa e lungh’ essa 

> 259  » 6 La-Béhe La-Bèche 

■ 277  » 31  Bardonnéche  Bardonnècbe 

» 280  >4  Si  osservano  sn  questi.  . . Si  osservano  in  questi 

> 297  » 18  si  compiacue ........  si  compiacque 

« 302  > 30-31  dasn  òrdlische da » nordliche 

> 302  » 31-32  Beseheribung Beschreibung 

* 3|3  * 28  ginra-liassico ginraliassico 


318 


Giovanni  Capellini 


SPIEGAZIONE  DELLE  FIGURE 


TAV.  I.  — F1G.  la 

Taglio  della,  montagna  di  Coregna. 
nella  «scala  di  I — 25000. 

a.  Scoglio  ferrato. 

b.  Costa  sopra  Campiglia. 

c.  Monacello. 

d.  Punta  di  Coregna. 

e.  Madonna  del  Porto. 

TAV.  I.  — FIG.  2a 

Taglio  attraverso  1’  isola  Tiro  , 

nella  scala  di  1—5000.  ^ 

a.  Faro  — l’altezza  del  cordone  a metà  della  torre  del  medesimo  è di  m.  107,97 

b.  Grotta  al  disotto  del  Faro. 

c.  Faglia. 

TAV.  1.  — FIG.  3a 

Taglio  del  Tiretto, 
nella  scala  di  1 — 1250. 

a.  Isola  Tiretto. 

b.  Scoglio  grosso. 

c.  Scoglio  di  mezzo. 

d.  Scoglio  lungo. 

TAV.  II.  — FIG.  4a 

Or  otta  Arpaja. 

a.  Grotta. 

b.  Apertura  per  discendere  alla  grotta  dalla  parte  di  terra. 
ce.  Faglie. 

d.  Castello  e chiesa  di  Portovenere. 

TAV.  II.  — FIG.  6a 

Taglio  di  Capo  Corvo,  dalla  punta  del  Corvo 
alla  batteria  di  Si.  Croce. 

a.  Semaforo. 

b.  Batteria  di  S.  Croce. 

TAV.  II.  — FIG.  6a 

Si t rati  contorti  di  anagenite  con  grotte  scavate 
inferiormente. 


Grotte. 


3 O 

» M «S ty*  rt«u;«; 

3 IH  * caicM* 

*□  c?^a  *u,X^ 

3 1!  .n,w«Xu 

« 13  SJy^  ~ £f..w«r 


5.  Capellini  li» 


Mera . sull  InJralias  Capellini  Tav  1 


«IH  euw  ~~  * 

« IH1  Volere  r T‘  a a L<U§ 


C B*tUm  ine 


U F"  C. 


i i J 1 1 i a 1 1 ■ ■ a.a 


Mem  Ser.Oomo  I. 


lem.  sull  Iufralias  Capellini  Tav  II 


Xdt  F"  Casanova 


IN  CHE  MODO 

LE  DIATESI  0 DISPOSIZIONI  MORBOSE 

NE’  POPOLI  SI  MUTINO 

E COME  ENTRINO 

NELLA  FORMAZIONE  DEI  SISTEMI  MEDICI. 


DEL  PROF.  ALFONSO  CORRADI 

( Letta  nella  Sessione  6 Febbraio  1862  ). 


I.  J_  emporti  mutantur  et  nos  mutamur  in  illis.  In  questo 
vecchio  adagio  può  dirsi  abbia  fondamento  la  Patologia  sto- 
rica , la  quale  considera  le  vicissitudini  dei  morbi  nel  vol- 
ger dei  tempi,  ed  indaga  le  ragioni  dei  loro  mutamenti. 
Già  Plinio  il  Naturalista  avea  avvertito  .malattie  in  prima 
ignote  essere  apparse  in  Europa , mentre  che  altre  erano 
spente  ed  altre  duravano  ancora  (1)  : ed  in  secoli  meno  re- 
moti ^ e presso  che  sotto  gli  occhi  nostri , fu  dato  veder 
sorgere  nuovi  morbi , e cessare  gli  antichi , incrudelire  1 
miti , gl’  immansueti  placarsi , perder  di  dominio  gli  epide- 
mici , acquistarne  gli  sporadici.  Le  quali  cose  avvengono  ap- 
punto perchè  nell’  uomo,  od  in  ciò  che  a lui  sta  attorno  ac- 
cadono mutamenti , nuove  condizioni  si  formano  per  cui  le 
attitudini  patologiche  di  prima  cessano  o si  mutano.  E per 
vero  la  malattia  altro  non  essendo  che  un  modo  di  essere 


(1)  Hist.  nat.  XXVI  1.  6. 


320 


Alfonso  Corradi 


dell’ organismo  nostro,  deve  dagli  stati  diversi  di  questo  trar- 
re peculiari  sembianze  : diffatti  le  infermità  dell’  infanzia  non 
son  quelle  della  vecchiaja , nè  V uomo  de’  tropici  ammala 
istessamente  del  settentrionale.  Se  il  corpo  nostro  non  passas- 
se per  alcuna  età,  se  il  clima,  preso  nel  più  largo  significato, 
fosse  ovunque  uniforme,  e per  ogni  dove  ugualmente  si  vi- 
vesse , le  stesse  malattie  non  prenderebbero  mai  qualità  od 
aspetti  diversi , e la  Geografia  medica  non  avrebbe  ragione  di 
essere:  del  pari  se  questo  stato  di  cose  fosse  sempre  esistito, 
ovvero  se  1’  uomo  rimanesse  costantemente  uguale  in  qualsia- 
si tempo  e luogo , neppure  della  Patologia  storica  avremmo 
d’  uopo  ; avvegnacchè  non  può  esservi  storia  per  ciò  che 
non  ha  vicende  nè  si  muove.  Ma  la  supposizione  è sì  lon- 
tana dal  vero  da  essere  assurda.  E nemmeno  sarebbe  giusto 
immaginare  noi  tanto  mutabili,  che  qualsiasi  cambiamento 
di  ciò  fra  cui  viviamo  valesse  a condurci  in  nuovi  stati.  Que- 
sta dottrina  di  esagerata  soggezione  dell’  uomo  alle  cose 
esteriori  non  ha  tenuto  conto  della  potenza , che  lui  avviva , 
e per  la  quale  sè /medesimo  conserva  e gli  altri  esseri  a 
proprio  vantaggio  trasforma  : acconsentiamo  che  ciascun  pae- 
se, secondo  che  più  o meno  all’  uno  degli  estremi  del  no- 
stro emisfero  si  va  avvicinando , o al  Polo , o all’  Equino- 
ziale, più  ancora,  o meno  produce  gli  uomini  atti  alle  spe- 
culazioni , ed  alle  azioni  civili  e militari  ; ma  naturalmente 
' diremo  col  Poeta  delle  Crociate  ) , perchè  so  ben  io  quanto 
possa  la  disciplina , e che  in  virtù  di  lei9  ovunque  nasce 
huomo , nasce  soldato  : onde  in  queste  stesse  Provincie  au- 
strali sono  stati  buonissimi  soldati , come  i Carthaginesi  (1)- 
Le  mutazioni  organiche  dei  viventi  furono  dai  Filosofi 
della  Natura  ben  conosciute  ; ma  subordinando  essi  tutte 
le  cose  a leggi  determinate , e trovando  in  tutto  età  o sta- 
dii  di  germogliamento , di  formazione  e di  fioritura  (2)  ; 


(1)  Lettera  del  Signor  Torquato  Tasso  nella  quale  paragona  V Italia  alla 
Francia.  Mantova  1581  p.  7. 

(2)  Quitzmann , Von  den  mediz.  Systemen  und  ihrer  geschicht.  Entwicklung. 
Munchen  1837.  8.° 


Delle  diatesi  o disposiz.  morbose  ec. 


321 


anche  la  patologia  assoggettarono  a tal  ordine,  e le  epide- 
mie divennero  segni  di  progressivo  sviluppo  fisico  della  spe- 
cie umana  (1).  Questo  voler  assegnar  termini  alla  Natura, 
e metter  noi  e le  cose  nostre  in  cima  alla  parabola  del 
progresso,  donde  poi  le  età  venture  dovranno  discendere, 
ho  io  censurato  nel  Preliminare  alla  Storia  dei  Morbi  po- 
polari in  Italia,  come  mostra  di  superbia,  maggiormente 
meschina  trovandosi  fra  le  nazioni  più  colte  come  fra  le 
più  selvatiche , ne’  secoli  meglio  educati  e ne’  più  rozzi  (2). 
Se  il  progresso  è indefinito  perchè  porre  la  stagione  dei 
frutti?  Caduti  i frutti  la  pianta  marcisce,  ed  allora  che 
avverrà  dell’  uomo  ? Se  poi  son  veri  i ricorsi  storici  del 
Vico , avremmo  non  un  progresso  continuato , ma  avvicen- 
damenti di  grandezza  e di  miseria,  di  potenza  e di  debo- 
lezza. Ad  ogni  modo  con  queste  idee  s’  introduceva  nello 
studio  della  storia  medica  lo  stato  morboso  come  elemento 
intrinseco  della  medesima. 

II.  Ma  le  variazioni  di  questo  stato  morboso  furono  at- 
tribuite al  successivo  predominio  de’  principali  organi , ap- 
parecchi o sistemi.  La  malattia , questa  trista  ed  insieme  su- 
blime sorte  delV  uomo  giusta  il  religioso  Henschel , cominciò 
dalla  pelle  limite  terreno  del  corpo  nostro , quindi  trascorse 
negli  apparati  di  nutrizione , poscia  nel  sistema  linfatico , nel 
venoso , nell’  arterioso  per  poi  finalmente  metter  sede  in 
quello  de’  nervi  : il  quale  sistema  sovrastando  ad  ogn’  altra 
struttura  organica,  forma  il  maggiore  sviluppo  fisico  della 
specie  nostra  ; sviluppo  a cui  oggi  noi  siamo  pervenuti.  Cor- 
rispondentemente a questi  varii  stati,  la  malattia  assume 
caratteri  speciali,  e si  formano  le  diverse  diatesi  o dispo- 
sizioni morbose  (3).  E tale  ultimo  concetto  è pur  vero:  io 
stesso  con  altri  lavori , benignamente  accolti  (4) , l’ ho  pro- 


li) Rosenbaum , Die  Epide mieti  als  Beweise  einer  fortscbreitenden  physischen 
Entwickelung  der  Menschlieit  betrachtet.  (Cìarus  und  Radius,  Beitr.  zur  prakt. 

(2)  Ann.  univ.  di  Medie.  CLXXVI.  Aprile  1861. 

(3)  Henschel  A.  W. , Ueber  di  aligera.  Krankheitsanlage  in  der  raenschl. 
Natur  und  ihre  hohere  Nolhwendigkeit  ( Clarus  und  Radius  0.  c.  I 18.  21). 

(4)  Della  odierna  diminuzione  della  Podagra  e delle  sue  cause.  — Come 

T.  t.  41 


322 


Alfonso  Corradi 


pugnato.  Però  non  posso  menar  buone  le  ragioni  che  si 
danno  di  quel  succedersi  di  stati  organici  e patologici  ; non 
mi  pare  cioè  che  il  predominio  dell’  uno  sull’  altro  organo, 
apparecchio  o sistema  si  debba  riferire  all’  intrinseco  svilup- 
po fisico  della  specie  umana , senza  che  le  condizioni  este- 
riori v*  abbiano  parte  alcuna.  E per  vero  siffatta  dottrina  ha 
il  vizio,  ripeto,  di  riguardar  noi  d’  oggi  come  il  punto  più 
elevato  della  gran  curva  che  segna  il  cammino  d’  ogni  esi- 
stenza , lasciando  il  precipitarne  ai  nepoti , senza  speranza 
di  risalire  alla  passata  grandezza  : persuasione  che  forse  aver 
poteano  Roma  ed  Atene  ne’  più  bei  giorni  di  loro  poten- 
za , non  noi  cui  la  storia  ha  mostrato  le  glorie  e le 
sventure  de9  popoli.  D’  altronde  se  si  continui  ad  ammet- 
tere il  progresso  organico,  dove  mai  porrà  stanza  la  malattia 
che  già  ora  ha  percorso  ogni  parte  del  corpo , dalle  più  este- 
riori alle  più  profonde  ? Gi  figureremo  noi  una  generazione 
d’  uomini  conforme  ai  sogni  di  Condorcet  (1)  ? La  natura 
nostra  può  migliorare , e noi  tutti  ci  sforziamo  di  pervenire 
alla  perfezione  (2)  ; ma  quest’  attitudine , come-  tutte  le 
forze  naturali , deve  aver  limiti,  che,  quantunque  non  pos- 
sano da  noi  essere  determinati , non  vanno  per  conto  al- 
cuno negati.  Le  malattie  poi  sono  secondo  1*  ordine  di  na- 
tura , e le  ragioni  di  esse  trovansi  nolle  condizioni  dell’  u- 
niverso  e dentro  noi  medesimi.  Inoltre  se  T accennata  evo- 
luzione della  razza  umana  si  compiesse  per  fatto  proprio 
da  ogn’  altro  distinto , e fosse  il  risultato  di  funzione  inti- 
ma della  specie  stessa , le  diverse  sue  fasi  od  età  serbar 


oggi  le  affezioni  scrofolotubercolari  siansi  fatte  più  comuni  ( Mem.  dell*  Ac- 
cad.  dell’  Istituto  di  Bologna  Voi.  X e 1 della  seconda  serie). 

(1)  La  perfectibiiité  de  1’  homme  est  indéfinie . . . il  doit  arriver  un  temps  où 
la  mori  ne  serait  plus  que  I’  effet  ou  d’  accidents  extraordinaires , ou  de  la  de- 
struction  de  plus  en  plus  lente  des  forces  vitales . , . sans  doule  1’  homme  ne 
deviendra  pas  immortel  ; mais  la  distance  entre  le  moment  où  il  commence  à vi- 
vre  et  i’  époque  commune  où  naturellement,  sans  maladie,  sans  accident  il  éprou- 
ve  la  difficulté  d’ ètre  ne  peut-elle  s’  accroltre  sans  cesse  ? ( Tableau  des  pro- 
grès de  1’  esprit  humain  X Epoque  — Oemr.  compì.  Vili  373). 

(2)  . . , . ad  summam  virtutem,  ad  stimma  atque  in  omni  genere  perfecta 
omnes  pervenire  conantur  (Cicero). 


Delle  diatesi  o disposiz.  morbose  ec. 


323 


dovrebbero  fra  loro  certa  proporzione , nè  1*  una  avere  ri- 
spettivamente alle  altre  eccessiva  brevità  o lunghezza  : però 
il  bisogno  di  accordare  in  qualche  guisa  la  teorica  col  latto 
fe’  il  primo  stadio , quello  che  comprende  i mali  cutanei , 
smisuratamente  ampio  comprendendo  tutta  P antichità  ; anzi 
ei  lo  dovrebbe  essere  assai  più  , volendo  abbracciare  la  leb* 
bra  del  medioevo.  E come  nell’  individuo  più  non  riappajono 
le  prerogative  dell’  età  trascorsa,  così  le  malattie  delle  mol- 
titudini dovrebbero  far  sempre  riscontro  agli  stadii  della  vita 
di  queste , e cioè  le  malattie  che  diconsi  proprie  ad  esem- 
pio dell’  infanzia,  veder  non  dovremmo  (siccome  accade  ve- 
dere e più  innanzi  sarà  dimostrato)  quando  il  popolo  anzi 
che  putto  è già  uscito  dagli  efèbi  ed  ornai  s1 * * * 5  attempa.  Fi- 
nalmente se  le  anzidette  successioni  morbose  fossero  con- 
seguenza di  fatale  sviluppo  organico , in  qualsiasi  luogo  e 
con  qualsiasi  civiltà  oggi  sarebbero  predominanti  le  stes- 
se malattie  : la  qual  cosa  dall5  osservazione  è contraddet- 
ta ; e della  contraddizione  non  altra  buona  ragione  dai  so- 
stenitori di  quest5  ipotesi  potrebbe  addursi,  che  la  na- 
tura differente  degli  uomini,  o V apparizione  de5  popoli 
sulla  terra  in  momenti  diversi.  E così  onde  dar  forza  ad 
una  supposizione  altre  se  ne  fabbricano  non  meno  fiacche 
od  avventate  ; imperocché  l5  unità  della  specie  nostra , se  non 
la  sua  derivazione  da  unica  coppia  di  genitori , è opinione 
da  sì  validi  argomenti  appoggiata , che  neppur  sembra  le- 
cito dubitarne  (1).  Ed  ammessa  la  moltiplicità  delle  crea- 
zioni nuove  difficoltà  insorgono  ; cioè  se  fra  i popoli  d5  og- 
gi sianvene  de5  vecchi  e de5  giovani , ed  essendocene , noi 


(1)  V unità  della  umana  specie  non  inchiude  1’  unità  della  sua  origine , che 
cioè  tutti  gli  uomini  siano  proceduti  da  una  sola  coppia  di  genitori  originaria- 
mente creati  in  un  punto  solo  della  terra.  Conviene  anzi  mantenere  divise  in- 
teramente le  due  questioni,  per  non  accomunare  all’ una  ed  all’ altra  i dubbi 
che  potrebbero  accogliersi  in  una  soltanto.  L’ unità  della  specie  è costituita  dalla 
unità  sostanziale  della  sua  vita , che  si  esprime  nella  medesimezza  delle  qualità 
essenziali  e distintive  di  tutti  i suoi  individui  ; e può  esistere  egualmente  anche 

se  quell5  unica  vita  diffondendosi  sopra  la  terra  abbia  originata  in  una  e in  al- 

tra parte  di  questa  a tempi  diversi  delle  razze  differenti,  appropriate  ai  luoghi 

in  cui  hanno  originato  ; ma  appartenenti  tutte  ad  una  medesima  specie  ( Bomc- 

à.  Sommario  di  Fisiologia  p.  572). 


324 


Alfonso  Corradi 


che  giungemmo  ai  maggior  grado  di  sviluppo,  per  ciò  che 
soggiaciamo  al  predominio  del  sistema  nervoso,  saremmo 
più  antichi  de’  Chinesi  p.  e.  ? E se  questi  lo  fossero  invece 
più  di  noi , di  che  razza  di  mali  darebbero  mai  esempio  ? (1) 
Dond’  è che  certe  malattie  a popoli  decrepiti  ed  a po- 
poli infanti  sono  comuni , e dagli  uni  agli  altri  trapassa- 
no? Quando  poi  si  dicesse  le  vecchie  popolazioni  essere 
già  spente,  e le  odierne  tutte  egualmente  giovani,  allora 
s’  affaccierebbe  di  bel  nuovo  P obbiezione  del  non  essere 
le  malattie  uniformi  ne’  varii  luoghi  e fra  le  varie  genti. 

Dunque  le  mutazioni  di  diatesi  od  i diversi  stati  mor- 
bosi che  nella  specie  nostra  succedettero  , mentre  indub- 
biamente derivarono  da  diverse  condizioni  de’ corpi;  queste 
non  ponno  attribuirsi  ad  un’  astratta  evoluzione  della  spe- 
cie stessa , ad  altrettanti  stadii  eh’  ella , fuori  d’  ogn’  altra 
legge , segnerebbe  sui  suo  cammino.  Non  è quindi  il  latto 
eh’  io  contrasti , bensì , e più  sopra  n’  esposi  le  ragioni , 
le  cause  addotte  del  medesimo.  La  qual  cosa  dimostra  co-: 
me  il  raccogliere  i fatti  sia  benissimo  la  prima  e nec  essaria 
condizione  d’  ogni  dottrina  ; ma  cho  a formar  questa  con- 
viene altresì  ragionar  su  di  quelli  con  una  filosofia , la  quale 
colle  soverchie  sue  astrazioni  non  ci  dilunghi  dall’  esperien- 
za, e fra  le  chimere  infine  ci  travolga.  Ond’  egli  è vero 
che  ancora  co’  fotti  alla  mano,  possiamo  trovarci  in  un  mondo 
d’  idee  affatto  diverse  da  quelle  che  rappresentano  i fatti 
medesimi.  Ma  malamente  soddisfarei  all’  obbligo  mio , se  , 
dimenticando  la  parte  più  ardua  d’  ogni  trattazione,  ali’ op- 
pugnata spiegazione  alcun’  altra  non  m’  ingegnassi  sostitui- 
re: me  fortunato  se  quella  trovassi  che  alla  verità  è conforme! 


(I)  I Chinesi  che  quasi  mai  si  lavano,  mangiano  riso  e pesce  salato,  sof- 
frono di  lebbra,  di  scrofola,  di  tubercolosi,  di  febbri  intermittenti.  Antiche 
sono  fra  loro  le  affezioni  sifilitiche,  ed  antieo  pure  1’  uso  di  curarle  col  mer- 
curio. Invece  vanno  immuni  dalia  gotta  (Gutzlaff , The  medie,  art  amongst  thè 
Chinese  In:  Journ.  of  thè  R.  Asiatic  Society  1836  N.  VII  p.  165  — Wilson, 
Medie.  Notes  on  China.  Lond.  1845  — Fortune , Wanderings  in  thè  norlhern 
provioces  of  China.  Lond.  1846  — Le  Corate,  N.  Mém.  sur  V état  pré- 
seot  de  la  Chine.  Paris  1701  I.  369).  Ma  queste  son  tutte  malattie  che  pro- 
vengono dalla  maniera  di  vivere,  dalla  qualità  de' cibi,  dalle  condizioni  del 
snolo,  piuttosto  che  da  giovinezza  o vecchiaia  di  popolo. 


Delle  diatesi  o disposiz.  morbose  ec.  325 

HI.  L’  uomo,  come  il  parto  più  nobile  della  creazione, 
più  di  qualsiasi  altro  essere  ha  libertà  e vita  propria  ; nul- 
ladimeno  esso  fa  parte  dell’  universo , ed  è animale  civile 
e di  compagnia  sì  per  bisogno  che  per  naturale  inclinazio- 
ne : laonde  egli  è in  continuo  commercio  con  la  terra  e 
col  cielo , da  cui  trae  elementi  indispensabili  alla  sua  esi- 
stenza, e con  gli  altri  uomini  e viventi  insieme  ai  quali 
pur  conduce  la  vita.  La  quale  perciò  partecipar  deve  delle 
qualità  stesse  delle  cose , eh’  entrano  a far  parte  de5  suoi 
organi , o lei  muovono  ad  azione.  Verità  ben  sentita  da’  poeti 
quando  favoleggiarono  che  nell’  infanzia  gli  Achilli  ed  i Rug- 
gieri di  midolla  di  leone  o d’  altri  animali  feroci  si  cibas- 
sero ; ben  sentita  dal  Tasso , quando , non  poetando , disap- 
prova che  in  alcune  parti  di  Francia  si  nutrano  i bambini 
di  latte  di  vacca , però  che , ei  dice , il  bue  è animale  ser- 
vile , e tollerante , non  solo  delle  fatiche , ma  delle  percosse 
eziandio,,  ed  il  nutrimento  che  in  quella  età  si  riceve,  im- 
prime un  non  so  che  della  sua  qualità  ne’  corpi , e negli 
animi  ancora  teneri  de’  fanciulli  (1). 

Nella  stessa  guisa  che  si  mutano  le  attitudini  fisiologiche, 
nuove  disposizioni  morbose  si  preparano  : conciossiachè  l’ ar- 
monia onde  son  rette  le  cose  create  non  è si  perfetta  ed 
immutabile  da  impedire  qualsiasi  turbamento  ; tanto  più  che 
quelle  non  hanno  confusa  esistenza,  ma  ciascuna  P ha  distinta 
e con  intendimenti  proprii.  La  quale  libertà  quanto  meglio 
spiccata  porgerà  più  facili  occasioni  a dipartirsi  dall’  ordine 
dell’  universo  ; e siccome  fra  tutte  le  creature  1’  uomo  è la 
meno  soggetta  e la  più  fornita  di  proprietà  individuali,  in 
lui  le  disposizioni  alle  malattie,  e le  malattie  stesse,  sa- 
ranno più  frequenti  (2).  Quindi  nell’  essenza  della  vita  si 
racchiude  la  nativa  e generica  propensione  ad  ammalare; 


(1)  0.  c.  p.  27.  — Anche  Didone , delusa  nel  suo  amore,  contro  lo  spietato 
Principe  trojano  furiosa  inveisce  co’ notissimi  versi: 

....  duris  genuit  te  caulibus  horrens 
Cancasus,  Hyrcanaeque  admorunt  ubera  tigres. 

(Aeneid.  L.  IV).  . ... 

(2)  Corpora,  quo  magis  individua  snnt  ac  perfecliora,  eo  majore  eliam  vi, 
et  insita  quidem  ac  peculiari,  renituntur  in  omne  id,  quod  servando  corpon 


326 


Alfonso  Corradi 


per  le  condizioni  poi  speciali  degl’  individui  , e per  le  azioni 
delle  cose  esteriori  cotale  propensione  è determinata  e fatta 
particolare.  La  salute  godendo  di  certa  larghezza  può  ac- 
comodarsi con  que’  nuovi  stati  del  corpo,  ne’  quali  le  varie 
disposizioni  morbose  consistono  : ma  giunge  momento  in  cui, 
.per  F azione  di  alcuna  causa  eccitatrice,  ovvero  perchè 
sempre  più  gli  organi  tralignano , F anzidetto  accordo  vien 
meno  e la  malattia  propriamente  detta  si  forma.  11  qual  tra- 
passo talvolta  è còsi  improvviso  e manifesto  che  sen  può 
determinare  il  cominciamento  ; tal  altra  invece  così  lento 
ed  occulto  da  parere  la  malattia  nuli’  altro  che  il  prosegui- 
mento della  medesima  disposizione  (1).  Ma  le  condizioni 
organiche,  donde  poi  provengono  le  particolari  attitudini 
alle  malattie , come  possono  metter  profonde  radici  ne’  corpi 
sicché  colla  generazione  si  trasmettono , possono  altresì  ve- 
nir contrariate  ed  anche  tolte  sia  che  ci  trasportiamo  sotto 
altro  cielo , od  in  genere  conduciamo  vita  diversa  di  prima. 
E quando  tali  benefici  influssi  non  durino  o non  operino 
tanto  quanto  fia  mestieri , acciocché  F organismo  pienamente 
si  spogli  delle  avite  predisposizioni , queste  di  bel  nuovo , 
data  opportuna  occasione , riappariranno  : e per  vero  talora 
s’  osservano  ne’  nipoti  le  malattie  od  inclinazioni  degli  avi  : 

Fit  quoque  ut  interdum  similes  existere  avorum 

Possint,  et  referant  proavorum  saepe  figuras  (2). 

Ciò  eh’  è dell’  individuo  è delle  moltitùdini  ancora,  le 
quali  quando  inclinano  ad  alcuni  morbi , quando  invece  ne 
vanne»  immuni.  E queste  inclinazioni  o ripugnanze  non  vor 
glion  già  dire  la  malattia  esser  cosa  distinta  dall’  organismo 


individuo  aut  specie»  contrarium  est.  Unde  nulli  minerarum  sunt  morbi,  paucis- 
simi  herbarum , pauciores  vermium  et  insectorum , panilo  plures  piscium , plu- 
rimi vero  mammalium  et  hominum  ( Sprengel , Pathol.  generai.  L.  i.  C.  i.  § M* 

(1)  Della  disposizione  a malattia  non  dobbiamo  avere  sì  esagerato  concetto 
da  credere  eh*  essa  preceda  qualsiasi  malattia  ; molte  accadono , p.  e.  le  frat- 
ture, le  lussazioni,  senza  che  dessa  punto  sia;  ed  altre  volte  ancora  taluna 
malattia , la  quale  per  consueto  sorge  da  una  disposizione , si  forma  unicamente 
per  l’ insolita  e prepotente  azione  di  cause  morbifere  siano  elleno  a noi  intrin- 
seche ovvero  esteriori. 

(2)  Lucret. 


Delle  diatesi  o disposiz.  morbose  ec.  327 

nostro  ( di  cui  veramente  non  è che  un  modo , e tanto  della 
costituzione  di  ognuno  partecipe,  che  può  dirsi  una  stessa  in- 
fermità avere  aspetti  differenti  quanti  sono  gl’  individui  che 
la  soffrono);  bensì  voglion  dire  condizioni  corporee  diverse 
dar  luogo  a diverse  manifestazioni  morbose.  Siffatti  muta- 
menti se  nelle  moltitudini  appariscono , n’  è ragione  che  le 
moltitudini  per  gl’  individui  si  formano  ; niuna  buona  prova 
essendovi , siccome  ho  mostrato , che  le  succedentisi  gene- 
razioni abbiano  in  loro  evoluzione  conforme  a quella  che 
in  ciascuno  di  noi  gli  anni  arrecano  : perciò  le  diatesi  o 
gli  stati  morbosi  che  hanno  dominato  ne’  varii  tempi  nei 
popoli,  mentre  hanno  ragione  in  particolari  condizioni  dei 
corpi , debbon  esser  originate  da  cause  che  su  questi  corpi 
più  o meno  direttamente  e lungamente  abbiano  operato. 

IV.  Molto  a lungo  si  è quistionato  intorno  alle  muta- 
zioni del  clima:  secondo  alcuni  mai  ve  ne  furono,  secon- 
do altri  furono  e gravi  e frequentissime.  Sentenze  amendue 
erronee , avvegnacchè  le  meteore  cambiano  ; ma  nelle  pre- 
senti condizioni  del  globo , que’  loro  turbamenti  non  pos- 
sono avere  tant’  estensione  nè  tanta  durata  , quanta  sareb- 
be d’  uopo , onde  spiegare  le  successioni  morbose  ne’  po- 
poli. Le  quali  può  dirsi  avvennero  sotto  gli  occhi  nostri, 
si  la  storia  ce  ne  lasciò  vivo  ricordo,  senza  che  possiamo 
congiungerle  a raffreddamento  od  a maggior  caldezza  del- 
P aria , a soverchia  umidità  o secchezza , a sfolgorar  di 
astri  od  a commozioni  del  suolo  : non  perchè  fra  questi 
avvenimenti  e gli  altri  trovar  non  si  potesse  relazione 
di  tempo;  ma  come  le  vicende  meteorologiche  sono  ra- 
pide e frequenti,  altrettanto  tarde  e poco  comuni  sono  le 
mutazioni  delle  diatesi  ne’  corpi  nostri.  Delle  quali  cose 
distesamente  discorsi  studiando  le  cause  che  diminuirono  la 
podagra,  e le  altre  che  accrescono  le  affezioni  scrofolo- 
tuber colali.  Quindi  a questi  due  lavori  rinvio  il  lettore  onde 
schivare  le  ripetizioni  (1)  : il  poco  che  qui  n’  ho  detto  sia 
come  il  corollario  dal  molto  che  aggiunger , anzi , nel  caso 


(1)  Mem.  dell’  Accad.  delle  Scienze  di  Bologna.  1.  c. 


Alfonso  Corradi 


mio , ridire  potrei.  Nè  vanno  taciuti  i recentissimi  infrut- 
tuosi tentativi  per  mostrare  la  connessione  delle  malattie 
epidemiche  colle  manifestazioni  del  magnetismo  terrestre. 
Gaspare  Federico  Fuchs  s5  è audacemente  accinto  a provare 
che  alle  secolari  deviazioni  dell5  ago  calamitato , il  quale 
misura  l5  apparente  forza  magnetica  della  terra , corrispon- 
dono non  solo  le  grandi  costituzioni  morbose  dell5  Europa 
ed  i mutamenti  di  clima,  ma  altresì  particolari  disposizioni 
della  mente  e dell5  animo  nostro.  Così  là  declinazione  oc- 
cidentale della  bussola  ha  riscontro  col  dominio  delle  malat- 
tie, dallo  stesso  Fuchs  dette  leucomacrìtiche  ; F orientale  in- 
vece colle  malattie  ematoseptiche:  nel  primo  caso  prevale 
il  clima  marino , nei  secondo  il  terrestre , la  declinazione 
occidentale  mette  nello  spirito  umano  la  spontaneità  ; la  re- 
cettività invece  la  declinazione  orientale.  La  riforma  lute- 
rana accadde , quando  diminuendo  la  costituzione  emato- 
septica,  ebbe  principio  il  clima  marino  e la  costituzione 
leucomaeritica  (1). 

Nè  soltanto  bisogna  andar  cauti  nel  collegare  le  muta- 
zioni di  clima  con  altri  avvenimenti,  ma  altresì  nel  far 
giudizio  delle  mutazioni  stesse.  Così  in  un  paese  possono 
non  più  prosperare  le  vecchie  colture  senza  che  i venti 
soffino  j o le  pioggie  cadano  e le  stagioni  si  succedano  di- 
versamente di  prima  : tal  fatto  può  dipendere  da  altre  ca- 
gioni; p.  e.  dall5  essere  esauriti  nel  terreno  i principii  or- 
ganici e minerali  a tali  piante  necessarii  ; ovvero  dal  pro- 
gressivo affievolì  mento  di  queste  soprattutto  se  a que5  luo- 
ghi straniere.  Gli  scrittori  delle  cose  agricole  hanno  molte 
testimonianze  di  simili  avvenimenti  (2) , i quali  sofio  para- 


(1)  Le  malattie  che  il  Fuchs  chiama  leucomacritiche  sono:  la  Scrofola,  l’En- 
cefalite infantile,  il  Tubercolo , il  Cancro  , FA  Ibnminuria  P Angina  membranacea 
(Croup,  Difterite  ),  il  Tifo  addominale.  Malattie  ematoseptiche  diconsi  Io  Scor- 
buto, il  Morbus  maculosus  Werlhofii,  la  Febbre  putrida,  la  Peste  orientale 
( Fuchs  C.  F.  Die  epidem.  Krankh.  in  Europa  in  ihrem  Zusaimnenhange  mit 
den  Erschein.  des  Erdmagnet. , den  VorgaDgen  in  der  Atmosphare  und  der  Ge- 
schichte  der  Kulturvolker  dieses  Erdtheiles.  Weimar  1860  8.°).  — Fuchs  si 
crede  primo  in  questa  strada  : ma  per  non  dir  d’  altri , prima  di  lui  e nella 
stessa  Germania  Lodovico  Buzorini  fin  dal  1841  pubblicava  « Luftelectricitat , 
Erdmagnetismus , und  KrankheitsconstHution.  ». 

(2)  Beusinger  Ch.  Fr.  Rech.  de  Pathol.  comparée.  Cassel  1863  1 488. 


Delle  diatesi  o disposiz.  morbose  ec.  329 

gonabili  al  tralignameli to  delle  razze  animali , ed  al  venir 
meno  delle  schiatte  , quando  nuove  alleanze  non  le  rinsagui- 
nino , senza  che  le  vicende  del  clima  v1 2 * * 5  abbiano  parte.  Fi- 
nalmente queglino  che  considerano  le  vicissitudini  morbose 
dell5  uomo  com’  evoluzione  della  specie , ricusar  debbono 
ogn5  efficacia  al  clima  nel  poccacciarle  colle  sue  variazioni  : 
e questo  per  la  ragione  che  il  concetto  di  evoluzione  inclu- 
de pur  l5  altro  di  regolarità , cioè  di  ordinata  successione 
dì  atti , la  quale  nelle  vicende  meteorologiche  non  appare  : 
non  già  eh5  io  creda  questa  serie  di  avvenimenti  si  sottrag- 
ga alla  legge  che  regola  tutte  le  cose  in  natura  ; ma  tal 
ordine  non  corrisponde  all5  azidetto  sviluppo , sicché  fra  loro 
non  può  ammettersi  il  vincolo  che  dev5  essere  fra  due  fatti, 
quando  1’  uno  sia  conseguenza  dell5  altro.  Jacopo  Penada 
volle  provare  che  non  solo  nelle  meteorologiche  vicende, 
ma  bensì  ancora  nelle  vere  epidemiche  malattie  può  reg- 
gere il  calcolo  d5  approssimazione  dedotto  dal  famoso  ciclo 
del  Saros  ; che  è quanto  dire  in  capo  alle  223  lunazio- 
ni , ossia  ogni  18  anni,  ripetesi  il  medesimo  stato  meteo- 
rologico e patologico  (1).  Ma  certamente  noi  non  osservia- 
mo questa  corrispondenza  e ordinato  ritorno  anche  per  quei 
morbi  popolari , che  più  degli  altri  vuoisi  s5  attengano  allo 
stato  del  cielo  : così  nel  secolo  scorso  contansi , secondo 
Gluge,  12  epidemie  d5  influenza,  e 16  secondo  Hirsch , 
senza  che  appaja  il  ciclo  assegnato  dal  Penada,  o P altro 
dei  20  anni  posto  dal  Most  (2).  Che  poi  le  costituzioni  me- 
teorologiche si  ripetano  con  alcun  periodo , a noi  poco  im- 
pòrta determinare , da  che  fra  loro  e le  epidemie  non  v5  ha 
connessione  : nuli  adimeno  di  ciò  pure  grandemente  può  du- 
bitarsi esaminando  i lavori  che  intorno  al  nostro  ed  agli 
altri  climi  sono  stati  fatti. 


(1)  Pubblicò  il  Penada  la  sua  Memoria  medico-meteorologica  in  Padova 
nel  1808;  poscia  tornò  sopra  il  medesimo  argomento  altre  due  volte  (V.  il 
Giorn.  dell5  ital.  Letter.  Padova  XXII  162-173,  e S.  ir.  X 119-123).  — Pe- 
nada erroneamente  conta  224  lunazioni. 

(2)  Gluge  Gottlieb , Die  Influenza  oder  Grippe  nach  den  Quellen  historisch- 

pathologisch  dargestellt.  Minden  1837  p.  27  — Hirsch  August , Handb.  der 

histor.  geograph.  Palhol.  Erlangen  1860  p.  278  — Most,  Influenza  Europaea. 

Hamburg  1820  8.° 


42 


330 


Alfonso  Corradi 


V.  Non  avendo  trovato  nelle  mutazioni  del  cielo  e della 
terra  le  cagioni  del  vario  modo,  d’  infermare  de’  popoli , 
altro  non  resta  che  ricercarle  nella  civiltà  de’  medesimi , che 
è quanto  dire  nella  loro  maniera  di  vivere. 

Già  il  filosofo  Seneca  avea  detto  tam  nullo  aegrotamus 
genere  quam  vivìmus  (1)  » : sentenza  che  sempre  aver  do- 
vrebbero in  mente  coloro  che  studiano  le  successioni  mor- 
bose de’  popoli  : in  lei , come  in  forinola , io  compendio  le 
opinioni  che  professo  intorno  la  patologia.  E dicendo  noi 
ammalare  conforme  viviamo,  dev’  intendersi  questo  vivere 
nel  più  largo  significato , cioè  la  pratica  d’  ogni  nostra 
facoltà.  Argomento  amplissimo  e meritevole  del  maggiore 
studio,  comprendendo  le  più  ardue  quistioni  dell’antropo- 
logia , ed  insieme  le  contingenze  della  vita  reale  ; talmente 
che  ponendo  1’  anzidetto  concetto  come  cardine  della  pa- 
tologia storica,  le  si  dà  fondamento  sicuro.  Forse  a coloro 
che  amano  , com’  eglino  dicono , trarre  le  speculazioni  d’  as- 
sai in  alto , parrà  che  questi  principii , siccome  non  scen- 
dono dalle  nebulose , siano  troppo  modesti , e la  scienza 
facciano  piccina.  Lungi  nondimeno  siffatta  tema  : avvegnac- 
chè  quella  non  acquista  grandezza  perchè  la  si  tiene  fra  le 
astrattezze , nella  stessa  guisa  che  1’  oscurità  non  fa  nè  bello 
nè  sublime  il  linguaggio.  Tant’  è che  fu  tempo , se  pur  noi 
sia  tuttora , in  cui  solamente  il  trascendere  od  il  delirare 
reputossi  sapienza , come  la  gonfiezza  e le  iperboli  del  sei- 
cento gustaronsi  per  magniloquenza  : si  stranamente  talvol- 
ta si  giudica  intorno  alla  bellezza  e bontà  delle  cose  ! Ma 
1’  uomo  è più  incomprensibile  ancora  : egli  è sì  grande 
e si  misero  che  in  lui  ebber  martiri  la  verità  e 1’  errore, 
la  giustizia  e la  follìa.  Intanto  a provare  la  bontà  del  men- 
tovato principio  , io  non  so  miglior  espediente  di  quello  che 
porlo  a riscontra  coi  fatti. 

Le  condizioni  civili  d’  un  popolo  non  essendo  sempre 
le  medesime , non  in  egual  modo  adoprerà  egli  le  facoltà 
proprie  : quelle  saranno  più  attive  che  ai  bisogni  ed  alle 


(1)  Ep.  XCV  S 20. 


Delle  diatesi  o disposiz.  morbose  ec. 


inclinazioni  presenti  soddisfanno , e più  validi  gli  organi  di 
cui  maggiore  è 1’  ufficio.  Ma  quest’  azione  soverchiando  di- 
viene causa  di  disposizione  morbosa;  e perchè  nelle  mol- 
titudini per  solito  sono  comuni  il  pensiero,  e le  opere  e 
le  condizioni  di  vita,  anche  le  malattie  si  fanno  generali, 
e la  diatesi  dell’  individuo  diventa  diatesi  popolare , appa- 
rendo così  affezione  della  specie.  Il  che  però  non  vuol  dire 
che  tutti  gl’  individui  debbono  necessariamente  subirla: 
non  la  subiranno  coloro  che , in  maniera  diversa  da  quella 
richiesta  per  la  produzione  della  diatesi  stessa  e della  ma- 
lattia , sen  vivono , od  hanno  ingenite  altre  attitudini.  Per 
tal  modo  si  concilia  la  fermezza  del  principio  colla  varietà 
de’ fatti:  ciocché  far  non  potrebbesi  ammettendo  quello 
sviluppo  intrinseco  della  specie  nostra  di  cui  sopra  è stato 
discorso , od  accordando  al  clima  ed  alle  altre  circostanze 
sì  sconfinata  potenza , per  modo  che  1’  uomo  nulla  possa 
operare  di  proprio  moto.  Nell’  uno  e nell  altro  caso  , ben 
s’  intende , non  arriveremo  a spiegare  come  taluno  valga 
a sottrarsi  al  dominante  influsso , apparendo  eccezione  alla 
regola  generale.  Inoltre  mutandosi  le  attitudini  fisiologiche 
e patologiche  non  offendesi  1’  essenza  nostra,  la  quale  è 
ovunque  e fondamentalmente  la  medesima , soltanto  sen 
variano  i modi:  per  tal  guisa  formansi  le  razze  della  spe- 
cie umana,  e da  queste  sorgono  le  nazioni  ed  i popoli.  I 
quali  non  percorrono  tutti  in  egual  misura  gli  stadii  diversi 
della  civiltà;  ma  in  forza  delle  condizioni  diverse  del  cie- 
lo , del  sito  , e d’  altre  ragioni , che  qui  non  è luogo  d’  an- 
noverare , svariatamente  le  attività  loro  manifestano.  Laon- 
de fra  1’  un  popolo  la  civiltà  è precocemente  matura,  fra 
gli  altri  in  lunga  infanzia  persevera;  ed  anche  egualmente 
adulta  ha  sembianze  diverse  : così  la  civiltà  greca  e romana 
salì  tant’  alto  che , sotto  alcuni  rispetti , non  ancora  fu  rag- 
giunta ; e nulladimeno  ben  si  distingue  dalla  nostra.  La  ci- 
viltà è simile  a pianta  che  in  certo  terreno  cresce  arbusto, 
ed  in  altri  erba  rimane  ; che  in  aere  tepido  di  molte  fronde 
s’  adorna , e di  frutti  saporiti  è feconda  ; laddove  in  fredda 
od  arida  spiaggia  squallida  isterilisce:  gl’  innesti  poi  e le 
altre  cure  dell’  agricoltore  le  aggiungono  nuove  qualità , o 


332 


Alfonso  Corradi 


le  natie  migliorano.  Anzi  questi  artificii  valgono  cotanto  da 
vincere  le  maggiori  difficoltà  del  cielo  e del  suolo;  e sono 
altresì  indispensabili , avvegnacchè  senza  di  loro,  ad  onta 
della  piu  benefica  natura , le  scienze , le  arti  e P industria 
rimangono  meschine , ed  anche  perdono  la  grandezza  di 
prima.  Così  i luoghi  in  cui  ebbe  sede  la  prisca  civiltà, 
son  oggi  deserti , o nell’  abbiezione  dell’  ignoranza  e del 
servaggio. 

Non  potendo  mettere  a confronto  ciascun  momento  della 
vita  de’  popoli , con  gli  altri  della  storia  de’  morbi , a ge- 
nerali considerazioni  staremo  fermi , sufficienti  però  a far 
fede  della  verità  dell’  esposta  tesi. 

VI.  Henschel  ed  altri  avvisano  le  infermità  nell’  uomo 
aver  cominciato  dalla  pelle , che  degli  organi  è il  più  este- 
riore, e citano  la  Bibbia  ed  altri  documenti  per  attestare 
1’  antichità  della  lebbra  e de’  vizii  cutanei.  Ma  se  questi 
unicamente  derivassero  dallo  stato  d’  infanzia  della  specie 
nostra,  perchè  Lucrezio  dice  non  trovarsi  I’  elefantiasi  che 
in  Egitto  (1)  ; perchè  Plutarco  afferma  niuno  degli  antichi 
medici  averne  fatto  menzione  (2)  P Era  forse  più  giovine 
d’  Atene  e di  Roma  il  medio  evo,  in  cui  tanti  furono  i 
lazzaretti  quante  le  città  (3)  ? Ma  la  lebbra  è malattia  che 
più  s’  attiene  allo  stato  del  viver  civile , che  alla  qualità 
del  cielo  o del  suolo.  Le  cause  che  un  tempo  la  produs- 
sero tuttavia  la  mantengono,  e nell’  età  di  mezzo  perchè 
più  poderose  le  assicurarono  quel  dominio  che  nè  prima 
nè  poscia  ebbe  mai  sì  ampio.  Però  vediamo  un  momento 
quali  fossero  le  condizioni  di  que’  tempi. 


(1)  Est  Elephas  morbus,  qui  propter  {lumina  Nili 

Gignilur  Aegypto  in  medio,  neque  praeterea  usquam.  ( De  Rer.  natura  L. 
VI.  v.  111*2). 

(2)  Neminem  veterum  medicorum  de  eo  ( morbo  elephantiasi  ) mentionem  ta- 
cere, cura  quidem  in  res  minutas,  riles,  et  obscuras  dispulalionem  insumere 
non  posthabuissent  ( Sympos.  Vili  Q.  9)  — Diximus  elephantiasin  ante  Pom- 
peii  Magni  aetatem  non  accidisse  in  Italia  ( Plinti  Hist.  nat.  XXVI  1 ). 

(3)  In  Italia  vix  olla  erat  civitas,  quae  non  aliquera  locum  leprosis  destina- 
tolo haberet.  ( Muratori , Antiq.  ital.  Med.  aevi  1 97).  ' 


Delle  diatesi  o disposiz.  morbose  ec.  333 

Dalle  spiaggie  della  Scandinavia , dalle  pianure  della  Sar-* 
mazia , oggi  pure  nido  di  lebbrosi , sbucavan  fuori  barbare 
genti , cui  sete  di  bottino  e di  vendetta  traeva  fin  nel  cuore 
del  prostrato  impero  : erano  i Germani  che  immondi  vivea» 
no  fra  il  bestiame  (1)  ; erano  i Longobardi  dalla  sordidezza 
corrosi.  IL  continuo  battagliare,  le  niune  leggi  o il  disprez- 
zo delle  poche , 1*  indole  de’  conquistatori , popoli  nomadi 
e feroci , in  misero  stato  ponevano  1’  agricoltura , che , onde 
prosperare , vuole  civiltà  e pace  : 1’  abbondanza  de’  pascoli , 
le  selve  sterminate  favorivano  invece  la  pastorizia  (2).  Man- 
cando i foraggi  nell’  inverno,  gli  animali  venivano  uccisi 
e conservati  ; quindi  nel  vitto  più  erano  le  carni  salate  che  le 
biade  e gli  ortaggi , sicché  facilmente  gli  umori  stempravan- 
si  (3) . Le  vesti  di  lana  e le  pelliccie , e per  tanti  armenti  e 
con  le  continue  caccie  fatte  comuni , la  cute  mordicavano  e 
le  escrezioni  trattenevano  (4).  I porci  che  impuni  sotto  sacro 
nome  per  le  città  vagavano  (5) , e le  strade  che  inseliciate 


(1)  In  omni  domo  nudi  ac  sordidi,  in  hos  artus,in  haec  corpora , quae  mi- 
ramur  excrescunt,  inter  eadera  pecora,  in  eadem  humo  degunt,  donec  aetas 
separet  ingenuos , virtus  agnoscat  (Taciti,  De  situ,  morib.  Germaniae  $ 20). 

(2)  Quante  e com’  estese  fossero  le  selve  in  Francia  ne’  tempi  antichi , e 
quante  belve  ed  animali  selvatici  v’  avessero  covaccio  può  leggersi  in  un’  eru- 
dita dissertazione  di  Alfredo  Maury  pubblicata  nel  T.  IV.  Mèra,  presentés  à 
Y Acad.  des  Inscript.  et  Belles  Lettres.  E ciò  che  era  della  Francia  era  pure 
delle  altre  parti  d’  Europa. 

(3)  On  ne  manquait  point  (in  Inghilterra)  de  mets  succulens  et  délicats. 
Les  végétaux  ou  légumes  n’  étaient  pas  si  abondans  ; et  comme  il  n’  y avait 
pas  généralement  de  marchés  établis,  les  particuliers  tuaieut  des  boeufs,  et 
nourrissaient  leur  famille  de  viande  salée  depuis  la  Saint-Michel  jusqu’  à la 
Pentecòte  (Henry,  Hist.  d’ Anglet.  VI  673). 

(4)  Giova  ricordare  che  pur  d’  estate  usavaosi  abiti  impellicciati  ( Cibrario , 
Econ.  polii,  del  Medio  Evo.  Torino  1861  II.  84).  — La  caccia,  oltre  servire 
d’  addestramento  alla  guerra,  era  piuttosto  che  divertimento  necessità  onde  di- 
fendere gli  armenti  e gli  uomini  dalla  rapacità  de’  lupi  e d’  altre  fiere , che 
talora  non  solo  per  le  campagne  scorazzavano , ma  anche  i casali  e le  città  as- 
salivano. Così  i Baroni  scozzesi  erano  obbligati  a cacciare , insieme  a’  loro  vas- 
salli, il  lupo  quattro  volte  l’anno  (Henry,  Op.  c.  V.  662). 

(6)  Giulini  crede  che  P Hospitalis  S.  Nazarii  Porcorum  di  Milano  fosse 
così  chiamato  perchè  sostentavasi  in  parte  col  profitto  dei  porci  che  nudrivansi 
ad  onore  di  S.  Antonio  ( Mera,  della  Città  è Campagna  di  Milano  Vili  233). 


334 


Alfonso  Corradi 


erano  acquitrini , 1’  aria  d’  ogni  lezzo  empivano  (1).  I ba- 
gni divenuti  stufe,  anzi  che  imbrigliare,  aumentavano  il 
male  ; il  quale  poi  con  le  guerre , i pellegrinaggi , le  cro- 
ciate e la  più  sfrenata  libidine  per  ogni  dove  dilatavasi  (2). 

Nè  il  contagio  siccome  altri  morbi , veniva  meno  che  in- 
vecchiando (3)  ; o , per  meglio  dire , quando  mutati  costu- 
mi , dimesse  alcune  opinioni , quella  ad  esempio  che  san- 
tità losse  il  sudiciume  (4) , il  viver  popolare  venne  miglio- 
rato. L’  Haeser  chiama  la  lebbra  figlia  della  miseria  , della 
sporcizia  e del  mal  costume  (5)  ; complesso  di  circostanze 
che , per  essere  della  lebbra  se  non  la  cagion  propria , cer- 
tamente poderosissimo  fautore , trovasi  più  o meno , presso 


I porci  continuarono  a vagare  per  le  strade  di  Milano  fino  alla  metà  del  se- 
colo XVI  {Morigia,  Hist.  dell’antichità  di  Milano,  Venezia  1592  p.  212); 
essendone  già  stato  protettore  Filippo  Maria  Visconti,  quel  Duca  che  accomu- 
nava il  delitto  di  ribellione  del  padre  ai  figliuoli  ed  ai  parenti,  e,  quantunque 
innocenti,  atrocemente  punivali  ( Morbio , Storia  de’ Municipi  Italiani  Voi.  VII. 
Codice  Visconte  o Sforzesco  Dipi.  LX1). 

(1)  Da  quel  che  erano  le  strade  di  Parigi  nel  secolo  XVII , secondo  le  de- 

scrive La  Marre  (Traité  de  Police  I 560),  agevolmente  ci  possiamo  figurare 
come  elleno  fossero  nelle  altre  città  ed  in  tèmpi  più  remoti.  — 

(2)  Quanto  comune  fosse  l’uso  de’ bagni  sudatorii  o stufe  nel  medio  evo, 
specialmente  fra  i popoli  settentrionali,  pienamente  P ha  mostrato  lo  Zappert 
nell’ Archivi  fur  Kunde  Osterreichischer  Geschichts-Quellen  XXI  122.  Questa 
passione  pel  bagno  caldo  aveanla  ereditata  dagli  antenati,  gli  antichi  Germani 
{ Tacit .,  De  morib.  Gerraan.  C.  22).  Come  poi  per  questo  mezzo  le  malattie 
si  propagassero,  ben  si  conobbe  quando  maggiormente  infierivano  i mali  venerei 
<c  Thermae  publicae  nunc  frigent  ubique.  Scabies  enim  nova  docuit  nos  absti- 
nere  ( Erasmi , Colloquia.  Diversoria.  Op.  omn.  Lugd.  Batav.  1702  1 717  o). 

(3)  Qnaevis  autem  contagio  quantum  magis  abest  a principio  et  prima  ori- 
gine, tanto  siccior  fit  et  terrestrior  ( Fracastoro , De  morb.  contag.  L.  n C.  12). 

(4)  I Santi  Padri  vedendo  quanto  i pubblici  bagni  servissero  a corrompere  i 
costumi  e ad  incitare  l’impudicizia  (e  perciò  basta  leggere  S.  Clemente  Ales- 
sandrino — Paedagog.  L.  m C.  v,  e S.  Cipriano  — De  disciplina  et  habilu 
Virgin.  Op.  omn.  Paris  1666  p.  167),  procuravano  di  svogliarne  i iedeii, 
e quantunque  dicessero  che  il  calore  del  corpo  col  freddo  de’  digiuni  smorza- 
vasi,  non  vietavano  però  il  bagno  quando  la  malattia  od  altra  necessità  coman- 
davaio. Ma  il  consiglio  da  alcuni  fu  inteso  a modo  che  credettero  m?gÌ!°  av" 
vicinarsi  alla  santità  non  lavandosi  (V.  Hugonis  Menardi , Concordia  Kegu- 
lar.  11.  657):  e fu  giudicato  non  fare  profonda  penitenza  il  peccatore  che 

s’  asteneva  dai  bagni , nè  lasciava  crescere  capelli  ed  unghie  ( Morirli , He  0 " 
nitentia  L.  vii  C.  xvii  n.  5). 

(5)  Lehrb.  der  Gesch.  der  Medie.  Jena  1859  II  90. 


Delle  diatesi  o disposiz.  morbose  ec.  335 

que’  popoli  che  di  tale  schifezza  sono  ancora  maculati  (1). 
Ma  P abitante  del  Kamtschatka  o del  celeste  Impero  è forse 
il  parvolo  della  specie  nostra?  La  gran  madre  Terra  soltanto 
fra’  ghiacci  del  polo  serba  giovinezza , sicché  colà  ancora 
star  debbano  le  malattie  che  si  dicono  de’  primi  tempi? 

Gli  uomini  che  la  lebbra  consumava , la  peste  bubonica 
altresì  affliggeva  ; appunto  perchè  V una  e 1’  altra  lue  mer- 
cè le  stesse  condizioni  si  propagano.  Tanta  connessione  poi 
v’  ha  fra  derma  e linfatici  che  agevolmente  gli  stati  mor- 
bosi da  quello  a questi  trapassano  e comuni  divengono  ; non 
eh’  io  voglia , ciò  dicendo , forzare  le  analogie  o comunanze 
fra  le  anzidette  due  malattie  ; ma  soltanto  accennare  ad  al- 
cune ragioni  intrinseche  ed  estrinseche , onde  pur  meglio 
intendere  la  tremenda  diffusione  della  lebbra  e della  peste  in 
Europa,  e quindi  la  presso  che  intera  loro  scomparsa  da  que- 
sti luoghi.  Amendue  hanno  la  stessa  patria,  e se  non  ap- 
parvero nel  medesimo  tempo  ( giacché  pare  fuori  di  dubbio 
che  soltanto  quasi- alla  metà  del  VI  secolo  la  peste  egizia- 
na giungesse  fra  noi  ) ; certo  è che  questa  menò  le  mag- 
giori stragi  quando  più  diffusa  era  la  lebbra  (2). 

Non  dunque  novella  età  in  cui  entrassero  i corpi  nostri , 
bensì  lo  stato  di  civiltà  e le  condizioni  de’  tempi  furon  causa, 
almeno  principale,  della  tragrande  diffusione  della  lebbra 
e delle  peste  bubonica  ; con  altri  costumi  con  altra  maniera 
di  vivere  quelle  diminuirono  e quasi  fra  noi  interamente 
si  spensero.  Nè  dir  potrebbesi  la  lebbra  qui  essere  oltrè- 
modo  antica , avvegnacchè , come  già  è stato  notato , la 
sua  apparizione  fra  i Romani  ed  i Greci , se  fede  prestar 
vogliamo  a chi  n’  ha  serbato  memoria , fu  quando  e que- 
sti e quelli  avevano  trapassato  1’  età  della  selce  o della 


(1)  Hirsch , Hisl.  geograph.  Palhol.  Erlangen  1860  I.  328  — Inosemzoff, 
Beschreib.  des  io  Kamtschatka  herrsch.  Aussatzes  (Medie.  Zeit.  Russi.  1844N.  6). 

(2)  . . . . um  das  Jahr  1300  di  Hohe  seiner  Herrschaft  (la  Lebbra)  er- 
reicht,  um  alsdaun  wieder  abzunehmen  und  um  den  Schluss  des  secbszehnten 
Jahrhunderts  ans  der  Reihe  der  chronischen  Volkseuchen  von  Mitteleuropa  fast 
spurlos  verschwioden  ( Haeser , Op.  c.  76  ).  — Ora  il  secolo  XI V conta  le  terri- 
bili pesti  del  1316,  1348,  1363,  1381  , 1400  senza  dire  delle  minori. 


