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Full text of "Napoli dal 1789 al 1796"

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■ Biblioteca Storica (2.°) 



NAPOLI 
DAL 1789 AL 1796 



CON DOCUMENTI INEDITI 



PER 



LUIGI CONFORTI 




NAPOLI 
SSN^STO .À.XTFOSSX 

Libraio editore e Commissionario 

Vico Campane Donnalbina 12 di flanoo la Posta 1* piano 

1887 



PROPRIETÀ LETTERARIA DELL' AUTORE^ 



R. Tipi de Angelis (oggi A. Bellisario e C.)- 



PREFAZIONE 



Italiani, tornate alla Storia/ 
Foscolo 



In sessant'anni , o poco più , di preparazione 
operosa all' unità d' Italia , che tanti ne corsero 
dal 1799 al al 1860, i letterati, gli scenziati, gli 
uomini politici, ebbero un solo intento, nato spon- 
taneo nella mente e nell'animo di ciascuno, per- 
chè era il prodotto della logica delle cose , più 
forte delle passioni e degli interessi umani, trar- 
re gì' italiani a considerare il carattere ed il pen- 
siero nazionale, T impronta schietta e propria di 
un popolo che non poteva rimaner sempre schiavo 
e diviso , perchè uno per religione , per gloria ^ 
per lingua, per sacrifizi. 

Si dimostrò che dai tempi favolosi di Roma in 
poi si era serbata viva ed intatta , tra le tante 
invasioni e soggezioni straniere, la coscienza ita- 
liana; e che per tradurla in fatto, non avremmo 
dovuto fare altro sforzo se non quello di ritornar 
su noi stessi, guardare il passato, comprendere 



— IV — 

la nostra storia, nella quale si rinvenivano tutti 
i germi, e* tutti i fattori del risorgimento della 
patria. 

Neir impero di Roma avremmo ritrovato la po- 
tenza militare e la sapienza politica ; nel corso e 
ricorso dei barbari, la virtù di assoggettarli al ri- 
spetto delle nostre leggi , e la invincibile ripu- 
gnanza di assimilarci i loro costumi ; nel Medio 
Evo il valore eroico, e la grandezza dei governi 
popolari; nel sorgere e nell'assetto delle Monar- 
chie e delle prime Corti , le arti sfolgoranti , le 
lettere, le scienze; e nelle corruttele del servag- 
gio Franco- Austriaco-Spagnuolo , gli esempi di 
Giovanni da Procida, Masaniello, Balilla, o spi- 
rito d'indipendenza che fiacca l'orgoglio prepo- 
tente dello straniero! 

Quindi si compose ad unità d'intenti la virtù 
dell' ultima generazione, e col genio delle armi 
e della politica, la fortuna delle occasioni, l'Italia 
fu fatta. 

Grande ed imponderabile contributo vi arrecò, 
senza dubbio, la letteratura patriottica, che si av- 
valse di tutte le forme dell'arte per isprigionare il 
pensiero latente del passato, spingerlo alla gloria 
avvenire. 

Essa volse la storia, la critica, la filosofia, la 
poesia, il romanzo, le scienze esatte, l'etnografia, 
flnanco l'astronomia e la grammatica, a raggiun- 
gere l'altissimo scopo. Non potendosi creare an- 
cora l'unità della patria frantumata, ne ricercava 
la congiunzione ideale nel raccogliere il patri- 
monio sacro del linguaggio: non potendo cacciare 



— V — 



dalla penisola gli stranieri dava il bando alle voci 
esotiche (1). 

Non v' ha dubbio che questa letteratura patriot- 
tica fece più d uno strappo al vero, e creò spesso 
la leggenda; ma tre quarti di leggenda entrano 
nell'epopea di un popolo; né nel folto della bat- 
taglia può concedersi tregua al nemico. 

Poi al tempo eroico succede quello riposato e 
tranquillo, e spunta quindi la critica. 

Gli eroi del df amma dormono la pace o sentono 
il tormento del sepolcro; ed è tempo allora che 
su di essi s' inchini l'occhio scrutatore, un nuovo 
soffio ne agiti le ceneri, e le plasmi con lo spirito 
dePa verità. 

Intendiamoci però. La critica storica intorno alle 
epoche dei nostri rivolgimenti politici oggi non 
può perder di vista Tideale della letteratura pa- 
triottica tiel passato. Questa ridestò la coscienza 
nazionale, l'altra deve rafforzarla e mantenerla; 
infondere nella generazione presente il sentimento 
profondo, che solo la giustizia, la virtù, il valore 
possono serbare intatta l'Italia. E lo intento può 
facilmente raggiungersi senza offuscare il vero; 
perchè librati nella bilancia del torto o della Ca- 
gione i meriti ed i demeriti delle tirannidi pas- 
sate, quelli sono assorbiti da questi. 

La Biblioteca Storica a cui mi posi trepidante 
all'opera nel 1886 a questo intende ; e dopo il 
primo saggio, nulla ho da correggere o mutare. 

Se stranieri ed indigeni s'affaticano a comporre 



(1) G. Setti. Il carteggio di un diplomatico. 



— VI — 

difese prestabilite, riabilitazioni impossibili, non 
può non avere miglior, successo, come più giusta 
causa , Io sforzo di un cittadino che in base a 
documenti, scriva in difesa della libertà e della 
patria. 

Col volume^ Napoli nel 1799 ^ io volli saggiare 
Topinione del paese. Il mio tentativo fu raggiun- 
to : scomparve l'autore, perchè io misuro le mie 
forze , restò Taccoglienza lusinghiera air impor- 
tanza de' documenti da me raccolti e pubblicati. 

Cosi da ogni parte, uomini illustri, storici no- 
tissimi, patrioti eminenti, giornali e riviste repu- 
tati , mi .compensarono con benevoli giudizi delle 
fatiche e dei sacrifizi fatti. 

Ed ebbi, contro ogni merito mio, T alto onore 
che un patriottico Consiglio Provinciale mi si 
mostrasse largo di conforto con la voce autore- 
vole del suo Presidente, Tillustre Mancini, vanto 
non della provincia sua ma d'Italia; uno di quell'ar- 
dita ed, intemerata falange del 1848 dalla quale 
l'Europa imparò a conóscere l'alto valore del 
liberalismo napoletano. 

E la rappresentanza elettiva della mia provincia 
natale, Salerno, che nei fasti della patria non fu 
seconda ad alcuna, mi die non dubbi segni del 
suo benevolo incoraggiamento, E vidi con orgo- 
glio che giovani e professori egregi, vollero co- 
stituire un Circolo Storico ed avermi a loro com- 
pagno negli studi e nel lavoro (1). 



(l) Noto , non per vanità, ma per dimostrare ciò che 
aifcrjao , i principali giornali che discorsero con molta 



— VII 



Sicché è oggi per me un impegno pubblico il 
proseguire quest' opera : e mi sono affrettato a 



lode deirimportanza dei doonmenti da me raccolti e pub- 
blicati. Essi sono: " Picche, Napoli letteraria, La Lette- 
ratura (Torino), La scena illustrata (Firenze) la Rassegna, 
Pugliese (Trani), L'Ateneo Italiano (Homa). E tra i gior- 
nali Politici, " il Roma (Napoli) La Rassegna, l'Opinione, 
la Stampa , il FanfuUa della Domenica , il Capitan Fra- 
cassa „ la Perseveranza (Milano). „ eoo. 

Il notissimo scrittore e Professore sig. Vincenzo BLndi 
Direttore delle scuole di Oapua, che io non avea l'onore 
di conoscere se non per fama, ha proposto darsi in premio il 
Tolume **. Napoli nel 1799 f, agli alunni meritevoli di quelle 
scuole. 

E quando io m'affrettai a ringraziarlo perchè un amico 
m'informò della proposta , con quella gentilezza che è 
proprio dei forti d'ingegni, mi scrisse: 

" Io non ho fatto che il mio dovere proponendo come 
^ libro di premio ai nostri alunni il suo bellissimo lavoro 
" che illustra una pagina importante della storia napo- 
** letana e ch'è prova ecc. „ 

Altre moltissime lettere mi sono pervenute da ogni parte 
delle Provincie da illustri cittadini e da egregi scrittori 
e Professori. Sarebbe lungo indicarle tutte : non posso 
però tacere il conforto che mi arrecò la parola di quello 
illustre ed intemerato maestro di libartà ch'ò il Duca 
Sigismondo Castromediano, compagno di galera di Poerio, 
Pironti, Settembrini, Silvio Spaventa e tanti altri, che io 
non avea l'onore di conoscere che per fama. 

^ Se avessi dimestichezza con lei, mi scriveva, comin- 
** cerei col dire : presto presto giù gli altri volumi. • . , , 
^ aspettarli è una pena „. 

£ tralascio il resto, perchè potrebbe parere una vanteria, 
alla quale io non rifuggo, ma unicamente in favore dei 
documenti importantissimi di questa mia Biblioteca, per- 
chè altro merito non mi ricoiosco se non quello di averli 



— HIV — 

dar fuori questo nuovo volume, il quale arreca 
un mutamento cronologico neir ordine della Bi- 
blioteca. 

Ho creduto eoa esso prospettare con documenti 
inediti e rari lo stato del Regno, da 1789 al 1796, 
che fu il periodo più importante per noi e per 
r Europa, il prodromo degli avvenimenti del 1799 
e della Repubblica Napoletana. 

Il lettóre vedrà che ho fatto il possibile per 
ricostruire la verità dei fatti, i quali hanno il va- 
lore nuovo che sono attinti ai fonti editi od ine- 
diti, consultati da me, sospettoso delle citazioni 
dei giudizi altrui. Vedrà che il difetto di se- 
parare gli avvenimenti di Napoli da quelli d'Ita- 
lia e di Europa, rese scarse e monche le nar- 
razioni di altri autori. Vedrà che ho sfuggito 
la partigianeria, per quanto ho potuto , poiché 
reputo che non sia offesa al vero, che il narra- 
tore mostri la sua opinione , ed i suoi ideali, 
nella successione dei vizii e delle virtù del tempo 
cui narra. 

I fonti a cui ho raccolto i documenti inediti 
sono l'Archivio di Stato, il Registro di S. Ma- 
ria Succurre Miseris, gli archivii privati, le pri- 
vate corrispondenze. Gli editi, tutte le pubblica- 
zioni conosciute dei casi del tempo. 

Non c'è un'affermazione che io non abbia cu- 
rato di provare col documento o con la citazione 
dell'autore; e, dove le citazioni mancano, le ho 



con grave dispendio, con grande amore, e con grandi an- 
sie ricercati dovunque. 



— IX — 

tralasciate per non accrescere in gran numero 
le note che sono già molte. 

Le quali note se non fanno andare la lettura 
spiccia, si pensi che io principalmente intendo, 
con questa Biblioteca^ unire alla narrazione il 
documento, il confronto e la critica; appunto per- 
chè senza raffronti e senza critica, scarso lume 
arreca il semplice documento , o l' affermazione 
nuda e cruda. 

Sarò, come sempre, sollecito a rettificare tutto 
ciò che mi si provi non esatto; giacché scrivo in 
buonissima fede quello che dopo molto studio e 
molto lavoro mi parve il vero. 

Napoli, 20 febbraio 1887. 

II. Conforti. 



INDICE 



CAPITOLO PRIMO 

Sommario. — Le gaerre di successioae modificano lo stato 
territoriale dell'Italia e dell'Austria. Filippo V ed Elisa- 
betta Farnese. Disegni ambiz osi in favore del figliuolo 
D. Carlo. Acq[uisto di Parma e Piacenza. Guerre di suc- 
cessione della Polonia. Trattato del 26 settembre 1739. 
D. Carlo conquista il Regno di Napoli. Battaglia di Bi- 
tonto. Acquisto della Sicilia. Fine della servitù spa- 
gnuola. Pace di Vienna. Nuovo assetto delle cose d'Ita- 
lia. Guerra per la successione Austriaca. Gl'Imperiali 
invadono il Regno di Napoli. Battaglia di Velletri (10 
agósto 1744). Rassegna delle forze e valore dei napole- 
tani. Trattato di Aquisgrana. Nuovo assetto delle cose 
d'Italia. D, Carlo è riconosciuto Re del Regno delle Due 
Sicilie Pag. 1 

CAPITOLO SECONDO 

Sommario —Carlo trasferisce il Regno al figliuolo Ferdi- 
xiando. Nomina di una Reggenza. Matrimonio di Fer« 
diuando. Dimissioni del Tanucci. Opinioni degli storici. 
Lettera del Tanucci , il Marchese della Sambuca ed il 
Marchese Caracciolo. Morte di costui. Stato del Regno. 
La rivoluzione francese del 1789 e le nuove dottrine. ^^ 
Riforme nei vari rami dell'amministrazione. Le finanze ì 
e 1& imposte. I dazi della città di Napoli. La pastori- r 
zia e V Agricoltura. Opinioni degli stranieri viaggia- 
tori su Napoli ed i napoletani. I dotti. I paglietti e 
il Tribunale. Detto del Duca di Brunscwig. 1 medici 
e gli ospedali. Il lusso dei napoletani. Le chiese e la 
Religione. I laszaroni ed i furti. Svaghi e veglie in Na- 
poli. Le chiese ed i conventi. S. Carlo. Le mascherate 
napoletane. La nobiltà. I Lacchè, Le Gallerie e le Bi- > 
blioteche. Conviti e feste. ....... Pag. 10 ' 

CAPITOLO TERZO 

Sommario. — Condizioni morali degli ultimi otto lustri. 
La pace ed i suoi effetti. Nuove istituzioni e leggi. 



— XII.— 

Ordinamento interno. La istruzione, le scienze, le arti. 
Rivali del potere E,e^io. Le nuove magistrature. Le 
spese di amministrazione. Gli arrendamenti minori. Il 
commercio , 1* agricoltura , la pastorizia. I Banchi. La 
miseria Pag. 26 

CAPITOLO QUARTO 

Sommario. — Mutazioni dello spirito pubblico. Storici , fi- 
losofi , canonisti. Scritture e contese giurisdizionali. 
Gli enciclopedisti. Allarme dei curiali. I primi fatti di 
Francia. I primi allarmi del governo napoletano. Libri 
^ I e Franchi-Muratori. Yita sociale. Nuova divisione della 
Capitale. Preoccupazione della Corte.^ Morte di Giuseppe 
IL Ricordi. Nozze. Viaggio dei Reali a Vienna. I primi 
vincoli politici con l'Austria Pag. ^7 

CAPITOLO QUINTO 

Sommario. -— Il patto di famiglia. Educazione e carattere 
di Ferdinando IV. Educazione e carattere di Maria Ca- 
rolina. Acton. Politica del Re, della Regina, di Acton. 
Stato del Regno. Influenza Austriaca in Europa ed in 
Italia. Nuovi fatti di Francia. Il ritorno dei Reali da 
Vienna. Passaggio per Roma. Accoglienze ricevute. 
Accordo con Pio VI. Regali ed onori. Arrivo in Napoli. 
I carri Pag. 58 

CAPITOLO SESTO 

Sommario.— Lega tra la Prussia e V Austria. Il Manifesto 
di Pilnitz. Gli Stati Italiani. Il Piemonte. Tentativo di 
lega italiana. Napoli. Venezia. Mire dell'Austria. Scop- 
pia la guerra tra la Francia e i coalizzati. I primi fatti 
d'armi sul Reno . . . Pag. 87 

CAPITOLO SETTIMO 

Sommario. — Vincenzo Leprini. Corrispondenza diplomati- 
ca {inedita). 1 partiti in Francia. Avvenimenti alla Corte 
di Austria. Politica della Corte di Napoli. Lega tra i 
principi italiani. Note dell*Acton al Re di Piemonte ed 
al Senato Veneto. Il Piemonte accede alla coalizione. 
Sospetti del Governo francese contro Napoli. Timori e 
speranze della Corte di Napoli. Provvedimenti del Go- 
verno. Medici Reggente della Vicaria, Sue opere. Illu- 
minazione e numerazione della città di Napoli. I vaga 



— XIII — 

bondi. La colonia di Tremiti. Vita napoletana. Dame 
e nobili. I saloni. La polizia Actoa e il Reggente, Ar- 
rivo di Makau. Le prime ostilità francesi. Arrivo della 
flotta francese a Napoli. Paura del governo. Il popolo. 
Patti e condizioni di pace II primo Club, Si delineano 
i partiti liberali. Idee dei moderati. Mario Pagano. Et- 
tore Oarafa. I primi arresti. I primi odii. . Pag. 92 

CAPITOLO OTTAVO 

Sommario. — La Massoneria in Europa ed in Napoli. Editto 
di Ite Carlo. Editto di Re Ferdinando. L*Abate Jerooa- 
des. Sua vita e suoi casi. La sua propaganda Masso- 
nica. Il poema delia Massoneria. Efficacia di esso. Lutti 
ed allegrezze di Corte. Le Province. Tempesta di Gal- 
lipoli . Pag. 120 

CAPITOLO NONO 

SoMMABio T— La diplomazia francese in Roma. Mackau ed 
Hugou de Bassville. Progetti di spedizione contro Roma. 
Morte di Bassville. Attitudine del Governo di Napoli. 
Manifesto dei napoletani al Re. La morte di Luigi XVI. 
Mackau a Corte. Arrivo di Reinhard. La Regina di Na- 
poli. La carestia del 1793. Torbidi. Combattimenti tra 
i birri del Reggente e la soldatesca. I malviventi e 
Milord Plymouth. Le province e la colonia di Tremiti. 
Acton e la Re°:ina fautori della politica inglese. Sir 
William Hamiltoa. Emma Lyons. Sue avventure, sua 
bellezza. La Regina ed Emma. Guerra tra Francia ed 
Inghilterra. Politica di Pitt. Alleanza tra Napoli e la 
Inghilterra. Editti di guerra del governo di Napoli, ed 
espulsione dei Francesi dal Regno ..... Pag. 129 

CAPITOLO DECIMO 

Sommario. — I barbareschi. Gli artiglieri litorali. Le for- 
tezze e le torri del Regno. L'esercito. La marina. Occa- 
sione di adoperarli. Giacobini e Girondini in Francia. 
Le insurrezioni di Lione, Bordeaux, Marsiglia. R3alisti 
e Repubblicani a Tolone rendono la città agli Inglesi. 
Spedizione napoletana. Specchietto della squadra napo- 
letana inviata a Tolone. I reggimenti napoletani ei i 
comandanti. Arrivo delle truppe. Spirito ^ contegno. 
Combittimenti ed assedio di Tolone. Condotta dei sol- 
dati ed uffiziali napoletani. Tolone è ripresa dai Re- 
pubblicani. Ritorco delle squadre e del corpo di eser- 



\^ 



— XIV — 

cito napoletano. Perdite in uomini, magazzini e denaro 
jDìsìUusÌodì. Nuovi annunzi di sventure. La morte d. 
Maria Antonietta Regina di Francia. La Regina Maria 
Carolina. Lutto a Corte. Gravidanza della Regina. Na- 
scita di un^ altra Principessa. L' anno 1793 finisce fra 
tristi previsioni Pag. 157 

CAPITOLO DEGIMOPRIMO 

SoMifABio. — Gli emigrati di Tolone in Napoli. Il Conte 
Moudet. Soccorsi. I governatori dei Pellegrini. I di- 
scorsi degli emigrati. I partiti in Francia. La paura. 
Medici e la polizia. La denunzia di Pietro de Falco. 
La Giunta di Stato. Palmieri , Vanni, Cito , Bisogni, 
Potenza. Le spese della polizia. Documenti inediti. Le 
denunzie dalle Provincie. Documenti inediti. La ma- 
scherata a Pozzuoli. Le congiure di Palermo e di To- 
rino. Tommaso Amato. Relazione autentica ed inedita 
della Compagnia di S. Maria Succurre Miseria. Tre 
giorni in Cappella. Il corteggio funebre. L' esecuzione 
di Tommaso Amato. Errore giudiziario. Stato di mente 
di Tommaso Amato. Terremoti di Calabria, di Sicilia, 
di Napoli. Eruzione del Vesuvio. I ladri. . Pag. 169 

CAPITOLO DECIMOSECONDQ 

SoMUABio. — Avvenimenti militari dopo la presa di Tolo- 
ne. Alleanza tra l'Austria e il Piemonte. Saccessi dei 
francesi. Il Campo di Sessa. Le forze militari del Re- 
gno. Provvedimenti finanziari. 1 balzelli sul clero. Pro- 
getti e progettisti. Circolazione metallica de'Banchi. I 
processi dei rei di Stato ed i nostri diplomatici ali* E- 
stero. Dispacci (inediti) del Marchese di Circello , del 
Marchese di Gallo, del cav.Rainette. La Giunta di Stato 
di Napoli. L^atto di accusa di Basilio Palmieri. La sen- 
tenza. Condanna a morte di De Deo , Galiani e Vita- 
liano La relazione {inedita) del Registro di S. Maria 
Succurre Miseria. Nella Cappella. Il corteo funebre. In- 
cidenti. La esecuzione innanzi al Castel nuovo. Tu- 
multo e schioppettate. Conseguenze. Morti e feriti. La 
condotta dei giustiziati. La Congiura. Opinioni e giù- 
dizii. Gli altri condannati dalla Giunta di Stato. Di- 
spacci {inediti) del 12 e 18 ottobre 1794. La clemenza 
del Re . . • Pag. 185 



— XV 



CAPITOLO DEOIMOTEEZO • 

SoNMARio. — La dittatura dì Eobespierre. La Convenzione. 
Il terrore. I Giacobini nel 1795. Conquiste francesi. Pace 
con la Prussia e con TOlanda. I governi Italiani. Pace 
col Piemonte. Venezia. La Spagna, la Svezia, la Dani- 
marca. L'Inghilterra e l'Austria. Politica del governa 
napoletano. Parallelo, con quella del Granduca di To- 
scana Politica di Roma. Preparativi del governo fran- 
cese contro Roma. Le flotte francesi ed inglesi nel me- 
diterraneo. La squadra del Ite di Napoli. Riunione con 
la flotta inglese a Livorno. La battaglja di Capo Noli. 
Felice combattimento del vascello napoletano il Tan- 
credi comandato dal Caracciolo. Il Censore e il Qa ira 
si rendono al Tancredi. Giudizi l degli storici. Ingiusti 
e falsi giudizii delP Helfert. Errori. La vittoria navale 
rassicura la Corte. Stato di Napoli nel 1795. La Regina 
e lo spionaggio. Rivalità di Acton con Medici. Con- 
giura di Medici. Arresto di Medici e di molti patrioti. 
Ettore Carafa e Mario Pagano. Trionfo dell' Acton. La 
Regina vuol salvare Medici. La Marchesa di S. Marco 
e Trequatrini. La nuova Giunta di Stato. Castelcicala 
Vanni, Guidobaldi. Medici è salvato. Acton si eclissa. 
Castelcicala Ministro di Giustizia .... Pag. 21B 

CAPITOLO DECIMOQUARTO 

SoMMABio. — Fine dell'anno 1795. La nuova costituzione 
Francese. Il Direttorio. Stato esterno della Repubblica. 
Gli eserciti del Reno. L' esercito austriaco in Italia. 
Stato interno della Francia. Vittoria di Loano. Il nuova 
anno e i prodigi di Napoleone Eonaparte. Campagna 
d'Italia. La cavalleria napoletana. Origine ed ordina- 
mento di quest' arma. Acton e Galiani. I Reggimenti 
i?e, Begina^ Beai Napoli^ Principe alla campagna d'Ita- 
lia. Stato maggiore napoletano. Occupazione di Valen- 
za. Combattimenti di Fombio , al varco dell' Adda , a 
Goito. La cavalleria napoletana salva a Borghetto il 
Generale in capo Beaulieu. Combattimento tra il Reg- 
gimento Begina e Murat. Onore e gloria dei nostri Reg- 
gimenti. Tre quarti di secolo dopo. Ricordo memora- 
bile Pag 240 

CAPITOLO DECIMOQUINTO 

Sommario. — Nuovi provvedimenti militari. Le forze del 



— XVI — 

Begno alla fine del 1795. Proclami di Bonaparte. Mire 
del Direttorio sopra Napoli. Editto del Be. Bandi di 
guerra religiosa e sociale. Il clero predica e spinse alla 
guerra. Preghiera a S. Gennaro. Funzione religiósa so- 
lenne. La Corte al Duomo. La leva in massa nelle Pro- 
vincie. I nobili volontari. Le Finanze. Leggi di sicu- 
rezza interna. Procedure arbitrarie. Battaglia di Lodi. 
Politica della Regina e di Acton. Piani di Bonaparte e 
idee del Direttorio. Beaulieu sollecita aiuti dalla Corte ' 
di Napoli. La Corte inchina alla Pace. Incarico dato a 
Belmonte. Sue interviste con Bonaparte. Armistizio di 
Brescia. Lettere di Bonaparte al Direttorio. Avvenimenti 
militari. Bonaparte pone in rivoluzione le Romagne. 
Stato dellltalia Centrale. Ratifica dell* armistizio. Bei- 
monte parte par Basilea per abboccarsi con Gallo. Bei- 
monte parte per Parigi. Trattative. Le truppe napole- 
tane ai confini. Novelle dello arrivo di Wurmser. Cam- 
pagna di Bonaparte cóntro Wurmser. Le truppe napo- 
letane invadono Pontecorvo. Condotta della Corte di 
Napoli. Lettere di Bonaparte al Direttorio. Minacce di 
Bonaparte contro il He di Napoli. Disposizioni a con- 
cludere la pace. Il trattato di pace. Le minacce di Bei- 
monte. Lo stato delle Provincie del Regno. Il Brigan- 
taggio. I disertori. Le forche. Legge marziale. Dispaccio 
inedito. L'anarchia Pag. 250 

CAPITOLO DECIMOSESTO 

Sommario. — 9allo ritorna a Vienna. Note {indite) di Gallo 
ad Acton Pag. 269 

CAPITOLO DECIMOSETTIMO. 

Sommario. —Le idee del secolo XVIII. I fatti. NapDl i nel 
movimento del secolo. Li Monarchia Napaletini egli 
effetti della sua politica dai 178) al 1793. L\ re^fiua o 
le Coiti di Europa. La parbe R)gia e li parfce libero-le. 
Giustizia delia Storia pag. 293 



CAPITOLO PRIMO 

Sommario. — Le guerre di successione modificano lo stato 
territoriale dell* Italia e dell'Austria. Filippo V ed Elisa- 
betta Farnese. Disegni ambiziosi in favore del figliuolo 
D. Carlo. Acquisto di Parma e Piacenza. Guerre di suc- 
cessione della Polonia. Trattato del 26 settembre 1739. 
D. Carlo conquista il Regno di Napoli. Battaglia di Bl- 
tonto. Acquisto della Sicilia. Fine della servitii spa- 
gnuola. Pace di Vienna. Nuovo assetto delle cose d'Ita- 
lia. Guerra per la successione Austriaca. GÌ' Imperiali 
invadono il Regno di Napoli. Battaglia di Velletri (10 
agosto 1744). Rassegna delle forze e valore dei napole- 
tani. Trattato di Aquisgrana. Nuovo assetto delle cose 
d'Italia. D. Carlo à riconosciuto Re del Regno delle Due 
Sicilie. 

Prima di narrare un periodo di storia del Regno 
di Ferdinando IV di Napoli, quello cioè dal 1789 al 
1796, credo utile accennare fugacemente i principali 
fatti che dal 1701 al 1748 aveano modificato lo stato 
politico e territoriale d'Italia e d'Europa, e le con- 
dizioni delle Provincie napoletane e siciliane. 

Le guerre di successione aveano levata P Europa 
in armi per circa cinquant' anni (1701-1748). Con i 
trattati di Utrecht, di Rastadt (1713-1714), di Vienna 
(1738), di Aquisgrana, cessò ai due estremi della pe- 

COXFORTI 1 



— 2 — 

nisola italiana, dopo circa due secoli e mezzo, la do- 
minazione spagnuola, 

L'Austria ebbe la Lombardia con Manto va,dal Corso 
del .Ticino fino all'Adda, il reame di Napoli e T isola 
di Sardegna. Al Piemonte, in cambio di q'uest'isola, 
fu data la Sicilia, ed estese i confini dei suoi terri- 
tori di Novara e della Lomellina al Lago Maggiore 
ed al Ticino. Genova, dopo ch'ebbe scacciati gli Au- 
striaci per l'ardimento del giovinetto Balilla e mossa 
di popolo, si reggeva a Repubblica (1746). Venezia- 
nella immobilità dei suoi ordini aristocratici serbò 
intatti i suoi possedimenti di terra ferma , vivendo 
dell'antica fama. 

Filippo V di Spagna , vedovo di Maria Luisa di 
Savoia, dalla quale avea avuto un figlio che fu Fer- 
dinando VI, sposo poi Elisabetta Farnese, figlia del 
Duca Odoardo di Parma (16 settembre 1714). Donna 
di alta ambizione , di fieri spiriti, d' animo fermo e 
costante, ambiva, pel primo frutto delle sue nozze, 
il giovinetto D. Carlo , un trono ; poiché quello di 
Spagna spettava a Ferdinando VI. Odiava la influen- 
za austriaca, diventata potente in Italia, ed era de- 
cisa a non cedere i suoi diritti sopra i Ducati di 
Parma e di Toscana. 

L'occasione venne. L' ultimo dei Farnesi, il Duca 
Antonio, mori senza figli (1731). 11 Granduca di To- 
scana Cosimo prevedendo che il figliuolo Gian Ga- 
stone non fosse capace di averne, aveva testato in 
favore della figliuola Anna, moglie di Guglielmo E- 
lettore Palatino. Ma alla successione di Parma e Pia- 
cenza Elisabetta pretendeva legittimamente come 
Farnese; al Granducato di Toscana coriie discendente 
di Margherita de' Medici figlia di Cosimo, pretensioni 
riconosciute poi per diritto dal trattato dell' Aja in 
favore dei suoi figli maschi. Essa quindi si appre- 



- 3 — 

stava a sostenerle con le armi, quando il trattato di 
Vienna (1731) le ratificò , e D. Carlo occupj Parma 
e Piacenza, col titolo di Carlo I; entrò a Firenze e 
costrinse il debole ed inetto Gian Gastone a ricono- 
scerlo per svio successore. 

La guerra, per la successione di Polonia, apri più 
vasto campo alle materne ambizioni di Elisabetta 
Farnese. 

Col trattato sottoscritto a Torino tra Francia, Spa- 
gna e Piemonte (26 settembre 1739) si convenne che, 
appena conquistato il Milanese , sarebbe spettato a 
Carlo Emanuele III di Savoia, successo, per 1' abdi- 
cazione del padre Vittorio Amedeo II (3 settembre 
1730); all'infante Carlo I il Regno delle Due Sicilie, 
a patto che cedesse 11 Ducato di Parma e Piacenza 
a suo fratello D. Filippo. 

Imperiali, Piemontesi, Spagnuoli scesero in Lom- 
bardia , mentre D. Carlo radunava a Parma e Pia- 
cenza i generali più illustri per muovere alla con- 
quista del Regno di Napoli. 

Rassegnava a Perugia le schiere : un sedicimila 
fantaccini e cinquemila cavalieri, tra spagnuoli, ita- 
liani e francesi , rette dal Montemar , cui facevano 
corona altri Duci valorosi , tra i quali i napoletani 
Principe Caracciolo di Torcila, il Duca d' Eboli, Don 
Niccolò di Sangro. 

Questo giovinetto principe di 17 anni appena, ve- 
niva a ripètere sulle terre napoletane la impresa di 
Corradino di Svevia. Ma altri mezzi , altra fortuna 
egli ebbe. Chiese al Papa, e gli fu concesso , libero 
il passo per le terre romane, ed entrò nel Regno per 
la parte di S. Germano , il di 28 marzo 1734 , co- 
stringendo il generale Traun, che avea soli 4000 uo- 
mini e 600 cavalli, a chiudersi in Capua, mentre la 
flotta spagnuola, correndo da Civitavecchia, aveva 



— 4 — 

già prese ed occupate le isole d'Ischia e di Procida. 

Pervenne Carlo a Maddaloni il 9 di aprile ; il 12 
ad Aversa, ove il raggiunsero gli eletti di Napoli, 
presentandogli le chiavi della città. 

Vi entrò il 10 maggio, passando col corteo reale e 
fastoso per l'arco di Porta Capuana, accolto dal po- 
polo come un liberatore. 

Assunse subitamente il governo, e il giorno 15 giu- 
gno giunse messaggio di Spagna, col quale il padre 
lo investiva, nella più ampia e solenne forma sovra- 
na, del Regno delle Due Sicilie. 

Avrebbe dovuto intitolarsi Carlo yil, ma egli sot- 
tascrisse sempre i suoi atti col semplice nome, quasi 
non avesse voluto riconoscersi successore dei Prin- 
cipi Angioini e Spagnuoli. Le sue Prammatiche sono 
tutte intestate così: Carolus Dei Gratta Bex Ulrius- 
que Siciliae^ Jerusalem Reoo^ Infans Hisparciarum, 
Duce Parmae, Placentiae Castriae.Ac Magnus Prin- 
ceps Haereditarius Etruriae (1). 

Quindi caddero Capua , Gaeta , Pescara che ancor 
tenevano per gli austriaci ; il Montemar batteva gli 
imperiali in memorabil battaglia a Bitonto (25 mag- 
gio 1734), e tutto il Regno fu libero al nuovo padrone. 

Il 25 agosto dello stesso anno la flotta spagnuola 
mosse dai porti di Baja e di Napoli a soggettar la Si- 
cilia tenuta ancora in fede dell'Imperatore dal Vice- 
rè Marchese Rubbi. 11 Montemar prese Palermo, il 
Marsillac Messina, difesa dal principe Lobkowict; cad- 
dero Siracusa e Trapani, ad onta della valida resi- 
stenza del romano Orsini, e del generale Carrera. 
Tutta l'isola fu in obbedienza, e il 30 maggio del- 
l'anno appresso Re Carlo raccolse nel Duomo di Pa- 



(1) Il titolo di Carlo III lo assunse quando sali sul tro- 
no di Spagna. Ecco perohò cosi è indicato dai nostri storici. 



— 5 — 

lermo il parlamento siculo, e, posando la mano su i 
sacri vangeli, giurò mantenere le ragioni ed i diritti 
del popolo, i privilegi delle città. 

Cosi dopo ventisette anni di dominio austriaco, 
Napoli levava su gli scudi un Re del ramo cadetto 
della terza Casa Borbone, ed acquistava un governo 
nazionale ed indipendente, pavida ancora dell'oppres- 
sione Viceregnale (1). 

La pace di Vienna (8 novembre 1738) pose fine 
alla guerra, die nuovo ordine alle cose d'Italia e di 
Polonia. 

Carlo fu riconosciuto Re delle Due Sicilie , e dei 
Prosidi di Toscana e Porto Longone. La Toscana fu 
data al Duca di Lorena ; Parma e Piacenzji all' Au- 
stria, al Re di Sardegna Novara e Tortona. 

Quindi ai due poli opposti della penisola si costi- 
tuivano due regni forti, punti di attrazione agli altri 
popoli italiani, se l'Austria non si fosse cacciata nel 
centro per disgiungerli e dominarli. 

Erano decorsi appena pochi anni quando la pace 
fu di nuovo turbata. 



(Ij I difecendenti della terza Casa Borbone che ha per 
stipite S. Laigi si divi ero in due ranpii : primogenito e 
cadetto. Questo ebbe principio con Giacomo della Marca, 
e continua senza interruzione fino a Carlo Duca di Ven- 
derne che per la morte del Contestabile diventò capo della 
Casa di Borbone. Il figlio, Antonio di Borbone, divenuto 
Re di Navarra, ebbe, dalle nozze con Giovanna d'Albret, 
Enrico IV. Quindi i successivi Re della Francia Luigi 
XIII, Luigi XIV, Luigi XV, Luigi XVI. 

Da questo ramo discende quello di Spagna nella per- 
sona di Filippo V , che fu continuato da Carlo VI , da 
Carlo III ecc. 

Carlo, che avrebbe dovuto essere VII di Napoli, e fu ITI 
di Spagna, è il capo del ramo dei Borboni di Napoli. 



— G ~ 

Carlo VI, imperatore d' Austria (ITIS), non aven- 
do eredi maschi promulgò una Prammatica San- 
zione approvata dalle principali potenze di Éaropa, 
con là quale istituiva erede del trono la figliuola 
Maria Teresa (1). Morto però il vecchio Cesare (20 
ottobre 1740) la Spagna, la Francia , la Prussia, la 
Baviera, il Piemonte, la Polonia, la Sassonia, si git- 
tarono a divìdersene le spoglie. L' Inghilterra , la 
Russia, roianda tennero per Maria Teresa. La guerra 
scoppiò in Germania, nei Paesi Bassi , in Italia tra 
Imperiali e Spagnuoli. Carlo di Napoli avea mosso 
forte esercito di napoletani e spagnuoli guidati que- 
sti dal Conte Gayet, quelli dal Duca di Castropigna- 
no, quando il Commodoro inglese Marteen apparve 
con potente flotta nel golfo di Napoli ed impose ed 
ottenne , perchè il regno era privo di armata e la 
città indifesa, il richiamo dell* oste (2). Ma mentre 
questa rifaceva i passi. Tedeschi, Vallachi e Croati, 
retti dal Conte di Obkwitz, invasero il Regno dalla 
parte degli Abruzzi. 

Re ed esercito non si perderono di animo , ed a 
Velletri venuti a fronte con gl'invasori li sconfissero 
in sanguinosa battaglia (10 agosto 1744}. 

Fu la prima in cui soldati napoletani combattes- 
sero per la sicurezza del paese, per un governo pro- 
prio , e non sarà discara una breve rassegna delle 
forze combattenti e del valore napoletano. 



CI) Il nome di Prammatica Sanzione fu in generale dato 
alle ordinanze dei Re di Francia ed alle soluzioni dell.i 
Dieta deirimpero dal secolo XII al XV. 

Con l'art. 6 del trattato di Vienna il Re di Francia ga- 
rentl all'Imperatore la Prammatica S arnione del 1713. 

(2) Orloff ed altri scrittori scrivono : " Martin „ altri 
Marteen. 



— 7 - 

L'esercito era diviso in due schiere, spagnuoli e 
napoletani. Contavano questi diciotto Reggimenti di 
Fanteria. Quelli detti di Terra di Lavoro, Capitanata, 
Molise, Principato Ultra, Abruzzo Ultra erano tutti 
di napoletani di nuova leva (1). Gli altri truppa ve- 
terana, sperimentata nelle guerre d'Italia, e da Fi- 
lippo V ceduti al figliuolo (2). 

La Cavalleria sommava a cinque squadroni (3). A 
capo deirartiglieria era il Conte Gszzola (4), Coman- 
dante in capo il Duca di Castropignano , ^ià amba- 
sciatore in Francia. I napoletani dettero prove di va- 
lore. Cinquanta dragoni del Reggimento Regina so- 
stennero la furia di un* intiera colonna del conte di 
Traun ; morirono quasi tutti , anziché cedere. Alla 
testa della brigata d'Irlanda il Pescarese colonnello 
Macdonal cadde ucciso con undici capitani,ed un gran 
numero di ufficiali subalterni. 

Nicola Sanseverino, fratello del Principe di Bisi- 



(1) Cioè con decreto del 28 gennaio 1743. 

(2) Ecco i nomi degli altri ReggimeDti, e l'epoca della 
loro formazione: 1733, Borbone; 1736 Real Italiano; 1737 
Macedonia; 1738 Real Napoli, Corona ; 1741 Guardia Ita- 
liana, comandato dal Principe di Colubrano Caraffa; Sviz- 
zero lauch, dal nome del Colonnello; Svizzero Wirtz, dal 
Colonnello Ignazio Wirtz , Duca di S. Pasquale di Ru- 
dentz; 1744 Fonseca o Corsi, Svizzero Tshoudy. 

(3) 1735 Reggimento Re , Reggimento Regina ; 1738, 
Reggimento Rossiglione comandato dal Colonnello Gabrie- 
le Canvscosa ; 1742, Dragoni Borbone ohe combattè a Bi- 
tonto, ma era tutto composto di spagnuoli. 

(4) L'b.rtìglieria fu istituita nel 1732 ed avea anche il 
suo stato maggiore, accresciuta poi da Re Carlo. L'acca- 
demia fu fondata nel 1744. 

Al Museo di S. Martino si conservano i disegni delle 
divise e delParmamento di queste truppe. 



— 8 — 

gnano, con un manipolo dei suoi cade, ma non cede 
Porta Napoli. 11 Reggimento Terra di Lavoro , che 
si esponeva al fuoco per la prima volta, guidato dal 
Principe della Riccia, spunta l'impeto del nemico che 
fulminavalo da luogo eminente. 

L'arte, l'audacia, l'ardire del Duca di Castropigna- 
no trionfarono della costanza del primo esercito di 
Europa , e V indomani Re Carlo disse che i napole- 
tani avevano eguagliata la bravura delle truppe più 
agguerrite (1). 

11 trattato d'Aquisgrana (30 agosto 1748) pose ^ne 
alla guerra generale , e con esso Carlo fu riconfer- 
mato Re delle due Sicilie , Maria Teresa fu ricono- 
sciuta erede di Carlo VI, don Filippo fratello di Carlo 
ebbe Parma, Piacenza, Guastalla; il Re di Piemonte 
riprese Nizza e Savoia , ed ottenne Vigevano , Vo- 



(1) Memoria di Castracelo Bonamici, pag. 163. 

Da questa " Memoria „ in latino, tradotta poi nel 1802 
in Italiano da D. Nicola Zehendftr colonnello dell'esercito 
napoletano, attinse il Colletta ì particolari della battaglia 
di Velletri. Però essendo solito, per amore di classicismo, 
a spargervi una vernice di grandezza greca e romana, 
chiama il Reggimento Terra di Lavoro , la " Legione 
Campana „ e riferisce fatti e parole del Re in modo di' 
verso dal vero. Il fatto è questo. L' attacco ioiprovviso 
di Velletri sorprese il Re che dormiva. Fu svegliato di 
soprassalto dal Marchese di Villafate Maresciallo di campo 
ed usci dalla casa con un manipolo di Guardie del Cam- 
po, e sulla via che mena a Valmontone incontrò alcune 
guardie reali alle- quali disse: " Rammeatatevi del vostro 
Re e del vostro primiero valore e fate ogni sforzo perchè 
non accada qualche disgrazia maggiore. „ 

Il Colletta invece fa passare a rassegaa le schiere sul 
Monte dei Cappuccini e fa arringare il Re. 

Non pare che fossero momenti per una concione. 



— 9 — 

ghera, l'alto Novarese; Francesco III venne ripristi- 
nato nel Ducato di Modena. 

Riconosciuto da tutta Europa Carlo assodava la 
sua dinastia nel Regno delle due Sicilie, acquistato 
non per pacifico od astuto lodo , ma per guerre e 
vittorie. I napoletani , dopo tanti lustri di servitù 
straniera, per la prima volta sparsero il sangue per 
un Re che avea loro promesso V indipendenza , il 
mantenimento degli antichi privilegi, la giustizia, la 
Prosperità (1). 

CAPITOLO SECONDO 

Sommario. — Carlo trasferisce il Regno al figliuolo Ferdi- 
nando. Nomina di una Reggenza. Matrimonio di Fer- 
dinando. Dimissioni del Tanucci. Opinioni degli storici. 
Lettera del Tanucci, il Marchese della Sambuca ed il 
Marchese Caracciolo. Morte di costui. Stato dei Regno. 
La rivoluzione francese del 1789 e le nuove dottrine. 
Riforme nei vari rami dell'amministrazione. Le finanze 
e le imposte. I dazi della città di Napoli. La pastori- 
zia e r agricoltura. I Banchi. Opinioni dttgli stranieri 
viaggiatori su Napoli ed i napoletani.! dotti. I paglietti 
e il Tribunale. Detto del Duca di Brunscwig. I medici 
e gli ospedali. Il lusso dei napoletani. Le chiese e la 
Religione. I lazzaroni ed i farti. Svaghi e veglie in Na- 
poli. Le chiese ed i conventi, g. Carlo. Le mascherate 



(1) Filippo V, spingendo il figliuolo alla conquista di 
Napoli e di Sicilia, gli scriveva con lettera del 27 febbraio 
1734 .... « il Mondo si persuada che il solo giustissimo 
" fine di restaurar due Regni tanto illustri, e tanto bene- 
" meriti della Monarchia, e di restituirgli all'antica loro 
" felicità, riputazione e decoro , e non verun altro inte- 
" reise ha stimolata la ricuperazione. » (DeSariis, lib. Ili» 
pag. 240.) 



- 10 — 

napoletane. La nobiltà. I Lacchè. Le Gallerie e le Bi- 
bliot eolie. Conviti e feste. 

Carlo regnò circa venticinque anni; e parti da Na- 
poli il 6 ottobre 1759 per salire il trono di Spagna, 
lasciato vacante per la morte del fratello Ferdinan- 
do VI. Partendo trasferi il Regno di Napoli a Ferdi- 
nando suo terzogenito , perchè il primogenito era 
scemo di mente e d'animo, ed il secondogenito, Carlo 
Antonio, diventava erede presuntivo della Corona di 
Spagna. Il nuovo re di Napoli , perchè appena di 
nove anni , fu afiìdato ad una reggenza. Carlo con 
Prammatica^ che si legge negli atti del governo, fa- 
ceva solenne e pubblica rinunzia e cessione del Re- 
gno al suo figliuolo , istituiva un consiglio di reg- 
genza, dava pubblici ammonimenti e consigli di giu- 
stizia , di mansuetudine, di vigilanza, di amore dei 
popoli (1). A capo del consiglio di reggenza poso 
Bernardo Tanucci , che venuto al seguito del suo 
esercito alla conquista del Regno, ne avea poi, per 
molti anni, felicemente rette e guidate le sorti corno 
primo Ministro. 

Il Re pupillo usciva di minorità a sedici anni, giu- 
sta la Prammatica paterna; e giunto a quell'età as- 
sjnse il titolo di Ferdinando IV. 11 4 aprile 1768 
sposò r arciduchessa Carolina d'Austria ultima fì- 



(l) Il Colletta scrisse eli e Re Carlo lasciò al figliuolo 
precetti e ricordi non invero ingegnosi , ma prudenti e 
benigni. L*Ulloa (pag. 62) rimbecca il Colletta, scrivendo: 
'' niun seppe mai di quei prudenti ricordi a fanciullo di 
otto anni. „ 

E pure si leggono nella Prammatica , che è riportata 
dair Arrighi, (Voi 2. pag. 165) e nelle Raccolte delle Pram- 
matiche del Regno, come quella del De Sariis, e del Gatta. 



- 11 — 

gliuola di Maria Teresa e di Francesco I, sorella al- 
l'Imperatore Giuseppe II (1). 

Tra i patii nuziali fuvvi quello che la Regina, ap- 
pena avesse avuto un figlio, sedesse nel consiglio di 
Stato. 

Con lettera del 27 ottobre 1776 il Re dispensò Ber- 
nardo Tanucci da tutti gli uffizi che avea , tranne 
quello di consigliere di Stato, ed aggiunse ai soldi e 
pensioni quella di altri mille Ducati annui. 

Varie sono le opinioni degli storici intorno al ri- 
tiro del Tanucci. I più concordano nel dire che fosse 
opera della Regina, essendosi egli opposto a che ella 
enntrasse nel Consiglio di Stato. Ma, vi ha chi nota, 
che il diritto della Regina era sancito tra i patti nu- 
ziali e il Tanucci non poteva ignorarli; patto attri- 
buito al fino accorgimento politico dell'Imperatore 
Giuseppe II , il quale riteneva la Regina capace di 
paralizzare e distruggere l'influenza spagnuola, quan- 
do fosse ammessa ai negozi di Stato, a vantaggio e- 
sclusivo di quell'austriaca. 

L'epoca però in cui il Tanucci cadde in disgrazia 
non coincide quasi col fatto al quale è attribuita. 

La Regina divenne madre di lin Prìncipe Reale , 
D. Carlo Tito, nel febbraio del 1775 (2). Diciotto mesi 



(1) Il matrimonio dovea stringersi con Pai tra sorella di 
Maria Carolina, Taroiduchessa Maria Giuseppina. Questa 
però mori, chi dice per vaiòlo (Arrighi pag. 184, nota], chi 
di spavento da cui sarebbe stata incolta visitando le tombe 
dei suoi maggiori, uso a cui eran soggette le principesse 
fidanzate. 

L'arciduchessa Maria Giuseppina , dicono^ fosse di ca- 
rattere estremamente dolce* 

(2) Il Principe D. Carlo Tito mori prima della nascita 



— 12 — 

dopo Tanucci fu licenziato. Se vera fosse stata la 
resistenza del Tanucci all' ammissione della Regina 
in quel consesso , il Re non gli avrebbe, fra i mol- 
ti uffici dai quali lo dimetteva, conservato appunto 
quello di consigliere di Stato (1). 

Altri ha detto, anche senza alcuna prova, che la 
disgrazia del Tanucci vuoisi attribuire alle persecu- 
zioni sue contro i liberi Muratori di Napoli, poten- 
temente sostenuti dalla Corte di Francia e che Ma- 
ria Antonietta si fosse intromessa presso Carlo III 
perchè la sua influenza spendesse col figlio per la 
rimozione del Tanucci (2). 

Vero è che il Tanucci aveva spesse volte mostrato 
desiderio di uscir dairufflcio; non pertanto fu dolente 
e querulo della caduta (3). Per nove anni sostenne 



deiraltro fratello Francesco, il quale nacque il 19 agoato 
1777. 

Nel 1780 nacque un terzo genito D. Gennaro, il quale 
anch'agli passò all'altra vita, 

(1) Vedi al proposito i documenti inediti che si conser- 
vano al Museo di S. Martino, ricordati dal mio egregio 
amico il comm. Carlo Padiglione nell'ottimo lavoro: La 
Biblioteca del Museo Nazionale di S. Afar^/»o ecc., pag.336. 

(2) Arrighi (pag. 188, Voi. 2). Perdinaado IV richiamò 
in vigore la Prammatica di Carlo III che proibiva i li' 
beri o Franchi Muratori, (Pramm. 1. tit. 116), quindi de- 
legò la Giunta di Stato a procedere ex officio , e ad mo- 
dum Belli, siccome ne' delitti di lesa Maestà, proibendosi 
ogni illecita riunione. (Pramm. 2 e 3. tit. 116). Vedi Gi- 
liberti, Polizia Ecclesiastica ecc. pag. 79. 

(3) Uso le parole Colletta. L' Uiloa il quale vuol cor- 
reggerlo, sostenendo che il Tanucci non provò rammarico 
alcuno della disgrazia in cui cadde, non ha posto mente 
alla seguente lettera scritta dal Tanucci in risposta alla 
comunicazione che lo esonerava dall'ufficio. " Io ringra- 



- 13 - 

una lotta incessante contro grintrighi e le cabale che 
i favoriti della Regina ordirono contro di lui. 

L'ascendente che questa avea acquistato sull'ani- 
mo del Re, Tinfluenza sua in Corte , la politica del 
Tanucci, contraria al Patto di famiglia, e quindi ad 
ogni sostegno che poteva venirgli da Re Carlo di 
Spagna , furono le ragioni chiare e capaci a porlo 
fuori del potere. 

A succedergli fu scelto, con lettera del Ministro de 
Marco datata da Portici il 27 ottobre, Giuseppe Bo- 
logna Marchese della Sambuca , non a guari Amba- 
sciatore di Napoli in Austria. 

Anche la scelta indica la influenza che gli faceva 
posto; quella Austriaca. 

Dopo dieci anni circa di potere venne a morte nel 
1786 il Marchese della Sambuca, e gli successe il 
Marchese Domenico Caracciolo, noto pel suo ingegno 
e per le sue buone opere in Sicilia, dove era stato 
Viceré. 

Nel 1789, proprio quando in Francia scoppiava la 
rivoluzione, un grave evento si maturava in Napoli; 
la morte del Caracciolo e l'assunzione di Giovanni 
Acton al suo posto. 



" zio la clemenza del Re che mi scarica di tanto peso, e 
" ja divina misericordia che mi lasciano tempo da pen- 
" sare all' anima mia alla quale non ho potuto pensare 
" troppo nell'addietro nel tumulto di tanti affari. Io ho 
^* amato troppo il Re ed i suoi Rogai. Non mi pento, che 
" se l'avessi amato meno, o questo colpo non mi sarebbe 
" venuto sopra, o assai più. tardi. „ 

]1 Colletta non disse dunque il falso asserendo che del 
colpo fu il Tanucci querulo e doloroso (Lib. II). L'Ulloa 
invece aggiunge che, avvenuta la sua disgrazia „ non se 
ne dolse „ (Di Bernardo Tanucci e dei suoi tempi pag. 134;. 



— 14 — . 

DI questi, che tanto impero ebbe e tanta parte fu 
nei fatti che ho impreso a narrare, dirò a lungo in 
appresso. 

Cosi Tanno si, chiudeva e la prevalenza della Re- 
gina si assodava incontrastabilmente , poiché tutte 
le redini dello Stato erano strette in mano di un suo 
favorito. 

Dal prosieguo di questa storia si vedrà come le 
Monarchie e le nazioni possono èssere conservate o 
abbattute, fatte prospere, felici e libere, da un uomo 
solo o da questo rese misere, tristi e schiave.' 

Non è obietto di questo libro il narrare minuta- 
mente i progressi del reame o le condizioni ancor 
misere in cui era durante il tempo di Carlo III e i 
trentunanno che scorsero del Regno di Ferdinando 
IV, dal 1759 al 1790. 

Però prima di chiarire al lettore lo stato sociale 
ed economico a cui era pervenuto nel 1790, non sarà 
inutile accennare alle impressioni di alcuni viaggia- 
tori stranieri! che nell'ultimo ventennio aveano visi- 
tata Napoli. 

« Si computa che il Regno di Napoli senza la Si- 
« cilia, abbia quattro milioni di abitanti. La città di 
« J^apoli conta circa 400,000 anime ; e in certe vie 
« persone e vetture sono in continuo moto come a 
< Parigi. Cosa singolare si è questa , il veder qui 
« sulle strade, operai e persone che si guadagnano 
« nella stessa guisa il pane, nudi affatto, e niente 
« impensieriti del guadagno del dimani, e poi molti 
« lacchè riccamente vestiti correre avanti carrozze 
« dorate, e farsi largo per mezzo a questa povera 
« folla di gente : cpsi precisamente si osservano due 
« cose tra loro opposte, la più stravagante magnifl- 
« cenza, e l'estrema miseria; l' una accanto all'elitra, 
« fanno qui una vista singolare, e ciò non solamente 



- 15 — 

« per le vie, ma si toccano altresì anche colle rela- 
« zioni sociali. 

« Un napoletano mi descrisse ultimamente gli abi- 
« tanti di queste città e con che classe si debba w- 
« sare. Gli abitanti di Napoli, diceva egli, si possono 
« rassomigliare ad una vipera : la testa è velenosa 
« e nociva , onde la si taglia e gettasi via: la coda 
« non è buona a nulla, ma il pezzo di mezzo è utile 
« e buono: cosi qui sono i principali e la nobiltcà, 
« gente maPeducata, ignorante, nociva e cattiva; il 
« più basso popolo, cioè i lazzaroni, sono cosi abietti 
« e spregevoli che bene spesso debbono fuggirsi. 

« Ma 16 stato di mezzo è, secondo la sua opinione, 
« il migliora che si possa trovare al mondo. 

« A me non conviene giudicare una Nazione, ma 
« ogni regola ha la sua eccezione. Io conosco qui y 
« diversi Principi i quali sono assai bene educati, 
« ed ammaestrati; si va con piacere nelle loro con- 
« versazioni. Il numero di questi tali non è vera-/ 
« mente grande, e non è assolutamente in relazione j 
« con la grande moltitudine di Principi, Duchi, Mar- 
« chesi. Conti e simili di cui Napoli è piena. 

« Generalmente egli è certo che i napoletani hanno 
« un buon cuore e buon volere, sono pietosi e facili a 
« commoversi, del che si hanno prove tutti i giorni. 

« Essi sono desti e vivaci e di conversare facile 
« e piacevole , pronti a stringere amicizie e cono- 
« scenze. 

« I dotti di Napoli lavorano per amor della scien- 
a za e naturale inclinazione senz'attendersene van- 
« taggi promozioni (1). Perocché io debbo gene- 



(1) Pare che anche oggi i dotti di Napoli traggano per 
se poca utilità dai loro stadi. 



— 16 — 

ralmente dire che qui la dottrina non è favorita 
gran fatto. Quindi è che anche il numero dei dotti 
non è cosi grande come dovrebbe esserlo. Honos 
alit artes (1). 



(1) Non sarà discaro citare i maggiori uomini di que- 
sto tempo, dividendoli per categorie. In politici, giuristi 
ed economisti , Giuseppe Aurelio De Gennaro , Giuseppe 
Pasquale Cirillo, Nicola Capasse , Mario Pagano , Filan- 
gieri, Nicola Fiorentino , Ferdinando Galiani, Giambat- 
tista Vecchioni, Giacinto Dragonetti, Melchiorre Delfico. 
Negli storici. Palmieri , Giuseppe M. Galante, Di Meo, 
Pecchia, Nicola Vivenzio , Francesco Antonio Grimaldi, 
Vito M.* Amico, Giovambattista Lampo, Giovanni Evan- 
gelista di Blasi, Rosario De Gregorio, Vincenzo Rogadeo. 
Tra i matematici, fisici e naturalisti, il Serao, il P. della 
Torre, il De Bernardis, il Principe di Sansevero , Pietro 
Antonio Poulet, Mario Lama, Felice Sabatelli , Martire, 
Cara velli, Fergola, Poli, Domenico Cirillo, Nicola d'An- 
drea, Antonio Sementini, Cotugno, Petagna , i due Scu- 
diero, Landolina, Recupero, Cavolini. Tra i poligrafi e 
poeti il Signorelli, il Danieli, lo Scotti, il Baffi, il Serio, 
il Campolongo, il Valletta, il Salfì , ilMattei , Clemente 
Filomarino. Tra i diplomatici il Principe di Belmonte e il 
Marchese di Gallo.l'rai giurisdizionalisti. Conforti, Scotti, 
De Marco, Cestari. Tra le donne l'Ardinghelli, Faustina 
Pignatelli, la Principessa di Colubrano, Eleonora de Fon- 
seca Pimentel, Caterina ed Aloisa Caruso, Aurora Sanse- 
verino, Anna Maria Agliata, Isabella Bellitti , Genoveffa 
Bisso, Pellegra Buongiovanni, Anna Gentile, Aurora Bo- 
nanno, Isabella Pignone del Carretto, Giuseppa Eleonora 
Barbapiccola Nelle arti belle Paolo de Matteis , France- 
sco de Muro , Corrado Giaquinto , Giuseppe Bonito , il 
Conca, l'Errante^ il Fischietti, il Morabito, il Celebrano, 
il Sammartino, il Gioffredo, loSchiantarelli,il Jommelli, 
il Traetta y il Saochini, il Piccinni , il Paisiello, il Gu- 
glielmi, il Cimarosa, lo Zingarelli. 



— 17 — 

« Ancora i premi sono pochi; onde non vi ha quel- 
« le molte Accademie che sono in Parigi e in tutta 
« la Francia. Ma ciò appunto accresce la mia stima 
« pei dotti napoletani. Egli è vero che il difetto del 
- necessario impedisce a molti di darsi alle scienze ; 
« poiché debbono con altri mezzi procacciarsi di che 
« vivere. Cosi un professor di Greco a fin di pro- 
« curarsi qualche comodità, e decorosamente aver 
« moglie e figliuoli , è costretto ad insegnare ed a 
<i. far l'avvocato, che è il mestiere più sicuro. È sin- 
« golare che egli possa, nello stesso tempo, difender 
« cause, scriver libri proprio in greco, e far pro- 
^ cessi (1). 

« Il numero degli avvocati è qui assai grande. A 
« contar tutti i giureconsulti e le altre persone che 
« frequentano i Tribunali debbono ascendere a 30000; 
« gli avvocati soli a 15000. 

« Se si va nel Tribunale, che chiamasi la Vicaria, 
« c'è da diventar sordi pel fracasso che vi si fa. La 
« calca è cosi grande che, per quanto le sale siano 
« vaste e molte , appena si può passare. I giuristi 
a si chiamano Paglietti dal collare che portano, il 
« quale si chiama Paglietta , e si rassomiglia del 
« tutto a quello dei preti, tranne dal colore che è 
« azzurrognolo; vanno tutti vestiti di nero (2). 

a In tanta moltitudine di giureconsulti io non dico 
« che la ragione e la giustizia siano molto bene am- 
« ministrate in Napoli. Molti agiati giuristi in uno 
« Stato mi paiono come molti medici in un ospedale: 



(1) Oggi la condizione del professori non è certo molto 
dissimile da quella descritta dal nostro viaggiatore.. 

(2) Il Dumas ed altri credono ohe il nome di Paglietta 
provenisse dal perchè gli avvocati , lo che non è esatto, 
portavano cappelli di paglia. 

Conforti 2 



— 18 — 

« gli ammalati stanno in letto ed il medico va a spe- 
« se loro in carrozza ; quanto più numerosi sono i 
« medici , tanto più essi provano la quantità degli 
« infermi, e il merito e stima dell'arte. Lo stesso 
« osservo qui di questi ricchi giureconsulti, essi pro- 
« vano anzi la quantità delle liti e dei processi, an- 
« zichè la cura della giustizia. Io ho inteso che qui 
« si litiga per rivendicare cose che sono in posses- 
« so altrui da parecchi secoli. Mi è stato detto che 
« il duca di Brunscwick abbia nei suoi viaggi scrit- 
« to: che il vero modo di far fortuna è d'essere sol- 
« dato a Berlino , prete a Roma , Paglietta in Na- 
« poli (1). 

Degne di nota sono anche di questo straniero, be- 
nevolo ed imparziale con i napoletani , le* osserva- 
zioni sulla Università degli studi , sui Principi che 
in Napoli, allora coltivavano le scienze e le lettere. 

Notava altresì che, in fatto di lusso, i napoletani 
erano superiori ai francesi stessi: « Tutti hanno lac- 
« che, servitori, e quel che è più, paggi (2).» 

Con più superficiale spirito di osservazione e con 
qualche maligna^ione, non insolita in bocca di stra- 
nieri, un altro viaggiatore descriveva e giudicava di 
uomini e cose del nostro paese a quel tempo. Ri- 
porto le osservazioni e Topinione di quest' altro scrit- 
tore perchè dal confronto nasca un concetto esatto 
e completo delle condizioni politiche e sociali negli 
ultimi quarantanni precedenti al 1790. 



(1) Veii Colletta lib. I pag. 44. Il giudizio del sommo 
nostro storico è uguale a quello del viaggiatore stranie- 
ro, imparziale e probo. 

(2) Lettere dei suoi viaggi di Giacomo Giona Bjoern- 
staehl, Professore di Filosofìa in Upsala, scritte al signor 
Gjorwel, Bibliotecario Regio iii Stocolma. 



— lo- 
ft Non vi è dubbio che questo popolo è il meno 
« illuminato di tutta l'Italia, perchè è il più devoto; 
« per meglio dire bigotto. 

« Un Cinese che non conoscesse TEuropa e da Ro- 
« ma venisse in Napoli, non potrebbe giammai im- 
« maginarsi, che queste due città professano la stes- 
« sa religione , e ancora meno , che quella dove la 
« si pratica più tiepidamente, ne sia la sede. In ef- 
« fotti i Romani sono 'tutti spiriti forti, in paragone 
« dei napoletani. Le processioni sono, presso questi 
« ultimi, più frequenti e più costose, le chiese più 
u superbamente decorate e più ricche in argenterie, 
« i conventi di uomini e di donne più popolati , e 
« lo spirito di pietà infinitamente più esaltato. 

« Napoli ha una classe d'uomini speciale. È la pa- 
« tria dei castrati e lazzaroni. Non è che a Napoli 
« che si fanno quelle operazioni infami che noi ^iu- 
« dichiamo indispensabili per mantenere i nostri tea- 
« tri. Ed è la feccia del popolo che sagrifica così i 
« suoi nati, nella speranza dei vantaggi da ritrarne 
« un giorno. Ma i loro calcoli sono spesso frustrati. 
« Qualche volta la voce non si sviluppa in questi 
« fanciulli; sovente non mostrano gusto o tendenze 
« per la musica. Sono affidati ancor teneri ai mae- 
<c stri, i quali si compensano dell'istruzione' su i pri- 
« mi salari degli allievi. E a colpi di frusta che que- 
<c sti fanciulli diventano virtuosi, e si può dire che 
« quest'arte, si bella, uno dei primi piaceri dei nostri 
« sovrani, sia infusa a tutti questi castrati a colpi di 
a staffile. 

« I lazzaroni sono una classe che non esiste che 
« solo in Napoli, e che possono essere considerati 
« come un fenomeno morale. Il loro numero si fa 
« ascendere a quarantamila che non hanno né stato, 
« né mestiere , né proprietà , né dimora , né mezzi 



— 20 — 

« di sussistenza, noti per la più estrema miseria 
« formano una specie di ceto politico che ha sove 
« molestato il Governo. Questa classe deve la 
« esistenza alla fertilità del paese, al calore del 
« ma ed all'ozip. Un lazzarone non si ciba, per ; 
« timane intere, che di frutta, di cui qìfesta fer 
« contrada è cosi abbondante, e di cosi deliziose q 
€ lità. Il suo costume è di una estrema semplic 
« va quasi nudo, e la sua casa, sono le vie di '- 
« poli, dove egli passa le notti, pago di trovarvi 
« ricovero alle intemperie dell'aria. Con si pochi 
« soorni, il più liere guadagno è sufficiente. Sono a 
« perati nel lavoro avventizio, e nei minuti serv 
« e sono contenti della più modica ricompensa. F 
€ rebbe che il grande loro numero dovesse rend< 
a insolenti , ma no, essi al contrario , sono umil 
« servizievoli, e soffrono con pazienza tutte le rir 
« stranze di disprezzo e le offese dei loro conci! 
» dini; ed è una fortuna, perchè se i lazzaroni 
a lessero ogni volta proteggere o vendicare uno 
« loro, Napoli diventerebbe un luogo pericoloso. ]> 
« sapendo vivere che in Napoli non vanno mai 
« trove, né alcuno di essi si è fatto mai bandito 
« I furti sono così rari in Napoli, come gli ass 
« sinT sono comuni (1). In una città che non è il 

(1) I delitti di omicidio erano invece in gran nume 
Difatti in un Dispaccio del 21 novembre 1791 il Re ricl 
mando in vigore le leggi del Regno d'ceva : " Yedei 
" con sommo rincrescimento del nostro Regal animo ( 
** scinta la frequenza degli omicidi. „ Ma per gli ass 
sinì le ultime Prammatiche furono quelle di Filippo 
in data del 16 aprile 1763, e di Filippo IV, in data del 
agosto 1621. Sicché durante il Regno di Carlo e di I 
dinando fino al 1798 , non crebbero , anzi diminuiron 
reati di assassioio. 



— 21 - 

« minata la notte, ove vi son tanti chiassuoli, e le vie 
« strette , e la più miserabile di tutte le polizie , i 
« ladri avrebbero buon gioco. Nonostante la grande 
« miseria sono rarissimi (1). Si trasportano per le 
« vie canestre intere di argenterie, che son servite 
« allo spettacolo per il pranzo o per rinfreschi, spesso 
« dopo mezzanotte, e nessuno le invola. 

« Se i napoletani non s'impadroniscono della roba 
« altrui per violenza, o destrezza , se ne fanno pa- 
tì droni in altra maniera. Non vi è città al mondo 
« in cui si litiga come in Napoli; che è piena zeppa 
« di avvocati , e i Tribunali sono innumerevoli (2). 

(1) Oggi invece sono aumentati. 

(2) Pur troppo il narratore straniero non ha esagerato, 
né il Colletta aggiunse foschi colori al quadro per se stesso 
brutto. Gli abusi de' legali erano gravi , ed il governo 
stesso ne fa scosso. Fra gli altri, con le sue Prammati- 
che notava che nella Metropoli si erano intrusi nel Foro 
molti ignoranti e scostumati che degradavano il ceto , 
dal quale asciano magistrati, ed era fonte di nobiltà, onori, 
distinzione e decoro. Quindi, chiesto il parere alla Came- 
ra di S. Chiara, emise nuovi provvedimenti che riassu- 
merò , perchò la gioventù vegga che alcune istituzioni 
vìgenti spuntarono dal ceppo delle antiche. 

II. numeroso ceto de'Professori legali della città di Na- 
poli fu diviso in ordini e classi; V Avvocati. 2^ Avvocati 
e Procuratoli. 3® Procuratori. Un Collegio composto di 
sei Avvocati , esercitav* il diritto della censura sull'in- 
tero ceto. In ogni anno si dovca formar l'Albo di tutte 
e tre le classi, ciascuno classificato dal Collegio; proibito 
il cumulo dello esercizio di Avvocato e Procuratore, ob- 
bligo del giuramento , divieto di vestire l' àbito fuori le 
funzioni, permessa la spada, vietato, agli attuari e scri- 
vani, Tabito e la spada degli Avvocati. 

Il Collegio dell'Ordine, che per la prima volta fu com- 
posto dagli Avv. D. Filippo Villani, D. Francesco Coirò, 
D. Belisario De Bellis, D. Giuseppe Toscano, D. Miche- 



— 22 — 
« La popolazione di Napoli è di 350,000 anime; e 



langelo Cianciulli e D. Saverlo D'Andrea, rivedeva l'Al- 
bo. Cassava gl'intrusi e gl'immeritevoli, cioè quelli che 
assumevano difese notoriamente ingiuste, usavano poco 
rispetto ai magistrati o ai colleglli, rivolgendo nelle ar- 
ringhe o allegazioni, che doveano tutte essere sottoscritte, 
ingiurie o contumelie. 

Nuove guarentigie circondarono 1' esercizio della pro- 
fessione: richiesto agli alunni o novizii l'attestato di aver 
frequentato per un anno lo studio di un Avvocato o di 
un Procuratore di conosciuto merito, i quali doveano at- 
testare con giuramento: poi nn certificato che attestasse 
aver quei giovani per un biennio difese le cause de' po- 
veri nella Congregazione di S. Ivone. Le pubbliche fun- 
zioni ed ufficiali, nel corso dell'anno, fissate a tre: Al 4 
Gennaio, al 4 Marzo, al 1 Ottobre; nelle quali gli alunni 
recitavano un discorso su i punti della ragion comune 
o patria, discorsi raccolti in volumi, dei quali il primo 
esemplare era inviato alla Camera di S. Chiara (Tit. IX. 
Pramm. i* del 6 Dicembre 1870 pubblicata a 9 Dicembre, 
Giustimani. Voi. 1^ Pag. 313). 

Nonpertanto gli abusi continuarono. L'albo fu fatto d 
disfatto, deplorate le indebite intromissioni, le furfanterie 
degli attuarii, dei mastrodatti, degli scrivani. Invadenti 
il campo degli Avvocati e Procuratori. Cosi alla legge 
seguiva costante la frode. E qual frode ! L'albo delle due 
classi conteneva non meno di bismillequadrigentos et ul- 
tra Pro/essores qui non sunt a S. /?. C. examinati, et ad exer- 
citìum Procurationia approbati et matriculati, (Pramm. F, 
20 Decembris 1785), Né minori sconci si lamentavano pei 
palmarii, sicché fu chiamata in vigore Taatica tariffa, che 
si stabiliva sul valor controverso nelle seguenti propor- 
zioni , e non potevano pretendersi se non quando fosse 
stato costituito il giudicato : 

Fino a D. 10,000 il 5 %. 

da 10,000 a 20,000, il 4 %. 

da 20,000 in poi il 3 % (Pramm. 1 tit. X). 



— 23 — 

« la cagione di così numerosa popolazione è senza 
« dubbio nel buon mercato di tutti i generi. 

« Migliaia di persone dalle provincie accorrono alla 
« Capitale , dove i mezzi di sussistenza sono così 
« numerosi, e le derrate stesse a basso prezzo. 

« A Napoli si dorme più che in altre città d*Ita- 
« Ila , cioè à dire la miglior parte del giorno nella 
« calda stagione; ma tutta la notte si è svegli. 

« Hanno i napoletani così poche attrattive per gli 
« svaghi di giorno, che in tutto il circuito della citt ì 
« non v^è una via in cui si possa stare all'ombra. 
« Essi hanno un uso estremamente comodo, quello 
« che recandosi a far visita si mutano gli abiti presso 
« il loro ospite. Mutando la camicia si prova un gran 
« sollievo. 

« Quantunque Napoli abbia delle chiese, dei con- 
« venti, dei grandi e superbi palagi, non ha nulla di 
« molto artistico in fatto di Architettura. Qui nelle 
« opere d' arte si ama l' esagerato , esempio i getti 
« d' acqua , gli edifici. È un gusto opposto a quello 
« dei Romani. 

« S. Carlo è magnifico. Ma non vi sono qui dei 
<i teatri in cui si recitano abitualmente commedie e 
« tragedie ; in parecchi, operette , quelli delle ma- 
« rionette , sono molto frequentati. Questo popolo 
« non vive senza il riso del sig. Pulcinella ; goffa- 
« mente spiritoso e che dice le più grandi oscenità 
« nej suo dialetto. 

« I napoletani hanno il vanto di aver eseguito il 
« progetto d'uno spettacolo così gigantesco che un 
« altro non sarà registrato negli annali del Carne- 
« vale. 

« Questo progetto fu eseguito per la prima volta 
(( dodici anni or sono, e dopo, questo brillante spet- 
« tecolo si è rinnovato in ciascun Carnevale. 



— 24 — 

« 11 famoso pittore francese, Vienne, che era al- 
« lora in Roma, fece il disegno. 

« È una mascherata che rappresenta il Sultano 
« uscente dal Serraglio per andare alla Moschea. Il 
« Re, la Regina e tutta la Corte vi presero parte e, 
« per una magia delle più felici, vi par d'essere in 
« Costantinopoli. 

II Gran Signore incede circondato da tutti i gran 
« di ufficiali del Serraglio, e da circa tremila gian- 
« nizzeri. 

« I costumi sono inappuntabili, quelli dei Pascià, 
« degli Aga , dei Visir, superbi , e seminati di dia- 
« manti. E perchè si fa a gara per distinguersi, la 
« finzione è superiore al vero. 

« Il Corteo traversa le principali vie di Napoli, e 
« quantunque la famiglia Reale sia del numero , il 
« Re non rappresenta il Sultano, ma un Pascià. 

« Questa magnifica mascherata si fa ordinaria- 
« mente verso la fine del Carnevale , ma spesso si 
« ripete. 

« La nobiltà napoletana è numerosa, e in parte 
« ricchissima. I titoli di Conte e di Marchese non 
« bastano alla loro vanità; e vogliono assolutamente 
« essere Principi o Duchi , tanto questi titoli sono 
« comuni a quasi tutte le famiglie nobili. 

« Qui, come dapertutto, non si ha influenza se non 
« si è ricchi , e non si fa sfoggio. Alcuni di questi 
« Principi napoletani vivono con una magnificenza 
« veramente reale; altri campano sottilmente in una 
« piccola dimora presa in fitto. 

« E perchè tutti hanno lacchè, e si può averli 
« con scarso salado, cosi, questi Principi, ne hanno 
« uno, ch'è tutto il lor fasto. A Napoli gli equipaggi 
« sono tanti quanti a Parigi, e più ricchi, dappoiché 
« ciascuna vettura è tratta da sei cavalli napolitani, 



— 25 - 

« scortata da una folla di domestici e di lacchè in 
« ricchi abbigliamenti; e poiché la vita costa poco, 
« così essi sono contenti di un modico salario, per- 
« che, secondo essi, nessun vantaggio è maggiore di 
« quello di poter vivere a Napoli. Tutti questi do- 
« mestici, vanno armati di lunghe spade; il qual uso 
« proviene, per quel che mi pare, dai rischi ai quali 
« si è esposti in -questa città, e che eran prima più 
« grandi di adesso. I lacchè erano costretti a dii'en- 
« dersi, ed a vegliare alla sicurezza dei loro padroni. 

« Di Grallerie e di Biblioteche, che sono anche esse 
« parte del lusso dei grandi, Napoli non difetta. La 
« Biblioteca del Principe di Tarsia è superba : la 
« sua scuderia è magnificamente dipinta e decorata, 
« prova che l'intenzione del signore non era quella 
« d'onorare le Muse (1). 

« La Regina ha raccolto, da qualche anno a que- 
« sta parte, una Biblioteca di opere tedesche per suo 
« uso; Fuger, pittore di Vienna, l'ha dipinta con 
j^ molto gusto. > 

Erano, su per giù, queste le condizioni e la fisono- 



(1) La Biblioteca del PrÌDcipe di Tarsia era non solo 
ri^ca di opera, ma le pareti e gli scaffali, di fregi ed oro. 
Una sala fornita di molti strumenti matematici, iin*altra 
di ritratti d'uomini dotti, nazionali e stranieri. Sulle porte, 
in caratteri d*oro, si leggeva il seguente distico di G. B. 
Vico : 

Heic Jovis e cerehro quae in coelo est nata Minerva 

Digna Jove in terris aurea tecta colit. 

Nò meno ricca e superba era la scuderia , tutta di- 
pinta, e tutta a specchi di Venezia, di valore e di eflfótto 
mirabili. 

I conviti del Principe erano splendidi. Fontane d'acqua 
e di vini più. prelibati, alberi carichi di ogni ghiottornia 
che imitavano le frutta, pesci guizzanti in vaste fonti. 



— 26 — 

mia sociale del Regno fino ai tempi di Carlo III, sal- 
vo, s'intende, quelle differenze proprie delle provincie 
cagionate dalla maggior o minor prevalenza del feu- 
datario, del cattivo amministratore, e della maggiore 
minore lontananza dalla Capitale , ove era accen- 
trato il potere il quale, per mancanza di sollecite co- 
municazioni, di frequenti scambi, non poteva infondere 
un'azione rapida e concorde in tutte le membra del 
Reame. 

CAPITOLO TERZO 

Sommario. — Coadizioni morali degli ultimi otto lustri. 
La pace ed i suoi effetti. Nuove istituzioni e leggi. 
Ordinamento interno. La istruzione, le scienze, le arti. 
Rivali del potere Regio. Le nuove magistrature. Le 
spese di amministrazione. Gli arrendamenti minori. Il 
commercio, Tagricoltura , la pastorizia. I Banchi. La 
miseria. 

Negli ultimi otto lustri dei due reggimenti fiori- 
rono ingegni in queste provincie napoletane ai quali 
oggi, in cosi rapido progresso e diffusione di scienza 
e di coltura, fa d'uopo ancora inchinarsi. 

