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Full text of "Nel domicilio coatto : noterelle di un relegato"

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Il  Fondo  L'Adunata 


fondo 


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•Nel  Domicilio  (OAffo 


NOTERELLE  DI  UN  RELEGATO 


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1/ 


LIPARI 


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'^M                 1900  |ÌF 
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£Nr  cBd  ^  c8d        |  SECONDO  VOLUME  f  ite  c®p  &4  cB>  ^ 


ETTORE  CROCE 


NEL  DOMICILIO  COATTO 

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NOTEREI  LE  DI  UN  RELEGATO 


LIPARI 

TIP.  PASQUALE  CONTI 
1900. 


ALLA 

FORO  A  JOLE  RIA  ITALIANA 

NON  SAPENDO 
IN  MIGLIOR  MODO  ONORARLA 
QUESTE  PAGINE 
DEDICO  E  CONSACRO. 


PREFAZIONE 


7/  domicìlio  coatto  è  una  pena 
inefficace,  è  una  pena  ingiusta 
crudele,  feroce,  tirannica,  re- 
cando un  male  privato ,  senza 
produrre  un  bene  pubblico. 


G.  D.  ROMAGNOSI. 


e^jVs    ej'jVa    ai'jVs    oJ^s    oJ^s    a:'|<s    e^s    e^jVs  e^j^s 


Ad  ARTURO  LABRIOLA,  esule 


iV//o  caro  Arturo, 

Scrivo  a  te,  in  questa  pagina,  che  avrei  do- 
vuto dedicare  a  la  prefazione,  la  quale  ò  la- 
sciato fare  a  quel  galantuomo  del  Romagnosi, 

Egli,  come  ài  letto,  si  è  limitato  a  chiamare* 
ingiusti,  crudeli,  feroci  e  tirannici  i  nostri  go- 
vernanti, abbondando,  contro  il  suo  solito,  in 
aggettivi  qualificativi;  nè  altro  a  voluto  dire, 
con  il  pretesto  che  ai  morti  troppo  non  convenga 
parlare. 

E  chi.  meglio  di  lui,  avrebbe  potuto  rias- 
sumere lo  scopo  di  questo  volumetto  ? 

Di  una  prefazione  avevo  richiesto  questi 
settecento  uomini,  che  vivono  intorno  a  noi  ed 
essi  mi  hanno  risposto,  urlando  di  fame  e  di 
spavento.  Gli  altri  sono  carnefici  e  vorrebbero, 
senza  leggerlo,  gittarlo  nel  rogo. 


Perciò  la  mente,  sconvolta,  si  è  rivolta  a  te, 
nel  desiderio  di  pace,  ricordando  la  nostra  dolce 
amicizia. 

Tu,  del  mio  libercolo  A  domicilio  coatto, 
hai  parlato  nel  Secolo;  nò  dirò  che  abbi  detto 
più  di  quello,  che  nel  cuore  ti  tumultuava,  che 
forse  molto,  al  contrario,  del  tuo  sdegno  e  del- 
l' ira  tua  generosa  ài  taciuto. 

Ma  tu  ài  detto  che  il  volumetto  è  un  lungo 
singhiozzo  soffocato  e  lo  ài,  al  certo,  creduto, 
sotto  lo  spasimo  angoscioso  che  te  ne  è  venuto, 
come  potrà  esserne  venuto  ad  altri  ,  buoni 
come  te. 

Io  protesto  contro  questa  interpretazione, 
che  di  troppo  contento  allieterebbe  i  Caliban 
di  questa  oligarchia  italiana,  la  quale  crede  od 
à  creduto  sul  serio  di  spezzarci  l'animo,  spez- 
zandoci i  polsi  con  le  manette,  di  abbujarci  la 
vita,  annegandoci  nelle  fogne  del  domicilio  co- 
atto. Se  al  suo  orecchio  di  Mida  giungesse  l'eco 
eli  un  solo  singhiozzo  di  uno  solo  di  noi,  troppo 
ne  gioirebbero  i  furfantelli  negoziatori  di  mu- 
letti ed  i  simoniaci  ed  i  barattieri  di  ogni  colore. 
E,  solleciti,  bagnerebbero  le  loro  penne  nelle 
lagrime,  come  le  ànno  bagnate  nel  sangue  e  si 
affretterebbero  a  scrivere  nuove  calunnie. 

Sìint  lagrimae  rerum.  Noi,  pietosi,  queste 
lagrime  andiamo  raccogliendo  a  piene  mani  per 


gittarle  sui  visi  scellerati,  perchè  esse  cancel- 
lino il  sangue,  del  quale  sono  inzuppati. 

E  Francesco  Bonavita,  il  forte  compagno 
nostro  di  fede  e  di  lotte,  che,  nel  doloroso  esilio, 
non  sa  trovare  altre  parole,  che  non  sieno  di 
pietà  per  gli  infelici  e  di  vituperio  per  gli  scia- 
gurati, che  hanno  ridotto  la  patria  nostra  una 
terra  di  dolori,  nel  medesimo  errore  è  caduto. 

«  Prender  l'anima  propria,  in  mille  supplizii 
torturata  ed  a  quelli,  che  di  tanto  dolore  sono 
ingiusta  causa,  gittarla  in  faccia....  »  questo  à 
egli  creduto  che  io  abbia  voluto  fare. 

Anche  per  lui  io  protesto  :  no  ;  e  la  pro- 
testa digliela  tu,  che  tanto  gli  sei  vicino. 

L'  anima  di  ciascuno  di  noi  è  troppo  umana 
cosa,  educata  e  formata  tra  il  dolore  del  dolore 
universale,  e  tra  i  sospiri  per  un'  èra  tranquilla 
di  pace  e  di  fratellanza,  per  poterla,  così,  alla 
prima  occasione,  alle  non  prime  ne  ultime  tor- 
ture inflitte  ai  nostri  corpi,  gittare  in  faccia  a 
coloro,  che  anima  non  anno. 

E'  l'anima,  la  dolente  anima  della  folla  a- 
nonima,  martoriata,  che  noi  abbiamo  voluto  in- 
terrogare, per  farne  uscire  faville,  come  fuochi 
fatui  da  le  paludi  e  da  i  cimiteri,  che  rischia- 
rassero il  bujo,  nel  quale  vanno  brancicando. 
Abbiamo  voluto  additare  ad  i  ciechi  le  fosse  in- 
gannatrici ed  a  gli  spensierati  il  fuoco  inganna- 
tore sub  cineri  doloso. 


—  10  — 


Noi  qui  siamo  come  coloro,  che,  propagginati 
in  una  fogna,  vanno  raccogliendo  le  immondizie, 
che  li  circondano,  per  lanciarle  sai  viso  dei  car- 
nefici. E  se,  alle  volte,  il  linguaggio  acquista 
insolita  durezza  e  troppo  crudo  viene  fuori  il 
vocabolo,  bisogna  pur  ritenere  che  lo  stile,  il 
quale,  certamente,  è  1'  uomo,  può  essere  modi- 
ficato o  ricevere  una  impronta  da  la  cosa. 

Se  sono  io  riuscito  a  far  sentire  il  gemito 
lamentoso  di  queste  anime,  che,  interrogate, 
pare  mi  gridino,  sanguinanti  come  i  virgulti, 
che  spezzava  Dante,  a  sentire  le  voci  dolenti  : 
Perchè  mi  scerpi?  immaginate  voi  quanto  triste 
sia  questo  spettacolo,  che  dà  potenza,  di  sug- 
gestione, a  chi  non  ne  à  alcuna. 

Là  dove  parli  degli  antichi  metodi  polizieschi 
del  Borbone  contro  i  liberali,  tu  dici  : 

«  Ma  quei  metodi  sono  di  gran  lunga  supe- 
rati dal  governo  italiano,  ove  si  tenga  conto 
del  progresso  dei  tempi  e  della  maggior  dol- 
cezza dei  costumi.  » 

Tu  attenui,  ed  attenui  per  l'indole  tuabuona 
di  studioso,  che  dice  sempre  meno  che  può,  per 
restare  nei  limiti  del  vero,  senza  timore  di  ol- 
trepassarli. Ma  questi  nobilissimi  scrupoli  sono 
tali,  che,  in  tempi  di  rivoluzione,  ti  costerebbero 
la  testa. 

Giacche,  attenuando,  contribuisci,  senza  vo- 


—  11  — 


lerlo,  ad  eternare,  nei  popolo,  italiano,  quel- 
1'  equivoco  o  quella  serie  di  equivoci,  per  i  quali, 
avendo  esso,  dopo  secoli  di  ritardo,  conquistato 
la  indipendenza  da  lo  straniero  e  la  unità  della 
patria,  si  rivoltò,  su  l'altro  fianco,  sognandosi 
libero. 

Precisa  meglio:  non  è  necessario  tener  conto 
ne  dei  progressi  dei  tempi  ne  della  maggiore 
dolcezza  dei  costumi.  Precisa  così  :  //  governo 
italiano  è,  in  modo  assoluto,  inferiore  al  Bor- 
bone, a  V  Austria,  al  Papa,  per  ciò,  che  riguarda 
i  trattamenti  inflitti  ai  suoi  avversarli  politici. 

Non  è  già  la  morte  il  peggior  di  tutti  i  mali, 
e  se  dalla  legislazione  politica  la  pena  capitale 
è  scomparsa,  1'  ànno  sostituita  con  qualche  cosa 
di  più  e  di  peggio.  E'  nel  loro  sistema.  Il  Mi- 
notauro della  reazione  non  è  ancor  sazio  ;  ne 
ài  un  esempio  sotto  gli  occhi:  abolito  il  domi- 
cilio coatto,  va  in  vigore  la  relegazione.  A  la 
pena  capitale  ànno  sostituito  la,  tortura ,  lo 
strazio,  l'annichilimento,  la  morte  delle  anime. 
A  la  ghigliottina  del  corpo  ànno  sostituito  la 
lenta  ghigliottina  delle  anime. 

A  t9  non  sarà  sfuggito  come,  da  mesi,  noi 
ci  andiamo  sforzando  di  richiamare  la  atten- 
zione degli  Italiani  su  questo  ammazzatojo,  che 
è  il  domicilio  coatto;  ne  ignorerai  come  tutti 
gli  sforzi  si  vadano  sperdendo  tra  la  indifferenza 
universale. 


—  12  — 


La  nostra  protesta,  con  la  quale,  da  mesi, 
andiamo  assordando  le  nostre  orecchia  medesime, 
non  è  —  tu  puoi  ben  crederlo,  che  ci  conosci  — 
protesta  per  le  nostre  personali  condizioni. 

Il  domicilio  coatto  o  relegazione  è  una  val- 
vola di  sicurezza  per  la  reazione  :  i  colpi  di 
stato  si  preparano  con  leggi  su  la  relegazione. 

Arrestare  gli  avversarii  politici  ed  imprigio- 
narli è  troppo  poco  ;  tenerli  nelle  carceri,  nelle 
città  :  ecco  un  pericolo  permanente.  Le  mura 
delle  prigioni  trasudano  :  è  difficile  che  una 
voce  di  libero  non  si  trovi  il  varco  tra  le  scre- 
polate muraglie.  Una  carcere  piena  di  sovver- 
sivi è  una  cittadella:  nelle  giornate  campali,  le 
cittadelle  ritardano  le  mosse  degli  eserciti. 

Relegare  significa  soffocare  ;  un'  amba  od 
un'  isola  :  due  termini  equivalenti  nella  schia. 
vitù.  L' isola  equivale  una  tomba  ;  il  mare  è 
cattivo  conduttore  del  calore.  Prometeo  legato 
a  la  rupe  è  una  immagine  di  un  sovversivo  su 
uno  scoglio. 

E'  per  questo  che  noi,  vedendo  nella  legge 
scellerata  una  preparazione  ed  un  tradimento : 
gridiamo  sì  forte.  Il  domicilio  coatto  è  una  gal- 
leria sotterranea,  per  la  quale  il  nemico  viene 
a  minacciare  e  minale  quel  vacillante  edificio 
di  libertà,  che,  rudere  inglorioso  di  quello  edi- 
ficio, che  credevamo  avere  eretto  con  il  sangue  dei 


—  13  — 


padri  nostri,  resta  ancora  a  ricordare  le  illu- 
sioni di  un  popolo. 

E'  per  tutto  questo,  che  bisogna  distruggerlo. 
Se  Cassandra  vivesse  ancora,  ella  vedrebbe 
le  isole  popolate  e  la  Costituzione,  definitiva- 
mente, lacerata.  Un  tradimento  ed  una  catena 
di  deportati:  ecco  due  termini  correlativi,  che 
ci  avvelenano  i  sogni. 

Per  ciò  preferiamo  la  galera. 

Tuo  Ettore  Croce. 

Lipari,  Decembre  '99. 


xV  x+x  xV  xV  xV  xV  xV  xV  xV  x+x  x+x  xV  x.V  x+x  xV  xV  x+x  xV 

TTTTTTT'TTT'ITTTTTTT 


Tra  cielo  e  mare. 

Sono  uomini  gli  uni  e  gli  altri,  od,  almeno, 
della  razza  umana  anno  i  tratti. 

Alcuni  di  essi  credono  di  discendere,  diret- 
tamente, da  una  costola  di  Adamo;  altri  sosten- 
gono di  essere  i  diretti  pronipoti  delle  scimmie; 
altri  portano  poderosi  argomenti  a  sostegno  di 
altri  alberi  genealogici;  ma  in  ciò  si  accordano 
tutti:  figli  del  sole  e  della  terra,  come  senten- 
ziano gli  scienziati  o  figli  di  dio,  come  predi- 
cano i  sacerdoti  delle  diverse  religioni  rivelate, 
sono  tutti  fratelli,  sono  tutti  appartenenti  a  la 
medesima  razza. 

In  tanta  concordanza  di  conclusione,  appa- 
jono  delle  piccole  divergenze,  come  nelle  mem- 
bra poderose  del  Mose  di  Michelangelo  si  osser- 
vano muscoli  e  nervi:  queste  piccole  differenze 


—  16  — 


derivano  da  un  fatto  troppo  naturale,  per  po- 
tere essere  discusso:  è  la  differenza  del  colore 
del  sangue,  in  alcuni  bleu,  in  altri  nero  come 
la  morte  o  terreo  come  la  madre  comune,  a  la 
quale  invano  questi  chiedono,  squarciandola  con 
le  poderose  braccia,  i  mezzi  di  rendere  meno 
scelleratamente  mortifera  la  vita. 

Tranne  ciò  -  stabiliamolo  bene  -  per  consenso 
universale  dei  preti,  dei  ministri,  dei  filosofi  e 
dei  politicanti,  è  assiomaticamente  dimostrato 
come  gli  uomini  sieno  tutti  fratelli  e  come  nella 
fratellanza  debbano  trovare  la  forza  sociale  di 
coesione,  la  quale,  unendoli  contro  gli  altri 
animali  e  le  forze  ribelli  della  natura,  li  faccia 
signori  assoluti  di  questo  granello  di  fango,  che 
è  la  terra. 

Da  queste  premesse,  che  sono  assiomi,  sca- 
turiscono alcune  conseguenze,  le  quali,  a  l'os- 
servatore volgare,  potrebbero  sembrare  sbagliate; 
eppure  sono  ancora  esse  tanto  assiomatiche,  che 
deliziano  Fuman  genere  da  quando  Caino  im- 
molava Abele  o  da  quando  il  primo  orang-utang 
sottometteva,  con  la  forza  bruta,  la  prima  oran- 
gutanghessa  alle  sue  voglie. 

I  fatti,  che  andrò  accennando  in  questo  se- 
condo volumetto,  dedicato  alla  incosciente  fe- 
rocia dei  bojajoli  italiani,  potrebbero  sembrare 
disumani,  eppure,  sono,  in  tutte  le  loro  parti- 


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colarità,  spettacolo  umanissimo  per  eccellenza, 
giacche  solo  tra  gli  uomini,  nel  regno  animale, 
ed  in  nessuna  specie  del  regno  vegetale  o  mi- 
nerale, si  può  aver  agio  di  ammirare  spettacoli 
di  simile  umanità. 

Nei  piroscafi,  che  solcano,  maestosi  ed  impo- 
nenti, in  tutte  le  direzioni,  il  vinto  mare,  por- 
tando, come  patriotticamente  direbbero  i  pa- 
triottardi, il  nome  e  la  gloria  d'  Italia,  l'uomo, 
che  à  vinto  le  acque  e  le  rocce,  incatenato  gli 
dèi  e  la  folgore,  solidificato  i  gas  e  volatilizzato 
i  minerali,  1'  uomo,  che  si  apparecchia  a  por- 
tare, in  altri  pianeti,  lo  spettacolo  della  sua 
codarda  natura,  sente  il  bisogno  di  infierire 
contro  se  stesso,  dando  ai  pesci,  non  potendo 
più  darla  a  dio,  esempio  della  propria  malva- 
gità. 

Alcuni,  monturati,  sono  a  guardia  di  altri, 
senza  montura.  Quelli  sono  armati  di  tutte  le 
armi,  che  la  scienza,  la  quale  va  ancora  forni- 
cando con  i  potenti,  à  fornito  a  gli  uomini,  per 
distruggersi  P  un  1'  altro  ;  questi  anno  catene 
a  le  mani,  qualche  volta  anche  ai  piedi  e  giac- 
ciono ammonticchiati  come  merce,  se  la  merce 
inanimata  avesse  spasimi  e  grida  di  dolore. 

Così  ridotti,  la  società  li  odia  e  li  perseguita 
ancora,  con  1'  acre  voluttà,  che  anno  i  vinci- 
tori nel  perseguitare  e  nell' odiare  i  vinti:  sotto 


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le  forche  caudine  noi  vediamo,  giornalmente, 
passare  nove  decimi  dell'  umanità.  Ed  è  logico 
che  sia  così:  contro  i  vinti,  si  riversa  tutto  il 
rancore,  che  i  vincitori  dovrebbero  portare  a  se 
stessi,  che  il  grido  gallico  :  Vae  Victis  !  è,  al 
postutto,  una  valvola  di  sicurezza  contro  le  pro- 
teste della  propria  coscienza.  Chi  grida  forte* 
non  ode  il  rumore,  che  lo  circonda:  la  minaccia 
indistinta,  che  geme  par  l'aria,  di:  guai  al  vin- 
citore !  potrebbe  terrorizzare  coloro,  che,  gri- 
dando, si  incoraggiano,  come  chi,  solo  e  pau- 
roso in  buja  stanza,  allontana,  con  le  sue  grida 
medesime,  il  terrore,  che  1'  invade. 

Ma  se  ciò  può  passare  per  la  mente  di  chi, 
nelle  manette  che  lo  avvengono  oggi,  vede  una 
preparazione,  i  deportati  non  si  fermano  a  ciò: 
1'  avvenire  è  oscuro  ed  essi  anno  solo  un  pen- 
siero per  il  passato. 

Ricordano  come  da  le  braccia  della  buona 
mamma  caddero  nei  rigagnoli  della  via  e  cre- 
dono che  se,  invece,  si  fossero  adagiati  su  co- 
modi divani,  ora  apparterrebbero  a  le  classi 
dirigenti  e  la  coreografìa  internazionale  non 
avrebbe  ciondoli  bastevoli  per  fregiarli  nel  petto. 

In  alcuni  è  un  pensiero  solo,  tenace,  co- 
stante, inflessibile,  che  li  fa  fremere,  che  li 
scuote,  con  i  brividi,  che  dà  la  febbre  terzana. 

Un  volto  in  lontananza,  una  madia  vuota, 


—  19  — 


un  focolare  spento,  un  grido  soffocato,  una  la- 
grima non  asciugata,  l'abito  sgualcito  di  un 
bimbo,  imprimono  la  loro  immagine  su  le  cel- 
lule cerebrali,  come  nero  inchiostro  su  bianca 
carta;  e,  con  il  tempo,  1'  impressione  si  appro- 
fonda, scavando  il  cervello  come  cancro  rodi- 
tore, dando  allucinazioni  e  spasimi. 

Ne  ricordo  uno,  che,  gittato  a  terra,  immo- 
bile, con  lo  sguardo  del  colore  verdastro  di 
acqua  stagnante,  ogni  qualvolta  guardava  le  sue 
manette,  sussultava  e  gli  occhi  gli  si  empivano 
di  lagrime.  Ricordava  le  manucce  gelate  del  suo 
bimbo,  che  gli  aveva  tese  al  momento  dell'ar- 
resto, e  che  egli  aveva  appena  avuto  il  tempo 
di  coprire  di  baci.  Al  ricordo  si  spezzava  le 
mani,  torcendole  tra  i  ferri,  quasi  vergognoso 
ed  irritato  della  sua  forza  e  della  sua  muscola- 
tura, quando  il  bambinello  suo  aveva  le  manine 
ceree,  deboli  e  tremanti,  coperte  di  geloni. 

Un  altro,  allargando  i  polmoni,  gridava  : 

—  Che  bel  sole  !  che  bel  sole  ! 
sotto  i  vividi  raggi  del  sole  rivoltolandosi  , 
inondandosene  tutto,  con  le  mosse  di  una  gatta 
in  fregola,  con  il  desiderio  sempre  insoddisfatto 
di  un  amante,  pensando  a  la  vecchia  mamma 
paralitica,  inchiodata,  in  un  bugigattolo,  su  poca 
paglia,  quasi  volesse,  il  figlio,  con  la  sua  ar- 
dente invocazione  a  l'astro  vivificatore,  riuscire 


—  20  — 


a  fare  arrivare  i  bei  raggi  cocenti  su  lo  squal- 
lido lettuccio.  ^ 

Così  si  diventa  matti:  così  si  dà  agio,  a  gli 
studiosi,  di  trovare,  nel  cervello,  la  parte  guasta, 
che  giustifica  il  lento  martirio,  a  cui  la  società, 
per  misura  preventiva,  li  à  sottomessi. 

ir. 

Esempii. 

Questi  insetti  umani,  che  respirano  sotto  un 
tallone,  non  si  osservano  solo  in  terra;  essi,  con 
il  sorriso  rassegnato  di  pecore  esangui,  pullu- 
lano su  il  mare,  negli  spettacoli  dei  transiti, 
nella  vigilia  del  secolo  ventesimo,  che  li  vedrà 
pure  nei  palloni,  tra  le  nubi,  ed  in  fondo  a  le 
acque,  dove  oggi  muojono  gli  arditi  palombari. 
La  loro  miseria  è  tanto  grande,  che  ne  resta 
impregnato  ed  inquinato  V  universo. 

Tra  essi,  alcuni  "sono  ridotti  in  sì  miserando 
stato  per  avere  pensato  che  1'  umanità  sia  una 
famiglia  meno  ignobile  di  quello,  che  appaja,  e 
per  avere,  nelle  notti  insonni  e  nelle  faticose 
giornate,  allargato  il  cuore  ad  un  inno  a  l'av- 
venire. 

Si  chiamano  rei  di  pensiero.  Qualificare  il 
pensiero  è  un  assurdo  :  questa  frase  si  intenda 
come  condanna  esplicita  del  medesimo  pensiero, 


—  21  — 


il  quale,  se  fosse,  non  potrebbe  che  essere  li- 
bero. Ma  la  oligarchia  dominante  ha  stabilito 
un  voto  di  biasimo  a  la  natura,  la  quale  è  al- 
tamente condannabile  per  avere  fornito  a  gli 
uomini  più  o  meno  di  sostanza  grigia. 

Questi  rei  di  pensiero  sono  temibilissimi, 
tanto  che  il  governo,  che  si  dice  nazionale,  ha 
adottato,  contro  di  essi,  procedimenti,  i  quali, 
ai  nostri  padri,  come  coloro  che,  per  la  vista 
indebolita  da  le  lotte  e  da  i  travagli  di  un'  e- 
popea,  non  possono  guardare  avanti,  fanno  vol- 
gere lo  sguardo  indietro,  come  ad  i  dannati 
danteschi,  ad  esclamare  : 

—  0  Cecco  Beppe,  o  Pio,  o  Ferdinando,  voi 
simili  cose  mai. non  pensaste! 

Carlo  Poerio,  squassando  le  manette,  gridava: 

—  E'  la  cura  del  ferro  ! 

E'  cura  ricostituente,  a  la  quale  questo  go- 
vernucolo  alcoolicamente  scimunito,  ci  sotto- 
mette. E  buon  prò'  arrechi  essa  a  la  gioventù 
d*  Italia,  la  quale,  corroborata  e  rafforzata,  va 
spingendo  lo  sguardo  a  le  estreme  balze  d'  o- 
riente. 

Se  volessimo  qui,  per  sommi  capi,  descrivere 
o  raccontare  o  notare  ciò,  che  spetta  ai  con- 
dannati politici  su  i  piroscafi,  dopo  avere  ac- 
cennato al  trattamento,  che  loro  fanno  su  terra 
ferma,  troppe  pagine  dovremmo  riempire. 


—  22  — 


La  scorta  dispone,  a  suo  libito,  della  sorte 
dei  transitando  La  scorta  è  pietosa;  qualche 
volta  generosa.  Essendo  arbitra  di  scegliere,  le 
sue  attenzioni  sono  inenarrabili.  Se  piove  o  ne- 
vica può  tenerli  sopra  coperta,  sì  che  la  pioggia 
bagni  e  muova  il  vento  quei  poveri  corpi  stretti 
tra  le  manette  e  le  catene,  impossibilitati  a  muo- 
versi. Se  il  caldo  è  asfissiante,  può  gittare  quella 
res  nullius  sotto  coperta,  vicino  a  le  caldaje, 
tra  mucchi  di  cordame. 

Se  crede,  se  i  prigionieri  sono  molti,  può 
insardellarli  nelle  camere  di  sicurezza,  bugi- 
gattoli che  sono,  nel  nome  e  nella  sostanza, 
ironia  feroce,  quasi  che  la  sicurezza  mancasse, 
per  uomini  in  tutti  i  modi  incordellati,  viag- 
gianti tra  cielo  e  mare. 

Alle  volte  lo  stomaco  si  ribella,  lo  stomaco 
si  rivolta,  come  un  sovversivo  qualunque;  lo  sto- 
maco vomita:  se  non  cibo,  bile.  Allora,  stesi  per 
terra,  i  prigionieri  devono  rovesciare  su  se  stessi; 
se  possono,  si  rivoltano  su  il  fianco,  inondando  i 
compagni. 

Questo  spettacolo  è  nauseante.  Uno  straniero, 
che  viaggiava  con  noi,  greco  o  spagnuolo  o  turco, 
mi  disse: 

—  Anche  nel  mio  paese,  nel  secolo  scorso, 
si  usava  così. 

A  Del  Monte,  da  Lugo,  nel  transito,  accadde 


—  23  — 


un  incidente  simile.  Allora  chiese  di  essere  por- 
tato giù,  sotto  coperta,  per  non  dare  spettacolo 
di  sè.  Il  capo -scorta  lo  separò  da  la  catena,  gli 
mantenne  le  manette  a  le  mani  e  gli  aggiunse 
i  ferri  ai  piedi.  Alle  sue  proteste  gli  elevò  ver- 
bale (si  dice  così?)  e  lo  lasciò,  durante  tutta  la 
traversata,  rivoltolarsi  su  ciò,  che  lo  stomaco 
aveva  rifiutato.  Così  inferrato,  non  potè  muo- 
versi dal  posto,  divenuto  un  pantano. 

Questo  Dal  Monte,  giovanissimo,  fa  inviato 
per  tre  anni  a  domicilio  coatto.  Scontata  la  pena, 
dopo  i  fatti  del  maggio  fa  assegaato  per  altri 
quattro  anni,  senza  che  fosse  stato  condannato, 
senza  che  fosse  stato  processato. 

La  legge  scellerata  autorizza  ciò:  la  poliziot- 
taglia,  che  infesta  1'  Italia,  è  arbitra  e  padrona 
della  vita  dei  cittadini.  Essa  può,  con  la  legge 
sul  domicilio  coatto,  seppellire  nelle  isole  i  sov- 
versivi per  cinque  volte  cinque  anni  e  fermarsi 
a  ciò,  se  il  reo  ci  lascia  la  vita. 

Al  Federiconi  di  Senigaglia,  al  Barsanti  di 
Pietrasanta  ed  al  Grassetti  di  Ancona  usarono 
altra  piacevolezza.  Trovato,  iu  un  angolo,  un 
alto  mucchio  di  sacchi  di  pomice  vacillanti,  li 
gittarono  lì  sotto,  malgrado  essi  protestassero 
di  non  volere  restare  schiacciati.  La  scorta, 
al  completo,  rideva.  Ad  un  certo  punto  i  sacchi 
precipitarono  ed  i  poveri   compagni  nostri  ne 


—  24  — 


rimasero  malconci,  benché  si  fossero,  così  av- 
vinghiati come  erano,  gittati  da  un  lato. 

Un  carabiniere,  accendendo  mezzo  toscano, 
disse  loro: 

—  E'  cosa  che  accade  spesso  ! 

Il  Federiconi  à  già  scontato  due  anni  di 
domicilio  coatto.  Accusato  ed  assolto  per  i  fatti 
del  maggio  7 98,  fu  rinviato  all'isola  per  altri 
cinque  anni. 

E'  un'altra  dimostrazione  dell'esattezza  della 
mia  asserzione. 

Il  Grassetti  è  repubblicano.  La  polizia  di 
Ancona  lo  ha  denunciato  come  pericoloso  anar- 
chico e  tale  lo  ritenne  la  commissione. 

Il  governo  italiano  è  proverbiale  per  la  sua 
slealtà.  La  legge  infame,  votata  contro  gli  a- 
narchici,  fu,  il  giorno  dopo  delle  esplicite  di- 
chiarazioni partite  dal  banco  dei  ministri,  ap- 
plicata a  socialisti,  a  repubblicani,  a  radicali, 
a  tutti  coloro,  che  potevano  dare  fastidio  ai  de- 
putati amici  del  governo,  ai  poliziotti  locali,  ai 
bojajoletti  paurosi. 

Il  Barsanti  è  incensurato.  Fu  assolto  dal 
Tribunale  di  guerra.  Il  delegato  dovè  dichia- 
rare: 

—  So  che  è  anarchico,  perchè  me  1'  ha 
detto  lui.  A  me  consta  solo  che  lavora  da  mane 
a  sera. 


—  25  — 


Ha  una  sola  condanna,  riportata  14  anni 
sono,  di  80  o  70  giorni,  per  grida  sovversive. 

Si  chiama  Barsanti;  ma  il  suo  nome  di  guerra 
è  Barsantino.  Microscopico,  ha  il  cuore  di  un 
leone.  Alle  volte,  soletto  si  recava  (ora  è  in  li- 
bertà, se  di  questa  sacra  parola  si  può  far  uso 
in  Italia)  su  la  riva  del  mare  infuriato  e,  pian- 
tandosi su  le  piccole  gambe,  con  il  cipiglio  di 
Ajace  Telamonio,  mostrandogli  ii  pugno,  gri- 
dava : 

—  Ti  sfido,  vigliacco  ! 

Il  mare,  bonaccione,  fingeva  non  accorgersi 
di  lui;  il  che  lo  faceva  andare  in  collera. 

Una  volta  si  lesse,  su  il  Secolo,  che,  nel 
collegio  dell'  eterno  Carovigno,  lo  portavano 
candidato-protesta . 

Come  tale  e  come  anarchico,  protestò,  assi- 
curando : 

—  Non  voglio  ! 

e  rimase  inflessibile  nell'  idea  del  rifiuto,  benché 
io,  mefistofelicamente,  con  il  migliore  dei  miei 
sorrisi,  gli  andassi  mormorando,  a  l'orecchio: 

—  Accetta!  Sarai  il  primo  deputato  anar- 
chico nel  sistema  solare  ! 


—  26  — 


III. 

Il  principio  di  autorità. 

Chi  assiste  al  trasporto,  pensa  una  sola  cosa. 
Il  buon  Manzoni,  sbigottito,  gridava: 

I  fratelli  hanno  ucciso  i  fratelli . 
Questa  orrenda  novella  vi  dò  ! 

Novella  ?  Noi  vediamo  che  i  fratelli  tortu- 
rano i  fratelli  e  questa  vecchia  storia  oramai 
non  la  contiamo  più  a  nessuno. 

Ohi  guarda,  pensa  a  quali  idee  obbediscano 
coloro,  che,  monturati  ed  armati,  anno  in 
guardia  gli  inermi  ammanettati. 

Guardarli  sarebbe  pietoso  e  generoso,  secondo 
il  doppio  senso  del  verbo  italiano:  essi  fanno, 
come  abbiamo  visto,  qualche  cosa  di  diverso. 

Ciò  facendo,  a  che  obbediscono  ? 

Non  certo  ad  uno  sviscerato  amore  a  la  legge, 
che  essi  non  anno  fatta  e  che  non  conoscono; 
d' altro  lato  la  legge  proibisce  la  tortura  nella 
lettera,  e,  nello  spirito,  dice  che  la  pena  deve 
servire  a  rigenerare  il  colpito  :  anche  Torque- 
mada  mandava  al  rogo  per  il  pietoso  pensiero 
di  salvare  le  anime. 

Essi  non  obbediscono  a  rancori  od  odii  pri- 
vati, perchè  questi  esseri  della  medesima  razza, 


—  27  — 


della  medesima  patria,  essi  li  ànno  conosciuti 
al  mattino,  incatenandoli,  e  qualcuno  avrà  pure 
riconosciuto,  nell'accento  del  colpito,  la  dolce 
favella  natia. 

Non  credono,  al  certo,  di  rendere  un  ser- 
vigio a  la  Società,  perchè  di  questa  nè  si  cu- 
rano, nè,  anzi,  conoscendola,  alcuna  cosa  per 
essa  farebbero. 

Non  per  sentimento  ereditario  di  rancore  o 
per  contrasto  di  interessi,  giacché  gli  uni  e  gli 
altri  vengono  da  i  campi  o  da  le  officine  e  la 
medesima  ereditaria  educazione  cerebrale  è  in 
entrambi,  dei  quali  si  potrebbero,  oggi,  trovare 
invertite  le  parti. 

Quello,  che  c'  è  di  orrendo  in  tutto  questo, 
è  ciò:  i  carnefici  immediati  sono,  moralmente, 
irresponsabili,  non  avendo  V  animo  deliberato 
ad  offendere  o  vilipendere:  legalmente  i  rego- 
lamenti dànno  loro  mille  modi  di  oltrepassare 
la  linea  del  giusto,  nè  tra  il  giusto  e  l'ingiusto 
sono  limiti,  da  potersi  esattamente  stabilire. 
Coloro,  che  ànno  fatto  i  regolamenti,  preve- 
dendo molti  casi  e  molti  precisandone,  possono, 
individualmente,  essere  delle  umanissime  per- 
sone e  quando,  raccolti  intorno  ad  un  tavolo, 
discutevano  del  modo  migliore  di  una  difesa 
sociale,  credevano,  in  buona  fede,  di  compiere 
uno  dei  più  nobili  ufficii  dell'  uomo.  In  quanto 


—  28  — 


a  la  legge,  1'  anno  votata  tra  mille  ciancio,  e 
preoccupazioni  estranee  al  soggetto,  e  niuna 
responsabilità  può  venirne  al  legislatore,  il  quale 
non  ha  certo  legalizzato  l'arbitrio,  ne  ha  cre- 
duto, reprimendo,  di  dare  adito,  con  la  legge 
scritta,  a  nuove  offese  a  la  legge  morale. 

Ed  intanto,  quando  i  singoli  responsabili 
scompajono,  la  responsabilità  collettiva  diventa 
maggiore:  la  delinquenza  e  l'eroismo  delle  folle 
non  è  imputabile  ad  alcuno,  e  pur  tuttavia  le 
folle  sono  delinquenti  od  eroiche:  ne  la  società 
è  altra  cosa  che  una  folla. 

Vi  è  dunque  qualche  cosa  di  guasto,  di  pro- 
fondamente guasto  nella  nostra  psiche  collettiva, 
e  questo  guasto  è  un  principio  nocivo,  acquisito, 
cln  si  impadronisce  dell'  individuo  da  le  fascio 
e  lo  mantiene  tra  i  suoi  artigli  sino  a  la  morte. 

Questo  Minotauro  del  pensiero,  non  mai  sazio 
di  vittime,  questo  dio  sanguinario,  che,  accoc- 
colato, si  pasce  di  visceri  e  di  cervelli  umani, 
questa  tenebra  nella  luce,  questa  morte  nella 
vita,  questa  macchia  nel  candore  della  fratel- 
lanza, questo  tradimento  nella  libertà,  questo 
insaziabile,  crudele,  carnivoro  Minotauro  è  il 
principio  di  autorità. 

Questo  vieto  e  rancido  principio,  gonfio,  mal- 
sano, putrido  e  flateoso  come  l'ignobile  ven- 
traja  di  Giovanni  Falstaff,  porta  con  sè  i  germi 
della  infelicità  umana. 


Questo  mostruoso  principio,  come  fantastica 
quercia  gigantesca,  a  le  sue  radici  in  terra,  la 
sua  cima  in  cielo:  è  ad  esso  che  si  debbono  le 
tirannie  dei  padroni  e  di  dio. 

Proprietà  individuale?  schiavitù?  religioni? 
sono  rami  diversi  del  tronco  medesimo:  se  questo 
Sansone  dei  pregiudizii  precipitasse,  trascine- 
rebbe con  sè  tutto  il  vecchio  tempio,  crollan- 
done tutte  le  colonne. 

Nel  medio-evo  alcuni  precursori  ne  tenta- 
rono 1'  abbattimento  ;  ma  furono  morti  con  la 
scure  ed  infamati  nella  memoria.  Fu  perchè 
sbagliarono  il  lavoro  d'  atterramento;  essi  in- 
cominciarono da  la  cima,  il  che  nessun  buon 
taglialegna  consiglierebbe  :  è  piuttosto  da  ascol- 
tare Maurizio  Quadrio,  che  gridava:  dagli  al 
tronco! 

Le  cime,  tagliate  da  gli  Enciclopedisti,  ri- 
sollevaronsi  più  fronzute  al  cielo,  e  fu  sudore 
sprecato. 

Non  è  cosa  facile  sradicare  una  simile  quercia 
o  distruggere  simile  pregiudizio:  tanto  che  niuno 
ancora  vi  è  riuscito. 

Robespierre  volle,  con  le  poderose  braccia, 
scrollare  l'albero  fatale:  volle  distruggere  i  ricchi, 
senza  trasformare  la  ricchezza,  uccidere  di0 
senza  uccidere  la  deità  e  si  ingarbugliò  talmente, 
che  il  corpo  rimase  sfigurato  e  tronco  tra  il  rami. 


—  30  — 


Egli  pensava  la  Francia  ridotta  una  nazione 
di  agricoltori  e  di  soldati.  Per  questo  suo  er- 
rore, l'albero  ebbe  più  forti  radici:  si  vide  con 
Napoleone. 

Il  militarismo  :  una  esplicazione  terribile  del 
principio  di  autorità. 

Il  domicilio  coatto:  un'applicazione  vigliacca. 

Ora  di  questo  principio  di  governo  si  fanno 
un  programma  coloro,  che  non  ne  anno  al- 
cuno. E'  noto,  infatti,  come  si  possa  in  una 
frase  riassumere  il  nulla  e  come  un  motto  valga 
un  sistema. 

Luigi  XIV  disse  :  lo  Stato  sono  io  !  e  go- 
vernò. Il  figlio,  debosciato,  corresse:  sì,  ma  dopo 
il  diluv  io!  e  governò.  Il  nipote,  mentre  cercava 
il  motto  perde  la  testa  ed  il  motto  rimase  nel 
paniere.  Lo  trovò  Napoleone,  intriso  di  sangue, 
e  lo  fece  suo.  Così  passano  i  secoli. 

In  Economia  Bastiat  disse:  il  cambio  è  V  e- 
conomia  politica!  ed  ebbe  fortuna.  Se  Lassalle 
non  avesse  preso  a  pedate  quel  povero  signor 
Sculze-Delitzsch,  ora  vi  ci  crogiuoleremmo  an- 
cora. 

Questi  blagueurs  intellectuelles  francesi  anno, 
adunque,  dimostrato,  che  si  può,  con  un  motto 
da  ridere,  sciogliere  i  più  intricati  nodi  gor- 
diani. 

In  Italia,  in  mancanza  delia  spada  macedone, 


—  31  — 


si  ricorre  allo  spirito  gallico;  ed  in  questo  po- 
vero ritornello,  degno  di  un  fringuello,  si  fa 
consistere  tutta  1'  arte  di  governo. 

Noi  dal  59  stiamo  discutendo  se  lo  Statuto 
garantisca  poco  o  garantisca  nulla,  e  molti  opu- 
scoli e  libri  si  stampano  per  dire  il  concetto 
scientifico  della  evoluzione  e  della  rivoluzione. 
Mentre  noi  facciamo  della  scolastica,  i  domina- 
tori hanno  trovato  il  loro  motto  e  ce  lo  appli- 
cano, come  un  bavaglio. 

IV. 
Applicazioni. 

Abbiamo  già  detto  il  militarismo  la  più  ter- 
ribile delle  esplicazioni  di  questo  principio. 

Evidentemente  il  Laveleye  non  vedeva  al 
di  là  del  proprio  naso,  quando  asseriva  un  go- 
verno essere  liquidato,  allorché  riposa  solo  su 
la  forza  delle  bajonette.  I  fatti  lo  smentiscono. 

Il  generale  Pelloux  ha  sciabola  e  spalline, 
ha  una  gamella  per  cranio  ed  una  razione  di 
rancio  per  sostanza  cerebrale;  i  suoi  orizzonti 
sono  tanto  vasti,  che  si  potrebbero  ripiegare  in 
una  branda  da  campo  ;  eppure  noi  ci  godiamo 
questo  spettacolo  da  diciotto  mesi.  Poggiato  su 
la  sciabola  od  a  la  sciabola,  quel  piccolo  uomo 
à  fatto  ciò,  che  non  avrebbe  tentato  un  gigante: 
à  imbavagliato  una  nazione. 


—  32  — 


À  eretto,  in  una  caserma,  mia  scimitarra  ed 

à  detto  • 

—  Questa  è  la  vostra  piazza  e  questo  il 
vostro  albero  di  libertà  ! 

A  affisso  un  ordine  del  giorno  ed  à  detto: 

—  Questo  il  vostro  statuto  ! 

A  ammonito  dei  deputati  ed  à  detto; 

—  Questi  sono  i  rappresentanti  della  Nazione. 
A  dato  del  piombo  ed  à  detto  : 

—  Questo  è  il  vostro  pane. 