Alfonso  Corradi 


pietra,  e che  oggi  riguardasi  come  la  prima  della  vita 
de’  popoli.  Qual  fosse  la  patologia  di  sì  prisca  età  chi 
mai  con  sicurezza  saprebbe  dirlo?  Marcello  de  Serres , e 
prima  ancora  Walther  annunziarono  d’  avere  trovato  nelle 
ossa  fossili  di  cavalli  e di  orsi  insegni  di  esostosi,  di 
periostosi,  e d’  altri  malanni;  lo  che  indicherebbe  gli  ani- 
mali d’  allora  non  solo  non  essere  più  fortunati  de’  nostri, 
ma  soggiacere  agli  stessi  mali  (1).  Senza  attribuire  soverchio 
valore  a quest’  osservazione , egli  è certo , guardando  la 
cosa  più  largamente , che  coloro  che  con  tanta  speditezza 
misurano  gli  anni  di  quel  magno  ente  cui  dicono  Umanità  , 
e così  ricisamente  ne  definiscono  le  fasi  e gli  svolgimenti, 
non  poco  trovar  si  debbono  intricati  in  accordare  il  sistema 
che  impone  alle  malattie  tempi  prefissi  d’  esistenza,  ed  il 
fatto  che  mostra  ( siccome  è proprio  della  lebbra  ) le  mede- 
sime malattie  ricorrere  anche  fuori  degli  anzidetti  tempi, 
cioè  apparire,  dileguarsi  ed  apparire  di  nuovo.  Non  così 
nella  dottrina  qui  difesa  : quel  che  nell’  altra , ossia  nell’  av- 
versa, sarebbe  aberrazione,  in  questa  è regola;  imperoc- 
ché il  vivere  de’  popoli  non  è sempre  il  medesimo,  anzi 
necessariamente  esso  muta , se  è legge  imperscrutabile  le 
cose  quando  giunte  siano  al  sommo , e di  giungervi  con  ogni 
sforzo  intendono , più  o meno  precipitosamente  ne  di- 
scendano. 

VII.  Le  stesse  riflessioni  valgono  per  le  malattie  che  hanno 
sede  od  offendono  principalmente  gli  organi  che  alla  nutri- 
zione inservono;  e le  quali,  al  dire  de’  precitati  autori, 
sarebbero  prerogativa  della  seconda  età  degli  uomini.  Ma 
piuttosto  che  in  una  sola,  noi  vedremo  queste  malattie  in 
diverse  età  o momenti  della  vita  de’  popoli  ; ogni  volta  in- 
somma che  le  qualità  dei  cibi  o la  maniera  di  vivere  pon- 
gono le  necessarie  condizioni  ond’  elleno  largamente  si  ma- 
nifestino. E per  vero  quando  mai  dominò  la  podagra  ? Già 
il  dissi  nel  lavoro  a tale  argomento  particolarmente  consa- 
crato (2)  : quando  più  opipare  erano  le  mense , e più  car- 


(1)  Biblioih.  univers.  de  Genève  1860  Vili  72. 

(2)  Della  odierna  diminuzione  della  podagra  ecc. 


Delle  diatesi  o disposiz.  morbose  ec. 


337 


neo  il  vitto.  Le  cene  che  nella  Roma  imperiale  a medio 
die  ad  medium  noctem  protraevansi  F alimentavano  ; come 
F alimentavano  la  rozza  crapula  del  medio  evo , e la  raffi- 
nata ghiottoneria  del  cinquecento.  Se  il  vuotare  lo  stomaco 
per  mangiare  era  pel  patrizio  romano  buona  creanza  (1); 
anche  il  Rè  Teodoberto  per  rinnovare  F appetito  si  giova- 
va dell*  aloe  ; nè  egli  avea  maggior  rispetto  a’ suoi  corti- 
giani (2) , di  quello  che  Marc’  Antonio  al  Senato  (3).  Giove- 
nale credeva  F ingordigia  ed  il  banchettare  romano  non  po- 
tesser  più  accrescersi , tanto  eran  cresciuti  (4):  ma  le  men- 
se saliari  non  mancarono  anche  ne’  secoli  posteriori  (5); 
e come  furonvi  le  leggi  di  Siila , di  Lepido  e di  Anzio 
Restio , i nostri  municipi i con  le  leggi  suntuarie  il  numero 
delle  imbandigioni  e la  spesa  dei  conviti  regolavano  : ma  sì 
quelle  che  queste  se  non  aumentarono  il  male , certamente 
non  valsero  a correggerlo  (6).  Sapeva  anche  il  volgo  che 
i digiuni  assai , le  vivande  grosse  e poche  ed  il  vivere  so- 
briamente fan  gli  uomini  magri  e sottili  ed  il  più  sani , 
e se  pure  infermi  ne  fanno,  non  almeno  di  gotte  gl’  in- 
fermano : ne  sapeva  quindi  la  medicina  ; e nulladimeno  lo 


(1)  Cicero  ad  Atticum  XIII  62;  Orat.  prò  Rege  Dejotaro  $7.  — Sueton. 
in  Vitellio  § 13. 

(2)  Fuit  autem  in  cibis  valde  vorax;  sed  quae  sumebat,  quo  celerius  ad 
manducatidum  coramoveretur , sumpto  aloe  velociter  digerebat,  sed  et  strepitus 
ventris  absque  ulla  auditorum  reverentia  in  publìco  emittebat  ( Gregorii  Episcopi 
Turon . , Historiae  Francor.  L.  in  C.  36). 

(3)  Tn  istis  faucibus,  sciama  il  grand' Oratore , istis  lateribus,  ista  gladia- 
toria tolius  corporis  firmitate,  tantum  vini  in  Hippiae  nuptiis  exauseras,  ut 
tibi  necesse  esset  in  populi  Romani  conspectu  vomere  postridie  ? (Philipp.  Il  § 26). 

(4)  Nil  erit  ulterius,  quod  nostris  moribus  addat 
Posteritas  : eadem  cupient,  facientqne  mioores. 

Omne  in  praecipiti  vitium  stetit. 

(Salir.  I.  v.  147). 

(5)  . . . C’  élait  alors  la  coutume  che*  les  grands  ( Inglesi  ) de  fa  ire  quatre 
repas  par  jour.  . . . On  chauffait  le  via  et  on  le  mèlait  avec  des  épiceries 
(Henry,  Op.  c.  V 569). 

(6)  Un  decreto  del  16  marzo  1643  della  magistratura  municipale  di  Padova 
prescrive  le  quantità  e qualità  delle  mense,  che  si  doveano  mutare  nei  banchetti 
per  nozze,  come  per  ogni  altra  causa,  e nelle  cene.  Sette  mutamenti  erano 
concessi  così  nei  pranzi  come  nelle  cene!  (Archiv.  Stor.  ital.  1862  XV  148). 

t.  i.  43 


Alfonso  Corradi 


stesso  popolo  le  solennità  religiose , le  pubbliche  e dome- 
stiche letizie  celebrava  con  sontuosi  banchetti , o nel  mi- 
glior modo  mangiando  e bevendo  : il  numero  , la  grandezza 
e la  qualità  delle  vivande  come  mostrano  quanto  fosse  la 
devozione  e 1*  allegria  de* 2 3 4 5  commensali , danno  altresì  misura 
della  potenza  digerente  degli  stomachi  d’  allora  (1).  1 nipoti 
di  coloro  che  tripudiarono  ne’  saturnali , o gavazzarono  ne’ 
sanguinosi  conviti  votati  alle  divinità  dell5  Olimpo  Scandi- 
navo , le  sacre  feste  solennizzavano  colmando  le  tazze  (2) , 
assistevano  alle  messe  ghiottone  (3) , ed  il  patrocinio  di  S. 
Martino  invocavano  gozzovigliando  (4).  Pur  coi  conviti  e 
colle  agapi  celebraronsi  i funerali  : il  costume  pagano  durò 
assai  tempo  nella  nuova  Chiesa , la  quale  se  non  con  grande 
fatica  giunse  ad  estirparlo  (5).  E sì  egli  era  radicato  che 
gli  ordini  religiosi  più  austeri,  nel  giorno  in  cui  sepellivano 
un  confratello,  s5  allargavano  nel  mangiare  quanto  loro  era 


(t)  Venendo  a Milano  la  Sposa  di  Re  Carlo  d’ Angiò  « Francesco  Turiano 
fece  la  corte  sua  ne!  pallagio  del  nuovo  Broletto,  et  vi  furono  arrostiti  due 
buoi  pieni  di  porci,  et  moltoni,  et  vi  erano  molte  altre  bandigioni.  In  modo 
che  vi  mangiarono  da  3 mila  persone  » ( Corio  Bernardino , Hist.  di  Milano 
Venezia  1554  P.  n.  128)  — Nel  convito  fatto  a Londra  nel  1243  pel  ma- 
trimonio di  Riccardo  Conte  di  Cornovaglia  colla  figlia  di  Raimondo  Conte  di 
Provenza  « in  coquinali  ministerio  plura  quam  triginta  millia  ferculorum  pran- 
dentibus  parabantur  » {Math.  Paris  Hist.  Lendini  1686.  p.  536)  — Final- 
mente  la  Cronaca  di  W.  Thorn  ha  serbato  memoria  del  gigantesco  convito  dato 
da  Rodolfo  Abate  di  S.  Agostino  quando  fu  insediato  a Cantorbery  : vi  mangia- 
ptòr  col  loio*)1*'  C 3 mUa  fur°n°'Ie  vivande!  ( Twysden , Hist.  anglic.  Seri- 

(2)  ...  in  Kalendariis  quibusdam  Tlunicis  festi  dièr  cornubus  ( quibus  Bar- 
bari poculorum  vice  communius  utebantur)  uti  symposiorum  indicibus  notaren- 
tur  ( lndiculus  Supertitionum.  In:  Concioni , Leges  Barbar.  Ili  82) 

(3)  Episcopi  Lincoln.  Commissarii  monitio  contra  celebrantes  Glòton  messae 

A TE*)  feStl?a  ,bUS  B‘  ( Wilckin’  ConciI-  Mago.  Britan  III  389 

(4)  En  Allemagne,  Saint  Martin  était  le  patron  de  la  bonne  chère,  et  une 

*°ju;ef  d®  chants  populaires  lui  élaient  consacrés.  pendant  le  moyen  àge  (Du 
Meni,  Poesies  populaires  latmes.  Paris  1843  p.  170)  — Costadoni  D.  An- 
selmo  Camaldolese , Ragion,  sopra  P origine  della  festevole  ricreazione  nella  gior- 
d »Ddlcl  del  raese  d*  Novembre  detta  di  S.  Martino  (Caloqerà,  N. 

Raccol.  d’ Opuscoli  XX  147).  \ v 

(5)  Muratori , Anecdota  Graeca.  Patavii  1709  p.  245-253. 


Delle  diatesi  o disposiz.  morbose  ec. 


339 


concesso  nei  giorni  di  maggior  gaudio  (1).  In  tutti  questi 
tempi  la  gotta  era  frequente  e pervicace  tanto , che  obbro- 
rio  dicevanla  della  medicina:  non  potendola  guarire,  se  ne 
faceva  1’  elogio.  L’  antichità  ebbe  la  Dea  Podagra , ed  i no 
stri  padri  supplicavano  S.  Maro  Vescovo  di  Treveri , e S 
Giuliano  Alessandrino  (2).  Finalmente  se  la  legge  di  Dio 
cleziano  dispensava  dagl’  impieghi  e dagli  ufficii  personali 
chi  dalla  podagra  era  gravemente  cruciato  (3)  ; ai  frati  got- 
tosi le  costituzioni  monastiche  accordavano  privilegii  e in 
dulgenze  (4). 

La  podagra  è malattia  assai  antica  ; le  più  vetuste  me- 
morie storiche  la  ricordano  : la  si  trova  in  Roma  repubbli- 
cana ed  imperiale,  nell’  età  di  mezzo  ed  in  quella  del  ri- 
sorgimento : col  secolo  scorso  declina  ed  oggi  è presso  che 
sconosciuta,  tant’  è rara,  non  solo  appo  noi  ma  presso  tutte 
le  genti.  Laonde  non  può  concedersi  all’  Hecker  che  come 
morbo  popolare  la  gotta  non  abbia  durato  se  non  dal  se- 
condo secolo  avanti  Y Era  nostra  al  sesto  secolo  da  questa. 
Nondimeno  un  tal  limite  era  come  a lui  imposto  dalla  sua 
dottrina  della  successione  delle  diatesi  ; 1’  incalzava  la  leb- 
bra , il  sorger  della  quale  ei  faceva  toccare  colla  cessazione 
della  gotta  (5).  L’  Hecker  ammettendo  che  una  sola  malat- 
tia , anche  fra  le  lente  o croniche , possa  dominare  popolar- 
mente in  un  dato  tempo , fu  costretto  a fare  delle  malattie 
stesse  quello  strazio , che  Procuste  agl’  insidiati  viandanti  ; 
quindi  egli  è in  parte  corso  ne’  medesimi  errori  degli  altri , 
che  il  mutarsi  de’  morbi  dissero  effetto  di  mutamenti  d età 
nella  specie  umana.  Quantunque  non  professasse  siffatta  opi- 


(1)  Statata  antiqua  ordiois  cartusiensis.  Basii.  1510  P.  ii  C,  14  Ber- 

nardi Ordo  Cluniac.  P.  i C.  xxv;  S.  Wilehelmi  Constit.  Hirsaug.  L.  ii  C.  lxxi 
In:  Vetus  Disciplina  monastica  p.  199  et  567.  . 

(2)  Acla  Sanelor.  Die  XVI  Januarii.  — Bonucci  Anton  Marta,  Istoria  del 
glorióso  martire  S.  Giuliano  Alessandrino  Avvocalo  de’  Podagrosi.  Roma  171 1 8.° 

(3)  Lex  II  e III  C.  Qui  morbo  se  excusant. 

(4)  Vetus  disciplina  monastica  p.  413. 

(5)  Rede  zur  Feier  des  43  Stiftungstages  des  Kgl.  med.  cliir.  tnednch- 
Wilhelm-Instituts.  Berlin  1837  8.° 


340 


Alfonso  Corradi 


mone , T illustre  Professore  di  Berlino  considerava  non  per- 
tanto la  malattia  troppo  astrattamente,  e slegata  dallo  stato 
del  vivere  civile,  per  dare  a questo  giusto  valore,  ed  am- 
mettere che  un  morbo  può  proseguire  o tante  volte  ripe- 
tersi , quanto  durano  o si  rinnovano  le  cause  che  ne  favo- 
reggiano  P esistenza.  Inoltre  due  o più  morbi  possono  lar- 
gamente regnare  ad  un  tempo , quando  eglino  non  siano 
del  tutto  contrarii , o come  suol  dirsi,  antagonisti  ; cioè  onde 
svolgersi  non  richieggano  che  i corpi  siano  in  Opposte  con- 
dizioni. Qui  non  è luogo  d5  indagare  le  comunanze  eh5  es- 
ser possono  fra  gotta , lebbra  e scorbuto  : certa  cosa  è la 
prima  di  tali  malattie  essersi  associata  alle  altre  due , od 
almeno  non  aver  cessato  di  essere , anche  in  ampia  misura , 
quando  queste  furono.  Nulladimeno  non  va  ommesso , e ciò 
torna  a conforto  del  modo  nostro  di  considerare  le  vicende 
de’  morbi , la  podagra  non  aver  sempre  con  egual  intensità 
tenuto  il  suo  dominio. 

Quando  il  copioso  e calefaciente  nutrimento,  di  cui  abbiam 
detto , smaltivasi  da  gente  che  vestiva  di  ferro , cavalcava 
da  mane  a sera,  e di  continuo  battagliava;  che  giuocando 
addestravasi  a percuotere  ; ed  a cui  la  caccia  era  necessità  : 
quando  uomini  mondani  ed  uomini  di  chiesa  costumi  avea- 
no  fieri  e maneschi  (1);  sollazza vansi  danzando  (2),  e dan- 


ti) Nel  XI  ed  anche  nel  XII  secolo  le  ragioni  de’  Monaci  erano  sostenute 
col  duello  {M abillon,  Acta  Sanctor.  Ord.  S.  Benedicti  Saec.  IV  Pars.  II.  395  ) : 
gli  Arcivescovi  di  Colonia  e di  Magonza,  onde  por  citare  un  esempio,  condu- 
cevano l'esercito  di  Federico  Barbarossa,  e battevano  i Romani  a Monte- 
porzio  presso  Tuscolo  nel  Maggio  del  1157. 

(2)  Sunt  nonnullae  ecclesiae  in  quibus  usitatum  est  ( nel  Decembre ),  ut  vel 
etiam  Episcopi , vel  Archiepiscopi  in  coenobiis  cum  suis  ludant  subditis , ita  ut 
etiam  sese  ad  lusum  pilae  demittant.  Atque  haec  quidem  libertas  ideo  dieta  est 
Decembrica  . ...  ( Beleth  Joh. , Divinor  officior.  ac  eorumdem  rationum  bre- 
vi* explicalio  C.  cxx).  — Noi  semo  ora  per  carnevale,  nel  qual  tempo  è le- 
cito ai  religiosi  di  rallegrarsi , e i frati  tra  loro  fanno  al  pallone , recitano  com- 
medie, e travestiti  suonano,  ballano  e cantano,  e alle  monache  ancora  non  si 
disdice  nei  rappresentare  le  feste,  questi  giorni  vestirsi  da  nomini  colle  berrette 
di  velluto  in  testa , colle  calze  chiuse  in  gamba  , e colla  spada  al  fianco  ( Graz- 
zini  y Cene.  Introduzione  ). 


Delle  diatesi  o disposiz.  morbose  ec.  34-1 

zando  altresì  oravano  (1),  la  gotta  dovea  necessariamente 
essere  contrariata.  Ma  quando  dirozzati  i costumi,  ingenti- 
liti gli  animi,  e fatto  men  aspro  il  vivere,  i corpi  illan- 
guidivano nell’  ozio  ; quando  1’  opulenza  delle  mense  cresce- 
va anzi  che  scemare,  e peregrine  droghe  e nuovi  intingoli 
la  svogliata  gola  stuzzicavano , la  podagra  era  doppiamente 
fomentata.  Tanto  avveniva  in  Grecia  ed  in  Roma  come  gli 
ozii  e le  pompe  tornaron,  più  care  del  viver  libero  ; altret- 
tanto in  Italia  e nell’  Europa  tutta  allorché  la  cavalleria 
più  non  armeggiava  che  cogl’  inchini  nelle  corti,  e le  fie- 
rezze municipali  sciogli evansi  negli  epitalami  d’ Arcadia. 
Gosì  i lamenti  di  Cicerone  e di  Seneca  (2)  nel  seicento 
venivano  ripetuti  (3)  : e nel  giudicare  delle  cause  della  po- 
dagra vecchi  e recenti  autori , medici  e non  medici  mostra- 
rono singolare  accordo  ; 1’  attribuirono  ad  un  vitto  soverchia- 
mente sostanzioso , i cui  tristi  effetti , se  dal  muoversi  e dal- 
P affaticarsi  erano  moderati , per  le  contrarie  abitudini  peg- 
gioravano. 

Dai  pigri  costumi  fatto  pigro  il  ventre,  il  copioso  ali- 
mento mal  digerivasi  : ne’  corpi  fòrmavasi  quello  stato  spe- 
ciale che  nelle  scuole  ha  nome  di  prevalente  renosità , nel 
quale,  insieme  agli  attributi  de’  temperamenti  detti  venosi, 
mostransi  lese  le  funzioni  dello  stomaco , degl’  intestini  e 
del  fegato.  Viziata  per  tal  modo  la  fabbricazione  del  san- 


(1)  Ferie  Deo,  pueri,  laudem,  pia  solvite  vola  , 

El  pariter  castis  date  carmina  festa  choreis. 

( s . Paulini  Nolani,  De  S.  Felice  Natal.  Carm.  III.  Op.  omn.  Veron.  1736 
p.  385  — S.  Clem.  Alexandr. , Stromat.  L.  vii  Oxon.  1715  li  854). 

(2)  Tascul.  Disput.  L.  II  C.  19:  Epist.  XCV  § 20. 

(3)  Girolamo  Gabucini  nel  Commentario  de  Podagra , che  dedicava  al  Senato 
e Popolo  bolognese,  annovera  (p.  13  Venet.  1569)  i podagrosi  piò  illustri  di 
que’ tempi  e cioè:  Manardo,  Giulio  III,  Pio  IV,  Carlo  V,  Massimiliano  II, 
i Cardinali  Lorenzo  Campeggi,  Rodolfo  Pio,  Pietro  Bembo  e Bertani,  Gio- 
vanni Casa  Arcivescovo  di  Benevento,  Gio.  Battista  Doria  Rettore  della  Repu- 
blica  di  Bologna,  Guidobaldo  Principe  d’  Urbino,  Francesco  Maria  Rovere  sno 
nipote  ; ed  aggiunge  « innumeriqne  fere  alii  heroes  hoc  malum  sensere  ». 

L’ Olivetano  Lancellotti , mentre  consente  che  a’  suoi  tempi  moltissimi  fossero 
i podagrosi,  mostra  che  altrettanto  fu  per  lo  passato  (L’ Hoggidì.  Venezia  1658 
Disinganno  XXXI). 


342 


Alfonso  Corradi 


gue,  molta  è la  disposizione  alla  diatesi  dissolutiva  ed 
alla  scorbutica  (1)  ; ed  appunto  ne’  passati  secoli  frequen- 
tissime furono  le  affezioni  tifiche  e scorbutiche  (2).  Cade 
poi  acconcio  notare  che  lo  scorbuto  apparve  epidemico  quan- 
do la  smania  dello  scuoprire  nuovi  mondi  spinse  arditi  noc- 
chieri in  mari  sconosciuti , e 1’  igiene  navale  non  ancora 
era  nata.  Ne’  paesi  boreali , dove  più  che  in  altri  luoghi 
tal  morbo  fu  comune , assai  tardi  gli  ortaggi  vennero  col- 
tivati (3) , e cibo  comune  erano  le  carni  salate  (4) . All’  an- 
tichità non  era  ignoto , sebbene  sotto  altro  nome , lo  scor- 
buto; la  descrizione  dell’  eu ieòg  aìpaxit^Q  o volvolo  san- 
guigno ha  con  lui  tale  rassomiglianza  che  forza  è dire  col 
Gruner  : nisi  scorbutum  nostrum  ad  vivum  exprimat , - quid 
tandem  alìud  piane  non  video  (5).  Ma  delle  malattie  che 
dell’  anzidetto  stato  di  prevalente  venosità  pajono  maggior- 
mente proprie , i medici  greci  e romani  lasciarono  più  am- 
pia. memoria  : tali  sono  le  varie  specie  d’  itterizia  e di  idro- 
pe , il  malus  corporis  habitus  , 1’  ascite  , la  timpanite,  1’  ana- 
sarca  o leucoflegmazia  ; ed  altresì  le  varici  del  ventre  e la 
pletora  venosa.  Male  comunissimo  era  la  passione  cardia- 
ca ; ed  anche  i non  medici , tant’  era  popolare , suggerivano 
i mezzi  ed  il  metodo  di  curarla  (6)  : ma  i cardiaci  non 
tanto  nel  cuore  quanto  nello  stomaco  soffrivano  « Cardia- 
corum  morbo  unicam  spem  in  vinum  esse  certum  est  ».  Dice- 
vansene  cause,  fra  le  molte  supposte , anche  le  indigestioni,  la 
crapula,  il  bagno  ed  il  vomito  dopo  aver  mangiato.  Non 
potendo  spingerci  più  innanzi  nello  studio  di  questa  miste- 


(1)  Bosi  L.,  Lezioni  di  Medie,  teorico-pratica)  Ferrara  1859  Lez.  XXVII  e 
XXVIII  — Bufaliniy  Instit.  di  Patol.  Ili  73. 

(2)  Ciò  però  non  deve  far  credere  Io  scorbuto  allora  tanto  diffuso , e di  lui 
sì  inquinati  i corpi  che  ogni  morbo  n’  avesse  la  macchia  ; quest’  esagerazione , 
fu  già  dal  Sydenham  (Observ.  med.  Sect.  vi  C t)  ed  ora  dall’  Hirsch  com- 
battuta (Op.  c.  I 531). 

(3)  Hallam , L’Europa  nel  Medio  Evo.  Trad.  ital.  Lugano  1832  V.  135. 

(4)  Henry  Op.  c. 

(5)  Morbor.  Anliquit.  Vratislaviae  1774  p.  137. 

(6)  Plin.  Hist.  Nat.  I.  XX11I  C.  25. 


Delle  diatesi  o disposiz.  morbose  ec.  343 

riosa  malattia,  termineremo  col  dire  che,  secondo  Galeno, 
la  pletora  venosa  n’  era  la  principale  causa  predisponente  (1). 

Vili.  Finalmente  s’  oggi  tanto  comuni  sono  le  malattie 
de’  nervi , se  i segni  di  esaltato  sentimento  ovunque  si  mo- 
strano , se , venia  al  barbaro  vocabolo , generale  è il  nervo- 
sismo , non  cerchiamone  la  causa  nel  supremo  sviluppo  dei 
corpi  nostri  ; specie  di  vecchiaja  a cui  da  gran  pezza  sa- 
remmo giunti  noi  poveri  mirmidoni , se , due  mila  anni  or 
sono , il  sommo  poeta  della  Natura  delle  cose  con  lugubri 
versi  avvisava 

Jamque  adeo  affecta  ’st  aetas , effoetaque  tellus 
Vix  animalia  parva  creat,  quae  cuncta  creavit 
Saecla , deditque  fèrarum  ingentia  corpora  partu  (2). 

Spauracchio  che  poco*  dopo  1’  empirico  Columella  dissipa- 
va (3) , e nondimeno  ricomparso  quante  volte  il  finimondo 
fu  creduto  vicino.  Ma  come  vedemmo  le  altre  diatesi  pro- 
cedere da  speciali  condizioni  organiche , formatesi  per  le 
cambiate  maniere  di  vivere , egualmente  questa  di  neurosi 
è conseguenza  delle  opinioni,  de’  costumi,  del  vitto  nostro; 
in  una  parola  è figlia  di  quella  civiltà  nella  quale  viviamo. 
Nè  qui  rammenterò  tutte  le  cause  che  concorrono  a fare 
soverchiamente  eccitabile  il  sentimento , onde  poi  1’  odierna 
società  irrequieti  ha  i nervi,  sdilinquisce  e convulsivamente 
si  agita  : di  codesti , siccome  di  fatti  presenti , a ciascuno  è 
dato  fare  giudizio;  veramente  chi  potrebbe  dimenticare  la 


(1)  Il  Doli.  Landsberg  di  Breslavia  ha  fatto,  non  è mollo,  accurato  esame 
del  Morbo  cardiaco:  dopo  aver  criticato  le  opinioni  di  Huxham , di  Reiske,  di 
Hecker,  di  Seidlitz  (che  riguardavanlo  qual  febbre  nervosa  colliquatiya,  feb- 
bre etica  cardite  in  corpo  scorbutico  ) , dichiara , il  predetto  Morbo  cardiaco 
non  essere  che  uno  stato  d’  anemia , e quindi  più  spesso  sintonia  e successio- 
ne d’  altre  specie  morbose , di  quello  che  affezione  idiopatica  e malattia  distinta 
(Janus  11  106).  S’accorda  poi  con  Galeno  dicendo  « Die  Anaemie  beruht 
auf  einer  krankhaften  Venositat  ». 

(2)  Lucretii,  De  Nat.  Rer  L.  n v.  11  So- 
fà) Non  igitur  faligatione , quemadmodum  plurimi  crediderunt , nec  senio , sed 

nostra  scilicet  inertia  minus  benigna  nobis  arva  respondent , licei  enira  majorem 
fructum  percipere,  si  frequenti  et  tempestiva  et  modica  stercoratiooe  terra  re- 
foveatur  (De  Re  rustica  L.  ii.  C.  i). 


Ui 


Alfonso  Corradi 


febbre  di  novità  che  le  moltitudini  sommuove,  P incontenta- 
bilità negli  agi , le  voglie  smodate , le  menti  ambiziose , 
gl’  instabili  reggimenti  ? Snervata  educazione , donnesche  e 
infingarde  costumanze  , congegni  meccanici  in  posto  degl5  in- 
dividui, i corpi  fanno  fiacchi  e poco  gagliardi;  sicché  le 
opere  mal  rispondono  ai  baldanzosi  desiderii , ed  alle  ven- 
tose parole.  I sogni  d5  un  mondo  chimerico  svaporando  in 
faccia  alla  realtà,  continui  fanno  i disinganni  e tediosa  la 
vita , appena  può  dirsi  è cominciata  (1).  E nemmeno  vo5  ta- 
cere di  certa  cagione  che , quantunque  non  molto  ponde- 
rata, parmi  abbia  parte  in  formare  P anzidetto  stato  gene- 
rale di  neurosi  : dessa  è la  qualità  della  comune  cibaria , 
soverchiamente  feculenta , e , per  ciò  che  vorrebbe  il  clima 
e le  condizioni  nostre , troppo  scarsa  di  materie  azotate , e 
soprattutto  di  carni  rosse.  Imperocché  niun  cibo  vale  a sti- 
molare e nutrire  come  le  carni  degli  animali  a sangue  cal- 
do ; o,  per  meglio  dire  , niun5  altra  cosa  maggiormente  di 
questa  rinvigorisce  le  forze  muscolari,  dal  ristoro  delle  quali 
principalmente  argomentiamo  le  qualità  nutribili  degli  ali- 
menti. Invece  le  funzioni  de5  sensi  per  il  vitto  erbaceo  ed 
albuminoso  non  indeboliscono  gran  fatto  , talmente  che  na- 
sce giustamente  il  sospetto  alle  une  esser  buon  nutrimento 
ciò  che  alle  altre  è insufficiente  riparo  (2).  Quanto  poi 
cotale  maniera  di  alimento  contribuisca  al  producimento  e 
diffusione  delle  affezioni  scrofolotubercolari  sonmi  ingegnato 
mostrarlo  in  altro  de5  mentovati  lavori.  Certo  è che  queste 
e le  nervose  sono  le  malattie  oggi  predominanti  : il  trovarle 
associate , è cosa  comunissima  (3).  Forse  che  ciò  è semplice 
conseguenza  dell5  essere  scrofola  e nevropatia  egualmente 
frequenti , ovvero  anche  di  secreti  legami  e di  proprietà  ad 
entrambe  comuni?  Ogni  dubbio  sarebbe  dileguato  se  ascol- 
tar volessimo  certo  riputato  medico  di  Francia  : « I pazzi , 


(1)  In  25,760  suicidii,  notati  in  Francia  dal  1835  al  1844,  192  furono 
commessi  da  fanciulli  che  ancora  non  avean  toccato  i 16  anni;  e cioè  1 in  134 
ovvero  19  l’anno  ( Max  Durand-Fardel , Etude  sur  le  suicide  chez  les  enfants. 
In:  Ann.  med.  psychol.  1855  I 61  ). 

(2)  Bufcdini , Gp.  c.  p.  305. 

(3)  dosi  Lr,  Op.  c.  p.  701. 


Delle  diatesi  o disposiz.  morbose  ec.  34-5 

gl’  idioti , li  scrofolosi  ed  i rachitici  per  la  comune  loro 
origine , per  certi  caratteri  fisici  e morali  debbono  riguar- 
darsi come  membri  della  stessa  famiglia,  rami  diversi  del 
medesimo  tronco  (1)  ».  Checché  ne  sia,  tutti  sanno  che 
quando  mal  nutrito  o scarso  di  sangue  è il  corpo,  e per- 
ciò fievoli  le  forze  muscolari , i sensi  sono  assai  presti  e 
vivaci , anzi  negli  ufficii  loro  di  meravigliosa  efficacia , ben- 
ché poscia  non  molto  vi  durino.  Già  anticamente  era  stato 
notato  i gottosi  non  patir  convulsioni  (2) , nè  questo  parrà 
affetto  strano , pensando  che  i corpi  ben  pasciuti  non  pren- 
don  diletto  ai  voli  della  fantasia,  e tanto  meno  si  solle- 
vano ne*  rapimenti  e nelle  estasi.  L’  antagonismo  poi  fra 
gotta  e scrofola  è stato  da  mer  in  debito  luogo,  sufficien- 
temente dichiarato  (3). 

Le  quali  cose  non  voglion  dire  ne’  passati  secoli , in  cui 
più  sostanzioso  era  il  vitto , e men  riposati  costumi , le  molti- 
tudini mai  essere  state  come  affascinate  da  alcune  idee , e 
conformemente  ad  esse  aver  operato  : negarlo  sarebbe  igno- 
ranza o follia  ; e tant9  è la  potenza  de’  principii  eh’  eglino  si 
svolgono  e fecondano  anche  ne’  tempi  che  men  pajori  loro 
propizii.  Nulladimeno  piacemi  notare  la  differenza  fra  ciò  che 
diremo  epidemie  psichiche  d9  una  volta  e le  presenti  ; dif- 
ferenza che  sembrami  derivare  dallo  stato  diverso  de9  popoli 
che  quelle  soffrono.  E per  verità  mentre  noi  silenziosi  evo- 
chiamo gli  spiriti , ne  numeriamo  i battiti , ed  aspettiamo 
che  le  tavole  si  muovano  ; i millenarii  nel  X secolo  s9  av- 
viavano alla  Palestina  quasi  a sollecitare  il  tremendo  giu- 
dizio (4)  : nel  XIII  secolo  migliaja  di  fanciulli  abbandonate  le 
madri,  prendevan,  gridando  Dio  lo  vuole,  la  croce  (5):  quindi 

(1)  Moreau  de  Tours , La  psychologie  morbide  dans  ses  rapports  aree  la 
philosophie  de  1’  histoire , ou  de  l’ influence  des  nevropathies  sor  le  dynamisme 
intellectnel  (Ano.  med.  psychol.  1860  VI  166). 

(2)  Amati  Lusitani,  Cu  rat.  medie.  Cent.  V.  Cor.  29  — De  Liberati $,  Po- 
dagra Politica.  Norimbergae  1659  p.  7. 

(3)  Come  le  affezioni  scrofololubercolari  sìansi  oggi  fatte  più  comuni  y 8. 

(4)  Mosheim , Hist.  Ecclesiast.  Yverdun  1776  n 307. 

(6)  Becker , Kinderfahrten.  Ein  hist.  pathol.  Skizze.  Berlin  1845  8.°  — 
Haeser  Op.  c.  176  — Ruggiero  Bacone  ne  incolpa  i malefizii  astrologici  dei 
Tartari  e de’ Saraceni  (Opus  majus.  Venet.  1750  p.  189). 

T.  I.  ^ 


346 


Alfonso  Corradi 


apparivano  i flagellanti  e i danzatori  (1).  Specie  d1 * * * 5  insania 
che  ben  s’  accordava  con  que5  corpi  di  ferro  ; maniera  di 
culto  che  la  fierezza  degli  animi  esprimeva;  imperocché  le 
credenze  religiose  elleno  pure  fanno  parte  della  vita  de’  po- 
poli, e ne  sono  una  delle  tante  manifestazioni. 

Qui  giunti  epiloghiamo:  l.°  Le  diatesi  dominanti  non 
sono  sempre  le  medesime , ovvero  le  malattie  o disposizioni 
morbose  nel  volger  de*  secoli  si  mutano. 

2. °  Questi  mutamenti  non  offendono  la  natura  propria 
deli5  uomo  che  è immutabile , ma  ne  variano  soltanto  i modi. 

3. °  Le  diatesi  sono  stati  organici,  sono  effetti  non  d’in- 
timo e fatale  svolgimento  della  .specie  umana,  bensì  di  con- 
dizioni individuali  risultanti  da  peculiare  maniera  di  vive- 
re, e come  questa  varie  e mutabili. 

4. °  Questa  maniera  di  vivere  essendo  generale,  la  dia- 
tesi dell5  individuo  diventa  diatesi  della  moltitudine  o po- 
polarè , e ciò  tanto  più  facilmente  che  gli  stati  organici , 
in  cui  hanno  ragione  le  diatesi  stesse,  per  eredità  si  tra- 
smettono. 

5. °  Due  ed  anche  più  diatesi,  quando  non  siano  in  an- 
tagonismo, possono  insieme  sussistere. 

6. °  Le  diatesi  possono  riguardarsi  come  altrettante  mani- 
festazioni della  vita  e civiltà  de5  popoli. 

IX.  Se  dal  fin  qui  detto  è dato  travedere  come  la  malat- 
tia possa  entrare  quale  elemento  formativo  ne5  sistemi  me- 
dici ; or  toccami  mostrare  che  dessa  realmente  vi  prende 
parte.  Ma  innanzi  di  recarne  le  prove  tratte  dalla  Storia 
medica , sembrami  opportuno  addurre  alcune  considerazioni , 
onde  meglio  disporre  la  mente  ad  accogliere  quella  sentenza , 
e ad  acquietarvisi , siccome  suole , allora  che  di  alcuna  verità 
faccia  acquisto. 


(1)  j Becker,  Die  Tanzvuth.  Berlin  1832  8.°  — Intorno  la  setta  dei  Dan- 
zatori V.  Balu ziu s , Pontif.  Avenion  I 485.  — Forstenau  nella  sua  opera 

« Die  chrisllichen  Geisslergesellschaften  (Halle  1828  8.°)  » quantunque  erudi- 
tissima, non  parla  dei  Flagellanti  rossi . GPinstituì  S.  Filippo  Benizzi,  rappattu- 

mate le  civili  discordie  in  Pisloja  ; e vestilli  di  cappe  rosse  acciocché  gli  occhi 

rammentassero  loro  continuamente  il  sangue  sparso  di  innocenti  [Gianii,  An- 

nal.  Ord.  Servor.  Cent,  i L.  iv  C.  ▼). 


Delle  diatesi  o disposiz.  morbose  ec.  34-7 

Per  quanto  connesse  siano  le  scienze  fra  loro,  per 
quanto  dipendenti  dal  comun  modo  d’  intendere  le  cose , 
esse  contemplano  oggetti  cotanto  diversi  da  poter  assume- 
re particolare  carattere  e godere  vita  propria:  appunto 
come  le  nazioni  che,  quantunque  uscite  dalla  medesima 
razza,  hanno  sembianze  e linguaggio  diversi.  Inoltre  le 
scienze  seconde  si  collegano  alla  scienza  prima , alla  filoso- 
fia , con  cert’  ordine  ; e nella  stessa  guisa  che  nel  viver  ci- 
vile, v’  ha  in  loro  la  gerarchia,  la  quale  non  può  distruggersi, 
ed  i cui  membri , se  1’  uno  mette  nell’  altro , non  però  si 
confondono.  Può  quindi  una  scienza  assumere  nella  parte 
sua  speculativa  nuova  direzione , e cambiare  insieme  le  opi- 
nioni e le  pratiche  che  ne  discendono,  senza  che  pari  mu- 
tamento sia  avvenuto  in  ogni  ramo  del  sapere  : ecco  come 
una  scienza  od  arte  può  solitaria  progredire  quando  le  al- 
tre stanno  ferme  o per  via  contraria  camminano  : in  certi 
momenti  soltanto  è dato  1’  impulso  che  tutte  commuove , 
e quest’  è opera  piuttosto  che  d’  un  sol  uoitìo,  di  parecchi; 
anzi  frutto  delle  fatiche  di  molte  generazioni , del  tempo 
e d’  un  cumulo  di  favorevoli  circostanze.  Nella  formazione 
quindi  d’  ogni  sistema , nell’  ordinamento  di  qualsiasi  scien- 
za debbon  concorrere  più  fattori  o coefficienti  che  dir  si  vo- 
gliano , diversi  essendo  gli  oggetti  che  le  scienze  stesse 
contemplano , e diversi  i loro  fini  : può  dirsi  lo  sviluppo 
delle  singole  dottrine  essere  un  fatto  complesso,  mosso  da 
parecchi  impulsi , alcuni  de’  quali  sono  esteriori  alle  mede- 
sime , altri  intrinseci  ; questi  sorgono  dal  seno  stesso  della 
scienza , quelli  si  trovano  nella  cooperazione  di  tutti  gli 
elementi  che  la  civiltà  contemporanea  costituiscono;  tutti 
poi  assumono  certo  generale  carattere  e speciale  inflessione 
dalla  dominante  filosofia  o da  quella  almeno  che  alla  loro 
sintesi  ha  presieduto  (1)  : e ciò  fa  che  una  scienza  risponda 


(1)  Quindi  Vittorio  Cousiu  ha  potuto  dire:  conosciuti  gli  elementi  esterni 
d*  un  secolo , può  eziandio  conoscersi  quale  ne  sia  stata  la  filosofia  ; ovvero , 
e meglio  ancora , saputa  la  filosofia  d’  un’  epoca  possiamo  determinare  il  ca- 
rattere di  tutti  gli  elementi  esterni  dell’  epoca  stessa  ( Introduction  à P Hist.  de 
la  philosophie.  Paris  1861  p.  62  e 64). 


348 


Alfonso  Corradi 


all’  indole  de’  tempi,  ovvero  se  ne  scosti  e la  contrari. 
Il  non  tener  conto  di  tutti  questi  momenti  è causa  che 
la  storia  del  cammino  di  qualsiasi  ramo  del  sapere  riesca 
parziale  ed  imperfetta;  il  Saucerotte  (1)  e T Henschel  (2)  ad 
ad  esempio , per  parlare  di  medicina , non  avendo  conside- 
rato nell’  evoluzione  di  questa  che  elementi  estrinseci  ( anzi 
F uno  unicamente  il  filosofico  e F altro  il  religioso  ) , d’  al- 
cuni avvenimenti  soltanto  poterono  dar  ragione.  Bello  ed 
assai  utile  lavoro  sarebbe  mostrare  quanti  e quali  coefficienti 
abbiano  operato  nella  formazione  delle  varie  dottrine  medi- 
che : vedrebbesi  che  a pienamente  intenderli  d’  uopo  è an- 
dar oltre  la  comune  chiostra  della  scienza , ed  investigar  le 
condizioni  non  solo  de’  tempi  in  cui  i sistemi  stessi  fiorisco- 
no , ma  altresi  quelle  de’  passati  ; imperocché  egli  non  sono 
già  altrettante  Minerve  che  nascano  armate,  ma  frutto  o di 
verità  o di  errori  il  cui  seme , assai  di  sovente , da  lunga 
pezza  fu  gettato.  In  breve,  F illustrazione  d’ un  sistema  scien- 
tifico , particolarmente  se  medico , è 1’  esposizione  ancora 
delio  stato  fisico,  morale  e civile  del  popolo  fra  cui  esso  ha 
origine.  Ma  questo  tema  è sì  vasto  che  nonqmò  contenersi 
ne’  confini  assai  angusti  segnati  al  mio  lavoro  ; di  modo 
che  è forza  non  mi  discosti  dal  primo  assunto , e mi  con- 
tenti mostrare  che  veramente  la  malattia  concorre  a formare 
i sistemi  medici.  La  quale  dimostrazione  è non  poco  im- 
portante^ la  malattia  essendo  elemento  interiore , e così  in- 
trinseco della  scieiizar-iiostrà , che  dall’  oggetto  stesso  di  lei 
scaturisce;  e tanto  più  questa  dimostrazione  diviene  im- 
portante, che  dell’  anzidetto  elemento  poca  o niuna  stima 
sin  qui  s’  è fetta.  E "giacché  F esistenza  de’  principii  non 
è palese , od  almeno  non  ha  per  noi  valore , che  dagli  ef- 
fetti che  ne  derivano , da  questi  indurre  si  possono  quelli  ; 
e nel  caso  nostro  dalla  diversità  della  pratica , argomente- 
remo le  dottrine  che  in  tempi  diversi  hanno  dominato  la 


(1)  Kev.  med.  Janv.  1846. 

(2)  Ueber  deu  Charakter  der  Medizin  bei  den  aeltesten  Volkern.  Breslau 
1836  8.° 


Delle  diatesi  o disposiz.  morbose  ec.  349 

medicina  : e di  ciò  la  ragione  è le  opere  nostre  sempre 
ubbidire  a concetti  razionali , e la  scienza  e F arte  mutua- 
mente sostenersi , ed  insieme  cospirare. 

X.  A purgar  il  corpo,  e ad  evacuare  gli  umori  inten- 
deva principalmente  la  medicina  de5  Greci  e de5  Romani , 
anzi  ogni  più  antica  medicina.  Gli  emetici  formano  distinto 
capitolo  nell5  Ayur  Veda  di  Susruta  ; il  salasso  ed  i catar- 
tici sono  i principali  rimedi  d5  Ippocrate  (1)  ; F elleboro 
valeva  presso  che  una  panacea  nelle  mani  degli  antichi  medi- 
ci (2);  ed  il  vomito  era  espediente  che  alla  golosità  degli 
ottimati  e de5  plebei  grandemente  giovava  (3)  : come  facil- 
mente muoverlo,  come  regolarlo  e contenerlo  da  Celso  con 
bellissime  parole  ci  è esposto.  Il  vomitare  oltr5  essere  rime- 
dio era  anche  consuetudine  : coloro  che  praticavanla  doveano 
seguire  alcuni  precetti  sì  dispetto  ai  cibi  ed  al  bere , che 
al  passeggiare , al  bagnarsi  ed  all5  ugnersi.  Lo  stesso  Aulo 
Cornelio  biasima  il  vomito  se  quotidiano , lo  consiglia  per 
due  giorni  ogni  mese , lo  prescrive  a chi  abbia  gli  occhi 
cisposi,  abbondante  lo  sputo,  amara  la  bocca,  o sia  per  mutar 
paese  (4).  Le  malattie  dello  stomaco  e degl5  intestini  sono 
diffusamente  trattate  dai  medici  dell5  antichità  ; i vizii  de- 
gli umori  e le  lesioni  degli  organi  che  più  direttamente 
servono  all5  opera  della  nutrizione  sono  riguardate  come  la 
radice  od  il  fomite  di  presso  che  ogn5  altro  morbo.  Per  la 
scuola  ippocratica  che  è mai  il  processo  morboso?  Una  di- 


fi)  Dierbach,  Die  Arzneimittellehre  des  Hippoerates.  Heidelberg.  1824  8.° 
— Raudnitz  , Materia  medica  Hippocratis.  Dresd.  1843  8.°  — « Dejectionem 
autem  antiqui  variìs  medicamentis,  crebraque  ahi  ductione  in  omnibus  fere  mor- 
bis  moliebantur  (Celsi,  De  Medie.  L.  ii  C.  xii  De  Dejeetione). 

(2)  Schulze  Jo.  Henr.  Diss.  hist.  med.  de  helleborismo  veterum.  Hall.  1717  4.° 

(3)  La  purgagione  per  mezzo  del  vomito  era  usata  ancjie  dagli  Egizii:  Erodoto 
ne  fa  menzione.  — A votare  lo  stomaco  noi  avremmo  imparato  ( secondo  coloro 
che  ci  fanno  discepoli  de’  bruti  ) dal  cane , siccome  ad  aprirci  la  vena  dall’  ip- 
popotamo ( Plinti , Hist.  natur.  L.  yih  C.  26.  L.  xxix  C.  14):  ma  il  ventre 
ripieno  non  ha  d’  uopo  d’  esempio  per  recere.  Così  Mosè  al  suo  popolo  , avi- 
do di  mangiar  carne  dice,  ch’ei  ne  mangerà  per  un  mese  intiero,  finché  gli 
esca  per  le  nari,  e l’abbia  in  abbominio  (Num.  XI  20). 

(4)  Celsi,  Op.  c.  L.  I C.  3.  De  vomitu. 


350 


Alfonso  Corradi 


gestione.  Quali  vocaboli  esprimono  le  varie  fasi  del  processo 
medesimo?  Gli  stessi  che  convengono  alle  funzioni  digesti- 
ve. Ma  la  famosa  teorica  della  cozione  sarebbe  anche  più 
vecchia  di  dieci  secoli , e pensiero  degli  Orientali  anzi  che 
de’  Greci  (1).  Comunque  sia,  questa  dottrina  non  discorda 
certamente  col  carattere  degli  uomini  e de’  tempi  d’  allora: 
sovvenganci  gli  eroi  d’  Omero , le  loro  sacre . ecatombe , ed 
anche  il  buon'  appetito  con  cui  a queste  era  posto  fine. 

Gli  arabisti  ed  i medici  galenici  con  que’  sciloppi  e lat- 
tovari  non  altro  guardavano  che  a depurare  e correggere 
gli  umori,  imaginando  nell’  interno  de’  corpi  quelle  mede- 
sime impurità  che  sulla  pelle  e fuori  d’  ogn’  intorno  vede- 
vano. Quindi  con  la  più  scrupolosa  attenzione  osservavansi 
gli  espurghi  del  ventre  ; le  qualità  dell’  orina  formavano  la 
parte  più  preziosa  della  semejotica  ; dal  solo  segno  traevasi 
la  diagnosi  : nè  i boriosi  dottori  di  Salerno  e di  Mompelieri 
s’  offendevano  d’  esser  chiamati  fisici  delle  orine  ; anzi  il  giu- 
dicar queste  era  di  loro  ufficio  sì  proprio,  che  niun  altro 
sei  dovea  arrogare  (2).  Il  vajuolo  ed  il  morbillo  facevansi  na- 
scere dall’  impuro  sangue  mestruo  che , nella  gravidanza 
trattenuto  , serviva  a nutrire  il  feto  (3);  laonde  quelle  era- 
no malattie  purgatorie  a cui  pochissimi  sfuggivano  (4)  : i 
maggiori  guai  dalla  ritenzione  del  liquore  prolifico  deriva- 
vano (5)  ; la  Venere  diveniva  necessaria  ond’  evacuare  le 


(1)  La  cozione  digestiva  è espressa  dalla  parola  sanskrita  pacti , la  di  cui 
radicale  è pac  che  significa  cuocere,  donde  mutata  la  gutturale  in  labiale  i 
Greci  fecero  pessó  peptos,  e noi  pepasmo , pepsia,  pepsina  (V.  Bopp , Glos- 
sa ri  uni.  2.a  Ediz.  Berolini  1847 , alla  radicale  Pac.  — Pucinotli,  Stor.  della 
Medicina  I 50  ). 

(2)  11  Doti.  G.  G.  Alvisi  nelle  Considerazioni  documentale  sull9  arte  medica 
e sul  personale  sanitario  di  Venezia  dal  X al  XV  secolo  (Giorn.  Veneto  di 
Scien.  med.  A.  1858  XI  463-500),  dà  l’estratto  del  giuramento  che  ogni 
medico,  chirurgo  e farmacista  prestar  dovea  al  magistrato  della  Giustizia; 
fra  le  altre  cose  è detto  : « Nullus  apothecarius  audeat  medicare  neque  urinam 
indicare  ».  — La  Novella  CLXY1I  di  Franco  Sacchetti  merita  d*  esser  letta 
a proposito  di  uroscopia  e di  uromanzia. 

(3)  Avenzoar.  V.  Gruner , De  variolis  et  morbillis  fragraenta  Medicor.  Ara- 
bistar.  Jenae  1790. 

(4)  Valescus  de  Taranta,  Gruner  Op.  c.  p.  42. 

(5)  Coitus  habet  necessitatem  in  expulsionem  superfluitatis  tertiae  digestivae , 


Delle  diatesi  o disposi^,  morbose  ec. 


351 


superfluità  e conservarsi  sani  (1).  Come  v’  era  un* 1 2 3 4 5 6 7  indica- 
zione generale  nella  cura  ( correggere  gli  umori  ) , v’  era 
altresì  un  rimedio  cattolico  > cioè  i purganti  ed  i minorati- 
vi : e que’  medici  sapevano  sì  bene  conciliare  le  golose 
voglie  de’  loro  clienti  co’  bisogni  della  malattia , che  inven- 
tarono non  le  chicche,  ma  i capponi  purgativi  (2).  A questi 
patti  o transazioni  era  pur  forza  venire  : trattavasi  d’  uo- 
mini che  mentre  affermavano  conoscere  le  cause  de’  loro 
mali , questi  piuttosto  soffrivano , che  quelle , benché  il 
potessero , rimuovere.  Così , ed  è un  medico  che  parla , 
dopo  averci  detto  che  i sollazzi  amorosi  procacciano  le  do- 
glie articolari , conchiude  c<  melius  est  per  decennium  vitam 
abbreviare,  quam  esse  tanlae  dulcedinis  inexpertem  (3). 

Nè  F anzidetto  purgare  toglieva  il  salasso  ; anzi  assai  è 
di  frequente  tagliavasi  la  vena , ovvero  la  cute  con  le  cop- 
pe scarificavasi.  Per  siffatte  operazioni  il  Regimen  Sanitatis 
indicava  i tempi  e le  ore  più  propizie  : senza  grave  necessità 
di  notte  non  si  doveano  praticare  ; sul  declinare  della  luna 
salassavansi  i vecchi,  nel  novilunio  i giovani  (4).  A perio- 
diche missioni  di  sangue  religiosi  e laici , uomini  e bestie , 
erano  sottoposti  (5):  cacciar  due  libbre  di  sangue  parve 
giusta  misura  (6)  ; ed  in  ogni  malattia , solita  od  epidemica , 
era  consuetudine  incominciare  la  cura  flebotomando  (7).  Co- 
loro stessi  che  tanta  profusione  biasimavano , trovavano  poi 


quare  competit  in  sanitatis  regimine In  actu  vera  coitus  nullo  modo  reti- 

neatur  sperma  , quia  hoc  pevducit  ad  destructionem  unius  testiculorum  ( Arnaldi 
Villanovani , De  Reg.  Sanitat.  C.  vi.  Op.  omn.  Basii.  1585  p.  692). 

(1)  Retentio  spermatis  in  muliere  saeviora  inducit  accidentia,  ut  suffocalio- 

nem et  ideo  spermatica  materia  superaddita  corrumpitur , et  in  naturam 

veneni  transit.  (Savonarola,  Pract.  major.  Tract.  vi  C.  xx  Rubr.  34.). 

(2)  Guainerii  Ant. , Practica.  De  Passionib.  Stomachi  C.  li. 

(3)  Guainerii,  Op.  e.  De  Aegritudin.  Junctor.  C.  n. 

(4)  Arnaldi  Villanovani,  Op.  p.  667. 

(5)  Di  queste  asserzioni  non  do  qui  le  testimonianze,  doveudo  tornar  sopra 

siffatto  argomento  io  altro  lavoro,  « Storia  del  Salasso  nel  Medio  Evo  » che 
non  molto  tarderà  a venire  alla  luce.  . 

(6)  De  Vinario,  De  Peste  L.  hi.  Lugd.  1552  p.  167  (Ed.  Delechamp). 

(7)  Wieri  Joh. , Observ.  L.  ii.  De  pestil.  et  epid.  tussi. 


352  ©ELLE  DIATESI  O DISPOS1Z.  MORBOSE  EC. 

pretesto  per  iscusarla  negli  stessi  morbi  pestilenziali  (1): 
Botallo  a’  suoi  tempi  non  fu  smodato  quanto  pare  a’  dì  no- 
stri ; egli  ebbe  seguaci  moltissimi  (2) , tanto  più  che  quel 
sanguinare  non  era  nuovo  (3).  Taccio  di  altre  pratiche  che 
mostrano  come  la  medicina  partecipasse  della  fierezza  degli 
uomini , cui  ella  intendeva  soccorrere  ; dirò  soltanto  che 
colle  catene  e colle  verghe  curavansi  i maniaci  (4) , e che 
mezzo  d’ingrassare  erano  le  battiture  (5).  E poteva  mai  es- 
sere altrimenti  la  medicina  in  tempi  in  cui  fin  ne’  fanciul- 
leschi sollazzi , tant’  eran  truci , pregustavansi , dirò  così , 
i tormenti  delle  gabbie  de’  Torriani , dei  forni  di  Monza , 
delle  quaresime  de’  Visconti  (6)  ? 

XI.  Le  anzidette  ed  altre  maniere  di  medicazioni  che 
non  son  le  nostre , o dalle  nostre  si  scostano , oltre  conve- 
nire alla  tempra  degli  animi  e de’  corpi  d’  allora , alla  qua- 
lità delle  dominanti  malattie  erano  altresì  proporzionate , 
e da  loro  per  molta  parte  richieste;  di  guisa  che  prescri- 
vendole non  tanto  alla  scuola  quanto  alla  natura  obbedivasi. 
Che  anzi  le  teoriche  ed  i sistemi  acconciavansi  con  quegli 
stati  morbosi  ; cioè  anche  la  malattia  era  di  loro  parte  od 


(1)  11  Vinario  {Op.  c.  p.  180  ),  che  fu  contemporaneo  di  Guido  da  Cau- 
jiaco  ed  Archiatro  di  tre  Papi  in  Avignone,  mentre  crede  generalmente  nocivo 
il  salasso  nella  peste ^ lo  commenda  però  ne’  cherici  che  vita  lauta  ed  epicu- 
rea conducevano. 

(2)  Mazzuchelli , ScriU.  ital.  — Botallo. 

(3)  1 medici  Spagnuoli  erano  larghi  salassato»,  può  credersi  che  Botallo 
sia  stato  mosso  dal  loro  esempio  (Cratonis,  Epist.  L.  ii  Francof  1671  p.  243). 

(4)  Celso  avea  detto  che  1’  audacia  d’  alcuni  pazzi  : « coercenda  est  : sicut  in 
his  fit,  in  quibus  continendis  plagae  quoque  adhibenlur  (Op.  c.  L.  ni  C.  18): 
Valesco  di  Taranto  proponeva  di  curare  il  pazzo  per  amore  colle  busse,  coi 
digiuni  e colle  catene  (Philonii  L.  i.  C.  11). 

(5)  Mercuriali s,  Gymnast.  L.  iv  C.  9. 

(6)  A Galeazzo  1 toccò"  fare  sperimento  delle  orride  carceri  da  lui  costrutte , 
siccome  Napoleone  della  Torre  ebbe  la  morte  in  quella  gabbia  di  ferro  in  cui , 
a guisa  di  fiere , faceva  serrare  i suoi  nemici.  Galeazzo  II  or  mntilando  il  con- 
dannato, ora  interrompendone  il  martorio  prolungava  il  supplizio  fino  ai  40 
giorni;  e ciò  era  la  Quaresima:  il  fratello  Bernabò  per  non  esser  da  meno 
inventò  la  Graticola  ardente;  la  vittima  era  chiusa  in  una  grata  a modo  di 
botte,  che  con  un  manubrio  girava  sopra  lento  fuoco.  II  pronipote  di  questi 
Visconti , Gio.  Maria , faceva  divorare  uomini  da  mastini  affamali. 


Delle  diatesi  o disposiz.  morbose  eg.  353 

elemento  ; ed  ella  v’  entrava  non  dopo  lunghe  meditazioni 
ma  come  secretamente , adottata  per  quell’  istinto  o senti- 
mento che  occultamente  alla  verità  ci  trae.  Ecco  nuovo 
motivo  per  ispiegare  il  lungo  regno  dell’  umorismo  ; il  quale 
non  fu  sempre  usurpazione,  mentre  che,  almeno  a tal  grado, 
lo  sarebbe  oggi  in  cui  non  sono  quelle  putrescenze  o quelle 
morti  nere,  in  cui  le  stesse  malattie  hanno  sede  più  ri- 
stretta, corso  più  lento  o natura  meno  maligna.  E le  dot- 
trine umorali , meglio  che  in  altro  tempo  non  ci  sembran 
vicine  al  vero , quando  qualche  epidemia  od  altro  malore 
ci  riconduce  a quelle  triste  rimembranze?  Il  linguaggio  di 
noi  medici,  allorché  pochi  anni  or  sono  la  tremenda  peste 
del  Gange  afflisse  le  contrade  nostre , non  ritornò  per  mol- 
tissimo simile  all’  antico? 

Il  solidismo  d’  Asclepiade  e de’  Metodici  venne  in  bore 
declinando  la  Repubblica , e mutati  essendo  ne’  Romani 
per  fasto  ed  opulenza  animi  e costumi.  Le  blandizie  del 
medico  di  Bitinia  dovean  essere  assai  care  a gente  che 
Arcagato  il  Carnefice  avea  spaventato  : non  erano  più  gli 
uomini  che  i patrii  campi  o difendevano  o coltivavano  ; ma 
altri  che  con  Orazio  avrebber  cantato  il  viver  giocondo, 
con  Catullo  i Giovenzi  e le  Lesbie  basiando  (1).  Se  il  pre- 
cetto di  medicare  jucunde  non  era  nuovo  ; non  prima  però 
avea  formato  1’  impresa  d’  una  scuola  (2)  : e benché  non 


(1)  . . . . sine  amore,  ioeisque 

Nil  est  iucundum:  vivas  in  amore,  ioeisque. 