E vero che l'impulso di dottrine nuove e riforma- 
trici venne spesso di fuori, ma i segni di una società 
che si agitava e convelleva perplessa, invece di ge- 
nerare torbidi e resistenze inopportune, trassero gli 
spiriti dei sapienti agli studi severi, ed alle aspira- 
zioni corrette di savie emoderate riforme. Cosi, men- 
tre in Francia i vincoli della vecchia società feudale 
e della Monarchia assoluta accennavano a discio- 
gliersi, e il filosofo levava colà di seggio il cortigiano 
ed il favorito del Re, e la scienza minava dalle fon- 
damenta r ordine costituito , tra noi coscienziosa- 



— 27 — 

mente e lealmente si desiderava rafforzare di nuove 
radici, e rinverdire di novelle frondi il tronco della 
giovine Monarchia. 

Cinquant' anni circa di pace avevano infiacchiti 
gli animi, ammorbiditi gli spiriti, dirozzati i costumi; 
tratte le menti a disputare e svolgere i benefici ed 
i frutti di un'operosa quiete. 

La spada del Duca di Castropignano e di Carlo III 
non v'era chi brandisse : non gloria da mietere nei 
campi, sul mare poca ; neanche quella di battere le 
sottili e ladre galee barbaresche che infestavano i 
nostri lidi. 

Più nobile, più certa parve però quella dei traffi- 
ci ; e la nazione spingeva, ed il governo vagheggia- 
va ed eseguiva progetti di una numerosa e forte 
armata. 

Con buone e saggio norme era stato eretto il Su- 
premo Magistrato del Commercio, il quale dava pa- 
reri, non solo in fatto di provvedimenti intorno alla 
pubblica economia, ma decideva, senz'appello, di tutte 
le cause , pendenze , differenze , litigi, controversie 
intorno ai negozi ed affari commerciali (1). 

Poi il Consolato di mare e di terra in ciascuna 
provincia , il quale aveva lo stesso uificio giurisdi- 
zionale deiraltro, ma nelle controversie che non su- 
peravano i cinquanta ed i trecento ducati. 

Per le prime pronunziava senz' appello , e per le 
altre era competente, a conoscere il gravame, il Su- 
premo Magistrato del Commercio (2). 

Questo pero venne abolito, e nominato, in sua vece, 
il Tribunale dell'Ammiragliato; al quale fu estesa al- 
tresì la giurisdizione criminale su tutti gl'individui 



(1) Diapaocio del 30 ottobre 1739. 

(2) Dispaccio del 2 giugno 1740. 



— 28 — 

addetti al commercio ed ai traffici marittimi , e su 
tutti quelli viventi* con l'industria ed arti marina- 
resche (1). 

Tra le quali quella della pesca del corallo fu con 
buoni ordinamenti riorganizzata , dettate regole , e 
creato un Monte con offerte volontarie degli asso- 
ciati, e che,nei bisogni, accorreva in loro soccorso (2). 

Di quattro Tribunali e giurisdizioni che risponde- 
vano a quelli dell' Uditor Generale degli eserciti e 
della marina, dei Castelli di Napoli, e del Delegato 
di Casa Reale, si formò un solo dal titolo: Udienza 
Generale di Guerra e di Casa Reale, composto di un 
Presidente, scelto fra gli ufficiali, un Vice-presidente 
tra i Ministri di S. Chiara , e tre Consiglieri, tratti 
dagli altri Tribunali , di un Avvocato Fiscale ed un 
Avvocato dei poveri. Avea mastrodatti, portieri, birri 
a se. Come Tribunale Supremo rivedeva, in appello, 
tutti i processi dei Tribunali Militari e dei Consigli 
di Guerra. Al Presidente doppio il voto, purché fosse 
per le sentenze più miti; queste inappellabili, tranne 
in pochi casi (3). 

Poi i luoghi prossimi al Real Palazzo ed al Castel 
Nuovo furono posti sotto la giurisdizione di questa 
Udienza, tolti da quella del Reggente. Fu una deroga 
al diritto comune per gli abitanti di quelle adiacenze, 
ed altre se ne aggiunsero. I limiti dell'abitato, ad essa 
sottoposto, furono Largo del Castelnuovo, Molo, Piazza 
Francese, Fontana Medina, Sedile di Porto, Via S. 
Giacomo, e tutto quel tratto che dall'angolo di que- 
sta Via, scendendo Toledo fino al Gigante, alla Pana- 
tica e Monte di Dio circondava il Palazzo Reale. I 



(1) Dispaccio del 6 dicembre 1783. 

(2) Dispaccio del 17 novembre 1789. 

(3) Prammatica del 17 febbraio 1786. 



— 29 — 

delitti commessi in questi luoghi, giudicati inappel- 
labilmente dall'Udienza, alla quale spettava la vigi- 
lanza sui vagabondi e gli stranieri, e che trasportò 
al Largo del Cartello il corpo di Guardia dei suoi 
birri (1). 

L'interno ordinamento legislativo ed amministra- 
tivo era scompigliato, impedito dalla fitta rete d'in- 
teressi , di magagne , dilapidazioni, debiti, furti. 

In altri rami, però, evidente.il progresso. 

Si riordinò e diffuse la pubblica istruzione, furono 
accresciute e fondate scuole colle rendite della scac- 
ciata Compagnia di Gesù (2); creati Convitti e Licei, 
riordinata T Università di Napoli, erette quelle di 
Bari e di Altamura. A complemento degli studi sor- 
sero Accademie, gabinetti di scienze fìsiche e natu- 
rali, istituti di belle arti, e si disseppellivano, ben- 
ché lentamente, e senza un disegno scientifico, i se- 
polti tesori di Pompei. 

Le scienze esatte e naturali ebbero cultori di gri- 
do; la poligrafìa e la letteratura sventurati e celebri 
scrittori. Melodie immortali creavano Jommelli, Pai- 
siello, Cimarosa, Zingarelli. 

11 Potere Regio frenò i due poteri pericolosi e ri- 
vali: la teocrazia ed il feudalismo. Quella fu battuta 
in breccia dalla critica storica e dalla erudizione: 
stretta poi dalle leggi, poiché il governo traeva forza 
e presidio dall'opinione dei dotti, coi quali fronteg- 
giava le dottrine della pura e assoluta teocrazia (3)* 



(1) Prammatica del 14 giugno 1790. 

(2) Per i particolari dell'abolizione dei Gesuiti vedi il 
mio libro: " I Gesuiti nel Regno delle Due Sicilie ed in 
Italia. „ Napoli 1887, Ernesto Anfossi Editore. 

(B) Mentre non può esser maggiore ora la insipienza del 
partito liberale il quale, alla propaganda gesuitica, lascia 
libero campo. 



— 30 - 

La prevalenza che la Monarchia acquistò su quo 
ste due classi; gli abusi che volle impedire, e se nor 
impedi tutti, mostrò averne le intenzioni, le conci- 
liarono la borghesia intelligente, Taristocrazia spre 
giudicata, il popolo minuto. Fu necessità contrapporre 
ed elevare a potente influenza la curia; per combat- 
tere gli abusi dei Baroni. 

Il congegno d' un organesimo amministrativo era 
ancora ignoto: e la semplificazione delle mille ruote 
che debbono muovere la macchina del governo, im- 
possibile, quando il Regno era retto da una legisla- 
zione tanto diversa , tanto arruffata , cosi confusa; 
Quindi necessità di contrapporre agli abusi, un po- 
tere collegiale, il quale con l'autorità *delle sentenze 
e col voto dei più, spuntasse il sospetto dell'arbitrio 
di un solo , ne impedisse la corruzione , ed il fa- 
voritismo. 

Si crearono, dunque, per ogni ramo, non amministra- 
tori, ma tribunali e curie, e quindi quel lungo stra- 
scico d' incalcolabili indugi , di premeditati raggiri, 
e una magistratura o prepotente o pecorilmente ser- 
vile, una schiera immensa di causidici, onde parca 
che si sprigionasse solo il calore , la vita , V impor- 
tanza deirattività sociale. 

Fu lodato e celebrato il dispaccio del 23 settembre 
1774, prescrivente la motivazione delle sentenze (1). 
Ma non è men vero il fatto che dove le leggi sono 
diverse e molte, è in arbitrio sconfinato del giudice 
il ragionamento. Sicché il principio, ottimo in astrat- 
to, die scarsi benefici, e quantunque ingegni potenti, 
come il Filangieri, il Pagano , Nicolò Fiorentino ed 
altri minori si affaticassero a riformare quel garbu- 



(1) Ulloa pag. 71. 



— 31 — 

glio di legislazione penale e civile, il disordine con- 
tinuò senza tregua (1). 

Volendo più partitamente indicare le condizioni 
cosi del Governo come della società del 1790 e le 
cause che impedivano anche le buone idee e gli utili 
provvedimenti, mi addentrerò in certi minuti parti- 
colari, e additerò molte cifre. 11 lettore che rie3cirà 
ad annoiarsi, può sorvolare ai capitoli appresso, dove 
il racconto andrà più spiccio ed attraente. 

La prosperità di una finanza nei Regni ben retti 
ed ordinati è sempre indizio di benessere della na- 
zione. Qui in Napoli era l'opposto. Il fisco smungeva il 
popolo, e il denaro rifluiva tutto nelle mani degli ap- 
ps^ltatori, dei creditori del Governò, nelle avide gole 
degli stranieri, e dei ministri dilapidatori come TActon. 

Intorno al 1790 il Governo ritraeva da tutte le con- 
tribuzioni, ordinarie e straordinarie, la somma -annua 
di 11,533,144.92 ducati. Però i feudatari, gli eccle- 
siastici esigevano per conto loro, per tanti svariati 
dritti e prestazioni , non meno di 0,275,747 ducati ; 



(1) Uno scrittore contemporaneo osservava. " Fu ordì- 
" nato dal passato governo per dare un freno all'arbitrio 
" dei giudici di doversi ragionare il Decreto. Quest' or- 
'^ dine produsse che una stessa causa subendo sino a tre 
" contrarie decisioni del Tribunale ordinario e nel Tri- 
" bunale di appello , per ben tre volte con diverse leggi 
" fosse ragionato il Decreto. Questo ragionamento va a 
" meraviglia dove regna la legge, ma dove la legislazione 
" è un composto di contraddizioni, non ripara il male per 
" cui è ordinato e rende il governo la favola delle altre 
" nazioni. „ 

(Prospetto economico politico legale del Regno di Na- 
poli di Gioacchino Ungaro Duca di Montejasi. Napoli 
presso Gaetano Raimondi MDCCCVII. Col dovuto per- 
messo). 



— 32 — 

sicché la nazione tutta pagava un totale di 17,808,81 
ducati. Air introito del fisco corrispondeva esatt 
mente la spesa, della quale noto, le seguenti partii 

Alla Real Casa. ...... Due. 1,223,000 

Alle Segreterie di Stato. ...» 100,000 

Per la Diplomazia. ..... » 150,000 

Per la Giustizia » 550,000 

Per l'Esercito . » 3,180,000 

Per la Marina ....... » 1,023,000 

Per l'Istruzione pubblica ...» 228,000 

Per le vie ed altre opere pubbliche » 4,008,000 

Per spese dì amministrazione . » 1,137,000 

Per pensioni » 140,000 

Debito pubblico in rendita. . . » 3,236,661 

Le spese per le amministrazioni, il debito pubbl 
co, assorbivano largamente l'introito dell'erario, 
quelle dell'esercito e della marina erano sproporzi< 
nate, di fronte al numero dei soldati e delle navi. 

La' Real Casa, pel solo viaggio del Re e della R( 
gina a Vienna e per l' Italia , avea spesi circa du 
milioni, e traeva dalle esauste finanze dei cittadir 
altri 501 mila ducati per le due principesse che n< 
1790 andarono spose dei due Arciduchi d'Austria. 

Ai mille scialacqui delle spese di amministrazione j 
aggiungevano i tanti lauti stipendi. Il costume ver 
ne, ad onta della parsimonia, inaugurato dal Tanucc 

quale tra soldo e pensioni riscuoteva 10 mila dn 
cati air anno ; il Marchese della Sambuca 18 mil£ 
oltre 12 mila altri ducati, rendita di una Badia eh 
gli era stata donata. E scendendo agli impiegati 
magistrati , e alle spese di giustizia , si sa che u 
Consigliere di Stato prendeva annui ducati 3000, i 
Direttore della Dogana, tra stipendio e diritti, duca! 



— 33 — 

40 mila, il Presidente della Camera Reale ducati 
6000 , i Consiglieri 1400 , il Reggente della Vicaria 
2400. 

Cosi le spese di giustizia per la sola città di Na- 
poli ascendevano a ducati 200 mila. 

Ma oltre le imposizioni riscosse dal fisco la città 
era gravata degli Arrendamenti cosi detti Minori; 
e che rispondevano , in quanto alla materia ed alle 
cose tassabili , agli attuali dazi di consumo , e che 
erano distinti così : 

Terziaria e Gabelluccia (1), Scannaggio (2), Volatili^ 
Capretti ed Ova (3), Pesce (4), Olio (5), Buon denaro (6), 
Quartuccio (7), Piazza Maggiore (8), Farina(9), Orzo ed 
Avena Calce (10), (11), Minuti (T2), Portolania(13), Seta 
nera, Telangaggio, (14) Grano e mezzo a rotolo (15). 

Alle quali si aggiungevano altre con nomi incom- 
prensibili^ come ancoraggio, savorra, carena, costa 
della mancina , licenza di fuoco , fanale del molo, 
merciaiuoli, sul pezzo, carosiello (*). 






(1) La prima sul vino alla minuta, la seconda sul vino 
a botte. (2) Grana 20 per ogni poroo, 40 per ogni animale 
bovino. (3) Capretti grana 1 ^^2 J ogni cento ova grana 1, 
Ogni cento volatili grana 5. (4) Il 12 per cento sul prezzo 
fissato dall'assisa, più un grano a rotolo. (5) Grana 15 a staio. 
(6) Il 8 e mezzo per cento sulla contrattazione dei generi 
che si vendevano al Fondaco di Napoli., (7) Sui carri, e 
le frutta che s'immettevano in città. (8) Sui bovi, porci ed 
agnelli che s' introducevano vivi in città. (9) Grana 15 a 
tomolo. (10) Grana 10 a tomolo. (11) Grana 1 sopra ogni 
40 rotola. (12) Sul valore diverso ohe le produzioni acqui- 
stavano con le m anifatture. (13) Simile all'attuale tassa. 
(14) Sulle piccole barche e tartane. (15) Sulle carni fresche 
e salate, 

(*) Queste erano tutte esatte dalPUf&cio dell'Ammira* 
gliato. 

Conforti 3 



— 34 — 

Il commercio per mille vincoli, per poca o niuna 
sicurezza per mare e pier terra, scarso ed inceppato. 

Erano non meno di 240 i diritti di passo, che da- 
vano all'anno 75,500 ducati: e in 103 luoghi del Re- 
gno SI esigevano senza titolo alcuno col nome di 
passi, Gontropassi, passeggieri, scafQ, carretture. 

Sopra una superficie di 30 mila miglia quadrate, 
le strade rotabili correvano per 1231 miglia circa. 
Infestate da malviventi e comitive armate che assa- 
livano e svaligiavano viaggiatori e procacci. Il ser- 
vizio della posta caro e mal regolato (1). 

L'agricoltura negletta; la proprietà insidiata dalla 
rapace unghia del fisco, che volle rivendicare dalle 
mani di qualsiasi persona ecclesiastica ^ magistrato, 
nobile, o dai Comuni, quei beni del demanio che cre- 
deva usurpati. Epperò si die a spiar da per tutto per 
iscoprirli; né i contratti, il possesso, la prescrizione 
furono efficaci guarentigie, e lo spoglio cadeva alla 
disordinata amministrazione della Camera della Som- 
maria. 

Fu eretto in Foggia il Monte Frumentario per fa- 



(1) Fino al 1800 e pia fu in vigQre la Praxnm. del 29 
dicembre 1777 ohe fissava la seguente tariffa: Lettere di 
Roma per tutto il Regno mezzo foglio grana 4 ; foglio 
© Vi S^* 5* l^ue fogli gr. 6. Piego, per ogni oncia, gr. 12. 

Raccomandata inferiore ad un oncia gr. 10, superiore 
gr. 12- 

Da Venezia per Napoli : Vi foglio gr. 4. Foglio gr. 9. 
Due fogli 12. Oncia gr. 18. 

Da Milano Vi foglio gr. 4, un foglio gr. 7, foglio e Vi 
gr. 10, due fogli 15, oncia gr. 27. 

Estero : Germania , Paesi Bassi , Inghilterra , Vi foglio 
gr. 6, foglio gr. 9, foglio e Vi gr. 14, due fogli gr. 20, 
oncia gr. 28. Francia Vi foglio gr. .6, foglio gr. 7, foglio 
e Vi 8» due fogli 14, oncia gr. 22. 



— 35 — 

cintare la coltivazione e la semina, evitar la scar- 
sezza proveniente dall'impotenza dei coloni, oppressi 
dall'avida usura. Il capitale dotalizio fissato in cento 
venti mila ducati^ da prendersi metà dai frutti dei 
Beneficii Vacanti, l' altra metà dai fondi de' Banchi 
della Capitale. Ai coloni massari per ogni versura 
di terra si anticipavano ducati diciotto in tre rate, 
rispondenti alle tre epoche della coltivazione e del 
raccolto; li restituivano col frutto del 3 per cento 
che ricadeva a favore dei Banchi. Molte cautele mo- 
rali si richiedevano per la sicurezza del prestito , 
che poteano altresì esser supplite dall' esibizione di 
un oggetto d'oro o d'argento in pegno (1). 

Con tutto ciò la pastorizia e 1' agricoltura delle 
immense regioni del Tavoliere e della Sila non da- 
vano che scarsissimi frutti : ed ogni buona idea di 
abili amministratori, come quella del Marchese Pal- 
mieri, di vendere il Tavoliere, non fu accolta. E se 
la vendita dei feudi in allodio creò un numero di 
proprietà libere, continuavano però i fedecommessi, 
i maggiorati, i monti di famiglia, ad accentrarla. 

E r esperienza mostrò il danno di tenere in am- 
ministrazione i tanti terreni demaniali. Se ne per- 
mise quindi il censimento, alle classi lavoratrici spe- 
cialmente. Pei feudali fu stabilita la valutazione del- 
l'uso civico , da compensarsi con parte delle terre 
del Demanio medesimo , e per le molte e svariate 
servitù tra feudo e feudo, e tra questi e le Univer- 
sità si ammisero le transazioni tra le parti, e, in caso 
di rifiuto, il ricorso al Re (2). 

Potenti , forti di credito , benefici, erano i nostri 



(1) Prammatica del 17 ottobre 1781 , a firma del Mar- 
chese della Sambuca. 

(2) Prammatica. Giuatiniani pag. 803. 



— 36 — 

Banchi , nei quali il denaro depositato ascendeva a 
ducati 21,421,195 e grana 78. La rendita in beni fon- 
di ducati 274,000; traevano dai prestiti due. 101,069 
e grana 39 , e sopra un valore di pegni per ducati 
3,963,113 , riscuotevano Y interesse di 142,000,27, un 
totale di frutti annui di due. 318,005, e grana 68. 

Con questi utili si provvedeva alle spese di ammi- 
nistrazione e pensioni per ducati 306,856 e grana 
37, per opere di beneficenza ducati 111,822,34; e ciò 
indipendentemente dall'opera gratuita dei pegni alla 
gente minuta , per la quale si spendeva una forte 
somma. 

Così questo istituto che avea l'impronta principale 
di beneficenza, facilitava lo scambio e la circolazione 
dei capitali, risparmiava circa 100 mila ducati all'an- 
no, che avrebbe potuto far rifluire in aiuto e sussi- 
dio dell' agricoltura , la quale scarsa fonte di bene 
traeva dal Monte Frumentario. 

Con tutto ciò, se squallida e misera era la vista 
dei villaggi e delle città, la campagna e la natura 
incantavano ogni straniero. 

« Se Italia, scriveva uno di essi, è un giardino di 
« Europa, Napoli è certamente il Paradiso. 

« Un paese bello ed eccellente che da per tutto 
« senza molta coltura produce i più eccellenti frutti, 
« un paese che a quello dell' età dell' oro, dai Poeti 
« descritto, tanto si assomiglia che io ora non posso 
« più dubitare che Virgilio ed Ovidio non abbiano 
« tolte quivi le loro immagini. 



— 37 — 

CAPITOLO QUARTO 

Sommario. — Mutazioni dello spirito pubblico. Storioi, fi- 
losofi , canonisti. Scritture e contese giurisdizionali. 
Gli enciclopedisti. Allarme dei curiali. I primi fatti di 
Francia. I primi allarmi del governo napoletano. Libri 
e Francbi-Muratori.Vita sociale. Nuova divisione della 
Capitale. Preoccupazione della Corte. Morte di Giuseppe 
IL Ricordi. Nozze. Viaggio dei Reali a Vienna. I primi 
vincoli politici con l'Austria. 

Una profonda e radicale mutazione nell'idee e nel- 
lo spirito pubblico era incominciata lentamente dal 
di che Pietro Giannone pubblicava la sua storia ci- 
vile del Regno, continuata con gli scritti e con le 
dottrine del Rogadeo, di Antonio Genovesi, Gaetano 
Filangieri , Mario Pagano ; apertamente quando il 
governo non solo tollerò , ma favori le numerosa 
scritture che pullularono contro la prestazione della 
Ghinea ed altre famose quistionì giurisdizionali con 
Roma (1). 



(1) Ecco un elenco delle scritture che resero più popo- 
lari le ragioni della Corona contro la Curia: " Raccolte 
" di varie Ghinee , ohe si vendono da Salvatore Palermo 
" nel Corridoio del S. R. C. nel vicolo nuovo rimpetto al 
" Palazzo del Principe della Riccia a S. Biagio dei Li- 
" brai, e sotto il Teatro di S. Carlo. 

1. Discorso sulla Ghinea pretesa da Roma. 2. Memoria 
sulla Ghinea. 3 Allocuzione del Cardinale N. N. al Papa. 
4. Epitome Isterica di Ciro Econdallo sul censo napole- 
tano. 5. Lettera di un amico di Napoli ad un amico di 
Roma sulla pretesa Chinea , e la consacrazione dei ve- 
scovi. 6. Vescovi consagrati indipendentemente da Roma. 
7. Lettera a Monsignor Borgia , nella quale gli si prò* 



—•38 - 

La storia di Pietro Giannone vide la luce il 1723, 
ed egli, appena l'ebbe pubblicata, fu costretto a fug- 
gire per sottrarsi alla furia del popolo, aizzato dal 



pongono alcuni dubbi, sa di alouni punti della sua breve 
Istoria. 8. Al Papa il Re. Discorso in versi. 9. La nova 
forma della Ghinea ecc. 10. Lunga risposta di 14 pagine 
alla breve storia di 568 pagine, scritta da Monsignor Bor- 
gia contro l'abate Cestari. 11. Il Concordato. 12. Il viag- 
gio dell' Internunzio , o sia Memoria su lo scioglimento 
di un Matrimonio. 13. Risposta del Papa all'Allocuzione 
del Cardinale N. N. 14. Discorso Storico Politico dell'ori- 
gine , progresso e decadenza del potere dei chierici. 15. 
Schiarimento storico critico. 16. La dottrina pacifica. 17. 
Memoriale di un cattolico alla Santità di Pio VI. 18. Ra- 
gionamento dell'autorità degli Arcivescovi e Vescovi del 
Regno di Napoli. 19. Storia politica sul matrimonio. 20. 
Riflessioni sul discorso storico-politico del Cardinale N. 
N. al Papa. 21. NuUum jus Pontificis maximi in Regno 
Neapolitano. 22. Riflessioni sulla Corte Romana. 28. Let.- 
tera venata in questa Capitale da Roma e diretta ad un 
amico suo corrispondente colla data della passata setti- 
mana. 24. Dialogo tra S. Lino Pontefice Romano e Santo 
Aspreno, 1** vescovo napoletano, sopra T allocuzione del 
Pontefice Pio VI. 25. Il Pallone volante, e l'asino, ed il ca- 
vallo, Apologi Borgiani. 

Questo elenco lo abbiamo tolto da un utile libro ano- 
nimo dal titolo " Giannone da' Campi Elisi, ovvero con- 
" ferenze segrete tra un savio Ministro di Stato, e l'av- 
" vocato Pietro Giannone intorno ad importantissimi ob- 
^ bietti che riguardano il ben'essere della nazione napo- 
'^ letana. „ 

Esso fu scritto dal P. Maria Clarizia Domenicano. Chi 
abbia vaghezza di un sommario più. diffuso e con mag- 
giori notizie vegga quello pubblicato in nota dall'egregio 
Prof. r. Scaduto nel recentissimo libro " Stato e Chiesa 
" nelle Due Sicilie dai Normanni ai giorni nostri „ (Pa- 
lermo Andrea Armenta Editore , 1887, pag. 58-74). Nean- 



-so- 
derò che lo accusava come eretico, ateo, scomuni- 
cato. 

Però in meno di mezzo secolo le sue dottrine frut- 
tificavano. 

Il governo napoletano , seguendo V esempio e le 
esortazioni di quello spagnuolo, dichiarava prima la 
Compagnia di Gresù e tutte le sue case Professe in- 
capaci di fare acquisti (1). Poi la scacciava dal Re- 
gno diramando istruzioni severissime ai Presidi delle 
Provincie. Notevolissime le condizioni della Pram- 
matica con cui abolivasi la Compagnia, e si dava il 
bando ai suoi membri. Diceva il Re che per quel 
provvedimento si era uniformato al parere, concor- 
demente proposto, di tutta la Giunta degli Abusi, ed 
era stato esortato ancora dal sentimento di persone 
ecclesiastiche riguardevoli pel loro carattere.,, e ri- 
putate comunemente dal pubblico per la loro pietà 
e dottrina (2). 

Quindi fu disposta che tutte le somme che le Uni- 
versità pagavano ai Collegi dei Gesuiti venissero ri- 
lasciate, e supplite con denaro deirErario, al man- 
tenimento di quelle scuole (3), riformato l'organico 
degli studi del Collegio del Salvatore, nominati i 
nuovi professori, fissati i loro stipendii (4). 

Le pingui rendite, accumulate da quei frati con la- 



che però questo catalogo è compiuto, e mancano alcune 
altre importanti opere , tra le quali la dissertazione del 
Conte Galdi sullo scioglimento del matrimonio della Car- 
denas. (Vedi opuscolo: " Una quistione giurisdizionale 
" tra Ferdinando IV e Pio VI. (Braschi) per Luigi Con- 
" forti. Napoli Gargiulo Editore). „ 

(1) Pramm. del 10 Ottobre 1767. 

(2) Pramm. del 31 Ottobre 1767. 

(3) Pramm. delPS Febbraio 1768. 

(4) Pramm. del 25 Marzo 17G8. 



— 40 — 

sciti in sostituzioni, furono date a beneficio degli 
eredi laici (1). E quando il Pontefice abolì la Com- 
pagnia, il governo napoletano ordinò che il Breve 
fosse stampato con la traduzione in volgare, e copia di * 
esso spedita a tutti i magistrati, Tribunali, Vescovi 
del Regno, ed a tutti gli altri superiori laici od ec- 
clesiastici (2). 

L' abate Genovesi fu il primo a svegliare le ten- 
denze democratiche. Le sue lodi, e la preferenza che 
egli diede alla Democrazia sopra l'aristocrazia e la 
Monarchia, precedono quelle di seconda mano che 
poi si sparsero nel regno, tratte dagli Enciclopedi- 
sti francesi. Egli sostenne che la prima ha una virtù 
maschia e vigorosa , la quale è menomata e scema 
nella seconda, infiacchita e quasi perduta del tutto 
nella terza. 

Queste lodi divennero, in seguito, massime, e le 
grandi attrattive che il Filangieri sparse dei costu- 
mi, dell' educazione, dei grandi fatti di Roma e di 
Grecia, l'acume e il sentimento della libertà politica 
e personale che Mario Pagano con forma maschia e 
sentenziosa riassunse nei suoi Saggi, formarono quella 
corrente di dotti e liberali che non videro salute poi 
se non nella rivoluzione francese. 

Colpiva gli animi e le menti il fatto che in que- 
sta lotta decisiva contro la Curia tenessero pel Re Ve- 
scovi, Prelati, Abati. Che la lunga schiera di cano- 
nisti regi usci dalle fila del clero; che nelle vertenze 
tra Roma ed il Re , la prelatura del Regno teneva 
in gran parte pel Re, e, nelle quistioni dommatiche, 
la potestà regia era difesa e sostenuta. Cosi Monsi- 



(1) Pramm. del 28 Luglio 1769. 

(2) Il .Breve di Benedetto XIV è del 21 Luglio 1773. La 
Pramm. del 10 Novembre 1773. 



— 4i - 

gnor Testa Piccólomini, Cappellano Maggiore, riven- 
dicava, con la sua Curia e le sue sentenze, i diritti 
della Regalia che Roma chiamava usurpazioni; e ri- 
chiedeva il Re perchè si degnasse ordinargli di non 
dar corso col Regio Exequatur alle disposizioni del 
Pontefice ; Monsignor Ortes Cortes, Vescovo di Mo- 
tuia, decideva, in una grave controversia matrimo- 
niale, in favore del potere regio; Monsignor Serao, 
scelto a Vescovo di Potenza , dichiarava di rimaner 
fermo nelle sue massime contrariò alla Curia; gli a- 
bati Cestari , Scotti , ed il più celebre di tutti Fran- 
cesco Conforti, con la voce, con l'esempio, con gli 
scritti , negli alti uffici che ebbe nel Governo ed a 
Corte, per circa un quarto di secolo sostenne i di- 
ritti del Principato , e tolse a sciorre quei vincoli 
superstiziosi che ingrovigliavano le coscienze. 

L'esame dell'insussistente diritto d'investitura sul 
Regno, preteso dalla Curia Romana, taciuto dal Fon- 
tano, negletto dal Giannone , fu in gran parte riso- 
luto dal Rogadeo, e lo sarebbe stato all'intutto se il 
Tanucci non avesse proibito il seguito dell'opera di 
questo erudito ingegno (1). 

Ma la opposizione del governo a prestare, non il 
censo dei 7000 ducati, sibbene la Chinea e l'omaggio. 



(1) Il Pontano nella sua celebratissima opera De Btllo 
neapolitano , nella quale trattò, le guerre sorte dopo la 
morte di Alfonso d'Aragona tra il figliuolo bastardo Fer- 
nando e Carlo d'Angiò. 

Il Giannone narra la storia delle Investiture sebbene a 
brani, ma nessuna conclusione se ne può trarre , né ar- 
gomenti validi sull'insussistenza di questo voluto diritto. 

Invece il Rogadeo nella sua opera del " Diritto Pub- 
"blico e Politico del Regno di Napoli intorno alla So- 
** vranità, all'Economia del Governo, ed agli ordini civili „ 



— 42 — 

accese fin dal 1770 la gran lite, e la stura alla re- 
sistenza alla Curia, data dall'alto, originò Tesarne di 
tutte le pretese e le usurpazioni in materia civile. 
Cosi, i concordati , le elezioni dei yescovi , le qui- 
stioni matrimoniali, i diritti di nomina alle sedi va- 
canti, quelli di Patronato Regio, vennero ampiamente 
discussi, e le teoriche e le dottrine nuove erano ar- 
dite e gravi, cosicché oggi nulla potrebbe aggiungersi 
di più aperta condanna del potere chiericale. 

Da questa somma di rivendicazioni in favore del 
potere Regio, trascorsero gli scrittori a combattere 
l'autorità spiritule della chiesa e gli articoli di fede. 
Se si consultassero quegli scritti si vedrebbe quale 
ardimento e quale coraggio, in favore del laicato, si 
veniva accentuando e popolarizzando in queste pro- 
vinole. 

Così quegli scrittori fingendo discorsi ed allocu- 
zioni di Pontefici volontariamente li facevano rinun- 
ziare al doppio potere, definivano la chiesa un col- 
legio di fedeli soggetto alla libera ed indipendente 
potestà civile come tutti gli altri cittadini, privo di 
ogni podestà di restringimento. I concilii non altro 
che collegi di chierici e laici, competenti solo a chia- 
rire gli articoli di fede, ma che da essi erano pro- 
manati i maggiori abusi della chiesa, e specialmente 
• per quello di Trento, il quale avea tramutato in ca- 
noni i sofismi, e le erronee conseguenze dei teologi 
e dei canonisti. 

Riguardo alla disciplina ecclesiastica, i preti erano 
eguagliati ai vescovi, cosi nell'ordine come nell' uf- 



trattò a fondo la quistione. Dì quest'opera edita da Vin- 
cenzo Orsini nel 1769 fu pubblicato il solo primo volu- 
me, perchè il seguito venne proibito dal Tanucci. (Vedi: 
** Giannone dai Campi Elisj eco. „) 



— 43 — 

Scio ; accordando ai primi la facoltà di consacrare- 
i preti non solo ma anche i Vescovi, poiché l'ufficio 
di questo era definito una carica di presiedere come 
capo, fra eguali; e quindi rigettati tutti gli altri or- 
dini inferiori, come ministeri temporali e profani, per 
esempio quello del Diacono, istituito nei primi tempi 
per amministrare solamente la sostanza dei Benefici. 

In quanto alla polizìa della Chiesa, non le conten- 
devano il diritto di legiferare , ma quelle leggi che 
possono fare i collegi, volute , stabilite ed emanate 
dal ceto di tutti i fedeli , ai quali appartiene il (di- 
ritto collegiale di fulminare la scomunica contro dei 
Vescovi ancora, se scandalosi ed erranti. 

Al Primato Pontificio altra superiorità non gli si 
riconosceva oltre quella di una vigilanza, di una 
ispezione gerarchica, sulla Chiesa universale, come^ 
vescovo della prima sede, ma nessuna potestà giu- 
risdizionale e coattiva (1). 

Il matrimonio altro non essere, sostenevano, che 
un atto spoglio di qualsiasi carattere religioso; e ra- 
gionando sull'essenza, sulla forma, sugli impedimenti,, 
sui divorzi, condannavano tutta la legislazione della 
Chiesa, al riguardo, definendola codice il più assur* 
do, mostruoso, legislazione fatta per popoli che non 
hanno mai avuto idea di governo (2). 

E senza scrupolo si volsero ad assalire i misteri 
della fede e le opere di culto, cosi potentemente ra- 



(1) Voltaire scriveva in data del 29 luglio 1775 al Re 
di Prussia. ** L'ab. Galiani ha sostenuto che Roma non^ 
" mai potrebbe ripigliare un poco di splendore , se non 
** quando vi fosse un Papa Ateo. Per lo meno è ben certo, 
" che un Ateo successore di S. Pietro farebbe assai me-- 
" glio, che un Papa supeirstizioso. „. 

(2) Chi voglia più minuti particolari intomo alle qui- 



— 44 — 

elicati nella gran massa del popolo. Il sacrificio dèlia 
messa non é, dicevano, che la partecipazione degli 
assistenti ; le limosine , profano commercio coone- 
stato con lo specioso nome di onorario; il sacro pa- 
trimonio un' erronea conseguenza dei falsi canonisti; 
la recita dell'uffizio divino un palliativo, supplemento 
alla mancanza della cura delle anime, e una prosaica 
maniera di adorare Dio ; i voti religiosi , impedi- 
menti temerari alla natura umana , le scomuniche 
-e grinterdetti, superstiziose invenzioni. 

Sui possessi temporali del clero, e sugli ordini mo- 
nastici si gettarono armati di quei principii che il 
solo secolo nostro, dopo tre altre rivoluzioni, è riu- 
scito ad attuare. 

Al clero secolare intimavano di vendere i loro beni 
e di, darli ai poveri, ripetendo ad ogni frase ildetto 
di Cristo: « Nolite possidere aurum ncque argentum, 
neque pecuniam ». I frati altro non erano che un'ac- 
oozzaglia di dissoluti, di usurpatori, Ipocriti, igno- 
ranti. 

Essi erano i tre validi sostegni della tirannia ad- 
ditata da Aristotile, dei quali sono allievi i tre com- 
pagni indissolubili del dispotismo, cioè abrutire l'in- 
gegno, avvilire il coraggio e impoverire i popoli. E 
poiché vi riuscirono , la gratitudine pontificale , ac- 
crescendo i loro privilegi, avea dichiarato guerra ad 
ogni letteratura, fomentata la scolastica, che usava 
cavilli ed esercitazioni in luogo del ragionamento, 
per imbestialire gli uomini. E la curia Romana era 
-stata grata a questi servizi concedendo ai Benedet- 
tini financo il privilegio di tener concubine. 



«tioni matrimoniali legga 1' opuscolo: ^ Una controversia 
giurisdizionale tra Ferdinando IV ed il Pontefice Pio VI,, 
'(Braschi) da me pubblicata il 1882 pei tipi di Luigi Gar- 
^alo. 



— 45 — 

Ad accrescere esca al fuoco si erano sparse le dot- 
trine e diffuse le opere degli enciclopedisti francesi ^ 
la corrispondenza di Federico II con Voltaire , con 
TAlembert; ad invelenire l'attacco, le numerose scrit- 
ture in senso opposto, le festose, ma violenti satire 
del Capasse che venivano gettate sul viso ai flagel- 
latori del chiericato (l). 



(1) Si lègga difatti la famosa satira del Gapasso scritta, 
in difesa del celebre Carlo Majelli intitolata: de Vera pe- 
danteria. Contro gli scrittori avversi alla curia il Capas- 
se nel suo latino maccheronico scrive: 

" Scomunicate, procax, temulente, catharma popelli 
Laicorum sozzura, luturo, clerique rifiutum, 
Carcinoma meae Sirenis, et horrida pestis 
Tune Deum, Sanctos, Pastoremque Urbis et Orbis,. 
Cui reges addenocchiant, et basta scarpis 
Dant, dozzinalem nec pensant esse favorem 
Ore feria impuro, et porci oarpis ad occhi am? „ 

Contro gli stessi diceva: . 

" Est doctor de librettis quos Gallia sfornat „ 
E a Federico II: 

" Filius o Satanae, caput ìmpius, cernia tosta „. 

Ma anche in poesia si attaccò la religione. In un Oder 
sulla stòria della politica pontificia, ^ opera postuma del 
celebre P. Rocco, con un proseguimento di D. Onofrio. 
Galeota „ si legge: 

Madre di rea discordia 
Religion divenne 
Volle sedotti i popoli 
E rignoranza ottenne. 



— 4Ó — 

Il quale non posava per altro, e accortamente con 
le sue mille forze e le sue potenti ramificazioni cer- 
cava inoculare nel governo la certezza che quello 
accordo nel combattere la Curia, la Chiesa, la Reli- 
gione, non fosse casuale, ina effetto di una congiu- 
ra. Quindi traeva pretesto da un* infelice frase di 
uno scrittore anticuriale, per gridare: è congiura^ 
è congiura! (1) 

E accortamente insinuava che dairavvilimento del- 
Tordine ecclesiastico si andava addirittura allo §ta- 
hilimento della libertà e ^eWuguaglìanza. Stabiliti 
una volta questi sacri diritti dell'uomo e del citta- 
dino, mancar non può di vacillare il Trono e tur- 
barsi la tranquillità dello Stato (2). 

E difatti, le origini, la estensione del potere Mo- 
narchico, avean subito fieri attacchi , e le teoriche 
del contratto sociale s'erano spinte a rapidi progres- 
si. Un contemporaneo di opinione opposta ai nova- 
tori, amaramente dice: « Si è scoperto al presente, 
^ che la sovranità appartiene originariamente , ed 



Cosi la morte del Caracciolo si sciolse il seguente epi- 
gramma: 

Dominico Marchioni Caracciolo 
Papicolae delatores et Epicuri 
Grex omnis 
Moerentes Posuerunt 
At at alacri animo estote 
Quod de Caraccioli ingenio 
Adhuc multi supersunt. 

(1) La frase è questa: Trecenti conjuravimus Caeteri,,,. 
^uo quisque tempore aderunt, (Lett. a Mons. Borgia, pa< 
^ina XXVII). 

(2) Giannone dai Campi Elisi, ovvero conferenze scere- 
te ecc. pag. ÌB8. 



— 47 — 

« essenzialmente alla Nazione, che comunica i suoi 
« diritti legislativi imperativi ed esecutivi al So- 
« vrano , il quale non deve più intitolarsi : Re per 
« la grazia di Dio , ma per la buona grazia e per 
« la sommissione dei popoli. Oggi si sono già dise- 
« gnati e stabiliti i confini al diritto dei Sovrani, ed 
a a quei dei popoli : oggi i sovrani sono i rappre-- 
« sentanti, i depositarti e gli esecutori dei diritti 
« dei Popoli. 

« Se mai vi prendesse vaghezza -di domandare per- 
« che oggi Ferdinando IV è Re di Napoli, badate 
« a non recitare la solita canzone di riportarvi alla 
« conquista, o alla successione, poiché sareste messo 
« in ridicolo , ma rispondete netto netto che è Re 
« per la sommissione dei Popoli, dai quali è ricono- 
« scinto per tale ; imperciocché la volontà dei me- 
« desimi è legge e costituisce la sovranità, poggia- 
« ta sul fermo piedistallo del patto sociale, che può 
<c ben disciogliersi da coloro medesimi che Vhanno 
a formato y qualunque volta non si stia ai patti, o 
« siavi alterazione nel governo. In breve la mas- 
csima del tempo corrente riguardo alla Monarchia 
« è questa: verum jus imperandi a voluntate sub- 
« ditorum pendet (l). 

Ma non bastava che gli scrittori ed i pensatori 
maturassero siffatte idee: al Governo erano note le 
tendenze, i fatti, le mille manifestazioni che prelude- 
vano un rinnovamento politico nella nazione più mo- 
bile ed intraprendente di Europa. 

Quelle previsioni con V andar del tempo s' erano 
tramutate in una spaventevole realtà. La rivoluzio- 
ne con le sue mani fatali batteva alle porte della 
Reggia di S. Luigi. E difatti gli stati generali s'era- 



(1) Conferenze secreto eoo. pag. 80, 81. 



— 48 — 

no colà trasformati in assemblea nazionale, Lafayet- 
te legge fra V entusiasmo dei rappresentanti dei tre 
ceti la famosa dichiarazione dei diritti dell'uomo; 
l'opposizione alla Corte degenera in sedizione contro 
il governo; la^ Bastiglia è distrutta, V assemblea di- 
venta costituente , limita il potere reale , mentre il 
popolaccio assalta il Re nel suo palazzo, e gli poiie 
in testa un berretto. Da qui al punto di dichiararlo 
decaduto e prigioniero non c'era che un passo. 

Tutta Italia guardò ed apprese con paura , e con 
gioia , secondo i due diversi campi , la piega ielle 
cose francesi. Non già che volessero i dotti e i sa- 
pienti imitarle, ma il desio di riforme li accese; tan- 
to più che un sistema opportuno , ragionevole , si 
eseguiva ed attuava in Toscana per opera di Leo- 
poldo II. Cosi l'anno si chiudeva fra speranze e ti- 
mori, e la Corte di Napoli tendeva l'orecchio pavida 
per interesse e per affetto alle voci che venivano 
d'oltre Alpi. 

I primi provvedimenti furono volti a mettere un 

argine alla diffusione di libri e scritti divulgatori 

delle nuove dottrine; quindi richiamate in vigore le 

antiche proibizioni, ed indicate le opere di cui vie 

tavasi la introduzione e la lettura nel Regno. 

Un <certo mutamento era sopravvenuto nei costumi. 
La divisione amministrativa della città, compiuta nel 
1779, avea fatto scemare i reati di sangue e i furti (1). 



(1) Dal Registrò della Compagnia di S. Maria Succurre 
Miserie rilevo che solo in Napoli dal gennaio 1700 fino 
al 1790 inclusivo, furono giustiziate 320 persone per de- 
litto comune ; tra le quali nove donne di cui do i nomi 
e l'epoca delle loro esecuzioni: 

Antonia Piscopo, 28 agosto 1713. 

Grazia Trenchella, 5 giugno 1717» 



— 49 — 

Le parole dell'editto erano degne di lode: « il pub- 
blico riposo nasce dalla sicurezza dei cittadini », e 
a procurare questa sicurezza, Napoli fu ripartita in 
dodici quartieri, in ognuno dei quali risiedeva un 
giudice della G. Corte Criminale. Questi avea giuri- 
sdizione e potere di Commissario, inquisiva dei delitti, 
spazzava l'infesta genia degli oziosi,vigilava su quella, 
per altro modo infesta, dei pellegrini. Quindi, in forza 
dello stesso reale atto, fu ordinato in tre giorni lo 
sfratto dalla città di tutti gli oziosi e vagabondi, 
pena , in caso di contravvenzione , cinque anni di 
galera (1). 

La rozza semplicità si era trasformata in una mol- 
lezza e civetteria nuove; sciolti i ceti e confusi, rotti 
i vincoli di cieca obbedienza tra inferiori e supe- 
riori , e nelle famiglie indebolito il freno della pa- 
terna autoriià. 

Il lusso cittadino era altresì fonte di corruzione e 



Laura Melluso, 5 giugno 1717. 

Orsola Antonuccio, id. 

Maria d'Antonio, 18 ottobre 1730. 

Girolama Soognamiglio, 1 febbrajo 1735. 

Pasoarella Fiorillo della Terra di Somma, 17 maggio 1747. 

Maria Macchia, 18 ottobre 1750. 

Agnesa Sorrentino di Ottaiano, 28 giugno 1766. 

La maggior parte di tutte le esecuzioni avvennero al 
Mercato, ed al Largo del Castello; le altre al Largo dello 
Spirito Santo, fuori Porta Medina, a S. Maria La Nuova, 
in Yia Sapienza, alla porta della Darsena, al Mercato di 
Capodimonte, alla Vicaria, fuori Porta Capuana , avanti 
il carcere della Vicaria, alla spiaggia di Ghiaia, al Ponte 
della Maddalena , al Largo S. Onofrio , a Fuorigrotta, a 
Monte di Dio, al Ponte di Gesù e Maria. 

Queste indicazioni si rilevano dallo stesso Registro. 

(1) Prammatica del 6 gennaio 1779. 
Conforti 4 



— 50 - 

di dissesto economico. Le classi si erano un po' m 
scolate e ripulite, e la moda tiranna premeva s 
popolo minuto e la borghesia (1). Una maggiore 

(1) Un poeta in dialetto mestamente deplorava: 

Sacrosante le ffemmene antiche erano 
Appena a messa di precetto jevano 
A sta nzerrate tutte stndiavano 
E co nesciuno mai prattecavano 
Na scarpa liscia tutte se mettevano 
De vascia mano si erano le cauze 
E no vestito semprice facevano 
Na capa schetta fatta senza studio 
Co manticche le facce commigliavano. 



Chi ha sinno, chisto tiemp'oggi considera 
Vede de tanno a mò la differenzia 
Co cheirantiohe e ste moderne femmene. 

E un contemporaneo cosi dipingeva i suoi tempi fìi 
gendo che Pietro Giannone visitasse Napoli : " Arrivat 
" io dunque in questa capitale dopo la lontananza di £ 
" anni quanti ne corsero dal 1723 , nel di 29 di aprii 
" giorno memorando del mio ostracismo fino al presenl 
" come che l'avessi trovata diversa da quella ohe lascia 
" non solamente ne' novelli o rinnovati edifici pubblici 
" privati, ma principalmente in una generazione ali* ii 
" tutto nuova di abitanti, è agevole figurarmi il mio in 
" barazzo nel non saper di primo aspetto distinguere ] 
" classi, gli ordini , i ceti , i cavalieri , le professioni, 
" mestieri dei cittadini, e non ardisco dire di essermi in 
" brogliato fino a determinarne i sessi , imperciocché i 
" cotal guisa mi comparvero accomunati gli abiti , g! 
" ornamenti , le parature , e tutto V esterior portament 
" fra Tun sesso e l'altro che rimasi attonito ed indecis 
" a giudicare se tutti fossero maschi o tutte femine. Un 
" selva ondeggiante di cappelli per le piazze, per i vicoli 



- 51 — 

nuova vita cittadina, le più frequenti relazioni e 
spassi, quel divincolarsi dai ceppi dell'antico spin- 



^ e cpeclalmente lungo la spaziosa strada di Toledo mi 
" fece credere a prima giunta che tutti fossero uomini ecc.,, 

Ma poi si ricredette, uomini e donne usavano cappelli 
di cui descrive il colore cosi: " Vi hanno di ogni colore 
** e infaonati , e giuggiolini e badetti e tanè e lionati e 
" gi alletti e misti „. 

E in quanto alle fogge: " A falde lunghe e corte, chiu- 
" si o aperti di forma orbitolare , in figura d' elmo o di 
" cimiere, coi fondi schiacciati o torreggianti, tirati giù. 
'^ sulla fronte per farsi solecchio o innalzati nella som- 
" mità della testa per ornamento del viso. Coi pennacchi, 
" coi nastri, colle fettucce, coi galloni, con le coccarde, 
" coi fiocchi, coi fiori, colle spighe. „ 

E dopo aver deplorato che il cappello, ornamento anti- 
co e privativa della sola testa dell' uomo, fosse divenuto 
eguale e comune alle donne, descrive così gli abiti: ^ quali 
" in sarrocchini, quali in piviali, quali in sopravesta pie- 
" na di fronzoli, quali in montura militare, quali in abiti 
" di cacclatrici, quali di amazoni, quali di bambine. Quan- 
" do è saporito vedere ogauna di loro portare addosso una 
" bottega di fibbie, fibbie ai centurini, più. ordini di fib- 
" bie in situazione geometrica al petto, fibbie ai braccia- 
" letti, una infilzata di fibbie metodicamente accavallate 
" colle fettucce intorno al morione del cappello a quella 
" guisa che si cerchiano i barili.... 

" Una turba di giovinastri venutici dalle Province , e 
" mantenuti Dio sa a costo di quali e quanti digiuni dei 
" loro tapini genitori, confusasi cogli altri che produsse 
^ questo suolo , o starsi in crocchio o sdraiati innanzi 
^ ai caffè, o passeggiar su e giù a due, a quattro, a sei 
^ col cappello a morione , o a falde ri segate , o a larga 
" tesa, con un tovagliolino screziato alla gola, o con un 
^ coUaraccio imbottito rasente gli orecchi e il mento da 
" dichiararsi scrofolosi, col giubbettello stretto, e serpeg- 
** giato a vari colori, con un zambarluccio abbreviato o 



— 52 — 

geva al caratteristico ed al singolare cosi nelle fogge 
come nei modi. Si cercava avidamente il libro fore- 
stiero e il giornale come il modello e la stoffa (1). 
Gli spiriti poco amanti d' innovazioni si tenevano 

" secondo la stagione, con una gaarnacca fìno ai talloai, 
" fornita di duplicato e largo bavero, col calzoncino suc- 
" chiato, colle calzette di arlecchino , colle scarpe allac- 
" ciate a fettucce cascanti e sBoccate, e per colmo di stra- 
" vaganza, con un tal pezzo di cosa fra le mani inguan- 
" tate , che certamente voi non sapreste indovinare s' è 
" bastone, se gruccia eco. 



" Quando i soli giovinastri stessero nel zerbino, tanto 
^ sarebbe tollerabile la mascherata, fatto sta però che vo- 
" gliono uguagliarsi ed anche superarli le teste calve, i 
" crini canuti eoe. 

" .... ho trovato qui cavalli colle code tagliate. . . . 
" ma credereste che si è giunto alla follia di mozzare gli 
" orecchi alli medesimi e cosi mostruosi svisati montar 
^ gli i Nobili, e girar per le strade? 

Nicola Valletta alludendo a queste fogge ed ai molti 
cavalieri creati in quest'ultimo tempo scriveva: 
Veggio arlecchini ovunque il passo io movo 
Ovunque piscio un cavaliere io trovo. 

Sulla smania della imitazione delle mode straniere, vedi 
Coco: Saggio critico pag. 3i e 32. 

(1) La Censura dal 1761 in poi aveva proibiti i seguenti 
libri: " La verità, del P. Gennaro Sanchez de Luna; Di- 
zionario filosofico portatile, Londra 1764; La Chiesa e la 
Repubblica dentro i loro limiti, Firenze; La Philosphie 
de V Histoire ; Dictionnaire Theologique ; La Chandelle 
d'Arras; Droit de 1* homme sur V homme ; Christianisme 
devoiló ; Analyse de la Beligion par Monsieurs Marsais; 
Examen important par Mylord Bolingbroke; Chatechisme 
de r honnète homme ; Dialogue de qui doute, et de qui 
adoro; Derniers mots d'Epictète à son fìls; Idee de la Mothe 
le Yajer; Memoire sur la liberté de TEglise Gallicane; I 



- 53 — 

stretti alle costumanze ed agli abiti antichi: ciò che 
accresceva la varietà. Due generazioni cosi diverse 
davano un'impronta distinta al secolo che declina- 
va. Non potevano correre entrambe la loro via sen- 
za urtarsi; e si presentiva l'incontro e il cozzo. 

Quando, come, perchè, era ancora l'ignoto che ma- 
turava nel grembo della provvidenza. 

Ai palpiti che suscitavano nella Corte Napoletana 
gli avvenimenti di Francia, per la sicurezza del trono 
di quella Regina sorella di Maria Carolina, si aggiun- 
geva una nuova sventura domestica, la morte del fra- 
tello, l'imperatore d'Austria, Giuseppe IL Principe ri- 
formatore e filosofo egli era venuto in Napoli nel 1769. 
Giunto a Roma il 15 marzo di quell'anno, fu carez- 
zato dalla Curia, festeggiato dalla splendida ospita- 



dirltti ed i doveri del cittadino dell'Abate Mably. (Pramm. 
14 novembre 1789). ^ 

Come curiosità deirepooa non tornerà discaro il legge- 
re P opinione che Tanucci avea dei giornalisti. Con la 
Prammatica, datata da Portici il 5 novembre 1770, fa detto: 
" L'introduzione di quegli avvisi al pubblico che comu- 
nemente diconsi Gazzette, quanto utile si sperimenta per 
lo regolamento del commercio , e per li lumi della vita 
civile, qualora queste contengono notizie e fatti veri; al- 
trettanto riesce dannosa e pregiudizievole qualora i Gaz- 
zettieri o corrotti, o parziali, o male informati riempiono 
i fogli di ragguagli insussistenti , alterati e talora del 
tutto falsi. Ora essendo stato rappresantato che nella Gaz- 
zetta intitolata : Notizie del Mondo , che porta la data di 
Firenze siensi riscontrati ragguagli aleni dal vero, che 
interessano il decoro del Governo e dei particolari sud- 
diti del nostro Regno, abbiamo stimato conveniente d'im- 
pedirne l'introduzione e lo spacc'o. „ 



— 54 — 

lità dei principi romani, applaudito dalia curiosità 
del popolo (1). 

Il di 29 marzo aH;e ore 8 del mattino parti per Na- 
poli ; giunse il giorno 30 a Portici alle ore 12 del 
mattino. 

L'accoglienza che ebbe fu magnifica ed affettuosa: 
ma egli rifiutò tutti gli onori volendo continuare a 
mantenere rinco.i>nito. L'indomani visitò Ercolano, e 
la sera, durante il gran ballo dato in suo onore, con- 
versò con i gentiluomini e le dame. 

.La conversazione dell'imperatore p^irve a parecchi 
ben strana. Notò la folla dei conventi che erano in 
Italia : biasimò V ingiustizia dei genitori che forza- 
vano le loro figliuole a vestir l'abito; non approvava 
la potenza del monachismo, non pertanto volle l'in- 
domani visitare S. Martino, ed accettò una colazione 
nel gabinetto del P. Priore. 

Né tralasciò, durante il ballo a S. Carlo, di spar- 
gere le sue massime filosofiche , i suoi pensieri ar- 
ditamente novatori. Parlò dell'educazione dei prin- 
cipi: ricordò quella che egli ebbe dall'imperatrice, di 
cui fece r elogio; e passando da un tema all' altro s'in- 
trattenne sugli abusi che pur troppo si verificavano 
nella scelta dei pubblici ufficiali ed amministratori. 
« A me sembra molto singolare, disse egli , che si 
« accordino uffici a persone' che appartengono alle 
« donne di servizio e agli ufficiali della nostra cort<^. 



(l) Durante il breve soggiorno dell" Imperatore in Roma 
vi furono splendidissime feste. Gran musica al palazzo 
Sforza, illuminazione generale della cupola di S. Pietro, 
rioevimeoti in casa Altieri, superba la festa del Principe 
Corsini, superbissima quella del Cardinale Albani, degna 
del personaggio la tribuna reale che il Principe Ruspoli 
fece alzare alle corse dei Barberi. 



— 55 — 

« mentre bisognerebbe elevare quelli che veramente 
« sono meritevoli ». 

E accennando alle pretensioni dei cortigiani, disse; 
a molti insigniti di onorificenze o di titoli, che spesso 
« sono mediocrissimi, pretendono che loro si parli o 
« che di loro ci occupassimo. Io amo meglio con- 
« versare con quelli che mi fanno piacevole compa- 
« gnia,o che mi interessano, qualsiasi il loro grado ». 

I frequenti colloqui e conferenze tra l'Imperatore 
e la Regina ebbero grande influenza a fomentare la 
resistenza a Roma, come a lasciar correrla guerra 
che si faceva al clero. 

Ma dopo poco sparirono le gramaglie, e la Corte 
fu lieta per importanti avvenimenti, i quali ebbero, 
senza dubbio, grande influenza sulla politica del go- 
verno. 

All'Impero era successo Pietro Leopoldo di Tosca- 
na , altro fratello della Regina di Napoli , e fra le 
due Corti furono iniziati e felicemente condotti a 
termine tre matrimoni. 

Avea difatti Pietro Leopoldo due figliuoli , Fran- 
cesco vedovo di Elisabetta di Wurtemberg , di ap- 
pena 22 anni, e Ferdinando che ne contava 21. Si pro- 
gettò che il primo impalmasse la primogenita figliuola 
di Ferdinando IV e di Maria Carolina, la principessa 
Maria Teresa , e l' altro la principessa Maria Luisa 
Amalia , 1' una un po' più innanzi negli anni dello 
sposo, l'altra di età quasi eguale. 

Quindi il 12 agosto 1790 il principe Ruspoli Amba- 
sciatore Austriaco, fece in Napoli solenne ingresso, 
e il di 14 presentò la formale richiesta di nozze con 
i due Arciduchi Austriaci, e con la domanda il ri- 
tratto degli sposi contornato di gioie. 

II di appresso, con gran pompa, seguirono gli spon- 
sali nella cappella reale. Rappresentava per procu- 



— se- 
ra gli sposi il principe ereditario di Napoli, Fran- 
cesco, ufficiò il Cardinale Arcivescovo, di Napoli, 
Capece Zurlo. 

La città presentò al Re il solito donativo, ma egli 
non volle accettarlo ; anzi dispose che i settanta 
mila ducati destinati alle feste si fossero distribuiti 
in dote alle fanciulle povere , ed in elemosine alle 
famiglie bisognose. Fé" molte grazie , bandì indulto 
per .reati gravi, con gioia e soddisfazione del popolo 
minuto. 

Colse la Regina il destro delle concluse nozze , e 
quelle fermate tra il principe ereditario di Napoli 
ed un Arciduchessa d'Austria, per accompagnare, in- 
sieme al Re, le giovani spose a Vienna. 

Il dì 19 agosto parti il Re per Barletta e con lui 
il Duca Riario Sforza, e il di appresso il seguirono 
la Regina e le- Principesse. Il popolo si accalcò lun- 
go il passaggio delle reali giovanette; die non insoliti 
segni del suo buon cuore, quelle di lagrime, e la 
Regina chiare dimostrazioni di gradimento. 

Riunitasi la real famiglia a Barletta il giorno 21, 
il Re sulla fregata la Sibilla^ e la Regina e le Prin- 
cipesse sulla Pallade, sciolsoro le vele (1). 

Erano i RR. preceduti da buona fama ; sicché a 
Genova alcuni di quei nobili , secondati da persone 
della Corte pensarono di offrire al Re la signoria 
della Repubblica. Egli all' offerta affrettò il viaggio, 
e redarguì il cortigiano zelante (2). 



(1) Il seguito della Regina e delle Principesse si com- 
poneva della Duchessa d'Andria, Dama di Corte, di molte 
altre Cameriste, del Marchese del Vasto, Cavallerizzo di 
Corte, del Cavaliere Montaldo e del celebre medico Co- 
tugno. 

(2) Lancellotti, pag. 17. 



— 57 — 

Arrivati a Fiume fu eretta, per la circostanza, una 
piramide con iscrizioni commemorative. 

La famiglia reale oramai si considerava in Austria 
come in casa propria ; e più stretti nodi si aggiun- 
sero agli esistenti , poiché il 18 settembre il Mar- 
chese di Gallo, Ministro plenipotenziario a Vienna, 
presentava la solenne richiesta di matrimonio tra 
l'Arciduchessa Maria Clementina sorella dei due Prin- 
cipi sposi , e il Principe ereditario di Napoli. Il dì 
appresso benedette dall'Arcivescovo di Vienna furón 
celebrate le nozze. Rappresentò lo sposo, per procura, 
l'Arciduca Carlo. 

Ma perchè gli sposi eràn di tenerissima età, l'uno 
nato al 13 aprile 1777, e l'altra il 19 agosto dello 
stesso anno , se ne differì l'unione a tempo più op- 
portuno. 

Alle feste, per questi sponsali, successero a Vienna 
quelle dell' incoronazione dell' Imperatore Pietro 
Leopoldo ; ma tra le feste la politica non posava, 
poiché incalzavano gli avvenimenti di Francia. 

E fu colà che ai vincoli di sangue si strinsero tra 
le due Corti quelli della politica. 

Già dal 1769, epoca del viaggio del morto impera- 
tore Giuseppe li, la Regina li avea preparati, colti- 
vati , stretti , se non in fatto per aspirazioni ; e la 
influenza che esercitava da tanti anni suiranimo del 
Re e nel governo, aveano allentato ogni legame con 
la Corte e la politica di Spagna, che s'era sciolto al- 
l'intutto dopo la morte di Carlo III (1). 



(1) U Re era morto il 13 dioembra 1788. 



58 



CAPITOLO QUINTO 

Sommario. — Il patto di famiglia. Educazione e carattere 
di Ferdinando IV. Educazione e carattere di Maria Ca- 
rolina. Acton. Politica del Re, della Regina, di Acton. 
Stato del Regno. Influenza Austriaca in Europa ed in 
Italia. Nuovi fatti di Francia. Il ritorno dei Reali da 
Vienna. Passaggio per Roma. Accoglienze ricevute. 
Accordo con Pio VI. Regali ed onori. Arrivo in Napoli. 

I carri. 

II patto di famiglia, stretto col trattato del 1761 
tra Spagna, Francia e Napoli era tornato increscioso 
allo stesso Tanucci, che vedeva in esso il germe di 
future guerre, nelle quali il Regno di Napoli poteva 
esser trascinato (l). 

E nulla di meglio avea desiderato la Regina, che 
rompere la prevalenza di Re Carlo sul figliuolo e sul 
governo , per porre V uno e V altro nelle mani del- 
l' Austria. 

Cosi il suo sogno si maturava ; e poiché nei futuri 
avvenimenti la donna , la Regina , la sua politica, 
come quella del Re e del suo primo Ministro, TActon, 
avranno parte essenzialissima, non sarà discaro guar- 
darli al lume di una critica serena e di nuovi docu- 
menti e fatti che il tempo ci ha disvelati, e che le 
passioni, meno vivaci, ci permettono di apprezzare 
con imparzialità. 

Maria Carolina figliuola di Francesco I e di Maria 
Teresa di Austria era nata il 13 agosto 1752, e il 4 
aprile 1768 diventò sposa a Ferdinando IV nato il 



(1) TJlloa, pag. 65. 



-- 59 — 

22 gennaio 1751. Erano due giovinetti di diverso ca- 
rattere, di diverso ingegno. 

Ferdinando non era cresciuto all'ombra dei paterni 
e materni sguardi. Appena di nove anni era stato 
abbandonato alle cure di Domenico Cattaneo prin- 
cipe di S. Nicandro, brav'uomo ma inetto, a tenerlo- 
a freno (1). 

Fino al tempo di cui scriviamo non avea mostrato 
alcuna asprezza d' animo , anzi una mitezza e ge- 
nerosità che sono proprie dell' indole napoleta- 
na (2). 



(1) " Memorie isteriche di Ferdinando I Re delle Due- 
Sicilie scritte dal Cav. Carmine Lancellotti. „ Napoli dalla 
tipografia di Angelo Trani 1827, (pag. 6.) Citerò spesso que- 
ste Memorie, benché scritte con evidente parzialità in fa- 
vore del Re. 

Fra i satirici scritti delT epoca vi è una " Nota delle 
medaglie che si stanno coniando alla zecca » e fra que- 
ste, una medaglia per tutta la Reggenza, la quale al disca 
dritto diceva : " Ladri di Pisa „ al rovescio il seguente 
motto : " Prìnoipis convenerunt in unum adversus Do- 
minum. » 

La medaglia assegnata al Principe di S. Nicandro, aio- 
dei Re, effigiava: " Una volpe vestita da frate che predica 
alle galline; „ e ;iel rovescio: " Bonum est nos hic esse. „ 
Poi questo motto: " Nisi dominus custodierit civitatem,. 
frustra vigilat, qui custodit eam. „ 

(2) L'Helfert forse perciò lo dice un uomo di cuore be- 
nevolo e sensibile ( Iheìlnakmvollea Herz ). Ma V egregio- 
critico e storico Boglietti giustamente osserva: a L'H'^lfert 
" mi sembra uno di quei riquadratori di villaggio, i quali 
"" dipingono sui muri la madonna, il bambino, S. Giusep- 
^' pe e il Diavolo con tratti a un dipresso eguali in modo- 
^' che Tuno dall'altro appena si distingue. Ma simili li- 
" bri sono impiastri. „ (Boglietti, Nelson alla corte di Ma-^ 



- 60 — 

Si atteggiava spesso ad una durezza che avea più 
Varia di bravata che di crudeltà. 

Un natio buon senso ed un sentimento di giustizia 
11 guidarono per molti anni; e in qualche circostanza 
tenne fermo alla legge, in altra, violando la legge, , 
alla morale. 

Nel suo primo viaggio per l'Italia lasciò di ciò ri- 
cordi a Venezia, dove erasi rifuggito un napoletano 
uccisore del proprio figlio. Nobile ed illustre dama 
sollecitò il Re perchè concedesse all'uccisore la gra- 
zia di rimpatriare ; ma Ferdinando scrisse al mar- 
gine deiri3tanza: « torni a Napoli col figlio ». 

Altra volta nel Regno una buona ed affettuosa ma- 
dre dolevasi che il figliuolo, di cui ella nella vedo- 
vanza avea cresciuto, con saggio governo, il patrimo- 
nio , la lasciasse, diventato maggiore , in assoluto 
ÌDisogno. Il re scrisse accanto alla supplica : « duri 
« l'età minore del figlio finché vive la madre. » 

Era altresì mantenitore delle promesse pubbliche 
•e private ; finché non passò in proverbio la faciltà 
dei suoi spergiuri. Grato all'amicizia die spesso prova 
di averla in onore. Alloggiato splendidamente e con 
grandi aflfettuose dimostrazioni a Verona in casa 
-della marchesa Allegri, al ritorno che fece da Vien- 
na, improvvisamente rivisitò la sua ospite, e desinò 
seco, e poi volle mostrarsi per la città in carrozza 
•con lei. 

Era religioso, e poi divenne bigotto: caritatevole 
•coi poveri per bontà , poi per ostentazione e popo- 
larità. 



•ria Carolina di Napoli , (N. Antologia fase. X, 16 mag- 
-gio 1886). 

Anzi l'Helfert dice ohe Ferdinando era anche uomo di 
ingegno! {von Verstand). 



— 61 — 

Nella vita privata, metodico e semplice, sobrio e- 
temperato. Teneva un giornale in .cui notava tutte 
le sue operazioni del giorno. Desinava a mezzodì; e 
qualche volta, che uno dei suoi abituali commensali 
non venne a tempo, l'attese. 

Prima del desinare e della cena soleva giocare al 
picchetto; e quando uno dei suoi cavalieri di com- 
pagnia, irritato per aver perduto , lacerò le carte- 
egli levossi e Tammoni ridendo. 

Ma se fedeli ed affezionati erano i componenti la 
Reggenza , essi , e forse lo stesso Tanucci , noncu- 
ranti della buona educazione del Principe (1). 

Forse la gracile salute del fanciullo non permise 
che si fosse dedicato con ardore e costanza agli stu- 
di; nei quali ebbe però a maestri gli uomini di più. 
fama e dottrina. Ecco perchè poco profitto fece nelle 
lettere; nulla nelle scienze, e si die tutto ai faticosi 
e piacevoli esercizi del corpo. La caccia, i cavalli,, 
la pesca, la ginnastica, il giuoco del torno, del pal- 
lone, del bigliardo. La passione del cacciare giunse, 
a tale che faceva tenere un esatto registro della 
qualità e quantità del selvaggiume ucciso (2). 



(1) Colletta, lib. II. 

(2) Per le disposizioni emesse con dispaccio del 21 di- 
cembre 1784 e 25 agosto 1789 fa vietato a quelli che avea- 
no la licenza di andare a caccia, sotto pena di D. 50, di. 
tre anni di galera, ed altre pene arbitrarie , in Portici e 
tutte le circonferenze della montagna di Somma e del Ve- 
suvio, a Capodimonte ed un miglio di circonferenza, ad 
As troni , ai luoghi di Licola , Patria ed Agnano , a Ca- 
serta ed a tutti i boschi vicini, a S. Arcangelo, Carbone, 
Carditello, Demanio di Calvi, Monte Marsico, Pantano di 
Mondragone, Torrino, Torre di Guevara, Tremoleto, Per- 
sane, Yesparella, Lagorosso Campagna d'Eboli, Piana in. 
Provincia di Salerno, ed isola di Precida. 



— 62 — 

Questi esercizi infusero, coH'andar degli anni, in 
quel debole corpo una florida sanità ; dettero alla 
persona una quasi atletica robustezza. 

Conosceva non pertanto il latino , avea imparato 
un po' di storia, parlava lo spagnuolo ed il france- 
se, sonava il cembalo e la lira, e la scrittura, ben- 
ché scorretta, era nitida e chiara. 

Amò gli esercizi nautici e militari: guidava mae- 
strevolmente il timone di un legno: comandata con 
disinvoltura le manovre di un battaglione. 

Per la mente torpida e l'ingegno non dirozzato, uso 
ad imperare sopfa una folla di valletti, di bracchie- 
ri, di marinari, di cortigiani ; ribelle airubbidienza 
dei suoi precettori e dei suoi ministri , noncurante 
<ìi tutto, fuorché dei piaceri e della vita sciolta delle 
caccie e delle pesche; vano, di quella valentia che la 
frequenza degli esercizi gli aveano dato, fuggiva la 
compagnia di uomini di scienze e di governo, cer- 
cava quella di giovani fomentatori di pessimi gusti. 

La volgarità di certe maniere ed alcuni spettacoli 
lazzareschi lo avean reso grandemente popolare, e 
diletto ai soldati (1). 



(1) " Era già marito e padre quando in Portici, dopo am- 
maestrato al maneggio delle armi certi soldati che nominò 
Liparoti, alzava bettola nel campo, e con vezzi ed arnesi 
da bettoliere ne faceva le veci, dispensando cibo e vino 
a poco prezzo, mentre i cortigiani', e talvolta la moglie, 
simulavano della bettola i garzoni e la ostessa. 

". . . . Più volte all' anno dopo la pesca nei Laghi di 
Patria e del Fusaro , il Re vendeva il pesce , serbando 
pratiche, aspetto ed avarizia di pescivendolo,, (Colletta lib. 
II, pag. 49). 

Credo esagerata la dipintura del nostro storico. In gio- 
ventù il Be amava i simulacri di guerra e la istruzione 
militare. Si consultino le " Memorie storiche delle ope- 



— 63 — 

Con queste abitudini e con questo carattere non 
meraviglia che fossero tutti i negozi dello Stato, in 
ogni tempo ed età, affidati alla Regina ed ai Mi- 
nistri. 

Questa, invece, ebbe della madre Maria Teresa la 
sottigliezza deirintrigo politico, la convinzione che 
il potere Regio non può avere confini , un egoismo 
concentrato e profondo, la smodata passione di una 
dominazione esclusiva e personale. 

Nella Corte austriaca apprese come la madre a- 
vesse ridotta al nulla Tautorità del marito ed Impe- 
ratore; ed elevato un uomo dappoco, il Conte Kau- 
nitz, alla dignità ed alla fortuna di primo fortuna- 
to Ministro. Il germe di questi esempi fruttificò lar- 
gamente nell'animo suo; né valsero la educazione è 
ristruzione ad inaridirlo, perchè l'una e l'altra insuf- 
ficienti (1). 



razioni Militari ohe per suo real divertimeato fece ese- 
guire nel Granateli© il mese di ottobre 1773 sotto il suo 
sovran comando il Re delle due Sicilie Ferdinando IV „. 

(1) Non è esagerato questo giudizio. Di Maria Teresa 
scrive Lady Morgan nel suo libro Italy : ohe avea ri- 
dotto suo marito in tale stato di dipendenza nella pro- 
pria Corte che giunse a divenire un oggetto di pietà , e 
di ridicolo per i cortigiani , e di una grossolana» ma be- 
nevola familiarità per il popolo al quale rassomigliava, 
per la sua sorte e per le sue abitudini. Difatti un sovra- 
no contemporaneo , Federico li, neh e sue opere postume 
narra che l'Imperatore Francesco, non potendo mescolarsi 
negli affari del governo, si die al commercio ed all'indu- 
stria. Stabili delle manifatture, fomisure di armi, di divise, 
di cavalli per lo stesso esercito imperiale, e quando il Re 
di Prussia era in guerra contro Maria Teresa, l'imperiale 
consorte forni al Re di Prussia foraggi e farina . 

Di Kaunitz, morta Maria Teresa, i fìgliuoli se ncsbri- 



— 64 — 

La sua persona non era quella di Maria Antonietta, 
la femme de France qui marchait le mieux , ma 
avea della maestà (1). Bionda, bianca, sguardo vivo 
sibbene duro, profilo greco. Un collo, un seno, spalle 
e superbe braccia di marmo che mostrava con com- 
piacenza. Portamento nobile, spesso ad arte affetta- 
to; maniere gentili, tratti affettuosi , or parca nata 
solo al comando, ora una candida visione del Nord, 
una timida vergine della foresta Nera, caduta nelle 
braccia di un Nembrotte sensuale e lascivo. 

Fin dai primi anni del matrimonio studiò i punti 
vulnerabili di quel Re fanciullo, e non gli contrastò 
i pessimi gusti; anzi, infingendosi, li secondava. Negli 
anni della gioventù lo accompagnava quasi sempre 
alle cacce (2).Pria lo dominò colla magia delle giovani 
e fresche attrattive, poi con l'ingegno e l'arte su- 
periori. 



garono. Leopoldo in una conferenza col Re di Prussia 
diceva: "Io ho il mio Hartsberg (Ministro di Federico Gu- 
glielmo) ed il Re di Prussia ha il suo Kaunitz: bisogna 
metterli entrambi da parte,,. 

-DelPeducazione impartita da Maria Teresa alle figliuole 
Lady Morgan dice che deve essere giudicata dai suoi 
eflFetti. Fatale fu infatti la influenza che in Francia, e su 
Luigi XVI esercitò Maria Antonietta ; nota la condotta 
e le avventure della famosa Maria Cristina governatrice 
dei Paesi Bassi, e dice di Maria Carolina, Lady Morgan " i 
" delitti atroci di questa odiosa Regina il cui nome non è 
" mai proflFerito in Napoli senza un mevimento di orrore. „ 

Il Piinoipe di Ligue scriveva della Corte di Maria Te- 
resa, che avea Paria di una caserma o di un convento, e 
Peducazione dei principi era come quella di molti altri so- 
vrani, negligé à force (Tètre soignée, On leur apprend touty 
txcepté ce quHla doivent savoir. 

(1) Mem. de Madame Le Brun, tom. I, pag. 64. 

(2) Lancellottf, pag. 14. 



-- C5 — 

Sicché quando quello schiavo coronato per natia 
indolenza ed abito pose lo scettro ai suoi piedi, 
essa allungò la catena, tollerando che ne smagliasse 
le anella degli affetti più gelosi, purché salde restas- 
sero nelle mani di lei quelle del regio potere. 

Con l'andar degli anni lo imperio crebbe, e diventò 
assoluto: ma il suo carattere come la persona perde 
il primo potente fascino (1). I negozi di Stato, Tespe- 
rienza, gl'intrighi ai quali dovè piegarsi di frequente 
per abbattere o sollevare i suoi nemici o i suoi favo- 
riti, le turbarono la prima spigliatezza del giudizio, 
cosi che spesso da un ragionamento arguto, passava 
di botto ai pensieri più strani. 

Erasl il talamo allietato di numerosa prole di 
cui é bene specificatamente additare i nomi. Delle 
due principesse Maria Teresa e Maria Amalia, e del 
Principe ereditario Francesco ho parlato innanzi ; 
dirò ora, a parlare dei figli viventi , che al 17 gen- 
naio 1779 nacque Maria Cristina, a 14 dicembre 1784 



(1) Lady Morgan racconta, nell' opera citata, il seguen- 
te aneddoto che apprese da un gentiluomo straniero 
residente presso la Corte di Napoli, il quale era nella 
confidenza del Re. Un giorno il Re , essendo solo con 
quel gentiluomo , gli «disse che durante il pranzo della 
Regina avea inteso parlare di nn certo signor Voltaire^ il 
quale aveva scritto delle opere ridicole, che egli avrebbe 
desiderato di leggere, ma all'insaputa della Regina, per- 
chè costei gli aveva detto che il Voltaire era un cattivo 
filosofo e che egli , il Re , non dovea leggerne le opere. 
Quel gentiluomo portò al Re Candide^ e il Re accolse il 
libro con una gioia infantile. Ma dopo pochi giorni disse 
a quel suo amico ohe si fosse preso il libro che egli avea 
nascosto sotto i cuscini di un canapè, poiché la Regina 
lo sorvegliava cosi esattamente da non potere evitame 
la vigilanza. 

Conforti 5 



— 06 — 

Maria Antonietta, e ai 2 luglio dell'anno 1790 Leo- 
poldo Giovanni, cui fu dato il titolo di Principe delle 
Sicilie (1). 

L'applicazione al lavoro, la foga degli intrighi, i pri- 
mi moti della rivoluzione francese, le turbarono la 
mente e le scossero la salute. Su gli affari di Stato 
redigeva spesso in francese delle lunghe memorie, 
con molta sollecitudine, e senza impuntarsi mai a cor- 
reggere la frase o il pensiero. 

La sua corrispondenza dimostra che tutto quello 
che in mente le si affollava, le scorreva dalla pen- 
na col disordine della passione buona o rea che l'a- 
nimava scrivendo. 

Così si spiega come divenisse distratta, improvvi- 
da, amabile e superba, severa e civetta, pedante, fi- 
losofa e superstiziosa (2). 