A  riunito,  in  un  fascio  d'arme,  una  lucerna 
da  carabiniere,  una  chiave  da  carceriere,  un 
cappello  da  gesuita,  una  veste  da  lupanare,  una 
corda  da  boja  ed  à  detto  : 

—  Ecco  l'emblema  della  patria  ! 

In  tal  modo  ammanettata  1'  Italia,  1'  ha  git- 
tata alla  forcajoleria,  perchè  se  la  godessero. 
Imbavagliare  e  violentare  una  donna  è  delitto 
doppio. 

Così  la  pensano  molti. 

Ad  altri,  invece,  sembra  che  quel  piccolo 
uomo  sia  colpevole  di  alto  tradimento:  egli  co- 
spira ai  danni  delle  istituzioni.  L'  anno  chia- 
mato compagno  :  il  che  vuol  dire  che  serve  a 
gli  interessi  dei  nemici  delle  istituzioni. 

Abbiali  ragione  gli  uni  o  gli  altri,  così  oggi 
si  presenta,  in  Italia,  il  militarismo  ufficiale.. 
Ma  esso  à  un  altro  aspetto  :  un  aspetto,  che 
direi  sotterraneo. 


—  33  — 


Quando  noi,  nel  maggio  '98,  eravamo  presi 
a  tradimento  e  trafugati  da  gli  occhi  del  po- 
polo e  della  legge,  arrivavano  al  nostro  orec- 
chio voci  indistinte  di  colpi  di  Stato.  Si  diceva 
che  Rudinì  lo  avesse  consigliato  e  sconsigliato 
Ricotti. 

Questa  romanticherìa  era  un  incubo  di  car- 
cerati. Colpi  di  stato  in  Italia?  A  che  farne  ? 
Che  altro  ci  vogliono  rubare?  Non  abbiam  noi, 
tranquillamente,  rinunciato  a  tutto?  Quando  sen- 
timmo le  cannonate  di  Milano,  noi  credemmo 
ad  un  2  decembre.  Invece  era  una  prova,  sem- 
plicemente. Il  tentativo  si  arrestò  a  metà:  su  la 
sua  via  non  trovò  la  causale,  su  la  quale  pog- 
giare. Mancava  1'  ubi  cons isiàm.  Esso,  per  riu- 
scire, deve  abbattere  e  schiacoiare  e  calpestare 
qualche  ostacolo:  noi  non  ne  presentevamo  al- 
cuno. Ogni  azione  vuole  la  sua  reazione:  non 
si  schiaccia  il  vuoto,  com3  non  si  violenta  chi 
ci  si  offre. 

Infatti  i  nostri  governanti  se  ne  accorsero  e 
dissero  : 

—  Lasciamo  almeno  loro  le  illusioni. 

Sì  che  lo  Statuto,  sbrandellato  a  colpi  di 
sciabola,  rimase  dove  era.  Si  pensò  essere  inu- 
tile cestinarlo. 

Tuttavia,  in  tutto  il  mio  lunghissimo  tran- 
sito, io  ebbi  agio  di  osservare  le  tendenze  ed  i 
desiderii  delittuosi  degli  uomini  d'arme* 


—  34  — 


Essi,  unanimi,  imprecavano  al  Parlamento, 
ai  508  chiacchieroni,  e  reclamavano  il  potere 
di  un  solo. 

Vedere  la  propria  rcudra  sanguinante  sotto 
il  tallone  di  uno  sbirro  è  un  orribile  pensiero, 
che  nasconde  strane  voluttà  per  molti. 

Sì  che  io,  impossibilitato,  da  le  manette,  a 
schiaffeggiare  qualcuno  di  quei  traditori,  mi 
chiedevo,  con  angoscia: 

—  Ma  quale  mostruosa  propaganda  si  va  fa- 
cendo, nei  corpi  di  guardia? 

Notiamo,  incidentalmente,  che  il  parlamen- 
tarismo non  è  affatto  simpatico  al  popolo  ita- 
liano. Il  quale  lo  à  accettato  con  largo  bene- 
ficio di  inventario.  Noi  Italiani  siamo  troppo 
giovini  per  potere  distinguere  tra  colpe  e  scia- 
gure; sicché,  spesso,  nelle  grandi  sventure  ve- 
diamo le  grandi  perversità.  Noi  ricordiamo  solo 
che  esso  fu  messo  in  gabbia,  in  Inghilterra,  due 
secoli  fa;  che  Napoleone  il  G-rande  lo  infilzò  su  le 
bajonette  e  che  Napoleone  il  piccolo  lo  rinchiuse 
a  Mazàs.  Impressionabili,  lo  condanniamo  senza 
discuterlo.  Tuttavia,  è  buono  a  qualche  cosa  : 
è  un  senapismo  per  i  piccoli  mali. 

Sei  socialisti-anarchici,  che  non  ànno  il  do- 
vere di  credere  ai  vivi,  interrogassero  i  morti, 
forse  udrebbero  i  teschi  di  Carlo  I  e  di  Luigi  XIV 
scricchiolare  per  terrore.  Ad  ogni  modo  spetta  al 


—  35  — 


partito  socialista  il  merito  di  avere,  in  parte, 
riabilitato  questo  grande  infelice. 

Se  i  s03Ìalisti-anarchici,  che,  per  troppo 
amore  a  la  libertà,  fanno  propaganda  contro  il 
Parlamento,  si  guardassero  intorno  e  vedessero 
i  pericoli,  che  ci  minacciano,  forse,  nelle  loro 
medesime  idealità,  vedrebbero  un  correttivo  a  la 
propaganda  contro  di  esso,  trovando,  in  questo 
medesimo  amore,  la  necessità  di  proporzionare 
le  loro  aspirazioni  a  la  educazione  politica  del 
paese,  quale  è. 

Un  maresciallo  mi  disse  : 

—  Il  capo  dello  stato  e  la  sua  signora  erano 
favorevoli  ad  un  aumento  del  soldo  ed  a  modi- 
ficarci la  forma  delle  sciabole.  Gli  avvocati  non 
hanno  voluto.  Canaglie  ! 

Un  altro  lo  credetti  convertito  a  la  mia  pro- 
paganda. Licenziandosi,  mi  disse: 

—  Che  bella  idea  quella  dei  boni  del  lavoro! 
Non  più  ricchi  ne  poveri  ;  ma  tutti  lavoratori, 
con  le  medesime  condizioni  di  vita.  Niente  Par- 
lamento e  niente  chiacchieroni.  Comandi  —  con- 
cluse —  un  solo. 

Compresi  che  la  mia  propaganda  malamente 
si  innestava  su  altra,  precedentemente  fatta. 
Un  altro  mi  disse  : 

—  Si  dice  che  il  futuro  re  sia  dei  vostri. 
Sarebbe  bello  vederlo  re  di  una  repubblica  so- 
ciale. Noi  lo  seguiremo  dovunque. 


—  36  — 


Un  carabiniere,  più  erudito,  mi  assicurò,  a 
Bari,  che  il  miglior  mezzo  sarebbe  stato  ripe- 
tere ciò,  che  altri  avevano  fatto  :  cacciarli  dai 
banchi  a  colpi  di  calci  di  fucile  nel  sedere.  In 
quanto  ai  sovversivi  delle  diverse  gradazioni, 
avrebbe  consigliato  un  po'  di  piombo  nello  sto- 
maco. Era  un  giovine  educato  e  cortese  tanto, 
che  mi  donò  generosamente  la  vita,  concludendo, 
con  un  dolce  sorriso  : 

—  A  voi  no  ! 

Questi  discorsi,  in  quei  giorni,  erano  di  moda 
e  si  facevano  ad  alta  voce.  Brutto  segno! 

Di  fronte  ad  uno  di  tali  sciagurati,  un  tran- 
sitante, che  comprese,  disse,  con  orgoglio  : 

—  Io  sono  semplicemente  un  ladro  ! 

L'uomo  armato  chinò  gli  occhi  e  parve  ri- 
flettere lungamente  se  i  suoi  propositi  non  co- 
stituissero un  delitto. 

Ordunque  il  principio  di  autorità  porta  a 
queste  ultime  conseguenze  :  sotto  questa  ma- 
schera di  ferro  si  riesce  a  sfigurare  la  fisionomia 
morale  di  una  Nazione.  Giacche  esso  è,  nel 
mondo  psichico,  ciò  che  è,  nel  mondo  economico, 
la  proprietà  individuale:  la  funesta  genitrice  di 
tutti  i  delitti  (1). 

(1)  La  definizione  sovversiva  il  fisco  non  deve  impu- 
tarla a  me:  essa  è  del  Prof.  Pietro  Ellero  e  fu  già  data  da 
tutti  i  padri  della  chiesa,  da  Ambrogio  a   Crisostomo,  da 


—  37  — 


Gli  anarchici  non  anno  torto  a  combattere 
questo  Minotauro  comunque  posto,  dovunque 
imperante,  sotto  qualsiasi  foggia  mascherato. 

Essi  combattono  pure  noi  socialisti  ;  forse 
non  lo  farebbero,  se  volessero  meglio  distinguere 
tra  potere  ed  amministrazione.  Ma  è  da  con- 
cedere a  chi  molto  à  sofferto  —  giacche  gli 
anarchici  rappresentano,  meglio  di  ogni  altro, 
le  sofferenze  della  umanità  intera  —  di  ecce- 
dere nei  mezzi  curativi. 

Mefistofele  pensava  che  tatto  è  male  ciò,  che 
è,  e  che  tutto  sia  da  rifare.  Egli  precipitava 
troppo.  E'  da  rifare  :  si  concede  ;  ma  come  e 
quando?  Savonarola  ammoniva:  Florentia  fla- 
gellabltur  et  posteci  renombitur.  Ordunque  la 
volontà  non  basta;  è  necessario  compiere  la  pa- 
rabola ;  evidentemente  1?  umani' à  non  à  sof- 
ferto abbastanza.  Ce  lo  assicurano  coloro,  che 
apparecchiano  nuove  museruole  al  pensiero  e 
quindi  nuovi  tormenti  ai  violatori  del  pensiero 
ufficiale. 

Inoltre  è  dimostrato  come  Mefistofele  fosse 
un  cattivo  soggetto  :  egli,  certamente,  per  fini 
inconfessabili,  incitava  a  1'  odio  tra  le  diverse 
classi  sociali. 

Clemente  a  Gregorio,  a  Girolamo  ecc.  sì  che,  essendo  la 
chiesa  la  madre  nostra,  ne  deriva  che  essa  definizione  gira 
il  mondo  dal  tempo  dei  nostri  nonni. 


—  38  — 


Noi,  per  la  regolarità  della  nostra  digestione, 
ci  guarderemo  bene  dal  professare  tanto  sov- 
versiva teoria,  e,  piuttosto,  ci  adageremo  sotto 
l'ombra  sonnifera  del  postulato  del  dottor  Pan- 
glos. 

V. 

Nel  contado. 

Nella  attuale  organizzazione  sociale  ci  sono 
alcune  classi,  che  restano  schiacciate  da  questo 
principio  di  autorità  come  il  verme  da  un  tal- 
lone. La  sua  influenza  si  risente  più  nei  campi, 
meno  nelle  officine  ;  meno  ancora,  quanto  più 
in  alto  si  sale. 

La  pressione  è  inversamente  proporzionata 
a  l'altezza:  è  una  piramide  di  oppressione.  Leggi 
fìsiche  generiche,  leggi  idrauliche  specifiche, 
leggi  morali,  si  rassomigliano  tutte.  Le  diverse 
unità  che  costituiscono  la  base,  portano,  tutte, 
singolarmente,  1'  immane  peso  del  mostruoso 
edificio. 

Nel  contado,  il  lavoratore  dei  campi  sente 
di  dovere  portare,  su  le  scarne  braccia,  la  so- 
cietà intera.  Le  sue  gocce  di  sudore,  sparse  nei 
solchi,  scorrono,  trasformate  in  oro,  perii  mondo 
intero,  inquinandolo. 

Se  innalza  gli  occhi  da  la  vanga,  si  vede 


—  39  — 


su  il  dorso  il  padrone,  l'esattore,  l'agente  delle 
tasse,  il  carabiniere,  il  poliziotto,  il  prete  e,  su 
tutti,  incubo  supremo,  dio.  Così  si  spiega,  con 
il  terrore  di  .  questi  fantasmi,  il  perchè  il  con- 
tadino non  alzi  mai  gli  occhi  da  terra. 

Egli  è  così  convinto  che  tutti  i  pesi  debbano 
riposare  su  i  suoi  omeri,  che  quando  Cireneo, 
il  quale  era  un  contadino,  vide  Gesù  sotto  il 
peso  della  croce,  sottentrò,  dicendo  : 

—  Spetta  a  me  ! 

I  partiti  estremi  credono  che  la  propaganda 
più  difficile  sia  nelle  campagne;  ed  è,  infatti, 
difficilissima,  La  ragione  vera  è  che  non  vi  è 
cosa,  la  quale  essi  ignorino  :  noi  non  abbiamo 
nulla  da  insegnar  loro. 

II  contadino  appartiene  a  la  famiglia  dei  ru- 
minanti :  nel  suo  gozzo  deposita  le  idee  e  se  le 
nasconde  nelle  scarpe  ;  se  le  trasmette  da  padre 
in  figlio,  a  monosillabi.  E'  una  sfinge  che  sa, 
che  pensa  e  tace.  Guarda  solo,  quando  arriva 
a  guardarvi,  con  gli  occhi  muti,  in  fondo  ai 
quali  può  trovarsi  il  rimprovero  e  1'  amarezza. 

Il  suo  favorito  ritornello  è  : 

—  Io  non  capisco  nulla. 
Questo  costituisce  un  agguato. 

Chi  lavora  con  la  zappa  a  il  cervello  li- 
bero :  sono  due  movimenti  sincronomi  di  mu- 
scoli e  di  molecole;  perciò,  spesso,  sotto  i  colpi 


—  40  — 


di  zappa,  si  vedono  scaturire  scintille  :  il  pre- 
testo è  la  roccia,  che  il  ferro  ha  incontrato  ;  il 
pretesto  serve  a  nascondere  il  lampo  di  un  pen- 
siero. 

Tuttavia,  per  decisione  presa,  il  contadino 
resta  immoto,  così  come,  sbuffando,  resta  im- 
mota una  locomotiva  :  V  immobilità  non  vuol 
dire  che  il  carbone  non  bruci  e  non  si  svilup- 
pino calorie.  La  locomotiva  deve  vincere  la  forza 
di  attrito:  è  questa  medesima  forza  che  abbar- 
bica, con  le  grosse  scarpe  al  suolo,  il  contadino, 
e  nient'  altro. 

Quando  arriva  a  muoversi,  è  tremendo.  Ri- 
cordiamo che  le  sue  insurrezioni  sono  state 
sempre  le  più  terribili:  è  perchè  le  insurrezioni 
del  figlio  le  aveva  preparate  il  padre,  le  aveva 
dette  il  nonno,  un  lontano  avo  le  aveva  pen- 
sate ;  vinta  la  forza  di  attrito,  voi  vedete  un 
treno  blindato  in  movimento:  la  lunga,  paziente 
preparazione  porta  a  ciò. 

Egli,  adunque,  si  sente  il  mondo  su  le  spalle; 
scuoterlo,  sì  ;  ma  come  e  quando  ?  Rimugina  il 
momento  e  pare  chieda  consiglio  a  la  madre 
terra,  con  la  quale  è  in  continuo  confabulare. 
In  questi  confabulari  un  agente  della  polizia 
italiana  scoprirebbe  un  complotto. 

Sì  ritiene,  generalmente,  che  creda  a  tutti 
i  fantasmi,  naturali  o  soprannaturali.   Egli  li 


—  41  — 


teme  per  i  loro  effetti;  mi,  mila  loro,  essenza  li 
disprezza. 

In  Sicilia  si  toglie  la  coppola  innanzi  ai  si- 
gnori, ed  odia  i  cappeddi  ;  nel  mezzogiorno 
chiama  padroni  i  proprietarii,  ed  odia  i  galan- 
tuomini] altrove,  nutre  eguali  sentimenti. 

Continua  nelle  sue  pratiche  religiose  e  nelle 
convenzioni  sociali  perchè  a  deciso  di  star  fermo; 
il  giorno  nel  quale  crederà  di  poter  dire  aper- 
tamente: non  credo,  quel  giorno  crollerà  le  spalle 
e,  respirando  forte,  fisserà  dio. 

Il  principio  di  autorità  lo  curva  sempre  più 
su  la  terra,  mentre  ne  solleva  la  mente:  più  si 
piega  il  corpo,  più  si  libera  il  cervello  da  le 
nebbie;  il  fisico  forma,  con  il  morale,  un  bilan- 
ciere perfetto  ;  pare  che  da  quel  corpo,  piegan- 
dosi, escano  faville,  come  da  ferro  irreducibile; 
fortunatamente  esse  si  perdono  per  i  campi.  Un 
corpo  curvato  è  rappresentato  da  un  arco  vol- 
taico. 

Anche  sotto  questo  punto  di  vista  il  prin- 
cipio di  autorità  è  una  continua  minaccia  a  la 
pace  sociale,  che  noi  desideriamo  ;  esso  finirà 
con  il  curvare  tanto  quelli  uomini,  che  le  teste 
si  infiggeranno  nelle  zolle  e  nei  solchi.  Allora, 
neir  attimo  supremo,  la  terra  ed  il  suo  figliuolo 
prediletto  si  mormoreranno  parole,  ohe  i  posteri 
registreranno. 


—  42  — 


Da  un  secolo,  si  notano,  per  il  contado  di 
Italia,  usi  e  linguaggi,  che  danno  da  pensare. 
Pare  che  questo  proletariato  agricolo  vada  in- 
terrogando la  terra,  per  sentire  il  rimbombo  di 
rumori  lontani  e  si  vada  scambiando  misteriose 
parole.  Ai  tempi  di  Owen  e  di  Proudhon  si  am- 
miccarono con  gli  occhi;  ma  poi  ricaddero  su  le 
vanghe,  indifferenti,  come  a  dire  che  il  lin- 
guaggio era  troppo  ingarbugliato.  A  la  voce  di 
Bakounine  le  fronti  si  corrugarono,  sprizzarono 
lampi  da  gli  occhi,  si  guardarono  il  filo  delle 
zappe  e  la  punta  dei  picconi,  le  falci  fecero 
degli  strani  mulinelli  a  1'  altezza  delle  teste  ; 
allora  cercarono,  con  lo  sguardo,  il  chiuso  oriz- 
zonte e  videro  o  credettero  vedere  fantasmi 
rossi,*  che  galoppassero,  distruggendo  e  semi- 
nando; credettero  pure  ulire  rumori  di  ferri 
cozzanti,  urla  e  sospiri;  ma  fu  un' allucinazione. 
Quando  K,  Marx  gittò  il  grido  fatidico,  vollero 
cogliere  rose  e  garofani  rossi  ed,  inghirlandan- 
dosene, girarono  di  porta  in  porta,  per  i  poveri 
abituri,  portando  la  buona  novella.  Essi  pen- 
sarono quelle  rose  e  quei  garofani  portarsi  sot- 
terra, per  farne  crescere  rigogliose  piante,  con- 
cimate con  il  loro  cuore,  perchè,  definitivamente, 
se  ne  adornino,  un  giorno,  i  figliuoli. 

Tutto  ciò  puzza  di  eresia. 

Ora,  riconfortati,  pare  che  aspettino  :  certo 


—  13  — 


si  guardano  negli  occhi  con  maggiore  franchezza 
e  si  stringono  le  destre,  come  a  formare  una 
catena.  Gli  animi  si  sono  chetati,  nella  dolcezza 
di  un  dimani  sicuro  ;  e  si  asciugano  il  sudore 
secolare,  quasi  a  dire  che  lo  asciugano  per 
sempre. 

In  questa  dolce  tranquillità  io  li  sorpresi, 
una  volta,  in  un  casolare,  su  le  vette  della 
Majella. 

Usano,  nel  mio  Abruzzo,  la  notte  di  Natale, 
in  tutti  i  casolari,  preparare  il  Presepe:  dove  i 
pifferi  e  le  cornamuse  sonano  l'aria  malinconica 
dinanzi  al  bove  ed  a  l'asinelio,  tra  i  quali  sor- 
ride, per  la  duemillesima  volta,  il  pargoletto 
Gesù,  che  qui,  in  Sicilia,  affettuosamente,  chia- 
mano u  signuruzzo. 

La  malinconia,  che  si  sprigiona  da  le  note 
ricavate  da  i  primitivi  strumenti,  pare  voglia 
dire  la  delusione  dolorosa,  che  si  rinnova  ad  ogni 
commemorazione  della  grande  speranza,  che  do- 
vrebbe inondare  il  cuore  a  la  venuta  del  Messìa. 
Due  angeli,  in  alto,  a  1'  entrata  della  grotta, 
sorreggono  un  cartello,  su  il  quale  è  scritto  : 
Pace  in  terra  a  gli  nomini  di  buona  volontà  ! 

Una  notte,  in  un  casolare,  io  vidi  un  vecchio 
contadino  togliere  lentamente  l'antica  leggenda, 
sostituendola  con  l'altra  :  Prole tarii  del  mondo , 
unitevi!  e  vidi  i  bambini  battere  le  mani  e  le 


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donne  inginocchiarsi  innanzi  al  nuovo  vangelo, 
mentre  i  pifferi  e  le  cornamuse,  da  1'  alto  del- 
l' immensa  montagna,  annunciavano  la  venuta 
del  messia,  invitando,  con  gli  echi  della  valle, 
quel  forte  popolo  di  montanari  al  novissimo 
gaudio.  Una  pace  serena  si  diffondeva  d'  intorno 
e  la  placida  luna,  inargentando  le  vette  della 
Majella,  eternamente  gelata,  pioveva  la  sua 
tranquillità  di  astro  benigno  nelle  anime  stanche. 
E  parve  che  da  le  balze  nevose  del  monte  di- 
lagasse, per  le  valli  e  per  le  pianure,  dal  Tir- 
reno a  l'Adriatico,  una  alluvione  di  dolcezza, 
una  inondazione  di  felicità  e  su  tutta  la  arsa  e 
febbricitante  terra  corresse,  come  lavacro  a  rin- 
frescarla e  fecondarla,  la  dolce  parola  del  com- 
pagno Gesù  di  Nazareth,  completata  e  spiegata 
dal  compagno  Marx  :  Unite  l'i,  proletarii  di  tutto 
il  mondo,  e  la  pace  sarà  in  eterno  su  la  terra. 

Tutto  ciò  dà  da  pensare. 

La  polizia  politica  italiana,  dovrebbe,  per 
il  suo  ufficio  e  per  il  suo  soldo,  impedire  che 
tanti  milioni  di  proletarii  guardino  sì  fìssa- 
mente  la  terra,  innalzino  gli  occhi  a  fissare 
l'oriente,  e  chiedano,  al  novo  secolo,  1'  amore 
e  la  pace. 

Il  contado  d'  Italia  dovrebbe  essere  seque- 
strato per  atteggiamento  sospetto  e,  come  corpo 
di  reato,  portato  in  tribunale. 


—  45  — 


VI. 

Un  martoriato. 

Il  primo,  che  distinsi,  appena  giunto  in  Li- 
pari, fa  Umberto  Faina,  tipografo,  romano  de 
Roma,  anzi  autentico  Trasteverino  de  Traste- 
vere, anche  egli  appartenente  a  quella  legione 
di  micro-anarchici,  della  quale  ho  parlato,  ben- 
ché si  ostini  a  negarlo.  Nella  sua  qualità  di 
nato  trans  Thiberim  e  un  anticlericale  impla- 
cabile. 

Ma  ciò  non  è  tutto,  che  il  domicilio  coatto, 
sino  ad  oggi,  non  si  è  ancora  applicato  per  reato 
di  anti-clericalismo.  Egli  è  uno  dei  più  peri- 
colosi e  spaventevoli  anarchici  internazionali. 
Su  la  sua  pratica  ci  è  una  estesa  relazione 
della  P.  S.  di  Roma,  che,  a  leggerla,  fa  venire 
i  brividi.  Secondo  essa,  la  sola  esistenza  di  que- 
sto individuo,  basta  a  mettere  in  pericolo  l'ar- 
monia dell'  universo:  la  sua  presenza  in  Roma 
è  causa  di  rivolgimenti  politici  e  sociali:  la  sua 
vita  è  una  trama  di  attentati  a  la  sicurezza  ed 
a  l'incolumità  di  cose  sacre  e  profane:  insomma 
il  Faina  è  un  fomite  di  rivoluzioni,  è  una  tor- 
pedine, una  bombarda,  una  granata,  un  esplo- 
dente. 

Fu  processato  con  Amilcare  Oipriani  per  i 


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fatti  di  S.  Croce  in  Gerusalemme,  condannato 
a  17  mesi  di  detenzione  ed  ad  un  anno  di  sor- 
veglianza. Il  P.  M.  parlando  di  lui,  esclamò: 

—  Cipriani  è  la  mente,  Faina  il  braccio  ! 

Di  che,  non  si  seppe  mai;  ma  l'esclamazione 
rimase  tra  i  detti  memorabili,  con  i  quali  i 
cuochi  cucinano  la  selvaggina. 

Amilcare  Cipriani  lo  aveva  caro  molto,  forse 
ricordando  la  favola  di  Menenio  Agrippa  :  lo 
aveva  caro  molto,  insieme  a  Pippetto  Troja, 
caduto  a  Zaverfca,  con  la  camicia  rossa,  com- 
battente per  la  Grecia,  da  greca  palla  morto. 
Innocenti  li  faceva  l'età  novella  e  più  doloroso 
riusciva  il  loro  martirio  al  cuore  del  vecchio 
cospiratore. 

Ma  la  terribilità  di  questo  giovine  anar- 
chico, non  risulta  che  da  le  citate  affermazioni 
della  polizia.  Infatti  egli  non  è  stato  mai  con- 
dannato, ne  prima  ne  dopo  i  fatti  di  S.  Croce 
in  Gerusalemme,  dove,  come  si  è  visto,  funzionò 
da  braccio  ;  ne  la  P.  S.  à  trovato  giammai 
modo  e  via  di  trascinarlo  in  giudizio  per  offese 
od  attentati  a  la  proprietà,  a  1'  onore,  al  buon 
costume,  a  le  istituzioni,  ne  per  ribellioni  o 
grida  sovversive  e  sediziose. 

Pure,  come  è  facile  ritenere,  non  le  ne  è 
mancato  la  smania  ed,  una  volta,  da  Y  isola  lo 
richiamarono,   chiudendolo,  per  quattro  mesi, 


—  47  — 


nel  cellulare  di  Regina  Coeli,  per  attentato  a  la 
sacra  persona  del  re,  complice  di  Acciarito. 

Ma  Acciarito,  il  mentecatto,  che  quanta  gente 
à  conosciuto,  tanta  gente  à  accusato,  durante 
la  istruttoria  non  potè  dichiarare  di  averlo  visto, 
di  averlo  conosciuto,  di  averlo  sentito  nominare. 
Ne  il  giudice  istruttore  potè  trovare  in  lui  la 
più  lontana  parvenza  di  complicità. 

Assodato  ciò,  egli  venne  prosciolto  in  Ca- 
mera di  Consiglio  e....  rinviato  a  domicilio  co- 
atto, con  la  pratica  riempita  di  nuove  pagine 
nere. 

La  posizione  di  questo  giovine  fa  sangue. 
Da  oramai  cinque  anni  lontano  dal  lavoro,  da 
gli  amici,  da  la  sua  Roma,  da  la  mamma  sua 
adorata,  Tamore  religioso  per  la  quale  può  es- 
sere solo,  in  lui,  eguagliato  da  il  fervido  amore 
per  1'  ideale,  è  stato  anche,  è  vergogna  doverlo 
constatare,  completamente  dimenticato. 

La  stampa,  che  à  lagrimato  con  lagrimucce 
false,  le  quali  meriterebbero  ceffoni,  per  Dreyfus, 
à  tutto  l'osceno  interesse  a  dimenticare,  a  far 
dimenticare  questi  martiri  oscuri,  perchè  italiani, 
che  serenamente,  superbamente  salgono  il  loro 
deserto  calvario,  senza  una  parola  di  protesta, 
senza  un  atto  di  sdegno,  senza  un  grido  di  do- 
lore, senza  odii,  senza  rancori,  senza  sospiro  di 
vendetta,  senza  alcun  Cireneo,  che  li  sollevi  dal 
peso  della  pesantissima  croce. 


—  48  — 


—  Caduti  noi,  essi  pensano,  avanti  gli  altri! 
e  tacciono,  ostinatamente,  pensatamente  tac- 
ciono, per  non  distogliere  i  compagni  da  il  loro 
lavorìo  di  parte. 

Serenamente,  silenziosamente,  questa  vittima 
della  insaziabile  ferocia  poliziesca  è  restato, 
dimenticato,  facendosi  dimenticare,  per  oramai 
cinque  lunghissimi  e  dolorosissimi  anni  :  cinque 
anni  di  morte,  per  nessun  reato  commesso,  per 
semplice  disposizione  della  polizia,  in  base  ad 
una  legge  di  sospetti,  che  è  una  violazione  dello 
Statuto.  Cinque  anni,  che  assorbono  la  parte  mi- 
gliore della  esistenza,  che  disseccano  le  sane  e 
pure  energie  giovanili,  che  ottenebrano  il  cer- 
vello, decimano  le  forze;  come  se  la  vita  fosse 
di  secoli!  E'  la  sentenza  di  morte,  che  pronun- 
ciano: lo  sanno,  essi,  i  poliziotti  grossi  e  pic- 
cini, e  se  ne  compiacciono  e  ne  sorridono. 

Oh  !  italica  oligarchia  di  Marsanghi  e  Ber- 
tolini,  quale  triste  seme  andate  voi  trucemente 
seminando,  con  il  cuore  chiuso  a  la  gran  voce  del 
popolo  ! 

Prima  del  maggio  '98  pareva  che  qualche 
cosa  si  volesse  fare  per  lui,  in  Roma,  dai  par- 
titi popolari.  Egli  lo  sapeva  e,  mentre  si  era 
rifiutato  sempre  di  far  fare  un  qualsiasi  passo 
verso  palazzo  Braschi,  l'anima  sua  sorrideva, 
al  pensiero  del  momento,  nel  quale,  per  volere 


—  49  — 


di  popolo,  la  mamma  sua  lo  avrebbe  stretto  tra 
le  braccia,  dandogli  quel  dolcissimo  bacio,  di 
cui  è  privo  da  cinque  anni,  che  da  cinque  anni 
sospira,  che  da  cinque  anni  sogna. 

Ma  vennero  le  cannonata  di  Milano,  spirò 
più  forte  il  venticello  reazionario  e  Faina  e- 
sclamo  la  sua  esclamazione  favorita  : 

—  Tombola  ! 

nel  suo  cuore,  palpitante  d'amore,  rinchiudendo 
la  immagine  santa  della  mamma  lontana. 
Quando  lo  vidi,  mi  disse: 

—  0  finito:  mi  restano  solo  venti  mesi. 
La  questura  lo  attende  in  Roma,  tra  breve, 

per  sottoporlo  a  nuove  persecuzioni. 

Se  io  avessi  voce  tonante,  che  potesse  giun- 
gere ai  compagni  d*  Italia,  ai  partiti  popolari, 
con  voce  tonante  griderei  il  suo  nome,  che  è 
davvero  un  nome  di  martoriato,  perchè,  nei 
prossimi  comizii  elettorali,  raccolto  dal  popolo, 
il  suo  nome  uscisse,  a  solenne,  doverosa,  altis- 
sima protesta,  sgorgando  dal  cuore  dei  liberi, 
dei  quali,  a  supremo  conforto,  germoglia  e  cresce 
poderosa  la  pianta  in  questa  sacra  alma  tellus. 

VII. 

Lasciate  ogni  speranza  ! 

Queste  parole  vidi  io  scritte  al  sommo  della 
porta  del  Castello  di  Lipari,  quando,  per  la  prima 
volta,  ci  misi  il  piede. 


—  50  — 


Queste  parole,  in  caratteri  neri,  ci  vedono 
scritte  tutti  quelli  infelici,  i  quali,  dopo  lunghi 
strazii  e  tormenti,  nelP  isola  sono  depositati,  per 
tre,  quattro,  cinque  anni,  che  poi  diventano, 
tra  carcere,  condanne  e  nuove  assegnazioni, 
dieci  anni  e  quindici  e  venti. 

La  prima  impressione  del  paese  è  dolcissima. 
Non  potendo  lodare  gli  uomini,  lodiamo,  almeno 
una  volta,  la  natura. 

Lipari  è,  naturalmente,  un  Eden.  Lipari 
sarebbe  stato  scelto  da  Tiberio  per  le  sue  delizie, 
se  non  si  fosse  imbattuto  in  Capri.  Lipari,  in 
mano  degli  Inglesi  o  di  qualunque  popolo  civile 
o  semi-barbaro,  sarebbe  divenuta  una  stazione 
climatica  di  primo  ordine  ;  in  mano  di  questo 
bestiale  governo  italiano,  che,  sopratutto  per 
viltà  nostra,  ci  soffoca,  è  diventato  un  terrore, 
uno  spauracchio,  un  letamajo. 

Per  i  cittadini,  che  devono  viverci,  Lipari 
è  un  paesuccio  sporco,  in  terra  rocciosa  ed  arida, 
ridotto  tale,  in  parte,  per  colpa  imperdonabile 
delle  diverse  amministrazioni  succedutecisi,  in 
parte  per  colpa  del  governo.  Per  i  coatti,  esso 
è  il  Castello. 

La  vita,  per  questi,  si  riassume  nel  regola- 
mento della  colonia.  La  colonia  è  una  carcere  ; 
la  carcere  una  tortura. 

Il  foglio  di  'permanenza,  che  presentano  al 


—  51  — 


coatto,  appena  giunto  nelP  isola,  prima  di  con- 
durlo in  Direzione  a  declinare  le  sue  generalità, 
clie  avrà  già  declinate  un  centinajo  di  volte, 
serve  a  dirgli  che  oramai  a  la  vita  deve  egli 
intendere  di  rinunciare. 

Il  foglio  di  permanenza  è  una  ignominia  ; 
è  qualche  cosa  di  più  :  è  una  ironia.  Esso,  per 
chi  sa  leggervi  dentro,  non  dice  nulla,  all'  in- 
fuori della  grande  scempiaggine  del  governo, 
che  ci  delizia. 

Un  poveruomo,  che  arrivi  qui  con  il  meta- 
fìsico proposito  di  riabilitarsi,  dopo  essere  stato, 
nella  reclusione  o  nelle  prigioni,  istupidito  da 
il  regime  carcerario  e  da  le  untuose  letture, 
che  gli  ammanniscono,  un  poveruomo,  in  tale 
erronea  disposizione  di  animo  pigliando  a  stu- 
diare il  nuovo  codice  della  sua  vita,  dovrà  escla- 
mare : 

—  Ma  che  devo  fare  qui  ? 

Invero  nessuno  sa  e  nessuno  saprà  mai  che 
cosa  debban  fare  i  seimila  cittadini,  che  la  in- 
telligentissima polizia  italiana  confina  nelle  isole 
della  fame. 

Il  foglio  di  permanenza  non  è  opera  del 
direttore  della  colonia  ;  egli  non  deve  fare  che 
trascrivere  o  modificare  leggermente  i  regola- 
menti, che  quei  testoni  di  Palazzo  Braschi  ànno 
formulato,  tra  una  incoscienza  e  l'altra. 


—  52  — 


I  fogli,  leggermente,  variano.  Quello  di  Li- 
pari, che  presento  ai  lettori,  è  il  meno  feroce 
di  tutti,  e  di  ciò  va  dato  lode  a  la  serietà  del 
direttore  locale. 

Ma  esso  basta  a  dimostrare  quale  istituto, 
scandalosamente  insignificante,  sia  questo  del 
domicilio  coatto. 

Esso  prescrive  la  assoluta  obbedienza,  la  as- 
soluta schiavitù  ;  esso  codifica  l'arbitrio  e  legit- 
tima la  persecuzione;  esso  impone  l'annienta- 
mento della  vita  e  la  rinuncia  assoluta  al  pro- 
prio io  ;  esso  moralizza  l'ozio  ed  eleva  a  dogma 
la  infingardaggine.  Esso,  non  dicendo  nulla,  dice 
tutto,  giacche  è  un  marchio  su  la  fronte  del 
coatto,  è  un  anello  al  suo  piede,  è  una  morsa 
al  suo  cuore,  è  una  camicia  di  forza  al  suo  animo. 

Esso  è  la  condanna  maggiore  del  domicilio 
coatto,  perchè  ne  è  la  fotografia  migliore,  giac- 
che, se  una  cosa  sola  dice,  questa  cosa  è  questa: 
Finis  hominis. 

Perciò  lo  trascrivo  : 

CARTA  DI  PERMANENZA 

Delegazione  di  P.  S.  e  Direzione  colonia  coatti 

I£T  LIPAKI 


1.  Darsi  al  lavoro  o  procacciarsi  qualche  occupazione  anche  precaria, 
rendendo  sempre  avvisata  la  Direzione  ogni  qualvolta  gli  avvenga  di  oc- 
cuparsi stabilmente. 


—  53  — 

2.  Non  allontanarsi  dal  paese  nè  oltrepassarne  il  caseggiato  in  qual- 
siasi punto,  senza  permesso  scritto  dall'Autorità  di  P.  S.  Dirigente  la 
Colonia,  da  rendersi  ostensibile  a  semplice  richiesta  dei  Beali  Carabinieri 
ed  altri  agenti  di  P.  S. 

3.  Ritirarsi  prontamente  al  Castello  a  quell'ora  in  cui  la  tromba 
militare  suonerà  dall'alto  del  medesimo,  il  segnale  della  ritirata  conve- 
nuto col  Comandante  del  presidio. 

Tale  ritirata  poi  dovrà  effettuarsi  al  passo  di  corsa  ogni  qualvolta 
il  detto  segnale  venisse  suonato  in  ora  straordinaria,  qualunque  essa  sia. 

4.  Non  portare  o  detenere  armi  di  qualsiasi  specie,  nè  bastoni  od 
altri  strumenti  atti  ad  offendere:  come  pure  nessuno  degli  oggetti  di  cui 
al  2.  capoverso  dell'art.  492  del  C.  P. 

5.  Non  rompere,  guastare  o  in  qualche  modo  deteriorare  i  muri,  i 
mobili,  le  porte,  i  tavolacci  e  tutt' altro  che  sia  attinente  ai  locali,  ad  uso 
della  Colonia.  Come  pure  è  assolutamente  vietata  la  distruzione,  la  ven- 
dita o  alienazione  in  qualsiasi  modo  degli  oggetti  di  casermaggio  che  ri- 
ceveranno dalla  Direzione  o  dall'  impresa. 

6.  Tenersi  lontano  dalle  pubbliche  riunioni,  spettacoli  e  tratteni- 
menti pubblici. 

7.  Di  portare  sempre  indosso  la  presente  carta  e  di  esibirla  a  qual- 
siasi richiesta  degli  Ufficiali  dell'amministrazione  di  P.  S.  e  di  qualsiasi 
Agente  della  forza  pubblica. 

8.  Non  frequentare  case  di  prostituzione  nè  trattenersi  nelle  osterie 
od  altri  esercizii  pubblici  più  del  tempo  necessario  per  mangiare. 

9.  Non  associarsi  a  pregiudicati  del  paese  o  ad  ex  coatti. 
10.  Tener  buona  condotta  e  non  dar  luogo  a  sospetti  di  sorta. 

Per  le  contravvenzioni  alle  suespresse  disposizioni,  si  procederà  al- 
l'arresto e  deferimento  al  Potere  Giudiziario  per  gli  effetti  di  cui  agli 
articoli  120  e  132  della  legge  di  P.  S. 

PRESCRIZIONI  DISCIPLINARI. 

Visto  l'art.  104  del  Regolamento  8  Dicembre  1889  per  l'esecuzione 
della  legge  di  P.  S.  si  stabiliscono  pei  coatti  le  seguenti  norme  disciplinari: 

1.  Nessun  coatto  potrà,  salvo  caso  di  legittimo  impedimento,  rifiu- 
tarsi al  lavoro. 

2.  È  severamente  proibito  ai  domiciliati  coatti  di  frequentare  gli 
esercizi  pubblici,  oltre  le  ore  prescritte  dilla  Direzione:  resta  pure  in- 
giunto ai  medesimi,  <li  astenersi  da  qualsiasi  giuoco. 

3.  Ciascun  domiciliato  coatto  dovrà  presentarsi  nel  Castello  all'ora 
stabilita  per  ritirare  il  proprio  sussidio,  salvo  caso  di  giustificato  impe- 
dimento. 


—  54  — 


f  È  proibito  a  chicchessia  di  accettare  incarico  di  ritirare  quello  degli 
altri. 

4.  È  severamente  proibita  l'ubbriacliezza.  Il  domiciliato  coatto  dovrà 
inoltre  mantenere  sempre  in  qualsiasi  luogo  ed  ora  un  contegno  tale  da 
non  recare  disturbo  di  sorta  agli  abitanti  dell'  isola,  specialmente  con  grida, 
schiamazzi  e  canti  clamorosi;  nè  dovrà  mai^offendere  la  pubblica  morale 
sia  con  parole  o  discorsi  osceni,  sia  con  atti  triviali  o  con  bestemmie. 

5.  Dinnanzi  ai  superiori  e  al  loro  passaggio  in  pubblico  il  domici- 
liato coatto  deve  scuoprirsi  il  capo  ed  assumere  un  atteggiamento  com- 
posto e  rispettoso,  alzandosi  in  piedi  so  seduto  o  sdraiato,  cessando  di 
discorrere  e  togliendosi  di  bocca  il  sigaro  o  la  pipa.  —  Inoltre  egli  deve 
deferenza  e  rispetto  a  tutte  le  autorità  locali  e  a  tutto  il  personale  della 
Direzione.  Dovrà  sempre  stretta  ed  assoluta  obbedienza  in  ogni  caso  al 
Direttore,  agli  agenti  di  P.  S.  incaricati  della  custodia  e  ai  R.  C. 

6.  È  proibito  presentarsi  nell'Ufficio  di  Direzione  fuori  dei  giorni 
e  delle  ore  stabilite. 

7.  Il  domiciliato  coatto  dovrà  infine  obbedire  ed  uniformarsi  pron- 
tamente a  tutte  quelle  ordinanze  che  venissero  emanate  dalla  Direzione 
nell'  interesse  della  disciplina. 

Qualunque  infrazione  alle  suespresse  disposizioni,  sarà  punita,  se- 
condo la  sua  gravità,  a  termini  degli  articoli  223  e  seguenti  del  regola- 
mento disciplinare  in  vigore  per  gli  stabilimenti  carcerari. 