Yive.  . . . ( Horat. , Epist.  L.  i n.  6 ad  Numicium  ). 

Interea,  dum  fata  sinunt,  iungamus  amores; 

Jam  veoiet  tenebris  mors  adoperta  caput  (Tibulli  L.  i.  Eleg.  1 v.  69). 

Intorno  alle  parole  basium , bastare,  e basiator  V.  il  Carm.  V ed  il  XLVIII 
di  Catullo,  gli  Epigr.  69  (L.  XII)  e 98  (L.  XI)  di  Marziale  ecc. 

(2)  Nel  libro  ippocratico  de  Acutorum  viclu  manifestamente  trovasi  la  cele- 
bre formola  Àsclepiadea  tufo,  cito  et  jucunde.  « Quae  recte  procedunt  opera, 
ea  quoque  singula  recte  tacere  oportet;  quae  celeritatem  postulant  ea  quoque 
celeriter  ; et  quae  pure,  pure;  et  quae  citra  dolorem  administrari  desiderant, 
ea  quammaxime  sine  dolore  tacere.  » ( § 7 nell’  ed.  d’ Ippocrate  e di  Galeno 
del  Charterio,  e 2 nell’altra  di  Littré). 

T.  I. 


45 


354 


Alfonso  Corradi 


sempre  gradevoli  fossero  le  cure  Asclepiadee  gl’  infermi 
ebbero  allora  inusati  lenimenti  (1)  : le  molli  fregagioni  as- 
sopivano il  dolore,  ed  i letti  pensili  con  piacevole  movi- 
mento addormentavano.  La  materia  medica , che  nelle  mani 
di  Catone  può  dirsi  non  contenesse  se  non  il  cavolo  ed  il 
vino , più  tardi  diveniva  mostruosa  per  la  copia  e la  stra- 
nezza delle  sostanze  a cui  qualche  virtù  sanatrice  attribui- 
vasi  (2)  : nelle  varie  confezioni  volevansi  la  raffinatezza  e 
le  delicature  alle  quali  gli  Apicii  aveano  assuefatte  le  gole 
romane  ; e schifiltoso , chi  prima  spirava  V aglio  e la  ci- 
polla (3) , i farmaci  inghiottiva  sol  quando  fossero  dolciume  : 

Leniat  ut  fauces  medicus , quas  aspera  vexat 
Assidue  tussis,  Parthenopaee  , tibi  ; 

Mella  dari , nucleosque  jubet , dulcesque  placentas. 

Et  quidquid  pueros  non  sinit  esse  truces  (4). 

Tale  divenne  la  medicina  ; i destini  suoi  seguirono  la 
fortuna  e le  inclinazioni  mutate  del  popolo  sovrano  : cotanto 
era  scaduta  la  pubblica  salute  ed  i corpi  de* 1 2 3 4 5  giovani  sì  fiacchi 
ed  abbiosciati  « ut  nihil  mors  mutatura  videatur  (5)  » ! E qui 
potrei  istituire , se  già  non  mi  dovessi  affrettare  a por  fine 
al  discorso , un  curioso  parallelo  fra  la  medicina  d’  allora  è 


Ceiso  avea  già  notato  Asclepiade  nulla  aver  trovato  « quod  non  a vetustis- 
simo authore  Hippocrate  paucis  verbis  comprebensum  sii.  » (Celsi,  Op.  c. 
L.  ii  C.  14). 

(1)  Convellendas  etiam  vires  aegri  putavit  ( Asclepiades ) , luce,  vigilia,  siti 
ingenti  ; sic  ut  ne  os  quidem  primis  diebus  elui  sineret.  Quo  magis  falluntiir , 
qui  per  omnia  jucundam  ejus  disciplinam  esse  concipiunt.  Etenim  ulterionbus 
quidem  diebus  cubanttó  etiam  luxuriae  subscripsit , primis  vero  tortoris  vicem  ex- 
hibuit  ( Cebi , Op.  c.  L.  Ili  C.  4 ). 

(2)  1 10  libri  di  Galeno  intitolati  He  pi  ZvvSteaeos  Gappaxav  tov  xara  rojcovè, 
ben  danno  a conoscere  come  caduta  fosse  in  basso  la  medicina  : le  panacee , le 
teriache,  i roalagmi e le  varie  composizioni  stercoracee  aveano  fatto  dimenti- 
care F igiene , facendo  credere  onnipotente  F arte. 

(3)  «Atavi  nostri  cum  allium  ac  caepe  eorum  verba  olerent,  tamen  optime 
animati  erant  ».  (Varr.  apud  Non.  3.  07  ). 

(4)  Martiri. , Epigr.  L.  xi  n.  86. 

(5)  Columel. , De  Re  rustica  Praef. 


Delle  diatesi  o disposiz.  morbose  ec. 


355 


P odierna,  T una  e P altra  compiacendosi  de’  medesimi 
principii  ed  usando  degli  stessi  mezzi.  Quest  uniformità 
poi  trovandosi  eziandio  in  argomenti  che  non  sono  neces- 
saria conseguenza  della  natura  del  sistema  ( p.  e.  il  frequente 
uso  de’  sonniferi  e de’  calmanti),  fa  mestieri,  non  poten- 
dola attribuire  a semplice  accidente,  derivarne  la  ragione 
dalla  maniera  di  vita  de’  popoli  d’  allora  e d’  oggi , e dal 
grado  di  loro  civiltà.  Così  quando  considerassimo  le  circo- 
stanze in  mezzo  alle  quali  sono  sorte  le  due  dottrine  me- 
diche di  Temisone  e di  Brown  (le  cui  affinità  sono  sì  conte 
che  neppur  è d’uopo  farne  cenno),  noi  troveremmo  sin- 
golari rapporti , non  soltanto  rispetto  alia  qualità  della  do- 
minante filosofia,  ma  altresì  allo  stato  morale  e fisico  dei 
popoli.  Basti  il  dire,  Roma  essere  ai  tempi  di  Cesare  e dei 
Triumviri  ; ove  al  Dittatore  e Pontefice  Massimo  il  poeta 
scagliar  poteva  P apostrofe  cinaede  Romole  (1)  : Francia  poi , 
e presso  che  Europa  tutta , vivevan  guardando  alle  turpitudi- 
ni in  Corte  del  Reggente,  pensando  cogli  Enciclopedisti  ed  ai 
motteggi  degli  spiriti  forti  plaudendo.  Giovanni  Brown  pei 
costumi  fu  senza  dubbio  conforme  al  secolo  : e ad  uomini 
svigoriti  di  mente  e di  corpo  non  poteva  non  riescir  caris- 
simo un  sistema  che , lusinghiero  per  le  facili  spiegazioni ,. 
ovunque  scorgeva  debolezza,  e la  vita  considerava  al  tutto 
dipendente  dagli  stimoli.  Ed  affé  che  tale  soggezione  dovea 
esser  sentita  quando , con  universale  terrore,  il  viver  od  il 
morire  stava  in  balìa  anzi  che  della  Natura,  di  alcuni  uo- 
mini; e la  tirannide,  benché  senza  porpora  e diadema,  i 
furori  e gli  eccidii  neroniani  rinnovava! 

Ma  più  particolarmente  guardando  alla  civiltà  nostra,  la 
troviamo  di  tale  sorta,  che  > come  ho  già  detto,  fa  i ner- 
vi più  di  qualsiasi  altro  organo  o sistema  d’  organi  at- 
tuosi  ; donde  poi  la  particolare  eccitabilità  e disposizio- 


(1)  Catul.  Carm.  XXIX.  — Che  Catullo  alludesse  a G.  Cesare  è probabi- 
le; che  vi  potesse  alludere,  potevalo  benissimo,  Svetonio  apertamente  avendoci 
detto  quali  fossero  i costumi  del  sommo  Capitano  (in  Jul.  $ 49  e 52 ) , che  fa  pur 
detto,  senza  dubbio  per  iperbole,  il  marito  di  tutte  le  mogli , e la  moglie  di 
tutti  i mariti. 


356 


Alfonso  Corradi 


ne  morbosa;  a vincere  la  quale  i farmaci  nostri  sono  par- 
ticolarmente rivolti,  sicché  del  dolore  pare  non  piu  vo- 
gliasi che  lo  spauracchio.  Questa  diatesi  dominante  non 
solamente  dà  segno  di  sua  esistenza  in  medicina , sug- 
gerendo nuovi  rimedii  o variando  gli  antichi,  ma  eziandio 
perciò  che  riguarda  i principii  supremi  o direttivi  della 
scienza  : quindi  F origine  e la  formazione  della  malattia 
trovansi  nel  disordine  delle  potenze  nervose , siano  i nervi 
gli  eccitatori  o soltanto  i moderatori  delle  attività  vitali , 
sia  il  sistema  nervoso  il  rettore  dell1 2 3 4 5  organismo,  ovvero  il 
vincolo  fra  le  varie  e distinte  parti  del  medesimo  (1).  Al 
Giacomini  parve  aver  afforzato  la  così  detta  dottrina  me- 
dica italiana , facendola  scaturire  dal  sistema  ganglionare  ; 
altri  riputaronsi  benemeriti  del  genere  umano  spacciando 
estratti  o tinture  onde  rinvigorire  gli  accasciati  nervi.  E 
questo  concetto  di  universale  dominazione  della  facoltà 
di  sentire  è oggi  tanto  accetto,  che  anche  i non  medi- 
ci fangli  buon  viso  : Rosmini , F altissimo  filosofo , avea 
supposto  inerente  il  sentimento  ad  ogni  elemento  della  ma- 
teria (2)  ; ed  avvisava  formarsi  la  malattia  perchè  una  forza 
incongrua  al  sentimento  ed  all5  istinto  vitale , sovra  lui 
operando  ne  turba  le  condizioni  normali  (3).  Finalmente  è 
pure  stato  testé  sostenuto  la  potenza  con  la  quale  certi 
uomini  singolari  dominano  le  moltitudini , e le  volgono  a 
loro  arbitrio,  nuli5  altro  essere  che  un  modo  di  neurosi.  (4). 

Così  oggi  accadeva  quel  che  in  altri  tempi  è avvenuto , 
e cioè  le  malattie  popolari  o le  dominanti  disposizioni  mor- 
bose concorsero  a formare  la  scienza,  e a darle  ordinamento. 

Tanto  appunto  volev5  io  dimostrare  , nè  l5  assentirvi , cre- 
do, sia  duro,  riflettendo  come  veramente  ogni  nostra  fat- 
tura partecipi  delle  qualità  delle  cose  in  mezzo  alle  quali 


(1)  Spiess , Die  pathol.  Physiol.  und  Herr  Prof.  Rud.  Virchow.  Frankf.  a 
M.  1858  p.  22. 

(2)  Psicol.  § 602. 

(3)  Psicol.  P.  ii  L.  ▼ C.  xii  Art.  ii. 

(4)  Moreau  de  Tours,  Op.  c.  — V.  la  critica  che  di  questo  libro  ha  fatto 

il  Flourens  nel  Jonrn.  des  Savans  1860  p.  393  e 171. 


Delle  diatesi  o disposiz.  morbose  ec.  35  7 

essa  si  forma  o si  compie , e che  lo  scribo  in  aere  romano 
del  Baglivi  (1) , è avvertimento,  purché  inteso  colla  debita 
ampiezza,  da  aversi  sempre  presente  da  qualsiasi  autore,  co- 
me da  chiunque  voglia  su  le  altrui  opere  dare  sentenza. 

XII.  Ciò  posto , anche  più  agevolmente  si  comprendono 
non  solo  le  congruenze  della  medicina  con  la  natura  de*  luo- 
ghi e colla  fortuna  de*  popoli  ; ma  altresì  i motivi  delle 
sue  vicissitudini , e le  ragioni  di  essere  dei  vari  sistemi  nelle 
varie  epoche  della  medesima.  Nulladimeno  se  questi  furono 
d9  alcuna  utilità,  perchè  confacenti  ai  bisogni  de9  tempi  in  cui 
sorsero , non  devesi , per  soverchia  brama  dell9  ottimo , oc- 
cultarne gli  errori.  Anzi  que9  sistemi  che  meglio  pajono  cor- 
rispondere in  certi  momenti  alle  esigenze  degli  uomini  e 
della  scienza,  hanno  assai  volte  il  grave  vizio  di  riguar- 
dare costante  ed  essenziale , ciò  che  altro  non  è se  non 
transitorio  ed  accidentale  : quindi  le  esagerazioni  dell9  umo- 
rismo e del  solidismo , la  sterminata  potenza  delle  dottrine 
neurologiche.  Or  bene  perchè  tal  organo  o tal  apparato  or- 
ganico più  spesso  e più  facilmente  degli  altri  ammala , non 
è motivo  per  cercare  in  esso  soltanto  le  ragioni  della  sa- 
lute e della  malattia  : cotal  fatto  non  isvela  l9  essere  pro- 
prio di  queste , ma  soltanto  le  modificazioni , o gli  stati 
diversi  eh9  elleno  possono  assumere;  conciossia  che  la  vita 
è nell9  intero  organismo , e tutte  le  membra  ne  sono  fra 
loro  collegate , siccome  le  funzioni  mutuamente  s9  ajutano , 
e tutte  stanno  a guarentigia  di  ciascuna;  dando  mirabile 
esempio  di  quella  profonda  e vasta  armonia  che  Pitagora 
disse  moderatrice  e sovrana  dell9  universo  (2).  La  natura  poi 
dell9  uomo  è sempre  la  medesima  : soltanto  nel  corso  dei 
secoli  le  molteplici  sue  facoltà  possono  variamente  svol- 


li) 11  Puccinotti  p.  e.  ha  mostrato  come  la  natura  delle  malattie  endemiche 
in  Roma  , abbia  contribuito  a formare  tanto  la  teorica  quanto  la  pratica  d’Ascle- 
piade  (Stor.  della  Medie.  1 604). 

(2)  Qui  cadono  acconcie  le  belle  parole  di  Torquato  Tasso,  esimio  filosofo 
quanto  sommo  poeta:  « in  ogni  ordine  vi  è una  comunanza,  e quasi  una  con- 
giunzione , la  quale  dipende  dall’  unità  nella  moltitudine , ed  ogni  moltitudine 
▼i  si  riduce  all’unità.  » (La  Molza,  ovvero  dell’Amore  — Dialogo). 


358 


Alfonso  Corradi 

gersi , costituendo  caratteri  e gradi  diversi  di  civiltà.  Ed 
un  sistema  antropologico , e quindi  medico  , onde  possa 
dirsi  completo , fa  d’  uopo  riguardi  quella  costanza  e quella 
variabilità,  mostri  la  perpetuità  delle  leggi  non  escludere 
la  diversità  nelle  manifestazioni  ; talmente  che  ei  medesimo 
rimanendo  saldo  si  modifichi , e modificandosi  non  si  di- 
strugga. 

Ma  P intelletto  nostro  più  presto  vede  P ideale  dell’  ot- 
timo , di  quello  che  possa  raggiungerlo  ; e tant’  è la  sua 
imperfezione,  che  sempre  accade  trovar  giuste  le  parole  del 
Poeta  : 

« Video  meliora,  proboque , deteriora  sequor  ». 

Quest’  avvertenza  valgami  ad  ottenere  dal  lettore  di- 
screto giudizio. 


Delle  diatesi  o disposiz.  morbose  ec.  359 

SOMMARIO 


i.  Ragione  di  essere  della  Patologia  storica:  modo  di  conside- 


2.  Le  mutazioni  di  diatesi,  od  i diversi  stati  morbosi  che  in  noi 

succedettero,  non  sono  manifestazioni  delle  varie  età  del- 
T umana  specie ...»  321 

3.  Come  le  anzidette  diatesi  si  formino  e nell’  individuo  e nelle 

moltitudini » 325 

4.  Se  di  ciò  possan  essere  causa  le  variazioni  del  clima  ...»  327 

5.  Queste  cause  vanno  cercate  nella  civiltà  e maniera  diversa  di 

vivere  de’  popoli » 330 

6.  Lo  si  dimostra  con  gli  esempi  della  lebbra  e della  peste  bu- 

bonica » 332 

7.  Con  gli  altri  della  gotta,  delle  affezioni  scorbutiche  . ...»  336 

8.  delle  neuropatie , della  scrofola  e tubercolosi.  — 

Varietà  delle  epidemie  psichiche.  — Epilogo  ....  » 343 

9.  Come  la  malattia  entri  a formare  i sistemi  medici  ....  » 346 

10.  La  medicina  e le  dottrine  mediche  sono  in  armonia,  cogli  stati 

morbosi  predominanti  ; se  n’  hanno  le  prove  considerando 
la  medicina  degli  antichi , e quella  dell’  età  di  mezzo  . » 349 

11.  Altrettanto  risulta  guardando  alla  presente:  rapporti  fra  questa 

e quella  de’  Romani  negli  ultimi  anni  della  Repubblica,  e 
sotto  i primi  Imperatori  . »-352 

12.  Importanza  delle  precedenti  considerazioni  per  lo  studio  della 

Storia  della  medicina , e la  miglior  intelligenza  de’  suoi 
sistemi » 357 


DEI  MOTI  GEOMETRICI  E LORO  LEGGI 

NELLO  SPOSTAMENTO 

DI  UNA  FIGURA  DI  FORMA  IN  VARI  ARILE 

nmm 

DEL 

PROF.  DOMENICO  CHELINI 

(Letta  nella  Sessione  del  13  Marzo  1862). 


Come  nella  parte  elementare  della  geometria  per  effet- 
tuare la  sovrapposizione  delle  figure  s’  impiega  il  moto,  ora 
di  traslazione , -ora  di  rotazione  s ed  ora  misto , così  nella 
parte  analitica  parrebbe  naturale  che  si  dovessero  ricercare 
e mettere  in  aperto  le  leggi  che  presiedono  ai  detti  moti , 
siccome  quelli  che  sono  di  natura  meramente  geometrica  ; 
o si  compiano  essi  successivamente , o contemporaneamente. 
Eppure  queste  leggi , che  formano  il  vero  anello  di  unione 
tra  la  geometria  e la  meccanica  ; che  hanno  applicazioni 
estese  e svariate  nell’  una  e nell’  altra  scienza  ( come  ap- 
parisce dalle  opere  dei  Sigg.  Chasles , Poinsot , Gaetano 
Giorgini,  O.  Rodrigues , Mobius);  che  scaturiscono  quasi 
spontanee , chi  vi  ponga  mente , dalle  formole  date  nel 
secolo  scorso  dal  grande  Eulero  (*)  ; queste  leggi,  dico, 
sì  semplici , sì  belle , sì  utili  a conoscersi , sebbene  in  parte 


(*)  Formulae  generales  prò  translatione  quacumque  corporum  rigidorum  ( Nuo- 
vi Commeotarii  dell’ Acc.  di  Pietroburgo,  anno  1775,  1776). 

t.  i.  46 


362 


Domenico  Chelini 


siano  passate  sotto  il  nome  improprio  di  Cinematica  per 
entro  alla  Meccanica , tuttavia  non  si  vedono  ancord  discen- 
dere, per  quanto  è a mia  notizia,  nella  sede  loro  propria, 
assegnata  dalla  stessa  loro  indole  tutta  geometrica,  voglio 
dire  negli  Elementi  della  geometria  analitica. 

Quindi  ho  creduto  che  si  farebbe  opera  di  non  dubbio 
giovamento  lo  stringere  in  una  teoria  affatto  elementare 
le  leggi  de9  moti  geometrici,  massime  rispetto  a ciò  che 
hanno  di  più  vantaggioso  per  le  applicazioni , e di  più  ac- 
concio a renderne  lo  studio  piano  e gradito.  E questo  è 
V oggetto  della  presente  Memoria , che  io  divido  in  due 
parti,  Funa  geometrica,  e l’altra  analitica.  Nella  parte 
geometrica , le  leggi  de’  moti  successivi , tanto  di  trasla- 
zione quanto  di  rotazione,  ho  procurato  che  divengano  chiare 
e visibili  al  lume  di  un  solo  principio,  ed  inoltre  le  ho  rese 
alquanto  più  complete  in  alcuni  punti , per  es.  in  ciò  che  ri- 
guarda i rapporti  di  equivalenza  tra  un  moto  elicoidale  ed  un 
sistema  di  due  rotazioni  successive  intorno  ad  assi  non  situati 
in  un  medesimo  piano.  Nella  parte  analitica , valendomi  del 
princìpio  della  retta  e dell’  area  risultante , offro  nuove  ed 
assai  facili  dimostrazioni  delle  formole  di  Eulero , di  Mon- 
ge , di  Olindo  Rodrigues  ; stabilisco  le  relazioni  fondamen- 
tali di  omografia  e di  polarità , che  nascono  dal  considerare 
la  coesistenza  di  due  figure  uguali  in  luoghi  diversi  ; in- 
fine applico  le  formole  di  Eulero  a vincolare  tra  loro  i 
punti  omologhi  delle  figure  direttamente  ed  inversamente 
simili , e poste  come  si  voglia  nello  spazio  le  une  rispetto 
alle  altre. 

Mi  sia  infine  pérmesso  di  aggiungere  che  questa  teoria 
elementare  erasi  da  me  composta  da  parecchi  anni  per  uso 
proprio , e che  ora , qua  e là  ritoccata , può  servire  di 
utile  introduzione  allo  studio  delle  nuove  ed  estese  ricerche 
del  Sig.  Chasles  sullo  stesso  argomento.  Si  veda  la  Memo- 
ria di  quest’  illustre  geometra  intitolata  : Propriétés  3 dans 
V espace , d’  une  figure  de  forme  invariable.  (Comptes  ren- 
dus  de  1’ Ac.  des  Sciences,  tomes  LI  et  LUI,  années  1860 
et  1861  ). 


Leggi  de*  moti  geometrici 
PRELIMINARI 


363 


De’  moti  di  traslazione  e di  rotazione. 

Il  passaggio  di  una  figura  da  un  luogo  ad  un  altro  può 
sempre  effettuarsi,  come  verrà  dimostrato  in  appresso,  o 
per  un  semplice  moto  di  traslazione,  o per  un  semplice 
moto  di  rotazione , o per  un  moto  composto  di  questi  due. 

I moti  di  traslazione  e di  rotazione  dovendosi  quindi  ri- 
guardare come  gli  elementi  di  ogni  movimento , convien 
cominciare  dal  ben  definirne  i concetti. 

I.  De’  moti  di  traslazione. 

J.  Un  punto  M si  dice  che  subisce  una  traslazione  rap- 
presentata da  una  retta  OD,  quando  esso  punto  descrive 
una  linea  parallela  ed  uguale  alla  retta  OD  e dello  stes- 
so senso. 

2.  Se , nello  spostarsi  di  una  figura  F,  tre  punti  A,  B,  C, 
vertici  di  un  triangolo , subiscono  una  eguale  trdslazione 
rappresentata  da  una  retta  OD,  ogni  altro  punto  M della 
figura  subirà  un ’ egual  traslazione  MM'  = OD. 

Dim.  Dal  punto  M e parallelamente  ad  OD  s’  immagini 
condotta  la  linea  MP  che  incontri  in  P il  piano  determi- 
nato dai  tre  punti  A,  B,  C (fig.  1).  Eseguita  la  trasla- 
zione OD  da  questi  tre  punti  della  figura  F,  siano  A',  B', 
C,  P,  M'  le  nuove  posizioni  prese  dai  punti  A , B , C, 
P , M della  stessa  figura.  Per  le  note  proprietà  delle  pa- 
rallele, al  piano  ABC  riuscirà  certamente  parallelo  il  pia- 
no A B C',  nel  quale  il  triangolo  A'P'B'  rappresenta  la  nuo- 
va posizione  presa  dal  triangolo  APB.  Ne  conseguita  che 
nel  quadrilatero  APP'A ',  essendo  eguali  e paralleli  i lati 
opposti  AP,  A'P',  sono  pure  uguali  e paralleli  gli  altri 
due  lati  opposti  AÀ , PP' . Si  ha  perciò,  qualunque  sia  la 
lunghezza  di  OD: 

PP’  = AA’  = OD, 

donde  segue  che  la  retta  PM  è ita  trascorrendo  lungo  sè 


Domenico  CheliNi 


stessa.  Ciò  posto , il  cammino  rettilineo  PM'  componendosi 
tanto  delle  due  parti  PP' , PrMr,  quanto  delle  due  PM , 
MM' , rende  evidente  1*  uguaglianza 

PM  rH  MM  = PP'  -4-  PM', 
e di  qui , a causa  di  PM  = P'M',  si  conchiude 
MM'  = PP'  = OD. 

3.  Si  dice  che  una  figura  F subisce  una  traslazione  rap- 
presentata da  una  retta  OD  , allorché  ciascun  punto  della 
figura  descrive  una  linea  parallela  ed  uguale  alla  retta  OD 
e del  medesimo  senso.  Per  questa  definizione  si  fa  mani- 
festo che  , quando  una  figura  dee  subire  più  traslazioni 
successive  OA , AB , BC , GD  : 

1°  La  figura,  in  tutta  la  successione  di  questi  moti,  è 
parallela  a sè  stessa  ed  a ciò  che  era  nella  posizione  iniziale  ; 

2°  Il  moto  totale  della  figura  è rappresentato  dalla  linea 
poligona  descritta  da  uno  qualunque  de5  suoi  punti  ; 

3a  Comunque  varii  V ordine  onde  si  succedono  le  date 
traslazioni  (OA,  AB,  BC  , CD ),  la  posizione  finale  della 
figura  è sempre  la  medesima , ed  è la  posizione  a cui  mena 
la  via  diritta  OD,  che  rappresenta  la  retta  risultante  delle 
date  traslazioni  ; 

4°  Il  moto  di  traslazione  di  una  figura  può  avvenire, 
non  solamente  secondo  una  linea  poligona,  ma  eziandio 
secondo  una  linea  curva , potendosi  riguardare  la  curva  co- 
me una  linea  poligona  di  lati  infinitesimi. 

4.  Per  la  chiarézza  delle  dimostrazioni  che  verranno, 
le  posizioni  diverse  F±  , F2,  Fz  etc.  di  una  stessa  figura  F 
si  debbono  immaginare  come  altrettante  figure  distìnte  e 
coìncìdibìli.  Nelle  figure  coincidigli  si  dicono  omologhe  quel- 
le parti  che  nella  sovrapposizione  si  confondono  in  una  sola. 


(*)  In  questa  Memoria  suppongo  che  si  abbia  presente  ciò  che  nell’  Appen- 
dice agli  Elementi  di  Meco,  razionale  ho  esposto  intorno  ai  principi!  fonda- 
mentali  delle  Matematiche. 


Leggi  de’  moti  geometrici 


365 


Siccome  una  figura  è fissata  nello  spazio  da  tre  de9  suoi 
punti  non  posti  in  linea  retta,  così  è manifesto  che  : Date 
due  figure  coincidibili  F,  se  tre  punti  A,  B,  C del - 
V una , vertici  di  t un  triangolo , vengono  a coincidere  coi 
punti  omologhi  A,  B!  , C dell  altra , le  due  figure  si  con- 
fonderanno insieme  in  una  sola . 

5.  Similmente,  due  figure  essendo  dette  simmetriche  tra 
loro  quando  si  possono  cosi  disporre  intorno  ad  un  piano 
che  i loro  punti  (chiamati  simmetrici  od  omologhi)  si  tro- 
vino due  a due  situati  ad  egual  distanza  dal  piano  e sopra 
una  retta  perpendicolare  allo  stesso  piano , è manifesto  che  : 
Date  due  figure  simmetriche > se  siano  così  disposte  intorno 
ad  un  piano  che  tre  punii  A,  B , C dell’  una , vertici  di 
un  triangolo , si  trovino  in  simmetria  co’  tre  punti  omolo- 
ghi A y B'y  C dell’  altra , le  due  figure  saranno  per  intero 
disposte  simmetricamente  intorno  al  piano . 

6.  Allorché  una  figura  F è passata  da  un  luogo  in  un 
altro  per  un  movimento  qualunque , la  retta  MM  che  uni- 
sce le  posizioni  iniziale  e finale  di  un  punto  M di  F,  si 
dirà  traslazione  relativa  a questo  punto  , e se  si  considera 
come  congiungenté  i punti  omologhi  M , M'  di  due  figure 
coincidibili , si  dirà  corda. 

II.  DE’  MOTI  DI  ROTAZIONE. 

7.  Quando  una  figura  di  forma  invariabile  si  rivolge  in- 
torno ad  un  asse  immobile  Oz , ogni  punto  M della  figura 
si  muove  sulla  periferia  di  un  circolo  che  ha  il  centro  sul- 
F asse  ; e due  punti  qualunque  A ? B della  figura , situati 
su  questa  periferia , descriveranno  contemporaneamente  ar- 
chi uguali  AA,  BE'.  Imperocché  se  l9  arco  AB > dopo  una 
rotazione  qualsivoglia,  prende  la  posizione  AB! , sarà  cer- 
tamente AB  = AB' . Ma 

AB^AA  + AB,  AB'  ==  AB  -+-  BB\ 

donde,  togliendo  A'B , risulta  A A = BB' . 

Da  ciò  s9  inferisce  che  i piani  della  figura  che  passano 


366 


Domenico  Ghelini 


per  F asse  Oz  , deviano  tutti  con  angolo  eguale  dalle  loro 
- posizioni  iniziali.  Quest’  angolo  eguale  misura  F ampiezza 
della  rotazione , e la  rappresenta. 

8.  Senza  alterare  la  posizione  finale  di  una  figura  -F,  si 

può  ad  una  rotazione  0 sostituire  una  rotazione  contra- 
ria = — — 0 ) = — 360°  -+-  6 ; come  si  fa  chiaro  dal 

considerare  il  risultato  di  queste  due  rotazioni.  Quindi  nella 
composizione  delle  rotazioni , F ampiezza  di  ciascuna  rota- 
zione parziale  si  può  suppor  minore  di  due  angoli  retti. 

9.  L’asse  di  rotazione,  a partire  da  uno  O de’  suoi 
punti  preso  per  origine , si  divide  in  due  assi  parziali , op- 
posti nella  direzione . La  rotazione  non  può  effettuarsi  dalla 
destra  alla  sinistra  di  uno  di  questi  assi  parziali  riguardato 
come  un  Osservatore  coi  piedi  nelV  origine  O > senza  che  si 
effettui  dalla  sinistra  alla  destra  dell’  altro  asse  parziale. 
L’  asse  di  rotazione  sarà  determinato  , quanto  al  verso  della 
direzione,  da  questa  convenzione , che  la  rotazione  avven- 
ga dalla  destra  alla  sinistra  di  esso  asse. 

10.  Un  sistema  di  traslazioni  e rotazioni  si  dirà  equiva- 
lente ad  un  altro  sistema , quando  si  per  F uno  che  per 
F altro  sistema  la  figura  passa  egualmente  da  una  posizione 
data  ad  un’altra  pur  data.  Una  rotazione  unica  equivalente 
ad  un  sistema  di  rotazioni , si  dirà  la  rotazione  risultante 
delle  date  rotazioni,  le  quali  ne  saranno  le  componenti . 

La  sostituzione  di  un  sistema  di  moti  ad  un  altro  equi- 
valente > costituisce  un  principio  che  si  può  adoperare  con 
vantaggio  a scoprire  e a dimostrare  le  leggi  de’  moti  geo- 
metrici. 

N.  B.  Un  asse , quale  Oz  } sarà  accennato  con  due  lette- 
re, F una  grande  indicante  F origine,  e F altra  piccola  in- 
dicante la  direzione.  Così  i due  assi  Oz  , Mz  sono  paralleli -, 
colle  orìgini  ne’  punti  O , M. 

11.  Teorema.  Una  rotazione  0 intorno  ad  un  asse  Oz  si 
può  trasportare  intorno  ad  un  altro  asse  qualsivoglia  Mz, pa- 
rallelo al  primo , purché  si  aggiunga  una  traslazione  MM 
uguale  alla  corda  deU  arco  che  un  punto  M del  nuòvo 
asse , supposto  mobile  colla  figura , avrebbe  descritto  intor- 
no al  primo.  E questa  traslazione  ha  per  misura  il  doppio 


prodotto  che  si  ottiene  moltiplicando  la  distanza  OM  de’  due 
assi  pel  seno  della  semirotàzione  ( fig.  2 ) : 

MM'  = 20Msen1 0. 

Dim.  Supposti  in  O ed  in  M due  assi  paralleli  Oz , Mz  , 
e perpendicolari  alla  retta  OM , la  rotazione  0 della  figu- 
ra F intorno  ad  Oz  porti  il  punto  M in  Mr . La  nuo- 
va posizione  F della  figura  F sarà  determinata  dall’  as- 
se Oz  e dalla  retta  OM' . Si  tratta  ora  di  vedere  che  la 
figura  F si  sarebbe  fermata  in  questa  medesima  posizione  F , 
se  avesse  subito  dapprima  la  rotazione  0 intorno  all9  asse*  Mz , 
e poi  la  traslazione  ==  MM' . A questo  fine  si  osservi  che, 
in  virtù  defila  rotazione  0 intorno  ad  Mz  passando  il  pun- 
to O in  O',  la  figura  F si  ferma  nella  posizione  determi- 
nata dall’ asse  Mz  e dalla  retta  O'M ; e che  poscia,  in 
virtù  della  traslazione  MM'  tornando  il  punto  Or  in  O , 
la  figura  F si  ferma  nella  posizione  determinata  da  OM‘  e 
da  Oz,  cioè  nella  posizione  medesima  che  aveva  preso  per 
la  semplice  rotazione  0 intorno  ad  Oz. 

Sia  m il  punto  di  mezzo  della  corda  MM'.  Il  triangolo 
isoscele  MOM‘  somministra 

MMJ  = 2 MO  sen±0  = 2mO  tan\0. 

Corollario  1°  Una  rotazione  0 , seguita  da  una  trasla- 
zione MM'  perpendicolare  all’  asse  Mz  di  rotazione , equivale 
ad  una  semplice  rotazione , uguale  alla  data  ; intorno  ad  un 
asse  Oz  parallelo  al  primo.  Quest’  asse  si  determina  colla 
seguente  costruzione.  Presa  per  base  la  retta  MM 1 che  rap- 
presenta la  traslazione,  dalla  parte  verso  cui  dee  farsi  la 
rotazione , ed  in  un  piano  perpendicolare  all9  asse  Mz>  si 
costruisca  un  triangolo  isoscele  MOM'  di  cui  1’  angolo  al 
vertice  sia  eguale  alla  rotazione  0.  Il  luogo  dell’  asse  cer- 
cato sarà  fissato  da  questo  vertice  O,  ossia  dal  punto  ove 
termina  1’  altezza  mO  di  esso  triangolo , essendo 

MM' 


36& 


Domenico  Chelini 


2°  Qualunque  sia  V ordine  onde  si  succedono  i due  moti 
di  rotazione  0 e di  traslazione  MM‘,  lo  spostamento  della 
figura  riesce  il  medesimo.  Solo  convien  avvertire  che , ove 
si  voglia  eseguire  prima  la  traslazione  MM‘  e poi  la  rota- 
zione 0,  il  triangolo  isoscele  M‘OM  che  serve  a determi- 
nare F asse  Oz  della  rotazione  unica,  dovrà  costruirsi  so- 
pra M\M  dalla  parte  opposta  a quella  in  cui  dee  farsi  la 
rotazione  intorno  all9  asse  M‘z.  Che  se , invece  di  succedersi 
F Uno  all5  altro , i due  moti  rettilineo  e rotatorio  si  effet- 
tuassero simultaneamente  , è chiaro  che  la  posizione  finale 
della  figura  sarà  "sempre  la  medesima. 

Secondochè  l5  asse  di  rotazione  è perpendicolare , obliquo , 
o parallelo  alla  direzione  della  traslazione , i due  moti  ret- 
tilineo e rotatorio  si  diranno  rettangolari  , obliqui , o paralleli. 

3°  In  generale:  Due  moti  di  specie  diversa  , rotatorio  e 
rettilineo  > quando  sono  rettangolari  equivalgono  ad  una  sem- 
plice rotazione  3 di  cui  si  sa  costruire  V asse  e V ampiezza. 

4°  Quando  una  figura  rota  intorno  ad  un  asse  fisso  Oz, 
in  ogni  punto  M della  figura  si  compie  ad  ogn5  istante  una 
egual  rotazione , oltre  al  moto  di  traslazion  circolare. 

5°  Allorché  un  punto  qualsivoglia  M dello  spazio  si  sup- 
pone connesso  con  una  figura  mobile  F così  che  ne  segua 
ad  uno  ad  uno  tutti  gli  spostamenti  successivi,  si  dovrà 
riguardare  come  cognita  la  retta  MM‘  che  va  dalla  posi- 
zione iniziale  del  punto  M alla  sua  ultima  e finale  posizio- 
ne. Ciò  posto  : Date  più  rotazioni  successive , si  potranno 
trasportar  tutte  parallelamente  a se  stesse  in  un  medesimo 
punto  M dello  spazio  per  ivi  comporle  in  una  semplice  ro- 
tazione risultante , è poscia  aggiungere  la  traslazione  MM 
relativa  al  punto  M . 

Le  rotazioni  parallele , cioè  le  rotazioni  che  si  fanno  in- 
torno ad  assi  paralleli , si  riducono  evidentemente  alle  ro- 
tazioni di  una  figura  piana , mobile  sopra  un  piano  perpen- 
dicolare a tali  assi. 


Leggi  de*  moti  geometrici 


369 


PARTE  GEOMETRICA. 

LEGGI  PER  GLI  SPOSTAMENTI  SUCCESSIVI  DI  UNA  FIGURA. 


§ 1°  Degli  spostamenti  di  una  figura  piana  nel  suo  piano. 

12.  Teorema.  Quando  una  figura  piana  dee  passare  da  un 
luogo  F ad  un  altro  luogo  qualsivoglia  F‘,  trascorrendo  nel 
suo  piano  senza  punto  ribaltare 3 il  passaggio  può  sempre 
effettuarsi  per  una  semplice  rotazione  intorno  ad  un  punto 
fisso  chiamato  centro  di  rotazione  o punto  centrale. 

Dim.  Cominciamo  dall’  osservare  che  quando  la  figura  F 
è mobile  intorno  ad  un  punto  fisso  O , il  suo  passaggio 
in  F*  si  effettua  necessariamente  per  una  semplice  rotazio- 
ne intorno  ad  O,  e la  grandezza  6 della  rotazione  ha  per 
misura  1’  angolo  AOA\  onde  una  retta  qualsivoglia  di  F , 
passante  per  O , ha  deviato  dalla  sua  posizione  iniziale  OA 
(n°  7).  : 

Supponiamo  ora  che  la  figura  F sia  interamente  libera , 
e che  due  punti  qualunque  A } B di  F ( trascorsa  F in  F1  ) 
siano  passati  in  A‘ } B\  lo  dico  che  questo  passaggio  di  F 
in  F‘  può  eseguirsi  per  un  semplice  moto  di  rotazione  in- 
torno ad  un  centro  fisso  O x il  quale  si  trova  là  dove  s’  in- 
tersecano le  perpendicolari  aO , bO  (fig.  3)  condotte  ri- 
spettivamente alle  due  rette  AA‘3  BB‘  dai  loro  punti  di 
mezzo  a,  b.  Ed  in  vero  tale  passaggio  può  certamente  ef- 
fettuarsi facendo  subire  alla  figura  F la  traslazione  AA‘X  e 
poscia  intorno  ad  A1  ( punto  divenuto  comune  ad  F e ad  F‘) 
una  rotazione  valevole  a far  coincidere  le  due  figure  in 
una  sola.  E la  stessa  coincidenza  avrà  luogo  se , invece 
della  traslazione  AA' , si  adopera  la  traslazione  BB‘,  e po- 
scia la  rotazione  intorno  a B\  Ma  si  è veduto  che  quando 
1’  asse  di  rotazione  è perpendicolare  alla  linea  di  traslazione 
( e tale  è qui  1’  asse  di  rotazione  in  A‘  od  in  B‘  rispetto 
alla  traslazione  AA‘  ovvero  BB‘)  i due  moti  rotatorio  e 
rettilineo  equivalgono  ad  una  semplice  rotazione  il  cui  cen- 
t.  i.  ^<7 


370 


Domenico  Ghelini 


tro  dee  trovarsi  sulla  perpendicolare  inalzata  in  mezzo  alla 
linea  di  traslazione.  Nel  caso  nostro  adunque  il  centro  di 
rotazione  dee  esistere  nel  punto  di  concorso  delle  nominate 
perpendicolari  aO , bO. 

L’  ampiezza  6 della  rotazione  è data  tanto  dall’  ango- 
lo AOA‘,  quanto  dall’  angolo  con  cui  la  retta  A B'  devia 
dalla  retta  AB.  In  generale  : Se  una  figura  si  sposta  trascor- 
rendo nel  suo  piano  > tutte  le  rette  della  figura  nella  nuova 
posizione  deviano  con  angolo  eguale  dalle  direzioni  che  ave- 
vano nella  prima  posizione . Ciò  si  fa  chiaro  se  dal  punto 
centrale  O s’  intendano  tirate  linee  parallele  alle  rette 
date  (7). 

Se  le  rette  omologhe  AB , A‘B‘  fossero  parallele , e di 
più  dirette  per  lo  stesso  verso  , riuscirebbero  parallele  ed 
uguali  le  rette  AA‘ , BB‘;  onde  il  centro  O di  rotazione 
andrebbe  ad  una  distanza  infinita.  In  questo  caso  del  cen- 
tro O all  infinito,  gli  archi  circolari  descritti  dai  punti  A e B 
„ nell’  andare  in  A*  e in  B‘  si  confonderebbero  colle  loro 
corde  AÀ\  BB';  ed  il  moto  di  rotazione  si  trasformerebbe 
in  un  puro  mòto  di  traslazione  = AÀ  — BB' . 

13.  Allorché  la  figura  piana  dee  successivamente  passare 
per  due , tre , quattro  etc.  posizioni  diverse  F>  Ft  y F2  etc. 
nel  suo  piano , il  passaggio  si  potrà  sempre  effettuare  per 
mezzo  di  una , due , tre  etc.  rotazioni  successive  intorno  ad 
altrettanti  centri  O , Ot  > 02  etc.  Inoltre  è manifesto  che , 
date  le  posizioni  F , Ft>  F^,  Fz  etc.  che  dee  prender  la 
figura,  una  dopo  1’  altra,  anche  i centri  di  rotazione  si  pos- 
sono riguardar  come  dati  sì  nel  piano  immobile  od  assoluto 
ove  dee  aggirarsi  la  figura  e dove  formeranno  i vertici  di 
un  poligono  fisso  s e sì  nel  piano  mobile  della  figura  me- 
desima , posta  com’  è a principio , dove  formeranno  i ver- 
tici di  un  altro  poligono  mobile  che  avrà  in  comune  col 
poligono  fisso  il  primo  vertice.  Per  le  rotazioni  successive 
il  poligono  mobile  applicherà  uno  dopo  1’  altro  i suoi  lati 
sopra  i lati  rispettivamente  uguali  del  poligono  fisso.  Quin- 
di : Il  moto  continuo  di  una  figura  sopra  un  piano  fisso , si 
può  ridurre  a quello  di  una  linea  curva  che  va  ruzzolando 
( senza  sdrucciolare  ) sopra  un 9 altra  curva  fissa. 


Leggi  de’  moti  geometrici 


371 


14.  Il  moto  relativo  di  due  curve,  P una  delle  quali 
ruzzola  sull’  altra  supposta  fissa , è lo  stesso  di  quello  che 
si  avrebbe  se,  ritenendo  fìssa  la  prima  curva,  si  comuni- 
casse alla  seconda  un  moto  eguale  e contrario  a quello  che 
aveva  la  prima.  Ciò  diviene  evidente  comunicando  alle  due 
curve  un  moto  comune,  eguale  e contrario  a quello  della 
prima  curva.  Il  moto  relativo  non  sarà  alterato  ; ed  intanto 
la  prima  curva  diverrà  fissa  e la  seconda  in  movimento. 

§ *°  Leggi  per  la  composizione  delle  rotazioni  successive 
in  un  piano. 

15.  Problema.  Date  due  rotazioni  successive  6,6 ' intor- 
no ai  centri  fissi  A , B , trovare  il  centro  C e V ampiez- 
za 0 della  rotazione  risultante . 

Soluz.  La  soluzione  si  ottiene  subito  applicando  la  re- 
gola generale  ( n°  11,  5°  ) , che  consiste  nel  trasportare 
tutte  le  rotazioni  successive  in  un  medesimo  punto  M per 
comporle  quivi  in  una  sola,  e poi  aggiungere  la  traslazio- 
ne MM‘  relativa  al  punto  M- 

Se  le  due  rotazioni  6 , 6‘  si  concepiscono  trasportate  nel 
primo  de’  due  centri  fissi  A , B , avremo  in  A la  rotazione 
risultante  0 = 6 -+-  6‘,  più  la  traslazione  ( n°  11) 

AA‘  = 2 AB  sen  i 6‘. 

Questi  due  moti , rotatorio  e rettilineo , siccome  rettan- 
golari, equivalgono  ad  una  semplice  rotazione  che  ha  il 
suo  centro  C sulla  perpendicolare  aC  inalzata  in  mezzo 
alla  retta  AA‘ , dalla  parte  in  cui  dee  farsi  la  rotazione  intor- 
AA‘ 

no  ad  A , ed  = — — - = AC  cay£0.  Da  questa  formola 

2 tani&  2 H 

e dalla  precedente  si  ottiene  (fig.  4.): 

AA'  = 2 AC  seni  e = 2 AB  seni  6', 

sen  ^ 0 sen  i 6‘ 

ÀB~  ~ AC 


donde 


372 


Domenico  Chelini 


Consideriamo  in  secondo  luogo  quel  punto  B‘  della  figu- 
ra F,  che  per  la  prima  rotazione  0 intorno  ad  A andreb- 
be a coincidere  con  B.  La  traslazione  relativa  al  punto  B‘ 
sarà  BB  = %AB  sen\0.  Se  le  due  rotazioni  0,  6‘  si  traspor- 
tano in  B‘ , avremo  in  B‘  la  rotazione  risultante  0=0- h 0', 
più  la  traslazione  B‘B.  Nel  ridurre  questi  due  moti  ad  una 
semplice  rotazione  intorno  al  centro  C,  si  troverà  col  di- 
scorso precedente  : 

B B = 2CB  sen^Q  = 2 AB  sen  \ 0, 

donde 

sen^S  sen^O 

~AB  ~CB~  ‘ 

Così  P applicazion  della  regola  generale  ci  offre,  colla 
soluzion  geometrica , la  soluzione  analitica  del  problema 
nelle  forinole 

a*  sen^é  sen^O  __  sen^0‘ 

0 = 0 + 0;  AB  — CB-  — AC  , 

acconce  a determinare  numericamente  le  tre  quantità  0 , 

AC,  CB. 

La  costruzione  geometrica  del  punto  centrale  C può  ri- 
dursi alla  seguente.  Immaginiamo  due  rette  mobili  intorno 
ai  due  centri  fissi  A , B , le  quali  ^ coincidendo  dapprima 
con  AB,  siano  deviate  dalla  loro  posizione  iniziale  cogli  an- 
goli ( — J 0 , * 0‘  ) uguali  alle  metà  delle  rotazioni  compo- 
nenti, eseguendo  però  la  prima  rotazione  \0  in  verso  con- 
trario a quello  che  dee  avere.  Il  punto  C ove  concorreran- 
no tali  rette  sarà  il  centro  della  rotazione  risultante.  | 

Questa  costruzione  del  punto  C , che  segue  manifesta 
da  ciò  che  si  è detto , si  può  anche  dimostrare  così.  Le 
rotazioni  0 , 0‘  siano  dello  stesso  segno,  e si  avverta  che 
i punti  della  figura  F sovrapposti  ai  centri  fissi  A , B , C, 
sono  mobili  con  F.  Il  punto  C di  F,  a cagion  della  rota- 
zione 6 intorno  ad  A,  passa  in  un  punto  C che,  intorno 
ad  AB , è simmetrico  còl  centro  C,  e poscia  da  C torna 
a fermarsi  nel  centro  C a cagion  della  rotazione  0‘  intorno 


Leggi,  de’  moti  geometrici 


373 


a B.  Esiste  adunque  intorno  a C una  semplice  rotazione 
equivalente  alle  due  rotazioni  0,  0‘.  Per  conoscere  quanta 
debba  esser  P ampiezza  0 di  questa  rotazione , si  osservi 
che  il  punto  A di  F,  rimasto  immoto  nella  rotazione  0, 
compiendosi  la  rotazione  0‘  passa  in  un  punto  A'  che,  in- 
torno a BC,  è simmetrico  col  centro  A.  Or  questo  pas- 
saggio di  A in  A'  si  effettua  pure  facendo  girare  intorno  a C 
la  "figura  F per  l’angolo  ACA' = 0-t-0'.  Dunque  0 = 0-+-0  . 

Quando  è diverso  il  segno  delle  due  rotazioni  0 , 0 , la 
costruzione  del  punto  C si  mantiene  la  medesima . e si  ve- 
rifica in  generale,  che  degli  angoli  interni  del  triangolo  ACB 
due  sono  eguali  alle  due  minori  delle  tre  semirotazio- 
ni i0,  §0,  |-0 , essendo  la  maggiore  eguale  al  supplemento 
del  terzo  angolo. 

16.  Se  0 = — 0',  vale  a dire  se  le  due  rotazioni  sono 
eguali  e di  senso  contrario , trasportando  da  B in  A la  se- 
conda rotazione  — 0\  avremo  in  A una  rotazione  nulla 
( 0 — 0 = 0)  e la  traslazione 

AA‘  = 2ABsen  £0. 

Si  chiama  coppia  di  rotazioni  un  sistema  di  due  rotazioni 
uguali  e di  senso  contrario.  Possiamo  quindi  stabilire  che  : 
Una  coppia  di  rotazioni  successive  equivale  ad  una  semplice 
traslazione  rappresentata  dalla  corda  dell3  arco  che  il  primo 
de3  due  centri  di  rotazione  descriverebbe  intorno  al  secondo, 
ed  il  cui  valore  si  ottiene  moltiplicando  la  distanza  de3  due 
centri  pel  seno  della  sendrotazione. 

% 3°  Degli  spostamenti  di  una  figura  nello  spazio. 

17.  Teorema  di  Eulero.  Quando  una  figura  F è mobile 
intorno  ad  un  punto  fisso  O , il  suo  passaggio  da  una  po- 
sizione F ad  un3  altra  qualsivoglia  F‘  si  può  sempre  effet- 
tuare per  una  semplice  rotazione  intorno  ad  un  certo  asse  OR 
condotto  pel  punto  fisso. 

Dim.  Sia  OAB  (fìg.  5)  un  triangolo  qualunque  della 
figura  considerata  nella  sua  prima  posizione  F,  e questo 
triangolo  si  trovi  in  OA‘B‘,  cioè  A in  A‘ 9 B in  B‘,  quando 
la  figura  è passata  nella  seconda  posizione  F‘. 


374 


Domenico  Chelini 


Dai  punti  di  mezzo  a,  b delle  due  rette  AA' , BB'  si 
concepiscano  condotti  due  piani  perpendicolari  rispettiva- 
mente alle  rette  medesime  ; e sia  OR  la  retta  in  cui  èssi 
vengono  a tagliarsi , intersezione  che  avverrà  sempre , tran- 
ne il  caso  in  cui  i due  piani  si  confondano  in  un  solo. 
Ora  io  dico  che  l’asse  di  rotazione  è la  retta  OR,  e che, 
nel  caso  di  eccezione',  è la-  retta  dove  si  segano  i piani 
de’  due  triangoli  OAB,  OA'B'. 

A questo  fine  osserviamo  che  i due  triangoli  OAB , OA'B', 
ed  un  punto  qualunque  R preso  sulla  retta  OR,  determi- 
nano due  piramidi  in  cui  , oltre  all’  essere  coincidibili  le 
basi  triangolari  OAB , OA'B ' , sono  eguali  gli  spigoli  late- 
rali , cioè  RO  comune , RA  = RA',  RB  = RB'.  Queste 
due  piramidi  ROAB  , ROA'B'  saranno  adunque  o coincidi- 
bili o simmetriche . 

Se  sono  coincidibili,  facendo  girare  la  figura  F intorno 
ad  OR  finché  il  triangolo  ROA  coincida  col  triangolo  ROA', 
è chiaro  che  questa  coincidenza  trarrà  seco  la  coincidenza 
delle  due  piramidi,  e però  quella  de’  tre  punti  O,  A,  B 
della  figura  F coi  tre  punti  omologhi  O , A‘ , B'  della  figu- 
ra F‘,  e quindi  la  coincidenza  completa  di  F con  F‘  ( n°  4 ). 

Ove  riescano  simmetriche  le  due  piramidi  ROAB , ROA'B', 
osserviamo  che  i vertici  omologhi  de’  due  triangoli  ROA , 
ROA ' essendo  per  costruzione  disposti  in  simmetria  intor- 
no al  piano  condotto  perpendicolarmente  sul  mezzo  della 
retta  AA',  tutti  gli  altri  punti  omologhi  delle  due  pirami- 
di , quali  B e B',  dovranno  esser  disposti  in  simmetria  in- 
torno allo  stesso  piano  (n°  5).  In  questa  ipotesi  adunque 
i due  piani  condotti  perpendicolarmente  in  mezzo  alle  ret- 
te A A' , BB'  si  confonderanno  in  un  sol  piano , nel  piano 
che  dimezza  1’  angolo  diedro  formato  dai  due  piani  OAB  , 
OA'B'.  Preso  un  punto  R sulla  retta  ove  *si  segano  questi 
piani , se  si  fa  girare  la  figura  F intorno  ad  OR , è chiaro 
che  quando  il  punto  A cade  in  A',  il  punto  B cadrà  in  B‘, 
e le  due  figure  F ed  F'  si  confonderanno  insieme  in  una  sola. 

E adunque  provato  che , quando  una  figura  è mobile  in- 
torno ad  un  punto  fisso  O , il  suo  passaggio  da  una  posi- 
tura ad  un’  altra  qualsivoglia  si  può  sempre  effettuare  per 


Leggi  de5  moti  geomètrici  375 

un  semplice  moto  di  rotazione  intorno  ad  un  asse  che  passa 
pel  punto  fisso. 

L9  ampiezza  ed  il  senso  della  rotazione  si  ha  nell9  angolo 
diedro  compreso  tra  due  piani  condotti  per  l9  asse  OR  e 
.per  due  punti  omologhi  qualunque  A 3 A'  ( n°  7 ). 

18.  Il  passaggio  di  una  figura  da  una  posizione  F ad 
un’  altra  qualsivoglia  F'  dello  spazio  si  può  sempre  effettua- 
re3 in  una  infinità  di  maniere  diverse  , per  mezzo  di  due  moti 
( successivi  o simultanei  ) V uno  di  traslazione  e V altro  di  ro- 
tazione. Infatti  consideriamo  un  punto  qualunque  M della 
figura  nella  prima  posizione  F,  ed  il  suo  punto  omologo  Mr 
nella  seconda  posizione  F ; è chiaro  che  il  passaggio  dal- 
P una  all9  altra  posizione  si  può  effettuare  mediante  la  tras- 
lazione MM' 9 seguita  da  quella  rotazione  intorno  ad  M' 
che  è propria  a far  coincidere  F con  F . E superiormente 
si  è avvertito  che  i due  moti  possono  supporsi  successivi 
in  qual  ordine  si  vuole,  ed  anche  simultanei. 

19.  Un  sistema  di  due  moti  obliqui  di  specie  diver- 
sa (11,  3°)  , rettilineo  e rotatorio , si  può  sempre  ridurre 
ad  un  sistema  di  due  moti  paralleli  3 rettilineo  e rotatorio  ; 
e le  rotazioni,  ne9  due  sistemi,  sono  eguali  ed  intorno  ad 
assi  paralleli.  Imperocché , ove  il  moto  di  traslazione  del 
primo  sistema  s9  intenda  decomposto  in  due  , P uno  paral- 
lelo e P altro  perpendicolare  all9  asse  di  rotazione , a que- 
st9 ultima  traslazione  ed  alla  rotazione  ( essendo  moti  ret- 
tangolari ) potremo  sostituire  una  semplice  rotazione , eguale 
e parallela  alla  data. 

Supponiamo  per  esempio  che  lo  spostamento  di  F si  possa 
ottenere  per  la  rotazione  0 intorno  all9  asse  Mv  ( fig.  5)  é 
per  la  traslazione  MM'  = t . Da  M'  si  abbassi  la  perpen- 
dicolare M'N  sopra  Mv  e si  ponga  MN  = t.  Se  la  trasla- 
zione MM ' si  decompone  nelle  due 

MN=tcos(vt),  NM'  = t sen(vt) , 
la  prima  parallela  e la  seconda  perpendicolare  all9  asse  Mv , 
i due  moti  rettangolari  di  rotazione  0 e di  traslazione  NM* 
equivarranno  alla  sola  rotazione  0 intorno  ad  un  asse  Ov  3 che 
sappiamo  esser  dato  dalla  costruzione  seguente  ( n°  11,  1°). 


376 


Domenico  Cheeini 


Dal  mezzo  n della  retta  NM'  s’  inalzi  sul  piano  dell5  an- 
golo ( vt)  la  perpendicolare 


nO  == 


tsen  (vt) 


2 tan  J 0 


condotto  per  O 1’  asse  Ov  parallelo  ad  Mv , e preso  so- 
pra Ov  il  segmento  Ot  = MN , i moti  obliqui  proposti 
saranno  trasformati  ne5  due  moti  paralleli  , di  rotazione  0 in- 
torno ad  Op  e di  traslazione 

Ot  = t cos(vt). 

Dunque  (v)  : Ogni  spostamento  di  una  figura  nello  spa- 
zio può  sempre  effettuarsi  per  un  moto  elicoidale  intorno 
ad  un  asse,  cioè  per  una  rotazione  intorno  ad  una  retta 
connessa  colla  figura  e scorrente  sopra  sè  medesima , alla 
guisa  di  una  vite  che  scorre  lunghesso  il  proprio  asse  al 
girare  delle  sue  spire . L’  asse  di  questa  vite  si  dice  1’  asse 
centrale  dello  spostamento. 

20.  Date  nello  spazio  due  posizioni  della  figura  F me- 
diante due  terne  di  punti  omologhi  (A,  B,  C),  (A',  B',  C ), 
si  cercherà  dapprima  il  passaggio  dall’  una  all’  altra  posi- 
zione per  un  sistema  di  due  moti  obliqui , i quali  si  pos- 
sono ottenere  tirando  da  uno  de’  punti  dati,  per  es.  da  A , 
le  linee  A'Bt , AC% , rispettivamente  parallele  ed  uguali  alle 
rette  AB,  AC,  e cercando  l’asse  Av  della  rotazione  0 ac- 
concia a far  coincidere  insieme  i due  triangoli  A'B^Ct , ABC . 
Trovati  così  i moti  obliqui  di  traslazione  A A e di  rota- 
zione 0 intorno  ad  A v,  si  trasformeranno  in  due  moti  paral- 
leli , cioè  in  un  moto  elicoidale  intorno  all’  asse  centrale. 