(1) Grandi furono le pompe e le feste per la nascita 
della primogenita Maria Teresa. Ré Carlo inviò di Spagna 
il Daca d'Aroos per congratularsi con il Re e la Regina, 
e mandò a questa una ricca collana di perle orientali con 
una scatola di diamanti sciolti , ed a quello un servizio 
d' oro massiccio per tavola. Il di del battesimo il Duca 
d'Arcos facendo la sua entrata pubblica, e percorrendo le 
vie che da S. Lorenzo menavano &\ palazzo reale , gittò 
al popolo monete d'oro ciascuna del valore di un zecchino 
espressamente coniate, e sulle quali da una parte era la 
effigie di S. M. Cattolica, ed al rovescio le parole: ob pri- 
mam Regiam prolem gratulatio populo Neap, 1772, 

U Duca di Francavilla die una gran festa, nella quale 
artistiche fontane invece di acqua gittavano vini e li- 
quori prelibati , e gli alberi invece di frutta aveano ai 
rami sospesi dolciumi e pezzi di gelati. 

(2) Dumas scrive : ^ forse giudicandola come meritava 
d'esserlo si sarebbero trovate in lei più ciarle che. ragiona- 
menti, e sopratutto quel pedantismo particolare ai Prin- 



— 67 — 

Cronisti e storici contemporanei, personaggi coro- 
nati, la tradizione tramandata dalla sua alla genera- 
zione nostra, l'accusarono di costumi liberi e disso- 
luti. Tuttavia anche l'apparenza dello scandalo o del 
libertinaggio l'ofifendeva, e l'educazione che imparti 
alle sue figliuole fu rigorosamente onesta. Narra un 
testimone oculare che spesso a Teatro cercava di- 
strarre r attenzione loro dal palcoscenico quando 
prevedeva che la commedia passasse a qualche scena 
d'amore (1). 

La sua non sospetta corrispondenza prova che negli 
affetti di madre fu salda e costante, del marito scrisse 
e parlò sempre con affettuosa cura e rispetto. 

Sorella di due sovrani riformatori e filosofi parve 



cipi di casa di Lorena „. Vedi storia dei Borboni, Carlo III 
e Ferdinando I (pag. 183J. 

In fatto di religione era simile alla madre Maria Te- 
resa, della quale il dissoluto Luigi XV diceva, nei sol- 
lazzi del Pare aux Cerfa, che era degna di essere rive- 
rita per la sua pietà. 

Gli storici liberali come il Lomonaoo, il Coco, il Col- 
letta affermano con perseveranza le sue avventare amo- 
rose. II Lomonaco dà una lunga lista degli amanti che 
ella ebbe. Michelet la chiamò Messalina, Napoleone Frede- 
gonda. Un giudizio ohe pare non sospetto è quello di Sir 
Pagetjil quale fu agente dell'Inghilterra a Palermo dal 1799 
al 1800, cioè nel periodo più stretto dell'alleanza Inglese 
con la Corte di Napoli. Ora sir Paget, in un rapporto al 
suo governo , la chiama *' donna piena di vizi innume- 
revoli. ^ 

L' Ulloa nel suo lavoro : " Marie Caroline d'Autriche, „ 
Paris, 1872, naturalmente, la difende. Lo stesso faPHel- 
felrt. Però e V uno e l' altro furon rimbeccati per bene 
dall'egregio scrittore G. Bogletti {Nelson alla Corte di 
Maria Carolina di Napoli, Nuova Antologia, fase. X, 16 
Maggio 1883). 



— 68 — 

proteggere le scienze e Tarte. Alla Reggia intrecciava 
il ballo e la musica con le accademie estemporanee. 

Luigi Serio, fu poeta di Corte ^ Niccolini vi reci- 
tava odi e sonetti, Eleonora Pimentel, ed una lunga 
schiera di letterati di minor grido, le dedicavano a 
folla le loro composizioni. 

Assisteva spesso al teatro di corte, ma durante lo 
spettacolo s'intratteneva, ad arte, a discorrere di cose 
serie. E mentre i cortigiani si deliziavano alla rap- 
presentazione deW Idolo chinese, essa discuteva su 
i problemi più interessanti di politica e di Stato. 

Dal giorno in cui cacciò di seggio il Tanucci si 
diveniva Ministro per suo favore, e questo perduto, 
si cadeva. Cosi dopo il Marchese della Sambuca, do- 
po il Caracciolo, dopo la fine sospetta del Principe 
di Caramanico, arrivò Giovanni Acton (1). 



(1) Vi son dei tempi in cui l'istoria non ò che lo stru- 
mento dei partiti ; ho cercato di sfuggir questo sconcio, 
nel dipingerà la Regina attingendo da amici e da avver- 
sari, rigettando i giudizi e le opinioni tutte d' un pezzo 
e che dai documenti e dai fatti non rispondono al vero. 
Cosi il lettore ohe avrà la pazienza di consultare gU scritti 
del Lomonaco, del Coco e del Colletta, dell' Arrighi, le 
memorie del conte Órloff, la storia del Barone d'Hervey 
Saint Denis, la corrispondenza autentica della Regina, po- 
trà giudicare di ciò che ho scritto. 

Se è vero che Napoleone la chiamò " Moderna Frede- 
gonda „ disse pure < CUst le seul homme de son royaume. 
Se Mario Pagano la fulminò col verso vendicatore, Luigi 
Serio ed Eleonora Pimentel le profusero dediche e lodi, 
quando non avea ancora inaugurato il Regno del Terrore 
in Napoli. 

Tutti si accordano a dirla generosa, costante nell'odio 
e nell'amicizia, affettuosa coi figli) donna di spiriti virili, 
che fu la piii arrabbiata partigiana della coalizzaziono 
europea contro la Francia* 



— 69 — 

Era costui nato a Be'sanQon il 1 gennaio del 1737 
da famiglia oriunda Inglese, ma stabilita in Olanda (1). 

Il Padre, Eduardo Hecton o Acton, esercitava la 
medicina, lo zio era un baronetto inglese (2). 

Giovanni Acton entrò nella marina francese, ma 
poiché il padre brogliossi col governo , chi sa per 
quale ragione, lasciò Tarmata e la Francia, venne in 
Italia, fermossi in Toscana, dove prese servizio nella 
marina Ducale. 

Esperto di cose di mare ebbe ben presto il comando 
di una fregata, e nella guerra del 1775, quando Car- 
lo III volle punire la Reggenza di Algeri che infe- 
stava coi suoi corsari tutto il Mediterraneo, e spe- 
cialmente le coste di Valenza, dell'Andalusia e della 
Catalogna, prese il. comando della flotta toscana. Uscì 
di fatti il 28 giugno di quell'anno dai vari porti della 
monarchia, e dei regni di Napoli e di Toscana forte 
armata di grosse e piccole navi, tra cui le squadre 
maltesi, toscane e napoletane sotto il comando del 
Duca di Castejon, mentre quello delle truppe da sbar- 
co era affidato al Generale Conte di Oreilli (3). Gli 
Algerini erano pronti a sostenere l'attacco. Eressero 
una nuova batteria alla Torre della Lanterna , di 



(1) Vedi Lady Morgan: Italy, 

(2) D'Hervey-Saiat-Denis, pag. 5. Il*Perroiie dà iavece 
la data della nascita al 1 ottobre, e lo dice nato da un ba- 
ronetto oriundo inglese Eduardo Hecton di cui era il se- 
condogenito. Afferma altresì che si cambiò il cognome in 
quello di Acton. 

(3; L' Arrighi credo che esageri dicendo che P armata 
fosse di circa 420 legni grossi e piccoli , tra i quali otto 
vascelli di linea , otto fregate e ventiquattro sciabecchi. 
Il Becattini dice " una forte squadra composta di varie 
^ navi e fregate da guerra con altri più piccoli basti- 
" menti armati. „ 



— 70 - 

altre munirono la spiaggia, e ben presidiato accam- 
pamento tra il forte della Remegata e le falde della 
Busarria. 11 giorno 8 luglio incominciò Tattacco. 

Il comandante delle truppe cristiane, che era sul va^ 
scello il VelascOy ordinò lo sbarco, ma il fiioco incro- 
ciato della cittadella, dei forti e del campo difeso da un 
fossato, le difficoltà del terreno costrinsero le truppe 
assalitrici a ritirarsi. Prese ardire il nemico e uscen- 
do dalla difensiva attaccò con vigore e in forte nu- 
mero. Ma il Reggimento Savoia tenne fermo e copri 
con quattro compagnie il fianco sinistro dell'esercito 
in ritirata, mentre il Comandante della flottiglia To- 
scana Giovanni Acton appressandosi, quanto più potè 
a riva, fulminò con fuoco ben diretto le masse ne- 
miche, proteggendo la ritirata e V imbarco dei suoi 
con valore e con maestria. 

A lui si dovè, in gran parte, se il numero dei feriti 
e dei morti in quella sanguinosa giornata non si 
fosse duplicato. 

Riscosse per quell'atto plausi ed onori: e Re Carlo 
gli donò superba tabacchiera col suo ritratto guar- 
nito di grossi e scelti diamanti (1). 

La fama della brillante azione il fé' trarre, due 
anni dopo, a proposta del Marchese di Caram anice, 



(1) "Istoria e descrizione in compendio della città e Re- 
gno d'Algeri eco. di Francesco Becattini Accademico Apa- 
tista, Napoli MDCCLXXXIII a speàe di Vincenzo D' Atas- 
sia „ pag. 40. Arrighi voi. II pag. 192. Quest'autore dice 
che più di 400J nomini fnrono salvi per V abile mossa 
deirActon. IJ nnmero dei morti e feriti, secondo il Becat- 
tini in quella giornata, fu il seguente: ufficiali feriti 180, 
morti 27; soldati feriti 2088, morti 600. 

Le perdite degli Algerini gli storici cristiani dicono 
fossero quasi il doppio. 



— 71 — 

a riordinare la marina napoletana di cui fu nomi- 
nato direttore (1). 

Era questa, a quel tempo, assai scarsa e mise- 
ra, mentre la situazione del Regno^ la necessità di ac- 
crescere sicurezza al commercio, darvi serio svilup- 
po, si avvertiva da molti; e la Regina la favoriva. 
Non è senza importanza il ricordare un aneddoto 
che tutti i nostri storici hanno trascurato. 

L' Imperatore Giuseppe li durante il suo viaggio 
in Napoli, mentre pranzava a bordo di un vascello 
del Re, ancorato di fronte al Palazzo Reale di Por- 
tici, diceva ai cortigiani ed ai ministri che gli fa- 
cean corona: « Se io fossi Re di Napoli avrei meno 
« soldati, ma però darei tutto a formare una mari- 
« na. Questa sarebbe in effetti per Napoli una sor- 
« gente di nuove ricchezze; la situazione del Regno 
« mentre è la più felice, Tespone però ad ogni colpo 
« delle potenze marittime ; delle flotte torneranno 
« ad esso di gran vantaggio. » 

Queste savie consideriazioni laconicamente espres- 
se erano ispirate non solo dalla posizione del Re- 
gno bagiiato da tre mari, ma dalle nuove condizio- 
ni d'Europa prodotte da due grandi avvenimenti ma- 
rittimi, il passaggio dei Portoghesi al capo di Buona 
Speranza e degli Spagnuoli alle Indie occidentali, lo 
che àvea schiuse nuove comunicazioni tra l'Europa 
e le altre parti del mondo , dimostrata la necessità 
del commercio fattore di ricchezze, e queste, nerbo 
unico della potenza degli Stati, Ma però il commer- 
cio non prospera se non con la sicurezza e la pace; 
e le flotte in un Regno marittimo, sono la principal 
garenzia dell'una, e dell'altra. 



(1) Fu inviato in Toscana, ad invitare V Acton, il Ca- 
valiere Gatti. 



— 72 — 

Quindi i trafflcM e lo scambio creando nuovi biso- 
gni e nuova attività nei popoli, e rivalità ed ambizioni 
diverse nei governi, aveano rotto, per conseguenza, 
l'esistente equilibrio politico, che dal continente per 
necessità assoluta dovea volgersi sul mare , diven- 
tato non solo campo fecondo di gare e di ricchezze, 
ma di battaglie e di colpi arditi, sicché tutte le na- 
zioni, compresero Timportanza e la necessità di po- 
tenti flotte. 

11 Governo di Napoli fra gli Stati italiani fu il solo 
a correr Tarringo con fortuna , se non con previ- 
denza e virtù; e oltre queste gravi e potenti ragioni 
vi fu spinto ancora dalla necessità di garentire la sicu- 
rezza, profondamente scossa dagli assalti dei corsari 
barbareschi , contro dei quali , unico simulacro di 
difesa erano le vecchie e male armate torri, erette 
dal Duca d'Alcalà a guardia ed a presidio di tratto 
in tratto della riviera , e pochi legni detti sciabec- 
chi e galeote , che si ponevano in corso nella sola 
està. Con queste, e più col coraggio e l'arte. Capi- 
tan Peppe avea battuti in molti attacchi i barbare- 
schi; ma costoro alle saìche e alle fuste aveano so- 
stituite le galee e le bombardiere di grossa portata, 
in modo che spadroneggiavano sulle nostre acque, e 
in pochi anni, oltre le uccisioni e i saccheggi, avea- 
no tratto in ischiavitù più di mille napoletani (1). 

Quando venne Acton il navilio napoletano consi- 
steva di due vascelli da settanta, due fregate da tren- 
ta, e sei sciabecchi da venti, oltre alcuni altri mi- 
nori. Le galee eran diventate inservibili , ed era 



(1) Era popolarissimo a quel tempo pel suo carattere e 
pel suo ardimento D. Giuseppe Martinez, Comandante de- 
gli Sciabecchi, conosciuto ed appellato da tatti ^^ Capitan 
Peppe „. 



— Ta- 
stato soppresso V ufficio di Capitan Generale di 
esse. I pochi e buoni ufflziali, avanzo della debole 
marina di Carlo III, rodevano il freno di un ozio ver- 
gognoso (1). La marina mercantile, composta quasi 
tutta di tartane non esercitava che il piccolo cabo- 
taggio, ed anche questo con bandiera non nazionale, 
ma francese. Solo gli audaci Pargheliesi si erano 
prodigiosamente spinti, con piccoli legni, sulle coste 
di Spagna, di Francia e fino in America. 

Alcuni tentativi di società di assicurazioni marit- 
time erano riusciti a raccogliere fino a quaranta le- 
gni per il commercio di esportazione dell* olio , ma 
la malafede dei comandanti, l'imperizia dei marinai le 
ridussero, più di una volta,, sul puntò di fallire. Nean- 
che la pesca era un'industria capace di sviluppo, per- 
chè mancavano quelle succedanee. 

Però ben presto l'abilità dei piloti, le nuove regole 
e norme fecero nascere la fiducia ed il credito ai 
nostri legni mercantili. Le coste si popolarono di 
nuove vele , che si spinsero liberamente al traffico 
di lungo corso nei porti dell' Oceano, Il commercio 
rispose all'ardimento ed all' audacia, e la bandiera 
napolitana acquistò tal credito che a Livorno si ri- 
cusò spesso l'assicurazione quando i càrichi non era- 
no coperti da essa. Buoni trattati, specialmente con 
Genova e l'Impero Russo, facilitarono la sicurezza e 
gli scambi (2). 



(1) Fra questi D. Giovanni Danaro che avrò motivo di 
nominare nel corso di quest'istoria. 

(2) Ecco le date dei vari trattati. Con Tripoli, 23 ago- 
sto 1785; con la Sardegna, per l'abolizione del cosi detto 
diritto di Villafranca, 17 giugno 1786; con Genova, per 
l'estradizione de'rei 16 giugno 1786; con l'impero Russo, 
17 gennaio 1787. 



— 74 — 

Cosi sulle nostre coste parve ridestarsi la sopita 
virtù di Amalfi e l'attività delle antiche repubbliche 
marinare del medio-evo. A Napoli , a Precida , ad 
Ischia, a Sorrento , a Vico Equense , a Positano , a 
Gonza , a Vietri era tutta una gara di capitali , di 
lavoro, di abilità. Le polacche di Sorrento erano mo- 
dello nel genere, stazzavano fino ad 8000 tomoli, por- 
tando la bandiera nostra in Francia , in Ispagna, in 
Portogallo, in Inghilterra, in America. Le feluche 
di Positano gareggiavano per le stesse mete, i pin- 
chi e le martingane di Precida, oltre il cabotaggio 
sulle coste di Abruzzo, trafficavano in Ispagna ed in 
Francia. 

E ritornavano fortunate e ricche di prodotti esteri. 

Nel 1784 tutta la marina mercantile si componeva 
di 3253 legni, ne entrarono nel porto 26S3, stazzanti 
86,700 tonnellate , con 6620 uomini di equipaggio. 
Le feluche addette al trasporto, specialmente dell'o- 
lio e del vino, erano della capacità di botti 11,880, 
con 4620 uomini; 120 trabacoli, ciascuno da 25 a 200 
botti, e di 12 a 16 uomini di equipaggio (1). 11 molto 
progresso e le notevoli proporzioni che l'una e l'al- 
tra marina acquistarono in due lustri circa, fu gran- 
de ed evidente ; del pari certo fu V onere che ne 
venne allo Stato ed alla nazione nella formazio- 
ne della flotta da guerra , per le dilapidazioni e i 
furti. Ma questo è il torto manifesto dell'Acton, non 
quello che gli si appone, d'aver creata cioè un na- 
viglio potente. 

Egli fu colpevole di avidità e di sperpero; di pro- 
fondere i milioni a vantaggio proprio e dei nume- 
rosi strumenti che poi doveano essergli utili nell'a- 
prirgli la via a più alto ufllzio; ma l'idea ed il pro- 



(1) Vedi per questi dati il Galante. 



— 75 — 

posito non pertanto tornarono utili al Regno, ad onta 
del guadagno illecito di cui venne accusato. 

I suoi progetti furono largamente concepiti, e chec- 
che se ne dica, meritano, in quanto allo scopo, lodi 
ed encomi. 

Eresse difatti quattro coUegi.Il primo di Guardie ma- 
rine, due di pilotini inNapoli, il quarto in Sicilia (1). 

Vi chiamò ad insegnare buonissimi precettori. Si 
videro, per opera di uno di essi, pubblicate le prime 
esatte carte nautiche del Mediterraneo che vennero 
adoperate anche dalle altre nazioni. 

Nella guerra del 1779 tra gl'Inglesi é i Gallo-ispa- 
ni, un buon numero di scelti allievi napoletani fu- 
rono inviati a prestar servizio sui vascelli delle due 
flotte a loro scelta , perchè imparassero il mestiere 
e si provassero al fuoco. 

Fra questi fecero le prime prove Francesco Carac- 
ciolo, Giovanni Bausan , Matteo Correale , Giuseppe 
De Cosa, che illustrarono poi se stessi e il Regno. 

Fu messo in esercizio il Cantiere di Castellamma- 
re, il solo che di quei tempi potesse emulare l'arse • 
naie di Venezia, e quelli dei più forti stati d'Euro- 
pa, e chiamò a dirigerlo il più abile costruttore fran- 
cese (2). 

Poi il napoletano Girolamo Bianchi, il quale rifor- 
mò il bacino, ed inventò metodi di costruzioni e pia- 
ni di nuove navi. In sei anni uscirono da quel can- 
tiere sei navi da linea, sei fregate, sei corvette, tre 
brigantini , dodici golette , cento fra barche canno- 
niere e bombardiere, ed altri 'legni minori. 

La flotta da guerra, tra piccoli e grandi, era circa 
di centocinquanta legni. 



(1) Da questa scuola usci Tabile scrittore , pilota, ed in- 
felice patriota, Andrea Mazzitelli. Vedi ^'Napoli nel 1799^* 

(2) Per nome Imbert. 



— 76 — 

Né qualche prova di mostrare in atto cosi pode- 
rosa armata fu lasciata sfuggire. Nella seconda cam- 
pagna del Re Cattolico contro gli Algerini, nel 1784, 
una flottiglia napolitana comandata dal Generale For- 
tiguerri si condusse brillantemente (1). 

Era TActon, quando qui venne, nel fior della vita 
e nel massimo calore deirambizionc. Pria direttore, 
dopo pochi mesi fu fatto ministro di marina. Scal- 
tro, com'era, entrò a poco a poco nelle buone gra- 
zie del Re, poi ebbe quelle della Regina. Parca umile, 
sommesso, umano, giusto. Così formò nella Reggia 
l'ambiente propizio, fuori quello tanto mutevole, e 
perciò cosi facile, dell'aura popolare. 

Tra la Corte ed i ministri si schierava sempre con 
quella; tra i ministri ed i soggetti favoriva questi : 
tra Re e popolo, finche egli non ebbe nelle mani il 
governo intero del pae^e, par vegli che fosse organo- 
importuno quello del ministro. La giustizia, la gra- 
zia , il favore , la pena , dovean discendere diretta- 
mente dal Re. 

Ligio a questo sistema , che se in teorica era la 
base di diritto della monarchia, in fatto veniva at- 
tenuato dal potere e dalle funzioni dei ministri , 
cacciò di seggio i suoi emuli e protettori or con l'aiuto 
dell'uno, or con quello dell'altro. Provvedendo, come 
corse fama, con denaro del suo ministero alle pro- 
digalità della Regina ; mostrandosi per arte, ed in- 
teresse, insensibile ai vezzi di lei , accrebbe il suo 
ascendente (2). 



(1) Il Fortiguerri in una sua scrittura intitolata: " Pro- 
spetto di campagna marittima „ incoraggiava il Governo 
a dare incremento alla marina da Guerra. 

(2) Lady Morgan scrive: " La Principessa XXX, antica 



— 77 — 

Carlo III, e per esso il Marchese di' Florida Bian- 
ca, che governava quel Re , come il Tanucci e poi 
Acton governarono Ferdinando IV, si accorsero della 
preponderante influenza del favorito e vollero scal- 
zarla, sostenendo il Marchese della Sambuca (1). 

Ma il Re e la Regina respinsero i prudenti consi- 
sigli , e quando vennero intimazioni dalla Spagna 
di cacciar l'Acton le sdegnarono (2). 



" amica della Regina ed una delle prime dame della sua 
" corte, mi ha assicurato che ella avea visto nascere la 
" passione della Regina per Aoton, e credeva poterla at- 
" tribuire alla naturale insensibilità di costui per le at- 
" trattive feminili. La sua figura senza simpatia era fred- 
" da come il suo cuore; e quando al Circolo di Corte la 
" Regina si volgeva a lui, era il solo di cui lo sguardo 
" non brillasse di gioia per quella distinzione. Piccata 
" del giuoco la Regina mise in opera tutta la civetteria 
" di cui era maestra, e TAóton, lusingato senza che fosse 
" soggiogato , era per cedere alla seduzione quando un 
" amico gli SUggeri ohe se si fosse sottomesso airimpero 
" di lei sarebbe divenuto uno dei mille della Regina, Pro- 
" fitto dell' avvertimento , e la Regina non usa a tanta 
" resistenza, gli divenne più devota a misura che la spie- 
^ ranza di soggiogarlo si allontanava; finché non si com- 
" promise scrivendo all'Adone ministeriale. Da quel mo- 
^ mento ella divenne la schiava di lui, ed il Re anche 
" per essa, era lo strumento ai suoi piani , che condus- 
" sero alla ruina di molti, ma specialmente del popolo 
" infelice od oppresso. „ 

(1) 1778-1786. 

(2) Per i particolari intorno a queste discussioni tra 
la Corte di Napoli e quella di Madrid si consulti 1' Ar- 
chivio storico per le provincie napolitano ( anno VI , 
fase. Ili, pag. 562-673). " Un documento di Maria Caro- 
lina Regina di Napoli , riguardante le quistióni con la 
Spagna. „ 



— 78 — 

Certo se le voci che correvano nel Regno sul dop- 
pio fascino di quesf uomo erano esattamente per- 
venute air orecchio del buon padre , questi giusta- 
mente avvertiva il figlio del doppio danno e delle 
sfrontate temerità di quell'avventuriero fortunato (1). 
Ma moveva Carlo III altresì una forte ragione poli- 
tica : r arte dell' Acton nel secondare la Regina a 
sciogliere ogni vincolo tra Napoli, Francia e Spagna, 
6 volgersi all'Austria ed all'Inghilterra. 

Cosi in breve tempo l'Acton uni al Ministero della 
marina quello della guerra e crebbe in potenza. 

Però se l'onda del favore regio vivificava quella 
pianta parassita, il paese, giacché egli avea dismessa 
la maschera, ne scoperse gl'istinti e le brame. Alla 
prima maniera di calcolata ipocrisia successe un si- 
stema d'intrighi, di favori, di smaccate protezioni a 
stranieri che chiamò a folla nel Regno, Non intendo 
di quelli qui venuti a riformar l'esercito, a rinsan- 
guar la marina , poiché e gli uni e gli altri erano 
certo superiori, in questo ramo, ai nazionali, ed è un 
asserir cosa stolta che il Salis ed il Pommereul non 
fossero stati utili e necessari (2). 

Ma parlo di quella caterva di mestatori , di usu- 
rai, di barattieri, strumenti che nelle mani di lui si 
piegavano e prostravano a volontà; di quella schiera 



{%) È la frase usata dal ooatemporaneo Emanuele Pa- 
lermo, vedi il volume da me pubblicato: Napoli mi 1799. 

(2) Il Colonnello francese Renato de Pommereul fu chia- 
mato a comporre rartiglieria. La sua ordinanza del 1788, 
scrive d' Ajala , è ancora ai nostri di celebrata. ( Vedi, 
Vite dei più celebri capitani e soldati napoletani ecc. Na- 
poli 1843, pag. 375). 

Il Sales era francese e fu licenziato, per gl'intrighi poi 
dello stesso Acton, nel 1789. 



— 79 - 

di bassi agenti che egli traeva da ogni classe, an- 
che del paese, giacché era profondo conoscitore delle 
passioni è delle perversità umane, e li aggiogava 
al suo carro, ora per elevarli nella Eeggia, ora nelle 
amministrazioni, saturandoli di poteri, di onori, di 
ricchezze , ed umiliandoli nel sozzo mestiere della 
interessata cortigianeria e della delazione (1). 

Cosi quando tutte le file ebbe strette in sua mano, 
tolse di seggio il Marchese Domenico Caracciolo , e 
divenne tutto: Re, Regina, Governo (2). 

I tratti speciali di sua politica, in quanto a rela- 
zioni straniere ed al sistema di alleanze , base del- 
l'equilibrio e delle brutte avidità che segnalarono le 
potenze europee in quello scorcio di secolo, non furo- 
no fino al 1790 diversi da quelli del Tanucci, se non 
in questo. Quel Ministro non volle accedere al patto 
di famiglia stipulato tra le case di Borbone il 9 mag- 
gio 1761 , e r Acton seguì siffatta politica. Però il 
Tanucci intendeva mantenersi neutrale tra Austria 
e le altre due potenze ^ e di qui le sue dissensioni 
con la Regina e la principale cagione della sua ca- 
duta. Invece T Acton, ubbidiente al cenno della so- 
vrana , senza della quale nulla egli era e nulla 
poteva pervenire, erasi evidentemente piegato verso 
l'Austria. Questo fu il motivo prominente per cui 
Francia sofllava nel gabinetto spagnuolo , e questo 
chiedeva al Re di Napoli il ritiro e la cacciata del- 
TActon dal Regno. 

Ma questa politica fu solamente consigliata e vo- 
luta per vincoli di sangue tra la Regina e il governo 
Austriaco, o era dettata anche dalle ambizioni del- 



(1) Vedi Coco, Saggio storico. 

(2) 1786-1789. 



— so- 
la Corte di Napoli e dalle condizioni dell' Europa? 

A questa domanda tutti gli storici e cronisti^ an- 
che quelli di forte ingegno e studi, non mi pare che 
abbiano date appropriate risposte, né imparziali. Il 
vero, a breve distanza dagli avvenimenti, non si ap- 
palesa com'è, ma dopo che il tempo ha messo in mo- 
stra uomini e cose. 

Quindi oggi facilmente possono intendersi le cause 
e le ragioni che neirultimo ventennio precedente al 
1790, trassero la Corte napoletana a piegarsi verso 
l'Austria ed a stringere coi vincoli sacri di due ma- 
trimoni, salda alleanza, che fu non pertanto cagione 
di gravi sciagure a sé ed ai popoli del Regno. 

In circa trenta anni di politica fortunata r Au- 
stria avea saputo annullare l' influenza francese in 
Europa, ed aggiogando, quel governo, al carro della 
sua alleanza, era arrivata a togliergli ogni potenza 
politica e militare. 

Quel eh' é più grave avea scacciata d' Italia ogni 
prevalenza ed ogni simpatìa francese. 

Difatti l'alleanza austriaca dalla convenzione del 
30 dicembre 1758 in poi ruppe lo equilibrio delle na- 
turali alleanze francesi, e quindi il nemico di tre 
secoli, divenne 1' amico infido , che disinteressò la 
Francia dalle più gravi quistioni che mutarono ter- 
ritorialmente e politicamente lo stato d'Europa. 

Principalmente per l'Austria la libertà polacca fu 
sbranata ; cadde quel!' eroica nazione , fu giuoca- 
to r Impero ottomano , non soccorso Gustavo III, 
violate , nella guerra di successione della Baviera, 
le libertà germaniche, di cui la Francia si era resa 
garante col trattato di Vestfalia. 

I venticinque anni di pace, che i succedentisi mi- 
nisteri francesi vantavano come effetto dell'alleanza 
austriaca aveano ammiserita la potenza militare della 



— 81 - 

Francia, mentre la sua alleata né usciva agguerrita, 
ingrandita in forze ed in territorio e raffermando 
nei suoi principi il diritto alla corona germanica. 

Più gravi effetti avea prodotto in Italia , dove la 
felice posizione , acquistata dalla Francia air epoca 
del trattato d'Aix-la Chapelle^ era stata totalmente 
distrutta. ' 

La Francia con la convenzione del 30 dicembre 
1758 per condiscendenza verso TAustria si era impe- 
gnata gratuitamente a dar valore e consistenza alle 
pretensioni chimeriche di quésta sull'Italia, le quali 
non potevano essere realizzate se non a spese dei tre 
rami di casa Borbone. L' Austria aveva,' con patto 
espresso, impegnata la Francia a sostenerla, per re- 
golare la successione del Regno delle Due Sicilie, 
a porre D. Filippo sul trono di Napoli , ed a recla- 
mare per sé la riversione eventuale dei Ducati di 
Parma, Piacenza e Guastalla; a far proclamare Tar- 
ciduca, erede all'Impero, Re dei romani, e concordare 
l'investitura eventuale dei ducati di Modena e Reg- 
gio (I). 

È vero che Carlo III con un atto ardito avea re- 
golata da sé la successione del Regno; che il matri- 
monio tra Maria Carolina e Ferdinando IV avea fatto 
scemare le pretensioni austriache, esse non pertanto 
esistevano ancora con un patto scritto , che solo 
l'Austria era nel diritto di cancellare. 

Intanto il Granducato di Toscana era divenuto 



(1) Articoli 16, 19, 29 della convenzione. Con 1' art. 16 
difatti la Francia impegnossi a trattare " auprès des Rois 
de Deux Siciles, de concert avec les deux parties contrac- 
tantes et P Infant Don Filippo , par des arrangemens 
afìn de fixer et assurer V ordre de successìon a,udit Ho- 



yaume „. 
Conforti 



- 82 - 

un possedimento austriaco, la probabilità della river- 
sione dei Ducati di Modena, di cui già l'Austria di- 
sponeva, l'apertura della via attraverso le montagne 
della Garfagnana, costruita di concerto tra il Gran- 
duca di Toscana e quello di Modena, per facilitare 
con poche marce l'avanzarsi di un esercito alla fron- 
tiera pontifìcia, avean resa l'Austria militarmente 
e strategicamente padrona dell'Italia. Avea, in con- 
seguenza , estesa la sua potenza ed influenza dal 
Tirolo fino agli Stati della Chiesa , cacciandosi nel 
cuore della penisola ; con una linea diagonale essa 
separava, per mezzo dei possedimenti retti dai suoi 
Arciduchi, i tre Stati settentrionali di Genova, Pie- 
monte e Parma , dei meridionali Venezia , Roma e 
Napoli. Impediva ogni comunicazione tra essi, la 
possibilità di darsi la mano nei momenti di bisogno. 

Il Piemonte invano s' era rivolto alla Francia al- 
l'epoca della guerra per la successione della Baviera; 
ne avea tratto la persuasione che nulla dovesse spe- 
rare , e quindi la sua necessaria politica di aspet- 
taz^ione facilitò i disegni dell'ingrandimento austriaco 
in "Italia. 

In tale stato potevano la Corte ed il Governo napo- 
letano non diventar favorevoli alla politica austriaca? 

Su quale aiuto dovevano essi confidare , per assi- 
curarsi dalle pretensioni di quella potenza, se Spagna 
era diventata impotente, e Francia da circa trenta 
anni esautorata dalla fatale alleanza? 

Fu opportunità alla quale si piegò il governo spin- 
tovi anche dall'assoluta volontà della Regina. 

Ed ecco perchè nella permanenza dei Reali di Na- 
poli in Vienna, a cagione dei due matrimoni, furono 
stretti i segreti legami di alleanza, resa più fortu- 
nata dalle nozze contratte , che meritò all' Austria 
da un poeta latino il motto : Et tu felix Austria 



— 83 — 

^jbbe ; alleanza che apparve una salvez7.a pel ru- 
oreggiare degli avvenimenti di Francia. 
Questi aveano preso una piega da allarmare non 
>lo i congiunti di .sangue con i sovrani di quella 
izione, ma tutti i Re di Europa. L'abolizione della 
udàlità, l'incameramento dei beni e la costituzione 
.vile del clero, la formazione dei clubs , e le esa- 
3razioni di quello dei giacobini, dove incominciava 
fare le prime prove Robespierre, le proclamazioni 
i principi che accennavano ad una riscossa uni- 
ersale di. popoli contro le attribuzioni reali, eran 
ali fatti e sintomi da impensierire le potenze di Eu- 
opa e specialmente rAustria.L'allarme crebbe quando 
a sicurezza personale del Re e della Regina di Fran- 
,ia furono in pericolo. Si narrava, e la lontananza 
ngrandiva le voci ed i fatti , si narrava del servi- 
ore Blanchez che avea insidiata la vita di Maria 
Antonietta; di un drappello di sicari che penetrando 
lel l'appartamento di lei avea trucidata la guardia, e 
ivrebbe trucidata anche lei, se non fosse fuggita dal 
etto, il quale, per rabbia, fu forato di molte pugnalate. 
Durante i sette mesi circa che i Reali di Napoli 
.1 erano fermati alla Corte di Vienna, l'emigrazione 
rancese da Torino s' era in parte trasferita a Co- 
»lenza. 
Le sue opinioni e i suoi propositi erano diversi, 
tacila di Coblenza ordiva le fila per rientrare in Fran- 
jia a capo delle armi straniere, l'altra rimasta a 
forino, voleva ridare la libertà al Re, mercè l'opera 
\ un movimento interno delle popolazioni fedeli an- 
hra ed affezionate. 

Il Barone di Breteuil, plenipotenziario di Luigi XVI 
tesso Leopoldo d'Austria, assicurava costui che il 
K non voleva salvezza dagli emigrati per tema delle 
>ro pretensioni , sicché erano già avanti le trat- 



— 84 — 

tative che l'Austria, Piemonte e Spagna con le armi 
sostenessero i diritti del trono di Francia, mentre il Re 
di Napoli e tutti gli altri principi di casa Borbone, 
regnanti o esuli , dovessero sottoscrivere una pro- 
testa da pubblicarsi alPindomani in cui l'Imperato- 
re si fosse deciso, secondo le promesse fatte, a man- 
dare 35 mila uomini in Frància, 15 mila nell'Alsazia, 
quando altrettanti svizzeri moverebbero verso Lione, 
e il Piemonte assalirebbe il Delfinato, e la Spagna 
darebbe un contingente di 20 mila soldati. 

Però prima che questa promessa formale fosse fatta, 
la Corte di Napoli parti da Vienna; era il 10 marzo 
del 1791 e contrariamente al primo viaggio per l'I- 
talia il 1775, nel quale schivò Roma e s' imbarcò a 
Livorno, questa volta, mutati i tempi, gl'interessi, i 
bisogni , spintavi altresì dall' Austria si recò a far 
atto di ossequio , ed a stringere le fila della nova 
politica col Pontefice. • 

Giunsero i Reali a Roma il 20 Marzo, accolti fra 
le acclamazioni del popolo e le salve di artiglieria, 
e scesero a palazzo Farnese ricevuti da dame e prin- 
cipi romani. Nello stesso giorno si recarono a rive- 
rire il Pontefice col quale si trattennero in lungo 
colloquio. 

Tra i Reali ed il Papa, onesto e mite, la discor- 
dia di antiche divergenze si sopì, ed egli concesse 
al Re il diritto di nomina alle molte sedi vacanti, per 
le quali i negoziati erano stati condotti già nel 1788 
in Napoli da Monsignor Galoppi, e poi rotti. 

Pretendeva il Papa che il Re si fosse spogliato di 
ogni diritto di Patronato sulle Badie e Prelature del 
Regno e, come ho innanzi detto, prestato l'omaggio 
della Ghinea. 

Ma il Re avea resistito a queste pretese, il Ponte- 
fice aveva lasciato circa sessanta s^di delle province 



— 85 — 

napoletane prive dei loro vescovi , mentre il Re gli 
dimostrava la necessità di provvedervi, perchè circa 
due milioni di anime cercavano il padre spirituale, ed 
aveano diritto ad essere assistite dal primo pastore (1). 

Ora i tempi erano altri: trono e chiesa videro il 
pericolo di lasciare il clero e le popolazioni di quelle 
Diocesi abbandonate a sé stesse; videro l'interesse di 
sostenersi a vicenda , poiché al Re ed al Papa la 
guerra accesa in Francia suonava guerra alla Reli- 
gione ed ai diritti regali, e la concessione fu fatta, 
larga, incondizionata dal Pontefice, bramata dal Re, 
il quale sarebbe rientrato in Napoli con nuovi pegni 
del suo potere. Alla classe illuminata avrebbe dimo- 
strato di non aver receduto dai suoi diritti, ed al 
clero ed al popolo minuto di aver fatto la pace 'col 
sommo gerarca. 

La quale al cospetto cosi della nazione come del- 
l' Europa fu segnalata con atti esteriori di grande 
pompa e cortesia. Furono resi ai Reali di Napoli gli 
onori già apprestati ai potenti imperatori che aveano 
pel passato visitato Roma; funzioni sacre, feste, spet- 
tacoli, donativi magnifici di gioielli ed opere d'arte. 
Al Re una corona di lapislazzuli legati in oro, con 
cammei rappresentanti la SS. Nunziata e S. Genna- 
ro, tutti contornati in brillanti ; altra bellissima, e 
più ricca di pietre preziose, alla Regina. Quadri stu- 
pendi in mosaico effigianti il Tempio di Minerva ed il 
Colosseo, altri in arazzi; reliquie di Santi, le vedute 
di Roma del Piranesi, tutti i volumi del Museo Pio 
dementino, e le belle incisioni. Alla Regina poi la 
Rosa d'oro, e un Breve che incominciava: «Alla Caris- 
sima figlia nostra in Cristo Maria Carolina » (2). 



(1) Lettera del Re al Pontefice del 20 Luglio 1788. 

(2) La data di questo Breve ò del 21 aprile 1791. 



Tutto il seguito del Re ebbe regali splendidissimi, 
ed egli ne distribuì molti e ricchi alla prelatura Pa- 
latina, ai Cardinali, alla Corte Pontificia, alla truppa, 
ai familiari dei principi e prelati. Ai poveri ed agli 
ospizi lasciò 3562 zecchini. 

Cosi tra feste, giubilo, e sincere manifestazioni di 
pace partirono i Reali da Roma , giunsero a Gaeta 
il 25 aprile e di là mossero il 26 per Napoli. 

A Capua erano attesi dai figliuoli, dai rappresen- 
tauti della città di Napoli , dal Ministro Acton , da 
una folla chiassosa di popolo. Dopo le affettuose ed 
uflaciali accoglienze mossero per Napoli , e vi per- 
vennero nelle ore pomeridiane, tra spettacoli prepa- 
rati e feste spontanee. 

A Capodichino scesero a corteo delle vetture reali 
tre magnifici carri, preceduti e seguiti da numerosa 
cavalcata di giovani sfarzosamente vestiti, e parec- 
chi in costume di donna. 

Il primo carro era montato da giardinieri e farinai 
che gettavam) fiori a nembi; il secondo <ìi ricchi po- 
polani che sprigionavano, di tanto in tanto, numerosi 
stormi di colombi , di quaglie , di piccoli uccelli; il 
terzo di pescatori che distribuivano a centinaia so- 
netti e canzoni , e poi il ceto de' lazzaroni con nu- 
merosa rappresentanza vestita alla turca, lanciando 
anche essi nello spazio e nella libertà stormi di vo- 
latili. 

Spettacolo barocco, reso però sempre nuovo e gia- 
dito da quella particolare confusione e dalPentusia 
smo che vi solca mettere il popolo nostro, che durò 
tre giorni, con sorprendente varietà dllluminazioni, 
e di macchine espressamente elevate, e che chiarisce 
il postumo motto di Re Ferdinando,. cioè che, colle 
feste, la farina e le forche si governano le nazioni. 



— 87 — 

CAPITOLO SESTO 

Sommario.— Lega tra la Prussia e 1' Austria. Il Manifesto 
di Pilnitz. Gli Stati Italiani. Il Piemonte. Tentativo di 
lega italiana. Napoli. Venezia. Mire dell'Austria. Scop-. 
pia la guerra tra la Francia e i coalizzati. I primi fatti 
d'armi sul Reno: 

Il resto di quell'anno passò in trattative per una 
lega tra l'Imperatore Guglielmo li di Prussia e l'Im- 
peratore Leopoldo, iniziata a Padova dove questi era 
giunto e^ dove il raggiunse il negoziatore Prussiano 
Colonnello Bischoffswerder ; alleanza alla quale si 
sarebbero invitate ad accedere, la Russia, l'Inghil- 
terra, nonché l'Olanda e la Sassonia, appena si fosse 
fatta la pace tra la Russia e la Porta. Questa difatti fu 
conclusa, e composte quindi le cose d'Oriente, l'at- 
tenzione di tutte le potenze si volse ai casi di Fran- 
cia (1). 

Le conferenze ed il manifesto di Pilnitz col quale 
i sovrani di Prussia ed Austria dichiaravano che la 
condizione in cui era il Re di Francia interessava 
comunemente tutti i troni d'Europa, e chiarivano alla 
Francia le intenzioni delle potenze non ebbero se- 
guito, perchè Luigi XVI, accettando la costituzione, 
pel momento allontanò la guerra, frenò le imprudenti 
e pericolose agitazioni degli emigrati, gli spiriti bel- 
licosi di Gustavo III di Svezia, e raffermò Leopoldo 
nei desideri di pace. 

Ma il trattato tra Prussia ed Austria die ombra 
ai piccoli stati di Germania, sicché l'Imperatore ed 
il Re di Prussia ebbero a dichiarare alla Dieta di 



(ij Coppi, Annali, pag. 129. 



— 88 — 

Ratisbona che esso non avea altro scopo se non la 
garenzia e la conservazione deir Impero. Locchè 
assicurando essi e gli stati minori cóntro le dot- 
trine e gli esempi di Francia, nessuna guarentigia, né 
affidamento dava agli stati italiani , all' infuori di 
quello di Napoli, messi tra le due potenze rivali, 
Austria e Francia , che per secoli li avean scelti a 
campo delle loro ambizioni e delle loro conquiste. 

Primo ad essere esposto al pericolo fu il Piemon- 
te, nel quale però non era sopita la politica tradi- 
zionale di quelPantica ed illustre casa regnante, che 
da parecchi secoli posava su i principi di sicurez- 
za , d' indipendenza e d' ingrandimento. Alla sicu- 
rezza ed airindipendenza avea provveduto anche ne- 
gli ultimi tempi acquistando e fortificando tutti i 
passaggi delle Alpi che separavano gli Stati della 
Provenza e del Delfinato, p.er garentirsi dalla Fran- 
cia. Le piazze forti , che ebbe nel Milanese per le 
paci del 1735 e di Aix-la-Chapelle , riparate ed au- 
mentate , opponevano air Austria una linea di for- 
tezze e di baluardi che rendevano difficilissimo un 
attacco da quel lato. Messa tra Francia ed Austria, 
non guardò che ai suoi interessi, e divenne alleata 
o nemica dell'una o dell'altra. Però le sue mire d'in- 
grandimento potè \ ano necessariamente e più facil- 
mente raggiungere lo scopo con Talleanza francese, 
poiché i possedimenti austriaci erano numerosi in 
Italia , e il Piemonte con essi avrebbe potuto arro- 
tondire il suo territorio. Ma l'occasione propizia ai 
tempi di Luigi XV fu lasciata sfuggire, e l'alleanza 
della Francia con l'Austria nel 1758 fu un colpo di 
fulmine pel Piemonte , che lo condannò per molti 
anni ad una forzata inazione. 

La rivoluzione francese intanto avea valicato i con- 
fini ed inondato se non con le armi, con le opinioni 



-so- 
la Savoia ed il Piemonte. Agli uomini eccellenti. òlio 
colà volevano serie riforme, s'erano uniti agenti ri- 
voluzionari che mossero in Savoia il popolaccio ad 
insultare le truppe, e suscitarono nel Chiablese una 
aperta sollevazione. A Torino stesso per l'impruden- 
za di un impiegato di polizia nello arrestare uno 
studente dell'Università, nacque un tumulto che durò 
diversi giorni. 

U Governo ristabili la quiete in Savoia con le ar- 
mi ; nella capitale qon la prudenza ; ma quei moti 
parvero scintille di più vasto incendio e non mancò 
certo l'emigrazione francese, colà in parte ricovera- 
ta, ad accrescere i sospetti e le paure. 

Sicché il gabinetto di Torino, in sullo scorcio del 
1791, ristrettosi con gli ambasciatori e ministri degli 
altri principi d'Italia espose loro i pericoli ai quali 
le tempeste di Francia esponevano tutti gli stati ita- 
liani, in cui erano già penetrati i germi funesti, gli 
agenti francesi, desideri e conati di rivoluzione. 

Mali più gravi per Tincendio destatosi nel Piemon- 
te avrebbe colpito il resto della Penisola. Necessità 
quindi che si stringessero tutti gli stati italiani in 
una lega , a quiete e difesa comune , non diretta a 
danno altrui, ma a conservazione propria, e tale da 
garentirsi l'un T altro, e a guardarsi l'un l'altro dalle 
insidie dei mandatari francesi. A comporla entre- 
rebbero il Re di Sardegna, l'Imperatore d'Austria, il 
Re di Spagna per Parma, il Re di Napoli, poiché di 
quest'ultimi il proponente governo s'era già per pra- 
tiche fatte sicuro del consenso , e il Papa vi si ac- 
costava, ferito e dolente per le innovazioni religiose 
avvenute in Francia. . 

Venezia nicchiava però, dubbiosa che una tal lega 
sortisse un effetto opposto, cioè che aumentandosi le 
armi in Italia con gli eserciti Alemanni, si sarebbe 



- 90 - 

sicuramente mutata la conservazione della pace nella 
necessità di una guerra. E alla guerra era avversa 
per lunghi anni di marasmo, di ozio, di sfortune che 
Taveano, a poco a poco, resa dimentica dell'antica 
grandezza, già emula e trionfatrice dei Re e delle 
Repubbliche più potenti, già l'arbitra dei destini di 
Italia, e dello equilibrio di Europa. 

Dalla pace di Passorovitz in poi avea dormito un 
lungo sonno ; il suo arsenale ricco di attrezzi e di 
materiali da guerra non avea braccia né menti per 
adoperarlo: non flotta, né ciurme atte ai passati ar- 
dimenti, non fortezze ben armate, non esercito, poi- 
ché tal nome non meritavano quei sei sette mila 
uomini male equipaggiati, mal nutriti, mal pagati. 
Le milizie Dalmate e Schiavone valorose si, ma ri- 
belli ad ogni disciplina. 

Dopo r ultima guerra col turco (1718) , la sua 
sapienza fu V inerzia. Poi nelle ultime guerre d'Ita- 
lia i suoi possessi di terraferma erano rtati corsi e 
ricorsi dagli eserciti combattenti ; nella guerra tra 
la Russia e l'Impero ottomano restò neutrale , e si 
era ridotta a non armare per tema di destar gelosia, 
e non stringersi ad alcuno, perchè non armata. 

In conseguenza lo stesso contegno serbò alla voce 
del Piemonte, e fu causa principale che la lega pro- 
posta non si formasse. Fu un bene, fu un male ? 

A noi pare in verità che la politica del Piemonte, 
cosi accorta, cosi ardita, si fosse sbagliata. 

Una lega tra tutti gli Stati italiani per una stretta 
neutralità avrebbe indubbiamente allontanata, se non 
in tutto, per alcun tempo la guerra: ma una lega in 
cui sarebbe entrata l'Austria non era fatta per con- 
servare la pace, sebbene per fare la guerra. 

L'Austria che ciò presentiva volle impedire la pos- 
sibilità che tra lei e la Francia si cacciasse il Pie- 



- 91 — 

monte; il quale senza dubbio, se avesse considerate 
solo le probabilità del suo ingrandimento, avrebbe 
dovuto far causa comune con la Francia, poiché il. 
suo nemico naturale era l'Austria. 

Ma la Monarchia Piemontese a quel tempo, benché 
reputata la più solida fra quelle italiane, era per lunga 
pace infiacchita, non ebbe politici, non guerrieri. Tra 
Francia ed Austria, che si disputaron sempre l'Italia 
come una preda, aveano i Principi Savoiardi mostrate 
audacia e grandezza, ispirate dal sentimento non solo 
della propria conservazione ma di un più grande av- 
venire. Però le alte classi e la Corte tremarono al- 
l' annunzio della rivoluzione e le vollero chiudere 
le porte. 

L' annuenza del governo napoletano alla lega in 
cui entrava l'Austria era consentanea ai suoi inte- 
ressi ed alla sua politica. Sicché il concetto ed il 
proposito, abbandonato in quell'anno, fu da essso ri- 
preso neir anno seguente 1792 quando spinto senza 
dubbio dall'Austria stessa ed incalzato da nuovi av- 
venimenti, si rese promotore di una confederazione 
italica. 

La guerra con la Francia intanto si era impegnata, 
e gli eserciti Austro-Prussiani capitanati dal Duca di 
Brunswisch passavano il Reno. Respinti vigorosamen- 
te daKellerman a Valmy,chiesero tregua a Dumouriez; 
retrocedettero verso Coblenza e Mons, mentre i fran- 
cesi, prendendo l'offensiva , presero Magonza, battet- 
tero gli austriaci trincerati a Jemappes , invasero i 
Paesi Bassi. 



— 92 — 

CAPITOLO SETTIMO 

Sommario. — Vincenzo Leprini. Corrispondenza diplomati- 
ca {inedita)» I partiti in Francia. Avvenimenti alla Corte 
di Austria. Politica della Corte di Napoli. Lega tra i 
principi italiani. Note dell'Acton al Re di Piemonte ed 
al Senato -Veneto. Il Piemonte accede alla coalizione. 
Sospetti del Governo francese contro Napoli. Timori e 
speranze della Corte di Napoli. Provvedimenti del Go- 
verno. Medici Reggente della Vicaria. Sue opere. Jllu- 
minazione e numerazione della città di Napoli. I vaga- 
bondi. La colonia di Tremiti. Vita napoletana. Dame 
e nobili. I saloni. La polizia. Acton e il Reggente, Ar- 
rivo di Makau. Le prime ostilità francesi. Arrivo della 
flotta francese a Napoli. Paura del governo. Il popolo. 
Patti e condizioni di pace. Il primo Club. Si delineano 
i partiti liberali. Idee dei moderati. Mario Pagano. Et- 
tore Carafa. I primi arresti. I primi odi. 

Nei primi mesi di questo anno 1792 un agente del 
governo napoletano a Parigi segnalava all' Acton i 
principali eventi e i più minuti particolari della cor- 
te e del popolo (I). 

Scriveva: « questi affari van di male in peggio, e le 
« apparenze non presagiscono che mali maggiori, 
« mentre i nemici della monarchia prendono vie più 
« forza maggiore nell'impossessarsi di tutti gl'impie- 
« ghi » (2). Facea temere, pel decreto di amnistia dei 
rei che aveano insanguinato Avignone, « un complotto 
giacobinico » che avrebbe prodotto « un massacro a 
Parigi » (3). La Corte era, per lui, in potere di una 



(1) Era Vincenzo Leprini, e le sue note {inedite) rias- 
sumo o riferisco testualmente. 

(2) Nota del 27 febbraio 1792. 

(3) Nota del 19 marzo 1792. 



- 93 — 

« cabala» che avea le sue fila nel Club dei Giacobini. 
Doumuriez, nuovo Ministro degli Esteri, vi appartene- 
va, e vi si era recato per manifestare « che S. M. il Re 
« erasi degnato nominarlo a tal Ministero , ed egli 
« lo avea accettato sulla fiducia che la Società gli 
« accorderebbe tutta la sua assistenza per ben dis- 
« impegnarsene ». 

« Presentemente , continuava , il partito piacobh 
« nico è il solo dominante, e non vi è chi possa re- 
« sistergli. L'eccessivo orgoglio e la prepotenza che 
« dominano in detto partito, potranno forse distrug- 
ge gerlo, senza di che la Francia non potrà mai sor- 
« tire dall'anarchia in cui trovasi (1). 

« Lo scorso martedì giunsero qui tre corrieri da 
« Stockolm coir infausta notizia dell' assassinio di 
« quel sovrano. Le notizie recate dalli detti corrieri 
» fanno sperare che la ferita del sovrano di Svezia 

« non sia mortale a dispetto dei GiacoMni 

« che hanno fatto pubblicare in varii fogli la di lui 
« morte (2). » 

Informava poi su i progetti del Ministero francese 
contro l'Austria : 

« L'odierno Ministero di questo Sovrano composto 
« di Giacobini è pervenuto finalmente a persuader- 
* gli che r unico mezzo di sostenere e mantenere 
« intatta la nuova costituzione francese è quello di 
« dichiarare la guerra al Re di Ungheria e Boemia ». 

E quando Luigi XVI si recò all' Assemblea e la 
guerra fu dichiarata, l' agente napoletano scriveva : 

« Le persone serie e moderate gemono per questo 
« passo inconsiderato e violento e ne prevedono le 
« funeste conseguenze ; al contrario il partito che 



(1) Nota del 26 marzo 1792. 

(2) Nota dei 9 aprile 1792. 



— 94 — 

, « r ha provocato gioisce, e sperà non solo di potere 
« con le armi francesi abbàttere quelle del Re d'Un- 
« gheria , ma di giungere di più colla seduzione a 
« far sollevare tutti i di lui sudditi contro del pro- 
« prio sovrano , e quelli ancora degli altri sovrani 
« di Europa (1) », 

Definiva l'Assemblea « senza energia e senza cre- 
dito ». « La maggior parte dei membri che la corn- 
ac pongono non promuove che progetti ridicoli e non 
« vi pronunzia che discorsi incendiarli ». 

A prova inviava copia del discorso del marsiglie- 
se deputato Isnard , perchè si leggesse « fin dove 
giunge l'audacia di un legislatore ». Le tornate del- 
l'Assemblea del 19 e 20 maggio gli parvero « le più 
« tumultuose di quante mai ve ne sono state perchè 
« oltre il tumulto, le strida e le minacce vi furono 
« delle percosse , benché ne' fogli non se ne parli. 
« Questi sono i tratti del tanto celebre Areopago che 
« governa V intera Monarchia francese , e che ha 
« l'audacia di pretendere di «ervir di modello all'u- 
« niverso intero » (2). 

A quei dì si fece rumore per un preteso « Comi- 
tato Austriaco » a cui, si disse che appartenesse la 
Regina di Francia. Egli smentisce l'esistenza di quel 
Comitato , e dei Reali scrive : « lo stato di questi 
« Augusti Sovrani diviene sempre più penoso e pe- 
« riglioso (3) ». . 

Di tratto in tratto preannunzia gravi sventure : 
« tutto dà spavento e fa temere » (4). 

In Francia, difatti, si preparavano. 



(1) Nota del 23 aprile 1792. 
(2 Nota del 21 maggio 1792. 

(3) Nota del 28 maggio 1792. 

(4) Nota del 18 giugno 1792. 



— 95 — 

La guerra con V Austria non accennava a finire* 
Morto Leopoldo II gli successe il figliuolo Francesco, 
proclamato Imperatore il 5 luglio del 1792. Era egli, 
come lio detto, sposo di Maria Teresa, figlia di Fer- 
dinando IV e di Maria Carolina (1). 

La corte di Napoli si vide, per conseguenza, stretta 
da più forti vincoli alla politica austriaca, e se an- 
che fossero mancati quelli del sangue ve Tallaccia- 
vano gli atti dell' Assemblea francese che correva, 
senza dubbio, all'aperta e decisa rivoluzione. 

L' agente napoletano da superficiale osservatore 
giudicava all'ingrosso la fisonomia e le idee dei par- 
titi in Francia: accomunava, nella stessa condanna, 
Foglianti, Girondini, Giacobini. Però prevedeva giu- 
stamente la prevalenza di questi ultimi. 

Difatti le giornate del 20 giugno, del 10 agosto, e 
del 20 settembre , furono i quadri di quel dramma 
terribile che finì con l' abolizione della monarchia e 
con l'arresto della famiglia reale. 

B'u un colpo dei più gravi per la Corte di Napoli, 
la quale si spinse a tentare coi governi italiani l'abor- 
tita lega. 

Il Ministro Acton invitò il Governo piemontese ed 
il Consiglio Yeneto a considerare « che se i collegati 
« di Germania non a Parigi giunti fossero come si 
« erano proposti, tutto da una risentita nazione ed 
« infiammata dall'orgoglio di aver saputo resistere 
« vi sarebbe a temere. Se al contrario la capitale 
« fosse sottomessa per la fortuna delle armi , assai 
« più da temersi sarebbe che i francesi presi da fu- 
« rore, nelle meridionali province col coraggio della 



(1) Leopoldo mori il 1 febbraio 1792. Adolfo Thierg, nella 
Storia della Rivoluzione ( voi. 1 pag. 169) dice, inesatta- 
mente che Francesco era nipote di Leopoldo. 



— 93 — 

« disperazione si concentrassero. In tale stato incerto 
« di cose, tutto concorrere a suggerire Tidea di una 
« confederazione italiana, tendente non solo a ga- 
« rentire generalmente la nazione da una qualunque 
« irruzione , ma eziandio i propri rispettivi Stati, e 
•« la forma attuale delli esistenti Governi. Concor- 
« ressero a questa lega con le Due Sicilie il Re di 
« Sardegna e la Repubblica di Venezia, e poi si sa- 
« rebbero invitati gli altri Stati. Potersi con questa 
a primitiva lega provvedere alla propria difesa , al- 
ce 1' allontanamento delle esterne invasioni , influire 
« sullo stesso equilibrio di Europa ». 

Ma la proposta naufragò per la resistenza del Consi- 
glio, né a mutarla valsero le sollecitazioni del Miche- 
raux. Ministro napoletano a Venezia, il quale mostrò 
bello e redatto un progetto di trattato , che fra gli 
altri patti, obbligava Venezia a fornire alla lega sei 
mila soldati, tre vascelli, e sei fregate (1). 

Né il Piemonte poteva aderirvi, perchè già attratto 
nell'orbita della coalizione Austro-Prussiana contro 
la Repubblica, ed impegnato a muovere quarantamila 
uomini. 

La Francia non aspettò che i Piemontesi prendes- 
sero r offensiva e il giorno 10 settembre intimò la 



(1) Memorie Storiche sulle principali cagioni e circostan- 
ze della rivoluzione di Roma e di Napoli. Anno MDCCC. 

Coppi , Annali, tom. 1 , pag. 139. Il Marnili , pag. 27, 
segna la data di queste trattative ai primi di dicembre 
1792. Invece pare esatto ciò ohe dice il Coppi, cioè che le 
trattative incominciarono dopo rotta la guerra sul Reno , 
perchè dalla proposta si rileva che la Corte di Napoli 
credeva possibile che i coalizzati giungessero a Parigi, 
ipotesi ohe nel dicembre non potea essere più fatta per le 
vittorie riportate dai Francesi. 



— 07 — 

guerra , ofiesa che il suo ambasciatore Sémonville 
non fosse stato ricevuto alla Corte Sabauda. 
' Xa mossa del governo di Napoli accrebbe i sospetti 
della Francia, la quale credette che gittasse la ma- 
schera di neutralità e si unisse ai belligeranti. Da 
Vienna difatti venivano voci di accordi. Si disse che 
Ferdinando IVdo vesso, da incognito, far la campagna 
nelle fila dell'esercito Sardo (1). 

Le vittorie spinsero il governo e i partiti francesi 
a minacce contro tutti i irom. Al club si declamava 
con entusiasmo le virtù repubblicane che doveano 
vendicare il mondo dai delitti del dispotismo (2). La 
Convenzione nazionale con solenne decreto promette 
soccorso a tutti i popoli che volessero sorgere a li- 
bertà , ed impone ai generali francesi di difendere 
quei cittadini che fossero vessati a causa dei loro li- 
beri sensi. 

Cosi la Repubblica con la diplomazia e con le armi 
fomentava e portava in ogni Stato la rivoluzione 
contro i propri sovrani; lo che se era un' offesa al 
diritto pubblico, parve senza dubbio una grande di- 



(1) Nel Giornale Generale di Francia in data dei 22 
giugno da Vienna si leggeva la seguente nota: " L'armée 
" du Roi De Sardaigne sera fort de 30 a 40 mille hommes. 
" Il y aura un corps de 8 mille paysans sous le nom de 
" Miqueletti, et qui passent pour les meilleurs tireurs de 
" l'Europe. Le Roi de Naples doit faire la campagne in- 
" cognito dans cette armée. Ce Prince il a donne au Roi 
** d'Hongrie 10 mille quintaux de poudre, qui serònt de- 
" barqués à Ostenda. „ 

Questa notizia fu segnalata alla Corte di Napoli dal 
suo agente di Parigi, Leprini, con nota del 9 luglio 1792. 

(2) Thiers, idem, tom. 2, pag. 53. Discorso di Milhaud, 
deputato del Cantal al club dei Giacobini, pronunziato 
nel novembre del 1792. 

Conforti 7 



— 98 - 

fesa di tutti gli oppressi, pungolo agli oppressori, 
incitamento ^sicuro agli spiriti torbidi ed amanti di 
novità. 

Quindi la rivoluzione uscì dai limiti della Fran- 
cia, ed il suo grido si ripercosse nel mondo. 

In Napoli suscitò timori e speranze. Molti citta- 
dini di alto ingegno , di spiriti generosi erano già 
innammorati dei grandi principi di fratellanza , di 
libertà, di umanità, resi allora più affascinanti per 
l'eroismo e per le vittorie. Ma,per le tendenze proprie 
dell'ingegno speculativo e del carattere napoletano , 
duttile e mite, aborrivano dalle violenze e dalle som- 
mosse. Speravano che quei principi trionfassero. al- 
l'ombra del trono, cosicché le esagerazioni filosofiche 
che in Francia produssero il cataclisma politico', 
non aveano presa sull'intelletto dei nostri migliori. 
Anzi dagli eccidi che turbavan la Francia, trassero 
ammaestramento di mitezza e di bontà, tanto che un 
contemporaneo le attribuiva a mancanza di fibra e 
di energia. 

I nuovi dogmi rivoluzionari , nuovi per V impeto 
selvaggio con cui la Francia li espandeva, ma vec- 
chi, in gran parte, quanto il Cristianesimo, cancella- 
vano ogni* differenza di lingua, di patria, di costumi; 
sostituivano alla nazione il genere umano, l'uomo al 
cittadino. E intorno a questa bandiera si strinse la 
parte migliore e più dotta di Napoli, anelando rifor- 
me sagge e una moderata libertà. 

Era però minoranza, contro della quale stava salda 
la massa del popolo, abbrutita da tanti anni di ser- 
vitù straniera e di miserie; superstiziosa e paurosa 
di mutamenti; stretta alla Monarchia per tradizione 
e servilismo, per istigazione del Clero, divenuto allora 
di quella alleato e fautore. Alla massa si univano, 
e le accrescevan forza e credito tutte le anime 



— 99 - 

timide e pie, che al dispregio del trono e dell'altare in 
Francia credettero perduta ovunque la religione, rot- 
to ogni freno di famiglia e di autorità, e sostanze, 
onore e vita in balia dei giacobini. La Monarchia ap- 
pariva loro scudo alla patria, alla famiglia, alla re- 
ligione, al costume dei padri. 

Il Governo abilmente la manteneva in fede non 
esagerando i timori, benché paventasse ancor esso, 
ma dimostrandosi cupo, sospettoso, vigilante. 

Avea allora allora istituita una Magistratura di po- 
lizia, con ruota, guardie, scrivani, di cui pose a capo, 
col nome antico di Reggente deUa Vicaria, Luigi 
Medici^ giovane ardito ^ scaltro , ambizioso , di ma- 
niere attraenti , di bella persona (1). Il nome e la 
famiglia gli davano autorità, gli studi e l'ingegno cre- 
dito, affidava il suo fare libero e sciolto. I primi atti 
gli conciliarono maggior prestigio. 

Le vie della 'città erano di notte quasi al buio, 
rotto solo e scarsamente da fioche lampade , ardenti 
per pietà dei fedeli innanzi alle immagini di Santi 



(1) Il Cav. Luigi Medici di Toscana de'Principi di Ot- 
taiano era nato il 22 aprile 1759. Dicono i suoi biografi 
che discendesse da quel Bernardetto de^Medici che fu cu- 
gino di Cosimo e di Giulio de* Medici. 

Il feudo di Ottaiano fu comperato dalla famiglia Me- 
dici nel 1567. Carlo ITI col diploma di nomina a Grande 
di Spagna di D. Giuseppe Medici, ricordava l'antica e no- 
bile origine della casa e lo diceva " bisnepote di D. Ber- 
" nardetto de' Medici , fratello dello stesso pontefice che 
" portò la detta casa dalla Toscana nel Begno di Napoli, 
" ov'è oggi una delle prime del detto Begno e delle più 
" cospicue d'Italia ecc. „ 

A Segretario del Beggente fu nominato Alessandro Pe- 
trucci, e fu stabilita una Cassa di polizia. 

(Dispacci {Inediti) dell' Acton del 4 aprile 1792) 



— 100 — 

e Madonne collocate nei chiassuoli o ai crocicchi. 
Le case poi, prive di numeri; le vie di nomi. Il Reg- 
gente tolse l'uno e l'altro sconcio. Die con tabelle di 
marmo nome alle vie, alle piazze, ai vicoli. Distinse 
con un numero progressivo le case (1). 

In poco tempo spazzò la capitale dei ladri e dei 
vagabondi; fondò una colonia a Tremiti, e in un sol 
giorno ne inviò colà duecento, compresi «gli aguz- 
zini » sopra un legno di Padron Domenico Giova- 
netti. 

Oltre questi provvedimenti di comune sicurezza 
esercitava il Reggente la polizia politica, ma in se- 
conda riga. Gli avvenimenti di Francia avean costi- 
tuita un'alta e segreta inquisizione di Stato diretta 
ed esercitata dall' Acton , il quale comunicava al 
Reggente informazioni ed ordini, secondo i casi (2)- 
Però il Reggente non si limitava ad eseguire: spiava 
e provvedeva per conto suo. 

La maggior parte degli afifari di sua competenza, 
oltre le indagini e le istruzioni pe'reati comuni, pro- 
veniva da tante piccole querele e dissidi privati. E 
il Reggente ne informava il Re, il quale sentenziava 
e definiva, premendo, con l'autorità sua inappella- 
bile, gl'interessi particolari, mescolandosi negli affari 
intimi delle famiglie. 

Poi le indiscrezioni degli scrivani, l'accorta mali- 
zia del Reggente , l' odio dell' Acton per la nobiltà 
del Regno, propalavano pei saloni quei casi, e nelle 
conversazioni frivole d'una nobiltà maldicente eran 
temi di geniali motteggi le querele di creditori, di 



(1) Dispacci (inediti) dai Registri del Reggente della 
Vicaria. 

(2) La prova di quest'affermazione è ne' Registri del Reg- 
gente della Vicaria. 



— :oi — 

sarti, di camerieri, non pagati da questa o quella 
Principessa, di duchini discoli e dissoluti, di dame 
che non voloan seguire 11 marito, o che aveano in- 
sultate piiblicamente le proprie madri (1). 

E il Re, per meglio dire TActon, sapea tutto; e 
per mezzo della polizia era meravigliosamente at- 
tuato il sistema che tutto passasse per le mani del 
primo ministro, mentre la giustizia o la violenza 
parca provenissero direttamente dal Re. 

Tra queste minute cure e fastidi , il Reggente si 
premuniva contro ogni manifestazione politica. Col 
consenso degli eletti della città e dei rappresentanti 



(1) È la prima volta che si pubblicano questi partico- 
lari autentici da me tratti dalla voluminosa ed inedita 
raccolta dei Dispacci del Reggènte della Vicarìa, che io 
ho letto tutta. Per citare alcuni fatti dirò che rilevasi 
da essa che Vincenzo Parente e D. Pasquale Ferrara ri- 
correvano contro la Contessa di Corigliano per somme che 
non voleva restituir loro. Il sarto Giuseppe Saccomanno 
si querelava contro il Principe di Montemaggiore per abiti 
fattigli e non pagati. Michelangelo De Gregorio preten- 
deva che fosse costretta la Duchessa di Gutrofìano a pa- 
gargli D. 60,35 grana per mance. 

Il Re ordinava che D. Gaetano Tommasi, figlio di D.^ 
Teresa. Gamboni, fosse, per le sue dissolutezze, imbarcato 
e spedito a Palermo; il Duchino di Finizio venisse chiuso 
nella Fortezza di Gaeta, D. Felice Americo " a cui (di- 
ceva l'ordine reale) per correzione non è bastata la lunga 
carcerazione di dieci anni ,, (!!), vi rimanesse ancora; il 
Buchino Perrelli fosse richiamato da Roma perchè avea 
contratto colà molti debiti; veniva imposto " per órdine 
del "àe „ alla Duchessa di Leporano di seguire il marito 
che era a Vietri sul Mare , e si chiedevano informazioni 
al Reggente sul ricorso della Duchessa di Ostuni Scotti, 
la quale querelavasi d'insulti ricevuti sulla pubblica via 
dalla propria figliuola la Duchessa Capato. 



— 102 — 

le Piazze organizzò e pose in attivo servizio le mi- 
lizie urbane (1). E giacché la plebe si agitava contro 
i francesi residenti in Napoli, la polizia, per coman- 
do del Re, era in moto a frenarne lo zelo e V ar- 
dore (2). 

La polizia ed Acton diventavano allarmisti. A Po- 
migliano d'Arco una frotta di giovinetti corsero il 
paese armati di bastoni , militarmente in riga , fin- 
gendo esercizii e manovre. Il Reggente inviò un suo 
commesso ad inquirere e castigare (3). 

I giovinetti nobili avean per moda di far delle còrse 
a cavallo per Ghiaia e pe' Bagnoli. Acton fece cre- 
dere alla Corte che essi volessero imitare le corse 
Olimpiche (4). E la polizia ebbe ordine di vigilare 
su quel passatempo innocente. 

Altri pericoli segnalarono da Roma al Ministro 
Acton, e questi al Reggente. «Il Re — scriveva TActon — 
« ha ricevuto da Roma positiva notizia di essersi man- 
fi dato in Napoli con pravissimi disegni un tal Marche- 
fi se della Petrella già noto pei diportamenti suoi il 
« quale dovea portarsi a questa volta la sera dei 9 del 
fi corrente, indotto in Roma da varii mandanti esteri 
« a commettere omicidii, massime pel nefando propo- 
« sito di secondare i principii di nuovo tenore con- 
fi tro tutti i Governi ». E raccomandava la maggior 
vigilanza, e quanto convenisse per isventare « simili 
infami proponimenti » (5). 

(1 ) Dispaccio di Acton del 16 novembre 1792 (Inedito), 

(2) Ordinanza del 1 luglio 1792 {Ifiedita). 

(3) Il Colletta menziona il fatto, ma non dice il luogo 
dove avvenne. Nella corrispondenza del Reggente ho rin 
venuto il documento inedito. 

(4) Ceco, Saggio Storico, p. 36. 

(5) Dispaccio del 24 novembre 1792 (Inedito). Che sen- 
no! Con gli omicidi si voIÓa fare la rivoluzione! 



— 103 — 

Aggiungevansi voci di prossime offese della Repub- 
blica contro il Regno, il fermento del popolo, incre- 
dulo delle rassicurazioni del Governo, il quale men- 
tre parlava pace, e dava affidamento di quiete, ala- 
cremente spingeva la costruzione di nuove batterie, 
impinguava le casse ritirando i depositi giudiziarii 
dei privati, mercè un interesse del 2 0[0 (1). 

L'occasione di aperto dissidio con la Fraudaci 
maturava. 

Era giunto in Napoli, il 12 agosto 1792, Armando 
Luigi Mackau, qual Ministro plenipotenziario della 
Republica, accompagnato dal suo segretario di Legar 
zione Nicola Hugou (2). 



(1) Gli ordini per la costruzione di nuove batterie fu- 
rono emessi in data del 24 novembre* Dispaccio di Acton 
{Inedito). Con la stessa data i'Acton scriveva al Reggen- 
te: " Vien riferito che l'ardore e lo zelo della popolazione 
^ di Napoli per la Real Corona nel presente incontro in cui 
" si tratta della preventi va difesa onde respingere gl'insulti 
" ostili che mai potessero farsi ai R. Dominii (quantunque 
^ non ve ne sia il motivo) che taluni del popolo sieno nella 
** disposizione di ledere le persone della gente estera qui 
^* dimorante e specialmente dei Francesi. Il Re mi comanda 
" di vegliare per l'ordine 'pubblico ed impedire le offese. „ 
(Inedito), 

E in data del 28 Novembre: " Tutte le somme rimaste 
" in deposito sequestrate per cautela della parte e di cui 
^' se ne contende la pertinenza si diano al Sig. Caporuota 
" M.se'Porcinari, D.Gregorio Bisogni e l'Avvocato Pisoale 
^ Gudanche, perchò siano impiegate a benefizio dello Stato 
" decorrendo Tinteresse del 2 OiO {Inedito), 

(2) Armando Luigi Barone di Mackau era nato il 1759. 
Entrò prima nell'esercito, poi dal Marchese di Bombelles, 
suo futuro cognato , e Ministro del Re presso la Dieta 
Germanica fu adibito oel Ministero degli Esteri , quindi 
nominato Ministro Plenipotenziario presso il Duca di Wor- 



— 104 — 

Le Corti erano naturalmente sospettose di questa 
nuova rinnovata diplomazia francese, la quale con- 
tro ogni convenienza e consuetudine, avea permis- 
sione di spargere ufficialmente massime contro i 
troni. E i sospetti diventavan certezza , secondo le 
persone dei diplomatici. 

Ora il Mackau, beneficato dalla Monarchia, si van- 
tava di avere tra i primi giurato fedeltà alla Repub- 
blica: THugou, già adulatore del Principe di Condè, 
dal quale implorava uno sguardo di protezione, già 
redattore del Mercure polUique, si lanciò d'un tratto 
nella rivoluzione , segui questo giornale nelle sue 
diverse trasformazioni, finché, da quell' ufficio , noi 
trasse , per compiacere Lebrun Tondu , il Ministro 
Dumouriez. 

A Napoli si sapevano le circostanze della vita e 
della carriera dei due diplomatici. Giungevano anche 
in mal punto. 11 giorno 10 agosto l'Assemblea avea 
chiamata la Francia ad eleggere la Convenzione, il 
Re era stato provvisoriamente sospeso dalle sue fun- 
zioni, poi tratto dalle sale dell'Assemblea, in cui era 



temberg. Al cadere della Monarchia prestò giuramento, 
tra i primi, alla Repubblica, e fa nominato nel 1791 Mi- 
nistro in Toscana. Ma non si recò presso quella Corte ; 
sicché al 30 aprile 1792 fu, dal Ministro degli Esteri Du- 
mouriez, nominato al posto di Napoli. Le lettere che lo 
accreditavano presso il governo napoletano furono rila- 
sciate in data del 21 maggio. 

Il segretario Nicola Giovanni IIugou,che avea aggiunto 
al suo nome quello di Bassville, era figlio di un tintore 
di Abbe ville, mediocre letterato , ambizioso, spirito tor- 
bido , e che dovea poi con la sua fine tragica svegliare 
la Musa di Vincenzo Monti con la famosa Cantica: " In 
morte di Ugo Bass ville seguita in Eoma il di XXY gen- 
naio MDCCXCIII. „ 



— 105 — 

tenuto prigioniero , al palazzo del Luxembourg (1). 

Questi fatti non furono noti alla Corte prima del 
giorno 24 , in cui il Mackau presentò all' udienza 
reale le sue credenziali ; ma appena si seppero , si 
ruppe con lui ogni relazione di sorta. 

Un altro si sarebbe affrettato a lasciar Napoli, in- 
vece egli ed il suo segretario restarono , imperoc- 
ché tutti e due ambivano, ciascuno per se, rendersi 
istrumenti efficaci della rivoluzione, e stringere nelle 
loro mani la sorte della politica francese in Italia. 

Senonchè il Mackau volea disfarsi dell'Hugou, per 
far posto ad un proprio nipote nella legazione di Na- 
poli; e l'altro cercava le occasioni per farsi via. 

Cosi dall'agosto al settembre avea il Mackau chie- 
sto al Ministro Lebrun , che era succeduto al Du- 
mouriez al Ministero degli Esteri in Francia, il per- 
messo d'inviare a Roma uno dei suoi segretari per 
conoscere quel che colà si facesse. 

Intanto non perdevano il loro tempo. Il Mackau 
levava alte grida presso il suo governo contro la 
Corte di Napoli; sondava lo spirito pubblico , semi- 
nava negli animi arrischiate speranze di prossime 
umiliazioni all'Acton, di protezioni ed aiuti della Fran- 
cia. Hugou, scriveva lettere al suo « caro camerata » 
il cittadino Lebrun Ministro degli Esteri. 

« Ciò che ho visto in Napoli, diceva in quella del 
30 agosto, mi prova che tutto andrà bene »; e dopo 
avere ricordato i suoi paeriti , chiedeva « la Lega- 
zione di Venezia o quella di Firenze » 

Una donna che era venuta con lui , cui dava il 
nome di moglie, e dalla quale avea avuto un figlio, si 
annoiava mortalmente (2). Egli stesso rompeva la so- 



(1) Il 13 agosto. 

(2) Elisabetta Colson. 