Nè  bisogna  ingannarsi  su  il  triste  istituto, 
se  il  foglio  di  permanenza  parla,  di  obbligo  al 
lavoro,  essendo  la  ingiunzione  una  di  quelle 
tante  turlupinature,  nelle  quali  il  nostro  impa- 
reggiabile governo  è  maestro,  forse  confondendo 
il  Macchiavellismo  con  il  criminalismo. 

Di  questo  obbligo  al  lavoro  parleremo  in  se- 
guito. 

Costretti,  invece^  ad  un  ozio  forzoso,  i  coatti 
imbestiano. 

Essi  vivono,  qui,  con  il  solo,  unico,  supremo 
dovere  di  essere  soggetti  al  foglio  di  permanenza* 


Il  governo  nazionale,  a  seimila  cittadini,  à  la 
spudoratezza  di  dire  : 

—  Voi  avete  fallato  ;  voi  avete  meritato  una 
pena;  voi  avete  scontata  la  pena;  voi  mi  appar- 
tenete. 

Che  cosa  significhi  questo  diritto  di  proprietà, 
si  è  visto.  Se  non  si  fosse  visto,  lo  si  compren- 
derebbe benissimo,  solo  pensando  che  chi  lo 
esercita  è  il  nostro  governo  cosacco. 

Gli  antichi  Romani  mostravano,  a  la  gio- 
ventù, gli  schiavi  ubbriachi,  per  fare  abborrire 
l'ubbriachezza.  Il  governo  d'  Italia  mostra  fino 
a  che  punto  si  possa  imbestiare  un  uomo,  per 
fare  abborrire  la  natura  umana. 

Ordunque  il  domicilio  coatto  è  il  foglio  di 
permanenza  :  il  foglio  di  permanenza  è  la  in- 
sulsaggine dei  governanti  applicata  a  la  vigliac- 
cheria dei  governati. 

10  non  so  se  la  storia  abbia  registrato  fatti 
simili.  Nerone,  che,  su  le  pubbliche  piazze,  si 
offriva,  con  il  velo  giallo  di  sposa,  ad  i  bestiali 
abbracci  di  Sporo,  è  una  pallidissima  immagine 
delle  nostre  classi  dirigenti,  che  si  offrono  a  gli 
sberleffi  del  mondo. 

11  direttore  della  colonia  non  à  altro  in- 
carico che  di  far  rispettare  il  foglio  di  perma- 
nenza: incarico  nojoso  e  doloroso.  E'  come  dire 
di  un  uomo,  che  abbia  il  solo  incarico  di  ve- 


—  56  — 


gliare  e  punzecchiare,  con  ferro  rovente,  un 
cadavere. 

Chi  à  V  incarico  di  consegnare  la  carta  ai 
nuovi  arrivati  è  il  bravo  brigadiere,  al  quale 
sanguina  o  dovrebbe  sanguinare  il  cuore  quando, 
ad  ogni  vegnente  lo  appiccica  come,  nel  medio- 
evo, si  attaccava,  su  i  petti  dei  condannati, 
il  cartello,  che  portava  scritto  il  delitto. 

Egli  è  tanto  assuefatto  a  questa  funzione 
meccanica,  che  quando  venne  in  Lipari  il  ve- 
scovo od  arcivescovo  che  sia  —  un  bruno  e  fe- 
gatoso giovanotto  siciliano,  che,  nelle  sue  quo- 
tidiane pastorali,  attacca  la  malvagia  rivoluzione 
e  chiede  il  rispetto  a  le  decime  e  sempre  oro 
a  queste  dissanguate  isole  —  ricevuto  da  spari, 
mortaretti,  tric-trac,  tubo  e  ponnacchi  (l'Italia 
vedrà,  tra  poco,  passeggiare,  per  le  sue  belle 
città,  vescovi  e  prelati  e  monsignori  su  bianche 
mule,  tra  gli  inchini  dei  rappresentanti  di  un 
governo  bigotto  e  due  fila  d'armati)  si  divulgò 
la  voce,  essendo  egli  stato  visto  tra  le  autorità 
civili  e  militari,  che,  confondendolo  con  D.  Al- 
bertario,  inchinandolo,  gli  dicesse: 

—  Come  vescovo,  per  ordine  del  governo  vi 
bacio  la  mano  ;  ma  come  coatto,  vi  dò  il  foglio 
dì  permanenza* 

La  voce,  però,  dopo  poco,  fu  chiarita  una 
calunnia  ed  il  vescovo  od  arcivevescovo  che  sia 


—  57  — 


benedisse,  nella  sua  prima  predica,  i  cittadini, 
i  carcerieri,  i  poliziotti  ed  i  coatti,  che  asserì 
tutti  figli  di  dio. 

Vili. 
Il  Castello  di  Lipari. 

Su  una  base  rocciosa,  esagonale,  è  edificato, 
in  aria,  il  vecchio  Castello.  Dal  mare  lo  si 
guarda,  come  un  lontano  sparviero;  da  le  vie 
del  paese  lo  si  vede  procombente,  come  una 
minaccia;  da  1'  interno,  lo  si  sente  che  vi  stringe 
i  fianchi,  come  un  vampiro. 

Il  negro  castello  non  è  quieto  :  egli  non  ri- 
posa tranquillo  su  la  basaltica  roccia,  che  molti 
odii  a  accumulato  e  molti  rancori.  La  popola- 
zione, che  si  muove,  che  respira,  che  non  vive, 
che  sordamente  si  agita  nei  suoi  fianchi  slom- 
bati, è  una  popolazione  di  nemici. 

Gli  ingegneri,  guardandolo,  dicono  che  è 
fuori  di  ogni  legge  di  statica  e  che  qualche 
giorno  precipiterà  ;  i  psichiatri  assicurano  che 
esso  è  folle  di  terrore,  impazzito  per  i  rimorsi 
delle  molte  complicità  ;  gli  spiritualisti  sono  di 
parere  che  qualche  giorno  le  mura  crolleranno, 
sotto  la  spinta  poderosa  delle  mille  maledizioni 
di  torturati,  precipitando  nel  mare,  sotto  la  po- 
derosa catapulta  degli  sdegni  riuniti. 


—  58  — 


Il  negro,  vecchio  castello  ride,  del  suo  riso 
sgangherato  e  sdentato.  Il  suo  riso  è  qualche 
cosa  di  lugubre  e  di  raccapriciante  come  il  riso 
di  un  teschio,  come  il  sorriso  del  coccodrillo:  è 
il  riso  del  moribondo,  del  delinquente  e  del 
pazzo. 

Il  suo  volto  non  à  più  nulla  di  regolare  :  è 
una  testa  da  le  occhiaje  vuote,  con  due  buchi 
per  naso,  senza  denti  e  senza  mascelle:  vale  a 
dire  che  ogni  linea  è  perduta  nella  sua  archi- 
tettura. In  assenza  di  finestre  ci  sono  crepacci; 
in  assenza  di  merli,  rottami  e  mucchi  di  con- 
cime; in  assenza  di  colori,  impiastri;  in  assenza 
di  modenature,  pietre  sporgenti. 

Adunque,  a  l'aspetto,  esso  è  di  una  mostruo- 
sità ignobile.  Lavater  e  Gali  gli  darebbero  la 
ferocia  di  un  aguzzino,  la  bieca  voluttà  di  un 
tiranno,  la  malvagità  di  un  prete,  la  spavalde- 
ria di  un  soldato  e  la  vigliaccheria  di  un  cor- 
tigiano. 

E'  tutto  ciò,  e  per  questo  ride  nella  sua  pre- 
potenza, nella  sua  malvagità,  nella  sua  spaval- 
deria e  nella  sua  vigliaccheria. 

Per  questo,  è  odiato,  con  intensa  passione, 
da  i  coatti.  Un  giorno  ne  vidi  uno,  ubbriaco, 
che,  da  lontano,  facendogli  le  fiche,  gridava  : 

—  Piglia  su,  ruffiano  ! 
e  sputava  in  direzione. 


—  59  — 


Un  ubbriaco,  che  sputa  su  un  concimajo,  per 
dispregio  e  rancore,  è  episodio  degno  di  una  ter- 
zina di  Dante  o  di  un  capitolo  di  Victor  Hugo. 

0  detto  che  procombe  su  il  mare. 

Il  mare,  il  bel  mare  turchino,  lentamente  lo 
scalza,  gli  rode  la  base,  gli  sgretola  i  massi, 
gli  porta  via  la  terra,  gli  sradica  le  erbe  ;  il 
mare,  il  maestoso  mare  tempestoso,  nero,  livido, 
superbo,  terribile,  minaccioso,  bello,  gli  schiaf- 
feggia le  mura  frolle  ed  imbellettate  di  calce, 
gli  strappa  via  i  massi,  gli  inonda  le  viuzze,  le 
catapecchie,  i  letamai, 

E'  una  lotta,  che  merita  di  essere  guardata, 
di  essere  ammirata;  è  qualche  cosa  di  meglio  : 
è  una  punizione.  E'  il  nuovo,  che  distrugge 
lentamente  il  vecchio  ;  il  giovine  eterno  come 
la  fede,  come  1'  ideale,  che  assalta  il  decrepito; 
il  giusto,  il  buono  che  schiaffeggia  l'insolente 
ed  il  malvagio;  il  consolatore,  il  protettore,  che 
minaccia  e  sculaccia  l'oppressore. 

Perchè  il  mare,  il  dolcissimo  mare  siciliano 
è  il  grande  consolatore  dei  relegati;  con  la  sua 
calma  insegna  loro  la  calma  dei  forti,  con  le 
sue  tempeste  la  tragica  bellezza  della  lotta,  con 
la  sua  immensità  la  grandezza  della  fede. 

Ed  essi  lo  ricambiamo  di  eguale  amore,  e 
per  esso  non  anno  secreti.  Con  esso  parlano 
lungamente  ed  ad  esso  affidano  i  loro  più  ge- 


—  Go- 


losi secreti.  Sia  un  palpito  d'  amore,  ancora 
concesso  ad  i  pochi  che,  nella  tristizia  e  nella  du- 
rezza dei  tempi  presenti^  non  ànno  rinunciato 
ai  sogni  beati  ed  ai  dolci  sospiri,  od  un  bacio 
ai  loro  vecchi  adorati  od  un  inno  a  l' avvenire, 
lo  sussurrano  al  grande  amico  della  libertà,  che 

10  porta  lontano. 

Esso  è  il  grande  consolatore  ed  io  non  so  come 
meglio  attestargli  la  loro  gratitudine,  che  fa- 
cendolo pubblicamente. 

In  presenza  sua  ogni  nostalgia  diventa  im- 
possibile, ogni  dolore  vien  sopraffatto.  Nostalgia 
di  che,  se  nel  mare  è  tutto?  dolore  di  che,  se 
in  esso  è   la  vita  e   se   esso  insegna  —  con 

11  riflesso  eterno,  di  cui  si  compiace,  del  sole, 
degli  astri,  dell'azzurro  del  cielo,  dell'  orientai 
zaffiro  delle  albe,  dei  sanguinosi  tramonti  —  ad 
aprire  l'animo  a  tutto  ciò  che  è  calore,  colore, 
luce,  a  ciò  che  è  via,  verità  e  vita  ? 

Quando  le  piccole  gocce  d'acqua,  tremolanti, 
iridescenti,  saltellanti,  come  un  branco  allegro 
di  variopinti  animaletti,  si  avanzano  verso  la 
nera  muraglia ,  pare  ad  essi  di  vedere  da  quelle 
rappresentate  le  schiere  innumerevoli  degli  amici 
loro,  dei  loro  compagni  di  fede,  vicini  o  lon- 
tani, che  si  slanciano,  cantando,  sorridendo, 
contro  il  turpe  presenta.  Rimbalzano  le  goccio- 
line, sono  respinte,  si  perdono  nella  immensità 


—  61  — 


dei  flutti  e  sono  i  compagni,  lanciati  lontani, 
da  l'urto  dell'insensibile,  duro  edificio,  lon- 
tani, in  galera,  a  domicilio  coatto,  noli'  esilio. 
Ma  tornano  più  allegri,  più  baldi,  più  numerosi, 
tornano  per  mesi,  per  anni,  per  lustri,  cantando, 
sorridendo,  tenendosi  per  mano,  qualche  volta 
su  i  lividi  mugghianti  flutti  dell'  ira  popolare, 
qualche  volta  pian  pianino,  su  la  cheta,  insen- 
sibile ondata  della  propaganda  quotidiana  ed  il 
vecchio  edificio  perde  sempre  qualche  cosa  e  più 
triste,  più  miserando,  più  ignobile  appare,  più 
mostruosamente  ridente,  mentre  si  va  lenta- 
'mente  decomponendo. 

Crollerà  infine  —  è  necessario  dirlo,  per 
togliere  l'incubo  da  l'animo  —  crollerà  l'antico 
edificio  eretto  da  schiavi,  cementato  con  lagrime 
e  con  sangue,  fortificato  da  le  diverse  armi  di 
oppressione  e  di  sterminio  delle  diverse  civiltà. 

OraTànno  puntellato;  ma  i  puntelli  non 
reggono:  al  postutto  essi  servono  appunto  a  dire 
che  l'edifìcio  minaccia  rovina. 

E  quando,  finalmente,  sarà  inghiottito,  quan- 
do sarà  sparito,  il  mare,  il  grande  amico  della 
libertà,  su  di  esso  farà  ancora  mostra  della  sua 
forza,  su  di  esso  si  cullerà  e'mugghierà  ancora, 
su  di  esso  nuove  tempeste  saranno^e^nuovi  as- 
salti e  nuovi  livellamenti  ed  i  vegnenti  nuova 
gioja  proveranno,  assistendo  a  le  nuove  vittorie 
dell'eterno  sovversivo. 


—  62  — 


IX. 

Castello  e  Vescovato. 

In  Lipari  manca  il  respiro  :  è  perchè  il  paese 
stesso  è  soffocato. 

A  guardarlo  da  lontano,  da  i  colli,  che,  in 
dolce  conca,  lo  circondalo,  si  vede  un  serpe 
verdastro,  da  la  pelle  maculata,  sguisciante  ai 
piedi  del  Castello,  preso  come  in  una  tenaglia 
da  esso  e  da  il  vescovato. 

La  coda,  a  mezzogiorno  ;  la  testa  a  setten- 
trione ;  liberi,  in  riva  al  mare,  che  lì  piglia 
nome  di  marina  corta)  qui  di  marina  lunga^ 
separati  da  il  blocco  granitico,  su  cui  si  erge 
il  Castello. 

Il  grosso  corpo,  la  ventraja,  è  tutto  preso 
nella  tenaglia  e  pare  voglia,  sotto  la  pressione, 
scoppiare. 

Il  Castello  macera  i  corpi  ;  il  vescovato  si 
appiatta,  losco,  basso,  nel  piano,  come  un  ani- 
male vigliacco  e  traditore.  Quello  è  una  mi- 
naccia, questo  un  tranello:  lo  sbirro  ed  il  prete 
congiurano  insieme.  Chi  sfugge  da  V  uno,  in- 
cappa nell'  altro  :  mai  Scilla  e  Cariddi  ebbero 
una  tanto  ignobile  rappresentazione. 

Il  Castello,  nel  suo  orgoglio  medio-evale, 
cerca  il  sole  e  si  erge,  orrido  ;  ma  maestoso. 


—  63  — 


Il  vescovato  si  appiaUa  tra  le  case,  tra  i  vi- 
gneti, nell'ombra  delle  case  e  delle  piante,  nel 
tradimento,  e  pare  prepari  tagliole  o  reti  per 
le  anime. 

A  guardare  la  città,  si  sente  un  profondo 
senso  di  angoscia;  si  sente,  nelle  sofferenze  di 
tutti,  la  sofferenza  del  paese.  Il  cielo  di  cobalto 
pesa  come  una  cappa  di  piombo;  1'  aria,  puris- 
sima, avvelena  ;  il  solo,  splendido,  ottenebra. 
Ed  il  mare  è  lontano  ed  il  vescovato  è,  per  ora, 
al  sicuro. 

Esso  è  in  campagna,  nella  solitudine  di  chi 
cospira,  in  vicinanza  al  paese,  quanto  basta  a 
gittargli  il  laccio  al  collo. 

Ma  non  affronta,  direttamente,  gli  uomini. 
Tra  se  ed  il  paese  à  messo  un  corpo  avanzato, 
una  fabbrica,  che  è  un  pregiudizio  ed  un  sa- 
crilegio. 

Ora  usano,  in  guerra,  più  che  colpire  i  ne- 
mici con  i  colpi  diretti  delle  palle,  asfissiarli 
con  i  vapori  pestiferi.  La  liddite  fa  miracoli. 
E'  tattica  guerresca.  E'  tattica  pretesca  abbu- 
jare  le  coscienze  prima  di  invaderle. 

Perciò,  tra  il  paese  ed  il  vescovado,  è  il 
monastero. 

Quell'edificio  quadrato,  pesante,  massiccio  è 
una  tomba.  Lì  si  seppelliscono  i  sospiri  e  si 
ghigliottina  la  natura.  Un  monastero  è  una  prò- 


—  64  — 


fanazione,  se  non  è  uno  scandalo.  Gigli  puri, 
che  si  aprono  al  bacio  del  sole,  si  ripiegano  su 
se  stessi  ;  sensitive,  si  racchiudono  al  contatto 
della  luce  e  del  calore  ;  corpi  virginei  si  flagel- 
lano; anime  buone,  intristiscono.  Un  monastero 
è  la  reazione  più  violenta  contro  le  leggi  della 
vita.  Molti  soffrono;  ma  lottano:  molti  odiano; 
ma  amano:  molti  bestemmiano;  ma  sperano: 
molti  urlano  ;  ma  sospirano.  Lì,  è  vietato  la 
lotta,  è  vietato  l'amore,  è  vietata  la  speranza, 
è  vietato  il  sospiro. 

Sacrificarsi  è  bello;  immolarsi  e  nobile;  an- 
nientarsi è  lugubre. 

Si  annientano  i  corpi  e  si  decapitano  le  a- 
nime.  Nessun  grande  inquisitore  pensò  martirio 
simile.  I  palpiti  del  cuore  sono  ridotti  ai  minimi 
termini,  il  calore  animale  è  sceso  a  meno 
zero,  le  cellule  cerebrali  sono  compresse  come 
per  meningite,  un  cinto  di  castità  oltraggia  la 
natura.  E'  ciò,  che  la  società  dovrebbe  colpire, 
con  articoli  del  codice  penale,  in  ossequio  al 
codice  morale. 

Martirizzare  gli  altri  e  infame;  martirizzare 
se  stesso  è  inesprimibile.  L' auto -martirio  co- 
stituisce la  bestemmia  più  perversa  della  vita. 
Mettersi  una  corona  di  spine  può  essere  eroico; 
ma  cingersi  il  cinto  di  castità  è  osceno:  le  sacre 
bende  sono  un  sudario. 


—  65  — 


Il  cinto  di  castità  e  le  sacre  bende  sono  la 
rappresentazione  marguttiana  del  feudalesimo  e 
del  cristianesimo. 

Una  monaca  con  le  bende  ed  un  frate  con 
il  cordone,  se  non  rappresentano  ciò,  possono 
rappresentare  i  misteri  della  dea  Bona  e  di 
Priapo. 

Neil' un  caso  e  nell'altro,  le  leggi  della  vita 
sono  oltraggiate. 

Se  non  fosse  che  solo  sotto  questo  aspetto, 
il  Socialismo  merita  il  primo  posto  tra  le  reli- 
gioni :  che  esso  di  tali  leggi  è  la  riabilitazione 
e  la  glorificazione. 

Dietro  questa  perversità  si  nasconde  il  ve- 
scovato, che  è  alleato  del  castello. 

Oppressi  da  questi  due  incubi,  tra  queste  due 
tenaglie,  si  macerano,  nel  corpo  e  nel!'  anima, 
i  coatti. 

X. 

Il  volapuk  dei  relegati. 

Giunto  a  Lipari,  ebbi  la  impressione  di  es- 
sere sbarcato  in  un'  isola  misteriosa. 

Ci  erano  già  quattro  o  cinque  coatti  politici 
o  semi-politici,  rinviati,  dopo  i  fatti  del  maggio. 
Quali  sieno  stati  questi  fatti }  nessuno  à  mai  sa- 
puto; ma  lo  seppe  la  imperante  oligarchia  affa- 
ristica italiana,  che,  in  un  grido  di  dolore  e  di 


—  66  — 


fame  di  una  plebe  lungamente  affamata,  trovò 
pretesto  opportuno  per  una  cavata  di  sangue. 

Ad  ogni  modo,  i  tempi  erano  tristi.  Si  vi- 
veva nel  sospetto,  come  nei  giorni  di  rivolu- 
zione. I  politici,  più  degli  altri,  erano  guardati 
a  vista  e  si  aspettava,  da  un  momento  a  1'  altro, 
l'ordine  di  traduzione  per  l'Africa  o  per  il  nuovo 
mondo  o,  magari,  per  1'  altro  mondo.  Infatti, 
qualcuno,  più  pessimista,  arrivava  a  pensare  : 

—  Da  un  momento  a  l'altro  arriverà  l'ordine 
di  una  fucilazione  in  massa. 

Però  —  onore  a  clii  spetta  —  questa  dispo- 
sizione per  decreto  reale,  non  fu  pensata  da 
Pelloux. 

Evidentemente  i  sovversivi,  quando  ci  si  met- 
tono, sono  più  reazionarii  della  reazione. 

Si  pensava  ciò  ;  ma  non  lo  si  diceva.  Giac- 
ché, in  quei  giorni,  non  si  parlava.  Pareva  che 
le  mura,  i  campi,  il  sole,  i  fiori,  gli  uccelli 
fossero  stati  intimoriti  o  comprati  da  la  Que- 
stura. Una  cappa  di  piombo  pesava  su  tutti:  si 
viveva  sotto  una  asfissiante  campana  pneuma- 
tica. L'uomo,  nella  sua  tristizia,  arriva  a  ren- 
der triste  la  natura.  Si  vedeva  un  tradimento 
nel  saluto  dell'  amico  ed  un  tranello  nello 
spirare  del  vento.  I  raggi  solari  pareva  ci  per- 
seguitassero ed  il  chiarore  lunare  sembrava  ci 
spiasse. 


—  67  — 


Noi  sospettavamo,  da  la  polizia,  agguati  : 
la  polizia  sospettava,  in  noi,  cospiratori.  Chiusi 
nel  medesimo  recinto,  battendosi  nel  muso  dieci 
volte  al  giorno,  doveva  accadere  ciò,  che  accade 
a  cani  e  gatti,  chiusi  nel  medesimo  sacco  :  i 
cani  mordono,  i  gatti  graffiano. 

Tuttavia  si  finisce  col  fraternizzare  :  così 
cani  e  gatti  finiscono  col  farsi  delle  carezze. 
Sovversivi  pericolosissimi  e  poliziotti  zelantis- 
simi finiscono  con  il  trovare  un  tratto  di  unione. 
Se  questo  accadesse  su  vasta  scala,  il  governo 
perderebbe  il  suo  più  bestiale  sostegno. 

Ciò,  in  fin  dei  conti,  commuove:  ciò  dice  che 
l'uomo  può  diventare  buono  e  che,  davvero,  una 
èra  di  vero  amore  e  di  vera  fratellanza  può  ini- 
ziarsi su  la  terra.  Oggi  ci  sono  le  oligarchie, 
libidinose  di  potere  e  di  oro,  ci  sono  i  governi, 
che  le  rappresentano  e  non  è  colpa  di  alcuno 
se,  di  tanto  in  tanto,  si  sente  il  bisogno  di  un 
massacro. 

Il  nostro  giorno  verrà  —  è  dolce  lo  sperarlo, 
è  doveroso  il  crederlo  —  ed  allora,  lo  sfruttato, 
il  perseguitato,  l'abbietto,  il  perverso,  gittando 
le  braccia  al  collo  del  suo  fratello,  che  lo  à, 
per  secoli,  sfruttato,  vilipeso,  perseguitato  e  ca- 
lunniato, potrà  dirgli  : 

—  Lo  vedi,  fratello,  come  è  bella  la  Libertà? 

Ma  nell'  estate  '98  non  volgeva  tempo  prò- 


—  68  — 


pizio  a  tali  considerazioni.  Il  vento  di  fronda 
portava  gemiti  e  lamenti  ed  il  triste,  il  vile 
sospetto  era  nel  cuore  di  tutti. 

Quando  si  sospetta  di  tutti,  si  finisce  con  il 
parlare  solo  con  se  stesso  ;  se  il  sospetto  au- 
menta, si  diffida  di  se  stesso  e  si  tace. 

Come  ò  detto,  a  Lipari  si  taceva.  I  sovver- 
sivi non  parlavano:  cantavano.  Uccelli  di  gabbia! 

Si  può  dare  un  significato  al  canto,  senza 
spiegarselo  prima?  Pare  di  sì,  giacAAi  ^olatiJi 
lo  fanno  e  gli  animali  tutti  anno  un  linguaggio 
convenzionale,  appreso  senza  gramijMpBta  S  senza 
vocabolario,  parlato  senza  prec^jBui  accordi. 

La  natura,  con  materna  previgjpBpt,  cospira 
perchè  i  cuori  si  intendano. 

In  ogni  passo  era  una  guardia  ;  dietro  ogni 
guardia,  un  coatto.  A  Lipari  dicono:  settecento 
coatti,  settemila  spie.  Dietro  ogni  coatto  era 
una  casa,  un  muro,  un  albero:  a  quella  casa,  a 
quel  muro,  a  quell'albero,  erano  incollate  cento 
orecchia. 

In  certi  momenti  tristi  nella  storia  di  ogni 
paese,  parlare  significa  congiurare,  fare  un  mo- 
nologo vuol  dire  eccitare. 

Ordunque,  i  coatti  politici  canticchiavano. 

Inutile  dire  che  zuffolavano  le  loro  canzoni 
predilette:  ogni  verso  era  un  segnale,  ogni  pa- 
rola un  ammonimento. 


—  69  — 


Si  zuffolava,  passeggiando,  1'  aria  : 

Siamo  i  figli  del  lavoro, 
Che  lottiamo  per  il  pan! 

e  ciò  significava  : 

—  Guardati,  che  sei  pedinato. 

Per  dire  che  V  avviso  era  stato  inteso,  si 
rispondeva  : 

Abbasso  le  frontiere, 
Su  in  alto  le  bandiere, 
Salutiam  V  umanità  ! 

e  si  procedeva  oltre. 

Il  compagno,  andando  via,  soggiungeva  : 

E,  nell'avvenir,  il  sol  risplenderà 
D'indipendenza  ! 

Ma  il  suono  si  propaga:  il  canto,  che  è  suono, 
luce  e  calore,  si  propaga  rapidissimamente,  con 
le  velocità  riunite  delle  onde, diverse.  Un  giorno 
si  accorsero  che  tutta  Lipari  cantava.  Che  cosa  ? 
Canzoni  sovversive.  Come?  Con  il  fischio. 

Lipari  ardeva,  come  un  enorme  braciere,  in 
mezzo  al  mare. 

Certi  atti  di  sovversione  sono  inincriminabili; 
certe  affermazioni  sono  insequestrabili. 

I  canti  dilagavano,  la  cittadinanza  si  ecci- 
tava. Dai  bimbi,  che  li  avevano  imparato  prima, 


—  70  — 


la  musica  si  allargava,  conquistando  tutti.  Non 
era  difficile  incontrare  un  milite,  con  la  scia- 
bola sotto  il  braccio,  il  sigaro  in  bocca  ed  il 
chepì  su  le  ventitré,  che  zuffolasse  1'  aria  : 


Al  giorno  suonava  la  musica  in  piazzà|  Cor- 
reva un  fremito  :  si  guardavano,  bianchi  di  com- 
mozione. Che  era  ?  Si  suonava  il  Nabucco  di 
Verdi.  Ma  che  Nabucco!  Il  cuore  palpitava  forte, 
mentre  la  musica,  sovversiva,  intonava  : 


Più  tardi,  quando  i  cameroni  si  chiudevano 
a  chiave,  un'ora  prima  della  triste  Are  Maria, 
si  dava  un  grosso  respiro  di  sollievo. 

Finalmente,  si  sentivano  liberi  ! 

E  lì,  nel  camerone  N.  17,  nella  sala  di  let- 
tura, movendo  da  i  lettucci,  da  le  buje  stan- 
zette, prima  l'uno,  poi  l'altro,  poi  tutti,  si  riu- 
nivano e,  con  il  cervello  in  fiamma,  pigliandosi 
per  mano,  girando  attorno  al  tavolo,  comprato 
dopo  lunghissime  sottoscrizioni,  si  intonava  som- 


Su,  fratelli,  su,  compagne, 
Su,  venite,  in  fitta  schiera. 
Su  la  libera  bandiera 


Splende  il  sol  dell'avvenir! 


Vieni,  o  Maggio,  t'  aspettan  le  genti, 
Ti  salutano  i  liberi  cuori. 


—  71  — 


mossamente,  con  la  voce  tremante,  con  le  la- 
grime a  gli  occhi  : 

Ai  gridi  ed  ai  lamenti 
Di  noi,  plebo  tradita. 

La  voce  si  elevava,  a  poco  a  poco,  diven- 
tando grido,  invocazione,  spasimo,  delirio  di- 
sperato, invito  d'amante,  al  ritornello  : 

Deh  l  t'  affretta  a  sorgere, 
0  sol  dell'avvenir  ! 
Vivere  vogliam  liberi 
Per  non  più  soffrir. 

Allora  V  anima  sentiva  l'epopea;  gli  scrupoli 
cessavano,  il  presente  doloroso  si  cancellava  da 
la  mente,  giorni  di  lotte  e  di  vittorie  si  intrav- 
vedevano. 

Sorgete,  sorgete,  pezzenti  ed  ignavi, 
Oppressi  dal  lungo,  penoso  lavor  1 

Ma  la  voce  dei  guardiani  interrompeva  la 
visione,  gridando  : 

—  Silenzio  !  Domani  faremo  rapporto. 
Rapporto,  tradotto  in  milgari  eloquio,  signi- 
fica cella  a  pane  ed  acqua. 

In  vista  di  questo  inconveniente,  fu  deciso, 
e  lo  si  fece  sapere  : 

—  Canteremo  canzonette  allegre. 


—  72  — 

I  politici  si  misero  in  allegria.  Funicoli,  fu  - 
nicolà  fu  il  loro  canto  prediletto.  Le  parole  non 
si  distinguevano;  la  musica  passava,  tra  il  giu- 
bilo universale. 

Ma  poiché  anche  in  questa  variante  dell'al- 
legra canzonetta  napolitana  la  regia  procura  à 
trovato  modo  e  via  di  incriminazione,  io  mo- 
difico le  parole  del  Prampolini  così  : 

Le  plebi,  con  l'amore  del  borghese 
Vivendo  stan  —  vivendo  stan. 

E  le  guardie,  da  sotto,  accompagnavano  : 
Tu  saie  addò'.. 

I  politici,  da  sopra:  . 

Da  pranzi  e  cene  ei  indigestioni  offese 
Morendo  van  —  morendo  van. 

Giù,  da  sotto  : 

Io  vece  a  te  —  Io  veco  a  te. 

Da  capo  : 

Ci  danno  senza  po*sa  quei  signori 
Pane  e  lavor  —  Pane  e  lavor. 
Da  noi  non  voglion  sangue  ne  sudori 
Per  bontà  lor  —  Per  bontà  lor. 

A  coro  : 


Jammo  ncoppe  —  jammo  ja. 
Furiiculi  —  Funiculà. 


—  73  — 


Qualcuno,  mentre  cantava,  quando  nel  po- 
vero canto  aveva  messo  tutta  l'anima  sua,  quando 
nelle  parole  e  nella  musica  aveva  trovato  l'eco 
dei  suoi  più  nascosti  pensieri,  delle  sue  più 
lontane  aspirazioni,  scappava  a  gittarsi  su  il 
letticciuolo,  con  gli  occhi  gonfi  di  lagrime. 

Giacche,  se  qualche  volta  i  sovversivi  anno 
un  singhiozzo,  essj.  piangono  o  per  troppo  a- 
more  o  per  troppa  pietà. 

E'  bene  ripeterlo,  amici  Labriola  e  Bonavita, 
è  bene  ripeterlo  ai  bojajoletti  italiani,  i  quali, 
in  quella  carnascialesca  vittoria  della  reazione, 
che  fu  il  maggio  '98,  credettero  —  per  un  mo- 
mento —  davvero  di  essere  riusciti  a  vincerci, 
per  il  semplice  fatto  di  averci  avvinti  e  di  es- 
sere i  più  forti,  per  essere  stati  i  più  violenti. 

0  Santo  Socialismo,  Fede  benefica,  Conso- 
lazione ed  Amore,  tu  ci  appari  luminoso  e  can- 
dido come  la  vergine  nei  sogni  puerili,  tu  ci 
appari  radioso  ed  ardente,  come  V  amante  nei 
sogni  giovanili. 

Socialismo,  cuore  del  nostro  cuore,  anima 
dell'anima  nostra,  dobbiamo  a  te,  se  la  vita  ci 
è  diventata  un  Eden  di  Amore  e  di  Speranza , 
è  per  te  che  noi  godiamo  delle  nostre  sofferenze 
e  giubiliamo  nelle  nostre  torture. 

Sei  tu,  Iddio  benefico  e  generoso,  che  le  no- 
stre catene  trasformi  in  lacci  di  rose  e  le  corone 
di  spine  in  superbi  diademi. 


—  74  — 


Noi  verso  di  te  procediamo,  e  se  il  cuore 
sanguina,  se  la  testa  è  in  fiamma,  se  il  corpo 
è  spossato,  a  la  tua  immagine,  che  ci  appare,  a 
Levante,  in  dolce  colore  d'orientai  zaffiro,  spar- 
gendo, come  la  Beatrice  Dantesca,  rose  ed  amore* 
noi,  con  la  dolcezza  nell'animo  e  con  il  candore 
nel  cuore,  stendiamo,  ansiosi,  le  mani,  come 
ad  invocazione  suprema. 

Sorridici,  sorridici  ancora,  eterno  Amore,  e- 
terna  Fede,  e  fa  che  su  le  nostre  teste  scendano 
le  lingue  di  fuoco  della  tua  Sapienza  e  spargi, 
a  larghe  mani,  su  i  nostri  cuori,  i  tuoi  fiori  rossi, 
perchè  noi,  adornandocene  nei  dì  della  gioja  e 
nei  dì  del  dolore,  inghirlandandocene  nelle  ore 
nuziali  e  nel  dì  della  morte,  ancora  di  sotterra 
possiamo  gridare  ai  viventi  : 

—  Sperate  ed  amate  !  Il  Socialismo  viene  ! 

Fa  tu,  nella  tua  immensa  possanza,  Iddio 
benefico  e  generoso,  fa  che  noi,  morendo,  possiam 
dire  di  essere  stati  degni  di  invocarti,  di  essere 
stati  degni  di  amarti. 

XI. 

Un  anarchico,  nomo  d'-ordine. 

Quando  lo  vidi,  stretto  nelle  catene,  tra 
quattro  carabinieri,  disfatto  da  il  lungo  transito, 
magro,  livido,  da  gli  occhi  neri  e  profondi,  da 


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il  sorriso  amaro,  nervoso,  l'animo  mio  gli  volò 
incontro  e  pensai  di  avere  trovato  un  fratello. 

Nei  pochi  giorni,  che  stette  qua,  ebbi  agio 
di  osservarlo  e  di  persuadermi  come  Adelmo 
Smorti  sia  una  di  quelle  eccezioni,  che  si  tro- 
vano, di  tanto  in  tanto,  tra  la  grande  turba  del 
genere  umano. 

Adelmo  Smorti  è  un  cuor  d'  oro  ed  un  ga- 
lantuomo in  tutta  la  più  estesa  significazione 
del  termine  :  è  perciò  che  la  polizia,  questa 
grande  delinquente,  lo  odia  tanto,  da  averlo 
tolto  a  la  sua  compagna  ed  ai  suoi  sei  figliuo- 
letti, ai  quali,  con  il  padre,  anno  tolto  il  pane. 

Un  uomo,  che  à  una  moglie  e  sei  figliuoli 
da  mantenere,  con  il  proprio  lavoro,  dovrebbe 
essere  un  uomo  sacro;  ma  che  cosa  vi  è  mai  di 
sacro  in  quegli  antri,  che  sono  le  questure  del 
regno  ? 

Nè  si  capisce  ne  si  sa  con  quali  pretesti  lo 
abbian  mandato  a  domicilio,  coatto,  come  1?  ul- 
timo malvivente,  che  infesti  le  campagne. 

E'  stato  amministratore ,  inorridite  !  del- 
l' Agitazione]  ha  lavorato,  horresco  referens, 
con  il  Malatesta  ad  organizzare  il  partito  anar- 
chico: è  questo  che  la  Questura  può  dire  a  suo 
carico. 

Per  il  resto,  di  fronte  ad  un  rigido  carattere 
come  il  suo,  ad  una  specchiata  onestà  come  la 


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sua,  ad  una  vita  intemerata,  quale  tutta  An- 
cona gli  riconosce  ed  à  affermato  in  occasione 
del  processo  Malatesta,  in  cui  era  degli  impu- 
tati principali,  i  poliziotti  alti  e  bassi  e  tutta 
la  schiuma  della  malvivenza  italiana,  tutto  il 
fior  di  canaglia,  che  ora,  come  per  tempo  di 
alluvione,  va  nuotando  a  galla,  non  può  che 
inchinarsegli  e  scappellarlo. 

E*  socialista  anarchico,  . 

Quindi  un  nemico  della  proprietà  privata. 

D'accordo.  lì  Calderoni  di  Ancona,  suo  prin- 
cipale, à  deposto  come  questo  nemico  della  pro- 
prietà individuale  tenesse  l'amministrazione  e  la 
cassa  della  sua  vasta  azienda  in  modo  inappun- 
tabile, maneggiando,  mensilmente,  dalle  settanta 
alle  ottantamila  lire. 

In  un  paese,  come  il  nostro,  ciò  deve  im- 
pressionare malamente.  Se  simili  esempii  si 
generalizzassero,  dove  andrebbero  a  finire  i  sac- 
cheggiatori delle  Banche  ed  i  ministri  concus- 
sionarii  ed  i  simoniaci  ed  i  barattieri  ed  i  gior- 
nalisti, che  si  vendono,  come  tante  prostitutelle? 
Quindi,  a  domicilio  coatto. 

E'  un  socialista-anarchico. 

Per  ciò,  è  un  nemico  della  famiglia. 

Concesso.  Egli,  come  ò  detto,  à  moglie  e  sei 
figliuoletti;  ai  quali,  non  vivendo  di  rendita, 
dava,  con  il  suo  solo  lavoro,  i  comodi  di  una 


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vita  agiata.  Ora  i  suoi  sono  nelle  strettezze  ed 
al  giovine  onesto  sono  diventati  bianchi  i  ca- 
pelli. 

Ben  fatto.  Se  tutti  facessero  così,  quale  strana 
morale  si  andrebbe  propagando  per  il  nostro 
paese  ?  Come  !  un  uomo,  che  non  possiede  nè 
v  terre  nè  capitali,  un  semplice  lavoratore,  si  per- 
mette il  lusso  di  unirsi  aduna  donna,  che  ama, 
di  procreare  dei  lavoratori,  di  sostentare  la  fa- 
miglia e  di  avere,  per  soprappiù,  delle  idee  ? 
Gip  è  scandaloso.  Questa  massima  sovversiva, 
tradotta  in  fatto,  è  di  un  esempio  deleterio.  Si 
arriverebbe,  con  essa,  a  la  conclusione  che  co- 
loro, i  quali  prostituiscono  le  mogli,  vendono  i 
figli,  ipotecano  se  stessi,  strisciano,  sguiseiano, 
leccano,  non  avrebbero  più  diritto  di  gridare  : 
La  lotta  per  la  vita  !  Ordunque  si  pigli  un  si- 
mile esempio  pericoloso  e  lo  si  mandi  a  domi- 
cilio coatto.  Come  vivranno  moglie  e  figli?  Bi- 
sogna affamarli  :  è  punizione  dovuta.  Il  grido 
dei  bimbi  ricorderà  a  l'onesto  sovversivo,  la  sorte 
che  spetta  ai  riformatori  dei  costumi.  Lo  si 
mandi  a  domicilio  coatto. 

FMi  pare  di  vedere,  da  qui,  il  sorriso  di  con- 
tento di  tutte  le  innumerevoli  schiere  dei  cor- 
nuti, dei  ruffiani  e  dei  venduti  d'Italia. 

Essi  ridono,  perchè  il  popolo  tace  ;  quando 
il  popolo  parla,  essi  tremano.  Peccato  che  parli 
tanto  raramente  1 


—  78  — 


Ordunque  Adelmo  Smorti,  nemico  di  dio  e 
delP  uman  genere,  della  proprietà  e  della  fa- 
miglia, della  patria  e  della  morale,  è  anarchico 
perfettissimo. 

E'  ordinato,  metodico,  prudente  e  saggio  : 
V  ideale  di  un  ottimo  amministratore.  Infatti  i 
giornali  anarchici,  sotto  l'influsso  benefico  della 
sua  amministrazione,  fanno  miracoli,  prosperano, 
durano  e  resistono  a  gli  assalti  delle  regie  pro- 
cure. E'  un  tour  de  force  dovuto  a  1'  avvedu- 
tezza dell'amministratore-nato. 

E'  ordinato,  metodico,  prudente,  saggio  e, 
come  ho  detto,  è  nervoso.  Queste  contraddizioni 
psicopatiche  sono  effetto  delle  grandi  infamie. 
Sotto  1'  assillo  di  tormenti  senza  fine,  1'  uomo 
diventa  come  un  orologio,  che  segni  le  nove  e 
batta  le  dodici. 

Luigi  Galleani,  una  volta,  mi  scrisse  di  lui  : 

—  E'  rigido,  un  po'  conservatore,  forse. 

Il  forse  io  l'avevo  già  tolto  quando  lo  chia- 
mavo uomo  &  ordine.  E'  vero,  che  egli  si  ven- 
dicava chiamandomi  legalitario  ;  ma  la  verità 
resta  quale  è.  Nella  vita  io  sono  più  sovversivo 
di  lui,  nei  principii  egli  è  più  sovversivo  di  me. 
Egli,  ordinato,  meticoloso,  attento,  metodico,  è 
un  rivoluzionario;  io,  disordinato,  sconquassato, 
distratto;  disorientato,  sono  un  legalitario.  Forse 
egli,  in  fondo,  è  meno  rivoluzionario  di  quanto 


—  79  — 


pensi,  come  io  posso  essere  meno  legalitario  di 
quanto  creda.  In  tanta  contraddizione,  la  polizia 
ci  ritiene  pericolosi  entrambi  e  ci  applica,  in- 
telligentemente, il  medesimo  articolo  della  me- 
desima disposizione  poliziesca. 