21.  Il  passaggio  dì  una  retta  da  una  posizione  AB  ad 
un3  altra  posizione  qualsivoglia  AB'  si  può  sempre  effettuare (*) 


(*)  Questo  bel  teorema  è stato  messo  in  rilievo  nella  sua  piena  generalità 
dal  Sig.  Chàsles  ( Voir  Bullettin  des  Sciences  mathématiques  de  M.  de  Fèrussac  , 
fon».  XIV  an.  1830).  Corollario  di  esso  è l’  analogo  teorema  relativo  allo  spo- 
stamento di  una  figura  piana  nel  suo  piano. 


Leggi  de5  moti,  geometrici 


377 


mediante  una  semplice  rotazione  intorno  all3  asse  OR  , inter- 
sezione de 3 due  piani  inalzati  perpendicolarmente  in  mezzo 
alle  corde  A A , BB' . Infatti,  ove  si  considerino  le  due  pira- 
midi ROAB , ROA‘B‘  in  cui  per  costruzione  sono  coinci- 
dibili  le  basi  OAB , OAB',  ed  uguali  gli  spigoli  latera- 
li RA  = RA‘3  RB  = RB',  la  dimostrazione  riducesi  a quella 
che  si  è fatta  pel  teorema  di  Eulero. 

22.  Di  qui  si  raccoglie  che,  date  due  posizioni  ABC, 
A‘B‘C  di  una  figura  nello  spazio,  si  potrà,  mediante  una 
prima  rotazione,,  condurre  il  lato  AB  a confondersi  col 
lato  A B';  ed  appresso , per  una  seconda  rotazione  intorno 
al  lato  AB',  si  avrà  la  coincidenza  de’  due  triangoli  omo- 
loghi ABC , ABC',  e con  questa  la  coincidenza  completa 
delle  due  figure  F,  F . Dunque 

Il  passaggio  di  una  figura  da  un  luogo  ad  un  altro  dello 
spazio  si  può  effettuare , in  una  infinità  di  maniere  diverse, 
per  un  moto  composto  di  due  rotazioni  successive.  Gli  assi  in- 
torno a cui  si  fanno  le  due  rotazioni  si  dicono  conjugati  per- 
chè la  posizioni  dell’  uno  trae  seco  la  posizione  dell’  altro. 

23.  Se  una  retta  sulla  quale  sono  segnati  i punti  A ? B , C 
etc.  è trasportata  in  un  altro  luogo  ove  i detti  punti  abbia- 
no le  posizioni  Ar , B' , C‘ , etc.  ; le  corde  AA' , BB',  CO , etc. 
avranno  i loro  punti  di  mezzo  a,  b , c,  etc . sopra  una  me- 
desima retta  ab  ; e questa  retta  ab  avrà  la  doppia  proprietà 
di  avere  una  direzione  che  dimezza  V angolo  formato  dalle 
direzioni  delle  due  rette  AB,  AB1  (supponendo  che  le  tre 
rette  ab , AB , AB'  siano  condotte  a partire  da  un  mede- 
simo punto  B)9  e di  ricevere  uri  egual  projezione  da  cia- 
scuno de3  dve  lati  opposti  A A*  e BB‘,  AB  ed  A‘B‘  del  qua- 
drilatero ( ÀB , AB')  (fig.  7). 

Dim.  Condotta  per  A la  retta  A'At  parallela  ed  uguale 
a B'B , se  sul  triangolo  A A Ax  preso  per  base  si  costruisce 
un  prisma  cogli  spigoli  laterali  AB{ , A tB  paralleli  ed  uguali 
ad  AB',  e si  dimezzi  in  ax  il  lato  AAi , si  viene  a sco- 
prire che  tra  le  rette  aax  , A Ax , B'B , oltre  il  parallelismo , 
si  ha  la  relazione 

aax  = \AAx  = \B‘B  = bB  ; 


T,  I. 


48 


Domenico  Chelini 


e che  per  conseguenza  sono  parallele  ed  uguali  le  rette  ab , 
atB.  Il  che  prova  che  la  direzione  della  retta  ab  , paral- 
lela ed  uguale  ad  atB , dimezza  P angolo  ABAt , che  rap- 
presenta quello  delle  due  rette  AB , A'Br . 

Secondariamente  se  consideriamo  sulle  rette  AB,  A'B‘ 
due  nuovi  punti  omologhi  (*)  C , Cl , ed  il  punto  di  mezzo  c 
della  corda  CC‘,  si  vede  ancora  che  le  due  linee  ab , ac , 
dovendo  entrambe  dividere  in  mezzo  P angolo  delle  dire- 
zioni di  AB,  A'B',  saranno  segmenti  di  una  stessa  retta, 
e però  i punti  a,  b , c in  linea  retta. 

Infine  se  alle  rette  A'B',  BB‘,  ab  si  sostituiscano  le  li- 
nee parallele  ed  uguali  AtB,  AtA\  at  B , si  conchiuderà  che 
la  retta  ab  riceve  un’  egual  projezione  da  ciascuno  de’  due 
lati  opposti  del  quadrilatero  (AB,  A‘B‘). 

§ 4°  Proprietà  de*  punti,  delle  rette  e de*  piani,  clie  in  due 
figure  uguali  si  corrispondono  a due  a due 


La  figura  F compia  la  rotazione  6 intorno  all’  asse  cen- 
trale Op,  e poi  la  traslazione  = t ; e proponiamoci  di  cer- 
care le  proprietà  più  essenziali  degli  spostamenti  de’  punti, 
delle  rette  e de’  piani. 

24.  Un  punto  M , situato  alla  distanza  OM  ==  r dall’  asse 
centrale  Ov  ( fig.  8 ) , descrivendo  dapprima  P arco  circo- 
lare rO  ( di  cui  la  corda  è MMt  = 2 r sen  \ 6 ) e poscia  la 
retta  MxM‘=.z,  subirà  uno  spostamento  rettilineo  MM‘,  ipo- 
tenusa di  un  triangolo  MM%M‘  avente  per  cateti  2 rsen^0,t. 
Posto  MM‘  = t , avremo  quindi 

£2  = t2 -+-  4r2 sen2 £ 6,  sen(vt)  sss  9 cos(vt)  = — • 

Si  vede  inoltre  che,  dovunque  si  prenda  il  punto  M, 
la  projezione  della  sua  traiettoria  sull’  asse  centrale  è sem- 


(*)  Questi  punti  si  debbono  immaginare,  non  essendosi  notati  nella  figura. 


Leggi  de5  moti  geometrici 


379 


pre  uguale  alla  sola  parte  del  cammino  dovuta  al  moto  di 
traslazione , la  stessa  per  tutti  i punti  ed  = x ; essendo- 
ché V altra  parte  dovuta  al  moto  di  rotazione , benché 
variabile  da  punto  a punto , si  fa  sempre  in  un  piano  per- 
pendicolare all’  asse  centrale.  Si  noti  ancora  che  de’  punti 
della  retta  MM‘  il  più  vicino  all*  asse  centrale  è il  suo 
punto  di  mezzo  m,  e che  la  distanza  D tra  m e P asse 
centrale  riuscendo  = OD  ( D è il  punto  di  mezzo  di  MMt  ) è 


a ).  Gli  spostamenti  t de’  punti  M sono  eguali  in  grandez- 
za e in  direzione  quando  i punti  M appartengono  ad  una 
medesima  linea  parallela  all’  asse  centrale  Ov , e variano 
solamente  quando  si  passa  dall’  una  all’  altra  delle  rette 
parallele  al  detto  asse. 

b).  La  traslazione  t relativa  ad  una  linea  Mv  parallela  al- 
P asse  centrale  Ov  3 quando  è data  in  direzione  , dee  riguar- 
darsi come  data  pur  anche  in  grandezza,  avendosi  t=z — . 

m c l or i 


Questa  linea  Mv  si  ottiene  colla  costruzione  seguente  : 
Condotto  per  O un  piano  T perpendicolare  ad  Ov  , si 
prenda  sopra  Ov  un  segmento  Ox  = x , e dal  punto  x si 
tiri  la  retta  xQ  parallela  alla  data  direzione  di  t,  fino  ad 
incontrare  in  Q il  detto  piano  T.  Sarà  Qx  — t.  Se  in  que- 
sto piano , e sopra  OQ  come  base  si  forma  ( dalla  parte  in 
cui  dee  farsi  la  rotazione)  il  triangolo  isoscele  OQM  che 
abbia  al  vertice  M P angolo  = 0 , la  traslazione  MM*  re- 
lativa al  punto  M sarà  = Qx  = t,  e però  la  linea  Mv  sarà 
la  retta  cercata.  Di  qui  si  raccoglie  : 

1°  Che  i punti  omologhi  di  due  figure  coincidibili  F,  F‘ 
non  possono  trovarsi  in  più  di  due  sopra  una  medesima 
linea  retta; 

2°  Che  le  corde  t della  stessa  direzione  hanno  tutte  i 
punti  estremi  M , M‘  ed  il  punto  di  mezzo  m sopra  tre 
rette  Mv , M'v , mv  parallele  all’  asse  centrale  Ov  ; 

3°  Che  in  ogni  piano  della  figura  F esiste  sempre  un 


donde 


Dtan\d  = rsen\Q , 

t=zx2-h  lD*tan*bd. 


cosivi ) 


Domenico  Chelini 


punto  M,  ed  uno  solo,  la  cui  relativa  traslazione  MMJ 
ha  una  direzione  perpendicolare  al  piano.  Questo  punto  si 
trova  là  dove  il  piano  incontra  quella  linea  (parallela  al- 
V asse  centrale)  la  cui  traslazione  t ha  una  direzione  per- 
pendicolare al  piano. 

c).  Una  retta  p che  sia  1*  intersezione  di  due  piani  omolo- 
ghi P , P'y  conterrà  due  punti  omologhi  M , Ml.  Imperoc- 
ché alla  intersezione  p considerata  come  appartenente  al 
piano  P,  corrisponderà  nel  piano  P'  una  retta  p*  che  incon- 
trerà p in  qualche  punto  M4,  ed  a questo  punto  M'  di  p 
dovrà  corrispondere  sopra  p (linea  omologa  di p ) un  punto 
omologo  M.  Inoltre  la  retta  p se  si  considera  come  appar- 
tenente al  piano  P4,  corrisponderà  ad  un’  altra  retta  (p  ) del 
piano  Py  la  quale  dovrà  passare  per  M. 

25.  Una  retta  MN,  che  per  la  rotazione  0 intorno  ad 
un’  altra  retta  Ov  prende  la  posizione  MfNt  y se  ha  il  pun- 
to M alla  minima  distanza  OM  dall5  asse  di  rotazione  Ov 
( così  che  la  retta  OM  riesca  perpendicolare  alle  due  ret- 
te Ov,  MN),  la  retta  DDi  che  unisce  i punti  di  mezzo  D,DÌ 
delle  due  corde  MMt , NNt  , avrà  il  punto  D alla  minima 
distanza  OD  da  ' Ov. 

Dim.  Condotte  per  O le  linee  OL  y OL'y  01  rispettiva- 
mente parallele  alle  rette  MN  , MtNt  , DDt  (*)  (fig.  9), 
osserviamo  che  la  retta  OM y misurando  la  più  corta  distan- 
za tra  Ov  ed  MN  , sarà  perpendicolare  al  piano  (Ov , OL). 
Ciò  avvertito , immaginiamo  che  il  piano  vOL  giri  insieme 
colla  retta  OM.  Quando  questo  piano  sarà  nella  posizione 
media  t >01,  è chiaro  che  la  retta  OM  prenderà  la  dire- 
zione OD.  Così  OD  riuscendo  perpendicolare  al  piano  vOl, 
e però  alle  due  rette  Ov , DDt , misurerà  la  più  corta  di- 
stanza di  queste  rette. 

26.  Una  retta  MN  = R,  situata  alla  distanza  OM  = r 
dall5  asse  centrale  Ov  , passa  ,,  mediante  la  rotazione  6 , nella 
posizione  MtNt  ; e quindi,  subita  la  traslazione  MtM‘  ( fig-  8) 
parallela  all5  asse  centrale,  si  ferma  in  M‘NJ  = R-  Con 


(*)  Queste  rette  non  segnate  nella  figura  si  debbono  immaginare. 


Leggi  de’  moti  qeometrici 


qual  angolo  le  due  rette  R>  R'  desieranno  V una  dall'  altra? 
E qual  sarà  la  loro  piu  corta  distanza? 

Soluz.  Ritenuta  la  costruzione  precedente,  si  conduca  per 
un  punto  5 di  Ov  ( fig.  9 ) e perpendicolarmente  ad  Ov  un 
piano,  il  quale  incontri  ne’  punti  L , L * , l le  rette  OL , OL',  01 
parallele  alle  MN , M'N' , mn  (per  m,  n s’  intendano,  i 
punti  di  mezzo  delle  due  corde  MM‘,  NNl).  Le  due  ret- 
te OL , OL1  inclinando  sopra  Ov  con  angolo  eguale,  (vR  ), 
(vR),  i due  triangoli  LOU  LSL‘  saranno  isosceli , e V an- 
golo LSL‘  sarà  = 0.  Ciò  posto , si  deduce  da  essi  triangoli 


LI 

sen(LOl)  =—  ' 


LI  LI 
tan(LOl)=—  = — 


cot(vp)  = tan  (SOI) 


E se  dal  punto  O s’  inalza  sul  piano  OLL\  parallelo  alle 
due  rette  R,  R,  la  perpendicolare  Op  = p , sarà 
SI  SI  SL 
: OS  “ SL\OS  * 

Queste  fbrmole , ove  gli  angoli  s’  indichino  per  mezzo 
delle  direzioni  che  li  comprendono  si  mutano  nelle  seguenti 

sen  f (R,  R‘)  = sen  \ 6 sen  (?R), 

tan%(R,R')=ztan%0  cos(vp), 

essendo  cot  ( vp  ) = tan  ( RR v ) , dove  per  RR' 
un  piano  parallelo  alle  due  rette  R,  R‘. 

Si  noti  che  la  retta  OD  che  unisce  il  punto  O col  mez- 
zo D della  corda  MMt  (fig.  8),  essendo  perpendicolare  al 
piano  SOI , è parallela  alla  retta  LLr  ( fig.  9 ),  e però  la 
corda  MM \ riesce  parallela  alla  retta  SI. 
a ).  Per  avere  la  minima  distanza  A che  corre  tra  le  due 
rette  R,  R‘,  basta  projettare  la  linea  MM‘  che  ne  unisce 
i punti  omologhi  M,  M\  sopra  Op,  asse  del  piano  LOL‘3 


\ d tan(?R); 


indicato 


Domenico  Chelini 


piano  parallelo  alle  stesse  rette  R , R‘ ; ed  essendo  ( fig.  8 ) 
MM'  = ris.  ( MMt  , MXM  ) , MMt  = 2 rsen\0,  MtM'  = r, 
la  projezione  di  MM*  sopra  Op  sarà  (*) 


A = 2 rsen  \ 0 sen  ( vp)  *+•  r cos  (vp) 

2r sen  -H  t cos \0  tan  (vR) 

j/(  1 -4-  cos 2 \ 0 tar i2  ( pjR  ) 

E la  projezione  della  corda  MM‘  ( = t ) sopra  la  retta  01, 
parallela  alla  retta  media  mn  tra  le  due  MN  , M‘N sarà 

t cos  ( t , mn  ) = 2r  sen  J 6 cos  ( vp  ) -4-  t sen  ( t >p) 
t ■+•  rsen  6 tan  (vR) 

= /[l  +così%0tan2(vR)]  * 

27.  Le  formole  relative  agli  angoli  che  due  piani  omolo- 
ghi P , P fatino  tra  loro  e coll 9 asse  centrale , si  ottengono 
subito  dalle  precedenti , supponendo  che  le  due  rette  R,K 
siano  perpendicolari  ai  detti  piani  in  due  punti  omologhi. 
La  retta  Op  perpendicolare  alle  linee  OL , OH  (parallele 
ad  R , K ) sarà  parallela  alla  intersezione  p de’  due  pia- 
ni P,  P'.  Chiamata  t la  retta  che  sopra  la  intersezione  p 
unisce  i due  punti  omologhi  M,  M‘  ( n°  23,  c),  avremo 
primieramente 


4 D*  tan*  10, 


coi  (vp)  — — %D  tanlQ’ 

dove  D è la  minima  distanza  tra  1’  asse  centrale  Ov  e l’ in- 
tersezione p de’  due  piani.  Le  formole  trovate  per  le  ret- 


Leggi  de’  moti  geometrici 


383 


te  R,  R'  somministrano  rispetto  ai  piani  P 3 P' 
senì(P,P‘)  = sen^O  cos{v3P), 
tan\{P3  P‘)  = tan\0  cos(vp)  = 


t tan  i 0 


/(t  2+AD*tan2it 
t tan i ( P3  P‘ ) = r tan \0  3 
coi  ( vp  ) r 


cot(v3P)  = 


2D  sen^O 


§ 5°liegge  per  la  composizione  delle  rotazioni  successive 
intorno  ad  assi  della  medesima  origine. 

28.  Date  due  rotazioni  successive  0 3 0'  di  una  figura  F 
intorno  agli  assi  Oc  3 Oc  3 trovare  V asse  Ov  e V ampiez- 
za 0 della  rotazione  risultante  (fig.  10). 

Soluzione  (*).  Per  Oc  e per  Oc  3 dalla  parte  del  piano  cOc 
verso  cui  dee  farsi  la  seconda  rotazione  0\  si  conducano 
due  piani  che  deviino  dal  piano  cOc  cogli  angoli  i 0 , i 0‘ 3 
ed  Ov  sia  loro  intersezione.  Nell’  angolo  triedro  Occv  che 
ne  risulta , lo  spigolo  Ov  ed  il  supplemento  cva  dell’  an- 
golo interno  in  Ov  rappresenteranno  Y asse  e la  metà  dell ' am- 
piezza 0 della  rotazione  risultante. 

Infatti  la  retta  Ov  3 considerata  come  appartenente  alla 
figura  F3  prende  per  la  prima  rotazione  0 una  posizione  Ovt 
simmetrica  con  Ov  rispetto  al  piano  cOc  3 e per  la  seconda 
rotazione  0 ' torna  evidentemente  alla  sua  prima-posizione  Ov. 
Lo  spigolo  Ov  è dunque  V asse  della  rotazione  risultante. 
Per  trovarne  Y ampiezza , osserviamo  che  la  retta  Oc  di  F3 
stata  immota  nella  prima  rotazione  03  è condotta  dalla  se- 
conda rotazione  0‘  in  una  posizione  Oct  simmetrica  con  Oc 
rispetto  al  piano  cOv.  Dunque  Y angolo  cva  3 supplemento 
dell5  angolo  interno  in  Ov3  è uguale  alla  metà  dell5  ampiez- 
za cercata  0 ( n°  7 ). 


(*)  0.  Rodbigues.  ( De s loti  géomètriques  qui  régissent  les  déplacements  <f  un 
systeme  solide : Journal  de  Mathématiques , t.  V,  an.  1840). 


384 


Domenico  Chelini 


Intorno  ad  O come  centro  s’  intenda  descritta  una  sfe- 
ra di  raggio  = 1 , e sopra  di  essa  sia  ccv  il  triangolo 
sfèrico , che  co5  suoi  lati  cc,  cv , ve*  ed  àngoli  opposti 
( ti  — \ 0 \0' , rappresenta  il  triedro  Occv.  Per  la 

risoluzione  di  questo  triangolo  sferico  : 

Date  le  rotazioni  successive  6,0 * intorno  agli  assi  Oc,  Oc, 
si  avrà  la  rotazione  risultante , rispetto  alt  ampiezza  0 ed 
all * asse  Ov  , dalle  formole  : 

cos^O  = cos^O  cos^O'  — sen.  %0  sen^O'  cos(cc), 
sen  (cv)  sen  (ve)  sen  (cc)' 
sen^O'  sen^O  sen^O 

E dati  gli  assi  Ov , Oc , Oc  e V ampiezza  0 della  ro- 
tazione risultante , si  avranno  le  ampiezze  0 , 6 1 delle  rota- 
zioni componenti  dalle  formole  : 

sen\S 

taU * & ~ sen  ( cv  ) coi  (ve')  *+■  'cos(cv)cos  J 0 ’ 


tan%6‘  = 


e4q 


sen  (ve)  cot  (cv) 


(ve)  cos  ^ 0 


Imperocché,  essendo  consecutivi  i quattro  elementi  %0, 
(cv) , (ji  — ^ 0 ) , ( ve  ) , se  loro  applichiamo  la  regola  che  : 
« il  prodotto  de’  coseni  degli  elementi  medii  , lato  ed  angolo, 
è uguale  alla  differenza  de3  loro  seni  moltiplicati  rispettiva- 
mente per  le  cotangenti  degli  elementi  estremi , lato  ed  an- 
golo »,  si  ottiene 

cos  (cv)  cos \ 0 = sen ±Qcot%0  — sen  ( cv  ) cot  ve  ) , 
donde  la  prima  di  quelle  due  formole,  e per  ragion  di  sim- 
metria la  seconda. 


§ «°  Leggi  e «“ondisi* 


di  equivalenza  tra  i 


29.  Problema  I.  Al  movimento  elicoidale  (0,  t)  intorno 
alV  asse  centrale,  sostituire  un  sistema  equivalente  di  due 
rotazioni  successive,  essendo  dato  V asse  c della  prima  di  esse . 


Leggi  de’  moti  geometrici 


385 


Soluz.  Sia  dato  nella  retta  Ac  ( fig.  11)  il  primo  c de- 
gli assi  conjugati  (c,  c).  La  costruzione  del  secondo  asse  c 
e delle  ampiezze  8,  8‘  delle  corrispondenti  rotazioni  si  farà 
manifesta  dal  discorso  che  segue.  Da  A (che  si  suppone 
un  punto  qualunque  dell’  asse  dato  c)  si  tiri  all*  asse  cen- 
trale la  perpendicolare  AO.  Per  la  rotazione  0 intorno  al- 
1’  asse  centrale  Ov , seguita  dalla  traslazione  t ^ il  punto  A 
della  figura  F passi  dapprima  in  At  e poscia  in  A,  cosi 
che  sia 

AAX  ss  2 AO  ? 'AtA*  ss  t. 

Il  moto  elicoidale  ( 0 , t ) equivarrà  alla  rotazione  0 in- 
torno alla  retta  Av  , parallela  all’  asse  centrale  Ov , ed  alla 
traslazione  AAr.  Si  conduca  ora  per  Av  un  piano  Avd  che 
si  stacchi  dal  piano  Ave  colla  rotazione  =t0,  e poi  nel 
punto  A si  guidi  un  altro  piano  perpendicolare  ad  AA‘.  La 
intersezione  Ac  di  questo  piano  con  Avd  sarà  parallela  al  se- 
condo asse  incognito  c , e negli  angoli  che  nel  triedro  Avcc 
sono  adjacenti  agli  spigoli  Ac  , Ac,  si  avranno  le  metà  delle 
rotazioni  8,  8‘  da  farsi  intorno  agli  assi  conjugati  (c,  c ). 

Infatti,  ove  alla  rotazione  0 intorno  ad  Av  s’  intendano 
sostituite  le  rotazioni  8,  8T  intorno  ad  Ac,  Ac,  il  moto 
elicoidale  ( 0 , t ) sarà  risoluto  in  tre  moti , de’  quali  i 
due  ultimi  (cioè  il  rotatorio  8'  intorno  ad  Ac  e il  rettili- 
neo ss  AA  ) , essendo  rettangolari , equivalgono  ad  una  sem- 
plice rotazione  8'  intorno  ad  un  asse  Bc  che  sappiamo  co- 
struire (n°  11,  1°). 

30.  Qui  giova  osservare  : 

1°  Che,  segnati  con  a,  n i punti  di  mezzo  delle  ret- 
te AA1,  AAX  , il  secondo  asse  Bc  dee  trovarsi  nel  piano 
innalzato  perpendicolarmente  in  mezzo  alla  retta  A A (n°ll); 
onde  se  per  a si  conduce  un  altro  piano  perpendicolare  al- 
l’ asse  centrale  Ov , la  intersezione  di  questi  due  piani  in- 
contrerà in  qualche  punto  B 1’  asse  c . Inoltre  questa  ret- 
ta aB  essendo  perpendicolare  alle  due  (AA,  na)  od  al 
piano  AAtAr,  e però  parallela  ad  nO , incontrerà  eziandio 
1*  asse  centrale  in  qualche  punto  m. 


49 


386 

E sarà 


Domenico  Chelini 


am  = nO  = AO  cos^O , 

Om  = na  = J AXA‘  = £ t. 

2°  Che  per  la  definizione  della  reto  risultante  essendo 
AB  = ris.(AO,  Om,  mB) , 

^4'  = m.  ( ^4  , ) = 2m.(  ,45 , 5a  ), 

ed  avendosi  quanto  agli  angoli 

i0  = ang.(AO,  nO)  = ang.(AO  , aB)  , 

^ = ang. (AO , Om ) ==  ang. ( Om,  mB ) , 

se  poniamo  AA'=zt,  ed 

f AO  = H , 

AB  = U,  ] 

l mB  = H!  ; 

le  note  proprietà  della  retta  risultante  somministrano 

U*  = H*  -+-  H'*  -+-  2 HH'  cos±  e-*-$  t*, 

AH*  serfiS, 

'c  = tcos(vt)  = <lUcosloU). 

3°  Che  quando  il  punto  A dell’  asse  c è preso  alla  mi- 
nima distanza  dall3  asse  centrale  , le  tre  rette  AO  , mB , AB 
(che  in  questo  caso  denoteremo  per  h,  h! , u)  rappresen- 
teranno le  più  corte  distanze  dell’  asse  centrale  agli  assi 
conjugati  c,  c,  e di  questi  tra  loro.  Imperocché  quando 
la  retta  AO  è perpendicolare  al  piano  vAc , riesciranno  com- 
plementari gli  angoli  onde  dal  piano  vAc  si  passa  al  pia- 
no t )AAi  e dal  piano  t >AAt  alla  retta  AO  ; e poiché  que- 

st’ ultimo  angolo  è = ( § — i®)?  il  primo  angolo  sa- 
rà =^0.  Da  ciò  segue  che  il  piano  cAv  contiene  le  due 
rette  AAt , AA‘,  e che  aB,  perpendicolare  al  piano  vAc  — (ve  )y 
è perpendicolare  al  secondo  asse  Bc  in  un  col  piano  ABA  • 

Di  più,  gli  angoli  onde  dal  piano  cAc  si  passa  al  pia- 

no c A A‘  e dal  piano  c AA‘  alla  retta  AB  essendo  eguali  ri- 
spettivamente a ±0',  (\ic — J0'),  la  retta  AB  sarà  perpen- 
dicolare al  piano  cAc,  e però  sarà  la  più  corta  distanza 


Leggi  de9  moti  geometrici 


de’ due  assi  conjugati  Ac,  Bc.  Così  le  rette  h=-AO, 
U = mB , u = AB  misurano  le  più  corte  distanze  dell’  asse 
centrale  v agli  assi  conjugati  c , c e di  questi  tra  loro,  e 
sono  rispettivamente  perpendicolari  alle  facce  (ve),  (cv),  (c'c) 
del  triedro  Avcc,  e per  conseguenza 

ang.  ( hbl  ) = * 0 , ang.  ( hu  ) = ^ 0,  ang.(  uK  ) = 4 0' , 

ang.  ( hv  ) = ang.  (v K)  = £ n. 

Quindi  dall’  essere 

ris.  (h,  K , — u ) = 0 , 

si  raccoglie 

«2  = A2  -4-  K2  -4-  2 hh‘  0 -4-  | r , 

h = ucos^O  — h!  cos 
h‘  = u cos  %0‘  — h cos  ^ 0 

e ne’  triangoli  isosceli  AOAt , ABA‘  aventi  ai  vertici  O,  B 
gli  angoli  0 , 0‘,  si  ha 

AAt  = 2 h sen  J0,  AA‘  = 2 u sen  4 0J  ; 

e nel  triangolo  AXAA‘  dove  1’  angolo  AXAA‘  è ss  ang.(vAc') 
= ang.(vc^): 

_ Visen^e  _ , lhìsen^g^  _ 2ufen  1 

sen  (ve)  cos  (ve) 
donde 


, T cot  ( ve  ) _ T x 

h = — - , r = 2 u sen  \ 0 sen  (ve). 

*2sen  2 © 

poiché  il  triedro  Avcc  dà  sen  ( ve')  = - sen  (cc) , 

sen^sy 


avremo  pure 

sen^B  usen^O  sen^O' sen  (cc) , 


vale  a dire  (*)  : Se  si  moltiplicano  i seni  di  due  semi-rotazioni 


(*)  Ò.  Rodrigues. 


Domenico  Chelini 


conjugate  per  la  distanza  declorò  assi  e pel  seno  dell’  an- 
golo di  questi  assi , il  prodotto  si  mantiene  costante  al  va- 
riare di  tali  assi,  riuscendo  sempre  = sen  ^ 0. 

4°  Che  i due  triangoli  isosceli , che  hanno  i vertici  nei 
punti  O , m dell5  asse  centrale,  e per  basi  le  corde  degli 
archi  descritti  dai  punti  A , B di  F per  la  rotazione  0 in- 
torno all5  asse  centrale,  si  conservano  simili  a sè  stessi  do- 
vunque sia  preso  il  punto  A sull5  asse  c ; onde 

— = — , U2  = ^ (h2  -4-  h'2  H-  2M' cos%G)  -+-  \x2. 

h H a 

5°  Che  quando  i primi  c di  più  assi  conjugati  (c,  c) 
passano  per  un  medesimo  punto  A , i secondi  assi  c si 
troveranno  tutti  in  un  medesimo  piano , e nel  piano  P che 
insiste  normale  in  mezzo  alla  traslazione  AA‘  relativa  al 
punto  A;  e viceversa , ad  ogni  retta  del  piano  P,  conside- 
rata come  un  secondo  asse  c , corrisponderà  conjugato  un 
primo  asse  c che  passa  per  A. 

Se  si  prende  per  primo  asse  c la  stessa  corda  AA‘ , il  se- 
condo asse  c avrà  una  direzione  perpendicolare  a quella 
di  c.  Laonde  : Per  ogni  punto  A dello  spazio  esiste  un  si- 
stema ( ed  un  solo  ) di  assi  c , c , conjugati  tra  loro  ad  an- 
golo retto , e di  cui  il  primo  passa  per  A . Questi  assi  sono 
corde , cioè  tali  che  ciascuno  di  essi  contiene  ( siccome  è 
evidente  pensando  agli  effetti  delle  due  rotazioni)  la  trasla- 
zione relativa  ad  uno  de5  suoi  punti.  La  retta  che  unisce 
i punti  medii  di  queste  due  corde  in  c,  c , è la  più  corta 
distanza  de5  due  assi. 

6°  Quando  il  punto  A si  concepisce  ad  una  distanza  infi- 
nita , la  corda  AAX  diviene  infinita  e si  confonde  con  AA , 

riuscendo  ==  0 il  rapporto  . Quindi  allorché  i primi  di 

più  assi  conjugati  sono  paralleli  , i secondi  saranno  tutti  in 
un  piano  parallelo  all5  asse  centrale. 

31.  Problema  II.  Dato  il  moto  elicoidale  (0,  t),  e dato 
nella  retta  Bc‘  (fig.  12)  il  secondo  c degli  assi  conjugati 
( c , c),  la  costruzione  del  primo  Ac  può  ottenersi  cosi . 


Leggi  de’  moti  geometrici 


Da  B (che  si  suppone  un  punto  qualunque  dell’  asse  c) 
si  tiri  all’  asse  centrale  la  perpendicolare  BO , poi  si  noti 
nella  figura  F quel  punto  B'  che  pel  moto  elicoidale  (O,  r) 
verrebbe  in  B,  ed  infine  si  costruisca  il  solito  triedro  Bvcc 
in  cui  F angolo  interno  adiacente  a Bv  sia  = ( n — £ 0 ) , 
e sia  perpendicolare  a BB?  lo  spigolo  Bc. 

Questo  triedro  offrirà  nello  spigolo  Bc  la  direzione  del 
primo  asse  c,  e negli  angoli  adjacenti  a Bc,  Bc  le  metà  delle 
rotazioni  6,  6‘  da  farsi  intorno  agli  assi  conjugati  ( c,  c'). 
Infatti  il  moto  elicoidale  (0,  r)  equivale  alla  traslazio- 
ne B‘B , seguita  dalle  due  rotazioni  0,  0‘  intorno  agli 
assi  Bc,  Bc ; ed  i primi  due  moti,  siccome  rettangolari, 
equivalgono  ad  una  semplice  rotazione  0 intorno  ad  un 
asse  Ac  che  si  sa  costruire  (n°  11,  2°).  Cosi  è provato 
che  : La  traslocazione  di  una  figura  da  un  sito  ad  un  altro 
qualsivoglia  può  effettuarsi  mediante  due  rotazioni  successive 
di  cui  la  seconda  debba  farsi  intorno  ad  un  asse  dato. 
a)  Da  questa  costruzione  apparisce  che  le  forinole  relative 
al  primo  c degli  assi  conjugati  ( c , c ) si  trasformeranno  in 
quelle  relative  al  secondo  c,  solo  che  si  alternino  tra  loro 
le  lettere  h,  0,  c colle  lettere  corrispondenti  h! , 0‘,  c. 
Così  le  formole 

T =?^Ì£  = /(rs-(-4.A,Wie)  =2  u seni  6' 
sen(vc)  cos(vc) 

si  mutano  nelle 

1 = /(t*  -+-  ih” san'lQ)  = 2 usen^O; 

sen(cv)  cos(cv) 

e dal  loro  paragone  si  trae 


= htan(vc)  = h! tan  (cv)  == 

2 sen  \ 0 


sen  ( cv)  sen\  ve) 
sen(cc). 


32.  Quando  al  moto  elicoidale  si  voglion  sostituire  due 
rotazioni  successive , essendo  dato  F asse  di  una  di  esse , 
si  offre  a risolvere  il  doppio  quesito: 


390 


Domenico  Chelini 


1°  Date  le  quantità  0,  x 3 c 3 h3  trovare  le 
quantità  c , H , u 3 d3  6'; 

2°  Date  le  quantità  0 , x 3 c*tis  trovare  le 
quantità  c 3 h 3 u 3 03  d' . 

Al  primo  quesito  rispondono  le  formole  seguenti  che  si 
traggono  da  quelle  ora  dimostrate  e dalla  considerazione 
del  triedro  Ovcc  ( n°  28  ) : 

sen  (ve)  __  cos  (ve  ) 1 

x ~~  2hsen  % O _ kl?  ser ? \ O ) ? 

K = - — ~Tq  cot  ( cv  ) » u2  ~ h2  -+~  -+-  %h1i  cos^®  -+-  — , 


tan%0 
tan\$ 
cos(cc)  = 


x tan  \ 0 

cos  ( cv  ) [x  -4-  2 h tan  ( cv  ) tan  J 0 ] ’ 
senj9ì/(x2-^  Wsen^S) 


x cot  ( cv)  -+-  h sen 0 
2 h cos  (cv)  sen  £ 0 — x sen  (cv)  cos  ^ 0 
/(**+ -Wsen'lB)  ' 

Al  secondo  quesito  rispondono  queste  medesime  formole 
col  solo  alternarvi  le  lettere  c3  h3  0 colle  lettere  c3  li 3 
33.  Se  gli  assi  c3  c sono  conjugati  tra  loro  ad  angolo 
retto , sarà  cos  ( cc  ) = 0 , e le  formole 
cos  (cc)  = cos  ( cv  ) cos  (ve)  — sen  ( cv  ) sen  ( ve)  cos  * 0 , 


2 sen  i 0 


h tan  (ve)  = h!  tan  (cv)  , 


daranno 

h 


tan  ( cv  ) tan  (ve)  = 


cosi  e 

rto’Wcwi9’  hh‘=(i£^)cos^ 

ed  oltre  a ciò  si  ha 


Leggi  de5  moti  geometrici  391 

PARTE  ANALITICA. 

MOTI  GEOMETRICI  RIFERITI  AD  ASSI  COORDINATI. 


§ 1°  Relazioni  tra  due  assi  paralleli  di  rotazione , de»  quali 
sia  data  la  traslazione  relativa. 

Le  corde  che  uniscono  i punti  omologhi  (A , A‘) , (B,  B ), 
( C , C‘)  etc.  di  due  figure  coincidibili  F , F‘ , ove  riescano 
parallele  ed  uguali,  sono  comprese  tra  due  linee  parallele 
all5  asse  centrale  (23,  a). 

Le  linee  parallele  all5  asse  centrale  si  diranno  assi  di  ro- 
tazione, in  quanto  che  la  rotazione  si  può  trasportare  dal- 
l5  uno  all5  altro  purché  si  aggiunga  la  traslazione  relativa 
al  nuovo  asse  (11). 

34 . L5  asse  di  rotazione  Ov  ( fig.  8 ) , a cui  è relativa  la 
traslazione  = tQ  , abbia  la  direzione  (A,  (i,  v)  (*)  rispetto 
a tre  assi  rettangolari  Ox , Oy,  Oz  coordinati  in  O.  Data 
la  traslazione  = t relativa  ad  un  altro  asse  di  rotazione , 
qual  sarà  il  sito  di  quest’  asse  ? Quest5  asse  passerà  pel  pun- 
to M di  cui  le  coordinate  a,  P,  y hanno  i valori 

a = — [*(*  — ),  — #*(*  — *ohl  cot\d, 

9 =-ì  0-*,), -*-4  (*—*»)'—  v 0—0.]  coti e> 

y=—  i (*—*,)» -+•£[**  (*  — *,).  — A (*—*,),]  cot^O, 
essendo  la  OM  perpendicolare  ai  due  assi  paralleli  Ov , Mv 
(n°  10,  N.B). 

Dim.  Si  osservi  dapprima  che  il  punto  M della  figura  F , 
assoggettato  alla  rotazione  6 ed  alla  traslazione  t0 , passa 
successivamente  ne5  punti  Mt , M‘  ; e che , chiamato  D il 
punto  di  mezzo  di  MMt  ( fig.  8 ) , si  ha 

MMX  = 2ODtan\0,  MtM‘  = tQ , MM‘  = t. 


(*)  Per  direzione  (A,  p,  v)  s’intenda  la  direzione  determinata  dai  coseni 
degli  angoli  che  Ov  fa  cogli  assi  Ox,  Oy , Oz,  essendo 

A = eos(aro),  p = cos(y»),  v ss  cos{zv). 


Domenico  Chelini 


onde 

ed 


MMi  = ris.  (MM‘>  M'Mi  ) = ris.  (t,  — t0)  , 
OD  = %MMt  cot^O. 


Ciò  posto , le  coordinate  a , @ , y del  punto  M essendo 
sopra  Ox  , Òy,  Oz  le  projezioni  di  OM , sarà 

a = OMx  = ( OD  -+-  DM)X  = (OD  -+- tMtM)x , 


« = — *(?— v).  ■ 


ozl 


Ora  se  la  retta  OD  > che  è perpendicolare  al  piano 
(MMt  , Mv)  , si  considera  come  rappresentante  in  grandez- 
za e in  asse  F area  del  parallelogrammo  che  sopra  le  ret- 
te MMt , Mv  ha  per  lati  ( t MMt  cot  ^ 0 , 1 ) , questa  ret- 
ta OD  projettata  sopra  Ox  y Oy,  Oz  darà 

odx  = ^ [v  (t  — (i  (t  — *0)s]  cotte,  odv  = etc. 

dunque 

“ = — 4 4 [»(*  — f4  (*  — *.)«]  cOi$0. 

Così  è dimostrata  la  prima  delle  forinole  proposte , e per 
ragion  di  simmetria  ciascuna  delle  altre  due. 

35.  L’asse  di  rotazione  Ov  sia  1’  asse  centrale , e la  di- 
rezione della  corda  t = MM‘  sia  (/,  m , re).  Sarà 


T y t — 


ì (vt)  U -+-  m(i  -+-  nv 
e le  coordinate  a,  fi,  y del  punto  M diverranno 
cot\e 


==  — 4(i—T)»- 

= — 40— *)«■ 


— (mv — nn) 

2 ' cos(vt) 


(nÀ  — lv) 


cotto 

cos  (vt)  ' 

T cot^O 

— ( /u  — mA.)  f— - . 

2 ' cos  (vt) 


Leggi  de5 


GEOMETRICI 


36.  Supposto  che  Ov  sia  l5  asse  centrale,  da  quale  equa- 
zione è rappresentato  il  piano  che  contiene  le  corde  t aventi 
la  direzione  ( l , m , n ) ? Dall5  equazione 

(mv  — np)x  -+-  (uà  — lv)y  -+-  {lp  — mX)z  = ~~  cot  % 0 » 

dove 

sen\  vt)  __  {mv  — np  )2  -+-  ( ni  — Iv  )2  -t-  ( Ip  — mh )2 
cos  ( vt  ) + mp  ■+»  nv 

Dim.  Infatti  il  piano  espresso  da  quest5  equazione  con- 
tiene le  linee  MM'>  Mv  le  cui  direzioni  sono  Imn,  Apv  ; 
siccome  piano  che  è perpendicolare  alla  retta  [ = 5erc(p£)] 
composta  delle  tre  ( mv  — np  ) „ ( ni  — Iv  ) , ( Ip  — mv)  , e 
che  di  più  passa  pel  punto  apy  od  M , essendo  il  secondo 
membro  ciò  che  diviene  il  primo  quando  ad  x , y,  z si  so- 
stituiscono i valori  dì  a,  P,-y. 

La  precedente  equazione  insegna  che  : Per  un  punto  xyz 
preso  ad  arbitrio  nello  spazio  passano  le  direzioni  Imn  d’ in- 
finite corde  t (n°  6),  tutte  comprese  sopra  un  cono  di  se- 
condo grado . Imperocché  se  le  quantità  l,  m 3n  si  riguar- 
dano come  coordinate  correnti , ed  il  punto  xyz  come  dato, 
l5  equazione  suddetta  (omogenea  rispetto  ad  Imn ) rappre- 
senta un  cono. 

§ 8°  Foratole  rappresentanti  il  traslocamelo  prodotto  da  una 
rotazione  e traslazione.  Formole  speciali  per  la 
trasformazione  delle  coordinate. 

36.  Probl.  Dato  che  una  figura  sia  passata  da  un  luo- 
go F in  un  altro  luogo  qualunque  F' , trovare  le  formole 
che  rappresentano  questo  passaggio . 

Soluz.  1°  Immaginiamo  tre  assi  rettangolari  Ox , Oy , Oz 
connessi  colla  figura  data  F , i quali , nella  seconda  posi- 
zione di  F in  F' , siano  passati  in  Orxi , Oyx , Ofzt  pren- 
dendo le  direzioni 

{l,  m,  n),  (t,  m,  n ),  (7",  m , n) 

rispetto  alla  loro  prima  posizione  Óx , Oy , Oz . 

t.  i.  50 


394 


Domenico  Chelini 


Il  punto  M di  F abbia  nella  prima  posizione  le  coordi- 
nate xyz  ; passato  nella  seconda  posizione  M'  avrà  , sopra 
i secondi  assi,  le  stesse  coordinate  xyz , ma  su  i primi 
assi  avrà  nuove  coordinate  ocyz  vincolate  alle  coordina- 
te xyz  dalle  formole 

/ x = tx  -4-  Ix  -+-  l'y  -+-  tz  , 

(1)  ] y ===  ty  -+-  mx  -l-  my  -+-  rri’z  , 

\ z = tz  -+-  nx  *4-  riy  -+-  ri’z  ; 

ove  tx , ty , tz  sono  sugli  assi  in  O le  coordinate  del  pun- 
to OV  ossia  le  componenti  della  retta  00'  = t che  rappre- 
senta la  traslazione  relativa  al  punto  O. 

Le  coordinate  xyz  che  si  contano  sugli  assi  Ox , Oy,  Oz 
avendo,  rispetto  agli  assi  0'x1  y Oryt  , Ozt  , le  direzioni 
Ut',  mrrim  , miri’,  i valori  di  xyz  espressi  in  funzione 
di  xyz  saranno 

x ==  l(x  — tx)  H-  m(y  — ty)  n(ri  — 4)>  etc. 

ossia 

t cos  ( xxt  ) -+-  Ix  H-  my  nz  , 
t cos (ytt)  H-  tx  -t-  my  -f-  riri, 
tcos(zxt)  -+-  Vai  -+-  rri’y  -f-  ri9 ri. 

2°  Consideriamo  adesso  i due  moti  di  rotazione  =z  6 e 
di  traslazione  = t,  pe’  quali  il  punto  M passa  in  M' ; e 
cerchiamo  di  esprimere  i valori  di  xyz  in  funzione  di  xyz- 
Sia  Op  (fig.  13)  Passe  della  rotazione  0 ed  abbia  la  di- 
rezione A[iv.  Dal  punto  M(xyz ) tiriamo  MP  perpendico- 
lare in  P all’  asse  Op,  e PM  passi  dopo  la  rotazione  6 
in  PMX , ed  Mt  per  la  traslazione  t trascorra  in  Mi  (xyz) 
descrivendo  la  linea  MtM’  ==  t.  Infine  dal  punto  Mt  ab' 
bassiamo  sopra  PM  la  perpendicolare  Mtn  , ed  avvertiamo 


Leggi  de’  moti  geometrici 


395 


le  relazioni  ( essendo  PMt  = PM)  : 

Pn  = PM,  cos  0 > nMt  = PM.  sen  0 3 
nM  = PM ( 1 — cos6)  = PM.  2sen*\Q  9 
OP  = OMcos  ( POM)  = Xx  -+- 

Ciò  posto,  le  coordinate  xyz  del  punto  ilf'  essendo  so- 
pra Ox  j Oy  > Oz  le  proiezioni  di  OMr,  sarà 

x'  = OM’x  = (OM-h  Mn-+-nMt  -h 
= ir  -f-  ( M/i  -i-  nMt  )x  *4-  tx  . 

Ma 

(Mn)msa(MP}m2sen*i$3 

ed 

( MP  )x  = ( MO  -i-  OP  )x  = — a;  -H-  /l  ( /lir  -I-  ftjy  -t-  vz  ). 

Similmente 


( rad#,  )x  = (fiz  — vy)  sen  0; 

perchè  la  retta  nMt  rappresenta  in  grandezza  e in  asse 
P area  del  parallelogrammo  di  cui  un  lato  = 1 è sopra  Ov, 
e P altro  lato  è OM  ; e si  sa  che  quest’  area , 

= 1.  OMsen(oOM)  = PM  = , 

cade  sui  piani  yz  , zx , xy  colle  projezioni 

[iz  ' — vy  y vx  — Xy  — (tx. 

Dunque  la  formola 

x'  = tx  -4-  x -+-  ( Mn  -H  nMt  )x  > 

fatte  le  sostituzioni  ed  applicando  il  principio  di  simme- 
tria , darà 

x=ztx- \-x — 2[x  — X(Xx -*-(iy-*~  vz)] sen 2 ± 0 -+*  (fiz  — vy)send, 
y=ty-\-y — 2[y — fJL  (Xx  -*-(iy- +-  vz)] sen2 (vx  — Xz)senO> 
z—t% -+-  z — 2 [z  — v (Xy  h—  fiy  «+-  vz)]  sen 2 ^ 0 •+•  (%-  — fix)senO; 


396 


Domenico  Chelini 


e quindi , sviluppando  ed  ordinando  , 

= /,■+■  [ 1 — 2 (ffc2H-2?2) sen2±6]x 

— [ v sen  6 — 2 À(i  sen ? J 0 ]/ 

-H  sen  0 H- ZvA,  seri 2 J 0 ] z , 

y = ty  -+-  [ 2?  sere  0 -+-  2A^  sere2  J 0]  # 

(a)  ^ -+-  [ 1 — 2 ( 2>2  -H  A2  ) sere2  £ 0 ]y 

— [A  sere  0 — 2f«;  sere2  J 0]  £ ^ 

= /z  — [jUisen  0 — 2vA  sen*^  &]x 
[A  sen  0 -+-  2 fiv  set t2  \ 0]y 
-+-  [1  — 2(A2-+-  {i2)sen2±:d]z. 

Se  ora  paragoniamo  quest5  equazioni  colle  (1),  si  otten- 
gono le  seguenti  formole  dovute  ad  Eulero  : 

m~v  sen  0 -+-  2 Afe  seri*1  ì 6, 
n = A sere  0 -+-  2ft2>  sere2  J 0, 
/ = 1 — 2 (fi2  -t-  v2)  sen2  \ 0,  i"  = /e  sere 0 h- 2i>A  se»2  J 0, 
(d)  { rri=  1 — 2 (#2-t-  A2)  sere2  J 0^ 

: 1— 2(A2-Hfe2)sere2§0.,  re  =--f*  sere  0-4- 2i>A  sere2  £0,» 
t — — vsend-*-2A(i  sen2%0, 
m"~—A$end~*-2(ivsen2%0; 

per  le  quali  le  direzioni  Imn , Irriti  , t'rri'n  degli  assi  ret- 
tangolari Orxt  , Ojt , 0'zt , rispetto  agli  assi  O#*  Oy,  Oz,  sono 
espresse  in  funzione  delle  quattro  quantità  0 , X,  (i , v , 
Queste  formole,  se  in  esse  sostituiamo 


/rere2  40 

set i2  4 0 = — 2 ■ ■ , sen  6 

2 1+^10 

e poscia  facciamo 

a = A /rere  ^0^  6 — /rere  J 0, 

jRC  = 1 -+-  re2 -4-  £24-  c2=1 


2 /rere  ^ 0 
1 -+-  /rere2  ^0  * 

= v tan%0, 
tari1  £ 0, 


Leggi  de’  moti  geometrici 


397 


si  convertono  nelle  seguenti,  trovate  con  altro  metodo  da 
O.  Rodrigues, 

/ Kl  = — £’ — e*,  Km  = %ab -+-  c),  Kn  = 2(ca-b), 

(fi)  Km'=i-i-bì—^-a\  Kn'=ì(bc-+-a),  Kl  = 2(ab-c), 

( fi»''=l-t-cs— a*— b\  Kl"=2(ca  + b),  Km"=2(bc—a), 

per  le  quali  i nove  elementi  delle  tre  direzioni  Imn  , / tri  ri , 
t'm'n!'  sono  espressi  razionalmente'  in  funzione  delle  sole 
quantità  a , b , c. 

Quando  la  figura  F non  subisce  che  la  semplice  rotazio- 
ne 0 intorno  ad  Ov , dopo  questa  rotazione  il  punto  xyz 
di  F si  troverà  nel  luogo  xyz  determinato  dall*  equazioni 

/Kx=  (1  -ha2 — b2  — c2)  x-h%(ab  — c)y  -h2(ca-hb)z, 
(C)  | Ky  = (1  -+-  b2  — c2  — a2)  y -4-2  (bc  — a)  z-*-2(ab  -h  c)x, 

{Kz'  = (ì-hc2--a2---b2)z-h2(ca--b)x-h2(bc-ha)y, 

le  quali  hanno  applicazioni  non  meno  in  Geometria  che  in 
Meccanica  (si  veda  la  Nota  in  fine). 

Le  formole  (A)  e (B)  sono  di  grandissima  importanza 
nella  trasformazione  delle  coordinate.  Imperocché  quando 
si  hanno  da  considerare  due  sistemi  di  assi  rettangolari 
intorno  ad  una  comune  origine,  ed  il  moto  di  rotazione  per 
cui  si  passa  dall’  un  sistema  all’  altro , occorre  spesso  di 
dover  risolvere  il  doppio  quesito  : » Dato  il  moto  di  rota- 
zione, determinare  le  direzioni  Imn , tmri , t'm'n  degli 
assi  delV  un  sistema  rispetto  agli  assi  delV  altro  ; e reciproca- 
mente : » Date  queste  direzioni,  determinare  il  moto  di  ro- 
tazione rispetto  alla  sua  ampiezza  6 ed  al  suo  asse  hpv.  Le 
formole  (B)  risolvono  il  primo  quesito;  cerchiamo  quelle 
che  risolvono  il  secondo. 

Dalle  formole  (J)  si  ricavano  a colpo  d’  occhio  le  seguenti 
m“  = 2À  sen  0, 

n = 2p  sen  6,  l -h m -h  ri*  — 1=2  cosd  ; 
/'==  2v  sen  6; 


398 


Domenico  Chelini 


le  quali  determinano  pienamente  il  moto  di  rotazione  e 
quanto  alla  sua  ampiezza  0 (che  si  dee  suppor  minore  di 
due  retti)  e quanto  al  .suo  asse  (facendosi  note  le  quan- 
tità A,  p , v rispetto  al  valore  ed  al  segno  zt  1). 

Dalle  (A)  si  ha  inoltre 

1 — l =2(1  — A*)  seri = Z seri (xv) seri^O, 

1 — ^'  = 2(1  — (i2)sen^d  = 2seri(yv)seri6J 
1 — ri'  — 2(1  — v1)  seri%  0 = 2 seri  ( zv  ) seri  \ 0; 
ed  eziandio 


A tan  0 = - 
(. Ltan\Oz=z 
v tan  ^ 0 = 


/'-H  n 
m — V 


r 


Quando  1’  asse  Ov  di  rotazione  è stato  determinato  ri- 
spetto al  verso  della  sua  direzione  A(iv , sia  graficamen- 
te (17),  sia  coll’  uso  delle  (1),  i valori  de’  quattro  ele- 
menti (A , p , v , 6)  del  moto  di  rotazione  si  possono  espri- 
mer tutti  colle  sole  tre  quantità  l,  rri , ri' , mediante  altre 
forinole  che  si  ricavano  pure  dalle  (A),  e che  sono 

/ j/(l  + / — rri  — n")  = 2A sen ± 0X 
(2).  | j/(l  -f-  rri—  ri1—  l)  = 2yisen%0y 

\ /(Ih -ri'  — l — m)  = 2v sen^O; 

t y/(\  -4-  l -t-  rri  ri'  ) = 2 cos  ^ 0, 

\ |/(  3 — l — rri  — ri')  = 2 sen  % 0. 

Di  questi  radicali  gli  ultimi  due  si  debbono  prendere 
positivamente;  il  segno  degli  altri  è quello  di  A>  (A,  v. 


Leggi  de’  moti  geometrici 


399 


èe  si  dinotano  per  A,  B,  C,  D i primi  quattro  radi- 
cali , talché  si  abbia 

2A  sen  %0  ss  A , 2p  sen  ^ 0 = B , 2v  sen  = C > 

D = 2 cos^d  = /(4  — J2  — 52-  C2), 
le  (^4)  diventano 

/=1  — i^-hC2),  m = ±(AB+CD),  n =%(CA  — BD), 

m = \ — ± (C2-4-^2)?  /*'  = ■*  (£C-h  ,41?),  Z'  = £(,4£— C£>), 
n“=i-i(A2  + B%  r ss ^ (CA -+-  BD) , m^^BC-AD), 

delle  quali  le  sei  ultime , sostituiti  i valori  di  ^ i?,  C,  Z) 
in  funzione  di  to'*  zi"*  sono  le  formole  dette  di  Monge, 
avendole  proposte  quest’  illustre  geometra  senza  indicare 
come  vi  era  pervenuto.  La  dimostrazione  analitica  che  suol 
darsene  si  deve  a Lacroix  (Traìté  du  Calcul  différentiel  et 
intègral^  tom.  \ , pag.  533). 

Le  formole  di  Monge  si  possono  raccogliere  nella  terna 
seguente  di  equazioni  doppie: 

»'±to"=/[(1  q=  iy—  (m'+  n")2], 

l"±n=l/[(ì+m‘y-(n"zLiy]. 

La  prima,  per  esempio,  dà  i valori  di  (m-t-Z),  (m  — /), 
che  sommati  e sottratti  fanno  subito  conoscere  m ed  /.Lo 
stesso  dicasi  delle  altre  due. 

§ J°  Formole  rappresentanti  il  traslocamene  prodotto  da  tre 
rotazioni  successive  intorno  ad  assi  rettangolari. 

37.  Problema.  Date  le  rotazioni  successive  0,  ff,  0n  in- 
torno a tre  assi  ortogonali  Ox,  Oy,  Oz , determinare  V as- 
se Ov  e V ampiezza  0 della  rotazione  risultante,  e viceversa. 

Soluz.  Le  operazioni  che  conducono  per  via  diretta  alla 
soluzione,  consistono  evidentemente: 


400 


Domenico  Chelini 


1°  Nel  determinare  le  direzioni  Imn  , tmn9  t‘mnn  che 
le  rette  della  figura  F coincidenti  cogli  assi  Ox,  Oy,  Oz, 
prendono  al  compiersi  delle  tre  rotazioni  d,  d‘,  d“ , e che 
nella  loro  posizione  finale  indicheremo  per  Ox , Oy  , Oz  ; 
2°  E poscia  nel  determinare  la  rotazione  unica  0 , che  porti 
il  sistema  di  assi  Ox,  Oy,  Oz  a confondersi  col  sistema  Ox, 
Oy  , Oz  3 mediante  le  formole  già  trovate 

4co52J0  = 1 +l  + mi+ri', 

I2À  sen  0 = n — m" , 

%{isenO  = V — n, 

2vsenO=zm — V. 

Per  determinare  le  direzioni  Imn  , tritìi,  l“m“n“  , basta 
cercare  in  quali  posizioni  dopo  le  tre  rotazioni  d,  d' , d"  si 
fermano  i tre  punti  : 

Ìx  = 1 , / x = 0 , 

z = 0 ; ( z = 0 ; 

Applicando  le  formole  (a)  del  n°  36 , postovi  t = 0 , 
e supponendo  che  la  direzione  di  Ov  coincida  succes- 
sivamente cogli  assi  Ox  3 Oy,  Oz  ; si  vedrà  che  dopo  la 
prima  rotazione  d,  cotesti  punti  si  fermano  ne*  luoghi 


da’  quali , dopo  la  seconda  rotazione  d‘,  passano  ne’  seguenti 
cos  0' 3 , x •=.  sen  6 sen  0',  , x = sen  6'  cos  0, 

0 , | y = cos  6,  J y = — send, 

— send';  3 =»  send  cosd‘;  \ z = cos d cos d 


I = cosO'  cosd" 
m = cos  0 ’ sen  0 " 
sen  0 ' ; 


(n  = — : 


Leggi  de*  moti  geometrici  401 

per  recarsi  infine  dopo  la  terza  rotazione  0"  ne’  punti 

f /'  = sen  0 sen  0‘  cos  0"  — cos  0 sen  0" , 

< m = sen  0 sen  0'  sen  0”  h-  cos  0 cos  0"  s 
ri  = sen  0 cos  0‘  ; 

1"  = cos  0 sen  0 ' cos  0"  -+-  sen  0 sen  0" , 

< m"  = cos  0 sen  0'  sen  0"  — sen  0 cos  0 " * 
\ ri‘  = cos  0 cos  0' . 

E queste  sono  le  direzioni  Imn,  tmrì , che  dopo 

le  tre  rotazioni  prenderebbero  gli  assi  Ox  9 Oy  9 Oz  se  ap- 
partenessero alla  figura  F.  Anche  queste  formole  si  deb- 
bono ad  Eulero. 

Per  determinare  1’  ampiezza  0 della  rotazione  risultante 
delle  tre  0 s 0‘9  0“,  osserviamo  che  la  formola 

4 CO/  *0  = 1 H-Z-4-77Ì-H  n , 
sostituiti  i valori  di  ly  m,  n 9 diviene 


cos  u cos  (7 
cos  0'  cos  0"  - 


sen  0 sen  0 ' sen  0 " 


?Ì0  cos \ 0r  cos ^ 0"  ] 2 


= 4 [ sen  ^ 0 sen  \ 0'  sen  % 0"  * 

1/  identità  de9  secondi  membri  si  fa  manifesta  ove  si  at- 
tenda alle  relazioni  simili  alle  seguenti 
cos  0 = — (1  — 2 co/  ^ 0), 


sen 0 = 2 sen %0  cos %0 9 


s&z2  40=1  — co/  40. 