— 106 — 

litudine, e l'ozio diplomatico facendo trasformare lo 
stemma della Legazione. « Al momento in cui vi 
« scrivo, diceva al Lebrun, un pittore al mio fianco 
« dipinge sull'insegna, ove poco prima brillavano i 
« fiordalisi (2), la bella Minèrva con la sua lancia e 
« il berretto sacro della Libertà , che ìd ho trovati 
« suir impronta del vostro ultimo dispaccio che i 
« nostri Argo non hanno lacerato o preso. Domani 
« essa verrà alzata , ed io so , fin d'ora , che sarà 
« una festa per molta gente che a bella posta trarrà 
« a passeggiarvi dinnanzi; ed io conto ancora di far 
« vedere la mia divisa di guardia nazionale al Tea- 
« tro S. Carlo. È la prima volta che sarà vista in 
€ Napoli e, forse, in Italia. Inviateci, ve ne scon- 
« giuro, la Marsigliese con la musica. Tutti la chieg- 
« gono. >» 

E concludeva: « Continuate, vi acqui stente l'im- 
« mortalità. Io mi annoio terribilmente qui. » 

E tenne di fatti la parola, perchè poi menò vanto 
di essere andato a S. Carlo « con la sua divisa Ueu 
« a sfidare la Regina in un luogo pubblico , e chez 
« elle; e di aver coverto i fiordalisi, con l'emblema 
« sacro della libertà, facendo ammirare a tutta Na- 
« poli, la bella donna coronata di un nastro tricolore 
« e col berretto rosso alla punta della picca , che 
« qualcheduno avea scambiata per una Madonna ». 

Era giunta a Mackau risposta, e Lebrun consen- 
tiva lo invio a Roma di un segretario. Parti quindi 
l'Hugou con l'incarico d'informarsi esattamente delle 
intenzioni e delle mire di quel governo, delle dispo- 
sizioni dello spirito pubblico , dello stato del Forte 
S. Angelo, ed arrivò a Roma la sera del 13 novem- 
bre 1792. 



(1) Nome dei gigli d' oro , insegna della Beai Gasa di 
Francia. 



— 107 — 

Non avea passaporto ; unico documento che atte- 
stasse la qualità sua era una lettera del Mackau per 
il Cardinal de Zelada (1). 

Intanto il nuovo Ministero del 10 agosto , spinto 
dalla stampa e dai partiti che denunziavano lo ar- 
resto avvenuto a Roma di due artisti francesi Rat- 
ter e Chinard, dalle discussioni avvenute nella Con- 
venzione , dal grido di Prudhomme che eccitava il 
governo a marciare su Roma (2), mentre preparava 
una spedizione contro la Sardegna con la flotta ch'era 
in armamento a Tolone comandata dall'ammiraglio 
Truguet, meditava altresì qualche colpo di mano con- 
tro Roma e contro Napoli. 

A Roma si seppe ; e il sacro Collegio ne fu spa- 
ventato, sicché nessuno impedimento pose alla per- 
manenza di Hugou, che prese quindi l'atteggiamento 
di un trionfatore , e trattava da pari a pari le più 
alte autorità. 

Né la Corte di Napoli, era senza sospetto di pos- 
sibile ostilità contro il Regno. 

Quindi ordinò la formazione di dodici Reggimenti 
di milizie provinciali; e una leva in massa di tutta 
la gente atta alle armi, la quale dovea provvedersi 
a sue spese di viveri per quattro giorni, ed, appena 
chiamata, la guidassero gli ufflziali delle milizie ur- 
bane, i baroni, i cavalieri dei rispettivi luoghi, de- 
stinandola a coadiuvare la truppa (3). 
Al 25 ottobre furono trasmesse al Truguet le istru- 



(1) Francesco Saverio de Zelada, nato a Roma il 27 a- 
gosto 1717, nominato Cardinale da Clemente XIV il 19 
aprile 1773. 

(2) . . . les Gaulois sont en marche encore une fois pour 
Rome... 

(3) De Sariis, lib. 11. Tit. XXXXI. pag. 283. 



— 108 — 

zioni di recarsi a Civitavecchia ed a Napoli per ca- 
stigare le due Corti. 

Il governo di Napoli dopo 21 giorni apprese che 
navi erano in vista , e T Acton ne dava immediata 
conoscenza al Reggente della Vicaria : « Viene av- 
a visato, scriveva, che sia stata veduta a non molta 
« distanza da questi lidi una squadra francese com- 
« posta di tredici legni, la quale probabilmente per- 
« verrà fra poco in questo porto , e vi perverrà in 
« aria di amicizia, secondochè è più volte annun- 
« ziato , e si deduce dal numero di detti legni. In 
« questa intelligenza è volontà del Re che si met- 
« tano in opera tutti i possibili mezzi onde avvenga 
€ che. gli equipaggi di detta squadra nel calare a 
« terra sieno accolti con le dovute maniere ospitali 
€ e che da ninno del popolo napoletano si usi loro 
« la minima disattenzione, né in parole, né in fatti, 
« o si cerchi di muover briga sotto qualsivoglia pre- 
« testo. 

€ È anche mente di S. M. che per ottener tutto 
« ciò ed evitare qualunque disordine tra i detti E- 
« quipaggi e gli abitanti di questa capitale S. E. il 
« sig. Reggente della Vicaria impegnando tutta la 
« ben nota attività ed il suo costante zelo pel R. 
« servizio renda persuaso il popolo delle intenzioni 
« pacifiche della suddetta squadra e del dovere di 
« corrisponderla con dimostrazioni amichevoli,a qua- 
« le oggetto potrà S. E. far note le sovrane dichia- 
« razioni alla gente per mezzo dei deputati dei quar- 
te tieri o di altre persone leali ed idonee e dare tutte 
« quelle -prudenti ed efficaci disposizioni che con- 
vengono all'uopo. 
€ Il Generale Acton nel manifestar le accennate 
(( cose di R. ordine a S. E. il Reggente aggiugne 
« con la massima riserva in nome di S. M. che sic- 



« 



— 109 - 

a come la suddetta squadra dallo stato di amicizia 
« potrebbe forse air istante passare ad operazioni 
« ostili e turbar la quiete della città , così V E. S. 
« nell'aito che dispone le mentovate provvidenze non 
« dovrà lasciar di mira questo secondo oggetto im- 
« portante.. n>a si compiacerà di raddoppiare i mezzi 
« di prudente vigilanza e precauzione nel modo il 
« più segreto e sicuro senza far punto penetrare la 
« diiSìdenza a chicchesia, ma dirigendo il tutto sotto 
« il titolo di quiete interna, e di prevenire sconcerti 
« affinchè si tolga ogni perìcolo e non sia luogo a 
« qualsivoglia sorpresa (1). » 

rifatti il di appresso, 16 dicembre 1792, era di do- 
menica, in sulle prime ore apparve a vista della città 
verso le batterie di Mergellina la squadra francese 
guidata da Latouche-Treville, forte di nove vascelli 
di linea e quattro fregate. Verso mezzogiorno una 
nave staccossi dalla linea e gittò V ancora a mezzo 
tiro dal Castel dell' Ovo (2). In suir imbrunire tutta 
la squadra era nella rada in ordine di battaglia (1). 

A quella vista la città si agitò tutta : popolo im- 
menso corse alla riviera; circolavano voci di pace, 

(1) Dispaccio di Acton al Reggente della Vicaria in data 
del 15 Dicembre 1792 (inedito). 

(2) Sulla data dell'arrivo della flotta vi è divergenza 
fra gli scrittori; essa è ora perfettamente dissipata. L'Ul- 
loa fa arrivare la flotta francese il 21 agosto 1792. Il Cop- 
pi, il Marnili, indicavano il giorno 16 dicembre, il Col- 
letta non solo non precisava la data , ma parrebbe dalla 
sua relazione che la squadra fosse giunta nel 1793 , lo 
che non è esatto. 

Anche il Bourgoing erra stabilendo la data dell' arrivo 
il 16 dicembre 1793. (Voi. I, pag. 284). 

Il Masson sbaglia il giorno e l'anno perchè dice che la 
flotta giunse il 17 dicembre 1793. 



— 110 — 

ma le batterie vecchie e nuove , i legni preparati 
eran prove di guerra. Lanette tutte le truppe stet- 
tero pronte ad armate nei quartieri, e numerose 
pattuglie girarono per la città (2). 

Makau recossi immediatamente a bordo; e poiché 
il governo avea chiesto alla squadra ragion dello ap- 
prodo , salutati da otto colpi di cannone , ne disce- 
sero egli ed il Redon de Belleville, avviati a dar ri- 
sposta (3). Era sulla riva gran popolo ad aspettarli 
e, quando approdarono, li accolse col grido di: Viva 
il Re (4). 

Vestiva il Redon di Belleville 1* uniforme di gra- 
natiere della Guardia nazionale, e senza scorta, tran- 
ne quella tumultuosa del popolaccio , a stento trat- 
tenuto dalle Guardie del Reggente , si recò a Pa- 
lazzo. Il Re , che il di prima trovavasi a Caserta, 
era arrivato nelle ore pomeridiane della sera del 16 (5). 

Accolto il Redon di Belleville dal Generale Acton 
e dagli altri ministri, negossi di conferir con essi; 
e rimuovendo gli ostacoli deir etichetta presentò al 
Re le sue credenziali, e gli espose la sua missione. 
Chiese che la Corte riconoscesse a rappresentante 
della Repubblica il Makau; rimanesse neutrale, rom- 
pesse le relazioni con l'Inghilterra, disapprovasse la 
nota che rinviato napoletano a Costantinopoli avea 



(1) L'ora precisa dei veri movimenti della squadra sono 
indicati nella Storia dell'anno MDCCXCII, pag. 218, 219. 

(2) Idem. Ibid. 

(8) Il De Angelis dice inesattamente che il Makau si 
recò sulla squadra il giorno 15. L'TJlloa poi afiPerma clie 
l'inviato della flotta non discese nella città; lo che è an- 
che inesatto. 

Marnili, pag. 33. 

(4) Storia dell'anno MDCCXCII, pag. 218, 2l9. 

(5) Idem. Ibid. 



— Ili — 

presentata al Sultano in discredito del diplomatico 
francese Sémonville , designato Ministro presso la 
Porta (1). 

Il Re promise che avrebbe data risposta; e il fran- 
cese, in vettura di Corte, tornò al porto, fra le grida 
di: Viva il Re ^ che risuonarono finché non giunse 
sulla squadra. 

La Corte si riuni a consiglio che durò tre ore (2). 
Intervenne anche la Regina , e la decisione di non 
resistere fu comunicata lo stesso giorno alla squa- 
dra. Si promise di accettar per Ministro Makau, ed 
accreditarne uno che rappresentasse la Corte presso 
la Repubblica; di richiamarsi a castigo l'inviato na- 
poletano presso la Porta; di mantenersi neutrali, ed 
amici della Francia (3). 

Prudente risoluzione ed utile se fosse stata adot- 
tata in buona fede e non sotto il tiro dei cannoni 
nemici ; ma parve e fu effetto della paura e dell' a- 
stuzia. 

Il popolo ne fu scontento; fermamente credeva che 



(1) Le dimande deirinviato francese sono riferite quasi 
identicamente da tutti gli scrittori. Il solo Marnili (pag. 
33) aggiunge quella relativa all'Inghilterra 

Il Sémonville era stato designato ambasciatore a Tori- 
no, ma quel Re non avea voluto riceverlo. 

(2) Stojda deiranno MDCCXCII, ibidem. 

(3) La Regina fu per la pace; anzi il Colletta aggiun- 
ge : " pregava pace. „ Il Thiers afferma cosa non vera, 
quando dice che le concessioni furono fatte dal Governo 
" dopo alquanto trarre di artiglieria. „ (Stor. della Riv. 
tom. 2 , pag. 53), Invece nessun colpo fu tirato , e se la 
flotta tornossene ^ superba di tanto successo „ non fa 
meraviglia, perchè il governo iniziava quella fatale poli- 
tica di trame contro la Francia, e di paura alla vista delle 
armi. 



- 112 — 

il governo fosse in grado di rintuzzare la baldanza 
nemica, e farsi ragione della squadra. Certo la ca- 
pitale sarebbe stata esposta a danni e disastri ; si 
sarebbe accesa la guerra , senza speranza di aiuti 
stranieri, ma neanche la Francia era capace di spe- 
dire un esercito o altre squadre a Napoli. 

La mattina del 18, dopo ventott'ore di permanenza, 
la flotta parti; gli equipaggi non eran discesi a terra; 
solamente un marinaro si gettò a nuoto per raggiun- 
gere la riva e disertare, ma fu preso, ed impiccato 
all'albero maestro (1). 

Dovea, la squadra, far vela per Cagliari ed operare 
con la divisione Truguet, una discesa in Sardegna. 

Ma scoppiò fortissimo temporale, e fu danneggia- 
ta e dispersa , sicché solamente otto navi poterono 
trovarsi al posto, mentre che il vascello Languedoc 
su cui era il Latouche, con l'albero di maestro spez- 
zato, preso a rimorchio ^diXVEntreprenanty sdrucito, 
malconcio, col ponte rotto, riparò nel porto di Na- 
poli (2). 

Questo incidente che riportò a Napoli il Latouche, 
per riparare le avarie del legno, fece si, che il par- 
tito liberale napoletano si manifestasse arditamente 
e si organizzasse. 

Era spuntato e cresciuto a poco a poco nelle lotte 
giurisdizionali, dalle quali si spinse a vagheggiare e 
propugnare riforme politiche , amministrative , giu- 
diziarie , economiche. La rivoluzione francese non 
lo colse impreparato, anzi gli dimostrò che alle teo- 
riche succedevano i fatti. 



(1) Storia dell'anno MDCCXCII, pag. 218, 219. 

(2) Era tin vascello oiforto dagli Stati di Linguadooa 
al Ite di Francia , e portava 100 uomini di equipaggio 
ed 80 cannoni. 



- 113 — 

Come in Francia si progrediva ad abbatterei! passa- 
to, cosi i nostri migliori divenivano sospetti e spiati. 
La polizia sfogava le paure del governo, l'arrivo di 
Makau e della flotta furono incitamenti ed occasioni 
ad un' attitudine più determinata e recisa. 

La parte liberale si delinea in questo anno 1792 
divisa in due campi. Giovani arditi, nobili, ma scarsi 
di relazioni, aderirono a formare sullo stile di Fran- 
cia il primo Club , di cui fu Presidente il francese 
Derone, Professore di lingua al Collegio Militare (1). 
Primo atto fu V offerta di quattromila ducati che il 
Club fece alla squadra pel raddobbo del vascello 
Linguadoca (2). Gli affiliati si dettero tosto a divul- 
gare scritti e gazzette francesi; si recarono a .cena 
sulle navi francesi, ne tornarono fregiati il petto di 
un piccolo berretto rosso, emblema repubblicano (3). 
Si rivela, per la prima volta, il patriottismo feminile 
con Eleonora De Fotiseca Pimentel commensale al 
simposio repubblicano (4). 

Il Club volea fatti. L*età, l'entusiasmo pei moti 
di Francia, la poca esperienza, le agitazioni del Ma- 



(1) Memorie storiche della rivoluzione di Roma e di Na- 
poli. Il Perrone {Stor, della Repub, Partenopea) dice ohe 
la prima adunanza fa istituita da Carlo Laubert. 

(2) Idem. 

(3) Colletta, Cooo, tutti gli storici notano il fatto. 

(4) Ild'Ayala, nella Vita della De Fonseca Pimentel, dice 
che alla cena presero parte Mario Pagano, Cirillo, Carac- 
ciolo , Cammarano , Cestari ed altri. Donde abbia tratto 
questa informazione non si sa ; io credo certamente che 
gl'indioati non vi presero parte, altrimenti sarebbero stat^ 
arrestati, e V un di essi, come lo stesso d*Ayala afferma, 
il Cirillo cioè, non avrebbe ottenuta nel 1793, la Cattedra 
di medicina teoretica all'Università. 

CONPOBTI 8 



— 114 — 

kau , che divulgava la protezione della Repubblica 
pei popoli tutti , la presenza di una squadra debole 
che impauriva un governo fortemente armato, li spro- 
navano a manifestarsi pubblicamente. Ecco perchè 
il segretario del Makau, scriveva al Ministro Lebrun 
« Ciò che ho visto a Napoli mi dimostra che le cose 
a andranno a dovere, » 

Gli uomini prudenti e savi , importanti per dot- 
trina e stato, aspettavano, perchè parca loro avven- 
tata cosa romperla col governo; stranezza, il poter 
da sé far la Repubblica. Il loro ideale e le riforme , 
cui ancora a quel tempo agognavano, non erano volti 
a scalzare la Monarchia. Voleano un reggimento che 
lasciasse al Re quanto possa idearsi più larga la fa- 
coltà di giovare, ma gli fosse interamente tolta quella 
di nuocere. Quindi con leggi prescritti limiti al go- 
verno che s'impersonava nel Re e ne 'favoriti. Aspi- 
ravano ad una monarchia temperata e rappresenta- 
tiva , che causasse i difetti degli antichi governi 
popolari, ed i pericoli delle assemblee democrati- 
che (1). 

Non potevano, per conseguenza, al semplice appa- 
rire della bandiera francese sconfessare e mutare i 
loro convincimenti, anche perchè presentivano che 
il favore del pubblico non sarebbe con essi. Vede- 
vano , ad onta de' vizi , salda ancora la base della 
Monarchia nell'opinione delle plebi, cosi per l'indole 
nrite del lungo governo del Tanucci, come pel genio 
delle riforme alle quali erasi mostrata favorevole. 

Il vessillo onorato e portentoso, intorno al quale 
si raccoglieva in quei dì una mano di uomini eletti 
e stimati, era tenuto alto da Mario Pagano. 



(1) Rodino, Racconti storici. Arcliivio storico delle Pro - 
vincie napoletane. 



— 115 — 

I suoi scritti politici , stupenda creazione di un 
ingegno superiore, codice nuovo di dottrine e di fatti, 
dettavano a Governo e governati T osservanza di 
quella somma di doveri naturali e civili che sono il 
vero fondamento della libertà (1). 

Egli non amava che in astratto il Governo popo- 
lare ; giudicava che la democrazia nasce dalla per- 
fetta e completa unione del popolo , lo che non è 
possibile, se non quando Teducazione l'ha fatto vir- 
tuoso e coraggioso. Ma allorché è timido ed igno- 
rante , molle e corrotto , è impossibile cosa affatto 
ch'egli fondi un governo popolare. 

Profondo conoscitore della natura umana, diceva, 
che runico oggetto dei voti di questa è il piacere. 
Quelli dello spirito sono fondamento delle repubbli- 



(1) Cito i maggiori: Mario Pagano , Domenico Cirillo, 
Teodoro Monticelli, Francesco Conforti, Marcello Eusebio 
Scotti, Michele Torcia, Pietro Napoli Signorelli, Giuseppe 
Logoteta, Ignazio Ciaja, Vincenzo De Filippis, Domenico 
Albanese, Pasquale Baffi, Giuseppe Abbamonti, Domenico 
Bisoeglia, ProsdocJmo Rotondo, Francesco Grimaldi, Luigi 
Serio, Melchiorre Delfico, Francesco Bagno, Nicola Paci- 
fico, Onofrio Colace, Antonio Soialoja, Ignazio Falconie- 
ri, Nicola Fiorentino, Francesco Lomonaco, Gregorio Mat- 
tei, Gregorio Mangini, Francesco d'Astore, Giuseppe Oe- 
. stari, Ercole d'Agnese, Carlo Laubert, Nicola Carlomagno, 
Forges-Davanzati, Vincenzo Troyse, ecc. 

Carlo Massa, neWElogio di Pagano, dice che intomo a 
questi uomini venerandi per età, senno e virtù, si rac- 
coglievano giovani maturi, tutti di oneste ed agiate fa- 
miglie. 

Molti nobili altresì erano fra essi. Come il primogenito 
di D. Diego Pignatelli principe di Monteleone, i due Fi- 
lomarino della Torre, i due Strongoli Pignatelli, il Bia^ 
rio-Sforza, il Serra ed altri. 



— 116 — 

che, quelli del corpo de'regni. I primi sono possibili 
né cerchi da tutti; non cosi i secondi, perchè gli uo- 
mini prediligono la pace e l'opulenza , ecco perchè 
son fatti più pe'regni che per le repubbliche. 

Era dunque per lui il governo misto il termine 
m<>diano tra le due forme , perchè se non richiede 
al popolo la virtù di governarsi da se, esige che sia 
in grado di apprezzarla negli altri. 

La libertà era per lui la facoltà di adoperare e 
dirigere le naturali potenze ; la virtù, r energia 
della libertà. Quindi non vi può esser quella senza 
questa, e viceversa. 

La legge , l'ordine, la giustizia sono voci diverse 
di una stessa cosa; sono difesa e presidio della li- 
bertà civile , dalla quale promana il diritto di ado- 
perare e svolgere tutte le facoltà naturali e civili ; 
anzi la libertà è la base di ogni diritto (1). Nella 
eguaglianza proporzionata dei diritti è riposta la li- 
bertà civile. La perfetta eguaglianza non è possibile 
neanche nelle più pure democrazie. 

Passando a rassegna le varie funzioni della sovra- 
nità e le varie forme di governi, indicava gli estre- 
mi tra cui perennemente ondeggiarono le società u- 
inane, le quali mossero dall'anarchia per cadere nel 
dispotismo. Sicché la proprietà di un governo rego- 
lare consiste nella onnipotenza di frenar l'anarchia, 
neir impotenza di offendere la libertà civile. Donde 
la divisione necessaria dei poteri, che egli ripartiva 
in esecutivo, legislativo, giudiziario, con sfere pro- 
prie ed indipendenti. 

Quando questi poteri mancano, o si concentrano in 
un solo, si ha il despota. « Egli è l'onnipotente. Detta 



(1) Saggio V. Gap. XV. 



— 117 — 

« la legge, giudica ed esegue. La legge è capriccio, 
« il giudizio favore, l'esecuzione è violenza. » 

Dipintura fedele e terribile del Governo di Napoli 
che l'ardito scrittore gli spiegava sul viso. 

Ma nei governi temperati, pensava Mario Pagano, 
sono diverse le persone, secondo le funzioni; queste 
sono fissate e circoscritte con leggi , sicché unico 
fondamento è la legge. 

Questa base mancò ai governi dell'antichità; .però 
il difetto fu temperato da altri pregi. Mostrava la 
bontà dell' organismo e della ripartizione de' poteri 
del governo inglese, non perfetta però, da circoscri- 
vere ognuno di essi nell'orbita assegnatagli. Quindi 
possibile prevalenza della demogogia , necessità di 
un quarto potere, capace di moderare e rattenere gli 
altri (1). 

In breve erano queste le teoriche dei più alti in- 
telletti napoletani di quel tempo. Ma nel segreto la- 
vorio di novità politiche si svegliano sempre nel 
corpo sociale due forze , 1' una che vuol procedere 
con r evoluzione lenta e graduale, che rifugge dal 
frangere di un colpo ogni vincolo col passato, per- 
chè ogni distruzione le sembra arbitrio e violenza, 
r altra insofferente di freni ed indugi si abbandona 



(1) Cosi nacque il concetto dell' Eforato che egli tra- 
dusse poi in atto nel progetto di costituzione della Ere- 
pubblica napoletana del 1799. 

Se si facesse uno studio comparativo tra il Montesquieu, 
Filangieri e Mario Pagano, si vedrebbe che i due ingegni 
napoletani completarono molte teoriche dell'illustre apo- 
stolo dei Diritto politico. 

Il Prof. Giulio Barni, nelle sue belle Lezioni dettate a 
Ginevra, fece cenno del Pilangieri , ma trascurò Marit 
Pagano. 



- 118 — 

più alla forma che alla sostanza, poiché quella per 
essere più appariscente , più attira ed impressiona. 

Essa sente a preferenza lo stimolo delle mutazioni, 
sollecita a dar nuovi nomi alle cose le par facile, in 
un tratto, cambiare anche queste; s'innammora sem- 
pre dei tempi più eroici dei popoli antichi. La pru- 
denza, per questi novatori, è paura; la sapienza, cal- 
lido raggiro, la moderazione, tradimento o fiacchezza. 

Cosi a Napoli si distinguevano le due parti, che poi 
per forza dei tempi presero la veste e le sembianze 
di patrioti e giacobini ; a' quali ultimi non bastava 
l'aver fondato allora un club, ma vollero aggiungervi 
l'appellativo di « rivoluzionario » (1). 

Erano questi, come ho detto, giovani quasi tutti, e 
non molti. I contemporanei liberali posero in dileggio 
i mezzi coi quali fondar volevano la Repubblica (2). 
Però parecchi di essi si mostrarono arditi ed eroi 
negli avvenimenti posteriori ; tra tutti primeggiava 
Ettore Carafa, figlio promogenito del Duca d'Andria 
e Conte di Ruvo (3)- 

Il Governo di Napoli messo in sul!' avviso prepa- 
rava le vendette rattenute dalla^resenza della squa- 



(1) Rodino, Eaeconti. Idem, pag. '269-270. 

(2) Rodino, Baceonti Storici^ Ibid. Il Coco fa ascende- 
re a duecento gli affiliati e li chiama scolaretti, entusia- 
sti e con le teste piene delle nuove teorie. Leggevano nei 
fogli periodici i fatti di Francia , e ne parlavano tra di 
loro, e quel eh' è meno, ne parlavano alle loro innamo- 
rate, ed ai loro parrucchieri. " Essi non aveano altro de- 
litto che questo, né giovani senza grado, senza fortuna, 
senza opinioni potevano tentar altro. „ (pag. 28). 

Il Colletta scrive : ^- Molti giovani napoletani ardenti 
nelle nuove dottrine. „ (pag. 80). 

(3) Tra i borghesi si notava un giovane di molto in||^e- 
gno Vincenzo Russo di Palma. 



— 119 — 

dra francese. Ne affrettava la partenza, e quando av- 
venne, involse nella stessa condanna, con cecità de- 
gna delPActon, molti componenti del Club ed altri 
estranei. 

Presi in una notte e tratti in carcere si videro 
allora giovani e vecchi, dotti e nobili, persone mo- 
derate e tranquille, strappate dalla quiete degli stu- 
di (1). 

Credeva così frenar la corrente, invece l'avviò a. 
più rapido corso , perchè negli uni accrebbe , negli 
altri fé' nascere il sentimento dell'odio e delle offe- 
se. Quanti e quali fossero gli arrestati non v'è sicu- 
ro documento (2). 

Né tutti gli affiliati al Club furono colpiti; anzi il 
più pericoloso fra essi, Ettore Carafa, fu lasciato tran- 
quillo, ed egli potè sottrarre carte e scritti alle ri- 
cerche della polizia, ed una notte travestitosi con 
abiti plebei gittò a mare, presso il Chiatamone, le 
stampe di una traduzione della Costituzione france- 
se, e del Catechismo dell'Abate Mably (3). 

La sicurezza e la pace cittadina scomparvero : la 
polizia accresceva i sospetti e le paure dèlia Corte; 
cominciava la terribile classificazione di fedeli e re- 
probi. 



(1) Colletta, D'Ayala, tutti gli storici. 

(2) È certo che i maggiori e più importanti non ven 
nero arrestati. 

(3) D'Ayala. Riccardo Carafa d'Andria nella Monogra- 
fia: Ettore Carafa Conte di Euvo, ed altri. 



- 120 



CAPITOLO OTTAVO 

Sommario. — La Massoneria in Europa ed in Napoli. Editto 
di E.e Carlo. Editto di E>e Ferdinando. L^Abate Jeroca- 
des. Sua vita e suoi casi. La sua propaganda Masso- 
nica. Il poema della Massoneria. EfOlcacia di esso. Lutti 
ed allegrezze di Corte. Le Province. Tempesta di Gal- 
lipoli. 

Ma se il Club fu scompigliato dalla polizia, la Mas- 
soneria lavorava segretamente a diffondere i principi 
di eguaglianza, di fraternità , di giustizia , di savie 
riforme. 

Questa istituzione ebbe la maggiore influenza nei 
casi posteriori del Regno, e merita che se ne discorra. 

Nel secolo scorso, per un fenomeno che si è spes- 
so riprodotto nelle epoche di riforme religiose , lo 
spirito umano parve dispostissimo ad accogliere mi- 
stiche credenze. Così nei primi anni surse in Inghil- 
terra la Massoneria , di là, in seguito, penetrò in 
Francia, in Germania, in Italia. 

Parecchi sovrani vi appartennero. Il Gran Fede- 
rico, Principe ancora, fu iniziato a Brunswich. 11 
Barone di Born poneva a capo di quella di Vienna, 
Giuseppe li. Le Logge non erano in sul principio 
che associazioni filantropiche ed umanitarie. In In- 
ghilterra erano permesse; nel resto di Europa dove 
tollerate, dove vietate. Però quando le idee di rifor- 
me politiche si diffusero , le Logge si mutarono in 
società segrete. Altre ne sursero per la crescente op- 
posizione al clero. In Baviera, a combattere i Gesui- 
ti, spuntò l'ordine detto degli Illuminati, i quali si 
distinsero dall'esistente Massoneria, separandosi dai 



— 121 — 

Principi , che per loro statuto non potevano appar- 
tenervi. 

Tutta la Germania fu in breve piena di proseliti, si 
dividevano in Visionarii ed Illuminati. A capo dei 
primi erano i Principi Luigi-Ernesto di Saxe-aotha 
ed Augusto suo fratello, Carlo Augusto di Saxe-Veimar, 
Ferdinando di Brunswich, il Principe di Neuwied, ed 
anche eminenti prelati dell'Impero; nonché Federico 
Guglielmo di Prussia (1). 

Il governo napoletano si allarmò di queste con- 
venticole , e Re Carlo e Tanucci le bandirono dal 
Regno (2). 

Re Ferdinando e lo stesso Tanucci richiamarono 
in vigore il primo Editto, lo che mostra la pertina- 
ce risorgenza delle Logge nel Regno (3). 

Ma dal 1775 al 1789 la lotta con Roma avea affie- 
volita ogni persecuzione contro i Liberi-Muratori. Le 
loro dottrine dalla Francia erano penetrate in Italia, 
specialmente nel Piemonte e nel Modenese. 

Nel Regno di Napoli ne avea mantenuto e rin- 
verdito il rigoglio l'Abate Antonio Jerocades, che fu 

(1) De BoTirgoing. Voi. 1, pag. 159. 

(2) Prammatica del 10 luglio 1751 : Interdicta Murato- 
rum conventiculaj con la quale fu dichiarata la Società dei 
Liberi Muratori " come troppo sospetta per la profondità 
" del secreto , per la vigilantissima custodia delle sue 
" Assemblee, pel sacrilego abuso del giuramento, per Tar- 
" cana caratteristica con cui i suoi membri si riconoscono 
" tra essi, e per li dissolutezza di crapule ei orgie di 
" perniciose conseguenze. „ Quindi gli affiliati erano detti 
perturbatori della pubblica tranquillità, rei dei violati di- 
ritti della sovranità. La punizione era commessa ad una 
Giunta di Stato, la quale dovea provvedere anche ex of- 
ficio^ ad modum belli, come nei delitti di lesa Maestà. 

(3) Prammatica del 12 settembre 1775. 



- 122 — 

il più colante apostolo di propaganda massonica (1). 

Era nato a Parghelia il 1® settembre 1738 di proba 
e civile famiglia che fin dai primi anni lo destinò 
al sacerdozio. Studiò teologia e filosofìa nel Semi- 
nario di Tropea, quindi a Monteleone alla scuola di 
un frate Caruso. 

Avea ingegno svelto , ardimentoso , bizzarro. Im- 
provvisava versi, discorsi, omelie. Gli parea di aver 
già reso celebre il suo nome , e lo diffondeva oltre 
la cerchia ristretta della provincia , per carteggi e 
relazioni con uomini importanti , fra i quali il Ge- 
novesi. 

Si agitava e si ponea in vista, aprendo scuole nel 
paese natio, dettando lezioni di lingue , filosofìa, 
pubblicando versi e prose. 

Venne in Napoli e fu messo ad insegnare nel Col- 
legio Tiziano di Sora, dove si brigò col Vescovo, fu 
accusato di miscredenza, e, perseguitato dalla polizia, 
riparò a Marsiglia (2). 



(1) Il Rodino {Bacc. Stor,) crede che il Jerocades re- 
casse di Francia la Massoneria ; ma qui esistevano le 
Logge fin dal 1751. 

(2) Il primo componimento dal titolo: La partenza delle 
3fw«e, lo pubblicò a Messina. In Napoli poi pabblicò mol- 
tissime opere. A So va compose un dramma Olindo e So- 
fronia , e si brigò col Vescovo per una farsa intitolata: 
Pulcinella fatto Quacchero y con la quale esponeva le dot- 
trine della nota setta , e ne faceva V apologia. Il mano- 
scritto fu rubato e portato al Vescovo, il quale ne menò 
grande scalpore. 

Viaggiò per la prima volta a Marsiglia nel 1771, come 
rilevo dalla prefazione di una sua opera. 

A Napoli pubblicò le Bime puerili^ Il saggio dell'uma- 
no sapere ad uso dei giovinetti di Paralia (1768), le quali 
due opere non sono menzionate dagli scrittori che fecero 
cenno di lui. 



— 123 — 

Colà strinse amicizia, si procacciò protettori, quin- 
di con valide commendatizie parti per Roma a spun- 
tar Tira del Clero e della Curia. Ma fu obbligato a 
fare ammenda del trascorso e di presentarsi al Ve- 
scovo di Sora, che lo chiuse in carcere, e ve lo 
tenne per due anni. 

Nell'ozio della prigione scrive la sua difesa ed un 
poema; liberato torna in Napoli a riprendere Tinse- 
gnamento ; si mescola in convegni , penetra nei sa- 
loni, convive, per abitudine e per mezzi, fra il po- 
polo, e diventa ben presto notissimo, singolare, spe- 
cialmente per la bontà delle maniere , per la vena 
calda e spontanea dei suoi versi, il velo mistico in 
cui li avvolgeva , T aria di Profeta che si dava , la 
noncuranza degli agi, il disprezzo delle ricchezze (1). 

La Regina , che era iniziata ai misteri Massonici 
e volea volgere a profitto del trono l'utile istituzio- 
ne, il volle a Corte; ed egli v'improvvisò due canti, 
sfolgorando con ira metastasiana Nerone, e lodando 
e spronando la virtù riformatrice di Tanucci (2). 



(1) Il poema composto in prigione fu intitolato; Il Tem- 
pio della virtìi , ed è dedicato a Giuseppe Glinni , cui si 
rivolge nella prima strofa: 

Mi domandi che fo nella prigione 
Come passo i miei di, come le notti ? 
E ben, Qlinni, mi ascolta e la ragione 
Odi de'sensi miei; sensi corrotti 
Non son, ma ^puri, e di virtù tr svelo 

L'eterno ÌPempio che conduce al cielo. 

■ *, 

Anche di questo Poema non fan menzione il Capialbi 
ed altri scrittori che han pubblicato l'elenco delle opere 
do^ Jerocades. 

(2) Canosa nei Piffari di Montagna (Dublino 1820) as- 
sicura che la Regina appartenne alla Massoneria. 



— 124 — 

Nel Ì775, proprio quando il Tanucci s' inaspriva 
contro i Liberi Muratori, l'Abate Jerocades lasciò Na- 
poli, si recò a Parghelia; ma Tanno appresso tornò, 
e di poi andò in Calabria quando nel 1783 i tremuoti 
la desolarono. Di là passò a Marsiglia , poi ancora 
in Napoli , quindi ad Ischia , per curarsi d' una in- 
fermità che lo avea reso per sempre zoppo di un 
piede. 

In questi anni scrisse e pubblicò numerose opere; 
tenne, come sostituto, la cattedra del Genovesi ; e 
tra i lavori e la scuola esercitò una propaganda in- 
stancabile e fruttuosa nel moltiplicare le conventi- 
cole Massoniche, per le quali compose un poema ed 
un codice, La Lira Facente (1). 

Adescò gli animi con essa ai misteriosi conveni, 
alle dolci lusinghe di un sicuro trionfo. Col linguag- 
gio immaginoso della Bibbia preannunziava il regno 
dei cieli, l'impero della virtù, che avrebbe distrutto 
tutte le ingiustizie e le disuguaglianze sociali. 

Appare come un impasto di Augure e di Orfeo. A- 
dattava da se stesso ai suoi inni ed alle sue can- 
zoni la melodia , e li cantava o declamava fra alle- 
gre brigate, nella scuola, per le vie, trascinando gio- 
vani, vecchi e donne, infervorandoli con la certezza 
di un nuovo ordine sociale (2). 



(1) Questo poema ebbe molte edizioni in 12** ed in 8° 
in Napoli, Milano e Cosenza. Il Dottor Vito Capialbi as- 
sicura ohe la più. completa è quella di Cosenza, ma è ra- 
rissima. La copia che io posseggo è senza luogo e senza 
data, col titolo: La Lira Focense di Jerocades* 

(2) Nella prefazione alla Lira Focense è detto : " ho 
" scritto molte e varie canzonette sullo stèsso argomento 
^ e cantandole ancora con la tazza e con la cetra in mano 
" ho sollevato l'altrui e l'animo mio dalle cure fatali del 
" secolo. „ 



- 125 — 

La sua cospirazione era profìcua perché appariva 
innocua. In pubblico ei la svolgeva air ombra del 
trono, al quale non mancava di rivolgere i suoi Inni 
nella forma di quelli dei primi Padri della Chiesa. 
Non era spuntato il 1789 e ^ià da parecchi anni 
avea egli preannunziata un' era di libertà, di fratel- 
lanza, di umanità, i cui principi animavano le sue 
dottrine massoniche , e sotto il velame delli versi 
strani adombrò tutto il misterioso cerimoniale dei 
famosi conciliaboli (1). 

Il Poema s'inizia con la « Preghiera » perchè si 
schiudano le porte del « Tempio » simbolo della Log- 
gia Massonica. Dall'alto si aspetta la « Luce » che 
deve illuminare l'umanità brancolante al buio, o che 
si avvia, pellegrina avventurosa, a nuovi orizzonti. 
Ma giunge e trionfa , e la « Festa » e la gioia del 
trionfo scoppiano nelle allegre forme dei « Brindisi » 
finché la « Legge » non detta i suoi precetti, e r« Ora- 



ci) La Lira Focense è la più ardita composizione che 
venne fuori nel napoletano. La canzone " Alla Libertà „ 
è una profezia. Eccone la chiusa : 

Il mondo aspetta Sien nostra guida 

L'alma concordia Fede e silenzio 

L' Alta vendetta Sta «corta fida 
Non tarderà. La Libertà ! 

Coro 

Per noi si vendichi 
La Libertà. 

È indubitatamente il grido della rivoluzione francese, 
molti anni prima che scoppiasse. 



— 126 - 

colo » non ammette il « Profano » agli onori del 
Tempio (1) : 

Entra: che tardi? Ah! sprona il hel desio 
Ma di ragion pria t'arma e di coraggio; 
Qui vi è l'uom, qui vi è il mondo, e qui vi è Dio ! 

Terribili sono le prove del tirocinio dell' allievo, 
rapido il giudizio, le sentenze di morte inesorabili. 



(1) Il Carducci nello studio sul Brindisi di Giuseppe 
Parini (N, Antologia fase. 1, 1 gennaio 1883) nota che il 
verso " Bevere e poi morir „ esprime il credo, V atto di 
fede , il testamento di quella società frivola che fra un- 
dici anni dovea cadere sotto la scure riformata del Dot- 
tor Guillotin. „ Ebbene , anche ne' Brindisi di un altro 
Abate, del nostro Jerocades , precedenti quello del Pa- 
rini, si sente il malessere e la frivolezza di quella società, 
ma palpita in essi un secolo novo, la fede di tempi mi- 
gliori, e se il presente attrista il Poeta, egli lo affoga nel 
vino, perchè il vino gì' infonda coraggio , e il coraggio 
ledime i popoli : 

Servo il mondo il mondo è suddito 
Se mai forza al cor non ha; 
Senza Bacco il mondo è suddito 
Mai non torna in libertà. 

Nota altresì il Carducci, che, l'Italia, a differenza della 
Grecia, della Francia e della Germania, non ha la poesia 
del vino; ed è vero. Parecchie canzonette però del Jero- 
cades non fanno desiderare quelle francesi, e sono supe- 
riori anche ad alcune del Rolli : 

Si beva : all'animo La vita è labile 

Tomi il piacer Nice, mio ben. 

Le cure immergansi La gioia annidasi 

Nel mio bicchier Nel nostro sen 

Col vin l'ambrosia 
Mesci d'amor 



— 127 — 

Però egli può sottrarsi alla pena con le opere e la 
buona fama, cosi che il luogo di pena è definito : 
... il gran Concilio 
Della Ragione. 
Finalmente all'iniziato si svelano i misteri, ignoti 
agli empì ed ai profani, la Virtù discende dall'Alto, 
solo essa è capace di abbattere i tiranni, a risolle- 
vare la patria dalla miseria, ed il Poeta scioglie uno 
dei più forti suoi Inni a Debora (1). 

E il gaudio accrescasi 
Del tuo bel cor. 



bella Nice 
Sai chi è felice ? 
Il Nume e il Re, 
Se notte e giorno 
Col fiasco intorno 
Beve con te. 



(lì Qui giace al suolo 

L'oste oppressa e dispersa: i carri infranti 
Sbaragliati i destrieri. Ab ! vieni e reggi 
Debora il canto augusto 
Il canto trionfai. De' rei tiranni 
Narra le stragi e narra 
. D' Israello il valor . . . 

il Duce in fuga 

Affannato si volge. Albergo e letto 

Gii offre Giaele. Ecco dal sonno oppresso 

Giace. La donna invitta 

Nella sinistra il chiodo 

Stringe il martello nella destra e vibra 

Il colpo ... 

Cosi si estingua il barbaro 

Cosi si spenga il reo 

Che suiraflaitto popolo 

Innalza il ano trofeo . . . 



- 128 — 

Quale e quanta influenza esercitasse questo apo- 
stolato civile e settario è impossibile determinare con 
fatti con prove. Ma rileggendo oggi quegli scritti 
s'intuisce e si comprende; i contemporanei afferma- 
no che fu grande. 

Cosi tutti gli uomini maggiori non raccolti nel 
club rivoluzionario erano alle Logge Massoniche, e 
stringevano queir organizzazione di unità e di fine 
allo scopo di migliorare le condizioni civili del 
Regno. 

E nell'anno 1T92 se le persecuzioni del governo 
rallentarono la propaganda , e quelle posteriori la 
resero più rara e diffìcile, il germe seminato già a 
larga mano fiori da se. 

Quest'anno fatale surto fra luttuosi avvenimenti si 
chiudeva tristamente, né i solchi del dolore potevano 
essere appianati dall' allegrezza festosa ed ufficiale 
per la nascita di un altro Principe cui fu dato il 
nome di Alberto (1). 

L'avvenire non si rischiarava, anzi diventava più 
buio pei troni di Europa , poiché la Convenzione 
francese dibatteva la vita o la morte di Luigi XVL 

Nelle province gli armamenti agitavano gli animi 
con timori di guerra. In qualche luogo la furia della 
natura produsse orribile disastro. 

Verso l'imbrunire del 22 dicembre un turbine scop- 
piò col rumore del tuono nella rada di Gallipoli. In- 
furiò tutta la notte, e il di appresso tredici navi, ca- 
riche di grano e d'olio, furono dal mare e dal vento 
spinte ad infrangersi sul lido. Una nave inglese spar- 

(1) La Corte ai primi dell'anno fu in lutto per la morte 
di Leopoldo II. 
Il Principe Alberto nacque il 23 giugno 1792, 



— 129 — 

ve nelle onde. Le altre erano di Precida, di Sorrento, 
delle costiere pugliesi. 

La popolazione della città, con a capo il Vescovo, 
accorse tutta al Tempio , e il prelato , assunto poi 
dalla chiesa alla venerazione degli altari, seguito da 
immensa calca, tutta a capo scoverto ed a piedi nudi, 
fu al Udo, benedisse il mare , il cielo, le navi nau- 
fraghe , e un grido immenso di prece e di conforto 
infuse alle ciurme speranze e coraggio (1). 

Il tristissimo caso spinse V improvvido governo, 
solamente allora, a provvedere Gallipoli di un porto; 
ma la fama della insicurezza di quella rada ne sviò 
per un bel tratto il commercio e le navi estere (2). 

CAPITOLO NONO. 



Sommario — La diplomazia francese in Roma. Maokau ed 
Bagou de Bassville. Progetti di spedizione contro Roma. 
Morte di Bassville. Attitudine del Q-o verno di Napoli. 
Manifesto dei napoletani al Re. La morte di Luigi XVI. 
Mackau a Corte. Arrivo di Reinhard. La Regina di Na- 
poli. La carestia del 1793. Torbidi. Combattimenti tra 
1 birri del Reggente e la soldatesca. I malviventi e 
Milord Plymouth. Le province e la colonia di Tremiti. 
Aoton e la Regina fautori della politica inglese. Sir 
William Hamilton. Emma Lyons. Sue avventure, sua 
bellezza. La Regina ed Emma. Guerra tra Francia ed 
Inghilterra. Politica di Pitt. Alleanza tra Napoli e la 



(1) Era Vescovo fra Giovanni Giuseppe della Croce,' 
Agostiniano Scalzo , nato in Castellaneta il 23 marzo 
1740, e nominato a quella Diocesi il 2? febbraio 1792. 

(2j Marnili, voi. 1 pag. 40. 

Conforti 9 



— 130 — 

Inghilterra. Editti di guerra del governo di Napoli, ed 
espulsìoae dei Francesi dal Regno. 

A Roma la Francia non avea un Ministro che la 
rappresentasse, perchè il Cardinale de Bernis si era 
dimesso per non prestare il giuramento alla Costitu- 
zione Francese (1). Il Segretario dell'Ambasciata, un 
tal Bernard, avea già offerto le sue dimissioni, non 
restava che il Console , un tal Digne, che a queste 
funzioni aggiungeva anche quella di direttore delle 
poste. 

Giunto Bassville, trovò la Corte di Roma in grandi 
timori per la minacciata spedizione della squadra. 
Quindi inchinevole ad ogni richiesta. Concesse, in 
conseguenza, la libertà ai due artisti arrestati, tol- 
lerò pazientemente tutte le minacce, le vanterie, le 
pretensioni del Bassville. 

Ma la squadra di Napoli era partita, e il mare avea 
fatto le vendette della Corte di Roma, la quale non 
simulò i suoi sentimenti di gioia che crebbero alla 
novella delle avarie sofferte dal Languedoc. 

Senonchè era pervenuta a Mackau la circolare del 
Ministro della marina Monge , la quale invitava i 
Consoli francesi a sostituire all'insegna del flordalise 
quella della Repubblica , salvo , diceva il Ministro, 
il tempo e le circostanze.- 

Mackau scelse allora Carlo Flotte Maggiore del 
Languedoc , che era ancora in raddobbo a Napoli, 
per trasmettere a Bassville la circolare del Ministro. 

Arrivò Flotte in Roma in uniforme e coccarda; con- 



(1) Francesoo Gioacchino de Pierre de Bernis nato il 
22 maggio 1715 era stato nominato Cardinale da Clemente 
Xni il 2 ottobre 1757, e rappresentava la Francia a Roma 
dal 1769 in poi. 



— 131 — 

segnò il plico , è invitato Digne , il trassero lui ed . 
il Bassville, presso il Cardinal Zelada, al quale que- 
st'ultimo comunicò gli ordini del suo governo, sollecitò 
le precauzioni necessarie, affinchè « la canaglia sa- 
cerdotale » avesse fatto rispettare il segno sacro 
della rigenerazione francese. 

Flotte non era meno di Bassville ardimentoso ed 
imprudente, e mentre costui commetteva a quattro 
artisti dell'Accademia di Francia di dipingere la 
nuova insegna della Repubblica, egli gittava giù dal 
piedistallo la statua di Luigi XIV, fondatore dell'Ac- 
cademia francese , che si elevava nell'atrio del pa- 
lazzo, collocava in una delle sale il busto di Bruto, 
ed entrambi riunivano in un Club i francesi patrioti 
ch'erano in Roma^ aprivano una sottoscrizione per 
concorrere alla spesa del raddobbo del Languedoc, 
ed a braccetto si mostravano ovunque , al palazzo 
del Papa, nella Cappella Sistina colle loro brave coc- 
carde al cappello. 

Bassville prevedeva che, quando l'insegna della 
Repubblica fosse stata a posto , sarebbe « per i ro- 
a mani quel che fu per i napoletani, un giorno di 
a festa ». E in questa aspettativa attese la risposta 
del cardinale Zelada. 

Questi oppose con misurate ragioni un aperto ri- 
fiuto. Bassville inviò Flotte a Napoli perchè ne infor- 
masse Mackau. E mentre attendeva il ritorno rumi- 
nava progetti militari. Proponeva di concordare col 
Re di Napoli una spedizione contro Roma; « si con- 
« durra il fortunato martire fino a Parigi per il gior- 
« no delle Palme, lo che, senza dubbio, farà ridere 
a l'amico Prudhomme. » 

Tornò Flotte il 12 Gennaio con lettere pel cardi- 
nal Zelada al quale^ il Mackau, comunicava di aver 
ordinato al Console Digne, di alzare, fra ventiquat- 



— 132 — 

tr'ore, l'insegna della Repubblica. Contemporanea 
mente informava il Ministro Lebrun degli ordini dati 
e fiutato il progetto di Bassville di una spedizione s 
Roma con l'accordo del Re delle Due Sicilie, aggiun 
geva: « Non tralascio d'informarvi che ho comuni 
« cato la mia determinazione al Generale Acton 
« Napoli sarà sicuramente disposta a secondarvi » 

Intanto dopo discussioni, trattative, riunioni, con 
tro il parere di Digne, il solo agente ufficiale ch< 
avea la Repubblica a Roma, fu stabilito di elevan 
l'insegna. 

Ma venne la catastrofe. Una folla accorse all'Ac 
cademia e ruppe e devastò tutto, mentre BassvilL 
con Flotte, Amary Duval, la donna e il figlio usci 
vano in vettura per passeggiare al Corso, ornati delL 
solita coccarda. Flotte era in uniforme. 

È noto il seguito. In Piazza Colonna, dov'era rac 
colta molta gente, sono presi a fischi ed urla. S'o 
dono grida: « Ammazza, ammazza questi straccion 
di Francesi! » La vettura va di corsa a casa del Ban 
chiere Moutte inseguita dai più arditi e più destri 
Si chiusero le porte, ma la folla ingrossata chiedeva 
ad alte grida la consegna « dell'Ammiraglio » il Flotte 
Poi si mosse, sfondò le porte, feri Bassville, cerc^ 
invano gli altri. 

Alle ore 7 di sera del giorno 14 Bassville non er^ 
più (1). 



(1) Chi desidera maggiori particolari sugli avvenimenti 
di Roma e della parte ohe rappresentò il Maokau legga 
le seguenti opere: ^' Las diplomates de la Revolution. Hu 
gou de Bassville a Rome; Bernadotte a Vienna „ par Fré* 
déric Masson. " Vincenzo Monti, le lettere e la politica 
in Italia dal 1750 al 1830 „ per Luigi Vicchi. " La Corte 
e la Società Romana nei secoli XVIII e XIX „ per Da 



— 133 — 

Tutto questo tramestio, tra la Legazione di Napoli, 
il Bassville, Flotte e Roma, non era sfuggito alPActon 
ed alla Corte ; pur volendo ritenere che vero non 
fosse, mentita , la possibile intesa per una spedi- 
zione contro il Papa. 

Ma allorché giunse notizia della mossa popolare 
contro Bassville, e della morte di costui, i cortigiani 
ne gioirono, ed il Governo permetteva che circolasse 
e si diffondesse per Napoli e per le provincie un 
manifesto a jSrma del « Popolo Napoletano » espri- 
mente sensi di fedeltà al Re e di guerra ai francesi. 

« yoi. Sire (si diceva con quel manifesto) non do- 
« vote e non potete permettere che i popoli a voi affi- 
« dati sieno tutto il giorno esposti al pericolo della 
« seduzione , a trattare con uomini che non hanno 
« più il diritto di esser chiamati tali e di sentirsi 
« intimar l'obbligo di divenire ribelli al Principe» 
« Fieri ne minacciano la guerra, e bene noi l'accet- 
« teremo e crederemmo di avvilire noi stessi se chiu- 
« dessimo ombra di tema in noi, e di mancare di 
« rispetto a voi, o Sire, pensando solo che la ma- 
« gnanimità del vostro cuore possa sgomentarsi alle 
« bravate di essi. Le nostre sostanze sono alla di- 
ce sposizione dei vostri provvedimenti, voi potete di- 



vide Silvagni. " Ugo Bassville a Roma secondo le recenti 
pubblicazioni „ pregevolissimo studio di G. Boglietti (Nuo- 
va Antologia fase. XIII. (Luglio 1883). 

A compimento bibliografico noto, come contrapposto 
della " Bassvilliana „ di Monti, " Bassville, poemetto del 
Cittadino Salfi „ ohe il chiarissimo Zumbini giustamente 
encomia, e del Siciliano Vaglica Can. Joseph. „ In morte 
Ugonis Bassville Vinoentii Monti Carmina aliaque poe- 
mata ecc. in latinos modos versa. Panormi ex typis Be- 
rardi Virzi. 1875 in 8°. 



— 134 — 

« sporne come meglio crederete. I nostri figli com- 
« batteranno sotto i vostri ordini; noi daremo tutto 
« il nostro sangue per difendere il Principe e la Re- 
fi ligione; cosi il Dio degli eserciti ci assista. Felici 
« se saremo fatti degni di morire per una causa cosi 
« giusta e cosi gloriosa, per voi, o Sire, e per noi, 
« felici altresì se ci riuscirà, di proteggere il trono 
« e la Fede tenendo lontana la contagione di una 
« libertà che scioglie il freno a tutte le sfrenatezze, 
« e di una eguaglianza che ingoia tutte le proprietà 
« e che tutto contende e rovescia. 

« Ma noi preferiamo la morte ad una falsa amici- 
« zia di una nazione fiera soltanto per la debole re- 
fi sistenza che finora ha incontrato il suo sistema, 
fi Questi sono i voti che depone il fedel popolo di 
« Napoli innanti al trono del suo amato Re. » 

Fieri sensi, ma strani , airindomani di pace e di 
fermata neutralità. 

L'esempio di Roma avea prodotto quest'agitazione, 
che il governo fomentava e per lo meno tollerava. 

Infatti in una notte le insegne poste sul palazzo 
della Legazione francese e del consolato furono rotte 
e sporche di fango. 

Levò alte grida il Mackau, e TActon die le solite 
istruzioni al Reggente , le quali non solo nulla ov- 
viarono per r avvenire , ma non produssero la sco- 
verta degli autori del malfatto. (2) 

Il 15 gennaio Mackau avea saputo la mossa di Ro- 
ma, e scrisse semplicemente a Lebrun: « Ohimè! un 
« corriere m'informa di un'insurrezione a Roma, ed 
fi io fremo per la vita^ del cittadino Bassville. La 



(1) Marulli Voi. 1. In data 26 gennaio. 

(2) Dispaccio di Acton al Reggente in data del 29 gon- 
naie 1793. {Inedito). 



— 135 — 

« vendetta parla altamente al cuore dei francesi ». 
Il di appresso, di sua volontà ed iniziativa, spedi ad 
Acton una nota, con la quale proponeva che la Corte 
delle Due Sicilie prendesse parte ad una spedizione 
contro lo Stato Romano. Il Re avrebbe espresse le 
condizioni; la Repubblica gli avrebbe concesso quella, 
parte del territorio pontificio che il Re avesse desi- 
derato. 

L'Acton rispose , in data del 19 , che se la Corte 
Pontificia avesse consultata quella di Napoli, si sa- 
rebbe evitato ciò che era successo. Rifiutava qua- 
lunque partecipazione contro Roma, però prometteva 
una stretta neutralità ; insisteva sugli interessi co- 
muni al suo padrone ed alla Repubblica, i quali ga- 
rentivano il mantenimento dell' alleanza , si offriva 
mediatore di un accomodamento tra Roma e la Fran- 
cia, dal quale volea trarre per Napoli una rettifica 
di frontiera. 

Mackau, nulla curando il rifiuto espresso dall'Ac- 
ton, insistè nuovamente il giorno 20: fece notare che 
non era il caso della neutralità, sibbene di "parteci- 
pare alla spedizione, ed accusò quelli che circonda- 
vano la Regina , di porre ostacolo ad un progetto 
cosi utile al Regno. 

Acton rispose il giorno medesimo, replicando « che 
« il solo motivo che impediva una spedizione in co- 
« munc era Topinione dei popoli, che, essa sola, si 
« opponeva ad un accordo ostile al Papa , mentre 
« che essa opinione avrebbe unanime applaudita ad 
< un' alleanza con la Repubblica il di cui scopo di- 
« retto, non fosse l'attuale, per quanto interessante 
« potesse essere alla Corte di Napoli. » 

MacK.au non avea informato il Ministro Lebrun 
delle trattative iniziate con l 'Acton; s'era limitato, 
col pretesto che il segreto delle sue lettere potesse 



— 136 - 

essere violato, a parole vaghe, ed a far balenare mi- 
steriose speranze. Solamente quando le trattative 
erano finite con la nota dell'Acton del 20 gennaio , 
annunziava di avere impreso dei negoziati con l'Ac- 
ton per una spedizione comune. 

Intanto in Francia eran noti i fatti di Roma , e 
benché si ritenessero occasionati dalla condotta vio- 
lenta del Mackau, pure il Lebrun avea preso sul se- 
rio le trattative con Acton , che quegli gii avea ri- 
ferite. 

Era difatti seducente cosa per la Repubblica il de- 
bellare il trono papale con le armi di un Borbone , 
trascinare la sorella di Maria Antonietta , un' Arci- 
duchessa Austriaca, la zia e la suocera dell'Impera- 
tore di Austria, in un'alleanza con la Francia. 

E quindi dava le linee ad un disegno di nuovo 
ordine territoriale e politico in Italia. 

E poiché avea scelto, fin dai. primi giorni di gen- 
naio, come agente della Francia a Roma il cittadino 
Oacault, antico segretario dell'ambasciata di Francia 
a Napoli, gli scrisse , di avere incaricato La Flotte 
di tastar la Toscana sulla parte che avrebbe voluto 
dello spoglio del territorio romano ; gli dava, come 
un fatto l'alleanza con le Due Sicilie; contava di of- 
frire la Lombardia al Re di Sardegna in cambio della 
Savoia, quindi spingevalo a recarsi sollecitamente a 
Roma. 

Ma Cacault dovè fermarsi a Firenze , perchè la 
Corte di Roma avea fatto sapere per mezzo del go- 
verno Toscano che non lo avrebbe ricevuto; il Gran- 
duca dichiarava di mantenersi fermo nella neutralità; 
dunque, tutte le speranze erano su Napoli, e Lebrun 
per vedervi chiaro , spedì uno degli impiegati più 
abili del Ministero, il cittadino Reinhard, perchè gli 
avesse riferito sulla consistenza dell'accordo nego- 
ziato dal Mackau. 



— 137 — 

Giunse Reinhard in Napoit l'S Maggiore conobbe 
in quale triste e penosa situazione fosse Mackau , 
cagionata dagli avvenimenti di Francia. 

Il giudizio contro Luigi XVI era finito ; quel Re 
avea lasciata la testa sul palco (1). 

La nuova fatale s' era appresa in Napoli alla fine 
di Febbraio; il Mackau stesso ne fu sgomento, e ne 
die annunzio alla Corte , non nascondendo, la pietà 
che sentiva. 

L' Acton gli rispondeva : « Il Generale Acton ha 
« appreso con soddisfazione, che il sig. De Mackau 
« prova con lui una parte dei dolori che soffre in 
« questo momento. Questa Corte è nel più profondo 
« dolore e nella più viva amarezza ». 

Da quel giorno tutte le relazioni ufficiali furono 
troncate; e la Corte non si lasciò sfuggire occasione 
per umiliare il ministro della Repubblica regicida. 

L'Imperatrice d'Austria il 19 Aprile die alla luce 
il Principe Ferdinando Carlo. Alla Corte di Napoli 
si festeggiò la fausta nascita dell'erede al trono , e 
fu invitato il Corpo diplomatico. 

Mackau fu a Palazzo; il Re e la Regina lo evita- 
rono, non gli diressero un motto, gli volsero le spalle, 
lo esposero al riso ed ai sarcasmi dei cortigiani. 

Mackau avea chiesto i suoi passaporti, ma Lebrun 
gli avea ingiunto di rimanere. 

Queste erano le relazioni tra la Corte e la Fran- 
cia quando venne Reinhard. Ma lo stato della Corte 
non era migliore. 

La Regina avea perduta ogni calma ed era soffe- 
rente. 

Se i cortigiani, meno fanatici, le parlavano della 
fedeltà del popolo, s'irritava e doleva. Prevedeva che 



(1) Il di 21 Gennaio 1793. 



— 138 — 

Maria Antonietta non sarebbe sfuggita dalle mani di 
quelle tigri; avea, per se ed i suoi, ingombro l'ani- 
mo di tradimenti e di paure. 

Il governo era ^tato anch'esso vinto dal terrore; 
e si accingeva a soffocare ogni germe di mala se- 
menza. Si cinse di spie : creò una Giunta di Stato, 
e fu la prima; e per la prima volta si susurravano 
a spavento i nomi di Vanni e dì Giaquinto; ai quali 
si aggiunsero quelli di Basilio Palmieri, e del Reg- 
gente Medici capo del consesso (1). 

Gl'imbarazzi in cui era il Governo e i timori della 
Corte si accrebbero per i. di sordini prodotti dalla ca- 
restia di quell'anno, dalla indisciplina della sbirra- 
glia e delle milizie. Il Governo fu costretto ad im- 
pedire r estrazione del pane dalla città per le. isole 
del golfo , e specialmente dalle botteghe di Ghiaia, 
che, prossime alla spiaggia, erano state dagli isolani 
venuti a provvedersi, prese di assalto e vuotate. Il 
13 giugno, data di poi memorabile, i lazzari al Ponte 
della Maddalena dettero il sacco ai magazzini di fa- 
rine e di pane. Il Governo aspettava con ansia legni 
carichi di cereali, che mitigassero la penuria. Giun- 
sero finalmente a Pozzuoli, a Gaeta, a Castellammare 
recanti 27370 tomoli di grano, 9500 di granturco (2). 

Torbidi di altro genere turbavano la pubblica quie- 
te. Continue risse, veri assalti e combattimenti scop- 
piarono tra i birri del Reggente e la soldatesca. Que- 
sta toglieva dalle mani di quelli gli arrestati. Ai 
combattimenti succedevano sedizioni. Diverse com- 
pagnie del Reggimento Regina armate di pistole e 
e di armi bianche assalirono ad un punto tutti i posti 



(1) Colletta pag. 81. Coco. 

(2) Questi ed altri avvenimenti dell' anno li ho tratti 
dai Registri dei Dispacci {Inediti) del Reggente.Anno 1793. 



— 139 — 

dei birri, ne ferirono ed aramazzarono, disarmarono 
il resto e lo misero in fuga. Alla Guardiola di San- 
severo un birro è trucidato; alla salita di San Gen- 
naro dei poveri si ode il fragore di colpi di archi- 
bugi e di pistole; Tallarme dal rione si comunica alla 
città, alle caserme, alla Corte. Le ronde dei birri 
non escono più per tema, e i malviventi ripigliano 
animo e si moltiplicano (1). 

Noti stranieri sono assaliti e svaligiati sul Ponte 
della Maddalena (2). Sei uomini armati assaltano e 
depredano Milord Plymouth e la sua consorte (3). 

Dalle Provincie non venivano migliori notizie. I 
reclusi di Tremiti assalirono il Castello, s'impadro- 
nirono delle armi, e centotrenta tra uomini e donne 
saliti nelle barche fanno rotta per le marine del Gar- 
gano. Le milizie si affaticavano ad inseguirli, le po- 
polazioni dei luoghi erano atterrite e chiedevano 
soccorsi. Un centinaio furon presi, gli altri si di- 
spersero (4). 

La incertezza del domani si appalesava a chiare 
note, e il governo attratto nelle mire dell'Inghilterra, 
sentiva dover rompere la neutralità. Acton e la Re- 
gina furono i primi istrumenti della politica inglese, e 
su gli animi loro influirono due personaggi rtie tanta 
prevalenza ebbero sulle sorti del Regno, l'ambascia- 
tore Inglese e sua moglie. 

Sir Guglielmo Hamilton , venne il 1767 Ministro 
d' Inghilterra presso la Corte di Napoli. Al grado 

(1) Dispacci {Inediti) del Reggente. 

(2) I coniugi Jefferus. Milord Grandison e Milord Ply- 
mouth, che abitavano a Portici, se ne richiamarono presso 
il loro Ambasciatore. Dispacci (Jaediti) del Reggente. 

(3) Idem. 

(4) Idem. 



— 140 — 

univa nobiltà di antica stirpe scozzese, e il favore della 
Corte, poiché era fratello di latte del Re Giorgio IV. 

Però più che un diplomatico era un cultore di stu- 
di e di arte antica , della quale faceva anche com- 
mercio (1). 

Fin al 1789 era vissuto contento di spaziare nel 
mondo della bellezza classica; allietava le speculazioni 
del dotto, gli entusiasmi dell'artista, con i passatempi 
e le delizie dell'epicureo. Gli uomini sapienti l'ono- 
ravano e lo stimavano, ed era divenuto quasi citta- 
dino di Napoli (2). 

Recatosi a Londra apprese con dolore che un suo 
nipote, Carlo Francesco Grenville, era pazzamente 
innammorato di una donna per la quale avea dato 
fondo al patrimonio paterno, e contratto molti debiti. 
Si affermava che egli era sul punto di liquidare la 
alterezza della nobile discendenza della sua casa 
sposando quella avventuriera. 

Sir Hamilton seppe ben presto la storia di quella 



(1) Pubblicò con lusso di tipi e d'iaoisioni: "Campi Phle- 
graei — Più: Observations on the Volcanos of the twe Si- 
cilies. Napoli MDCCLXXVI, in fol. Atl. „ Nonché: "Supple- 
ment the Campi Phiegraei being an account of the great 
eruption, of mount Vesuvius in the monthof august. 1779. 
Nap. MDCCLXXIK in foL Atl. „ 

(2) Il Prof. Giona Bjoernstaehl nelle sue lettere descrit- 
tive del viaggio da lui fatto in Napoli scrive cosi: "Fra 
" i forestieri i quali per la loro dottrina e lodevoli qua- 
" lità sou qui in Napoli saliti in grande riputazione deb 
" b'essere annoverato tra i primi Sir Hamilton Amba- 
" sciatore Inglese. Egli ha un gran gabinetto dove ha 
" radunato grande quantità di vasi etruschi, di cui egli 
" a sue spese fece intagliare in rame una bella raccolta 
" e pubblicatala tutta in foglio grande, opera magnifica 
" e preziosa,,. 



— 141 — 

donna di cui tutta Londra lodava la rara bellezza e 
narrava i soliti casi di quelle che dopo di aver morso 
l'amo di una prima passione del villaggio, corrono 
l'arringo della celebrità e della fortuna nel lezzo do- 
rato delle capitali. 

Emma Lyons, l'amante di Grenville, era nata a 
Preston, Cornea del Lancashire, il 1764, da genitori 
poveri ma onesti. Il padre morì quand'olia era bam- 
bina, e la madre lasciò il paese con la fanciulla al 
collo iu cerca di pane e di lavoro. Stabilitasi a Ha- 
warden, Contea di Flint, Emma nell'età dì dodici 
anni entrò a servizio di Tommaso Hawarden, uomo 
rozzo e brutale', che le avvelenò con le maniere bru- 
sche e i modi villani, i primi anni della vita. Stanca 
corse a Londra, dove dalla casa del dott. Budd, Me- 
dico dell'Ospedale di S. Bartolomeo, passò nella bot- 
tega di un mercantnzzo in St. James' s Marhet. Una 
dama generosa e colta presa alla vista della sua rara 
bellezza la trasse da quel ritiro, e le die ospitalità 
ed agiatezza. Cosi incontrossi in un giovane Capi- 
tano di vascello John Willet Paj^ne,. e scrissero la 
prima pagina del primo romanzo d'amore. 

Emma dopo poco passò nelle braccia di Sir Harry 
Featherstonaugh. 

« Era degno degli Dei e degli uomini il vedere 
« quella bella creatura, dalla vitina svelta, dall'oc- 
« chio raggiante seduta, ferma o gentilmente cur- 
« varsi sull'elegante cacciatore Sir Harry ricercando 
« lodi e grazie (1). 

Durò poco quella vita. Sir Harry rovinato dai de- 
biti si sottrasse con la fuga ai creditori. Emma si 



(1) Roberto Rell Galton- Palumbo Raffaele, nell'ottimo 
libro : Maria Carolina Regina delle Due Sicilie^ suo car- 
teggio con Laày Emma Hamilton, Napoli, 1877. 



— 142 — 

die al Dottor Graham, tipo di ciarlatano voluttuoso e 
vano che nelle sue conferenze al teatro Adelphi ido- 
latrava la perfezione delle forme umane, tracciando 
e descrivendo con frasi scollacciate la salute e la 
bellezza. 

Emma le parve il tipo della donna sensuale, un 
modello perfetto, e divulgò ne'giornali d'aver trovata 
finalmente la Venere, fossero accorsi a vederla. 

E Londra, che si deliziava del cerretano e dei suoi 
spettacoli, andò all'invito, ed Emma comparve deità 
nuda e fantastica, si che in un impeto di ebbrezza 
voluttuosa fu dichiarata un portento. 

Pittori e scultori se la disputavano: il più forte 
coloritore del tempo, Rowmnei, assiduo alle cicalate 
di Graham , la dipinse in tutte le pose. La celebre 
Lebrun volle mostrarla alla Francia nella figura di 
una Baccante (1). 

11 nipote di Sir Hamilton come il primo amante, 
come tutti quelli che videro Emma , non resistette 
alle seduzioni di quel corpo meraviglioso; la sottras- 
se airempirico scenziato, l'amò, ne fu amato, e ne 
raffinò i gusti e l'educazione, sicché l'ingegno pronto 
le die ben presto i modi e le maniere di una gran 
dama (2). 

Le strettezze di Grenville non soffocarono però lo 
amore per Emma. Volea sposarla; chiese il consenso 
allo zio per assicurarsene l'eredità. Ma questi tenne 
duro, finché Emma non pose il fascino della sua 



(1) Era la Lebrun pittrice di Maria Antonietta, Eegina 
di Francia. 

(2) Sonava e cantava con molta perfezione. Maria Ca- 
rolina scriveva che dopo essersi intesa la Nina (del Pai- 
siello) cantata da lei , ^ non è più sopportabile „ quando 
la cantavano altre. (Palumbo, pag. 155). 



— 143 — 

bellezza tra V orgoglio della razza , e il sentimento 
deironore. Si mostrò al vecchio zio, e vinse. Sir 
Hamilton credette di aver trovato in lei tutte le 
grazie ammaliatrici da lui tante volte evocate col 
piacere d'artista fra le rovine di Pompei, sulle plaghe 
incantate di Mergellina (1). H foco dei begli anni 
rianimò le vene aride del libertino stanco, e propose 
al nipote un indegno mercato. Gli cedesse Emma ed 
egli avrebbe pagato i debiti. Il patto fu ratificato con 
un mucchio di banconote, ed Emma Lyons il 6 set- 
tembre 1791, nella chiesa di S. Giorgio in Hanover 
Square fra pompe e corteo, divenne Lady Hamilton. 

Partirono per Napoli, dove Sir Hamilton riprese 
il suo posto di ambasciatore e l'ambasciatrice fu pre- 
sentata a Corte. 

La Regina era fatta per sedurre una donna come 
Emma, avida di onori, di feste , d' intrighi galanti, 
di potere; e di farsi sedurre da lei con V affetto, la 
devozione, la bellezza. 

In breve divennero amiche; poi intima (2). 

(1) Sir Hamilton avea scritto in una delle sue opere : 
" nothing excites in us greater pleausura than beauty „ 
(non esiste un piacere più, grande di quello della beltàj, 

(2) Il Colletta con brevità e veemenza da Tacito de- 
scrive l'intimità delle due donne. ( Lib. V, pag. 143). Il 
Lomonaco, contemporaneo , svaia senza frasi sibilline i 
vizii della Regina. (Nota 15 del Rapporto al Cittadino 
Carnot, pag. 66, 67, 68). Il Cooo accenna alle relazioni 
intime tra Acton e la Regina. Non era nuova però que- 
sta intrinsichezza della Regina con donne belle ed stri- 
ganti. Si narra altresì di quella che ella strinse con Donna 
Maria Fernanda 0' Connock moglie del Marchese Tories 
di Matallana, ambasciatore di Spagna a Napoli, alla quale 
la Regina scriveva firmandosi : " la tua amorosa. „ {Nuo* 
va Antologia, G-. G-reppi: Un Italiano alla Corte di Spagna^ 
fas. V, marzo 1883). 



— 144 — • 

Né minore considerazione godeva Sir Hamilton a 
Corte. Assiduo ai circoli, ai ricevimenti, alle escur- 
sioni, era altresì abituale ospite del Re nelle lunghe 
partite di caccia ch'egli predilegeva, e specialmente 
quelle di Persane, che duravano molti giorni, come 
fu quella del 1792 (1). 

L'Acton e la Regina speravano in una possibile 
aleanza inglese, se quella nazione si fosse mossa 
contro la Francia. Sir Hamilton la favoriva; Emma 



In queste relaziomi THelfert non vede, come nota giu- 
stamente l' egregio Bogletti , ohe un'offesa all' etichetta. 
Eorse poteva dirsi tale quella di Maria Teresa con la 
Pompadour alla quale scriveva : " Mia Principessa e Cu- 
gina „ Ma non quella della figlia con Donna Maria i'or- 
nanda e con Emma Lyons, l'allieva del Dottor Graham. 

(1) Letters ot' sir William Hamilton, K. B. eto. Si con- 
sulti la corrispondenza scritta da Sir Guglielmo alla 
moglie mentre egli era a Persane alla caccia con il Re. 
La prima lettera è del 4 gennaio 1792 , l' ultima del 18. 
Sono riboccanti di affetto e di passione per Emma. 

Da questa corrispondenza traduco il brano di una let- 
tera che mostra il carattere burlone del Re , scritta da 
sir Hamilton alla moglie: 

" Persano, Giovedì, 5 Gennaio 1792. 

^" Ieri, il Corriere portò V ordine di S. Stefano, mandato 
" dall'Imperatore al Principe Ansberg, con P incarico al 
*' re d' investimelo. Come il re ebbe l'ordine nelle mani, 
" subito corse nella stanza del Principe, che trovò in ca- 
" micia, senza brache: e, in quello stato, volle decorarlo, 
" S. Maestà, della stella e del nastro; e dopo fece la re- 
** lazione di tutto il fatto genuino all'Imperatore. 

" Leopoldo, forse, non sarà molto contento dello scherzo 
** fatto col primo de' suoi ordini. Queste faccende vanno 
'*' praticate con certa solennità; se no diventano, quel che 
" poi son veramente, un orpello qualunque con un paio 
^* di palmi di fettuccia larga. Willialm „. 



— 145 ~ 

era diventata nelle mani della Regina abile mezzo 
d'influenza e di comunicazione tra la Corte e l'am- 
basciatore. 

E i casi volgevano propizi. La Francia dichiarava 
la guerra all'Inghilterra, all'Olanda, alla Spagna (1). 

Il Ministro Pitt , che reggeva le sorti del Regno 
Unito, avea giustamente calcolato che l'impeto rivo- 
luzionario della Francia le avrebbe mossa contro 
tutta r Europa , ed era venuto il momento per una 
ijenerale coalizione, affinchè fosse oppressa sotto il 
peso dell'odio e delle armi di tutti i Governi (2). 

Gli storici liberali si meravigliano che una nazione 
retta a libere franchigie, come l'Inghilterra, scendesse 
a combattere la Francia che levava in Europa il 
vessillo della libertà; e la meraviglia fu grande pei 
nostri padri, i quali videro che principal causa, do- 
po l'Austria, dei rei casi che turbarono profondamente 
il Regno di Napoli fu l'Inghilterra. 

Ma ove si consideri la politica come espressione 
non solo d'interessi morali, ma di supremazia e d'in- 
teressi materiali, parrà chiara la condotta del governo 
Inglese. 

Le tendenze dejiocratiche della rivoluzione aveano 
turbato i Toryes, còsi tenaci dei principi su i quali 
è fondata la monarchia inglese. I Wihgs poi, in parte 
guardavano con spavento gli eccessi delle passioni 
popolari; e. si accostavano agli avversari per difen- 
dere con essi l'ordine sociale minacciato, altri, rima- 
nendo fedeli alle tradizioni del loro partito, favori- 
vano la rivoluzione francese (3). Ma che valsero que- 



(1) All'Inghilterra ed all'Olanda fu dichiarata la guerra 
il 1 febbraio; alla Spagna il 7 marzo. 

(2) Thiers, pag. 116. 

(3) De Bourgoing "Histoire diplomatique de PEurope du- 
•rant la Revolution Francaise „ Paris 1865. Voi. 1, pag. 235, 

Conforti 10 



— 143 - 

ste simpatie? Pitt e Burke furono più forti di Fox 
e di Stiéridan. 

Non era dunque il pericolo d'innovazioni politiche 
che traeva Pitt a farsi il centro di resistenza contro la 
Francia, ma l'occasione di abbattere la secolare rivale. 

Difatti nel 1790 l'Inghilterra non era più l'audace 
del 1772 che inviava i suoi commissari a Tolone per 
verificare il disarmo della flotta francese ; né man- 
teneva più fisso il suo commissario a Dunkerque, né 
la padrona dei possedimenti continentali di America. 

La Roma de'mari era politicamente decaduta; ge- 
losa di dover guardar l' incremento della marina 
francese , e tollerare che di fronte all' imboccatura 
del Tamigi, sorgesse l'arsenale di Cherbourg . 

Questi furono principalmente i potenti motivi che 
spinsero Pitt prima ad una calma e calcolata neutra- 
lità verso la Francia, poi a sobillare l'Europa, quindi 
» a gettar la maschera e decidersi alla guerra. 

Campo non dubbio sul quale . sarebbero venute a 
cozzare le due avversarie era il Mediterraneo. E l'In- 
ghilterra v'inviò trentasette legni comandati dall'am- 
miraglio Hood , la più potente flotta che fosse ap- 
parsa, da molti anni in poi, in quelle acque. 

Padrona del Mediterraneo certamente il Regno di 
Napoli sarebbe per quella parte sicuro, e il governo 
napoletano si decise a stringere alleanza col governo 
inglese, che fu cosi fatale, e cagione di tanti orrori 
e di tante nequizie. 

Fu convenuto con patto del 12 luglio 1793, di far 
causa comune nella guerra contro la Francia, stabi- 
lendo di accordo le operazioni navali e militari da 
farsi nel Mediterraneo (l).Grarentia reciproca dei pro- 

(1) Il Colletta erra la data (lib. Ili, pag. 81) assegnan- 
do quella del 20 luglio, come può riscontrarsi in de Sa- 
riis (lib. II, pag. 287). 