Lo  Smorti,  mio  amico  personale  ed  avver- 
sario politico,  consacra,  serenamente,  due  o  tre 
oro  del  giorno  a  la  sua  corrispondenza.  Non  ci 
è  pericolo,  che  dimentichi  una  cartolina,  una 
riga,  un  giornale,  una  domanda,  un  accenno. 
Non  à  copialettere,  e  si  capisce.  La  polizia  se 
ne  servirebbe  ad  imbastire  un  processo  per  as- 
sociazione, da  Cuneo  a  Trapani  ;  ma  o  su  le 
unghie,  o  su  i  polsi,  o  su  la  suola  delle  scarpe, 
o  su  la  fodera  del  cappello  o  su  i  lembi  della 
camicia,  egli  diligentemente  nota,  a  caratteri  di 
volapuk  o  di  stenografìa. 

A  idee  nette  e  precise,  taglienti  come  un 
tagliacarte,  aguzze  come  una  punta  di  matita. 
Giacche  io  non  posso  immaginarlo  che  con  un 
lapis  sopra  le  orecchia,  come  un  commesso:  egli 
è,  infatti,  il  segretario  dell'anarchia. 

Fu  dapprima  socialista,  quando  non  vi  era 
differenza  ne  di  metodo  ne  di  principii  tra  le 
diverse  scuole;  poi  diventò  socialista-anarchico. 
E  si  capisce.  Un  uomo  tanto  ordinato,  non  può 
chiedere  l'integrazione  dei  suoi  ideali  di  vita 
che  a  la  perfetta  armonia  della  società  anarchica • 


—  so- 


li socialismo  à  ancora  delle  disuguaglianze  e, 
specialmente,  delle  difficoltà;  tabula  rasa  è  un 
ideale,  al  quale  si  giunge  facilmente. 

Particolarità  fisiologica  (non  dico  patolo- 
gica, cliè  potrebbe  intendersi  malamente):  è  fra- 
tello Siamese  del  Malatesta  nel  riconoscere  e  nel 
professare  la  necessità  della  organizzazione. 

Questo  giovine,  davvero  ammirevole  ed  al- 
tamente rispettabile  per  le  sue  qualità  morali, 
è  stato,  a  varie  riprese,  richiamato  nella  sua 
Ancona  da  veri  plebisciti  di  affetto  e  di  pro- 
testa della  intera  cittadinanza.  La  polizia  si  è 
opposta,  e  non  a  torto.  Intorno  ad  un  uomo  il- 
libato come  lo  Smorti,  reso  più  simpatico  da  la 
vigliacca  persecuzione,  si  aggrupperebbero  tutti 
gli  elementi  sani  della  città.  E  noi  sappiamo 
che  la  polizia  à  la  nostalgia  del  fango.  Questi 
rari  vivai  di  moralità  sono  da  schiacciare. 

Divelto  da  la  famiglia,  sottratto  a  la  città, 
strappato  da  il  lavoro,  torturato  nei  transiti, 
sepolto  in  un'  isola,  la  polizia  non  credè  di  a- 
verlo  abbastanza  reso  innocuo.  Il  raggio  di  ir- 
radiamento della  virtù  giungo  tanto  lontano,  che 
non  si  è  mai  sicuri  di  esserne  al  riparo. 

In  Lipari  era  pedinato.  Punzecchiare  o  mor- 
sicare un  uomo  in 'una  fossa  sarebbe  il  colmo 
della  viltà  per  un  insetto  o  per  un  rettile:  è  il 
colmo  della  finezza  per  la  polizia  politica  ita- 
liana. 


—  81  — 


Era  tanto  pedinato,  che  un  giorno,  nel  quale 
uscimmo  dal  Castello,  in  atteggiamento  sospetto, 
con  due  involti  sotto  il  braccio,  le  guardie  di 
città  corsero  in  direzione,  gridando: 

—  Una  bumma  ! 

Ed  Adelmo  fu  pedinato  in  modo,  che  la 
punta  degli  stivali  delle  guardie  gli  t  entrava 
nelle  calcagna. 

Devo  dirlo  ?  Devo,  barbaramente,  strappare 
il  velo  d'eroismo,  nel  quale  potremmo  avvol- 
gerci, lasciando  il  lettore  dubbioso  su  il  conte- 
nuto del  fagotto  ?  Sarebbe  pure  cosa  dolcissima 
far  restare  nelle  pratiche  nostre  l'appunto  che, 
un  giorno  dell'  ottobre  '98,  un  socialista  ed  un 
anarchico  tacitamente  si  avviavano,  in  atteg- 
giamento sospetto,  insieme  confabulando,  a  la 
distruzione  del  sistema  solare. 

Rinunziò  a  la  tacita  ammirazione  del  lettore 
e  lo  dico  : 

—  Il  fagotto  conteneva  biancheria  sporca  ! 
Assodato  ciò,  le  guardie  si  mostrarono  stanche 

della  consegna,  ed  un  giorno,  che,  a  malincuore, 
una  di  esse  ci  pedinava,  interpellata,  dichiarò  : 

—  Ma  se  è  quel  testone  del  prefetto  di  An- 
cona, che  vuole  così  ! 

Adesso,  quella  buona  guardia  si  è  ritirata  a 
vita  privata. 

A  scanso  di  ulteriori  equivoci,  lo  Smorti  fu 
impaccottato  per  Pantelleria. 


—  82  — 


Che  cosa  sia  stato  questo  viaggio  par  lui, 
già  malato  di  catarro  intestinale,  il  Don  Chi- 
sciotte di  Roma  disse  a  suo  tempo  e  la  stampa 
di  partito  commentò, 

XII. 

La  vita  nel  castello:  il  padre  dei  vizii. 

Quando,  da  il  mare,  sorge,  in  tutto  il  suo 
splendore,  il  sole,  a  rischiarare,  a  riscaldare,  a 
vivificare,  cominciano  le  ore  amare  per  questa 
gente  dolorosa,  che  à  perduto  il  bene  della  li- 
bertà. 

Da  le  inferriate  finestre  il  guardo,  spingen- 
dosi fuori,  lontano,  su  il  mare  immenso,  su  le 
lontane  coste  della  Sicilia  e  della  Calabria,  pare 
che  vada  misurando  la  distanza,  che  passa  tra 
una  ciurma  di  schiavi  e  gli  uomini  liberi. 

Io  non  so,  perchè  non  me  l'ànno  detto,  nè 
ne  ò  chiesto  loro,  quali  preghiere  e  quali  be- 
stemmie, salendo  da  i  cuori  esulcerati,  arrivino 
a  le  labbra  di  questi  infelici. 

Ma  se  qualche  credente  è  tra  essi,  questo 
credente  non  può  che  invocare  da  il  suo  dio  che 
allontani  da  lui  l'amaro  calice.  Come  se  qualche 
credente  nella  fede  terrena  è  tra  essi,  non  può 
che  invocare  l'avvento  del  proletariato,  la  fu- 
sione di  tutte  le  classi  in  una  sola  di  lavoratori, 


—  83  — 


il  sorgere  di  un'era  di  umana  civiltà,  perchè  da 
la  faccia  della  terra  scompajano  spettacoli  di 
tanto  commovente  squallore. 

A  me  pare,  quando  il  sole  sorge,  udire  ele- 
varsi da  gli  ottanta  cameroni  di  rejetti  un  grido 
di  dolore,  un  sospiro  di  speranza  ed  un  inno  a 
l'avvenire, 

A  me  pare  di  sentire  salire  al  cielo  il  nuovo 
credo,  mormorato  da  centinaja  di  calpestati, 
da  centinaja  di  schiacciati,  ai  quali  la  natura 
di  uomo  è  restato  solo  per  maledire  e  per  pian- 
gere, quando  non  pregano  e  non  sperano. 

Pare  vedere  questa  turba  tendere  le  mani  a 
l'astro  apportatore  di  vita,  per  dire  ad  esso  : 

—  Sole,  solo  conforto  e  sola  luce  nostra, 
rischiara,  con  i  tuoi  vividi  raggi,  le  menti  di 
tutti  gli  uomini,  riscalda,  con  i  tuoi  raggi  in- 
focati, i  cuori  di  tutti  i  fratelli  e  guardaci,  fi- 
nalmente, padre  nostro,  abbracciati  gli  uni  a  gli 
altri;  che  se  questa  orrenda  lotta  fratricida  do- 
vesse continuare  ancora,  oscurati,  e  precipita, 
nel  caos,  la  terra  ed  insieme  sin  la  memoria 
della  razza  umana. 

Giacche  il  coatto  —  è  ^orribile  a  dirsi  —  se 
un'ora  di  riposo  a,  l'à  nel  sonno;  se  un'ora  di 
quiete  l'à,  l'à  nella  dimenticanza  del  suo  io  : 
presente  a  se,  si  fugge  e  si  disprezza,  si  abborre 
e  si  odia. 


—  84  — 


Nel  sonno,  reso  più  pesante  da  il  vino,  è  il 
riposo;  nel  sonno  è  la  completa  dimenticanza  e, 
forse,  qualche  ora  di  conforto  per  la  fallace  im- 
magine dei  suoi,  che  lo  baciarono  bambino,  dei 
suoi,  che  lo  chiamarono  marito  e  padre. 

Nella  stagione  invernale  i  coatti  anno  di  li- 
bertà da  le  otto  del  mattino  a  le  quattro  di  sera; 
nella  stagione  estiva  anno  la  contr'ora,  cioè  le 
ore  pomeridiane,  nelle  quali  non  possono  uscire 
da  il  Castello.  A  mezzodì  devono  tutti  trovarsi 
a  l'appello,  per  la  distribuzione  della  massetto, 
(sussidio  giornaliero  di  50  centesimi)  e  siccome 
l'appello  dura  più  di  un'  ora,  essendo  i  coatti 
da  sei  a  settecento  e  siccome  a  l'appello  niuno 
può  mancare  —  pena  la  carcere  —  le  ore  libere 
del  giorno  si  riducono  a  meno  di  sette. 

Sì  che,  in  conclusione,  il  domicilio  coatto  è 
una  reclusione. 

I  coatti  vivacchiano,  su  il  Castello,  nelle  più 
umili  funzioni  di  donnicciuole:  scegliendo  frutta 
o  mondando  patate  per  il  magro  pasto,  che  con- 
siste quasi  sempre  in  una  grossa  scodella  di 
molta  acqua  bollita  con  qualche  fagiuolo  o  qual- 
che pezzo  di  patata  -  rari  nantes]  -  altri,  lavando 
la  biancheria  sporca  a  quei  pochi,  che  biancheria 
anno  e  sentono  il  bisogno  di  lavarla  ;  altri  fa- 
cendo calze  o  merletti,  con  Y  occhio  istupidito, 
che  guarda  in  lontananza;  altri  vuotando,  da 


—  85  — 


mane  a  sera,  i  numerosi  buglioli,  che  servono, 
nei  cameroni,  come  fomiti  potentissimi  d'  infe- 
zione. 

Nella  loro  squallida  e  ributtante  miseria,  con 
la  continua  irritazione  dello  stomaco,  che  ac- 
cresce lo  squilibrio  del  cervello  già  squilibrato 
da  ereditarietà  di  delinquenza  e  sofferenze  o  da 
precedenti  sofferenze,  torture  e  martirii,  in  que- 
sti infelici  i  progressi  nel  campo  della  delin- 
quenza sono  rapidissimi. 

Nel  crogiuolo  della  comunanza  si  fondono 
tutte  le  male  passioni,  germogliate  loro  da  germi 
ereditarli,  acquisiti  dai  padri  in  lunga  serie  di 
anni  di  patimenti  ed  oppressioni,  fecondate  nei 
figli  da  tutte  le  disuguaglianze  sociali,  da  ra- 
ragioni  economiche,  da  imperfezioni  organiche. 

Il  fenomeno  di  esosmosi  ed  endosmosi  psi- 
chica à  una  dimostrazione  inconfutabile  f  che  i 
ladri,  i  pederasti,  gli  accoltellatori,  i  souteneurs, 
le  spie  accumulate  insieme,  diventano,  in  breve, 
e  ladri  e  pederasti  e  accoltellatori  e  spie  e  peggio. 

Nell'odio,  che  li  accumuna  e  li  divide,  ap- 
prontano armi  con  ferri,  con  selci,  con  legno, 
per  togliersi,  l'un  V altro,  quella  vita,  che  è  una 
maledizione. 

Il  sangue,  che,  sgorgando  da  le  ferite,  in- 
ferte  dai  proprii  fratelli,  abbevera  la  terra,  pare 
chieda  vendetta  contro  altro  sangue  dei  proprii 
fratelli  da  essi  versato. 


—  86  — 


In  direzione  giornalmente  le  guardie  portano 
pacchi  di  armi  sequestrate,  di  tutte  le  foggie, 
di  tutte  le  dimensioni. 

Si  spiano  vicendevolmente,  si  preparano  tra- 
nelli e  denunzie;  ognuno  spia,  traditore,  denun- 
ziatore,  è,  a  la  volta  sua,  spiato,  tradito,  de- 
nunziato. 

Le  isole  sono  bolgie.  Dante,  che  pur  sostenne 
la  vista  delle  pene  dell'  inferno,  qui  si  copri- 
rebbe gli  occhi,  gitterebbe  la  penna,  che  vergò 
le  terzine  immortali  e  maledirebbe  la  natura. 

Da  gli  isolani  sono  odiati  e  disprezzati  :  in 
questo  odio  ed  in  questo  disprezzo  i  paesani 
trovano  modo  di  sfruttarli  sino  a  sangue.  Data 
la  grandissima  offerta  di  lavoro,  le  mercedi  sono 
bassissime:  un  coatto  vende,  qui,  la  sua  forza 
di  lavoro  per  un  valore  addirittura  irrisorio. 
La  vende  per  un  soldo,  quale  in  una  città  di 
provincia  non  venderebbe  per  una  lira. 

La  proporzione  non  è  esagerata. 

Ogni  soldo,  che  è  in  commercio  per  Lipari, 
gronda  sangue  e  sudore:  gli  schiavi,  che  innal- 
zavano piramidi  ai  Faraoni,  non  erano  sfruttati 
in  modo  tanto  stomachevole. 

I  coatti,  che  sono  la  vita  delle  isole,  vi  sono 
ricompensati  a  calci  ed  a  bastonature.  Se  uno 
di  essi  viene  a  diverbio  con  gli  isolani,  è  cir- 
condato, percosso,  lasciato  per  morto  da  dieci, 
da  cento  accorsi. 


—  87  — 


Gli  uomini  li  chiamano  coatti,  per  disprezzo: 
le  donno  sterrati)  cioè  cacciati  fuori  da  la  pro- 
pria terra;  ma  questo  italianissimo  aggettivo  è 
pronunciato  con  tanta  grazia  da  le  fresche  au- 
lentissime  labbra  delle  siciliane,  che  lo  si  ac- 
cetta come  una  carezza  e  di  tutto  cuore  si  per- 
dona loro  la  intenzione  ostile. 

Le  celle  di  punizione,  le  carceri,  rigurgitano 
continuamente  di  puniti,  di  giudicabili,  di  con- 
dannati. La  pretura  locale  ed  il  Tribunale  di 
Messina  sono  in  continua  attività.  I  reali  ca- 
rabinieri non  fanno  che  ammanettare,  imbarcare, 
sbarcare  coatti.  La  isola  risona,  da  mane  a  sera, 
dello  stridore  di  catene;  le  vie  sono,  senza  in- 
terruzione alcuna,  percorse  da  lugubri  drappelli 
di  prigionieri. 

Quando,  carichi  di  debiti  —  debiti  di  otto, 
dieci,  cinque,  due  soldi  —  che,  sommati,  non 
arrivano  a  dieci  lire,  tormentati,  minacciati, 
percossi,  accoltellati  da'  creditori,  non  riescono 
più  a  sopportare  la  vita  delle  isole,  diventata 
una  doppia  tortura,  si  danno  in  campagna,  cioè 
si  assentano  per  un'  ora,  per  due,  per  una  notte 
da  il  paese,  per  contravvenire  ad  il  foglio  di 
permanenza,  per  farsi  arrestare,  processare,  con- 
dannare. 

E'  orribili  !  Questi  infelici  chiedono  libertà 
e  riposo  al  carcere  ! 


—  88  — 


Alcuni  mandano  lettere  di  minaccia,  di  in- 
sulti, di  male  parole  al  direttore,  firmandosi, 
perchè  questi,  per  punizione,  li  spedisca  a  Gravi. 

Essi,  se  non  vanno  a  Gravi,  restano  per  un 
mese  con  la  camicia  di  forza,  a  pane  ed  acqua. 

Giacche  il  regolamento,  che  vige  per  i  do- 
miciliati coatti  è  il  regolamento  carcerario.  Se 
non  fossimo  in  Italia,  sembrerebbe  incredibile 
che  il  governo  possa  avere  pensato  di  trattare 
de'  cittadini  —  i  quali,  per  semplice  misura  d 
sospetto,  con  semplice  deliberato  della  polizia, 
sono  relegati  in  un  comune  od  in  un'  isola  —  a  la 
stregua  di  coloro,  che  avendo  a  la  società  re- 
cato nocumento  od  offesa,  sono,  da  questa,  a 
mezzo  di  giudici  e  di  Tribunali,  con  garanzia 
di  procedura  e  di  difesa,  relegati  in  un  edifizio 
murato. 

Piantare  un'  equazione  con  questi  termini  è 
impossibile:  anche  matematicamente  il  domicilio 
coatto  è  un  assurdo. 

Le  punizioni  sono  inflitte  secondo  l'art.  332 
del  Regolamento  Generale  degli  Stabilimenti  car- 
cerarti. 

Le  punizioni,  che  possono  essere  inflitte  ai 
detenuti  ed  ai  coatti,  sono  : 

a)  ammonizione  fatta  a  voce  dal  diret- 
tore ecc.  ecc. 

b)  cella  ordinaria,  da  uno'  a  venti  giorni, 
con  la  privazione  del  sopravvitto. 


—  89  — 


c)  cella  ordinaria  a  pane  ed  acqua,  da  uno 
a  trenta  giorni. 

d)  cella  di  punizione  a  pane  ed  acqua,  da 
cinque  a  quindici  giorni. 

e)  cella  di  punizione  a  pane  ed  acqua,  da 
quindici  a  trenta  giorni,  con  camicia  di  forza. 

f)  cella  oscura  a  pane  ed  acqua,  da  cinque 
a  venti  giorni,  con  camicia  di  forza  o  con  ferri. 

g)  cella  di  isolamento,  da  due  a  sei  mesi. 
Questo  comma  g  diventa,  per  i  coatti,  l'invio 

a  Gavi. 

Gavi  è  un'antica  fortezza  in  quel  di  Ales- 
sandria, dove  si  inviano  i  coatti,  per  due  a  sei 
mesi,  con  un  giorno  a  pane  ed  acqua  e  due 
giorni  a  pane  e  minestra.  Su  sei  mesi  du6  di 
digiuno  assoluto.  Il  freddo  fa  il  resto. 

Queste  punizioni  sono  in  assoluta  facoltà  del 
direttore,  il  quale,  se  à  talento  di  ammazzare 
un  uomo,  a  tutto  il  diritto  di  tenerlo  prima,  per 
un  mese,  a  pane  ed  acqua  in  cella  oscura,  con 
catene  ai  piedi  ed  a  le  mani,  con  camicia  di  forza, 
con  accessorii  di  pugni  e  bastonature  —  che 
sono  una  specialità  dei  poliziotti  italiani  —  steso 
su  un  tavolaccio,  dove,  per  variare,  lo  si  può 
legare  in  croce  ;  o  raggomitolato  in  una  cassa 
mortuaria,  con  le  mani  dietro  la  schiena:  dopo  ' 
ciò,  con  due  mesi  di  transito  può  spedirlo  a  Gavi, 
per  la  buona  morte. 


—  90  — 


Infatti,  l'Art.  346  del  Regolamento  carce- 
rario, con  la  gesuitica  untuosità,  che  è  carat- 
teristica di  questo  governo  scelleratamente  bi- 
gotto, dice  : 

II  consiglio  di  disciplina  locale  è  composto  del 
Direttore,  dell'impiegato  che  gli  succede  ih  grado, 
del  cappellano  e  del  medico- chirurgo. 

Lasciando  da  parte  il  medico-chirurgo,  che 
può  essere  una  persona  colta,  coscienziosa  ed 
umana,  lasciando  da  parte  il  cappellano,  che, 
per  il  suo  ministero  e  per  le  tradizioni  della 
sua  chiesa  è  più  presto  un  carnefice  che  un  sa- 
cerdote, restano  giudici  il  direttore  e  V  impie- 
gato, che  gli  succede  nel  grado. 

L'impiegato,  naturalmente,  per  la  sua  fun- 
zione e  per  la  psicologia  della  sua  classe,  è  una 
marionetta  nelle  mani  del  suo  principale;  sicché 
restano,  nella  più  rosea  delle  ipotesi,  due  con- 
tro due. 

A  ciò  provvede  lo  sfacciato  Art.  347  : 

consiglio  di  disciplina  locale  è  presieduto 
da  V Autorità  dirigente  e  decide  a  maggioranza 
di  voti,  con  la  prevalenza  di  quello  del  Presi- 
dente, in  caso  di  roti  eguali. 

Sicché  —  come  dicono  in  Romagna  —  il 
presidente  se  la  fa  e  se  la  dice. 


—  91  — 


Con  questo  sistema  inqualificabile  di  corre- 
zione, a  domicilio  coatto  ci  sono  di  quelli,  che, 
in  un  mese,  mangiano,  tra  celle  di  punizione, 
transiti,  massette  sequestrate  da'  creditori,  otto, 
dieci  o  dodici  volte  ;  ed  il  loro  pranzo  è,  come 
ò  detto,  costituito  da  una  scodella  di  fagiuoli 
e  di  patate. 

Per  le  mille  torture  parecchi  impazziscono. 

Anche  pazzi,  mattoidi,  epilettici,  il  governo 
li  mantiene  qui,  in  questo  enorme  ed  indescri- 
vibile crogiuolo  di  delinquenza  e  di  degenera- 
zione, che  fa  strombazzare  quale  scuola  di  cor- 
rezione e  di  rinsavtmento  per  ladri,  matti, 
accoltellatori,  socialisti,  magnaccia,  repubbli- 
cani, camorristi  ed  anarchici. 

Tra  i  pazzi,  che  liberamente  girano  la  Co- 
lonia, ce  vl  è  uno,*  che  si  veste  da  ufficiale  di 
cavalleria,  con  i  calzoni  da  coatto  stretti,  attil- 
lati, con  il  colbak  in  testa.  Si  avvicina  pia- 
gnucolando e  dice  : 

—  0  bisogno  di  mangiare  carne  !  Datemi 
un  soldino  ! 

Un  altro  passeggia  furioso,  come  Achille,  su 
la  riva  del  rimbombante  mare,  con  il  cappello 
mantenuto  in  bilico  su  la  testa,  rovesciato.  Si 
avvicina  e,  fermandosi  su'  due  piedi,  chiede  : 

—  Signorini  anarchici,  datemi  una  cicca  ! 
Un  altro  era  qui,  per  le  leggi  eccezionali. 


—  92  — 


Catalogato  tra  i  politici,  si  dichiarava  socialista. 
Figlio,  a  suo  dire,  di  Carlo  Cattaneo,  salutava 
il  levar  del  sole  a  V  uso  maomettano  e  perse- 
guitava i  preti.  Voleva  accoppare  or  1'  uno  or 
l'altro  deJ  compagni,  credendoli  Carlisti.  Gesti- 
colava per  via  ed  ad  ogni  sottana  nera  minac- 
ciava : 

—  Prete,  me  la  paghi  ! 

Quando  incominciò,  sotto  il  sol  di  luglio,  ad 
inseguire  i  preti  con  sassi,  uno  di  essi  ci  disse: 

—  Finche  gesticola  e  parla,  sta  bene;  ma  se 
tira  sassi,  io  gli  rompo  la  testa. 

E'  passato  da  Lipari  ad  un  manicomio  ;  da 
il  manicomio  ad  un'  altra  isola  ;  sempre  come 
propagandista  attivissimo  e  socialista  influente. 

Altri  si  incontrano,  soli,  rivolgendo  concitate 
orazioni  a  se  stessi,  intercalale  da  parole  oscene 
e  da  atti  oscenissimi. 

Dato  questo  stato  di  cose,  data  la  irritazione 
continua  nella  quale  vivono  questi  coatti,  la 
fame,  la  ferrea  disciplina,  lo  squilibrio  mentale, 
le  malattie,  i  digiuni,  l'ozio,  le  ubbriacature, 
la  conclusione  ne  scaturisce  chiara.  I  reati,  al- 
cuni contemplati  da  il  codice  penale,  altri  arti- 
ficiali, creati  da  il  foglio  di  permanenza,  si  mol- 
tiplicano in  modo  addirittura  spaventevole. 

I  reati  sono  di  mille  nature:  da  il  commercio 
con  una  cagna  a  la  ritirata  due  minuti  dopo  il 
segnale,  dato  da  la  tromba. 


—  93  — 


I  reati,  in  questa  barbara  disciplina,  si  pos- 
sono inventare  :  alcune  volte  si  a  interesse  a 
farlo. 

Mi  spiego  più  chiaramente. 

Quando  era  commissario  in  Sicilia  il  gene- 
rale Mirri,  capitò  qui,  un  giorno,  a  F  improv- 
viso, ad  esaminare  i  registri  della  direzione  e 
più  specialmente  si  fermò  su  l'elenco  dei  puniti 
in  cella  e  volle  verificare  se  il  numero  dei  con- 
dannati corrispondesse  a  le  massette  segnate 
come  ritenute. 

Giacche,  quando  il  coatto  è  in  cella,  egli  non 
à  diritto  alcuno  a  la  massetta,  la  quale  torna  a 
F  Erario. 

II  commissario  trovò,  sotto  questo  punto 
di  vista,  le  cose  in  regola  e  ne  lodò  F  attuale 
direttore.  Fu  allora  che  il  Generale  Mirri  inau- 
gurò il  suo  laconico  sì  ;  ma  concettoso  frasario, 
quando,  imbarcandosi,  fu  udito,  mentre  si  fre- 
gava, per  compiacenza,  le  mani,  esclamare  : 

—  Ohi  dorme  non  piglia  pesci  !  Viva  il  ci- 
nematografo ! 

Il  Generale  era  stato  bene  informato  ;  ma 
egli  sbagliò  tempo  e  direzione. 

Se  un  direttore  vuole,  può  consegnare  qua- 
ranta persone  al  giorno  in  cella  di  punizione, 
per  futili  motivi  e  ritenersi  quaranta  volte  dieci 
soldi,  giornalmente.   Insomma  il  direttore  può 


—  94  — 


truffare  allegramente  la  massetto,  del  coatto,  di 
accordo  con  il  brigadiere. 
Qualche  volta  la  truffa. 

Un  ex- direttore  di  una  delle  sette  colonie, 
giuocatore  sfrenato,  quando  la  sera  perdeva  nel 
Circolo  dei  signori,  la  mattina  dopo  chiamava 
il  brigadiere,  per  dirgli  : 

—  Oggi  mi  oc3orrono  quaranta  coatti  in 
cella. 

Ciò  non  è  tutto. 

Quando,  in  un'  isola,  arrivò  un  nuovo  di- 
rettore, si  vide,  una  bella  mattina,  giungere  un 
vaglia  da  una  Impresa  di  fornitura,  la  quale 
gli  spiegava  come  qualmente  quelle  cento  e  più 
lire  fossero  la  sua  quota  mensile  de'  lucri  del- 
l' impresa. 

Non  fo,  per  ora,  il  nome  di  questo  direttore 
onesto,  il  quale  respinse  il  denaro,  minacciando 
di  una  denuncia  al  procuratore  del  re. 

Non  lo  fo  per  non  dire  il  nome  del  suo  pre- 
decessore ;  il  che  non  dice  che  io  non  possa 
tornare,  nel  terzo  volume  di  questa  prima  delle 
dieci  trilogie  dedicate  al  domicilio  coatto,  a  par- 
lare più  diffusamente  e  più  particolarmente  del- 
la condotta  tenuta  da'  singoli  direttori  di  colonia, 
da  i  graduati,  da  le  diverse  imprese. 

Un  direttore  di  colonia  può  liberamente  e- 
spletare  le  sue  tendenze  mariolesche,  se  ne  à, 


—  95  — 


o  le  sue  libidini  tiranniche.  Egli  può,  senza 
controllo  alcuno,  funzionare  da  Rocambole  in 
diciottesimo  o  da  Tiberio  in  sessantaquattresimo. 

Il  domicilio  coatto,  essendo^  una  impudente 
violazione  della  Costituzione,  che  è  o  dovrebbe 
essere  lex  legis,  contiene  in  sè,  per  la  sua  me- 
desima natura,  tutte  le  violazioni  e  tutte  le  be- 
stemmie più  spudorate  dello  spirito  e  della  lettera 
di  tutte  le  leggi. 

Per  esso,  la  tortura  à  ancora  pieno  vigore. 
Se  ad  un  brigadieruccio  qualsiasi  torna  il  conto 
di  appellarsi  a  questa  regina  delle  prove,  come 
la  chiamavano  i  giuristi  medio -evali,  non  è  al- 
cuno che  possa  impedirglielo  o  che,  potendolo, 

10  tenti. 

Fino  a  poco  tempo  fa,  i  coatti  erano  mas- 
sacrati impunemente  :  si  torturava  abitualmente 
e  voluttuosamente.  Un  noto  e  famigerato  bri- 
gadiere torturava  con  ferri  e  con  corde;  quando 

11  paziente  non  resisteva  più,  era  legato  con 
funi  a  le  braccia  ed  a  il  petto  e  sceso  giù,  in 
un  pozzo,  tenutovi  finché  non  avesse  confessato, 
a  voce  od  in  iscritto,  ciò,  che  a  quell'esoso  ar- 
nese di  polizia  tornava  conto  confessasse. 

11  governo  queste  infamie  non  le  ignora,  che 
anzi  le  approva  e  le  incoraggia,  tanto  che  quel 
brigadiere  è  uno  dei  suoi  più  cari  cagnotti. 

I  voluti  massacri,  nelle  isole,  non  sono  rari. 


—  96  — 


Qua,  in  Lipari,  ì  cittadini  ricordano  ancora,  con 
raccapriccio  ed  orrore,  quello  del  3  marzo  1892. 

Ad  i  coatti  era  stato  dato,  nella  stagione 
invernale,  la  contr1  ora,  cioè  a  dire  che  le  ore 
di  libertà  erano  state  ridotte  a  quattro.  Non  es- 
sendovi alcuna  ragione  ,  che  giustificasse  o 
spiegasse  la  nuova  vessazione,  essi  credettero 
ravvisarvi  1'  interesse  di  tenerli  chiusi  in  ca- 
stello, dopo  la  distribuzione  della  massella,  per 
costringerli  a  spendere  in  una  cantina,  la  quale, 
a  gli  occhi  loro,  godeva  la  protezione  delle  au- 
torità. 

Un  giorno  si  riunirono,  pacificamente,  a  la 
marina  corta,  per  protestare  contro  questo  di- 
rettoriale ukase. 

Da  il  castello  fa  suonato  la  ritirata  a  passo 
di  corsa  ;  essi  non  si  mossero. 

I  cittadini  di  Lipari  asseriscono  : 

Allora  il  direttore  fece  chiudere  gli  sbocchi 
tutti  delle  vie  da  guardie,  carabinieri  e  soldati. 
Ed,  ad  un  dato  segnale,  guardie  e  carabinieri 
si  precipirarono  addosso  a'  coatti,  a  pugni,  a 
calci,  a  sciabolate,  a  colpi  di  revolver. 

II  massacro  fu  orrendo.  Il  capitano  coman- 
dante il  presidio,  reitiratamente  invitato,  reiti- 
ratamente  rifiutò  di  ordinare  il  fuoco  ai  suoi 
soldati;  un  tenente  fece,  di motu proprio,  aprire 
le  fila,  per  dare  agio  a  quei  poveretti  di  fug- 


—  97  — 


gire;  ma  la  caccia  continuò,  per  ore,  in  tutto 
il  paese. 

La  ferocia  e  la  libidine  del  sangue  erano 
arrivati  a  tanto  che,  non  avendo  più  coatti  da 
ferire,  alcune  guardie  (storico  !)  si  dettero  a 
sventrare,  a  sciabolate,  cani  e  cagne. 

I  feriti  constatati  furono  innumerevoli  ;  molti 
le  ferite  nascosero  sotto  i  luridi  stracci,  paven- 
tando di  dovere,  con  mesi  di  carcere,  numerare 
le  gocce  di  sangue  perdute.  Infatti  i  primi,  por- 
tati a  l'infermeria,  passarono  da  questa  a  le  celle 
di  punizione,  da  le  celle  ad  il  carcere,  da  il 
carcere  ad  il  Tribunale  di  Messina. 

Molti  cittadini,  volontariamente  offertisi  a 
testimoniare,  non  furono  accettati;  il  capitano 
del  presidio  non  fu  inteso. 

Coloro  che  si  distinsero  nella  repressione 
furono  il  direttore  Monachesi,  il  noto  brigadiere 
Bonocore  (ironia  dei  nomi  !)  ed  il  maresciallo 
dei  E,.  0.  Ferrer. 

Di  tali  lagrime  gronda  e  di  tal  sangue  il 
domicilio  coatto.  Limitandoci,  ora,  a  registrare 
le  lagrime  sparse,  ci  dedicheremo,  in  appresso, 
a  segnare  il  sangue  versato,  augurandoci  che  il 
governo,  mantenendoci,  con  soldatesca  cocciu- 
taggine e  stupefacente  illogicità,  in  queste  bolgie 
per  altri  mesi  e,  se  gli  fa  comodo,  per  altri 
anni,    ci  dia   modo  di  richiamare  continua- 


—  98  — 


mente  la  attenzione  degli  Italiani  su  ciò,  clie 
è,  oggi,  il  domicilio  coatto,  perchè  possano  in- 
tendere che  cosa  sarà,  domani,  la  relegazione. 

Costretti  a  tale  vita,  i  coatti  peggiorano 
giornalmente  :  più  che  intristire,  essi  istupidi- 
scono. Le  sette  colonie  potrebbero  fondersi  in 
un  sol  manicòmio  e  niun  psichiatra  vi  trove- 
rebbe a  ridire. 

Se  il  governo  italiano  si  imbattesse  in 
un  Niccolò  Macchiavelli,  lo  invierebbe  a  domi- 
cilio coatto,  accusandolo  di  avere  scritto  le  Isto- 
rie fiorentine.  Questo  Niccolò  Macchiavelli,  dopo 
sei  mesi,  diverrebbe  un  Pier  Soderini,  se  non 
divenisse  un  Pietro  Aretino. 

La  pederastia,  il  giuoco,  ii  furto,  l'omicidio 
sono  tutti  innesti  del  gran  tronco,  coltivato,  con 
amorevole  cura,  dal  regio  governo:  padre  di  tutti 
i  vizii  è  1'  orribile  ozio,  l'ozio  maledetto,  che 
avvelena  la  vita. 

L'ozio,  accoppiato  a  la  miseria,  è  padre  ge- 
neroso di  delinquenza  e  degenerazione.  E'  a 
quest'ozio  bestiale  che  i  governanti,  a  mezzo 
della  polizia,  condannano  coloro,  che  una  igiene 
sociale  più  umana  avrebbe  potuto  rendere  padri, 
sposi  e  cittadini  esemplari. 


—  99  — 


XIII. 
La  massetta. 

Il  lavoro  manca  :  il  governo  bestiale  ne  lo 
dà,  ne  pensa  a  provvederne. 

Esso  si  limita  a  passare  ai  coatti  cinquanta 
centesimi  al  giorno,  che  devono  bastare  per 
vitto,  biancheria,  abiti,  scarpe,  lavanderia  e 
tutte  le  altre  necessità  della  vita. 

L'esistenza  del  coatto  è  nella  massetta. 

Per  i  transiti,  ai  nuovi  assegnati,  ò  inteso 
fare,  con  insistenza,  la  raccomandazione  : 

—  Non  impegnarti  la  massetta  ! 

Nel  fatto,  l'ànno  impegnata  seicento  su  set- 
tecento. 

Dopo  tre  mesi,  che  sono  qui,  ànno  impegnato 
o  venduto  abiti,  biancheria,  valigie,  calzature; 
dopo  ciò  non  resta  loro  che  impegnare  l'assegno 
giornaliero. 

Cominciano  con  1'  ipotecarne  una  parte,  re- 
stando con  due  o  tre  soldi  al  giorno,  per  non 
morire  di  fame. 

Questi  due  o  tre  soldi  dànno  loro  tanto  di 
forza,  da  potersi  trascinare,  carponi,  a  la  tomba. 

Ridotti  in  tale  squallida  miseria,  trovano 
delle  piovre,  pronte  a  succhiare  le  poche  gocce 
di  povero  sangue,   che  loro  rimane  ;   in  tanto 


—  100  — 


squallore,  trovano  ancora  degli  ingordi  specu- 
latori, che  li  ródono,  come  pidocchi. 

Questi  stomachevoli  pidocchi  non  sono  molti 
nelle  isole;  ma,  pur  contandosi  su  le  dita,  ba- 
stano a  svenare  li  infelici,  che,  da  la  miseria, 
sono  spinti  sotto  le  loro  bocche,  avide  di 
sangue. 

La  ritenuta  della  massella  è  una  istituzione: 
è  come  la  ritenuta,  che  le  maitresses  fanno  su 
le  prostitute,  nei  lupanari. 

Appena  giunti  nelle  isole,  i  coatti  sono  ac- 
cerchiati, incitati,  spinti  a  rifocillarsi  in  una 
delle  cantine,  che  sono  trabocchetti,  preparati 
per  spogliarli  e  derubarli. 

Affamati,  senza  un  soldo,  accettano,  come 
una  provvidenza,  l'anticipo  del  vitto  e,  se  lo 
desiderano,  l'anticipo  di  due  o  tre  lire. 

Aperto  il  conto  corrente,  non  vi  è  più  via, 
per  essi,  di  tornare  in  possesso  di  quel  loro  sus- 
sidio giornaliero,  a  cui  gli  ignobili  sciacalla 
danno  la  caccia. 

A  togliere  il  debito,  lo  rilasciano,  a  loro  fa- 
vore; ma  il  debito  non  si  toglie  mai,  che  anzi 
aumenta  continuamente,  mentre  il  vitto  dimi- 
nuisce di  continuo. 

Si  arriva  al  punto,  che  essi  non  ritirano  più 
nulla,  restando  i  nauseanti  dissanguatori  pos- 
sessori di  trenta  o  quaranta  e  fin  di  ottanta 
massetto,  ogni  giorno. 


—  101  — 


Questi  pidocchi  sono  i  veri  padroni  delle 
colonie:  di  fronte  ad  essi  strisciano  i  coatti  e 
la  autorità  di  P.  S.  nulla  può  o  nulla  vuole. 
Giacche  invano  contro  di  essi  qualche  intelligente 
direttore  di  colonia  à  cercato  e  sperimentato 
un  rimedio;  che,  a  lo  stringere  de'  nodi,  i  me- 
desimi coatti  sono  quelli,  che  li  difendono  e  li 
riparano. 

Tuttavia,  scomparsa  addirittura  la  camorra, 
contro  la  quale  molti  processi  anno  imbastito  le 
autorità  locali,  per  annientarla,  io  penso  che 
opera  buona  farebbero  —  relativamente  par- 
lando —  i  direttori  di  colonia,  a  distruggere 
col  ferro  e  col  fuoco  questa  mala  genìa  di  pa- 
rassiti, che  della  vecchia  camorra  à  preso  posto 
e  costume. 

A  Y  industria  fruttifera  della  cucina,  va  u- 
nita  l'  altra  dei  pegni  ;  che  qui  egregiamente 
funzionano  case  di  pegno  non  autorizzate,  le 
quali  accettano  oggetti,  valutandoli  la  decima 
parte  del  loro  valore  reale,  del  valore  valutato 
dando  il  decimo  e  pigliando,  di  interesse,  il 
25  0[Q  la  settimana,  cioè  il  1400  a  Tanno. 

Orologi  con  catene,  di  cinquanta  lire,  im- 
pegnati per  dieci  lire,  restano  in  mano  degli 
strozzini,  dopo  che  il  coatto  à  pagato,  per  tre 
o  quattro  mesi,  due  lire  o  due  lire  e  cinquanta 
la  settimana  ;   paletot,  abiti,  biancheria,  tutto 


—  102  — 


finisce  nelle  mani  di  questi  Thenardier,  clie 
prosciugano  le  isole. 

Li  si  vede  aggirarsi  attorno  ai  coatti,  nel- 
l'ora della  massetta,  quali  bestie  predatrici,  tra 
una  fila  e  l'altra  di  soldati,  che,  con  le  bajo- 
nette  in  canna,  assistono  a  la  distribuzione  dei 
cinquanta  centesimi. 

Quei  soldati  sono  lì  a  mantenere  il  buon 
ordine,  che  è  spesso  turbato.  Infatti  molti  scel- 
gono appunto  quel  momento,  per  insolentire 
contro  le  guardie  o  per  accoltellare  un  debitore 
insolvibile  o  per  vendicare  un'offesa  o  per  pro- 
vocare un  rivale  in  quelli  schifosissimi  amori, 
che  fioriscono  nelle  isole. 

Ma  se  gli  infelici  sfuggono  a  le  bajonette 
de' soldati,  a  le  punizioni  de' superiori  (guardie), 
se  riescono  ad  evitare  manrovesci  o  pedate,  rim- 
proveri o  coltellate,  non  arrivano  mai  a  sfug- 
gire ai  lincei  occhi  degli  strozzini,  i  quali  li  at- 
tendono, li  spiano,  li  seguono,  ed,  appena  fuori 
degli  occhi  delle  guardie,  si  slanciano  loro  ad- 
dosso, carpendo  quei  pochi  centesimi,  che  do- 
vrebbero assicurare,  per  un  giorno,  la  vita  di 
un  uomo. 