Concludiamo  adunque  che  la  rotazione  risultante , quanto 
ili’  ampiezza  0 ed  all9  asse  Op  y si  ha  dall9  equazioni 

co$^0  = sen  .^0  sen  % 0*  sen\0u  «+-  cos%0  cos  40'  cos%0"j, 
51 


T.  f. 


402 


Domenico  Chelini 


2/1  sen  0 = sen  0 ( cos  0'  -+-  cos  0"  ) — sen  0‘  sen  0“  cos  0 , 
2 ft  sen  0 = sen  0'  (ì  -+-cos0  cos 0 " ) -4-  sen  6 sen  0", 

2v  sen  0 = sen  0"  ( cos  0 -+-  cos  0')  — sen  0 sen  0'  cos  0". 


Quando  è data  la  rotazione  0 intorno  all’  asse  Ov  3 e si 
vuol  decomporre  in  tre  rotazioni  successive  intorno  agli 
assi  Ox  3 Oy  s Oz , le  ampiezze  0 0' , 0"  di  queste  rota- 

zioni si  avranno  dalle  (n°  36,  A) 

a n X sen  0-h2  {tv  seri 2 ^ 0 

ri*  1 — 2 (/12h-  ffc2)  sen2%  0 ? 

sen  0‘  = — n = ft  sen  0 — 2^/1  seri 2 i 0 , 


, m v sen  0 -4-  2/L^i  sera2  0 
tand  = 1 = 

■ Non  so  se  altri  abbia  dato  queste  forinole  e le  tre  pre- 
cedenti ; ciò  avverto  perchè  il  Sig.  O.  Rodrigues  riguarda 
come  un’operazione  inestricabile  ì’  esprimer  gli  angoli  0s0f  J0n 
in  funzione  di  0,  (i,  v (Journal  de  Liouville 3 an.  1840, 

pag.  413). 


§ 4°  Forinole  di  relazione  tra  i ponti  corrispondenti  di  due 
figure  coinciditeli  e la  figura  media. 

38.  Problema.  Traslocandosi  una  figura  da  F in  F , un 
suo  punto  passi  dal  luogo  M od  (xyz)  al  luogo  Mr  od 
( xr  = x -4-  dx 3 y = y -4-  dy  3 z = z dz).  Supposto  noto 
il  punto  di  mezzo  m della  corda  MM'  ( fìg.  1 3 ) per  le  coor- 
dinate x,y,  z,  si  domandano  i valori  delle  differenze  dx3dy9dz 
in  funzione  di  x,,  y,  z. 

Soluz.  A ciò  rispondono  le  seguenti  formole  di  O.  Ro- 
drigues 

Ìdx  = t,-*-  2 ( bz  — cy  ) , / tx  = tx — ( bt%  — c/j,  ) , 

£/ = Ty -4- 2 ( ex — raz),  dove  / tv  = ty  — ( ctx  — at%), 
^ = Ts-h2(flY  — bx ) , ( ts  = t%  — ( aty  — btx)  ? 


Leggi  de’  moti  geometrici 


403 


t rappresentando  la  corda  il  cui  punto  di  mezzo  è in  O , 
origine  degli  assi  xyz , e t essendo  la  traslazione  OO'  rela- 
tiva allo  stesso  punto  O. 

Dim.  Rappresentiamoci  alla  mente  la  retta  OO',  che  non 
si  vede  nella  fìg.  13,  ed  i punti  di  mezzo  o , 772  di  OO' , 
MtM*.  Nel  quadrilatero  OO'M \M'  i due  lati  OO' , MtM‘ 
essendo  paralleli  ed  uguali  tra  loro  per  costruzione , saran- 
no pure  paralleli  ed  uguali  i lati  OMt , 0‘M‘  ; e la  ret- 
ta OD  che  dimezza  P angolo  delle  direzioni  delle  due  rette 
omologhe  OM  , 0‘M'  od  OMt , sarà  parallela  ed  uguale 
ad  0772  3 e però  avrà  sugli  assi  coordinati  le  projezioni 

X-“H*  z — H- 

Si  consideri  ora  il  parallelogrammo  di  cui  un  lato  = 1 
sia  sopra  Ov , e P altro  lato  sia  OD.  L5  area  di  questo  pa- 
MM 

rallelogrammo , che  è = PD  = — — — , 

moltiplicata  per  2 tan\Qs  sarà  rappresentata  in  grandezza  e 
in  as$e  dalla  retta  MMr  Questa  retta  avrà  quindi  per 
componenti 

2 [ ( z — £ t%  ) — v ( y — £ t9)]  tan £ 0 , etc. , etc. 

^Ne  segue  che  la  corda  MM‘,  contermina  alla  linea  spez- 
zata (MMt  -+■  sarà  composta  delle  tre 

dx  = tx  -+-  2|>  (z  — J4)  — v (y  — ity)]tan±0,  etc. , 
le  quali  formole  „ svolte  che  siano , diventano  le  (d) . 

Sono  qui  da  notare  le  seguenti  cose  : 

t°  Essendo 

Om  = ris.  ( OM , Mm  ) = ris.  ( OM*,  Mlm  ), 
sarà  , 

x = x -t-  % dx  — x'  — \ dx  , 
y = x -+-  2 dy  = y — \ dy  9 
z = z -+*  £ dz  = z — ^ dz  ; 


404 


Domenico  Chelini 


e per  conseguenza 

x = — ^t,+  x — ( bz  — cy  ) , 

/ = — ì Ty  -H  y — (ex  — az)  , 

Z = J Ts  -+-  z ( <2Y  — &x)  ; 

^=Its  + X+  ( &Z  CY  ) , 

J -|TS  + Y+  (ex  — «Z ) , 

Z = Ts  -+-  Z -f-  ( &Y  £x  ) , 

^ — a;,  x=J(#-H#'), 

dy=/  — y,  r =%(y -*-/), 
dz-==.z — zs  z-^(z^z). 

relazioni  e per  quelle  (a)  del  n°  36  , ove 
siano  date  le  quantità  di  uno  de*  tre  gruppi 
xyz,  xyz  , xyz, 

si  conosceranno  quelle  degli  altri  due,  non  che  i valori 
di  dx,  dy,  dz. 

2°  Dall’ equazioni  (£),  (c),  ( d ) apparisce  che  i punti 
medi  xyz  delle  corde  MM\  congiungenti  i punti  omologhi 
delle  due  figure  uguali  F,  F‘,  costituiscono  una  terza  figura 
media  ( F)  , omografica  con  ciascuna  delle  date  , vale  a dire 
una  figura  in  tale  connessione  con  ciascuna  delle  date  che 
ad  ogni  punto,  ad  ogni  retta,  ad  ogni  piano  di  una  di 
queste  corrisponde  in  essa  un  punto , una  retta,  un  pia- 
no; e viceversa.  Onde  è,  che  rispetto  a queste  figure  si 
possono  subito  enunciare  tutte  le  note  proprietà  delle  figu- 
re omografiche. 

3°  Se  la  traslazione  relativa  al  punto  M si  projetta  sul- 
1’  asse  Ov  di  rotazione , si  avrà  ( 38  ,,  d) 

A dx  -+-  fi  Òy  -+-  v àz  = Ztm  -+-  (ity  -t-  vt%  ==  t cos  (vt)  = r, 
conforme  a ciò  che  si  era  già  avvertito  (n°  23). 


oltre  di  essere 


id)  j 

Per  queste 


Leggi  de5  moti  geometrici 


405 


§ 5°  Forinole  relative  alla  rotazione  intorno  all*  asse 
centrale  Ov  preso  per  asse  delle  z. 

39.  In  questa  supposizione  le  quantità  A(iv , ab  c che 
determinano  la  direzione  dell’  asse  centrale , diventano 

4 = 0,  , a = 0, 

£t  = 0,  | b = 0 , Kz=  \ -+-  c2. 

v = 1 j \ c = tan  £ 6 ; 

La  traslazione  t relativa  alla  origine  O delle  xyz  es- 
sendo un  segmento  dell’  asse  centrale , avrà  per  componenti 

tx  = 0 , t9  = 0 , ts  = t. 

E similmente  la  corda  t il  cui  punto  medio  è in  O,  dà 

•r*  = 0 , Ty  = 0 , tx  = T. 

I due  assi  Ox  3 Oy  , dopo  la  rotazione  6 intorno  all’  asse 
centrale  Oz  , prenderanno  le  direzioni  Im , tiri  determinate 
dall’  equazioni  : 

j8T/=1— c%  (KV  = — 2c, 

Km  = 2c  ; { Km'  = l — c2; 

funzioni  della  sola  c = /ara  ^ 0. 

E tra  i punti  estremi  ( iniziale  xyz  e finale  xyz)  di  una 
corda  qualsivoglia  MMf,  ed  il  suo  punto  medio  xyz,  si 
avranno  le  relazioni 

Kx  = (1  — c2)x—  2cr  = tf(x  — cy), 

Ky  = (1  — c*)y  -h  2 ex  = K (y  -+-  ex), 
zr=z-h-T  = zH-%T; 

Kx  = (1  — c2)x  %cy  ==  K (x  -f-  cy) 

Ky  = (1  — c2)/ — 2cx  = K(y  — ex) 
z = z — r = z — ^ t ; 


406  Domenico  Chelini 

x — cy  — x -4-  cy, 
y ex  — y — ex', 
z -t-ir  = z'  —ir; 
e le  variazioni  delle  coordinate  xyz  saranno 

— dx  = — (ex  ->r-  y)  — ex  — y — — Ky  , 

dy  = — (cy  — x ) = cy  x = Kx  , 

40.  Queste  formole  manifestano  alcune  proprietà  riguar- 
danti le  corde  MMr  ed  i piani. 

a).  Le  corde  che  uniscono  i punti  corrispondenti  xyz  , xy'z 
delle  due  posizioni  della  figura  siano  parallele  al  piano 

A%  -h  Bri  <X  = D > 
cioè  soddisfacciano  alla  condizione 

Adx  H-  Bdy  -f-  Cdz  = 0. 

Se  in  quest9  equazione  sostituiamo  i valori  di  dx,  dy,  dz 
in  funzione  de9  punti  (xyz,  xyz)  iniziale  e finale  delle 
corde  MMr , avremo  i due  piani 

(Ac-B)x+(Bc  + A)y  = ^rC, 

(Ac  + B)x'->-(Bc—A)y'=:—£c  %C , 

paralleli  all9  asse  centrale , vale  a dire  : Le  corde  MM'  pa- 
rallele ad  un  medesimo  piano , tengono  le  loro  estremità  so- 
pra due  piani  paralleli  all 9 asse  centrale. 

Segue  di  qui  che  : Quando  son  date  tre  corde  AA' , BB' , CC 
non  parallela  tra  loro,  si  può  considerar  come  data  la  di- 
rezione deW  asse  centrale.  Poiché  se  da  un  punto  O si  ti- 
rano parallele  ed  uguali  ad  esse  corde  le  linee  Oa,  Ob , Oc; 


Leggi  de9  moti  geometrici 


407 


rispetto  ai  punti  a 3 b 3 c possono  avvenire  due  casi  : o i 
punti  a3  b 3 c non  riescono  in  linea  retta,  ed  allora  deter- 
minano un  piano  perpendicolare  all9  asse  centrale  (n.  23); 
o i punti  a 3 b 3 c riescono  in  linea  retta , ed  allora  i due 
piani  omologhi  ABC  3 A B C’  si  segano  in  una  linea  paral- 
lela all9  asse  centrale  (*). 
b).  Un  piano  qualunque 

Ax  -+-  By  h-  Cz  = D 3 

si  consideri  come  il  piano  medio  ( F ) tra  le  posizioni  ini- 
ziale e finale  F 3 F di  un  piano  che  ha  effettuato  la  ro- 
tazione 0 intorno  all9  asse  centrale  e la  traslazione  t.  Que- 
ste posizioni  estreme  F ed  F del  piano  di  cui  si  tratta 
saranno  ( sostituendo  i valori  di  x , y , z in  funzione  di 
xyz , xyz  ) 

( (A  -H  Bc)x  h-  (B  — Ac)y  — KCz  = K(D  — %xC) 

* [ (A-Bc)x-h-  (B-+-Ac)y-¥-KCz  = K(D  + itC). 

Sia  p V asse  del  piano  medio  ( F) , cioè  la  retta  perpen- 
dicolare ad  esso,  è risultante  di  A 3 B 3 C3  cioè  sia 

p .=  ris.  {A  3 B3  C ) = j/  ( A*  -+-  B?  -+-  C*  j . 
e siano  pt  , p'  gli  assi  de9  piani  corrispondenti.  Sarà 
pt  = ris.  {A  -+-  Bc3  B — Ac 3 CK)  = Kp, 


p'  = ris.  ( A — Bc  3 B -+-  Ac  3 CE  ) = Kp. 

Dalle  quali  equazioni  apparisce  che  i tre  assi  p3  pt  3 p 3 
che  servono  a determinare  gli  angoli  de9  piani  corrispon- 
denti di  (F),  F3  F 3 non  dipendono  dal  moto  di  traslazione  r. 
Quindi  : Allorché  un  piano  passa  da  una  posizione  F ad 
un 9 altra  F per  un  movimento  composto  di  rotazione  e tra- 
slazione 3 i punti  medi  delle  corde  che  uniscono  i punti  omo- 
loghi delle  due  posizioni  estreme  del  piano  3 sono  in  un  nuovo 
piano  (F)  la  cui  direzione  è indipendente  dal  moto  di  tra- 
slazione. 


(*)  Chasles. 


Domenico  Chelini 


Le  due  posizioni  estreme  F,  F del  piano  dato  sono  in- 
clinate sul  piano  medio  (F)  con  angoli  uguali  (ptp) , (/>//), 
essendo 

cos(p,p)  = ~ (A2- I-  B2- t-  CÌK)—  cos(pp'). 

Mp 

La  posizione  rispettiva  de9  tre  piani  F,  ( F ) , F tra  loro 
si  può  rappresentare  alla  mente  nel  modo  che  segue.  11 
piano  F , che  segherà  T asse  centrale  in  qualche  punto  03 
tocchi  secondo  la  retta  OA  un  cono  retto , descritto  dal 
vertice  O intorno  all9  asse  centrale  Ov.  Immaginiamo  che 
lo  stesso  piano  F connesso  colla  retta  OA  sia  portato  in 
giro , rasente  il  cono , da  questa  retta  medesima  OA  la 
quale  al  compiersi  della  rotazione  6 si  trovi  nella  posizio- 
ne OA'.  Il  piano  AOA'  sarà  il  piano  medio  ( F ) tra  F ed  F 
quando  manchi  il  moto  di  traslazione. 

Infatti  chiamata  OI  la  intersezione  de9  due  piani  F ed  F 3 
è chiaro  che  la  retta  OA  è il  luogo  de9  punti  di  mezzo 
delle  corde  che  nel  piano  AOI  terminano  alla  linea  OI , 
e che  la  retta  OAr  è il  luogo  de9  punti  di  mezzo  delle  corde 
che  nel  piano  IO  A'  partono  dalla  linea  OI. 

Se  dopo  la  rotazione  6 il  piano  F'  subisce  la  traslazio- 
ne t , e nella  nuova  posizione  tagli  l9  asse  centrale  Op  nel 
punto  O'  cosi  che  risulti  OO'  = r , il  piano  medio  (F) 
sarà  parallelo  allo  stato  in  cui  era  precedentemente,  ma 
passerà  pel  mezzo  o della  corda  00'.  Ciò  apparisce  anche 
dall9  equazioni  (/),  ponendovi  D = 0*  cioè  ponendo  P ori- 
gine delle  xyz  nel  punto  o. 
c)  Se  la  figura  F consiste  nel  piano 

Lx  -4-  My  4-  Nz  = R , 

l9  equazione  del  piano  medio  (F),  ossia  i valori  de9  suoi 
coefficienti  A 3 B , C , D si  avranno  dalle  relazioni 

A-ì-Bc—L , B — Ac  — M,  CK=N,  K(D—ìtC)  = R, 

e saranno 

t 1 2V  „ B t 

A = -(L-Mc),  B=  — (M+Lc),C=—D=—+2C‘ 


§ F« 


Leggi  de5  moti  geometrici 


409 


oratole  di  relazione  tra  un  moto  elicoidale  ed  un  sistema 


41.  Dato  un  moto  elicoidale  (0,  t)  ed  il  primo  c di 
due  assi  conjugati  di  rotazione,  in  qual  sito  risiede  il  se- 
condo c ? 

Si  concepiscano  le  corde 

MM'  = ris.  ( dx , dy  dz  ) 

colle  origini  M ( xyz  ) sul  primo  asse  c , e per  i loro  punti 
di  mezzo  (xyz)  s9  intendano  condotti  altrettanti  piani  ad 
esse  rispettivamente  perpendicolari.  Tutti  questi  piani  si 
segheranno  in  una  medesima  linea  (n°  21)  che  sarà  eviden- 
temente il  secondo  asse  c. 

L9  equazion  generale  di  questi  piani  è 

dx.  | -+-  ày.tj  -+-  dz.t,  = dx.x  -4-  dy.Y  -4-  dz. z . 

Sostituendo  in  questa  i valori  di  dx , dy , dz , x , y , z 
in  funzione  di  xyz  (n°  39),  si  ottiene 

(A)  (cx-*-y)Z-t-(cy  — x)V  — ^t£  = — + 

dove 


c = tan  JT  = 1 -+-  c2  = — - — — . 

2 c<w2^0 

L9  equazione  (A)  essendo  di  primo  grado  rispetto  alle 
coordinate  di  ciascuno  de9  due  punti  mobili  (xyz),  (lyt), 
rende  manifesto  che  quando  il  punto  xyz  (che  distinto  per  a 
si  dirà  polo  del  piano  A)  si  muove  descrivendo  una  figura 
qualsivoglia  F , il  piano  (A), polare  del  punto  a*  si  moverà 
esso  pure  inviluppando  un9  altra  figura  Ft  ; e queste  due 
figure  F,  Ft  sono  polari  V una  delV  altra  , vale  a dire  ad 
ogni  punto  dell9  una  corrisponde  un  piano  nell9  altra;  e 
viceversa.  Così,  dato  il  piano 

Al  -i-  -4-  (X  = D, 


52 


410 


Domenico  Chelini 


il  suo  polo  si  ha  dall5  equazioni 


K K . . . 

fc*  “aè  z 


D 


t /Ac  — 

=“~27V  c“ 


ABC 
e però  dalle  coordinate 

t iBc-*-A\  D 

r = __  (___), 
e queste  manifestano  che:  I piani  paralleli  (ne5  quali  i due 
rapporti  ^ ~ hanno  gli  stessi  valori  ) tengono  i loro 

poli  sopra  una  linea  parallela  alV  asse  centrale  Oz. 
a).  Il  punto  a od  (xyz)  si  muova  descrivendo  la  superfì- 
cie piana 

Lx  My  -4-  Nz  s=  R ; 

il  piano  (A), polare  del  punto  (xyz),  la  cui  equazione  si  può 
mettere  sotto  la  forma 

(c?  — V)x  ■+■  ( et!  ■+■  S)r  ■+■  — W = ^ T (?  — ir) , 

invilupperà  il  punto  fisso  (?.,  r]  , C)  determinato  dall  equa- 
zioni 

A A 

c?  — ri cri  ■+"  ? 2c  T ___  2 c T ( C — i T ) 

e per  conseguenza  dalle  coordinate 

* 2c  V iV  /’  ^ 2c\  N }’  N 

Dunque  : I piani  aventi  i loro  polì  in  un  piano  dato , 
passano  tutti  per  un  medesimo  punto  ; e viceversa  : I piani 
che  passano  per  un  medesimo  punto  hanno  i poli  in 

un  medesimo  piano . 


Leggi  de’  moti  geometrici 


411 


b )*  Il  punto  xyz  si  muova  descrivendo  il  primo  di  due 
assi  conjugati  c , c , rappresentato  dall’  equazioni 
(c)  x = lu  -+-  a , y = mu  0 * z = nu  -+-  y. 

L’  equazione  del  piano  polare  di  xyz,  cioè  la 

(4  — rt)x-<r(cfl = -^  *(?  — £*), 

dovendo  verificarsi  qualunque  sia  u (come  per  u=o,  u = oo), 
si  risolverà  nelle  due 

( c/  -f-  m)?-+-  ( C7W  — /)??  = — T.7&  , 

zc 

e queste  esprimono  che  il  secondo  c degli  assi  conjugati 
è dato  dalla  intersezione  di  due  piani  aventi  i loro  poli 
sull’  asse  c , il  primo  ad  una  distanza  finita  nel  punto  afty, 
ed  il  secondo  ad  una  distanza  infinita,  cosi  che  riesce  pa- 
rallelo all’  asse  centrale.  Ne  conseguita  che  : Quando  i pri- 
mi c di  più  assi  conjugati  sono  paralleli  tra  loro  (ossia 
quando  hanno  la  stessa  direzione  Imn , ma  diverso  il  pun- 
to a(jy  ) i secondi  assi  c sono  tutti  contenuti  in  un  medesimo 
piano  parallelo  alV  asse  centrale,  e precisamente  nel  piano 
K 

(c/-t-  m)%  -4-  (erri  — /)?  = — — m. 

c).  Denotiamo  per  tmn  la  direzione  del  secondo  asse  c. 
Siccome  dati  due  piani 

ax  by  cz  = d,  dx  -+-  b' y -+-  c z = d , 
la  loro  intersezione  ha  la  direzione  della  retta  composta 
delle  tre  ( he  — b'c)  , (cd  — c a)  , ( ab'  — db)  ; così  la 
direzione  tmn  della  linea  d’  intersezione  de’  due  piani  (c) 
si  trova  essere 

lr  mi  n sen(zc) 

l — mc~~  m -+-  le  2 c sen(zc)[/K ? 

( am  — pi) 

T 


412 


Domenico  Chelini 


dove  am  — pi  = hsen  (zc)  ; essendo  h la  minima  distanza 
tra  i due  assi  Oz  , c.  La  minima  distanza  H tra  Oz  e c 
si  ha  dalla  formola  (n°  31 , a) 


H : 


2 sen  J © tara  ( zc  ) 

Se  sull’  asse  c si  cerca  il  punto  ? 3?  £ corrispondente 
a C = 7 + questo  punto  sarà 

s=S'^i=x<,,'"ie-“",49)’ 

7ZT  ca  -+-  0 , T ~ « T 

? = — — • — T =~--(aseriìe  (tcos^e), 

2 c «77Z  — 0/  h 

c?  j.  Quando  il  primo  asse  c„  passante  pel  punto  «0y  colla 
direzione  Iran , si  confonde  colla  corda 

MM'  =a=  ri$.  {da,  dp , dy) , 

allora  si  ha  / : m \ n \ \ da  : d(t  \ dy  , e per  conseguente 


cp  — a IC 

— 2c 


Kx\ 

l + F + 


E la  direzione  Vrrirì  del  secondo  asse  conjugato  c si  rac- 
coglierà dall’  equazioni 


2ca-t-  (1  — c*)P  2 cP—( 

l-c>  2c 

T 

ossia  dalle 

V m 

» sen  0 — a cos  0 sen  i 


Leggi  de’  moti  geometrici  413 

e le  due  direzioni  Imn,  tiri  ri  saranno  rettangolari  tra  loro , 
risultando 

IV  h-  miri  nri  = o , 

conforme  a ciò  che  si  è già  dichiarato  per  altra  via  (n°  30,  5). 
Ne  segue  che  : Lo  spostamento  di  un  piano  nello  spazio 
può  sempre  operarsi  per  mezzo  di  due  rotazioni  successive 
intorno  a due  assi  rettangolari  c , c , il  primo  de f quali  c 
è perpendicolare  al  piano  e passa  pel  suo  polo,  ed  il  se- 
condo c è contenuto  nel  piano. 

42.  Dato  il  secondo  di  due  assi  conjugati  c , c,  in  qual 
sito  risiede  il  primo  c ? Si  concepiscano  le  corde 

MMr  = ris.  ( 9x , dy  > dz  ) , 

terminanti  ne’  punti  xyri  del  secondo  asse  c , e dal  loro 
mezzo  xyz  s’  intendano  condotti  altrettanti  piani  ad  esse 
perpendicolari.  Tutti  questi  piani  si  segheranno  in  una 
medesima  linea  che  sarà  il  primo  asse  c. 

Operando  come  al  n°  41,  ed  esprimendo  le  dx,dy,Òz,  x^y,z 
in  funzione  di  xyz , 1’  equazion  generale  di  tali  piani  si 
trova  essere 

(B)  (ex  — y)t  -+-  (c/  -+-  *'  )y  -t-  — i C = r (z  — £ % ) , 

ed  è quella  in  cui  si  converte  1’  equazione  ( A ) mutan- 
do c , t in  — c , — T.  Se  adunque  si  fa  questo  semplice 
mutamento  nelle  forinole  che  si  son  trovate  supponendo 
dato  il  primo  c degli  assi  conjugati , si  avranno  le  proprietà 
e le  formole  relative  al  caso  in  cui  è dato  il  secondo  asse  c. 

Si  noti  ancora  che  1’  equazione  ( B)  è la  medesima  equa- 
zione (A),  ove  al  punto  si  è sostituito  il  punto  xyz 

ed  al  punto  xyz  il  punto  ???£  ; ossia  è la  medesima  equa- 
zione (A)  che  lega  i punti  di  due  figure  così,  che  ad  ogni 
punto  dell 9 una  corrisponda  un  piano  nelV  altra. 

43.  Se  nell’  equazion  generale 

dx.  % -+-  dy.'q  -+-  dz.t,  = dx.x  *4-  dy.  y H-  dz. z 


414 


Domenico  Ghelini 


che  rappresenta  i piani  perpendicolari,  nel  loro  mezzo,  alle 
corde  MM' > si  sostituisce 


dx  = t x-\-  2 (bz  — cy  ) , 


si  avrà 


dy  = Ty-+-  2 ( ex  — az  ) , 
dz  = tx  h-  2 ( ar  — bx  ) , 


a(y£  — zi?) 
b (z£  — xt)=i 
c(xy  — y?) 


(r  — j?)  t, 

(z  — C)t,; 


equazione  perfettamente  simmetrica  rispetto  ai  due  sistemi 
di  coordinate  xyz  , * e di  primo  grado  rispetto  all’  uno 

ed  all’  altro.  Se  i punti  xyz  , £i?£  si  riguardano  come  ap- 
partenenti a due  figure  diverse , queste  due  figure  si  dico- 
no polari  reciproche  ; perchè  il  piano  corrispondente  ad  un 
punto  dato  ad  arbitrio , riesce  sempre  il  medesimo  piano , 
sia  che  il  punto  dato  si  consideri  come  appartenente  alla 
prima  figura , sia  come  appartenente  alla  seconda.  Ciò  che 
distingue  questa  polarità  reciproca  da  quella  ordinaria  re- 
lativa alle  superficie  di  secondo  grado,  consiste  nella  sin- 
golarità, che  il  polo  di  un  piano  è sempre  un  punto  dello 
stesso  piano. 

Dalle  proprietà  de’  moti  successivi  di  traslazione  e di 
rotazione  si  possono  dedurre  facilmente  le  proprietà  corri- 
spondenti de5  moti  infinitesimi  o simultanei  3 proprietà  che 
sono  anche  più  semplici  delle  prime , e dove  non  ha  luogo 
che  la  sola  polarità  reciproca.  Negli  elementi  di  Meccanica 
razionale  ho  dimostrato  in  un  modo  diretto  le  leggi  fon- 
damentali de’  moti  simultanei  ; onde  qui  mi  astengo  dal 
parlarne.  Mio  scopo  principale  si  è di  far  discendere  nel- 
1’  insegnamento  queste  belle  teorie , dove  nessuno  è an- 
dato tanto  innanzi  quanto  il  Sig.  Chasles,,  massime  per 
ciò  che  riguarda  1’  omografia  e la  polarità,  principii  fe- 
condissimi, e sorgenti  inesauribili  di  nuove  verità  geome- 
triche. 


Leggi  de’  moti  geometrici 


415 


§ 9°  Forinole  riguardanti  la  similitudine  delle  figure,  sia 
diretta,  sia  inversa,  e clie  comprende  come  caso 
particolare  1*  eguaglianza  e la  simmetria. 

44.  Le  forinole  che  si  riferiscono  al  moto  di  rotazione  di 
un  sistema  di  assi  coordinati  Ox , Oy,  Oz,  si  applicano  quasi 
spontaneamente  a vincolare  tra  loro  i punti  omologhi  di  due 
figure  simili , qualunque  sia  la  posizione  dell5  una  rispetto 
all5  altra. 

La  definizione  più  semplice  e completa  delle  figure  si- 
mili 3 e che  abbraccia  sotto  di  sè  le  figure  uguali  e sim- 
metriche , parmi  essere  la  seguente  : Due  figure  F,  F sono 
simili  se  possono  disporsi  in  modo  intorno  ad  un  centro,  che , 
tirando  da  questo  centro  de’  raggi  ai  punti  delV  una , si  ot- 
tengano i punti  omologhi  delV  altra  con  variare  le  lunghez- 
ze di  siffatti  raggi  in  un  rapporto  costante  , e contando  que- 
sti raggi  ( a partire  dal  centro  ) o nel  medesimo  verso  per 
entrambe  le  figure , od  in  verso  contrario.  Nel  primo  caso 
le  due  figure  sono  simili  direttamente , e nel  secondo  sono 
simili  inversamente. 

Nella  descritta  disposizione  le  due  figure  possono  dirsi 
centrate  , ed  il  rapporto  costante  de’  raggi  che  dal  centro 
di  similitudine  vanno  ai  punti  omologhi  si  dice  rapporto 
di  similitudine  ; essendoché  in  questo  medesimo  rapporto 
stanno  le  linee  omologhe,  sia  poligone,  sia  curve. 

Denoteremo  per  p il  rapporto  di  similitudine.  Allorché 
questo  rapporto  riesce  = + 1,  ovvero  = — 1 , le  due  fi- 
gure simili  saranno  coincidibili  o simmetriche. 

Vediamo  ora  come  da  queste  definizioni  e dalla  conside- 
razione del  moto  di  rotazione  scaturiscano  le  formole  che 
legano  i punti  omologhi  di  due  figure  simili  F,  F,  situate 
comunque  nello  spazio  1’  una  rispetto  all5  altra.  Siano 

Ox,  Oy,  Oz 

tre  assi  rettangolari  presi  ad  arbitrio  nella  prima  figura  F,  ed 

ai,  on,  ai 

gli  assi  rispettivamente  omologhi  della  figura  F,  i quali 


416 


Domenico  Chelini 


abbiano  rispetto  ai  primi  le  direzioni 

Iran,  tiri  ri , V'rri'ri'. 

Un  punto  qualunque  M'  della  figura  F , sècondochè  si 
riferisce  agli  assi  Ox  3 Oy  3 Oz  , od  agli  assi  O'?  j 0\ , O't , 
sia  rappresentato  da 

o da  (5,  y,  t)i 

ed  il  punto  O'  riferito  ai  primi  assi  sia  (a  3 fi,  y).  Le 
forinole  per  la  trasformazione  delle  coordinate  danno 

x — a = «+*  1 -4-  l’X  > 

y — $ = m£ -+-  ni r}  -t-  * 

z — y = ri  ri  -f-  riX  • 

Nella  prima  delle  due  figure  simili  F,  F sia  M il  punto 
cbe  corrisponde  omologo  al  punto  M'  di  F , ed  abbia  le 
coordinate  (x  3 y,  z)  rispetto  agli  assi  0x3  Oy,  Oz. 

Essendo  omologhi  i punti  O ed  O',  M ed  M',  saranno 
pure  omologhe  le  rette  OM , 0'Mr,  e rispettivamente  omo- 
loghe le  loro  componenti  (x3  y3  z) , (f * £)9  sicc°me 

prese  sugli  assi  omologhi  (0x3  Oy , Oz) , (O'?.,  O'?*  <7£). 
Sarà  dunque 

OM'  _Ì__i.  = Ì_==j_ 

OM  x y z p ? 

dove  p è il  dato  rapporto  di  similitudine  tra  la  prima  fi- 
gura F e la  seconda  F.  Se  nell’  equazioni  per  la  trasfor- 
mazione delle  coordinate  si  sostituisce 


.nascono  le  seguenti 

p ( xf  — a ) 5=  Ix  -+-  l ’y  -t-  l”z  3 
p (y  — 0 ) = mx-\-  rriy-+-  rri’z, 
p(z  — y ) = rca?  -+-  riy  -+-  ri' z , 


Leggi  de’ moti  geometrici 


417 


le  quali  (*)  esprimono  la  legge  di  connessione  de’  punti 
omologhi  xyz , xyz  riferiti  agli  stessi  assi  Ox , Oy  , Oz , e 
somministrano  la  posizione  dell’  uno  quando  è data  la  po- 
zione dell’  altro.  Esse  inoltre  fanno  aperta  1*  esistenza  di 
un  certo  punto  unico  (x  = x , y = y , z = z) , centro 
di  similitudine , comune  alle  due  figure,  e da  cui  vedute 
le  due  figure  offrono  all’  occhio  la  medesima  forma.  Il  si- 
to xyz  di  questo  centro  si  trova  risolvendo  le  tre  equazioni 

( l — p)x  -+-  l'y  -h  l"z  = — pa  , 

(m  — p )y  -+-  m z -+-  mx  = — , 

(n"  — p )z  -+-  nx  H-  ny  = — py  , 

che  danno 

( ^ [p2 — (/w'-t-7&")p-i-/]a-+-  (m-t-Z'p)/?H-  (rc-4-Z"p)y 

ÌX~P  ( p - 1 ) [p> - ( l -H ni h- - 1 ) p -+-  1 ] 5 

(t-+-mp)a 

H (p-mp'-O+m -*-n" -l)p+ 1]  ’ 

[p2—  (l-*-m')p-hri']Y-i-  (r  + np)a-¥-  (m"  -+-n'p)(3 

Date  due  figure  simili  comunque  situate  nello  spazio, 
e trovato  il  lor  centro  comune , per  questo  centro  ( a quel 
modo  che  si  fa  per  una  figura  mobile  intorno  ad  un  punto 
fisso)  si  può  sempre  condurre  un  asse  tale  che,  per  una 
semplice  rotazione  intorno  ad  esso , 1’  una  figura  F venga  a 
centrarsi  coll’  altra  F . La  direzione  Apv  di  quest’  asse,  e 
P ampiezza  6 della  rotazione  si  determinano  per  le  formole 

In  — m"  = 2À  sen  6 , 

/ -+-  m -4-  n"  — 1=2 cosd,  j Z"  — n = send , 

\ m — V = 2v  send. 


(*)  Nel  giornale  di  Creile , anno  1 836 , il  Sig.  Jacobi  diede  senza  dimo- 
strazione le  stesse  fórmole. 


53 


418 


Domenico  Chelini 


È poi  evidente  che  tanto  il  centro  quanto  l5  asse  di  ro- 
tazione ed  il  piano  condotto  pel  centro  perpendicolarmente 
allo  stesso  asse , appartengono  all9  una  e all5  altra  delle  due 
figure  simili.  Restano  così  dimostrati  i tre  teoremi  di  Eulero 
sulle  figure  simili. 

a)  Se  nelle  (1)  si  fa  p = — 1 , otterremo  il  centro  di 
due  figure  simmetriche  nel  luogo  segnato  dalle  coordinate 

* = i |>  -+-  (P»  — yii)tan±0], 

7=2  [0-+-  (//t  — av)  tan^d], 

* = 4t  7“*“  (a^  — pÀ)taniff\. 

h)  Si  osservi  che  nelle  (1)  il  denominatore  non  può  an- 
nullarsi se  non  per  uno  de5  tre  seguenti  valori 

p = 1 , p = cos  6 ± sen  0 j/  — 1 , 
de5  quali  il  primo  corrisponde  alle  figure  coincidihili.  Ed 
infatti  sappiamo  che  due  figure  coincidihili,  comunque  si- 
tuate nello  spazio , mentre  hanno  sempre  in  comune  P as- 
se centrale,  non  possono  avere  in  comune  alcun  punto, 
salvo  il  caso  in  cui  il  moto  elicoidale  si  riduca  ad  un  puro 
moto  di  rotazione. 

45.  Se  il  centro  di  similitudine  si  prende  per  l’origi- 
ne O delle  coordinate,  P equazioni  (p)  diventano 

px  = Ix  -h-  ly  -+-  t'z  3 
py  — mx  -f-  rriy  -4-  rri'z, 
pz  — nx  n y -+-  n"z  ; 

e se  inoltre  P asse  Oz  si  fa  coincidere  coll5  asse  di  rotazio- 
ne , onde  sia 

o = A = v = 1 ; o = a = ^c  = tan  \d;  o=-n~  n , rc"=  1 ; 
risulterà 


t Kl=\  — c\ 

t Kl'  = — 2c  j r 

| Km  — 2 c ; 

{ Km  =1  — c5  ; ( 

t =0 


Leggi  de*  moti  geometrici 


419 


e quindi 

(p)' 


Kpx'  = ( i _ <?)x  — 2cr, 

Kp?  = ( 1 — c*)r  ■+■  2 ex;  pz'  = a. 


Equazioni  relative  alle  figu ; 
r JSV  = — (1  — ca  )#-+-  2cjr, 

| *>'  = — (1—  c*)/  — 2cx, 

E poiché 

dx  = oc  — x 9 

dy—y'—y. 


simmetriche  , od  a p = — 1 

1K(x  — x)  = — 2#-+-  2cjr, 
K(/—y)  = — 2/  — 2cxj 
z — z = — 2z. 


# -4-  a/ 


= — 2(#  — cy  ) ? / /£x  ==  c ( c#  -4-  / ) , 

Kdy  = — 2(jk-HC#),  < Kr  = c(cy — #), 

= — 2z  ; V z = o. 

Un  piano  inalzato  perpendicolarmente  in  mezzo  alla 
corda  = ris  ( dx  , dy,  dz  ) sarà  rappresentato  dall’  equazione 

dx.%  -4-  dy.y  -4-  dz£  ==  &r.x  -4-  dy. y , 
equivalente  alla 

(ar—  cy)f  ca:)?  -4-  (1  -4-  c4 ) C = o. 

Dunque  : 7rc  figure  simmetriche  e comunque  disposte 
nello  spazio , i piani  condotti  perpendicolarmente  in  mezzo 
alle  corde  che  uniscono  i punti  omologhi,  passano  tutti  pel 
centro  comune  alle  due  figure. 


Domenico  Chelini 


b).  Nella  ipotesi  che  le  due  figure  Fs  F'  siano  disposte 
simmetricamente  intorno  al  centro  Oj  e la  figura  F inva- 
riabilmente connessa  con  Oz , immaginiamo  che  1’  asse  Oz 
ruoti  sopra  sè  medesimo  per  180°,  seco  traendo  in  giro  la 

figura  F.  Sarà  — = 1,  e le  relazioni  de5  punti  omologhi  xyz, 
K 

xyz  saranno 

x =:  Xj,  y =±=  y 9 z — — z , 

vale  a dire  : Due  figure  disposte  simmetricamente  intorno  ad 
un  centro , possono  anche  disporsi  intorno  ad  un  piano  ( qua- 
le xy)  così  che  i punti  omologhi  si  trovino  a due  a due 
situati  ad  egual  distanza  dal  piano  e sopra  una  retta  per- 
pendicolare al  medesimo;  e viceversa.  In  tal  modo  si  vede 
che  dalla  definizione  delle  figure  simmetriche  data  in  prin- 
cipio di  questo  § , segue  come  conseguenza  la  definizione 
ordinaria  ; e viceversa. 


Leggi  de’  moti  geometrici 


421 


NOTA  I.  Applicazione  delle  formole  di  rotazione  alla 

RICERCA  DELL5  ASSE  E DEL  CENTRO  DI  EQUILIBRIO. 

Problema.  Un  sistema  di  forze  costanti  nella  intensità  e nella  direzione 
si  stanno  continuamente  applicate  a punti  dati  di  un  corpo  in  movimento.  Da 
una  data  posizione , in  cui  le  forze  sono  in  equilibrio  ovvero  sono  equiva- 
lenti ad  una  sola , passando  il  corpo  ad  tu*5  altra  posizione , si  domanda 
quali  condizioni  debbono  rimaner  soddisfatte  perchè  le  forze  nella  nuora  posi- 
zione persistano  ad  equilibrarsi,  ovvero  ad  equivalere  ad  una  sola  forza. 

Soluz.  11  moto  di  traslazione  non  alterando  affatto  le  mutue  relazioni  tra 
le  forze,  siccome  è per  sè  evidente,  la  soluzione  si  riduce  a far  vedere  ciò 
che  dee  avvenire  negli  effetti  delle  azioni  delle  forze , quando  il  corpo  si  muove 
per  una  semplice  rotazione. 

1°  Supponiamo  che  le  forze  si  equilibrino  nella  data  posizione,  e che 
P equilibrio  riferito  a tre  assi  ortogonali  sia  espresso  dalle  sei  note  equazioni 


Rotando  il  corpo  intorno  ad  un  certo  asse,  le  forze  (P,  Q , R)  etc. 
restano  le  stesse  per  supposizione , ma  i loro  punti  di  applicazione  xyz  si  fer- 
mano , dopo  la  rotazione , ne’  luoghi  x'y'z'  dati  dall’  equazioni 


Kx'  = (i  +a*-ò2-c2)*H-2(a6-c)y  + 2(ca  + ò)*, 

Ky1  = ( 1 -+-  ò*  — c*  — a9  )y  •+•  2 (òc  — a)  a 2 (ab  -+•  c)  x , 

^ = (l-t-c2-a2-ft9)z  + 2(ca-ò)a:H-2(òc-t-a)y. 

Affinchè  adunque  le  forze  (P,  Q , R),  etc.  si  equilibrino  nella  seconda 
izione  del  corpo , basterà  che  sussistano  1’  equazioni 
S ( Ry'  — Qz'  ) = 0 » 2{Pzr  -Rx)  = o,  2 «?*' - Py' ) = o. 

Ora  ponendo  per  abbreviare 


2P  = o,  2(Py  - Qz)  = o, 

2Q  = o,  2(Pz  — Rx)  = o , 

2P  = o;  Z{Qx  - Py)  = o. 


ed 


(4)  = Aa—  C{b  — B{c , 
(P)  = Bb  - A{c  - CKa, 
(C)  = Cc  -B{a-  Afi; 


quelle  tre  equazioni. 


aiti  i valori  di  x',  y',  z',  diventano 


U)h-6(C)-c(P)  = o, 
(C)  + a(B)-b(A)  = o; 


422  Domenico  Chelini 

e queste  moltiplicate  rispettivamente  per  (A),  (B),  (C)  e sommate  danno 
(A)*  + (*)»  + (C)*  = o, 

e per  conseguenza  ( A ) = o , ( fi)  = o,  ( C)  = o , ossia 
( Aa  — Cfi—  Brezzo, 

(t)  Bb-As-Ciàzze, 

* Cc  — B{a—  Afi-o. 

Qui  è da  notare  che  supponendosi  avvenuta  la  rotazione  del  corpo , e però 
non  eguali  a zero  tutte  e tre  le  quantità  a,  b9  c,  una  di  cotest9  equazioni 
dev9  esser  la  conseguenza  delle  altre  due  ; e ciò  non  può  accadere , se , elimi- 
nate le  a,  b,  c,  non  resti  verificata  l’equazione: 

ABC  - 2 A^Cy  - AAf  - BB?  - CCf  = o. 

Ove  questa  condizione  resti  soddisfatta,  le  (1)  faranno  conoscerei  rapporti 
delie  a , b , c , e quindi  l9  asse  intorno  a cui  potrà  girare  il  corpo  senza  che 
rimanga  turbato  l9  equilibrio  tra  le  forze  che  lo  sollecitano.  Quest9  asse  di  ro- 
tazione è chiamato  asse  di  eqoilibbio. 

2°  Supponiamo  che  le  forze  sollecitanti  il  corpo  nella  prima  posizione  si 
riducano  ad  una  sola  forza  = ris.  (X,  Y,  Z),  applicata  al  punto  apy.  Inver- 
tendo la  direzione  di  essa  nascerà  P equilibrio , e perchè  quest9  equilibrio  non 
si  turbi  per  qualsivoglia  moto  del  corpo,  è necessario  e sufficiente  che  si  an- 
nullino le  quantità  A , B , C , Al9  B{ , Cl9  le  quali  essendo  nel  caso  attuale 

A - %{Qy  -h  Rz)  - Yp  — Zy  = o , B = etc. , 

Ai  = 2 Ry  — Z/?  = 2 Qz  — Yy  = o , B{  = etc. , 
sì  risolvono  nelle  seguenti  (*j 

_ 2P#  ___  2Qx  __  2ft» 

P X Y Z’ 

_ ZPz  __  _ SRz 

7~~  X *"  Y " Z ' 

Pertanto:  Allorché  rimangono  soddisfatte  le  sei  condizioni  contenute  in 
coteste  uguaglianze , se  le  forze  che  sollecitano  un  corpo  ne9  medesimi  punti , 
mantenendo  costante  la  loro  direzione  e intensità,  si  riducono  ad  una  sola  per 
una  data  posizione  del  corpo,  si  ridurranno  egualmente  ad  una  sola  per  ogni  altra 


Leggi  de’  moti  geometrici 


423 


posizione  del  corpo.,  e la  direzione  di  questa  forza  risultante  passerà  sempre 
per  un  medesimo  punto.  A questo  punto  si  è dato  il  nome  di  centro  delle 
forze.  V esposto  teorema  sussiste  evidentemente  senz’  alcuna  condizione  per 
le  forze  parallele. 

a) .  Quando  le  forze  sono  rappresentate  da  rette  stabilmente  infisse  nel  cor- 
po, la  rotazione  che  trasporta  il  corpo  non  può,  siccome  è evidente,  indurre 
alcuna  alterazione  nello  stato  del  corpo.  Che  se  nella  nuova  posizione  del  cor- 
po si  vogliano  tornar  le  forze  nella  direzione  che  avevano  in  principio  ^ basterà 
(senza  spostare  i loro  punti  di  applicazione)  comunicare  alle  rette  rappresen- 
tanti le  forze  un  moto  di  rotazione  precisamente  uguale  e contrario  a quello 
effettuato  dal  corpo  ; ed  anche  ciò  è evidente  per  sè.  Quindi  : V effetto  delle 
forze  sollecitanti  un  corpo  è il  medesimo , sia  facendo  rotare  il  corpo  intorno 
ad  un  asse  e ritenendo  costanti  « punti  di  applicazione  e le  direzioni  e inten- 
sità delle  forze , sia  ritenendo  fermo  il  corpo  e facendo  subire  alle  singole  for- 
ze , intorno  ai  lor  punti  di  applicazione , una  rotazione  precisamente  uguale  e 
contraria  a quella  che  dovrebbe  farsi  subire  al  corpo. 

b) .  Le  forze  (P,  Q,  R)  etc.  non  si  equilibrino,  e facciasi 

X = 2P,  S=2Px,  T=2Py,  17=2  Pz  , 
¥=20,  S{=20x,  T\  = 2Qy , U{=2Qz , 

Z = 2P;  S^=2Rx,  Tz=2Ry,  U*=2Rz. 

Supposto  ( X2  ■+•  F2  h-  Z2  ) > o , tutte  le  forze  ( ritenendo  fissi  i punti  di 
applicazione)  si  stimino  parallelamente  alla  direzione  Imn.  Se  si  pone 

(2)  V=lX  + mY  + nZ, 

il  centro  afiy  di  queste  forze  parallele  sarà  dato  dall’  equazioni 
/ Va  — IS  -+■  mSi  ■+■  nS% , 

(3)  j Fi?  = JP  h-  mT\  ■+■  nP2 , 

( Vy  = lU-b  mU{  ■+•  nl72 . 


rallelamente  a cui  si  stimano  le  forze  date , sopra  qual  superficie  si  moverà  in 
corrispondenza  il  centro  afiy  di  esse  forze  parallele  ? Sopra  una  superficie  piana. 

Infatti  risolvendo  le  tre  equazioni  (3)  rispetto  ad  l,  m9n,  e chiamando  A 
il  comun  denominatore  di  queste  incognite,  ossia  il  determinante 

! S,  s4,  sa 

A = \T,  r4 , Ti 

I U,  Vi , V%9 


4-24  Domenico  Ghelini 

Sostituendo  i valori  di  l,  m,  n nella  ^2) , si 


+ e.=A, 

V ds  dSi  dsj 

equazione  indipendente  da  l,  m,  n,  e rappresentante  il  piano  sopra  cui  si  va 
movendo  il  centro  afiy  al  variare  della  direzione  Imn. 

Quando  esiste  il  centro  di  equilibrio , allora  qualunque  sia  la  direzione  Imn 
secondo  cui  si  stimano  le  forze  date,  1’ equazioni  (3)  che  si  possono  scrivere 
sotto  la  forma 

« (•  - f ) + (“  - !) + nZ  (•  - y ) = 0 ' e,c- 

restando  tutte  verificate  dai  valori  delle  coordinate  a,  £.*  y di  esso  centro,  il 
piano  de5  centri  delle  forze  parallele  ad  Imn  si  ridurrà  ad  un  punto  solo , Gioè 
al  centro  di  equilibrio  (*). 


NOTA  IL  Del  centro  istantaneo  delle  accelerazioni 
N'EL  moto  di  una  figura  di  forma  invariabile. 

Dopoché  il  Sig.  Chàsles  ebbe  mostrato  che  la  teoria  del  centro  istantaneo 
di  rotazione  dava  origine  ad  un  metodo  semplicissimo  per  determinare  le  tan- 
genti delle  curve  non  che  i loro  raggi  e centri  di  curvatura , altri  geometri  (**) 
entrando  nella  medesima  via  hanno  segnalato,  siccome  utile  allo  stesso  scopo, 
un  nuovo  punto  a cui  si  è dato  il  nome  di  centro  istantaneo  delle  accelerazioni. 

Questo  nuovo  centro,  che  fin  qui  si  è cercato  di  porre  in  luce  mediante 
costruzioni  geometriche,  rendesi  manifesto  starei  per  dire  da  sé  medesimo  a chi 
voglia  badare  alcun  poco  alle  formole  generali  del  moto  di  una  figura  di  for- 
ma invariabile.  Ciò  è 1’  oggetto  di  questa  breve  Nota. 

Consideriamo  due  sistemi  di  assi  rettangolari  (0'x'3  O'y' , O'z'  ),  (0x,0y30z), 
de’  quali  il  primo  sia  fisso  nello  spazio  , ed  il  secondo  sia  fisso  nella  figura  F 
e però  mobile  insieme  con  F. 

11  punto  M di  F riferito  ai  primi  ed  ai  secondi  assi  abbia  rispettivamente 
per  coordinate  (x'3  y’9  z'),  (x3  y3  z).  Se  denotiamo  per  a!,  fi' , y'  le  coor- 
dinate del  punto  0 riferito  agli  assi  0x'9 O'y',  OV,  avremo  tra  le  ar'yV  e 
le  xyz  di  M le  relazioni 

/ x'  = a'  -+•  Ix  h-  my  ■+•  nz , 

(I)  | y'-p  + l'x  + m'y  + n'z, 

\ z’  = y'  ■+■  l"x  ■+•  m"y-h  n"z  , 

dove  le  Imn , Im'n \ , Vni'vi ' esprimono  le  direzioni  de’  primi  assi  rispetto  ai 
secondi. 


Leggi  de5  moti  geometrici 


425 


Supponiamo  adesso  che  la  figura  F,  o (ciò  che  torna  lo  stesso)  il  si- 
stema (OXj  Oy9  Oz)  si  muova  secondo  una  legge  qualunque  dipendente  dal 
tempo  t.  In  virtù  di  questo  moto , varieranno  di  valore  le  quantità  a' fi'/,  Imn, 
Ì tri  ri , t'iri'n",  mentre  si  manterranno  costanti  le  x , y3  z del  punto  Jf,  con- 
servandosi esso  punto  continuamente  nella  stessa  posizione  rispetto  al  siste- 
ma ( 0x3  0y3  Oz),  Laonde  se  differenziamo  due  volte  le  (I),  e denotiamo 
per  m la  velocità  del  punto  M3  e per  1 la  sua  accelerazione , si  conchiuderà  che 

la  velocità  w ha  per  componenti  le  -f-  , ~ espresse  dalle  formole 

dt  dt  dt 

. k ( dx'  da4  di  dm  dn 

(tt|  (-*  = *--** etc-; 

cfix'  d?y'  cPz' 

e che  l’accelerazione  / ha  per  componenti  le  , --  espresse 

dalle 

, . ( dV  dV  dH  d2m  d-n 

1 ® y 9 e*c* 9 


dove  le  * — 4-  9 sono  le  componenti  dell’accelerazione  del  punto  0. 

dt2  dt2  dt2 

Le  tre  equazioni  (/)  essendo  di  primo  grado  rispetto  ad  x9  y,  z mo- 
strano subito  che  nella  figura  F esiste  ad  ogn’  istante  del  molo  (generalmente  par- 
lando ) un  punto  speciale  M di  cui  1’  accelerazione  è = o.  Questo  centro  istan- 
taneo xyz  delle  accelerazioni  è adunque  dato  dall’  equazioni 


dPx' 


di2 


Se  per  l’istante  del  moto  attuale  l’origine  O del  sistema  ( 0x,0y,0z ) 
fosse  collocata  in  cotesto  centro , 1’  accelerazione  I di  qualunque  altro  punto  M 
di  F sarebbe  data  dall’  equazioni  più  semplici 


È noto  che  1’  accelerazione  I si  decompone  ad  ogn'  istante  in  due  : nell’  ac- 
celerazione centripeta  = — ( p è il  raggio  di  curvatura  della  traiettoria  del 
P 

punto  M)9  e nell’  accelerazione  tangenziale  = -y  ; accelerazioni  parziali  i cui 


T.  i. 


426 


Domenico  Chelini 


valori  si  hanno  dalle  forinole 

m6  / dx  dpy  dy  /dy  d?z  dz  d2y\2  / dz  dìx  dx  d*z\% 

li  = \dt  Ufi ~ dfi  dfi'  V3T  lfi~  IT  1 fi)  + \di  dfi  li  di), 

du  __  dx  d2x  dy  cPy  dz  d?z 

Uir~irifi+iuifi*  di  dfi' 

Ne  segue  che  : Il  luogo  de’  punti  ov’  è nulla  V accelerazione  centripeta  è 
determinato  dalle  due  equazioni 

d2x  m dx  __  d^y  m dy  _ b dz^ 

“5^  * "57  “5^  ’ ' “ST ? 

e che  : Il  luogo  de ’ punti  ov’  è nulla  V accelerazione  tangenziale  è manifestato 
dall’  equazione 

dx  d2x  dy  d2y  dz  d2z 

n ifi  *ir  dfi+n"dfi~0' 

Quanto  al  conoscere  le  derivate  prime  e seconde  delle  quantità  Vm‘n‘ , 
*'py,  basta  richiamare  che  » Il  moto  di  una  figura  di  forma  inva- 
riabile può  aversi  come  una  serie  di  moti  elicoidali  infinitesimi  intorno  ad  assi 
i quali,  succedendosi  a distanze  infinitesime,  danno  origine  a due  superficie 
rigate  , l’  una  fissa  nello  spazio  e V altra  mobile  colla  figura. 

Il  moto  elicoidale  di  F si  faccia  attualmente  intorno  all*  asse  06  colle 
velocità  6,  r di  rotazione  e traslazione ; e le  quantità 

J = cos(x'x) , m~co$(x'y) , n = cos(x'z) 
si  considerino,  rispetto  ad  ( Ox , Oy , Oz) , come  le  componenti  di  una  ret- 
ta = 1 condotta  da  O parallelamente  all*  asse  fisso  O'x'.  Ciò  posto , la  velocità 
apparente  del  punto  (l , m,  n)  riguardato  dal  sistema  mobile  (Ox  ,Oy , Oz)  ri- 
sulterà dalle  tre 

di  dm  dn 

— = mr  — nq,  * =<*-*,  *=*-•*. 

dove  p,  q,  r rappresentano  sopra  Ox,  Oy , Oz  le  componenti  di  6.  Ne  con- 
seguita 

dH  dr  dq  dm  dn 

dfi~mli~nlt+rl~qlt’  elC‘ 

Siano  06,  0{6‘  due  assi  consecutivi  di  rotazione,  e la  loro  più  corta 
distanza  sia  la  linea  004  = da , avente  la  direzione  abc.  , ; 

Supposto  che  al  cominciar  dell’  istante  dt  i due  sistemi  (O'x',  O'y',  0 z ) , 
(Ox,  Oy,Oz)  coincidano  in  un  solo  coll’origine  comune  in  0,  conveniamo  di 
toglier  I’  apice  nelle  forinole  esprimenti  le  derivate  de’  punti  àfi'y,  rc'y'z'. 

Compiutosi  intorno  ad  06  il  moto  elicoidale  (6dt,  rdt) , e passando  a farsi 
intorno  all’  asse  consecutivo  0{6',  il  punto  O di  F che  era  animato  dalle 


Leggi  de’  moti  geometrici 


427 


velocità 

da  __  p d§  _ q dy  _____  r 

Jt~r  7’  ~dt~~T  7’  7t~T  7’ 

acquisterà  nel  nuovo  istante  dt  le  velocità 

. <(•})■  4 *)•  4*). 

(br  — cq)daj  (cp  — ar)d<r  , (aq  — bp)da , 

e conseguentemente  avrà  P accelerazione  composta  delle  tre 
d2a  d ( p \ v da 

= 7/  + (ir-e')lT’ 

da<J  d / ? \ , . do- 

^ = ^(T7)H-(q,-ar)d7’ 

*2  * V « y ' * p'  * 

Rimanendo  ancora  arbitrarie  le  direzioni  degli  assi  coordinati,  suppongasi 
che  Oz  coincida  con  OS  e che  Ox  abbia  la  direzione  di  00*  = da , essen- 
do Oy  perpendicolare  al  piano  (zx).  In  questa  supposizione,  delle  quantità 

afìy  , abCj  Imn,  l'm'n V'ml'ri', 
e loro  derivate,  non  resteranno  (annullandosi  le  altre)  che  le  seguenti 


/ dH  _ 2 d?m  _ __  dr  d?n  _ dq 

I ~dp-~~6j  77  ~~  li’  dt*~  dt’ 

\ dPm'  _ 2 dV  ^ dp  d??  _ dr 

j ~W~~e’  7Ì*  Ti9  dt*~  dt9 

f ( fin " __  dH"  __  dq  dm"  ___  dfp 

\7fi~0’  .1?  Tif'Tt'9 

( d?a  _ r dp  d2/?  __  jr  dq  ^ da  tPy  __  dr 

( 7?  ~77t  ’ ~dt  ~~  7 ~dt~~  * ~dt’  dP~~  dt' 


428 


Domenico  Ghelini 


Quindi  la  velocità  w e P accelerazione  I di  un  punto  qualunque  M (xyz) 
F si  avrà  dalle  forinole 


-r;=-ey>  f -Z*=ì*-9ÌX-^  y 


ÈL=t 


de  ~ de  y 

d? z d?y 

a?  ~ dT2 


dt 


allorché  si  tratti  di  una  figura  piana  che  si  muova  sul  piano  xy , 


T = -ey’ 


eH  y, 


»‘y 


P dt  dt 4 dt  dt 2 ' y ' dt  y ' 

du__dxfa  + ÌL*1  = ed- 

dt  dt  de  dt  de  dt  y * 

In  questo  caso  adunque  il  luogo  de’  punti  ov*  è nulla  P accelerazione  cen- 
tripeta sarà  il  cerchio 

. _ 1 da 

xì+y*+7n;y=0’ 

1 d(r 

avente  sull’  asse  Oy  il  diametro  = — — . 