— 147 — 

pri stati, non firmar pace se non di accordo; il Re 
di Napoli avrebbe fornito un corpo di sei mila sol- 
dati, quattro vascelli di linea, quattro fregate, quat- 
tro piccoli bastimenti da guerra, da usarsi nelle ope- 
razioni del Mediterraneo, salvo ad aumentare il con- 
tingente in prosieguo. Le spese di trasporto, di nu- 
trimento, di foraggi a suo carico (1). 

Divieto ai sudditi di commerciar con la Francia, 
di spedir derrate dai porti napoletani, anche su legni 
stranieri ; i vascelli inglesi del Mediterraneo ob- 
bligati a proteggere i legni mercantili napoletani ; 
il Re non avrebbe fatto pace se non col consenso 
dell'Inghilterra; e se questa si determinasse a con- 
tinuar la guerra, egli obbliga vasi a mantenersi neu- 
trale. 

L'Inghilterra, per parte sua, impegnavasi a mante- 
nere nel Mediterraneo una imponente flotta per tutto 
il tempo richiesto dal pericolo in cui si fosse il Re 
di Napoli, e dalle operazioni da intraprendersi con- 
tro il nemico. 

Nella conclusione della futura pace e dei possibili 
congressi avrebbe dovuto usare tutta la considera- 
zione necessaria « per la sicurezza dell'Italia, e spe- 
€ cialmente per la dignità e gl'interessi della Corona 
« delle Due Sicilie » (2). 



(1) 11 Colletta (lib. Ili, pag. 8L) riferisce inesattamente 
questo patto , quando dice ohe il Re di Napoli avrebbe 
forniti tanti legni e soldati alPInghilterra, quanti insie- 
me componessero armata superiore a quella del nemico. 
Invece, dall' art. Ili del Trattato, rilevasi il contingente 
di soldati e legni da fornire, determinati e gli uni e gli 

altri. 

(2) Avea negoziati a Londra questi patti l'ambasciatore 
napoletano D. Tommaso di Somma dei principi di Collo, 
Marchese di Circelló. Il Trattato reca le firme del capitan 



~ 148 — 

Gl'impegni assunti dal Governo napoletano dove- 
vano prestamente esser mantenuti. 

L'il settembre del 1793 gittava l'ancora nel porto 
di Napoli V Agamennone, comandato da Orazio Nel- 
son. Recava dispacci e lettere di Milord Hood , in 
data 27 agosto, affermanti che gì' Inglesi erano pa- 
droni di Tolone. Lettere e dispacci diretti a sir Ha- 
milton, perchè afesse chiesto al Generale Acton, il 
pronto invio delle forze napoletane (1). 



Generale Giovanai Acton, Ministro dei dipartimenti de- 
gli Esteri , della Guerra, della Marina e del Commercio ; 
del Marchese De Marco Consigliere e Segretario di Stato 
del dipartimento di Casa Reale, e di sir William Hamil- 
ton ambasciatore dell'Inghilterra a Napoli. 

(1) Sono in grado di provare con un documento (ine- 
dito ) importante cosi la data dell' arrivo di Nelson a 
Napoli, dove recavasi per la prima volta, come lo scopo 
della sua venuta. Tra la corrispondenza {inedita) di Fa- 
brizio Bufifb, Principe di Castelcicala, che avea sostituii o 
nell'ambasciata di Londra il Marchese di Girceli o, ho tro - 
vato la seguente comunicazione di Lord Gren ville : Wi- 
tehall, 12 ottobre. 

" Dai riscontri ricevuti dall'onorabilissimo sir William 
" Hamilton, Cavaliere del Bagno, Inviato strsordinario, e 
" Ministro plenipotenziario di S. M. presso la Real Corte 
" di Napoli, in data dei 17 settembre, si rileva che il di 11 
" giunse colà il Capitano Nelson sul vascello di S. M. I'^- 
" gamennoncy con dispacci di Milord Hood in data dei 27 
"agosto dal mare di Tolone e con una lettera dei 31 di 

" Milord Ugo il quale avea lasciato Lord Hood 

" in possésso di Tolone ed avea incontrato in mare il Ca- 
" pitano Nelson; che comunicatosi questa notizia da sir 
" William al Generale Acton duemila delle migliori trup. 
" pe di S. M. Sici liana furono imbarcate il giorno 16 „- 

Questa nota ufiiciale corregge tutte le iqesattezze nelle 
quali incorsero parecchi storici sull'arrivo di Nelson in 
Napoli. 



— 149 — 

Il giovane capitano inglese che per la prima volta 
approdava in Napoli, era nato il 1758 nel villaggio di 
Burnham Thorpe, della Contea di Norfolk. Il padre, 
ministro di quel villaggio , avea molti figliuoli. O- 
razio a dodici anni lasciò il collegio di Norwich, fu 
imbarcato come mozzo sul vascello Raisonable co- 
mandato da suo zio materno, il capitano Suckling. 
Tranne brevi intervalli , per ragion di salute o di 
servizio, circa ventitré anni li passò sul mare, su- 
perando i primi gradi nella marina per merito e 
per esami. Nelle lunghe traversate dell'Oceano, ne- 
gli ozi delle stazioni del Tamigi , fra gli stenti di 
un ardito viaggio al Polo, non sognò che gloria. E 
quanto più per mancanza di occasioni questo fanta- 
sma si allontanava da lui , tanto maggiormente si 
sentiva predestinato a raggiungerlo. Questa fede lo 
salvò dal suicidio, e gl'impresse nel carattere e nella 
persona, l'esaltazione, Tenergia proprie dell'uomo av- 
vezzo all'eroismo. Oltre la gloria sentiva prepoten- 
temente l'amore, era di una squisita sensibilità. Se 
fosse nato in Oriente forse sarebbe stato logorato 
dalle febbri dei sensi. 

Trionfatore di un primo affetto per la figlia di un 
ecclesiastico inglese di povero stato , avea sposato, 
ril Marzo 1787 nell'Isola di Nevis , la vedova del 
Dottor Nisbet una bella creola, che il Duca di Cla- 
renza, poi Guglielmo IV, volle accompagnare all'al- 
tare. Amava i fanciulli , ed egli stesso benché gio- 
vane , non avea smessa 1' aria e V ingenuità di un 
eterno fanciullo (1). 



L'Hervey, per esempio, dice esattamente ohe egli venne 
a dar notizia della presa di Tolone, ma lo fa arrivare a^ 
primi di luglio, mentre Tolone fa in potere degli inglesi 
il 28 agosto. 

(1) È il ritratto che fa di lui il Duca di Ohiarenza. 



— 150 — 

Assumendo il comando deìVAgamennone avea ri 
volto alla ciurma queste istruzioni: 

1/ Bisogna sempre obbedire agli ordini che vi 
saranno dati, né permettervi la minima osservazione; 
2° Bisogna riguardare come vostro nemico per- 
sonale ogni uomo che parlerà contro il vostro Re ; 
3.° Bisogna odiare i francesi come voi odiate il 
diavolo (1). 

A Napoli fu presentato a Corte. Sir Hamilton, dopo 
il primo colloquio ch'ebbe con lui disse alla moglie 
di volerle presentare un piccolo capitano inglese , 
bello anziché no; e soggiunse: «o io m'inganno que- 
sta volta, costui è un uomo di merito che farà un 
giorno parlar di se. 

« Io voglio che stia con noi, fategli dare l'apparta- 
mento preparato pel principe Augusto » (2). 

Era un'eccezione quell'ospitalità, e Nelson e il fi- 
gliastro (3) furono in casa di Lady Hamilton. 

Neil' intimità dei due perfidi amici , che doveano 
avere una cosi triste influenza sul suo avvenire, come 
dice uno scrittore (4), rivelò ben presto la profonda 
avversione ch'egli sentiva per la Francia, l'esaltata 
passione in favore dei Re e contro i popoli, il desi- 
derio di acquistare a se ed alla marina britannica una 
fama immortale. Ammesso , par mezzo dell' amba- 
sciatrice , a segreti colloqui con la Regina , i suoi 
discorsi infiammati, pareano le folgori del loro odio 
e delle loro vendette contro la Francia , e contro i 
giacobini. 

(1) Southey, cap. YIII, pag, 68. 

(2) Figlio del Re d'Inghilerra, di poi Duca di Sassex. 
(Southey, idem). 

(3) Figlio di madama Nisbett. 

(4) il^evue des Deux Moudes. Tome Seizième. 



- 151 — 

Quale impressione fece su lui Lady Hamilton, quella 
figura staccata dal saròofago del Belvedere, dal tono 
di voce e dalle maniere nobili e seducenti, dal con- 
versare facile , amabilissimo , dal gesto e dalle mo- 
venze aggraziate della persona elegante (1) ? 

Egli fu bruciato dal lampo arcano di quegli occhi, 
tuttavia dissimulò col rispetto la profonda piaga del 
cuore (2). 

Forse credette audacia superar la distanza che vi 
era tra quella smagliante beltà e il piccolo capitano 
« dall'aria di un ragazzo, dall'uniforme, benché ric- 
« camente gallonato, dal taglio goffo, dai lunghi ca- 
« pelli, ma lisci, e senza polvere attaccati a coda e 
« tesi come un bastone alla foggia dei soldati tede- 
« schi (3). ...» 

Però il fascino di Cleopatra avea coperto Antonio; 
Circe filtrò nel cuore di lui il veleno delle vaghe in- 
cantagioni. 

Non fu certo disegno della provvidenza riunire 
sulle sponde ridenti di Mergellina, un triumvirato fa- 



ci) Cosi la descrite Federica Brua che la vide parecchie 
volte in Napoli. 

Il pittore Bomney la disse: "la cosa più bella che sia 
" uscita dalle mani della natura. „ 

(2) Lasciando Napoli diretto per Tanisi per raggiunge- 
re il commodoro Linzee, scriveva Nelson a sua moglie : 
" Lady Hamilton non poteva esserja pia cortese ed ama- 
" bile per Giosuè (il figliastro). È donna di maniere in- 
" cantevoli , che fa realmente onore al grado a cui fu 
" elevata, e farebbe onore ad un trono. „ (Hervey, pag. 6). 

(3) Cosi lo descrive il Principe Beale Inglese Duca di 
" Òhiarenza. Lamartin, scrive: " d'un extérieur grèle, bi- 
" zarre, inculte, n'eùt d'autre attrait che le-profil aqui- 
" lin des héros de la g 'terre „,.. 

{Nelson, pag. 68). 



- 152 — 

moso di due donne e di un soldato che poi stupirono 
r Europa ; e colpirono il regno di Napoli come un 
flagello ! 

Al 1 settembre Acton significò a Mackau l'ordine 
di lasciar Napoli fra otto giorni* 

Questi avea provato pur troppo duramente l'onore 
di essere ambasciatore presso il Re di Napoli, e per 
giunta un altro fatto gli mostrava quale rispetto si 
avesse delle leggi e dell'ospitalità. 

Il Governo era in sospetto che il Mackau fosse in 
carteggio con i liberali; che presso di lui si trovasse- 
ro le note degli affiliati alla setta, ed altre carte impor- 
tanti. E quindi, ignote persone, durante la notte del 
29 Agosto, scalando un muro penetrarono nel gabi- 
netto del Ministro e portaron via tutte le carte. L'in- 
domani il Mackau mosse le solite rimostranze. L'Ac- 
ton die i soliti ordini , ma pubblicamente si faceva 
il nome del ladro , né venne punito , pubblicamente 
Acton e la Regina erano accusati di averlo assoldato 
e spinto al reato (1). 

Sicché il giorno 8 settembre il Makau imbarcossi con 
sessantotto francesi, uomini, donne, ragazzi, espulsi 



(1) Ecco il dispaccio dell'Acton al Reggente: " Ha im- 
" plorato il Ministro Makau tutto il rigore della giusti- 
" zia pel castigo dei rei di delitto di furto commesso nella 
'^ notte passata nella dì lui casa, e propriamente nel suo 
" gabinetto col trasporto di molte carte; e S. M. che vuol 
"dare al medesimo la più compiuta soddisfazione mi co- 
" manda d'incaricare V.S. I. per le più esatte diligenze per 
" rinvenire i rei, onde assoggettarli a quel castigo che le 
" leggi prescrivono ai ladri di tale natura.. Nel R nome 
"la prevengo a V.S.I* pel pronto ed esatto adempimento. 
30 Agosto Acton. (Inedito) „ 

Il Mackau disse pure che , oltre le carte , gli si erano 
rubati i bril'anti della moglie. 



— 153 - 

come lai, sul legno inglese VArh, appositamente no- 
leggiato e sbarcò a Marsiglia, dopo molte peripezie, 
il 29 ottobre. 

Le persecuzioni contro i liberali proseguirono 
senza ritegno e con attività , e i sospetti elevati a 
sicurezza di prove. Si davano ordini di sfratto dalla 
capitale a tutti quelli che faceano ombra, e financo 
agli impiegati (1). Lo spionaggio divenne non solo 
un mestiere , ma una istituzione. Difatti eransi for- 
mati sodalizi e conventicole detti degli Zelanti, ri- 
velatori al Reggente della vita pubblica e privata dei 
cittadini. Inviavano denunzie firmate dalla « Società » 
alle quali seguivano provvedimenti ed arresti. 

I parroci tenevan mano a questo spionaggio, poi- 
ché i costumi facili o libertini eran segno di libe- 
ralismo (2). 

Continuavavano gli arresti per reità di Stato, gli 
avidi mercati dì coscienza delle spie. 

Un importante documento viene ora alla luce per la 



(1) 15 Maggio 1793. " Al Reggente della Vicaria. Vo 
** lendo il Re che V. S. I. chiami a se D. Nicola JFioreatiao 
" Governatore del Real sito di Controne, che ritrovasi in 
"questa capitale, e Tintimi che immediatamente si porti 
"al suo governo senza ammettere alcuna diluì replica; e 
"qualora non sia partito nel giorno che V. S. L gli pre- 
" fìggerà lo mandi alla di lui residenza accompagnato da 
" un sostituto del Tribunale di Polizia. 

Carlo De Marco {Inedito) „ 

(2) Nei Registri del Reggente della Vicaria vi sono le 
prove di quanto affermo. Fra gli altri " I zelanti nel vi- 
colo de* fogli nel Pallonetto S. Chiara „ che erano divisi 
per rioni ed esercitavano un' attiva vigilanza, denunzia- 
rono un tal Vittorio Indelicato, il quale, secondo essi^ 
permetteva clie la moglie menasse vita libertina. 



- — 154 — 

prima volta suiropera tenebrosa della polizia. È un 
Dispaccio deirActon al Medici Reggente della Vicaria: 
« 2 luglio 1793. Ho letto al Re la rappresentanza della 
« V. S. I. del 7 caduto giugno con cui ella esponen- 
« do le spese straordinarie occorse per iscoprire le 
« persone sospette allo Stato, e specialmente per 
« rincarico di verificare V accusa prodotta da Gae- 
« tano Rinaldi contro del Dott. Mancilli della for- 
« mazione di uno scritto incendiario per cui Ella va 
« in disborso di circa dugento ducati, non essendo 
« bastati i novantadue ducati mensuali che le si pa- 
« gano dai fondi della Giunta di Stato pel manteni- 
« mento del buon ordine nella Capitale, chiede che 
« sopra gli stessi fondi della Giunta si liberino a V. 
« S. I. ottocento ducati straordinariamente, onde 
« poter soddisfare le fatiche del subalterno adope- 
« rato nell'accusa del Rinaldi contro il Mancilli, 
« mantenere, adescare le persone addette a scoprire 
« gli andamenti del noto Giacomo Papis ed a saper 
« prontamente la venuta di altri soggetti esteri di 
« cui S. M. le ha dato il segreto incarico, e rin- 
« francarsi dei detti dugento ducati dei quali sta in 
« disborso: promette al termine degli incarichi da- 
« tile di umiliare un distinto conto de'mentovati ot- 
« tocento ducati da libersarsi e dimostrare di avere 
« in tali spese usata tutta la possibile economia, ed 
« accenna di aver ella umiliato a S. M. la relazione 
« sul fatto dei detti Rinaldi e Mancilli. E la M. S. 
« ha comandato e vuole che sugli indicati fondi della 
« Giunta di Stato si liberino per una sola volta a V. 
« S. I. gli additati ottocento ducati per gli usi da 
« lei esposti: nella intelligenza che la M. S. attende 
« la relazione citata riguardo a Rinaldi e Mancilli, 
« non ancora venuta in Segreteria. 
« Nel Real nome scrivo tutto ciò a V. S. I. per 



— 155 — 

« suo governo e per V adempimento di sua parte. 

« Giovanni Acton » (i). 

Tanta pagata vigilanza dovea produrre i suoi ef- 
fetti, e questi non tardarono. Un RoUin, locandiere, 
accusato di discorsi sediziosi fu scacciato dal Regno 
insieme al genovese Cordighi (2). 

La Giunta di Stato prese i seguenti provvedimenti: 
D. Feliciano Domenico del Cilento condannato ad 8 
giorni di carcere, confinato a Salerno sotto sorveglian- 
za; il paglietta D. Francesco Pettinicchio di Cam- 
pobasso, otto giorni di carcere, confino e sorveglian- 
za nel suo paese ; D. Giovanni Trapasso inviato a 
Catanzaro sua patria; il P. Battista monaco di S. 
Pietro a Maiella, spedito per correzione nella Casa 
de' Griorani di Nocera, di là nel Monistero della Ma- 
iella in Abruzzo ; il parrucchiere Carlo Demoville 
espulso dal Regno; continuarsi le diligenze contro 
r abate piemontese Francesco Scudieri, ed il Duca 
di Stipes, romano (3). 

E perchè Giuseppe Pandullo, carnefice, non avea 
fama e molta perizia nel mestiere, fu spedito a Sa- 
lerno, e fatto venire in Napoli Giuseppe Raimondi di 
maggior rinomanza. Preveggente governo ! (3) 

Finalmente fu smessa la maschera della pace e 
della neutralità con la Francia. Appena il Ministro 
Mackau lasciò Napoli, la guerra fu dichiarata (5). 



(1) Dispaccio al Reggente delia Vicaria {Inedito). 

(2) Registri del Reggente della Vicaria (Inedito), 

(3) Idem. 

(4) Dispaccio del 22 Giugno 1793 dai Registri del Reg- 
gente della Vicaria (Inedito), 

(5) Editto del i Settembre 1793, contrassegnato dall' Ac- 
ton, Il Marnili ed altri autori han riferito inesattamente 
e monco questo Editto; ed il Colletta non fu esatto quau- 



— 156 — 

Diceva il Re, con pubblico editto ai Napolitani, dove- 
re opporre un argine al pericolo che continuava a mi- 
nacciar l'Europa, e particolarmente Tltalia ed il Re- 
gno per le massime ed i principi di anarchia, di em- 
pietà e di disordine che non ristavano dal secondare 
gli emissari di quelli che aveano commesso il colmo 
degli errori in Francia col pretesto di « restituire agli 
uomini dei diritti chimerici ». Essersi quindi unito al- 
le potenze contro la Francia, e dichiarava banditi dal 
Regno, fra. venti giorni, tutti i francesi, distinguen- 
doli in tre classi : domiciliati nel Regno, ammogliati 
con suddite napoletane, viaggiatori e passeggieri. 
Limite, al bando generale, le seguenti eccezioni: 
concesso il rimanere ai domiciliati « noti per buona 
condotta » purché fossero cattolici, e rinunziassero 
alla loro nazionalità, egualmente agli ammogliati, a 
patto che prestassero il giuramento (1). I viaggiatori 
e gli esercenti professioni o arti liberali, commercio, 
industrie, mestieri , i domestici, erano espulsi nel- 
rindicato termine. 

Si creò apposita Giunta per le debite verifiche, e 
per punire i contrayventori con le gravi pene dèi pre- 
sidio, della confisca, della galera, e financo con la 
morte, secondo i casi. 

do scrisse che il Governo si mise in guerra con la Fran- 
cia senza dichiarazione o cartello contro la Repubblica. 
(1) Ecco la formola del Giuramento: "Giuro io qui sot- 
toscritto avanti il Signore Iddio e su del suo Santo E- 
vangelo, di esser fedele vassallo di S. M. il Re delle Due 
Sicilie che Iddio guardi e feliciti, e prometto ancora di 
vivere e di ubbidire con esattezza e sommessione alle Leg- 
gi e Polizia de' suoi Regni, ed a tale oggetto rinuncio 
espressamente ad ogno Foro straniero ed a qualunque at- 
taccamento e dipendenza ad altro governo. E tutto ciò 
prometto e giuro sotto quelle pene che sono prescritte 
dalla M. Sua. (De Sariis, lib. II, tit. XLI, pag. 



— 157 - 

Con altro editto, apparso dopo sei giorni, fu dira- 
mato il precedente ai presidi delle Province, aggiun- 
gendosi che, tutti i legni francesi da guerra e mer- 
cantili fossero scacciati dai porti del Regno; vietossi 
ai sudditi il comunicar coi francesi, ai bastimenti 
nazionali di trasportar derrate e munizioni in Francia. 
Quindi tutti i porti aperti agli Inglesi, ed alle squa- 
dre di tutte le potenze in guerra con la Reppublica, 
alle quali squadre doveasi somministrare ciò che oc- 
corresse. 

Dichiarava infine che la marina nazionale era gotto 
la scorta e la protezione di quella Britannica (1). 

CAPITOLO DECIMO. 

Sommario. — I barbareschi. Gli artiglieri litorali. Le for- 
tezze e le torri del Regno. L'esercito. La marina. Occa- 
sione di adoperarli. Giacobini e Girondini in Francia. 
Le insurrezioni di Lione, Bordeaux, Marsiglia. Realisti 
e Repubblicani a Tolone rendono la città agli Inglesi. 
Spedizione napoletana. Specchietto della squadra napo- 
letana inviata a Tolone. I reggimenti napoletani ed i 
comandanti. Arrivo delle truppe. Spirito e contegno. 
Combattimenti ed assedio di Tolone. Condotta dei sol- 
dati ed uffiziali napoletani. Tolone è ripresa dai Re- 
pubblicani. Ritorno delle squadre e del corpo di eser- 
cito napoletano. Perdite in uomini, magazzini e denaro. 
Disillusioni. Nuovi annunzi di sventure. La morte di 
Maria Antonietta Regina di Francia. La Regina Maria 
Carolina. Lutto a Corte. Gravidanza della Regina. Na- 
scita di un' altra Principessa. L' anno 1793 finisce fra 
tristi previsioni. 

Il Regno non suonò che armi. A garantire le coste 



(1) Editto del 7 febbraio 1793. (De Sariis. lib. II, tit. 
XLI, pag. 85). 



— 158 — 

dagli assalti dei barbareschi, che in quei di preda- 
vano e comparvero a far bottino fin nel canale di 
Precida, a respingere le aggressioni dei francesi fu- 
rono emanate previdenti istruzioni per organizzare 
un corpo di 169G artiglieri litorali (1). 

Le fortezze, le cittadelle, le torri furono messe in 
istato di difesa. A garentire la capitale armaronsi 
Castelnuovo, Castel dell'Ovo, Sant'Elmo, il Carmine, 
il fortino di Vigliena. Una formidabile batteria fu 
stabilita sul molo S. Gennaro, ed altre ancora. 

Le fortezze più importanti delle province erano 
Gaeta e Capua, questa armata dopo il 1778. I castel- 
li e cittadelle più notevoli quelli di Baia , Ischia, 
Nola, Viesti, Manfredonia, Salerno, Barletta, Traai, 
Bari, Monopoli, Taranto, Otranto, Gallipoli, Brindisi, 
Amantea, Cotrone, Cosenza, Reggio, Pescara, Aquila, 
e Civitella del Tronto. Un gran numero tìi torri eran 
disseminate per le coste; la sola provincia di Catan- 
zaro ne contava sessantanove. 

L'esercito, forte di trentaseimila uomini di diverse 
armi, fu accresciuto di una nuova legione detta de- 
gli spuntonieri, dall'arme (spuntone). Corpo leggiero 
adatto a combattere nei luoghi chiusi od aperti. Fu 
composto di volontari e di lazzari, levati per legge. 
Non ispirava fiducia per Tarma e la qualità dei sol- 
dati e dei graduati (2). 

Per una potenza come Napoli il naviglio era dav- 
vero formidabile. Centodue legni di varie grandezze 



(1) La data dell'ordinanza è del 21 settembre 1793, come 
rilevasi dai Registri del Reggente della Vicaria. Il D'Aja- 
la assegna la prima organizzazione degli artiglieri lito- 
rali con decreto del 25 marzo 1796 , lo che non è esatto 
(Vedi d'Ajala, Napoli Militare, pag. 75 e pag. 168). 

(2) Colletta, lib. Ili, pag. 81, Marnili, voi. 1, pag. 45. 



- 159 — 

della portata di 618 cannoni, con una ciurma di 680O 
uomini (1). 

E Torà di adoperare esercito e marineria era suo- 
nata. Dopo la morte di Luigi XVT, alla guerra esterna 
erasi aggiunta in Francia quella civile. Giacobini e 
Girondini si disputavano la nazione; quelli per inau- 
gurare la compressione violenta e la persecuzione, 
questi per resistervi. Ma furono i secondi sopraffatti 
e travolti dall' insurrezione del 31 maggio delle se- 
zioni di Parigi, arrestati i capi, primo passo sul sen- 
tiero del patibolo. 

Le province però del mezzodì della Francia si sol- 
levano contro i Giacobini e contro Parigi. Lione, 
Bordeaux, Marsiglia li scacciano dal governo. A. To- 
lone , il di 12 luglio , i repubblicani moderati e la 
popolazione realista s'impadroniscono dei componenti 
il Comitato Giacobino, e li arrestano. Minacciati dalle 
truppe del governo, spedite a sottometterli , isolati 
da ogni comunicazione, sobillati dagli emigrati, che 
erano accorsi colà, i Repubblicani moderati decisero 
di aprir pratiche con 1' ammiraglio Hood inglese. 
Dopo varii casi e trattative, la parte realista, spal- 
leggiata dalla flotta britannica e spagnuola prese 'il 
sopravvento; la città fu consegnata agli Inglesi, 
proclamato Re Luigi XVIII , il giorno 28 agosto ; e 
il 29 le flotte si schierarono innanzi al porto fra le 
grida e il giubilo della popolazione. 

Avvertiti di questi casi la Corte di Napoli per l'ar- 
rivo del Capitano Nelson, che venne a chiedere la 



(1) Colletta, ibid. Marulli, ibid. Gli altri stati italiani 
a quel tempo aveanoi seguenti legni: La Toscana, 2 barche 
armate, 2 mezze Galee , 1 Galeotta, 2 fregate: Venezia, 
60 legni di varia portata: Genova, 5 galee e poche barche 
armate: il Piemonte, 2 fregate e due galere. 



— 160 — 

esecuzione degli impegni assunti col trattato del IP- 
luglio si spinse ad allestire sollecitamente una squa- 
dra ed un contingente di sei mila uomini. 
La squadra fu cosi composta : 



a 


NOME 


SPECIE 




1 


dei 


e 


NOME DEL COMANDANTE 




LEGNI 


PORTATA 




1 


Sannito 


Vascello da 74 


Fortiguerri 


2 


Tancredi 


Id. Id. 


Francesco Caracciolo 


3 


Guiscardo 


Id. Id. 


Conte de la Tour ( 


4 


Partenopa 


Id. Id. 


Cav. Guillichino 


5 


Sibilla 


Fregata da 40 


Tommaso Vicugna 


6 


Sirena 


Id. Id. 


Conte Marescotti 


7 


Minerva 


Id. Id. 


Pasquale Valle | 


8 


Astuta 


Id. Id. 


Conte de Thurn 


9 


Fortuna 


Corvetta da 20 


Giuseppe de Almagro j 


10 


Aurora 


Id. Id. 


Cav. Do Sterlich 


11 


Vulcano 


Brigant. da 8 


Giuseppe Carrabba 


12 


Sparviero 


Id. Id. 


Fr. Sav. Quattromani 



11 comando in capo fu affidato al Forteguerri. 

1 Reggimenti scelti pél contingente di seimila e 
più soldati furono Re, Borgogna, Real Napoli, Mes- 
sapia; più, una brigata d'artiglieria con trenta pezzi 
da quattro (1). 

(1) Il Reggimento Re fu formato nel 1753. Comandato 
nel 1760 dal Colonnello Everardsi componeva quasi tutto 



— 161 — 

Erano tutti sotto gli ordini dei Brigadieri Princi- 
pe D. Fabrizio Pignatelli di Cerchiara e de Qambs. 
Il Reggimento Borgogna, benché antico corpo Val- 
lone, era quasi tutto di soldati napoletani. 

n plcciol corpo fu inviato in cinque spedizioni. 
La prima di 2014 uomini parti il 16 settembre , e 
giunse a Tolone il giorno 27; (1) la seconda di 2627 
uomini s' imbarcò a Gaeta ai 23 e giunse V 8 otto- 
bre (2); la terza di 1550 partita da Napoli il 21 otto- 
bre, pervenne gli 11 e 27 novembre (3); la quarta di 
566 uomini partita da Gaeta giunse ai 26 novembre (4). 
La quinta di 569 uomini , psirtita anche da Gaeta 
e guidata dal de Gambs non arrivò a tempo. Alla 
Spezia s' imbattè con la squadra reduce da Tolone 
e di consenso tornarono in Napoli (5). Per la man- 
canza di questa spedizione e per altre cause , poco 
più poco meno di 6500 soldati napoletani furono 
presenti all'assedio di Tolone. Il difetto di buona 
organizzazione fece impiegare circa tre mesi per- 



di uffiziali e soldati irlandesi. Il reggimento Borgogna 
formato nel. 1757, fu comandato nel 1776 dal Colonnello 
Giacomo Macdonàld. Il reggimento Real Napoli fu for- 
mato nel 1765 e comandato? da^Yi^oénzo Pignatelli. Nel 
1793 comandavalo il Colonnello Ràfmondo 'Arezzo. 

(1) Un battaglione* di granatierir TÒue di Fucilièri di 
montagna. Il Marnili' (pàg^'SÌf fa giungere inesattamente 
la prima spedizione il giorno 29. 

(2) Un Battaglione di granatieri e due di Fucilieri del 
Regg. Eeal Napoli e Messapia (Marnili, pag. 56). 

(3) Un battaglione del Reggimento Re ed uno dì Bor- 
gogna. 

(4) Un battaglione del Reggimento Messapia. 

(5) Un battaglione Real Napoli. 

Conforti ^1 



— 162 — 

che un così esiguo corpo di truppe potesse esser 
pronto e tutto completo. Però lo spirito dei soldati 
era eccellente , istruito e volenteroso il corpo degli 
ufflziali, e, fra i più giovani , zelo e desio di gloria. 
Gli allievi deiraccademia militare, diciottenni quasi 
tutti, chiesero partecipare alla guerra , e ne furo- 
no scelti quattordici. Dicevano volersi distinguere 
e far le prime prove , apprendere il mestiere del 
campo, protestavano fedeltà, e letizia di morire pel 
Re (1). 

Ottima accoglienza fu fatta ai nostri soldati a To- 
lone 'dalle truppe inglesi, spagnuole, sarde. Il popolo 
li salutò con le grida : Viva il Re di Napoli. Lord 
Hood, ed il capo squadra Gravina, Lord Malgrave, 
ed il generale supremo 0' Hara, ne lodarono l'aspet- 
to ed il contegno. 

Intanto due eserciti della Repubblica s'erano avan- 
zati su Tolojie. Il Generale Cartaux, dopo aver su-, 
perate le gole d' Ollioules si era stabilito agli sboc- 
chi, a vista della piazza. Il Generale Lapoype, stac- 
cato dall'esercito d'Italia, s'era schierato dalla parte 
opposta verso SoUiés e Lavaletta. Però 1' uno era 
distante dall'altro in modo che appena gli avamposti 



(1) Pubblico i loro nomi a titolo di onore , perchè il 
coraggio onora qualunque causa: Felice Renner, Giosuè 
Ruggiero, Ferdinando Schkotnigg, Raffaele Bordini, Pa- 
squale Bianco , Emman. Palenzia, Ferdinando Gazman, 
Carlo Parson, Frane. Beaumont , Giovanni Capparelli , 
Michele Lauretani, Carlo Rodriquez, Frane. Saverio Lit- 
ters, Giacomo Haubely, G. Marco Ritacci, Gennaro lauch, 
Paolo Pisani, Guglielmo Vernier. Ciiiesero altresì di es- 
sere ammessi al corpo di spedizione i cadetti Giosuè di 
Ruggiero, e Giuseppe Cassetta. Oltre i docum^iti da me 
consultati si leggano quelli pubblicati dal giornale La 
Lega del Bene, da cui ho attinto questi particolari. 



— 163 — 

si vedevano; né eran molto in forze, poiché in tutto 
formavano 12 mila uomini. 

Il presidio della città composto di tutte le forze 
alleate ascendeva circa a quindicimila, la piazza ben 
munita, perfezionate le difese, armati i forti, special- 
mente quello dell' Equii) ette, posto all'estremità del 
promontorio, che chiudeva la rada interna, e deno- 
minato dagli Inglesi la Piccola Gibilterra (1). 

Cartaux e Lapoype, Generali francesi , disperava- 
no della loro impresa , e pensavano di ripiegare di 
là dalla Duranza, quando Doppet è sostituito al pri- 
mo, poi questi da Dugommier, il quale coi ventotto 
a trentamila uomini che guidava ebbe ordine dal 
governo di riprendere ad ogni costo Tolone. 

I francesi da levante e da ponente stringono Tasse- 
dio. All'alba del 10 ottobre costringono gli assediati ad 
abbandonare una trincera del forte Faron. Tre colonne 
muovono dalla piana a sloggiameli. La prima d'in- 
glesi, piemontesi, e cento uomini del Reggimento Bor- 
j,^ogna, comandata da Lord Malgrave, si avanzò' sulle 
difficili alture situandosi al centro. La seconda, forte 
di un battaglione di granatieri del Reggimento Re, 
di un Reggimento spagnuolo e di pochi piemontesi, 
si divise In due : V ala diritta guidata dal Principe 
Pignatelli, la sinistra dal Brigadiere Izquerda, diven- 
nero, a loro volta, la sinistra e la diritta del centro. 
Si corre bravamente all' assalto e dopo un' ora di 
combattimento i francesi sono costretti a lasciare il 

(1^ Thiers, (voi. Ili pag. 128j fa ascendere ad 8000 i 
napoletani e gli spagnuoli. S3guo il racconto di questo 
illustre storico, salvo i particolari dei documenti ufficiali 
dell' epoca, che egli non ha avuto sott' occhio , i quali 
fiono stati pubblicati dalla Lega del Bene innanzi in- 
dicata. 



— 164 - 

ridotto. I napoletani alla prima prova si condussero 
con slancio e bravura. Furono i primi ad arrivare 
sul posto da cui era scacciato il nemico , e riscos- 
sero lode dai duci stranieri. Il Pignatelli, il colon- 
nello Serrano, l'aiutante Conte Salluzzi, i capitani 
del Reggimento Re, e il 2° tenente del Balzo de* Du- 
chi di Presenzano che riportò leggera ferita, sosten- 
nero con onore il nome e la bandiera napoletana. 
S'ebbero a deplorare poche perdite : un granatiere 
morto e cinque o sei soldati feriti. 

Nelle prime ore del 14 ottobre tutta la guarnigione 
formata in tre colonne scacciò il nemico dalle alture 
del forte di Malbosquet (1). Quella del centro formata 
di quattrocento soldati napoletani e guidata dal Pi- 
gnatelli si condusse bene. Il suo capo riportò lieve 
contusione al ginocchio. La notte poi il Reggimento 
Borgogna, comandato dal Capitano Moreno, impegnò 
vivo fuoco con le truppe del generale Gordon, ma il 
numero superiore dei nemici lo costrinse a ritirarsi. 
Accorsero a sostenerlo circa tremila uomini, dei quali 
un terzo di napoletani col Pignatelli, e 300 canno- 
nieri di marina anche nostri, comandati dal Tenente 
Colonnello Minrchini. I francesi furono respinti; l'Ar- 
tiglieria napoletana die prova di perizia e di ardi- 
mento; situò in luoghi difficili i suoi pezzi, fulminò 
con tiri aggiustati la cavalleria e fanteria nemica ; 
le fé piegare. Gli ufflziali napoletani comandarono gli 
alleati; si distinsero i tenenti di vascello Carlo De 
Cosa , Carlo Vicugna , Giuseppe Correale , V Alfiere 
Staiti. Ai nostri , per la buona prova , furono dati 
tutti i pezzi presi al nemico, e fu affidata una bat- 
teria galleggiante con quattro cannoni da 36 desti- 
nata ad operare lungo la spiaggia. 



(1) Le relazioni u£&ciali napoletane scrivono : Malbu.- 
sqnet. 



— 165 — 

Furono generalmente riconosciute la celerità del 
tiro e la bontà delle armi della fanteria napoleta^ 
na (1). 

Il 15 novembre inglesi e napoletani slanciandosi 
dai parapetti delle batterie respingono forti colonne 
nemiche che erano penetrate nel campo di Balaque 
difeso da 2000 alleati (2). 

Si acquistaron buon nome in questa mischia i sol- 
dati e gli ufflziali, specialmente gli Alfieri del Reggi- 
mento Borgogna Diez e Correrà, Tschoudy del Real 
Napoli. Ne minore i settecento guidati dal Miche- 
roux, tra i quali molti di marina, che furono portati 
al fuoco dai Colonnelli Serrao e Minichini, nonché 
un' altra colonna di mille uomini con a capo il Pi- 
gnatelli, che respinse la notte del 26 novembre un 
fortissimo assalto dato al forte Malbosquet. Il bat- 

(1) In una relazione e supplica del Maggiore di Brigata 
D. Pietro Decobar ad Acton scritta da Tolone in data 
del 20 novembre è detto: *^ Il nostro armamento ha fatto 
" una ottima riuscita, la nostra truppa riporta maggiori 
" vantaggi di tutte le altre, stanteche tirano tre volte prima 
" che l'altre ne tirino uno „... E poi : " ....alcuni soldati 
" hanno tirato sino a centoventi tiri senza mai mancarli 
" il proprio fucile ed in brevissimo tempo... „ (Documento 
pubblicato dalla Lega del Bene^ Anno I, a. 6). 

Aggiungo che alla bontà delle armi e del tiro, nonché 
del materiale di artiglieria aveano contribuito i Regola- 
menti promulgati a firma di Acton il 19 febbraio 1793. 

Le armi da fuoco erano di ques<-e dimensioni: 

Fucili di fanteria, lunghezza delle canne, pulgate 33, 
linee 4; carabine di cacciatori, 34, 1; di cavalieri i 21; pi- 
stola per gli uffìziali 8, 11; pei soldati 8, 11. 

Copie di questi regolamenti si conservano alla Bibblìo- 
teca Nazionale di Napoli dove li ho consultati. 

(2) Non garentisco se il nome del forte è scritto esatta- 
mente. 



- 166 — 

taglione di marina si distinse per fermezza e valore, 
e tra gli ufflziali di fanteria Jacquet, Reggio e Blasi 
del Real Macedonia, Power del Reggimento Re. Il 
tenente Scix con otto granatieri resistette per lunga 
pezza contro uno stuolo nemico, salvò i suoi feriti. 
Ma Tolone dovea cadere, se non per forza sola 
dei nemici, pei primi lampi del genio di Bonaparte, 
allora ignoto ufficiale di artiglieria. Al 30 novembre 
fu fatto prigioniero il generale delle truppe alleate 
O'Hara; lo che produsse scoraggiamento fra esse, e 
maturò il piano di assalto proposto da Bonaparte al 
Dugommier, che consisteva nel forzare ed occupare 
il forte deirEquillette. Nei giorni 13, 14 e 15 dicem- 
bre un vivo fuoco di artiglieria fulminò i forti ; gli 
alleati ripiegano sui posti avanzati. La notte del 16 
i francesi vanno all'assalto, gli alleati sgombrano i 
forti Malgrave, S. Luigi, Balaguer. La mattina del 

17 il battaglione di marina napoletano arresta per 
poco i successi del nemico. A mezzanotte del giorno 

18 è attaccato TEquillette, simultaneamente il forte 
Faron. L'azione diviene generale ; scoppia frattanto 
un terribile temporale che però non arresta la foga 
dei nemici ed i forti cadono. Lo stesso giorno fra 
terribile confusione e disordine gli alleati sgombra- 
rono Tolone (1). 

L'imbarco delle truppe fu eseguito con celerità e 
destrezza, ad onta che si sentisse fra esse il grido: 
« si salvi chi può » (2). Il Forteguerri e la marina 
napoletana non mancarono, in quelle strette, al de- 



(1) Le relazioni uffìciali pabblioate dal governo non 
concordano in qualche punto con la narrazione di Adolfo 
Thiers. Q.aesti fa dare l' assalto dei forti nella notte del 
18 quelle il giorno Ì7. 

(2) Documenti pubblicati dalla Ze^ci del Bene, Anno I,n.6. 



— 167 - 

bito loro, e la mattina del 19 mentre la flotta francese 
per vendetta dei vinti, ardeva nell'arsenale, le squa- 
dre degli alleati prendevano il largo. La napoletana 
si diresse alla Spezia, seco traendo, meschino trofeo, 
un legno francese, la Gabàre^ e trasportando parec- 
chi realisti fuggitivi da Tolone (1). Verso Capo Corso 
s* incontrò con la fregata Sibilla. Era questa carica 
delle ultime truppe napoletane, le quali, come ho 
detto, col De Gambs si recavano a Tolone, ma fatta 
consapevole dal disastro, cangiò rotta, e di conserva 
gettarono Tancora nel Golfo di Spezia. 

Scarso fu Tenore acquistato, gravissime le perdite 
in uomini, materiali, fornimenti di guerra. All' ap- 
pello mancarono 780 soldati , che nella confusione 
dell'imbarco non salirono sollecitamente a bordo, e 
con essi gli ufflziali Capano , Sersale e Tilf. In po- 
tere del nemico restarono tutti i magazzini e quin- 
dici pezzi di cannoni. 

11 Forteguerri spedi il brigantino lo Sparviero 
in cerca de* mancanti soldati , supponendo che si 
fossero imbarcati sulla flotta inglese. Sia pel cattivo 
tempo, sia per attendere questo legno, la squadra 
tutta non arrivò prima del 2 febbraio 1794 in Na- 
poli. Allora si contarono con precisione i morti, i 
feriti, i prigionieri. Duecento tra i primi ; qnattro- 
cento gli ultimi. Cavalli, viveri, arredi, la cassa mi- 
litare, tutto era perduto. 

Grande fu la disillusione del governo e del popolo. 
La lontananza aveva ingranditi i fatti, date propor- 
zioni esagerate al valore dei nostri ed ai successi 
degli alleati. 



(1) MaruUi scrive: Gahara italianizzando il francese Ga- 
hdre. Questa nave fu poi. dal governo napoletano denomi- 
nata Lampreda. Botta invece dice che i napoletani pre- 
darono un brigantino ^Imbroglio, 



— 168 — 

Ma mentre la Corte seguiva con grande attenzione 
ed interesse gli avvenimenti di Tolone le pervenne 
la nuova della tragica fine di Maria Antonietta (1). 
La Regina parve impazzire di dolore, e diventò, giu- 
stamente, più che noi fosse, furiosa contro i francesi, 
ed i loro fautori, maggiormente sospettosa dei libe- 
rali. I cortigiani e V Acton sfruttavano abilmente il 
dolore delFanimo suo e quello del Re. Era la Regina 
in uno stato di avanzata gravidanza e sofferente 
ancora di grave malore che Tavea colta negli anni 
precedenti (2). Però senza pericolo si sgravò il 2 



(1) Maria Antonietta andò al patibolo il 5 agosto 1793, 
ma il governo napoletano o ne apprese la morte troppo 
tardi o volle ufficialmente dissimularla, perchè solamente 
circa due mesi dopo la Corte ordinò e preseli lutto, come 
si rileva dal seguente documento {inedito) tratto dal re- 
gistro dei dispacci del Reggente della Vicaria : 

" 7 ottobre 1793. Per la infelice morte della «Regina di 
" Francia Maria Antonietta d'Austria Cognata del Re N. S. 
^ ha risoluta la Maestà S. di vestirne il lutto per quattro 
" mesi da principiare domani 8 corrente cioè ne' primi 
" due mesi rigoroso e ne' rimanenti leggiero. Lo parte- 
" cipo, ecc. ecc. " Carlo de Marco „ 

(2) Forse la notizia della morte di Maria Antonietta si 
tenne per alcun tempo celata, atteso lo stato di salute 
e la gravidanza della Regina. Essa superò la forza del 
male che l'ayea colta negli anni precedenti respirando 
l' aria del Vomere dove abitò la Villa di Francesco Ma- 
ria Carafa Principe di Belvedere , e per le cure dei me- 
dici Quaglia, Petagna e del celebre Domenico Cirillo. Per 
la guarigione furono pubblicate anacreontiche e sonetti; 
ed alludendo forse al Cirillo una di essa diceva: 

Tutto spiegò il potere 
Genio de' Regni amico 
Tutto impiegò il potere 
La G^an Minerva alior. 



— 169 — 

dicembre di un'altra Principessa , e se ad onta del 
lutto leggero, vi furono le solite gale e cerimonie, 
e luminarie, non allietarono esse certamente i RR. 
di Napoli , che vedevano grosse nubi e minacciose 
avanzarsi suirorizzonte del Regno. 

CAPITOLO DECIMOPRIMO. 



SoMMABio. — Gli emigrati di Tolone in Napoli. II Conte 
Mondet. Soccorsi. I governatori dei Pellegrini. I di- 
scorsi degli emigrati. I partiti in-Franoia. La paura. 
I medici e la polizia. La denunzia di Pietro de -Falco. 
La Giunta di Stato. Palmieri , Vanni, Cito , Bisogni, 
Potenza. Le spese della polizia. Documenti inediti. Le 
denunzie dalle Provincie. Documenti inediti. La ma- 
scherata a Pozzuoli. Le congiure di Palermo e di To- 
rino. Tommaso Amato. Relazione autentica ed inedita 
della Compagnia di S. Maria Succurre Miserie, Tre 
giorni in Cappella. IL corteggio funebre. L* esecuzione 
di Tommaso Amato. Errore giudiziario. Stato di mente 
di Tommaso Amato. Terremoti di Calabria, di Sicilia, 
di Napoli. Eruzione del Yesuyio. I ladri. 



Con la squadra napoletana sbarcarono circa quat- 
trocento francesi, postisi in salvo per sottrarsi al- 
l'ira dei repubblicani vincitori. Era con essi il Ge- 
nerale Conte Moudet, già comandante quella piazza, 
per la repubblica , e poi uno dei più attivi fautori 
della reddizione agli Inglesi. 

Il governo napoletano accolse umanamente i pro- 
fughi partigiani della monarchia ; distribuì soccorsi 
ai bisognosi, seimila ducati annui posero a loro di- 
sposizione i Governatori della Chiesa della Trinità 



— 170 — 

dei Pellegrini (1). I più noti furono ricevuti a Corte. 

I discorsi di quei fuorusciti sullo stato dei partiti 
in Francia accrebbero lo spavento e ravversione per 
quel popolo, che nella immaginazione della gente lon- 
tana , semplice e superstiziosa , assumeva tutte le 
proporzioni di un mostro immane pascendosi di ca- 
daveri, dissetandosi di sangue. 

Gli atti di quel Governo , di quei partiti , dei 
personaggi più noti della rivoluzione, non mai visti 
al mondo, colpivano, più della mannaia. Non si trat- 
tava solo di reggimenti abbattuti , non di Re e Re- 
gine spenti , non di sedizioni militari e rivoluzione 
di popoli , pietre miliari di tutta la storia antica e 
moderna, ma di yn governo affatto nuovo surto dal 
seno delle conventicole, crudele, inesorabile come il 
destino, divoratore dei nemici, degli amici, dei com- 
plici, che uccideva i suoi generali vittoriosi all' an- 
nunzio di una sconfitta o di un sospettato tradimen- 
to , che avea cancellata la natura umana nelle sue 
più tenaci e profonde tendenze , la conservazione 
della vita, ed infusavi la indifferenza e la gioia della 
morte, al nome di patria e di libertà. 

Pochi uomini soli, impavidi contro gran parte della 
Francia e quasi tutta V Europa , ad un loro cenno 
ro vescia vansi gli eserciti ai confini, decisi pel suc- 
cesso per la morte. 11 loro piano di guerra: vince- 
re: gli ordini ai duci non sopravvivere alla sconfitta, 
per non lasciar la testa in mano del boia. 

Le loro idee non erano ristrette a liberare la Francia 
dai nemici, ma a rovesciare tutt'i troni di Europa. 
La legge dei sospetti fu elevata a ragione di Stato. 



(1) Deliberazione del 15 approvata con Regio Dispaccio 
del 27 aprile e rimesso da Àcton a Zurlo per 1* esecuzio- 
ne (Inedito). 



- 171 - 

Esempio funesto, imitato poi dai governi monarchici, 
e specialmente dal napoletano. 

E fu in questo anno del 1794 che la Corte di Na- 
poli sparse il primo sangue, levò i primi patiboli, tra- 
scinata dalla paura, dalle circostanze, dal furore. 

Il Medici e la sua polizia vegliavano e spiavano " 
attentamente. La Corte e 1' Acton cori le loro spie 
segrete aprirono ben presto l'adito ai gravi processi 
ed alle incancellabili pene. La paura è la peggiora 
consigliera ai governi; dà corpo alle ombre, per prove 
gVindizi i sospetti. E questa ingiganti neir animo 
della Regina, di Acton , del Re , per la denunzia di 
uno sciagurato medico Pietro De Falco. Rivelò costui 
prossimo e preparato scoppio di congiura , per dar 
fuoco all'arsenale, alla Dogana; e assalirsi la Regia 
e le case dei realisti più devoti. Fece il nome dei 
congiurati (1). 

Acton informò il Medici delle rivelazioni di quel 
tristo e gli commise d'inquirere con l'assistenza del 
Marchese Porcinari , Commissario nelle cause della 
Giunta di Stato, e del Gaporuota Giaquinto (2). 



(1) Il D'Ajala nelle vite di Galiani, De Deo e Vitalia- 
ni fa scoprire la congiura da tre delatori diversi cioè da 
un tal Paterino e dai fratelli Henzeler (pag. 210).Poi (pag. 
300) nomina come delatore un tal Biancardi e infine Do* 
nato Frongillo, come dice l'Arrighi. 

(2) Ecco il documenlo (inedito) che ho rinvenuto nei 
Dispacci del Reggente della Vicaria: 

" 2o marzo 1794. Trovandosi il Re di aver commessa a 
" V. S. 1. le ricerche e le informazioni sopra una denun- 
" eia relativa ad affari di Stato, ha la M. S. risoluto che 
" tali ricerche ed informazioni si continuino con V assi- 
" stanza del M. Porcinari Commissario delle cause nelle 
'* Giunte di Stato, e del Gaporuota della Gran Corte Gia- 
" quinto. '* Acton „ 



— 172 — 

La Giunta si componeva del Mèdici , Presidente : 
Fiscale Basilio Palmieri ; Consiglieri : Vanni, Cito, 
Bisogni, Potenza. Ma la inquisizione ed il processo 
fu affidata al Presidente e a due nuovi consiglieri (1). 
E costoro con celerità meravigliosa se ne sbrigarono, 
tanto chiara e limpida dovette parer loro la colpa, 
e ad horas fu decretato un premio considerevole per 
le spie ed i prezzolati testimoni della polizia e della 
Giunta di Stato (2), come si rileva dal seguente do- 



(1) Il Colletta, il MaruUi, il D'Ajala cadono in errore 
su i componenti la Giunta. 

(2) È necessario notare le varie opinioni degli scrittori 
su questi avvenimenti. Il punto più controverso è se ef- 
fettivamente si fosse ordita una congiura. Il Coco (p. 28) 
crede a delitto di parole e di pensiero, non di fatti o di 
opere. Il Botta (lib. IV, p. 96) ripete la voce corsa che 
quella congiura dovea cambiare il governo e promuovere 
una rivoluzione. Il Colletta (lib. III. p. 80/ conformemente 
al Coco, crede che le colpe apposte non erano che voti, 
discorsi, speranze. Però si contraddice scrivendo: " Pietro 
de Falco corpo ed anima della congiura, fellone, alla setta, 
e svelatore dei settarii „. Dal che risulterebbe che vi fa 
una congiura, come vi era una setta e i settari (pag. 80). 
Il D'Ajala nelle Vite accennate, tra le molte inesattezze, 
segue però il Coco nell'apprezzamento delle volute colpe, 
ma riporta, contraddicendosi, una testimonianza, cioè una 
lettera dell* Abate Troyse scritta al noto Vescovo di Pi- 
stoia Scipione de Ricci. TI Troyse, che mori poi nel 1799 
sul patibolo, scriveva al Ricci: " Il complotto qui disco- 
** porto il 26 marzo non dev'esserle ignoto. Si tentava di 
" realizzare le opinioni dello Spedalieri (il noto filosofo 
" siciliano) e di rendere Napoli una nuova Parigi „. Ma 
da chi aveva appreso il Troyse ciò che si tramava ? 

È inutile dire che il Sacchinelli (pag. 41) dà per certa 
la congiura ; e il Marnili (pag. 76) e il Cacciatore (Voi. 
I, pag. 10, 11) non fanno che copiarlo. H Marnili aggiun- 



— 173 — 

cumento : « Ha risoluto e comanda il Re che si pas- 
ce sino a V. S. I. ducati 2000 per erogarsi nelle spese 
« necessarie per gratificazioni da distribuirsi alla 
« gente impiegata dai tre Ministri delegati neir in- 
« quisizioni delle note denunzie (1) ». 

Era il prezzo del sangue e della libertà altrui. Cin- 
quantadue cittadini furono arrestati ; altri presero 
la fuga. • I rigori della polizia crebbero ; il paese fu 
in preda ad ansie e timori non mai provati. Sulla 
sorte degl'infelici si serbava il più profondo silenzio, 
divieto espresso alle famiglie di visitarli, correvano 
voci le più inverosimili, e le denunzie si moltiplica- 



ge però che in quei giorni presentossi alla Beggia un 
frate cappuccino e chiese di parlare al Ee. Destatisi dei 
sospetti fu arrestato e lo si trovò armato. Interrogato 
non volle dire il suo nome e si lasciò volontariamente 
morir di fame. Questa storiella, che nalla per altro pro- 
verebbe, è dal Marnili tratta dalla anonima ^ Storia del« 
r anno 1794 „ stampata in Venezia. Né nella corrispon- 
denza del Reggente vi è traccia di questo fatto. 

L*Ulloa, finalmente (pag. 82) segue il Sacchinelli: dice 
che la congiura di Napoli fu sooverta contemporanea- 
mente ad un*altra in Reggio, la quale volea dare quella 
città ai francesi. Ma il Sacchinelli (pag. 41) scrive che 
la congiura di Reggio fu scoperta nel 1798. 

Era in corso di stampa questo libro quando uno scrit- 
tore di cose patrie, il Sig. Cesare Morisani di Reggio, mi 
ha detto che sta ricercando documenti ed appurando i 
fatti di Reggio, e propriamente l'uccisione del Governa- 
tore G-enerale Pinelli, e la condanna di cinquanta persone, 
giudicate dal famoso Angelo di Fiore. 

Però di questa congiura di Reggio io non ho trovato 
documenti al Grande Archivio, e tutti gl'indizii la ripor- 
tano all'anno 1798, e non già al 1793. 

(1) Dispaccio del 27 marzo 1794 di Acton al Reggente 
della Vicaria (IneditoJ, 



— 174 - 

vano, poiché esse solo aprivano l'arringo ai favori ed 
ai premi e si ordinavano istruzioni flnanco sopra ri- 
corsi anonimi (1). Né minor turbamento morale s'era 
infiltrato nelle Provincie, dove erano prese di mira 
specialmente le famiglie ricche (2). 



(1) Dispaccio di Actcn al Eeggente: " 3 maggio. Gl'in- 
" elusi 12 ricorsi anonimi circa il Giacobinismo esistente 
^^ nella Capitale e nel Begno mi comanda il Re di rimet- 
" tere a V. S. affinchè Ella e gli altri due inquisitori 
" su le attuali materie ne faccino V uso conveniente. 
Aden. (Dai Registri del Reggente. Inedito), 

(2) " 3 maggio. L'annesso ricorso di uà fedele Vassallo 
" della Terra di Accadia contiene notizie circa il Giaoo- 
^^ binismo esistente in Terra di Monteleone, Ariano, Mon- 
" tecalvo ed in* altri luoghi. Vi si nominano i capi e-il 
^^ Carteggio. E chi denunzia dice di essere nella Unione 
" di costoro, di aver portato i plichi e di tenere le copie. 
^ 11 R%in vista mi comanda di trasmettere tale ricorso 
" a V. S. affinchè Ella e gli altri due della Giunta di 
" Stato ne facciano l'uso conveniente. " Acton. 

(Idem. Inedito) 

'•^ A 3 detto. Gennaro Niesta della Terra di Casignana 
" in Provincia di Calabria Ultra espone con supplica au- 
" tenticata da Notare che nella Terra di Siderno vi è la 
" famiglia di Girolamo Correale del qxi. Francesco Anto- 
^^ nio , la quale con altre sue aderenze come quelle di 
^^ Cacciano e di Bello abusando della loro ricchézza le 
" impiegano contro il Re in soccorso de' francesi coi quali 
'•'' hanno continuo carteggio e mantengono non di rado 
^^ delle Masoniche conventicole, che in ciò sono complici 
" il Barone di S. Agata D. Vincenzo Franco , uomo ric- 
^' chissimo ma di pravi talenti , e che le dette famiglie 
^^ hanno appuntata una generale ribellione in Siderno ed 
" a S. Agata, a Precacore pe' 4 delFentrante mese di giù- 
" gno, e di gridare : Viva la libertà, 

^^ Il supplicante chiede che un Ministro dell' udienza 



— 175 — 

Le quali abiette calunnie accrescevano il panico 
del governo, che in ogni viaggiatore vedeva un con- 
giurato, ed arrestava alcuni calderai, reduci da Li- 
vorno per la Basilicata loro patria, e TActon scriveva 
al Reggente che costoro, per ragion del mestiere gi- 
rovago, erano stati incaricati dagli emissari francesi 
a spargere nel Regno « massime incendiarie » (1). 

A Pozzuoli si era progettata una mascherata si- 
mulante un combattimento tra francesi ed imperiali. 
Subitamente fu dato ordine a quel governatore D. Raf- 
faele Capomazza di proibirla (2). 

In brevi intervalli sopraggiunsero notizie della con- 
giura del de Blasi a Palermo e del Barolo a Torino 
dei casi di Sardegna, e poi Napoli fu a rumore, il 
terrore fu al colmo, ed un nome corse di bocca in 
bocca e spai'se un allarme non mai visto, il nome di 
Tommaso Amato (3). 



" di Catanzaro vada a verifìcare l'esposto con sorprendere 
" improvvisamente le case dei suddetti individui senza 
'•^ però chiamare esso supplicante a verificare questa sup- 
^^ plica, o a dare il foglio de' lumi giacché egli negherà 
*^ per timore di essere ucciso dai denunciati. 

" S. M. in vista mi ha comandato di trasmettere tale 
" s applica al Presidente di Catanzaro affinchè egli pro- 
" curi di appurare lo esposto, e trovandolo vero, dia quelle 
" pronte provvidenze che convengono alla pubblica tran- 
^ quillità e ne renda conto per le ulteriori sovrane rìso- 
^' luzioni. „ Acton, 

(Idem. Inedito). 

(1) Dispacci del 4 e 9 maggio 1794 di Acton al Reg- 
gente. [Inediti), 

(2) Dispaccio di Acton al Reggente {Inedito). 

(8) Per la congiura di Palermo oltre gli storici Colletta 
e Botta eco. vedi d* Ajala nella Vita di F. Paolo De Blasi 



— 176 - 

Il giorno 11 maggio, era di domenica, nell'affollata 
chiesa del Carmine maggiore un giovane, poi si seppe 
chiamarsi Tommaso Amato , cominciò da pazzo a 
profferire bestemmie orrende contro Dio e contro il 
Re , a gridare contro il mal governo eccitando gli 
astanti ad insorgere. Disse e nominò persone del go- 
verno che aderivano alle sue massime, ed avrebbero 
garentito chi si fosse ribellato (1). 

Il meschino fu preso, consegnato alle guardie, defe- 
rito alla Giunta di Stato come reo di lesa maestà di- 
vina ed umana, e in men di tre giorni condannato a 
morte (2). 

La sera del 14 maggio il Reggente della Vicaria 
mandò pel padre Governatore della Compagnia di S. 
Maria Succurre Miseris , dedita alla pia opera di 
assistere i condannati a morte fin sulle scale del pa- 
tibolo (3). . 



(pag. 139) Per quella di Torino e per la sollevazione della 
Sardegna vedi Coppi (voi. 1 pag, 179, 180, 181), il quale 
trasse le notizie dall'Azuni, dal Denina, e dal Nougaret. 

(1) IL Colletta dice erroneamente ohe il fatto successe 
il 13 giugno. Il Marinelli {MS, che si conserva nella Bi- 
hlioteca nazionale^ segna il giorno 11, la qual data ò con- 
fermata dai documenti nuovi ed inediti da me consultati 
che riassumo e pubblico appresso. 

In quanto alle parole profferite nella Chiesa dall' infe- 
lice Tommaso Amato , le ho riportate letteralmente dal 
MS. del Marinelli (pag. 338) e dal Colletta^ il quale con 
la solita magniloquenza dice: " profferì a voce alta bestem- 
mie orrende contro Dio e contro il Re f^ le quali parole 
non danno esatto tutte il senso delle declamazioni del po- 
vero Tommaso Amato, che non avea il cervello a postò. 
. (2J La condanna fu emessa il giorno 18. 

(3) Avverto che la narrazione che segue è stata da me 
compilata sul Begistro della Compagnia di S. Maria iSuc- 



— 177 — 

Il p. Grovernatore credette non fosse conveniente 
per lui l'andarvi, e delegò il Procurator Generale 
Monsignor d'Ambrosio Vescovo di Caìazzo, il quale 
vi si recò accompagnato da un altro padre. 11 Reg- 
gente li accolse con sommo rispetto, e descrivendo il 
delitto di cui si era reso colpevole il d'Amato, giu- 
stificò la condotta della Giunta di Stato, la quale in 
soli due giorni lo avea condannato a morte, prescri- 
vendo doversi eseguire la sentenza dopo dodici ore. 
La qual procedura abbreviata era stata dal Re mo- 
dificata, e concesso all'infelice il tempo solito, affin- 
chè la Compagnia avesse potuto compiere gli atti 
del suo ministero. Disse che in quanto al modo di 
condurre al patibolo quell'esecrando bestemmiatore 
« se con la bocca libera o col mordacchie », se ne 
rimetteva al giudizio dei padri. Scrisse quindi la 
lettera d'invito alla Compagnia, e la consegnò ai due 
inviati. Costoro tornarono presso .il Governatore, e 
fu tutto disposto per l'assistenza. 

Il caso era;nuovo e straordinario: le bestemmie di 
quel matto aveano non solo impressionate la fanta- 
sia e la coscienza del pubblico superstizioso, ma be- 
nanche quelle di quei buoni padri, che prestamente 
si dettero a girar per le vie, a raccoglier limosino, 
raddoppiarono le funzioni sacre, e in tutte le chiese, 
specialmente in quelle delle Romite di Suor Orsola 



curre Miserisi documento autentico e veritiero che viene 
per la prima volta alla luce, e di cui pubblico de' brani 
testuali. La Compagnia è detta volgarmente dei Bianchi 
Essa esiste tuttavia in Napoli. Per altre notizie vedi 
l'altro volume di questa Biblioteca Storica : Napoli nel 
1799. Stamperia de Falco Napoli 1886. 

Comporti ^2 



— 178 — 
Benincasa e delle Trentatrèy incominciaronsi tridui 
e preci (1). 

Le coppie dei padri destinate per l'assistenza, si 
recarono il giorno stesso al Castello del Carmine e 
« trovarono il condannato frenato con ceppi e ma- 
« nette; e per la sua ferocia custodito sempre intorno 
« da quattro persone. Procurarono da quel momen- 
« to e per lo spazio di quattro ore che vi si trat- 
« tennero di mettere in opera ogni mezzo efficace 
« per convincerlo , ma né dolci persuasive né mi- 
« nacce spaventevoli della Divina Giustizia, ne pre- 
« ghiere, né correzioni furono valevoli ad arrestarlo 
a dal bestemmiare, dal negar Dio, e Fede, e dal di- 
« spregiare anche con atti la gran Madre di Dio 
« ed i Santi, onde per venerazione i PP. ordinarono 
« che subito si coprissero il Crocifisso e le sacre 
« immagini della Cappella. 

« Finalmente stanchi ed atterriti ritornarono in 
« Compagnia raccontando con sommo dolore al P. 
A Governatore lo stato di quel misero divenuto uomo 
« inconseguente, traviato dal veleno dei Giacobini 
« Francesi, e la non riuscita sua conversione usato 
« avendo tutti gli sforzi ». 

La costernazione dei pp. fu grande. Inviarono 
prestamente il p. Cappellano ad informare il Reg- 
gente dell'accaduto rimettendo a lui, cui spettava il 
mantenimento del buon ordine , il determinare se 
dovesse il reo condursi al supplizio con la bocca li- 
bera o imbavagliata. Quindi il p. Governatore recossi 
presso il Cardinale Arcivescovo Zurlo chiedendo che 
fosse accordato il permesso della confessione ai fra- 
telli che non l'avessero, nel caso venissero richiesti 



(1) Le Trentatrè erano le suore del Eitiro di S. Vincen- 
zo delle Cappuccine. 



— 179 — 
dal paziente; e destinato uno di essi « per esorciz- 
« zare privatamente il nominato paziente nel dubbio 
« che fosse ossesso ». Finalmente che si degnasse il 
Cardinale, recarsi alla Cappella, sperandosi che 'per 
tanta grazia fosse compunto Timpenitente e si con- 
vertisse. Il Cardinale concesse tutto. 

Dal mattino del giorno 15 le coppie dei fratelli si 
erano alternate presso l'infelice, che rimase sempre 
legato e con la guardia di più persone. Vane toma- 
reno le preghiere e le esortazioni, perchè egli con- 
tinuò a profferire « un complesso continuo di orri- 
« bili bestemmie e parole oscene ed injBne la prote- 
« sta che quanto avessero detto o fatto tutto sarebbe 
« stato una perdita di tempo ». 

Queste scene accadevano con le porte della Cap- 
pella spalancate, sicché quei padri pensarono di farle 
chiudere, onde si evitasse lo scandalo e la distra- 
zione delle persone ammesse nella Chiesa. Lo che fu 
eseguito; e per maggior sicurezza il condannato ven- 
ne ligato con funi alla sedia, e la sedia inchiodata 
al muro. 

Segui quindi strana e lugubre funzione. 11 padre 
destinato agli esorcismi vestì sollecito e di soppiatto 
la stola, e rapidamente recitò la formòla del rituale 
« senza che il paziente se ne avvertisse » e si di- 
stinguesse « alcun segno di ossesso ». 

Opera da Medio-Evo, che non die frutto; ma per 
l'esito negativo accrebbe la persuasione che il D' A- 
mato fosse un ostinato ribaldo. 

Erano le ore 2 li2 quando fra due fitte file di po- 
polo giunse la vettura col Cardinale, il p. Governa- 
tore e due altri padri, i quali prestamente si reca- 
rono alla Cappella. 

Vane riuscirono le persuasive; il D'Amato non smi- 
se dal « proflferire gl'infernali consueti detti. Final- 



- 180 — 

« mente ad alta voce intimatagli Teterna dannazic- 
« ne se non avesse deposta l'ostinatezza, colmo di 
« orrore e pietà, usci dalla Cappella rEminentissimo 
« conducendosi in Compagnia ». Tutto il giorno con- 
tinuarono le declamazioni scandalose del paziente, 
sicché, Ad evitare che l'udissero i pp. del monistero 
del Carmine, e quanti erano colà, fu dai custodi « fre- 
« nata la sua bocca con un leggiero mordacchie che 
« non impediva di farsi capire parlando vicino ». 

Cosi quell'uomo disgraziato fu martoriato come una 
belva cui si metta la museruola! 

Ma il duro strazio si avvicinava al suo termine. 
« Il Sabato di buon'ora andò la prima coppia e l'o- 
(( stinato Tomaso pareva in nulla rimesso confortan- 
« dolo uno dei PP. Ascoltate tante salutevoli ammo- 
« nizioni cominciò quello a deporre in parte il fu- 
« rore. In seguito risolutamente disse di volersi con- 
« fessare. Allora con lagrime di tenerezza vieppiù 
« s'impegnò il nostro fratello a disporlo ed animarlo 
« talché die principio alla sua confessione, la quale 
« al meglio interruppe, replicando di nuovo com- 
« messi eccessi. Stupì il fratello dell'inaspettato can- 
ee giamentoe procurò rimetterlo per l'intrapreso cam- 
« mino. Non fu quel disgraziato di molto restio, che 
« anzi seppe confessarsi e dimostrarsi compunto 
« chiedendo subito con premura la S. Comunione, 
« ma nel sentire dal nostro fratello che gli sarebbe 
« stata approntata più tardi purché intanto disponen- 
« dosi a riceverla degnamente avesse dato sicuri se- 
« gni di espiazione, non sapendo più fingere, pieno di 
« rabbia, palesò V enorme delitto sagrilego che me- 
« ditava commettere se non veniva impedito, cioè 
« quello di stringere fra le labbra l'ostia sacrosanta 
« per sputacchiarla a terra e calpestarla. Tanta em- 
« pietà non può trascriversi senza che il braccio 
« tremi, né leggersi senza inorridire. 



— 181 — 

« Da questo punto restò maggiormente ostinato; 
a mentre negava Dio punitore dei malvagi, con som- 
« ma stravaganza desiderava la pena stabilita, poi- 
« che diceva di esser contento di andare all'In- 
« ferno » (1). 

Il patibolo erasi intanto levato, l'esecuzione sta- 
bilita per Torà 18 li2, e il Reggente pregò la Com- 
pagnia a trovarsi pronta. Una gran calca ingombrava 
le vie per le quali dovea muovere il corteo, e la 
gran piazza del Mercato era gremita, tanto che, per 
accordi presi col Generale Pignatelli, la Compagnia 
si recò alla Cappella passando pel chiostro del con- 
vento. 

Innanzi a Castel Capuano quelli che non aveano 
trovato un posto sulla via erano saliti sopra una gran 
terrazza in ferro messa sulla porta principale, e so- 
stenuta da due colonne. Le piccole terrazze, le fine- 
stre erano piene di curiosi, non attratti dalla novità 
del corteo, ma dalla singolare figura del condannato. 

Giunta che fu la Compagnia nella cappella , i pp. 
reputarono inutili e pericolose le cerimonie di con- 
forto, di abbraccio , di preci, mentre al paziente si 
ponevano i ceppi ai piedi ed ai polsi; sicché il cu- 
stode fece, senz'altro, entrare il carnefice , il quale 
gli mutò « il mordacchie leggiero con un altro più 
« gravoso, acciò non potesse affatto parlare; pure in 
« quell'atto non indugiò d' invocare T idolo dei suoi 
« errori ». 

Quindi a coro, ad alta voce furon recitati un pater, 
un'ave^ il credo, e fra un immenso susurro ed agita- 
zione di popolo le prime fila del corteo spuntarono 
sulla via del Carmine. 



(1) Questi brani testuali deirautentica narrazione del 
Registro della Compagnia rimasta finora inedita , dimo- 
strano pur troppo che Tommaso Amato era folle. 



— 182 - 

Il meschino imbavagliato , ligato in modo da non 
aver libero l'uso delle braccia e dei piedi , era tra- 
scinato , spettacolo orrido , ed insieme pietoso! Le 
coppie de' padri si davan la muta a lui dappresso , 
sforzandolo al pentimento, ma egli, « mentre rispon- 
« deva con muggito di bue dava ben chiari segni della 
« sua ostinazione ». 

Giunto il corteo presso Castel Capuano s' udì un 
enorme rumore misto a grida ed urli strazianti; poi 
si vide una fuga precipitosa, si levò un tumulto in- 
descrivibile. La terrazza ferrs^ta aveva ceduto al peso 
dei tanti curiosi, crollando, e trascinandoli nella ca- 
duta , sulla fitta calca che era al disotto. I soldati 
ed i birri del Reggente fecero fronte al panico del 
popolo, e poiché per lo ingombro dei rottami, il cor- 
teo erasi fermato, si dettero a sgomberare alla me- 
glio finche f ra i cadaveri, i lamenti dei feriti, il vo- 
cio immenso della calca, non potè aprirsi un pas- 
saggio avviandosi al Carmine. 

Presso la scala del patibolo in piazza del Mercato, 
il paziente fu sciolto; di nuovo, vanamente esortato 
a pentirsi, quando il padre che gli era vicino rivol- 
tosi al carnefice profferì breve sermone « in onore 
« della Santissima Triade, della Vergine, de'Santi » 
ed incitando col gesto e con la voce il popolo esal- 
tato, fra invocazioni , preci, grida e canti religiosi 
giustizia fu fatta (1). 11 cadavere non ebbe inii cri- 
stiana sepoltura; gli fu strappata la lingua con una 



(1) I brevi cenni del Marinelli {MS. citato) concordano 
con la narrazione del Registro della Compagnia. Il Marinelli 
scrive: "Fu strascinato con legno in bocca al patibolo 
" che stava situato al Mercato di Napoli, affonato, tirata 
" la lingua con tenaglia, troncata la testa , e poi tutto 
" bruciato, la di cui polvere buttata al vento.,, (pag. 338). 



— 183 — 

tenaglia, poi fu bruciato, e le ceneri sparse al vento (1). 

Dopo alquanti giorni corse rapidamente per la città 
la nuova che il Danero , Governatore di Messina , 
dava per matto il d' Amato , assicurando che ogni 
anno era in preda ad eccessi furiosi, e da poco fug- 
gito dalla casa di salute di quella città. Non altri- 
menti sullo stato mentale di lui avevano opinato , 
il Presidente della Giunta Cito, ed il marchese Po- 
tenza ; ma dal resto della Giunta e dal Governo si 
volle sangue , e si versò quello di un infelice inno- 
cente (2). 

La posterità ricordi questo errore giudiziario ef- 
fetto non d' ingannevoli indizi , o di architettate 
prove, ma di leggiero esame, di scosse ed impaurite 
coscienze di giudici e di governanti, di fanatismo re- 



(1) La data esatta deiresecuzione è il 17 maggio 1794. 
{RegÌ8tro della Compagnia, MS. del Marinelli). 

(2) Leggendo la relazione dei Padri della Compagnia 
si vede subito che le bestemmie e le incoerenze di quello 
infelice provenivano dall'alterate facoltà della mente. 

n Colletta (pag. 85) afiPerma che era matto. Ed anche 
cosi lo giudica l'abate Cuomo in un MS. Il Marinelli {MS. 
citato), non è di diversa opinione. 

Dal Registro della Compagnia si rilevano le seguenti 
notizie del giustiziato e famiglia : '^ Tommaso Amato 
^ Messinese, di età d'anni 37, non casato, non ha nò Pa- 
" dre né Madre; ha tre fratelli germani il primo chiamato 
^ Giuseppe , il secondo Placido , il terzo Luigi. Il solo 
" Giuseppe è casato. Della moglie non si conosce il no- 
" me, non ha figli. Tommaso tiene anche una sorella G«r- 
^' mana per nome Antonia la quale sta in un Conservato- 
^ rio di Verginelle in Messina. Ha ancora una zia e si 
" chiama Concetta Amato; sta in Napoli vedova di Vin- 
" cenzo Bordinaro, ha due figli uno maschio ed una fe- 
" mina, il maschio si chiama Antonio , la seconda Gio- 
" Vanna „. 



— 184 — 

ligioso e regio, poiché esso apri l'adito a maggiori, 
creando seri pericoli alla monarchia, ed il libro d'oro 
del martirio napoletano. 

Volge per necessità il racconto , ad altre sven- 
ture. In Calabria ed in Sicilia , ai primi dell'anno , 
una gagliardissima scossa di terremoto rinnovò le 
scene desolanti del 1783 , subissando comuni e vil- 
laggi. (1) Molti i morti ed i feriti, grande la miseria 
ed il lutto dei superstili. . 

In Napoli, nella notte del 12 Giugno , una scossa 
di tremuoto, preannunziata da rombo cupo e grave, 
indicò imminente eruzione del Vesuvio. Fuggirono 
tutti gli abitanti della città poste alle falde del monte, 
e al nuovo dì sulla cima fu visto un nugolo denso 
e nero. Crebbero a poco a poco la caligine, ed i boati 
sotterranei. Poi nella notte del 15 al 16, dopo uno 
scoppio formidabile , per la costa del monte river- 
sossi una fiumana di fuoco , che biforcandosi rapi- 
damente prima, lentamente dopo, si avanzava sulle 
città di Torre del Greco e di Resina. Giunse all'abita- 
to di Torre adequando la parte bassa all'alta, s'inoltrò 
nel mare^ il ricacciò indietro e dov'era acqua e spiag- 
gia divenne un banco di basalto largo un quarto di 
miglio , sporgente ventiquattro metri nel mare , ed 
alto sei dal livello. In Resina l'altra corrente si fer- 
mò alle prime case. Ma questa e quella procedendo 
per una larghezza di undici metri avean coperto 
cinquemila moggia di florido territorio, uccisi tren- 
tatrè persone e quattromila dugento animali (2). 



(1) Il 5 febbraio 1794. 

(2) Segue la. relazione del Colletta, e quella del celebre 
nostro naturalista l'abate Domenico Tata, nato in Cer- 
cepiccola il 28 novembre 1733, che lasciò molte opererei 
ebbe gran fama presso i più dotti naturalisti stranieri 
del suo tempo. 



— 185 — 

La cima conica del Vesuvio , era sprofondata e 
scomparsa, sì che la montagna di Somma il superava 
ora in altezza. Sopravvenne densa e bruna pioggia 
di cenere che avvolse la città in fitto tenebrie , in 
modo che il giorno parve, ai più, l'ultimo della vita. 
Ma spuntò il sole, e benché pallido e fosco infuse col 
suo raggio la speranza di sicura salvezza. 

La Corte, che insieme al ministro Acton, ai primi 
fenomeni era corsa al Campo di Sessa, tornò quando 
il pericolo era scomparso. Fece distribuire soccorsi 
per mitigare i danni della catastrofe, ai quali danni 
eransi aggiunte le malvagità di uomini perduti che 
sfidando la morte s'erano sparsi, come un branco di 
avvoltoi, sulle terre e le città flagellate, trafugando 
quel che loro venia alle mani, ed aggiungendo cosi 
al danno della natura , quello delle proprie cupi- 
digie (1). 