Tuttavia  accade  che  spesse  volte  coloro 
stessi  che  dovrebbero  salvaguardare  la  inseque- 
strabilità  della  massetta  del  coatto,  sono  appunto 
quelli  che  danno  mano  forte  a  gli  usurai,  ren- 


—  103  — 


dendosi  doppiamente  colpevoli.  Potrei  citare  fatti 
e  nomi,  che  lascio,  per  ora,  nella  penna. 

Sarebbero  quindi  da  incoraggiare  e  da  lodare 
quei  direttori  di  colonia,  che  si  apprestassero  ad 
estirpare,  da  le  radici,  la  mala  pianta  della 
usura,  la  quale  va  dilagando  in  modo  spa- 
ventevole. 

Gii  esercenti  abusivamente  case  di  pegno 
sono  noti  lippis  et  tonsoribus  in  tutte  le  isole: 
bisogna  schiacciare  V  idra  mostruosa,  conse- 
gnando, senza  pietà  e  senza  riguardo  alcuno, 
questi  voraci  e  famelici  ed  insaziabili  bevitori 
di  sangue  al  procuratore  del  re. 

Questa  calda  invocazione  al  procuratore  del 
re  non  piace  al  mio  editore,  che,  furbescamente, 
à  tentato  due  volte  di  farla  scomparire  da  le 
bozze,  ne  può  piacere  a  gli  altri  amici  anarchici, 
ne  piacerebbe  a  me  se  altra  via  ci  fosse  per 
provvedere  a  la  salus  pubblica. 

Ma,  disgraziatamente,  non  essendoci,  è  ne- 
cessità cercare  e  trovare  nella  società,  nella 
quale  viviamo,  i  rimedii  migliori  per  le  vergogne 
peggiori,  pur  sospirando,  con  tutta  V  anima,  il 
giorno  od  il  secolo  od  il  millennio,  nel  quale, 
scomparse  le  leggi  ed  i  procuratori  dei  re  o 
della  repubblica,  scomparse  la  moneta  e  la  pro- 
prietà privata,  funeste  genitrici  di  tutti  i  delitti, 
distrutto  nell'uomo  la  libidine  della  ricchezza  a 


—  104  — 


spese  de'  suoi  simili,  possano  le  piccole  offese 
recate  a  la  comunità,  da  la  comunità  stessa, 
come  da  una  grande  famiglia,  essere  benevol- 
mente risolute. 

L'opera  invocata  sarà  tanto  più.  meritevole, 
in  quanto  presenta  maggiori  difficoltà;  che  coloro 
medesimi,  come  ò  detto,  che  si  lamentano  oggi 
e  piagnucolano  ed  accusano,  sono  quelli  che 
ànno  difeso  ieri  e  difenderanno  domani  gli  stroz- 
zini, dei  quali  sono  schiavi  sottomessi. 

Perciò  è  dato  ritenere  che,  finche  il  do- 
micilio coatto  esisterà,  il  denaro,  che  il  governo 
spende  a  mantenere  nell'  ozio  cinquemila  cit- 
tadini, servirà  solo  ad  ingrassare  queste  spaven- 
tevoli murene,  che  si  cibano  di  carne  di  schiavi. 

Il  Bissolati,  negli  articoli  pubblicati  sin  dal 
1897  su  V Avanti,  propose  il  passaggio  a  l'am- 
ministrazione dello  stato  di  tutta  la  gestione 
amministrativa  e  la  somministrazione  del  vitto 
ai  relegati. 

Ma  anche  questi  mezzi  termini  sono  panni- 
celli caldi,  che  farebbero  solo  mutare  genere  di 
tormento  ai  tormentati,  per  nulla  migliorando, 
sostanzialmente,  la  loro  condizione. 

Noi  socialisti  faremo  bene  a  non  fermarci 
neppure  per  un  momento  a  discutere  di  mezzi 
termini,  quando  il  nostro  compito  è  ben  deli- 
neato da  la  necessità  di  gridare  semplicemente 


—  105  — 


il  Delenda  ad  una  istituzione,  che  à  dato  troppe 
prove  della  sua  nessuna  efficacia  e  dei  suoi  spa- 
ventevoli effetti,  per  poter  essere  ancora  man- 
tenuta in  piedi,  comunque  raffazzonata  o  mo- 
dificata, senza  uno  sfacciato  oltraggio  a  la 
civiltà. 

Come  noi  non  possiamo  che  opporci,  con 
tutte  le  nostre  forze,  al  nuovo  progetto  di  legge 
su  la  relegazione,  il  quale  progetto,  in  un  paese 
vandeano  come  il  nostro,  non  può  mirare  che 
ad  una  preparazione  per  colpire  i  socialisti  e  li 
anarchici  con  legge  da  votarsi,  a  la  prima  oc- 
casione di  torbidi  o  tumulti,  da  le  Camere,  sotto 
lo  stimolo  della  paura. 

Approvata  la  relegazione  per  reati  comuni, 
noi  avremmo  data  una  nuova  arme  da  affilare, 
contro  di  noi,  a  la  polizia  politica  ;  a  la  quale 
polizia  è  piuttosto  da  strappare,  con  i  denti,  il 
veleno  perchè  più  non  morda  e  non  attossichi 
ed  è  piuttosto  da  disarmare  di  tutte  le  armi 
insidiose,  delle  quali  è  in  possesso,  che  da  ar- 
mare di  nuovi  mezzi  di  persecuzione. 

Sfruttati  in  tale  malo  modo,  i  coatti  vivac- 
chiano nel  più  compassionevole  e  disgustante 
squallore,  morsicati  e  dissanguati  da  insetti  e 
da  usurai,  stracciati,  sporchi,  laceri,  arruffati, 
disordinati,  capelluti,  pidocchiosi,  irritati,  esa- 
sperati, incimiciati. 


—  106  — 


L'ozio,  livido  padre  dei  vizii  ;  la  miseria, 
squallida  madre  di  delinquenza,  ecco  le  furie 
atroci,  che,  rodendo  il  cervello,  straziano  Panima 
di  questi  rejetti,  stritolati  in  questi  ammazzatoi, 
che  sono  le  isole-geenne. 

XIV. 

Un  romagnolo  autentico. 

Il  mio  solerte  editore,  Ugo  Lambertini,  ti- 
pografo, socialista-anarchico  da  Imola,  è  un  ro- 
magnolo puro  sangue,  di  quella  forte  e  generosa 
razza  di  Romagna,  che,  invano,  i  tremebondi 
forcajoletti  vanno  sognando  estinta. 

Di  quella  generosissima  razza  à  tutti  i  ca- 
ratteri :  da  quelli  psichici  a  quelli  fisici,  da 
quelli  del  pensiero  a  quelli  del  vestire;  i  quali 
ultimi  si  riassumono  nel  cappello,  che,  nelle 
molteplici  ed  anti-estetiche  ammaccature,  è 
tutto  un  poema. 

Quando  un  romagnolo  puro  sangue  gitta  il 
primo  vagito,  non  potendo  dirlo,  giacche  anche 
egli,  per  quanto  insofferente  di  freni  e  di  in- 
dugi, deve  attendere  un  anno  prima  di  acqui- 
stare l'uso  della  parola,  pensa  : 

—  Avanti  e  coraggio  ! 

E'  il  suo  grido  di  guerra,  che  gitta  nel  cam- 
mino di  sua  vita,  nelle  tristi  e  nelle   liete  oc- 


—  107  — 


casioni,  nelle  gioje  e  nei  dolori,  su  le  vette  e 
nei  burroni,  in  terra  ed  in  mare,  innanzi  ad 
un  buon  fiasco  od  alla  bocca  di  un  cannone, 
da  la  culla  al  letto  di  morte,  quando,  riunendo 
le  ultime  forze,  sospira  : 

—  Coraggio  ed  avanti  ! 
e  spira. 

Il  romagnolo  autentico  voi  lo  riconoscerete 
tra  una  turba  o  tra  una  folla,  in  un  congresso 
od  in  una  dimostrazione,  nella  danza  o  nel  fu- 
nerale, come  palombaro  o  come  alpinista,  come 
beone  o  come  astronomo.  Il  suo  largo  e  tran- 
quillo sorriso,  illuminandogli  il  viso,  vi  inonda 
l'anima  di  sereno  e  di  dolcezza.  Egli  muove  a 
voi  incontro  e  pare  vi  arrechi  la  pace  ed  il  con- 
forto, mentre  credete  vedergli,  in  mano,  un 
ramo  d'  ulivo.  Quando  vi  rivolge  la  prima  pa- 
rola è  già  vostro  amico  e  se  gli  saprete  leggere 
nell'animo,  vi  troverete  come  lo  scontento  di 
non  avervi  visto  prima,  con  il  dubbio  che  non 
sia  stato  già  avvinto  a  voi  da  antichi  legami. 
Voi  movete  a  lui  incontro,  mentre  egli,  con  le 
mani  stese  ed  aperte,  pare  vi  porga  il  cuore  e 
vi  dica  : 

—  Esso  è  vostro,  prendetelo. 

Così  è  apparso  a  me  Ugo  Lambertini. 
Egli  ebbe  la  sua  prima  condanna,  giovinetto, 
per  aver  dato  ima  lezione  ad  un  ricevitore  del 


—  108  — 


dazio  che,  durante  le  sue  funzioni,  aveva  trat- 
tato male  una  donna. 

Ciò  attirò  su  lui  1'  attenzione  delle  autorità 
superiori,  le  quali  nel  giovinetto  generoso  e 
buono  scorsero  il  rivoltoso  e  nell'atto  videro  il 
semenzajo  di  idee  anti-costituzionali. 

Da  quel  disgraziato  giorno  —  sono  passati 
11  anni  cir^a* —  il  Lambertini  è  stato  conse- 
gnato ai  Regi  Procuratori  ed  ai  Pubblici  accusa- 
tori, socialista  prima,  socialista-anarchico  dopo, 
astensionista  impenitente  ed  incorreggibile. 

Come  socialista,  prima  della  costituzione  del 
partito  socialista  italiano,  fu  segretario  della 
sezione  imolese. 

Della  latitanza,  a  la  quale  dovè  darsi  in  tutte 
le  occasioni,  in  cui  per  un  movimento  o  per 
1'  altro,  avvenuto  in  Imola  o  in  Romagna,  era 
ricercato  per  esservi  coinvolto,  provò  tutte  le  an- 
sie. E  nell'esilio  provò  quei  dolori  e  quella  amara 
nostalgia  del  bel  sole  d' Italia,  che  intendere 
non  può  chi  non  li  prova,  dopo  essere  stato,  nel 
189-1,  condannato  a  tre  anni  di  domicilio  coatto, 
che  sconta  ancora  e  che  finirà  di  scontare  in 
non  so  quale  anno  del  ventesimo  secolo. 

Fu  arrestato,  reduce  da  la  Svizzera  e  par- 
tente per  la  Grecia  e,  dopo  scontata  una  di 
quelle  condanne,  delle  quali  abbiamo  sempre  in 
serbo  un  sacco  ed  una  sporta,  fu  messo  in  li- 
bertà condizionale. 


—  109  — 


Dopo  soli  quattro  mesi  di  libertà,  avvenuti 
i  fatti  del  maggio,  fu  processato  per  associazione 
a  delinquere,  insieme  ad  altri  otto  e  condannato, 
in  base  all'art.  251  del  C.  P.,  a  sette  mesi  di 
detenzione,  per  il  semplice  fatto  di  essere  uno 
dei  socii  più  attivi  della  Federazione  socia- 
lista-anarchica Romagnola  e  per  il  grave  de* 
litto  di  essere  stato  uno  degli  iniziatori  della 
protesta  Al  popolo  italiano  —  che  raccolse  più 
di  4000  firme  di  socialisti-anarchici  —  contro 
l'applicazione  dell'art.  248  al  Malatesta  e  com- 
pagni. 

L'  illustre  Cav.  G-aleati,  il  Nestore  dei  ti- 
pografi italiani,  presso  il  quale  il  Lambertini 
lavorava  amato  e  stimato,  assai  impressionato 
per  l'arresto,  scrisse  invano  una  lettera  al  Pre- 
fetto di  Bologna,  reclamando  la  sua  libertà. 

Ed  invano  Imola,  la  generosa,  unanime 
protestò. 

La  vecchia  mamma,  ammalata  e  accasciata 
dagli  interminabili  dolori,  gli  mandò  la  sua  be- 
nedizione e  sintetizzò  i  suoi  voti  nella  speranza 
di  rivederlo,   prima  di  morire. 

Il  babbo,  una  vecchia  tempra  di  quelle  buone, 
gli  scrisse: 

—  Coraggio  ed  avanti  ! 

Intanto  la  famiglinola  langue  nelle  condi- 
zioni tristi  dei  lavoratori,  che  del  lavoro  sono 


—  110  — 


privi,  giacche  Ugo  della  famiglia  era  Y  unico 
sostegno  e  la  sua  fiorente  tipografia,  a  la  quale 
aveva  dedicato  l' entusiasmo  di  un  lavoratore  e 
di  un  artista,  fu  travolta  con  lui  nelle  perse- 
cuzioni poliziesche;  con  che  gli  spezzarono  il 
cuore. 

Ma  il  Lambertini  è  una  fibra  anarchicamente 
resistente  e  ogni  qualvolta  gli  è  stato  annun- 
ciato, da  persone  care,  la  possibilità  di  qualche 
passo  per  fargli  ottenere  la,  libertà  condizionale, 
egli  à  risposto  sempre  con  uno  sdegnoso  rifiuto. 

Che  egli  ama  il  socialismo-anarchico  con 
un  amore  più  che  figliale:  con  un  amore  ad- 
dirittura materno.  Per  il  socialismo-anarchico 
conserva  gli  entusiasmi  più  puri  ed  ad  esso 
dedica  i  suoi  pensieri  più  delicati  e  tutta  la 
sua  attività. 

Non  vi  è  movimento  anarchico,  del  quale 
non  si  interessi  (attenti,  poliziotti  d'Italia!  che 
io  ve  lo  denunzio),  non  compagno,  nelle  più 
lontane  plaghe  del  mondo,  al  quale  non  diriga 
affettuose  lsttere,  come  a  fratello  lontano. 

Prima  del  domicilio  coatto,  pesava  centosei 
chilogrammi . 

—  Ero,  dice  con  un  certo  rimpianto,  il  com- 
positore più  grasso  d'Italia! 

Ora  è  ridotto  a  la  metà,  e  buon  per  lui,  che 
resiste  tanto,   che  vi  sono  alcuni,  ai  quali  il 


—  Ili  — 


domicilio  coatto  à  lasciato  appena  le  scricchio- 
lanti ossa  e  la  sottile  pelle  e  la  poca  forza  per 
trascinare  quelle  e  questa.  Ma  i  Verre  d'Italia 
ridono  al  triste  spettacolo  ed  ad  essi  è  serbata 
la  morte  di  Margutte  e  di  Pietro  Aretino,  che, 
per  troppo  ridere,  creparono  :  quest'  ultimo,  in 
un  postribolo. 

E'  il  Lambertini  il  tipo  predominante  tra 
quelli  operai  anarchici,  che  la  polizia  italiana, 
che  à  tutte  le  lontane  vedute  e  tutte  le  audacie  di 
un'  oca  perfettissima,  va  perseguitando,  con  fe- 
roce insulsaggine. 

E'  una  aspirazione  gentile  e  buona  la  loro, 
un  desiderio  di  felicità  universale  e  di  pace  fe- 
conda :  molto  sole,  molto  verde  e  molto  amore. 
L'anarchismo  si  è  affermato  in  essi,  il  giorno 
che,  di  fronte  a  la  religione,  la  quale  eleva  a 
virtù  la  sofferenza,  anno  inteso  che  la  virtù  è 
nel  sano  godimento  dellà  vita;  il  giorno  che, 
di  fronte  al  capitale,  il  quale  rende  il  lavora- 
tore dipendente,  anno  inteso  che  1'  uomo  deve 
essere  libero. 

Nella  reazione  completa  a  tutto  il  vecchio 
mondo,  si  sono  intesi  anarchici;  a  tutte  le  an- 
tiche affermazioni  anno  risposto  con  una  asso- 
luta negazione:  a  chi  tutto  voleva  ànno  tutto 
negato. 

Sotto  questo  punto  di  vista,  l'anarchia  è  una 


—  112  — 


necessità  filosofica  ;  in  Italia,  di  fronte  a  la 
maffia  ed  a  la  camorra  ufficiale,  è  anche  una 
necessità  morale.  Politicamente,  à  meno  ragion 
d'essere.  E  credo  che  non  sarebbe  affatto  se  il 
partito  socialista  pigliasse  a  respirare  più  libe- 
ramente e  soffrisse  meno  di  stitichezza. 

Questi  gentili  poeta  delP  avvenire,  che  io  ò 
avuto  agio  di  conoscere  ed  apprezzare  nelle  car- 
ceri e  nei  transiti,  nelF  esilio  e  nel  domicilio 
coatto,  vanno  gittando  strofe  e  vanno  compo- 
nendo versi,  che  i  venturi  raccoglieranno  per 
farne  un  poema  od  una  iscrizione.  Sarà  il  canto 
più  bello  di  un'  anima  incatenata. 

E'  tanta  la  fede  loro,  che,  nel  martirio  si 
ritemprano  e  si  rinnovano:  parificati  da  esso, 
precederanno,  in  bianca  veste,  gli  altri,  per  il 
largo  cammino  della  libertà;  e  mi  piace  pen- 
sare che  nei  giorni  dei  decisivi  conflitti,  quando 
gli  umili  ed  i  vinti  riacquisteranno  intera  la 
dignità  ed  il  diritto  umano,  essi  sentiranno  di 
dover  ripiegare  tra  le  poderoso  falangi  dei  so- 
cialisti. 

E'  un  fiero  ed  ingenuo  ritornello  il  loro  : 
Noi  siamo  avanti  di  tutti  e  si  sorride  di  con- 
forto, sperando  nella  nobiltà  della  natura  umana, 
quando  un  operajo,  annerito  dal  carbone  od 
attossicato  dall'antimonio,  pigliandovi  per  mano, 
vi  dice  : 

—  Fate  il  passo  avanti  I 


—  113  — 


Allora  vengono  a  la  mente  idee  di  polche  e 
mazurke  e  si  ride;  ma  contemporaneamente,  di 
fronte  ad  una  fede  così  pura,  così  sana,  così 
giovine  e  forte  e  rigeneratrice,  si  cava  il  cap- 
pello e  si  saluta,  negli  anarchici,  gli  apostoli 
di  un  ideale,  i  poeti  di  una  fede,  le  sentinelle 
morte  del  grande  esercito  dei  lavoratori. 

XV. 

L'  alcoolismo. 

L'  Italia  non  figura  nelle  statistiche  dell'al- 
coolismo. 

L'  Italia,  che  occupa  se  non  il  primo  posto, 
sempre  un  posto  importante  nelle  statistiche 
della  mortalità,  della  ignoranza,  della  miseria, 
della  criminalità,  della  delinquenza  ,  nonché 
dell'  analfabetismo  de'  suoi  uomini  di  Stato,  non 
poteva  certo  rimanere  in  tale  condizione  di  infe- 
riorità di  fronte  a  le  altre  nazioni. 

E  perciò  il  governo  à  impiantato  questi  spa- 
ventevoli cabarels,  che  sono  le  isole  di  relega- 
zione. 

Guardiamo  un  pò  da  vicino  come  funziona 
la  istituzione  governativa  e  come  il  veleno  del- 
l'alcool vada  infiltrandosi  nel  sangue  di  questi 
corrigendi. 


—  114  — 


La  verità  spaventevole,  che  abbiamo  asso- 
dato è  questa  : 

—  Seimila  italiani  sono  condannati,  da  i  loro 
governanti,  a  morire  di  fame. 

Noi  lo  scriviamo  a  caratteri  neri  ;  ma  la 
Storia,  nelle  sue  pagine  immortali,  lo  inciderà 
ad  indelebili  caratteri  di  sangue. 

Si  sa  che  gli  operai,  che  ànno  peggiori 
condizioni  di  vita,  sono  i  più  avidi  di  alcool, 
il  quale  si  assorbe  tanto  più  presto  nell'  orga- 
nismo, quanto  più  trovasi  il  tubo  digerente 
sgombro  di  altre  sostanze:  il  che  vuol  dire  che 
il  primo  effetto  dannoso  dell'alcool  ne  la  mu- 
cosa è  inversamente  proporzionale  a  lo  stato 
di  pienezza  dello  stomaco,  sì  che  quando  più 
è  pieno  tanto  minore  ne  è  l'effetto  nocivo.  Per 
ciò  si  sconsiglia  di  ber  vino  a  digiuno  ed  a 
stomaco  vuoto.  Lo  stomaco  dei  coatti  è  sempre 
vuoto. 

Nelle  isole  abbiamo  due  condizioni,  che  fa- 
voriscono 1'  alcoolismo,  trattandosi  appunto  di 
gente,  per  la  loro  condizione,  resa  avida  di 
alcool,  non  solo  ;  ma  predisposta  a  risentirne 
i  peggiori  effetti. 

Giacche,  senza  volere  entrare  in  discussioni 
oziose  di  chimica  fisiologica,  è  noto  a  tutti  che 
l'alcool,  adoperato  senza  moderazione,  attiva  le 
trasformazioni  nutritive,  con  che  si  viene  ad 


aumentare  la  combustione  organica;  e  precipita 
il  consumo  degli  alimenti  già  assorbiti  e  circo  - 
lanti  nel  sangue.  In  questi  coatti,  non  trovando 
alimenti  da  bruciare,  (giacche  essi  principiano  a 
bere  appunto  per  non  sentire  gli  stimoli  della 
fame:  gli  affamati,  quando  inoominciano  a  darsi 
a  l'ubbriachezza  su  la  via  dell' alcoolismo  acuto 
raggiungono  il  loro  maggioro  desìderatum  :  la 
diminuzione  dell'  appetito)  dovendo  produrre  il 
calore  necessario  a  l'organismo,  non  trovando 
carbone  bastante  per  il  ricambio  materiale ,  au- 
menta doppiamente  il  consumo,  producendo  dop- 
pio malore. 

Gli  effetti  dell' alcoolismo  nelle  isole,  appa- 
jono  ad  occhio  nudo  anche  a'  meno  osserva- 
tori. 

Basta  mettere  piede  nel  Castello  per  sentire 
un  insopportabile  tanfo  di  vino  ;  basta  penetrare 
nei  cameroni  per  affondare  sino  a  le  caviglie 
nelle  pozzanghere  di  vino,  da  lo  stomaco  rifiutato; 
basta  guardare  la  sera,  a  1'  ora  della  ritirata, 
specialmente  la  domenica,  per  vedere  che  orrendo 
scempio  l'alcool  vada  facendo  di  tante  vite. 

La  sera  si  vedono  de'  gruppi  barcollanti  di 
ubbriachi,  ajutandosi  1'  un  l'altro  a  portarsi  su 
il  Castello  e  l'un  su  l'altro  incespicando,  finche 
non  cadano  a  terra,  impossibilitati  a  più  muo- 
versi. 


—  116  — 


Ed  allora  debbono  correre  le  guardie,  con 
l'aiuto  di  altri  coatti,  per  abbrancarli  da  la  testa 
e  da  i  piedi  e  trascinarli  nel  Castello,  dove  li 
gittano  nelle  celle  di  punizione. 

Da  le  quali,  uscendo  affamati  ed  esausti, 
dopo"  otto  o  dieci  giorni,  corrono  a  chiedere  a 
l'alcool  quella  forza  fittizia,  che  per  un  momento 
li  rianima,  abbattendoli,  di  nuovo,  dopo  un'ora. 

Se  l'ozio  è  il  gran  tiranno,  che  li  domina  il 
giorno,  l'alcoolismo  li  afferra,  su  il  far  della 
notte,  tra  i  suoi  luridi  artigli  e  siede  signore 
assoluto  di  quelle  tregende,  che  si  osservano  la 
notte  nei  cameroni. 

Su  settecento  coatti  se  ne  trovano  cinque- 
cento malati  di  cronici  catarri  di  stomaco,  do- 
vuti tutti,  esclusivamente,  a  l'azione  immediata 
dell'alcool  su  la  mucosa  delle  vie  digerenti  e  su 
le  sostanze  alimentari,  per  la  proprietà  che 
esso  à  di  spiegare  un'  acidità  straordinaria  di 
fronte  a  l'acqua:  perchè  dopo  appropriatasi  quella 
che  si  trova  nello  stomaco  a  lo  stato  libero 
(e  nello  stomaco  dei  coatti  non  ve  se  ne  trova 
punto)  continua  a  diluirsi  a  spese  dei  tessuti, 
disgregandoli,  per  impadronirsi  dell'acqua  inte- 
grale della  loro  costituzione  chimica  (azione 
caustica) . 

Ma  la  sua  azione  fìsio -patologica  si  osserva 
facilmente ,    senza  bisogno   di   doversi  spie- 


—  117  — 


gare  la  genesi  e  l'elemento  generatore  dello  stato, 
nel  quale  molti  coatti  si  vedono  ridotti. 

Ad  interrogare  un  qualsiasi  medico  di  colonia 
egli  vi  dirà  che  le  maggiori  e  più  numerose  af- 
fezioni morbose,  che  si  notano  nelle  isole,  sono 
generate  da  alcoolismo  cronico. 

Del  vino  dell'  isola,  reso  nocevole  a  la  salute 
per  la  ingessatura  —  che  spesso  la  quantità  mas- 
sima stabilita  da  l'Accademia  di  Medicina  e  dal 
Consiglio  d'  Igiene  di  Parigi,  in  due  grammi 
di  solfato  di  potassa  par  litro,  è  oltrepassato  nel 
piccolo  commercio  —  si  intossicano  da  mane  a 
sera. 

Molti  a  le  otto  del  mattino  sono  già  brilli, 
a  le  dieci  ubbriachi,  ed  a  mezzogiorno  stramaz- 
zati a  terra,  come  bovi  colpiti  al  cervelletto  da 
una  mazza  ferrata. 

La  tregenda  spaventevole  è  la  notte  nei 
cameroni. 

Isterici,  nevrastenici,  epilettici,  squilibrati 
psichici,  neuropatici,  una  folla  varia,  fastidiosa, 
demente  di  alcoolisablcs ,  degenerati  ereditarii, 
figli  di  avi  nervosi,  pazzi,  delinquenti,  alcoolici, 
attratti  verso  l'alcool  non  da  una  forza  irresi- 
stibile (dipsomania)  ma  a  la  morte  per  alcool 
condannati  da  la  polizia,  per  misura  preventiva, 
sono  tutti  lì  riuniti. 

Bisogna  vivere  un  mese  insieme  a  la  folla 


—  118  — 


anomala,  per  osservare  de  visu  e  per  non  più 
dimenticare  i  risultati  finali  di  questa  vigliacca 
e  feroce  istituzione  del  domicilio  coatto. 

Al  lume,  mantenuto  vivo  da  due  centesimi 
di  petrolio,  tra  i  giuocatori,  che  su  una  carta 
puntano  le  calze  o  la  coperta  rubata  al  governo, 
tra  le  grida  di  coloro,  che  si  accapigliano,  ed  il 
russare  di  quelli,  che  riposano  lo  stanco  capo  su 
un  sasso  ed  i  lassi  corpi  su  un  pagliericcio  ri- 
pieno di  cimici  e  vuoto  di  paglia,  tengono  in- 
contrastato il  dominio  le  schiere  di  ubbriachi, 
i  quali,  con  grida  e  canti,  si  apparecchiano  a 
rendere,  nella  notte,  il  camerone  una  pestilen- 
ziale pozzanghera. 

Alcuni  ànno  la  pelle  del  volto  divenuta  vi- 
scida ed  untuosa  con  le  congiuntiviti  bulbari  e 
palpebrali  infiammate  ;  altri  il  colorito  della 
faccia  ànno  giallo-verdastro,  come  quello  delle 
rane  e  dei  rospi  ;  altri  grossissimi  nasi  tuberosi, 
pavonazzi,  solcati,  come  da  striscio  di  melma? 
da  vene  varicose,  violacee,  stillanti  grasso  e  su- 
dore ;  i  più  cachettici,  per  1'  efietto  della  denu- 
trizione ed  itterici,  da  l'oochio  senza  espressione, 
che  l'alcool,  come  nebbia  che  appanni  il  lume 
dei  fanali,  va  appannando  la  lucentezza  del 
bulbo  oculare. 

Abbrancicati,  cadenti  gli  uni  su  gli  altri, 
ridono  sgangheratamente,  perchè  vedono  oggetti 


—  119  — 


doppii  (dipoplid)  o  perchè  non  arrivano  a  di- 
stinguere i  colori  (daltonismo)  accusandone  il 
poco  lume  ;  o  perchè  si  vedono  svolazzare  in- 
torno mosche,  o  cadere  su  gli  occhi  scintille 
(fcotornz). 

Altri  gridono  sotto  le  coperte,  per  il  fatto 
che  il  calore  di  esse  fa  sviluppare  sensazioni  di 
formicolìo  e  pizzicori  a  le  estremità  o  crampi 
violenti;  ed  essi  minacciano;  accusando  il  vicino 
e  spesso  contro  di  lui  insolentendo. 

Altri  come  cadaveri  galvanizzati  sono  mossi 
da  violente  scosse,  mentre  si  sentono,  da  la  bocca 
fetente  per  alcool,  uscire  urla  per  incubi  ter- 
rifici. Nei  loro  delirii  panofobici  gridano  contro 
lo  sbirro  e  l'assassino,  contro  gli  schifosi  ani- 
mali (zoopsie)  che  pare  loro  di  vedere  o  contro 
le  fiamme,  da  le  quali  si  credono  investiti. 

Questa  terrificante  malattia  del  sistema  ner- 
voso, è  comunissima. 

Ridotto  in  tali  condizioni  1'  individuo,  si 
vede  chiaramente  come  sieno  avvenute  già 
le  alterazioni  anatomiche  nella  sostanza  cere- 
brale ed  i  cambiamenti  conseguono  nelle  fun- 
zioni del  cervello,  sì  che  le  più  elevate  funzioni 
della  psiche,  cioè  la  intelligenza,  il  sentimento, 
la  attività  volitiva,  ecc.  ecc.  variano,  in  senso 
degradante,  con  la  diversità  del  modo  di  reagire 
della  materia  a  gli  stimoli  del  mondo  esterno. 


—  120  — 


Molti  si  incontrano  in  preda  a  delirium  tre- 
mens.  Parecchie  morti  si  sono  avute,  per  raf- 
freddamento, prodotto  da  smisurato  consumo  di 
alcool. 

Le  idee  deliranti,  gli  ascessi  di  furore,  le 
alienazioni  mentali,  gli  stati  abituali  di  inde- 
bolimento, i  pervertimenti  intellettuali  si  os- 
servano ad  ogni  pie'  sospinto. 

Lo  stretto  rapporto,  che  passa  tra  alcoolismo 
e  criminalità,  come  da  causa  ed  effetto,  si  os- 
serva con  tutta  precisione  in  questo  ristretto 
ambiente,  dove  si  può  seguire,  passo  passo,  il 
nascere  del  vizio,  il  suo  progredire  e  le  conse- 
guenze fatali,  che  ne  derivano. 

La  degenerazione  portata  da  questo  lento 
intossicamento  nelF  organo  cerebrale ,  produ- 
cendo la  rottura  dell'  equilibrio  psichico,  ne 
deriva,  per  i  danni  materiali  arrecati  al  cer- 
vello, un  completo  pervertimento  del  sentimento 
ed  una  reversione  atavica,  per  la  quale,  non 
funzionando  più  i  poteri  regolatori,  1'  uomo 
torna  a  la  sua  indole  impulsiva  ereditaria. 

Qualsiasi  direttore  di  colonia,  interrogato, 
dirà  che  il  99  per  cento  dei  reati  si  commettono 
da  individui  sotto  l'influsso  -dell'alcool,  da  alcoo- 
lici  cronici. 

L' importanza  criminogena  deiralcoolismo  è, 
oramai,   un  vecchio,   ed  innegabile  postulato 


—  121  — 


scientifico  ;  ma  nessuna  statistica,  per  quanto 
spaventevole,  era  mai  arrivata  a  le  conclusioni, 
a  le  quali  arrivano  quelle  fatte  nel  domicilio 
coatto. 

Infatti,  tra  le  molte,  infinite  statistiche,  da 
diversi  studiosi  pubblicate,  pigliando  le  cifre  più 
elevate  e  che  sembrano  quasi  esagerate,  per  la 
naturale  tendenza  che  anno  gli  scrittori  di  esa- 
gerare i  mali,  che  combattono,  noi  abbiamo,  che 
il  Baer  calcola  l'alcoolisrno  causa  diretta  negli 
omicidii  il  63  0\q  —  negli  assassinii  il  40  0[0 

—  nelle  ferite  gravi  il  74  0[0  —  nelle  lievi 
il  63  0[o  —  nelle  offese  al  buon  costume  il  77  0\0 

—  negli  stupri  il  60  0[Q  —  nelle  opposizioni  a 
la  forza  pubblica  il  76  0[Q. 

Quetelet  assegna  il  33  0[o  negli  omicidii. 

I  direttori  delle  prigioni  e  gli  impiegati  in 
America  dichiarano  il  70  0[0  delle  condanne 
essere  state  riportate  per  ubbriachezza. 

IL  Lombroso  riferisce  che  una  statistica  fatta 
a  New-Jorck  à  dato  il  62  0[Q. 

Baer,  sintetizzando,  attribuisce,  perla  Svezia 
il  75  0[0  —  per  l'Inghilterra  il  55  0[Q. 

In  questi  vivai  di  delinquenza,  in  questi  isti- 
tuti governativi,  con  governativa  cocciutaggine 
mantenuti,  la  statistica  dà  il  99  Q[Q. 

In  presenza  di  tanto  tristi  risultati,  non  si 
può  non  pensare,   che  colui,  il  quale  portava 


—  122  — 


scritto,  su  lo  scudo  :  Nemico  di  dio  e  delVuman 
genere,  era  un  agnellino  di  fronte  a  questi  go- 
vernanti nostri,  che  anno  pensato,  impiantato, 
mantenuto,  e  si  accingono  ad  eternare  questo 
perverso  Istituto  di  degenerazione. 

In  presenza  di  tanto  doloroso  spettacolo,  da 
l'anima  abbujata  sgorga  l'augurio  e  la  speranza 
che  questi  migliaja  di  uomini,  che  ànno  passato 
della  loro  vita  un  periodo  più  o  meno  lungo 
nel  domicilio  coatto,  restino  sterili  per  sempre 
e  non  diano  cittadini  a  la  patria,  uomini  a  la 
umanità. 

Ohe  questi  loro  discendenti,  sino  a  la  terza 
o  la  quarta  generazione,  sarebbero  organica- 
mente e  psichicamente  anormali. 

Avremmo  generazioni  dai  cranii  mal  con- 
formati, con  asimmetria  della  faccia,  strabismo, 
sordità,  cecità,  mutolezza,  anomalìa  dei  denti, 
deviazioni  vertebrali,  ecc. 

Ed  epilettici,  istero-epilettfci,  squilibrati, 
convulsionarii,  nervosi,  nevropatici,  folli  mo- 
rali, alienati,  debilitati  mentali,  ecc. 

In  verità  V  Italia  nostra  di  incremento  te- 
ratologico non  sente  il  bisogno. 

XVI. 
Il  trionfo  di  Sodoma. 

E'  il  codice,  che  crea  i  delitti,  o  sono  i  de- 
litti, che  ànno  creato  il  codice  ? 


—  123  — 


Uno  scolastico  risponderebbe  : 
—  Distinguo. 

Ci  sono  quelli,  che  propendono  per  la  prima 
convinzione. 

Si  dice,  oggi,  che  i  delinquenti  esistano. 
Chi  li  à  creati  ? 

Sta  il  fatto  che,  aumentando  la  civiltà,  il 
numero  delle  diverse  specie  di  reati  aumenta. 
Se  di  ciò  la  civiltà  è  responsabile,  reciti  essa 
il  mea  culpa  e  si  domandi  se  1'  interesse  egoi- 
stico delle  classi,  che  la  rappresentano  e  la  sfrut- 
tano, non  porti  sempre  nuovi  impacci  a  la  li- 
bertà degli  uomini. 

Pigliamo,  ad  esempio,  la  pederastia,  che  non 
è  punita  da  il  Codice  Penale  italiano. 

La  pederastia  è  uno  di  quei  pochi  delitti, 
che  rimarrebbero  tali,  qualunque  fosse  la  orga- 
nizzazione sociale. 

Ma  potrebbe  rimanere  ? 

Con  il  trionfo  del  Socialismo  molti  reati 
scompariranno  ipso  facto)  i  restanti,  attenuan- 
dosi nel  corso  delle  diverse  generazioni,  sotto 
r  influsso  benefico  della  educazione,  della  igiene 
e  de'  sentimenti  etici  elevati,  scompariranno 
come  sostanze  inquinanti  da  acqua  molte  volte 
filtrata. 

L'  umanità  non  è  inferiore  al  regno  vegetale 
o  minerale:  non  ci  sono  ne  erbe  cattive  ne  mi- 
nerali nocivi. 


—  124  — 


Noi  possiamo  respirare:  i  nostri  tardi  nepoti 
diranno  che  i  delinquenti  non  esistevano,  come 
noi  diciamo  che  nel  medio- evo  non  esistevano 
gli  stregoni. 

La  delinquenza  è  un  artificio  :  tutta  questa 
società,  che  si  affatica  a  distruggere  ciò,  che 
essa  stessa  va  creando,  farà  ridere:  forse  la  rap- 
presenteranno come  Saturno,  che  divorava  i  pro- 
prii  figli. 

Tommaso  Moro  diceva  :  voi  creati  i  ladri, 
per  darvi  il  piacere  di  dare  loro  la  caccia. 

Generalizziamo  :  noi  depraviamo  i  nostri  fra- 
telli, per  avere  il  diritto  di  disprezzarli  e  di 
torturarli. 

La  pederastia  è  un  reato. 

Chi  l'à  creato  ? 

Per  i  passivi  non  è  il  caso  di  invocare  lo 
intervento  del  penalista  o  del  sociologo  :  esso 
appartiene  al  medico-legale.  Essi  sono  degli 
anomali  :  li  si  cura,  in  una  casa  di  salute. 

Se  parliamo  degli  attivi,  più  del  penalista 
deve  occuparsene  il  sociologo:  essi  soggiacciono 
a  condizioni  biologiche. 

Principalmente,  per  ciò  che  riguarda  il  do- 
micilio coatto. 

Non  mi  dilungo,  qui,  a  parlare  del  triste 
argomento,  che  appartiene  a  la  psicologìa,  a  la 
fisiologìa,   a  la  patologìa  ed  a  la  psichiatria  : 


—  125  — 


fotografo  l'ambiente,  quale  è  e  quale  resterà, 
finche  un  uomo,  semplicemente  onesto,  socia- 
lista o  repubblicano  o  radicale  o  democratico  o 
destro  o  sinistro  o  quello  che  sia,  non  avrà  la 
forza  di  far  suo  a  Montecitorio,  se  Montecitorio 
deve  servire  ancora  a  qualche  cosa,  il  nostro 
grido  di  imprecazione  contro  1'  istituto  del  do- 
micilio coatto. 

Sono  già  trecentosessanta  milioni  di  anni, 
che  la  Terra  è  nata,  come  fuoco  o  come  acqua, 
come  nebulosa  o  come  pianeta.  In  questi  tre- 
centosessanta milioni  di  anni  la  Natura  à  lavo- 
rato a  la  divisione  de'  sessi:  il  che  vuol  dire  che 
certe  funzioni  sono  tra  le  più  elementari  sue 
leggi- 

Dopo  tanti  secoli  e  millennii  ci  sono  ancora 
alcuni,  che  rappresentando,  con  la  forza  o  con 
l'astuzia,  milioni  di  uomini,  ai  loro  simili  im- 
pongono la  violenta  negazione  di  queste  leggi 
elementari,  che  sono  i  succhi  vitali  della  specie. 

Giadstone  disse  il  governo  borbonico  nega- 
zione  di  dio.  La  frase  fa  fortunata  ;  ma  non 
cessa,  per  questo,  di  essere  infelice.  Negare  dio 
significa  aprire  gli  occhi  a  la  luce  :  rinnegare 
la  Natura  vuol  dire  chiuderli  a  la  verità. 

Nelle  carceri  e  nel  domicilio  coatto  si  ob- 
bliga l'uomo  a  l'astinenza. 

In  Africa,  le  tribù  barbare,  ai  vinti  in  guerra 


—  126  — 

infliggono  l'evirazione.  L'  Italia,  che  dovrebbe 
allegramente  essere  a  la  sua  terza  civiltà,  in- 
fligge un  martirio  simile:  la  burocratica  ferocia 
delle  classi  dirigenti  è  qualche  cosa  di  'più  li- 
vido e  di  più  terrificante  della  vigliacca  ferocia 
delle  jene. 

Il  Sultano  a  degli  eunuchi  ;  ma  li  paga.  La 
Cappella  Sistina  à  degli  evirati;  ma  li  fa  am- 
mirare. Qui  si  evirano  gli  uomini,  evirati  li  si 
fa  masturbare,  masturbatori  li  si  rende  pederasti, 
ed,  in  presenza  di  tale  degradante  spettacolo, 
gli  uomini  di  stato  italiani  li  additano  al  mondo, 
gridando  : 

—  Ecco  come  la  patria  rigenera  i  suoi  figli  ! 

Nessun  pornografico  drammaturgo  a  mai  pen- 
sato una  simile  oscena  atellana. 

Il  coatto,  che  deve  vivere  nelle  condizioni 
economiche  accennate,  non  può  procurarsi  il 
soddisfacimento  dei  suoi  bisogni  sessuali  con  il 
denaro.  Ne  può  aspirare  a  l'amore,  per  le  me- 
desime condizioni  economiche  e  per  l'accascia- 
mento morale,  nel  quale  si  trova. 

Un  nuovo,  cocente  tormento  si  aggiunge  a 
quei  tanti,  dei  quali  soffre:  egli  è  costretto,  con- 
tinuamente recalcitrante  a  le  leggi  fisiologiche, 
a  negare  a  la  Natura  le  incessanti  richieste,  da 
cui  tutto  il  suo  organismo  è,  spasmodicamente, 
scosso. 


—  127  — 


In  tali  condizioni,  su  1'  orizzonte  della  vita 
di  uomini  nel  pieno  vigore  dell'  età  si  affaccia 
la  losca  immagine  del  tetro  dio  di  Onan.  E,  tra 
alcool  e  fame,  la  tristissima  abitudine  della 
manie  stupratio  piglia  posto  nella  vita  :  abitu- 
dine funesta,  che  non  dà  piccolo  incremento  al 
dilagare  dell'  idiotismo  e  della  pazzia,  che  im- 
perversano nelle  isole. 