6 dt 

Ed  il  luogo  de’  punti  ov’  è nulla  P accelerazion  tangenziale  sarà  il  cerchio 

2 2 da 

**  *+■  V2  — d — x = o. 


avente  sull’  asse  Ox  il  diametro  = 0 — - . Questi  due  circoli  sono  stati  tro- 
dO 

vati  per  altra  via  dal  Sig.  Bresse;  e servono  di  fondamento  alla  sua  Memoria 
sopra  P applicazione  del  centro  delle  accelerazioni  alla  ricerca  de’  raggi  di  cur- 
vatura ( Journal  de  V Ècole  Polytecnique , an.  1853). 


Mem.Ser.il!  Tomi. 


y. 


I A'f 


M' — m — jjt 


Clieliui— Leggi  de  Moli  geometrici 


X- 


A 


„ ^-v‘ 


^.X 


C. Beffali  me -Ili.  F”  Casanova 


Leggi  de’  moti  geometrici 


429 


INDICE 


Preliminari.  De’  moti  di  traslazione  e di  rotazione  ....  pag.  363 
PARTE  GEOMETRICA 

Leggi  per  gli  spostamenti  successivi  di  una  flgura. 

§ 1°  Degli  spostamenti  di  una  figura  piana  nel  suo  piano  ...»  369 
§ 2°  Leggi  per  la  composizione  delle  rotazioni  successive  in  un 

piano » 371 

§ 3°  Degli  spostamenti  di  una  figura  nello  spazio  » 373 

§ 4°  Proprietà  de’  punti , delle  rette  e de’  piani  che  in  due  figure 

uguali  si  corrispondono  a due  a due » 378 

§ 5°  Legge  per  la  composizione  delle  rotazioni  successive  intorno 

ad  assi  della  medesima  origine » 383 

§ 6°  Leggi  e condizioni  di  equivalenza  tra  un  moto  elicoidale  ed  un 

sistema  di  due  rotazioni  successive » 384 

PARTE  ANALITICA 

Moti  geometrici  riferiti  ad  assi  coordinati. 

§ 1°  Relazioni  tra  due  assi  paralleli  di  rotazione,  de’  quali  sia  data 

la  traslazione  relativa » 391 

§ T Formole  rappresentanti  il  traslocamento  prodotto  da  una  ro- 
tazione e traslazione.  Formole  speciali  per  la  trasformazione 

delle  coordinate  » 393 

§ 3°  Formole  rappresentanti  il  traslocamento  prodotto  da  tre  rota- 
zioni successive  intorno  ad  assi  rettangolari » 399 

§ 4°  Formole  di  relazione  tra  i punti  corrispondenti  di  due  figure 

coincidibili  e la  figura  media » 402 

§ 5°  Formole  relative  alla  rotazione  intorno  all*  asse  centrale  preso 

per  asse  delle  z » 405 

§ 6°  Formole  di  relazione  tra  un  moto  elicoidale  ed  un  sistema  di 

due  rotazioni  conjugate.  Figure  polari » 409 

§ 7°  Formole  risguardanti  la  similitudine  delle  figure,  sia  diretta, 

sia  inversa » 415 

Nota  I.  Applicazione  delle  formole  di  rotazione  alla  ricerca  dell’  asse 

e del  centro  di  equilibrio » 421 

Nota  IL  Del  centro  istantaneo  delle  accelerazioni  nel  moto  di  una 

figura  di  forma  invariabile » 424 


430 


Domenico  Chelini 


ERRATA 

Pag.  367,  lin.  3.  Invece  di  senati  si  ponga  set 
» 373,  lin.  11  (salendo).  Invece  di  seno  si 
» 407,  lin.  15.  Invece  di  — KCz  si  legga 

» id.  lin.  21  e 22.  Si  sopprima  = Kp. 

» 408,  lin.  4.  Invece  di  -ì-  si  legga  — 

Kp1  PPì 

» id.  linea  ultima.  Dopo  si  ponga  ur 


%ie. 

legga  doppio 
■+•  KCz  ; 


virgola. 


NUOVE  RICERCHE 


SULL’  ITTIOSI 

wmm 

DEL 

PROF.  CAV.  MARCO  PAOLINI 

(Letta  nella  Sessione  del  J3  Gennaio  1868). 


Nel,  andato  anno  io  vi  esponeva,  o Accademici,  alcuni 
miei  studi  anatomico-fisiologici  intorno  le  squame  dei  pesci. 
In  oggi  avrò  l5  onore  di  intrattenervi  intorno  altre  squame, 
le  quali  non  rappresentano  già  il  naturale  indumento  pro- 
prio di  una  data  specie  di  animali , ma  costituiscono  invece 
una  grave , sordida , pertinacissima  alterazione  della  pelle 
del,  uomo , che  rendendola  simigliante  alla  scagliosa  dei 
pesci,  fu  dai  moderni  dermatologi  distinta  appunto  col 
nome  di  Ittiosi.  La  quale  malattia  io  ho  creduto  profitte- 
vole proponimento  di  sottoporre  ad  accurato  esame  ed  a 
novelle  ricerche  per  diversi  motivi.  Primieramente,  perchè 
essendo  tuttora  discordi  le  opinioni  degli  scrittori  intorno 
1’  origine  e la  natura  di  quelle  produzioni  cornee , riescono 
insufficienti  e diffettosi  i caratteri  anatomico-patologici  alle 
medesime  assegnati.  In  secondo  luogo,  perchè  nello  studio 
dei  sintomi  che  accompagnano  la  predetta  infermità  non 
si  è posta  fin  qui , secondo  quanto  io  ne  penso , la  debita 
attenzione  ad  una  serie  speciale  di  fenomeni  procedenti  da 
uno  stato  morboso  del  sistema  nerveo-cerebrale , che  sembra 
in  intime  attenenze  colla  lesione  della  pelle.  In  terzo  luogo 


432 


Marco  Paolini 


finalmente,  perchè  dai  salutari  effetti  ottenuti  dalle  Terme 
Porrettane  chiaro  ne  risulta,  essere  per  lo  meno  esagerata 
la  comune  sentenza  dei  pratici,  i quali  non  dubitano  di  di* 
chiarare  T Ittiosi , massime  congenita , malattia  di  natura 
assolutamente  insanabile.  La  qual  cosa  non  potrà  certo  non 
arrecare  lieve  conforto  a que’  miseri  tribolati  da  un  morbo , 
che  deturpando  Y esterna  superficie  del  corpo  nel  modo  più 
schifoso  e ributtante , li  fa  oggetto  di  ribrezzo  ad  un  tem- 
po e di  pietà.  Per  nostra  buona  ventura  desso  però  non 
è molta  frequente  - ad  osservarsi , dappoiché  in  circa  due 
mila  e cinquecento  infermi  di  croniche  malattie  cutanee  da 
me  curati  nel  corso  di  ventun’  anni  colle  acque  termali  di 
Porretta,  solamente  quattro  esempi  a me  se  ne  sono  pre- 
sentati , e tutti  in  individui  spettanti  al  sesso  virile.  In 
tre  la  malattia  era  ereditaria  e congenita,  in  uno  sempli- 
cemente accidentale  od  acquisita.  Per  non  cadere  in  super- 
flue e noiose  ripetizioni  * io  mi  tratterrò  specialmente  a de- 
scrivere la  storia  di  due  fratelli , i quali  nella  maniera  più 
chiara  ed  evidente  offerivano  tutti  i caratteri  patognomo- 
nici  deH’  Ittiosi  cornea  di  Alibert  o della  bruna  di  Devergie. 

Vincenzo  e Carlo  C.  il  primo  in  oggi  dell’  età  di  26  e 
P altro  di  21  anni,  trassero  i natali  da  sani  e morigerati  ge- 
nitori , di  ristrette  fortune , alla  distanza  di  tre  miglia  circa 
al  Nord  da  Bologna.  Uno  Zio  materno  da  parecchi  anni  de- 
funto era  anch’  esso  affetto  da  Ittiosi , la  quale  pare  fosse 
conseguenza  di  un  esantema  febbrile  avente  la  forma  di 
grosse  bolle  o vesciche.  Racconta  la  madre  che  in  amendue 
i suoi  figliuoli  nei  primi  mesi  dopo  la  nascita  la  pelle  di- 
visa in  laminette  estremamente  sottili  presentavasi  sotto 
Y aspetto  di  una  sfaldatura  quasi  farinosa , che  ella  ritenne 
nel  primo  nato  effetto  della  naturale  esfogliazione  dell’  epi- 
dermide , che  suole  avvenire  in  quel  periodo  della  vita.  Ma 
non  tardò  guari  a venire  in  chiaro  dell’  errore  in  cui  era 
caduta.  Perciocché  a misura  ne  procedeva  lo  svolgimento  del 
bambino,  vide  1’  esterna  superficie  del  corpo  di  lui  ricoprirsi 
di  scaglie  di  differente  grandezza,  di  colore  bigio-carico , 
dure  e secche in  guisa  che  purtroppo  s’  avverarono  i suoi 
timori  circa  Y esistenza  di  una  reale  malattia.  Per  la  qual 


Nuove  ricerche  sull’  Ittiosi 


433 


cosa  quando  riconobbe  nel  secondo  figliuolo  dato  alla  luce 
i soliti  segni  di  quella  sfaldatura , V animo  suo  fu  preso 
da  angoscia  e da  vivo  rammarico  non  rimanendole  più  al- 
cun dubbio  della  triste  sorte  riserbata  ad  oggetti  a lei  tanto 
cari , che  una  matrigna  natura  aveva  in  sì  brutta  foggia 
deformati.  Ricorse  all’  illustre  Medici , di  sempre  cara  e ve- 
nerata rimembranza,  per  averne  i saggi  suoi  suggerimenti 
circa  i mezzi  terapeutici  da  tentarsi  per  conseguirne  la 
guarigione.  Prescrisse  egli  pertanto  1’  uso  delle  Terme  Por- 
rettane  da  proseguirsi  con  costanza  per  parecchi  anni , cono- 
scendo pienamente  le  molte  difficoltà  che  s’  incontrano  a 
debellare  una  sì  fatta  infermità , nè  lasciò  ad  un  tempo  di 
far  travedere  la  fiducia  che  egli  avrebbe  riposta  di  salu- 
tare rivolgimento  in  quei  profondi  mutamenti  organico-di- 
namici , che  nel  generale  organismo  ed  in  ispecie  nei  co- 
muni integumenti  suole  indurre  il  vajuolo  arabo,  se  per 
caso  eglino  ne  fossero  stati  colpiti.  E qui  innanzi  di  pro- 
cedere oltre  cade  in  acconcio  notare , che  i due  bambini 
i andarono  appunto  soggetti  nell’  anno  1845  a tutti  i sinto- 
mi di  un  vajuolo  molto  grave  e confluente , per  cui  si  spo- 
gliarono interamente  delle  dure  scaglie  ond’  erano  ricoperti  ; 
ma  in  breve  di  bel  nuovo  esse  tornarono  a ripullulare  nella 
convalescenza  colla  primitiva  intensità.  Fallite  le  speranze 
che  si  erano  concepite  dall’  illustre  fisiologo  nel  vajuolo , 
rimane  ad  indicare  quali  benefizii  ricavassero  i malati  dal- 
1’  uso  delle  sorgenti  minerali  di  Porretta.  Il  maggiore  di 
età  ossia  Vincenzo  si  recò  colà  nell’  anno  1842,  ed  il  mi- 
nore ossia  Carlo  nel  1845.  In  tale  circostanza  a me  si  porse 
pertanto  la  favorevole  opportunità  di  farne  un  accurato  esa- 
me obbiettivo , il  di  cui  risultato  imprendo  ora  ad  esporre 
quale  ebbi  cura  di  registrare  nelle  mie  annotazioni.  Tutti 
gl’  integumenti  del  loro  corpo,  eccettuati  quelli  della  pal- 
ma delle  mani , della  pianta  dei  piedi , del  dorso  del  naso 
e delle  ascelle,  erano  coperti  di  scaglie  dure,  secche,  re- 
sistenti , di  colore  bigio-scuro  e simigliante  a quello  del  fan- 
go nella  superficie  esterna.,  e di  colore  cinereo  nell’  inter- 
na ; alcune  di  esse  semplici , altre  doppie  ossia  P una  in- 
castrata nell’  altra,  certune  aventi  un  bordo  libero  semilunare 
55 


T.  I. 


434 


Marco  Paolini 


e certe  altre  una  figura  quadrilunga , più  spesse  e grosse 
negli  arti  e nel  tronco  di  quello  che  nella  faccia,  e nel 
cuojo  capelluto.  Le  dette  scaglie  poi  erano  assai  aderenti 
ad  una  pelle  ruvida , ingrossata , ed  in  molti  luoghi , sicco- 
me nelle  articolazioni  delle  membra,  interrotta  da  solchi 
o da  screpolature.  Laonde  la  ruvidezza  della  pelle  era  tale 
che , strisciandola  colla  palma  della  mano , il  tatto  ne  ave- 
va quella  spiacevole  sensazione,  che,  al  dire  di  Bateman, 
si  prova  toccando  una  lima  od  un  pezzo  di  scabro  zigri- 
no (1).  La  quasi  totale  mancanza  di  pannicolo  adiposo  men- 
tre rendeva  molto  appariscente  la  magrezza  loro,  faceva 
altresì  la  pelle  per  modo  tale  rugosa,  raggrinzata,  ed  avviz- 
zita, che  le  prominenze  delle  ossa  manifestavansi  assai  spor- 
genti , ed  il  viso  in  particolare  mostrava  le  impronte  carat- 
teristiche della  vecchiaja.  Del  rimanente  eglino  non  accu- 
savano qualsivoglia  sensazione  di  dolore,  di  prurito,  e di 
calore , siccome  mancava  qualunque  segno  di  infiammazione 
della  cute.  Il  ventre  inferiore  era  piuttosto  tumido  e volu- 
minoso , e non  di  rado  pativano  disturbi  gastrici  , i quali 
nel  fanciullo  maggiore  di  età  associavansi  talvolta  a con- 
vulsioni cloniche  di  breve  durata  promosse , per  quanto  ne 
asseriva  la  madre,  da  verminazione  avendo  talora  evacuato 
qualche  lombrico.  Fin  qui  la  descrizione  dell’  apparato  fe- 
nomenologico dell’  Ittiosi  da  me  osservata  corrisponde  ap- 
pieno con  quella  che  si  legge  nelle  opere  di  Alibert , di 
Bateman , Cazenave  e Schedel , Gibert , Devergie , Rayer 
e di  altri  moderni  osservatori.  Ma  niuno  prima  di  me , per 
quanto  sappia,  ha  notato  negli  infermi  della  predetta  der- 
matosi fenomeni  riferibili  se  non  ad  un  disordine  delle  fa- 
coltà intellettive  certo  almeno  ad  una  tardità  od  ottusità 
delle  medesime.  Imperciocché  è unanime  sentenza  dei  prelo- 
dati Scrittori,  che  qualunque  sia  P estensione  della  malat- 
tia , la  quale  copre  talora  quasi  tutto  il  corpo , e qualun- 
que ne  sia  la  densità , non  induce  mai  alterazioni  rilevanti 


(1)  Bateman.  Compendio  pratico  delle  malattie  cutanee  ordinate  secondo  il 
sistema  nosologico  del  Doli.  Willao.  Pavia  1821  Voi.  I.  pag.  122. 


Nuove  ricerche  sull*  Ittiosi 


435 


nell5  economia,  e turbamenti  reali  nelle  funzioni  (t),  aggiun- 
gendo in  particolar  modo  F-Alibert,  che  nei  due  famosi 
fratelli  Lambert,  che  erano  affetti  di  Ittiosi  cornea  eredita- 
ria e congenita,,  e dei  quali  tornerà  in  acconcio  di  discor- 
rere altrove,  i visceri  contenuti  nella  cavità  toracica  ed 
addominale  non  erano  punto  compromessi , siccome  del  pari 
le  loro  facoltà  cerebrali  non  erano  mai  state  turbate  (2).  So- 
lamente il  chiarissimo  collega  Prof.  Gav.  P.  Gamberini  do- 
po avere  sottoposto  ad  accurata  analisi  le  attenenze  che 
passano  fra  la  pellagra  e P ittiosi , considerate  sotto  i loro 
rispetti  etiologico , semejotico  e terapeutico , si  fa  a dichia- 
rare « che  i malati  d’  ittiosi  patiscono  grandemente  nel 
molale , giacché  ridotta  allo  stato  corneo  ^ 1’  uomo  trovasi 
degradato  ed  invilito  a modo  di  riconoscere  la  morte  qua- 
si un  sollievo  ed  un  ristoro  (3)  ».  Intorno  a che  io  con- 
vengo pienamente  con  lui , che  da  tali  sentimenti  di  avvi- 
limento , di  tristezza , ed  anche  di  avversione  alla  vita  sia 
compreso  1’  animo  di  coloro  che  avendo  raggiunta  una  certa 
età  sono  in  caso  di  valutare  sotto  ogni  riguardo  la  misera 
e deplorabile  condizione  loro  ; ma  tali  sentimenti  non  si 
provano  nella  infanzia , poiché  attesa  la  spensieratezza  che 
accompagna  questo  periodo  della  vita , 1’  amor  proprio  ha 
ben  poco  potere , tanto  più  che  essendo  in  quei  fanciulli 
cotnparso  il  male  appena  venuti  alla  luce,  avevano  contratto 
si  può  dire  col  medesimo  una  tal  quale  abitudine.  Oltre 
a ciò  il  gènere  di  disordine  mentale  da  me  osservato  non 
esprime  punto  un  patimento  oggettivo  dell’  animo , promosso 
cioè  e mantenuto  dal  rimirare  il  proprio  corpo  in  così  sin- 
golare modo  sfigurato , ma  si  manifesta  invece  coll’  indif- 
ferenza, coll’  apatia,  in  una  parola  con  un  certo  grado  di 
fatuità.  Imperciocché,  privi  di  quella  gaiezza  e vivacità  che 
è propria  dell’  età  puerile , non  prendevano  alcun  diletto 


(1)  Cazenave  e Scbedel.  Compendio  pratico  delle  malattie  cutanee.  Vene- 
zia 1834  pag.  290. 

(2)  Alibert.  Compendio  teorico-pratico  sulle  malattie  della  pelle.  Firenze  1820 
Tom.  3.  pag.  175. 

(3)  Gamberini.  Manuale  delle  malattie  cutanee.  Bologna  1856  pag.  289. 


436 


Marco  Paolini 


di  qualsivoglia  giuoco  o sollazzo  preferendo  la  solitudine , il 
silenzio,  e lo  stare  seduti  in  causa  probabilmente  di  uno  stato 
di  indebolimento  delle  forze  nerveo-muscolari.  Quello  poi  che 
meritava  più  speciale  considerazione  , si  era  il  poco  sviluppo 
della  intelligenza,  certamente  non  proporzionato  a quello 
in  generale  degli  individui  della  medesima  età,  di  maniera 
che  non  ritraendo  alcun  frutto  dagli  studi  elementari  erano 
per  la  ignoranza  loro  segnati  a dito  dai  compagni , avvegna- 
ché il  maestro  non  facesse  grande  parsimonia  di  rimbrocci , 
di  sferzate,  di  digiuni,  e di  altri  non  meno  duri  castighi. 
La  quale  debolezza  od  ottusità  delle  facoltà  intellettive  pro- 
cedente per  avventura  da  un  ritardato  sviluppo  degli  orga- 
ni cerebrali , sembrava  assai  ragionevole  doversi  ritenere 
quale  fenomeno  in  particolare  relazione  colla  malattia  della 
pelle.  Perciocché  a misura  che  P ittiosi , in  forza  dei  soc- 
corsi terapeutici  adoperati , e dei  salutari  rivolgimenti  pro- 
mossi dalla  pubertà , andò  gradatamente  scemando  di  esten- 
sione e di  intensità , anche  le  facoltà  della  mente  acqui- 
starono progressivamente  maggiore  vigore  ed  energia  con- 
seguitandone del  pari  una  più  rigogliosa  vegetazione  di 
tutti  gli  altri  sistemi  dell’  animale  economia.  Che  se  contro 
questa  opinione  piacesse  ad  alcuno  di  opporre,  potersi  ri- 
sguardare  quel  fenomeno  psicologico  come  un  fatto  dipen- 
dente da  condizioni  individuali , estranee  affatto  alla  cuta- 
nea infermità , io  aggiungerò , che  a confermare  i miei  giu- 
dizi servi  di  valido  appoggio  un  altro  esempio  di  Ittiosi 
generale , parimenti  ereditaria  e congenita  » da  me  alquanti 
anni  sono  osservato  nel  ragazzetto  Signor  Leonida  S.  di  ci- 
vile ed  agiata  famiglia  di  Bologna.  Con  ciò  sia  che  fintanto 
il  morbo  durò  in  lui  grave  e pertinace , e cioè  sino  all’  un- 
decimo  anno non  solo,  conforme  accadde  ai  fratelli  G. , 
fu  incapace  di  apprendere  alcun  ohe  dallo  studio , ma  di 
più  quando  era  forzato  ad  applicarvisi , provava  dolore  di 
capo , vertigini , offuscamento  di  vista , e qualche  volta  mi- 
naccia di  deliquio.  In  appresso  mercè  V uso  delle  Terme 
preaccennate  , deterso  e libero  quasi  per  intero  il  tegumento 
cutaneo  dal  rio  malore , volse  F animo  con  amore  agli  studi, 
dando  indubitati  saggi  di  non  comune  profitto.  Per  le  quali 


Nuove  ricerche  sull5  Ittiosi 


437 


cose  tutte  pare  a me  avere  abbastanza  di  argomenti  per 
concludere , essere  ordinariamente , od  almeno  in  alcuni  casi , 
accompagnata  l5  ittiosi  da  uno  stato  di  incompleto  idiotismo 

0 di  ottusità  di  intelletto , che  può  quindi  con  ragione  con- 
siderarsi come  un  fenomeno  morboso  in  intime  attenenze 
colla  medesima.  Il  quale  fatto  tornerebbe  assai  acconcio  per 
corroborare  F opinione  di  quei  clinici , che  ponendo  mente 
ai  molti  tratti  di  analogia  che  ha  F ittiosi  colla  pellagra, 
considerarono  questa  come  una  semplice  varietà  dell*  altra. 
Oltre  a ciò  dalle  cose  esposte  si  ricava  eziandio  la  conve- 
nienza , e la  ragionevolezza  di  appellare  col  nome  di  ittiosi 
la  malattia  cutanea  in  discorso , dappoiché  non  solo  per  la 
sua  forma  speciale  ha  attenenza  di  somiglianza  colla  pelle 
scagliosa  dei  pesci , ma  eziandio  perchè  rende  F uomo  per 
difetto  d’  intelligenza  non  lontano  dalla  stupidità  che  è pro- 
pria della  predetta  generazione  di  animali. 

E seguitando  a narrare  la  storia  dei  due  miei  piccoli  in- 
fermi , dirò  in  breve  che  Vincenzo  pel  corso  continuato  di 
nove  e Carlo  di  sei  anni  furono  assoggettati  in  ciaschedun 
estate  all’  uso  delle  bibite  e dei  bagni  della  sorgente  da 
prima  della  Puzzola.,  indi  di  quella  della  Porretta  Vecchia, 

1 quali  soli  non  bastando  a rammollire  e a distaccare  quelle 
dure  scaglie , sì  fortemente  aderivano  al  sottoposto  tessuto , 
consigliai  di  strofinarle  con  una  pezza  di  tela  grossa  e ru- 
vida inzuppata  nelle  medesime  acque,  e ciò  ancora  non 
facendo  profitto  si  ricorse  alle  fanghiglie , di  cui  innanzi  di 
entrare  nel  bagno  coprivasi  tutto  il  corpo  fregandolo  ezian- 
dio rozzamente  colle  medesime.  Così  adoperando , con- 
seguivasi  bensì  F intento  di  rendere  F epidermide  scevra 
affatto  delle  produzioni  cornee,  ciò  nulla  meno  non  si  po- 
tevano dire  guariti , perchè  quella  mantenevasi  sempre  sca- 
bra, ruvida,  lucida,  di  colore  terreo,  notandosi  la  partico- 
larità, a mio  avviso  assai  valutabile,  di  una  generale  inie- 
zione od  iperemia  delle  vene  sotto-cutanee.  E di  fatti , breve 
tempo  passato , F eruzione  scagliosa  comparve  nei  primi 
tre  o quattro  anni  della  cura  termale,  di  bel  nuovo  nella 
stessa  estensione  ed  intensità.  A poco  a poco  però  perse- 
verando nell’  indicato  trattamento,  ed  avendo  la  cautela 


438 


Marco  Paolini 


di  ricorrere  di  tempo  in  tempo  alle  lavature  fatte  con  acqua 
saponata  ed  a bagni  tepidi  generali,  la  malattia  andò  gra- 
datamente perdendo  di  sua  forza , limitando  in  amendue  la 
sua  sede  nelle  braccia  e nelle  coscie;  nel  maggiore  con 
scaglie  assai  più  dure  e colorate  del  fratello  minore  * in  cui 
offrono  semplicemente  le  apparenze  di  una  sfaldatura  fari- 
nosa simigliante  alla  Pitiriasi  bianca.  Al  quale  favorevole 
risultamento  io  credo,  siccome  di  sopra  ho  accennato , ab^ 
bia  congiuntamente  all’  azione  dei  rimedi  contribuito  non 
poco  la  comparsa  della  pubertà,  per  la  quale  la  vegetazione 
dei  peli  e della  barba  procedette  rigogliosa  secondo  le  leggi 
stabilite  dalla  natura.  Ed  è cosa  non  immeritevole  di  consi- 
derazione che  la  detta  infermità  ordinariamente  si  manten- 
ga più  pertinace  nelle  membra  superiori  ed  inferiori , che 
sono  appunto , per  comune  consenso  degli  osservatori , le 
parti  del  corpo  più  specialmente  affette  nell’  ittiosi  parziale 
ed  acquisita.  Parimenti  non  debbo  tacere  che  nei  due  fra- 
telli C.  la  secrezione  del  sudore  non  si  manifestò  da  pri- 
ma che  nei  tratti  di  cute  rimasti  immuni  di  qualsivoglia 
alterazione , e poscia  in  quelli  che  per  primi  avevano  ricu- 
perato lo  stato  loro  naturale,  quali  sono  la  testa  ed  il  collo, 
per  quanto  poi  fosse  elevata  la  temperatura  dell’  aria  ester- 
na siccome  ancora  quella  dei  bagni  praticati.  E da  ultimo 
accennerò  un  fatto , che  vale  sempre  più  a dimostrare  come 
1’  ittiosi  preferisca  il  sesso  forte  al  debole,  e con  quanta 
facilità  si  trasmetta  di  generazione  in  generazione.  Quattro 
* sorelle  dei  due  individui,  di  cui  ho  ragionato,  godono  di 
perfetta  sanità , e la  pelle  loro  liscia , morbida , bianca  le 
rende  insieme  ai  graziosi  tratti  della  fisonomia  giovinette 
di  non  comune  avvenenza.  La  maggiore  si  maritò  sei  anni 
or  sono  con  giovane  sano , robusto,  e scevro  affatto  di  qual- 
sivoglia anche  lontana  predisposizione  a cutanee  infermità  ; 
ciò  nulla  meno  un  figlio  da  essa  dato  alla  luce , e che 
conta  cinque  anni  di  vita , è deturpato  da  ittiosi , la  quale 
e nella  estensione , e nel  grado  di  forza , e nel  modo  suo 
di  svolgersi , non  differisce  da  quella  da  cui  erano  tribolati 
i due  zìi  materni. 

Confrontando  la  storia  che  io  ho  raccontato  con  quella 


Nuove  ricerche  sull9  Ittiosi 


430 


delia  famiglia  Lambert  descritta  dall9  Alibert,  in  cui  l9  it- 
tiosi cornea  così  detta  spinosa , o porco  spino , in  quanto 
che  le  scaglie  sono  aguzze  e pungenti,  si  propagò  per  più 
generazioni , riescono  rilevanti  i rapporti  di  simiglianza  che 
passano  fra  l9  una  e l9  altra.  Nell9  anno  1803  comparvero, 
dice  F Alibett , a Parigi  due  individui , che  avevano  fondato 
una  specie  di  speculazione  sulla  curiosità  pubblica,  si  an- 
nunziarono come  fratelli  e portavano  i nomi  di  Giovanni, 
e Riccardo  Lambert.  Tutto  il  corpo  di  questi  individui  così 
singolari  era  ricoperto  di  scaglie , che  avevano  una  appa- 
renza ed  una  consistenza  come  il  corno.  Le  sole  parti  che 
ne  fossero  sprovviste  erano  la  faccia , la  palma  delle  mani , 
la  pianta  dei  piedi,  il  glande,  ed  un  piccolo  spazio  degli 
inguini  e delle  ascelle.  Il  padre  loro  Eduardo  Lambert  avea 
avuto  egualmente  il  genitore  e cinque  fratelli  affetti  della 
medesima  deformità,  la  quale  si  propagò  sempre  in  linea 
mascolina  essendone  andate  esenti  tutte  le  femmine.  Appena 
dopo  la  nascita  F ittiosi  cornea  non  era  manifesta,  cominciò 
a svolgersi  circa  sei  settimane  dopo  e fini  di  svilupparsi 
nello  spazio  di  un  anno , progredendo  a misura  che  avan- 
zavano in  età.  Eduardo  in  seguito  di  avere  incontrato  un 
vajuolo  grave  perdette  tutte  le  scaglie , ma  appena  guarito 
non  tardarono  a rinascere.  Del  rimanente  il  generale  delle 
funzioni  dei  predetti  fratelli  Lambert  si  compiva  con  ab- 
bastanza regolarità.  Furono  oggetto  di  accurato  studio  per 
parte  dei  più  dotti  medici  e naturalisti  di  Parigi , fra  i quali 
basta  nominare  il  celebre  Geoffroy  Saint-Hilaire  seniore  (1). 

Di  quali  gravi  meditazioni  sieno  fecondi  i fatti  ragionati 
fin  qui  non  havvi  alcuno , anche  appena  iniziato  negli  stu- 
di della  medicina,  che  di  leggieri  non  lo  conosca.  E di 
vero  sarebbe  opera  assai  importante  primieramente  l9  inda- 
gare , perchè  F ittiosi  attacchi  a preferenza  gli  uomini , per- 
chè si  trasmetta  di  generazione  in  generazione,  perchè  in 
fine , essendo  talora  immuni  di  qualsivoglia  labe  cutanea  i 
genitori , portino  i figli  con  sè  i tristi  effetti  del  morbo , 


(1)  Alibert.  Op.  cit.  Tom.  3 pag.  173  e seg. 


440 


Marco  Paojlini 


onde  è affetto  lo  zio  materno.  Lasciando  ad  altri  assai  più 
di  me  d’  ingegno  e di  dottrina  fornito  così  ardue  investi- 
gazioni , rivolgerò  in  particolare  il  mio  discorso  sopra  alcune 
cose , da  altri  non  ancora  notate  o non  abbastanza  chiarite , 
relative  alla  predetta  infermità,  vale  a dire  F intima  tessi- 
tura e la  chimica  composizione  delle  scaglie  che  ricoprono 
la  pelle  umana,  la  più  probabile  etiologia  loro,  e la  spe- 
ciale alterazione  delle  facoltà  intellettuali , che  va  congiunta 
od  accompagna  quell*  eruzione. 

È noto  che  il  derma  ed  i suoi  vasi  costituiscono  la  sor- 
gente degli  umori  nutritivi  dell’  epidermide , in  guisa  die 
questa  è dovunque  penetrata  da  una  certa  copia  di  plasma 
sanguigno , che  è in  diretta  relazione  col  grado  di  vasco- 
larità  del  derma , e la  grossezza  dell*  epidermide.  Sappiamo 
ancora  dall*  Istologia , che  lo  strato-esterno  e semitrasparente 
dell’  epidermide,  ossia  lo  strato  corneo , consiste  quasi  per 
tutto  in  cellule  , le  quali  nelle  parti  inferiori  e medie  di 
esso  censervano  ancora  una  forma  abbastanza  regolare,  e cioè 
di  poligoni  a quattro  o cinque  o sei  lati  ed  a faccie  pia- 
ne , mentre  negli  strati  superiori  acquistano  i loro  contorni 
forme  irregolari,  rappresentando  altrettante  cellule  schiac- 
ciate , fra  loro  intimamente  aderenti , onde  ne  risultano  le 
lamine  superficiali  dell’  epidermide.  Il  che  fermato , faccia- 
moci alquanto  a considerare  di  quali  elementi  siano  com- 
poste le  scaglie  dell’  ittiosi.  Secondo  le  osservazioni  micro- 
scopiche di  Gluge  desse  sarebbero  composte  in  gran  par- 
te di  cellule  epidermidali , contenenti  fra  loro  una  massa 
amorfa  che  non  si  osserva  nell’  epidermide  normale.  Il  mag- 
gior numero  delle  medesime  sprovviste  di  nucleo,  alcune 
bianchicce , e moltissime  ricolme  di  una  sostanza  bruna  o 
giallognola , la  quale  sparì  quasi  del  tutto  mediante  V acido 
acetico.  Baerensprung , il  quale  è dell’  opinione  che  le  squa- 
me siano  prodotte  da  un  ipertrofia  dell’  epidermide , affer- 
ma egualmente  che  queste  in  prossimità  della  cute  consi- 
stono in  un  sottile  strato  di  pigmento  sotto  forma  di  gra- 
nellini  disposti  all’  intorno  dei  nuclei  delle  cellule  epider- 
midali di  recente  formazione;  più  in  alto  la  predetta  epi- 
dermide consisteva  in  cellule  scolorate,  le  superiori  delle 


Nuove  ricerche  sull’  Ittiosi 


441 


quali  mancanti  di  nucleo  essendone  poi  fornite  le  inferiori  ; 
finalmente  sulla  libera  superficie  dell’  epidermide  osservò 
uno  strato  di  cellule  piatte  colorate  in  nero,  il  quale  co- 
lore non  dipendeva  da  un  pigmento  granelloso  in  esse  de- 
positato , ma  consisteva  in  mucchi  oscuri  amorfi  posti  ira 
le  cellule  medesime , i quali  si  riconobbero  essere  adipe  e 
polverio  aderenti  meccanicamente  all’  epidermide  screpola- 
ta (1).  Per  quanto  io  apprezzassi  le  accennate  osservazioni 
microscopiche  per  essere  state  eseguite  da  uomini  valentis- 
simi in  sì  fatto  genere  di  ricerche,  tuttavia  non  poteva 
persuadermi  che  produzioni  cornee  così  bizzarre , così  stra- 
ne , vegetanti  sopra  un’  epidermide  così  straordinariamente 
sfigurata,  potessero  risultare  composte  presso  a poco  degli 
stessi  elementi  istologici  o delle  stesse  cellule , onde  consta 
1’  epidermide  nello  stato  fisiologico.  Desideroso  pertanto  di 
sincerarmi  della  verità  volli  sottoporre  ad  esame  alcune 
scaglie  strappate  dalla  coscia  del  maggiore  dei  due  fratel- 
li C.  prevalendomi  del  microscopio  composto  d’ Amici,  che 
cortesemente  pose  a mia  disposizione  1’  egregio  collega  Pro- 
fessore di  Anatomia  Patologica  Dottor  Cesare  Taruffi.  Al 
fine  di  bene  distinguere  gli  elementi  o le  parti  di  cui  sono 
composte  le  predette  scaglie,  è necessario  di  usare  piuttosto 
un  forte  ingrandimento , e di  bagnarle  con  1’  acido  acetico. 
Così  adoperando , si  riconobbe  esistere  in  quelle  produzioni 
una  pianta  parassita  od  un  fungo  frammisto  a molte  gra- 
nulazioni , ed  a globuli  di  maggior  diametro , di  figura  irre- 
golare , alcuni  isolati  ^ ed  altri  tra  loro  aderenti , pieni  di 
piccoli  ammassi  di  granuli  scuri , che  si  possono , a parer 
mio,  considerare  come  altrettante  cellule  alterate  conte- 
nenti del  pigmento  (2).  Quel  fungo  è costituito  da  molti 
filamenti  o miceli , di  diametro  presso  a poco  eguale , aventi 
i contorni  scuri  ed  il  centro  trasparente,  alcuni  diritti, 
altri  flessuosi , parte  de’  quali  si  divide  in  due  rami  in 
amendue  le  estremità,  e parte  in  una  sola,  ma  in  modo 


(1)  Simon.  Le  malattie  della  pelle  ricondotte  a’  loro  elementi  anatomici.  Ve- 
nezia 1854  pag.  47. 

(2)  V.  Fig.  l.a 


56 


U2 


Marco  Paolini 


dicotomo,  incrocicchiandosi  per  lo  più  fra  loro  (1).  Uno  di 
questi  tubi  o miceli  assai  più  grosso  degli  altri , avendo 
per  avventura  raggiunto  completa  maturità,  presentava  alle 
sue  estremità  due  larghe  aperture,  in  una  delle  quali  so- 
lamente scorgevansi  molte  piccole  cellule  rotonde  od  ovali , 
trasparenti  nel  centro , sicché  aveano  tutte  le  apparenze  di 
vere  spore  (2).  Le  quali  piccole  cellule  o spore  osservavansi 
ancora  sparse  irregolarmente  negli  spazi , che  lasciavano  fra 
loro  i miceli.  Le  cellule  epidermidali  scorgevansi  in  piccolo 
numero , e generalmente  fra  loro  aderenti  e , come  ho  det- 
to , di  figure  diverse  , e contenenti  piccoli  ammassi  di  nere 
granulazioni.  Ed  a ritenere  quei  tubi  quali  miceli , e le 
piccole  cellule  quali  spore , io  fui  indotto  dal  riflettere , che 
i predetti  elementi  microscopici  non  avevano  alcuna  rasso- 
miglianza od  analogia  con  quelli  che  compongono  il  corpo 
umano  si  nello  stato  fisiologico  che  patologico.  Oltre  di  che 
le  descritte  produzioni  hanno  alcune  attenenze  di  somiglian- 
za col  fungo  od  Oidium  della  tigna , e con  quello  che  è 
stato  osservato  nel  Cloasma  ossia  Pityriasis  versicolor.  Que- 
ste osservazioni  microscopiche  furono  più  volte  ripetute  su 
parecchi  pezzetti  di  squame  diverse , e sempre  col  medesimo 
risultato  ; di  che  possono  far  ampia  fede  gli  egregi  miei 
colleghi  i Professori  Taruffi  e Berti,  ed  il  Dottor  Trebbi. 
Anche  il  chiarissimo  Prof  Cav.  Sgarzi,  il  quale,  pieno  di 
amore  per  la  scienza  e di  benevolenza  e cortesia  verso  i 
suoi  colleghi , accettò  P incarico , che  io  gli  affidava , di 
eseguire  P analisi  chimica  qualitativa  delle  scaglie  ittiotiche, 
mi  confermò  in  una  sua  lettera  P esattezza  delle  nostre 
osservazioni  dichiarando , che  avendo  sottoposto  al  micro- 
scopio una  piccola  frazione  di  quelle  produzioni  morbose, 
vi  aveva  manifestamente  riconosciuta  una  qualità  di  cripto- . 
gama  molto  analoga  ad  un  fungo  insieme  ad  alcune  cellule 
in  diversi  modi  guaste  od  alterate  (3).  Laonde  del  descritto 


(U  V.  Fi g.  2. 

(2)  V.  Fig.  3. 

(3)  Altro  esempio  di  ittiosi  bruna  ereditaria  e congenita  ho  osservato  nel- 
V Aprile  del  corrente  anno  in  un  ragazzetto  di  sei  anni  nativo  di  Baricella, 


Nuove  ricerche  sull’  Ittiosi 


443 


fungo,  del  quale  non  si  fa  menzione  alcuna  da  Simon  nella 
importantissima  sua  opera  sulle  malattie  della  pelle , nè  da 
Robin  nel  suo  classico  lavoro  sui  Parassiti  vegetabili , si  potreb- 
be formare  una  nuova  specie  chiamandola  Oìdium  Ichthyosis. 
Nella  quale  conclusione  convenne  eziandio  1’  autorevole  giu- 
dizio dell’  illustre  collega  Prof,  di  Botanica  Dottor  Giusep- 
pe Bertoloni , il  quale  esaminò  accuratamente  le  figure  del 
fungo  disegnate  dal  valente  pittore  sig.  Minardi.  A dissi- 
pare però  qualunque  dubbio  intorno  alla  esistenza  di  un 
Epifito  in  quella  speciale  dermatosi , fa  di  mestieri  ripetere 
le  osservazioni  , giacché  provando  e riprovando  si  può  sol- 
tanto raggiugnere  lo  scopo  di  discoprire  la  verità.  Quindi 
mentre  dall’  una  parte  io  mi  propongo  di  fare  nuove  ricer- 
che , ove  mi  si  presenti  favorevole  circostanza , cosi  io  mi 
rivolgo  alla  dottrina , allo  zèlo , all’  operosità  dell’  egregio 
Prof,  di  Clinica  delle  malattie  della  pelle,  perchè  si  piac- 
cia cooperare  colle  proprie  osservazioni  all’  intento  me- 
desimo (1). 

In  quanto  alla  chimica  composizione  delle  squame  del- 
1’  ittiosi , 1’  Alibert  riferisce  avere  il  Buniva  osservato , che 
la  sostanza  scagliosa  non  era  altro  che  gelatina  divenuta  soli- 
da consistente  e dura  per  1’  unione  sua  con  una  certa  propor- 
zione di  fosfato,  e di  carbonato  calcare  (2).  Secondo  Simon, 
-abbruciate  le  squame  predette,  lasciavano  una  certa  quan- 


grossa  terra  situata  nella  bassa  pianura  del  Bolognese,  nel  quale  mi  si  porse 
il  destro  di  verificare  le  particolarità  da  me  indicate  negli  esposti  fatti , e cioè 
l.°  somma  debolezza  od  ottusità  delle  facoltà  intellettuali,  perchè,  sebbene 
godesse  del  regolare  esercizio  del  senso  dell’  udito  e degli  organi  della  loquela, 
era  appena  capace  di  pronunciare  i nomi  di  babbo  e mamma:  2.°  derivazione 
da  genitori  scevri  di  qualsivoglia  labe  cutanea , mentre  due  fratelli  della ^ madre 
erano  affetti  di  ittiosi  congenita:  3.°  finalmente  esistenza  nelle  squame  del  fun- 
go superiormente  descritto. 

(1)  11  prelodato  Professore  Gamberini  corrispondendo  con  diligente  solleci- 
tudine all’  invito  fattogli  sottopose  ad  accurato  esame  microscopico  le  squame 
di  tre  infermi  di  ittiosi,  nelle  quali  confermò  pienamente  la  presenza  della  cri- 
ptogama  da  me  scoperta , che  egli  piacesi  di  distinguere  col  nome  di  Iclioder- 
mofita  Paolini.  (V.  una  sua  lettera  delli  24  aprile  1862  pubblicata  nel  Vo- 
lume XVII  Ser.  IV  del  Bullettino  delle  Scienze  Mediche  di  Bologna). 

(2)  Alibert.  Op.  Citat.  T.  3.  pag.  208. 


444 


Marco  Paolini 


tità  di  cenere  fortemente  colorata  in  giallo  per  la  presenza 
d’  ossido  di  ferro , ed  in  questa  cenere  erano  contenuti  in 
oltre  carbonato  e fosfato  di  calce.  Il  Marchand  avendo  esa- 
minato un  pezzo  delle  predette  squame  trovò  maggior  copia 
degli  elementi  organici  di  quella  esista  nell’  epidermide 
normale,  e verificò  egualmente  nella  cenere  fosfato  di  cal- 
ce , ossido  di  ferro , ed  una  considerevole  quantità  d’  acido 
silicico  (1).  Coi  quali  risultati  concordano  quasi  pienamente 
quelli  ottenuti  dall’  analisi  qualitativa  che  ne  ha  fatto  il 
prelodato  collega  Prof.  Sgarzi , il  quale  nelle  produzioni  cor- 
nee a lui  consegnate,  ha  rinvenuto  un  elemento  organico 
probabilmente  proteico,  giacché  abbruciando  quella  sostan- 
za si  ebbero  segni  manifesti  della  presenza  dello  zolfo , ed 
un  elemento  minerale  risultante  da  fosfato  calcare,  e da 
protossido  di  ferro,  siccome  ricavasi  da  una  sua  gentilissi- 
ma lettera  a me  indiritta,  che  io  qui  riferisco  per  intero, 
nella  quale  è descritto  il  processo  chimico  da  lui  seguito 
nelle  esperienze  (2). 


(1)  Simon.  Op.  Cit.  pag.  49. 

(2)  „ Io  risposta  alla  dimanda  da  voi  fattami,  se  nelle  poche  scaglie  invia- 
„ temi  esista  del  ferro , dello  zolfo , e dei  fosfati , ri  dirò  che , attesa  la  scarsa 
„ quantità  loro,  fu  di  mestieri  limitarmi  ad  abbruciarne  una  parte  su  di  una 
„ lamina  di  platino,  ed  a trattarne  altra  parte  coll’  acido  idroclorico  diluito. 
„ Nel  primo  caso  vedendola  raggrinzarsi,  annerire,  tramandare  un  lampo  di 
,,  fiamma , e poscia  distruggersi  quasi  totalmente , lasciando  un  minimo  strato 
„ di  materia  bianca,  che  resisteva  al  calor  rosso,  potei  facilmente  nella  mor- 
,,  bosa  produzione  riconoscere  esistente  ancora  la  composizione  primitiva  d' ogni 
„ orgauismo  nelle  due  ordinarie  qualità  di  elementi , l’  organico  cioè  in  quello 
„ che  si  era  disperso,  il  minerale  in  ciò  che  era  residuato.  Ed  avendo  nel- 
„ l’ atto  della  combustione , e dell’  incenerimento  avuto  cura  di  soppraporvi 
„ una  lamina  d’argento,  dal  vederla  alquanto  imbrunita,  sufficiente  prova  mi 
„ risultò  ad  un  tempo,  che  fra  i priucipii  che  si  erano  volatilizzati,  oltre  il 

* ,,  carbonio  mostratosi  nell’  annerimento , nella  difficoltà  con  che  si  disperse , 
„ oltre  l’ idrogeno  carbonato  traveduto  nella  fiamma  comparsa , vi  si  trovava 
„ pure  dello  zolfo,  uno  di  quelli  appunto  dei  quali  si  andava  in  traccia. 

„ In  seguito  tentai  sul  residuo  bianco  1’  azione  dell’  acqua  distillata , che 
„ quasi  nulla  sembrò  disciogliere;  quindi  non  cloruri,  non  solfati  vi  potevano 
„ essere,  bensì  dei  fosfati,  tra  i quali  più  probabilmente  quello  di  calce.  Po»  2s- 
„ smurarmi  di  ciò,  separato  alla  meglio  colla  punta  di  un  temperino  tale  velo 
,,  di  residuo , ne  toccai  una  parte  col  nitrato  di  argento , il  quale  difatlo  vi 
„ apportò  dell’ingiallimento,  che  è prova  parimenti  di  fosfati,  siccome  lo  fu 


Nuove  ricerche  sull5  Ittiosi 


445 


Chiunque  si  faccia  a considerare  che  nell5  epidermide 
nello  stato  fisiologico , secondo  le  analisi  del  Lehmann , al- 
tro non  si  rinviene  che  una  sostanza  organica  composta  di 
carbonio,  di  idrogeno,  di  azoto,  e di  ossigeno,  e di  una 
minima  proporzione  di  zolfo,  74  per  100  (1),  non  potrà 
a meno  di  essere  colpito  delle  speciali  qualità  che  presen- 
tano le  scaglie  dell5  ittiosi , nelle  quali  siccome  nelle  ossa 
si  rinviene  un  elemento  organico  analogo  all5  osseina,  ed 
un  elemento  minerale,  composto  di  ferro,  di  fosfato  calcare, 
ed  anche  di  acido  silicico.  Al  che  dando  la  debita  atten- 
zione , P indumento  scaglioso , che  è proprio  della  predetta 
dermatosi,  si  potrebbe  sotto  il  rispetto  chimico  considerare 
molto  simigliante  ad  un  dermato-scheletro , quale  compete 
ai  pesci,  e ad  altre  generazioni  di  animali.  Dico  sotto  il 
rispetto  chimico,  poiché  in  quanto  alla  tessitura  abbiamo 
veduto  essere  questa  di  tale  natura  da  differire  grandemente 
da  quella  che  è propria  delle  scaglie  dei  pesci,  le  quali, 
siccome  è dimostrato  da  molte  esperienze  fatte  da  me  e da 
celebri  anatomici , sono  fornite  di  una  speciale  organizza- 
zione , e penetrate  ne5  loro  bulbi  da  vasi  sanguiferi.  Le 
quali  due  condizioni  mancando  assolutamente  nelle  produ- 


„ lo  sciogliersi  che  fece  senza  effervescenza  P altra  parte  allorché  la  trattai 
„ coll’  acido  idroclorico.  Di  questa  solazione  dipoi  potendone  costituire  tre  suf- 
„ Scienti  porzioni , su  di  una  sperimentai  successivamente  P ammoniaca , l5  os- 
„ salato  d’  ammoniaca  , P acetato  di  soda  per  ottenere  gl’  indizii  della  calce 
„ mediante  precipitato  di  ossalato  di  calce , che  in  realtà  comparve  ; sulla  se- 
„ conda , per  contrassegnarvi  P acido  fosforico , versai  del  percloruro  di  ferro , 
„ che  a nessuna  reazione  visibile  diede  luogo , ma  che  però  all’  aggiungervi 
„ dell’  acetato  di  potassa , manifestò  chiaro  il  precipitato  bianco  fioccoso  ca- 
„ ratteristico  del  fosfato  ferrico,  e quindi  la  prova  evidente  che  trattavasi  di 
„ fosfato  di  calce;  sulla  terza  da  ultimo  tentando  il  ferricianuro  di  potassio, 
„ e non  avendo  le  traccie  di  ferro,  quali  m’ interessava  di  ottenere , nel  dubbio 
„ che  questo  fosse  avvenuto  in  causa  dell’  essere  passato  il  ferro  nella  calcina- 
„ zione  allo  stato  di  sesquiossìdo , giacché  per  avventura  rimanevami  una  fra- 
„ zione  di  scaglie  morbose  non  calcinate,  volli  attaccarla  coll’acido  idroclorico 
„ direttamente , siccome  dissi  disopra,  e nel  lìquido  ripetere  P azione  del  ferri- 
„ cianuro  di  potassio,  il  quale  poi  col  coloramento  azurro  allora  prodottovi, 
„ non  solamente  attestò  la  presenza  del  ferro,  mostrò  di  più  che  il  ferro  es- 
„ sere  vi  doveva  al  grado  di  protossido.  „ 

(1)  Lehmann.  Prècis  de  Chimie  Physiologique  animale.  Paris  1855  pag.  265. 


446 


Marco  Paolini 


zioni  ittiotiche , è ragionevole  cosa  il  supporre,  che,  seb- 
bene contengano  una  certa  copia  di  fosfato  calcare  allo  stato 
solido , nulli  riescirebbero  £U  di  esse  gli  effetti  della  robbia 
che  per  avventura  si  facesse  ingoiare  agli  infermi , al  con- 
trario di  quanto  succede  nello  scheletro  dei  mammiferi , e 
nel  dermato-scheletro  dei  pesci , che  acquistano  un  colore 
roseo. 

Non  porrei  più  fine  al  mio  dire  se  io  qui  volessi  esporre 
le  diverse  opinioni  degli  scrittori  intorno  P etiologia  del- 
P ittiosi , la  quale  ben  a ragione , a parer  mio , quando  si 
manifesta  congenita  , fu  considerata  da  Isidoro  Geoffroy- 
Saint-Hilaire , non  già  come  una  mostruosità  od  un  vizio 
originario  o primitivo  della  pelle , ma  come  una  vera  ma- 
lattia sopravvenuta  durante  il  periodo  della  vita  entroute- 
rina,  avendone  evidentemente,  egli  dice,  tutti  i caratte- 
ri (1) . Raccogliendo  pertanto  in  poche  parole  il  molto  che 
potrebbe  ragionarsi  intorno  simigliante  materia , dirò , non 
potere  io  entrare  nella  sentenza  di  coloro , i quali  avendo 
scoperto  un  epifìto  od  un  fungo  in  alcune  dermatosi , come 
nel  favo,  nell5  erpete  tonsurante,  e nel  cloasma , credono, 
che  la  causa  delle  medesime,  ed  il  mezzo  loro  di  trasmis- 
sione debbano  riporsi  nello  svolgimento , e nel  trasporto 
delle  spore,  e ciò  per  due  ragioni;  primieramente  perchè 
le  esperienze  che  si  adducono  in  conferma  di  quella  opi- 
nione non  sono  concludenti,  essendo  che  se  croste  tolte 
dal  favo , o dall’  erpete  tonsurante  applicate  sulla  cute  sana 
hanno  dato  origine  alla  riproduzione  di  quei  morbi,  e de- 
gli epifiti  loro  propri , rimane  sempre  cosa  dubbia , se  un 
tale  effetto  sia  prodotto  esclusivamente  dalle  spore , oppure 
da  altra  materia  contagiosa  contenuta  nelle  croste;  secon- 
dariamente se  quelle  spore  fossero  1’  unica  ed  esclusiva  ca- 
gione di  alcuni  morbi  cutanei , certo  che  dovrebbero  que- 
sti essere  assai  più  comuni  e frequenti  di  quello  che  in 
fatto  lo  sono  per  1’  immenso  numero  di  que’  germi  o spore , 


(1)  I.  Geoffroy  Saint-ffilaire.  Histoire  Générale  et  Particulière  des  Anomalies. 
Bruxelles  1837.  Tom.  1.  pag.  117. 


Nuove  ricerche  sull*  Ittiosi  447 

da  cui  è circondato  il  corpo  dell*  uomo.  Per  lo  contrario 
considerando  le  predette  cutanee  infermità  originate  da  al- 
tre cagioni  tanto  interne,  quanto  esterne,  siccome  condi- 
zioni favorevoli  ad  accogliere  in  sè  le  spore , e ad  agevo- 
larne lo  svolgimento , se  ne  ricava  un’  opinione , che  sem- 
bra assai  più  conforme  alla  ragione  ed  alle  più  ovvie  osser- 
vazioni. Imperciocché  noi  vediamo  in  diverse  sostanze  or- 
ganiche animali , o vegetabili  svolgersi  varie  specie  di  cri- 
ptogame secondo  le  particolari  mutazioni , che  per  opera 
degli  agenti  esterni  e massime  del  diverso  grado  di  calore , 
e di  umidità , le  medesime  sostanze  patiscono  ; la  qual  cosa 
induce  manifestamente  a ritenere,  che  quelle  mutazioni  non 
sieno  già  effetto  dei  funghi  in  esse  sostanze  organiche  an- 
nidanti „ ma  questi  di  quelle.  Dietro  di  che  io  penso  di 
non  andare  lungi  dal  vero  affermando , che  ove  ulteriori 
osservazioni  confermassero  nelle  cornee  produzioni  dell5  it- 
tiosi la  presenza  dell’  epifìto  da  me  discoperto , non  perciò 
siavi  ragione  di  riconoscer*  in  esso  la  causa  produttrice  del 
morbo,  ma  unicamente  offerire  questo  il  complesso  delle 
condizioni  favorevoli  all’  evoluzione  della  criptogama. 

L’  ipotesi  pertanto  che  intorno  V etiologia  della  derma- 
tosi in  discorso  sembra  a me  godere  del  maggior  grado  di 
verosimiglianza  si  è quella  del  Cazenave,  secondo  la  quale 
consisterebbe  in  un  pervertimento  della  secrezione  della 
sostanza  epidermoidea  che  è operata  dalle  reti  vascolari  del 
derma  ; onde  in  questo  avrebbe  sede  la  sua  primitiva  ori- 
gine. A favorire  il  quale  pervertimento  deve,  a parer  mio, 
prendere  una  parte  non  indifferente  quello  stato  di  preva- 
lente venosità  propria  comunemente  degli  individui  affetti  da 
ittiosi  ^ la  quale  in  grado  assai  rilevante  apparisce , sicco- 
me ho  detto  fin  da  principio,  nelle  vene  dei  comuni  inte- 
gumenti. E di  vero  la  verosimiglianza  di  quella  opinione 
è fatta  manifesta  da  un  attento  esame  dei  caratteri  anato- 
mico-patologici rischiarati  dall’  osservazione  microscopica , e 
dai  risultati  della  chimica  analisi  delle  squame.  Impercioc- 
ché queste  non  rappresentano  una  semplice  ipertrofia  del- 
P epidermide  risultante  da  accresciuti  strati  di  cellule,  ma 
un  prodotto  affatto  innormale  o patologico  composto  di  spe- 


448 


Marco  Paolini 


ciali  elementi  organici,  ed  avente  una  chimica  composizio- 
ne diversa  da  quella  che  compete  all*  epidermide  nello  stato 
fisiologico.  Soprattutto  quel  vizio  di  secrezione  è grandemente 
avvalorato  dall’  essersi  rinvenuti  nelle  scaglie  principii  affatto 
estranei  alla  cuticola , quali  sono  il  ferro , il  fosfato  calca- 
re , e secondo  Marchand  1’  acido  silicico.  Non  sembra  quin- 
di cosa  irragionevole  il  congetturare , che  il  ferro  sia  il  pro- 
dotto di  una  preternaturale  secrezione  di  ematosina  deri- 
vante dalla  rete  vascolare  del  derma , per  la  quale  potreb- 
besi  dar  ragione  di  quegli  ammassi  di  granulazioni  di  pi- 
gmento disvelati  dal  microscopio  nelle  scaglie , da  cui  pro- 
babilmente procede  il  colore  bigio-scuro  delle  medesime.  In 
quanto  poi  all5  insolita  secrezione  di  fosfato  calcare , io  non 
saprei  additarne  il  vero  motivo.  Ciò  che  non  ripugna-  alla 
ragione  di  sospettare  si  è,  che  per  la  predetta  abnorme 
secrezione  di  fosfato  ne  patisca  in  ispecial  modo  il  regolare 
svolgimento  e la  naturale  composizione  del  cervello , il  quale , 
conforme  ricavasi  dalle  chimiche  analisi , contiene  costan- 
temente una  determinata  proporzione  di  fosforo.  Il  che  sup- 
posto per  vero , non  sarebbe  molto  arduo  comprendere  per- 
chè nell5  ittiosi  in  causa  di  un  ritardato  od  imperfetto  svi- 
luppo degli  strumenti  materiali  delle  operazioni  dell5  anima, 
le  facoltà  intellettive  mostrino  indebolimento  od  ottusità. 
Al  quale  effetto  non  v5  ha  dubbio  possa  eziandio  contri- 
buire un  disordine  più  o meno  grave  dell5  organica  assimi- 
lazione, favorito  in  ispecial  modo  dalla  stremata  od  impe- 
dita secrezione  del  traspirato , del  sudore , e della  materia 
sebacea,  che  nello  stato  ordinario  del  corpo  si  compie  dai 
vasi  e dalle  ghiandole  cutanee,  dappoiché  queste,  per  le  os- 
servazioni anatomico-patologiche  di  Tilesius  , Hebra , Rayer , 
ed  altri,  osservami  nella  predetta  dermatosi  più  o meno  pro- 
fondamente alterate  (1).  Del  quale  disordine  indotto  dalle 
alterazioni  della  pelle  sull5  universale  della  macchina , i Pa- 
tologi non  hanno  fatto  fin  qui  quel  conto  che  si  meritava. 
E oltre  tutto  ciò  deve  eziandio  porre  qualche  ostacolo  alla 


Ser.ll!Tom.I. 