CAPITOLO DECIMOSECONDO. 

SoMMABio. — Avvenimenti milLtari dopo la presa di Tolo- 
ne. Alleanza tra T Austria e il Piemonte. Successi dei 
francesi. II Campo di Sessa. Le forze militari del Re- 
gno. Provvedimenti finanziari. I balzelli sul clero. Pro- 
getti e progettisti. Circolazione metallica de'Banchi. I 
processi dei rei di Stato ed i nostri . diplomatici all'E- 
stero. Dispacci Cineditt) del Marchese di Circello , del 
Marchese di Gallo, del cav.Bamette. La Giunta di Stato 
di Napoli. L'atto di accusa di Basilio Palmieri. La sen- 
tenza. Condanna a morte di De Deo , Galiani e Yita- 
liani. La relazione (inedita) del Registro di S. Maria 
Succurre Miseria, Nella Cappella. Il corteo funebre. In- 

(1) Nel Rtgiètro dei Dispacci del Reggente si fa cenno 
di organizzate compagnie di ladri che corsero a Torre 
del Greco e per quelle campagne a far bottino. 



— 186 — 

cidenti. La eseouziono innanzi al Castel nuovo. Tu- 
multo e schioppettate. Conseguenze. Morti e feriti. La 
condotta dei giustiziati. La Congiura. Opinione e giu- 
dizii. Gli altri condannati dalla Giunta di Stato. Di- 
spacci (inediti) del 12 e 18 ottobre 1794. La clemenza 
del Ee. 

Lo scacco di Tolone fece fallire le speranze delle 
potenze coalizzate contro la Francia. L' Austria ed 
il Piemonte conclusero in Valenziana un nuovo trat- 
tato col quale si convenne la divisione, in parti eguali 
delle possibili conquiste in Italia. I francesi, fiutato 
il patto, spinsero V esercito di Tolone a cominciare 
le ostilità. Violarono la neutralità di Genova, e dal 
Piccolo S. Bernardo insino alla costiera del Medi- 
terraneo, riuscirono vincitori in più scontri, minac- 
ciando il Milanese e il cuore del Piemonte (1). 

Il Re di Napoli, allarmato da questi successi del 
nemico, pose a campo ne' piani di Sessa venti bat- 
taglioni di fanteria, tredici squadroni di cavalleria, ed 
un reggimento di artiglieria. La Corte ed il Ministro 
Acton recayansi spesso fra quelle truppe per man- 
tenerle con la loro presenza in fede ed in entusiasmo. 

Poi, nei mesi di luglio ed Agosto, fu spedito in Lom- 
bardia per unirsi air esercito austriaco un corpo 
scelto di 2Ò00 cavalli (2). 

Le forze militari del Regno erano per nuova co- 



(1) Botta, lib. IV, pag. 84. 

(2) In quanto al numero delle truppe spedite in Lom- 
bardi vi è divergenza. Il Colletta ed il Marnili dicono tre 
Reggimenti; V uno però li fa ascendere a 2000 uomini , 
l'altro a 2400. Il Bianchini (pag. 471) dice 2000. Il Botta 
poi (lib. IV, pag. 96) cade in errore facendo ascendere a 
18 mila il numero di fanti e cavalli inviati in Lombardia; 
mentre fanti non ce ne furono, solamente 2000 cavalli. 



— 187 - 

scrizione cresciute, sicché quelle di terra contavano 
non meno di 43 mila combattenti, oltre tutte le mi- 
lizie provinciali; la flotta non meno di quaranta le- 
gni maggiori, centoquaranta legni minori, e un gran 
numero di cannoni con 8600 uomini tra ciurme e 
truppa di mare (1). 

Le finanze erano impari a cosi ingenti spese, sic- 
ché il governo levò, per rifornirle, un nuovo balzel- 
lo. Era morto il Marchese Palmieri che prima reg- 
geva quel carico , e gli era successo il Marchese 
Ferdinando Corradini, e questi gravò la mano sulle 
Parrocchie , su i Seminari , sugli Ospedali. Impose 
difatti straordinario tributo in ragione del 5 % sulle 
rendite dei beni siti nelle provincie ed appartenenti 
a quei corpi morali e non ancora tassati, e del 7 °[o 
per quelli della Capitale e dei suoi Casali (2). Con 
siffatto provvedimento si dimezzava un odioso privi- 
legio d'esenzione, di cui godeva la proprietà del clero 
e dei luoghi pii laicali , ed era senza dubbio , lode- 
vole atto di giustizia distributiva (3). 



(1) Il Colletta scrive che le milizie assoldate erano di 
42 migliaia, le civili in maggior numero , le cannoniere 
e bombardiere 140, i legni maggiori 40. Anche il Bian- 
chini afferma che le milizie assoldate ascendevano a 42 
mila oltre le provinciali. Il Marnili (Voi. 1. pag. 79, 80) 
dice che i legni maggiori erano 39; mentre il Bianchini 
dice che dopo il 1790 fu costruito un altro vascello da 
74, che fu, se non erro, il Sannita^ e quindi assegna lo 
stesso numero del Colletta alle navi maggiori. Il Marnili 
dice ohe lo truppe di terra e di mare , oltre le milizie 
provinciali, ascendevano a 54693 uomini (pag.80). 

(2) Rescritto del 30 gennaio 1794. 

(3) Il Colletta (pag. 83) confonde i beni del clero già sot- 
toposti a tassa con quelli che non si erano ancora tassati. 



— 188 — 

Era però serapre un espediente non un nuovo si- 
stema di finanze, atto solo a minorare i bisogni del 
momento. Sicché le molte angustie economiche, in 
cui dibattevasi il g) verno, risvegliarono una turba 
di progettisti che presentava in folla piani e disegni 
per rinsanguar la finanza. Cosi un certo Azzella pro- 
pose di aumentare la circolazione metallica dei Ban- 
chi, proposta che apri l'adito a provvedimenti one- 
rosi e fatali (1). 

Eran decorsi alcuni mesi e continuava sempre la 
inquisizióne dei rei di Stato. Contribuivano ad ispi- 
rare severità e maggiori sospetti contro i cinquan- 
tadue arrestati i rapporti dei nostri diplomatici alla 
Corte. I Giacobini incutevano tanto terrore che tutto 
veniva loro attribuito. 

Morì l'imperatore Leopoldo e si accreditò la voce 
che la setta gli avesse propinato il veleno. La Corte 
di Napoli ne chiese informazioni al Ministrò accredi- 
tato a Vienna il Marchese di Gallo, e questi si di- 
lungò a smentirla (2). 



È bene chiarire questo punto. Col concordato del 1741 fu- 
ron sottoposti alla metà della tassa che gravava ì beni 
dei laici , quelli appartenenti ai Religiosi regolari di un- 
dici congregazioni, ai Gesuiti, ai Cavalieri di Malta. Fu- 
rono esenti da ogni tributo quelli delle Parrocchie , dei 
Seminari , degli Ospedali. Ora nel 1794 questi beni ven- 
nero tassati, nelle proporzioni suddette. 

(1) Si consulti il Bianchini. Ho presso di me il mano- 
scritto dei Piani delPavv. Francesco Villani, che con in- 
gegnosi mezzi proponeva nuove fonti di riscossioni. Tutti 
però intendevano che si dovesse tassare il clero. 

(2) Biporte un brano di questa nota(»7ied»^a) diretta all'Ac- 
ton, la quale è importante anche perchè descrive le idee del- 
io Imperatore sulle cose francesi: "' Vienna 22 aprile. La 



— 189 — 

Le società costituzionali inglesi ed i novatori si 
agitavano colà. Pitt se ne avvaleva, e coi suoi gior- 



" E. V. sa in grazia dirmi ohe i Giacchi ti si vantano e 
" si attrihuiscono la morte dell'Imperatore. Ciò mi ri- 
" chiamerehha ad una lunghissima discussione sul conto 
" del preteso veleno. Da quanto io ho osservato, riflat- 
" tuto, esaminato, io sono intimamente convinto che nella 
" morte dell'Imperatore non vi è stata nessuna coopera- 
" zione , altroché P acciecamento dei medici. Tutta li 
^' malattia e la sua morte si spiegano cosi evidentemen. 
" te, e naturalmenie, ohe non so perchè ahhia da ricor- 
^^ rersi a causa strana, e questo raziocinio è confermato 
" dal fatto, cioè dall'apertura del cadavere dopo 50 ore, 
^^ nel quale nessun segno di veleno di nessuna sorta si 
^' è potuto rinvenire. Sicché io mi calmo su questo pun- 
" to e non presto orecchio alle inBnite cose che si dico- 
" no, e che escono anche da questa Corte e dalle perso - 
" ne più intime dello Imperatore, le quali ne citano an- 
" che delle parole, e de'sospetti suoi. Ma esaminate tutte 
" queste ciarle fred.damente, e con coscienza intima delle 
" circostanze non si veggono resistere alla prova della 
" ragione. Altroché i Giacobini non sono nemici del- 
" rimperatore senonchè dall'epoca delle note del principe 
" di Kaunitz dei 17 e 18 febraro le quali appena fu- 
" rono note a Parigi pochi giorni avanti la morte di S. 
" M. Prima di quell'epoca e nel tempo delle conferenze 
" di Pilnitz , e del viaggio dell' Imperatore a Praga, e 
" successivamente ognun sa che l'Imperatore ha tenuto 
^ un linguaggio e sistema tanto incapace di attirarsi un 
" veleno da' Francesi, che anzi forse la sua condotta, ed 
" i suoi principii hanno trattenuta la violenza del Tor- 
" rente che dalle altre potenze e dagli emigrati si sareb- 
^ be impiegato contro la Francia. L'Imperatore (tutti i 
" partiti lo sapevano) non era nemico della Costituzione 
^ Francese né la voleva distruggere , ma solamente mo- 
dificare. Ora se gli Ennugés avessero voluto prender di 



— 100 — 

nali ingrandiva i pericoli. I nostri diplomatici se ne 
allarmavano. Il Marchese di Circello ambasciatore a 
Londra scriveva all'Acton « Gli arresti delle persone 
« sospette continuano con somma attività , sebbene 
« il numero non sia così considerevole come nelle 
« passate settimane. Ieri l'altro fu arrestato per or- 
« dine del Consiglio di Stato un certo Ryd avvocato 
€ di professióne impiegato nelle pratiche sediziose 
« delle società corrispondenti. 

« Il secondo rapporto del Cornile della Camera dei 
« Pari non è ancora pubblicato, e si dice che que- 
« sta tardanza sia stata prodotta dall'aver voluto il 
« Comité porre nella maggiore evidenza V orribile 
« trama ed il pericolo più che eminente in cui si è 
« trovata questa costituzione e la Nazione. E niente 
« lo proverebbe più se vero fosse quanto su di ciò 
€ si rapporta da un foglio pubblico di questo giorno 
« di cui accludo a V. E. la traduzione sotto il n. 5. 
« Vedrà dunque da questo che l'infame setta Giaco- 
« bina che vuol sollevare l' Europa tutta ha posto 
« dappertutto in opra gli stessi principii , le stesse 
« basi, gli stessi mezzi » (1). 

Riferi \ra poi, con una strana ingenuità, la voce ap- 
presa da un prigioniero francese, cioè che la Con- 
venzione spingeva tutti i suoi sforzi « per sollevare 
dappertutto i popoli » quando già era stato promul- 
gato il famoso decreto da quella approvata, che prò. 



^ mira qualche sovrano da cui potevano molto temere 
^ non sarebbe stato l'Imperatore. 

(Archivio di Stato di Napoli. Corrispondenza diploma- 
tica dal 1792 al 1799). 

(1) Nota {inedita) del Marchese di Circello ad Aoton in 
data di Londra 10 giugno 1794 (Archivio di Stato ibid.). 



— 191 — 

metteva ai popoli aiuto e soccorso contro i propri 
tiranni (1). 

Più gravi notizie inviava il Marchese di Gallo dalla 
capitale austriaca , poiché informava V Acton del 
scoperta di una società segreta, con affiliati appar- 
tenenti al clero ed alla borghesia di Vienna. Spedi- 
va la lista degli arrestati , che sommavano ad una 
sessantina, i quali, dalla corrispondenza, apparivano 
in relazione coi Giacobini francesi. I congiurati, se- 
condo egli riferiva , aveano « V infame progetto di 
« ordire un'estesa trama per assassinare i sovrani, 
« i principali ministri e produrre in questa nazione 
« anche la rivoluzione ». 

Pur attenuando i pericoli, il diplomatico napole- 
tano additava le precauzioni prese dal Governo, e lo 
sfratto di tutti i francesi dagli Stati Austriaci (2). 

Benché queste mene fossero ord.te fuori del Regno 
e in luoghi lontani , non pertanto preoccupavano 
il governo ; anche perchè l'incaricato napoletano a 
Roma segnalava altri avvenimenti (3). Di fatti quasi 
contemporaneamente alla denunzia di Pietro de Falco 
si arrestavano a Roma tre giovani, il chirurgo Ange- 
lucci ed un napoletano per nome Corona; poi per le 
carte sequestrate airAngelucci, altre venti persone, 
colte in conventicola nei pressi del Colosseo. A Ma- 
cerata si era scoperto un cluby il Conte Graziani 
fuggi alle ricerche e riparò ad Aquila. A Roma la 
polizia soprende borghesi e militari riuniti, apparen- 
temente pel gioco del faraone , e li trae in arre- 



(1) Decreto del 15 dicembre 1793 (Coppi, Voi. I, pagi- 
na 144). 

(2) Nota {inedita) del Marchese di Gallo ad Acton da 
Vienna in data del 28 luglio 1794 (Arch. di Stato, Ibid.), 

(3) Il Cav. D. Carlo Ramette. 



- 192 ~ 

sto. Fra gli altri vi erano anche delle Guardie del 
Papa (1). 

Il Governo napoletano fece dalla Giunta affrettar 
la fine dei processi, e poiché in essa non erano tutti 
di calmo criterio, di equanime giudizio, i mediocri 
ed i malvagi, animati da un falso zelo, ebbero il so- 
pravvento. 

Nel governo primeggiavano la Regina ed Acton; 
nella Giunta Vanni, gli altri tacevano; in tempo di 
tirannide la coscienza dei buoni non ha forza; o pende 
dubbiosa tra il rigore e la clemenza, e quello, spesso, 
assume la parvenza di un dovere. 

Cosi alle gravi cause di esterne apprensioni si ag- 
giungevano le interne : il fantasma sanguinoso di 
Maria Antonietta turbava i sonni della Regina; gli 
atti di rigore di Londra, Vienna, Roma,. le novelle 
di congiure, di pugnali, di veleni, incrudelivano le 
piaghe di domestiche sventure, e la falsa ragione di 
stato spingeva ad eccessi ed a nequizie. 

La Giunta di Stato avea proceduto lentamente nella 
compilazione del processo, constante non meno di 
124 volumi. Invece d'istruire le cause degli arrestati, 
ricercava sempre nuovi voluti colpevoli; e il Vanni, 
diceva che non meno di ventimila fossero i rei (2). 

Finalmente il Fiscale Palmieri fece la istanza di 
morte per trenta e più dei voluti congiurati (3), per 
altri ventidue chiese gravi pene. 



(1) Corrispondenza diplomatica (inedita) di Carlo Ra- 
metto (Archivio di Stato, Ibid.). 

(2) Arrighi (Voi. 3 p. 80). 

(3) La requisitoria del Palmieri esordiva cosi : " Cam 
" genus Viperaruin pessimum , et nefarium ex foetida 
" Gallorum vel potius horribiliorum monstroram lacuna, 
>* mortifero hausto veneno per Gentes, et Populos in dies 



— 193 — 

La Giunta incominciò le sue tornate il 17 agosto 
1794, emise la sentenza PS ottobre. Ebbe un rastro 



" in suinmum, lateque serperat, vlx credibile diotu, quo 
^^ citidsimo ferme tempore inoautos, et praecipue Malefe- 
" riatorum et praedictae frugis homines, juvenesque in- 
" feoerit atque oorruperit. 

" Hino temerari um, quibus Jacobitarum inditum et no- 
" man; cetus nonnulli, inde conventus seditiosorum in- 
" numerum, et in infinitum progressuri, alii atque alii 
" ingrata, atque celesta impiaque deliberata ooncertatio- 
" ne in Deum 0. M., in Regem, in Patriam, in quosoum- 
^ que, et demum in statum omnem seditiose aecientes, 
^ et cogitantes; ex miraculo fere detecti sunt, ex quibus 
" aliqui in yi^cula sunt, aliqui aut transfugae, aut lati- 
" tantes sunt. 

" Quapropter, insti tuta de bis omnibus in Regia Jun- 
" età status ut par erat questione, liquet jam eorum ali- 
^ quos scelestam inisse factionem, aliquos factionis ipsius 
^ Sacramenta suscepisse, alios sedisse nitro factos esse 
^^ eodemqae quoque jurejurando fìrmatum in comporto 
^^ est eo3 omnes prò viribus ad universum statum fundi- 
" tus eruendum , ad Begem nempe , Dei Yicarium un- 
" ctum Domini , Eegiasque semper venerandas personas 
" internecandas, omnemque penitus Rexigionem, Sacro- 
^^ sanctam Catholicam, Apostolicam, Romanam manifesto 
" Atheismo pessundandam ad eorum sanguinem usque 
^^ paratos foro ex actis fluit. In crimen igitur hos Omnes 
" laesa Maiestatis Divinae, et humanae primi Capitis in* 
" ourrìsse, et perduelles esse ambigi fas non est. „ 

Seguivano i nomi dei venti pei quali avea chiesta la 
condanna di mortCì poi il fiscale soggiungeva: ^ Yerum 
'^ ante executionem sententiae torqueri tanquam cadavera 
'^ ad eruendum ex eorum ore oomplioes et fautores. „ 

L'TJlloa (pag. 79 88) risponde alle a£Permazioni del Gol- 
letta volendo dimostrare: V che la tortura era stata abo* 
lita, 2^ che il giudizio ad modum belli et ad horas era 
una delle solite formole che si usavanoi 8° ohe le sentenze 
Conforti 18 



— 194 — 

di pudore, fulminò solamente per tre, Emanuele De 
Deo, Vincenzo Galiani, Vincenzo Vitalianì, condanna 
di morte; per gli altri quarantanove diverse pene. 

Questi giovani dannati a morire eran degni di con- 
segnare il loro nome alla storia ; e le circostanze 
della triste fine è bene che restino impresse, ad e- 
sempio , nella memoria della generazione nostra e 
delle future. 

La frase e lo stile del maggiore storico di quel 
tempo circonfusero di luce la figura del più giovane, 
Emanuele De Deo, e le sue parole fecero palpitare 



a quel tempo si redigevano riepilogando l'accusa e trascu- 
rando i fatti. 

Gli argomenti dell'Ulloa sono debolissimi e sofistici. 

Basterebbe opporre i seguenti: 1** Se la tortura non esi- 
steva perchè il Fiscale chiese che i rei fossero torturati? 
Se non furono torturati non è perchè la tortura non esi- 
steva, ma perchè la sentenza non confermò, per questa 
parte, l'istanza del Fiscale. 

2° La formola del giudiaio si rileva dalla sentenza (Ar- 
righi pag. 84). Con essa non è già che si prescrivesse un 
tempo determinato, ma una procedura sommaria ed ab- 
breviata. 

3^ Se i fatti, le pruove dimostravano limpidamente il 
reato di cospirazione perchè il governo borbonico ordinò 
che la prooessura fosse stata distrutta? 

Ma non bastano per giudicare delle colpe le frasi ge- 
neriche della requisitoria del Palmieri? É meraviglia come 
PUUoa il quale cita il nostro sommo Niccolini, ritiene 
per atti e per fatti di cospirazione la propaganda fra don- 
ne e parrucchieri, il leggere i giornali francesi, il diacu^ 
tere di rivolta, ed altro. 

E dire che in quel tempo Mario Pagano avea già messo- 
fuori i suoi studi sul processo criminale ; e la teoria 
delle prove era uno dei punti pia dibattuti e controversi 
nel Foro napoletano. 



— 195 — 

tanti cuori , piangere tanti occhi di madre ! Però è 
tempo che la tela di quell'avvenimento sia rifatta su 
nuove trame, lo che non sfronda la corona del mar- 
tirio , né scema la virtù del sagrifizio del giovane 
patriota e dei suoi compagni. 

In Minervino , grosso comune di Terra di Bari, 
cinque figliuoli allietavano la vecchiaia del medico 
Vincenzo De Deo e della sua donna Vincenza Leon- 
cavallo. Il secondò era nato il 18 Giugno 1772 , ed 
ebbe i nomi di Emanuele, Giuseppe, Nicolò. I primi 
anni della fanciullezza U passò a scuola di un pre- 
cettore che il padre avea fatto venire da Otranto. 
Fatto grandicello T avviò in Napoli , a studiare nel 
collegio degli Scolopii , dove erano i suoi giovani 
compaesani Paolo e Metello Corsi, Tedesco, Elifano 
e Michelangelo Troysi. 

In Napoli strinse . amicizia con Vincenzo Galiani 
di Monterò , figliuolo di Gennaro e Saveria Pepe. 
Ricca di censo e di nobiltà era la famigUa Galiani. 
Contava tra i maggiori , prelati, diplomatici , giuri- 
sti, uomini di scienze e di lettere (I). 

I due giovani di animo fervido e gentile, frequen- 
tarono le scuole di Carlo Laubert e dell'Abate Con- 
forti; poi il Galiani, volendo darsi alla medicina, fu 
allo studio privato di Domenico Cirillo (2). 

Cosi prima alla scuola , poi tra le amene e colte 
conversazioni , in ultimo al Ciuf) rivoluzionario , si 
cementò il loro affetto , si determinò quello per la 
patria schiava. 



(1) D'Ajala (pag. 299). Questi erano i patrioti che THel- 
fert vilipende. Ed ò strano che trovi corifei in Italia; e 
che i suoi scritti, dettati per riabilitare certe colpe, non 
abbiano fatto sentire il dovere di una critica che ne mo- 
stri i giudizi partigiani. 

(2) D'Ajala pag. 299. 



— 196 — 

Il terzo , stretto ad essi non in amicìzia ma al 
destino ultimo e fatale, era Vincenzo Vitaliani, più 
innanzi negli anni , nato a Portolongone (1) . Il Pa- 
dre napoletano era colà provveditore del Presidio (2). 

Il figliuolo avea preso servizio nel reggimento 
Borgogna col grado di Alfiere, poi uscitone, eserci- 
tava Tarte di orologiaio. Avea moglie e figli, fratelli 
e sorelle; i primi in Napoli, gli altri a Portolongone 
ove erano il padre e la madre nel 1794. 

In sull'alba del 16 ottobre, giorno di giovedì, i tre 
condannati furon messi in cappella, essendo stata fin. 
dalla sera del giorno 14, avvertita la congregazione 
di S. Maria Succurre Miseris della Nsentenza di 
morte, e dell'esecuzione a farsi il sabato 18, ed in- 
vitata, quindi, a spedire gli assistenti per le prime 
ore di quel giorno (3). La Compagnia spedi tre pa- 



(1) Il D'Ajala, volendo correggere il Colletta, dice ohe 
il Vitaliani avea 36 anni, perchè nato nel 1763. Ma dal 
1763 al 1794 passarono 31 anno, quindi non poteva con- 
tarne 36. (D'Ajala, pag. 649), 

(2) Portolongone apparteneva al Bagno di Napoli , per- 
chè era parte dei Presidi di Toscana. 

(3) Dal Beffistro n. 105 di Sancta Maria Sttccurre Mi- 
seria (inedito) dell'anno MDOCXIV, scrivano D. France- 
sco Volturale, pag. 40. tolgo i seguenti documenti: " A 
^ di 14 del mese di ottobre corrente anno 1794, giorno di 
" Martedì verso le ore 3 % vennero nella nostra Compa- 
^ gnia due biglietti del tener seguente per giustizia da 
^ eseguirsi come in seguito si dice : 

IlUmo B.vmo sig, P,ne CoLmo 



" La Suprema Giunta di Stato ha condannato a morir 
sulle Forche innanzi al Castel Nuovo Vincenzo G-aliano 
^ della Terra di Monterò, Vincenzo Vitaliani di Longo- 



<t 



— 197 — 

dri , Bonifanti dell' oratorio , Volturale e Martucci, 
insieme a De Sarno, M. Spinelli, e Monsignor D'Am- 
brosio; i quali il Giovedì al giorno furon suppliti dai 
pp. Sanfelice , Del Verme, Capecelatro, Costantino, 
De Fortis, e Capecelatro 1» Teatino. 

I primi padri chiesero .ai tre giovani i loro nomi 
e le notizie delle loro famiglie. 11 primo a rispon- 
dere fu il Galiani. Disse ch'era nativo di Monterò , 
dell'età di anni ventiquattro, avea il padre e la ma- 
dre viventi. Avea cinque fratelli e sette sorelle. Avea 
presa la cresima. 

Vincenzo Vitaliani rispose che avea trentunanno, 
avèa cinque sorelle , una per nome Lucia maritata 
in Napoli con un sergente invalido per nome Giu- 
seppe Chirico, e con cinque figliuoli, due maschi e 
due femine. Le altre quattro sorelle Chiara , Rosa, 
Fortunata, Barbara, erano in Longone. 

Dei quattro fratelli, Andrea era fuggiasco (1), An- 



^ ne, ed Emanuele De Deo della città di Minervino quai 
" rei di congiara e cospirazione contro la Monarchia, la 
^ Religione e lo Stato, e dovendosi tale sentenza eseguire 
'* nel giorno del prossimo venturo Sabato , prego viva- 
^< mente V. S Ill.ma di compiacersi a mandare nelle car- 
" ceri delle G. 0. li R.mi PP. della sua R. Compagnia alla 
** prima ora di Giovedì mattino prossimo venturo per di- 
'^ sporre a ben morire i suddetti tre infelici condannati, 
^ e sicnro che sarà per farli tal Carità resto baciandole 
" divotamente le sacre mani. „ 

" Napoli 14 ottobre 1794. 

" TJmil.mo Oss.mo 
" Giuseppe Villamajna Soli. 
" Fiscale. » (Inedito) 
(1) Perchè anche lai accasato di giacobinismo. 



— 198 — 

tonio e Giuseppe, l'uno aiutante, l'altro sergente di 
artiglieria, erano a Longone. Aggiunse ch'era egli, 
il condannato, ammogliato con Anna Spezzaferro di 
anni trentuno, la quale allora conviveva con la pro- 
pria madre Lucia Esposito , e che dal non felice 
matrimonio eran nati due figliuoli, Raffaele di anni 
cinque, Antonio di anni tre. 

Chiestogli se avesse qualche desiderio a manife- 
stare rispose: che sua moglie si ricoverasse nel Ri- 
tiro di S. Rafi'aele e i suoi figliuoli fossero rinchiusi 
in qualche luogo, tranne l'Albergo de'poveri. 

Disse anche lui ch'era cresimato. 

Venne la volta del terzo, Emanuele De Deo. Ri- 
spose: « ho ventunanno , son nato a Minervino, ho 
« padre, madre, due fratelli, due sorelle, son cresi- 
« mato. » 

« Niente altro ha detto » notò lo scrittore del Re- 
gistro (1). 

Il giorno dopo il fiscale Villamaina scrisse alla 
Compagnia di recarsi il giorno vegnente , eh' era il 
sabato , ad ore 17 Vi ^^^ carcere della G. C. « per 
« usare la carità a detti disgraziati di accompagnarli 
« ed esortarli a ben morire sino al luogo, del sup- 
« plizio »; e poi con altre lettere avverti che il Reg- 
gente avea ordinato darsi sepoltura ai cadaveri ap- 
pena eseguita la giustizia (2). 



(1) Ho riportato le stesse parole del Registro^ le quali 
rettificano tutte le inesattezze intorno allieta, alle fami- 
glie dei tre giovani , inesattezze che sono state ripetute 
da tutti gli scrittori. 

Si noti la frase del Registro relativa al De Deo, il quale 
mostrò un contegno cosi riservato e fu cosi poco loquace 
che non disse neanche i nomi dei componenti la sua fa- 
miglia. 

(2) Queste lettere sono trascritte nel Registro. 



— 199 - 

Durante i tre giorni erano, ad ore fisse e stabili- 
te , convenuti alla Cappella diversi pp. assistenti. 
Parea tanto solenne ed insolita l'esecuzione di quei 
rei € di lesa maestà divina ed umana detti giaco- 
« bini » che intervennero i maggiori prelati della 
Compagnia, cioè il Vescovo di Cajazzo M. D'Ambro- 
sio , M. D. Antonio Pignatelli Gran Fiore di Bari , 
M. Spinelli, Vescovo di Lecce (1). 

Il solo racconto autentico dell'esecuzione è quello 
del Registro. E credo importante trascriverlo , poi- 
cbè non fu mai pubblicato. Eccolo (2): 

« Verso le ore 19 V2 i^sci la giustizia dalla G. C. 
« della Vicaria. La nostra Compagnia accompagnan- 
« do i detti tre infelici i quali con una compunzione 
« veramente ammirabile proseguendo il doloroso cam- 
« mino giunsero al termine del loro supplizio, ove 
« uno dopo gli altri furono giustiziati. Il primo di 
a essi fu Vitaliano , il quale anche per la strada da 
« volta in volta alzando la voce per farsi sentire dal 
a Popolo, diceva : viva la Fede di Oesù Cristo; per 
« rinfrancare cosi lo scandalo che avesse mai dato 
« al pubblico col suo delitto : veramente compunto 
« e contrito .fini di vivere. Indi si venne a giu- 
« stiziare il secondo che fu Galiano^ e questo ugual- 
« mente che il primo contrito anch'esso detestando 
« sempre il suo delitto ed implorando da Dio mise- 
« ricordia, anche per dare al pubblico segni mani- 
u Testi della gran compunzione prima di salir la scala 
« volle baciar la nuda terra, significando la sua ras- 
« segnazione al divino volere; né volle lasciare nelle 
< mani del nostro fratello assegnatoli per lo con- 



(1) Registro. Ibid. 

(2) Serbo integralmente l'ortografìa. 



~ 200 — 

« fòrto alla scala (1) il crocifissetto che ad ogni giu- 
« stiziato suole darsi dai nostri fratelli a portare per 
« la strada. 

« Finalmente si venne all'esecuzione della mortale 
« sentenza in persona del terzo disgraziato cioè De 
« Beo, e questo come gli altri egualmente contrito 
« e sottomesso al volere di Dio salendo i fatali gra- 
« dini, con somma edificazione di tutto il pubblico 
« fu buttato al patibolo e mori. 

« Quando, appena sortito una tale lagrimevole fun- 
« zione, s'intese da noi un colpo da fuoco, ed in se- 
« guito una forte sollevazione di popolo (orilginata 
« per quanto si disse da una rissa fra alcuni subal- 
« temi della birraglia) indi buona parte della truppa 
€ dei soldati qua e là dispersi cominciò a far fuoco 
« sopra dello sbigottito fuggitivo popolo, e le palle 
« degli archibugi strisciando farsi sentire di sopra 
« lo steccato , entro del quale in ginocchio ancora 
« si rattrovavano i nostri fratelli. 

« Un timore sì forte ci oppresse allora , e molti 
« dei nostri fratelli si posero in fuga niente avver- 
« tendo al di loro pericolo , ed altri sullo steccato 
« istesso ove rattrovavansi si buttarono di faccia a 

terra per timore di non essere disgraziatamente 
<( colpiti. Ma lode sempre si dia al nostro benignis- 
« simp Iddio , che niente di male permise che sor- 
€ tisse in persona dei nostri fratelli, quantunque tra 
< il popolo molti fussero morti, e moltissimi feriti. 

« Quasi tutto l'intero popolo niente curando il ma- 
« nifesto pericolo si diede ad aiutare e sollevare i 
« nostri fratelli; quindi usando tutto il riguardo, 
« con ogni attenzione e carità procurarono nella mi* 
« glior maniera che si riusci custodirli, ed accom- 



(1) Il P. Blanch. 



— 201 — 

« pagnarli per la strada qua e là dispersi , fino a 
« tanto in luogo sicuro ciascheduno di essi rìpones- 
« sero per toglierli cosi da quel manifesto pericolo, 
« nel quale per divina disposizione si vedevano in- 
« ciampati. 

« Un tale racconto riducendosi alla memoria dei 
« nostri sìgg. fratelli vengono questi dalla presente 
« compagnia supplicati a voler volgere a Dio infinite 
« le grazie per essersi degnato di miracolosamente 
« salvarli dall'enumerato avvenimento. 

« Si nota come in una tale giustizia tutti i nostri 
« sigg. fratelli nel loro interno altro non facevano 
€ che benedire l'infinita divina bontà ehe con occhio 
« veramente di Padre , avea riguardato le di loro 
ft fatiche nel disporre a ben morire i detti tre infe- 
« liei, giacché una tale opera riuscì fuor d'ogni so- 
« lito laboriosa per essi. 

« Dippiù si nota che per eccitare i sigg. fratelli 
« della nostra compagnia ad un'opera di tanta carità 
€ e di tanto merito, che molti nostri fratelli assenti 
« ( per esser tempo di villeggiatura ) essendo stati 
« prevenuti dal nostro P. Governatore, acciò si fos- 
« sero impegnati a prestare* gli aiuti necessari ai 
« succennati tre poveri disgraziati con tutta solle- 
« citudine si mossero ad ubbidire, e da dove si rat- 
« trovavano distante si portarono in Napoli , come 
« fra gli altri fece il nostro fratello lU.mo e Rev."" 
« M. Vescovo di Castellammare, ed altri ancora (1). 

« Volttcrale Scrivano. » 



(1) n Vescovo di Castellammare era M. D. Ferdinando 
Crispo. 



— 202 — 

ESEQUIE DEI GIUSTIZIATI (1) 

« L*6sequie de' tre disgraziati giustiziati al Largo 
« del Castello descritti a fol. 40 del presente non si 
« potè eseguire dai sigg. fratelli della nostra com- 
ic pagnia , per io disturbo accaduto in detto luogo, 
« come sta notato al fol. 42, et a tergo del presente; 

< giacché i nostri fratelli per mettere in salvo la 
a loro vita qua e là si erano dispersi, sicché al P. 
« Governatore con scarso numero di essi ricoverato 
« nella Gran Guardia sita in fronte al Castello non 
« riusci in verun modo far congregare gli altri fra- 
« telli per. associare i suddetti cadaveri alla sepol- 
« tura, come appunto avrebbe voluto il sig. Tenente 
€ Generale degli eserciti Cav. Pignatelli , giusta i 
« sovrani ordini accorso di persona in detta Gran 
« Guardia , cercando scusa il detto P. Governatore 

< se in detta volta 1 reali comandi , che sempre la 
« compagnia si pregiava di eseguire malagevoli riu- 
« scivano, e si difficili a praticarsi dai suoi fratelli 
« tramortiti e palpitanti per lo funesto successo. 

« Giunse a t^mpo Tatuale Reggente della Vicaria 
« il sig. Cavaliere Medici, ed il tutto essendoli ma- 
« nifestato con belle parole rinfrancando dal conce- 
« pito timore quei pochi sigg. fratelli là presenti, 
« disse al P. Governatore, che avesse solo badato a 
« far ristorare la Compagnia, oppressa dalla conce- 
« puta paura, addossandosi lui la cura, per questa 
« volta soltanto (2) di fare associare i cadaveri dei 
« detti tre infelici alla Chiesa da quattro sacerdoti 



(1) Pagina 60 del Registro ed a tergo. 

(2) Queste parole sono segnate neir originala con una 
linea. 



— 203 — 

« della citte, come infatti fu eseguito portandosi detti 
« disgraziati a seppellire nella Chiesa di S. Brigida 
« da'PP. Lucchesi. 

« Nel giorno poi seguente dopo eseguita una tal 
« giustizia da un subalterno della G. Corte della Vi- 
« caria furono portati nella nostra Compagnia i pic- 
« coli Capestri de' detti tre infelici che secondò il 
« solito si bruciarono in questa nostra Compagnia; 
« ed ancora gli abitini di Maria SS. ed altre divo- 
azioni che avevano sopra i detti tre disgraziati. 
« Francesco Volturale Fratello Scrivano. » 

€ Si soggiunge che il nominato di sopra sig. Reg- 
« gente Cavaliere Medici il quale accorse sollecito 
« nella G. Guardia a rincorare gli atterriti sigg. fra- 
« telli, nel porger animo al nostro P. Governatore 
« si servi di questi espressivi termini : Se vi con-. 
« tentate P. Superiore che per questa sola volta io 
« mi serva di quattro preti per fare accompagnare 
« i suddetti cadaveri alla Chiesa , e cosi adempire 
« agli ordini del Re che mi comanda di farli stasera* 
« sotterrare; e fratanto procurino i sigg. fratelli della 
« Compagnia che han fjatta la carità rinfrancarsi dal 
« sofferto timore. » 

« Quindi poi nel giorno seguente mandò un Gen- 
« tiluomo di suo servigio in casa del nostro P. Go- 
« vernatore per avere una distinta notizia della salute 
« di tutti i nostri fratelli, e se fosse loro accaduto 
« cosa di male, che per grazia del Signore non av- 
« venne, come a fol. 42 et a tergo del presente si è 
« trascritto. 

« Più sapendo esso sig. Reggente quanto mai viva 
« gelosa la nostra Compagnia nel ritirace presso di 
« se, eseguita subito la Giustizia, si i piccoli cape- 
« stri che abbitini di Maria SS. ed altre divotioni 
« possono mai avere sopra i giustiziati, giacché per 



— 204 — 

« ravvenimento accaduto in una tale Giustizia, non 
« potè secondo il solito riscotere sotto del Patibolo 
« istesso prima di portarsi alla sepoltura! cadave- 
re ri; da esso sìg. Reggente nel giorno seguente alla 
« Giustizia per mezzo di un subalterno della G. C. 
« della Vicaria furono fatti capitare in casa di 
« esso P. Governatore chiusi in un fazzoletto si i 
« piccoli capestri, che le altre enunciate divozioni, 
« quali tutte da esso P. Governatore si trasmisero 
« per mezzo del nostro Clerico in Compagnia, e se 
« ne fece l'uso solito detto di sopra, cioè bruciarsi 
« i capestri e conservarsi nello stipetto ijroprio le 
« suddette divozioni. » 

Questa è la verità nuda e cruda, dispogliata d'ogni 
esagerazione e di ogni leggenda. Sia vero o falso 
che sdegnosamente rigettasse Emanuele De Deo le 
preghiere del padre perchè le parvero incitatrici a 
turpitudini, vero o falso che il Padre fosse stato a 
lui spedito dalla Regina per offrire al giovine pa- 
triota la vita a prezzo di rivelazioni sulla congiura 
e sui complici, nulla ciò aggiungerebbe alla com- 
posta e serena fine di lui, né a quella, forse spet- 
tacolosa, ma non indegna dei suoi compagni (l). 



(1) Il racconto del Colletta non può essere giudicato 
vero o falso perchè mancano documenti in appoggio del- 
l'una o dell'altra ipotesi. Si possono invece accertare al- 
cune circostanze. La più importante è che il padre di Deo 
era anche egli arrestato ed accusato della stessa congiu- 
ra. La sentenza fu emessa il 3 ottobre 1794; il Re le con- 
fermò con Dispaccio del 12 , facendo alcune riserve che 
furono chiarite col Dispaccio del 18 , come si vedrà in 
seguito. Se la sentenza fu emessa il 3 che importavano 
le rivelazioni sulla congiura e sui congiurati, come dice 
il Colletta. Forse degli assenti e degli ignoti il governo 
voleva notizie. Ora quando il Padre avrebbe avuto il 



— 205 - 

Però una circostanza gravissima ebbe certo influen- 
ze nel racconto deir intervista tra padre e figlio. 
Giuseppe De Deo era anche egli sottoposto a pro- 
cesso per la stessa congiura , e fu liberato con la 
stessa sentenza che condannò il figlio a morte. Ma 
non uscì di carcere prima deiresecuzione del figlio 
come consta da documenti certi. 

Corse voce che la Regina tentasse strappare , al 
De Deo , per mezzo del padre , rivelazioni di altri 
pretesi cospiratori? Non dovea proseguirsi forse il 
processo contro rei assenti ? Rivelazioni su i com- 
plici condannati erano inutili, una volta pronunziata 
la sentenza, utili quelle contro altri. 

I tre giovani andarono al patibolo e lo ascesero 
non protestando innocenza, non con mostre di tea- 
trali audacie, non con discorsi, imprecazioni , inci- 
tamenti alla stupida folla , né con la illusione che 
da essa sorgessero i vendicatori. Durante il cammino 
del triste corteo , ebbero coscienza piena ed intera 
della loro parte. Aveano giuocata una rischiosa 
partita ; vinti , si rassegnavano al pentimento. Ac- 
cusati di lesa maestà divina ed umana, vollero mo- 
strare che non era nelle intenzioni loro negar Dio, 
abbattere la religione, nel cui grembo le povere ma- 
dri li aveano allevati. Nulla dissero però, nulla fe- 
cero che accennasse a disdire il loro amore alla pa- 
tria. 

Così Galiani prima di salire il patibolo bacia la 
terra , quasi fosse sua madre ; e queir atto , che ai 
semplici e buoni padri parve umiltà, a me pare di- 



colloquio col figliuolo ? Non prima della sentenza perchè 
il Colletta dice che padre e figlio furon lasciati soli nella 
cappella. Ma se ciò fosse avvenuto i PP. assistenti non 
ne avrebbero fatto cenno n6l BegUtro f 



— 206 — 

mostrazione di affetto al luogo che lo avea visto 
nascere, per cui rendeva la vita. 

Il grido di Vitaliani era il grido di guerra della 
massoneria, e del credente, che in Cristo e nella sua 
fede riponeva la redenzione del mondo da ogni lor- 
dura di tirannide. 

Solo De Deo nulla disse e nulla fece. Disdegnoso, 
dimentico di se, si rassegnò non al volere di Dio, 
perchè Dio non è , né può essere con la Giunta di 
Stato e col carnefice, ma alla forza brutale (1). 



(1) Gli scrittori borbonici si sono affaticati a giustifi- 
care il Re, la Regina, PActon, la Giunta di Stato. Hanno 
detto che la sentenza fu rigida ma non ingiusta, dimen- 
ticando che ne' reati politici quando la pena non è pro- 
porzionata al danno ed al pericolo è sempre ingiusta. 
Però il lato debole da essi non difeso è questo : quali 
prove esistevano su i mezzi della congiura ? 

La sentenza taceva del fatto , e solamente definiva il 
reato. 

In quanto alle circostanze ed agli apprezzamenti in- 
torno alla morte dei tre giovani ho confrontato ed esa- 
minato quanto si è scritto ; tenendo conto anche delle 
significanti parole del Monitore della Pimentel. 

Né può, a senso mio, far meraviglia se i contempora- 
nei si fossero innammorati più della figura del De Deo, 
che di quella degli altri due , perchè ripeto , se quelli 
furono più loquaci, il De Deo, fu, come scrisse 1' eroica 
Pimentel " chiaro innanzi al supplizio per placida oo- 
dtanza „. 

Nel n. 43 dell* anno 1886 del Giornale Napoli Lettera- 
ria scrissi un articoletto incitando i Municipi delle no- 
stre province a porre una pietra per i patrioti ohe lascia- 
rono la vita per causa di libertà. 

Son lieto ora di apprendere dal Pungolo (n. 30, 31 gen- 
naio 1887) che l'Assemblea della Banca di Prestito popo- 
lare di Minervino Murge ha deliberato di elevare a sue 
spese, un monumento al De Deo. 



• — 207 — 

La morte, di questi tre giovani spense ogni vincolo 
tra i liberali e la monarchia ; i patrioti videro che 
non cominciava, ma sfolgorava tirannide paurosa di 
governo, contumacia di soggetti, odii atroci ed ine- 
stinguibili per andar di tempo e per sazietà di ven- 
dette (1), 

E in questo tristissimo anno 1794 giustamente da 
Roma la voce di Vincenzo Monti si dirigeva al Re di 
Napoli dicendogli: « I vostri nemici sono quelli che 
« nelVaugusto e sacro nome vostro perseguitano gli 
« innocenti e li fanno gemere e spirare in sembianze 
« di scellerati. I vostri nemici sono quelli che fu- 
a nestandovi tutto giorno con politiche malinconie, 
< propagano negli animi il terrore, la diffidenza, il 
« sospetto, ed alzano fra voi ed il vostro popolo un 
« muro di divisione. . . tutta Europa ha registrato 
« il nome di Acton fra gli oppressori dell' innocen- 
« za! (2). 

Altri lutti seguirono. Durante il supplizio dei tre 
giovani, la soldatesca prese il popolo a fucilate, e 
morirono certi di cognome Paladino, di Santo, Ac- 
quaviva, la Rossa, De Vita. Il Governo, come al so- 
lito, ordinò un'inquisizione sugli autori dell'inutile 
strage, prodotta dall'imperizia dei capi, dalla paura 



A Presidente della Banca è l'egregio Avv. Metello Corsi, 
discendente sicuramente dall' omonimo che fu amico e 
compagno, come ho innanzi detto, di Emanuele De Deo. 

Fra gli scritti recentemente comparsi sul De Deo noto 
quello del Prof. Alberto Avena stampato nel Picche. 

(1) Colletta. 

(2) Lettera a nome di Francesco Piranesi al Generale 
D. Giovanni Acton. Roma, 24 Dicembre 1794. Opere ine- 
dite e rare di Vincenzo Monti, pag. 19. 

Questa le ttera fu scritta dal Monti, il quale nel 1794, 
era sostituto avvocato concistoriale della Corte Pontificia. 



— 208 — 

e ferocia dei soldati, ed assegnò alle famiglie dei 
morti la pensione di carlini trenta al mese (1). 

Lo stesso giorno 17 il Re dava corso alle altre e 
molto gravi condanne profferite dalla Giunta; senon- 
chè avveniva un fatto nuovo negli annali giudiziari. 

La Giunta assegnava con la pena i luoghi di espia- 
zione. Ma alcune condanne non tornarono gradite 
al Re, e quindi emise due Dispacci, l'uno del 12 ot- 
tobre che approvava e ratificava le condanne della 
Giunta, l'altro del 18 che vi arrecava notevoli e se- 
vere variazioni, cosi rispetto alle pene, come ai luo- 
ghi di espiazione. 

Diceva l'Acton col primo: « Il Re ha letto lacon- 
<t sulta della Giunta di Stato degli 8 corrente otto- 
ne bre nella quale essa nel dar conto di aver decisa 
« la gravissima càusa dei 52 prigionieri imputati di 
« congiura e di cospirazione contro la Monarchia, 
« la Religione e lo Stato e di aver preventivamente 
€ ascoltate le loro difese e le arringhe dei Ministri 
« loro avvocati, discusse le nullità prodotte, ed in- 
« teso sempre l'avv. Fiscale della Giunta medesima 
t descrive le decisioni fatte che sono le seguen- 
« ti. (2) » 



(1) Ecco il Documento {Inedito) : " 22 ottobre 1794. Si 
'-'' ingiunge alia B. Giunta d*inqnìrere contro gli autori 
^^ delle fucilate avvenute al Largo del Oastello il giorno 
^^ 18 ottobre, durante Tesecuzione di giustizia dei tre rei 
** di Stato. „ 

(Dispaccio di Acton al Reggente della Vicaria). 

Nelle carte del Ministero delle Finanze ohe si conser- 
vano nel Grande Archivio ho letto le tante suppliche delle 
mogli e delle madri degli individui morti e feriti in quel- 
r occasione, e le reali determinazioni di pensioni e sus- 
sidi!. 

(2) H Cacciatore (pag. 7) afferma, per difendere la Be- 



— 209 — 

E quindi venivano notati i nomi degli individui e 
le .condanne che il Re confermava. 

Tra le altre cose il Re diceva: « Pietro de Falco goda 
« della promessa impunità ma sia detenuto In vita 
« nell'Isola di Tremiti con l'obbligo di non fuggire 
a sotto pena di morte in caso di contravvenzione^ e 
« quel Generale invigili suWa condotta di lui e ne 
« renda conto ogni mese alla Giunta. » 

La promessa impunità fu il compenso dello spio- 
naggio e delle rivelazioni! 

Seguiva questo laconico ordine: « Vincenzo Vita- 
« liani, Vincenzo Galiani ed Emanuele De Deo muo- 

gina, che questa scelse a difensore dei tre giovani con- 
dannati a morte, Mario Pagano. Il D'Ajala giustamente 
smentisce il fatto; (Vita di Deo, pag. 210), aggiunge che 
le difese furono scritte dai difensori officiosi Flavio Pi- 
relli e Pietro Jannucci consiglieri della B. Camera della 
Sommaria. Avrebbe dovuto aggiungere anche Tommaso 
De Rosa. Lo che è confermato dalla sentenza (Arrighi, 
pag. 84) che chiamò i difensori Ministri. Lo stesso D'A- 
jala dice che la difesa fu scritta per mera apparenza. Per 
Jannucci passi, ma per Flavio Pirelli, era nomo integro; 
e il Monitore della Pimentel gli die lode come difensore 
dei rei di Stato (N. 5, 28 Piovoso, cioè 16 febbraio 1799). 
H Jannucci è chiamato " scellerato „ da Carlo Romeo, 
onoratissimo dall*Ulloa (pag. 79). Che fosse uomo ingiu- 
sto può rilevarsi dalla biografia di Francesco Longano, 
pubblicata dall'avvocato Pasquale Albino nella sua Opera 
(Voi. IL 11 pag. 87 e seg.). Il Jannucci era di Campo- 
basso. 

Falso è all'intutto ciò che dice il Cacciatore oioò che 
per la difesa dei rei di Stato Mario Pagano ebbe in pre- 
mio dalla Eegina Tufficio di Giudice deirAmmiragliato. 
Mario Pagano molti anni prima fu avvocato dei poveri 
presso quel Tribunale, e non fu tra i difensori del giu- 
dizio del 1794. 

Conforti 14 



- 210 — 

•« iano sulle forche innanzi Castel Nuovo, ed addi- 
« tarsi al fisco tutti i loro beni». Concliiudeva il 
« Dispaccio : « S. Maestà che non avrebbe potuto 
« giammai sospettare di potersi fra i suoi fedeli ed 
« amati sudditi trovarsi uomini cotanto ardimentosi 
« e scellerati che avessero concepito il reo disegno 
« di commettere l'infame ed orrendo delitto indicato 
« di sopra ha veduto con pena e rincrescimento ine- 
« sprimibile che tale delitto abbia avuto T effettiva 
« esistenza nelle persone dei descritti rei compro- 
« vata con la sentenza profferita dalla Giunta di Stato 
« ed anche rilevato lo scandalo e la sensazione che 
« in generale si è prodotta in questo strano avve- 
« nimento. 

« Quindi la M. S. nell'atto che ha determinato di 
« mettere in opera i mezzi più efficaci ed opportuni 
« per arrestare totalmente il corso alla propagazione 
« di ogni sorta di massime tendenti al turbamento 
« della tranquillità dello stato è venuta a dichiarare 
« che intanto, perchè la giustizia abbia il suo pieno 
« corso, e si dia il dovuto sfogo alla pubblica ven- 
« detta,lascià correre le sopradescritte sentenze prof- 
<c ferite dalla Giunta di Stato, senonchè siccome alla 
« Giunta non erano note le circostanze de'luoghi per 
« la detenzione e relegazione dei condannati, men- 
« tre né in Lipari né in Orbitello esistono Castelli 
€ da essa indicati, cosi S. M. si riserva alcune op- 
« portune variazioni relativamente ai Castelli dì de- 
ce stino di alcuni di detti condannati onde avvenga 
« che siano questi tenuti ed assicurati conveniente- 
« mente. Infine manifesta S. M. di essere ben sicura 
« che pei rubricati in forma e per quelli che riman- 
« gono a giudicarsi la Giunta continuerà a praticar 
« convenienti ed esatte diligenze e farà tutto ciò 



- 211 — 

« che dalle leggi e dai reali ordini si trova stabilito 
« sopra simili appunti. (1) » 

Quali erano i fatti che aveano destato il sovrano 
raccapriccio, quali quelli del reo disegno, dell'orri- 
bile delitto? La requisitoria li tacque, la sentenza 
li tacque, V ordinanza reale li taceva, e a prova del 
reo disegno e deirorribile delitto citava la sentenza. 
Né esprimeva altro all'infuori che quei terribili set- 
tarii eran colpevoli ai massime, e il Re ne voleva 
per l'avvenire impedire totaltìiente il corso (2). 

Era dunque il pensiero, la massima, V opinione , 



(1) Questo dispaccio del. 12, e l'altro che segue del 18 
vengono ora in luce per la prima volta. Li ho trascritti 
dalle carte del Reggente della Vicaria al quale furono 
spediti dall'Acton. 

(2) È cosi vero che nessun fatto preciso, nessun dise- 
gno preparato, nessun mezzo opportuno venne in luce 
dal processo, che, oltre il silenzio della sentenza e delle 
ordinanze reali, gli scrittori borbonici brancolarono nel 
buio ed assegnarono i più strani propositi ai congiurati. 
Si disse che questi volevano uccidere la famiglia reale ; 
ma se si fossero avute prove di ciò si sarebbe detto nella 
requisitoria, nella sentenza, nella corrispondenza diplo- 
matica interceduta il 1796 tra il Direttorio francese ed il 
Principe di Belmonte, quando questi, in nome del Gover- 
no, si rifiutava ad inserire nel trattato di pace un articolo 
relativo ai rei di Stato. 

Il Marnili (pag. 75) dice che i congiurati volevano ap- 
piccare il fuoco all'arsenale e tentare esecrandi eccessi 
sulla città e la Reggia. La quale fandonia ò tratta dal 
Sacchinelli (pag. 41) e ripetuta dall' UH oa (pag. 78). En- 
trambi però l'attinsero alle pagine della " Storia dell'an- 
no 1794 „ anonima e che si pubblicava a Venezia pei tipi 
del Rossi, la quale, senza dubbio, raccolse la diceria, fatta 
correre dallo stesso governo, per giustificare le condanne 
di morte. 



— 212 — 

resaltato sentimento di giovani, a cui si die carat- 
tere e sostanza di reato di maestà (1). 

Si ammetta pure l'opposto. Quali i testimoni, quali 
le prove? 

L'ordinanza reale ci addita la fonte impura di tanta 
enormezza: Pietro De Falco, al quale era stata an- 
ticipatamente promessa l'impunità, e fu mantenuta. 

E qual credito e fidanza potea dare queir uomo ? 
E non è orrida e nuova giustizia e moralità di giu- 
dici e governo questa che patteggia col complice , 
trae vantaggio dall'iniqua generosità , e con la più 
violenta imposizione morale promette la vita ad un 
vile purché dia la morte àgli altri ? 

Le varianti indicate con l'ordinanza del 13 furono 
fatte col Dispaccio del 18. Dopo un inutile pream- 
bolo, il Re dispose (2): 

« Pietro De Falco condannato alla detenzione in 
« vita nell'isola di Tremiti, coll'obbligo di non fug- 
« girne sotto pena di morte, in caso di contravven- 
« zione subisca tale condanna nella detta Isola , il 
« cui Governatore dovrà invigilare su la condotta 



(1) Lo stesso Marulli, non ne disconviene: " compilato 
" il processo ne venne il risultato che nel club rivoltoso 
" molti giovani da pochi ingannati avidamente parlavano 
^ delle cose di Francia, dei rivoltosi paesi, ed il deside- 
" rio esternavano di erigersi in riformatori dello stato 
" napoletano a proprie circostanze. „ (pag. 76). E questa 
dicesi congiura e cospirazione ? 

(2) Ho tralasciato di riportare la parte del dispaccio del 
12 concernente le condanne come furono pronunziate dalla 
Giunta; riporto invece il Dispaccio del 18 che vi arrecò 
delle modifiche. In nota accenno le differenze tra quelle 
della Giunta e quelle del Dispaccio del 18 , anche esso 
inedito. 



— 213 — 

(li lui e ne renda conto ogni mese alla Giunta di 
Stato. 

• Annibale Giordano vada ad espiar la sua con- 
danna di perpetua deportazione nel Castello del- 
l'Aquila (1). 

« Giuseppe Barilari (2), Giuseppe Elifano, e 1). Fer- 
dinando Visconti condannati alla detenzione il 
primo per 20 anni (3), il secondo per 20 , ed il 
terzo per 10, tutti col successivo sfratto dal Regno 
sotto pena di morte in caso di contravvenzione 
subiscano la detta condanna nel Castello della Pan- 
telleria. 

« D. Giuseppe Cappellieri passi deportato sua vita 
durante nel Fosso del Maritimo. 
« Il P. Raimondo Grimaldi soffra la deportazione 
; nella Torre della Colombaia di Trapani (4). 
« Silvio Bonavoglia vada deportato in vita nel Ca- 
stello di S. Caterina nell'Isola della Javignana (5), 
nel quale dovranno anche subire le loro condanne 
di detenzione i seguenti : 
« Nicola de Jesa per venti anni (6). 
« Gaetano Montalto per quindici (7). 
« Luigi Palopoli per dieci anni (3). • 



(1) La Giunta gli avea assegnata l'Isola di Pantelleria. 

(2) Nel Dispaccio del 12 ottobre come nella sentenza il 
nome di battesimo è Pasquale. 

(8) Nella sentenza e nel Dispaccio del 12 la pena era di 
25 anni. 

(4) La Giunta gli avea assegnato il Castello di Lipari . 

(5) La Giunta gli avea destinato Orbitello. 

(6) La Giunta gli avea assegnato il Castello di Lipari. 

(7) La Giunta gli avea destinato il " Castello de' Pre- 
^ sidii di Toscana „. 

(8) La pena pel Palopoli secondo la sentenza era di otto 



— 214 — 

« Tutti e quattro col successivo esilio dal Regno 
« sotto pena di morte in caso di contravvenzione. 

« Filippo Cangiano condannato alla deportazione 
« in vita, e Panfilo Giufellì, ed Angelo Romeo con- 
« dannati aUa detenzione di venti anni per ciascu- 
« no (1) col successivo sfratto dal Regno per amen- 
« due sotto pena di morte in caso di contràvven- 
« zione subiscano la loro condanna nel Castello di 
« S. Giacomo nella detta Isola di Favignana (2). 

« Vincenzo Civizza condannato a quattro anni di 
« presidio chiuso, col successivo sfratto dal Regno, 
« subisca la condanna nella Piazza di Trapani (3). 

« Gaetano Amante e Francesco Solimena, condan- 
« nati alla detenzione di dieci anni per ciascuno, e 
« Ferdinando De Bellis alla detenzione di cinque 
€ anni, col successivo sfratto dal Regno per tutti e 
« tre sotto pena di morte , subiscano la loro con- 
a danna nella Cittadella di Messina. 

a D. Antonio Letizia e D. Francesco Letizia e D. 
« Fedele Mazzola condannati alla relegazione i pri- 
« mi due per anni cinque ed il terzo per tre anni 
« col successivo esilio dal Regno pel tempo da sta- 



anni, ed il luogo di espiazione il Castello dell'Isola d'U- 
stica. 
Il Re, clemente, aggravò la mano. 

(1) Angiolo Romeo dalla Giunta fa condannato a 10 
anni, col Dispaccio gli fa raddoppiata la pena!!! 

(2) La Giunta avea destinato i seguenti luoghi : Per 
Cangiano il Castello di Lipari , per Ciafelli il Castello 
da' Presidii di Toscana , e per Romeo quello della Favi- 
gnana senza dir quale. Il R. Dispaccio assegnò per tutti 
tre il Castello di S. Giacomo, diverso da quelli di S. Ca- 
terina e di S. Leonardo, che erano nell'isola stessa. 

(8) La Giunta avea detto " in un presidio chiuso della 
Sicilia „. 



— 215 — 

« bilirsi da S. M. sotto pena di morte in caso di 
o contravvenzione subiscano la loro condanna nel- 
« risola di Ustica (1), 

a II Duca di Accadia D. Fabrizio Venato Dentice 
« condannato alla relegazione di venticinque anni 
« col successivo esilio dal Regno sotto pena di morte 
« in caso di contravvenzione subisca la condanna 
jt nell'Isola di Lipari (2). 

« Il P. D. Ippolito Berarducci condannato alla de- 
« tenzione in luogo di carcere in un chiostro Reli- 
« gioso della più stretta osservanza in un'Isola della 
» Sicilia per dieci anni , col successivo esilio sotto 
« pena di morte, sia mandato in Palermo a disposi- 
« zione del viceré, il quale debba destinare il detto 
« chiostro, mandarvi il Berarducci, e darne conto (3). 

a Celestino Scarciglia condannato alla detenzione 
a per tre anni col successivo esilio sotto pena di 
« morte, subisca la condanna nel Castello di S. Ste- 
« fano ne'Presidii della Toscana (4). 

« Vincenzo Manna, Domenico Manna, condannati 

(1) La Glanta avea destinata a tutti e tre Pisola d* I- 
sohia. La clemenza sovrana ne volle più dei giudici e li 
sbalzò ad Ustica. 

(2) Il Colletta, l'Arrighi e poi l'Uiloa dicono che alla 
Giunta furono uniti due nobili del Regno perchè tra gli 
imputati vi era un nobile, il duca di Accadia, guarenti- 
gia di origine Normanna mantenuta dagli Sve vi. E TUl- 
loa soggiunge che i due nobili furono il Duca di S. Ni- 
candro ed il Duca di Monteleone. 

Di ciò non si fa cenno nella sentenza né nei Dispacci, 
né la scelta fu felice. Il Duca di S. Nicandro, già Aio del 
Be, era uno dei più fanatici contro i liberali. 

(8) La sentenza diceva ^ dieci anni in un chiostro di 
" Sicilia. „ 

(4) La Giunta gli avea assegnato il Castello di Orbe* 
teÙo, che non esisteva. 



— 216 — 

« alla detenzione il primo per venticinque anni , il 
« secondo per venti anni , col successivo esilio dal 
« Regno sotto pena di morte, subiscano le loro con- 
ce danne nella Rocca di Petercola ne' Presidii di To- 
« scana (1). 

« Ciro Marinelli e Vincenzo Marinelli condannati 
4c il primo a venti anni di galea , il secondo col suc- 
« cessivo sfratto dal Regno sotto pena di morte, su- 
« biscano la condanna, il primo in Longone, il se- 
« condo in Orbitello (2). 

« Il P. Serafino Pinsone e Carlantonio del Giorno 
« condannati alla detenzione il primo per venti anni 
« il secondo per dieci subiscano la loro condanna 
« nel Castello di Gaeta , col tenersi il Pinsone ben 
* chiuso e cautelato (3). 

« A quelli dei mentovati condaittiati i quali chie- 
« deranno il soccorso diario per sostentar la vita , 
« quando non abbiano il modo di vivere, la Giunta 
« di Stato farà somministrare dai suoi fondi l'asse- 
« gnamento diario stabilito per le rispettive classi 
« dei condannati. Le condanne dei rimanenti inqui- 
« siti di stato indicate nel citato Reale Dispaccio del 
« 12 ottobre, dovranno eseguirsi nel modo ivi spie- 
« gato (4). » 

Le altre condanne riportate nel Dispaccio del 12 
erano queste: 

« D, Andrea del Giudice e D. Camillo Colangelo 
« sieno detenuti noi Chiostro dei PP. Gioranesi di 



(1) La sentenza li avea destiuati nel Castello della lE'a- 
vignana, senza dir quale. 

(2) Nella sentenza si taceva il luogo di espiazione. 

(3) Questa previdente raccomandazione fu aggiunta 
dal Re. 

(4) {Inedito) Dai Registri del Reggente della Vicaria. 



— 217 — 

« Nocera, e quindi vadano in esilio dal Regno sotto 
« pena di morte. 

« Nicola Càsoria sia detenuto per tre anni tra i 
a PP. Missionarii della città di Lecce, e di non fug- 
« gire sotto pena di deportazione perpetua in un' I- 
» sola, e jSnita la detenzione vada in esilio dal Regno 
« pel tempo da stabilirsi da S. M. Bernardo Palma 
« vada in esilio perpetuo dal Regno sotto pena, di 
« morte in caso di contravvenzione. 

« Filippo Papa vada in esilio dalla Provincia di 
« Terra di Lavoro per cinque anni , sotto pena di 
« perpetua detenzione in un'Isola in caso di contrav- 
« venzione, 

« Emanuele luliano sia liberato in forma, per un 
« biennio vada in esilio da Napoli e dai suoi Casali 
« sotto pena di relegazione in caso di contravven- 
« zione. 

a Francesco Casauli sia liberato in forma, ma rì- 
<c torni per diritta via alla città di Atina sua patria, 
« coU'obbligo di non partire sotto; pena di deporta- 
a zione in un' Isola. 

« Giuseppe Carbone , D. Ferdinando Rodriquez, 
« D. Francesco Pavone Noce , D. Mario Pignatelli, 
« D. Biagio e D. Michele Del Re siano liberati in 
« forma (1). 

a D. Francesco Paolo Lo Sapio pel delitto di Mae- 
a sta sia liberato in forma , ma per le rubriche di 
« vita licenziosa sia detenuto per sei mesi tra i PP. 
« Gioranesi di Nocera, coH'obbligo di non partirne 
« sotto pena di deportazione in un' Isola (2). 



(1) Mario Pigaatelli mori poi sul patibolo il 30 set 
tembre 1799. 

(2) La castità dell' Aoton ed altri non poteva tollerare 
« la rubrica di vita licenziosa " del Lo Sapio. E cosi, 
quelli ohe la Giunta assolveva, il Re condannava. 



— 218 — 

« Per D. Giovanni Labonia si attenda Tesito della 
« la informazione commessa all'uditore D. Ginsep- 
« pantonio Cipicchia e intanto gli si conseg;nì a pe- 
< na sicura colla cauzione dì 3000 ducati. 

« D. Salvatore Cornacchia e D. Giuseppe De Deo 
« si scarcerino (1). 

« Riguardo al carcerato Domenico Tata ed ac^li 
« assenti si tratti la loro causa nella prima Giunta 
» di novembre venturo e se ne renda conto al Real 
« Trono (2) ». 

Contro dunque ogni legge del Regno, contro il di- 
ritto e la fede pubblica, la sentenza della Giunta era 
modificata dall' arbitrio del Re , che mutava, a sua 
posta , le condanne , vi aggiungeva condizioni non 
determinate dai giudici, inaspriva le pene assegnan- 
do come luoghi di detenzioni orride fosse, ed isole 
ardenti e sterili, cacciava ne' chiostri quelli ridonati 
alla libertà (3). 

CAPITOLO DECIMOTERZO. 

SoNMARio. — La dittatura di Robespierre. La Convenzione. 
Il terrore. I Giacobini nel 1795. Conquiste francesi. Face 
con la Prussia e con TOlanda. I governi Italiani. Pace 
col Piemonte. Venezia. La Spagna, la Svezia, la Dani- 
marca. L'Inghilterra e l'Austria. Politica del governo 



(1) Il Cornacchia era prete. Il De Deo ets, il padre di 
Emanuele, già giustiziato. 

(2) (Inedito) Dai Registri del Reggente della Vicaria. 
(8) La pubblicazione di questi documenti rettifica le 

molte inesattezze di cui son piene le opere degli storici 
in ordine ai fatti di Napoli. In ispecie il Botta, come si 
può vedere leggendo il Lib. IV, pag. 120. 

L' TJlloa poi, ripeto, per giustificare queste condanne 
commette gravissimi errori. 



— 219 - 

napoletano. Parallelo con quella del G-randuca di To- 
scana Politica di Itoma. Preparativi del governo fran- 
cese contro Roma. Le flotte francesi ed inglesi nel me- 
diterraneo. La squadra del Ite di Napoli. Riunione con 
la flotta inglese a Livorno. La battaglia di Capo Noli. 
Felice combattimento del vascello napoletano il Tan- 
credi comandato dal Caracciolo. Il Censore e il Qa ira 
si rendono al Tancredi. Giudizi! degli storici. Ingiusti 
e falsi giudizii dell* Helfert. Errori. La vittoria navale 
rassicura la Corte. Stato di Napoli nel 1795. La Regina 
e lo spionaggio. Rivalità di Acton con Medici. Con- 
giura di Medici. Arresto di Medici e di molti patrioti. 
Ettore Carafa e Mario Pagano. Trionfo dell' Acton. La 
Regina vuol salvare Medici. La Marchesa di S. Marco 
e Trequatrini. La nuova Giunta di Stato. Castelcicala 
Vanni, Guidobaldi. Medici è salvato. Acton si eclissa. 
Castelcicala Ministro di Giustizia. 

Negli ultimi due anni la Repubblica francese avea 
vinta la coalizione, domati i realisti ed 1 repubbli- 
cani moderati che erano sorti contro iV Terrore e la 
Dittatura di Robespierre. La convenzione nazionale, 
sublime ed atroce , impresse In tutto V organesimo 
governativo un impulso potente , un' unità meravi- 
gliósa , una celerità singolare. Spinse quasi un mi- 
lione d'uomini ai confini, impose ai generali improv- 
visati la vittoria o la morte ; cacciò gli avversarli 
politici d'ogni parte e di ogni colore, uomini illustri 
e dame belle, Re e Regina , repubblicani ardenti e 
cospiratori realisti, a torme in braccio al boia. 

Nel 1794 vittoriosa di nuovo, di quasi tutta Euro- 
pa, vide rinascere i partiti contro il suo sistema 
sanguinario. Passò di nuovo su i loro cadaveri. Ma 
i complici di tanta strage , per isfuggire la stessa 
sorte, si levarono contro l'uomo fatale. 11 sangue di 
Danton parve affogasse Robespierre , ed egli cadde 



— 220 — 

come era caduto sotto i suoi colpi il fiore deglln- 
telletti e del patriottismo. 

Però la mannaia incominciava a destare ribrezzo, 
la Francia era salva. 

Cosicché al sorgere del 1795 i Giacobini erano di- 
spersi, il patibolo avea diradato le loro fila, mentre 
nei partiti, da essi prima percossi, spuntava il desio 
di un governo dolce, moderato, umano;^ l'amore dei 
piaceri, dell'arte, della civiltà nuova, una dolce re- 
miniscenza della religione dei padri. La rivolu- 
zione si dispogliava delle sue forme rozze, violente; 
diventava umana ma non snervata o svigorita, per- 
chè di tratto in tratto le fazioni anelanti a supre- 
mazia , facevano balenare le loro vendette. Però il 
genio della vittoria non disertava le già gloriose 
bandiere. La campagna del 1793 avea salvata la 
Francia dall'invasione, quelle del 1794, le assicura- 
rono grandi conquiste. I suoi eserciti divennero pa- 
droni della Belgica, dell'Olanda, del territorio eh' è 
tra la Mosa e il Reno, del Palatinato , della linea 
delle grandi Alpi , di quella dei Pirenei , di varie 
piazze forti in Catalogna ed in Biscaglia. 

Gli stretti no^i della lega Europa si scioglievano 
a colpi di spada. Quindi la Prussia stringe la pace 
a Basilea (1), l'Olanda all'Aia (2); la Dieta Germani- 
ca parlava all'Austria di por fine alla guerra. 

I governi italiani anelavano anche essi riposo e 
quiete. 11 Piemonte avea perduto la Savoia e Nizza 
ed era esausto di forze.La Toscana, come seppe i fran- 
cesi alle porte di Genova, chiede pace ed amicizia (3). 



(1) 5 aprile 1796. 

(2) 15 maggio 1795. 

(3) 3 febbraio 1795. 



- 221 — 

Venezia inviava un suo ambasciatore presso la 
Repubblica. 

Degli altri Stati di Europa la Spagna subiva i rag- 
giri inglesi, ed i clamori dell'emigrazione francese; 
però la Svezia e la Danimarca si accingevano a ri- 
conoscere la Repubblica, la Svizzera per bocca del 
suo presidente diceva : alla Svizzera bisogna una 
Francia, e una Francia alla Svizzera. 

Sole in armi e decise restavano l'Inghilterra, l'Au- 
stria, Napoli (1). 

Sventuratamente la politica napoletana era guidata 
da due interessi e da due simpatie contrarie alla 
Francia. La regina vi persisteva per cieco amore 
all' Austria , e sete di vendetta contro i francesi. 
L' Acton perchè, nella regina vedeva la sicurezza del 
suo stato, negli Inglesi i suoi protettori. 

Se queste passioni ed interessi estranei al van- 
taggio vero della nazione non si fossero determinati, 
l' unica politica saggia sarebbe stata quella di una 
perfetta e leale neutralità; o almeno modellarsi sulla 
Toscana , giacché alla Corte di Napoli non erano 
ignote le ragioni dell'accorta prudenza del Granduca. 
Questi ed il suo primo Ministro Manfredini, aveano 
previsti e sfuggiti nelP interesse dei loro popoli , i 
pericoli di una invasione. L' imperatore di Austria, 
approvando, fece di necessità virtù. E il governo 
toscano seppe prudentemente resistere a quella parte 
del popolo che cieca di avversione contro i francesi, 
lo spingeva alla guerra. Napoli invece cede alle mi- 
nacce , promette neutralità , ed adotta un contegno 



(1) Thiers scrive : " La Corte di Napoli, traviata dalle 
" passioni di una Regina insensata , lungi da ogni pen- 
•* siero di trattato , prodigava ridicole promesse di soc- 
" corsi alla lega. „ (Voi. 4, pag. 72). 



— 222 — 

di finzioni e di giunterie. Mostra pace e non pensa 
né medita che propositi di vendette (1). 

Avea fatto come Roma, dove l'emigrazione francese 
con a capo il Cardinale di Bernis, spinse il Papa a 
confondere gl'interessi della religione con quelli po- 
litici. E gli uomini e cardinali prudenti furono so- 
pravvanzati. Cosi vennero fuori quei Brevi che ani- 
marono il clero di tutto il mondo cattolico alla re- 
sistenza, poi le mostre ed i ridicoli apparecchi di 
armi e di armati, le riviste del General Caprara che 
tornarono di gradito spettacolo alla plebe romana, 
ed al Papa lusingato dalle pompe guerriere. I pos- 
sidenti invece e la classe illuminata videro i pericoli 
ed il dispénd'o per quel fantasima d'esercito; ma il 
clero alimentava coi suoi sermoni 1' avversione po- 
polare contro la Francia, finché questa non fé' cor- 
rere minacce e non si apprestò alle offese. 

Roma, Naj.oli e il Piemonte restavano in Italia a 
contrastare l'influenza del Governo francese il quale 
allestiva a Tolone celeremente una flotta di molte e 
grosse navi, premuroso di spedirla nel Mediterraneo 
tentare uno sbarco alle foci del Tevere per levare 
una contribuzione sul governo papale (2). 



(1) Lettere della Regina ad Emma Hamilton in data 
del febbraio 1793 e quelle del 1794 e 1795 ( Palumbo, 
pag. 147 e seguenti). 

(2) Coppi ( Voi. I pag. 199;. Il Thiers , chiama questo 
progetto del governo francese un ridicolo attentato (Yol. 
4, pag. 136). n Botta (Lib. V. pag. 114) crede con gli altri 
storici che la flotta fosse apprestata per riacquistare la 
Corsica. Invece il Colletta è più esatto affermando che il 
naviglio, uscito da Tolone, dovea sbarcare i soldati fran- 
cesi sulle coste di Romagna. 

Roberto Soutbey fa ascendere la flotta francese a 17 
vascelli di linea ed a 5 altri di varia grandezza. 



— 223 — 

Ma ringhilterra avea nel Mediterraneo la sua flotta 
guidata dairammiraglio Hotham, la quale dopo es- 
sersi travagliata all'impresa della Corsica, riposava 
nel porto di Livorno. 

Così ben presto il Mediterraneo dovea diventare 
il campo di battaglia delle due nazioni, e Napoli vi 
si mostrava, e vi acquistava fama di buona e fedele 
alleata. 

Difatti fin dal 22 febbraio di quell'anno una divi- 
sione di legni napoletani erasi avviata ad unirsi alla 
flotta inglese. Era composta del vascello il Tancredi 
di 74 cannoni, comandato da Francesco Caracciolo 
Duca di Brienza, delle fregate la Pallade e la Mi- 
nerva di 40, che ubbidivano ai capitani De Vera ed 
Almagro. Giunse a Livorno il 1 marzo, si pose agli 
ordini dell'ammiraglio inglese, ebbe assegnato il po- 
sto di battaglia. Il Tancredi alla vanguardia, coman- 
data dal Vice-Ammiraglio Goodaall. 

La flotta francese salpava dalle isole Hières , e 
l'ammiraglio inglese ordinava al capitano del Ber- 
wichy di stazione a S. Fiorenzo di Corsica, che si 
riannodasse a lui. Poi all'alba del 9 marzo mos- 
se dal Porto di Livorno, ed al tramonto le navi di 
scoperta segnalarono il nemico a vista. I giorni 10 
ed 11 le due flotte manovrarono costantemente per 
avvicinarsi, perchè, essendo comparso il Berwich, 
il Sanculotte si die a dargli la caccia, ma inutil- 
mente, anzi malconcio dovè rifuggirsi nel porto di 
Tolone. In tutta la giornata del 12 la flotta inglese 
stringendo le fila , si era cacciata sopra vento , e 
spiegava i quattordici vascelli, una fregata, due bri- 
gantini in ordine di battaglia. 

L'alba del 13 fu il segnale di caccia generale, e la 
sorte incominciò a manifestarsi contraria ai france- 
si, giacché il Mercure separato dalla squadra da 



— 224 — 

una grossa buffa di vento e perduto l'albero maestro 
dovè riparare nel Golfo Juan. Spirava un vento fresco 
che tornò favorevole agli inglesi, perchè mentre i 
nemici erano spinti verso il Capo Noli, essi li strin- 
gevano e fulminavano, tanto che verso le ore nove 
il vascello Qa-ira fu smattato dei due alberi di gab- 
bia e cadde sotto vento della sua linea. Pronti si 
volsero i tiri ^^VClncostante e ^(ò\Y Agamennone co- 
mandati dal Nelson contro di esso, quando il coman- 
dante francese inviava il Censore e la Ventale per 
sostenerlo e rimorchiarlo, ed accorreva con tutto il 
resto della squadra ad arrestare il vantaggio del 
nemico. Si fu allora che i legni avanzati degli in- 
glesi si ripiegarono sul grosso della flotta, ma il 
Censore e la Vestale non poterono trarre in salvo 
il Qa-ira. 