Fu  visto,  una  sera,  in  una  bettola,  un  coatto, 
strappare,  furiosamente,  in  una  figura  di  donna, 
quei  pezzo  di  carta,  che  corrispondeva  a  le  parti 
pudenti,  sotto  lo  strappo  fare  un  buco,  e.... 
darsi  ai  giuochi  lesbici. 

Violate  così  le  più  sacre  leggi  naturali,  da 
masturbatore  a  pederasta  il  passo  è  breve. 

Dal  pervertimento  della  immaginazione  si 
arriva  al  pervertimento  sessuale. 

Della  pederastia  nelle  Cajenne  italiane  si  fa 
la  cura  intensiva.  Si  potrebbe  scrivere  un  vo- 
lume su  la  sodomìa  nelle  carceri,  una  biblioteca 
su  quella,  che  sfacciatamente,  liberamente,  im- 
pudentemente trionfa  nelle  isole. 

Ma  l'argomento  non  è  bello  e  non  si  regge 
a  continuarlo. 

Per  gli  affetti  da  la  turpe  malattia  vi  è  un 
camerone  a  parte:  è  lì,  che  rivolgono  gli  sguardi 
desiosi  coloro,  che  si  sentono  disposti  ad  imbe- 
stiare.  Il  camerone  dovrebbe  di  molto  ingran- 


—  128  — 


dirsi,  che  il  male  non  è  localizzato  in  esso  :  il 
triste  lazzaretto  si  è  trasformato  in  città. 

Come  in  tutte  le  forme  di  delinquenza,  an- 
che in  questa  il  fattore  economico  rappresenta 
l'elemento  generatore  più  importante. 

Infatti  molti  vi  sono  spinti  da  la  miseria, 
che  toglie  loro  la  possibilità  di  un  contatto  con 
femmine  e  da  la  miseria,  che  rende  il  turpe 
commercio  una  speculazione.  Questa  specula- 
zione è  esercitata  da  i  ganzi,  cioè  gli  amanti 
del  cuore,  i  quali,  con  i  dolci  stornelli  d'amore 
ad  essi  indirizzati,  ricevono  l'omaggio  di  offerte 
di  qualche  soldo  o  di  qualche  lurido  straccio. 

Molto  spesso  il  pervertimento  sessuale  di- 
venta addirittura  aberrazione  passionale. 

Neil'  afa  mefitica  ed  opprimente  del  Castello 
le  idee  malsane  e  gli  istinti  perversi  si  propa- 
gano, come  vermi  schifosi  negli  escrementi:  essi 
pullulano  e  si  moltiplicano,  come  microbi  pato- 
geni in  terreno  adatto. 

IL  male  dilaga  spaventevolmente. 

Una  mattina  incontrai  un  coatto,  vecchio, 
lurido,  sporco,  da  la  lunga  barba  intristita  da 
tabacco,  saliva  e  fango,  scalzo  e  macilento,  che, 
vedendomi,  gridò  : 

—  Vado  al  Pretore,  a  querelarmi  per  atten- 
tato al  pudore. 

Nel  suo  camerone,  afferratolo,  di  pieno  giorno, 


—  129  — 


per  le  spalle,  avevano  tentato  di  fargli  subire 
l'estremo  oltraggio. 

Di  fatti  simili  ne  avvengono  giornalmente, 
ne  vale  fermarcisi  sopra. 

Ne  vale  che  tu  storca,  stomacata,  la  bocca 
e  ti  turi  le  orecchia  per  non  più  sentire,  o  men- 
tecatta borghesia  italiana,  decrepita  prima  di 
nascere,  che  di  bene  nulla  ài  saputo  fare  per 
giustificare  il  tuo  periodo  di  dominazione;  ne- 
anche prepararti  una  buona  morte! 

Che  è  questa  del  domicilio  coatto  una  delle 
tue  più  care  istituzioni  e  se  noi  abbiamo  il  di- 
ritto di  gittar3,  nauseati,  la  penna,  parecchi  dei 
tuoi  uomini  politici,  al  contrario,  negli  accen- 
nati cameroni  si  troverebbere  come  a  casa  pro- 
pria. 

XVII. 
L' igiene  nelle  isole. 

Quel  carissimo  e  valorosissimo  giovine,  che 
è  Angiolo  Cabrini,  un  giorno,  da  la  Svizzera, 
a  la  quale  a  chiesto  libertà  e  pace,  mi  domandò  : 

—  Quali  sono  le  condizioni  igieniche  nelle 
isole  ? 

Ragnar?  cos'è,  monna  Vocabolzera?  chiedeva, 
in  un  sonetto,  l'Alfieri  a  la  sua  padrona  di  casa, 
in  Firenze. 


—  130  — 


Cameade  ? 

L'  igiene  nelle  isole  ? 
Che  è  mai  questa  cosa? 

Quale  sia  la  igiene  sessuale,  si  è  detto  ;  in 
riguardo  a  quella  della  nutrizione,  abbiamo 
visto  che,  sia  per  la  qualità  come,  specialmente, 
per  la  quantità,  in  nessun  molo  può  ottenersi 
il  regolare  funzionamento  del  continuo  ricambio 
materiale  dell'organismo;  quale  sia  quella  delle 
abitazioni  possiamo  sommariamente  accennare. 

Una  gentile  corrispondente  di  un  giornale 
olandese,  capitata  qui,  ebbe  vaghezza  di  visitare 
il  Castello. 

Ne  uscì  avvilita,  mormorando  : 

—  In  Olanda  non  è  possibile  vedere  uno 
spettacolo  simile  ! 

Lasciando  da  parte  l'Olanda,  che  è  il  paese 
più  lindo  d'  Europa,  io  affermo,  senza  ombra 
di  esagerazione,  che  spettacoli  come  quelli,  che 
offrono  i  cameroni  nelle  sette  isole,  le  quali  rap- 
presentano sette  piaghe  purulenti,  non  sono  pos- 
sibili vedere  neanche  nei  monti  dei  miei  Abruzzi, 
girando  per  le  stalle,  dove  i  pastori  chiudono 
i  suini. 

Il  terreno,  su  cui  sono  fabbricate  le  cata- 
pecchie, per  le  quali  il  governo  spende  solo  in 
Lipari  L.  14000  annue,  è  tutto  inquinato  da 
micro-organismi;  i  materiali  da  costruzione  sono 


—  131  — 


della  infima  qualità;  la  costruzione  fatta  senza 
nessuna  regola  d'arte. 

I  cameroni  tutti,  nessuno  eccettuato,  sono 
della  massima  insalubrità.  Tutti  senza  pavimen- 
tazione, molti  senza  finestre,  senza  possibile 
rinnovazione  d'aria,  senza  luce  e  continuamente 
bagnati  da  umidità,  che  penetra  nelle  ossa. 

Quei  pochi,  che  ànno  finestre,  non  sono  certo 
da  preferirsi,  che  queste,  per  contratto  fatto, 
non  si  sa  da  chi,  con  le  Imprese,  sono  senza 
vetri:  sicché  nell'estate  Eolo  vi  spinge  dentro, 
con  furia,  la  polvere  mista  a  concime  triturato, 
nell'inverno  acqua  a  catinelle  in  siffatto  modo, 
che,  dovendosi  tenere  ermeticamente  chiuse,  i 
cameroni  diventano  catacombe. 

Di  questi,  alcuni,  di  una  certa  grandezza, 
raccolgono  sino  a  60  coatti.  Per  il  numero,  non 
sempre  proporzionato  al  locale,  molto  spesso  tra 
1'  un  letto  e  l'altro  non  vi  è  spazio  di  sorta,  in 
maniera  che  tutti  i  letti  ne  formano  un  solo. 
Quelli  piccoli  ne  contengono  satte  od  otto  e  sono 
bassi,  angusti,  stretti  in  modo  tale,  che,  spesso, 
mancando  qualsiasi  posto  libero,  per  salire  su  i 
pagliericci  debbono  saltarci  su  da  la  porta;  e  da 
questi  debbon  saltare  fuori  la  mattina,  a  la  ri- 
apertura. 

In  moltissimi  di  questi  bugigattoli  il  livello 
del  piano-terra  è  inferiore  al   livello  stradale  : 


—  132  — 


ad  ogni  acquazzone,  essi  restano  completamente 
allagati. 

Senza  eccezione  di  sorta,  nelle  abitazioni 
manca  una  vera  od  approssimativa  fognatura 
domestica.  Per  ottenere  un  pozzo  nero  o  qualche 
cosa  di  simile,  a  servigio  di  tutti,  il  direttore 
lo3ale  à  scritto  parecchie  decine  di  lettere  e  di 
rapporti  al  Ministero,  che  à  mandato,  a  va- 
rie riprese,  due  o  tre  dozzine  di  ingegneri, 
i  quali,  dopo  avere  ponderatamente  studiato  il 
problema,  ànno  adeguatamente  riferito.  Ma  le 
cose  restano  sempre  a  quel  punto  e  tutta  la 
spianata  del  Castello  è  una  fogna  più  che  mai, 
dove  da  mane  a  sera  si  incontrano  coatti,  che 
ammorbano  la  già  tanto  ammorbata  aria. 

I  buglioH  sono  insufficienti  e  molti  senza 
coperchio  ;  nei  cameroni,  in  cui  è  maggiore  il 
numero  degli  ammonticchiati,  sa  si  entra  la 
mattina,  si  trova  una  sola  pozzanghera  di  orina, 
di  escrementi  e  di  vino  rifiutato.  Gli  inquilini, 
se  sono  scalzi,  vi  passano  su,  guazzando  ;  se 
ànno  le  scarpe,  arrivano  a  l'uscita  facendo  salti 
e  capriole,  per  non  lordarsele. 

L'acqua,  che,  per  essere  il  più  ricco  com- 
ponente dell'organismo,  del  quale  costituiscono 
i  2[3,  dovrebbe  non  mai  far  difetto  ed  essere  di 
ottima  qualità,  è  distribuita  in  quantità  assolu- 
tamente deficiente  ;  alle  volte,  manca  addirit- 


tura.  Ordinariamente,  inquinata  da  materie  fe- 
cali e  da  animali,  più  o  meno  microsaopici,  che 
costituiscono  tante  sostanze  patogene,  è  satura 
di  micro-cocchi,  bacilli,  spirilli,  vibrioni  ed  al- 
tro ben  di  dio. 

I  coatti  anno  un  trattamento  assai  inferiore 
a  quello,  che  si  fa  ai  carcerati  nelle  carceri  di 
Italia,  le  quali,  certo,  non  sono  tra  le  più  igie- 
niche d'  Europa. 

Ai  carcerati  danno  due  lenzuola,  il  guanciale, 
due  coperte,  V  asciugamani,  le  spazzole  per  i 
capelli  e  per  i  panni,  il  pettine,  la  sputacchiera 
con  segatura,  la  scopa  ecc.  Ai  domiciliati  coatti 
non  danno  nulla  di  tutto  ciò:  essi  dormono  so- 
pra un  magro  pagliericcio  di  paglia  marcita, 
vestiti,  per  diminuire  la  sensazione  del  freddo, 
con  un  sasso  sotto  la  testa.  Se  vogliono  lavarsi 
debbono  farlo  al  bugliolo  dell'  acqua  per  bere, 
ed  asciugarsi  a  la  coperta  da  cavalli,  già  insu- 
diciata da  il  fango  dei  piedi. 

In  tale  condiziono  di  vita,  la  mortalità  non 
può  non  essere  elevatissima:  non  è  qui,  certo 
che  si  potrà  scrivere,  come  in  alcune  città  in- 
glesi: qui  si  muore  al  14  G\qq. 

Le  infermerie,  più  che  di  sollievo  e  di  cura, 
sono  luoghi  di  sofferenze  maggiori.  Il  pavimento, 
la  soffitta  e  le  finestre  non  si  presentano  in  con- 
dizioni migliori  di  quelle  dei  cameroni,  e  la  poi- 


vere  e  la  pioggia  investono  i  letti,  che  non 
shlò  preferibili  a  quelli  comuni.  La  deficienza 
dei  più  necessarii  medicinali  è  continua  e  la 
mancanza  dei  ferri  chirurgici  è  assoluta. 

Gli  ammalati  riè  desiderano  ne  chiedono  di 
esservi  curati,  preferendo  languire  e  morire  su 
i  loro  canili,  nei  cameroni. 

La  fame  li  scarnisce  :  le  celle  li  macerano 
nelle  ossa  e  le  malattie  arrivano  più  numerose 
e  più  micidiali  a  farli  scomparire  da  la  vita. 

Questa  scarna  popolazione  di  pitocchi  invoca, 
con  le  esangui  mani  rivolte  al  cielo,  la  morte, 
per  uscire  da  tanti  affanni. 

Nè  causa  piccola  di  malattie  è  la  continua 
presenza  loro  in  quelle  tane,  che  si  chiamano 
celle  di  punizione,  nelle  quali  non  ànno  che  la 
misera  coperta  per  farsene,  su  la  nuda,  bagnata 
terra,  pagliericcio,  guanciale  e  lenzuola. 

A  dire  in  che  stato  si  trovino  queste  celle, 
ogni  paragone  mi  vien  meno.  Quando  le  avrò 
dette  bagnate  come  V  acqua,  oscure  come  la 
notte,  popolate  da  insetti  ed  animali  diversi, 
senza  mai,  da  anni,  da  decennii,  forse  da  secoli, 
essere  state  rallegrate  da  un  raggio  di  sole 
od  essere  state  aerate  da  una  folata  d'aria,  avrò 
detto  al  lettore  molto  poco. 

In  esse  passano  gran  parte  della  vita  i  coatti: 
ricordo  di  uno,  che  su  100  giorni  di  permanenza 


—  135  — 


in  un'  isola,  ne  restò  90  in  cella  e  scontò,  in 
due  volte  di  sei  mesi  l'uno,  un  anno  di  puni- 
zione a  Gavi. 

Ma  la  pallida  mors  che  si  novella  aequo 
pulsare  poede  pauperwu  tabernas  regumque 
turreSj  divenuta  anch'essi  mancipio,  delle  au- 
torità costituite,  li'  acciuffa  beffeggiandoli  e  li 
trascina  deridendoli. 

Quando  muore  un  coatto,  non  è  nè  con  la 
pietà  nè  con  il  rimpianto,  che  li  si  accompagna 
a  l'ultima  dimora;  ma  solo  il  ribrezzo  e  l'orrore 
dettano  l'ultima  invettiva  contro  la  carogna  di 
chi  avrebbe  potuto  essere  uomo. 

Ravvolto  in  poca  fetida  tela,  di  notte,  a  l'o- 
scuro, il  corpo  di  chi  tanto  tribolò  a  scontare 
non  i  suoi,  ma  i  falli  di  una  società  fratricida, 
è  portato  nascostamente  a  seppellire  sotto  quella 
poca  ingrata  terra,  che,  per  suprema,  ultima 
ironia,  si  chiama  santa. 

Le  autorità  vietano  che  il  corpo  del  coatto 
abbia  funebri  onori;  infatti  da  quelle  quattro 
ossa  scricchiolanti  potrebbe  giungere  alle  orec- 
chia dei  superstiti  uao  stridore  sovversivo.  I 
preti  rifiutano  1'  accompagnamento  a  la  loro 
chiesa:  infatti  da  quelle  membra  disfatte  dif- 
fidi cosa  sarìa  cavar  fuori  moneta.  I  com- 
pagni lo  seguono  con  lo  sguardo,  sinché  possono, 
e  pensano  che  la  terra,  la  quale  li  ricopre,  di- 
verrà un  giorno  vulcano. 


—  136  — 


I  morti  non  parlano;  ma  accostandosi  loro, 
pare  che,  da  i  denti  inserrati,  escano,  stridenti, 
le  parole:  Beati  mortili,  qui  in  domine  morientur , 
e  non  si  comprende,  tra  l'orrore  ed  il  ribrezzo, 
se  è  uno  scherno  od  una  invettiva. 

Forse  essi  voglion  dire  che  il  Signore  è  morto 
in  noi,  e  che  ad  altre  idealità  bisogna  chiedere 
la  pace  su  la  terra. 

Ma  per  giudicare  esattamente  i  terribili  ed 
irreparabili  guasti,  che  arreca  a  1'  organismo 
questa  esistenza,  a  la  quale  neanche  i  bruti  re- 
sisterebbero, non  bisogna  fermarsi  a  le  morti, 
che  le  statistiche  segnano  come  avvenute  nel 
domicilio  coatto. 

Bisognerebbe  piuttosto  guardare  —  e  questa 
statistica  manca  —  la  media  della  vita  per  co- 
loro, che,  per  un  periodo  più  o  meno  lungo, 
anno  subito  la  mortale  tortura  nelle  isole. 

Essendo  qui,  quasi  tutti,  nella  età  della 
maggiore  vitalità,  possono  bene  resistere  qual- 
che anno  ;  ma  questa  permanenza  vale  ad  in- 
fiacchire ed  ad  attossicare  per  sempre  il  loro 
organismo. 

E'  la  libertà  la  loro  morgue  :  è  là,  su  i 
tavoli  anatomici  degli  ospedali,  che  si  seziona 
questa  misera  carne  putrefatta. 


—  137  — 


XVIII. 
LT  occhio  della  civiltà. 

Se  la  cronologìa  è  rocchio  della  storia,  può 
ben  dirsi  che  la  statistica  è  V  occhio  della  ci- 
viltà di  un  popolo. 

Vediamo  che  cosa  ci  dice  la  statistica  del 
domicilio  coatto,  avvertendo  che  i  dati  sono 
quelli  dei  resoconti  ufficiali  del  Ministero  del- 
l'Interno. 

Fino  al  1896  le  Colonie  penali  erano  in  nu- 
mero di  otto.  Nel  '97  si  sentì  il  bisogno  di  ag- 
giungere ad  esse  uno  stabilimento  penitenziario 
—  Gravi  —  per  farci  scontare  tutte  le  condanne 
riportate  da  i  coatti.  Contemporaneamente  fu 
abolita  la  Colonia  di  Tremiti,  che  venne  adibita 
a  casa  di  pena  intermedia  per  i  condannati  a 
la  reclusione. 

Nel  primo  anno,  1897,  furono  inviati  a  la 
casa  di  pena  di  Gravi  57  coatti  ;  ma  la  cifra 
è  andata  progressivamente  aumentando,  sic- 
ché oggi  ce  ne  sono  più  di  cento,  il  che  vuol 
dire  che  annualmente  ve  se  ne  spediscono  in 
numero  molto  maggiore. 

La  popolazione  coattiva  era,  nel  1896,  in 
media  di  4006  uomini  ;  media  che  è  andata 
annualmente  aumentando;  sicché,  tenendo  pre- 


—  138  — 


senti  le  grandi  infornate  fatte  dopo  i  fatti  del 
maggio  '98  ed  il  numero  limitatissimo  di  pro- 
scioglimenti, possiamo  calcolare,  in  mancanza  di 
statistiche  esatto,  il  numero  di  condannati  oscil- 
lante, in  questo  ultimo  periolo  '98-'99,  tra  i 
cinque  ed  i  seimila. 

Le  giornate  di  presenza  nelle  infermerie  fu- 
rono di  18663  nel  '96  e  di  18270  nel  '97,  min- 
tenendosi  la  proporzione  dei  curati  in  esse  in- 
torno al  19  Oyo-  Tenendo  presente  che  i  relegati 
sono  in  gran  maggioranza  su  il  fior  dell'  età 
che  tra  essi  non  sono  ne  bimbi  ne  donne,  queste 
cifre  appajono  e  sono  esorbitanti. 

Quale  artificioso  incremento  abbia  la  delin- 
quenza nelle  isole,  in  omaggio  aduna  disciplina, 
che  non  à  altro  scopo  all'  infuori  di  quello  di 
colpire  p3r  colpire  e  di  punire  per  punire,  lo 
si  vede  da  queste  cifre: 

Nell'anno  finanziario  94-95  le  infrazioni  di- 
sciplinari furono  del  107,  2  0[ó  e  nell'anno  '97 
del  108,  3  0(0- 

Tra  le  mancanze  furono  registrate  nel  1896 
ben  2165  per  ubbriachezza  cioè  il  25,  7  0[0  di 
quelle  totali;  ed  il  24,  2  0[(j  nel  1897.  Come  si  è 
detto  per  le  restanti  mancanze  di  diverse  specie, 
che  costituiscono  il  75  Ojq  delle  totali,  resta  la 
proporzione  del  !)9  0[0  come  causate  da  ubbria- 
chezza. 


—  139  — 


E'  meraviglioso  poi  e  confortante  in  sommo 
grado  guardare  come  su  8407  infrazioni  totali 
nel  '96  solo  12  sieno  state  per  rifiuto  di  lavo- 
rare e  mancanze  al  lavoro,  e  nel  '97  la  stati- 
tistica  non  ne  registri  neppur  una. 

Subito  dopo  la  ubbriaohezza,  l'alterco  con  i 
compagni  occupa  il  posto  più  importante  per 
figura  di  reato,  mantenendosi  questa  graduatoria 
non  in  uno  solo;  ma  in  tutti  gli  anni.  Nel  '96 
se  ne  ebbero  1251  (14,  9  0[o),  nel  '97  se  ne  eb- 
bero 763  (14,5  0[0). 

Dopo  viene  il  giuoco,  cioè  1086  (12,  9  0[q) 
nel  '96  e  763  (12,  1  Ojo)  nel  1897. 

Per  ritardo  a  rispondere  a  l'appello  nel  '96 
ne  furono  puniti  834  (9,  9  0[o)  e  797  (12,  6  0[q) 
nel  '97. 

Per  mancanza  di  rispetto  726  (8,  6  Ojo)  nel 
'96  e  573  (9,  1  0[o)  nel  '97. 

Per  camorra  rispettivamente  433  (5,  2  0[o)  © 
317  (5,  5  0[0). 

Guardando  a  le  diverse  isole  abbiamo  : 

Favign.  -  Ustica  -  Lipari  -  Lamped.  e  Ponza  -  Ventot. 

'96  1060[0  112  0[Q  1370[o  61  0[0  79  0[0 
'97     93  0[o  111  0[0  177  0[0      72  0[0        90  Or) 

A  Gavi  fu  il  73  0[0- 

Cioè  a  dire  il  domicilio  coatto  inasprito  da 
Gavi  ;  Gavi  inasprito  da  la  punizione  carceraria. 


—  140  — 


Come  genere  di  .punizione  nel  '96  ci  furono, 
su  8407:  \ 

90  privazioni  di  vitto  e  sussidio  (il  1,1  Oft)) 
2275  celle  ordinarie  (il  27,  1  0[o) 
5540  a  pane  ed  acqua  (il  65,  9  0[q) 
126  di  rigore  con  i  ferri  (il  1,5  0[o). 

Nell'anno  finanziario  '94-'95  le  giornate  di 
punizione  sono  state  63020,  con  una  media  gior- 
naliera di  189  paniti,  cioè,  in  rapporto  a  le 
giornate  di  presenza  ,  nella  proporzione  del 
2,  8  0[Q,  che  salì  al  3,  3  0[Q  nel  '97.  Vale  a 
dire  che  in  un  anno  si  sono  dati,  nelle  isole, 
173  anni  di  punizione. 

La  proporzione  totale  è  così  divisa: 

nel  '96:  a  Pantelleria  il  4,  4  0[0,  a  Lipari  il 
4,  2  Oft),  a  Lampedusa  e  Tremiti  il  3  0[Q;  nel 
'97:  a  Gavi  il  5  0[0,  aLipari  il  4,  5  0|Q,  a  Pan- 
telleria il  3,4  0(0,  ad  Ustica  il  3,1  Ojo- 

Al  31  decembre  '97  restavano  a  domicilio  co- 
atto, in  proporzione  di  10000  abitanti:  del  Lazio 
il  2y  1;  della  Campania  il  1,6;  della  Sicilia  il  1,  3; 
venivano  dopo  la  Toscana  e  la  Sardegna  con  1; 
seguivano  la  Lombardia,  il  Veneto,  gli  Abruzzi 
e  Molise  con  0,  4  e  si  scendeva  a  1'  Emilia  e 
Basilicata  con  0,  01.  Le  altre  regioni  restano 
tra  0,  05  e  0,  08.  In  complesso  tutto  il  regno 
dava  0,  9  coatti  su  10000  abitanti. 


—  141  — 


Ma  bisogna  tenero  presente  che  quello  della 
fine  del  '97  fu  momento  di  eccezionale  mitezza, 
giacche  al  31  Decembre  '95  era  stata  la  pro- 
porzione di  1, 4. 

Riguardo  a  1'  età  dei  corrigendi,  sempre  al 
31  decembre  '97,  i  giovinetti  di  meno  di  di- 
ciotto  anni  erano  rappresentati  da  (3,  1  su  100  ; 
da  1,  8  i  giovini  da'  18  a'  21  anni;  da  8,  6  quelli 
dai  21  ai  25;  da  17;2  quelli  dai  25  ai  30;  dal 
restante  69,  9  0[q  erano  contati  gli  uomini  su- 
periori ai  trenta  anni.  Il  2,  4  0[0,  che  manca 
nella  classifica,  rappresenta  quelli  di  età  scono- 
sciuta ! 

Dei  coatti  il  19,  7  0[0  erano  ammogliati,  i 
76,  90  0[0  celibi  e  vedovi  (di  questi  ce  ne  e- 
rano  62)  ed  il  3,  40  0[0  presentavano  uno  stato 
civile  sconosciuto  ! 

Essi,  in  tutto,  lasciavano  457  figli. 

La  statistica,  senza,  molte  frasi,  ci  dice,  la- 
conicamente, l'effetto  rigeneratore  dell'istituto. 

Leggete,  o  paurosi  sostenitori  del  domicilio 
coatto: 

Dei  presenti,  83  erano  stati  precedentemente 
un'  altra  volta  nelle  isole,  120  altre  due  volte, 
106  altre  tre,  64  altre  quattro,  176  altre  cinque, 
e  186  altre  sei  o  sette  od  otto  volte. 

Basterebbero  queste  pochissime  cifre,  per  far 
gridare,  da  un  capo  a  1'  altro  d'  Italia  1'  a  boli- 


—  142  — 


zione  completa,  assoluta,  definitiva  di  tale  pena, 
che  non  reprime,  non  previene,  non  migliora. 

E'  molto  istruttivo  guardare  la  statistica  uf- 
ficiale dal  '97,  dove  su  26S2,  nello  elenco  se- 
condo le  arti  e  mestieri  esercitati  in  libertà,  e 
nelle  colonie,  a  la  linea:  inoperosi  in  libertà 
mette  un  bel  0,  e  par  gli  inoperosi  a  domicilio 
coatto  mette  1376,  cioè  il  51,  35  0[Q.  Ed  è  esi- 
larante poi  l'ingenuità  furbesca,  con  la  quale, 
nell'elenco  sono  messi:  in  libertà  vagabondi, 
oziosi  e  mendicanti  146,  a  domicilio  coatto  0. 
Questi  a  domicilio  coatto  si  chiamano  inoperosi, 
i  446  inoperosi  in  libertà  si  chiamano  vagabondi. 
Oh!  pudicizia  delle  gazzette  ufficiali,  redatte 
ad  usuvn  forcajoleriae! 

La  pudibonda  statistica  à  voluto,  ad  ogni 
costo,  far  risultare  che  nelle  isole  trovano  la- 
voro il  48,  65  0[0  dei  relegati.  Il  che  è  una  in- 
sopportabile esagerazione. 

Infatti,  specificando,  ecco  come  classifica  i 
lavoratori:  464  tra  servi  e  domestici!;  185  tra 
agricoltori  e  giardinieri!  con 3  fossimo  a  Vienna 
od  a  Firenze;  141  muratori;  61  bettolieri;  51  sarti 
e  cappellai;  136  calzolai  e  conciatori;  11  ad- 
detti a'  servigi  interni.  E'  bene,  in  omaggio  a 
la  verità,  constatare  come  tutti  questi  lavoratori 
non  abbiano  lavoro  che  qualche  mese  o  giorno 
dell'anno  e  che  infinitamente  minore     la  cifra 


—  143  — 


di  coloro,  che  veramente  sieno  riusciti  a  darsi 
a  stabile  lavoro. 

In  riguardo  a  la  durata  delle  assegnazioni, 
sui  soliti  2682,  presenti  al  31  decembre  '97,  su 
i  quali  la  statistica  cortigiana  si  ferma  molto  (in- 
versione sessuale:  none  la  statistica,  che  illustra 
i  fatti;  ma  sono  questi  combinati  a  servigio  della 
statistica)  appena  il  35  0[o  sono  assegnati  per 
1  anno  e  poi,  con  un  crescendo  addirittura  go- 
vernativo, si  arriva  a  254  per  2;  a  661  per  tre; 
a  1270  per  5. 

Un'altra  piacevolezza:  di  questi  famosi  2682, 
un  solo  risultava  incensurato  (la  confessione  è 
poliziescamente  scellerata)  e  per  412  mancano 
le  notizie.  Su  questi  412  bisognerebbe  richiamare 
la  attenzione  di  qualche  inchiesta  parlamentare, 
che  il  fatto  inqualificabile  dell'essere  stato  man- 
dato a  domicilio  coatto  un  incensurato,  fa  sup- 
porre che  molti  altri,  tra  i  412,  sieno  qui  sem- 
plicemente per  volontà  di  qualche  delegato  o 
sindaco  locale. 

E'  pure  da  tenere  presente  una  progressione 
a  rovescio:  dei  nou  mai  abbastanza  citati  2682, 
appena  174  erano  condannati  a  più  di  15  anni 
di  reclusione  e  lavori  forzati;  438  fino  a  10  anni; 
418  fino  a  5;  266  fino  a  3;  312  fino  a  2  e  517 
fino  ad  un  anno. 

Questo  specchietto  è  istruttivo  molto. 


—  144  — 


Vediamo  quanto  spende  il  governo  per  man- 
tenere in  piedi  questo  focolajo  di  delinquenza  e 
di  degenerazione. 

Esso  à  speso,  in  media,  per  giornata  di  pre- 
senza L.  0.663  nel  '95-'96  e  0.715  nel  '96-'97, 
sicché  possiamo  ritenere  che  spenda  L.  0.  69. 
Il  minimo  costo  medio  si  è  verificato,  negli  eser- 
cizi passati,  nella  colonia  di  Lipari,  in  cui  la 
spesa  è  scesa  a  L.  0.611.  Questi  69  centesimi 
rappresentano  le  massette,  i  vestiti,  gli  affitti 
di  locale  e  le  piccole  spese  ;  ma  in  esse  non 
sono  calcolate  quelle  esorbitanti  dei  transiti,  dei 
processi,  dell'ufficio  di  P.  S.,  delle  carceri  e 
della  guarnigione,  che  sono  qui  esclusivamente 
per  la  presenza  dei  coatti. 

Ad  esempio,  il  direttore  locale  è  delegato  di 
P.  S.,  direttore  di  colonia,  direttore  delle  car- 
ceri e  non  so  che  altro:  cumulando  tanti  ufficii 
e  tanto  lavoro,  è  naturale  che  incassi,  egli  solo, 
triplo  o  quadruplo  stipendio. 

Calcolando  il  numero  medio  de'  coatti  a 
cinquemila,  noi  per  essi  spandiamo  L.  3450  al 
giorno,  cioè  annualmente  L.  1,259;250,  che  ar- 
rivano a  due, milioni  con  le  spese  indirette. 

Sintetizziamo  ordunque  che  cosa  renda  questo 
dispendiosissimo  istituto,  tanto  cervelloticamente 
impiantato  e  testardamente  mantenuto. 

Ecco  il  decalogo  dei  vantaggi,  che  ne  ricava 
il  paese. 


L'  istituto  del  domicilio  coatto  : 

1.  Falcidia  l'erario. 

2.  Distrugge  annualmente  moltissime  vite. 

3.  Gitta  su  il  lastrico  moltissimi  bimbi. 

4.  Fa  vedove  e  pupilli. 

5.  Riempie  le  carceri  ed  i  manicomii. 

6.  Causa  fallimenti. 

7.  Aumenta  il  numero  delle  morti  violente. 

8.  Causa  suicidii. 

9.  Diminuisce  la  produzione  del  lavoro. 

10.  Aumenta  anche  indirettamente  le  spese 
dell'erario  pubblico  per  il  conflitto,  nel  quale 
mette  i  relegati  e  le  loro  famiglie  con  i  rap- 
presentanti del  potere. 

Potrebbe  continuare,  ed  il  decalogo  mutarsi 
in  ettologo  o  mirialogo. 

XIX. 
La  camorra. 

Era  una  delle  piaghe  maggiori  delle  isole, 
sino  a  qualche  anno  fa. 

Gli  ultimi  veri  camorristi,  prepotenti,  vio- 
lenti, accoltellatori,  sparatori,  si  erano  impa- 
droniti delle  colonie  e  non  di  rado  le  autorità 
locali  di  P.  S.  se  ne  servivano  per  il  manteni- 
mento dell'  ordine,  lasciando  loro  mano  libera 
su  il  resto. 


—  146  — 


Oramai  però  si  è  ridotta  a'  minimi  termini 
e  se  non  è  scomparsa  affatto,  ci  manca  poco. 

Guardando  la  statistica  ufficiale  abbiamo  visto 
die,  negli  anni  passati,  appena  il  5  0[Q  dei  reati 
commessi  sono  stati  reati  di  camorra.  Nelle  sta- 
tisticlie  di  questi  ultimi  anni  la  percentuale 
apparirà  di  molto  diminuita. 

Le  causB  sono  diverse. 

Una  di  esse  potrebbe  trovarsi  nel  rigore  di 
alcuni  direttori  di  colonia,  i  quali  anno,  da  un 
certo  tempo  in  qua,  deferito  molte  associazioni 
di  simil  gente  ai  Tribunali,  che  ànno  condan- 
nato con  condanne  severissime  ,  decimandoli 
e  mandandoli,  per  molti  anni,  in  galera. 

L'altra  causa  immediata  potrebbe  trovarsi 
nella  miseria  profonda,  squallida,  generale,  ine- 
narrabile, straziante,  da  la  quale  sono  consunti 
i  coatti,  si  che  poco  o  nulla  possono  loro  togliere 
i  camorristi  di  tradizione  e  di  professione,  i  quali 
ànno  dovuto  rinunciare  al  facile  mezzo  eli  vita. 

Ma  la  ragione  più  vera  e  maggiore  è  che 
questa  istituzione  secolare  è  stata  anche  essa 
assorbita  e  fatta  sua  dal  governo  italiano,  che, 
come  per  i  tabacchi  e  per  il  lotto,  ne  à  acqui- 
stato la  privativa. 

Ci  troviamo  di  fronte  non  ad  una  morte;  ma 
ad  una  trasformazione,  non  ad  uno  sradicamento; 
ma  ad  un  elevamento,   non  a  la  scomparsa  di 


—  147  — 


una  classe  o  di  una  istituzione  ;  ma  ad  una  suc- 
cessione. 

La  camorra  bassa  à  consegnato  tutte  le  sue 
armi  a  V  alta  camorra  :  gli  accoltellatori  anno 
ceduto  il  posto  ai  bombardatori  ,  i  compratori 
di  stracci  ai  compratori  di  muletti,  gli  sfrutta- 
tori di  misere  donnicciuole  a  gli  sfruttatori 
delle  Banche. 

Se  si  interrogano  i  buoni,  i  vecchi,  gli  in- 
genui camorristi  di  un  tempo,  essi,  umiliati,  ri- 
spondono, con  un'  aria  e  con  una  voce,  che  fa 
pena  sentirli  : 

—  Molto  meglio  di  noi  sanno  il  mestiere  ! 

Nelle  loro  più  basse  funzioni  sono  stati  so- 
stituiti da  gli  agenti  di  polizia.  Infatti  la  Pro- 
paganda di  Napoli  sta  rivelando  come  a  sfrut- 
tare le  donne  perdute  ed  ad  ingravidare  le 
fanciulle  tredicenni  non  sieno  più,  nei  paese 
classico  della  camorra,  i  camorristi  ;  ma,  nel 
paese  classico  della  polizia,  sieno  gli  agenti  di 
polizia. 

I  Don  Chisciotte  del  diritto  e  dell'onore  non 
si  racimolano  più  tra  i  muscolosi  degenerati  ; 
ma  tra  i  gaudenti  depravati.  Se  vi  recate  in 
Napoli,  vi  indicheranno,  ad  una  voce,  non  più 
tra  i  plebei  di  Porta  Capuana  o  del  Pendino  i 
successori  di  Ciccio  Cappuccio;  ma  tra  i  magna- 
nimi mascalzoni,  tra  i  magnati  mecenati  mer- 
cenari^ in  altri  più  nobili  quartieri. 


—  148  — 


Salutiamo,  con  la  mestizia  di  ogni  tramonto, 
i  capintesta ,  i  capintriti,  i  contajuoli  e  simile 
roba.  Essi  anno  fatto  atto  di  sommessione  a  la 
gente  nuova,  che  è  venuta,  in  nome  del  governo, 
a  surrogarli. 

Ma  questa  gente  nuova  oggi  si  trova  a  le 
prese  con  i  socialisti  di  Napoli;  od  a  V  audace 
giovine  manipolo  dei  socialisti  napolitani  la- 
sciamo tutto  il  pericolo  e  tutto  l' onore  di  fare, 
innanzi  al  Tribunale  della  pubblica  opinione, 
la  storia,  la  diagnosi,  la  prognosi  e  la  necrologia 
di  questa  nuova  classe  parassitaria,  che  à  preso 
il  posto  della  vecchia  camorra  plebea. 

XX. 
I  delinquenti. 

Oi  viviamo  in  mezzo,  e  di  molti  conosciamo 
il  triste  passato,  di  tutti  il  tristissimo  presente. 

Essi,  in  maggioranza,  sono  i  vinti  nella  lotta 
per  l'esistenza  :  sotto  una  o  sotto  altra  forma, 
il  fatto  mostruoso,  che  i  tardissimi  nipoti  non 
crederanno,  è  che  ad  uomini  è  mancato  il  pane, 
mentre  la  terra  generosamente  ne  produce,  ad 
esuberanza,  per  tutti  i  suoi  figli  e  le  derrate, 
accumulate,  infradiciate,  fanno  crollare  i  solai 
dei  vasti  e  rigonfii  magazzini.  Nelle  sofferenze 
strazianti  del  loro  stomaco,  nel  supremo  bisogno 


—  149  — 


della  propria  conservazione,  anno  preso  ciò,  che, 
por  istinto,  per  ereditario  indeciso  pensiero  di 
diritto  oltrepassato,  trasmesso  dai  lontanissimi 
padri,  anno  ritenuto  nel  loro  diritto  naturale, 
prescindendo  da  le  convenzioni  sociali,  all'  in- 
fuori del  diritto  legale,  che  essi  non  anno  nò 
stabilito  nè  approvato. 

Adunque  sono  dei  delinquenti.  Il  cervello  à 
le  sue  radici  nello  stomaco  :  mancato  il  concime, 
la  pianta  intristisce;  nelle  cellule  cerebrali,  de- 
nutrite, si  attenuano  le  idee  acquisite  e  solo  i 
pensieri,  stratificati  da  molti  secoli,  ripullulano. 
Avviene  che  la  fame  à  effetto  simile  a  la  pioggia 
su  terreni  scoperti,  la  quale  mette  a  nudo  la 
roccia  :  il  cervello  resta  un  dente  senza  smalto 
e  non  funziona  più.  Più  scientificamente  par- 
lando, tutto  si  riduce  a  la  poca  attività  —  per 
difettosa  educazione  o  per  debole  organizzazione 
o  per  alterazione  o  per  anomalìa  ingenita  — 
dei  centri  inibitori. 

Nel  secolo  decimosettimo  ci  erano  i  compra- 
chicos.  Questi  comprachicos  erano  dei  fabbri- 
canti di  mostri:  essi  rubavano  i  bambini  e  li 
lavoravano,  per  restituirli  uomini  a  la  società. 
La  società  alta  applaudiva  i  mostri  e  la  bassa 
li  confortava,  sapendoli  parte  di  se  stessa. 

Tale  onorevole  e  proficua  industria  si  andò, 
man  mano,  affievolendo  nel  secolo  decimottavo* 


—  150  — 


I  re  ed  i  principi,  non  sentendo  più  la  voglia 
di  ridere,  firmarono  delle  ordinanze,  che  aboli- 
livano  il  divertimento. 

Ma,  cadute  le  teste  di  Carlo  I  e  di  Luigi  XIV, 
si  trovò  che  il  mondo  diveniva  monotono  od  i 
successori,  i  quali,  come  tenie,  si  moltiplicarono 
da  le  teste  decapitate,  pensarono  che  fossero  da 
instituire  nuovi  comprachicos,  a  divergere  la 
attenzione  da  il  ricordo  sovversivo  del  passato. 

Lo  scopo  resta  quello  :  far  ridere  i  felici  con 
i  tormenti  degli  infelici;  ma  1'  arte  si  è  perfe- 
zionata. Non  per  nulla  siamo  a  la  vigilia  del 
secolo  ventesimo. 

Per  la  nuova  arte,  non  si  storpiano  più  le 
gambe,  non  si  rompono  più  le  spine  dorsali,  non 
più  si  raffazzonano  i  volti.  Semplicemente  si 
mutilano  le  anime  e  si  confezionano  i  cervelli: 
la  civiltà  progredita  porta  che  su  i  cuori  si  possa 
lavorare  come  su  marmo  pario. 

Questa  abbozzatura  si  esercita,  su  le  anime, 
da  la  prima  infanzia  :  i  comprachicos  anno  ce- 
duto il  posto  a  gli  uomini  del  governo. 

Quando  la  psiche  è  ben  deformata,  si  met- 
tono a  la  berlina;  attorno  a  la  gabbia  si  affollano 
i  sapienti  e  decidono,  con  gli  esempii  sotto  gli 
occhi,  che  la  delinquenza  ereditaria  à  regalato 
a  la  benigna  società  nuovi  mostri.  Questi  poi  si 
mandano  a  la  galera  od  al  domicilio  coatto;  così 


è  dato  a  la  società  affermare  di  avere  ancora 
una  volta  salvata  se  stessa. 

E'  un  divertimento,  che  non  costa  nulla  ;  è 
anche  l' esercizio  di  un  diritto  e  l'esecuzione  di 
un  dovere. 

Queste  povere  anime  mostruose  si  dibattono 
come  i  topi  sotto  le  granfie  del  gatto;  ma  fini- 
scono con  l'essere  dilaniate.  Esse  sono  la  sel- 
vaggina riserbata  a  le  plebi  de'  benpensanti  : 
non  altrimenti  nelle. caccia  reali  la  selvaggina 
è  gittata  sotto  gli  schioppi,  per  essere  atterrata. 