Paoliui-1  Itiosi 


^-Minardi  ine. 


Massari  et 


Nuove  ricerche  sull’  Ittiosi  449 

regolare  manifestazione  dell’  intelligenza  il  non  lieve  aftie- 
volimento della  sensibilità  tattile  della  superficie  del  cor- 
po cagionato  dalle  grosse  produzioni  cornee , ond’  è ve- 
stita F epidermide.  Imperciocché  sebbene  il  senso  del  tatto 
sia  dalla  natura  affidato  nell’  uomo  specialmente  alle  papille 
della  palma  della  mano , ed  ai  suoi  muscoli , pel  di  cui 
mezzo  noi  ci  accorgiamo  di  diverse  proprietà  dei  corpi,  ciò 
nulla  meno  a rendere  completo  o perfetto  quel  senso  si  ri- 
chiede ancora  1’  integrità  del  rimanente  ambito  della  pelle , 
essendo  cosa  già  passata  in  giudicato , abbisognare  allo  svol- 
gimento dell’  intelligenza  la  perfezione  di  tutti  gli  esterni 
organi  sensori.  Per  le  quali  cose  parmi  lecito  conchiudere, 
che  quella  specie  di  fatuità , la  quale  talora  accompagna 
1’  ittiosi  congenita,  s’  abbia  probabilmente  a riguardare 
quale  effetto  di  un  disordine  organico-chimico , e di  un  vi- 
zio dinamico  o nervoso  della  cute. 

Finalmente  1’  attenta  considerazione  dei  fatti  da  me  di- 
scorsi ci  porge  un  salutevole  ammaestramento  di  grande 
importanza  alla  pubblica  igiene,  voglio  dire  la  necessità 
di  andare  molto  cauti  nel  permettere  il  matrimonio  a colo- 
ro, che  sono  affetti  da  ittiosi  massimamente  ereditaria  o 
congenita , attesa  la  somma  probabilità  di  trasmettere  alla 
prole  quella  sordida  infermità. 


T.  I. 


57 


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SOPRA 


UN  FERIMENTO  DI  CUORE 

CON  LESIONE  D’ AMBO  I VENTRICOLI 


ANDATO  A GUARIGIONE 


DEL  PROF.  GIOVANNI  BRUGNOLI 

(Letta  nella  Sessione  del  30  Gennaio  1862). 


Invitato  dal  chiarissimo  Sig.  Presidente  ad  assumere  oggi 
1’  onorifico  incarico  d9  intrattenere  quest9  illustre  Consesso, 
e sebbene  mi  fosse  noto  di  non  potere  venire  innanzi  a Voi , 
Accademici  Prestantissimi , con  un  lavoro  che  fosse  all9  altez- 
za della  circostanza  e rispondesse  alle  esigenze  di  questo 
luogo , tuttavia  non  ho  saputo  rifiutarmivi  per  avere  l9  op- 
portunità di  ringraziarvi,  come  ora  fo,  dell9  onore  che  mi 
avete  compartito  chiamandomi  ad  esser  parte  di  questa  ce- 
lebre Accademia,  e per  soddisfare  al  desiderio  di  un  mo- 
ribondo collega  ed  ad  una  promessa  che  a Lui  ne  porsi. 

Più  e più  volte  l9  ottimo  incomparabile  Dott.  Ulisse  Bre- 
ventani  già  Accademico  onorario,  (una  delle  più  belle  e 
care  speranze  di  quest9  Istituto  ad  un  tratto  rapitaci  da  im- 
matura morte  ) , mi  aveva  parlato  di  un  tale  che  da  al- 
quanti anni  riportato  aveva  per  strumento  pungente  una 
ferita  sul  torace  la  quale  con  tutta  probabilità,  anzi  per 
certo  portò  lesione  alle  parti  centrali  del  sistema  circolato- 
rio  sanguigno  ; rammento  eziandio  che  assieme  1*  avevamo 


452 


Giovanni  Brugnoli 


visitato  alla  sua  abitazione , e dichiarandomi  egli  questo  fatto 
meritevole  di  istoria,  aggiungeva  che  aveva  già  entro  se 
stabilito  che  quando  che  fosse  pervenuto  ad  intero  compi- 
mento , doveva  formare  argomento  di  una  dissertazione 
accademica  da  presentare  a questo  dotto  Consesso  in  ulte- 
riore testimonianza  di  quell’  alta  stima  e singolare  conside- 
razione eh’  Ei  vi  portava. 

Ma  questo  progetto  andò  a vuoto.  Sui  primi  giorni  del 
Decembre  1848,  quando  chi  era  il  soggetto  della  istoria  be- 
nediva alle  intelligenti  cure  ed  ai  benefici  recatigli  dall’  il- 
lustre Medico  che  lo  aveva  salvato , e traeva  la  vita  in 
tale  salute  da  bastare  a’  suoi  bisogni  ed  anche  dirò  a’  suoi 
desideri , 1’  infelice  Breventani  soprapreso  da  emotisi  per 
tubercoli  pulmonali  e questa  susseguita  da  cangrena  in  po- 
chi giorni  era  portato  con  pianto  universale  al  sepolcro. 

Innanzi  però  che  ne  colpisse  tanta  jattura  e perfino  sul 
letto  di  morte  Egli  mi  parlò  nuovamente  del  ferito  di  che 
vi  ho  fatto  cenno  ; mi  ripetè  quanto  in  sua  mente  aveva 
predisposto  e con  calde  parole  si  raccomandò  che  non  la- 
sciassi andar  perduto  per  la  scienza  questo  fatto  da  dirsi 
non  già  raro,  ma  unico  nella  storia  dei  morbi. 

Ed  io  non  mancai  di  tener  d’  occhio  quell’  uomo  e di 
dargli  medica  assistenza  fino  a che  il  fatto  morboso  ebbe 
intero  compimento,  ed  oggi  che  per  vojjra  benignità  mi  è 
permesso  alzare  la  voce  in  questo  rinomato  tempio  delle 
Scienze  Naturali , vengo  tosto  a sciogliere  il  voto  che  aveva 
fatto  fra  me  e me,  e soddisfare  alla  volontà  dell’  illustre  e 
da  tutti  desideratissimo  amico.  Ed  io  spero  che  Voi  gen- 
tili come  siete,  mi  accorderete  un  benevolo  compatimento 
se  di  meglio  non  so  vestire  la  narrazione  che  sono  per 
farvi , se  non  saprò  aggiungervi  importanti  considerazioni 
nuove  e che  non  abbiate  presentite , e se  a lungo  mi  sono 
fermato  in  questo  preambolo  : in  tale  speranza  però  mi  raf- 
fermano il  sapere  che  vengo  a presentarvi  la  istoria  di  un 
fatto  che  in  qualche  parte  fu  osservato  e raccolto  da  un 
vostro  ben  amato  e riputato  Collega , per  cui  direi  quasi 
che  mi  sembra  di  presentarvi  un  lavoro  di  lui  e eh’  egli 
stesso  aveva  destinato  per  questa  Accademia,  infine  che 


Sopra  un  ferimento  di  cuore  4-53 

vengo  a presentarvi  un  fatto  interessantissimo  per  le  scien- 
ze mediche. 

L’  istoria  che  passo  a narrarvi  1*  ho  ricavata  da  notizie 
da  me  raccolte , da  osservazioni  fatte  e da  alcuni  appunti 
trovati  in  un  foglio  rinvenuto  fra  le  carte  del  Breventani; 
non  mi  fu  dato  di  avere  il  diario  esteso  che  di  questo  caso 
per  certo  ei  tenne  e per  questo  precipuamente  in  alcuni 
punti  lascierà  alcun  che  a desiderare. 

Nell’  anno  1834  insorse  fra  i più  rinomati  suonatori  di 
campane  di  questa  città  un’  accerrima  guerra  che  si  pro- 
trasse ancora  1’  anno  seguente  ; e divisi  essi  in  due  fazioni 
dalle  gare  passarono  agli  insulti,  alle  offese  personali,  ai 
ferimenti  ed  agli  omicidi  ancora.  E Pietro  Deiucca  che  fa- 
ceva pur  ancora  il  mestiere  del  calzolaio,,  giovane  robusto 
di  26  anni,  molto  amico  di  Bacco  e a quanto  appare  uno 
dei  più  arditi  e maneschi,  fu  ferito  una  prima  volta  nel- 
1’  agosto  del  1834  al  capo  con  uno  strumento  contundente; 
poscia  una  seconda  nell’  anno  seguente  e nello  stesso  mese 
di  Agosto  ai  23,  riportando  altra  ferita  da  strumento  pun- 
gente al  petto  per  la  quale  in  uno  stato  gravissimo  e che 
ispirava  non  lievi  timori  per  la  sua  esistenza,  fu  portato  allo 
Spedale  Maggiore , ed  ivi  visitato  e medicato  dal  Sig.  Dot- 
tor Gio.  Battista  Vaccari , questi  rinveniva  una  ferita  alla 
parte  sinistra  del  torace  e precisamente  quattro  dita  al  di- 
sopra della  mammella , di  figura  triangolare , lunga  un  terzo 
di  pollice,  larga  costa  di  coltello,  profonda  quasi  tre  pol- 
lici, con  direzione  dall’  alto  al  basso,  con  sintomi  di  pene- 
trazione,  per  cui  la  giudicava  di  qualche  pericolo.  Tutto 
questo  risulta  dalla  relazione  medico-legale  fatta  a termini 
di  Legge  al  Tribunale  Criminale  e che  trovasi  registrata  nel 
libro  delle  Relazioni  dello  Spedale  suddetto  al  Prot.  527  di 
detto  anno  1835.  A questo  deve  aggiungersi  che  la  ferita 
distava  poco  dello  sterno , che  da  essa  uscì  poco  sangue , 
che  corsero  voci  che  lo  strumento  feritore  fosse  stata  una 
chiavarda  ben  affilata  nella  punta,  infine  che  questa  ferita 
guariva  in  breve  per  prima  intenzione. 

Il  Deiucca  rimaneva  però  nello  Spedale  78  giorni,  cioè 
fino  al  dì  9 Novembre  in  cui , come  risulta  dal  citato  libro 


454-  Giovanni  Brugnoli 

delle  Relazioni  giuridiche , esci  va  dichiarato  guarito  dal  chi- 
rurgo curante.  Trovo  però  tiotato  negli  appunti  scritti  del 
Breventani,  che  40  giorni  dopo  quello  della  riportata  ferita 
gli  si  manifestava  un  piccolo  tumoretto  in  vicinanza  della 
mammella  sinistra  e precisamente  al  livello  ed  all5  infuori 
del  capezzolo;  tumoretto  sensibilissimo  al  tatto  non  solo 
ma  un  semplice  e lieve  toccamento  di  esso , asseriva  il 
malato,  che  gli  apportava  ancora  grande  sconvolgimento 
di  cuore.  È pure  notato  che  poco  dopo  si  manifestarono 
forti  palpiti  del  cuore  ed  un  tremore  felino.  All’  ascolta- 
zione si  appalesò  un  soffio  fortissimo  che  si  sentiva  anche 
sotto  la  clavicola  e P ascella  sinistra  in  modo  da  coprire  il 
doppio  suono  del  cuore,  il  quale  suono  poi  si  sentiva  ab- 
bastanza regolare  e netto  al  collo  in  ispecie  a destra,  ed 
anche  allo  scrobicolo  del  cuore  e più  particolarmente  a si- 
nistra. Alla  regione  cardiaca  poi  vedevasi  una  doppia  pulsa- 
zione, P una  fra  la  quinta  e la  sesta  costa  e l9  altra  fra  la 
terza  e quarta  e la  quarta  e quinta  specialmente. 

Quantunque  allora  vigessero  pur  anco  tali  disturbi , il 
Deiucca , come  già  dissi , uscì  difatti  dallo  Spedale  e tornò 
al  lavoro  di  calzolaio  ; ma  non  passarono  pochi  mesi  che 
sentendosi  venir  meno  le  forze  * crescere  la  difficoltà  del 
respiro,  il  battito  del  cuore  fargli  si  assai  molesto , pensò  nuo- 
vamente di  ricorrere  allo  spedale  ; e tanto  più  sollecitamente 
vi  ricorse  perchè  gli  si  era  formato  di  sotto  la  clavicola 
sinistra  un  tumore  di  qualche  volume  e sul  quale  non  ho 
potuto  avere  più  precise  e circostanziate  notizie.  Circa  la 
metà  del  marzo  del  1836  ei  fu  accolto  in  quelle  sale  me- 
diche e per  120  giorni  che  vi  rimase  fu  sottoposto  a di- 
verse cure  di  cui  ignoro  il  genere  ed  i rimedi  che  le  com- 
posero; questo  solo  è notato  di  rimarco  che  nell’  aprile  e 
specialmente  nel  giovedì  santo  egli  ebbe  una  emoptoe  di 
qualche  abbondanza,  essendo  stato  valutato  ad  una  libbra 
il  sangue  emesso  ; e di  più  che  dopo  P emoptoe  fuvvi  av- 
vallamento e scomparsa  del  tumore  or  ora  menzionato. 

Tornato  di  nuovo  il  Deiucca  in  seno  della  propria  fami- 
glia nell5  estate  del  1836  si  trovò  di  continuo  oppresso  dai 
gravi  disturbi  di  salute  che  ho  di  già  descritti , e che  s5  erano 


Sopra  un  feriménto  di  cuore 


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anzi  vieppiù  aumentati  per  cui  vedevasi  incapace  di  pro- 
vedere al  sostentamento  di  se  e de’  suoi , e condannato  a 
condurre  pel  rimanente  de’  suoi  giorni  una  esistenza  di  con- 
tinui dolori  e di  incessanti  pene.  Per  pur  trovare  un  fine 
a’  suoi  mali  colla  mente  andava  passando  in  rivista  tutto 
quanto  aveva  udito  dai  medici  che  nello  Spedale  fecero  il 
suo  caso  oggetto  di  studio , di  spesso  fermandosi  special - 
mente  sull’  avviso  francamente  esternatogli  che  il  suo  male 
era  spacciato  e che  sola  speranza  di  salvezza  poteva  aversi 
in  una  dieta  severissima,  in  un  indebolimento  di  forze 
condotto  all5  estrenuazione  e così  durato  per  molti  mesi;  e 
talmente  si  persuase  di  conseguire  guarigione  col  progettato 
trattamento  che  fermò  di  sottorporvisi , ed  a se  chiamato 
l5  illustre  Dott.  Ulisse  Breventani  ed  apertogli  il  suo  pen- 
siero , questi  grandemente  il  confortò  in  tale  determina- 
zione, e con  quella  somma  bontà  d5  animo  che  al  certo 
equiparava  le  eccellenti  doti  della  mente , accettava  di  as- 
sisterlo , e di  regolare  e dirigere  il  trattamento  curativo  che 
volevasi  mettere  alla  prova. 

Nell5  autunno  1836  ebbe  incominciamento  la  così  detta 
cura  del  Valsalva;  e se  il  curante  per  rispetto  alle  abitu- 
dini del  malato  ed  al  timore  che  insigni  e repentini  cam- 
biamenti nell5  alimentazione  di  quell5  organismo  apportas- 
sero gravi  danni , inclinava  a procedere  lento , il  fermo  vo- 
lere dei  malato,  la  speranza  anzi  l5  assoluta  persuasione 
di  guarire  che  questi  poneva  in  quel  metodo  curativo,  lo 
spingevano  quasi  ogni  giorni  a proseguire  nelle  restrizioni. 

Mancando  del  Diario  di  questa  cura  io  non  posso  segnare 
con  precisione  i gradi  della  diminuzione  nella  quantità 
dell5  alimento  ; so  di  certa  scienza  che  ben  presto  il  cibo 
quotidiano  di  questo  uomo  si  compose  soltanto  di  poche 
once  di  latte  vaccino  e che  la  dieta  lattea  fu  religiosa- 
mente  tenuta  per  otto  interi  mesi. 

Oltre  la  tenuità  della  dieta , onde  depauperare  maggior- 
mente e scemare  di  forza  l5  organismo,  si  ricorse,  come  è 
già  di  prescrizione  nella  cura  valsalviana , alle  sottrazioni  di 
sangue;  e da  prima  si  fece  il  salasso  ogni  quindici  dì  e 
nella  quantità  di  circa  sei  once  di  sangue,  si  giunse  a 


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Giovanni  Brugnolj 


praticarlo  ogni  cinque  giorni  e nella  stessa  misura.  In  com- 
plesso furono  fatti  settantadue  salassi.  A questi  mezzi  cu- 
rativi devonsi  aggiungere  la  stazione  permanente  in  letto, 
V immobilità  maggiore  possibile  della  persona , la  quiete  ed 
un  silenzio  assai  rigoroso. 

Il  Deiucca  s9  attenne  al  fatto  proposito  con  una  volontà 
ferma  e costante  che  non  si  lasciò  smuovere  per  qualsiasi 
evento;  e se  gli  esiti  delle  cure  corrispondessero  sempre 
alla  docilità , all’  abnegazione , ai  volontari  sacrifici  fatti 
dal  medicato  ed  alle  intelligenti  premure  del  medicante,  ben 
si  potrebbe  dire  che  la  guarigione  di  colui,  ritenuta  gene- 
ralmente impossibile,  fu  bene  meritata.  Io  stesso  da  pochi 
mesi  ammesso  allo  studio  della  clinica  medica,  visitai  in 
allora  il  Deiucca  in  compagnia  dell*  egregio  Breventani  che 
mi  si  era  fatto  amorosissimo  e valente  maestro  di  Ascolta- 
zione : ed  oltre  rammentarmi  lo  stato  di  somma  prostra- 
zione in  cui  si  trovava  quell9  uomo  da  non  essere  capace 
di  muovere  con  qualche  speditezza  gli  arti , mi  sovvengo 
che  la  faccia  di  lui  viddi  pallidissima  e quale  di  cera , ed 
un  po’  tumida  ; la  congiuntiva  cerulea  sulla  quale  spic- 
cava un  bel  color  nero  dell9  iride  ; ma  più  di  tutto  mi 
rimase  impresso  il  forte  rombo  che  udii  applicando  lo  ste- 
toscopio sui  grossi  vasi  sanguigni  del  collo  e che  per  la 
prima  volta  mi  venne  indicato  pel  rumore  del  diavolo;  an- 
che alla  regione  precordiale  vi  aveva  un  soffio  assai  speciale 
da  riferirsi  in  qualche  guisa  al  rumore  modulato  e musicale. 
Risulta  palese  da  questi  segni  che  ho  qui  enumerati,  che 
l9  infermo,  specialmente  in  seguito  delia  cura,  era  stajto  po- 
sto in  uno  stato  assai  rilevante  di  cloro-anemia. 

A questo  punto  spinta  la  cura  valsalviana , il  Breventani 
giudicò  essere  venuto  il  momento  di  far  sosta  e di  ricon- 
durre gradatamente  quell9  organismo  alle  condizioni  di  un 
vivere  ordinario  ed  abituale.  Quindi  si  diradarono  le  cac- 
ciate di  sangue  e nel  marzo  1838  si  lasciarono  affatto,  fu 
aumentata  la  quantità  giornaliera  del  latte  ; a questo  si  ag- 
giunsero cibi  di  altra  qualità,  e prima  le  fecole,  poi  il 
pane , quindi  la  carne , ed  anche  il  vino  ; allora  le  forze 
grado  grado  si  rianimarono,  il  malato  potè  sorgere  sul  letto. 


Sopra  un  ferimento  di  cuore  4-57 

discenderne,  camminare  ed  in  fine  uscì  di  casa  come  gua- 
rito la  seconda  festa  della  Pentecoste  del  1838,  cioè  venti 
mesi  da  che  diede  principio  alla  cura  del  Valsava,  non  ri- 
levandosi che  un  rumore  di  soffio  col  primo  suono  cardia- 
co avente  sede  alla  base  del  cuore  e senza  propagarsi  alle 
carotidi  ; per  cui  come  dirò  più  innanzi  fu  ritenuto  che 
la  lesione  siedesse  all’  origine  dell’  arteria  pulmonale. 

Il  Deiucca  libero  dagli  incomodi  di  salute  e dai  mali  che 

10  rendevano  inutile  a se  ed  alla  famiglia  potè  tornare  li- 
beramente al  mestiere  del  calzolaio  e di  nuovo  godersi  la 
vita  in  mezzo  ai  suoi , ed  agli  amici  ; potè  ancora  far  ri- 
torno sui  campanili  ed  avere  forza  e destrezza  molta  per 
durare  lunghe  ore,  specialmente  sulla  torre  di  S.  Gatterina 
di  Saragozza  sua  parecchia,  a manovrare  quelle  grosse  cam- 
pane facendo  loro  percorrere  completi  giri  di  rotazione  sui 
perni  infissi  nel  mozzo  e sempre  fermandole  col  bordo  in 
alto  nelle  solenni  e lunghe  suonate,  a doppio  di  cui  è sì 
esigente  e va  superba  la  plebe  di  quella  contrada. 

Ad  onta  delle  sostenute  fatiche , di  alquanti  disordini 
dietetici,  abusando  in  ispecie  di  vino,  ad  onta  di  patemi 
tristi  che  lo  afflissero  e più  particolarmente  la  morte  di 
alcuni  figli  per  vizio  scrofoloso  e tubercolare,  la  salute  di 
lui  non  fu  più  mai  seriamente  alterata;  solamente  nel  1847 
si  presentò  al  Breventani  domandando  consiglio  per  una 
tosse  che  da  qualche  tempo  il  molestava  ; e questi  consta- 
tato che  trattavasi  di  bronchite , trovò  pure  segni  decisi  di 
soffio  al  primo  suono 3 sentito  in  ispecie  alla  base  del  cuore. 

11  vidde  però  assai  bene  nutrito  e di  un  ottimo  colorito. 

La  circostanza  che  più  d’  ogni  altro  ha  sembrato  contri- 
buire a ridestargli  i mali  altre  volte  sofferti  fu  Y assedio 
patito  da  Bologna  nel  1849  ; e sebbene  egli  e 1’  abitazion 
sua  fossero  illesi  dai  projettili  lanciati  sulla  città , pure  dal 
vederseli  cadere  d’  attorno,  talmente  ne  fu  spaventato  che 
il  cuore  si  mosse  disordinatamente,  il  respiro  si  rese  diffi- 
cile , un  senso  molesto  come  di  una  palla  di  spesso  molto 
T opprimeva  all’  epigastrio , le  gambe  gli  si  fecero  torpide , 
pesante  ed  alquanto  edematose.  Questi  mali  ebbero  delle 
tregue  e delle  esacerbazioni , e così  passarono  quattro  anni 

t.  i.  58 


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Giovanni  Brugnoli 


in  cui  potè  attendere  a sufficienza  a’  suoi  lavori  ed  inte- 
ressi. Finalmente  dopo  una  rapida  corsa  eh’  ei  fece  essen- 
do molto  angustiato , talmente  si  alterarono  le  funzioni  del 
circolo  sanguigno  che  vennero  in  iscena  tutte  quante  le 
molestie  e le  conseguenze  del  vizio  organico  strumentale 
del  cuore  e della  inceppata  circolazione.  Dotato  come  egli 
era  di  robusta  costituzione  di  corpo , lottò  validamente , ed 
aiutandosi  con  qualche  mezzo  terapeutico  potè  passare  un’  al- 
tro anno  traendo  la  vita  alla  meglio  ; ma  lo  stato  suo  ognor 
più  peggiorò  ed  io  lo  rividdi  sui  primi  del  1855  coi  segni 
più  certi  di  una  ipertrofia  di  cuore , con  soffio  assai  rile- 
vante al  primo  suono , con  edema  agli  arti  inferiori , ed 
ingente  ipertrofia  di  fegato.  E di  più  ebbe  pur  anco  a pa- 
tire in  quel  tempo  coliche  intestinali  , qualche  enterroragia, 
diarrea  e vomiti  biliosi. 

Ad  abbreviare  la  mia  narrazione  non  mi  fermerò  a de- 
scrivere partitamente  i mali  da  lui  sofferti  nell’  ultima  fase 
di  sua  vita.  Dirò  soltanto  in  breve  eh’ ei  desiderò  d’es- 
sere accolto  in  uno  spedale,  ed  il  distinto  clinico  cav.  prof. 
Gio.  Battista  Comelli  che  meco  fu  sempre  generoso  di  be- 
nefìzi e di  favori , annuendo  ad  una  mia  domanda,  1’  accolse 
in  questa  clinica  scuola  onde  non  andasse  perduta  la  parte 
più  importante  di  una  istoria  che  per  certo  non  ha  1’  eguale 
negli  annali  della  scienza. 

Questo  uomo  dimorò  quarantadue  giorni  nella  clinica  me- 
dica, ed  ogni  più  razionale  tentativo  di  cura  tornò  affatto  va- 
no. Si  rese  invece  sempre  più  manifesto  che  1’  ipertrofia  di 
cuore , la  tolta  relazione  fra  le  parti  di  questo  viscere , in 
una  parola  il  vizio  strumentale  del  cuore  era  giunto  a tal 
grado  da  non  essere  più  conciliabile  colla  vita.  Io  quindi 
non  dirò  degli  aneliti , dell’  edema , e di  tutti  gli  altri 
mali  che  ebbe  a sostenere,  perchè  furono  quelli  che  d’  or- 
dinario soffrono  i cardio-pazienti;  rimarco  soltanto  la  con- 
gestione e la  consecutiva  ipertrofia  del  fegato,  la  quale  a 
vero  dire  sorpassò  i limiti  che  siamo  soliti  vedere,  impe- 
rocché 1’  orlo  anteriore  di  quel  viscere  poco  distava  dal- 
1*  ombellico. 

La  morte  di  quest’  uomo  accadde  il  12  Aprile  1855,  cioè 


Sopra  un  ferimento  di  cuore 


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19  anni,  7 mesi  e 19  giorni  dopo  la  riportata  ferita.  Nel 
giorno  dopo  io  stesso  feci  la  sezione  di  quel  cadavere  che 
la  cortesia  dell5  egregio  clinico  aveva  messo  interamente  a 
mia  disposizione. 

Non  mi  fermerò  a descrivere  gl*  infiltramenti , le  raccol- 
te di  siero  nel  tessuto  sotto-cutaneo,  nelle  cavità  splan- 
cniche , nè  le  varie  e marcate  iperemie , perchè  cose  ovvie 
e consuete  nei  morti  per  vizio  organico  precordiale.  Del- 
F ipertrofia  di  fegato  nuli’  altro  aggiungerò  che  è stata  una 
delle  più  voluminose  eh’  io  m’  abbia  incontrato.  Niun’  altra 
cosa  che  sia  meritevole  di  speciale  menzione  ebbi  a notare 
nel  dissezionare  la  cavità  addominale  e la  encefalica:  e 
quindi  la  più  diligente  disamina  diressi  agli  organi  del  to- 
race i quali  per  Y anamnesi  richiamavano  tutta  quanta  1’  at- 
tenzione , ed  il  cui  esame  tornava  della  più  alta  importanza. 

I pulmoni  si  presentarono  assai  voluminosi,  erano  crepi- 
tanti al  taglio  e tranne  di  qualche  porzione  congestionata  ed 
edematosa , ed  anche  carnificata  , non  riscontrai  nè  cicatrici , 
nè  aderenze  così  pronunciate  da  spiegare  la  formazione  del 
tumore  sotto-clavicolare , la  emoptoe  comparsa  qualche  tem- 
po dopo  il  ferimento.  Le  arterie  pulmonali  erano  assai 
dilatate. 

II  cuore  che  qui  io  vi  presento  fa  parte  del  Museo  di 
Anatomia  patologica  di  questa  R.  Università,  esso  già  fu 
veduto  ed  esaminato  nello  stesso  giorno  della  sezione  ca- 
daverica dal  eh.  clinico  cav.  prof.  G.  B.  Gomelli,  dal  eh. 
cav.  prof.  G.  B.  Fabbri  e da  quanti  in  allora  frequentavano 
la  scuola  di  clinica  medica,  fu  pure  osservato  da  molti 
altri  dotti  medici  ed  illustri  professori  di  questa  Università , 
fra’  quali  nominerò  i professori  Belletti,  Versari,  Calori, 
Medici , ed  il  clinico  chirurgico  il  comm.  prof.  Francesco 
Rizzoli  il  quale  anzi  da  questo  fatto  prese  occasione  per  un 
trattenimento  nella  scuola  sulle  ferite  di  questo  viscere. 

Questo  cuore  ha  per  certo  le  marche  della  ipertrofia  ec- 
centrica. In  esso  come  pure  nei  disegni  che  sottopongo 
alla  vostra  osservazione  scorgerete  da  prima  il  pericardio 
inspessito  e reso  aderente  all’  esocardo  (Fig*  1.  a,  a)  per 
numerosi  e spessi  lacerti  membranosi  (b , b ,)  formati  da 


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Giovanni  Brugnoli 


un  esudato  di  antica  pregressa  pericardite , passato  a tes- 
suto organizzato  permanente  ; in  qualche  punto  ed  ove  l’  a- 
derenza è tutta  uniforme  fra  pericardio  ed  esocardo , quel 
tessuto  cellulo-fìbroso  si  è tramutato  in  concrezione  ossea, 
e ne  vedete  una  estesa  placca,  lunga  circa  cinque  centimetri 
larga  cent.  1.  50  in  corrispondenza  dell’  orecchietta  de- 
stra ( c ) . 

Il  cuore  è lungo  cent.  13,  largo  cent.  16,  grosso  cent.  10; 
il  ventricolo  destro  (J,  d.)  è ampio,  le  sue  pareti  conta- 
no cent.  0 , 7 di  grossezza,  assai  ampia  si  offre  F arteria 
pulmonale  ( i , i ) la  quale  al  dissopra  delle  valvole  semiluna- 
ri , conta  cent.  1 0 di  circonferenza.  Portato  F esame  all’  in- 
terno di  questo  ventricolo,  nella  parete  anteriore  s’  incontra 
sui  lacerti , in  prossimità  della  valvola  semilunare  anteriore , 
un’  area  quadrata  di  circa  tre  centimetri  lunga,  (e,  e,  e) 
di  colore  bianco-opaco , variegata , formata  da  un  tessuto 
alcun  po’  rilevato  che  apertamente  si  riconosce  costituito  da 
stravenamenti  ed  infiltramenti , passati  ad  organizzazione , di 
un  antico  pregresso  processo  infiammatorio.  In  quest’  area 
e precisamente  pochi  millimetri  innanzi  all’  unione  della 
parete  anteriore  al  setto,  si  scorge  un  piccolo  cavo  (/) 
di  forma  semilunare , lungo  un  centimetro , nel  mezzo  del 
quale  si  approfonda  fra  i tessuti  parietali  la  membrana 
dell’  endocardo  e quasi  a modo  di  ernia  forma  una  pic- 
cola incavatura  da  toccare  il  pericardio.  Sezionata  in  que- 
sto luogo  la  parete  dal  lato  esterno  e tolta  la  membrana 
del  pericardio,  si  vede  manifestamente  mancare  il  tessuto 
muscolare  in  corrispondenza  di  questo  cavo  ed  essere  stato 
surrogato  da  un  tessuto  di  cicatrice.  Difatti  ivi  si  scorge 
un  piccolo  spazio  paralellogrammo , lungo  un  centimetro  , 
largo  circa  sei  millimetri,  ove  invece  di  tessuto  muscolare 
si  trova  tessuto  inodulare  non  molto  compatto  in  mezzo  al 
quale  protubera  la  cavità  formata  dall’  ernia  dell’  endocardo 
di  sopra  accennata.  Di  più  esaminando  di  contro  al  lume 
la  parete  in  discorso,  quello  spazio  quadrangolare  si  mostra 
alquanto  trasparente. 

Questo  soltanto  è per  certo  sufficiente  per  attestare  che 
la  ferita  fu  penetrante  nel  cuore  e che  le  lesioni  descritte 
ne  dimostrano  la  completa  cicatrizzazione. 


Sopra  un  ferimento  di  cuore  461 

Ma  vi  ha  di  più,  nello  stesso  ventricolo  e sulla  parete 
del  setto  interventricolare  e precisamente  di  contro  al  de- 
scritto incavo  (/.  ) da  dove  entrò  lo  strumento  feritore , si 
presenta  un5  area  circolare  ( g ) di  colore  bianco  opaco , del 
diametro  di  un  centimetro,  formata  di  tessuto  cellulo-fìbroso 
assai  denso  e compatto  e direi  anche  calloso , la  quale  pres- 
so P orlò  a destra  ha  un  piccolo  foro  rotondo  ( h ) del  dia- 
metro maggiore  di  un  millimetro , che  permette  di  passare 
con  uno  specillo  nel  ventricolo  sinistro. 

Questo  sinistro  ventricolo  poi  ha  una  cavità  molto  ampia , 
(Fig.  2),  è lunga  dieci  centimetri , ha  una  circonferenza  alla 
base  di  cent.  15;  i lacerti  muscolari  sono  assai  sviluppati  e le 
pareti  verso  la  base  sono  grosse  anche  più  di  due  centimetri , 
alla  punta  invece  non  misurano  che  6 ad  8 millimetri.  Nella 
parete  corrispondente  al  setto  e là  dove  conduce  il  forelli- 
no  (fi)  veduto  nell’  altro  ventricolo  si  trova  una  cavità  ( m , m) 
a guisa  di  un  aneurisma  delle  pareti  del  cuore.  Questa  cavità 
è di  forma  ovale,  ed  è tale  da  contenere  P apice  del  dito 
grosso  di  una  mano  ; ha  la  lunghezza  di  due  centimetri  e 
mezzo , larga  uno  e più , profonda  nel  suo  massimo  un  cen- 
timetro e mezzo  e col  suo  fondo  corrisponde  alla  macchia 
bianca  o area  circolare  ( c.  Fig.  1.)  ed  al  forellino  (A)  ve- 
duti nell’  altro  ventricolo. 

Portando  poi  le  ispezioni  anatomiche  alla  valvola  mitrale 
si  rileva  che  nell’  angolo  posteriore  della  mitra,  cioè  di  die- 
tro alla  linguetta  posteriore  (n.  Fig.  2.)  la  spaccatura  va 
fino  all’  inserzione  di  quella  colla  parete  ventricolare , ed  i 
due  lembi  od  orli  sono  convertiti  in  grossi  cordoni  tendi- 
nei (o,  o ) i quali  sembrano  formati  da  ripiegatura  dei 
lembi,  e più  da  alcuni  fili  e tendinetti  staccati  dai  mu- 
scoli papillari  e con  quelli  assieme  saldati  da  un  esudato 
di  un  pregresso  processo  infiammatorio.  Inoltre  fra  questi 
due  lembi  e là  dove  si  uniscono,  sorge  un  altro  grosso 
cordone  a guisa  di  una  escrescenza,  di  forma  vermicolare,  di 
colore  bianco-opaco  argentino,  come  i descritti  cordoni  della 
valvola  stessa,  e che  si  mostra  come  quelli  formato  di  un 
tessuto  cellulo-fìbroso , prodotto  di  flogosi  ; nel  restante  la 
valvola  nulla  ha  di  anormale.  Al  disotto  poi  di  quella  prò- 


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Giovanni  Brugnoli 


minenza  vermiforme  ( p ) nella  parete  ventricolare  si  rin^ 
viene  una  fossetta  (q)  di  forma  quasi  ovale,  lunga  circa 
un  centimetro,  di  colore  bianco-opaco  e quindi  assai  dif- 
ferente dalle  parti  vicine  dell’  endocardo  ; il  tessuto  che 
tappezza  questa  fossetta  è sempre  cellulo-fibroso , grosso  an- 
che più  di  un  millimetro , al  dissotto  di  esso  vi  hanno  gli 
strati  di  sostanza  muscolare  non  alterati. 

L’  aorta  ha  una  circonferenza  di  sei  centimetri,  è cioè 
poco  più  della  metà  dell’  arteria  pulmonale.  Aggiungerò  in 
fine  che  vi  era  qualche  placca  ateromatosa  nell’  orecchiet- 
ta sinistra. 

Chiunque  si  faccia  a ponderare  le  circostanze  principali 
della  istoria  che  ho  narrato  e si  accinga  a porle  nelle  loro 
rispettive  correlazioni , mi.  sembra  non  possa  a meno  di  non 
riconoscere  che  lo  strumento  feritore  che  percosse  il  De- 
iucca sul  petto  a sinistra  in  vicinanza  dello  sterno , si  insi- 
nuasse nel  secondo  spazio  intercostale.,  che  tenendo  una  di- 
rezione dall’  alto  al  basso  e forse  anche  dall’  esterno  al- 
P interno  perforasse  non  solamente  il  pericardio , ma  ezian- 
dio trapassasse  la  parete  anteriore  del  ventricolo  destra, 
s’  impiantasse  nel  setto  interventricolare , penetrasse  nel 
ventricolo  sinistro  e giungesse  a ledere  perfino  la  valvola 
mitrale  e P endocardo  ancora  che  trovasi  sulla  opposta  pa- 
rete posterióre  del  ventricolo  stesso  di  dietro  dalla  valvola 
or  or  nominata , per  cui  poco  mancò  che  il  cuore  non  ri- 
manesse trapassato  da  parte  a parte.  Le  marche  difatti  che 
ce  ne  danno  le  alterazioni  anatomiche  mostrano  palesemente 
mancare  il  tessuto  muscolare  in  uno  spazio  quadrangolare 
della  parete  anteriore  del  ventricolo  destro , in  un  tratto 
del  setto , ed  essere  rimpiazzato  da  tessuto  cicatrizio  ; di  più 
se  si  conduca  una  linea  retta  che  passi  per  la  cicatrice  esi- 
stente nella  parete  anteriore  di  quel  ventricolo , e per  quella 
del  setto  e innanzi  venga  prolungata  si  arriva  a toccare 
quel  punto  dove  la  valvola  mitrale  è divisa , dove  è ingros- 
sata , dove  vi  ha  quella  escrescenza  vermiforme  di  tessuto 
fibroso , bianco-opaco , quella  fossetta  e quella  macchia  su- 
periormente descritte.  D’  onde  risulta  che  tutte  quante  le 
alterazioni  consistenti  in  un  esudato  infiammatorio  passato 


Sopra  un  ferimento  di  cuore 


463 


all*  organizzazione  e trovate  e nell’  uno  o nell’  altro  ventri- 
colo , essendo  assai  circoscritte  e localizzate , essendo  su  una 
stessa  linea,  mostrano  direi  con  certezza  che  sono  derivate 
dalla  ferita.  Inoltre  se  si  esamini  quella  valvola  non  si  rin- 
viene alterata  che  solamente  nella  località  descritta,  donde 
si  può  ricavare  un  altro  argomento,  che  la  lesione  che  vi  si 
osserva  non  è opera  di  un  processo  flogistico  da  cause  co- 
muni , da  fondo  reumatico , imperocché  in  allora  si  pre- 
senterebbe estesa  diffusa  a tutta  la  valvola;  ma  invece  la 
lesione  essendo  bensì  assai  rilevante  ma  parziale  e limitata 
ad  una  piccola  porzione  di  quella  e piuttostochè  vederla 
continuata  sulla  valvola,  si  presenta  molto  pronunziata  nel- 
P endocardo  corrispondente , mi  sembra  che  faccia  invece 
conoscere  che  tutta  locale  fu  la  causa  del  processo  flogistico 
che  produsse  quegli  esudati  che  ho  descritto,  e quindi 
che  si  devono  alla  ferita  che  dobbiamo  ritenere  arrivasse 
fìn  là. 

Ora  volendo  io  in  breve  soltanto  accennare  la  parte  di 
fisiologia  patologica  di  questo  fatto , dirò  sembrarmi  che 
per  la  ferita  del  ventricolo  destro  avesse  luogo  una  emor- 
ragia nel  pericardio,  la  quale  non  sarà  stata  per  certo  in 
tanta  copia  da  arrestare  i moti  del  cuore  e ridurre  que- 
st’ uomo  morto  ictu  fulmineo.  Non  mi  fermerò  a ricercare 
quale  fosse  la  cagione  che  arrestasse  quell’  emorragia,  per- 
chè non  è avvenimento  raro  che  una  ferita  vera  di  cuo- 
re abbia  lasciato  sopravivere  per  qualche  tempo  P uomo 
che  la  ebbe;  sia  poi  per  la  contrazione  delle  libbre  mu- 
scolari che  chiudendo  il  foro  permettono  all’  esudato  in- 
fiammatorio, che  ne  segue,  di  agglutinare  le  parti  divi- 
se e portarne  la  stabile  chiusura,  sia  che  lo  strumento 
feritore  seco  abbia  tratto  lembi  del  pericardio  i quali  rimasti 
nel  tramite  della  ferita  abbian  cooperato  a chiuderla.  Egli 
è certo  però  che  dopo  la  ferita  si  suscitò  una  pericardite 
il  cui  esudato  in  parte  almeno  vediamo  ora  passato  all’  orga- 
nizzazione e trasformato  fino  in  sostanza  ossea.  La  ferita  del 
setto  interventricolare  avrà  dato  luogo  ad  una  comunica- 
zione fra  i due  ventricoli  ed  al  passaggio  del  sangue  dal- 
P uno  nell’  altro , e ciò  tanto  più  facilmente  sarà  avvenuto 


464 


Giovanni  Brugnoli 


in  quanto  che  la  ferita  cadde  in  quella  porzione  di  setta 
ove  le  libbre  muscolari  sono  rade  e lasciano  uno  spazio 
triangolare  tendineo  ; e dell’  esistita  comunicazione  mi  dà 
seguo  quella  cicatrice  assai  notevole , quel  forellino  che  tut- 
tora rimane  ; me  ne  dà  sicurezza  la  cavità  aneurismatica 
che  si  trova  nella  parete  corrispondente,  la  straordinaria 
dilatazione  dell’  arteria  pulmonale  ; e difatti  egli  è certo  che 
per  essere  il  ventricolo  sinistro  superiore  per  forza  al  de- 
stro , perchè  fornito^  di  pareti  più  grosse  e robuste , il  san* 
gue  deve  essere  passato  daf  sinistro  al  destro  ; e siccome 
la  massa  di  sangu#  progettata  contro  1’  apertura  anomala 
avrà  trovato , nel  percorrere  il  tramite  della  ferita , maggior 
resistenza  dal  lato  dell’  estremità  che  comunica  col  ventri- 
colo destro , perchè*  là  appunto  y’  era  la  massa  del  sangue 
compressa  le  spintavi  di  contro  dalle  pareti  del  ventricolo 
pulmonale,  là  appunto  accadeva  il  contrasto  fra  1’  onda  san- 
guigna spinta  dal  ventricolo  destro  e quella  del  sinistro, 
là  quindi  la  maggiore  resistenza , per  cui  la  ragione  della 
dilatazione  del  tramite  della  ferita  in  forma  conoide  col- 
1’  apice  dal  lato  della  maggior  resistenza,  cioè  dal  lato  del 
ventricolo  destro.  Questo  ventricolo  poi  sopracaricato  di  una 
porzione  di  sangue  pervenuta  dal  sinistro  avrà  portato  la  di- 
latazione dell’  arteria  pulmonale  che  vediamo  essere  cosi 
notevole. 

Nè  ad  infirmare  una  tale  interpretazione  Concorrono  a 
mio  avviso  le  molte  osservazioni  anatomico-patologiche  di 
comunicazione  in terventricolare  raccolte  fin  qui,  nelle  quali 
invece  vediamo  congiunto  il  restringimento  dell’  arteria  pul- 
monale , e durante  la  vita  dei  pazienti  vi  fu  la  cianosi , di 
che  mai  ebbe  segno  il  Deiucca  ; imperocché  basta  riflettere 
che  studi  accurati  di  quella  concomitanza  delle  due  alte- 
razioni strumentali  accennate  ,*cioè  a dire  comunicazione  in- 
terventricolare  e restringimento  dell’  arteria  pulmonale  , han- 
no condotto  a ritenere  che  il  ristringimento  dell’  arteria 
pulmonale  specialmente  congenito  sia  invece  la  causa  della 
comunicazione  interventricolare  : diflatto  in  allora  il  sangue 
del  Ventricolo  destro  trovando  ostacolo  a proseguire  per 
P arteria  pulmonale  fa  impeto  e forza  Contro  le  pareti  ven- 


Sopra  un  ferimento  di  cuore 


465 


tricolari , ed  essendo  quelle  del  setto  in  uno  spazio  trian- 
golare, come  sapete,  prive  o scarse  di  fibbre  muscolari,  quivi 
lacera  ed  erompe  nel  ventricolo  sinistro , ed  allora  il  san- 
gue venoso  del  destro  passa  nell’  arterioso  del  sinistro,  al- 
lora soltanto  si  osserva  la  cianosi. 

Riandando  poi  la  istoria  di  questo  ferimento  ne  risulta 
che  ben  pochi  ed  imperfetti  dati  si  ebbero  per  farne  la 
diagnosi,  per  conoscerne  la  sede  e le  intime  particolarità. 
È notato  il  tremore  fellino,  il  quale  è*  sintoma  comune  a 
parecchie  lesioni  cardiache  e di  incerta  significazione  il  quale 
ora  ritengo  nel  caso  in  discorso  legato  alla  comunicazione 
interventricolare,  al  commescolamento  del  sangue  arterioso  al 
venoso. 

Questa  circostanza  organico-strumentale  avrà  pure  contri- 
buito nel  produrre  il  fortissimo  rumore  di  soffio  che  vi  aveva 
col  primo  suono;  che  se  tale  rumore  sistolico  ha  persistito 
fino  al  termine  della  vita  quando  non  vi  aveva  passaggio  di 
tale  quantità  di  sangue  da  averne  ragione , vi  ha  un’  altra 
circostanza  organica  che  ce  lo  spiega , e questa  si  è la  rile- 
vante dilatazione  dell’  arteria  pulmonale.  Diffatti  quel  ru- 
more sistolico  aveva  il  massimo  d’  intensità  alla  base  del 
cuore , non  si  estendeva  lungo  1’  aorta  e le  carotidi  come 
fa  nel  restringimento  aortico , onde  è a ritenere  che  avesse 
sede  nell’  arteria  pulmonale  ; e se  si  consideri  al  luogo  ove 
sul  torace  fu  data  la  ferita,  cioè  fra  la  seconda  e terza  costa 
sinistra  presso  lo  sterno,  cresceranno  gli  argomenti  che  avran- 
no fatto  ritenere  che  la  ferita  avesse  portato  lesione  al- 
1’  arteria  pulmonale  e si  fosse  dato  luogo  ad  un  aneurisma 
di  questa.  Ed  in  vero  tale  era  il  diagnostico  eh’  io  ne  ave- 
va fatto,  tale  quello  pure  del  Breventani  il  quale  nel  suo 
Manuale  di  Ascoltazione  (1)  dietro  una  osservazione  di  Hope, 
dietro  alcuni  argomenti  d’  induzione  e dietro  il  caso  in  di- 
scorso che,  diceva,  ho  ora  in  osservazione  ed  in  cui  mi 
pare  molto  probabile  vi  esista  1’  aneurisma  della  pulmona- 
ìe,  si  faceva  a stabilire  i segni  indicanti  questa  rarissima 


(1)  pag.  261.  Prima  edizione.  Bologna  1838. 

T.  i. 


59 


466 


Giovanni  Brugnoli 


alterazione , i quali  anche  dall’  ulteriore  disamina  di  quel 
fatto  sono  stati  pienamente  confermati. 

Per  non  abusare  della  sofferenza  Vostra  A.  P.  non  mi 
fermerò  a considerare  questa  istoria  sotto  il  punto  del  bril- 
lante successo  ottenuto  per  la  cura  del  Valsalva,  perchè  que- 
sta ne  conta  già  molti  e sì  rilevanti  da  meravigliare  come 
così  di  rado  vi  si  abbia  ricorso,  e la  si  vegga  da  molti 
messa  in  dimenticanza. 

Permettetemi  però  che  non  tralasci  di  far  cenno  dell’  im- 
portanza grandissima  che  ha  il  fatto  narratovi  sotto  il  ri- 
spetto medico-forense  e in  riguardo  alla  tesi  : se  le  ferite  pe- 
netranti nel  cuore  sieno  assolutamente  insanibili.  Voi  già 
sapete  come  negli  antichi  tempi  fosse  opinione  comunemente 
accettata  e anche  da  alcuni  a’  dì  nostri  professata , che  le 
ferite  penetranti  nel  cuore  fossero  sempre  ed  assolutamente 
mortali  ; come  alcuni  altri  e fra  gli  antichi  il  Benivieni , 
P Haller  e la  più  parte  dei  patologi  d5  oggidì  tenessero  in- 
vece la  sentenza  che  quantunque  i fatti  di  sopravvivenza 
a ferite  perforanti  di  cuore  fossero  estremamente  rari , pure 
se  ne  contavano  alcuni,  ed  in  tutte  quante  le  opere  che 
trattano  di  quest’  argomento , si  citano  specialmente  i casi 
riferiti  da  Velpeau  , Laugier , Latour  d’  Auvergne  , Faget.  ec. 

Voi  sapete  ancora  che  pochi  anni  or  sono  un  chiarissi- 
mo professore  della  Toscana , della  cui  amichevole  relazio- 
ne grandemente  mi  compiaccio , 1’  illustre  cav.  Ferdinando 
Zanetti  pubblicava  un  libro  intitolato  : Studi  sopra  i feri- 
menti di  cuore  più  specialmente  pella  utilità*  della  pratica 
medico-forense , nel  quale  svolgendo  1’  argomento  sotto  molti 
e diversi  aspetti  e nel  dare  soluzione  alla  tesi  a se  stesso 
proposta,  se  cioè  tutte  le  ferite  del  cuore  sieno  insanabili  e 
quali  lo  sieno , porta  un  esame  critico  sopra  i casi  di  narrata 
guarigione  eh’  ei  ritrae  da  una  statistica  di  159  fatti  che  ha 
raccolto  da  opere  pubblicate , dall’  esercizio  pratico  di  lui 
e di  qualche  suo  amico.  E con  questo  esame  egli  si  fa  a 
mostrare  che  i casi  narrati  da  Weber  (1),  e da  Latour 


(1)  Senac.  Trailé  de  ia  structure  du  Coeur  et  de  ses  maladies  T.  2.  p.  369. 


Sopra  un  ferimento  di  cuore  * 467 

d’  Auvergne  (1)  sono  da  riferirsi  non  a ferite  vere  con  di- 
scontinuità di  tessuti , ma  a disgregazioni  interfibrillari , a 
ferite  non  penetranti,  perchè  una  palla  involta  nel  peri- 
cardio si  è insinuata  fra  le  fibbre  del  setto  senza  passare 
in  alcuna  cavità  ; mostra  pure  che  nel  giovane  di  Fourby  (2), 
che  sopravisse  quattro  anni , fu  notata  una  cicatrice  all*  api- 
ce del  cuore,  ma  non  è indicato  se  dessa  occupasse  tutta 
quanta  la  spessezza  della  parete  e attestasse  di  una  fe- 
rita penetrante;  lo  stesso  è detto  (pag.  113)  della  ci- 
catrice dell5  uomo  che  sopravisse  sei  anni  di  cui  ha  par- 
lato Faget  (3),  e mostra  anco  (pag.  113)  ch’egli  è a 
dubitarsi  della  penetrazione  della  ferita  nel  carbonaio  che 
visse  dopo  nove  anni , narrata  dal  Velpeau  (4) , perchè 
quantunque  nell’  interno  del  cuore  vi  fosse  in  corrispon- 
denza della  cicatrice  esterna  una  macchia,  un  ingrossamento 
dell’  endocardo , pure  non  può  essere  escluso  che  la  ferita 
arrivasse  sino  a quella  membrana  senza  lederla,  cioè  non  fosse 
penetrante  e che  la  flogosi  col  suo  esudato  al  dissotto  del- 
1’  endocardo  avesse  portato  quell’  effetto  come  altri  fatti 
gli  avevano  dimostrato.  I casi  poi  riferiti  da  Akenside , da 
Larrey , da  Ghastonnet  rimangono  tanto  dubbi  da  non  po- 
terli in  niun  modo  considerare.  Per  cui  con  molta  ragione 
concludeva  ( p.  191)  che  se  è ammessa  come  possibile  la 
guarigione  delle  vere  ferite  penetranti  in  alcuna  cavità  car- 
diaca, i fatti  addotti  a provarne  1’  effettivo  avvenimento  e 
che  si  sono  basati  sopra  alcune  cicatrici  incontrate  nel  cuore 
d’  individui , nei  quali  in  altro  tempo  fu  diagnosticato  fe- 
rito il  detto  centro  circolatorio , non  sono  per  ora  tanti , nè 
così  limpidi  perchè  sieno  esenti  da  ogni  eccezione. 

Ora  se  si  consideri  il  fatto  che  ho  narrato , se  pongasi 
mente  alle  aderenze  indicanti  la  pregressa  pericardite,  alla 
cicatrice  con  mancanza  di  fibbre  muscolari  nella  parete  an- 


(!)  Histoire  philosophique  et  médicale  des  causes  essenliels  des  héraorragies. 
T.  I.  p.  75. 

(2)  Dictionnaire  des  études  médicales  pratiques.  Tom.  3. 

(3)  Idem  T.  3. 

(4)  Traité  coroplet  d’anatomie  chirurgicale.  Braxell.  1834  p.  177. 


468 


Giovanni  Brugnoli 


tenore  del  ventricolo  destro  e del  setto , alla  cicatrice  sulla 
valvola  mitrale,  a quella  sulla  paréte  posteriore  del  ventri- 
coli sinistro  ; se  pongasi  mente  che  quest’  uomo  sopravvis- 
se c[uasi  venti  anni,  che  ricuperò  tanta  salute  da  bastare 
a’  suoi  bisogni  e come  dissi  a’  suoi  desideri  per  fino , non  si 
può  a meno  di  venire  nella  sentenza  che  desso  è il  più 
importante,  il  solo  caso  decisivo  fra  quelli  fin  qui  citati  (t), 
che  desso  senza  eccezione  prova  che  effettivamente  è possi- 
bile ed  avvenuta  la  guarigione  di  una  ferita  con  vera  di- 
scontinuità delle  fibbre  e dei  tessuti  e penetrante  nel  cuore. 

E qui  pongo  fine  colla  speranza  che  mi  condonerete 
se  fui  lungo  e minuto  nella  parte  descrittiva  del  mio  di- 
scorso , imperocché  conoscerete  eh’  io  non  poteva  farne  a 
meno  sottoponendo  questo  fatto  morboso  alla  vostra  consi- 
derazione al  vostro  esame , il  quale  porterà  ad  esso  un  va- 
lore incalcolabile , 1*  assentimento  ed  il  giudizio  valevolis- 
simo di  una  delle  più  celebri  Accademie. 


(1)  la  seguito  sulla  Gazette  Médicale  <f  Orient  ho  trovato  essere  stato  riferito 
dal  Dott.  Miihlig  il  fatto  di  un  ferimento  di  cuore  assai  importante  e in  qual- 
che punto  analogo  a quello  che  è oggetto  del  presente  discorso.  » Il  ferito  quan- 
tunque si  fosse  ristabilito  e potesse  attendere  alla  sue  ordinarie  occupazioni , 
notava  fino  dall’  epoca  del  ferimento  un  rumore  di  soffio  al  cuore.  All’  autossia 
si  verificò  pressoché  in  linea  retta  una  cicatrice  sul  torace,  un  aneurisma  par- 
ziale del  ventricolo  destro,  una  perdita  antica  della  sostanza  del  setto;  lo  sti- 
letto penetrava  non  solamente  nel  ventricolo  destro,  ma  traversando  il  setto 
entrava  nel  ventricolo  sinistro.  Nessun  corpo  straniero  era  rimasto  nel  cuore 
a tamponarne  la  ferita.  La  morte  avvenne  dieci  anni  più  tardi  per  le  conse- 
guenze di  tale  ferita  o per  meglio  dire  di,  endo-pericardite  sviluppatasi  in  se- 
guito ad  essa  ; ma  nè  1’  aueurisma  del  cuore , nè  la  perforazione  del  setto  con- 
tribuirono essenzialmente  alla  morte.  » 11  Dott.  Miihlig  dopo  avere  cercato  di 
spiegare  le  diverse  fasi  di  quel  fatto,  termina  dicendo  essere  questo  il  caso  che 
abbia  offerto  il  primo  esempio  autentico  di  guarigione  di  aneurisma  parziale 
falso  o traumatico  del  cuore  e lo  sostiene  combattendo  gli  argomenti  coi  quali 
altri  avevano  fino  allora  preteso  di  avere  fatto  consimili  osservazioni.  ( Veggasi 
anche  in  proposito  la  Gazzetta  Medica  Italiana.  Lombardia  Ser.  4.  Tom.  6. 
(1861)  p.  243). 


Brugiioli -Ferimento  di  cuore 


Mem.Ser.il?  Tom  .1. 


C .Minardi  dia. 


Mem  Ser.ffiToml. 


Bru^uoli  _ Ferimento  di  cuore 


J.  JOSEPHI  BIANCONI 

SPECULA  ZOOLOGICA  MOZAMBICANA 

F ASCICULUS  XIII.  (*) 


De  Réptilìbus. 


Eumeces  afer.  — Peters. 

(Gatalogus  Amphibior.  1854.  sp.  33). 

Unum  individuum  quod  tantummodo  ab  Equ.  Fornasinio  do- 
no accepimus , colore  bruneo-yiolascente  superne,  et  ad 
latera  distinguitur  ; veruntamen  regio  haec  maculis  pluri- 
mis  albis,  quae  aliis  nigricantibus  intercedunt,  est  va- 
riegata. Inferne  ex  albo  flavescens , maculis  levissimis 
cinereis  conspersa. 

Ejus  cauda  prope  basim  obtruncata  fuit,  et  postea  iterum 
reproducta  ; ex  hoc  brevissimam , crassam , et  conicam 
habemus.  Pars  reparata  a cetera  corporis  parte  propter 
uniformem  colorem  brunescentem  supra , et  bruneo-al- 
bescentem  subtus  distinguitur,  praesertim  si  comparetur 
vicinis  partibus , quae  variegatae  sunt  albo  et  cinereo 
colore. 

Uriechis  nigriceps.  Peters. 

( Catalog.  Amphibioi*.  spec.  57.  — Elapomorphus  capen- 
sis  Smith). 

Scuta  gasterostegia  108  — urostegia  20. 


(*)  Senno  habitus  in  convento  Academiae  die  6 Martii  anni  1862. 


470 


J.  J.  Bianconi 


Lycognathus  leucocephalus . Dum. 

( Dipsas  leucocephala  Sebi.  ) 

Ab  Ed.  Verreaux  Parisiis  emi  anno  1850  parvulum  serpen- 
tem , cui  nomen  factum  erat  Platycephalus  annulatus , 
Còte  Mosambique.  Huic  tamen  conveniunt  characteres 
omnes  qui  Dipsae  leucocephalae  a Schlegelio  assignantur , 
et  qui  Lycognatho  leucoc.  a Dumeril  traduntur.  Item  et 
Figura  a Mikan  in  — Gonspectu  florae  et  faunae  brasi» 
liensis  — exhibita  Fasciculo  primo  huic  respondet.  Exem- 
plaria  omnia  quae  hucusque  ad  musaea  pervenerunt , cun- 
cta  e Brasilia  educta  dicuntur;  quo  circa  ex  traditione 
praedicta  Verreauxii  arguendura  est  speciem  hanc  Brasi» 
barn  aeque  ac  Africana  inhabitare,  quemadmodum  Africam 
occidentalem  incolunt  species  aliae  e genere  Lycognatus. 
■ — Dubitative  tamen  Ophidium  hoc  inter  mosambicana 
recenseo. 