All'alba del 14, presso le acque di Genova^ le due 
squadre, pél vento caduto e pel mare grosso, si erano 
di molto avvicinate. 11 Censore ed il fa-ira erano 
separati dalla squadra. L'ammiraglio inglese non in- 
dugiò a trarre partito , ordinando che si desse la 
caccia. Ma verso le sei scoppiò una piccola burrasca 
di NNO, la quale permise solo ad otto vascelli, tra 
i quali il napoletano Tancredi, formati in linea, di 
cacciarsi tra il grosso della flotta nemica e ì due 
legni tagliati fuori. 1 cannoni degli otto legni tuo- 
narono con orrendo fragore. La mischia diventò ge- 
nerale, mentre la flotta francese, correndo il bordo 
opposto, lasciò il Censore ed il Qa-ira alle prese col 
Bedford ed il Capitano. Verso le ore 8 li2 il Qa-ira 
era perfettamente rasato dei suoi alberi, ma i due 
legni assalitori, smontati e con le vele lacere, lascia- 
vano il posto di battaglia. Prestamente fu dato or- 
dine al Caracciolo di occupare il loro posto. Si spinse 
gli arditamente col Tancredi contro il Censore 



— 225 - 

fino a mezzo tiro di fucile; lo attacca con bordate 
celeri e gagliarde, che lancia a riprese anche contro 
il Qa-ira, Dopo due ore di vivissimo fuoco il primo 
ammaina la bandiera, e a breve intervallo l'altro si 
arrende. Cosi al valore ed all'abilità del legno napo- 
letano toccava il premio della doppia preda, l'onore 
della resa. Alle quattro tutta la flotta francese bat- 
teva in ritirata, mentre l'avversaria vittoriosa con- 
tava le perdite e si disponeva a riparare i danni, 
a rimorchiare i due legni predati. 

Il rancr^^^ ebbe rotto l'albero di trinchetto, molti 
feriti ed otto morti. 

L'indomani lo stato maggiore e l'equipaggio intero 
riscossero gli elogi dell'Ammiraglio Hotham e del Vi- 
ce ammiraglio Goodal, per la bravura e l'abilità di- 
mostrate, e certo non scarsa gloria ebbe il Carac- 
ciolo tenendo alta, in presenza delle prime marine 
del mondo, la bandiera della sua patria (1). 



' (1) Questi particolari della battaglia sono tolti da«un 
documento importantissimo ed autentico, il giornale di 
bordo del barone Giuseppe Correale, il quale era imbar- 
cato sul Tancredi sotto gli ordini di Caracciolo. Cosi tutte 
le parziali scritture degli storici inglesi, e la parzialissi- 
ma deirHelfert, austriaco, sono contraddette da questa, 
che ha tutto al valore di un rapporto ufficiale di chi 
prese parte a quell'azione. Noto, non pertanto, le princi- 
pali divergenze deirHelfert (pag. 19, 20 e nota). Dice egli 
che il Tancredi si uni alla squadra inglese il 12; invece 
del 1 marzo. Attribuisce air Agamennone, comandato dal 
Nelson, la presa dei due legni francesi, confondendo i due 
tempi dell'azione. Nega che la squadra napoletana pren- 
desse parte al combattimento, e cita a prova che il Nelson 
nulla disse, e che il Caracciolo non ne ricevè lodi. Lo 
che prova nulla; sia perchè il Nelson non era il coman- 
dante in capo che dovea riferire sulPavvenuta battaglia. 
Conforti 16 



— 226 — 

La vittoria della flotta inglese e napoletana sventò 
la spedizione di Roma; rassicurò la Corte e l'Acion, 
che dall' avvicinarsi dei francesi di tutto aveano a 
■temere, perchè gli animi erano profondamente turbata 

La Regina e il Ministro afforzati da una schiera 



sia perchè egli era cosi giustamente orgoglioso, e sentiva 
cosi altamente di sé e della marina inglese, che dispre- 
giava tutte le altre. 

Però anche in questo 1' Helfert confonde due epoche e 
due fatti diversi. Il Nelson non poteva far menzione del 
Tancredi perchè dopo la battaglia di Capo Noli, questo 
legno non fece parte della squadriglia napoletana, messa 
sotto gli ordini àeW Agamennone, Essa invece fu coman- 
data dallo stesso Correale, che venne posto sotto gli or- 
dini di Nelson il 15 settembre. 

È anche opportuno avvertire, che il giudizio dell* Hel- 
fert intorno al Caracciolo è più che una ingiustizia sto- 
rica, una cattiva azione. Si direbbe che riviva nello scrit- 
tore austriaco V odio con cui Maria Carolina e Nelson 
punirono lo sventurato marino napoletano, anzi c'è rag- 
gravante di un odio che non rispetta neanche la tomba; 
mentre è da notarsi che anche gli storici napoletani ed 
altri stranieri favorevoli alla parte regia fanno una giu- 
sta estimazione dei meriti e del valore del Caracciolo. 
(Vedi, fra gli altri, il MaruUi Voi. I, pag. S2). Certamente 
chi volesse elevare il Caracciolo per oscurare la gloria di 
Nelson farebbe opera puerile e stolta; ma lo stesso ci pare 
che facciano i detrattori di lui. 

Per i ragguagli «ulla vita militare del Caracciolo si 
consultino il D'Ajala ed altre scritture parziali. L'Ulloa 
ne loda il coraggio e la perizia nel mestiere. 

Intorno alla battaglia navale del Capo Noli. non ignoro 
la importante narrazione dell' Ammiraglio Jurien de la 
Gravière: ," Etudes sur la dernière guerre maritime„; ma 
essa nulla prova, perchè, come l'autore stesso nota, i par' 
ticolari furono studiati sui " The dispatches and Lettera of 
vice-admiral Viscount Nelson. Londres 1^5,46.7 voi. in8. ,> 



227 — 

di cortigiani pmi di senso politico e mossi da cieca 
ambizione smisero ogni ritegno. Rassicurati dalla par- 
te del mare , potenti per terra e fuori il tiro degli 
eserciti della Repubblica, potevano soffocare impu- 
nemente ogni mossa airinterno. E quindi V oppres- 
sione e la tirannide prese tutta la sua forza. Al go- 
verno, tanto più cresceva il furore quanto scemava 
il giudizio, e tutto concentrollo nell'arbitrario siste- 
ma di polizia, la quale, miserabili inezie elevava a 
delitti di stato. E questo sistema ponea capo non 
ad un solo ma a tre, e ciascuno con mezzi propri: 
la Regina, Acton, Medici. Il Re lasciava correre. 

E quei tre non usavan più cautele allo spionaggio, 
che era diventato strumento attivo di governo, base 
unica delle condanne, mezzo per non patir persecu- 
zioni o aver favori. 

Una cupidità nova e sordida di potere, di denaro, 
d'impieghi fu risvegliata ed alimentata dairalto. Le 
spie si reclutavano in ogni classe. La Regina sfac- 
ciatamente proclamava di voler distruggere il pregiu- 
dizio per cui si reputava infame il mestiere di de- 
latore (1). 

Nobili dame diventavan celebri per furfanterie po- 
liziesche (2) , e donne ignote acquistavano infame 
celebrità (3). 

Era uno stato di guerra terribile e feroce, perchè 
il nemico vi colpiva alle spalle. Tutti gli odi , tutti 
gl'interessi privati, tutte le gare e le inimicizie po- 
tevano volgersi a delitti di stato. Napoli divenne un 



(1) Cooo, pag. 38. Colletta. 

(2) D'Ajala, Opera postuma. 

(3) Vedi la " difesa del cittadino Nicola Pegnalner „ 
foglio volante stampato in Napoli nel 1799, nel quale si 
parla della famosa spia Ulderiga Sanges. 



— 228 — 

campo di spie e di delatori che contavano i passi, 
registravano le parole , notavano financo il colore 
del volto ed i sospiri. Il sospetto distoglieva le ami- 
cizie, le parentele, le intime relazioni. Bastava veder- 
visi presso TActon o il Castelcicala per perder fama 
e fiducia (1). 

Fra quei pericoli l'animo dei patrioti era prostrato 
ma non domo. Né la concordia era nella Reggia. 

Si preparava dietro le scene una rivoluzione di 
palazzo , cosi frequènti dove sono non ministri ma 
favoriti. Ed a Corte il Medici valeva per potente 
patrocinio, quello di sua sorella la Marchesa di San 
Marco, confidente della Regina. Fuori, perchè d'ani- 
mo più mite, simulatore, desideroso di apparir giu- 
sto e di applicare la legge. Era gradito cortigiano 
alla Regina, tollerato Ministro dai patrioti (2). 

L'Acton vedendo Medici salire in grazia s'irritava, 
geloso del doppio potere che Medici aspirasse a le- 
Targli. 

Né s'ingannava. L'uno calcolava, fingeva, ordiva, 
l'altro insidiava. Quando il segreto macchinare di 
entrambi fu al colmo, Medici fé' insinuare nell'animo 
•della Regina tutti i pericoli d'avere a Ministro un 
uomo ligio agi' Inglesi ; ed altre accuse accennava, 
di altre die le prove. Acton il seppe e non vide sal- 
vezza se non nella rovina del rivale (3). 

Gli dava questi d'altronde per le apparenze buon 
giuoco; giacché pur tentando di scalzarlo nel cuore 
e nell'opinione della Regina e per interesse del tro- 
no, serviva altresì alle mire dei patrioti, i quali per- 
chè il giogo presente li opprimeva, non guardavano 



(1) Difesa^ citata. 

(2) Ulloa, pag. 83. 

(3) Ulloa, ibid. 



— 229 — 

la mano che si apprestava a liberameli. E natural- 
mente il Medici si conciliava il favore dei persegui- 
tati, quando mostrava che cozzar dovesse con quel 
potente pretoriano (1). 

Accrescevangli le simpatie le relazioni masoniche, 
interrottesi, ma non alPintutto cancellate; si sperava 
anzi, trarlo, quando fosse diventato arbitro del cuore 
e della mente della Regina , agli antichi amori , 
o averlo temperato ed umano nei consigli della 
Corona. 

Tutto ciò era per T Acton , più che sufficiente a 
perderlo; ed egli riunì gl'indizi, riannodò i sospetti, 
fabricò pestifere prove , trovò i delatori ; Annibale 
Giordano e il noto Pietro De Falco. 

Il primo valente matematico, per quanto tristo di 
animo, era familiare di casa Medici; e niun dubbio 
che le arti delPActon il decidessero, insieme col De 
Falco, a diventare strumento delle sue vendette con- 
tro i liberali prima, contro il Medici poi. La stessa 
clemente impunità anticipatamente promessa al De 
Falco, e che gli avea salvato il capo dal capestro; 
la mutata destinazione del luogo di detenzione che 
la Giunta avea assegnato al Giordano , giacché in- 
vece dell'Isola della Pantelleria fu col dispaccio del- 
TActon spedito nel Castello di Aquila, mostrano che 
giovava a costui averlo in luogo prossimo, per con- 
durre a termine la trama architettata. 

Così il Giordano prima, il De Falco poi, fecero per- 
venire all' Acton le loro denunzie scritte contro il 
Medici. 

Dissrero che i successi della rivoluzione di Francia 
avean rallegrato il Reggente, il fecero compartecipe 
a riunioni clandestine in casa ed in una Casina di 



(1) Memorie del Generale Guglielmo Pepe, Voi. 1 pag.ll. 



— 230 — 

un avvocato, forse il Fasulo. Che molti, ad istiga- 
zione del Medici, s'erano iscritti alle conventicole ; 
che il Reggente avea postillata di sua mano una 
scrittura del Giordano sul governo democratico , 
sventati, come Reggente, la vigilanza e gli atti con- 
tro i congiurati. Avrebbe sollecitato V ammiraglio 
La Touche, contro il parer di Mackau , a dichiarar 
guerra al governo^ consegnato al primo i disegni 
dei forti di Napoli, tramato e promesso al La Tou- 
che, e al console Aillet , la sollevazione delle Pro- 
vincie del Regno. 

Tenne TActon per se il foglio, finché il caso o la 
sua previdenza non gli recarono in mano un docu- 
mento importante. Fece cogliere alla posta una let- 
tera proveniente da Genova al Medici, scrittagli dal- 
l' incaricato di Francia in quella città, il Tilly , il 
quale, deplorando le condanne del 1794, pregavalo ad 
essere pietoso coi patrioti condannati dalla Giunta. 
Parca chiaro e limpido il reato del Medici di corri- 
spondenza coi nemici; era il momento propizio per 
accusarlo. 

Quindi la polizia dell'Acton si sguinzagliò su i pa- 
trioti , poiché bisognava mostrare estese ed impor- 
tanti le fila di una nuova congiura e cogliere gli 
uomini di credito, di valore, di aderenze. 

Furono arrestati, fra gli altri in Napoli, Ettore Ca- 
jafa, primogenito del Duca di Andria e Conte di 
Ruvo (1), Gaetano Coppola figlio del Duca di Gan- 
zano, Giuliano Colonna, ultimo nato del Principe di 
Stigliano , Gennaro Serra , terzogenito del Duca di 



(1) Per i particolari dell'arreste di Ettore Carafa, vedi 
Archivio Storico per le Provincie napoletane. Anno X, 
fase. Ili, Pag. 234 e seg. 



— 231 — 

Cassano, i Caracciolo, Giuseppe Riario, sestogenito 
del Marchese di Corleto. 

Erano colpiti i rampolli della prima nobiltà , per 
inimemorabile potenza nel Regno e fuori, venerata 
e temuta, stretta in parentela con famiglie anche esse 
di antiche lignaggio, come i Pignatelli, i Monteleo- 
ne, i Piccolomini, i Policastro , i Della Roccella, i 
Del Colle, che contavano fra i loro antenati Grandi 
di Spagna, Principi, Cardinali, Papi, condottieri fa- 
mosi come Ludovico il Moro (1).. 

Quale più favorevole argomento per TActon onde 
apparisse chiara. la partecipazione di famiglie potenti 
alla congiura del Medici? 

Né bastava ; e si die a cogliere altre vittime tra 
r aristocrazia dell' ingegno , e quindi furono per la 
prima volta gittàti fra i ceppi Mario Pagano, Igna- 
zio Ciaia, Teodoro Monticelli, Domenico Bisceglia, 
Nicola e Giuseppe Fasulo, Forges-Davanzatr ed altri 
molti (2). 

Per accrescere il timore bisognava ingrandire il 
pericolo , e quindi volle dimostrare che la trama, 
avea le sue velenose ramificazioni nelle provinole. 
Anche colà distese la mano malefica. 

Nel casino della Baronessa di Castelbottaccio sole- 
vano riunirsi a piacevole conversare degli avvenimenti 
del giorno ed anche di galanti avventure, Marcello 
Pepe di Civitacampomarano , cognato di Vincenzo 
Coco , uomo di molto sapere , e di molta onestà, e 
che crebbe ad onor della patria tre figli , Raffaele, 
Carlo e Gabriele ; Vincenzo Ricciardi di specchiata 
probità e modestia, dotto nell'antico diritto, Vincenzo 



(1) E questa l'aristocrazia napoletana che PHelfert, in- 
giuria e vilipende. 

(2) Colletta, pag, 87, D'Ajala, Opera postuma, pag. 88. 



— 232 — 

Sanchez ed il figlio Giuseppe, Nicola Bichisao, Sci- i 
pione Vincelli, Andrea Valiante. Or recatosi nel Mo. 
lise Gaetano Coppola Duca di Ganzano per derimere 
un'antica quistìone per diriiti feudali tra la sua fa- 
miglia ed il Comune di Ripalda propose un arbitrato, 
e furono scelti a comporlo il Ricciardi e Marcello 
Pepe. 

Tosto movesi contro il Coppola l'accusa di aver 
promosso colà sette e congiure, e le persone assidue 
a quelle riunioni o note per amicizia ed aderenze 
sono arrestate e tradotte a Lucerà (1). 

Trionfava cosi l' accusa del Giordano , che il Reg- 
gente avrebbe promesso al La Touche, la rivoltura 
delle Provincie. L' Acton coglieva V occasione per 
accreditarle. Per mala ventura fra gli arrestati vi 
fu anche Costantino Lemaitre Marchese di Guardial- 
flera, che ad un ingegno svelto ed una memoria pro- 
digiosa accoppiava forte e sodo sapere , ma d' in- 
dole leggiera, di carattere bizzarro, proprio, a bril- 
lare fra piacevoli trattenimenti , e a godersi le ric- 
chezze e con esse la vita. Costui, col proponimento 
di salvar se stesso ed i compagni , affermò le più 
strane e pazze cose, tra vere e false, che invece di 
giovare, nocquero. 

Cosi l'Acton armato di tutto pùnto contro il rivale 
trionfò del Re e della Regina, ottenne l'assenso del- 
l' arresto del Reggente. Questi però avvertito dalla 
sorella , la Marchesa di S. Marco, fu alla Reggia, 
vide il Re, si costituì volontario prigioniero, e andò 
a chiudersi nel Castello di Gaeta aspettando il giu- 
dizio. 



(1) Biografie e ritratti dagli uomiai illustri della Pro- 
vincia di Molise, Opera compilata dall' A w« Pasquale Al- 
bino. Campobasso 1866. YoL 3. 



— 233 - 

Fu una scossa per tutti. Acton era diventato on- 
nipotente; nessuno poteva resistergli, calcava egli 
oramai piccoli e grandi , tutto cedeva ai suoi dise- 
gni, flnanco i capricci di una Regina imperiosa, su- 
perba, pertinace negli odi e disposta a mutar di fa- 
voriti. 

Però ella avea al fianco, pungolo potente, un'altra 
donna: la sorella del Medie'. Avea in se la disposi- 
zione naturale al contrasto ed alla lotta, era a capo 
di un governo occulto , oltre di quello dell' Acton, 
amava con la sua polizia segreta, con le spie assol- 
date, sorvegliare amici e nemici , l'Acton stesso, il 
Re; col denaro del governo di cui il ministro l'era 
prodigo , con gì' impieghi , coi favori s'era cinta di 
zelanti e fanatici interessati , e quindi le parve 
gara ardita e degna di se, batter l'Acton, e salvare 
Medici. 

L'Acton avea disfatta la Giunta di Stato del 1794 
per allontanarne gli uomini più miti, e qualche ma- 
gistrato di buona fama. La nuova mostrò quanto 
fosse accorta la perfidia di lui, e come sulla scelta 
degli uomini raramente s'ingannasse. 

Levò su tre uomini di fama e stato diverso , ma 
tutti e tre degni del mandato a cui l'accinse, Vanni 
Guìdobaldi, Castelcicala. 

Carlo Vanni avea già fatto le prime prove nella 
Giunta del 1794 nella quale fu messo per fama di 
uomo capace a secondare non solo le malevoglie 
dell' Acton, ma di sorpassarle ; portato com' era da 
smodata ambizione e fanatismo , dalla febbre della 
persecuzione contro chiunque cadesse sotto le sue 
unghie d' inquisitore. L* Acton che V avéa scorto e 
pesato se n'era già avvalso per private sue vendette 
contro il Principe di Tarsia, poi contro il Medici ed 
i patrioti. Dirò brevemente la faccenda del Principe 
di Tarsia. 



— 234 — 

Il Re lo avea scelto a direttore della fabbrica di 
seterie di S. Leucio, due errori in uno, dice un no- 
stro storico. Il Re che scelse un principe anziché 
un industriante, il principe che accettò un mestiere 
non fatto per lui. Ne avvenne quello che ne dovea 
avvenire. Il principe onestissimo cavaliere, ma tutto 
dato a vita splendida e spensierata , non impedi le 
malversazioni altrui , quindi dagl' introiti della fab- 
brica mancarono 50 mila scudi. Acton scelse Vanni 
a liquidare i conti. Il principe volea e potea pagare, 
ma Acton intendeva umiliarlo e vessarlo. Un grande 
di Spagna era preda ghiotta alla sua recente e ma- 
Tacquistata nobiltà, e Vanni secondò le bieche mire 
di quello straniero qui venuto per avvelenare e cor- 
rompere tutto. Quindi molestie ed insulti contro la 
famiglia Tarsia, lo che il fece in Corte, dove TActon 
il proteggeva , chiamar giudice integro ; fuori , fra 
gli uomini sensati, un dappoco, un impostore, prono 
a severità fuor di luogo e di ragione (1). 

Nella Giunta di Stato a cui dunque lo istinto di 
natura fiutò per la prima volta il sangue, e gli acri 
profumi gli annebbiarono ogni serenità di giudizio. 

Questo il morale ; in quanto al fisico non era meno 
spaventevole. Avea lo sguardo sempre riconcentrato 
in se stesso , il colore pallido cinereo , come suole 
essere quello degli uomini atroci, il passo irregolare 
quasi a salti, come quello della tigre, parca una larva 
sbucata da una sepoltura (2). Avea titolo di Marchese 
e non scarsa fortuna. 



(1) Avea fatto rapidi asoensi; prima del 1789 fa nomi- 
nato Avvocato de' poveri dell'Udienza Generale di Guerra 
e Casa Reale, poi in qiiell^anno Giudice Civile del Tribu- 
nale deirAmmiragliato e Consolato. Rescritto del 17 aprile 
1789 {inedito), 

(2) Coco , pag. do. Aggiungo un fatto , ed un sonetto 
inediti. 



— 235 — 

Il Barone Giuseppe De Guidobaldi, s' era imbran- 
cato fra le spie e nel Foro. Tristo per calcolo non pel- 
l'entusiasmo come il Vanni, colpiva quando gli tor- 
nasse utile e non pericoloso. Ingrato non guardava 
che il proprio tornaconto, cosi gli affetti più grandi 
e più forti dell'animo umano l'amore, l'amicizia, la 



Nel 1794 avvenne nelle sale della E. Camera della 
Sommaria , di cui il Vanni era Consigliere , un caso 
che destò molto rumore. Il Vanni , commissario in una 
causa, ne tirava in lungo la decisione*. Una delle parti, 
non potendo aver da lui sollecita giustizia incontratolo 
in una di quelle sale, gli fé' preghiera di sollecito disbri- 
go. Vanni rispose : " non voglio proporla „. Allora il mi- 
sero perduta la pazienza gli fu addosso, il caricò di pugni, 
gli strappò la parrucca fra lo stupore e '1 riso degli astan- 
ti. Freso però fu frustato e condannato alla pena della 
galera. 

Il fatto svegliò la satirica musa di Luigi Serio, avvo- 
cato e poeta che lasciò il suo nome alla storia, il quale 
essendo presente , li per li improvvisò , scrivendo sopra 
uno de' banchi degli uscieri, il seguente sonetto : 
Nell'alto tribunal della Sjmmaria 

Avvenne in questi giorni un caso serio 
Tal che se ne discorre in lingua varia 
Dai sfacendati privi di criterio 
Un togato di faccia atrabilaria 
Che parea uscito or or dal cimiterio 
Mentre ne andava a giudicar in aria 
Ebbe sul cranio un suon non di salterio. 
Un pover' uom che avea di pan penuria 
Stanco di più soffrir cotanta boria 
Usci di sesto e diede in fìer delirio 
E alla lunga Parrucca senatoria 
Non audita recò mai fatta ingiuria 
Tal che Giove ne rise dall'Empirie. 
' (Dai MS. di Emanuele Palermo). 



— 236 — 

gratitudine egli li calpestava senza ritegni e senza 
rimorso. Familiare e protetto dall'uditore Ruggiero, 
il ripagò corrompendogli la moglie , sicché quando 
quegli venne in Napoli consigliere, Guidobaldi segui 
la druda e continuò la tresca. A Napoli il cieco 
marito , facilitò i primi passi nella Curia al perfido 
amico. 

Consultato da un cliente, sospetto per liberalismo, 
Guidobaldi lo denunziò alla polizia (1). 

Con questi meriti fu nominato interino avvocato 
dei poveri nella seconda Rota della Gran Corte con 
l'intero peso della carica ed uso della toga (2). E gli 
fu concesso, altresì, continuare il disbrigo delle cause 
che i frati Domenicani gli aveano affidate (3). In 
men di due anni avanzò di grado, divenne Consigliere 
della R. Camera di S. Chiara. 

Presidente della Giunta fu Fabrizio Ruffo princi- 
pe di Castelcicala. 

Benché di nobile stirpe s' era costui dedicato al 
Foro, invogliatovi forse da quel distico che per cir- 
ca un secolo si leggeva scritto sulle nostre scuole : 
« Galeno dà le ricchezze , Giustiniano dà gli onori, 
< tutti gli altri non danno che paglia ». E il Foro 
dava con gli onori benanco le ricchezze. L'ingegno 
e la dottrina non potevano farlo emergere sulla folla 
su i valenti; ma l'intrigo e la servilità. E questi 
requisiti, se tali posson dirsi, Acton scoperse in lui, 
e l'adoperò in una missione confidenziale presso la 



(1) Lomonaoo. Rapporto a Camot ec. 

(2) Cosi dice il dispaooio ("ineditoj in data del 18 luglio 
1793. L* avvocatura dei poveri era una magistratura , e 
gli avvocati aveano il tìtolo di Ministri. (Prammatica 
del 1 febbraio 1749). 

(8) Dispaccio (IneditoJ. 



— 237 — 

corte di Spagna, dalla quale passò a Ministro presso 
la corte di Lisbona, di là a quella di Londra. L'anno 
1794 fu da queir ufficio richiamato e sostituito dal 
Marchese di Circello (1). Di ritorno in Napoli venne 
nominato direttore del Ministero degli afifari Esteri, 
e benché dipendente immediato dell' Acton veniva 
destinato a guidare la famosa Giunta, che dovea 
giudicare il Medici. 

Si dettero all'opera essi da una parte , la Regina 
dall' altra. Fiscale della Giunta fu Basilio Palmieri, 
La Regina tentò il Presidente Peccheneda perchè 
con l'autorità del grado e del nome servisse i suoi 
fini : quegli finse di non comprendere. E spronò 
allora la Marchesa di S. Marco a trovare i mezzi 
adatti, e questa bella ed artiflziòsa, si affidò a Fran- 
cesco Trequatrini, dicitore cavilloso, rótto ad ogni 
magagn^a, non curante di scrupoli , per cui il nome 
ancor va celebre nella curia. 

Scorse questi che tutta la prova del reato era nella 
lettera del Tilly; e pensò distruggerla. Ebbe a com- 
plice pietoso Antonio a'Addiego ufflziale della Giun- 
ta ; la lettera fu sottratta ed un' altra falsa alligata 
al processo. Lo stratagemma riuscì perfettamente. 
Trequatrini dichiarò falsa la lettera; impossibile che 
fosse stata spedita da Genova e scritta sopra carta 
di Napoli. Allora ogni carta qui fabbricata avea nel 
centro il millesimo, visibile, posta che il foglio fosse 



(1) Rilevo questa circostanza da una nota inedita del 
Ruffo all'Acton, che si conserva all'Archivio di Stato, e 
dalle note susseguenti che sono a firma del nuovo Am- 
basciatore napoletano a Londra, il Marchese di Circello. 
Di questa corrispondenza farò menzione più innanzi. 11 
Casteloicala non è da confondersi con V omonimo Oardi- 
dinale Fabrizio Ruffo. 



— 238 — 

messo contro la luce. Adescato ai colpi di scena del 
Foro levò il retore in alto il foglio fatale, e mostrò 
ai giudiciil millesimo posteriore alla data della let- 
tera. Difatti era questa del 9 agosto 1794 , il mille- 
simo del 1795. Si ordinò una perizia , e i calligrafi 
disser falsa la lettera. Medici fu assoluto ; con un 
delitto, nota uno scrittore, fu salva l'Innocenza (1). 
Era entrato a Gaeta il 27 Febbraio del 1795, ne usci 
il 30 agosto dell'anno appresso (2). 
A nessuno de'patrioti arrestati toccò la sua sorte: 



(1) XJlloa, idem, pag. 87. Il Coco, TArrighi, il Colletta 
errano indicando che il Medici fa assoluto nel 1798. 

Egli usci Tanno appresso. È notevole che al Grande Ar- 
chivio non si sia rinvenuto il volume dei Dispacci del 
Reggente della Vicaria dell'anno 1795. Suppongo che aven- 
do ripigliato il Medici il suo uffizio avesse tolto quel vo- 
lume in cui vi eran certo comunicazióni intorno al suo 
giudizio ed a quello dei voluti suoi complici. forse fu 
fatto togliere dall'Aoton per non lasciare quel volume nelle 
mani del suo rivale. 

(2) Pepe nelle " Memorie „ indica 1' epoca dell' arresto 
del Medici nel Novembre del 1794; ma egli erra. L'Ulloa 
esattamente riferisce la data, Febbraio 1795, sia perchè la 
toglie dalla Cronaca civile e militare di quel tempo, sia 
perchè al Novembre del 1794 ed anche al Dicembre, dai 
Registri del Reggente della Vicaria rilevasi che Medici 
era sempre in quell'ufficio. 

Il Marnili con breve accenno non differisce sostanzial- 
mente dal racconto da me esposto (pag. 133). Senonchè 
attribuisce al giudice Chinigò della Giunta la osserva- 
zione intorno al millesimo ed alla qualità della carta su 
cui era scritta la lettera del Tilly. Sbaglia evidentemente 
l'epoca della liberazione del Medici perchè la fa avvenire 
nel 1798. 

L'Arrighi (lib. III.) erra in alcuni particolari di questa 
famosa congiura. 



— 239 — 

la Corte ridotta come quella di Carlo VII di Spagna, 
era in balia di un nuovo Emmanuele Godoj^; che se 
parve per un momento ecclissarsi in pubblico , die- 
tro le scene manteneva intatti la sua potenza ed il 
suo prestigio. 

Medici tornò in uflacio: la commedia nei partico- 
lari fu incompresa ai più, ma generalmente fu evi- 
dente che solo le arti e il favore della Regina lo a- 
vean salvato (1). 

Castelcicala ebbe il Ministero di Grazia é Giustizia- 

(1) I contraddittori del Colletta, come il Cacciatore, il 
Saochinelli, rUlloa gli rimproverano , al solito , di aver 
mescolato alle circostanze di questo avvenimento una 
delle solite concioni messe in bocca alPActon, e qualche 
altra piccola circostanza. Ma il fondo, la sostanza storica 
del Colletta sono esatti , e se in verità egli non riferi, 
né poteva riferire le parole dell'Acton al Re ed alla Re- 
gina, non s'ingannò nel definire i sensi da cui fu mosso 
ed ispirato Acton per abbattere Medici. Gli rimproverano 
pure di aver detto che il Re tenne Consiglio distato per 
decidere intorno al da farsi contro il Medici, mentre, di- 
cono , Consigli di Stato non si riunivano. Ora sia pure 
che non vi fosse un Consi glio di Stato, nel senso in cui 
lo intendiamo oggi, certo una sessione tra il Re, la Re- 
gina ed Acton vi fu. In quanto poi al come avrebbe la 
storico saputo il discorso ed i particolari del j fatto che 
egli dice svelati per Tins ita loquacità della Regina e che 
fi suoi oppositori contrastano, non fa meraviglia, perchè 
l' Ulloa stesso afferma che essi non furono taciuti dal 
Medici stesso in appresso, e mai dalla S. Marco. 

Sicché, in questa parte e ome in altre, le critiche fatte 
al Colletta si risolvono in una quistione di arte, anzi- 
ché di storia. Il vivo dipintore di quei tempi studiò 
troppo la maniera classica, cosi nello stile come nella 
orma d 3 Ile sue narrazioni. E non gli paiea vero dram- 
matizzare i fatti con discorsi, con scene, con situazioni^ 
alla guisa di alcuni storici Greci, Romani e Fiorentini, 
imitando altresì la sentenziosa brevità di Tacito. 



— 240 — 



CAPITOLO DECIMOQUARTO 

Sommario. — Fine deiraano 17D5. La nuova costituzione 
Francése. Il Direttorio. Stato esterno della Bepubblica. 
Gli eserciti del Beno. L' esercito austriaco in Italia. 
Stato interno della Francia. Vittoria di Loano. Il nuovo 
anno e i prodigi di Napoleone Bonaparte. Campagna 
d'Italia. La cavalleria napoletana. Origine ed ordina- 
mento di quest' arma. Acton e Galiani. I Heggimenti 
J?e, Regina^ Beai Napoli^ Principe alla campagna d'Ita- 
lia. Stato maggiore napoletano. Occupazione di Valen- 
za. Combattimenti di Fombio , al varco dell' Adda , a 
Coito. La cavalleria napoletana salva a Borghetto il 
Generale in capo Beaulieu. Combattimento tra il Beg- 
gimento Regina e Murat. Onore e gloria dei nostri Reg- 
gimenti. Tre quarti di secolo dopo. Bicordo memora- 
bile. 

Ma l'anno 1795 finiva con grandi avvenimenti così 
politici come militari. La convenzione si scioglieva 
dopo di aver salvata la Francia (1). La nuova co- 
stituzione confidava il potere supremo a cinque di- 
rettori e creava due assemblee, detta Tuna dei cin- 
quecento, l'altra degli anziani (2). Dopo pochi giorni 
il Direttorio fu eletto nelle persone di Barras, Car- 
net, Rewbell, Leutorneur, Reveilliere-Lepaux. 

All'esterno la Repubblica avea conclusa la pace con 
la Toscana, con la Prussia, con la Spagna (3). Il 
Piemonte solo l' avea rifiutata. Però nel 28 settem- 
bre si formava la triplice alleanza dell' Inghilterra , 



(1) 26 ottobre 1795. 

(2) 30 ottobre 1795. 

(3) Ecco le varie date dei tre trattati di pace: 9 Febbraio, 
h Aprile, 22 Luglio. 



— 241 — 

deir Austria, della Russia contro la Repubblica. E la 
guerra ardeva sul Reno, se non in Olanda abbando- 
nata quasi tutta dai francesi e levatasi a repubblica. 
Jourdan passò il Reno in Settembre , Pichegru si 
avanzò sotto la fortezza di Manheim, e l'ebbe dalla 
Baviera che si dichiarò neutrale. Ma Clairfait co- 
stringe Jourdan a ripassare il Reno , entra in Ma- 
gonza e respinge di nuovo i francesi. 

Un armistizio, reciprocamente chiesto, pose fine 
alla campagna di quest'anno. 

Dalla parte d'Italia, l'esercito dei collegati era di 
circa sessantamila uomini, tra austriaci, piemontesi, 
ed un piccol corpo di cavalleria napoletana. Coman- 
dante in capo Dewins, che guerregiò prima con va- 
ria fortuna contro Massena ed Kellerman, nelle alpi 
occidentali, poi in quelle' marittime , ma costretto 
nel Novembre per sanguinose perdite a ritirarsi di- 
nanzi a Scherer, che era stato spedito a guidare le 
forze francesi, ebbe ordine di cedere il comando al 
Wallis. 

Sicché quando il Direttorio assunse il potere la for- 
tuna delle armi piegava sul Reno, trionfava in Ita- 
lia. Però all'interno grandi erano le difficoltà. 

Sul Terrore e sul giacobinismo s'era riannodato e 
formato un partito che raccoglieva tutti gli avanzi 
dei repubblicani esagerati, che il nome terribile avea- 
no mutato in quello di Patrioti. 

I sezionali, cioè tutti i repubblicani moderati, tra 
i quali pochi realisti, s'erano stretti contro i primi. 
1 patrioti erano pieni d'irritazione contro il governo 
e levavano alte grida per i disastri sul Reno, per i 
nuovi moti della Vandea, e l'orribile crisi finanziera 
in cui versava la Francia. I sezionali si agitavano, 
e a sentirli il Terrore era per rinascere, giacché nel 
Conforti 16 



t ^ 242 -r- 

go verno erano quasi tutti gli antichi giacobini e con- 
venzionali. 

Gli avvenimenti esterni soli potevano dar forza al 
Direttorio. E questi non erano di lieve momento. 
Scherer con la vittoria di Loano avea aperto le poi te 
della penisola air esercito francese. L'Austria inco- 
rava il Piemonte, e gli prometteva novelli rinforzi 
per la campagna del 1796. L'Italia da Milano a Na- 
poli trepidava. 

Cosi finiva il 1795. 

Ma il nuovo anno 1796 dovea riempire V Europa 
di stupore e di meraviglia, ed attirar suU* Italia* gli 
sguardi del mondo. 

Sarà essa la prima scena dei prodigi di Napoleone 
Bonaparte, che sostituito dal Direttorio a Scherer 
giunge il 20 marzo al quartier generale di Nizza e il 9 
aprile entra- in campagna. Sbocca per la valle della 
Bormida, vince a Montenotte, poi a Millesimo, si 
getta sul centro nemico, separa gli austriaci dai pie- 
montesi, si avventa su questi, li sottomette con Tar- 
mestizio di Cherasco e di là proclama : « Italiani 
« l'esercito di Francia viene a frangere le vostre 
« catene, il popolo francese è amico di tutti i popoli; 
« corretegli incontro; le proprietà, le usanze, la reli- 
« gione vostra saranno rispettate. Faremo la guerra 
« da nemici generosi, e solo coi tiranni che vi ten- 
« gono servi ». 

Poi vince nuovamente a Ceva ed a Mondovi, de- 
fila sopra Torino, In diciannove giorni ha debellato 
il Piemonte, e spezzate in due le forze Austro-Sarde, 
fatto battere il cuore dei popoli alla parola magica 
di libertà, acquistato alla Francia la Savoia e Nizza, 
le fortezze di Ceva, Cuneo, Alessandria, Tortona. 

Fra tanta furia d'armi, spavento di popoli, debo- 
lezza di principi italiani la sorte fa splendere l'onore 



— 243 — 

delle armi napoletane, la sollecitudine del Governo 
nell'agguerrirle. 

L'origine e l'ordinamento della cavallerìa napoleta- 
na rimontavano a Carlo III. A lui doveasi la formazio- 
ne dei tre Reggimenti Re, Regina, Borbone, i quali 
pugnarono valorosamente a Velletri. Dopo alcun tem- 
po vi aggiunse il Reggimento Principe, e di là del 
Faro furon formati quelli di Napoli e Sicilia com- 
posti tutti di nazionali, ai quali si aggiunsero gli al- 
tri due Rossiglione e Tarragona spagnuoli, ceduti da 
Filippo V a Re Carlo. Fra le riforme militari del 1780 
fatte dairActon vi fu quella di questi otto Reggimenti. 
Furono tutti ordinati, armati, ciascuno vestito uni- 
formemente; ogni reggimento fu diviso in quattro 
squadroni, creati e formati i depositi di cavalli, su- 
perbi per le floride razze del Regno; sicché presero 
tutti l'aspetto di truppa eccellente. Però gli ufHziali 
prussiani chiamati ad istruirli ed esercitarli osser- 
vavano al governo l'inutilità dei loro sforzi, perchè 
molti fra ufflziali e soldati erano vecchi ed inabili, 
altri per molto riposo, e debole salute. Una riforma 
del personale era indispensabile, ma l'Acton tempo- 
reggiava, e parecchi anni passarono finché il Mini- 
stro non vi si decise, che per un frizzo pungente del- 
l'abate Galiani (1). 



(1) L'Abate Galiani celebre per i suoi libri, le sue av- 
venture e i suoi motti , era altresì celebre pel cappello 
vecchio e spelato che usava portare al tempo di cui scri- 
vo. Abituale ospite alla mensa dell' Acton una sera , 
mentre 1' abate si congedava ed avea sotto il braccio il 
cappello, il ministro gli disse, con un risolino insolente: 
" Abate, quando riformeremo quel cappellaccio ? „ 

— Quando V.E. riformerà la cavalleria. — Il motto pro- 
palato fece fortuna, e la cavalleria fu subito riformata. 



— 244 — 

Eliminati i vecchi ed inabili, rinsanguate le squa- 
dre con giovani e capaci, l'istruzione progredì rapi- 
damente, lo spirito di corpo, la tenuta, resero quel- 
Tarma la migliore dell'esercito, ed i fatti non ismen- 
tirono le speranze concepite. I Reggimenti Re , Re- 
(jina , Borbone , Principe erano Dragoni, gli altri 
Cavalleggieri. Tra le riforme vi fu anche quella di 
comporre il Reggimento di due squadroni, ogni squa- 
drone di quattro compagnie. 

Tal' era lo stato di questa truppa nel 1794, quando 
il governo, che avea promesso agli Austro-Sardi un 
aiuto di trentamila uomini prima, di diecimila poi, 
si decise a spedire quattro Reggimenti di cavalleria 
all'esercito di Dewins (1). 

Chiese il passo al Pontefice ma non l'ebbe, cosic- 
ché imbarcati sopra navi inglesi i Reggimenti Re^ 
Regina, partirono il 22 e 23 luglio, sbarcarono a Li- 
vorno e raggiunsero il quartier generale Austriaco. 
Al 24 agosto partì il Reggimento Principe. Poi il 
Reggimento Napoli prese la via degli Abruzzi, ebbe 
libero il transito per Fermo, Ancona, Forlì, Bologna, 
Modena e raggiunse i compagni (2). 

Ebbe il comando in capo Alessandro Filangieri , 
Principe di Cutò, capo di stato maggiore il Briga- 
diere Prospero Ruitz. Gli ufflziali erano prodi ed 



(1) La fanteria che era destinata a far la campagna si 
componeva di 4 battaglioni di facilieri, 3 di granatieri, 
un distaccamento di artiglieria, ed artiglieria da parco. 

(2) Seguirono lunghe trattative tra il Re di Napoli e 
la Corte di Toscana per il libaro passo delle truppe na- 
poletane, ma il Gran Duca ed il Ministro Manfredini con 
grande lealtà e buonafede il negarono, volendo osservare 
la neutralità. 



— 245 - 

i struiti; tutto il corpo parve ai nemici ed agli alleati 
ben montato ed assai buono (1). 

In quelle due ultime campagne, fiuo alla battaglia 
ed alla disfatta dei Piemontesi a Mondovi, a causa 
del terreno che non si prestava , la cavalleria au- 
striaca e la napoletana erano restate inoperose. Suo- 
nava però l'ora della prova. 

Bonaparte , fra le altre . condizioni stabilite con 
l'armistizio di Cherasco, avea chiesto la fortezza di 
Valenza per passarvi il Po. Il Generale Austriaco 
Beaulieu n'ebbe sentore e volle prevenirlo, impadro- 
nendosi di sorpresa di quella piazza forte, nonché di 
Alessandria e Tortona. Spinge quindi il Generale 
Pittony a sorprendere Tortona, ed il feeggiraento Re 
a Valenza. Il Principe di Assia Philipstat, che lo gui- 
dava, con prontezza ed intelligenza sorprese Valen- 
za, Toccupò, mentre che le altre due piazze sfuggi- 
vano alle mosse degli austriaci (2). 



(1) Thiers , voi. 1 pag. 280. Ecco uno specchietto com- 
pleto dello Stato Maggiore : 

Reggimento Re, Colonnello^ Principe di Assia Philipstat. 
Ten, Colonn, Giovambattista Fardella. Maggiori , Diego 
Pignatelli, Dionisio Corsi. Regg. Regina, Òolonn. Barone 
di Moethsoh. Ten, Colonn. Agostino Colonna. Magg* Giu- 
lio Antonetti, Lorenzo Ripa. Regg, Principe. Colonnello^ 
Francesco Federici. Ten, Colonn, Giuseppe Herman. Magg» 
Lattanzio Sargardi, Cesare Carafa. Regg, Napoli, Colon- 
nello, Antonio Finedo. Ten, Colonn. Andrea De Ligaori. 
Magg, Gaspero Enriquez, Raimondo Ribero. 

(2) ^ AI Generale in capo dell'esercito Piemontese. 

'^ Quartier Generale di Bosco , 13 floreale anno IV ( 2 
maggio 179G). 

^ Apprendo, Signore, che i Napoletani si sono impadro- 
'- niti di Valenza. L^interesse del Re, quelli della Repub- 



— 246 — 

Avea creduto il Beaulieu che Bonaparte sforzasse 
il passo del Po a Valenza come accennava, ma que- 
sti ringanna ; con rapida ed audace marcia scende 
a Piacenza e spinge le sue colonne alla riva oppo- 
sta. Liptay, avvertito, accorre e si dirige a Fombio, 
borgo a poca distanza dal Po sulla via Piacenza- 
Lodi-Milano. 

Primo a giungervi é il Reggimento Regina che 
si azzuffa cori la guardia avanzata delle schiere di 
Bonaparte. I napoletani non attendono la fanteria, 
assaltano il nemico con vigore e con slancio, lo co- 
stringono a ripiegare. Accorre il Lanusse ad arre- 
starne r impeto ed il vantaggio e forma due batta- 
glioni in quadrato. . 

I nostri si riordinano; sono raggiunti da due squa- 
droni di usseri austriaci, da due pezzi di cannone, 
vanno alla carica. 

II fuoco micidiale non li arresta, giungono sulla 
selva di baionette, vi si gettano audacemente, rom- 
pono le prime fila, penetrano, si confondono assali- 
tori ed assaliti, e dopo una mischia orrenda e san- 
guinosa, il terreno si copre dei loro cadaveri. 

Cadono mortalmente feriti tre ufflziali napoletani; 
il capitano Lucio Caracciolo Principe di Moliterno 
ebbe portato via un occhio da un colpo di fucile. 
Sessanta e più, tra sotto ufflziali e soldati, e molti 
afltri feriti attestarono la foga dell' assalto e la ga- 
gliardia della resistenza. 

Austriaci e napoletani tenevano ancora a Fombio, 
quando sopraggiunto Bonaparte ordinò a Dallemagne, 



*' blica , sono egualmente di accordo ed esigono che voi 
" scacciate prontamente queste truppe da Valenza. 

Bonaparte. „ 
(Corrispondenza di Napoleone, Tom. 1 pag. 258). 



— 247 - 

Lannes, Laniisse , di scacciarli. L'attacco è rapido 
ed impetuoso: gli assaliti si difendono bravamente, 
ma crescendo le forze e i vantaggi degli assalitori 
si ritirano, protetti dal Reggimento Regina, che re- 
spinge con molto slancio e precisione gli attacchi di 
retro guardia del nemico vittorioso. Al varco del- 
l'Adda fa alto , carica brillantemente il nemico che 
lo preme ed incalza, si fa largo, passa V ultimo il 
fiume, e col resto della divisione entra a Pizzighet- 
tone, mancante di oltre una cinquantina tra ufflaiali 
graduati e soldati mòrti e feriti. 

I due combattimenti avvenivano il 18 maggio 1796; 
data che segno a ricordo della giov^entù napoletana. 
Intanto Beaulieu , avvertito del passaggio del Po a 
Piacenza , accorreva a sostenere Liptay. Il Reggi- 
mento Re, prestamente marciando arriva a Codogno 
e vi entra, credendolo occupato dal corpo di Liptay. 
Invece vi erano le truppe del Generale Laharpe. 1 
francesi danno l'allarme e circondano il primo squa- 
drone; ma questi si difende gagliardemente, a colpi 
di sciabola si apre una via, molti cadono, il resto a 
briglia sciolta torna ad avvertire i compagni. Beau- 
lieu retrocede sull' Adda, i francesi lo stringono da 
presso, i due Reggimenti Re e Principe proteggono 
la ritirata , gagliardamente combattono, solcando di 
morte e di feriti l'ingrato terreno. 

Bonaparte ha innanzi a se aperta la via di Milano, 
ma pria di farsi vedere nella Capitale della Lombar- 
dia, vuol prendere a rovescio Beaulieu e distruggerlo. 
Risale l'Adda, perchè il suo avversario noi varchi a 
Lodi, e giunge al ponte. Il nemico vi era prima di 
lui. Bonaparte sforza eroicamente il passaggio, cac- 
cia gli austriaci su Crema , i quali sono nella riti- 
rata protetti sempre dai reggimenti napoletani; men- 
tre un distaccamento Regina^ , lasciato a guardia di 



— 248 — 

un confluente dell' Adda , assicura , al debole presi- 
dio posto da Liptay a Pizzighettone , la salvezza su 
Cremona. 

Gli austriaci ripiegano dall'Adda all' Adige. I reg- 
gimenti Principe e Napoli^ proteggono il corpo al- 
leato che da Goito si avvicina suirAdige, s'azzuffano 
calorosamente, passano il fiume a Rivoli , mentre il 
31 maggio lo valicarono gli avanzi gloriosi del re,:- 
gimento Regina. 

Il tenente colonnello Fard ella con due squadroni 
del reggimento Re, due. battaglioni di granatieri un- 
gheresi, e quattro pezzi di artiglierìa era a guardia 
del ponte sull'Oglio, posto di fiducia e di mólta im- 
portanza. Attaccato più volte respinse sempre il ne- 
mico, fé' saltare poi il ponte, incendia tutte le bar- 
che, e raggiunge il corpo austriaco. 

Era questo tra il Lago di Garda e Mantova; avea 
a dritta Peschiera, la sinistra a Goito, il centro tra 
Yalleggio e Borghetto, Qui vi era il reggimento Re- 
gina, a Goito quelli Re e Principe-, il reggimento 
Napoli in riserva, tra Villafranca e Castelnuovo. 

Bonaparte ripete la sua profonda e felice tattica 
sperimentata sul Po , accenna di passare il Mincio, 
a Peschiera o girare il Lago di Garda, mentre spinge 
Gardanne da Borghetto su Valeggio, 

Beaulieu è sorpreso dalle fucilate mentre era a 
letto infermo , e sarebbe caduto , bel trofeo nelle 
mani del nemico , se due squadroni del reggimento 
Regina non si fossero impetuosamente lanciati su 
i gruppi più prossimi, rallentandone la furia. Ma la 
zuffa tra cavalli e fanti, rotto ogni ordine, continuò 
alla spicciolata , in duelli a corpo a corpo, finché i 
nostri, scemati di numero ma non di onore, cercano 
uno scampo. 

Quando a briglia sciolta arriva Murat trascinando 



— 249 — 

dodici squadroni alla prima prova. A sinistra ed a 
destra sono chiusi fra due fila di granatieri e cara- 
binieri; alle spalle dall'artiglieria. Quella massa com« 
patta di dodici squadroni si scaglia sugli avanzi del 
reggimento Regina^ si sparpaglia, li accerchia. Si 
difendono. i nostri da prodi; in prima linea pugnano- 
i capi; ma al numero cede il valore, chi non si ri- 
tira cade. E cadono feriti e prigionieri il coman- 
dante in capo Principe di Cutò, il tenente colonnello- 
Colonna, tre ufflziali, cinquatasei soldati e graduati 
feriti, altrettanti morti, tra cui il valoroso Capitano 
Bosurgi (1), 

Così il 1 giugno 1796, il reggimento Regina quasi 
disfatto, gli altri decimati e malconci , seguono la 
fortuna avversa dell' Austria pigliando la via del 
Trentino. 

Dal Po al Mincio i nostri napoletani combattendo 
non per la patria o hi libertà, ma per l'onore e per 
la gloria, consegnarono alla posterità il loro nome. 
Dopo tre quarti di secolo i loro nepoti pugnando in 
quei luoghi medesimi contro gli alleati del 1796, mo- 
strarono qual cammino avea fatto l'idea di una pa- 
tria libera. 

E chi sa se le ceneri di quei prodi , smosse dal" 
piede tedesco non ebbero un fremito ed un moto nelle 
sacre giornate di Goito, Valleggio, Solferino ! Italiani 



(1) Fu la prima volta che Bonaparte utilizzava le ca~ 
valleria francese, e scrìveva cosi al Direttorio dal Qaar- 
tier Generale di Peschiera. 

" 13 prairìal (l giugno) .... notre cavalerle comman- 
'^ dee par le General Marat, fit des prodiges de valeur....^ 
^ là oh évalue la perte de Pennemi, dans cette journée à. 
" 1500 hommes et à 500 chevaux, tant tue q[ue prisonnier .„ 

(Gazette Nationale ou le Moniteur TJniversel , n. 264 » 



— 250 — 

ora imprimiamo nel caore questi nomi, doppiamente 
cari, per doppi gloriosi ricordi. 

CAPITOLO DECIMOQUIXTO 

Sommario. — Nuovi prov veli menti militari. Le forze del 
BegQO alla fiae del 1793. Proclami di Bonaparte. Mire 
del Direttorio sopra Napoli. Editto del Re. Bandi di 
guerra religiosa e sociale. Il clero predica e spinge alla 
guerra. Preghiera a S. Gennaro. Funzione religiosa so- 
lenne. La Corte al Duomo. La leva in massa nelle Pro- 
vincie. I nobili volontari. Le Finanze. Leggi di sicu- 
rezza interna. Procedure arbitrarie. Battaglia di Lodi. 
Politioa della Regina e di Acton. Piani di Bonaparte e 
idee del Direttorio. Beaulieu sollecita aiuti dalla Corte 
di Napoli. La Corte inchina alla Pace. Incarico dato a 
Belmonte. Sue interviste con Bonapartd. Armistizio di 
Brescia. Lettere di Bonaparte al Direttorio. Avvenimenti 
militari. Bonaparte pone in rivoluzione le Romagne. 
Stato dell'Italia Centrale. Rati&ca dell' armistizio. Bei- 
monte parte per Basilea per abboccarsi con Gallo. Bei- 
monte parte per Parigi. Trattative. Le truppe napole- 
tane ai confini. Novelle dello arrivo di Wurmser. Cam- 
pagna di Bonaparte contro Wurmser. Le truppe napo- 
letane invadono Pontecorvo. Condotta della Corte di 
Napoli. Lettere di Bonaparte al Direttorio. Minacce di 
Bonaparte contro il Re di Napoli. Disposizioni a con- 
cludere la pace. Il trattato di pace. Le minacce di Bel- 
monte. Lo stato delle provincie del Regno. Il Brigan- 
taggio. I disertori. Le forche. Legge marziale. Dispaccio 
inedito. L'anarchia. 

Contemporaneamente ai fatti d'armi da noi narrati 
gravi provvidenze militari prendeva il governo na- 
poletano per accrescere le difese del Regno. 

In sullo scorcio dell'anno 1795 tutte le forze di 
terra e di mare sommavano a 54693 uomini ; il na- 
-viglio era di trenta legni tra piccoli e grandi , con 



— 251 — 

molte boccile a fuoco (1). Ma i pericoli crescevano 
con le vittorie di Bonaparte, il quale facea presen- 
tire dove avrebbe indirizzati i suoi passi vittoriosi. 
« Ristorare il Campidoglio, diceva ai soldati, riporvi 
<c in onore le statue degli Eroi per cui tanto è famoso 
« il mondo , destar dal lungo sonno il Romano po- 
« polo, torlo alla schiavità di tanti secoli, fla frutto 
« delle vittorie vostre ; vi acquisterete una gloria 
« immortale, cangiando in meglio la più bella parte 
<c di Europa. » 

Il Direttorio attizzava queir ardore e lo spingeva 
contro Roma e contro il Regno , e gli scriveva : 
« fate le viste di voltarvi verso Roma e Napoli per 
« metter terrore nel Pontefice e nel Re ». 

Il Governo di Napoli informato di quelle minacce, 
si rivolse di nuovo ai popoli per prepararsi ad una 
forte resistenza. « Sulle notizie, diceva che gì' ini- 



(1) Ecco una distinta delle forze di terra e di mare. 

Fanteria Regg, nazionali, veterani e Valloni 17; Batta- 
glionij 48, uomini 17600. Regg, Esteri 4, Batt. 12, uomini 
6803. Artiolikria, Regg. 2, uomini 2253. Cavalleria Regg. 
8j Squadroni 51, cavalli 5388. 

Truppe provinciali. Compagnie 20, uomini 15210. 

Guardie del corpo a cavallo , Alabardieri , fucilieri di 
campagna, Cacciatori reali, Invalidi, 4337. 

Esercito, totale, 51819. 

Marina. Vascelli da 74, n. 6. Fregate da 36 a 10, n. 8. 
Corvette 6. Brigantini 6, Galeotte 10. Pachebotti 2, Orca 1 . 

Naviglio, totale legai 30, bocche a fuoco 961. 

Forze ciurme ed amministrazione 2874. 

Totale Esercito e marina 54693. 

Stato maggior". Capitan Generale 1. Tenenti Generali 10* 
Ispettori di cavalleria e fanteria 2. Marescialli 19, Briga- 
dieri 40. 

Totale, uffìziali superiori 72. 



— 252 — 

« mici d'Italia possano proseguire ad avanzarsi per 
« invaderla , devastandola con esigere imposizioni 
« tanti dagli stati in pace quanto da quelli in gner- 
« ra , siccome già in più luoghi è seguito , lia il Re 
€ continuato a dare le più vigorose ed efficaci di- 
« sposlzioni a fin di spedire subito un esercito di 
« truppa regolata al numero di circa trentamila uo- 
« mini verso la frontiera del Regno per provvedere 
« alla difesa dei suoi reali Dominii. È necessario 
« preparare una straordinaria forza armata aggiun- 
« gendo alle truppe regolate un formidabile corpo di 
« milizie sciolte in numero almeno di quarantamila 
« combattenti , mettendo in armi tutte le province 
« del Regno. » 

Seguiva quindi un proclama del Re alla nazione 
perchè si levasse in armi. Fra le altre cose diceva: 
« La Sacrosanta Religione, lo Stato ed il Trono sono 
« in pericolo, ed hanno bisogno di difesa e di difen- 
« sori. Pronti a spargere tutto il nostro sangue ed 
« a perire, se bisogna per la secura difesa de'nostri 
« sudditi aspettiamo da loro eguali sentimenti e di- 
« sposizioni (1). » - 

Continuava assicurando la vittoria, se i cittadini 
fossero stati animati dall'entusiasmo di difendere se 
stessi, i sacri Templi, i Ministri del Culto, le mogli, 
i figli, le sostanze (2). 



(1) Sono questi i preamboli degli Editti 17 e 18 mag- 
gio firmati G. B. Manuel e Arriola. Il Botta, il Colletta, 
il Marnili , riferiscono questi due bandi alterandone la 
sostanza e la forma. Per esempio il Colletta pone in bocca 
al Re le seguenti parole che non si leggono in essi : . • 
" vorrei morire quando pel vivere bisognasse non esse e 

. libero e cessare di esser giusto. „ Nobili sensi , ma non 
mai espressi. (Colletta pag. 90,91). 

(2) È notevole il fatto che dal 1796 m poi , in tutti i 



— 253 - 

Bandiva così guerra religiosa e sociale , e clero , 
parte della nobiltà, tutta la plebe vi si apprestavano. 

Ordinò ai Vescovi che per bocca dei parroci, pre- 
dicatori, missionarii chiarissero ai popoli il pericolo 
che soprasterebbe alla Religione, al Trono, alla vita, 
all'onore de'popoli (1). E dai pergami , dalle piazze, 
dai confessionili, preti e Irati, eccitavano alla nuova 
crociata. 

Le funzioni sacre, le preci, i canti suonavano bat- 
taglie e vittorie , duce supremo e glorioso S. Gen- 
naro , a cui il popolo si volgeva , illuso che se il 
santo « in persona non avesse guerreggiato in sua 
« difesa contro Finfame nazione che voleva distrutta 
« la Santa Fede » avrebbe implorato da Dio il co- 
raggio per batterla , ne andasse la vita di tutti (2). 

A rendere più solenne l'accordo tra Re e Clero, si 
preparò chiassoso spettacolo. La Corte intervenne al 
triduo di S. Gennaro con pompa regia, gran seguito, 
fra calca immensa (3). 

In presenza della moltitudine che gremiva l'ampie 
navate del Tempio, il Re invocò ad alta voce l'aiuto 
di Dio , depose sull'altare le insegne reali , affidan- 
dole alla protezione del Santo, presidio e tutela della 
città. Grande fu l'emozione, sincero il grido del po- 



rivolgimenti polìtici napoletani il governo borbonico ha 
eccitato i cittadini alla difesa dell' onore dello mogli e 
delle figliuole. In quell' anno attribuiva ai francesi pro- 
positi di attentarvi, nelle post«»riori rivoluzioni ai liberali. 

(1) Articolo VI deirEditto del 17 Maggio 1796. 

(2) " Preghiera al glorioso nostro Principal Protettore 
^' S. Gennaro da farsi più. volte al giorno negli attuali 
" bisogni, del P. ÌPietro d'Onofrio dell'oratorio. „ Pubbli- 
cata il 13 giugno 1796 dallo stampatore Gaetano Girardi.. 

(3) Colletta (pag. 91). Marnili (pag. 103). 



— 254 — 

polo, dei cortigiani del clero , di difendere il trono 
e l'altare (1). 

Gli Editti per le milizie ordinavano perentoria- 
mente : 

1** I presidi, i comandanti, tengano pronta tutta 
la gente atta alle armi allistata in vista del Dispaccio 
del 20 Novembre 1792. 

2* Spedirsi nelle Provincie ufHziali per radunare 
con la massima sollecitudine gente atta alle armi da 
formarsi in corpi volontaria 

3° Gl'individui faranno uso del proprio vestito, s 
provvederanno da se il fucile, le armi bianche , la 
cartucciera; avranno dal governo le munizioni e la 
paga di 25 grana al giorno , delle quali 13 a titolo 
di prè ordinario , 12 per sostegno delle loro fami- 
glie. Quel volontario che recherà il cavallo avrà an- 
che il foraggio. 

4° Tutti i volontari e soldati dell* esercito che 
entreranno in campagna , godranno V esenzione dei 
pesi fiscali insieme alle loro famiglie, e i volontarii 
che nel combattimento dessero prova di atti di va- 
lore saranno esenti per dieci annidai detti pesi in- 
sieme alle loro famiglie. 

5® Onorificenze , premi e avanzamenti ai Baro- 
ni , ai cavalieri e gentiluomini che faciliteranno la 
riunione di detti corpi , o che formassero e spedis- 



(1) Il MaruUi imita il Colletta riportando le parole 
che avrebbe profferite il Re. Ma di esse non v'è docu- 
mento certo che le attesti. Basta d'altronde il fatto, più 
eloquente di qualsiasi discorso. 

Una corrispondenza da Napoli al Moni teur ' Universelle 
di Parigi, in data del 24 Maggio, e pubblicata nel n. 278 
del 26 Giugno , descrive la funzione seguita al Duomo 
con Pinter vento del Re. 



— 255 — 

sero compagnie ai luoghi designati dagli uffiziali 
Regi (1). 

Quindi fu ordinato la formazione in Napoli del real 
Corpo di Nobili volontarii di cavalleria , che dovea 
comporsi di 16 squadroni , dei quali dodici distinti 
dai seguenti nomi delle Provincie continentali : 1° 
Napoli, 2" Montefusco, 3. Salerno, 4. Ghieti, 5. Aqui- 
la, 6. Teramo, 7. Lucerà, 8. Trani , 9. Lecce , 10. 
Matera , 11. Cosenza , 12. Catanzaro ; e tre , quelli 
delle Valli di Sicilia, cioè 1. Val di Mazzara, 2. Val- 
dinoto , 3. Valdimone. Il 16* detto Presidii di To- 
scana. 

A comandante in capo fu scelto il giovinetto Prln- 
cipe Leopoldo Giovanni, figlio del Re; di ogni squa- 
drone i più fedeli Baroni , i figli di costoro a sot- 
totenenti ed alfieri, i militi, unicamente tra i nobili 
e benestanti, l'età 16 anni compiuti fino a 45. Il ca- 
vallo di loro proprietà e mantenuto a loro spese (2). 

Furono reiterati gli ordini pressanti (3), e nelle 
Province e nella Capitale accorrevano gì' individui, 
erano in rapida formazione i corpi. Il clero., i Ba- 
roni, le autorità, ricchi proprietari infiammavano i 
decisi, spingevano i restii. 

In pochi mesi le forze del regno si accrebbero di 
un terzo e più, benché di massa senz'ordine, senza 
disciplina, senza capi abili o sperimentati. Tuttavia 
tante armi e fresca gioventù affidavano. 

Giunse in breve il numero dei nobili volontarii a 
quattrocento. Superbi i destrieri, ricche le armatu- 



(1) È questo il riassunto esatto dell'Editto 17 maggio 
1796, inesattameate accennato dal Colletta e da altri scrit- 
tori. 

(2) Editto del 21 maggio 1796. 

(3) Editto del 24 maggio 1796. 



— 258 — 

re , elegante il portamento. Il bianco giubbetto con 
liste di velluto bleu^ i galloni, le brache bianche, le 
penne al cappello, gli ori, erano vista gracìita al po- 
polo, eccitavano speranze immaginose di alte prodez- 
ze (1). Tanto, in cose di guerra specialmente, l'ap- 
parenza inganna. Al comando effettivo fu destinato 
il Colonnello Gironda, 

Le finanze stremate richiedevano nuovi sacrifizi! 
al paese; quindi fu levata straodinaria imposta per 
la difesa dello Stato, corrispondente alla decima parte 
<lei prodotti sui terreni dell' agro napoletano , sulle 
rendite delle partite fiscali, o arrendamenti, tanto 
di Corte che di città, meno quelle concedute in feu- 
do, nonché sulle altre rendite e frutti, come censi, 
interessi di mutuo. 

Vennero insomma tassati la terra ed il capitale 
indistintamente (2). 

Per la sicurezza interna furono bandite gravissime 
minacce di gravi pene. Punito di morte e di confi- 
sca de'beni chi fosse in corrispondenza col nemico 
o ne ricevesse fogli, lettere , notizie, senza svelarle 
immediatamente al governo, o chi ardisse indurre i 
sudditi a rendersi , o prestasse aiuto al nemico , o 
eccitasse gli animi a riunioni, a congiure contro lo 
Stato , la real famiglia. Pari pena ai complici , ai 
sedotti, ai fautori della seduzione. 

Se questo bando definiva con tanta incertezza ed 
arbitrio i caratteri del delitto, non meno arbitraria 



(1) Il Maralli scrive: . . " avreste creduto vedere uno 
** di quei drappelli di paladini descritti dal Tasso.. „ (!l) 
(pag. 99). 

(2) Questa imposta detta Decima fu decisa nel Consiglio 
di Stato il giorno 17 maggio 1796, promulgata con il Re- 
scritto del 7 giugno stesso anno. 



— 257 — 

e sproporzionata era la pena , enorme poi la forma 
del giudìzio. 

Infatti tre testimonianze di correi confessi erano 
sufficienti per la reità, quantunque ciascuno rivelasse 
fatti speciali, conducenti « allo stesso oggetto. » La 
procedura < corta e spedita. . . compilata la infor- 
« mazione del giudice, nel termine di un sol giorno 
« venga il reo costituito , abbia il tempo di poche 
« ore per la difesa , e per la produzione dei testi- 
« moni in suo favore, e sì facciano in quello stesso 
« giorno tutti gli altri atti necessarii insieme alla 
« sentenza inclusive dalla quale noù potrà appel- 
« larsi (1). 

Questa legge, pei caratteri e lo spirito che la in- 
formava, dava campo ad ogni iniquità , schiudeva 
nuove fonti di accuse, di sospetti, faceva nuove vit- 
time. 

La sorte intanto della guerra tra Austriaci e Fran- 
cesi precipitava alla fine. 

Le buone novelle non erano state che rapidi ba- 
leni. La battaglia di Lodi spingeva i tedeschi in piena 
ritirata, mentre Bonaparte con la spada alle reni li 
cacciava sull'Adige. 

Subitamente due partiti si determinarono alla Corte 
napoletana. L'uno, ed era di questa opinione la Re- 
gina , volea che secondo un piano combinato con 
l'ambasciatore inglese Hamilton, si fosse marciato su 
Roma, per indi occupar le Romagne. L'altro era per 



(1) Editto 28 maggio 1796 a firma Casteloicala. Il Col- 
letta riferisce questo Editto (pag. 91) con qualche aggiun- 
zione ed inesattezza. Non merita però i rimproveri del- 
rUlloa in ordine ai giudizi! subitanei, ad horaa, perchè 
il documento prova la verità delle affermazioni del no- 
stro storico. 

Conforti 17 



— 258 — 

la pace con la Repubblica , non per separarsi fran- 
camente dalla coalizione europea ed abbandonare la 
politica austriaca, ma per paura di Bonaparte. 

L'Acton fu, come sempre, il labbro di questa po- 
litica grossolanamente timida ed ingannatrice. 

L'occasione era però propizia per le gravi diver- 
genze tra il Direttorio e Bonaparte sulle ulteriori 
operazioni di guerra. Il giovane eroe si prefìggeva, 
distrutto che avesse T esercito austriaco , gittarsi 
nella valle del Danubio , per dar la mano agli eser- 
citi del Reno. 

Pensava, non fosse necessario ripiegarsi sulla pe- 
nisola contro i Principi italiani, perchè quando s'im- 
pedisse agli austriaci il ritorno in Lombardia , il 
resto d'Italia tremerebbe della sua sorte. Se i fran- 
cesi mantenessero nelle loro mani le porte d'Italia, 
Napoli e Roma seguirebbero Y esempio di Parma e 
di Modena. 

Ma il Direttorio, specialmente per l'influenza che 
esercitava nelle cose di guerra il genio di Carnet , 
fu trepidante innanzi a quel piano ardito e gigan- 
tesco. Ne indicava altro più modesto, ma di maggior 
pericolo , ordinando che l' esercito d' Italia sì fosse 
diviso in due, una parte restasse in Lombardia sotto 
gli ordini di Kellermann, l'altra, col Bonaparte, sfi- 
lasse su Roma e Napoli. 

Ma questi che era tutto invasato a spingere le 
sue armi vittoriose oltre l' Italia , geloso anche di 
dividere il comando con un generale prode si ma 
mediocre, quaP era il vecchio Kellermann, inviò la 
sua dimissione al Direttorio, lasciò Milano, dov'era 
entrato trionfalmente il 15 Maggio , corse all' Adda 
aspettando colà i nuovi ordini (1). 



(1) Thiers, Voi. 4. Pag. 290. 



— 259 — 

Intanto le sconfitte di Beaulieu, aveano fatto ca- 
dere gli spiriti guerreschi della Corte di Napoli e 
specialmente della Regina , la quale non confidava 
che nell'esercito austriaco. Invano il Beaulieu avea 
sollecitato per mezzo dell'incaricato austriaco Conte 
d'Ksterhazy lo invio di truppe di fanteria napoletana 
al campo, perchè il Granduca di Toscana erasi re- 
cisamente negato di dar loro il passaggio , né per 
mare o' era* verso di farle giungere senza pericoli. 
Né la Corte ebbe animo di violare a viva forza il ri- 
fiuto del Granduca, ed arditamente spingersi in soc- 
corso dell'alleato, lo che avrebbe potuto mutare le 
solati della campagna. 

Non erano di questi ardimenti capaci TActon e la 
Regina , e tanto numero d' armati si ragunava più 
a pompa che a prove. 

Quindi il 17 maggio il Re dava incarico, con par- 
ticolareggiate istruzioni , a D. Antonio Pignatelli 
Principe di Belmonte di recarsi in tutta fretta e 
presentarsi a quel Generale o a quel Ministro di 
Francia che avesse incontrato, se le truppe del Bo 
naparte si fossero spinte nell'Italia inferiore, e pro- 
porre pace. 

Parti il Belmonte, si abboccò a Firenze col Mini- 
stro francese Miot , fu a Piacenza il 27 , giunse a 
Borghetto il 30 maggio, giusto quando si combatteva 
l'aspra fazione, passò l'indomani pel campo di bat- 
taj^lia fra i cadaveri di austriaci e napoletani, e al 
1 Giugno, dopo penosi incidenti, potè avere udienza 
da Bonaparte. 

Era questi nelP ordine d' idee e di propositi che 
abbiamo espresso; si giuoco quindi dall'una parte e 
dall'altra di abilità, di astuzia, di fermezza. Alle spa- 
valderie dell'inviato napoletano che vantava le forze 
del Regno, e il proposito del Re di cadere con l'ar- 



— 260 — 

mi in pugno piuttosto che accettare una pace diso- 
norevole , Bonaparte oppose i suoi trionfi , esagerò 
le sue forze, giudicò con la massima esattezza che 
una sola battaglia avrebbe distrutto il trono dei Bor- 
boni, e poiché inchinava ad accordi, e non fu insen- 
sibile airinsinuazione di pratiche pacifiche che la Re- 
gina di Napoli avrebbe potuto iniziare presso TAu- 
stria, concesse di segnare un armistizio, non avendo 
i poteri per segnare la pace (1). 

Fu Tarmistizio concluso a Brescia e datato da que- 
sta città il 5 giugno, ma redatto invece e sottoscritto 
a Milano il giorno 6. Si convenne la cessazione delle 
ostilità tra francesi e napoletani da decorrere dal 
giorno in cui i quattro reggimenti napoletani si fos- 
sero separati dairesercito austriaco, e da durare fino 
a dieci giorni dopo la rottura delle trattative di pace. 
Eguale sospensione di ostilità per mare, e quindi le 
squadre napoletane dovessero lasciare quelle inglesi. 

I quattro reggimenti si sarebbero accantonati nel 
territorio Veneziano di Brescia, Crema, Bergamo. 
Libero transito ai corrieri delle due nazioni (2). 

Subitamente Bonaparte informò il Direttorio dei 



(1) Mémoires tirées des papiers d*un homme d'État. Voi, 
8. pag. 410. 

(2) Ecco la lettera che il Generale scriveva al Belmonte : 
Quartier Generale di Milano 19 Pratile (7 giugno 1796) 
" L' armistizio che noi abbiamo concluso ieri T altro, 

^ sarai io spero, il prodromo della pace. I negoziati deb- 
^ bono cominciare al più presto possibile, e quantunque 
^ le truppe ritardino ad arrivare aì loro cantonamenti, 
" io penso che ciò non può essere una ragione di guerra 
" dal momento che l'ordine di S. M. di Napoli sarà per- 
^ venuto e che il corpo di truppe sarà in marcia per ren. 
" dersi alla sua destinazione. Bonaparte. „ 

(Corrispondenza di Napoleoue I , pubblicata per ordine 



— 281 — 

vantaggi del fermato armistizio, si fosse o pur no, 
conclusa la pace, insistendo nell'inopportunità peri- 
colosa di una spedizione su Napoli, che avrebbe di- 
vise le sue forze. 

« Noi, scriveva il Generale, togliamo agli Inglesi 
« cinque vascelli da guerra e parecchie fregate. To- 
« gliamo 2400 uomini di cavalleria agli austriaci, e 
« li concentriamo in un luogo dove sono a nostro 
« arbitrio (1). 

« Se voi fate la pace con Napoli l'armistizio sarà 
« stato utile perchè avrà indebolito l'esercito tedesco, 
« se non la fate sarà stato utile lo stesso , perchè 
* mi pone in grado di far prigioniera la cavalleria 
« napoletana, ed il Re di Napoli si è comportato da 
« non piacere alla coalizione. 

« Ciò mi spinge a trattare la quistione militare. 

« Possiamo e dobbiamo noi andare a Napoli? L'as- 
« sedio del Castello di Milano, la sicurezza da man- 
« tenere nel Milanese, e le guarnigioni delle piazze 
« conquistate domandano 25,000 uomini. 

<f A guardia dell'Adige e delle posizioni del Tirolo 
« 20,000. 

« Non restano, compresi quelli che arrivano in soc- 
« corso dello esercito delle Alpi , che 6000 uomini. 

« Ma se anche ne avessimo 20,000 non si conver^ 
« rebbe di fare venticinque giorni di marcia nei mesi 
« di luglio ed agosto per cercare le malattie e la 
« morte (2) ». 



deirimperatore Napoleone III a Parigi MDCCOLVIII. Voi. 
1, pag. 461). 

Il testo deirarmistisio è nella corrispondenza di Napo- 
leone Voi. 1, pag. 446, 447. 

(1) Erano in molto minor numero. 

(2) Lettera confidenziale al Direttorio in data di Mi* 
lane 7 giugno 1796. 



— 262 — 

Il Direttorio intanto non avea accolto la dimissio- 
ne di Bonaparte, ed impostogli di percuotere Roma 
e di spaventar Napoli con un colpo che facesse sen- 
tire la potenza della Repubblica. 

II Generale vi si accinse. Disposte bene le cose 
suir Adige , bloccata Mantova , stretto V assedio al 
Castello di Milano, diresse la divisione Augerau dal 
Mincio a passare il Po a Borgoforte per invadere 
Bologna. Spedi Vabois da Tortona a Modena , poi 
con otto, noveraila ucraini discese egli nelle legazioni 
di Bologna e di Genova, per minacciare il resto della 
penisola. 

In pochi giorni i francesi impongono a Genova di 
cacciar le famiglie suddite di Austria e di Napoli, 
occupano Ferrara, Ravenna, Bologna, Modena, pas- 
sano l'Appennino entrano a Siena, il 27 giugno Bo- 
naparte è a Livorno , dove fa sequestrare tutte le 
merci inglesi che gli riusci di sorprendere, e le na- 
poletane per cautela, arresta il governatore Span- 
nocchi, mentre fa sollevare con altre sue truppe la 
Lunigìana e Massa Carrara, punisce Lugo ch^ voleva 
insorgere a favore del Granduca, spaventa Pisa, 
sparge dovunque il terrore, nella Corte di Roma spe- 
cialmente, perchè Ancona è occupata da presidio fran- 
cese, e in quella di Napoli la quale teme che le fa- 
langi invaditrici arrivino al Tronto. 

Alla vista dei francesi scoppia il patriottismo delle 
forti popolazioni romagnole. Si diffonde la nuova di 
prossima costituzione a Repubblica di Modena, Bo- 
logna , Ferrara , della Marca d' Ancona. Dovunque 
sorgono governi provvisoriì, mentre da Milano si 
fraternizza con quelle provincìe liberate dal gioco 
pretino. Reggio manda i suoi cittadini Paradisi e 
Re per festeggiare Y incipiente unità d' Italia nella 
capitale lombarda, dove una legione d'italiani fuori- 



— 263 — 

sciti è rimmagine della nova patria che si aggruppa 
e ricostituisce, dove i polacchi compagni di Kosciuko, 
ed i profughi tedeschi, uniti ed in armi si offrivano a 
spargere il loro sangue per la terra che li avea accolti. 

Quei di Reggio affrontano gli austriaci, e prendono 
il battesimo delle patrie battaglie. 

Intanto Bel monte , che era corso dietro a Bona- 
parte come un cane da caccia, secondo egli stesso 
scriveva , dopo che ebbe invano proposto di trattar 
la pace in Italia o a Basilea, poiché il Direttorio 
avea prefisso Parigi, apprese a Pistoia che era giunta 
la ratifica dell'armistizio, e quindi a Pistoia fu re- 
datta e firmata il 26 giugno la convenzione per ese- 
guirlo. Egli però avea avuto istruzioni di recarsi a 
Basilea ed accordarsi col karchese di Gallo il quale 
fin dal 19 maggio era colà, per le condizioni e le 
trattative di pace (1). 



(1) Bonaparfce scriveva al Direttorio in data dell'8 Mes - 
sidoro (26 giugno) dal Quartier Generale di Pistoia. " Il 
** Principe Pignatelli è giunto ; egli ha ricevuto ordine 
" della Corte che accetta Tarmistizio. Oggi è spedito l'or- 
'■^ dine al comandante della cavalleria napoletana di se- 
" pararsi dalF esercito austriaco. Il principe Pignatelli 
"parte dimane per Parigi passando per Basilea. Io gli 
" ho significato 1* ordine dì trovarsi a Parigi prima di 
" quindici giorni ; egli sembra disposto a conformar visi. 
" Egli mi ha fatto delle aperture del desider o che ha la 
" Corte di Vienna di prendere per mediatrice quella di 
^ Napoli; e ohe questa era la ragione che lo faoea passare 
" per Basilea dove deve trovare il Ministro del Re delle 
" Due Sicilie a Vienna. Io vi ripeto questa dichiarazione 
" del suo passaggio per Basilea imperciocché egli me l'ha 
" fatta officialmente „. 