La  società,  che  dovrebbe  essere  costituita 
come  una  risultante  di  tutte  le  volontà,  si  scaglia 
loro  addosso  e  li  -colpisce  con  l'anatema,  che, 
più  implacabile  del  ferro  medio -evale,  con  il 
quale  si  bollavano  i  rei,  li  segna  per  tutta  la 
vita  e  li  danna  per  1'  eternità.  Infatti  dopo  il 
carcere,  viene  l'inferno  e  dio  è  il  tirapiedi,  che 
accompagna  il  boja.  Non  per  nulla  si  rappre- 
senta Pietro  con  le  chiavi  in  mano  :  il  simbolo 
è  per  ricordare  che  nel  cielo  ci  sono  le  infer- 
riate come  in  terra  e  che  i  miseri  non  ànno  da 
sperare  pietà. 

I  giudici  ànno  applicato,  con  dotti  conside- 
randi,  le  disposizioni  di  parecchi  codici  studiati, 
pubblicati,  modificati,  commentati,  interpretati  ; 
gli  scienziati  ànno  misurato  i  cranii  deformi  o 
deformati  e  li  zigomi  sporgenti  per  trentennale 


—  152  — 


fame  ;  gli  oculisti  anno  riscontrato  dell©  irre- 
golarità nella  funzione  visiva  e  gli  psicologi, 
con  il  bisturi  in  mano,  sono  andati  a  la  ri- 
cerca delle  animelle,  rannicchiate,  paurose  ed 
ànno  trovato  avere  l'anima  tanti  difetti  quanto 
il  corpo,  e  tutti  non  potersi  numerare. 

Finalmente,  distrutto  lo  stomaco,  inutilizzate 
le  visceri,  disorganizzato  il  cervello,  su  il  ta- 
volo anatomico,  nell'analisi  necroscopica,  il  dot- 
tore, prendendo  con  le  pinzette  un  gramma 
della  sostanza  cerebrale,  potrà  affermare  : 

—  La  sede  del  male  era  qui  ! 

La  Società  à  un  nemico  di  meno  ;  ma  que- 
sta mala  genìa  troppo  prolifica  e  troppi  tavol1 
anatomici  occorrerebbero  per  tagliarli  tutti. 

In  vita  intanto  sono  affidati,  per  un  periodo 
più  o  meno  lungo,  che  continuamente  si  rin- 
nova, a  gli  esecutori  di  giustizia,  veri,  coscien- 
ziosi ed  autorevoli  interpreti  delle  necessità  e 
della  morale  sociale.  Quante  faticose  tele  di  Pe- 
nelope si  vanno  tessendo  in  certe  anime  ab- 
bujate  ! 

Il  buon  Gavilli,  scrivendomi  da  Pantelleria, 
mi  à  raccontato  di  individui,  colà  relegati,  che 
ànno  già  scontato  quindici  e  persino  venti  anni 
di  domicilio  coatto,  in  tre  o  quattro  volte;  e  mi 
à  detto  di  uno,  che  in  undici  anni,  non  è  riu- 
scito ad  espiare  la  sua  assegnazione,  che  doveva 


—  153  — 


essere  di  cinque,  per  carcerazioni  buscatesi  nel- 
V  isola,  delle  quali  nessuna  riportata  per  reato 
infamante  ;  ma  tutte,  invece,  per  le  mancanze, 
che  derivano  direttamente  da  il  foglio  di  per- 
manenza, cioè  a  dire  per  il  semplice  fatto  di 
dovere  soggiacere  ad  un  istituto,  che  giornal- 
mente si  dimostra  causa  continua,  assoluta  di 
artificiale  delinquenza.  Questo  tale  cercò  libertà 
a  la  fuga;  ma  ripreso  fu  condannato  ad  anni  4 
di  reclusione  e  2  di  sorveglianza,  essendo  stato 
ritenuto  furto  la  requisizione  della  barca,  ol- 
tre ad  altri  cinque  anni  di  coatto,  da  sommarsi 
a  gli  undici. 

Di  questi  dolorosi  esempii  non  se  ne  trovano 
solo  a  Pantelleria;  ma  in  tutte  le  isole,  in 
tutte  le  carceri  ed  in  tutti  gli  stabilimenti  di 
pena. 

E'  capitato  qui,  da  pochi  giorni,  il  coatto 
Spano  Silvio,  il  quale,  mandato  a  domicilio 
coatto  nella  fine  del  '96,  nel  marzo  '97  fu  in- 
viato a  Gavi  per  sei  mesi.  Da  Gavi  spedito  ad 
Ustica,  dopo  15  giorni  fu  inviato  di  nuovo  a 
Gavi  per  altri  sei  mesi.  Scontata  la  pena,  tra- 
dotto a  Tremiti,  dopo  14  giorni  fu  di  nuovo 
condannato  a  sei  mesi  di  Gavi. 

Dei  digiuni  assoluti  per  48  ore,  delle  batti- 
ture, delle  torture  nei  luridi  ed  umidi  sotter- 
ranei del  Castello  di  Gavi  che  non  a  nulla  da 


—  151  — 


invidiare  a  quello  di  Montiujch,  dei  direttori 
Bosio  e  Martini  dirò  lungamente  nel  terzo  vo- 
lume. 

Il  coatto  Spano,  martoriato  in  tutti  i  modi, 
à  perduto  la  salute  per  sempre  e  non  vede  più. 

Una  tale  turba  di  delinquenti  pullula  dap- 
pertutto. 

Nel  maggio  del  ?98  ne  incontrai  uno  in  un 
carcere,  che,  nella  verde  età  di  quindici  anni, 
aveva  già  stampato  le  prime  orme  su  il  triste 
sentiero.  Una  sera,  in  cui  la  mamma  tremava 
dal  freddo,  quel  precoce  scellerato,  uscendo  da 
la  sua  casupola,  guardingo  come  un  lupacchiotto, 
si  era,  a  guisa  di  scimmiotto,  arrampicato  su  un 
albero  di  un  bosco  vicino,  e,  tagliandone  un 
ramo,  aveva  amorosamente  riscaldato  le  membra 
intirizzite  di  chi  gli  aveva  dato  la  vita  ed  il 
latte.  A  chiarire  meglio  il  misfatto,  è  utile  ag- 
giungere che  su  quel  bosco  egli  non  aveva 
diritto  alcuno  utendi  et  àbutendi.  Ma  la  giu- 
stizia punitrice  lo  raggiunse  ed  io  potei  guar- 
dare con  profondo  disprezzo  le  lagrime  di 
pentimento  di  quel  precoce  delinquente,  il  quale 
aveva  attentato  a  la  proprietà  individuale. 

Perchè,  fortunatamente,  noi  abbiamo  leggi  e 
codici  e  regolamenti  e  l'animo  nostro,  per  elo- 
giabile  sentimento  di  "difesa  sociale,  può  chiu- 
dersi ad  ogni  pietà. 


XXI. 


Il  cavaliere  dell'  anarchia. 

Parlo  di  Luigi  G-alleani,  da  Vercelli,  relegato 
da  tre  anni  noli'  isola  di  Pantelleria. 

Servirà  a  fare  respirare  ossigeno  a  chi  scrive 
ed  a  chi  legge. 

Luigi  Galleani  è  una  delle  figure  più  pure 
e  più  nobili  e  più  generose  del  partito  anarchico 
internazionale,  come  ne  è  uni  delle  intelligenze 
più  spregiudicate. 

Tenace  come  un  Abruzzese  (gli  Abruzzesi 
ànno  molte  di  quelle  qualità,  con  le  quali  di 
un  maschio  si  fa  un  uomo  ;  ma  politicamente 
sono,  in  generale,  delle  canaglie)  od  un  Piemon- 
tese, focoso  come  un  Palermitano,  la  sua  tenacia, 
la  sua  forza,  la  sua  penna,  le  sua  parola,  la 
sua  libertà  e  tutta  la  sua  vita  à  messo,  sin  da 
la  prima  giovinezza,  a  servigio  del  suo  partito. 

Il  padre,  un  religioso  monarchico,  un  devoto 
ai  Principi  di  Piemonte  e  Re  di  Sardegna,  vide 
con  orrore  la  lue  sovversiva  propagarsi  nella 
fedele  Vercelli  e  fremè  di  raccapriccio  il  giorno, 
in  cui  dovè  constatare  come  l'untore  principale 
e  migliore  fosse  proprio  il  figliuol  suo. 

Credo  di  non  sbagliare  affatto,  attribuendo 
al  Galleani,  allora  giovinetto,  i  primi  coraggiosi 


—  156  — 


e  poderosi  attacchi  a  l' immane  granitico  colosso 
di  una  secolare  fedeltà,  che  gravava  su  tutto 
il  Vercellese. 

Primo  effetto  della  lenta  opera  di  sgretola- 
mento furono,  dopo  il  dolore  ed  il  cruccio  pa- 
terno, beghe  e  duelli  con  ufficiali  e  sciabolate 
tirate  da  soldati  su  inerme  popolo  ed  un  puti- 
ferio infernale  ed  un  diavolìo  di  insalti  e  pole- 
miche e  vertenze  da  Gazzettino  Rosa. 

Ma  a  più  proficuo  lavoro  si  die  presto,  pro- 
pagando con  fervore  di  apostolo  le  nuove  idee 
(si  era  verso  il  1886)  in  Alessandria,  Casale, 
Torino,  Sampierdarena,  in  Valsesia  e  Val  di 
Magra,  spingendosi  sino  a  Spezia  ed  in  Luni- 
giana,  che  l'ebbero  conferenziere  assiduo,  effi- 
cace^ instancabile  :  che  egli  possiede  molte  delle 
qualità  più  necessarie  a  divenire  perfetto  ora- 
tore, (intendo  oratore  nel  senso  classico  della 
parola)  come  à  riconosciuto  1'  on.  Ferri,  che  è 
competentissimo  in  materia.  \ 

Stabilitosi  a  Torino  nel  1888  con  il  povero 
Giraud,  incominciò  quel  meraviglioso  lavoro,  che 
fece  capo  a  gli  scioperi  enormi  del  maggio  di 
quell'  anno  in  Torino,  con  quindicimila  a  ven- 
timila donne  e  diecimila  uomini,  mentre  si  an- 
dava propagando  ne'  cotonifìcii  di  Pom-Bass-A- 
brate,  Naretto,  Bevilacqua  e  tra  conciatori, 
meccanici,  remajuoli  del  Po,  fornai,  muratori 
ed  altre  maestranze, 


—  157  — 


Questa  enorme  fiammat  i  riscaldò  talmente  il 
suolo  natio,  che  il  Galleani  dovè  scappare  a 
respirare  aria  libera  prendendo  la  via  dell'esilio, 
che  noi  sappiamo  quanto  è  duro  calle  e  quanto 
sa  di  sale. 

Oh,  l'esilio  !  la  più  insopportabile  delle  pene. 
Come  amaro  viene  il  ricordo  del  dolore  nostal- 
gico, che  lacerava  l'anima  e  tribolava  il  cuore; 

10  spasmodico  singhiozzo,  che  arrivava  a  la  gola 
nei  momenti  di  solitudine  tra  folla  sconosciuta, 
nelle  ore  di  tristezza  tra  il  giubilo  comune; 
come  nel  pensiero  si  rinnovella  lo  spasimo  delle 
livide  giornate,  in  cui  tutto  è  tenebra  mentre 

11  sole  sfolgora  luce  e  calore;  in  cui  tutto  è 
sconforto  e  pare  che  l'esistenza  finisca,  mentre 
invece  la  linfa  sale,  il  granello  si  apre  in  seno 
a  la  madre  terra  e  la  vita  vive  le  sue  ore  mi- 
gliori. 

Il  carcere  è  lurido;  ma  1'  esilio  è  atroce. 
Il  domicilio  coatto  è  lurido  più  del  carcere,  a- 
troce  come  1'  esilio. 

Chi  questo  à  provato,  non  può  neanche  ri- 
cordarlo tanto  il  cuore  spasima  a  la  triste  visione. 
Noi,  povere  piante  senza  radici,  con  la  forza 
potente  di  attrazione,  con  la  quale  la  Terra  ci 
tiene  ad  essa  inchiodati,  siamo  attirati  da  lo 
sfrenato  desìo  di  ricacciare  la  testa  ischeletrita 
tra  quelle  medesime  zolle,  che  ci  dettero  la  vita. 


—  158  — 


Ne  questo  fatale  amore  del  natio  loco  stringe 
l'anima  solo  a  noi  minimi,  che  Giordano  Bruno 
al  prolungare  la  vita  in  esilio  preferì,-*  da  il 
rogo  arso,  spargere  le  proprie  ceneri  su  la  terra 
natale. 

E'  forse  perciò  che  ora  ànno  pensato  di  col- 
pirci con  la  pena  del  bando. 

I  cocenti  dolori  del  profugo  tutti  strinsero, 
come  in  morsa  infocata,  il  cuore  del  Galleani, 
il  quale,  solo,  senza  fortuna,  sdegnoso  e  sel- 
vatico, dovè  passare  per  tutta  la  trafila  di  mi- 
serie, in  cui  si  affina  la  sensibilità  di  tutti  i 
de  classe  s  e  si  tempera  la  solidità  del  carattere 
e  delle  convinzioni.  Facchino,  spaccalegne,  ter- 
razziere, barbiere,  scribacchino  peregrinò,  finche 
un  bel  giorno  e'  fece,  a  piedi,  la  passeggiatina 
en  amateur  dei  seicento  chilometri,  che  sepa- 
rano la  patria  di  Gian  Giacomo  Rousseau  da  il 
cervello  del  mondo. 

Provò  Mazàs  e  fa  espulso  ;  fu  tradotto  per 
tutta  la  *  frontiera  dell'Est,  capitò  nel  Lussem- 
burgo e  tornò  a  Ginevra:  questa  volta  per  vi- 
verci vita  umana. 

Eliseo  Réclus  lo  assunse  a  suo  segretario 
e  collaboratore  ;  nella  dolce  tranquillità  della 
quiete  villa  di  Clarens,  tra  tutta  una  gentile  e 
buona  tribù  di  nikilisti  russi,  potè  passare  mesi 
belli,  ore  calde  ed  intellettuali. 


—  159  — 


Beato  Ini,  beatissimo  lai,  per  il  quale  la  vita, 
tra  lotte  e  sofferenze,  à  avato  un  giorno  sereno! 

Arrestato  infine  ed  espulso  dal  territorio  della 
Confederazione,  che  troppo  spesso  va  cedendo  a 
le  lusinghe  od  a  le  minacce  degli  Stati  limi- 
trofi e  che  più  d'una  volta  ^  si  è  resa  colpevole 
di  far  la  parte  di  gendarme  del  governo  italiano, 
venne  ricondotto  in  patria,  dove  l'amnistia  del 
23  novembre  '90  gli  faceva  "aria  respirabile. 

Dal  1891  al  1894  è  tutto  un  periodo  di  con- 
ferenze, di  processi,  di  propaganda,  di  arresti, 
di  perquisizioni,  di  pedinamenti,  di  occultamenti 
ed  agitazioni  operaje  e  di  scioperi  e  di  comizii, 
di  leghe  e  di  giornali. 

Ma  sopravvennero  i  tumulti  di  Sicilia  e  di 
Lunigiana  ed  il  Galleani,  con  altri  trentacinque 
compagni,  fu  tradotto  innanzi  al  Tribunale  per 
associazione  a  delinquere. 

Tra  lui  ed  il  questore  Sironi  fu,  durante 
tutto  il  dibattimento,  un  duello  accanito  in  cui 
il  feroce  funzionario  dovè,  più  di  una  volta, 
abbassare  il  pallido  viso  di  fronte  al  sovversivo, 
tra  gli  applausi  irrefrenabili  del  pubblico  e  la 
desolazione  della  eccelsa  Corte. 

Imperava  Crispi,  il  rinnegato;  il  processo, 
che  si  svolgeva  tra  1'  attentato  del  Caserio  e 
quello  del  Lega,  si  chiuse  con  la  condanna  di 
tutti  gli  imputati  ad  un  anno  e  del  Galleani  a 


—  160  — 


tre  anni  di  reclusione,  tre  d'  interdizione  dai 
pubblici  ufficii  e  due  di  vigilanza. 

Mentre  scontava  la  condanna,  da  la  quale 
non  aveva  voluto  appellare,  dando  un  lodevole 
esempio  di  coerenza,  tradotto  innanzi  la  com- 
missione istituita  conte  leggi  19  luglio  '94  dopo 
la  sua  condanna  e  destinata  a  sparire  con  le 
leggi  eccezionali  prima  del  termine  della  penaì 
che  gli  era  stata  inflitta,  fu  assegnato  per  anni 
cinque  a  domicilio  coatto. 

In  tempi  di  proscioglimenti  condizionali  la 
libertà,  sotto  tale  forma  offerta,  sempre  rifiutò, 
con  il  dichiarare  al  Ministero  dell'  Interno  di 
non  voler  negoziare  con  i  birri  condizioni  a  la 
libertà  sua  e  per  consuetudine  non  accettare 
favori  da  coloro,  che  odia  cordialmente  e  di- 
sprezza profondamente. 

In  questa  linea  di  condotta  non  si  può  non 
essere  perfettamente  d'  accordo,  che  è  chiaro 
come  malamente  provveda  a  la  propria  libertà 
colui  che,  violentemente  privatone,  ne  accetta, 
poi,  la  restituzione,  con  sottintesi  ed  imperativi 
categorici.  Purtuttavia  se  questa  libertà  condi- 
zionale spontaneamente  elargita  (la  spontaneità 
governativa  è  causata  sempre  da  lo  sdegno  e 
da  la  volontà  popolare)  può,  a  le  volte,  accet- 
tarsi, sotto  lo  stimolo  del  maggior  utile  che  può 
venirne  a  la  propria  famiglia  ed  al  proprio  par- 


—  161  — 


tito,  non  si  può  trovare  alcuno  motivo  di  atte- 
nuante per  quei  socialisti  od  anarchici  o  repub- 
blicani, che  ne  facessero,  essi,  domanda  al  go- 
verno. 

Luigi  Galleani  alto,  forte,  bon  quadrato, 
l'occhio  vivo  e  scrutatore,  il  pappafico  incolto, 
ricorda  la  sorridente  e  bonaria  figura  di  Bene- 
detto Cairoli. 

Ascolta  più  volentieri  di  quel  che  parli  ;  ma 
se  il  dibattito  lo  interessa,  interviene  con  ar- 
dore ed  allora  il  taciturno  si  rivela  oratore. 

Nel  suo  sangue  io  penso  debba  scorrere  qual- 
che goccia  del  sangue  di  Farinata  o  di  Mar- 
cello, tanto  egli  è  uomo  di  parte  completo. 

Reclama  il  diritto  d'  amare  ed  a  le  amicizie 
è  fedele,  sino  al  sacrifìcio  ;  reclama  il  diritto  di 
odiare  e  lo  esercita  con  una  tenacia,  che  gli 
viene  rimproverata  da  gii  stessi  amici.  Tempe- 
ramento equilibrato,  carattere  adamantino,  te- 
nace nelle  sue  convinzioni  e  ne'  suoi  propositi, 
odia  i  mezzi  termini  e  le  mezze  coscienze  od  i 
mezzi  caratteri  ed  il  parlamentarismo,  che,  a 
giudicarlo  da  quello,  che  giornalmente  va  dive- 
nendo, malgrado  i  titanici  sforzi  dei  socialisti, 
non  merita  nè  grande  amore  ne  grande  odio  e 
pare  voglia  morire  di  anemia  e  clorosi,  per  farsi 
sotterrare  tra  la  compassione  universale,  in  un 
cataletto  di  giuleppe. 


—  162  — 


Per  questa  sua  facoltà  di  odiare  io  stimo  il 
Galleani  uomo  di  parte  perfettissimo  e  lo  in- 
vidio ;  cliè  troppo  dolciume  scorre  nelle  nostre 
vene  illanguidite,  troppo  concediamo  a  le  astra- 
zioni metafisiche  e  di  troppa  irresponsabilità 
accusiamo  i  nostri  avversarli,  che  lietamente  ci 
pugnalano  a  le  spalle,  con  coltelli  avvelenati, 

XXI 1. 

Alcuni  degli  anarchici  relegati. 

Non  mi  occuperei  affatto  degli  uomini,  per- 
suaso che  essi  si  giudicano  solo  dopo  morti,  se 
fossero  semplicemente  dei  perseguitati  e  dei 
martoriati;  ma  essi  sono  ancora  dei  calunniati. 

Questa  esosa  polizia  politica  italiana,  non 
contenta  di  torturarli,  li  diffama;  non  contenta 
di  seppellirli  nelle  isole  e  nelle  galere,  li  foto- 
grafa e  li  biografa,  a  modo  suo  ;  non  contenta 
di  toglierli  da  la  vita,  vorrebbe  toglierli  da  la 
stima  degli  onesti. 

Eh,  via!  buttiamo,  una  volta,  su  il  lurido 
viso  dei  poliziotti  e  dei  forcajuoli  d'  Italia,  la 
vita  immaculata  ed  intemerata  di  alcuni  di 
questi,  malnoti  o  poco  noti  od  oscuri  od  oscu- 
rissimi. 


—  163  — 


Galileo  Palla. 

E'  il  più  strano  e  più  caratteristico  impasto 
di  antagonismi  psicologici  e  di  contrasti  fisici. 
Innestate  su  il  tronco  d'  Orlando  il  volto  d'un 
San  Paolo,  il  cranio  lucido  d'un  consigliere  di 
Cassazione,  ricamate  attorno  a  gli  occhi  verdi 
socchiusi  un  sorriso  fine  di  montanaro,  arruffa- 
telo di  peli  irti,  folti,  color  di  rame  dappertutto 
dove  la  pelle  appare,  da  la  punta  delle  dite  su 
per  le  braccia,  da  la  radice  del  collo  su  su  fino 
a  le  ciglia,  a  quest'  orrido  pittoresco  aggiun- 
gete 1'  animo  di  un  fanciullo,  la  delicatezza  di 
una  vergine,  la  cocciutaggine  di  un  carrarese, 
la  spensierata  indolenza  di  un  napolitano  ed 
avrete  Galileo  Palla. 

Quest'  uomo  nato  buono  e  rimasto  tale  at- 
traverso le  più  diverse  vicende,  non  a  avuto 
mai  un'  ora  di  pace  ne  un'  ora  di  libertà  sotto 
il  sole  della  patria. 

Perseguitato  da  1'  83,  ragazzo  ancora  —  giac- 
che egli,  malgrado  la  barba  veneranda,  che  è  il 
suo  legittimo  orgoglio,  ed  il  cranio  abbagliante, 
che  è  la  sua  disperazione  sconsolata,  non  à  tren- 
tacinque anni  ancora  —  col  Malatesta,  col  Mer- 
lino e  gli  altri  anarchici,  su  cui  pendeva  la  famosa 
condanna  per  associazione  di  malfattori  e  rela- 
tivo mandato  di  cattura,  partì  per  Napoli  tra  le 


—  161  — 


squadre  di  soccorso  ai  colerosi.  Rjcco  de  Zerbi 
a  repoca  del  processo  Cipriani  nel  1892  à,  nel- 
l' udienza,  detto  di  lui,  della  sua  abnegazione  e 
del  suo  coraggio  semplice  e  sereno  parole,  le  quali 
io  non  ripeto  per  non  urtare  quella  selvatica  e 
taciturna  modestia,  che  è  uno  elei  tratti  salienti 
del  suo  carattere. 

Pagato  il  suo  tributo  di  assistenza,  ripudiata 
la  medaglietta,  partì  perii  Sul  America,  con  Ma- 
latesta,  Agostinelli,  Natta  ed  altri,  a  la  ricerca 
delle  miniere  d'  oro  di  Patagonia.  Le  miniere 
e'  erano  veramente;  ma,  quando  cominciarono  i 
primi  lavori,  fu  loro  notificato  che,  per  un'  antica 
concessione,  esse  erano  proprietà  di  non  S3  quale 
compagnia.  I  sacchi  di  biscotto  fracido,  con  cui 
erano  vissuti  fino  allora,  non  istavano  in 
piedi  più  e  la  gaja  brigata  si  sciolse,  dirigen- 
dosi verso  l'Argentina.  Non  rimasero  in  attesa 
di  avvenimenti  che  il  Palla  e  V  Agostinelli,  i 
quali,  per  puro  miracolo,  riuscirono  poi  a  sfug- 
gire l'inedia  e  la  morte. 

Presso  il  punto  disabitato,  deserto  della  costa 
dove  erano  accampati,  il  passaggio  dei  piroscafi 
non  è  possibile  che  in  brevi  e  rade  stagioni 
dell'anno  ed  il  vapore,  che  doveva  passare  per 
l'ultima  volta,  quell'inverno  era  a  qualche  miglio 
da  la  spiaggia.  Malgrado  i  segnali  indiavolati  e 
angosciosamente  vani  da  parte  dei  due  Robinson, 


—  1G5 


il  vapore  non  scendeva  1' àncora  in  mare.  Non 
c'era  che  un  alternativa:  raggiungerlo  a  nuoto 
o  morire  di  fame  e  d'abbandono,  come  Manon  e 
Des  Grieux. 

L'  idilio  non  s  >rrise  a  Galileo.  Poco  badando 
a  la  temperatura  glaciale,  al  lungo  percorso,  egli 
si  buttò  in  mare  e  raggiunse  il  piroscafo  in 
moto.  Lo  accolsero  a  bordo  e  gli  offrirono,  ricom- 
pensa a  r  audacia  eroica,  di  portarlo  a  Buenos 
Aires. 

—  0'  è  un  altro  mio  compagno  a  terra,  bi- 
sogna scendere  con  un  canotto  e  portarlo  qui, 
ansò  Galileo,  intirizzito  dal  freddo  e  spossato  dal 
tragitto. 

Rifiuto  reciso  del  capitano  e  franca  minaccia 
del  Palla  : 

—  -  0  scendete  con  una  lancia  o  mi  ributto 
in  mare,  lasciando  su  la  vostra  coscienza  il  doppio 
omicidio. 

E,  pronto  ad  aggiungere  il  fatto  a  la  parola, 
si  slanciò  a  la  nuotata. 

Una  lancia  scese  ed  entrambi,  prestando 
servizio  a  bordo,  ottennero  il  passaggio  per 
l'Argentina. 

Qui  la  Repubblica  fè  provare  al  Palla  le 
prime  gioje  cellulari  per  circa  sei  mesi,  poi  lo 
rimise  in  1  bèrta  ed  egli  salpò  per  Londra,  dove 
Malatesta,  Pezzi,  il  buon  Conforti  e  pochi  altri 


—  166  — 


avevano  ricominciato  le  pubblicazioni  dell'  As- 
sociazione. 

L'  impressione  di  Londra  con  le  sue  nebbie  e 
con  i  suoi  camini  urtò  i  nervi  del  Palla,  che, 
chiuso  in  casa,  non  volle  uscire  più  che  per 
prendere,  dopo  una  settimana,  la  via  di  Parigi. 

Fu  là  forse  il  solo  periodo  tranquillo  della 
sua  vita  ;  il  moto  di  un'  agitazione  continua, 
elevata,  piena  di  soddisfazioni  cacciò  ben  presto 
l'uggia  di  Londra  e  Galileo,  storpiando  l'idioma 
di  Voltaire  e  di  Flaubert  con  tutte  le  più  ostro- 
gote inquinazioni,  ebbe  ore  di  intimità  buona  e 
viva  tra  amici,  che  lo  stimavano  e  l'  amavano, 
vinti  da  la  bontà  e  da  la  dolcezza  del  suo  ca- 
rattere. Là  egli  ebbe  il  sorriso  lusinghiero  di 
qualche  indulgente  tenerezza,  suggestionata  dal 
contrasto  tra  il  suo  cuore  di  Cosette  a  la  di  lui 
squadratura  da  Gianni  Lupo. 

Erano  i  primi  del  1891.  Milano,  nell'aprile 
di  quell'  anno;  aveva  indetto  quello  splendido 
Comizio  internazionale  pei  diritti  dei  lavoro,  che 
gli  anarchici  avevano  volto,  con  l'ardente  parola 
di  Esteve,  di  Gori  e  di  Galleani,  a  tutto  pro- 
fitto della  propaganda.  Galileo  Palla,  renitente 
a  la  leva,  a  quel  comizio,  che  andava  per  i  suoi 
versi,  si  fregava  le  mani  e  risalutava  gli  amici 
su  le  mosse  per  Roma. 

Quel  che  successe  il  1.  maggio  di  quell'anno 
in  Piazza  Santa  Croce  di  Gerusalemme  è  noto 


—  107  — 


Palla  si  era  illuso  die  Roma  fosse  Parigi  tu- 
multuaria ed  ardente,  quale  egli  V  aveva  vista 

nei  suoi   recenti  ricordi,  e  forse   chissà?... 

Ma  la  mancanza  d'  intesa  e  d'  accordo  spense 
le  prime  faville  sotto  il  peso  di  tutta  una  ca- 
tastrofe, per  cui  Galileo  sofferse  fisicamente  e 
moralmente  tutte  le  angoscia.  Scontati  i  due 
anni  di  reclusione  inflittigli,  l'attendeva,  reni- 
tente ed  anarchico,  la  compagnia  di  disciplina, 
che  lo  tenne  tra  Capri  e  Portoferraio  fino  al  1894, 
in  cui,  essendo  fiorite  a  1'  ombra  del  morto 
statuto  le  leggi  eccezionali  19  luglio,  Galileo 
Palla  mietè  i  suoi  cinque  anni.  Evaso  da  Porto 
Ercole  e  ripreso  a  Grosseto,  evaso  da  Favignana 
e  ripreso  a  Solimao,  sballottato  da  Palermo  ad 
Ustica,  da  Ustica  a  Pantelleria,  egli  non  ebbe 
più  ne  pace  ne  tregua  ed  à  dinnanzi  a  se,  dopo 
un  ventennio  di  esilio,  di  carcere,  di  domicilio 
coatto,  un  altro  lungo  anno  ancora. 

Rassegnato  egli  conta  i  giorni,  che  lo  sepa- 
rano da  la  libertà  e  ricama,  nella  solitudine 
di  Rekalì,  dove  si  è  rifuggiato  e  dove  spezza 
ad  una  dozzina  di  bambini  il  pane  delle  aride 
nozioni  grammaticali,  l' idillio  arcadico  e  sereno 
d'un  cuore  e  d'  una  capanna,  tra  le  pinete 
ospitali  dei  suoi  gioghi  di  Lunigiana.. ..  se 
qualche  im preveduto  squillo  guerriero  non  farà 
rompere  al  cavallo  di  razza  le  briglie  del  sogno. 


—  168  — 


Cesare  Agostinelli. 

Cinquantenne,  è  uno  dei  veterani,  che  ap- 
partennero a  le  prime  sezioni  italiane  deli7  Inter- 
nazionale ;  rimane  oscuro  e  modesto,  uno  dei 
fedeli,  malgrado  le  traversìe  numerose,  a  cui  à 
dovuto  provare  la  sua  fede  costante  nell'ideale, 
eterno  bersaglio  della  polizia  italiana.  Da  la 
quale  ebbe  le  prime  carezze  una  ventina  di  anni 
fa  quando,  tornando  da  la  Svizzera  a  piedi  con 
quattro  soldi  di  tabacco,  si  vide  processato,  con- 
dannato per  contrabbando  e  sottoposto  a  1'  am- 
monizione. 

In  quel  torno  di  tempo  si  svolgeva,  a  la  Corte 
d'Assise  di  Ancona,  il  processo  Cipriani  e  l'A- 
gostinelli, che  era  in  letto  ammalato,  accusato 
di  aver  presenziato  V  udienza,  fu  condannato, 
malgrado  numerose  testimonianze  di  fatto,  che 
negavano  in  modo  esplicito  l'accusa,  a  quattro 
mesi  di  carcere  ed  a  sei  di  sorveglianza,  per  con- 
travvenzione a  P  ammonizione. 

Ce  n'  era  d'  avanzo  per  assegnarlo  a  domi- 
cilio coatto  ne  la  polizia  d'Ancona  perdette 
tempo  e  lo  mandò  a  Ponza  per  tre  anni. 

Liberato  nell'ottantaquattro,  filò  per  il  Sud  A- 
merica  a  la  ricerca  di  quelle  famose  miniere  di 
oro  di  Patagonia,  che  si  risolsero  per  lui,  per 
Malatesta  o  per  Palla,  che  gli  eran  compagni 


—  169  — 


con  altri  buoni,  in  un'  odissea  delle  meno  auree, 
delle  più  avventurose  ed  accidentate. 

Tornato  in  Italia  ebbe  immediata  accoglienza 
da  parte  della  questura,  che  lo  rinviò  con  Smorti 
e  Felicioli  in  Corte  d'Assise,  per  non  so  quale 
manifesto  a  proposito  di  disoccupati. 

Nel  1891,  arrestato  a  la  vigilia  del  primo 
maggio  per  una  delle  tante  misure  d'ordine,  che 
servono  ai  previdenti  bargelli  d'Italia  per  sfo- 
gare la  loro  miserabile  libidine  di  persecuzione, 
si  vide  l'indo  nani  tradotto  par  citazione  diret- 
tissima avanti  il  magistrato,  imputato  di  avere 
la  sera  precedente  oltraggiato  un  funzionario 
nelle  sue  funzioni.  La  sera  precedente,  a  V ora 
in  cui  il  reato  sarebbe  avvenuto,  V Agostinelli  era 
da  mezza  giornata  in  guardina  ! 

Sopravvenute  le  leggi,  eccezionali  del  189 1, 
che  lo  indicavano  come  uno  dei  candidati  ai 
famosi  cinque  anni  dell'art.  1  della  Legge  19- 
Luglio,  fu  inviato  a  Port'Ercole. 

Di  là,  disciolta  quella  bolgia  dopo  lo  pro- 
dezze del  famigerato  Santoro  e  dispersi  per  le 
carceri  d'Italia  i  relegati,  venne  spedito  a  Pe- 
rugia, in  attesa  di  destinazione  ad  una  delle 
tante  isole  dell'italica  Cajerijia. 

A  quella  stazione  arrivando,  furono  tumulti 
e  grida,  da  cui  nuovo  processo  per  grida  sedi- 
ziose  ed  apologia   di  reato.    Egli    non  aveva 


—  170  — 


mosso  labbra  e  basta  conoscerlo  per  crederlò  : 
al  dibattimento  dichiarò  di  aver  gridato  come 
gli  altri  e  venne  c  ondannato  a  tre  rn^si,  scon- 
tati i  quali  tornò  a  l'isola. 

Prosciolto  il  1.  Novembre  con  la  circolare 
Rudinì,  fu  riarrestato  la  notte  dell'  attentato 
Acciarito  e  rimandato  a  domicilio  coatto  dove, 
per  aver  denunziato  una  delle  tante  porcherie 
di  Gavi,  venne  riprocessato  ad  Ancona  e  libe- 
rato, avendo,  nel  contempo,  compiuta  la  sua 
ferma  di  5  anni. 

Si  munì  regolarmente  di  un  passaporto  e  da 
Ancona  transitò  a  Fiume,  trovandovi  modo  di 
campicchiare  con  un  modesto  commercio  di  fratta 
e  verdura. 

Sopravvenne  l'attentato  Luccheni  ed  egli^ 
che  era  partito  con  regolare  passaporto,  rila- 
sciato da  la  prefettura  di  Ancona  fa  richiesto, 
arrestato,  tradotto  a  Pantelleria  a  scontarvi 
quattro  anni  di  relegazione  inflittigli  in  contu- 
macia da  quella  stessa  prefettura,  die  gli  aveva 
accordato  il  passaporto  !! 

Sarebbe  un  curioso  caso  giuridico  degno  di 
discussione  ;  ma  l'Agostinelli  è  divenuto  stoico 
oramai  ed  a  già  scontato  un  anno  della  nuova 
pena. 

Buono  e  mito,  vive  patriarcalmente  in  una 
bicocca  a  le  falde  di  S.  Elmo,  tra  una  nidiata 


—  171  — 


di  conigli.  Intelligente  e  modesto,  è  la  prova 
più  eloquente  che  le  persecuzioni  dei  birri,  ap- 
plicate a  la  repressione  del  pensiero  sovversivo, 
lasciano —  il  tempo  che  trovano. 

Amedeo  Boschi, 

Questo  idilliaco  fanciullo  à  ancora,  dopo  in- 
finite persecuzioni,  la  fede  immaculata  di  un 
apostolo,  l'entusiasmo  di  un  neofita,  la  dolcezza 
di  una  bimba. 

Nato  da  ricchi  genitori,  abbandonò  presto  la 
vita  spensierata,  attratto  da  la  visione  di  una 
società  perfezionata,  senza  fame  e  senza  delitti, 
abbagliato  da  un  indeterminato  ideale  di  pace 
e  di  amore  tra  li  uomini. 

In  questa  indeterminata  nostalgìa  abbracciò 
i  principii  anarchici,  divenendone  un  entusiasta 
propagatore. 

Fondò,  giovinetto,  dei  Circoli;  inondò  la 
natia  Ardenza  di  opuscoli  e  giornali  ;  spese  il 
suo  in  lavorìo  di  parte,  finche,  a  diciassette  anni 
venne,  nell'  89,  coinvolto  in  un  processo  di 
malfattori  (codice  sardo),  fabbricato  dal  famoso 
agente  provocatore  Terzaghi,  con  accusa  di  voler 
far  saltare  in  aria  il  Teatro  Buca  di  Genova  (!) 
per  una  innocente  lettera  sua  trovata  al  Tocci 
di  Spezia.  Fu  condannato  a  5  mesi  di  prigione, 
con  condanna  che  è  rimasta  1'  unica  sua. 


—  172  — 


Nei  tumulti  di  Lunigiana  venne  arrestato, 
processato,  prosciolto  in  camera  di  consiglio  e.... 
inviato  per  quattro  anni  a  domicilio  coatto. 

Gittato  per  sei  mc«si  nel  castello  di  Ischia, 
dove  poco  mancò  non  rimanesse  vittima  delle 
prepotenze  camorristiche,  portato  a  Tremiti, 
dopo  a  Lipari,  ebbe,  nel  '96,  il  proscioglimento 
come  tutti  gli  altri  coatti  politici. 

Non  mutò  sistema  di  vita  —  come  leggia- 
dramente direbbe  l'on.  Bertolini  —  e  dopo  tre 
mesi  fu  di  nuovo  inviato  a  domicilio  coatto,  a 
Lampedusa.  Il  che  può  dimostrare  a  coloro,  che 
sono  di  parere  contrario,  quale  gesuitica  e  po- 
liziescamente obbrobriosa  invenzione  sia  questa 
della  libertà  condizionale,  e  come  meglio  si 
farebbe  a  rifiutarla  senz'altro,  tutti,  qualora  ci 
venisse  offerta. 

Dopo  43  giorni  (si  vegga  serietà  governativa!) 
di  nuovo  lo  prosciolsero,  per  una  specie  di  con- 
tratto fatto  da  certi  suoi  compaesani  con  depu- 
tati ministeriali:  libertà  condizionale,  della  quale 
bene  usò,  facendosi  condannare  di  nuovo  e  poi 
assolvere  da  la  Corte  di  appello. 

Rinviato,  nel  maggio  '98  a  Lampedusa,  le 
sue  condizioni  di  salute  si  aggravarono  talmente, 
che  il  direttore  medesimo  della  colonia  chiese 
ed  ebbe  promesso  ed  avrebbe  ottenuto  un  nuovo 
proscioglimento,  se  non  fosse  avvenuta  la  fuga 


—  173  — 


del  Malatesta,  della  quale  il  Governo  chiamò 
responsabili  coloro        che  erano  rimasti. 

Per  ciò  alcuni  punirono,  altri  dispersero  nelle 
varie  isole  ed  il  Boschi  fu  mandato  a  Favignana, 
dove,  con  la  coscienza  tranquilla  di  un  buon 
soldato,  che  à  servito  il  suo  partito  con  fedeltà 
ed  onere,  terminò  la  lunga  ed  avventurosa  pena, 
la  quale  non  l'à  ne  fiaccato  nò  stancato. 

Su  questo  giovine  si  può  contare  come  su  chi 
muore;  ma  non  si  arrende. 

Il  che  il  popolo  di  Livorno  à  tanto  ben  com- 
preso che  lo  elesse,  come  protesta,  a  suo  rap- 
presentante nel  Comune  con  1800  voti. 

Luigi  Fabbri. 

E',  indubbiamente,  uno  dei  più  attivi,  più 
cari,  più  intelligenti  e  più  colti  giovini  del 
partito  anarchico. 

Inscritto  a  V  Università  di  Macerata,  à  tra- 
scurato un  po'  gli  studi i  per  V  anarchia,  il  che 
vuol  dire  che,  per  legge  di  compensazione,  sarà 
costretto  trascurare  un  po'  1'  anarchia  per  gli 
studii,  se  questa  paurosa  oligarchia  affaristica, 
che  ci  governa  e  se  questa  stupidissima  polizia 
politica,  che  ci  delizia,  si  decideranno  a  non 
più  perturbare  l'ordine  pubblico  e  le  coscienze 
del  paese. 

E'  uno  dei  migliori  scrittori  del  suo  partito, 


—  174  — 


ed  anche  uno  dei  più  attivi  propagandisti. 
Come  non  vi  è  giornale,  nel  quale  non  scriva, 
così  non  vi  è  assemblea,  riunione,  comizio  o 
conciliabolo,  —  direbbe  la  polizia  —  in  cui  non 
si  rechi,  quando  non  può  in  carrozza,  a  piedi; 
quando  non  può  a  piedi,  attaccato  a  le  ruote 
di  una  carrozza. 

La  polizia  incominciò  a  tenerlo  d'  occhio  sin 
da  quando  era  scolaro  di  liceo.  Non  sapendo 
come  più  dolorosamente  colpirlo,  tentava  vie- 
targli gli  esami  in  fin  d'anno,  arrestandolo  in- 
variabilmente durante  le  sessioni. 

Tanto  che  dovè  recarsi  a  dare  la  lic3nza 
liceale  in  incognito,  travestito  come  un  ladrun- 
colo, che  vada  a  tentare  un  furto  campestre. 

Quando  il  suo  nome  comparve  tra  i  licen- 
ziati, il  tenente  dei  carabinieri  rivolse  al  padre 
una  frase  scultoria,  che  è  tutto  un  poema  e  che 
dice  di  quali  sozze  voluttà  si  pascano  gli  agenti 
della  polizia  italiana: 

—  Ce  P  à  fatta  !  —  gli  disse. 