Color  ejus  generaliter  ex  albo  luteus.  Dorso  38  maculae 
rubro-brunneae  subquadratae , et  transversae  pinguntur  ; 
quarum  26  ad  corpus,  et  12.  ad  caudam  spectant.  La» 
tera  punctis  ejusdem  coloris  ornantur. 

Gasterostegia  237  — Urostegia  72. 

PROSYMNA  JANII.  Nob. 

(Reptilia  Tab.  1.) 

(Genus  Prosymna  Gray.  Catalog  of  thè  specimens  of 
snakes.  Lond.  1849  pag.  90  n.  37). 

P.  squamis  carìnatis  s ex  albido  rufa , corpore  rufo  senatim 
nigro  maculato , capite  et  nucha  fasciis  transversis  nigris 
inter  se  connexis. 

Descriptio.  Inter  caput  et  corpus  nulla  distinetio.  Corpus 
teres  vix  fusiforme  ; a mediana  regione  ad  caudam  usque 
decrescens.  Haec  brevis  et  tenuis,  jam  ab  origine  sua 
corpore  subtilior , in  acumen  desinit. 


Spegimina  Zoologica  Mosambicana 


471 


Caput  breve  et  exiguum,  antice  depressum  rotundatum. 
Maxilla  superior  infera  productior.  Scutum  rostrale  antice 
rotundatum  , supra  depresso-convexum , subtus  plano-  in- 
cavatura , retrorsum  velut  in  cornua  porrigitur  sub  scuta 
nasalia.  Scutum  praefrontale  unicum,  transversim  exten- 
sum  inter  duo  nasalia , secundum  longitudinem  vero  bre- 
ve. Frontale  posterius  vix  paulo  longius  ; transversim 
vero  latissimum  ita  ut  oculos  prope  pertingat.  Ejus  mar- 
go  posterior  undulatus.  Scutum  nasale  unum  utrinque 
inter  rostrale,  praefrontale,  et  frenale  situm;  attingit 
vero  et  frontale  posterius,  et  labiale  primum.  Rima  a 
nari  ad  medium  scuti  frenalis  porrigitur.  Frenale  gran- 
diusculum.  Praeorbitalia  duo  perexigua.  Postorbi talia  tria 
exigua  ; quorum  medium  tamen  majus.  Labialia  superiora 
sex  : tertium  et  quartum  oculum  attingunt  : tria  priora 
minora  sunt,  primum  vero  omnibus  minus.  — Labialia 
infera  septem  ; quintum  majus.  Scuta  temporalia  tria , 
videlicet  1-4-2. 

Oculi  mediocres,  supra  juncturam  tertii  et  quarti  labialis 
sistunt  : pupilla  rotunda. 

Squamae  breves  rhombeo-exagonae , carinatae  : prope  caput 
laeves.  — Quae  caudam  obtegunt  subrotundae,  carinà 
obtusissimà.  Series  in  corpore  17. 

Scuta  ventralia  117.  Anale  divisum. 

Scuta  subcaudalia  32.  duplicia. 

Color , in  Alcohole , supra  subrubens , subtus  ex  albido  lu- 
tescens.  Fascia  nigra  trans  versa  ante  oculos , et  oculos  ipos 
attingens,  et  retro  ultra  procedens  cum  magna  fascia 
occipitali  conjungitur  ; huic  succedit  fascia  major  nucha- 
lis.  Series  duplex  macularum  sensim  in  punctos  decre- 
scentium  latera  dorsi,  per  duas  e tribus  longitudinis 
partes,  ornant.  Series  item  punctulorum  nigrorum  latera 
percurrunt  prima  corporis  parte.  Caudà  immaculata. 

Differt  a Pr.  melegride  Gray.  quae  distinguitur  squamis 
laevibus  colore  azureo  nigrescente  oculis  juncturae  se- 
cundi,  et  tertii  scuti  labialis  superimpositis.  Scutis  la- 
bial.  5.  Se.  praeorbitalibus  unicis,  postorbitalib.  1.  vel.  2. 

Speciem  dicavi  nomini  in  scientiarum  republica  darò  Geor- 


472 


J.  J.  Bianconi 


gii  Ian , qui  praesertim  de  Ophiologia  summopere  est 
beriemeritus , propter  magnae  molis  Iconographiam  quam 
edendam  assumpsit , et  propter  insignem  Ophidiorum 
collectionem  quam  mediolanensi  Musaeo  compara vit.  De 
me  vero  benemeritus  propter  notitias  et  declarationes 
quas  mihi  benevole  communicavi t. 

De  Piscibus. 

Apogon  quadrifasciatus  ? Cuv.  — Val. 

Quatuor  exemplaria  a Mosambico  accepta  ad  hanc  specie  m 
adscribere  possumus  , quam  Peters  in  suo  Catalogo , an- 
no 1855  edito,  memorat  sub  numero  l.°  Attamen  di- 
screpant  characteribus  nonnullis,  quos  hic  enumerabo; 
et  ideo  zoologis  judicandum  dimitto , utrum  varietatem, 
vel  potius  speciem  statuere  valeant. 

Pinnarum  radii  sunt. 

D.6+Ì-A2  +'8  — P.  12.  V.  1 + 5. 

Numero  igitur  differunt  quatenus  Dorsalem  spectat,  si  com- 
parentur  exemplaria  nostra  cum  descriptione  a Cuv.  Val. 
exhibita.  Veruntamen  icones  a White  traditae  ( Voyage 
à la  nouvelle  Galles  du  Sud) , et  inter  illas  quae  speciem 
hanc  repraesentant  recensitae , numerum  praebent , uti  vi- 
detur , aequalem  illi , qui  est  proprius  Speciaei , Apogon 
rex  mullorum  dictae.  In  hac  vero  sunt  D 6 -+-  — A 

2 -+-  8 ec.  Ideo  conjicere  datum  èst  latitudinem  quamdam 
haberi  circa  hunc  characterem. 

In  Alcohole  servata  exemplaria  haec  colore  pinguntur  ge- 
nerali brunneo , zonis  argenteis  ab  oculìs  ad  caudam  de- 
currentibus  distincta;  cauda  vero  duabus  lineis  nìgrican- 
tibus  ad  latera  tingi  videtur.  Argentea  alia  fascia  incom- 
pleta est  secus  pinnas  branchiales.  Pinnae  omnes  luteo- 
lae , ventralibus  demptis  quae  sunt  nigricantes.  Corporis 
sqperficies  ut  plurimum  mutabilis  (cangiante).  Ad  basim 
Pinnae  dorsalis  duae  maculae  leves  brunneae  adsunt , quae 
ad  latera  in  utraque  parte  Pinnae  ejusdem  protenduntur. 


473 


Specimina  Zoologica  Mosambicana 
SERRANUS  POROSUS.  Nob. 

( Piscium  Tab.  2.  fig.  2.) 

cute  capitis  ( operculo  dempto)  undique  porosa , granulato 
lineata  y ad  labia  usque  protensà.  Caudà  furcata 

D.  9 -4-  10.  P.  12.  V.  1 + 5.  A 3 + 8.  C.  17. 

Caput  acutum  declive  maxillis  subaequalibus.  Oris  hiatus 
parvus  minime  attingens  oculos , qui  magni  sunt  et  ca- 
pitis profilum  tangentes  : occipiti  magis  quam  rostro  pro- 
piores.  Nares  oculis  proximae;  harum  posterior  pervia. 
Dentes  circa  os  inaequales  ; canini  praesertim  validi  : pa- 
latini exigui.  Genae,  caput  supra  antice,  praeoperculi 
et  mandibulae  squamis  carent,  et  obducuntur  cute  gra- 
noso-nodulosa , et  rivulosa  poris  minimis  undique  pertusa. 
Pars  postica  ossis  maxillaris  superioris  eadem  cute  pro- 
tegitur.  Operculi  squamosi,  spinae  prope  laminares , su- 
perior  perexigua.  Praeoperculi  margines  prope  angulum 
breviter  serrati.  Linea  lateralis  vix  conspicua  gyro  dorsi 
parallela  ; et  ipsi  proxima.  Pinna  caudalis  ad  basim  squa- 
mulis  plurimis  obducta.  Squamae  omnes  corporis  majuscu- 
lae , seriebus  decem  et  octo  longitudinalibus  ad  summum 
dispositae.  Dorsalis  anterior  valde  descendens  dum  ad  po- 
sticam  accedit.  Pectoralis  oritur  in  linea  quae  intercedit 
inter  primum  radium  dorsalis,  et  basim  ventralium. 

Color  piscis  in  Alcohole  servati  supra  brunneus , inferne  di- 
lute  folvus.  Squamae  omnes  parte  centrali  obscuriori. 
Gula  albida.  Pars  superior  capitis , et  fascia  verticalis  in 
radice  Pinnae  caudalis  fosca. 

Longitudo  tota  Poli.  4.  lin.  3. 

Altitudo  maxima  Poli.  1.  lin.  3. 

Distantia  ab  apice  rostri  ad  spinam  operculi  Poli.  1 lin.  3. 

Serranus  hic  ad  primam  sectionem  Cuvierii  (pa g.  211.) 
pertinet,  videlicet  genìs  nudis.  Ad  neminem  ex  iis  a 
Petersio  descriptis  pertinere  videtur  (Peters  catalog  1855. 
n.°  15,  17,  18,  19,  20.)  propter  radiorum  numerum 
in  Dorsali  pinna.  Propter  eamdem  causam  neque  ad  eas, 
t.  i.  60 


474 


J.  J.  Bianconi 


quas  Smith  descripsit,  et  Castelnau  (Mémoire  sur  les 
Poissons  de  Y Afrique  australe.  Paris  1861.)  pertinere 
videtur. 

SGORPAENA  DIEPIPTERA.  Nob, 

(Piscium  Tab.  2.) 

Primo  intuitu  speoiem  quam  icone  expressam  tabula  2.fig.  1. 
exhibeo , ad  scorpaenas  non  pertinere  videretur  propter 
duos  characteres  non  parvi  momenti , scilicet  propter  Pin- 
nam  dorsalem  divisam  in  duas  partes , anteriorem  et  po- 
steriorem  ? et  propter  defectum  ( si  reete  novi  ) appen- 
dicularum  cutanearum.  Nihilominus  ad  hoc  genus  adscri- 
bendam , potiusquam  ad  aliud  censeo , ex  eo  quod  pro- 
cul  dubio  ex  Familia  Cephalotes  est,  in  qua  nulla  alia 
descriptio  generum  quae  in  ipsa  numerantur  nostro  Pisci 
convenit.  Et  insuper  non  egemus  exemplis  Scorpaenarum 
in  quibus  Pinna  dorsalis  sit  non  unica:  nam  species 
americana  quam  Hemitrìpteram  Cuvierius  dixit , ex  divi- 
sionibus  ejusdem  pinnae  dixit  ; et  Sectio  est  quaedam 
generis  Scorpaenae  in  qua  dorsalis  pinna  plus  minus  in 
tres  partes  distinctam  videmus. 

Speciem  ergo , quam  describendam  sumo  intermedia  est  in- 
ter Scorpaenas  cum  unica  Epipterà , et  illas  quae  sub- 
tripteram  habent.  Gum  nomen  ex  hoc  charactere  eduxe- 
rim , ideo  eam  Scorp.  diepipteram  nuncupavi. 

Se.  pinna  dormii  duplici , genis  squamosis , capite  spinuloso, 
appendicibus  mollibus  nullis . 

D.  6 -h  10.  P.  19.  A.  8.  V.  5.  G.  17. 

Corpus  compressum , elatum , et  gibbosum  in  regione  pri- 
mae  pinnae  dorsalis  ; rectilineum  ferme  in  margine  ven- 
tris.  Ejus  Longitudo  tota  quadruplex  altitudine  maxima. 
Caput  depressum , ad  regionem  operculorum  valde  turgi- 
dum.  Oculi  laterales,  mediocres , in  altum  siti.  Margo 


Specimina  Zoologica  Mosambicana  475 

superior  orbitarum  supra  capitis  verticem  extollitur , et 
minimis  denticulis  serratus.  Alia  consimili  crista  serrata 
ex  angulo  oculi  vix  supra  naricem  posteriorem  ad  labium 
usque  protenditur;  et  duae  minores  aliae  ex  labio  su- 
periore ascendunt  circumeuntes  tuberculum  majusculum 
pyramidatum , paulo  supra  labium  situm.  Inter  oculos 
spatium  intercedit  incavatum  ac  nudum , quod  ad  for- 
mam  canalis  complanati  extenditur  supra  oculos , et  re- 
trorsum  usque  ad  angulum  superiorem  hiatus  branchialis. 
Praeoperculum  prope  integrum  ; aculeus  vero  in  media 
fàcie  ejusdem  porrigitur.  In  operculo  spina  est  lata  et 
plana  quae  aliquantulum  descendit  deorsum  ; et  huic  paulo 
supra  emergit  apex  alterius  spinae  partim  squamis  sup- 
positae. 

Maxillae  dentibus  minimis , et  creberrimis  lata  zona  dispo- 
siti armatae.  In  palato  quoque  sunt  dentes  minimi. 

Squamae  magnae  transversim  rhombeae , margine  libero  ci- 
liatae , corpus  tegunt.  Aliae  minores , et  similes  genas 
et  operculum  obtegunt. 

Pinna  dorsalis  bipartita.  Inter  partem  anteriorem  et  posti- 
cam  spatium  intercedit  in  quo  duae  squamae  sitae  sunt. 
Ideo  duae  pinnae  sunt,  non  una.  Harum  anterior  humi- 
lis  et  exilis,  sex  radiis  simplicibus  tenuibus  flexibilibus 
constat,  qui  gradatim  retrorsum  decrescunt.  Pinnae  po- 
steriori primus  radius  simplex  tenuis  flexibilis , sequen- 
tes  octo  ramosi.  Altitudo  maxima  in  posteriori  parte  est, 
et  prope  altitudinem  maximam  corporis  aequat.  — Pinnae 
pectorales  hanc  maximam  altitudinem  longitudine  sua  su- 
perant,  Jatae , apice  acutae  ; radiis  viginti  omnibus  ra- 
mosi , et  uno  simplici  flexuoso  tenui. 

Ventrales  vix  ante  pectorales  nascuntur.  Dorsalis  anterior 
supra  pectorales  ori  tur  ; posterioris  vero  initium  est  paulo 
ante  finem  pinnarum  pectoralium , quando  hae  contra 
corpus  longitudinaliter  applicitae  sunt.  Anali  demum  sub 
tertium  radium  dorsalis  exorditur.  — Pinna  caudali  acu- 
minata. 

Color  brunneus  ad  rubentem-purpureum  tendens.  Pinnae 
nigricantes.  Prope  basim  pinnarum  pectoralium  macula 
nigra  sistit. 


476 


J.  J.  Bianconi 


Mensurae.  Longitudo  tota  poli.  3.  lin.  5. 

Altitudo  maxima  lin.  9. 

Ab  apice  rostri  ad  apicem  aculei  operculi  poli.  1 . 

Unum  tantum  exemplar  e Mosambico  in  Museo  nostro 
servatur. 

Chorinemus  aculeatus.  V alene. 

(Tom.  Vili.  pag.  384 Bloch  n.°  336.  fig.  l.a) 

In  suo  Catalogo  a.  1855  edito  sub  numeris  78,  79  dar. 
Peters  duas  alias  species  memorat  e mari  Mosambicano 
expiscatas,  nempe  Chorinemus  5.  P etri  et  Ck.  Moadetta. 
Unicum  exemplar  quod  in  Museo  servatur  perdistinctum 
mihi  videtur  ex  praedictis  duabus  speciebus.  Melius  vero 
res  innotescet  tum  cum  pars  Ichthyologjca  itineris  Mo- 
sambicensis  ejudem  auctoris  in  lucem  prodierit. 

Petroscirtes  cynodon . Peters. 

(Catal.  1855.  n.°  97.  — Blennechis  Val.) 

Unicum  individuum  hujusce  speciei  e Mosambico  recepi- 
mus  — Ejus  longitudo  tota  Poli.  3.  lin.  4.  Altitudo  vero 
in  regione  Pinnarum  pectoralium  Poli.  — lin.  7. 

Arius  venosus.  Guv.  Val.  (T.  XV.  pag.  69). 

Parisiis  emi  a Verreaux  unum  exemplar  hujus  Piscis  cum 
nota  Cote  Mozambique - Species  haec  jam  innotuerat  in 
mari  indico  vitam  degens. 

Lutodira  Mossambica?  Peters. 

(Catal.  1855,  n.°  161.  — Gen.  Chanos  Val.  T.  XIX  p.  179). 

Species  haec  proxima  Lutodirae  chanos  Ruppelii.  (Reise 
p.  18  Tab.  V.  fig.  1.  a.  b.  ) Cum  cl.  Peters  nullos  cha- 
racteres  exhibuerit  ad  speciem  suam  delimitandam , ideo 
dubitative  hanc  pono , usque  dum  ille  descriptionem  suam 
ediderit. 


Mem.SeriCTamJ 


Biancom.Specnu.Moz.Tav.  I 


C.Brttnù  dis.  dal  vero  ed  in  pie 


M em.  S er.IIt  Tomi. 


Bianconi_Specim.Moz.TavJL 


C.Bettmi  dis.  dii  rera  ed  in  pio 


Lit.F”  Casa™ 


Specimina  Zoologica  Mosambicana 

De  Anelli  dibus . 


477 


Glyceres  Bianconi . Peters. 

Anellitlem  parvulum  Ghetopodum  hunc  Peters  mihi  dicare 
dignatus  est.  Descriptio  ejusdem  non  adhuc  ab  eo  edita 
fuit , quod  ego  sciam. 

De  Echinodermis  ? 

Sipunculus  edulis.  Cuv. 

Ab  ipso  Peters  speciem  hanc  dono  babui  ? quam  ille  inter 
arenas  littoris  mosarnbicani  legit. 


SI 


L’ EQUIVALENTE  MECCANICO 

DEL  CALORE 

mmm 

DEL 

PROF.  LORENZO  DELLA  CASA 

(Letta  Della  Sessione  del  24  Aprile  1862). 

I fatti , che  numerosi  e ben  accertati  sono  stati  raccolti 
e messi  in  aperto  dai  fisici  nella  parte  finora  decorsa  di 
questo  secolo , hanno  dato  a conoscere  assai  molte  e sva- 
riate loro  relazioni  ; di  forma  che , se  prima  erano  slegati 
e come  affatto  indipendenti  gli  uni  dagli  altri , si  sono  di- 
poi e sempre  meglio  potuti  riunire  in  gruppi;  i quali  se, 
per  una  parte , hanno  dato  miglior  agio  per  istudiarli , sono 
ridondati,  per  1’  altra,  a maggiore  utilità  per  le  applicazioni 
che  ne  sono  derivate.  Tale  è veramente  il  procedere  degli 
studi,  che  riguardano  le  cose  naturali;  che  mentre  una 
ben  condotta  e ponderata  analisi  ti  svela  i fenomeni  di  quel- 
le ed  i nessi  e le  leggi  di  questi , una  giudiziosa  sintesi 
ne  fa  indi  raccolta,  li  ordina  secondo  le  loro  attinenze, 
ne  forma  le  teoriche,  e queste  rivolge  inverso  all’  unità; 
che,  sebbene  assai  malagevole  da  raggiungere , nulladimeno 
la  si  lascia  talvolta  scorgere  da  lungi,  e infonde  coraggio 
ad  affrettare  verso  di  essa  il  passo.  Frutto  di  questi  studi 
è stata  la  riunione  di  tutti  i diversi  rami  dell’  elettricità 
dinamica  in  un  tronco  solo  ; la  riunione  del  magnetismo  a 
questa  medesima  elettricità;  del  calorico  raggiante  alla  luce; 
di  quello  e di  questa  ai  fenomeni  dell’  acustica , e via  di- 
cendo : ondechè , mentre  sarebbesi  nell’  addietro  riputata 
ardita , per  non  dir  pazza , l’ idea  di  chi  avesse  supposto  due 


480 


Lorenzo  Della  Casa 


suoni  potere , anziché  un  suono  più  forte , produrre  silen- 
zio ; due  raggi  di  luce  poter  esser  causa  di  tenebre  ; e due 
raggi  di  calore  potere  a vicenda  " rendere  inefficaci  le  loro 
attività  ; quell’  idea  non  pertanto  si  è avverata , ed  il  cor- 
rispondente fenomeno  è divenuto , per  così  dire , la  pietra 
di  paragone , che  delle  due  ipotesi  della  emissione  e delle 
ondulazioni  (che  si  sono  contrastate  in  fisica  il  dominio  ri- 
guardi? ai  cosi  detti  imponderabili . e soprattutto  riguardo 
al  calore  e alla  luce)  ha  fatto  patente,  non  essere  punto 
ammissibile  la  prima,  ed  accrescersi  ognora  più  la  proba- 
bilità di  conforme  al  vero  riguardo  alla  seconda. 

Un’  altra  riunione  di  fatti , e ben  assai  singolare , è ora 
in  via  d’  avveramento;  se  non  anzi  si  vuol  convenire  nella 
sentenza  d’  alcuni , che  la  riguardano  anch’  essa  come  di 
già  avverata.  A tutti  è noto,  che  le  azioni  meccaniche, 
quali  sono  la  compressione , la  percussione  e lo  strofina- 
mento, solo  che  passino  in  atto;  solo,  cioè,  che  si  com- 
pia il  moto  ond’  elle  si  esercitano , danno  origine  ad  uno 
sviluppo  di  calore  : di  guisa  che  ne  venne  il  già  noto  ada- 
gio : motus  est  causa  caloris.  Quelle  azioni  pertanto  o il 
loro  moto  erano  riputate  cagioni  calorifere:  ma,  per  con- 
verso , esso  pure  il  calore  ci  dà  a vedere  che  può  in- 
generar movimento,  ed  anche  assai  grande  ; come  soprat- 
tutto avviene  nelle  macchine  termodinamiche.  Moto  e ca- 
lore erano  quindi  riguardati  come , a vicenda , causa  ed  ef- 
fetto F uno  dell’  altro  : se  non  che  poteva^  non  essere  per 
avventura  questa  reciprocanza  di  causa  e d’  effetto  ben  com- 
prendibile , e sembrare  inchiudere  in  sé  una  tal  quale  con- 
ti-addizione, da  tornare  desiderabile  che  venisse  rimossa. 
Giuseppe  Montgolfìer  (uno,  cioè,  dei  due  fratelli  (1),  che 
avevano  dato -pei  primi,  nel  5 giugno  1783  ad  Annonay 
loro  patria,  lo  spettacolo  dell’  ascensione  nell’  atmosfera 
de’  globi  ad  aria  rarefatta,  che  presero  nome  da  loro  e die- 
dero origine  alla  moderna  aeronautica)  concepì  nel  1800 
il  pensiero,  che  il  moto  e il  calore  non  fossero  reciproca- 
mente causa  ed  effetto  tra  loro;  ma  che  a vicenda  l’uno  si 


(t)  L’altro,  minore  d’età  e morto  nel  1799,  avea 


nome  Stefano. 


Sull5  equivalente  meccanico  del  calore  481 

convertisse  nell’  altro  ; e che  perciò  il  venir  meno  o P estin- 
guersi del  moto  e del  calore  non  fosse  un  vero  annullamen- 
to, una  vera  distruzione  (chè  nulla  si  distrugge  in  natura), 
ma  una  corrispondente  trasformazione  in  calore  ed  in  moto, 
equivalendo  ognuno  di  questi  sotto  la  nuova  forma  a quanto 
di  già  valeva  sotto  la  forma  di  prima  (1). 

Questo  modo,  di  considerare  le  cose  riguardo  al  moto  e 
al  calore  richiamò  bentosto  P attenzione  de’  fisici  e de’  geo- 
metri : degli  studi  dei  quali  è frutto  una  nuova  teoria 
del  calore,  che  in  questi  ultimi  anni  ha  fatto  grandi  pro- 
gressi , ha  dato  e dà  tuttora  argomento  a preziosi  scienti- 
fici lavori  , ed  ha  ricevuto  il  nome  di  teoria  meccanica 
o dinamica  del  calore.  La  quale,  mentre  ammette  che  le 
molecole  de’  corpi  sono  dotate  d’  un  moto  di  vibrazione , 
e che  questo  moto  è calore  o , vuoisi  dir  meglio , ingene- 
ra i fenomeni  calorifici , riduce  questi  (anche  quando  non  de- 
rivano da  vero  irraggiamento , ma  si  producono  nell’  interno 
de’  corpi)  sotto  la  dipendenza  delle  ordinarie  leggi  della  mec- 
canica, e perciò  ne  determina  gli  andamenti  e la  loro  misura. 

Il  valente  fisico  inglese  Grove  non  ha  circoscritta  sola- 
mente al  moto  e al  calore  P indicata  trasformazione  ; ma 
è andato  più  oltre;  ed  ha  supposto  si  estenda  a tutte  le 
forze  o potenze  naturali , assegnando  un’  origine  comune 
ai  fenomeni  di  moto,  di  calore,  di  luce,  d’  elettricità,  di 
magnetismo  e di  chimica  affinità.  Secondo  lui,  ognuna  di 
queste  potenze  può  trasformarsi  in  una  qualunque  delle  al- 
tre, ed  anche  in  più  di  esse  ad  un  tempo , a seconda  delle 
peculiari  circostanze  de’  corpi  sottomessi  alla  sua  azione  ; 
e nel  trasformarvisi , segue  mai  sempre  proporzioni  definite 
e costanti  (2).  _ 

Di  questa  mutua  ed  intima  relazione  di  fenomeni,  che 
sono  stati  riguardati  finora  come  essenzialmente  diversi  , 
non  mancano  gli  esempi  ; che  sono  invece  assai  molti.  Così, 
se  si  elettrizza  una  sostanza  qual  è , verbigrazia , il  solfuro 


482 


Lohenzo  Della  Casa 


d’ antimonio,  diventa  magnetico  nel  momento  dell’elettrizza- 
zione : diventa  indi  caldo , se  cresce  la  intensità  della  forza 
elettrica  : poi  si  fa  luminoso , se  questa  cresce  ancor  più , e 
nello  stesso  tempo  si  dilata  e vi  ha  produzione  di  moto  : in- 
fine si  decompone  e vi  ha  produzione  di  chimica  azione. 

Così  pure , il  moto  che  si  consuma  nello  strofinamento  , 
può  dare , oltre  al  calore , dell’  elettricità  : questa  elettri- 
cità può  dare  del  magnetismo , della  luce  ( quella  della 
scintilla  elettrica  ) , e della  chimica  affinità  ; e può  dipoi 
quel  moto  venire  ripristinato  dal  calore,  cui  lo  strofina- 
mento sviluppa  col  mezzo,  per  esempio,  d’  una  macchina 
a vapore. 

Così  ancora , la  scintilla  luminosa  è prodotta  dall’  elet- 
tricità : P elettricità  dal  moto  : il  moto  dal  calore  applicato 
all’  acqua  in  una  macchina  a vapore:  questo  calore  dalla 
chimica  affinità  del  carbonio  coll’  ossigeno  dell’  aria;  e que- 
sto carbonio  e quest’  ossigeno  da  azioni  difficili  ad  Sco- 
prirsi , ma  di  sicura  esistenza , nelle  quali  molto  probabil- 
mente si  rinverrebbero  gli  effetti  combinati  e alternativi 
della  luce , del  calore , dell’  affinità  chimica , eccetera.  Egli 
è per  siffatta  guisa,  che  allorquando  si  tenta  di  ricondur- 
re una  forza  alle  forze  antecedenti , si  arriva  ad  un’  in- 
finità di  forme  particolari  e variabilissime,  che  la  forza  ha 
prese  successivamente  ; e progredendo  dipoi  sino  a certo 
punto , se  ne  perde  la  traccia  ; non  perchè  ivi  sia  avvenuta 
una  vera  creazione;  ma  perchè  1’  ultima  forma,  sino  alla 
quale  si  è potuto  tener  dietro  alla  forza  medesima , si  è 
risoluta  anch’  essa  in  tante  altre , che  la  loro  analisi  sfugge 
ai  nostri  sensi  ed  ai  nostri  mezzi  di  prova. 

Ma  senza  qui  aggiungere  altri  esempi  di  queste  trasfor- 
mazioni d’  un  fenomeno  fisico  in  uno  o più  altri , sia  im- 
mediatamente , sia  col  mezzo  di  fenomeni  intermedii , è 
duopo  considerare  : che , se  è giusto  il  modo  di  pensare  di 
Grove,  allorquando  avvenga  che  un  corpo  di  certa  massa 
e velocità  incontri  ostacoli  al  suo  moto,  questo  potrà  di- 
vidersi e mutar  forma  o carattere , diventando  calore , elet- 
tricità, o luce  e via  discorrendo;  e quando  si  potessero 
raccorre  insieme  tutti  quanti  gli  effetti,  che  la  così  detta 


Sull’  equivalente  meccanico  del  calore  483 

forza  viva  di  questo  corpo  ha  prodotto  in  consumandosi 
ed  estinguendosi,  e si  riconvertissero  poscia  in  lavoro  ap- 
plicato al  corpo  stesso , questo  riacquisterebbe  sotto  la  loro 
influenza  quella  medesima  velocità  che  aveva  dapprima. 

Il  concetto  di  Grove,  preso  nelP  espressa  generalità,  è 
certamente  atto  a scuotere  fortemente  gli  animi  e a dare 
eccitamento  ai  fisici  per  ricercarne  una  dimostrazione  diretta 
e sperimentale.  Sino  ad  ora  però  non  si  è potuto  ottener 
nulla  di  preciso  riguardo  alla  determinazione  degli  equiva- 
lenti di  potenza  : cioè , non  si  è potuta  determinare  la  quan- 
tità d*  elettricità  che  può  produrre  una  data  quantità  di 
calore , la  quantità  di  luce  che  può  produrre  una  data  quan- 
tità d5  elettricità , e così  di  seguito.  Oltre  a ciò  manca , 
nella  maggior  parte  de’  casi , una  unità  di  misura  ; e manca 
eziandio  il  modo  di  poter  riprodurre  immediatamente  uno 
di  que’  fenomeni  col  mezzo  d’  un  altro,  in  quelle  più  favo- 
voli  circostanze  che  permetterebbero  d’  apprezzare  la  loro 
intensità  rispettiva  e la  progressione  della  loro  trasforma- 
zione. Stante  le  quali  cose , la  dimostrazione  del  su  accen- 
nato concetto  non  solo  non  è progredita  oltre  ai  primi  ru- 
dimenti , ma  lascia  forte  a dubitare , se  potrà  essa  mai  per- 
venire a superare  ogni  difficoltà  ^ ed  il  così  detto  principio 
delle  metamorfosi  e conservazione  delle  potenze  naturali  usci- 
re dai  limiti  d’  una  semplice  ipotèsi,  entro  i quali  è ora 
ristretto. 

Ma  se  la  quistione.  presentata  sotto  questo  grandioso  e 
generale  aspetto  è avvolta  in  una  grande  oscurità,  non  è 
più  così  quando  la  si  consideri  sotto  il  peculiare  aspetto 
della  conversione  del  lavoro  in  calore  e reciprocamente  : 
perchè,  in  questo  caso,  si  ha  tanto  P unità  di  misura  del  la- 
voro quanto  quella  del  calore,  ed  inoltre  è meno  malage- 
vole d’  instituire  esperienze  acconce  a rendere  evidente  il 
fenomeno  in  condizioni  propizie  per  una  stima  diretta  e 
rigorosa;  massime  ora,  che  pei  lavori  che  si  vanno  facen- 
do, còme  si  è detto  di  sopra,  si  sono  potuti  conoscere 
molti  fatti  ad  esso  relativi  e si  sono  analizzati  con  assai 
precisione  e sagacia. 

Consistendo  il  calore,  giusta  la  teoria  dinamica  di  que- 


484 


Lorenzo  Della  Casa 


sto , e come  fu  detto  superiormente , in  un  moto  vibratorio 
delle  molecole  materiali  de’  corpi , la  quantità  di  esso  calore 
che  viene  consumata  in  un  dato  fenomeno , può  sempre 
considerarsi  come  una  somma  di  forze  vive  : e quando  si 
dice  che  si  trasforma  in  lavoro  meccanico  e reciprocamen- 
te , è come  dire  che  questa  somma  di  forze  vive  dissemi- 
nate fra  innumerevoli  molecole  si  trasferisce  in  un  organo 
meccanico  dandogli  un  moto  corrispondente  alla  loro  tota- 
lità o viceversa.  La  trasformazione  adunque , della  quale 
ora  si  parla , si  riduce  al  noto  teorema  delle  forze  vive  : 
e necessariamente  bisogna  che  le  quantità  di  lavoro  e di 
calore  che  si  corrispondono , abbiano  tale  rapporto  fra  loro , 
da  essere  indipendenti  dai  corpi  particolari  e dalla  natura 
de5  fenomeni  intermedi , col  di  cui  mezzo  la  trasformazione 
si  eseguisce  : bisogna , cioè , che  per  una  calorìa  consumata 
o prodotta  si  abbia  un  numero  costante  di  chilogrammetri 
prodotti  o consumati.  Torna  poi  inutile  avvertire  che  la 
caloria  è V unita  di  misura  del  calore , e il  chilogramme- 
tro quella  del  lavoro  ; e che  la  prima  è la  quantità  di  ca- 
lore necessaria  per  innalzare  da  zero  ad  1.  grado  centesi- 
male un  chilogrammo  d’  acqua , e la  seconda  è il  lavoro 
che  abbisogna  per  elevare  il  peso  di  1.  chilogrammo  ad  1. 
metro  d9  altezza  : ma  non  è da  tacere , che  è stato  dato  il 
nome  d9  equivalente  meccanico  del  calore  o d9  equivalente 
calorifero  al  preindicato  numero  di  chilogrammetri.  Denota 
pertanto  quest9  equivalente  la  quantità  di  lavoro  meccanico 
o il  numero  di  chilogrammetri  che  può  produrre  una  calo- 
rìa, od  anche  (il  che  torna  lo  stesso)  la  quantità  di  la- 
voro che  è necessaria  per  lo  sviluppo  d9  una  unità  calori- 
fica ; ed  alla  sua  determinazione  numerica  sono  state  rivolte 
le  recenti  esperienze  de9  fìsici  ; e segnatamente  quelle  di 
Guglielmo  Thomson  (1)  e Prescott  Joule  (2)  in  Inghilterra; 


(1)  Philosophical  M agazine.  1845  — Transaetions  of  Edinburg.  Voi.  XVI 
— Annales  de  Ckimie  et  de  Pkysique.  3.®  Sèrie.  T.  XXXV. 

(2)  Philosophical  Magazine.  3.®  Serie.  T.  XXI11 , XXIV,  XXVI,  XXVII 
and  XXXI  — Annalen  von  Woehler  and  Liebig.  1842,  1843,1845  , 18.4 & 
und  1850.  — Philosophical  Transaetions.  185.4. 


di  Clausius  (1)  e Mayer  d’  Heilbronn  (2)  in  Germania  ; di 
Person  (3) , di  Hirn  del  Logelbach  presso  Colmar  (4) , di 
Segnin  seniore  (5) , di  Regnault  (6)  e di  Carlo  Laboulaye  (7) 
in  Francia;  come  pure  di  Matteucci  (8)  in  Italia. 

Quest’  esperienze  sono  state  eseguite  segnatamente  sul- 
l9  aria,  e in  generale  sui  gas,  mediante  la  condensazione  o ]a 
loro  rarefazione;  sul  vapore  acquoso  mediante  la  macchina 
a vapore  ad  espansione  e condensazione  ; sull’  acqua  ed  al- 
tri liquidi  mediante  la  loro  agitazione  o il  loro  passaggio 
per  augusti  tubi  ; sopra  corpi  solidi  mediante  la  loro  dilata- 
zione o fusione,  od  anche  mediante  1’  attrito  o la  disgre- 
gazione delle  loro  parti  ; e , infine  , sopra  fili  metallici  riscal- 
dati dalle  correnti  d’  induzione  generate  da  elettro-calamite 
rotanti.  Mentre  in  tutte  fu  necessario  di  misurare  tanto  la 
quantità  di  calore  sviluppato  o assorbito,  quanto  la  quan- 
tità di  lavoro  corrispondentemente  impiegato  o prodotto , 
non  di  rado  fu  difficile  di  raggiungere  quest’  intento  ; e 
solo  venne  raggiunto  mediante  forte  acutezza  di  mente  e 
ben  molta  perizia  in  simili  generi  di  ricerche.  Ciò  non 
pertanto,  dedotto  da  questi  due  elementi  Y equivalente 
meccanico  del  calore , non  solo  non  si  è sempre  trovato 
espresso  dalla  medesima  cifra;  ma  le  cifre  anzi  varie,  che 
si  sono  ottenute  per  la  sua  misura,  sono  un  po’  troppo 
discordanti  fra  loro,  da  non  potere  conciliarle  insieme  ed 
inferire  da  esse  un  risultato  credibilmente  esatto,  o alme- 
no molto  prossimo  all’  esattezza.  Tra  esse  quella , che  è 
risultata  dalle  molte,  svariate  ed  assai  bene  eseguite  espe- 
rienze del  soprammemorato  Joule , viene  preferita  alle  altre 
dalla  maggior  parte  dei  fisici;  e giusta  il  prof.  Turazza  che, 


486 


Lorenzo  Della  Gasa 


nella  sua  pregevolissima  Memoria  sulla  Teorica  dinamica 
del  calorico  (1) , ha  preso  ad  esame  le  più  accurate  tra  le 
anzidette  sperienze , vale  a dir  quelle  , che  si  riferiscono  al 
calore  sviluppato  dall’  attrito  ed  al  calore  prodotto  dalla 
condensazione  e dalla  rarefazione  dell’  aria , la  preindicata 
cifra  è 424  : la  quale , secondo  le  cose  su  dichiarate , vuol 
dire , che  una  calorìa  può  produrre  un  lavoro  meccanico 
di  424  chilogrammetri  : ossia , che  la  quantità  di  calore  , 
capace  d’  innalzare  d’  un  grado  centesimale  la  temperatura 
d’  un  chilogrammo  d’  acqua , produce  altrettanto  lavoro , 
quanto  ne  può  produrre  una  forza,  che  sia  atta  ad  elevare 
un  peso  di  424  chilogrammi  ad  1 metro  d’  altezza,  od  un 
chilogrammo  solo  all’  altezza  di  424  metri.  Questo  equiva- 
lente è stato  dal  sopraddetto  prof.  Turazza  denominato  P e - 
quivalente  di  Joule  « in  riconoscenza , com’  egli]  si  è espres- 
so , delle  fatiche  così  lumiuosamente  spese  da  questo  abi- 
lissimo osservatore  ». 

Poco  diverso  dall’  equivalente  di  Joule  è quello  trovato 
da  Hirn  studiando  gli  effetti  della  macchina  a vapore  „ il 
quale  è .espresso  da  413  chilogrammetri  per  calorìa;  ma 
senza  riportare  qui  ora  gli  altri  equivalenti  sino  ad  oggi 
trovati,  si  vuol  solo  notare  che  dall’  equivalente  di  Joule 
si  discosta  assai  molto  quello,  che  Laboulaye  ha  dedotto 
dalle  sue  sperienze,  ed  il  quale  non  è che  140;  che  lo 
stesso  Laboulaye  ritiene  preferibile  ad  ogni  altro , e per- 
ciò anche  a quello  di  Joule;  abbenchè  non  abbia  seguaci, 
almeno  che  io  conosca,  nella  sua  opinione. 

Quantunque  il  parere  de’ fisici  dia  sugli  altri  equivalenti 
meccanici  del  calore  la  preferenza  a quello  di  Joule , non 
è però  certo  ancora  che  sia  interamente  esatto , ben  di- 
cendo il  fìsico  Jamin,  » il  ne  faut  point  considérer  cet  équi- 
valent  comme  definitif  (2)  » Il  perchè , non  può  essere  cre- 
duta opera  affatto  inutile  P avere  tentato  con  qualch’  e- 
sperienza,  se  non  vorrà  dirsi  di  conoscere  il  vero  valore 


(1)  Memorie  dell’  1.  R.  Istituto  Veneto  di  Scienze , Lettere  ed  Arti . — Vo- 
lume OttaYO,  pag.  1. 

(2)  Cours  de  Physique.  Tome  li.  p.  439. 


Sull’  equivalente  meccanico  del  calore  487 

dell’  equivalente  calorifico,  di  vedere  almeno  se  le  risul- 
tanze ne  ridondavano  o no  favorevoli  a quello  del  più  volte 
nominato  Joule. 

Non  potendosi  da  me  disporre  de5  molti  e poderosi  mez- 
zi , de’  quali  avevano  potuto  disporre , quali  più , quali 
meno , gli  sperimentatori  superiormente  memorati  ; ed  aven- 
do io  esaminato  le  diverse  loro  esperienze , mi  parve  eh’  una 
di  queste , se  l5  avessi  alcun  poco  modificata , mi  avrebbe 
posto  in  grado  di  far  per  via  diversa  qualche  studio  sul- 
P equivalente  predetto.  L’  esperienza , a cui  alludo , è una 
di  quelle  di  Hirn  : il  quale  per  mezzo  di  essa  cercò  il  ca- 
lore proveniente  dall’  azione  d’  un  trapano  d’  acciaio  impie- 
gato a forare  una  massa  metallica,  immersa  in  una  ben 
nota  quantità  di  acqua,  che  da  quel  calore  veniva  conse- 
guentemente riscaldata. 

Presa,  adunque,  ad  iscorta  una  tale  esperienza,  ho  sosti- 
tuito all’  acqua  il  ghiaccio  ; ed  ho  perciò  convertito  quella 
specie  di  calorimetro  ad  acqua , adoperato  da  Hirn , in  un 
calorimetro  o pozzo  a ghiaccio.  Dico  calorimetro  o pozzo 
a ghiaccio  ; perchè  mi  sono  servito  tanto  d’  un  calorimetro 
a tre  vasi  concentrici  com’  era  quello  di  Lavoisier  e di  La- 
place , quanto  d’  un  masso  di  ghiaccio  scavato  internamente 
come  già  usavasi  dal  fisico  Black.  La  qui  unita  Tavola  dà 
a vedere  la  disposizione  da  me  seguita  per  P esperienza 
col  pozzo  a ghiaccio,  rappresentando  la  Fig.  l.a  una  se- 
zione verticale,  e la  Fig.  2.a  P esterno  dell9  apparechio  che 
ho  messo  in  opera. 

Sopra  un  treppiede  SS'S",  coperto  superiormente  di  pan- 
nolano , era  sostenuto  un  masso  di  ghiaccio 

ben  solido  e puro,  entro  il  quale  era  stato  appositamente 
formato  un  vano , che  tutto  lo  attraversava  dall5  alto  al 
basso,  ed  era  più  largo  in  principio  e molto  ristretto  in 
fine.  Stava  compreso  nel  vano  un  cilindro  AA  A" A"  di  ferro 
dolce  o d5  altro  metallo  da  trapanare , che  aveva  nel  mezzo 
della  base  inferiore  un  prolungamento  in  forma  d5  asta  qua- 
drata, e poteva  girare  colla  punta  terminale  B sulla  capsu- 
la DD\  Aveva,  inoltre,  verticalmente  nel  mezzo  un  ca- 
nale cilindrico  PO;  nella  cui  sommità  s5  introduceva  l5  estre- 


Lorenzo  Della  Gasa 


mo  inferiore  P'  d’  un  trapano  PP\  che  era  infisso  al  di 
sopra  in  un  cilindro  CC  d’  un  ordinario  tornio  di  perfora- 
zione , il  quale  girava  molto  regolarmente  sopra  il  suo  asse , 
e si  poteva  alzare  o abbassare , giusta  il  bisogno , mediante 
il  moto  d’  un’  apposita  vite.  Il  trapano  nella  sua  parte  VV 
destinata  alla  perforazione  era  d’  acciaio  ben  temprato  ed 
aveva  una  larghezza  di  25  millimetri.  Girando  esso  ed  ab- 
bassandosi, allargava  di  altrettanti  millimetri  il  canale*  del 
cilindro  metallico  ed  obbligava  questo  a mantenersi  ver- 
ticale. Nel  sottostante  prolungameuto  dell’  anzidetto  cilin- 
dro, a piccola  distanza  sotto  il  masso  MM* M" M'" 3 era  fis- 
sato primieramente  un  piccolo  recipiente  emisferico  F mu- 
nito d’  un  tubo  di  scolo  S con  chiavetta  e con  prolunga- 
mento fin  sopra  F apertura  d’  un  vaso  R ; e secondariamente 
uno  de’  capi  d’  una  leva  orizzontale  LL3  che  all’  altro  capo 
aveva  attaccato  uno  spago , orizzontale  esso  pure , e che  di- 
poi passava  per  la  gola  d’  una  girella  Q e sosteneva  un  pe- 
so Q.  Il  vano  interno  del  masso  di  ghiaccio  MM'M"Mr" 
si  chiudeva  superiormente  con  altri  due  pezzi  di  ghiaccio , 
che  formavano  insieme  una  specie  di  turacciolo  TT'  3 incli- 
nato sul  di  sopra  dal  mezzo  verso  1’  orlo , e con  foro  largo 
solo  quanto  bastava  per  comprendere  il  trapano  PP'  senza 
punto  toccarlo.  Tanto  poi  il  trapano , quanto  1’  asta  qua- 
drata sottostante  al  cilindro  da  trapanare , avevano  all’  in- 
torno , nella  loro  parte  interna  al  pozzo  a ghiaccio , un  pic- 
colo segmento  sferico,  vólto  colla  convessità  verso  1 alto, 
situato  F uno  ss  in  molta  prossimità  alla  base  inferiore  del 
turacciolo  TT',  e 1’  altro  ss  pressocchè  al  termine  del  vano 
del  pozzo  a ghiaccio  ; e 1’  ufficio  dei  due  segmenti  era  d im- 
pedire la  piccolissima  dispersione  di  calore , che  sarebbesi 
potuta  fare  per  gli  strettissimi  spazi  frapposti,  per  una  par- 
te , al  turacciolo  TT'  ed  al  trapano  e,  per  F altra,  all  asta 
quadrata  ed  al  foro  pel  quale  usciva  dal  fondo  del  mas- 
so MM'M"M'"3  mentre  la  loro  convessità  serviva  a facili- 
tare lo  scolo  dell’  acqua , se  mai  ne  fosse  caduta  su  di  essa 
per  fusione  di  ghiaccio  soprastante.  Nelle  figure  1.  e 2.  EE 
rappresenta  la  base  del  tornio. 

Se  invece  del  masso  di  ghiaccio  s’  immagina  un  sistema 


Sull9  equivalente  meccanico  del  calore  489 

di  tre  vasi  concentrici  d9  ottone  o di  latta , che  sieno  ci- 
lindrici in  alto  e conici  in  basso  : se  s9  imagina  inoltre  , 
che  questo  sistema  abbia  come  il  masso  di  ghiaccio  un  per- 
tugio inferiore  ; che  il  vaso  più  interno  sia  tutto  minuta- 
mente pertugiato  ; che  gli  spazi  compresi  tra  questo  vaso 
più  interno  ed  il  medio , e tra  il  vaso  medio  e l9  esterno 
sieno  pieni  di  ghiaccio  pesto;  che  il  vaso  interno  ed  il 
medio  sieno  muniti  di  coperchi  forati  nel  mezzo  per  dare 
passaggio  al  trapano,  e concavi  verso  l9  alto  per  contenere 
anch9  essi  del  ghiaccio  pesto  ; e che  il  vaso  esterno  abbia 
da  un  Iato  al  di  sotto  un  tubo  di  scolo,  si  comprenderà, 
senza  più , come  fosse  disposta  l9  esperienza , quando  invece 
del  pozzo  si  adoperava  il  calorimetro  a ghiaccio. 

Tanto  nell9  uno  quanto  nell9  altro  caso , girando  il  tra- 
pano dalla  sinistra  verso  la  destra  di  chi  guarda  alla  figu- 
ra , bisognava  necessariamente , perchè  non  facesse  girare 
nello  stesso  verso  il  cilindro  metallico  AA,A,,A,'r  e perciò 
anche  la  leva  LLr,  regolare  per  modo  il  peso  Q,  da  eser- 
citare contro  di  questa  uno  sforzo  eguale  e contrario  al  suo , 
e da  produrre  per  conseguenza  l9  equilibrio.  Allora  il  tra- 
pano non  faceva  che  perforare  il  metallo  ; e durante  la  per- 
forazione si  sviluppava  calore -,  che  innalzava  la  temperatura 
del  cilindro  metallico  perforato.  Dopo  parrecchie  migliaia  di 
giri  si  arrestava  il  moto  del  trapano,  e lasciavasi  fermo  il 
tutto,  sino  a che  la  temperatura  del  cilindro,  non  meno 
che  quella  del  trapano,  era  tornata  a zero  gradi,  com9  era 
prima  dell9  incominciamento  dell9  esperienza.  Stante  il  raf- 
freddamento che  in  tal  modo  si  produceva,  veniva  lique- 
fatta una  parte  del  ghiaccio  interno;  e l9  acqua,  che  deri- 
vava da  questa  liquefazione , discendeva  nel  piccolo  reci- 
piente F,  e pel  tubo  I di  scolo  si  raccoglieva  nel  vaso  R. 
Pesavasi  questo  diligentemente  insieme  coll9  acqua  che  vi 
si  era  raccolta , ed  indiversavasi  l9  acqua  altrove , procu- 
rando che , rimanessero  nel  vaso  tutte  le  particelle  metal- 
liche, che,  provenute  dalla  perforazione,  erano  discese  col- 
l9  acqua  nel  vaso  medesimo.  Pesato  di  nuovo  il  vaso  dopo- 
ché l9  umidità  rimastavi  si  era  perfettamente  evaporata , 
la  differenza  dei  due  pesi  esprimeva  il  peso  del  ghiaccio 
t.  i.  62 


490 


Lorenzo  Della  Casa 


liquefatto.  Denotato  questo  peso  con  p , il  numero  delle  ca- 
lorìe impiegate  per  la  sua  liquefazione,  e perciò  sviluppate 
dall’  azione  perforante  del  trapano,  era  manifestamente  e- 
spresso  da 


79,25 p; 

mentre  il  lavoro  impiegato  nella  perforazione,  come  è ben 
chiaro , era  rappresentato  da 

2 nlnp  ; 

dove  l denota  la  lunghezza  della  leva  Li! , p il  peso  ne- 
cessario per  tenerla  in  equilibrio,  ed  n il  numero  totale 
dei  giri  del  trapano.  Il  valore  pertanto  dell9  equivalente  ca- 
n 2 nlnp 

lorifero  era  dato  da  E = — — - . 

79,25/? 

La  difficoltà  di  poter  avere  de’  grossi  pezzi  di  ghiaccio 
molto  compatto  e puro , e la  difficoltà  inoltre  di  poterlo 
scavare  interiormente  e ridurlo  alle  condizioni  favorevoli 
all’  esperienza , non  mi  hanno  consentito  di  ripetere  que- 
sta molte  volte , e di  poter  contare  sopra  più  di  sei  ri- 
petizioni , mentre  alcune  altre  non  mi  hanno  potuto  in- 
spirare intera  fiducia.  Meno  malagevole  è stata  1’  esperien- 
za col  mezzo  del  calorimetro  ; ed  io  1’  ho  replicata  quat- 
tordici volte  regolarmente  : talché , in  complesso , ho  otte- 
nuto venti  risultati,  i quali  sono  stati  tutti  di  valore  as- 
sai prossimi  fra  loro , e mi  hanno  così  dato  maggior  indi- 
zio per  credere  di  non  avere  ommesso  nulla  di  quanto  esi- 
gevasi  per  1’  esatta  loro  determinazione. 

Quando,  facendosi  uso  del  pozzo  a ghiaccio,  scolava  nel 
piccolo  recipiente  F 1’  acqua  del  ghiaccio  che  si  fondeva 
nella  cavità  del  pozzo  medesimo , qualche  poco  ne  scolava 
eziandio  di  quella  che  si  fondeva  sulla  base  esteriore  di  que- 
sto in  causa  della  temperatura  dell5  aria  ambiente  ; che , 
sebbene  di  poco , era  però  sempre  superiore  a quella  di 
zero  gradi.  Era  indispensabile  di  porre  avvertenza  a ciò , 
e l5  avvertenza  non  fu  pretermessa  giammai. 


Sull’equivalente  meccanico  del  calore  491 

Per  trovare  poi  la  quantità  <T  acqua  estranea , che  s’  era 
frammista  in  fa  quella  scolata  dal  pozzo  a ghiaccio , si  ri- 
peteva l5  esperienza  nella  medesima  condizione  di  tempe- 
ratura e per  altrettanto  tempo,  avendo  chiuso  del  tutto  il 
pertugio  inferiore  del  pozzo  e lasciato  inoperoso  il  trapa- 
no. 1/  acqua , che  in  questo  caso  scendeva  nel  recipiente  F, 
non  proveniva  che  dall5  esterno,  e poteva  ben  ragionevol- 
mente estimarsi  di  tanta  quantità , di  quanta  era  stata  nel- 
l5  esperienza  antecedente  ; co  talché  era  eèsa  propriamente  la 
quantità  d5  acqua  che  ricercavasi.  Sottratta  dipoi  quest5  acqua 
da  quella  della  prima  esperienza,  il  residuo  dava  manifesta- 
mente la  sola  acqua  derivata  dalla  fusione  interna,  cioè  quella 
da  sostituirsi  a p nella  formola  superiormente  esposta. 

I venti  valori  da  me  ritrovati  per  l5  equivalente  calori- 
fero furono  compresi  fra  414,94  e 419,66;  e preso  il  me- 
dio tra  tutti , mi  è risultato  di  417,76  o vogliam  dire  di  418 
chilogrammetri  per  calorìa. 

Paragonato  questo  mio  risultamento  con  quello  di  424  chi- 
logrammetri dedotto  dall5  esperienze  di  Joule , si  vede  che 
tanto  gli  si  approssima  da  potersi  riguardar  tutti  e due  co- 
me un  solo  identico  equivalente;  e,  quando  si  voglia,  si 
potrà  anche  dire,  che  l5  equivalente  da  me  trovato  serve  di 
conferma  a quello  dell5  inglese  sperimentatore , o per  lo 
meno  gli  accresce  la  probabilità  d5  esattezza. 

Di  quanta  utilità  ridondi  il  sapere  quale  sia  il  valore 
dell5  equivalente  calorifero , ognuno  di  leggieri  il  compren- 
de , quando  venga  considerando , che  col  solo  mezzo  del 
memorato  equivalente  si  può  conoscere  il  merito  assoluto 
e relativo  de5  vari  sistemi  finora  conosciuti  di  macchine 
termodinamiche  : siccome  sono  le  macchine  a vapore  ; quelle 
a vapori  tanto  combinati  quanto  rigenerati  ; le  macchine  ad 
aria  rarefatta  ( tra  le  quali  vuoisi  annoverare  la  macchina 
d5  Ericsson , già  tanto  magnificata  ; ed  ora  tanto  scaduta  di 
grido);  e quelle,  finalmente,  a miscugli  detonanti;  a cui 
appartiene  la  macchina  a gas  idrogeno  carburato  ( portato 
all5  ignizione  dalla  scintilla  elettrica)  ossia  a gas  d illumi- 
nazione di  Lenoir , della  quale  da  circa  due  anni  si  è non 
poco  parlato  e si  parla  tuttora.  Mediante  il  solo  equivalente 


492 


Lorenzo  Della  Casa 


calorifero  si  può,  inoltre,  aver  modo  di  ben  indagare  i 
veri  perfezionamenti,  che  possono  apportarsi  agli  anzidetti 
sistemi  di  macchine  ; avendo  già  dato  a vedere  che,  tra  le 
macchine  a vapore  propriamente  dette,  quelle  ad  espan- 
sione ed  a condensazione  sono  le  più  utili , e perciò  le  pre- 
feribili negli  usi  industriali;  ed  avendo  eziandio  lasciato 
scorgere , che  queste  probabilmente  non  verranno , appunto 
sotto  P aspetto  dell’  utile , giammai  posposte  a veruna  delle 
invenzioni  moderne.  In  fine , ben  precisato  l5  equivalente 
meccanico  del  calore , non  si  cadrà  in  errate  deduzioni , nè 
perciò  si  crederà  a risultamenti  chimerici  ; dai  quali  i poco 
veggenti  assai  di  leggieri  si  lasciano  trasportare , avveden- 
dosi poi  troppo  tardi  della  incauta  loro  credulità  e illusione. 


Della  Casa -Equivalente 
meccanico  del  calore 


MenLSer.ir.Toml 


INDICE 


Domenico  Chelini.  Della  legge  onde  un  Ellissoide  ete- 
rogeneo propaga  la  sua  attrazione  da  punto  a 

punto Pag.  3 

Alfonso  Corradi.  Come  oggi  le  Affezioni  Scrofolotu - 
bercolari  siansi  fatte  più  comuni.  Considerazioni 

storiche  e mediche » 53 

Antonio  Alessandrini.  Descrizione  dei  preparati  piu 
interessanti  d’  Anatomia  Patologica , esistenti  nel 
Gabinetto  d’ Anatomia  Comparata  della  R.  Uni- 
versità di  Bologna;  con  4 tav » 127 

Giulio  Casoni.  Sullo  irraggiamento  solare  . . . 11  153 

Luigi  Calori.  Di  alcuni  particolari  intorno  le  partì 

genitali  muliebri  ; con  3 tav * 171 

Luigi  Calori.  Dei  vasi  capillari  sanguiferi  della  por- 
zione decidua  del  tralcio  ombelicale  nel  Feto  dei 
mammiferi  domestici,  e delle  loro  anastomosi  coi 
capillari  della  porzione  permanente  nei  Feti,  so- 


prattutto Cavallini  e Faccini;  con  2 tav.  . . » 203 

Antonio  JBertoloni.  Miscellanea  Botanica  XXIII.  ; con 

6 tav » 215 

Carlo  Soverini.  Di  una  straordinaria  dilatazione  delle 
vie  Biliari , per  esterna  compressione  del  condotto 

Coledoco;  con  2 tav » 233 

Giovanni  Capellini.  Studi  Stratigrafici  e Paleontolo- 
gici sull  Infralias  nelle  montagne  del  Golfo  della 

Spezia;  con  2 tav » 247 

Alfonso  Corradi.  In  che  modo  le  Diatesi  o disposi- 
zioni morbose  ne’  popoli  si  mutino , e come  en- 
trino nella  formazione  de 9 sistemi  medici  - • » 319 


Domenico  Chelini.  Dei  moti  geometrici  e loro  leggi 
nello  spostamento  di  una  figura  di  forma  inva- 
riàbile ; con  1 tav Pag.  361 

Marco  Paolini.  Nuove  ricerche  sull  Ittiosi  ; con  1 tav.  » 431 
Giovanni  Brugnoli.  Sopra  un  ferimento  di  cuore  con 
lesione  d3  ambo  i ventricoli , andato . a guarigio- 
ne; con  2 tav » 451 

Gian  Giuseppe  Bianconi.  Specimina  Zoologica  Mosam- 

bicana  Fase . XIII  ; con.  2 tav « 469 

Lorenzo  Della  Gasa.  Su  V equivalente  meccanico  del 
calore;  con  1 tav 


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