(Corrispondenza ecc. pag. 538, 539), 

La convenzione, per l'esecuzione dell'armistizio, trovasi 
integralmente nella corrispondenza di Napoleone a p.538. 



— 264 — 

Il 15 o 16 luglio Belmonte giunse a Basilea, dove 
seppe da Gallo le disposizioni dell'Austria a trattare 
anche essa la pace; ma non potendo, per incidenti 
sopravvenuti, procedere ad una sola negoziazione. 
Gallo tornò a Vienna e Belmonte parti per Parigi 
dove giunse il 27 luglio. 

Lunghi , minuziosi, molesti , furono i negoziati di 
Belmonte col Direttorio e le discussioni tenute col 
Ministro degli Esteri Lacroix. Quelli ponevano patti 
vergognosi ed inaccettabili ; altri dal canto suo del 
pari inaccettabili formolava Belmonte. Si questionò 
parecchio tempo , perchè entrambi i governi inten- 
devano or stringere or rallentare i vincoli dell' ac- 
cordo , secondo gli avvenimenti e le varie manife- 
stazioni politiche delle altri Corti coalizzate. 

Il Direttorio non era proclive a concludere la pace 
se non a buone condizioni , perchè in Francia tutti 
i sinceri patrioti manifestamente si atteggiavano ad 
avversari decisi della Corte borbonica (1). 

D'altra parte gli eventi militari aveano messo l'Au- 
stria in gravi pericoli, e quindi anch'essa voleva por 
fine alla guerra , sicché trattando la pace separata- 
mente, Napoli poteva rimanere in arbitrio del vinci- 
tore (2). Ma la tjondotta del governo napoletano avea 
destato il malumore ed i sospetti dell'Austria, poiché 
separandosi dalla coalizione nel momento della dis- 
fatta, erasi messo in riga col Re di Piemonte. 



(1) Thiers, St. della Riv. voi. 4. 

(2) Nel consiglio segreto tenuto a Vienna il 6 maggio 
alla presenza dell' Imperatore il Conte di Col lo wralh so- 
stenne doversi far la pace. Prevalse però T opinione del 
Conte di Lehrbach e fa decisa la continuazione della 
guerra. Però la sfortunata campagna avea consigliato di 
nuovo disposizioni pacifiche. 

(Mémoires ecc. voi. 3, pag, 370, 371). 



— 265 — 

Il Direttorio voleva altresì conoscere con chiarezza 
qua] consistenza avessero le proposte di pace susur- 
rate da Belmònte relativamente all'Austria (1), Di 
modo che durante tutti gli andirivieni, le aspettative, 
le formalità di così penoso negozio di stato, le incer- 
tezze del presente, i gravi pericoli del futuro, il Re 
di Napoli spinse alle frontiere trentamila uomini e 
li accampò a S. Germano, Sora, Sessa, Casteldisan- 
gro ; mentre là fama, che precorre sempre gli avve-, 
nimenti, annunziava che un nuovo esercito austriaco 
guidato dal vecchio Wurmeser scendesse a ristorare 
in Ita'ia la fortuna delle armi. 

Grandi speranze si levarono in Italia nella parte 
antifrancese. 

A Venezia , a Roma , a Napoli si dava già Bona- 
parte spacciato per T arrivo di Wurmeser ; il Papa 
faceva retrocedere le vetture che portavano le prime 
contribuzioni al ca.mpo francese. 

Intanto coi rinforzi spediti dairinterno dell'Austria, 
e gli avanzi dell'esercito di Beaulieu, Wurmeser in- 
cominciava il 29 luglio il suo movimento offensivo 
alla testa di cinquantamila uomini. Avanzando rapi- 
damente, per retrocedere, sino a Peschiera. Sauret è 
battuto a Salò da Quasdanowich ch« sorprende Bre- 
scia e fa prigioniera la guarnigione francese e gli uf- 
fflziali superiori Murat, Lannes, Lanusse ed altri. 

Ma Bonaparte leva immantinenti l'assedio di Man- 
tova , abbandona la linea dell' Adige e del Mincio e 
si concentra sul Chiese. Wurmeser entra a Mantova 
distrugge le opere degli assedianti, provvede la piazza 



(1) Lettera del 6 laglio, corrispondenza confidenziale 
del Direttorio con Bonaparte , la quale si riferisce alla 
lettera del 26 giugno di Bonaparte al Direttorio, innanzi 
pubblicata. 



— 266 - 

di artiglieria, poi si dirige sopra Goito per congiun- 
gersi alle truppe che, sorpresa Brescia, si erano avan- 
zate fino a Montechiaro. Un grido si leva per l' Ita- 
lia: « Mantova è liberata! » 

Però Bonaparte batte il 31 luglio Quasdanowich sul 
Chiese, e quantunque Wurmeser il giorno 2 agosto 
a Castiglione con felice combattimento d'avanguardia 
rompesse milleottocento francesi , non potette però 
raggiungere l'obiettiva di unirsi al suo luogotenente. 
Questi ritorna alle oflFese e batte di nuovo Massena 
a Lonato, ma è sconfitto una seconda volta il 3 agosto 
da Bonaparte, il quale voltosi poi contro Wurmeser 
lo assale il 5 agosto presso Castiglione, tra Solferino 
e Guidizzolo,- lo costringe a lasciare la linea del Min- 
cio e ritirarsi nel Tirolo. 

La campagna era durata sei giorni, Wurmeser avea 
perduto ventimila uomini tra morti, feriti, prigionieri; 
tutti gli amici dei francesi esultavano, Roma e Na- 
poli erano in lutto. 

Bonaparte avea saputo, per mezzo del ministro fran- 
cese a Roma Cacault le trame della Corte di Napoli, 
mentre egli teneva testa a Wurmeser ed un combi- 
nato progetto per avanzar le truppe alle sue spalle, 
al primo rovescio. 

I napoletani avrebbero dovuto invadere gli stati 
della chiesa, riprender Livorno, spingersi a Ferrara, 
e dare appoggio alla guarnigione di Mantova. 

oringlesi aveano promessi sussidii in denaro e li 
spingevano a Livorno. Difatti Windham, ministro In 
glese a Firenze, era giunto a Napoli, e levava alte 
querele sulla esitazione del governo , che non avea 
impedito Tarmistizio col Papa, occupando Roma, non 
avea inviato i trentamila uomini promessi in Lom- 
bardia, per dar la mano a Wurmeser. 

E il governo napoletano varcò i confini e con due- 



— 237 — 

mila uomini occupò Pontecorvo (1). Poi spinse un'a- 
vanguardia sulla via di Prosinone . 

Ma Micheroux , ministro a Venezia, informava il 
Governo della disfatta di Wurmeser, e Castelcicala 
ed Acton si affrettavano a dichiarare al Ministro 
Cacault le loro intenzioni pacifiche, giustificando con 
sciocchi motivi la mossa e l'occupazione di Ponte- 
corvo (2). 

Una cosi sleale condotta mosse l'ira di Bonaparte. 
Scrisse al Direttorio « questa Corte è perfida e stu- 
fi pida, bisogna con un manifesto energico porre in 
« evidenza la sua mala fede e principalmente quella 
« di Acton; appena sarà minacciata diventerà umile 
« e sommessa (3). » 

E il Direttorio rispondeva: « la condotta futura 
a che là Corte di Napoli terrà con noi, determinerà 
« ciò che dovremo fare. Prima del tentativo di Wur- 
« meser sull'Adige e sul Mincio Pignatelli Belmonte, 
« che è a Parigi, ha evitato con tutti i mezzi che la 
« diplomazia straniera sa porre in opera, l'occasione 
« di trattare seriamente la pace con la Repubblica 
« francese ; dopo che l' esercito d'Italia ed il genio 
« del suo capo hanno vinto l'audace austriaco, Tin- 
« viato napoletano s'è totalmente cangiato, ed è di- 
« ventato cosi ardente nel negoziare la pace quanto 
« prima parea di non esserlo. Noi approviamo che 
« minacciate Napoli con vigoria. » 



(1) Il 14 Agosto perveniva a Roma la notizia non esatta 
ohe si era occupato Frosinone, (Corrispondenza tra il Mi- 
nistro Cacault e Bonaparte in data di Agosto 1796). 

(2) Mémoìres tirées des papiers d'un homme d'Etat. Voi. 
8. pag. 437, 88. 

Dissero che non aveano dove accampare le truppe ! 

(3) Lettera confidenziale di Bonaparte al Direttorio in 
data di Milano 26 Agosto 1796. 



— 268 — 

E Napoleone minacciò difatti per mezzo di Azara, 
ambasciatore di Spagna, perchè ne avesse informata 
la Corte di Napoli. « Gl'inglesi, scrisse, hanno per- 
« suaso il Re di Napoli, ch'egli è qualche cosa. Io 
« lo convincerò ch'egli è nulla. Se persiste contro i 
* patti dell'armistizio a mettersi io armi , io giuro 
« in faccia alFEuropa di marciare contro i suoi so- 
<( guati settantamila uomini con seimila granatieri, 
« quattromila cavalli e cinquanta pezzi di artiglie- 
« ria (1) ». 

Ordinava quindi ai suoi generali di vigilare at- 
tentamente sulla cavalleria napoletana e disarmarla 
alla prima occasione (2). 

Dette da altri sarebbero sembrate spavalderie, ma 
profferite da Bonaparte destavano immenso timore. 
Senonchè non solamente per la sconfitta di Wur- 
meser la Corte di Napoli ed il suo Ministro a Pa- 
rigi erano tutti disposti a stringere la pace, ma da 
un gravissimo avvenimento che Gallo segnalava da 
Vienna. 



(1) Lettera di Bonaparte al Direttorio, Milano 26 ago- 
sto 1796. 

(2) Scriveva, cosi il 4 Settembre, dal quartier Generale 
di Ala, ai Generali Baraguey d' Hilliers, Sahuguet, Sau- 
ret , Serviez e Gauhtier , di vegliare pon la più. grande 
attività sulle truppe napoletane ch'erano a Brescia, Ore- 
ma e Lodi, e se qualche distaccamento si fosse messo in 
marcia per sortire dai limiti assegnati, si sarebbe dovuto 
arrestare e disarmare. 

(Corxispondenza citata). 



— 269 - 

CAPITOLO DEOIMOSESTO 

Sommario. — Gallo ritorna a Vienna. Note {inedite) di Gallo 
ad Acton. 

Il Marchese di Gallo reduce da Basilea a Vienna, 
avea constatata la freddezza ed il malumore di Thu- 
gut verso la Corte di Napoli, per le trattative della 
pace, e la partenza di Belmonte per Parigi. 

Si die quindi a chiarire le intenzioni del suo go- 
verno, e le lettere dell'Acton ricevute per mezzo del 
corriere di Londra ben presto dissiparono ogni so- 
spetto (1). 

Rispondeva Gallo all'Acton: « Una lettera che passa 
« per le porte d'Italia in questi momenti non pre- 
« senta sicurezza punto né poco. Ed indipendente- 
« mente da quello che la Ven.ma lettera di V. E. 
« esige da me in replica e risposta, devo io per me 
« stesso informare TE. V. di certe cose, che m'oc- 
« corsero dopo la mia partenza da Basilea, non meno 
« nel viaggio che dopo il mio arrivo e presenza in 
« questa augusta Corte (2) ». 

Avvertiva quindi che era in cerca di un sicuro 
mezzo di comunicazione « perchè quanto nei giorni 
« passati poteva soffrir dilazione senza danno co- 
« mincia ora a divenire urgente e forse mi farà spe- 
« dire un corriere che sarà da V. E. prima della 
« presente. 



(1) Lettera di Acton del 6 Agosto (Inedita). 

(2) Nota ( Inedita ) del marchese di Gallo al Ministra 
Acton, Vienna 17 agosto 1796. 

Avverto che nessuno ha ancora fatto cenno di questa 
importantissima corrispondenza diplomatica. 
Avverto altresì che serbo fedelmente l'ortografia. 



— 270 — 

« Nulla dirò qui dunque senza V assicurare V. E . 
« che ho trovato questi sovrani nella più perfetta 
« salute e nella disposizione più felice, più tenera e 
« più cordiale verso gli augusti e la famiglia tutta 
« delle LL.MM. (1). 

« Nessuno prende interesse e più vero amore alla 
« gloria al vautaggio alla sicurezza dei nostri pa- 
« droni di questi sovrani, e nessuno più di essi e di 
« questo Ministero desiderano ogni aumento della 
« considerazione e delli vantaggi di S. M. e della sua 
€ Corona. Nessuno umore, glielo giuro, qui esiste ; 
« nessun rancore, anzi tutta la cordialità e tutta la 
o tenerezza, tutto il zelo per quanto possa giovare 
« e convenire a S. M. Io rispondo a V. E. io rispondo 
« alle LL. MM. sulla vita e sul mio onore. 

«... Il piccolo disappunto appreso non è da met- 
« tersi in nessun calcolo : la prego di essere tran- 
« quillo , e di tranquillare gli augusti Padroni e di 
« fidarsi a me , a queste mie assicurazioni sinché 
« abbia la fortuna e l'onore di scrivere all'È. V. più 
« particolarmente. » 

Spedi di fatto un privato suddito napoletano che 
era a Vienna a cagion di studi , per nascondere 
a quella Corte l'indole delicata delle comunicazioni 
che faceva (2). 

« L'oggetto della presente, scriveva, è quello d'in- 
« formare S. M. e V. E. dello stato delle cose e di 



(1) Era corsa voce che rimperatore era inalato, anzi il 
Direttorio riteneva che fosse quasi in fin di vita e ne 
avvertiva Bonaparte perchè si fosse impadronito del Gran- 
duca di Toscana a fin d'impedirgli che si recasse a Vienna. 

(2) Nota {Inedita) del 18 Agosto 1796, la quale fu spe- 
dita per mezzo di D. Andrea Savarese che era a Vienna 
pensionato dal governo napoletano per compiervi studi 
di mineralogia. 



— 271 — 

« questa Corte, dopo il mio arrivo. Ella non vedrà 
« e non rileverà che disgrazie, angustie e pericoli e 
« una prospettiva sommamente nera ed allarmante 
« sostenuta però con infinita energia da questo Ga- 
« binetto e con un coraggio veramente eroico ed 
« ammirabile. » 

Riassumeva quindi gli avvenimenti della campa- 
gna incominciata il 1 Giugno sul Reno (1), la man- 
cia degli eserciti francesi sul territorio austriaco, e 
che r arciduca Carlo , era deciso ad entrare nella 
Boemia, schierarsi dietro al Lech, al Danubio ed il 
Tirolo. Affermava che tutte le speranze dell'Austria 
erano riposte nel Generale Wartensleben, confidan- 
dosi che potesse arrivare a Ratisbona ed al Danubio 
prima de'francesi. 

Dalla congiunzione di questo Generale con l'Arci- 
duca dipendea che in poche settimane i francesi fos- 
sero no in Vienna ; e da una battaglia fortunata 
dell'Arciduca la salute dell'Impero (2). 



(1) Il Gallo ordinò al Bavarese " di correre notte e 
giorno „ finché non avesse consegnato il piego al Resi- 
dente napoletano a Venezia il Cav. Micherenx; e se questi 
non avesse potato spedire un apposito corriere, egli il Sa 
Varese, avrebbe dovuto continuare il viaggio fino a Napoli. 

(2) Confrontando le narrazioni degli storici , relativa- 
mente alla campagna sui Reno , che non incominciò il 
21 Maggio, come altri ha scritto, ma il 1 Giugno, (vedi 
Coppi, Thiers, eoe ) con quella di Gallo, appare evidente 
che questi non era perfettamente informato, al momento 
in cui scriveva , delle operazioni militari. Benché scri- 
vesse il 18 , ignorava la sanguinosa battaglia data dal- 
l'Arciduca a Moreau TU Agosto tra Nereisheim e Do- 
nawert; ed ignorava del pari l'ardita mossa dall* Arcidu- 
ca da Ingolstdat, il giorno 16, per unirsi a Wartensleben, 
il quale , invece di gettarsi in Boemia, come si temeva» 
era sulla Naab in presenza di Jourdan. 



— 272 — 

« Quanto all'armata d'Italia è stato un sogno, la 
« felicità che per un momento ci ha procurato V. E. 
« che tanto grandemente ha sentito la consolazione 
« della liberazione di Mantova e della fuga precipi- 
« tosa dei francesi non ha forse creduto ai suoi oc- 
« chi quando due giorni dopo ha appreso il rovescio 
« della nostra fortuna (1). 

« Ma quello che assai particolarmente m' occorre 
« di mettere a segretissima conoscenza dì S. M., e 
« di V. E. ; quello che sopratutto mi determina a 
« scrivere questa lettera straordinaria, è l'aver pe- 
< netrato che stiasi qui deliberando se l'Imperatore 
K debba impegnarsi a voler sostenersi in Italia, o se 
€ la debba abbandonare. Questo punto messo in di- 
€ scussione m' ha fatto gelare, e non ho riposo fin- 
« che V. E. non ne sia avvisata, si conta qui che 
« Mantova può tenere ancora 5, 6 settimane cioè lino 
« alla metà di settembre: fra questo tempo, o deve 
« Wurmeser liberarla, e poi avere un'armata capace 
« da sostenersi contro Bonaparte, e proseguir la cam- 
« pagna in Italia , o forse anche la campagna d' in- 
u verno; o è inutile impegnarsi: pel primo progetto 
* bisogna dare a Wurmeser una grande armata; poi- 
« che il darcene una mediocre non serve ad altro, 
« che ad indebolir la monarchia senza effetto. Ma 
« se l'Imperatore non è nello stato di poter sostenere 



(1) Queste parole mostrano come a Vienna ed a Napoli 
erano stati inesattamente informati dell' abbandono, per 
parte dei francesi, del^assedio di Mantova. Bonaparte con 
ima delle sue più abili concezioni ritirando il corpo di 
Serrurier che assediava Mantova,, quello di Augereau da 
Legnago , e concentrandosi alla punta del Lago di G&r- 
da , si pose in mezzo tra Kwasdanowich e Yurmeser, li 
disfece, l'un dopo l'altro, cacciandoli nel Trentino. 



— 273 — 

« in Italia solo una grande armata; e se non può 
« battersi da due parti, allora prenderà il partito di 
« abbandonar Mantova , e di mettere una piccola 
« forza nelle gole del Tirolo, per chiudere il passo; 
« e riunirà tutte le forze in una massa sola sotto 
« l'Arciduca; per concentrare tutte le sue forze in 
« un punto solo. Da ieri in qua si sta esaminando 
« questo progetto per decidere un partito. Egli è 
« dolorosissimo all'imperatore, ed al ministro di ve- 
ce dersi nella necessità di discutere un punto simile; 
« ma la necessità estrema delle circostanze li forza 
« a tanto. So che il sentimento dato da Thugut è 
a per sostenere ancora l'Italia, e per farci gli ultimi 
« sforzi e tentativi , a farli subito, prima che Man- 
« tova non cada ; ma il sentimento del consiglio di 
« guerra, e del ministro Lacy è per portar tutte le 
« forze in un punto solo pel Danubio, e tenersi nella 
« difensiva nelle montagne del Tirolo, abbandonando 
« tutto il resto. Questo sentimento è appoggiato sulla 
« massima, che separando le forze si perderà tutto 
« e riunendole in un punto si conserverà qualche . 
« cosa. 

« L'Imperatore prima di pigliare un partito ha vo- 
te luto, che ri tenga una conferenza tra i ministri 
« politici , e militari : e fra due giorni tutt' al più, 
« questo punto sarà deciso. Vorrei che volasse quS- 
« sta lettera, perchè V. E. fusse sollecitamente istrui- 
« to di un tanto problema, che si pone a delibera- 
« zione. Quando sia deciso io spedirò un corrie- 
« re, procurerò altra simile occasione per infor- 
« marnela. 

« Ma intanto mi dirà forse V. E. di renderle conto 

« di quello che qui si pensa fra tante angustie per 

« venire alla fine, ad un termine definitivo di tanti 

« mali, e di tante rovine! A dirle il vero è difficile 

Conforti 18 



— 274 — 

« il fissare un sistema, perchè questa Corte istessa 
« non sa a qual partito appigliarsi; se si deciderà dal- 
« r Imperatore , e da' ministri la pace se ne sente 
a la necessità e r urgenza ; ma non vuol venirsi a 
4f nessuna condizione umiliante, che disonori la di- 
« gnità della Monarchia, o che faccia perdere all'Im- 
« peratore i suoi alleati. Una pace simile si giudica 
« assai pjù dannosa, che la guerra più infelice; poi- 
« che si 'considera perduta la dignità , e perduti gli 
« alleati non può farsi che una pace rovinosissima 
« dopo della quale rimarrà la Corona fiaccata, senza 
« credito, senza considerazione, e senza appoggi, se 
« gli cadesse addosso il Re dì Prussia; o se la Fran- 
« eia stessa unita con la Prussia volesse molestarla, 
« e rompere la pace, o se l'Inghilterra, e la Russia 
« si unissero alla Prussia formando altra tripla al- 
« leanza; in tutti questi casi la monarchia Austriaca 
« sarebbe finita per sempre, o almeno ridotta alla 
« condizione di perfetta dipendenza, da chi volesse 
« dargli la legge. È dunque deciso più che mai l'Im- 
« peratore, e ir ministro di avventurar tutto pi utto- 
« sto che separarsi dagli alleati , calcolando, che il 
« più piccolo successo felice che abbiano le sue ar- 
« mi ; il più leggiero rovescio de' francesi sia nelle 
» armi, o sia nell' interno ; può far mutare tutte le 
« circostanze. È sicuro che la Francia neanch' essa 
« può far la guerra lungamente, non v' è nessun de- 
« naro nel paese; la carta bassa tanto; e nella stessa 
« proporzione sì moltiplica tanto che fra pochi mesi 
« deve non aver più valore. Questo sconcerto è tale 
« che i francesi stessi rischiano tutto per costrin- 
K gere l' Imperatore a far la pace , perchè sentono 
« che non possono essi stessi sostener più la guer- 
« ra. A questo dato si unisce la prossima mutazione 
« d' un membro del Direttorio , che va a nominarsi | 



— 275 — 

« a settembre, potrebbe venire un uomo ragionevole 
« e moderato ! Si riflette inoltre che le armate fran- 
« cesi vivono alla giornata còlle contribuzioni , e 
« saccheggi , questa fonte può levargli la sete per 
« un momento ma non fornirgli una sorgente per 
« alimentargli lungamente, e mancandogli dall'interno 
« loro ogni risorsa, devono presto essere anch'esse 
« imbarazzate più delle altre; e trovarsi estese infl- 
« ultamente in una immensa vastità di conquiste, 
« in mezzo a popoli eterogenei , che dopo il primo 
« momento di acclamazione desiderano tutti di cac- 
« ciarli e di esterminarli. Tutte questi considerazioni 
« alimentano, e sostengono il coraggio, e la fermezza 
« dell' Imperatore, e di Thugut alle quali si aggiunge 
« la quasi impossibilità, ed inacessibilità de'francesi 
« ad ogni equa apertura di pace: voglion essi trattar 
« r Imperatore (lo dicono ad ogni passo) come il Re 
u di Sardegna, od il Papa. Vogliono che faccia abdi- 
« cazione alla coalizione, all'alleanza dell'Inghilterra, 
« che ceda l'Italia, i Paesi Bassi, il confine del Reno, 
>« vogliono imporgli ogni legge umiliante, e metterlo 
« tra le potenze di secondo, o terzo ordine. Quale 
« fiducia, quale speranza può dunque avere questa 
» Corte , e qual via per aprire una negoziazione di 
« pace! Essi stess' i francesi, che la 'vogliono cosi 
« ardentemente mettono l'Imperatore nell'impossibi- 
« lità da una parte , e nella necessità dall' altra di 
« battersi sino all' ultima estinzione di forze , e di 
« perire piuttosto che cedere a tal orgoglio. Forse 
« chi sa ! la fortuna che tanto è instabile si mu- 
< terà anch' essa. Forse una giornata può decidere 
« d' un' altra sorte, e forse la stessa ubriachezza, ed 
« orgogliosa sazietà della fortuna unita a' mali in- 
<c terni, ed imbarazzi detti di sopra, faranno diroc- 
« care tutto questo edificio nemico. Il tempo la fer- 



— 276 ~ 

« mezza, la perseveranza, la riserva e prudenza so- 

< vrana sono le colonne dell'Imperatore, e per con- 

< seguenza il sisteina deciso dell'Imperatore è di non 
« cedere , ma di sostenere (accada qualunque cosa] 
e r ìmpeto della fortuna, e delle disgrazie sino a che 
« i francesi non vengono a trattare la pace con tutte 
€ le potenze unite , cioè con li tre alleati. Certo è 
e che questa fermezza , e tutt' i razìociniì politici 
« suddetti sono ammirabili; ma non ci è dubbio an- 
€ Cora che le disgrazie e le rovine cui siamo esposti 
« da un giorno all'altro non siano incalcolabili. L'Im- 
« peratore è preparato a tutto, e non è scoraggito di 
« nulla. Il Re di Prussia Federico fu cacciato da Ber' 
« lino due vòlte, fu ridotto solo all'armata con 36 a 
« 40 mila uomini. Maria Teresa fu ridotta all' Un- 
« gheria. Vittorio Amedeo avea perduto tutto fuor 
« che un piccolo corpo di truppa: e cosi a citar tutte 
« le disgrazie della Storia e tutte le risorse della 

< fortuna. V Imperatore persuaso col suo Gabinet- 
« to che se fa la pace al modo suddetto è rovinata 
« per sempre la casa d'Austria, e se sostiene la 
« guerra accompagnata da ogni sforzo ; le disgrazie 
a saran passeggiere, e ne potrà risorgere facilmente, 
« basta che conserva con fermezza il suo onore, i 
« suoi dritti , i suoi alleati e la sua energia. Se i 
« francesi saran padroni di Vienna, non ci starali 
« lungamente; un'armata di 100 e più mila uomini 
a esiste, anzi unendosi tutte le forze, e tutt' i nuovi 
a sforzi ve ne saran quasi 200. Perduti questi, l'Im- 
€ peratore sull' Ungheria si ripiegherà, e troverà là 
« una nazione di 10 milioni che sostei^à lui e la 
« sua casa. I francesi potranno essi resistere ancora 
« si lungamente, e la loro incursione non sarà ella 
« un fuoco di paglia ? 

« Eccoli tutt' i calcoli, i raziocinii di questo Ga- 



— 2T7 — 

« binetto donde le MM. LL., e V. E. vedranno, che 
« non v' è da sperare nessuna pronta fine a' mali, 
« che ci sovrastano, cosi e' è da prepararsi ad ogni 
« disgrazia, fintanto che la fortuna non cambi, e 
« fintanto che i francesi non vengono alla ragione, 
« ed alla moderazione. 

« Con tutto ciò sono segretamente informato, che 
« si è fatto un politico tentativo da questa Corte, 
» e dall' Inghilterra per vedere di guadagnar nuo- 
« vamente il Re di Prussia. Nel momento in cui 
« . scrivo dev' esser giunto a Berlino un negoziatore 
« segreto, il quale è un Commis della segreteria di 
« Stato di Londra ; egli deve aver fatto proposizioni 
« ed esibizioni al Re di Prussia per farlo muovere, 
* il quale porterebbe con se gli Annoveresi , i Sas- 
« soni, e gli Essesi (1). L'Inghilterra gli offre da- 
« naro; e condizioni vantaggiose alla pace. Se il Re 
« di Prussia accettasse, tutto cambierebbe d'aspetto 
« perchè un'armata di 70 o 80 mila uomini , che &i 
« moverebbe da quella parte, spingerebbe i francesi 
« a ripassare il Reno, e forse metterebbe fine alla 
« guerra. Se il Re di Prussia non accettasse questo 
« partito direttamente, potrebbe facilmente prenderne 
« un altro, cioè quello di comparire in scena, e dar 
« ala a' francesi, come quelli, che son troppo avan- 
« zati, e che occupano l'Impero, potrebbe as sumersi 
« il carico d'imporre alle parti belligeranti di far la 



(l) L'inviato fu il sottosegretario di Stato Hammond, 
il quale però andava a decidere il Re di Prussia, sia per 
un sussidio sia per altri mezzi diplomatici, a dichiararsi 
mediatore tra i coalizzati e la Francia. La missione però 
non riuscì. 

(Vedi Mémoires tirées dea papiers d'un homme d' État. 
Voi. 3, pag. 400 e 402). 



— 278 - 
« pace, minacciando d' unirsi contro di quella che 
« non volesse accettare di trattarla ! Questo nego- 
« ziatore se conchiuderà qualche cosa, verrà qui 
« subito , per concertare le operazioni , con questa 
« Corte. Ma fin adesso non si sa ancora nessun ri- 
« sultato di lui; il che è un massimo segreto, acciò 
« i francesi non se ne accorgano. Questo punto di 
€ vista presenta senza dubbio, molti prospetti van- 
« taggiosi, ma non si può negare , che ne presenta 
a pur dei cattivi ; poicnè mettendo per base, che il 
« Gabinetto di Berlino non vorrà , e non sarà mai 
« altro che quello che potrà contribuire più facil- 
« mente, e più sicuramente alla rovina della casa di 
« Austria; dovrà conchiudersi che o non accetterà 
a ora le offerte, e se ne farà anzi merito colla Frau- 
« eia per più ingrandirsi all'ombra sua ; o le accet- 
te terà ma solo per mangiar qualche cosa di più, e 
« tradire egualmente questa corte in ogni operazione, 
«•come ha fatto sempre. Comunque sia si aspetti a 
« momenti qui il risultato di tal negoziazione , che 
« senza dubbio influirà molto in tutto quel che i*i- 
« mane dejla presente campagna. E quindi non si 
« può prognosticare, con qualche fondamento, se la 
« fine della guerra sia ancora molto lontana. Io son 
« persuaso che no ; e tale è Topinione dell' Impera- 
« tore , e di Thugut. Pare che tutto faccia credere 
« alla fine della campagna ; e neir inverno la pace 
« sia indubitata. I francesi non possono andar più 
« avanti , e l' Imperatore crede, quando sìa ridotto 
« all'estremità. Ogni ora decide di una delle parti, 

< ogni mutazione di circostanza; ogni passo, che la 
« Prussia farà, o colle armi , o colle dichiarazioni; 

< ogni nuovo avvenimento infine, che faciliti, o che 
« giovi, che sgomenti all'una delle parti, produr- 
« rà assolutamente la pace. 



— 279 — 

« Intanto onestissimo il carattere dell'Imperatore 
« e non men leale quello di Thugut, entrambi nella 
« giornata, e serata di ieri, non mi hanno dissimu- 
« lato l'imbarazzo, e la perplessità in cui sono per 
« rapporto all'Italia, ed al partito, die adotteranno. 
« Mi hanno detto entrambi , che decìso che sia il 
« partito da prendersi, me lo comunicheranno, acciò 
« sia di notizia, e regola a S. M., ma io intanto non 
« voglio tardare un momento ad informare V. E. di 
« questo dubbio. Ho molto perorato , ed agito per 
« persuadere S. M. ed il Ministro, nella necessità di 
« non abbandonare l'Italia, ho messo in vista su di 
« ciò quante ragioni detta la politica, e la prudenza 
« che mi sembrano inutili d' affastellare e ripetere 
« in questo foglio: spero e mi sembra d'aver persuaso 
« e S. M. e Thugut; sebbene a rendergli la giustizia, 
« non hanno mai messo in dubbio la tesi se non per 
« effetto dell' estrema necessità, e per potersi man- 
ce tenere forti abbastanza in due luoghi. All'incontro 
« r Imperatore sempre può sperare , di difendersi 
e bene e con vantaggio in Germania , sicché possa 
w evitare una gran sciagura, ed avere una pace ra- 
« gionevole, l'Italia sempre gli verrà per trattato: al- 
« l'opposto perderà tutto, se sarà battuto, e perdi- 
« tore da per tutto. Al Re nostro signore però sa- 
«c rebbe rovinosissimo questo partito. 

« Se S. M. non fosse Suocero , non fosse padre, 
«< di questi sovrani, se non fosse l'amico, l'alleato 
« di questa Real Casa, e di questa Monarchia: se 
« S. M. fosse tutt'altro di quel che è: per suo solo 
« interesse politico , non dovrebbe mai permettere 
'< la decadenza o la distruzione della casa d'Austria 
« in Italia ; come la sola potenza che possa tenere 
u in equilibrio Tìnfluenza francese; la sola padrona 
« delle Alpi; e di discendere in Italia quando voglia, 
e padrona in gran parte del mediterraneo. Disporrà 



— 280 — 

« a modo suo di tutta l'Italia, quando non vi esi- 
« stono altri che piccoli principati dipendenti, o 
« eh' essa può formare , ingrandire , e distruggere 
« quando le piaccia. Il Re di JNapoli sarebbe perciò 
< nella più gran dipendenza , e nullità per mare e 
« per terra quando le cose fossero a questo modo, 
« e quando non ci fusse equilibrio in Italia tra TAu- 
« stria e la Francia. Sicché quando avrebbe conve- 
« nuto politicamente a sua Maestà di battersi per 
« sostenere la potenza austriaca in Italia, tanto gli 
« nuocerebbe ora grandemente; se l'Imperatore se ne 
« ritirasse resterebbe la monarchia assolutamente 
« alla disposizione della Francia. Ho dunque com- 
« battuto d'argomenti quanto ho potuto, e malgrado 
« che r Imperatore si vegga assai a stretto, perchè 
« solo del tutto e nell'Italia e nell' Impero, tuttavia 
« io mi auguro che il caso non sia disperato. 

« Quanto all'affare di S. M. relativamente a questa 
« corte , ed all' umore preso per rapporto ai passi 
« dati, all' interpetrazione intesa sulle note aper- 
« ture a me fatte da questo ministro prima di por- 
« tarmi a Basilea, prego S. M. e prego V. E. a non 
« essere in nessun pensiero. Venuto io qui ho ripi- 
« glìato tutta la materia ad esame, ed ho fatto rile- 
« vare di più a S. M. ed al Ministro tutte le ragio- 
€ ni evidenti della condotta tenuta da parte nostra, 
« sia nella suddetta ipotetica negoziazione ; sia in 
« quella che direttamente riguarda gl'interessi pro- 
« pri di S. M. il Re. Debbo assicurarla sul mio o- 
« nere che non v' è il più piccolo rancore nel so- 
ft vrano, nel Ministro, che tutto è schiarito, e che 
€ l'Imperatore, non meno che il Ministro, niente han- 
« no ancor oggi più a cuore che la felice riuscita 
€ degli affari del Nostro Padrone , e la sua gloria, 
« felicità, e sicurezza. Si è fatto vedere all'evidenza 



— 281 — 

« che S. M. e il suo Ministro non hanno in Napoli 
« capito, ed inteso in quelle aperture altro che quelle 
« che ognuno ci avrebbe capito , poiché non v' era 
« enigma, né mistero in quelle espressioni. Ma V. E • 
« sente bene, e converrà meco, che non si é potuto 
« da me argomentar molto su Tespressioni di quelle 
« lettere confidenziali^ le quali avrebbero potuto 
« compromettere chi le avea scritte. Ma senza ciò 
« le istesse commissioni a ^ne date spiegano bastan- 
« temente l'oggetto, e questo ho bastantemente di- 
€ mostrato. Né sarebbe qui dispiaciuto qualunque 
« interpetrazione , e qualunque cosa si fosse argo 
a mentata, e pensato a Napoli tra le MM. LL. e V. 
« E. e tra noi insomma ; sempre che la cosa fosse 
« rimasta tra noi, perché cosi non potea mai acca- 
« derne uso cattivo, o equivoco. Ma Tessere passato 
« oltre é stato quello che rilevo abbia qui allarmato 
« non per altro , che per il cattivo uso e le conse- 
« guenze che dagli altri potevano nascere, e perchè 
« la prevenzione di tal commissione ne distruggeva 
« l'effetto. Ma V. E. sia sicura sul mio onore , che 
« tutto questo piccolo dispiacere é svanito , che la 
« mia risposta ove nulla è rimasto oscuro sulla con- 
« dotta di S. M. e del Ministero, avea già fatto sen- 
« tire , e dichiarato ogni sbaglio equivoco supposì- 
« zione: e colla viva voce ora non ho avuto che le 
« proteste le più positive della infinita, ed illuminata 
« fiducia di questa Corte in S. M. e del vivissimo 
« interesse a quanto la riguarda. Ohe anzi Thugut mi 
« ha detto che non avrebbe scritto queir ufficio, se 
« tutto quel che i commissari francesi avevano vo- 
te ciferato in Italia , e se tutt' i sospetti che s'erano 
« generati in vari ministri inglesi, non avessero for- 
« zate quella specie di dichiarazione. Y.E. abbia que- 
« sta, come cosa totalmente finita, e sia certa, che 



— 282 — 

« ogni tratto di fiducia deve aspettarsi S. M. da que- 
« sta Corte in qualunque occorrenza. Sonò oramai 
« estremamente impaziente di sentire qualche cosa 
« sulle operazioni del Principe di Belmonte. Mi fi- 
« guro che ài presente sarà già venuto in Napoli 
« qualche suo corriere che avrà informato S. M. delle 
« proposizioni del Direttorio. Voglia il cielo che le 
« prime notizie della liberazione di Mantova abbiano 
« affrettato quel MinisteA a farne delle ragionevoli 
« per non dar luogo a lunghe deliberazioni. Ed io 
« spero certamente, che vorranno quei Ministri de- 
« porre le stravaganze e le insolenze , le qnali io 
« dissi a Barthelemy apertamente che avrebbero resa 
« impossibile la pace. Ma il sommo dei miei timori 
» è che il Diretto/*io non abbia fatto arrestare il Gran 
« Duca e la signora Duchessa di Toscana e forse 
« non gli abbia fatti trasportare a Parigi per avere 
« due ostaggi che forzino a tutto S. M. l'Imperatore 
« e S. M. il Re nostro signore. Qui se ne teme assai 
« e il Granduca anche qui ha scritto a S. M. racco- 
« mandandogli la sua famiglia. L'Imperatore si sca- 
< glia, ma troppo tardi contro Manfredini, al quale 
« ha deciso togliere il grado , il cordone , il reggi- 
ft mento , e se potesse la libertà ; ma che vale ora 
« questo fuoco, se quando potea parlar con due ri- 
« ghe , il fratello , la Toscana , e molti altri ogget- 
« ti non ha voluto farlo ? ora piangon tutti , ma è 
« tardi. 

« Quanto avrebbe agito meglio il G. Duca per la 
« sua sicurezza e dignità, se avesse sentito i con- 
« sigli di S. M. se non si fosse opposto costante- 
« mente alla protezione che benificamente S. M. ha 
« voluto accordargli. Ora si accorgerà, se non 1' ha 
« già conosciuto ; quello che è , e che vale , il far 
« delle bassezze ed abbandonarsi alla lealtà de'fran- 



— 283 — 

« cesi. E il Papa! e tanti altri Principi d'Italia sera- 
le pre dal Re N. S. sollecitati, e col suo esempio , 
« e protezioni incoraggifi ; non hanno essi voluto 
« esp essamente la loro rovina, e quella della intera 
« Italia. Il Re nostro signore è stato il solo che si 
« è innalzato alla misura delle circostanze difficili 
« del momento , e voglio con fondamento sperare, e 
« far voti, che ne* riporti tutto quel vantaggio , ed 
« onore che gli è dovuto. ' 

« Mi consolo coir E. V, delle soddisfacentissimo 
« notizie che si è compiaciuto darmi colle sue vene- 
( rabilissime lettere delle ottime disposizioni che à 
^< trovato in tutta la nazione , e delle belle truppe 
« riunite sulle frontiere. Io spero che in ogn' incon- 
« tró S. M. riconoscerà ne' suoi fedeli sudditi que- 
« sta qualità, e che qualunque sia il giro, che pren- 
« deranno le cose di S. M. nelle presenti vertenze, 
« saranno sempre utili alla fermezza del Real Trono 
« ed air interno buon' ordine , queste felici disposi- 
« zioni. Ed oh ! quanto devono i Reali Padroni, e lo 
« stato al carattere, ed all'attività indefessa, ed alla 
« saviezza di V. Eccellenza. 

« Io spero ardentemente, e fondatamente, che que- 
« ste le procureranno una pronta, e ragionevole pa« 
« cificazione degna della fermezza e delle virtù ado- 
<x rabili delle Loro Maestà. 

« Ringrazio 1' E. Y. delle graziosissime e luminose 
« lettere , che si è degnata dirigermi col corriere 
« Baliose, e col corriere Marchisio ; alle quali non 
a mi occorre di replicar altro colla presente; e posso 
« confirmarle il devotissimo ossequio , e la distinta 
« venerazione, con cui ho l'onore di essere 

« Da Vienna li 18 agosto 1796. 

Dev.* ed ObbK* Ser. Vero 
Il Marchbsb di Gallo. (1) 

(1) {Inedita). 



— 284 — 

Gfli avvenimenti del Reno fecero però mutare con- 
siglio air Austria. Colà l'Arciduca Carlo batté Jourdan 
ad Amburg ed a Wurtzburg, lo costrinse a dare in- 
dietro, poi si volse a Moreau, che isolato in Baviera 
do\rè ai primi di Settembre incominciare la memo- 
rabile ritirata al Reno. 

L'Austria che da quella parte scacciava gl'invasori, 
rilevando le sue sorti, avea rafforzato e rinfrancato 
Wurmeser, e lo spingeva, per la valle della Brenta, 
nel Padovano e nel Vicentino. 

Ma Bonaparte lo attendeva al varco. Lo sconfisse 
a Roveredo, a Bassano, a S. Giorgio, lo costrinse a 
rinchiudersi in Mantova. L' Italia tornava ai francesi; 
il Direttorio gittava nella bilancia, in cui si librava 
la pace con Napoli, i trionfi di Bonaparte. 

Comunicava quindi i patti a Belmonte per mezzo 
del Ministro degli esteri Delacroix. 

Napoli dovesse revocare ogni sua adesione alla 
coalizione , escludere dai porti i vascelli armati , o 
corsari appartenenti alle potenze in guerra con la 
Repubblica, proteggere nei porti e nelle rade le flotte 
francesi, allontanare per quarantacinque miglia da 
porti e dalle coste gli emigrati francesi eh' erano nel 
Regno , amnistia ai napoletani accusati di opinioni 
politiche, restituzione dei loro beni, facoltà di ven- 
derli e di emigrare, se il volessero; impedire con la 
forza anche la vendita di Malta; consegnare ai Comis- 
sarii francesi gli schiavi turchi o algerini, accordare 
air Ambasciatore della Repubblica le stesse prerogati- 
ve di cui godeva quello della Monarchia prima della 
guerra; nessun cittadino francese potesse essere ar- 
restato nel Regno senza il consenso del Ministro 
o del Console della Repubblica ; libertà assoluta di 
culto ai cittadini francesi, ed altri individui indicati 
dagli agenti della Repubblica : indennità 60 milioni 



-^285 — 

di cui quindici pagabili prontamente in contanti : 
quindici in tre mesi , e gli altri trenta pagabili a 
cinque Tanno, in sei anni. I secondi 15 milioni ed 
i 5 annuali potevano pacarsi in legnami da costru- 
zioni, in canape, in cereali, ed altre materie prime^ 
esenti da dazio di uscita. 

Cento statue , quadri e manoscritti ; cento cavalli 
stalloni, facoltà di ricercare negli scavi di Pompei, 
Ercolano e Portici, dissequestro dei beni dei rispettivi 
cittadini, restituzione delle tasse esatte ai francesi, 
indennizzo delle perdite ad essi cagionate, e quindi, 
a garentia, deposito di tre milioni a Genova, scambio 
dei prigionieri rispettivamente fatti, ammenda della 
condotta tenuta verso l'ambasciatore della Repubblica, 
rinunzia a tutti i diritti, anche eventuali, su i ter- 
ritori ceduti alla Repubblica; facoltà di estrarre cia- 
scun anno dal Regno, pagando i dazi , 12,000 piedi 
d' alberi, 20,000 quintali di canape, 200 stalloni, 200 
mila tomoli di frumento, orzo, legumi, 200 montoni 
scelti, 300 mila quintali d'olio decliva, 150 mila quin- 
tali di soda. 

Questi gli articoli pubblici; i segreti poi stabilivano 
come supplemento d' indennità, tre fregate e tre va- 
scelli da guerra , venti scialuppe cannoniere , tutte 
armate ed equipaggiate; cessione della città di Tra- 
pani e di un piccolo territi»rio intorno : dell'isola 
d' Elba , e dei Presidi!; a peso del Re l' indennizzo 
a darsi al Principe di Piombino ed ai Baroni del 
territorio di Trapani. La Repubblica avrebbe usato 
i suoi buoni uffici perchè il Papa cedesse al Re il 
Ducato di Benevento , sequestro da imporsi dal Re 
nei porti del Regno sulle proprietà e sui vascelli delle 
potenze in guerra con la Repubblica; destituzione ed 
espulsionejdal Regno del Ministro Acton. (1) 



(1) Archivio di Stato. Documenti sulla pace del 1796. 



— 286 — 

Erano , in gran parte , condizioni inaccettabili , e 
Belmonte ottenne copia del progetto e si riservò 
di farvi le sue osservazioni per iscritto. Intanto la 
situazione politica della Corte di Napoli si era ag- 
gravata. 

L' Inghilterra parca volesse ritirare la flotta del- 
TAmmiraglio Jervis dal Mediterraneo, negava la sua 
garenzla al prestito di un milione di sterline che il 
Re intendeva negoziare a Londra. 

Le trattative iniziate con Roma per mezzo del Mar- 
chese del Vasto, espressameate colà inviato, non ri- 
spondevano .air idee del Re e di Acton. Il Cardinal 
Rusca avea redatto il progetto di un trattato di al- 
leanza tra il Papa ed il Re, consegnato al Marchese 
del Vasto, ma in esso mancava il patto a cui spe- 
cialmente la Corte ed il governo di Napoli teneva- 
no, cioè che Pio VI avesse bandita la guerra di re- 
ligione. 

Le insistenze continue dell' Acton, perchè il Pon- 
tefice accendesse questo incendio terribile nelle co- 
scienze , fu pari alia giusta e pia resistenza che vi 
oppose quel semplice e buono Pontefice, e 11 grido 
che r Acton volea si sentisse per la cristianità non 
fu dato, né il trattato venne concluso. 

Però da Roma Caeault avvertiva Bonaparte della 
trama; dava per fatto Talleanza di Napoli con Roma, 
e il generale stringeva il Direttorio alla pace (1). 



(1) Hervey, pag. 14. — Il txattato tra Roma e Napoli 
non fa difatti concluso, ma le trattative e la missione a- 
vata dal Marchese del Vasto mostrano la slealtà del go- 
verno di Napoli. L'autore delie " Memorie storiche „ già 
citato, il qaale era un prelato di Roma, a quanto pare, 
riferisce il seguente dispaccio che il Re avea diretto da 
8. Germano al Marchese del Vasto nel^affidargli la mis- 



— 287 — 

Scriveva : « Il Re di Napoli ha sessantamila uomini 
« in armi e non potrà essere attaccato e detroniz- 
« zato che da diciottomila soldati di fanteria e tre- 
« mila cavalli....... Roma è forte del suo fanatismo. 

« Se Roma e Napoli agiranno contro di noi è ne- 
« cessario un rinforzo ai venticinquemila uomini, 
« che, -aggiunti ai ventimila necessari! per far fronte 
« all'Imperatore, fanno un totale di quarantacinque- 
« mila. Io credo che voi non potete fare contempo- 
« raneamente la guerra, nella posizione attuale della 
« Francia, a Napoli ed all'Austria (2). 

E crescevano le insistenze del generale quando 
Faipoult lo informava dei disastri sul Reno. « Io 
« credo, scriveva egli, di assoluta necessità la pace 
« con Napoli » (3). 

Intanto le trattative tra la Corte e Roma conti- 
nuavano , e il Marchese del Vasto comunicava al 
Cardinal Rusca che erano pronte le due colonne na- 
poletane forti di ottomila soldati di fanteria e di 500 
cavalli , che dall' Abruzzo dovea T una per Fano a- 
vanzarsi a Cesena, l'altra per Rieti a Spoleto. Dava 
i nomi degli ufflziali destinati ad organizzare le trup- 
pe pontificie, chiedeva che le. zecche pontificie co- 
niassero moneta plateale per le truppe napoletano, 



sione di Roma : ^ Avendomi scritto il Santo Padre essere 
" stato costretto escludere qualunque trattato con la Tran- 
^ eia per le ingiuste ed abbominevoli condizioni pretese 
^^ ed avendomi a tal fìne chiesto aiuto nelle sue attuali 
" circostanze, quantunque tardi domandato e contro il 
^ piano da me formato; nuUadimeno perchè riguarda la 
^' Santa Religione, alla quale da principio ho tenuto sem- 
" pre di mira non ho esitato di accordarglielo ecc. „ 

(1) Lettera confidenziale in data del 2 ottobre. 

(2) Lettera confidenziale del 9 ottobre. 



— 288 — 

e che le fedi di credito dei BancW di Napoli aves- 
sero corso nello Stato Pontificio (1). D'altra parte il 
Cardinal Rusca assicurava il Marchese del Vasto 
che il S. Padre era tutto occupato a « rettificare la 
minuta della Bolla per dichiarare la guerra di Re- 
ligione » (2), quando un corriere napoletano che 
passò per Roma, venendo da Parigi, pose in sospetto 
ir Governo Pontificio. 

Quel corriere, di fatti, recava l'annunzio che, il 10 
Ottobre, tra Belmonte e il Direttorio era stata sot- 
toscritta la pace. 

Cadde l'animo al Pontefice quando i sospetti di- 
ventarono certezza; mostrò credere alla lealtà e sin- 
cerità del governo napoletano; però la pace stretta 
cosi improvvisamente e durante gli accordi di al- 
leanza se non sottoscritti fermati ed accettati, la- 
sciava il S. Padre alla mercè di Bonaparte, 

Vero è che la Corte di Napoli promise di non ra- 
tificar la pace se in essa non fosse compresa anche 
quella con Roma, ma considerato che le istruzioni 
inviate a Belmonte il 19 setterabre ed il 5 ottobre 
non erano giunte che tardi , dopo altre trattative 
tra Belmonte e il Direttorio per una convenzione 
addizionale segreta , ed ottenuto delle dichiarazioni 
dal Direttorio rassicuranti pel Pontefice^ fu ratificato 
il trattato, ch'è il seguente: 

« La Repubblica francese e Sua Maestà il Re delle 
Due Sicilie egualmente animate dal desiderio di far 
succedere i vantaggi della Pace, ai mali inseparabili 
della Guerra, hanno nominato cioè il Direttorio Ese- 
cutivo àn nome della Repubblica Francese, il Citta- 
dino Carlo De la Croix Ministro delle Relazioni Esté- 



(1) Idem. Ibid. 

(2) Idem. Ibidem. 



— 289 — 

riori, e S. M. il Re delle Due Sicilie, il Principe di 
Belmonte Pignatelli , suo Gentiluomo di Camera , e 
suo Inviato Straordinario e Ministro Plenipotenziario 
presso S. M. Cattolica per trattare in loro nome delle 
clausole e condizioni proprie a ristabilire la buona in- 
telligènza, ed amicizia, fra le due Potenze, le quali 
dopo aver cambiate le loro rispettive Plenipotenze, 
hanno fissati i seguenti articoli: 

« Art. 1. Vi sarà Pace, amicizia e buona intelligenza 
fra la Repubblica Francese e S. M. il Re delle due 
Sicilie , in conseguenza cesseranno definitivamente 
tutte le ostilità dal giorno del cambio delle ratifiche 
del presente Trattato. Frattanto, e fino a quell'epoca, 
le condizioni stipulate nell'Armistizio conchiuso li 
5 giugno (17 Prairial anno 4) continueranno ad avere 
il loro pieno ed intero effetto. 

« Art. 2. Qualunque atto, impegno, o convenzionò 
anteriore per parte dell' una , o dell' altra delle due 
Parti contraenti , che fossero contrarie al presente 
Trattato saranno revocate, e riguardate come nulle, 
e non avvenute; in conseguenza ciascuna delle due 
Potenze durante il corso della presente Guerra non 
potrà somministrare ai nemici dell'altra alcun soc- 
corso in Truppe, Vascelli, Armi, munizioni da Guerra, 
viveri, o denaro a qualunque titolo, e sotto qualsiasi 
denominazione. 

« Art. 3. S. M. il Re delle due Sicilie osserverà la 
più esatta neutralità verso tutte le Potenze Bellige- 
ranti, in conseguenza la M. S. s' impegna a impedire 
indistintamente l'accesso ne' suoi Porti a tutti i Va- 
scelli armati in Guerra appartenènti alle dette Po- 
tenze, che eccederanno il numero di quattro al più, 
secondo le regole conosciute della predetta neutralità. 
Sarà loro ricusata ogni provvista di munizioni , o 
Conforti 19 



— 290 — 

mercanzie conosciute sotto il nome di contrabbando 
di Guerra. 

« Art. IV. Sarà accordato nei Porti e Rade delle 
due Sicilie ogni sicurezza e protezione contro qua- 
lunque aggressione a tutti i bastimenti mercantili 
francesi ed a tutti li vascelli da guerra della Repub- 
blica, che non eccederanno il numero stabilito nel- 
l'articolo precedente. 

« Art. V. La Repubblica Francese e S. M. il Re delle 
due Sicilie s'impegnano a far togliere il sequestro 
da tutti gli effetti, rendite, beni arretrati e confisca- 
ti, e ritenuti in seguito della guerra attuale, ai cit- 
tadini e sudditi dell'una e dell'altra Potenza, e ad 
ammetterli rispettivamente all'esercizio legale dei di- 
ritti ed azioni che loro potessero appartenere. 

Art. VI. Tutti i prigionieri fatti dall' una e dalla 
altra parte, compresi quelli di marina, e marinari, 
saranno restituiti in un mese di tempo, da decorre- 
re dal cambio delle ratifiche del presente Trattato, 
pagando i debiti che essi avessero contratti durante 
la loro prigionia. I malati ed i feriti continueranno 
ad essere curati negli ospedali rispettivi, e saranno 
resi subito dopo la loro guarigione. 

« Art. VII. S. M. il Re delle due Sicilie per dare 
alla Repubblica Francese una riprova della sua ami- 
cizia, e del suo sincero desiderio di mantenere una 
perfetta armonia fra le due Potenze, consente a far 
mettere in libertà ogni Cittadino Francese che fosse 
stato arrestato, e si trovasse detenuto nei suoi Stati 
per cagione delle sue opinioni politiche relative alla 
rivoluzione Francese; tutti i beni e proprietà mobili 
e stabili che per la medesima causa potessero essere 
stati sequestrati, saranno loro restituiti. 

« Art. Vili. Per li stessi motivi espressi nell'arti- 
colo precedente, S. M. il Re delle due Sicilie s' im- 



— 291 — 

pegna di far tutte le convenienti ricerche a fin dì 
scoprire per via di giustizia ed abbandonare al ri- 
gore delle leggi le persone che rubarono in Napoli 
neirannol793 le carte appartenenti airultimo ministro 
della Repubblica francese. 

« Art. IX. Gli Ambascialori o Ministri delle due po- 
tenze contraenti godranno negli stati rispettivi le 
medesime prerogative e precedenze delle quali go- 
devano prima della guerra, all'eccezione di quelle 
che erano loro assegnate come Ambasciatori di fa- 
miglia. 

«Art. X. Ogni cittadino francese e tutti quelli che 
comporranno la Gasa dell' Ambasciatore o Ministro, 
e quelle dei Consoli, ed altri agenti accreditati e 
riconosciuti della Repubblica francese, goderanno ne- 
gli Stati di S. M. Il Re delle Due Sicilie, della me- 
desima libertà di culto , di cui godono gì* individui 
delle nazioni non cattoliche, le più favorite a que- 
sto riguardo. 

Art. XI. Sarà negoziato e concluso nel più breve 
tempo un Trattato di commercio fra le due potenze 
fondato sulle basi di scambievole utilità, e tali che 
assicurino alla nazione francese vantaggi eguali a 
tutti quelli di cui godono nel Regno delle Due Sici- 
lie le nazioni più favorite. Fino alla formazione di 
questo trattato, le relazioni commerciali e consolari 
saranno reciprocamente stabilite tali quali erano pri. 
ma della guerra. 

Art. XII. A norma dell'articolo VI del trattato con- 
cluso all'Aia il 16 maggio 1795 (27 Fiorile dell'anno 
III della Repubblica) la stessa pace, amicizia e buona 
intelligenza strette col presente trattato fra la Re- 
pubblica francese e S. M. il Re delle due Sicilie, 
avrà luogo fra le predetta Sua M. e la Repubblica 
Batava, 



— 292 — 

Art. XIII. Il presente Trattato sarà ratificato e le 
ratifiche scambiate nel corso di 40 giorni al più tardi 
da contarsi dalla data della firma. 

A Parigi li 10 ottobre 1796 cioè 19 Vendemmiale 
anno V della Repubblica francese una ed indivisibile. 

(L. S.) Carlo De La Oroix. 

(L. S.) Il Principe Belmonte Pignatelli (1). 

Questi i patti pubblici; quelli segreti imponevano al 
governo di Napoli il pagamento di otto milioni di 
franchi in derrate o in numerario da fornirsi o da 
pagarsi in un anno (2). 



(i) De Sariis. (Indice, pag. 252-255). 

Al testo francese di questo Trattato , pubblicato nella 
raccolta del De Sariis, che venne in luce nel MDCCXVII, 
per cura di Vincenzo Orsini, non ho arrecato che qual- 
che lieve trasposizione , e qualche necessaria correzione 
di forma, comparandolo con la traduzione italiana. 

Come prova della buona fede del governo napoletano 
è a notarsi che formò disputa tra Belmonte e De La Croix 
se si dovesse, nel Trattato, nominar prima la Repubblica 
francese o il Ré delle Due Sicilie. De La Croix tenne 
fermo, e cosi fu fatto. Invece nel Trattato pubblicato in 
Napoli il MDCCXVII è sempre nominato prima il Re di 
Napoli. 

Questo Trattato fu approvato dal corpo legislativo fran- 
cese il 24 ottobre , dal Re il 3 novembre , e le ratifiche 
date a Parigi il 20 novembre. 

In quanto al Ministro degli Esteri parecchi scrivono 
Delacroix, altri De La Croix. 

È a notare all'art. IX che erroneamente è oorsa in certe 
traduzioni la parola preferenze , e non precedenze. Il testo 
dice: ** préséances „. Come pure in esse, si è omessa, all'ar- 
ticolo terzo la parola guerra, dopo contrabbando. 

(2) Hervey dice sei milioni : ma in un recente volu- 
me è pubblicato testualmente l'articolo segreto, nel quale 
sono stabiliti otto milioni. 



- 293 ~ 

Questo trattato non era certo vantaggioso alla Corte 
di Napoli, ma neanche poteva dirsi sfavorevole. 

Politicamente essa otteneva di non chiudere i porti 
del Regno agli inglesi ; di non porre in libertà i pa- 
trioti napoletani, ma nello stesso tempo distaccavasi 
dalla coalizione , nulla stipulava riguardo al Papa, 
riconosceva quella Repubblica che avea uccisa la 
Regina di Francia , e che era lo spavento di tutte 
le Monarchie. 

La Regina , ne fu dolentissima , e non tacque la 
sua aperta disapprovazione. Scriveya V 8 dicembre, 
giorno in cui giungeva in Napoli la nuova che la 
pace era ratificata : « abbiamo ricevuto il corriere 
« di Parigi del 28 e ciò mi rende così sgarbata e 
« sbattuta ... la grande opera con gli esecutori del- 
€ la grande opera è terminata, e ciò mi rende ben 
« triste » (2). 

E quanto fosse la buona fede con la quale si era 
conclusa e si voleva rispettare la pace fatta, appa- 
risce delle seguenti altre linee della Regina a Lady 
Hamilton : « neutrali di nome non mai di sentimen- 
a to cercheremo tutte le occasioni per darvene le 
« prove » (1). 

Ma se il Governo di Napoli non chiudeva speci- 
ficatamente 1 porti agl'inglesi, la neutralità impediva 
loro il contrabbando di guerra, e di approvigionare 
la loro squadra del Mediterraneo nei porti di Napoli; 
i cittadini francesi, colpiti per opinioni politiche, do- 
veano esser messi in libertà; allargava ai francesi 
la libertà di culto di cui godevano i protestanti; pro- 
metteva la conclusióne di un trattato di commercio; 



(1) Lettere della Regina a Lady Hamilton. Palumbo 
pag. 16&. 

(2) Idem, pag. 161. 



— 294 — 

espilava dalle smimte mammelle dello stato otto mi- 
lioni di lire. 

Pure queste condizioni posson parere accettabili 
sol che si pensi a quelle imposte al Piemonte ed al 
Papa. Ma il Piemonte era prostrato dalla spada di 
Bonaparte, Roma impotente a qualsiasi difesa> abban- 
donata dall'Austria e da Napoli, mentre questa, stret- 
ta alla coalizione area ancora intatte le forze del 
Regno. 

Né puossi attribuire ad abilità del negoziatore o 
alla forza morale e guerriera del GoTemo di Napoli 
la mutazione dei primi patti gravissimi che impo- 
neva il Direttorio. Questi cedette perchè Bonaparte 
volle la pace con Napoli ad ogni costo, avea troppo 
filo a torcere nell'alta Italia ; e le sue ragioni erano 
valevolissime. 

Posto fine a tutte le formalità tra i due governi, 
D. Alvaro Rufib, residente a Lisbona, andò ministro 
plenipotenziario di Napoli presso la Repubblica, che 
inviò a suo rappresentante presso la nostra Corte il 
Generale Canclaux (1). 

Per dare però alle minacce del negoziatore napo- 
letano a Parigi il valore adeguato , quando diceva 
che le forze del Regno ne avrebbero difesa la indi- 
pendenza, è bene considerare lo stato delle province, 
in questo anno 1796, e propriamente nei mesi in cui 
si trattava della pace a Parigi. 

In data del 30 settembre 1796 il Segretario di Stato 
Simonetti faceva alla Gran Corte le seguenti comu- 
nicazioni : 

« Le delegazioni venute in questo niese di agosto 
« del delegato straordinario nella provincia di Mon- 
€ tefusco, fiscale Carabi , delli Presidi di Salerno e 



(1) 15 dicembre 1796. 



— 295 - 

« di Catanzaro, delle udienze di Trani e di Lucerà, 
« ed anche del Preside di Foggia descrivono le nu- 
« merose comitive di ladroni e malviventi le quali 
« scorrendo da paese a paese e da provincia a pre- 
ce vincia portano il terrore e lo spavento da pertutto^ 
« commettendo omicidi , furti , ricatti ed altri gra- 
« vissimi eccessi , con aumentarsi sempre più delli 
« disertori della truppa veterana , nonché di mili- 
« ziotti volontarii, e fucilieri di Montagna antichi e 
« nuovi e da condannati fuggitivi delle pene di ga- 
« lera e di Presidio, e chiedono la forza militare per 
« poterle perseguitare ed ester-minare, non bastando 
« quella indebolita dalle Compagnie di campagna, e 
« l'altra con poco buon effetto adoperata dagli armi- 
« geri dei Baroni ». 

Quindi notava che i delegati straordinari, inviati 
nelle provinci e, poco frutto aveano arrecato, « quan- 
« tunque molte centinaia di tali scellerati si fussero 
a sterminati e mandati alle forche, ed altre aspris- 
€ sime pene ». Sicché il Re investiva tutte le Udienze 
ed i Tribunali di campagna di poteri eccezionali, ac- 
cordando loro il potere « di derogare da qualunque 
« foro anche privilegiatissimo, con la facoltà di fare 
« qualunque privilegiato processo e di eseguire su- 
« bito senz'appello, o ricorso, o relazione, o revi- 
« sione, e senza termini legali qualunque sentenza 
« e condanna anche di ultimo supplizio » (1). 

Il Regno era in balia del brigantaggio più feroce; 
l'esercito vedeva assottigliar le sue fila dai disertori, 
che all'onor delle armi preferivano l'assassinio ed il 
furto; le compagnie armate demoralizzate, gli armi- 
geri dei Baroni timidi o conniventi; i delegati straor- 
dinarii^ benché sforniti di poteri eccezionali, manda- 



(1) Dispaccio del 30 settembre 1796. (Inedito). 



— 296 - 

vano a centinaia i colpevoli alla forca. S' immagini 
poi quando ebbero le Udienze le potestà ed i privi- 
legi di queste terribili istruzioni e le facoltà che loro 
concesse il Re ! La forca fu in permanenza. 

E cosi air Estero timidezza , indecisione , paura : 
air interno Tanarcbia politica in alto, quella morale 
in basso; le sostanze taglieggiate, la sicurezza per- 
duta, i patrioti perseguitati e tuttora nelle galere. 
Ecco il risultato della politica della Corte di Napoli 
dal 1789 al 1796. . 

CAPITOLO DECIMOSETTIMO. 

Sommario. — Le idee del secolo XYIII. I fatti. Napoli nel 
movimento del secolo. La Monarchia Napoletana e gli 
effetti della sua polìtica dal 1789 al 1796. La Regina e 
le Corti di Europa. La parte Regia e la parte liberale. 
Giustizia della Storia. 

Dal 1779 al 1796 si realizzò, quasi in tutta Eu- 
ropa, l'elaborazione filosofica e politica del secolo 
XVIII, giustamente appellato il secolo delle idee. 11 
mondo si divise in due campi: da una parte le Mo- 
narchie ed il Papato, dall'altra i popoli che con le 
nuove dottrine, e col lievito delle riforme religiose 
del secolo XVI , si levano in nome dell' umanità , 
della libertà, del progresso. 

L'umanità non era più un'idea astratta, dimenti- 
cata: ma la nozione precisa della giustizia, dei di' 
ritti dell' uomo , e del suo benessere. Quindi prima 
desiderio di riforme, alle quali si piegarono i prin- 
cipi amanti d'una signoria civile e paterna; poi odio 
cieco dei popoli, e più di uìi partito, contro tutte 
le istituzioni feudali , monarchiche j religiose ; una 
sconfinata rivendicazione della libertà e dell' ugua- 
glianza. 



— 297 — 

Ultimo corollario della logica fatale del secolo, 
la vendetta inesorabile , la prevalenza della forza 
bruta, che tutto distrugge per correggere. 

Re e popoli resero sacri, per fini diversi, il mar- 
tirio e la morte. 

Napoli in tutto questo movimento rappresenta una 
parte piccola si, ma brillante: splende di luce propria 
che supera di gran lunga quella riflessa. 

Né rimane spettatrice del gran cataclisma, ma vi- 
gorosamente scende nel fitto in cui si combatte, pria 
con la penna, poi coi fatti. Affronta così le persecu- 
zioni, i patiboli, le galere, Tesilio (1). 



(1) I maggiori scrittori furono quali dal governo au- 
striaco, quali dal Borbonico , altri dalla Caria Romana 
perseguitati. 

Apro una parentesi , e mi permetto una disgressione. 
Mentre Giannone dovea lasciar Napoli cacciatovi dall'odio 
del Gesuita padre Franco , la Città lo nominò , in segno 
di gratitudine , avvocato ordinario, e gli conferì in pre- 
mio della sua storia ^ una galanteria di argento del va- 
lore di 195 ducati. „ 

Sarebbe curioso, se si volesse fare il raffronto tra la 
Cittàf cioò il corpo municipale del 1723 e il municipio 
del 1886 che ha negato al Circolo Storico Napoletano 
una sala per tenervi le sue riunioni, e che ha messo l'I- 
talia a rumore per le monache della Sapienza. 

E perchò torni di avviso ai liberali che sono nel Con- 
siglio, e giudichino quelli di fuori come sono rappresentati, 
pubblico il seguente Rescritto di Tanucci in data dell.^ 
ottobre 1776 : 

<* Informato il Re delle strettezze, in cui trovasi D. Gio- 
^^ vanni Giannone autore della Storia Civile di questo 
t< Regno , e considerando non convenire alla felicità del 
" suo Regno, e al decoro della sovranità il permettere ohe 
^ resti nella miseria il figlio del più grande, più utile allo 
" Stato, e più ingiustamente perseguitato uomo ohe il Re- 



- 298 — 

Si organizzò in Napoli per la prima volta un par- 
tito politico con idee proprie di franchigie e di ga- 
rentie liberali. Nel maggior vigore della compres- 
sione e del servaggio, coraggiosamente si dilata la 
corrente di una pubblica opinione, potente, se non 
per numero, per autorità. 

Una Monarchia in armi, fiancheggiata dal clero e 
dalla massa bruta del popolo, trema, innanzi ad un 
manipolo di dotti, scienziati e di giovani ardimen- 
tosi. 

Questa Monarchia dimentica la sua origine e si 
volge all'Austria per vincoli di sangue e per oppor- 
tunità politica ; e le apre la via alla dominazione 
della penisola. Cosi preferisce agl'interessi dinastici 
i nazionali. 

Strema le sostanze dei popoli per agguerrirsi, e 
innanzi alle occasioni cede, timida e sommessa: non 
soccorre a tempo gli alleati; si esaurisce in astuzie 
ed intrighi diplomatici, né si afferma risolutamente 
a vincere o a cadere con le armi in pugno, come la 
Sabauda. 



" gao abbia prodotto in questo secolo, è la M. S. venuta 
^ in risoluzione di dare a D.Giovanni Giannone ducati 800 
" annui di pensione sopra i suoi allodiali. „ 

Cosi Ferdinando IV e Tanucoi, a quel tempo, mostrava- 
no di pregiar la storiai 

Ora il Circolo Storico , non avea chiesto al Municipio 
di Napoli, che una sala, una stanza, fra le tante date al 
forte ed al debole sesso ; ma il Municipio di Napoli, che 
pregia la storia come Ferdinando IV l'ebbe in pregio poi 
nel 1800, quando ordinava con Reacritto che si brucias- 
sero tutte le carte ed i documenti della Hepubblica na- 
poletan a, ha negato ciò che ad ogni società di trippaioli, 
barbieri, facchini di questa bella e sempre orrendamente 
amministrata Napoli, si è concesso ! 



— 299 — 

L' alleanza con r Inglilterra facilita a queir avida 
nazione la padronanza di tutto il commercio del Me- 
diterraneo ; assoggetta la marina nazionale ad umi- 
liazione ed a disprezzo; acuisce le occulte cupidità 
britaniche al possesso di Malta. 

Air interno eleva a governo la polizia sospettosa 
e tiranna: viola leggi e giustizia, non perdona alla 
età e al bollore di una gioventù inesperta; si separa 
dalle classi intelligenti, le confonde in una sola per- 
secuzione e condanna, ed eleva i primi patiboli, ed 
immola le prime vittime al fanatismo religioso e po- 
litico. 

Maria Carolina fu tra i sovrani che emersero dalla 
folla per la doppia celebrità del panegirico e del vi- 
tupero. Però , ad esser giusti , bisogna dire che la 
infamia o la lode non furono sole effetto di perversità 
profonda o di merito reale, ma espressione dei due 
partiti che dividevano il Regno. Anzi i fautori della 
Regina contribuirono più degli avversarli a render- 
la odiosa, vantandone ed esagerandone il carattere 
inflessibile, la mente calcolatrice, la forza d' animo, 
per la quale ebbe indisputato predominio sulle sorti 
del Regno. 

Però dimenticarono, e gli uni e gli altri, che il 
tempo correva propizio all'influenza feminile, e ne 
subiva il fascino, se non la virtù* E il Re di Napoli, 
per questo rispetto, non fu dissimile dagli altri po- 
tenti sovrani d'Europa. 

A Parigi fu fatale a Luigi XVI la bella e buona 
Maria Antonietta; fatale a Napoli Maria Carolina, a 
Madrid Maria Luigia. 

Nessuna Corte, tranne la Sabauda e la francese, 
era esente di vizii e di misteri di alcove. 

A Berlino regnano sul cuore del Re Madama Rietz» 
Madamigella Wos , la Contessa Danhof. A Vienna 



- 300 — 

V Agamennone cunctalor^ il saggio Leopoldo, basi- 
sce per la bella italiana Donna Livia, per la polacca 
Prokaska, per la tedesca Wolkenstein. Morto, rin- 
vengono il manifesto di Pilnitz fra una collezione 
di stoffe, di ventagli eleganti , di anella , e più che 
cento libre di belletto. 

La Corte di Napoli, come le altre Monarchie di 
Europa, non comprese la estensione e la potenza 
della rivoluzione francese , né può essere accusata 
d'impreveggenza. I prodigi di un popolo raramente 
s'indovinano dai governi che sogliono trattarli come 
cosa. Però se i forti Stati di Europa si lanciarono 
nel gran torneo pel trionfo dei proprii colori e dei 
proprii interessi, i piccoli, lontani dal luogo di azio- 
ne, aveano il debito di guardar la lotta serrati in una 
prudente e calcolata neutralità. 

Ma essi credettero che le armi regie si fossero fatta 
ragione dell'esercito degli avvocati, come il Duca 
di Brunswich chiamava la nazione francese rove- 
sciantesi in armi ai confini , e che le pazze pretese 
fossero debellate e soffocate a Parigi. 

S'ingannarono, e con essi quella parte che nelle 
Monarchie, vedeva la garentia deirordine, della pa- 
ce, del costume, della religione cattolica. 

È bene che il narratore circospetto apprezzi impar- 
zialmente le idee ed i propositi del partito regio e 
del rivoluzionario, e ne tragga una conclusione one- 
sta e vera. 

L'idea di patria e di nazionalità, che altri ha mo- 
strato dipinte su i vessilli della monarchia napole- 
tana, non mosse le plebi, Taristocrazia, il clero.- 

Lo spirito di nazionalità non si era svincolato an- 
cora dal fermento del secolo XVIII, così come si è 
manifestato nel nostro. 

Le nozioni di patria e di nazionalità erano deli- 



— 301 — 

neate dai caratteri generici della lingua, del clima, 
dell'ingegno e del lavoro che furono tutti assorbiti 
nell'idea dell'umanità e della libertà. 

Pel partito regio qui la patria era il Municipio, il 
territorio; l'odio allo straniero non sentimento d'in- 
dipendenza, ma presidio e sicurezza della vita e delle 
sostanze. 

E certamente ne avea di che ; né in buona co- 
scienza si può condannare il grido che da Venezia 
a Napoli spinse le masse contro la Francia ed i no- 
vatori. 

A parte le idee liberali sovvertitrici di ogni cre- 
denza e di ogni governo costituito, le coorti franche 
apparivano torme di barbari spogliatori, e Bonaparte 
novello Attila flagello dei popoli. Gli esempi eran 
di quelli , che solo le storie del medio-evo ricor- 
davano. 

Il Piemonte è taglieggiato e curvo sotto la mano 
di ferro : Milano , Pavia , Piacenza, Modena, Roma, 
Livorno, ornano il trionfo del vincitore con la ta- 
glia di cinquantotto milioni, cavalli, derrate, statue, 
busti, quadri , manoscritti : un valore artistico im- 
pagabile. 

La guerra coi suoi orrori desola campagne e città; 
Venezia vede violato il suo territorio: sono percossi 
i principi amici come quelli di Toscana, Modena, 
Parma. 

Dove la salvezza, o lo schermo contro i colpi ter- 
ribili del vincitore ? 

La Religione e la Monarchia; e cosi si spiega l'o- 
dio delle masse napoletane contro i francesi ed i 
patrioti, così, si spiega il levarsi in armi, e l'impe- 
trare dal Dio degli eserciti il suo aiuto nella guerra 
santa, così è chiaro perchè Wurmeser e poi Nelson 



— 302 — 

apparissero messi dalla provvidenza, liberatori del 
popolo ebreo (1) ! 

Ma i patrioti non ebbero torto se si strinsero in- 
tomo alla bandiera di Francia e di Bonaparte. 

Gli esuli di ogni parte d'Italia erano a Milano, 
diventato il centro della vita politica italiana di 
quel tempo , e donde partiva il calore per tutta la 
penisola. 

Colà storici, filosofi, giureconsulti, finanzieri, poeti, 
artisti, soldati; una pleiade luminosa che raccoglie 
dalla bocca di quel semideo, tale appariva Bonaparte, 
magiche parole di libertà d'Italia, di antica grandezza, 
di antico valore. 

Tutto scompariva dinanzi alla certezza che can- 
cellate le divisioni e distrutte le tirannidi indigene, 
si fosse l'Italia elevata ad unità di nazione. 

La violenza straniera non valeva forse quell'inter- 
na? Questa avea per se il diritto storico, quell' era 
un'occasione passeggiera dello stato di guerra. 

Nessun sagrifizio di vita e di sostanze parve va- 
lesse la gloria e la libertà. . 

Che importava ai popoli se la gran dea si velasse 
coi vapori della rovina e del sangue che fumavano 
dai trionfi di una nazione e di uno straniero? 

La Francia incarnava la libertà e la gloria , e il 
suo generale il tipo ideale della fortezza e della virtù. 



(1) I Re che combattevano contro la Francia parvero 
a tutte le masse d*Earopa messi di Dio. Ad Erfart il Be 
di Prussia fu accolto con la seguente iscrizione : 

''Yilelmus sibi vivat, nec francos deleat, jura regea re- 
si tuant „. 

E il Duca di Brunswioh fa appellato da tutta TEuropa 
Regia : ^ V eroe del Reno , il libaratore della Francia il 
„ braccio dritto di Dio e dei Re „. 



— 303 — 

Avea ventotto anni, ma già il suo nome era im- 
mortale nelle pagine della storia. Parlava come Sci- 
pione , operava come Cesare. Era il vero eroe del 
secolo ; ieri pressocchè oscuro , in diciotto giorni 
noto al mondo. Erano in lui senno e valore antico, 
innestati alle idee nuove dei popoli. 

Vince eserciti, doma imperi, e picchia umile e 
modesto alla porta del sapiente, per inchinarsi alla 
scienza. I suoi soldati mancano di pane e di scarpe, 
la Francia è nella miseria più dura, ed egli per un 
quadro, rifiuta un milione. Nel suo pugno sono i de- 
stini dell'Europa, e si guardava il suo pugno perché 
ne uscisse la libertà d'Italia. 

Che non poteva tanta forza di fortuna , di gloria, 
di promesse sull'immaginazione dei patrioti, se in- 
nanzi a lui si schiudono le porte della più antica 
Reggia italica, e il Duca di Aosta è bramoso di co- 
noscere e salutare l'avventuriero che calca il Pie- 
monte sotto il tallone ferrato ? 

Ah ! solamente quelli cui son noti i sacrifizi che 
dal 1799 al 1860 costò la libertà della patria, possono 
comprendere quelle memorabili illusioni dei nostri 
padri , e la storia che non contrappone questi fatti 
e questo spirito del tempo ai necessari mali onde è 
avvolto ogni moto ed ogni mutamento politico, perde 
di vista le grandi manifestazioni del pensiere, le af- 
foga nelle minutaglie e nelle miserie dei particolari. 

Così i nostri antenati, che nell* uno e nel!' altro 
campo militarono, possono da una tarda ma secuTa 
giustizia, ricevere il premio o la pena. 



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