Il  Fabbri  sostituì  il  Malatesta  nella  direzione 
àélV  Agitazione,  finche  venne  rimpatriato. 

Inutile  aggiungere  come  molto  spesso  sia  stato 
processato,  spesso  condannato  e  come  il  domicilio 
coatto,  che  sconta  a  Ponza,  serva  solo  a  meglio 
prepararlo  a  nuovi  processi,  a  nuove  condanne. 

E'  giovine  molto  ed  il  passato  non  può  es- 
sergli che  di  preparazione  a  l'avvenire. 


-  175  j- 


Annibale  Avanzini 

da  Velletri,  figlio  di  agiati  negozianti,  viag- 
giatore e  rappresentante  di  Case  commerciali 
prima,  ministro  di  magazzeni  di  droghe  e  li- 
quoristeria  dopo,  fa,  nelT  89,  coinvolto  nei  fatti 
dell'  8  febbraio,  uscendone  con  un  non  luogo  a 
procedere. 

Lavoratore  per  tradizione  di  famiglia  e  per 
elevato  sentimento  di  dovere,  uscito  dal  carcere 
trovò  lavoro  come  agente  di  affari  commerciali 
in  Roma,  poi  passò  a  la  direzione  della  birraria 
«  Nuova  G-ambrinus  Halle  »  finche,  avvenuti  i 
fatti  di  S.  Croce  in  Gerusalemme,  lo  arrestarono 
di  nuovo  e  condannarono  malgrado  il  suo  alibi, 
a  25  mesi  e  mezzo  di  reclusione  ed  ad  un  anno 
di  vigilanza  speciale. 

Uscito  da  la  reclusione  di  Perugia,  dopo 
scontata  la  lunga  pena,  rovinato  in  salute,  ro- 
vinato economicamente,  tornò  al  lavoro  in  qua- 
lità di  zincotipo,  venendone  spesso  allontanato 
per  arresti,  processi,  molestie  e  tranelli  d'  ogni 
genere,  finché  alle  inquisitrici  autorità  di  P.  S. 
non  riuscì  imporgli  il  rimpatrio,  in  occasione 
dei  tumulti  del  '94. 

In  Velletri,  contabile  della  Cooperativa  edi- 
lizia, giovine  scrivano  presso  un  notajo,  segre- 
tario della  Cooperativa,  non  tardò  ad  attirarsi 


—  176  — 


la  attenzione  delle  autorità  locali,  che,  ad  im- 
pedire la  progettata  fondazione  di  una  Camera 
del  Lavoro,  nel  '97  le  case  dei  Socii  perquisi- 
rono, e  V  Avanzini,  il  farmacista  Albani  con 
altri  deferirono  a  1'  Autorità  giudiziaria  per 
l'art.  248  :  processo  che  terminò  con  nuovo  non 
luogo  a  procedere. 

La  sua  nomina  a  Commissario  della  Coope- 
rativa Agricola  di  produzione  e  consumo  portò 
a  la  scoverta  di  importanti  ammanchi;  ii  che 
fa  l'ultimo  tracollo  per  la  sua  libertà. 

La  polizia  ebbe  presto  campo  di  rifarsi  dello 
scacco  patito  nel  '97;  che  le  provvide  agitazioni 
per  il  rincaro  del  pane  le  dettero  modo  di  raf- 
fazzonare il  processo  e  di  rinviare  i  già  assolti 
a'  Tribunali,  che  ancora  prosciolsero,  con  altri 
quattro,  l'Avanzini. 

Ma  al  disopra  dell' autorità  giudiziaria,  con- 
tro l'autorità  giudiziaria,  la  polizia  aveva  im- 
pèro nel  '9S,  a  mezzo  delle  leggi  eccezionali, 
delle  quali  si  avvalse,  inviandolo  per  tre  anni 
a  domicilio  coatto,  a  Lipari,  con  una  sentenza, 
che  ebbe  strascico  scandaloso. 

Giacche  essendo  stati  esaminati  come  testi- 
moni a  discarico  ragguardevoli  persone  di  tutti 
i  partiti  e  tutti  i  consiglieri  comunali,  ed  avendo 
unanimemente  gli  interrogati  dato  di  lui  le  mi- 
gliori informazioni,  la  sentenza  esplicitamente 


affermava  che  le  deposizioni  rese  dal  sindaco  e 
dai  consiglieri  non  erano  attendibili  per  infor- 
mazioni assunte  da  V autorità  giudiziaria. 

L'  avv.  Pieroni  invitò  il  consiglio  a  prote- 
stare energicamente  ed  il  consiglio,  ad  unani- 
mità, votò  un'  energica  e  fiera  protesta. 

Enrico  Petri. 

Repubblicano  e  direttore  del  giornale  La  luce, 
in  Empoli,  si  attirò  le  ire  degli  ufficiali  del  57. 
Regg.  fanteria  per  la  campagna  da  lui  intra- 
presa contro  il  militarismo. 

Come  è  costume  degli  uomini  d'arme,  le  ire 
degenerarono  in  violenze,  cartelli,  sciabolate  e 
pistolettate.  Il  Fratti,  il  Catalani,  il  Pini,  il 
Belcredi,  il  Bizzoni,  si  trovarono  1'  un  contro 
l'altro  armati,  negli  strascichi  della  vertenza,  la 
quale  fu  continuata  dal  Podrecca  sul  Bononia 
ridetj  dando  luogo  a  quelle  scenate,  che  termi- 
narono con  T allontanamento  del  50,  Regg.  fan- 
teria da  Bologna. 

Dopo  ciò,  il  Petri,  a  gli  occhi  della  polizia, 
divenne  pericolosissimo  e  cominciò  anche  per 
lui,  repubblicano,  quella  dura  via  crucis  riser- 
bata principalmente   per  anarchici  e  socialisti. 

I  continui  sequestri  del  giornale  gli  aggra- 
varono in  breve  le  spalle  di  tale  soma  di  con- 
danne, che  pensò  riparare  in  Svizzera  e  poi  in 


Francia,  dove  abbandonò  le  idee  mazziniane, 
divenendo  socialista-anarchico. 

Tornato  in  patria  nel  '91  in  occasione  delle 
nozze  d'argento  dei  Savoja,  fu  inviato  a  Porto 
Ercole,  di  dove,  per  ribellione,  a  la  reclusione 
di  Lucca  e  poi  a  Tremiti.  Il  1.  Marzo,  ammaz- 
zato Argante  Salucci,  lo  implicarono  in  un  pro- 
cesso per  ribellione  insieme  ad  altri,  che  avevano 
avuto  la  tracotanza  di  dichiarare  di  non  essere 
disposti  a  farsi  massacrare. 

Liberato  nel  '96,  si  agitò  ed  agitò  p9r  l'a- 
bolizione del  domicilio  coatto,  girò  i  paesi  vi- 
cino ad  Empoli  per  propaganda  ed....  orribile 
diclu,  si  fè  vedere  col  Gori  ed  invitò  il  Cipriani. 

Appena  avutone  il  destro,  la  polizia,  inutile 
dirlo,  1'  à  rinviato  a  Ponza,  perchè  vi  termi- 
nasse la  pena. 

Avendo  molte  buone  qualità  di  propagan- 
dista ed  una  indipendente  posizione  economica 
potrà  essere  di  ajuto  a  la  causa  popolare. 

XXIII. 
I  socialisti. 

Essi  sono  : 

1.  Bonavita  Francesco.  2.  Cabrini  Angiolo. 
3.  Podrecca  Guido.  4.  Bencini  Giulio.  5.  Fava 
Quintino.  6.  Croce  Ettore. 

Di  altri  non  so. 


Il  Bonavita,  il  Cabriui  ed  il  Podrecca  sono 
notissimi  in  patria  ed  a  l'estero  per  il  loro  in- 
gegno e  per  i  loro  scritti.  La  polizia,  caccian- 
doli in  bando  e  perseguitandoli  ancora  nello 
esilio,  li  a  resi  famigerati. 

Fava  Quintino,  piemontese  da  Corniola,  è 
un  dolcissimo  fanciullo,  che  serenamente  sop- 
porta le  persecuzioni,  pensando  che  niuna  nuova 
civiltà  si  è  affermata  senza  dolori  e  senza  mar- 
tini. E'  orgoglioso,  io  credo,  di  essere  tra  co- 
loro, a'  quali  è  dato  V  onore  di  soffrire  per  la 
causa  del  Socialismo. 

Bencini  Giulio  da  Montevarchi,  ottimo  ope- 
rajo,  spudoratamente  gabellato  come  'pericoloso 
anarcldco  da  la  P.  S.  che  ben  lo  conosce  come 
socialista  democratico,  fu  due  volte  condannato 
per  l'art.  247  prima,  per  il  251  dopo.  Gli  vo- 
gliono tutti  un  gran  bene  e,  sapendolo  buono  ed 
affabile,  gli  anarchici,  come  api  che  corrano  su 
il  miele,  lo  punzecchiano  continuamente  per  la 
sua  fede  socialista-legalitaria.  Davvero  intelli- 
gentissimo, è  stato  uno  dei  primi,  se  non  il 
primo  addirittura,  a  propagare  il  Socialismo 
nel  Valdarno. 

Nelle  ultime  elezioni  politiche  mise  fuori, 
per  la  prima  volta  nel  Collegio  di  Montevarchi, 
un  candidato  socialista:  il  fabbro -ferraio  Azzer- 
boni*  Allora  fu  fatto  segno  a  reiterati  tentativi 


—  ISO  — 


di  corruzione  da  l'onorevole  ....  il  quale  arrivò 
a  promettergli  L.  5000  se  il  candidato  socialista 
non  si  fosse  presentato  e  L.  2000  se,  presenta- 
tosi, egli,  il  Bencini,  con  un  pretesto  qualsiasi  si 
fosse  allontanato  dal  collegio.  Ben  seppe  resi- 
stere a  le  turpi  lusinghe  dell'onorevole  ed  a  le 
persuasioni  di  poverissimi  parenti  ;  la  candi- 
datura fu  portata  e  la  lotta  combattuta  aspra- 
mente. Il  Bancini,  dopo  aver  visto  i  suoi  affari 
andare  in  malora,  fu  incatenato  ed  inviato  per 
tre  anni  a  domicilio  coatto. 

Ma  il  buon  seme  è  stato  gittato  ;  quella 
onorevole  lotta  elettorale,  lanto  degnamente 
combattuta,  e  arra  sicura  di  più  gagliarde  lotte 
e  di  non  lontana  vittoria. 

XXIV. 
Altri  sovversivi. 

Aurelio  Paganelli 

da  Castrocaro,  buono  tra  i  buoni,  ventitreenne, 
non  era  mai  stato  condannato,  quando,  nel  mag- 
gio '98,  la  Questura  lo  consegnò  al  Tribunale 
di  guerra  in  Firenze,  dal  quale  uscì  con  una 
mezza  assoluzione  :  quadro  mesi  di  detenzione. 

Con  tutto  ciò,  si  ebbe  il  triste  coraggio  di 
assegnarlo,  per  5  anni,   a  domicilio  coatto,  con 


una  sonte  nza,  che  è  un  gìojello  e  elio  vale  la 
pena  si  trascriva  : 

 ritenuto  elio  dagli  atti  risulta  ad  esuberanza  giustificata  la  de- 
nunzia di  assegnazione  al  domicilio  coatto  di  Paganelli  Aurelio  fu  Pel- 
legrino siccome  colui  che  poco  dedito  ad  intenso  lavoro,  professando  idee 
anareli ielie  e  già  condannato  per  reato  d'  istigazione  a  delinquere,  si  as- 
socia, ad  individui  eli  e  si  pascono  delle  medesime  insane  teorie,  e  va  fa- 
cendo propaganda  pericolosa,  anche  colla  diffusione  di  giornali  anarchici- 
socialisti  fra  compagni  ed  amici  con  manifesta  perturbazione  della  tran- 
quillità e  sicurezza  pubblica. 

Ritenuto  che  nello  stesso  interrogatorio  subito  oggi  dal  denunziato, 
egli  non  peritavasi  di  confermine  di  essere  ascritto  alla  funesta  setta  che 
minaccia  colla  imperturbabilità  pari  a  quella  dell'incoscienza,  di  convol. 
gere  dalle  base  gli  ordini  sociali  costituiti,  mentre  non  potette  disconoscere 
che  fu  condannato  recentemente  per  istigazione  a  sovvertire  le  sociali 
istituzioni  con  vie  di  fatto.  Ritenuto  che  trattandosi  di  persona  altret- 
tanto pericolosa,  la  durata  del  domicilio  coatto  dev'  essere  (niella  massima 
di  anni  cinque,  ecc.  ecc. 

Ecco  come,  accozzando  malamente  dei  perio- 
di sgrammaticati,  che  non  dicono  nulla,  infar- 
citi da  molte  bestialità,  si  può,  con  una  legge 
che  non  è  legge,  ammazzare  un  uomo. 

Fatto  sta  che  il  Paganelli  non  è  solo  un 
perfettissimo  galantuomo;  ma  anche  un  indefesso 
lavoratore,  che  da  otto  anni,  senza  soluzione 
alcuna  di  continuità,  lavorava  in  qualità  di 
vetrajo  presso  il  sig.  Bianchi  Carlo  in  Firenze; 
ma  le  Questure  inventano  e  calunniano  con  una 
facilità  meravigliosa. 

Il  suo  interrogatorio  è  stato  questo  : 

—  E'  vero  che  siete  poco  dedito  ad  intemo 
lavoro  ? 


—  182  — 


—  0  che,  è  la  Questura,  che  dà  da  vivere 
a  la  ini  mamma  ? 

—  Negate  di  essere  anarchico  ? 

—  Anzi  lo  affermo. 

Cinque  anni  di  domicilio  coatto  ! 

Temistocle  Monticelli. 

A  vederlo  tanto  quieto  e  studioso,  non  si 
capisco  perchè  da  tanto  tempo,  tanto  pertinace- 
mente lo  perseguitino,  togliendogli  la  libertà,  i 
libri  e  la  quiete. 

E'  un  inseguimento  senza  tregua  e  senza 
quartiere  ;  è  una  condanna  sola,  che  da  anni  si 
ripete  e  si  rinnova  ;  è  una  caccia  sfrenata  a 
l'uomo,  cacciandolo  di  città  in  città,  di  lavoro 
in  lavoro. 

Dopo  l'uccisione  del  Bandi  lo  arrestarono  in 
Livorno,  lo  tradussero  a  Roma,  dove  dimora, 
lo  rimpatriarono  a  Firenze,  dove  è  nato  e  di 
di  dove  manca  da  18  anni. 

Per  lo  scoppio  dei  petardi  santoriani  in 
Roma  lo  arrestarono  e  processarono,  lo  assolsero 
dopo  scoverto  il  giuochetto  della  polizia,  lo  in- 
viarono a  Molate  Filippo,  poi  a  Ponza,  poi  lo 
rimisero  in  libertà,  ne  cessarono  di  molestarlo, 
costringendolo  ad  espatriare  in  Francia. 

Tornato  in  Italia  nel  797,  sarto  in  Napoli, 
giornalajo  in  Roma,  tradotto  nel  '98  a  Regina 


Coeli,  rinviato  dopo  quattro  mesi  a  Lampedusa, 
poi  a  Lipari,  à  perduto,  nel  frattempo,  la  madre. 

Pessimo  soggetto,  anarchico  della  peggiore 
specie,  capace  di  commettere  qualsiasi  delitto 
contro  V  or  ci  ine  pubblico,  è  la  prova  più  lampante 
della  vacuità  di  certi  paroloni  e  della  insipienza 
scandalosa  della  nostra  polizia. 

G iuseppe  Cozza 1 1  i 

da  Spezia,  fu,  quindicenne,  della  terza  spedi- 
zione pei*  l'impianto  della  colonia  Cecilia  sopra 
Oorityba  nel  Parami  :  colonia,  la  quale  dovè 
sciogliersi,  dopo  tre  mesi,  per  fame. 

Nel  '94  fu  condannato  a  tre  anni  di  reclu- 
sione dal  Tribunale  di  guerra  di  Massa- Carrara, 
dei  quali  scontati  quattordici  mesi,  continuò  la 
modesta  ed  efficace  propaganda  per  le  sue  idee, 
finché,  avendo  firmato  la  protesta  contro  la  con- 
danna del  Malatesta,  fu  inviato  per  3  anni  a 
domicilio  coatto,  ridotti  ad  uno  da  la  Commis- 
sione centrale. 

Lemme  lemme,  è  come  il  tarlo,  che  rode  la 
trave.  Convinto  e  tenace,  è  tenuto  in  conto  dai 
suoi  compagni  di  partito. 

Giuseppe  Tortelli 
appartiene,  da  giovinetto,  al  partito  anarchico. 
Condannato  a  cinque  anni  di  domicilio  coatto, 
ora  è  a  la  fine  della  lunga  pena  ;  ma,  per  sven- 


—  184  — 


ture  domestiche,  non  pensa  di  tornare  a  la  natia 
Livorno,  dove  è  conosciuto,  amato  e  stimato  dai 
suoi  compagni  di  lotta  e  di  lavoro,  per  le  sue 
ottime  qualità. 

Questo  carissimo  giovine  à  avuto  la  forza  d'a- 
nimo di  cercare,  sempre,  nei  luoghi  di  relegazio- 
ne, un  sollievo  ed  un  conforto  nel  lavoro;  e  con  il 
lavoro  indefesso  è  riuscito  a  farsi  una  posizione 
indipendente  ed  ad  accaparrarsi  la  stima  della 
cittadinanza. 

Curio  Traversa 

à,  nel  suo  attivo,  la  campagna  nell'  Epiro,  es- 
sendosi trovato  a  fianco  di  Pippetto  Troja  a 
Zaverta,  dove,  da  piccolo  Gav roche,  a  sassate 
fè  fronte  a'  Greci,  che  sparavano  su  i  volontarii. 

Molto  piccino  e  mollo  buono,  appartiene  a 
la  numerosa  schiera  degli  anarchici  Anconetani, 
assegnati  al  domicilio  coatto. 

Le  zavellonesche  memorie  della  sua  città 
(l'amico  Smorti  può  intendere  l'elegiaca  invo- 
cazione) ed  il  ricordo  delle  battaglie  combattute, 
lo  rendono,  a  le  volte,  un  po'  nervoso  e  ribelle 
tanto,  che,  pare  impossibile  !,  lo  tengono  d'oc- 
chio accuratamente  e  lo  mettono  in  cella  di 
frequente. 

Dovrei  ancora  ricordare  Giovanni  Olandese 
da  Reggio  Calabria,  condannato  come  disturba- 


tore  di  funzioni  religiose  e  per  oltraggi  al  Morra 
di  Lavriano,  regio  commissario  in  Sicilia  ;  Giu- 
seppe Facchini,  che,  dopo  aver  scontato  un  anno 
e  mezzo  di  coatto,  ne  ebbe  altri  quattro:  ottimo 
giovine,  eletto  ultimamente,  come  protesta,  a 
consigliere  del  Comune  natale  di  Massa  Lom- 
barda; Giovanni  Cianciti,  superstite  dell'Inter- 
nazionale, notissimo  a  Firenze  come  attivo  pro- 
pagandista, autore  di  drammi  e  commedie  e 
modesto  tanto,  che  io  debbo  chiedergli  venia  di 
averlo,  in  queste  pagine,  nominato;  Ferdinando 
Poggiali,  abile  scultore  in  legno,  da  le  cui  mani 
escono  alcuni  di  quei  giojelli,  di  cui  va  a  buon 
diritto  superba  l'arte  fiorentina;  Corrado  Binelli, 
di  Carrara,  buono  e  caro  giovine,  uno  dei  con- 
dannati dal  Tribunale  di  Massa,  nel  '94;  ed 
altri  buoni  dovrei  ricordare  se  lo  spazio  non 
mancasse  e  se  la  storia  loro  non  fosse,  su  per  giù, 
la  storia  di  tutti  i  massacrati  nei  periodi  di  rea- 
zione del  '94  e  del  '98. 

XXV. 
La  polizia  politica. 

Questa  plebaglia  poliziesca,  che,  con  le  sue 
turpitudini,  insozza  1'  I  alia,  va,  giornalmente, 
scrivendo  nuovi  fasti,  tra  la  indifferenza  o  la 
codardia  universale. 


—  180  — 


La  polizia  politica,  com'  è  ogj;i  costituita  , 
rappresenta  la  piaga  più  purulenta  e  verminosa, 
che  ulceri  il  corpo  della  Nazione. 

Ciò  di  cui  è  capice  questa  bieca  polizia  è 
inenarrabile,  od,  almeno,  per  scrivere  i  suoi 
fasti  di  un  solo  anno  in  una  sola  regione  d'  I- 
talia,  occorrerebbero  centinaja  di  volumi. 

Stupida  e  feroce,  selvaggia  e  degenerata, 
prepotente  e  corrotta,  è  un  impasto  di  tigre  istu- 
pidita e  di  oca  velenosa. 

La  impunità,  a  la  quale  si  va  abituando,  la 
rende  ogni  dì  più  vigliaccamente  scellerata  ed 
insopportabilmente  petulante. 

Il  processo  Notarbartoio  à  dimostrato,  in  mi- 
nima parte,  che  sentine  di  corruzione  e  di  mi- 
sfatti sieno  le  Questure  del  regno.  Si  muti  l'am- 
biente, si  trasportino  i  De  Biasi  su  il  terreno 
politico,  dove  ogni  viltà  è  eroismo,  ogni  infamia 
commendevole,  ogni  menzogna  laudabile,  ogni 
falsità  sacra,  ogni  violazione  di  legge  premiata 
con  promozioni  ed  onorificenze,  e  si  avrà  la 
rappresentazione  di  ciò  che  può,  di  ciò  che  è 
la  polizia  in  questo  paese,  che  sembra  di  con- 
quista. 

Venuta  su  con  le  idee  della  vecchia  polizia 
borbonica,  incoraggiata  da  la  scandalosa  paura 
di  questi  forcajuoli  odierni,  sciabolatori  di  sta- 
tuti e  bombardatori  di  donne,  tutti  i  suoi  istinti 


—  187  — 


bestiali  si  sono  ridestati  sotto  il  sole  della  im- 
punità e  su  la  sua  testa  d' asino  à  inalberato 
P  insegna  del  boja. 

Per  la  indecente  paura  delle  classi  dirigenti, 
gli  alti  sbirri  sanno  che  il  miglior  modo  di  fare 
carriera  è  la  imbasi  itttra:,  la  orditura,  la  trama- 
tura, la  tessitura,  la  macchinazione  dei  più  tra- 
gici processi  ed  essi,  allegramente,  contro, di  noi 
imbastiscono,  ordiscono,  tramano,  tessono,  mac- 
chinano, facendoci  periodicamente  sfilare  innanzi 
a'  magistrati,  sospettati,  incolpati,  accusati  dei 
più  neri  ed  inverosimili  tradimenti  verso  la  pa- 
tria, le  istituzioni,  la  proprietà,  la  religione,  la 
morale  e  tutto  P  uman  genere. 

Di  seconda  mano,  per  P  esempio,  che  viene 
da  Paltò,  i  bassi  sbirracchiotti,  sbirracciuoli, 
sbirrastreìli,  sbirricoli,  sbirricelli,  sbirruzzi  e 
sbirretti,  che  pullulano  come  ortiche,  perturba- 
tori sistematici  delle  coscienze,  violenti  provo- 
catori, asini  verbalizzanti,  orda  sfrenata  di  san- 
culotti vandeani  si  riconoscono,  con  il  beneplacito 
superiore,  in  diritto  di  usare  que'  mezzi,  che  la 
santa  inquisizione  appena  accennò,  sviluppati 
ora  da  la  civiltà  presente. 

Al  solo  evocare  il  nome  della  polizia,  una 
visione  di  tregenda  Shake?periana  si  presenta  a 
la  nostra  fantasia  con  gli  orrori  di  S.  Stefano, 
le  infamie  della  colonia  di  coatti  in  Africa,  Gavi, 


Frezzi,  Forno,  Carelli  e  tutti  quelli  altri,  dei 
quali  paurosamente  si  ripete  il  nome  e  con  tutte 
le  nequizie,  che  fioriscono,  nell'ombra  e  nel  si- 
lenzio, da  il  triste  fiore  della  violenza,  conci- 
mato con  il  principio  di  autorità. 

Questa  orda  di  saccheggiatori  ci  vieta  gli 
studii,  ci  espelle  da  le  Università,  ci  toglie  il 
lavoro,  ci  viola  il  domicilio,  ci  maltratta  le 
sorelle,  ci  insegue  le  domestiche,  ci  perseguita 
liberi,  ci  diffama  legati,  ci  provoca  e  ci  calunnia, 
ci  odia  e  ci  insulta,  mentre  ingravida  le  fan- 
ciulle tredicenni  ed  arma  i  camorristi  contro  i 
nostri  candidati. 

Nei  processi  vengono  a  mentire  come  sgual- 
drine; nei  rapporti  esagerano  come  forsennati. 
Usano  un  gergo,  che  meriterebbe  le  pedate  ed 
anno,  nel  loro  frasario,  tanto  veleno,  quanto 
non  ve  n'  è  negli  scarabattoli  di  dieci  farmacie. 
Su  le  pubbliche  piazze  chiedono,  senza  motivo 
alcuno,  a  gli  ufficiali  di  comandare  il  fuoco  ed 
insanguinerebbero  giornalmente  V  Italia  se  gli 
ufficiali,  spesso,  non  resistessero  con  sdegno  a 
le  loro  ferocie.  Si  drizzano,  violenti  ed  impu- 
denti, come  aspidi,  contro  la  magistratura  e 
ridurrebbero  la  patria  una  sola  carcere,  se  i 
magistrati,  spesso,  non  si  ribellassero  a  le  loro 
libidini  oscene. 

Questa  orda  barbarica  è  di  una  ignoranza, 
che  fa  spavento. 


Nel  nostro  processo  del  '91  in  Napoli,  un 
giovinotto,  che  è  uno  delle  teste  pensanti  della 
innominabile  polizia  napolitana,  venuto  come 
teste  principale  di  accusa,  mentendo  con  una 
sfacciataggine  piramidale,  inventando  con  una 
disinvoltura  miracolosa,  additava  gli  imputati 
qualificandoli  socialisti  od  anarchici  con  una 
sicumera  inverosimile. 

A  richiesta  del  difensore  Altobelli,  precisò 
così  la  differenza  tra  gli  uni  e  gli  altri  : 

—  I  socialisti  voglion  dividere  la  roba  altrui; 
gli  anarchici  la  voglion  tutta. 

Inutile  dire  che  mise  me  tra  quelli,  che  la 
roba  altrui  vogliono  prendere  tutta,  senza  nulla 
lasciarne. 

In  una  perquisizione  ad  Umberto  Faina  in 
Roma,  il  delegato  Sinimberghi  o  Sinibaldi  o 
qualche  cosa  di  simile,  con  la  delicatezza  che 
distingue  tale  gente,  mise  lo  mani  su  carte 
private  della  sorella  del  compagno  nostro. 

A  le  energiche  rimostranze  della  fanciulla, 
il  delegato,  dimenticando  di  essere  uomo  p^r 
ricordare  solo  di  essere  sbirro,  minacciò  : 

—  Abbiamo  manette  anche  per  le  donne. 
Avrebbe  potuto  pur  dire  che  per  le  donne  ci 

sono  fucilate  a  Oonselice  e  cannonate  a  Milano. 

Il  delegato  Ferrarese,  ad  Imola,  non  avendo 
potuto,   una  volta,    arrestare   Ugo  Lambertini 


—  100  — 


ed  il  fratello,  arrestò  il  vecchio  babbo,  per- 
chè non  aveva  voluto  dire  dove  erano  i  fiorii. 
Facendogli,  brutalmente,  mettere  le  manette 
dai  carabinieri,  minacciò  : 

—  Ora  ce  n'  è  anche  per  le  donne  ! 

Di  donne  e'  era  la  mamma,  ammalata  di 
bronchite. 

Ed  il  padre  di  famiglia,  portato  e  trattenuto 
nella  ròcca  d'Imola,  fu  liberato  solo  quando  tutta 
la  cittadinanza,  ad  iniziativa  di  Luigi  Sassi, 
benemerito  presidente  della  Congregazione  di 
Carità,  si  recò  dal  Sottoprefetto  a  protestare  con- 
tro la  stomachevole  barbarie. 

La  penna  si  ribella  a  continuare  la  narra- 
zione di  infamie  simili,  le  quali  non  anno  alcun 
riscontro  ne  nella  polizia  borbonica,  ne  in  quella 
austriaca  ne  in  quella  papale. 

Solo  ricordo  che  nelle  incursioni,  le  quali 
le  orde  Tartare  facevano  in  Siberia,  a  le  volte 
sequestravano  i  genitori,  per  avere  i  figli  ;  ma 
gli  storici  più  coscienziosi  assicurano  che  que- 
sta crudeltà,  usata  in  tempo  di  guerra,  era 
già  scomparsa  al  principio  del  secolo  ;  nè  io 
vorrò  essere  tanto  ingiusto  verso  i  Tartari,  da 
paragonarli  ai  poliziotti  italiani. 

Non  è,  al  certo,  facile  cosa  essere  barbaro 
sul  serio;  non  è  bestia  feroce  chi  vuole,  eppure 
in  questo  arringo  la  polizia  italiana  presenta, 


—  191  — 


al  mondo  dei  forcajuoli,  campioni  insuperabili 
nel  tempo  e  nello  spazio. 

XXVI. 

Non  si  è  deciso  ! 

Il  signor  Ferdinando  Caputo,  ex  direttore 
della  colonia  dei  coatti  in  Africa,  è  stato  ac- 
cusato, in  un  opuscolo,  da  Ferruccio  Borsoni, 
che  fu  nove  mesi  coatto  nella  colonia  Eritrea: 

1.  di  avere  causato,  con  torture  inaudite,  la 
morte  di  Franchi  Alessandro. 

2.  di  avere  causato  la  morte  del  Petrini  di 
Livorno,  al  quale  il  dottore  della  colonia  di- 
chiarò :  Con  quaranta  giorni  di  cura  potrei 
guarirti]  ma  il  Direttore  non  vuole. 

3.  di  avere  causato  la  morte  di  tal  Bolelli 
di  Bologna,  sottoponendolo,  ammalato,  a  quin- 
dici giorni  di  camicia  di  forza. 

4.  di  avere  causato  la  morte  della  guardia 
carceraria  Battistoni. 

5.  di  avere  causato  la  malattia  e  la  morte 
di  altri  coatti,  per  torture  ed  illecite  ritenute  su 
il  vitto. 

Appena  pubblicato  l'opuscolo  l'alta  poliziot- 
taglia  si  commosse,  mise  1'  Italia  a  soqquadro 
per  scoprire  la  tipografia  e  telegraficamente 


ordinò  l'arresto  del  Borsoni  e  dello  Sguanci, 
distributore  dell'opuscolo. 

Il  Tribunale  di  Messina  li  condannò  a  pena 
minima  per  la  prefazione  firmata  dai  socialisti- 
anarchici  e  per  contravvenzione  a  la  legge  su 
la  stampa,  essendosi  commesso  il  grave  errore 
di  pubblicare  il  libro  a  la  macchia,  per  puro 
equivoco  del  tipografo. 

Ma  la  quistione  Oaputo  è  rimasta  impregiu- 
dicata. 

Benché  noi  l'avessimo  su  V  Italia  invitato  : 

—  La  si  decida,  a  dar  querela  ! 
benché   gli   si   fosse  rivolto   il  medesimo  in- 
vito su  altri  giornali,  il  Oaputo  non  si  è  deciso  ; 
ne  a  Palazzo  Braschi  anno  inteso  il  dovere  di 
incitare  questo  funzionario  a  querelarsi. 

Il  dilemma  è  ben  chiaro:  o  il  Borsoni  è  un 
calunniatore  od  il  Caputo  è  un  carnefice. 

Nel  terzo  volume  di  questa  trilogia,  che  il 
governo  italiano  ci  va  dettando,  noi  rifaremo  la 
storia  completa  della  colonia  di  coatti  in  Àfrica, 
perchè  od  i  coirpagni  sappiano  che  il  Borsoni 
non  è  più  meritevole  della  loro  stima,  o  perchè 
il  paese  sappia  di  quali  scellerataggini  sieno 
capaci  i  funzionarli  governativi  e  quali  espli- 
cazioni infami  possa  avere  questo  istituto  del 
domicilio  coatto. 


—  193  — 


XXVII. 
Il  domicilio  coatto. 

Pasquale  Stanislao  Mancini  definì  il  domi- 
cilio coatto:  scandalosa  riproduzione  del  vecchio 
dispotismo  borbonico  nè  più  benevolo  ad  esso  fu 
Gian  Domenico  Romagnosi. 

Rinnegato  da  sociologi,  da  politici,  da  pena- 
listi, ebbe  contro  di  sè  questa  risoluzione,  votata 
da  il  Congresso  giuridico,  tenuto  in  Napoli:  con- 
siderando che  la  vigente  legge  del  domicilio 
coatto  è  in  contraddizione  al  diritto  pubblico  ita- 
liano, poiché  priva  della  libertà  i  cittadini  ad 
arbitrio  della  polizia  amministrativa....  fa  voti 
che  V istituto  del  domicilio  coatto  sia  abolito. 

Sin  dal  12  Aprile  '97  il  Pierantoni  ne  perorava 
in  Senato  una  radicale  riforma  e  V  abolizione 
per  i  perseguitati  politici. 

Questo  ignominioso  istituto,  nato  sotto  il 
tetro  influsso  di  Ferdinando  IV,  si  è  andato 
man  mano  rafforzando,  nel  1859,  nel  1863,  nel 
1865,  finché,  nel  1894,  sotto  il  malefico  protet- 
torato di  F.  Crispi,  nel  1897  con  il  progetto 
Rudinì,  nel  1898  sotto  lo  stimolo  di  una  for- 
sennata paura,  a  gittato  la  maschera  e  si  è  ri- 
velato quello  che  è  :  una  legge  di  suspicione 
politica,  avendo  l'occhio  rivolto  a  la  legislazione 
reazionaria  dell'  Impero  francese. 


—  196  — 


Infatti  al  Malatesta  ed  a  me  negarono  il 
pas?aggio  in  Australia  od  America  (che  avevamo 
chiesto,  credendolo  un  nostro  diritto  legale,  equi- 
vocando tra  le  disposizioni  attuali  e  quelle  del 
progetto  del  Rudinì)  rispondendo:  non  potersi  ac- 
cordare V esodo  a  V estero  ad  anarchici  perico- 
losi. Dopo  qualche  mese,  a  lo  Smorti,  padre  di 
sei  figli,  cinicamente  offrivano  l'esodo  in  Ame- 
rica, in  risposta  a  passi,  che  altri  avevano  fatto 
per  lui,  chiedendo  lo  si  restituisse  a  la  famiglia 
ed  al  lavoro. 

Inoltre  :  quale  legge  determina  che  il  coatto 
debba  essere  tradotto  in  istato  di  arresto  an- 
dando a  deporre  innanzi  al  magistrato  od  an- 
dando, soldato,  a  servire  la  patria  ? 

Nessuna.  Il  coatto  à  diritto  a  vivere  in  li- 
bertà nel  comune  o  neli'  isola  assegnatagli  ;  e 
la  sua  libertà  soffre  limitazione  nel  solo  senso 
di  non  potersi  da  il  Comune  o  dall'isola  allon- 
tanare. 

Invece,  di  arbitrio  in  arbitrio,  il  domicilio 
coatto  è  diventato  una  reclusione. 

Ancora.  Chi  dà  diritto  a  l'autorità  locale 
dirigente  di  ritirare  la  corrispondenza  dei  coatti, 
di  aprire  le  raccomandate  ed  i  telegrammi  ? 
Nessuna  legge,  ne  alcuna  disposizione  regola- 
mentare; ma  solo  V  accordo  intervenuto  tra  il 
Ministero  dell'  Interno  e  quello  delle  Poste.  E' 


—  197  — 


legale,  è  legittimo  questo  accordo?  Credo  di  no, 
quantunque,  avendo  io  dato  querela  al  direttore 
della  colonia  per  questa  illecita  intromissione 
sua,  il  magistrato  V  abbia  ritenuta  completa- 
mente legittimata. 

Il  Senatore  Canonico,  presidente  della  com- 
missione nominata  dai  Crispi  nell'aprile  '95  per 
studiare  i  provvedimenti  atti  a  rendere  in  qual- 
che modo  fruttuoso  un  istituto,  già  unanimemente 
condannato,  terminava  col  domandarsi,  consta- 
tati i  pessimi  effetti  ed  il  gravoso  dispendio  di 
tale  istituto,  «  se  il  paese  non  avesse  diritto  di 
sperare  che  quella  istituzione  fosse  rifondata  od 
abolita.  » 

XXVIII. 
Abolizione  o  trasformazione? 

Questo  libercolo,  che  non  à  alcun  valore, 
tranne  quello  intenzionale  di  giovare  a  la  pro- 
paganda contro  il  domicilio  coatto,  tra  il  popolo 
—  per  il  quale  è,  esclusivamente,  scritto  —  non 
è,  di  certo,  riuscito  ad  abbozzare  un  quadro 
approssimativo  di  questo  scellerato  istituto. 

Non  si  può  descrivere  un'  aberrazione,  come 
non  si  può  rappresentare  un  incubo. 

Il  domicilio  coatto,  ossessione  di  gente  im- 
paurita, che  à  rinnegato  il  giure,  la  morale  e 


la  politica,  rosta  un  Quasimodo  giuridico,  un 
Ciacco  morale,  un  Tersità  politico  e  perciò  sfugge 
ad  ogni  analisi  ed  ad  ogni  invettiva. 

Nella  sintesi  sua  ignobile,  non  può  che  es- 
sere definito  da  la  maledizione  sintetica  del  po- 
polo, che  ne  reclama  l'abolizione. 

Perchè  trasformarlo  non  si  può  :  esso  pecca 
nella  origine  e  nelle  intenzioni. 

Tacito  disse  in  latino  e  Zuppetta  ripetè  in 
italiano  che  l'origine  di  una  impresa  (o  di  una 
istituzione)  ne  determina  la  natura. 

Questo  scandaloso  istituto  è  sorto  come  vio- 
lenza poliziesca  e  come  arma  reazionaria.  E'  in 
ciò  la  ragione  della  sua  debolezza  di  fronte  ad 
ogni  sana  critica. 

Trasformarlo  non  si  può  :  ogni  tentativo, 
fatto  in  buona  fede,  è  venuto  meno. 

Bisogna  abolirlo,  bisogna  distruggere  questo 
incubo  borbonico,  diventato  realtà;  bisogna  ro- 
vesciare questo  istituto,  generato  da  la  violenza, 
che  fornicò  con  la  paura  ;  bisogna  infine  sra- 
dicare questa  triplice  turpitudine  da  il  giure, 
da  la  morale,  da  la  politica  italiana. 

E'  ciò,  che  il  popolo,  nel  suo  buon  senso, 
va  reclamando;  è  ciò  che  il  popolo,  nella  sua 
potenza,  imporrà. 


Conclusione. 

I  sovversivi,  usciti  incolumi  da  le  fucilate, 
i,nno  incatenato  ed  imprigionato;  tradottili  in- 
ìanzi  ai  Tribunali,  li  ànno  calunniati  e  sepolti 
ielle  galere  o  nelle  isole  ;  non  sazii  ne  stanchi, 
nuovi  bavagli  contro  di  essi  preparano  e  nuove 
3alunnie  ordiscono,  cogitando  macchinazioni  da 
sventare,  complotti  da  scovrire,  insurrezioni  da 
reprimere. 

Ma  la  reazione  non  prevarrà. 

Non  si  lotta  contro  le  necessità  storiche,  non 
si  lotta  contro  le  necessità  economiche,  parche 
non  si  lotta  contro  il  destino. 

Ciò  che  è  fatale  sarà.  Il  Socialismo  noi  lo 
saluteremo  trionfante. 

II  Socialismo,  per  mercè  della  natura  sua,  è 
tale,  che  niuna  arma  può  ferirlo  ne  alcuna  po- 
tenza schiacciarlo.  Il  Socialismo,  come  candido 
cigno,  passa  tra  le  lordure  senza  lordarsi;  come 
salamandra,   passa  tra  il  fuoco  senza  scottarsi. 

Questo  angelo  di  salvazione,  che  è  apparso, 
tra  i  bagliori  di  un'  alba  di  maggio,  a  le  genti 
derelitte,  è  invulnerabile.  Esso,  rinnovando  la 
biblica  Annunciazione,  si  e  presentato  a  1'  U- 
manità  e  le  à  detto  come  a  più  alti  destini  sia 
chiamata,  e  come  nel  suo  sano  si  vada  matu- 


—  200  — 


rando  il  frutto,  che  apparirà,  al  mondo  rasse- 
renato^ apportatore  di  pace  e  d'  amore. 

Nella  sua  attesa,  1'  animo  ingagliardisce  ed 
i  superbi  vincitori  del  momento  diminuiscono,  a 
gli  occhi  degli  incatenati,  in  proporzioni  lilli- 
puziane. 

La  nostra  presenza  qui  ci  dice  la  paura  dei 
nostri  avversarli:  il  nostro  domicilio  coatto  è  la 
prova  migliore  della  forza  nostra. 

Che  se  in  un  giorno  di  momentanea  disfatta 
dovessimo  cadere  prima  di  aver  veduto  la  tejfigj 
promessa,  si  possa  da  tutti  e  da  ciascuno  dire 
di  noi  come  dei  soldati  di  Leonida,  che  cademmo 
mantenendo  quel  posto,  che  dal  partito  era  stato 
a  noi  assegnato. 

Nuove  e  più  feconde  e  più  gagliarde  lotte 
sospirando,  da  le  carceri,  da  l'esilio,  da  le  isole, 
ora  e  sempre,  la  fede  nostra  si  riafferma  in  un 
grido  che,  ripetendosi  da  l'Alpe  a  V  Etna,  as- 
sicura i  compagni  lottanti  su  tutta  la  terra,  che 
non  inerte  1'  Italia  assisterà  al  Rinascimento 
del  mondo. 

0  forcajuoli  d' Italia,  chiamateci  come  l'odio 
vi  detta,  trattateci  come  la  paura  vi  consiglia; 
ma  voi  non  riuscirete  a  cancellare  da  la  Storia 
che  noi,  relegati  in  queste  Cajenne,  siamo  i 
precursori  e  gli  iniziatori  di  una  nuova  civiltà. 

Viva  il  Socialismo  !